Il mercante di Venezia

di Anny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -Scena prima- ***
Capitolo 2: *** -Scena seconda- ***
Capitolo 3: *** -Scena terza ( atto primo )- ***
Capitolo 4: *** Scena quarta (atto secondo) ***
Capitolo 5: *** - Scena quinta- ***
Capitolo 6: *** - Scena sesta- ***
Capitolo 7: *** - Scena settima- ***
Capitolo 8: *** - scena ottava - ***



Capitolo 1
*** -Scena prima- ***


"Oh licenziosa Venezia,

"Oh licenziosa Venezia,
tu che scorri lesta, verso
fiumi di ricchezza,
lusso è la tua garanzia
piena di malizia
e bramosia.
A te, città di paradiso
Ed di inferno, volgo il mio sorriso
Consapevole delle tue vesti
Che rapiscono gli stranier sguardi mesti
Trasformando l'animi tristi
In sfavillanti fiamme di gaudio e gemme.
Ah, ma io so cosa tu nascondi
Sotto di te, dentro di te miserabili e balordi
Pronti a tagliar soffici gole
E ad arraffar mille parole,
come se fossero pallide perle.
Tu , tu porti grandi onori,
ma pur i più faceti vituperi,
trascinando in miseria i più illustri
e dando dimora magna ai più angusti.
Strana città, fatta per di più di fortuna
arroccata invisibile e sfavillante in una dolce laguna,
miraggio per molti
covo di fortuna per tanti,
pure dannatissima fonte di dispiaceri per troppi.
Cara e odiata, di inganno, piacere e disillusione tu sei l'aperte porte,
Oh Venezia, che qualche volta porti i tuoi miserabili alla spietata morte."

"Accorri Venezia, accorri...le Navi…le navi.."
"Giullare, perché hai terminato la tua poesia…di cosa vuoi parlare, di navi? Oh sciocco analfabeta che vuoi fare, giocare all'armatore?"
Il giullare non rispose, indagando a fondo quello splendido giovane uomo che gli stava dinanzi, schernendolo bonariamente. Sentiva le sue parole di burla prive di una parte della loro sicurezza signorile, esse portavano una dolente nota di preoccupazione ed ansia. Un ansia malcelata dall'ironia del nuovo signore. Lo straccione vestito di mille colori stinti e strappati dalla furia della miseria e della noncuranza, lo fissò per parecchi minuti, con un aria di arguzia ed intelligenza, aggiunta ad un poco di impudenza che sorpresero l'uomo riccamente vestito, e che lo indussero a non andarsene infuriato per la mancata risposta e per il comportamento impertinente ed illegittimamente indagatore del povero giullare di strada. Quest'ultimo dopo una più accurata osservazione del viso del giovane, spalancò gli occhi per pochi secondi, riprendendosi subito dalla sorpresa: lui, se pur miserando e per natura non affine ai ritrovi della società nobiliare, riconobbe quel volto, e gli diede subito un nominativo, con una voce che ora rasentava la petulanza ed una sadica compiacenza.
"Sior Bassanio?"
Il giovin signore arretrò dal disgraziato cantore, guardandolo come se avesse tentato di rubare al pover'uomo le monete riposte nel suo buffo e sproporzionato cappello.
"Voi mi conoscete?" chiese Bassanio con voce appena tremolante, riavvicinandosi al giullare per indagare il suo aspetto a sua volta, temendo che egli fosse una persona a lui conosciuta, magari un suo ex compagno d'affari decaduto. A Venezia poteva accadere anche questo e non era né una rarità né una beffa del destino, ma regola quasi quotidiana.
"Non vi conosco affatto...solo di vista, e per lo più di voi non mi sarei mai accorto, se non vi foste sempre presentato con quell'armatore, vostro carissimo amico..."
"Antonio" sussurrò impercettibilmente il nobile, pregando che il miserabile non l'avesse udito.
".non sussurrate giovane Signore...io ho l'udito molto buono, ma così me lo sforzate troppo." disse sempre più mellifluo, la malefica voce del giullare, il quale si stava leccando gli obbrobriosi denti marci, della sua ancor più disgustosa bocca senile.
"Che cosa è accaduto ad Antonio?" lo interruppe bruscamente Bassanio, quasi urlando dallo strazio interiore che si propagava ferocemente dentro di lui, gettandolo nel panico più totale; il solo panico che può dare il non conoscere, e la smania quasi viscerale dell'apprendere immediatamente. Un panico che sfociava nella più assoluta paranoia, in cui prima di una risposta la mente si formula già le sue catastrofiche chiarificazioni, portando la persona allo spasmo mentale più completo. Doveva sapere, era vitale e frustrante come l'acqua sottratta al viaggiatore sahariano. Lui doveva bere, era un imperativo assoluto, in quel momento avrebbe perfino ucciso colui che gli negava l'elemento vitale, da lui tanto agognato. Antonio, Antonio ed ancora Antonio, quel nome gli vorticava in mente, furioso e allo stesso tempo colmo di indescrivibile tenerezza.
Bassanio si gettò furente contro il giullare atterrandolo con facilità, noncurante dei passanti curiosi, del sudiciume rivoltante che impregnava le strade, ed ora anche le sue preziose vesti, e dei poderosi calci e scalpitii che lo spaventato cantore di vicoli gli sferrava selvaggio.
Il giovane, resistendo all'olezzo del fiato del giullare e al ribrezzo che la sua pelle incrostata di sporcizia dava alla vista, lo strinse in un abbraccio poderoso e doloroso, avvicinando la propria bocca all'orecchio del miserando sussurrandogli fermo e glaciale:
"Dimmi che cosa è accaduto ad Antonio...o ti giuro che ti stritolerò le ossa con tutto il mio ardore giovanile…devi dirmi ogni Cosa!"
Detto questo Bassanio si rialzò di scatto, portando con se il giullare, che fu scagliato di nuovo per terra. Il pover'uomo, spaventato come un bambino e tremante come un vegliardo si trascinò fino alla più vicina parete di un palazzo accanto a lui, e alzandosi faticosamente sulle gambe malferme, guardò colmo di terrore reverenziale il giovane signore che si trovava a pochi passi dalla sua figura, rigido e furente; il suo stato di agitazione veniva fatto trasparire solo da un convulso tremolio della mano sinistra, chiusa a pugno.
Il giullare abbassò gli occhi, per riacquistare un po' di sicurezza, dopo diversi secondi gli alzò di nuovo verso Bassanio, strinse i denti ed urlò in preda ad un liberatorio delirio:
"Lui ha perso tutto...Oh arrogante signore mal informato sulle novelle Veneziane...Tutto. I suoi carichi più preziosi sono a marcire tra le scogliere di non so quale maledetto luogo..Ha perso ogni cosa...Ogni cosa...Andate nelle piazze più prestigiose di Venezia...e sentite se Alabar, l'ebreo convertito a dolce suon di vergate ha torto…No Alabar anche se è un povero idiota ha sempre tanta curiosità e ottima memoria…e il suo udito sente a mille leghe di distanza, se vuole...Il vostro amico è fallito, Sior Bassanio…come dovrebbero fallire tutti quelli come lui…Tutti!"
"Bugiardo…bugiardo!"
Bassanio, rivolse un ultima occhiata d'odio al canzoniere marrano, e prese a correre sempre più veloce, per rifugiarsi dallo sguardo penetrante del giullare, ma soprattutto dalle sue parole, sempre più accusatorie, e volgari.
"Dove fuggite Sior Bassanio…andate a controllare eh? Oppure vi fidate così tanto di me, che correte a consolare il vostro amico, con le armi che conoscete solo voi cattolici timorati di Dio? Consolatelo meglio che potete...su, riempitelo di baci nascosti...accarezzatelo dolcemente...fatelo sospirare per voi…cercate di fargli dimenticare l'avvenuto riempiendo la sua mente di pensieri più gioiosi ed eccitanti!...Non servirà a nulla...Lui è perduto...e Shylock lo sa!…tutta la città lo sa!"
Le parole del povero ebreo convertito si propagarono isteriche ed altissime per tutto il calle in cui si trovava, attirando i passanti: ebrei compiaciuti ed altri, invece, inorriditi da tali parole, ma soprattutto dalle conseguenze che il fallimento di Messer Antonio avrebbe prodotto, cattolici uniti nel condannare e schernire il pazzo marrano, stranieri che spaventati acceleravano il passo per fuggire da quella dimostrazione esagerata e violenta.
Parole che alle orecchie di Bassanio giunsero solo parzialmente, visto la notevole distanza che egli aveva frapposto tra la sua persona ed il giullare, correndo a perdifiato lungo numerosi calli e viuzze, per sfociare poi in un affollatissima e concitata Piazza San Marco. Durante la fuga la sua mente era stata come anestetizzata dalla fatica fisica e dallo shock che aveva causato la rivelazione del maligno cantastorie, ma ora, fermo e perso in mezzo all'immensità e al fragore del piazzale principale di Venezia, illuminato in quel giorno da una luce solare spiazzante tanto era luminosa e calda, i pensieri fino a poco fa congelati nella foga della corsa presero a scuotersi prepotentemente nella mente di Bassanio. Il volto di Antonio gli balenò per l'ennesima volta davanti agli occhi della sua immaginazione. Un viso dallo sguardo calmo e riflessivo, in cui nei momenti di concentrazione più assoluta si potevano scorgere i segni del tempo e dell'esperienza maturata in molti anni di vita, che solo quel dolce sorriso tutto suo poteva far scomparire, incorniciando una bellezza ancora prepotentemente esistente ed un fascino che rubava ad ogni incontro il cuore di Bassanio, portando il giovane nobile a bramare di rapire il tempo e farlo suo prigioniero per fermare quei momenti per sempre.
Ora tutta quella delicata intimità, quel fortissimo legame, quella amicizia così intima e profonda poteva venir spazzata via dalla furia distruttrice degli eventi, e dalla ancor più furente ferocia di Shylock, che avrebbe richiesto con fervore il suo pegno, un pegno già al tempo Bassanio aveva considerato assurdo, ma che Antonio aveva accettato senza troppe remore, per permettere al suo amico di poter coronare il suo sogno d'amore con la bella ereditiera Porzia, che ora alla luce dei fatti non appariva che un capriccio di Bassanio, soddisfatto amorevolmente dal suo affezionato compagno. Un capriccio amoroso, nulla più, ma quella infatuazione scherzosa si stava configurando come la causa della maggior tragedia che avesse mai coinvolto la sua vita e quella dell'amico. Mentre si dirigeva a passo svelto verso i banconi presieduti dagli affaristi ed appaltatori mercantili più in vista e ben informati di tutta la Serenissima, tutti quei pensieri lo distruggevano con velocità esorbitante ed impossibile da controllare. La triste verità era evidente: il suo Antonio sarebbe morto solo ed esclusivamente per causa sua. Sarebbe morto per un capriccio sensuale e giovanile. Tutto questo spinse una parte dell'immaginazione di Bassanio a pensare di poter tornare a ritroso nel tempo, per ritrovarsi, nelle stanze di Antonio, sdraiato accanto a lui scosso dalla lunga notte di festeggiamenti e ancor di più dalla vicinanza trascinante del suo compagno. Ma la realtà era un'altra, e lui giurò in quel momento di coinvolgersi completamente, anche se questo l'avrebbe portato alla distruzione fisica, anzi non bramava altro che questo, se il suo sacrificio capitale avrebbe potuto portare alla liberazione di Antonio.


Fine Primo Capitolo.


Come al solito, la responsabilità per ogni errore ortografico e sintattico è imputabile solo alla sottoscritta analfabeta.....Per la poesia..lo so è terribile...infierite pure...io mi ritiro a miglior vita.
Ogni possibile riferimento antisemita nella società, ha l'unica funzione di adattare alla fan l'atmosfera di largo antisemitismo purtroppo presente nella Venezia del secolo, e già massicciamente descritto nell'opera. Per modernizzare i contenuti la fan si orienterà anche da questo punto di vista all'OOC, rivelando le sofferenze di questo popolo, i soprusi da parte dei cristiani dell'epoca, i pregiudizi, e la violenta voglia di rivalsa di Shylock (comunque assolutamente condannabile) la presenterò come io l'ho intesa: e cioè scaturita da un intenso sentimento di odio e disprezzo represso verso un popolo, quello Veneziano che relegò la comunità ebrea ai margini della società.






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Capitolo 2
*** -Scena seconda- ***


“ mi devi lasciare

Grande, troppo estesa, confusionaria ed accecante. Piazza San Marco era gremita fino all’inverosimile in quel pomeriggio di primavera: contadini dell’entroterra, massaie e domestiche, garzoni analfabeti e mercanti l’affollavano, trasformandola in un formicaio umano indaffarato ed indifferente. Chi rideva, chi contrattava ferocemente, chi ancora mendicava con sguardo implorante. Tutta l’umanità di Venezia si era improvvisamente riversata in quella soleggiata ed afosa giornata iniziatrice della buona stagione.

Bassanio si era trovato in mezzo alla piazza, quasi sommerso dalla folla vociante. Voltava lo sguardo in ogni direzione, scrutando ogni persona presente che gli ricordasse qualcuno di famigliare, ogni banco di affaristi. La sua attenzione era ai massimi livelli, i suoni venivano setacciati con una freddezza e precisione stupefacente, quasi meccanica. Non sperava di scorgere Antonio in mezzo alla calca multicolori; no, si sarebbe accontentato di un viso amico, di un qualsiasi armatore suo conoscente, di chiunque gli poteva dare quel minimo di fiducia e affidabilità. In fondo lui doveva solo sapere la verità, non voleva conforto…..solo verità.

I minuti passavano, ed il rosso sole accecante si eclissava con lentezza verso la laguna, irradiandola dei riflessi del fuoco e dell’oro. Nessuno, neanche un mercante gli si era avvicinato, anzi, Bassanio non ne aveva scorto nemmeno uno. Solo giovani armatori a lui sconosciuti, o qualche affarista straniero.

" Bassanio!"

Il giovane non si voltò, il suono di quella voce veniva disintegrato e rimescolato ai tanti suoni cacofonici prodotti dalla folla, sempre più gremita. La gente lo sfiorava, si scontrava, si scansava, presa ognuno dai loro affari e faccende, senza degnare d’attenzione quell’uomo disperato appena accolto alla vita adulta e già così duramente messo alla prova da essa.

"Bassanio, ascoltami!"

Un'altra esclamazione, un imperativo che inevitabilmente si scontrò contro gli scogli delle altrui voci, affondando miseramente, ma non prima di essere flebilmente udito dal nobile veneziano, che si voltò di scatto in cerca della fonte di quelle parole.

All’improvviso ebbe una fugace apparizione, forse un miraggio creato dalla preoccupazione.

La sua angoscia fu per un momento dissipata dalla visione di un uomo basso e tarchiato, ingioiellato all’inverosimile, e ricoperto da stoffe pregiate, ma volgari, che agitava in sua direzione la grossa mano rigida dalle dita tozze, e racchiuse da una moltitudine esagerata d’anelli.

Era Ferraldo, un ricco armatore amico d’infanzia di Antonio e da una decina d’anni pure di Bassanio. Egli si era arricchito attraverso il commercio di pelli pregiate ed esotiche, e grazie a qualche azione di leggero contrabbando di schiavi e prostitute. La sua fortuna monetaria era tale da renderlo uno degli uomini più ricchi e malvoluti di Venezia; si narrava che il numero dei suoi successi mercantili era equivalente o perfino minore a tutte le missive minatorie da lui ricevute. Nonostante il suo spirito materialista, il suo attaccamento al vino ed al gioco d’azzardo, ed alla sua mania per la ricchezza e all’ostentazione di questa, Ferraldo era la persona di cui Bassanio ed Antonio si fidavano maggiormente, sicuramente la più informata sugli spostamenti finanziari di quest’ultimo.

" Ferraldo!.."

Il giovane nobile si avviò a passo spedito, per quanto glielo consentisse la calca di domestiche, straccioni, e piccoli artigiani che si ammassavano frettolosi davanti alle bancarelle, sbarrandogli il passaggio. Tentoni, scrutando come un falco in posizione d’attacco ogni piccola fenditoia che si creava via via tra la folla, ed imboccando un paio di vantaggiose scorciatoie tra i banchi dei commercianti arrivò dinanzi al ricco mercante, che lo attendeva bonariamente a braccia aperte, ma con un’espressione che manifestava tutto il dolore ed il cordoglio. Il giovane nobile lo abbracciò un po’ freddamente, tanta era l’impazienza di apprendere la verità. Egli voleva saltare ogni convenevole, arrivando il più in fretta possibile alla rivelazione che gli avrebbe cambiato la vita, in ogni suo aspetto; non gli importava se si dimostrava scortese o barbaro con l’amico.

"Ferraldo….ti prego…dimmi!"

"Siediti Bassanio": disse l’armatore, indicando uno sgabello a tre piedi, posto accanto al banco degli Affari.

"No.. non ho tempo…Ferraldo devi dirmi ogni cosa!"

"…sai già qualcosa, immagino?"

"…..ed è la verità?": rispose la tremolante voce del giovane uomo, sempre più in preda al panico.

Ferraldo si sedette stancamente, su uno sgabello gemello a quello offerto a Bassanio. Si lisciò la corta barba a punta, sospirò, e con un molle gesto prese la mano destra di Bassanio esortandolo per la seconda volta a sedersi.

