Dark Blue Life di sapphire (/viewuser.php?uid=67371)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 1 *** Parte I ***
ok
Titolo: Dark Blue Life
Rating: giallo
Characters : Dean Winchester,
Castiel, Sam Winchester, Charlie, Benny, Bobby Singer and other .
Paring: Destiel
Warning: Slash, tematiche delicate.
Genere: Romantico,
angst , introspettivo.
Capitoli: 3+epilogo/
completa
Trama: Dean, dodici
anni è alla prese con il suo primo bacio, il suo primo amore e la sua prima
sconfitta perché amare Cass con tutta l’innocenza dei suoi dodici anni è
sbagliato o almeno così reputano gli adulti. E gli viene strappato via con
forza costringendolo a diventare un adolescente e poi un adulto costantemente
arrabbiato col mondo costantemente alla ricerca d’affetto e a trovarlo in donne
da una notte e via. Finché …
Note: Questa storia
si ispira ad una storia vera -la storia d'amore di un mio amico il quale mi ha
dato il permesso di romanzarla- quindi ciò che leggerete è accaduto realmente,
ovviamente qui in Italia. Spero vi piaccia come è piaciuto a me ascoltarla e
poi scriverla.
È
la mia prima ff su SPN e spero di non essere uscita dall’IC e di non aver commesso errori.
Desclimer: La storia è di
mia invenzione, Supernatural non è mio, i personaggi non sono miei ed è stata
scritta senza scopi di lucro.
Spring of 2000
Per un momento terribile della sua vita, un adolescente inganna se
stesso; egli crede di poter ingannare il mondo. Egli crede di essere
invulnerabile.
(John Irving)
Dean
aveva dodici anni e gli ormoni in subbuglio, gli occhi lucidi di emozione e le
guance in fiamme.
Non
gli sembrava che ciò che stava provando fosse sbagliato, contro natura. Tutto
era stato perfetto: la serata trascorsa al cinema, quel momento di eterna
attesa quando aveva stretto la sua mano e quel sconvolgente imbarazzo che lo
aveva pietrificato sul portico a due passi dalla porta.
Gli
aveva detto che doveva assolutamente riaccompagnarlo a casa e lui che non era
necessario. Voleva essere educato e gentile - come gli aveva insegnato sua
mamma - e si sentiva orgoglioso di sé e di quell’istinto di protezione nato
insieme alla voglia di baciarlo. Ed era tutto davvero perfetto; il momento era
perfetto – romantico sì, ma non sdolcinato – il solo problema era
l’inesperienza.
Dean
Winchester entrò nel panico.
Insomma,
avrebbe dovuto avvicinarsi prima lui? Fare la prima mossa? E se fosse scappato?
Se non gli fosse piaciuto? E se non voleva?
Forse
non voleva. Ma lui voleva, lo voleva eccome.
E
Castiel gli piaceva un casino: aveva gli occhi blu come il mare, i capelli neri
sempre arruffati e un’imbranataggine comica che lo aveva fatto capitolare.
Gli
aveva lasciato scegliere il film, rilassando almeno i muscoli della schiena
contro lo schienale del divanetto, dopo aver speso una mattinata intera a
chiedersi se avrebbe accettato di uscire con lui e oddiotipregofachedicasi.
Avevano
preso un gelato e lo aveva riaccompagnato sotto il portico di casa.
Dean
aveva già baciato in passato: Beth, terza elementare e non era stato un
granché. Blah. Ma con Castiel era diverso. Ora era grande e l’idea di un bacio
non lo disgustava per niente.
Prese
un respiro e le guance gli si infiammarono ancora di più.
Erano
fermi immobili in quel benedetto portico da quanto? Dieci minuti? E nessuno dei
due aveva ancora avuto il coraggio di fare un passo avanti o indietro.
<<
Ehm … Grazie per il gelato >> balbettò Castiel dondolando sui piedi e
spingendosi sul naso gli occhiali dalla montatura fine che lo rendevano un po’
nerd. Li adorava. Adorava anche il suo essere secchione e tutti quei fumetti
assurdi che leggeva. Non c’era nessun
piccolo particolare che detestasse in lui.
Aveva
impiegato sette mesi a trovare il coraggio per chiedergli di uscire. Sette
fottutissimi mesi e il forza gli era sempre venuta a mancare ad un passo dal
suo armadietto mentre Castiel depositava i libri dentro e ne metteva altri in
cartella. Ma quella mattina, con lo stomaco sottosopra, la nausea e i piedi e
le mani che tremavano, gli si era parato di fronte dicendogli semplicemente ciao seguito da un sono Dean Winchester, non ci conosciamo, ma io conosco te, no non sono
uno stalker giuro. So che sei nuovo qui e mi chiedevo se ti andasse di uscire
con me. Non uscire - uscire! Insomma! Se
vuoi … insomma … se ti va possiamo andare al cinema! Scegli tu! Va bene tutto!
Giuro! E durante quel fiume di parole, Castiel era rimasto immobile,
interdetto, facendo temere a Dean il peggio, ma anziché distruggergli
l’autostima già vacillante, gli aveva sorriso aggiustandosi gli occhiali
rotondi sul naso e aveva detto sì, mi
piacerebbe molto.
Dean,
in quel momento, aveva visto il paradiso.
Si
erano incontrati alle diciotto al parco, vicino alla scuola.
Castiel
aveva scelto un film sugli x-man e Dean aveva adorato anche quello nonostante
non ci avesse capito niente a riguardo con tutti quei mutanti e non mutanti e
strane bestie con artigli, ma aveva sorriso per tutto il tempo perché Castiel
era lì, accanto a lui, e gli stava tenendo la mano.
Gli stava
tenendo la mano.
Oh non l’avrebbe lavata mai più a dispetto di quello che poteva dire suo padre.
<<
Il mio coprifuoco è fra dieci minuti >> biascicò Dean cercando di
pronunciare parole pur di uscire da quell’impasse.
<<
Oh … sì … anche il mio >>
<<
Ma tu sei già a casa >>
<<
Sì, hai ragione >>
Dean
lo vide arrossire di colpo e di colpo arrossì anche lui, di nuovo.
Aveva
le mani fredde e il respiro sincopato, la gola secca e si sentiva addosso tutte
le malattie del mondo per colpa di quella strana ansia che gli stava mangiando
i nervi uno ad uno. E di nuovo si chiese
se fosse o meno il caso di baciarlo. Lui voleva baciarlo davvero tanto.
Strinse
i pugni e prese un respiro profondo e si domandò se prima avrebbe dovuto
chiedergli il permesso o il consenso verbale. Nei film nessuno chiedeva niente,
accadeva e basta, no?
Sarebbe
stato così anche per lui?
Castiel
voleva baciarlo? Doveva spettare il terzo appuntamento?
E
se non avesse voluto più uscire con lui?
Gli
stava scoppiando la testa e Castiel sembrò notarlo. Gli sorrise, un po’
imbarazzato un po’ divertito, e, sconvolgendo i suoi ormoni impazziti, appoggiò
le mani sulle sue spalle sporgendosi di qualche centimetro verso di lui.
<<
Ho visto nei film che si fa così … >> si giustificò con le gote rosse
come pomodori e gli occhi blu lucidi. Sembrava ci fosse il mare in quelle
iridi.
Dean
si paralizzò.
Era
un consenso quello?
Avrebbe
dovuto piegare la testa?
Oddio,
ma perché era tutto così difficile?
Tornò
a respirare e mosse un altro passo verso di lui, tremando.
Non
voleva che Castiel si sentisse costretto perciò prese la saggia decisione di
posare le mani sui suoi fianchi sottili.
Castiel
chiuse gli occhi e Dean deglutì a fatica muovendosi verso di lui.
Piegò
di poco il viso e pregò che tutto filasse liscio.
Peggio
che risolvere un’equazione.
Chiuse
anche lui gli occhi, troppo imbarazzato per guardarlo ancora e, finalmente,
posò le labbra sulle sue.
Il
suo cervello si spense. Riuscì solo a registrare il suo sapore di cioccolato e
menta e il calore che gli stava trasmettendo quel bacio.
Sentiva
caldo, era tutto bollente e stava ancora tremando rimanendo seppur immobile.
Le
dita di Castiel sfiorarono il suo collo e gli sembrò quasi di svenire.
Si
staccarono dopo quelli che credeva fossero ore e osò guardarlo.
Castiel
stava sorridendo.
Aveva
appena dato il suo primo bacio a Castiel e lui stava sorridendo.
Era
il giorno più bello di tutta la sua vita.
Ripresero
entrambi fiato – avendolo trattenuto durante quel timido sfiorarsi – e le
guance di entrambi tornarono di un colore più roseo.
<<
Cass … >> pronunciò Dean con la voce tremula e le labbra improvvisamente
secche e calde << ecco … mi stavo chiedendo se tu … se dici di no non
importa. No. Sì, importa solo che … non voglio che tu ti senta costretto perché
ci siamo … ci siamo … ecco … baciati >>
<<
Dean? >> lo riprese incuriosito e il ragazzo tornò in sé – più o meno.
<<
Vuoi essere … >> respirò e deglutì << il mio … mio … ragazzo?
>>
Al
silenzio di Castiel, Dean sgranò gli occhi terrificato all’idea di aver fatto
uno sbaglio << Se ti va! Possiamo, ecco … possiamo andare insieme alla
festa di primavera … insieme … io e te …
>> e Castiel sorrise, imbarazzato quanto lui.
<<
Sì >>
<<
Sì, cosa? >> pigolò incerto << sì vieni alla festa con me? >>
<<
Sì, voglio essere il tuo ragazzo … della festa non me ne importa nulla >>
<<
Oh … >> esalò emozionato.
Aveva
tenuto la mano di Castiel, l’aveva baciato e ora era il suo ragazzo.
Il
giorno perfetto.
Dean
sorrise e si calmò.
<<
Però ora devo entrare in casa >> aggiunse Castiel rammaricato << mi
dispiace … sono già le dieci >>
<<
Lo so … anche io … >> mormorò facendo fatica ad immaginare di non poterlo
più rivedere fino al mattino seguente << beh … ci vediamo domani a scuola
>>
Stava
già per incamminarsi verso il selciato quando Castiel lo fermò sussurrando il
suo nome.
<<
Dean … Dean! >>
E
si voltò usando il suo stesso tono di voce << Dimmi! >>
<<
Adesso che siamo fidanzati dobbiamo fare qualcosa di speciale? >>
Dean
ci pensò su qualche secondo.
<<
Possiamo baciarci ancora … se vuoi >>
Castiel
annuì e sorrise ancora << Sì … mi piacerebbe. Buona notte, Dean! >>
<<
Buona notte, Cass! >> sussurrò assicurandosi che entrasse in casa prima
di avviarsi verso la sua.
Camminò
ritto lungo tutte le tre vie che doveva attraversare per giungere a casa sua
con il sorriso stampato sulle labbra e il cuore che gli scoppiava nel petto
dalla felicità.
Ho
un ragazzo! Gridò nella tua testa, ho un ragazzo e l’ho baciato!
Era
stato delicato, un incontro di labbra timido e insicuro, ma sarebbe migliorato.
Avrebbe fatto pratica poi un giorno avrebbe insegnato al fratello quello che
aveva imparato.
Salutò
i suoi genitori sorbendosi la predica di suo padre riguardo il coprifuoco, il
suo ritardo e bla bla bla, filando in
camera sua appena gli diedero il permesso di andare a dormire. Ma non avrebbe
chiuso occhio, lo sapeva.
Si
buttò sul letto sorridendo con i pensieri a mille metri di distanza dalla terra
e il cuore che galoppava furioso.
***
Alla
festa c'era tantissima gente. Almeno
duecentottanta anime affollavano la piazza allestita con festoni e volant rosa.
Una banda suonava una fanfara stonata sotto il gazebo e gli adulti, già alticci,
ballavano scomposti fra i tavoli.
Sua
madre si era occupata di allestire lo stand delle torte e ne offriva una fetta
a chiunque volesse assaggiarle. Sua mamma faceva le torte più buone del mondo.
Dean,
appollaiato dietro il bancone, aspettava trepidante che Castiel lo
raggiungesse. Aveva riconosciuto il fratello e la sorella fra la folla, ma di
Cass nemmeno l’ombra.
