Eternal dream

di Mary P_Stark
(/viewuser.php?uid=86981)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***






 

We came out from the deep

To learn to love, to learn how to live

We came out from the deep

To avoid the mistake we made

That’s why we are here!

-Enigma-

 

 

 

1.

 

 

 

Trovavo inconcepibile che nostro padre potesse aver separato madre e figlia, e subito dopo il loro avvento a Mag Mell, dove i loro antenati erano vissuti.

Sapevo che Tethra era famoso per i suoi inganni e per i suoi voltafaccia, ma avevo sperato che, almeno in quest’occasione, si sarebbe dimostrato più … umano.

Mi era parso di scorgere sincero interesse nei confronti di Fay, in quegli occhi color dell’acqua cristallina.

La sua risata, così come il suo sorriso raro, mi avevano fatto ben sperare per la giovane O’Rourke.

Invece, come sempre, era riuscito a sorprendermi in negativo.

Ma, almeno per una volta, mi sarei realmente resa utile, non sarei stata la silente spettatrice dei drammi dei miei fratelli.

Avrei aiutato anch’io, perché la loro felicità fosse completa.

Intrufolarmi nell’appartamento reale non era esattamente il modo più consono di operare, lo sapevo bene.

Ma sapevo altrettanto bene che, se avessi chiesto un incontro formale con loro, me l’avrebbero negato.

Mi assicurai, perciò, che le cameriere di mia madre non fossero presenti nel gineceo e mi intrufolai all’interno dei loro appartamenti.

A quel punto, mi nascosi dietro una delle tende in mussola di seta azzurro cielo, e lì attesi il loro ritorno.

Avrei preso una lavata di capo, ma poco importava.

Contai il passare dei minuti, scanditi dal battito calmo del mio cuore e, nel frattempo, pensai a Rachel e a ciò che, sicuramente, stava patendo.

Aveva dimostrato coraggio da vendere, trattenendosi dal correre dietro alla figlia, e smentendo di fatto la mia accusa di debolezza.

Era più forte di molte fomoriane che, al momento di abbandonare i figli per le senturion, scoppiavano in lacrime di fronte ai mariti.

Non era cosa che si ammettesse con candore, ma ero stata testimone di più di un pianto sconvolto, nei miei quattromila anni di vita.

Ero, perciò, consapevole di quanto fosse stato onorevole il comportamento di Rachel.

Meritava almeno un tentativo da parte mia, visto quanto poco mi ero fidata – in principio – della sua parola e dei suoi sentimenti per mio fratello.

Quando mi ero recata da lei – dèi, sembrava passato un secolo! – , l’avevo trovata bella e gradevole, ma innocua.

Solo quando l’avevo vista assieme alla figlia, mi ero resa conto della sua forza interiore.

Avrebbe dato la vita - e molto di più - per lei e, a quel punto, anche per Krilash.

In fondo, era questo ad avermi convinta della sua buona fede.

Lo amava con sincerità e passione, e mio fratello amava lei e sua figlia con altrettanta forza.

I miei fratelli meritavano di essere amati da donne di tal risma.

Quanto a me…

Il suono dei passi dei miei genitori mi mise in allerta e, quando percepii l’aprirsi della porta d’ingresso dei loro appartamenti, mi rattrappii.

Dovevo capire esattamente quando uscire allo scoperto, non un attimo prima.

A prendere la parola, al loro rientro, fu Tethra, apparentemente irritato o, forse, esacerbato da qualcosa.

Si servì da bere – o così intuii dal tintinnare dei bicchieri nel salottino – e lo sentii asserire: “Ci manca soltanto che ora, i miei sudditi, si mettano sulle tracce di tutti i discendenti umani delle dinastie perdute!”

“Non puoi fare una colpa a Krilash di aver desiderato portarla qui. Sarà un’ottima compagna, visto che la parvhein si è destata in lui, e Faélán renderà onore a lui e a noi tutti.”

Mio padre rise con tono stranamente orgoglioso, a quel commento, e replicò: “La piccola ricorda molto Niamh, vero? Mi è quasi venuto un colpo, quando l’ho vista.”

“Sì, si somigliano molto” mormorò Muath, con tono stranamente dimesso.

Che mai le era capitato? Perché, la vista di quella ragazzina, l’aveva turbata tanto?

“Il fatto che si somiglino, però, non vuole necessariamente dire che avrà le stesse capacità di mia cugina. E’ cresciuta in mezzo agli umani, e questo non depone certo a suo favore. A ogni modo, io le ho concesso di restare, perciò nessuno le torcerà veramente un capello, visto che è sotto la mia ala protettrice.”

“Anche Litha è nata sulla terraferma, e con questo? E’ diventata un’ottima guerriera, e una fomoriana dallo spirito indomito! E senza il nostro aiuto! Senza il tuo aiuto!” protestò con veemenza Muath, mettendomi subito in allerta.

Quel nome, così simile al mio, mi fece rabbrividire, portando a chiedermi di chi mai stessero parlando.

Chi altri era nato sulla terraferma, oltre a Rachel e alla figlia, ed era poi giunto a Mag Mell per crescervi?

Tethra rise sprezzante, ora nuovamente irritato, e replicò: “Ancora mi sfidi, Muath, dopo quattro millenni? Sai che trovo di pessimo gusto il fatto che tu continui a chiamare Lithar con il nome che le diede sua madre.”

Cosa?!, pensai sconvolta, chiedendomi di cosa diavolo stessero parlando.

Mi irrigidii tutta, tremando come una foglia, ma ancora non volli rendere evidente la mia presenza.

Volevo sapere, conoscere ogni cosa, perché quelle parole potevano contenere il segreto alle mille domande che avevo posto, nei secoli, a Muath.

Senza aver mai, peraltro, ricevuto alcuna risposta in cambio, se non uno sguardo accigliato e severo.

“E io trovo che ricordare con tale tono discriminante la donna che venne uccisa per mano nostra, quella notte, sia quanto meno ingiusto” replicò aspra la moglie.

“Era una Tuatha de Danann. Meritava la morte, anche se fu fatto per uno stupido errore di superficialità da parte nostra” ribatté Tethra, sempre più furioso. “Ma bada…, se ti sentirò ancora chiamare Lithar con il suo antico nome, la pagherai cara. Ho risvegliato il suo sigillo perché suo padre era fomoriano, mio cugino di primo grado, ma non chiedermi di ricordare le origini impure di sua figlia una volta di più.”

Subito, mi toccai la rihall sul collo, la stella a punte di freccia che, fin dall’inizio, era parsa così differente da quella dei miei fratelli.

Muath aveva sempre detto trattarsi di uno scherzo del destino ma, alla comparsa dei primi glifi sul corpo, le mie domande erano venute di pari passo.

Lei mi aveva sempre negato qualsiasi spiegazione, ma ora… ora…

Tremai sempre più forte, fino a far battere i denti, e quel suono mi smascherò.

Muath si levò in piedi, guardinga, e raggiunse subito le tende dietro cui mi ero nascosta.

Le scostò con violenza, forse pensando di trovare una cameriera curiosa ma, quando vide me, sgranò gli occhi e si fece pallida, quasi cerea in viso.

“Litha…” esalò, gli occhi color acquamarina sgranati e colmi di panico.

Mi levai in piedi in preda ai tremori, mentre anche Tethra - colui che, per una vita, avevo considerato mio padre - si avvicinava a noi con aria preoccupata.

“Cosa… cosa significa?” balbettai, tremando così forte da avere difficoltà a rimanere in piedi, o a parlare coerentemente.

Muath cercò di toccarmi, ma io indietreggiai, colma di dolore e collera.

Mi avevano mentito per tutto questo tempo, e niente di quanto avevo creduto, saputo, era mai stato vero!

“Lithar, ascoltami… non devi pensare che…” tentò di parlare Tethra, ma io lo bloccai con un’occhiata terrificante.

“Avete veramente ucciso mia madre? Una… Tuatha?” gli urlai contro, ormai ai limiti del pianto.

“Eravamo in guerra… non potresti capire” si limitò a dire lui, allungando una mano verso di me. “E, dopotutto, tu sei in parte fomoriana, perciò meritasti di sopravvivere.”

Indietreggiai ancora, finendo con l’urtare la finestra alle mie spalle.

“Cosa dovrei capire, allora? Cosa?!”

La mia respirazione si fece irregolare e in un attimo seppi che, se non mi fossi calmata, sarei certamente svenuta per mancanza di ossigeno al cervello.

Stavo rischiando il collasso e, mai e poi mai, avrei accettato di crollare ai loro piedi, inerme e ferita.

Non avrei concesso loro un simile lusso.

“Ti portammo con noi… ti salvammo la vita…” mormorò Muath, cercando di sorridermi per rabbonirmi.

Le lacrime iniziarono a correre acide sulle mie gote, segnandole come lame di spada e, al limite del controllo, gracchiai: “Fu solo per pietà…”

“Non fu mai per questo, Litha!” replicò la donna che, da sempre, avevo considerato mia madre.

Mia madre…

Colei che mi aveva curato in gran segreto, nel recinto delle senturion, che aveva corrotto più di un soldato perché mi portassero cibo sufficiente, acqua o generi di prima necessità.

Colei che mi aveva spinta a migliorarmi sempre, in ogni attività, qualsiasi essa fosse.

Colei che mi aveva sostenuta, a ogni millennio, quando il mio corpo era cambiato in modo diverso dagli altri, dandomi coraggio e sostegno,… ma non risposte.

“Non avvicinatevi... non avvicinatevi!” gridai, in preda alla confusione più nera.

Chi ero, a quel punto? Una trovatella? Una spoglia di guerra? Cosa?!

E i miei fratelli... le persone che più avevo amato, e amavo, nella mia vita, erano una menzogna!

Sapevano anche loro? Mi avevano mentito fino a quel momento?

“Devi capire, Lithar, che...”

“Come mi chiamo veramente!?” sibilai, tenendoli a distanza con una mano levata verso di loro.

Muath sospirò, reclinò il capo e mormorò: “Tua madre ti diede il nome Litha, in onore della festività celebrata il giorno in cui nascesti.”

Inspirai con forza, cercando di rammentare quel nome e, sempre più agitata, domandai: “Dove? Dove mi avete trovata?!”

Fu Tethra a rispondere, stavolta.

“Fu durante una delle prime guerre tra noi e i Tuatha, Lithar, e noi non... non sappiamo bene dove...”

Risi sprezzante, interrompendo quell’inconsueto balbettio, e sibilai: “Certo, perché i fomoriani sono capaci solo di uccidere, ma non badano al dove, al come e al perché.”

“Ti abbiamo cresciuta noi, accudita noi, protetta noi... non credo siano cose così secondarie. Avremmo potuto benissimo lasciarti lì a morire!” sbottò a quel punto Tethra, mettendo nella voce tutto il suo astio non più trattenuto.

“Forse avreste dovuto. In fondo, sono solo una sporca Tuatha!” lo irrisi, sfoderando la spada che tenevo al fianco.

Sia Muath che Tethra si allontanarono in ansia, essendo disarmati e io, nel farmi largo, ordinai loro: “Non provate neppure a seguirmi... non voglio più posare lo sguardo su di voi!”

Ciò detto, corsi fuori dai loro appartamenti e, senza più guardarmi indietro, uscii da palazzo con l’intenzione di non tornarvi più.

Superai la barriera che proteggeva Mag Mell dai mari e dagli sguardi curiosi, ben decisa a non mettere più piede in quel luogo di traditori.

In lacrime, mutai forma e risalii per raggiungere la terraferma.

Non badai ai branchi di delfini che mi affiancarono, preoccupati, né all’approssimarsi della tempesta che mi accolse in superficie.

Nulla importava più, in quel momento.

Emersi nei pressi della casa di Rohnyn e, camminando lesta sulla spiaggia, raggiunsi il cortile in selciato.

Lì, presi la chiave dallo stipetto nascosto sotto una mattonella e aprii il garage, dove si trovavano i nostri guardaroba.

Quando accesi la luce, le lampade mi ferirono gli occhi, ma lasciai correre.

Avevo bisogno di vedere dove mettevo i piedi, se non volevo fare dei danni.

In fretta, presi uno dei borsoni di Rohnyn, di quelli che usava per la palestra, e vi infilai dentro i miei abiti e la mia pelle di delfino ancora umida.

Guardai fuori dalla finestra, torva e determinata e, nel notare quanto le nuvole nere all’orizzonte, afferrai un poncho e lo infilai per precauzione.

Una lacrima ribelle sfuggì ai miei occhi, ma io la scacciai con cattiveria.

Non era più il tempo di piangere. Mai più.

Avevo bisogno di pace, di allontanarmi da coloro che avevano tradito la mia fiducia e forse, così, avrei trovato le risposte che cercavo.

Richiusi tutto e, dopo un ultimo sguardo alla casa di Rohnyn, mi allontanai a piedi, lasciando alle mie spalle il mare, le mie misere certezze, i miei sogni.

***

Cá fhad é ó

Cá fhad é ó

Siúil trídna stoirmeacha.

Siúil trídna stoirmeacha.

Cá fhad é ó

An tús don stoirm.

Cá fhad é ó

An tús go deireadh.

Tóg do chroí.

Siúil trídna stoirmeacha.

Tóg do chroísa.

Dul trídna stoirmeacha.

Turas mór.

Tor trídna stoirmeacha.

Turas fada.

Amharc trídna stroirmeacha.1

 

La voce melodiosa di Enya mi accarezzava le orecchie mentre, con passo placido, camminavo sul ciglio della strada.

Sembrava stesse cantando per me, e questo mi fece quasi sorridere.

Gli auricolari ben infilati, per evitare che scivolassero a causa del vento, e il capo basso – coperto dal cappuccio del poncho – avanzavo senza meta.

Avevo solo scelto di andare in direzione opposta a quella che conduceva a Dublino.

Da lì in poi, tutto sarebbe andato bene, per quel che mi importava.

Una donna umana non si sarebbe mai sognata di fare una cosa simile in una notte di tempesta, anzi. Non sarebbe neppure uscita di casa.

Io, però, non avrei avuto problemi a difendermi da eventuali malintenzionati e anzi, forse avrei anche trovato soddisfazione in una bella scazzottata.

In quel momento, le mani mi tremavano così tanto che avrei potuto perdere la presa sulla mia spada, se l'avessi avuta con me.

Quel pensiero mi ferì, perché avevo fatto confezionare quell'arma con specifiche uniche.

Non avrei comunque potuto portarla con me, sulla terraferma, dove le spade erano poco più che cimeli da arredamento, o utilizzate per hobby o per sport.

Proseguii per un tempo indefinito, con la pioggia che picchiettava sul tessuto impermeabile del poncho, finché un camionista non si fermò poco distante.

Si sporse per farmi segno di avvicinarsi e, con un gran sorriso, mi disse di non aver paura.

Lo raggiunsi di corsa e, nel ringraziarlo, aprii la portiera sul lato passeggero e salii.

Lì, mi accomodai sul comodo sedile, e assaporai un po’ di calore per la prima volta da ore.

L’interno era accogliente; asciutto e pieno di colori.

“Che ci fa una ragazza tutta sola, e sotto un diluvio simile?” mi domandò con gentile cortesia l'uomo, che dimostrava più o meno una cinquantina d'anni.

Sorrisi a mezzo, mormorando: “Devo allontanarmi dalla città.”

“Sei nei guai con la polizia?” si preoccupò subito, accigliandosi.

Risi mesta, e scossi il capo. “No. Niente del genere.”

“Beh, ragazza. Io posso portarti fino a Harrisgrove, nei pressi di Cork. Devo consegnare degli attrezzi agricoli, poi tornerò indietro. Ti può andare bene?”

“Quanto dista da qui?” mi informai, non avendo la minima idea di dove si trovasse Cork.

Vagamente sorpreso dalla domanda, l'uomo fu comunque così gentile da rispondermi e, nel riavviare il mezzo, mi disse: “Sono quasi duecento miglia, ragazza. E, se devi mettere dello spazio tra te e il tuo innamorato, bastano e avanzano.”

Feci tanto d'occhi, pronta a smentirlo, ma mi azzittii un attimo dopo. Come scusa, poteva andare bene.

Visto quello che era accaduto a Rachel, potevo dare per scontato che fosse una cosa abbastanza comune, tra gli umani.

Se avessi avuto più esperienza con le faccende dei terreni, non avrei avuto tutti questi problemi ma, per il momento, poteva andar bene, come espediente.

“Grazie. In effetti, più mi allontano da lui, meglio è.”

Raddolcendo lo sguardo, l'uomo mormorò in risposta: “Non è mai bello, quando si litiga, eh?”

“Già” assentii, sospirando.

“Riposa un po', ragazza. Mi ci vorrà del tempo, per arrivare, e tu mi dai l'idea di una che ha passato davvero un brutto quarto d'ora.”

“Non ne ha idea” ammisi e chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dall'andamento ondeggiante del mezzo.

Ovunque stesse andando, mi stava conducendo lontano dalle uniche certezze che avevo avuto nella vita.

In quel momento, però, niente di tutto quello che conoscevo, che amavo, avrebbe potuto aiutarmi.

Ora, avevo bisogno di allontanarmi da tutto. Da tutti.









Note: Ed eccoci arrivati alla storia di Lithar. Finalmente si è scoperto cosa ci sia che non va - per modo di dire - nella più giovane dei figli di Muath e Tethra. Ora, rimarrà solo da capire come affronterà questa soncertante notizia e come, i suoi fratelli (se non nel sangue, per lo meno nel cuore) reagiranno alla sua scomparsa. 
Buona lettura e grazie per essere passate anche qui!


 

Traduzione Storms in Africa (part 1) – Enya –

Quanto lontano bisogna andare?

Quanto lontano bisogna andare?

Cammina attraverso i temporali

Procedendo attraverso i temporali

Quanto lontano bisogna andare?

L’inizio dei temporali

Quando lontano bisogna andare?

Dall’inizio alla fine

Alza il tuo cuore

Camminando attraverso i temporali

Prendi il tuo cuore

Procedendo attraverso i temporali

Un lungo viaggio

Vieni attraverso i temporali

Un lungo viaggio

Guarda attraverso i temporali

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2.
 
 
 
 

Tergendomi il viso con il dorso della mano, sorrisi soddisfatta nell'osservare la catasta di scatoloni che, assieme a Bryan, avevo scaricato dal camion.

Al mio risveglio, che era coinciso con l'arrivo dell'alba alle nostre spalle, il mio fortuito salvatore si era presentato con il nome di Bryan Fitzpatrick.

A lui, mi ero presentata con il nome che usavo tra gli umani, e lui mi aveva promesso, strizzandomi l'occhio, che non avrebbe detto a nessuno di avermi vista.

L'avevo ringraziato profusamente e lui, con aria malinconica, mi aveva accennato a certi guai che la figlia aveva avuto con il primo fidanzato.

Dalle sue parole, avevo compreso immediatamente cosa l'avesse spinto ad aiutarmi.

L'idea che un'altra donna potesse soffrire a causa di un uomo, doveva averlo turbato molto.

Era stato un vero peccato non potergli raccontare il vero, ma avevo apprezzato molto la sua gentilezza.

Per sdebitarmi, perciò, l'avevo aiutato a scaricare parte del carico, una volta giunti a Harrisgrove.

La brina ricopriva ogni cosa, in quella fredda mattina di gennaio, e solo un caso fortuito aveva voluto che la pioggia della notte precedente non fosse mutata in neve.

L'aria umida, però, si era ora tramutata in gelido alito di vento, e dubitai che il tempo sarebbe stato altrettanto clemente, se il temporale avesse ripreso forza.

Bryan, fissando il cielo plumbeo e rigonfio, borbottò un'imprecazione e, spiacente, mi disse: “Mi piange il cuore a lasciarti qui, ma devo continuare le consegne e rientrare a Dublino.”

“Va bene così, Bryan. Hai già fatto molto, per me” lo ringraziai, scuotendo il capo per chetare le sue paure.

L'uomo si grattò la guancia ispida di barba, si guardò intorno e infine dichiarò pensieroso: “Laggiù, in fondo a quella strada laterale, c'è una fattoria. Magari, puoi chiedere al proprietario se puoi fermarti per un po’ lì. Visto quanto sei forte, potresti essere utile come manovale, almeno finché non avrai capito cosa fare. Il giovane Rey lavora sempre da solo, e dio solo sa se non gli serve una mano, ogni tanto!”

Incuriosita, lanciai un'occhiata dietro di noi, dove si trovava la piccola strada di campagna indicatami da Bryan.

Poco oltre, dove potevo scorgere interi campi coperti di bianca brina, si intravedeva una proprietà, composta da una casa e diversi capannoni.

“Dici che vorrà una donna come aiutante?” domandai, scettica.

Sapevo che gli umani erano piuttosto restii a dar voce – e peso – alle donne.

“Rey Doherty guarda al sodo, credimi. E, se la vuoi sapere tutta, credo che sia l'unico sano di mente, nella sua famiglia, per cui capirà subito di che pasta sei fatta” borbottò, prima di aprirsi in una risatona divertita.

Accennai un sorrisetto, non sapendo bene come prendere quella frase.

Che la famiglia di questo Rey fosse stata vittima, nei secoli, di tare ereditarie?

“Vado spesso da lui per ritirare la lana delle sue pecore, perciò potremmo anche rivederci, Lisa.”

“Proverò a parlarci, allora, se mi dici che ci si può fidare” assentii, trovando piacevole l’idea di rivedere quell’uomo gentile.

“Uno che si sobbarca l'azienda agricola dei nonni, e ci rimane per curare la nonnina malata, non può essere proprio cattivo” ironizzò Bryan, dandomi una pacca sulla spalla, non senza una certa fatica.

Con il mio metro e ottantacinque di altezza, ero più alta di lui di tutta una testa.

“Due spalle forti, le tue, ragazza” commentò, guardandomi tutto sorridente.

“Già” assentii, impacciata.

Restai in disparte quando Bryan venne pagato e, dopo aver recuperato la mia borsa e il poncho, lo salutai e mi incamminai su una laterale della Regionale 627.

Senza volgere lo sguardo, ascoltai il suo camion allontanarsi lungo la strada e, proprio in quel mentre, i primi candidi fiocchi di neve iniziarono a cadere.

Mi rinfilai perciò il poncho per non bagnarmi e, con calma, procedetti fino a raggiungere la fattoria indicatami da Bryan.

Lì, trovai il cancello in metallo chiuso con un lucchetto, e un curioso cartello appeso sopra.

'Se trovate il cancello aperto, vuol dire che sono a casa, e il cane non vi mangerà. Se provate a entrare quando il cancello è chiuso e io non ci sono, fatti vostri. La pellaccia che divorerà non sarà la mia.’

Il messaggio terminava con un buffo cerchio, a cui erano stati disegnati due puntini come occhi e una bocca zannuta.

Mi fece pensare a qualcuno di molto arrabbiato ma, mio malgrado, trovai tutto il messaggio assai divertente.

Solo una persona con dello spirito, poteva abbinare un simile disegnino a un messaggio informativo.

“Oh... beh, aspetterò” mormorai tra me, cercando un punto utile dove sistemarmi con la mia sacca.

Inquadrato un ceppo, lo spazzolai dalla poca neve caduta e mi ci accomodai sopra.

Piazzai la sacca sulle ginocchia, la riparai con la tela del poncho e iniziai ad attendere.

In quel posto, il silenzio era assoluto e, complice la neve, tutto sembrava ovattato, tranquillo, in pace.

Dalla mia posizione acquattata, scorsi solo dei muretti a secco, una siepe di bosso e dei capannoni, nella proprietà dei Doherty.

La casa era in parte riparata alla vista da una fila di betulle mentre un cane, in lontananza, lanciava ogni tanto un cauto abbaiare.

Non avendo molto altro da fare, oltre a pensare, mi concentrai sulla respirazione per rallentare i battiti del cuore e, nel contempo, rimuginai.

Visto che le batterie dell’iPod erano andate, nel corso della notte – l’avevo dimenticato acceso – non potevo fare altro, anche quanto.

Le parole di Muath e Tethra erano state illuminanti quanto atroci, e avevano aperto uno squarcio senza fondo nella mia vita.

Ora, comprendevo il perché di molte cose.

Gli sguardi dubbiosi delle levatrici e delle infermiere – loro dovevano aver saputo fin dal mio arrivo a Mag Mell – così come le risposte laconiche di Muath.

Mi era stato tenuto segreto tutto fin dai miei primi mesi di vita, e ora la verità mi giungeva su un piatto tinto di sangue e bugie.

Perché non me ne avevano parlato?

Perché mi avevano fatto credere, per ben quattromila anni, di aver preso da fantomatici antenati che non avevo mai conosciuto?

Mi ero sempre sentita diversa, anomala, pur con tutte queste rassicurazioni.

Beh, anomala la ero davvero visto che, nel mio corpo, scorreva sangue Tuatha.

Tutti noi avevamo combattuto contro i miei avi, uccidendone molti in battaglia.

Forse, uno di noi – o addirittura io - aveva dato la morte alla mia vera famiglia, …chissà.

Eppure, non riuscivo a odiare i miei fratelli… coloro che avevo considerato miei fratelli fino al giorno precedente.

Ricordavo fin troppo bene gli anni delle senturion, la forza che ci eravamo scambiati l'uno con l'altro.

Avere loro al mio fianco mi aveva evitato di impazzire, o cedere.

Volevo loro bene, nonostante tutto, eppure non mi ero fidata a raggiungere Rohnyn, che pure avevo considerato da sempre il mio gemello.

Sapere che non lo era mi aveva ferita, aprendo uno squarcio in me difficilmente colmabile.

Quanti di loro sapevano? O, anche loro, erano stati presi in giro per tutto quel tempo?

Cosa avrebbero detto, sapendomi figlia dei loro più antichi nemici?

Mi avrebbero odiata? Ripudiata perché non ero veramente loro sorella?

Sospirai, scuotendo il capo per il fastidio e, concentrandomi solo sulla respirazione, cacciai ogni pensiero dalla mente.

Osservai il lento discendere della neve, lasciando che il mio corpo si uniformasse a quel ritmo pacato e confortante.

Ogni mio muscolo si rilassò, le mani allentarono la presa sulla sacca e, lentamente, tutto rallentò.

La neve, nel frattempo, iniziò a depositarsi su di me, ma io non vi badai.

Non sentivo il freddo, la sete, la fame, la stanchezza.

Ero stata addestrata dai fomoriani a non sentire nulla di tutto ciò.

Dei Tuatha, invece, avevo solo conosciuto i punti deboli ma, a parte questo, non mi ero mai interessa a nient’altro, su di loro.

In quel momento, invece, avrei voluto sapere ogni cosa.

“Cosa sono, in realtà?” mormorai, non sapendo darmi una risposta.

 
***

Il borbottio di un motore mi riscosse dalla trance in cui ero caduta e, levato il capo per curiosare, mi ritrovai a sputacchiare neve per diretta conseguenza.

Non mi ero accorta di essere diventata un pupazzo di neve vivente.

Dovevo aver accumulato almeno venti centimetri di candore niveo, sul poncho.

Mi levai in piedi, lasciando che la neve cadesse dal mio corpo e, lanciata un'occhiata in direzione del mezzo in avvicinamento, sperai che fosse il padrone della fattoria.

Bryan mi aveva detto il suo nome, ma non gli avevo domandato di descrivermelo.

Alla peggio, avrei fatto una brutta figura, ma poco importava.

Il mezzo rallentò dopo essersi spinto cautamente sulla neve fresca, ormai alta più di trenta centimetri.

Ne scese un uomo infagottato in un pesante maglione grigio dal collo alto, con una sorta di coppola scura ben piantata in testa.

Aprì il cancello a mano, armeggiando con una grande chiave dopodiché, volgendosi verso di me, inclinò il capo e domandò: “Sei Jack Frost1, o c'è qualcuno, sotto quel poncho imbiancato?”

Il suo tono non fu irriverente, ma cordiale e allegro, perciò sorrisi.

“Sono in cerca di un lavoro, anche temporaneo. Il signor Bryan Fitzpatrick mi ha mandato qui da lei e...” Mi interruppi, essendomi scordata un particolare piuttosto importante. “Lei è il signor Doherty, spero…”

I suoi occhi color cioccolato mi sondarono con curiosità e, dopo un attimo, lui annuì.

“Conosci quella buon'anima di Bryan, allora?”

“Beh... è esagerato dire che ci conosciamo...” tentennai, non sapendo quanto ammettere e quanto omettere. “... però, mi ha detto che avrebbe potuto aiutarmi. O meglio, che io avrei potuto aiutare lei con i lavori in fattoria.”

Mi stavo impappinando, e non era certo da me. Ma quando mai mi era capitato di trovarmi in una situazione simile?!

A quel punto, Rey si grattò la nuca, da cui spuntavano neri capelli arricciati sul colletto del maglione e, lanciato uno sguardo alla sua proprietà, borbottò: “Beh, se prometti di non fare male alla mia nonnina, puoi anche entrare. Non mi va di parlare sotto la neve e, a giudicare dal mucchio formatosi ai tuoi piedi, tu sei qui da un po'.”

“Che ore sono?” mi informai a quel punto, pensierosa.

“Le tredici passate, perché?”

“Allora, sono qui dalle nove” dissi soddisfatta.

Lui strabuzzò gli occhi, costernato, mi ordinò di precederlo nel cortile e, dopo essere risalito sul mezzo, entrò a sua volta.

Affondai perciò i piedi nella neve, inzuppando definitivamente le scarpe da ginnastica.

La coltre nivea penetrò all'interno, raggelandomi piedi e dita, ma non mi lagnai.

Era già tanto essere riuscita a entrare.

Osservai il camion mentre si fermava sotto un portico asciutto e, un attimo dopo, ne discese Rey, armato di un borsone a tracolla su una spalla.

Mi corse incontro, mi lanciò un'altra occhiata dubbiosa ma poi disse: “Vieni. Hai bisogno di caldo e di un posto asciutto. E' già un miracolo che tu non sia morta per ipotermia, lì fuori. Ma che ti diceva, la testa? Non potevi aspettare da qualche parte, prima di presentarti qui in cerca di un lavoro?”

“No” dissi con semplicità.

Lui allora mi guardò stranito e, aggrottata un poco la fronte, mi domandò: “Perché sei qui? E per qui, intendo la zona, non casa mia. E’ chiaro che non sei di queste parti. Il tuo accento è davvero strano, sai?”

“Mi trovo qui per puro caso, signor Doherty. Sarò sincera, visto che mi sta offrendo, almeno per il momento, un tetto sotto cui stare.”

Presi un gran respiro, e aggiunsi con caparbietà: “Sono in fuga dalla mia famiglia. Ci sono divergenze inconciliabili che non mi permettono di tornare e, al momento, le uniche cose che ho sono in questa sacca.”

Gliela mostrai, ma lui guardò le mie scarpe bagnate e basta.

“Starai gelando...” mormorò, preoccupato.

Mi sospinse verso casa e, dopo aver aperto la porta, mi precedette nell’anticamera.

Lì, mi indicò un appendiabiti, dove appesi il poncho perché gocciolasse senza far danni al pavimento di casa.

Con la sacca in una mano e le scarpe bagnate nell'altra, entrai poi attraverso una porta in pesante legno chiaro, e mi ritrovai in un salottino accogliente e caldo.

Un'enorme stufa in maiolica, dai colori caldi e autunnali, lasciava trapelare da sé un calore piacevole e confortante.

Notai anche un camino, a cui erano accostate alcune poltrone dal telaio ligneo, in quel momento spento.

Lo sguardo mi corse alla cucina, ordinata pur se ricolma di oggetti.

Era calda anch’essa, sapeva di vita vissuta e, soprattutto, di tepore familiare.

Sospirai impercettibilmente e Rey, afferrata la mia borsa, mi ordinò: “Siediti sulla panca accanto alla stufa. Ti scalderai prima e, nel frattempo, mi dirai in che guaio ti sei cacciata, e perché vuoi lavorare qui.”

Annuii, accogliendo con favore quella soluzione.

Il tepore della panca in legno riverberò nel mio corpo raggrinzito dal freddo, e solo allora mi accorsi di avere le dita viola e intirizzite dal gelo.

Rabbrividii per diretta conseguenza e, allungando le mani verso la maiolica, mormorai: “Mi sembrano secoli dacché ho sentito un po' di caldo.”

Rey assentì con un risolino, asserendo: “Passare tante ore sotto la neve, fa questo effetto. E i piedi bagnati non aiutano.”

Lo guardai, apprezzando il suo sorriso tranquillo, la sua posa naturale – lui, seduto su uno dei braccioli di una poltrona – e dissi: “Forse, troverà strano ciò che le dirò, ma è così che mi sento. Penso di non sapere chi sono.”

“Per un'amnesia, o per una crisi d'identità?” mi domandò per diretta conseguenza, cercando di fare dell'ironia.

Sorrisi appena, trovando gradevole il suo tentativo di mettermi a mio agio.

“La seconda.”

“Perciò, se anche tu mi dicessi come ti chiami, non ti riconosceresti in quel nome?” ipotizzò lui, scrollando le spalle con leggerezza.

“Il nome posso dirlo senza tema alcuna. Non appartiene che a me, e me sola, ed è Litha.”

Rey lo saggiò sulla lingua, dando un'inflessione particolare al mio nome.

“La festività del solstizio d'estate. E' un nome originale” asserì, allargandosi in un sorriso.

Di sicuro, Rey Doherty sapeva come mettere a proprio agio le persone.

Da lui veniva un'aura tranquilla e sicura di sé.

Non c'erano astio o preoccupazione, nel suo animo, pur se la sua posa plastica nascondeva un pizzico di ansia.

Forse, per la nonna cui aveva accennato.

“E il resto?”

Sospirai, reclinando il capo.

“Non so. In tutta onestà, dirle il mio cognome sarebbe come dire una bugia.”

“Adottata? E l'hai scoperto ora?” ipotizzò a quel punto, mettendo un tono comprensivo nella voce.

“Qualcosa di simile, e di peggiore.”

“Beh, Litha quel-che-vuoi, per me puoi anche rimanere qui, per oggi, e riscaldarti dal freddo che hai mangiato per aspettarmi. Poi, mi dirai perché ti sei messa in testa di lavorare in una fattoria.”

Mi sorrise complice, e aggiunse: “E cancella quel ‘lei’ così pomposo. Puoi darmi tranquillamente del tu.”

Lo guardai grata, sorridendogli con autentico trasporto e, con tono ironico, chiosai: “Non mi spaventano i lavori di fatica, e posso fare quello che fa qualsiasi uomo.  Inoltre, mi sembra il minimo aiutarti, così da ripagarti dell’ospitalità che mi concederai. Spero.

Lui sembrò soppesarmi, vagliando attentamente ciò che poteva vedere, ma l'arrivo di una donna anziana, poggiata a un bastone, lo distolse dal suo esame.

“Nonnina, ma che fai?! Sarei venuto io, ad alzarti da letto!” esalò, terrorizzato a morte dalla sua vista.

Balzò in piedi come una molla, scattando nei pressi della piccola donnina tutta grinze e balze di flanella color corallo.

Le sorrisi cordiale e lei, guardandomi con autentica curiosità, mormorò con voce sottile: “Che sorpresa è mai questa, giovanotto? Porti in casa una creatura simile, e non mi avverti?”

“Cosa?” esalammo all'unisono, sconcertato lui, terrorizzata io.

Avvicinandosi a me con la sua andatura lenta e claudicante, mi sfiorò il viso con una mano, accigliandosi leggermente e, dubbiosa, mi domandò: “Bambina cara, ma che razza di guazzabuglio sei? Sei una creatura del mare, o della terra?”

Un fulmine a ciel sereno avrebbe fatto meno danni al mio sistema nervoso.

Spaventata, scrutai in viso Rey, già pronta a vedervi panico o peggio, rabbia per essere stato preso in giro.

Invece, trovai solo sana curiosità, e un pizzico di esasperazione mista a ironia, e queste ultime erano tutte dirette verso sua nonna.

“Non dirmi che esiste qualcos'altro che non conosco, nonnina” si lagnò bonariamente Rey,... strizzandomi l'occhio con aria consolatoria.

Rimasi basita, chiedendomi dove fossi finita.

La donna squadrò il nipote con aria irriverente, prima di tornare a guardare verso di me con i suoi penetranti occhi caldi e color cioccolato.

Uguali a quelli di Rey.

“Il ragazzo scherza su tutto, ma dovrebbe sapere che i Nove Regni sono portatori di mille e più razze diverse e che il Bifröst, la porta sui mondi, non è mai stata realmente chiusa per nessuno.”

Sgranai gli occhi, allibita, mentre Rey sospirava, scuotendo il capo.

Ma chi erano queste persone?!

Balbettando nervosa, mi rivolsi all’uomo ed esalai: “Sei... sei un licantropo?”

Non mi era parso, ma ero così intorpidita dal freddo, che tutto poteva essere.

Fu il suo turno di apparire sorpreso, mentre la nonnina si apriva in una risatina divertita.

“E tu che ne sai dei licantropi?” gracchiò Rey, sedendosi lentamente, come se le gambe gli avessero ceduto di colpo.

“Che ne sai tu!” sbottai, lanciando un'occhiata disperata in direzione della candida nonnina.

Che fossi, per un errore madornale, finita in una casa di Cacciatori?

Eithe mi aveva spiegato, tempo addietro, dell’esistenza di esseri umani che, da millenni, davano la caccia a quelli della sua razza.

Possibile che fossi stata così sfortunata da incappare proprio nei loro nemici?

“Su, su, ragazzo... così la spaventi. Non agitarti, bambina. Sei al sicuro, qui.”

La nonnina tossicchiò appena e, nello sfiorare la mia rihall sul collo, scostò le dita per il fastidio e aggiunse: “Mai visto un segno simile... eppure c'è qualcosa, in te, che appartiene a questa terra.”

Deglutii a fatica e, facendomi forza, le domandai: “Sa chi sono?”

“Bambina, se dovessi azzardare un'ipotesi, direi che sei l'ultima dei Tuatha de Danann di antica stirpe ancora in vita. Ma c’è anche altro, in te” rise la donna, dandomi una pacca leggera sulla guancia.

Sentir nominare quel nome da quella tenera nonnina, mi portò molto vicina al crollo.

Come poteva, lei, riconoscere me? Chi era?

Guardai Rey, che stava osservandomi con curiosità sempre crescente, ma del tutto privo della paura – o incredulità – che avrebbe caratterizzato qualsiasi altra persona.

Sia Sheridan che Rachel avevano avuto le loro brave crisi di nervi, nell'aver scoperto la verità su ogni cosa.

Perché Rey, invece, non sembrava turbato?

“Nonnina, penso tu la stia confondendo parecchio. Se non le dici chi sei, penso avrà un attacco di panico” mormorò conciliante, lanciandomi un'altra occhiata comprensiva.

Piccata, mi rizzai in piedi e, con orgoglio ferito, replicai: “Non sono così debole da avere attacchi di panico per un nonnulla!”

Rey fischiò, forse divertito dal mio puntiglio, e questo mi fece inviperire ancora di più.

Come si permetteva, quel misero mortale, di prendersi gioco di me, la figlia di...

Mi bloccai a metà di quel pensiero, rattrappendo le spalle per il peso della mia totale solitudine.

Già… di chi ero figlia, in realtà?

“Da dove vieni, bambina?” mi domandò con gentilezza la nonnina, prendendomi per mano.

Tornai a sedermi sulla panca accanto alla stufa e, nel notare con quanta attenzione la donna mi stesse tastando la mano, mormorai: “Sì, sono mani di guerriera, signora. Questo è ciò che sono.”

“E chi ti ha addestrata alla guerra?”

Sospirai e, reclinando all'indietro il capo, studiai pensosa le travature in legno antico della casa di mattoni rossi in cui ero entrata.

“Stirpe fomoriana di antico sangue. Sono stata cresciuta dalla famiglia reale come loro figlia ma, come ha ben constatato lei, non appartengo al loro regno. Non completamente.”

Rey fischiò ancora, stavolta con aria finalmente sorpresa e strabiliata, e questo mi rincuorò un poco.

Dopotutto, non ero finita in una casa di pazzi completi.

Non del tutto, almeno, perché la nonnina fece sì e no caso al mio dire, replicando pensosa: “Una fanciulla immortale, cresciuta dai suoi nemici. Curioso abbinamento.”

“Fanciulla... immortale?” esalai, confusa.

La donna mi sorrise, picchiettando la sua mano scarna sulla mia, e annuì. “Per quanto mi è dato sapere, i figli dei Tuatha erano tutti immortali. In quanto dèi, i figli di Dana hanno beneficiato di un corpo materiale finché vi è stato qualcuno che li onorava con preghiere e canti, dopodiché sono divenuti entità spirituali, e sono stati confinati nel Cosmo. Per lo meno, quelli scampati alle guerre contro, per l’appunto, i fomoriani. Tu, bambina, che invece hai sangue di entrambi i popoli, hai evitato l'esilio nell'oblio. Ma resti immortale, non destinata solo a lunga vita come coloro che ti hanno cresciuta.”

Mi tastai la stella a punte di freccia sul collo e, per un attimo, tremai.

La stella, la mia rihall, il retaggio della mia parte fomoriana – che non conoscevo come pensavo – mi aveva salvata dall'annientamento totale?








Note: Direi che, per il momento, le sorprese non mancano. Non solo Lithar ha trovato un luogo in cui rifugiarsi temporaneamente, ma proprio presso le uniche persone che, forse, possono davvero capirla e aiutarla.

1 Jack Frost: Nella mitologia norrena, è lo spirito deputato a far nevicare e, per gli inglesi, è sinonimo di inverno. Viene anche chiamato Mastro Gelo.

Grazie per essere passate e, se volete, lasciatemi pure i vostri pareri in merito.
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3.
 
 
 
 
 
Sbadigliai, risvegliandomi da un lungo sonno privo di sogni.

Gli occhi sondarono l'ambiente in ombra attorno a me e, subito, i miei sensi si allertarono, in ansia.

Dov'erano le alte colonne di corallo, i fregi arabescati alle pareti, le specchiere di madreperla e la mia toeletta di marmo bianco?

Fu un attimo, ma infine rammentai la verità.

Questa si riversò su di me come la carica di un branco di squali martello, tramortendomi.

Mi lasciai perciò andare sul materasso di lana su cui ero sdraiata, stordita dalla realtà nuda e cruda che era tornata a ossessionarmi.

Annusai i profumi nell'aria, riconoscendo il profumo alla lavanda usato per le lenzuola e, più discreta, un'essenza di ambra proveniente dal mobilio.

Che fosse qualche prodotto utile a renderli lucidi e splendenti? Forse.

Non me ne intendevo molto, di queste cose.

Volsi il capo sul cuscino di piume, e i miei occhi sfiorarono la finestra dalle imposte accostate, le sue tende di batista bianca e, poco sotto, una cassa panca coperta da cuscini fiorati.

Alla sua destra, notai un tavolino corredato di sedia, un mobile a due ante e, sul lato opposto della stanza, una specchiera da muro.

Mi levai a sedere, lasciando fuoriuscire i piedi dal calore delle coltri profumate e, accigliata, osservai la mia pelle.

In sé, gli arabeschi fiorati che, ogni mille anni, spuntavano sulle sue carni, non erano brutti a vedersi.

Tendevano dal bruno-rossastro al nero, distribuendosi in mille tinte disuniformi che creavano tridimensionalità al disegno.

Quello che me li aveva sempre fatti odiare, però, era stata l'assoluta mancanza di un simile corrispettivo negli altri fomoriani.

Ora, forse, ne avevo capito i motivi, ma accettarli era tuttora difficile.

Gli arabeschi che stavo osservando in quel momento risalivano lungo i piedi, sfiorando le caviglie sottili e gli stinchi.

Ne avevo altri, e molto più grandi, più estesi.

L'ultimo a comparire era giunto pochi mesi addietro, poco prima di aver compiuto quattromila anni.

A ben pensare, ora sapevo almeno il perché. L’approssimarsi del mio vero onomastico, scatenava il cambiamento, la venuta dei glifi.

La schiena aveva pulsato tremendamente e, nel guardarmi allo specchio, avevo notato con sgomento quel nuovo segno distintivo della mia diversità.

Ne avevo parlato lungamente con Muath, che mi aveva rassicurata con inconsueta gentilezza e, poco per volta, il disagio era scemato come al solito.

“Che sia il mio sangue di Tuatha, che lotta contro la mia parte fomoriana?” mormorai tra me, levandomi infine in piedi.

Qualcuno bussò alla porta.

Espandendo i miei sensi, avvertii il tocco mentale di Rey e, nell'aprire la porta, dissi sommessamente: “Buongiorno.”

“Buongiorno a te, Litha. Dormito bene?” mi domandò, lanciando un'occhiata incuriosita ai miei piedi prima di tornare a guardarmi in viso.

Era alto poco più di me, perciò non fu difficile incrociare il suo sguardo.

Piuttosto, mi domandai se la mia altezza lo mettesse a disagio.

Non era insolito che gli uomini si sentissero insicuri, o addirittura indispettiti, di fronte a donne alte come lo ero io.

Anche tra i fomoriani.

Tornai verso il letto per infilare calze e scarpe e Rey, stando sulla porta, si appoggiò allo stipite e disse: “Volevo scusarmi per mia nonna. Ormai, non ha più la delicatezza di un tempo, così spesso dice quello che pensa senza pensare alla reazione della gente.”

Mi bloccai un momento, guardandolo con rinnovata curiosità, e gli domandai: “Non mi sembri sorpreso da quello che hai sentito ieri pomeriggio e, anche a cena, mi sei parso piuttosto tranquillo. Hai qualche squilibrio mentale?”

Lui scoppiò a ridere di gusto, battendosi una mano sui jeans consunti e schiariti, che indossava assieme a un maglione a collo alto.

Quel mattino, era nero, con un piccolo ricamo in corrispondenza del cuore. Le sue iniziali.

“Oddio, no davvero! Anche se in famiglia, forse, qualcuno potrebbe dirlo, di me e nonnina.”

“So da fonti certe che non tutti reagiscono con così tanta flemma a notizie del genere” gli feci notare, infilandomi le scarpe da ginnastica.

Una mezza giornata passata dinanzi alla stufa era bastata ad asciugarle.

Mi lasciò uscire dalla stanza, e io mi accodai a lui per raggiungere la cucina.

Lì, trovai la tavola già pronta per la colazione, ma non la presenza di Gwendolin, la nonna di Rey.

Come leggendomi nel pensiero, pur sapendo che non era questo il caso, mi disse: “E' a letto. Di solito, non si sveglia prima delle dieci.”

Accomodatami a un cenno del padrone di casa, mi servii del caffè bollente, mormorando pensosa: “Chi sei veramente? Chi siete entrambi voi?”

Mi sorrise, passando il coltello imburrato sopra un panino fresco e profumato.

Il solo aroma del pane bastò a farmi brontolare lo stomaco.

“Hai accennato ai licantropi, quindi immagino che tu ne conosca qualcuno” replicò lui, studiandomi da sotto le lunghe ciglia scure.

Al mio assenso, proseguì.

“Non so quanto sai della loro cultura, ma la nonna è una völva, una veggente e, per lungo tempo, è stata la guida spirituale del branco di Cork.”

“Ma è umana” mormorai, confusa.

Se avessi passato più tempo con Eithe, forse, avrei conosciuto maggiormente la sua gente ma, tra le ronde a Fay e il resto, non ve n’era stato il tempo.

“Oh, sì, al cento percento. Esattamente come me, o gli altri componenti della mia famiglia” assentì, sempre sorridendo con quel suo modo tranquillo e affabile, come se nulla potesse sorprenderlo, o preoccuparlo.

“Quindi, come può essere una veggente legata ai mannari?”

“Il suo è una sorta di potere medianico che si ha indipendentemente dal sangue mannaro. O così mi ha spiegato nonnina.”

Sorrise maggiormente, nel dirlo.

Era chiaro anche a me che non li conoscevo, che Rey le voleva molto bene.

“E tu come sai dei mannari?” gli domandai a quel punto, sempre più curiosa.

Lui scrollò le spalle come se fosse un argomento noioso e, senza rispondermi subito, diede un morso al suo panino.

Io lo imitai, intingendo un biscotto nel caffè per poi portarlo alla bocca.

L'atmosfera era rilassata, tranquilla e, pur trovandomi in compagnia di un estraneo, mi sentii a mio agio.

Ma in fondo, non ero stata con estranei per quattromila anni, e senza saperlo?

“Cominciai a notare qualcosa verso gli otto, nove anni. Nonna era solita intrattenersi per ore con un uomo che non era della famiglia e, tutte le volte che questo tipo andava via, la omaggiava con un inchino o un baciamano. Il nonno non ha mai avuto nulla da obiettare.”

Annuii, e lui sorseggiò un po' di caffè prima di proseguire.

“Chiesi lumi alla nonna, e lei mi disse che mi avrebbe spiegato ogni cosa, ma solo se avessi mantenuto il segreto con mio fratello Conner, oltre che con i miei genitori.”

“Hai un fratello?” esalai, sorpresa.

Assentendo con un risolino vagamente sarcastico, dichiarò: “Abita a Cork, esattamente come i miei genitori. E' un avvocato di grido, o qualcosa del genere.”

“Qualcosa... del genere? Non ti interessi molto di quel che fa” ironizzai, e lui assentì con un ghigno.

“C'era un motivo, se nonnina mi disse di non aprire bocca con lui. Io e Conner non siamo esattamente … compatibili. Lui ha sempre amato gli agi e il lusso, e disprezzava la vita in campagna e il dover lavorare nei campi, piuttosto che con le pecore.”

“Quindi, appena ha potuto, ha cambiato vita? E i tuoi genitori?”

“Idem per loro. L'azienda agricola era del nonno, che la passò a me alla sua morte. I miei genitori colsero al volo l'occasione per partire per altri lidi, utilizzando parte dell'eredità che il nonno lasciò loro. Presero un appartamentino a Cork, e lì mio padre iniziò a lavorare presso una società di catering. E' un cuoco.”

Sbocconcellai un biscotto, interessata mio malgrado da quella strana famiglia.

“Conner, naturalmente, partì con loro e si iscrisse a giurisprudenza. Conn è più piccolo di me di tre anni” mi spiegò Rey, gesticolando con una mano con fare divertito.

“E tu, hai quanti anni? Mi è difficile capire l'età degli umani.”

Senza dare adito di aver trovato strana la mia domanda, mi disse: “Trentaquattro anni. Lavoro qui in azienda da sempre, ma è diventata mia quando ho compiuto ventun anni.”

Strabuzzai gli occhi e, guardandolo sconvolta, esalai: “I tuoi genitori... ti hanno lasciato qui da solo a gestire tutto... a ventun anni?”

“Non ero solo. C'era nonnina, e all'epoca era ancora operosa e forte. Inoltre, grazie al contributo dato ai licantropi, ho sempre avuto manovalanza in abbondanza, ad aiutarmi” replicò, sorridendomi.

“E questo ci riporta sul canale principale. Che c'entri tu, con i licantropi?”

“Nonna mi parlò di loro, dicendomi che ero degno di conoscere il segreto. Che avevo una mente abbastanza aperta per capire. Ovviamente, a nove anni, trovai tutto molto divertente e magico, e l'idea di avere un segreto con nonnina fu di per sé la parte più affascinante.”

Lanciò uno sguardo verso la porta della stanza della nonna, e sorrise malinconico.

“Quando diventai grande, iniziai a capire che, pur se di magia si trattava, c'erano anche angoli oscuri, e crudeltà. Non c'era solo il lato bello e avventuroso.”

Annuii, rammentando più che bene le vicissitudini di Eithe.

“Crebbi conoscendo questo mondo parallelo, sapendo che noi umani non siamo i soli a bazzicare per questa terra” chiosò, sorridendomi divertito.

“E la cosa non ti ha traumatizzato. Tua nonna diceva bene, parlando di te come di una mente aperta” mormorai, ammirata.

“Oh... mi abituai gioco forza. L'azienda è sempre stata una specie di rifugio, per loro. A volte, mi ritrovai anche con quattro, cinque licantropi bisognosi di cure sotto questo stesso tetto. Anni addietro, vi fu una brutta disputa tra i mannari locali e un gruppo di Cacciatori piuttosto agguerriti.”

Ammiccò, e aggiunse: “Come potrai immaginare, i licantropi non possono andare in ospedale per farsi curare.”

