La felicità più grande

di Amantea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -1- ***
Capitolo 2: *** -2- ***
Capitolo 3: *** -3- ***
Capitolo 4: *** -4- ***
Capitolo 5: *** -5- ***
Capitolo 6: *** -6- ***
Capitolo 7: *** -7- ***
Capitolo 8: *** -8- ***



Capitolo 1
*** -1- ***


La felicità più grande


"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande".
(Jorge Luis Borges, L'Aleph)



LA  FELICITA'  PIU'  GRANDE



-1-


L'uomo si deterge la fronte con il dorso della mano, più volte.
Una goccia di sudore, minuscolo cristallo di sale, gli pungola un occhio, costringendolo a strizzare le palpebre per sfuggire a quel piccolo bruciore.
Sbuffa, dando un colpo secco alla vanga con cui da anni ammazza i ricordi e poi li seppellisce, zolla dopo zolla, tra cipolle e patate, e qualche ciuffo di gramigna.
L'attrezzo resta conficcato nel terreno, e l'uomo stiracchia i muscoli della schiena. E' soddisfatto, perché anche per quel giorno la fatica del corpo gli ha annebbiato la mente, e così non ha pensato, a nulla, che non sia il rumore della vanga che smuove la terra, o i mugolii con cui si dà l'aire per affondare il colpo, e scavare.
Si allontana dal campo, dissodato per una buona metà, per buttarsi ai piedi di un albero, in cerca di frescura. 
Sistema le spalle contro il tronco, flesso un ginocchio e allungato l'altro, scioglie con gesti lenti il fazzoletto che porta annodato sotto la gola e se lo passa sul collo e la nuca.
Inutile cercare di mentire a se stessi. Sono passati più di dieci anni, ma quel giorno suscita ancora emozioni dal gusto forte. Nostalgia, amarezza, dolore... e un senso vago e indefinito, quasi di risentimento. E' uno dei tanti 14 luglio della sua vita, e a Dio piacendo sta quasi volgendo al termine. 

L'uomo guarda la scacchiera d'ombre e luci che danza dinanzi ai suoi occhi, e la trova quasi bella.
Una brezza leggera risveglia le fronde, l'oceano non è lontano da lì. In certe giornate limpide e schiette si può quasi spingere lo sguardo fino all'orizzonte e credere di vederci il bianco spumeggiante delle onde. Vere però sono le vele che, lente, si stagliano in quel biancore, il punto in cui il mare svapora nel cielo.
Più volte ha immaginato di lasciare la terraferma e imbarcarsi. Ricominciare, reinventarsi... una rinascita. Ma poi, le stagioni cedono il passo l'una all'altra, sulla camicia indossa la giacca, e poi accende il fuoco nel camino, e in un lampo i ciliegi sono in fiore, e torna forte a soffiare il vento impetuoso dell'oceano, ed è di nuovo tardi, e non è mai stato il momento, e lui è ancora qui, con tutto il carico dei ricordi, come un vecchio che non sa separarsi dal proprio passato, per la paura di perdere anche un po' di se stesso.

Respira l'odore dei campi, mentre cammina a passo lento verso casa.
Il desiderio, uno solo, di tuffare la testa nel catino dell'acqua, e cambiarsi la camicia. Due, in verità... li enumera, guardando fisso davanti a sé... una rinfrescata al volto, una camicia pulita e un bicchiere di vino, sotto la pergola. Tre, addirittura tre desideri in un colpo solo! Sorride per l'ardire, e una risata viva e rumorosa gli esplode dalla gola.
Forse è per quello che non si accorge subito di una carrozza che sta procedendo lungo il suo stesso percorso, e quando il rumore degli zoccoli gli risuona nelle orecchie fa appena in tempo a spostarsi oltre il ciglio della strada, tuffando le scarpe nell'erba alta che lambisce il viottolo.
La carrozza si ferma poco più avanti, forse in cerca di informazioni. E' una carrozza elegante, ed è raro vederne da quelle parti. Lì c'è solo campagna, e un grumo di casupole di contadini e artigiani, raccolti intorno a una chiesetta.
- Buon uomo, sapreste indicarmi la giusta via per la chiesa di Saint-Étienne? -.
Ecco appunto. L'uomo si porta la mano al cappello di paglia, per calcarlo meglio, e annuisce con la testa.
- Non vi siete sbagliati. Proseguite, e ci finirete dentro -.
Un gesto con la mano, uno schiocco alle redini, e la carrozza riprende a sferragliare, ondulando per le buche del terreno, di fronte a lui.

Quando raggiunge il piccolo borgo non può fare a meno di notare la carrozza ferma davanti alla facciata della chiesetta, e una nuvola -sì, a questo pensa, ad una nuvola, una nuvola di zucchero - di stoffa leggera color indaco che si arriccia nervosa, per poi tornare ad accostarsi al corpo della fanciulla che a piccoli passi si sporge da un cancelletto per poi tornare verso il cocchiere, guardandosi intorno, un po' smarrita.
- Cercate qualcuno? -, chiede il contadino, avvicinandosi. Si rende conto che i suoi tre desideri stanno sfumando forse irrimediabilmente, ma non sarebbe stato da lui ignorare una madamigella in ambasce.
La ragazza si volta nella sua direzione, l'espressione stupita, e poi raddolcita.
L'uomo ha un tuffo al cuore, e per un istante esita. Forse la ragazza se ne accorge, perché senza alcun pudore un paio di tizzoni scuri la stanno fissando imbambolati e senza ritegno alcuno.
- Sapreste aiutarmi, signore? -.
L'uomo si dà dello sciocco, e distoglie lo sguardo, ritrovando un'antica cortesia.
- Provate a dirmi di cosa avete bisogno, e farò del mio meglio -.
Sono i suoi occhi che l'hanno travolto, il colore, quel colore inconfondibile, che lui non ha più rivisto da quel giorno, e che possono appartenere solo a... scuote la testa, forse il sole del campo gli ha cotto le cervella, e sta impazzendo, del tutto.
- Vorrei visitare il cimitero -, annuncia la giovane, la voce fattasi bassa, quasi che i morti potessero trarre disturbo dalla sua richiesta.
- Oh -, è l'unico commento che esce dalle labbra dell'altro. 

La ragazza ha i capelli raccolti sulla nuca, biondi come il grano d'estate, i lineamenti dolci, e dei fermagli di perle sulle tempie, a fermare ciocche dall'aria molto ribelle. Profuma di lavanda, e l'uomo non può non notarlo quando le passa accanto per aprirle il cancelletto con la chiave appesa ad un cordoncino legato sl collo.
- Voi siete il guardiano? -, chiede la ragazza, alludendo alla chiave, custodita sul petto.
- Mi occupo delle rose, quando serve, tutto qua -, risponde. - Cercate qualcuno in particolare? -, chiede a sua volta.
Non riesce ad evitare di guardarla, ed immaginare già la risposta che gli darà.











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Capitolo 2
*** -2- ***


-2-



LA  FELICITA'  PIU'  GRANDE
"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande".
(Jorge Luis Borges, L'Aleph)



-2-

«Ho voluto la mia solitudine. Sono senza amore, mentre barbaro o miseramente borghese, il mondo è pieno, pieno d'amore... e sono qui solo come un animale senza nome: da nulla consacrato, non appartenente a nessuno, libero di una libertà che mi ha massacrato»
(P.P. Pasolini)



- Qui ci sono solo le buonanime del posto -, aggiunge, senza darle tempo di spiegare. - Ma forse chi cercate voi è sotto al roseto. Non potete sbagliare, è l'unica pietra bianca, dietro la chiesa -, un cenno col braccio, ad indicare il retro dell'edificio.
La ragazza lo guarda con malcelato stupore, poi volge rapida le spalle e si incunea oltre il piccolo varco che le è stato dischiuso. La vede sollevare la gonna con una mano, attenta a non calpestare piccoli caroselli di fiori disseminati qua e là, e a non inciampare nei sassi e nelle lapidi che svettano un po' sbilenche dal terreno, prima di sparire dalla sua visuale.
All'uomo non resta che avvertire il cocchiere di riaccostare, quando avranno concluso la loro visita, e si allontana. Chiuderà a chiave in serata, tutt'al più. Uno scrupolo giudizioso, quel piccolo muro di cinta e il suo cancelletto, che il parroco ha avuto per tenere alla larga gli animali notturni, e la loro mania di scavare buche.
Ci sono ancora tre piccoli desideri da realizzare, prima che la giornata volga al buio, per sempre.

Sono fresche, le sere d'estate in Normandia.
Si ravviva i capelli umidi con una mano, e respira, soddisfatto, mentre osserva di sotto in su la pergola che orla un lato della sua casa. Due stanze, e un piccolo cortile, più che sufficienti per un uomo solo. Ha in mano il tanto sospirato bicchiere di vino rosso, e lo alza contro la luce ancora bianca di quel tardo pomeriggio, per ammirarne le sfumature amaranto, che si irradiano oltre il vetro fino al palmo della mano. Le segue, piccole schegge danzanti, socchiudendo gli occhi... in realtà, non riesce a togliersi dalla testa la ragazza incontrata in paese, e spera di annegarla presto in quel nettare asprigno e torbido, come ha fatto con tutti gli altri scomodi ricordi della sua vita precedente. Ma sa benissimo che è un metodo euristico di scarsa efficacia, sebbene piuttosto appagante.
Chiude gli occhi, mentre assapora il profumo malinconico del gelsomino che è fiorito suo malgrado lungo il muro, finché di nuovo il rumore inconfondibile di una carrozza lo ridesta, impreparato.
Si alza dalla panca in legno e si affaccia lungo la strada. Appena in tempo per vedela, che si sta guardando intorno e ha già il pugno pronto per bussare alla porta di casa sua.
- Sono qui -, si palesa. - Cercavate me? -.
Sorride, a quegli occhi azzurri pieno d'ardimento.
- Sì -, è la risposta. - Ho bisogno di sapere alcune cose, e credo di essere nel giusto a pensare che voi siate l'unico che può aiutarmi -.
L'ha raggiunto, parlando. Si è avvicinata lasciando solo un passo a distanziarli. I suoi occhi hanno osservato il bicchiere, che l'uomo tiene ancora in mano, e anche la camicia candida, e i capelli puliti. Deve farle un altro effetto, così ricambiato, perché le sue gote si arrossano, prima di trovare l'impeto di proseguire.
- Stavo cercando la... la lapide di Oscar François de Jarjayes -.
L'uomo si irrigidisce. E' un moto istintivo, sono anni che nessuno pronuncia quel nome, e sentirlo fa uno strano effetto.
- Ve l'ho indicata ... -
- Ma come potevate sapere...  -.
- I vostri occhi... sono identici ai suoi -.
La ragazza lo guarda smarrita, una linea sottile le labbra tese. Una ciocca riccioluta è scivolata via dal fermaglio di perle, e vibra accosta alla tempia. Gli occhi, l'impeto... maledizione, quanto le somiglia!
- Ma chi mi assicura che quella sia proprio ... -.
- No -, e lo dice con il tono più fermo e tagliente che può, per evitare qualsivoglia replica.
- Come?! -.
- No, ho detto. Non vi devo alcuna spiegazione. E ora credo sia proprio il caso che ve ne torniate da dove siete venuta, tra poco sarà il tramonto e non è sicuro per una donna sola viaggiare per una strada di campagna -.
Inutile insistere. Si aspetta quasi che punti i piedi in terra e inizi a strepitare, ma non lo fa. E' orgogliosa, dunque, al pari di lei.
La vede risalire in carrozza con una mossa rapida e nervosa, e non può che alzare il bicchiere e brindare alla sua salute, quasi a schernirla.
Finalmente solo, è tutto quello che vuole.
Non desidera altro, che un secondo bicchiere di vino, che spenga la rabbia che gli si è accesa dentro, e la scia di fuoco che gli ha trapassato il petto, in un istante.

Un grido solo, lancinante, un nome, scagliato contro il cielo, e poi solo dolore, un immenso dolore.
Ogni notte quasi lo stesso incubo. E un senso di colpa, cupo e soffocante, che gli divora l'anima, anno dopo anno.
A volte le voci si sovrappongono, e i volti si confondono. 
E' stato solo uno sciocco a poter pensare di trovar pace lì, in quel posto fuori dal mondo, a vegliare la loro memoria e le loro tombe, a farsi custode di ciò che furono, ad annebbiarsi la testa con il vino rancido dell'osteria, o a sfinirsi con la fatica dei campi. Solo uno sciocco, perché non riesce proprio a farsene una ragione... di essere un sopravvissuto. 

La luce dell'alba taglia il pulviscolo sospeso nella stanza, e lo rinnova. L'uomo giace supino, il lenzuolo che nell'agitazione del sogno si è quasi ravvolto controvoglia, e che ora lo ritrova, imprigionato di se stesso.
Apre lentamente gli occhi, il gallo ha già cantato da un pezzo. Non c'è fretta, nessuno verrà a reclamarlo.
Anche quella mattina si laverà, forse si raderà pure, indosserà gli abiti da lavoro, isserà la zappa sulla spalla, e se ne andrà per i campi. Una borraccia e una tracolla con due bocconi di pane e un frutto, e il fazzoletto rosso annodato sotto la gola. E via.
Ma il suo corpo quella mattina ha deciso di ricordargli che è un uomo. Maturo, ma decisamente ancora nel pieno del suo vigore.
Se ne accorge stupito, perché è quasi doloroso l'istinto di orinare al mattino, quanto al momento impossibile.
- Sei proprio un cretino, Alain -. Se lo dice, a voce alta, così da ricordarlo meglio, mentre a fatica piega un braccio contro il muro e ci nascondo il viso dentro, il pitale spinto col piede nell'angolo del pavimento, in attesa. - Sei proprio un cretino -, si ripete, mentre sbuffa, e cerca di pensare a cose improbabili e deprimenti, per scacciare via l'immagine molesta di quella nuvola di zucchero, che senza dubbio, essendo l'unica novità degli ultimi anni, è l'unica responsabile di quella situazione imbarazzante. - Pensi davvero di essertela tolta dai piedi? -, continua tra sé. - Se assomiglia a Oscar come sembra, sei appena all'inizio, caro mio -.



