Together again

di anastasia in love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Together again-Spencer ***
Capitolo 2: *** Together again-Toby ***



Capitolo 1
*** Together again-Spencer ***


Spencer aveva parcheggiato l’auto proprio accanto al Brew, aveva spento il motore e si era adagiata pesantemente al sedile, improvvisamente esausta. La telefonata di Alison era stata un fulmine a ciel sereno e aveva guidato tutta la notte per arrivare a Rosewood il prima possibile.
“Torno presto” - aveva detto al suo superiore, ma la verità era che quando si trattava di Alison le cose tendevano al peggio naturalmente e Spencer tremava al solo pensiero di restare ancora imbrigliata nella vita, nella storia, nella famiglia e nei problemi di Alison. Aveva imparato a sue spese che Ali portava solo guai e almeno questa volta voleva restarne assolutamente fuori. Tutto ciò che voleva, in effetti, era fare dietro-front, riprendere l’autostrada e tornare a Washington senza mai voltarsi indietro.
Ma non era solo Alison a portare guai, ma tutta quella dannatissima città. Così quieta, quasi rustica con la ferramenta di fronte, la pasticceria all’angolo e la libreria in fondo alla strada, ma anche così piena di odio, di rancore e di gente davvero fuori di testa.

Era ancora immersa in quei pensieri che il suo cellulare cominciò a vibrare debolmente all’interno della borsa. Era un messaggio del suo ragazzo, Nicholas, che le chiedeva per l’ennesima volta se fosse arrivata a casa sana e salva. Spencer fissò a lungo il display del cellulare con una strana sensazione addosso. A Rosewood lei era semplicemente Spence, la Hastings svitata, tossica, perfettina e porta guai, quella che la mattina andava a scuola, adorava il caffè, portava le scarpe basse e i capelli legati, e in quel preciso istante, davanti al Brew, si sentiva esattamente così, come se quei cinque anni non fossero mai passati veramente. Non si sarebbe sorpresa se, entrando nel locale, avesse trovato Hanna intenta ad imprecare sul libro di biologia.
Ad un tratto Nicholas, il suo capo, il suo appartamento e persino Washington le erano sembrati infinitamente lontani, come su una galassia diversa da quella in cui si trovava quello strazio di città. Così aveva spento il telefono e si era avviata verso l’ingresso del Brew con un’insolita voglia di caffè addosso.

“Ragazze, io mi sposo fra tre mesi e non posso!” - aveva detto Hanna, accarezzandosi per l’ennesima volta l’anello di diamanti che portava all’anulare sinistro. “Io...non ce la faccio!” - aveva detto stancamente, passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi. Emily aveva scosso la testa.
“Ragazze, tutte noi abbiamo una vita, viviamo in posti diversi e abbiamo lasciato in sospeso tante cose per essere qui oggi, ma non possiamo abbandonare Alison. Non dopo tutto quello che è successo.”
Spencer ed Aria si erano lanciate un’occhiata fin troppo eloquente.
“Lo so Emily, lo so. Ma tornare qui…dai ragazze, non vi mette i brividi?” - aveva risposto a sua volta Hanna, appoggiando sul tavolo la sua tazza di caffè. “Abbiamo lottato tutte per lasciare Rosewood, ci siamo laureate e abbiamo una vita, un lavoro e io persino un matrimonio da preparare. Non possiamo ricascarci, non dopo tutto quello che è successo.”
Spencer e Aria si erano guardate ancora. “Mi dispiace Em, ma io sono con Hanna. Mi fa piacere rivedere Alison e tutte voi, ma ci ho messo cinque anni per dimenticare quella storia e …” - aveva cominciato Aria, ma la sua voce si era incrinata per la commozione e non aveva più continuato la frase. Per lei, lo sapevano tutte, era stato molto difficile riprendersi.
Spencer ascoltava la discussione in silenzio giocherellando con uno dei bottoni della sua giacca, finché Emily non le chiese a cosa stesse pensando e lei ritornò in sé. “Non lo so ragazze, non lo so davvero. Io penso solo che...” e in un attimo il cuore le si fermò in petto, l’aria le mancò nei polmoni e tutta la stanza cominciò a girare vorticosamente intorno a lei. Al di là della strada, per una frazione di secondo…
 “No, non può essere …” - aveva sussurrato. Eppure il cuore era ancora fermo, i polmoni ancora vuoti e la stanza non aveva ancora smesso di girare. No, non può essere, eppure…
“Spence, stai bene?”
“Chi? Cosa?...” - aveva balbettato Spencer tornando in sé e trovandosi il volto di Aria a pochi centimetri dal suo.
“Si, si certo…” - aveva risposto cercando di assumere un tono normale, ma la voce continuava a tremarle.
Toby. Dall’altro lato della strada, per una frazione di secondo, aveva scorto il viso di Toby tra i tanti sconosciuti della folla. “E’ per via della stanchezza” -si disse- “o magari è uno che gli somiglia. Non è Toby, non può essere Toby” - continuava a ripetersi nella testa mentre le altre avevano ripreso la loro discussione.
Durante tutto quel viaggio, in autostrada, aveva tenuto il volume della radio altissimo per sovrastare quella vocina nel suo cervello che continuava a cantilenare “Toby, Toby, Toby”, come la goccia di quel rubinetto che non hai mai riparato e che ti tiene sveglio per tutta la notte.
Ed era inutile che lo negasse, quando aveva visto il cartello con la scritta “Rosewood” quella mattina, alle prima luci dell’alba, le si era stretto un nodo allo stomaco al pensiero che lui era lì, in quella città che li aveva visti innamorarsi come due disperati. E allora la sua mente aveva vagato tra i ricordi, consapevole di farsi ancora del male come accedeva ogni volta che ripensava a quella dannata telefonata.
 