Scossi il capo, comprendendo alla perfezione.

“Capisci bene che, o impazzivo, o mi adeguavo. Inoltre, nonnina voleva davvero bene ai membri del branco, essendo la loro guida spirituale, perciò anch'io ho finito con l'affezionarmi a loro.”

Lo disse con semplicità, come se non avesse fatto nulla di speciale in tutti quegli anni.

“Hai fatto una cosa molto coraggiosa” mormorai, terminando di bere il mio caffè. “Per questo, dunque, non ti sei sconvolto più di tanto, venendo a conoscenza del mio segreto.”

“Per la verità, un po' incuriosito lo sono. Non è da tutti avere sotto il tetto di casa una divinità” ammiccò al mio indirizzo, sorridendo a mezzo.

Mi ritrovai a sorridere a mia volta, divertita mio malgrado da quella stramba situazione.

Mi ritrovavo sotto il tetto dell'unica persona, nel raggio di mille miglia, probabilmente, ad avere più dimestichezza di me con le creature soprannaturali.

Avrei dovuto ringraziare Bryan per il suo aiuto, poco ma sicuro. Se avessi preso in direzione di Dublino, non avrei mai trovato Rey e sua nonna.

“Mi spiace doverti dire che, del mio lato 'divino', so ben poco. L'ho scoperto solo due giorni fa” mormorai, facendo spallucce.

“Non sapevi di esserlo, eh?”

“Come fomoriana, avrei comunque beneficiato di lunga vita, perciò non ho mai pensato che a quello. Che, verso i dodicimila, tredicimila anni, avrei cominciato a invecchiare. Né più, né meno.”

Rey fischiò, e io risi sommessamente.

Era ormai chiaro che, quando qualcosa lo sorprendeva, fischiare era il suo modo per stemperare la tensione.

“Sì, immagino che, per un umano, queste cifre siano piuttosto ingombranti.”

“Più che sì. E tu, quanti anni avresti, ora? Non dimostri più di venticinque, ventisei anni.”

“Quattromila, compiuti qualche mese fa. Anche se, a questo punto, dovrei pensare al mio compleanno come al ventun giugno, giusto?”

Il mio tono di voce fu più amaro di quanto avrei voluto e Rey, nel sorridermi comprensivo, mi batté una mano sul braccio, asserendo: “Io penso che, per il momento, puoi passare il tuo tempo a capire cosa vuoi fare. I compleanni possono aspettare.”

“Ma non ti scoccia fare il buon samaritano?” gli domandai, incuriosita da questa sua gentilezza innata.

Fu il suo turno di apparire amaro.

“Quando tutti ti credono matto da legare, finisci con lo stare solo con le persone che gli altri considerano matte. E acquisisci un nuovo modo di vedere le cose.”

“Credo di sì” assentii, alzandomi da tavola. “Allora... cosa fai di solito, Rey Doherty?”

“Sicura di volermi dare una mano? Il lavoro in un'azienda agricola è piuttosto pesante. Anche in inverno.”

Levai le maniche della felpa fino ai gomiti e, sogghignando, dichiarai: “Non avrò la forza di un licantropo, ma non sono sprovvista di mezzi.”

 
***

Il capannone dietro casa, dove erano contenute ordinatamente grandi balle di paglia rettangolari, era profumato e asciutto.

Un gatto grigio a macchie bianche trotterellò sulle sue zampette, si fece fare un grattino dietro le orecchie dal suo padrone e, curioso, venne verso di me.

Io allora allungai una mano, lasciai che me la leccasse e, a quel punto, il micio cominciò a fare le fusa, strusciandosi contro le mie gambe.

Ridacchiai sorpresa e Rey, guardandomi con aria curiosa, mi domandò: “Mai visto un gatto?”

“Non da vicino. So come sono fatti, ma...”

Risi più forte, quando il micio decise di voler incrementare la nostra amicizia, poggiando le sue zampine pelose sulle mie brache.

Lo sollevai dubbiosa, tenendolo davanti a me senza sapere bene cosa farne.

Rey, allora, venne in mio soccorso e, forse divertito dai miei modi impacciati, mi disse: “Portalo al seno, e coccolalo come faresti con un bambino.”

Quell'accenno mi fece tornare alla mente Kevin e Sheridan e, turbata, mi domandai come stessero.

Il mio nipotino... anche se non ero veramente sua zia.

Mordendomi il labbro inferiore per non cedere alla tristezza, carezzai il gatto, che ora emetteva un ron-ron così sonoro da essere più che udibile.

Rey ridacchiò.

“A quanto pare, Parcifal si è innamorato di te. Non so se Vivianne sarà contenta, però. Sono un po' in competizione, quei due.”

“Vivianne? E chi è?”

“Il cane. E' un bovaro bernese e, se non mi sbaglio...” cominciò col dire, prima di ridere sommessamente, quando un mastodontico cane nero comparve dalle porte aperte. “... ah, ecco. Dove c'è uno, di solito, c'è anche l'altro.”

“Cane e gatto... vanno d'accordo?

“Lo credo! Vivianne ha svezzato Parsifal” mi sorrise, scrollando le spalle come se tutto fosse normale.

Io lo fissai basita e lui, per tutta risposta, dichiarò: “Siamo una famiglia strana, lo so.”

“Già” ansai, rimettendo giù il gatto quando il bovaro si avvicinò per annusarmi.

Lasciai fare Vivianne che, da brava cagnona, non mi morse né fece l'atto di ringhiarmi contro.

Quando comprese che ero entrata, in qualche modo, a far parte di quello strano mondo, scodinzolò e mi diede un colpetto alla gamba col muso.

Un attimo dopo, se ne andò con Parsifal, e io non potei far altro che guardarli esterrefatta.

Rey mi strizzò l'occhio, complice, e disse: “Coraggio, vieni. Le pecore non aspettano e, dal loro belare, penso che abbiano molta fame, oltre che desiderose di liberarsi del latte.”

“Sì, andiamo pure.”

Afferrai lo strano attrezzo a tre punte che mi consegnò Rey, che lui chiamò forcone e, imitatolo, caricai un carretto con la paglia profumata di primavera.

Insieme, poi, ci dirigemmo verso la vicina stalla e lì, un po' alla volta, riempimmo le mangiatoie delle pecore.

All'incirca, ne contai un centinaio.

Meravigliata da quella marea di lanugine bianco latte, che belava con forza per richiamare l'attenzione, esalai: “Ne hai moltissime!”

“Nella media. C'è chi ne ha più di me. Più che altro, le tengo perché erano del nonno. Gli affari dell'azienda dipendono da altre cose” mi spiegò, armeggiando con il forcone con abilità acquisita nel tempo.

Il mio addestramento militare mi servì a ben poco, in quel caso, ma la mia preparazione fisica non mi fece minimamente percepire la fatica.

E, stranamente, quel lavorio fisico mi aiutò a schiarire la mente.

Quando terminammo, Rey mi fece vedere come usare la macchina per ricavare il latte, dopodiché mi spiegò la preparazione delle ricotte e dei formaggi stagionati.

Ammirata, assaggiai un pezzo del formaggio già pronto – che Rey aveva preso da una cella frigorifera – e, lappandomi le labbra, esalai: “E lo fai tu?”

“Ebbene sì. Vendo parte del latte e, con la rimanenza, ci faccio del formaggio che poi, man mano, porto ai mercati locali.”

“E ti basta per vivere?” domandai curiosa.

“Oh, no! Non basterebbe davvero!” ironizzò, scuotendo il capo.

Nell'uscire dal reparto caseario, ci ritrovammo sul retro della proprietà e lì, indicando verso est, mi mostrò un immenso boschetto.

“Vedi quel bosco? Bene, lì si trova un luogo molto speciale, per i licantropi. Nonna e nonno erano i depositari di quel segreto e, ora, me ne occupo io. Il branco mi paga l'affitto per i terreni che io non utilizzo per l'agricoltura, così loro non perdono il bosco, e io non perdo profitti.”

“Quindi, hai un'entrata fissa proveniente dal branco locale, più quello che guadagni dalle pecore, con latte, formaggi e, suppongo, lana. Anche carne?”

“A volte, sì. Ma preferisco tenerle per il loro latte. Finisco con l'affezionarmi a loro, dopo un po'” ammise con un sorrisino, scrollando le spalle.

Poggiai le mani sui fianchi, ammirando quel luogo tranquillo, quella natura pacifica e, annuendo tra me, dissi: “Beh, se me lo permetterai, Rey Doherty, rimarrò qui per un po' a darti una mano.”

Il suono di una campana impedì a Rey di rispondere e, accigliandosi un poco, lui mi spiegò: “E' nonna che ha bisogno. Scusami un momento.”

“Aspetta, vado io. Penso si sentirà più a suo agio, se è una donna ad aiutarla.”

“Ma potresti...”

“Aver bisogno di una mano?” lo irrisi bonariamente. “Rey Doherty, potrei sollevare te senza sforzo. Sarò perfettamente in grado di prendermi cura di lei.”

“Va bene. Io continuo il mio giro, allora” assentì a quel punto, facendo spallucce.

Lo ringraziai con un sorriso e, di corsa, raggiunsi la casa, in cui mi incuneai con rapidità.

Raggiunta la stanza di nonnina, la salutai gentilmente e lei, vedendomi, mormorò: “Oooh, vedo che gli occhi sono più limpidi, oggi. Non sono cupi come un giorno di pioggia come lo erano ieri.”

“Sto meglio, sì. Posso aiutarla, signora Gwendolin?”

“Chiamami nonnina come fa Rey, bambina. Mi chiamano tutti così” mi sorrise, allungando le mani perché la aiutassi ad alzarsi.

“Perché mi chiama sempre bambina, per curiosità?”

“Perché, cara, ora sei proprio come una bambina sperduta. Senza più un passato che ti appartiene, e con un futuro incerto. E ci si sente sempre come bambini, in questi casi.”

Non potei che darle ragione e, senza difficoltà alcuna, la presi in braccio per condurla in bagno.

Lei ridacchiò, dichiarandosi divertita all'idea di essere portata come una principessa alla sua età.

Mi ritrovai a ridere spensierata, quando la aiutai con le abluzioni mattutine.

Gwendolin sapeva ridere di se stessa e delle ingiurie del tempo ma, più di tutto, sapeva ridere della vita, senza che essa la schiacciasse.

Avrei tanto voluto saperlo fare a mia volta!








Note: Si comincia a scoprire cosa, nel corso dei millenni, ha tanto turbato Lithar, portandola a nascondersi, per così dire, dietro la figura di Muath, quando il suo essere diversa veniva alla luce. Naturalmente, parlerò ancora dei glifi che ricoprono in parte la pelle di Lithar, e di come abbia spiegato alle sue amiche (Ciara, Sheridan ed Eithe) la loro presenza sul suo corpo [quando si sono preparate per i vari matrimoni, erano assieme, perciò loro li hanno visti e, se vi ricordate, Lithar ha sempre scelto abiti per le damigelle che ricoprissero le spalle].
Si comprende anche qualcosa di più su Rey e il suo legame con i licantropi anche se, su di lui, non ho ancora detto tutto.
Per ora, grazie per avermi seguita fin qui e, se avete dei dubbi o delle riflessioni, dite pure!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
4.
 
 
 
 
Mani che non conoscevo mi stavano carezzando.

Potevo percepire amore, in quel tocco sconosciuto, ma una strana sensazione di viscidume mi mise in allarme.

Guardai meglio verso me stessa, cercando al tempo stesso di focalizzare un volto che non riuscivo a scorgere...e fu così che vidi il sangue.

Grondava dal mio viso, sul mio corpo, dalla donna che tentava di ghermirmi.

Gridai per allontanarla da me e ridestandomi di colpo, il viso coperto da un sottile strato di sudore, mi ritrovai a emettere lo stesso grido del sogno.

Ansante, accesi la abat-jour accanto al letto e, qualche attimo dopo, la porta della mia stanza si aprì, lasciando trapelare la luce del corridoio.

Un trafelato Rey si avvicinò di corsa al letto, i capelli scarmigliati e l'aria assonnata quanto preoccupata.

Io lo guardai a occhi sgranati, confondendo realtà e finzione e, quando mi toccò le spalle nude, in corrispondenza dei miei glifi arabescati, sibilai.

Nuovi flash mi perforarono la mente e, d'istinto, lo allontanai da me, mandandolo lungo riverso a terra.

Mi strinsi tra le braccia, tremando e, nuovamente, Rey tornò all'attacco.

Stavolta, però, non mi toccò.

“Litha... ehi... che succede?” mormorò con tono pacato, sicuramente tentando di non farmi innervosire ulteriormente.

I suoi occhi scuri mi scrutarono ansiosi, ma colmi di una sicurezza che gli invidiai.

Ansai, sentendo il mio cuore martellare contro il petto, quasi volesse squarciarlo.

Sbattendo più volte le palpebre, lo fissai spiacente, gracchiando: “Scusami. Non so cosa mi sia preso.”

“Un brutto sogno, sicuramente. Hai urlato come se ti stessero squartando” ipotizzò lui, sorridendo a mezzo.

“Rey, tu non capisci. Io non ho mai sognato in vita mia!” esalai, turbata dai flash che continuavano a mitragliarmi la mente anche da sveglia.

Lui aggrottò la fronte, a quella notizia, ma non disse nulla. Si limitò a guardare le mie braccia nude con aria turbata.

Per dormire, avevo indossato una canottiera e i leggeri pantaloni di una tuta da ginnastica, essendo sprovvista di un pigiama.

Avevo optato per quella soluzione di comodo perché, a essere onesti, non avevo proprio pensato al fattore ‘letto’.

Seguii il suo sguardo, procedendo verso le mie spalle. Immaginai fosse incuriosito dai segni scuri che si trovavano sulla mia pelle chiara.

Vedendoli però pulsare, ansai spaventata e, sobbalzando sul letto, fissai sgomenta gli arabeschi brillare vividamente, neanche fossero stati lucciole.

“Dalla tua reazione, direi che neppure tu hai la più pallida idea di quel che ti sta succedendo” mormorò Rey, guardandomi con espressione turbata.

Scossi il capo, esalando contrariata quanto spaventata: “I fomoriani possono avere una reazione fisiologica simile, chiamata parvhein, quando toccano la donna destinata a loro per la vita... ma io non sono un uomo!”

“Su questo, non ho dubbi” ironizzò allora lui, portandomi a volgere lo sguardo verso Rey.

Stava sorridendo con il chiaro intento di farmi calmare, ma non trovai nulla, in me, capace di rispondere al suo tentativo di chetarmi.

Mi passai le mani sulle braccia, massaggiandomele come a voler cancellare quel bagliore insistente e misterioso.

“Cosa sono, con esattezza? Sono diversi dalla stella che hai sul collo” mi domandò, cercando a quel punto di portare la mia mente su un piano più razionale.

Su qualcosa che potessi spiegargli, che riuscissi in qualche modo a comprendere.

Presi fiato, tentando di chetare il battito frenetico del cuore e, tirando fuori un piede dalle coltri, glieli mostrai.  

Non era consuetudine essere così sfacciati con gli estranei ma, visto che neppure sapevo di preciso cos’ero, perché starci tanto a pensare?

“Li ho su piedi, fianchi, spalle e schiena. L'ultimo a essere comparso,  è quello sulla schiena. Appaiono nuovi glifi ogni mille anni circa, ma non ho idea di cosa siano, o cosa vogliano dire.”

“Possono appartenere al tuo retaggio divino, alla tua metà Tuatha” ipotizzò Rey, allungando un dito per sfiorare delicatamente il glifo sul piede.

Non appena lo toccò, nuovi flash mi bombardarono la mente, e il viso della donna insanguinata del mio sogno si fece più chiaro.

Scostai la sua mano, stavolta con maggiore delicatezza, e ansai: “Vedo delle immagini molto evidenti, quando mi tocchi. Come... flash di un evento.”

“Cosa scorgi, di preciso?” si informò, afferrando la coperta patchwork sopra il letto per drappeggiarmela sulle spalle.

Lo ringraziai con un piccolo sorriso, per quella gentilezza inattesa.

Non ero mai stata avvezza a essere coccolata, ma quel gesto giunse al momento giusto, dandomi la forza di parlare.

“Una donna... penso stia morendo, perché è ricoperta di sangue. E... anche io sono coperta di sangue, del suo sangue. Non mi vedo, ma lo so.”

“Cristo santo!” brontolò, passandosi una mano tra i capelli neri, disordinati e arricciati sulle punte.

Fischiò un attimo dopo, come era solito fare quando non sapeva che dire, e mi guardò turbato, privo di risposte, per una volta.

“Scusami. Ti ho svegliato di soprassalto e, sicuramente, ho disturbato anche nonnina” mormorai contrita.

Lui scosse il capo in risposta, dandomi una pacca leggera sul braccio, stando ben attento a non toccare i glifi.

“Non mi preoccuperei, per nonnina. Non la svegliano neppure le cannonate. Quanto a me... ero sveglio.”

“Oh. E come mai?” esalai, facendo tanto d’occhi.

“Pensavo se chiedere aiuto, o meno, al capobranco del clan di Cork. Forse, potrebbe avere delle risposte alle tue domande. Sono sicuramente più addentro alla mitologia di me che, a conti fatti, posso esserti di ben poco aiuto.”

Sgranai gli occhi, terrorizzata, e afferrai con forza una sua mano.

“No, ti prego! Non dirglielo!”

“Perché, scusa?” esalò, confuso.

Sospirai e, nel sistemarmi le ciocche disordinate dei capelli, che avvertivo scivolare sconclusionate dalla mia testa, mormorai accorata: “Se... se i miei fratelli mi stanno cercando, chiederanno sicuramente aiuto ai lupi. Sono amici, e potrebbero decidere di chiedere il loro intervento. Ma io non voglio essere trovata.”

“Hai ancora le idee piuttosto confuse, eh?” ipotizzò, stringendo le mani con cui lo avevo afferrato.

Annuii, trovando piacevole e confortante confidarmi con lui.

Non mi ero mai aperta a quel modo neppure con i miei fratelli, o con Muath, nel corso dei secoli, eppure parlare con Rey mi riusciva facile.

Forse, perché lui era più avvezzo di me ad ascoltare storie strane, o aiutare persone con dei problemi più o meno curiosi.

“Pensi che non ti vogliano più, perché non sei davvero la loro sorellina?” mi domandò a sorpresa, sorridendomi cordiale e comprensivo.

“Non... non credo. Non so lo. Stheta, Krilash e Rohnyn sono sempre stati dei bravi fratelli. Io e Rohnyn siamo stati allevati assieme, abbiamo bevuto il latte di nostra... di Muath, sua madre, e...”

Sospirai, afflosciandomi su un lato per crollare contro il cuscino, e aggiunsi: “... e abbiamo imparato assieme a difenderci per non morire.”

“Ho idea che tu non abbia avuto una vita molto semplice, tra i fomoriani” chiosò, levandosi dal letto.

Mi sollevò i piedi, solerte nel non toccare gli arabeschi e, dopo averli sistemati sotto le coltri, mi coprì bene fin sotto il mento.

Sorrise con le sue labbra morbide e carnose e, con una comprensione che mi fece venire voglia di piangere, mormorò: “Cerca di riposare, Litha. Vedrai che la situazione, domani, ti sembrerà un po' meno brutta.”

“Sei anche troppo buono, con me. Neanche mi conosci.”

“Te l'ho detto. Sono abituato a trattare con creature ferite” ironizzò, dandomi un buffetto sul naso prima di uscire dalla stanza.

Ristetti a lungo a guardare la porta chiusa, ascoltando i suoni della casa, i suoi passi sul pavimento di parquet e, quasi senza accorgermene, mi assopii.

Stavolta, non sognai nulla.
 
***

Il sonoro sbadiglio di Rey fu seguito da un suo brusco bloccarsi su due piedi e io, nel volgermi verso di lui, sorrisi contrita e dissi: “Buongiorno.”

Sulle prime, la mia idea di preparare la colazione per Rey, era stata dettata dal mio bisogno di ringraziarlo.

Ma, quando mi ero ritrovata davanti a tutti gli attrezzi moderni della sua cucina, mi ero soffermata a domandarmi come funzionasse ogni oggetto.

Non ero mai entrata nelle cucine di palazzo, ma dubitavo avessero quegli affari – noi non avevamo la corrente elettrica – e, di sicuro, non avevo la minima idea di come si accendesse il gas.

Non avevo prestato attenzione, a casa di Sheridan, e questo lo pagavo con la più totale inesperienza sul campo.

Certo, sapevo come catturare una preda e come cucinarla su un trespolo, cuocendola tramite la magia, ma lì era tutt'altra cosa.

Così, mi ero messa d'impegno per sistemare, per lo meno, ciò che non andava cucinato.

Trovare ciò che serviva, però, non si era dimostrato così semplice, e ora il tavolo della cucina era ingombro di scatole di ogni genere e forma.

Passandosi una mano tra i capelli, Rey esalò: “Ma che è successo, qui dentro?”

“Volevo rendermi utile, ma credo di aver commesso qualche errore.”

Il solo ammetterlo, mi fece fremere di rabbia. Io non commettevo mai errori!

Lui rise sommessamente, afferrando alcune scatole per riporle e, nel guardarmi da sopra la spalla, celiò: “Ho idea che tu non sia abituata a perdere. O a fare qualcosa che non sei in grado di compiere, se non alla perfezione.”

Storsi la bocca, limitandomi a stare zitta, e lui rise con maggiore convinzione.

“Litha, guarda che non ti ammazza nessuno, qui, se anche fai un errore... o metti in disordine.”

“Sono abituata a ben altro.”

Tornò serio, a quel mio commento aspro, e assentì grave. “Ne dai l'idea.”

“Volevo solo... insomma...”

Sbuffai, intrecciando le braccia sotto i seni con espressione torva, e Rey assentì di nuovo.

“Litha, ascolta. Ho detto che puoi restare qui quanto vuoi, e che puoi aiutarmi con la fattoria. Non c'è bisogno che ti improvvisi cuoca, e solo perché stanotte hai dato un po' di matto.”

La sua calma piatta mi irritò ancora di più.

Ma come diavolo faceva a stare perennemente così calmo? Non c'era niente che lo smuovesse appena un po'?

Lo guardai accigliata, rendendomi conto solo in quel momento del suo pigiama … e dei suoi piedi scalzi.

Ma non aveva freddo?

Lui seguì il mio sguardo, rise sommessamente e ammise: “Temo di aver perso le mie pantofole ieri sera, in camera tua, quando sono ruzzolato a terra. E non avevo voglia di svegliarti per venire a riprenderle.”

Quell'accenno mi fece arrossire e, desiderosa di non mostrargli il mio imbarazzo, mi volsi verso il lavandino e riempii una brocca d'acqua fresca.

“Avresti potuto. Non ci sarebbero stati problemi.”

Lo ascoltai sistemare ciò che io avevo messo in disordine e, trovando il coraggio di volgere lo sguardo, ammirai i suoi capelli, neri come miei.

Se i miei erano lisci come fusi, i suoi, inumiditi dall'acqua, si arricciavano sulle punte, e avevano lievi riflessi bruni.

Chissà se, tra i suoi avi, vi erano stati dei miei parenti?

Sorrisi scioccamente, dandomi della stupida. Più semplicemente, poteva essere il bis-bis nipote di un antico ceppo di romani o ispanici, stabilitisi in Irlanda.

O chissà cos’altro!

Persa in quelle stupide meditazioni, mi trovò così, in contemplazione, e sorrise appena.

“Tutto bene?”

Annuii, scrollando le spalle, e dissi: “Sono sempre stata l'unica, in famiglia, ad avere i capelli neri. Avrei dovuto capirlo anche da questo, che qualcosa non quadrava. Sia i miei fratelli, che i miei genitori, li hanno bruno-rossastri. E hanno gli occhi color acquamarina.”

“Mentre i tuoi occhi sono come ametiste sfaccettate” replicò Rey, avvicinandosi per prendere dalle mie mani la brocca piena d’acqua fresca. “Che reputo molto belli, tra l'altro.”

“Oh” esalai, deglutendo a fatica. “Grazie.”

Lui mi fissò vagamente divertito e, nel poggiare la brocca sul tavolo, esalò: “Non mi dire che nessuno ti ha mai fatto un complimento del genere! Dove hanno gli occhi, i fomoriani? Sotto le suole delle scarpe?”

“Non indossano scarpe, ma calzari” borbottai, prima di comprendere la battuta e ritrovarmi a sorridere divertita.

Mi invitò a sedermi al tavolo e, nell'offrirmi un po' di marmellata e del pane, si mise a preparare delle uova strapazzate.

Io, allora, mi volsi a guardarlo e Rey, curioso, mi domandò: “Vuoi imparare?”

“Mi insegneresti?” esalai, speranzosa.

Lui mi strizzò l'occhio, invitandomi a raggiungerlo e io, con un balzo, fui da Rey.

Presi il suo posto accanto alla padella e, seguendo le sue istruzioni, imburrai la superficie antiaderente e ruppi le uova.

Le feci saltare con la forchetta, schizzando un po' i bordi, ma lui non vi fece caso.

Con competenza, mise una mano sulla mia, guidandola per rendere più delicati e fluidi i miei movimenti, e io mi ritrovai a rilassarmi come mai prima.

Perché, questo umano, riusciva laddove nessun altro era mai riuscito?

Terminammo senza fare danni e, dopo aver servito a entrambi le mie prime uova strapazzate, sorrisi tutta contenta a Rey.

Lui rispose con un sorriso altrettanto lieto, e fu lì che compresi.

Rey profumava di pace. Profumava di serenità e, nella mia vita caotica fatta di guerre e lotte, non avevo mai provato simili aromi.
 
***

Ascia alla mano, osservai ghignante la catasta di legna dinanzi a cui mi aveva condotta Rey.

Pensava davvero che mi sarei spaventata? O voleva solo testare la mia forza?

A ogni modo, era un buon modo per scaricare tensione e rabbia.

Iniziai di buona lena, menando fendenti unici che, con precisione, ruppero in due i ciocchi di legna.

Uno dopo l'altro, accatastai ordinatamente i pezzi, formando una struttura lignea solida e a prova di caduta.

Fu l'arrivo di un camion al cancello, che mi fermò.

In quel momento, Rey era alle prese con la mungitura, così mi incaricai di persona di andare ad aprire.

Lasciando la mia ascia piantata nel ceppo, corsi al cancello e, fatto segno al mezzo di raggiungere il centro del cortile, attesi che l'autista scendesse.

Quando quest’ultimo balzò a terra con grazia ferina, gli sorrisi cordiale e amichevole, ma il suo sguardo sbalordito mi mise subito in allarme.

Non era il semplice sguardo di un uomo che vede una bella donna.

Mi accigliai, allontanandomi di un passo, ma lui levò subito una mano per tranquillizzarmi.

Dalla sua mente giunsero mille pensieri diversi, l’ululare di un lupo e gli ordini perentori di un capobranco. Era un licantropo, dunque.

“Sei Lisa O'Sea, per caso?” mi domandò, facendomi sobbalzare.

Indietreggiai ancora, ma l'uomo mi sorrise quieto, afferrando alla svelta qualcosa dalla tasca posteriore dei suoi jeans.

Me la mostrò, e io rimasi di stucco.

Quella era una foto risalente al matrimonio di Sheridan e Rohnyn.

Apparivo fiera e sorridente, al braccio di Cormac, e niente sembrava turbarmi.

Pareva essere passato un secolo, da quel lieto evento.

“Come... come hai la mia foto? E perché conosci il mio nome tra gli umani?” mormorai, turbata.

Gli restituii la foto, torva in viso, e lui si limitò a dirmi: “Abbiamo ricevuto queste foto dal clan di Dublino, con la richiesta di tenere gli occhi aperti, in caso ti avessimo vista. Da quel che ci hanno detto, i tuoi fratelli ti stanno cercando per mari e per monti.”

Mi morsi il labbro inferiore, colpita da quella notizia, e mormorai: “Dici... sul serio?”

A quel punto, l'uomo abbozzò un sorriso.

“Non posso dirti quel che non so ma, se hanno mosso tutti e sette i clan d'Irlanda per cercarti, qualcosa vorrà dire.”

Annuii, non sapendo bene cosa dire.

Mi strinsi le mani sulle braccia, massaggiandole, e tornai a guardare l'uomo dinanzi a me.

“Sei obbligato a dire che mi hai trovata?”

L'uomo si guardò intorno, scosse il capo, e replicò candidamente: “Sei in un Santuario, perciò sei al sicuro, finché rimani qui.”

Fu il mio turno di apparire scioccata. “Un... santuario?”

“Non lo sapevi?” mi irrise bonariamente, sorridendomi cordiale.

Scossi il capo, chiedendomi cosa volesse dire.

“Rey Doherty sa chi sei?”

Al mio assenso, lui allora proseguì.

“Devi sapere che, da sempre, la famiglia Doherty si occupa di noi, in caso di necessità. Tutti i licantropi d'Irlanda sanno che, in caso di bisogno, ci sono famiglie di umani che conoscono il nostro segreto, e possono aiutarci a uscire dai guai. I Doherty sono una di loro.”

Ripensai a ciò che mi aveva detto Rey, a quel che aveva accennato sul suo aiuto ai licantropi, ma niente di quel che mi aveva detto era paragonabile a quel che il lupo aveva appena ammesso.

Come sempre, Rey aveva sminuito la sua opera.

“Da quel che so, però, i genitori e il fratello di Rey non ne sono a conoscenza” gli feci notare.

Ora, l'ansia era scemata, sostituita dalla curiosità di conoscere qualcosa di più sul mio ospite così misterioso.

“Infatti. E, come puoi ben vedere, non sono rimasti qui.”

Lo disse con un sorrisino ironico, e io ebbi la vaga impressione che li stesse debitamente prendendo in giro. O vi fosse un vago sentore di disprezzo, nelle sue parole.

D'altra parte, abbandonare un figlio a se stesso per non doversi sobbarcare il peso di un'azienda agricola, e di una donna anziana, era superficiale e insensibile.

Non me la sentii di essere in disaccordo con il licantropo. Per niente.

“Se preferisci, posso riferire soltanto che stai bene, ma che desideri non essere rintracciata... per il momento” mi consigliò l'uomo, sorridendo complice.

Accennai un sorrisino di ringraziamento, annuendo, e dissi: “Mi faresti un enorme favore. Di' pure loro che sto bene, e sono al sicuro. E che, quando me la sentirò, li contatterò io.”

Lui annuì, prima di levare una mano a salutare qualcuno.

Mi volsi a mezzo, vedendo giungere Rey, con la sua andatura placida e sicura.

Quell'uomo era pacifico come una giornata di bonaccia in primavera inoltrata. Ma come faceva?

Avrei tanto voluto imparare, così da non inalberarmi, o perdere la calma, a ogni piè sospinto.

“Buongiorno, Fergus. Vedo che hai già incontrato la mia nuova aiutante. Hai portato i contenitori per il latte?”

“Tutto di prima scelta, come sempre.” Poi, ammiccando al mio indirizzo, aggiunse: “Hai ospiti illustri, in questo periodo, vedo.”

Rey si accigliò immediatamente, a quelle parole, mostrando un lato di sé che, fino a quel momento, non aveva ancora dato adito di avere.

Mi parve... territoriale come un mastino a protezione dei suoi cuccioli.

Fergus rise di quel comportamento e, levando le mani in segno di resa, esalò: “Ehi, ehi, rinfodera gli artigli, Guardiano, non ho intenzione di mettere nei guai la tua ospite. Conosco molto bene le regole. Ci siamo già presentati, più o meno, e ho messo al corrente la signorina che la sua famiglia la sta cercando.”

“E tu sai che, chi si trova qui, è protetto dai Trattati, vero? Anche se non mette su pelo come te” brontolò Rey, facendolo ridere ancora di più.

Io mi ritrovai a sorridere un po' scioccamente, di fronte a una difesa così strenua, e mi sentii in dovere di togliere Fergus dai guai.

“Va tutto bene, Rey. Mi ha fatto un favore, dicendomi dei miei fratelli, e mi ha già rassicurato che non dirà loro dove mi trovo.”

“Mmh. Bene.”

“Arruffa le piume come un gallo nel pollaio, ma è buono come il pane. A volte, fin troppo” lo prese bonariamente in giro Fergus, dandogli un pugno sulla spalla.

Rey replicò con un gesto simile e, assieme, si diressero verso il retro del mezzo per scaricare il materiale.

Mi accodai, desiderosa di aiutarli e loro, lasciandomi fare, mi caricarono le braccia con i contenitori in acciaio lucido.

Ghignai, quando riuscii a prenderne in mano quattro e, tutta baldanzosa, me ne andai verso la sala mungitura, orgogliosa di me e divertita del loro stupore.

Impiegammo poco a scaricare il mezzo, in tre e, quando Fergus fu pronto per ripartire, lo ringraziai per la sua gentilezza.

Lui scosse le spalle noncurante, e mi augurò di trovare ciò che stavo cercando.

Con un'abile manovra, uscì dalla proprietà e, in piedi accanto a Rey, lo osservai allontanarsi lungo la stretta via innevata.

Il cielo scelse quel momento per riversare su di noi una nuova nevicata e, nel lasciar depositare un fiocco sulla mia mano protesa, mormorai: “Mi stanno cercando...”

“Il che depone a loro favore, mi pare” ammiccò Rey, avvolgendomi con naturalezza la vita con un braccio per ricondurmi sotto la tettoia della legna.

Il suo tocco non mi spiacque, così come la gentilezza con cui tenne la mano solo lievemente poggiata sul mio maglione.

“Direi di sì” assentii, allontanandomi da lui solo quando ripresi in mano l'ascia, che deposi su una spalla. “Ma ancora non so cosa voglio veramente.”

Lui guardò me, la legna che avevo già tagliato e, ridacchiando, esalò: “Io so che tagli più legna di me in un giorno, mentre tu ci hai messo sì e no un'ora.”

Risi con lui e, quando mi fui completamente rilassata, Rey tornò serio e disse: “Immagino che, quel chiacchierone di Fergus, ti abbia detto tutto.”

Annuii, e lo fissai divertita.

“Sì... Guardiano. Perché non mi hai detto che questo posto è molto più di un semplice ricovero d'emergenza?”

“Magari, non volevo vantarmi con te” ironizzò, scrollando le spalle.

Io allora lo guardai con estremo divertimento, misto a una buona dose di ammirazione.

“Ti dai da fare per sembrare il più banale e modesto possibile, Rey Doherty, ma dubito seriamente che tu sia così.”

“Molto semplicemente, non penso di fare nulla di speciale.”

Avvertii così tanta sincerità disarmante, nella sua voce, che me ne sorpresi.

Da cosa veniva, questa sua volontà di denigrare a questo modo se stesso? Di non dare il minimo peso alla sua generosità, al suo buon cuore, al suo impegno verso gli altri?

“Vuoi che ti dia una mano con le pecore, o preferisci che vada avanti qui?” gli domandai, preferendo non insistere sull'argomento.

Ma lui non mi rispose, gli occhi puntati su una porta del capannone dei mezzi da lavoro.

Mi guardò dubbioso, l'accenno di un barlume di paura nello sguardo, e mi domandò: “Vuoi vedere dove … dove li ospito?”

“Certo” assentii con entusiasmo, tornando a poggiare l'ascia nel ceppo.

Questa, affondò di diverse dita nel legno e Rey, ammiccando al mio indirizzo, esalò: “Uno di questi giorni, mi mostrerai cosa sai fare con un coltello. Credo che potrei trovarlo... terrificante. Ma anche molto affascinante, dopotutto.”

“Non ne hai neppure un'idea” ghignai, mettendomi al suo fianco.

In fretta, corremmo verso il vicino capannone per non bagnarci con la neve e lì, dopo aver digitato un codice a sei cifre su un tastierino, aprì il battente.

Alcune luci al neon si accesero lungo una scala disadorna e Rey, sempre con aria insicura, mi invitò a salire.

Perché era così incerto, così poco fiducioso?

Raggiungemmo il piano superiore, che si trovava proprio sopra il disimpegno dei mezzi e lì, nell'accendere le luci, Rey mormorò: “Qui li curiamo e, se necessario, li operiamo.”

Sgranai gli occhi, di fronte a quel moderno e funzionale pronto soccorso.

I letti erano ordinai in due file distinte, sui lati dell'enorme piano. Ne contai otto.

Ognuno aveva una tenda azzurra come divisorio, e ogni postazione era dotata di un impianto per la ventilazione e l'ossigenazione.

Sul fondo dell'enorme stanza, si trovavano due porte, ove Rey mi portò.

“La sala operatoria, e il post-operatorio” mi spiegò, le mani infilate nelle tasche posteriori dei jeans e l'aria persa, chiusa a ogni emozione.

Perché aveva quell’atteggiamento difensivo?

“E' tutto bellissimo, Rey” esalai entusiasta, sorridendogli.

Un attimo dopo, un dubbio mi percorse e, tornando a fissare i letti dietro di noi, esalai: “Esistono… esistono altri Santuari, a Cork?”

“No, perché?” mi domandò, sorpreso dalla mia domanda.

A quel punto sorrisi orgogliosa e, senza alcun dubbio, dichiarai: “Aiutasti Eithe, vero? Sì, insomma, tuo nonno e tua nonna, giusto?”

Lui sgranò leggermente gli occhi color cioccolato, nel sentire quel nome, e io ebbi una conferma ai miei dubbi.

“Una ragazza di nove anni giunse qui da Dublino, più di un ventennio fa…” mormorò lui, fattosi di colpo pensieroso. “… e si chiamava Eithe. Perché sai di lei?”

“Ci raccontò della sua vicenda, di come il cugino quasi la uccise con un colpo di artiglio. Di come venne curata e accudita in un Santuario di Cork” gli spiegai, sorridendo con sempre maggiore entusiasmo.

Rey, per contro, mi parve sempre più a disagio.

Annuì, mordendosi leggermente il labbro inferiore, e ammise: “Eravamo più o meno d’età. Era terrorizzata, e giustamente preoccupata di poter perdere la gamba. Aveva una ferita terribile. So che il nonno impiegò ore, per ricucirla.”

Avevo visto solo una volta lo squarcio che, il cugino di Eithe, le aveva procurato sulla gamba.

Non faticai a comprendere perché, all’epoca, lei avesse avuto così terrore di perdere l’arto… o morire.

“Le tenni la mano per tutto il tempo, raccontandole favole o dicendo le prime idiozie che mi vennero in mente” sorrise mestamente Rey, tornando a guardarmi. “Feci davvero poco, per lei.”

Rimasi basita, di fronte a quella confessione. Cosa mai pensava di poter fare, a nove anni?

“Così, come sta Eithe?” mi domandò, volendo assolutamente cambiare argomento.

“Bene” mormorai, restia mio malgrado ad abbandonare il sentiero in cui mi ero infilata. “E’ fidanzata con il Freki del suo branco, al momento.”

Lui accennò un sorrisino, ma questo non raggiunse mai gli scuri occhi di cioccolato.

“Rey Doherty... perché non sei orgoglioso di tutto questo?” gli domandai a quel punto, poggiando una mano sulla sua spalla. “Di ciò che tu facesti allora?”

Scosse il capo, quasi irridendosi, e mormorò: “Neanche so perché ti ho fatto vedere questo posto.”

Ciò detto, si allontanò da me con passo quasi strascicato, ma io lo bloccai a un braccio, forzandolo a girarsi.

Rigida, gli dissi: “Ora mi spiegherai perché non sei orgoglioso di tutto questo.”

“Magari sono affari miei, ti pare?” ironizzò, pur se con tono piuttosto piccato.

Sbuffai, irritata dalla sua improvvisa chiusura, e mi domandai chi – o cosa – avesse scatenato una tale reazione.

Lui riprese la sua fuga lenta e metodica, ma io non mi diedi per vinta.

Lo raggiunsi, bloccandogli la strada e dichiarai perentoria: “Non ti permetterò di uscire... e tu sai che sono abbastanza forte da farlo.”

Poi, con maggiore gentilezza, aggiunsi: “Rey Doherty, tu mi stai aiutando in modi che neanche immagini. Perché non posso fare lo stesso anch'io, con te?”

“Non è così che funziona, Litha. Io aiuto, voi vi fate aiutare. E ora, con permesso, devo tornare alle mie pecore.”

Lo lasciai andare, non sentendomela di infierire e, da sola, rimasi a osservare il suo complesso perfetto, ma che non sembrava dargli alcuna soddisfazione.
 
***

Stavo servendo la minestra calda a nonnina, quando trovai il coraggio di domandarle lumi su quanto successo quella mattina.

“Rey mi ha mostrato la clinica e mi ha raccontato di una mia amica che, anni fa, venne operata qui. Eppure, non mi sembra... contento. Sì, insomma, soddisfatto di ciò che rappresenta qui, per i licantropi.”

La donna sospirò, scuotendo il capo con aria esasperata, e asserì: “Quel ragazzo non ha ancora capito che non può pretendere ciò che non otterrà mai.”

“E cioè?” esalai, sorpresa.

“La comprensione e l’apprezzamento dei genitori” asserì Gwendolin, sbuffando. “Rey studiò alacremente sia medicina che veterinaria, così da essere pronto a qualsiasi evenienza sanitaria qui al Santuario. Ma i genitori non capirono. Lo denigrarono, dicendo che stava sprecando soldi e tempo, qui all'azienda, mentre avrebbe potuto diventare ricco, facendo il medico in un ospedale.”

“Oh” mormorai contrita, iniziando a capire. “Loro non sanno, vero?”

“No, né mai sapranno” dichiarò perentoria Gwendolin, pur se con sguardo triste e rassegnato.

Ovvio che il Santuario facesse sorgere in lui tristi sentimenti, e che si fosse sentito in imbarazzo a mostrarmelo.

Se i suoi genitori consideravano il suo impegno, qui alla fattoria, una mera perdita di tempo, cosa avrebbe potuto pensare un'estranea?

Certo, la sua famiglia non conosceva tutta la verità, ma dubitavo che avrebbe fatto qualche differenza, per loro.

Anzi, forse avrebbe solo peggiorato le cose.

“Ho cercato di farglielo capire, ma Rey ha un cuore troppo generoso e tenero.”

“E' un peccato che nessuno possa sapere cosa fa per gli altri” mormorai, imboccandola con gentilezza. “Meriterebbe degli attestati di merito, non la più totale apatia da parte della sua famiglia.”

“A lui basta sapere che le persone che escono di qui sono più felici, o anche solo vive. A volte, abbiamo perso dei pazienti. Non abbiamo potuto far nulla per salvarli, e questo lo ha fatto sempre sentire impotente. Ogni volta.”

Annuii, non sapendo cosa dire.

Rey era sempre sorridente e gentile. Era ovvio quanto cercasse di mascherare i dolenti dubbi che lo assalivano, ma io non potevo criticarlo per questo.

Non tutti sono fatti per sbottare a ogni alito di vento.

Ritirai il piatto, quando Gwendolin terminò la minestra e, nell'alzarmi in piedi, mormorai: “Con me, è stato molto gentile.”

“Rey non è suo fratello, questo è sicuro” asserì torva la donna.

Non le chiesi spiegazioni in merito e, quando tornai in cucina con i resti della cena, inserii tutto nella lavastoviglie, come mi aveva mostrato Rey.

Fatto ciò, mi diressi in salotto, dove la stufa in maiolica era accesa e, in televisione, trasmettevano un programma canoro.

Un attimo dopo, Rey cambiò canale e, per alcuni minuti, non fece altro, passando da un programma all’altro senza sosta.

Mi accomodai silenziosa su una poltrona, attendendo che scegliesse un canale ma, alla fine, lui spense e si lasciò andare a un lungo sospiro infastidito.

“Scusami” mormorò di colpo, facendomi sobbalzare.

Sbattei le palpebre, confusa.

“E di che, scusa?”

Rey si volse a guardarmi, lasciando dondolare il whisky che teneva in un bicchiere panciuto e pieno di ghiaccio.

Fuori, la nevicata era terminata, sostituita da una notte fredda e priva di nubi.

La luce diafana della luna illuminava la campagna, dando all’ambiente un aspetto lunare, quasi ultraterreno.

“Per oggi. Sono stato scortese, e tu non hai bisogno di sobbarcarti anche i miei problemi.”

“Oh, cielo!” esalai, fissandolo esasperata. “Rey Doherty, ho passato cento anni della mia adolescenza in un recinto pieno di gente che, nel migliore dei casi, voleva farmi capire cosa volesse dire la paura, e nel peggiore... beh, mi hanno fatto finire su un letto d'infermeria più di una volta, quindi...”

Lui mi fissò confuso, forse spaventato dal mio dire, e io mi rilassai un po'.

“Ci addestrano per diventare forti e invincibili, e chi appartiene alla famiglia reale subisce l'addestramento più duro” mormorai, allungando una mano perché potesse vedere bene il mio polso destro.

Rey guardò la bianca cicatrice che solcava di netto l'attaccatura della mano e, con le dita, la sfiorò, quasi volesse cancellare il dolore che avevo patito all’epoca.

Quel contatto mi fece rabbrividire, e desiderai per un istante che continuasse con quella carezza.

Gli dèi solo sapevano quanto avessi bisogno di un po’ di conforto, ma non ero in grado di chiederlo.

E forse, neppure lo avrei accettato, pur desiderandolo.

“Cercarono di troncarmi una mano, durante una lotta particolarmente cruenta.  Il nostro insegnante intervenne appena in tempo. Fermò il mio aggressore, ma la cosa finì lì. Non sono previste... punizioni. Bisogna solo cercare di non ammazzarsi … di proposito. Cosa che, invece, cercarono di fare con l'attuale moglie di mio fratello maggiore.”

“Perché me lo stai dicendo?” mormorò roco, scrutandomi con i suoi profondi occhi scuri, colmi di domande.

“Nessuno ha la famiglia che sogna di avere, e quei pochi ad averla, forse, neppure si rendono conto della fortuna che hanno.”

“Nonnina ha spifferato, eh?” si lagnò, pur senza acredine nella voce.

Annuii, levandomi in piedi per inginocchiarmi dinanzi a lui.

Mi mossi impacciata, non abituata a certe esternazioni dei miei sentimenti e, nel prendere le sue mani tra le mie, dissi: “Per quanto possa valere, io penso che tu stia facendo una cosa importante, qui, e che il tuo impegno andrebbe premiato.”

Strinsi con più forza le mie mani sulle sue e, ridendo impacciata, aggiunsi: “Scusa. Non sono molto brava, in queste cose. Non ci insegnano a esprimere quel che pensiamo.”

“Non ve... lo... insegnano?” esalò, confuso e sorpreso.

Scossi il capo, lasciandogli andare le mani, rimanendo così accucciata dinanzi a lui, le dita rattrappite sulle cosce.

“Un guerriero fomoriano deve essere impassibile, incorruttibile, inattaccabile in nessun modo, specialmente sul piano sentimentale. Mostrare i propri sentimenti rende deboli, e le debolezze possono essere sfruttate per distruggerci.”

“E a voi è sempre stato bene così?”

Le sue parole mostrarono ampiamente tutta la sua incredulità e, per un attimo, mi parve di vedere Eithe.

Anche a lei era parso strano, sentirci parlare a quel modo.

Stheta aveva imparato per primo sulla sua pelle, cosa volesse dire dar voce al proprio cuore.

Nel bene e nel male.

“Mio … beh, Stheta sta cambiando le cose... e anche Krilash. Rohnyn se n’è addirittura andato, per sposare una donna umana.”

Sospirai, sedendomi in terra per intrecciare le gambe e poggiare le mani sulle ginocchia.

“Krilash dovette sopportare di veder portata via sua figlia adottiva, il giorno stesso in cui portò lei e la sua attuale compagna a Mag Mell. Dopo averle presentate ai reali, fecero scortare Faélán ai recinti delle senturion, senza neppure dare il tempo a sua madre di salutarla.”

Gli spiegai cosa fosse riuscito a scoprire, come avesse allenato la giovane Fay – oltre a sua madre Rachel – e di come Tethra si fosse dimostrato insensibile.

“Non dubito che Fay potrà fare grandi cose, visto da chi è stata allenata prima di giungere a Mag Mell ma, per Rachel e Krilash, deve essere stata durissima.”

Rey fischiò per la sorpresa e, rilassatosi contro la poltrona, esalò: “Le discendenti di Oísín! Questo, forse, è ancor più sorprendente di te! Scusa tanto…”

Risi un poco, di fronte alla sua espressione costernata e, tra me, mi sentii assurdamente fiera per averlo in qualche modo scosso.

Era così difficile sorprenderlo!

“Quindi… sì, insomma, Krilash ha visto la loro… come hai detto che si chiama?” mi domandò lui, eccitato e ancora sorpreso.

“La rihall…” gli spiegai, indicando la mia, sul collo. “Ogni famiglia ne ha una specifica e quella di Niamh mac Lir, la moglie di Oísín, era una stella a cinque punte ricurve. La stessa dei miei fratelli. Avendo però avuto dei figli da un umano, la rihall è mutata, divenendo una stella tre punte. Il sangue umano non è abbastanza forte, perché riesca a sopportare il potere di una rihall.

“Quindi, visto che Rohnyn ha avuto un figlio da un’umana, anche quella è mutata?”

Assentii, rammentando il piccolo arabesco sulla spalla di Kevin. Una splendida stellina a tre punte, del tutto diversa da quella di Fay e Rachel.

“Non esisteranno mai rihall uguali, in un caso come questo. Con i DNA ricombinati, si creano nuove stirpi e, anche se Kevin è di diritto un mac Lir e l’erede di Rohnyn, non potrà portare questo cognome, se mai decidesse di scendere a Mag Mell. Nel suo caso, prenderebbe il cognome della madre, e sarebbe un mac Connell, creando di fatto un nuovo clan.”

Sorrisi mesta, a quel pensiero. Non avrei mai voluto che il piccolo Kevin patisse i patimenti del padre. O i miei.

“Ergo, i figli di Oísín sono divenuti dei mac Cumhaill perché la loro rihall è mutata” borbottò Rey, pensieroso.

“Anche. Di solito, se la coppia è fomoriana, la rihall di un nascituro appartiene alla famiglia del padre, non a quella della madre ma, quando la coppia è mista, le cose variano da caso a caso.”

“Quindi, tu sai che la tua appartiene a tuo padre. Immagino che il sangue divino dei Tuatha fosse abbastanza forte per reggere il confronto con quello di un fomoriano” mormorò, sorridendomi gentilmente.

Assentii, passando un dito distratto sulla mia rihall. La rihall del mio vero padre. Avrei mai scoperto a chi era appartenuta?

La sua carezza giunse a sorpresa, e mi fece sobbalzare.

Mi sfiorò la guancia col dorso della mano e, senza neppure accorgermene, avvampai in viso e lo fissai stranita, senza sapere che fare.

Lui sorrise a mezzo, ritirando la mano e, in qualche modo, mi sentii defraudata di qualcosa di bellissimo.

“E' proprio vero che non siete avvezzi alle premure.”

“No di certo” esalai, mordendomi il labbro inferiore.

“E sei convinta di non essere capace di esprimere le tue emozioni” aggiunse, intrecciando gli avambracci sulle cosce.

Il suo sguardo era fisso su di me, e io deglutii a fatica.

Sentii il mio cuore battere più in fretta, sotto quello sguardo attento e indagatore e, per un momento, desiderai che mi carezzasse ancora.

O, paradossalmente, la smettesse di guardarmi a quel modo, come se potesse leggere tutto di me, pur non potendo realmente.

“Eppure, prima, hai detto cose bellissime, e mi hai confortato” replicò, tornando a poggiare la schiena contro la poltrona.

“Ah... beh, non so se un umano avrebbe fatto qualcos'altro. O se avrebbe detto cose diverse. Vado un po' a tentativi” esalai, sbattendo frenetica le palpebre.

Lui, allora, si ritrovò a sorridermi complice, e questo mi confortò. Forse, si sentiva davvero meglio.

Con una certa ironia, allora, mi disse: “Beh, una donna particolarmente intraprendente, avrebbe potuto sedersi sul bracciolo della mia poltrona poi, con fare delicato e innocente, avrebbe potuto passarmi le mani tra i capelli, carezzarmi il viso e darmi un bacio consolatorio.”

Storsi naso e bocca, borbottando incredula: “E perché, scusa?”

