❄ Winter is coming ❄

di StarFighter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                                                  -Winter is coming- 
                                                                                              
                                                                                                                -Prologo-

«Signori, vi ho riuniti qui, per mettervi a parte della grave minaccia che grava sul nostro regno» Agdar non si scompose più di tanto, osservando uno per uno gli uomini seduti al tavolo rettangolare della sala del consiglio «Il re delle Isole Meridionali ha dichiarato guerra a qualsiasi regno osi intrattenere scambi commerciali con noi. Questo significa che Arendelle rimarrà chiusa fuori dalle rotte navali e dalle tratte mercantili, quindi priva di sostentamento per questo inverno».

Un inquieto bisbigliare si alzò dagli uomini riuniti. Parole dure, di panico, o semplicemente blasfeme.

Il re alzò una mano per zittirli e il silenzio scese di nuovo tra loro:«A meno che io non dia in moglie, una delle mie figlie, a uno dei suoi tredici eredi. Questo placherebbe la sua follia»

«Ma questo ci bloccherebbe in un’alleanza forzata con le Isole. Cosa ha da temere da noi quel folle di Heinrick, per prosciugare così tutte i nostri approvvigionamenti?»

«Una ribellione delle terre sottomesse tutt’attorno ad Arendelle. Noi siamo l’ultimo regno libero dal suo giogo. I principi di Grimstad sono stati trucidati meno di tre mesi fa, ora il regno è nelle mani del suo terzogenito. Nonostante la nostra inferiorità numerica, sa che in uno scontro, i signori delle terre conquistate, si schiererebbero con noi» disse uno dei lord, lisciandosi la barba con fare pensieroso.

«Heinrick è lungimirante, per quanto crudele possa essere. Sa che non può sconfiggerci e per avere anche noi in scacco, ha escogitato la trappola del matrimonio combinato» valutò un altro dei presenti, tenendo gli occhi puntati fuori dalla finestra.

«Miei lord, il nostro nemico sa che non mi piegherei mai ai suoi ricatti, non farei mai morire il mio popolo di fame. Heinrick ha bisogno di un semplice pretesto per attaccarci, ma noi non cadremo nella sua trappola. Ingaggerei una guerra se servisse ma, di questi tempi, sarebbe un inutile spargimento di sangue. Verrà il giorno in cui i Westergard la pagheranno, ma non è questo» continuò il re, sempre più immerso nei suoi pensieri «Ci tocca giocare secondo le loro regole».

«Cosa ha intenzione di fare? Concedergli la mano di una delle principesse?»

«Quale altra alternativa abbiamo? Combattere? Ne ho viste abbastanza di guerre. E poi mia figlia continuerà ad essere una principessa, moglie di uno dei tredici uomini più ricchi delle terre del nord» disse, cercando di convincere anche se stesso che non stava commettendo un errore.

«Sarà un ostaggio in piena regola» commentò uno dei pochi rimasti in silenzio fino a quel momento.

«Ormai la decisione è presa. Lord Tornant, l’occorrente per scrivere. Dobbiamo informare re Heinrick della mia scelta, prima che scada il tempo che ci ha concesso»

 «Quale delle due, mio signore? Quale, delle nostre principesse, sarà la nostra salvezza?»

L’espressione seria e imperscrutabile del re sembrò vacillare, sotto la stanchezza e la difficile decisione che aveva appena preso.

«Anna».

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Agdar aveva passato intere notti insonni, vagliando questa e quella scelta, cercando di arrivare a patti con il suo nemico senza dovergli concedere una delle sue figlie. Ma tutte le soluzioni che aveva trovato non avrebbero portato alla vittoria di Arendelle. Quando aveva scelto Anna, aveva giurato su dio, che qualsiasi cosa avesse dovuto subire la figlia, sarebbe dovuta ricadere su di lui con il doppio della pena. Sapeva che Anna sarebbe stata una vittima sacrificale, immolata sull’altare delle sue nozze, per la salvezza di migliaia di vite.

Quando, quella stessa sera, bussò alla porta della sua camera coniugale, la regina lo accolse con gli occhi pieni di lacrime. Qualcuna delle ancelle aveva origliato e riferito in anticipo le sue intenzioni.

«Agdar, non puoi. Ti prego, dimmi che non lo farai. Dimmi che non manderai via la mia bambina» lo implorò quando lui la prese tra le sue braccia «Sono delle bestie, la uccideranno. Lo sai, vero?»

«Idunn, non c’è altra scelta. Anna sarà la nostra salvezza e, quando il tempo sarà  giunto, andremo a riprenderla con le nostre navi. Porteremo il fuoco e le armi con noi, e i Westergard rimpiangeranno di essersi messi contro gli Snaer*»

 «La mia Anna» continuò a lamentarsi la regina, stringendosi alla giacca del marito «gettata in pasto agli squali. È una bambina, per l’amor del cielo, come puoi farlo? È tua figlia!» lo scansò da sé, preda della rabbia. Gli occhi chiari, scuritisi di colpo, e il volto livido.

«È una donna! Presto o tardi sarebbe arrivato questo giorno, lo sai meglio di me. Avevi la sua età quando ti costrinsero a sposare me» disse con amarezza, cercando gli occhi della moglie.

