Los Sanfermines (Shura di Capricorn)

di Deliquium
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 01 - Pamplona ***
Capitolo 3: *** 02 - Leoš ***
Capitolo 4: *** 03 - Irata ***
Capitolo 5: *** 04 - San Firmino ***
Capitolo 6: *** 05 - Encierro ***
Capitolo 7: *** 06 - Destino ***
Capitolo 8: *** 07 - Espiazione ***
Capitolo 9: *** 08 - Risveglio ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Los Sanfermines

Premessa dell'Autrice


Mentre “Aetna” narrava dell'addestramento di Angelo “Deathmask” di Cancer, “Los Sanfermines” si sposta nella Spagna del 1973.
Gli anni 1973-1975 sono gli ultimi anni del franchismo. La crisi energetica, gli scioperi (ancora illegali), le repressioni, le torture, l'uso della garrota, l'attentato a Madrid che uccide Luis Carrero Blanco.
Anche questa storia è piena di cose non dette, poiché preferisco concentrarmi solo sugli eventi più importanti in un lasso di tempo lungo alcuni anni. ^^
Alcune cose, vi sembreranno oscure, vi verrà da chiedervi: ma dove vuole andare a parare? Lo so, ne sono consapevole, ma è tutto scritto in funzione di Sincretismo. Cose appena accennate, poco chiare, torneranno in futuro.

* corre via, perché questa sarà la volta buona che le lanceranno pomodori. Possibilmente, non troppo maturi che puzzano. Grazie. *



[ Prologo ]



Anno 1986

Ed eccoli i ricordi delle vite passate. Si accumulano, si intersecano l'uno nell'altro. Lo travolgono come un'ondata. Ha resistito per molto, molto tempo. La voce di Leoš si fa strada nella sua mente. È debole, amareggiata. Sembra perdersi chissà dove.
Lo sai perché Atena e Efesto hanno creato le armature?
La risposta? Non la ode. Non la ricorda.
Il Titano torreggia davanti a lui. L'armatura d'ebano non riflette nulla. Si appropria della luce, la cancella.
Un dio. Come può un uomo vincere un dio? Shura non si pone quella domanda, è pronto. A vincere o a morire. I ricordi ritornano. Cose dimenticate. Cose recenti. Lui ritorna. E questa volta Shura s'abbandona, per sfiducia, per paura, perché vuole vincere.
Il vortice che viene verso di lui è pura luce. Non serve a niente evitarlo. Lo sa. Non vuole. È pronto. La Spada che, in passato – un tempo lontano, troppo lontano – aveva perduto e ritrovato, il cui nome gli era stato sottratto, alberga in lui.
Il suo cosmo si è fatto nero, oscuro. Odora di corteccia bagnata, di foreste impenetrabili. Odora di mistero, e diffonde il terrore. È solo un attimo, un battito di ciglia. Taglia il vortice come fosse qualcosa di solido, il tronco di un albero.

E il dolore copre ogni cosa.

Shura s'inginocchia. Le braccia inerti. Il sangue che imbratta le giunture della corazza. Stringe i denti. La forza selvaggia che lo ha posseduto è scomparsa. Il suo cosmo è di nuovo immerso nella luce, ma è spezzato, come le sue braccia, come Caliburm.

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 2
*** 01 - Pamplona ***


Los Sanfermines


[ Pamplona ]



Anno 1973

Faceva freddo.

Il fiato si condensava in nuvole color neve.
Si strinse nel cappotto di lana. Si calò il berretto fin quasi a coprirsi gli occhi.
Sulle spalle, uno zaino; tra le mani una vecchia cartina e un tratto rosso a segnare la via.
Il vecchio Androkos gli aveva parlato a lungo. I capelli lunghi, inargentati dallo scorrere del tempo, sembravano essere tessuti da fili di luna. Shura lo aveva ascoltato e aveva risposto alle domande che, di tanto in tanto, gli poneva.
Gli occhi dell'uomo erano come il ghiaccio, così chiari che avresti potuto dirlo cieco.
«Ma come faccio a trovare la strada?» aveva chiesto, quando lui aveva insistito affinché la percorresse da solo.
Era la prima volta che lasciava davvero il monastero. Le uniche volte che si era allontanato l'aveva fatto per recarsi a Salies a fare provviste, insieme a Frate Pedro e a Frate Tristan che guidava curvo sul volante.  
«Guarda qui,» gli aveva detto l'uomo, mentre spiegava sul tavolo una cartina grande quanto una tovaglia, «E' semplice. Qui, a Saint-Jean-Pied-De-Port, c'è il ritrovo per i pellegrini che compiono il Cammino di Santiago. Puoi andarci per riposare e chiedere come raggiungere Roncisvalle. Da lì…»
Lui aveva smesso di ascoltare.
«Poteva andarti peggio!» aveva tentato di rassicurarlo Frate Tristan, quando il vecchio greco se n'era andato. «Il tuo maestro avrebbe potuto aspettarti a Finisterre.»
«Ultreya, Shura! Suseya, Shura!» aveva tuonato Frate Pedro, colpendolo con una manata alla schiena a mo' di incoraggiamento.
«Già, Ultreya... Suseya... Olé»

Aveva portato con sé pochissime cose: la Bibbia, un maglione per il freddo, qualche provvista, i documenti, semmai la polizia spagnola lo avesse fermato…
«Sono tempi difficili, in Spagna.» gli aveva detto Frate Tristan.
«E se qualcuno mi ferma?» aveva chiesto al vecchio Androkos.
L'uomo si era limitato a trarre un lungo respiro e Shura aveva capito che quello sarebbe stato un problema suo.
Aveva solo dieci anni, ma era nato con la consapevolezza di dover diventare altro.
Era difficile da spiegare, ma fin da bambino gli capitava di assistere a situazioni che, in un certo senso, aveva già vissuto. Non proprio identiche: simili. Era come se rammentasse qualcosa del suo passato.
Anche il modo in cui guardava le cose o comprendeva le parole dei grandi era diverso da quello degli altri bambini.
Non che avesse avuto occasione di incontrarne molti altri.
Ma, sebbene gli piacesse giocare a palla e a nascondino, andare a caccia di grilli e di rane, lui … come dire … sapeva di essere diverso.  

Ne ebbe la conferma una sera da Frate Pedro.
Tra tutti i frati, lui era quello che sembrava sapere. I confratelli lo consideravano un po' matto, e liquidavano le sue parole con una scrollata del capo.
Un giorno Shura aveva perso la cognizione del tempo nel bosco dietro il monastero. A volte gli capitava e quando aveva deciso di tornare a casa, il sole era già quasi tramontato.
Frate Pedro era davanti al portone.
Lui aveva abbassato la testa e borbottato le sue scuse, ma l'anziano frate si era limitato a mettergli una mano sulla testa e a spingerlo delicatamente all'interno.
L'aveva condotto nella sua stanzetta e poi si era seduto sulla sedia accanto al letto.
«Ti piace molto il bosco, Asura?»
Lui seguiva, a testa bassa, il movimento del piede, come se stesse disegnando un piccolo arcobaleno.
Aveva annuito.
«Non ti annoi ad andare lì da solo?»
Shura aveva alzato di scatto la testa.
«Non sono solo! Ci sono gli alberi con me.»
«Gli alberi...» aveva ripetuto pensosamente Frate Pedro.
Era rimasto in silenzio per un po', poi aveva continuato: «So che non ti trovi bene con gli altri bambini.»
Lui tornò a fissare la punta della sua scarpa.
«Non è che non mi trovo bene, solo che... »
«Sono bambini?»
«Sì.» aveva mormorato lui, senza alzare lo sguardo.
«Forse non è compito mio dirtelo,» Era tornato a fissare il frate. L'uomo non lo stava guardando, sembrava perso in un ricordo lontano: «Ma presto ci lascerai, Asura.»
«Perché?»
Aveva fatto qualcosa di male?
Non gli volevano più bene?
«Tu sei un bambino meraviglioso, ma hai un destino tracciato dalle stelle che devi seguire.»
«Cosa vuol dire?»
Ma per tutta risposta l’altro gli aveva sorriso e si era alzato.

Quattro anni dopo, quello stesso destino, nella persona del vecchio Androkos, era tornato a bussare alla loro porta.
Per lo stato francese e per quello spagnolo, lui era Asura Fernandez; il cognome era quello che Frate Pedro si era offerto di dargli così che non rimanesse figlio di nessuno.
Frate Tristan avrebbe voluto usare il nome Shura ma Frate Pedro non era stato d'accordo.
A lui il nome Asura non diceva niente. Non si sarebbe nemmeno girato se qualcuno lo avesse chiamato in quel modo. Ma quello fu il nome che sua madre gli diede. Un nome divino. Lo stesso nome presente sul certificato di nascita che l’anziano greco aveva esibito entrando nel monastero.

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 3
*** 02 - Leoš ***


Los Sanfermines


[ Leoš ]

 

L'aria di Pamplona si scioglieva nel caldo di luglio. Le strade erano deserte e solo qualche auto, per lo più taxi, si arrischiava a sfidare la calura.
E lui, naturalmente.
Si gettò di peso contro la porta della Mano de Dios e per poco non ruzzolò giù da una rampa di scala.
Sbirciò in basso, aggrappato al corrimano.
Il rumore delle pale dei ventilatori copriva il lieve vociare che veniva dai tavoli.
Persino lì, la gente faticava a esistere.
Shura assottigliò gli occhi, spostando lo sguardo da un tavolo all'altro, finché non lo individuò.
La vista di Leoš gli provocò un moto di rabbia.
L'uomo se ne stava seduto tra due donne che, se fossero state nude, sarebbero apparse più vestite di come erano ora. La scarsa luminosità gli impediva di vederle con chiarezza, ma era pronto a scommettere che fossero Sole e Luna, le gemelle del flamenco.
Luna, che si era tagliata i capelli e li aveva tinti di biondo platino perché voleva un aspetto più ... lunare, ridacchiava per ogni cosa che Leoš le sussurrava all'orecchio, mentre Sole gli riempiva il bicchiere e glielo portava pure alle labbra.
Il giorno che le conobbe, quando Leoš precisò che si chiamavano veramente Sole e Luna e che quelli non erano affatto dei soprannomi, Shura trasse la sua personale conclusione: le madri odiano i loro figli. La sua gli aveva dato il nome di un demone che, se ci fosse stata ancora la Santa Inquisizione, lo avrebbero annegato per sicurezza.
Shura scese le scale calcando il passo su ogni gradino e si piantò davanti al tavolo a gambe larghe e pugni sui fianchi.
Leoš lo guardò come se faticasse a riconoscerlo.
«Sono venuto a prendervi. Vorrei ricordarvi che non siamo venuti a Pamplona per divertirci.»
I tre lo fissarono in silenzio per qualche istante.
Non era tanto sicuro di aver usato le parole giuste. Stava per aprire bocca, quando Leoš scoppiò a ridere, seguito a ruota dalle altre due.
«Shura, perché non ti siedi con noi?»
«Signora, la prego di rispettare la mia età, se non l'ha notato... sono un bambino.»
Sole guardò incredula Leoš.
L'uomo si strinse nelle spalle.
«Cosa volete farci, mie regine... E' nato vecchio.»
«Poverino.»