A quel punto, Rey rise di tutto gusto, si passò una mano sul viso nuovamente sereno ed esalò: “Oh, cielo, Litha! Se non lo sai, vuole davvero dire che umani e fomoriani sono diversissimi, su alcune cose!”

Mi accigliai per un attimo ma, nel sentirlo ridere così spensierato, lasciai correre l'apparente insulto.

Aveva davvero una bellissima risata.








Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
5.
 
 
 
 

Fui svegliata da un trambusto improvviso, e dallo scalpiccio dei piedi di Rey sul parquet del corridoio.

Subito desta, scalciai le lenzuola e il panno di lana e, in fretta, infilai le scarpe ai piedi, catapultandomi fuori dalla stanza.

Trovai le luci accese nel salotto, un bollitore soffiante sul fuoco e tre persone accalcate nei pressi del divano.

L’odore ferroso del sangue mi pizzicò le narici e, nel notare una scia di gocce sul pavimento, esalai: “Rey, che succede?”

Lui levò la sua testa bruna dalla persona stesa sul divano, mi fissò turbato per un attimo ma, infine, mi ordinò: “Torna a letto, Litha. Non preoccuparti.”

Lo ignorai, avanzando a grandi passi e, nell’oltrepassare il divano, scorsi un ragazzino adolescente con una brutta ferita al costato.

Con lui, altri due ragazzi tremanti stavano osservando con occhi sgranati l’amico, apparentemente terrorizzati da ciò che stavano vedendo.

“Cos’è successo?” domandai ai ragazzini.

Usai un tono così perentorio che entrambi sobbalzarono, impallidendo visibilmente.

Tamponando la ferita con un panno – le mani prudentemente ricoperte da guanti in lattice – Rey borbottò: “Visto che non ne vuoi sapere di tornartene a letto, puoi portarlo in infermeria, mentre io chiamo i suoi genitori?”

“Nessun problema” assentii, piegandomi in avanti e sollevando il ragazzino come se nulla fosse.

I due giovani mi fissarono straniti e, nel sogghignare loro, dissi: “Sono una figlia di Dana, non Wonder Woman. E, a giudicare dai vostri sguardi ansiosi, voi due siete nei guai fino al collo.”

Ciò detto, corsi fuori senza curarmi di indossare nulla sopra le braccia nude.

Quando l’aria gelida di quella notte di febbraio mi colpì, strinsi i denti ma proseguii.

Sorreggendo senza sforzo il giovane, che si stava lagnando per il dolore al petto, digitai in fretta il codice sul tastierino della porta e corsi al piano superiore.

Lì, depositai il ragazzo su un letto, mi infilai i guanti di lattice e presi garze e disinfettante dallo stipetto più vicino.

Senza darmi pena di salvare la sua felpa lacerata, la strappai per meglio osservare la ferita e, scusandomi in anticipo, iniziai a pulire la lacerazione dal sangue.

Il ragazzo si lamentò, tentò di scostare le mie mani, ma io lo rassicurai con tono gentile ma fermo.

Gettai nel cestino non meno di tre garze zuppe di sangue, prima di rendermi conto di qualcosa di profondamente sbagliato.

Perché continuava a sanguinare?

Di norma, un licantropo avrebbe dovuto ritemprarsi nel giro di pochissimo, e non dubitavo che quel ragazzo fosse un mannaro.

Perché, altrimenti, recarsi in piena notte da Rey?

Quindi, cosa stava succedendo?

Quando avvertii i passi concitati di qualcuno su per le scale, osservai ansiosa l’entrata del pronto soccorso.

Un attimo dopo, comparve Rey, trafelato e vagamente pallido.

Mi raggiunse quasi correndo assieme agli altri ragazzini e, nell’annuire a ciò che avevo fatto, mi chiese: “Come te la cavi, con il pronto soccorso?”

“Ho ricucito parecchi soldati, oltre a me stessa, perché?”

“Bene. Perché avrò bisogno di due occhi buoni e di uno stomaco forte” mi spiegò, sorridendomi sghembo. “Vai a indossare un camice e una mascherina. Dobbiamo operarlo subito.”

“Cosa gli è capitato?” domandai, togliendomi in fretta i guanti zuppi di sangue per correre a cambiarmi.

Col volto aggrottato e torvo, mormorò: “Quegli idioti hanno ingurgitato dell’argento per gioco.”

Preferii non chiedere altro  e, di corsa, andai nella saletta che, tempo addietro, mi aveva mostrato.
 
***

Le luci della sala operatoria, bianche come neve, conferivano alla stanza insonorizzata e asettica un aspetto ascetico e spettrale.

I miei occhi seguivano attenti il veloce progredire delle mani di Rey, infilate all’interno dello stomaco dell’adolescente avvelenato.

Come sciocchi, i ragazzi si erano sfidati a una gara di coraggio e, da vero stupido, uno di loro aveva deciso di infilarsi in bocca tre pallottole d’argento.

Questo aveva innescato una reazione a catena nel suo corpo che, dopo aver  rifiutato l’argento, mandandolo in shock anafilattico, aveva poi tentato di proteggersi.

Cercando di togliere la fonte del male direttamente con gli artigli.

Guy, il ragazzo steso sul lettino, si era letteralmente preso ad artigliate, spinto dal suo istinto di conservazione ormai del tutto privo di controllo.

I suoi amici avevano tentato di bloccarlo, di placarlo ma, alla fine, avevano solo potuto tramortirlo e condurlo da Rey.

Ora, noi lo stavamo operando per estrarre le pallottole dal suo stomaco, sperando che le pareti interne del sacco non fossero già drammaticamente danneggiate.

Scossi il capo, quando il primo proiettile finì nel piattino d’acciaio che tenevo sollevato per Rey.

“Come si può essere così idioti?” mi lagnai, lanciando un’occhiata preoccupata verso Rey che, imperturbabile, stava continuando nel suo esame.

“L’adolescenza è una brutta bestia. Specialmente per i maschi” chiosò pacato Rey, estraendo il secondo proiettile con mano ferma.

“Sarà… ma ingoiare veleno mi sembra più stupido del comprensibile” borbottai, storcendo il naso.

Cercai di ripensare ai miei fratelli, alla nostra giovinezza, ma cozzai irrimediabilmente contro i ricordi delle senturion.

Quelle, non erano mai state uno scherzo, o un gioco.

Lui mi lanciò un mezzo sorriso con gli occhi – la bocca era coperta dalla mascherina – e replicò: “Mai fatto scemenze, quando eri giovincella?”

“Alla loro età, combattevo nelle senturion per sopravvivere. E sul lettino dell’infermeria, ci sono finita con una ferita da battaglia, non per idiozie simili.”

Gli occhi di Rey si fecero più cupi e, nell’annuire, mi chiese: “Ricordo ciò che mi dicesti. Ma fu solo questa, la tua adolescenza? Lotte per la sopravvivenza e basta?”

“Studiavamo arte e cultura generale, anche umana. Conosco dodici lingue terrestri diverse, e so a memoria almeno una settantina di miti e racconti, tra cui la Divina Commedia, la Bibbia, il Corano, i Veda e i miti Ossianici.”

Le sopracciglia di Rey scattarono verso l’alto, sorprese – per lo meno lo immaginai, non volendo curiosare nella sua testa – e, nello scrollare le spalle, aggiunsi: “Per noi è normale. Mente e corpo devono essere egualmente allenati. Una, senza l’altro, non conta nulla.”

“Sono impressionato, lo ammetto.”

“Non esserlo. Per i fomoriani, è normale e, visto che sono cresciuta a Mag Mell…” mormorai, denigrando me stessa e ciò che sapevo.

Non avevo impiegato nessuna abilità particolare, per fare ciò che avevo fatto, perciò non doveva essere così stupito.

O ammirato.

O guardarmi come se avessi compiuto cose straordinarie.

Lui, piuttosto, era da ammirare.

Non un cedimento, non un affanno, solo mani ferme e abilità innate.

Non aveva esitato un attimo a operare Guy, muovendosi con agilità in quel mare di sangue.

Si era affannato per non ledere più del necessario il sacco dello stomaco – che, una volta tolto l’argento, non avrebbe avuto difficoltà a rimarginarsi – e, con competenza, si era fatto strada.

Non era passata più di un’ora, da quando il ragazzo era giunto lì con i suoi amici, eppure l’operazione era quasi terminata.

Sì, Rey era da ammirare, non certo io.

Tolto il terzo proiettile, ricucì sommariamente il taglio che, sotto i miei occhi meravigliati, iniziò subito a rimarginarsi.

Irrorai come indicatomi, suggendo poi via il sangue con un tubicino trasparente.

Dopo aver disinfettato per l’ennesima volta, Rey praticò una sutura d’emergenza con dello spesso filo nero e, sospirando, mormorò: “E ora, confidiamo nel suo sangue.”

Assentii, lasciando che le braccia scivolassero lungo i fianchi, stanche e irrigidite dall’ansia.

Rey, invece, si sfilò con naturalezza i guanti e lì gettò in un secchio per rifiuti medicali, lo sguardo tranquillo e serio.

Lo imitai e, nel condurre Guy nella saletta del post-operatorio, asserii: “Hai fatto un lavoro davvero eccezionale.”

“Ho studiato, per questo” si limitò a dire, scrollando le spalle. “Esattamente come tu hai studiato arte e cultura. O strategie di guerra.”

Feci spallucce e, dopo aver sistemato il lettino di Guy, uscii assieme a lui nella sala del pronto soccorso, dove la famiglia del ragazzo, e dei suoi amici, attendevano.

Rey annuì loro, togliendosi la mascherina e la cuffietta dalla testa, lasciando libera la sua chioma corvina.

Vi furono abbracci, strette di mano e profusi ringraziamenti e, nell’osservare Rey, mi stupii nel non vederlo soddisfatto.

O anche soltanto vagamente lieto per quelle espressioni di gioia.

Perché le loro parole non lo toccavano? Perché pareva quasi imbarazzato dalla loro gratitudine?
 
***

Albeggiò e, nel destarmi dopo un sonno leggero, mi stiracchiai e lanciai un’occhiata al letto di Guy.

E al suo guardiano.

Rey pareva non aver chiuso occhio un solo attimo, lo sguardo attento puntato sul viso rilassato del suo paziente.

Mi levai dalla poltroncina su cui mi ero sistemata e, nel tenere in mano il pannetto che, quasi sicuramente, Rey aveva steso sul mio corpo, lo raggiunsi.

Lui si volse a mezzo, mi sorrise, e disse: “Ben svegliata. Sei riuscita a riposarti un po’?”

“Io sì. Ma tu?”

Spallucciò, come se la cosa non importasse, e questo mi fece un po’ irritare.

Perché, se domande del genere erano rivolte a lui, Rey non vi dava peso?

Drappeggiai la coperta sulle sue spalle, strinsi le mani su di esse e, nel piegarmi verso il suo orecchio, mormorai: “Se cadrai a terra stremato, chi penserà a lui?”

Rey allora reclinò in avanti il capo, senza rispondermi, chiuso nel suo silenzio pacifico e impenetrabile.

Sospirai, chiedendomi cosa nascondesse di così tremendo. Perché non voleva parlare con me?

Mi mossi per sedermi sul bordo del letto, così da poterlo guardare in viso e, sorridendo appena, gli domandai: “Cosa devi dimostrare, Rey Doherty? Che sei indistruttibile?”

I suoi occhi color cioccolato cercarono i miei, così come la sua mano sinistra sfiorò la mia, poggiata sul ginocchio e, senza dire nulla, la tenne così, appena stretta.

Accennai a sbirciare, ma mi ritrassi sconvolta quando scorsi il suo tormento, il suo dolore.

Cosa, in nome degli dèi, lo sconvolgeva tanto?

Strinsi con maggiore forza quelle dita, e mormorai: “Sei un uomo di valore, Rey Doherty, e chiunque dica il contrario, dovrà passare sul mio corpo.”

Lui abbozzò un sorriso, ma esso non sfiorò gli occhi.

“Sei carina, a dirlo, ma cosa ho fatto di diverso da qualsiasi altro dottore?”

“Non importa se hai operato come un qualsiasi altro dottore. Importa che tu l’abbia fatto, che tu l’abbia salvato, che tu ti sia preso cura di lui!” sbottai, stringendo ancora di più quella mano, inerte nella mia.

“Chiunque può prendersi cura degli altri.”

Ancora quel tono rassegnato, quella totale mancanza di fiducia in se stesso.

Mi irritai e, levandomi in piedi, lo fissai senza sapere bene cosa fare.

Era difficile comprendere come consolarlo visto che, per quattromila anni, avevo tenuto a bada sentimenti e violente contraddizioni dentro di me.

La rabbia l’avevo sempre convogliata negli allenamenti, mi ero sempre sfiancata, per non farla affiorare sotto forma di strepiti e urla.

Ma consolare qualcuno? Ne ero in grado?

Ripensai alle sue parole, alle sue battute, ai gesti scherzosi e affettuosi di Sheridan, e mi avvicinai.

Allungai una mano verso di lui, carezzandogli il viso, l’attaccatura dei capelli, le morbide onde corvine che terminavano sul collo, intorno alle orecchie.

Lui levò lo sguardo su di me, confuso e pieno di domande.

“Non sei un uomo qualunque, Rey Doherty e, dovessi rimanere qui cent’anni per convincerti, giuro che te lo farò capire. Non mi interessa se altri ti hanno detto il contrario. Sono stupidi, perché non ti hanno capito.”

“E tu sì?” mi domandò, intercettando la mia mano e coprendola con la sua, in corrispondenza della sua guancia.

Il suo palmo era rovente, sulla mia mano e, nel mordermi il labbro inferiore, desiderai sentirlo sulla pelle, su tutta quanta la mia pelle.

Pensiero un po’ strano, visto il momento, ma balenò nella mia testa come un colpo di gong, lasciandomi stordita e accaldata.

Sorrisi, inclinando il capo, e annuii.

“Sei un uomo buono, disponibile con le persone che hanno bisogno di aiuto. Non ti tiri indietro, di fronte alle difficoltà, e hai sempre una parola buona per tutti.”

“Sono le doti di un uomo debole” ironizzò, adombrandosi.

Mi accigliai, nel sentirglielo dire. In quel momento, stava parlando qualcun altro, lo compresi subito.

“Chi ti ha irriso con simili accuse, meriterebbe la frusta” sibilai, portandolo a sorridere suo malgrado.

“Non credo che mio fratello gradirebbe anche se, se fossi tu a frustarlo, forse ci farebbe un pensiero” celiò, abbozzando un sorriso sardonico.

“Lo odio già, sappilo. E credimi, non gradirebbe il servizio, se lo facessi io” ringhiai furente, ritirando la mano dal viso di Rey.

I suoi occhi guizzarono – indispettiti? – e, lappandosi le labbra, replicò: “Quando la tua famiglia ti denigra a questo modo, è difficile non credergli, ti pare?”

Risi sommessamente e, con l’acido nella voce, replicai.

“Parli di un argomento che, nel mio caso, tocca vette che tu solo immagini. Pensi che sia peggio la tua, di famiglia, o la mia, che ha ucciso a fil di spada i miei veri genitori?”

Rey ristette zitto per alcuni attimi, prima di ammettere: “Mi batti alla grande. Ma la faccenda rimane. Essere buoni e generosi, non ti porta da nessuna parte.”

“Ti ha portato la gratitudine delle persone di prima, e immagino quella di altri come loro. Ti pare poco?” replicai, poggiando le mani sulle sue spalle, scuotendolo.

“Litha… ma perché ti interessa tanto farmi cambiare idea?” mi riversò contro, vagamente accigliato.

Sbuffai, ritirando le mani per nasconderle dietro la schiena. In quel momento, avrei voluto prenderlo a sberle.

“Mi fa imbestialire, il tuo eccessivo diletto nell’autodenigrarti. Dovresti rallegrarti di avere delle capacità evidenti di guaritore, invece di pensare di non saper fare nulla di speciale.”

Rey, a sorpresa, mi prese una mano, facendomi voltare a mezzo, e mi domandò: “Perché pensi che, quello che faccio, sia così speciale?”

Aggrottai la fronte e, strappando via la mano dalla sua, mi limitai a dire: “Perché le mie mani sono brave solo a uccidere. Direi che la tua dote è ben superiore alla mia.”

Ciò detto, mi allontanai di buon passo, lasciandolo solo alle sue elucubrazioni.

E tentando di trovare, per me, un angolino di pace nel guazzabuglio che avevo nella testa.
 
***

Mi trovò appollaiata su una balla di fieno, le ginocchia al petto e l’aria imbronciata.

Si accomodò al mio fianco in silenzio, dandomi un colpetto con la spalla, prima di sorridermi.

Storsi la bocca, mettendo un broncio ancor più evidente, e lui rise sommessamente.

“Certo che, tra tutti e due, siamo delle sagome. Se io mi piango addosso, tu cosa fai?” ironizzò Rey, avvolgendomi le spalle con un braccio per scrollarmi leggermente.

Lo lasciai fare e borbottai: “Almeno lo ammetti, che ti piangi addosso.”

“Ho questo difetto, non lo nego. Ma tu? Perché hai detto di essere brava solo a uccidere?”

Sollevò una delle mie mani, la scrutò con attenzione, e io con lui.

Non so cosa vide Rey, ma io sapevo bene cosa avevano fatto quelle dita apparentemente fragili.

Avevano brandito armi di ogni genere e forma e, in alcuni casi, avevano dato la morte, se non ferito in modo più che serio.

Avevo partecipato agli ultimi scontri contro i Tuatha, ma erano stati un nonnulla, se paragonati alla guerra contro uno dei Protettorati di Mag Mell.

Quello spettacolo, cruento e privo di logica, era bastato a farmene comprendere gli orrori.

Iniziai a raccontargli di quello che avevo provato a falciare vite, a usare realmente ciò che avevo imparato in gioventù.

Per tutto il tempo, Rey continuò a tenermi per mano, a massaggiare con le sue quelle dita portatrici di morte.

Chiusi gli occhi, nel ricordare i momenti più cruenti della lotta e, quando giunsi al termine della storia, sospirai.

“Ho i miei motivi, come vedi, per dire di essere una portatrice di morte.”

Lui volse lo sguardo verso di me, sorrise e, nel portarsi la mia mano alle labbra, ne baciò il dorso e mormorò: “Oggi, hanno salvato una vita. Compensa un po’, ti pare?”

“Tu dici?” sussurrai, lappandomi le labbra alla vista di quella bocca così vicina alla mia.

Annuì e tornò a guardare dinanzi a sé, senza però abbandonare la presa sulla mia mano.

Restammo così a lungo, finché il sole non ebbe raggiunto i contorni della casa di mattoni rossi.

A quel punto, Rey si mosse, mi attirò a terra con lui e, stringendomi in un rapido abbraccio, mi sussurrò all’orecchio: “Grazie per quello che hai detto. Mi ha fatto piacere. Davvero.

Quando si scostò, gli sorrisi lieta e lui, sempre tenendomi per mano, mi riaccompagnò verso casa, dicendo: “Andiamo. Nonnina si sarà ormai svegliata.”

“Sì, andiamo da lei.”
 
***

Guy si sollevò da letto con l’aiuto di Rey, sotto lo sguardo attento e ombroso dei genitori, e quello più leggero del loro Fenrir.

In disparte, le spalle poggiate contro il muro e l’aria tranquilla, osservai la scena con una certa nota di divertimento negli occhi.

Sarebbe occorso ancora molto, perché Rey superasse la sua idiosincrasia nei confronti dei complimenti ma, per lo meno, il suo sorriso fu più convincente del solito.

Non appena il giovane avventato fu tra le braccia dell’apprensiva madre, il loro Fenrir si allontanò dalla coppia per avvicinarsi a me.

Raddrizzandomi immediatamente, reclinai appena il capo in segno di saluto, e lui mi restituì l’omaggio.

Era alto poco più di me, con spalle robuste che avrebbero fatto invidia a chiunque, e una zazzera di capelli sale e pepe su occhi grigio ghiaccio.

Mi sorrise a mezzo, osservando ancora una volta la scena, prima di dirmi: “I miei ringraziamenti vanno anche a te, principessa. Hai salvato uno dei miei figli, e la mia amicizia – come la mia gratitudine – ti accompagneranno sempre.”

“Ho fatto ciò che ritenevo giusto” mi limitai a dire, sorridendo divertita nel vedere Guy scusarsi profusamente col padre, giustamente infuriato. “Non dubito che uno qualunque di voi, avrebbe fatto lo stesso.”

“C’è ugualmente una vita, tra di noi, e non lo dimenticherò” replicò Fenrir, al secolo Jordan MacTeefe.

“Mi avete già offerto protezione, non dicendo ai miei fratelli dove mi trovavo. Per me, tanto basta” scossi il capo, allungando una mano verso di lui.

Jordan la prese, me la baciò con gran galanteria, facendo sorgere un ben poco lusinghiero rossore sulle mie gote.
Ecco cosa succedeva a non essere abituati alle smancerie!

Rey ci guardò per un momento, dubbioso e incuriosito, e il mio rossore aumentò.

Fenrir se ne accorse subito, così come si accorse dell’accelerarsi del mio battito cardiaco.

Nel ritirare la mano, mi sorrise malizioso e asserì: “Ho idea che Sua Altezza non sia abituata ai gesti galanti.”

“Poco ma sicuro!” borbottai, intrecciando la mano dietro la schiena assieme alla sua gemella. “Ho mani che sanno combattere. Molto meno a ricevere baci.”

“Un vero peccato, se posso esprimermi senza apparire scortese” dichiarò a quel punto lui, accennando un inchino scherzoso.

Non riuscii a trattenere un risolino.

“Niente affatto scortese, davvero. Solo… faccio fatica ad abituarmi a certi comportamenti.”

Nel veder giungere i genitori di Guy, borbottai a mezza bocca: “E ai ringraziamenti, soprattutto.”

Mi lasciai abbracciare dalla madre, e stringere la mano dal padre, prima di ricevere le scuse e i ringraziamenti di Guy, con cui mi raccomandai di non ripetere l’esperimento.

Rey si venne a piazzare al mio fianco e, quando lo sparuto gruppo discese le scale per tornare a casa, mi domandò: “Jordan ti ha messa in imbarazzo?”

“Non lui. Quanto, piuttosto, la mia incapacità di gestire le emozioni. E’ difficile accettare certi atteggiamenti come normali, quotidiani. I fomoriani difficilmente si … si toccano. Se non nelle camere da letto, ovviamente.”

“Ovviamente” convenne Rey, cercando di mantenersi serio.

Io, allora, gli diedi una gomitata nello stomaco, facendolo rantolare per diretta conseguenza.

Ghignai per un attimo, lieta di averlo azzittito ma, quando lui si piegò su un ginocchio, come preda di un grande dolore, mi preoccupai.

Che avessi usato troppa forza?

Subito, mi inginocchiai al suo fianco per scusarmi ma, a sorpresa, lui si piegò in due, ridendo sempre più forte.

Incredula, mi chiesi se fosse per caso impazzito ma Rey, sorprendendomi ancora una volta, mi disse: “E’ uno scherzo, Litha. Altro modo di fare normale, per noi umani.”

“Idiota” brontolai, spingendolo così forte da farlo finire fondoschiena a terra. “Ho avuto paura di averti fatto male!”

Lui rise ancora più forte, finché le lacrime non sgorgarono dai suoi occhi scuri.

A quel punto scossi il capo, mi sedetti a terra a mia volta e, lasciandomi andare veramente per la prima volta, mi godetti il suono della mia stessa risata.

Continuai così per alcuni minuti, lasciando scivolare lacrime ilari sulle gote, mentre Rey, sorridente e giulivo, mi osservava rallegrato.

Quando riuscii a chetarmi, mi diede un buffetto sul mento e chiosò: “Non stai meglio, ora?”

“Sì” assentii. “E tu?”

“Molto.” Poi, lanciata un’occhiata in direzione dell’ambulatorio ormai vuoto, aggiunse: “E’ bello ridere in compagnia.”

Non potei che essere d’accordo con lui.

Era bello ridere assieme ma, soprattutto, era bello condividere emozioni simili con Rey.

 







 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 
 
6.
 
 
 

 
Il tran tran della vita in campagna, con le sue scadenze fisse e giornaliere, divenne piacevole e confortante.

Tutte le mattine mi alzavo presto, facevo una passeggiata tra i campi innevati, aiutavo Rey nella stalla e davo da mangiare a nonnina.

Lui preparava i pasti – ero ancora troppo inesperta, per farlo – e si dedicava alla preparazione dei formaggi.

Nel pomeriggio, pensavamo alla legna, alle pulizie e a qualche saltuario viaggio a Cork per fare spese o vendere la sua mercanzia.

Incontrare le persone del mercatino rionale, in cui Rey era solito portare il formaggio, fu appagante.

Tutti mi trattarono con estrema gentilezza, alcuni mi regalarono prodotti delle loro fattorie ma, più di ogni altra cosa, scorsi nei loro occhi l’affetto nei confronti di Rey.

Era benvoluto da tutti, e da tutti rispettato e apprezzato.

La sua famiglia era davvero folle, ad averlo denigrato a quel modo per la scelta compiuta anni prima di prendersi cura della fattoria.

Non mi sarei mai e poi mai capacitata di un simile comportamento ma, d’altro canto, non era compito mio comprenderli.

Inoltre, con esempi come Muath e Tethra alle spalle, di cosa mi stupivo?

Mentre le settimane si susseguivano le une sulle altre, e il mio baricentro tornava a riequilibrarsi, riuscii persino a trovare divertenti gli scherzi di Rey.

Se, sulle prime, il suo prendermi in giro, o lo sfruttare la mia ignoranza in materia di modi di dire, mi irritò, col tempo iniziai a provare un piacere sempre maggiore.

Era divertente e appagante pensare al tempo che mi dedicava, tentando di tirarmi sempre su di morale quando mi vedeva mogia.

O dandomi man forte, quando i ricordi di Mag Mell mi portavano a grondare rabbia.

Più di una volta lo scoprii a guardarmi, mentre mi allenavo dietro casa.

Appariva meditabondo, o affascinato, non avrei saputo dirlo, intendendomene così poco di umani.

Ma, ogni qual volta lo trovai fuori per guardarmi durante gli allenamenti, mi sentii stranamente confortata.

Protetta, mio malgrado.

Un’altra cosa che trovai divertente, quanto appagante, fu prendere lezioni di guida da Rey.

Trovai subito interessante la sua jeep e per quanto, sulle prime, comprendere l’uso del cambio fu un po’ macchinoso, alla fine riuscii a non combinare guai.

O quasi.

Naturalmente, guidare per strada mi fu impossibile – non avevo la patente – ma, avanzare lungo le strette stradine sterrate della sua proprietà, mi diede gioia.

Come a lui diede soddisfazione vedermi così felice.

Non gliene chiesi mai il motivo, ma i suoi occhi parlarono per lui più delle mille parole non dette tra di noi.

A cosa sarebbe servito parlare, quando avvertivo solo serenità e pace, attorno a noi?

Ciò che, però, mi colpì più di tutto, tra i mezzi di trasporto di Rey, fu la sua Harley Davidson.

Blu e bianca, dal motore cromato (aveva detto così, Rey?), e con rifiniture di pregio sul manubrio, spiccava come un’opera d’arte in mezzo al resto dei veicoli.

La prima volta che la vidi nel garage la sfiorai con reverenziale timore e lui, sorridendo, mi promise di portarmici, con la bella stagione.

Da quel giorno, iniziai a contare i giorni che ci separavano dalla primavera.

Non mi lasciai mai sfiorare dal pensiero che forse, in primavera, neppure sarei più stata lì.

Non avevo nulla a cui tornare, a parte i miei fratelli, e stare lì era corroborante e salutare, per me.

Ma sapevo bene quanto, il mio risiedere presso il Santuario, fosse solo una soluzione a breve termine.

Non avrei potuto rimanere ospite di Rey per sempre, anche se la sola idea di andarmene si faceva più pesante di giorno in giorno, nel mio animo.

“Guardare quel povero telefono in maniera così accigliata, non servirà a nulla, sai?”

La voce morbida di Rey mi raggiunse come una carezza e io, nel volgermi a guardarlo, gli feci la lingua per diretta conseguenza.

Erano circa due mesi che abitavo da lui e, in quel periodo di tempo, avevo imparato a conoscere ogni sfumatura del suo carattere.

Ormai, sapevo alla perfezione quando riceveva le rare chiamate dei suoi genitori, o quelle ancor più rare di suo fratello.

Così come sapevo quando era lui a farle.

Il suo classico - e per me ormai usuale - sorriso bonario spariva, sostituito da un'ombra sugli occhi e un silenzio prolungato.

C'erano poche cose che lo turbavano, a parte la famiglia che risiedeva a Cork.

Una di queste, era la salute di nonnina.

Il dottore era passato solo una settimana prima, per la consueta visita di controllo, e non si era dichiarato propenso a cambiare la diagnosi di sei mesi addietro.

Gwendolin si stava spegnendo, lentamente ma in modo inesorabile.

Aveva rifiutato il ricovero e, tra me e Rey, potevamo seguirla senza problemi.

Non avevo, però, davvero idea di cosa avrebbe potuto succedere, se fosse peggiorata.

Come non avevo idea di cosa volesse dire veder morire una persona a quel modo.

Io conoscevo la morte in battaglia, ma quella? Non sapevo davvero come gestire un evento simile.

Non avevo mai visto nessuno morire di vecchiaia.

Avrei tanto voluto parlarne con Rohnyn, capire cosa avesse provato vedendo morire Mairie, ma era un argomento che non avrei mai toccato con lui.

E, di certo, non dopo tanti mesi di silenzio da parte mia.

“Non so cosa dirgli” ammisi a quel punto, scrollando le spalle, infastidita dalla sensazione di impotenza che mi mordeva le carni.

Lui si sedette accanto a me, poggiandomi una mano sulla spalla – mi stavo abituando ai semplici contatti umani tra di noi – e sorrise tranquillo.

Rey mi era sempre accanto, anche quando pensavo di no.

Bastava un suo sguardo in lontananza, per sentirmi più serena.

Anche se, durante il giorno, poteva essere impegnato con gli animali o la fattoria, sapevo che, se avessi aperto bocca, lui si sarebbe fermato per me.

Perché lui era così. Buono, comprensivo e gentile.

E io stavo diventando dipendente da questa sua gentilezza nei miei confronti.

“Forse, ti dirà che sei stata stupida a non andare da lui, ma penso che non andrà oltre. Sarà solo felice di sentirti, ti pare?” mi disse allora lui, bonario.

“Tu dici?” mormorai mogia.

Non mi piaceva sentirmi così insicura, ma avevo cominciato a lasciarmi andare, sapendo che Rey avrebbe trovato una parola gentile per me.

Ogni volta.

Non avevo idea se fosse una cosa buona o meno, ma mi piaceva l'idea che lui si prendesse cura di me.

Forse, Muath e Tethra sarebbero inorriditi al solo saperlo, ma mi importava ben poco della loro opinione, al momento.

“Facciamo così... ci parlo io e sondo le acque, va bene?”

“Lo faresti?”

“Gli dirò che ti ho rapita e che ti tengo in ostaggio, okay?” mi strizzò l'occhio, divertito.

Per tutta risposta, risi e gli diedi uno scappellotto.

Lui rise con me, intercettò la mia mano e la tenne nella sua, forse volendo prevenire ulteriori attacchi.

Mi fece piacere quel tocco, e lasciai che mi tenesse la mano.

“Allora? Vuoi dirmi il suo numero?”

“Niente rapimenti, però” lo additai, mostrandomi minacciosa.

Rey scrollò le spalle, digitò il numero che gli dettai e attese una risposta.

Per mettermi a mio agio, azionò il vivavoce e, quando udii la voce di Rohnyn, mi morsi un labbro, emozionata.

Chissà perché, avevo temuto fosse cambiata. Invece, aveva mantenuto il solito tono basso e roco.

“Ronan O'Sea?”

“Sì, sono io. Con chi parlo?” domandò dubbioso Rohnyn.

“Mi chiamo Rey, e ho notizie di sua sorella Litha.”

Rohnyn non parlò per alcuni secondi, forse vagliando le parole di Rey e, soprattutto, l'uso del mio vero nome.

“Sorellina, sei lì?”

“Ciao” mormorai, contrita.

Lui tirò un sospiro di sollievo, lo sentii dire un paio di parole a qualcuno – forse a Sheridan – per poi riprendere la conversazione con me.

“Dimmi dove sei. Ti veniamo a prendere subito.”

“Ah... no, Rohnyn. Per favore.”

Ancora silenzio, e una più contratta risposta. “Che succede, sorellina?”

“Volevo solo dirvi che va tutto bene, anche se so che vi è stato già riferito. Non voglio che vi preoccupiate per me, ma non ho intenzione di tornare, al momento.”

“Ma... siamo la tua famiglia, Lithar!”

Sospirai tremula, e la mano di Rey mi diede il coraggio di proseguire.

“Devo prima capire cosa desidero fare della mia vita, Rohnyn. Se sei solo preoccupato per me, posso assicurarti che qui sono più che al sicuro.”

“Perché quel tizio conosce il tuo vero nome? E dove sarebbe, poi, il qui?”

Mi accigliai un po', a quella domanda, pur sapendo che era più che lecita.

“Rey sa tutto ed è, come dire, un addetto del settore. E' amico dei licantropi, perciò capisci bene che non ha problemi ad accogliere anche una fuggiasca senza nome come me.”

“Tu hai un nome, sorellina, ed è Lithar mac Lir. Muath è disperata, non sapendo dove ti trovi. Me l’hanno detto sia Stheta che Krilash e credimi, non stavano scherzando.”

Aggrottai la fronte, nel sentir nominare Muath, e replicai: “Rohnyn, non so quanto ti abbiano detto Stheta e Krilash, o quanto Muath abbia detto loro, ma io non sono fomoriana, non del tutto, per lo meno. Sono in parte una Tuatha, e non ho una sola goccia del sangue dei mac Lir.”

“Beh, non mi interessa un accidente! Sei mia sorella, punto, e non ti lascio lì con un uomo che nemmeno conosco, quando potremmo darti tutti quanti una mano a riprendere il controllo sulla tua vita!” sbottò fuori di sé, mandandomi nel pallone.

Ma che stava dicendo?!

Pensava che fossi una sciocca bambina umana, che non poteva essere lasciata sola per più di due minuti con degli estranei?

“Rohnyn, ma ti ascolti? Ho quattromila anni, non sei mesi. Inoltre, posso benissimo difendermi da sola, e lo sai.”
Non parve molto più calmo, quando mi parlò di nuovo, ma tentò per lo meno di apparire così, al telefono.

“Senti, sorellina, so che sei un asso nel corpo a corpo e con la spada, ma ci sono cose che...”

Mi accigliai immediatamente, percependo senza sforzo la mia rabbia al color del sangue che, prepotente, stava tingendo le mie gote.

Borbottando un insulto, replicai piccata: “Rohnyn, mi spiace dirtelo così a bruciapelo, visto che non se ne dovrebbe parlare a questo modo, ma non sono vergine. E, anche se non sono affari tuoi, e mi da un po' fastidio ammetterlo proprio con te, proseguirò lo stesso nel dirtelo. Non avete fatto esperienze di quel genere solo tu e gli altri. Mi sono interessata molto anch’io dell’argomento, puoi credermi sulla parola. Perciò so a cosa stai velatamente alludendo…  e non è questo il caso!

Rey cercò di non ridere ma lo sentii tremare e, quando lo guardai, vidi che stava trattenendo una risata agli angoli della bocca.

Gli occhi, però, stavano lacrimando ilari e, mio malgrado, trovai quella situazione ai limiti del paradossale.

Se fossi stata un’altra persona, sarei scoppiata a ridere anch’io, o avrei dato in escandescenze, ma in quel momento ero solo furiosa con Rohnyn.

“Perché dobbiamo parlare di queste cose di fronte a un estraneo, Lithar?” si lagnò Rohnyn, chiaramente esasperato quanto me.

“Sarà estraneo per te, ma non per me. E non nel senso che pensi tu, voglio chiarirlo subito. Inoltre, vorrei che mi chiamassi Litha.”

Lo sentii sospirare, ma accettò la mia richiesta.

“Allora, non vuoi davvero tornare a casa?”

“Se e quando lo vorrò, te lo dirò io. Per ora, salutami il piccolo Kevin e tutti gli altri. Di' loro che sto bene e sono ben protetta.”

“Ricorda solo che noi ti vogliamo bene, sorellina.”

“Lo so, ora lo so” mormorai, chiudendo la comunicazione dopo averlo salutato.

Riposi mogia il telefono sul tavolino dinanzi a noi Rey, abbozzando un sorriso, asserì: “Non è andata male, dopotutto.”

“Pensa che tu sia un depravato, o chissà chi altro!” brontolai, per nulla d'accordo con lui.

Rise sommessamente, e annuì.

“Perché è un uomo, e stiamo parlando della sua sorellina, in compagnia con una persona che lui non conosce. Non importa se, la sorellina in questione, sarebbe capace di spezzarmi la schiena come se fossi un fuscello.”

“Dovrebbe fidarsi di me!” esclamai, reclinando le spalle per l’esasperazione.

Lui, allora, me le avvolse con un braccio, mi attirò a sé e mi strinse in un abbraccio.

Io ristetti rigida tra le sue braccia e lui, massaggiando le mie con lente carezze, mormorò: “Questo si chiama abbraccio consolatorio, Litha ma, se tu rimani rigida come un palo, non ne sentirai i benefici.”

“Scusa.”

Presi un gran respiro, e mi lasciai andare.

E fu così che percepii ciò che voleva dire... e darmi.

Il suo calore penetrò nel mio corpo, poco alla volta, come una lenta colata di cioccolata calda.

Mi ritrovai a stringere debolmente le braccia attorno a lui e Rey, con calma, mi lasciò scivolare verso il basso, finché non poggiai la testa sulle sue cosce.

A quel punto, mi carezzò i capelli e, roco, mormorò: “Respira con calma. Chiudi gli occhi e lasciati andare. Ascolta solo il ritmo del tuo cuore, lo scoppiettio della legna nella stufa, il canto della civetta sulla betulla...”

Feci come mi disse, e subito mi chetai.

La sua mano tra i miei capelli contribuì a rilassarmi e, pian piano, il mio respiro si fece più tranquillo.

La natura, all’esterno, proseguiva nel suo lento divenire, niente sembrava sconvolto da stravolgimenti improvvisi o violenti.

Tutto procedeva lento e placido, con calma, e io mi uniformai a quella pace, esattamente come Rey mi aveva detto.

“La sua, non è mancanza di fiducia. E' amore” mormorò ancora, continuando nel suo massaggio.

“E il tuo?” gli domandai, volgendomi per poterlo guardare.

Ripiegai le gambe per poter stare più comoda e, con la schiena sui cuscini e la testa sul suo grembo, lui mi guardò con occhi che bruciavano.

Mi sorrise appena, spostando la mano dai miei capelli alla mia bocca, sfiorandola con delicatezza con le punte dei polpastrelli.

Sospirai, sfiorando con il mio alito le sue dita, che tremarono.

“Dopotutto, forse, tuo fratello ha ragione a preoccuparsi.”

Sorrisi, e mi sollevai per essere alla sua stessa altezza.

“E io, dovrei preoccuparmi?”

“Non credo. Ma negare che sei attraente, sarebbe da idioti” asserì, sfiorandomi una guancia con un bacio leggero, niente più di un casto sfiorarsi di pelle contro pelle.

Inspirai con forza, lasciando andare poi lentamente il fiato. Il cuore era tornato a battere con violenza, come aspettandosi altro. Di più.

“Nessun fomoriano fa simili complimenti” mormorai, sentendomi tremare tutta, piena di aspettativa.

“Beh, peggio per loro. Si perdono la parte più divertente” ironizzò, scostandomi una ciocca di capelli dal viso.

Così facendo, mise in mostra la mia rihall, che lui sfiorò con la mano per un attimo, prima di ritrarla infastidito.

“Brucia!” si lagnò, sorpreso e confuso.

Scrollò la mano, rossa nei punti in cui la carne aveva sfiorato la stella, e io me ne spiacqui.

“Sì, può farlo, con chi non è fomoriano” assentii, per nulla sorpresa ma vagamente contrita all’idea di non averlo avvertito.

“Ma... i tuoi arabeschi...”

“Non so cosa siano, in effetti ma, evidentemente, fanno parte della mia eredità Tuatha… e non hanno effetti collaterali. Forse…” scrollai le spalle, impotente di fronte alla sua domanda.

“Dovrò stare attento a dove metto le mani, allora” ironizzò a quel punto, sfiorandomi l'altra parte del collo con la punta di un dito.

Fremetti, colpita all’idea che una semplice carezza potesse rendermi così sensibile, ed esalai: “Cosa... cosa fai?”

“Dei test. E, a quanto pare, anch'io potrei avere qualche problema, con te.”

Sorrisi divertita, mio malgrado e, nel mettermi in piedi con un agile balzo, puntai le mani sulle sue cosce.

Mi sporsi in avanti fin quasi a poggiare il mio naso contro il suo e, maliziosa, mormorai: “Sei molto affascinante anche tu, e credo sarebbe divertente scoprire qualcosa di più, su di te... ma non ora. Ho troppi pensieri per la testa, e non ci sta anche quello.”

“Vero. Ma un bacio non può far danni” mormorò in risposta, sorprendendomi nell'appoggiare le sue labbra sulle mie.

Fu dolce, niente più di un tocco tranquillo, quasi da amico... ma non del tutto.

Io mi scostai sorpresa, sfiorandomi le labbra con una mano, e lui sospirò, lasciandosi andare contro lo schienale del divano.

“Chi ha detto che i baci non fanno danni?” esalò un attimo dopo, guardandomi confuso al pari mio.

“Tu. Poco fa.”

“Che idiota” brontolò, passandosi le mani sul viso.

Sorrisi, lieta che anche lui avesse la mente in subbuglio come me e, nell’allontanarmi, mi volsi per dargli la buonanotte.

Non sapevo se avrei dormito, quella notte, ma una cosa la sapevo per certo.

Da lì in avanti, tenere le mani lontane da Rey Doherty sarebbe stato difficile, se un solo bacio mi aveva fatto innervosire tanto.
 
***

Lanciai in sequenza perfetta una serie di coltelli, che centrarono ordinatamente altrettanti bersagli, posti sopra la staccionata dietro casa.

I ciocchi di legno crollarono a terra uno dopo l’altro e io, operosa, li raccolsi per rimetterli in piedi.

Quando, però, mi volsi per tornare al punto di partenza, sobbalzai, lanciando uno strillo di sorpresa.

A guardarmi con aria ammirata, c’era Rey.

Era coperto fin sotto le orecchie con un maglione a collo alto e uno smanicato in piumino d’oca e, sul capo, portava l’onnipresente basco con la visiera rigida.

Mi sorrise, esponendo per un momento le labbra al mio sguardo, prima di nasconderle sotto l’orlo del maglione, e io mi ritrovai ad arrossire.

Contrariamente a lui, ero in canottiera e pantaloni, con i miei stivali da lavoro ai piedi.

“Non stai congelando, così conciata?”

“Serve a temprare il fisico. Ero un po’ fuori allenamento, e così…” scrollai le spalle, scostando nervosamente una ciocca di capelli.

Non li avevo più legati, da quando avevo abbandonato Mag Mell, e mi innervosiva un po’ ripensare a come Rey li avesse carezzati, la sera prima.

Lui si avvicinò, schiacciando sotto i suoi scarponi la neve, solidificatasi col freddo della notte.

Scrocchiò sonora al suo passaggio e, quando mi raggiunse, vi affondò un poco, portandosi esattamente al mio livello.

Un attimo dopo, mi sfiorò le labbra con un bacio e si scostò, sorridendo maggiormente.

Si lappò le labbra, sensuale, e io desiderai annullare le distanze tra noi.

Ma non lo feci.

Avevo ancora le idee maledettamente confuse, e confonderle ulteriormente infilando nell’equazione un uomo, era ben lungi dal mio ideale di perfezione.

Però, era così affascinante, e quelle labbra così calde…

Scossi il capo, scacciando quei pensieri, e dissi: “E’ un buon modo, per dire buongiorno.”

“Lo immaginavo. Non vieni a fare colazione? O hai già mangiato?”

“No, vengo.”

Mi volsi per afferrare la mia giacca, che avevo appeso a un ramo vicino e, nell’affiancare Rey, dissi: “Non ti scoccia che io abbia depredato i tuoi coltelli, vero? Posso ripagarteli, se li rovino.”

Lui ridacchiò, scuotendo il capo e, nel prendermi la mano con naturalezza, mi accompagnò in casa, dove il calore della stufa mi avvolse tutta.

Sorrisi, lasciando che quel tepore mi ritemprasse le membra intirizzite e lui, nel chiudere la porta alle nostre spalle, mormorò: “Non voglio complicarti la vita, okay?”

“Neanch’io voglio complicare la tua. Ma mi piace, quando mi baci.”

“E a me piace baciarti.”

“Allora… penso vada bene” assentii, avviandomi verso la mia camera da letto per recuperare un maglione.

Rey attese che tornassi e, insieme, raggiungemmo la cucina, dove nonnina ci aspettava paziente.

La salutai con un bacio sulla guancia, e lei mi sorrise.

“Ti stavi allenando, bambina? Ho sentito degli strani rumori, provenire dall’esterno.”

“Esatto. Spero di non averti turbata.”

Mi accomodai e, solerte, le imburrai due panini dolci e morbidi.

“Affatto. E poi, vorrei vedere anch’io quanto sei brava.”

Le sorrisi, annuendo e lei, tornando seria, mi domandò: “Hai più avuto visioni, bambina?”

Scossi il capo e, nel servirle del tè alla pesca, asserii: “Credo che sia successo perché Rey ha toccato gli arabeschi. Con me, non è mai successo prima.”

Sentendosi interpellato, scrollò le spalle e replicò: “Se vuoi, più tardi riproviamo. Sempre che tu voglia vedere qualcosa. Diversamente, lasceremo perdere. Non c’è alcuna fretta e, se la cosa ti turba, non ne parleremo neppure più.”

Da quando era successo, due mesi addietro, non avevo più voluto ritentare.

Parlandone poi con nonnina, lei aveva ipotizzato che potesse trattarsi di scene del mio passato.

E che fossero state sigillate in quei glifi, pronte per consegnarmi la mia eredità, quando e se avessi desiderato conoscerla.

L’idea era balenata anche a me, ma la paura di fare luce su quel passato in particolare, mi aveva letteralmente terrorizzato, così avevamo accantonato l’argomento.

Al tempo stesso, però, avevo desiderato con tutta me stessa scoprire qualcosa di più su di me.

Sulla vera me.

Ma questo avrebbe voluto dire mettere in mezzo anche Rey, apparentemente l’unico in grado di risvegliare quei segreti chiusi dentro di me.

Poiché si era già impegnato a tenermi al sicuro, mi era parso scorretto chiedere ulteriori aiuti.

Il dubbio, però, era rimasto fisso nella mia mente per tutto quel tempo e, nonostante tutto, non se n’era mai andato.

Perché, in fondo, sapevo di non essere mai stata una codarda e, quel lento e inesorabile procrastinare l’inevitabile, non era da me.

Per quanto non sapessi a chi potesse appartenere di preciso la mia stirpe, sapevo chi non ero.

E cioè, una vile.
 
***

Sperai davvero che, all’altro capo, rispondesse chi volevo io, perché non avevo nessuna intenzione di…

“Pronto? Chi è?”

Sorrisi spontanea nel sentire la voce squillante e allegra di Sherry.

Mi trasmise gioia anche attraverso il telefono. Era proprio la donna adatta a mio fratello che, nell’oscurità e nel dolore, aveva sguazzato fin troppo a lungo.

“Sherry… ciao.”

Un attimo di silenzio e, come suo solito, Sheridan si fece riconoscere.

“Oh, bene, finalmente ti fai sentire anche con me! Sappi che ci sono rimasta mooolto male, quando hai messo giù il telefono con Ronan, senza chiedere di parlare almeno due minuti con me…” iniziò a brontolare mia cognata, parlando così in fretta che, per qualche attimo, temetti di perdere il senso delle sue parole.

Sorrisi divertita, lasciando che il suo sproloquio – e i suoi insulti – perdurassero per qualche minuto.

Sapevo che aveva bisogno – e diritto – di sfogare le sue paure, e Sheridan era nota per non avere peli sulla lingua.

Quando infine la sentii sospirare, mormorai: “Scusa.”

“Andata” borbottò lei, con tono più calmo.

“Ho bisogno di un consiglio, Sherry.”

Sheridan bene che, quando usavo il suo nomignolo, ero alla frutta.

Non lo usavo mai, di solito e, quando me lo sentiva utilizzare, si irrigidiva immediatamente.

“Il tipo che ti ospita ti ha fatto delle avances sconvenienti?”

Sbuffai, alterandomi leggermente. Ma perché pensavano tutti a quello?

“No. Rey è molto educato e corretto” brontolai, pur aggiungendo. “Ci siamo baciati, questo sì, ma la cosa è finita lì.”

“E perché, scusa?” esalò a quel punto Sheridan, sorprendendomi.

Sgranai gli occhi, basita, prima di esalare: “Ma… ma non sei preoccupata che possa… sì, insomma…approfittare di me, o che so altro?”

Sherry sbuffò prima che potessi prolungare la mia stentata dichiarazione, replicando pratica: “Quello è tuo fratello. A me interessa che stia bene tu, e del sano sesso consenziente aiuta sempre. Inoltre, dubito che qualsiasi umano potrebbe avere la meglio su di te.”

Sbattei le palpebre, più che mai sbalordita da tanta schiettezza – e dire che la conoscevo – e, nel passarmi una mano sul viso, esalai: “Non ce la farò mai, con te…”

Sheridan a quel punto rise sommessamente e, in sottofondo, udii la risatina dolce e trillante di Kevin.

Sorrisi spontaneamente nel percepire quel suono, e mormorai: “Come sta mio nipote?”

“Benissimo e, quando tornerai, te lo scodellerai per giorni e giorni, così io riposerò le braccia” mi promise mia cognata, portandomi a ridere per il suo tono vagamente minaccioso.

“D’accordo” assentii, non trovando quel pensiero per nulla preoccupante. Tutt’altro.

“Qual era il problema, Litha?”

“Ricordi i tatuaggi che hai visto prima del tuo matrimonio?”

“Certo che li ricordo. Ne hai fatti altri? Erano talmente belli!” esclamò Sherry, ammirata. “Se non avessi così paura degli aghi, li avrei fatti anch’io.”

Interrompendola prima che si lanciasse in un altro sproloquio, dichiarai: “Ti ho mentito. Non sono tatuaggi.”

Silenzio.

Sheridan non era famosa per apprezzare le bugie. Per niente.

Ugualmente, mi ordinò: “Spiegami. Hai il bonus della figlia ribelle da usare, visto che lo usai a suo tempo anch’io.”

“Sono glifi che compaiono ogni mille anni, e crediamo appartengano al mio retaggio Tuatha” le spiegai succintamente, sapendo che non era neppure famosa per la sua pazienza.

Rammentavo bene il nostro primo incontro, quando mi aveva fatto capire più che bene quanto, il mio dialogare, le fosse parso indigesto e noioso.

Non volevo ripetere lo stesso errore, visto che ero in cerca di aiuto.

Crediamo? Ne hai parlato con il tuo Rey?” borbottò dopo qualche momento Sheridan.

Mi piacque quel ‘tuo Rey’. Creava un legame tutto speciale con l’uomo che mi stava aiutando in quella bailamme senza fine.

“Li ha visti e, quando ne ha sfiorato uno, sono apparsi dei flash, delle immagini. Penso appartengano al mio passato.”

Percepii distintamente il suo ‘mpfh’, i gorgoglii di Kevin e poco altro.

Dopo poco meno di un minuto, però, mi disse: “Scopri cosa sono. E’ inutile menare il can per l’aia, Litha. Tu non sei pavida e, qualsiasi cosa contengano quei glifi, è giusto che tu sappia. Ti appartengono, nel bene e nel male, come ti appartiene l’amore di Rohnyn, o il mio, o quello dei tuoi fratelli e sorelle. Nessuno potrà toglierti queste certezze.”

Il loro amore. Sì, mi apparteneva di diritto. Me lo ero guadagnato, come loro si erano guadagnati il mio, di amore.