Madame osserva il giardino dalla finestra socchiusa, e forse anche i movimenti di qualcuno nel cortile. Una bava di vento solleva la tenda trasparente, appena un brivido sul collo nudo. E' una bella giornata, anche quella, di cielo limpido.
Non gira gli occhi quando sente aprire la porta. - Vieni pure, cara. Arnaud (1) ti ha sellato il cavallo. Sei proprio sicura di voler tornare là? -.
Quando lo fa, quando il suo viso si volge verso la ragazza, il suo respiro si inceppa. E' un'incrinatura lieve nella gola, che subito nasconde, stringendo le dita attorno alle altre, in grembo.
- Oh tesoro, sei proprio uguale a... -, riesce soltanto a dire, ma è sufficiente.
La ragazza avanza e le si stringe al petto. L'anziana donna l'allontana, quel tanto che basta ad ammirarla meglio.
- Zia era più alta -, sorride, alludendo alle culottes, che aderiscono sì alle sue gambe snelle e lunghe, ma sono state un poco riprese alla bottoniera, sui fianchi. La camicia e il lungo jilet, invece, calzano alla perfezione. - Ci sono ancora tante delle sue cose, qui -, aggiunge.
Madame annuisce, le passa un braccio intorno alla vita, e la tiene stretta, mentre torna ad osservare le bordure fiorite e sciamanti di vita, lungo il bordo del muro di cinta.
- Amava venire qua. Era il luogo delle vacanze. Lei ed André ci hanno passato gli anni dell'infanzia e gran parte della giovinezza, almeno fino a che Oscar non è entrata nelle Guardie Reali. Poi credo che ci sia tornata un'ultima volta, da sola... sarà stato il 1787... o forse il 1788 (2), non ricordo, io ero sempre a servizio da... dalla Regina, e... non mi occupavo più direttamente di lei -. I ricordi di Madame Marguerite scorrono lenti dinanzi ai suoi occhi, come lenti danzano i veli della tenda, accosti al suo viso.
- Sono sicura che quell'uomo sa molte cose, nonna -, la sente annunciare d'improvviso, quasi stesse meditando in silenzio sul da farsi.
La nonna annuisce. Dio solo sa quante volte, in quegli anni, avrebbe voluto far ritorno ad Arras, ma le condizioni politiche, la situazione sociale, la caccia ai nobili, non lo avevano reso attuabile né auspicabile. Anzi, è una fortuna senza meno essere ancora vivi.
La famiglia della ragazza, figlia di una delle sorelle di Oscar, si era trasferita in Inghilterra in tempi non ancora sospetti, e là avevano accolto la nonna fuggitiva (3) e parte della servitù di palazzo Jarjayes. Appena un mese prima la decisione di tornare sul suolo patrio, una volta risolti i rapporti tra Francia e Inghilterra (4). Poca servitù ad accompagnarla, e quella nipote, testarda come un mulo, che aveva convinto il padre a lasciarla partire a forza di insistenze e promesse, e quasi sicuramente anche a una definitiva intercessione della madre.
- Non stare in pensiero, - aggiunge posando una carezza sul viso morbido della nonna, - ho sangue Jarjayes nelle vene -.

Sconfinata la campagna che si apre ai suoi occhi, mentre incita il cavallo al galoppo.
Respira la brezza, osservando i gabbiani che volteggiano alti, ed è facile ritrovare il sentiero che la carrozza aveva imboccato, non senza difficoltà, il giorno avanti.
Si arresta all'improvviso, uno sbuffo di terra sotto agli zoccoli scalpitanti, le redini ben salde nei pugni.
Smonta di sella, e poi avanza a passo sicuro, fin dentro l'erba del campo che si propaga a perdita d'occhio alla destra della strada.
Un uomo sta zappando con alacrità, le maniche risvoltate lasciano scoperti gli avambracci abbronzati, tesi e nervosi, e si ode appena la voce che fa da contrappunto allo sforzo dei colpi contro il terreno incolto. La ragazza lega il cavallo al tronco di un albero dal fusto snello e ombreggiato, e si avvicina ancora.
- Forse se ci presentassimo sarebbe più facile parlare -, dice a voce un po' alta, per coprire la distanza che ancora li separa, e per vincere sulla lotta che l'uomo sembra aver ingaggiato con la zappa e le zolle contemporaneamente. - O il vivere solo vi ha reso più scontroso di quanto non siate in realtà? -.
Le parole le ha udite, e bene. Ma non si ferma subito. Continua, un altro paio di affondi, sbuffando, e poi malvolentieri posa un piede sull'attrezzo, e solleva lo sguardo verso di lei.
E' evidente il modo sfacciato in cui lui la guarda, e la ragazza non può fare a meno di arrossire. Non ci è abituata. Nessuno l'ha mai guardata così. Nemmeno il giovane con cui è fidanzata, colui che dovrebbe sposare il prossimo anno, che a stento l'ha baciata in quei due anni di fidanzamento, e che le sospira versi d'amore e poesie, tenendola a braccetto lungo i viali fioriti di magnolie, o portandola in barca lungo l'Avon... nemmeno lui, l'ha mai guardata in quel modo così... così spudorato.
- Alain... -, sibila d'un fiato, la fronte imperlata di sudore, il cappello di paglia tolto quasi per educazione.
- Bene, onorata di fare la vostra conoscenza, signor Alain. Io mi chiamo Camille -.
La ragazza si avvicina ancora, ha incrociato le braccia sul petto, e strizza un poco gli occhi contro la luce accecante di quel mattino. Sorride.
- Non avete nessuna intenzione di desistere, stamattina, vero Camille? -, constata lui.
La ragazza scuote la testa, giocando con la punta dello stivale e un sasso, che affiora appena dal terreno.
- Mettiamoci là -, dice Alain, indicando l'albero. - All'ombra -.
Lascia l'attrezzo sul campo, e la supera, sfiorandola appena. Avrà la metà dei suoi anni, e la testardaggine che nasce dalla giovinezza e dalla stirpe, e qualcosa gli dice che non sarà affatto una breve chiacchierata.
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(1) In ogni mia storia, il guardiano della villa dei Jarjayes ad Arras è lui.
(2) Non è chiaro, nell'anime, quando Oscar entra nella guardia metropolitana. Nel PECCATO avevo ipotizzato per esigenze di copione il 1788, qui anticipo di poco, credo verosimilmente.
(3) Sposo l'idea, già dell'INTRUSO, che Madame de Jarjayes, all'indomani dello scoppio della Rivoluzione, avesse trovato rifugio in Inghilterra.
(4) Immaginiamo che la storia si svolga nel 1802. Il 25 marzo viene firmato il Trattato di Amiens tra Francia e Regno Unito, e immagino che non ci fossero problemi di sorta a viaggiare da un paese all'altro, quindi nell'estate di quell'anno Madame, la nipote e (poca) servitù al seguito fanno rientro in Francia. Alain era sicuramente più giovane di Oscar, anche nell'anime. Secondo me poteva avere tranquillamente un 4-5 anni meno, quindi all'incirca qui ne ha 42-43.


Grazie di cuore a chi ha letto e sta seguendo questa mia nuova avventura.
Torno con un personaggio a me molto caro, qui nelle vesti di amico e custode dei Nostri, come in fondo l'ho sempre dipinto anche in altre mie storie.
Ora conoscete anche la misteriosa ragazza (e grazie di cuore a MARIAN che mi ha suggerito il nome: grazie sisterella!) che ha acceso la vostra curiosità assieme a tante curiosissime e gustose interpretazioni!
Non posso spoilerare ovviamente, ma proverei a dirvi ... abbiate fiducia ... (in generale) :)
Un abbraccio, e a presto, perché non prevedo interruzioni natalizie

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Capitolo 3
*** -3- ***


-3-
LA  FELICITA'  PIU'  GRANDE
"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande".
(Jorge Luis Borges, L'Aleph)



-3-

«La gente si innamora del proprio dolore al punto che non riesce più ad abbandonarlo. Lo stesso vale per le storie che racconta. Siamo noi stessi a tenerci in trappola».

(Chuck Palahniuk, “Cavie”) (1)




Si sistema all'ombra, un'abitudine, un ginocchio piegato, un lungo sospiro mentre con una mano sfiora il manto vellutato dell'erba, e con fare distratto ne strappa una cima fiorita. La stringe tra i denti, succhiandola un po', mentre osserva la ragazza che lo guarda di sottecchi, per poi sfiorare il terreno con uno stivale, dubbiosa.
- L'erba è tutta uguale -, si sente dire, quasi un'osservazione scherzosa.
- Ho paura delle formiche -, ribatte lei, con aria innocente e grave.
- Siete proprio di città -, ride, a voce piena, scuotendo la testa.
La ragazza ne osserva l'espressione divertita sul volto abbronzato e un poco stanco, e si accomoda accanto a lui, quasi a raccogliere la sfida. E si stupisce ancora quando le porge uno di quei fiorellini rosa: - Sa di limone, e un po' disseta -, le comunica semplicemente.
E' vero. E' acidula la linfa che si spande sulla lingua in poche gocce. Lui continua a giocherellare con quel punto di verde tra le labbra, e ne scruta, divertito, le smorfie, mentre sta provando a fare lo stesso.
- In dieci anni siete la prima Jarjayes che viene in questo posto -.
Lo dice d'un tratto, e le sue parole fendono l'aria quasi fossero un rimprovero.
- Sarei venuta prima se avessi potuto, e anche mia nonna lo avrebbe fatto -.
- Vostra nonna? La madre del Comandante? -.
- Sì. E' qui ad Arras, con me. Siamo arrivate un paio di giorni fa dall'Inghilterra. E comunque, nessuno... sapeva di preciso il luogo -.
Alain si blocca, il trifoglio pende dalle sue labbra, fin quasi a cadere. Socchiude gli occhi, e si gratta la testa, perplesso.
- So che il parroco inviò una missiva a palazzo Jarjayes, non appena arrivai qua... -.
- Se è stata ricevuta, è stata taciuta. Mia nonna non sapeva nulla, fino a un mese fa, quando ha scritto al guardiano della villa sperando che fosse ancora vivo, e lui ci ha dato la notizia. In casa non si è mai parlato volentieri di mia zia, né di come perse la vita -.
- Per questo siete qui? Per sapere? -.
La ragazza sorride amaramente mentre si sdraia sull'erba, le mani intrecciate dietro la nuca.
- Ero una bambina l'ultima volta che facemmo visita ai nonni. Mi piaceva tanto Oscar... era così particolare, e bella, ai miei occhi. E lei era molto gentile con me. Era preoccupata per non so che faccenda... ma mi dedicò ugualmente qualche ora, e poi, come sempre, andò a Versailles assieme a quel suo valletto -.
- Valletto? -.
- Sì, André mi pare si chiamasse. Me lo ricordo bene perché erano inseparabili... una cosa alquanto insolita, per un servitore. Per lo meno, è quanto sosteneva mia madre -.
- Quel ragazzo amava vostra zia più della propria stessa vita -. Lo dice con un tono stranamente basso e un sorriso lieve, - e anche vostra zia lo amava, probabilmente da sempre, senza saperlo -.
- Oooh -. E' stupore sincero quello che le esce dalle labbra in un soffio. Si è tirata su un gomito, e lo sta guardando, come se cercasse conferma delle parole appena udite.
Poche macchie rosa tra l'erba, e un vento leggero, che rinnova le foglie di quel platano sperduto e sottile, nato in un campo quasi per sbaglio. O forse no, niente affatto per caso, era già stato deciso, quando quel seme aveva trovato la terra, e si era abbarbicato, con tenacia e coraggio, che un giorno avrebbe offerto la sua ombra e il suo stormire soffice a un uomo e a una ragazza, perché parlassero d'amore.

- E voi, cosa sapete di loro? -, gli chiede, ardita e un poco sfacciata, rompendo il silenzio.
- Più di tutti gli altri, forse. Perché ero amico di André, e perché Oscar era il mio Comandante. Perché fummo soldati insieme, e insieme combattemmo quel giorno. Perché tutto sommato, quando desideri qualcosa con tutto te stesso, e alla fine quel desiderio si avvera, forse non esiste felicità più grande, non importa se dura solo un giorno o qualche ora o te la strappano dal petto per sempre, sai che non hai sperato invano... e André ebbe quella felicità, e anche vostra zia -.
Si alza nel dire così, calcando il cappello di paglia in testa e sputando lontano il fiorellino ormai insapore.
- Vi auguro di provare la stessa felicità, un giorno. Perché non avete l'aria di averla già conosciuta, madamigella -.
Lo dice sorridendo, passandole oltre, via dal campo, verso il viottolo.
La ragazza di scatto è in piedi, indispettita da quella che sembra l'ennesima fuga.
- E io mi auguro che vogliate essere nostro ospite nel pomeriggio. Mia nonna desidererebbe molto parlare con voi -.

