Domani è un altro giorno

di 9Pepe4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Domani è un altro giorno

Prima parte

Quando Aragorn giunse dinanzi all’ingresso delle sale del Reame Boscoso, gli Elfi Silvani di guardia incrociarono le loro lance davanti alla porta con un clangore metallico.
L’intimazione a non entrare era chiara, sebbene la diffidenza delle loro espressioni fosse sfumata d’incertezza.
Era possibile che fosse la prima volta che vedevano un uomo così da vicino. O forse la loro perplessità non era dovuta allo sconosciuto con capelli e barba scura, ma alla creatura che si trascinava dietro.
Col passare dei giorni, Gollum si era fatto più docile. Al momento, giaceva di fianco ad Aragorn come un intrico biancastro di arti lunghi e sgraziati.
Pareva impossibile che una simile, rachitica creatura fosse riuscita a fuggire da Mordor. Il Ramingo sospettava che non fosse scappato, ma che fosse stato rimesso in libertà perché aveva un qualche malvagio incarico da portare a termine.
Finalmente, una delle guardie parlò. «Chi siete?»
Siccome aveva posto la domanda nella lingua corrente, seppur con un accento abbastanza marcato, fu nella lingua corrente che Aragorn gli rispose. «Potete chiederlo al vostro principe, Legolas Verdefoglia. Lui sa bene chi sono, ed attende il mio arrivo ormai da giorni».
Le guardie si scambiarono uno sguardo, chiaramente incerte sul da farsi. Non sembrava che stessero davvero considerando di lasciarlo passare, però.
«Cosa succede?»
Al timbro di comando di quella nuova voce, i due Elfi sussultarono e spostarono le lance per permettere ad una terza persona di uscire dalle sale del Reame Boscoso.
Si trattava di un Elfo-femmina dai capelli ramati, vestita di colori scuri. Il suo volto aveva zigomi alti, un po’ angolosi, e lei incontrò gli occhi di Aragorn con uno sguardo vibrante.
«Chi sei?» lo interpellò.
L’uomo fece per rispondere, ma in quel momento udì un suono di zoccoli lungo il ponte alle sue spalle, ed una voce melodica e familiare che lo chiamava.
«Aragorn!»
Si voltò, in tempo per vedere Legolas – ormai giunto dietro di lui – smontare agilmente da un cavallo bianco.
Il principe gli rivolse un sorriso luminoso, e si salutarono stringendosi gli avambracci in un gesto cameratesco. «Ti aspettavo da giorni, ormai, cosa ti ha trattenuto?»
Aragorn si limitò a fare un gesto eloquente verso Gollum. L’espressione di Legolas si fece seria, e lui si voltò un attimo per affidare il destriero ad una delle guardie, che lo condusse via senza una parola.
«E così» esordì poi Legolas, «questa è la creatura».
Aragorn annuì. «Come ti ho scritto, mi occorre un luogo dove rinchiuderla e poterla interrogare».
«Io ed il re mio padre ti daremo volentieri il nostro aiuto» asserì Legolas senza indugio.
Si voltò verso la giovane dai capelli ramati, che aveva seguito in silenzio il loro scambio, e lei annuì. Col mento, fece cenno alla guardia rimasta e poi alla creatura accasciata a terra. L’Elfo scattò subito in avanti per ricevere la cavezza di Gollum dalle mani di Aragorn. Poi, dietro un secondo ordine, trascinò la creatura all’interno del Reame Boscoso, diretto alle segrete.
A quel punto, Legolas esordì: «Tauriel, questo è Aragorn, figlio di Arathorn. Il ranger che mi recai a cercare anni fa».
Tauriel guardò l’uomo, e i suoi occhi si allargarono appena per la comprensione.
«Aragorn» proseguì Legolas, «permettimi di presentarti Tauriel, capitano delle guardie e mia vecchia amica».
Aragorn la guardò. «È un onore, mia signora».
Le labbra di Tauriel ebbero una breve contrazione. «Preferisco essere chiamata capitano».
Aragorn non abbassò gli occhi, ma inclinò appena il capo. «Perdonate, capitano».
Dal sorriso che Legolas si affrettò a nascondere, l’uomo ebbe l’impressione che non fosse la prima volta che assisteva ad una scena simile.
Entrarono nel Reame Boscoso, e Tauriel si rivolse ad un paio di guardie che sostavano poco lontano, impartendo qualche ordine in Sindarin, e loro andarono immediatamente a sistemarsi davanti alle porte.
Sebbene Aragorn non fosse certo estraneo all’architettura elfica e Legolas gli avesse già parlato della propria casa, non poté che rimanere impressionato dallo spettacolo che si presentò ai suoi occhi.
In un certo senso, varcare le soglie del Reame Boscoso fu come entrare in un altro mondo. Un mondo selvatico ed armonioso al contempo, colmo di alberi e arcate e ponti e ruscelli, dove era difficoltoso distinguere tra elementi naturali ed architettonici.
Legolas e Tauriel lo condussero sino al cospetto del sovrano. Re Thranduil, seduto su un trono rialzato, era ammantato in abiti scuri striati d’argento. I suoi lunghi capelli biondo platino erano tenuti indietro dalla corona di rami e foglie autunnali che gli cingeva la fronte.
Nel vedere suo figlio ed il suo capitano che si avvicinavano scortando Aragorn, ebbe un moto di sorpresa e si alzò in piedi, per poi scendere gli scalini che portavano al suo trono.
«Re Thranduil» disse Aragorn, con un breve inchino, «vi sono grato per il vostro aiuto».
«Sei il benvenuto, Aragorn, figlio di Arathorn» replicò il sovrano, con voce cadenzata. «È un piacere fare la tua conoscenza, finalmente».
«Conoscere voi è un onore, mio signore».
Thranduil sorrise impercettibilmente. «Ti abbiamo già fatto preparare delle stanze». Diede un’occhiata al figlio come per leggere la sua espressione, e concluse: «Suppongo che Legolas sarà lieto di mostrartele».
«Vi sono grato per la vostra ospitalità» affermò Aragorn, «ma se non vi dispiace prima di tutto vorrei recarmi ad interrogare Gollum».
Thranduil gli rivolse uno sguardo indagatore. «Come desideri» acconsentì comunque.
Legolas si fece avanti. «Ti mostro la strada per le segrete».
Si congedarono dal sovrano, e mentre si allontanavano Aragorn lo sentì rivolgersi al capitano delle guardie: «Tauriel, ho bisogno del tuo rapporto sulla situazione lungo i nostri confini».
«Sembri davvero ansioso di ottenere informazioni» commentò Legolas, quando si furono allontanati dalla sala del trono.
Aragorn annuì, ma non parlò dell’anello o dei sospetti di Gandalf. «È vero» rispose. «Gandalf verrà lui stesso ad interrogare la creatura, ma se riuscissi ad ottenere qualche risposta prima di allora sarebbe tempo guadagnato».
Legolas sbatté le palpebre con una strana espressione. «Anche Gandalf sta venendo qui?»
Aragorn aggrottò la fronte. «Credevo vi avrebbe avvertito». Tacque un istante. «È un problema?»
«No» disse Legolas, forse troppo in fretta, «è soltanto che mio padre… non nutre… particolare simpatia verso gli stregoni».
Il modo in cui pronunciò quella frase, come se cercasse il modo più gentile di dirlo, strappò ad Aragorn un breve sorriso.
«Credi non vorrà ospitarlo?» domandò l’uomo, tornando serio mentre iniziavano a scendere lungo una scalinata.
«Credo lo tollererà» sospirò Legolas, corrucciandosi lievemente.
Svoltarono, camminando per un breve tratto, quindi imboccarono un’altra scalinata – più stretta, stavolta – e ripresero a scendere.
Le segrete erano le viscere del Reame Boscoso, illuminate da alcune torce. Legolas lo accompagnò sino alla cella di Gollum, chiamando il custode delle chiavi perché la aprisse, dopodiché se ne andò per svolgere i doveri che lo attendevano.
Una volta rimasto solo con la creatura, che si era rintanata in un angolo della cella e lo fissava con occhi malevoli, Aragorn si abbassò poggiando un ginocchio a terra e parlò con voce calma ma inflessibile.