Sherry aveva ragione.

Nel bene e nel male, dovevo sapere perché ne avevo il diritto.

Rimanere da Rey, vegetare qui nella serena tranquillità della campagna, non mi avrebbe portato una vera pace.

Solo la verità avrebbe potuto farlo, e io l’avrei sondata fino all’ultima goccia.

“Grazie, Sheridan.”

“Ci saresti arrivata anche da sola, ma posso immaginare che, così tante novità in una volta sola, siano troppe anche per te.”

“Volevo solo essere sicura di non commettere un errore.”

“E ti affidi a me per saperlo?” rise lei, portandomi a ghignare. “Mia madre ti darebbe della pazza squinternata, per aver pensato di chiedere a me un consiglio per non sbagliare. Litha, io sono la regina degli errori… ma è così che si cresce. Sbagliando, cadendo e rialzandosi. Fai tesoro dei tuoi errori, cara, anche se immagino che tu ne abbia fatti ben pochi, fino a ora.”

Storcendo il naso, mormorai: “Reputi un errore, il fatto che io non sia venuta da voi?”

“L’ho pensato per i primi cinque minuti, ma poi mi sono data dell’idiota da sola. Quando fuggii da casa, Litha, ero in cerca di risposte esattamente come te, solo che io ero con Kieran. Tu, ora, sei con una persona molto più sensata e intelligente di quanto non lo fossimo io e K all’epoca. Hai più possibilità di me di trovare le risposte che cerchi.”

Sorrisi alle sue parole e, nel lapparmi le labbra, asserii: “Per quel che può valere, io penso che tu sia una persona sensata e intelligente, Sheridan, e ti voglio bene.”

“Te ne voglio anch’io, bambina, ma non dimenticare questo. Arrivare alla verità può far male, ma è sempre meglio che vivere con il dubbio.”

Bambina. Anche Sheridan mi chiamava così.

Forse, era davvero la verità; in questo momento, ero sperduta e insicura come un bimbo.

“Farò così. Grazie, Sheridan.”

De nada, chica. E chiamami, quando ti sarai rotolata tra le lenzuola con il tuo Rey. Voglio avere commenti di prima mano” dichiarò Sherry, portandomi a diventare vermiglia in viso.

“Sapevo che mi avresti fregata con una battuttaccia, prima della fine di questa telefonata. Ci sentiamo, cognata” brontolai, facendole una pernacchia.

Sherry rise, nel salutarmi e, quando chiusi la chiamata, sospirai, lasciandomi andare contro lo schienale della poltrona.

Fu a quel punto che avvertii la presenza di Rey alle mie spalle e, volgendo appena il viso, mormorai: “Quanto hai sentito?”

A giudicare dal risolino che galleggiava sul suo viso, abbastanza.

Mi si avvicinò, appollaiandosi sul bracciolo della poltrona e, sempre sorridendo sornione, esalò: “Rotolarsi… tra le lenzuola?”

“Mia cognata” sospirai, come se quelle due semplici parole potessero spiegare ogni cosa.

“Mi piace già” ghignò Rey, dandomi un buffetto sul naso.

A quel punto gli sorrisi, assentii e dissi: “Piace anche a me.”

“Ebbene? Ti ha aiutata in qualche modo?”

Annuii una sola volta e, nell’alzarmi, gli sfiorai il viso con una mano, mormorando: “Lo farò.”

Rey scosse il capo, replicando: “Lo faremo.”

Sì, così suonava decisamente meglio.







Note: A quanto pare, la convivenza con Rey sta portando Litha a vedere con più chiarezza nel suo cuore e, al tempo stesso, sta creando un legame tra i due giovani, che nessuno dei due aveva preventivato. Giustamente, Litha si sente già abbastanza sottopressione, per pensare anche a un uomo, ma tutto sta a vedere quanto sarà coerente con le sue scelte. O se lo sarà Rey.
Per quanto riguarda Sheridan, lei ha già deciso: sua cognata ha anche bisogno d'altro, oltre che di cambiare aria.
Voi che ne pensate?
Per ora vi ringrazio di essere giunte fino a qui! Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 
7.
 
 
 
 
Seduta a gambe intrecciate nel mezzo del salotto, osservavo dubbiosa il volto serio di Rey, accomodato sul tappeto – dinanzi a me – in posizione simile alla mia.

Sul divano, nonna Gwendolin ci osservava attenta, le mani scheletriche poggiate sul bastone da passeggio.

Il fuoco crepitava nella stufa di maiolica, rilasciando il suo calore benefico in tutta la casa.

All'esterno, la neve cadeva fitta, annullando odori e rumori.

Se avessi chiuso gli occhi, avrei potuto immaginare di trovarmi nel vasto oceano, circondata solo da acqua e null’altro.

Mi lappai le labbra, nervosa, e lanciai un'occhiata preoccupata in direzione di nonnina, che però annuì confortante.

“Non avere paura, bambina. Se ci saranno problemi, interverrò io. So come fare.”

“Solo se non ci sono rischi per te, nonnina” sottolineai per la centesima volta.

Ero andata avanti così per un’ora buona e, ogni volta, nonna Gwen mi aveva sorriso bonaria, quasi divertita dai miei timori.

Lei mi sorrise per la centesima volta, e così pure Rey, che afferrò saldo le mie mani, rassicurandomi.

“Ci proveremo, Litha e, se senti di non farcela, interromperemo tutto.”

Assentii, mordendomi il labbro inferiore per la tensione nervosa.

Dopo i primi flash sul mio passato, ottenuti grazie al tocco casuale di Rey, non avevo più tentato di sondare la mia mente... o i miei ricordi.

Di fronte a una simile possibilità, però, sarebbe stato sciocco non tentare di nuovo.

Ero fuggita da casa proprio per ritrovare me stessa, e la mia strada senza meta mi aveva condotto fortuitamente qui, nell'unico posto in cui avrei potuto trovare aiuto.

Non lanciarmi in questa sfida, avrebbe significato comportarsi da codardi.

E, come aveva tenuto a sottolineare anche Sheridan, io non ero una codarda.

Annuii ancora e, sollevate le mani di Rey, le poggiai sulle mie spalle, in corrispondenza dei glifi bruno dorati.

Immediatamente, lampi argentati balenarono nella mia mente impreparata.

Serrai gli occhi, come cercando di imbrigliare quel ricordo, di dargli una forma solida, concreta.

Rey accentuò la stretta, mormorando roco, rassicurante: “Respira, Litha. Ascolta il battito del tuo cuore.”

Inspirai a fondo, lasciando che il flusso del mio sangue, all'interno del corpo, mi desse un ritmo da seguire.

Il bagliore scemò lentamente, permettendomi così di scorgere nuovamente il volto di due mesi addietro.

Bruni capelli lunghi, occhi d'ametista e un sorriso.

Il sangue le colava dalla fronte da un taglio piuttosto brutto, ma lei non sembrava badarci.

Ancora un bagliore d'argento.

Una lama!

Udii un tonfo, e il mio campo visivo cambiò prospettiva, come se osservassi l'intera scena da terra, su un fianco.

Aggrottai la fronte, poggiando le mani su quelle di Rey perché approfondisse il contatto con la mia pelle.

Come se questo potesse rendere più chiaro il ricordo.

Nulla cambiò, ma la scena non cessò di martellarmi nella mente.

Rividi la lama che aveva creato il lampo d'argento che mi aveva sorpresa e, alla fine, riconobbi l'elsa.

Mi scostai di getto da Rey, gli occhi spalancati per il terrore e la comprensione.

Arrancando all'indietro con mani e piedi, andai a urtare contro la panca che cingeva la stufa di maiolica.

Non badai alla fitta di dolore che riverberò nel mio corpo, troppo sconvolta da quello che avevo scorto nel mio ricordo.

Ansante, mi strinsi le braccia al petto e tremai.

Tremai così tanto che i denti iniziarono a sbattere tra loro, finché non giunse Rey a stringermi in un abbraccio.

Mi sfregò le mani con forza sulla pelle gelata, in corrispondenza delle spalle e, a un certo punto, lo sentii imprecare.

Si scostò da me, osservandomi con attenzione e io, ora attenta alle sue reazioni, persi di vista il mio temporaneo disgusto per capire cosa lo stesse preoccupando.

“Che succede?” esalai, turbata.

“Le tue spalle... la tua pelle” gracchiò per contro, gli occhi sgranati al pari di quelli di nonnina.

Mi volsi per controllare e, basita, osservai la mia pelle d'alabastro... completamente priva dei glifi arabescati.

Tastai la pelle, come pensando di trovarli nascosti da qualche parte.

Ora del tutto spaventata, mi aggrappai al maglione di Rey e lui, per diretta conseguenza, mi strinse in un abbraccio protettivo.

“Nonnina, cos'è successo?” domandò poi, volgendosi per guardarla, il capo poggiato contro la spalla di Rey.

Lo sentii tremare leggermente, come se la mia ansia stesse riverberando in lui come una cassa di risonanza.

A quanto pareva, esisteva ancora qualcosa in grado di sconvolgerlo davvero.

Non potei gioirne visto quanto, a mia volta, ero terrorizzata.

“Credo di non sbagliare, dicendo che quei glifi sono le chiavi di accesso ai ricordi di Litha. Una volta che essi vengono aperti completamente, fanno scomparire la chiave” mormorò nonna Gwen, continuando a fissarmi pensosa.

Pur se trovai sensata la sua spiegazione, non riuscii a smettere di tremare e Rey, afferrando un panno di lana dal vicino divano, me lo drappeggiò sulle spalle.

Continuò a frizionarmi le braccia, sempre più preoccupato, e mi domandò: “Cos'hai visto che ti ha sconvolto tanto, Litha?”

“Mamma... la mia mamma... e Muath” balbettai, affondando il viso nel suo petto.

Inspirai il suo profumo muschiato, cercando di calmarmi, e lui posò le sue labbra gentili sul mio capo.

“Cos'altro?” mormorò, sempre tenendomi nel suo caldo abbraccio.

Se mi avesse lasciata in quel momento, mi sarei frantumata in mille pezzettini, e di me non sarebbe rimasto più nulla.

“La... la sua spada... la spada di Muath... l'ha uccisa...” singhiozzai, preda di un odio ferale, quasi fisico.

Trattenni le lacrime, fin troppo abituata a nascondere il mio dolore per permettere che svaporasse così, ma fu davvero dura, molto dura.

“Ne sei sicura?”

Annuii una sola volta.

“Riconoscerei quell'arma tra mille. Fu lei a darle il colpo di grazia, non Tethra.”

Ansai, aggiungendo: «Muath era visibilmente incinta, portava in grembo Rohnyn, per questo… per questo mi fecero passare per la sua gemella.”

Rey mi fissò senza capire così, sprezzante, mi spiegai meglio.

“La gravidanza non è un freno per nessuna fomoriana. Lottiamo fino all’ultimo giorno. Possiamo… possono farlo senza problemi.”

Imprecò, a quella notizia, ma io non vi badai. C’era altro a cui stavo pensando, in quel momento.

Mi passai le mani sul viso, ancora sconvolta.

“C’era Rohnyn, dentro di lei, e… e Muath…”

“Quanto sai della lotta tra i tuoi antenati e i fomoriani, bambina?” mi domandò a quel punto nonnina, guardandomi con una strana intensità.

Sprezzante, sibilai: “Come immaginerai, nonnina, mi dissero che fummo legittimati a uccidere i figli di Dana, nonostante avessero offerto ai fomoriani – a suo tempo – terre, donne e averi per ricrearsi un impero. Persino io combattei contro di loro, quando il conflitto era ormai al suo termine.”

Rey mi guardò confuso così, con maggiore calma, mormorai: “I fomoriani giunsero qui da Vanaheimr morente, attraverso il passaggio di Bifröst. Giungemmo qui attraverso il Sentiero del Gigante, che si trova nell’attuale Irlanda del Nord.”

Rey fischiò, celiando: “Neanche ti chiedo perché fu chiamato così, quel posto…”

Ghignai un istante, annuendo, prima di proseguire nel racconto.

“I Tuatha de Danann accolsero le genti fomoriane, concedendo loro di insediarsi sul fondo del mare, luogo più congeniale a loro per vivere. Da quel che le nostre leggende narrano, vi fu pace per i primi mille anni, ma la guerra fu inevitabile. Da qui in poi, non so quanto sia vero, e quanto sia stato pilotato  per far sembrare i fomoriani i legittimi detentori della verità e della giustizia.”

Guardai nonnina attraverso l'abbraccio di Rey, e aggiunsi: “Tethra mi raccontò che una sua cugina venne stuprata e uccisa da uno dei figli di Turiell, un guerriero Tuatha, e questo diede il via all’ultima guerra. Tethra si alleò con il Tuatha Lúg, che voleva vendetta sui figli di Turiell, rei di avergli ucciso il padre. Entrambi avevano bisogno di unirsi, per distruggere il potente clan di Turiell.”

Scrollai le spalle, sospirando.

“L'alleanza venne rotta dal generale fomoriano Bress, che marciò contro il clan di Lúg non appena i figli di Turiell vennero massacrati assieme al padre.”

Nonnina annuì grave, prima di parlare.

“Nel mito, si parla con ampio spolvero di queste guerre, con particolare menzione nell'Aided chloinne Tuirill1. Si parla del dolore di Lúg, della sua vendetta, e di come i figli di Tuirell morirono assieme al padre. Avrebbe senso, quindi, se ciò di cui si parla appartiene a fatti concreti.”

Mi lasciai scivolare contro il torace di Rey, che mi sostenne senza sforzo e, annuendo, asserii: “Muath mi disse che quella guerra perdurò per circa mille anni, e noi partecipammo agli ultimi duecento. A ben pensarci, eravamo davvero giovani, quando prendemmo parte alla nostra prima battaglia. Eravamo appena usciti dalle senturion.”

Tornai con la memoria alla prima volta che avevo imbracciato un’arma in una vera battaglia, all’adrenalina che mi aveva pervaso il corpo.

Avevo falcidiato molti avversari e, quella stessa sera, avevo brindato con i miei fratelli e i guerrieri del nostro esercito.

Molti secoli erano passati da quella prima battaglia, e altre ne erano venute, ma solo in quel momento mi domandai chi avessi ucciso.

Avevo tolto la vita, inconsapevolmente, a dei miei congiunti?

Sospirai, mormorando: “Se solo sapessi chi era quella donna…”

“Non hai visto nulla, nella tua visione, che possa aiutarci a capirlo?” mi domandò Rey, premuroso.

Gli sorrisi grata, allungando una mano per carezzargli il viso, punteggiato di barba scura e morbida.

“Solo gli dèi sanno come tu faccia ad avere tanta pazienza. Un'altra persona sarebbe impazzita già da tempo, a sentir parlare di dèi, guerre millenarie e pianeti di altre dimensioni.”

Rey abbozzò una risatina, scrollando le spalle con apparente noncuranza e continuò a tenermi al sicuro nel suo abbraccio.

Se solo avessi tentato di allontanarmi, mi sarei ridotta in briciole, lo sapevo.

Inoltre, non volevo allontanarmi.

Quell’abbraccio stava diventando vitale, per me, così come la sua sola presenza.

“Sono cresciuto in mezzo alle stranezze. Una più, una meno, fa poca differenza” mi disse, stringendo un poco di più le sue braccia attorno a me.

“Grazie comunque.”

Cercai di alzarmi, ma mi resi conto subito che il mio corpo, per tutta risposta, non ne voleva sapere.

Quel salto nel passato, doveva aver lasciato strascichi più profondi di quanto non avessi immaginato in un primo momento.

Ero stremata.

Nonnina allora mi sorrise e, rivolgendosi al nipote, disse: “Portala in camera sua. Ha bisogno di riposare. Ciò che ha fatto l'ha prosciugata, e ha necessità di ritrovare le forze, prima di tentare un altro balzo nel passato.”

Lui si limitò ad annuire.

Fu così, che mi ritrovai con le sue braccia sotto le ascelle e le ginocchia.

Mi sollevò senza apparente sforzo, sebbene sapessi di non essere affatto leggera.

Ero alta quasi quanto lui, con un fisico temprato da millenni di combattimenti.

Non ero esattamente un fuscello.

“Rey, ti prego... ti peserò, e ti farai male” mi lagnai, cercando di scendere.

Per tutta risposta, lui rafforzò la presa e, quando ebbe raggiunto la mia stanza, mi depositò sul letto e sorrise.

“Pensi davvero che ti avrei permesso di raggiungere la camera tutta da sola?”

Mi baciò sulla punta del naso, dopodiché mi coprì con le coltri fino al mento.

“Riposa, bella principessa, e pensa solo a questo. Riusciremo a trovare tutti i pezzi del rompicapo che hai nella testa, e lo faremo insieme.”

“Non rimarresti qui con me?” domandai, terrorizzata mio malgrado all'idea di rimanere da sola.

Se avessi sognato un'altra volta quella scena, sarei impazzita.

Rey parve pensarci un attimo, poi annuì.

“Dopo aver messo a letto nonnina, tornerò da te.”

Fu con questa promessa che si congedò e, nel guardarlo allontanarsi, mi ritrovai a sorridere d'aspettativa.
 
***

Stavo sonnecchiando, quando lo sentii aprire silenzioso la porta e sgattaiolare dentro con passo felpato.

Sorrisi, immaginandolo mentre, in punta di piedi, si muoveva per la casa per non farsi scoprire dalla nonna.

Chissà se lo aveva fatto, in gioventù?

Il materasso affondò verso di lui e un suo braccio mi avvolse la vita, facendomi percepire il suo calore e la sua possanza.

Ero alta e forte, ma neppure Rey era da meno.

Le sue spalle ampie davano conforto e forza, così come le sue mani ruvide e dalle dita lunghe, mani abituate a lavorare sodo, ogni giorno.

Sorrisi nell'oscurità della notte e, come mai avevo fatto prima, mi strinsi a lui, poggiando il capo contro la sua spalla.

Quando ero con lui, volevo essere una donna, non un guerriero.

“Come ti senti?” mi sussurrò all'orecchio, baciandomelo.

“Meglio, ora” replicai, poggiando una mano sul suo torace, in corrispondenza del cuore.

Il suo battito era leggermente accelerato, segno che non era poi così calmo come voleva far sembrare.

Il mio sorriso aumentò.

Gli baciai il mento e lui, per diretta conseguenza, ridacchiò.

“Litha, cos'hai in mente?”

Non risposi, limitandomi a far scorrere le mie mani verso il basso, per sollevare l'orlo della sua maglia.

Rey inspirò con forza, tendendo i muscoli dell'addome, che risultarono sodi e forti sotto le mie dita lanciate in esplorazione.

“Litha, ti prego...”

Scivolai verso il basso, baciandogli l'addome e lui, inarcandosi, esalò: “Litha, se continui così, sarà ben difficile che io non ti tocchi ovunque, glifi compresi.”

Quell'accenno mi gelò sul nascere e, nel risistemare l'orlo della sua maglia, mormorai mogia: “Tu sì che sai uccidere le brame di una donna.”

“Credimi, ti lascerei fare con sommo piacere, piccola, ma sai bene quale Vaso di Pandora rischiamo di scoperchiare” ironizzò, il respiro ancora irregolare.

L'idea di averlo mandato in agitazione per così poco, mi diede un po' più di forza, così che potei replicare con tono malizioso: “E se io ti tenessi bloccato sotto di me... completamente?”

“Okay, mi vuoi morto, ora lo so.”

Scoppiammo a ridere entrambi, e io soffocai la mia risata contro il suo petto.

Era così bello, così liberatorio parlare con lui a quel modo!

“Per quanto mi secchi dirlo, penso che dovremmo dormire.”

“E tu lo faresti?”

“Col cavolo!” ghignò, dandomi un buffetto sul naso. “Ma non voglio vederti crollare mentre, invece, dovresti solo godere degli attimi che condividiamo. Quando avremo scoperto ogni cosa – e fatto sparire i glifi – allora potremo condividere tutto quanto. Se ti andrà ancora.”

Tremai tutta, a quell'ultima frase e, prima di potermi fermare, lo abbracciai, mormorando contro il suo collo: “Grazie per tutto l'aiuto che mi stai dando. Non sai quanto conti, per me.”

Rey mi strinse maggiormente a sé, affondò il viso nei miei capelli e tremò.

Non seppi dire chi, dei due, stesse maggiormente rischiando di crollare, in quel momento, ma in qualche modo riuscimmo entrambi a resistere.

Con Rey dietro di me, e la mia schiena contro il suo torace, riuscimmo infine a dormire e, per la prima volta nella mia vita, seppi cosa si provava a sentirsi al sicuro.

A non dover dipendere unicamente da se stessi, per la propria sicurezza.

A percepire quel senso di protezione, di calore, provenire da un'altra persona.

Se anche un giorno me ne fossi andata, Rey mi aveva fatto il dono più grande di tutti.

Mi aveva insegnato a provare sentimenti profondi... e ricambiarli.
 
***

Il mio risveglio fu dolce, come se le acque placide dell'oceano mi stessero cullando.

Nella mia mente balenò un pensiero... e un volto.

Un uomo dai neri capelli stava passeggiando assieme a una donna, la stessa donna che io avevo ipotizzato essere mia madre.

Vidi entrambi con gli occhi l'uno dell'altra, e questo mi diede piena coscienza della gravidanza di lei, come dell'amore di lui.

Aprii gli occhi, chiedendomi il perché di quella visione, quando mi resi conto di un particolare.

Nel sonno, Rey mi aveva sfiorato i piedi con i propri, innescando la condivisione del ricordo.

Sorrisi, lasciando che quel breve scorcio di passato mi abbracciasse.

Erano ricordi antecedenti la mia nascita, innestati dentro di me, con tutta probabilità, grazie alla mia discendenza divina.

Dietro di me, Rey si mosse appena, ridestandosi.

“Non muoverti, per favore” mormorai.

Lui si bloccò, incuriosito e solo in parte desto.

“Che succede?” mugugnò con voce impastata.

“Un ricordo” sussurrai, come se parlare a voce alta potesse far svanire ogni cosa.

Quelle due semplici parole lo bloccarono completamente e, nella mia mente, immagini su immagini si dilungarono come in un film al rallentatore.

Scorsi vallate e colline verdeggianti stranamente familiari, lo scorrere veloce del tempo, l’avvicendarsi delle stagioni e l’avvicinarsi del parto.

Afferrai una mano di Rey perché mi cingesse la vita e, reclinando indietro il capo, lo poggiai contro il suo torace.

Chiusi gli occhi, lasciando che il ricordo mi inondasse completamente.

E le voci giunsero, mescolandosi alle immagini.

“I guerrieri si avvicinano sempre di più, Oghma. Non puoi pensare di respingere in eterno gli attacchi di Bress e Tethra messi assieme!”

“Quel traditore di mio fratello! Allearsi con Tethra per distruggere la sua stessa famiglia! Se solo riuscissi a parlare con Tethra, capirebbe che è stato ingannato ma, a causa di Bress, è inavvicinabile!”

Bress, fratello di mio padre? Che fosse lo stesso Bress delle leggende? Bress mac Elathain? Il generale Bress?

Quel pensiero mi colpì non poco, dando all’intera situazione una nuova prospettiva.

“Sapevi che tuo fratello Bress era geloso di te, fin da quando vostro padre scelse te, per guidare il Clan qui nel Mhumhain2, tanti anni fa.”

“E concesse a me di sposarti, Syndra.”

Udii una risata di scherno, come se quell’idea potesse essere divertente.

Syndra. Mia madre si era chiamata così, mentre mio padre era stato Oghma, fratello di Bress il traditore.

Tutto cominciava ad avere un senso.

La mia sopravvivenza alla scomparsa dei Tuatha, la morte dei miei genitori, ogni cosa.

Oghma mac Elathain si era maritato con una Tuatha, come era in voga molti millenni addietro … e aveva avuto almeno due figli, stando al mito.

Forse, anche di più, visto quanti millenni mi separavano dal figlio più famoso di Oghma.

Sposando Syndra, aveva consegnato a me e mio fratello Tuirell la possibilità di sopravvivere alla scomparsa della razza Tuatha.

Tuirell.

Lo stesso Tuirell che aveva spinto Tethra ad allearsi con il Tuatha Lúg, scatenando una guerra intestina tra Tuatha e, in seguito, tra i figli di Dana e i fomoriani.

Questo aveva causato la guerra che aveva portato sull’orlo della distruzione il suo stesso popolo, la sua stessa famiglia. La fine dei figli di Dana.

E Bress, come Lúg in precedenza, aveva approfittato per i suoi interessi personali di quella situazione di caos.

Riaprii gli occhi, e interruppi il contatto con la pelle di Rey.

Subito, i ricordi scomparvero e, nel mettermi a sedere, guardai l’uomo al mio fianco, asserendo: “So chi sono.”
 
***

Seduta a gambe conserte sul divano, un enorme blocco di carta poggiato sopra e una penna tra le dita, continuai per mezz’ora buona a tracciare nomi e linee.

Gwendolin, al mio fianco, mi aiutò in quella minuziosa ricostruzione del mio albero genealogico, mentre Rey era impegnato nella stalla con le pecore.

Avevo preferito parlare da sola con nonnina, e lui si era dichiarato più che d’accordo.

Per la prima volta, avevo scorto in lui i semi del dubbio e della paura e, per poco, non lo avevo abbracciato di gioia.

Probabilmente, mi avrebbe inveito contro, se avesse saputo quanto ero stata felice di vederlo davvero sconvolto.

Ma, se ero sconvolta io, avevo tutto il diritto di veder sconvolti anche gli altri.

Naturalmente, nonnina non diede adito di essere scioccata in alcun modo e, anzi, si dichiarò felice che io avessi trovato così tanti pezzi da aggiungere al puzzle.

Quando, infine, tracciai l’ultimo nome, quello di uno dei miei nipoti – morti per mano di Lúg dei Tuatha – sospirai e dissi: “A quanto pare, devo la mia vita al sangue fomoriano che è in me, più di quanto non avessi immaginato in un primo momento. I mac Elathain sono… erano una delle famiglie nobili imparentate più strettamente alla Corona. Ecco il perché della stella a punte di freccia. Le stelle compaiono solo nelle famiglie legate strettamente ai mac Lir.”

“Se tu fossi stata una dea completa, come i tuoi antenati, saresti divenuta puro spirito, con la scomparsa del culto dei Tuatha de Danann, invece sei sopravvissuta ai secoli. Il re fomoriano ha potuto legarti a sé, e alla sua famiglia, risvegliando quella parte di sangue in comune che detenete” assentì nonnina, dandomi una delicata pacca sul braccio.

Litha mac Elathain. Era questo il mio vero nome.

Ecco il perché di quella stella così simile e, al tempo stesso, così diversa da quella dei mac Lir.

Era stato il simbolo dei mac Elathain per millenni.

Per evitarmi di scoprirlo, Tethra e Muath dovevano averla addirittura cancellata dagli annali, visto che io non l’avevo mai incontrata, nei miei studi.

Così, Tethra mi aveva legata al mare.

Aveva risvegliato in me la rihall, così come aveva fatto Krilash con Rachel e Fay, offrendomi poi la mia pelle di delfino perché vivessi con loro.

Per un attimo, mi chiesi chi si fosse strappato un lembo di pelle, permettendomi di raggiungere Mag Mell. Tethra… o Muath?

Le mani iniziarono a tremarmi e, senza più controllo, lasciai cadere la penna a terra, assieme al blocco di fogli.

“Bambina…”

Avevo sperato, sognato con tutto il cuore che, una volta giunta alla verità, il mondo si sarebbe schiuso dinanzi a me come un fiore al risveglio mattutino.

Invece, ora sapevo soltanto di essere sola al mondo, e che la mia vera famiglia era dispersa nel mito ancestrale, ormai irrecuperabile.

Sapevo di aver avuto almeno un fratello più grande di me, il Tuirell delle leggende, nato dal sangue di Oghma mac Elathain.

Tuirell, divenuto padre a sua volta, aveva permesso alla sua progenie di attirare su di loro la sventura, scatenando le ire dei Tuatha e dei fomoriani.

A ciò, era seguita la fine dei nostri genitori per mano di Bress, nostro zio.

Come Bress avesse convinto Thetra a muovere contro un suo parente, non mi era dato sapere, ma ora questo non importava.

Forse, nulla importava più, poiché nulla vi era più, del mio passato.

Reclinai il viso, sconfitta, e mormorai: “E ora, cosa dovrei fare di me stessa?”

“Vivere, bambina. Vivere con tutte le tue forze, godendo di ogni momento e cancellando, poco per volta, il livore che ti ha allontanato da casa.”

Sbottai, fissando malamente il viso sereno di nonnina.

“Quella non è casa mia. Non la è mai stata. E la donna che si è professata mia madre per quattromila anni, levò la sua spada per uccidere colei che mi generò! Mente tutt’ora adesso a se stessa, pur di non ammettere di essere stata lei, l’artefice di quell’omicidio!”

Imperturbabile alla mia ira, Gwendolin replicò: “Mancano due glifi. Io aspetterei di conoscere la storia nella sua interezza, prima di cancellare per sempre il suo nome dal tuo cuore.”

Desiderai con tutta me stessa inveire e lanciarmi in un reboante sproloquio, ma preferii desistere.

Nonnina non si meritava il mio astio, specialmente dopo ciò che aveva fatto per me.

Mi levai perciò in piedi e, mesta, mormorai: “Vado ad aiutare Rey.”

Il rumore di un’auto nel cortile, però, colse di sorpresa entrambe e, dubbiosa, corsi alla finestra per capire chi fosse arrivato.

“Cosa succede, bambina?”

“Un’automobile scura. Non me ne intendo molto, ma dovrebbe essere una berlina. Sai chi può essere, nonnina?” le domandai, guardandola dubbiosa.

La vidi accigliarsi, poggiare le mani sul bastone da passeggio e borbottare: “Deve essere Conner. Il fratello di Rey.”

Dal suo tono di voce, non presagii nulla di buono.

Mi irrigidii, andando alla porta per precederlo e, quando mi riversai nel cortile ingombro di neve, lo vidi irrigidirsi per un attimo prima di sorridere lascivo.

No, non c’era nulla di Rey, in Conner Doherty.

Il suo sorriso venne mascherato abilmente da uno più mellifluo, meno malizioso, ma gli occhi restarono concupiscenti.

Era un uomo a cui piaceva soddisfare le proprie ambizioni, così come le proprie pulsioni.

La sua mente lasciò rimbalzare nell’aria i suoi primi pensieri, e nessuno fu edificante.

No, Conner Doherty non era Rey.

Poteva essere un bell’uomo, dal portamento elegante, gli abiti raffinati e le mani curate, ma era viscido come un serpente.

E nulla di quel che lessi nella sua mente, mi piacque.

Lo affrontai perciò con gelida cortesia, lasciando per un’altra occasione le cattive maniere.

Dopotutto, lì ero ospite e, prima di tutto, non dovevo mettere nei guai Rey con la sua famiglia.

Simpatica o meno che essa fosse.

“Buongiorno. Lei deve essere Conner Doherty. Io sono Lisa O’Sea, un’amica di Rey.”

Allungai una mano verso di lui, leggendo senza difficoltà le sue mosse successive.

Come previsto, la strinse con fare elegante e, sorridendo maggiormente, asserì: “E’ un vero piacere conoscerla, Miss O’Sea. Rey non mi aveva parlato di una sua amica così attraente.”

“Suppongo stia cercando suo fratello. Ora glielo chiamo” replicai, glissando sul complimento.

Mi scostai per allontanarmi, ma Conner mi trattenne a un braccio, replicando: “Non vorrà certo andare nella stalla! Si sporcherà.”

Levai un sopracciglio con evidente ironia, e asserii: “Un po' di paglia in terra non ha mai ucciso nessuno.”

Ciò detto, recuperai il braccio e mi misi a correre per raggiungere Rey, trovandolo impegnato a sistemare della ricotta nelle apposite formine.

Lui mi salutò con un sorriso, e a me venne spontaneo baciarlo.

Dopo aver visto suo fratello, ed essere stata sfiorata dai suoi pensieri lascivi, avevo bisogno della sua purezza, del suo animo buono.

Avvolsi le mie braccia attorno al suo collo e lo avvicinai a me, baciandolo con tenerezza sulle labbra.

Lui mi lasciò fare, sorridendo contro la mia bocca quando desiderai approfondire il bacio.

“Mmh... grazie. Ne avevo davvero bisogno” mormorò, fermandosi un momento per guardarmi. “Tu e nonnina siete venute a capo di qualcosa?”

“Direi di sì, ma ora il problema non sono io. E' arrivato tuo fratello” dissi lapidaria, scostandomi da lui con espressione cupa.

In un attimo, il viso sereno di Rey si tinse di fosca preoccupazione, e i suoi occhi persero lucentezza.

Si sciacquò le mani senza dire nulla, asciugandosele in un canovaccio pulito, dopodiché mi domandò: “Cosa gli hai detto?”

“Che mi chiamo Lisa O'Sea e sono una tua amica. Direi di far passare l'idea che sono la badante di nonnina, così non farà troppe domande. Già a questo modo, mi è parso fin troppo interessato.”

Il mio tono lo mise in allarme e, preferendo evitare gazzarre in cortile, gli poggiai una mano sul torace, aggiungendo: “So tenere a bada qualsiasi umano, Rey e, se dovesse fare l'idiota con me, gli farò passare la voglia così alla svelta che neppure se ne accorgerà.”

Lui sbuffò ma annuì e, assieme a me, raggiunse il fratello, che si stava accendendo una sigaretta con fare molto elegante.

In piedi accanto all’auto, l’anca appoggiata contro la portiera e la mano levata a sorreggere la sigaretta, sembra un fotomodello pronto per un servizio fotografico.

Cosa c'era di non studiato, in quell'uomo?

Ci scorse a metà del tragitto e, sorridendo divertito – da cosa, non volli indagare – levò una mano per salutare il fratello.

“Ehi, Rey! Buondì! Da quando in qua non mi dici nulla sui tuoi inquilini?”

Nel dirlo, mi sorrise galante, e a me venne voglia di vomitare. O di spaccargli la faccia. Dovevo ancora decidere.

“Conner... Lisa è la badante di nonna. Non pensavo fossi interessato a saperlo, visto quanto poco le fai visita.”

Le ultime parole parvero veleno, ma Conner non vi badò in alcun modo.

L'uomo si limitò a terminare di fumare la sua sigaretta, prima di gettarla a terra e schiacciarla con una delle costosissime scarpe che indossava.

“Sai quanto il lavoro mi tenga impegnato. Per te è facile,… ce l'hai qui. Anche se vedo che non hai ancora pensato a ripulire il cortile dalla neve.”

Fissò le sue scarpe lucide con una smorfia, e aggiunse: “Mi costerà una fortuna farle ripulire.”

Rey vibrò come una corda di violino, nella mente più imprecazioni di quante avrei immaginato, ma nessuna raggiunse la bocca.

Si chetò, come era maestro nel fare, e lo invitò semplicemente a entrare in casa.

Io lo fissai sbigottita. Come poteva non reagire a un comportamento così villano e sfrontato?

Indispettita, mi astenni dal fare commenti e, silenziosa, entrai a mia volta.

Dopotutto, non era mio fratello. Non potevo sbattergli la testa contro il muro, per fracassargliela.

Ma la tentazione di agire al posto suo mi fece prudere le mani.

Con occhi torvi, guardai Conner piegarsi per baciare nonnina sulle guance scavate, e complimentarsi con lei per la sua buona salute.

Disperse nell’aria buone maniere e galanteria come il profumo costoso – e fastidioso – che portava come una bandiera, e a me venne voglia di prenderlo a schiaffoni.

Perché non avevo portato la mia spada?!

Guardai Rey, che osservò l’intera scena similmente a una statua, e mi domandai ancora perché non reagisse.

E non lo rispedisse a Cork a calci nel sedere.

Sbirciai così nella sua testa, e quel che trovai mi mandò su tutte le furie.

Come poteva essere preoccupato per lui? Temere che fosse lì per chiedere aiuto, e domandarsi come dargli una mano?

Sgranai gli occhi, fissandolo senza avere la forza di parlare, e lui se ne accorse.

Si accigliò, già immaginando quel che avevo fatto – sapeva che potevo leggergli nella mente – e, nell'avvicinarsi a me, sussurrò: “Non puoi capire.”

“No davvero” sibilai, adducendo una scusa qualsiasi per andarmene da lì.

In quel momento, avrei volentieri malmenato entrambi, ma non avrei mai fatto soffrire nonnina per le mie intemperanze.

Furiosa, uscii di casa e, assieme a Vivianne e Parcifal, mi avviai verso i campi. Meglio una passeggiata, a quei due.
 







 
 
1 Aided chloinne tuirill: (traduzione dal gaelico)  La tragica fine dei figli di Tuirell.
Per darvi un'infarinatura della leggenda da cui ho tratto i personaggi di cui parlo in questo capitolo, vi posto il collegamento con la storia originale: http://bifrost.it/CELTI/Fonti/Aidedchloinnetuirill.html
 
2: Muhmhain: Antico nome che veniva dato al territorio dell’Irlanda del Sud dove, tra le altre cose, si trova anche Cork, la zona dove ora si trova Litha.


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 
8.
 
 
 
 
 
Avanzando come uno schiacciasassi tra la neve soffice, non badai alle ombre lunghe che solcavano il sottobosco dormiente.

In quel momento, foss’anche comparso un drago inferocito, lo avrei ucciso con le sole mani.

Ero furiosa.

L'ultima nevicata aveva lasciato cadere almeno quaranta centimetri di candido manto e,  ogni dove, il mondo pareva avvolto nell’ovatta.

Avesse voluto il cielo che anche il mio cervello vi fosse avvolto!

Avrei evitato di sentire gli insulti che, mentalmente, stavo lanciando a entrambi i fratelli Doherty.

La foresta era silente, se si escludeva qualche passerotto solitario e il mio incedere sgraziato.

L'ambiente ideale per una persona iraconda come ero io in quel momento.

Vivianne e Parcifal, poco lontani da me, stavano giocando a rincorrersi, levando zolle di neve sui campi a riposo.

Lanciai un'occhiata in lontananza, intravedendo tra gli alberi la sagoma distante della casa di Rey, e imprecai.

Istintivamente, scaricai un pugno contro un tronco vicino, e la corteccia si ruppe.

Una  lunga crepa si dilungò nel tronco, larga almeno un dito, e schizzò verso l’alto, fino all’attaccatura dei rami.

“Siamo piuttosto furiosi, vero, principessa?”

Una voce cavernosa e stentorea giunse alle mie orecchie e, subito, levai il capo a guardare sopra di me.

Sorridente, e appollaiato su un ramo come un rapace, un uomo di circa quarant'anni mi stava osservando con attenzione e curiosità.

Storsi il naso, e dissi: “Abbastanza. Con chi ho il piacere di parlare?”

L'uomo balzò a terra con un movimento plastico, affondando gli scarponi nella neve prima di raddrizzarsi e allungare una mano verso di me.

“Keath MacNamara, Sköll del branco di Cork. Molto piacere, principessa.”

Sgranai gli occhi, guardandomi intorno con espressione affranta ed esalai: “Oddio! Ho sconfinato? Sono finita nel vostro Luogo di Potere? Giuro, non l'ho fatto apposta!”

Keath rise sommessamente, scuotendo il capo, e replicò: “Nessun problema, davvero. Coloro che sono ospitati da Rey, sono liberi di girare indisturbati per la proprietà. Inoltre, il nostro Luogo di Potere, il Vigrond, è ben lontano da qui. Molto più addentro nella foresta.”

“Meno male” esalai, stringendogli la mano. “Io sono Litha mac Elathain.”

Fu strano usare il mio vero nome per la prima volta in quattromila anni ma, in qualche modo, mi fece anche uno strano piacere.

Prima o poi, avrei trovato la mia strada, anche se ero rimasta senza un solo parente in vita. Dovevo pur cominciare da qualche parte.

Usare il mio nome, poteva essere un buon inizio.

Forse, dopotutto, Rohnyn e gli altri avrebbero potuto essere miei amici, pur senza essere veramente i miei fratelli. Anche questo, avrebbe potuto essere un passo avanti.

Rohnyn si era dichiarato molto preoccupato per me, e questo deponeva a suo favore.

Sì, avrei potuto affidarmi a loro per ricreare qualcosa di veramente mio.

Non saremmo mai stati fratelli di sangue ma, forse, avremmo potuto rimanere tali nel nostro cuore.

Keath storse appena la bocca, nel sentire il mio nome, e replicò dubbioso: “Ma... non sei una mac Lir?”

“Storia lunga... decisamente lunga” ghignai, infilando le mani nel mio parka.

Tornai a guardare la casa di Rey e borbottai subito dopo: “Sai perché Conner e Rey non vanno d'accordo?”

Keath si espresse con un gergo davvero colorito, alla mia domanda improvvisa, e io sorrisi.

Meno male che non ero l'unica a pensarla a quel modo!

“E' un viscido e subdolo esemplare di uomo, che non ho divorato solo perché ha lo stesso sangue di Rey. Non meriterebbe altro, comunque.”

“Potrei tenertelo fermo” ghignai, trovando il suo pieno plauso nel sorriso trionfante che mi dedicò.

Imitando la mia posa, Keath mormorò pensoso: “Non so come faccia, Rey, a sopportare un arrivista di tal risma. Non conosco i particolari ma a volte, quando ci scoliamo assieme una birra, mi parla di lui.”

“E non sono belle cose, vero?”

“Gli chiede dei soldi, più volte di quante una persona onesta dovrebbe fare col proprio fratello maggiore” borbottò Keath, aggrottando la fronte.

Sorpresa, esalai: “Ma... e l'auto di lusso, i vestiti eleganti e tutto il resto?”

“Tutta scena. Da quel che sappiamo, è un avvocato mediocre e, più spesso di quanto dovrebbe, gioca somme ingenti di denaro ai cavalli.”

Sbuffai, trovando paradossale l'intera situazione.

Come poteva, Rey, sopportare di essere sfruttato a quel modo?

“I genitori?”

“Gente superficiale, che non degneresti di una seconda occhiata ma, per lo meno, non gravano come avvoltoi su Rey come fa Conner” mi spiegò, lanciandomi un'occhiata significativa.

Approvai ciò che la sua mente si lasciò sfuggire.

“Percepisci quel che penso?” mi domandò poi, ghignando.

“Una licantropa del branco di Dublino ci ha insegnato come fare. Prima, i nostri doni erano piuttosto grezzi. Ora, siamo in grado di percepire senza sforzo i pensieri altrui... e di trasmettere i nostri. E, contrariamente a voi, noi percepiamo anche quelli degli umani.”

“Vantaggioso, anche se, nel caso di Conner Doherty, decisamente fastidioso” asserì, prima di tornare a parlare normalmente. “Così, immagino avrai capito subito che razza di uomo è Conner.”

“Purtroppo sì. E, se prova a toccarmi, gli mozzo una mano.”

Keath rise, assentendo con apprezzamento, e disse: “Sì, è un porco matricolato, perciò lo terrei alla larga, se fossi in te.”

“Mi disgusta pensare che ha lo stesso sangue di Rey.”

“Rey è una perla rara. Cresciuto dai nonni secondo le antiche regole. Non ha nulla a che spartire con il resto della famiglia. Lui è un Guardiano degno di tale nome” dichiarò il licantropo, pieno di fiero orgoglio.

Non potei che essere d'accordo con Keath. Rey era veramente degno di rispetto.

Anche se aveva un cuore troppo generoso, e con persone che non meritavano una simile attenzione da parte sua.

“Torno da lui. Così, se vorrà ammazzare il fratello, gli darò una mano” ironizzai, avviandomi verso valle con un tetro sorriso.

“Fai un fischio, se vuoi un aiutino” mi disse Keath, strizzandomi l'occhio prima di correre via.

In un attimo, era svanito nella foresta.

Lentamente, me ne tornai indietro e, richiamando accanto a me Vivianne e Parcifal, mormorai: “Credo che terrò per me il piacere di farlo a pezzettini.”
 
***

Rimboccate le coltri a nonnina, abbassai la luce fino a renderla fioca – come piaceva a lei – e, accomodatami su una sedia, la scrutai dubbiosa.

“Quante domande ci sono in quei tuoi begli occhi, bambina! Cosa ti turba tanto?”

Sospirai, lanciando un'occhiata alla porta della stanza, che ci divideva dal corridoio e dal salone, dove Rey e Conner stavano parlando.

Di soldi, con tutta probabilità.

La cena era stata un monologo egoistico e vanaglorioso di Conner che, dando voce a suoi dubbi successi, aveva decantato le sue vittorie nel Foro.

Avendo avuto l’imbeccata di Keath, circa le sue reali capacità, avevo perciò sbirciato, scoprendo cose ben poco lusinghiere.

Minacciare la difesa non era corretto, così come assoldare dei loschi figuri per infangare i nomi di giurati e testimoni.

Mi ero allontanata alla svelta da quella mente, preferendo pensare a tutt’altro.

Il contorno frastagliato dei fondali marini, per una volta, mi era parso qualcosa di interessante a cui pensare con assiduità.

Tornando col pensiero a nonnina, le domandai: “Perché è così generoso e altruista? Non capisce che Conner se ne approfitta e basta?”

“E' difficile, per non dire impossibile, far entrare in testa a Rey che deve smettere di prendersi cura di lui a questo modo” mormorò Gwendolin con un dolente sorriso. “Il mio nipotino si è sempre preso carico di ogni cosa, fin da quando era poco più che undicenne.”

“Un cuore tenero” motteggiai.

“Un'anima devota, piuttosto. Per lui, i valori familiari contano molto, così come la devozione alla causa. Ha preso molto sul serio il suo ruolo di Guardiano, e penso sacrificherebbe tutto, pur di mantenere in piedi questo Santuario.”

Anche nella voce di nonnina, percepii lo stesso orgoglio sconfinato che, quella mattina, avevo percepito nella voce di Keath.

Perché, Rey, cercava conforto e approvazione solo nelle persone sbagliate?

“Chi ha i denti non ha il pane, cara, e viceversa” motteggiò nonnina, come se mi avesse letto nella mente.

“Ora come ora, glieli spaccherei, i denti” brontolai, levandomi in piedi per andarmene. “Buonanotte, nonnina, e fai bei sogni.”

“Non avercela troppo con lui, bambina. Si è sempre sentito in dovere di proteggerlo, ed è difficile cambiare abitudini.”

Annuii, uscendo dalla sua stanza per raggiungere il salone.

Li trovai seduti su due diverse poltrone, torvi entrambi, ma preferii non sbirciare.

Mi limitai a prendere il cordless e, data loro la buonanotte, mi recai in camera mia per telefonare… e non avere gli occhi di Conner addosso.

Mi era già bastato cenare con lui; non avevo bisogno di ulteriori scansioni ai raggi X.

E poi, non era così tardi per non fare una telefonata a Rohnyn.

Mi accoccolai perciò sul letto a gambe intrecciate e, panno di lana sulle spalle, attesi che rispondesse.

Al quinto squillo, sentii la sua voce.

“Pronto?”

“Ciao, Rohnyn.”

“Sorellina!”

Sorrisi grata, sentendomi scaldare da quella semplice parola.

Pur se non avevo il suo stesso sangue, pur se in me scorreva in parte sangue Tuatha, per Rohnyn ero ancora la sua sorellina.

Forse, dopotutto, non ero così sola come temevo di essere. E forse, Rohnyn e gli altri non sarebbero stati solo amici, per me, ma qualcosa di più.

“Come va, lì? Procede tutto bene?”

“Kevin cresce, mangia e dorme, e Sheridan pensa che sia telecomandato” rise, nel dirlo, e percepii il suo orgoglio di padre, nella voce roca e a me cara di Rohnyn.

“Bene. Mi fa piacere. Notizie di Stheta e gli altri?”

“Mi domandano sempre di te, se è questo che vuoi sapere, e Krilash scalpita come un forsennato, ben deciso a venire lì – ovunque tu sia – per riportarti a casa. Mi ha addirittura minacciato, se non avessi preso nota del tuo numero di telefono, così da poterlo rintracciare.”

Risi sommessamente, replicando: “Posso anche dirti dove sono, senza bisogno che ti scomodi tanto, ma ugualmente non tornerei. Per ora, sto bene qui. Inoltre, sto portando a termine una cosa.”

“E cioè, se posso chiedere?”

“So chi sono, Rohnyn.”

“Sei mia sorella. Dovrebbe interessarti solo questo, sai?” mi rabberciò bonariamente, portandomi a sorridere divertita.

“Sai cosa intendo. Ho scoperto chi sono i miei veri genitori.”

“E come diavolo...”

Presi un gran respiro e gli parlai dei glifi, di come fossero comparsi nel corso dei millenni e di come, il tocco di Rey, li avesse fatti sparire, riportando a galla il passato.

Alla fine del mio racconto, a Rohnyn non restò che dire: “Beh, che mi venisse un colpo!”

“Preferirei di no.”

“Anch'io, poco ma sicuro, ma la faccenda rimane. Wow! Quindi, sei una semidea. Hai sangue di entrambe le dinastie, dentro di te.”

“Per questo, sono sopravvissuta alla scomparsa dei miei avi, e Tethra ha potuto risvegliare la mia rihall, così da legare al mio corpo la pelle di delfino” assentii, sfiorandomi il collo, in corrispondenza della stella. “Diversamente, con la scomparsa del culto dei figli di Dana, sarei scomparsa anch’io. Volendo spaccare il capello in quattro, risulteremmo cugini di non so quale grado.”

“Litha la semidea. Mi piace.” Rise sommessamente e aggiunse: “Pensi di crearti un tuo tempio, con tanto di postulanti e guerrieri preposti alla tua difesa?”

“Quanto sei idiota” brontolai, pur sorridendo.

Mi era mancato il mio cameratismo con Rohnyn e fui felice di scoprire che, in realtà, nulla era andato perso. Si era solo... trasformato.

Esattamente come me. Non più solo principessa fomoriana, ma qualcosa di più, e qualcosa di meno.

Una nuova creatura. Una crisalide uscita dal bozzo.

“Come va, lì, con il tizio?”

“Si chiama Rey, non tizio, Rohnyn. E va bene. E' molto gentile e premuroso, con me.”

“E tu con lui?”

Il suo tono malizioso mi fece ridere sommessamente.

“Abbastanza.”

“Ohhh, devo venire a conoscerlo?”

“Per ora, mi piace averlo nei paraggi.”

“Non dubito che gli spaccheresti la faccia, se facesse qualcosa di scorretto, quindi non ti dirò di chiamarmi, se fa l'idiota.”

“Grazie, fra... Rohnyn” dissi, affrettandomi a correggere la mia gaffe. Era così facile cadere in errore!

“Sorellina... indipendentemente da tutto, e dagli errori di Muath e Tethra, tu sei e sarai mia sorella, la mia gemella. Nulla è cambiato, nel mio cuore, anche se sei più grande di me di… quanto? Un mese? Due?”

“Credo due, più o meno” mormorai, sorridendo mesta.

Mi morsi un labbro, sentendomi prossima alle lacrime, ma le scacciai in fretta.

Non volevo rovinare tutto con un pianto. Mi ero ripromessa di non piangere più. Non avevo bisogno di essere debole.

“Neppure nel mio cuore, fratello. Anche se ho tanta paura di non saper ritrovare l’equilibrio di un tempo.”

“Hai detto che, grazie all'aiuto di Rey – e non ti chiederò, nello specifico, come ti aiuta – riesci a leggere i tuoi ricordi. E' un inizio. Quando avrai scoperto tutto, lavoreremo insieme sul resto. Che ne dici?”

“Mi piacerebbe” assentii, lieta che me l'avesse proposto.

“Non divertirti troppo, con il tuo uomo, e pensa a mandare un messaggio a Stheta e Krilash. Manchi molto anche a loro.”

“Vedrò di recarmi sulla costa, uno di questi giorni, e di consegnare una missiva a una delle sentinelle marine che perlustrano l’oceano” assentii nuovamente, trovando più che giusto ciò che mi aveva detto.

Gli augurai la buonanotte e, nel mettermi sotto le coperte, attesi l'arrivo di Rey.

Lui, però, non si presentò.
 
***

Lasciare un messaggio sul bancone della cucina, mi sembrò il sistema più adatto per avvisare Rey della mia temporanea mancanza da casa.

