Dark Blue Life

di sapphire
(/viewuser.php?uid=67371)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


ok Titolo: Dark Blue Life
Rating: giallo
Characters : Dean Winchester, Castiel, Sam Winchester, Charlie, Benny, Bobby Singer and other .
Paring: Destiel
Warning: Slash, tematiche delicate.
Genere: Romantico, angst , introspettivo.
Capitoli: 3+epilogo/ completa
 
Trama: Dean, dodici anni è alla prese con il suo primo bacio, il suo primo amore e la sua prima sconfitta perché amare Cass con tutta l’innocenza dei suoi dodici anni è sbagliato o almeno così reputano gli adulti. E gli viene strappato via con forza costringendolo a diventare un adolescente e poi un adulto costantemente arrabbiato col mondo costantemente alla ricerca d’affetto e a trovarlo in donne da una notte e via. Finché …
 
Note: Questa storia si ispira ad una storia vera -la storia d'amore di un mio amico il quale mi ha dato il permesso di romanzarla- quindi ciò che leggerete è accaduto realmente, ovviamente qui in Italia. Spero vi piaccia come è piaciuto a me ascoltarla e poi scriverla.
È la mia prima ff su SPN e spero di non essere uscita dall’IC e di non aver commesso errori.
 
Desclimer: La storia è di mia invenzione, Supernatural non è mio, i personaggi non sono miei ed è stata scritta senza scopi di lucro.
 
 
 
 
Spring of 2000

Per un momento terribile della sua vita, un adolescente inganna se stesso; egli crede di poter ingannare il mondo. Egli crede di essere invulnerabile.
(John Irving)


 
Dean aveva dodici anni e gli ormoni in subbuglio, gli occhi lucidi di emozione e le guance in fiamme.
Non gli sembrava che ciò che stava provando fosse sbagliato, contro natura. Tutto era stato perfetto: la serata trascorsa al cinema, quel momento di eterna attesa quando aveva stretto la sua mano e quel sconvolgente imbarazzo che lo aveva pietrificato sul portico a due passi dalla porta.
Gli aveva detto che doveva assolutamente riaccompagnarlo a casa e lui che non era necessario. Voleva essere educato e gentile - come gli aveva insegnato sua mamma - e si sentiva orgoglioso di sé e di quell’istinto di protezione nato insieme alla voglia di baciarlo. Ed era tutto davvero perfetto; il momento era perfetto – romantico sì, ma non sdolcinato – il solo problema era l’inesperienza.
Dean Winchester entrò nel panico.
Insomma, avrebbe dovuto avvicinarsi prima lui? Fare la prima mossa? E se fosse scappato? Se non gli fosse piaciuto? E se non voleva?
Forse non voleva. Ma lui voleva, lo voleva eccome. 
E Castiel gli piaceva un casino: aveva gli occhi blu come il mare, i capelli neri sempre arruffati e un’imbranataggine comica che lo aveva fatto capitolare.
Gli aveva lasciato scegliere il film, rilassando almeno i muscoli della schiena contro lo schienale del divanetto, dopo aver speso una mattinata intera a chiedersi se avrebbe accettato di uscire con lui e oddiotipregofachedicasi.
Avevano preso un gelato e lo aveva riaccompagnato sotto il portico di casa.
Dean aveva già baciato in passato: Beth, terza elementare e non era stato un granché. Blah. Ma con Castiel era diverso. Ora era grande e l’idea di un bacio non lo disgustava per niente.
Prese un respiro e le guance gli si infiammarono ancora di più.
Erano fermi immobili in quel benedetto portico da quanto? Dieci minuti? E nessuno dei due aveva ancora avuto il coraggio di fare un passo avanti o indietro.
<< Ehm … Grazie per il gelato >> balbettò Castiel dondolando sui piedi e spingendosi sul naso gli occhiali dalla montatura fine che lo rendevano un po’ nerd. Li adorava. Adorava anche il suo essere secchione e tutti quei fumetti assurdi che leggeva.  Non c’era nessun piccolo particolare che detestasse in lui.
 
 
Aveva impiegato sette mesi a trovare il coraggio per chiedergli di uscire. Sette fottutissimi mesi e il forza gli era sempre venuta a mancare ad un passo dal suo armadietto mentre Castiel depositava i libri dentro e ne metteva altri in cartella. Ma quella mattina, con lo stomaco sottosopra, la nausea e i piedi e le mani che tremavano, gli si era parato di fronte dicendogli semplicemente ciao seguito da un sono Dean Winchester, non ci conosciamo, ma io conosco te, no non sono uno stalker giuro. So che sei nuovo qui e mi chiedevo se ti andasse di uscire con me. Non uscire -  uscire! Insomma! Se vuoi … insomma … se ti va possiamo andare al cinema! Scegli tu! Va bene tutto! Giuro! E durante quel fiume di parole, Castiel era rimasto immobile, interdetto, facendo temere a Dean il peggio, ma anziché distruggergli l’autostima già vacillante, gli aveva sorriso aggiustandosi gli occhiali rotondi sul naso e aveva detto sì, mi piacerebbe molto.
Dean, in quel momento, aveva visto il paradiso.
Si erano incontrati alle diciotto al parco, vicino alla scuola.
Castiel aveva scelto un film sugli x-man e Dean aveva adorato anche quello nonostante non ci avesse capito niente a riguardo con tutti quei mutanti e non mutanti e strane bestie con artigli, ma aveva sorriso per tutto il tempo perché Castiel era lì, accanto a lui, e gli stava tenendo la mano.
Gli stava tenendo la mano. Oh non l’avrebbe lavata mai più a dispetto di quello che poteva dire suo padre.
 
 
<< Il mio coprifuoco è fra dieci minuti >> biascicò Dean cercando di pronunciare parole pur di uscire da quell’impasse.
<< Oh … sì … anche il mio >>
<< Ma tu sei già a casa >>
<< Sì, hai ragione >>
Dean lo vide arrossire di colpo e di colpo arrossì anche lui, di nuovo.
Aveva le mani fredde e il respiro sincopato, la gola secca e si sentiva addosso tutte le malattie del mondo per colpa di quella strana ansia che gli stava mangiando i nervi uno ad uno.  E di nuovo si chiese se fosse o meno il caso di baciarlo. Lui voleva baciarlo davvero tanto.
Strinse i pugni e prese un respiro profondo e si domandò se prima avrebbe dovuto chiedergli il permesso o il consenso verbale. Nei film nessuno chiedeva niente, accadeva e basta, no?
Sarebbe stato così anche per lui?
Castiel voleva baciarlo? Doveva spettare il terzo appuntamento?
E se non avesse voluto più uscire con lui?
Gli stava scoppiando la testa e Castiel sembrò notarlo. Gli sorrise, un po’ imbarazzato un po’ divertito, e, sconvolgendo i suoi ormoni impazziti, appoggiò le mani sulle sue spalle sporgendosi di qualche centimetro verso di lui.
<< Ho visto nei film che si fa così … >> si giustificò con le gote rosse come pomodori e gli occhi blu lucidi. Sembrava ci fosse il mare in quelle iridi.
Dean si paralizzò.
Era un consenso quello?
Avrebbe dovuto piegare la testa?
Oddio, ma perché era tutto così difficile?
Tornò a respirare e mosse un altro passo verso di lui, tremando.
Non voleva che Castiel si sentisse costretto perciò prese la saggia decisione di posare le mani sui suoi fianchi sottili.
Castiel chiuse gli occhi e Dean deglutì a fatica muovendosi verso di lui.
Piegò di poco il viso e pregò che tutto filasse liscio.
Peggio che risolvere un’equazione.
Chiuse anche lui gli occhi, troppo imbarazzato per guardarlo ancora e, finalmente, posò le labbra sulle sue.
Il suo cervello si spense. Riuscì solo a registrare il suo sapore di cioccolato e menta e il calore che gli stava trasmettendo quel bacio.
Sentiva caldo, era tutto bollente e stava ancora tremando rimanendo seppur immobile.
Le dita di Castiel sfiorarono il suo collo e gli sembrò quasi di svenire.
Si staccarono dopo quelli che credeva fossero ore e osò guardarlo.
Castiel stava sorridendo.
Aveva appena dato il suo primo bacio a Castiel e lui stava sorridendo.
Era il giorno più bello di tutta la sua vita.
Ripresero entrambi fiato – avendolo trattenuto durante quel timido sfiorarsi – e le guance di entrambi tornarono di un colore più roseo.
<< Cass … >> pronunciò Dean con la voce tremula e le labbra improvvisamente secche e calde << ecco … mi stavo chiedendo se tu … se dici di no non importa. No. Sì, importa solo che … non voglio che tu ti senta costretto perché ci siamo … ci siamo … ecco … baciati >>
<< Dean? >> lo riprese incuriosito e il ragazzo tornò in sé – più o meno.
<< Vuoi essere … >> respirò e deglutì << il mio … mio … ragazzo? >>
Al silenzio di Castiel, Dean sgranò gli occhi terrificato all’idea di aver fatto uno sbaglio << Se ti va! Possiamo, ecco … possiamo andare insieme alla festa di primavera …  insieme … io e te … >> e Castiel sorrise, imbarazzato quanto lui.
<< Sì >>
<< Sì, cosa? >> pigolò incerto << sì vieni alla festa con me? >>
<< Sì, voglio essere il tuo ragazzo … della festa non me ne importa nulla >>
<< Oh … >> esalò emozionato.
Aveva tenuto la mano di Castiel, l’aveva baciato e ora era il suo ragazzo.
Il giorno perfetto.
Dean sorrise e si calmò.
<< Però ora devo entrare in casa >> aggiunse Castiel rammaricato << mi dispiace … sono già le dieci >>
<< Lo so … anche io … >> mormorò facendo fatica ad immaginare di non poterlo più rivedere fino al mattino seguente << beh … ci vediamo domani a scuola >>
Stava già per incamminarsi verso il selciato quando Castiel lo fermò sussurrando il suo nome.
<< Dean … Dean! >>
E si voltò usando il suo stesso tono di voce << Dimmi! >>
<< Adesso che siamo fidanzati dobbiamo fare qualcosa di speciale? >>
Dean ci pensò su qualche secondo.
<< Possiamo baciarci ancora … se vuoi >>
Castiel annuì e sorrise ancora << Sì … mi piacerebbe. Buona notte, Dean! >>
<< Buona notte, Cass! >> sussurrò assicurandosi che entrasse in casa prima di avviarsi verso la sua.
Camminò ritto lungo tutte le tre vie che doveva attraversare per giungere a casa sua con il sorriso stampato sulle labbra e il cuore che gli scoppiava nel petto dalla felicità.
Ho un ragazzo! Gridò nella tua testa, ho un ragazzo e l’ho baciato!
Era stato delicato, un incontro di labbra timido e insicuro, ma sarebbe migliorato. Avrebbe fatto pratica poi un giorno avrebbe insegnato al fratello quello che aveva imparato.
Salutò i suoi genitori sorbendosi la predica di suo padre riguardo il coprifuoco, il suo ritardo e bla bla bla, filando in camera sua appena gli diedero il permesso di andare a dormire. Ma non avrebbe chiuso occhio, lo sapeva.
Si buttò sul letto sorridendo con i pensieri a mille metri di distanza dalla terra e il cuore che galoppava furioso.
 