Il nobile, esasperato obbedì, sedendosi meccanicamente, tenendosi sull’orlo del treppiede, con la schiena ben ritta e la mente pronta ad assorbire tutte le tragiche affermazioni che avrebbe recepito da lì a breve.

" Ti prego."

Il ricco commerciante lo guardò con uno sguardo straziato; gli prese di nuovo la mano destra tra le sue, premendogli il palmo fino a che non riabbassò il volto, rivolgendo gli occhi da un'altra parte.

"…Bassanio"

Il giovane lo guardo con solerzia, tutto il suo corpo si protese verso Ferraldo, come se quel gesto servisse ad enfatizzare tutta la sua prontezza mentale.

"…..Sì, Bassanio…Lui ha perso davvero quelle navi…tre per l’esattezza.."

Con una freddezza e prontezza che sorpresero perfino egli stesso, Bassanio lo interruppe.

"Ma ne possiede delle altre!….sono solo tre misere navi…solo tre….Buon Dio, cosa sono tre anime di legno in confronto alla sua flotta…non è così grave, vero?": proruppe con un tono di voce che rasentava l’innocenza e l’ingenuità fanciullesca.

Ferraldo lo guardò paterno, e pieno di affetto e pietà, gli prese anche la mano sinistra, e le strinse ambedue saldamente per infondere coraggio al giovane nobile.

"….Tu sai molto sulla persona Antonio...ma Bassanio mio, dei suoi affari sai ben poco…"

"Lui me li teneva sempre nascosti…non per scaramanzia o perché temesse un mio tradimento….Lui me li nascondeva perché.."

"Perché?"

Bassanio gli rivolse uno sguardo talmente dolce e tenero, da far apparire il suo volto quello di un sedicenne. Il candore dell’età infantile ed adolescenziale non l’aveva ancora del tutto abbandonato.

- perché mi diceva sempre che ero molto più importante della più preziosa tra tutte le sue missioni commerciali, e aggiungeva sempre, che quando era in mia compagnia il mondo meschino e feroce era chiuso al di là delle porte del suo palazzo. Ed io ridevo a quelle affermazioni, arrossendo, ed abbracciandolo subito poi, riconoscente di tutta quell’attenzione ed affetto.-

" Nulla Ferraldo…nulla……..allora, sono così importanti queste navi?"

" Sì, Bassanio….erano le navi più rilevanti di tutta la flotta e dal carico più prezioso"

Se prima, la realtà di Bassanio era sulla pericolosa e ripida riva di un immenso lago di fuoco, ora questa stava rovinosamente precipitando verso di esso. Per essere inghiottita dalle fiamme e fusa dalla lava impietosa. Neppure quei ricordi così meravigliosi e troppo intimi per essere raccontati ad orecchie pur sempre estranee non poterono nulla per fermarne la caduta.

" Dov’è?"

Il giovane uomo si alzò di scatto, togliendo malamente le sue mani da quelle di Ferraldo, quasi disgustato da quel gesto, come se fosse riservato ad una sola persona, ad un unico amico. In preda al furore egli vedeva l’innocuo armatore come un angelo della disdetta, uno di quelle creature ultraterrene terribili ed adirate, che con un greve gesto di condanna gettano i dannati agli inferi, donando a questi infelici l’ultima raccapricciante immagine delle loro ali dal piumaggio di carbone, spiegate come quelle degli avvoltoi che volteggiavano lugubri sopra le valli delle terre interne. Ferraldo non era né greve, né feroce, ma portava, senza volerlo notizie di sfortuna e disdetta. Alla fervida immaginazione di Bassanio questo bastò per paragonarlo ai prepotenti messaggeri di un Dio vendicativo che gli aveva voltato le spalle…che aveva voltato le spalle a lui ed ad Antonio.

"Dov’è …Ferraldo dimmi dov’è?"

"….Nel suo palazzo, Bassanio…..nel suo palazzo, ragazzo mio"

Come se non si fosse mai interrotta, la corsa di Bassanio riprese vigorosamente disperata.

Il palazzo…quel palazzo…. e le sue mura d’entrata si configurarono fulminee di fronte al giovane: un abitazione enorme, antica e spettacolare, che però non mostrava mai troppo si sé agli estranei. Una reggia, certo, ma dai toni sobri ed intimamente eleganti. Ricca di storia, aneddoti e sacralità. Ogni volta che Bassanio vi entrava respirava una sorta di inviolabilità nell’atmosfera. Era come far visita ad un tempio sacro, rinomato e sempre citato nei libri di storiografia religiosa. Il tempio di una profonda amicizia, di un sentimento insondabile da altrui persone, ma perfino dagli stessi interessati, che però infondeva una felicità ed una serenità che ripuliva e faceva risplendere le loro anime. Il sacerdote massimo di quella basilica della serenità era senza ombra di dubbio Antonio, l’austero e riflessivo armatore, che Bassanio aveva imparato ad ammirare ed infine ad amare, senza remore o rimpianti.

Correva e si perdeva nei suoi ricordi, il giovane nobile. Le gote rosse, le gambe indolenzite, il dolore al petto. Ogni strada veniva perfettamente imboccata, nemmeno la confusione mentale del giovane poteva appannare la memoria di quei calli e viuzze, come se una mappa gli si delineasse davanti, indicandogli ogni edificio e via. Il palazzo e le sue finestre basse e composte da piccoli frammenti di vetro fiammingo. Il palazzo e le sue porte di rovere, dai saldi cardini, e dal legno graffiato e massiccio, reso più forte dal tempo. Il palazzo e le sue stanze decorate da vecchi affreschi medioevali, dalle mura avvolte da arazzi preziosi. Il palazzo e Quella stanza, intima e speciale, riservata a sole due persone. Una stanza raccolta ed austera come colui che l’aveva riservata al suo riposo, alle sue conversazioni più riservate, ai gesti più profondi, alle carezze ed ai baci. Il sole era uno spicchio d’arancio greco, carminio nel colore e polposo nella consistenza. Un unico e perfetto spicchio che s’inabissava nelle acque d’argento vivo della laguna, facendo confluire in esse il suo succo sanguigno. Il cielo non portava con se né la luminescenza del giorno, né la magica oscurità della notte. Era un momento di passaggio, dove ogni cosa si fermava. Dove il tempo restava immobile per qualche minuto, assumendo sfumature d’oro e rubino. Dove l’animo delle persone semplici rifletteva ignaro sulla giornata passata, e quello dei poeti vagava inafferrabile negli abissi della mente umana. Un tempo di frontiera, una linea di bordo punteggiata, un contorno leggero. Immerso in questo miracolo della natura più ascetica Bassanio giunse dinanzi alla sua metà. Il palazzo di Antonio.

Per una frazione di secondo il suo cuore imitò il comportamento del tempo al tramonto, fermandosi tra una dolce emozione e l’ansia più paralizzante. Il giorno e la notte, la gioia e la disperazione non erano mai state così saldamente unite.

Fine secondo capitolo

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Capitolo 3
*** -Scena terza ( atto primo )- ***


Mi blocco davanti al suo cancello

Pov: Bassanio

…..che uso di tempi ho fatto???...mah!…comunque ho messo un Pov perché in terza persona non riuscivo ad esprimere come volevo i suoi sentimenti e sensazioni…sono una "scrittrice" comoda io!!! Ih ih ih

 

 

 

 

 

Mi blocco davanti al suo cancello.

Sono interdetto, e troppo impaurito per bussare. Mi sento come un fanciullo scalmanato, che dopo l’ennesima marachella va tremando a chiedere perdono al padre.

Ed infondo è quello che sono: un bambino troppo cresciuto, il cui padre ha sacrificato tutto se stesso per la sua felicità, anche per assecondare i suoi capricci più futili.

Mi sento vergognoso e vigliacco, quasi nauseato da me stesso, e questi sentimenti acidi e duri spingono il mio volto verso il basso, verso il sudicio lastricato della strada.

Raccolgo un po’ di coraggio e lo sintetizzo alzando la mano destra, chiusa in un molle pugno, per farla morbidamente ricadere sulla semplice lastra di ferro, che compone il portone d’entrata della villa. Mentre lo rialzo con più vigore per riabbassarlo di nuovo verso di essa, chiudo puerilmente le palpebre, stringendole pauroso, come se il gesto del bussare potesse irrimediabilmente dannarmi, subito, senza appello o possibilità di spiegazione.

Faccio quella duplice combinazione di meccanici gesti, per un lasso di tempo abbastanza breve. Quelle movenze erano per il resto dell’umanità semplici ed immediate, ma per me si rivelano uno sforzo talmente sovrumano da non poterle sopportare per troppo tempo. Così, afflitto, riabbasso la mano ponendomela la dove vi è il cuore, un cuore impazzito e selvaggio.

Qualcuno al di là della cancellata mi ha udito, e si dirige verso di me. Sento il suono dei passi smorzato ed attutito dalla ghiaia del cortile centrale. Poi nulla, se non un rovistare di chiavi e serrature.

Il cancello mi viene aperto, ed un servo che non ho mai visto mi rivolge un debole sorriso, chiedendomi le generalità.

"…Sono messer Bassanio.. dovrei vedere..il…"

"certo ..entrate pure!" mi interrompe poco cortesemente lo sprovveduto ragazzo. Sicuramente Antonio gli avrà donato l’ordine di aprirmi incondizionatamente dai motivi delle visite, di solito indispensabili agli stranieri che chiedevano un ricevimento.

Il servo apre con forza la cancellata, che troppo vecchia si blocca sempre ad un quarto dalla completa apertura. Solo un bambino potrebbe passarvici. Impacciato nei movimenti, il giovane mi rivolge uno sguardo imbarazzato e forse implorante d’aiuto. E’ troppo giovane e assonnato per poter raccogliere in se la forza necessaria per aprire questo pesante portone.

"Lascia che ti aiuti": gli propongo dolcemente, meravigliandomi di me stesso. Della disperata lucidità con la quale mi pongo questi futili pensieri e preoccupazioni.

Il ragazzo si apre in uno splendido sorriso fanciullesco, ringraziandomi con lo sguardo. Fa scivolare le mani lungo la spessa lastra ferrea fino a porle ad un’altezza a lui confortevole. Io posiziono le mie all’altezza delle spalle ed insieme spingiamo con forza la cancellata, che stridendo sinistra inevitabilmente si spalanca.

"Grazie per l’aiuto signore"

"..di nulla….piccolo"

Non so da dove mi sia giunto questo epiteto, ma si incalza perfettamente all’ingenua e fresca innocenza del giovane servo. Sembra così indifeso e servizievole, di un aspetto che nel cuore degli uomini retti e giusti non può che inspirare casta tenerezza. Ipotizzo con grande sicurezza, che il ragazzo che ho davanti non possa che essere il figlio di qualche serva della villa.

Lui mi guarda leggermente imbarazzato, come se volesse dimostrarmi che quell’appellativo non si conveniva più ad un piccolo ometto indaffarato e responsabile degli ospiti della casa.

Prima di varcare la soglia di casa, che distava un nonnulla dal portone principale, gli faccio un dolce buffetto sulla guancia, accarezzandogli i morbidi capelli tagliati da poco.

Entro seguito a ruota dal ragazzino, che ora tiene lo sguardo basso, ma raggiante, rimirando affascinato e compiaciuto il pezzo da cinque ducati che gli ho donato segretamente, mentre varcavo lo stipite della porta principale. Dopo un attento e scaltro esame per testare l'autenticità del mio denaro, venendo meno al convenevole che le cose donate non dovevano essere più di tanto analizzate, si dilegua nelle profondità della villa, forse in direzione di sua madre, per mostrarle il suo piccolo tesoro.

Io intanto non attendo il suo ritorno o l’avvento di qualche altro servitore che m’indichi un cammino assai famigliare e conosciuto.

Intraprendo la salita della prima scalinata, a sinistra dell’atrio d’ingresso, poggiando commosso la mano destra sull’umido e liscio corrimano di ferro battuto piegato e plasmato a forma di cornucopie e foglie d’acanto.

Uno scalino dopo l’altro, lentamente, lo percorro tutto col palmo morbido e generoso, fino a che non arrivo al breve corridoio superiore, che si apre a destra nella sala dei ricevimenti e dei banchetti. Una sala chiave, l’unica che sotto permesso poteva condurti negli antri più intimi e riservati della villa.

Entro nel salone, inondando i miei occhi di luce accecante ed intensa che penetra dalle nude vetrate lavorate a piccole circonferenze bombante e rialzate. Appena metto a fuoco la scena, mi accorgo che la sala affrescata da dipinti medioevali ormai scrostati in più punti e dai colori pallidi non ospita colui che sto cercando.

La percorro a grandi passi, fino alla porta di servizio che portava allo studio di Antonio, e consapevole di possedere tutti i permessi speciali per varcarne la soglia, lo faccio, aprendola delicatamente, ma con una certa impazienza.

Per la seconda volta il mio cuore salta un battito, poi un altro, ed un altro ancora, fermandosi magicamente.

Lui, è lì; seduto alla sua scrivania ingombra di carte, calamai, oggetti esotici, mappe e libri.

E’ piegato su di essa, con la testa affondata nelle mani poste a coppa. Non sento nemmeno l’ombra di un gemito o di un sospiro, ma in compenso la scena mi fa voltare lo sguardo sullo stipite della porta. Premo il volto su di esso, graffiandone la lignea consistenza. Le lacrime mi inondano gli occhi, sommergendoli ed affogandoli, prima di essere liberate sulle mie guance. Si forma l’inevitabile nodo alla gola, impedendomi di respirare correttamente. Volto timidamente lo sguardo verso di lui, che mi guarda, straziato, ma sul suo volto non vi sono segni di lacrime recenti. Mi rendo improvvisamente conto che è preoccupato del mio pianto e del mio dolore. Un padre, si rivela come sempre un genitore premuroso, ed io l’infante da consolare.

Mi aggrappo su me stesso, stringendomi di più, con le spalle rivolte verso il centro del mio corpo, ed il busto premuto contro lo stipite. E piango, nascondendo sommessamente il volto per non allarmarlo oltre modo.

Sento una sedia spostarsi, e dei passi svelti che si avvicinano verso di me, ed io non ho il coraggio di voltarmi a guardarlo. L’attento tremando.

Poi avverto una sensazione di calore, un tiepido calore umano che mi avvolge, e delle braccia, salde ed attente che mi stringono da dietro. Una mano si posiziona lungo la mia fronte, che sostenendola e sottraendola al duro contatto col legno dello stipite, mi porta all’indietro il volto totalmente privo di forza, fino a che la sensazione di ignoto e vuoto non si infrange contro un tenero e morbido sentore. La mia nuca è posta contro l’incavo del suo collo.

Senza farsi attendere la mia guancia sinistra viene premurosamente baciata, ed il mio corpo abbracciato. Chiudo gli occhi e quasi svengo dal sovraccarico di emozioni stridenti: l’angoscia ed il dolore mescolato alla passione ed all’amore. Una combinazione esplosiva ed eccitante.

Mi volto verso di lui, liberandomi da quella delicata stretta protettiva.

Lo guardo con la vista annebbiata, l’osservo, lo rimiro, lo possiedo con gli occhi, ed infine lo bacio.

Un bacio lento, senza movimenti bruschi o troppo sovraccarichi di passione o frustrazione. Le mie labbra leggermente piegate contro le sue, lo divorano sapientemente, ma con cautela. E lui fa lo stesso con me.

Sento il suo respiro, ed il mio. La sua stretta, e la mia. Mi cingo di più al suo corpo consapevole che così facendo approfondirò il nostro contatto. E così è, l’intimità delle nostre bocce arriva ai livelli massimi. Ci baciamo come lo fanno i giovani amanti, freschi d’amore e di letto. Carichi di quella frustrazione che gli accompagna all’inevitabile fine del languido contatto, quando tutti è due diventano consapevoli dell’impossibilità di unirsi perfettamente al corpo dell’altro, diventando un unico organismo simbiotico, munito di un solo cuore, di una sola mente, di un’unica splendida anima colma d’amore. Le nostre bocche si dividono progressivamente, già nostalgiche della primordiale unione, quando le anime gemelle degli uomini erano davvero unite in un unico corpo, fermando il loro disgiungimento al sottile contatto a fior di labbra.

"…non ho pianto.."

"..perché?"

"…ti attendevo…..Volevo piangere insieme a te…"

Socchiudo gli occhi, e respiro il suo profumo, assaporando con le labbra le lacrime che cominciano a scendere dal suo volto. Lo guardo di nuovo, ed abbozzo un sorriso; lo faccio solo perché anche lui ha incurvato le sue labbra in un sorriso, dolce e malinconico.

Non posso far altro che appoggiare le mie labbra sulle sue, mentre il mio volto viene accarezzato dalla luce del sole, ormai morente.

Sempre con le labbra a contatto con le sue, rivolgo il mio sguardo verso l'origine della luce: una finestrella aperta, che da sulla via principale, totalmente sgombra da case e palazzi, che garantisce così anche ai raggi solari più pallidi e distanti di accedere nello studio di Antonio. La luce ambrata mi ferisce leggermente gli occhi, solleticandomi la pelle, intiepidendola.

Sento che le labbra di Antonio hanno abbandonato le mie, e si dirigono verso il mio collo, dove le sue mani stanno sapientemente lavorando sui legacci del colletto rigido del mio abito. Sto per abbandonarmi alle sue carezze quando sento la parte d'abito in questione aprirsi e scendere oltre le mie spalle, ma vengo turbato da gemiti sommessi, e sospiri. Gli fermo le mani, e prendo il suo viso tra le mie. Sta piangendo, ma il suo sguardo non è straziato dal dolore, anzi, sembra incredibilmente calmo e ponderato, di una tenerezza commovente.