“Allora è finita? …” – aveva sussurrato lui dall’altro capo del telefono. Cercava di essere forte ma era chiaro che ben presto sarebbe crollato.
“Così non funziona Toby” – aveva detto lei, cercando di risultare decisa. La pioggia cadeva fitta al di là del vetro e solo l’insegna al neon della lavanderia di fronte riusciva ad illuminare debolmente le sagome dei palazzi di fronte.
“Ne abbiamo superate tante, Spencer. Io ti amo, e l’ultima volta che ci siamo visti io…”
Già, l’ultima volta. Spencer la ricordava bene. Lui era venuto a trovarla a Washington e avevano finito per fare l’amore sul divano del salotto. E poi in cucina. E poi a letto. Quel letto che non avevano lasciato per tutto il week end se non per fare una doccia veloce e mangiare qualcosa.
Spencer aveva cominciato a piangere lentamente.
“Siamo troppo lontani Toby. E non mi basta più vederci una volta al mese. Voglio di più Toby”.
Dieci minuti più tardi aveva indossato il suo leggero soprabito beige ed era scesa in strada dove il suo taxi l’attendeva già da qualche minuto. Aveva preso un aereo per Londra e da quella volta, da quella maledettissima telefonata, non lo aveva mai più risentito. E da quella maledettissima telefonata erano passati tre anni.

 
“Allora è deciso, parliamo con Alison e decidiamo cosa fare” - aveva detto Spencer, alzandosi. “Ora però vi lascio, mia madre mi ha costretta a partecipare a quella stupida cena di beneficenza e devo proprio andare a cambiarmi”.
“Giusto, la cena. Fai gli auguri a tua madre per le elezioni” - le aveva risposto Emily sorridendole.
“Lo farò” - disse e si avviò verso la cassa, ma aveva fatto appena due passi che si fermò di colpo alla vista di Toby. E non era il sogno di Toby o il pensiero di Toby, ma Toby in carne ed ossa, più alto e muscoloso di quanto ricordasse, più maturo e molto più attraente. Quello che aveva di fronte a sé era un uomo, non più un ragazzo, e soprattutto un uomo capace di farle tremare ancora le ginocchia.
“Spencer” - aveva detto lui sorpreso ma controllato. I suoi occhi erano fermi e riflessivi e la sua postura non aveva vacillato di un millimetro.
Spencer invece aveva l’impressione di essere una gelatina vivente. Nella speranza di trovare qualcosa da dire aveva cominciato a toccarsi nervosamente la frangetta, cosa che Nicholas odiava, e spostava il peso del corpo da un piede all’altro.
Toby invece se ne stava ben saldo sui piedi, fissandola con quegli occhi che le facevano sentire ancora le farfalle nello stomaco. Aveva un paio di jeans strappati e una maglietta grigio chiaro che gli stava divinamente.
“Toby…ciao” - aveva detto lei semplicemente, stupendosi del fatto che il suo cervello avesse trovato qualcosa di vagamente sensato da dire.
“Che ci fai qui?” - aveva continuato lui senza smettere di fissarla. Non sembrava arrabbiato ma neanche felice di vederla. La sua voce si era fatta più cupa e questo lo rendeva ancora più affascinante e misterioso.
“Oh…ehm...a dire il vero una rimpatriata. Le altre sono di la’” -aveva risposto lei cercando di decifrare il suo volto ma risultandole difficile sostenere anche solo il suo sguardo. Non poteva dirgli la verità, non poteva parlargli della telefonata di Alison. Dio, ancora bugie, come cinque anni prima. In fondo non era davvero cambiato nulla.
“Capisco. Beh, ora devo andare” - aveva detto lui afferrando due grosse buste piene di cibo che il ragazzo della cassa gli aveva appena consegnato.
“Mangi tutta questa roba?” - aveva detto lei dandosi immediatamente della deficiente per la domanda idiota che gli aveva appena fatto.
“Nono, è la colazione per i ragazzi del cantiere. Dopo la storia di…insomma lo sai, l’assicurazione mi ha pagato una bella cifra e sto costruendo una casa. La mia casa, a dire il vero.”
 
