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di _hayato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di coinquilini e libri volanti. ***
Capitolo 2: *** Di pulizie ed influenza. ***
Capitolo 3: *** Di componimenti e luce. ***
Capitolo 4: *** Di non-baci e cose che devono assolutamente cambiare. ***
Capitolo 5: *** Di litigi e scommesse. ***
Capitolo 6: *** Di vacanze e clandestini. ***
Capitolo 7: *** Di matto e disperato studio e motivi. ***
Capitolo 8: *** Di certezze ed esami di cintura. ***



Capitolo 1
*** Di coinquilini e libri volanti. ***


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L’idea di avere un coinquilino non gli era mai piaciuta. Dopo gli anni passati in istituto, tra bambini urlanti e suore invadenti, un po’ di silenzio e solitudine sarebbero stati decisamente graditi. In ogni caso, non aveva mai avuto uno spiccato talento per le relazioni sociali, per cui comunque non sarebbe stata una grande mancanza.

Peccato che, per quanto lo desiderasse, la sua opinione non aveva alcuna influenza sul sistema universitario e, in particolare, sull’assegnazione dei dormitori alla Lutwidge.  Motivo per cui quel buffone era lì, alla porta della stanza, con la valigia alla mano e gli occhi chiari che saltavano da una parte all’altra della camera pronti a giudicare i suoi gusti e le sue scelte di vita. Leo lo scrutò, giusto qualche secondo, da sotto le ciocche scure. Non abbastanza da capire realmente qualcosa di lui, il tempo di constatare che il suo viso fastidiosamente attraente e la sua espressione genuinamente sorpresa gli provocavano una sensazione di calore che gli dava il nervoso.

Stabilito quello, tornò a rivolgere tutte le sue attenzioni al volume scolorito che teneva tra le mani, fingendo di ignorare il colpo di tosse dell’altro – probabilmente un tentativo di schiarirsi la voce o attirare la sua attenzione, osservò.

- Ciao, siamo stati assegnati nella stessa stanza. Io sono Elliot Nightray, piacere. – il suo tono era freddo, ma non scortese.

Elliot non aveva bisogno di sapere altro e lui non aveva la minima voglia di intavolare una conversazione, per cui mormorato il suo nome e quindi conclusa quella formalità, tornò a concentrarsi completamente sulla lettura, beandosi di quel silenzio disturbato solo dai rumori appena udibili che provocava l’altro sistemando le sue cose.

Tutto liscio, senza intoppi, al punto in cui Leo per un attimo si trovò quasi a pensare che, tutto sommato, dividere la stanza con quel tipo per qualche anno non sarebbe stato male. Per un attimo, appunto. Perché in quello successivo il signor Idiota, con la grazia pari a quella di un elefante indiano zoppo, pensò bene di urtare con un gomito i libri che aveva accuratamente sistemato dietro la porta, facendoli cadere. Non contento, poi, prese anche ad urlare idiozie come “non puoi seminare le tue cose in giro per la stanza come se fosse solo tua”, “come ti permetti di darmi del cretino” o “smettila di tirarmi libri addosso”.

Fu così che, addirittura superando le sue aspettative, il suo primo giorno al campus finì con il supervisore del piano che lo divideva dal suo compagno di stanza, un occhio nero a deturpare il visino perfettino di Elliot e un labbro spaccato.

 

 

 

 

 

 

yo. sono tipo, secoli che non scrivo e millenni che non scrivo su PH e sui miei bambini preferiti. Avevo quest'idea in testa da un po' di tempo, ma l'ispirazione è difficile a trovarsi quindi è rimasta accantonata. Poi la settimana scora mi sono infilata clandestinamente in un gruppo cosplay e ho conosciuto gente bella e boh, mi è venuta voglia(?). Non so cosa dire, se non che i "capitoli" saranno tutti più o meno brevi e veloci come questo, ma I guess è l'unico modo in cui riesco a scrivere senza impappinarmi come non mai. Cercherò di aggiornare regolarmente, ma con la scuola e la mia testa di merda sarà un'impresa ardua. E nulla, spero vi piaccia, come sempre niente di quello che scrive vedrebbe la luce al di fuori della mia testa senza le mie amiche che costringono invogliano a scrivere.

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Capitolo 2
*** Di pulizie ed influenza. ***


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Aveva imparato presto che, per quanto Elliot si arrabbiasse facilmente e corresse alle mani quasi quanto lui, era perfettamente consapevole della consistente differenza di stazza che c’era tra loro. Di conseguenza, evitava gentilmente di rompergli tutte le ossa ogni volta che una battutina tagliente (principalmente da parte sua), una tazza di the versato sui costosi libri di testo (tipico di Elliot) o un uso clandestino degli articoli da bagno altrui (pecca di entrambi) rovinavano la quiete della stanza. Di questo, Leo gli era silenziosamente ed infinitamente grato.

Aveva anche scoperto che, oltre ad essere un irascibile e pomposo figlio di papà che non aveva mai preso in mano uno straccio per la polvere nella bellezza di diciannove anni, Elliot era anche un fissato per l’ordine e il pulito, due cose che messe assieme davano risultati esilaranti. Bastava vedere il pullover di cachemire da trecento sterline che da blu navy era diventato quasi completamente giallino dopo che il genio si era versato addosso la candeggina. O, meglio ancora, pensare alla volta in cui scambiò la cera per pavimenti per detersivo e trasformò l’appartamento in una pista da pattinaggio – che tra l’altro, diventò l’attrazione del piano per una settimana intera dopo che Oz, l’inquilino della stanza accanto, si slogò un polso scivolandoci. Alla fine del primo semestre però era diventato perfettamente in grado di spolverare, pulire il bagno e lavare il pavimento senza rovinare nulla, il che faceva particolarmente piacere a Leo, che era quindi completamente esentato dalle faccende domestiche.

Per cui, aggiungendo anche il fatto che comprava la cena per entrambi senza mai chiedergli di pagare la sua parte, avere Elliot come compagno di stanza non era poi tanto male.