Mi faccio coraggio, e stringendo il suo volto, lo porto verso l'incavo del mio collo, appoggiandone sopra la fronte.

"….il tuo amico ti ha condannato a morte..": gli sussurro, rapito dalle sensazioni che mi dona accarezzargli i capelli ed il collo.

Per tutta risposta sento le sue labbra umide poggiarsi sulla morbida e sottile pelle che riveste la mia clavicola, succhiando e leccando questo particolare punto del mio corpo.

"Antonio?…"

"..shhh…"

Mi sento stringere saldamente, e baciare…mi bacia come se fosse l'ultima volta, e questo mi spaventa troppo per assecondare la sua passione. Poggio le mie mani sulle sue spalle e lo allontano cauto da me. Lui si trattiene leggermente, ma asseconda il mio gesto, con stanchezza ed amara delusione. Sento il mio cuore stringersi per la paura di averlo ulteriormente ferito e tradito.

"…Bassanio…lasciami almeno questo…lascia che ti ami." La sua voce non è tremolante, solo leggermente implorante dall'emozione e da una strana consapevolezza di abbandono, che mi mortifica e mi fa vergognare delle mie azioni.

"scusami…"

Cerco di riparare alla mia freddezza e codardia attirandolo di nuovo verso il mio corpo, con tutto l'intento di fargli assaporare, senza remore o limiti il calore della mia pelle, la dolcezza dei miei baci e la disperazione della mia anima.

Sento il suo corpo riunirsi con il mio, rilassandosi sotto il mio morbido tocco, che fa vagare le mie dita su tutta la superficie delle sue spalle, massaggiandole, per poi risalire, non senza brividi di stordimento, verso il collo per poi arrivare alla nuca, che sostengo con i palmi possessivamente posti a coppa.

"…due giorni solamente…"

Comprendo immediatamente il suo messaggio, e rabbrividisco in un silenzio composto.

"…due giorni, amico mio….sono lunghi no?"

Sento montare in me mille risposte, che si coagulano in una sola elementare e disperata.

"No…no, che non sono lunghi…"

"…se vissuti in una certa maniera, possono rivelarsi secoli…"

Non posso sopportare la sua calma, il suo tragico fato accolto con tanta benevolenza e misticismo. Così, sballottato da sentimenti troppo grandi, che non riesco nemmeno a decifrare, la mia mente formula la risposta più fanciullesca ed utopica che gli innamorati segreti si propongono a vicenda, nei momenti più bui della loro relazione.

"….Fuggi con me…"

Invece di vergognarmi di una risposta così romanzesca e vigliacca, considero questa possibilità sotto una nuova luce di salvezza e attuabilità.

Avverto il corpo di Antonio sollevarsi dalla mia spalla, e il suo viso giungere allo stesso livello del mio, solo leggermente più in alto.

Il suo respiro mi accarezza i lobi delle orecchie, come d'altronde le sue labbra.

" potremmo…."

Ora la sua bocca si muove davvero a strettissimo contatto con il mio lobo, e mi fa sussultare come se fosse la prima volta che mi rivolge queste attenzioni. Sento il suo accento malinconicamente divertito dalla mia proposta, accompagnato da un dolce sorriso che mi rapisce.

"….ma sarebbe comportarsi da vigliacchi, non trovi, Bassanio?"

" sì….assolutamente": gli sussurro a fior di labbra, senza rendermi conto di essere risultato troppo conturbante, e in un momento assolutamente inadeguato.

"..in questi due giorni, vorrei che mi parlassi sempre con questo tono….solo se lo vuoi però.."

Corrugo leggermente le sopracciglia, sorprendendomi della sua affermazione.

"…..lo farò…."

Avverto un altro stanco sorriso estasiarmi i sensi, portando la mia mente a pensieri che sconfinavano nell'irrealtà più totale. Sono momenti così al di là da ogni contesto temporale o spaziale, che mi stordiscono come l'oppio o i profumi orientali che venivano accuratamente offerti in ogni licenzioso banchetto a sfondo erotico.

" Bassanio?…"

"….mhhh…."

"…ti consideri colpevole?"

"…Sì"

Il velo di stordimento, così sottile ed astratto scivola via dal mio corpo e dai miei occhi, ridonandomi la vista e la consapevolezza della gravità della situazione in cui riversavo…..in cui riversavamo.

" Credi che io ti odi?"

" …non mi spiego perché tu non lo faccia….davvero, non me lo spiego.."

"..ho compiuto una scelta consapevole…"

" Hai messo in pegno il tuo corpo!": gli rispondo sentendo montare in me di nuovo l'originale disperazione.

" …e lo fatto per te…"

"No.. no per me…ma per un mio capriccio…per Porzia"

"…Bassanio, quella mattina, quando mi hai parlato di lei per la prima volta, ho visto dai tuoi occhi che lei non era solo un capriccio….c'era sentimento.."

"Allora perché ti ho baciato, subito dopo che te ne ho parlato….perché?"

"…forse…forse ami due persone…"

Lo guardo contrariato, sbigottito e combattivo.

"No…non si ama due persone…o se ne ama una...o nessuna!"

Le sue mani mi accarezzano i capelli, mentre dalla sua bocca fugge un sottile sospiro di rassegnazione.

"….l'ho fatto con coscienza…e soprattutto con amore…"

"L'amore costringe la coscienza in catene!"

"…..allora sono felice di essere tuo prigioniero…"

"Sei prigioniero di Shylock, ormai"

"Solo il mio corpo…solo il rovente cuore che pulsa il sangue nelle mie vene è suo….solo dei miseri tessuti umidi, del liquido rosso e caldo, dei nervi primordiali ed immondi…queste cose sono sue…..il resto è tuo…"

"..Preferirei che tu mi odiassi…"

" ….mi è interdetto farlo…"

"…lo so"

"…quando accadrà…"

"non parlarmene….mi uccidi se lo fai...ed uccidi anche te.." "Bassanio, ascoltami…..quando accadrà, vorrei che tu guardassi a fondo il tutto…."

Faccio passare pochi secondi di greve silenzio, durante i quali i mille pensieri che aleggiano nella mia mente si focalizzano sul suo desiderio, accettandolo con fede da martire, che accetta la chiamata divina, straziato da domande e bramoso di delucidazioni.

"Lo farò se lo desideri….. ma perché vuoi che guardi il tuo massacro?"

"Bassanio, penso che la morte di una persona sia uno degli atti più intimi che essa possieda……..e io ho condiviso con te i momenti più personali e stretti………avrei voluto condividere insieme a te anche questo momento…forse ti sembrerà un discorso egoista...ma ho sempre desiderato morire insieme a te…"

Lo ascolto, rapito da parole talmente forti ed interne da farmi lacrimare, che, invece, di turbarmi ulteriormente mi fanno scoprire quanto è profondo il legame tra Antonio e me, quanto amore ci sommergeva, annegandoci.

- Desidera morire con me, un'unica tragica morte, oppure un dolce addio atteso dai nostri corpi abbracciati, ormai vecchi e stanchi.-

Lo accarezzo sul volto, piangendo come una donna il cui marito è condannato al patibolo.

"..morire con te……sembra quasi un desiderio perverso…"

"non lo è…è un pensiero dolce e teneramente tragico allo stesso tempo…."

Ci guardiamo intensamente, per suggellare la nostra intesa.

"…un desiderio che si avverrà almeno in parte, se tu mi guarderai morire…"

"……piangerò, morirò con te…ma guarderò, te lo prometto…"

Sento le sue labbra poggiarsi sulla mia fronte, paternamente.

"……vorresti amarmi per l'ultima volta?…"

Le mie gambe stanno per cedere, mi devo aggrappare a lui, alle sue spalle per non stramazzare al suolo.

"…solo se vuoi andare a letto con il tuo assassino…"

"…….lo voglio….."

Fine Prima parte del terzo Capitolo

corto lo so!!!..mi rifarò col l'atto secondo eh eh eh

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Capitolo 4
*** Scena quarta (atto secondo) ***


Mi blocco davanti al suo cancello

Il cap precedente( preludio) è stato aggiunto al secondo capitolo della storia……

 

 

Sento le sue braccia prendermi con forza il torso, chiudendosi su di esso quasi violentemente, per stringermi a se. Alzo la bocca sorridente verso il suo mento, prendendolo tra le labbra, succhiandolo, leccandolo, gemendo sulla sua pelle, mentre gli ultimi barlumi di luce mi tranciano l’iride con dorati fendenti solari, infiammando il mio incarnato.

Chiudo con forza gli occhi, deliziosamente annebbiati e feriti, e fanciullesco nascondo il mio volto dietro quello di Antonio, per fuggire alla straordinaria luminosità del tramonto, concedendo così al mio amante la possibilità di accedere liberamente al mio collo. Possibilità che Antonio non si lascia sfuggire, lanciandosi con prontezza in dolci e passionali baci a labbra socchiuse, seguiti dall’umida punta della sua lingua che m’imperlano di calda saliva la pelle del collo, per tutta la sua lunghezza.

Una sensazione di svenimento mi assale il corpo, partendo dal cervello per prolungarsi dilagante, trascinate ed elettrica per tutto il tronco, fino a giungere alle gambe, dove la scarica di adrenalina porta ai suoi massimi livelli il suo effetto collaterale, paralizzandomi gli arti inferiori ed impedendomi di fare un solo passo, senza il pericolo di cedere sulle ginocchia e stramazzare ai piedi di Antonio.

Mi sostengo pesantemente sul suo corpo, afferrandogli le spalle saldamente e forse un po’ impacciato, e mi porto traballante al suo petto ansimando dalla shock che mi dona questa indecifrabile sensazione di paralisi e dissolvimento di ogni parte muscolare o nervosa delle gambe.

Lui se ne accorge immediatamente, e mi passa una braccio sotto le natiche, mentre il suo gemello mi avvolge le spalle e la schiena, incollando il mio corpo al suo, facendomi ansimare di sorpresa ed eccitazione.

"…..portami dove nessuno può entrare.."

Le braccia di Antonio sono come spire possessive, ma attente, che mi stringono disperate premendomi il petto contro il suo così energicamente, che avverto le nostre casse toraciche sfregarsi e comprimersi a vicenda, in un modo così intimo e costringente da farmi respirare malamente, portando la sensazione di stordimento ai suoi massimi vertici.

Prima che le gambe mi tradiscano, avverto il mantello damascato di Antonio avvolgermi, in un turbinio di tessuti e suoni, e le sue mani che scorrono lungo il mio volto prendendolo tra di esse; poi un sussurro dolce che mi sfiora l'anima, poi ancora delle braccia che mi sostengono, delle porte che si aprono con facilità, infine solo passi, sicuri i suoi, strascicati ed incerti i miei che propagano la loro impronta fonica per tutto il corridoio, che separa la sua sfera pubblica e visibile da quella privata e riservata a pochi.

Il corridoio ci porta inequivocabilmente verso la sua stanza da letto, ancora oniricamente illuminata da sottili e morbidi raggi di luce ambrata che penetra dalle strette e lunghe finestre ai lati del letto a baldacchino, un soffice ed intimo rifugio riservato unicamente a noi due.

" Stenditi…": mi ordina affettuoso, poggiando il mio corpo scosso sulle coperte del suo giaciglio, con una delicatezza che solitamente viene riservata unicamente agli oggetti più preziosi e fragili.

Mi stendo lentamente, sentendo che sia il cerchio alla testa che mi aveva assillato per tutto il tragitto, sia la sensazione di paralisi ed impossibilità di moto stavano magicamente fluendo al di fuori del mio organismo, facendo posto a sensazioni altrettanto sconvolgenti ed inebrianti, ma assolutamente più gradevoli…e gradite.

La mia nuova riacquistata sicurezza e vigore fisico mi portano ad alzarmi, totalmente indifferente alla mollezza delle mie gambe ed a un vago sentore di calore alla fronte, rifiutando così una posizione di totale passività e dipendenza nei confronti di Antonio.

Lo vedo rivolto di schiena verso un’alta cassapanca, mentre si sfila degli anelli dalle dita, liberandole, per orientarle subito dopo verso il suo collo, per sganciarsi il colletto rigido del vestito.

"..posso aiutarti?.."

Lui volta lo sguardo verso di me, sorridendomi ed annuendo.

Mi avvicino da dietro al suo corpo, e con la scusa di aiutarlo a sciogliere gli infidi laccetti del colletto, struscio "inavvertitamente" il petto contro la sua schiena unendo sensualmente i nostri busti, avvertendo con piacere che la mano destra di Antonio sta accarezzando, per niente inibita, il mio bacino e l’estremità superiore della coscia.

Sorrido, senza lasciarmi scappare una sola sillaba, toccando con la punta delle dita la mano che mi sta lambendo, orientandola verso luoghi più intimi e piacevoli, mentre con la mano destra cerco di liberarlo, senza troppa fretta da quella parte così scomoda e rigida di indumento, che mi ero ripromesso di aiutarlo a togliere.

Il filo di cuoio bordeaux che tiene uniti i lembi del collo rigido, scorre morbidamente da un foro d’argento all’altro, per tutta la sua estensione, come scorrono indisturbate e dolci le nostre mani, con le mie dita che giocherellano con le sue, intrecciandosi, palpando delicatamente le rispettive carni costrette dalle vesti. Ci perdiamo dietro sottili giochi di piacere dove le nostre mani sono le uniche protagoniste, fino a che le mie dita non avvertono che il laccio si sta sciogliendo troppo facilmente e senza sforzo, facendo ricadere in avanti il colletto rigido di Antonio. Prendo con entrambe le mani i due lembi del laccio e lascio delicatamente scivolare l’indumento circolare verso il petto del mio amante, che prontamente lo raccoglie a palmi aperti, per poi depositarlo sulla cassapanca, e voltarsi verso di me, violandomi la bocca con un bacio impertinente ed inaspettato, che solitamente ero io a riservargli nei momenti meno opportuni.

" com’è?"

"com’è cosa?"

"…baciare il tuo carnefice…"

"..ohh smettila.." mi risponde sorridendo bonario, donandomi un morbido buffetto sulla guancia, che meravigliosamente fastidioso mi strizza la pelle.

Gli sorrido di rimando, iniettando il mio sguardo di mistero e voracità, dirigendomi verso il letto e buttandomici sopra con un bel tuffo di schiena, come farebbe un qualsiasi fanciullo felice ed un po’ malizioso.

Lui,invece, mi si avvicina con quella calma e compostezza che mi avevano da sempre affascinato, e che mi faceva riflettere a lungo sul mio futuro.

- Quando avrò la sua età e la sua maturità, sarò anch’io così?-

Ed ogni volta speravo in un sì, anche se guardandomi dentro mi appariva un comportamento a me così estraneo ed inadatto, ma solo riflettendo più a fondo mi accorgevo che durante gli anni della mia formazione tante cose che consideravo così impensabili e improponibili alla mia figura, ora erano diventate parte integrante del mio carattere…o quasi. Una piccola speranza c'era.

I miei pensieri vengono improvvisamente scossi dal suo corpo che si siede sul letto elegantemente, anche se la schiena leggermente incurvata fa trasparire il peso di tutte quelle forti emozioni vissute durante la giornata, che rendono l’immediato presente così appetibile, il passato così confortante, ed il futuro tanto terribile.

Lui volta di nuovo lo sguardo verso la mia figura, distesa in modo scomposto sulle morbide pellicce e tessuti preziosi del suo letto, e incurvando le labbra in un sorriso che accende la dolcezza del suo sguardo, cerca la mia mano con la sua destra, mentre la sinistra apre sapientemente i primi lacci della sua casacca, facendola scivolare lungo la morbida consistenza delle pelli, fino a che non raggiunge le dita della mia, sfiorandole con i suoi polpastrelli, ed intrecciando le sue falangi con le mie mi trasporta la mano verso il suo petto, poggiandola poi là dove batte quell’organo pulsante, dal cui destino dipende la vita di Antonio. Non vi sono parole tra di noi, ma solo la dolce sensazione di vitale forza scaturita dal sentore che i miei polpastrelli percepiscono dei suoi battiti cardiaci, stando a così intimo contatto con la nuda pelle del suo pettorale sinistro.

Sono improvvisamente scosso da un’idea che smuove ogni fibra del mio corpo, facendomi vibrare silenziosamente. Mi avvicino a lui, lentamente, fino a che la mia fronte non si appoggia sull’incavo del suo collo. Faccio scendere il mio volto verso la mano imprigionata all’interno delle sue vesti, tracciando scie di morbidi baci sia sulla pelle che sui tessuti della giacca. Pian piano che le mie labbra umide e rosse si avvicinano al suo petto sinistro, faccio scivolare in basso la mano destra appoggiata su di esso, fino a che non raggiungo il punto focale della mia azione: la morbida carne rosata al centro del suo pettorale, che cerco di eccitare anticipatamente catturando la parte più dura e sensibile del suo capezzolo tra l’indice e il medio, facendo strisciare lentamente le due dita in questione verso il suo costato. Sostituisco quasi immediatamente le dita con la più dolce ed umida consistenza delle mie labbra, che raccolgono misericordiosamente la sua polposa consistenza, premendo la punta della lingua su di essa, e succhiando delicatamente, facendo così esplodere tutto il calore e la durezza che celava quella carne brunita e tenera.