«Io avevo diciotto anni. Lei ne ha a malapena sedici. E non fui costretta» incrociò il suo sguardo tormentato «ti amavo, e ti amo ancora come il primo giorno» cercò di addolcirlo «ti prego, torna sui tuoi passi. Ci deve essere un altro modo per aggirare le condizione imposte da Heinrick»

«Preferisci che mandi Elsa? Perché per loro non farebbe alcuna differenza, ma noi sappiamo che non è così»

La regina tremò a quell’affermazione. Sapeva che, se la scelta del marito fosse caduta sulla loro primogenita, Elsa sarebbe morta nel giro di qualche mese, alla corte dei Westergard.

«Anna è forte e coraggiosa, saprà tener testa a suo marito» la rabbonì il re, asciugando le lacrime che continuavano a caderle dagli occhi.

«Non ci perdonerà mai per quello che stiamo per farle, Agdar» si strinse di nuovo a lui, in cerca di conforto.

«Lo so, Idunn. Lo so» riuscì solo a dire, distogliendo lo sguardo dal volto stravolto della moglie.

«Quanto tempo abbiamo?»

«Non molto, dovrà salpare per le isole Meridionali al più presto, prima della prossima luna piena».

Vide la regina sussultare: «Mancano poco più di due settimane» sottolineò, con la voce ridotta ad un sussurrò rassegnato «Quando glielo dirai?»

«Domani stesso. Deve essere pronta per quello che la attende, non le nasconderò nulla»

«Non sarà facile, riuscire a convincerla».

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«Tornerò presto, vedrai. Non ti accorgerai nemmeno della mia assenza e in men che non si dica sarà il solstizio e tornerò da te, per festeggiare come sempre» contro ogni più rosea aspettativa del re, Anna aveva accolto l’imposizione  di quel matrimonio con più remissività di quanto si sarebbe aspettato. Si era preparato a grida e lacrime e rappresaglie, ed invece la principessa aveva accettato di buona volontà di partire presto per le Isole Meridionali, per far fronte al suo destino, segnato da forze in gioco più grandi di lei.

Non aveva detto molto.

 Agdar sapeva che le voci sulla violenza dei suoi nemici vagavano libere per la sua corte, e di certo anche Anna ne aveva sentito parlare; per questo non riusciva a spiegarsi la calma serafica con cui l’aveva vista riempire il suo baule o la stoica espressione che aveva scolpita in volto dal giorno della rivelazione, né il tono di voce lieve e monocorde con cui aveva rabbonito la sorella maggiore, asciugando le sue lacrime.

Il legame tra le due giovani donne era qualcosa di indissolubile ed insondabile: parlavano senza parole, solo con fugaci sguardi e a volte sembrava che si leggessero nel pensiero, perché l’una finiva le frasi dell’altra. Dividerle sarebbe stato come amputare un arto ad entrambe, questo il re lo sapeva.

Le due sorelle erano rimaste chiuse dietro le porte delle loro stanze per giorni interi, prima della partenza di Anna. Il re e la regina non avevano avuto il cuore di dividerle prima del tempo, rimproverandole di andare contro l’etichetta di palazzo. Le avevano sentite bisbigliare per notti intere, piangere in silenzio nel buio, strette l’una tra le braccia dell’altra, e scambiarsi parole di conforto.

«Anna» un singhiozzo strozzato «Anna, ti prego. Come farò senza te?»

«Ce la farai, Els. Sei più forte di quanto tu creda, non hai bisogno di me»

­«Il Sire tornerà quest’anno, Anna, come ogni inverno e io morirò stavolta» la giovane principessa piangeva, piegata sulle ginocchia della sorella minore, scossa da forti brividi «Ne moriranno altri e io non sarò capace di salvarli! Mamma e papà mi rinchiuderanno nella torre nord quando non ci sarai»

«Non è compito tuo salvare quelle anime, Elsa. Il Sire le reclama per un motivo: sono la feccia della nostra società e quando Wotan passa con la sua schiera ripulisce il marcio che brulica tra gli uomini» la tranquillizzò Anna, lasciandole tenere carezze tra i capelli intrecciati.

«Tu non puoi vederli. Non puoi sentire le loro urla imploranti, i loro rantoli di dolore, né le suppliche inascoltate. Wotan è sordo a tutto questo e li trascina via, con corde e catene, facendoli calpestare dai cavalli della schiera» Elsa si premette le mani sulle orecchie, come per scacciare il ricordo di quelle grida che la svegliavano di notte «È orribile» singhiozzò.

Anna continuò a consolarla, senza dire nulla, canticchiando a bocca chiusa una nenia che la madre le cantava quando erano piccole, per calmare il pianto di Elsa, per distrarla dai mostri nella sua testa. Se la sorella avesse saputo quanto si sbagliava.

«Promettimi che ti prenderai cura di te stessa, Els. Non potrei mai partire sapendo che appena salirò su quella nave tu potresti decidere di lasciarti andare» la prese per le spalle e le alzò il mento con un dito, spazzando via le lacrime che ancora le imperlavano gli occhi chiari «Sarai una grande regina un giorno, e io sarò al tuo fianco, di questo non dubitare mai: magari quando sarai tu al comando questa guerra finirà, grazie a noi» le sorrise.

