Behind Blue Eyes

di paoletta76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fragile Bad Friend ***
Capitolo 2: *** 02. Underwater Shivers ***
Capitolo 3: *** 03. Beyond My Dreams ***
Capitolo 4: *** 04. Time To Wake Up ***
Capitolo 5: *** The First Night ***
Capitolo 6: *** Dreams And Memories ***
Capitolo 7: *** Fly Away ***
Capitolo 8: *** Goodbye Snow ***



Capitolo 1
*** Fragile Bad Friend ***


..Ed eccomi qui con l'ennesimo esperimento della serie A million Other Stories.. con un sentito GRAZIE (sì, scritto stampatello) ad Ino Chan, che con la sua bellissima "Espiazione" mi ha fatto da musa ispiratrice! Un milione di abbracci!

Se vuoi, posso portartelo io, il tuo amichetto cattivo..
 
La voce di Nat risuonava più che mai cattiva, carica di rancore. E non le importava proprio nulla, in quel momento, di offendere la sensibilità di un amico.
Quel bastardo non aveva fatto del male solo a lei.
Aveva osato sparare a Darcy. Una ragazzina, un'innocente. Una sorella.
Perché così le aveva insegnato Sara. Sorelle, fratelli. Dentro quella torre, aveva le uniche persone di cui fidarsi, in un momento di fuoco come quello. Quelle da difendere, a costo della vita.
 
Non le importava di chi quell'uomo fosse stato, ieri o un milione di anni fa. L'avesse avuto fra le mani, in questo preciso istante, ci avrebbe pensato lei, a scaraventarlo giù dal treno.
 
Lo sguardo le si spostò in automatico sulla figura dell'amica, resa un po' troppo esile dalla convalescenza.
Quattro mesi. Quattro mesi, e non riusciva ancora a camminare senza l'ausilio delle stampelle.
-..E potrei definirmi una miracolata.- aveva dichiarato, con una smorfietta e la sua ironia spiccia di serie - se non vi avessi conosciuto, starei ancora fissa su quella lì.
Dita ad indicare la sedia a rotelle, su cui era costretta a sedersi dopo un massimo di venti minuti in piedi.
- Vedrai che alla prossima sarà mezz'ora.- dichiarava, poi, rivolta a Jane ed al suo sguardo mortificato.
 
Come se questo avesse potuto alleggerire il suo senso di colpa.
Su quella macchina avrebbe dovuto esserci lei. Era lei, l'obiettivo del Soldato d'Inverno.
Quella pallottola avrebbe dovuto essere la sua.
 
-..E a quella dopo un'ora.- Lucas le era passato accanto, sganciandole una carezza ed un sorriso. In risposta, Darcy aveva piegato le labbra e sgranato gli occhi rivolta all'amica.
Un complimento dal principe dell'inganno! Tanta roba! Oh, un attimo.. dice la verità?
 
Sdrammatizzava, poi si sedeva al computer ed iniziava il proprio lavoro. Ricerche, monitoraggi, sganciare qualche bel virus ai nemici, sotto lo sguardo anche un po' invidioso di Sara.
Sono più brava anche di te, toh.
 
Almeno questo riesco ancora a farlo..
Un sospiro, sorreggendosi alle stampelle ed accendendo lo schermo, nell'ennesima notte in cui l'incubo tornava a tormentarla levandole il piacere del riposo.
Che poi non ne aveva più che un'immagine sfocata. L'auto che perdeva il controllo, un dolore fortissimo oltre il fianco sinistro. Il calore del sangue che se n'andava, il rosso del cappotto confuso col suo rosso.
Quell'uomo oltre il profilo dello sportello aperto.
 
Un uomo. L'unica cosa di cui era certa. Un uomo dal volto per metà nascosto da una maschera nera. Un corpo fasciato di nero, capelli lunghi mossi dal vento. Occhi di ghiaccio.
Poi, il buio era diventato totale.
 
Al risveglio, aveva incontrato sguardi di commiserazione, sensi di colpa e quella sedia a rotelle accanto al letto. La prima reazione, il rifiuto più completo. Della sedia, delle medicazioni, di alzarsi, di mangiare, di trovare un senso nella vita. L'unica voglia che le restava era quella di incazzarsi ed urlare.
Stark non aveva usato mezze misure, allungandole quel sonoro ceffone.
- Piccola stupida stronzetta ribelle.. hai un'opportunità, per quale motivo devi dire di no? La Fondazione..
- Ma vaffanculo te e la tua Fondazione, Stark..- aveva replicato, massaggiandosi la guancia rossa e dolente.
- Sì, vaffanculo. Anche a te e alla tua vita, Darcy Lewis.
- Che vita? Inchiodata a questa sedia? Mi dici che vita è?
- Ma perché, finora hai dato il tuo meglio sui cento metri ad ostacoli?
 
Aveva aggrottato le sopracciglia. No, era la risposta esatta. Era sempre stata una schiappa, nello sport. E la quarta di seno non era mai stata d'aiuto.
Del.suo.meglio. L'aveva sempre dato seduta ad un computer, accanto a Jane prima, e a Banner e Sara una volta entrata nel giro dei Vendicatori e delle meraviglie di quella torre.
 
Forse non era del tutto esatto. Forse era davvero lei, il bersaglio del Soldato d'Inverno..
 
Sue le cimici piazzate nell'indagine sulle fibre di titanio mascherate nei vestiti d'alta moda, suo il programma di gestione delle microcamere. Suoi gli occhi sul germogliare dell'Hydra.
Il bersaglio eri tu. Il nemico eri tu. E' ora che passiamo alla vendetta, Darcy Lewis. Hai una squadra, il materiale e pure un ostaggio prezioso da far parlare. Prossimo step, lui. Il bastardo che t'ha sparato.
Gli occhi sull'immagine fissa sullo schermo del portatile, oltre lo scorrere dei dati di scansione satellitare che aveva avviato con Sara.
 
Di nuovo quegli occhi di ghiaccio.
 
Steve giurava sul proprio onore, difendendo quello che un tempo era stato il suo migliore amico.
- Eh. Un tempo.- gli aveva rimbeccato Tony, fulminandolo con un'occhiata a tre quarti - un tempo anche Loki era uno stronzo.
- Grazie.- aveva risposto quello, incrociando le braccia sarcastico.
- Bucky non è così. Non ci credo.- il capitano scuoteva la testa, continuando a fissare l'immagine del nemico impressa sullo schermo - lui.. lui è..
- Santo cielo, Steve! Ti ha attaccato, senza farsi tante domande! E due volte! Ti ha quasi ammazzato! - sbottò Natasha.
- Mi ha salvato.- replicò lui, a mezza voce - ero in acqua, mi ha tirato fuori.
- Chi ti dice che sia stato lui?
- Ne sono certo. Lo sento.
- Ne sei certo o lo senti? Perché sarebbero due cose diverse.
- E' il mio migliore amico, Natasha. Un fratello. Come tu e Sara, come tu e.. Darcy.- il giovane continuò ad insistere, mantenendo quel tono triste, disperato - se agisce così, c'è per forza un motivo. Qualcuno lo controlla, o condiziona.. in qualche modo. Non può essere arrivato ad uccidere per libera scelta. Lo conosco.
- Sì, certo.
- E tu non credermi, sai che mi frega! - Steve si trovò ad alzare la voce - sai quanto m'importa, che mi crediate, tutti quanti! Io so quello che ho visto, so quello che sento..- pugno chiuso sul cuore, uno sguardo intorno a leggere nei loro visi - ho visto i suoi occhi, e sono ancora limpidi.. e confusi.
- Strano. A me è sembrato tutto il contrario.- la voce di Darcy lo sorprese alle spalle, mandandogli il cuore in gola. La vide appoggiare le stampelle alla scrivania, dopo aver fatto il suo ingresso con la consueta fatica, lasciare che Phil le avvicinasse la sedia ed accomodandosi, prima di tornare a guardarlo con aria di sfida.
 
- Comunque sia.- Nat arricciò appena le labbra, prima di passare in rassegna i compagni con un'occhiata - io vado a prenderlo. Chi è con me?
Sara sollevò una mano, Clint non tardò ad imitarla.
- L'avete individuato?
- Sì.- Darcy aprì lo schermo del portatile. Pochi secondi con le dita sulla tastiera, e fu pronta a snocciolarle le coordinate.
- Bene. Nel Jersey.- replicò Nat, armando la pistola contro il fianco - se siamo abbastanza veloci, possiamo prenderlo evitando che ci sia un'altra vittima. Chi guida l'elicottero?
- Io.- Maria infilò la propria arma nella fondina, allungandole un cinque col pugno. Voltarono le spalle, senza aspettare permessi e lasciando l'obiezione di Steve sospesa a mezz'aria.
 
Eccolo. Ce l'ho a ore tre.
La voce dell'agente Hill riscosse cenni d'assenso nei tre compagni di missione. Mani alle armi, piedi pronti a scendere velocemente e circondare il nemico sul tetto del palazzo su cui s'era appostato.
 
Veloci. La rapidità è l'essenziale, se vuoi catturare un fantasma.
Clint imbracciò l'arco e s'affiancò alla postazione da cecchino del Soldato, arrivando in pochi secondi ad una sola manciata di passi dalle sue spalle. Tese il cavo, scoccò una freccia.
Merda!
 
Quell'essere doveva aver acquisito delle capacità sovrumane, per muoversi così. Uno scatto, meno di un batter di ciglia, e la freccia giaceva spezzata fra le sue dita.
Clint non le poteva vedere, celate com'erano dalla mascherina. Ma, poteva giurarci, quelle labbra s'erano stirate in un sorriso diabolico.
 
Ti ho fregato, povero stronzo..
 
Le dita su un'altra freccia, ma quello fu molto più veloce, a puntare l'arma verso di lui e fare fuoco, costringendolo a battere in ritirata dietro la torretta dell'ascensore.
- Sara, Nat! Dove cazzo siete?
 
- Le tue ore sei, zuccherino.- fu la risposta della compagna nell'auricolare, seguita da una grandine di proiettili che costrinsero anche il Soldato a ripararsi dove poteva.
Adesso Nat attaccava a viso aperto, attirando l'attenzione del nemico con colpi a ripetizione, costringendolo a muoversi verso di lei con la guardia tutta alzata.
Benissimo, piccolo.. vieni, vieni così..
 
Il corpo nero del nemico si sollevava in piedi, caricando rabbia e cercando di stanarla da dietro la linea dei camini e contemporaneamente parando col braccio bionico le frecce che arrivavano da Clint.
- La spalla! mira alla spalla, alla giunzione col metallo!
 
- Ci penso io.- Maria armò un dardo perforante, provò ad avvicinarsi quanto poteva e l'unico effetto fu il vederlo rivolgere tutte le sue attenzioni verso di lei.
- Stacca, Hill! Allontanati, ci servi tutta intera! - le gridò Nat nell'auricolare, scambiando contemporaneamente un cenno d'intesa con l'arciere.
- Ah, perché, ora le operazioni le comandi tu? - replicò quella, divertita, inviando un secondo dardo, che esplose ad un passo dal nemico, proprio mentre Clint scagliava un'altra freccia.
 
Percorso netto. Centro perfetto.
La freccia si conficcò nella giuntura posteriore del braccio metallico, facendogli emettere una scarica di scintille, e contorcere il proprietario per il dolore.
Ah, allora fa male anche a te..
 
La testa sollevata, il collo scoperto. Un battito di ciglia, e la lama di Sara lo tagliava di netto, costringendo il Soldato a stringervi la mano umana.
Occhi sgranati, carichi di un terrore che solo ora ricordava di aver già provato. Le dita strette attorno alla ferita che buttava sangue senza tregua, le labbra socchiuse, il respiro che mancava.
Il nemico cadde in ginocchio e riuscì solo a vedere tre coppie di piedi che lo circondavano sul cemento macchiato di rosso.
 
Riapriva gli occhi e tutto intorno era sfocato. Non ricordava di averlo mai visto, quel posto.
O forse sì, forse c'era già stato, tanto tempo fa. Provava a sollevare le mani, e quella metallica non compariva. Eppure la sentiva, da qualche parte. Sentiva il braccio, un dolore terribile a tagliargli la spalla e poi giù, fino alle dita. Ma la mano non c'era, davanti ai suoi occhi.
Il collo bruciava, in gola e fra le labbra il sapore del sangue.
 
Non ricordava di essersi mai sentito tanto piccolo, tanto fragile.
 
Fallo tu.
Jemma le aveva messo in mano quella siringa, senza neanche dirle cosa contenesse. Veleno, forse.
No, impossibile. Ogni nemico prigioniero è una risorsa, Darcy. Ricordati che siamo in guerra, e non è bastato eliminare Garrett per tagliare la testa all'Hydra. Un siero per farlo parlare, forse. Ci serve sveglio e lucido. Non puoi ucciderlo, neanche se lo vorresti proprio tanto.
 