Fu per quello – e nulla che avesse a che fare col fatto che dividere l’appartamento con qualcuno di tanto servizievole lo facesse sentire un pelino in colpa, assolutamente – che quando un febbraio particolarmente gelido fece dono al suo coinquilino dagli anticorpi fallaci di un’influenza tremenda, invece di abbandonarlo al suo malanno e fregarsene tranquillamente, decise di mettere in pratica gli anni passati tra bambini perennemente raffreddati e prendersi cura di lui. Il che non fu affatto facile, sia chiaro. Per quanto l’influenza ne aveva indebolito il corpo, lo spirito polemico di Elliot ne era uscito indenne, se non fortificato. Nonostante la febbre lo intontisse e il raffreddore lo facesse parlare come un reduce di guerra, era sempre abbastanza sveglio da lamentarsi del disordine, imprecare contro le altre matricole che lo venivano a trovare e maledire il professore di anatomia che, a detta sua, spiegava troppo nonostante “quasi tutti gli studenti del corso” – ovvero lui e altre due povere anime – avessero l’influenza.

La storia andò avanti per due settimane, finché un giorno, tornato in camera, Leo trovò l’appartamento come nuovo, il the ancora caldo nella teiera e una quantità stupidamente alta di libri nuovi sul suo letto. Elliot, chino sui suoi tomi di medicina, borbottò qualcosa sui suoi gusti impossibili e il fatto che non sapesse cosa sarebbe potuto piacergli.

– E grazie, comunque. – aggiunse, incerto, dopo un po’.

Leo, per una volta, non si sentì autorizzato a rovinare quel momento facendogli notare come fosse arrossito.

 

 

 

 

 

 

yo. volevo fare in modo di aggiornare ogni sabato, in modo da avere una settimana intera per scrivere altri capitoli ed anticiparmi senza dover fre come al mio solito e trovarmi mesi di distanza tra un aggiornamento e l'altro. Di conseguenza, avrei dovuto aspettare domani per postare questo schifosissimo pezzetto, ma dato che oggi sono rimasta a casa e in qualche modo devo tenermi impegnata, ho pensato di sistemar tutto e postare oggi, per evitare di dimenticarmene domani. Non è esattamente il migliore tra quelli che ho scritto, è breve e sommario, ma schifo non mi fa. Spero non ne faccia anche a voi. Ringrazio con tutto quel poco cuore che mi resta AlnyFMillen e Lady Withe Witch per aver recensito, è sempre piacevolissimo sapere che quello che scrivo piace (almeno a voi) e sentire il parere diretto di altre persone.

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Capitolo 3
*** Di componimenti e luce. ***


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Dopo quell’esperienza, in un modo che non sarebbe riuscito a spiegare a parole, si erano drasticamente avvicinati. Tutto era iniziato il giorno in cui si era svegliato in piena notte ed aveva trovato Elliot alla scrivania, stressato come se dovesse dare tre esami lo stesso giorno, a mormorare imprecazioni mentre scriveva e cancellava qualcosa all’infinito su svariati fogli di carta. All’inizio Leo aveva pensato si trattasse del riassunto di un argomento particolarmente complicato o – e a quel punto aveva dovuto trattenere una risata – di una lettera-confessione indirizzata a qualcuno del campus, ma quando si avvicinò di soppiatto per controllare, si accorse che invece stava componendo musica. Ora, non poteva dire che da Elliot, il rampollo di un’antica casata ducale che aveva passato la vita a prendere lezioni di danza e mangiare senza poggiare i gomiti sul tavolo, non si aspettasse una cosa del genere. Ma, senza ombra di dubbio, vedere lo stesso ragazzo che inveiva contro qualsiasi divinità esistente se urtava contro uno spigolo comporre musica con una concentrazione quasi teatrale aveva un che di tenero.

– Cosa scrivi? – chiese curioso, stringendosi meglio nel plaid che si era portato dietro. Elliot evidentemente non lo aveva sentito avvicinarsi, dato che sobbalzò appena sulla sedia, ma invece delle solite urla lo accolse con un sospiro esasperato.

– È un pezzo per il piano, ogni anno compongo qualcosa per il compleanno di mia madre… e vado da lei domani sera. – spiegò, spostandosi di lato con la sedia per offrirgli una visuale migliore. Leo mise in ordine i vari fogli e li osservò con attenzione.

– Non posso dirtelo con certezza, dato che al momento non la posso suonare, ma sembra una melodia splendida. – disse, senza provare a nascondere il suo stupore. Elliot lo guardò, sorpreso quanto lui e chiaramente sospettoso.

– Leo, sono troppo stanco per capire e sopportare il tuo sarcasmo, al momento. – una risposta che lo fece ridacchiare, ma non demordere.

– Sono serio, mi piace. – disse, guardandolo dritto negli occhi.

Il sorriso che Elliot gli aveva concesso in risposta, con gli occhi stanchi e due occhiaie da far paura, fu così bello che non seppe come reagire.

Il giorno successivo, dopo aver setacciato l’antico edificio in cui si trovava l’università alla ricerca di un pianoforte, passarono tutto il giorno a suonare, scrivere e riscrivere lo stesso pezzo, fino a trovare una melodia che soddisfacesse entrambi. Il che, ovviamente, successe giusto dieci minuti prima dell’arrivo del taxi che avrebbe dovuto portare Elliot a casa, lasciandogli giusto il tempo di fare la doccia, vestirsi e percorrere di corsa il dormitorio fino a raggiungere l’ingresso. Leo guardò l’auto allontanarsi, una fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco a comunicargli che, quella volta, gli sarebbe mancato.

Al suo ritorno, non mancò di portargli altri libri “per ringraziarlo”, cosa che gli fece seriamente chiedere se per il biondo svaligiare librerie fosse l’equivalente di comprare un mazzo di fiori.

Nei mesi successivi, continuarono a suonare e comporre insieme, così come presero a fare insieme le cose più disparate tra cui cucinare, andare al cinema e a volte persino leggere. Presero ad organizzarsi in modo da incontrarsi per pranzo alla mensa, studiare negli stessi punti e, in generale, passare insieme il più tempo possibile. Si ritrovò a trovare la compagnia di Elliot sempre più piacevole, avevano interessi e gusti comuni e, anche se gli capitava comunque di discutere o trovarsi in disaccordo, si trattava sempre di conversazioni stimolanti – anche quelle che finivano tra lividi e pezzi di mobilio indirizzati verso il Nightray. Aprirsi con Elliot, anche se relativamente poco rispetto al modo in cui l’altro riuscisse ad aprirsi con lui, lo faceva sentire bene in un modo diverso, che non aveva niente a che fare con la tranquillità temporanea che gli donavano i suoi amati libri.

Era un po’ come se, per la prima volta, la luce del sole fosse riuscita ad illuminare lo stanzino buio che era da sempre la sua vita.

