Domani è un altro giorno di 9Pepe4 (/viewuser.php?uid=55513)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 1 *** Prima parte ***
Domani
è un altro giorno
Prima
parte
Quando
Aragorn giunse dinanzi all’ingresso delle sale del
Reame Boscoso, gli Elfi Silvani di guardia incrociarono le loro lance
davanti alla porta con un clangore metallico.
L’intimazione
a non entrare era chiara, sebbene la diffidenza
delle loro espressioni fosse sfumata d’incertezza.
Era
possibile che fosse la prima volta che vedevano un uomo
così da vicino. O forse la loro perplessità non
era dovuta allo sconosciuto con capelli e barba scura, ma alla creatura
che si trascinava dietro.
Col
passare dei giorni, Gollum si era fatto più docile. Al
momento, giaceva di fianco ad Aragorn come un intrico biancastro di
arti lunghi e sgraziati.
Pareva
impossibile che una simile, rachitica creatura fosse riuscita a
fuggire da Mordor. Il Ramingo sospettava che non fosse scappato, ma che
fosse stato rimesso in libertà perché aveva un
qualche malvagio incarico da portare a termine.
Finalmente,
una delle guardie parlò. «Chi
siete?»
Siccome
aveva posto la domanda nella lingua corrente, seppur con un
accento abbastanza marcato, fu nella lingua corrente che Aragorn gli
rispose. «Potete chiederlo al vostro principe, Legolas
Verdefoglia. Lui sa bene chi sono, ed attende il mio arrivo ormai da
giorni».
Le
guardie si scambiarono uno sguardo, chiaramente incerte sul da
farsi. Non sembrava che stessero davvero considerando di lasciarlo
passare, però.
«Cosa
succede?»
Al
timbro di comando di quella nuova voce, i due Elfi sussultarono e
spostarono le lance per permettere ad una terza persona di uscire dalle
sale del Reame Boscoso.
Si
trattava di un Elfo-femmina dai capelli ramati, vestita di colori
scuri. Il suo volto aveva zigomi alti, un po’ angolosi, e lei
incontrò gli occhi di Aragorn con uno sguardo vibrante.
«Chi
sei?» lo interpellò.
L’uomo
fece per rispondere, ma in quel momento udì
un suono di zoccoli lungo il ponte alle sue spalle, ed una voce
melodica e familiare che lo chiamava.
«Aragorn!»
Si
voltò, in tempo per vedere Legolas – ormai
giunto dietro di lui – smontare agilmente da un cavallo
bianco.
Il
principe gli rivolse un sorriso luminoso, e si salutarono
stringendosi gli avambracci in un gesto cameratesco. «Ti
aspettavo da giorni, ormai, cosa ti ha trattenuto?»
Aragorn
si limitò a fare un gesto eloquente verso Gollum.
L’espressione di Legolas si fece seria, e lui si
voltò un attimo per affidare il destriero ad una delle
guardie, che lo condusse via senza una parola.
«E
così» esordì poi Legolas,
«questa è la creatura».
Aragorn
annuì. «Come ti ho scritto, mi occorre un
luogo dove rinchiuderla e poterla interrogare».
«Io
ed il re mio padre ti daremo volentieri il nostro
aiuto» asserì Legolas senza indugio.
Si
voltò verso la giovane dai capelli ramati, che aveva
seguito in silenzio il loro scambio, e lei annuì. Col mento,
fece cenno alla guardia rimasta e poi alla creatura accasciata a terra.
L’Elfo scattò subito in avanti per ricevere la
cavezza di Gollum dalle mani di Aragorn. Poi, dietro un secondo ordine,
trascinò la creatura all’interno del Reame
Boscoso, diretto alle segrete.
A
quel punto, Legolas esordì: «Tauriel, questo
è Aragorn, figlio di Arathorn. Il ranger che mi recai a
cercare anni fa».
Tauriel
guardò l’uomo, e i suoi occhi si
allargarono appena per la comprensione.
«Aragorn»
proseguì Legolas,
«permettimi di presentarti Tauriel, capitano delle guardie e
mia vecchia amica».
Aragorn
la guardò. «È un onore, mia
signora».
Le
labbra di Tauriel ebbero una breve contrazione.
«Preferisco essere chiamata capitano».
Aragorn
non abbassò gli occhi, ma inclinò appena
il capo. «Perdonate, capitano».
Dal
sorriso che Legolas si affrettò a nascondere,
l’uomo ebbe l’impressione che non fosse la prima
volta che assisteva ad una scena simile.
Entrarono
nel Reame Boscoso, e Tauriel si rivolse ad un paio di guardie
che sostavano poco lontano, impartendo qualche ordine in Sindarin, e
loro andarono immediatamente a sistemarsi davanti alle porte.
Sebbene
Aragorn non fosse certo estraneo all’architettura
elfica e Legolas gli avesse già parlato della propria casa,
non poté che rimanere impressionato dallo spettacolo che si
presentò ai suoi occhi.
In
un certo senso, varcare le soglie del Reame Boscoso fu come entrare
in un altro mondo. Un mondo selvatico ed armonioso al contempo, colmo
di alberi e arcate e ponti e ruscelli, dove era difficoltoso
distinguere tra elementi naturali ed architettonici.
Legolas
e Tauriel lo condussero sino al cospetto del sovrano. Re
Thranduil, seduto su un trono rialzato, era ammantato in abiti scuri
striati d’argento. I suoi lunghi capelli biondo platino erano
tenuti indietro dalla corona di rami e foglie autunnali che gli cingeva
la fronte.
Nel
vedere suo figlio ed il suo capitano che si avvicinavano scortando
Aragorn, ebbe un moto di sorpresa e si alzò in piedi, per
poi scendere gli scalini che portavano al suo trono.
«Re
Thranduil» disse Aragorn, con un breve inchino,
«vi sono grato per il vostro aiuto».
«Sei
il benvenuto, Aragorn, figlio di Arathorn»
replicò il sovrano, con voce cadenzata.
«È un piacere fare la tua conoscenza,
finalmente».
«Conoscere
voi è un onore, mio signore».
Thranduil
sorrise impercettibilmente. «Ti abbiamo
già fatto preparare delle stanze». Diede
un’occhiata al figlio come per leggere la sua espressione, e
concluse: «Suppongo che Legolas sarà lieto di
mostrartele».
«Vi
sono grato per la vostra ospitalità»
affermò Aragorn, «ma se non vi dispiace prima di
tutto vorrei recarmi ad interrogare Gollum».
Thranduil
gli rivolse uno sguardo indagatore. «Come
desideri» acconsentì comunque.
Legolas
si fece avanti. «Ti mostro la strada per le
segrete».
Si
congedarono dal sovrano, e mentre si allontanavano Aragorn lo
sentì rivolgersi al capitano delle guardie:
«Tauriel, ho bisogno del tuo rapporto sulla situazione lungo
i nostri confini».
«Sembri
davvero ansioso di ottenere informazioni»
commentò Legolas, quando si furono allontanati dalla sala
del trono.
Aragorn
annuì, ma non parlò dell’anello
o dei sospetti di Gandalf. «È vero»
rispose. «Gandalf verrà lui stesso ad interrogare
la creatura, ma se riuscissi ad ottenere qualche risposta prima di
allora sarebbe tempo guadagnato».
Legolas
sbatté le palpebre con una strana espressione.
«Anche Gandalf sta venendo qui?»
Aragorn
aggrottò la fronte. «Credevo vi avrebbe
avvertito». Tacque un istante. «È un
problema?»
«No»
disse Legolas, forse troppo in fretta,
«è soltanto che mio padre… non
nutre… particolare simpatia verso gli stregoni».
Il
modo in cui pronunciò quella frase, come se cercasse il
modo più gentile di dirlo, strappò ad Aragorn un
breve sorriso.
«Credi
non vorrà ospitarlo?»
domandò l’uomo, tornando serio mentre iniziavano a
scendere lungo una scalinata.
«Credo
lo tollererà» sospirò
Legolas, corrucciandosi lievemente.
Svoltarono,
camminando per un breve tratto, quindi imboccarono
un’altra scalinata – più stretta,
stavolta – e ripresero a scendere.
Le
segrete erano le viscere del Reame Boscoso, illuminate da alcune
torce. Legolas lo accompagnò sino alla cella di Gollum,
chiamando il custode delle chiavi perché la aprisse,
dopodiché se ne andò per svolgere i doveri che lo
attendevano.
Una
volta rimasto solo con la creatura, che si era rintanata in un
angolo della cella e lo fissava con occhi malevoli, Aragorn si
abbassò poggiando un ginocchio a terra e parlò
con voce calma ma inflessibile.
Gollum
non rispose alle sue domande, sibilando furioso a proposito di
ladri dalle mani grassocce.
Ad
un certo punto, si scagliò contro Aragorn, protendendo le
dita ossute come per cercare di cavargli gli occhi.
L’uomo
lo respinse con facilità, e la creatura si
appallottolò piagnucolando sul pavimento.
Aragorn
la contemplò in silenzio, e a quel punto
udì un lieve colpo sulle sbarre della prigione. Si
voltò; fuori dalla cella sostava il capitano Tauriel, che
gli fece segno di raggiungerla.
Con
un’ultima occhiata a Gollum, Aragorn si alzò
in piedi ed uscì dalla cella. «Sì,
capitano?» chiese, chiudendosi la porta alle spalle.
«Il
principe Legolas è stato trattenuto»
replicò Tauriel, «per cui mi ha chiesto di venirvi
a chiamare al suo posto. Vi vedrà più tardi a
cena».
«A
cena?» chiese Aragorn, accigliandosi.
«Può
essere rimandata di un’ora, se
avete bisogno di più tempo».
L’uomo
indugiò un istante. In ogni modo, dubitava
che quel giorno sarebbe riuscito a strappare a Gollum una qualsiasi
informazione. «Non è necessario».
«Vi
accompagno nelle vostre stanze»
asserì allora Tauriel.
Aragorn
si rese conto che lei si stava rigirando qualcosa nella mano
destra con fare distratto. Non riuscì a vedere di cosa si
trattasse, però.
In
silenzio, presero a salire i gradini. Mentre oltrepassavano una
delle celle, Aragorn fu quasi certo che Tauriel si irrigidisse, ma
quando la guardò lei teneva gli occhi puntati davanti a
sé con determinazione. Aveva smesso di rigirarsi
l’oggetto tra le dita; ora lo teneva stretto nel pugno.
«È
un talismano?» le chiese Aragorn,
rompendo il silenzio.
Tauriel
lo fissò, poi i suoi occhi guizzarono sul suo pugno
chiuso. Le sue labbra si contrassero. «È solo un
ricordo» rispose, e dal suo tono era evidente che trovava la
situazione in qualche modo ironica.
«Posso
vederlo?»
Erano
ormai fuori dalle segrete; imboccarono un corridoio, e Tauriel
sollevò la mano e schiuse le dita per mostrare brevemente
l’oggetto ad Aragorn.
Era
una pietra scura e levigata, dagli angoli accuratamente smussati, e
recava incise alcune rune.
Non
erano parole elfiche.
«È
nanico?» domandò Aragorn,
lanciando a Tauriel uno sguardo inquisitorio.