                                               ***
 
Alla festa c'era tantissima gente.  Almeno duecentottanta anime affollavano la piazza allestita con festoni e volant rosa. Una banda suonava una fanfara stonata sotto il gazebo e gli adulti, già alticci, ballavano scomposti fra i tavoli.
Sua madre si era occupata di allestire lo stand delle torte e ne offriva una fetta a chiunque volesse assaggiarle. Sua mamma faceva le torte più buone del mondo.
Dean, appollaiato dietro il bancone, aspettava trepidante che Castiel lo raggiungesse. Aveva riconosciuto il fratello e la sorella fra la folla, ma di Cass nemmeno l’ombra.
Si erano dati appuntamento lì per l’una. Era già l’una e sei minuti. Sette minuti. Otto minuti. Dieci minuti.
<< Dean!! >> sussultò dallo spavento e sua madre lo vide cascare dalla sedia su cui era seduto e balzare poi in piedi di scatto. Sam si mise a ridere come un matto a quella scena, ma Dean lo ignorò.
Castiel era dall’altra parte della piazza che rideva sventolando una mano in aria.
<< Oh … un tuo nuovo amico? >> gli domandò sua mamma con un sorriso dolce in volto.
<< Ehm … >> cosa dirle? La verità? Insomma sapeva che alcune persone non apprezzavano i ragazzi che si innamoravano di altri ragazzi, ma sua mamma cosa avrebbe detto? Lui non ci trovava niente di male, ma non voleva parlarne con lei. Era imbarazzante, insomma! Era sua mamma!
<< Torno per le sei >> asserì ricordandosi del coprifuoco domenicale.
<< Va bene, ma fai attenzione >> disse << e non ti rimpinzare di dolci! >>
Alzò gli occhi al cielo e corse verso Castiel.
 
 
Con in mano un sacchetto di caramelle a testa e lo sguardo divertito Dean e Castiel si arrampicarono con maestria sul ramo di un albero che sporgeva verso il basso al centro esatto del piccolo giardino comunale.
Di solito era frequentato dai tipi strani del liceo, ma quel giorno erano tutti alla festa a bere e ballare perciò era deserto. In una parola: semplicemente perfetto.
<< … così mia mamma ha detto a mio papà che non vuole più trasferirsi. Hanno litigato. Ma credo che rimarremo qui per un po’ >> disse Castiel fra una caramella e l’altra << perché io non voglio proprio andarmene di nuovo. So che il lavoro di papà è importante, ma … >>
<< Io sono nato e cresciuto qui. Non potrei stare da nessun’altra parte >> asserì Dean mortalmente serio.
<< Li hai fatti i compiti di matematica? >> domandò Castiel di botto facendo raggelare Dean sul posto.
<< Ehm … ci sto lavorando >>
Castiel gli sorrise e posò una mano sulla sua imbarazzandolo << Se vuoi posso passarti i miei domani >>
<< Lo faresti davvero? >>
<< Certo >>
Dean aggrottò le sopracciglia, perplesso << A Garth non hai mai passato i compiti! >>
<< Garth non è il mio ragazzo >> a Dean mancò un battito. Arrossì di nuovo e strinse involontariamente la sua mano << Grazie. Ma non voglio approfittarmi di te. Me la cavo da solo >>
<< Come vuoi, Dean … >> rimasero in silenzio per qualche minuto persi ad osservare le fronde degli alberi che frusciavano sotto il vento primaverile e all’improvviso si ricordò dello scomodo pacchetto che aveva infilato quella mattina dentro la tasca dei pantaloni.
<< Ehm, Cass … >>
Lui alzò gli occhi blu e lo guardò e Dean si sentì letteralmente morire di felicità. Cass era bellissimo, Cass sopportava i suoi borbottii sulla scuola e gli passava i compiti quando non li faceva, Cass rideva sempre con lui e lo faceva ridere. Cass gli permetteva di storpiargli il nome quando e come voleva e di usare le sue scarpe da ginnastica quando le dimenticava a casa. Cass inciampava nei suoi stessi passi per poi sorridere imbarazzato.
Cass era il suo ragazzo.
<< Ho una cosa per te >> parlò titubante con le orecchie rosse dall’imbarazzo, tirando fuori dalla tasca una pacchettino stropicciato.
<< Oh … >> Castiel sgranò gli occhi blu e fissò prima lui poi la carta argentata.
<< E’ un regalo … >> precisò dandosi mentalmente dello stupido per quell’ovvia affermazione.
Cass era anche molto intelligente, cosa avrebbe pensato di lui?
<< Perché? >>
<< Siamo fidanzati da due settimane … >>
<< Oh, ma io … io non ti ho preso niente … mi dispiace … non credevo che … >>
<< Ehi, tranquillo, Cass! Non importa. Io volevo farlo >>
Castiel annuì impacciato e scartò il piccolo regalo esaminando estasiato la collana con il piccolo ciondolo raffigurante uno strano simbolo.
<< Il tizio che me l’ha venduta mi ha detto che è un amuleto. Per proteggerti … >>
<< Grazie Dean … è bellissimo >> e poi Cass fece una cosa che non aveva mai fatto: lo abbracciò avvolgendolo con forza per minuti, forse ore.
<< Mi piace tanto >> sussurrò poi, provocandogli strani brividi lungo la schiena << me la metti? >>
<< Certo >> e gliela allacciò dietro il collo orgoglioso per quel gesto inaspettato.
Si sentiva altro tre metri.
<< Però non ce l’ho un regalo per te >>
<< Cass … non importa. Davvero - >>
<< Aspetta >> sbottò d’un tratto e si accostò a lui di più annullando la distanza che li separava sul grande ramo sbilenco.
<< Non ti muovere, ok? >> e Dean ubbidì se non altro perché era totalmente paralizzato.
Cass chiuse gli occhi e piegò il viso e posò le labbra sulle sue questa volta dischiudendole un po’.
Era stato più facile della prima volta, ma non meno bello.
Dean serrò le palpebre e il suo cuore galoppò impazzito assaggiando quelle labbra perfette che ora sapevano di zucchero e coca-cola. Alcuni granelli le rendevano ruvide e ora erano anche su di lui.
Dean osò accarezzargli una guancia e quando si allontanarono erano senza fiato, rossi e imbarazzati, ma cavolo, era stato bellissimo. Di nuovo.
Castiel gli pulì lo zucchero che aveva depositato sul suo mento e ridacchiò vedendo che stava iperventilando. 
Dean violò il coprifuoco di un’ora e mezza quella domenica.
 
 
                                      ***
 
Lo aspettò sotto la pioggia scosciante, battendo i denti dal freddo, con l’ombrello aperto e lo sguardo teso ad osservare la strada. Dello scuola bus non c’era traccia.
Aspettò per altri venti minuti, senza curarsi della grandine che cadeva a fiotti.
Appena Cass scese dal bus notò Dean infreddolito che lo aspettava con un sorriso distorto dal gelo.
<< Sapevo che ti saresti dimenticato l’ombrello >> esordì coprendolo con il suo.
Castiel ne rimase sorpreso e si strinse a lui << Grazie >>
Dean si sentì alto cinque metri.
 


 
<< Cosa farai questa estate? >>
<< Non lo so. Penso che mio padre porterà me e Sammy a pescare durante i week and e tu? >>
<< Campeggio estivo. Potresti chiedere ai tuoi genitori di lasciati venire. Così staremo insieme >>
Maggio era alla porte e Dean s’imbronciò all’idea che per tutto il mese di luglio non si sarebbero visti.
Stupido campeggio estivo.
<< Sì, posso chiedere … ma mio padre non sarà d’accordo. Lo so >>
<< Convinci tua mamma >> lo supplicò.
<< Ci proverò >>
Castiel si sedette più comodo sulla sua parte di ramo nascondendosi alla vista degli studenti del liceo che facevano baccano nel prato sottostante giocando a calcio e fischiando appena una ragazza attraversava il sentiero.
Castiel li trovava maleducati e rudi oltre che idioti.
Li avevano visti più volte arrampicarsi sull’albero e ora li prendevano in giro soprattutto quando si tenevano la mano.
Dean li mandava al diavolo, Castiel arrossiva e si nascondeva dietro le foglie oramai verdi e rigogliose.  Si vergognava di quello che dicevano di lui senza capirne il reale motivo, senza capire cosa volessero dire quando pronunciavano quella parola ridendo.
<< Dean … >>
<< Mmh? >>
<< Cosa significa “frocio”? >>
Dean si accigliò << Davvero non lo sai? >>
Castiel scosse la testa mordendosi le labbra.
<< E’ una brutta parola >>
<< Ma perché la dicono? >>
<< Perché sono del liceo. Quelli del liceo sono stupidi. Lo dicono perché ti tengo la mano >>
<< E cosa c’è di male? >>
<< Niente, ma loro non lo sanno >>
Castiel sospirò con aria confusa << Frocio significa gay? >>
<< Già >>
<< E noi siamo gay >>
Dean si strinse nelle spalle giocherellando con una formica.
<< Credo … io non lo so … >> sussurrò indeciso con una gelida paura addosso << a me piaci Cass >> si sentì in dovere di dire a voce alta nell’inconscio timore che lui se ne andasse per colpa di quel cretini che ogni volta gli ridevano dietro.
<< Anche tu mi piaci >>
<< Non devi dare ascolto a quello che ti dicono >>
<< Mio padre dice che è sbagliato quando due ragazzi si amano >> borbottò tristemente << anche lui li chiama froci >>
Dean avrebbe voluto prenderlo a pugni. Jim Novak era un perbenista e ottuso individuo che bazzicava la chiesa con assiduità e riempiva moglie e figli di parole rabbiose verso tutti. Non risparmiava mai nessuno. Dean lo detestava e lo temeva al tempo stesso. Era alto, robusto, con occhi scuri minacciosi e un dito sempre pronto ad indicare dove Cass o i suoi fratelli dovessero stare.
<< Non mi importa quello che dice tuo padre o quegli idioti del liceo. Loro non possono capire >>
<< Ma ci prendono in giro >>
<< Che ti importa, Cass? >> sbottò improvvisamente confuso << tu sei felice di stare qui con me? >>
<< Certo >>
<< Allora non ascoltarli >> e detto questo si alzò restando in equilibrio sull’albero e raggiunse il tronco tirando fuori poi dalla tasca un coltellino svizzero che due giorni prima aveva rubato a suo padre.
Incise C + D sulla corteccia sorridendogli quando finì l’opera con un 4ever scritto a caratteri cubitali appena sotto.
<< Perché l’hai fatto? >> gli domandò Castiel con un sorriso che andava da orecchio ad orecchio.
<< Perché l’ho visto in un film … così non ce lo dimentichiamo >>
<< Dimentichiamo? >>
<< Che stiamo insieme >>
<< Come possiamo dimenticarcelo? >>
Castiel rise divertito e Dean alzò le spalle.
Sì, era stata una cosa stupida, ma lasciò lo stesso le loro iniziali incise sul tronco.
 
                              
 
 
Mancava una settimana alla fine della scuola e Castiel non era con lui a godersi l’estate che nel frattempo era arrivata portando con sé afa e sole accecante.
L’aveva aspettato per venti minuti davanti alla fermata del bus, ma non era sceso e preoccupato a morte si era scapicollato fino in segreteria chiedendo di lui.
<< Ehm … ha il mio quaderno di storia >> si giustificò quando la donna dietro il bancone gli rifilò un’occhiata sorpresa.
<< Castiel Novak … sì. È a casa, ragazzo. Ha un braccio rotto. Il padre ha telefonato questa mattina >>
<< Oh … >> e prese un lungo respiro di sollievo.
Non si era trasferito.
Respira. Respira.
Braccio rotto.
Si morse le labbra a sangue dal dispiacere e decise di andare a trovarlo appena la giornata scolastica fosse finita.
Alle sedici bussò alla porta di casa Novak e un uomo alto e dall’aspetto severo lo accolse con un sorriso tirato.
<< Sono Dean Winchester. Un compagno di scuola di Cass- Castiel >> recitò sorridendo mesto << Sono venuto a portargli i compiti >> mentì facendogli vedere dei libri al cui interno vi erano decine di fumetti nascosti appena comprati.
<< Castiel ha un braccio rotto e sta male >>
<< Oh … ehm, capisco … posso solo salutarlo? >>
Il signor Novak sospirò e scosse la testa << torna domani ragazzo. Sono sicuro che Castiel sarà contento di vederti >> e tutto sembrò esprimere tranne ciò che aveva appena detto, sputando invisibile veleno ad ogni sillaba.
Dean si accigliò e annuì voltando le spalle alla porta.
<< Grazie lo stesso, signor Novak >>
<< Winchester, hai detto? >> domandò d’un tratto e Dean gli rivolse uno sguardo spaurito << Sì … Sì, Dean Winchester >>
<< Passi molto tempo con mio figlio, vero? >>
Dean soppesò la domanda e si morse le labbra a sangue. Sudò freddo e per la prima volta nella sua vita ebbe paura, tanta paura.
<< Sì, siamo amici. Mi aiuta con i compiti di storia e io con quelli di geometria >>
Il padre annuì, storse il naso e richiuse la porta.
Dean tornò a respirare e, involontariamente, alzò lo sguardo verso la finestra al primo piano e incontrò gli occhi spenti e tristi di Castiel: posò una mano contro il vetro della finestra e lo salutò.
Dean gli fece un cenno con la testa e tornò a casa con i fumetti ancora nascosti fra le pagine di storia.
 