 

 

 

 

 

 

yo. è un po' un periodo di merda, per quanto riguarda sia scuola sia vita sociale, per cui spero mi perdoniate (come se ci fosse qualcuno che legge questa cosetta, ma whatevs) se questa settimana stavo quasi dimenticando di postare. Tra l'altro è una settimana che non riesco a scrivere nulla, meno male che mi sono portata avanti col lavoro e ho tanti altri pezzetti che aspettano solo di esser pubblicati, quindi posso stare tranquilla per qualche settimana ancora. Come sempre, spero vi piaccia, a me fa cagare, ma cosa non mi fa cagare oggigiorno. 

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Capitolo 4
*** Di non-baci e cose che devono assolutamente cambiare. ***


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All’inizio del terzo anno, Leo scoprì che c’era una linea sottile che divideva due migliori amici che condividono una stanza da una coppia omosessuale e che non era affatto sicuro di quale sponda lui ed Elliot occupassero esattamente.

Non essendo molto pratico dei rapporti umani al di fuori di quelli stampati su carta, non sapeva esattamente quanto potesse essere o sembrare normale scambiarsi i vestiti, usare il bagno nello stesso momento o presentarsi insieme a quei pochi eventi sociali che trovavano la forza di frequentare, ma non aveva dubbi sul fatto che dormire insieme – nonostante avessero un ottimo motivo per farlo, dato che il letto di Leo ormai era completamente ricoperto di libri ed Elliot, per quanto non lo avrebbe mai ammesso, era troppo buono per lasciare che dormisse sul pavimento – potesse sembrare più che ambiguo.

Ma, alla fine, il problema non era nemmeno come apparisse il loro rapporto dall’esterno considerando che, per quanto il campus potesse essere pieno di idioti che si divertivano spesso a definirli "un’adorabile coppietta”, qualche lieve presa in giro senza cattiveria non lo infastidiva affatto, così come non lo irritavano – e, anzi, lo divertivano – le volte in cui venivano effettivamente scambiati per fidanzati, facendo arrossire Elliot fino alle punte dei capelli. Il vero problema era la relazione in sé, che diventava sempre più profonda e confusa man mano che passava il tempo.

Era inutile negare che trovasse Elliot attraente e che si trovasse a suo agio con lui, al punto di dargli nei suoi confronti una libertà che non aveva mai concesso a nessuno – il Nightray era infatti riuscito a guadagnarsi il permesso di svegliarlo, prendere in prestito le sue cose e persino di toccargli parte dei capelli, cosa che non aveva mai fatto fare nemmeno a chi di dovere. Bisognava anche tenere in conto tutte le volte che si era ritrovato a guardarlo senza motivo, sfiorargli le ciocche bionde mentre dormiva e addirittura sognarlo – non in situazioni necessariamente inappropriate, ma la cosa restava preoccupante. E Leo sapeva, razionalmente, che niente di tutto ciò significava necessariamente che provasse qualcosa per lui, ma non era patetico al punto di negare a sé stesso sentimenti tanto evidenti.

Elliot, poi, era un altro paio di maniche, con la sua evidente ed esilarante omosessualità repressa e quel continuo ostinarsi a sembrare il più freddo e distaccato possibile, per quanto le sue stesse azioni lo tradissero continuamente. Era quindi consapevole del fatto che, qualsiasi fosse il significato degli sguardi, dei sorrisi e dei piccoli gesti che gli rivolgeva all’ordine del giorno, il ragazzo lo avrebbe completamente ignorato e sostituito a qualcosa di più consono a un ragazzo etero di buona famiglia.

Tra l’altro, Leo aveva il terrore che qualsiasi cambiamento nel loro rapporto avrebbe potuto avere conseguenze disastrose e, diamine, l’ultima cosa che voleva era rischiare di perdere la persona più importante della sua vita per qualcosa di stupido e temporaneo come l’amore. In poche parole, non poteva andare peggio.

O, almeno, era quello che pensava. Poi, una notte, gli accadde di svegliarsi di soprassalto dopo l’ennesimo incubo e trovarsi di fronte un Elliot confuso e ancora mezzo addormentato, ma preoccupato per lui e pronto a rassicurarlo. Capitavano spesso episodi del genere, in cui i pensieri negativi che lo perseguitavano da quando era bambino si facevano strada nella sua testa e lo prendevano nel sonno, ma solitamente a dargli conforto era la semplice sensazione di un corpo caldo e addormentato accanto al suo. Eppure quella volta era l’altro era lì, gli occhi spalancati che alla luce della luna sembravano ancora più chiari e brillanti, i muscoli tesi come se fosse pronto a scacciare fisicamente qualsiasi suo timore e le dita gentili che correvano al suo viso, ai suoi capelli, alle ciocche scure che, per una volta, gli lasciò scostare senza opporsi.

Era la prima volta che si guardavano in quel modo, senza filtri, senza barriere, occhi contro occhi. Ebbe l’impressione che, qualsiasi pensiero avesse attraversato la sua mente, l’altro l’avrebbe colto all’istante.

Ebbe paura. Non di Elliot, non degli incubi, non di essere ferito e nemmeno di essere lì, scoperto e vulnerabile di fronte ad un'altra persona, ma di sé stesso e di quello che avrebbe potuto fare per rovinare tutto.

– Stai bene? – la sua voce tremava, come se avesse appena visto riflessa nei suoi occhi una catastrofe naturale in grado di demolire il pianeta. Non avrebbe avuto torto, effettivamente. Leo vide negli occhi chiari dell’altro i suoi stessi pensieri, i suoi stessi dubbi, le sue stesse paure, come guardandosi ad uno specchio.

Non rispose, non si mosse nemmeno, era completamente ipnotizzato dal tocco di Elliot che si era spostato dai suoi capelli al suo viso, per poi posarsi con una delicatezza quasi frustrante sulle sue labbra. Lo vide chinarsi verso di lui e d’istinto chiuse gli occhi come per proteggersi, lavarsi le mani da qualsiasi conseguenza e lasciare tutto all’altro. E se ne pentì amaramente, quando sentì il Nightray allontanarsi di scatto e tornare a sdraiarsi, un buonanotte incerto appena sussurrato tra i denti.

Dopo quell’episodio, Elliot provò quasi disperatamente a far finta di nulla. Come se a Leo potesse passare inosservato che, proprio dopo la volta in cui lo aveva quasi baciato l’altro fosse tornato allergico al contatto fisico, trovasse ogni scusa plausibile per stargli lontano senza sembrare scortese e avesse deciso di lasciargli il suo letto per dormire in una brandina malmessa prestatagli dai ragazzi della stanza di fronte. Quell’atmosfera terribile andò avanti per più di un mese prima che l’altro riprendesse a comportarsi in maniera quasi normale, probabilmente perché era convinto che avesse dimenticato tutto o qualcosa del genere.