Non mi era parso giusto disturbarlo, vista la giornataccia appena passata.

Il rischio di vedere nuovamente Conner, poi, mi aveva fatto mettere le ali ai piedi.

Poco prima dell’alba, ero uscita di casa e mi ero diretta a piedi verso Midleton, che distava poco più di tre miglia da Harrisgrove.

Da lì, avrei preso la via del mare con la mia pelle di delfino e, tramite una delle sentinelle di passaggio, avrei consegnato un messaggio per i miei fratelli.

Avevo chiarito con Rey che sarei tornata nel pomeriggio inoltrato, perciò non sarebbe stato in pensiero per me.

Ora, in un angolo appartato del porto fluviale della piccola cittadina, mi immersi nell’acqua gelida e calma.

Affondandovi, seguii le correnti verso l’oceano, tornando a gustare il piacere del nuoto.

Era dura da mandar giù, ma mi era mancata quella parte di me.

Non impiegai molto per raggiungere le acque salate del mare e lì, avvoltami nelle pelle di delfino, mutai forma e mi misi alla ricerca di una sentinella.

Non sarebbe stato difficile trovarne una – pattugliavano da sempre le coste irlandesi – ma, quel che non mi aspettai di certo, fu di incrociare Krilash sulla mia strada.

Mi bloccai di colpo, emettendo uno schiocco con la lingua e lui, balzando fuori dall’acqua con un possente volo, mi fece capire a gesti quanto fosse felice di vedermi.

Giocherellò per un po’ nel mare, nuotandomi attorno tutto contento, finché io non gli andai a sbattere contro, decisa a bloccare i suoi festeggiamenti.

Lui, allora, indicò con il suo muso di delfino un tratto deserto di costa, e là ci dirigemmo.

Quando finalmente toccammo terra, io ripresi sembianze umane e Krilash non fu da meno, balzando verso di me per abbracciarmi.

Quasi mi stritolò, nella foga di farmi comprendere quanto gli ero mancata.

Io non fui da meno perché, volessi accettarlo o meno, Krilash sarebbe sempre rimasto mio fratello, così come Rohnyn e Stheta.

Potevo anche essere infuriata con Tethra e Muath, per quello che avevano fatto, ma i miei fratelli non c’entravano nulla.

Loro non avevano colpe.

“Sorellina…” mormorò accorato Krilash, lasciandomi andare solo per sorridermi lieto e carezzare il mio viso.

Pur se io ero alta, Krilash mi sorpassava di mezza testa e, in quel momento, mi fece sentire piccola e bisognosa di affetto.

Per una volta, però, la cosa non mi diede alcun fastidio.

“Fratellone…”

Mi baciò sulla fronte, con partecipazione e, passandosi una mano tra i corti capelli biondo castani, esalò: “Dèi, sembrano passati secoli, da quando ci siamo visti l’ultima volta, invece…”

“Poco più di due mesi. Di certo, molto meno di quanto ti è sembrato” assentii, pur trovandomi d’accordo con lui.

Erano cambiate così tante cose, e un tempo così breve sembrava non poterle contenere tutte.

“Rohnyn ci ha detto che risiedi presso l’abitazione di un Guardiano. E’ vero?”

Assentii, parlandogli di Rey e di sua nonna.

Fu sorpreso di scoprire come fossi riuscita a trovare il Santuario, e trovò divertente l’idea che io lavorassi in una fattoria.

Io gli diedi di gomito, rammentandogli che non ero certo una mammoletta, e lui mi prese in giro, replicando quanto fossi poco esperta di lavori simili.

Risi con lui, quando gli raccontai di Vivianne e di Parcifal, quella strana accoppiata di cane e gatto ma, quando accennai a nonnina, si fece più serio.

Dovette scorgere sul mio viso qualcosa di particolare, perché il suo sorriso si fece più dolce e, con delicatezza, mi carezzò il viso.

Mi guardò lungamente, forse chiedendosi cosa provassi per lei e, cordiale, mi disse: “Da come me la descrivi, mi pare una donnina davvero simpatica. E lui, com’è?”

Storsi il naso a quella domanda apparentemente casuale, e borbottai: “Perché ho idea che Rohnyn abbia fatto la comare?”

“Perché è vero!” scoppiò a ridere, dandomi una pacca sulla spalla.

“Uffa… comunque, mi piace e, per il momento, desidero rimanere con lui. Ma volevo rassicurarvi circa la mia salute.”

“Bene. Mamma sarà felice di…”

Mi accigliai immediatamente, a quell’accenno e, scuotendo il capo, replicai: “Non dovrai dire nulla, a Muath.”

“Ma Lithar… Litha” si corresse alla svelta, guardandomi spiacente.

“Lei e Tethra vi hanno strappato Fay il primo giorno che hanno conosciuto lei e Rachel, e solo per imporre ancora una volta la loro volontà assoluta, invece di pensare ai sentimenti tuoi e della tua compagna.”

Scossi il capo, e aggiunsi livida: “No. Lascia che soffra… anche se dubito che senta veramente la mia mancanza.”

Parve contrariato, ma accettò suo malgrado.

Nell’abbracciarlo, dissi accorata: “Porta i miei saluti a Rachel, e dille di essere forte. Sono più che sicura che Fay non incontrerà nessun ostacolo, nella sua educazione.”

Krilash allora mi sorrise, annuendo, e ammise: “In effetti, è tra le migliori del suo anno. La faccio controllare periodicamente da uno dei soldati più fidati di Ciara, e lui ci ha riferito che sta bene. Si è fatta tagliare i capelli da una sua nuova amica, la figlia più giovane di uno dei mac Lairdh, e ora incontra molte meno difficoltà, nel corpo a corpo.”

Sfiorai la mia chioma, sapendo bene cosa volesse dire.

A mia volta, mi ero tagliata le trecce con una daga, per evitare che gli altri si approfittassero di quel punto di presa.

“Quindi, è brava.”

“Molto. Ogni tanto, quando salgo sul tetto del palazzo assieme a Rachel, riusciamo a vederla” mormorò, orgoglioso e speranzoso insieme.

“Diventerà una guerriera indomabile, e una donna dalla notevole forza morale” lo rassicurai, dandogli una pacca sul braccio.

“Come sua zia” replicò, dandomi un bacio sulla guancia.

Mi sorrise, e in lui notai una sicurezza nuova, e gli occhi non più velati dagli incubi che, sapevo, lo avevano condizionato tanto per secoli.

Non mi aveva mai parlato di cosa lo avesse tanto scioccato, per far nascere tali sogni terrificanti, ma non avevo faticato a farmi un’idea mia.

Anche grazie a questo particolare, avrei dovuto capire che qualcosa non andava, in me.
Perché io ero sempre stata l’unica, in famiglia, a non sognare?

Sorrisi tra me, pensando a quanto si potesse essere ciechi, pur di nascondere le proprie paure.

Scrutando Krilash, mi domandai se anche lui avesse rinunciato alle proprie paure, o ai propri dubbi, per ritrovare quello sguardo limpido.

Dún Aonghasa aveva lasciato molte cicatrici, visibili e invisibili, e non faticavo a credere che, molti dei suoi incubi, dipendessero da quella battaglia.

A sorpresa, mi strinse in un caldo abbraccio e, contro la mia guancia, mi disse: “Quando la tua mente sarà libera da demoni, trova un po’ di tempo per me, sorella. Vorrei parlarti di una cosa.”

“Possiamo farlo anche ora” sottolineai, trattenendolo accanto a me.

Lui però si scostò, scosse il capo e replicò con saggezza: “Non è il mio tempo, Litha, ma il tuo. Gestiscilo come meglio credi. Io sarò lì ad attenderti, quando ti sentirai veramente te stessa.”

“A Rohnyn e Stheta l’hai già detto? Di Dún Aonghasa?” volli sapere.

Mi sorrise vagamente sorpreso, ma annuì.

“E’ stata la mia catarsi, come stare a casa del signor Doherty è la tua. Coglila appieno, sorellina, poiché essa non potrà che farti bene. Quando sarai nuovamente serena, verrai da noi, e noi ti ameremo come abbiamo sempre fatto. Nel nostro cuore, nulla è cambiato.”

Assentii, sapendo che diceva il vero, su me stessa e su di loro.

“Riguardati, e non pensare mai più che non puoi affidarti a noi. Ci saremo sempre, qualsiasi decisione tu prenderai” aggiunse infine Krilash, levandosi in piedi con grazia.

“Lo so. Ora lo so” annuii, lasciando che si allontanasse per gettarsi in acqua.

Un momento dopo, lo vidi prendere le sembianze di delfino e, con un paio di balzi, inabissarsi per tornare a Mag Mell.

Tornata seria, lo imitai e, con calma, ripercorsi la strada a ritroso, pensando a ciò che avevo detto a proposito di Muath.

Era giusto che capisse quanto, le sue azioni e quelle del marito, mi fossero costate in termini di pace mentale.

Che pagassero con l’abbandono e il dolore, le loro colpe.

Anche questo serviva per la mia catarsi, ne ero certa, e non avrei lasciato nulla di intentato, per ritrovare la pace interiore.

Sempre che – e non ne ero del tutto certa – i reali di Mag Mell fossero capaci di provare un simile sentimento.
 
***

Come promesso, mi ripresentai a casa di Rey nel tardo pomeriggio e, con un sorriso, apprezzai la mancanza della BMW di Conner nel cortile.

Sarebbe stata una cena più rilassata, poco ma sicuro.

Quando rientrai, salutai nonnina con un bacio e, nel vedere Rey in cucina, mi avvicinai per salutare anche lui.

Fui confortata nel notare il suo sorriso colmo di sollievo – come se avesse temuto che io non tornassi più – ma, quando scorsi la luce stanca nei suoi occhi, seppi che Conner aveva lasciato il segno.

Gli passai una mano sulla schiena, all’altezza della vita, accarezzandolo come tante volte avevo visto fare a Sheridan con Rohnyn.

Lui mi seguì con lo sguardo, lasciò che prendessi dalle sue mani la ciotola della verdura e, piano, gli dissi: “Puoi parlarmi, se vuoi. Sempre.”

Rey non disse nulla, ma annuì.

Sapevo che non avrebbe parlato, specialmente davanti a nonnina, ma fui confortata dal suo cenno di assenso.

Non era stato un no secco, ma una promessa di fiducia.

Per il momento, mi bastò.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 
9.
 


 
 
 
Sbadigliai sonoramente nello svegliarmi, quella mattina.

E strizzai gli occhi subito dopo quando, a sorpresa, un raggio di luce ramingo mi ferì gli occhi.

Questo mi portò a balzare fuori dal letto come una molla, rischiando così di scaraventare a terra Rey.

Erano passate quasi tre settimane dalla visita di Conner e, dopo quel brutto momento di impasse, Rey era tornato ad aprirsi con me.

E a dormire con me.

Non eravamo ancora arrivati al dunque, visto che io non avevo avuto il coraggio di sondare altri ricordi nella mia memoria.

Un contatto intimo come un atto amoroso, avrebbe previsto che lui toccasse anche le zone in cui erano ancora presenti i glifi, perciò avevamo evitato.

Si era accontentato di dormirmi accanto, lasciando che le sue labbra indugiassero sulla mia pelle in lente carezze.

Io, invece, avevo avuto più libero accesso al suo corpo, ma mi ero astenuta dall’avventurarmi troppo in là, per non apparire egoista.

L’idea di non farlo mio, però, si stava rivelando davvero pessima, e la paura di scoprire altri segreti del mio passato, cozzava violenta contro il desiderio di averlo.

“Ma che succede?” brontolò Rey, passandosi una mano tra la ondulata zazzera di neri capelli.

Gli sorrisi, aprendo completamente le imposte e, eccitata, esclamai: “C’è il sole! E c’è una temperatura umana!”

Rey mi raggiunse ciondolante, i pantaloni del pigiama sbilenchi su un fianco.

Era a torso nudo, come piaceva a me, più che a lui.

Mi aveva confidato di detestare dormire con qualcosa addosso ma che, per me, aveva fatto un’eccezione.

La sola idea di vederlo completamente nudo era un ulteriore guaio, unito ai tanti che già mi facevano combattere contro il desiderio di fargli aprire gli ultimi glifi.

Soprassedetti a quei pensieri lascivi per tornare a volgere lo sguardo verso la campagna assolata, e sorrisi.

Lui mi avvolse la vita con le braccia, mentre io ammiravo il cielo terso e le verdeggianti colline. Poggiato il mento sulla mia spalla, guardò fuori e assentì.

“Ebbene sì. Aprile, finalmente, ci ha concesso una tregua dal maltempo. Cosa dovrebbe significare, di così eccitante, da svegliarmi così di buon ora, scusa?”

Mi volsi mogia verso di lui, trasmettendo attraverso gli occhi tutta la mia tristezza all’idea che si fosse dimenticato della promessa.

Ma, come sempre, Rey non aveva dimenticato.

Era ben difficile che dimenticasse qualcosa che poteva rendere felice gli altri.

La cosa, poi, risultava quasi impossibile, se si trattava di far felice me.

Anche di questo, gli ero grata.

Non mi ero mai sentita così protetta, a livello emotivo, come da quando avevo messo piede nella sua tenuta.

Ogni suo più piccolo gesto, dal darmi il bacio del buongiorno, allo sfornarmi i muffin al lampone – che avevo scoperto di adorare – tutto era mirato a rendermi allegra.

A farmi godere di ogni istante.

Stava diventando difficile persino ricordare la mia vita senza di lui, che ora mi appariva vuota e priva di attrattive, se non incorporavo Rey nell’equazione.

Quant’era stato inutile e insoddisfacente, il mondo, senza la presenza di Rey Doherty nel mio personale universo?

Certo, i miei fratelli avevano contribuito a portare un po’ di luce in quella mia vita fatta di guerre e spade, ma ora tutto assumeva una forma nuova.

Con Rey, tutto acquisiva vero significato.

Per quel poco che avevo compreso di lui – non avendo voluto sbirciare – io riuscivo a essere il suo lenitivo contro la tristezza.

L’unica in grado di smuoverlo dall’apatia che, la sua famiglia, riusciva a fargli calare sulle spalle come un maglio.

Sarebbe stato più semplice – e facile – che Rey dimenticasse di rendere felice se stesso ma, con gli altri, era tutt’altro affare.

Io, però, stavo tentando di inculcargli una buona dose di amor proprio e, poco per volta, sembrava stessi ottenendo qualche risultato.

Mi sorrise, dandomi un bacetto sul naso e, nello scostarsi da me, disse: “Stavo aspettando la giornata giusta per portarti a fare un giro. Così, mi sono messo d’accordo con Mrs Green, la signora che abita in fondo alla via, perché venga a dare un’occhiata a nonnina. La chiamerò, dicendole che oggi usciamo per un giro in moto.”

“Rey…” mormorai commossa.

Aveva già pensato a tutto e, come al solito, lo aveva fatto senza dar peso al proprio comportamento altruista.

Quando lo baciai, riuscì persino a mostrarsi imbarazzato dal mio entusiasmo.

Che dovevo fare, con quell’uomo? Quando si sarebbe convinto di essere all’altezza del suo compito? E, anzi, molto di più?

Cos’altro avrebbe dovuto dimostrare, per convincere se stesso di essere un uomo di valore?
 
***

L’aria gelida mi schiaffeggiava la pelle, ma non volli per nessunissimo motivo abbassare la visiera del casco che, premuroso, Rey mi aveva messo in testa.

Prima di partire, aveva addestrato rigorosamente Mrs Green, mentre lei aveva ammiccato comica a nonnina, ignorando bellamente Rey.

Avevo cercato di non ridere ma, alla fine, con le lacrime agli occhi per l’ilarità, l’avevo trascinato via per non dover sentire altro.

Brontolando, Rey era infine salito sulla moto e, assieme, ci eravamo diretti verso il mare.

In quel momento, niente più di una linea argentata in lontananza, l’oceano era illuminato dai caldi raggi di quel sole primaverile.

Dopo aver preso la regionale 630, oltrepassammo Whitegate per inoltrarci nei territori coltivati di quella fetta del Sud Irlanda.

Ammirata, osservai i campi ancora brulli, ma pronti per la semina primaverile.

Quelle erano state le terre dei miei avi, dei miei genitori.

Chissà se le avevano governate con saggezza, o con pugno di ferro?

Sapevo davvero così poco, della cultura Tuatha, e meno ancora di ciò che riguardava le poche famiglie miste che, i secoli, avevano visto succedersi.

Forse, nei due glifi rimasti, avrei trovato notizie attinenti la loro vita prima che io nascessi.

Non sapevo davvero che aspettarmi.

Lanciato uno sguardo verso l’entroterra, lasciando il mare alla mia destra, sorrisi estasiata di fronte alla selvaggia bellezza di quei luoghi.

I muretti a secco erano già colmi di sottili steli d’erba e, ben presto, si sarebbero riempiti di fiori dai mille colori, pronti a profumare l’aria dell’isola.

In lontananza, sul mare, decine di gabbiani volteggiavano in tondo, forse aspettando il momento migliore per abbattersi su un branco di sardine.

Sorrisi, pensando ai cacciatori fomoriani che, alla medesima maniera, avrebbero fatto incetta di prede da portare alla capitale.

Rey rallentò proprio mentre stavo curiosando il paesaggio dinanzi a noi e, presa una piccola via, si inoltrò verso le scogliere.

Le auto erano praticamente inesistenti, su quel tratto disperso nel nulla e, quando infine giungemmo nella contea di Lahard, rallentò l’andatura.

L’Harley Davidson, con il suo motore scoppiettante, rombò sotto di me, quasi protestando per essere stata ‘presa per le redini’.

Ma il suo pilota non vi badò, permettendomi di godere dei profumi di quella giornata, e dei bellissimi paesaggi visibili tutt’attorno.

Le aziende agricole si intervallavano ad ampi e interminabili appezzamenti di terreno, dove l’erba aveva iniziato a rinvigorirsi.

Poco lontano, notai dei pescherecci di ritorno dalla battuta mattutina, con le loro forme tozze e i colori tenui e bruciati dalla salsedine marina.

Non ebbi difficoltà a percepire i profumi, il rombo dei motori, le chiacchiere dei pescatori.

Il vento mi aiutò, in questo. Diversamente, neppure il mio udito sopraffino sarebbe riuscito a percepirli.

Imboccata infine una piccola stradicciola sterrata, Rey rallentò ancora l’andatura finché, ormai impossibilitato a proseguire, si fermò in uno spiazzo.

Con un movimento secco, depositò la moto sul cavalletto e, senza attendere oltre, scesi con un balzo, togliendo il casco dalla testa.

La brezza proveniente dall’oceano mi portò i suoi profumi, le voci dei suoi abitanti e, allargate le braccia per meglio percepirla sulla pelle, mormorai estasiata: “Il regno è in festa. Krilash si è ufficialmente sposato con Rachel.”

Rey mi guardò pensieroso, lanciando poi uno sguardo verso l’oceano.

Un paio di delfini balzarono fuori dall’acqua, e a loro ne seguirono altri, più piccoli.

“Vorresti essere là?” mi domandò, riportando lo sguardo su di me.

Scossi il capo, afferrandogli la mano per dare maggiore peso alle mie parole.

“No. Krilash sa che gli voglio bene, e Rachel capisce perché me ne sono dovuta andare.”

A Rey parve bastare e, con rinnovata fiducia, mi attirò verso le scogliere poco distanti, dicendomi: “Da qui, si può arrivare a una caletta tranquilla, che in pochi conoscono. Ho pensato che avrebbe potuto piacerti.”

“E a te piace?” gli ritorsi contro, facendolo ridere.

“D’accordo… piace molto anche a me” mi concesse, sorridendomi con partecipazione.

“Allora, sarei lieta di vederla” assentii a quel punto, tutta contenta.

Con calma metodica, e una pazienza che rasentava l’ossessione, mi ero convinta a voler far capire un paio di cose a Rey.

Questo aveva voluto dire replicare a ogni sua battuta, a ogni suo commento, ma la cosa non mi aveva turbato per nulla.

Sulle prime, Rey mi aveva detto di smetterla, di non badare a lui, ma sia io che nonnina non ci eravamo lasciate intimidire.

E lui aveva dovuto iniziare a dirmi quali fossero  i suoi desideri,  i suoi pensieri, le sue speranze.

Non quelle degli altri. Le sue.

L’avrei fatto anche quel giorno, finché lui non avesse fatto in automatico ciò che desiderava, e quando voleva.

Procedemmo agilmente giù per il pendio roccioso, approfittando di scanalature nella roccia e gradini formatisi naturalmente nella parete.

Sorridendo a Rey, quando infine raggiungemmo la spiaggia - dove il vento era più forte, ma il sole più caldo - gli dissi: “Ricordi che ti dissi che il Sentiero dei Giganti fu la porta da cui passarono i fomoriani, per giungere qui?”

“E prese quel nome grazie a loro. Sì, lo rammento” assentì, curioso.

Annuii, pensando a quanto potessero apparire mostruosi nella loro altezza, i vecchi fomoriani come Tethra e Muath.

Se fossi stata in un umano, sarei sicuramente morta di paura.

“Gli Originali giunsero qui da un Vanaheimr morente. La nostra stella stava collassando, perciò gli dèi Vani trasmisero tutti i loro poteri in un portale, che permise ai fomoíre di raggiungere la terrà attraverso il passaggio offerto da bifröst” mormorai, indicandogli poi un punto riparato dal vento, ma baciato da quel dolce sole primaverile.

Lui mi seguì e lì, toltami gli scarponcini, affondai i piedi nella sabbia, pensierosa.

Dopo alcuni momenti, proseguii nel mio racconto.

“Appartengo a una stirpe di semi-dei, i fomoriani, nati dall’atto d’amore di due Vani, Freya e Freyr, che vollero dare lunga vita alla razza più forte del loro pianeta.”

Rey assentì ancora, sfiorandomi il viso con una mano.

Capiva perché gli stavo raccontando tutto questo? Forse, e forse no.

E io sapevo perché lo stavo facendo? Forse, e forse no.

“L’altra mia stirpe, è interamente divina. Sono i figli di Dana, i Tuatha, e scomparvero dal mondo terreno quando le genti abbandonarono il loro culto, in favore dell’unico Dio. Io sono tutto questo.”

Lui allora chinò il capo a baciarmi con delicatezza sulle labbra e, dopo essersi scostato per guardarmi, mormorò: “So chi sei.”

Già. Lui sapeva chi ero, e lo accettava.

Risi, lasciandomi finalmente andare dopo mesi, anni, secoli di stretto controllo sulle mie emozioni e, cominciando a piroettare su me stessa, esclamai: “Sono maledettamente felice, oggi!”

Rey lasciò che dessi voce alla mia gioia, sorridente e tranquillo.

Gli sorrisi, lieta e piena di una grazia che mai avrei pensato di provare.

Nell’avvicinarmi a lui, gli afferrai una mano e lo baciai.

Allacciai subito le braccia dietro la sua schiena, avvicinandolo a me e, per lungo tempo, non facemmo altro che baciarci con gentilezza, dilungando quei gesti a oltranza.

Lo zaino con il pranzo dimentico sulla sabbia, mi scostai da lui per trascinarlo verso il mare e, nell’osservare l’orizzonte, gli dissi: “Quattrocento miglia verso ovest, e due miglia sotto il livello del mare, si trova Mag Mell, protetta agli occhi del mondo dalla pura magia. Essa è il regno incontrastato di Re Tethra mac Lir e Muath mac Ildaihr, la sua consorte.”

Gli sorrisi, e lui assentì, apparentemente ben disposto ad ascoltare ogni cosa. Ogni segreto.

“Nacqui oltre quattromila anni addietro in Irlanda, da una donna Tuatha e un fomoíre, e mi diedero nome Litha mac Elathain. Avevo un fratello molto più grande di me, di nome Tuirell che, a sua volta, aveva già dei figli, quando io nacqui. Egli fu tra i fautori della guerra tra i fomoíre e i figli di Dana. Fui cresciuta dai fomoriani, addestrata a essere la migliore tra le guerriere, in quanto principessa e, per molti millenni, il mio unico scopo è stato quello di combattere, vincere i miei avversari ed essere un lustro per la famiglia reale.”

Mi volsi verso di lui, che mi stava ascoltando attento, e presi tra le mie le sue mani, osservandole con attenzione.

Erano mani forti, irruvidite dal duro lavoro, esattamente come le mie.

Ma, se le mie avevano brandito spade e lance per uccidere e asservire, le sue avevano brandito ben altri strumenti, per proteggere e curare.

Non avremmo potuto essere più differenti, eppure…

Levai finalmente lo sguardo a scrutare i suoi scuri occhi color del cioccolato e, sorridendo, dissi: “Ora, non sono né una fomoriana, né una Tuatha. Non so chi sono veramente, ma una cosa la conosco. Non sono mai stata una codarda, e non inizierò certo adesso a esserla. So che posso ricominciare da questo punto e andare avanti… assieme a te. Se lo vorrai. Se mi vorrai.”

Rey non fu di molte parole.

Si limitò a prendere il mio viso tra le mani e, con tenerezza, mi baciò sulle labbra.

Lente, le sue mani scesero sulle mie spalle, la vita e, con fame e bramosia assieme, mi accarezzarono tutta, accendendo fuochi segreti dentro di me.

Avevo provato, nel corso dei secoli, il piacere proveniente dal corpo di un uomo.

Pur se, per entrambi, era stato gradevole, non vi avevo mai trovato nulla di speciale.

Di fronte a quell’umano, invece, mi sentii avvampare di passione, desiderosa di strappargli di dosso gli abiti per averlo pelle contro pelle, solo io e lui.

Le mie mani imitarono le sue e si fecero audaci, afferrando la maglia sotto il maglione di lana per estrarla dai pantaloni.

Lui sospirò di colpo, quando le mie dita sfiorarono i suoi addominali contratti.

Affondò il viso nell’incavo del mio collo, mordendomi leggermente, e io ansai.

Scostandomi da lui con forza, lo trascinai con me verso l’incavo protetto dove avevamo lasciato lo zaino.

Lì, lo afferrai al collo del maglione e lo spinsi contro una roccia, levigata dall’infrangersi dell’acqua nel corso dei secoli.

Rey mi lasciò fare e, nel contempo, mi slacciò i pantaloni, affondando le mani al suo interno.

Le sue dita ruvide sfiorarono le mie natiche e, ridendo sommessamente, gli sollevai maglia e maglione per sfilarglieli dalle braccia, annullando così il suo tocco.

“Cattiva” mormorò, lasciandomi però libera di agire.

Annuii ridendo e, chinandomi un po’, baciai uno dei suoi capezzoli, già inturgidito per il freddo.

Ansò e, per rendermi la pariglia, mi denudò dalla vita in su, un pezzo alla volta, lasciando solo un esile strato di pizzo a coprirmi i seni.

Mi divorò con lo sguardo, prima di carezzare la mia carne con baci e tenere dita in esplorazione.

Ansai nuovamente, aggrappandomi a lui per non cadere e, con calma, Rey mi fece scivolare verso il basso, sulla sabbia umida e scaldata dal sole.

I suoi baci proseguirono, disegnarono sulla mia pelle onde di piena dirompente e, senza rendermene conto, la sua bocca si ritrovò su uno dei glifi.

Come le altre volte, flash del passato mi si conficcarono nel cervello ma, mitigati dal piacere infuso dalla bocca di Rey, non mi spaventai.

Vidi mia madre sanguinante, la sua mano distesa verso l’alto… e Muath.

All'esterno, gli ultimi clangori della battaglia. E Muath in lacrime, e furiosa come poche altre volte l’avevo vista. 

Appariva come la volta in cui, dopo essere caduta priva di sensi, mi ero risvegliata nell’infermeria delle senturion, con lei a curarmi e Ciara al mio fianco, su un letto vicino.

“Non… non uccidetela… non lasciatela… a Bress…”

La voce di mia madre giunse debole, vicina alla fine, e io percepii l’attimo in cui il suo cuore iniziò a cedere.

La bocca di Rey continuò il suo percorso, baciando anche il secondo glifo, sul fianco opposto e, come l’altro, prese a brillare sfavillante, prima di svanire lentamente.

“Abbiamo irrotto in questa casa, convinti che si celasse un covo di nemici, e invece abbiamo dato solo voce alle mire di Bress” mormorò Muath, piegandosi su mia madre per sollevarla da terra. “Non sapevamo che fosse la casa di Oghma. Dov’è lui?”

Dietro di lei, un furioso Tethra lanciò uno sguardo ai suoi sottoposti, perché si allontanassero lesti dalla casa per cercare Oghma... ovunque lui fosse.

Quella confessione mi sorprese, e mi fece sgranare gli occhi per lo sgomento.

Era mai possibile che…

Non giunse altro, da quei glifi, ma ora c’era altro che volevo, ed era l’oblio.

L’oblio tra le braccia di Rey.

Gli sorrisi e, nel togliere anche l’ultimo indumento che ci separava, mormorai: “Fammi scoprire come un uomo può amare una dea.”

“Ti esaudirò con sommo piacere, da suddito devoto quale io sono” ironizzò lui, tornando a baciare le mie anche, il mio ventre e giù, molto più giù.

Reclinai il capo all’indietro, afferrando le sue spalle per spingerlo più a fondo, verso il centro del mio fuoco.

Nel mormorare roca il suo nome, pregai che quel piacere durasse in eterno, che non mi abbandonasse mai.

Fu su di me quando anche lui non se la sentì più di attendere e, con un’unica spinta, si unì al mio corpo in fiamme.

Il suo nome sgorgò dalle mie labbra come un’invocazione agli dèi, come la supplica verso un’entità superiore.

Rey mi accontentò.

Esaudì il mio desiderio, affondando con spinte lente, suadenti, che sovraccaricarono il mio corpo di emozioni, di sensazioni.

Avvolsi le gambe ai suoi fianchi, perché la nostra unione fosse completa, totalmente intima e, assieme a lui, continuai quella danza millenaria.

La brezza rinfrescò le nostre carni febbricitanti, mentre il nostro ritmo si faceva più incalzante, più frenetico.

Affondai le unghie nella sabbia, sapendo più che bene che, se le avessi usate sulla carne di Rey, lo avrei scorticato.

Non avrei mai permesso che qualcuno potesse fargli del male, soprattutto se il male poteva provenire da me.

Inarcai tutto il mio corpo verso di lui, lasciando che la sua bocca cercasse e trovasse i miei seni, finché l’apice ci colse di sorpresa, accecandoci.

Ricademmo entrambi sulla sabbia smossa, ansanti come se avessimo percorso l’oceano a nuoto… ma infinitamente più appagati in confronto a una simile impresa.

Scostandosi da me, Rey mi attirò accanto a sé, cercando ancora il contatto con la mia pelle, tutta quanta me e, nel carezzarmi i capelli, mormorò: “Ho soddisfatto la mia dea?”

“Sei un suddito devoto, e la tua dea è così contenta del tuo agire che, credo, si concederà il bis. Ma a modo suo.”

Gli sorrisi maliziosa e, poggiate le mani sulle sue spalle per spingerlo verso il basso, mi stesi su di lui e mi accoccolai al suo fianco.

Nessuna fomoriana, lo avrebbe mai fatto.

Nessuna fomoriana, avrebbe ammesso di desiderare di essere abbracciata, coccolata, amata in modo così totalitario.

Nessuna fomoriana, avrebbe mai esternato in modo così palese il suo bisogno di un uomo.

Di quell’uomo che aveva saputo aprirmi dentro un intero mondo, illuminandolo con la sua sola presenza.

“Litha…” mormorò, avvolgendomi con le braccia così forte che, per un momento, temetti potesse spezzarmi.

“Non voglio andarmene. Non voglio abbandonarti, o lasciare nonnina” ammisi contro il suo petto, iniziando a tremare.

“Né io voglio che te ne vai, o che tu lasci nonnina. Resta con me, Litha. Resta.”

Il suo tono accorato, tremante e speranzoso, mi fece sollevare per guardarlo negli occhi, per accertarmi di aver compreso bene le sue parole.

La sua mente era un caleidoscopio di immagini e sensazioni sconnesse, perciò lasciai presto perdere, concentrandomi solo sui suoi occhi.

Entrambi ci sedemmo, io in grembo all’uomo che mi aveva trovata, ricomposta e, infine, amata, e sorrisi.

“Sapevo di non poterti obbligare, di non poterti offrire nulla oltre me stesso, per questo non ho mai tentato di… di andare oltre…” mormorò sommessamente, carezzandomi i fianchi. “… ma, se sei tu a volerlo, ben volentieri accetterò.”

Scossi il capo, prendendo il suo viso tra le mie mani e, volitiva, replicai: “Rey, convinciti una volta per tutte di una cosa. Sei un uomo di valore, non hai bisogno dell’approvazione della tua famiglia, ma solo delle persone che  ti vogliono veramente bene. Devi decidere per te stesso, non perché sono io a chiedertelo.”

“Resta con me, allora, Litha. Vivi con me, amami come io ti amo e ti amerò, per tutto il tempo che ci verrà concesso” mi disse allora, tornando a baciarmi.

Assentii, abbracciandolo e, sorridendogli con trasporto, mormorai: “Scioglierò il mio contratto col tempo, esattamente come fece Rohnyn, e tu non ti libererai mai più di me.”

Lui rise, rise così corte da far tremare entrambi e, nel ricadere sulla sabbia assieme a me, esalò: “Sei tu a rimetterci, non certo io.”

“Ho molto tempo a disposizione per farti cambiare idea. Capirai, prima o poi, ne sono sicura” lo rabberciai bonariamente, baciandolo sul naso.

Rey sorrise pacifico, imperturbabile alle mie minacce, ma sorridente e sereno come mai lo avevo visto, in quei mesi.

Sì, ero riuscita a smuovere la sua inossidabile calma, e ora lo vedevo brillare per l’essere splendido quale sapevo lui era.

Sapevo già che, prima di sera, questo suo lato sarebbe scomparso dietro la solita facciata inflessibile, sorta per proteggersi dall’insensibilità familiare.

Ma, presto o tardi, me ne sarei liberata per sempre.

Per lui. Per noi.
 
***

Tornare all’azienda fu un viaggio dolce amaro, per me.

Ciò che avevamo condiviso su quella spiaggia, sarebbe rimasto nel mio cuore per sempre, e lasciare quel luogo era stato per me difficile, quasi doloroso.

Ma a casa avremmo trovato nonnina, e l’avremmo resa partecipe delle nostre decisioni, della nostra aspettativa per il futuro.

Forse, sarebbe stata sorpresa, o forse no.

Come völva, avevo idea che avesse già più o meno compreso ciò che, nel corso dei mesi, era cresciuto tra me e suo nipote.

Forse, ci avrebbe preso in giro, dicendoci di non riferirle nulla di nuovo, o di qualcosa già letto nel corso delle stelle.

Non sapevo bene come funzionasse il suo strano potere, ma tutto poteva essere.

Era probabile che fosse davvero in grado di percepire lo scorrere del tempo, attraverso l’altalenante andirivieni delle stelle nel cielo.

Io sapevo solo che, la vita che stringevo in quel momento, mentre il rombo del motore faceva vibrare il mio corpo, era dell’uomo che avevo imparato ad amare.

L’amico cortese, l’uomo generoso e altruista, l’essere più umile che io avessi mai conosciuto.

Mani pronte a guarire e proteggere, come le mie erano state pronte a colpire per difendere e uccidere.

Mani che si erano incontrate nel momento peggiore della mia vita e che, intrecciate in eterno, avrebbero proseguito assieme.

Fino alla fine dei nostri giorni.


 




Note: Litha ha scoperto un altro pezzetto del suo passato, oltre alla passione vera e sincera tra le braccia dell'uomo che ama. E' ben decisa a rinunciare a tutto, per Rey, come già Rohnyn fece prima di lei. Ma Muath glielo permetterà? E la sua duplice natura, le metterà i bastoni tra le ruote? Direi che lo scopriremo presto, ma fatemi sapere cosa ne pensate.
A presto, e grazie per avermi seguita fino a qui.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 
10.
 
 
 
 
Era tempo.

Dovevo dar voce all'ultimo glifo, se volevo avere la certezza assoluta di avere tra le mani il mio passato.

Dovevo avere tutte le chiavi a disposizione, per aprire le porte del mio futuro.

Senza il primo, non avrei avuto il coraggio e la forza di affrontare il secondo.

Allungai perciò una mano verso Rey, in piedi accanto a me e in contemplazione della luna, visibile attraverso le finestre della mia stanza.

Decisa, mormorai: “Proviamo.”

“Sei sicura? Possiamo aspettare ancora, se vuoi.”

Gli sorrisi, compiaciuta ed esasperata al tempo stesso.

Sempre così protettivo, sempre pronto a difendermi da qualsiasi dolore.

Lo meritavo davvero?

Non ne avevo idea, ma avrei lottato con le unghie e con i denti, per meritarmi ciò che il destino mi aveva porto su un piatto d'argento.

Sapevo di amarlo, il mio cuore batteva all'unisono con il suo, e le paure si cancellavano, con lui accanto.

Avrebbe dovuto bastarmi ma ero certa che, presto o tardi, altri dilemmi, altri dubbi mi avrebbero assillato, se non fossi arrivata a capo di tutto.

Desideravo con tutto il mio cuore che, il mio futuro con Rey, fosse libero da ombre.

Annuii perciò alla sua domanda e, dirigendomi con lui verso il letto, mormorai: “Non voglio indugiare oltre. Desidero sapere.”

Ciò detto, mi tolsi la felpa, mettendo mano alla maglia color pervinca, ma Rey mi fermò.

Sorridendo, mi fece sedere sul letto e, con le sue mani, mi tolse maglia e reggiseno.

Sospirai, reclinando il capo all'indietro e lui, dopo avermi baciato sulla bocca, depose due casti baci sopra i seni e si portò dietro di me, in ginocchio sul letto.

Dondolai un po', a quel movimento e lui, tenendomi le mani sulle spalle, disse: “Procederò con calma, okay? Se è troppo, avvertimi immediatamente.”

Risi sommessamente, di fronte a una simile preoccupazione e, nel volgermi a mezzo, lo guardai ironica, replicando: “Guarda che non sono fatta di cristallo.”

Lui mi baciò con ferocia sulle labbra, dimostrandomi quanto fosse turbato da ciò che stava per fare e, sulla mia bocca, ringhiò: “Sai bene che detesto vederti soffrire. Perciò, scusa se preferisco sapere se, quello che sto facendo, ti procura dolore.”

Sì, sapevo che lui voleva solo il meglio, per me.

Era stato così fin dall'inizio, fin da quando mi aveva fatto entrare quel giorno di gennaio, preoccupandosi per il freddo che avevo patito nell'attenderlo sotto la nevicata.

Si era prodigato per me, dapprima semplicemente per via del suo carattere generoso, poi con sempre maggiore interesse personale.

Non faticavo a rammentare ogni momento in cui, nel corso delle settimane, i suoi occhi si erano posati con sempre più frequenza su di me.

Ricordavo bene quanto, quegli occhi scuri e apparentemente monocromatici, si fossero accesi di mille colori diversi, guardandomi.

Colori che avevano preso le sembianze dell'amicizia, dell'interesse, dell'affetto e, infine, dell'amore.

Amore per una donna, non per una dea quale sapevo di essere, almeno in parte.

Per quanto fossi diversa da lui, in alcuni aspetti, questo non gli pesava.

Si era innamorato di Litha, e io di Rey.

Il resto, veniva in secondo piano. Ci avremmo pensato a suo tempo, con tutta calma.

Nessuno poneva dei paletti al nostro futuro assieme, perciò avremmo affrontato le nostre diversità a tempo debito.

In quel momento, volevamo solo vivere il presente, e goderci questo sentimento appena nato, così caldo e avvolgente da rendermi pienamente soddisfatta.

Viva, come mai mi ero sentita in tanti millenni.

Deposto un bacio sulla mia spalla, Rey mormorò: “Comincio.”

Annuii, e la sua bocca sfiorò il glifo all'altezza dell'attaccatura col collo.

Rabbrividii, scossa da tremiti di desiderio sconfinato... e da un viso.

Muath, il viso accanto a quello di mia madre. E lacrime a ferirne il volto.

Aggrottai la fronte, cercando di comprendere quell'immagine, e un secondo bacio mi sfiorò la pelle.

“Ci ha ingannati tutti... noi e voi.”

“L'avidità reciproca, ci ha ingannati. E condannati. Tuatha e fomoíre. Entrambi i popoli volevano le medesime cose, nel medesimo modo. L'egemonia di uno sull'altro, e questo è stato il risultato.”

“Ma uccidere bambini innocenti non è cosa per i  fomoíre. Noi non uccidiamo bambini... mai!

La voce di Muath era tremante, sentita, così come il suo sguardo, straziato dal rimpianto.

Un terzo bacio, e la prospettiva cambiò, portandosi sul volto di Tethra che, furente come poche altre volte lo avevo visto, era in piedi accanto alla moglie.

I suoi occhi esprimevano un disprezzo senza pari, ma non nei confronti di mia madre, o di Muath.

Piuttosto, nei confronti dell'uomo che, prostrato a terra, ferito e ai ceppi, stava osservando la scena con aria soddisfatta.

Bress mac Elathain.

Mio zio, il vero colpevole di quella mattanza.

Presi un gran respiro, e Rey si affrettò a sfiorarmi le spalle con le mani, mormorando ansioso: “Smetto?”

“No, continua. Voglio arrivare in fondo alla verità” ansai, reclinando il capo in avanti, coprendolo con le mani.

“Litha... ti prego...”

“Continua” gli ordinai, perentoria, pur tremando come una foglia.

Non ero sicura di quello che avrei trovato alla fine di questo tunnel, ma ero ormai pronta a tutto.

Anche ad accettare una verità scomoda. Una verità che mi avrebbe portato a cambiare idea su molte cose.

Rey si piegò nuovamente su di me e, poggiate delicatamente le sue mani sulla mia vita, tornò a baciarmi la schiena.

Le immagini tornarono, potenti, violente in tutta la loro crudezza. Reali come se fossero state dinanzi ai miei occhi, in quel momento, in quel tempo.

“Pagherai cara l'onta di aver tradito la mia fiducia, Bress. Poco importa che tu abbia, o meno, sangue fomoriano nelle vene. La tua pena non sarà più clemente, solo perché sei nato in fondo al mare.”

Bress rise, sputando il sangue raggrumato che aveva in bocca, forse retaggio di un pestaggio recente, e replicò: “Quel che volevo, l'ho già ottenuto. La testa di mio fratello su una picca. Il resto, non conta.”

Il singulto di mia madre, l’imprecazione di Muath. Il mio pianto nella culla.

Ecco, che fine aveva fatto mio padre. Ucciso dal suo stesso fratello.

“Conterà, quando saprai quale sarà la mia vendetta” ribatté Tethra, lapidario, lo sguardo più duro dell’acciaio siderale.

Il sogghigno che sorse sul suo viso mi fece raggelare, perché nulla mi aveva preparata a una reazione del genere.

Nulla mi aveva preparata a un simile odio, a una simile richiesta di vendetta, a una simile volontà di portare dolore e sofferenza.

Soprattutto, non se rivolte verso un'unica persona.

Verso Bress, che lo aveva tradito, che lo aveva sfruttato.

Lo aveva usato per i propri scopi e, a quanto pareva, gli aveva fatto commettere un atto per cui avrebbe chiesto il suo sangue, e solo il suo.

Si volse, rivolgendosi alle guardie che lo tenevano ai ceppi e, perentorio, ordinò loro di portarlo a Mag Mell... e di rinchiuderlo nelle celle di palazzo.

Per sempre.

Senza la sua pelle di delfino.

Muath annuì a quella decisione  e, nel prendermi in braccio, mi asciugò la fronte dal sangue di mia madre, sorridendomi benevola.

“Mi prenderò cura di lei. Crescerà forte e, quando ne avrà la forza – o io l’avrò per lei – le spiegherò ogni cosa, ogni segreto.”

Lo sguardo corrucciato di Tethra, mentre scuoteva la testa contrariato.

La mano di mia madre sfiorò il mio piedino destro e, nel corpo semi addormentato, percepii una lenta, calda vibrazione.

“Le donerò parte dei miei ricordi, che la accompagneranno nella sua lunga vita, la aiuteranno a capire. A non odiare. Quando verrà il tempo, la sua stessa dinastia la aiuterà a recuperare il suo retaggio. E lei saprà, deciderà del suo destino.”

Ansai, riprendendo fiato come se stessi per annegare e, annaspando con le mani, mi portai le dita alla gola, graffiandomi.

Subito, Rey mi afferrò i polsi, allontanandomi dalle mie stesse carni – ora irritate – e, terrorizzato, esalò: “Litha, per favore, calmati!”

Mi abbracciò, tenendomi contro il suo petto, mentre le sue mani ancora mi trattenevano, impedendomi di ferirmi ulteriormente.

Singhiozzai, trattenendo a stento le lacrime e, crollando sul letto assieme a lui, esalai sconvolta: “Fu un errore... un tragico, maledetto errore. Muath e Tethra non volevano uccidere i miei genitori. Non mi rapirono...mi... mi salvarono.”

Iniziai a tremare come una foglia, sempre più violentemente, con sempre maggiore dolore a percuotermi le membra.

Rey mi fece volgere verso di lui per potermi abbracciare meglio e, depositando una serie di baci sul mio viso congelato, mormorò: “Respira. Respira con calma e parlami. Raccontami ciò che hai visto. Riordina le idee, Litha.”

Annuii più volte, pur continuando a tremare e, con voce resa flebile dallo shock emotivo, asserii: “Bress... mio zio... fu lui a ordire tutto. Odiava mio padre e mia madre così tanto, che volle vederli distrutti. Annientati. Sobillò Muath e Tethra perché attaccassero casa mia, raccontando loro che era un covo di traditori. Vi fu uno scontro, e i miei genitori vennero uccisi nel primo assalto alla villa. Non c’era stato il tempo di parlare, di spiegare. Non c’è mai, in battaglia.”

Sospirai, rammentando con straziante dolore la rabbia dei miei genitori putativi.

“Quando scoprirono chi fossero i proprietari della villa, si fermarono, ma fu troppo tardi. Il danno era fatto. Prima di morire, mia madre sigillò in me questi ricordi, e Muath promise che mi avrebbe detto ogni cosa, al momento giusto.”

Rey mi strinse ancor più a sé, carezzandomi la schiena nuda - ormai priva di glifi - e i capelli sciolti in una massa intricata.

Mormorò parole dolci per confortarmi e, lentamente, un'altra verità venne a galla, un'altra sconcertante realtà.

Ma che spiegava i molti quesiti che mi ero posta, fin da quando il primo ricordo era giunto a me.

Sia Eithe che Sheridan, che Ciara, a suo tempo, avevano visto – e taciuto – sui glifi che avevano scorto sul mio corpo.

Durante le fasi concitate della preparazione al matrimonio di Sheridan, avevano scorto sul mio corpo quegli arabeschi, e se ne erano chieste la natura.

Io, semplicemente, avevo detto loro che si trattava di tatuaggi fatti sulla terraferma, nel corso dei secoli, e le mie amiche avevano preso per buona la spiegazione.

Nessuna di loro, però, pur toccandoli con delicatezza, aveva scatenato il risveglio dei ricordi.

E ora sapevo il perché.

Pur se umano, in Rey persisteva una piccola parte di sangue Tuatha, sufficiente a renderlo membro della mia genia.

Questo, gli aveva concesso di schiudere i miei ricordi, di darmi libero accesso al mio retaggio.

Sorrisi, di fronte a questa consapevolezza, di fronte alla sensazione di non essere davvero sola al mondo, non più unica sopravvissuta della mia antica stirpe.

Lo baciai con tenerezza e, preso il suo viso tra le mani, mormorai: “Sei un discendente dei Tuatha... sei parte della mia famiglia... sei il mio sangue.”

“Cosa?!” esalò, sobbalzando di sorpresa.

Si mise seduto sul letto, guardandomi a occhi sgranati, spaventati per la prima volta da qualcosa che non comprendeva.

Lo imitai, attirandolo a me per confortarlo e, nel massaggiargli la schiena come, in precedenza, aveva fatto con me, mormorai dolcemente: “Solo così, avrei potuto leggere i miei glifi. Solo grazie a qualcuno della mia stirpe, a un sopravvissuto.”

“Ma … ma io non sono...” balbettò, confuso e sperduto come un bambino.

Sorrisi ancor di più e lasciai che il mio abbraccio lo confortasse, lo conducesse lontano dall'oscurità di paura in cui era caduto.

“Una piccola parte di te, è come me. Non sufficiente a renderti immortale, ma più che sufficiente per donare a me la libertà, il pieno possesso del mio retaggio.”

“Litha...” ansò, ora stringendomi con forza e terrore assieme.

Risi, e alcune lacrime scivolarono sul mio viso.

Ma non fu per tristezza, quanto piuttosto per la gioia di aver trovato, nel mio primo amore, anche la mia vera famiglia.

Giacemmo così, stretti l'uno all'altra, sdraiati su quel letto sfatto, mentre il giorno giungeva ad abbracciarci con il suo calore.

Un giorno senza nubi, un nuovo inizio, per entrambi.

Senza più oscurità a minare i miei, i nostri passi, senza più segreti a conferire dubbi al mio pensiero.

Ora, sapevamo entrambi.

E sapevo anche cosa dovevo fare, per chiudere una volta per tutte la partita.

Quando trovammo il coraggio di alzarci, le nostre membra erano indolenzite, ma i cuori infinitamente più leggeri.

Per lo meno, il mio lo era.

Nel momento in cui riuscii a scorgere con chiarezza il viso di Rey, però, notai il dubbio nei suoi occhi color cioccolata e, preoccupata, gliene chiesi i motivi.

“Non infuriarti se te lo dico ma, ora che sai che i tuoi genitori adottivi non furono la vera causa di ciò che successe, cosa ti trattiene qui con me?”

Sospirai, crollando a sedere sul letto e, tenendolo per le mani, esalai esasperata: “Ma pensi davvero che ti abbia detto di amarti solo perché non avevo che te, al mondo, in quel momento? Mi reputi così superficiale?”

Rey non parlò, si limitò a inginocchiarsi dinanzi a me, abbracciandomi la vita per poi poggiare il capo tra i miei seni.

Gli accarezzai i capelli, affondando le dita in quelle onde scure e morbide e, più gentilmente, aggiunsi: “Rey, convinciti di essere degno di amore, così come di fiducia. Soprattutto da parte mia. Ti amo, e voglio restare con te. Indipendentemente da ciò che ho scoperto.”

“Cos'ho da offrirti?” mi domandò, incapace di trattenersi.

“Il tuo amore?” ironizzai a quel punto, sollevando il suo viso per guardarlo negli occhi.

Lui abbozzò un sorriso, e io lo baciai.

“E ti basterà?”

“Sento cose che non ho mai provato prima per nessuno, Rey, e sei stato tu a risvegliarle, non la mia necessità di trovare un nuovo centro alla mia vita. Sei tu. Punto. Convinciti di essere una creatura speciale e unica, per me.”

“E' difficile crederlo” ammise, rialzandosi per sedersi al mio fianco.

“Solo perché, nella tua vita, sei stato circondato da idioti, scusami se te lo dico. Ma i tuoi amici licantropi, la gente del mercato, nonnina... e immagino anche tuo nonno... loro avevano, e hanno, visto in te ciò che sei realmente, Rey.”

“E cioè?” volle sapere, guardandomi con una sorta di timorosa aspettativa.

“Un uomo di valore, coraggioso, sempre pronto all'altrui bisogno. Sai essere sempre sorridente, aiuti le persone anche con il tuo semplice ottimismo, con la tua volontà di vedere sempre il buono nella gente. Sei una persona positiva, solare, e questo rincuora le persone che ti stanno vicino, le rende più... più luminose.”

“Tu non ne hai bisogno. Sei già luminosa di tuo” replicò Rey, dandomi un bacetto sul naso.

Risi sommessamente.

“Oh, credimi, ero tutt'altro che luminosa, arrabbiata col mondo com'ero. Sei stato tu a mostrarmi un nuovo modo di vedere le cose, e un'altra via per affrontarlo. Volevo escludere tutti dal mio viaggio, invece mi hai fatto capire che i miei fratelli non avevano colpe, che meritavano di starmi vicino, poiché mi volevano bene.”