No, a dire il vero ucciderlo non è la soluzione. La soluzione è farlo soffrire più che puoi.
-..Siero della verità? - chiese, di getto, dopo aver esaminato la siringa.
- No.- aveva risposto Jemma, mantenendosi evasiva e tornando all'elica del DNA che le campeggiava sullo schermo.
-..Quindi?
- Quindi cosa? - quella aveva aggrottato le sopracciglia, spostando per un attimo l'attenzione su di lei.
-..Quindi cos'è?
- G-786.
L'espressione a punto interrogativo -completa di labbra arricciate- di Darcy parlò da sola.
- Ok.- Jemma emise un sospiro, prima di voltarsi ed incrociare le braccia - ma non dire che te l'ho detto. Sono ordini del padrone di casa.. e del dottor Banner. Non vorrei che..
Parla.- diceva adesso il sopracciglio alzato della ragazza, dall'alto delle stampelle.
- E'.. è semplicemente la stessa roba che abbiamo dato a te.
- Che?!
- Non te lo ricordi, è impossibile che tu te lo ricordi. E' un siero che.. che serve a ricostruire le interazioni nodali del sistema neurologico, ogni volta che si presenta un'interruzione forzata.. una specie di..
-..Ricostituente?
- Più o meno. Stimolatore di rigenerazione cellulare, direi. E' un medicinale.. sperimentale. Segreto. il principio attivo..
-..E' il sangue di Sara, no?
Simmons annuì, leggera.
- L'avete usato.. anche su di me?
- Sei stata la prima. E direi che in un certo senso ha funzionato. Senza il G-786..
-..Sarei fissa sulla sedia?
- Già.
- Ok..- Darcy strinse appena le labbra, deglutendo ed osservando la siringa fra le sue dita, prima di tornare a guardare la biologa - ed intendete usarlo su di lui? Perché?
- Vieni.- per tutta risposta, Jemma si fece seguire fino a quella stanza in fondo al corridoio. La stanza accanto a quella in cui era confinato l'altro nemico.
Esitò a lungo, prima di staccare le dita dal vetro che la separava da quell'ambiente e dalla sua sottile luce blu. Jemma oltrepassò la porta, tenendole l'anta aperta ed invitandola con un cenno del viso a seguirla.
 
Un sospiro, pesante. Adesso la siringa sembrava bruciare, fra le sue dita.
Eccolo, il tuo nemico, Darcy. E' questo, il tuo momento. Te lo offrono su un piatto d'argento, fatto a pezzi. Basta che tu dica di no, che lasci cadere questa siringa e la distrugga con la punta del piede. Non avrà nessuna cura, la ferita che porta sul collo non guarirà e tu l'avrai ucciso.
 
Hai davanti agli occhi la vendetta perfetta.
 
E questa cos'è?
Sgranò gli occhi, di fronte alla mano di Jemma che le offriva una seconda siringa.
- Questo è cianuro. A te la scelta, ragazzina.
Le disse solo questo, chiudendosi nelle spalle e scomparendo oltre la linea della porta, leggera com'era entrata.
 
Ecco. Adesso sei davvero nei casini, Darcy.
Un assassino. Hai davanti un assassino senza scrupoli, ridotto al fantasma di sé stesso. Chiunque sia stato, ieri come settant'anni fa.
E tu? Sei come lui?
Fissare a lungo entrambe le siringhe, la consapevolezza di tenere una vita letteralmente fra le mani.
 
Poi, quegli occhi di ghiaccio.
Si aprirono incerti, lentamente, come feriti da quella poca luce. Un battito di ciglia, un altro. Un respiro, lento e profondo, a muovere quel petto lasciato completamente nudo.
Il braccio di metallo giaceva lontano dalla spalla in cui Clint aveva conficcato la sua freccia. Al suo posto, il fantasma di un braccio di carne ed ossa. Cicatrici, ferite a sfregiarlo, la pelle quasi macerata. Solo un flebile segno di vita nelle dita dell'altro braccio, quello che appariva sano.
Un mugolio di dolore, e quegli occhi si spostarono sui suoi.
 
Terrore.
 
Non aveva mai letto terrore, negli occhi di uno qualunque dei cattivi con cui aveva avuto a che fare.
A dire il vero, neanche in quelli dei buoni a cui scroccava un posto letto da quasi quattro mesi.
Si ritrovò di nuovo a deglutire amaro.
 
Non era una ragazza, era lei.
Lei, la ragazza col cappottino rosso, quella a cui aveva sparato in un giorno di pioggia. Quella di cui ricordava i lineamenti e pure il profumo.
L'unica vittima per cui aveva provato un'inspiegabile fitta di dolore. Lì, nel petto. A sinistra.
 
Provò ad articolare qualche parola, e il risultato fu un solo mugolio sommesso.
La ragazza fissava lui, e nel verde dei suoi occhi c'era rancore. Spostava i propri passi verso il letto, verso il polso che gli avevano legato alla sbarra metallica. Spostava i propri passi ed a sostenerla c'erano un paio di stampelle. Entrava totalmente nel suo campo visivo, e fra le dita aveva due siringhe.
 
Un mugolio, più forte. Adesso era il turno dell'iniezione, poi sarebbe arrivato l'elettrochock.
L'unica cosa che non riusciva a capire era perché, al posto del piccoletto con gli occhiali e dei suoi assistenti, ci fosse quella ragazza. Forse la stava sognando. Forse era un'immagine creata dalla sua mente per alleviare la sofferenza.
Forse..
 
Chiuse gli occhi, raccolse il respiro ed attese.
Se non sei un'illusione, ti prego, uccidimi..
 
Un brivido le percorse la spina dorsale.
Il mostro, il killer spietato, stendeva il collo e le spalle e raccoglieva il respiro. Si stava arrendendo, scopriva la pelle nuda alle sue mani.
La tua occasione, Darcy. Uccidilo.- recitò quella voce, nera, in un angolo della sua testa. Gli occhi sulla siringa piena di liquido ambrato, le dita ad armare l'ago, puntandolo contro il braccio legato alla sbarra metallica del letto.
 
Quegli occhi. Si riaprivano, lentamente, liberando il loro azzurro.
L'azzurro del cielo.
 
Steve. Lo stesso azzurro dei suoi, di occhi. La sua voce che difendeva a spada tratta un amico.
Un fratello.
 
Non uccide di sua volontà.. non è possibile! Lo stanno controllando, plagiando.. lui.. lui è..
 
Un sospiro, pesante. Il tappo trasparente di nuovo sull'ago, spostarsi appena ed appoggiare quella siringa sul carrello lasciato dai medici.
 
Bruciore. Dolore.
Il liquido che entrava sotto la pelle sembrava fuoco. Dal braccio, giù lungo il corpo, fino in gola e poi dentro il petto. Il dolore che cresceva, piegandolo ad urlare.
La voce che si rompeva contro le labbra, trasformandosi in un altro fioco mugolio. Il fuoco che andava ad invadere il braccio che non c'era più.
Voltò il viso, trovò la protesi metallica lontana da sé, e il grido si fece appena più forte. Il respiro a crescere, il cuore in gola.
 
La voce della ragazza oltrepassava il letto, ed ora quell'immagine leggera dotata di stampelle era accanto al fantasma del suo braccio sinistro, lo osservava con una smorfia indecifrabile.
- Stà buono.- le dita tese contro il suo petto, il suo calore addosso. Un calore dolce, un ricordo troppo lontano, sbiadito.
Piegò la fronte verso di lei, quasi a chiederne ancora. Quelle dita esitarono un istante, prima di concedergli una carezza, spostandogli i capelli dalla fronte e ricomponendoli oltre il suo collo.
Si arrese, concendendosi a quel tepore. Il respiro si fece più rilassato, regolare, mentre il dolore diventava sempre più fioco. La mano continuava ad accarezzargli i capelli, poi esitava sul collo, per scendere sulla spalla ferita e lungo il braccio, trasmettendogli un leggero pizzicore.
O forse no, non era quella carezza, ma solo l'effetto del medicinale che gli aveva appena invaso il corpo.
 
Un impulso.
Un impulso a quelle dita che non credeva di avere più. Uno, un altro. Le labbra della ragazza che si aprivano appena, di fronte a quella piccola meraviglia.
Il braccio fantasma del Soldato d'Inverno si muoveva. Le dita si aprivano e chiudevano, prima esitanti e poi più sicure.
- Oh.- adesso l'espressione della ragazza appariva di pura sorpresa - funziona sul serio..
Saresti inchiodata ad una sedia a rotelle, senza questa roba, Darcy. Pensa un po'. Logico, che funzioni.
 
Un minuscolo morso fra le labbra, prima di allontanarsi e cercare un punto d'appoggio. Tastare la sedia di plastica alle proprie spalle, lasciarcisi cadere non propriamente con grazia. Un sospiro di sollievo.
- Eh, sì. Cominciavo a vedere le stelle.- si rivolse all'uomo steso nel letto, malcelando ironia - mi hanno detto che è un bene. Se senti male, le tue gambe sono vive. Mah. A me fa male e basta.- un'occhiata veloce all'orologio che portava al polso - beh, nuovo record, ventisei minuti.- lasciò cadere il braccio sulle gambe, e stavolta il suo sospiro fu più pesante - ma che diavolo ci faccio, qui.. dovrei stare nella lounge a farmi coccolare, o in piscina a rilassarmi. E invece.. toh, seduta in una stanza da pseudo-clinica di lusso, a guardia dello stronzo che m'ha ridotto in questa maniera..
 
Un battito.
Quella voce perdeva tutto il suo velo d'ironia e s'incrinava, e il suo cuore perdeva un battito.
Ed è stata colpa mia..
 
Chiuse gli occhi, si forzò per un istante a tenerli così. Non voleva vederla.
Non voleva vederla, la sua vittima, l'unica per cui avesse provato dolore. Come se il proiettile avesse attraversato il suo petto, oltre quel corpo esile e leggero.
- Bene, s'è addormentato.- sbuffò Darcy, sollevandosi a fatica e riprendendo il proprio assetto sulle stampelle - piscina, arrivoo..
 
Il tempo di muovere una manciata di passi in direzione uscita, e quella voce ebbe il potere di congelarla.
- Perché..?
Si voltò, aggrottando le sopracciglia. Ha parlato? E' lui, che ha parlato?
 
Silenzio. Una minuscola smorfia, riprendere i passi.
 
- Perché..?
Quella voce, di nuovo. Un velo, quasi impercettibile. Ruotò di centottanta gradi e tornò accanto al letto, senza nascondere la fatica e il dolore che ricominciava ad invaderle la schiena.
- Ce l'hai con me?
 
Quegli occhi di ghiaccio avevano ripreso a fissarla, silenziosi. Il respiro a muovere lentamente quel petto nudo. Le dita di quella mano a tendersi verso di lei.
- Oh, no. Ti ho già toccato abbastanza. Non sono venuta per tenerti compagnia, tantomeno per farti le coccole. Sei un assassino. Uno stronzo, e un assassino. E sì, l'idea era quella di vendicarmi. Questo è cianuro.- raccolse la siringa che aveva abbandonato sul carrello e gliela mostrò, facendosi cupa -..ma io non sono come te. Se fossi come te, non avrei avuto bisogno neanche di Simmons e di questa siringa. L'avrei semplicemente calcata un po' di più, la lama. E ci avrei goduto, nel vederti cadere in ginocchio e spruzzare sangue. Fino all'ultima goccia. Boccheggiare. Chissà, forse mi avresti chiesto pietà. Ti avrei calciato schiena a terra, per guardarti in faccia mentre crepavi. Ma io non sono come te. Non sono te.
 
Il cuore in gola. Non ricordava di aver mai sentito nessuno pronunciare quelle parole, sputando fuori tutto quel veleno. Ricordava l'uomo del ponte, le parole con cui s'era arreso sotto i suoi pugni.
Sei il mio migliore amico. Sarò con te fino alla fine.
 
Ricordava l'abbraccio ed il sorriso di una ragazza, sotto luci da luna park. Un fucile tra le mani, e poi la neve. Gelida, sul viso. Poi tutto si confondeva ed andava in pezzi, come minuscole schegge di vetro, e faceva male.
 
Ma non c'era il piccoletto con gli occhiali, a scuotergli la testa con lo chock.
Chiuse di nuovo gli occhi, una, due volte. Un'orribile sensazione di nausea a chiudergli la gola, a rubargli il respiro. Piegò la fronte verso il lenzuolo, socchiuse le labbra cercando ossigeno.
 
Una lacrima sfuggì al suo controllo.
 
Non sono come te..
 
Quando ebbe la forza di riaprire gli occhi, la ragazza era sparita.

 

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Capitolo 2
*** 02. Underwater Shivers ***


Stark Tower, due settimane dopo
 
Silenzio.
Solo lo sciabordio dell'acqua della piscina, a farle compagnia. Adorava questi momenti di puro relax, nonostante fossero dettati principalmente dalla necessità di fare riabilitazione alle gambe.
Nonostante dopo mezz'ora di nuoto leggero iniziasse di nuovo il dolore.
 
Un sospiro, rilassandosi a faccia in su, braccia spalancate e respiri lenti e regolari.
Toh, non l'aveva mai notato, quel disegno, fra le mattonelline del soffitto..
 
Un movimento, improvviso, oltre la testa. Passi, leggeri. Si voltò a pancia in giù e la prima cosa che vide fu un paio di piedi nudi al bordo della piscina.
Lo sguardo a risalire, lungo quel paio di gambe vestite di calzoni scuri e leggeri, lungo un torace che, sotto quella camicia, sembrava decisamente ben scolpito.
Capelli lunghi e leggermente scompigliati, occhi di ghiaccio.
 
