Unafraid.

di MerasaviaAnderson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: La Caduta. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Il Vuoto. ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: L'Amore. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: La Caduta. ***




Unafraid

Capitolo I:
LA CADUTA
 
 
L’udir d’un colpo di tosse fece sobbalzare la donna seduta in un angolo del grande letto, facendole volgere lo sguardo verso il volto del marito che giaceva stanco accanto a lei, steso e raggomitolato nelle coperte a causa del freddo pungente che gli percorreva il corpo.
Appariva sempre giovane e bella, Katniss Everdeen, illuminata solo d’una flebile luce di una abat-jour accesa in un angolo della stanza. Ma il volto della donna – seppur giovane – appariva notevolmente provato, non da una malattia, ma d’una atroce sofferenza che ben aveva conosciuto in vita sua.
La mano dell’amato si era spostata sulla sua, stringendola flebilmente per via della poca forza che gli era rimasta in corpo.
«Katniss» mormorò il giovane, iniziando ad agitarsi e provando a sedersi mentre emetteva un gemito di dolore e una lacrima macchiava il suo volto quasi glabro.
«Peeta, non devi sforzarti.» gli disse la moglie quasi con un tono di rimprovero nella voce mentre aggiustava la coperta che stava cadendo da un lato.
«Voglio guardarti in volto, Kat.» sussurrò Peeta con voce roca, cercando di avvicinare il suo viso a quello dell’amata per poterlo vedere meglio
E anche Katniss s’avvicinò, prendendo il suo corpo febbricitante tra le braccia e posandogli un bacio sulla fronte calda. Gli accarezzava con amore i riccioli dal color del sole, mentre l’uomo era perso nel guardare il suo volto con gli spenti occhi azzurri, con quell’accesa sfumatura blu che, nonostante la malattia, nonostante le sofferenze e gli infiniti dolori mai aveva perso il suo splendore.
«Katniss, io so … »
«Peeta, ti prego, so cosa stai per dirmi, ma … » cercò di interromperlo mentre provava a trattenere le lacrime tirando su col naso. Mai aveva voluto mostrarsi debole di fronte a lui.
«No, non interrompermi, Kat. Non anche questa volta che sai già come andrà a finire.»
«Peeta … » si limitò a singhiozzare, poggiando la sua fronte su quella del marito e tempestando il suo volto bollente di dolci carezze.
«So che non vedrò la luce del giorno domani.»
«Peeta, ti prego non-» continuò a singhiozzare, ma ancora una volta l’uomo le impedì di pronunciare le sue suppliche.
«Voglio stare con i bambini.» sussurrò, sopprimendo un gemito di dolore mentre cercava di mettersi più comodo sul guanciale «Ti prego, Kat, voglio stare con i miei bambini.» due calde lacrime rigarono improvvisamente le sue guance mentre la stretta di Katniss si faceva sempre più forte sulla sua mano, decisa a non lascialo andare, a non far portar via anche lui dalla morte.
«Resta con noi, Peeta.» farfugliò la giovane, sulle guance della quale ormai le lacrime erano ben evidenti e continuavano a scendere copiose.
«Resterò sempre con voi» le rispose, facendo comparire sul volto l’ombra di un sorriso e posando una delle sue grandi mani sul cuore della donna «qui dentro, se voi lo vorrete.»
«Peeta, perché proprio a noi?» gli chiese da donna, prendendogli la mano che lui aveva poggiato sul cuore.
«Sono scappato alla morte così tante volte, Katniss … Forse è così che doveva andare.» sul volto di Peeta Mellark si formò un sorriso rassegnato, ormai consapevole che la sua vita sarebbe finita a breve, che il destino lo stava richiamando a sé per essergli sfuggito fin troppe volte.
«Vado- Vado a chiamare i bambini.» si riprese Katniss, alzandosi dal letto mentre si liberava da ogni contatto fisico che aveva con il marito «Saranno felici di stare con te.»


Katniss sentiva chiaramente le risate e i suoni divertiti dei suoi figli provenire dalla camera da letto. Non aveva coraggio di entrarci, di poter godere della dolce immagine di Peeta che giocavano con i loro bambini per quella che forse sarebbe stata l’ultima volta. Non voleva neanche pensarci.
S’alzò dal divano e si mosse velocemente verso il telefono che era posizionato su un mobiletto lì vicino, compose distrattamente un numero e aspettò con le lacrime agli occhi fino a quando qualcuno non le rispose dall’altro capo.
«Pronto?»
«Mamma, devi venire subito qui.»
«È successo qualcosa Katniss?» domandò la donna assumendo un tono preoccupato nella voce.
«Tu vieni e basta, ti prego.» Katniss tirò su con il naso, asciugandosi l’unica lacrima che aveva osato varcare la soglia dei suoi occhi grigi.
«D’accordo, sto arrivando.»
Katniss riattaccò senza neanche salutarla, appoggiandosi al mobile un po’ traballante e coprendosi il volto con le mani.
Ellen Everdeen si era trasferita provvisoriamente al dodicesimo distretto qualche mese prima, quando la malattia di Peeta si era aggravata e lui aveva rifiutato di farsi curare a Capitol City. Katniss aveva bisogno di una mano esperta in medicina e la signora Everdeen aveva colto quell’occasione per provare a riallacciare i rapporti con la sua unica figlia rimasta.
Il campanello suonò e Katniss si vide costretta a distogliersi dai suoi pensieri per andare ad aprire: Haymitch.
Era leggermente brillo e teneva in mano la sua solita fiaschetta argentata, aveva diminuito le dosi di alcool dopo che erano nati Katherine e Ryan Mellark, ma nei momenti più brutti continuava a trovare consolazione in una bottiglia di liquore.
«Buon pomeriggio, Dolcezza, che si dice?» esordì il mentore entrando in casa e gettandosi a capofitto sul divano.
«Non si dice niente, Haymitch.» rispose lei con un tono duro e intransigente, era evidente che in quel momento non volesse avere a che fare con le solite battutine del suo mentore.
«Che succede, Dolcezza, ci siamo svegliate con il piede sbagliato stamattina?»
«Potrebbe non arrivare a domani mattina.»
Haymitch comprese all’istante … E fu in quel momento, dopo quella dura affermazione, che il viso dell’uomo cambiò completamente. L’espressione mezza rilassata che aveva scomparve e con lentezza e incredulità s’alzò dal divano scomodo, posando la fiaschetta sul tavolino basso di fronte a lui.
«Dov’è adesso?» domandò l’uomo, strofinandosi gli occhi che sentiva pungere.
Il suo ragazzo.
Nel cuor suo, Haymitch Abernathy aveva sempre avuto una flebile speranza che Peeta sopravvivesse, nonostante sapeva bene che l’unica possibilità di guarigione sarebbe dovuta essere un miracolo.
«È in camera, con i bambini.» disse Katniss, strofinandosi le mani sui pantaloni e tenendo lo sguardo basso «Dice di voler stare un po’ con loro prima di … »
Il campanello suonò nuovamente e bloccò le parole di Katniss, che repentinamente s’alzò per aprire alla madre che era appena arrivata.
«Cosa è successo Katniss, mi vuoi spiegare?» domandò Ellen Everdeen con il fiato corto, mentre legava i capelli ingrigiti dal tempo.
«Peeta sta morendo.» disse secca mentre chiudeva rumorosamente la porta di casa «Peeta sta morendo e … » copiose lacrime iniziarono a bagnarle il viso, i singhiozzi avevano iniziato a scuoterle il corpo, stringeva fitti i pugni lungo i suoi fianchi.
«Katniss, vuoi che faccia qualcosa? Vuoi che lo visiti? Che-»
«No, mamma. È in camera con Katherine e Ryan, vuole stare con loro.» voltò le spalle a sua madre ed Haymitch per asciugarsi le lacrime e tornò ad incamminarsi verso il mobiletto del telefono «Scusatemi, devo chiamare Johanna.»
Katniss frugò tra le pagine della rubrica telefonica per trovare il numero della donna che si sentiva in dovere di chiamare. Johanna Mason aveva fatto molto per Peeta e lui aveva fatto tanto per lei, si erano sostenuti a vicenda, si erano aiutati.
Anni e anni prima, quando Peeta era caduto in una profonda depressione Katniss era stata costretta a chiamarla. Solo lei poteva comprenderlo, solo lei aveva passato ciò che aveva passato il suo Ragazzo del Pane.
Compagni di urla.
E non erano state poche le volte in cui Peeta era dovuto correre d’urgenza al Distretto 4, dove Johanna viveva assieme ad Annie e il piccolo Finnick jr, per metterla di forza sotto una doccia e risvegliarla dai suoi incubi che qualche volta andavano a trovarla.
Passò un po’ di tempo prima che Johanna rispondesse con la solita voce acuta e menefreghista, la sua solita risata camuffata.
«Pronto?»
«Johanna, sono Katniss.»
«Oh, ma guarda tu chi si fa sentire! La ragazza di fuo-»
«Johanna devi venire subito qui.» la interruppe bruscamente, con un tono di voce che non sembrava neanche suo.
«Calma, calma, Everdeen. Cosa succede?» chiese e immediatamente il suo tono di voce si fece più serio.
«Peeta sta molto male, devi venire qui.»
«D’accordo,» rispose prontamente Johanna Mason, una leggera ansia si poteva percepire nella sua voce e il menefreghismo che Katniss sentì all’inizio della chiamata era completamente scomparso «prendo il primo treno, uno di quelli veloci che vengono da Capitol. Dovrei essere lì entro un’ora.»
Effettivamente il Distretto 12 e il Distretto 4 non erano molto lontani.
«Grazie, Johanna.» riuscì a mormorare Katniss quando ormai il suo volto era nuovamente rigato di lacrime e la sua voce rotta da esse.
«Cerca di non prosciugarti i condotti lacrimali, Everdeen. »
«Ti aspetto Johanna, ti prego fa’ presto.»
«Non preoccuparti, Ragazza di fuoco» stranamente Katniss riuscì a sentire una strana premura verso di lei nella voce della vincitrice «sarò lì al più presto.»