“Quando ci sposeremo dove andremo a vivere?” – aveva detto Spencer intrecciando le sue lunghe dita affusolate in quelle forti e decise di lui. Strano come la sua pelle diafana creasse un contrasto quasi magico con quella scura e abbronzata di lui.
Toby aveva sorriso e l’aveva stretta ancora più forte a sé. “Ma io non ti sposerò mai, anzi al momento ho proprio una bella biondina per le mani…” Spencer da sotto le lenzuola gli aveva sferrato un sonoro calcio sugli stinchi.
“Ahi!”- aveva borbottato lui, ridendo. “Così impari!” - aveva detto lei cominciando a baciarlo lentamente sul collo.
“Dì che mi sposerai o la smetto subito” - aveva continuato con un sussurro. Toby, già completamente in estasi per il suo tocco delicato, aveva risposto a stento. “Giuro che ti sposo e giuro che ti costruirò una casa con le mie stesse mani…”

 
“Spencer?” – aveva detto lui perplesso, facendola tornare con i piedi per terra. Lei aveva scrollato leggermente il capo come a voler cancellare immediatamente quel ricordo dalla mente.
“Ah, capisco. E dove?”
Perché lo aveva fatto? Perché gli aveva chiesto una cosa simile? Lui aveva la sua vita e lei la sua. Non doveva tentare di rivederlo, non doveva passare di lì “per caso”, non doveva sapere nulla della sua vita attuale.
“Poco fuori città, dove prima c’era la tenuta dei Jefferson” - aveva detto lui e per la prima volta non aveva saputo tenere a freno gli occhi che si erano illuminati come lampi al suono di quella domanda. “E’ un lavoraccio, le fondamenta sono completamente marce, ma il progetto è fantastico e mi metto al lavoro ogni volta che posso.”
I Jefferson. Si, conosceva la casa dei Jefferson.
“Signorina, mi scusi, voleva ordinare? ’” - chiese il ragazzo alla cassa visibilmente annoiato da quella conversazione che evidentemente gli stava rallentando la fila.
“Oh sisi certo” -aveva detto lei, voltandosi imbarazzata. “Pago un espresso al tavolo 4”.
Aveva armeggiato per un attimo con la fibbia della sua borsa e quando si era voltata verso la porta lui era già scomparso. Lo vide con la coda dell’occhio fuori dal locale, con le due grosse buste sottobraccio, intento ad attraversare la strada. Poi lo vide salire su quel pick-up, il suo pick up e mettere in moto.
“Grazie pure, tenga il resto” - aveva detto lei, e si era avviata tristemente verso l’uscita.
 
“Tesoro, mi rispondi? Comincio ad essere preoccupato. Chiamami appena puoi. Ti amo, Nick”. Spencer lasciò cadere il cellulare sul letto e si avviò verso la doccia, ma neanche l’acqua calda era riuscita a lavare via il ricordo di Toby. Toby con i jeans strappati, Toby bello come sempre, Toby con gli occhi ancora più azzurri e Toby che non l’aveva neanche salutata prima di andare via.
Così chiuse gli occhi e lasciò semplicemente che l’acqua bollente cancellasse il ricordo di quel volto che le aveva fatto desiderare di essere tra le sue braccia e nel suo letto ancora una volta.
 