Gollum non rispose alle sue domande, sibilando furioso a proposito di ladri dalle mani grassocce.
Ad un certo punto, si scagliò contro Aragorn, protendendo le dita ossute come per cercare di cavargli gli occhi.
L’uomo lo respinse con facilità, e la creatura si appallottolò piagnucolando sul pavimento.
Aragorn la contemplò in silenzio, e a quel punto udì un lieve colpo sulle sbarre della prigione. Si voltò; fuori dalla cella sostava il capitano Tauriel, che gli fece segno di raggiungerla.
Con un’ultima occhiata a Gollum, Aragorn si alzò in piedi ed uscì dalla cella. «Sì, capitano?» chiese, chiudendosi la porta alle spalle.
«Il principe Legolas è stato trattenuto» replicò Tauriel, «per cui mi ha chiesto di venirvi a chiamare al suo posto. Vi vedrà più tardi a cena».
«A cena?» chiese Aragorn, accigliandosi.
«Può essere rimandata di un’ora, se avete bisogno di più tempo».
L’uomo indugiò un istante. In ogni modo, dubitava che quel giorno sarebbe riuscito a strappare a Gollum una qualsiasi informazione. «Non è necessario».
«Vi accompagno nelle vostre stanze» asserì allora Tauriel.
Aragorn si rese conto che lei si stava rigirando qualcosa nella mano destra con fare distratto. Non riuscì a vedere di cosa si trattasse, però.
In silenzio, presero a salire i gradini. Mentre oltrepassavano una delle celle, Aragorn fu quasi certo che Tauriel si irrigidisse, ma quando la guardò lei teneva gli occhi puntati davanti a sé con determinazione. Aveva smesso di rigirarsi l’oggetto tra le dita; ora lo teneva stretto nel pugno.
«È un talismano?» le chiese Aragorn, rompendo il silenzio.
Tauriel lo fissò, poi i suoi occhi guizzarono sul suo pugno chiuso. Le sue labbra si contrassero. «È solo un ricordo» rispose, e dal suo tono era evidente che trovava la situazione in qualche modo ironica.
«Posso vederlo?»
Erano ormai fuori dalle segrete; imboccarono un corridoio, e Tauriel sollevò la mano e schiuse le dita per mostrare brevemente l’oggetto ad Aragorn.
Era una pietra scura e levigata, dagli angoli accuratamente smussati, e recava incise alcune rune.
Non erano parole elfiche.
«È nanico?» domandò Aragorn, lanciando a Tauriel uno sguardo inquisitorio.
Lei si fece scivolare la pietra in una tasca. «Sapete cosa significa?» chiese di rimando.
L’uomo scosse il capo. «Il riserbo dei Nani sul loro linguaggio è davvero estremo».
Tauriel tornò a guardare in avanti, emettendo una sorta di «mmm». Capendo che lei preferiva lasciar cadere l’argomento, Aragorn non insistette.
Tra Elfi e Nani non scorreva buon sangue. C’erano delle eccezioni, certamente, Elfi tolleranti come Elrond di Imladris, ma la gente di Bosco Atro non pareva rientrare in quella categoria.
Aragorn pensò a Legolas. Negli anni in cui avevano viaggiato insieme e combattuto fianco a fianco, aveva notato che il principe del Reame Boscoso sembrava nutrire nei riguardi dei Nani un’ostilità particolare.
Non se n’era stupito. In fondo, Thranduil del Reame Boscoso era stato un tempo Thranduil del Doriath, ed il re del Doriath era stato massacrato per mano dei Nani, così come molte delle sue genti.
Tauriel si fermò ad aprire con disinvoltura delle porte intagliate. «Questi sono i vostri alloggi».
Aragorn entrò guardandosi attorno. Stanze spaziose e ben arieggiate, colonne che sembravano – o forse erano – alberi dai tronchi sottili che erano cresciuti aggrovigliandosi gli uni agli altri.
«Dovrebbero esserci degli abiti, sul letto» lo informò Tauriel, prima di ritirarsi per lasciargli qualche momento in privato.
Non sembrava proprio il genere di persona capace di parlare del più e del meno.
Gli abiti, scoprì Aragorn, non erano la sola cosa ad aspettarlo in camera da letto. C’erano anche due catini, uno pieno di acqua calda e l’altro di acqua fredda, un pezzo di sapone particolarmente grosso ed una salvietta morbida.
Aragorn si lavò con cura, per poi asciugarsi ed indossare gli abiti puliti. Erano esattamente della sua misura, ma lui aveva trascorso abbastanza tempo con gli Elfi per non stupirsene.
Quando uscì, Tauriel era ferma davanti alle sue stanze. Lo guardò sbattendo le palpebre, ma non offrì alcun commento e la sua espressione rimase indecifrabile.
«Da questa parte» si limitò a dire, guidandolo con sicurezza lungo i passaggi del Reame Boscoso.
Stavano salendo verso l’alto, notò Aragorn.
Dopo qualche momento, giunsero a quella che doveva essere la sala dei banchetti. Era delimitata da innumerevoli colonne, simili a fusti di alberi altissimi, e ciò dava l’impressione che si trattasse di una radura circolare.
Il pavimento era venato di grigio e verde, ed il lungo tavolo era riccamente imbandito.
Thranduil, ora vestito di porpora, gli venne incontro seguito da Legolas. Il principe indossava un paio di pantaloni azzurri finemente ricamati ed una sovratunica bianca con decorazioni dorate.
«Confido che le stanze che vi ho assegnato siano di vostro gradimento» esordì Thranduil, apparendo quasi compiaciuto dell’aspetto ora più pulito del suo ospite.
«Non potrei chiederne di migliori» gli assicurò Aragorn.
Un sorriso incurvò le labbra del sovrano. «Mi auguro che questa cena non sarà da meno».
A quel punto, Legolas si fece avanti, chiaramente costernato per non essersi fatto più vedere. Mentre Aragorn gli assicurava che non gli doveva alcuna scusa, Tauriel affiancò il sovrano del Reame Boscoso.
Thranduil inclinò il capo verso di lei per mormorarle qualcosa, e Tauriel si lasciò sfuggire un sorriso. Era la prima volta che Aragorn la vedeva sorridere.
Un momento dopo, si mossero per andare a sedersi. Il re si sistemò a capotavola, ovviamente, mentre ad Aragorn spettò il posto d’onore alla sua destra. Credeva che Legolas sarebbe stato alla sinistra del re, e invece il principe si accomodò accanto a lui mentre l’altro posto vicino a Thranduil veniva occupato da Tauriel.
Aragorn si domandò se lei pranzasse e cenasse sempre con la famiglia reale. Legolas gli aveva parlato di lei, della bambina che aveva perso i genitori in un’imboscata di Orchi ed era stata accolta da re Thranduil. Ad Aragorn era parso subito chiaro che il principe la considerava parte della propria famiglia, ed ora si chiese se anche il sovrano condividesse quel sentimento.
Alcuni Elfi Silvani iniziarono a servire loro le prime portate. Erano deliziose, i sapori forti e gustosi.
Thranduil s’informò sul viaggio di Aragorn, ed intavolò con lui una cortese conversazione, per poi lasciarlo libero di chiacchierare con Legolas.
Tauriel era abbastanza silenziosa, e mangiava a testa china, ma quando Legolas la chiamava a supportare uno dei suoi aneddoti, lei offriva dettagli o commenti senza farsi troppo pregare.
In piedi alle spalle di Thranduil si trovava un Elfo Silvano dai capelli castani, che riempiva di vino il bicchiere del sovrano ogni volta che lo vedeva vuoto, e che si mise a fare lo stesso con quello di Aragorn.
Ad un certo punto, l’uomo coprì il calice con la propria mano. «Sono a posto così, grazie».
L’Elfo scosse la testa con rammarico e disse: «Ma questo vino è deliziosamente fruttato. Dovete provarlo».
«L’ultimo bicchiere» cedette Aragorn, e l’altro parve alquanto lieto di quel compromesso.
«Galion» sussurrò Legolas all’uomo un momento più tardi, accennando all’Elfo Silvano. «Non si farebbe remore nemmeno a tentare di far ubriacare i Valar in persona».