«MAMMA! MAMMA!» una minuta bambina dalle treccine scure correva piagnucolante per il corridoio della piccola casa Mellark-Everdeen, correva più veloce che poteva e urlava quanto più forte potesse urlare, fino a quando Katniss non le andò incontro allarmata e la strinse tra le braccia.
Batteva forte il cuore di Katniss. Fortissimo.
«Cosa succede, Rirì?» le domandò con un bruttissimo presentimento nel cuore.
«Papà sta tanto male mamma! Stavamo giocando con Ryan e … » 
Katniss non aspettò neanche che sua figlia finisse di parlare, si staccò da lei e si precipitò immediatamente nella camera da letto.
Il cuore della donna ebbe un tuffo, sprofondò in un baratro profondo nel vedere il corpo del marito scosso da numerosi spasmi, la voce che provava ad uscire invano, qualche rivolo di sudore che scendeva sulla sua fronte e bagnava i riccioli biondi.
Il piccolo Ryan picchiettava la manina sulla spalla del padre e lo chiamava ripetutamente, completamente inconscio della situazione.
Era arrivato il momento.
Katniss si gettò sul corpo di Peeta, stringendolo forte al suo, provando a godere di quegli ultimi momenti in cui poteva dargli ancora una volta il suo amore. Quanto avrebbe voluto scambiare la vita di Peeta con la sua …
«Amore mio, va tutto bene.» farfugliò tra i singhiozzi e le lacrime mentre si inebriava per l’ultima volta del suo persistente odore di lievito e cioccolato. Posò qualche bacio sul suo collo e il suo animo crollò completamente quando con le ultime forze che Peeta aveva in corpo provò ad accarezzarle i capelli.
Erano sciolti.
Peeta amava quando portava i capelli sciolti.
Peeta amava farle la treccia la sera.
Peeta l’amava.
«Ti amo, Kat.» mormorò flebilmente, la sua voce era stanca, spezzata … ma per Katniss restava sempre la voce che le aveva dato la possibilità di rinascere, di riemergere dagli incubi, di vivere una vita che lei pensava di non meritare.
«Shh, Peeta» gli intimò di far silenzio portando una mano sul suo viso sudato, accarezzandogli milioni di volte quelle guance magre, con poca barba, che tante volte aveva baciato «non devi sforzarti, okay?»
«Gu-Guardami negli occhi.» era ormai allo stremo delle forze, Peeta sentiva la vita che stava lasciando il suo corpo, la stanchezza che lo stava atterrendo, ogni emozione che lo stava abbandonando.
«Sì, ti guardo negli occhi.» gli rispose Katniss che, per quanto doloroso fosse per lei, aveva puntato il suo sguardo nelle iridi azzurre del marito.
Quei meravigliosi occhi con le sfumature blu, che troppe volte erano diventati neri, adesso facevano una fatica immane a restare aperti.
Da quegli occhi sgorgavano lacrime, lacrime di un uomo troppo giovane per lasciare la vita, per essere costretto ad abbandonare le persone amate.
E mentre Katniss accarezzava i suoi capelli biondi e il suo viso latteo, mentre gli sussurrava parole che non riuscivano ad arrivare più alle sue orecchie Peeta la rivide: rivide il suo innocente volto da bambina, le sue lunghe treccine scure, il suo acceso vestito scozzese.
Rivide la Katniss Everdeen di cui per la prima volta in vita sua si era innamorato.
Così, con quell’immagine ancora impressa nella mente, il suo sguardo s’appannò, fino a diventare completamente bianco e nullo.
Si beò di quel ricordo, e poi smise di guardarla.*
E quando sentì l’ultimo respiro esalarsi dalla bocca di Peeta, quando percepì il suo petto che non s’alzava e non s’abbassava più, quando tutti i suoi muscoli si rilassarono Katniss lanciò quell’urlo.
Un urlo di dolore, di frustrazione, l’urlo di una persona che aveva perso il suo appiglio in mezzo al cielo e che ora stava cadendo a picco verso un qualcosa di sconosciuto.
Tra le braccia dell’inferno.
Le lacrime non si fermavano più, ma non le importava … Non quando stringeva al suo corpo il cadavere del marito.
Continuò a piangere fino a quando un rumore di singhiozzi la fece voltare.
E li vide tutti lì: Katherine che si nascondeva terrorizzata dietro le gambe di Ellen Everdeen, Haymitch che piangeva lacrime amare mentre stringeva a sé il piccolo Ryan, che fortunatamente non era grande abbastanza da comprendere la situazione
«Che cosa ci fate tutti qui?» riuscì a sussurrare a mala pena Katniss, non cercando neanche più di asciugarsi le lacrime, di trattenere quell’immane dolore che le stava facendo scoppiare l’animo dall’interno, che poco a poco stava consumando anche lei nelle sue fiamme roventi, le fiamme della Madre Suprema.
«Katniss, tesoro … » Ellen Everdeen provò a consolare la figlia avvicinandosi a lei, ma ella repentinamente la bloccò con un brusco cenno di mano.
«Andate tutti via!» esclamò all’improvviso, mentre la piccola Katherine scoppiava in lacrime affondando il viso nella gonna della nonna «Andate via, vi prego, voglio restare da sola con lui.»
«Ma Katniss» provò a controbattere nuovamente la donna, inginocchiandosi un po’ a fatica per consolare la nipotina «non puoi … Insomma, Katniss non credo che … »
Haymitch la forza di parlare non l’aveva nemmeno, piangeva silenziosamente stringendo a sé il bambino che per lui era come un nipotino, che somigliava così tanto al padre, al suo ragazzo, al sedicenne Ragazzo del Pane spaventato che aveva conosciuto per gli Hunger Games, al diciassettenne che ha dovuto passare le pene dell’inferno nella Capitale, che aveva perso se stesso, all’uomo meraviglioso che era diventato trovando dentro di sé il coraggio di rinascere e vivere di nuovo.
«Tu sai come ci si sente, mamma» gracchiò Katniss con la voce spezzata. Tutto di lei sembrava cadere a pezzi «tu sai quanto avremmo voluto piangere accarezzando un’ultima volta il volto di papà. Tu sai cosa si prova a perdere una delle persone che hai amato più di ogni altra cosa al mondo.» si voltò verso il letto, non riuscendo più a sostenere lo sguardo della madre che si era inumidito nel sentir la figlia parlare del suo defunto padre. Katniss sedette accanto al corpo del marito e gli prese una delle grandi mani, costellate di cicatrici, bruciature e le grosse vene in cui lei tanto amava immaginare sentieri sconosciuti, guardava con rassegnazione il suo volto pallido e le labbra incrinate in un debole sorriso.
Sapeva che sarebbe successo, eppure perché faceva così male?
«Io adesso ho solo bisogno di piangere Peeta, quindi – vi sto pregando – andate via.» e non guardò nessuno negli occhi quando lo disse, tenne lo sguardo puntato sul volto del suo Amato e mentre iniziò a carezzargli i riccioli riuscì a sentire i singhiozzi di Katherine mentre usciva dalla porta assieme ad Ellen Everdeen, Haymitch e di conseguenza il piccolo Ryan.
Cosa avrebbe ricordato quel bambino di suo padre?


Katniss era ancora chiusa nella camera da letto quando il campanello di casa suonò nuovamente, subito Ellen Everdeen andò ad aprire e una donna da un caschetto biondo acceso e una vistosa pelliccia fece capolino nella casa.
Effie Trinket non era cambiata molto in quegli anni, ma un’ingenua espressione nel suo volto truccato faceva trasparire una notevole preoccupazione per la chiamata che precedentemente aveva ricevuto da Haymitch.
Ormai lo conosceva troppo bene per comprendere dalla sua voce che qualcosa non andasse per il verso giusto.
Entrò lentamente nel salotto dove vi era anche il mentore che scambiava indiscreti sguardi di intesa con la signora Everdeen.
Allora, cercando di celare ogni sua emozione e di nascondere i residui di lacrime sulle guance, Haymitch accolse la vecchia collega, stringendola in un caloroso abbraccio.
Strano, per Haymitch.
«Haymitch, c’è qualcosa che non va?» chiese subito la donna, guardandosi intorno.
«Senti, dolcezza, devo parlarti un secondo di una cosa. Seguimi.»
Con timore Effie seguì l’uomo lungo una parte dell’adiacente corridoio decisamente poco illuminato, notò l’espressione impaurita di Haymitch mentre sembrava cercar le parole nella sua testa di quello che sembrava essere un discorso molto difficoltoso.
«Okay, Effie, diciamo che il Panettiere ci ha giocato un brutto scherzo.» dichiarò, cercando di guardare la donna negli occhi mentre tirava su con il naso.
«Oh Santo Cielo! Povero Peeta! Adesso sta bene? Sta riposando? Katniss è con lui?» iniziò una serie di assillanti domande con il suo leggero accento capitolino e la sua voce molto squillante. Ogni domanda era come una coltellata al cuore per il mento.
«Vedi, Effie, io … Senti, dolcezza» cercò di trattenere le lacrime il più possibili e abbassò lo sguardo verso il pavimento «il Panettiere ci ha giocato un brutto scherzo e … Questa volta non ce l’ha fatta, Effie.»
Un’espressione di incredulità si formò sul volto della donna, numerose lacrime iniziarono a rigarle il viso mentre si lanciava tra le braccia di Haymitch che la stringeva forte. Come avrebbero fatto a reggere una pena così grande?
«Dove- dove sono i bambini?» Singhiozzò la donna sulla spalla del mentore.
«Sono in camera loro, Ryan non ha capito cosa è successo, ma Katherine … Lo sai, entrambi erano molto affezionati a Peeta. Forse lei ha già capito tutto, ma non sappiamo come dobbiamo spiegare a Ryan che non vedrà più suo padre. È ancora così piccolo … »
A interrompere quel momento fu nuovamente il suono insistente del campanello, era lungo, continuo ed Haymitch immaginava già chi potesse essere.
Johanna Mason fece la sua entrata in scena con uno zaino blu in spalla, i capelli scompigliati e un gran fiatone.
«Scusate, ho cercato di fare il prima possibile, ma Finn jr ha iniziato a fare storie che voleva venire anche lui e … Niente, è successo uno dei soliti bordelli.» spiegò affannata per poi gettare malamente lo zaino sul divano «Cosa è successo? Peeta sta meglio?»
Ellen Everdeen, Effie Trinket ed Haymitch Abernathy subito calarono lo sguardo amareggiati: come spiegare a Johanna Mason che Peeta era morto quando neanche loro riuscivano ad accettarlo?
Come spiegare a quella donna distrutta che l’uomo che tante volte l’aveva aiutata e che a cui aveva dato aiuto a sua volta ormai non era altro che un corpo pallido?
«Johanna, ascolta,» iniziò Ellen, forse la persona più adatta per quella situazione e con più sangue freddo, essendo la più distante a Peeta «purtroppo questa volta Peeta non ce l’ha fatta.»
«Cosa cazzo significa che non ce l’ha fatta?» urlò, mentre spalancava gli occhi e si girava bruscamente verso la signora Everdeen.
«Johanna, mi dispiace … So quanto eravate legati, ma è successo: Peeta non ha superato la crisi.»
«Le dispiace?» biascicò la donna con gli occhi gonfi di lacrime «Lei l’ha sempre odiato.»
«Mi sono-» cercò di giustificarsi, ma fu bloccata immediatamente da Johanna che la guardò con disprezzo.
«Senta, eviti giustificazioni e parole di conforto. Non servono.» le rispose mentre le lacrime iniziavano a scorrere sul suo volto.
Se era uno scherzo era decisamente di cattivo gusto.
«Dov’è ora?» continuò «Dov’è Katniss?»
«Sono in camera da letto.» ammise Haymitch, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento.
Non voleva vedere il dolore, non negli occhi di Johanna Mason.
Johanna iniziò a correre verso la camera da letto, gettando incurante il giubbotto di pelle sulla testiera del divano e asciugandosi le lacrime sulle gote rosse dal freddo.
Non poteva essere morto, non Peeta.
Voleva pensare che fosse semplicemente svenuto, che si fossero sbagliati tutti … Voleva pensare che fosse soltanto un incubo e che presto si sarebbe svegliata nella sua casa al Distretto 4.
Fece irruenza nella camera dalle pareti verdi, dove vi era ancora l’abat-jour accesa a dare un po’ di luce … e lo vide: vide Peeta steso sul letto, la sua carnagione troppo pallida per essere normale, la testa in una posizione quasi innaturale, un ricciolo biondo che cadeva sulla sua fronte.
Il suo respiro si fece ancor più affannato, non si curò di Katniss che si era girata per farle qualche domanda, non la voleva ascoltare.
Nuovamente le lacrime iniziarono a bagnare il suo volto, si portò le mani alla bocca incredula, voleva solo cadere a terra e piangere.
Perché Peeta?
«Everdeen … » singhiozzò, incrociando gli occhi grigi di Katniss.
«Johanna, mi dispiace … » tentò di rispondere la donna «In fondo è colpa mia, Johanna. Non ha voluto andare a Capitol a curarsi ed io non ho battuto ciglio. Prenditela con come, merito di morire anche io.»
Johanna restò stupita a quella frase, ma non esitò a prendere tra le braccia Katniss quando scoppiò in un lungo e doloroso pianto.
«Non è colpa tua, Everdeen.»
«Avrei potuto cercare di convincerlo, sarebbe potuto vivere di più, avrei … ma ero spaventata anche io Johanna! Ero spaventata di tornare lì quanto lui!» quasi urlò, stringendosi tra le braccia di quella che poteva considerare una specie d’amica.
«Peeta ha solo fatto le sue scelte, Katniss.» la voce della Mason si incrinò, le lacrime ancora non la lasciavano andare «E tu gli sei stata accanto fino alla fine, non devi darti nessuna colpa. L’hai salvato dalla morte centinaia di volte, stavolta non hai semplicemente potuto far nulla. Nessuno poteva.»
Calò il silenzio nella stanza, riempito solo da i respiri di Johanna e Katniss che davano una delle ultime carezza al volto freddo dell’Uomo del Pane.
Johanna non riusciva a darsene pace, poche volte nella sua vita aveva sentito un dolore così grande.
Come lo avrebbe detto ad Annie?
La dolce e fragile Annie, che poteva commettere una sciocchezza in qualsiasi momento … come avrebbe resistito ad una notizia tale?
Finnick jr ne sarebbe morto.
Il suo amato zio Peeta, l’uomo che l’aveva cresciuto come se fosse suo figlio, l’uomo in cui vedeva una vera figura paterna fin da quando era bambino … lui, che era stato il primo – dopo Katniss – a sapere della sua malattia e di quanto poco tempo gli restasse da vivere.
Si era preoccupato tantissimo quando Johanna gli aveva detto che sarebbe dovuta andare al Dodicesimo distretto, aveva iniziato a inveire contro la donna, pretendendo di andare con lei.
Ma Finnick jr sapeva.
Sapeva che il tanto temuto momento stava per arrivare e che non avrebbe avuto più l’occasione di essere stretto tra le braccia dallo zio Peeta.
Da un lato, Johanna si pentì amaramente di non averlo fatto venire con sé.
Continuava a voler pensare che tutto quello fosse solo un incubo, ma quando poggiò la sua piccola mano su quella gelida di Peeta s’accorse che mai si sarebbe svegliata sudata e impaurita nella sua camera da letto.
La mano fredda di Peeta era reale, il suo volto pallido era reale, il suo petto immobile era reale.
Quella non era altro che l’amara realtà.