Il Soldato d'Inverno stava di fronte a lei e la fissava con aria sorpresa.
Come non si fosse aspettato di trovarla proprio lì.
 
La prima reazione fu un balzo del cuore in gola. Raddrizzò la schiena e l'effetto fu uno schizzo d'acqua di fronte al viso.
- Non ti volevo spaventare.- mormorò quella voce scura.
 
Bella, questa, detta dal tizio che ha cercato di farti fuori. Bella davvero.
- Hai intenzione di fermarti tanto? - replicò, acida, tornando in posizione a viso in su. Nessuna risposta.
- No, perché basta che lo dici e me ne vado. Anche se non vedo perché devi avere diritto ad usare questa piscina.. o anche solo ad uscire da quella stanza. Fosse per me, ti avrei-
 
A rubarle le parole, il suono di un tuffo.
- Ma che bello, facciamo il bagno insieme, ora..- sbuffò, aspettandosi di venire raggiunta e magari di doversi anche difendere.
Ecco a cosa non ha pensato, Nat. Il corso di autodifesa in acqua mi servirebbe proprio.
 
Uno sguardo intorno, individuare quel corpo immobile sul fondo della piscina.
Che cacchio fa? - aggrottò le sopracciglia, notando come l'ondeggiare di quei capelli apparisse come l'unico segno di vita. Uno sbuffo di bolle, ancora nessun movimento. Un secondo sbuffo, confuso con un filo di sangue. Smise totalmente di pensare, dando un colpo di gambe come poteva -provando una fitta tremenda ad entrambi i lati della schiena- e raggiungendolo.
Altro dolore, acchiappandolo sotto le braccia e trascinandolo a forza verso il lato della piscina in cui si riusciva a toccare coi piedi, fino alla scaletta di accesso. Una volta con entrambe le teste fuori dall'acqua, gli allacciò le braccia sotto lo sterno e diede una, due strette veloci.
Il Soldato diede un paio di colpi di tosse, sputando acqua e piegando la testa indietro, fino a sentire il contatto con la spalla della ragazza.
- Perché..? - disse, in un soffio.
-..Perché sei un imbecille? - replicò lei, invelenita.
- Perché ti ostini a salvarmi la vita..? Io.. io ti ho..
- Non sono come te, Jimmy.- lei prese fiato, lentamente, trattenendolo addosso - credevo l'avessi capito. E ucciderti non è la soluzione.
 
Quel nome. L'aveva chiamato con quel nome. Le labbra a stringersi fra loro, deglutire.
- Io..
- James Buchanan Barnes. Nato nel 1917, rimasto orfano di entrambi i genitori all'età di tre anni.- lei lasciò che quelle mani raggiungessero le sue, contro la camicia ormai fradicia. I battiti di quel cuore rallentavano, anche il respiro appariva più leggero, regolare. Raccolse il fiato, continuò a parlare - arruolato nel 1943, sei entrato a far parte degli Howling Commandos e hai aiutato Capitan America a distruggere diverse basi dell'Hydra posizionate lungo i fronti europei. Deceduto nel 1944, durante un'azione offensiva.
- La neve..- mormorò quella voce, contro il suo petto.
- Già. La neve. Steve dice che è stata colpa sua, che non è riuscito a salvarti. Che non è riuscito a fare quello che avevi fatto tu, quando t'ha liberato dalla base in cui ti tenevano prigioniero.
- Il fuoco..
- Non l'hai lasciato da solo. Sei il suo migliore amico. Lo hai tirato su tu, dal fiume, vero?
- L'uomo che era sul ponte.. ha detto che..
- Era lui, Jimmy. Era Steve. Ve le siete date di santa ragione, ma lui continua a credere che non sei cattivo. Nemmeno se hai ammazzato quasi trenta persone in cinquant'anni. Dice che i tuoi occhi sono ancora limpidi come quando-
- Bucky..
- Beh, sì, hai anche un soprannome. Meglio di quello che hanno dato a me alle superiori. Chiappona. Ti pare credibile, una con un soprannome del genere? Chiappona.. Mmah..
Adesso il Soldato rideva. Un ridere appena accennato, ma i suoi muscoli si contraevano nonostante non uscisse voce dalle sue labbra. Un ridere che sembrava confondersi col pianto.
- Perdonami..
 
Il cuore le prese velocità, mentre quelle dita scivolavano ad intrecciare le sue e quel viso si piegava appena a cercare il suo calore.
- Forse ha ragione lui, sai.. lì dentro ci sei ancora tu.. ehi..- si scosse un po', cercando di scacciare quella malinconia che le iniziava a chiudere la gola - ti va di fare una cosa? Però i vestiti li togliamo. Ok?
Lo vide annuire appena, e scivolò via dall'abbraccio, appoggiando le mani sulla scaletta ed iniziando la risalita verso il bordo. Un gradino, un altro. Appoggiare le mani sul successivo e darsi la spinta.
- Fa male.- lo vide aggrottare le sopracciglia, e sospirò, rimettendo le mani in posizione - mah.. prima o poi passerà. Basta organizzarsi e.. ehi! - una spinta verso l'alto la colse totalmente di sorpresa; un attimo, e si ritrovò fra le braccia del giovane, fuori dall'acqua - che..?
- Ti tiene. Il braccio.- lui mosse appena il sinistro, dietro la schiena della ragazza - è guarito..
- Lo so. Lo vedo.- lei gli passò un braccio dietro le spalle, stringendogli con l'altra mano la camicia e cercando di non sembrare preoccupata - è guarito. E adesso?
- Ti porto io..
- Do-dove?
- Dove vuoi.
 
Un istante, lunghissimo, con la mano sempre stretta a quella camicia e il naso in su, persa ed annegata nel mare di quegli occhi di cristallo.
Darcy? Ehi, Darcy! Svegliaaa!
 
- Uh? - strizzò appena gli occhi, arricciando il naso. Che situazione assurda.. in bikini, stretta fra le braccia del suo quasi-assassino, il corpo tutto addosso a quel corpo in un contatto che ora sembrava quasi bruciare.
- Dove vuoi..- ripeté lui, leggerissimo - la mia seconda possibilità..
- Uhm.. quella.. quella porta là, alle mie spalle - un morso alle labbra, riprendersi un po' - andiamo là.
 
Il silenzio del corridoio sapeva di irreale. Sei pazza, Darcy? Questo adesso ti scaraventa a terra e ti strangola, gli bastano due dita, c'è abituato. E siete completamente soli; nessuno ti sentirà gridare.
- La.. la porta a sinistra.- la voce le tremò, mentre puntava la sala in cui Tony aveva posizionato idromassaggio e cromo-aromaterapia.
La sala delle coccole, la chiamava. Il suo angolo preferito in tutta la Tower. Adesso c'entrava con un brivido di paura, e le mani sempre più strette a quella camicia.
 
Il Soldato d'Inverno doveva avere un sesto senso molto ben sviluppato. O forse il suo tremare era stato davvero troppo evidente.
- Non ti farò del male..- le disse, appoggiando la fronte contro la sua.
- Parola di scout? - replicò lei, senza mascherare un altro tremito.
- Non voglio farti del male..
- Là..- puntò appena il dito, e lui la depositò delicatamente entro il bordo della vasca.
Posso fidarmi di te? recitava lo sguardo che gli sollevò addosso.
 
La risposta Darcy non se la sarebbe dimenticata. Mai più. Il Soldato avvicinò il viso al suo, tanto da lasciarle percepire il proprio respiro. E le sfiorò la fronte con un bacio.
 
- Ehm.. ecco.. adesso però..- lei lasciò che la seguisse, accomodandosi al suo fianco in posizione di attesa. Le dita tese, indecise sulla prossima mossa. Gli occhi ad indagare in giro in cerca di suggerimenti. La mano di lui che raggiungeva la sua.
- Puoi toccarmi..
- Io..- si morse le labbra, forzandosi a guardare fra le pieghe di quella camicia ormai fradicia e trasparente.
- Non mi fai male..
- Non è questo che..
Ecco. Adesso aveva il cuore dritto in gola e sicuramente tutto il sangue dipinto sulla faccia.
 
Accidenti. L'aveva quasi uccisa. E adesso le sue mani la guidavano contro la propria pelle.
Se avesse avuto un pugnale, l'avrebbe lasciata usarlo. E solo questo pensiero aveva il potere di farle male.
 
Guidate dalle sue, le dita arrivarono ai bottoni della camicia, a slacciarli uno dopo l'altro, lentamente, in sincrono col respiro che muoveva il corpo lì sotto.
La camicia fradicia che scivolava via dalle spalle del Soldato e lontana dalla vasca, il suo sguardo di ghiaccio che, avrebbe potuto giurarci, adesso aveva un non so che di malizioso.
- I pantaloni però li togli da solo.- si allontanò con uno scatto, le mani dritte alla console di comando della vasca.
Schiacciare una coppia di tasti, mentre le labbra del suo ospite si stiravano in un sorriso. Un sorriso vero.
-..Le mutande le hai, vero? Perché.. cioè.. sei un gentiluomo degli anni quaranta.. in teoria.- continuò a smanettare coi tasti della console, cercando di evitare il contatto visivo, mentre si accendevano i soffioni delle bolle - oh. Allora.. questo si chiama idromassaggio. Serve a rilassarsi.- un sorrisetto imbarazzato, notando quel braccio che risaliva dall'acqua e lasciava cadere i pantaloni sul pavimento - e io sono rilassatissima, adesso.. eccome no.. ma chi me l'ha fatto fare..
Si voltò quando bastava per cogliere la sua espressione sorpresa a quell'improvviso venir circondato da bolle di ignota provenienza. E le scappò un sorriso.
Prendi un uomo nato ad inizio secolo, congelalo, eliminagli ogni ricordo ed isolalo completamente dal mondo. Poi tiralo via dalla scatola nel secolo dopo ed immergilo in una vasca idromassaggio. La stessa espressione da bambino nel paese delle meraviglie che ha messo su anche Steve.
Mordersi appena le labbra, quando lui le sollevò gli occhi addosso.
- Cosa..?
- Bolle d'aria.- lei si spostò verso uno dei bocchettoni, agitandoci una mano davanti - ti ci metti vicino e ti fanno i massaggi - si posizionò con le spalle verso il getto e lasciò che la imitasse spostandosi davanti all'altro - toglie un po' anche il dolore.
- Perdonami..- lui arricciò appena le labbra, abbassando lo sguardo.
- Non è stata tutta colpa tua, in fondo. Ti hanno fatto a pezzi e ricostruito come volevano, eseguivi degli ordini. Come un pupazzino nelle loro mani. Adesso sei libero.
- Libero..- lui spostò lo sguardo lontano, di fronte a sé.
- Beh, sì. L'Hydra non ti controlla più. Pierce è morto, i suoi sono dispersi. Tu saresti un prigioniero. Saresti. Di solito ai prigionieri non facciamo usare l'idromassaggio. Non dovresti neppure essere fuori dalla tua stanza.
Per tutta risposta, lui sollevò il polso destro, scoprendo lo stesso braccialetto che avevano imposto anche all'agente Ward.
- AH. Quel coso.- lei sollevò il naso - credo funzioni solo se provi a scappare oltre gli spazi consentiti. Tipo, se provi ad uscire dalla torre per andartene in giro sulla Fifth. Tony ha detto che spegne chi sconfina. Credo induca una scarica elettrica che tramortisce.
Adesso lui esaminava il bracciale, stendeva le mani, tendeva le dita di entrambe. Come se non le vedesse da tanto tempo.
- Il guanto metallico è da qualche parte in laboratorio. Non credo te lo restituiranno..- lei mise su una leggera smorfietta - saresti troppo..
-..Pericoloso.
- Già. Non che tu lo sia meno, anche senza, visto così..- lo sguardo a percorrere il perimetro delle sue spalle, dei pettorali. Beh, l'amico di Steve era decisamente messo bene, braccio bionico o meno.. messo bene eccome.. occacchio.. ma non le portavano le mutande i gentiluomini degli anni 40?
Con il viso in fiamme, voltò lo sguardo e scattò lontano, andando alla ricerca del terzo bocchettone -quello dal lato opposto della vasca- e di qualcosa che raffreddasse la situazione.
 
Adesso il Soldato d'Inverno la fissava con la tipica espressione da ma che diavolo stai facendo? e lei non aveva risposte o scuse da tirar fuori dal cilindro.
Va bé, Darcy. Calma e sangue freddo. Sei nella vasca idromassaggio di Stark. Con l'uomo che ha cercato di farti fuori, e che potrebbe riprovarci in un qualunque istante. Beh, forse ci sta provando. Sta cercando di farti venire un infarto. Dove accidenti le ha ficcate le mutande?
- Non avevi un paio di slip? - gli puntò il dito contro, aggrottando le sopracciglia.
- Eh?
- Slip. MU.TAN.DE. Usavano, negli anni quaranta, vero?
- Non capisco cosa..
- Stai cercando di uccidermi in maniera alternativa?
 