Lei
si fece scivolare la pietra in una tasca. «Sapete cosa
significa?» chiese di rimando.
L’uomo
scosse il capo. «Il riserbo dei Nani sul
loro linguaggio è davvero estremo».
Tauriel
tornò a guardare in avanti, emettendo una sorta di
«mmm». Capendo che lei preferiva lasciar cadere
l’argomento, Aragorn non insistette.
Tra
Elfi e Nani non scorreva buon sangue. C’erano delle
eccezioni, certamente, Elfi tolleranti come Elrond di Imladris, ma la
gente di Bosco Atro non pareva rientrare in quella categoria.
Aragorn
pensò a Legolas. Negli anni in cui avevano viaggiato
insieme e combattuto fianco a fianco, aveva notato che il principe del
Reame Boscoso sembrava nutrire nei riguardi dei Nani
un’ostilità particolare.
Non
se n’era stupito. In fondo, Thranduil del Reame Boscoso
era stato un tempo Thranduil del Doriath, ed il re del Doriath era
stato massacrato per mano dei Nani, così come molte delle
sue genti.
Tauriel
si fermò ad aprire con disinvoltura delle porte
intagliate. «Questi sono i vostri alloggi».
Aragorn
entrò guardandosi attorno. Stanze spaziose e ben
arieggiate, colonne che sembravano – o forse erano
– alberi dai tronchi sottili che erano cresciuti
aggrovigliandosi gli uni agli altri.
«Dovrebbero
esserci degli abiti, sul letto» lo
informò Tauriel, prima di ritirarsi per lasciargli qualche
momento in privato.
Non
sembrava proprio il genere di persona capace di parlare del
più e del meno.
Gli
abiti, scoprì Aragorn, non erano la sola cosa ad
aspettarlo in camera da letto. C’erano anche due catini, uno
pieno di acqua calda e l’altro di acqua fredda, un pezzo di
sapone particolarmente grosso ed una salvietta morbida.
Aragorn
si lavò con cura, per poi asciugarsi ed indossare
gli abiti puliti. Erano esattamente della sua misura, ma lui aveva
trascorso abbastanza tempo con gli Elfi per non stupirsene.
Quando
uscì, Tauriel era ferma davanti alle sue stanze. Lo
guardò sbattendo le palpebre, ma non offrì alcun
commento e la sua espressione rimase indecifrabile.
«Da
questa parte» si limitò a dire,
guidandolo con sicurezza lungo i passaggi del Reame Boscoso.
Stavano
salendo verso l’alto, notò Aragorn.
Dopo
qualche momento, giunsero a quella che doveva essere la sala dei
banchetti. Era delimitata da innumerevoli colonne, simili a fusti di
alberi altissimi, e ciò dava l’impressione che si
trattasse di una radura circolare.
Il
pavimento era venato di grigio e verde, ed il lungo tavolo era
riccamente imbandito.
Thranduil,
ora vestito di porpora, gli venne incontro seguito da
Legolas. Il principe indossava un paio di pantaloni azzurri finemente
ricamati ed una sovratunica bianca con decorazioni dorate.
«Confido
che le stanze che vi ho assegnato siano di vostro
gradimento» esordì Thranduil, apparendo quasi
compiaciuto dell’aspetto ora più pulito del suo
ospite.
«Non
potrei chiederne di migliori» gli
assicurò Aragorn.
Un
sorriso incurvò le labbra del sovrano. «Mi
auguro che questa cena non sarà da meno».
A
quel punto, Legolas si fece avanti, chiaramente costernato per non
essersi fatto più vedere. Mentre Aragorn gli assicurava che
non gli doveva alcuna scusa, Tauriel affiancò il sovrano del
Reame Boscoso.
Thranduil
inclinò il capo verso di lei per mormorarle
qualcosa, e Tauriel si lasciò sfuggire un sorriso. Era la
prima volta che Aragorn la vedeva sorridere.
Un
momento dopo, si mossero per andare a sedersi. Il re si
sistemò a capotavola, ovviamente, mentre ad Aragorn
spettò il posto d’onore alla sua destra. Credeva
che Legolas sarebbe stato alla sinistra del re, e invece il principe si
accomodò accanto a lui mentre l’altro posto vicino
a Thranduil veniva occupato da Tauriel.
Aragorn
si domandò se lei pranzasse e cenasse sempre con la
famiglia reale. Legolas gli aveva parlato di lei, della bambina che
aveva perso i genitori in un’imboscata di Orchi ed era stata
accolta da re Thranduil. Ad Aragorn era parso subito chiaro che il
principe la considerava parte della propria famiglia, ed ora si chiese
se anche il sovrano condividesse quel sentimento.
Alcuni
Elfi Silvani iniziarono a servire loro le prime portate. Erano
deliziose, i sapori forti e gustosi.
Thranduil
s’informò sul viaggio di Aragorn, ed
intavolò con lui una cortese conversazione, per poi
lasciarlo libero di chiacchierare con Legolas.
Tauriel
era abbastanza silenziosa, e mangiava a testa china, ma quando
Legolas la chiamava a supportare uno dei suoi aneddoti, lei offriva
dettagli o commenti senza farsi troppo pregare.
In
piedi alle spalle di Thranduil si trovava un Elfo Silvano dai
capelli castani, che riempiva di vino il bicchiere del sovrano ogni
volta che lo vedeva vuoto, e che si mise a fare lo stesso con quello di
Aragorn.
Ad
un certo punto, l’uomo coprì il calice con la
propria mano. «Sono a posto così,
grazie».
L’Elfo
scosse la testa con rammarico e disse: «Ma
questo vino è deliziosamente fruttato. Dovete
provarlo».
«L’ultimo
bicchiere» cedette Aragorn, e
l’altro parve alquanto lieto di quel compromesso.
«Galion»
sussurrò Legolas
all’uomo un momento più tardi, accennando
all’Elfo Silvano. «Non si farebbe remore nemmeno a
tentare di far ubriacare i Valar in persona».
Il
giorno successivo, Aragorn tornò ad indossare i propri
vestiti. Trascorse la mattina nelle segrete, ma Gollum rifiutava ancora
di rispondere alle sue domande.
Alla
fine, stanco e quasi frustrato, l’uomo concluse che
Gandalf avrebbe dovuto ottenere per conto proprio le informazioni che
gli interessavano.
Uscì
dalla cella e chiese ad una guardia se poteva
mostrargli dove si trovava il centro di addestramento. L’Elfo lo condusse nel luogo richiesto senza alcun commento.
Si
trattava di una sorta di arena molto ampia, e disseminati qua e
là si trovavano bersagli di varie forme e dimensioni e
fantocci di legno e paglia. C’era anche una pista ad ostacoli
– per i cavallerizzi, immaginò Aragorn.
Si
guardò attorno, soffermandosi per un istante su un gruppo
di Elfi Silvani che si stava esercitando nel tiro con l’arco,
poi notò una figura familiare che si allenava in disparte.
Dopo un momento, si diresse verso di lei.
Tauriel
si muoveva fluidamente. Armata di due pugnali, tracciava
spirali nell’aria e mimava affondi e parate.
«Buon
mattino, capitano» disse Aragorn, per
annunciare la propria presenza.
Tauriel
si bloccò e si voltò verso di lui.
«Buon mattino, mio signore» replicò.
«Potete
indicarmi dove posso trovare un arco per fare un
po’ di esercizio?»
Tauriel
non seppe nascondere il proprio scetticismo. «Non
sembrate un tipo da arco e frecce».
«Può
darsi» rispose Aragorn, chiedendosi
cosa le avesse dato quell’impressione. «Ma allenare
la propria mira non fa mai male».
«Certo…»
Lei lo scrutò per
qualche istante, poi – i pugnali ancora in mano –
gli fece cenno di seguirla.
Lo
guidò sino all’altro capo dell’arena,
dove su un muro sottile, sorvegliato da due Elfi Silvani, erano esposti
alcuni archi di varia fattura.
Aragorn
prese quello delle dimensioni che più gli si
confacevano, raccolse una delle faretre posate a terra, e
tornò indietro con Tauriel.
«Il
principe Legolas ha detto che hai talento con arco e
frecce» le disse.
Tauriel
gli rivolse un’occhiata di traverso, ma
sembrò gradire quel complimento sottinteso.
«Parla
di te con grande affetto» aggiunse Aragorn.
Tauriel
si fermò. «Non morirò del mio
dolore, se è questo che credi» gli disse, quasi
bruscamente.
L’uomo
si arrestò a propria volta, preso in
contropiede da quell’uscita. Di cosa stava parlando?
«Mi
dispiace» disse dopo qualche momento, con
franchezza. «Non intendevo essere indiscreto».
Tauriel
strinse appena gli occhi, poi spostò
l’attenzione sui propri pugnali. Li soppesò come
per valutarne l’equilibrio, li fece roteare un paio di volte,
quindi tornò a guardare Aragorn.
«Ho
vissuto a Dale, per qualche tempo»
affermò.
Lui
aggrottò la fronte. «La conosco»
rispose, cautamente.
Era
una città che sorgeva presso la Montagna
Solitaria… La patria del popolo di Durin. Se si aspettava
che Tauriel gli stesse per parlare di un Nano, però, si
sbagliava.
«Avevo
compiuto alcune… azioni… che
avevano portato re Thranduil ad esiliarmi per dodici anni. Sono stata
ospitata da un uomo. Io mettevo le mie conoscenze militari a
disposizione sua e dei suoi soldati, e lui mi ripagava con vitto e
alloggio». Fece una pausa e la sua espressione si fece
distante. «Aveva tre figli: Bain, Sigrid e Tilda. Mi
ero… affezionata a loro, e loro a me».
Un
sorriso affiorò alle labbra di Tauriel, e due fossette le
comparvero sulle guance.
«Erano
dei ragazzi intelligenti, buoni e generosi. Mi hanno
aiutata durante un periodo difficile, quando sentivo di non aver
più uno scopo».
Aragorn
non disse nulla.
«Tilda
aveva l’abitudine di sedersi nel mio grembo
quando le sembrava fossi infelice, Bain mi chiedeva delle usanze del
mio popolo per distrarmi, e Sigrid… mi raccontava della sua
giornata, e mi ha insegnato come prendermi cura di una casa».
L’uomo
annuì, passando una mano sulla curva
dell’arco.
«Ho
insegnato a combattere anche a loro»
proseguì Tauriel. «Bain conosceva già i
rudimenti della spada, Sigrid si è rivelata portata per il
tiro con l’arco, mentre Tilda… lei preferiva i
pugnali». Si fermò di nuovo, ed ogni traccia di
sorriso scomparve dal suo volto. «Alcuni anni più
tardi, c’è stata un epidemia di febbre. Sono morti
alcuni bambini. Alcuni mesi dopo, me ne sono andata».
Pronunciò
l’ultima frase con una nota definitiva
nella voce, ma Aragorn le domandò con cautela:
«Posso chiedervi come mai, mia…
capitano?»
Tauriel
incontrò il suo sguardo. «Era da tempo che
il mio cuore desiderava viaggiare, ma continuavo a rimandare.