 
 
 
 
 
Scivolò fuori dal letto cercando di fare meno rumore possibile, ma doveva trovare le scarpe e soprattutto la sua felpa.
Controllò l’ora e poi suo fratello il quale decise di aprire gli occhi proprio in quel momento.
<< Dean >> biascicò lui stropicciandosi le palpebre con le dita << dove stai andando? >>
<< Shht, Sammy. Non devi dirlo a nessuno >>
<< Ma dove vai? >>
<< A trovare Castiel >>
Sam si tirò su e il suo pigiama con le stelle fosforescenti illuminò di poco la stanza << il tuo amico? >>
<< No, il mio ragazzo >> bisbigliò << ma non devi dirlo a nessuno che ho un ragazzo, capito?  Sammy, promettilo >>
<< Te lo giuro … ma è notte. E se papà ti scopre? Mi sgriderà … >>
<< No, tu dormi e vedrai che non se ne accorgerà … l’hai promesso, Sammy >>
<< Dean … perché hai un ragazzo? >> domandò lui con la fronte corrucciata.
<< Perché quando si diventa grandi si ha un ragazzo >>
<< Ma è un maschio? >>
<< Certo che è un maschio, lo conosci. È Cass! >>
Dean frugò dentro il suo armadio e trovò la felpa infilandosela al contrario senza rendersene conto.
<< E perché è un maschio? >>
Dean smorzò un sorriso divertito << Che razza di domande fai, scemo? >>
<< Ma Dean … non ti piacciono le ragazze? >>
Dean non sapeva cosa rispondere; non si era mai posto una domanda del genere.
Gli piacevano le ragazze?
Forse, ma non ne aveva mai guardata una per più di tre secondi ed era difficile dirlo se gli piacessero o no.
<< Non lo so >> ammise << a me piace Cass >>
<< E perché non posso dirlo a nessuno? >>
<< Perché papà si arrabbierebbe e la gente mi prenderebbe in giro >>
<< E perché? >>
Dean ruotò gli occhi al cielo e sbuffò esasperato << Non lo so, Sammy! Ok? Non lo so … tu non dirlo a nessuno e appena saprò la risposta te la dirò >>
<< Dicono che è sbagliato se tu hai un ragazzo? >> domandò con un pigolio sommesso a causa del sonno. Lo vide distendersi tra le coperte e chiudere gli occhi.
Suo fratello era intelligente e le deduzioni se le faceva da solo e Dean ringraziò il cielo per questo mentre apriva la finestra della camera << Te lo prometto, Dean. Non lo dico a nessuno >>
<< Grazie, Sammy >>
<< Sarà il nostro segreto >> sussurrò ancora << ma tu non dire a papà che ieri ho mangiato le sue ciambelle >>
Dean rise e annuì poi si calò giù dalla grondaia.
 
 
Salì arrampicandosi lungo il pergolato d’edera della casa bianca raggiungendo la finestra di Cass bussando al vetro piano e delicatamente.
La cittadina era deserta e aveva dovuto rinnegare più volte di aver paura a girare per le strade buie all’una del mattino, ma non avrebbe fatto mai dietrofront nemmeno sotto minaccia di un fucile.
Era stata una vera impresa arrampicarsi con i fumetti incastrati fra i denti, ma non aveva demorso nemmeno quando la rugiada aveva rischiato di fargli rompere l’osso anche a lui.
Castiel si rigirò fra le coperte e Dean bussò ancora.
Lo vide alzarsi quasi spaventato e correre ad aprirgli la finestra.
<< Dean!! >> sussurrò con tono smorzato << sei diventato matto? Se i miei ti … >>
<< Dormono, giusto? >> domandò sarcastico scavalcando la finestra ed entrando nella camera. Non l’aveva mai vista e sembrava un museo di fumetti della Marvel con poster su tutte le pareti azzurre e fumetti impilati in ordine nella libreria circondati da altri libri noiosissimi di scuola.
<< Sì, ma … >>
<< Oggi tuo padre non mi ha fatto entrare. Volevo portarti questi >> e gli sporse la pila di fumetti un po’ addentati e bagnati di saliva << sì, li ho un po’ masticati, ma … >>
<< Grazie >> sorrise abbracciandolo con l’arto sano << grazie. Ma hai rischiato grosso a venire. E se i tuoi … >>
<< Non importa. Non dirò mai dove sono stato >> asserì indicando infine il suo braccio << cosa è successo? >>
<< Stavo giocando con Gabriel in giardino e sono caduto in una buca. Ho urlato come un lattante >>
<< Mi dispiace … la collana non ha funzionato >>
Castiel sorrise e si strinse nelle spalle e lo abbracciò ancora.
<< Tuo padre è arrabbiato con me? >> mugugnò Dean con il viso infossato nella sua spalla. Cass profumava di menta anche quando non mangiava il gelato.
<< Dice che passo troppo tempo con te invece che fare i compiti >>
<< Ma non è vero >>

<< Lo so. Dice che mi distrai >>
Dean sbuffò e cercò di tornare a respirare ma Castiel non sciolse l’abbraccio stringendo ancora più forte.
<< Hanno parlato ancora di trasferirsi a Dallas a luglio. Io non voglio … >>
Dean ricambiò la stretta in modo goffo e impacciato e per la prima volta non sapeva cosa replicare.
Non voleva che partisse, non voleva dirgli addio, ma sarebbe successo? Come avrebbero fatto a vedersi dopo? E a scuola?
No, no, non ci voleva nemmeno pensare.
<< Ti terrò con me >>
<< Non dire scemenze >>
<< Ti terrò con me lo stesso >> mormorò triste << non voglio che te ne vada >>
<< Magari mamma lo convince a restare e potremmo andare insieme al campo estivo >>
Dean annuì e nonostante l’abbraccio cominciò ad avere freddo: colpa della stanchezza e della paura.
<< Dean sei ghiacciato >>
<< Fa fresco fuori … >>
Castiel scostò le coperte e gli indicò il letto e Dean non si fece pregare e con un innocenza degna dei dodici anni si rannicchiò con Cass accanto a lui che giocava con i suoi capelli.
<< Non posso restare … se mi … beccassero >> sbadigliò.
<< Resto sveglio io. Ti chiamo fra poco. Rimani ancora un po’, ti prego >>
Dean chiuse gli occhi e le braccia attorno a Castiel e ascoltò il suono del suo respiro fino a cedere al sonno.
 
 
 
 
<< Dean!! Dean! Dean!! >>
<< Che c’è …. ? >> biascicò lui rigirandosi fra le coperte << cinque minuti … ti prego >>
<< No! Dean!! Svegliati!! >>
<< Non voglio! >>
<< Oh, e va bene! >> sbottò Castiel togliendogli il cuscino da sotto la testa << Dean, sono le sette del mattino!! Devi andartene, ora! >>
Dean scattò seduto come una molla, terrorizzato e ancora intontito dal sonno
<< Cass! Perché ti sei addormentato?! Avresti dovuto svegliarmi! >>
<< Scusa, scusa, scusa! Ma ora vai via! Mia madre mi chiama sempre alle sette e venti! >>
<< Ok, ok!! >> riaprì la finestra a guardò giù. C’era già il sole e probabilmente molte persone si sarebbero insospettite a vedere un ragazzo alle sette del mattino correre in pigiama per le strade, ma se ne infischiò perché entrambi stavano rischiando di essere scoperti.
Dean posò una bacio sulla sua guancia e si calò dalla finestra e poi giù dal pergolato fino a toccare l’erba con i piedi. E si accorse di aver dimenticato le scarpe in camera di Cass.
<< Maledizione! >>
Non aveva tempo per tornare su a prenderle.
Corse come un matto lungo la strada facendo abbaiare tutti i cani dei vicini. Corse lungo la via principale e poi voltò a destra dove abitava trovando ancora le tende di casa tirate.
Prese un respiro di sollievo e s’incamminò verso il giardino quando la porta di casa si spalancò di colpo rivelando suo padre che lo fissava con gli occhi sgranati dalla sorpresa.
<< Cosa diavolo ci fai qui fuori alle sette del mattino, Dean? >>
Dean raggelò e trattenne il fiato incapace di pensare alle mille e più che ragionevoli punizioni che gli sarebbero aspettate se avesse scoperto dove aveva passato la notte. Era stato un incidente, ma sicuramente non gli avrebbe più permesso di vedere Cass.
Preso dal panico si guardò attorno alla ricerca di una scusa plausibile per essere lì in piedi, in pigiama alle sette del mattino. Guardò a terra e alla fine notò il giornale stropicciato e abbandonato sull’erba.
<< Ti volevo portare il giornale! >>
<< Non raccontare balle, Dean! Cosa stavi combinando? >>
<< Ma è vero! Avevo caldo, così sono sceso e ho deciso di prendere il giornale! >> urlò due ottave sopra la media.
John Winchester lo scrutò attentamente e Dean ne approfittò per raccattare il giornale e portarglielo. Quando si sentì al sicuro sgattaiolò in casa raggiungendo sua madre e Sammy in cucina.
<< Dean, che hai combinato sta volta? >>
<< Dice che aveva caldo e che voleva portarmi il giornale >> s’inserì suo padre.
Mary ridacchiò dell’imbarazzo del figlio e del tono burbero di John e servì ad entrambi la colazione.
<< Ah, gli ormoni … >> cinguettò allegra.
John scosse la testa ancora dubbioso, ma accettò la spiegazione di Mary.
Già gli ormoni … che assurdità!
Sammy si trattenne a stento dal ridere e gli mimò di avere la bocca cucita, chiusa con il lucchetto e di aver buttato la chiave.
Dean sorrise e capì di aver avuto solo una fortuna sfacciata.
 