Ma Leo non aveva assolutamente dimenticato nulla. E poi, per il suo compleanno l’idiota ebbe il coraggio di fargli trovare un mazzo di statice – “qualcosa che non cambia”, come il brano che aveva scritto per lui, come a significare che le cose sarebbero dovute rimanere per sempre così. Non ci vide più. Tutta la sua paura, il suo autocontrollo e i suoi dubbi sparirono, rimpiazzati solo da una rabbia cieca.

Prese quello stupido mazzo di fiori, baciò Elliot e poi lo colpì in viso così forte che il segno gli rimase per settimane. L’altro avrebbe fatto meglio a prepararsi, perché le cose sarebbe decisamente cambiate.

 

 

 

 

 

 

yo. è ancora in corso il periodo di merda, ma grazie a vari piccoli traguardi personali e persone fin troppo meravigliose per farmi pensare che le meriti sul serio, sta passando. quindi, sì, nonostante tutto sono felice, per quanto poco possa interessarvi. devo dire che questo è, tra quelli che ho scritto fino ad ora, il mio pezzo preferito. ne ho ancora un paio già scritti da pubblicare, dopodiché sarò costretta a rimettermi d'impegno e ricominciare a scrivere. mi dispiace se quello che ho pubblicato la settimana scorsa non sia piaciuto, spero che questo aiuti a sopperire un po' le mancanze, anche considerata la lunghezza. ringrazio ancora AlnyFMillen, che ha recensito anche i due pezzi precedenti - e a cui dovrei seriamente rispondere, ma al momento non ho la forza di volontà necessaria. e che dire, grazie di aver letto fin qui, se recensite mi fate contenta.

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Capitolo 5
*** Di litigi e scommesse. ***


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Trattandosi di loro due, ovviamente non si concluse con un semplice bacio. Il gesto di Leo, infatti, scatenò una reazione a catena che portò al litigio più lungo e violento della storia. Passarono la bellezza di quattro ore a urlare, prendersi a pugni, lanciarsi libri e oggetti di ogni tipo. All’inizio aveva pure usato lo stesso mazzo di fiori regalatogli da Elliot per schiaffeggiarlo e tirarglielo in testa, ma si era rivelata un’arma piuttosto fallace.

Tra una mazzata e l’altra, Elliot gli urlò addosso tutta la frustrazione, tutte le paure, tutti i problemi a cui sarebbero andati incontro e tutti i rischi che avrebbero dovuto correre. I pareri esterni, i suoi genitori, la sua reputazione, tutte le cose a cui aveva dato importanza per tutta la sua vita prima che entrasse lui a farne parte. Leo cercò di incoraggiarlo, di fargli capire che lo comprendeva, che parte di quei timori erano anche suoi, ma che non gli importava, perché per lui ne sarebbe valsa la pena. Gli chiese se non fosse così anche per lui.

A quel punto, Elliot si fermò. Era l’una di notte ed erano stanchi, pieni di lividi, senza voce. L’appartamento era un disastro e c’erano fiori ovunque. Avevano passato la serata a sfinirsi a vicenda e adesso sembravano appena usciti da un conflitto nucleare. Lo scollo del suo maglione si era sfilato per tutte le volte che l’altro lo aveva usato per sollevarlo – inclusa la corrente – e dal canto suo era abbastanza sicuro che il tavolino che aveva lanciato addosso al Nightray venti minuti prima gli avesse incrinato almeno un paio di costole. Era il momento di farla finita.

– È semplice, – gli aveva detto – se pensi ne valga la pena si prova, altrimenti niente. – non era sicuro che, con la bocca piena di sangue e la voce roca per le urla, l’altro sentisse bene tutto quello che stava dicendo, ma non se ne curò. Avrebbe capito.

Elliot sospirò e lo rimise a terra, non con delicatezza, ma ci era abbastanza vicino. Lo vide distogliere lo sguardo, scompigliarsi i capelli nel tentativo di riflettere e trovarsi all’improvviso uno di quegli stupidi fiori in mano, probabilmente rimasto incastrato per caso tra le ciocche più lunghe. Normalmente avrebbe riso, magari prendendolo in giro, ma in quel momento non c’era motivo per ridere. Ma l’altro scosse la testa con un sorriso che, per quanto appena accennato, era bello e luminoso come non mai. Lo strinse a sé e Leo lo lasciò fare, posandogli la testa contro il petto e lasciando macchie di sangue sul cardigan scolorito da chissà quale lavatrice finita male. Gli venne da piangere e lo fece, violentemente, lasciando che le lacrime andassero ad infradiciargli i capelli e i singhiozzi gli scuotessero le spalle, perché tanto la dignità era l’ultima cosa che gli importava di perdere in quel momento. Sentì la mano calda di Elliot accarezzargli la schiena, le braccia che lo stringevano più forte, e si rese conto che, se mai avrebbe provato una sensazione lontanamente vicina alla felicità, in vita sua, sarebbe successo lì.

– Certo che ne vale la pena, idiota. –

E aveva ragione.

 

 

 

 

 

 

yo. sono molto affezionata a questo capitolo, mi piace tanto e ritengo che sia uno di quelli più espressivi e quindi meglio riusciti. mi dico sempre che il mio obbiettivo è esprimere il massimo dicendo il minimo e credo di esserci riuscita, una volta tanto. non ho molto da dire, solo che spero vi piaccia e che presto risponderò a tutte le recensioni. in ogni caso, ringrazio tutti voi che leggete, recensite, infilate tra le seguite e così via. per me significa tanto.

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Capitolo 6
*** Di vacanze e clandestini. ***


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Leo sapeva che, per quanto Elliot avesse accettato la situazione, difficilmente avrebbe reso la cosa plateale, ma la cosa non gli dava fastidio più di tanto. Certo, avrebbe voluto fare quello che voleva col proprio ragazzo senza dover dare conto ogni volta al luogo, alle circostanze e alle persone che lo circondavano, ma capiva e rispettava i motivi della riservatezza del Nightray – che tra l’altro, non stonavano molto col suo desiderio di attirare l’attenzione il meno possibile. La situazione poi, si mostrò molto più vivibile di quanto si aspettasse: tra amici e, in generale, nel dormitorio, potevano stare tranquilli, nei cinema e a teatro difficilmente badavano alla loro presenza e quelle sere in cui si erano tenuti per mano passeggiando per strada non avevano avuto problemi, per cui l’atteggiamento di Elliot era decisamente più rilassato di quello che si aspettava.