Nell'ora più calda del giorno la pergola è una benedizione.
Ripara dal sole più feroce, e sfuma di verde e di viola, allietando anche i pomeriggi più solitari.
Non che abbia mai condiviso quella frescura, ma certe volte la solitudine si conficca nel cuore come un chiodo in una crepa, e sembra quasi che lo divelga in due.
Si è lavato, ha indossato le sue migliori culottes blu, e un panciotto avuto in dono dal fabbro del paese, per ripagarlo di un certo lavoretto svolto per lui. Alain si è fatto ben volere presto da quel pugno di abitanti. Non ha mai disdegnato un lavoro o un favore, e ne ha avuto in cambio fiducia e il necessario per vivere dignitosamente.
Chissà come mai trae tanto gusto a imbarazzare e stuzzicare quella povera ragazza. Se lo chiede mentre imbocca il sentiero. In realtà gli piace il modo in cui non si dà per vinta, e reagisce ai suoi modi bruschi. Con dignità, e con prontezza. E' senza dubbio cresciuta nel lusso, e tuttavia non ne fa sfoggio. Non le avrebbe nemmeno dato udienza, altrimenti. C'è qualcosa nello sguardo che gli rivolge sempre un po' timidamente che lo spinge a fidarsi.
Forse è davvero giunto il momento di raccontare. Di rendere eterni quei due più di quanto non lo siano già.
Cos'è in fondo la memoria, se non la trasmissione di un ricordo?
In realtà lui ha poco da fare l'esperto in faccende amorose.
C'è stato un tempo in cui l'amore era una scoperta fresca e croccante, una conquista. Poi da soldato il più delle volte se lo doveva pagare, il calore di una donna.
Funzionava così, non ne fa certo, adesso, una questione morale.
L'unico che sembrava non aver bisogno di nulla era proprio André. E non perché avesse tutto, ma proprio perché non aveva quello che voleva. Era uno dei pochi casi in cui la mancanza d'amore si nutriva di sé, piuttosto che cercare una qualche temporanea ed effimera soddisfazione.
Con questi pensieri a fargli compagnia arriva a scorgere il grande muro di cinta della villa senza quasi essersi accorto di aver divorato la distanza in un galoppo sostenuto.
E' degno di nota come la casa e i suoi abitanti siano sopravvissuti alle scorribande di briganti e disperati che per alcuni anni, dopo il 1789, hanno terrorizzato quelle zone.
Probabilmente i Jarjayes non hanno più nulla dei possedimenti terrieri di un tempo, oltre a quella villa.
Percorre parte del muro, ornato d'edera, e svolta poi per trovarsi al cancello principale.
Un uomo gli si fa incontro. E' piuttosto anziano, il volto cotto dal sole e dagli anni, e un'espressione benevola, quasi simpatica, al pari dei folti baffi grigi da cui sbuca a malapena un naso piccolo e tondo.
- Monsieur -, dice soltanto, aprendo il cancello con fare gentile. Ha ancora antichi modi ossequiosi, che evidentemente la rivoluzione non è riuscita a cancellare del tutto.
Alain entra, lasciando poi le redini del proprio cavallo all'uomo.
Una governante lo attende sull'uscio.
- Madame vi aspetta nel salottino, monsieur, vi faccio strada -.

Non è mai stato in una casa nobile. Ha combattuto, contro di loro. Ha combattuto per essere un uomo libero, di pari diritti e pari valore.
Ha cannoneggiato la Bastiglia, ha disertato, ha sparato.
Eppure lì dentro il tempo sembra essersi fermato.
La stanza dove lo aspetta madame infonde una sobria eleganza. Tappeti, quadri, poltrone, cuscini ricamati, e su tutto vasi ricolmi di fiori e un sentore tenue ma inconfondibile di lavanda.
Madame lo accoglie stretta in un abito scuro, i capelli inargentati raccolti sulla nuca, e un lieve sorriso.
- Prego, monsieur... ? -.
- Soisson, madame, Alain Soisson -.
Usa un tono basso, quasi fosse in soggezione. Lui, che non esitava, un tempo, a sfottere i suoi superiori. Eppure non può fare diversamente. C'è una mesta compostezza nella dama che lo invita a sedersi. Una dignità dolorosa, una dolcezza triste.
- Nel mio cuore non ho mai perso la speranza che mia figlia fosse viva -, esordisce, le mani in grembo, un poco contratte.
- Madame, voi siete stata avvertita dal parroco della chiesa di Saint Étienne che... -.
- Sì, certo, monsieur Soisson -, lo interrompe, i begli occhi ingrigiti dall'età chiusi in un sospiro. - E immagino che debbo ringraziare voi, se mia figlia non ha subito lo scempio di una fossa comune. Ma, vedete... -, fa cenno alla donna di poco prima di posare un vassoio e il suo contenuto fumante, - io ho un cuore di madre, e non esiste rassegnazione -.
Alain non sa se annuire o ascoltare soltanto, in silenzio. Inizia a dubitare dei motivi che l'hanno portato lì, e anche del perché madame ha voluto incontrarlo. Forse l'anziana donna ha perso un poco di lucidità: non sarebbe la prima volta che una madre impazzisce di dolore.
- Non sono stata la madre che avrei voluto. Ho vissuto più a corte che tra le mie figlie, e non vedevo Oscar da mesi quando... quando quel 14 luglio giunse la notizia che un disertore avesse guidato l'assalto della bastiglia. E la descrizione fu inequivocabile, per me e per la Regina, che accolse con me quella notizia -.
Alain ascolta senza ribattere. Lui era dall'altra parte della barricata in quei momenti. Lui aveva visto e vissuto ciò che a loro era stato solo annunciato.
- Per quale motivo avete chiesto di vedermi, madame? - chiede infine, a disagio.
- Vorrei che mi raccontaste quei momenti. Quegli ultimi giorni -.
Lo dice con serenità. Come se in tutti quegli anni non avesse fatto altro che prepararsi a quell'istante. Come se avesse pianto tutto quello che c'era da piangere, e ora restasse solo la rassegnazione e il coraggio di sapere.
Alain sospira. Solo allora si rende conto di non aver affatto visto Camille, e ne è sollevato.
Forse è meglio così. A cosa servirebbe riversarle addosso tutto quel dolore?
Proprio quello che Madame va cercando. I tasselli mancanti, le emozioni, le immagini... ma lei è forte, è una madre. E deve sapere.
- Forse, prima di tutto, dovrei dirvi che Oscar e André erano...  sì, insomma, di fatto erano marito e moglie -.
Lo dice per André soprattutto.
Perché sia chiaro quali erano i loro desideri, quali le loro intenzioni. Perché sia chiaro che si erano conquistati la loro libertà e uguaglianza prima ancora che scoppiasse la Rivoluzione e che fosse chiamata tale. Perché non avevano avuto altra scelta che combattere per quegli ideali che loro stessi incarnavano, e senza i quali non avrebbero avuto futuro.
Madame non dice nulla. Si alza per guardare fuori dalla finestra, le mani ancora allacciate in grembo.
- Quindi mia figlia non è... c'è André con lei? -.
Alain annuisce: - Ci sarebbe stato comunque -.
- Non potevo desiderare nulla di meglio per lei... -.
Si volge sorridendo, quasi confortata, appena un velo liquido tra le ciglia.
- E ora, vi prego, Alain... sono pronta -.

Si è congedato da madame con un inchino, dopo che lo ha ringraziato a lungo, e gli ha persino chiesto se avesse bisogno di qualcosa, pregandolo di non esitare a chiedere. Ma Alain si è negato con decisione, non ha bisogno di nulla, cui non possa provvedere da solo.
La governante è rimasta con la signora, nel salotto, che cercava di nascondere il tremito nella voce e nelle spalle, mentre lo accomiatava.
Respira forte ora. E' pomeriggio inoltrato, l'aria è tersa, odora di buono.
I sassi scricchiolano sotto le sue suole, mentre attraversa il cortile, diretto alle scuderie, un'amarezza risvegliata nel petto, tutto quel raccontare.
Si riempie gli occhi delle aiuole fiorite e curate, macchie di colore a ridosso del muro, ricolme di api impazzite.
Quando torna a guardare dritto davanti a sé, sorride suo malgrado.
Il suo cavallo è pronto vicino al cancello, e Camille lo aspetta, bella come la ricordava, i capelli raccolti in una treccia su una spalla, e le redini in pugno.





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Grazie a tutti coloro che stanno leggendo, seguendo, commentando questa mia piccola storia.
Grazie per la fiducia e per le perplessità :)
Sotto il titolo, come anche nei precedenti capitoli, la frase di Borges che mi ha ispirato, e che credo si adatti perfettamente al nostro André.
Ancora sotto (1) frasi tratte da un bellissimo sito fb che consiglio, Il mestiere di scrivere, e che (come facevo già con il Peccato) mi pare possano introdurre il tema del capitolo stesso, e perché no, far riflettere.

Un abbraccio di cuore a tutti, a presto (non vado in vacanza... aggiornerò regolarmente le mie storie)
Amantea

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Capitolo 4
*** -4- ***


-4-
LA  FELICITA'  PIU'  GRANDE
"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande".
(Jorge Luis Borges, L'Aleph)



-4-

«Contro i sentimenti siamo disarmati, poiché esistono e basta - e sfuggono a qualunque censura. Possiamo rimproverarci un gesto, una frase, ma non un sentimento: su di esso non abbiamo alcun potere».

(Milan Kundera, “L'identità”)





- State bene? -, gli chiede, porgendogli le redini, gli occhi raggrumati da un velo di preoccupazione.
Alain raccoglie i finimenti, indugiando nel passaggio, uno scambio rapido ma non troppo. Che fretta c'è, in fondo?
Non sa cos'abbia visto nei tratti marcati del suo viso, cosa nei suoi occhi scuri, così spesso irriverenti e forse adesso solo un poco più reticenti a spostarsi dall'azzurro che ha davanti.
- Dev'essere stato difficile parlare con mia nonna, mi spiace -, conclude la ragazza, lasciando le redini all'uomo. Ha ancora indosso gli abiti di Oscar, e li veste con disinvoltura, mentre accarezza in gesti lenti la criniera del cavallo, che ricade lunga e nera proprio da quel lato del collo.
- Per Madame lo è stato di più -, soggiunge lui, la mano sul muso del cavallo, che gli va incontro con uno sbuffo.
Camille lo ha osservato, non vista, mentre attraversava il piazzale, le spalle dritte, il busto fiero.
- Non ho mai pensato che foste un contadino, lasciate che ve lo dica -. La ragazza muove un passo verso il cancello aperto. - Nemmeno la prima volta che vi ho incontrato, lungo il campo. Si vede lontano un miglio, che siete un soldato -.

- Sì, mi piaceva, e la paga era buona -, le risponde mentre ormai hanno lasciato il cancello, e si stanno incamminando lungo il viottolo che gira intorno alla villa, per poi tagliare per una macchia di cespugli bassi e fitti, prima di perdersi nella campagna. Camille lo accompagna, alla sua destra, il cavallo che avanza al passo, scuotendo ogni tanto la testa, le redini nell'altra mano. Si sono sfiorati per sbaglio, e la ragazza ha allargato di un poco la distanza tra i loro fianchi, lambendo quasi il ciglio del sentiero, dove la terra polverosa si infrange nell'erba incolta.
- Ma un soldato deve saper sparare, e uccidere all'occorrenza. E rischia la propria vita. Anche quello, vi piaceva? -. Nemmeno risuonano i suoi stivali sulla strada, tanto lieve è la sua figura, quanto invece si sentono quelli di Alain. E' senza dubbio la sua mole massiccia, che calca il passo, e tintinna negli anelli di metallo dei finimenti e nel cuoio dei gambali. Più alto di lei, e muscoloso quel corpo, che tira la stoffa delle maniche, e nelle cosce riempie il profilo dei pantaloni.
Lo guarda di sfuggita, il sole che si avvicina al penultimo tratto del suo arco, quello che tingerà la tela del cielo di colori caldi, senza sapere ancora se saranno sbavati come un acquerello troppo diluito, o densi e corposi come una pennellata ricolma di tempera.
- Uccidere o morire non è mai stato un problema -, ribatte. - Lo metti in conto. E finché non accade davvero, non ci pensi -. Tace qualche istante, prima di continuare: - Ci sono lavori che ti uccidono di fatica, o di fame. Non era male fare il soldato, almeno finché c'era vostra zia a comandare. Ma non avrei mai potuto prendere ordini da qualcun' altro -.
- E' per questo che non siete tornato più a Parigi? Che non vi siete arruolato per Lafayette, o per Bonaparte? -.
- Voi fate molte domande, madamigella, ma non raccontate nulla di voi... -. Sorride beffardo, allo stupore che la coglie, e allo sguardo colpevole che sosta nei suoi occhi per un breve battito di ciglia.
- La mia vita ha poco di interessante, monsieur. La cosa più avventurosa che ho fatto è stata imbarcarmi su quella nave con mia nonna e qualche domestico al seguito. E per come il mio stomaco... ne ha... risentito, direi che è stata sufficientemente ardita -.
Una risata sgangherata irrompe l'aria placida, seguita da un riso sommesso e trattenuto.
- Vostra zia si tuffava nei pericoli come fossero state vasche piene di cioccolata, invece. Non ho mai conosciuto una donna più testarda e indomita di lei -.
- Per esempio? Vi prego, raccontatemi qualcosa, Alain -, supplica la ragazza, l'espressione improvvisamente fanciullesca sul bel volto arrossato dall'impegno di quella lunga passeggiata.
- Beh -, inizia a dire, grattandosi la testa con la mano libera, un mugolìo nella gola, e lo sguardo che vaga intorno, quasi a raccogliere le idee, o piuttosto a cercare le parole giuste da dire. - Una volta ci chiamarono a scortare un tizio spagnolo, in visita a Parigi. Non vi dico la gioia dei miei compagni -, sogghigna ironico, - i nobili a quel tempo erano invisi a tutti, e, per farvela breve, l'idea di dover salvare la buccia a un principe, per di più, e straniero, fece storcere la bocca a tutti... il Comandante però ci promise paga doppia per quel mese, e qualche giorno di licenza come premio. Direi che sapeva come convincerci... e scommetto anche che i soldi in più intendeva tirarli fuori dalle sue tasche -.
- Una missione pericolosa, quindi? -, chiede la ragazza, l'espressione interessata, le sopracciglia alzate nell'attesa della conferma.
- Non lo sapevamo ancora, quanto lo sarebbe stata. C'era un gruppo di ribelli, di rivoluzionari, che era sulle tracce del principe spagnolo, e anche sulle tracce del Comandante -.
- E come finì la faccenda? -
- Finì con Oscar che ci sfrecciò davanti come una furia, e io e André dietro, a inseguire quelli che aveva cercato di uccidere lo spagnolo e la sua famiglia, finché una grossa esplosione ci mandò tutti e tre a gambe all'aria in un fosso -.
La ragazza si è fermata. Lo guarda, gli occhi attenti, più grandi, come un bimbo che ascolta una favola, e ne attende la conclusione.
- Quando riaprì gli occhi, era l'alba del giorno seguente. Ho sempre avuto la testa dura, per fortuna -, chiosa, strizzandole un occhio in segno d'intesa, - ma ricordo anche che risi come un matto a vedere quei due... Nella caduta André doveva essere riuscito in qualche modo a buttarsi su Oscar, per proteggerla, e poi erano ricaduti vicini. Lui la teneva per un polso, entrambi bocconi sul prato. Lui c'era sempre, per lei. E anche se vostra zia cercava di fare la dura, sapeva benissimo quello che André provava. Era solo questione di aspettare il momento giusto, o l'occasione propizia, e avrebbe ceduto, come neve al sole -.
Ride di nuovo.
- E fu quella, l'occasione propizia? -, incalza Camille.
- Non lo so, perché quando mi accorsi che si stavano risvegliando e André si chinava su di lei, ho voltato le spalle. Sapevo già come si bacia una donna...  -.
La ragazza si è fermata, di nuovo. Sorride, a occhi bassi, senza guardarlo. Il suo sguardo è fuggito verso il cielo un poco rosato, e l'erba che ondeggia al vento, come un mare d'alghe senz'acqua.
- Vi ho mancato di rispetto, Camille? -, chiede, tralasciando ogni formalità. - Vi chiedo scusa. Lo avete detto voi, sono un soldato, e i soldati non sono avvezzi a parlare con le giovani della buona società, non fateci caso -. C'è un che di derisorio nel modo in cui lo dice, e Camille se ne accorge. E' giovane, senza dubbio, ma non sciocca.
- Non è successo nulla -, si schernisce, - probabilmente è solo da troppo tempo che non parlate a una signora, non ve ne faccio una colpa -.
L'azzurro dei suoi occhi si è assottigliato quanto il filo di una lama. Gli tiene testa, e la cosa lo diverte molto.
- Voi piuttosto non portate nessun anello al dito... Il vostro fidanzato non ci tiene a far sapere che siete impegnata? O non volete farlo sapere voi?-.
- Sulla nave ci hanno consigliato di togliere gli ori... sapete, per evitare le attenzioni di eventuali malintenzionati -.
Alain annuisce con fare deciso, e pensa che tutto sommato quelle due donne sole hanno affrontato un viaggio potenzialmente pericoloso, e sono state o coraggiose o molto avventate.
- Ma siete sbarcata da un pezzo, madamigella... -, incalza.
Camille si tocca il dito dove di solito tiene l'anello che le è stato regalato come impegno di fidanzamento, e la sua voce si fa più bassa: - E' complicato-.