Katniss era seduta sul letto di Katherine, con la bambina all’apparenza terrorizzata tra le sue braccia, assieme a Ryan che giocherellava con il lembo del suo maglioncino.
Come avrebbe potuto dire quelle cose ai suoi figli?
Come avrebbe potuto dire loro che il loro padre non sarebbe tornato mai più perché la Morte l’aveva preso con sé?
Non si era mai preparata a quel momento, non ci aveva mai voluto pensare.
«Rirì, ascoltami.» disse improvvisamente alla bambina, cercando di mantenere la voce ferma «Tu sai che papà stava tanto tanto male, vero?»
Katherine annuì, tenendo lo sguardo basso e stringendo le mani della madre.
«Lui è andato nel Cielo, mamma?» le domandò, asciugandosi una lacrima con un braccio «Quel Cielo dove c’è il Prato della canzone?»
«Sì, amore mio.» le confermò, prendendola nuovamente tra le braccia e stringendola forte a sé «Ora lui è nel Prato della canzone e protegge tutti noi da lassù.»
«Non può tornare, vero mamma?»
«No, Rirì, ma continua ad amarti, proprio come ama me e tuo fratello.»
La bambina scoppiò in un sonoro pianto, stringendosi al petto della madre che piangeva mentre abbracciava i suoi due bambini.
Katherine non riusciva ad accettare quell’idea, voleva trovare un modo per andare a trovare il suo papà in quel Prato, voleva poterlo abbracciare di nuovo, ridere quando le gote del suo volto latteo diventavano rosse in contatto con il freddo.
Era un’idea inammissibile per una bambina così piccola accettare la morte del proprio padre.
E Katniss conosceva fin troppo bene quella sensazione.
«Pa-pa Pra-to?» balbettò Ryan, alzando lo sguardo inconsapevole verso la madre.
«Sì, tesoro, è nel Prato.»
Katniss Everdeen stringeva forte a sé i suoi figli, in quel momento la paura di perdere anche loro era tale che se avesse potuto li avrebbe fatti entrare dentro il suo cuore solo per saperli più a sicuro.
La casa era silenziosa, Effie dormiva nella stanza degli ospiti, Johanna si era arrangiata nel divano … Haymitch forse era tornato in casa propria ad ubriacarsi, a scordare quel maledetto giorno.
Nessuno aveva avuto cuore di allontanarsi da quella casa, solo Ellen Everdeen era dovuta correre in città per curare un bambino.
Poco prima avevano chiamato Finnick jr per avvisarlo, la sua reazione era stata indescrivibile, quasi peggio di quella di Johanna.
Le urla del ragazzo al telefono si erano sentite per tutto il soggiorno, faceva così male per tutti sentirlo urlare in quel modo.
Lui ed Annie sarebbero arrivati la mattina per il funerale.
Katniss si chiedeva come sarebbe riuscita a sopportare tutto quel dolore per l’ennesima volta, si chiedeva come sarebbero cresciuti i suoi figli senza Peeta accanto, come sarebbero trascorsi i giorni da quel momento in poi.
Si chiedeva chi l’avrebbe protetta dagli incubi la notte, a chi avrebbe accarezzato i capelli la mattina … quanto le sarebbero mancati i baci del Ragazzo del Pane, il loro amore, i loro momenti con i bambini.
Ma ormai la Chera era arrivata e non v’era più nulla da fare.
Adesso era lei a cullare Peeta tra le sue braccia.


 
FINE CAPITOLO I


 
 
*Cit. di “Peeta la guardava”.

 


Note d’Autrice:
Sì, questa Minilong si è fatta attendere un po’, lo ammetto, ma vi assicuro che non è stata sicuramente semplice da scrivere e ha bruciato cinque dei sei neuroni attivi che mi erano rimasti.
Ma parliamo del capitolo, non voglio stare qui a dilungarmi: sì, ho ucciso Peeta.
Chi mi segue, già conoscerà la mia teoria dei 37 anni di Peeta, ma la spiego per qualche evidente nuovo lettore che si è imbattuto in questa storia.
Nella mia testa malefica Peeta Mellark muore giovane, precisamente a 37 anni per il semplice motivo che le torture subite nella Capitale sono troppo per il suo corpo e per la sua mente, anche perché sono del parere che il depistaggio lo danneggerà permanentemente.
Come dico sempre, penso che sia un ragazzo che deve imparare a convivere con un maledetto demone dentro l’anima.
Lo so, Johanna è un tantino OOC, ma sotto certi punti di vista vedo lei, Peeta ed Annie così legati che non riuscivo ad immaginare una reazione diversa ad una tale notizia.
Come avrete anche capito, Peeta era una figura di riferimento per Finnick jr, quindi vi lascio solo immaginare la sua reazione … be’, vi dico solo che nella mia testa è così straziante che non sono riuscita a scriverla.
Ci tenevo a precisare che per l’introduzione sono stata ispirata dalla Storia dei Tre Fratelli di J. K. Rowling e niente, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e di ricevere qualche parere.
Be’ … Adesso non credo di aver nient’altro da dire.
Alla prossima settimana!
E possa la fortuna sempre essere in vostro favore.
_merasavia.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II: Il Vuoto. ***