***
 
 
<< Non ti annoi mai d’estate? >> borbottò Castiel calciando una povera pietra lungo il selciato finché questa non rotolò nell’acqua del laghetto artificiale del parco.
<< Ma che, sei matto? Niente scuola, niente compiti! Come potrei annoiarmi? >>
<< Io mi annoio da morire! Gabriel è partito per il college, mia sorella passa le giornate al telefono e i miei litigano tutte le sere … >>
<< Vogliono ancora trasferirsi? >> Domandò Dean rammaricato.
<< Non lo so … papà ha ricevuto un’offerta a Houston ieri. Dice che ci sono in ballo un sacco di soldi … un lavoro a progetto. Non lo so …  >>
<< Io devo ancora convincere la mamma a lasciarmi andare al campo estivo. Ehi! Sammy! Non ti allontanare!! >> urlò correndo dietro al fratello già con i piedi immersi dentro il laghetto.
<< Dean!  Dean! L’acqua è gelida! >>
<< Levati da lì allora, scemo! >>
Dean sospirò frustrato e prese la mano di Castiel camminandogli accanto in quel parco quasi deserto.
<< Devo badare a lui oggi, mi dispiace >>
<< Non è un problema. Sam è simpatico >>

<< Lo so, ma a volte è una rottura perché ha solo sette anni >>
<< Quasi otto! >>
<< Tanto non li dimostri! >> gridò
<< Oggi torniamo al nostro albero? >>
<< Certo. Appena torna mia madre dal supermercato le mollo Sammy e andiamo lì >>
<< Voglio venire anche io! >> si lamentò Sam incrociando le braccia al petto.
<< Non ci pensare proprio! Ho detto nostro albero, non tuo! >>
<< Eddai cattivo!! Lasciami venire con voi! >>
Castiel rise e Dean lo seguì a ruota.
Sam gonfiò le guance offeso a morte.
Non lo portarono con loro nemmeno dopo ore di suppliche e minacce.
Quell’albero era il loro posto segreto e nemmeno Sammy poteva avvicinarsi.
Si arrampicarono sopra il ramo nel tardo pomeriggio scambiandosi i fumetti di Batman e X-man progettando la loro estate. Dovevano assolutamente andarci a quel capo estivo.
 




 
Alla fine luglio era arrivato nessuno dei due era andato al campo estivo.
I genitori di Castiel litigavano ancora e vivevano nell’indecisione di lasciare o no la città e Dean, nonostante avesse convinto sua madre e suo padre, non era partito. Senza Cass era solo uno spreco di tempo: non si sarebbe nemmeno divertito.
E così luglio era trascorso fra i giochi con Sammy in giardino e i pomeriggi in gelateria con Cass.
Il coprifuoco era stato spostato alle undici e ogni sera lo riaccompagnava a casa nascondendosi dalla vista del padre di Cass, dietro il portico.
I liceali si erano sparpagliati per l’America in vacanza e nessuno li stava più infastidendo.
I compiti estivi furono presto dimenticati e rimpiazzati dai fumetti e dai libri che Cass aveva scoperto di amare.
Era cresciuto di due centimetri, Sammy di cinque e trovava la cosa profondamente ingiusta.
L’imbarazzo nel tenere la mano di Cass quando andavano al cinema o mentre camminavano era sparito insieme alla paura di essere giudicati e nonostante lui tenesse spesso lo sguardo basso, Dean affrontava le occhiatacce con orgoglio perché – che diavolo!- quello era il suo ragazzo e non stava facendo del male a nessuno.
La commessa della libreria un pomeriggio gli aveva detto che la loro era una fase preadolescenziale e sarebbe passata con il tempo come se fossero stati fatti suoi, come se potesse essere vero.
Castiel aveva un numero in più di scarpe a fine luglio.
Il 14 luglio Dean disse la sua prima vera parolaccia “merda” seguita da un vaffanculo molto urlato e un vai al diavolo rivolto al coltellino svizzero che gli caduto sul prato dall’alto del loro albero. Castiel lo aveva guardato quasi allucinato mentre lui scendeva a raccoglierlo e risaliva.
<< Che c’è? >>
<< Niente … solo che … dove le hai imparate? >>
<< Papà le dice sempre >> si era giustificato scrollando le spalle << ma a me non è permesso ripeterle >>
<< Però lo fai >>
<< Certo che lo faccio >>
<< Non ha senso, Dean … >>
<< Provaci anche tu … urla vaffanculo, Cass! Ti sentirai meglio >>
<< Ma io sto bene! >>
<< Fallo! >>
Castiel aveva preso un respiro << Dean … non credo sia … la mia famiglia è molto religiosa … se dico parolacce senza ragione mi uccidono! >>
<< Non sono mica qui! >>
E Castiel aveva detto la sua prima parolaccia insieme a Dean: un vaffanculo rivolto al cielo, urlato con tutto il fiato che aveva in gola e dopo si era sentito bene, benissimo. E sì, al diavolo tutto.
L’imbarazzo era quasi sparito anche quando si baciavano. Premevano le labbra con meno urgenza, meno rigidamente. Ora si abbracciavano prima dopo e durante per poi ridere come avessero commesso il crimine più divertente del mondo.
 


Un giorno di fine luglio Dean, più per istinto che per curiosità, schiuse le labbra e la punta della sua lingua toccò la sua per una frazione di secondo.
Fu come prendere la scossa.
Castiel si rizzò in piedi sconvolto andando a sbattere la testa contro un ramo che sporgeva lasciando Dean sbigottito. << Scusa! Scusa, scusa! Non volevo! È stato … >>
<< Wow >>
Dean sgranò gli occhi sorpreso << Wow? >>
<< Sì, wow … devi rifarlo >> ordinò imperterrito tornando seduto vicino a lui.
Dean arrancò spremendosi le meningi senza sapere cosa realmente avesse fatto.
Si erano baciati, no? Lo facevano spesso.
Garth e quel cretino di Uriel dell’ultimo anno gli avevano detto che i veri baci si danno con la lingua. Oh, se solo si fossero sprecati a spiegargli come.
Si sentiva molto ignorante in quel momento.
<< Ma io … >> biascicò confuso.
<< Devi usare la lingua, Dean >>
Uoh! E questo da dove gli era uscito?
Dean si paralizzò contro il tronco dell’albero incapace di decriptare quella frase << Me l’ha spiegato mio fratello. Non che gliel’abbia chiesto ma … beh sai com’è fatto … >>
Deglutì a fatica e si domandò se non sarebbe stato disgustoso. Eppure nei film facevano così e qualcosa dentro di lui gli disse che era giusto provarci.
Prese coraggio e posò di nuovo le labbra su quelle di Cass.
Le schiusero entrambi poi si ritrassero con una faccia schifata.
<< Blah! >> dissero in contemporanea, disgustati, asciugandosi le labbra con la maglietta << ma come diavolo fanno gli adulti? >>
Si promisero di non baciarsi mai più con la lingua.
 

 
 
<< Non ti lascerò mai >> gli giurò Dean un pigro pomeriggio assolato steso accanto a lui nel verde di quei prati finalmente dimenticati da estranei.
Castiel storse il naso e gli occhiali gli scivolarono via.
<< Mai? Mai significa per sempre Dean >>
<< Per sempre mi va benissimo … l’ho scritto sull’albero porca miseria >>
<< Dean! >>
<< Scusa! Porca paletta >>
Si mise a ridere.
In fondo Cass restava sempre il più maturo dei due. Ma a lui piaceva tanto dire parolacce.
Dean lo sfidò sapendo che Cass avrebbe risposto con un lieve calcio e un abbraccio.
<< Oh, guarda! Un cazzo di aereo in cielo! >>
<< Dean! >>
<< Scusa! >>
Il calcio arrivò prepotente. L’abbraccio che ne seguì fu dolce.
 
 
 
 
 
L’inevitabile accadde l‘ultima domenica d’agosto quando Dean – chiuso nella sua stanza con le lacrime agli occhi – capì finalmente che il paradiso non esisteva. Il paradiso è un’illusione ottica creata dalla vita che alla fine ti uccide lentamente lasciandoti senza speranza,  arido e distrutto.
Le voci di Castiel e Dean e delle loro giornate passate su un albero erano arrivate anche alle orecchie di Jim Novak, non che loro non si erano sprecati molto nel celarsi in quei mesi. Perché poi? Cosa stavano facendo di sbagliato?
Ma la gente parlava e Jim Novak aveva cominciato a guardarli con sospetto, più di prima.
Il padre di Cass lavorava tutta la settimana senza sosta; non c’era mai e si presentava sulla soglia di casa solo poche volte e solo per lanciargli occhiatacce gelide.
Castiel quella domenica mattina sgranò gli occhi blu quando dall’alto del loro albero lo vide marciare, furente, verso di loro.
Non ebbe il tempo di chiedersi cosa ci facesse lì o perché fosse arrabbiato.
Scese dal ramo appena lui glielo ordinò, con le mani che tremavano e gli occhi lucidi di lacrime.
Dean lo seguì e lo schiaffo che ferì Castiel in pieno viso lo scioccò. Sentì il suono prima ancora di vedere la mano colpirlo. Quel rumore sordo e lacerante sembrò incastonarsi nel cervello più dello sguardo d’odio di Jim Novak e dell’espressione terrorizzata di Castiel.
<< Cosa credevi? >> urlò Jim con il viso rosso e gli occhi fuori dalle orbite << che non me ne sarei accorto? Cosa credevi di fare, Castiel? Eh? Mi fai schifo, mi hai capito? Schifo! E tu … ! >> tuonò poi puntandogli un dito contro. Dean indietreggiò fino a incontrare il tronco del loro albero << Lo sapevo che c’era qualcosa di malato in te, lo sapevo! Ma non ti lascerò deviare mio figlio, mi hai capito?! >>
Dean si toccò il petto dove il cuore martellava impazzito. La voce gli morì dentro la gola mente lo sguardo si spostava da Cass – Cass, Cass, il suo Cass – con la guancia in fiamme rigata di lacrime, a Jim che sembrava sul punto di conficcargli quel dito dentro la testa e ucciderlo.
<< Noi … Noi non stavamo … >>
<< Non provare a negarlo! Tutta questa maledetta città parla di voi che ve ne andate in giro come due cazzo di femminucce tenendovi per mano! >>
<< Non facevamo niente di male! >>

Lo sguardo di Jim parve infuocarsi ancora più e Cass si risvegliò dal suo stato allucinatorio balzando in piedi con rabbia << NO! Lascialo stare, papà!! Non ha fatto niente! >>
<< Ti ha costretto, Castiel? Vero? >>
<< No! Non è così … io gli voglio bene! >> il secondo schiaffo lo fece cadere a terra e sanguinare.
<< Cass!! No! Lo lasci stare!!! >>
Jim prese un respiro e raccattò suo figlio da terra, strattonandolo e lui si lasciò trascinare come fosse di pezza. Aveva un profondo taglio sullo zigomo e Dean trattenne il respiro totalmente paralizzato.
Aveva paura, più di quanta ne avesse mai provata in tutta la sua vita, era arrabbiato, così arrabbiato che la vista gli si offuscò e tutto divenne nero.
Si scagliò addosso al padre tirandogli un pugno nel costato.
<< Figlio di puttana! >> lo apostrofò scansandolo minimamente toccato da quel pugno.
<< Lo lasci stare! Non ha fatto niente! Niente!! >>
Cass lo guardò in un modo strano, profondo. Gli occhi blu divennero più scuri.
<< Dean … Dean non importa. Va tutto bene >> sussurrò e Dean scosse la testa. Stava piangendo e non se ne era nemmeno reso conto. Quello sguardo sconfitto – sì, sconfitto – lo destabilizzò più ancora dello sguardo furente di Jim.
Combatti, pensò, urla vaffanculo, digli che lo odi, digli che vuoi restare.
Ma Castiel rimase immobile a subire gli strattoni che lo stavano conducendo fuori dal giardino.
<< Sì che importa >> tremò e incespicò nel corrergli dietro per pararsi davanti e impedirgli di continuare a camminare.
Dean alzò lo sguardo e trasmise a quell’uomo tutto il suo odio pur senza capire perché quel padre fosse così arrabbiato.
<< Non può trattarlo così! Non ha fatto niente di male! >>
<< Basta con queste cose da finocchi! >> urlò ancora Jim << Non voglio più rivederti vicino a mio figlio! Hai capito? Stupido bambino deviato! >>
Castiel chiuse gli occhi e singhiozzò davanti al terribile significato di quelle parole e non fece niente.
Aveva il viso rosso, gli occhiali storti sul naso e il taglio sanguinante sullo zigomo.
<< Cass … Cass … di qualcosa … >> ma rimase muto con le palpebre serrate e i pugni stretti in una morsa dolorosa. << Cass … >>
Jim lo scansò prepotentemente e costrinse Castiel a salire in auto.
 