Gli carezzai una mano, e aggiunsi: “Mi hai dato il coraggio e il sostegno per affrontare i miei ricordi, e questo mi ha permesso di scoprire la verità, e di redimere due persone che avevo commesso l'errore di incolpare senza sapere tutto. Solo una persona speciale, poteva farlo.”

“La persona che ti ama?”

“Esatto” assentii, alzandomi e attirandolo con me in piedi. “Andiamo. Dobbiamo aiutare nonnina, e dirle cosa abbiamo scoperto.”

“Su entrambi noi?”

“Sì. Su me e te” assentii, avvolgendolo in un abbraccio.
 
***

Alla fine del racconto, nonnina assentì con apprezzamento e una punta di sorpresa, chiosando: “Beh, se non altro, sappiamo perché ho capito subito chi eri, bambina. Ti avevo riconosciuta dal sangue.”

“A quanto pare, sì.”

“E ciò risponde anche alle mie domande, riguardanti la capacità di Rey di schiudere i glifi. Davvero sorprendente” disse ancora Gwendolin, lanciandoci occhiate vagamente maliziose.

Suo nipote arrossì un poco, di fronte a quello sguardo inquisitorio mentre io, divenendo pura fiamma, mi coprii il viso con le mani e borbottai: “Ti prego, nonnina. Non guardarci così.”

Lei, per tutta risposta, rise divertita e replicò: “E perché mai dovresti imbarazzarti, bambina? Mi sembra che stiate bene, insieme. Siete una bella coppia, no?”

“Nonnina, ti prego...” esalò Rey, con voce gracchiante.

Evidentemente, anche il suo imbarazzo stava crescendo esponenzialmente, a giudicare dalla voce.

Gwendolin continuò tenacemente a ridere, godendosela un mondo a vederci così imbarazzati.

“Giovani! Vi preoccupate di cose così banali!”

“Non ti da noia che noi...” mormorai, non sapendo bene cosa dire.

Per tutta risposta, nonnina mi fissò maliziosa e, guardando per un attimo il nipote, celiò: “Bambina, se non ti fossi accorta che Rey era un bravo ragazzo, oltre che un bell'uomo, avrei dubitato della tua intelligenza.”

“NONNA!” sbraitò a quel punto Rey, levandosi in piedi per uscire di casa.

Gwendolin scoppiò in un altro accesso di risa, e a me non restò altro che accodarmi a lei.

Sentimmo la porta d'entrata sbattere, ma questo non fermò nonnina dal suo divertimento e, anzi, rinfocolò la miccia.

“Che ragazzone timido, eh?”

“Lo hai messo in un imbarazzo tremendo, nonnina” le feci notare, pur sentendomi avvampare a mia volta. Non ero messa meglio di Rey.

“E' solo bello vederlo così preso da una donna, bambina. Non è mai stato così. Non ha mai portato a casa le donne che incontrava, con cui passava il tempo.”

“Va detto che io, letteralmente, gli sono piombata qui tra capo e collo, però” ironizzai, scrollando le spalle.

Nonnina scosse una mano, non dando peso al mio dire.

“Ci sono state licantrope ferite, negli anni, che hanno tentato approcci più o meno velati, con lui. Il fascino del camice non colpisce solo le fan di George Clooney, o di Patrick Dempsey.”

Ridacchiai, nel sentirla parlare di due attori piuttosto belli, e apprezzati dal genere femminile di ogni età.

“Lui, però, si è comportato con estrema cortesia con tutte, con professionalità inattaccabile, anche nei casi più lampanti di approccio, e mai nessuna ha scalfito il suo cuore.”

I suoi occhi si fecero più dolci e malinconici, quando aggiunse: “Quando ti ha condotta in casa, invece, ho visto qualcosa di diverso, in lui. Lo avevi colpito, anche se non sapevo esattamente come.”

Sorrisi appena, rammentando il nostro primo incontro. Lo ricordavo con dolce malinconia, mista a una gioia di giorno in giorno più forte.

Mi ero rivolta a lui, sperduta, quando il mondo mi era parso ostile e vuoto.

Rey, allora, mi aveva presa per mano, facendomi capire che, molte delle mie paure, erano inesistenti.

“L'ho visto cambiare, risvegliarsi, accendersi di nuova vita, assieme a te... e sapervi innamorati non può che rendermi felice. So che non rimarrà solo.”

Mi preoccupai immediatamente, nel sentirla parlare così e, afferrate le sue mani scheletriche e fredde, asserii con veemenza: “ Non devi parlare così. Non succederà nulla, davvero.”

“Sono vecchia, bambina, e il ciclo della vita giunge al termine, anche per me. Ma va bene. Ho vissuto pienamente ogni giorno, e ho amato il mio Fred dal primo momento fino all'ultimo. Rimpiango solo di non aver saputo fare nulla di buono per il mio Roger, il padre di Rey e Conner. Con lui, ho davvero fallito.”

Sospirò, e scosse mesta il capo.

“Non è colpa tua. Si è padroni solo di se stessi, non degli altri. Sono sicura che gli hai insegnato tutto il possibile. E' stata poi una decisione sua, come vivere” la rassicurai, sorridendole. “Rey, per esempio, è cresciuto benissimo. Devo ancora smussare un paio di cose, ma lo amo anche perché non è perfetto. Come non la sono io.”

“La perfezione si ottiene assieme anche se scoprirai che, per quanto vi vogliate bene, ci saranno sempre ottime occasioni per litigare. Star bene insieme, non significa privarsi del diritto di avere le proprie idee e le proprie opinioni che, a volte, possono non collidere.”

Annuii, grata per quegli insegnamenti materni.

Muath era stata tante cose, per me, forse anche una madre amorevole, a suo modo.

Ma da lei non avrei mai ottenuto simili consigli, simili parole.

Semplicemente, non era nel suo carattere. Non potevo pretendere che le persone cambiassero per me.

La baciai sulla fronte, e mormorai: “Ora so cosa fare. Grazie, nonnina.”
 
***

Trovai Rey appollaiato su una staccionata, lo sguardo perso in direzione dei campi, inverditi dalla primavera inoltrata.

Ben presto, il grano saraceno sarebbe cresciuto con lunghe spighe scure mentre, più a est, sarebbero sorte le foglie spesse delle piante di patata.

Le pecore, liberate dal freddo inverno, pascolavano placide poco più in là, circondate e protette da un alto muretto a secco, su cui spiccavano i colori brillanti di alcuni fiori di campagna.

L'aria era greve di profumi, di aromi campestri, ma io percepivo più di tutto quello di Rey, che sapeva di muschio e di uomo.

Mi avvicinai e, con un balzo, mi accomodai accanto a lui, lasciando che la brezza mi accarezzasse il viso e i capelli, rilasciati sulle spalle.

Ormai raggiungevano la vita, in una lunga cascata nera e fluente.

Rey mi accarezzò con lo sguardo, lasciò che la sua mano scivolasse sulla mia vita per un attimo, prima che si perdesse tra le mie chiome.

Fin dall'inizio, i miei capelli avevano avuto un effetto magnetico su di lui, anche se non ne avevo mai capito il motivo.

Mi baciò sul collo, continuando ad accarezzarmi schiena e capelli e, sulla mia pelle, mormorò: “Scusami per nonnina. E' un'impicciona matricolata.”

“E' una brava nonnina, e le voglio molto bene” replicai, appoggiando il capo sulla sua spalla.

“Prima, pensavo al detto 'dalle stelle, alle stalle'. Per te, varrebbe più che per chiunque altro. Tu, che vieni dalle stelle, finiresti col vivere accanto a una stalla.”

Lo disse con ironia, ma una punta dell'antica insicurezza punteggiò la sua voce.

Perciò gli sorrisi e, ironica, asserii: “Io sono nata qui, non su Vanaheimr. E la tua è una bellissima casa. Mi piacciono i suoi mattoni rossi, e come l'edera si inerpica verso l'alto, colorandola di verde. Il tetto è solido, dai coppi arrotondati e color della terra che circonda la tua tenuta. Intorno a essa cresce un giardino di erica, bosso, cardo e rododendro. Ci sono betulle dai tronchi sottili e pallidi, che si alternano a robuste piante di carpino bianco e querce secolari.”

Mi volsi completamente verso di lui, e aggiunsi: “Non è una stalla. E' una fattoria splendida, tenuta ordinatamente, e che cela un segreto importantissimo. E io voglio condividerlo con te, assieme a tutto il resto.”

“Non posso che esserne felice. Ma...”

“Ma...” lo spronai a parlare, scrollandolo un poco.

“Devi parlare con i tuoi genitori adottivi, prima, e chiarirti con loro.”

Annuii, sapendo di non poter mentire su un punto in particolare, che ancora non gli avevo riferito.

Scesi a terra per abbracciarlo e, contro il suo petto, mormorai: “L'assassino dei miei genitori, Bress, è vivo. Tethra lo fece rinchiudere a vita nelle segrete di palazzo e, avendogli tolto la pelle di delfino, se mai riuscisse a scappare – cosa improbabile, tra l’altro – non potrebbe andare da nessuna parte. E’ confinato a Mag Mell fino all’ultimo giorno della sua vita.”

Rey si irrigidì, a quella notizia, e mi scostò da sé per guardarmi.

“Una fine meritevole, visto quello che ha fatto” chiosò lapidario, nello sguardo acciaio temprato.

Non avrebbe mai perdonato chi mi aveva ferito tanto e, anche per questo, lo amai ancora di più.

“Desidero parlare con lui e...”

Mi morsi il labbro inferiore, non sapendo se andare avanti o meno, ma fu lui a precedermi.

“Se ti sentirai di ucciderlo, fallo. Non avrei nulla da ridire, credimi. Ha fatto uccidere i tuoi genitori. Non merita il tuo perdono” mi disse con veemenza, nella stretta delle sue mani tutto il suo appoggio incondizionato.

Annuii, trovando la forza di sorridergli e, dopo aver sollevato le sue mani, ne baciai i dorsi, mormorando: “Non starò via molto. Solo lo stretto indispensabile. Niente e nessuno mi tratterrà laggiù, perché tu sei qui. E io ti amo.”
Rey annuì, mi diede un bacio sulla fronte e asserì: “Ti accompagnerei, se potessi, ma ho idea che Mag Mell non sia il luogo adatto per me.”

“No davvero!” asserii, scoppiando a ridere.

“Avvertirai Ronan, della tua decisione di tornare a Mag Mell?” si informò a quel punto Rey, tornando serio.

“Temo dovrò farlo. Se chiamasse qui, e non mi trovasse, potrebbe davvero perdere le staffe, stavolta” mugugnai, davvero restia a parlare del mio progetto con Ronan.

Con tutta probabilità, mi avrebbe metaforicamente staccato la testa dal collo, non appena lo avesse saputo.

“E’ giusto che sappia. Non devi più tenere fuori la tua famiglia dalla vita che conduci… o dalle decisioni che prendi” mi rassicurò Rey, sorridendomi.

Scrollai le spalle, a quel punto e, afferratolo a una mano, lo feci scendere dalla staccionata, chiosando: “Lo blandirai tu, quando urlerà come un’aquila spennata contro di me. Io me la darò a gambe molto prima.”

Rey rise di quel commento, ma io sogghignai.

Forse non aveva ancora capito com’era mio fratello, ma lo avrebbe scoperto presto.






Note: Molti nodi vengono al pettine e quasi tutti i segreti vengono svelati. Litha ha finalmente scoperto quanto, e come, siano stati coinvolti i genitori adottivi nella morte della sua vera famiglia, e di come suo zio Bress li abbia ingannati tutti.
Ma sarà così facile, per Litha, parlare con lo zio e avere da lui risposte o, ancora una volta, Muath e Tethra le impediranno di avere ciò che desidera?
A voi le ipotesi...
Per ora, vi ringrazio per avermi seguita fino a qui!
A presto!







 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 
 
11.
 
 
 
 
La pelle di delfino drappeggiata sulle spalle mentre, all’orizzonte, le nubi temporalesche stavano gonfiandosi pericolose, mi volsi a guardare Rey con un sorriso.

Lui replicò al mio e, nel contempo, si massaggiò l’orecchio destro.

Risi di quel gesto e Rey, sbuffando, bofonchiò: “Ti darò retta, la prossima volta che mi consiglierai di non dire qualcosa a Ronan. Sa essere davvero dispotico.”

“Quando conoscerai Sheridan, capirai perché vanno così d’accordo. Con le loro due teste unite, potresti demolire l’Irlanda intera” ghignai, allungandomi per dargli un bacetto.

Rammentavo ancora benissimo la telefonata della sera precedente… e l’inevitabile finale.

Ronan non solo aveva gridato come un’aquila, come avevo predetto, ma aveva insultato Rey per non avermi legata a un pilastro.

Più Rey aveva tentato di blandirlo, maggiori erano stati gli strepiti di mio fratello.

Alla fine, era dovuta intervenire Sheridan per sedare il marito, e solo a suon di minacce più o meno velate.

Rey aveva fissato dapprima il telefono, e poi me, prima di chiedermi se quei due fossero sempre così chiassosi.

Io mi ero limitata a scrollare le spalle e, con un laconico ‘ciao, ragazzi’, avevo riagganciato mentre ancora loro si urlavano contro l’un l’altra.

Sfiorandomi il viso con un dito, quasi volendo imprimersi il contorno del mio volto nella mente, Rey mormorò: “Ammetto che mi fanno quasi paura. Ma dimostrano anche di volerti un bene dell’anima.”

“Già. Se passi sopra alle urla, le minacce e le manie omicide di Sheridan, sono una coppia adorabile” ironizzai, lanciando un’occhiata dietro di me.

Il mare mi aspettava.

“Non impiegherò molto a tornare, promesso. Ma, se dovessi temere per me, chiama Rohnyn. Lui saprà come mettersi in contatto con gli altri miei fratelli” gli rammentai, poggiando la mia mano sulla sua, perché premesse sulla guancia.

Come avevo fatto a resistere tanti millenni senza il suo tocco, senza la sua solida presenza? Come?

“Spero proprio di non averne bisogno, credimi, specialmente dopo la nostra ultima telefonata. Comunque, aspetterò un giorno e una notte, poi lo chiamerò” mi promise, ritirando suo malgrado la mano.

Presi un gran respiro, annuendo sia a lui che a me stessa e, nel volgermi nuovamente verso l’oceano, mossi i primi passi verso l’acqua agitata.

“La tempesta ti creerà qualche problema?” mi domandò premuroso, seguendomi sulla battigia.

“No. Nuoto perfettamente con qualsiasi tempo.” Poi, sorridendogli a mezzo, aggiunsi: “Quando giunsi qui sulla terraferma, fu in una notte di tempesta.”

“Spero solo non sia un presagio infausto” brontolò Rey, prima di scuotere il capo, stamparsi in faccia il suo consueto sorriso tranquillo e strizzarmi l’occhio, complice.

Stava facendo davvero di tutto per non farmi preoccupare, e di questo lo ringraziai mentalmente.

Anche se non correvo reali rischi, nel rientrare a Mag Mell, non potevo non pensare a ciò che era successo a Rohnyn.

Non avevo davvero idea di come Muath e Tethra avrebbero preso il mio ritorno, né se mi avrebbero fatto entrare a palazzo, per la verità.

Mi avevano bandita? Chissà.

A ogni buon conto, meritavo di parlare con Bress, colui che aveva dato il via a tutta questa follia.

In un modo o nell’altro, lo avrei visto.

Infilai perciò i piedi nell’acqua, bagnando immediatamente gli scarponcini di pelle e l’orlo dei jeans, ma non vi badai.

Poco per volta, l’acqua lambì sempre di più il mio corpo, trasmettendomi la sua temperatura ben poco gradevole, così come l’energia dei flutti marini.

Avrei trovato correnti molto potenti, sott’acqua, ma la cosa non mi turbava.

Sapevo nuotare meglio di qualsiasi delfino, ed ero tra le migliori nuotatrici, tra i fomoriani.

Nessun problema, quindi.

I miei pensieri erano puntati su altro, non sul maltempo.

Mi immersi completamente, lasciandomi avvolgere dalla pelle di delfino e, dopo aver mutato, spuntai dall’acqua nella mia seconda forma.

Rey era ancora là, fermo sulla spiaggia deserta, gli occhi illuminati dalla sorpresa puntati su di me.

Sollevò una mano per salutarmi, rise un po’ nervosamente e, infine, gridò a gran voce, mettendo le mani a coppa perché la sua voce giungesse nonostante il vento.

“Ti amo, ricordalo!”

Balzai fuori dall’acqua, in risposta alla sua ammissione e, subito dopo, mi inabissai.

Il viaggio era lungo, anche per un fomoriano, perciò non attesi oltre e mi diressi verso Mag Mell senza ulteriori indugi.

Per tutto il tempo, immersa in quel liquido a me famigliare e che, per tanti millenni, era stata la mia seconda casa, pensai solo a Rey.

Ai suoi sorrisi, alle sue battute di spirito, a come si prodigasse per gli altri e mai per se stesso, a come avesse messo tutto se stesso nella fattoria e nel Santuario.

Nessun uomo, più di lui, avrebbe meritato il mio amore, ma era argomento da non affrontarsi, con i miei genitori adottivi.

Non avrebbero compreso, e il mio scopo, in fondo, era un altro.

Trovare le ultime risposte alle mie domande.

Da quel momento in poi, sarei stata libera, privata delle ombre che, per tanti millenni, mi avevano seguita senza che io ne fossi consapevole.

Quando infine raggiunsi la barriera di Mag Mell, mutai forma e, con un balzo, mi ritrovai su una delle strade laterali che conducevano a palazzo.

Lì, ripiegai la pelle di delfino e, drappeggiatala su un braccio, mi diressi a grandi passi verso quella che, per quattro millenni, era stata la mia casa.

Il mio abbigliamento, così come i miei capelli rilasciati selvaggiamente sulle spalle, attirarono più di uno sguardo.

Molti mi riconobbero e, forse, si chiesero che fine avessi fatto in tutto quel tempo, e perché indossassi abiti umani.

Degnai tutti loro solo di un’occhiata distratta.

Che pensassero quello che volevano. Non era più un mio problema soddisfare i dettami della Corte.

Macinando passi su passi con andatura militaresca, quella che mi si addiceva maggiormente, raggiunsi infine il cortile esterno di palazzo, e lì mi bloccai.

Una delle guardie, vedendomi e riconoscendomi, sobbalzò di sorpresa prima di raggiungermi di corsa.

Un breve inchino, dopodiché il soldato mi disse: “Bentornata, Altezza! Siamo stati tutti grandemente in ansia per voi. E’ bello scoprire che state bene.”

Accennai un sorriso – dopotutto, non mi avrebbero sbattuto fuori a calci – e dichiarai: “Sono rattristata di aver causato un simile scompiglio ma, come vedi, sto bene e sono in salute. Ti prego di dirlo a tutti, Nishtar. Avvisa gli uomini che non mi è successo niente.”

Con un cenno di assenso, lui si defilò per lasciarmi passare e, nell’entrare a palazzo, mi abbandonai a un sospiro di puro sollievo.

Nel giro di un’ora al massimo, tutti avrebbero saputo che ero tornata – con abiti umani – e, da lì in poi, sarebbe successo di tutto.

La Corte avrebbe chiacchierato, i soldati ancor di più e, nel giro di mezza giornata, tutta Mag Mell avrebbe saputo.

Come prima cosa, in ogni caso, mi diressi verso gli appartamenti di Stheta e, dopo aver bussato, mi ritrovai a fissare una sorridente Ciara.

“Ho avvertito il tuo tocco mentale fin da quando hai passato la barriera!” esalò la donna, abbracciandomi con forza. “E’ così bello rivederti, Lithar!”

Sorrisi, lasciandomi abbracciare e abbracciandola a mia volta.

Mi era mancata, nonostante tutto, e sentire Ciara accanto a me fu un toccasana per le mie ansie.

“Stheta non ti ha detto, dunque?” mormorai, quando mi scostai da lei.

Ciara allora annuì, rise sommessamente e ammise: “Lo dimentico tutte le volte. Sì, mi ha detto che ti chiami Litha mac Elathain, in realtà.”

“Tu potrai sempre chiamarmi come vuoi” la rassicurai, prima di sbirciare all’interno dei loro appartamenti.

“Se cerchi Stheta, si trova da Tethra. Non so di cosa volesse parlargli, ma è uscito stamattina presto, e non è ancora tornato” mi spiegò Ciara, uscendo dall’appartamento assieme a me. “Ti accompagno. Non voglio che ti aggiri per il palazzo tutta da sola.”

“Meno male che non sono l’unica ad avere delle remore a star tranquilla” ironizzai, piazzandomi al suo fianco.

Ciara afferrò il suo corto spadino da cerimonia, che allacciò alla cintura di filigrana che portava in vita, e celiò: “Con questi abiti e i capelli al vento come una selvaggia, potresti far venire un infarto a qualcuno. Meglio partire prevenute, visti i precedenti.”

Assentii e, di comune accordo, ci recammo da Rachel e Krilash per ulteriore supporto morale … e tattico.

Rachel mi abbracciò con calore e non si stupì minimamente dei miei abiti, decisamente più abituata degli altri alla vista di jeans e camiciole di cotone.

Krilash, invece, mi guardò con estrema preoccupazione e mi domandò: “Non sarebbe il caso di passare dai tuoi appartamenti per un cambio d’abito? Così, sfidi parecchio la sorte.”

“Non mi interessa molto quello che pensano, Krilash, credimi” replicai senza alcuna acredine. “Sono qui per vedere una persona e, con o senza il loro consenso, la vedrò. Dopodiché, tornerò sulla terraferma, perciò non c’è bisogno che io mi cambi. Non sono qui per restare.”

“E chi avrebbe così tanto ascendente su di te, da farti abbandonare la terraferma e il tuo umano anche per un così breve periodo?” mi domandò mio fratello, con tono ironico. “Non penso tu sia venuta a trovare noi.”

“E’ colui che fece uccidere i miei veri genitori” dichiarai lapidaria, azzittendo di fatto qualsiasi altra domanda.

Avrebbero saputo tutto a tempo debito, ma non lì, non in un anonimo corridoio di palazzo.
 
***

Quando venni annunciata dal paggio di Tethra, impettito di fronte al suo studio di palazzo, si udirono dei passi concitati e, un attimo dopo, mi ritrovai tra le braccia di Stheta.

Krilash, Rachel e Ciara entrarono silenziosi nella stanza mentre mio fratello maggiore, sempre tenendomi accanto a sé, mi sorrise sollevato, esalando: “Avevo ricevuto rassicurazioni, però… beh, vederti è sicuramente meglio.”

“E’ bello essere visti, come vederti, Stheta” lo rassicurai, scostandomi da lui un attimo dopo per lanciare un’occhiata a Tethra.

Imponente nei suoi quasi tre metri di altezza, svettava su tutti i presenti per stazza e fierezza, ma io non mi lasciai intimidire.

Era in piedi, semi nascosto dalla scrivania marmorea, e mi stava scrutando con un’alternanza di emozioni che non seppi comprendere.

Avanzai sui tappeti che ricoprivano il pavimento di marmo e, con un leggero cenno del capo, mormorai: “Vostra Maestà. Lieta che mi abbiate concesso di entrare.”

“Lasciateci soli” ordinò a tutti i presenti, con tono lapidario e freddo.

“Con tutto il rispetto, padre, resteremo. Abbiamo alle spalle fin troppi precedenti, per poterci fidare” replicò serafico Stheta, appoggiandosi a una delle poltrone.

Lo sguardo che Tethra gli lanciò avrebbe potuto uccidere, se lui avesse avuto un simile potere, ma Stheta non vi badò in alcun modo.

Krilash fece graziosamente accomodare su un divano moglie e cognata poi, con aria altrettanto pacifica, si affiancò al fratello e ghignò.

Entrambi si trovavano dietro di me, come a volermi coprire le spalle in vista di un attacco a sorpresa.

Tethra non apprezzò neppure un po’ quel comportamento, ma lasciò perdere tutto e, al paggio, ordinò di andare a cercare Muath.

Questi si fiondò fuori alla velocità del fulmine e a quel punto, accomodandosi alla sua scrivania, colui che era stato mio padre per quattromila anni, parlò.

“Hai avuto una bella faccia tosta, a presentarti qui conciata in questo modo.”

“Non credo dobbiate curarvi di cosa indosso, sire, quanto piuttosto di offrirmi una spiegazione in merito alla mia nascita.”

“Mesi fa, ti rifiutasti di ascoltare, e scappasti come una vile senza nerbo. Non ti abbiamo mai insegnato a piangerti addosso!” replicò Tethra, aggrottando la fronte.

Percepii, senza bisogno di volgermi, la rabbia proveniente dai miei fratelli, ma non mi opposi al loro giusto riflesso.

Che Tethra capisse quanto, il suo dire, angustiava non solo me, ma anche i suoi veri figli.

“Ero giustamente sconvolta, sire, ma ora so, so di chiamarmi Litha mac Elathain, famiglia che voi avete tolto da qualsiasi albero genealogico perché io, o chiunque altro, notasse la mia rihall. So che il generale Bress altri non è che il fratello del mio vero padre, Oghma mac Elathain. So che fu lui a ordire il piano per farvi assassinare la mia famiglia.”

Tethra aggrottò la fronte nell’udire quei nomi, quei fatti lontani nel tempo, ma non mi chiese come fossi giunta a una simile scoperta.

Tornò a levarsi in piedi, le mani dietro la schiena, e raggiunse una delle finestre che davano sul cortile interno.

Il suo sguardo torvo era in tutto simile alla tempesta che mi ero lasciata alle spalle, giungendo lì.

“Hai scoperto la chiave per schiudere i glifi?” mi domandò alla fine, sorprendendomi un poco.

Lui mi guardò da sopra una spalla, accennando un sorriso canzonatorio, e aggiunse: “Tua madre, prima di spirare, ci  disse che, ogni mille anni circa, un ricordo sarebbe riaffiorato attraverso un glifo sulla tua pelle e che, per farti dono delle tue memorie, avremmo dovuto trovare un tuo discendente nelle terre appartenute ai mac Elathain su suolo irlandese. Naturalmente, come saprai, non ne esistono. O almeno, così pensavo fino a ora.”

“Colui che mi ha aiutata appartiene alla mia gente, anche se per discendenza assai lontana” gli spiegai, annuendo serafica.

“Ebbene? Cosa vuoi da noi? Vendetta? Un pegno per onorare la tua vera famiglia? Rivuoi le terre dei tuoi veri genitori?”

Il suo tono rasentò così tanto l’ironia che fremetti, stringendo i pugni per l’ira.

“Non vi importa proprio nulla di aver levato la mano sui miei genitori?!”

“Era la guerra, Litha e, anche se siamo stati attirati in casa di tuo padre con l’inganno, se lo avessi incontrato sul campo di battaglia, lo avrei combattuto onorevolmente, se lui mi avesse sfidato mettendosi contro la sua stessa gente.

Sospirò, si passò una mano sul volto – per una volta – stanco, e aggiunse: “Non vado fiero dell’inganno a cui ci ha sottoposto Bress, ma questo non cambia le cose. Se Oghma si fosse schierato con i Tuatha per amore di sua moglie, io lo avrei ucciso.”

La porta dello studio si aprì di getto, prima che io potessi parlare – urlare qualsiasi cosa – e, sulla soglia, Muath mi fissò con occhi che sprizzavano scintille.

Si avvicinò livida, scansando a forza sia Krilash che Stheta e, levata una mano verso di me, ringhiò: “Scellerata che non sei altro!”

Calò la mano per colpirmi ma io la intercettai, deviandola e, con agilità, mi allontanai da lei replicando: “Ma che accoglienza calorosa, Vostra Maestà!”

Lei mi fissò ai limiti della furia, ma nei suoi occhi scorsi anche qualcosa che mai, in Muath, avrei pensato di vedere.

Lacrime.

Mi raddrizzai ben lontana da lei, fissandola senza astio, ma neppure amorevolmente e, lapidaria, domandai: “Non pretendete senza dare, mia regina?”

“Ti ho dato la vita!” sbraitò allora lei, sferzando l’aria con le braccia.

“Mi avete dato in pegno una menzogna, pur se vi concedo che non avete calato su di me la mannaia. Solo su mia madre.

Colei che avevo considerato madre per quattromila anni impallidì, divenne furia un attimo dopo e, rabbiosa, fece per replicare al mio attacco.

“Muath, ora basta!” le ordinò Tethra, ricevendo però, per diretta conseguenza, un insulto da parte della moglie.

“Sono quattromila anni che mi prendo cura di lei e, al minimo accenno di un problema, mi abbandona!” protestò con rabbia la regina, comportandosi alla stregua di una bambina.

Rimasi immobile e silenziosa, mentre Tethra tentava di giungere a più miti consigli con la moglie.

“Era tua cura dirle la verità, invece hai sempre tentennato, sempre procrastinato a data da destinarsi. Quattromila anni sono tanti, da portare sulle spalle senza sapere. Ti avevo pur detto di non tenerla con te, di consegnarla a una famiglia di Tuatha, dove sarebbe cresciuta con la sua gente, i suoi ricordi, gli usi e i costumi della sua gente, ma tu no, non mi hai dato retta!”

Quelle parole mi sorpresero, riportando alla mente una frase che, mesi addietro, aveva lasciato nel dubbio sia me che i miei fratelli.

Tu compisti la tua scelta, a suo tempo, ora io ho compiuto la mia.

Tethra si era rivolto alla moglie con parole di fuoco, quando Rachel e Fay erano state accettate come eredi dei mac Cumhaill.

Ora sapevo perché. Solo Muath mi aveva voluta lì; non fu una scelta presa di comune accordo.

Tethra aveva pensato fosse più giusto e corretto lasciarmi ai Tuatha, dove i miei genitori avevano vissuto fino a quel momento.

Dove io avevo vissuto fino a quel momento.

Muath, però, si era ribellata a quella scelta, concedendomi il passaggio verso il mare con la sua pelle di delfino.

“Non è una scusa sufficiente per andarsene! Ma ora non commetterà più lo stesso errore” sbottò Muath, tornando a rivolgersi a me.

Parimenti, Stheta e Krilash snudarono le spade, ponendosi dinanzi a me per difendermi dalle mire della loro madre.

“Non vi permetteremo di fare a lei ciò che faceste a Rohnyn!” si infuriò Stheta, nominando colui che, di fronte a Tethra, era vietato nominare.

“Non osare fare il suo nome!” sbraitò suo padre, infuriandosi per diretta conseguenza.

“Litha non rimarrà qui, se non vuole!” aggiunse Krilash, non meno furente del padre.

Ciara e Rachel si levarono leste, giungendo al mio fianco ma io, non volendo scatenare una guerra con la mia sola presenza, urlai a gran voce: “ORA BASTA! Non sono qui per litigare, né per rimanere. Voglio solo ciò che mi spetta. La vita dell’uomo che, per primo, tramò contro di me!”

“Come sai di Bress?” esalò Muath, impallidendo di colpo, la furia ormai del tutto scemata dal suo volto.

“Mi sono impadronita dei miei ricordi, e ora so che non fu del tutto colpa vostra, ciò che avvenne. Non vi chiederò perdono per essermene andata, e neppure vi riterrò direttamente responsabili. Sono tornata solo per un motivo. Per la vita di Bress.”

“Deve scontare una condanna ad eternam. Non ti lascerò ucciderlo. Sarebbe troppo facile, per lui” replicò gelido Tethra, fissandomi con occhi carichi di risentimento.

Era chiaro come, a distanza di millenni, il tradimento gli pesasse ancora. Nessuno poteva ingannare il grande Tethra mac Lir.

“Ho comunque diritto di vederlo. Di capire” ribattei, fermamente convinta di avere, dalla mia, tutte le ragioni del mondo.

“Andandotene da qui, hai perso ogni tuo diritto” mi rabberciò Muath, avanzando ancora di un passo. “Te l’avrei concesso, se fossi rimasta, se ci avessi ascoltato. Ma hai preferito fuggire, comportandoti come una sciocca sentimentale. Non ti abbiamo addestrata per essere questo.”

La mia vera famiglia si chiuse attorno a me, simile a un guscio protettivo e, con un sorriso mesto, sentenziai: “Negatemi questa ultima richiesta, e non mi rivedrete mai più.

Le mie parole parvero andare a segno, ma nulla uscì dalla bocca di Muath. Né da quella di Tethra che, sospirando, tornò alla sua scrivania, intrecciando le mani sul ripiano di marmo.

Fu così che me ne andai. Uscii di gran carriera dall’ufficio di colui che, per quattromila anni, avevo chiamato padre, senza dire una parola.

Stheta e gli altri mi seguirono per sicurezza ma, quando ci ritrovammo tutti nel corridoio, la voce di Muath giunse rabbiosa alle nostre spalle.

Mi volsi, guardandola con livore, e lei rise sarcastica.

“Vattene pure, torna dall’uomo impuro che ha segnato le tue carni. Ma sappi una cosa. Non potrai mai averlo!”

Aggrottai la fronte, replicando gelida: “Brucerò la pelle di delfino, esattamente come fece Rohnyn. Bandirò l’immortalità dalle mie carni, e sarò come lui.”

Non volli sapere come avesse capito che, dietro al mio comportamento, c’era un uomo.

Dopotutto, Muath era una potente sensitiva, perciò non faceva specie che avesse compreso, almeno in parte, la verità.

Lei rise ancora più forte, irridendomi con lo sguardo e, con il gelo nella voce, dichiarò livida: “Rinunciare alla livrea non cambierà nulla, nel tuo caso. Hai anche puro sangue Tuatha, nelle vene, non solo sangue fomoriano. E l’immortalità dei tuoi antenati non può essere cancellata.”

Impallidii a quelle parole, ma non volli cedere di un millimetro sui miei intenti, o dimostrarle quanto, le sue parole, mi avessero raggelata.

“Tornerò ugualmente da lui” replicai pacata, raddrizzando le spalle che, impercettibili, erano crollate in avanti a quella notizia.

Muath allora si mosse verso di me di un passo, storse la bocca e ringhiò feroce: “Dovresti dargli tutto il tuo sangue, per renderlo come te. Ma varrebbe davvero la pena, donare l’immortalità a un mortale, Litha? E tu sopravvivresti, a un simile scambio?”

Non le risposi e, volgendole le spalle, proseguii lungo il corridoio, seguita a ruota da Stheta e gli altri.

Muath non si diede per vinta e, sempre più furiosa, urlò stentorea: “Niamh permise a Oisin di rimanere qui per trecento anni, grazie al suo sangue! Ma neppure lei ebbe il coraggio di andare fino in fondo, di donarglielo completamente, e alla fine lo perse! E Niamh era la donna più coraggiosa che io avessi mai conosciuto! Puoi dire lo stesso, tu, che sei fuggita da me?!”

Non mi volsi, mi rifiutai di mostrarle quanto, il suo livore e la sua rabbia egoista, mi avessero fatto male e, con passo sicuro, mi allontanai da lei.

I miei fratelli e le mie cognate mi seguirono, unendo al mio silenzio il loro.

Quando fummo a distanza di sicurezza per non essere più uditi, Krilash si rivolse a me con tono rassicurante.

“Vedremo di convincerli noi, Litha. Te lo devono.”

“Krilash ha ragione. Ci parleremo noi” aggiunse Rachel, prendendomi sottobraccio per poi sorridermi.

Replicai al suo sorriso con uno molto meno fiducioso e Ciara, sul mio lato libero, la imitò, aggiungendo: “Non sei sola, e tutti noi ti aiuteremo in questa battaglia.”

“Quanto alle sue ultime parole, non vi badare. Era irritata e furiosa, e sai benissimo che farebbe qualsiasi cosa, pur di ferire chi le fa perdere le staffe” soggiunse da ultimo Stheta, sorridendomi benevolo.

Assentii, ma non me la sentii di cancellare dalla mente quel monito.

Avrebbe avuto senso, dopotutto.

Io non ero come loro.

Non del tutto, almeno, e questo avrebbe potuto creare delle difficoltà.

Inoltre, se anche mi fossi arrischiata a donare tutto il mio sangue a Rey, che ne sarebbe stato di me?

Sarei morta, lasciando lui solo per l’eternità. Letteralmente.

“Che tu sia maledetta, Muath” ringhiai, adombrandomi in viso.







Note: Se pensavate che le sorprese fossero finite, vi sbagliate. Grazie - o a causa - della sua doppia natura - Litha avrà veramente l'impossibilità di perdere la sua lunga vita come, tempo addietro, aveva potuto scegliere di fare Rohnyn, o Muath lo ha detto solo per rabbia e risentimento?
E Bress rimarrà per sempre il suo sogno incompiuto, o lascerà perdere, in favore di qualcosa di più importante?
Non vi lascerò nel dubbio per molto ma, per ora, vi ringrazio di essere giunte fino a qui con me.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 
12.
 
 
 
 
 
 
L'umidore della nebbia penetrava nella mia pelle, mordendo le carni e le ossa.

Il cielo era invisibile, in quella coltre bianca e uniforme e, nel percorrere le ultime centinaia di iarde che ci dividevano dalla proprietà, mi volsi a guardare Stheta.

Aveva insistito per accompagnarmi fino a Harrysgrove, ben deciso a conoscere Rey.

Nulla era valso a farlo desistere.

Forse, era infuriato non meno di me dal comportamento di Muath, forse aveva bisogno d'aria per ritemprarsi.

O forse, da fratello maggiore, voleva sincerarsi su chi fosse Rey.

Quest'ultima ipotesi mi fece fremere.

Non ero una sciocca, cosa credeva!

Ugualmente, non avevo protestato, quando eravamo partiti assieme da Mag Mell, e non avrei protestato al nostro arrivo alla fattoria.

Stheta si meritava un pizzico di fiducia, da parte mia.

Quando infine raggiungemmo il cancello – aperto – sentii, più che vedere, l'arrivo trottante di Vivianne che, abbaiando allegra, mi fece le feste tutta giuliva.

Mi piegai su un ginocchio, accarezzandola e abbracciandola, facendole grattini dietro le orecchie, ugualmente felice di vederla.

Stheta ristette al mio fianco, in piedi, osservando la scena con un sorriso e, solo in quel momento, ricordai un particolare.

Non aveva mai visto un cane da vicino. Certo, aveva avuto a che fare con i suoi cugini mannari, ma non era la stessa cosa.

“E' buona, anche se è bella grossa e potrebbe far pensare il contrario. Si chiama Vivianne” gli spiegai, rialzandomi in piedi. “Vivianne, lui è mio fratello Stheta.”

La cagnona si avvicinò guardinga a Stheta che, dubbioso, allungò una mano per farsi annusare.

“Ciao, bella” mormorò, accarezzandola quando il cane cominciò a scodinzolare.

Sorrise, forse sentendola così morbida e calda e, ammiccando al mio indirizzo, chiosò: “E' davvero stupenda.”

“Lo sa. Vivianne è piuttosto vanitosa” risi sommessamente, aspettandomi di veder comparire Parsifal da un momento all'altro.

Detto. Fatto.

Neppure tre secondi dopo, il gatto tigrato trotterellò sui suoi cuscinetti morbidi e, con un balzo, fu tra le mie braccia, accogliendomi con i suoi ron-ron rumorosi.

Stheta fece tanto d'occhi e io, nel mostrarglielo, mormorai: “Lui è Parisfal, ed è il figliocco di Vivianne. Lo so che suona strano, ma lo ha allevato lei.”

Accarezzato anche Parsifal, Stheta lo prese in braccio per coccolarlo meglio, e Rey scelse quel momento per comparire attraverso la nebbia spessa e umida.

I suoi passi cadenzati calpestarono la ghiaia, avvertendoci del suo arrivo e, quando lo vidi, scoppiai subito a ridere.

Aveva lo sguardo aggrottato, e l'aria di uno che avrebbe volentieri preso a pugni Stheta al minimo segnale di pericolo.

E tutto perché era accanto a me.

Anche mio fratello se ne accorse e, rivolgendosi a me, celiò: “Spiegati alla svelta, o mi vedrò costretto a malmenarlo.”

“Tu non farai nulla del genere” lo minacciai bonaria, correndo poi incontro a Rey per abbracciarlo.

Lui mi avvolse protettivo tra le braccia, dandomi un bacio che sapeva di amore e di proprietà e, sorridendo divertita, mormorai: “Calmati, è solo mio fratello.”

Rey si chetò un poco, ma non più di tanto e, sempre tenendomi saldamente al suo fianco, avanzò verso Stheta e disse: “E' buona cosa che Parcy e Viv ti abbiano concesso di entrare. Depone a tuo favore.”

Stheta lasciò andare Parcifal con un certo rammarico e, annullata la distanza che ci separava, allungò una mano verso Rey.

“Spero di conquistare anche te. Io sono Stheta mac Lir, fratello maggiore di Litha. Molto piacere.”

Rey levò immediatamente un sopracciglio, riconoscendo quel nome e, lanciatomi uno sguardo sorpreso, mormorò: “L'erede al trono?”

“Esatto” assentii, sorridendo un po' scioccamente.

A quel punto, con mia grande sorpresa, Rey si fece ancora più ombroso e Stheta, confuso non meno di me, disse: “Temo di aver fatto qualcosa di male senza saperlo. Puoi rendermi edotto?”

“Se sei venuto per convincere tua sorella a tornare a Mag Mell, prendi la via del ritorno alla svelta. Sarò un semplice mortale, ma ti stenderò comunque con un pugno. Litha rimane qui con me.”

Il suo tono fu così perentorio da sorprendermi.

Non l'avevo mai sentito puntare i piedi a quel modo, difendere così strenuamente ciò che era suo.

Era un'autentica novità, e sapere che ero stata io a scatenare il suo ego, mi diede una certa soddisfazione.

Stheta, allora, scoppiò in una grassa risata e io, nell'abbracciare stretto Rey, esclamai: “Non aver paura, va tutto bene. Voleva solo conoscerti.”

Poggiate le mani sui fianchi, Stheta chiosò con calma: “Dubito che, al mondo, esista qualcuno che possa dire a Litha quello che deve fare. O non fare. Ha sempre agito di testa sua e, da come la difendi, non posso che essere felice che abbia trovato te, sulla sua strada.”

“Anche se vivo in una fattoria che, di principesco, ha ben poco?” protestò Rey, non ancora del tutto convinto.

Mio fratello non badò minimamente alla sua insinuazione e, lanciata un'occhiata alla casa di mattoni rossi, sorrise.

Si avvicinò a grandi passi, sfiorando il muro esterno, dove cresceva l'edera rampicante.

Rey lo seguì con lo sguardo, torvo e serioso in viso.

“Litha mi ha detto che sei un Guardiano, il protettore di un Santuario per licantropi” mormorò Stheta, voltandosi a mezzo per guardarci.

“E' il mio ruolo ufficioso, sì” assentì Rey, al mio fianco.

Annuendo, mio fratello tornò a guardare la casa e, quasi tra sé, asserì: “E' solida e forte, così come chi vi abita. E' un luogo sicuro in cui vivere. Inoltre, ci sono pace e serenità.”

“Perché non gli mostri le pecore? Credo che Stheta non ne abbia mai vista una in vita sua” suggerii a Rey, vedendolo accigliarsi al solo pensiero. “E smettila di fare il permaloso! Stheta non è un montato spaccone figlio di papà.”

“Credo di non sapere neppure che significa” ironizzò a sua volta Stheta, fissandomi dubbioso.

Con una scrollatina di spalle, gli dissi per tutta risposta: “Te lo spiegherò dopo, fratellone.”

Detto ciò, lo presi sottobraccio e, in barba al cipiglio di Rey, condussi mio fratello nella stalla.

Il belare delle pecore ci accolse al nostro arrivo e Stheta, nell'entrare, fece tanto d'occhi, esalando: “Ma quante sono?”

“Un centinaio, più o meno” gli spiegai, indicandogli i macchinari presenti e come venissero svolti i lavori all'interno dello stallaggio.

Mio fratello ascoltò attento e, per tutto il tempo, Rey ci seguì, ombroso come una giornata di tempesta.

Il suo umore non migliorò, quando mostrai a Stheta la zona in cui produceva il formaggio, ma non vi diedi peso.

Doveva capire che la gente intelligente non lo giudicava inferiore, e solo perché amava vivere di ciò che produceva; solo chi non capiva il suo impegno, poteva farlo.

Stheta assaggiò, si complimentò e, nell'uscire dalla cascina, si aprì in un sorriso speciale, deliziato.

La nebbia si era diradata, permettendo la visione dei campi verdi, del bosco nelle vicinanze e del giardino che cingeva la casa.

“E' un posto davvero bellissimo” mormorò ammirato.

Sorrisi tronfia a Rey che, sospirando, levò le mani in segno di resa e, sorridendomi genuinamente, ammise: “E va bene, ho capito. Tuo fratello non è un completo idiota.”

Stheta lo fissò falsamente accigliato, replicando: “Completo? Idiota?”

“Ammetto che puoi davvero apprezzare la mia fattoria, va bene? Ma pensi sul serio che non sappia a cosa sta rinunciando Litha, restando qui?”

“Rinuncia a cose che non le interessano, che non valgono neppure la metà di quello che le vedo negli occhi tutte le volte che ti guarda” replicò mio fratello, scaldandomi il cuore.

Guardandomi, Rey mi domandò per contro: “Sei riuscita a vedere Bress?”

Era evidente che non era ancora convinto di quel che diceva Stheta, e voleva innanzitutto prendersi cura di me. Come sempre.

Sbuffai, scuotendo il capo in risposta alla sua preoccupazione.

“Non me l'hanno permesso, anche se Krilash e gli altri mi hanno promesso che tenteranno di farli ragionare. Smuovere un'isola sarebbe più facile, a parer mio, comunque...”

“Mi spiace” mormorò, sfiorandomi il mento con un buffetto.

Sorrisi, e Stheta asserì con aria soddisfatta: “E' questo che intendo. Riesci a renderla felice, anche quando so che è furiosa e indispettita. Credi che sia un dono da poco, per un fratello, vedere la propria sorella così appagata?”

“Penso di no, anche se non ho esempi a confutazione” ammise Rey, ghignando sarcastico.

“Suo fratello è uno stronzo” mi lasciai sfuggire, facendo sorridere Rey.

“Dovremmo presentargli Sheridan. Lo metterebbe al tappeto con un pugno, e poi ci camminerebbe sopra ballando una giga” ironizzò Stheta, scoppiando a ridere subito dopo.

“Ho avuto un assaggio verbale della sua … dolcezza. Sembra davvero tremenda” ironizzò Rey.

“Non tremenda, no. E' dolcissima... quando vuole. Diciamo che è difficile metterle i piedi in testa. Chiedi a Stheta.

Una volta gli ha sparato addosso, oltre a dargli un pugno in faccia.”

“Eccome!” esclamò a quel punto mio fratello, esplodendo in un altro accesso di risa.

“Sapete di essere strani, vero?” mi fece notare Rey, pur sorridendomi.

“Come ha detto mio fratello, eccome!”

Risi anch'io e, a Rey, non restò altro che unirsi alla risata.

E rilassarsi, finalmente sicuro che Stheta non lo avrebbe giudicato, né avrebbe denigrato il suo piccolo mondo perfetto.
 
***

Seduto al mio fianco sul divano, mentre io ero poggiata a lui in totale rilassatezza, entrambi osservavamo Stheta a colloquio con nonnina.

Appariva più stanca del solito, pallida, ma ben decisa a chiacchierare con il nostro illustre ospite a ogni costo.

E Stheta sembrava addirittura ammaliato da lei, dal suo colloquiare, dalla sua infinita saggezza.

Balzai in piedi solo quando nonnina desiderò ritirarsi per la notte e, presala in braccio senza problemi, la portai in camera sua per rimboccarle le coperte.

Lì, accesi la sua luce da notte, soffusa e dalle sfumature cremose, e le sorrisi.

Mi inginocchiai a terra, poggiando gli avambracci sul letto, e vi depositai il mento.

I miei occhi la squadrarono amorevoli e preoccupati – nelle ultime settimane, si era fatta di giorno in giorno più stanca – e lei, sorridendomi, mormorò: “Hai un bravo fratello, cara. È molto affezionato a te, si vede bene.”

“Siamo cresciuti affrontando mille difficoltà, e questo unisce molto” assentii, sapendo di dire la verità.

“Mi è spiaciuto sapere di Bress, però.”

Scossi il capo, incurante.

“Non è importante. Desideravo parlare con lui, chiarire alcuni punti, ma posso anche soprassedere. Di certo, questo non minerà il mio animo, o cancellerà la felicità che provo.”

Era vero.

Pur se ero partita per Mag Mell con tutte le intenzioni di portare vendetta e, soprattutto, vedere in faccia chi aveva condannato a morte i miei genitori, tutto era scemato.

Mi era bastato confrontarmi con Muath e Tethra, per rendermi conto di quanto fosse sterile il mio desiderio.

Era stato mosso dalla vecchia me, dal mio lato più feroce, da quel lato di me cresciuto – e rinvigorito – dai millenni passati sotto lo stretto controllo fomoriano.

Lì ero stata allevata, ne avevo assimilato pregi e difetti ma, soprattutto, avevo fatto mio il loro pensiero.

E questo comprendeva anche una buona dose di rabbia e furia, da sfogare interamente sul proprio nemico.

Stare con Rey mi aveva aiutato, invece, a venire a patti con questa rabbia, a declinarla, a renderla innocua, non distruttiva, a darle una nuova forma.

Certo, non sarei mai stata una ragazza tranquilla, e ben volentieri avrei perso le staffe, se qualcosa non fosse incorso nel mio plauso.

Ma avevo imparato a pensare, prima di agire, a soppesare i pro e i contro, invece di partire a testa bassa per portare vendetta al disonore.

C'erano momenti in cui colpire, altri in cui desistere. E riflettere.

Questo, era uno di quei momenti.

Non vedere Bress non mi avrebbe minata nel profondo, mi avrebbe solo impedito di conoscere le sue motivazioni.
E potevo ben vivere senza.

“Brava, Litha. Non sempre, serve sapere tutto.”

Mi sorprese sentire il mio nome uscire dalle sue labbra perché, a conti fatti, nonnina mi aveva sempre chiamato 'bambina', oppure 'cara'.

Evidentemente, ai suoi occhi ero finalmente maturata.

Mi rialzai, deponendo un bacio sulla sua fronte e, in silenzio, mi chiusi la porta alle spalle, tornandomene in salotto.

Nel sentire Rey e Stheta parlare, però, mi bloccai dietro l'angolo del corridoio per ascoltare le loro parole, curiosa di sapere cosa si stessero dicendo in mia assenza.

“Posso tornare a casa tranquillo, ora. Anche se rimane da discernere ancora un punto.”

“E quale?” si informò Rey, curioso.

La voce di Stheta si fece ombrosa, insicura, come se non fosse certo di come esprimersi.

“Muath ci ha detto una cosa che mi ha turbato molto. Non è sicuro che, eliminando la pelle di delfino, lei possa perdere la sua longevità come è avvenuto per Rohnyn.”

Rey non disse nulla, e Stheta proseguì.

“Il suo sangue immortale le impedirebbe di compiere appieno il mutamento, perciò perderebbe solo il suo diritto a vivere sul fondo dei mari.”

“E questo la farebbe infuriare, vero?” ironizzò a quel punto Rey, sorprendendomi un poco.

“Non ti darebbe noia?” si informò Stheta, curioso non meno di me.

Percepii il sorriso nella sua voce, e una piena consapevolezza di sé e dei suoi sentimenti.

“E' stato abbastanza scioccante, scoprirmi innamorato di lei, credimi. Certo, non ho gli occhi sotto le scarpe, e mi sono accorto subito di quanto fosse bella. Ma non è questo che ha cambiato le carte in tavola, con lei.”

“Lo spero, o dovrei ricredermi su entrambi voi” ironizzò Stheta, e io desiderai prenderlo a schiaffoni. Perché lo stava interrompendo?!

“L'ho osservata per lungo tempo, in silenzio, mentre combatteva la sua battaglia contro la scoperta della propria diversità, della sua totale mancanza di certezze. A mio modo, e molti anni addietro, mi ritrovai a mia volta a lottare contro emozioni simili.”

Sospirò, e avvertii il fruscio della sua mano tra i capelli.