Unafraid
Capitolo II:
 IL VUOTO

 
14 ANNI DOPO
Il sole picchiava forte sulle calde spiagge del Distretto 4. Stranamente erano davvero poche le persone che preferivano trascorrere una giornata alla Baia, da sempre popolata per lo più da fidanzatini nell’ombra durante la notte o pensierosi pescatori che consumavano le loro sigarette, lasciando sulla sabbia qualche mozzicone.
Solo la famiglia Odair amava passarci del tempo: la dolce Annie che nonostante l’età appariva giovane e serena, seppur era ancora nettamente provata dalla morte del marito, Finnick jr le aveva data un motivo per vivere; Johanna Mason stava seduta sulla riva del mare, il suo viso era leggermente contorto, il volto era rigato da qualche ruga e vi era qualche filo bianco nei suoi capelli corvini.
Come passava veloce il tempo …
Finnick jr era poco più in là, a vigilare attento Ryan Mellark che nuotava un po’ distante dalla riva.
Finnick jr avrebbe compiuto trentatré anni in Agosto, era molto simile al padre, ad eccezione per i capelli,che erano rosso fuoco come quelli di Annie, e per il colore della pelle, che quando non era esposta al sole era molto più chiara di quella di Finnick sn.
Sapeva poco e nulla di suo padre, forse non voleva sapere. Si diceva di lui che fosse un eroe, ma guardando le vecchie fotografie che gli mostrava Annie lui non vedeva altro che un uomo che gli somigliava molto.
Non vedeva suo padre.
Non vedeva un eroe.
Solo un uomo.
Per lui, il suo vero padre, il suo vero eroe, la sua vera roccia era stata Peeta Mellark.
Non vi era giorno in cui non ricordava il suo funerale, il giorno in cui l’aveva potuto vedere un’ultima volta, quando Ryan era troppo piccolo e Katherine lo abbracciava in lacrime.
Oh, la sua Rirì, la bambina dalle treccine scure che aveva cresciuto come una sorellina.
Con Ryan era stato diverso, Ryan non avrebbe mai ricordato nulla di suo padre, a Ryan era toccato il suo stesso destino e Finnick jr non aveva fatto altro quello che Peeta aveva fatto con lui: crescere Ryan come un figlio.
Era stato lui, con le lacrime agli occhi, a parlargli di Peeta per la prima volta, sapeva che Katniss non ce l’avrebbe mai fatta e quel bambino di tre anni che era stato un tempo faceva troppe domande su dove fosse quell’uomo dai riccioli biondi come i suoi.
Finnick jr, a distanza di ormai quattordici anni, si chiedeva per quale assurdo motivo la Morte doveva portarsi via proprio lo zio Peeta.
Perché proprio lui che gli aveva insegnato tutto sulla vita?
Perché proprio lui che quando era bambino lo aveva protetto dagli incubi, stringendolo tra le sue braccia?
Voleva smettere di pensarci, Finnick jr, ma ogni volta che i suoi occhi si posavano sul volto di Ryan o incrociava lo sguardo di Katherine l’uomo aveva un tuffo al cuore. Un ritorno al passato in cui quegli occhi lo avevano guardato con amore un’infinità di volte.
Katherine ormai era grande, era forte, riusciva a cavarsela da sé, a controllare le emozioni, a non farsi sovrapporre sempre dai ricordi.
Ryan no.
Ryan era il suo ragazzo da proteggere, il bambino fragile che continuava a cercare risposte, proprio come aveva fatto lui tempo prima, e non riusciva mai a rivelargli che molto probabilmente quelle risposte non le avrebbe mai trovate.
Finnick Odair sn era un eroe.
Ma suo figlio non lo vedeva come tale.
Peeta Mellark era un eroe.
Ma suo figlio non l’avrebbe mai potuto vedere come tale.
E Finnick jr non voleva dirglielo, non voleva infrangere i suoi sogni confessandogli che – poiché non aveva ricordi concreti di suo padre – per lui sarebbe rimasto un semplice uomo.
Ryan iniziò a nuotare verso la riva e ben presto si ritrovò sulla battigia, proprio di fronte a Finnick jr, si scostò i capelli dalla fronte, facendo schizzare alcune goccioline d’acqua sul viso dell’uomo di fronte a lui.
 «Stai andando bene, Ryan. Hai perfezionato l’andatura.» gli disse Finnick jr, asciugandosi le goccioline d’acqua salata sul volto.
«Mi sono allenato al lago, prima di venire qui.» lo informò il ragazzo, asciugandosi il corpo con l’asciugamano che aveva preso da terra «So che non è la stessa cosa, ma è servito a qualcosa, no?»
«Sì, decisamente.»
Iniziarono a camminare sulla sabbia bagnata, le onde che arrivavano rinfrescavano i loro piedi, facendoli sentire un po’ più freschi sotto il cocente sole di metà luglio.
Camminando Ryan calciava qualche pietra davanti a sé, anche se non sembrava che avesse un’espressione molto tranquilla.
«Com’è la situazione a casa, Ryan?» domandò improvvisamente Finnick jr, facendo distogliere il ragazzo dai suoi pensieri.
«È la solita: Rirì che si prepara per il matrimonio, mamma che tira avanti, Effie Trinket viene qualche volta a farci visita» calò lo sguardo malinconico e iniziò a torturarsi le dita delle mani «ma da quando nonno Haymitch è morto la vita non è più la stessa.»
«Era un punto fermo per tua madre, Ryan.»
«Lo so, e poi c’è questa assurdità del matrimonio di Rirì che ci ha sconvolti un po’… » commentò Ryan, tornando a guardare il profilo di Finnick jr «Mi chiedo ancora se sposandosi ora non stia facendo una cazzata.»
«Ryan!» lo rimproverò Finnick jr, girando improvvisamente lo sguardo verso il suo volto e puntando i suoi occhi verdi nell’acciaio che il ragazzo aveva negli occhi.
«Non ho più due anni, Finn.»
Ed era vero, Finnick jr doveva ammetterlo, Ryan ormai stava crescendo.
«Non sono comunque termini da usare, Ryan.» lo rimbeccò di nuovo.
«Neanche fossi mio padre, Finn.» ribatté, forse con un’aria leggermente seccata.
Finnick jr si girò di scatto a quelle parole, i suoi occhi verdi erano spalancati e fissavano stupiti il volto del ragazzo.
Come poteva dire una cosa del genere?
Non conosce Peeta.
«Se ti sentisse penso che ti lincerebbe.» gli disse, guadandolo con uno sguardo severo e squadrando i suoi lineamenti che diventavano più maturi ogni giorno di più.
«Ma non mi sente, quindi … »
«Non ci giurerei.»
Continuarono a camminare in un silenzio leggermente imbarazzante, i due non osavano rivolgersi la parola, un po’ come quando un Finnick jr adolescente parlava con Johanna del padre.
La situazione non era molto diversa, era solo lui che adesso era dall’altra parte.
Ed era così difficile …
Ryan teneva lo sguardo fisso sulla sabbia sotto i suoi piedi, qualche volta tirava un sospiro e aveva un volto dall’aria molto pensierosa.
Cosa ti frulla nel cervello, Ryan?
Finnick jr credeva di sapere già la risposta.
«Ci pensi spesso?» gli chiese infine, guardandolo con malinconia.
«A cosa?» domandò innocentemente il ragazzo, fermandosi improvvisamente.
«A tuo padre.»
«Ci penso sempre, a dir la verità.» ammise, tirando un sospiro e sedendosi sulla sabbia «Non so molto di lui, alla fine: so che è stato un eroe di guerra, che ha passato brutte cose, che amava tanto la mamma e che era un po’ fuori di testa.»
«Tuo padre non era fuori di testa.» confessò Finnick jr, guardando il suo amato mare con un’espressione vuota e la mente che viaggiava tra i ricordi «Tuo padre è stato solo un uomo che ne ha passate troppe.»
«Allora parlami di lui, Finn.» gli chiese Ryan, quasi come se fosse una supplica «Dimmi chi era Peeta Mellark, Finn.»
In quel momento, ripensando a tutte le brutalità che Peeta aveva dovuto passare, Finnick jr si chiese se davvero fosse giusto che Ryan ascoltasse quella storia.
Ma Ryan doveva sapere, era un suo diritto.
«Perché, sai Finn, mi fa schifo sapere quelle quattro cose che so di mio padre grazie ai libri di scuola e ai ricordi malinconici della mamma. Non me ne parla mai nessuno.»
«Bene!» sospirò Finnick, strofinandosi gli occhi e preparandosi psicologicamente a raccontare la storia dell’uomo che gli fece da padre «Peeta Mellark era un grand’uomo. Non ha mai avuto vita facile, da bambino ha avuto parecchi problemi con la sua famiglia, ed era innamorato perso di tua madre. Poi, lo sai, sono arrivati gli Hunger Games … » tirò su con il naso, mentre cercava di non incrociare lo sguardo del ragazzino seduto di fianco a lui «Ha fatto di tutto pur di proteggere tua madre, in tutte e due le Arene. Ha messo a repentaglio la sua vita stessa pur di garantirle qualcosa di bello.»
«Mi hanno detto che è stato prigioniero nella capitale.» disse Ryan, appoggiando le braccia sulle ginocchia e guardando una conchiglia che teneva tra le mani.
«Ed è lì che è iniziato il periodo peggiore della sua vita: lo hanno torturato, gli hanno fatto perdere la ragione, con un processo chiamato depistaggio lo hanno convito che tua madre era un pericolo.» una lacrima rotolò sulla sua guancia e subito si accinse ad asciugarla. Non poteva essere debole davanti a Ryan «Tentò di ucciderla. Poi vi fu la guerra, la vittoria dei Distretti, la morte di tua zia, il processo di tua madre … Ma presumo che tu questo lo sappia già.»
Ryan annuì distrattamente, continuando a torturare quella povera conchiglia rosea tra le sue mani.
«Mio padre ha tentato di uccidere la mamma. Era uno squilibrato.»
«Sì, da un lato lo era.» gli confermò Finnick jr, guardando la sua espressione confusa mentre guardava il mare davanti a sé «Ma anche quando era in quelle condizioni ha sempre cercato di proteggere tua madre. Si faceva del male pur di restare lucido e non dare di matto, l’ha salvata dal suicidio, l’ha protetta in ogni situazione.»
«Suicidio?» domandò sorpreso Ryan, girando immediatamente la testa verso l’uomo e lasciando cadere la conchiglia nella sabbia.
«Sì, Ryan. Dopo la morte di tua zia Primrose e dopo aver ucciso la Presidentessa Coin tua madre tentò di uccidersi. E lui l’ha fermata. Si sono salvati la vita a vicenda così tante volte … » un’altra lacrima rotolò sulla sua guancia, così raccolse anche questa tra le sue dita e continuò a parlare «Poi era guarito, non del tutto, a volte aveva anche degli attacchi, ma aveva imparato a gestirli. Non c’era una cura che lo potesse liberare da quella maledizione. Conviveva con un demone dentro l’anima.»
«È stato egoista.» ammise Ryan, abbassando lo sguardo e riprendendo in mano la conchiglia rosea «Sapeva che avrebbe potuto far del male alla mamma e non si è allontanato da lei. Avrebbe potuto ucciderla in qualsiasi momento.»
«Oh, tu non sai, Ryan … Non sai quante volte le è stato lontano, non sai quante cicatrici aveva sulle braccia a furia di frenare i suoi attacchi e riempire la solitudine che aveva dentro. Aveva solo Katniss e doveva per giunta starle lontano.» soppresse un singhiozzo, portando le ginocchi al petto e avvolgendo le braccia attorno ad esse. Quanto faceva male … «Finché un giorno Haymitch è corso in casa sua, tuo padre non aveva il migliore degli aspetti, si stava lasciando andare. Ma Haymitch portava cattive notizie, quel giorno: avevano trovato tua madre in uno stato penoso, era magrissima ed era finita in ospedale. La lontananza da tuo padre la stava uccidendo. Poi vi fu un lungo processo di … Non so cosa successe, ma quando andarono a vivere insieme stavano entrambi molto meglio.»
«Quindi mio padre era terrorizzato dall’idea di poter far del male alla mamma? Si era allontanato per proteggerla?» domandò Ryan, avendo ancora un’espressione palesemente confusa sul volto.
«E poi … Tuo padre era buono quanto il pane che cucinava. Era così onesto, così gentile. Faceva tanto per tutti, era sempre pronto a regalare un sorriso a qualcuno. Mi ha cresciuto come se fossi suo figlio, mi ha amato come tale.» e a quel punto Finnick jr non cercò neanche di cacciarle via, le lacrime. Lasciò che il suo corpo venisse scosso da qualche singhiozzo e che qualche lacrima cadesse sulla sua maglia rossa. «Tante volte doveva correre qui al Distretto 4 per placare qualche crisi di zia Jo. Le capitava spesso di star male, visto che viveva a stretto contatto con le sue paure. E anche lei doveva andare al 12 per farlo uscire dai momenti di depressione in cui cadeva. Ma tuo padre … era un uomo così straordinario.»