Si
erano dati appuntamento lì per l’una. Era già l’una e sei minuti. Sette minuti.
Otto minuti. Dieci minuti.
<<
Dean!! >> sussultò dallo spavento e sua madre lo vide cascare dalla sedia
su cui era seduto e balzare poi in piedi di scatto. Sam si mise a ridere come
un matto a quella scena, ma Dean lo ignorò.
Castiel
era dall’altra parte della piazza che rideva sventolando una mano in aria.
<<
Oh … un tuo nuovo amico? >> gli domandò sua mamma con un sorriso dolce in
volto.
<<
Ehm … >> cosa dirle? La verità? Insomma sapeva che alcune persone non
apprezzavano i ragazzi che si innamoravano di altri ragazzi, ma sua mamma cosa
avrebbe detto? Lui non ci trovava niente di male, ma non voleva parlarne con
lei. Era imbarazzante, insomma! Era sua mamma!
<<
Torno per le sei >> asserì ricordandosi del coprifuoco domenicale.
<<
Va bene, ma fai attenzione >> disse << e non ti rimpinzare di
dolci! >>
Alzò
gli occhi al cielo e corse verso Castiel.
Con
in mano un sacchetto di caramelle a testa e lo sguardo divertito Dean e Castiel
si arrampicarono con maestria sul ramo di un albero che sporgeva verso il basso
al centro esatto del piccolo giardino comunale.
Di
solito era frequentato dai tipi strani del liceo, ma quel giorno erano tutti
alla festa a bere e ballare perciò era deserto. In una parola: semplicemente
perfetto.
<<
… così mia mamma ha detto a mio papà che non vuole più trasferirsi. Hanno
litigato. Ma credo che rimarremo qui per un po’ >> disse Castiel fra una
caramella e l’altra << perché io non voglio proprio andarmene di nuovo.
So che il lavoro di papà è importante, ma … >>
<<
Io sono nato e cresciuto qui. Non potrei stare da nessun’altra parte >>
asserì Dean mortalmente serio.
<<
Li hai fatti i compiti di matematica? >> domandò Castiel di botto facendo
raggelare Dean sul posto.
<<
Ehm … ci sto lavorando >>
Castiel
gli sorrise e posò una mano sulla sua imbarazzandolo << Se vuoi posso
passarti i miei domani >>
<<
Lo faresti davvero? >>
<<
Certo >>
Dean
aggrottò le sopracciglia, perplesso << A Garth non hai mai passato i
compiti! >>
<<
Garth non è il mio ragazzo >> a Dean mancò un battito. Arrossì di nuovo e
strinse involontariamente la sua mano << Grazie. Ma non voglio
approfittarmi di te. Me la cavo da solo >>
<<
Come vuoi, Dean … >> rimasero in silenzio per qualche minuto persi ad
osservare le fronde degli alberi che frusciavano sotto il vento primaverile e
all’improvviso si ricordò dello scomodo pacchetto che aveva infilato quella
mattina dentro la tasca dei pantaloni.
<<
Ehm, Cass … >>
Lui
alzò gli occhi blu e lo guardò e Dean si sentì letteralmente morire di
felicità. Cass era bellissimo, Cass sopportava i suoi borbottii sulla scuola e
gli passava i compiti quando non li faceva, Cass rideva sempre con lui e lo
faceva ridere. Cass gli permetteva di storpiargli il nome quando e come voleva
e di usare le sue scarpe da ginnastica quando le dimenticava a casa. Cass
inciampava nei suoi stessi passi per poi sorridere imbarazzato.
Cass
era il suo ragazzo.
<<
Ho una cosa per te >> parlò titubante con le orecchie rosse
dall’imbarazzo, tirando fuori dalla tasca una pacchettino stropicciato.
<<
Oh … >> Castiel sgranò gli occhi blu e fissò prima lui poi la carta
argentata.
<<
E’ un regalo … >> precisò dandosi mentalmente dello stupido per
quell’ovvia affermazione.
Cass
era anche molto intelligente, cosa avrebbe pensato di lui?
<<
Perché? >>
<<
Siamo fidanzati da due settimane … >>
<<
Oh, ma io … io non ti ho preso niente … mi dispiace … non credevo che …
>>
<<
Ehi, tranquillo, Cass! Non importa. Io volevo farlo >>
Castiel
annuì impacciato e scartò il piccolo regalo esaminando estasiato la collana con
il piccolo ciondolo raffigurante uno strano simbolo.
<<
Il tizio che me l’ha venduta mi ha detto che è un amuleto. Per proteggerti …
>>
<<
Grazie Dean … è bellissimo >> e poi Cass fece una cosa che non aveva mai
fatto: lo abbracciò avvolgendolo con forza per minuti, forse ore.
<<
Mi piace tanto >> sussurrò poi, provocandogli strani brividi lungo la
schiena << me la metti? >>
<<
Certo >> e gliela allacciò dietro il collo orgoglioso per quel gesto
inaspettato.
Si
sentiva altro tre metri.
<<
Però non ce l’ho un regalo per te >>
<<
Cass … non importa. Davvero - >>
<<
Aspetta >> sbottò d’un tratto e si accostò a lui di più annullando la
distanza che li separava sul grande ramo sbilenco.
<<
Non ti muovere, ok? >> e Dean ubbidì se non altro perché era totalmente
paralizzato.
Cass
chiuse gli occhi e piegò il viso e posò le labbra sulle sue questa volta
dischiudendole un po’.
Era
stato più facile della prima volta, ma non meno bello.
Dean
serrò le palpebre e il suo cuore galoppò impazzito assaggiando quelle labbra
perfette che ora sapevano di zucchero e coca-cola. Alcuni granelli le rendevano
ruvide e ora erano anche su di lui.
Dean
osò accarezzargli una guancia e quando si allontanarono erano senza fiato,
rossi e imbarazzati, ma cavolo, era stato bellissimo. Di nuovo.
Castiel
gli pulì lo zucchero che aveva depositato sul suo mento e ridacchiò vedendo che
stava iperventilando.
Dean
violò il coprifuoco di un’ora e mezza quella domenica.
***
Lo
aspettò sotto la pioggia scosciante, battendo i denti dal freddo, con
l’ombrello aperto e lo sguardo teso ad osservare la strada. Dello scuola bus
non c’era traccia.
Aspettò
per altri venti minuti, senza curarsi della grandine che cadeva a fiotti.
Appena
Cass scese dal bus notò Dean infreddolito che lo aspettava con un sorriso
distorto dal gelo.
<<
Sapevo che ti saresti dimenticato l’ombrello >> esordì coprendolo con il
suo.
Castiel
ne rimase sorpreso e si strinse a lui << Grazie >>
Dean
si sentì alto cinque metri.
<<
Cosa farai questa estate? >>
<<
Non lo so. Penso che mio padre porterà me e Sammy a pescare durante i week and
e tu? >>
<<
Campeggio estivo. Potresti chiedere ai tuoi genitori di lasciati venire. Così
staremo insieme >>
Maggio
era alla porte e Dean s’imbronciò all’idea che per tutto il mese di luglio non
si sarebbero visti.
Stupido
campeggio estivo.
<<
Sì, posso chiedere … ma mio padre non sarà d’accordo. Lo so >>
<<
Convinci tua mamma >> lo supplicò.
<<
Ci proverò >>
Castiel
si sedette più comodo sulla sua parte di ramo nascondendosi alla vista degli
studenti del liceo che facevano baccano nel prato sottostante giocando a calcio
e fischiando appena una ragazza attraversava il sentiero.
Castiel
li trovava maleducati e rudi oltre che idioti.
Li
avevano visti più volte arrampicarsi sull’albero e ora li prendevano in giro
soprattutto quando si tenevano la mano.
Dean
li mandava al diavolo, Castiel arrossiva e si nascondeva dietro le foglie
oramai verdi e rigogliose. Si vergognava
di quello che dicevano di lui senza capirne il reale motivo, senza capire cosa
volessero dire quando pronunciavano quella parola ridendo.
<<
Dean … >>
<<
Mmh? >>
<<
Cosa significa “frocio”? >>
Dean
si accigliò << Davvero non lo sai? >>
Castiel
scosse la testa mordendosi le labbra.
<<
E’ una brutta parola >>
<<
Ma perché la dicono? >>
<<
Perché sono del liceo. Quelli del liceo sono stupidi. Lo dicono perché ti tengo
la mano >>
<<
E cosa c’è di male? >>
<<
Niente, ma loro non lo sanno >>
Castiel
sospirò con aria confusa << Frocio significa gay? >>
<<
Già >>
<<
E noi siamo gay >>
Dean
si strinse nelle spalle giocherellando con una formica.
<<
Credo … io non lo so … >> sussurrò indeciso con una gelida paura addosso
<< a me piaci Cass >> si sentì in dovere di dire a voce alta
nell’inconscio timore che lui se ne andasse per colpa di quel cretini che ogni
volta gli ridevano dietro.
<<
Anche tu mi piaci >>
<<
Non devi dare ascolto a quello che ti dicono >>
<<
Mio padre dice che è sbagliato quando due ragazzi si amano >> borbottò
tristemente << anche lui li chiama froci >>
Dean
avrebbe voluto prenderlo a pugni. Jim Novak era un perbenista e ottuso
individuo che bazzicava la chiesa con assiduità e riempiva moglie e figli di
parole rabbiose verso tutti. Non risparmiava mai nessuno. Dean lo detestava e
lo temeva al tempo stesso. Era alto, robusto, con occhi scuri minacciosi e un
dito sempre pronto ad indicare dove Cass o i suoi fratelli dovessero stare.
<<
Non mi importa quello che dice tuo padre o quegli idioti del liceo. Loro non
possono capire >>
<<
Ma ci prendono in giro >>
<<
Che ti importa, Cass? >> sbottò improvvisamente confuso << tu sei
felice di stare qui con me? >>
<<
Certo >>
<<
Allora non ascoltarli >> e detto questo si alzò restando in equilibrio sull’albero
e raggiunse il tronco tirando fuori poi dalla tasca un coltellino svizzero che
due giorni prima aveva rubato a suo padre.
Incise
C + D sulla corteccia sorridendogli quando finì l’opera con un 4ever scritto a caratteri cubitali
appena sotto.
<<
Perché l’hai fatto? >> gli domandò Castiel con un sorriso che andava da
orecchio ad orecchio.
<<
Perché l’ho visto in un film … così non ce lo dimentichiamo >>
<<
Dimentichiamo? >>
<<
Che stiamo insieme >>
<<
Come possiamo dimenticarcelo? >>
Castiel
rise divertito e Dean alzò le spalle.
Sì,
era stata una cosa stupida, ma lasciò lo stesso le loro iniziali incise sul
tronco.
Mancava
una settimana alla fine della scuola e Castiel non era con lui a godersi
l’estate che nel frattempo era arrivata portando con sé afa e sole accecante.
L’aveva
aspettato per venti minuti davanti alla fermata del bus, ma non era sceso e
preoccupato a morte si era scapicollato fino in segreteria chiedendo di lui.
<<
Ehm … ha il mio quaderno di storia >> si giustificò quando la donna
dietro il bancone gli rifilò un’occhiata sorpresa.
<<
Castiel Novak … sì. È a casa, ragazzo. Ha un braccio rotto. Il padre ha
telefonato questa mattina >>
<<
Oh … >> e prese un lungo respiro di sollievo.
Non
si era trasferito.
Respira.
Respira.
Braccio
rotto.
Si
morse le labbra a sangue dal dispiacere e decise di andare a trovarlo appena la
giornata scolastica fosse finita.
Alle
sedici bussò alla porta di casa Novak e un uomo alto e dall’aspetto severo lo
accolse con un sorriso tirato.
<<
Sono Dean Winchester. Un compagno di scuola di Cass- Castiel >> recitò
sorridendo mesto << Sono venuto a portargli i compiti >> mentì
facendogli vedere dei libri al cui interno vi erano decine di fumetti nascosti appena
comprati.
<<
Castiel ha un braccio rotto e sta male >>
<<
Oh … ehm, capisco … posso solo salutarlo? >>
Il
signor Novak sospirò e scosse la testa << torna domani ragazzo. Sono
sicuro che Castiel sarà contento di vederti >> e tutto sembrò esprimere
tranne ciò che aveva appena detto, sputando invisibile veleno ad ogni sillaba.