Il giorno successivo, Aragorn tornò ad indossare i propri vestiti. Trascorse la mattina nelle segrete, ma Gollum rifiutava ancora di rispondere alle sue domande.
Alla fine, stanco e quasi frustrato, l’uomo concluse che Gandalf avrebbe dovuto ottenere per conto proprio le informazioni che gli interessavano.
Uscì dalla cella e chiese ad una guardia se poteva mostrargli dove si trovava il centro di addestramento. L’Elfo lo condusse nel luogo richiesto senza alcun commento.
Si trattava di una sorta di arena molto ampia, e disseminati qua e là si trovavano bersagli di varie forme e dimensioni e fantocci di legno e paglia. C’era anche una pista ad ostacoli – per i cavallerizzi, immaginò Aragorn.
Si guardò attorno, soffermandosi per un istante su un gruppo di Elfi Silvani che si stava esercitando nel tiro con l’arco, poi notò una figura familiare che si allenava in disparte. Dopo un momento, si diresse verso di lei.
Tauriel si muoveva fluidamente. Armata di due pugnali, tracciava spirali nell’aria e mimava affondi e parate.
«Buon mattino, capitano» disse Aragorn, per annunciare la propria presenza.
Tauriel si bloccò e si voltò verso di lui. «Buon mattino, mio signore» replicò.
«Potete indicarmi dove posso trovare un arco per fare un po’ di esercizio?»
Tauriel non seppe nascondere il proprio scetticismo. «Non sembrate un tipo da arco e frecce».
«Può darsi» rispose Aragorn, chiedendosi cosa le avesse dato quell’impressione. «Ma allenare la propria mira non fa mai male».
«Certo…» Lei lo scrutò per qualche istante, poi – i pugnali ancora in mano – gli fece cenno di seguirla.
Lo guidò sino all’altro capo dell’arena, dove su un muro sottile, sorvegliato da due Elfi Silvani, erano esposti alcuni archi di varia fattura.
Aragorn prese quello delle dimensioni che più gli si confacevano, raccolse una delle faretre posate a terra, e tornò indietro con Tauriel.
«Il principe Legolas ha detto che hai talento con arco e frecce» le disse.
Tauriel gli rivolse un’occhiata di traverso, ma sembrò gradire quel complimento sottinteso.
«Parla di te con grande affetto» aggiunse Aragorn.
Tauriel si fermò. «Non morirò del mio dolore, se è questo che credi» gli disse, quasi bruscamente.
L’uomo si arrestò a propria volta, preso in contropiede da quell’uscita. Di cosa stava parlando?
«Mi dispiace» disse dopo qualche momento, con franchezza. «Non intendevo essere indiscreto».
Tauriel strinse appena gli occhi, poi spostò l’attenzione sui propri pugnali. Li soppesò come per valutarne l’equilibrio, li fece roteare un paio di volte, quindi tornò a guardare Aragorn.
«Ho vissuto a Dale, per qualche tempo» affermò.
Lui aggrottò la fronte. «La conosco» rispose, cautamente.
Era una città che sorgeva presso la Montagna Solitaria… La patria del popolo di Durin. Se si aspettava che Tauriel gli stesse per parlare di un Nano, però, si sbagliava.
«Avevo compiuto alcune… azioni… che avevano portato re Thranduil ad esiliarmi per dodici anni. Sono stata ospitata da un uomo. Io mettevo le mie conoscenze militari a disposizione sua e dei suoi soldati, e lui mi ripagava con vitto e alloggio». Fece una pausa e la sua espressione si fece distante. «Aveva tre figli: Bain, Sigrid e Tilda. Mi ero… affezionata a loro, e loro a me».
Un sorriso affiorò alle labbra di Tauriel, e due fossette le comparvero sulle guance.
«Erano dei ragazzi intelligenti, buoni e generosi. Mi hanno aiutata durante un periodo difficile, quando sentivo di non aver più uno scopo».
Aragorn non disse nulla.
«Tilda aveva l’abitudine di sedersi nel mio grembo quando le sembrava fossi infelice, Bain mi chiedeva delle usanze del mio popolo per distrarmi, e Sigrid… mi raccontava della sua giornata, e mi ha insegnato come prendermi cura di una casa».
L’uomo annuì, passando una mano sulla curva dell’arco.
«Ho insegnato a combattere anche a loro» proseguì Tauriel. «Bain conosceva già i rudimenti della spada, Sigrid si è rivelata portata per il tiro con l’arco, mentre Tilda… lei preferiva i pugnali». Si fermò di nuovo, ed ogni traccia di sorriso scomparve dal suo volto. «Alcuni anni più tardi, c’è stata un epidemia di febbre. Sono morti alcuni bambini. Alcuni mesi dopo, me ne sono andata».
Pronunciò l’ultima frase con una nota definitiva nella voce, ma Aragorn le domandò con cautela: «Posso chiedervi come mai, mia… capitano?»
Tauriel incontrò il suo sguardo. «Era da tempo che il mio cuore desiderava viaggiare, ma continuavo a rimandare. Quell’episodio mi ha ricordato quanto sia fragile la vita degli Uomini, ed ho compreso che se mi fossi attardata ancora me ne sarei andata soltanto quando fossero morti. E non volevo che fosse quella la ragione della mia partenza».
Aragorn annuì. «Non è stata una separazione dolorosa?»
«Certo che la è stata» disse Tauriel, dandogli un’occhiata quasi incredula. Poi si irrigidì. «Ma loro avevano la loro vita, che cambiava molto più in fretta della mia. In soli quattro anni, erano maturati moltissimo… Bain aveva addirittura trovato una fanciulla da corteggiare… mentre io ero sempre uguale. Avevo l’impressione di tenerli bloccati».
«Capisco» mormorò Aragorn, aggrottando la fronte.
Avrebbe voluto domandare cosa ne era stato dei tre ragazzi. Vivevano ancora? Erano morti da tempo?
Guardando il volto tirato di Tauriel, improvvisamente pensò ad Arwen ed ebbe un attimo di vertigine. Non era un bene, per gli Elfi, permettersi di amare i mortali.
Tauriel gli aveva detto che non si sarebbe lasciata sopraffare dal dolore… Ma non era raro che agli Elfi accadesse il contrario, dato quanto profondamente sentivano le proprie emozioni.
Il loro spirito era più forte del loro corpo, e se da una parte questo impediva loro di essere contagiati da malattie e li aiutava a guarire più in fretta, dall’altra un dolore profondo poteva cambiarli nel fisico e nell’aspetto. Poteva ucciderli.
Per tentare di distrarsi da quei pensieri tumultuosi, Aragorn si volse verso il bersaglio più vicino ed alzò l’arco.
Tauriel non parve prendere a male l’interruzione della loro conversazione. Semplicemente, ritornò a concentrarsi sui propri pugnali.
Poco dopo, Legolas li raggiunse. Fece a Tauriel un cenno col capo, quindi si rivolse ad Aragorn.
«Il centro era più a destra» lo informò, con la sua voce melodica.
L’uomo abbassò l’arco e guardò il principe inarcando le sopracciglia. Legolas sorrise.
Aragorn tornò a voltarsi verso il bersaglio, puntando la freccia un po’ più a destra… Lasciò andare la corda, e fece un centro perfetto.
«Sono colpito» commentò Legolas, con un largo sorriso, e Aragorn gli sbatté arco e faretra contro il petto, ma non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
«Vuoi mostrarmi un’altra parte del tuo regno, prima che me ne vada?»
Legolas tornò serio, chiudendo le mani attorno all’arco. «Devi lasciarci?»
«Temo di sì».
«E per quanto riguarda Gollum?» domandò Tauriel, aggrottando la fronte.
«Dovrebbe arrivare Gandalf a proseguire l’interrogatorio» rispose Aragorn.
L’espressione di lei si fece imperscrutabile. «Mithrandir?» chiese. Spostò gli occhi su Legolas. «Il re ne è al corrente?»
Il principe indugiò. «Non ancora».
Tauriel arricciò il naso – ad Aragorn ricordò molto l’espressione di Legolas davanti a qualcosa di disgustoso. «Non dirmi che intendi fargli una sorpresa».
«Certo che no» rispose Legolas, e parve un po’ offeso da quell’ipotesi. «Ho intenzione di dirglielo subito dopo la partenza di Aragorn».
Tauriel scoccò un’occhiata all’uomo. «Capisco».
«Vuoi unirti a noi, adesso?» le propose il principe.
Lei scosse il capo. «Ho altri impegni».
Così la salutarono, dopodiché riportarono arco e faretra al loro posto e si incamminarono. Conversarono tra loro, passeggiando nelle meravigliose sale del Reame Boscoso.
Talvolta, Legolas accompagnava il loro itinerario con qualche aneddoto, accennando ad una colonna su cui si era arrampicato da bambino, o parlando di quando aveva fatto da palo mentre Tauriel sgraffignava dei dolci in cucina, o indicando ad Aragorn il luogo in cui riceveva le lezioni in caso di maltempo. Gli parlò anche del proprio padre, con un affetto e un orgoglio quasi palpabili.
Alla fine, giunse il momento della partenza dell’uomo.
Aragorn passò a porgere i suoi ringraziamenti a re Thranduil, dopodiché Legolas lo accompagnò fuori dal Reame Boscoso.
«Buon viaggio» gli augurò, «e buona fortuna».
«Alla prossima avventura» replicò Aragorn, senza sapere quanto presto sarebbe cominciata.