E' complicato. Quante volte ha sentito quella parola da André. All'inizio, con poca sensibilità forse, ma mosso da una sorta di solidarietà tutta maschile, aveva cercato di farlo ragionare, di dissuaderlo. Che Oscar non fosse una donna da amare, che per un uomo del popolo non c'erano scorciatoie per il paradiso, che avrebbe potuto avere tutte le donne che voleva, se solo avesse provato a togliersela dalla testa. E si era sentito rispondere che non era quello il punto. Che la sua vita era lei, semplicemente. Che l'avrebbe amata comunque, anche senza volerlo. E allora non avevano toccato più quell'argomento.
C'era qualcosa di sacro e inviolabile nel modo in cui André sentiva di appartenere ad Oscar. Tutto in lui parlava di lei. Anche quel suo unico occhio rimasto.
E di fronte ad un tale sentimento, ad una tale maestosità, Alain poteva soltanto tacere.

- Non mi dovete alcuna spiegazione -, si affretta a rassicurarla, vedendo con quale imbarazzo la ragazza continua a tormentarsi la base del dito dove l'anello le ha lasciato un segno invisibile ma, a quanto pare, piuttosto scomodo.
- Credo che come Oscar e André ci siano solo Oscar e André. Tutti gli altri, noi tutti, intendo, siamo comuni mortali, e come tali imperfetti -. Avanza verso di lei, porgendole le redini.
- Tornate a casa, Camille. Non manca molto al tramonto, non voglio che vi ritroviate per queste strade da sola al buio -.
La mano tesa verso di lei, che insiste.
- Ma voi ... -.
- Ho il passo svelto. Sono un soldato, ricordate? E poi la luna è quasi piena, tornerò a casa senza problemi. Prendete il mio cavallo -.
Una coltre di nuvole si è depositata lungo l'orizzonte, il bordo che diventa sempre più dorato, per il sole che da dietro discende lentamente, e vi risplende.
Camille non può che accettare, si sono allontanati troppo dalla villa, Alain ha ragione.
Monta in sella con disinvoltura, mentre lui le tiene fermo il cavallo, solo uno scrupolo. E' un animale pacifico, non gliel'avrebbe prestato, altrimenti.
Si guardano senza dire nulla. Appena un cenno, prima di spronare al galoppo.
La osserva allontanarsi, fermo ancora, la luce che si è fatta calda e rasente, e allunga la sua ombra, in mezzo al sentiero.

Pochi pensieri nella testa, che vagano e si appuntano, per poi scivolare via, senza peso.
Ha amato molto, senza amare mai. E forse anche per Camille è un po' così. Un amore, magari il primo, che amore non è.
Il troppo, il molto, il niente... quale la misura giusta dell'amore, se misura esiste...
Fischietta una canzone mentre accelera il passo lungo la via, le mani buttate nelle tasche. E la certezza che la rivedrà ancora.

Madame Marguerite l'ha chiamata nel salottino, dove ancora ricama, alla poca luce che ancora filtra dalla grande finestra che dà sul piazzale.
La cameriera sta facendo il giro delle stanze per accendere i doppieri, quando Camille sosta sull'uscio, e si annuncia: - Avete chiesto di me, nonna? -.
Madame alza lo sguardo, le sorride.
- Non sei rientrata con il tuo cavallo -, è una constatazione. Dalla poltrona in cui è seduta deve averla sentita rientrare, e deve aver notato il diverso destriero consegnato alle premure di Arnaud.
- No, me lo ha prestato il signor Alain. Ci eravamo allontanati troppo perché rientrassi a piedi. E' stato molto gentile -. Si è avvicinata intanto, per guardare a sua volta dalla finestra. Il tramonto trionfa con i toni del rosso e del rosa, al di sotto di una coltre di nuvole, soffice e spessa.
- E' un brav'uomo -, aggiunge Madame. - Puoi invitarlo a pranzo, se lo desideri. Ha l'aria di essere molto solo, qui. E lo siamo anche noi, dopo tutto -.
Camille lascia che la tenda, sollevata dalle sue dita, ricada sui vetri, e si inginocchia ai piedi dell'anziana donna, il viso posato sulle sue gambe.
Una carezza tra i capelli, il suo nome sussurrato con dolcezza.
- Non devi sposarlo se non vuoi. Tuo padre strepiterà un po', ma poi si rassegnerà. E un po' di lontananza ti farà bene -.
- Sì, nonna... grazie -. Un sospiro, impercettibile, mentre resta ancora un po' lì, cullata, e nei suoi occhi chiusi, quelli di Alain.





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Carissime tutte, ultimo aggiornamento prima di Natale.
(Sto preparando una sorpresa per le mie sorelle PECCATRICI, spero che sia gradita).
Grazie a chi legge, segue, e lascia la sua traccia in questa storia o legge semplicemente in silenzio.
Un abbraccio e un augurio di cuore per feste serene e colme d'amore!
Amantea



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Capitolo 5
*** -5- ***


-5-
LA  FELICITA'  PIU'  GRANDE
"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande".
(Jorge Luis Borges, L'Aleph)



-5-

«Ricordati sempre: quando un uomo esce da una stanza, si lascia alle spalle tutto quel che c’è dentro. Una donna, invece, si porta appresso tutto quel che c’è avvenuto».

(Alice Munro, “Troppa felicità”

)




Si è svegliato nel brusio insistente di una pioggerellina grigia e fitta, il cielo un unico tappeto incolore fuso a una nebbia opaca che sale dai campi, e tutto confonde. E ora, arreso all'ozio, l'animo rassegnato (inutile arrischiarsi lungo quel manto di fanghighia), le sole brache addosso, una spalla addossata all'uscio, respira l'aria satura d'acqua, e un sorriso attraversa il suo volto.
La stessa pioggia, di quel giorno.
Anzi, no, niente affatto la stessa. Scrosciava con forza, quella, fragorosamente, contro le pietre lisce del piazzale, e il soldato Soisson non sentiva altro che quel rumore insistente e costante, di sotto ai battiti furiosi nel petto. Null'altro, sulla pelle, non il freddo, non quell'acqua che scivolava nel colletto, non le gocce che gli ferivano gli occhi. Solo un ritmo tumultuoso che pulsava nelle orecchie, e la mano, che bruciava ancora.

La odiava. Odiava quella sua aria aristocratica, quel suo culo dritto, quella compostezza imperturbabile. La odiava perché non aveva capito nulla dell'amore che quel povero Grandier nutriva per lei, o, se l'aveva capito, si permetteva ancora, ostinatamente, di far finta di nulla. E quella mattina, poi, che il compagno Lassalle era stato portato via a forza dalla polizia militare, e rischiava la testa (la testa! Per aver venduto un fucile, lui, che doveva sfamare una famiglia intera!), sicuramente -sicuramente!- denunciato da lei, beh... aveva solo una gran voglia di fargliela pagare.
Sorride, ancora, al ricordo del ragazzo furioso e impulsivo, e stolto, che era. Perché non aveva ancora capito nulla, allora, del suo Comandante. Del senso di giustizia che la muoveva, sempre e comunque, anche quando sarebbe stato il caso di retrocedere, arrendersi, tacere. Della nobiltà che portava nel cuore, e non solo appuntata sul petto, come un privilegio di casta. Della costanza con cui aveva reso impervio il suo cuore, per mera sopravvivenza, e non per diletto, perché i sentimenti scavano dentro, espongono e rendono vulnerabili. E quella donna, di essere vulnerabile, proprio non poteva permetterselo. Non ancora. Non in un mondo di uomini. Non in un mondo che stava andando in frantumi, anche se nessuno sembrava rendersene conto.

Ed era entrato nel suo ufficio, con una scusa risibile, per poi aggredirla, scagliandosi addosso a quel corpo così sottile da sembrare malamente fragile, scaraventandolo contro il muro -era così leggero-, e poi schiaffeggiandolo, sì, perché troppa era la rabbia che gli premeva nel petto, per poi trascinarlo fin nel piazzale, perché tutti la vedessero, la faccia di un comandante che vende i suoi uomini. Era l'ora che qualcuno le insegnasse come funzionava il mondo. Che qualcuno la smascherasse. Che qualcuno gliele cantasse, come si cantano a un traditore.

Alain si osserva il palmo della mano, che ha aperto e richiuso, come se stringesse ancora l'elsa della sua spada, quella ridotta miseramente in due pezzi durante il duello. Come se potesse ancora sentire la rabbia che d'improvviso era scivolata via dal suo corpo come quei fiotti d'acqua sul selciato, dispersi in rivoli, assorbiti dalle fughe delle pietre, accostate l'una all'altra, un poco sconnesse, e liquide, al pari della sua coscienza.
Difficile da spiegare ... ma si era sentito d'un tratto come svuotato... svuotato d'ogni intemperanza, d'ogni sospetto, d'ogni rancore. Aveva visto se stesso, riflesso negli occhi di Oscar. Si era guardato come lo stava guardando lei. Senza giudizi, senza alterigia. Avrebbe potuto ucciderlo, se avesse voluto. Avrebbe potuto bloccare sul nascere quella farsa, chiamando altre guardie, o Dagôut. Ma non lo aveva fatto. Aveva accettato la sua sfida, aveva acconsentito a combattere contro di lui, per difendere il proprio onore. Lo aveva trattato con rispetto, come mai nessuno prima d'allora.
Quel giorno, in quel piazzale, sotto quella pioggia battente, l'uomo Alain aveva ricevuto la lezione più importante della sua vita, e da una donna.
Quel giorno, in quel piazzale, sotto quella pioggia battente, Oscar François de Jarjayes era diventata definitivamente il suo Comandante.

Una voce lo riscuote, qualcuno lo chiama, allarmato, gridando.
E' Julien, un contadino che abita qualche casa più in là. Si conoscono molto bene. E di lui Alain direbbe che è un uomo buono e senza dubbio felice, sebbene vedovo da alcuni anni, perché sta per arrivare un nipotino, il primo, e non c'è gioia più grande di quell'evento che allieterà presto la sua vita.
Ma in quel momento sta correndo come un pazzo sotto la pioggia, gli zoccoli che sguillano sul fango, agitando le braccia.
- Che diavolo succede Julien!- gli si fa incontro con la voce.
- Alain! Alain!! E' per mia figlia... ha le doglie... aiutami! -. E' arrivato trafelato, una mano al fianco, l'altra appoggiata contro lo stipite, gli occhi sgranati.
- Ma la levatrice? Non... -
- Ho mandato mio figlio a chiamarla, ma dicono che la strada è impraticabile, ci vorranno delle ore... Alain non so cosa fare... Eugénie...  -. Le mani sul volto, ansimando, a coprire gli occhi.
- Va bene, calmati ora... forse so chi potrebbe aiutarla... ma mi serve un cavallo -.