Dean
si accigliò e annuì voltando le spalle alla porta.
<<
Grazie lo stesso, signor Novak >>
<<
Winchester, hai detto? >> domandò d’un tratto e Dean gli rivolse uno
sguardo spaurito << Sì … Sì, Dean Winchester >>
<<
Passi molto tempo con mio figlio, vero? >>
Dean
soppesò la domanda e si morse le labbra a sangue. Sudò freddo e per la prima
volta nella sua vita ebbe paura, tanta paura.
<<
Sì, siamo amici. Mi aiuta con i compiti di storia e io con quelli di geometria
>>
Il
padre annuì, storse il naso e richiuse la porta.
Dean
tornò a respirare e, involontariamente, alzò lo sguardo verso la finestra al
primo piano e incontrò gli occhi spenti e tristi di Castiel: posò una mano
contro il vetro della finestra e lo salutò.
Dean
gli fece un cenno con la testa e tornò a casa con i fumetti ancora nascosti fra
le pagine di storia.
Scivolò
fuori dal letto cercando di fare meno rumore possibile, ma doveva trovare le
scarpe e soprattutto la sua felpa.
Controllò
l’ora e poi suo fratello il quale decise di aprire gli occhi proprio in quel
momento.
<<
Dean >> biascicò lui stropicciandosi le palpebre con le dita <<
dove stai andando? >>
<<
Shht, Sammy. Non devi dirlo a nessuno >>
<<
Ma dove vai? >>
<<
A trovare Castiel >>
Sam
si tirò su e il suo pigiama con le stelle fosforescenti illuminò di poco la
stanza << il tuo amico? >>
<<
No, il mio ragazzo >> bisbigliò << ma non devi dirlo a nessuno che
ho un ragazzo, capito? Sammy, promettilo
>>
<<
Te lo giuro … ma è notte. E se papà ti scopre? Mi sgriderà … >>
<<
No, tu dormi e vedrai che non se ne accorgerà … l’hai promesso, Sammy >>
<<
Dean … perché hai un ragazzo? >> domandò lui con la fronte corrucciata.
<<
Perché quando si diventa grandi si ha un ragazzo >>
<<
Ma è un maschio? >>
<<
Certo che è un maschio, lo conosci. È Cass! >>
Dean
frugò dentro il suo armadio e trovò la felpa infilandosela al contrario senza
rendersene conto.
<<
E perché è un maschio? >>
Dean
smorzò un sorriso divertito << Che razza di domande fai, scemo? >>
<<
Ma Dean … non ti piacciono le ragazze? >>
Dean
non sapeva cosa rispondere; non si era mai posto una domanda del genere.
Gli
piacevano le ragazze?
Forse,
ma non ne aveva mai guardata una per più di tre secondi ed era difficile dirlo
se gli piacessero o no.
<<
Non lo so >> ammise << a me piace Cass >>
<<
E perché non posso dirlo a nessuno? >>
<<
Perché papà si arrabbierebbe e la gente mi prenderebbe in giro >>
<<
E perché? >>
Dean
ruotò gli occhi al cielo e sbuffò esasperato << Non lo so, Sammy! Ok? Non
lo so … tu non dirlo a nessuno e appena saprò la risposta te la dirò >>
<<
Dicono che è sbagliato se tu hai un ragazzo? >> domandò con un pigolio
sommesso a causa del sonno. Lo vide distendersi tra le coperte e chiudere gli
occhi.
Suo
fratello era intelligente e le deduzioni se le faceva da solo e Dean ringraziò
il cielo per questo mentre apriva la finestra della camera << Te lo
prometto, Dean. Non lo dico a nessuno >>
<<
Grazie, Sammy >>
<<
Sarà il nostro segreto >> sussurrò ancora << ma tu non dire a papà
che ieri ho mangiato le sue ciambelle >>
Dean
rise e annuì poi si calò giù dalla grondaia.
Salì
arrampicandosi lungo il pergolato d’edera della casa bianca raggiungendo la
finestra di Cass bussando al vetro piano e delicatamente.
La
cittadina era deserta e aveva dovuto rinnegare più volte di aver paura a girare
per le strade buie all’una del mattino, ma non avrebbe fatto mai dietrofront
nemmeno sotto minaccia di un fucile.
Era
stata una vera impresa arrampicarsi con i fumetti incastrati fra i denti, ma
non aveva demorso nemmeno quando la rugiada aveva rischiato di fargli rompere
l’osso anche a lui.
Castiel
si rigirò fra le coperte e Dean bussò ancora.
Lo
vide alzarsi quasi spaventato e correre ad aprirgli la finestra.
<<
Dean!! >> sussurrò con tono smorzato << sei diventato matto? Se i
miei ti … >>
<<
Dormono, giusto? >> domandò sarcastico scavalcando la finestra ed
entrando nella camera. Non l’aveva mai vista e sembrava un museo di fumetti
della Marvel con poster su tutte le pareti azzurre e fumetti impilati in ordine
nella libreria circondati da altri libri noiosissimi di scuola.
<<
Sì, ma … >>
<<
Oggi tuo padre non mi ha fatto entrare. Volevo portarti questi >> e gli
sporse la pila di fumetti un po’ addentati e bagnati di saliva << sì, li
ho un po’ masticati, ma … >>
<<
Grazie >> sorrise abbracciandolo con l’arto sano << grazie. Ma hai
rischiato grosso a venire. E se i tuoi … >>
<<
Non importa. Non dirò mai dove sono stato >> asserì indicando infine il
suo braccio << cosa è successo? >>
<<
Stavo giocando con Gabriel in giardino e sono caduto in una buca. Ho urlato
come un lattante >>
<<
Mi dispiace … la collana non ha funzionato >>
Castiel
sorrise e si strinse nelle spalle e lo abbracciò ancora.
<<
Tuo padre è arrabbiato con me? >> mugugnò Dean con il viso infossato
nella sua spalla. Cass profumava di menta anche quando non mangiava il gelato.
<<
Dice che passo troppo tempo con te invece che fare i compiti >>
<< Ma non è vero >>
<<
Lo so. Dice che mi distrai >>
Dean
sbuffò e cercò di tornare a respirare ma Castiel non sciolse l’abbraccio
stringendo ancora più forte.
<<
Hanno parlato ancora di trasferirsi a Dallas a luglio. Io non voglio … >>
Dean
ricambiò la stretta in modo goffo e impacciato e per la prima volta non sapeva
cosa replicare.
Non
voleva che partisse, non voleva dirgli addio, ma sarebbe successo? Come
avrebbero fatto a vedersi dopo? E a scuola?
No,
no, non ci voleva nemmeno pensare.
<<
Ti terrò con me >>
<<
Non dire scemenze >>
<<
Ti terrò con me lo stesso >> mormorò triste << non voglio che te ne
vada >>
<<
Magari mamma lo convince a restare e potremmo andare insieme al campo estivo
>>
Dean
annuì e nonostante l’abbraccio cominciò ad avere freddo: colpa della stanchezza
e della paura.
<<
Dean sei ghiacciato >>
<<
Fa fresco fuori … >>
Castiel
scostò le coperte e gli indicò il letto e Dean non si fece pregare e con un
innocenza degna dei dodici anni si rannicchiò con Cass accanto a lui che
giocava con i suoi capelli.
<<
Non posso restare … se mi … beccassero >> sbadigliò.
<<
Resto sveglio io. Ti chiamo fra poco. Rimani ancora un po’, ti prego >>
Dean
chiuse gli occhi e le braccia attorno a Castiel e ascoltò il suono del suo
respiro fino a cedere al sonno.
<< Dean!! Dean! Dean!!
>>
<< Che c’è …. ? >>
biascicò lui rigirandosi fra le coperte << cinque minuti … ti prego
>>
<<
No! Dean!! Svegliati!! >>
<<
Non voglio! >>
<<
Oh, e va bene! >> sbottò Castiel togliendogli il cuscino da sotto la
testa << Dean, sono le sette del mattino!! Devi andartene, ora! >>
Dean
scattò seduto come una molla, terrorizzato e ancora intontito dal sonno
<<
Cass! Perché ti sei addormentato?! Avresti dovuto svegliarmi! >>
<<
Scusa, scusa, scusa! Ma ora vai via! Mia madre mi chiama sempre alle sette e
venti! >>
<<
Ok, ok!! >> riaprì la finestra a guardò giù. C’era già il sole e
probabilmente molte persone si sarebbero insospettite a vedere un ragazzo alle
sette del mattino correre in pigiama per le strade, ma se ne infischiò perché
entrambi stavano rischiando di essere scoperti.
Dean
posò una bacio sulla sua guancia e si calò dalla finestra e poi giù dal
pergolato fino a toccare l’erba con i piedi. E si accorse di aver dimenticato
le scarpe in camera di Cass.
<<
Maledizione! >>
Non
aveva tempo per tornare su a prenderle.
Corse
come un matto lungo la strada facendo abbaiare tutti i cani dei vicini. Corse
lungo la via principale e poi voltò a destra dove abitava trovando ancora le
tende di casa tirate.
Prese
un respiro di sollievo e s’incamminò verso il giardino quando la porta di casa
si spalancò di colpo rivelando suo padre che lo fissava con gli occhi sgranati
dalla sorpresa.
<<
Cosa diavolo ci fai qui fuori alle sette del mattino, Dean? >>
Dean
raggelò e trattenne il fiato incapace di pensare alle mille e più che
ragionevoli punizioni che gli sarebbero aspettate se avesse scoperto dove aveva
passato la notte. Era stato un incidente, ma sicuramente non gli avrebbe più
permesso di vedere Cass.
Preso
dal panico si guardò attorno alla ricerca di una scusa plausibile per essere lì
in piedi, in pigiama alle sette del mattino. Guardò a terra e alla fine notò il
giornale stropicciato e abbandonato sull’erba.
<<
Ti volevo portare il giornale! >>
<<
Non raccontare balle, Dean! Cosa stavi combinando? >>
<<
Ma è vero! Avevo caldo, così sono sceso e ho deciso di prendere il giornale!
>> urlò due ottave sopra la media.
John
Winchester lo scrutò attentamente e Dean ne approfittò per raccattare il
giornale e portarglielo. Quando si sentì al sicuro sgattaiolò in casa
raggiungendo sua madre e Sammy in cucina.
<<
Dean, che hai combinato sta volta? >>
<<
Dice che aveva caldo e che voleva portarmi il giornale >> s’inserì suo
padre.
Mary
ridacchiò dell’imbarazzo del figlio e del tono burbero di John e servì ad
entrambi la colazione.
<<
Ah, gli ormoni … >> cinguettò allegra.
John
scosse la testa ancora dubbioso, ma accettò la spiegazione di Mary.
Già
gli ormoni … che assurdità!
Sammy
si trattenne a stento dal ridere e gli mimò di avere la bocca cucita, chiusa
con il lucchetto e di aver buttato la chiave.
Dean
sorrise e capì di aver avuto solo una fortuna sfacciata.
***
<<
Non ti annoi mai d’estate? >> borbottò Castiel calciando una povera
pietra lungo il selciato finché questa non rotolò nell’acqua del laghetto
artificiale del parco.
<<
Ma che, sei matto? Niente scuola, niente compiti! Come potrei annoiarmi?
>>
<<
Io mi annoio da morire! Gabriel è partito per il college, mia sorella passa le
giornate al telefono e i miei litigano tutte le sere … >>
<<
Vogliono ancora trasferirsi? >> Domandò Dean rammaricato.
<<
Non lo so … papà ha ricevuto un’offerta a Houston ieri. Dice che ci sono in
ballo un sacco di soldi … un lavoro a progetto. Non lo so … >>
<<
Io devo ancora convincere la mamma a lasciarmi andare al campo estivo. Ehi!
Sammy! Non ti allontanare!! >> urlò correndo dietro al fratello già con i
piedi immersi dentro il laghetto.
<<
Dean! Dean! L’acqua è gelida! >>
<<
Levati da lì allora, scemo! >>
Dean
sospirò frustrato e prese la mano di Castiel camminandogli accanto in quel
parco quasi deserto.