Note:
Non lo so. Davvero, non lo so.
Probabilmente avrei fatto meglio a lasciare questa storia nella mia cartella per sempre. Ma uhm, okay. Ho deciso di darle una chance.
Un grazie ENORME ad Echadwen per la sua fiducia che non mi meritooo D:
La seconda parte (saranno tre in tutto) arriverà venerdì 19 febbraio.
(Comunque posso sempre cancellarla dalla faccia della Terra. Si può fare. Niente è irrimediabile.)

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Seconda parte

Il giorno dopo la partenza del Ramingo, Mithrandir giunse al Reame Boscoso.
Tauriel non lo vide di persona, ma capì che era arrivato quando vide Galion dirigersi verso la sala del trono con una generosissima quantità di vino.
Come previsto, Thranduil non doveva essere molto entusiasta del nuovo ospite, ma ciononostante lo accolse nel proprio regno e lo fece scortare sino alla cella di Gollum.
Tauriel cercò di tenersi alla larga. Sebbene non avesse nulla contro lo stregone, preferiva non ricordare l’occasione in cui si erano incontrati per la prima volta.
Supervisionò l’addestramento di alcune reclute, invece, e più tardi fu convocata da Thranduil.
Pensava che il re desiderasse un qualche aggiornamento, ma lui non la aspettava nella sala del trono, bensì nella grotta germogliante.
Nonostante il nome, più che una grotta era un giardino. Delimitato da siepi in fiore, aveva una piccola fontana al centro.
Quando Tauriel era bambina, aveva trovato il modo di intasare la fontana e bagnarsi da capo a piedi, ragion per cui quel luogo le era stato interdetto. Di conseguenza, le pareva magico ed affascinante. Cercava continuamente di sgattaiolarvi dentro, ed insisteva sempre affinché Legolas gliene parlasse, per poi ascoltare ad occhi spalancati mentre lui diceva di esserci stato, da piccolo, e di aver giocato con le ninfee che galleggiavano nella vasca della fontana.
Al proprio arrivo, quel giorno, trovò Thranduil in compagnia del principe. Stavano parlando in tono serio e sommesso, ma al suo arrivo tacquero e Legolas le sorrise.
«Io vado» disse, e Thranduil annuì.
Il principe si diresse verso l’uscita del giardino, e Tauriel si fece da parte per lasciarlo passare.
«Pattuglia» le disse lui, a mo’ di spiegazione.
La oltrepassò, e Tauriel gli diede una rapida occhiata prima di avanzare verso il re.
«Cammina con me» le disse soltanto Thranduil.
Prima della Battaglia delle Cinque Armate, Tauriel l’avrebbe trovata una richiesta strana, e avrebbe preferito che lui le dicesse subito quali erano i suoi ordini. Da quando era tornata a Bosco Atro dopo il proprio esilio, però, il loro rapporto si era fatto più saldo.
Tra una conversazione e l’altra, Thranduil aveva addirittura accennato alla sua defunta moglie. Non con lunghi discorsi, ma con una manciata di frasi quasi casuali. Poteva trattarsi di un commento verso un cespuglio fiorito – «mia moglie detestava il profumo dolciastro di quei boccioli» – o verso dei vecchi tomi – «erano i suoi libri prediletti» – ma Tauriel ora sapeva quanto potesse essere difficile anche una sola frase, e ne faceva tesoro.
Tra sé e sé, aveva iniziato a farsi un’immagine della regina: una valida combattente, ma interessata più alla lettura e alla scrittura che alle armi.
Era scossa dal fatto che Thranduil avesse deciso di essere così aperto con lei, di donarle di nuovo la propria fiducia.
Al contempo si sentiva più sicura, come se avesse ritrovato il proprio posto nella famiglia reale. Si era già sentita così, in passato, prima che cominciassero i dubbi. Prima che iniziasse a pensare di essere solo un capitano delle guardie, per Thranduil e Legolas, e che cercasse di conseguenza di distanziarsi da loro. Ora come ora, si sentiva quasi sciocca per quei pensieri.
Passeggiarono in silenzio per qualche istante, per poi fermarsi accanto alle pietre che probabilmente davano il nome al giardino. Erano grandi a sufficienza da poter fungere da panchine, ed erano ricoperte di boccioli variopinti.
«Qualcosa ti preoccupa, mio signore?» domandò Tauriel.
Un’ombra passò sul volto accigliato di Thranduil. «Molte cose mi preoccupano» rispose lui, e sembrava piuttosto stanco. «Temo che la Battaglia di sessant’anni fa non sia stata che un preludio a qualcosa di più terribile».
Alla menzione della Battaglia delle Cinque Armate, Tauriel sentì la gola seccarsi. «Più terribile?» ripeté, e all’improvviso le sembrò che tutta la sua giovinezza ed inesperienza le gravassero sulle spalle.
Per lei, quello scontro era stato un orrore inimmaginabile. Thranduil, però, parlava di orrori ben più grandi. Thranduil aveva visto orrori ben più grandi.
«Temo che…» iniziò il sovrano, poi vide la sua espressione e si interruppe. Scosse la testa. «Per ora, il tuo compito è aumentare la sorveglianza ed occuparti di Sméagol».
Tauriel aggrottò la fronte. «Sméagol?»
«Gollum» rispose Thranduil. «Pare fosse questo il suo nome, un tempo».
Lei pensò alla pallida creatura nelle loro segrete e rabbrividì d’inquietudine e disgusto. «Che cosa gli è accaduto, mio signore?»
Thranduil si incupì. «Lo posso solo supporre. Ma temo ciò che può averlo portato alla pazzia». La guardò, e la sua espressione parve ammorbidirsi. «Questo peso non è tuo da portare, Tauriel».
Non preoccuparti prima del tempo.
Lei abbassò lo sguardo sul masso ricoperto di fiori in germoglio, tentando di riordinare le proprie idee. Poi rialzò gli occhi sul proprio re e fece per riaprir bocca, ma in quel momento arrivò una guardia dall’aria trafelata.
«Mio re Thranduil» disse, con un certo affanno, «Mithrandir è pronto a partire».
Thranduil gli rivolse un cenno secco del capo. «Voglio sapere cosa mai ha scoperto» affermò, rivolgendosi anche a Tauriel, per poi lasciare il giardino in un fruscio di vesti, seguito dalla frastornata guardia.
Rimasta sola, Tauriel si avvicinò alla fontana e tese una mano a sfiorare una delle ninfee che galleggiavano sull’acqua. Il pensiero di un Legolas bambino che faceva lo stesso gesto, forse sorvegliato dallo sguardo amorevole di sua madre, rasserenò appena la sua espressione turbata.

Qualunque risposta Mithrandir avesse ottenuto, dopo la sua partenza Thranduil si fece più teso e impensierito. Allo stesso tempo, però, lo stregone aveva lasciato alle guardie una speranza di guarigione per Gollum.
Tauriel era intenta a proporre a Legolas alcuni cambiamenti nei turni delle pattuglie, quando vennero raggiunti da Inhel, una guardia dai lisci capelli scuri e le labbra carnose.
Inhel aveva minuscoli fiorellini bianchi nelle trecce che le tenevano libero il volto, un aspetto esile, ed era tendenzialmente taciturna.
Dopo che Tauriel era riuscita a riottenere il proprio posto come capitano delle guardie, Thranduil le aveva talvolta affidato incarichi come esploratrice o messaggera, e durante le sue assenze era stata proprio Inhel a sostituirla.
Così, Tauriel aveva avuto modo di scoprire che non solo Inhel aveva polso, ma che sapeva anche come far sentire le proprie ragioni.
«Mio principe, mio capitano» li salutò la guardia, con un rispettoso inchino.
Tauriel e Legolas si scambiarono un’occhiata, poi Tauriel domandò: «Che succede?»
Inhel incontrò i suoi occhi. «Si tratta di Sméagol, capitano».
«Ha causato dei problemi?» chiese Tauriel, mentre Legolas si accigliava.
«No, non si tratta di questo» rispose subito Inhel. «Io ed altri che lo sorvegliamo abbiamo pensato alle parole di Mithrandir su una sua possibile guarigione, e vorremmo tentare di aiutarlo».
Legolas la guardò con improvviso interesse. «In che modo?»
Inhel ebbe un momento di indugio, ma si riprese in fretta ed alzò il mento. «Forse, se ogni tanto potessimo farlo uscire dalla cella, camminare un po’, anche solo su e giù per le scale delle segrete…»
Legolas continuò a guardarla per un momento, assorto, dunque si rivolse a Tauriel. «Potrebbe avere un effetto positivo su di lui».
Lei rifletté brevemente. Trovava difficile provare per Gollum qualcosa di diverso dalla diffidenza, ma riconosceva che lasciarlo marcire in cella per sempre non avrebbe portato nessun miglioramento.
Così annuì, e tornò a guardare Inhel. «È un’idea valida».
La guardia le rivolse un sorriso luminoso.
«Chiederò il parere del re e vi informerò della sua decisione» concluse Tauriel, senza riuscire ad evitare di sorridere appena in risposta.
«Grazie, mio capitano» disse Inhel, chinando la testa, e i suoi capelli scuri scivolarono in avanti. Rivolse a Legolas un rispettoso «mio principe» e se ne andò.
«È brava» commentò Legolas, poi tacque un momento ed aggiunse in tono quasi casuale: «Potremmo passare al centro di addestramento, dopo che avrai parlato con mio padre di questa faccenda».
Tauriel inarcò un sopracciglio. «Mi stai proponendo una sfida?»
Legolas guardò altrove. «Be’, se pensi che perderai…»
Lei sapeva che il principe la conosceva bene, e che probabilmente aveva utilizzato quelle parole – e quel tono – proprio per stuzzicarla, ma non poté fare a meno di scoccargli un’occhiata risentita. «Io non perderò» gli disse, adombrandosi.
Legolas sorrise. «Può darsi, ma reagisci ancora come quando eri una bambina».
«Ti ricordo» disse Tauriel, fingendo di non aver sentito, «che ho ricevuto grandi elogi sin dal primo Elfo che si è occupato del mio addestramento».
«Il buon Magoldir» annuì Legolas. «E io ti ricordo che io e lui ci allenavamo insieme già da secoli prima della tua nascita».
«Immagino tutte le volte che ti avrà sconfitto nell’uso della spada».
Legolas scosse la testa. «Immagina piuttosto tutti i trucchi che ha avuto tempo di insegnarmi» suggerì, «e roditi il fegato».
«Preferisco aspettare» rispose Tauriel. «Prima o poi me li mostrerai tutti».
Il principe sorrise appena. «Centro d’addestramento?»
«D’accordo» cedette Tauriel, «ma ad una condizione. Scelgo io le armi».
Legolas annuì. «Condizione accettata. Ora, tornando ai cambiamenti che mi hai proposto…»
Quando furono riusciti ad accordarsi su quali modifiche erano necessarie e su quali erano superflue, Tauriel si recò da Thranduil.
Il sovrano teneva un calice di vino tra le dita, e la sua espressione era distante.
Quando notò Tauriel, tuttavia, si riscosse ed ascoltò con attenzione la proposta di Inhel. Considerò in silenzio la cosa per qualche istante, facendo ondeggiare appena il bicchiere di vino tra le proprie dita, poi rivolse a Tauriel un cenno affermativo.
«Forse» le disse, «sarebbe addirittura il caso di portarlo all’aria aperta. Fargli prendere un po’ di sole».
Tauriel si inchinò e fece per andarsene, ma poi si fermò e domandò: «Mio re. C’è qualcosa che posso fare?»
Thranduil si voltò a guardarla ed accennò un sorriso. «No» rispose, «ma ti ringrazio».
Tauriel annuì, quindi lasciò in silenzio la stanza e portò la notizia ad Inhel e alle altre guardie.
Ebbene, a quanto pareva si sarebbe dovuta occupare di organizzare degli altri turni. Non subito, però, naturalmente. Prima, doveva vincere una sfida contro un certo principe…