 
Eccomi di nuovo qui a scrivere di questa coppia meravigliosa. Se per caso la storia vi è piaciuta lasciatemi pure un commento, ne sarei felice. Sono aperta a qualsiasi critica o idea, ve lo garantisco.
Un bacio,
Anastasia 

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Capitolo 2
*** Together again-Toby ***


Ecco come promesso la descrizione dell’incontro tra Toby e Spencer dal punto di vista di Toby. Ho inserito molti parallelismi tra i due capitoli e spero che apprezzerete. Fatemi sapere pure cosa ne pensate!
Vi abbraccio,
Anastasia

 
“Allora, ricapitolando: quattro pancakes al cioccolato, due toast con uova e formaggio e caffè per tutti?”
I ragazzi del cantiere annuirono e così Toby si infilò in tasca il vecchio scontrino della lavanderia Peterson sul quale aveva appuntato le ordinazioni, si diede una leggera scrollata ai jeans ormai impolverati e salì velocemente a bordo del suo pick up. Uscendo dal vialetto come al solito si era fermato a guardare quella che un giorno sarebbe diventata la sua nuova casa, anche perché al momento non c’era molto al di là di mura decrepite e fondamenta ormai marce da decenni.
Ma a Toby piaceva così com’era e si impegnava in quel progetto dalla fine del suo turno alla Centrale fino al mattino successivo, quando indossava nuovamente la sua uniforme e tornava in pratica a dirigere il traffico. Dopo la fine della storia di A al lavoro si batteva la fiacca: litigi tra vicini e bravate di ragazzini non impensierivano più nessuno e pian piano Rosewood era ritornata alla normalità. Charlotte era rinchiusa chissà dove e la città aveva riscoperto il gusto di lasciare nuovamente aperta la porta di casa.
Così Toby aveva ridisegnato personalmente il progetto della tenuta Jefferson aggiungendovi un piccolo studio al secondo piano con una vista bellissima su un tiglio perennemente in fiore.
 
E stava proprio pensando alla sua casa quando all’improvvisò squillò il suo cellulare. Yvonne lo stava cercando già da qualche ora ma chissà perché quella mattina non aveva voglia di rispondere. Yvonne era bella, allegra, aveva saputo curare il suo cuore a pezzi e riempire il suo letto freddo come nessun’altra e sapeva benissimo che avrebbe dovuto richiamarla ma per qualche strana ragione non lo aveva ancora fatto. L’aveva lasciata a letto, ancora addormentata con i lunghi capelli ricci sparsi sul cuscino bianco, aveva agguantato in silenzio i jeans strappati della sera prima e aveva lasciato frettolosamente la sua casa.
Le piaceva Yvonne ma ad essere sincero ciò che gli piaceva di più era svegliarsi all’alba, prendere un caffè e correre immediatamente al cantiere. Quando arrivavano i ragazzi, quaranta minuti più tardi, Toby era già lì a scorticare assi con una forza di cui ancora adesso non si riteneva capace.
Quel progetto gli riempiva la vita e la testa e ogni volta che, a malincuore, doveva posare il martello per indossare la sua uniforme quasi quasi provava invidia per quei ragazzi che avrebbero lavorato fino al tramonto e poi, felici, sarebbero tornati a casa.
 
Così Toby aveva lasciato squillare il telefono e nel frattempo aveva svoltato dietro il negozio di Hugh Potter. Scese frettolosamente dal suo pick up ed entrò altrettanto frettolosamente nel negozio di Hugh dove ritirò la vernice che aveva ordinato qualche settimana prima.
Aveva fretta di tornare alla tenuta e perciò sperò con tutto il cuore che il Brew non fosse già pieno dei soliti liceali in fila per un caffè. Posò i barattoli di vernice sul sedile posteriore e sbrigò un altro paio di faccende prima di riprendere il pick up e guidare fino al locale dove parcheggiò proprio sull’altro lato della strada. Dalla sua auto l’interno non sembrava particolarmente affollato e così Toby si avviò velocemente verso l’ingresso estraendo dalla tasca dei suoi jeans il vecchio scontrino con la sua ordinazione.
 