 
 
 
Fu sua madre a dirglielo, il giorno dopo, rovinandogli inconsapevolmente la possibilità di essere di nuovo felice.
<< I Novak si trasferiscono. E’ un vero peccato, la mamma di Castiel faceva delle torte superbe >>
Tutto aveva immaginato in quella lunga notte, ma non che potesse davvero avverarsi il suo più terribile incubo.
Vegetò a letto con gli occhi sgranati senza più lacrime. E da qualche parte, in quella triste stanza, c’era anche Sam che tentava invano di capire cosa stesse succedendo.
 
 
Arrivò settembre e Castiel sembrava scomparso.
Il parco era occupato dagli studenti del liceo e la fine delle vacanze estive la si poteva percepire dai rumori della città ripopolata e di nuovo in piena attività. Presto la scuola sarebbe ricominciata e Dean cominciò a temere di non rivedere Castiel nemmeno fra i banchi.
Oramai, sembrava il fantasma del dodicenne che era stato prima di quel terribile giorno d’agosto. I suoi genitori parlavano di mandarlo da uno psicologo, suo fratello lo evitava e persino altri adulti pensavano fosse malato. Ma non gli importava: l’unica cosa che riusciva a pensare era rivedere Castiel.
Trascorreva le giornate di fine estate a vagare per il centro, fermandosi come ultima tappa davanti alla casa dei Novak, sempre buia e desolata, poi con un dolore al petto tornava indietro per ricominciare tutto d’accapo il giorno dopo.
 
 
 
Il primo giorno di scuola arrivò, indesiderato, facendo sprofondare Dean nel più totale sconforto. Sua madre lo accolse alle sette e mezza del mattino, come sempre, con un toast senza bordi, succo d’arancia e un sorriso dolce in volto.
<< Ciao, tesoro. Pronto per il primo giorno di scuola? >>
<< No >> sbottò stancamente.
<< Vedrai che ti farai nuovi amici >>
Dean sgranò gli occhi << Cosa? E perché? >>
<< Beh, so che tu e Castiel eravate molto amici ma sta per partire e … >>
<< Castiel non se ne va!!! >> gridò spiazzando sua madre.
La donna si corrucciò e mise davanti al naso anche una torta – la sua preferita- per rabbonirlo.
<< Credevo lo sapessi, Dean. Scusami. Ho incontrato la signora Novak in chiesa ieri. Partono questa mattina >>
Dean balzò in piedi e la sedia si rovesciò con un rumore sordo << No, non è vero … >>
<< Dean … tesoro, mi dispiace. Potrete scrivervi delle lettere e vedervi durante l’estate. Vedrai che io e papà … >>
<< No! Tu non capisci!!! Jim Novak è uno stronzo! Non ci permetterà mai di- >>
Sua madre parve scandalizzarsi << Non ti permetto di usare queste parole, Dean Winchester!!! >>
Dean prese un respiro rabbioso e, con uno scatto veloce, aprì la porta che dava al garage e corse fuori sotto lo sguardo incredulo di sua madre. Non si era mai comportato così, ma doveva raggiungere Castiel prima che fosse troppo tardi.
<< Dean! Dean!!! >>
Afferrò la sua bici e la cavalcò la sua bici schizzando fuori dal garage con la disperazione più sfiancante che avesse mai provato.
Arrivò in pochi secondi davanti all’abitazione di Castiel, ma la macchina dei Novak era già un puntino sfocato in lontananza.
Dean non pensò più, agì e prima di rendersene conto era di nuovo a cavallo della sua bici e pedalava forte nel tentativo di seguire l’auto. Ma anziché deviare per la città, virò verso la periferia. Le auto raddoppiarono e le insegne dell’autostrada triplicarono mentre filava a bordo strada. 
Annegò nel suo stesso respiro cercando disperatamente l’auto blu dei Novak e la scorse, in mezzo ad altre, zavorrata di bagagli, intravedendo finalmente il profilo di Castiel dietro il vetro aperto. Pedalò più veloce con le ginocchia dolenti e il respiro mozzo, strinse i pugni attorno al manubrio e urlò.
<< Cass!!! >>
Per una frazione di secondo temette di non aver gridato abbastanza forte, ma gli occhi blu si spalancarono e Dean sorrise.
<< Cass! >> urlò ancora più forte. L’auto accelerò e s’infilò in autostrada dove il traffico si intensificava.
Castiel si voltò e appoggiò i palmi sul vetro posteriore mordendosi le labbra a sangue. Stava piangendo.
L’auto sparì fra molte altre.
Dean frenò senza fiato e, prima di cadere a terra, si rese conto che stava piangendo anche lui.
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte II ***


ok Beta: xaki
Ci ho messo un pò, scusate, ma era perdiodo di esami.
Grazie a chi ha letto e/o recensito lo scorso capitolo.
Buona lettura.


Non trattenere la rabbia, il male o il dolore. Essi rubano la tua energia e ti impediscono di amare.
(Leo Buscaglia)

 
 
 
Parte II
The Spring of 2016
 
Quella sera il Road House Pub sembrava popolato da ubriaconi più allegri del solito e i propositi di Dean Winchester – i soliti di ogni venerdì sera - ubriacarsi, stare solo e dimenticare – crollarono miseramente a causa delle urla e degli schiamazzi di quei quattro idioti.
Non sapeva quale dannata squadra di football avesse vinto il campionato e nemmeno gli interessava saperlo; voleva solo silenzio e altro alcol.
Ellen – sua zia acquisita Ellen, dannazione – lo squadrò con aria preoccupata dissentendo con la testa alla sua ennesima richiesta di riempirgli il bicchiere.
<< Stai esagerando >>
<< Ellen, andiamo! >> ridacchiò Dean amaramente sbattendo il bicchiere contro il bancone << è venerdì ed è stata una settimana orribile >>
Ellen storse il naso, con aria arcigna, e gli versò altre tre dita di whiskey  << L’ultimo. Poi ti spedisco a casa a calci in culo, Dean. Mi hai capito? >>
<< Tu sì che mi capisci, Ellen! >> biascicò mellifluo vedendola sparire dietro il retrobottega dopo uno sbuffo esasperato.
Dean osservò con interesse il contenuto del suo bicchiere vorticare incessantemente e finalmente si sentì davvero ubriaco.
Ignorò gli schiamazzi dei tifosi e i fastidiosi rumori delle palle da biliardo che sbattevano fra di loro, riuscendo finalmente a dimenticare quanto fosse stata orribile, pesante e a tratti disgustosa la sua settimana.
Rovesciò l’intero contenuto del bicchiere nella sua gola e sibilò per il cocente fastidio poi tentò di capire che ora fosse nonostante le lancette dell’orologio vorticassero ininterrottamente.
<< Sono le due e venti >> borbottò Ellen venendogli in aiuto << ed è meglio se vai a farti una dormita >>
<< Il crimine non dorme mai, zia, non lo sapevi? >>
Ellen alzò gli occhi al cielo e circumnavigò il bancone parandosi davanti a lui, bloccando ogni sua possibile mossa con un’occhiata micidiale.
<< Chiavi >>
<< Cosa? >>
<< Dammi le chiavi dell’auto, Dean >>
Dean si sentiva come se avesse la testa immersa nell’acqua, ma appena udì la sua auto tirata in ballo reagì con un burbero << scordatelo >>
<< Sei ubriaco e non ho intenzione di lasciarti schiantare contro un palo >>
<< Ma è la mia baby! >>
<< Non te la ruba nessuno! >>
<< Siamo a New York! Tutti vogliono rubare la mia auto >> e si complimentò con sé stesso per l’intelligente ragionamento che aveva appena partorito. Solo che Ellen non aveva intenzione di lasciar perdere la questione e Dean sapeva che quella donna sarebbe stata capace di fare qualsiasi cosa per sequestragli le chiavi. Ricordava vagamente la notte in cui pur di non lasciarlo guidare gli aveva rifilato un pugno nello stomaco.
<< Dean, dammi le chiavi dell’auto >>
<< Ma abito a cinque isolati da qui >>
<< Ti chiamo un taxi >>
Dean sbuffò esausto << Lascia perdere … me ne torno a piedi >> biascicò incespicando sui suoi stessi passi.
<< Dean, non fare l’idiota! Prendi un taxi e … >>
<< Seh, seh … ciao zia! Ci si vede domani! >> disse sventolando una mano in aria.
<< Dean! >>
Si infilò le mani nelle tasche dei jeans e uscì dal pub strascicando i piedi sull’asfalto.
New York sembrava stranamente silenziosa quella sera o forse era il suo cervello ad essere così pieno di pensieri da non riuscire a sentire altro che l’arrovellarsi dei neuroni. Male … significava che era ancora abbastanza lucido per pensare.
Ellen uscì dal locale continuando ad urlare il suo nome finché non lo raggiunse parandosi davanti e lasciandogli in mano un cellulare che somigliava vagamente al suo. Oh, ma era il suo.
<< L’avevi dimenticato … >>
<< Grazie, eh! >>
<< Dean … >>
<< Risparmiami la predica, Ellen! Ci pensa già mio padre ogni domenica a ripetermi le stesse identiche cose, urlando al telefono >>
<< Ma ha ragione, idiota! Passi tutta la settimana a lavorare come un matto correndo da una parte all’altra della città e poi ti sbronzi come non ti importasse di niente! >>
<< Infatti non mi importa >> Ellen si accigliò.
<< Dean, è per Sam, vero? >>
<< Sam non centra niente >>
<< E’ da quando ha deciso di sposarsi che ti comporti in modo … >>
<< Ellen, se volessi parlare dei fatti miei andrei da un cazzo di terapeuta! Ok? >>
<< Mi sto solo preoccupando per te … pensavo che fra te e Lisa … >>
<< Fra me e Lisa non ha funzionato >>
Dean si sistemò la giacca sulle spalle e sospirò. Faceva freddo, ma lui non riusciva a sentirlo.
<< Perché? >>
<< Non lo so … io credo che … >>
<< Dean >> lo interruppe Ellen posando una mano sulla sua spalla << lascia che qualcuno ti aiuti … >>
<< E’ solo un brutto periodo, Ellen, passerà >>
<< Dean … >>
<< Ci lavorerò su, va bene? >>
<< Se continui a bere in questo modo, morirai prima di provarci >>
Dean gli rivolse un sorriso strafottente, si tirò su il colletto della giacca e le voltò le spalle.
Camminò fino a sentir male ai piedi superando casa sua di due isolati.
Ritornò sui suoi passi quasi un’ora dopo crollando poi sul divano con giacca e scarpe ancora addosso.
 
All’alba, con il sole che filtrava prepotente dalle tende e il cellulare che squillava nella tasca dei suoi jeans, Dean si risvegliò mandando già a fanculo il mondo.
Rispose sospirando pesantemente.
<< Winchester >>
<< Una chiamata dal Presbyterian Hospital >> grugnì il capitano Bobby Singer << un uomo ha scaricato una donna davanti al pronto soccorso. È morta sotto i ferri. I medici hanno detto che è stata pugnalata dodici volte >>
Dean si massaggiò le tempie. Il male alla testa era lancinante.