All’inizio, Gollum non parve contento di essere portato alla luce del sole. Se ne lamentò con voce stridula, gettandosi a terra e contorcendosi.
Poco a poco, però, iniziò a spostarsi nel bosco con meno proteste. Prese l’abitudine di arrampicarsi su un grande faggio che cresceva distante dagli altri alberi, e sembrava piacergli.
Una parte della corteccia, divorata dai funghi, era spugnosa e biancastra, ed una volta Gollum le diede una leccata, per poi sputacchiare sulle teste degli Elfi che l’avevano accompagnato.
Alcune guardie erano nervose all’idea di permettergli di salire sino ai rami più alti, ma Tauriel cercò di calmarle. «Lasciatelo fare» disse, «in fondo lassù potrà godere del sole e del vento fresco, due cose di cui ha certamente bisogno. Assicuratevi però che ci sia sempre una sentinella ai piedi dell’albero».
Lei iniziò a condividere la pietà di Legolas e di Inhel in un pomeriggio assolato, dopo aver visto Gollum che quasi saltellava per l’impazienza di raggiungere il grande albero.
Lo osservò mentre si arrampicava, tutto pelle biancastra e ossa sporgenti, e per un momento le parve di vedere il guizzo di una creatura diversa, innocua e pacifica.
“Cosa mai può essergli successo, per ridurlo così?” si domandò, con una stretta al cuore che era a metà paura e a metà compassione.
Probabilmente, le loro esperienze erano completamente diverse, ma non riusciva più ad evitare di sentire una strana empatia. In fondo, anche quanto era successo a lei l’aveva segnata, anche se non certo in modo così evidente e mostruoso.
Pensò alla propria infanzia, alle settimane dopo la morte dei suoi genitori. Ricordò un periodo in cui vedeva pericoli ovunque e qualsiasi suono improvviso le faceva credere che gli Orchi fossero tornati per ucciderla.
Si sentiva al sicuro solo accanto a Thranduil. E in uno di quei giorni gli aveva chiesto, toccandogli le vesti suntuose, se anche lui aveva degli incubi.
Thranduil aveva abbassato lo sguardo su di lei, increspando la fronte. Le aveva posato una mano dietro la nuca e l’aveva scrutata per qualche istante. Poi aveva distolto gli occhi, e le aveva detto che agli Elfi non era dato di dimenticare.
All’epoca Tauriel non aveva capito cosa volesse dire. Non appieno. Aveva solo pensato che non avrebbe mai perso i ricordi dei suoi genitori.
Le ci era voluta l’uccisione di Kíli per comprendere – comprendere davvero, sin dentro le ossa – le parole del re.
Non era soltanto una consolazione. Era anche una condanna.
E poi c’era stata Álof, una donna di mezz’età che aveva conosciuto durante il proprio esilio. Un giorno l’aveva trovata seduta fuori dalla sua casa, immobile e con un’espressione serena come se si fosse addormentata.
Tauriel ricordava ancora il proprio shock. Fino ad allora, il concetto di una morte non violenta le era stato estraneo e difficile da afferrare. Vedendo il lieve sorriso che incurvava le labbra di Álof, si era chiesta se fosse stato piacevole come cedere al sonno. Si era chiesta, in un angolo più recondito della propria mente, come sarebbe stato sdraiarsi sull’erba e chiudere gli occhi e semplicemente cessare di esistere.
Quando aveva saputo della morte di Bain e Sigrid, poi, si era sentita come se tutta l’aria venisse strizzata fuori dai suoi polmoni. Le era parso irreale. Le sembrava fosse trascorso così poco tempo, dall’ultima volta che li aveva visti… e se le loro vite avevano impiegato così poco a finire, quanto poco ci sarebbe voluto perché venissero dimenticati?
“Io li ricorderò” si era ripetuta spesso nel buio delle proprie stanze, mordendosi le labbra a sangue. “Io li ricorderò”.
Ma non riusciva ad evitare la consapevolezza che presto, tra gli Uomini, si sarebbe persa ogni loro memoria, e temeva il momento in cui anche Tilda avrebbe lasciato il mondo dei viventi.
Ora era il figlio di Bain, Brand, a regnare su Dale. Talvolta, Tauriel aveva pensato di recarsi a vederlo, ma alla fine aveva deciso che era meglio di no. Ormai era un adulto anche lui, e non le serviva che questo le ricordasse quanto erano brevi le vite degli Uomini.
Come aveva detto ad Aragorn, sapeva che nonostante tutto non avrebbe ceduto. Si sentiva ancora troppo viva e motivata, sebbene talvolta avvertisse una stanca disillusione che minacciava di toglierle le forze. Semplicemente, aveva troppe ragioni per andare avanti.
La sola cosa che la preoccupava era di poter essere meno efficiente, e per questo si allenava con più costanza di quanto avesse mai fatto. Aveva notato che tendeva a stancarsi prima, anche se solo di poco, e metteva costantemente alla prova la propria resistenza.
Quella sera, si stava giusto asciugando la fronte dopo una serie di esercizi, quando Inhel ed una guardia dai capelli ramati giunsero al centro d’addestramento.
«Capitano» la salutò Inhel, con un sorriso brillante.
L’altra guardia si limitò a rivolgerle un cenno del capo, e Tauriel non poté fare a meno di ripensare alla conversazione che avevano avuto anni prima, quando lei aveva riottenuto il titolo di capitano.
Probabilmente, era stata la conversazione più lunga che avessero mai avuto.
Eseguirò i tuoi ordini, le aveva detto l’altra, con serietà. Ma non ho dimenticato quello che hai fatto.
Non aveva avuto bisogno di essere più specifica. Sapevano entrambe che aveva combattuto nella Battaglia delle Cinque Armate, e che aveva visto Tauriel puntare una freccia contro il loro sovrano.
Tauriel era conscia della gravità del proprio gesto. A dirla tutta, al proprio ritorno a Bosco Atro, si era aspettata una maggiore ostilità.
Ma se nei primi anni era stata seguita ovunque da occhiate truci e bisbigli rancorosi, poco a poco quel risentimento si era quietato. E in parte, il merito era del fatto che nessuno – all’infuori degli Elfi che vi avevano assistito – sapeva del suo scontro con Thranduil.
La maggior parte della sua gente le rimproverava di aver disobbedito agli ordini del sovrano, non di averne minacciato la vita.
Talvolta, Tauriel si era chiesta perché la voce non si fosse sparsa, se per caso Thranduil avesse ordinato di non diffonderla. Più probabilmente, però, il suo gesto era stato considerato troppo grave per essere trasformato in un pettegolezzo.
Così, coloro che non sapevano nulla l’avevano ormai perdonata per aver lasciato il regno, convinti che i dodici anni d’esilio fossero stati una punizione sufficiente.
Tauriel si era sforzata di parlare con gli spettatori del suo scontro con Thranduil, e poco alla volta le cose erano decisamente migliorate.
Avviandosi fuori dal centro di addestramento, la giovane ripensò al resto delle parole della guardia dai capelli ramati.
Re Thranduil ti ritiene idonea, aveva osservato, e io mi fido del suo giudizio.
Si erano guardate per un istante. Avevano tutte e due i capelli fulvi e vestivano nei colori scuri delle guardie di Bosco Atro, ma Tauriel era appena più bassa e molto più giovane, siccome l’altra aveva pressappoco l’età di Legolas.
Spero solo che non tradirai la sua fiducia e quella del principe Legolas.
I passi di Tauriel si fermarono, e i suoi occhi si serrarono. “Non lo farò”.