“Quando seppi la verità sul Santuario, non riuscii a capire subito perché i miei genitori, o Conner, non fossero stati inseriti in questo progetto. Scoprire le loro lacune, la loro superficialità, fu sconcertante, avvilente. Così come scoprire che i miei nonni, ben prima di me, avevano scorto la loro totale mancanza di interesse verso gli altri. Da genitori, non deve essere stato facile.”

“Ho ottimi esempi in famiglia” ironizzò Stheta, sarcastico.

Non potei che essere d'accordo.

“Nonnina mi ha sempre detto che me la prendevo troppo ma, finché Litha non ha messo piede qui, non mi sono mai del tutto fidato delle sue parole. A me, è sempre venuto naturale preoccuparmi per loro, occuparmi dei loro problemi, riempire quelle lacune al posto loro.”

Rise sommessamente, quasi irridendosi e, per un istante, desiderai raggiungerlo, abbracciarlo, donargli tutta la mia forza.

“Denota solo un carattere altruista” si premurò di dire Stheta, benevolente.

“E stupido. Litha ebbe ragione, a suo tempo, a dirmi di piantarla di preoccuparmi sempre e comunque di Conner e dei miei genitori. Che non dovevo badare a quel che dicevano – e pensavano – loro, ma solo a chi mi voleva realmente bene” replicò Rey, con tono sicuro e chiaro.

Credeva in quello che diceva, non lo ripeteva solo perché lo avevo detto io.

“Immagino non siano mai stati prodighi di complimenti, o di appoggio morale. Se tu sei qui, solo con tua nonna, dubito tu abbia mai ricevuto molto, a livello emotivo e pratico, dalla tua famiglia” chiosò mio fratello, comprensivo.

“Vedi bene. Anche se so, per bocca di Litha, che neppure voi avete ricevuto delle pacche sulle spalle, o dei buffetti sulle guance” ribatté Rey, con un risolino nella voce. “E' questo che mi ha fatto capire e apprezzare molto Litha. Oserei dire che, la sua lavata di testa, mi ha fatto capitolare!”

Rise ancora di più, stavolta, e Stheta si unì a quella risata.

Io, in compenso, storsi il naso. Si era innamorato di me perché lo avevo rabberciato? Era davvero assurdo.

“Trovai stimolante il modo in cui affrontava le sue paure, la forza d'animo con cui si gettava a capofitto nell'impresa di scoprire tutto, di se stessa, e compresi che anch'io avrei dovuto fare come lei. Affrontare le mie paure, i miei dubbi, e non lasciarmi andare a essi, alla loro oscurità. Devo molto a tua sorella, oltre all'amore che mi da. Mi ha aperto gli occhi e il cuore.”

Non resistetti oltre.

Uscii dal mio nascondiglio e, in silenzio, mi avventurai verso di lui, sotto gli occhi curiosi di entrambi.

Senza dire nulla, mi inginocchiai dinanzi a lui e, avvoltolo con le braccia, mi appoggiai al suo stomaco, sospirando.

“Direi che qualcuno ha ascoltato di nascosto, ed è stato preso da un attacco di coccolite acuta” ironizzò Stheta, levandosi in piedi. “Penso mi ritirerò per la notte, lasciando a te le redini della situazione. Buonanotte.”

Rey lo salutò distrattamente, tutto concentrato sul carezzarmi i capelli.

Quando fummo soli – Stheta aveva raggiunto la sua stanza al piano superiore – mi domandò: “Hai sentito tutto, eh?”

“Davvero, ti sei innamorato di me quando ti ho sgridato?” brontolai, levando il capo a guardarlo dubbiosa.

Lui sorrise e, sollevandomi, mi prese in braccio, lasciando che il mio capo si appoggiasse al suo.

Ecco cosa succedeva ad avere la stessa altezza; non ci si poteva accoccolare come si voleva.

Ma anche così, andava benissimo.

“E' stato solo il momento in cui me ne sono reso conto, non la motivazione principe” mi spiegò. “La tua forza d'animo, la gentilezza mostrata verso nonnina, la tua bellezza, il tuo spirito indomito, ogni cosa mi ha spinto da te, mi ha aperto gli occhi verso la possibilità di un futuro con te.”

“Anche se non potrò perdere la mia immortalità?” domandai, rabbrividendo mio malgrado a quel pensiero.

Era un'ipotesi che mi terrorizzava.

Sarei sopravvissuta alla sua morte? No, davvero non pensavo fosse possibile.

“Vivrei felicemente ogni momento passato con te, anche se tu rimanessi giovane e bella. Il sacrificio più grande, però, spetterebbe a te. Tu saresti in grado di sopportare di vedere lo scorrere del tempo, su di me?”

Pensai a nonnina, al suo corpo debole e stanco, e cercai di figurarmi Rey tra molti decenni, con eguali problemi legati all'età avanzata.

Le lacrime mi punsero immediatamente gli occhi e, tremando, lo abbracciai con foga, esalando: “Non voglio pensarci ora, ti prego!”

Lui mi confortò come sempre, trovando i tasti giusti da premere dentro di me.

Carezzò la mia schiena arcuata, rilassò i miei muscoli tesi con il semplice tocco delle mani e, dopo avermi baciato una tempia, sussurrò: “Non è una cosa che debba preoccuparci ora, o domani. Andiamo a dormire, Litha.”

Annuii, alzandomi in piedi e, nel prendere la sua mano, ammisi: “Mi sono innamorata di te quando mi hai accarezzato i capelli per la prima volta. Solo tu riesci a spegnere la rabbia che brucia dentro di me, solo tu riesci a mostrarmi un mondo dove la spada non è l'unica ragione di vita.”

Lo baciai con trasporto e Rey, nell'avvolgere la mia nuca con la mano, mi trattenne a sé, approfondendo quel tocco.

Esperto, mi graffiò il labbro inferiore con i suoi denti, provocandomi una fitta di desiderio e, nello scostarmi da lui, sussurrai roca: “Ora te la farò pagare. Non mi si istiga, senza pagarne le conseguenze.”

“Era quello che speravo” mormorò in risposta, lasciando che la sua mano scivolasse lungo il collo, la spalla, sfiorando debolmente il seno.

Inspirai con forza e, ghignando diabolica, lo trascinai quasi di peso verso la mia stanza, seguita dal suo risolino soddisfatto.
 
***

Mi svegliai con una strana sensazione a trapanarmi la testa, la certezza che qualcosa non stesse procedendo per il verso giusto.

Aprii gli occhi e li volsi verso Rey, che stava riposando al mio fianco, tranquillo e sereno come sempre.

Quella notte avevamo fatto l'amore senza fretta, desiderosi di far durare quel piacere in eterno e, poco prima di addormentarmi, mi ero accoccolata contro di lui.

Protetta, sicura... amata.

Ora, però, mi sentivo nervosa, in ansia, anche se non sapevo dare un nome a quell'inquietudine.

Scivolai fuori dal letto senza fare rumore e, dopo essere uscita dalla stanza, mi diressi verso quella di nonnina, per essere certa che tutto andasse bene.

Qualcosa mi turbava, mi faceva battere il cuore all'impazzata e...

Il cuore.

Mi irrigidii all'istante, quando non udii quel battito familiare e fragile come il battito d'ali di una farfalla.

Facendomi prendere dal panico, aprii di getto la porta della stanza di nonnina e, in un attimo, compresi.

Crollai a terra, le forze scemate di colpo sotto il peso di quella verità insostenibile e, senza che potessi fermarle, le lacrime scesero.

“Nonnina...” singhiozzai affranta, battendo i pugni sul parquet ricoperto di tappeti.

Dietro di me, lenti e timidi, i passi di Rey si avvicinarono a me.

Mi sorpassò, lo sguardo puntato sulla nonna e, nell'inginocchiarsi accanto al letto, carezzò quella guancia pallida con amore infinito.

Le sorrise, deponendo un bacio sulla sua fronte prima di sistemarle una ciocca di capelli.

Quel gesto intimo, pieno di affetto, mi fece crollare.

Iniziai a piangere senza ritegno, senza controllo e, lasciandomi scivolare contro la porta, mi coprii il viso con le mani e portai le ginocchia al petto, rattrappendomi.

Rey fu da me in un attimo e mi strinse tra le braccia, accoccolato al mio fianco mentre i passi frettolosi di Stheta rimbombavano sulle scale lignee.

Non vi fu bisogno di spiegazioni.

Poteva avvertire senza problemi la presenza della morte nella stanza e, quando lanciò uno sguardo al volto esanime di nonnina, sospirò.

“Lo avevo percepito, ma non pensavo sarebbe giunta così lesta a prenderla” mormorò, chinandosi accanto a me per darmi un bacio sulla fronte. “L'avevi notato anche tu, vero, sorellina?”

Annuii, sorprendendo un poco Rey, che mi guardò con il dubbio negli occhi lucidi.

“Sapevo che stava spegnendosi con più rapidità di quanto il medico le avesse predetto, e gliene parlai, ma lei mi disse di non menzionarti nulla, di mantenere il segreto. In ogni caso, non avrebbero potuto fare nulla per lei. E nonnina voleva morire qui, in casa sua.”

Rey mi baciò con dolcezza, tentando di asciugare coi pollici le lacrime che continuavano a scendere, non più trattenute dalla mia volontà.

“E hai tenuto questo peso... per quanto?” mi domandò, continuando a tenermi contro di sé, protetta dal dolore dal suo calore.

Gli sorrisi mesta, e mormorai: “Da un mese, più o meno.”

“Dio!” esalò, lasciando andare il suo capo contro il mio.

Stheta ci guardò entrambi con immenso dolore e, quando si alzò in piedi, ci disse: “Chiamo la famiglia. Non affronterete questo dolore da soli.”

Io lo lasciai fare e, quando Rey mi aiutò ad alzarmi, prevenni qualsiasi sua protesta, mormorando: “Ronhyn e gli altri vorrebbero essere qui, Rey, davvero.”

“Perché una vera famiglia affronta assieme cose come queste, giusto?” ironizzò tristemente lui, avvolgendomi nelle sue braccia tremanti.

Annuii e, nel baciarlo con tenerezza, asserii: “Io sono la tua famiglia, Rey, e non ti abbandonerò. Allo stesso modo, Rohnyn, Stheta e gli altri, non ci abbandoneranno.”







Note: Il ritorno a Cork, per Litha, è stato dolce amaro. Non essere riuscita a parlare con Bress l'ha, in un primo momento, scioccata ma, stando con Rey e nonnina, si è resa conto che, per essere felice, non ha bisogno di sapere tutto, e questo la rende più pacifica e appagata di quanto non lo sia mai stata in vita sua.
Nonnina se ne rende conto, per questo non la chiama più 'bambina'. Litha è finalmente in pace con il mondo, perciò anche nonnina può andarsene tranquilla. Sa che il suo nipote adorato ha trovato una donna che lo amerà sinceramente, e non sarà più solo. Così come sa che Litha ha trovato il suo centro, il suo equilibrio interiore.
Ora, rimane da scoprire come reagiranno i genitori di Rey, alla notizia della morte di nonnina, e come si comporterà la famiglia di Litha, in questo frangente.
Grazie per essere giunte/i fino a qui assieme a me. Ci rivediamo la settimana prossima!
Buon Natale a tutte/i!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 

13.

 

 

 

 

Due giorni.

Erano serviti due giorni per organizzare tutto, per chiamare chi di dovere, per accertarsi che tutto fosse perfetto e in ordine.

In quei due giorni, non avevo avuto il coraggio di leggere la lettera che, a sorpresa, nonnina aveva indirizzato a me.

L'avevamo trovata nella sua scrivania, controllando tra i suoi documenti per essere certi non vi fosse nulla di importante da consegnare al notaio.

Io e Rey l'avevamo osservata a lungo, senza sapere bene come reagire, ma era stato Stheta a darmi la soluzione ideale.

Attendere quando fossi stata pronta.

Non v'era fretta alcuna, a quel punto.

Rohnyn, Sheridan e Kevin erano arrivati solo poche ore dopo, presentandosi alla fattoria con aria preoccupata e ansiosa.

Sheridan si era subito offerta di occuparsi di tutta la parte burocratica e Rey, nel breve intercorrere di un battito di ciglia, si era ritrovato seduto su un divano, in compagnia di Kevin.

Rohnyn si era premurato di prendersi cura della fattoria, mentre io avevo badato al dolore di Rey e al mio.

Era chiaro quanto, quel giorno, avremmo combinato ben poco.

Fu solo molte ore dopo, con l'arrivo di Krilash e Rachel, che Rey iniziò a riprendersi un po' dallo shock causato dalla morte di nonnina.

Salutò con sincero calore i nuovi arrivati e, assieme a me – che non lo avevo lasciato per un attimo – si diresse verso la stalla.

Rohnyn era stato un asso.

Aveva sistemato ogni cosa, predisposto tutto per la consegna del latte e aggiunto nuovo fieno nelle mangiatoie.

A Rey vennero gli occhi lucidi, ma per la gioia, stavolta, e la commozione.

Non dubitavo fosse la prima volta che, qualcuno a parte lui, si prendeva cura delle sue pecore.

Sul calare della sera del secondo giorno, tutto era stato più o meno sistemato... a parte i genitori di Rey.

Era stato a quel punto che, supportato dalla presenza della mia famiglia, aveva sollevato il telefono per chiamarli.

Per una volta, però, il loro comportamento insensibile non aveva avuto ripercussioni su di lui.

Si era limitato ad accettare il loro completo disinteresse e, quando aveva ragguagliato tutti noi sulle loro decisioni, lo aveva fatto senza remore.

Certo, non avevo dubitato neppure per un attimo che, dentro di lui, il suo cuore aveva sanguinato.

Ma aveva ormai accettato che, da quella parte di mondo, non sarebbe mai venuto ciò che lui, per anni, aveva sperato.

Aveva solo dovuto prendere per buona questa verità.

Vederli, perciò, dinanzi alla chiesa di Nostra Signora Incoronata, su Silverspring Road, a Cork, non risvegliò in lui nessun tipo di sentimento.

Era chiaro a tutti quanto fossero lì solo per esigenze di facciata, ma Rey non si fece turbare da quella visione e, mano nella mano, li raggiungemmo all'entrata.

La mia famiglia già attendeva all'interno, fiera fortezza in cui ci saremmo rifugiati entro breve.

In quel momento, però, dovevamo affrontare i genitori di Rey da soli.

Conner non fu sorpreso di vederci assieme e, anzi, mi lanciò un'occhiata così lasciva che, per poco, non mi mossi verso di lui per scaricargli un pugno addosso.

Era chiaro quanto pensasse di aver capito ogni cosa, della situazione, e pensasse di avere qualcosa da guadagnarvi, almeno per quanto riguardava la mia persona.

I genitori di Rey furono tutt'altro argomento.

Mi guardarono con evidente curiosità, mista a un pizzico di sospetto, quando Rey disse loro che mi ero presa cura di nonnina negli ultimi mesi.

Pensavano forse che avrei preteso un qualche tipo di eredità, togliendola di fatto a loro?

Mi irritai non poco, e solo la presenza solida e calma di Rey mi impedì di esplodere.

Ancora una volta, mi chiesi come facesse a mantenere quel contegno stoico di fronte a loro.

Sapevo però che, questa volta, non si trattava di dolorosa rassegnazione ma di forza, una forza che loro non avevano mai sperimentato prima.

“Ci fa piacere che nostro figlio abbia avuto accanto un'amica, quando è successo” mi disse suo padre, stringendomi la mano che avevo proteso per pura cortesia.

Quell'amica non passò inosservato, ma non vi badai.

Che mi vedessero pure come volevano. Io e Rey sapevamo la verità, e tanto bastava.

“Sei stato fortunato, caro, a non dover fare tutto da solo. Ti avrei aiutato anch'io, ma sai quanto sono emotiva!” esalò per contro sua madre, facendo mostra di un'aria affranta quanto superficiale.

La odiai, ma non persi tempo a mostrarmi indispettita. Sorrisi, e così pure fece Rey.

“La famiglia di Lisa ci ha aiutato senza problemi. Più tardi li conoscerete tutti, così potrete ringraziare anche loro” sottolineò a quel punto Rey.

Non potei non notare il leggero cipiglio di entrambi, oltre alla sorpresa di Conner.

Così come non potei non intercettare i loro pensieri preoccupati, la loro ansia al pensiero che io, estranea alla famiglia, avessi potuto avere un ruolo così importante.

E con me, anche i miei famigliari.

***

Il sole stava reclinando all'orizzonte, quando rientrammo alla fattoria.

Era stato straziante osservare il rito funebre dedicato a nonnina, poiché era stato il primo in assoluto a cui avevo assistito.

A Mag Mell, tutto si svolgeva in modo molto diverso.

I morti in battaglia venivano bruciati con la magia dei Saggi, nulla rimaneva di fisico a loro memoria, a parte una stele commemorativa.

Non venivano inumati in alcun luogo, né esisteva un luogo simile ai cimiteri umani, in cui deporre fiori o ricordi per gli scomparsi.

Tutto avveniva nel privato delle singole abitazioni, lontano da occhi indiscreti... come sempre.

Come se esporre al mondo il proprio dolore fosse una debolezza, qualcosa da non esibire a nessuno, se non al proprio cuore infranto.

Tra gli umani, invece, il dolore scorreva sui volti di tutti sotto forma di lacrime, di parole sussurrate con tono roco, di pacche sulle spalle e abbracci sentiti.

Ma mai, in tutto il tempo passato a galleggiare in quel dolore, avevo avvertito debolezza, fragilità.

Avevo sentito partecipazione, forza condivisa, sostegno.

Da molti, pur se non da tutti.

Erano quei pochi, che ora sedevano nel salotto della casa di Rey, di cui non mi fidavo.

Avevo osservato la famiglia Doherty per tutta la durata del funerale e, come me, sapevo benissimo lo avevano fatto anche i miei fratelli.

Tutti noi eravamo concordi nel pensare che, in loro, c'era qualcosa di profondamente sbagliato... di deviato.

Avevano accettato le condoglianze con la stessa partecipazione di un muro di pietra, e la madre aveva finto così bene da poter meritare il premio Oscar per la recitazione.

Per le nostre menti allenate, però, quella commedia era apparsa fin da subito come una panzana ridicola... e sospettosa.

Lì, nel salotto pieno di persone – la mia famiglia ci aveva seguiti fino a casa – mi accostai a Rey per sussurrare: “Come ti senti?”

“Come una persona che ha bisogno di un lungo riposo” mormorò in risposta, lanciando occhiate dubbiose all'indirizzo dei genitori.

Si stavano guardando intorno come se non vedessero quel luogo da molto tempo, e ne stessero valutando le condizioni.

Curiosa, mi intrufolai nella loro mente, e solo per uscirne un attimo dopo, disgustata.

Non la stavano valutando per curiosità, ma per mero interesse!

Piccata, mi accigliai in viso ma Rey, afferrandomi a un polso, mi allontanò dal salotto – dove i presenti stavano chiacchierando amabilmente – per sussurrarmi: “Non preoccuparti, Litha. So benissimo cosa stanno facendo.”

“Ma Rey...”

Mi sorrise, deponendo un bacio sulle mie labbra corrucciate.

“E' una vita che, tutte le volte che mettono piede qui, valutano il valore della casa per poterla vendere. Ma non potranno mai farlo, perché è intestata a me. Forse sperano che, con la morte di nonnina, io decida di mollare ogni cosa... e destinare parte del ricavato a loro.”

“Sono orribili” sbottai, ancora piuttosto irritata.

“Verissimo, ma ora so come comportarmi con loro. E solo grazie a te” mi rabbonì, stringendomi in un rapido abbraccio prima di ricondurmi in salotto.

Lì, mi lasciò alle amorevoli cure di Rohnyn, che mi avvolse protettivo le spalle, dopodiché si diresse verso i genitori con aria seria, posata... ma forte.

Non v'era nulla di remissivo, in lui, o di rassegnato. Ora, sapeva davvero come affrontarli senza soffrirne.

Sorrisi nonostante tutto, e mi rilassai al fianco di mio fratello.

Accomodatosi sul bordo del tavolino da caffè, le mani intrecciate e gli avambracci poggiati sulle cosce, Rey sorrise ai coniugi Doherty e domandò: “Ebbene? A quale valore siete giunti, stavolta?”

Suo padre si accigliò immediatamente, lanciò un'occhiata torva in direzione della mia famiglia e, successivamente, mormorò: “Non credi che, di queste cose, dovremmo discutere in privato? Dopotutto, siamo in presenza di estranei.”

Rey scrollò le spalle con indolenza, replicando: “Saranno estranei per voi, ma non per me. Sono la famiglia di Lisa, e perciò sono la mia famiglia. Ergo, possono anche ascoltare.”

Fu la madre di Rey a prendere la parola, a questo punto e, sorridendo nervosa, asserì: “Ma caro, non penso proprio che vogliano sentir parlare di eredità o cose simili, ti pare?”

“A me, pare che non ci sia nulla di cui discutere, visto che non ci sarà alcuna eredità. Nonna aveva già disposto anni addietro che ogni suo avere fosse intestato a me. A parte la sua pensione, lei non aveva più nulla, proprio per evitare che voi poteste giungere qui come sciacalli, pretendendo di spolpare la sua carcassa ancora calda.”

La spietatezza delle sue parole mi sorprese, ma non sortì alcun effetto sulla sua famiglia.

Era chiaro che altre volte, Rey, aveva usato una terminologia così diretta con loro.

A ben donde, a quanto pareva.

Conner si levò dalla poltrona dov'era accomodato e, nel passare accanto al fratello maggiore, batté una mano sulla sua spalla, sorridendo benevolo.

Mi insospettii subito.

“Rey, tu hai ragione, naturalmente. Ti sei preso cura di questo posto, mentre noi ci siamo limitati ad andarcene in città, lasciando su di te questo peso.”

I genitori lo fissarono accigliati, ma lui li azzittì con un'occhiataccia.

“Quello che vogliamo, fratello, è solo riunire la famiglia, essere di nuovo tutti assieme, e questo posto ci è di ostacolo. E' troppo ricco di ricordi, per te, e presto o tardi ti soffocheranno. Vieni con noi, lasciati tutto alle spalle. E' meglio così” proseguì Conner, dando maggiore enfasi al suo monologo poggiando entrambe le mani sulle spalle del fratello.

Rey lo guardò con i suoi profondi occhi color cioccolato, ora duri come pietre, e si levò in piedi.

Conner si scostò di un passo, ancora speranzoso, ma il fratello lo gelò con le parole che uscirono dalla sua bocca.

“Riunire la famiglia, Conn? E quando mai ti è interessato? Venivi qui per spillare soldi a me o alla nonna,...” poi, con tono carico di biasimo, si rivolse ai genitori. “...e voi non siete stati da meno. Ogni volta, ogni maledetta volta, avete preteso che io vendessi, senza mai interessarvi, o capire, cosa mi legasse a questo posto. Cosa mi impedisse di andarmene.”

La rabbia – o la frustrazione – presero il posto del compassato snobismo di cui si era ammantata e, stizzita, Mrs Doherty replicò: “Non ho mai amato questo posto! Pensi davvero che avrei voluto continuare a stare qui?! E' da folli il solo pensarlo! E tu dovresti seguire il nostro esempio! Comportarti da bravo figlio!”

Rey rise sprezzante e, allungata una mano verso di me, disse: “Un bravo figlio, eh? Dovete avere un'idea davvero deviata di questa parola.”

Io lo raggiunsi, avvolgendogli la vita con un braccio e lui, ora più tranquillo, proseguì dicendo: “Un bravo figlio non cede sempre e comunque ai capricci dei genitori, ma si ribella, se i desideri di questi ultimi sono futili ed egoistici.”

Si volse verso di me e, sorridendomi, aggiunse: “Un bravo figlio può decidere di essere libero dal giogo dei genitori, se questi si dimostrano apertamente indegni del suo rispetto. Non smetterà di amarli, ma non subirà più le loro angherie.”

Assentii, sapendo che stava parlando per entrambi noi.

Nessuno dei due avrebbe più accettato i capricci della famiglia, e insieme ne avremmo costruita una tutta nostra.

Nuova, indivisibile, eterna.

Rey tornò a volgere lo sguardo verso la sua famiglia, che ora era livida d'ira, e decretò: “Non siete più persone gradite, in questa casa. Vi prego di andarvene subito.”

“Tu non puoi farlo!” strillò inviperita Mrs Doherty, fissandomi con un livore sempre crescente. “Non puoi mettere questa... questa poco di buono sopra a tutti noi!”

Se avevo dubitato anche solo per un istante dell'amore della mia famiglia, lo scorsi senza problemi in quel momento.

Se Stheta, Krilash e Rohnyn si mossero come un sol uomo verso i Doherty per chiedere giustizia, Sheridan e Rachel fecero di peggio.

Si avvicinarono alla madre di Rey con aria di sfida e Sherry, strafottente, dichiarò: “Stai attenta a come parli, perché stai offendendo la mia sorellina. Un'altra parola, e ti farò assaggiare le suole delle mie scarpe.”

Rachel assentì all’indirizzo della cognata e, scrocchiando le dita, aggiunse: “Chi insulta una di noi, insulta tutte noi. E non mi va che qualcuno pensi che io sia una poco di buono.”

“E tu lasci che mi trattino così?!” sbottò inviperita Mrs Doherty, fissando Rey con netta riprovazione.

Se, un tempo, quello sguardo avrebbe prodotto in lui un netto crollo emotivo, in quel momento non produsse nulla, se non disgusto.

“Tu per prima hai offeso la mia ragazza, e la loro sorella. E, a quanto pare, loro ci tengono veramente alla famiglia. Non lo fanno certo per interesse.”

“Che puoi saperne, tu? Li conosci da così tanto tempo, per esserne certo? Tutti hanno i loro interessi!” lo accusò sprezzante il padre, irridendolo con lo sguardo.

Ancora una volta, volli levare il braccio per colpirlo, ma Rey me lo impedì.

Fu in quel momento, che compresi perché mi aveva chiamato al suo fianco. Proprio per impedirmi di esplodere.

Sapeva che qualcosa del genere sarebbe accaduto, se avesse esposto il suo pensiero, e aveva giocato d'anticipo.

Lo fissai accigliata e lui, per contro, mi sorrise con la sua solita indolenza, come se il mondo intero fosse nulla, in confronto a me.

Come se tutto il resto non esistesse, e non contasse niente, se ero con lui.

Non potei che capitolare e, sospirando, mormorai: “Se pensa che io, o la mia famiglia, siamo qui per mero interesse, si sbaglia di grosso, Mr Doherty. Non solo potrei comprare due volte questa fattoria, terreno compreso, ma mio fratello gemello potrebbe ricomprarmela al doppio del prezzo. Come vede, non sono certo i soldi che ci mancano e, se vuole, le mostrerò anche il mio conto corrente bancario, casomai non si fidasse della mia parola.”

Lo dissi con tono così irriverente che l'uomo, quasi, si strozzò per la rabbia.

Davvero sciocco, da parte loro, pensare di fare leva sul denaro.

Se avessi convertito in moneta corrente tutto quello che avevo a Mag Mell, avrei comprato l’intera Contea.

Senza contare i soldi che Rohnyn aveva messo nel conto corrente che aveva aperto per me, tempo addietro, in una banca umana.

“Non le parlerò di affetto, partecipazione, amore, consolazione, armonia... credo siano parole che neanche conosce, o non comprende. Bene, suo figlio è tutte queste cose e molto altro, per me e, se lei e la sua famigliola continuerete a disturbarlo con le vostre richieste, non so cosa potrei fare, di voi.”

“E' una minaccia, signorina?” mi rinfacciò il padre di Rey, aggrottando la fronte. “Perché forse non lo sa, ma mio figlio è un avvocato e potrebbe benissimo...”

Lo interruppi con un sorriso perfido e, lanciato uno sguardo in direzione di Conner, replicai: “So perfettamente che Conner è un avvocato. Ma so anche tante altre cosucce, su di lui, e non credo vorrebbe sentirle proprio qui. Sa, non vorrei mai turbarla con la verità.”

“Lisa...” mi richiamò all'ordine Rey, pur trattenendo a stento un sorriso.

“Oh, lo so, devo giocarmi meglio le carte. Ma sai che io sono per gli scontri diretti” brontolai, scuotendo una mano con fare indifferente. “Mi ha chiesto se è una minaccia, Mr Doherty. Lo scoprirà nel momento stesso in cui cercherà di ferire in qualsiasi modo suo figlio maggiore. Allora, vedrà quanto può essere pericolosa la qui presente.”

“Molto bene, Conner, l'hai sentita. Penso che potrei anche decidere di assumerti per farle causa, che ne dici?” asserì a quel punto Mr Doherty, guardando con soddisfazione il figlio.

“Naturalmente, papà. Credo che la qui presente non meriti altro, dopo le accuse che ci ha mosso contro.”

Per tutta risposta, io dissi: “Rachel, mi puoi dare il nome del tuo avvocato?”

“Ma certo. Donovan O’Rourke. Se vuoi, ho il numero proprio qui.”

Estrasse lesta il suo cellulare e Conner, impallidendo sempre più a ogni attimo che passava, esalò: “Non può essere quel Donovan O’Rourke...”

Rachel si bloccò nella sua ricerca sulla rubrica del cellulare e, con falsa ingenuità, mormorò: “Il mio Donovan O’Rourke è lo squalo del Foro di Dublino, colui che ha vinto più cause di chiunque altro, in Irlanda, e che ha una percentuale di incarcerazioni quasi imbarazzante.”

Poi, come se si fosse ricordata di quel particolare solo in quel momento, aggiunse: “E' mio zio, tra l'altro.”

Conner strinse i denti, ma non replicò.

Si abbassò per dire due parole al padre, che impallidì a sua volta dopodiché, tornato a guardare il fratello, dichiarò: “Ce ne andiamo, se è questo che vuoi. Ma sappi che sei tu a perderci. Siamo l'unica famiglia che hai, ed essere soli non è consigliabile per nessuno. Quando lei si stancherà di te, cosa avrai? Un mucchio di pecore a tenerti compagnia.”

Mi guardò con aria sprezzante, e aggiunse: “L'aria bucolica di questo posto potrà piacerti ancora per un po', e ammetto che mio fratello può essere un buon diversivo per passare il tempo... ma non resisterai a lungo. Non vedo l'ora di vedere il giorno in cui lo lascerai per un altro divertimento.”

“Diverrai vecchio e canuto, nel frattempo” gli promisi, osservandolo con il disprezzo negli occhi mentre, assieme ai genitori, usciva finalmente dalla casa.

Ci risolvemmo a muoverci solo quando udimmo il suono dell'auto allontanarsi sullo stradello.

A quel punto, Rey guardò con evidente ironia Rachel, e gli domandò: “Ma chi è, questo Donovan O’Rourke?”

“Esattamente quello che ho detto, non mentivo” scrollò le spalle lei, sorridendo con allegria mista a perfidia.

Abbracciando con forza Rey, gli dissi: “Immaginavo che, presto o tardi, Conner, o chi per lui, avrebbe usato la carta della legge, così ho pensato di informarmi un po'.”

Rachel terminò per me.

“Litha mi chiese come avessi fatto a tenere mia figlia, dopo il processo di divorzio a cui presi parte, e così le raccontai di mio zio e di quello che aveva fatto per me.”

Rey non poté far altro che scoppiare a ridere e, guardandoci al gran completo, esalò: “Siete davvero una famiglia dalle mille risorse.”

“Lascia fare a Sheridan; potrebbe smontare un'intera città a suon di pugni” ironizzò Rohnyn, guadagnandosi per diretta conseguenza un'occhiataccia da parte della moglie.

“Non ti spacco la faccia solo perché mi piace troppo” brontolò la diretta interessata. “Sarà meglio che vada di sopra a vedere se Kevin sta ancora dormendo. Tutte queste energie negative, possono averlo disturbato.”

Detto ciò, si scusò con noi e salì le scale per raggiungere le stanze da letto al piano superiore.

Stheta ci raggiunse, diede una pacca sulla spalla a Rey e disse: “Non per sminuire quello che hai fatto prima, ma credimi, non sei l'unico ad avere dei genitori di tal risma.”

Rey mi sorrise, annuì e dichiarò: “Litha me ne ha parlato un po'.”

Krilash, a quel punto, esclamò: “Bene, signori! Ora che quelle creature spiacevoli se ne sono andate, penso possiamo dedicare un pensiero sentito alla cara nonnina che ha aiutato la nostra sorella a trovare la strada di casa.”

Sorrisi a mio fratello e, spontanea, mi mossi per dargli un bacio sulla guancia.

Lui arrossì, mi scostò con un risolino e, mentre Rachel lo raggiungeva orgogliosa, dissi: “A nonnina, che mi ha aiutata quando ero persa, che mi ha confortata quando ero confusa, che mi ha amata quando pensavo di non avere più nessuno.”

Rey mi strinse la mano, la sollevò per baciarne il dorso e, in un sussurro, mormorò roco: “A nonnina.”

Stheta fu il primo a iniziare il canto.

Io lo guardai con occhi lucidi, riconoscendo immediatamente quella canzone in particolare e, poggiandomi a Rey, mormorai: “E' il canto dedicato ai combattenti più valorosi.”

Krilash intonò la seconda strofa, unendo la sua voce a quella del fratello.

Alla terza strofa, si unì anche Rohnyn, che mi sorrise e levò una mano per carezzarmi il viso.

Mi accostai a quella mano calda, famigliare e, nell'intonare la quarta strofa, una lacrima scivolò lenta, affondando tra le dita di mio fratello.

Il canto proseguì sommesso, tenue, allargandosi nella stanza fino a riempirla per intero.

Rey, al mio fianco, mi avvolse la vita da dietro, poggiando la fronte contro la mia spalla, e tremò.

Non lo vidi piangere, ma le sue lacrime mi entrarono dentro, dilavando il mio dolore e rendendolo più dolce, più sopportabile.

Nonnina non c'era più, almeno con il corpo, ma il suo spirito avrebbe perdurato in quelle mura, su quella terra, nei nostri ricordi.

***

Tutto avvenne all'improvviso, senza che alcuno di noi si aspettasse nulla di simile.

Dal cortile giunsero delle voci concitate, dei suoni strozzati e, di colpo, un boato sordo.

Io mi levai da letto immediatamente, nella mente il turbamento e la frenesia, mentre Rey metteva mano alla abat-jour.

Lo bloccai, mormorando tra i denti: “Aspetta! Non devono capire che abbiamo sentito!”

Non mi rispose, si limitò ad annuire nella semioscurità della stanza.

Al piano superiore, i miei fratelli si stavano muovendo circospetti, mentre Sheridan tentava di non far piangere Kevin, grazie anche all'aiuto di Rachel.

Scesi dal letto senza fare rumore, e Rey mi imitò.

In silenzio, ci muovemmo per raggiungere la finestra dalle imposte accostate e, sbirciato che ebbi all'esterno, esalai sconvolta: “Cacciatori!”

“Che cosa?!” ringhiò Rey, levandosi subito in piedi.

Cercai di afferrarlo, ma fu più veloce di me.

Corse fuori dalla stanza, e a me non restò altro che seguirlo.

Trovai i miei fratelli sul fondo delle scale, già debitamente vestiti e con l'aria di voler menare le mani.

Guardai Rohnyn, turbata, e gli dissi: “Torna di sopra e stai con Sherry, Rachel e tuo figlio. Se ti ferissi sarebbero guai, fratello. Sheridan ci scannerebbe tutti. Ora sei un padre di famiglia!”

Lui fece per replicare, piccato, ma Stheta venne in mio aiuto.

“Litha ha ragione. Noi combatteremo al suo fianco, ma tu devi rimanere qui. Se dovessero entrare in casa, saprai cosa fare, ma sarai più utile accanto a Rachel e tua moglie. Sheridan potrebbe decidere di uscire con un fucile in mano, se non stiamo attenti.”

Rohnyn parve voler ribattere, ma anche Krilash intervenne pressante.

“Per favore, Rohnyn. Sarei più tranquillo, se sapessi Rachel protetta da te.”

“Questo è un colpo basso, fratello” brontolò Rohnyn, pur annuendo.

Rey, di ritorno con un paio di fucili e una pistola, ci fissò sorpreso per alcuni attimi, prima di passare le armi ai miei fratelli.

“Mi spiace di dovervi ringraziare per la vostra cortesia con una potenziale sparatoria, ma ...”

“L'hai detto tu ieri sera. Siamo una famiglia” ironizzò Stheta, caricando il fucile a pompa con un colpo secco della mano. “Meno male che sono andato al cinema.”

Rey mi fissò stranito per un attimo, e io scrollai le spalle. “Niente armi da fuoco, a Mag Mell.”

“Andiamo bene. Beh, vedete di non spararvi addosso da soli. Non ho tempo di insegnarvi” borbottò Rey, allungandomi un paio di coltelli affilatissimi. “Immaginavo li avresti preferiti.”

“Mi conosci fin troppo bene” assentii, saggiandoli in mano prima di infilarli nella cinta dei pantaloni.

I rumori di lotta si fecero più vicini, le persone coinvolte aumentarono e Rey, aperta la porta, si affacciò per controllare.

Quel che vide, però, lo fece irrigidire di colpo, e un lento pallore scolorò il suo viso.

Turbata, mi affrettai a raggiungerlo sulla porta d'ingresso e lì, dinanzi ai miei occhi sgranati, vidi ciò che non avrei mai immaginato di vedere.

Una decina di uomini, armati fino ai denti, stavano lottando strenuamente per abbattere quattro licantropi apparentemente feriti.

Due di loro, ancora in forma ferina, recavano i segni evidenti di colpi d'arma da fuoco, e zoppicavano vistosamente.

Gli altri due, dell'ipotetica età di circa vent'anni, erano coperti di sangue, ma più in forze rispetto ai compagni in forma animale, e pronti a difendere gli amici feriti.

Ma non fu quello a sconvolgermi.

Fu la vista di colui che, in apparenza, stava guidando il gruppo di cacciatori.

Perché là, in testa a quella compagnia armata fino ai denti, vidi Conner Doherty, ghignante di soddisfazione e pronto a calare il colpo finale sugli avversari.

Rey imbracciò il fucile, pur tremando debolmente e, a gran voce, esclamò: “Fuori da queste terre! Siete su un luogo sacro! Qui, non siete i benvenuti!”

Conner si volse con lentezza quasi esasperante, ci fissò con un'ironia sempre crescente e, scoppiando a ridere, esalò divertito: “Ora capisco perché non volevi vendere questa baracca! E perché i nonni ci si erano intestarditi tanto! Sei uno sporco Guardiano, fratellone?”

“Purtroppo per te, sì!” gli gridò contro Rey, livido d'ira e di disgusto.

E, subito dopo, fece fuoco.


 

 

 

 

 

 

____________________________________________________________  

Direi che ora si capiscono un sacco di cose in più, su Conner... ve lo aspettavate? Come andrà a finire la diatriba tra i due fratelli?

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


14.

 

 

 

 

Sobbalzai istintivamente, quando il colpo partì dal fucile di Rey e, a occhi sgranati, osservai sgomenta un ricciolo della chioma di Conner schizzare via al passaggio del proiettile.

“Il prossimo ti centrerà, Conn. Andatevene” ringhiò Rey, gelido come una notte d'inverno.

Conner, però, non si diede per vinto e, fatto segno ai suoi di occuparsi dei licantropi, si diresse verso il fratello e puntò la pistola contro di lui.

“Mi ero sempre chiesto perché questo posto non mi piacesse, e ora so il perché. Come ora so il perché tu non mi sei mai piaciuto, fratellone.”

“Era per questo che ti servivano i soldi? Per... per comprare armi contro i licantropi?” sibilò Rey, ora incredulo.

Conner rise, scrollò le spalle come a volersi scusare ma, con tono irriverente, disse: “Ehi, fratellone! L'argento costa, cosa credi? Pensi che i soldi piovano dal cielo?”

Mi volsi a mezzo, rivolgendomi ai miei fratelli perché difendessero i due licantropi dai Cacciatori, dopodiché, scrutato Conner con livore, dissi: “E io che pensavo fossero i miei genitori adottivi, a essere perversi. Mi fai ribrezzo.”

“Parlerai diversamente, quando avrò terminato con mio fratello... e i tuoi” ghignò per tutta risposta Conner, scrutandomi con lascivia.

La sua mente lasciò scaturire pensieri così laidi da farmi storcere il naso e, in fretta, mi allontanai da quelle immagini crude e disturbanti.

“Sei adottato, vero?” borbottai a Rey, afferrando uno dei coltelli che tenevo alla cintola.

“Purtroppo no” replicò lui per diretta conseguenza, avanzando di un passo verso il fratello.

Ora, a dividerli, c'era poco più della larghezza del cortile. Davvero troppo poco, per i miei gusti.

Stheta e Krilash, parati dinanzi ai Cacciatori e pronti a dar battaglia, sovrastavano di gran lunga in altezza i compagni di Conner.

Da quel che potei percepire, stavano mettendo non poco a disagio i loro avversari.

Non ne capivo molto, di Cacciatori, ma mi sembrò palese dai loro pensieri che, l'idea di colpire un essere umano, li angustiasse parecchio.

Anche se stavano difendendo i loro più acerrimi nemici.

Un codice d'onore in un gruppo di assassini?

La cosa mi sorprese non poco, soprattutto perché non lessi la stessa preoccupazione nella mente di Conner.

Pareva non avere gli stessi scrupoli di coscienza, in particolar modo nei confronti di suo fratello.

Anzi, lessi solo odio, e una cieca furia rivolta verso di lui.

Voleva uccidere i licantropi, e non gliene sarebbe importato nulla di uccidere Rey, per ottenere i suoi scopi.

Preoccupata, mi mossi per pormi dinanzi a Rey ma Conner, puntandomi addosso la pistola, replicò sprezzante: “Non fare l'eroina per lui, ragazza. Non esiterei a spararti, e poi ammazzerei mio fratello in ogni caso.”

Poi, rivoltosi ai suoi affiliati, ringhiò: “Che aspettate?! Siete in maggioranza o sbaglio?!”

“Loro non c'entrano, Conner. Lo sai benissimo!” replicò piccato il più anziano del gruppo, continuando a scrutare a momenti alterni i miei fratelli, me e Rey.

Uno stallo alla messicana in grande stile.

Conner, allora, sbuffò contrariato e, prese in mano le redini della situazione, dichiarò: “Mai lasciar fare ad altri il lavoro sporco. L'ho sempre detto.”

Si volse perciò verso i suoi compagni, puntando loro addosso la pistola e, ghignando, aggiunse: “Io e te avremo qualcosa di cui discutere più tardi, Bryan.”

Ciò detto, si volse all'improvviso verso di noi e, prima che io potessi percepire il suo pensiero – e bloccare le sue azioni – fece fuoco in direzione di Rey.

Il mio grido si levò feroce, sovrastando le urla di sorpresa degli altri, mentre il corpo di Rey, dapprima immobile per lo stupore, cominciò a scivolare a terra.

Lo afferrai al volo, accompagnandolo verso il pavimento con delicatezza, mentre la risata di Conner si espandeva nell'aria umida e feroce.

“Cos'hai fatto? Sei impazzito?!” sbraitò Bryan, gettando a terra il suo fucile per raggiungere a grandi passi Conner, che ancora stava ridendo.

Non permisi a nessuno di toccarlo prima di me.

Mi levai come una furia per raggiungerlo prima del suo compagno e, sotto gli occhi sgomenti di tutti, lo afferrai al collo, sollevandolo fin sopra la mia testa.

Non contenta, presi la sua pistola per strappargliela di mano e, puntatala contro il suo petto, gridai rabbiosa: “Sei un uomo morto!”

“Litha!” gridarono in coro i miei fratelli, ma io non li ascoltai.

Spinsi con tutta la mia forza Conner fin contro il capannone dei macchinari, facendo vibrare le vetrate per l'urto violento.

A quella vista, i Cacciatori si bloccarono confusi; non badai neppure a loro.

La mia attenzione era tutta per Conner che, ancora appeso al mio braccio, stava cominciando a diventare viola per la mancanza d'aria.

I suoi pallidi tentativi di sfuggirmi risultarono inutili. Ero troppo forte, per lui, e ora stava iniziando a comprenderlo.

“Cosa avresti fatto, di me? Cosa?! Non mi avresti mai toccata, lurido scarto d'uomo!” gli urlai in faccia, facendolo discendere perché potesse toccare i piedi a terra.

Mi avvicinai tanto da sfiorargli il naso e, furiosa come una tempesta, gridai ancora: “Non sei degno di camminare su questa terra, laido essere umano!”

Non contenta, lo scaraventai a terra, e il suo corpo rovinò dolorosamente a terra, lasciando una scia di ghiaia smossa sul cortile.

I Cacciatori erano paralizzati dal terrore, ora, e anche Stheta e Krilash non osavano muoversi.

Compresero perfettamente che, in quel momento, ero letale. Una sola interferenza e sarebbe scoppiato un pandemonio.

Conner cercò di rialzarsi da terra, tossì per riprendere fiato, ma io non gli concessi altro.

Lo colpii con un calcio, rimandandolo a mangiare ghiaia e polvere e, dopo essermi inginocchiata accanto a lui, poggiai un coltello sul suo collo e sibilai: “Potrei squartarti come un maiale e darti in pasto ai licantropi. Sarebbe la tua giusta punizione. Ma voglio divertirmi, con te. Non ho mai lasciato andare un nemico senza avergliela fatta pagare cara, Conner, e tu mi hai fatto veramente arrabbiare.”

“Chi... chi sei? Sei come loro?” gracchiò Conner, guardandomi con occhi sgranati e pieni di terrore.

Esattamente come li volevo in quel momento.

“Sei al cospetto di una dea... e le dee furiose possono essere tremende” gli sibilai all'orecchio, levandomi in piedi.

Sii ciò che il tuo sangue ti dice di essere...

Quella frase riverberò nel mio corpo come un colpo di maglio e, d'improvviso, la rihall sul mio collo prese a bruciare, dolendo terribilmente.

Vi poggiai sopra una mano e, scrutando la  mia pelle con occhi sorpresi, vidi ricomparire i glifi che il tocco di Rey aveva fatto scomparire.

Le mani, i palmi, ogni lembo di pelle visibile si ricoprì di glifi dorati e scintillanti e Conner, cominciando a urlare di paura, indietreggiò carponi nel tentativo di sfuggirmi.

Sii la mia eredità, figlia tanto amata...

La voce tornò tonante nella mia mente, e finalmente la riconobbi.

Era la voce della mia genitrice.

Di colei che aveva dato la vita per proteggermi.

Di colei da cui giungevano i miei poteri divini.

Di colei da cui ora presi il coraggio di agire.

Rifulgente come stella, mi piegai verso Conner, che balbettò frasi sconclusionate e senza senso, perso nel suo terrore personale.

Presolo per il collo, lo sollevai innanzi a me e lo fissai disgustata.

“Non sei degno di sfiorare con la tua presenza queste mie terre sacre, misero mortale...”

Il bagliore, allora, si diffuse fino a inglobare anche Conner che, preso dal panico, iniziò a urlare come un forsennato.

Vane furono le parole di Stheta e Krilash, come vane furono le preghiere dei Cacciatori, che mi implorarono di salvare il loro compagno.

Non lo avrei mai lasciato vivere, dopo ciò che aveva fatto a suo fratello.

Avrei potuto accettare qualsiasi cosa, ma non quella.

Fu la voce strozzata di Rey, però, a bloccarmi.

Seduto a terra e sorretto da Rohnyn – mentre Rachel teneva premuto un telo sulla ferita sanguinante – richiamò la mia attenzione con il semplice suono della sua voce.

La luce dentro di me si spense lentamente e, disgustata dalla vicinanza di Conner, lo lasciai andare per raggiungere Rey.

Fui dai lui in un battito d'ali e, preoccupata, esalai: “Non parlare, Rey, per favore. Ora ti portiamo in clinica per curarti. A loro baderò io. Non devi pensare a niente.”

“Non voglio... che ti macchi... ancora.. d-di sangue. Non... non per me” ansò lui, cercando la mia mano.

Immediatamente, la sollevai tra le mie, baciandola e, annuendo, replicai: “Farò tutto ciò che vuoi, ma non sprecare le forze.”

Rey allora mi sorrise … e svenne tra le braccia di Rohnyn.

Mi rialzai a fatica mentre Rohnyn, con l'aiuto di Rachel, sollevava da terra Rey per condurlo alla clinica.

Guardando Stheta in cerca di aiuto, lui annuì e, in fretta, condusse Rohnyn in direzione dell'infermeria, dove avrebbero potuto dare le prime cure a Rey.

Io, nel frattempo, mi sarei occupata dei Cacciatori. E di Conner.

Mi rivolsi poi a Krilash, gli occhi gelidi come ghiaccio imperituro, ordinandogli perentoria: “Occupati dei licantropi. Conducili nell'infermeria assieme a Rey. Io baderò a loro.”

“Sorellina...” tentennò, indeciso.

I glifi tornarono a splendere, forse in risposta alla mia rabbia e lui, dopo un ultimo sguardo, si affiancò ai licantropi e si allontanò con loro.

A quel punto, fulgida e ricolma d'ira vibrante, mi rivolsi ai Cacciatori che, nel frattempo, avevano attorniato un terrorizzato Conner.

Furente, esclamai: “Ho promesso di non macchiare le mie mani di sangue... ma tutto dipenderà da voi! Siete pronti ad andarvene per non tornare mai più?!”

Mi guardarono tremanti, mentre il mio fulgore cresceva di intensità, ma fu Conner a decidere del suo destino, non certo il mio desiderio di fargliela pagare.

Si levò in piedi, strappò dalla mano di uno dei Cacciatori un fucile e, urlando, mi sparò.

Indispettita, levai una mano per parare il colpo e, semplicemente, il proiettile svaporò.

Ora, i glifi erano incandescenti.

Nessun essere umano può toccarti, figlia mia... ma soppesa bene il tuo potere, perché esso sia al tuo servizio, e non tu al suo...

Fu difficile accettare ciò che quelle parole contenevano, ma avevo promesso.

Rey non voleva che io uccidessi ancora e, soprattutto, non a causa sua.

Mi avvicinai perciò al gruppo di Cacciatori e, levata una mano verso di loro, mormorai: “Ringraziate l'uomo che amo se non vi uccido ora, su questo luogo sacro. Siano miei i vostri ricordi, e vostre le mie minacce. Non avvicinatevi più, o non sarò altrettanto generosa, se vi ripresenterete al mio cospetto. Che il memento del mio odio vi rincorra, se solo oserete toccare un altro licantropo.”

I glifi presero fuoco per un istante e, quando la luce si spense, i Cacciatori erano stesi a terra, privi di sensi, le menti svuotate di ciò che avevano scorto in quella notte orribile.

Feci sparire in fretta le armi e, con l'ansia che galoppava nelle vene, corsi verso l'infermeria per sincerarmi delle condizioni di Rey.

Non appena ebbi raggiunto il pronto soccorso allestito nel Santuario, lanciai un'occhiata veloce in direzione del licantropo ferito.

Tornato umano, ora era controllato dalle sapienti mani di Rachel, coadiuvata da un altro licantropo che, vedendomi, mi ossequiò con un cenno del capo, prima di sussurrare un 'grazie' sentito.

Assentii, dopodiché raggiunsi il letto dove si trovava Rey, e lì barcollai.

Stheta fu lesto a sorreggermi e Rohnyn, guardandomi spiacente, disse: “Il proiettile ha perforato il fegato. Anche se fosse in ospedale, non potrebbero fare nulla, lo sai.”

Scossi il capo, non volendo ascoltare le parole di mio fratello, ma Rey mi sorrise e, ancora una volta, cercò la mia mano.

“Se fossi stata più veloce, avrei capito che...” singhiozzai, bloccandomi a metà della frase per baciarlo sulle labbra. “Scusami, scusami, scusami...”

“Non... non mi sembra... sia stata tu... a... a spararmi...” cercò di ironizzare Rey, ansando a fatica.

“Non parlare, non parlare” sussurrai, tergendomi il viso dalle lacrime che ormai non riuscivo più a trattenere.

Esse fluirono copiose dai miei occhi colmi di dolore e Rey, spiacente, mormorò: “Non volevo... piangessi... per me...”

“Farei qualsiasi cosa, per te. Anche piangere” celiai per tutta risposta, e lui sorrise.

“Anche se lo odi, ...vero?”