<< E’ il mio giorno libero >>
<< E io ho un duplice omicidio sulla quarantesima e una rapina a mano armata sulla quarta, quindi alza il culo e vai a fare il tuo lavoro >> sbottò interrompendo la chiamata.
Dean sospirò pesantemente e, maledicendo il suo impiego, - e il tempismo di Bobby - si alzò dal divano caracollando fino in cucina per recuperare una bottiglia d’acqua, due vecchie ciambelle stantie e un antidolorifico. Solo quando si assicurò di essere tornato abbastanza lucido e aver cambiato la maglia chiamò il suo partner per delle indispensabili delucidazioni sul caso.
<< Il capitano è seccato >> gli rispose Benny sbuffando come una locomotiva a vapore << sia … i tagli al budget e gli agenti ridotti alla metà rispetto al mese scorso … tutte queste cose lo stanno facendo impazzire e ci maltratta >>
Dean uscì di casa e, nonostante fosse stanco morto, con lo stomaco sottosopra e le tempie doloranti, ringraziò Bobby per quella chiamata – o i tagli al personale che lo costringevano a fare gli straordinari tutti i week and – perché lavorando non avrebbe pensato alla sua vita, soprattutto a Lisa che gli urlava di odiarlo e a sua madre che gli chiedeva perché avesse lasciato una così brava ragazza. Soprattutto non pensava a suo padre che ogni volta che andava a trovarlo lo guardava così come si guardano le sconfitte.
Andate tutti al diavolo, pensò registrando le poche informazioni che Benny gli stava snocciolando, masticando rumorosamente la colazione.
<< Presbyterian, pronto soccorso. È stata raccattata alle due di notte ed è morta alle cinque. È ancora sconosciuta. Io sto per arrivare, ma Bobby ha messo te a capo delle indagini perciò … >>
<< Sì, sì ... capito! Le scartoffie toccano a me! Fantastico >> sbottò con una smorfia che rivolse al suo stesso riflesso nello specchio dell’ascensore.
<< C’è già la scientifica. Ci vediamo lì >>
Dean scrocchiò l’osso del collo e controllò di avere tutto con sé: pistola, distintivo, manette e altre pillole contro il male alla testa.
Era pronto per ricominciare un’altra giornata.
 
 
 
<< I medici hanno fatto un casino ovviamente >> esordì Benny porgendogli un caffè ancora caldo. Dean lo benedì mentalmente e superò gli agenti che stavano piantonando la stanza numero 213 dove era stata provvisoriamente sistemata la vittima.
<< Quelli della scientifica hanno detto che sarà un miracolo recuperare impronte e dna >>
<< Hanno tentato di salvarle la vita >> rimarcò Dean << Causa della morte? >>
<< Dissanguamento. Pare. Insomma è difficile stabilirlo >>
Dean osservò il cadavere riverso sul letto.
Era una bellissima ragazza di vent’anni con profondi squarci sull’addome.
<< Piuttosto violenta come aggressione. Raptus omicida? >> ragionò Benny al alta voce suscitando una risata nervosa in Dean.
<< Hai mai visto aggressioni non violente? >>
<< Hai capito cosa intendevo … >>
Benny scrollò le spalle e si fece da parte per lasciar passare il medico legale, che borbottava fra sé a proposito degli infermieri che avevano coperto la donna con una lenzuolo.
<< I testimoni? >> domandò Dean seguendo lo sguardo del collega puntato su due infermiere in lieve stato post-traumatico che si erano rifugiate accanto alla porta della stanza.
<< Detective Winchester >> si presentò estraendo il suo fidato taccuino da bravo poliziotto << Ho bisogno che mi raccontiate quello che è successo >>
L’infermiera più anziana sollevò lo sguardo e annuì risoluta << Ero fuori nella zona di sosta delle ambulanze per fumare una sigaretta quando un’auto ha frenato bruscamente. Mi sono voltata e ho visto una mano sbucare dallo sportello del passeggero e spingere a terra la ragazza. Mi sono precipitata ed era viva … ho chiamato aiuto >>
<< Le ha detto qualcosa? >>
<< No … no! Insomma era in shock … >> balbettò.
<< E l’auto? Saprebbe descriverla? >> intervenne Benny.
<< Verde … una berlina >>
<< Targa? >>
La donna si accigliò e scosse la testa violentemente << Mi sono occupata della ragazza … io … mi dispiace … non l’ho notata >>
Benny annuì mentre Dean scribacchiava parole sul taccuino, parole inutili perché a parte qualche dettaglio nessuno aveva visto l’uomo o la donna alla guida.
<< Di lei se ne è occupata uno specializzando dell’ultimo anno prima di essere spostata in sala operatoria >> continuò l’altra indicando un uomo con il camice bianco che parlava con due agenti in divisa dall’altra parte del corridoio. E intanto la scientifica faceva avanti e indietro nella stanza borbottando a proposito del caos di materiale genetico sparso ovunque.
In un attimo Dean capì che quella sarebbe stata una lunga indagine basata su prove inconsistenti e imprecise. Proprio quello che il suo cervello reclamava per evitare di pensare a Lisa, Ben e genitori apprensivi. E a Sam naturalmente che lo stressava da settimane a proposito del testimone di nozze.
<< Senti >> esordì Benny giocherellando nervosamente con il tappo di una penna a sfera << Vado da quelli della sicurezza. Magari hanno tenuto le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso >>
<< Sì, ma porta i filmati al distretto. Magari Charlie fa una delle sue magie e troviamo l’auto >>
<< Sempre che i filmati ci siano >> borbottò avviandosi verso le scale.
Dean bevve il suo caffè – freddo e decisamente insipido-  e lo gettò con sdegno in un cestino puntando il dottore che le infermiere gli avevano indicato, il quale forse era riuscito a parlare con la vittima prima che morisse.
Riaprì il suo taccuino e ricominciò con il solito discorso di presentazione << Salve. Detective Dean Winchester, omicidi. Posso farle qualche domanda? >>
L’uomo si voltò e lo guardò sgranando un paio di occhi blu come il mare.
Dean aggrottò la fronte e uno strano senso di disagio gli annodò di nuovo lo stomaco come se quel disgustoso caffè non fosse stato abbastanza.
<< Posso farle qualche domanda? >> ribadì immaginando che quel ragazzo avesse bisogno sicuramente di una dormita; come lui d’altronde.
<< Dean Winchester >> ripeté quello con voce baritonale.
Aveva un paio di occhiaie appena accennate e l’espressione vagamente smarrita, decisamente sconvolta. Sì, aveva bisogno di dormire.
Specializzandi … tsk …
<< Sì, è il mio nome e a parte consigliarle un letto potrebbe dirmi se la vittima prima di perdere conoscenza ha … >>
<< Dean Winchester >> ripeté di nuovo questa volta aggrottando le sopracciglia.
Ok, una dormita e uno psichiatra.
Gli agenti alle sue spalle ridacchiarono facendosi da parte come a dire “è tutto tuo”.
Tante grazie pivelli, borbottò a mezza voce.
<< Senta, sono le sette del mattino e ho avuto una nottataccia quindi potrebbe concentrarsi? Seguo Grey’s Anathomy e so che vi fanno fare turni assurdi, ma ho bisogno che si concentri così la lascio andare a riposare >>
Il medico di fronte a lui si morse le labbra -  qualcosa si agitò di nuovo nel suo stomaco- e poi si spettinò i capelli con le dita, visibilmente scosso e la sensazione strana si trasferì all’altezza del petto.
<< Dean … >> mormorò di nuovo e il suddetto Dean capì di non avere la pazienza quella mattina per stare dietro uno specializzando con un trauma alle spalle e la mente apparentemente confusa.
<< Va bene! >> sbottò infine alzando bandiera bianca << facciamo così. Io le lascio il mio numero e appena torna in sé o dorme per almeno sei ore di fila mi richiama e mi racconta quello che ha visto >> e gli allungò il biglietto da visita osservando le dita bianche del medico afferrarlo con un fremito.
Dean si voltò lanciando un improperio al soffitto e poi sentì mormorare quel nome, un nome che non sentiva pronunciare da sedici anni, un nome unico nel suo genere e così il sangue gli si gelò nelle vene.
Pensò di aver sentito male, pensò di essere talmente stanco che la mente gli giocava brutti scherzi, perché non poteva essere vero.
Il cuore mancò un battito e riprese a battere forsennato.
Si voltò e squadrò quell’uomo, lo analizzò lo scandagliò e si perse nei suoi occhi blu mare.
<< Castiel Novak … non ti … non ti ricordi? >>
Dean si immobilizzò e non poté far finta di non averlo sentito.
E non poteva fingere di non averlo capito.
Stessi occhi, stesse labbra e stessa schiena ritta e stesse dita che tradivano la sua ansia.
Come aveva fatto a non riconoscerlo?
Quegli occhi.
Blu come il mare.
Lo guardò, lo guardò e lo guardò cercando di capire cosa provasse in quel momento, cosa sentisse il suo Io profondo a ritrovare un pezzo di sé in quell’ospedale alle sette di mattina.
Niente … niente. Non sentiva niente se non una grande e infinita confusione insieme ad un’ansia lacerante.
 
Dean si morse l’interno della guancia e udì solo di sfuggita la voce di Benny e la sua ombra che entrava nel suo capo visivo.
<< Ho visualizzato i filmati! >> esultò soddisfatto << non si vede la targa, ma un pezzo del braccio del tipo che l’ha scaricata. Charlie farà qualche miracolo e lo becchiamo il bastardo >>
 
Castiel non distolse per un secondo lo sguardo, sostenendolo con infinita tristezza mentre Benny parlava e parlava. Quanto parlava …
Dean si passò una mano sulla faccia e prese di scatto i filmati lasciando il suo partner sbigottito prima di voltasi e camminare verso l’uscita.
Respirò solo una volta uscito all’aperto, poggiando la testa sul tettuccio dell’auto.
Le ginocchia tremavano e un gelo soffocante lo stava lentamente privando dell’ossigeno.
Cosa era appena successo?  Era prigioniero di un incubo?
Serrò gli occhi e batté un pugno sul metallo dell’auto e trattenne un urlo con uno sforzo immane.
<< Dean, amico! Che diavolo ti prende? >> gridò Benny agitato posando una mano sulla sua spalla << che ti è successo? >>
Respirò una, due, tre volte e finalmente capì come si stava sentendo il suo Io in quel momento: rabbia, tanta, tanta rabbia.
Una rabbia che partiva dal centro del suo petto gli stava divorando persino le mani.
Gli girava la testa.
<< Dean >>
<< Sto … bene … >> farfugliò << un calo di zuccheri … >>
Si tirò su e Benny gli prese le chiavi dell’auto dalle mani
<< Forse è meglio se te ne vai a casa >>
Serrò un’altra volta gli occhi e negò con la testa prima di buttarsi in auto.
 
 
 
 
Sedici anni e nemmeno per un solo istante aveva sperato di rivedere Castiel, seppellendo la sua memoria in profondità, vivendo come se non fosse mai esistito.  Se lo era imposto e l’aveva rimosso dalla sua testa insieme a tutti i ricordi che lo riguardavano.
Il destino … quell’infimo bastardo …
Fra tutti gli ospedali d’America, fra tutti i fottutissimi ospedali del mondo lui era lì, a pochi isolati da dove abitava.
E il solo pensiero di pronunciare il suo nome lo terrorizzava.
Anni, anni ci aveva impiegato per dimenticare.
Benny gli offrì acqua e zucchero mentre Bobby Singer lo fissava circospetto, e lievemente preoccupato, con le braccia incrociate al petto.
<< Forse è meglio se te ne vai a casa, ragazzo >>
<< Sto bene >> mentì.

<< A me non sembra >>
<< Sto bene >> ripeté alzandosi sperando che quei due non lo seguissero anche nel bagno. Si tirò dietro la porta lasciandosi cadere a terra, finalmente solo.
Si prese la testa fra le mani ed emise un singhiozzo, il primo dopo sedici.
 