Avverto le mani di Antonio stringermi la nuca incollando di più al suo petto la mia bocca, in un crescendo di passione, che mi induce a succhiare con più foga, stringendo la punta del capezzolo tra le labbra, tirandolo e leccandolo.

Risalgo verso il suo viso, arrampicandomi sul suo corpo, fino a raggiungere la bocca, per baciarla con foga, inducendo il corpo di Antonio così assediato dal mio a stendersi completamente sul letto, per assecondarmi e controllare meglio lo sviluppo degli eventi, che si preannunciavano sempre più infiammabili ed incontrollabili.

Mi metto a cavalcioni sopra di lui, sfacciato ed impertinente, cominciando a slacciarmi la parte superiore della veste, e senza freni nel togliere i lacci del vestito mi ferisco l’indice sinistro, che lascio deliberatamente sanguinare, mentre mi sfilo la preziosa giubba e la getto il più lontano possibile da noi.

La mano di Antonio prende la mia ferita, portandosi l’indice sfregiato verso le labbra arrossandole col mio sangue, prima di arrestare la mia trascurabile emorragia succhiandomi il dito in questione. Trasportato dall’Eros mi sporgo verso di lui, arcuando la schiena fino a che la mia bocca non giunge a sfiorare la sua, e baciarla a fior di labbra.

"…stenditi al mio fianco…"

Trasporto il mio corpo alla sua destra, strisciando il bacino deliberatamente contro il suo, sentendo con somma soddisfazione il suo ansimo di risposta. Arrivo al suo fianco , ma non mi stendo accanto a lui, anzi, continuo a spogliarmi davanti ai suoi occhi.

" Bassanio!..": mi chiama ansimando il mio nome, con un sorrisetto furbo stampato in volto.

"mmhh"

Lo vedo sollevarsi dalla sua posizione supina, piantando i gomiti sulle coperte di pelliccia ,che stanno diventando via via sempre più roventi e umide, e dirigersi verso di me, fermando il mio lento lavorio osceno.

" cosa stai facendo?"

Con un braccio mi attira verso di se, mentre con l’altro svolge affannato le tende del letto dai piccoli uncini a testa di moro che le sostengono, per farle ricadere davanti a noi, coprendoci ed isolandoci dal resto del mondo.

"..non ci vede nessuno…."

"…mh...anche i muri vedono..": mi schernisce, con un sorriso.

Sbuffo, abbassando gli occhi in senso di resa incondizionata ai suoi voleri misteriosi, gettandomi tra le sue braccia, e stendendomi al suo fianco, amandolo senza dominatori, né vinti.

"…chiudi gli occhi.."

"..dovrò amarti così?"

"..sì.."

"perché?"

"… perché appena riaprirai le tue bellissime iridi, tutto questo sarà solo un ricordo….."

Fine Atto secondo del Quarto capitolo.

 

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Capitolo 5
*** - Scena quinta- ***


Mi blocco davanti al suo cancello

….per oggi andiamo con la terza persona….tempo passato…..

 

 

 

Venezia, baciata da un dolce sole mattutino si era destata già da tempo, portando con se tutti i rumori, brusii, urla e canti delle sue genti indaffarate e laboriose.

L’arsenale, torreggiato e protetto da un enorme portone di legno umido e nero, circondato da candide mura di pietra carsica accoglieva dentro di se navi e imbarcazioni tra le più varie, sotto la stretta e marmorea sorveglianza di due mastodontiche statue leonine che presiedevano l’ingresso della gendarmeria lì accanto. Le urla e le bestemmie in dialetto veneto o in lingua slava degli uomini di mare e di controllo delle merci non erano altro che un pittoresco ingrediente aggiuntivo, che donava agli stranieri del nord, così assidui del luogo per varie ragioni finanziarie e non, la sensazione palpabile di essere perennemente immersi in un ambiente italico e completamente sconosciuto.

I mercati, anche se di domenica, erano affollati come ogni giorno della settimana; d’altronde Venezia non riposava mai, anzi, la giornata, che secondo la tradizione cattolica era destinata al riposo e al ricongiungimento con il Dio-padre si rivelava la più fertile e fiorente per i commercianti ambulanti, i buffoni di strada, e per tutte quelle giovani ragazze che dai loro balconi ammiccavano ai passanti con gli occhi dipinti d’oro, e i seni tondi sodi e nudi, attirando verso i loro bordelli i gentiluomini appena usciti dalla messa mattutina in San Marco.

Tutto ciò che componeva la città del leone alato, a capo della potente Serenissima, si era risvegliato e brulicava frenetico e pieno di vita, come se si fosse appena ridestato da uno di quei sogni magici indotti da perfidi incantesimi delle favole germaniche tramandate oralmente , che grazie alle carovane e alle forti voci degli abitanti della foresta nera, erano giunte sino alle punte estreme del centro Italia.

I remi delle navi e delle funeree gondole sciabordavano le acque, passando per quegli stretti canali dove i secchi delle massaie ricolmi d’acqua sporca facevano gorgogliare le sponde salmastre, che servivano da terreno di gioco ai bambini, che simulavano, con barchette di legno e scampoli colorati, le coraggiose ed eroiche battaglie che il Doge aveva combattuto contro gli ottomani macedoni, facendole sguazzare ed affondare, contribuendo così ad aggiungere altro festoso rumore a quello già prepotentemente esistente nella città nata dall’acqua, propagandolo per tutta la sua estensione, senza risparmiare nessun calle, o viuzza. Tranne una…o meglio...tranne una stanza da letto, protetta dai rumori e dalle preoccupazioni del mondo esterno, in cui gli unici pensieri dei residenti erano rivolti alla tenerezza e alla passione, e dove i soli rumori erano quelli velati e dolci dei respiri e dei baci.

La luce mattutina che preponderante illuminava la città e la laguna, giungeva a quella stanza fioca e morbida, filtrata dalle vetrate smerigliate e spesse che circondavano il letto a baldacchino, ed ulteriormente oscurata e tinta dei colori del sole passando attraverso le lunghe tende che richiudevano il talamo, come una pudica rosa dalle mille tonalità del rosso, chiusa ed inaccessibile.

Nessun rumore vi giungeva, solo un paradisiaco silenzio interrotto di tanto in tanto dal fruscio delle coperte e dai quasi impercettibili mugolii assonnati, prodotti dalla soddisfazione reciproca che i due uomini si stavano concedendo dopo una notte impossibile da scordare.

 

I loro corpi erano stesi uno accanto all’altro, strettamente abbracciati, con le membra libere da ogni innaturale indumento, malamente coperte dal fresco notturno grazie ad un sottile lenzuolo di lino e qualche lunga stola di pelliccia di fiera asiatica, ma che non furono sufficienti a fornire il giusto calore alle braccia e i petti dei due amanti, che piacevolmente costretti dalla natura si erano stretti in un amplesso quasi disperato e straziante, ma che alla luce del giorno risultava immensamente dolce e protettivo.

Il capo di Bassanio era posto leggermente al di sotto dell’incavo del collo di Antonio, e le sue labbra ancora arrossate dai mille baci della nottata deliziavano la pelle del mercante, anche se solamente socchiuse e senza essere controllate da istinti amorosi particolari.

La mano sinistra del giovane uomo accarezzava la soda linea del fianco del suo amante, puntellandolo con le punte delle dita, per poi farle ricadere oziose lungo la pelle tesa che rivestiva i forti muscoli lombari di Antonio, con un movimento così sensuale da farlo ansimare lievemente nel sonno.

Seguendo quel ritmo lento e carezzevole di dolcezze ed effusioni gli ultimi stralci di sonnolenza abbandonarono la mente ed il corpo di Bassanio, che anche se riluttante dischiuse stancamente gli occhi, mettendo a fuoco il petto di Antonio, che si abbassava e si sollevava al ritmo lento e dolce del respiro.

Con la mano libera, intraprese un breve cammino che conduceva fino alla morbida carne dei pettorali dell’amante, che fu prontamente accarezzata ed arrossata sia dalle sue dispettose dita, che dalle più audaci labbra mai davvero sazie della pelle di Antonio.

Quelle labbra, dopo essersi momentaneamente ristorate vennero inumidite, per poi intonare un canto a voce bassissima, quasi una ninna nanna mugugnata, accompagnata da rilassanti carezze che Bassanio regalava all’uomo che abbracciava con tanta intimità.

La canzoncina parlava di un mercante, anzi, del mercante più prestigioso della città lagunare, così potente e caparbio da essere chiamato col nome di Mercante di Venezia, a testimoniare che egli poteva da solo rappresentare ogni commerciante della Serenissima.

Questo messere, ricco sia nello spirito che nelle fortune terrene, era amato da una donna, che in realtà non era che una giovane fanciulla, appartenente alla Venezia bene, ma che per la sua giovane età non poteva sperare di far breccia nel cuore del mercante.

Lei provò ogni cosa: filtri d’amore prodotti a peso d’oro da subdole maghe, piante aromatiche dalle proprietà ammalianti, trucchi e belletti, pagine e pagine di poesie faticosamente sudate durante notti insonni. Ma nulla di tutto questo fece innamorare il nobiluomo, e la vera causa di ciò non fu perché egli avesse un cuore di pietra, o perché egli si ritenesse superiore alla fanciulla: egli non ricevette mai gli scritti per negligenza dei fattori della ragazza e non la vide mai nel suo massimo splendore essendo sempre circondato da ambasciatori tedianti e donne asfissianti che nascondevano il più delle volte il suo sguardo da quello di lei. I ripetuti fallimenti gettarono la giovane nella disperazione più totale. Fino a che un malefico abitante della città irretì nelle sue malefatte ed intrighi il famoso mercante, proponendogli un patto diabolico: il messere, infatti, non voleva altro che possedere il cuore di quella giovane fanciulla da lui segretamente amata, ma mai incontrata. Il perfido uomo, sapendo di potersi vendicare dei torti che gli furono inferti dalla nobiltà a cui apparteneva il mercante propose così al messere che se avesse ottenuto la mano della fanciulla entro tre mesi dal sinistro patto, per ricompensa egli avrebbe dovuto donargli il suo cuore, ancora pulsante e pieno di amore per la ragazza.

Il tempo passò, e il mercante riuscì a conoscere la fanciulla dei suoi desideri, l’amore tra i due crebbe fino all’apice della passione…..ma il desiderio bruciante consumò in fretta anche i tre mesi concordati dal patto oscuro. Il losco diavolo raggiunse in fretta e furia la casa del mercante, dove egli giaceva ancora, con la sua adorata sposa accanto. Lo svegliò bruscamente, e gli ricordò con astio i termini del patto, sputando le sue parole dinanzi al viso incredulo della giovane, che ovviamente era all’oscuro di tutto e che venuta a conoscenza della verità si prostrò ai piedi dell’uomo malefico implorando pietà.

Il demonio, la scansò da se violentemente, e sfoderando un lungo coltello da conciatore strappò la parte superiore della tunica del mercante, lasciandolo a petto nudo contro la lama ardente e vogliosa di sangue…..il mostro umano la sollevò…..e…

"shhhh….non continuarla, ti prego…..": una voce leggermente impastata, interruppe la triste filastrocca proprio al suo apice, mentre a Bassanio le lacrime scorrevano già furtive, ma abbondanti sul volto.

"..Antonio!...io.."

Il tono incerto di Bassanio fu di nuovo interrotto dal suo amante, che si abbassò sulle sue labbra per accoglierle con le proprie, in un lento, tenero bacio appassionato.

Il giovane uomo si vergognò per aver cantato quella canzone, riprendendo il suo tema classico, ma cambiando qualche situazione per adattarla quasi perversamente alla realtà. Abbassò il capo fuggendo al contatto con la bocca di Antonio. Lo guardò col viso arrossato. E simulò solo con il movimento delle labbra la parola: "perdonami".

"…di nulla…"

"…sussurramelo…"

"..di nulla…."

" più vicino...o non ci crederò.."

Antonio sovrastò il corpo arrendevole di Bassanio, sommergendolo con il suo. Avvicinò le labbra al suo orecchio sinistro, e ripete al suo amante ciò che gli era già stato detto, abbracciandolo con passione subito poi.

" dobbiamo alzarci….tra poche ore avrai la Prova.."

"accompagnami…vuoi?"

" vorrei Bassanio…ma….io e Shylock abbiamo un incontro…"

" Oggi!"

La bocca socchiusa dallo stupore di Bassanio, permise a quella di Antonio di esplorarla sapientemente, tastandola con la lingua ed assaggiandola con le labbra.

"…oggi….."

 

Dalla sinagoga del ghetto bruciato dal sole si levò una fragorosa e concitata litania, una preghiera di ringraziamento e benedizione della giornata, il Kiddush. Tutti fedeli erano assorti nelle loro richieste ed invocazioni, avvolti nella candida veste bianca della purificazione, attendendo la risposta divina ai loro problemi più vari, o elevandosi ad uno stato mistico inconfondibile dalla dedizione che essi donavano alla preghiera: gli occhi socchiusi, le labbra mosse da parole invisibili e in continua ripetizione, le braccia aperte per accogliere il Dono, oppure giunte in raccoglimento….sguardi e pensieri prigionieri di pace ed ascesi….. Solo uno di essi era spalancato e fisso al soffitto della sinagoga, ed esso era carico di odio, commozione per un recente tradimento figliale, e di una mal velata soddisfazione sulle labbra, che faceva trasparire l’immensa voglia di vendetta che aleggiava da troppo tempo nell’animo lacerato di Shylock.

"…è così vicina….la tua fine, cane maledetto…..è così vicina"

La preghiera dell’usuraio si trasformò ben presto in una litania di morte, che tingeva di odio il luogo sacro in cui egli risiedeva, mentre la mano sinistra che teneva ben saldo il piccolo libretto delle preghiere si chiudeva sulle sue pagine, stropicciandole e piegandole su se stesse con una violenza misurata ed impercettibile.

Fine del Quinto Capitolo.

 

 

 

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Capitolo 6
*** - Scena sesta- ***


Sento le sue braccia prendermi con forza il torso, chiudendosi su di esso quasi violentemente, per stringermi a se ….Questa è solo la prima parte del capitolo…

 

Batteva con delicatezza le punte delle lucenti unghie smaltate da gocce d’avorio liquido su ognuna delle casseforti presenti nella piccola stanza baciata da una luce solare dal colore del rame dorato, che rifletteva lucente sulla sua chioma dalla tonalità così simile. Il ticchettio sommesso era confortante per la giovane ragazza che lo produceva, con sguardo assente e sognante, le palpebre pesanti che quasi gli si chiudevano sugli occhi celesti, e la mente che fuggiva via, lontano dal palazzo dell’isola, lontano da Venezia, lontano perfino dal mondo conosciuto o immaginato e dalla stessa nebbiosa dimensione terrestre. Stando un poco attenta a non scalfirsi le dita di vetro, lei le passava, tutte e cinque, sui contorni dei disegni semplici o complessi e minuziosamente incasellati dei coperchi dei tre pesanti cofanetti. Uno per ogni materiale conosciuto all’epoca: di legno povero, sei semplici e corte travi di pioppo, tenute insieme ad incastro, decorate con la loro naturale e sola sembianza; di lucente e lunare argento, pallido nel suo rispettabile, ma modesto splendore rivalutato da tante piccole figurine di lune e rosai notturni; e l’ultimo, forgiato con il materiale più prezioso di ogni epoca umana: L’oro, sei lamine assai spesse di ottimo ventiquattro carati, dal puro colore del sole morente, lisce e accecanti, a parte la sesta che fungeva da coperchio, sfarzosamente decorata con putti, roselline primaverili, cigni, ed incastonata da molte pietre preziose dai mille colori, e i quattro angoli del cofanetto, con l’oro lavorato a stelo di vite, attorcigliato fino all’inverosimile, e terminate in altrettante zampe di leone.

Le dita della ragazza, compivano un percorso prestabilito e meccanico: partivano dal lato sinistro leggermente rialzato del coperchio del cofanetto ligneo, per poi ondeggiare, strisciare e danzare su di esso, ripercorrendo le piccole venature della trave. Poi saltava su quello d’argento, e lì riproduceva i consueti movimenti, abbondantemente testati sul primo scrigno, e poi ancora lo saltava atterrando sull’imperiosa cassa d’oro, che percorreva lenta, fino ad arrivare a toccare e stringere la zampa di leone del lato più esterno rispetto alle altre casseforti.

Poteva passare ore a cercare di rilassarsi ed estraniarsi da tutto con questo semplice giochetto, ma appena un servo entrava nella stanzetta per annunciarle che vi erano delle visite imminenti, oppure vi faceva irruzione come la bora invernale quella mascalzona energetica di Nerissa, piena di nuove avventure immaginarie e romantiche da raccontare, la sua mente correva di nuovo indietro dal mondo fantastico ed etereo dove oziava, rientrando prepotentemente nel palazzo di Belmont, e posandosi poi su l’immagine dolce e bellissima di un giovane uomo veneziano, che le faceva sospirare il cuore, anzi che le dava la sensazione di aver gettato il suo organo vitale nelle scure acque della laguna.

Porzia, interruppe il suo gioco, udendo degli scalpitanti passi che correvano verso di lei. Si pose le mani in grembo, e con un malinconico sorriso volse il capo in direzione della porta chiusa. Nella mente della ragazza iniziò un lento conto cronologico, mentre le sue labbra mormoravano sommesse dei numeri in successione.

