P.P.S. (Programma Protezione Sentimenti)

di WillofD_04
(/viewuser.php?uid=866048)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Angolo autrice:
Ciao a tutti. Se state leggendo questo vuol dire che avete aperto la mia storia e vi ringrazio molto. Questa è la prima storia originale che pubblico e spero che questo capitolo zero vi piaccia e vi incuriosisca almeno un po'. Ovviamente se ne avete voglia lasciate una recensione così almeno so cosa ne pensate. :)
Un'ultima cosa prima di lasciarvi alla lettura, il titolo e il rating potrebbero cambiare nel corso della storia e potrei non essere costante nell'aggiornare. Detto questo grazie ancora per aver dato una possibilità alla mia storia e buona lettura. :)



PROLOGO
 
Mirko
 
Le cose non stavano andando bene. Non stavano andando affatto bene. Dire che la situazione fosse tragica, era dire poco. Stavamo finendo il tempo. Dovevamo scappare al più presto se non volevamo trovarci coinvolti nella più grande esplosione mai vista.
«Lily, presto! Recupera i chip e andiamocene!» gridai alla mia migliore amica, intenta ad arraffare tutto ciò che c’era sul tavolo
«Sto facendo più in fretta che posso!» mi rispose lei con il suo solito garbo
«Ragazzi, ho provato a disattivare la bomba o almeno a ritardarla, ma non c’è stato niente da fare! Abbiamo quattro minuti prima di diventare cenere, dobbiamo uscire!» ci comunicò allarmato Christian
«Merda...merda!» sibilò Lily tra i denti «qui dovrebbero esserci quattro chip, ma ce ne sono solo tre!»
«Cazzo! Quei chip sono di vitale importanza, non possiamo lasciare che esplodano! Cerchiamolo, maledizione.»
Il nostro non era mai stato un compito facile. Vivevamo alla giornata, non sapendo se saremmo stati fortunati abbastanza da vedere il giorno dopo. Ma c’eravamo sempre riusciti, eravamo sempre sopravvissuti, tutti. Qualcuno aveva riportato ferite gravi o permanenti, ma in un modo o nell’altro ce l’avevamo sempre fatta. Ora mi sembrava inverosimile che saremmo potuti morire carbonizzati da una bomba per colpa di un chip che giocava a nascondino a quattro minuti dall’esplosione.
Christian controllò nervosamente il cellulare.
«Meno di tre minuti e trenta.»
«Sentite, se a quindici secondi il chip ancora non è saltato fuori, ce ne freghiamo e usciamo.» ordinai loro. Non ero il loro capo, ma ero il Vice del capo e in sua mancanza avrebbero dovuto obbedirmi. Perlomeno dovevano farlo, se volevano vivere.
La radiolina squillò. «Ci sono novità?» chiesi al mio interlocutore
«No, purtroppo. Adesso vi raggiungiamo. Quanto tempo abbiamo?»
Guardai Christian, che rispose al posto mio «Tre minuti e sei, cinque, quattro...»
«Bene, allora dovremmo farcela.»
«Temo di no, abbiamo perso un chip.»
«Come diavolo avete fatto a perdere un chip!?» la sua voce si alzò pericolosamente
«Non ti preoccupare, li aiuto io a cercarlo, tu fai evacuare l’edificio.» una voce più tenue si sentì attraverso la radio
«Va bene, ma stai attenta. Ci vediamo tutti fuori.» detto questo, il capo chiuse le comunicazioni. Poco dopo ci raggiunse anche Valentina. Sembravamo impazziti, girando per tutta la stanza alla ricerca di quel chip. Ma non potevamo lasciarlo lì. A ripensarci, potevamo fregarcene e metterci in salvo, ma avremmo comunque perso qualcosa di importante.
«Christian?»
«Quarantadue secondi!»
Continuavamo a cercarlo, sempre più in preda all’ansia. Lily quasi si graffiava le mani per la foga con cui cercava nei cassetti.
«Venticinque secondi.»
«Ragazzi, usciamo.» ordinai
«Aspetta, è qui vicino, ne sono sicura.»
«Valentina, dobbiamo andare. Non possiamo aspettare oltre.»
«Voi andate, io vi raggiungo.»
Le afferrai un braccio. «Sai che David non mi perdonerebbe mai se ti accadesse qualcosa.»
Mi guardò decisa e fu proprio la mia presa su di lei che mi fregò. «Voi andate, ho detto.»
Annuii, inebetito e mi avviai fuori insieme agli altri. Fu solo quando uscii che mi resi conto di ciò che aveva fatto.
«Dov’è Valentina?» mi chiese preoccupato David che ci aveva preceduto
«Non dirmi che è rimasta dentro...» fece Lily, che aveva imparato a conoscere bene la sua migliore amica
«Mi ha...costretto ad uscire...» non feci in tempo a finire la frase, che il capo aveva già infilato la porta dell’edificio. No. Non poteva essere. Che cosa avevano appena fatto? Mi infilai le mani tra i capelli, consapevole di dovermi allontanare. Ma io non ero mai stato uno che seguiva il buon senso quando si trattava delle persone a cui volevo bene. Mi mossi in avanti. Non potevo lasciare il mio migliore amico lì. Feci un passo, due, tre. Ero a cinque metri dall’ingresso principale, quando vidi due figure avvicinarsi all’uscita e alla salvezza.
«Te l’avevo detto che l’avrei trovato!» gridò la più piccola delle due e me lo tirò. Eravamo abbastanza vicini da poterlo fare e lo presi al volo. Una volta al sicuro dalla bomba avremmo fatto i conti.
«Mirko!» mi girai verso la voce, che apparteneva a Lily. Mi rigirai verso David e Valentina. Tutto ciò che ricordo dopo, è che sentii un gran boato e venni sbalzato in aria. Poi più niente.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Camilla
 
Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui è cambiata la mia vita per sempre. Era il 15 Ottobre 2015, verso le quattro del pomeriggio. Stavo leggendo un libro sdraiata comodamente sul letto. Shantaram, un libro di millecentosettantaquattro pagine. Io ero appena a pagina quarantacinque, me lo ricordo bene. Se avessi saputo che non lo avrei finito, non lo avrei mai cominciato e non lo avrei mai odiato, in quanto parte di uno dei ricordi più brutti della mia vita. Mia madre era entrata in camera con una faccia preoccupata. Non ci avevo badato molto all’inizio perché mia mamma fa sempre l’espressione preoccupata, anche per cose di poco conto. Ma quella tutto era, meno che una cosa di poco conto.
«Tesoro...» aveva cominciato. Le mamme cominciano sempre così quando devono comunicare qualcosa di brutto. «è successa una cosa...»
A quel punto ero stata costretta a posare il libro. Lei si era seduta accanto a me e aveva cercato di mascherare il suo sguardo preoccupato con la dolcezza. Ma non era brava in queste cose, quindi il risultato era ancora più angosciante di quanto non fosse già. Sapevo che avrei dovuto cavarle le parole di bocca, mia madre non era mai stata brava in queste cose ma io odiavo i giri di parole quindi la obbligai a sputare il rospo per quanto brutto potesse essere, se non volevamo restare lì fino al tramonto.
Adesso so che è possibile. È possibile sconvolgere la vita di una persona in soli cinque minuti. Mia cugina era morta, mi aveva detto. Morta all’improvviso. Non ci potevo credere. Non ci volevo credere. Invece era tutto vero. Aspettai che mia madre uscisse e mi sedetti sul bordo del letto. Affondai il viso nelle braccia e mi misi le mani tra i capelli. Presi più respiri e scossi la testa. Non era possibile. Lei era quella buona, quella sempre sorridente. Non poteva essere morta, non lei. E invece tre giorni dopo l’avrei vista in una bara, pallida e immobile circondata da inutili e stupide corone di fiori. Avrei visto tanti volti tristi e occhi pieni di lacrime, perché lei era quella amata da tutti e non potevi non piangere al suo funerale. Non potevi non dispiacerti e non chiederti perché Dio avesse preso proprio lei. Non so per quanto tempo rimasi a fissare l’armadio di fronte al mio letto. Forse per minuti, forse per ore. Ma una cosa era certa. Non piansi. E non pensai a me. Pensai alla mia cuginetta più piccola, per cui sua sorella era un indispensabile punto di riferimento. Pensai a mia zia e a mio zio. A come potesse sembrare terribile l’idea di passare il resto della vita senza una figlia.  Mi chiesi come avrebbero fatto loro ad affrontare un tale dolore. Mi chiesi come quegli spocchiosi del collegio avessero comunicato loro la notizia. Ma se solo avessi saputo quello che sarebbe successo dopo, per quanto egoistico possa sembrare, non avrei pensato a loro. Avrei pensato a me e a come avrei fatto io.
 