Quell’episodio mi ha ricordato quanto sia fragile la vita
degli Uomini, ed ho compreso che se mi fossi attardata ancora me ne
sarei andata soltanto quando fossero morti. E non volevo che fosse
quella la ragione della mia partenza».
Aragorn
annuì. «Non è stata una
separazione dolorosa?»
«Certo
che la è stata» disse Tauriel,
dandogli un’occhiata quasi incredula. Poi si
irrigidì. «Ma loro avevano la loro vita, che
cambiava molto più in fretta della mia. In soli quattro
anni, erano maturati moltissimo… Bain aveva addirittura
trovato una fanciulla da corteggiare… mentre io ero sempre
uguale. Avevo l’impressione di tenerli bloccati».
«Capisco»
mormorò Aragorn, aggrottando
la fronte.
Avrebbe
voluto domandare cosa ne era stato dei tre ragazzi. Vivevano
ancora? Erano morti da tempo?
Guardando
il volto tirato di Tauriel, improvvisamente pensò
ad Arwen ed ebbe un attimo di vertigine. Non era un bene, per gli Elfi,
permettersi di amare i mortali.
Tauriel
gli aveva detto che non si sarebbe lasciata sopraffare dal
dolore… Ma non era raro che agli Elfi accadesse il
contrario, dato quanto profondamente sentivano le proprie emozioni.
Il
loro spirito era più forte del loro corpo, e se da una
parte questo impediva loro di essere contagiati da malattie e li
aiutava a guarire più in fretta, dall’altra un
dolore profondo poteva cambiarli nel fisico e nell’aspetto.
Poteva ucciderli.
Per
tentare di distrarsi da quei pensieri tumultuosi, Aragorn si volse
verso il bersaglio più vicino ed alzò
l’arco.
Tauriel
non parve prendere a male l’interruzione della loro
conversazione. Semplicemente, ritornò a concentrarsi sui
propri pugnali.
Poco
dopo, Legolas li raggiunse. Fece a Tauriel un cenno col capo,
quindi si rivolse ad Aragorn.
«Il
centro era più a destra» lo
informò, con la sua voce melodica.
L’uomo
abbassò l’arco e
guardò il principe inarcando le sopracciglia. Legolas
sorrise.
Aragorn
tornò a voltarsi verso il bersaglio, puntando la
freccia un po’ più a destra…
Lasciò andare la corda, e fece un centro perfetto.
«Sono
colpito» commentò Legolas, con un
largo sorriso, e Aragorn gli sbatté arco e faretra contro il
petto, ma non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
«Vuoi
mostrarmi un’altra parte del tuo regno, prima
che me ne vada?»
Legolas
tornò serio, chiudendo le mani attorno
all’arco. «Devi lasciarci?»
«Temo
di sì».
«E
per quanto riguarda Gollum?» domandò
Tauriel, aggrottando la fronte.
«Dovrebbe
arrivare Gandalf a proseguire
l’interrogatorio» rispose Aragorn.
L’espressione
di lei si fece imperscrutabile.
«Mithrandir?» chiese. Spostò gli occhi
su Legolas. «Il re ne è al corrente?»
Il
principe indugiò. «Non ancora».
Tauriel
arricciò il naso – ad Aragorn
ricordò molto l’espressione di Legolas davanti a
qualcosa di disgustoso. «Non dirmi che intendi fargli una
sorpresa».
«Certo
che no» rispose Legolas, e parve un
po’ offeso da quell’ipotesi. «Ho
intenzione di dirglielo subito dopo la partenza di Aragorn».
Tauriel
scoccò un’occhiata all’uomo.
«Capisco».
«Vuoi
unirti a noi, adesso?» le propose il principe.
Lei
scosse il capo. «Ho altri impegni».
Così
la salutarono, dopodiché riportarono arco e
faretra al loro posto e si incamminarono. Conversarono tra loro,
passeggiando nelle meravigliose sale del Reame Boscoso.
Talvolta,
Legolas accompagnava il loro itinerario con qualche aneddoto,
accennando ad una colonna su cui si era arrampicato da bambino, o
parlando di quando aveva fatto da palo mentre Tauriel sgraffignava dei
dolci in cucina, o indicando ad Aragorn il luogo in cui riceveva le
lezioni in caso di maltempo. Gli parlò anche del proprio padre, con un affetto e un orgoglio quasi palpabili.
Alla
fine, giunse il momento della partenza dell’uomo.
Aragorn
passò a porgere i suoi ringraziamenti a re
Thranduil, dopodiché Legolas lo accompagnò fuori
dal Reame Boscoso.
«Buon
viaggio» gli augurò, «e
buona fortuna».
«Alla
prossima avventura» replicò
Aragorn, senza sapere quanto presto sarebbe cominciata.
Note:
Non lo so. Davvero, non lo so.
Probabilmente avrei fatto meglio a lasciare questa storia nella mia
cartella per sempre. Ma uhm, okay. Ho deciso di darle una chance.
Un grazie ENORME ad Echadwen
per la sua fiducia che non mi meritooo D:
La seconda parte (saranno tre in tutto) arriverà
venerdì 19 febbraio.
(Comunque posso sempre cancellarla dalla faccia della Terra. Si può fare. Niente è irrimediabile.)
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Capitolo 2 *** Seconda parte ***
Seconda
parte
Il giorno
dopo la partenza del Ramingo, Mithrandir giunse al Reame
Boscoso.
Tauriel
non lo vide di persona, ma capì che era arrivato
quando vide Galion dirigersi verso la sala del trono con una
generosissima quantità di vino.
Come
previsto, Thranduil non doveva essere molto entusiasta del nuovo
ospite, ma ciononostante lo accolse nel proprio regno e lo fece
scortare sino alla cella di Gollum.
Tauriel
cercò di tenersi alla larga. Sebbene non avesse
nulla contro lo stregone, preferiva non ricordare l’occasione
in cui si erano incontrati per la prima volta.
Supervisionò
l’addestramento di alcune reclute,
invece, e più tardi fu convocata da Thranduil.
Pensava
che il re desiderasse un qualche aggiornamento, ma lui non la
aspettava nella sala del trono, bensì nella grotta
germogliante.
Nonostante
il nome, più che una grotta era un giardino.
Delimitato da siepi in fiore, aveva una piccola fontana al centro.
Quando
Tauriel era bambina, aveva trovato il modo di intasare la
fontana e bagnarsi da capo a piedi, ragion per cui quel luogo le era
stato interdetto. Di conseguenza, le pareva magico ed affascinante.
Cercava continuamente di sgattaiolarvi dentro, ed insisteva sempre
affinché Legolas gliene parlasse, per poi ascoltare ad occhi
spalancati mentre lui diceva di esserci stato, da piccolo, e di aver
giocato con le ninfee che galleggiavano nella vasca della fontana.
Al
proprio arrivo, quel giorno, trovò Thranduil in compagnia
del principe. Stavano parlando in tono serio e sommesso, ma al suo
arrivo tacquero e Legolas le sorrise.
«Io
vado» disse, e Thranduil annuì.
Il
principe si diresse verso l’uscita del giardino, e Tauriel
si fece da parte per lasciarlo passare.
«Pattuglia»
le disse lui, a mo’ di
spiegazione.
La
oltrepassò, e Tauriel gli diede una rapida occhiata prima
di avanzare verso il re.
«Cammina
con me» le disse soltanto Thranduil.
Prima
della Battaglia delle Cinque Armate, Tauriel l’avrebbe
trovata una richiesta strana, e avrebbe preferito che lui le dicesse
subito quali erano i suoi ordini. Da quando era tornata a Bosco Atro
dopo il proprio esilio, però, il loro rapporto si era fatto
più saldo.
Tra
una conversazione e l’altra, Thranduil aveva addirittura
accennato alla sua defunta moglie. Non con lunghi discorsi, ma con una
manciata di frasi quasi casuali. Poteva trattarsi di un commento verso
un cespuglio fiorito – «mia moglie detestava il
profumo dolciastro di quei boccioli» – o verso dei
vecchi tomi – «erano i suoi libri
prediletti» – ma Tauriel ora sapeva quanto potesse
essere difficile anche una sola frase, e ne faceva tesoro.
Tra
sé e sé, aveva iniziato a farsi
un’immagine della regina: una valida combattente, ma
interessata più alla lettura e alla scrittura che alle armi.
Era
scossa dal fatto che Thranduil avesse deciso di essere
così aperto con lei, di donarle di nuovo la propria fiducia.
Al
contempo si sentiva più sicura, come se avesse ritrovato
il proprio posto nella famiglia reale. Si era già sentita
così, in passato, prima che cominciassero i dubbi. Prima che
iniziasse a pensare di essere solo un capitano delle guardie, per
Thranduil e Legolas, e che cercasse di conseguenza di distanziarsi da
loro. Ora come ora, si sentiva quasi sciocca per quei pensieri.
Passeggiarono
in silenzio per qualche istante, per poi fermarsi accanto
alle pietre che probabilmente davano il nome al giardino. Erano grandi
a sufficienza da poter fungere da panchine, ed erano ricoperte di
boccioli variopinti.
«Qualcosa
ti preoccupa, mio signore?»
domandò Tauriel.
Un’ombra
passò sul volto accigliato di Thranduil.
«Molte cose mi preoccupano» rispose lui, e sembrava
piuttosto stanco. «Temo che la Battaglia di
sessant’anni fa non sia stata che un preludio a qualcosa di
più terribile».
Alla
menzione della Battaglia delle Cinque Armate, Tauriel
sentì la gola seccarsi. «Più
terribile?» ripeté, e all’improvviso le
sembrò che tutta la sua giovinezza ed inesperienza le
gravassero sulle spalle.
Per
lei, quello scontro era stato un orrore inimmaginabile. Thranduil,
però, parlava di orrori ben più grandi. Thranduil
aveva visto orrori ben più grandi.
«Temo
che…» iniziò il
sovrano, poi vide la sua espressione e si interruppe. Scosse la testa.
«Per ora, il tuo compito è aumentare la
sorveglianza ed occuparti di Sméagol».
Tauriel
aggrottò la fronte.
«Sméagol?»
«Gollum»
rispose Thranduil. «Pare fosse
questo il suo nome, un tempo».
Lei
pensò alla pallida creatura nelle loro segrete e
rabbrividì d’inquietudine e disgusto.
«Che cosa gli è accaduto, mio signore?»
Thranduil
si incupì. «Lo posso solo supporre. Ma
temo ciò che può averlo portato alla
pazzia». La guardò, e la sua espressione parve
ammorbidirsi. «Questo peso non è tuo da portare,
Tauriel».
Non preoccuparti prima del tempo.
Lei
abbassò lo sguardo sul masso ricoperto di fiori in
germoglio, tentando di riordinare le proprie idee. Poi
rialzò gli occhi sul proprio re e fece per riaprir bocca, ma
in quel momento arrivò una guardia dall’aria
trafelata.
«Mio
re Thranduil» disse, con un certo affanno,
«Mithrandir è pronto a partire».
Thranduil
gli rivolse un cenno secco del capo. «Voglio sapere
cosa mai ha scoperto» affermò, rivolgendosi anche
a Tauriel, per poi lasciare il giardino in un fruscio di vesti, seguito
dalla frastornata guardia.