<<
Devo badare a lui oggi, mi dispiace >>
<< Non è un problema. Sam è simpatico >>
<<
Lo so, ma a volte è una rottura perché ha solo sette anni >>
<<
Quasi otto! >>
<<
Tanto non li dimostri! >> gridò
<<
Oggi torniamo al nostro albero? >>
<<
Certo. Appena torna mia madre dal supermercato le mollo Sammy e andiamo lì
>>
<<
Voglio venire anche io! >> si lamentò Sam incrociando le braccia al
petto.
<<
Non ci pensare proprio! Ho detto nostro albero, non tuo! >>
<<
Eddai cattivo!! Lasciami venire con voi! >>
Castiel
rise e Dean lo seguì a ruota.
Sam
gonfiò le guance offeso a morte.
Non
lo portarono con loro nemmeno dopo ore di suppliche e minacce.
Quell’albero
era il loro posto segreto e nemmeno Sammy poteva avvicinarsi.
Si
arrampicarono sopra il ramo nel tardo pomeriggio scambiandosi i fumetti di
Batman e X-man progettando la loro estate. Dovevano assolutamente andarci a
quel capo estivo.
Alla
fine luglio era arrivato nessuno dei due era andato al campo estivo.
I
genitori di Castiel litigavano ancora e vivevano nell’indecisione di lasciare o
no la città e Dean, nonostante avesse convinto sua madre e suo padre, non era
partito. Senza Cass era solo uno spreco di tempo: non si sarebbe nemmeno
divertito.
E
così luglio era trascorso fra i giochi con Sammy in giardino e i pomeriggi in
gelateria con Cass.
Il
coprifuoco era stato spostato alle undici e ogni sera lo riaccompagnava a casa
nascondendosi dalla vista del padre di Cass, dietro il portico.
I
liceali si erano sparpagliati per l’America in vacanza e nessuno li stava più
infastidendo.
I
compiti estivi furono presto dimenticati e rimpiazzati dai fumetti e dai libri
che Cass aveva scoperto di amare.
Era
cresciuto di due centimetri, Sammy di cinque e trovava la cosa profondamente
ingiusta.
L’imbarazzo
nel tenere la mano di Cass quando andavano al cinema o mentre camminavano era
sparito insieme alla paura di essere giudicati e nonostante lui tenesse spesso
lo sguardo basso, Dean affrontava le occhiatacce con orgoglio perché – che
diavolo!- quello era il suo ragazzo e non stava facendo del male a nessuno.
La
commessa della libreria un pomeriggio gli aveva detto che la loro era una fase
preadolescenziale e sarebbe passata con il tempo come se fossero stati fatti
suoi, come se potesse essere vero.
Castiel
aveva un numero in più di scarpe a fine luglio.
Il
14 luglio Dean disse la sua prima vera parolaccia “merda” seguita da un
vaffanculo molto urlato e un vai al diavolo rivolto al coltellino svizzero che
gli caduto sul prato dall’alto del loro albero. Castiel lo aveva guardato quasi
allucinato mentre lui scendeva a raccoglierlo e risaliva.
<<
Che c’è? >>
<<
Niente … solo che … dove le hai imparate? >>
<<
Papà le dice sempre >> si era giustificato scrollando le spalle <<
ma a me non è permesso ripeterle >>
<<
Però lo fai >>
<<
Certo che lo faccio >>
<<
Non ha senso, Dean … >>
<<
Provaci anche tu … urla vaffanculo, Cass! Ti sentirai meglio >>
<<
Ma io sto bene! >>
<<
Fallo! >>
Castiel
aveva preso un respiro << Dean … non credo sia … la mia famiglia è molto
religiosa … se dico parolacce senza ragione mi uccidono! >>
<<
Non sono mica qui! >>
E
Castiel aveva detto la sua prima parolaccia insieme a Dean: un vaffanculo
rivolto al cielo, urlato con tutto il fiato che aveva in gola e dopo si era
sentito bene, benissimo. E sì, al diavolo tutto.
L’imbarazzo
era quasi sparito anche quando si baciavano. Premevano le labbra con meno
urgenza, meno rigidamente. Ora si abbracciavano prima dopo e durante per poi
ridere come avessero commesso il crimine più divertente del mondo.
Un
giorno di fine luglio Dean, più per istinto che per curiosità, schiuse le
labbra e la punta della sua lingua toccò la sua per una frazione di secondo.
Fu
come prendere la scossa.
Castiel
si rizzò in piedi sconvolto andando a sbattere la testa contro un ramo che
sporgeva lasciando Dean sbigottito. <<
Scusa! Scusa, scusa! Non volevo! È stato … >>
<<
Wow >>
Dean
sgranò gli occhi sorpreso << Wow? >>
<<
Sì, wow … devi rifarlo >> ordinò imperterrito tornando seduto vicino a
lui.
Dean
arrancò spremendosi le meningi senza sapere cosa realmente avesse fatto.
Si
erano baciati, no? Lo facevano spesso.
Garth
e quel cretino di Uriel dell’ultimo anno gli avevano detto che i veri baci si
danno con la lingua. Oh, se solo si fossero sprecati a spiegargli come.
Si
sentiva molto ignorante in quel momento.
<<
Ma io … >> biascicò confuso.
<<
Devi usare la lingua, Dean >>
Uoh!
E questo da dove gli era uscito?
Dean
si paralizzò contro il tronco dell’albero incapace di decriptare quella frase
<< Me l’ha spiegato mio fratello. Non che gliel’abbia chiesto ma … beh
sai com’è fatto … >>
Deglutì
a fatica e si domandò se non sarebbe stato disgustoso. Eppure nei film facevano
così e qualcosa dentro di lui gli disse che era giusto provarci.
Prese
coraggio e posò di nuovo le labbra su quelle di Cass.
Le
schiusero entrambi poi si ritrassero con una faccia schifata.
<<
Blah! >> dissero in contemporanea, disgustati, asciugandosi le labbra con
la maglietta << ma come diavolo fanno gli adulti? >>
Si
promisero di non baciarsi mai più con la lingua.
<<
Non ti lascerò mai >> gli giurò Dean un pigro pomeriggio assolato steso
accanto a lui nel verde di quei prati finalmente dimenticati da estranei.
Castiel
storse il naso e gli occhiali gli scivolarono via.
<<
Mai? Mai significa per sempre Dean >>
<<
Per sempre mi va benissimo … l’ho scritto sull’albero porca miseria >>
<<
Dean! >>
<<
Scusa! Porca paletta >>
Si
mise a ridere.
In
fondo Cass restava sempre il più maturo dei due. Ma a lui piaceva tanto dire
parolacce.
Dean
lo sfidò sapendo che Cass avrebbe risposto con un lieve calcio e un abbraccio.
<<
Oh, guarda! Un cazzo di aereo in cielo! >>
<<
Dean! >>
<<
Scusa! >>
Il
calcio arrivò prepotente. L’abbraccio che ne seguì fu dolce.
L’inevitabile
accadde l‘ultima domenica d’agosto quando Dean –
chiuso nella sua stanza con le
lacrime agli occhi – capì finalmente che il paradiso non
esisteva. Il paradiso
è un’illusione ottica creata dalla vita che alla fine ti
uccide lentamente lasciandoti senza speranza, arido e distrutto.
Le
voci di Castiel e Dean e delle loro giornate passate su un albero erano
arrivate anche alle orecchie di Jim Novak, non che loro non si erano sprecati
molto nel celarsi in quei mesi. Perché poi? Cosa stavano facendo di sbagliato?
Ma
la gente parlava e Jim Novak aveva cominciato a guardarli con sospetto, più di
prima.
Il
padre di Cass lavorava tutta la settimana senza sosta; non c’era mai e si
presentava sulla soglia di casa solo poche volte e solo per lanciargli
occhiatacce gelide.
Castiel
quella domenica mattina sgranò gli occhi blu quando dall’alto del loro albero
lo vide marciare, furente, verso di loro.
Non
ebbe il tempo di chiedersi cosa ci facesse lì o perché fosse arrabbiato.
Scese
dal ramo appena lui glielo ordinò, con le mani che tremavano e gli occhi lucidi
di lacrime.
Dean
lo seguì e lo schiaffo che ferì Castiel in pieno viso lo scioccò. Sentì il
suono prima ancora di vedere la mano colpirlo. Quel rumore sordo e lacerante
sembrò incastonarsi nel cervello più dello sguardo d’odio di Jim Novak e dell’espressione
terrorizzata di Castiel.
<<
Cosa credevi? >> urlò Jim con il viso rosso e gli occhi fuori dalle
orbite << che non me ne sarei accorto? Cosa credevi di fare, Castiel? Eh?
Mi fai schifo, mi hai capito? Schifo! E tu … ! >> tuonò poi puntandogli
un dito contro. Dean indietreggiò fino a incontrare il tronco del loro albero
<< Lo sapevo che c’era qualcosa di malato in te, lo sapevo! Ma non ti
lascerò deviare mio figlio, mi hai capito?! >>
Dean
si toccò il petto dove il cuore martellava impazzito. La voce gli morì dentro
la gola mente lo sguardo si spostava da Cass – Cass, Cass, il suo Cass – con la
guancia in fiamme rigata di lacrime, a Jim che sembrava sul punto di
conficcargli quel dito dentro la testa e ucciderlo.
<<
Noi … Noi non stavamo … >>
<<
Non provare a negarlo! Tutta questa maledetta città parla di voi che ve ne
andate in giro come due cazzo di femminucce tenendovi per mano! >>
<< Non facevamo niente di male! >>
Lo
sguardo di Jim parve infuocarsi ancora più e Cass si risvegliò dal suo stato
allucinatorio balzando in piedi con rabbia << NO! Lascialo stare, papà!!
Non ha fatto niente! >>
<<
Ti ha costretto, Castiel? Vero? >>
<<
No! Non è così … io gli voglio bene! >> il secondo schiaffo lo fece
cadere a terra e sanguinare.
<<
Cass!! No! Lo lasci stare!!! >>
Jim
prese un respiro e raccattò suo figlio da terra, strattonandolo e lui si lasciò
trascinare come fosse di pezza. Aveva un profondo taglio sullo zigomo e Dean
trattenne il respiro totalmente paralizzato.
Aveva
paura, più di quanta ne avesse mai provata in tutta la sua vita, era
arrabbiato, così arrabbiato che la vista gli si offuscò e tutto divenne nero.
Si
scagliò addosso al padre tirandogli un pugno nel costato.
<<
Figlio di puttana! >> lo apostrofò scansandolo minimamente toccato da
quel pugno.
<<
Lo lasci stare! Non ha fatto niente! Niente!! >>
Cass
lo guardò in un modo strano, profondo. Gli occhi blu divennero più scuri.
<<
Dean … Dean non importa. Va tutto bene >> sussurrò e Dean scosse la
testa. Stava piangendo e non se ne era nemmeno reso conto. Quello sguardo
sconfitto – sì, sconfitto – lo destabilizzò più ancora dello sguardo furente di
Jim.
Combatti,
pensò, urla vaffanculo, digli che lo odi, digli che vuoi restare.
Ma
Castiel rimase immobile a subire gli strattoni che lo stavano conducendo fuori
dal giardino.
<<
Sì che importa >> tremò e incespicò nel corrergli dietro per pararsi
davanti e impedirgli di continuare a camminare.
Dean
alzò lo sguardo e trasmise a quell’uomo tutto il suo odio pur senza capire
perché quel padre fosse così arrabbiato.
<<
Non può trattarlo così! Non ha fatto niente di male! >>
<<
Basta con queste cose da finocchi! >> urlò ancora Jim << Non voglio
più rivederti vicino a mio figlio! Hai capito? Stupido bambino deviato!
>>
Castiel
chiuse gli occhi e singhiozzò davanti al terribile significato di quelle parole
e non fece niente.
Aveva
il viso rosso, gli occhiali storti sul naso e il taglio sanguinante sullo
zigomo.
<<
Cass … Cass … di qualcosa … >> ma rimase muto con le palpebre serrate e i
pugni stretti in una morsa dolorosa.
<<
Cass … >>
Jim
lo scansò prepotentemente e costrinse Castiel a salire in auto.
Fu
sua madre a dirglielo, il giorno dopo, rovinandogli inconsapevolmente la
possibilità di essere di nuovo felice.