«Credo che mi sarebbe piaciuto conoscerlo.» ammise Ryan, incrinando le labbra in un malinconico sorriso e impiantando definitivamente la conchiglia rosa in mezzo alla sabbia.
«Teoricamente l’hai conosciuto. Avevi un anno quando è morto.»
«Non ricordo niente, quindi … Non so quanto valga.»
«Tu e Rirì eravate le cose più belle che aveva. Poi, quando sei nato tu sapeva già della sua malattia e ha cercato di passare più tempo possibile con te. È stato con voi fino alla fine, poco prima di morire era con te e Rirì a giocare nel letto. Forse lei ricorda ancora qualcosa.»
«Rirì non ne parla mai,» disse, incrinando leggermente la voce in un tono malinconico «ogni volta che qualcuno fa un accenno a lui, anche minimo, lei va sempre via.»
«Non ama parlare dei morti, tua sorella, lo sai.»
«Il punto è che … non è un semplice morto, capisci? È nostro padre.»
«A maggior ragione.» disse Finnick jr, scuotendo il capo in un cenno di assenso.
«Penso che Rirì si sia chiesta tante volte cosa sarebbe accaduto se nostro padre non fosse morto e quando ne sente parlare immagina quella vita e non regge.»
«Mh-mh.» annuì Finnick jr volgendo lo sguardo nuovamente verso il mare lanciando in essa una pietra.
«Per me è diverso.» continuò a dire Ryan «Io non … Io non so neanche chi era mio padre. So che mi amava, che era una delle persone più buone del mondo, e anche una delle più coraggiose, ma … Io non so se posso amarlo, ecco.»
«Non devi dire così, Ryan.»
«Io non ho mai conosciuto il suo amore, Finn. Proprio come tu non hai mai conosciuto quello di tuo padre.»
«Ma io ho conosciuto l’amore di tuo padre!» urlò improvvisamente l’uomo, diventando rosso in volto e sentendo la rabbia salire fin sopra i capelli.
Rabbia per una vita interrottasi troppo presto.
Rabbia per aver perso una delle persone che più amava al mondo.
«Lui ti amava, ti amava così tanto che ha lasciato tutto per te! Poteva trascorrere gli ultimi momenti della sua vita con tua madre, poteva trascorrerli a fare quello che amava di più, a dipingere … E invece ha preferito voi! Te e tua sorella! Ha preferito stringervi tra le braccia e provare ad imprimere nella sua mente la vostra immagine!»
«Finn … » provò a ribattere Ryan, ma subito fu sovrastato dalla voce dell’uomo, decisamente più forte della sua.
«L’ultima volta che sono stato al 12 lo guardavo, lo vedevo in quel fottuto letto, non aveva neanche la forza per camminare. E parlava di voi, di te e di Rirì. E di tua madre. Poco prima che partissi mi ha abbracciato così forte … » ed ora c’è solo il vuoto. Copiose lacrime iniziarono a scendere sul volto dell’uomo, che non reggeva a tutta quella valanga di ricordi che erano arrivati improvvisamente «E poi una sera tua madre ha chiamato zia Jo e lei è andata al 12 e volevo andarci anche io, ma … » si coprì il volto con le mani e Ryan gli si accostò, posandogli una mano sui capelli rossi «Non potevo immaginare che non l’avrei rivisto mai più! Non potevo immaginare che l’avrei rivisto in una bara!»
«Finn … » continuò a dire Ryan, avvolgendo le braccia attorno al corpo dell’uomo, non importandosi del caldo appiccicaticcio e posando la testa di Finnick jr sulla sua spalla.
«Ryan, quella notte non sei stato solo tu a perdere il padre. L’ho perso anche io.» borbottò l’uomo, chiudendo gli occhi e ricordando qualche istante di quando era bambino: quando lo zio Peeta compariva sulla porta di casa sua o quando restava con lui e la zia Katniss al Distretto 12 per qualche giorno, lo faceva dipingere e lo portava spesso alla panetteria.
E lui era stato il primo che aveva saputo della malattia di Peeta, glielo aveva confessato Katniss in una notte in cui aveva avuto un attacco e lei era incinta di Ryan.
Oh, cosa non aveva fatto per calmare Katherine, quella notte …
E da quindici anni a quella parte, Finnick jr non riusciva a spiegarsi il motivo per cui il destino aveva scelto di portare via proprio quel grand’uomo, non voleva accettare quella realtà, quella terribile mancanza nella sua vita.
«Non voglio vederti così, Finn.» gli sussurrò Ryan, quando era ormai sull’orlo di quell’inaspettato sfogo, lo teneva ormai tra le braccia come un bambino, gli accarezzava i capelli, cercava di mormoragli qualche parola di conforto, di poter comprendere a pieno il suo dolore.
Eppure, in fondo al suo cuore, Ryan Mellark sapeva di non poter comprendere.
«Raccontami qualcosa di bello su di lui, Finn.» gli sussurrò all’orecchio, incrinando le labbra in un sorriso, immaginando – per la prima volta – quello del padre, che si diceva fosse uguale al suo «Qualche momento che non è stato portato via dalla malattia, qualche momento felice.»
«Io … » Iniziò con voce tremante, forse un po’ incerto mentre tirava su con il naso «Io ricordo che ero molto piccolo e lui e zia Kat sono venuti qui al Distretto. Un giorno faceva caldissimo» proseguì, asciugandosi le lacrime sul volto e rilassando l’espressione corrucciata «così ci siamo precipitati tutti in spiaggia, persino zia Jo ha trovato il coraggio di farsi il bagno e tua madre era straordinariamente in costume. Tuo padre non sapeva nuotare molto bene, quindi se ne stava sempre sulla sabbia a dipingere, specialmente al tramonto.» a quel punto, Finnick jr si rilassò tra le braccia di Ryan, lasciando cadere la testa sulla sua spalla e socchiuse gli occhi, cercando di rivedere le immagini di quel pomeriggio di anni e anni prima «Allora io e la zia Jo lo abbiamo preso e lo abbiamo trascinato in acqua. Ha imparato a nuotare, alla fine. Era un po’ impacciato, ma se la cavava. E poi … poi abbiamo dormito tutti in spiaggia, quella notte. Mi sembrava di vivere in uno di quei racconti di avventura, era così bello … mia madre e tua madre avevano pescato dei pesci, la zia Jo e tuo padre avevano acceso il fuoco e li stavano cucinando.»
Forse era proprio quello di cui Ryan aveva bisogno: dei ricordi concreti di suo padre, non solo delle buone parole che la gente spendeva su di lui.
Aveva bisogno di poter vivere qualche evento che lo ritraesse, di poter immaginare la sua figura, la sua voce in modo reale e non solo per sentito dire. Aveva bisogno di poter immaginare il suo tocco amorevole, i suo sorriso smagliante, i suoi luminosi occhi azzurri.
E nessuno in casa parlava mai di questo.
In casa si diceva solo che Peeta Mellark era una persona meravigliosa e buona, forse fin troppo.
«Raccontami qualche altra cosa, Finn.» gli disse, intrecciando la sua mano e stringendo saldamente le dita dell’uomo tra le sue «Hai qualche racconto su Rirì? Così la posso prendere in giro, sai … »
«Sì.» affermò sorridendo, notevolmente più rilassato e con un’espressione mista tra felicità e malinconia «Stavolta eravamo andati noi al Dodicesimo Distretto per festeggiare il Natale, era inverno e tua sorella aveva poco più che un anno. Tua madre stava facendo una doccia e noi eravamo in cucina a guardare la neve fuori dalla finestra, tuo padre cercava di dare la merenda a Rirì, che voleva mangiare da sola a tutti i costi. Fu così che tuo padre si ritrovò  con un bel piattino di pappetta per bambini sul viso e Rirì rideva come una pazza.» un leggero sorriso s’aprì sul viso di Finnick jr, ancora tra le braccia di Ryan che lo stringeva forte a sé.
Non poteva lasciarlo andare, non poteva lasciar andare proprio Finn.
«E ricordo benissimo quando nascesti, Ryan.» continuò l’uomo, alzando lo sguardo e guardando il ragazzo negli occhi grigi, cercando in lui una possibile immagine di Peeta Mellark. «Lui non stava tanto bene, ma era così felice … Nonostante le poche forze ti aveva preso tra le braccia e ti stringeva con così tanto amore e teneva le tue manine minuscole ben salde tra le sue perché erano sempre fredde. Da quel giorno in poi non ricordo un solo attimo in cui si sia distaccato anche solo per un secondo da te e da Rirì.»
E Finnick jr non riuscì più a parlare, si limitò ad accarezzare i ricci capelli biondi di Ryan e a provare a vedere – ancora solo per un secondo – il volto dell’uomo che gli aveva fatto da padre.
Erano identici in tutto e per tutto, a parte per gli occhi, che Ryan aveva grigio Giacimento come quelli della madre.
Ma non gli importava, non gli importava di niente.
Aveva il dovere di prendersi cura di quel ragazzo, di amarlo, stargli accanto e dargli tutto ciò che suo padre aveva dato a lui … ma che non aveva mai potuto offrire al suo vero figlio.
Lentamente posò le labbra sulla fronte del ragazzo, scostandogli qualche ricciolo sudato e cercando di sistemarglielo alla meno peggio.
Anche Peeta aveva i capelli ribelli.
Ryan immediatamente si gettò tra le braccia dell’uomo, proprio come quando era bambino, si lasciò ammaliare dal profumo di salsedine che emanava il suo corpo, si strinse forte e lui e lasciò scorrere il tempo al contrario, si lasciò trasportare dai più significanti ricordi che gli invasero la mente, affondò il viso nella spalla dell’uomo che ormai aveva finito ogni tipo di lacrima.
Anche nella mente di Finnick jr si era creata una fitta nebbia di ricordi felici, che lo portò a distendere il volto in uno strano sorriso. Continuò a carezzare quei riccioli ribelli, forse un pochino lunghi, si lasciò trasportare dal suo odore un po’ strano, Ryan sapeva di lievito mischiato a salsedine marina … un perfetto incrocio tra Peeta Mellark e Finnick Odair jr.
Mai al mondo Finnick jr avrebbe pensato di lasciar andar via da lui quel ragazzino, mai al mondo avrebbe abbandonato il bambino che aveva cresciuto e amava con tutto se stesso, proprio come un figlio … o forse no.
«Starò per sempre al tuo fianco, Ryan.» sussurrò al suo orecchio, come un segreto che nessuno avrebbe dovuto mai scoprire.
Ma la spiaggia era comunque vuota e Johanna ed Annie non erano nei paraggi.
«Anche io starò per sempre al tuo, Finn. Sei importante.» gli rispose, stringendo ancor di più le braccia intorno al suo corpo e tirando un  po’ su con il naso.
Faceva davvero così caldo … ma il caldo non gli importava, non quando stringeva tra le braccia una delle persone più importanti della sua vita.
«Tu sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, Ryan.» Finnick jr affondò il viso nei suoi ricci, socchiudendo gli occhi e ascoltando il rumore del mare che tanto amava, cullandosi ad ogni respiro che Ryan esalava sulla sua spalla.
Ripercorse con la mente tutti i più bei ricordi che aveva vissuto con lo zio Peeta, tutte le carezze, tutti gli sguardi amorevoli, la sua mano forte che da bambino aveva tenuto mentre camminava per le strade del Distretto 12, i meravigliosi regali di Natale per tutta la famiglia che incartavano insieme ogni anno di nascosto, sul retro della panetteria.
Finnick jr ricordò di come Peeta lo portasse spesso in quel luogo che profumava di pane appena sfornato e dolci, pensava a quanto fosse triste sapere che quel locale era chiuso e che nessuno aveva mai avuto il coraggio di entrarci dopo la morte di Peeta, neanche lui.
Della panetteria Mellark non era rimasto che un edificio abbandonato e impolverato e Finnick jr non poteva negare a se stesso che quello era stato uno dei luoghi a cui aveva legati i più bei ricordi della sua infanzia, ricordi perennemente sporchi di farina e glassa per dolci.
Tirò un’altra occhiata a Ryan, ai suoi capelli ricci che splendevano sotto il sole, alla sua pelle chiarissima, alle lentiggini che aveva sul naso e a quei meravigliosi occhi grigi in cui si riflettevano le emozioni più belle … e pensò che Peeta, prima di morire gli aveva lasciato il più bel dono della sua vita.                           
 