Note:
Innanzitutto, scusate per la posticipazione dell’aggiornamento.
Avevo sottovalutato sia l’introspezione (spero che il risultato non sia pesante ed orribile) che il mio talento a distrarmi. (Seriamente. Tra una parola e l’altra ho ascoltato musica, guardato video su YouTube e finito un film che avevo lasciato a metà.)

Ah, la cronologia del movieverse mi confonde come poche altre cose, ma spero di non aver fatto disastri.

Per quanto riguarda Álof, è un personaggio che avevo inventato per il primo capitolo di un’altra fanfiction, Distanze, e farla morire è stata una decisione molto sofferta. (Almeno si sarà ricongiunta con la sua bell’amante dell’Harad.) Chiedo perdono anche per Bain e Sigrid :(((

Concludendo, spero che questo capitolo non sia stato la delusione del secolo e che non vi abbia fatto addormentare sulla tastiera.

La terza parte arriverà sabato 27 febbraio.

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


Terza parte

Una notte d’estate, Tauriel decise di scendere nelle segrete a controllare che fosse tutto in ordine. Oltrepassò la cella di Kíli senza guardarla, ma la pietra runica fu subito nella sua mano – era diventato un riflesso, ormai.
Le due guardie davanti alla cella di Gollum si raddrizzarono di scatto nel vederla avvicinarsi… e Tauriel si accigliò nel vedere che dietro le sbarre non c’era nessuno.
«Dov’è Gollum?» domandò, fissando le guardie con aria inquisitoria.
Loro parvero a disagio. «È sul solito albero, capitano».
«A quest’ora?» chiese Tauriel, accigliandosi.
«Si era rifiutato di scendere… Ci sono delle sentinelle con lui, però. Noi aspettiamo nel caso riescano a convincerlo a rientrare».
Delle sentinelle si trovavano con lui? Quali e quante? E soprattutto, dove avrebbero dovuto trovarsi anziché ai piedi del faggio?
«Arrampicarsi per prenderlo era così difficile?» chiese Tauriel, più aspramente di quanto avesse voluto.
Le due guardie sussultarono e lei sospirò.
«Non importa» disse, rigirandosi rapidamente la pietra tra le dita. «Voi restate qui, io vedrò cosa posso fare».
Salì i gradini per uscire dalle segrete e si infilò la pietra runica nella tasca interna all’altezza del suo seno, quindi si diresse verso le porte del Reame Boscoso. Lungo il tragitto, chiamò a sé Inhel ed un altro Elfo Silvano che stavano facendo una partita a carte.
«C’è un problema con Gollum» disse loro e spiegò cos’era successo mentre si dirigevano fuori dalle sale del Reame Boscoso.
Era una notte tranquilla; soffiava una brezza tiepida e leggera che frusciava appena tra le fronde degli alberi, e il cielo che s’intravedeva tra le foglie era blu scuro, privo di luna e stelle.
Tauriel camminava con Inhel alla propria destra e l’altro Elfo alla propria sinistra. I loro passi producevano a stento un suono.
Erano quasi arrivati al faggio, quando una freccia sibilò attraverso l’aria e si conficcò nella gola dell’Elfo Silvano alla sinistra di Tauriel.
Lui si portò le mani al collo e stramazzò a terra, e lei si sentì mozzare il fiato in gola mentre Inhel si bloccava per capire cos’era successo.
Tauriel si riscosse ed afferrò il braccio dell’altra, gettandosi a terra con lei in tempo per evitare una nuova raffica di frecce.
Col mento premuto sul terreno, Tauriel tese una mano e la mise sul collo dell’Elfo Silvano colpito. Sentì sangue sotto le dita, e nessun battito.
Tauriel avvertì un vuoto allo stomaco, poi portò le mani ai propri pugnali e si girò verso Inhel, il cui volto era diviso tra orrore e determinazione.
Dopo un istante, quattro Orchi sbucarono dagli alberi dai quali erano arrivate le frecce, e Tauriel ed Inhel si alzarono per affrontarli.
Gli Orchi parvero presi alla sprovvista – forse avevano creduto di averli eliminati tutti e tre – ma risposero con ferocia all’attacco.
Tauriel disarmò e sgozzò il primo con un gesto fluido, consapevole dei movimenti di Inhel al proprio fianco, e decapitò il secondo mentre l’altra ne uccideva un terzo.
A sostegno dell’Orco rimasto, però, ne arrivarono altri, sbucando dagli alberi. Mentre impegnava anche loro, sempre affiancata da Inhel, Tauriel si rese conto che una lotta più violenta doveva essere in corso nei pressi dell’albero di Gollum. Anche se non riusciva a vederla, udiva delle urla e un clangore di armi.
Gli Orchi erano venuti per Gollum? Intendevano catturarlo, ucciderlo? Per un istante, mentre si abbassava per evitare un colpo, Tauriel si sentì nauseata da quell’idea.
Era più preoccupata per la propria gente, ma per un istante pensò anche a tutto ciò che Gollum doveva aver passato, a quei segnali di guarigione che aveva mostrato… Nella frazione di secondo successiva, realizzò che era probabile che non fossero lì per catturarlo, ma per liberarlo. Forse avevano addirittura con la sua complicità.
Se solo fosse riuscita a guadagnare un attimo di calma per permettere ad Inhel di correre a dare l’allarme, pensò, abbattendo un altro Orco e mettendosi schiena contro schiena con la compagna così da guardarsi le spalle a vicenda.
Sembravano arrivarne sempre di più, feroci e rumorosi. Tauriel realizzò che non erano abituati a combattere in una foresta… Le avevano attaccate in un piccolo spiazzo, e lei iniziò a spostarsi poco a poco verso gli alberi – non sapeva se Inhel avesse capito o no il suo piano, ma in ogni caso stava assecondando i suoi movimenti.
Stringendo la mascella, Tauriel conficcò i pugnali nel collo dell’Orco di turno, e del sangue nero le schizzò sulla faccia… Poi, finalmente, si ritrovarono tra gli alberi.
Era stata una buona idea: con un ridotto spazio di manovra, gli Orchi parevano più lenti ed impacciati – l’arma di uno si piantò nel tronco di un albero, e mentre lui cercava di liberarla con mille grugniti, Tauriel gli tagliò la gola.
Alla fine, forse qualcuno riuscì a chiamare aiuto, o forse dal Reame Boscoso si accorsero che qualcosa non andava, fatto sta che di lì a poco Tauriel ed Inhel furono raggiunte da altri Elfi.
Forti dell’arrivo dei loro alleati, combatterono con rinnovato vigore. Senza fermarsi, Tauriel gridò alcuni ordini in Sindarin alle guardie più vicine. Se gli Elfi Silvani avevano dapprima combattuto in modo quasi caotico, ora parvero trovare un ritmo comune, serrando i ranghi, supportandosi l’un l’altro.
Ad un certo punto, a Tauriel parve di cogliere un guizzo dei capelli biondi di Legolas con la coda dell’occhio, e provò l’impulso di andare al fianco del principe. Poi, però, rimase accanto ad Inhel. Ormai i loro movimenti si erano sincronizzati, e riuscivano ad avvertirsi di potenziali minacce con rapide gomitate o brevi esclamazioni.
Finalmente, qualche ora prima dell’alba, gli Orchi rimasti fuggirono o furono uccisi.
Tauriel si guardò attorno con aria vigile, quindi – senza rinfoderare i pugnali – si voltò verso Inhel. Quest’ultima aveva del sangue incrostato tra i capelli e lungo il sopracciglio destro, ma sembrava incolume.
«Stai bene?» le domandò Tauriel, ed Inhel annuì stringendo le labbra.
Gli Elfi attorno a loro continuavano ad osservare la foresta, per niente persuasi che lo scontro fosse davvero finito. Tauriel ricordò Gollum e, dopo aver dato ordine di occuparsi dei feriti ma di restare in guardia, si diresse verso il faggio, seguita da Inhel.
Quando giunsero alla radura dove cresceva la pianta, si arrestarono di colpo. Il terreno era ingombro dei cadaveri delle sentinelle. Erano una decina: alcune giacevano a faccia in giù, altre fissavano verso il cielo senza vederlo.