«Ma guardati» Elsa le accarezzò la guancia con mani tremanti «pronta a sacrificarti per noi tutti, bellissima e coraggiosa, disposta a sposare uno di quei cani, e io qui a piangere per il mio destino infelice e a commiserarmi. Avrebbero dovuto mandare me al tuo posto, così Arendelle avrebbe avuto una futura sovrana degna di questo nome» le sorrise triste, sicura di ognuna di quelle parole. Anna non meritava il futuro che il padre le aveva imposto, ma lei si. Allontanarla da Arendelle avrebbe significato togliere un fardello dalle spalle dei suoi genitori, liberarli dalla costante presenza della figlia pazza, costretti a tenerla segregata tra le mura del castello per paura che il popolo venisse a saperlo. Allontanare Anna invece significava dar via il bene più prezioso che avevano, l’unica erede al trono capace di sedervi con valore e con le spalle dritte, non piegate dalla follia.

«Sarebbe stata una condanna a morte per te, lo sai questo, vero?»

«Anche per te lo è»

«Mi conosci. Terrò testa a chiunque tenterà di sottomettermi. Nemmeno mio marito potrà comandarmi» disse con tono scherzoso, per risollevare l’animo della sorella «Se meriterà la mia devozione, gli ubbidirò, altrimenti avrà un bel daffare con me»

Un silenzio carico di cose non dette scese ad alleviare il dolore di entrambe, causato dalla separazione imminente.

«Mi scriverai?»

«Ogni giorno»

«Starai bene?» si maledisse subito per quella domanda. Certo che no. Lontana da casa, senza la sua famiglia.

«Finché avrò aria nei polmoni e vita da vivere, starò bene» la confortò subito.

Il tono di rassegnazione nascosto dietro quelle parole fin troppo ottimiste, non sfuggì ad Elsa.

«Basta piangere» le disse ancora Anna, prendendola per mano ed aiutandola a rialzarsi «Voglio che tu tenga questo in mia assenza» si sfilò l’anello che portava all’anulare destro, consegnandolo nelle mani di Elsa.

La principessa lo tenne tra l’indice e il pollice, osservandone lo smeraldo lucido e l’incisione sul bordo interno “Come la neve d’inverno”, il motto della loro casata.

«Così avrai qualcosa di mio con te a ricordarti che io ci sarò sempre» Anna lo prese dalle sue mani e glielo infilò all’indice sinistro.

Poi Elsa in silenzio fece lo stesso, liberandosi del suo anello e depositandolo nel palmo aperto della mano di Anna. Era della stessa fattura e l’incisione all’interno era la stessa, solo la pietra cambiava: uno zaffiro chiaro.

«Pensa a me quando lo guarderai» le disse, abbassando lo sguardo sulle loro mani unite.

«Sempre» bisbigliò Anna, con lo sguardo fisso sulla pietra blu.

Elsa la trasse a sé, stringendola tra le sue braccia, inspirando il suo tipico profumo di mughetto: le sarebbe mancata terribilmente.

«Tornerò» le sussurrò Anna all’orecchio, stringendosi di più a lei «Te lo prometto».

 

 

*Snaer= Neve. (Il cognome che ho dato alla famiglia reale di Arendelle deriva dal nome di un mitico re della tradizione mitologica scandinava, personificazione della neve).

 

 

NdA: salve! Benvenuti nel mio nuovo sclero/esperimento, conosciuto anche con il nome di “Come complicarsi ancora di più la vita”. E già, perché avere due long e una raccolta in sospeso, non mi bastava più…volevo altra pressione sulle spalle XD

Come avrete capito dal titolo è una AU, sulla falsariga di GoT (Si, come no, ti piacerebbe! Martin si sta rivoltando nella tomba…ah no, è ancora vivo!). Purtroppo ultimamente mi ci sono fissata e quindi dovrete sopportare anche quest’altro aborto della mia mente. Di quello che succede in Frozen non ci sarà nulla, praticamente: infatti non avremo nessun regno congelato, nessuna regina ghiacciolo, né piccoli pupazzi di neve parlanti. Ripeto, è un esperimento, quindi prima di andare avanti mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate in generale, se credete che la nuova trama possa interessarvi e similia. Quindi non ho molto altro da dire, se non che spero possa piacere a qualcuno di voi. E niente, non siate timidi e ditemi tutto quello che pensate!

Ci si legge (spero) alla prossima!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


                                                                 
Nb: so che negli avvertimenti ho già inserito l’OOC ma mi sento in dovere di ribadirlo! Non venite a dirmi che non ve l’avevo detto XD Buona lettura!


                                   

 

                                                                           -CAPITOLO 1-

 

Tre giorni prima della luna piena, precisamente dieci giorni prima del suo diciassettesimo compleanno, la secondogenita di Agdar venne imbarcata sulla nave ammiraglia della flotta reale, la Dronning av vinden*. Il re avrebbe tanto voluto accompagnarla nel suo viaggio verso un futuro ignoto, in quella terra governata da assassini e ladri, ma di quei tempi, con la guerra che premeva alle porte, non era saggio lasciare in carica qualcuno che non fosse lui. Nemmeno la sua regina era in grado di affrontare un tale viaggio: giorni prima della partenza, aveva smesso di mangiare e di dormire e si era chiusa in un ostinato silenzio, intramezzato solo da pianti muti e preghiere indirizzate a quel dio che molto probabilmente aveva abbandonato loro e tutte le terre del Nord. Così il re aveva delegato il delicato compito di proteggere Anna durante il suo viaggio, a due dei suoi uomini più fidati: Lord Thomsen e suo figlio Joseff, il capo della guardia reale. Avrebbero fatto le sue veci, vegliando che tutto andasse come pattuito con Heinrick e che Anna venisse trattata come spettava ad un’ospite del suo rango. A nozze celebrate sarebbero tornati ad Arendelle, lasciandola lì insieme all’unica altra persona che l’avrebbe accompagnata: la sua dama di compagnia, Ingrid.