Tutto andò avanti senza problemi, fino all’arrivo delle vacanze di Natale. Non che ci fosse un effettivo problema, per carità, ma non era il massimo passare tre settimane nel campus completamente desolato sapendo che l’altro le avrebbe passate a casa dalla sua allegra famiglia di stoccafissi intenzionati a presentargli il maggior numero di ragazze possibili nel tentativo di trovarne una di suo gradimento – e non era troppo semplice spiegare a gente così che il loro caro bambino aveva altre preferenze. Dato che, in ogni caso, non potevano fare molto, pensarono di affibbiare ad Elliot una ragazza finta, in modo da lasciarlo relativamente libero e giustificare tutto il tempo che avrebbe passato per telefono.

Per cui quando, a dicembre inoltrato, il Nightray tornò dalla sua famiglia, a Leo rimase solo la preoccupazione di trovare il regalo giusto e spedirlo prima di Natale. Prima di allora se l’erano sempre cavata entrambi con regali stupidi – calzini a forma di renna con tanto di naso in rilievo, romanzi erotici di quarta categoria e simili – ma quell’anno aveva il presentimento che ci fosse bisogno di qualcosa di più importante. In compagnia di Oz, unico studente oltre a lui a passare le vacanze al campus, e con il suo scarsissimo budget, girò tutti i negozi di Reveil alla ricerca di un regalo che potesse piacere ad Elliot. I libri erano fuori discussione e lo stesso valeva per maglioni, cornici e tutte le altre cretinate da film americano. Leo non aveva mai fatto un regalo serio in tutta la sua vita e, visto il casino che aveva fatto passare ad Elliot – a cui, tra l’altro, aveva davvero incrinato tre costole durante il loro ultimo litigio – il minimo era fargli un regalo che gli piacesse.

Alla fine arrivò la sera della vigilia che lui stava ancora cercando la cosa giusta, stavolta senza nemmeno l’aiuto di Oz, che era rimasto al dormitorio a cucinare. Aveva controllato in tutti i tipi di negozi, sfidando una calca di persone a cui normalmente non si sarebbe mai nemmeno avvicinato, e non aveva trovato niente. Stanco, mentalmente e fisicamente, stava tornando al campus a piedi, quando sentì un lamento. Guardandosi intorno alla ricerca della fonte del rumore, si accorse che proveniva da uno scatolone abbandonato ad un angolo della strada. Capì immediatamente, prima ancora di avvicinarsi e controllare, di aver trovato il regalo per Elliot. E la sua supposizione si rivelò fondata, quando vide che sul fondo del cartone vide un gattino nero di non più di due mesi.

Il mattino successivo, quando chiamò Elliot sfruttando il telefono all’ingresso del dormitorio, portò con sé il gattino – adesso lavato, ben nutrito e controllato grazie ad una conoscente di Oz. Come immaginava, l’altro rispose subito, già sull’orlo dell’esaurimento dopo le varie cene, eventi di beneficienza e altre “cose da ricchi che non devono lavorare”. Dopo mezz’ora in cui l’altro ebbe modo di sfogarsi e raccontargli nei dettagli tutto riguardo la festa che avevano dato alla vigilia, la nuova ragazza che aveva portato a casa Ernest e il terribile bracciale regalatogli da sua madre, il discorso si spostò sui loro regali. Elliot, come sempre, aveva deciso di buttare i soldi della sua famiglia dalla finestra regalandogli un cellulare – non avendo nessuno con cui parlare, non ne aveva mai dovuto comprare uno – e una copia del suo libro preferito in un’edizione talmente rara e antica che nemmeno sapeva esistesse.

– Il mio non ho potuto spedirlo. – esordì in tono spavaldo.

– Certo che non hai potuto spedirlo, con ogni probabilità hai passato tutto il tempo a leggere e ti è venuto tutto in mente ieri, quando hai scoperto con tua grande sorpresa che le poste non lavorano a Natale. – lo canzonò l’altro, che probabilmente non aveva mai nemmeno sperato in un regalo ed alla fine non aveva completamente torto.

– Mi dispiace contraddirti, ma non è questo il motivo. – evitò di dilungarsi in spiegazioni e avvicinò il gattino, che emise un lievissimo ma comunque udibile miagolio, alla cornetta. Si era trattato di un rumore appena udibile, ma a giudicare dall’urletto – e sì, Elliot aveva emesso davvero un urletto – che andò a ferire le sue orecchie, il ragazzo lo aveva sentito ugualmente alla perfezione.

Vi fu un brevissimo – nonché totalmente insignificante, dato che l’amore di Elliot nei confronti dei gatti era più forte di qualsiasi cosa, regole incluse – dialogo sul fatto che teoricamente non si potessero tenere animali nel campus, ma chiarite le tattiche che avrebbero dovuto adottare per essere sicuri che nessuno se ne accorgesse, non ci fu nemmeno bisogno di discutere. Dopo di quello, Edwin, il gatto clandestino, diventò “ufficialmente” il loro terzo inquilino.

 

 

 

 

 

 

yo. e dopo lo scorso capitolo un poco più carino dei precedenti, si torna a far schifo. e vbb, non posso neppure dirmi delusa, perché alla fine questo l'ho scritto un mese fa, quindi sono perfettamente consapevole di poter fare di meglio. per quanto non vi interessi, ci tengo a dire che le cose per me vanno finalmente un pochino meglio, quindi con il mood giusto, le vacanze davanti e il fatto che ho quasi finito la roba da pubblicare, in questi giorni dovrei riprendere a scrivere, si spera, qualcosa di un pochino meglio. non ho altro da dire, se non ringraziare come sempre tutti voi che leggete e mi sostenete, in un modo o nell'altro. credo sia la prima volta che vedo il numero di lettori stabilizzarsi in una long e niente, sono davvero contenta.