“Ciao Jake!”
“Buongiorno agente, mi dica pure” - borbottò il ragazzo dietro il bancone. Toby lo aveva trovato a fumarsi uno spinello proprio dietro il ristorante cinese gestito da suo padre e se faceva attenzione poteva ancora sentire il suo vecchio che lo minacciava di rispedirlo in Corea per le vacanze estive se lo avesse trovato di nuovo “con quella robaccia” nei pantaloni.
“Il solito per i ragazzi del cantiere: mi dai quattro pancakes al cioccolato, due…”
“Allora è deciso, parliamo con Alison e…”
Fu un attimo. Quel nome lo fece trasalire ma a farlo tremare di più era stato il suono deciso e indimenticabile di quella voce. La sua voce. La voce di Spencer.
Toby per un attimo aveva vacillato, il cuore aveva smesso di battere e ora lo sentiva fremere in petto più veloce di un tamburo, le mani avevano cominciato a sudargli e un sordo ronzio nelle orecchie gli impediva di captare qualsiasi cosa che non fosse quella voce ora tanto vicina da accarezzargli l’anima e ora tanto lontana da portarlo a dubitare di averla sentita per davvero.
Spencer era lì, a pochi passi da lui ma non doveva essere lei, non poteva andare così quella mattina. Perché se fosse stata lei il suo cuore avrebbe ricominciato a sanguinare e né le periodiche visite alla tomba di sua madre né la bocca di Yvonne lungo tutto il suo corpo avrebbero più potuto guarirlo.

“Agente Cavanaugh si sente bene?” - borbottò perplesso Jake. Toby ritornò velocemente in sé e si accorse dell’aria vagamente stupita del ragazzo che aveva aggrottato le sopracciglia in un’espressione fin troppo eloquente.
“Si si certo ...” - aveva risposto cercando di sembrare convincente. “Aggiungi pure due toast con uova e formaggio e sei americani senza panna”.
Toby si scansò per far posto ad un paio di ragazzi che aspettavano il proprio turno e tentò disperatamente di non guardare verso la saletta interna.
Il locale ora era più affollato, il brusio delle chiacchiere aveva coperto quella voce e un paio di ragazze che stavano discutendo avevano per un attimo attirato la sua attenzione.
Ma Spencer era lì, lui lo sapeva. Come due calamite, lui aveva percepito la sua presenza nella stanza. Quella notte, quando con Yvonne tra le braccia avrebbe ricordato quel loro incontro, Toby avrebbe giurato di aver sentito persino il profumo dei suoi capelli. Così aveva alzato il viso perché la calamita di Spencer aveva attratto irresistibilmente la sua e Toby sapeva che era inutile e doloroso tentare di opporsi a due magneti.
“Spencer” - aveva detto lui, cercando di apparire non freddo ma quantomeno sereno. Come se la sua presenza non avesse smosso le sue viscere fin quasi a farlo lacrimare.
Dio, era bellissima. Come aveva fatto a vivere senza quelle lunghe ciglia da cerbiatto, senza quei polsi sottili che adorava stringere mentre facevano l’amore, senza quei capelli morbidi che finivano sempre per impigliarsi nel suo orologio. Era Spencer, questo sì, eppure per certi versi non lo era più. Aveva la frangetta e quel gesto di toccarla, un gesto nervoso e spezzato, lo aveva infastidito. Non aveva mai visto farglielo e perciò non poteva e non doveva averlo fatto. Sentì i muscoli del suo corpo irrigidirsi mentre piano piano la presenza di lei colmava la stanza fin quasi a traboccare.
“Toby …ciao” - aveva risposto lei semplicemente. Si, quella che aveva sentito prima era decisamente la sua voce.
“Che ci fai qui?” - aveva detto subito lui, quasi di getto. Non voleva sembrare duro o scontento ma non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e aveva paura che lei se ne sarebbe accorta. Aveva persino paura di vacillare e per questo cercava di tenersi ben saldo sui piedi.
“Oh …ehm…a dire il vero una rimpatriata. Le altre sono di là”.
 Ancora bugie Spencer? Toby sapeva benissimo che avrebbero dovuto incontrare Charlotte. Il fascicolo del procuratore era arrivato sulla sua scrivania un paio di settimane fa ma dopo tutto quello che Charlotte aveva fatto non era sicuro che le ragazze le avrebbero dato un’altra possibilità.
Con la punta dell’occhio aveva visto Jake passargli due grosse buste, così le aveva afferrate e l’aveva salutato, più infastidito per quella bugia di quanto lui stesso riuscisse ad ammettere in quel momento.
“Capisco. Beh ora devo andare”. Ed era vero, i ragazzi al cantiere avevano bisogno di lui. Ma se Spencer glielo avesse chiesto, lui sarebbe rimasto lì per tutta la vita.
“Mangi tutta questa roba?” - aveva detto lei, di getto. La domanda di Spencer lo aveva colto di sorpresa. Era come se avesse voluto trattenerlo ancora lì con lei ma Toby non aveva lasciato trasparire alcuna emozione. Non voleva mostrarsi insicuro o tormentato, non dopo tutto quello che era successo.
“Nono, è la colazione per i ragazzi del cantiere. Dopo la storia di… insomma lo sai, l’assicurazione mi ha pagato una bella cifra e sto costruendo una casa. La mia casa a dire il vero.”
 