 

Prima che la nave salpasse, il re si era concesso un lungo abbraccio con la figlia. «So che ti ho chiesto già troppo imponendoti questo matrimonio, ma promettimi che sarai forte e affronterai con coraggio quello che verrà. Da parte mia cercherò di concludere al più presto possibile questa guerra e verrò a prenderti, figlia mia, te lo prometto. Non ti lascerò nelle loro mani più di quanto necessario».

Anna lo aveva guardato con sguardo assente, quasi non fosse interessata a quello che aveva da dirle. In realtà era rimasta paralizzata dalla paura. L’ignoto e il mistero avevano sempre esercitato un insano fascino sulla sua giovane mente. Conoscere cose che prima le erano oscure era sempre stata fonte di godimento per lei, e una vita piena d’avventura era stata la sua massima aspirazione fin dalla tenera età di sette anni. Nonostante ciò, non aveva mai varcato i confini di Arendelle, né tantomeno viaggiato per mare.

Aveva sentito centinaia di storie sul conto dei Westergard e della loro corte; conosceva a menadito i nomi dei tredici principi ed era a conoscenza degli indicibili fatti di cui ognuno di loro si era macchiato. Tuttavia non sapeva davvero cosa aspettarsi. Quel viaggio, ma soprattutto quel matrimonio, erano come un salto nel vuoto: sapeva in cosa si era lanciata, ma non sapeva dove sarebbe atterrata. Davvero la famiglia del suo futuro marito, di cui non conosceva ancora l’identità, era così terribile? Avrebbero torturato ed ucciso anche lei? Non era certa di voler conoscere tanto presto la risposta a quelle domanda.

Le sembrava di essere in uno di quei sogni sfocati, dove i suoni sono ovattati e le immagini corrono veloci come lampi sotto le palpebre: un momento prima era abbracciata a sua sorella e l’attimo successivo era imbarcata su una nave diretta a sud.

Elsa.

Quando l’aveva salutata prima di dirigersi al porto, l’aveva ulteriormente rassicurata che entrambe sarebbero state bene e che nulla le avrebbe potute separare.

«Ti scriverò delle lettere lunghissime, dove mi dilungherò a parlare della corte, del castello, del paesaggio che vedo dalla finestra, dei ricevimenti ai quali prenderò parte e soprattutto del cibo. Spero tanto che i loro cuochi siano almeno alla pari dei nostri, altrimenti alzerò delle vibranti proteste».

Elsa aveva sorriso, coprendosi la bocca educatamente. «E poi potrai sempre venire a farmi visita: le Isole Meridionali distano solo pochi giorni di nave da qui. Sono sicura che sarai la benvenuta»

«Non credo che nostro padre mi lascerà venire»

«Scusa, perché mai? Il solstizio d’inverno è ancora lontano, non succederà nulla fino ad allora. Starai bene»

«Non intendevo quello» Elsa era diventata seria, le aveva preso le mani e aveva sospirato pesantemente «Anna, tutto questo non è un gioco. So cosa stai cercando di fare, ma fidati, è inutile. Sappiamo entrambe che né per me né per te sarà facile sopravvivere. Non voglio spaventarti, ma…sta attenta e non farli arrabbiare».

Così aveva smesso di provare a convincerla che sarebbe andato tutto per il meglio e si era ammutolita. Il terrore era cominciato allora. Aveva abbracciato a lungo la madre, che le aveva sussurrato un mesto perdonami, e poi si era lasciata condurre alla nave, con l’insolita remissività che l’aveva caratterizzata in quei giorni.

Solo quando il castello era diventata una figura irregolare nella nebbia e il vascello aveva issato le vele, si era concessa di piangere.

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Il sole tramontò con un’inconsueta lentezza su quel primo giorno di viaggio, facendo brillare ancora per alcuni minuti l’acqua nera del mare di un argento scintillante: non c’era nulla ad intralciare la sua vista, solo una distesa d’acqua salata a perdita d’occhio, in qualunque direzione si voltasse lo sguardo. Affacciata al parapetto della nave Anna cercava di scorgere all’orizzonte il profilo della sua terra, ormai lontana ed irraggiungibile. Già le mancava. Chissà cosa stava facendo Elsa a quell’ora.

Ingrid le aveva tenuto compagnia fino a pochi minuti prima, intrattenendola con storielle divertenti e letture leggere, deviando i suoi tetri pensieri verso argomenti più ameni ed innocui. Ma l’aveva congedata, ordinandole di riposare e di pensare a se stessa perché lei se la sarebbe di sicuro cavata per qualche ora senza di lei.

Ed allora tutta la matassa ingarbugliata di dubbi e paure che aveva represso fino a quel momento, era riaffiorata al limitare della sua coscienza, facendola boccheggiare per l’intensità della loro forza prorompente.

Forse avrebbe dovuto rifiutare quel matrimonio, puntare i piedi affinché suo padre trovasse un’altra via d’uscita. Ma sarebbe servito? Sicuramente no. Avrebbe fatto solo la figura dell’egoista, indifferente alla sorte del proprio popolo. Rifiutarsi di partire avrebbe significato guerra certa.

Per il bene di Arendelle,continuava a sussurrarle una vocina.