Lui fece appena cenno di no con la testa, cercando di capire cosa diavolo avesse, quella ragazza, da farfugliare.
- Sei.. strana.
- E tu sei nudo.
All'espressione scandalizzata della ragazza, lui scoppiò a ridere. Sincero, cristallino. Come non faceva da più di una vita.
- Non hai.. non hai mai.. davvero?
-..Visto un uomo nudo? Oh, sì. Ma non del tuo modello.- lei mise su una smorfia indecifrabile - e credimi, questa è una situazione a dir poco imbarazzante. Quattro mesi fa m'hai sparato, e adesso siamo nell'idromassaggio insieme. E tu sei completamente nudo. Ottima tattica, davvero.
- Scusa, non l'ho..
- OH. Non l'hai fatto apposta. Sai? Credo tu ci prenda in giro, quando affermi di non ricordare nulla della tua vita precedente. Eri uno che andava forte, con le ragazze, a quanto dice Steve. Uno abbastanza sfacciato da-
 
Troppo tardi. Adesso il Soldato le scivolava addosso. Letteralmente addosso, senza nascondere più quel velo di pepe in fondo all'azzurro dei suoi occhi.
Il primo istinto fu quello di chiudere i suoi, strizzarli e sollevare le braccia a difendersi, troppo morbida e debole da impedirgli di trattenerle con le mani ed allontanarle, portandosele sulle spalle.
Un brivido, lunghissimo, al contatto di quelle labbra contro la sua pelle. La fronte, la punta del naso, la bocca. Quel corpo che bruciava quasi, contro il suo.
- Jimmy..
- Ancora..- rispose lui, in un soffio, lasciandola andare per poi tornare a massaggiarle le labbra con le proprie - dillo ancora..
- Cosa..?
- Il mio nome.. ancora..
Quelle mani adesso giocavano ad accarezzarle la schiena, un brivido dietro l'altro.
Che diavolo stai facendo, Darcy..? Lui.. lui è..
Neanche il tempo per farsi troppe domande; quelle dita caldissime scioglievano i laccetti del bikini e poi lo trascinavano pezzo per pezzo fuori dalla vasca.
 
Si lasciò appoggiare contro il getto delle bolle e smise di pensare.

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Capitolo 3
*** 03. Beyond My Dreams ***


Silenzio.
Neve.
 
Apriva gli occhi ed intorno non c'era nulla. Nulla di conosciuto, nulla di già vissuto. Nulla, oltre la nebbia che gli avvolgeva la testa.
Chi era? Cosa diavolo ci faceva, in quella stanza? Perché un letto, e non la poltrona del macchinario di cui ricordava la consistenza sotto la schiena?
 
La ragazza.
Gli passava davanti come un lampo rosso. Quel cappotto, poi quegli occhi colmi di rancore fissi nei suoi senza alcuna paura.
Doveva trovarla. Doveva trovarla e chiederle perdono.
Perché?
Perché non sei un assassino.
Non è vero, io.. lei è.. la mia.. la mia missione..
 
Provò a muoversi, invocandone il nome, prima di ricordare. Non lo conosceva. L'aveva vista attraverso un mirino, prima che dal vivo e così da vicino, ma non ne ricordava il nome.
Impossibile. Chi gli aveva impartito l'ordine di ucciderla era stato minuzioso, nell'illustrargli la sua scheda.
Forse era semplicemente finita nel groviglio dei ricordi, che affioravano disordinati come lampi davanti agli occhi. Lei, la strada intrisa di pioggia. L'uomo del ponte e quelle sue parole soffocate, sotto la rabbia dei suoi pugni. Quel tuffo nel fiume, in mezzo al fumo ed alla distruzione.
 
Provò a muoversi ancora, ripagato da un'orribile fitta e dal sapore del sangue che saliva in gola.
 
- Stà fermo. La ferita deve guarire.
Una voce, calma e determinata, oltre il fianco destro. Spostò gli occhi, incontrando l'azzurro di quelli dell'uomo del ponte.
Tu..
 
Quello accennò un sorriso, avvicinandosi a passi incerti e tendendo le dita verso le sue.
- A me questo sa di deja-vu.. e a te?
Non rispose se non con un minuscolo lamento, spostando lo sguardo come non fosse stato in grado di sostenere quello dell'uomo che portava ancora sul viso i suoi segni.
Quelli che gli aveva fatto lui.
Di nuovo, colpa sua..
 
Neve.
Bianco.
Flash.
 
Sei-la mia-missione!
 
Sei il mio migliore amico..
 
Aveva tante, troppe domande da fargli. Ma non c'era la voce a sostenerlo, e più che la sete di conoscere era forte la paura di sapere.
Chi sono..? Perché sono qui..? Qui dove..?
 
- Steve.- l'uomo adesso era completamente scoperto nel suo campo visivo, e si sfiorava il petto con le dita - il mio nome è Steve. Lo sapevi, un tempo. E forse c'è ancora, fra i tuoi ricordi, nascosto chissà dove lì dentro. Dentro quello che ti hanno fatto diventare..
La voce si velava d'amarezza, ma no, nessun rancore.
 
Io dovevo ucciderti.. sei.. la mia..
 
Neve. Flash.
Il viso di quell'uomo -Steve- lo guardava dall'alto esattamente come adesso, ma la scena appariva più confusa, in movimento. Lo guardava, tendeva la mano.
L'ultimo ricordo che ne aveva era la disperazione, dentro quegli occhi, mentre la voce urlava quel nome.
 
Bucky!!
 
Il nome scritto accanto alla foto dell'uomo che era stato, fra le immagini che riempivano le pareti di quella sala dello Smithsonian. Un viso orribilmente simile al proprio, un'unica differenza.
Quel viso era pulito. Gli occhi di un eroe, non quelli di un assassino.
 
Sei un assassino.. tu.. sei..
 
La pioggia, quel grigiore che invadeva le strade di New York. Quell'unica macchia di rosso nel cappotto della donna che, oltre il mirino, raggiungeva l'auto e la metteva in moto.
 
Il dito sul grilletto, una leggerissima pressione.
 
-BANG!-
 
I passi, veloci, febbrili. Presto, prima che qualcuno s'accorga che non è stato un incidente.
Eccola. E' completamente tua. Ti basta solo premere di nuovo il grilletto, non sentirà neppure dolore.
 
Aspetta. Perché t'interessa che non provi dolore? E' un nemico, soldato. E' la tua missione. Esegui gli ordini.
 
Di nuovo neve. Aveva strizzato appena gli occhi, trattenendo le dita ferme sul grilletto, piegandosi a scoprire quel viso, spostandole una ciocca di capelli oltre il collo.
 
Non era riuscito a puntare la pistola. Come se qualcosa, invisibile e più forte di lui, lo stesse trattenendo.
 
Un attimo solo, ed ecco il suono delle sirene.
L'immagine successiva che aveva di sé era nel fondo di quel cortile umido e semibuio, al riparo dell'angolo del palazzo da cui era rimasto ad osservare il movimento dei soccorsi attorno a quell'auto.
 
Perché?
 
Neve. Flash.
La sensazione di precipitare nel vuoto. Di nuovo.
 
Il respiro che sfuggiva, improvviso, dal petto. Come non più di una manciata di istanti prima, quando s'era lasciato andare a peso morto nella piscina. Annaspare, spalancando gli occhi.
 
Pelle. Umida e nuda, contro la sua. Voltò appena il viso, e sentì quella voce mugolare appena.
Darcy..
 
Si chiamava Darcy. Ne ricordava il nome, ora che non c'era più il mirino del fucile, a dividerli. Ne ricordava il nome, riusciva a cullarsi nel suo profumo e nel suo respiro.
 
Chissà se era riuscita a percepirlo, l'impennare dei battiti del suo cuore sotto il viso..
 

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Capitolo 4
*** 04. Time To Wake Up ***


Silenzio. Il timer aveva spento anche il getto delle bolle, intorno aleggiava un leggero profumo di fiori.
Il momento delle coccole, quello che lei di solito aspettava come il migliore di tutta la giornata.
Questa volta era arrivato e non se n'era quasi accorta.
 
Le gambe di James erano ancora intrecciate alle sue, e la testa ricominciava solo adesso, a farsi due calcoli.
Aveva appena fatto l'amore con l'uomo che aveva cercato di ucciderla, poco più di quattro mesi fa.
 
Aspetta un attimo. E' un assassino con cinquant'anni d'esperienza. Anche se visto così non lo diresti proprio.
Ti ha fermato con un colpo di precisione, da chissà quanti metri di distanza. Ti ha atterrato nel giro di un secondo. E poi ti è arrivato accanto, ha aperto lo sportello e ti ha guardato. Eri completamente indifesa, gli sarebbe bastato un colpo. Uno solo, alla testa, a bruciapelo. E non saresti qui.
Perché non ha sparato?
 
- Jimmy..? - scosse appena la spalla, intrecciando le dita ai suoi capelli ed aiutandolo a spostarsi.
- Uhm..? - lui si allontanò, strizzando un po' gli occhi, senza perdere la presa contro i suoi fianchi.
- Perché non hai sparato?
- Scusa..?
- Perché.. voglio dire, eri a due centimetri. Non avrei potuto difendermi in nessun modo, e tu eri programmato per abbattere l'obiettivo senza se e senza ma. Perché non l'hai fatto?
- Non.. non lo so..
- Cosa ti ricordi?
- Immagini..
- Immagini sparse? - lo vide annuire - non intendo della tua vita precedente. Intendo di quel giorno. Quando m'hai sparato. Io ricordo che pioveva, avevo da fare delle commissioni e ho sfinito Jane perché mi prestasse la macchina. Non ho ancora capito chi fosse il tuo obiettivo, se io o lei. Ricordo di essere salita e di aver sentito un sibilo, il vetro in frantumi ed un gran dolore alla schiena. Non ho capito come ho fatto a finire contro l'albero. Ho sentito l'airbag addosso, e visto un'ombra che mi raggiungeva per fermarsi oltre lo sportello senza fare niente. Poi buio e basta, mi sono risvegliata con la faccia stravolta di Nat a dieci centimetri dalla mia e le cannucce del respiratore nel naso. Non sai che fastidio.
- Il cappotto rosso..
- Era di Jane. Un'altra cosa che mi divertivo a scroccare. Dovevi uccidere lei, o me?
 
Il soldato si allontanava, lasciandole addosso una traccia sbiadita del proprio calore. Nei suoi occhi, incertezza, paura, dolore.
- Non ricordi, vero? - lei si morse appena le labbra, spostando altrove lo sguardo - non ricordi nulla..
- Il cappotto rosso.. dovevo seguire la donna col cappotto rosso. Nel mirino..- lui fece l'atto di premere il grilletto - e poi i capelli..- le raggiunse con le dita un ciuffo ribelle e fradicio - ho sollevato.. eri tu. Eri tu..
- Ero io il tuo obiettivo?
- La donna che ha creato il sistema di intercettazione.. eri tu.
- Bene. Buono a sapersi.- lei arricciò le labbra, ironica - non sono stata un errore.
- No.. no, tu..
- Perché non mi hai sparato? L'ordine era quello di uccidere.. o no?
 
Lo ricordava. Chiaro, nitido. Come fosse appena successo. Aprire lo sportello, controllare lo stato della vittima. La pistola fra le dita di metallo, il cuore che sembrava fermarsi all'improvviso nel suo petto. Una voce che ghignava beffarda nella sua testa.
Sergente Barnes.. la nuova mano dell'Hydra..
 
Il respiro sospeso, di fronte a quel viso, a quegli occhi socchiusi.
Per la prima volta in cinquant'anni, il Soldato d'Inverno si bloccava davanti ad una vittima. Un istante di troppo, quanto era bastato per sentire le sirene della polizia in arrivo e costringersi alla fuga.
Non importa.- gli aveva detto Pierce - il messaggio è comunque arrivato.
 
Gli avevano fatto un'iniezione, l'avevano sottoposto all'ennesima seduta di elettrochock. Avevano cancellato di nuovo i ricordi che tentavano di affiorare disperati.
Tutti, tranne quel viso.
 
- Sei l'unica.. l'unica che non sono riusciti a cancellare..
Le appoggiò la fronte alla spalla, inspirando lentamente e lasciando che quelle dita minuscole gli accarezzassero i capelli.
- Mi dispiace, Jimmy..
- Ti ho fatto del male.. io.. non tu..
- Beh. Sono ancora qui. Per tua sfortuna.- lo lasciò muoversi, tornarle addosso, e meritò un altro bacio - uhm.. adesso però.. sarà ora di andare. Che gli altri inizieranno a sospettare qualcosa.. non so te, ma io non ci sono mai stata, così tanto, qui dentro.. e ho uno strano presentimento..
 
Lui aggrottò le sopracciglia: non capiva. Sicuramente distratto dalle dotazioni di serie della signorina che teneva fra le braccia, non s'era minimamente accorto del ronzio di fondo che indicava la presenza della sorveglianza di Jarvis, né del suo improvviso cessare, più o meno un'ora prima.
 
- Jarvis, chiudi trasmissione video con la sala benessere.- un morso alle labbra, e Tony s'era voltato incontrando alla propria destra l'espressione imbarazzata di Steve.
A dire il vero, sembrava più che il capitano avesse ingurgitato mezzo limone.
-..Per favore.- aveva replicato quello, in un mugolio.
- Lasciami indovinare: dei due lo sfigato eri tu, eh? - Tony aveva sorriso, divertito al suo sguardaccio - intraprendente, il tuo amichetto cattivo..
- Piantala, Stark.
- Ricorda. Ce l'hai voluto tu, qui dentro.- quello s'era allontanato depositandogli una pacca sulla spalla e lasciandolo sospirare e guardare in su.
 