“Sì, odio sentirmi così. Ma amo provare tutti questi sentimenti, perché mi fanno sentire viva...” sussurrai, piegandomi verso di lui per baciarlo sulla fronte. “Non morirai, te lo prometto, fosse anche l'ultima cosa che faccio.”

“Sai... che … che non c'è rimedio...”

“Sì che c'è. Tu sei un mio discendente, Rey, hai sangue Tuatha nelle vene. Sarà questo a salvarti.”

Mi levai in piedi dopo aver proferito quelle parole e, fissato Stheta negli occhi – che lanciarono lampi di preoccupazione – dissi: “Facciamolo.”

“Davvero ti fidi delle parole di fiele di Muath? Potrebbe avertelo detto solo per ferirti!” protestò il mio fratellone, portandomi a sorridere.

Gli carezzai il viso, grata per la sua preoccupazione, ma replicai: “Non lascerò nulla di intentato per salvarlo, non lo capisci? Hai visto quello che sono in grado di fare. Che mi piaccia o meno, sono diversa da voi. Ed è il momento che io scopra fino a che punto.”

“E' troppo rischioso” protestò a sua volta Rohnyn, accigliato non meno di Stheta.

“Ma la vita è mia, e la gestisco come voglio” ribattei con sicurezza, ormai decisa a compiere quel passo.

“E a noi non pensi? Ti vogliamo bene!” esalò Krilash, afferrandomi per le spalle con veemenza.

Gli sorrisi, abbracciandolo con calore e, contro la sua spalla, mormorai: “E io ne voglio a voi, ma la mia decisione è questa. Preparate la centrifuga per lo scambio ematico. Faremo così.”

“Beh, allora noi doneremo il nostro sangue a te” propose a quel punto Rachel, raccogliendosi la manica della camicia, già pronta a mettere in pratica quanto detto.

Mi sorrise, e aggiunse perentoria: “Hai anche sangue fomoriano nelle vene, oltre che dei Tuatha. Potrai reggere perfettamente il nostro apporto spontaneo... e obbligatorio.”

“Detto da vera principessa fomoriana” asserii, annuendo al suo indirizzo. “E sia, ma sbrighiamoci. Non c'è molto tempo.”

Lanciai uno sguardo a Rey, che ancora mi stava guardando con apprensione, e aggiunsi: “Non mi abbandonerai, posso giurartelo su quanto ho di più caro.”

***

Stesa sul lettino accanto a quello di Rey, i nostri corpi uniti dalle cannule della centrifuga, sospirai e, rivolta a Stheta, dissi: “Spero solo di non avvelenarlo. Dopotutto, lui è soprattutto un essere umano, e...”

Lui mi azzittì con un sorriso e, lanciato uno sguardo a Rey – che giaceva in stato di semi incoscienza – replicò gentilmente: “In ogni caso, è la sua ultima e unica speranza, Litha.”

Annuii, sapendo che aveva ragione.

Il suo fisico stava cedendo e, se il mio sangue non lo avesse rigenerato, in quanto sangue di dea e di sua progenitrice, niente avrebbe potuto.

“Aziona la macchina ma, mi raccomando, aspettate a donare il vostro sangue finché non vedrete in Rey un qualche cambiamento. Se non funziona, non voglio risvegliarmi, è chiaro?”

Stheta assentì, sospirando e, nel sedersi accanto a me sul lettino, mi carezzò i capelli sparsi sul cuscino.

“Sapevo che l'avresti detto. Te l'ho letto nella mente fin da quando hai dichiarato di voler tentare.”

“Sai anche perché ho deciso così. Vorresti vivere senza Ciara?” gli sorrisi in risposta, dando una pacca leggera al suo braccio.

Stheta azionò la centrifuga e il mio sangue, scarlatto e puro, defluì verso il corpo di Rey che, a causa del colpo di pistola, aveva già perso più di un litro e mezzo di linfa vitale.

Sospirai e, nel sollevare una mano verso Rohnyn, che se ne stava in piedi accanto a Sheridan, nei pressi di una finestra, mormorai: “Fratello...”

Lui si scostò subito, raggiungendomi e, scrutando i loro volti preoccupati, dissi: “Hai scelto la mortalità perché Sheridan non avrebbe mai potuto vivere come fomoriana, vero?”

“Sì. E non me ne pento. Ma tu...”

Scossi il capo, interrompendo la sua replica, e mormorai in risposta: “E' la stessa cosa per me. O così, o nulla. Ma dovete promettermi una cosa.”

Annuirono entrambi e, in quel momento, Krilash fece la sua ricomparsa nell'infermeria.

Si era recato dabbasso per essere sicuro che tutto fosse a posto coi Cacciatori e ora, nel vedere la centrifuga in azione, corse da me e si inginocchiò accanto al letto.

“Vedrai che funzionerà, Litha. Scommetto che neppure Muath è così crudele da aver detto una bugia su questo.”

“Rischia in ogni caso, visto che deve dargli tutto il suo sangue.”

“E' per questo che ci siamo noi qui. Le doneremo il nostro per permetterle di sopravvivere a questo scambio. Sennò, a che servono i fratelli?”

“O le cognate?” intervenne Rachel, dando una pacca sulla spalla al marito, che le sorrise.

“Se tutto va come spero – e credo – non dovrete sacrificarvi più di tanto. Una volta reintegrati i liquidi minimi, le mie cellule ricominceranno a produrre sangue autonomamente. Dopotutto, sono una dea, no?”

Lo dissi con ironia, ma il tremore alle mani mi smentì.

Era inutile nascondere la verità; avevo una paura folle, ma non potevo fare altrimenti.

Se quello era l'unico modo di salvare Rey, io lo avrei portato avanti fino alla fine.

Le lacrime tornarono a bagnare i miei occhi e Rachel, nel tergerle via, mi disse: “Ciara mi ha detto di dirti di non fare pazzie. Chissà perché? Ti conosce meglio di me e, a quanto pare, aveva ragione da vendere.”

Le sorrisi in risposta, asserendo: “Se fosse stata qui, forse avrebbe evitato che succedesse tutto questo. Lei è così brava...”

“Neppure lei è onnipotente, sorellina... ma, sicuramente, si sarebbe fatta in quattro per proteggerti” mormorò Stheta, chinandosi per darmi un bacio sulla fronte.

Sheridan, a quel punto, si avvicinò a sua volta e, sorridendomi da sopra il capo addormentato di Kevin, disse: “Sei una donna forte, Litha, quindi non provare a deludermi, perché giuro che ti inseguirò in capo al mondo – in qualsiasi mondo – per suonartele di santa ragione, se non ce la fai.”

Mi venne voglia di ridere, ma la mancanza di sangue me ne tolse la forza.

Mi limitai perciò ad annuire e, nel lanciare un ultimo sguardo a Rey, mormorai nell'addormentarmi: “Lasciatemi andare, se dovete.”

“Non servirà” rispose per tutti Rohnyn, afferrando la mia mano fredda per tenerla nelle sue, più calde. Rassicuranti.

Chiusi gli occhi e, con un sospiro tremulo, mi addormentai.

***

Bambina mia... sveglia...

Non sentivo nulla, il mio corpo era leggero, fluttuava in un liquido caldo, denso, che mi avvolgeva tutta.

Non avevo dolore, non percepivo nessun tipo di sensazione... udivo solo una voce, in quel mare di tiepida oscurità.

Non mi servì a molto aprire gli occhi – per lo meno, mi parve di farlo – perché non potei percepire nessun tipo di colore.

Solo quel suono, con quel tono accorato, dolce.

Le libellule volano leggere... non vuoi prenderle?

Non capii a cosa si riferisse la voce quando, come il sorgere del sole all'orizzonte, la luce si fece largo nel mare di oscurità. E vidi.

Ero in piedi accanto a una culla, dove una bambina di un mese giocherellava con dei pupazzi di pezza... a forma di libellula.

Ce n'erano ovunque, dipinte alle pareti, ricamate sulle copertine che coprivano la bimba.

Io.

Quelli occhi color delle ametiste, la spruzzata di capelli neri come la notte.

E una donna, seduta su una sedia nei pressi della terrazza, osservava la scena con un sorriso.

Mia madre.

Ti sono sempre piaciute le libellule... o, per lo meno, io così pensavo. Volevi giocare solo con quei pupazzetti con le ali.

Capii che si stava rivolgendo alla me stessa adulta quando si levò in piedi, mi sorrise e si avvicinò a me.

“Dove sono?” le domandai, non arrischiandomi a chiedere altro.

Nei tuoi ricordi, bimba mia.

“E come sono finita qui?”

Perché è un buon posto in cui riposare, mentre ti ritempri. Ciò che hai fatto è stato molto coraggioso e molto folle, bambina cara. Ma sapevo che l'avresti fatto.

“Perché dici così? Tu non hai potuto vedermi crescere... non mi conosci...” mormorai, e dentro la mia anima mi sentii rodere da un antico dolore. La consapevolezza di essere sempre stata diversa dagli altri.

Mia madre sfiorò il mio viso con una mano incorporea, ma ugualmente ne percepii il tocco, e sospirai.

Come pensi io riesca a parlarti, cara, se non fossi sempre stata al tuo fianco, dentro di te?

“Cosa? Che intendi dire?” esalai, sgranando gli occhi.

Una folata di vento si incuneò nella stanza e mia madre, scrutando il mare in lontananza e le scogliere battute dalla brezza, si accigliò.

Prima di morire, non ti lasciai solo i miei ricordi, ma anche una parte di me. Non volli abbandonarti del tutto... non avrei mai sopportato di farlo. Esattamente come tu non avresti sopportato di abbandonare Rey.

“Tu lo conosci? Come?”

Mi sorrise con una certa ironia, e io mi sentii tremendamente in imbarazzo pur senza conoscerne i motivi.

Ho potuto percepire tutte le tue emozioni fin da quando Muath scelse di portarti con sé a Mag Mell, e Tethra risvegliò la rihall appartenente alla casata di tuo padre.

“La nostra famiglia e quella… reale fomoriana… erano parenti, vero?” esalai, pur sapendo di non essermi sbagliata.

Mia madre annuì, spiegandomi ogni cosa.

Tuo padre proveniva da un'antica casata fomoriana legata alla famiglia reale. Se non ricordo male, erano cugini di terzo grado, per questo porti una stella a cinque punte sul collo. Le stelle appaiono sono negli appartenenti alla famiglia reale.

Si bloccò un momento, carezzandomi i capelli con fare pensieroso, ma alla fine parlò di nuovo.

E’ stato giusto che tu sia tornata al mare. Sono lieta che sia stata Muath ad avere la meglio sulle decisioni di Tethra.

“Perché?” le domandai con una certa acredine, accigliandomi.

Nel bene e nel male, Litha, lei ti ha salvata nonostante fosse giunta per portare morte. In guerra succede, e ne fanno le spese anche gli infanti pur se, è vero dirlo, i fomoriani hanno sempre tentato di evitarlo. Lei, però, decise diversamente, per te. Non so se fu per via del tradimento di Bress, o per qualcos'altro, ma tant'è. Tu sei viva perché lei ti ha voluta con sé.

“Avrei voluto crescere con te e papà, però.”

A questo non c'è rimedio ma, quando ti ho spinta verso le nostre terre, ho sperato con tutto il cuore che tu potessi trovare qualcuno della nostra genia a cui appoggiarti.

“Tu hai fatto cosa?” esalai, sorpresa e confusa.

Una dolce risata, e mia madre mi disse: Fui io a spingerti verso Cork, allontanandoti da Dublino. Avresti accettato l’amore di Rohnyn, saresti rimasta da lui e tutto sarebbe rimasto immutato, ma io ho preferito spingerti verso la verità, pur se non speravo neppure lontanamente tu la trovassi così presto. E tra le braccia di un uomo buono come Rey.

“Per questo, mi sono sentita spinta ad abbandonare i miei fratelli, tutto ciò che conoscevo…” mormorai, comprendendo ogni cosa.

Era a fin di bene, anche se so che hai sofferto per la loro mancanza. Ma pensa a questo, cara. Ora, hai tutti loro, e noi non saremo mai veramente separate, amore mio. Mai...

“Mamma...” mormorai, allungando una mano verso di lei.

L'oscurità mi risucchiò via con un vortice, allontanandomi da mia madre, dai miei ricordi, dalla me stessa bambina e, con un ansito strozzato, riaprii gli occhi nel mondo reale.

E scrutai un viso che, neppure in mille anni, avrei pensato di rivedere.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


 
15.
 
 
 
 

Mi lappai le labbra, inaridite e screpolate e, sempre fissando la donna innanzi a me, mi domandai cosa fosse successo, se fossi finita in un incubo a occhi aperti.

Ero nell'infermeria del Santuario, non ero stata spostata ma...

Rey! Dov'era finito Rey?!

Premetti con le mani per sollevarmi a sedere, ma il mio corpo si rifiutò di obbedire agli ordini e, con un tonfo, ricaddi indietro sul materasso.

“Resta ferma. Sei ancora debole, e il tuo corpo si sta rigenerando lentamente. Hai donato più sangue del necessario, e ora non potresti muoverti neppure volendo.”

La voce di Muath risuonò atona, controllata, e il suo viso mi apparve imperscrutabile, ancor più del solito.

Seduta su una delle sedie dell'infermeria, lei che superava abbondantemente i due metri di altezza, appariva anacronistica e fuori posto, in quel luogo.

Eppure era lì, e i miei fratelli si trovavano poco distanti, appollaiati sui lettini restanti e tutti con gli occhi puntati su Muath.

Come biasimarli, del resto? Nessuno di loro poteva dire di avere avuto dei buoni trascorsi, con lei.

Perciò, perché si trovava qui? E come era riuscita a raggiungere la fattoria di Rey?

Kevin scelse quel momento per piagnucolare, desideroso con tutta probabilità di ricevere sostentamento e attenzioni.

Muath si volse allora verso Sheridan, che la stava fissando con aperta diffidenza e sospetto, e mormorò quieta: “Il bambino ha fame?”

“E' stata una notte piuttosto concitata, perciò credo che abbia bisogno di uno spuntino di riserva” le rispose atona Sheridan, aprendo la camiciola per offrirgli il latte.

“Anche Rohnyn strepitava a quel modo, quando aveva fame” chiosò a sorpresa Muath, tornando a guardarmi. “Tu, invece, ti limitavi a mettere il broncio e a singhiozzare.”

Distolsi lo sguardo e, nuovamente, il posto vuoto accanto a me mi mandò in agitazione.

“Stheta? Rey dov'è?” chiesi con voce roca, senza avere il coraggio di guardare mio fratello.

Lui mi raggiunse, ponendosi accanto al letto dalla parte opposta a quella dove si trovava Muath e, sorridendomi appena, disse: “Sta bene. E' nella sala post-operatoria. Quando...”

Si interruppe, lanciando un'occhiata a sua madre, dopodiché proseguì. “Lo abbiamo spostato perché potesse riprendersi in santa pace.”

“Non lo avrei comunque ucciso, anche se fosse rimasto qui accanto a Litha” protestò piccata Muath, ma Stheta non vi fece alcun caso.

“Permettetemi di essere un velo prevenuto nei vostri confronti, madre. Abbiamo avuto ampie prove della vostra riottosità nei confronti dei nostri congiunti, per cui...”

Rohnyn avvolse le spalle di Sheridan per diretta conseguenza, come se le parole del fratello avessero risvegliato antiche ferite, e io gli sorrisi in risposta.

Vederli tutti lì, sani e salvi – anche se incerottati all'altezza dei gomiti – mi diede la forza di guardare nuovamente in viso Muath e, seria, le domandai: “Perché sei qui?”

“Pensavi davvero che non mi sarei resa conto di quello che stavi combinando? Che ti piaccia o meno, tu sei mia figlia. E io saprò sempre se sei in pericolo.”

Il ricordo del mio risveglio nell'infermeria della senturion scelse proprio quel momento, per intrufolarsi nella mia mente confusa.

Rammentai il suo volto preoccupato, le occhiate che Muath lanciò a una addormentata Ciara, e quel che mi disse al mio risveglio.

Nessuno ti ucciderà, finché io vivrò.

“Ho parlato con la mamma. Qui” le dissi sommessamente, toccandomi la fronte con un dito.

“Quindi ci era riuscita...” mormorò in risposta, annuendo lievemente. “Temevo non avesse avuto tempo sufficiente.”

“Tu... sapevi?” esalai, confusa.

Muath scrollò un poco le spalle, replicando: “La sostenni fisicamente finché non morì. Verso la fine della cerimonia, parlò così fiocamente che non fui certa avesse portato a termine l'incantesimo. La comparsa dei glifi mi fece pensare che lei potesse parlarti ma, visto che tu non mi dicesti mai nulla, immaginai che la procedura non fosse stata completata con successo. Inoltre, mancando l'elemento più importante, e cioè un tuo parente che potesse dare avvio al processo di apertura dei ricordi, immaginai che avresti portato quei segni fin nella tomba.”

“Non mi hai ancora detto perché sei qui” insistetti, accigliandomi un poco.

Muath, allora, indicò il mio collo e, mesta, mormorò: “Dovevo disattivare la rihall. Se fosse rimasta, avrebbe interferito con i tuoi poteri divini, impedendoti di riprenderti. I poteri dei Tuatha e quelli dei fomoíre non vanno esattamente d'accordo. Per rigenerarti, dovevi essere interamente Tuatha, e la rihall avrebbe creato problemi.”

“Ma... e il sangue... dei miei fratelli, allora?”

“Il sangue, in sé, non crea problemi. Hai entrambi i ceppi, dentro di te. Ma la rihall è altro discorso. E' più di un semplice marchio, e tu lo sai bene.”

Certo, la rihall mi permetteva di vivere sotto i mari, di poter mutare in delfino, di nuotare più veloce di qualsiasi altro essere vivente.

In pratica, mi consentiva di essere fomoriana in tutto e per tutto.

Fu a quel punto che rammentai un particolare.

Quando i miei poteri di dea erano scaturiti per venire in mio soccorso, la rihall aveva bruciato come fuoco, sulla mia pelle.

Come intuendo i miei pensieri, Muath lanciò un’occhiata veloce a Stheta, prima di dire: “Mi hanno detto che ti sei… esibita. E immagino che la rihall ti abbia fatto male.”

Annuii, non volendo dire altro.

“Come dicevo prima. La rihall non è solo un segno distintivo di una casata, ma qualcosa di molto più profondo. Quando i tuoi poteri di Tuatha sono emersi, hanno cozzato contro quelli dei fomoíre, e forse è stato un bene, o avresti raso al suolo tutto.”

Deglutii a fatica, non immaginando davvero una cosa simile.

Muath sorrise appena, quasi divertita dal mio timore, e mormorò: “Dopotutto, ti è servita anche la tua parte fomoriana, pur se sembri odiarla tanto.”

Preferii non rispondere a quell’imbeccata e, con un sospiro, domandai: “E ora?”

Lei, per tutta risposta, si levò in piedi e, scrutandomi dall'alto, disse soltanto: “Se, un domani, vorrai rimettere piede a Mag Mell, dovrai chiedermelo perché lo vuoi davvero, non per una decisione presa da altri, o da un tuo capriccio. Nel frattempo, la tua pelle di delfino la custodirò io. Senza una rihall attiva, ora, non ti servirebbe a nulla, e non penso tu voglia chiedere ai tuoi fratelli una pinta del loro sangue, e un’oncia della loro carne, perché te la riattivino.”

Scossi il capo e, levandomi a sedere con l'aiuto di Stheta, vidi finalmente chi aveva accompagnato Muath fino al Santuario.

Ciara mi sorrise dalla porta d'entrata dell'infermeria, mentre Krilash, levandosi a sua volta in piedi, mi disse: “Torno tra poco. Devo andare a creare un po' di atmosfera.”

Li guardai allontanarsi assieme, senza avere la forza di chiedere e, con un sospiro, mi appoggiai a Stheta, che si accomodò sul letto per sorreggermi meglio.

“Non hai idea di quanto ci abbia sorpresi vederla piombare qui, nel bel mezzo della notte, assieme a Ciara.”

“Rohnyn ha quasi dato di matto, mentre io mi sono nascosta dietro a Stheta” ridacchiò Sheridan, sorridendomi nel sistemare la camiciola.

Kevin, ora, pareva molto soddisfatto.

Rachel ridacchiò nel ripensare alla scena e, annuendo, dichiarò: “Ammetto che, per poco, non è venuto un colpo anche a me. E Krilash ha sbraitato per un minuto buono, prima che Ciara riuscisse a tranquillizzarlo.”

“Ciara era rimasta a Mag Mell per tenere d'occhio Fay, vero?” domandai, sorridendo a Rachel, che annuì.

Da quando Fay era entrata nelle senturion, non era mai stata del tutto sola.

In barba alle regole vigenti, un soldato scelto da Ciara si era premurato di tenerla d’occhio in ogni momento.

E Ciara si era messa a totale disposizione di questo soldato, perché potesse conferire con lei a qualsiasi ora del giorno o della notte.

Avevo ipotizzato subito che la sua mancanza, al funerale, fosse dipesa da questo, ma saperlo mi rassicurò.

Tenevo molto alla figlia adottiva di Krilash, e saperla al sicuro era una consolazione.

“Per accompagnare Muath sulla terraferma, Ciara ha obbligato due soldati della guardia a presidiare la senturion ogni minuto, durante la sua assenza. E spero lo abbiano fatto, perché non voglio pensare alle conseguenze. Mia moglie sa essere piuttosto dispotica, quando vuole” ironizzò Stheta, cullandomi contro di sé.

Sorrisi a quel commento e, lasciandomi andare al suo calore protettivo, permisi a me stessa di riprendermi dallo sforzo fisico compiuto per salvare Rey.

Avrei avuto tempo più tardi per soppesare quanto Muath mi aveva detto.
 
***

Mi risvegliai molto tempo dopo e, quando scorsi due profondità color cioccolato sorridermi liete, esalai: “Rey...”

“Ciao” replicò, chinandosi a baciarmi.

Sorrisi contro la sua bocca e, grazie al suo aiuto, mi misi a sedere sul lettino d'ospedale dov'ero ancora distesa.

Lo guardai con intensità, alla ricerca di qualche indizio rivelatore ma, in realtà, non vidi altro che Rey, con i suoi profondi occhi scuri, il suo sorriso ironico e il suo viso allegro.

“Come ti senti?” gli domandai, muovendo istintivamente una mano verso il suo addome.

Lui, per tutta risposta, sollevò la maglia di cotone che indossava e mi mostrò la sutura rosea e in via di guarigione.

Vagamente sorpresa, esalai: “Ma come... stai già guarendo?”

A quel punto, Rey mi carezzò il viso, i capelli intricati e scompigliati e replicò alla mia domanda con un tocco di ironia. “Litha, sono sei giorni che stai dormendo.”

Cosa?!” esclamai, strabuzzando gli occhi.

Mi guardai intorno, notando la totale assenza della mia famiglia e dei due licantropi che, la notte del ferimento di Rey, avevano rischiato di morire.

Completamente stravolta e confusa, tornai a guardare Rey in cerca di spiegazioni.

Con la sua consueta calma olimpica, prese le mie mani tra le sue e disse: “Dopo il breve risveglio che hai avuto, hai dormito in stato semi comatoso per diverso tempo. Ti abbiamo alimentata con le flebo...”

Si interruppe per indicare l'ago che avevo nel braccio destro, e io sibilai sconcertata.

“...dopodiché, abbiamo aspettato. Stheta mi ha assicurato che stavi bene, anche se non mi pareva del tutto convinto neppure lui. Krilash e Rachel sono tornati a Mag Mell perché volevano vedere come se la stava cavando Fay, mentre Stheta, Rohnyn e Sheridan sono ancora alla fattoria. Quando sono venuto qui, stavano mostrando le pecore a Kevin.”

Mi sorrise nel dirlo, e io annuii.

“Quindi... hai visto Muath?”

“Per la verità, no. Ero ancora addormentato, quando se n'è andata. Ma Rohnyn mi ha detto che è passata da me. Non ha detto nulla, si è limitata a guardarmi e poi è uscita. Questo, stando al racconto di tuo fratello.”

Sbuffai, ma dissi atona: “Beh, per lo meno non ha cercato di ammazzarti. E' già un passo avanti rispetto al passato.”

“Te la senti di alzarti? O preferisci riposare ancora un po'?”

“No, me la sento... ma aiutami, per favore” asserii, sfilando le gambe da sotto le lenzuola.

Sia io che Rey ci bloccammo sul colpo, quando i nostri occhi si posarono sui miei piedi.

Anche se pallidi, quasi invisibili se non a un occhio attento, riuscii a scorgere gli antichi glifi che, il tocco di Rey, aveva cancellato.

Ora erano lì, poco più che mere apparizioni, eppure riuscivamo a vederli entrambi, e ricoprivano ogni centimetro di pelle visibile.

Proprio come la notte in cui avevo avuto accesso ai miei poteri divini.

“Ma cosa...?” esalai, levando un piede per poggiarlo sul bordo del letto.

Rey, subito, mi sfiorò la pelle con un dito e, sibilando per la sorpresa e lo sconcerto, allontanò la mano quando, sulla sua pelle, comparvero i medesimi glifi sottopelle.

“Porca... la... miseria!” esclamò, fissandosi la mano come se la vedesse per la prima volta.

La nostra dinastia può rinascere, ora... i Tuatha, dopotutto, non sono stati distrutti... Bress ha fallito.

“Mamma?” esalai, facendo tanto d'occhi.

Il tuo sangue divino lo ha reso simile a te, cancellando le debolezze del suo essere un mortale, così come il tuo sangue fomoriano ti ha permesso di sopravvivere ai secoli, unica sopravvissuta in un mondo che più non crede alle sue antiche divinità.

Rey impallidì visibilmente e, a tentoni, cercò lo schienale della sedia per appoggiarvisi.

A quanto pareva, non aveva ricevuto solo il mio sangue, ma anche la mia eredità.

Non solo Tuatha, ma anche fomoriano e umano. Una nuova stirpe di dèi, non più legata a un culto, ma indipendente da tutto e da tutti. Una nuova era, un nuovo corso. Siate padroni di questa eredità e usatela con saggezza, figli miei.

“Oh. Mio. Dio.”

Rey crollò definitivamente sulla sedia, il viso coperto da mani tremanti e io, dopo essere uscita dal letto, lo strinsi a me e mormorai: “Impareremo insieme, Rey. Un passo alla volta, un giorno alla volta.”

Lui gracchiò una risata e, con la sua solita ironia, mi disse: “Parli bene, tu. Eri già pronta psicologicamente a vivere per un sacco di tempo. Io no.”

“Pensa solo a questo, Rey. Il tempo non sarà più un ostacolo, per noi, ma solo un vantaggio” gli ricordai, scostando le mani dal suo viso per osservarlo negli occhi ancora turbati.

Rey allora ghignò, si levò lentamente in piedi e replicò: “Un'eternità con te. Non dovrebbe essere poi tanto male. Ma penso che andrò a rimettere lo stesso, se non ti turba troppo.”

Ciò detto, mi lasciò andare in gran fretta e si diresse verso il bagno, accompagnato dalla mia risata liberatoria.

Un attimo dopo, piena di comprensione e compassione, lo raggiunsi.

Dopotutto, non erano notizie che si ricevevano tutti i giorni.
 
***

Lo sconcerto della mia famiglia non fu inferiore a quello di Rey che, a distanza di diverse ore da quella scoperta, ancora faticava a crederci.

Nel terminare di dire ciò che sapevo, mostrai nuovamente loro le mani e domandai per la centesima volta: “Davvero non vedete nulla?”

“Litha, ti ho appena detto che non si vede niente. Niente. Sturati le orecchie, sorellina” brontolò Rohnyn, ormai esasperato.

“Detto con la tua consueta delicatezza, vero, amore?” ironizzò per diretta conseguenza Sheridan, intenta a far saltare sulle ginocchia il figlioletto.

“Ah-ah” mugugnò il marito. “E' solo che, nell'ultima ora, lo ha chiesto almeno venti volte! Dovrebbe averlo capito, ormai, che noi non vediamo i glifi.”

Sheridan, allora, mi guardò con estrema comprensione e celiò: “Hai tutta la mia simpatia, Litha, per averlo sopportato per quattromila anni. Era così rompiscatole anche da piccolo?”

Risi, dando una pacca sul braccio a Rohnyn e, scrollando le spalle, replicai: “Forse lo ero anch'io, per cui...”

“Alle donne è permesso. Specie se crescono con un branco di maschi” dichiarò perentoria mia cognata, guadagnandosi le occhiatacce di marito e cognato.

Rey si limitò a sorridere divertito.

“E dire che pensavo che i tuoi problemi di acidità dipendessero dalla gravidanza. Invece, vedo che sono connaturati in te” chiosò Stheta, intrecciando le braccia sul petto come a sfidarla a ribattere.

Ma Sheridan non ci fece neppure caso e, flemmatica, replicò: “Ho ancora il fucile con cui ti ho sparato, sai, cognatuccio?”

La risata di Rey, a quel punto, sgorgò come un torrente montano, fresca e limpida e, tergendosi una lacrima di ilarità, dichiarò: “Giuro, siete la famiglia più stramba, amorevole e calorosa che io abbia mai conosciuto.”

“Grazie, caro. E ora ne fai parte integrante. Vuoi che spari anche a te, per farti sentire più a tuo agio?”

“No, ho già dato, ma ti ringrazio per la gentilezza, Sherry” ribatté Rey, dandosi una pacca sull'addome.

“Ops, chiedo scusa. La mia lingua vaga senza controllo, a volte” si scusò Sheridan, sorridendo contrita.

“E' ora che ti riporti a casa, prima che Rey ci ripensi e fugga a gambe levate per colpa tua” sostenne Rohnyn, levandosi in piedi. “A ogni modo, non mi fido molto a lasciare il negozio nelle mani di Konag. Non è esattamente il suo mestiere.”

“Qui va tutto bene, fratello. Non devi temere per me o per Rey.”

Mi levai in piedi a mia volta per abbracciarlo e, nello stringermi a lui, mormorai commossa: “Non penserò mai più che voi non siete la mia famiglia. Mai più.”

“Ti converrà, o verrò qui solo per sculacciarti, sappilo. Anche se sei una dea a tutti gli effetti, ora.”

“Vieni comunque, venite tutti in ogni caso. Più volte che potete, e noi faremo lo stesso” rammentai loro, sorridendo anche a Stheta, che mi abbracciò non appena lasciai Rohnyn.

“Abbastanza da non dimenticarci di te, e non così tanto da farti detestare la nostra presenza.”

“Non succederà, poco ma sicuro.”

Sheridan fu meno sdolcinata, ma tremai quando abbandonai il suo abbraccio.

Baciai Kevin sulla fronte, promettendogli che gli avrei fatto visita un mondo di volte dopodiché, con calma, raggiungemmo l'auto di Rohnyn.

Fu con mestizia mista a speranza che li salutai e, nel veder allontanarsi l'auto lungo lo stradello, mi domandai quando li avrei rivisti.

Mi lasciai andare contro il corpo caldo e solido di Rey, che mi avvolse la vita con le braccia e, sorridendo nel veder giungere al trotto Viv e Parcy, mormorai: “E ora, che facciamo?”

“Conner ci darà ancora fastidio?” mi domandò a sorpresa Rey, lo sguardo perso nell'orizzonte limpido del primo pomeriggio.

“Ho cancellato dalla sua memoria ciò che è accaduto, ma continuerà a essere un Cacciatore, se è questo che mi chiedi.”

Annuì, mi ricondusse verso casa e, nell'aprire la porta d'entrata, mi sorrise e dichiarò: “Affronteremo i problemi quando busseranno alla nostra porta. Non ho intenzione di andare a cercarli di proposito.”

“Come vuoi tu. Inoltre, dobbiamo anche capire cosa sei in grado di fare, giusto?”

“Una cosa la so fare di sicuro” ammiccò lui, prendendomi in braccio con naturalezza. “Oh, bene...un bonus l'ho appena scoperto.”

“Sei più forte?” ironizzai, avvolgendo le braccia attorno al suo collo.

“Tra le altre cose” sorrise sornione, conducendomi verso la camera da letto.

Dopo avermi depositato tra le coltri profumate, si allungò verso il comodino e, dopo avermi passato una busta, mi disse: “Direi che è arrivato il momento di scoprire cosa ti ha lasciato nonnina in eredità.”

Soppesai tra le mani la lettera, indecisa se attendere ancora o accettare quest’ultima sfida.

Nel notare lo sguardo limpido e tranquillo di Rey, però, non ebbi più alcuna esitazione.

Infilai un dito tra le falde della busta, e sfilai il foglio singolo vergato a mano che si trovava all’interno.

La scrittura era leggermente tremante, ma sicura.

Sospirai, e lessi a voce alta anche per Rey.

 
Litha cara, quando leggerai questa mia, vorrà dire che ho raggiunto
la Madre, e ogni cosa è andata come doveva andare. Ama e lasciati
amare, cara, poiché meriti di vivere la vita pienamente, con gioia e forza.
Lascia che sia il tuo cuore, e non la tua spada, a guidarti, e fidati di Rey
come hai fatto finora. Prenditi cura di lui, perché potrà avere anche lui
bisogno di te e del tuo appoggio. I maschi, difficilmente lo comprendono
da soli. Ma, più di ogni altra cosa, lascia che i ricordi rimangano tali e
impegnati a crearne di nuovi, così che la tua esistenza sia piena e luminosa.
Sei nata il giorno più lungo dell’anno, e io spero che anche la tua avventura
sia così, lunga e calorosa, scaldata dal cuore del tuo vero amore. Abbandona
la rabbia, e vivi. Vivi, mia cara.                                       Tua  Gwendolin
 
Sorrisi mesta nel depositare il foglio sulle cosce e, nel baciare Rey, mormorai: “Sono sicura che la sua sarà l’anima più luminosa di tutte.”

“Non ho dubbi in merito” assentì Rey, togliendomi la lettera per distendermi sul letto.

Slacciandomi la camicia, cominciò a baciarmi lentamente la pelle e, con un risolino, mi chiesi quanto avremmo potuto andare avanti.

Dopotutto eravamo dèi, no?

Con tutta probabilità, avremmo passato ore, giorni, a studiare i nostri nuovi poteri divini, la nostra resistenza, i nostri limiti.

Anche se dubitavo che il nostro amore potesse avere limiti raggiungibili.

Non vidi l'ora di scoprirlo.








Note: Come avete avuto modo di scoprire, Muath non è così tremenda come può sembrare a volte. Ha un carattere scostante, è spesso egoista ma, messa di fronte al rischio di morte della figlia, non ha esitato a uscire dal mare per salvare Litha dall'annientamento. 
Ora, Rey è come Litha, immortale e dotato di poteri divini come ogni Tuatha. Naturalmente, senza rihall attive, a entrambi è precluso il mare, ma penso che per ora sia sufficiente imparare a convivere con la loro nuova realtà di dèi in terra.
Resta solo da scoprire l'epilogo, poi avrò terminato le avventure dei fratelli mac Lir e dei fomoriani.
Per ora grazie di avermi seguito fino a qui, e alla settimana prossima, con l'ultimo capitolo di questa tetralogia!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Epilogo ***


 
Epilogo
 
 


Vent'anni dopo.
 
 
“Giuro, mi sto chiedendo da chi hai preso, Aidan” brontolai, fissando contrariata il mio primogenito di diciotto anni.

Appariva contrito quanto un branco di squali in caccia e, sul suo viso abbronzato, svettava un sorriso sghembo che tanto mi ricordava suo padre.

“Ora, di colpo, mi ricordo” sospirai un attimo dopo, lanciando un'occhiata a Rey, che stava sistemando il pattino della slitta di Bridget, la nostra terzogenita di dodici anni.

“Ho fatto qualcosa?” ironizzò a quel punto lui, levando lo sguardo a scrutarmi.

Non occorreva che mi guardasse, per capire che mi stavo rivolgendo a lui.

Le nostre menti erano così interconnesse da non aver bisogno dell'uso della vista, o della parola, per casi come questo.

“Vedi un po' tu. Aidan ha fatto un autentico disastro, con la sua aeromobile nuova, e sembra che a te non interessi.”

“La possiamo aggiustare. Dov'è il problema?”

Sospirai esasperata e, lanciato nuovamente uno sguardo irritato al mio figliolo scapestrato, ringhiai: “Il fatto che tu possa manipolare la materia non vuol dire che tu debba farlo. Ti devi comportare come qualsiasi altro ragazzo della tua età, lo vuoi capire?”

“Ma non sono uguale agli altri!” protestò Aidan, mettendo un broncio adorabile.

Ecco, in questo assomigliava a me.

Sospirai nuovamente, lasciando perdere la rabbia e, uscita che fui da casa per controllare di persona i danni all'auto, gli avvolsi la vita con un braccio e dissi: “So benissimo che è difficile e credimi, sono passata anch'io attraverso questa fase. Ma il mondo non è certo pronto a scoprire che tu sei un semidio di antica stirpe, che hai il controllo sui metalli e che puoi manovrarli a tuo piacimento. Ti pare?”

“Potrei dire che sono come Magneto. Un X-Men.”

La sua ironia non mi piacque per niente, e Aidan lo capì immediatamente. Reclinò mogio il capo e se ne stette zitto.

“Pensi che, se ti credessero un mutante, sarebbe meglio? Sbaglierò, ma nei film che fecero su quei fumetti, non andava mai a finire bene, il rapporto tra umani e mutanti.”

“E allora, cosa dovrei fare? Stare per sempre da solo?” protestò a quel punto, mettendo voce a tutti i miei più sentiti timori.

Lanciai uno sguardo alle panchine del parco dinanzi a casa e, dopo averlo accompagnato lì, osservai i rami delle betulle danzare al ritmo della lieve brezza pomeridiana.

Il sole, raro per il mese di maggio, brillava diafano ma abbastanza caldo e, nel sorridere a mio figlio, mormorai comprensiva: “So che è difficile, Aidan, e niente di quello che ti dirò potrà sembrarti giusto, adesso. Ma sappi che io e tuo padre ti amiamo, così come le tue sorelle. Non è mai facile per nessuno essere unici ma, da questa consapevolezza, verranno la tua forza e il tuo coraggio. E forse, un giorno, troverai la persona giusta a cui confidare tutto questo, a cui cedere quella parte di te che più tieni celata.”

“A un'umana che perderei nel breve arco di un battito di ciglia?” mi rinfacciò con tristezza infinita.

Ripensai a Rey, ai timori di perderlo perché umano, ma non me la sentii di sobbarcare Aidan di quel segreto.

Era ancora troppo presto. Quando e se fosse mai giunto un momento simile, lo avrei messo al corrente di quella possibilità.

Della possibilità remota, ma non impossibile, di trovare qualcuno con gli antichi geni dei figli di Dana nel sangue.

Umani in grado di reggere la mutazione, lo stadio successivo di un’evoluzione ancora ai primi stadi.

Ma non ora, non quando era l'irrequietezza giovanile a parlare, e il desiderio di indipendenza a muoverne i passi.

Ogni cosa a suo tempo.

Gli baciai la guancia rasata, carezzai quelle morbide chiome nere come la pece e, sorridendogli nell'alzarmi in piedi, allungai una mano e dissi: “Andiamo a fare una passeggiata a cavallo. Tornare un po' alle antiche usanze non fa mai male, ogni tanto.”

“D'accordo” assentì rassegnato, ma con un mezzo sorrisino che mi lasciò ben sperare.

Una folata di vento improvvisa, però, mi fece distogliere lo sguardo da mio figlio e, dubbiosa, mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa.

O qualcuno. Dovevo ancora capire bene.

Aidan arricciò il naso, guardandomi con il medesimo dubbio che sapevo di avere negli occhi.

Guardandomi intorno, mormorai a mezza voce: “Chi giunge nel Santuario di Fenrir? Mostrati, straniero, se vuoi essere accolto in pace.”

La folata di vento portò con sé una risata fanciullesca e, comparendo come dal nulla, fece la sua apparizione una giovane donna dalla lunga chioma ramata.

Armata come un soldato fomoriano, portava una lunga spada ricurva al fianco, schinieri d’acciaio bulinato alle gambe e bracciali agli avambracci.

Una cotta di maglie ricopriva la tunica ricamata che indossava, mentre un gonnello di pelle abbracciava le sue forme di donna.

Quando la sua figura fu pienamente visibile, mi aprii in un sorriso meravigliato e, avvicinatami di un paio di passi, esalai: “Non puoi... oddio, sei Fay?”

“Buongiorno, zia Litha!” esclamò per tutta risposta la giovane, inchinandosi dinanzi a me prima di sorprendermi con un abbraccio caloroso.

Risi deliziata, stringendola a me e tentando di ricordarla come l'avevo vista l'ultima volta; una ragazzina fiera e pronta a sfidare il mondo.

Quando mi scostai da lei, le sistemai una ciocca dei ribelli capelli ramati e dissi: “Hai terminato il tuo apprendistato nelle senturion, devo dedurre. Da quando?”

“Circa sei mesi, più o meno. I figli di Ciara devono ancora cominciare, ma manca poco. Più o meno tre mesi. Quanto a mia sorella e a mio fratello, cominceranno fra tre anni” mi spiegò tutta orgogliosa, raddrizzando le spalle robuste.

Era diventata alta, la cara Fay, e i suoi occhi smeraldini erano fieri e valorosi come qualsiasi fomoriano che si rispettasse.

Dimostrava poco più dell'età di Aidan, ora, ed era bellissima.

Lo era stata in gioventù ma, crescendo, si era fatta splendida e, nei suoi occhi, brillavano una sicurezza e una forza di volontà rare.

Le efelidi sul viso si erano schiarite, lasciando trasparire la carnagione eburnea e perfetta.

Le labbra, rosee e piene, erano perennemente piegate in un sorriso e, pur se una piccola cicatrice vicino all'orecchio guastava quella perfezione, non vi feci molto caso.

Chiunque fosse stato addestrato nelle senturion, portava su di sé i segni di quel passaggio dall’età infantile a quella adulta.

“E' bellissimo rivederti, cara, ma hai un motivo in particolare per essere qui? Vedo che ti hanno sobbarcata di molta roba” notai a quel punto, indicando la sacca a tracolla che portava con naturalezza.

Lei assentì e, piegandosi su un lato per curiosare dietro di me, sorrise ampiamente e replicò: “Ti spiegherò tutto, zia Litha. Lui è tuo figlio, per caso?”

Mi volsi a mezzo e, quando scorsi il completo sconcerto sul volto del mio primogenito e sì, una certa dose di rimbambimento, scoppiai a ridere e assentii.

“E' mio figlio Aidan. Aidan, lei è tua cugina Faélán, la primogenita di Krilash e Rachel. Ti ho parlato di lei, ricordi?”

Sentendosi interpellare, Aidan trovò sufficiente forza – e cervello – per riprendersi e, annuendo come una bambola a molla, asserì: “Sì, sì, mi ricordo. B-benvenuta, cugina.”

Allungò  poi una mano, che Fay strinse con forza e, ancora piuttosto stordito, le domandò: “Rimarrai un po' qui da noi, o devi rientrare subito a Mag Mell?”

“Posso rimanere quanto voglio. Almeno per le prossime tre lune, non avrò impegni di alcun genere. Regalo di nonno Tethra, perché sono uscita con il massimo dei voti.”

La fissai incredula, ma lei annuì con vigore, aprendosi in un altro sorriso ammaliante.

Che, alla vista dei nipoti, il fiero e riottoso Tethra si fosse rammollito un po'? O era solo quel sorriso da sirena, a stregare tutti coloro che ne erano vittime?

Possibile quanto plausibile.

Di sicuro, Aidan mi parve parecchio stregato, anche se la causa avrebbe potuto anche attribuirsi alla bellezza esotica di Fay.

Nascondendo un risolino, rientrammo in casa per le presentazioni di rito.

Quando Fay e Rey si abbracciarono, mi lasciai andare a un sospiro di autentica gioia.

I figli di Rohnyn e Sheridan, Kevin e le gemelle, avevano deciso di rimanere umani, per il momento, pur sapendo di poter diventare fomoriani per diritto di nascita.

Krilash e Rachel avevano avuto un maschio e una femmina, a pochi anni di distanza l'uno dall'altra, ed erano stati chiamati Kain e Nyala.

La loro nascita aveva aiutato, e non poco, i genitori a sopportare il ritorno di Fay dalle senturion, e avevano ulteriormente riempito la loro vita di gioia.

I gemelli di Stheta e Ciara, invece, parevano piuttosto decisi a intraprendere un viaggio in giro per il mondo, una volta terminato il loro percorso di addestramento.

E dovevano ancora cominciare, quei due!

Come avrebbero fatto digerire questa novità al loro rigido nonno, era ancora tutto da vedersi.

Ma confidavo che il mio fratellone sarebbe riuscito nel miracolo, o anche la stessa Fay, visto ciò che era riuscita a ottenere lei stessa.

La nuova generazione sarebbe stata lo spartiacque per un nuovo corso, sia a Mag Mell che qui, sulla terraferma.

Riuniti infine in salotto, con Aidan, Bridget e Selene, la nostra secondogenita, sedemmo sul divano per ascoltare le ultime novità dal regno dei mari.

Le ragazze fissarono incantate la loro nuova cugina, e non me ne stupii.

Era forse la prima volta in assoluto che vedevano qualcuno più strano di loro. Riportando l’attenzione sulla nostra ospite dopo aver sorriso indulgente ai miei figli, domandai infine a Fay: “Cosa ci porti, dunque? Notizie o regali?”

Rey rise sommessamente, e io scrollai le spalle.

Era sempre meglio parlar chiaro, no?

“Credo entrambi, zia.”

Fay si tolse la sacca dalla spalla e, dopo averla aperta, estrasse metri e metri di tessuto madreperlaceo, che io riconobbi subito.

“E'... è pelle di delfino, vero?” mormorai attonita.

Erano davvero anni che non scorgevo – e toccavo – quel meraviglioso tessuto traslucido.

Lei assentì e, tornata seria, parlò con tono ufficiale e roco.

“Re Tethra e la regina Muath recano in dono alla reale stirpe dei Tuatha de Danann questo pegno. E' un dono per la famiglia dei Primi, perché possano avere la possibilità di risvegliare anche l'altra metà della loro eredità. La coppia reale chiede a te, Litha, e a te, Rey, di accettare questo dono, perché non vi sia precluso il mare, nel caso in cui vogliate visitare Mag Mell e i suoi Protettorati.”

Allungai tremante una mano per carezzare quella pelle di cui, volente o nolente, avevo sentito la mancanza per vent'anni.

Fu con un sorriso tremante che annuii e, rivolta a Fay, asserii: “Più tardi, risveglierò le loro rihall, dopo aver ripreso contatto con la mia pelle di delfino. Riporterò alla luce il marchio dei mac Elathain e, se mi concederai un po’ d’aiuto, te ne sarò grata.”

“Come desideri, zia. Ne sarò onorata” assentì lei, prima di lanciare un'occhiata curiosa in direzione di Aidan. “Papà mi ha detto che qui ci sono un sacco di animali. E' una vita che non vedo qualcosa che non sia un pesce. Mi porteresti a vederli?”

“Ma certo!” esclamò per diretta conseguenza lui, balzando in piedi come una molla.

Bridget e Selene ridacchiarono beffarde, ma Aidan non fece loro caso.

I suoi occhi, e i suoi pensieri erano tutti per Fay.

Quando furono usciti assieme, dissi alle ragazze di raggiungerli e, rimasta sola con Rey, asserii: “Te lo saresti mai aspettato?”

“Tutto è possibile, a questo mondo. Io ne sono la prova” assentì, scrollando le spalle. “Cosa volevi dire, comunque, con la faccenda del risvegliare la mia rihall? Non dovrebbero averla solo i nostri figli?”

Gli sorrisi e, ponendo la mano sul suo collo, dissi: “Ricordi quando ti donai il mio sangue? In te, confluì la mia parte divina, che ti salvò dalla morte, ma anche la mia parte fomoriana, che ha sempre fatto parte di me, grazie a mio padre.”

“Ma… Muath non annullò…?” tentennò Rey, ancora confuso.

“Fu annullato solo il potere della rihall, che controlla la pelle di delfino e la possibilità di vivere in mare, ma non le peculiarità salienti del sangue dei fomoriani che scorre in me” mi spiegai meglio, sorridendogli. “Io non farò altro che risvegliare quella parte, nascosta dentro di te.”

Chiusi perciò gli occhi, mi concentrai sul mio sangue, sul suo, sulle reminiscenze di un antico passato e, quando scostai la mano, seppi di aver chiuso il cerchio.

Tuatha e fomoíre, ora, erano davvero un tutt'uno, così come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.

Le guerre e le rivalità avevano diviso i nostri popoli, ma ora sarebbe sorta una nuova era di pace, fra le due civiltà.

Passandosi una mano sul collo, Rey fischiò per la sorpresa, come sempre quando qualcosa lo colpiva veramente, e io sorrisi.

“Quando finiranno le sorprese?” esalò, dandomi un bacetto sulla bocca.

“Forse mai, e questo ci renderà la vita ancor più divertente, non credi?” ironizzai, levandomi in piedi per uscire e raggiungere i nostri figli e Fay.

Rey mi imitò ma, nel farlo, l’occhio gli cadde sulla sacca aperta di nostra nipote.

Accigliandosi, mi disse: “Credo ci sia qualcos’altro, che dovresti vedere.”

“In che senso?”

Seguendone lo sguardo, sgranai lentamente gli occhi quando scorsi qualcosa di luccicante e stranamente familiare.

Allungata una mano, afferrai l’oggetto all’interno della sacca che aveva attirato la mia curiosità.

Si trattava di un anello con uno stemma gentilizio. Lo stemma dei mac Elathain… ed era coperto di sangue.

Rigirandolo tra le mani, mormorai: “Dici che…”

“Ho idea che sia stato tolto a qualcuno … e di certo, non con le buone maniere” assentì ironico Rey, guardandomi con un mezzo sorriso.

“Tethra” mormorai, stringendo l’anello nella mano.

“Credo che, finalmente, potrai vedere tuo zio, a conti fatti” decretò Rey, avvolgendomi le spalle con un braccio, per condurmi all’esterno. “Però, ha davvero uno strano modo di dirtelo.”

Risi di puro piacere, annuendo e, nell’infilarmi l’anello in tasca, chiosai: “Mio padre non è mai stato un personaggio semplice da capire.”

Rey mi sorrise, senza dire nulla.

Sapevo che si era accorto di quel particolare non da poco, e anche io non mi pentii di averlo detto.

Nel bene e nel male, pur con tutti i loro difetti, Muath e Tethra erano stati – e sarebbero stati – i miei genitori.

Erano stati commessi errori, molte persone erano state ferite ma, alla fine, ogni cosa aveva preso il suo giusto corso.

Perché la pelle di delfino che Fay aveva portato, sarebbe bastata anche alla famiglia di Rohnyn se, un giorno, avesse deciso di andare a Mag Mell.

Forse non sarebbe mai successo, ma ora la possibilità era reale, non solo fittizia.

Ora, la faida era chiusa.

Sorridendo a quel giorno così speciale, osservai il sole in cielo non appena raggiungemmo il cortile e, con tono tranquillo e pacificato, mormorai: “Raggiungiamo la nostra famiglia. E’ ormai tempo.”

Rey assentì e, tenendomi per mano, si avviò assieme a me verso le voci giocose dei nostri figli e di nostra nipote.



Note: E con questo capitolo concludo la tetralogia legata ai fratelli mac Lir. Spero innanzitutto di avervi distolto, almeno per un po', dalle rotture della giornata, e di aver contribuito almeno in minima parte a farvi sorridere e/divertire.
Dovrei aver risposto a tutte le domande fin qui comparse nel corso delle varie storie ma, se dovesse venirvi qualche dubbio, non esitate a chiedere. Per il resto, lascio tutto nelle mani della vostra fantasia.
Vi ringrazio di tutto cuore per esservi imbarcati/e con me in questa complessa avventura e, per quanti/e di voi vorranno proseguire il viaggio con me, nel giro qualche settimana posterò una nuova storia.
Stavolta si tratterà di un romanzo storico, senza mostri, creature mistiche o altro, e si intitolerà 'Una pennellata di felicità' e sarà ambientata nel 1805, durante la dominazione di Napoleone, e si svolgerà in Inghilterra, nello Yorkshire.
Non è legata a nessun'altra storia che ho postato finora.
Grazie ancora e a presto!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3279383