Sperò davvero che il suo sacrificio servisse a salvare il suo regno. Perché era di questo che si trattava, ora l’aveva capito. Lei era l’agnello sacrificale, pronto ad essere sgozzato sull’altare di una causa più giusta, il cui sangue avrebbe irrigato gli aridi rapporti tra le parti in contrasto.

Un sospiro strozzato le sfuggì dalle labbra dischiuse.

«Una moneta d’oro per i tuoi pensieri» una voce profonda alle sue spalle la fece sussultare.

«Ho più monete di quante tu possa mai offrirmene. E poi non c’è bisogno che apra bocca per esprimerli ad alta voce. Puoi leggerli sulla mia faccia» rispose monocorde, mentre un giovane uomo le si affiancò, poggiando le braccia conserte al parapetto.

«Se ti stai chiedendo se dove stiamo andando ci siano i krumkake, devo deluderti, ma la riposta è no. Ma so che in compenso uno dei prodotti più esportati dalle Isole Meridionali sono degli ottimi biscotti al burro. Credo ti piaceranno, e diventando tu moglie di uno degli eredi al trono, penso che potrai chiederne a iosa».

«Eri quasi riuscito a strapparmi un sorriso, Joseff. Potevi evitare di aggiungere l’ultima parte» si lamentò, voltandosi con la schiena verso il mare. Sotto i loro piedi il legno gemeva, barcollando ora a destra ora a sinistra.  Si stava alzando un vento freddo che gonfiava le vele quadrate, come fossero i polmoni della nave. Sembrava quasi di essere sul dorso di una gigantesca creatura senziente.

«Evitare di parlarne non cambierà la situazione, lo sai vero? È inutile scappare via come hai fatto poco fa».

«Sono stanca degli sguardi di pietà che continua a lanciarmi tuo padre, ma soprattutto non riesco a sostenere questa tua leggerezza. Ti comporti come se tutto andasse bene, come se tra un giorno non dovessimo sbarcare nella tana del lupo.»

«Mi sono semplicemente rassegnato al volere del mio re. Che io abbia qualcosa in contrario, non cambia il fatto che devo obbedire agli ordini» disse abbassando la voce, affinché solo lei potesse sentire.

«Non è giusto» sbuffò la principessa, con la schiena dritta e le braccia conserte, strette al petto, come a volersi proteggere, mentre cercava di trattenere le lacrime che le premevano agli angoli degli occhi. Vide Joseff allungare una mano verso di lei, e poi ritrarla di scatto quando uno degli uomini dell’equipaggio scivolò giù dall’albero maestro. Sia Anna che il giovane capitano della guardia lo osservarono legare stretta una corda alla base dell’albero, in silenzio. L’uomo si accorse d’aver interrotto qualcosa e si allontanò velocemente, inchinandosi brevemente alla principessa, per poi sparire sotto coperta. «Io avrei dovuto sposare te» singhiozzò, stringendosi ancora di più su se stessa «Saremmo dovuti scappare sulla Montagna del Nord quando te l’ho proposto la prima volta!»

«E poi? Avremmo vissuto da eremiti tra le vette innevate, in un castello di ghiaccio? Non sei in una favola, Anna. Non sempre ciò che vogliamo poi si avvera» le disse con tono tagliente. Anna riusciva a scorgere l’amarezza dietro quelle parole, ma la sua resa la accecava di rabbia.

«Ma avevamo promesso!»

«Quella promessa è di una vita fa, quando la guerra era solo un avvenimento sui libri di storia. Non l’abbiamo fatto noi quel patto, ma due bambini ignari del mondo esterno e delle enormi forze in gioco che tirano le fila di questa immane tragedia che chiamiamo vita. A cosa sarebbe servito scappare? Tuo padre avrebbe mandato l’intero esercito alle nostre calcagna e tu saresti stata comunque destinata a questo, per non parlare del fatto che poi avrebbe voluto la mia testa su una picca».

«Così ti sta bene che da qui a qualche giorno donerò anima e corpo ad un uomo di cui non conosco nemmeno il nome?»

«Non me lo stai chiedendo davvero» disse sconvolto, voltandosi di scatto verso di lei, facendo ondeggiare la sua chioma di ricci ramati.

«Mai stata più seria in tutta la mia vita».

La osservò bene per alcuni secondi e si rese tristemente conto di non avere più davanti la ragazzina con cui giocava a nascondino, né tantomeno la sua migliore amica, ma una giovane donna impaurita ed arrabbiata, e non sapeva come arrecarle conforto.

«Certo che no.»

«Intendi fare qualcosa a riguardo?»

«Sai che non posso…» cercò di spiegarle, ma lei gli voltò le spalle e si diresse a passi svelti verso le scale che portavano in coperta, inciampando quasi su una sartia lasciata arrotolata sul ponte.

«Anna,» sibilò prendendola per un braccio «se potessi mi ammutinerei, prenderei il comando di questa nave e ti riporterei a casa, dove ti chiuderei dietro porte spesse metri affinché nessuno possa toccarti» le prese anche l’altro braccio «Andrei nelle Isole Meridionali ed ucciderei Heinrick ed ognuno dei suoi tredici figli, perché nessuno di loro possa invocare un qualche diritto su di te» spostò le mani sulle sue spalle «E poi tornerei ad Arendelle da te e chiederei la tua mano» le sue mani scesero a catturarne una delle sue, piccola e morbida «Ma non posso, e lo sai».