Rimasta
sola, Tauriel si avvicinò alla fontana e tese una
mano a sfiorare una delle ninfee che galleggiavano
sull’acqua. Il pensiero di un Legolas bambino che faceva lo
stesso gesto, forse sorvegliato dallo sguardo amorevole di sua madre,
rasserenò appena la sua espressione turbata.
Qualunque
risposta Mithrandir avesse ottenuto, dopo la sua partenza
Thranduil si fece più teso e impensierito. Allo stesso
tempo, però, lo stregone aveva lasciato alle guardie una
speranza di guarigione per Gollum.
Tauriel
era intenta a proporre a Legolas alcuni cambiamenti nei turni
delle pattuglie, quando vennero raggiunti da Inhel, una guardia dai
lisci capelli scuri e le labbra carnose.
Inhel
aveva minuscoli fiorellini bianchi nelle trecce che le tenevano
libero il volto, un aspetto esile, ed era tendenzialmente taciturna.
Dopo
che Tauriel era riuscita a riottenere il proprio posto come
capitano delle guardie, Thranduil le aveva talvolta affidato incarichi
come esploratrice o messaggera, e durante le sue assenze era stata
proprio Inhel a sostituirla.
Così,
Tauriel aveva avuto modo di scoprire che non solo
Inhel aveva polso, ma che sapeva anche come far sentire le proprie
ragioni.
«Mio
principe, mio capitano» li salutò
la guardia, con un rispettoso inchino.
Tauriel
e Legolas si scambiarono un’occhiata, poi Tauriel
domandò: «Che succede?»
Inhel
incontrò i suoi occhi. «Si tratta di
Sméagol, capitano».
«Ha
causato dei problemi?» chiese Tauriel, mentre
Legolas si accigliava.
«No,
non si tratta di questo» rispose subito Inhel.
«Io ed altri che lo sorvegliamo abbiamo pensato alle parole
di Mithrandir su una sua possibile guarigione, e vorremmo tentare di
aiutarlo».
Legolas
la guardò con improvviso interesse. «In
che modo?»
Inhel
ebbe un momento di indugio, ma si riprese in fretta ed
alzò il mento. «Forse, se ogni tanto potessimo
farlo uscire dalla cella, camminare un po’, anche solo su e
giù per le scale delle segrete…»
Legolas
continuò a guardarla per un momento, assorto, dunque
si rivolse a Tauriel. «Potrebbe avere un effetto positivo su
di lui».
Lei
rifletté brevemente. Trovava difficile provare per
Gollum qualcosa di diverso dalla diffidenza, ma riconosceva che
lasciarlo marcire in cella per sempre non avrebbe portato nessun
miglioramento.
Così
annuì, e tornò a guardare Inhel.
«È un’idea valida».
La
guardia le rivolse un sorriso luminoso.
«Chiederò
il parere del re e vi
informerò della sua decisione» concluse Tauriel,
senza riuscire ad evitare di sorridere appena in risposta.
«Grazie,
mio capitano» disse Inhel, chinando la
testa, e i suoi capelli scuri scivolarono in avanti. Rivolse a Legolas
un rispettoso «mio principe» e se ne
andò.
«È
brava» commentò Legolas,
poi tacque un momento ed aggiunse in tono quasi casuale:
«Potremmo passare al centro di addestramento, dopo che avrai
parlato con mio padre di questa faccenda».
Tauriel
inarcò un sopracciglio. «Mi stai
proponendo una sfida?»
Legolas
guardò altrove. «Be’, se pensi
che perderai…»
Lei
sapeva che il principe la conosceva bene, e che probabilmente aveva
utilizzato quelle parole – e quel tono – proprio
per stuzzicarla, ma non poté fare a meno di scoccargli
un’occhiata risentita. «Io non
perderò» gli disse, adombrandosi.
Legolas
sorrise. «Può darsi, ma reagisci ancora
come quando eri una bambina».
«Ti
ricordo» disse Tauriel, fingendo di non aver
sentito, «che ho ricevuto grandi elogi sin dal primo Elfo che
si è occupato del mio addestramento».
«Il
buon Magoldir» annuì Legolas.
«E io ti ricordo che io e lui ci allenavamo insieme
già da secoli prima della tua nascita».
«Immagino
tutte le volte che ti avrà sconfitto
nell’uso della spada».
Legolas
scosse la testa. «Immagina piuttosto tutti i trucchi
che ha avuto tempo di insegnarmi» suggerì,
«e roditi il fegato».
«Preferisco
aspettare» rispose Tauriel.
«Prima o poi me li mostrerai tutti».
Il
principe sorrise appena. «Centro
d’addestramento?»
«D’accordo»
cedette Tauriel,
«ma ad una condizione. Scelgo io le armi».
Legolas
annuì. «Condizione accettata. Ora,
tornando ai cambiamenti che mi hai proposto…»
Quando
furono riusciti ad accordarsi su quali modifiche erano
necessarie e su quali erano superflue, Tauriel si recò da
Thranduil.
Il
sovrano teneva un calice di vino tra le dita, e la sua espressione
era distante.
Quando
notò Tauriel, tuttavia, si riscosse ed
ascoltò con attenzione la proposta di Inhel.
Considerò in silenzio la cosa per qualche istante, facendo
ondeggiare appena il bicchiere di vino tra le proprie dita, poi rivolse
a Tauriel un cenno affermativo.
«Forse»
le disse, «sarebbe addirittura il
caso di portarlo all’aria aperta. Fargli prendere un
po’ di sole».
Tauriel
si inchinò e fece per andarsene, ma poi si
fermò e domandò: «Mio re.
C’è qualcosa che posso fare?»
Thranduil
si voltò a guardarla ed accennò un
sorriso. «No» rispose, «ma ti
ringrazio».
Tauriel
annuì, quindi lasciò in silenzio la
stanza e portò la notizia ad Inhel e alle altre guardie.
Ebbene,
a quanto pareva si sarebbe dovuta occupare di organizzare degli
altri turni. Non subito, però, naturalmente. Prima, doveva
vincere una sfida contro un certo principe…
All’inizio,
Gollum non parve contento di essere portato alla
luce del sole. Se ne lamentò con voce stridula, gettandosi a
terra e contorcendosi.
Poco
a poco, però, iniziò a spostarsi nel bosco
con meno proteste. Prese l’abitudine di arrampicarsi su un
grande faggio che cresceva distante dagli altri alberi, e sembrava
piacergli.
Una
parte della corteccia, divorata dai funghi, era spugnosa e
biancastra, ed una volta Gollum le diede una leccata, per poi
sputacchiare sulle teste degli Elfi che l’avevano
accompagnato.
Alcune
guardie erano nervose all’idea di permettergli di
salire sino ai rami più alti, ma Tauriel cercò di
calmarle. «Lasciatelo fare» disse, «in
fondo lassù potrà godere del sole e del vento
fresco, due cose di cui ha certamente bisogno. Assicuratevi
però che ci sia sempre una sentinella ai piedi
dell’albero».
Lei
iniziò a condividere la pietà di Legolas e di
Inhel in un pomeriggio assolato, dopo aver visto Gollum che quasi
saltellava per l’impazienza di raggiungere il grande albero.
Lo
osservò mentre si arrampicava, tutto pelle biancastra e
ossa sporgenti, e per un momento le parve di vedere il guizzo di una
creatura diversa, innocua e pacifica.
“Cosa
mai può essergli successo, per ridurlo
così?” si domandò, con una stretta al
cuore che era a metà paura e a metà compassione.
Probabilmente,
le loro esperienze erano completamente diverse, ma non
riusciva più ad evitare di sentire una strana empatia. In
fondo, anche quanto era successo a lei l’aveva segnata,
anche se non certo in modo così evidente e mostruoso.
Pensò
alla propria infanzia, alle settimane dopo la morte
dei suoi genitori. Ricordò un periodo in cui vedeva pericoli
ovunque e qualsiasi suono improvviso le faceva credere che gli Orchi
fossero tornati per ucciderla.
Si
sentiva al sicuro solo accanto a Thranduil. E in uno di quei giorni
gli aveva chiesto, toccandogli le vesti suntuose, se anche lui aveva
degli incubi.
Thranduil
aveva abbassato lo sguardo su di lei, increspando la fronte.
Le aveva posato una mano dietro la nuca e l’aveva scrutata
per qualche istante. Poi aveva distolto gli occhi, e le aveva detto che
agli Elfi non era dato di dimenticare.
All’epoca
Tauriel non aveva capito cosa volesse dire. Non
appieno. Aveva solo pensato che non avrebbe mai perso i ricordi dei
suoi genitori.
Le
ci era voluta l’uccisione di Kíli per
comprendere – comprendere davvero, sin dentro le ossa
– le parole del re.
Non
era soltanto una consolazione. Era anche una condanna.
E
poi c’era stata Álof, una donna di
mezz’età che aveva conosciuto durante il proprio
esilio. Un giorno l’aveva trovata seduta fuori dalla sua
casa, immobile e con un’espressione serena come se si fosse
addormentata.
Tauriel
ricordava ancora il proprio shock. Fino ad allora, il concetto
di una morte non violenta le era stato estraneo e difficile da
afferrare. Vedendo il lieve sorriso che incurvava le labbra di
Álof, si era chiesta se fosse stato piacevole come cedere al
sonno. Si era chiesta, in un angolo più recondito della
propria mente, come sarebbe stato sdraiarsi sull’erba e
chiudere gli occhi e semplicemente cessare di esistere.
Quando
aveva saputo della morte di Bain e Sigrid, poi, si era sentita
come se tutta l’aria venisse strizzata fuori dai suoi
polmoni. Le era parso irreale. Le sembrava fosse trascorso
così poco tempo, dall’ultima volta che li aveva
visti… e se le loro vite avevano impiegato così
poco a finire, quanto poco ci sarebbe voluto perché
venissero dimenticati?
“Io
li ricorderò” si era ripetuta spesso
nel buio delle proprie stanze, mordendosi le labbra a sangue.
“Io li ricorderò”.
Ma
non riusciva ad evitare la consapevolezza che presto, tra gli
Uomini, si sarebbe persa ogni loro memoria, e temeva il momento in cui
anche Tilda avrebbe lasciato il mondo dei viventi.
Ora
era il figlio di Bain, Brand, a regnare su Dale. Talvolta, Tauriel
aveva pensato di recarsi a vederlo, ma alla fine aveva deciso che era
meglio di no. Ormai era un adulto anche lui, e non le serviva che
questo le ricordasse quanto erano brevi le vite degli Uomini.
Come
aveva detto ad Aragorn, sapeva che nonostante tutto non avrebbe
ceduto. Si sentiva ancora troppo viva e motivata, sebbene talvolta
avvertisse una stanca disillusione che minacciava di toglierle le
forze. Semplicemente, aveva troppe ragioni per andare avanti.
La
sola cosa che la preoccupava era di poter essere meno efficiente, e
per questo si allenava con più costanza di quanto avesse mai
fatto. Aveva notato che tendeva a stancarsi prima, anche se solo di
poco, e metteva costantemente alla prova la propria resistenza.