Ha tagliato per i campi, il cappuccio del mantello sulla testa, al galoppo, le cosce salde sui fianchi, gli occhi vigili davanti a sé.
Nessuno schieramento nemico da superare, nessun fucile spianato addosso, nessun ferito stretto al petto da trasportare in fretta, prima che sia troppo tardi... eppure corre più veloce che può, con i sensi allertati, per giungere quanto prima a villa Jarjayes.
Non ha avuto dubbi, nel pensare a lei. Quella donna ha avuto diversi figli... qualcosa deve sapere di come si partoriscono i bambini, e se non altro è una donna, e il parto è una faccenda da donne.
Ecco il cancello, e non deve sgolarsi molto perché Arnaud gli si faccia incontro correndo e lo faccia passare, mentre la governante, attirata da quel trambusto di voci e nitriti, è comparsa un attimo sulla porta per poi sparire di nuovo, e quando riappare è già con la sua signora.
- Madame vi chiedo scusa se non mi dilungo in convenevoli, ma la figlia di un mio amico sta per avere un bambino, ed è senza aiuti. Se pensate di poter fare qualcosa, qualunque cosa, vi pregherei di seguirmi - spiega Alain, il mantello che disperde la pioggia sul tappeto dell'elegante ingresso, gli occhi scuri, inquieti, che non danno tregua a quelli dell'anziana donna.
Marguerite ascolta assorta, senza ribattere, le sopracciglia un poco increspate. Apprezza la premura e la solerzia di quell'uomo che l'ha investita con coraggio di una grande responsabilità, e lo rassicura con un sorriso limpido e saggio: - Senza dubbio non si può lasciare sola quella ragazza in un momento tanto delicato. Non vi preoccupate, signor Soisson, l'aiuteremo come possiamo -.
E mentre ordina alla governante di preparare una borsa da viaggio con dei teli puliti (un contadino forse non ne possiede abbastanza, e non così puliti, deve pensare), e poi sussurra altro che Alain non coglie, forse per il tono fattosi improvvisamente intimo, o perché i suoi occhi sono stati catturati da una nuvola di zucchero che sosta sulle scale, immobile, Alain non può che ritrovarsi a considerare quanto ammirevole sia quell'anziana donna. Quanto sia anch'ella per certi versi un Generale, quanto dotata di un autorevole e dolce carisma, di una naturale predisposizione alla generosità. E di come debba aver supportato con la stessa docile e assennata premura la regina, nei numerosi anni in cui prestò servizio a corte.
- Camille cara, cambiati, e in fretta, dobbiamo seguire il signor Alain -, dispone ancora Madame senza indugiare oltre, già i passi mossi verso un salottino, da cui ritorna poco dopo con una mantella tra le mani. - Darò ordine ad Arnaud di preparare subito la carrozza e poi di correre ad avvertire il dottore di Arras. Orthènse resterà a custodia della casa -, continua, con delicata fermezza. Non muta espressione nemmeno quando Alain la informa che dovranno andare a cavallo, perché sulla strada fangosa la carrozza rischia di impantanarsi. - Non dubito che avrete già pensato nei dettagli a come organizzare questo nostro trasferimento -, lo adula, porgendogli la mano.
E in quell'attimo anche Camille si unisce a loro. Deve aver volato le scale e stracciato il vestito per essersi potuta cambiare così velocemente, pensa l'uomo con una punta inoffensiva di sarcasmo. E quando le rivolge la parola, è un ordine quello che esce dalle sue labbra, ma pronunciato con una voce così calda che Camille non se ne adombra: - Io porterò Madame. Voi seguitemi con il mio cavallo, e state attenta, la pioggia rende il terreno insidioso -.

Le ha chiesto il permesso di poterla stringere un po' a sé, sul cavallo, perché lo manderà al galoppo e non vuole rischiare incidenti lungo il tragitto. L'ha sentita aggrapparsi un poco al suo braccio, in certi tratti, senza protestare. E una volta scesa, ha rassicurato Julien, con tocchi leggeri e colmi di grazia e calore, chiedendo la cortesia di mettere un po' di acqua a scaldare, e infine si è chiusa con Camille nella camera da letto, dove Eugénie era rimasta accovacciata, le mani appese alle lenzuola, danzando con la voce e il busto il suo travaglio.
Non si sono quasi guardati, con Camille. Ha notato la sua aria tesa, ma decisa, nel seguire la nonna, probabilmente senza avere la minima idea di quello a cui assisterà. C'è solo da sperare che non ci siano complicazioni, che tutta vada come la natura ha predisposto, da secoli, che vada.
E a lui rimane il ruolo di confortare gli uomini di casa. Stringe le sue grandi mani sulle braccia dell'amico, che si trovi qualcosa da fare, magari nella stalla, durante quell'attesa. E poi prende da una parte il marito di Eugénie, battendo forte sulle sue spalle, ridendo contro quel volto un poco pallido.
- Forza Jean, dedichiamoci a quello che gli uomini sanno fare meglio, e lasciamo le donne al loro daffare... e vedrai che tra poco uscirà un bel pupetto da quella porta -. Il ragazzo non riesce nemmeno a sorridergli, ha il viso stravolto, per i lamenti della ragazza. Arrivano a intervalli, attutiti dalla porta chiusa, e sono piuttosto strazianti da sentire, specie per chi, come loro, non può fare a meno di udirli.
- Dai -, lo incalza ancora, trascinandolo di peso verso la cucina. Quello che gli uomini sanno fare meglio è senza dubbio bere.
Lo sa bene Alain, abituato a buttar giù fiumi di birra a Parigi, assieme ai suoi compagni della Guardia. E lo sapeva anche André, se è vero -come è vero- che lo conobbe proprio in un'osteria, ubriaco fradicio e disperato da fare pena al cuore. Perché egli ne aveva conosciuti tanti di ubriaconi, ma quel ragazzo lì, quella sera, stretto in quella giacca di buona fattura, l'aria delicata, non sembrava proprio un disgraziato. Sembrava più qualcuno che volesse espiare chissà che tremendo peccato, che dovesse cancellare chissà quale indicibile colpa dalla sua vita, quale efferato delitto da quel suo unico occhio. Così triste e profondo che Alain non resistette molto, ad ignorarlo, e lo invitò a bere in compagnia... perché aveva l'aria troppo perbene e troppo affranta per lasciarlo marcire da solo.
E adesso, che sul tavolo c'è una bottiglia di pessima acquavite, e due bicchieri un po' sbreccati, e accanto a lui c'è un ragazzo un po' spaurito e un po' spaventato, quello che deve fare è solo farlo bere un po', non tanto da ubriacarlo, ma abbastanza da alleggerirgli la mente, e rassicurarlo che tutto andrà bene.

Non saprebbe dire quanto tempo è passato da quando le due donne sono entrate nella stanza, ma ad un certo momento Camille esce per prendere il paiolo dell'acqua e portarlo dentro, e la bottiglia di acquavite è ormai diminuita di una buona metà.
Jean ha appoggiato il viso sugli avambracci, piegati contro il legno del tavolo, e ha chiuso gli occhi. Alain si alza, verso una finestra che dà sul retro della casa. Piove ancora, ma in modo meno uggioso, ed è quasi sera.
Osserva lo spicchio di cielo, meno denso di come lo ricordava, le braccia conserte, lo sguardo altrove.
E quando la porta si apre di nuovo, e Camille appare con un fagotto tra le braccia, spettinata, gli occhi splendenti e lucidi, invero bellissima, Alain rimane incantato a guardarla. Quasi non si accorge che la ragazza sta chiamando Jean, e quello si alza di scatto, quasi stridendo la sedia, e le mani commosse che non sanno cosa fare.
- E' tuo figlio, Jean -. E quello basta, a emozionarsi di più, e muovere le dita e le braccia, fino alla copertina, a un musetto che sbadiglia con gli occhi chiusi di sotto a una cuffietta, a una boccuccia sdentata che si schiude e si richiude, come se vivere fosse nient'altro che un tentativo andato a buon fine, e tutto è ancora da inventare.
Camille guarda Alain con un sorriso radioso, e poi incoraggia di nuovo il giovane padre a prendere il suo bambino in braccio.
- E... Eugénie? -. Jean ha quasi timore di chiederlo.
- Sta bene. Mia nonna vi chiamerà tra poco, venite -. Gli fa strada, in quella che in realtà è la sua casa, ma che in quel momento nemmeno riconosce, perché con la sua creatura tra le braccia nulla è più come prima. E' un padre, adesso. Julien sosta sull'ingresso, non ha fiatato. Deve aver osservato tutta la scena in silenzio, le parole soffocate nella gola, perché legli è solo un nonno, e un nonno può anche aspettare.

Alain non si è mosso dalla cucina. A volte bisogna farsi da parte, lui lo sa bene. Far finta di non vedere, quasi per non sciupare una felicità di cui si è testimoni solo per caso, o per coincidenza. Camille ha atteso che la nonna chiamasse Jean, e poi, ricevuto un qualche cenno dall'interno, ha richiuso la porta. E sta tornando in cucina, gli occhi su Alain.
- Hanno voluto che mia nonna restasse dentro con loro... Eugénie era così contenta... -.
Si lascia cadere su una sedia, sbuffando, le mani alla fronte.
- Io... io non avevo mai... non credevo che... -
- Che nascere fosse così faticoso? - la aiuta Alain, porgendole un bicchiere. Le ha versato un dito di acquavite, e ora siede, accanto a lei. La osserva, divertito per le espressioni di stupore che la ragazza suo malgrado sta esibendo sul bel viso accaldato.
- Eugénie ha avuto una forza incredibile... le donne hanno una forza incredibile... - commenta, ancora, quasi parlando a se stessa, i gomiti appoggiati sul legno.
- Lo trovate divertente? -, chiede a un certo punto, notando il risolino che sembra non volersi staccare dalla labbra dell'uomo.
- Siete tutta spettinata... e francamente temevo che sareste svenuta, là dentro -.
Camille sgrana i begli occhi azzurri, puntanto un dito contro di lui. - Signor Soisson... avrei voluto vedere voi là dentro... un uomo sarebbe già morto da un pezzo ad affrontare una cosa del genere, vi assicuro... -, spiega, l'espressione beffarda. - E poi, che amore è se non ti scompiglia un po' i capelli? -, ride, socchiudendo gli occhi, gettando un poco indietro la testa. E Alain deve sviare lo sguardo, da quel collo bianco, ornato da un colletto aperto e scomposto; da quei riccioli biondi sfuggiti all'acconciatura, e deliziosamente ribelli. E anche dallo sguardo che adesso lo ha raggiunto, improvvisamente silenzioso e intenso.
- Vi assicuro che era solo amore, quello che ho visto e sentito là dentro -, aggiunge, la voce un poco bassa, turbata.
- Sì, non ne dubito Camille... e voi siete state meravigliose ad aiutare questa povera gente -.
- Lo siete stato anche voi, nel venirci a chiamare prontamente. Non che mia nonna sia medico, ma... la natura ha deciso di fare il suo corso senza intoppi, oggi. Abbiamo solo dovuto assisterla... è Eugénie che ha fatto nascere suo figlio... non noi -.
Si alza, la tensione corre ancora nelle sue mani, un poco strette alla stoffa della camicia, dopo che ha incrociato le braccia sul petto.
- E voi... avete figli, signor Alain? -.
- No. Non che io sappia -. Si è alzato per rispondere a quella domanda diretta e un poco indiscreta, e l'ha raggiunta.
- Mia nonna ha espresso il desiderio di passare qui la notte. Per essere sicura che madre e figlio stiano bene, in attesa che il dottore o la levatrice raggiungano questa famiglia... -.
Alain non si stupisce più ormai. Che una nobildonna sia corsa ad aiutare una povera famiglia, che decida di accontentarsi del poco e nulla che quelle persone possono offrirle. - Chiederò a Julien di sistemarla al meglio per la notte -.
- Voglio restare anche io -. Lo ha detto con veemenza, quasi si aspettasse una replica E infatti Alain ha già aggrottato la fronte, e scosso la testa, come gli ha già visto fare altre volte, con lei.
- Prendete il cavallo e tornate a casa, Camille -.
- No. Dormirò su una sedia, se non c'è niente di meglio. E poi domani, se la notte sarà trascorsa in tranquillità, tornerò a casa con mia nonna -.
- Avete l'aria stanca, e una sedia non vi gioverebbe. E se non vi offendete, a casa mia c'è un letto. Oh, non avete di che sgranare gli occhi... non vi chiedo di dividerlo con me -. Ride, di quella sua risata sgangherata e contagiosa, che gli muove le spalle e il torace tutto.
- E voi? -.
- Io sono un soldato, l'avete detto voi. I soldati dormono dove capita, o non dormono affatto... lo sapevate? -.



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Lascio il racconto della notte che verrà al prossimo capitolo.
Intanto avevo premura di aggiornare!!
Grazie di cuore a chi segue, legge e commenta ...
Un bacio,
Amantea






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Capitolo 6
*** -6- ***


-6-
LA  FELICITA'  PIU'  GRANDE
"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande".
(Jorge Luis Borges, L'Aleph)



-6-

«Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità’, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai».

(Virginia Woolf)




- Potete sistemarvi in camera mia -. Le fa strada all'interno della piccola abitazione. Armeggia per accendere una lanterna, mentre Camille aspetta sull'uscio che l'uomo le faccia luce.
- Non è granché, ma... -
- Andrà benissimo, grazie. Chiedo solo di sdraiarmi un poco -. Non ha bisogno di fingere una resistenza che non ha più. Tutto quello che è successo in quella stanza se lo porta ancora appresso (1), il cuore ricolmo dell'emozione che ogni nascita racchiude in sé.
Quando un chiarore giallognolo si diffonde contro le pareti bianche Camille varca del tutto l'ingresso. Basta un'occhiata per cogliere l'intera stanza, e rendersi conto che si tratta di una cucina. Un tavolo, alcune sedie, una credenza, un camino, un sofà dal colore indefinibile, una specie di scrittoio addossato a una parete, stivali e attrezzi in un angolo, una spada, nel suo fodero di stoffa, e un fucile. La descrizione di un uomo, anche, o non del tutto.
Gli occhi di Alain sembrano ancora più scuri, o forse è solo la notte di cui si sono imbevuti, attraversando la strada ancora fangosa, odorosa di terra bagnata e di erba, di fiori scossi dal temporale, di paglia e di animali, che ancora non li abbandona.
- C'è dell'acqua... se avete bisogno di rinfrescarvi. Vi cerco un telo pulito -.
Alain senza esitare supera il tavolo che occupa il centro della stanza, e si eclissa svoltando verso destra. Dopo poco un'altra luce si riverbera tremolante dove è entrato da pochi minuti. Deve averle acceso un treppiedi o un'altra lampada. Camille non si è mossa. Un flebile imbarazzo l'ha trattenuta in cucina, come se seguirlo nella camera da letto le fosse sembrato qualcosa di troppo sconveniente.
- Spero che riusciate a riposare -. Si è affacciato di nuovo sulla cucina, la lanterna ancora nella mano, che getta ombre calde sul volto e la camicia chiara.
- E voi? -, chiede finalmente Camille. Lo chiede con un tono accorato, di sincero interesse, e Alain sorride di tanta premura.
- Mi sistemerò qui -.
Il volto sereno non lascia adito a dubbi, e la ragazza è veramente troppo stanca per continuare ad indagare. L'alba non sembra in fondo poi così lontana. Si manifesterà lenta, ma inesorabile, inghiottendo la notte e le sue ombre...  e il disagio reciproco non durerà poi molto.
- Bene allora... Buona notte, Alain e... grazie -.
Lo supera, abbassando il mento, sviando velocemente gli occhi dai suoi, sentendoseli addosso, che la seguono, fino a che gli stivali non si muovono nella direzione opposta. Li sente fermarsi, pesticciare un poco, indecisi, valutare il punto meno scomodo dove accamparsi, e li immagina infine gettati via, giacere, sul pavimento, scomposti, là dove sono caduti, uno sull'altro.