Anna rimase interdetta da quella confessione voluta ma insperata. Un groppo le chiudeva la gola impedendole di rispondergli. Aveva aspettato quella dichiarazione per almeno cinque anni ed ora era arrivata. Ma ormai era troppo tardi.

«Non continuare a tormentare entrambi con questi pensieri. Qui non c’è nessun ma e nessun se. Le cose sarebbero comunque andate a finire così, Anna. L’abbiamo sempre saputo che saresti stata destinata a qualcosa di più».

Le lacrime erano riuscite a superare la barriera di spavalderia che aveva tirato su, togliendole il respiro.

«So solo che avresti dovuto farlo molto tempo fa, perché per quanto tu cerchi di trovare una scusa, mio padre ti stima e si fida di te e ti avrebbe concesso la mia mano senza battere ciglio» lo rimbeccò, con lo sguardo saldamente puntato nei suoi occhi chiari.

«Arendelle non avrebbe avuto via di scampo se noi due ci fossimo sposati, perché sai bene quanto me che i tuoi genitori non avrebbero mandato mai Elsa al tuo posto» la bocca tirata in un’espressione grave «Per quanto questo possa suonare cinico, tu sei l’unica speranza di salvezza del regno».

«E se non volessi esserlo?»

«Lo sei già. Questo è un punto di non ritorno, Anna. Non si torna indietro»

«Potrei sempre gettarmi in mare, lo farei sembrare un incidente»

«Credi davvero che ti permetterei di toglierti la vita?» le chiese scettico.

«Sempre meglio di questa condanna»

«Non sai ancora cosa ti aspetta» tentò di rassicurarla «Gli dèi ti hanno messa su questo sentiero: devi  percorrerlo e arrivare alla fine. Loro hanno un progetto più grande per te, ne sono sicuro».

Anna si guardò le mani, dove l’anello di Elsa brillò per un secondo ai raggi del sole morente, poi si voltò di nuovo verso di lui e sospirò.

«Voglio che in questo disegno divino ci sia tu al mio fianco» gli disse quasi come una supplica, stringendo una delle sue mani tra le sue.

Joseff corse ad asciugarle gli occhi con la mano libera, e indugiò per un minuto con il palmo premuto contro una delle sue guance, rese rosse dal pianto. «Sarò sempre al tuo fianco. Ma devi accettare il fatto che non lo sarò nel modo in cui desideriamo entrambi».

Le lasciò un’altra carezza leggera, percorrendo con il dorso delle dita il suo viso stravolto, dalla tempia al mento, con una lentezza logorante e senza staccare i suoi occhi dal suo sguardo tormentato. Il respiro di Anna accelerò, riempiendole il torace, tanto da farlo premere con forza contro le stecche di balena del suo bustino, rendendole difficile inspirare. Il cuore le batteva ad un ritmo serrato nel petto.

Quando era stata l’ultima volta che lei e Joseff erano stati così vicini? Probabilmente mai.

Ora o mai più, le urlò la voce nella sua testa. E ancora prima che la voce potesse ripetersi, colmò la distanza tra i loro visi, premendo le sue labbra contro quelle di Joseff. Il giovane si irrigidì al contatto e la scostò piano, tenendola per le spalle.

«Perché lo hai fatto» le chiese con un filo di voce, guardando in terra, incapace di incontrare il suo sguardo speranzoso.

Non poteva salvarla.

«Perché volevo che, almeno in questo, tu fossi il primo» gli rispose con il candore di una bambina innocente, non rendendosi conto che, quello che aveva appena detto, era stato per Joseff peggio della sensazione di essere trapassato da una spada.

Il solo pensiero che di lì a poco l’avrebbe persa per sempre, lo portò a considerare cosa era lecito e cosa no, su quella nave in mezzo al mare. Nessuno avrebbe visto. Nessuno avrebbe saputo. Ma entrambi ne avrebbero sofferto.

Con un gesto fulmineo le allacciò un braccio alla vita, una mano si perse in quel mare di fuoco che erano i suoi capelli, e l’attirò di nuovo a sé, con l’urgenza di sentirla anche per pochi secondi sua.

Quando si scostarono, il volto rosso e le labbra tumide, Joseff scorse la scintilla della vita negli occhi di Anna. Quella luce che non le vedeva da tanto, e sapere che era stato lui a riaccenderla, lo riempì di orgoglio.

«Grazie» gli sussurrò lei, guardandosi attorno mentre si riordinava i capelli.

«A te, per avermi reso il tuo primo bacio».

Le porse il braccio «Ti va di scendere in coperta? Mio padre si starà chiedendo che fine abbiamo fatto.»

«Beh, non c’è molta strada da fare su una nave» sorrise lei, piegando le labbra lievemente all’insù. Poi poggiò la mano nell’incavo del suo gomito e si strinse per quanto possibile a lui.

Per il resto della serata cercò di allontanare ogni pensiero nocivo dalla sua mente, di non pensare al suo futuro né a quello che sarebbe successo una volta arrivati a destinazione. L’unica cosa che si premurò di tenere bene a mente fu il sapore ricco ed inebriante delle labbra di Joseff.

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Il giorno dopo, prima che il sole raggiungesse lo zenit, un grido si alzò dalla gabbia di vedetta.

 «Terra!» urlò il marinaio dalla cima dell’albero maestro.