“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.”


[Eugenio Montale - Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale.]
 
 

 
FINE CAPITOLO II
 


Note d’Autrice:
Salve!
Parto iniziando a scusarmi per questo piccolo ritardo, ma questo week-end è stato piuttosto frenetico e non mi ha dato tempo neanche per respirare.
Bene, adesso la storia è ambientata quattordici anni dopo del primo capitolo: Peeta è morto, Finnick jr adesso ha quasi trentatré anni e Ryan si è fatto un ragazzone di quasi sedici anni … Come avrete letto è morto anche Haymitch, era già abbastanza anziano e il suo fegato era anche molto malconcio.
Katherine si sposa, ma questa è una questione che si chiarirà nel prossimo capitolo, nel frattempo abbiamo potuto vedere un confronto tra Finnick jr e Ryan.
Sono sincera, nella mia testa il figlio di Finnick ed Annie non elogia il padre e smancerie varie semplicemente perché non lo conosce ed Annie è troppo instabile per parlargli di lui e non lasciarsi coinvolgere dalle emozioni.
Anche Johanna, nel caso di questa storia, lo è. Ed anche Peeta lo è stato.
In Peeta, però, a mio avviso Finnick ha trovato la figura di un padre ed a sua volta Peeta ha trovato la figura di un figlio che al tempo Katniss non aveva voluto.
E nella mia testa Peeta ha un immenso istinto paterno.
Diciamo che Ryan si è trovato nella stessa situazione di Finnick jr, in quanto anche lui non ricorda assolutamente nulla di suo padre, né quanto l’abbia amato quando era bambino. (Come spero che abbiate capito, Katherine, invece, ha qualche ricordo in più.)
E qui è stata come una catena: Finnick jr ha scelto di prendersi cura dei figli dell’uomo che gli ha fatto da padre e – come avrete ben notato – ha stretto un legame assai particolare con Ryan, che si sente proprio come lui si sentiva da ragazzo.
Ovviamente ci tengo a precisare che la poesia di Montale alla fine: “Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale” è riferita al rapporto che c’era tra Finnick jr e Peeta.
È un po’ come se il nostro Finn la stesse dedicando al Ragazzo (ormai Uomo) del Pane.
Bene, gli altri chiarimenti arriveranno nel prossimo capitolo e non vorrei farvi qualche spoiler inconveniente!
Ringrazio tutti quelli che hanno notato questa storia, chi ha lasciato una recensione e chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite … Vi sono molto grata!
Alla prossima,
_merasavia.


 

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Capitolo 3
*** Capitolo III: L'Amore. ***




Unafraid

Capitolo III:
L’AMORE
 
 
L’estate stava ormai giungendo alla sua fine al Distretto 12, nonostante ciò, le giornate durante il dì erano ancora calde, mentre la sera una piacevole frescura calava agli inizi del bosco, dove la casa Everdeen-Mellark era situata.
Il sonno veniva meno a Ryan, che ancora non riusciva a realizzare che il giorno dopo sua sorella si sarebbe sposata a soli diciotto anni, non era decisamente una cosa da Katherine, nessuno se lo aspettava, neanche sua madre.
Il suo vestito da cerimonia era già pronto sulla poltrona posizionata accanto all’armadio, l’ansia per il giorno dopo galoppava nel suo cuore, non sapeva bene a cosa fosse dovuta quella sensazione così particolare, ma quasi lo terrorizzava dover rimanere solo con sua madre.
Ryan Mellark sapeva che Katniss Everdeen l’aveva guardato sempre con una certa pietà e, proprio come Finnick jr, proprio come tutti, cercava di trovare in lui qualche lineamento di Peeta Mellark.
Ryan, però, non aveva ancora capito bene chi questo Peeta Mellark fosse.
Si scroccò le dita e s’alzò dal letto sfatto, con passo lento e svogliato uscì dalla propria camera, deciso a vagare per la casa senza una ragione precisa. Voleva solo trovare un modo per passare il tempo, per non pensare al giorno dopo e potersi finalmente addormentare … e dormire per sempre, magari.
Come gli sarebbe piaciuto vivere in quel mondo di sogni … Quello in cui era solo con Finnick jr al Distretto 4, quello in cui correva ancora senza paure con sua sorella nel Prato del Dodicesimo Distretto.
Il Prato non era altro che un cimitero, la fossa comune di tutta la gente morta durante il bombardamento, di quelle 9.085 persone* che avevano perso la vita per un maledetto abuso di potere.
Eppure, a quel Prato, erano connessi alcuni dei ricordi più belli dell’infanzia di Ryan.
Ricordava di Finnick jr che lo prendeva in braccio e giocava con lui, correvano insieme, se lo metteva sulle spalle per farlo sentire alto.
Non appena mise piede nel salotto di casa, Ryan vide una figura imbacuccata in un plaid sul divano, i suoi lunghi capelli scuri scendevano scompigliati sulle spalle e i suoi occhi attenti sembravano attenti a scrutare qualcosa davanti a sé.
Fotografie.
«Rirì, cosa ci fai sveglia?» chiese Ryan, avvicinandosi alla sorella e puntando il suo sguardo su di lei, cercando di ignorare le fotografie.
«Potrei farti la stessa domanda, fratellino.» gli rispose, alzando i suoi occhi azzurri dall’album fotografico che aveva tra le mani.
«E così domani ti sposi … » farfugliò il ragazzo, sedendo al suo fianco e aggrovigliandosi anche lui nella grande coperta.
«Ti prego, Ryan, mi fai venire l’ansia!» ridacchiò la ragazza, rimbeccando il fratello e guardandolo un po’ in malo modo.
«Rirì, tu sei sicura di ciò che stai per fare?» il suo tono si fece più serio e i suoi occhi non si spostarono da quelli della sorella, nonostante facesse male guardarli e non pensare a quello sconosciuto che l’aveva tanto amato.
«Sono sicurissima, Ryan, altrimenti non sarei qui a guardare queste fotografie, stanotte. Io amo Stephen, fratellino. E nonostante le piccole disapprovazioni tue e di Finn e la tristezza negli occhi di mamma … questa è la mia vita.» sorrise luminosa, guardandosi un po’ attorno e sollevando le spalle «Ed io intendo viverla, Ryan.»
«Tu vuoi anche allontanarti da casa, vero?»
«Non posso negartelo, Ryan.» il suo tono si incrinò e calò lo sguardo, mentre accarezzava con il pollice una fotografia che teneva in mano «Tu sai quanto me quanto è difficile vivere qui. Sai quanto detesto sentire i pianti di mamma alla sera e restar male quando realizzo che nonno Haymitch non verrà a cenare con noi.»
«Non è solo per questo … » lasciò alludere il ragazzo, abbassando anche lui lo sguardo sulla foto che Katherine teneva in mano, raffigurante un giovane uomo da ribelli ricci biondi e due splendenti occhi azzurri.
Peeta Mellark.
«No, Ryan, no. Tu non ricordi per nulla papà,» la sua voce sembrò spezzarsi all’improvviso «e ci sono così tante cose che non sai su di lui … e vivere qui» una lacrima scese sul volto della giovane, cadendo sulla fotografia del padre «è una tortura così grande, Ryan. Ero molto piccola quando papà è andato via e sono stata una delle ultime persone a vederlo vivo.» una seconda lacrima scese dal volto della ragazza, che dopo anni e anni stava confessando segreti che aveva tenuti sigillati nell’animo da sempre «Ho avvertito io la mamma che papà stava male perché … perché prima di andar via si è messo a giocare con noi. Eravamo entrambi molto piccoli, ma io ricordo tutto come se fosse ieri. Tu gli scuotevi la spalla con la manina ed io piangevo nascondendomi dietro nonna Ellen.»
Ryan non riusciva a guardare in volto la sorella, era la prima volta che si apriva con lui, che gli raccontava qualcosa della loro infanzia in cui era presente loro padre, era la prima volta che si lasciava trasportare da quei brandelli di ricordi che le erano rimasti della sua infanzia.
«E vivere in questa casa è terribile, Ryan, perché io mi ricordo com’era quando c’era papà dentro, quando usciva la notte per andare in panetteria, quando dipingeva assorto nel silenzio … Ricordo il suo passo pesante mentre girava per casa e mamma che rideva e lo prendeva un po’ in giro.»
«Come puoi ricordare tutto questo, Katherine? Eri piccolissima.»
«Ovviamente non ricordo tutto alla perfezione e quasi tutto quello che ricordo di lui è associato alla sua malattia. Non importa se sei piccolo, Ryan … Certe immagini ti restano impresse nella mente per sempre, certi ricordi non si possono cambiare, certi gesti non si possono dimenticare. E stare qui mi fa male, perché mi riporta così indietro nel tempo che … » e le lacrime si fecero copiose sulle sue guance e subito la ragazza si preoccupò di asciugarsele, non volendo farsi vedere dal fratello in quelle condizioni.
Ma a Ryan non importava, la accolse tra le sue braccia e la strinse forte a sé, fino ad allora era sempre stata lei a dargli la forza e il coraggio per andare avanti quando la vita gli era sembrata troppo ostile, ma ora gli sembrava quasi un dovere fare lo stesso con lei.
Sapeva quanto soffriva a non aver quell’uomo al suo fianco, proprio come Finnick jr, le loro lacrime esprimevano la stessa disperazione, lo stesso rimorso per non aver potuto far abbastanza per quello che tutti consideravano eroe.
Cosa c’era di così … buono in quel Peeta Mellark che nessuno riusciva ad accettare la sua morte?
Ryan ci rifletté, non lo sapeva, no, ma nel profondo del suo cuore neanche lui aveva mai accettato la morte di quell’uomo che aveva appena visto in una fotografia.
«Rirì, io ti voglio bene.» ammise il ragazzo, distendendo le labbra in un sorriso di conforto e dando una pacca sulla spalla alla sorella.
«Te ne voglio anche io, fratellino.» sorrise anche lei, staccandosi dal suo abbraccio e asciugandosi le ultime lacrime che le erano rimaste sul volto «E sai una cosa? Mi mancherete.» ammise anche lei, mentre cercava di tornare la solita ragazza spiritosa che era sempre stata «Mi mancherà la mamma che fa disastri in cucina, tu che puntualmente ti ammali perché dormi sempre con la finestra aperta e mi mancheranno anche le visite di Effie Trinket.»
«Avete già deciso se restare qui al 12 o trasferirvi in un altro Distretto?» domandò Ryan, sistemando alcune foto che erano sparse al suo fianco.
«A dire la verità ancora no, ci piacerebbe vivere al 7 oppure al 10, ma sarebbe ardua lasciare tutto qui e andar via … »
«Il 7 e il 10 sono anche parecchio lontani.» specificò Ryan, con una punta di disapprovazione nella voce «Quasi vicino a Capitol, non so se sarà molto sicuro.»
«Be’, poi vedremo … Ti va di guardare le foto con me?» gli propose, illuminando nuovamente il suo volto con un sorriso smagliante e avvicinandosi ancor di più a lui.
Ryan annuì impercettibilmente, erano poche le volte in cui aveva dato una veloce occhiata alle fotografie che Katniss teneva gelosamente nascoste in un vecchio cassetto, che non apriva quasi mai.
Precedentemente Ryan aveva avuto occasione di vedere solo qualche stralcio di una fotografia di Peeta, un Haymitch di qualche anno più giovane o una foto ricordo di una giornata estiva al Distretto 4, quando Finnick jr era ancora un bambino.
Non aveva mai voluto prestare molta attenzione a quelle foto, ma ora che le guardava una per una, gli sembrava di poter vivere momenti meravigliosi. Guardando quelle foto, in cui la maggior parte delle volte c’era sempre suo padre, a Ryan sembrò di aver conosciuto davvero quell’uomo.
Una foto ritraeva i suoi genitori, potevano avere appena venticinque anni ed erano su una spiaggia, abbracciati e sorridenti; un’altra fotografia, probabilmente scattata lo stesso giorno, ritraeva una giovanissima zia Johanna che sembrava che rimproverasse un piccolissimo Finnick jr; un’altra mostrava la zia Annie e Peeta al Distretto 12 vicino al camino di casa Mellark-Everdeen, anche loro stretti in un caloroso abbraccio e – nonostante si notasse che era passato qualche anno in più rispetto alle prime fotografie – i loro volti apparivano giovani e sereni davanti l’obbiettivo; Ryan vide anche una foto di sua madre con un enorme pancione che chiacchierava con un Finnick jr al tempo adolescente.
Ma solo una foto gli colpì profondamente il cuore, mai al mondo si era aspettato di vedere un’immagine del genere, mai era riuscita ad immaginarla, a farla apparire nella sua mente come “reale”.
La fotografia mostrava un bambino biondo ancora avvolto in fasce, chiaramente lui, che dormiva beato tra le braccia del padre che, nonostante avesse il volto visibilmente provato, proiettava nel suo sguardo tutto l’amore del mondo. Accanto a loro vi erano sua madre e Katherine di appena tre anni che sorrideva raggiante, evidentemente entusiasta dell’arrivo del suo fratellino.
«Mi ha detto la mamma che questa ce l’ha scattata Finn.» sussurrò Katherine, sorridendo a malapena e intrecciando la sua mano con quella del fratello «È una delle poche foto che abbiamo tutti insieme e credo che sia la più bella.»
«Ce ne sono altre? Della nostra famiglia?» chiese Ryan, nel suo sguardo vi era un luccichio differente, quasi curioso, soddisfatto.
«Sì, ce ne dovrebbero essere un altro paio.»
I due fratelli si misero a scovare nello scatolo colorato in cui erano riunite tutte le foto, alla ricerca di un’altra immagine che potesse ricordare il sapore di quella meravigliosa famiglia che erano stati e che – infondo – continuavano ad essere.
Trovarono altre due fotografie: nella prima erano tutti dietro il tavolo della sala da pranzo con sopra una grande torta e delle candeline, era il compleanno di Katniss e un Ryan sorridente era seduto sulle spalle di Peeta che gli teneva saldamente le manine minuscole, mentre Katherine era in piedi su una sedia che abbracciava forte i due genitori. La cosa buffa era che nell’angolo, si poteva intravedere anche Haymitch Abernathy che rideva completamente rosso in volto.
«Questa me la ricordo,» disse Katherine, guardandola con una certa nostalgia «ce l’ha scattata Effie Trinket al compleanno di mamma, l’ultimo che ha festeggiato.»
L’ultima fotografia, invece, ritraeva un uomo stanco, semidisteso su un letto d’ospedale e vestito con un camice bianco e con una flebo al braccio destro, nonostante gli occhi stanchi e l’espressione sfinita sorrideva e con il braccio sinistro sorreggeva un bambino di su per giù un anno: Ryan si riconobbe negli occhi color argento e nei riccioli d’oro che anche al tempo gli cadevano sulla fronte, riconobbe Katherine, seduta in un angolino del letto appena più sopra di lui e sua madre, che sembrava avere la stessa espressione stanca e afflitta del marito.
Aveva visto tante volte quell’espressione nel volto di sua madre, ma era la prima volta che la vedeva in quello di suo padre.
Nelle poche foto che aveva visto, anche quella notte, Peeta Mellark aveva sempre avuto un volto raggiante, luminoso … forse si intravedeva una punta di stanchezza nelle foto più recenti, ma quella foto aveva spiazzato totalmente il ragazzo.
Che sofferenze stava mai passando suo padre?
«Questa è l’ultima foto che abbiamo fatto insieme, dopo papà non ha più voluto farsi fotografare.» affermò nuovamente Katherine, mentre il sorriso sul suo volto si era spento.
«Perché eravamo in ospedale?»
«Io non lo ricordo molto bene, ma mamma mi ha raccontato che qui eravamo a Capitol City, papà si era sentito molto male e l’avevano dovuto portare lì. Poi, quando si è ripreso un po’ nonno Haymitch gli aveva organizzato una piccola “festa” e ci è stata scattata questa foto.» Katherine si strinse dentro la coperta, tirando un lungo sospiro e continuando ad osservare quella fotografia: si era sempre ricordata di Peeta Mellark in quel modo, con gli occhi stanchi, il volto affaticato e – nonostante tutto – con un dolce sorriso sul volto. «Qui è iniziato il declino della malattia … Era tre mesi prima che andasse via.»
Ryan tirò uno sguardo anche ad una delle prime fotografie di Peeta che aveva visto, quando era ancora molto giovane: era cambiato poco, solo i lineamenti si erano fatti un po’ più maturi e vi era un po’ di barba sul volto … eppure sembrava invecchiato di cent’anni.
La sua espressione aveva perso la serenità di quei giorni, lasciando spazio solo al più profondo dolore.
Perché proprio a lui?
Se Peeta Mellark era una persona così buona come tutti dicevano, perché era andato via senza poter vivere a pieno a sua vita?
Era la prima volta che Ryan si poneva quella domanda, era la prima volta che guardava con attenzione quelle fotografie dove suo padre lo teneva sempre tra le braccia con il suo sorriso enorme.
E, per la prima volta, Ryan Mellark vide l’amore negli occhi di suo padre.