Doveva averle detto qualcosa di particolare perché lo sguardo di Spencer in un attimo si era fatto assente e Toby non aveva saputo decifrare quell’espressione tanto rapita da sembrargli quasi surreale. Possibile che stesse pensando a loro due? Possibile che stesse ricordando qualcosa del loro passato? E cosa? Il loro primo bacio? La prima volta? Il primo ti amo? Toby aveva voglia di scuoterla, di abbracciarla e di chiederle se lui fosse ancora lì, in un angolino dei suoi pensieri.
“Spencer?”
 E invece no, aveva soltanto detto il suo nome ma tanto era bastato per richiamare la sua attenzione. Spencer in un attimo aveva scosso la testa come a voler scacciar via un ricordo dalla mente.
“Ah capisco. E dove?”
Perché quella domanda? Voleva forse rivederlo? Toby sentì un tuffo al cuore e fu certo che le sue gambe, almeno per un attimo, avessero vacillato. L’immagine di lui al tramonto che riponeva gli attrezzi e si voltava trovando lei ancora aggrappata allo sportello della macchina in un secondo gli aveva attraversato la mente con un lampo.
“Poco fuori città, dove prima c’era la tenuta dei Jefferson. E’ un lavoraccio, le fondamenta sono completamente marce ma il progetto è fantastico e mi metto a lavoro ogni volta che posso.”
 
“Signorina, mi scusi, voleva ordinare?” e puff, il momento magico, la bolla di sapone, l’alchimia, la chimica, tutto era scomparso tra loro due. Jake li aveva riportati con i piedi per terra e ad un tratto Toby si era ricordato della colazione, del cantiere e del fatto che erano lì al Brew e il mondo non girava più intorno a loro. E allora una fitta di dolore gli aveva come trafitto il petto.
“Oh sisi certo, pago un espresso al tavolo 4”. Spencer aveva per un attimo armeggiato con la fibbia della sua borsa e Toby ne aveva approfittato per uscire silenziosamente dal locale, aveva attraversato velocemente la strada ed era salito sul suo pick up senza mai voltarsi indietro. Non ce la faceva ad averla lì, a pochi metri da lui e non poterla baciare, stringere, toccare. Le mani di Toby avevano cominciato a tremare ed era stato difficile inserire le chiavi nel quadro e avviare il motore ma quando ci riuscì allora si allontanò velocemente sperando di allontanarsi anche dal suo cuore che ora piangeva, piangeva, piangeva.
 
“Sei stato matto a venire fin qui nel cuore della notte” - aveva sussurrato lei stiracchiandosi come una gatta assonnata. L’aria fresca della notte gonfiava le tende bianche della stanza di Spencer facendola rabbrividire appena ma con il suo corpo caldo, quasi bollente l’aveva avvolta come una coperta e le impediva di tremare. Spencer aveva poggiato la testa sul suo petto, sfinita e lui aveva cominciato a baciarle la fronte liscia assaporando l’odore di pesca dei suoi capelli.
Era il suo compleanno e Toby le aveva fatto una sorpresa volando fino a Washington. Spencer aveva aperto la porta, aveva pianto e lui l’aveva trascinata a letto dove ora, esausti, si coccolavano in silenzio nudi, complici e felici. La sua compagna di stanza sarebbe ritornata entro un’ora ma nessuno dei due aveva voglia di alzarsi e rivestirsi, così Toby l’aveva fatta scivolare accanto a sé e aveva ripreso a baciarla tracciando con le dita il profilo dei suoi fianchi scoperti.
“Spencer, sei felice?”

 
“Toby? A cosa stai pensando?” -  Yvonne alzò la testa che aveva poggiato sul suo petto nudo e ora lo guardava piuttosto confusa. I suoi lunghi ricci bruni le ricadevano scomposti sul viso mentre con le dita cercava di togliere una traccia del suo rossetto dalle lenzuola.
“Io? A Niente...” - aveva sussurrato abbracciandola mentre una piccola lacrima salata scendeva lenta dai suoi occhi di ghiaccio.
 

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