Quella
sera, si stava giusto asciugando la fronte dopo una serie di
esercizi, quando Inhel ed una guardia dai capelli ramati giunsero al
centro d’addestramento.
«Capitano»
la salutò Inhel, con un
sorriso brillante.
L’altra
guardia si limitò a rivolgerle un cenno
del capo, e Tauriel non poté fare a meno di ripensare alla
conversazione che avevano avuto anni prima, quando lei aveva riottenuto
il titolo di capitano.
Probabilmente,
era stata la conversazione più lunga che
avessero mai avuto.
Eseguirò i tuoi ordini,
le aveva detto l’altra,
con serietà. Ma
non ho dimenticato quello che hai fatto.
Non
aveva avuto bisogno di essere più specifica. Sapevano
entrambe che aveva combattuto nella Battaglia delle Cinque Armate, e
che aveva visto Tauriel puntare una freccia contro il loro sovrano.
Tauriel
era conscia della gravità del proprio gesto. A dirla
tutta, al proprio ritorno a Bosco Atro, si era aspettata una maggiore
ostilità.
Ma
se nei primi anni era stata seguita ovunque da occhiate truci e
bisbigli rancorosi, poco a poco quel risentimento si era quietato. E in
parte, il merito era del fatto che nessuno –
all’infuori degli Elfi che vi avevano assistito –
sapeva del suo scontro con Thranduil.
La
maggior parte della sua gente le rimproverava di aver disobbedito
agli ordini del sovrano, non di averne minacciato la vita.
Talvolta,
Tauriel si era chiesta perché la voce non si fosse
sparsa, se per caso Thranduil avesse ordinato di non diffonderla.
Più probabilmente, però, il suo gesto era stato
considerato troppo grave per essere trasformato in un pettegolezzo.
Così,
coloro che non sapevano nulla l’avevano
ormai perdonata per aver lasciato il regno, convinti che i dodici anni
d’esilio fossero stati una punizione sufficiente.
Tauriel
si era sforzata di parlare con gli spettatori del suo scontro
con Thranduil, e poco alla volta le cose erano decisamente migliorate.
Avviandosi
fuori dal centro di addestramento, la giovane
ripensò al resto delle parole della guardia dai capelli
ramati.
Re Thranduil ti ritiene idonea,
aveva osservato, e io
mi fido del suo
giudizio.
Si
erano guardate per un istante. Avevano tutte e due i capelli fulvi e
vestivano nei colori scuri delle guardie di Bosco Atro, ma Tauriel era
appena più bassa e molto più giovane, siccome
l’altra aveva pressappoco l’età di
Legolas.
Spero solo che non tradirai la
sua fiducia e quella del principe
Legolas.
I
passi di Tauriel si fermarono, e i suoi occhi si serrarono.
“Non lo farò”.
Note:
Innanzitutto, scusate per la posticipazione
dell’aggiornamento.
Avevo sottovalutato sia l’introspezione (spero che il
risultato non sia pesante ed orribile) che il mio talento a distrarmi.
(Seriamente. Tra una parola e l’altra ho ascoltato musica,
guardato video su YouTube e finito un film che avevo lasciato a
metà.)
Ah, la cronologia del movieverse mi confonde come poche altre cose, ma
spero di non aver fatto disastri.
Per quanto riguarda Álof, è un personaggio che
avevo inventato per il primo capitolo di un’altra fanfiction, Distanze, e farla morire
è stata una decisione molto sofferta. (Almeno si
sarà ricongiunta con la sua bell’amante
dell’Harad.) Chiedo perdono anche per Bain e Sigrid :(((
Concludendo, spero che questo capitolo non sia stato la delusione del
secolo e che non vi abbia fatto addormentare sulla tastiera.
La terza parte arriverà sabato 27 febbraio.
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Capitolo 3 *** Terza parte ***
Terza parte
Una notte d’estate, Tauriel
decise di scendere nelle segrete
a controllare che fosse tutto in ordine. Oltrepassò la cella
di Kíli senza guardarla, ma la pietra runica fu subito nella
sua mano – era diventato un riflesso, ormai.
Le
due guardie davanti alla cella di Gollum si raddrizzarono di scatto
nel vederla avvicinarsi… e Tauriel si accigliò
nel vedere che dietro le sbarre non c’era nessuno.
«Dov’è
Gollum?»
domandò, fissando le guardie con aria inquisitoria.
Loro
parvero a disagio. «È sul solito albero,
capitano».
«A
quest’ora?» chiese Tauriel,
accigliandosi.
«Si
era rifiutato di scendere… Ci sono delle
sentinelle con lui, però. Noi aspettiamo nel caso riescano a
convincerlo a rientrare».
Delle
sentinelle si trovavano con lui? Quali e quante? E soprattutto,
dove avrebbero dovuto trovarsi anziché ai piedi del faggio?
«Arrampicarsi
per prenderlo era così
difficile?» chiese Tauriel, più aspramente di
quanto avesse voluto.
Le
due guardie sussultarono e lei sospirò.
«Non
importa» disse, rigirandosi rapidamente la
pietra tra le dita. «Voi restate qui, io vedrò
cosa posso fare».
Salì
i gradini per uscire dalle segrete e si
infilò la pietra runica nella tasca interna
all’altezza del suo seno, quindi si diresse verso le porte
del Reame Boscoso. Lungo il tragitto, chiamò a sé
Inhel ed un altro Elfo Silvano che stavano facendo una partita a carte.
«C’è
un problema con Gollum»
disse loro e spiegò cos’era successo mentre si
dirigevano fuori dalle sale del Reame Boscoso.
Era
una notte tranquilla; soffiava una brezza tiepida e leggera che
frusciava appena tra le fronde degli alberi, e il cielo che
s’intravedeva tra le foglie era blu scuro, privo di luna e
stelle.
Tauriel
camminava con Inhel alla propria destra e l’altro
Elfo alla propria sinistra. I loro passi producevano a stento un suono.
Erano
quasi arrivati al faggio, quando una freccia sibilò
attraverso l’aria e si conficcò nella gola
dell’Elfo Silvano alla sinistra di Tauriel.
Lui
si portò le mani al collo e stramazzò a
terra, e lei si sentì mozzare il fiato in gola mentre Inhel
si bloccava per capire cos’era successo.
Tauriel
si riscosse ed afferrò il braccio
dell’altra, gettandosi a terra con lei in tempo per evitare
una nuova raffica di frecce.
Col
mento premuto sul terreno, Tauriel tese una mano e la mise sul
collo dell’Elfo Silvano colpito. Sentì sangue
sotto le dita, e nessun battito.
Tauriel
avvertì un vuoto allo stomaco, poi portò
le mani ai propri pugnali e si girò verso Inhel, il cui
volto era diviso tra orrore e determinazione.
Dopo
un istante, quattro Orchi sbucarono dagli alberi dai quali erano
arrivate le frecce, e Tauriel ed Inhel si alzarono per affrontarli.
Gli
Orchi parvero presi alla sprovvista – forse avevano
creduto di averli eliminati tutti e tre – ma risposero con
ferocia all’attacco.
Tauriel
disarmò e sgozzò il primo con un gesto
fluido, consapevole dei movimenti di Inhel al proprio fianco, e
decapitò il secondo mentre l’altra ne uccideva un
terzo.
A
sostegno dell’Orco rimasto, però, ne arrivarono
altri, sbucando dagli alberi. Mentre impegnava anche loro, sempre
affiancata da Inhel, Tauriel si rese conto che una lotta più
violenta doveva essere in corso nei pressi dell’albero di
Gollum. Anche se non riusciva a vederla, udiva delle urla e un clangore
di armi.
Gli
Orchi erano venuti per Gollum? Intendevano catturarlo, ucciderlo?
Per un istante, mentre si abbassava per evitare un colpo, Tauriel si
sentì nauseata da quell’idea.
Era
più preoccupata per la propria gente, ma per un istante
pensò anche a tutto ciò che Gollum doveva aver
passato, a quei segnali di guarigione che aveva mostrato…
Nella frazione di secondo successiva, realizzò che era
probabile che non fossero lì per catturarlo, ma per
liberarlo. Forse avevano addirittura con la sua complicità.
Se
solo fosse riuscita a guadagnare un attimo di calma per permettere
ad Inhel di correre a dare l’allarme, pensò,
abbattendo un altro Orco e mettendosi schiena contro schiena con la
compagna così da guardarsi le spalle a vicenda.
Sembravano
arrivarne sempre di più, feroci e rumorosi.
Tauriel realizzò che non erano abituati a combattere in una
foresta… Le avevano attaccate in un piccolo spiazzo, e lei
iniziò a spostarsi poco a poco verso gli alberi –
non sapeva se Inhel avesse capito o no il suo piano, ma in ogni caso
stava assecondando i suoi movimenti.
Stringendo
la mascella, Tauriel conficcò i pugnali nel collo
dell’Orco di turno, e del sangue nero le schizzò
sulla faccia… Poi, finalmente, si ritrovarono tra gli alberi.
Era
stata una buona idea: con un ridotto spazio di manovra, gli Orchi
parevano più lenti ed impacciati –
l’arma di uno si piantò nel tronco di un albero, e
mentre lui cercava di liberarla con mille grugniti, Tauriel gli
tagliò la gola.
Alla
fine, forse qualcuno riuscì a chiamare aiuto, o forse
dal Reame Boscoso si accorsero che qualcosa non andava, fatto sta che
di lì a poco Tauriel ed Inhel furono raggiunte da altri Elfi.
Forti
dell’arrivo dei loro alleati, combatterono con
rinnovato vigore. Senza fermarsi, Tauriel gridò alcuni
ordini in Sindarin alle guardie più vicine. Se gli Elfi
Silvani avevano dapprima combattuto in modo quasi caotico, ora parvero
trovare un ritmo comune, serrando i ranghi, supportandosi
l’un l’altro.
Ad
un certo punto, a Tauriel parve di cogliere un guizzo dei capelli
biondi di Legolas con la coda dell’occhio, e provò
l’impulso di andare al fianco del principe. Poi,
però, rimase accanto ad Inhel. Ormai i loro movimenti si
erano sincronizzati, e riuscivano ad avvertirsi di potenziali minacce
con rapide gomitate o brevi esclamazioni.
Finalmente,
qualche ora prima dell’alba, gli Orchi rimasti
fuggirono o furono uccisi.
Tauriel
si guardò attorno con aria vigile, quindi
– senza rinfoderare i pugnali – si voltò
verso Inhel. Quest’ultima aveva del sangue incrostato tra i
capelli e lungo il sopracciglio destro, ma sembrava incolume.
«Stai
bene?» le domandò Tauriel, ed
Inhel annuì stringendo le labbra.
Gli
Elfi attorno a loro continuavano ad osservare la foresta, per
niente persuasi che lo scontro fosse davvero finito. Tauriel
ricordò Gollum e, dopo aver dato ordine di occuparsi dei
feriti ma di restare in guardia, si diresse verso il faggio, seguita da
Inhel.