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Capitolo 7
*** Di matto e disperato studio e motivi. ***


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Leo era sicuro che, con l’avvicinarsi della laurea, tutto il lavoro e lo stress a cui sarebbe andato incontro – che era decisamente tanto, considerato che stava facendo tutto con due anni di anticipo – sarebbero andati ad influire negativamente su quella che era ancora la sua prima relazione. Era anche sicuro che, vista la sua totale incapacità di occuparsi di qualsiasi cosa incluso se stesso, Elliot si sarebbe presto sentito trascurato e di conseguenza avrebbe iniziato a dubitare della sua scelta. Ma tutte le sue supposizioni si rivelarono completamente infondate perché, ad una settimana dalla discussione della tesi, il suo ragazzo era ancora lì, seduto sul letto di fronte a lui, che ascoltava la sua spiegazione per quella che doveva essere la decima volta solo quel giorno senza mostrare cenni di stanchezza. Ed era stato così anche durante i mesi precedenti, mentre rileggeva gli stessi testi e prendeva gli stessi appunti decine e decine di volte perché nessuna sembrava giusta, mentre ripeteva all’infinito per esami che normalmente gli sarebbero sembrati incredibilmente stupidi ma che aveva il terrore di non passare, mentre passava i pomeriggi in biblioteca a cercare le informazioni più inutili per paura di aver sbagliato. Elliot era rimasto lì, con una pazienza che Leo non gli avrebbe mai attribuito, ad aiutarlo a ripetere, a dargli pareri sulle trentasette versioni quasi identiche della sua tesi, a studiare con lui, prendergli i libri che si trovavano troppo in alto e stringerlo forte ogni volta che lo stress arrivava a farlo vacillare. E rimase con lui anche il giorno della discussione, ad aiutarlo a scegliere i vestiti e sistemargli i capelli “quel tanto che gli bastava per essere preso sul serio” ed accoglierlo con il più luminoso dei sorrisi una volta finito.

Per quanto non piacesse fare l’orfano solitario e disperato, aveva sempre pensato che laurearsi senza che i suoi genitori potessero assisterlo ed essere orgogliosi di lui sarebbe stato stupidamente triste ed insoddisfacente. Si era sempre detto che con la fine degli studi si sarebbe sentito vuoto e perso perché non avrebbe avuto niente in cui mettere tutto sé stesso per dimenticare quanto fosse una persona sola ed insignificante. Ma c’era Elliot con lui, alla cerimonia, a festeggiare scarrozzandolo in piena notte per tutta la città, a togliergli dagli occhi assieme ai capelli tutte le paure che gli impedivano di vedere il futuro luminoso che avrebbe potuto aspettarlo. Fu lui a convincerlo ad accettare il lavoro offertogli dall’università e fu sempre lui a intercedere per fargli tenere il suo posto nel dormitorio.

In poche parole, gli diede tutto. E Leo era sicuro di non meritarlo, nemmeno lontanamente, nemmeno per sbaglio.

Così come in quel momento non meritava di stare tra le sue braccia, in piena notte, la pelle baciata da quello sguardo così buono e dolce da fargli stringere il petto. Si chiese cosa ci guadagnasse l’altro a tenerlo con sé in quel modo, tanto stretto da poter sentire il suo cuore battergli contro il torace e tanto vicino da lasciare che le loro esistenze si mischiassero. Si chiese cosa avesse fatto di buono per meritarsi quelle carezze lui, che materialmente e spiritualmente non aveva niente, che poteva dargli solo sé stesso, che aveva conosciuto solo solitudine ed oscurità. Si sentì in dovere di ringraziarlo e lo fece, a modo suo, sollevandosi quel tanto che bastava per posargli un bacio leggero sulle labbra. Elliot gli portò una mano sul viso, ad accarezzargli appena una guancia col pollice, una sicurezza e una serietà che raramente aveva visto negli occhi troppo belli per essere umani. Ne ebbe paura, come di tutte le cose che non riusciva a comprendere.

– Ti amo. – parole scontate, si disse, in un momento simile, ma questo non impedì al suo cuore di battere tanto forte da spaventarlo.

– Perché? –

– Come “perché”? – l’espressione di Elliot fu così esagerata da rasentare il ridicolo. Ma Leo rimase serio.

– Perché? – “cosa ti rende così sicuro?” “cosa ho fatto per meritarmelo?” “cosa dovrebbe rendermi più meritevole del tuo amore rispetto a qualsiasi altra persona?” “quanto ti ci vorrà a cambiare idea e desiderare di non avermi mai conosciuto?”. Si rese conto che voleva piangere, ma quella volta non lo fece. Voleva la sua risposta. Elliot sospirò esasperato e lui si sentì morire.

– Non c’è mai un perché, ti amo e basta. Prova a dire qualcosa in contrario e giuro che ti mollo un pugno. – disse serio, prima di stringerlo tanto forte da fargli dimenticare quello che voleva dire.

Leo non rispose, non ne sentì il bisogno.

 

 

 

 

 

 

yo. non so cosa pensare di questo pezzo. lo scorso non è stato filato praticamente da nessuno e per quanto mi dispiaccia, non posso dire che non me lo aspettassi dato che faceva schifo. e vbb, alla fine era stato scritto proprio nel mio periodo peggiore, quindi ha senso. spero questo vi piaccia un pochino di più, è l'ultimo che avevo conservato(?) ed ora devo rimettermi a scrivere. sappiate che, in caso gli aggiornamenti diventassero meno frequenti, il motivo è quello. btw, come sempre, spero vi piaccia. sapere che leggete mi fa sempre piacere, ma magari una recensione non mi farebbe male, pure se negativa (soprattutto se negativa--).

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Capitolo 8
*** Di certezze ed esami di cintura. ***


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Leo non ci credeva mica tanto, nell’amore. Insomma, ci credeva, ma come si credeva nello sbarco sulla Luna, nei miracoli, nel fatto che gli animali ci comprendessero e tutte quelle altre cose che tutti assicurano siano vere, perché l’hanno provato, dicono, ma se provi a chiedere di dimostrarlo diventano vaghi o tirano fuori studi e ricerche affidabili quanto i sogni premonitori che dicono di fare certi anziani. Ci credeva come credeva in tutte le cose che da sempre gli sbandieravano come vere. Perché alla fine mica ci poteva andare, sulla Luna, a controllare che ci fossero le impronte e la bandiera americana, e allora stesso modo non poteva pretendere di entrare nelle persone, testa o cuore che fosse, ed assicurarsi che tutti i sentimenti magici di cui vaneggiano esistessero davvero.

Ma forse non era nemmeno un paragone abbastanza efficiente, perché vero o falso che fosse, tutti avevano più o meno un’idea di come fosse uno sbarco sulla Luna. Chiunque sarebbe stato in grado di vedere una navicella posarsi su quel dannato satellite e dire “ah, ecco, sta succedendo”, ma con l’amore? Chi stabiliva la linea di confine che divideva l’affetto profondo tra due amici e il tanto chiacchierato e desiderato amore? A che punto una cottarella leggera poteva ottenere il titolo di amore? Forse era come le arti marziali, graduale, con esami periodici a definire se si è pronti per il livello successivo o se si deve aspettare ancora. E proprio come nelle arti marziali, magari, c’era chi si stancava di tentare e ritentare senza cambiare cintura e mollava, o chi peggio ancora prendeva la cintura nera e poi perdeva tutto rompendosi una gamba o iniziando a pensare che il kung fu fosse meglio del karate ed era il caso di provare qualcosa di nuovo. Doveva ammettere che, per quanto stupido, non era un termine di paragone tremendo.