Un focolare era acceso al centro di una radura allestita appositamente per il matrimonio di Katherine Mellark, due fette di pane tostavano sul fuoco scoppiettante mentre i due scambiavano le loro promesse, dolci parole si disperdevano nell’aria e Katniss Everdeen assisteva all’evento in prima fila assieme a Ryan, il suo figlio minore, Finnick Odair jr, divenuto ormai il suo figlioccio fin troppo cresciuto, Annie Cresta e Johanna Mason.
Era invecchiata, Katniss.
Qualche filo bianco si faceva strada nei suoi capelli acconciati per l’occasione, era molto magra e il suo vestito verde sembrava persino troppo largo.
Neanche per il matrimonio della figlia era riuscita a coprire le occhiaie che aveva perennemente, simbolo delle notti insonni passate a piangere il marito scomparso quattordici anni prima … e con lui tutte le altre persone a cui teneva.
Suo padre, Cinna, Finnick sn, la sua sorellina, Peeta, sua madre, Haymitch … tutti andati via. Tutti morti.
Ma aveva preferito scordare quei ricordi per il matrimonio della figlia maggiore, preferì pensare che Peeta fosse accanto a lei, sorridente e felice, assieme a tutti gli altri invitati.
Ryan Mellark fissava attento la cerimonia della Tostatura tra sua sorella e quello Stephen, guardava attentamente le due fette di pane, non riusciva a guardare altro se non quello, come se il suo sguardo si fosse incantato su quel dettaglio e non riuscisse a vedere altro.
Quel pane l’avrebbe fatto mio padre.
Fu un pensiero fugace che gli passò per la testa così rapidamente che neanche se ne accorse, immaginò semplicemente le mani di Peeta Mellark che impastavano quelle fette di pane.
Mai aveva pensato a lui in quella maniera, mai aveva pensato ad un suo gesto, una sua azione, non aveva mai avuto una chiara idea in mente di chi quella persona fosse.
Forse ora quell’immagine si stava formando e non riusciva a far a meno di far crescere dentro di sé il desiderio di volerlo a fianco.
Ryan abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, le mani iniziarono a tremare e sentì la necessità di chiudere gli occhi per placare uno strano e improvviso mal di testa. Non ricordava di essersi mai sentito in quel modo, così confuso, così distratto, così bisognoso di fuggire via, proprio come – sposandosi – stava facendo Katherine.
Una mano calda si posò sulla sua, ancora tremante, e una voce leggermente preoccupata sussurrò delle parole al suo orecchio, che non riuscì a comprendere bene, troppo distratto.
«Ehi, Ryan, stai bene?» era la voce di Finnick jr, lo ridestò immediatamente dai suoi pensieri, facendogli alzare il capo verso il suo volto un po’ lentigginoso.
«Sì, sì, Finn, solo … Nulla, non preoccuparti.» affermò un po’ titubante, sorridendo timidamente all’uomo che continuava a stringere la sua mano tremante.
Finnick jr annuì impercettibilmente, evidentemente perplesso e quando Ryan volse nuovamente lo sguardo verso il focolare si accorse che la cerimonia della Tostatura era appena finita.
Sua sorella si era girata verso gli invitati insieme al suo sposo e avevano iniziato ad abbracciare tutti i presenti … S’accorse che neanche sua madre, Annie e Johanna erano più seduti nei loro posti, bensì erano vicino agli sposi che intimavano a lui e Finnick jr di raggiungerle.
Immediatamente i due sciolsero le loro mani unite e si incamminarono verso il focolare ormai spento, con parte del pane che era rimasto accanto. I loro vestiti eleganti erano molto scomodi, non si sentivano per nulla al loro agio, specialmente davanti a tutta quella gente.
Ryan teneva lo sguardo fisso su quel pezzo di pane, Finnick jr guardava lui a sua volta … era come se fossero completamente assenti dalla cerimonia, in un universo tutto loro.
Se mio padre avesse cucinato quel pezzo di pane cosa avrebbe fatto in questo momento?
Ryan ci pensò per un tempo che sembrava interminabile, scie di ricordi gli percuotevano la mente, rendendo quella manciata di secondi relativamente lunga.
Così, non appena giunse ad una conclusione, s’avvicinò verso la sorella, con Finnick jr che lo seguiva con lo sguardo, poggiò una mano sulla spalla di Katherine, che immediatamente si voltò a guardarlo. E Ryan li vide … per la prima volta riuscì a vedere negli occhi della sorella quelli di Peeta Mellark.
Non quelli di uno sconosciuto che l’aveva amato, ma Ryan giurò di vedere gli occhi del padre.
Immediatamente, senza pensarci due volte, la avvolse in un caloroso abbraccio, poteva immaginare il suo sorriso felice, sentiva il dolce modo in cui stringeva le braccia intorno al suo corpo, un po’ instabile a causa dei tacchi alti che indossava.
Sentiva le amorevoli carezze di Katherine sui suoi capelli ricci, accarezzava la sua schiena velata da un abito in pizzo. Non si dissero nulla, tutte le parole sembravano troppo inadeguate per quel momento: nessuno dei presenti – se non Katniss, Annie, Johanna e Finnick jr – avevano mai visto i due fratelli abbracciarsi, anzi, sembrava che vi fosse un certo rapporto di freddezza tra i due.
Non era mai stato così. Era solo paura, la paura di Ryan di guardare negli occhi di Katherine e la paura di Katherine di osservar bene il volto di Ryan.
Ma ora la paura era scomparsa, il terrore dei ricordi aveva lasciato un piccolo spazio alla bellezza di godere di essi, alla capacità di sopportare le mancanze e di sperare in nuove situazioni.
Finnick jr guardava i due con un dolce sorriso sul volto, era stato come un padre per entrambi, nonostante fosse solo poco più che un ragazzo, li aveva visti crescere, sperimentare nuove idee, ridere, giocare senza alcun pensiero … e poteva solo sperare di aver fatto Peeta Mellark davvero felice, prendendosi cura dei suoi figli, colmando a loro quella mancanza.
Finnick jr sapeva quanto ancora a lungo Peeta voleva vivere, sapeva come rigettasse l’idea di morire fin troppo giovane, come non di desse pace neanche per un secondo di dover abbandonare la sua famiglia, ricordava perfettamente tutto l’affetto che provava per i suoi figli, quasi pianse quando – gli ultimi tempi prima che morisse – lo aveva stretto forte a sé dicendogli di considerarlo come tale, sussurrandogli che, infondo, era il suo figlio maggiore.
E, guardando i due fratelli Mellark abbracciarsi, Finnick jr pensò che Peeta sarebbe davvero stato fiero di lui, di loro, dei suoi tre figli.