Darcy si lanciò uno sguardo intorno, perplessa. S'era dimenticata tutto, telo, accappatoio, ciabattine. Tutto rimasto in piscina.
OPS..
Tese una mano, andando in cerca del bikini. Occacchio.. così lontano, l'hai lanciato?
- Che..? - Jimmy si accorse del movimento, si voltò e la trovò con il braccio penzoloni fuori dalla vasca e una smorfia di disappunto dipinta in faccia.
- Hai lanciato il mio bikini a sei chilometri da qui.
- Te lo prendo..
- No, aspetta, Jim-
Niente da fare. Non l'ascoltò nemmeno, sollevandosi in uno sbuffo d'acqua senza preoccuparsi di mostrare la sua nudità.
- Ma come diavolo funzionava, negli anni 40? Non è venuta di moda trent'anni dopo, la linea pudore zero?
- Eh?
- Sì. Vabbè.- lei roteò gli occhi, tornando ad accucciarsi nella vasca - Jarvis..?
- Sì, signorina Lewis.- la voce metallica fu pronta a rispondere, costringendo il Soldato a rituffarsi di scatto in acqua.
E questa voce da dove usciva fuori?
 
- Avrei bisogno di due accappatoi, per favore. Uno da uomo.
- Subito.
- Ah.. e.. Jarvis?
- Sì?
- Hai gli occhi aperti?
- Sì, signorina Lewis.
- Da quando?
- Da quando m'ha chiamato.
- Prima no?
- Il signor Stark mi ha chiesto di chiudere. Questione di privacy.
- E da quando s'interessa della mia privacy?
- Da quando lei fa sesso con un uomo di novant'anni.
- Beh, Sif lo fa con uno che ne ha svariate migliaia, non vedo la differenza.- replicò lei, mettendo su una smorfia al pepe. Adesso Jimmy s'era immerso fin quasi al naso, e la fissava ad occhi sgranati.
Non c'è niente di più divertente che mettere in imbarazzo un supercattivo.. pensò, mordicchiandosi le labbra.
- E poi li porta bene. Non trovi, Jarvis?
- Non mi è permesso esprimere giudizi in merito, signorina Lewis.
 

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Capitolo 5
*** The First Night ***


Nat la guardava storto.
A dire il vero, l'aveva accolta guardandola storto fin da quando aveva messo piede nella sala della lounge, ormai cambiata per la cena e accompagnata da un sempre più spaesato Soldato d'Inverno.
 
E non era l'unica, a guardarla storto.
Come biasimarli, pensò. Se -come sospettava- Tony era rimasto ad osservare almeno i primi due minuti delle sue acrobazie nell'idromassaggio -bastavano le mani del nemico a sfilarle il bikini, o quella serie di baci da toglierle il fiato-, la legge sulla privacy poteva dirsi abrogata.
- Non è come pensate.- puntò l'indice, tentando una linea di difesa già consunta dagli anni gloriosi di Beautiful.
- E com'è? - replicò Tony, senza nascondere sorriso diabolico e bicchiere di scotch.
 
Nessuna attenuante, Darcy. Non se ti presenti a cena sorretta dalle braccia di James, invece che dalle tue stampelle.
Un sospiro, roteando gli occhi.
 
L'accappatoio portato da FerroVecchio era meravigliosamente caldo e profumato. S'era stretta nelle spalle, annusandolo a lungo ad occhi socchiusi, prima di tornare alla realtà. Le stampelle sembravano aspettarla, all'ingresso della piscina.
Un sospiro. Aveva puntato le mani sulla sdraio e tentato la spinta. Cinque metri, Darcy. Coraggio. Cinque metri e le stampelle sono tue. Non cadrai.
- Ahi..
Una fitta di dolore l'aveva costretta ad una pausa. Forza, dai. Un attimo seduta, e ci riproviamo.
 
Non aveva calcolato la presenza dell'uomo oltre le proprie spalle.
 
Era rimasto ad osservarla, avvicinandosi un passo dietro l'altro e con l'asciugamano buttato sulle spalle dopo aver passato un minuto buono a frizionarsi i capelli.
La porta a vetri della piscina rifletteva un'immagine rilassata, quasi felice. Non più quella distrutta che aveva incrociato al suo primo tentativo di sollevarsi dal letto.
La maggior parte dell'Intelligence non crede nella sua esistenza, quelli che ci credono lo chiamano Soldato d'Inverno.. è un fantasma..
 
Aveva raccolto il respiro, osservato per un istante i propri piedi, nudi sulle mattonelle chiare di quella stanza, prima di sollevare gli occhi ed incontrare lei.
Che diavolo mi succede..?
 
La ragazza provava di nuovo a sollevarsi, con evidente sforzo e dolore. E questo era solo per colpa sua.
Allungare il passo, raggiungerla. Questa volta niente effetto sorpresa, solo una mano tesa di fronte al viso.
- Vieni.
La vide esitare per un lunghissimo istante, prima di accettare quella mano ed il sostegno delle sue braccia.
- Ok..- sorrise, leggero, affiancandola e passandole il sinistro dietro la schiena -..così.
- Grazie..- una volta all'ingresso, lei tese le dita per raccogliere le stampelle, ma lui le prese con la destra, allontanandogliele.
- Ti porto io. Se non..
-..No, non mi da fastidio.
 
Quel sorriso si apriva leggermente di più, e adesso ci poteva davvero annegare, nell'azzurro di quegli occhi.
 
Aveva fatto l'amore con l'uomo che era stato mandato dall'Hydra per ucciderla. L'assassino perfetto.
L'uomo che non era riuscito nella sua missione.
 
Ed ora tutti la guardavano come stesse difendendo un mostro.
 
Chi se ne frega, Darcy. L'ha detto anche Steve. Ha diritto anche lui, ad una seconda possibilità. Bastano le parole con cui ti ha lasciato sulla porta della tua stanza, meno di un'ora fa..
 
- Grazie. Non serviva mi portassi fino qui.- aveva teso di nuovo la mano, ottenuto le stampelle. Ma quel corpo non sembrava accennare ad allontanarsi.
- Perdonami..- James aveva piegato la fronte a sfiorare la sua.
- Non c'è bisogno che tu lo dica di nuovo..- l'aveva lasciato sorridere appena.
- Vorrei poterti curare.. poter tornare indietro e..
-..E dire no. Lo so. Non sei stato tu, a..
- L'ho premuto io, il grilletto..
- Ma non eri tu, a pensare. Questo sei tu.- gli aveva puntato l'indice sul petto, lasciandolo sospirare - ti hanno già detto..?
-..La macchina dei ricordi, sì.
- Tony l'ha già usata con l'agente Ward, e funziona. Sicuramente nella tua testa ci sono moltissime informazioni che si sono affrettati a sovrascrivere con gli elettrochock e quella roba che ti iniettavano. Col tuo aiuto, potremo annientare l'Hydra una volta per tutte, briciole comprese.
- Fa.. male?
- No, non credo. Ti applicano solo dei sensori, qui..- gli aveva sfiorato la fronte - e qui..- gli aveva toccato il petto - controllano la tua respirazione, le tue reazioni emotive, leggono le onde cerebrali - adesso lui aggrottava le sopracciglia - in pratica, riescono a vedere i tuoi ricordi.
-..Buoni e cattivi.- aveva replicato lui, con amarezza.
- Beh.. sì.
- Farà comunque male.
- C'è un trucco, Jimmy.- lei aveva sollevato l'indice, sfiorandosi il naso - per ogni ricordo cattivo, cerca di trovarne uno buono. Così smetterà di fare male.
- Già..- lui aveva stretto appena le labbra, prima di piegarsi su di lei ed appoggiarle sulle sue, donandole un altro bacio - un ricordo buono..
- Sfacciato.- aveva riso, fronte contro fronte, insieme a lui.
- Vorrei poterti curare.. posso soltanto fare questo..- s'era fatto di nuovo malinconico, muovendo appena il braccio, ad indicare sorreggerti.
Una carezza, lungo quella guancia ispida di barba.
- Va bene così, Jimmy.- lo lasciò arrendersi a quella dolcezza -..va bene così.
 
La grande tavola della lounge era già apparecchiata, bianco e nero e ambra.
- Andiamo? - Tony guidò la propria famiglia lungo la scala che scendeva dal salone, bypassando con nonchalance quegli sguardi scuri all'indirizzo degli ultimi arrivati.
- Tutto ok? - la sua voce le sfiorò le spalle, costringendo il Soldato a voltarsi in contemporanea con lei.
- Perché? - Darcy aggrottò le sopracciglia.
- Lo odiavi a morte. Fino ad un paio di settimane fa.
-..Come te con il tuo vice presidente.- replicò lei, con un velo di pepe.
- Oh, beh. Come tutti e il vice presidente.- le si affiancò Loki, leggero - che vuoi.. il tempo passa, la gente cambia.. abbiamo diritto tutti, a provarci di nuovo. E abbiamo tutti un nemico comune.- vide il giovane abbassare lo sguardo, e continuò, mantenendo quel tono leggero e deciso - sei pronto?
- Sì..- James annuì appena - sono pronto.
- Domattina alle nove. Prima seduta, non fare tardi. Anche perché questo qui potrebbe farsi venire dei grilli e allungarti la scossa - Loki puntò Stark con il pollice, lasciandolo sogghignare -..e non è una cosa proprio piacevole.
- Lo so.
- Ok..- il principe nero appoggiò la mano sulla spalla del giovane, scivolando oltre - andiamo, dai.
 
La notte circondava la Tower da ore, ormai. Il salone era animato da voci come non succedeva da tempo.
La pace di una famiglia, l'unica rimasta per quasi tutti i presenti.
 
James li fissava dall'angolo in cui s'era rifugiato, continuando a sentirsi un escluso.
Un prigioniero.
 
L'uomo del ponte si chiamava Steve. Gli aveva detto d'essere il suo migliore amico. E forse era vero, l'aveva  visto più volte nelle immagini sparse che affioravano nella sua testa sempre più frequenti.
 
Ti credevo morto..
 
E io ti credevo più piccolo..
 
Sorrise, leggero. Un ricordo buono, accanto ad uno cattivo. Il buio lo circondava, se chiudeva gli occhi provava la sensazione di essere legato ad un piano rigido. Un tavolo, forse. E quel piccoletto occhialuto dall'accento tedesco lo sovrastava.
Sergente Barnes..
 
Un impulso, il braccio sinistro che scattava, come punto da qualcosa. Il cuore in gola.
Abbassò il viso, chiudendo i pugni e cercando ossigeno. Adesso gli sembrava di sentire il fuoco nelle vene.
 
- Tutto bene?
Quella voce lo costrinse a sollevare gli occhi. La figura alta e robusta dell'uomo che diceva d'essere il suo migliore amico.
- Davvero..?
 
-..Scusa? - Steve intercettò quella domanda, pronunciata quasi in un sospiro, e gli si sedette accanto sul divano, intrecciando le dita e mettendosi in attesa.
- Come.. come puoi essere il mio migliore amico..? Io.. io dovevo ucciderti, tu.. tu eri sul ponte.. ma io mi ricordo, di te.. anche se..
-..Sono solo immagini confuse, lo so.- Steve piegò appena le labbra in una smorfia, spostando lo sguardo - beh, eppure io c'ero, per te. E tu c'eri, per me. Come fratelli. Magari ti ricorderai di un piccoletto biondo alto un metro e mezzo.. o della mia uniforme con la stella.
- Il fuoco..
- Ah. Quello. Eri prigioniero in una specie di fabbrica, insieme ad altri soldati. Probabilmente quello è stato il primo esperimento a cui ti hanno sottoposto.. non si spiega altrimenti, il fatto che sei precipitato dal treno e sei ancora vivo.. forse.. forse hanno usato un siero simile a quello che hanno iniettato a me.
- Mi dispiace..- abbassò gli occhi, arricciando appena le labbra.
- C'era il fuoco, e divorava tutto, intorno a noi.- fu Steve, a cercare i ricordi per lui - è stato un attimo, hai oltrepassato il vuoto camminando su una trave, prima che crollasse. Ti ho gridato di scappare. Mi hai urlato che non saresti andato da nessuna parte, senza di me. Ne siamo usciti insieme, come da ogni pasticcio, fin da quando eravamo bambini. E sul treno sei stato tu, a salvarmi la vita.
- Il treno..- adesso quello sguardo di ghiaccio vagava intorno, in cerca di risposte - la neve..
- La neve, già. Faceva un freddo orribile. E io non sono riuscito a salvare te.
 
Qualcuno, a chiamarlo lontano. Una ragazza che muoveva appena le dita nella sua direzione, accennando un sorriso. Steve si scusò e scivolò via da quel posto, ringraziando mentalmente Sara per averlo tolto da una situazione che si stava facendo seriamente scomoda.
Uno sguardo indietro, veloce, all'uomo che era rimasto ad osservarlo dall'angolo del divano.
 
Quello che un tempo era stato un fratello, adesso neanche si ricordava più di lui.
E faceva male, male da morire.
 

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Capitolo 6
*** Dreams And Memories ***


La macchina dei ricordi.
 