Legolas, che si trovava in piedi accanto all’albero, si volse verso Tauriel e Inhel con espressione cupa, dolorante. «Sméagol è scomparso».
Tauriel inghiottì un paio di volte, rinfoderando infine i propri pugnali. «Credi che…?»
«Sì» rispose lui, pallido in volto. «Potrebbe essersi trattato di un piano per liberarlo».
Tauriel fece per parlare, ma in quel momento udì un gemito strozzato accanto a sé e si voltò.
Inhel si era portata le mani davanti alla bocca, e fissava con orrore i cadaveri delle sentinelle. «Oh, no» la sentì dire Tauriel. «No, no, no».
Il capitano si accigliò. «Inhel?» la chiamò. Non l’aveva mai vista tanto sconvolta.
L’altra si girò a guardarla, lasciando ricadere le mani e prorompendo: «È stata colpa mia. È stata colpa mia!»
Tauriel sentì che Legolas faceva un passo in avanti. Un tempo, si sarebbe fatta da parte e avrebbe volentieri affidato al principe il compito di consolatore. Adesso, però, allungò una mano ad afferrare il braccio di Inhel.
«Sono stata io a proporre di lasciar uscire Sméagol» proseguì Inhel, gli occhi ingigantiti per lo shock. «Se non lo avessi fatto…»
Tauriel strinse la presa sul suo braccio. «Non essere sciocca» le disse. «Non è stata solo una tua idea».
«È stata colpa mia» continuava a ripetere Inhel, allora Tauriel la allontanò dalla radura e la fece sedere per terra.
«Respira» le disse, più gentilmente che poté, accovacciandosi di fronte a lei. «Respira».
«Loro non possono più farlo!» gridò Inhel, con voce strangolata. «Sono stata così stupida…»
Tauriel avvertì una fitta al cuore. «Non sei stata stupida» le disse. «Hai provato pietà, e questo non è mai stupido».
La capiva sin troppo bene. Ripensando all’empatia che aveva provato per Gollum, all’orrore davanti all’idea che gli Orchi lo catturassero, si sentì invadere da un misto di collera e vergogna.
Inhel emise un suono sarcastico sul fondo della propria gola. Aveva gli occhi lucidi. «Davvero?» Affondò le mani nei propri capelli setosi, e una lacrima di rabbia e dolore sfuggì al suo controllo, rigandole la guancia. «Davvero?»
«Inhel…» iniziò Tauriel. Forse si era sbagliata. Forse avrebbe dovuto lasciare che fosse Legolas a cercare di consolarla.
«Tutte quelle sentinelle uccise, e… per i Valar, quello che è successo nel bosco!»
Tauriel ricordò l’Elfo morto nella foresta, e al modo in cui l’aveva trovato a giocare a carte con Inhel. Erano rilassati e sereni, e lui stava sorridendo. E poi era arrivata lei, che li aveva trascinati dritti in una carneficina.
Contrasse la mascella. «Non è colpa tua» affermò. «Non puoi biasimarti per cose che sono fuori dal tuo controllo».
Qualcosa nel suo tono indusse Inhel a sbattere le palpebre e a guardarla. Tauriel distolse gli occhi, indurendo il proprio volto.
In quel momento, una voce le raggiunse. «Tauriel?»
Al suono del proprio nome, lei scattò subito in piedi.
Thranduil era a pochi metri da loro, una spada nella mano destra. I suoi occhi azzurri sembravano bruciare.
Inhel aggrottò la fronte davanti alla reazione di Tauriel e si girò per controllare cosa avesse visto. Nel riconoscere il re, emise un’esclamazione sorpresa e si affrettò ad alzarsi a propria volta.
«Mio re?» chiese Tauriel, avanzando verso di lui ed indagandolo con gli occhi per accertarsi che non fosse ferito.
«Legolas mi ha detto che eri già nella foresta» affermò lui. «Cos’è successo?»
«Avevo appena scoperto che Gollum era ancora fuori dalla sua cella, così ho preso con me Inhel e… e…» La sua voce vacillò nel ricordare di nuovo la guardia che era stata uccisa.
Thranduil indirizzò un’occhiata ad Inhel prima di riportare lo sguardo su Tauriel.
Lei trasse un respiro. «Eravamo in tre. Uno di noi è stato ucciso mentre ci stavamo dirigendo verso il faggio, poi sono iniziati ad arrivare un Orco dopo l’altro».
Thranduil non rispose. La sua espressione non rivelava nulla, ma la sua mano si contraeva sull’elsa della spada. «Siete ferite?» domandò alla fine.
«No, mio signore» rispose Tauriel.
In quel momento, arrivarono Legolas e Feren.
«Padre» disse il principe, e Thranduil si voltò verso di lui. «I morti ammontano a sedici, più undici feriti. E uno dei feriti ha detto di aver visto degli Orchi catturare tre guardie nei pressi del faggio».
Tauriel sussultò, mentre il sovrano considerava velocemente le notizie.
«La priorità va alla difesa del Reame Boscoso e dei villaggi» disse poi Thranduil. «Se l’obiettivo degli Orchi era davvero liberare Gollum, non credo torneranno, ma la prudenza non è mai troppa. Feren» aggiunse, guardando il proprio ufficiale, «raduna quante guardie puoi ed organizza il trasporto dei feriti e dei caduti».
L’Elfo Silvano annuì con serietà, quindi fece un mezzo inchino e si allontanò per eseguire l’ordine ricevuto.
Thranduil si rivolse a suo figlio. «Legolas. Prendi con te qualche guardia. Cercate di ritrovare Gollum, di riportarlo qui».
Legolas annuì, ed Inhel si fece avanti.
«Se posso, mio signore» disse, rivolgendosi al re, «vorrei partecipare alla ricerca di Sméagol».
Thranduil la guardò, e Tauriel abbassò il capo in un discreto cenno affermativo. Il re non mancò di notarlo, ed annuì.
«Molto bene».
Inhel si spostò per affiancare Legolas.
«E per quanto riguarda le guardie catturate?» chiese Tauriel.
«Prendi con te Merion e almeno altri due soldati» rispose Thranduil, «e seguite le tracce degli Orchi».
«Non servo qui, mio signore?»
«Per organizzare e dare ordini?» replicò il re. «Prendo io il comando delle mie guardie».
«Sì, mio signore» rispose lei, e fece per allontanarsi.
«Tauriel» la fermò Thranduil. «Normalmente invierei più guardie per questa impresa, ma al momento mi servono le mie forze qui. Sarà rischioso. Siate prudenti».
Lei annuì con serietà. «Certo, mio signore».
A quel punto, si inoltrò nella boscaglia per cercare Merion. Lo trovò quasi subito: un Elfo Silvano dai capelli scuri e gli occhi grigi, che sembrava piuttosto scosso dal recente attacco.
«Merion» lo chiamò Tauriel, avvicinandosi, «mi servi per un incarico».
Sapeva che lui aveva meno esperienza di lei nei combattimenti, ma sapeva anche che aveva un buon talento nel seguire le piste. Thranduil, ovviamente, non aveva preso una decisione senza riflettere.
Merion ascoltò in silenzio mentre Tauriel gli spiegava cosa avrebbero dovuto fare. Dopodiché, lei si guardò attorno alla ricerca di altre due guardie per quel compito, e gli occhi le caddero su un paio di identiche teste rossicce.
I gemelli erano appena più vecchi di lei, sebbene i loro volti avessero tratti delicati e quasi femminei che li facevano apparire come due ragazzini. Era raro vederli l’uno lontano dall’altro, e tra le guardie venivano chiamati semplicemente Gwanunig, gemello, e Pîn Gwanunig, piccolo gemello.
Era inusuale, ma loro lo trovavano calzante, perché si sentivano definiti l’un dall’altro. Non perché non potessero sopravvivere se separati, ma perché sentivano che senza il fratello con cui avevano condiviso il grembo materno e la loro intera esistenza sarebbero stati persone completamente diverse.
Tauriel e Merion li avvicinarono, e i gemelli li guardarono con uguali espressioni interrogative. Dopo una breve spiegazione, si diressero tutti e quattro verso il faggio dal quale Gollum era sparito.
I corpi delle sentinelle erano già stai spostati, ma dalle silenziose reazioni dei suoi compagni – occhi che si chiudevano, labbra che si serravano – Tauriel capì che sapevano delle uccisioni avvenute in quella radura.