Anna era in coperta, intenta a cucire le sue iniziali su un fazzoletto di seta: maneggiare un ago in mezzo al mare non era il modo migliore di far passare il tempo, soprattutto se il lavoro che ne risultava era scadente ed insoddisfacente. Ma Ingrid aveva insistito per farle fare pratica, adducendo come scusa che il cucito liberava la mente da pensieri indesiderati. Non era molto brava con ago e filo, quella dotata era Elsa, come in molte altre cose, ma Ingrid non aveva avuto tutti i torti, e per un tempo non calcolabile il punto croce aveva davvero catturato la sua mente e la sua attenzione. Finché quel grido non l’aveva irrigidita, la sua concentrazione era scemata in un battito di ciglia, ed era finita per pungersi il dito medio con la punta dell’ago.

Si portò il dito offeso alle labbra, succhiando via la piccola stilla di sangue che ne fuoriusciva e lasciò andare il suo lavoro di cucito. Ingrid lo raccolse e le posò una mano sulla schiena.

«Tranquilla mia cara, andrà tutto per il meglio. Io sarò al vostro fianco» cercò di rassicurarla. «Andiamo a prendere una boccata d’aria fresca».

Si lasciò trascinare sul ponte, dove intravide Joseff parlare con il capitano, un uomo dalla statura considerevolmente bassa rispetto agli altri uomini del nord, con baffi chiari e sopracciglia folte e perennemente aggrottate, ma con un sorriso bonario stampato sul volto cotto dal sole. Intanto Lord Thomsen era preso a scrutare in lontananza con un cannocchiale piantato saldamente sul suo occhio destro. Si diresse verso il primo, curiosa di sapere di cosa stessero discutendo i due uomini. Ingrid frattanto le orbitava attorno, aggiustandole lo scialle sulle spalle e lisciandole le pieghe inesistenti sul suo vestito.  

«Vostra Altezza» entrambi gli uomini si inchinarono. Joseff le scoccò un’occhiata inquisitoria, riuscendo a malapena a nascondere la sua preoccupazione. Doveva avere una faccia terribile, ma si sforzò di sorridergli debolmente mentre inspirava l’aria pulita del mare.

«Capo Haaber è in vista, mia signora» la informò il capitano, reggendo con mani salde il timone, quasi più alto di lui.

«Capo Speranza. Nome singolare per questa terra che ne è priva» commentò aspramente la giovane, stringendosi di più nello scialle.

«Il mare del Nord è impervio, Vostra Altezza. Quando una nave delle Isole giunge in prossimità di Capo Haaber sa di essere sfuggita all’implacabile forza di queste acque nere, e di essere prossima a casa. Per questo motivo porta questo nome.»

Anna annuì sovrappensiero.

«Quanto manca all’arrivo?» si intromise Ingrid, che si reggeva una mano allo stomaco. Nemmeno per lei quel viaggio era stato una passeggiata.

«Se il vento ci sarà favorevole, riusciremo ad approdare nelle tana del leone prima di sera.»

«Cosa?» sussultò Anna, colta alla sprovvista da quelle parole.

«Løvenshule, è il nome della capitale delle Isole Meridionali» si sbrigò a spiegare Joseff, accortosi dello stato di tensione della principessa. «Significa letteralmente “tana del leone”».

«Si, giusto». Si affrettò a nascondere il suo turbamento, sventolandosi una mano davanti al viso per dissiparne ogni traccia. Certo, sapeva come si chiamava la capitale delle Isole, ma sentirne dire il significato ad alta voce l’aveva scossa nel profondo, rendendo tutto ancora più reale.

Il piccolo gruppetto rimase in silenzio per alcuni secondi. «Vogliate scusarmi, capitano Hammer, vorrei conferire con Sua Altezza» Joseff si congedò. Porse il braccio ad Anna e stoppò sul nascere le proteste di Ingrid, quando alzò una mano per fermarla dal seguirli. «Da soli» aggiunse in tono deciso.

Si allontanarono di qualche metro, scendendo dal cassone di poppa, camminando lungo il ponte. Sulle navi non esistevano punti nascosti e il concetto di “privato” era sconosciuto ai marinai, che vivevano addossati praticamente l’uno all’altro sotto coperta. Il massimo dell’intimità che i due giovani potevano permettersi in quel momento era la panca posta verso prua, a una decina di metri da dove si trovavano il capitano e la dama di compagnia. Molto probabilmente, il mozzo che stava strigliando il ponte a pochi passi da loro avrebbe sentito tutto, ma più di così non potavano allontanarsi, altrimenti sarebbero finiti in mare.

«Come ti senti?» le chiese subito, lasciandola sedere.

«Mi viene da vomitare». Anna si portò una mano alla bocca e strinse gli occhi, per frenare l’orribile sensazione di rollio che le faceva rivoltare lo stomaco. Non sapeva se era per la nave che si muoveva sotto i suoi piedi o per la vista che le giocava brutti scherzi.

«Comprensibile. Questa stupida nave continua ad ondeggiare pericolosamente».

«Sai che non mi riferisco a quello» si lamentò, spostando la mano dalla bocca allo stomaco, sempre con gli occhi saldamente chiusi. Inspirò ed espirò diverse volte prima di riuscire a riaprirli e a focalizzare lo sguardo su un punto impreciso del cielo: sembrava una tabula rasa, pronta ad accogliere nuvole e stelle, ma per il momento pulita e di un azzurro immacolato. Anche lei avrebbe voluto sentirsi così, svuotata, riuscire ad eliminare ogni impurità dalla sua mente. Avrebbe volentieri acconsentito a farsi bucare il cranio pur di essere liberata da quel tormento.