 
Mirko
 
Aprii gli occhi. Lentamente misi a fuoco le luci al neon del soffitto dell’infermeria. Provai a muovermi, ma mi facevano male tutti i muscoli.
«No, no. Non alzarti.» fui fermato da una mano appoggiata lievemente sul mio ginocchio e solo in quel momento mi resi conto che mi fischiavano le orecchie. Guardai confuso il proprietario della voce, il Dottor Carlos Andrew Jones.
«Hai preso una bella botta. Per fortuna che hai la pelle dura. Vista l’esplosione a cui sei stato sottoposto avresti potuto benissimo perdere l’udito. Invece te la sei cavata con un semplice fastidio ai timpani e qualche graffio. Niente che qualche giorno di riposo non possa guarire.» sorrise leggermente
«Per fortuna. Dove sono gli altri? Stanno bene?» tornai per un momento all’esplosione e mi ricordai. In quel preciso momento, neanche a farlo apposta, entrò Lily. Aveva un visibile taglio sulla fronte, coperto da tanti cerotti trasparenti che le facevano da punti, il gomito sinistro fasciato e qualche escoriazione sulle gambe. Ma la cosa che più mi preoccupava erano gli occhi rossi e gonfi.
Mi si gettò praticamente addosso, sedendosi accanto a me sul bordo del lettino. Con la coda dell’occhio vidi che il dottor Carlos stava uscendo e iniziai a preoccuparmi. Lily sembrava sul punto di piangere, era agitata come non l’avevo mai vista.
«Grazie a Dio almeno tu ti sei svegliato.»
Almeno io? Che voleva dire? Cos’era successo? Iniziai a preoccuparmi.
«Cos’è successo?»
Mi guardò, con occhi totalmente vuoti e assenti e iniziò a scuotere la testa.
«Lily. Lily guardami.» la obbligai a sollevare lo sguardo poggiandole delicatamente i palmi sulle  guance «Calmati e spiegami cos’è successo.»
Si calmò, almeno apparentemente. La conoscevo bene e sapevo che dentro di lei c’era una tempesta di emozioni in corso.
«Dio, è così ingiusto.» sputò fuori con disprezzo
«Cosa è ingiusto!?» cominciavo a perdere la pazienza
«Valentina è morta.»
Rimasi spiazzato. Sapevo che l’esplosione era stata violenta ma pensavo che fossimo riusciti a salvarci tutti. Ce l’avevamo fatta, maledizione. Eravamo fuori. Avevamo recuperato tutti i chip. Porca puttana!
Ero così disorientato che feci l’unica domanda che mi venne in mente. «David come sta?»
La mia migliore amica mise una mano sopra la mia e me la strinse. Si fece coraggio e dopo aver fissato i suoi occhi ai miei cominciò a parlare.
«David è in coma.»
Quelle quattro parole bastarono per mandarmi in confusione. Rabbia, tristezza, preoccupazione, angoscia. Non sapevo cosa stavo provando. Anche Lily doveva sentirsi come me.
«Si risveglierà?»
Alzò le spalle prima che tutto il suo corpo fosse scosso da potenti singhiozzi.
La abbracciai stretta. A entrambi serviva quell’abbraccio. Non l’avevo mai vista così a pezzi, nonostante ne avesse passate tante. E io non mi ero mai sentito così perso, ora che il mio punto di riferimento era in un letto in stato vegetativo.
«La mia migliore amica è morta.» disse lei in un sussurro
«È ingiusto, lo so. Siamo rimasti noi però e noi ce la faremo. Insieme.»
«Si...» non sembrò tanto convinta
«Almeno Christian sta bene?»
«Si, anche se è a pezzi pure lui.» tirò su col naso
«Resteremo uniti e supereremo anche questo.» le accarezzai la schiena mentre mi costringevo a credere a quello che avevo appena detto.
 
 
Christian
 
Quel giorno piansi come una fontana. Il mio “capo” era in coma e la migliore amica che avessi là dentro era morta. Rimasi per ore raggomitolato nel letto a chiedermi che cosa avessimo fatto di male per meritarci questo. Che cosa avessero fatto di male David e Valentina per finire così. Ma non riuscii ad arrivare a una conclusione. Niente di quello che mi era capitato negli ultimi mesi aveva senso, in effetti.
Mi vergognai di me stesso per quanto stessi singhiozzando come un bambino. Avrei dovuto essere io quello forte, per gli altri, ma non ce la facevo. Certi giorni non ce la fai e basta ad essere forte. E proprio quel giorno decisi di abbandonarmi alla tristezza. Non fu solo un momento di disperazione per quello che era successo ai miei compagni, ma fu un vero e proprio sfogo. Con quelle lacrime lasciai andare tutti i pensieri brutti che avevo avuto da qualche mese a questa parte e quando ebbi finito mi sentii bene. Non avrei dovuto sentirmi così vista la situazione, ma ero in una sorta di quiete interiore, ero in pace con me stesso. E quel giorno, non potei fare altro se non sperare che anche Lily e Mirko si sentissero così. Sapevo di non essere affatto di conforto, ma a loro potevo donare l’unica cosa che avevo in quel momento e che non avrei mai perso. La speranza.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3370721