Lo guardarono con compassione.
Ebbe l'impressione che lo stessero prendendo in giro. Ma fu solo una sensazione, giusto un sassolino nella scarpa.
E lui quando aveva sassolini nelle scarpe, camminava lo stesso. Chi è l'uomo che si ferma per togliersi un misero sassolino dalla scarpa, eh?
Lui era il futuro Gold Saint di Capricorno. Il Cavaliere onorato da Atena con il dono di un'arma potentissima, capace di tagliare qualsiasi cosa. L'orgoglio del Santuario. Il più forte, glorioso, splendente....
«Maestro avete intenzione di restare qui tutto il giorno?»
Leoš sì alzò.
«No, hai ragione.»
Si voltò verso le due donne tendendo le braccia.
«Forza mie regine, andiamoci a cercare un posto più tranquillo dove continuare la nostra chiacchierata.»
Shura li osservò incredulo mentre passavano tra i tavoli camminando in sincronia. Un mostro a tre gambe e a tre teste, che avrebbe volentieri abbattuto, se la testa in mezzo non fosse stata quella dell'uomo che doveva fare di lui un Santo di Atena e se le altre due non fossero state donne.
E lui, le donne non le toccava.
Si tuffò al loro inseguimento.
«Maestro, dove state andando?»
Sole e Luna ridacchiarono e lui si domandò cosa ci fosse di così divertente in quello che aveva chiesto. Fissava con assoluta concentrazione i riccioli di Leoš - prima o poi glieli avrebbe tagliati, così forse senza più donne tra i piedi si sarebbe deciso a fargli da Maestro.
Il suo piede urtò qualcosa sul pavimento. Nemmeno si era accorto dell'ostacolo e purtroppo, vuoi che proprio aveva la testa da tutt'altra parte, cadde lungo disteso.
«Niño, che fai? Pulisci il pavimento?»
Leoš nemmeno ci provava a soffocare le risate.
Shura si rialzò lentamente.
«Me lo avevate promesso!»
Si morse il labbro per ricacciare indietro le lacrime.
Gliel'aveva promesso.
Erano trascorsi ormai quindici mesi, quasi un anno e mezzo, da quando era arrivato a Pamplona e cosa aveva fatto fino ad ora? Niente, assolutamente niente. Leoš spariva per giorni interi e lo lasciava da solo a badare al suo appartamento. Se lo era immaginato diversamente il suo addestramento. In fondo, non era forse destinato a un futuro di guerriero? E allora... come diavolo avrebbe imparato a combattere se Leoš non gli insegnava niente? Niente!
Ma non era stato fermo. Quel crucco impiantato in Andalusia credeva che non sarebbe stato in grado di cavarsela?

Si era fatto un nome Shura, giù a Calle Comedias, di uno che ti stendeva. Certo, gli ci voleva tutta la faccia e anche qualche costola, ma cavolo, era lui che rimaneva in piedi alla fine, prima di svenire, due secondi dopo. Ma questo non contava. Non contava nemmeno che se la facesse sotto tutte le volte e che dovesse ripetersi in continuazione "Io sono il Capricorno. Io sono il Capricorno" per convincersi di non essere un vigliacco.
«Niño, hai intenzione di fare tutto il giro del mondo con il pensiero o riusciamo ad averti ancora con noi?»
Shura sbatté le palpebre, come se fosse appena tornato indietro da un sogno e picchiò un piede a terra con rabbia.
«Se voi vi comportaste da Maestro, io non avrei tutti questi pensieri!»
Leoš si massaggiò il mento e lo fissò in silenzio per alcuni istanti, mentre le pale del ventilatore ronzavano imperterrite, poi mise entrambe le braccia sulle spalle delle ragazze e avvicinò la loro testa alla propria.
«Mie adorate! Temo che per oggi il nostro appuntamento termini qui.»
«Ma Leoš!»
L'uomo - il suo Maestro – si appoggiò un dito sulle labbra.
«Prima il dovere e poi il piacere.» Sole gli strizzò l'occhio, mentre Luna annuì come se avessero condiviso un importante segreto. «Ci vediamo questa sera.» chiosò l'uomo, stampando un bacio sulle labbra di entrambe.
«Ciao, niño!» salutò Sole, mentre Luna si limitò a un cenno con la mano.
Shura ricambiò i saluti e le guardò salire le scale, imitato da altri tredici paia d'occhi.
«Bel culo, Sole, eh? Anche Luna non scherza, ma Sole...»
«Maestro!» lo interruppe Shura. «Non sono venuto qui a guardare i c... il fon... insomma, quella roba lì.»
Leoš piegò le labbra in una smorfia irriverente.
«Sarà... eppure il tuo sguardo seguiva una direzione ben precisa, o sbaglio?» Shura stava per ribattere, quando Leoš riprese: «Dunque, dunque, caro il mio Asura. E così io dovrei addestrare un mocciosetto che non sa nemmeno camminare?»
Shura sentì le guance andargli a fuoco.
«E' stato un incidente.»
«E dì un po', Asura, dopo che il nemico ti avrà staccato la testa, cosa dirai ad Atena dall'Oltretomba? Perdonatemi mia signora, è stato un incidente!» lo canzonò l'uomo, mentre uscivano nel calore di Siviglia.
«Se voi invece di spassarvela tutto il giorno, mi addestraste... Forse io non dovrei preoccuparmi di perdere la testa per distrazione.»
Leoš gli afferrò il mento.
Lui distolse lo sguardo, mentre l'uomo lo fissava.
«Che è accaduto alla tua faccia?»
Shura avrebbe voluto dirgli: "Siete molto interessato al vostro allievo, vero, maestro? Peccato che questa faccia ce l'avevo anche due minuti fa!", ma si limitò a un misero "Niente!"
«Ti sei fatto ancora menare dai ragazzi giù dalle parti di Plaza Del Castillo?» lo rimbeccò arricciando le labbra in una smorfia, nemmeno stesse guardando una merda schiacciata per strada. Gli girò la faccia per osservare con attenzione ogni livido. «Direi che questa volta hai incassato bene, ragazzo. Ne hai fatti di progressi da quando scappavi nelle fogne.»
«Io non mi nascondo nelle fogne!»
Leoš inarcò un sopracciglio e gli lasciò andare il mento.
«Beh...» Shura abbassò lo sguardo. «E' capitato solo una volta.»
«La paura rende l'uomo creativo.»
Leoš prese gli occhiali da sole dal taschino della camicia, e se li piazzò sul naso.
«Che caldo!» disse, mentre infilava due dita nel collo della camicia per slacciare un paio di bottoni.
«Quindi, fammi capire...» tornò a massaggiarsi il mento e a camminare. «Adesso sei nella fase: non me la do più a gambe e le prendo di santa ragione?»
«Ma non mi limito a prenderle...» si difese. «E poi... è perché sono più piccolo.»
«Quindi vai ad infastidire la gente più grande? Molto astuto da parte tua.»
«Se voi mi insegnaste a combattere forse non tornerei a casa con una faccia che sembra una melanzana!»
Leoš si fermò di scatto.
Lui sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
«Quindi, è questo che vuoi, Asura? Imparare a combattere per fare il bulletto di paese?»
«Non... non.. intendevo questo.» mormorò, gli occhi fissi alla punta delle scarpe.
Leoš sospirò e gli appoggiò una mano sulla testa scompigliandogli i capelli.
«Lo so. Lo so.» disse con un'insolita nota di dolcezza nella voce. «Hai fame, niño?»
Shura chiuse gli occhi. Non aveva fame, dannazione. Non gliene fregava niente di mangiare. Perché Leoš non lo capiva?

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Capitolo 4
*** 03 - Irata ***


Los Sanfermines

 

[ Irata ]

 