«Siamo così vicini e…»si voltò a guardarlo «non credo di essere pronta».

Joseff non disse nulla e si limitò a distogliere lo sguardo dagli occhi di lei, troppo tristi e cupi per appartenerle.

«Ti ricordi quando mi chiedesti se ci saremmo sposati?» Lei fece un verso di assenso, poco fiduciosa della sua voce: quella strana richiesta di matrimonio risaliva ad almeno otto anni prima, molto prima che cominciasse a provare qualcosa per lui, quando tra una rincorsa e una battuta di nascondino, lei gli aveva detto che una delle dame di compagnia della madre si sarebbe sposata molto presto con una delle guardie di palazzo, e la domanda le era sorta spontanea. Joseff era arrossito fino all’inverosimile, guardandola con la bocca spalancata, come se avesse appena detto un’idiozia. Quel ricordo la faceva ancora ridere.

«Prima di rispondere ti dissi che molto probabilmente eri già stata destinata ad un principe di una terra lontana, qualcuno con modi affabili e zigomi sporgenti». Agitò una mano nel vento, indicando un punto lontano, verso quel profilo di terra che diveniva ogni minuto più visibile e reale.

«Mi dicesti che i principi ti annoiavano e che avere un marito noioso non faceva proprio per te».

«Già,» ridacchiò lei, facendo un verso a metà tra un singhiozzo e una risata «e tu inventasti per me l’immaginario guerriero della Grande Montagna, capace di sopravvivere alle battaglie più sanguinarie e alle cime più impervie del Nord e di riuscire comunque a tornare sempre da me» disse in tono solenne, gonfiando il petto. Una risata nervosa le salì alla gola e non riuscì a fermarla «Io ti avevo chiesto qualcosa in più di un principe e tu mi offristi un personaggio iperbolico, che nemmeno nelle saghe più epiche potrebbe esistere».

«Iperbolico? Inventato? No, no. Lui è davvero là fuori da qualche parte, è solo che ti dovrai accontentare di un principe e chissà che anche lui non sia un guerriero invincibile».

Molto più probabile che sia un assassino, si ritrovò a pensare la principessa, rabbrividendo al pensiero di essere sfiorata da mani sporche di sangue. Ma non esternò i suoi pensieri. Invece rise assieme all’amico, cercando di racimolare un po’ di buonumore e coraggio per lo sbarco imminente.

«Sei sprecato come capitano della guardia reale» gli disse all’improvviso, pensierosa. «Potresti essere un eccezionale indovino. Tutte le tue profezie si avverano prima o poi.»

«Non tutte, purtroppo» lo sentì mormorare.

Rimasero in silenzio, con le mani intrecciate in un contatto capace di rallentare il cuore di Anna e di accelerare quello di Joseff, ad osservare il destino farsi sempre più vicino.

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La sera era calata a coprire ogni cosa con le sue tenebre già da qualche ora, quando il palazzo dei Westergard apparve per la prima volta davanti agli occhi di Anna: un maniero possente affacciato sul mare, con mura alte e spesse, e torrioni di guardia ad ogni angolo, che si stagliavano scuri contro il cielo.

La mia nuova casa, pensò tremando, stringendosi di più nel mantello che Ingrid le aveva posato sulle spalle. Joseff non era più al suo fianco e ora nulla impediva alle sue paure di farsi prepotentemente strada tra i suoi pensieri. Le parole dell’amico non erano bastate: erano tutte vuote promesse che non avrebbe potuto mantenere.

Non ti lascerò, le aveva assicurato. Ma entrambi sapevano che era una bugia: a matrimonio consumato lui sarebbe tornato ad Arendelle, lasciandola sola a combattere quella battaglia.

Non si rese conto del tempo che passò tra l’arrivo al molo e lo sbarco. Si ritrovò semplicemente sul pontile di legno, che collegava il mare e il castello, con Ingrid al suo fianco e Joseff e Lord Thomsen che conducevano il gruppo. Gli occhi puntati saldamente in terra e il cappuccio del mantello calato sulla fronte, si muoveva leggera senza far rumore, quasi fosse un fantasma. Nessuno parlava e l’amico, con la mano sull’elsa della spada che gli pendeva dal fianco sinistro, continuava a voltarsi indietro per guardarla: cosa credeva, che sarebbe scappata? Anche per quello era troppo tardi.

Si accorse di essere arrivata, quando la luce di una lanterna rischiarò l’oscurità in cui era immersa, accecandola e una voce calda e profonda la accolse.

«Benvenuta nelle Isole Meridionali, mia signora».

Capelli rossi, modi affabili e zigomi sporgenti.

Joseff non sbagliava mai.

 

 

 

 

* Dronning av vinden: Regina del vento

 

 

 

Nda: anche se è passato più di un secolo da quando ho pubblicato il primo capitolo e varie volte mi è venuta l’insana voglia di cestinare tutto, ho comunque deciso di aggiornare e di non lasciare che questo capitolo ammuffisse in qualche recesso polveroso del mio pc. Questa storia mi sta troppo a cuore per lasciarla incompiuta e ci vorranno anche mille anni, io la finirò! So che finora non c’è stata molta “azione” ma fidatevi, già dal prossimo capitolo il ritmo si farà più incalzante. Ringrazio chi l’ha aggiunta tra i seguiti e chi leggerà anche questo nuovo aggiornamento :) Mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate. 

Alla prossima! ;*

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