E' sola adesso.
La stanza non ha una porta da chiudere, ma una specie di tenda da far scorrere, a piacimento. La tira, accostando le estremità al legno della cornice, notando che non è abbastanza larga da coprire l'intero specchio dell'apertura. Ma dalla cucina non proviene nessun rumore, solo un bagliore tremulo, e inoffensivo.
Si avvicina al letto, e si siede.
Niente a che vedere con la morbidezza soffice del materasso della sua stanza alla villa, eppure il corpo si adagia senza remore a quel contatto.
Si toglie le forcine di perle che ancora le restano tra i capelli, e le raduna su un tavolinetto tondo. Le dispone lentamente, in una fila perfetta, come se quell'ordine potesse ripercuotersi anche dentro di lei, e calmarla un poco... risistemare le esperienze, riclassificare i pensieri...
Respira lentamente mentre completa il disfacimento dell'acconciatura, o meglio, di quel che ne rimane, e si ravviva i capelli con la mano, sciogliendo le ciocche, allungando i riccioli verso la nuca e il collo, lisciandoli sulle spalle.
Dormirà vestita, è evidente. Si toglie gli stivali, sibilando soddisfatta. In quella mossa, una manica della camicia sale disvelandole il polso. Si ferma a guardarlo, quasi attonita. Ci sono dei lividi rossastri, e devono essere gli affondi delle dita di Eugénie, aggrappata a lei, nello spasmo delle spinte.
Non aveva sentito nulla, sul momento, presa da quanto stava vivendo.
Come a volte non ci accorgiamo dei segni che restano impressi nel cuore, se non perché, quando meno ce l'aspettiamo, diventano dolenti.
Si stende, massaggiandosi il polso. Adesso, che lo sa, fa quasi male.

La notte è femmina.
Si ritrova a pensarlo, Alain, con un ghigno che gli infiora le labbra, steso alla bell'e meglio sul sofà troppo corto per un uomo della sua statura. Una gamba piegata e l'altra che scivola fuori, e si appuntella sul pavimento di pietra fredda. Un braccio chiuso sugli occhi, nonostante sia buio, e non ci sia nulla da vedere.
Femmina, ripete tra sé. Perché la notte si insinua nei sensi come il profumo di una donna, e li confonde. Dolce, a volte; più spesso amara, come il rimpianto di una conquista perduta, o una donna troppo furba per lasciarsi afferrare. All'apparenza immobile e senza fine, come una bellezza senza tempo, solo da ammirare. Oppure agile, come un corpo giovane e veloce, che cerca e raggiunge in fretta il piacere, più volte. Ed è già l'alba.
Un fruscio lo fa sollevare di scatto.
- Io non... scusatemi, vi ho svegliato -.
Ha calze di seta ai piedi, i capelli sciolti e confusi. Immobile.
- No, non stavo dormendo. Nemmeno voi però -.
- Cercavo un bicchiere d'acqua ... -.
Si alza, le offre una sedia, e provvede a cercare e riempirle un bicchiere.
- Solo questo? -.
Posa la lampada sul tavolo, in tempo per scorgere le sue mani sottili, venate d'incertezza, che cercano il bicchiere e lo portano alle labbra.
- No, non solo questo -.
Alain afferra altro, nel buio della stanza, e si siede anche lui, di fronte alla ragazza, versandosi del vino.
Un sospiro, e poi solo silenzio. Gli pare di vederseli addosso, quegli occhi azzurri e trasparenti, come l'oceano che tante volte scorge dalla cima del suo campo.
- Cosa siete venuta a fare ad Arras, Camille? -.
E' una domanda, ma non sembra tale. A volte c'è solo bisogno di un piccolo incoraggiamento perché un cavallo inizi a trottare... o un'anima ad aprirsi.
- A prendere tempo -.
- Tempo? -.
- Sì -.
- E pensavate di trovarlo in un cimitero... questo tempo che vi occorre? -.
Deve aver alzato repentinamente la testa, perché Alain intuisce uno sbuffo di riccioli, che ondeggiano e poi si ricompongono. E sorride suo malgrado.
- Beh, un tempo eterno potrebbe essere sufficiente... sì -.
Ride. Dapprima timidamente, nella gola. E poi a labbra schiuse, lasciando che la testa si arrovesci un poco.
- Siete molto bella quando ridete -.
Non le lascia il tempo di imbarazzarsi, e si alza, prendendo il lume.
- Volete vedere una cosa? -.

Seduti sulla panca, sotto la pergola, nella piccola corte.
Il tempo di indossare di nuovo gli stivali, ed ecco che osservano, in silenzio, la notte.
La pioggia ha lasciato un'aria fresca, foriera di brividi, e Camille ha sulle spalle la mantella che Alain le ha procurato, e la stringe, le gambe rannicchiate al petto.
- E' il vostro rifugio, questo? - chiede la ragazza.
- Sì. E' il motivo per cui ho scelto proprio questa casa, e non altre... -.
- E venite spesso qui... anche di notte? -
- Sì -.
- Allora molti pensieri vi tengono sveglio, Alain -.
- E a voi Camille... quali pensieri vi tengono sveglia? -.
E' strana la confidenza che il buio crea. Forse perché degli occhi si intravvede appena il bianco, che guizza con innocenza, senza ferire. O perché tutto rimane sospeso, più fragile, ed è facile fidarsi di chi si espone allo stesso gioco. Né vincitori, né vinti, solo pensieri sparsi da gettare sui piatti della bilancia, e fare in modo che restino in equilibrio.
- Se mi sposassi... adesso... non diventerai altro che la moglie di un ricco proprietario terriero. Farei la dama, null'altro. E non è quello che desidero veramente. Ci ho riflettuto così tanto da sentirmi quasi perduta, ma non è quello che voglio -.
- E cosa volete, veramente? -.
Non ci sono più nuvole nel cielo, se non striature lunghe e inoffensive, che la luna inargenta e sfilaccia.
Le guarda, Camille, mentre ascolta assorta il canto ipnotico dell'assiolo, che trapunta il silenzio dei campi, e lo riecheggia.
- Mi piace scrivere... ma dopo stasera, mi piacerebbe anche aiutare le donne a partorire -.
L'uomo immagina le guance fattesi rosse d'imbarazzo, e non risponde subito. Beve un altro sorso di vino, prima.
- Le idee non vi mancano. E anche il temperamento. Riuscirete a decidere del vostro destino, non temete. E tuttavia... siete sicura che non siete figlia di Oscar e André? Assomigliate molto... ad entrambi -. (2)
Alain si alza, sparisce dentro casa, e poco dopo, quando fa ritorno nella piccola corte, ha in mano qualcosa, che Camille non vede bene nell'oscurità. Sembra un quadernetto, un libricino, indefinito il colore della rilegatura, ombra su ombra nel buio ancora denso che precede l'alba.
- Siete una scrittrice avete detto... credo che questo dovreste tenerlo voi -.
Glielo porge, e nella sua mano grande sembra ancora più piccolo di come non sia in realtà.
Camille ne accarezza il dorso, il laccio di pelle che lo chiude in un fiocco, girando intorno alla copertina. Odora, di carta e di muffa, e altro, che non saprebbe dire.
- Era di André. Dio solo sa quanto scrivesse quel ragazzo! Sono sicuro che ci si sia finito quell'unico occhio che gli era rimasto, su quelle carte. Scriveva, nella branda, di notte. Aveva sempre qualche mozzicone di candela da parte, non ho idea dove li trovasse. E poi lo sentivo graffiare la carta, e girare i fogli. Ma non gliene ho mai parlato. Io non sono uno che... non sono uomo di lettere. Quelli erano fatti suoi, e tali dovevano restare. Ma quel giorno... il giorno che rientrò in caserma con il Comandante e decidemmo di disertare... mi prese da parte, e me lo ritrovai tra le mani. "Io non ne ho più bisogno", mi disse. "Sono felice adesso" -.
Sospira, mentre torna seduto, gli occhi alla pergola che un vento sottile e teso fa muovere, frusciando un poco.
- Felice? -.
- Sì. Credo di aver capito subito cosa intendesse. Era così evidente. Gli occhi del Comandante brillavano di una luce che non avevo mai visto, e aveva... aveva dei fili d'erba tra i capelli -. Ride, a quel ricordo. - Mi divertì a metterla in imbarazzo facendoglielo notare, di nascosto agli altri. Mi guardò sbarrando gli occhi, e poi chiudendoli, in un sorriso. L'ultimo, che le vidi -.
Camille carezza ancora il quadernetto, lo stringe in  grembo, con entrambe le mani.
- Non credo di essere degna di questo dono che mi fate... E se lo dette a voi, avrà avuto i suoi motivi -.
- Oh, ne siete sicuramente più degna di me. Lo dette a me per il semplice motivo che ero l'unico amico che avesse... Io non l'ho mai aperto... voi fatene pure l'uso che più vi aggrada -.
- E' un dono bellissimo. Vi ringrazio di cuore... -.
Lo guarda mentre ancora rigira tra le mani quel regalo inaspettato. Guarda l'uomo che le siede accanto, l'espressione seria che gli si è dipinta sul volto, il profilo contratto, il respiro trattenuto.
- Venite con noi in Inghilterra, Alain -.
Lo ha detto di getto, con l'irruenza che le è tipica. E lo ripete, incalzandolo, certa che sia la cosa più giusta da dire, e che forse non le sarà data una seconda possibilità.
- Venite con noi in Inghilterra, Alain. Potreste trovare lavori interessanti... molto più che fare... quello che state facendo qui -.
- Io sto benissimo qui -.
- Oh, davvero? Davvero lo giurereste signor Soisson... che fare il vangatore di campi dove non cresce nulla... o il custode di un cimitero... è la massima vostra aspirazione nella vita? -.
- Voi non sapete di cosa state parlando... -.
- No? Bene... potete spiegarmelo, allora, di grazia, di cosa stiamo parlando? Del perché un uomo d'azione come voi... un uomo che aveva la piena fiducia di mia zia Oscar, e solo questo basterebbe a definirvi un uomo di valore... perché un uomo come voi si ostina a rimanere in un posto del genere? E non ditemi che è per la pergola... ci sono bellissime pergole in Inghilterra -.
Preso alla sprovvista, quasi non riesce a rispondere.
Come spiegare il sentimento che anno dopo anno lo ha tenuto legato a quel luogo... fino a diventare un male sottile, e nascosto, quasi dimenticato, nella quotidianità delle piccole cose. Non sempre si sceglie... a volte è la vita che, semplicemente, va. Come la sua, in quei lunghi anni.
- E' perché li avete visti morire? Lo sento da come ne parlate che eravate molto affezionato a mia zia e ad André... -.
La foga di Camille s'infrange d'un tratto. Alain ha le mani alle tempie, i gomiti sulle ginocchia, e bassa è la voce che sembra fuoriuscire dal nulla.
- Non avrebbe dovuto starle sempre appresso a quel modo... -.
Si muove spontanea la mano, e lenta, sulla spalla di Alain... un uomo così forte, un dolore grande, per un cuore buono.
- Maledizione, non avrebbe dovuto starle sempre attaccato a quel modo -.
- Deve essere stato atroce essere presente alla sua morte ... -.
E' poco più di un sussurro, il suo, ma così dolce, che lenisce un poco il suo sconforto.
- A dir la verità... non l'ho visto morire... ma era stato preso in pieno petto, sì. Ho ancora nelle orecchie l'urlo del Comandante... certe notti sembra così vero che mi sveglio di soprassalto, e allora vengo qui... sotto la pergola -.
Si fa più decisa la stretta sulla spalla, mentre il racconto fluisce : - Ma non c'era tempo per disperarsi. Oscar vegliò André per tutta la notte, e poi, il giorno seguente, quando vennero a chiederci aiuto per assaltare la Bastiglia, lasciammo André nelle mani di alcuni dottori e ci unimmo al popolo. Era un Comandante, vostra zia. Non si sottrasse al suo dovere, mai... nemmeno quando avrebbe dovuto rifutarsi. La colpirono, dalla Bastiglia, mentre dava l'ordine di fare fuoco. Era una testa matta, c'è poco da fare. Se ne stava là in piedi, sprezzante del pericolo, la spada alzata... avreste dovuto vederla! La colpirono, e io presi il suo posto. Avrei buttato giù la Bastiglia a calci e pugni, se ce ne fosse stato bisogno, tanto ero fuori di me. E la abbattemmo in effetti, una cannonata dietro l'altra. La prima vittoria del popolo di Parigi... ma non vi starò a narrare cosa successe poi... fu uno spettacolo orribile, anche per uno come me che si impressiona difficilmente. E quando tornai alla base, a notte fonda... avevo salvato la pelle per un pelo... mi dissero che... che Oscar e André erano morti. E che avrei dovuto portarli ad Arras, dove avevano espresso il desiderio di riposare insieme, nel luogo della loro infanzia. E così feci. Uscì da Parigi illeso per miracolo... il resto, lo vedete anche voi -. (3)
E' ancora sulla spalla la mano di Camille, quando Alain raddrizza il busto e si appoggia al muro.
E per la prima volta si guardano... si guardano, gli occhi affissi l'uno all'altra. Si guardano, l'uomo e la ragazza.
Chissà cosa stanno pensando. Quale il desiderio che attraversa le loro menti, e accelera un poco il battito del cuore, perché a volte non serve molto per sentirsi ancora vivi.
- Venite a pranzo da noi, Alain. Credo che mia nonna ne sarebbe felice. Abbiamo una nascita da festeggiare -.




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(1) Riprendo la citazione leteraria di Alice Munro che introduceva il precedente capitolo 5.
(2) Omaggio alle lettrici che nel primo capitolo avevano fatto ipotesi sull'identità di Camille :)
(3) Ebbene sì... non è la storia che conosciamo noi...