<<
I Novak si trasferiscono. E’ un vero peccato, la mamma di Castiel faceva delle
torte superbe >>
Tutto
aveva immaginato in quella lunga notte, ma non che potesse davvero avverarsi il
suo più terribile incubo.
Vegetò
a letto con gli occhi sgranati senza più lacrime. E da qualche parte, in quella
triste stanza, c’era anche Sam che tentava invano di capire cosa stesse
succedendo.
Arrivò
settembre e Castiel sembrava scomparso.
Il
parco era occupato dagli studenti del liceo e la fine delle vacanze estive la
si poteva percepire dai rumori della città ripopolata e di nuovo in piena
attività. Presto la scuola sarebbe ricominciata e Dean cominciò a temere di non
rivedere Castiel nemmeno fra i banchi.
Oramai,
sembrava il fantasma del dodicenne che era stato prima di quel terribile giorno
d’agosto. I suoi genitori parlavano di mandarlo da uno psicologo, suo fratello
lo evitava e persino altri adulti pensavano fosse malato. Ma non gli importava:
l’unica cosa che riusciva a pensare era rivedere Castiel.
Trascorreva
le giornate di fine estate a vagare per il centro, fermandosi come ultima tappa
davanti alla casa dei Novak, sempre buia e desolata, poi con un dolore al petto
tornava indietro per ricominciare tutto d’accapo il giorno dopo.
Il
primo giorno di scuola arrivò, indesiderato, facendo sprofondare Dean nel più
totale sconforto. Sua madre lo accolse alle sette e mezza del mattino, come
sempre, con un toast senza bordi, succo d’arancia e un sorriso dolce in volto.
<<
Ciao, tesoro. Pronto per il primo giorno di scuola? >>
<<
No >> sbottò stancamente.
<<
Vedrai che ti farai nuovi amici >>
Dean
sgranò gli occhi << Cosa? E perché? >>
<<
Beh, so che tu e Castiel eravate molto amici ma sta per partire e … >>
<<
Castiel non se ne va!!! >> gridò spiazzando sua madre.
La
donna si corrucciò e mise davanti al naso anche una torta – la sua preferita-
per rabbonirlo.
<<
Credevo lo sapessi, Dean. Scusami. Ho incontrato la signora Novak in chiesa
ieri. Partono questa mattina >>
Dean
balzò in piedi e la sedia si rovesciò con un rumore sordo << No, non è
vero … >>
<<
Dean … tesoro, mi dispiace. Potrete scrivervi delle lettere e vedervi durante
l’estate. Vedrai che io e papà … >>
<<
No! Tu non capisci!!! Jim Novak è uno stronzo! Non ci permetterà mai di-
>>
Sua
madre parve scandalizzarsi << Non ti permetto di usare queste parole,
Dean Winchester!!! >>
Dean
prese un respiro rabbioso e, con uno scatto veloce, aprì la porta che dava al
garage e corse fuori sotto lo sguardo incredulo di sua madre. Non si era mai
comportato così, ma doveva raggiungere Castiel prima che fosse troppo tardi.
<<
Dean! Dean!!! >>
Afferrò
la sua bici e la cavalcò la sua bici schizzando fuori dal garage con la
disperazione più sfiancante che avesse mai provato.
Arrivò
in pochi secondi davanti all’abitazione di Castiel, ma la macchina dei Novak
era già un puntino sfocato in lontananza.
Dean
non pensò più, agì e prima di rendersene conto era di nuovo a cavallo della sua
bici e pedalava forte nel tentativo di seguire l’auto. Ma anziché deviare per
la città, virò verso la periferia. Le auto raddoppiarono e le insegne
dell’autostrada triplicarono mentre filava a bordo strada.
Annegò
nel suo stesso respiro cercando disperatamente l’auto blu dei Novak e la
scorse, in mezzo ad altre, zavorrata di bagagli, intravedendo finalmente il
profilo di Castiel dietro il vetro aperto. Pedalò più veloce con le ginocchia
dolenti e il respiro mozzo, strinse i pugni attorno al manubrio e urlò.
<<
Cass!!! >>
Per
una frazione di secondo temette di non aver gridato abbastanza forte, ma gli
occhi blu si spalancarono e Dean sorrise.
<<
Cass! >> urlò ancora più forte. L’auto accelerò e s’infilò in autostrada
dove il traffico si intensificava.
Castiel
si voltò e appoggiò i palmi sul vetro posteriore mordendosi le labbra a sangue.
Stava piangendo.
L’auto
sparì fra molte altre.
Dean
frenò senza fiato e, prima di cadere a terra, si rese conto che stava piangendo
anche lui.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Parte II ***
ok
Beta: xaki
Ci ho messo un pò, scusate, ma
era perdiodo di esami.
Grazie a chi ha letto e/o recensito lo scorso capitolo.
Buona lettura.
Non trattenere la rabbia, il male o il dolore. Essi rubano la tua energia e ti impediscono di amare.
(Leo Buscaglia)
Parte II
The Spring of 2016
Quella
sera il Road House Pub sembrava popolato da ubriaconi più allegri del solito e
i propositi di Dean Winchester – i soliti di ogni venerdì sera - ubriacarsi,
stare solo e dimenticare – crollarono miseramente a causa delle urla e degli
schiamazzi di quei quattro idioti.
Non
sapeva quale dannata squadra di football avesse vinto il campionato e nemmeno
gli interessava saperlo; voleva solo silenzio e altro alcol.
Ellen
– sua zia acquisita Ellen, dannazione – lo squadrò con aria preoccupata
dissentendo con la testa alla sua ennesima richiesta di riempirgli il
bicchiere.
<<
Stai esagerando >>
<<
Ellen, andiamo! >> ridacchiò Dean amaramente sbattendo il bicchiere
contro il bancone << è venerdì ed è stata una settimana orribile >>
Ellen
storse il naso, con aria arcigna, e gli versò altre tre dita di whiskey << L’ultimo. Poi ti spedisco a casa a
calci in culo, Dean. Mi hai capito? >>
<<
Tu sì che mi capisci, Ellen! >> biascicò mellifluo vedendola sparire
dietro il retrobottega dopo uno sbuffo esasperato.
Dean
osservò con interesse il contenuto del suo bicchiere vorticare incessantemente
e finalmente si sentì davvero ubriaco.
Ignorò
gli schiamazzi dei tifosi e i fastidiosi rumori delle palle da biliardo che
sbattevano fra di loro, riuscendo finalmente a dimenticare quanto fosse stata
orribile, pesante e a tratti disgustosa la sua settimana.
Rovesciò
l’intero contenuto del bicchiere nella sua gola e sibilò per il cocente
fastidio poi tentò di capire che ora fosse nonostante le lancette dell’orologio
vorticassero ininterrottamente.
<<
Sono le due e venti >> borbottò Ellen venendogli in aiuto << ed è
meglio se vai a farti una dormita >>
<<
Il crimine non dorme mai, zia, non lo sapevi? >>
Ellen
alzò gli occhi al cielo e circumnavigò il bancone parandosi davanti a lui,
bloccando ogni sua possibile mossa con un’occhiata micidiale.
<<
Chiavi >>
<<
Cosa? >>
<<
Dammi le chiavi dell’auto, Dean >>
Dean
si sentiva come se avesse la testa immersa nell’acqua, ma appena udì la sua
auto tirata in ballo reagì con un burbero << scordatelo >>
<<
Sei ubriaco e non ho intenzione di lasciarti schiantare contro un palo >>
<<
Ma è la mia baby! >>
<<
Non te la ruba nessuno! >>
<<
Siamo a New York! Tutti vogliono rubare la mia auto >> e si complimentò
con sé stesso per l’intelligente ragionamento che aveva appena partorito. Solo
che Ellen non aveva intenzione di lasciar perdere la questione e Dean sapeva
che quella donna sarebbe stata capace di fare qualsiasi cosa per sequestragli
le chiavi. Ricordava vagamente la notte in cui pur di non lasciarlo guidare gli
aveva rifilato un pugno nello stomaco.
<<
Dean, dammi le chiavi dell’auto >>
<<
Ma abito a cinque isolati da qui >>
<<
Ti chiamo un taxi >>
Dean
sbuffò esausto << Lascia perdere … me ne torno a piedi >> biascicò
incespicando sui suoi stessi passi.
<<
Dean, non fare l’idiota! Prendi un taxi e … >>
<<
Seh, seh … ciao zia! Ci si vede domani! >> disse sventolando una mano in
aria.
<<
Dean! >>
Si
infilò le mani nelle tasche dei jeans e uscì dal pub strascicando i piedi
sull’asfalto.
New
York sembrava stranamente silenziosa quella sera o forse era il suo cervello ad
essere così pieno di pensieri da non riuscire a sentire altro che l’arrovellarsi
dei neuroni. Male … significava che era ancora abbastanza lucido per pensare.
Ellen
uscì dal locale continuando ad urlare il suo nome finché non lo raggiunse
parandosi davanti e lasciandogli in mano un cellulare che somigliava vagamente
al suo. Oh, ma era il suo.
<<
L’avevi dimenticato … >>
<<
Grazie, eh! >>
<<
Dean … >>
<<
Risparmiami la predica, Ellen! Ci pensa già mio padre ogni domenica a ripetermi
le stesse identiche cose, urlando al telefono >>
<<
Ma ha ragione, idiota! Passi tutta la settimana a lavorare come un matto
correndo da una parte all’altra della città e poi ti sbronzi come non ti
importasse di niente! >>
<<
Infatti non mi importa >> Ellen si accigliò.
<<
Dean, è per Sam, vero? >>
<<
Sam non centra niente >>
<<
E’ da quando ha deciso di sposarsi che ti comporti in modo … >>
<<
Ellen, se volessi parlare dei fatti miei andrei da un cazzo di terapeuta! Ok?
>>
<<
Mi sto solo preoccupando per te … pensavo che fra te e Lisa … >>
<<
Fra me e Lisa non ha funzionato >>
Dean
si sistemò la giacca sulle spalle e sospirò. Faceva freddo, ma lui non riusciva
a sentirlo.
<<
Perché? >>
<<
Non lo so … io credo che … >>
<<
Dean >> lo interruppe Ellen posando una mano sulla sua spalla << lascia
che qualcuno ti aiuti … >>
<<
E’ solo un brutto periodo, Ellen, passerà >>
<<
Dean … >>
<<
Ci lavorerò su, va bene? >>
<<
Se continui a bere in questo modo, morirai prima di provarci >>
Dean
gli rivolse un sorriso strafottente, si tirò su il colletto della giacca e le
voltò le spalle.
Camminò
fino a sentir male ai piedi superando casa sua di due isolati.
Ritornò
sui suoi passi quasi un’ora dopo crollando poi sul divano con giacca e scarpe
ancora addosso.
All’alba,
con il sole che filtrava prepotente dalle tende e il cellulare che squillava
nella tasca dei suoi jeans, Dean si risvegliò mandando già a fanculo il mondo.
Rispose
sospirando pesantemente.
<<
Winchester >>
<<
Una chiamata dal Presbyterian Hospital >> grugnì il capitano Bobby Singer
<< un uomo ha scaricato una donna davanti al pronto soccorso. È morta
sotto i ferri. I medici hanno detto che è stata pugnalata dodici volte >>
Dean si massaggiò le tempie. Il male alla testa era lancinante.
<<
E’ il mio giorno libero >>
<<
E io ho un duplice omicidio sulla quarantesima e una rapina a mano armata sulla
quarta, quindi alza il culo e vai a fare il tuo lavoro >> sbottò
interrompendo la chiamata.
Dean
sospirò pesantemente e, maledicendo il suo impiego, - e il tempismo di Bobby -
si alzò dal divano caracollando fino in cucina per recuperare una bottiglia
d’acqua, due vecchie ciambelle stantie e un antidolorifico. Solo quando si
assicurò di essere tornato abbastanza lucido e aver cambiato la maglia chiamò
il suo partner per delle indispensabili delucidazioni sul caso.