Quando
giunsero alla radura dove cresceva la pianta, si arrestarono di
colpo. Il terreno era ingombro dei cadaveri delle sentinelle. Erano una
decina: alcune giacevano a faccia in giù, altre fissavano
verso il cielo senza vederlo.
Legolas,
che si trovava in piedi accanto all’albero, si volse
verso Tauriel e Inhel con espressione cupa, dolorante.
«Sméagol è scomparso».
Tauriel
inghiottì un paio di volte, rinfoderando infine i
propri pugnali. «Credi che…?»
«Sì»
rispose lui, pallido in volto.
«Potrebbe essersi trattato di un piano per liberarlo».
Tauriel
fece per parlare, ma in quel momento udì un gemito
strozzato accanto a sé e si voltò.
Inhel
si era portata le mani davanti alla bocca, e fissava con orrore i
cadaveri delle sentinelle. «Oh, no» la
sentì dire Tauriel. «No, no, no».
Il
capitano si accigliò. «Inhel?» la
chiamò. Non l’aveva mai vista tanto sconvolta.
L’altra
si girò a guardarla, lasciando ricadere le
mani e prorompendo: «È stata colpa mia.
È stata colpa mia!»
Tauriel
sentì che Legolas faceva un passo in avanti. Un
tempo, si sarebbe fatta da parte e avrebbe volentieri affidato al
principe il compito di consolatore. Adesso, però,
allungò una mano ad afferrare il braccio di Inhel.
«Sono
stata io a proporre di lasciar uscire
Sméagol» proseguì Inhel, gli occhi
ingigantiti per lo shock. «Se non lo avessi
fatto…»
Tauriel
strinse la presa sul suo braccio. «Non essere
sciocca» le disse. «Non è stata solo una
tua idea».
«È
stata colpa mia» continuava a
ripetere Inhel, allora Tauriel la allontanò dalla radura e
la fece sedere per terra.
«Respira»
le disse, più gentilmente che
poté, accovacciandosi di fronte a lei.
«Respira».
«Loro
non possono più farlo!»
gridò Inhel, con voce strangolata. «Sono stata
così stupida…»
Tauriel
avvertì una fitta al cuore. «Non sei stata
stupida» le disse. «Hai provato pietà, e
questo non è mai stupido».
La
capiva sin troppo bene. Ripensando all’empatia che aveva
provato per Gollum, all’orrore davanti all’idea che
gli Orchi lo catturassero, si sentì invadere da un misto di
collera e vergogna.
Inhel
emise un suono sarcastico sul fondo della propria gola. Aveva gli
occhi lucidi. «Davvero?» Affondò le mani
nei propri capelli setosi, e una lacrima di rabbia e dolore
sfuggì al suo controllo, rigandole la guancia.
«Davvero?»
«Inhel…»
iniziò Tauriel.
Forse si era sbagliata. Forse avrebbe dovuto lasciare che fosse Legolas
a cercare di consolarla.
«Tutte
quelle sentinelle uccise, e… per i Valar,
quello che è successo nel bosco!»
Tauriel
ricordò l’Elfo morto nella foresta, e al
modo in cui l’aveva trovato a giocare a carte con Inhel.
Erano rilassati e sereni, e lui stava sorridendo. E poi era arrivata
lei, che li aveva trascinati dritti in una carneficina.
Contrasse
la mascella. «Non è colpa tua»
affermò. «Non puoi biasimarti per cose che sono
fuori dal tuo controllo».
Qualcosa
nel suo tono indusse Inhel a sbattere le palpebre e a
guardarla. Tauriel distolse gli occhi, indurendo il proprio volto.
In
quel momento, una voce le raggiunse. «Tauriel?»
Al
suono del proprio nome, lei scattò subito in piedi.
Thranduil
era a pochi metri da loro, una spada nella mano destra. I
suoi occhi azzurri sembravano bruciare.
Inhel
aggrottò la fronte davanti alla reazione di Tauriel e
si girò per controllare cosa avesse visto. Nel riconoscere
il re, emise un’esclamazione sorpresa e si
affrettò ad alzarsi a propria volta.
«Mio
re?» chiese Tauriel, avanzando verso di lui ed
indagandolo con gli occhi per accertarsi che non fosse ferito.
«Legolas
mi ha detto che eri già nella
foresta» affermò lui.
«Cos’è successo?»
«Avevo
appena scoperto che Gollum era ancora fuori dalla sua
cella, così ho preso con me Inhel e…
e…» La sua voce vacillò nel ricordare
di nuovo la guardia che era stata uccisa.
Thranduil
indirizzò un’occhiata ad Inhel prima di
riportare lo sguardo su Tauriel.
Lei
trasse un respiro. «Eravamo in tre. Uno di noi
è stato ucciso mentre ci stavamo dirigendo verso il faggio,
poi sono iniziati ad arrivare un Orco dopo l’altro».
Thranduil
non rispose. La sua espressione non rivelava nulla, ma la sua
mano si contraeva sull’elsa della spada. «Siete
ferite?» domandò alla fine.
«No,
mio signore» rispose Tauriel.
In
quel momento, arrivarono Legolas e Feren.
«Padre»
disse il principe, e Thranduil si
voltò verso di lui. «I morti ammontano a sedici,
più undici feriti. E uno dei feriti ha detto di aver visto
degli Orchi catturare tre guardie nei pressi del faggio».
Tauriel
sussultò, mentre il sovrano considerava velocemente
le notizie.
«La
priorità va alla difesa del Reame Boscoso e
dei villaggi» disse poi Thranduil. «Se
l’obiettivo degli Orchi era davvero liberare Gollum, non
credo torneranno, ma la prudenza non è mai troppa.
Feren» aggiunse, guardando il proprio ufficiale,
«raduna quante guardie puoi ed organizza il trasporto dei
feriti e dei caduti».
L’Elfo
Silvano annuì con serietà,
quindi fece un mezzo inchino e si allontanò per eseguire
l’ordine ricevuto.
Thranduil
si rivolse a suo figlio. «Legolas. Prendi con te
qualche guardia. Cercate di ritrovare Gollum, di riportarlo
qui».
Legolas
annuì, ed Inhel si fece avanti.
«Se
posso, mio signore» disse, rivolgendosi al re,
«vorrei partecipare alla ricerca di
Sméagol».
Thranduil
la guardò, e Tauriel abbassò il capo in
un discreto cenno affermativo. Il re non mancò di notarlo,
ed annuì.
«Molto
bene».
Inhel
si spostò per affiancare Legolas.
«E
per quanto riguarda le guardie catturate?»
chiese Tauriel.
«Prendi
con te Merion e almeno altri due soldati»
rispose Thranduil, «e seguite le tracce degli
Orchi».
«Non
servo qui, mio signore?»
«Per
organizzare e dare ordini?» replicò
il re. «Prendo io il comando delle mie guardie».
«Sì,
mio signore» rispose lei, e fece
per allontanarsi.
«Tauriel»
la fermò Thranduil.
«Normalmente invierei più guardie per questa
impresa, ma al momento mi servono le mie forze qui. Sarà
rischioso. Siate prudenti».
Lei
annuì con serietà. «Certo, mio
signore».
A
quel punto, si inoltrò nella boscaglia per cercare Merion.
Lo trovò quasi subito: un Elfo Silvano dai capelli scuri e
gli occhi grigi, che sembrava piuttosto scosso dal recente attacco.
«Merion»
lo chiamò Tauriel,
avvicinandosi, «mi servi per un incarico».
Sapeva
che lui aveva meno esperienza di lei nei combattimenti, ma
sapeva anche che aveva un buon talento nel seguire le piste. Thranduil,
ovviamente, non aveva preso una decisione senza riflettere.
Merion
ascoltò in silenzio mentre Tauriel gli spiegava cosa
avrebbero dovuto fare. Dopodiché, lei si guardò
attorno alla ricerca di altre due guardie per quel compito, e gli occhi
le caddero su un paio di identiche teste rossicce.
I
gemelli erano appena più vecchi di lei, sebbene i loro
volti avessero tratti delicati e quasi femminei che li facevano
apparire come due ragazzini. Era raro vederli l’uno lontano
dall’altro, e tra le guardie venivano chiamati semplicemente
Gwanunig,
gemello, e Pîn
Gwanunig, piccolo gemello.
Era
inusuale, ma loro lo trovavano calzante, perché si
sentivano definiti l’un dall’altro. Non
perché non potessero sopravvivere se separati, ma
perché sentivano che senza il fratello con cui avevano
condiviso il grembo materno e la loro intera esistenza sarebbero stati
persone completamente diverse.
Tauriel
e Merion li avvicinarono, e i gemelli li guardarono con uguali
espressioni interrogative. Dopo una breve spiegazione, si diressero
tutti e quattro verso il faggio dal quale Gollum era sparito.
I
corpi delle sentinelle erano già stai spostati, ma dalle
silenziose reazioni dei suoi compagni – occhi che si
chiudevano, labbra che si serravano – Tauriel capì
che sapevano delle uccisioni avvenute in quella radura.
Fu
Merion ad individuare le tracce degli Orchi. C’erano anche
quelle di Gollum, ma Tauriel disse agli altri di ignorarle –
«Se ne sta già occupando il principe
Legolas».
La
pista che interessava a loro si dirigeva verso sud, in direzione di
Dol Guldur. Tauriel, Merion ed i gemelli la seguirono in silenzio,
facendosi strada nella foresta con facilità.
Dopo
qualche tempo, giunsero ad un punto in cui gli Orchi si erano
divisi in due gruppi. A giudicare dalla terra spostata e
dall’abbondante numero di tronchi e rami spezzati, doveva
esserci stata una sorta di schermaglia.
«Sembra
si siano divisi anche i prigionieri»
osservò Merion, dopo aver esaminato le tracce con aria
accigliata.
Tauriel
inveì mentalmente, poi guardò gli altri.
«D’accordo» disse. «Gwanunig,
Pîn Gwanunig, voi procedete in quella direzione, io e Merion
andremo per di qua. Siate prudenti».
I
gemelli annuirono e si allontanarono mentre Tauriel e Merion si
incamminavano nell’altro senso. Il loro gruppo aveva deviato
verso ovest. Forse era per questo che si erano separati,
perché una manciata di Orchi aveva preferito uscire da Bosco
Atro anziché tagliare sino a Dol Guldur attraverso la
foresta.
«Meglio
per noi» si limitò a dire
Tauriel, in risposta allo sguardo di Merion.
Avrebbero
avuto a disposizione più tempo per raggiungerli e
liberare le guardie prigioniere.
Ben
presto, giunsero al limitare della foresta, e sbucarono
all’aperto con una certa prudenza. Si vedevano alcuni segni
sulla terra e sull’erba, e una traccia di sangue, come se
qualcuno avesse cercato di lottare.
Tauriel
si morse le labbra, e lei e Merion ripresero a seguire la pista
ad un ritmo più sostenuto. A quel che sembrava, gli Orchi
avevano deciso bene di fiancheggiare il limitare del bosco.
Ad
un certo punto, Merion si bloccò e si
inginocchiò per studiare alcune tracce più da
vicino.
Tauriel
lo guardò. «Che succede?»
Lui
alzò gli occhi su di lei. Era stranamente pallido.