E allora, si era chiesto, stretto al braccio di un Elliot stanco e abbandonato malamente sul sedile del taxi, loro a che livello erano? O meglio, lui, a che livello era? Poteva davvero dire di provare il sentimento forte ed innegabile che il biondo gli dichiarava più spesso di quanto avrebbe probabilmente ammesso? E – questa, doveva ammettere, era la parte che più lo spaventava – come faceva Elliot stesso ad essere sicuro di provarlo? Magari era sicuro come la morte di meritare la cintura nera, ma non sarebbe riuscito nemmeno a fare una verticale, figuriamoci un salto mortale. Ma pure ammesso che ci fosse riuscito, non sarebbe stata una prova effettiva dei suoi sentimenti. Era quello il problema dell’amore, non c’erano prove. Si dovevano guardare le parole e le azioni e pregare l’universo che fosse tutto come si vedeva, intrecciando la propria vita attorno a quella di una persona che avrebbe potuto svegliarsi un giorno dopo vent’anni insieme e dire che non c’era mai stato niente. Era un salto nel vuoto, per quando riguardava l’altra persona.

E per lui? Come poteva analizzare e quantificare quello che provava? A che punto era, che livello? Era una cintura nera pronta alle olimpiadi o un povero cretino ancora alla gialla? E con quale criterio avrebbe potuto saperlo? Se avesse dovuto prendere e mettere insieme tutti i cambiamenti che Elliot aveva portato nella sua vita e tutte le cose che aveva fatto per lui senza che il biondo chiedesse, non avrebbe saputo dove collocarli. Lasciare che gli toccasse i capelli poteva essere davvero un traguardo così grande, alla pare di concedersi a lui? Gli sembrava assurdo. E un bacio, un bacio poteva davvero avere così poca importanza? La convivenza era sempre stata considerata da lui la prova del nove, l’esame finale, ma con Elliot l’aveva provata prima ancora di innamorarsi. Solo affrontare la questione, per lui, era stato il più grande sforzo della sua vita, ma allora cosa ancora c’era da superare, per assicurarsi che fosse tutto vero? Se lo chiese molte volte, nell’anno che seguì la sua laurea.

La risposta arrivò violenta alla fine dell’anno dopo e non aveva niente a che vedere con quello che si era sempre aspettato. Perché se immaginava una prova finale, immaginava un litigio violento, porte sbattute in faccia e silenzi interminabili, e in parte aveva pure ragione, ma non come credeva.

Ora, Leo sapeva che non era una buona idea presentarsi con Elliot, anche se come amico, per trascorrere le vacanze con lui. E lo aveva ripetuto tante volte al biondo, che sarebbe andata male, che ai suoi non sarebbe piaciuto, che avrebbero fatto battute e che lui sapeva contenersi solo fino ad un certo punto, ma il ragazzo era deciso, voleva far conoscere alla sua famiglia la persona con cui avrebbe passato il resto nella sua vita, anche senza che lo sapessero. Aveva anche fatto di tutto pur di contenersi, calpestando il suo orgoglio e stringendo tra i denti tutta l’acidità e l’indisponenza che lo caratterizzavano, ma a poco era servito quando, all’ennesima allusione alla sua scarsa virilità e probabile omosessualità, Elliot era scattato in piedi a difenderlo.

– E anche se fosse, cosa faresti? – Leo lo aveva pregato con lo sguardo, la rabbia che già montava negli occhi di Bernard. Elliot aveva continuato – E se fosse gay? – lo aveva afferrato quasi convulsivamente per la camicia, uno smettila, ti prego, non fa niente appena sussurrato tra i denti. Tutto inutile – E se lo fossi anche io? – di lì in poi, il disastro. Non riuscì nemmeno a ricostruire bene quello che era successo, ricordava solo il suo Elliot, figlio perfetto e prediletto, sbraitare contro padre e fratelli come se fossero sconosciuti, i singhiozzi disperati della madre, una lite che presto passò da verbale e fisica e uno schiaffo che doveva essere indirizzato al biondo, ma che si affrettò a intercettare lui, trovandosi di colpo a terra. Dopo di quello, il buio, poi ricordi confusi di bagagli preparati in fretta e corse in auto per tornare al campus e accertarsi che stesse bene.

Le conseguenze non arrivarono subito. I giorni successivi furono strani, Elliot non faceva altro che studiare e parlava a stento, qualcuno avrebbe potuto dire che lo stava evitando, ma Leo sapeva che quello che evitava era altro. Per cui lo lasciò fare, senza dire nulla, limitandosi ad aspettare il punto di rottura, quello in cui sarebbe stato costretto ad affrontare quello che era successo e i propri sentimenti a riguardo. Ed arrivò dopo mesi, il giorno in cui si trovarono una lettera dalla segreteria ad intimare che, a causa del mancato pagamento delle tasse universitarie, Elliot avrebbe dovuto sgombrare la camera entro le ventiquattro ore successive. Detto chiaramente, gli avevano tagliato i fondi.

Fu allora, mentre vedeva il ragazzo stringere convulsamente quel pezzo di carta tra le mani, gli occhi spalancati in un misto di incredulità e terrore, che si rese conto di aver intrapreso l’esame finale.

Riuscì a riconoscere il momento esatto in cui tutto il contegno e la forza sempre ostentata di Elliot si infransero in mille pezzi, seguiti dopo pochi attimi dai singhiozzi e poi – solo poi – dalle lacrime. Se fino a qualche minuto prima avrebbe potuto sperare in una qualsiasi riappacificazione o patteggiamento da parte della sua famiglia, adesso la realtà del loro rifiuto era nuda e cruda davanti ai suoi occhi. Nessuna telefonata, nessun messaggio, niente: così glielo avevano comunicato, semplicemente tagliando tutti i collegamenti. Nessuna via di scampo. Come immaginava, non si diede nemmeno tempo per sfogarsi a dovere, ma con gli occhi umidi e le spalle che tremavano ripose diligentemente in valige e scatoloni tutte le sue cose, invitandolo a fare lo stesso. Caricarono tutto nella macchina che, risparmiando mesi e mesi di stipendio, aveva preso ad Elliot e che sarebbe dovuta essere una sorpresa per il suo compleanno.