<<
Il capitano è seccato >> gli rispose Benny sbuffando come una locomotiva
a vapore << sia … i tagli al budget e gli agenti ridotti alla metà rispetto
al mese scorso … tutte queste cose lo stanno facendo impazzire e ci maltratta
>>
Dean
uscì di casa e, nonostante fosse stanco morto, con lo stomaco sottosopra e le
tempie doloranti, ringraziò Bobby per quella chiamata – o i tagli al personale
che lo costringevano a fare gli straordinari tutti i week and – perché
lavorando non avrebbe pensato alla sua vita, soprattutto a Lisa che gli urlava
di odiarlo e a sua madre che gli chiedeva perché avesse lasciato una così brava
ragazza. Soprattutto non pensava a suo padre che ogni volta che andava a
trovarlo lo guardava così come si guardano le sconfitte.
Andate
tutti al diavolo, pensò registrando le poche informazioni che Benny gli stava
snocciolando, masticando rumorosamente la colazione.
<<
Presbyterian, pronto soccorso. È stata raccattata alle due di notte ed è morta
alle cinque. È ancora sconosciuta. Io sto per arrivare, ma Bobby ha messo te a
capo delle indagini perciò … >>
<<
Sì, sì ... capito! Le scartoffie toccano a me! Fantastico >> sbottò con
una smorfia che rivolse al suo stesso riflesso nello specchio dell’ascensore.
<<
C’è già la scientifica. Ci vediamo lì >>
Dean
scrocchiò l’osso del collo e controllò di avere tutto con sé: pistola,
distintivo, manette e altre pillole contro il male alla testa.
Era
pronto per ricominciare un’altra giornata.
<<
I medici hanno fatto un casino ovviamente >> esordì Benny porgendogli un
caffè ancora caldo. Dean lo benedì mentalmente e superò gli agenti che stavano
piantonando la stanza numero 213 dove era stata provvisoriamente sistemata la
vittima.
<<
Quelli della scientifica hanno detto che sarà un miracolo recuperare impronte e
dna >>
<<
Hanno tentato di salvarle la vita >> rimarcò Dean << Causa della
morte? >>
<<
Dissanguamento. Pare. Insomma è difficile stabilirlo >>
Dean
osservò il cadavere riverso sul letto.
Era
una bellissima ragazza di vent’anni con profondi squarci sull’addome.
<<
Piuttosto violenta come aggressione. Raptus omicida? >> ragionò Benny al
alta voce suscitando una risata nervosa in Dean.
<<
Hai mai visto aggressioni non violente?
>>
<<
Hai capito cosa intendevo … >>
Benny
scrollò le spalle e si fece da parte per lasciar passare il medico legale, che
borbottava fra sé a proposito degli infermieri che avevano coperto la donna con
una lenzuolo.
<<
I testimoni? >> domandò Dean seguendo lo sguardo del collega puntato su
due infermiere in lieve stato post-traumatico che si erano rifugiate accanto
alla porta della stanza.
<<
Detective Winchester >> si presentò estraendo il suo fidato taccuino da
bravo poliziotto << Ho bisogno che mi raccontiate quello che è successo
>>
L’infermiera
più anziana sollevò lo sguardo e annuì risoluta << Ero fuori nella zona
di sosta delle ambulanze per fumare una sigaretta quando un’auto ha frenato
bruscamente. Mi sono voltata e ho visto una mano sbucare dallo sportello del
passeggero e spingere a terra la ragazza. Mi sono precipitata ed era viva … ho
chiamato aiuto >>
<<
Le ha detto qualcosa? >>
<<
No … no! Insomma era in shock … >> balbettò.
<<
E l’auto? Saprebbe descriverla? >> intervenne Benny.
<<
Verde … una berlina >>
<<
Targa? >>
La
donna si accigliò e scosse la testa violentemente << Mi sono occupata
della ragazza … io … mi dispiace … non l’ho notata >>
Benny
annuì mentre Dean scribacchiava parole sul taccuino, parole inutili perché a
parte qualche dettaglio nessuno aveva visto l’uomo o la donna alla guida.
<<
Di lei se ne è occupata uno specializzando dell’ultimo anno prima di essere
spostata in sala operatoria >> continuò l’altra indicando un uomo con il
camice bianco che parlava con due agenti in divisa dall’altra parte del
corridoio. E intanto la scientifica faceva avanti e indietro nella stanza
borbottando a proposito del caos di materiale genetico sparso ovunque.
In
un attimo Dean capì che quella sarebbe stata una lunga indagine basata su prove
inconsistenti e imprecise. Proprio quello che il suo cervello reclamava per
evitare di pensare a Lisa, Ben e genitori apprensivi. E a Sam naturalmente che
lo stressava da settimane a proposito del testimone di nozze.
<<
Senti >> esordì Benny giocherellando nervosamente con il tappo di una
penna a sfera << Vado da quelli della sicurezza. Magari hanno tenuto le
registrazioni delle telecamere a circuito chiuso >>
<<
Sì, ma porta i filmati al distretto. Magari Charlie fa una delle sue magie e
troviamo l’auto >>
<<
Sempre che i filmati ci siano >> borbottò avviandosi verso le scale.
Dean
bevve il suo caffè – freddo e decisamente insipido- e lo gettò con sdegno in un cestino puntando il
dottore che le infermiere gli avevano indicato, il quale forse era riuscito a
parlare con la vittima prima che morisse.
Riaprì
il suo taccuino e ricominciò con il solito discorso di presentazione <<
Salve. Detective Dean Winchester, omicidi. Posso farle qualche domanda?
>>
L’uomo
si voltò e lo guardò sgranando un paio di occhi blu come il mare.
Dean
aggrottò la fronte e uno strano senso di disagio gli annodò di nuovo lo stomaco
come se quel disgustoso caffè non fosse stato abbastanza.
<<
Posso farle qualche domanda? >> ribadì immaginando che quel ragazzo
avesse bisogno sicuramente di una dormita; come lui d’altronde.
<<
Dean Winchester >> ripeté quello con voce baritonale.
Aveva
un paio di occhiaie appena accennate e l’espressione vagamente smarrita,
decisamente sconvolta. Sì, aveva bisogno di dormire.
Specializzandi
… tsk …
<<
Sì, è il mio nome e a parte consigliarle un letto potrebbe dirmi se la vittima
prima di perdere conoscenza ha … >>
<<
Dean Winchester >> ripeté di nuovo questa volta aggrottando le
sopracciglia.
Ok,
una dormita e uno psichiatra.
Gli
agenti alle sue spalle ridacchiarono facendosi da parte come a dire “è tutto
tuo”.
Tante
grazie pivelli, borbottò a mezza voce.
<<
Senta, sono le sette del mattino e ho avuto una nottataccia quindi potrebbe
concentrarsi? Seguo Grey’s Anathomy e so che vi fanno fare turni assurdi, ma ho
bisogno che si concentri così la lascio andare a riposare >>
Il
medico di fronte a lui si morse le labbra -
qualcosa si agitò di nuovo nel suo stomaco- e poi si spettinò i capelli
con le dita, visibilmente scosso e la sensazione strana si trasferì all’altezza
del petto.
<<
Dean … >> mormorò di nuovo e il suddetto Dean capì di non avere la
pazienza quella mattina per stare dietro uno specializzando con un trauma alle
spalle e la mente apparentemente confusa.
<<
Va bene! >> sbottò infine alzando bandiera bianca << facciamo così.
Io le lascio il mio numero e appena torna in sé o dorme per almeno sei ore di
fila mi richiama e mi racconta quello che ha visto >> e gli allungò il
biglietto da visita osservando le dita bianche del medico afferrarlo con un
fremito.
Dean
si voltò lanciando un improperio al soffitto e poi sentì mormorare quel nome,
un nome che non sentiva pronunciare da sedici anni, un nome unico nel suo
genere e così il sangue gli si gelò nelle vene.
Pensò
di aver sentito male, pensò di essere talmente stanco che la mente gli giocava
brutti scherzi, perché non poteva essere vero.
Il
cuore mancò un battito e riprese a battere forsennato.
Si
voltò e squadrò quell’uomo, lo analizzò lo scandagliò e si perse nei suoi occhi
blu mare.
<<
Castiel Novak … non ti … non ti ricordi? >>
Dean
si immobilizzò e non poté far finta di non averlo sentito.
E
non poteva fingere di non averlo capito.
Stessi
occhi, stesse labbra e stessa schiena ritta e stesse dita che tradivano la sua
ansia.
Come
aveva fatto a non riconoscerlo?
Quegli
occhi.
Blu
come il mare.
Lo
guardò, lo guardò e lo guardò cercando di capire cosa provasse in quel momento,
cosa sentisse il suo Io profondo a ritrovare un pezzo di sé in quell’ospedale
alle sette di mattina.
Niente
… niente. Non sentiva niente se non una grande e infinita confusione insieme ad
un’ansia lacerante.
Dean
si morse l’interno della guancia e udì solo di sfuggita la voce di Benny e la
sua ombra che entrava nel suo capo visivo.
<<
Ho visualizzato i filmati! >> esultò soddisfatto << non si vede la
targa, ma un pezzo del braccio del tipo che l’ha scaricata. Charlie farà
qualche miracolo e lo becchiamo il bastardo >>
Castiel
non distolse per un secondo lo sguardo, sostenendolo con infinita tristezza
mentre Benny parlava e parlava. Quanto parlava …
Dean
si passò una mano sulla faccia e prese di scatto i filmati lasciando il suo
partner sbigottito prima di voltasi e camminare verso l’uscita.
Respirò
solo una volta uscito all’aperto, poggiando la testa sul tettuccio dell’auto.
Le
ginocchia tremavano e un gelo soffocante lo stava lentamente privando
dell’ossigeno.
Cosa
era appena successo? Era prigioniero di
un incubo?
Serrò
gli occhi e batté un pugno sul metallo dell’auto e trattenne un urlo con uno
sforzo immane.
<<
Dean, amico! Che diavolo ti prende? >> gridò Benny agitato posando una
mano sulla sua spalla << che ti è successo? >>
Respirò
una, due, tre volte e finalmente capì come si stava sentendo il suo Io in quel
momento: rabbia, tanta, tanta rabbia.
Una
rabbia che partiva dal centro del suo petto gli stava divorando persino le
mani.
Gli
girava la testa.
<<
Dean >>
<<
Sto … bene … >> farfugliò << un calo di zuccheri … >>
Si
tirò su e Benny gli prese le chiavi dell’auto dalle mani
<<
Forse è meglio se te ne vai a casa >>
Serrò
un’altra volta gli occhi e negò con la testa prima di buttarsi in auto.
Sedici
anni e nemmeno per un solo istante aveva
sperato di rivedere Castiel, seppellendo la sua memoria in profondità, vivendo
come se non fosse mai esistito. Se lo
era imposto e l’aveva rimosso dalla sua testa insieme a tutti i ricordi che lo
riguardavano.
Il
destino … quell’infimo bastardo …
Fra
tutti gli ospedali d’America, fra tutti i fottutissimi ospedali del mondo lui
era lì, a pochi isolati da dove abitava.
E
il solo pensiero di pronunciare il suo nome lo terrorizzava.
Anni,
anni ci aveva impiegato per dimenticare.
Benny
gli offrì acqua e zucchero mentre Bobby Singer lo fissava circospetto, e
lievemente preoccupato, con le braccia incrociate al petto.
<<
Forse è meglio se te ne vai a casa, ragazzo >>
<< Sto bene >> mentì.
<<
A me non sembra >>
<<
Sto bene >> ripeté alzandosi sperando che quei due non lo seguissero
anche nel bagno. Si tirò dietro la porta lasciandosi cadere a terra, finalmente
solo.
Si
prese la testa fra le mani ed emise un singhiozzo, il primo dopo sedici.
Aveva
baciato Denise in seconda liceo. Era carina e aveva un bel sorriso e suo padre
era stato contento per lui quando gli aveva annunciato di averla invitata ad
uscire. Così l’aveva baciata fingendo di non fare paragoni, fingendo che fosse
il primo bacio e che fosse eccitato. Ci aveva fatto sesso e quell’emozione
sconvolgente e terribilmente svuotante lo aveva stregato e reso dipendente.
In
quei momenti, mentre si spingeva tra le cosce di una Denise o una Linda di
turno non pensava, non ricordava, non fingeva. Non soffriva.