Leoš camminava come se avesse i diavoli alle calcagna. E lui non ce la faceva proprio a tenere il suo passo. C'era una differenza d'altezza che non era possibile ignorare.
L'uomo si fermò davanti alla biforcazione del sentiero.
Shura si guardò attorno. Le mani appoggiate sulle ginocchia per riprendere fiato. Gli alberi lo circondavano.
Forse questa volta inizierà a insegnarmi qualcosa, pensò, mentre raddrizzava la schiena.
Trasse un lungo respiro. L'aria aveva un odore di … pulito. Non gli veniva in mente nessun'altra parola, ma era quella la sensazione che stava provando.
I raggi del sole filtravano dalle fronde degli alberi, cadendo sull'erba come macchie di luce. Di tanto in tanto, il cinguettio di un uccello o il fruscio di un animale che fuggiva nel sottobosco, spezzava la quiete.
Leoš imboccò una delle due svolte e riprese a camminare con il suo passo sostenuto.
Era un uomo alto, Leoš. E magro. Assomigliava a … una betulla. Scosse con forza la testa.
Tutti questi alberi, mi fanno pensare a cose strane.
Non sapeva da quanto tempo stessero camminando. Là, in mezzo alla selva di Irata il tempo sembrava scorrere su binari diversi. Shura ne era affascinato e allo stesso tempo intimorito.
La foresta stava diventando sempre più fitta. La luce del sole faticava adesso ad entrare e vi erano degli angoli d'ombra che attiravano gli sguardi.
Non mi ha ancora insegnato niente. È il mio Maestro. Dovrebbe fare di me un Cavaliere d'Oro, ma non sa far altro che andare a divertirsi.
Era come se avesse un pugno nella pancia che premesse per far uscire quello che teneva dentro come un grido che avrebbe strappato le cortecce degli alberi, fatto volare via tutte le foglie.
«Finalmente.»
Corse in avanti. Il bosco diradava verso una piccola radura, circondata dagli alberi.
Leoš entrò in quello spazio vuoto.
«Non si trovano spesso, sai. Devono essere cerchi perfetti. Sai per la questione del tempio. Vedi?» sollevò il braccio «Gli alberi sono le colonne. E questo è il nostro tempio.»
Shura guardò gli alberi, poi Leos, poi di nuovo gli alberi e la radura tra di loro, il cielo che di colpo era comparso sopra le loro teste.
Leoš si sedette a terra.
«Vieni,» gli disse, battendo la mano sull'erba. «Nelle foreste boeme, quando ti lasci alle spalle Praga, di templi naturali se ne trovano molti. La mia gente li conosce molto bene. Per noi sono importanti.»
Shura, a una certa distanza da Leoš, si era portato le ginocchia al petto, mentre lo ascoltava raccontare cose che non riusciva a capire.
Ma non disse nulla. Rimase lì, immobile a fissare quell'uomo che ad un tratto gli era parso diverso.
Shura sapeva che Leoš non era di queste parti. Parlava bene il castigliano, ma il suo accento era terribile. Ogni sua parola era una stilettata. Ma nonostante ciò, la gente lo amava. Specialmente le donne.
«Che cosa provi, Asura?»
«Eh?»
«Adesso che hai camminato in mezzo ad Irata. Che sei qui.»
Shura aggrottò le sopracciglia.
Era un tranello?
Doveva essere un tranello!
Doveva pensarci bene. Dare una risposta intelligente. Forse da questo dipendeva l'inizio del suo addestramento.
Si guardò attorno. Gli alberi-colonna, la volta azzurra. Una nuvola.
«E' tranquillo.» disse, maledicendosi per essersi appena bruciato la sua occasione con una banalità.
L'uomo sorrise.
«Sì, è vero è tranquillo. Come ogni tempio. C'è pace in loro, e silenzio.»
S'interruppe. Gli occhi bassi, le sopracciglia increspate da un pensiero che forse gli era venuto, forse non doveva condividere.
«Maestro?»
Non poteva più aspettare.
«Sì, Asura. Dimmi.»
«Perché non ...» s'interruppe. Adesso che aveva preso l'iniziativa, si sentiva insicuro. E se si fosse arrabbiato? E se... «mi addestrate ad essere il Cavaliere del Capricorno?»
Strinse i denti. La sua bocca si era mossa prima che lui potesse fermarla.
Leoš sembrò quasi sorpreso.
Ecco, adesso si arrabbia.
L'uomo si alzò in piedi.
«Ogni cosa a suo tempo, Asura.»
Shura si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Non era arrabbiato. Non l'avrebbe mandato via.
«Ce ne stiamo andando?» chiese, raggiungendolo all'imboccatura del silenzio.
«Per oggi, sì. Il tuo cuore non è ancora pronto.»
Shura corse per affiancare il Maestro.
«Vedi, Asura, ci sono verità che sono dentro di noi, e noi non possiamo far altro che aspettare che loro vengano fuori.»
«E se non venissero? Non faremmo prima se voi me la diceste questa verità?»
Leoš scoppiò a ridere.
«No, Asura. Non funziona così. Non la puoi ascoltare con le orecchie, ma devi sentirla con il sangue, con la carne, le ossa. Deve venire da te.»
Bene! Forse avrebbe sentito che non era affatto destinato a diventare Saint di Capricorn. Forse, un giorno si sarebbe svegliato e avrebbe salutato Leoš.
Grazie di tutto, arrivederci.
Leoš un giorno gli aveva dato un libro. Era un grosso libro. Sembrava molto vecchio.
«Che cos'è?» gli aveva chiesto, sollevando lo sguardo dalla copertina.
«Sono gli Annali del Capricorno, Asura. La storia di chi ti ha preceduto. O forse dovrei dire, la storia delle tue precedenti vite.»
Lui aveva aperto il libro e aveva girato febbrilmente le pagine, fino a raggiungere l'ultima. 1793.
Aveva alzato di scatto la testa.
«E' scritto in greco.» aveva esclamato.
«Lo conosci il greco, no?»
Certo che lo conosceva. Era stato Frate Pedro ad insegnarglielo, insieme al latino e al francese e allo spagnolo che già parlava in quell'enclave catalana che era il piccolo monastero.
«Un giorno ti sarà utile.» gli aveva detto.
Era tornato a fissare la pagina.
1793. Diciassette luglio. El Cid di Capricorn muore nell'adempimento del suo dovere, durante lo scontro con il dio Oniro.
«Tutto qui?»
«Sì. Non vengono mai usate troppe parole per descrivere la morte di un Cavaliere.»
Perché?
Shura si era morso le labbra.
Perché non usare tutte le parole del mondo, per raccontare la sua morte. La mia …
Aveva serrato le palpebre, cacciando indietro le lacrime.
«E' della vita, Asura, che ti devi curare, non della morte. El Cid fu un valoroso combattente. Uno dei fedelissimi di Atena. Impara a conoscerlo, e a conoscere tutti coloro che l'hanno preceduto.» Shura aveva girato le pagine, tornando all'inizio.
Anno milleduecento...
«Perché non c'è nulla prima? E' troppo... dovrebbe...»
Che stupido. Forse c'era un altro volume.
«Perché la storia comincia da lì.»
«E prima, Maestro?»
«Prima? Prima non c'era nulla.»

Leoš non aveva voluto approfondire l'argomento e Shura non aveva insistito. Aveva letto gli Annali del Capricorno in una giornata, nonostante alcuni eventi fossero narrati minuziosamente. Ma erano incompleti. Nessun accenno alla sua forza, alle sue vere capacità, alla manifestazione del Cosmo. Niente.
Leoš gli aveva spiegato che esistevano tabù. Cose che non potevano essere scritte. Una di queste erano i colpi dei Saint.
E chissà cos'altro, aveva pensato.


Note dell'autrice: l'idea degli Annali mi è venuta mentre stavo leggendo un saggio su Camden e ciò presuppone l'esistenza di figure simili a storici che registrano i fatti riguardanti il Santuario. Gli Annali sono molto brevi, più che altro: sequenze di fatti cronologiche.
Sincretismo si discosta un po' - tanto - dagli eventi canon del manga, soprattutto per quanto riguarda il periodo antecedente alla penultima Guerra Santa. Prima di questa, infatti, io prevedo sostanzialmente tre Guerre Sante: quella del 1500 circa, contro Hades; quella del 1200; quella del V secolo a.C. contro Hades e Ares. Comunque, visto che la Guerra del 1200 ha una storia tutta sua, io mi fermo.

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 5
*** 04 - San Firmino ***


Los Sanfermines

 

[ San Firmino ]

 

A Shura quella faccenda non piaceva affatto.
«Maestro, siete sicuro?»
«Tu non preoccuparti, pensa a fare una faccia decente.» gli rispose, chiudendo di scatto la tenda.
Il fotografo gli lanciò un'occhiata dubbiosa. Shura si sforzò di stirare le labbra in un sorriso.
L'uomo nascose il suo volto dietro l'ingombrante macchina fotografica.
«Adesso, stia fermo... Niente sorrisi. Così...»
Fissò l'obiettivo e fece come gli veniva ordinato.
«Molto bene. Dieci minuti e sono pronte.»

Leoš spostava lo sguardo dalle fotografie al volto di Shura.
«Di un po'. Hai qualche pensiero?»
Lui aggrottò confuso le sopracciglia.
«No, maestro, perché mi chiedete questo?»
Leoš gli sventolò davanti al volto le quattro fotografie.
«Perché hai la faccia di uno che ha appena ammazzato il suo migliore amico.» gli spiegò Leoš.

L'appartamento era un'unica stanza la cui caratteristica fondamentale erano i fili per i panni stesi che correvano da una parete all'altra, ingombri di mutande, calze, tovaglie, lenzuola, gonne e camicette.
Esperanza si era limitata a sollevare la testa quando loro erano entrati, abbassandola quasi subito.
«Esperanza, mi serve il tuo aiuto.» esordì Leoš.
Shura alzò gli occhi al cielo, imitato dalla donna.
«Ma davvero?»
Leoš afferrò Shura per un braccio e lo spinse in avanti.
Lei si tolse gli occhiali e lo fissò in silenzio per qualche momento.
Non amava essere fissato in quel modo, soprattutto se a farlo era una donna come quella.
Capelli neri, occhi che sembravano un pozzo senza fondo. E un viso che era come quello delle ragazze dei giornali che Leoš nascondeva sotto il letto e che lui non avrebbe mai dovuto vedere.
Shura abbassò di scatto gli occhi.
«Mi stai guardando le tette, niño?»
«No, no. Io … non...»
Alle sue spalle, Leoš scoppiò a ridere.
«Lascialo in pace Esperanza, è troppo giovane per te. Sono qui per un altro motivo.»
Leoš lo aveva oltrepassato e aveva appoggiato le fotografie sul tavolo.
«Il niño deve partecipare all'Encierro di quest'anno, ma non ha l'età.»
Esperanza spostò lo sguardo da Leoš a Shura e viceversa.
«Leoš, vuoi far correre quel bambino con i tori?»
Leoš annuì con vigore, come se dare una risposta affermativa fosse la cosa più normale del mondo.
«Ma lo massacreranno.»
«E' quello che ho cercato di dirgli anche io...»
Leoš si voltò di scatto. Gli occhi sbarrati.
«Tu fa silenzio. So io quello che è meglio per te.»
«Io non credo, Leoš. Sei un folle. Nessuna persona sana di mente farebbe partecipare un bambino all'Encierro.»
L'uomo sbuffò.
«Esperanza, ho bisogno di un documento valido che attesti la sua età. Diciotto anni. Puoi aiutarmi? Lo so, sono un infame a mandare un bambino all'Encierro, ma mi credi se ti dico che ho i miei motivi. Esperanza, ti prego... »
Il tono della sua voce, il modo in cui l'espressione di Esperanza cambiava man mano che lui parlava...
Non è possibile. Ma come accidente fa?
Era pronto a scommettere che Leoš non combatteva contro i nemici. A lui bastava convincerli ad arrendersi.
«D'accordo.»
«Cosa?»
Shura sbarrò gli occhi incredulo.
Era spacciato.