Non manca molto alla fine di questa storia. Grazie per l'entusiasmo con cui la seguite, nonostante Oscar e André non ne siano i protagonisti.
Vi aspettavate una notte di fuoco? :) mmm ... non dico nulla ...
Grazie di cuore a chi legge, chi lascia una traccia, chi segue e preferisce.
Un abbraccio,
Amantea

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Capitolo 7
*** -7- ***


-7-
LA  FELICITA'  PIU'  GRANDE
"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande".
(Jorge Luis Borges, L'Aleph)




-7-

«Di questo per me si tratta, di essere il resto di alcune persone, delle loro sottrazioni. Porto il vuoto che mi hanno lasciato».

(Erri De Luca, “Non ora, non qui”)




E' così, e basta.
C'è poco da riflettere, o da interrogarsi. E comunque non sarebbe nella sua natura.
Non è un uomo che si diletta a speculare sui propri sentimenti. Li sente, così come nascono o fioriscono, nel petto o nella pancia, e tanto basta.
E allora quella mano posata sulla sua spalla lui l'ha sentita dentro. Non era calda, trasmetteva appena un tocco lieve, via via un poco più fermo e presente.
Ma gli ha attraversato la camicia, e forse anche la pelle e i muscoli, ed è arrivata con dolcezza fin dentro l'anima. 
E' così. E basta.
 
Manda il cavallo lentamente lungo il sentiero.
Per la prima volta, in tutti quegli anni, il tempo gli è parso scivolare via troppo lentamente, e alla fine lo ha preso in mano, mutandolo a suo piacimento, imponendosi. Si è preparato con cura, un segno di rispetto, per quella madame che ancora continua a ben volerlo. E, seppure in anticipo sull'ora concordata, si è messo in viaggio ugualmente.
Osserva i campi rinnovati dalla pioggia, il cielo lavato di fresco, quasi fosse un telo steso ad asciugare al sole.
E nelle orecchie quell'invito a migrare in Inghilterra, che si ripercuote, e prende un poco forma.
Come certi pensieri, che hanno la consistenza eterea dei sogni, quando attraversano veloci la mente, tanto da non poterli nemmeno afferrare. Finché si riaffacciano, una, due, più volte, e allora par quasi di sentirli, fatti di creta e acqua, che si modellano a tua insaputa, fino a diventare veri.       

La notte a casa di Julien è trascorsa tranquilla. E la levatrice, giunta all'alba dopo un lungo e burrascoso viaggio, non ha potuto fare altro che constatare l'ottimo stato di salute di madre e figlio. Eugénie ha chiesto a madame consigli sul nome da dare alla propria creatura. Voleva assolutamente che fosse un nome a lei caro, o da dedicare a lei, alla donna che l'aveva assistita come una madre, e forse anche meglio di una madre. Un nome che fosse simbolo e monito, perché quella creatura aveva avuto una tenacia dirompente nel voler nascere in fretta, e lo aveva fatto quasi senza aspettarsi l'aiuto di nessuno. Un nome maschile, come maschio era quell'esserino attaccato con forza al seno della madre.
Perché in un certo senso il nome che portiamo ci segna per l'eternità. E' ciò che viene ricordato nel tempo, anche quando il corpo non esiste più. 
Madame aveva provato a sottrarsi. Aveva guardato il buon vecchio Julien, e il marito di Eugénie. Aveva guardato Camille, e l'aveva vista annuire, un fremito sottile tra le labbra, perché la nonna pronunciasse quel nome. E allora Marguerite lo aveva fatto.
- Avevo un figlio. Ha vissuto con coraggio, ed è morto lottando per i propri ideali. Il suo destino fu segnato dal nome che il padre gli assegnò. Che sia adesso un nome di augurio, perché nella vita questo bambino non tema mai di essere se stesso, né di dimostrare il proprio valore -. (1)

Oscar. Il comandante, l'erede, la donna, il soldato.
Lo starle accanto, quasi un privilegio.

Ormai Arnaud lo ha accolto quasi come uno di famiglia. Il sorriso aperto sul volto agreste, le mani ad afferrare le redini del cavallo, indicando poi con il braccio l'ingresso della villa, perché Alain si accomodi senza indugi. La governante lo attende sull'uscio, per instradarlo oltre l'ingresso che ormai conosce, e si accomodi nel salottino dove Madame giungerà a breve.
E quando entra, e lo scorge in piedi a rimirare certi quadri, è leggera e calda la sua voce.
- Monsieur Alain, sono felice che abbiate accettato il nostro invito. Un avvenimento come quello di stanotte merita certamente di essere festeggiato. Ho dato disposizioni che per qualche tempo a Julien e la sua famiglia non manchino provviste e quant'altro, ma credo che si sarebbero sentiti a disagio se invitati qui alla villa -.
Alain le va incontro con un inchino, gli occhi che si sorridono di un piacere reciproco e sincero.
- Avete fatto molto più di quanto potessero immaginare, madame. Voi piuttosto sarete stanca, avremmo potuto rimandare questo invito ad altro giorno, o non invitarmi affatto, non c'era alcun bisogno che vi preoccupaste per me -.
- Siamo prossime alla partenza, monsieur Alain. Non ci sarebbe stata un'altra occasione -.

Ed ecco, di nuovo, che senza alcun preavviso qualcosa esplode nel petto. Come il calore di quella mano, così intenso e sottile da toccargli il cuore, adesso è quasi un rammarico, che lo lascia sospeso e muto. Certo, che sciocco. Forse semplicemente si era abituato a quella nuvola di zucchero, come d'estate non fai più caso alle fusa dei grilli, finché una sera il vento rinforza i mantelli contro le spalle, il giorno annotta d'improvviso, ed è già quasi autunno, e non ricordi più quando è successo che anche l'ultimo grillo abbia cessato il suo frinire.
Per pochi giorni, ogni giorno, Camille si era insinuata nella sua vita, inesorabile come una stagione nuova, portando con sé solo bellezza. Una bellezza che a lui mancava da tempo e che forse, in verità, non aveva conosciuto veramente mai.
- Partite dunque -, riesce a mormorare, il piglio che vorrebbe essere sicuro e alquanto scostante, e risulta invece soltanto rattristato.
- Oh, prima del tempo, in verità. Ma certe faccende ci richiamano in Inghilterra. So che mia nipote vi ha invitato... ne sono lieta. Spero che vogliate prendere in considerazione l'idea -.
Non gli dà il tempo di replicare, perché con un gesto ampio si muove verso la porta, ad accogliere Camille. Deve aver scelto l'abito con cura, così come l'acconciatura, perché è questo l'effetto che suscita l'impatto della sua apparizione. Una semplicità curata e studiata, nell'abito di una lieve tonalità di verde, stampato a minuscoli fiorellini, che si fanno veri tra i capelli, in margherite appuntate su un lato, seguendo la curva morbida delle ciocche riprese e annodate sulla nuca.
Ed è uomo che non sa adulare, se non in modo becero e popolano, e dunque tace, nell'imbarazzo lieve che le tinge le gote, e nel piglio fintamente sicuro che le esce in un saluto: - Siamo liete di avervi qui, Alain. Spero che siate riuscito a riposare un poco -.

Sanno benissimo di non aver chiuso occhio.
Che la notte sotto quella pergola si è fatta alba in fretta, origliando il loro parlarsi a tratti fitto, a tratti muto.
Che nel consegnare quel diario Alain ha consegnato il ricordo di André e di Oscar a l'unica persona che potesse custodirlo degnamente. E questo passaggio di memorie, simbolico eppure tangibile - odoroso di carta e muffa, e altro che non saprebbe dire (2) - gli ha in qualche modo alleggerito la coscienza.
Perché Alain porta il vuoto di coloro che non ci sono più. Perché è rimasto avvinto a quelle tombe come custode di una storia che nessuno conosceva, e che sarebbe andata persa se solo li avesse abbandonati. Perché è un sopravvissuto, e i sopravvissuti portano la colpa di essere ancora vivi, anche quando altri avrebbero avuto ben donde di vivere, molto più di lchi è rimasto. E la colpa è un male sottile, che scava dentro la sua fossa, e ti seppelisce a poco poco. Così che muori, anche se non lo sai.
Nell'illusione di essere ancora vivo, perché vivo potesse essere il loro ricordo, stava invece morendo, suo malgrado, anche lui, ogni anno un po' di più.
Finché non era arrivata lei.  

E' trascorso gradevole il pranzo tra chiacchiere amabili e portate deliziose.
Non è stato forse un caso che madame e Camille abbiano parlato a lungo dell'Inghilterra. Delle possibilità che può offrire, del clima a tratti spiacevole, ma ritemprato in una natura lussureggiante, quasi che Alain fosse uomo da paesaggi. Della comunità francese che vi abita, e che forse ad Alain interessa ancor meno del parco di magnolie lungo il fiume Avon, che durante la fioritura si spandono in un profumo dolce e triste sugli innamorati che passeggiano seguendo la riva.
Gli è persino sembrato che Camille cercasse i suoi occhi con malcelata insistenza. O forse è stata solo la disposizione al tavolo, che ha reso inevitabile quel loro incontro di sguardi. E' come se avesse urgenza di dirgli qualcosa. E l'entusiasmo si rende fanciullo sulle sue labbra, che si arricciano e si dispiegano senza posa, come le ali di un uccelletto impaziente, in primavera, sui rami ingemmati di fresco e di sole.

- Se gradite, madamigella, potete spostarvi nel salottino -.
La governante attende in piedi che Camille le dia un cenno di assenso. E quando lo fa, scompare silenziosa e lesta, così come è apparsa.
- Gradite un bicchiere di qualcosa, Alain? -.
Camille gli fa strada verso un piccolo salotto, un angolo luminoso in un'ala della casa che Alain non aveva ancora visitato. Madame si è congedata adducendo la necessità di riposare un poco, e certamente non hanno potuto che scusarla.
Alain ormai non si stupisce più dell'informale confidenza che si crea con Camille.
E' come se la notte appena trascorsa, e tutto ciò che in essa è avvenuto, avesse accorciato le distanze tra loro.
O forse è stato tutto quel narrare d'amore e morte che li ha resi complici, al pari di chi si trova a dover condividere un segreto.
Ha un'aria intima quella piccola stanza rettangolare. Sarà forse per le piante pensili e fiorite che ricoprono un intero angolo, quello esposto maggiormente alla luce del sole. O per gli arredi dalle tinte calde, e i tessuti pesanti e ricamati. O forse per la libreria che s'intarsia di dorsi cesellati a lettere d'oro, di atlanti e cinquecentine dalla costa in pergamena.
Camille resta in piedi vicino alla finestra, che ampia svolazza in una tenda leggera.
Su un tavolino la governante ha preparato dei bicchieri di liquore, e un vassoio di dolcetti secchi (3). Alain sceglie decisamente il cognac e resta in piedi. Se solo ha imparato a conoscere Camille, sa che non esiterà ancora molto a parlare.
- Ho letto -, irrompe infatti.
- Il diario? -.
- Sì -.
Lo estrae da una piega nascosta dei teli della gonna, lisciandolo con cura. Gli occhi vividi, quasi brillanti.
- Un amore eroico... non saprei definirlo altrimenti. Un amore eroico, quello di André -.
Diventa tondo il gusto del cognac nel palato. Tondo e caldo.
- Non volete sapere nulla? -, incalza ancora la ragazza.
- No -.
- Degli anni in cui l'ha amata in silenzio. Del suo sentirsi ombra, e reputare lei la sua luce... indissolubili. Luce e ombra si dissolvono insieme, al calar del sole... il momento in cui tu morirai, sarà il momento in cui io morirò... questo scriveva. Un amore che si fortificava nella sofferenza. Un amore che non chiedeva nulla se non quello di esserle accanto... -. (4)
- No -.
Resta spiazzata dal volto serio di Alain. Dall'espressione un poco dura che le rivolge.
- Se avessi voluto sapere queste cose avrei letto il diario dieci anni fa. Resto dell'idea che fossero fatti privati di André. Ma voi avete fatto bene a leggere. Se vi può essere di aiuto nel prendere le vostre decisioni in amore... ben venga l'amore eroico del mio amico André. Mi auguro che a differenza di vostra zia voi sappiate decidere in fretta e per il vostro meglio -.
- André non avrebbe mai lasciato Oscar da sola... non avrebbe mai potuto morire per primo, lasciandola sola -. Lo dice con uno strano fuoco negli occhi, quasi sapesse qualcosa che Alain non sa.
- La vita è un po' diversa dalle favole Camille. La gente muore, e spesso, e la morte infrange tutti i sogni, non importa se sei giovane o innamorato o l'amore l'hai appena conquistato dopo averlo inseguito per tutta la vita -.
- Lo so. Lo so, Alain... ma voi... ma tu non l'hai visti morire -.
Trema un poco la mano di Alain sotto al bicchiere. Perché non riesce a credere che Camille gli stia davvero dicendo quello che le sue orecchie hanno appena sentito.
- Tu sei una scrittrice, Camille... e senza dubbio di talento, visto che non ti difetta la fantasia -.
- Non è questione di fantasia... ma davvero non ti è mai venuto il dubbio che... non ti ha mai sfiorato il sospetto che possa essere stata una messinscena per avere salva la pelle? -.
Una messinscena?
E' amaro il sangue che ribolle adesso nelle tempie. Amaro e veloce, come da ragazzo.
Incredulo, osserva le labbra di Camille che tremano e che raccontano un'ipotesi che nella sua assurdità sembra quasi verosimile.
- Non li hai visti morire. André era ancora vivo quando Oscar è stata colpita, e non sai quanto fossero gravi le sue ferite, perché tu sei rimasto a combattere (5). Ma se fosse sopravvissuta, e lo fosse stato anche André... non avrebbero avuto vita facile a Parigi. Sarebbero stati ricercati, da disertori, e forse non solo questo... ma se fossero morti... se fossero stati creduti morti... avrebbero potuto rifarsi una vita da qualche parte, insieme. E chi meglio dell'amico Alain? Chi meglio del soldato Alain, l'unico che li conosceva, l'unico che avrebbe fatto di tutto per loro, avrebbe potuto portare a compimento il piano? Portare una bara, con dentro due morti qualunque di quel giorno, ad Arras, secondo le ultime volontà di Oscar e André. Vegliare le loro tombe per un po', il tempo necessario affinché chi di dovere venisse a sapere della loro morte, e se ne facesse una ragione. All'oscuro di tutto, perché non fosse ricattabile, e non rischiasse la vita, e fosse credibile... estremamente credibile -.
E continua, l'impeto della narrazione, avvicinandosi a lui.
- Se ci pensi, non è poi così assurdo... Ti chiedi forse perché non ti abbiano dato mai notizia... Perché ti abbiano lasciato qui, prigioniero di un senso di colpa che ti ha impedito di vivere una vita che fosse tua, e non il riflesso della loro gloria?... Forse ci hanno provato. Forse la lettera è andata perduta, come è successo con le notizie che non sono mai arrivate a palazzo Jarjayes. Forse non sono stati in grado di scrivere. Forse sono morti comunque, ma non subito, e nel frattempo sono stati insieme, felici. Forse non immaginavano che tu saresti rimasto qua tutto questo tempo. Ti conoscevano bene... sapevano che non ti saresti mai ridotto a fare il contadino -.