«Quanti hai detto che sono gli Elfi che sono stati
catturati?»
Tauriel
si accigliò. «Tre» rispose,
«perché?»
«Prima,
nel bosco, mi sono sbagliato» disse Merion,
con l’aria di sentirsi male. «Non si sono divisi i
prigionieri. Vedi queste tracce?» Fece segno verso il
terreno. «È chiaro che gli Elfi con questo gruppo
d’Orchi sono tre».
Tauriel
inspirò bruscamente. «Ne sei
certo?»
Merion
indugiò un istante solo.
«Sì».
«Va
bene» disse Tauriel, raddrizzandosi.
«Va bene». Considerò la situazione, e
prese in fretta la sua decisione. «Io continuo a seguirli. Tu
va’ a chiamare i gemelli. Portali qui».
Forse
un altro Elfo avrebbe obbiettato, ma Merion era di natura
accomodante.
«D’accordo»
disse, alzandosi in piedi.
«Fa’
più in fretta che puoi»
gli raccomandò Tauriel, e l’altro le rivolse un
sorriso tirato prima di inoltrarsi di nuovo nella foresta.
Rimasta
sola, Tauriel riprese a camminare. Ogni tanto si fermava per
controllare di star seguendo la pista giusta, ma tutto sommato
procedeva in modo abbastanza spedito.
Dopo
un po’, scorse del fumo in lontananza, ed
aggrottò la fronte. Gli Orchi erano così stupidi
da accamparsi e accendere un falò?
Non
si era aspettata che fossero ancora più vicini. Forse
sarebbe riuscita ad assalire gli Orchi e a liberare i prigionieri prima
ancora che Merion tornasse con i gemelli.
In
quel momento, le sembrò di udire una voce alle proprie
spalle.
Chi è spericolato, adesso?
Il
cuore le balzò in gola e lei si girò di
scatto, un pugnale nella mano destra… Ma non c’era
nessuno. Ovviamente.
Tauriel
sbatté le palpebre e tornò a guardare
avanti, rimettendosi in cammino.
Dopo
un po’, iniziò ad intravedere il
falò da cui si levava il fumo, ma attorno non sembrava
esserci nessuno… O forse c’era qualcosa
dall’altra parte delle fiamme?
Tauriel
aggrottò la fronte, inclinando la testa…
E in quel momento un Orco emerse dalla foresta, scontrandosi con lei.
L’impatto
le strappò un grido smorzato e la
mandò col sedere a terra, ma fortunatamente aveva
già un pugnale tra le dita. Riuscì a mantenere la
presa e a sporgersi in avanti per menare un fendente e costringere
l’Orco ad indietreggiare.
Quel
momento era tutto ciò che le serviva; fu subito in
piedi, evitò con facilità il colpo
d’ascia dell’avversario e lo sgozzò.
L’Orco
cadde a terra con un tonfo, e Tauriel strinse gli
occhi. Gli Orchi… avevano acceso un falò e poi
uno di loro si era inoltrato nel bosco, tornando indietro ad aspettare
eventuali inseguitori?
Era
un piano sorprendentemente elaborato, per i loro standard.
Forse
sarebbe dovuta tornare nella foresta anche lei… Ma del
resto avrebbe corso il rischio di perdere le tracce del gruppo.
Con
un sospiro, riprese ad avanzare. C’era davvero qualcosa
dall’altra parte del falò, come una sagoma distesa
a terra… Era troppo piccola per essere quella di un Orco.
Tauriel
affrettò il passo, e quando capì di cosa
si trattava si mise a correre.
Disteso
sul terreno si trovava un Elfo Silvano dai capelli castano
scuro. Sul suo petto era aperta una larga ferita che sanguinava
abbondantemente.
Tauriel
lo riconobbe subito. Era Magoldir, ed era stato il suo primo
istruttore in materia di armi e combattimenti. Si
inginocchiò accanto a lui, cercando di fermare il sangue con
le proprie mani.
Magoldir
mosse appena la testa, e a Tauriel parve che lui la guardasse
tra le palpebre socchiuse. Una mano si alzò per sfiorare
debolmente le sue, e le labbra dell’Elfo si schiusero.
«Gli altri» sussurrò. «Sono
ancora vivi».
«Va
bene» disse Tauriel, lanciando uno sguardo
verso il limitare del bosco. Dov’erano Merion e i gemelli?
Magoldir
trasse un respiro faticoso. «Va’ da
loro» mormorò. «Qui non
c’è… molto da fare».
Tauriel
scosse la testa. Aiutandosi col pugnale, lacerò una
striscia di stoffa dei propri abiti e la utilizzò per
tamponare la ferita.
«Magoldir»
lo chiamò, poiché
le sue palpebre si erano chiuse. «Magoldir, apri gli occhi.
Guardami».
In
quel momento, sentì un rumore alle proprie spalle e
dovette cacciare indietro un gemito. Se erano tornati gli
Orchi…
“Non
adesso” implorò mentalmente,
frustrata.
Si
voltò, e la sua schiena tesa si rilassò
immediatamente, mentre un barlume di speranza si accendeva nel suo
petto. Le figure che si stavano avvicinando erano tre Elfi: Merion e i
gemelli erano tornati.
Nel
notare lei e Magoldir, accelerarono il passo e la raggiunsero in
poco tempo, fermandosi a fissare l’Elfo moribondo.
«Merion»
disse Tauriel.
Lui
si inginocchiò davanti a lei, mettendo le mani sulla
garza improvvisata in modo da permetterle di togliere le proprie.
«Ce
la fai a riportarlo nel Reame Boscoso?»
«Da
solo?» domandò l’altro.
Tauriel
si voltò verso i gemelli. «Pîn
Gwanunig» disse, alzandosi in piedi. «Tu rimani con
loro. Aiutalo».
L’interpellato
diede un’occhiata al suo gemello,
poi annuì. «Sì, capitano».
«Bene»
disse Tauriel, «io e Gwanunig
continuiamo l’inseguimento».
Prima
di rimettersi in marcia, guardò Magoldir. Era cinereo,
e sembrava respirare sempre più a fatica.
Tauriel
inspirò profondamente mentre Pîn Gwanunig
si chinava accanto a Merion, quindi fece cenno a Gwanunig di seguirla,
e si allontanarono a passo spedito.
Sperava
di aver fatto la scelta giusta, lasciando indietro Merion.
Dopotutto, la pista era ormai chiara, ed i migliori combattenti tra
loro quattro erano senza dubbio lei e Gwanunig.
Era
agitata per Magoldir, ma si costrinse a relegare quel pensiero in
un angolo della propria mente. Merion e Pîn Gwanunig
l’avrebbero riportato al Reame Boscoso. Sarebbe andato tutto
bene.
In
quel momento, lei e Gwanunig udirono delle grida. Si fermarono e
Tauriel si schermò gli occhi con una mano. Aguzzando la
vista, scorse in lontananza un gruppetto di sagome scure. Allora si
girò verso il suo compagno, accennando al bosco.
Gwanunig
capì senza bisogno di parole. Insieme, rientrarono
nella foresta, e camminarono tra gli alberi sinché non
giunsero all’altezza degli Orchi.
Con
loro, si trovavano i due Elfi Silvani che erano stati catturati. Il
più vicino al limitare della foresta doveva da poco aver
tentato di fuggire, poiché era accasciato a terra mentre un
Orco gli tirava indietro la testa per i capelli castani, esponendo alla
loro vista il suo labbro spaccato e sanguinante.
Tauriel
estrasse i suoi pugnali, e Gwanunig fece lo stesso. A quel
punto uscirono allo scoperto: Tauriel si lanciò
sull’Orco che aveva atterrato una guardia, mentre Gwanunig
attaccava quello che teneva ferma l’altra.
L’Elfo
col labbro spaccato incespicò nel
rimettersi in piedi. Tauriel tagliò rapidamente le corde che
gli imprigionavano i polsi, per poi lanciargli uno dei propri pugnali.
Approfittando
di quell’istante di distrazione, un Orco le si
scagliò contro e la fece cadere lungo distesa sul terreno.
Lei si girò rapidamente su un fianco, evitando la sua lama e
colpendolo alle ginocchia con un calcio furioso, per poi balzare in
piedi e affondargli il proprio pugnale nel collo scuro e tozzo.
Si
sarebbe scagliata subito su quello successivo, ma si costrinse a
dare una rapida controllata all’Elfo che aveva liberato. La
priorità, si ricordò, era il salvataggio dei
prigionieri.
Si
accostò al compagno in modo da poterlo aiutare
– sembrava infatti che lui ne avesse bisogno: da come si
spostava, era probabile che avesse una gamba fratturata.
Tauriel
si passò il pugnale da una mano all’altra
e trafisse l’Orco più vicino.
Gwanunig
non era molto lontano, e Tauriel gli gettò una
breve occhiata per accertarsi che accanto a lui ci fosse
l’altro prigioniero. Era così, ma
l’attenzione di lei venne subito catturata da un altro
dettaglio. Un Orco si era distanziato dal gruppo, ed ora stava puntando
contro Gwanunig un arco rozzamente intagliato.
Tauriel
si abbassò per evitare un colpo, e si
risollevò gridando: «Gwanunig! Dietro di
te!»
Lui
sgranò gli occhi e si voltò di scatto,
prendendo coscienza del pericolo… per poi lanciarsi di lato
quando la freccia partì.
Tauriel
era quasi certa che lui l’avesse evitata, ma non ebbe
il tempo di fermarsi a controllare. La lama di un Orco le
lacerò il fianco, e lei annaspò per la sorpresa
ed il dolore, incespicando di lato per sottrarsi all’arma. Fu
un movimento goffo, ma servì allo scopo.
Stringendo
una mano sul pugnale, Tauriel portò
istintivamente l’altra alla ferita, e sentì il
sangue bagnarle le dita.
L’adrenalina
alleviava il dolore, però, e la
aiutò a finire l’Orco che l’aveva
colpita. Un altro prese il suo posto, e Tauriel lo affrontò
con determinazione, sinché l’Elfo dal labbro
spaccato non spuntò alle spalle del nemico e lo
decapitò.
A
quel punto, i loro occhi si incrociarono per un istante, poi loro due
si guardarono attorno, ma degli Orchi non erano rimasti che i cadaveri
sul terreno.
Tauriel
si lasciò cadere seduta sull’erba,
respirando appena troppo affannosamente e premendo una mano contro il
proprio fianco.
«Capitano?»
chiamò l’Elfo di
fronte a lei, ignorando il sangue che gli era colato dal labbro e gli
aveva impiastricciato il mento. «Sei ferita».
Tauriel
lo fissò. «Senti chi parla»
borbottò, e lui sorrise.
Lei
era meno incline a farlo. A parte il bruciore del taglio, le era
appena sovvenuto che sarebbe stato meglio tenere in vita almeno un
Orco, così da poterlo interrogare.
«Che
è successo?» domandò
Gwanunig, la preoccupazione dipinta sul volto fanciullesco mentre si
avvicinava seguito dall’altro prigioniero.
Tauriel
sentì una fitta di immotivata irritazione.
«Niente di ché» rispose, inspirando dal
naso.