Shura sgomitò attraverso la folla.
Leoš era stato chiaro.
L'indomani doveva partecipare all'Encierro, pena un calcio in culo e il ritorno per direttissima a Siliérs-de-Barn.
Deglutì. Aveva ancora un giorno di tempo. Di cose ne potevano accadere.
Strinse i pugni.
Lui sarebbe diventato il Gold Saint di Capricorn.
Scosse la testa e la abbassò. Le braccia ciondolanti lungo i fianchi.
Coraggio.
Le persone si aggregarono. Appiccicate le une alle altre. Si passavano bottiglie di vino, cestini colmi di pintxos, pezzi di maiale arrosto, frittelle e cazuelicas. Alzò lo sguardo appena in tempo per afferrare una bottiglia.
Si strinse nelle spalle.
A mali estremi...
La bottiglia gli fu di colpo strappata dalle mani.
«Non dirmi che hai già paura?» lo apostrofò Leoš, inclinando la testa.
Il vino... il suo vino.
«Figurati.» si schermì Shura, strofinando il piede dietro la gamba.
Leoš lo guardò di sottecchi e si pulì la bocca con il dorso della mano.
«Non hanno ancora sparato il chupinazo. O sei di quelli che cominciano ad aver paura dal giorno prima... eh Asura?.»
Shura drizzò la schiena.
«Io non ho paura.» dichiarò, mettendoci tutta la convinzione che riusciva a racimolare.
Leoš scoprì i denti in un ghigno.
«Sarà meglio, niño. Tu» alzò il dito a mo' di monito. «Sei il futuro Capricorno. Atena ha bisogno del tuo coraggio, perché hai voglia ad essere “un uomo di fiducia”, se non hai le palle. E noi vogliamo che tu le abbia le palle... vero!?»
Voleva ribattere, ma Leoš stava già guardando altrove.
«Torna a casa dopo lo sparo del chupinazo.» lo ammonì arruffandogli i ricci. «E niente vino. Domani ti voglio vedere correre come Pan davanti a Tifone.» Poi, senza più curarsi di lui, si tuffò tra la folla, al grido di «Esperanza, mi amor.»
Shura si alzò sulla punta dei piedi, ma nessuna delle ragazze che vedeva le assomigliava.
«Pan era un vecchio ubriacone!» gridò, ma Leoš era già sparito nella calca.
Arretrò lungo Calle San Nicolàs in direzione di Calle del Pozo Blanco. La folla in Plaza del Castillo stava diventando ingestibile e Leoš si guardava ancora dall'insegnargli qualcosa di decente che avrebbe potuto fargli comodo in questo momento.
Ma come accidente spera che io diventi Saint? Per intercessione delle Moire?
Il suo istinto di sopravvivenza iniziò a fargli capire che rischiava seriamente di essere schiacciato, con buona pace dell'Encierro di domani.
Il cielo era pieno di palloni rossi. I coriandoli erano una neve fuori stagione.
Alcune persone, lo urtarono facendolo sbattere contro il muro di un edificio. Da Calle del Pozo Blanco, la folla lo spinse di nuovo verso la Plaza del Castillo.
«Señor, señor, por favor.» continuava a ripetere, ma inutile.
La gente lo strattonava, lo spingeva di lato. Un paio di volte si sentì afferrare sotto le ascelle e gli toccò divincolarsi, scalciare come un ossesso e fuggire il più lontano possibile.
Aggrottò la fronte.
Forse, se mi concentro...
Niente. Nessun cambiamento. Il cosmo di cui aveva sentito parlare da Frate Pedro (si segnò mentalmente che avrebbe dovuto chiedergli come mai conoscesse il cosmo, la prossima volta che fosse tornato a Siliérs-de-Barn) per lui era come la luce di un treno in fondo al tunnel.
Un treno che procedeva in retro.
Un lungo sibilo cancellò le sue riflessioni.
Tutto sembrò fermarsi. Shura alzò la testa. Lo scoppio e la folla esplose in un boato che, era pronto a scommettere che nemmeno tutti i 108 Spectre di Hades sarebbero riusciti a replicare.
Shura vide la morte in volto almeno tre o quattro volte, mentre cercava una via di fuga.
La folla era impazzita.
In cinque minuti, assistette a quello che un bambino non avrebbe mai dovuto vederlo, e paonazzo, forse per intercessione della divina Atena, riuscì a lasciarsi alle spalle Plaza del Castillo.
Continuò a camminare, con gli occhi fissi a terra, fino a quando il rumore della grida e dei canti non iniziarono a farsi lontani.
Si guardò attorno.
Conosceva quella zona. Da lì non era difficile tornare a casa di Leoš.
Abbassò lo sguardo. I suoi abiti gocciolavano vino rosso. Affondò il volto nell'incavo del braccio. E puzzava peggio di un ubriacone.
Magnifico. Sarei proprio un perfetto Saint di Capricorn.


Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 6
*** 05 - Encierro ***


Los Sanfermines

 

[ Encierro ]

 

Shura si annodò la bandana dietro la testa. Un misero elmo di stoffa rossa. E come armatura? Un paio di jeans bucati e una t-shirt bianca.
Un uomo, grosso almeno tre volte rispetto a lui, gli lanciò un'occhiata sprezzante. «Niño», lo apostrofò, arricciando il naso come davanti a un piatto di paella andato a male. «L'Encierro non è cosa da bambini.»
Lui fece finta di non aver sentito. Fletté le ginocchia e incassò lievemente le spalle, pronto a correre come mai aveva fatto in vita sua.
«Mi hai sentito? Vattene!» insistette l'uomo afferrandolo per una spalla.
Lui chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, tendendo le gambe.
«Signore, anche se non si direbbe, ho diciotto anni.»
L'uomo lo guardò come se avesse appena pronunciato un'eresia contro la Vergine Maria. Shura alzò gli occhi al cielo.
«Purtroppo a dieci anni ho smesso di crescere. Mio padre ha fatto un voto a San Firmino e ha offerto la mia partecipazione all'Encierro come pegno.» disse poi, tutto d'un fiato.
«Tuo padre?»
Lui si strinse nelle spalle e con un cenno del capo gli indicò la folla.
L'uomo seguì il suo sguardo.
Leoš si era guadagnato un posto in prima fila: il gomito appoggiato alla transenna e la sigaretta appesa alle labbra.
«Triunfa!» urlava con il suo strano accento. «E per voler de Dios diventa un hombre!» L'uomo scosse lentamente la testa.
«Mi spiace, ragazzo. Si dice che ognuno ha i genitori che si merita, ma in fondo non sembri un cattivo ragazzo.»
Che vi avesse creduto o no, poco importava. Shura afferrò la mano che l'altro gli stava offrendo o sarebbe meglio dire che vide la propria scomparire tra le dita dell'altro.
Si sforzò di restare impassibile, sebbene avesse la percezione – meglio, la certezza! - che gli avesse appena fratturato quattro falangi.
«Più forte del toro, niño»
«Più forte.» digrignò a fatica, liberatosi da quella stretta d'acciaio.

Trattenne il respiro.
Era piegato un po' in avanti. Le mani strette attorno al ginocchio, pronto a scattare non appena forse arrivato il momento giusto. E il momento giusto arrivò. Il suo corpo si mosse ancor prima che se ne rendesse conto.
Correvano per i vicoli stretti di Calle Santo Domingo. Una fiumana bianca e rossa. Di tanto in tanto, arrischiava un'occhiata alle sue spalle, ma tutto ciò che vedeva erano i corpi degli altri. Nient'altro che macchie in movimento. I tori non li scorgeva, ma sapeva che si stavano avvicinando. Lo sentiva. Lo capiva. Dal modo in cui la gente accelerava, dal fiato che gli veniva strappato via ad ogni respiro. Strinse i denti. Il suo passo doveva essere più rapido, se non voleva essere travolto. Correva guardando fisso davanti a sé, con il cuore che gli bucava il petto.
Si accorse con la coda dell'occhio che qualcuno accanto a lui era scivolato. Cancellò dalla sua mente qualsiasi istinto a fermarsi, a rallentare, a vedere cos'era accaduto. Sempre dritto. Più forte del toro.
Non sentiva nulla, eppure gli encierri non sono mai silenziosi. La gente ai bordi delle strade grida per incitare chi corre. Chi corre, grida quando cade, o viene travolto. Grida per darsi coraggio. Lui correva immerso nel silenzio, guidato dal suo istinto. Un passo davanti all'altro. Il più in fretta possibile.
L'encierro non era una corsa. Era una fuga.
Chi sentiva il fiato dei tori sul collo aveva solo una possibilità per salvarsi: farsi da parte. Chi era abile ce la faceva, chi era troppo lento, poteva solo sperare che il toro gli passasse accanto senza vederlo.
Ma per lui esisteva un'unica possibilità. Raggiungere Plaza de Toros! Vietato cadere, vietato farsi da parte. Leoš era stato ben chiaro.
«Fatti da parte e Atena per questa Guerra Santa dovrà fare a meno del Capricorno.» O io, o nessun altro.
Un po' questa cosa lo inorgogliva. Il pensiero di essere l'unico Capricorno di questo secolo. Il solo a custodire dentro di sé quel potere. Se almeno avesse saputo qualcosa di più in proposito.
«E se mi accade qualcosa?» aveva chiesto.
Leoš lo aveva guardato socchiudendo gli occhi, poi le sue labbra si erano piegate in un sorriso di scherno.
«Vuoi dire, se tiri le cuoia prima di diventare un Santo d'Oro? Beh... ragazzino... vorrà dire che ti rifarai nella prossima vita.» Aveva intrecciato le mani sopra il tavolo e l'aveva guardato fisso per un istante. Poi aveva continuato: «A meno che tu non venga nominato Gran Sacerdote prima di farti ammazzare.» Era scoppiato a ridere, ma Shura era rimasto serio.
«Quindi, il Saint che viene nominato Gran Sacerdote...»
«La nomina non è solo un titolo che viene conferito a un Saint prescelto, ma esiste un vero e proprio rituale da rispettare. Antico.»
«Sua eccellenza Shion...»
«Il Venerabile Shion è molto anziano, Asura. Ha combattuto la precedente guerra sacra alla quale nessuno, salvo lui e Douko di Libra, sono sopravvissuti.» Leoš aveva distolto per un istante lo sguardo. «Accettare la carica di Gran Sacerdote, significa rinunciare ad essere un Saint. L'Ariete ha dovuto, per così dire, cercare un nuovo mortale.»

Shura sbatté le palpebre.
Non sapeva più da quanto tempo stava correndo. Gli sembrava un'infinità, ma gli encierri non duravano mai molto. Erano come i palii, come le corse di cavalli, come i nove secondi di un record mondiale, ma in quel lasso di tempo, vite intere trionfavano, si schiantavano, perivano.
Bastava così poco per innalzarsi, così poco per cadere.
Il suo cuore stava esplodendo mentre pompava l'aria: dentro e fuori, dentro e fuori, dentro e fuori.
Se fossi un vero Saint non avrei bisogno di correre in questo modo.
Ma lui non era un vero Saint e dubitava che Leoš lo avrebbe mai reso tale.
Con uno scatto allungò il passo, non appena l'ingresso a Plaza de Toros cominciò a profilarsi davanti a lui.