Il nome evocava qualcosa di piacevole e magico. O almeno, avrebbe dovuto.
La osservava da una manciata di passi di distanza, continuando a chiedersi come quella cosa avrebbe potuto aiutarlo. Una poltrona, lunga e reclinabile come quelle della piscina, però imbottita invece che in legno. Un macchinario con luci, uno schermo, sensori. La scomoda sensazione di aver già passato del tempo in un posto del genere. Troppo tempo.
Voltò lo sguardo di lato, continuando a sentire la presenza di quell'uomo biondo alle spalle. Un brivido, lunghissimo, a percorrergli la spina dorsale.
 
Gli avevano detto che si chiamava Pierce, che occupava un posto strategico e molto importante. Che era stato solamente l'ultimo, in ordine cronologico, fra gli uomini che l'avevano torturato rubandogli ogni spiraglio di vita, per settant'anni.
La donna dai capelli rossi gli aveva mostrato delle foto. Gli era sembrata insolitamente poco ironica, piuttosto colpita, vedendolo perdere il fiato di fronte a quella che ritraeva il suo viso incorniciato da una specie di oblò e da uno spesso strato di ghiaccio.
- Ti sei conservato bene.- gli aveva detto, provando ad alleggerire la tensione che le cresceva nel cuore, aiutando i medici a legarlo e a posizionargli addosso i sensori. Non aveva trovato parole per risponderle.
- Quindi non ti ricordi neanche di me.- Nat aveva stretto le ultime due cinghie con un un piccolo strappo -..e neppure di questo.- sollevava la maglia, scoprendo una cicatrice a tagliarle il fianco - colpa tua, non potrò più portare il bikini.
Adesso quella voce malcelava rancore, costringendolo a spostare lo sguardo, a deglutire.
- La mia idea era quella di portartici morto, qui.- lei s'era allontanata, andando a sfiorare un paio di tasti su un monitor e facendo abbassare lo schienale della poltrona - ma non tutte le tue vittime hanno votato a favore. Quelle ancora capaci di farlo.
- Cosa..? Quando..? - voltò il viso verso di lei, prendendo lentamente il respiro.
- Un po' di anni fa. Difendevo uno dei tuoi obiettivi. Hai pensato di sparargli attraverso me.- adesso Nat gli dava le spalle, continuando a trafficare in maniera quasi convulsa. Strano; era raro, impossibile quasi, che la presenza di un nemico la facesse innervosire.
- Mi dispiace..- fu tutto ciò che il giovane le rispose, prima che si voltasse tenendo in mano fili e bottoni da collegare ai sensori, ed iniziasse ad allacciarli.
- Sai che c'è.. James..? A pensarci bene, anch'io ero come te. Una bambina stronza come te. Tutto per colpa di qualcuno che ha deciso di rubarmi la vita. E poi ho incrociato una persona. Lui doveva uccidere me, ma ha deciso di non fare la cosa giusta. E' colpa sua se sono ancora qui.
- Darcy.. lei.. lo ha fatto con me..
- Già. Ho saputo che vi siete dati alla pazza gioia, per festeggiare.
Adesso la piccola smorfia su quelle labbra sembrava addirittura divertita.
- Io..
- Non credo tu ti debba vergognare. Non di questo, almeno. E poi da quanto eri in astinenza? Venti, trent'anni?
- Non lo so..- lui voltò lo sguardo verso il soffitto - è successo.. è successo e basta..
- Che cosa provi, per lei? - Nat si fece seria, occupando il suo spazio visivo - perché è una specie di sorella minore, per me. E se le fai del male, sarò costretta a fregarmene del suo parere e ad ucciderti.
 
Cristallo. Quegli occhi adesso erano puro cristallo, e la sua testa si ritrovò a dare ragione a Steve.
Loro lo controllano, Nat. Non farebbe del male a nessuno..
- Vediamo che ti hanno lasciato nella testa, dai.
 
La terza iniezione. Quella che conteneva tutte le speranze, quella che l'avrebbe fatta camminare come prima. Darcy chiuse gli occhi ed attese che l'ago le trafiggesse la schiena, pregando che Bruce non avesse la mano pesante.
La prima iniezione non se la ricordava; gliel'aveva fatta contemporaneamente all'intervento, ed al risveglio ne aveva trovato traccia appena accennata accanto alla cicatrice. Della seconda, quella fatta una settimana dopo, aveva un ricordo vago e sfocato. L'avevano sollevata, il suo primo tentativo di stare in piedi era stato un miserevole fallimento.
Ricordava di aver aspettato di essere sola nella propria stanza, per piangere.
 
E, sotto la cicatrice, la schiena continuava a farle male.
Se senti dolore il sistema è vivo - le aveva detto Bruce - alla fine del ciclo di riabilitazione faremo la terza.
Ed ora, di fronte a quell'ago, non sapeva più cosa desiderare.
Prendere il respiro, la sensazione della puntura. Poi il fuoco a riempirle la schiena, e giù fino ai piedi e su fino alla base del collo.
- Adesso aspettiamo qualche minuto, poi proviamo a sollevarci, ok? Pian piano, senza fretta.
 
Aveva annuito, continuando a fissare quel punto avanti a sé sul muro e pensando agli occhi di ghiaccio di James. A lui stava toccando la macchina dei ricordi, giusto in questo preciso istante.
Chissà come se la sta cavando. Speriamo non faccia troppo male.
 
- Ok. Direi che per oggi può andare.- Nat strinse appena le labbra, osservando il battito del giovane che accelerava, mentre la macchina proiettava a poca distanza da lei l'ologramma di un sogno che lo vedeva viso al soffitto in una specie di stanza delle torture.
Ed era la voce del consigliere Pierce, quella che ripeteva:
- Rapporto missione. Subito.
 
- Ti hanno ordinato di ucciderla, vero? - gli chiese, senza pietà, non appena il soldato riaprì gli occhi.
La risposta fu un solo leggerissimo annuire.
-..E poi cancellato ogni memoria. Quelle che affioravano della tua vita precedente e quelle delle missioni.
- Credo.. credo di sì..
- Dai, andiamo.- gli fece cenno di alzarsi - non ti tortureranno più.
 
Silenzio, nel seguirla lungo il corridoio, osservandole le spalle e cercando di capire se diceva la verità, se quella donna dai capelli rossi corrispondeva effettivamente ad una missione.
Poi, la voce di Darcy a distrarlo da ogni pensiero.
 
No one knows what it's like
To be the bad man
To be the sad man
Behind blue eyes
And no one knows what it's like
To be hated
To be faded to telling only lies
 
Canticchiava, leggera. Sembrava felice. Spostò lo sguardo su Nat, lei lo ricambiò forzandosi a restare indifferente.
 
But my dreams they aren't as empty
As my conscious seems to be
I have hours, only lonely
My love is vengeance
That's never free
 
Un sorriso le riempì le labbra, all'incontrare la sua figura. Le mani salde alle stampelle, levò il passo e lo raggiunse:
- Ehi.
- Ehi..- replicò, debole e leggero, aspettando il suo abbraccio ed appoggiandole le mani ai fianchi.
- Tutto ok? Sembri uno straccio..- la ragazza spostò lo sguardo da lui alla donna - forse dovreste andarci un po' più piano, con quella macchina.
- Darcy, non..- lui prevenne la risposta di Natasha - non è doloroso. Non fisicamente; ma quello non è colpa della macchina. E non ci sono solo ricordi cattivi, qui.- s'indicò la fronte, provando a sdrammatizzare - ho visto.. ho visto il quartiere in cui sono cresciuto, ho un'immagine abbastanza precisa di casa mia. Ho ricordato Steve quand'era ragazzino, gracile e pallido e tremendamente combattivo. La torta di mele di sua madre, il sapore che aveva il brodo di pollo. Poi c'è tutto il resto, ma..- lanciò uno sguardo verso Natasha - ci sono ancora cose a cui non so dare un senso. E altre che mi fanno paura. Da morire.
 
Ancora lì accanto, la rossa sgranò appena gli occhi, ritrovandosi a deglutire.
Era stato un fotogramma; un unico, minuscolo fotogramma, ma era riuscita a vederlo anche lei nella ricostruzione olografica.
 
James non ricordava di lei soltanto quella cicatrice. Non l'aveva vista solo attraverso un mirino.

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Capitolo 7
*** Fly Away ***


- Un altro incubo?
Quella voce, fredda e un filo ironica, lo raggiunse al limitare della terrazza.
- Uhm..? - si voltò appena, scorgendo la chioma rossa di Nat - sì..
- Piove.- quella osò avanzare di una manciata di passi - forse sarebbe meglio se..
- Non importa.- la interruppe, scuro, tornando ad osservare lo skyline.
- Che hai..? - lo raggiunse, andando a stringere le dita sulla ringhiera poco oltre il suo fianco.
- Non voglio più.- rispose quello, sorprendendola e costringendola ad aggrottare le sopracciglia.
-..Scusa?
- Non credo di voler tornare in quella macchina. Non m'importa, non voglio ricordare. Basta.- l'uomo sollevò il polso, mostrando il bracciale di contenimento che il direttore Coulson gli aveva messo al polso - fatemi quello che volete, torturatemi, uccidetemi. Sì, uccidetemi. E' quello che merito.
- Smettila, James.- la voce le vibrò, nel chiamarlo con quel nome, ma non nello stesso modo in cui aveva già fatto chissà quanti anni fa.
- C'eri anche tu.- lui continuava a fissare lo skyline, e la sua voce era ancora più scura - sei una bugiarda. Non c'è stata solo Odessa.
- Cosa ricordi.. di me?
- Eri la donna che volevo. Una vita fa.- quegli occhi di cristallo ora vagavano lungo l'orizzonte, come in cerca di un appiglio, di un suggerimento - la mia allieva. Sei cattiva. Molto più di quanto vuoi far credere a quelli che chiami amici. Sei una bugiarda.
- Sono stata tante cose, James. Esattamente come te.- adesso la voce le si velava di fastidio. Lui. Lui che la giudicava. Sembrava quasi uno scherzo.
- Io sono.. soltanto un assassino.
- Non è vero. E lo sai. Lo stai ricordando, per questo hai paura della macchina e di quello che riesce a leggere. Un assassino, un soldato. Un amico. Un padre.
 
Ecco. L'aveva detto.
E perché provava la stessa sensazione di una mano a stringerle la gola?
 
Lo vide fremere, forzarsi a non spostare lo sguardo dallo skyline, a mantenere quell'aria gelida, impassibile.
- E' stato un istante.- sospirò, lenta, piegando il viso verso il pavimento.
- La bambina..
- Sapevo che te l'avrebbe ricordata. Per questo ti ho lasciato uscire dalla stanza, ho lasciato che t'incontrasse. Suo padre non era molto d'accordo.
Le labbra del giovane si piegarono appena in una smorfia.
- Un ricordo buono per uno cattivo. E' così che dice Darcy, no?
- Era.. molto più piccola..- lui sembrava non ascoltarla neppure, immerso nei propri pensieri. Sollevava le mani, tendeva le dita e le osservava, come avesse custodito un neonato.
- E' morta prima di nascere.- Nat sospirò di nuovo, stavolta chiudendo gli occhi e sperando che bastasse, per allontanare quel dolore - e sì, lo è anche per me. Uno dei pochissimi ricordi buoni che ho. Contro un milione di ricordi cattivi.
 
Che stai facendo?
La voce era la sua, e la richiamava dal centro del petto.
 
Ricordi buoni. Ne aveva pochissimi, vero. E quello era l'unico che la legasse ancora all'uomo che aveva accanto in quel momento.
 
Tutti gli altri erano legati ad un'altra presenza, ad un altro sorriso.
 
- Natalia..
- Sei comunque il mio passato, James. Ora ho altro, un altro compagno, una nuova vita. E' tutto quello che mi ha salvato, è il mio futuro. Dovresti iniziare a costruirlo anche tu, ora che sei libero..
- Non sono libero.. non ancora.
- Invece sì. Dipende solo da te. Sta tutto nella tua testa. Sei tu, la chiave.- lei si puntò l'indice alla tempia, voltandosi a guardarlo - i tuoi ricordi ci daranno il necessario per distruggere l'Hydra per sempre. E' la tua via d'uscita.
- Già.. la via d'uscita..
 
Natasha non diede peso a quelle ultime parole, ripetute un paio di volte come un soffio. Lasciandolo solo, mentre quegli occhi di cristallo tornavano a cercare oltre lo skyline.
Forse continuava a ricordare, e quel sottile filo rosso lo riportava indietro, e il suo unico desiderio era tracciare su tutto un segno di matita. Sull'infanzia a Brooklyn, l'adolescenza fianco a fianco con quel gracile amico troppo coraggioso per la propria stazza, sulle risse nei vicoli, sulla guerra e le torture. Sulle dita bagnate di pioggia e ferme sul grilletto in attesa di un'altra vita da spezzare.
 
Forse stava solo parlando il suo senso di colpa, quello che lo rendeva vivo ed umano oltre l'ombra del Soldato d'Inverno.
 
Nessuno se ne sarebbe accorto, dell'ombra che cresceva impossessandosi del suo cuore. Non fino a quando i passi lo portarono oltre il confine di quella balaustra.
 
Un impercettibile sorriso. Il bracciale lampeggiava ancora di verde. Una minuscola spinta.
 
E lasciarsi cadere nel vuoto.
 
- Infrazione sistema.
La voce metallica di Jarvis lo fece sobbalzare, svegliandolo dal pisolino in cui era scivolato sul bancone, la testa sulle braccia, immerso fra le componenti dell'esperimento in corso.
Le tre del mattino.
 