 
 
Aveva baciato Denise in seconda liceo. Era carina e aveva un bel sorriso e suo padre era stato contento per lui quando gli aveva annunciato di averla invitata ad uscire. Così l’aveva baciata fingendo di non fare paragoni, fingendo che fosse il primo bacio e che fosse eccitato. Ci aveva fatto sesso e quell’emozione sconvolgente e terribilmente svuotante lo aveva stregato e reso dipendente.
In quei momenti, mentre si spingeva tra le cosce di una Denise o una Linda di turno non pensava, non ricordava, non fingeva. Non soffriva.
Diventava Dean il bastardo schifoso, Dean il seduttore, Dean lo stronzo e tutti dicevano che andava bene così. Era accettato.
Lisa. Sì, Lisa l’aveva amata in un certo senso; per poco e male, ma l’aveva fatto. Ma era finita perché dentro di lui, ogni giorno che viveva con lei e con Ben in quella casa perfetta, con la famiglia perfetta, qualcosa dentro di lui gli diceva che tutto era sbagliato, che non se li meritava. Che lui era sbagliato …
Se ne era andato in piena notte, dopo un giorno qualsiasi, con l’unico rimpianto di dover dimenticare anche Ben insieme a tutto il resto. Doveva dimenticare esattamente come aveva dimenticato Castiel.
A vent’anni aveva scoperto il potere dell’alcol e quello, unito al sesso senza legami, era diventato una droga. Il suo lavoro lo teneva lontano da quello per qualche ora e poi tutto ricominciava.
Dimenticare era il verbo base della sua vita, la sua dottrina. E nonostante stesse cadendo a pezzi da anni, quello che era appena successo l’aveva fatto crollare definitivamente.
Destino … destino bastardo.
 
Quel Castiel adulto aveva un accenno di barba, i capelli corti e arruffati. Era diventato alto e bello, maledettamente bello. Più bello di come se lo ricordava o se lo era immaginato nei suoi sogni in quei lunghi sedici anni.
Era la sua vera voce quella?  Così bassa, così profonda?
 
Dean singhiozzò più forte.
 
Arrabbiato. Sì era tanto arrabbiato: con la vita, con Castiel e con quel mostro che glielo aveva strappato via.
Durante l’accademia –solo in una stanza sconosciuta- più volte si era immerso nei suoi pensieri a fantasticare su un universo alternativo dove l’adolescenza non aveva fatto così schifo perché l’aveva vissuta con lui, salendo in camera sua dal pergolato, baciandolo, facendo l’amore con lui per ore finché avesse avuto fiato, finché non avesse detto basta.
Poi tornava alla realtà e tutto ricominciava a fare schifo e si malediceva per quei pensieri seppellendoli sotto le vesti di qualche recluta dalle forme generose.
 
Si asciugò le lacrime.
Castiel … era stato lui a far finire quel sogno.
Castiel non aveva voluto lottare, si era arreso quella domenica d’agosto. E che diritto aveva di guardarlo con quell’espressione triste e dispiaciuta? Che diritto aveva di rovinargli la giornata?
No, Castiel non era nessuno e lui era uno stupido sentimentale a singhiozzare come un bambino per qualcosa successa sedici anni prima. Era una vita fa. Lui ora era diverso. Eterosessuale e diverso e si vide costretto a dar ragione a quella befana della bibliotecaria del Kansas quando gli aveva detto che la loro era solo una fase preadolescenziale.
Si rialzò, si sciacquò il viso indossando la sua maschera da detective tutto d’un pezzo. Uscì dal bagno marciando a passo di guerra verso la sua scrivania.
Aveva una vittima da identificare e render giustizia, non aveva tempo da perdere per pensare al passato. E comunque non poteva rimanere rinchiuso in quel bagno per sempre.
 
<< Credevo di averti mandato a casa >> borbottò Bobby dandogli uno scappellotto dietro la nuca mentre passava per il corridoio.
<< Sto bene, capo!  >> ribadì controllando sul suo computer l’elenco delle persone scomparse.
<< Quante stronzate che racconti! >> tuonò chiudendosi dentro il suo ufficio senza smettere di borbottare.
 
 
 
Bussò due volte allo stipite della porta fingendo un sorriso radioso alla ragazza seduta sulla sedia e curva sullo schermo di un pc.
Posò un caffè fumante accanto a lei e le scompigliò i capelli rossi.
<< La tua droga fumante, Charlie >>
<< Non fare il ruffiano con me, Dean. Non ho ancora finito di esaminare i video >> lo rimbeccò con un mezzo sorriso continuando a far ticchettare le dita sulla tastiera consunta.
<< Pazienza … non ti dà fastidio se resto qui a fissarti mentre fai le tue magie? Vero? >>
Charlie si rizzò sulla sedia, impettita, lanciandogli uno sguardo di sottecchi.
<< Non hai niente da dirmi, Dean? >>
<< No … >>
<< Ho saputo che sei stato male … >> continuò lei con una smorfia di disappunto sul viso.
<< Calo di … >>
<< Ah! Vallo a raccontare a Benny che ancora ti crede. Non sono stupida, Dean >>
<< Mai detto questo! >>
<< Allora? Che c’è? >>
<< Niente >> mormorò << e non tirare fuori la storia di Sam che si sposa perché saresti la quinta persona a parlarne e credimi, la minestra riscaldata è proprio un cliché >>
Charlie scrollò le spalle per nulla intimorita dal tono duro e seccato di Dean. Si conoscevano oramai da sei anni e quel modo di fare da poliziotto badass non la toccava minimamente e Dean si sentiva spesso disarmato davanti a lei.
<< Non ho pensato nemmeno per un secondo che fosse Sam il problema … anche se ti comporti in modo strano ultimamente >> rimuginò << Io intendo dire che oggi ti stai comportando in modo più strano del solito. Quindi? Niente da confessare? >>
<< Solo una brutta giornata iniziata con i postumi di una sbronza >>
Charlie sospirò e storse il naso in un modo che Dean riteneva tenero “livello Gramlin prima della mezzanotte” e gli scappò un sorriso nel constatare che quell’espressione significava che non si sarebbe arresa.
<< Come vuoi … >> mentì << ma ne parleremo questa sera >>
<< Ho un caso in corso >>
<< Pop-corn e Doctor Who >> continuò imperterrita << Non puoi dirmi di no >>
Dean alzò gli occhi al soffitto << Ma tu non dovevi uscire con quella tizia dal nome inquietante? Abby qualcosa … >>
<< Abbadon? Mh, la vedo domani … mi mancano le nostre serate, Dean! >>
<< Abbadon … ma che razza di genitori ha? >>
La ragazza cominciò a ridere << Mia madre mi ha chiamata Charlie quindi direi che siamo pari >>
<< Tua madre ti ha chiamata Charlene >> le ricordò Dean divertito << sei tu che hai problemi con i nomi femminili. E comunque Abbadon è … >>
<< Insieme stiamo bene e facciamo del sesso spettacolare. Del suo nome non me ne importa niente >>
Dean rabbrividì << Meno dettagli, grazie >>
Rimasero a parlare per un’ora mentre il computer elaborava i dati e Dean non si accorse né del tempo che passava né di star dimenticando l’incontro di quella mattina. Charlie era la sua personale medicina contro la tristezza.
Alle dodici e venti, il mingherlino e poco sveglio agente Carter bussò alla porta dell’ufficio attirando la loro attenzione.
<< Detective >> parlò indeciso << c’è una persona che chiede di lei >>
Dean sbuffò << Il giovane procuratore distrettuale Samantha Winchester, vero? Ci scommetto! >>
Carter aggrottò la fronte << No. Non è suo fratello. E’ un uomo. Dice che deve rilasciare la sua testimonianza >>
Dean si riscosse e Charlie gli lanciò un’occhiata perplessa.
<< Occhi blu, capelli neri e aria strafatta? >> domandò con malcelata cattiveria.
<< Sì e ha chiesto di lei >>
<< Mandalo da Benny >> tagliò corto.
<< Ma ha chiesto di lei >>
<< Me ne fotto. Mandalo da Benny >> continuò spedendo l’agente fuori dall’ufficio con un’occhiataccia assassina.
Charlie lo fissò perplessa << Uno scocciatore >> le spiegò dando le spalle alla porta pur di non vedere di nuovo Castiel e i suoi stramaledetti occhi blu mare.
 
 
 
 
Benny lo intercettò proprio mentre stava per infilarsi il cappotto, sventolandogli davanti al naso altri fascicoli da leggere.
<< Sono le nove di sera amico. Andiamo a mangiare qualcosa e ne parliamo poi >>
<< Charlie l’ha identificata. Studiava alla Columbia. Emily Staghner. Ho già chiamato la famiglia. Arrivano domani mattina per l’identificazione >> disse telegrafico e Dean annuì << e per ora possiamo solo sperare che da quel video si possa risalire a un nome >> annuì di nuovo << Bobby ci ha mandati a casa. Ma quella cena la vorrei lo stesso >>
Per la terza volta annuì. E così alle nove e trenta si ritrovarono al pub dei poliziotti, il Road House, dove una Ellen visibilmente preoccupata gli urlò addosso << Che cosa ci fai di nuovo qui? >> per poi prendere le ordinazioni come nulla fosse.
Spiegarle che aveva un caso in corso e che non poteva bere non era servito a tranquillizzarla.
<< Cazzo, mi fanno passare per un alcolista >> borbottò.
<< Magari perché lo sei >> incalzò Charlie raggiungendoli al tavolo.
Risero per sdrammatizzare. Improvvisamente l’aria attorno a loro s’era fatta pesante.
<< Niente Doctor Who? Vero? >>
<< Spiacente Charlie. Puoi sempre dire di sì a Abbadon >>
Benny arcuò un sopracciglio << Abbadon? >>
<< Sì! >> trillò Charlie << ha un nome strano. È un avvocato e basta parlare di me! >>
<< Uh! Tasto dolente! >>
Dean addentò il primo hamburger della settimana con molta soddisfazione.
<< A proposito di tasti dolenti >> e esordì Benny guardandolo << Che cazzo ti ha fatto quel Cast … Novak o come diavolo si chiama da non voler raccogliere la tua testimonianza? >>
A Dean il boccone gli si bloccò nell’esofago.
<< O così o l’avrei preso a pugni >> confessò bevendo la sua birra analcolica dal gusto insipido.
Benny gli rivolse la sua personale espressione di disappunto e lo fissò mettendogli i brividi affinché parlasse. In quei momenti, più che un poliziotto della omicidi, sembrava un criminale di Sin Sin.
<< E’ una storia lunga >>
<< Lo conoscevi? >> gli domandò Charlie e non ottenne risposta.
Dean continuò a masticare il suo hamburger fingendo di non aver sentito la domanda. E comunque non avrebbe saputo come rispondere: lo conosceva? Sì e no. Conosceva il ragazzino di dodici anni, ma quell’uomo con il camice bianco gli era sconosciuto.
Un dottore.
Distrattamente si stupì di quella scoperta; non aveva sempre voluto fare lo scrittore?
Scosse la testa e sospirò pesantemente dandosi uno schiaffo mentale.
Basta, basta pensarci, basta ricordare. Avrebbe telefonato a Ally o come accidenti si chiamava e si sarebbe divertito: anche lei era un’ottima droga contro i ricordi.
Charlie gli rivolse un sorriso mesto e afferrò la sua mano da sotto il tavolo mentre Benny parlava di sua moglie e dei suoi progetti per l’estate.
 
 
Charlie era incredibilmente disordinata. Era impossibile per lei trovare le chiavi di casa in meno di cinque minuti e quella notte non era da meno.
Mentre rovistava nella sua capiente borsa a perline Dean sbuffava una risata dietro l’altra.
<< E’ sempre una pessima idea accompagnarti a casa >>
Charlie gli ringhiò contro e face tintinnare con scherno le chiavi davanti al suo naso.
<< Trovate, scemo! >> sbottò facendogli una smorfia << Sei sicuro di stare bene? >>
<< Charlie … davvero! È tutto ok >>
<< Mh, ok … notte, Dean. Chiamami quando deciderai di raccontarmi la verità. Io ci sono, ok? Ti voglio bene >>
<< Anche io, Charlene >>
<< Fottiti >> lo insultò ridendo << guida piano >>
Scivolò fuori dall’auto dopo avergli scompigliato i capelli.
Dean ripartì solo quando Charlie richiuse la porta di casa dietro le sue spalle.
 