Strinse i pugni, inglobando l'aria a grandi sorsate e scattò in avanti.
Le persone attorno a lui inciampavano, si lanciavano oltre le transenne, travolgevano gli altri: loro stessi mandrie impazzite. I tori incombevano, non visti, alle sue spalle. Avrebbe perfino giurato di sentire il loro fiato sul collo.
Scattò di lato per evitare un uomo che improvvisamente era caduto davanti a lui.
I tori non saranno così gentili, pensò, mentre inghiottendo una nuova boccata d'aria, sforzò i muscoli delle gambe per riprendere velocità.
Le urla gli giungevano ovattate, coperte dal battito del suo cuore.
Un solo pensiero.
Più veloce. Correre più veloce.
Oltrepassò il confine dell'arena senza nemmeno rendersene conto: lo spazio che si allargava davanti ai suoi occhi. Terra color della sabbia del deserto. Il rosso degli spalti e delle porte di legno dalle quali i tori piombano incontro alla morte.

Il dolore alla schiena lo stava devastando. Non aveva ben chiaro il momento in cui si era fatto male, solo la sensazione che qualcosa lo aveva colpito togliendogli il fiato per un istante.
Arrischiò un'occhiata alle sue spalle, sforzandosi di non perdere l'equilibrio e di non rallentare. Ciò che vide furono due occhi neri come la pece che racchiudevano tutta la furia del terrore di una bestia che sa – in qualche modo, anche se non dovrebbe – che sa di dover morire.
Shura si immobilizzò.

Se avesse potuto, avrebbe imparato a volare in un istante pur di levarsi dalla traiettoria del toro.
Ne aveva la certezza: lo stava guardando. Con odio. Lo puntava. Non c'erano dubbi. Nell'arena la gente si assiepava.
Il toro puntò lo zoccolo e lo strisciò sulla terra, sollevando nuvole di polvere.
Shura deglutì.

Leoš... non sarà un toro di Leoš quello?, pensò, esaurito dalla tensione, come se quel pensiero potesse essere ragionevole.
Certo, perché Leoš i tori li educa e li manda al mio inseguimento durante l'Encierro.

Si riscosse quando vide il toro riprendere la sua corsa.
L'unica via di fuga possibile era rifugiarsi negli spalti.
Leoš non gli aveva mai detto che avrebbe dovuto affrontare direttamente un toro e Shura non aveva il tempo di pensare se quello fosse un avversario degno contro il quale combattere.
Altro che avversario!
Vedeva un unico epilogo: lui all'ospedale con fratture multiple, il toro ...
Chi se ne fregava del toro!

Fece leva con il piede, e strinse il bordo pronto a balzare dall'altra parte, quando una voce e un ghigno sghembo lo immobilizzano.

«Dove credi di andare, niño?»

Per la prima volta, in vita sua, ebbe chiaro il significato dell'espressione "tra l'incudine e il martello".
Come diavolo fa ad essere lì, primo?! E secondo, che caspita vuole da me?!

Leoš lo afferrò per le braccia e invece di aiutarlo a mettersi in salvo – come sarebbe logico supporre – lo scaraventò di nuovo nell'arena.
Shura rotolò a terra, inghiottendo manciate di polvere.

E' finita, pensò, mentre sollevava le braccia nell'ultimo tentativo di proteggersi.
La terra sotto di lui tremò, il toro giunse e lo oltrepassò.

Era finita.


Note dell'autrice – E così la Festa di San Firmino è arrivata al culmine. Che volessi parlare dell'encierro … dai, si capiva fin dal titolo della storia. XDXD Sto gettando fumo negli occhi... sappiatelo!

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 7
*** 06 - Destino ***


Los Sanfermines

 

[ Destino ]

 

«Todo bien, Asura. Sei ancora vivo?»
Shura aprì l'occhio sano e lo strizzò causandosi una fitta alla testa.
Leoš volteggiava allegramente per la stanza. Un essere variopinto che si poneva al di fuori dal tempo, dalle situazioni, dagli altri.
Invidiava l'esistenza frivola di Leoš. La semplicità con cui riusciva a vivere gioiosamente nella Spagna franchista.
Shura abbozzò un sorriso.
«E' grave, Maestro?»
Leoš lo guardò per un secondo.
«No, non preoccuparti. Brutto eri e brutto rimani.»
«Grazie, Maestro. Voi sì che mi illuminate le giornate.»
«In ogni caso, sono fiero di te. A parte il toro che ha tentato di metterti il corno nel..»
«Maestro!»
Leoš roteò distrattamente gli occhi e distese le labbra in un sorriso.
«Forse ti ci vuole … uhm... quanti anni hai?»
Shura serrò gli occhi, infischiandosene del dolore.
«Sei troppo rigido, niño.»
«Beh, mi dispiace tanto.» sbottò, scaraventando via le lenzuola. «Scusate Maestro se sono così “rigido”» Sputò fuori quella parola con una smorfia. «Ma state tranquillo farò in fretta i miei bagagli.»
«E per andare dove?»
«Che domande? Al Santuario.»
«E a fare che?»
Shura lo guardò come se avesse di fronte un idiota.
«Maestro, cosa abbiamo fatto in questi anni? Cosa avete fatto voi?»
Leoš incrociò le braccia.
«Dunque … fammi pensare... Ho fatto l'amore, ho mangiato la paella, ho fatto l'amore, ho giocato...»
«No!» Shura saltò fuori dal letto.
Il dolore era passato in secondo piano.
«Mi avete reso un Gold Saint, Maestro.»
«Tu? Un Gold? Da quando?»
«Ho superato la prova dell'Encierro.»
Leoš scoppiò a ridere.
«No... non è possibile... tu... hai … creduto. Oh, dei!»
Shura si morse il labbro. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Leoš non riusciva a smettere di ridere e Shura l'avrebbe affettato volentieri se ne fosse stato in grado. Ottenere il cloth uccidendo il proprio Maestro? Atena avrebbe sicuramente capito. Chiunque avrebbe capito. Da quando aveva messo piede a Pamplona non aveva fatto altro che chiedersi perché? Perché gli era capitato quel crucco che fingeva di essere uno spagnolo? Aveva forse fatto qualcosa di male nelle sue vite precedenti?
Leoš si era seduto. Il gomito piegato, appoggiato alla spalliera della sedia. La mano reggeva la testa, incassata nelle spalle che continuavano a sobbalzare.
Shura taceva. Gli occhi sbarrati. Il volto paonazzo.
«Non guardarmi in quel modo, Asura!»
Lui aggrottò le sopracciglia. Il volto di Leoš presentava un'espressione quasi dolce. A Shura venne in mente il modo in cui lo guardavano i frati quando lui faceva delle domande su sua madre: quel misto di amore, dolore, dispiacere, vergogna. La faccia che fa uno quando non sa che cosa dirti, quali parole usare. Quelle facce non gli sono mai piaciute. Sono le facce di coloro che mentono.
Frate Tristan ha parlato a lungo della menzogna, una sera, davanti al caminetto nel refettorio.
Le persone mentono, gli aveva detto. Ma guardati, Asura, da coloro che mentono per amore. Perché essi sono i più pericolosi.
Shura non aveva capito all'epoca cosa Frate Tristan volesse dirgli e se qualcuno glielo avesse chiesto non se lo sarebbe neppure ricordato. Ma ora, le cose erano cambiate. Di colpo, gli erano tornate in mente quelle parole e le aveva rammentate con una comprensione che prima non aveva avuto.
La dolcezza e l'allegria di Leoš erano sparite.
Distolse lo sguardo, perché, non sopportava di guardare negli occhi il suo Maestro.

Leoš piombò nello sgabuzzino convertito in stanza da letto e se lo caricò sulle spalle, manco fosse un sacco di patate.
«Cominciamo il tuo addestramento.»
«Adesso?»
L'uomo lo mise giù e lo fissò in silenzio per un istante.
«Non era questo che volevi?» disse senza curarsi di celare l'irritazione.
Sì, era questo che voleva. Un Saint. Quello che doveva diventare.
«E' per la lettera che avete ricevuto?»
Leoš lo guardò sorpreso.
«Vi ho visti, Maestro.»
«Ci hai spiati?»
Si strinse nelle spalle.
«Passavo di lì.»
«Oh, casualmente passavi di lì.»
L'uomo si allontanò. Oltre lui, Shura scorgeva una porzione di cielo, parte della casa di fronte: un villino a un piano tinteggiato di giallo.
Si mosse a disagio. Era stato a letto quasi due giorni, alzandosi solo di tanto in tanto. Leoš non gli aveva detto nulla. Era uscito. Era stato fuori ore. Era rientrato. Era riuscito di nuovo. Poi era arrivato quel ragazzino. Per quanto ci pensasse, era certo di non aver sentito la porta aprirsi. Un'istante prima non c'era. L'istante successivo aveva sentito la sua voce. Che era un ragazzino lo aveva visto raggiungendo la cucina in punta di piedi. Ne aveva incrociato lo sguardo per un attimo. Poi, si era affrettato ad allontanarsi, ma non troppo. Era restato in ascolto.