- Localizza.- sollevò la testa, dopo aver strizzato gli occhi e preso coscienza del perimetro.
- La terrazza della lounge, signore. E' il sergente Barnes.
- Che diavolo..?
- S'è buttato, signore.
- Apri ed arma, Jarvis.
- Ma signore..
- Apri-e-arma.
La risposta a quell'ordine fu lo scivolare del portello che lo separava dall'area di lancio in emergenza. Vi si diresse a passi decisi, senza farsi domande, e l'armatura gli si compose addosso quand'era già in volo oltre il bordo giallo.
Un colpo di propulsori, ed era sul corpo in caduta libera.
 
- Jarvis, controllo contraccolpo.
- Predisposto, signore.
Tese il braccio e riuscì a raggiungere il giovane, acchiappandolo a metà busto ed arrivando ad adagiarlo a terra, lentamente, sul marciapiede a pochi passi dall'ingresso vetrato della Tower.
Il cuore in gola, mentre la maschera si apriva, in attesa di un segno di vita nel corpo steso accanto alle sue ginocchia.
- Respira! Dai, James, respira. Apri gli occhi.
 
Sergente Barnes! James! Svegliati!
 
Apriva gli occhi, e non comparivano dita metalliche di fronte a lui, né materiali o attrezzature da laboratorio, ma solo le pareti di tela ruvida della tenda da campo organizzata al fronte. Sotto le spalle, la branda su cui non ricordava d'essersi appisolato. Di fronte a sé, gli sguardi preoccupati di Steve e di Howard Stark.
- Che..?
- Incubi. Ti stavi agitando, ripetevi frasi senza senso.
- Stavi ricordando qualcosa del posto in cui ti tenevano prigioniero - Stark ora si muoveva, allontanandosi appena - ricordi cos'è successo?
- Io.. dove..? - provava a sollevarsi, ed una fitta di dolore lo inchiodava a terra.
 
Strano. Era su una branda, ma sotto la schiena sentiva un piano rigido, come fosse stato sdraiato a terra.
 
E' solo un incubo; apri gli occhi. Apri gli occhi, James.


Gli sfuggì un lamento, sotto il tocco di quella mano a premergli il petto.
- Howard Stark..
- Hai conosciuto mio padre; lo so.- rispose quella voce, sempre più chiara accanto a lui.
- Non è stato un incidente..- mormorò aprendo lentamente gli occhi e mettendo a fuoco l'immagine di Tony - sono stato io..
- Lo so.- la voce dell'altro s'incrinava, e quella mano sul petto tremava appena - lo so, James. Stai giù, stai tranquillo.
- Sono.. sono stato io..- le lacrime in gola, il respiro che si spezzava - lasciami andare..
- No, James.
- Io.. sono solo.. un assassino.. lasciami..
- Sono stati loro.- quella mano continuava a premerlo, come cercando di calmargli i battiti - ti hanno fatto a pezzi, programmato come un'arma. Non l'hai voluto tu. Non è stata colpa tua.
- Io ho premuto il grilletto..
- Lo so. Ma non eri tu. Questo, sei tu.- le dita di Tony adesso lo puntavano, la sua voce riacquistava sicurezza.
- Lasciami andare..
- No, James. Ucciderti non è la soluzione.
- Io..
- Stai calmo. Ora torniamo a casa, ok? Andrà tutto bene.
 
Tutto bene.. tutto bene..
La voce di Stark si perdeva nella neve. Bianca. Fredda. Silenziosa.
Pronta ad invadergli di nuovo la testa.
 
No.. non voglio, non voglio.. aiuto..
 
Un nuovo risveglio. Di nuovo la penombra di quella stanza, di nuovo l'insistente -bip!- di quella macchina accanto. Le spalle appoggiate a qualcosa di soffice.
 
Troppo vera e troppo soffice, per essere la sua branda da campo. E quello non sembrava Howard Stark.
 
Tese appena la mano destra, incontrando l'immagine del bracciale di controllo. Nessuna luce.
- Oh.- Tony s'affacciò chiaramente nel suo campo visivo, notando l'espressione interrogativa che gli stava dipingendo il viso - già. Direi che questo non serve più.
Le dita sul bracciale, a sganciarlo e poi riporlo in un angolo.
 
James voltò il viso, lentamente, osservando i movimenti dell'uomo accanto al letto, senza la forza di muovere obiezioni.
- Sai..- la voce del padrone di casa ruppe il silenzio - non credere di averci l'esclusiva.
- Co-cosa..?
- L'esclusiva.- Tony si avvicinò di nuovo al letto, con una minuscola smorfia sulle labbra - non sei l'unico assassino pentito, qui dentro. He ho uno che scocca frecce, una che spezza ossa.. l'unica differenza è che tu non l'hai mai voluto fare, non di testa tua. Io vendevo armi, sai. L'eredità di mio padre, brillante ingegnere che dal progettare accessori all'avanguardia è caduto nella becera tentazione di fare i soldi. E per un po' ho giocato anch'io; il ruolo mi si addiceva pure. Brillante miliardario playboy, adeguatamente pompato dai media e dai cattivi consiglieri, che speravano di spremermi come un limone a spese di chiunque; tanto non importa a nessuno se muoiono i poveracci, no? Ecco.. a me è servito che una delle mie bombe mi riempisse di schegge il petto, perché capissi che dovevo guardare più in là. E Lucas.. oh, lui è il mio socio ideale, lui voleva governare il mondo. Nel vero senso della parola. Ha aperto anche un portale alieno, pur di farsi un trono. Poi ha preso moglie, che non so se è stato peggio provare a suicidarsi o quello. Sì..- raccolse una sedia e si accomodò accanto al letto, continuando il suo ironico monologo e muovendo appena una mano a darsi più espressione - non detieni l'esclusiva neanche fra gli aspiranti suicidi. Ed è stato anche più spettacolare di te.
- Che.. che stai..?
- Sto cercando di convincerti a non buttare quello che ti resta nel cesso; non s'era capito? - Tony aggrottò le sopracciglia, sollevandosi dalla sedia con uno scatto improvviso, poi si piegò appena e andò a puntarlo con l'indice - torna in piedi alla svelta, che mi servi. Fra tre settimane partiamo per il Cile.
- Non credo di servirti a niente, Stark.. io.. sono solo..
- Un coglione, finché stai qui a piangerti addosso. Steve dice che da ragazzino eri veloce, e forte. Che lo difendevi facendo a botte con quelli più grossi, che in guerra hai avuto le palle. Non credo ti rovinerai le unghie, scaricando generi di prima necessità per la fondazione..
 
Le labbra del giovane si stirarono in un sorriso, leggero.
- Forse è ora di smetterla, sai.
- Di smettere..?
-..Di estrarre ricordi cattivi. E' ora di costruire quelli nuovi. Sei con me?
Ora quella mano s'era fermata, tesa verso di lui.
 
La mano di Steve, a cercare di raggiungere la sua. Quella volta non ce l'aveva fatta.
Quella volta era caduto.
 
Ma adesso no. Non sarebbe caduto.
 
Mai più.
 
- Ah.- Tony accettò quella stretta, ancora un po' debole ma motivata - io non ci proverei più, se fossi in te. Darcy ha promesso che alla prossima che fai ti spezza le gambe. Non ho capito se per il lancio in caduta libera o per l’improvviso ritrovarsi fra i piedi quella gran figa della tua ex.
 
Lo vide mordicchiarsi le labbra, e se ne andò sorridendo.
Missione di oggi compiuta, mr. Stark.

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Capitolo 8
*** Goodbye Snow ***


Stark Tower, sei mesi dopo.
 
Partire per una missione non gli aveva mai fatto questo effetto. Forse perché non era mai uscito dal proprio nascondiglio completamente cosciente di cosa stesse per fare.
Ora, invece, di fronte allo schermo olografico che illustrava status e posizione dell’obiettivo, era riuscito a rimanere privo di forza e respiro, per un istante che gli era sembrato interminabile.
 
Tutto bene?
La voce di Nat era arrivata ad accarezzargli le spalle, calda e leggera.
- Sì..- aveva risposto, raccogliendo un ciuffo di capelli fra le dita e portandoseli indietro.
- Vogliono te perché puoi interpretare il suo comportamento.
- Lo so.- Bucky sollevò di nuovo gli occhi, ritrovandosi a fissare il fermo immagine che ritraeva quell’uomo in azione – perché lui è me.
- Quello non sei tu, James. Forse eri, tu. Quello è ciò da cui siamo riusciti a scappare. Tu, l’esperimento. Io, il prototipo. Quello è l’inizio della produzione in serie.
 
Il soldato perfetto.
 
L’essere che poco meno di sei mesi prima era comparso dal nulla, e come era stato per il Soldato d’Inverno in lunghissimi decenni prima d’ora, allo stesso modo scompariva dopo ogni missione. Che fosse un assassinio mirato o un atto terroristico di massa. Senza apparente logica, senza lasciare indizi sulla posizione del prossimo obiettivo o il suo perché.
 
- Sembra che l’Hydra abbia deciso di colpire a caso.- aveva sospirato Tony, senza alcuna vena d’ironia nella voce, di fronte all’ennesima prima pagina di giornale.
- Non colpiscono mai, a caso.- gli aveva risposto Coulson, ancora intento a spaccarsi la testa sui come e sui perché, dopo aver analizzato al millimetro, insieme a Leo e Jemma, ogni fotogramma ed ogni trafiletto – c’è sempre, una logica. E’ quello che dobbiamo scoprire, prima che colpiscano ancora.
 
Poi, una scintilla.
 
C’era arrivato Leo, quasi per caso, intestardito sul cercare nella storia dell’organizzazione, nei suoi simboli e nei suoi riti. L’Hydra era nata molto prima del nazismo, le sue origini si perdevano nella storia e passavano i confini di riti ancestrali, magia e satanismo. Era arrivato anche a chiedere a Lucas di aiutarlo nelle indagini, vincendo la soggezione personale e l’imbarazzo del mettere le mani sui libri che quello aveva fatto arrivare da Asgard.
 
Il principe nero l’aveva ascoltato, con pazienza ed attenzione. Un cenno, e l’aveva guidato nella sua piccola biblioteca personale.
Ci avevano trascorso insieme parecchie notti, prima di elaborare quell’ipotesi. E Jemma aveva fatto il resto.
 
Simboli. Il logo dell’Hydra trovava ascendenze in simboli rituali medievali, tornava a riaffiorare nel seicento e nel secolo dei lumi. Si leggeva tra le righe di molti documenti di stato classificati e non, in loghi di programmi spaziali e di ricerca.
 
Diffuso dappertutto, come un malvagio e nero tumore.
 
James era rimasto ad ascoltare l’esposizione di quel lungo percorso di studi, rimanendo in disparte in un angolo della sala riunioni, in silenzio ed assorto come quando aveva trascorso mezz’ore di fronte alla propria immagine di soldato esposta allo Smithsonian.
Silenzio. Neve.
C’era qualcosa, nell’associazione e sovrapposizione dei simboli proiettati sullo schermo olografico, di orribilmente familiare per il suo corpo, la sua testa ed i suoi occhi.
 
Una fabbrica. La vedeva chiaramente, oscura ed abbandonata. Era stato fatto prigioniero insieme a parecchi commilitoni, rinchiuso in una gabbia fra feriti, rassegnazione e proteste. Ricordava di aver provato a rassicurare qualcuno, prima che mani robuste di uomini armati lo trascinassero laggiù.
 
Una stanza. Enorme, avvolta nella puzza di umidità latente. Una struttura che ricordava le molte, troppe lettighe da medico su cui era stato più tardi indotto o costretto a stendersi. Una luce, concentrata su quel piano di lavoro improvvisato.
 
La voce sgradevole e pungente di quel piccoletto che gli uomini armati chiamavano dottore.
 
E dolore. Un dolore orribile, dappertutto.
 
Sara lo vide abbassare il viso, raccogliere il respiro come stesse annaspando. Tese una mano, fermando il racconto di Fitz e raggiungendo lui all’angolo della porta:
- Stai bene?
 
Le rispose facendo cenno di no con la testa, senza il coraggio di sollevare il viso e guardarlo ancora.
 
Il simbolo dell’Hydra emergeva dalla sovrapposizione ed elaborazione di tutti quei loghi, gigantesco e nero.
 
- Vieni. Hai bisogno di un po’ d’aria.- la mano della ragazza lo guidava fuori, verso il perimetro sicuro del corridoio. Sollevò il viso, aggrottando le sopracciglia e chiedendosi perché si stesse comportando così con lui. Era una delle sue vittime. E lo odiava.
 
Lascia stare.
Gli sembrò intercettare il suo pensiero, rispondendo con un cenno delle dita.
- Sara..- strizzò gli occhi, portandosi le mani sul viso come per difesa.
- Sì. Lo so. Ti odio.
- Come-?
- Ti leggo nel pensiero. E’ una delle mie doti da aliena. Ma non serve farlo, trasudi sensi di colpa dalla prima seduta con la macchina dei ricordi, come.. come se avessi cancellato tutto quello che sei stato di buono.
- Non sono mai stato nulla, di buono, Sara. E’-
- Prima della guerra era un tipo simpatico. Steve potrà esagerare, perché ti vuole bene; ma le registrazioni dei tuoi ricordi non raccontano bugie. Eri un bravo ragazzo, spendevi un sacco di energie per lavorare e difendere chi vedevi in difficoltà. Ti sei arruolato per questo. E poi è venuto tutto il resto.
- Ho bisogno di.. di tornare alla macchina, ora.
- Ma.. hai chiesto di chiudere con il trattamento, Stark difficilmente-
- Ho qualcosa..- lui puntò l’indice contro la tempia – ho qualcosa che può aiutare con.. con quello che state facendo. So di essere ancora qui per aiutare la fondazione con altre cose, ma.. ma sto ricordando. Sto ricordando e voglio.. lo voglio usare.
- Aspetta.
 