"Uno"

Il rumore dei passi era ancora un po’ distante, ma la ragazza era certa che essi sarebbero divenuti più udibili in pochi secondi.

"Due"

I passi accelerarono, ma erano ancora troppo lontani.

"Tre….su, ragazza mia puoi fare di meglio.."

Ora il rumore dei passi assomigliava a quello di un minaccioso esercito di fanti in marcia.

"Quattro…puoi farcela.."

La porta si spalancò di colpo, andando a sbattere violentemente contro la solida parete di nuda roccia.

"Nerissa!!"

"Ahh!"

La giovane ragazza dai capelli neri e scompigliati, che si stagliava da dietro la porta, col fiato corto e le braccia spalancate, cacciò un urlo di sorpresa.

"Porzia….anf…ma siete impazzita, mia signora…oh, Giusta Cielo!"

"Vuoi sapere a quanto sei arrivata?"

" eh?…oh, sì, sì!"

"Quattro splendidi secondi!...nemmeno il dio Mercurio sa fare tanto.."

Nerissa strabuzzò gli occhi, due pozzi neri, profondi come gli abissi più insondabili, spalancando le sottili labbra in una mal dissimulata espressione di sorpresa e contentezza.

"…Meraviglioso!.."

Nerissa cominciò a volteggiare con la stessa energia di un Derviscio.

Porzia rivolse alla sua amica e alle sue giravolte sconclusionate un lieve sorriso carico d’affetto, valutando subito poi, e con molta difficoltà per via dei continui movimenti gioiosi della ragazza bruna, che vestiva dei laceri e sconcertanti abiti da ragazzo, abbinati in modo orripilante: un giustacuore nero, piuttosto tetro, dei calzoni ricamati blu opale, e delle calze spesse, e smagliate in più punti di un terribile tonalità verde palude; per non parlare del copricapo alla francese, con piume artificialmente colorate, e trine giallognole ai bordi. La giovane nobildonna, alzò scetticamente il sopracciglio destro, abbassando gli occhi, convincendosi per l’ennesima volta che la sua amica del cuore era sia un maschiaccio irrecuperabile, che una donna senza alcun gusto estetico. Le sorrise per la seconda volta, spontanea ed innocente, e fu ricambiata da un sorriso a trentadue denti da una Nerissa finalmente tornata in sé. Un sorriso altrettanto istintivo e candido.

La ragazza si sedette accanto alla sua signora, le prese le mani nelle sue e senza contenere il suo entusiasmo l’abbracciò di slancio, lasciando Porzia del tutto di stucco.

"Nerissa?"

La giovane dama di compagnia non resistette più, e confidò alla sua amica la straordinaria notizia che la rendeva così felice con un flusso squillante e concitato di parole semplici ed immediate, che profumavano di confidenza e complicità.

"Sta arrivando, Porzia…..lui.."

"Nerissa calmati….lui, chi?" affermò la ragazza tentando in ogni modo di contenere l'irruenza dell'amica, liberando le proprie mani da quelle di quest’ultima, per poggiarle con forza sulle sue spalle, impedendo a Nerissa di schizzare in piedi e mettersi di nuovo a volteggiare impazzita.

"…..Bassanio!…"

Porzia lasciò la presa dalle spalle di Nerissa, liberandola dalla sua presa, ponendo fulminea la mano sinistra dinanzi alle sue labbra e alle sue gote, infiammate e scottanti, e la mano destra sul cuore colpito dal tagliente stiletto dello stupore. Si alzò di scatto avvicinandosi all’amica danzante, bloccandola per un braccio, e voltandola verso di se, con le lacrime agli occhi.

"Ora?…"

"Non ora, amica mia….ma tra poco…tra pochissimissimo tempo!"

Nerissa stava per riprendere la danza di gioia, ma Porzia le strinse con più forza l’avambraccio, strizzandolo con un po’ troppa violenza, bloccando di nuovo l’amica, che si interruppe senza però dar segno di aver avvertito il ben che minimo fastidio o dolore.

"..Quando…Nerissa, Vergine Santa…Quando?"

La voce di Porzia oramai era sottile come una lama di ghiaccio, e agitata come se essa le fosse rivolta minacciosamente verso il morbido collo.

" Un ora e mezza al massimo…forse una, oppure solo metà di essa…sì, insomma…lo sapreste perfettamente se aveste continuato a leggere i vostri appuntamenti.."

"Come avrei potuto, Nerissa…..dopo quel Principe….lo spagnolo…"

Nerissa diede modo a Porzia di conoscere i suoi sentimenti di disgusto ed orrore nei confronti del principe d’Aragona, che aveva tentato la sorte con la prova dei tre scrigni pochi giorni or sono, fallendo miseramente, guidato malamente dalla sua ignoranza e vanità.

"Comunque il vostro Uomo è qui….e non dovreste accoglierlo con questo visino imbronciato e malinconico!"

"Hai perfettamente ragione, Nerissa…vieni nelle mie stanze, e aiutami a presentarmi al mio Angelo nel pieno dello splendore, che la giovane età regala ad una fanciulla…"

" Son pronta, mia signora.."

"Precedimi, Nerissa"

Seguendo l’amica, Porzia uscì dalla stanzetta degli scrigni, chiudendone con cura la poco appariscente porta d’entrata, per poi procedere verso una scalinata secondaria e poco conosciuta di Belmont, precedendo col sorriso sulle labbra la sognante Nerissa, alla quale, dopo aver montato pochi gradini rivolse uno sguardo interrogativo.

"Nerissa…posso comprendere che sei contenta per me….ma la tua reazione è ….troppo sospetta.."

"Come, futura mogliettina?"

Porzia sospirò, senza però lasciarsi sviare la mente da fantasticherie amorose e dalla furbizia dell’amica.

" perché sei così felice?": ripeté sicura che la ragazza le nascondesse qualcosa.

" eh, sì...mi avete sgamato….Io son lieta per voi, madama…ma, e lo dico con franchezza amicale…..Io gioisco di più per l’avvenuta del mio Angelo, del mio…se lui e Dio vorranno…Uomo…"

"Di chi si tratta?"

"Madama….di Gratiano…di chi se no?"

 

 

"Non ce la farò mai, e poi mai!"

"Bassanio…calmati…arriverai al ricevimento in perfetto orario.."

" Devo!"

Le labbra di Antonio si arcuarono e si schiusero, lasciando spazio ad una risata bassa e divertita, che a Bassanio suono incredibilmente sensuale e vellutata.

"..sì devi….messere, vuole un piccolo e umile aiuto con quel colletto infernale?"

-Infernale-

Le dita di Antonio armeggiarono non poco per allacciare nel giusto modo il collo rigido ed inamidato dell’amico, giocando strategicamente sui tempi, per concedere e concedersi il piacere di accarezzare il collo di Bassanio: la sua muscolatura giovanile, le dure ossa della nuca, la calda pelle irrorata dal bollente sangue della carotide, e il morbido pomo d’Adamo lievemente rialzato dalla posizione tesa della cervice. Sicuro, quella era decisamente una zona così sensibile ed irresistibile per lui, che ci avrebbe impiegato anni solo per allacciare un solo sottile filo nell’ostile e piccola asola del colletto.

"Sì, davvero un indumento infernale, lo ripeto!"

- infernale…ancora-

" Non andarci…."

Le dita di Antonio furono fermate dalla presa di quelle di Bassanio.

"…io…Bassanio.."

"Dio, ti scongiuro…Antonio non andare da Lui…ti prego…ti prego….ti prego"

Ripetendo la sua preghiera ossessiva a fior di labbra, con gli occhi chiusi e lacrimanti e a denti serrati, come se volesse scacciare uno spirito maligno o il diavolo delle sue paure, Bassanio si voltò verso Antonio, gettandogli le braccia intono al collo. Saldamente, con forza e disperazione paralizzando ogni movimento dell’amico, irrigidendosi sul suo corpo come morso da una verde vipera campestre.

Antonio appoggiò la sua guancia vicino alla nuca di Bassanio, assaporando il profumo dei suoi capelli, fini e bruni: un profumo dolce, ma deciso e maschile. Dopo un attimo di esitazione e stordimento il mercante circondò la vita dell’amante, con delicatezza, massaggiando con le dita i muscoli lombari, risalendo in morbidi cerchi concentrici su fino alle spalle, rigide e scosse da lievi spasmi di tensione, rilassandole.

"…Bassanio...lasciami…"

Non era un imperativo scocciato o disgustato dal contatto con il giovane uomo, ma anzi per Antonio pronunciare quelle parole, con voce il più possibile bassa e calda per non vestirle della loro naturale durezza, era comunque doloroso, ma necessario: ora dovevano lasciarsi, svincolare i loro corpi dagli abbracci e dai baci ed affrontare la realtà, guardare ad occhi nudi il sole che splendeva al di fuori del palazzo, sentirlo sulla propria pelle…e bruciarsi se questo era il volere degli Eventi. Ma affrontarli quegli eventi….e subito.

"…sì..": fu la debole risposta di Bassanio, che aveva compreso appieno il messaggio di quelle due semplici parole, ma che comunque non riusciva ad accettarle come giuste e doverose.

L’abbraccio fu sciolto, e senza più proferir parola Antonio allacciò con precisione e velocità il colletto rigido del vestito di Bassanio, e quest’ultimo ultimò la sua vestizione, stringendosi in vita una nera cintura di cuoio, spessa e lucente, dotata di semplici, ma spettacolari fibbie d’argento e lacci d’oro che sostenevano, sul fianco destro, l’elsa di una lunga e stretta spada di fattura spagnola, agganciata per mezzo di sottili cordini chiusi a fermaglio incrociato al fodero, semplice ed elegante anch’esso.

Appena fu terminata la loro vestizione, si girarono dolcemente uno verso l’altro, scambiandosi a vicenda un sorriso affettuoso, che sapeva di velata passione.

"Vieni": esclamò con voce vellutata Antonio, che precedeva di poco Bassanio, mentre oltrepassava lo stipite della porta d’entrata alla camera da letto.

Come risposta, Bassanio annuì con un lieve movimento d’assenso, ma prima di lasciare la stanza diede un ultimo sguardo al letto sfatto illuminato dal sole, ai cuscini stropicciati, posti uno sopra l’altro, uniti insieme dal solo contatto, alle tendine del baldacchino semiaperte sui lati, eteree ed esotiche. Voleva tornare sui suoi passi, per un solo istante, solamente per inginocchiarsi ai piedi di quel santuario d’amore, levigare le lenzuola ancora calde ed umide, poggiare la guancia sul cuscino di Antonio, ed assaporare il profumo di quel tessuto che aveva racchiuso e cullato le sue labbra, i suoi capelli, le sue gote.

Non lo fece, avrebbe potuto farlo, ne aveva il tempo ed Antonio non glielo avrebbe impedito per nulla al mondo, anzi sarebbe rimasto nell’ombra del corridoio, osservandone i movimenti e le intenzioni, ed aspettandolo con pazienza eterna…..ma non si poteva, perché si sarebbe trovato prigioniero del ricordo ed impossibilitato a vivere davvero….non l’avrebbe mai permesso, anche se l’oziosa voglia era tanta.

Bassanio distolse lo sguardo dal letto, ed oltrepassò la stanza luminosa per immergersi nella fresca oscurità emolliente del corridoio che portava allo studio di Antonio. Lo percorsero in silenzio, così come senza proferir parola oltrepassarono lo studio, la sala dei ricevimenti, e scesero la scalinata principale, giungendo nell’atrio dolcemente irradiato dalla luce azzurrina del cielo, che filtrava dalle spesse vetrate semplici.

Bassanio si fermò sull’entrata, ritto sulle spalle ed oramai sveglio. Diede un’occhiata sfuggente al cielo indaco e al sole che lo illuminava, poi si voltò verso l’atrio, e verso Antonio, sempre coperto da una misteriosa semioscurità.

"Bassanio…la mia imbarcazione ti aspetta al molo del ca’ di Padova…non è lontano."

" sì…conosco la strada"

Un'altra fuggevole occhiata al cielo e alle umide case che circondavano il palazzo di Antonio.

"…ora vai, Bassanio….le ore sono comunque a nostro favore….ci rivedremo presto…"

"Lo voglio…"

Con queste parole Bassanio si apprestò ad oltrepassare lo stipite della porta d’entrata, giungendo a passi svelti il cancello che chiudeva agli estranei il cortiletto esterno del palazzo.

" mhh mh...Bassanio"

Sì, era il suo nome…..l’unica parola che desiderava risentire da quelle labbra, almeno un’altra volta. Si blocco sui suoi passi e si voltò, pronto a correre di nuovo tra le braccia di Antonio, per accomiatarsi dal suo amante come si doveva.

"sì, Antonio?"

"..Credo che tu abbia dimenticato…questo?"

Antonio teneva stretto sul petto il copricapo di Bassanio, lisciando con il pollice e l’indice le voluminose piume bianche che si ergevano dal lato sinistro, sorridendo.

"..Cristo.."

Bassanio si precipitò verso il suo amico, ringraziando ogni mascalzone di Venezia diventato santo per avergli concesso quella preziosa possibilità.

Prese Antonio per il braccio sinistro, trascinandolo dietro al muro che sosteneva la porta e senza prepararlo lo baciò appassionatamente e con foga un po’ burbera, tenendogli il volto tra le mani. Senza aspettare di essere ricambiato spezzo quel contatto, e gli sfilò il voluminoso capello dalle mani, ma prima di fuggirsene via come un fanciullo alle prime armi che bacia d’istinto la sua piccola amata, gli rifilò un altro sfuggente contatto a fior di labbra, casto e fulmineo. Poi si dileguò urlando con gioia ritrovata un poderoso "Grazie di tutto!", che si spense appena egli imbocco la prima curva del suo tragitto verso l’imbarcazione che l’avrebbe trasportato fino a Belmont.

 

Le dita del mercante si posarono sulle sue labbra arrossate e umide. Chiuse gli occhi. Sorrise sommessamente. Poi, risalendo le scale scoppio in una risata fragorosa, accompagnato da un lieve movimento della testa, carico d’incredulità.

Le guance, però, sapevano di lacrima.

Entrò nel suo studio per procurarsi i contratti del sordido prestito, scivolandovi al suo interno con stanchezza ben evidente: mente troppo leggera, passi pesanti e strascicati, le dita della mano destra che si serravano sulle tempie con troppa insistenza e disorientamento, massaggiandole distratte e pretenziose di poter cacciar via il preponderante dolore che le stringeva, le costringeva, pressava, e schiacciava, gettando il pensiero in un turbinio di dolore e confusione quasi intossicante.

Il corpo accaldato, dai passi incerti del mercante era aiutato, nell’orientamento dalla conoscenza intima del luogo in cui si trovava, dal ricordo così vivido ed impresso eternamente nella memoria di ogni spigolo, distanza, e disposizione dei mobili e suppellettili che se si fosse abbandonato ad essa ed al suo istinto, fiducioso, riposandosi gli occhi per pochi minuti, chiudendosi al mondo delle sensazioni visive, e proteggendo dalla luce le sue iridi stanche sarebbe stato capace non solo di trovare le sue preziose carte, e documenti, ma anche di rilassare le sue meningi confuse e doloranti, distolte per un momento dal troppo eccitante pianeta dei colori, delle luci, e delle forme più varie.

Convincendosi di questa possibilità, blocco i continui movimenti rotatori che la sua mano sinistra compiva meticolosamente sulla fronte, facendola scivolare in basso, sicura, anche se la cittadella del dolore, appena stata scalfita, era tornata a difendersi con ardore contro il suo stesso padrone, fino a che i polpastrelli delle dita avvertirono la morbida consistenza delle palpebre ripiegate sotto le sopracciglia. A quel punto, come se si fosse trattato di sottili tessuti spiegazzati e raggomitolati da stendere con accuratezza, le dita di Antonio vi passarono sopra, e i due piccoli spicchi di pelle risposero docilmente, assecondandole con passività, fino a che essi non si chiusero completamente sopra i suoi occhi, escludendolo dal mondo del visibile, immergendo le sue sensazioni in un confine quasi onirico, fatto di balsamica oscurità, corrosa in più punti da macchie di confusi colori caldi, che volevano primordialmente ricreare la luce del sole che filtrava dalle lunghe finestre alla sinistra del mercante.

Il suo capo pulsante, che bruciava con intensità alternate, ne trasse un gradevole beneficio, e gli permise di avanzare con più sicurezza verso il suo scrittoio, condotto da una ritrovata pace, e dalla memoria che svincolata dal dolore, ora poteva fabbricare con intensità pittorica la planimetria della stanza e la disposizione mobiliare, portando Antonio immediatamente alla meta: un piccolo plico di poche pergamene sottili, racchiuse dal legaccio di cuoio sbiadito di un altrettanto inconsistente cartellina di pelle consunta e morbida al tatto.

Il mercante, sempre ad occhi chiusi, l’espressione più rilassata, le sopracciglia leggermente arcuate, e le labbra inumidite e socchiuse che gli donavano un’aria di innocenza e serenità, la raccolse cautamente tra le mani, poggiandosi il raccoglitore sul petto, e poggiandovi sopra tutte e due le mani, come a custodire un qualcosa di infinitamente prezioso e delicato.