«Non conosco il suo nome. Ma il ragazzino è come te.»
«Un futuro Santo di Atena?»
Leoš annuì.
«L'Ariete e il Venerabile Shion cura personalmente il suo addestramento.» Poi, aggrottando le sopracciglia aggiunse: «Non deve essere facile data la sua malattia.» Shura arricciò le labbra in una smorfia.
«Oh! Un addestramento. Quello che voi state tralasciando da quando sono arrivato.» Gli occhi di Leoš si fecero duri.
«Hai così fretta di morire, Asura?»
L'uomo si avviò verso l'uscita senza attendere risposta.
«Non ho fretta di morire, Maestro.»
Dovette allungare il passo per tenere dietro a Leoš. L'uomo fendeva l'aria. Non lo aveva mai visto così. Affrontare il mondo in quel modo. Come se fosse arrabbiato, come se stesse andando contro un muro invisibile e sapesse che l'unico modo per attraversarlo era non esitare.
Aveva tante domande da porre a Leoš, a cominciare dalla stranezza del suo comportamento. Ormai l'aveva capito, non voleva che diventasse un Saint di Atena. Ed era arrabbiato perché sapeva che non poteva impedirlo. Entrambi sapevano che non era l'addestramento a fare di un Saint ciò che era. Il destino. Il retaggio che si portava dentro. Generazione dopo generazione. Ad Atene si tenevano tornei per assegnare i cloth: meri giochi. Atena sapeva già a chi sarebbe andata l'armatura ancor prima che il vincitore s'inchinasse al suo cospetto.
Queste cose Shura le aveva imparate. Osservando, riflettendo, fidandosi delle sue sensazioni e dei suoi pensieri. Dei suoi ricordi. Non ne aveva la certezza. Quella gliel'avrebbe potuta dare Leoš, e il Santuario. Sempre che fosse stato in grado di andarci. Si fermò. La calura immergeva le strade nel silenzio. I cani camminavano rasentando i muri. Solo loro e i turisti osavano sfidare quel caldo. Shura ne vide due, agitare il braccio per richiamare l'attenzione di un taxi. Cappelli di paglia. Guide turiste che perdevano fogli da tutte le parti. Leoš attraversò la strada senza aspettare il verde.
Shura scattò in avanti, lo superò e gli si fermò davanti.
«Non potete vincere contro il Fato. Io sono il Capricorno.»
Le labbra di Leoš erano una linea sottile.
«Lo so.»
«Quindi, inizieremo ad addestrarci? Farete di me un Saint.»
L'uomo lo scartò e riprese a camminare, fino alla fermata dell'autobus.
«Ti sei già addestrato da solo. Hai combattuto in strada e imparato a incassare. Hai corso l'Encierro. Hai reso la tua mente agile.»
«Ma non è abbastanza. Non sono abbastanza forte.»
«Lo diventerai. Con il tempo.»
Shura strinse i pugni. No. Non era abbastanza. Era uno scherzo. Non poteva paragonarsi certo a un teppista di strada. Lo stava prendendo in giro. Lo aveva preso in giro per tutto questo tempo.
Si fermò. Non avrebbe fatto più un passo. Leoš se ne accorse. Si voltò. Lo fissò in silenzio per qualche momento.
«Non ho un cosmo.» disse Shura tra i denti.
«Sì, invece. E' solo dormiente.»
«E di chi è la colpa?»
Non voleva urlare. Ma la rabbia gli strappò via le parole.
L'autobus venne fuori dalla strada laterale e rallentò. Leoš tese il braccio verso di lui.
«Vieni, Asura.» fu tutto quello che gli rispose.


Note dell'autrice – in Sincretismo la predestinazione è assoluta. Una persona predestinata ad essere Saint lo sarà anche se non farà nulla per esserlo e paradossalmente arriverà a compiere tutte quelle azioni che gli saranno utili per essere Saint: vuoi per scelte personali, vuoi perché sarà indirizzato dagli altri, vuoi anche per qualcosa che prende il nome di caso. Si può dire che io abbia basato tutto ciò che ho scritto finora e tutto ciò che scriverò in futuro per quanto riguarda questa serie sulla predestinazione. Chi non è predestinato ad essere Saint, non lo sarà. Non importa quanto tu possa essere forte, o quanto tu possa impegnarti.

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 8
*** 07 - Espiazione ***


Los Sanfermines

 

[ Espiazione ]

 

«Maestro, dove siete?»
La foresta attorno a lui incombeva.
Leoš lo aveva portato molte volte ad Irata e altrettante volte Shura ci era andato da solo. A sentire la voce degli alberi. A respirare la loro aria.
Ma quel giorno, mentre raggiungevano il bosco, Leoš non disse una parola.
Lo sguardo cupo, le braccia incrociate. Stava seduto sul sedile dell'autobus con il volto rivolto al finestrino. La normalità dei gesti era un'utopia, perché, si sa, un Santo di Athena vive la quotidianità tra due battaglie. Essa è un sogno, il desiderio di una vita che non può appartenergli.
Mentre la strada scorreva fuori dal finestrino, mentre i campi di girasoli si susseguivano, accecanti nella bellezza del loro giallo, Shura pensava che alla fine non era poi stato così sfortunato a trovare Leoš. Gli aveva regalato la normalità, gli aveva permesso di vivere come un ragazzo qualsiasi.
Con l'andare del tempo, il suo desiderio di diventare Saint aveva iniziato a scemare, parallelamente al crescere della sua consapevolezza in quanto Capricorn.
E se non lo diventassi! E se dicessi a Leoš che va bene così, che non importa, che vorrei stare a Pamplona?
Scacciò quei pensieri, come si fa con una mosca che vola cocciutamente davanti al volto.
Sa che le stelle non lo permetterebbero, sa che il destino per un Saint è più forte di qualsiasi altra cosa, perché Saint non si diventa, si nasce. Ed è questa la differenza tra lui e tutti gli altri ragazzi. Lui non può scegliere. Loro non possono scegliere.
«So che alcuni maestri fanno combattere i candidati tra di loro.» aveva detto una volta.
Leoš lo aveva guardato, socchiudendo gli occhi, come faceva sempre quando lui diceva qualcosa di molto stupido o di molto intelligente.
«Sì, ma potrebbero anche non farlo, se sapessero con certezza l'identità del futuro Saint.»
Lui l'aveva guardato senza comprendere e Leoš aveva tratto un lungo respiro, prima di sedersi e spiegargli che i combattimenti riguardavano principalmente la Casta di Bronzo in quanto esistevano negli Annali pochissime informazioni utili a riconoscere, di volta in volta, la nuova reincarnazione.
«In futuro, dovrebbe essere più semplice riconoscerli.»
«Perché?»
Leoš questa volta lo aveva guardato come se fosse stato un vero idiota.
«Perché il Gran Sacerdote ha ordinato che gli Annali fossero aggiornati con vere e proprie schede riguardanti i Saint, con tanto di fotografia. Se nessuno danneggia gli Annali, in futuro conosceremo già l'aspetto fisico di ciascuno.»

C'erano i rumori di Irata, lo stormire delle foglie, il verso degli animali.
Shura camminava guardandosi attorno. C'era stato tante volte, ma oggi lo sapeva - lo sentiva - che era diverso. Oggi, le stelle sopra di lui erano mute. E sentiva il peso di quella solitudine, di quella libertà che non era suo diritto conoscere.
Un Saint sentiva la voce delle stelle, il loro peso, il loro sguardo che incombeva, che proteggeva, che imprigionava.
Era come un abbraccio.
Si tendeva a considerarlo un qualcosa di bello, un'espressione d'amore, che faceva stare bene, che rendeva felici.
Ma gli abbracci t'impedivano di muoverti. Chi ti abbracciaca, ti amava, ti voleva bene e ti teneva legato a sé.
Camminava con lentezza. Si fermava, girava su sé stesso. Osservava ogni frammento di Irata, ogni albero, ogni ramo, ogni squarcio di cielo. C'era qualcosa ... lo sentiva, ma non sapeva spiegarlo. Era il suo sesto senso? Il settimo? Non poteva dirlo.
Leoš era scomparso quasi subito.
Lo aveva chiamato, ma non aveva avuto risposta, fino a quando la voce di Leoš non fece esplodedre il silenzio.
«Sai come venivate chiamati un tempo?» gli domandò. «Figli dell'Oro. L'appellativo Santo fu introdotto nel 1500 da Elisabeth, la reincarnazione di Athena prececedente ad Alexandra.»
Shura si guardava attorno febbrilmente.
Dov'era? Dove si era nascosto?
«Figli dell'Oro.» ripeté Leoš con voce incolore. Poi con tono più marcato riprese: «Secondo i miti, la Dea prese con sé la Prima Stirpe durante l'Età dell'Oro, la Seconda Stirpe, quando fu la volta dell'Argento e infine la Terza Stirpe, nell'Età del Bronzo o Età dell'uomo.»
Il silenzio caddé attorno a lui di colpo.
La voce di Leoš taceva e con essa taceva la voce di Irata.
Perché mi ha detto quelle cose? Perché ha ripetuto ciò che già conosco?
Si portò una mano al petto: aveva l'impressione che il cuore gli stesse per saltare fuori.

«Di cosa hai paura, Asura? Tu, che nel tuo nome, porti la memoria di antichi dei.»
«Io non ho paura.» gridò con gli occhi rivolti alle cime degli alberi.
Colonne di legno e foglie che incombevano, schiacciandolo, deridendolo.
Il braccio cominciò a fargli così male che dovette raggomitolarsi su sé stesso.
«Oh, sì che ce l'hai. Non senti come la foresta ride di te?»
Asura ... Shura ...
Non conosceva più il suo nome, mentre il mondo attorno a lui si frantumava in schegge di realtà parallele.
I cerchi tendevano verso il ... mondo vuoto.
«Smettetela Maestro e mostratevi!»
«Mostrarmi?» Leoš rideva. «Non senti la tua voce, Asura? Sta tremando.»
«Non è vero!»

Si maledisse con tutte le sue forze per aver solo provato a immaginare una vita normale, accanto a quell'uomo.
Quell'uomo...
che lo denigrava, lo umiliava, lo faceva sentire inutile
Quell'uomo...
che si rifutava di

lasciarlo andare.

Ce lo aveva anche lui. Doveva avercelo. Non esisteva che fosse il Capricorno senza possedere il cosmos. Doveva solo trovare il modo di sbloccarlo.
Ma come poteva riuscirci?
Era una strada?
Una porta?
Doveva dischiudersi a un nuovo sentimento?
Qual era il nome delle vibrazioni che animavano il cuore di un Figlio dell'Oro?

Poteva farcela. Doveva farcela. Avrebbe fatto vedere a Leoš che lui non era più il bambino che aveva bussato alla sua porta qualche anno prima.
Era tutta colpa di Leoš!

E' tutta colpa tua!
La rabbia montò in lui, come l'onda di un mare in tempesta.

Si è limitato a spiegarmi cosa fosse un cosmo.
Lo so a memoria cos'è un cosmo.


Il nome di Leoš eplose dalle sue labbra.
Le lacrime gli pungevano il viso. Gli alberi vorticavano attorno a lui, lo deridevano agitando le loro fronde.
Il mondo si era spaccato e Shura sbarrò attonito gli occhi mentre sentiva la Porta spalancarsi su

Risa.
Guerrieri che non riconosce incombono su di lui.
Non riesce a muoversi.
Abbassa lo sguardo e ciò gli strappa un gemito di terrore.
Perché mi hanno seppellito?
La terra lo imprigiona fino al busto.
Una guerriera viene verso di lui, non riesce a distinguere il volto. Ha tre strisce oblique sul volto; i denti limati; ossa tintinnanti. Le sue labbra hanno il sapore del sangue.
Benvenuto tra noi, fratello.
La libertà è un pugno nello stomaco, quando lo tirano fuori dalla terra.
Qualcuno gli avvolge un braccio attorno alle spalle: ha odore di legno, odore di vento. Gli occhi come gemme, i capelli come lingue di fuoco.
Una ciotola di legno gli viene messa tra le mani. Ciò che beve ha un sapore pungente.