La vide entrare nella sala riunioni, parlare fitto fitto con Tony. Un cenno della mano di quest’ultimo, e si avvicinava anche il dottor Banner.
- Sei sicuro? – fu lui, il primo a raggiungerlo oltre la linea d’ombra del corridoio. La risposta fu un deciso cenno di sì.
- Ok; andiamo..
 
Darcy non aveva mosso un muscolo. Appoggiata oltre il tavolo olografico, aveva assistito alla scena e non aveva neppure accennato a raggiungerlo, o preoccuparsi di come stesse, oppure offrirsi di accompagnarlo.
Forse non l’avrebbe fatto mai più.
 
I ricordi di James si erano srotolati come una lunghissima matassa dai mille toni di grigio. C’era la fabbrica, c’era il viscido dottore. C’erano siringhe e lacci e torture fisiche e psicologiche. Poi le fiamme, il viso amico di Steve e la sua voce che gridava non ti lascio indietro.
Ed alla fine tutto si faceva bianco di neve e rosso di sangue. La mano di Steve si allontanava, il treno diventava un puntino nel nulla. Due, tre uomini di cui non riusciva a leggere i tratti del viso lo trascinavano di peso lungo un sentiero, e tutto ciò che riusciva a vedere era una scia di sangue.
 
E dolore, di nuovo, a ridurlo in mille pezzi prima che quanto restava del suo corpo e della sua mente fossero rinchiusi oltre una spessa lastra di ghiaccio.
 
Aveva aperto gli occhi, lentamente, ritrovando il perimetro amico della sala e il profilo della macchina dei ricordi. Poco oltre, alle spalle di Banner, un ciuffo rosso. Dita a spostarlo, a portarlo dietro l’orecchio. Lo sguardo di ghiaccio di Nat, che si mordeva le labbra e lo lasciava, per un lunghissimo istante, con la voglia inconsapevole ed irrazionale di tendere la mano e sfiorarla.
 
Confusa in mezzo a quei ricordi di sangue e di neve, l’unica completamente nitida era solo e soltanto la sua.
 
Non c’era stata solo Odessa.
 
L’aveva conosciuta, molto prima.
L’aveva addestrata. L’aveva protetta.
 
L’aveva amata.
 
Bellissima e gelida bambina di neve.
 
- Prenditi una pausa; direi che ne hai bisogno.- gli disse Banner, allontanandosi. Come avesse intuito nell’aria qualcosa di elettrico, qualcosa che legava loro due soli e che necessitava di silenzio ed intimità.
 
L’ultima immagine impressa nella registrazione ritraeva Natasha, la sua mano che si tendeva e si perdeva oltre il profilo della neve. Tutto intorno, un oscuro groviglio di bosco.
 
Ricordava. Lo ricordava perfettamente anche lei. Ed ora, nonostante gli avesse chiaramente detto di aver voltato pagina, riusciva a provare dolore in parti del suo cuore che non avrebbe mai sospettato di possedere.
 
L’aveva voluta provare anche lei, la macchina. Aveva bisogno di sapere, bisogno di trovare risposta a quel milione di perché che le affioravano in testa ogni notte togliendole il sonno. Perché ricordava di essere stata una ballerina, perché rivedeva quelle immagini di bambine punite e ferite con cui qualcuno la obbligava a combattere. Perché c’era sempre quella voce, nella sua testa, a ripeterle la mia piccola Natalia, la mia bambina di neve. Cosa c’era di sbagliato, nel suo corpo, se non poteva invecchiare, e perché provava quella fitta di dolore e tenerezza ogni volta che Katie le si gettava fra le braccia, nonostante fosse consapevole della propria sterilità. Perché la bambina aveva scelto proprio lei, come zia preferita, se forse le aveva letto nei sogni. Se l’avevano spaventata come riuscivano a fare con lei, spingendola a scivolare fuori dalle coperte e rifugiarsi nel freddo della terrazza, a respirare l’odore della notte. E perché quella lacrima.
 
Non ricordava di aver pianto, prima. Mai.
 
Un solo, uno e semplice ed umano errore.
Aveva chiesto a Darcy di accompagnarla alla seduta.
 
Ma questo era successo molto prima che James si lanciasse nel vuoto; era successo altro, non c’era stato tempo per rimuginare, né per notare come l’amica si fosse fatta gelida e distante.
Eppure, l’avrebbe intuito anche una cretina.
Darcy Lewis che di punto in bianco si defila dal day off, di shopping o di spa che sia, non è una cosa appartenente alla logica umana.
 
Non aveva provato ad avvicinarsi o a chiederle spiegazioni: il motivo c’era, chiaro e semplice, e risiedeva negli sguardi di James.
 
Darcy non aveva neppure avuto l’energia per fare una scenata di gelosia. S’era allontanata, punto.
Anche da lui.
 
Tutto bene?
La voce di Nat era vicina, era presente. Bastava tendere una mano, e sarebbe tornato tutto come in un tempo lontanissimo, loro due soli e niente altro, in fuga dal nemico in mezzo al gelo ed alla neve.
- James..- lo vide assorto, piegato a fissare un punto all’infinito lungo il pavimento, e cercò d’indagare nei suoi occhi.
- Oggi andremo a prenderlo e non ci sarà nessuno a raccomandarmi di non farmi ammazzare.- replicò, con la voce ridotta ad un velo.
- Non le hai ancora parlato?
- Tu ci sei riuscita?
- Ci ho provato. Mi evita. E comunque dovrebbe capirlo, che fra noi due non c’è più niente. In fondo non è un problema mio.
- Questo tuo cinismo lascia capire perché hai così tanti amici, Natasha.
La donna rispose sollevando le spalle:
- Mi vuoi sincera? Ok, mi dispiace. Ma non posso farci niente, se è convinta che io e te abbiamo ancora una storia. Certo, avrei preferito che gridasse, almeno si sfogava; gridavo anch’io e alla fine davamo la colpa a te e uscivamo a comprarci un bel paio di scarpe assieme. Ma non siamo più bambini, James. E ci sono affari più importanti di quelli del cuore.
 
L’aveva lasciato solo, per l’ennesima volta. Solo a decidere, solo a pensare. E per l’ennesima volta era comparsa, al momento e nel posto giusto, una presenza inaspettata nel suo schermo visivo.
- Ehi.- Sara l’aveva raggiunto, lì di fronte all’ascensore, e senza guardarlo aveva premuto l’indice sul pulsante – sei pronto?
- Tu?
- No.- era stata la risposta, decisa, mentre le porte si aprivano e la ragazza scivolava oltre, lasciando che la seguisse affiancando al sua uniforme tattica, prima di premere il tasto ground floor. James aggrottò le sopracciglia.
- La realtà e che non sono pronta. Mai. Non lo ero neppure quando siamo usciti per catturare te. E’ armato, è pericoloso ed apparentemente senza niente da perdere, il che lo fa ancora più pericoloso. In più, non sappiamo neppure chi sia; nessuno l’ha mai visto in faccia, prima d’ora.
- Ero la stessa cosa, quando siete venuti per me
- Già. Ma alla fine non ti è praticamente rimasto neanche il mio segno.- gli indicò il collo, lasciandolo annuire.
- Uno pari, direi.
Sara si limitò ad un sospiro, mentre l’ascensore rallentava ed effettuava una fermata intermedia, annunciata dalla vocina elettronica.
 
Floor twenty.
- Abbiamo visite dal settore ricerca. Speriamo che sia Fitz coi nani.
 
Le porte si aprirono, e fece capolino proprio lui. Sorriso leggero, valigetta con l’attrezzatura.
Ed un’ospite inattesa.
 
Sara gli lanciò uno sguardo che voleva dire tutto, mentre Darcy salutava opaca e prendeva posto di fronte alla porta, appoggiandosi alle fedeli stampelle e dando le spalle a tutti. Leo rispose con uno dei suoi fantastici ed imperdibili bluff.
- Ops..- uno sguardo verso la valigetta, tastare tutte le tasche che aveva addosso, come fosse alla ricerca di qualcosa di indispensabile ed inesorabilmente dimenticato – il..
Un dito a premere il tasto del piano diciotto, costringendo l’ascensore ad un’altra fermata.
- Che c’è? – Sara si fece appena avanti.
- Ho dimenticato il..- replicò lui, continuando la ricerca – oh, cacchio, era per te.. ti scoccia? – lei indicò l’uscita, la vide annuire e si fece seguire oltre le porte nuovamente aperte.
- Aspettami nell’atrio.- lei fece cenno a James, che non poté fare altro che rassegnarsi a restare solo con la donna che lo evitava da mesi.
 
Silenzio.
 
Silenzio.
 
Darcy continuava a dargli le spalle, non accennava ad un movimento né ad una parola. Nulla, neppure una sillaba. Sembrava quasi non respirare.
 
La vasca idromassaggio. Rivedere il suo sguardo, imbarazzato a morte e divertentissimo, impegnato a sfuggire dalle sue nudità, gli fece mordere le labbra quasi a sangue.
Non è possibile, James. Non puoi lasciarla finire così.
 
Si allungò e premette il pulsante di arresto d’emergenza, causando una botta improvvisa e costringendola a vacillare. Tese la mano, pronto a sorreggerla, e tutto quello che ottenne fu uno scatto a respingerlo.
- Che diavolo-?
- Un guasto, temo.
- Non dire stronzate, James.- broncio teso, sguardo cattivo, Darcy provò a raggiungere la pulsantiera, ma lui ci si parò davanti:
- Dobbiamo parlare.
- Non dobbiamo parlare proprio di un bel niente, io e te.
- Darcy, per favore.
- Lasciami in pace, James.
- Avrei preferito sentirti urlare.- lui aprì le mani, lasciandola sollevare uno sguardo interrogativo – sì, urlare, farmi una scenata di gelosia. Mi avrebbe fatto meno male di questo silenzio. Mi fa male, Darcy.
- Piantala, James. Non ci perdo tempo, con l’uomo di un’altra.
- Io non sono-
- Ah, no.- lei si mantenne a stento gelida, rigida – e lei non è nessuno.
- Lei è il mio passato, Darcy. Il mio passato. Non c’entra niente, con quello che-
- Avete avuto una figlia, James! Come cazzo fai a dire che non c’entra niente con te? Come fai a dire che non senti niente, quando la guardi? Piantala, sei diventato patetico..
Adesso aveva alzato la voce, ma solo un po’, prima che le si incrinasse del tutto.
- E’ successo. Ma ora non.. ora la mia vita è questa, Darcy. E nella mia vita ci sei tu. E se anche dovesse finire fra un’ora, ci rimarresti sempre e solo tu.
- Tu.. ti sei buttato dalla terrazza della lounge per-
- Non è stato per lei, Darcy. E’.. per tutto quello che ho fatto, e che non riuscirò mai a rimediare. Tu ci sei ancora, perché mi sono fermato. Perché TU mi hai fermato. Perché sei qualcosa, qui.- si chiuse il pugno sul petto, piegandosi appena verso di lei – dall’inizio. Una cosa che non ho mai provato e che non so spiegare. Sono un essere orribile, Darcy. Un assassino ed un peccatore. Ma c’è una cosa, una, che vale davvero in questo schifo che è la mia vita. E sei tu. Non lei, e nessun altro. Sei tu.
 
Senza parole. Adesso lei lo fissava da sotto in su, senza più neanche lo straccio di una parola.
- Non.. e tu non dici nulla.- lui piegò le labbra in una smorfia amara, prima di voltarsi e premere di nuovo il pulsante rimettendo in moto l’ascensore – già. Ok..
 
Le porte si riaprirono sull’atrio, lasciando che il sole di metà mattina gli ferisse gli occhi.
Avanzò una manciata di passi, verso l’immagine di Sara. Addosso, l’espressione triste e cupa di chi non ha più niente da perdere.
- Ehi.
- Sono pronto. Andiamo.
- Ok.- il tempo di controllare le armi che portavano al fianco, e Sara sollevò lo sguardo in attesa di un cenno di conferma.
 
Aspetta.. puoi aspettare un attimo?
La voce di Darcy arrivò completamente improvvisa.
 
Sì, le replicò, con un cenno del viso, indicando al collega il SUV in attesa oltre il profilo delle vetrate e lasciandolo annuire.
 
Lui si voltò verso la ragazza arrivata al suo fianco, e non poté impedire al proprio cuore di mancare un battito, lasciandola sollevarsi sulle punte e raggiungergli le labbra con le proprie.
Tese le mani, la strinse ai fianchi raccogliendosela addosso.
 
Un istante, interminabile, in silenzio. Spezzato dall’incanto della voce di Darcy, non più nera ma solo ancora appena velata di lacrime.
 
Vedi di non farti uccidere, là fuori.

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