Teneva tra le braccia la sua condanna a morte, o l’atto scritto di un incredibile amore verso il suo compagno. Erano delle pagine così preziose, tragiche, e che scatenavano in lui così grandi contraddizioni che in qualche momento di disperazione egoistica o di naturale spirito di sopravvivenza avrebbe voluto bruciarle, gettandone le ceneri lungo l’oscuro sentiero d’acqua che l’avrebbe condotto lontano dalla Fine. E che, invece, nelle sue più spiccate fantasie romantiche, diveniva il tenebroso documento ufficiale che proclamava segretamente a tutto il mondo quali sentimenti egli provava per Bassanio, fogli tanto importanti che nell’immaginazione venivano affissi sulle porte di San Marco e del palazzo comunale, mentre la popolazione e gli stranieri che conoscevano l’Italiano ufficiale rimanevano scioccati da quanto si può mettere in gioco per l’Amore di un uomo a Venezia, ed orripilati dal grado di crudeltà raggiunto da uno dei suoi abitanti.

"…che strane fantasie"

Antonio riaprì gli occhi, lentamente per mettere a fuoco la cartellina logora.

L’aprì, leggendo a bassa voce poche righe della prima pergamena.

"mi sottometto alla piena volontà del mio creditore, Ihonan Shylock, e mi impegno solennemente a restituire i beni pecuniari pattuiti( tremila danari )in precedente sede per mezzo di prestito ad interesse, entro lo scadere di mesi Tre….Se alla data confermata non avrò restituito i beni pecuniari, ammontanti a tremila danari che sia tolta dal mio corpo vivo una libbra di carne, a piacimento del mio creditore, facendo questo pongo me stesso come prestanome e pegno, in vece di messer Bassanio, a condizione che la sua persona, fisica, spirituale, e giuridica non venga coinvolta in un possibile fallimento del contratto…-

Era davvero l’Ora di andare….

 

"Messer Bassanio! Per di qua, messere...dove va?"

Bassanio alzò distrattamente lo sguardo verso un robusto gondoliere che si stava sbracciando come un forsennato per attirare l’attenzione del giovane, gli diede fugaci occhiate mentre avanzava verso una metà dimenticata, ed improvvisamente lo riconobbe fermandosi di scatto.

"messere...venga...per Diana, dove sta andando?"

Il giovane nobile gli diede un’occhiata stralunata e mosse disorientato lo sguardo verso il calle che stava attraversando, scrutò il nome dell’afoso vicolo corrugando leggermente la fronte come se non si rimembrasse in quale via era diretto, rimirò velocemente il giovane barcaiolo dalla pelle abbrustolita e incartapecorita dal sole impietoso che rischiava di cadere nel canale da tanto si contorceva per convincere il giovane uomo a raggiungerlo, per esclamare senza voce un’imprecazione di sorpresa, ricordandosi all’improvviso che si trovava al molo prestabilito, il ca’ di Padova.

Si precipitò frastornato e un po’ imbarazzato verso il giovane traghettatore che si era messo il cuore in pace vedendo l’amico del suo padrone raggiungerlo, rivolgendogli un spontaneo sorriso di benvenuto, elementare ma così confortante e amichevole che Bassanio non poté che restituirglielo con immensa gioia.

"..venga messere...lasci che l’aiuti "

"oh non vi è bisogno....ehm?"

" Ignazio, per servirla signore..."

Bassanio gli sorrise di nuovo in segno di comprensione imbarcandosi agilmente sulla piccola gondola dal legno scuro e lucido, che risplendeva elegante sull’acqua del piccolo tratto di laguna in cui si trovava, dipingendola di un oleoso color della notte invernale, sdrammatizzata di tanto intanto dai riflessi multicolore donati dal lungo e sottile pennacchio di metallo posto a poppa dalla forma che richiamava una chiave di violino, tagliente e stilizzata.

Il ragazzo, appena prese posto al centro della piccola e comoda poltroncina a due posti rivestita di ruvida taffettà porpora si pose sul capo il sontuoso copricapo di velluto viola, orlato d’oro, e lasciò che le bianche piume poste sul lato sinistro di esso svolazzassero libere nella calda e afosa brezza che piegava da giorni sotto la sua cappa d’umidità e calura l’intera isola veneziana.

Dopo aver scrutato sospettoso il calle e le viuzze circostanti si rilassò sul suo seggio stiracchiandosi le gambe per tutta la loro lunghezza, e sorridendo fra se e se diede un cenno d’assenso all’impaziente Ignazio.

" Possiamo partire Ignazio..."

 

 

"Cosa?..."

La voce irata e sconvolta non proveniva dalle labbra del forte gondoliere, ma bensì da un sconvolto, e segretamente divertito Gratiano che stava raggiungendo la sinuosa imbarcazione a passi sconclusionati e sgraziati, con le braccia saldamente ancorate ai fianchi muscolosi, le sopracciglia grottescamente aggrottate e la bocca distorta da un ghigno lupesco.

" Tu..."

Gratiano indicò Bassanio con il dito indice fermo e accusatorio posto a pochi millimetri dalla fronte del giovane imputato.

"...credevi di partire per Belmont...senza di me!"

Ora il dito accusatore del giovane si era riunito agli altri quattro suoi gemelli in un pugno tremante che batteva sul suo cuore, in modo melodrammatico.

"...assolutamente no, Gratiano....Salta su!"

Bassanio si scostò appena in tempo dal centro della poltroncina rossa prima di essere assaltato e sicuramente ucciso da un energico e generoso balzo felino di Gratiano, che scavalcando la piccola barriera d’acqua che lo divideva dalla gondola si era catapultato, sgraziato e pesante sulla fragile poltrona facendo traballare in maniera alquanto pericolosa l’intera imbarcazione.

"Allora l’hai fatto a posta....eh?...Mascalzone!!": disse Gratiano, senza curarsi di aver quasi causato un naufragio, abbracciando fraternamente e un po’ troppo affettuosamente Bassanio, che di punto in bianco si ritrovò sotto le torture goliardiche del suo più grande amico di venture.

"Assolutamente sì...": ammise il ragazzo, con un’innocenza sfrontata che lasciò basito Gratiano, procurandogli ancora qualche energica stritolata.

"Ora Ignazio.. si che possiamo partire per Belmont!!, giusto?": urlò Gratiano, indicando trionfalmente e sicuro, con l’atteggiamento di un generale della flotta militare del Doge un luogo indistinto della laguna e cingendo con la sua consueta energia le spalle doloranti di Bassanio.

"Giusto!" gli risposerò un sorriso sincero ed eccitato.

Fine sesto Capitolo

Parte finale del 5 capitolo....anzi direi più un intermedio un po’ inutile che però non potevo eliminare per la continuità della storia.....Dal prossimo cap la storia si tinge finalmente di colori cupi e drammatici che dipingeranno la fan fino alla sua fine...spezzati solamente da un piccolo intermezzo in cui Bassanio incontra Porzia (no romanticherie tra loro due...anzi...rimorsi come se piovesse)....

 

 

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Capitolo 7
*** - Scena settima- ***


" E' ora di scendere all’inferno, cristiano.....cane!...."

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" Dove posso incontrare Shylock, signora?...Lo conoscete?"

Il viso triste di una vecchia donna, cadente e gonfio a causa dei caratteristici vapori maligni delle concerie si rianimò per un momento vedendo quel ricco nobiluomo che le rivolgeva gentilmente la parola, con voce suadente, ma senza la caratteristica falsità che quel tono incantatore e dolce possiede in se; sincera e sottilmente addolorata quella voce la conquistò subito, come subito la domanda che essa le poneva la sconvolse nell’intimo, anche senza un vero perché.

" sì messere...lo conosco.."

"Siete dunque ebrea?.."

Il corpo della minuta vecchia si scosse violentemente a quell’ennesima strana domanda, abbassò lo sguardo spaventata che quell’uomo potesse picchiarla o perfino ucciderla perché aveva scoperto, senza parole o segni particolari che lei era ebrea e conosceva l’usuraio Shylock, e si sentì incredibilmente stupida ed ingenua per avergli rivelato quest’ultima informazione....doveva tacere, doveva sempre stare zitta, soprattutto con i ricchi cristiani...e questo glielo avevano sempre insegnato...fin da piccina...perché i ricchi signori della Croce erano infidi, infimi e sapevano usare così tanto bene le parole che anche se tu possedevi ogni verità nelle tue mani loro te la toglievano, con poche battute disorientanti e azzeccate ..Doveva negare ogni cosa quando questi la interpellavano, cercando di svignarsela, facendosi inghiottire dalla folla...ma ora non c’era una folla pronta a difenderla inconsciamente...e lei non era più una bambina forte, energica e scattante che poteva sgattaiolare velocemente senza essere vista...ma restava la solita ingenua e chiacchierona....e cocciuta.

Antonio recependo il disagio profondo dell’anziana donna le poso una mano rassicurante sulla spalla tremante, e piegandosi sulle ginocchia, incurante della lordura che impregnava le strade e ora il suo lungo mantello d’ermellino s’inginocchiò verso la vecchietta, ponendo il suo volto all’altezza di quello di lei.

"..non volevo spaventarla, davvero...mi creda...le ho chiesto se era ebrea solamente per un motivo pratico..."

L’anziana signora alzò il volto lacrimante e corrugato dalla paura, rivolgendo lo sguardo verso quello di Antonio.

" in che senso, messere?.."

" mi scusi ancora per averla spaventata, signora....devo domandarle un favore, direi piuttosto egoista da parte mia.....ma...se lei è di fede giudaica conoscerà sicuramente tutte le vie più nascoste del Ghetto, vero?.."

"certamente, messere"

"..senta...qual è il suo nome.."

"Sara...."

"Sara, potrebbe essere la mia ambasciatrice all’interno del Ghetto...e magari condurmi fino alla casa di Shylock....sotto compenso ovviamente..."

La vecchia signora si rilassò leggermente a quelle parole, annuendo timida.

"Grazie, Sara"

"Senta...é mai stato all’interno del Ghetto?..."

"sì...ed è lì che ho incontrato Shylock"

"e non vi ha portato a casa sua?"

" siamo rimasti nella piazza principale....e l’unico luogo chiuso in cui mi ha condotto è stato il suo ufficio....ma questa volta egli mi vuole incontrare a casa sua..."

"allora, mi ascolti bene, messere....la piazza principale può andare anche per un cristiano...e gli uffici dei creditori anche....ma no le vie che conducono al mercato o alle abitazioni....quelle no...deve sempre stare vicino a me, ma non mi chiami per nome...e stia col capo chino....mi ha inteso?"

"...è stata illuminante, Sara.."

"mi segua...ecco la piazza principale...d’ora in poi.."

"silenzio assoluto..."

"esatto, messere"

Enormi porte aperte accolsero la strana coppia, una minuta ebrea alla fine dei suoi giorni ed un nobiluomo cristiano col volto coperto dal cappuccio niveo del suo mantello di pelliccia.

Sara ed Antonio furono immediatamente immersi dalla folla vociante di mercanti, donne indaffarate e ricchi uomini ebrei e di dubbia provenienza, che disordinatamente li spinsero verso i lati della piazza principale, anch’essa affollata, rumorosa e lercia.

L’unico luogo immacolato e sgombro da ogni banco di commercio era l’austera sinagoga, rivestita esternamente dallo stesso color bianco accecante della pelliccia di ermellino del mercante, che titubante ed incantato vi passava accanto, studiandola finalmente con l’attenzione che meritava, rimirandola attentamente, come si osserva un qualcosa di misterioso ed incomprensibile....mistico..

La struttura del Tempio ebreo era così differente da qualsiasi chiesa o tempio antico che Antonio avesse incontrato nei suoi innumerevoli viaggi lungo tutte le coste del Mediterraneo orientale e meridionale: altissimo e severo, pieno nella sua semplice e minimale maestosità, dipinto da un puro bianco latteo, con una stella di David, enorme, posta sulla parte più alta della facciata principale che fungeva da luogo d’ingresso, costituita da sei affilati triangoli di vetro uniti insieme da un robusto e spesso telaio di bronzo color antracite...nel suo insieme la sinagoga stava contribuendo a rendere l’animo di Antonio ancora più scosso da un sentimento indefinibile, inconsciamente leggero e allo stesso tempo greve e insostenibile che si poggiava sul cuore entrandovi con precisione chirurgica, scatenando reazioni a catena dagli esiti imprevedibili.....un sentimento che si avvicinava in modo pericoloso allo spasmo nervoso.....all’ansia.....al terrore più quieto, nascosto e impercettibilmente presente....ma pronto a scoppiare nella sua più terribile e distruttiva forma...

"Non si lasci incantare da qualcosa che non potrà mai capire...ne tanto meno indagare...."

A dispetto delle parole, dure e categoriche la voce di Sara aveva il tono più cordiale e dolce di questo regno mortale...le sue parole non erano dettate dall’odio, o da una smania di superiorità che la donna poteva esercitare su di lui solamente all’interno della sua fortezza religiosa ed etnica....no...erano semplicemente mosse da una saggezza semplice, ma autentica.

Antonio la guardò senza collera o sbigottimento, anzi, le rivolse un debole sorriso dall’aria accondiscendente e comprensiva.

"no...non potrò mai capire, ne indagare....se fossi più giovane, e avessi più tempo magari sì.."

"..mhh no...messere...o si nasce qui....o questo sarà un luogo di passaggio, di scherno, di losco commercio illegale e nient’altro....non carpirà mai i suoi segreti...la sua religione....la sua gente....Ma ora le nostre parole sono di troppo, nobile cristiano...e possono tradirci.....e il vostro cuore è troppo turbato per non tradirvi ulteriormente....e visto che è così, é meglio tacere e proseguire .."

Raggiunsero in fretta il lato sinistro della piazza gremita, per imboccare un largo vicolo, scuro, gremito e maleodorante a causa degli effluvi tossici delle concerie cittadine che si trovavano a fianco del Ghetto e che producevano nei suoi abitanti decine di vittime ogni semestre, a causa di strane malattie ad origine tumorale, e a continue emorragie polmonari....per questa ragione sanitaria, coniugata ad una semplicemente antisemita il Ghetto era anche chiamato, nel gergo della Venezia cristiana: l’Inferno....

Il vicolo era un mosaico di vecchie case umide e fatiscenti, qualcuna cadeva perfino a pezzi nella più completa noncuranza dei suoi inquilini che continuavano a vivere, procreare e morire al suo interno, di angusti banchi di commercio, di macellerie e cambio valori, di massaie, commercianti, e religiosi che s’incamminavano verso la sinagoga o la Scuola, discutendo di teologia avvolti da lunghe stole di lana grezza e bianca, fuori dal tempo e dalla realtà come ogni uomo di religione o di teoria.

"...ora deve davvero coprirsi il volto col suo mantello...ma non in modo troppo evidente...": sussurrò Sara, quasi con fare sospettoso, afferrando con la debole mano sinistra un lembo del mantello di Antonio, per mantenersi accanto a lui e non farsi trascinare il corpo minuto dalla folla sempre più consistente e violenta.

Antonio calò ancora di più il suo soffice cappuccio sul volto, abbassando il capo quel tanto da non farsi identificare il viso, dai tratti troppo riconoscibili dai numerosi mercanti ebrei, amici di Shylock che si trovavano in quel momento nel Ghetto, ma senza impedirgli di scrutare quel luogo proibito a lui e a tutti i cristiani di Venezia con una reputazione da difendere.

"pochi passi ancora...e saremo arrivati, messere"

Quel luogo era davvero labirintico, anche se dal di fuori delle mura appariva un vespaio minuscolo ed affollato. Nella realtà, quel piccolo pezzo di città era stato architettato dai suoi abitanti in modo da renderlo impenetrabile agli estranei e falsamente immenso tante erano le minuscole viuzze secondarie. Ecco perché Antonio si era affidato all’esperienza quasi secolare di Sara, sicuramente una tra le più vecchie abitanti del Ghetto...senza la sua precisa e discreta guida l’accesso a quella zona limite della città sarebbe stata impossibile.

"...si fermi qui, messere...ed entri subito..."

Sara si era fermata davanti ad un alto edificio dal color giallo antico, con poche finestrelle allungate e sigillate da spesse vetrate scure ed affiancato da un piccolo canale sporco. La porta era aperta, ma non in segno di ospitalità...anzi l’atmosfera che si respirava era di inospitalità massima e velenosa.

"la ringrazio di cuore Sara....ecco la sua somma, assolutamente meritata.."

Antonio lasciò cadere sei ducati d’argento nelle mano di Sara che teneva il lembo del mantello, discretamente e in segreto. La donna lo ringrazio a fil di voce, ma dolcemente; fece per andarsene, quando s’irrigidì un poco, fermando il suo cammino.

"....non per mia esperienza...ho sempre lavorato onestamente dal mattino alla sera, messere e non ho mai dovuto ricorrere a Loro....ma non le consiglio di entrare la dentro...davvero.."

" mi dispiace, Sara...ma devo...è una questione....di Cuore direi..."

"....in ogni senso, messer Antonio...in ogni senso....e tu Sara che vuoi...vattene..."

L’anziana squadrò tra lo spaventato e il disgustato, la figura di Shylock quasi immersa nell’ombra dell’uscio, gli rivolse uno sguardo duro e freddo pieno di risentimento, per poi sparire tra la folla.