Quelle parole gli hanno scavato un buco dentro, che non riesce a riempirsi di nulla, che non sia rabbia.
E quasi non si accorge di Camille talmente vicina da sfiorargli un braccio, gli occhi che le si sono fatti morbidi e liquidi al contempo.
Rifugge da quella dolcezza, dall'istinto che avrebbe di affogarci dentro. Perché adesso ha un solo pensiero nella testa, che annebbia tutto il resto.
 
D'un balzo, è fuori dalla villa. Gli occhi che bruciano, le mani che cercano con foga le redini, e la voce di Camille, che si spegne nel vento, dietro di lui.





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(1) Secondo la più diffusa letteratura, il nome Oscar significa "lancia di Dio".
(2) cit. capitolo 6.
(3) Ero quasi tentata di scrivere macarons. Pamina71 e Queenjane docent ha ha :)
(4) invito a leggere il testo bellissimo della sigla finale originale dell'anime, "Ai no hikari to kage " da cui traggo chiaramente spunto, e che qui riporto secondo una traduzione reperita nel web: Se l’amore è dolore / Soffriamo insieme /Finchè il dolore / Non raggiunga anche il tuo cuore / Tu sei la luce ed io l’ombra / Il nostro legame non potrà essere spezzato / Più è tormentato e più / Il nostro amore è profondo / Quando questo petto s’infiamma / Il nostro amore, il nostro amore è profondo / Il momento in cui tu morirai/ Sarà il momento in cui io morirò / Ho offerto il mio amore / Alla persona che penso sempre / Rincorri e risveglia i ricordi / Sono l’unico uomo che possa avere il tuo cuore / Più mi sento triste e più
Il nostro amore è profondo / Guarda quelle stelle che brillano lassù / Quando questo petto s’infiamma / Il nostro amore, il nostro amore è profondo.

(5) Parlo ovviamente di questa mia versione della Storia, come al cap. precedente.


Siamo arrivati all'epilogo, con il prossimo cap.
Spero che questa storia non vi abbia deluso, e che sia stata una lettura che vi ha trasmesso qualcosa.
Un abbraccio a chi ha lasciato la sua traccia, a chi ha letto in silenzio, a chi ha preferito ricordato o seguito, e ancora lo farà.
Vi aspetto alla prossima conclusione e, per chi lo vorrà, anche nelle altre mie storie.
Un bacio,
Amantea

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Capitolo 8
*** -8- ***


-8-








LA  FELICITA'  PIU'  GRANDE
"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande".
(Jorge Luis Borges, L'Aleph)




-8-

«Quando la tua anima è pronta, 
lo sono anche le cose»

(William Shakespeare)


Taglia per i campi, spronando il cavallo al galoppo, i contorni che si fanno sfumati in un'acquerugiola grigia e informe che svapora non appena tocca il suolo, e si rifrange di schizzi nell'urto tra gli zoccoli, e l'erba.
E nella testa, gli occhi di Camille... gli risuonano dentro, più delle parole, come se fossero stati fatti di segni e voce, come se li avesse visti scorrere nei suoi, al pari delle sillabe stampate in un libro, lettera dopo lettera, e le lettere composte in parole, e le parole in frasi, e quelle in concetti e segni. E se le parole evocano immagini (oh, grande è il loro potere sulla nostra mente, sì che non siamo mai soli, se leggiamo, perché la testa si affolla di miraggi, e un universo parallelo si schiude ai nostri occhi), ecco che tutto assume un significato nuovo e inusitato.

Cos'è che vediamo, cos'è che vogliamo vedere veramente.
Cosa la mente accetta, e crede, e tutto il resto cancella.

Il pianto di Rosalie ad accoglierlo, le mani sbiancate in grembo conficcate l'una nell'altra.
Le mani forti di Bernard a bloccarlo, prima che erompesse a cercarli, nella stanza adibita a ospedale di fortuna per i feriti del 14 luglio.
E i suoni che arrivano confusi, parole che non trovano riscontro.
- Alain, Oscar avrebbe voluto che... Oscar e André avrebbero voluto tornare assieme ad Arras -.
E poi solo rimpianto, dolore, rabbia... strano come il cuore erompa e non si spezzi, deflagri e non si spenga. Come si rimetta assieme, un poco storto, come un osso saldato malamente. Che per tornare a posto, ha forse da rompersi di nuovo, e provare a ricomporsi, enumerando i pezzi.
Così si sentiva in quel momento, le gocce di pioggia a incidere la pelle, l'orizzonte acquoso, fin dentro lo stomaco, a squassarlo un poco, e rivoltarlo.

Scende da cavallo, i passi decisi, fin dentro casa.
L'angolo degli attrezzi, la pala afferrata con decisione, e poi fuori, di nuovo.
Perché Oscar non avrebbe mai fatto passare tanto tempo senza dare notizie. Perché il suo Comandante avrebbe condiviso il suo piano con lui, se solo avesse potuto. Come ogni volta che c'era una missione da compiere, perché era lui, ed André, che si portava appresso. Perché era l'unico soldato di cui si fidava. Perché sapeva che avrebbe venduta cara la pelle, per lei e per André. L'unico a cui avrebbe affidato la propria vita. L'unico che li conosceva. L'unico amico che avevano. L'unico che non li avrebbe traditi mai...
E allora forse, se il racconto di Camille aveva una qualche probabilità di essere vero, non doveva essere stata un'idea di Oscar.
Forse era stata un'idea di quel Bernard, abituato a redigere piani, a calcolare percorsi, a stimare esiti e iniziative. Lo aveva fatto nei panni del cavaliere nero. Lo aveva fatto il giorno che aveva radunato migliaia di persone per chiedere la liberazione dei dodici soldati della guardia. Lo aveva fatto ancora, prima e durante l'assalto alla Bastiglia.
Non Rosalie... troppe lacrime per restare lucida. Ma ella conosceva bene il comandante, i luoghi della sua infanzia, intuiva forse persino l'amore che la legava ad André.
Avrebbe potuto suggerire a Bernard il luogo, e questi pianificare il resto.
I cadaveri quel giorno abbondavano. Non sarebbe stato difficile chiuderne due in una cassa, magari con le giubbe da soldati. E nel frattempo trafugare in qualche modo i due feriti, verso un luogo sicuro, in attesa che le ferite guarissero, che la situazione si acquietasse un poco, e poi... permettere loro di ricominciare a vivere, da qualche parte, insieme. E se anche fosse stato spedito un messaggio... era cosa risaputa che le lettere venissero trafugate dai postali, o perdute.

Sbatte il cancello sotto la sua irruenza, le scarpe che affondano un poco nel fango, i fiori che si sporcano.
Poche falcate, la lapide bianca che si staglia un poco inclinata all'indietro, il roseto che rifulge nei verdi rinnovati dalla pioggia.
E le mani, grandi e salde, che impugnano il legno, e un mugolio soffocato, il ferro che s'incunea nella terra, e lì rimane.

- No!!-.
E' quasi un grido, ma non trema la voce. Arriva, dritta e ferma, a far vibrare la pala, il piede sul bordo a fare forza, lo sguardo fisso, volto in basso, fosco come quel nero di fango e terriccio, e allo stesso modo dilaniato.
- No -.
La voce è più vicina adesso.
Come un fruscio lieve di stoffa bagnata, di fiori carichi d'acqua, che piegano il capo, ma solo per poco, e non è resa, ma solo accettazione.
E la sua mano, tremula e ruvida di pioggia, eppure calda, e lieve e forte al contempo, come quella notte, sotto la pergola.
La sente di nuovo, che attraversa il tessuto della giacca, come se fosse a pelle, e si spande (una goccia di colore in una pozza nera, che la tinge e la rischiara: quasi una magia).

- Io devo sapere!! -.
Un urlo, questo, invece. Che esce senza poterlo trattenere o controllare, come se fosse stato sopito troppo tempo, e ora ha fretta di venir fuori.
- Non ho passato giorno che non mi sentissi in colpa di essere vivo... Vivo, io, al posto loro. Non è passato giorno che non desiderassi essere morto anch'io! Che non mi chiedessi che peccato avessi mai commesso, per ritrovarmi l'unico sopravvissuto di ogni persona cui avessi voluto bene. Mia madre, mia sorella, i miei compagni di brigata... Se nemmeno l'amore ti salva dalla morte... perché io... perché io!! -.
La mano lo segue, nelle ginocchia che son piegate contro il suolo, nei singhiozzi che escono e che non riesce a fermare.
E solo allora la guarda.
Una nuvola di zucchero che l'acqua non dissolve, raccolta in ginocchio accanto a lui, i capelli disciolti in ciocche pesanti e lunghe, le margherite scivolate, come una ghirlanda senza intreccio, i gambi ravvolti dall'oro reso scuro dalla pioggia. E su tutto, gli occhi, liquidi e profondi, come certi fondali, dove non arrivano le onde, ma solo certe correnti, così antiche da sembrare quasi immobili.
- Forse perché dovevi avere cura del loro ricordo... -. Sale lenta la mano, a incontrare la spalla, e poi il viso, e l'altra pure, e ora entrambe circondano il suo volto, così ingenue eppure coraggiose, perché non le è sfuggito lo sguardo che ora la investe, che le entra dentro e la denuda.
- Forse perché dovevo trovarti io... per questo sei rimasto qua. Perché ti trovassi io -.
Cade in terra il legno, e sono rapide le mani ad aggrapparsi a quel viso di fanciulla, un poco sgraziate nello scostare i capelli, ma calde nell'accarezzarne il contorno, e poi immense, immense e testarde a trattenerlo.
- Non è importante, Alain... Che siano loro, sepolti qui. Oppure qualcun altro... non è veramente importante. E' il momento di vivere... se ti senti pronto, solo questo conta. Vivere -.
E' poco più di un soffio, che rimbomba nel petto.
- Vieni in Inghilterra con me -.
Gli occhi che si cercano, che cercano ombre e non le trovano. Che pongono domande, senza quasi rendersene conto, e ottengono risposte, anche a ciò che ancora non si è nemmeno chiesto.
- Non sei libera -.
- Lo sarò -.
- Non puoi chiedermi di esserci solo per un capriccio. Non riuscirei più a staccarmi da te -.
- Non farlo... ti chiedo di esserci, giorno dopo giorno. Io e te... vieni in Inghilterra con me, Alain -.




L'uomo si deterge la fronte con il dorso della mano, più volte.
Una goccia di sudore, minuscolo cristallo di sale, gli pungola un occhio, costringendolo a strizzare le palpebre per sfuggire a quel piccolo bruciore.
Sistema le spalle contro il tronco, flesso un ginocchio e allungato l'altro, scioglie con gesti lenti il fazzoletto che porta annodato sotto la gola e se lo passa sul collo e la nuca.

L'uomo guarda la scacchiera d'ombre e luci che danza dinanzi ai suoi occhi, e la trova quasi bella.
Una brezza leggera risveglia le fronde, l'oceano non è lontano da lì. In certe giornate limpide e schiette si può quasi spingere lo sguardo fino all'orizzonte e credere di vederci il bianco spumeggiante delle onde. Vere però sono le vele che, lente, si stagliano in quel biancore, il punto in cui il mare svapora nel cielo.
Più volte ha immaginato di lasciare la terraferma e imbarcarsi. Ricominciare, reinventarsi... una rinascita.
Si alza, gli occhi fissi ad abbracciare il campo.
Lentamente, assaporando ogni contorno, a imprimersi nella mente ogni profilo, ogni suono, ogni profumo.
Si china, e raccoglie la sacca appoggiata sull'erba.
Un gesto rapido, ed eccola che penzola sul dorso, una mano all'imboccatura e al laccio che la stringe con fermezza.
L'altra mano in tasca, e poi volge le spalle. I passi, uno avanti l'altro, senza incertezza alcuna, verso l'oceano, e la vita che l'attende, con Camille.

Un sibilo leggero stormisce l'erba e le foglie, danza le corolle del trifoglio, solleva un poco la polvere asciutta e fine del sentiero, la smista, e la ricade.
Confonderà le orme a poco a poco, rimescolerà i passaggi, e nulla sarà successo per davvero
E' il vento che parla, e narra le sue storie. Anche se nessuno lo sta ad ascoltare.
Un uomo, e una ragazza.
Un'estate di secoli fa, ad Arras, tra un campo, una pergola, e i ricordi di un amore eterno, come solo chi ama davvero capisce e sa.




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Grazie di cuore a chi ha seguito questa mia storia, dall'inizio, e chi si aggiungerà.
Grazie a chi ha lasciato una traccia, pubblica o privata, a chi ha seguito, preferito, ricordato, e ancora lo farà.
Amo il personaggio di Alain e credo che non riuscirei a farne ritratto più intenso di questo (almeno per le mie corde, intendo).
Un grazie di cuore a MARIAN che in un pomeriggio di chiacchiere suggerì il nome per Camille.
Spero che la storia non vi abbia deluso.
Un grazie di cuore, con affetto
Amantea








 

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