– Sarebbe stata una bellissima sorpresa. – lo sentì dire, una volta preso posto e chiuso lo sportello, le mani strette sul volante. Quando l’aveva comprata e si era fatto aiutare da Oz a portarla nel parcheggio del campus, aveva pensato che Elliot avrebbe sorriso, ed effettivamente lo stava facendo, ma il sorriso amaro e debole che vide sul viso del ragazzo non aveva niente a che fare con quello che aveva immaginato. Fu in quel momento che Elliot crollò e Leo si rese conto di odiare la famiglia Nightray con tutto sé stesso, come mai aveva odiato niente e nessuno, perché quelle serpi ben abbigliate avevano ridotto la luce della sua vita ad un ragazzino minuscolo che stava lì, accucciato su sé stesso, a piangere in silenzio con le spalle che tremavano, senza nemmeno la forza di mettere in moto, e lui non glie lo avrebbe mai perdonato. Si intrufolò tra le braccia del ragazzo e lo strinse, forte come non aveva mai fatto in vita sua, e sentì Elliot nella sua debolezza ricambiare la stretta, i singhiozzi forti, le braccia che tremavano e le lacrime ad inzuppargli i capelli e il maglione. Leo non si mosse di un millimetro, lo lasciò piangere e sfogarsi tutto il tempo che voleva, senza mettergli fretta, sussurrandogli con tutta la dolcezza di cui era capace che sarebbe andato tutto bene, che erano in due e che non l’avrebbe mai lasciato. Fu solo ore ed ore dopo, quando sentì i singhiozzi fermarsi e il volto pallido di un Elliot stanco e dagli occhi rossi si alzò dal suo collo per tornare nel suo campo visivo, che si rese conto di credere in quello che aveva detto. E quella fu la fine della prova, se mai ce ne fu una, perché quando incrociò quegli occhi gonfi, arrossati e segnati da due occhiaie che facevano quasi paura non riuscì a non pensare che erano i più belli che avesse mai visto. Gli accarezzò delicatamente una guancia e quando sentì sotto i polpastrelli quell’accenno di barba trascurata così poco da lui e vide negli occhi di Elliot, il suo Elliot, tutto l’imbarazzo e l’orgoglio ferito che aveva risvegliato quel dettaglio insignificante, sentì le parole che si era sempre rifiutato di pronunciare premergli in gola fino a far male.

– Ti amo così tanto che credo potrei morire. – disse, un tono talmente serio e calmo da far ridere. Ed Elliot rise, scuotendo la testa rassegnato, gli occhi stanchi ma sempre vivi, svegli, pronti a divorare il mondo.

– Magari non adesso, tu che dici? – rispose, la voce ancora roca e sottile per il pianto, ma un mezzo sorriso che faceva capolino sul bel viso.

– Credo tu abbia ragione. – fece, annuendo pensieroso. L’altro annuì a sua volta, lo strinse forte a sé e gli posò un bacio sulla tempia che un po’ lo fece tremare. Leo lo guardò negli occhi, schiacciato contro il suo petto e intrappolato nella stretta quasi dolorosa delle sue braccia, ed Elliot lo guardò a sua volta, negli occhi la luce brillante di cui si era innamorato e che niente, davvero niente, avrebbe mai potuto distruggere. E, per la prima volta in tutta la sua vita, sentì un amore tanto forte e profondo da penetrargli le ossa e riempirgli petto e polmoni e giurò a sé stesso che non avrebbe lasciato che niente, davvero niente, si sarebbe mai messo tra loro due, che niente avrebbe mai intaccato quel sentimento che se non era la perfezione stessa, ne era il fratello gemello. E capì che avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere quello che aveva trovato, che stava scommettendo tutta la sua vita su quel sorriso e su quel cretino e che lo faceva volentieri, perché ne valeva la pena.

 

 

 

 

 

 

yo. allora, questo non doveva essere l'ultimo capitolo. volevo scrivere una ff molto più lunga, diecimila volte più angst e che lasciasse una sensazione completamente diversa. poi è successa la vita in mezzo, e mi sono ritrovata a chiudere con persone che credevo sarebbero state nella mia vita per sempre e ad innamorarmi come una cretina dopo mille delusioni e cose e semplicemente ho cambiato idea. per me scrivere è sempre meno rappresentare e sempre più trasmettere e quindi ho preferito dare questa immagine aperta, lasciare una finestra su un futuro pieno di dubbi che davvero non si sa come andrà a finire ma che nel bene o nel male sarà tutta esperienza vissuta fino all'ultimo. e scrivere questo capitolo è stato difficilissimo e semplice allo stesso tempo, perché mettere parte dei tuoi pensieri in bocca ad un personaggio e lasciarlo parlare è facile, ma diventa complicato quando si tratta di cose che tu stessa hai paura di affrontare. perché parliamoci chiaro: l’amore in sé, è strano. tu stai lì per i cazzi tuoi e improvvisamente arriva questa persona che magari ti sta pure sul cazzo e ti stravolge tutto. non ha senso, la vedo come una cosa che va contro ogni istinto di sopravvivenza, non so voi. e poi fa paura, perché tutti lo provano e dimostrano in un modo diverso e non puoi mai essere sicuro di niente. ma tutto sommato non è malaccio, basta contare ogni esperienza come tale e non farsi troppi scrupoli. non lo so, potrei passare l’infinità a parlarne e non sarebbe abbastanza, forse è per questo che non faccio altro che scrivere di idioti diversi che si innamorano in modi diversi. in ogni caso, sto divagando, quindi chiudo qui, che è tardi e domani porca puttana mi devo alzare alle sei. ringrazio con tutta me stessa tutti voi che avete letto fin qui, recensito, messo tra i preferiti e qualsiasi altra cosa, le mie amiche che mi hanno sostenuta, la mia bf che merita una menzione a parte perché sì e la mia ragazza, che ha seguito questa storia da quando l’ho iniziata, prima ancora di pubblicarla, ed ero per lei poco più di una sconosciuta incontrata in fiera. grazie per la pazienza, visto il tremendo ritardo che ha avuto questo aggiornamento e grazie, davvero, per il vostro sostegno, mi avete aiutato nel vostro piccolo a superare un periodo tremendo e pure se non vi conosco e non ve ne sbatte un cazzo di me avete contribuito a rendere questa merda un pochino meno orribile. spero con tutto il cuore che questa storia vi sia piaciuta, a presto. 

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