Gwanunig
guardò prima lei e poi la gamba spaccata
dell’altro Elfo con una punta di incertezza.
«Riuscite a camminare?»
Tauriel
soffocò l’impulso di rispondergli male.
Tendeva a diventare alquanto indisponente quando era ferita, e ne era
consapevole.
Senza
staccare la mano dal proprio fianco, si alzò con
cautela. Fortunatamente la ferita non era troppo profonda. Faceva male,
specie quando lei si muoveva, ma non così tanto da impedirle
di stare in piedi.
«Io
ce la faccio» affermò, decisa, poi
si voltò verso l’Elfo con la gamba rotta.
«Tu?»
Lui
fece una smorfia. «Con qualche
difficoltà».
«Lo
aiuto io» intervenne l’altra guardia,
facendo un passo in avanti. Aveva splendidi occhi marroni, contornati
da lunghe ciglia nere, ed i capelli molto scuri.
Quando
l’altro Elfo gli passò un braccio attorno
alle spalle, lui lo guardò con sollievo e preoccupazione, e
gli rivolse un borbottio. Suonava sospettosamente come
«idiota, ti sei quasi fatto ammazzare».
Tauriel
distolse lo sguardo. «Va bene»
mormorò, mentre Gwanunig la affiancava.
«C’era
un altro con noi» disse
l’Elfo dai capelli castani e il labbro spaccato.
«Magoldir. Si era ribellato e lo hanno ferito, per poi
lasciarlo indietro».
«Lo
sappiamo» disse Tauriel, voltandosi a
guardarlo. «Lo abbiamo trovato. Altri due Elfi lo hanno
riportato a Bosco Atro».
Il
suo interlocutore annuì, appoggiandosi all’Elfo
dai bellissimi occhi scuri.
Erano
un gruppetto un po’ malconcio e procedettero con una
certa lentezza, ma alla fine giunsero al Reame Boscoso. Avvertiti dal
corno di Feren, degli Elfi Silvani accorsero per accogliere i feriti, e
Tauriel si fece da parte per mandare avanti i prigionieri che avevano
liberato.
Giunse
anche Pîn Gwanunig – seguito a breve
distanza da Merion – e corse incontro al suo gemello,
abbracciandolo.
Tauriel
sorrise appena e si rivolse a Merion.
«Magoldir?» domandò.
La
sua espressione fu una risposta sufficiente, e le fece morire il
sorriso sulle labbra.
Quella
sera, Tauriel si trovava nelle proprie stanze, seduta
sull’orlo del letto.
Aveva
cercato di sgusciare via subito, ma aveva avuto la sfortuna di
essere intercettata da una guaritrice, che l’aveva guardata
con occhi di falco e si era subito accorta della sua ferita.
Una
volta sistemato il fianco, Tauriel si era recata a far rapporto a
Thranduil. Dopodiché, nonostante le fosse stato raccomandato
di non muoversi troppo almeno sino al mattino successivo, aveva cercato
di dare una mano coi feriti, per poi recarsi a parlare coi propri
uomini e con le famiglie delle guardie uccise.
Alla
fine, Galion le aveva suggerito di andare a riposare nelle proprie
stanze.
Tauriel
strinse la mano sulla pietra di Kíli,
così forte che le parve che le rune si incidessero sul suo
palmo. Nel sentire un rumore leggerissimo, sollevò il capo.
Sulla
soglia della sua camera da letto si trovava Legolas. A giudicare
dal suo aspetto un po’ scarmigliato, non doveva essere
rientrato da molto dalla sua ricerca.
«Galion
mi ha detto che eri qui» disse,
semplicemente.
Tauriel
abbassò gli occhi e si rimise in tasca la pietra.
«Avete trovato Gollum?»
Ci
fu un momento di silenzio.
«Abbiamo
perso le sue tracce verso Dol Guldur».
Tauriel
strinse le labbra ed annuì, sempre senza guardarlo.
«Ho
saputo di Magoldir» disse poi Legolas,
pesantemente, e lei lo sentì trarre un respiro prima di
domandare: «Stai bene?»
Tauriel
si morse il labbro inferiore, spostandosi appena come per
cercare una posizione più comoda, poi alzò gli
occhi sul principe e scosse la testa. «No»
mormorò.
Legolas,
allora, lasciò la soglia della stanza e venne a
sedersi di fianco a lei. Le circondò le spalle con un
braccio, e Tauriel posò la testa sul suo petto come faceva
quando era bambina e lui le narrava una storia.
«C’erano
troppe sentinelle ai piedi
dell’albero di Gollum» gli disse. «Alcune
guardie avevano abbandonato le loro postazioni per
sorvegliarlo».
«L’avevo
immaginato» rispose Legolas,
quasi con cautela, lisciandole un ciuffo ramato.
Tauriel
trasse un respiro. «Avrei dovuto accorgermi prima che
Gollum non era nella sua cella».
Le
mani del principe si fermarono sui suoi capelli. «Non
è stata colpa tua».
Tauriel
si raddrizzò per poterlo guardare in faccia, e
Legolas la lasciò andare. «Ma è una mia
responsabilità. Sono il capitano delle guardie, dovrei
proteggere la nostra gente».
“Dovrei
mostrarmi degna” aggiunse col pensiero,
“della fiducia che tu e tuo padre riponete in me”.
Erano
morti una ventina di Elfi, Magoldir tra loro. Tauriel non poteva
dire di conoscerli perfettamente, ma aveva pur sempre combattuto al
loro fianco per secoli. Faceva male.
«E
io sono il loro principe» ribatté
Legolas. «Credi che il mio dovere verso di loro sia minore
del tuo?» I suoi pugni si serrarono sulle sue gambe.
«Mi daresti la colpa di quanto è
accaduto?»
Tauriel
fu colpita dalla sua veemenza. Per un momento, si
sentì la bambina che si contorceva e si accigliava di fronte
ad un rimprovero.
«No»
disse poi. «Certo che no».
Legolas
esalò un respiro, rilassando le mani, e la sua
espressione si addolcì. «Hai fatto tutto quello
che potevi. Con Gollum, e con Magoldir».
Tauriel
abbassò il capo, sentendo la forma della pietra
runica contro il martellare del proprio cuore.
Subito
dopo aver ricevuto la notizia della morte di Magoldir, era
tornata indietro con la mente. Aveva pensato a tutto ciò che
aveva fatto, a tutto ciò che avrebbe potuto fare. Aveva solo
cercato di fermare l’emorragia; forse avrebbe dovuto dare
ordini differenti a Merion e Pîn Gwanunig. Alla fine, aveva
concluso di aver fatto tutto quel che poteva.
Ora
combatté l’impulso di digrignare i denti per
la rabbia e la frustrazione. Tutto quel che poteva. Perché
sembrava non essere mai abbastanza?
«Lo
so» mormorò comunque, guardandosi le
ginocchia. Si morse le labbra e cambiò argomento:
«Come stava Inhel?»
«Sembrava
provata» ripose Legolas dopo un attimo.
«E penso che in parte si senta ancora responsabile di quanto
è successo».
Tauriel
scosse impercettibilmente la testa. «Che
sciocca».
«Già»
concordò Legolas,
«somiglia al suo capitano più di quanto avessi
notato all’inizio».
A
quel commento, Tauriel aggrottò la fronte, ma
continuò a fissare le proprie gambe.
Legolas,
allora, sospirò. «Comunque, dopo aver
fatto rapporto abbiamo incrociato Merilwen, e Inhel è andata
con lei».
Per
un istante, Tauriel si chiese chi era Merilwen… Poi
ricordò una giovane dai capelli castani che talvolta
raggiungeva Inhel alla fine degli allenamenti. Di consueto, la sua
presenza era sufficiente a rendere il sorriso di Inhel abbacinante.
«Mi
auguro che lei abbia più successo a
consolarla».
Ci
fu un istante di silenzio. «Ti ricordi» chiese
poi il principe, in tono pensoso, «cosa diceva Magoldir
quando veniva sconfitto in un duello, o nel tiro con l’arco,
o… In qualsiasi cosa?»
Tauriel
aggrottò la fronte ed annuì.
«Domani è un altro giorno. Me lo diceva anche
quando ero bambina e non imparavo subito quel che cercava di
insegnarmi». Tacque un istante, alzando lo sguardo su
Legolas. «Era una cosa che odiavo. Pensavo che sì,
sapevo che avrei avuto altro tempo per correggere i miei sbagli, ma io
volevo essere brava subito».
Legolas
sorrise mestamente, le perdite vive e presenti nei suoi occhi
azzurri. «Povero Magoldir» disse, «gli
hai dato del filo da torcere…»
«Neanche
troppo» replicò Tauriel.
«Ero molto interessata a quello che mi insegnava».
«Pensa
se non la fossi stata».
I
due giovani tacquero e si sorrisero, ed altrettanto rapidamente
tornarono seri.
Tauriel
abbassò di nuovo lo sguardo sulle proprie mani.
«Galion mi ha offerto del vino»
borbottò. «Il suo rimedio a tutti i
mali».
«Non
mi stupisce affatto. E tu hai accettato?»
Tauriel
alzò di colpo gli occhi sul principe.
«No!» esclamò, sin troppo sulla
difensiva. «Ecco… quasi. Ma poi ho cambiato
idea».
Legolas
la trasse a sé per stamparle un bacio sulla tempia.
«Brava bimba».
Tauriel
gli indirizzò una smorfia, ma non mancò
di notare la tensione sotto il suo tono scherzoso. Senza dir nulla,
allungò una mano a stringere quella del principe.
Lui
non si mosse. Rimasero in silenzio per qualche istante, ognuno
immerso nei propri pensieri.
Per
qualche motivo, Tauriel ricordò Tilda. A volte, di
notte, la bambina si infilava nel suo giaciglio e la pregava di
raccontarle una storia.
Una
storia sugli Elfi, o una storia che facesse paura.
Tauriel
poteva parlare di mostri e battaglie, e Tilda ascoltava
avidamente. Non aveva paura perché le storie non potevano
ferirla. Non aveva paura perché c’era sempre un
lieto fine.
Legolas
sospirò. «Domani è un altro
giorno» disse, accarezzando col pollice il dorso della mano
di Tauriel. «Domani è un altro giorno».
Lei
non rispose. Il cuore le picchiava contro il petto, e lei si
sentiva stanca e prosciugata, e pensò che in
realtà il lieto fine non esisteva. Esistevano solo altri
giorni. Potevano essere sereni. Potevano essere pessimi e pieni di
morte.
Per
un istante, cercò di riportare alla mente lo sguardo di
Kíli. Lui sarebbe riuscito dove lei stava fallendo, ne era
sicura. Lui avrebbe avuto fiducia, senz’ombra di dubbio, nel
fatto che l’indomani sarebbe stato migliore.
Note:
E così, ecco anche l’ultima parte.
Spero non sia stata una delusione (non so ancora perché ho
voluto scrivere delle scene di combattimento, visto che le scene
d’azione sono tutto fuorché il mio forte).
Chiedo scusa per il finale non esattamente consolatorio, e ringrazio
tantissimo tutti i lettori e recensori e chi ha messo la storia tra le
preferite/seguite/scelte.
Alla prossima!
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