Diventava
Dean il bastardo schifoso, Dean il seduttore, Dean lo stronzo e tutti dicevano
che andava bene così. Era accettato.
Lisa.
Sì, Lisa l’aveva amata in un certo senso; per poco e male, ma l’aveva fatto. Ma
era finita perché dentro di lui, ogni giorno che viveva con lei e con Ben in
quella casa perfetta, con la famiglia perfetta, qualcosa dentro di lui gli
diceva che tutto era sbagliato, che non se li meritava. Che lui era sbagliato …
Se
ne era andato in piena notte, dopo un giorno qualsiasi, con l’unico rimpianto
di dover dimenticare anche Ben insieme a tutto il resto. Doveva dimenticare
esattamente come aveva dimenticato Castiel.
A
vent’anni aveva scoperto il potere dell’alcol e quello, unito al sesso senza
legami, era diventato una droga. Il suo lavoro lo teneva lontano da quello per
qualche ora e poi tutto ricominciava.
Dimenticare
era il verbo base della sua vita, la sua dottrina. E nonostante stesse cadendo
a pezzi da anni, quello che era appena successo l’aveva fatto crollare
definitivamente.
Destino
… destino bastardo.
Quel
Castiel adulto aveva un accenno di barba, i capelli corti e arruffati. Era
diventato alto e bello, maledettamente bello. Più bello di come se lo ricordava
o se lo era immaginato nei suoi sogni in quei lunghi sedici anni.
Era
la sua vera voce quella? Così bassa,
così profonda?
Dean
singhiozzò più forte.
Arrabbiato.
Sì era tanto arrabbiato: con la vita, con Castiel e con quel mostro che glielo
aveva strappato via.
Durante
l’accademia –solo in una stanza sconosciuta- più volte si era immerso nei suoi
pensieri a fantasticare su un universo alternativo dove l’adolescenza non aveva
fatto così schifo perché l’aveva vissuta con lui, salendo in camera sua dal
pergolato, baciandolo, facendo l’amore con lui per ore finché avesse avuto
fiato, finché non avesse detto basta.
Poi
tornava alla realtà e tutto ricominciava a fare schifo e si malediceva per quei
pensieri seppellendoli sotto le vesti di qualche recluta dalle forme generose.
Si
asciugò le lacrime.
Castiel
… era stato lui a far finire quel sogno.
Castiel
non aveva voluto lottare, si era arreso quella domenica d’agosto. E che diritto
aveva di guardarlo con quell’espressione triste e dispiaciuta? Che diritto
aveva di rovinargli la giornata?
No,
Castiel non era nessuno e lui era uno stupido sentimentale a singhiozzare come un
bambino per qualcosa successa sedici anni prima. Era una vita fa. Lui ora era
diverso. Eterosessuale e diverso e si vide costretto a dar ragione a quella
befana della bibliotecaria del Kansas quando gli aveva detto che la loro era
solo una fase preadolescenziale.
Si
rialzò, si sciacquò il viso indossando la sua maschera da detective tutto d’un
pezzo. Uscì dal bagno marciando a passo di guerra verso la sua scrivania.
Aveva
una vittima da identificare e render giustizia, non aveva tempo da perdere per
pensare al passato. E comunque non poteva rimanere rinchiuso in quel bagno per
sempre.
<<
Credevo di averti mandato a casa >> borbottò Bobby dandogli uno
scappellotto dietro la nuca mentre passava per il corridoio.
<<
Sto bene, capo! >> ribadì controllando
sul suo computer l’elenco delle persone scomparse.
<<
Quante stronzate che racconti! >> tuonò chiudendosi dentro il suo ufficio
senza smettere di borbottare.
Bussò
due volte allo stipite della porta fingendo un sorriso radioso alla ragazza
seduta sulla sedia e curva sullo schermo di un pc.
Posò
un caffè fumante accanto a lei e le scompigliò i capelli rossi.
<<
La tua droga fumante, Charlie >>
<<
Non fare il ruffiano con me, Dean. Non ho ancora finito di esaminare i video
>> lo rimbeccò con un mezzo sorriso continuando a far ticchettare le dita
sulla tastiera consunta.
<<
Pazienza … non ti dà fastidio se resto qui a fissarti mentre fai le tue magie?
Vero? >>
Charlie
si rizzò sulla sedia, impettita, lanciandogli uno sguardo di sottecchi.
<<
Non hai niente da dirmi, Dean? >>
<<
No … >>
<<
Ho saputo che sei stato male … >> continuò lei con una smorfia di
disappunto sul viso.
<<
Calo di … >>
<<
Ah! Vallo a raccontare a Benny che ancora ti crede. Non sono stupida, Dean
>>
<<
Mai detto questo! >>
<<
Allora? Che c’è? >>
<<
Niente >> mormorò << e non tirare fuori la storia di Sam che si
sposa perché saresti la quinta persona a parlarne e credimi, la minestra
riscaldata è proprio un cliché >>
Charlie
scrollò le spalle per nulla intimorita dal tono duro e seccato di Dean. Si
conoscevano oramai da sei anni e quel modo di fare da poliziotto badass non la toccava minimamente e Dean
si sentiva spesso disarmato davanti a lei.
<<
Non ho pensato nemmeno per un secondo che fosse Sam il problema … anche se ti
comporti in modo strano ultimamente >> rimuginò << Io intendo dire
che oggi ti stai comportando in modo
più strano del solito. Quindi? Niente da confessare? >>
<<
Solo una brutta giornata iniziata con i postumi di una sbronza >>
Charlie
sospirò e storse il naso in un modo che Dean riteneva tenero “livello Gramlin
prima della mezzanotte” e gli scappò un sorriso nel constatare che
quell’espressione significava che non si sarebbe arresa.
<<
Come vuoi … >> mentì << ma ne parleremo questa sera >>
<<
Ho un caso in corso >>
<<
Pop-corn e Doctor Who >> continuò imperterrita << Non puoi dirmi di
no >>
Dean
alzò gli occhi al soffitto << Ma tu non dovevi uscire con quella tizia dal
nome inquietante? Abby qualcosa … >>
<<
Abbadon? Mh, la vedo domani … mi mancano le nostre serate, Dean! >>
<<
Abbadon … ma che razza di genitori ha? >>
La
ragazza cominciò a ridere << Mia madre mi ha chiamata Charlie quindi
direi che siamo pari >>
<<
Tua madre ti ha chiamata Charlene >> le ricordò Dean divertito <<
sei tu che hai problemi con i nomi femminili. E comunque Abbadon è … >>
<<
Insieme stiamo bene e facciamo del sesso spettacolare. Del suo nome non me ne
importa niente >>
Dean
rabbrividì << Meno dettagli, grazie >>
Rimasero
a parlare per un’ora mentre il computer elaborava i dati e Dean non si accorse
né del tempo che passava né di star dimenticando l’incontro di quella mattina.
Charlie era la sua personale medicina contro la tristezza.
Alle
dodici e venti, il mingherlino e poco sveglio agente Carter bussò alla porta
dell’ufficio attirando la loro attenzione.
<<
Detective >> parlò indeciso << c’è una persona che chiede di lei
>>
Dean
sbuffò << Il giovane procuratore distrettuale Samantha Winchester, vero? Ci scommetto! >>
Carter
aggrottò la fronte << No. Non è suo fratello. E’ un uomo. Dice che deve
rilasciare la sua testimonianza >>
Dean
si riscosse e Charlie gli lanciò un’occhiata perplessa.
<<
Occhi blu, capelli neri e aria strafatta? >> domandò con malcelata
cattiveria.
<<
Sì e ha chiesto di lei >>
<<
Mandalo da Benny >> tagliò corto.
<<
Ma ha chiesto di lei >>
<<
Me ne fotto. Mandalo da Benny >> continuò spedendo l’agente fuori
dall’ufficio con un’occhiataccia assassina.
Charlie
lo fissò perplessa << Uno scocciatore >> le spiegò dando le spalle
alla porta pur di non vedere di nuovo Castiel e i suoi stramaledetti occhi blu
mare.
Benny
lo intercettò proprio mentre stava per infilarsi il cappotto, sventolandogli
davanti al naso altri fascicoli da leggere.
<<
Sono le nove di sera amico. Andiamo a mangiare qualcosa e ne parliamo poi
>>
<<
Charlie l’ha identificata. Studiava alla Columbia. Emily Staghner. Ho già
chiamato la famiglia. Arrivano domani mattina per l’identificazione >>
disse telegrafico e Dean annuì << e per ora possiamo solo sperare che da
quel video si possa risalire a un nome >> annuì di nuovo << Bobby ci
ha mandati a casa. Ma quella cena la vorrei lo stesso >>
Per
la terza volta annuì. E così alle nove e trenta si ritrovarono al pub dei
poliziotti, il Road House, dove una Ellen visibilmente preoccupata gli urlò
addosso << Che cosa ci fai di nuovo qui? >> per poi prendere le
ordinazioni come nulla fosse.
Spiegarle
che aveva un caso in corso e che non poteva bere non era servito a
tranquillizzarla.
<<
Cazzo, mi fanno passare per un alcolista >> borbottò.
<<
Magari perché lo sei >> incalzò Charlie raggiungendoli al tavolo.
Risero
per sdrammatizzare. Improvvisamente l’aria attorno a loro s’era fatta pesante.
<<
Niente Doctor Who? Vero? >>
<<
Spiacente Charlie. Puoi sempre dire di sì a Abbadon >>
Benny
arcuò un sopracciglio << Abbadon? >>
<<
Sì! >> trillò Charlie << ha un nome strano. È un avvocato e basta
parlare di me! >>
<<
Uh! Tasto dolente! >>
Dean
addentò il primo hamburger della settimana con molta soddisfazione.
<<
A proposito di tasti dolenti >> e esordì Benny guardandolo << Che
cazzo ti ha fatto quel Cast … Novak o come diavolo si chiama da non voler
raccogliere la tua testimonianza? >>
A
Dean il boccone gli si bloccò nell’esofago.
<<
O così o l’avrei preso a pugni >> confessò bevendo la sua birra
analcolica dal gusto insipido.
Benny
gli rivolse la sua personale espressione di disappunto e lo fissò mettendogli i
brividi affinché parlasse. In quei momenti, più che un poliziotto della
omicidi, sembrava un criminale di Sin Sin.
<<
E’ una storia lunga >>
<<
Lo conoscevi? >> gli domandò Charlie e non ottenne risposta.
Dean
continuò a masticare il suo hamburger fingendo di non aver sentito la domanda.
E comunque non avrebbe saputo come rispondere: lo conosceva? Sì e no. Conosceva
il ragazzino di dodici anni, ma quell’uomo con il camice bianco gli era sconosciuto.
Un
dottore.
Distrattamente
si stupì di quella scoperta; non aveva sempre voluto fare lo scrittore?
Scosse
la testa e sospirò pesantemente dandosi uno schiaffo mentale.
Basta,
basta pensarci, basta ricordare. Avrebbe telefonato a Ally o come accidenti si
chiamava e si sarebbe divertito: anche lei era un’ottima droga contro i
ricordi.
Charlie
gli rivolse un sorriso mesto e afferrò la sua mano da sotto il tavolo mentre
Benny parlava di sua moglie e dei suoi progetti per l’estate.
Charlie
era incredibilmente disordinata. Era impossibile per lei trovare le chiavi di
casa in meno di cinque minuti e quella notte non era da meno.
Mentre
rovistava nella sua capiente borsa a perline Dean sbuffava una risata dietro
l’altra.
<<
E’ sempre una pessima idea accompagnarti a casa >>
Charlie
gli ringhiò contro e face tintinnare con scherno le chiavi davanti al suo naso.
<<
Trovate, scemo! >> sbottò facendogli una smorfia << Sei sicuro di
stare bene? >>
<<
Charlie … davvero! È tutto ok >>
<<
Mh, ok … notte, Dean. Chiamami quando deciderai di raccontarmi la verità. Io ci
sono, ok? Ti voglio bene >>
<<
Anche io, Charlene >>
<<
Fottiti >> lo insultò ridendo << guida piano >>
Scivolò
fuori dall’auto dopo avergli scompigliato i capelli.
Dean
ripartì solo quando Charlie richiuse la porta di casa dietro le sue spalle.