"..ahh...stupida vecchia.....oh, ma entrate messer Antonio...entrate...abbiamo molte cose da discutere...e io ho anche tante cose da fare....quindi non perdiamo il tempo prezioso che Lui ci ha donato....entrate"

Dopo un respiro profondo Antonio entrò nella casa di Shylock, l’usuraio, scoprendosi il volto e il resto della testa poggiando con cautela il cappuccio d’ermellino sulle spalle.

La casa era scura, ma pulita e comunque ben arredata, rustica e dai mobili ricavati da legni robusti, ma grezzi. Sulle mensole della cucine e del salotto vi era qualche suppellettile di un certo pregio, ma sempre destinato ad una qualche utilità pratica: bottigliette di fine vetro di Murano, brocche di ceramica rossa, e qualche vasetto delizioso contenente fiori freschi e dai colori tenui, ma rilassanti...quei vasi erano l’indizio che in quella casa vi era qualche donna, senza alcun dubbio......

L’abitazione del suo futuro assassino appariva come una normalissima casa di un piccolo commerciante, sobria ma dignitosa...l’inquietudine non si celava in nessun anfratto troppo oscuro e misterioso, in boccette contenenti parti umane indefinite, o da alambicchi fumanti..... essa era contenuta nell’aria...nell’espressione lupesca di Shylock....nel coltello affilato che teneva in mano, per spezzettare delle verdure poste su un tavoliere umido....nei suoi occhi gialli e percorsi dall’odio più puro.....

"Si segga pure, messer Antonio...mi deve scusare se nel parlare d’affari così complessi mi permetto di compiere lavori di cucina...ma anche un ebreo deve mangiare...e mia figlia è sempre con la testa sulle nuvole...e non mi è di molto aiuto, purtroppo.."

Ecco la donna misteriosa che abitava quella casa attraverso il segni lasciati nel suo arredamento....era la figlia....ma dov’era la moglie?..

"..e la mia povera consorte è passata a miglior vita...": disse Shylock con un accento di calibrato sforzo nella voce, nel sollevare un cesto pieno d’ortaggi, da dove spiccava un gonfio peperone rosso.

"allora ,messere......voi avete perso le navi che dovevano portare ciò che mi avevate promesso....cioè...."

Prese un lungo gambo di porro e cominciò a spezzettarlo sapientemente.

" la vostra garanzia di ripagarmi in tempo è affondata.....voi non potete ripagarmi, giusto?"

Staccò gli occhi dal suo lavoro di coltello, scrutando il volto di Antonio, attendendo un suo segno d’assenso.

"giusto.."

Soddisfatto Shylock riprese a spezzettare il grosso gambo di porro fino alla fine di esso, per poi gettare i piccoli dadini verdi in un lucido pentolone di ghisa che ribolliva sul fuoco.

"...e io quindi ho il diritto di pretendere il mio pegno....quel pegno che voi dovete pagarmi con la vostra persona specialissima....oh ma guarda.."

Shylock prese in mano il grosso peperone rosso, lucido e gonfio.

Antonio lo scrutò disgustato: quel peperone rassomigliava in modo impressionante ad un cuore umano, o animale....dal rosso vivace, dalla consistenza spugnosa all’interno e lucida all’esterno....così gonfio di succo, che colava all’esterno in piccoli fiotti da piccole ferite nella buccia.....umido e oleoso....quasi pulsante.....Antonio dovette distogliere gli occhi da quell’abominio dell’immaginazione.

"...E’ vero!...sembra un bel cuore ....gonfio di vita......così divertente da spremere...ma lo rovinerei, se lo prendessi tra le mani spappolandolo con la forza dei mie muscoli, che anche se esigua, può fare molto...."

La mano destra di Shylock comincio a premere e rilasciare la consistenza del peperone....facendolo pulsare...

"...è meglio tagliarlo!..."

La mano dell’usuraio fece cadere l’ortaggio sul tagliere, attaccandolo subito poi con una coltellata netta, che lo divise in due.

Il succo sprizzò fuori dall’ortaggio violato, appiccicandosi, viscoso e trasparente sul coltello e sul tagliere.

"............messer Antonio.....avrà molto presto mie notizie...notizie del processo, ovviamente...due giorni...tre...non di più.....è stato un piacere parlare con lei....per l’ultima volta almeno.....sa, volevo essere davvero rassicurato dal diretto interessato che le notizie del suo fallimento erano esatte.

.....Buona giornata..."

Fine del settimo Capitolo

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Capitolo 8
*** - scena ottava - ***


Sto sfociando nel delirio psichedelico puro!!....scusate per il carattere di scrittura...come posso ingrandirlo solo Zeus lo sa!...

Venezia lentamente si addormentava, un’altra volta ancora, affondando lentamente nelle sue acque sempre più scure, espandendosi infinitamente nelle lunghe ombre che accarezzano i muri e gli anfratti inglobandoli in esse come se fossero spigolosi artigli predatori che tutto catturano e divorano, senza termine, senza pietà, lentamente compiono il loro affare fino a che tutta la città non si trovi dentro un unico corpo d’impercettibile polvere nera che tutto oscura e mette a tacere.

Il sole irradiava ancora la città e la sua laguna, smorto e deposto ma ancora caldo e carico di balsamico torpore, espandendosi in raggi rossastri così bassi da arrivare ad accarezzare morbidamente le placide acque dei moli; come se essi fossero lunghi nastri fluttuanti color delle arance e dei pompelmi del sud staccatisi dal cerchio di fuoco morente, che via via si accasciava sull’acqua, stanco e meraviglioso. Un imperatore pur sempre bellissimo, ma mite e anziano che senza più smanie di dominio su tutti gli abitanti della città, lasciava il trono alla sua pallida sposa – sorella, così misteriosa e forte, la Luna e alla sua corte di stelle che tempestavano l’infinito mantello corvino della notte.

Le dita di Antonio erano lasciate libere di scorrere sulla superficie ruvida e calda di un muro di calce bianca, illusoriamente dipinto da un’inconsistente pittura rossastra proveniente dal magico riflesso che i raggi di sole producevano sulle acque verdastre di uno sperduto molo, nei pressi del Ghetto.

Piccole imperfezioni appuntite nella parete punzecchiavano i polpastrelli del mercante, li solleticavano, li incidevano superficialmente mentre il suo corpo aderiva piano piano ad essa.

Quando la sua schiena venne a contatto con la grossolana calce, l’uomo si liberò di tutta l’angoscia che lo stava divorando abbandonandosi alle lacrime, che lentamente trovavano un sottile varco sulla superficie della sua pelle non più giovane, scendendo in sottili fili d’argento lungo le guance, gli zigomi fino ad arrivare al collo, perdendosi nei suoi corti capelli che in quei pochi giorni stavano invecchiando troppo velocemente.

Richiamò a sé le dita, che strisciando dolorosamente sulla parete pungente si ricongiunsero inermi in due saldi pugni, che sbatterono con ponderata forza contro le piccole lance di calce, provocando numerosissimi minuscoli fori sanguinanti nella tenera carne delle mani.

Prima di accorgersi di quell’infimo dolore che si propagava in tutto il corpo, il mercante dovette toccare lentamente il suolo, facendo scivolare le gambe lungo la parete, per poi distenderle lungo le piastrelle di cotto che ricoprivano il pavimento del portico in cui si trovava, quasi disarticolate e senza vigore alcuno.

Antonio si portò le mani al volto, sollevando appena la parte ferita di esse, consapevole dell’errore che aveva appena commesso, ma senza curarsene in alcun modo.

Riaprì gli occhi umidi, guardando il molo esplodere dei colori dell’ultimo clamoroso fuoco solare. Sollevò il volto facendosi inondare il mento e le guance da quel calore che si andava via via sempre più spegnendosi. Richiuse le palpebre e si lasciò catturare da quelle fiamme vigorose.

Fuochi che si tramutarono subdolamente in sensazioni astratte, sensuali, ma dilanianti.

Quel fisico calore solare si permutò in bollente ricordo di membra, labbra, mani, sospiri, gemiti, lingue combattive e complici. Fiati di brace, parole roventi, racconti vogliosi, fantasie indescrivibili, abbracci potenti, occhi offuscati, guance umide di baci, chiome indomabili e madide, sostanze avvolgenti, sete e rose, sessi incompleti da soli, e incontenibili insieme......calore d’amore...calore di sensualità.....fuoco che riscalda.....fuoco che vuole essere rinvigorito...fuoco che vuole, desidera e in un balzo di possessivo egoismo,

Pretende....

Il mercante sentiva sulla sua pelle piccole frasi provocanti, che piano piano, con calligrafia immaginaria e svolazzante si marchiavano a fuoco all’esterno e all’interno delle sue cellule...si raffreddavano...ingrigendosi...per poi scomparire e dare nuovo spazio ad altre più ribelli, indiscrete, bollenti, al limite della decenza e forse perfino più in là.

Via via che la sua mente si liberava da malumori, paure, tensioni ed inibizioni l’immaginazione di Antonio definiva immagini sempre meno astratte. Ora quelle parole immorali e lascive si tramutavano in una bocca calda di passione che esplorava il suo petto, che baciava, mordeva giocava con la sua pelle: quella leggermente tesa a contatto con le ossa del costato e delle clavicole, e sia con quella morbidissima dei capezzoli, liscia, e facilmente convertibile a turgida ed infiammabile area di piacere gentile, bruciante e paradisiaca. Forti braccia che lo cingevano gelosamente, mille tocchi leggeri di mani vogliose, labbra che si arcuavano in sussurri dolci, che si tramutavano in passionali ed incontenibili in un susseguirsi di cambiamenti sorprendenti e schiaccianti: quel corpo immaginario, maschile, famigliare oltre ogni possibile intimità umana, dapprima lo avvolgeva con primordiale violenza, con uno spaventoso bisogno di superare qualsiasi barriera fisica, reale...umana per fondersi col suo corpo, aprire mille varchi roventi che provocavano nel mercante moti di estatico dolore, per poi riversarsi in un fuoco bollente, in una lava incontenibile al suo interno e finalmente congiungersi con ogni cellula, fibra, organo del corpo amato e spasmodicamente desiderato. Via via che il limite di piacere veniva raggiunto, superato, ricresceva e tornava alla sua vetta, la passione scemava, senza alcun trauma, verso un dolce abbraccio, più mite, appagato e profondo, che si sedimentava all’interno del corpo di Antonio, lentamente, stringendo pacatamente quelle fibre tormentate ed eccitate oltre ogni misura, completando gentilmente l’opera di fusione così violentemente esplosa. Tutto il tormento della carne, la sua eccitazione erotica, la smania di un ricongiungimento totale ed impossibile si estingueva in un impareggiabile appagamento dei sensi, e nella consapevolezza immaginaria di essere riusciti a possedere ed essere posseduti e al medesimo tempo di non aver provato affatto tutto ciò che era accaduto in così brevi attimi di solitudine.

I suoi occhi ripresero a vedere, e ciò che percepì attraverso di loro fu una Venezia buia, fresca, ed irreale nelle sue luci lontane, nelle sue voci inesistenti e nelle acque nere ed inquietanti.

Si accorse di aver provato, nel giro di pochi minuti, la più grande disperazione......e il più spirituale, magnifico e bruciante orgasmo di tutta la sua lunga vita.

- Flash Back -

- Nel corso del pomeriggio, mentre un mercante conosceva il vero inferno terrestre, un giovane nobiluomo si stava apprestando ad assaggiare i frutti di un falso Eden -

"ahh Bassanio, eccola...eccola....la più incantevole delle isole....Belmont!"

l’isoletta verdeggiante, di nome Belmont si mostrò ai due nobiluomini e al loro rozzo traghettatore, graziosa e fuori dal tempo. Brillante nei bianchi marmi che costituivano il palazzo rinascimentale di Porzia, dalle parvenze di un raccolto tempietto greco, circondato da numerosi piccoli giardini traboccanti di minuscole viole disposte a tappeto, nivee magnolie dai fiori oscenamente carnosi che prosperavano lungo i sentieri che conducevano alle varie entrate del complesso, fanciullesche margherite selvatiche, siepi lucide, dalle foglie pungenti, o oleose ed estese, tripudi di narcisi che si affacciavano curiosi sulle acque della laguna, bocche di leone scintillanti, rose, buganvillee che abbracciavano le colonne dei portici più soleggiati, soffioni selvatici, giacinti dal raro color porpora ,iris, Itzim bicolori, e numerosissime altre specie sconosciute perfino agli studiosi occidentali più pignoli ed esperti di botanica.

Era il luogo più adatto per esporre l’idea generale che le persone europee potevano possedere per descrivere il paradiso terrestre, o l’effimera piacevolezza della bellezza perfetta, tripudiante, ma priva di qualsiasi slancio passionale o di riferimenti minimamente peccaminosi a causa della sua finitezza fredda, calcolata, pulita, casta, che non aveva nulla a che fare con luoghi più nascosti, ombrosi, sicuramente più modesti, ma profondi e meno scenografici dove vi alloggiava però la vera passionalità, il peccato della carne e dello spirito, e dove regnava incompreso e contrastato l’amore.

Bassanio, con questi suoi intimi pensieri stava in cuor suo cercando di schiarirsi le idee confuse, comparando in un eccesso di materialismo e realismo i due luoghi che fin ora rientravano tra quelli più significativi per la sua esistenza, presente, e forse futura: la splendida villa di Porzia, e il palazzo più raccolto ed intimo di Antonio. E per la prima volta in cuor suo il suo amante e la sua giovane e nobile ereditiera vennero davvero in conflitto l’uno contro l’altro.

Intanto , nel palazzo di Belmont....

"Porzia...arrivano!"

Un’elegante ragazza uscì dalla porta finestra centrale, per dirigersi verso la sua amica che saltellava pericolosamente a pochi millimetri dalla balaustra dell'alto balcone padronale che si affacciava sul giardino principale, che avrebbe accolto ,tra pochi minuti l’esigua delegazione di Basssanio, venuto a chiedere la mano di Porzia e a cercare di superare l’infima prova dei tre scrigni.

"Nerissa, lo vedo...lo vedo....cara?"

"sì!": squittì tutta eccitata l’amica, compiendo un balzo tale da rischiare una rovinosa caduta di quattro metri dal balcone. Porzia era invecchiata di una decina di anni, in meno di una decina di secondi.

"..p...potresti evitare di tentare un immorale suicidio durante la tua permanenza sul mio balcone?"

Sfoderando la sua solita disarmante tecnica migliore: un sorrisone brillante a trentadue denti, la ragazza annuì maliziosa, riprendendo subito poi a indicare poco signorilmente la piccola gondola scintillante che si avvicinava all’isola.

Porzia, evitando di riprendere Nerissa a causa del suo comportamento molto poco femminile, più adatto ad un garzone di strada che ad una dama di compagnia le si avvicino ponendosi accanto a lei e con un insolita mossa di virile forza la agguantò con un braccio e la immobilizzò alla meglio peggio, evitando almeno che continuasse ad urlare sguaiatamente epiteti ben poco costumati e virginali sulle immaginarie qualità nascoste di Gratiano.

Lo stesso sovrumano sforzo lo stava compiendo Basanio, cercando di tappare la bocca del suo amico, che in quel momento vedendo la sua bella Nerissa si stava lasciando trasportare da un incontenibile volgarità linguistica, rispolverando tutte le espressioni che potevano descrivere in modo alquanto colorito quello che un poeta potrebbe definire, arrossendo violentemente "la giovine rosa da cogliere" della propria amata e sospirata fanciulla.

La gondola attraccò nel piccolo, ma organizzatissimo porticciolo dell’isoletta, e la piccola comitiva fu accolta da alti squilli di trombe scintillanti che riflettevano i raggi solari in mille riflessi dorati ed accecanti. Bassanio e Gratiano furono accolti da una decina di uomini vestiti per l’occasione: pregiata calzamaglia rossa, casacca bicolore, blu è oro, bassi copricapi di velluto a coste leggermente calcati sul lato destro del volto, rossi anch’essi e una lunga panciera raffigurante un leone incoronato che artiglia un fiordaliso, in campo bianco e oro. I due gentiluomini però interruppero subito le formalità d’accoglienza, spiegando ai maestri di corte che era previsto un secondo sbarco, ben più nutrito in cui oltre a essere traghettati verso Belmont numerosi giovani dell’emergente nobiltà veneziana, venivano trasportati preziosi doni da presentare alla bella ereditiera da conquistare.

Già, numerosi presenti per Porzia, per l’ammontare di, guarda un po’, tremila danari...Quel pensiero era già di per se un incubo, ma come se non bastasse

la truce immaginazione di Bassanio diede il colpo finale alla sua stabilità emotiva, gettandolo in un oblio di fantasie terribili e angoscianti:

Ogni prezioso trasportato su quella seconda capiente gondola costava al cuore del giovane nobiluomo mille rimpianti, rimorsi ed infelicità. Ogni ametista, rubino, filiere d’oro, coppa o tessuto erano già in origine macchiati, intrisi, imbevuti, grondanti del sangue di Antonio.