Shura scacciò quella visione con un grido. Ogni fibra del suo corpo tremava.
Il terrore.
«Io sono il Capricorno!»
Lo gridò con rabbia, con disperazione. Per convincersi, per convincerli.

«Ti sei mai chiesto a cosa servono le armature?» gli aveva chiesto Leoš, in una serata spruzzata di malinconia.
«Per proteggere.» aveva risposto lui.
L'uomo aveva disteso le labbra in un sorriso amaro.
«Da cosa?»

Traditore!

«Non è vero! Io le sono sempre stato fedele!»

Bugiardo!

Sentiva il suo corpo attraversato da fremiti. Come se stesse bollendo. Vide la vita che aveva vissuto fino a quel momento scorrergli davanti in un un soffio. L'encierro. Sole e Luna. Le parole del suo Maestro gli piovvero addosso tutte insieme. Rivide sé stesso lottare con i ragazzini di strada. Rivisse la frustazione. E poi i suoi ricordi oltrapassarono la sua stessa vita. Incrociò gli occhi scintillanti di una fanciulla vestita di bianco. Sasha. Vide un uomo. Indossava una corazza d'oro. L'elmo cornuto. Là dove doveva esserci il braccio c'era il vuoto. L'assenza. Per un istante ascoltò il suo cuore: paura. Ubbidiva ciecamente agli ordini. Non era un guerriero. Era un soldato.

Codardo.

«Fa silenzio! Fa silenzio!»

Ci impiegò un istante ad attraversare la Porta. Il cosmo che in quegli anni aveva creduto di non possedere esplose in un fendente. Era solo il vagito di un infante, ma la ferita era stata inferta.

Gli uccelli si alzarono in volo.
E il vento che spirava tra le fronde sembrava un urlo.
Shura guardò l'albero davanti a sé.
Là dove prima c'era la corteccia, il legno scoperto sanguinava.

Cosa hai fatto?
Avete visto, cosa ha fatto?
Egli non è degno?
Una vita per una vita.


«Placatevi.»

La voce di Leoš lo colpì alle spalle.
Si voltò, ma non vedeva che Irata, non sentiva che Irata.
I lamenti ripresero a sommergero, a strattonarlo.

«Chi è?» urlò girando su sé stesso. «Chi sta parlando?»
Il vento gli rispose con uno strepito di fronde e legno.
E lui cadde in ginocchio.

«Hai ferito un albero, Asura.»
Leoš camminava verso di lui.
«E' solo un albero... Leoš!» alzò il volto rigato di lacrime, le labbra stirate in un sorriso disperato. «Ce ne sono tanti!»
«Solo un albero.» la sua voce rimbombò come un tuono. «E proprio tu, osi dire una simile bestialità?»
Shura non oppose resistenza a quella presa d'acciaio che lo rimetteva in piedi, troppo terrorizzato da quel nuovo Leoš.
Dov'era finita la sua superficialità, così irritante - così rassicurante? La giovialità. I suoi occhi ridenti?
Quante volte aveva pregato di incontrare un altro Leoš e adesso... Adesso che lo aveva di fronte con gli occhi iniettanti di sangue, con le labbra stirate in un ghigno di disprezzo, lui voleva solo fuggire lontano.
L'uomo aveva appoggiato le mani sulle sue spalle e lo stava aiutando a voltarsi.
«Solo alberi, dici?» la sua voce graffiava.
Shura annuì.
«Ascolta.»

E lui ascoltò ... il vento... le voci...

Vogliamo giustizia.
Una vita per una vita.
Dacci il ragazzo.


Si divincolò da quella stretta.

«Io non ho fatto nulla. Non ho fatto nulla. Che cosa farebbero ai boscaioli... eh? Perché...»
«Loro non sono te, Asura.»
«Smettila di chiamarmi in quel modo!» gridò mentre arretrava, un passo dietro l'altro.

Qualcosa lo afferrò all'improvviso. Abbassò lo sguardo e un urlo di terrore gli sfuggì dalle labbra, quando vide una radice avvolta attorno al suo corpo. Sentì qualcosa al braccio e sbarrò gli occhi quando ne vide un'altra a trattenerlo - trascinarlo verso l'albero. Quell'albero che sanguinava come un essere umano, che - Atena aiutami! - gridava come un essere umano.
«Aiutatemi, Maestro. Aiutatemi!»
Cercò di bruciare il suo cosmo. C'era riuscito una volta, poteva farlo ancora. Doveva farlo! Ma qualcosa dentro di lui era bloccato. La Porta sbatteva: né aperta, né chiusa.
«La foresta è un tempio, Asura. Essa è a Lui sacra e senza la sua volontà tu non puoi nulla.»

Una vita per una vita.

Il dolore lo trascinò in un nuovo incubo. Reale, questa volta. Terribilmente. Spaventosamente. Assurdamente reale. I suoi occhi erano incollati al suo ventre squarciato. Al rapido scorrere delle radici dentro di lui. Al loro scavare, spostare, farsi strada nelle sue ... E' solo un brutto sogno. Solo un brutto sogno.
Ma il dolore crebbe e il terrore era solo all'inizio.
Aveva sentito qualcosa dentro lui lacerarsi e poi, di colpo, tutto s'era fermato. Si lasciò sfuggire un sospiro, prima di prorompere in un urlo.
La radice scorreva da dentro a fuori - da dentro di lui!
Oh, mio dio! Oh, mio Dio!
Il suo volto era imbrattato di lacrime e muco. Gli occhi sbarrati. Voleva distogliere lo sguardo, ma non poteva - non ci riusciva!
Continuava a guardarsi svuotare dall'interno. L'orrore delle sue viscere messe a nudo, tirate fuori come uno scarto, come un pegno, come un'espiazione.
«Maestro.»
Non gli importava più nulla del ritegno, dell'orgoglio, dell'armatura, delle stelle.
Perché?
Quella domanda, così spesso ripetuta, gettata in un angolo, quasi sempre priva di risposta, era tutto ciò a cui riusciva a pensare.

La radice cominciò a girare attorno al tronco dell'albero.

Una vita per una vita.
Il torto viene riparato.


La follia si depositò su di lui, sul suo cuore, sulla sua coscienza, mentre le sue viscere ricoprivano la ferita dell'albero.

E poi... di colpo...

un urlo spaventoso, poderoso, proruppe da lui
e tutto si fece buio.

 


Note dell'autrice: Ci ho messo un po' a scrivere questo capitolo. No, non è esatto, ci ho messo un po' a decidere cosa dire e cosa tacere, perché al di là del fatto che questo sia il capitolo più importante di Los Sanfermines contiene molti riferimenti a Dies Irae (e non solo) – anticipazioni, sarebbe più giusto dire.
Giusto qualche accenno alla prova-punizione che è toccata a Shura: in passato l'Europa, soprattutto il nord era ricoperto di vaste foreste, ciò favorì il cosiddetto culto degli alberi. Il culto era talmente radicato nei tempi passati che le leggi germaniche condannavano chi aveva osato strappare la corteccia di un albero a una pena feroce ed è appunto a questo che mi sono ispirata per scrivere questo capitolo. Ci sono accenni all'Atena del XVI secolo - che in Sincretismo si chiama Elisabeth ed è colei che ha introdotto l'appellativo "Saint".

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 9
*** 08 - Risveglio ***


Los Sanfermines

 

[ Risveglio ]

 