Mentre Katherine Mellark e suo marito Stephen erano rimasti alla radura per un servizio fotografico per il loro matrimonio, tutti gli invitati si erano riuniti vicino al lago ad aspettarli per i festeggiamenti, tra poco sarebbe giunto il crepuscolo e – un po’ più lontano dagli altri che si intrattenevano mangiando qualche stuzzichino preparato per l’occasione – Ryan, spogliatosi della fastidiosa giacca, sedeva sulla riva del laghetto a formulare vari pensieri senza una forma precisa, un’accozzaglia di sentimenti confusi e ricordi lontani gli vagavano per la mente, portandolo ad estraniarsi completamente dalle vicende intorno a lui.
I ricci biondi erano sfuggiti alla pettinatura che aveva fatto qualche ora prima, tornando ribelli sulla sua fronte a nascondere un po’ i suoi occhi grigi, si era allentato un po’ la cravatta che portava al collo e continuava a scrocchiarsi in modo frenetico le mani. Era così assorto nei suoi pensieri che quasi non si accorse che Finnick jr gli si era seduto accanto e gli stava porgendo una fetta di pane tostato che anche lui stava mangiando.
«Uhm?» fece Ryan, girando lo sguardo verso l’uomo per poi afferrare la fetta di pane «Grazie Finn.»
«Che ci fai qui tutto solo? Pensieroso?» gli chiese, per poi addentare una fetta di pane e ascoltare ciò che il ragazzo aveva da dire.
«Sì e no.» ammise, guardando il lago davanti a sé «Semplicemente … » osservò attentamente la fetta di pane tostato che teneva in mano, quell’elemento così importante per lui eppure così sconosciuto al tempo stesso «Dimmi una cosa, Finn: il pane che faceva mio padre era buono?»
«Buonissimo.» confermò Finnick jr «Aveva un sapore molto particolare e … non so neanche io come descriverlo, era come se Peeta mettesse la sua essenza lì dentro.»
«Perché ho pensato tanto ad una cosa e penso che … Non so, mi piacerebbe riaprire la panetteria, in futuro.»
Gli occhi smeraldi di Finnick jr parvero illuminarsi di colpo, una strana sensazione s’insediò nel suo cuore, una meravigliosa speranza, la possibilità di entrare nuovamente nel luogo più bello della sua infanzia, dove tutto sembrava ancor sporco di cioccolato.
Ma lui non aveva mai avuto il minimo coraggio di entrarci, di aprire quella porta e vedere come tutto era andato in frantumi con la morte di Peeta. Ma ora non sarebbe stato solo.
Se solo Ryan poteva davvero trovare la forza – e Finnick jr sapeva che poteva trovarla – sarebbe riuscito ad abbattere ogni singolo muro che aveva dentro.
Poteva farlo felice.
«Non sono molto bravo a cucinare, quindi chiamerei qualcuno che faccia il pane e i dolci, ovviamente.»
«Tu sai decorare bene le torte, potresti occuparti di quello.»
«Anche mio padre sapeva farlo» disse Ryan, chinando il capo «e penso che … forse sarebbe fiero di me, no?»
Finnick jr lo guardò, aveva un tono innocente, gli occhi leggermente lucidi, le mani che tremavano un po’ intorno quella fetta di pane tostato.
Quanto era bello …
«Lui è già fiero di te, Ryan.»
«Ma io non sono mai riuscito ad amarlo, Finn … Non sono mai riuscito a chiamarlo per nome, a …»
Così Finnick jr interruppe quella frase, prendendo il ragazzo tra le braccia e stringendolo forte, fortissimo … affondò il suo volto nella sua spalla, ispirando il profumo della camicia pulita.
Profumava di lievito e acqua marina, Ryan.
«Lui ti ha amato. Ti ha amato tanto e continua a farlo … in qualunque posto lui sia.» sussurrò Finnick jr, quasi con timore di essere sentito da qualcuno «Neanche io son mai riuscito ad amare mio padre, Ryan. Non addossarti alcuna colpa, alcun rimorso. Non ne hai.»
Ryan portò le braccia attorno alle spalle dell’uomo, abbracciandolo a sua volta, in una sorta di consolazione, per impedirgli di cedere di nuovo come aveva fatto qualche tempo fa alla baia del Distretto 4.
Non voleva vedere Finnick in quel modo, non voleva sentire il suo dolore.
«Finn …» si lasciò sfuggire, con l’ombra di un sorriso sul volto ormai non più abbronzato.
«Mi dispiace, Ryan.» farfugliò l’uomo «Mi dispiace perché io – una persona qualunque – ho potuto godere del suo amore. Ed era immenso, fidati. E tu e Rirì che eravate suoi figli no.» gli sfuggì un singhiozzo e per questo abbracciò il suo ragazzo ancor più forte.
«Non dire queste cose, Finn.»
«È come se vi avessi portato via il padre.»
«Non devi neanche pensarlo, Finn!» esclamò con una nota di rimprovero nella voce. Non poteva accettare che il suo Finn dicesse quelle cose, non ci voleva neanche pensare «Noi abbiamo te. Io ho te. E sì, avrei voluto poter avere mio padre al mio fianco, ma adesso ci sei tu … E tutto il resto non conta.» i due si staccarono dall’abbraccio in cui erano avvolti, in modo da potersi guardare negli occhi, da poter vivere quel momento, sentire tutte quelle strane emozioni … «Tu non hai conosciuto l’amore di tuo padre, Finn, ma hai conosciuto quello del mio. Io non ricordo l’amore di mio padre, ma ricordo il tuo.» ed era così strano, sentire quel ragazzo di soli 15 anni pronunciare quelle parole così profonde, dare un senso a tutto quello che li circondava in quel momento «Non importa da chi siamo amati, perché se siamo amati da qualcuno vuol dire che, almeno una volta nella nostra miserabile vita, abbiamo fatto qualcosa di buono. E non importa chi amiamo … basta che amiamo.»
Finnick jr sorrise, scosse leggermente la testa, senza smettere mai di guardar Ryan negli occhi … Gli era così grato.
In quel preciso istante, Finnick jr Odair si era appena chiesto che cosa avrebbe fatto se non ci fosse stato quel ragazzino dai capelli ricci e ribelli.
«Sei saggio per essere un ragazzetto di 15 anni.» ammise, posando una mano sulla sua guancia glabra.
«Mi hai insegnato tutto tu, Odair.»
E vi fu un concentrato di sorrisi, un miscuglio di emozioni, tanti pensieri accavallati l’uno sull’altro:  belli, brutti, felici, spaventosi … non importava.
Le loro mai erano strette saldamente, come se non volessero lasciarsi mai più. C’erano tante cosa che avevano compreso durante quelle ore, quei giorni, quei mesi, quegli anni passati insieme: bisogna esser liberi d’amare chi si sente di poter amare.
Sia Finnick jr che Ryan sapevano che Finnick Odair sn e Peeta Mellark li avevano amati, li avevano protetti senza paura, senza aspettarsi mai nulla in cambio.
Sembrò come una catena che stava unendo le loro vite: Finnick sn si era preso cura di Peeta durante la Guerra, Peeta si era preso cura di Finnick jr, Finnick jr si era preso cura di Ryan e Katherine.
Con ancora le mani intrecciate e un sorriso sul volto Finnick jr e Ryan si guardarono negli occhi, unendo il verde dei mari e il grigio del cielo in uno sguardo che parve infinito.
E forse lassù, in un presunto Paradiso, in un presunto Prato, guardando quell’immagine due vecchi amici si stavano facendo una risata.


 
“Questa è la variabile che abbiamo ignorato per troppo tempo,
forse perché l’amore ci fa paura,
visto che è l’unica energia dell’universo
che l’uomo non ha imparato a controllare”
-Albert Einstein.


 
FINE

 

*Riferimento alla frase che Gale ha detto in Mockingjay part 1 "Novecentoquindici su Diecimila" 915 persone si sono salvate, che sottratte alle 10.000 che c'erano in tutto fanno 9.085, ovvero le vittime.
 

Note d’Autrice:
Ed eccoci giunti alla fine di questa storia, una di quelle poche storie che mi ha fatto sudare letteralmente, che mi ha fatto imprecare in tutte le lingue del mondo ma che, alla fin dei conti mi ha resa molto fiera di ciò che ho scritto.
Non è nulla di particolare, lo so, ma per me aver creato questo rapporto tra Finnick jr e Ryan Mellark significa tanto … Perché nella mia testa era così complesso (una sottospecie di incesto, quasi) e sono riuscita a renderlo, o almeno spero.
Vi spiego meglio, Ryan e Finnick jr – come spero che abbiate capito da qualche dettaglio della storia – sono una coppia.
E sì, lo so che hanno quasi vent’anni di differenza, lo so che Finnick jr è una sorta di padre adottivo di Ryan e suona un po’ come un incesto non proprio incesto, ma i due hanno un rapporto così particolare per le vicende che li hanno accomunati che nella mia testa non potrebbero essere altro che due persone che si amano e si sorreggono e si proteggono l’un l’altro.
Come è scritto nel capitolo Finnick jr nutre questo rimorso, questo senso di colpa per esser stato amato da Peeta molto più a lungo di quanto lo sono stati Katherine o Ryan.
Ma Peeta Mellark ha DA SEMPRE considerato Finn come il suo primo figlio, lo ha amato come tale e ha amato allo stesso modo i suoi figli biologici.
E vi posso assicurare che, nella mia testa, Peeta li ha amati così tanto che non riesco ad immaginare un tipo di amore più grande.
Penso che, quei due vecchi amici, oltre a ridere insieme, si staranno ringraziando a vicenda.
Io, per mio conto, ringrazio sfiorarsi e Spidifen che hanno recensito questa storia con parole meravigliose, vi sono davvero grata.
Ringrazio anche i lettori silenziosi e chi ha aggiunto alle preferite/seguite questa mini-long.
Non mi resta che salutarvi, possa la fortuna sempre essere a vostro favore!
Con affetto,
_merasavia.

 

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