Il giovane nobiluomo vedeva quel sangue, rosso, scuro, ancora caldo, anzi bollente traboccare dagli scrigni, inzuppare le sacche di velluto, insidiarsi nelle le piccole confezioni e con orrore aspettava che quei forzieri e contenitori fossero aperti, una volta giunti sull’isola, per vedersi le calzature impregnarsi del liquido che sgorgava mostruosamente da essi, vedere le radici e gli steli dei lusinghieri fiori che impreziosivano Belmont succhiare avidamente la rossa linfa e nutrirsi di essa, sentire le isteriche risate dei maestri di cerimonie, dei gentiluomini che li avevano accolti, l’orrore degli amici di Antonio che lasciavano cadere disgustati gli scrigni e le sacche facendo schizzare il loro rivoltante contenuto ai piedi di Bassanio, vedere le loro espressioni di sdegno e di rimprovero sul proprio volto, vedere Gratiano che gli rivolgeva le spalle piangendo, ed infine vedere Porzia dagli occhi sgranati dall’orrore ed un inquietante ghigno sulle labbra di rosa, ambigua nel suo giudizio e indicante un punto ben preciso dello scrigno più grande e ricolmo di sangue.....il punto dove galleggiava, gonfio, pulsante, e dilaniato un Cuore....

"Bassanio...Bassanio, amico mio?"

Gli occhi segretamente velati di lacrime di Bassanio si rivolsero verso il viso di Gratiano che lo guardava curioso ed interrogativo.

"...dimmi Gratiano..."

"Amico mio......la cavalleria sta arrivando...e credo che con questa offensiva la battaglia sarà nostra......compreso il bottino di guerra, ovviamente!"

Bassanio si girò verso la laguna, dove a pochi metri dal molo sopraggiungeva la ricca gondola, straripante di uomini riccamente vestiti e di luccicanti scrigni.

- Fine Prima parte dell’ottavo capitolo -

La capiente imbarcazione raggiunse lentamente il porticciolo, dove attraccò senza troppe difficoltà, riversando a terra il suo carico d’uomini e oggetti preziosi.

Mentre una quindicina d’uomini elegantemente abbigliati, dagli sguardi fieri, e inconsapevolmente o meno alteri raggiungevano Bassanio e Gratiano, accolti anch’essi da alti squilli di tromba dal suono argentino, dei servi dalla pelle brunita dal sole e dai miseri abiti scaricavano le pesanti casse di preziosi, le confezioni di seta che contenevano costosi capi d’abbigliamento ed altri scrigni dalle varie dimensioni e fattezze.

Lo scintillante e distinto gruppetto di nobiluomini era capitanato da un nobile, poco più che ventenne, dalla pelle lucida e perfettamente rasata, che vestiva, sopra una casacca a manica a cipolla color cremisi, una spessa pettorina di cuoio scuro equino le cui fibbie si allungavano come tentacoli di polpo verso le sue cosce, coperte da una corta tunichetta dello stesso tessuto rosso e ruvido, con la funzione di reggere un lungo stiletto a sinistra e la consueta sottile spada a destra, il tutto completato da spesse calze bianco panna che gli avvolgevano le gambe muscolose, ma snelle e la corta chioma bruna coperta da un capello a punta color mattone da dove spuntavano, eleganti, numerose piume di pavone albino che scendevano come una cascata di latteo liquido oltre le tornite spalle.

Quel nobile si chiamava Fabrizio della Quercia, cognome di una delle più giovani, potenti e violente famiglie nobiliari veneziane.

Il suo passo era studiato con minuzia quasi maniacale, il modo in cui poneva un piede di fronte all’altro era di una perfezione e controllo tali da risultare troppo forzato ed innaturale, anche se Fabrizio si sforzava in ogni maniera di rendere il suo portamento fluido e congenito, con una gestualità elegante ed disinvolta (mani poste sui fianchi, petto rilevato, cenni di incoraggiamento ai suoi compagni di ventura) e con sorrisi sicuri, elargiti a tutti e a tutto come se fossero i colorati coriandoli di stoffa che a Carnevale venivano gettati dalle finestre e dai balconi delle case durante i cortei in maschera.

Ma Bassanio sapeva che tutto questo atteggiarsi ,controllarsi corporalmente ,apparire come un condottiero raggiante e sicuro di sé erano solo espedienti che celavano dietro di essi una spiccata insicurezza e fragilità tenuta a freno e velata da gesti forti e trascinanti.

Bassanio non amava particolarmente il giovane Fabrizio, che gli appariva spesse volte come una creatura falsa e falsata da atteggiamenti non propri, dettati da una società, quella nobiliare, che doveva difendersi da coloro che attanagliavano il loro potere a colpi di ipocriti e boriosi comportamenti , a tratti fastidiosamente grotteschi.

"Bassanio! Gratiano! impareggiabili esempi di eleganza e distinzione, nonché grandi amici, come state?"

"....il nostro umore e paradisiaco, caro Fabrizio!": rispose Gratiano ,notando un sottile sorriso contrariato sul volto di Bassanio.

I due nobili si salutarono amichevolmente, abbracciandosi con forza.

" Ottimo!...Bassanio, carissimo...eccoci arrivati al grande passo!": disse Fabrizio rivolgendo lo sguardo verso il giovane pretendente ,che gli dedicò a sua volta un tirato sorriso d’assenso.

"ehhh!! Fabrizio calmo con le parole....eccolo arrivato al grande passo...no eccoci...non vorrai rapire il cuore dalla sua donna?"

"futura donna...forse": rispose un incerto Bassanio.

"oh certo che no, la bella Porzia è un territorio vergine ed inesplorato che attende solo il suo legittimo proprietario...cioè il nostro amatissimo amico Bassanio, nevvero?" : rispose Fabrizio alla provocazione di Gratiano, ammiccando verso Bassanio, ma ignorando bellamente il suo precedente tentennamento.

- In fondo, lui doveva ancora vedersela con la prova dei tre scrigni, che avrebbe decretato o no il suo diritto a chiedere la mano della giovane ereditiera, e Fabrizio sembrava così sicuro della sua riuscita. Lo stava sicuramente schernendo!-

Bassanio non rispose, e tra i tre uomini scese un silenzio più che imbarazzante.

"Bassanio!"

Il silenzio fu infranto da una delle numerose voci di nobiluomini e servi che avevano raggiunto lui, Gratiano e Fabrizio, seguiti dai mastri di cerimonia e gli uomini della corte di Porzia.

"Alessandro! Ragazzi! Ah eccovi qua, scansafatiche, nemmeno due casse riuscite a sollevare da soli!": affermò Bassanio rivolgendosi ad un nobile venticinquenne, scorgendo, non senza sentire qualche brivido d’apprensione e paura le pesanti casse e scrigni trasportati con fatica dai servi.

"Siamo nobili per un motivo!"

Senza degnare di uno sguardo un indispettito Fabrizio, Bassanio si diresse verso l’amico d’infanzia e il resto del gruppo, lasciando Gratiano alle prese con gli sbuffi di rabbia del giovane della Quercia.

Dopo qualche minuto per i saluti e lo scambio di poche divertite parole di ringraziamento, Bassanio annuì ad un impaziente Gratiano, che trovandosi in difficoltà con gli umori neri di Fabrizio inviava all’amico indiscutibili segnali di procedere verso il palazzo di Porzia.

"Che ne dite, Signori, è ora di andare, no?...le signorine hanno aspettato fin troppo": esclamò un sollevato Gratiano, fungendo da capofila.

Il corteo si avviò estasiato dalle meraviglie floreali dell’isola di Belmont, dirigendosi a passo cerimoniale verso l’entrata principale dell’originale palazzo di Porzia.

Calendule scintillanti ove si infiltravano violette selvatiche segnavano i contorni del sassoso marciapiede, mentre una decina di ancelle e fanciulli bianco vestiti spargevano un numero incalcolabile di setosi petali di rosa e giacinto.

"...questo è il tempio di Venere, amico mio ...altro che il sontuoso palazzo di una vergine nobildonna"

"...davvero lo credi, Alessandro?"

" Certamente....Bassanio, qualcosa ti turba, nevvero?"

Bassanio sorpreso dalla perspicacia di Alessandro gli rivolse un sorriso dolce e mite, che non faceva altro che far trasparire il turbamento e la confusione che anelavano il suo animo in quel momento, ma non gli rispose.

Alessandro a quel silenzio con contraccambiò con un’ennesima domanda curiosa, ma si limitò, invece, a stringere con più forza e trasporto la spalla destra di Bassanio ,che fraternamente cingeva da parecchi minuti, cercando di trasmettere tutto il calore e l’appoggio possibile ad un amico che aveva sempre ammirato e protetto.... e segretamente amato, tacitamente senza mai far trasparire i suoi sentimenti, ne al diretto interessato, ne ai suoi amici più intimi e fidati, in primo luogo per non spaventare e confondere il giovane cuore del ragazzo, e successivamente per porsi pacificamente in disparte quando con una sola occhiata, dettata dalla sua naturale perspicacia nell’identificare i sentimenti altrui aveva intuito che il suo amato Bassanio si era perdutamente innamorato di un altra persona, che lo ricambiava con discrezione, ma anche sicuramente con un trasporto e passione intimi e segreti donati generosamente durante i loro incontri clandestini e nascosti ....e lui sapeva benissimo di chi si trattava, ma essendo un uomo di forti principi morali e considerando la fedeltà e l’amicizia come i cardini portanti della vita di un uomo onesto non si era mai neppure permesso di sotto intendere maliziosamente, né in privato, né tanto meno in pubblico sulla possibile relazione d’amore tra Antonio, anch’egli suo carissimo amico e il suo adorato Bassanio, figuriamoci di parlarne apertamente con il sorriso sulle labbra alzando una coppa di vino invocando una bonaria benedizione divina sul loro amore, che comunque come poteva intendere da numerosi e segreti segnali che i due amanti si inviavano era fortissimo e per il momento indistruttibile.

Grazie alle regole ferree sull’amicizia che si era imposto fin da fanciullo, Alessandro, anche nei momenti di disperazione più dilaniante, quando il suo cuore sanguinava più copiosamente, tormentato dalla vista di intime carezze, e dolci parole che i due amanti si inviavano segretamente, senza mai essere colti in flagrante da nessuno tranne che dai suoi occhi e dalle sue orecchie attente, mute e autolesioniste non si permetteva mai di poter lanciare verso la coppia stilettate maliziose. Neppure dopo interminabili banchetti, dove i fumi dell’alcol potevano dar adito a conversazioni imbarazzanti ed infamanti. Non si permetteva neppure di pronunciare qualche battutina maliziosa e compiaciuta quando i due amanti si accomiatavano nello stesso tempo da qualche discussione leggera e senza importanza. Mai una minaccia. Nulla di tutto ciò; il suo buon senso, e i veri sentimenti d’amicizia e amore che provava rispettivamente verso Antonio e Bassanio avevano la meglio anche sulla selvaggia gelosia che molto spesso s’insinuava dentro il suo corpo, iniettando all’interno delle sue fibre il veleno del rancore, della violenza e del furore portando la sua mente ad architettare diaboliche congetture su come disintegrare l’opprimente relazione segreta, infangandola pubblicamente oppure infamandola subdolamente spargendo varie crudeli voci a tutti i conoscenti dei due amanti, riuscendo così a dividere l’amico mercante dal suo giovane amato, carpendo, anche con la forza più brutale il cuore ed il corpo di quest’ultimo.

Ed ora, che le ferite del cuore si stavano lentamente ma inesorabilmente rimarginando, provando sempre più spesso felicità nel vedere la spensieratezza sulle gote arrossate di Bassanio e nei suoi sguardi carichi di un solo amore terrestre, restava sinceramente spiazzato dalla decisione repentina del suo amico di voler prendere una sposa al suo fianco. Non che Porzia non fosse una donna giovane, dall’innocente bellezza, colta e ricca, ma il nobiluomo proprio non riusciva a concepire come sia Bassanio potesse permettere al suo cuore di far spazio ad una altra persona, e sia Antonio potesse accettare tutto questo, perfino finanziando così pericolosamente questa spedizione amorosa, che sinceramente di amoroso, Alessandro non percepiva nulla.

Forse era stato un atto di bramosia subitanea a qualche rottura nel rapporto così apparentemente forte ed indissolubile dei due? L’urgenza di Bassanio di mantenere le apparenze, potendo così dedicarsi al proprio amore segreto con il cuore più sollevato? Problemi economici? Ardore giovanile? Errore? Alessandro non conosceva la risposta, ma senza ombra di dubbio sapeva che il bellissimo nobiluomo al suo fianco non amava Porzia, e questo, anche se non sapeva perché, lo sollevava così grandiosamente da potergli permettere di sopportare un ennesimo involontario scorno ai suoi sentimenti da parte del giovane Bassanio, che comunque avrebbe sempre avuto il suo appoggio, la sua comprensione e il suo amore pudicamente mascherato d’amicizia.

I nivei portoni lignei del palazzo furono spalancati ed il primo ad entrare, dopo i mastri di cerimonia, che avevano il compito di annunciare ad un apparente desertico palazzo, fu un estasiato Fabrizio, che varcò l’immenso uscio con uno sprezzante sorriso sulle labbra e un occhio indagatore e malizioso che più che osservare gli splendori del complesso analizzavano ogni angolo alla ricerca del giovane corpo di Porzia.

Dietro di lui seguì un Gratiano dall’altrettanto sguardo indagatore, alla ricerca però delle femminili forme della dama di compagnia della bella ereditiera. Subito dopo di lui giunsero Alessandro e Bassanio ed il resto della compagnia di nobiluomini con i servi a chiudere il corteo. Tutti quanti estasiati dall’insolita bellezza partenopea degli spazi e degli arredamenti che sembravano irradiare le superfici di un innocente splendore e luminosità.

Quando il gruppo di nobili, di servi e la corte di palazzo si ritrovarono nell’atrio si sentì un altro grandioso squillo di trombe che intonarono però una melodia cerimoniale che accolse quasi subito la comparsa di due dame che sinuose nelle loro vesti scendevano con grazia la rampa principale di scale dalla parvenza di una cascata diamantina, che congiungeva i piani superiori all’atrio.

Porzia per nulla intimidita dalla folla di soli uomini che la rimiravano piacevolmente scrutava senza remore il viso, leggermente arrossato di Bassanio che con coraggio la ricambiava con uno sguardo altrettanto magnetico e sicuro. La giovane ereditiera appariva a tutti come l’incarnazione della misteriosa luce stellare, nel suo abito svolazzante bianco panna, dalla scollatura uniforme e apparentemente casta, impreziosito da velature, rifiniture e mantelline ai lati delle maniche di un color oro scuro e antico. I suoi capelli biondi erano lasciati liberi di fluire come un mare in tempesta sulle sue spalle, maliziosamente, infrangendo ogni regola di decenza e pudore.

Al seguito di Porzia, un gradino dietro di lei come vigeva da protocollo vi era la bruna Nerissa, dai capelli ricciuti elegantemente raccolti in un alto chignon che liberava sbarazzino qualche ciocca corvina facendole ricadere sulle guance e le spalle nude. Il rosato abito le fasciava il corpo quel tanto da poter alimentare i sogni proibiti di un interdetto Gratiano per i prossimi sei secoli, ma senza esagerare troppo, sdrammatizzando quel tocco sensuale con numerosi sottili veli trasparenti ,anch’essi di un lieve rosa pastello che nascondevano il vero corpo del vestito.

"Carissimi ospiti, benvenuti a Belmont....un isola fuori dal tempo, certamente, ma che saprà donarvi un’ospitalità che non conosce epoca..."

Moti di assenso si levarono dalla compagnia di nobili che si scambiavano già diverse opinioni sulla padrona di casa e la sua dama di compagnia.

"...ma che si presenti colui che è venuto a chiedere la mia mano!": disse sicura la bella Porzia, scrutando già colui che cercava.

Alessandro diede una piccola pacca sulla schiena di Bassanio, esortandolo a farsi avanti.

" Sono qui, mia deliziosa dama!"

Bassanio si trovava al centro del gruppo di giovani nobili, che si girarono immediatamente a guardarlo, attendendo le sue prossime mosse.

"oh, chi è colui che viene a chiedere l’amore di una fanciulla, e si nasconde da essa, timido e ...bellissimo?"

"...Bassanio, mia carissima!"

Porzia sorrise tra sé e sé, ma quell’impercettibile movimento di labbra non sfuggì a Nerissa che avanzò oltre la sua amica alzandosi leggermente sulle punte dei piedi, assumendo un aria più imperiosa. Si schiarì la voce e, mentre Porzia stava già risalendo le scale, esortando Bassanio a seguirla, enunciò con voce forte:

" Che il Pretendente segua la Promessa nella stanza degli scrigni, e che i suoi compagni lo seguano per infondergli forza, coraggio e perspicacia per la prova che dovrà sostenere"

Sentendo quest’ultime parole, Bassanio si voltò verso Alessandro, tendendogli una mano.

"...allora , amico mio avrò bisogno di te più che in qualsiasi altra sfida che mi si sia presentata davanti"

"....e io sarò onorato di seguirti e consigliarti": rispose Alessandro, leggermente sorpreso da quelle parole, ma anche molto compiaciuto da esse.

" Allora, signori miei cosa aspettiamo....una sfida aspetta il nostro amatissimo Bassanio...diamo il meglio di noi stessi, perché lui dia il meglio di sé": proclamò ad alta voce Gratiano esortando il gruppo di nobili a seguire Porzia, Bassanio ed Alessandro, dando però anche un occhiatina alla reazione di Nerissa a quella sua presa di posizione, dalla forza ed impatto degni, almeno secondo lui, di un generale che esorta i suoi a gettarsi in battaglia.

E sempre secondo lui, Nerissa ammiccandogli con lo sguardo un punticino oscuro del palazzo dava adito di aver particolarmente apprezzato la sua uscita.

Fine della seconda parte dell’ottavo capitolo.

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