Shura aprì gli occhi.
Le fronde degli alberi incorniciavano il cielo sgombro di nuvole.
L'aria profumava di resina, erba, corteccia bagnata.
Ogni odore era una porta dischiusa su una cascata di ricordi. Alcuni recenti, altri più remoti, altri ancora appartenenti a un tempo dimenticato.
Mosse le spalle, ma i suoi movimenti erano limitati. Abbassò il mento.
Le sue membra erano protette da un'armatura dorata.
«Il Capricorno.» sussurrò «Ci sono riuscito.»
C'era perplessità nel suo tono di voce, perché non ricordava esattamente cosa fosse accaduto.
Quelle cose, quegli episodi che s'affacciavano alla sua memoria, restavano immersi nella nebbia. Sapeva che avrebbe dovuto sforzarsi di più, mettere ordine. Avrebbe dovuto farlo, ma una parte di lui preferiva ignorare quei ricordi. Concentrarsi sul qui e ora. Era un Saint adesso. Se non lo fosse stato, l'armatura non sarebbe mai andata da lui.
Sentiva il sangue scorrere nelle vene del braccio destro, la carne pulsare, le ossa sfrigolare.
«Hai intenzione di startene lì ancora per molto, Shura di Capricorn?»
Sollevò di scatto la testa in direzione della voce.
Leoš era seduto su quello che restava del tronco di una quercia.
Aveva la sensazione di trovarsi ad Irata da molto molto tempo. L'immobilità del tempo in un luogo che era sacro in quanto santuario della natura stessa.
«Mi avete chiamato Shura.» constatò improvvisamente, mentre con un clangore metallico si metteva a sedere.
«E' il tuo nome, no? Hai sempre voluto che ti chiamassi con quel nome.»
Lui ruotò la testa, stirando i nervi indolenziti del collo. Sollevò una mano. Le dita che seguivano lentamente le curva del diadema che gli cingevano il capo e poi su, fino alle corna lievemente curvate.
«Ingombranti, non è vero?»
Shura non rispose. Avrebbe desiderato provare unicamente un sentimento di felicità, ma non vi riusciva. Certo, ne era soddisfatto e non si poteva dire che fosse infelice. Ma c'era qualcosa dentro di lui che ancora non gli era chiaro.
Sensazioni, più che altro. Una confusione di identità.
E poi, strinse i denti, c'era quella voce che rimbombava nella sua testa. Lo accusava, lo scherniva.
Shura tentava di afferrare le parole che gli rivolgeva, ma era troppo lontana, dispersa nell'oceano di memorie.
Non che avesse dimenticato il suo nome, o la sua infanzia o altre cose che lo riguardavano. Solo che si sentiva diverso, come se ciò che aveva il nome di Asura fosse solo una minima parte di sé, inserita in questo tempo, e in questo spazio e dietro ci fosse tutto il resto. Qualcosa che trascendeva lo spazio, il tempo, i nomi... Qualcosa di primitivo.
Piegò le ginocchia e unì pensieroso i piedi davanti a sé.
Doveva alzarsi, lo sapeva. Permettere al tempo di riprendere a scorrere. Ma non vi riusciva. Se avesse potuto, sarebbe restato lì, nella selva di Irata, come guardiano, come spirito protettore. «Siete pentito?» chiese, incapace di sostenere il silenzio di Leoš ancora per molto.
L'uomo non dava cenno di averlo udito: guardava fisso davanti a sé, le gambe accavallate, come se stesse aspettando il treno.
Poi un sospiro. Leoš si voltò verso di lui.
«No.» disse. «Doveva accadere. Ci sono cose che potrebbero» si interruppe. Le sopracciglia aggrottate. Chiuse gli occhi, scosse la testa. «Ad Athena potrebbe far comodo avere la Stirpe dell'Oro al pieno delle sue forze.»
«Il risveglio di Hades è imminente?» chiese, nutrendo, non sa bene perché, dubbi in proposito.
Leoš rispose a quella domanda alzandosi, e spazzolandosi la polvere invisibile dai pantaloni.
«Qual è l'ultima cosa che ricordi?»
Shura lo guardò sorpreso. Ricordare? L'ultima cosa. E' semplice.
«Siamo venuti qui a Irata, camminavamo per la selva e poi... voi... siete sparito... e» aggrottò le sopracciglia perché di colpo si era reso conto di non ricordare nulla.
Si sforzò di rammentare qualcos'altro, ma oltre la selva, lui che camminava tra gli alberi, Leoš che spariva... non c'era altro.
Di colpo, sollevò la mano e la premette sopra la pancia. Un brivido gli era corso su per la schiena e un'immagine offuscata, simile al breve fotogramma di un film, aveva tentato di far capolino tra quel marasma denso.
Non seppe bene da dove gli era venuto quel pensiero. Ma appena formulato aveva scosso la testa.
Che stupidaggine, aveva pensato abbassando il braccio.
«Non ricordi?»
Leoš gli si era avvicinato e lo fissava negli occhi, con la testa lievemente abbassata verso di lui.
«Ditemelo voi, Maestro, se è così importante.»
L'uomo sorrise brevemente e s'incamminò lungo il sentiero.
«Nel tuo braccio destro riposa l'anima di una spada. Athena stessa te ne fece dono, molto molto tempo fa.»
Shura piegò il gomito di scatto. Si era reso conto che c'era qualcosa di strano.
«Come fa ad esserci una spada?»
Leoš si fermò e si voltò verso di lui. Sul suo volto era tornata l'espressione gioviale che giorno dopo giorno aveva irritato e tranquillizzato Shura.
«L'anima di una Spada, Shura. Non una spada vera e propria.» riprese a camminare. «C'è stato un tempo in cui la Spada aveva lasciato il Capricorno. Un tempo non troppo lontano e nemmeno vicino.»
«Era accaduto qualcosa?»
«Il Capricorno aveva dimenticato sé stesso, aveva perso l'anima della spada che riempiva il suo braccio destro e aveva indossato vesti non sue. Con il tempo imparerai a usare il tuo braccio destro e potrai tagliare ogni cosa.»
«E' questo il potere del Capricorno? Un braccio che può tagliare ogni cosa?»
«Per molto tempo, lo è stato.»
«Ma non sempre.»
Leoš alzò gli occhi al cielo.
«Questo secolo è strano, Shura. Le costellazioni pulsano con intensità. Sembra quasi che stiano gridando.» disse, nonostante il chiarore del giorno impedisse di vedere anche solo una stella.
«E' Hades? Si sta risvegliando?»
Leoš continuava a fissare al cielo, perso nei suoi pensieri. Shura fece per ripetere la domanda, ma l'uomo abbassò di scatto la testa verso di lui.
«Hades è un nemico terribile e negli ultimi cinquecento anni ha dichiarato ben due volte guerra ad Atena. Ma Hades è gestibile, nonostante tutto. Nella precedente guerra Santa e in quella precedente ancora, Atena è riuscita a sigillarlo e a riportare la pace.»
«Voi temete altro, vero Maestro?» Shura prego intensamente che almeno a quella domanda, Leoš avesse il buon senso di rispondere.
«Temere non è abbastanza, Shura.» rispose l'uomo. «Sono necessarie certezze.»
Si voltò. Shura non credeva di poter scorgere sul viso del suo Maestro, l'espressione gioviale a cui era abituato. Era sicuro che non l'avrebbe più rivista.
Si passò una mano sulla fronte. Ma perché, poi, gli era venuto quel pensiero.
E poi, c'era quella sensazione, quella cosa che gli si agitava dentro come se fosse viva. Voleva parlarne: non voleva tenerla così interamente dentro di sé.
«C'è questa cosa che sento... questa cosa a cui non riesco a dare un nome?»
Leoš lo guardò sorpreso per un attimo, poi le sue labbra si distesero in un sorriso.
«Spiegami, niño. Che cosa senti?»
Shura si guardò attorno. Gli alberi, le colonne di quel tempio della natura. Trasse un respiro. Irata. La selva definita dai suoi odori, dai suoi rumori, dalle sfumature delle foglie dei suoi alberi-colonna.
«Non lo so, Maestro. Dico davvero. Non lo capisco. La selva, questo luogo. Io lo so. È sacro. Ne sento la forza primitiva, la potenza. È qualcosa che mi fa soccombere, ma che allo stesso mi attira. Se potessi, resterei qui, per sempre. È come se...» serrò gli occhi per un istante. «... fossi tornato a casa.» riprese in un sussurro.
Leoš annuì.
«In un certo senso, Shura, il Capricorno è tornato a casa.» Lui fece per aprire bocca, ma Leoš gli appoggiò una mano sul braccio. «Non avere fretta di sapere. Lascia che il tempo faccia il suo corso e non avere paura di te stesso.»

 


Note dell'autrice: il prossimo capitolo sarà l'Epilogo e Los Sanfermines potrà dirsi concluso.

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


Los Sanfermines

 

[ Epilogo ]

 

Sono trascorsi quasi dieci anni dall'ultima volta che ha visto Leoš.
L'uomo è seduto a un tavolo. Tra le mani un bicchiere di vino. Anche se li separano l'intera sala, una decina di tavoli e altrettanti avventori, se non di più, Shura non riesce a liberarsi del suo sguardo, del bisogno di lasciarsi incatenare a lui.
Lo raggiunge e prende posto davanti a lui. L'uomo gli versa da bere e spinge il bicchiere nella sua direzione. Shura si limita ad adocchiarlo, prima di spostare nuovamente il suo sguardo sull'uomo. «Nemmeno un saluto, un bicchiere tra vecchi amici!»
«Non siamo mai stati amici, Maestro.» ribatte pacato.
Leoš sorride. C'è amarezza nella piega che hanno preso le sue labbra e c'è rassegnazione nelle spalle cascanti.
«Sarebbe stato meglio che tu non avessi indossato quell'armatura.»
Lo dice in un sussurro, un pensiero appena percepibile.
Shura stringe i pugni sotto il tavolo. È riuscito a riprendersi dopo il combattimento con Crio abbastanza rapidamente, ma le braccia gli fanno ancora male e non riesce più a brandire Caliburm come prima.
Ma non avete potuto. Il destino ci incatena e in un modo o nell'altro avete dovuto insegnarmi. Ne andava del vostro onore di Maestro delle Stelle.
«Dovete consegnarmi un qualcosa, se non sbaglio. E io non ho tempo da perdere con i Titani che premono alle porte del Santuario.»
Shura non ha voglia di rivangare il passato. Tutto ciò che vuole è prendere ciò che Leoš è venuto a dargli e andarsene.
L'uomo aggrotta la fronte. Sembra riflettere. Il dubbio e la preoccupazione sono due emozioni che raramente ha visto sul volto del suo Maestro.
Leoš si inchina. Shura vede una borsa di pelle abbandonata accanto alla sua sedia. Ne estrae una busta. Dallo spessore deduce che contiene molti fogli.
«Ho scritto tutti i dettagli qui dentro. Fa presente alla nostra signora che non c'è nulla di certo. Solo voci, avvistamenti, ma le descrizioni temo coincidano.»
Shura avverte un brivido corrergli lungo la schiena quando prende la busta.
I ricordi tornano a travolgerlo. Cose che vorrebbe cancellare, dimenticare. Ci sono troppi passati nella vita di un Figlio dell'Oro.
«Sono oltre due millenni che non abbiamo notizie della Furia.»
È un sussurro. La voce di Shura ha tremato, come accadeva quand'era bambino.
Leoš lo guarda. Sorride. Ma nel suo sorriso non c'è ilarità: c'è solo la tensione del terrore.

 


Note dell'autrice: In Sincretismo "La Furia" indica i tredici guerrieri più potenti di Ares e sono conosciuti con quell'appellativo. Sebbene di tanto in tanto nel corso degli ultimi duemila anni qualche Berserker di casta inferiore sia comparso, La Furia non si è mai fatta vedere, fino al XX secolo.
Aetna e Los Sanfermines sono sulla stessa lunghezza, non solo perché entrambi descrivono l'addestramento di due Gold Saint, ma anche perché entrambe le storie fanno intuire in modo più o meno chiaro che dietro ogni Gold Saint c'è qualcosa di più ... ehm... ancestrale?. Hellequin in Deathmask e ahahahah... non l'ha capito nessuno ... in Shura. Vi lascio qualche indizio: uno, sono i miti che circolano attorno al Capricorno - la capra Amaltea non c'entra nulla; l'altro è il continuo rimando alla natura, alla comunione con essa, ad Irata, alle continue allusioni di Leoš sul rispetto che Shura debba avere per essa e sul fatto che il suo vero potere è molto più antico. Il penultimo capitolo, "Espiazione", si conclude con una specie di manifestazione di questo misterioso potere.

Shura ci tiene a precisare, in ogni caso, che la sua è una spada sacra (e bbbasta!), soprattutto a Milo che non perde occasione di "mandarlo ad Avalon".

Ad ogni modo, in un mondo ideale, scriverei anche degli altri Gold; in questo, tutto dipende dai limiti del mio cervello e dalla disponibilità dei miti.
Spero che Sir Shura di Capricorno vi sia piaciuto, se no, a ognuno il suo Caprone («ciao, sono un messaggio subliminale») preferito.

P.S. - Notare come dopo tutto questo panegirico, mi sono guardata bene dal dirvi chi o cosa è il Capricorno.

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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