Si
sentiva totalmente a pezzi, nel corpo e nell’ anima, ed era più che sicuro che
quella notte non avrebbe chiuso occhio, di nuovo. E come se non bastasse il suo
cellulare incominciò a squillare proprio quando riuscì a trovare un parcheggio.
Sbuffò
due volte camminando verso il suo palazzo, meditando di ignorare la chiamata,
ma rispose sapendo che avrebbe continuato a squillare all’infinito, maledicendosi
di averlo fatto tre attimi dopo.
<<
Mi stai ignorando, Dean? >> esordì suo fratello con tono duro e
accusatorio.
No,
era troppo stanco per quello, troppo per dare retta anche a lui.
<<
Lavoro. Sai com’è … >>
<<
Lavoro anche io e trovo comunque il tempo per rispondere a un maledetto
messaggio >>
<<
Sammy … >> sbuffò ancora passandosi una mano fra i capelli << è
stata una giornata di merda, ok? Sii rapido ed indolore >>
Sam
si zittì per qualche secondo, soppesando le parole da usare, prima di parlare
con tono calmo << Mamma e papà arriveranno qui il prossimo week-and per
conoscere Jessica. Vorrebbero che tu venissi almeno a cena. Anche io lo vorrei
a dire la verità. Dean, da quando tu e Lisa vi siete mollati sei diventato
latitante >>
<<
Io l’ho mollata. Non è stato consensuale >>
<<
Come vuoi >>
<< No, devi specificare >> sottolineò con tono funebre <<
perché lo stronzo sono io >>
<<
Dean! >> tuonò Sam intercedendolo prima che continuasse a straparlare
<< Non ricominciamo a litigare ok? Sto solo cercando di … >>
<<
Comunque la risposta è sì >> lo interruppe.
<<
Sì, cosa? >>
<<
Sì, sarò il tuo testimone. Se ci tieni >>
<<
Ah … >> esalò e Dean se lo immaginò sorridere << Davvero? >>
<<
Perché no? Jessica è carina, avrà damigelle carine no? >> sdrammatizzò
lasciandosi andare in una risata liberatoria.
<<
Ah, ah. Davvero divertente >> ridacchiò << grazie … >>
mormorò poi con un sospiro liberatorio.
<<
Sei mio fratello … e credimi, so che … non te l’ho mai detto. Io sono davvero
felice per te. Jess è … fantastica e sei davvero fortunato perciò se vuoi che
sia il testimone lo sarò, Sammy. Solo che queste cazzate smielate non fanno per
me … >>
<<
Lo so, Dean … ma per me è importante. E anche per Jess … ti vuole bene >>
Dean
sorrise << E farò lo sforzo di non farmi tutte le damigelle della tua
fidanzata >>
<<
Idiota! >>
<<
Puttana! >>
<<
Stronzo! >>
<<
Lasciami andare dormire! >>
<<
Non ti sto trattenendo! >>
Dean
ruotò gli occhi al cielo e si ritrovò davanti all’ascensore di casa sua senza
sapere come ci fosse arrivato.
<<
Allora, cena? Sabato sera. Non te lo dimenticare o giuro che ti prendo a calci
in culo fino al ristorante >>
<<
Sì, Samantha! >>
<<
Cresci, Dean >>
<<
Jess lo sa di essere lesbica? >> rise udendo lo sbuffo di suo fratello.
<<
Notte, Dean! Ci vediamo al lavoro >>
<<
Notte, Sammy!! >> urlò, solo per indispettirlo. Riattaccò prima lui con
ancora il sorriso sulle labbra.
Il
suo appartamento, l’ultimo in fondo al corridoio, distava pochi passi dalle
scale, e gli sembrava così irraggiungibile in quel momento da immaginare di
addormentarsi lì, ma si trascinò lo stesso cercando le chiavi nella tasca del
cappotto.
Ecco:
perché Charlie usava borse così ampie? si domandò. Insomma, avrebbe impiegato
meno ore a trovarle usando le tasche, no?
Donne
…
Sbadigliò
e cercò a tentoni la toppa alla luce soffusa dell’unica lampadina rimasta
funzionante in tutto lo stramaledetto corridoio.
Nonostante
fosse assonnato i suoi sensi da poliziotto si allertarono percependo un fruscio
dalle scale.
La
signora Sullivan? Pensò velocemente. Il vecchio pazzo con il lagnoso carlino? O
peggio un ladro? Aveva troppo sonno per arrestare qualcuno.
<<
Dean >>
Sussultò,
come se una frusta gli avesse colpito la schiena con violenza, e si voltò verso
le scale con la pistola già in mano puntata verso il buio.
Due
occhi blu uscirono allo scoperto e il loro proprietario si atterrì davanti
all’arma carica pronta a fare fuoco.
<<
Non … volevo spaventarti >>
Quando
il respiro di Dean tornò regolare abbassò la pistola reinserendo la sicura, scongiurando
un omicidio nel caso gli fosse tornata la voglia di sparare.
<<
Ma l’hai fatto >> sibilò con le mani che gli prudevano dal nervoso.
Che
cazzo ci faceva lì?
Cosa.
Cazzo. Ci. Faceva. A. Casa. Sua!
Prese
un respiro profondo e lo guardò con astio.
Castiel
abbassò le mani e si alzò dal gradino che aveva usato come seduta e tentò di
parlare, ma Dean fu più svelto << Come mi hai trovato? >>
<<
Io … >>
<<
Chi cazzo ti ha dato il mio indirizzo? >>
<<
Anderson >> rispose subito con decisione. Non vi era ombra di pentimento
nei suoi occhi, come se irrompere nel palazzo di un poliziotto alle undici di
sera fosse normale, come se ne avesse il diritto.
<<
Mi doveva un favore >> spiegò con quella voce bassa che quasi fece
tremare le pareti. O forse era lui che tremava << Lo scorso anno ho
estratto una pallottola dal suo polmone sinistro in mezzo alla strada >>
<<
Non me ne fotte un cazzo del polmone di Anderson ok? Sparisci >>
Castiel
si accigliò e strinse una traversina della sacca verde che stava trasportando.
Un
cambio? Vestiti da lavoro? Dean ci pensò per tre secondi prima di tornare a
rivolgere la sua attenzione alla porta ancora chiusa. E le chiavi? Dove erano
finite, le aveva in mano prima, no?
A
terra. Erano cadute a terra.
Si
chinò a raccoglierle e gli vennero i brividi al pensiero che Castiel fosse
ancora lì, immobile come una statua, a guardarlo.
<<
E’ stato un caso … >> sussurrò con voce roca. I brividi di Dean
triplicarono perché no, non poteva essere la sua voce. Cazzo! Lo stava facendo
apposta << Vivo a New York da quattro anni >>
<<
Castiel, che cazzo vuoi? >> sbottò battendo un pugno contro il legno
della porta, evitando con cautela di guardarlo.
<<
Parlare >>
<<
Parlare >> gli fece il verso con scherno << Parlare … e di che cosa
vuoi parlare, Castiel? >>
<<
Perché mi chiami Castiel? >>
<<
Perché è il tuo nome >>
<<
Perché non mi guardi? >>
Fu
il suo turno di accigliarsi.
Serrò
la mandibola e respirò con un fremito.
Ma
che cazzo voleva da lui?
Perché
era lì?
Perché
gli stava di nuovo rovinando la vita?
Perché
semplicemente non se ne andava?
Perché
lo stava guardando in quel modo, come se quei fottutissimi sedici anni non
fossero esistiti?
Dannazione,
erano esistiti eccome! Poteva fingere che non fosse vero, poteva ubriacarsi per
dimenticarli e poteva scopare con chiunque pur di mentire a sé stesso. Era
successo tutto una vita fa, una vita che non credeva gli fosse mai realmente
appartenuta … e Castiel doveva andarsene, ora!
Voleva
solo chiudersi in casa e dimenticare tutto di nuovo perché ricordare faceva
troppo male. Ricordare l’ultima volta che lo aveva visto, che aveva visto quei
due pozzi blu versare lacrime faceva male, ricordare quell’estate gli creava
uno scompenso cardiaco e un buco nello stomaco.
Doveva
dimenticare.
Castiel
doveva di nuovo smettere di esistere anche nei suoi ricordi evanescenti.
<<
Possiamo parlare? >> osò domandare, cauto.
<<
No >> mormorò lapidario << non abbiamo nulla da dirci >>
<<
Abbiamo sedici anni di cose da dirci >> insistette deciso.
Dean
sgranò gli occhi e le parole, gli insulti gli si bloccarono in gola.
<<
Non ho mai smesso di sperare di incontrarti di nuovo. Ti ho cercato … in
Kansas, ma … >>
Dean
serrò gli occhi, pungenti di lacrime, ancora voltato verso la porta e perciò
Castiel non lo vide mordersi le labbra a sangue per non urlare.
<<
Ho … sognato questo momento per tutta la vita e tu sei così arrabbiato >>
Tu
no? Avrebbe voluto chiedergli, invece disse << Certo che sono arrabbiato
>> con tutto l’ira di cui era in possesso e ne aveva molta repressa. Si
voltò di scatto << certo che lo
sono! Perché quella faccia da cane bastonato, come se non fosse stata colpa
tua, non la sopporto! >>
Castiel
si incupì osservandolo per un lunghissimo minuto prima di chiedere, con aria
manifestamente confusa<< Colpa mia? >>
<<
Colpa tua, Castiel. Colpa tua e della tua codardia >>
<<
Dean, avevo dodici anni >>
<<
Anche io. Ma ho lottato, ho urlato, ho corso per inseguirti e tu … >> e
all’improvviso tutta la sua intelligenza si focalizzò su quel punto, il punto
cardine di tutta la sua rabbia soffocata per anni.
Castiel
non aveva lottato. A Castiel non era importato di riuscire a salutarlo perché
non aveva ritenuto importate farlo. E non gli credeva minimamente quando diceva
di aver pensato a lui con lo stesso dolore con cui lo aveva ricordato ogni
giorno, anche inconsapevolmente.
<<
Tu non hai lottato quindi ora non venirmi a dire che ti è mai importato di
quello che è successo perché … >> sospirò pesantemente con i pugni ancora
contratti dalla rabbia << Vattene a casa, Castiel >>
<<
Non posso >>
<<
Puoi. Non hai niente da fare qui. Non c’è più niente da recuperare >>
<<
Sì … c’è. E lo so >>
<<
Sono eterosessuale, molto eterosessuale e molto felice al momento perciò …
>> e lui ignorò quel commento.
<<
Non sei felice >> asserì piegando le labbra all’ingiù.
Il
Castiel della sua infanzia, a quel punto, si sarebbe aggiustato gli occhiali
sul naso e lui glieli avrebbe fatti scivolare su, fra i capelli, e lo avrebbe
baciato.
Ma
Castiel non portava più gli occhiali.
Una
vita fa … era stato una vita fa.
<<
Non sono fatti che ti riguardano. Io ti saluto! >> aprì finalmente la
porta e quasi la scardinò per la veemenza del gesto.
<<
Dean … sei tu che stai facendo il codardo adesso >> lo accuso con la voce
sempre più decisa << Non ti sto chiedendo niente … solo di parlare
>>
<<
Perché? >>
<<
Perché entrambi abbiamo bisogno di chiarire … di andare avanti >> mormorò
<< è come se fosse rimasto tutto in sospeso >>
<<
Non per me >>
<< Non saresti arrabbiato se non fosse così >>
Colpito.
<<
Dammi solo l’opportunità di parlare. Ti chiedo solo questo e, sei vorrai, dopo
sparirò >>
No,
di nuovo no, urlò una voce nella sua testa, subito zittita.
Dean
in quel momento comprese quanto fosse diventato determinato quell’uomo,
forgiato dalla vita e da tante delusioni, e si rese conto che, probabilmente,
sarebbe rimasto sulle scale tutta la notte pur di incontrarlo ancora.
Cedette
con un vuoto nello stomaco che gli mozzò il fiato.
Avrebbe
fatto entrare Castiel in casa sua.
Avrebbero
parlato. Ma era davvero reale? Stava accadendo davvero? Come poteva crederlo
quando gli risultava incredibile solo rivederlo davanti a sé?
Spalancò
la porta invitandolo dentro.
Sarebbe
stata una lunga notte.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3373304
|