 
 
Si sentiva totalmente a pezzi, nel corpo e nell’ anima, ed era più che sicuro che quella notte non avrebbe chiuso occhio, di nuovo. E come se non bastasse il suo cellulare incominciò a squillare proprio quando riuscì a trovare un parcheggio.
Sbuffò due volte camminando verso il suo palazzo, meditando di ignorare la chiamata, ma rispose sapendo che avrebbe continuato a squillare all’infinito, maledicendosi di averlo fatto tre attimi dopo.
<< Mi stai ignorando, Dean? >> esordì suo fratello con tono duro e accusatorio.
No, era troppo stanco per quello, troppo per dare retta anche a lui.
<< Lavoro. Sai com’è … >>
<< Lavoro anche io e trovo comunque il tempo per rispondere a un maledetto messaggio >>
<< Sammy … >> sbuffò ancora passandosi una mano fra i capelli << è stata una giornata di merda, ok? Sii rapido ed indolore >>
Sam si zittì per qualche secondo, soppesando le parole da usare, prima di parlare con tono calmo << Mamma e papà arriveranno qui il prossimo week-and per conoscere Jessica. Vorrebbero che tu venissi almeno a cena. Anche io lo vorrei a dire la verità. Dean, da quando tu e Lisa vi siete mollati sei diventato latitante >>
<< Io l’ho mollata. Non è stato consensuale >>
<< Come vuoi >>
<< No, devi specificare >> sottolineò con tono funebre << perché lo stronzo sono io >>

<< Dean! >> tuonò Sam intercedendolo prima che continuasse a straparlare << Non ricominciamo a litigare ok? Sto solo cercando di … >>
<< Comunque la risposta è sì >> lo interruppe.
<< Sì, cosa? >>
<< Sì, sarò il tuo testimone. Se ci tieni >>
<< Ah … >> esalò e Dean se lo immaginò sorridere << Davvero? >>
<< Perché no? Jessica è carina, avrà damigelle carine no? >> sdrammatizzò lasciandosi andare in una risata liberatoria.
<< Ah, ah. Davvero divertente >> ridacchiò << grazie … >> mormorò poi con un sospiro liberatorio.
<< Sei mio fratello … e credimi, so che … non te l’ho mai detto. Io sono davvero felice per te. Jess è … fantastica e sei davvero fortunato perciò se vuoi che sia il testimone lo sarò, Sammy. Solo che queste cazzate smielate non fanno per me … >>
<< Lo so, Dean … ma per me è importante. E anche per Jess … ti vuole bene >>
Dean sorrise << E farò lo sforzo di non farmi tutte le damigelle della tua fidanzata >>
<< Idiota! >>
<< Puttana! >>
<< Stronzo! >>
<< Lasciami andare dormire! >>
<< Non ti sto trattenendo! >>
Dean ruotò gli occhi al cielo e si ritrovò davanti all’ascensore di casa sua senza sapere come ci fosse arrivato.
<< Allora, cena? Sabato sera. Non te lo dimenticare o giuro che ti prendo a calci in culo fino al ristorante >>
<< Sì, Samantha! >>
<< Cresci, Dean >>
<< Jess lo sa di essere lesbica? >> rise udendo lo sbuffo di suo fratello.
<< Notte, Dean! Ci vediamo al lavoro >>
<< Notte, Sammy!! >> urlò, solo per indispettirlo. Riattaccò prima lui con ancora il sorriso sulle labbra.
Il suo appartamento, l’ultimo in fondo al corridoio, distava pochi passi dalle scale, e gli sembrava così irraggiungibile in quel momento da immaginare di addormentarsi lì, ma si trascinò lo stesso cercando le chiavi nella tasca del cappotto.
Ecco: perché Charlie usava borse così ampie? si domandò. Insomma, avrebbe impiegato meno ore a trovarle usando le tasche, no?
Donne …
Sbadigliò e cercò a tentoni la toppa alla luce soffusa dell’unica lampadina rimasta funzionante in tutto lo stramaledetto corridoio.
Nonostante fosse assonnato i suoi sensi da poliziotto si allertarono percependo un fruscio dalle scale.
La signora Sullivan? Pensò velocemente. Il vecchio pazzo con il lagnoso carlino? O peggio un ladro? Aveva troppo sonno per arrestare qualcuno.
 
<< Dean >>
Sussultò, come se una frusta gli avesse colpito la schiena con violenza, e si voltò verso le scale con la pistola già in mano puntata verso il buio.
Due occhi blu uscirono allo scoperto e il loro proprietario si atterrì davanti all’arma carica pronta a fare fuoco.
<< Non … volevo spaventarti >>
Quando il respiro di Dean tornò regolare abbassò la pistola reinserendo la sicura, scongiurando un omicidio nel caso gli fosse tornata la voglia di sparare.
<< Ma l’hai fatto >> sibilò con le mani che gli prudevano dal nervoso.
Che cazzo ci faceva lì?
Cosa. Cazzo. Ci. Faceva. A. Casa. Sua!
Prese un respiro profondo e lo guardò con astio.
Castiel abbassò le mani e si alzò dal gradino che aveva usato come seduta e tentò di parlare, ma Dean fu più svelto << Come mi hai trovato? >>
<< Io … >>
<< Chi cazzo ti ha dato il mio indirizzo? >>
<< Anderson >> rispose subito con decisione. Non vi era ombra di pentimento nei suoi occhi, come se irrompere nel palazzo di un poliziotto alle undici di sera fosse normale, come se ne avesse il diritto.
<< Mi doveva un favore >> spiegò con quella voce bassa che quasi fece tremare le pareti. O forse era lui che tremava << Lo scorso anno ho estratto una pallottola dal suo polmone sinistro in mezzo alla strada >>
<< Non me ne fotte un cazzo del polmone di Anderson ok? Sparisci >>
Castiel si accigliò e strinse una traversina della sacca verde che stava trasportando.
Un cambio? Vestiti da lavoro? Dean ci pensò per tre secondi prima di tornare a rivolgere la sua attenzione alla porta ancora chiusa. E le chiavi? Dove erano finite, le aveva in mano prima, no?
A terra. Erano cadute a terra.
Si chinò a raccoglierle e gli vennero i brividi al pensiero che Castiel fosse ancora lì, immobile come una statua, a guardarlo.
<< E’ stato un caso … >> sussurrò con voce roca. I brividi di Dean triplicarono perché no, non poteva essere la sua voce. Cazzo! Lo stava facendo apposta << Vivo a New York da quattro anni >>
<< Castiel, che cazzo vuoi? >> sbottò battendo un pugno contro il legno della porta, evitando con cautela di guardarlo.
<< Parlare >>
<< Parlare >> gli fece il verso con scherno << Parlare … e di che cosa vuoi parlare, Castiel? >>
<< Perché mi chiami Castiel? >>
<< Perché è il tuo nome >>
<< Perché non mi guardi? >>
Fu il suo turno di accigliarsi.
Serrò la mandibola e respirò con un fremito.
Ma che cazzo voleva da lui?
Perché era lì?
Perché gli stava di nuovo rovinando la vita?
Perché semplicemente non se ne andava?
Perché lo stava guardando in quel modo, come se quei fottutissimi sedici anni non fossero esistiti?
Dannazione, erano esistiti eccome! Poteva fingere che non fosse vero, poteva ubriacarsi per dimenticarli e poteva scopare con chiunque pur di mentire a sé stesso. Era successo tutto una vita fa, una vita che non credeva gli fosse mai realmente appartenuta … e Castiel doveva andarsene, ora!
Voleva solo chiudersi in casa e dimenticare tutto di nuovo perché ricordare faceva troppo male. Ricordare l’ultima volta che lo aveva visto, che aveva visto quei due pozzi blu versare lacrime faceva male, ricordare quell’estate gli creava uno scompenso cardiaco e un buco nello stomaco.
Doveva dimenticare.
Castiel doveva di nuovo smettere di esistere anche nei suoi ricordi evanescenti.
<< Possiamo parlare? >> osò domandare, cauto.
<< No >> mormorò lapidario << non abbiamo nulla da dirci >>
<< Abbiamo sedici anni di cose da dirci >> insistette deciso.
Dean sgranò gli occhi e le parole, gli insulti gli si bloccarono in gola.
<< Non ho mai smesso di sperare di incontrarti di nuovo. Ti ho cercato … in Kansas, ma … >>
Dean serrò gli occhi, pungenti di lacrime, ancora voltato verso la porta e perciò Castiel non lo vide mordersi le labbra a sangue per non urlare.
<< Ho … sognato questo momento per tutta la vita e tu sei così arrabbiato >>
Tu no? Avrebbe voluto chiedergli, invece disse << Certo che sono arrabbiato >> con tutto l’ira di cui era in possesso e ne aveva molta repressa. Si voltò di scatto   << certo che lo sono! Perché quella faccia da cane bastonato, come se non fosse stata colpa tua, non la sopporto! >>
Castiel si incupì osservandolo per un lunghissimo minuto prima di chiedere, con aria manifestamente confusa<< Colpa mia? >>
<< Colpa tua, Castiel. Colpa tua e della tua codardia >>
<< Dean, avevo dodici anni >>
<< Anche io. Ma ho lottato, ho urlato, ho corso per inseguirti e tu … >> e all’improvviso tutta la sua intelligenza si focalizzò su quel punto, il punto cardine di tutta la sua rabbia soffocata per anni.
Castiel non aveva lottato. A Castiel non era importato di riuscire a salutarlo perché non aveva ritenuto importate farlo. E non gli credeva minimamente quando diceva di aver pensato a lui con lo stesso dolore con cui lo aveva ricordato ogni giorno, anche inconsapevolmente.
<< Tu non hai lottato quindi ora non venirmi a dire che ti è mai importato di quello che è successo perché … >> sospirò pesantemente con i pugni ancora contratti dalla rabbia << Vattene a casa, Castiel >>
<< Non posso >>
<< Puoi. Non hai niente da fare qui. Non c’è più niente da recuperare >>
<< Sì … c’è. E lo so >>
<< Sono eterosessuale, molto eterosessuale e molto felice al momento perciò … >> e lui ignorò quel commento.
<< Non sei felice >> asserì piegando le labbra all’ingiù.
Il Castiel della sua infanzia, a quel punto, si sarebbe aggiustato gli occhiali sul naso e lui glieli avrebbe fatti scivolare su, fra i capelli, e lo avrebbe baciato.
Ma Castiel non portava più gli occhiali.
Una vita fa … era stato una vita fa.
<< Non sono fatti che ti riguardano. Io ti saluto! >> aprì finalmente la porta e quasi la scardinò per la veemenza del gesto.
<< Dean … sei tu che stai facendo il codardo adesso >> lo accuso con la voce sempre più decisa << Non ti sto chiedendo niente … solo di parlare >>
<< Perché? >>
<< Perché entrambi abbiamo bisogno di chiarire … di andare avanti >> mormorò << è come se fosse rimasto tutto in sospeso >>
<< Non per me >>
<< Non saresti arrabbiato se non fosse così >>

Colpito.
<< Dammi solo l’opportunità di parlare. Ti chiedo solo questo e, sei vorrai, dopo sparirò >>
No, di nuovo no, urlò una voce nella sua testa, subito zittita.
Dean in quel momento comprese quanto fosse diventato determinato quell’uomo, forgiato dalla vita e da tante delusioni, e si rese conto che, probabilmente, sarebbe rimasto sulle scale tutta la notte pur di incontrarlo ancora.
Cedette con un vuoto nello stomaco che gli mozzò il fiato.
Avrebbe fatto entrare Castiel in casa sua.
Avrebbero parlato. Ma era davvero reale? Stava accadendo davvero? Come poteva crederlo quando gli risultava incredibile solo rivederlo davanti a sé?
Spalancò la porta invitandolo dentro.
Sarebbe stata una lunga notte.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3373304