Fu Merion ad individuare le tracce degli Orchi. C’erano anche quelle di Gollum, ma Tauriel disse agli altri di ignorarle – «Se ne sta già occupando il principe Legolas».
La pista che interessava a loro si dirigeva verso sud, in direzione di Dol Guldur. Tauriel, Merion ed i gemelli la seguirono in silenzio, facendosi strada nella foresta con facilità.
Dopo qualche tempo, giunsero ad un punto in cui gli Orchi si erano divisi in due gruppi. A giudicare dalla terra spostata e dall’abbondante numero di tronchi e rami spezzati, doveva esserci stata una sorta di schermaglia.
«Sembra si siano divisi anche i prigionieri» osservò Merion, dopo aver esaminato le tracce con aria accigliata.
Tauriel inveì mentalmente, poi guardò gli altri. «D’accordo» disse. «Gwanunig, Pîn Gwanunig, voi procedete in quella direzione, io e Merion andremo per di qua. Siate prudenti».
I gemelli annuirono e si allontanarono mentre Tauriel e Merion si incamminavano nell’altro senso. Il loro gruppo aveva deviato verso ovest. Forse era per questo che si erano separati, perché una manciata di Orchi aveva preferito uscire da Bosco Atro anziché tagliare sino a Dol Guldur attraverso la foresta.
«Meglio per noi» si limitò a dire Tauriel, in risposta allo sguardo di Merion.
Avrebbero avuto a disposizione più tempo per raggiungerli e liberare le guardie prigioniere.
Ben presto, giunsero al limitare della foresta, e sbucarono all’aperto con una certa prudenza. Si vedevano alcuni segni sulla terra e sull’erba, e una traccia di sangue, come se qualcuno avesse cercato di lottare.
Tauriel si morse le labbra, e lei e Merion ripresero a seguire la pista ad un ritmo più sostenuto. A quel che sembrava, gli Orchi avevano deciso bene di fiancheggiare il limitare del bosco.
Ad un certo punto, Merion si bloccò e si inginocchiò per studiare alcune tracce più da vicino.
Tauriel lo guardò. «Che succede?»
Lui alzò gli occhi su di lei. Era stranamente pallido. «Quanti hai detto che sono gli Elfi che sono stati catturati?»
Tauriel si accigliò. «Tre» rispose, «perché?»
«Prima, nel bosco, mi sono sbagliato» disse Merion, con l’aria di sentirsi male. «Non si sono divisi i prigionieri. Vedi queste tracce?» Fece segno verso il terreno. «È chiaro che gli Elfi con questo gruppo d’Orchi sono tre».
Tauriel inspirò bruscamente. «Ne sei certo?»
Merion indugiò un istante solo. «Sì».
«Va bene» disse Tauriel, raddrizzandosi. «Va bene». Considerò la situazione, e prese in fretta la sua decisione. «Io continuo a seguirli. Tu va’ a chiamare i gemelli. Portali qui».
Forse un altro Elfo avrebbe obbiettato, ma Merion era di natura accomodante.
«D’accordo» disse, alzandosi in piedi.
«Fa’ più in fretta che puoi» gli raccomandò Tauriel, e l’altro le rivolse un sorriso tirato prima di inoltrarsi di nuovo nella foresta.
Rimasta sola, Tauriel riprese a camminare. Ogni tanto si fermava per controllare di star seguendo la pista giusta, ma tutto sommato procedeva in modo abbastanza spedito.
Dopo un po’, scorse del fumo in lontananza, ed aggrottò la fronte. Gli Orchi erano così stupidi da accamparsi e accendere un falò?
Non si era aspettata che fossero ancora più vicini. Forse sarebbe riuscita ad assalire gli Orchi e a liberare i prigionieri prima ancora che Merion tornasse con i gemelli.
In quel momento, le sembrò di udire una voce alle proprie spalle.
Chi è spericolato, adesso?
Il cuore le balzò in gola e lei si girò di scatto, un pugnale nella mano destra… Ma non c’era nessuno. Ovviamente.
Tauriel sbatté le palpebre e tornò a guardare avanti, rimettendosi in cammino.
Dopo un po’, iniziò ad intravedere il falò da cui si levava il fumo, ma attorno non sembrava esserci nessuno… O forse c’era qualcosa dall’altra parte delle fiamme?
Tauriel aggrottò la fronte, inclinando la testa… E in quel momento un Orco emerse dalla foresta, scontrandosi con lei.
L’impatto le strappò un grido smorzato e la mandò col sedere a terra, ma fortunatamente aveva già un pugnale tra le dita. Riuscì a mantenere la presa e a sporgersi in avanti per menare un fendente e costringere l’Orco ad indietreggiare.
Quel momento era tutto ciò che le serviva; fu subito in piedi, evitò con facilità il colpo d’ascia dell’avversario e lo sgozzò.
L’Orco cadde a terra con un tonfo, e Tauriel strinse gli occhi. Gli Orchi… avevano acceso un falò e poi uno di loro si era inoltrato nel bosco, tornando indietro ad aspettare eventuali inseguitori?
Era un piano sorprendentemente elaborato, per i loro standard.
Forse sarebbe dovuta tornare nella foresta anche lei… Ma del resto avrebbe corso il rischio di perdere le tracce del gruppo.
Con un sospiro, riprese ad avanzare. C’era davvero qualcosa dall’altra parte del falò, come una sagoma distesa a terra… Era troppo piccola per essere quella di un Orco.
Tauriel affrettò il passo, e quando capì di cosa si trattava si mise a correre.
Disteso sul terreno si trovava un Elfo Silvano dai capelli castano scuro. Sul suo petto era aperta una larga ferita che sanguinava abbondantemente.
Tauriel lo riconobbe subito. Era Magoldir, ed era stato il suo primo istruttore in materia di armi e combattimenti. Si inginocchiò accanto a lui, cercando di fermare il sangue con le proprie mani.
Magoldir mosse appena la testa, e a Tauriel parve che lui la guardasse tra le palpebre socchiuse. Una mano si alzò per sfiorare debolmente le sue, e le labbra dell’Elfo si schiusero. «Gli altri» sussurrò. «Sono ancora vivi».
«Va bene» disse Tauriel, lanciando uno sguardo verso il limitare del bosco. Dov’erano Merion e i gemelli?
Magoldir trasse un respiro faticoso. «Va’ da loro» mormorò. «Qui non c’è… molto da fare».
Tauriel scosse la testa. Aiutandosi col pugnale, lacerò una striscia di stoffa dei propri abiti e la utilizzò per tamponare la ferita.
«Magoldir» lo chiamò, poiché le sue palpebre si erano chiuse. «Magoldir, apri gli occhi. Guardami».
In quel momento, sentì un rumore alle proprie spalle e dovette cacciare indietro un gemito. Se erano tornati gli Orchi…
“Non adesso” implorò mentalmente, frustrata.
Si voltò, e la sua schiena tesa si rilassò immediatamente, mentre un barlume di speranza si accendeva nel suo petto. Le figure che si stavano avvicinando erano tre Elfi: Merion e i gemelli erano tornati.
Nel notare lei e Magoldir, accelerarono il passo e la raggiunsero in poco tempo, fermandosi a fissare l’Elfo moribondo.
«Merion» disse Tauriel.
Lui si inginocchiò davanti a lei, mettendo le mani sulla garza improvvisata in modo da permetterle di togliere le proprie.
«Ce la fai a riportarlo nel Reame Boscoso?»
«Da solo?» domandò l’altro.
Tauriel si voltò verso i gemelli. «Pîn Gwanunig» disse, alzandosi in piedi. «Tu rimani con loro. Aiutalo».
L’interpellato diede un’occhiata al suo gemello, poi annuì. «Sì, capitano».
«Bene» disse Tauriel, «io e Gwanunig continuiamo l’inseguimento».
Prima di rimettersi in marcia, guardò Magoldir. Era cinereo, e sembrava respirare sempre più a fatica.
Tauriel inspirò profondamente mentre Pîn Gwanunig si chinava accanto a Merion, quindi fece cenno a Gwanunig di seguirla, e si allontanarono a passo spedito.
Sperava di aver fatto la scelta giusta, lasciando indietro Merion. Dopotutto, la pista era ormai chiara, ed i migliori combattenti tra loro quattro erano senza dubbio lei e Gwanunig.
Era agitata per Magoldir, ma si costrinse a relegare quel pensiero in un angolo della propria mente. Merion e Pîn Gwanunig l’avrebbero riportato al Reame Boscoso. Sarebbe andato tutto bene.
In quel momento, lei e Gwanunig udirono delle grida. Si fermarono e Tauriel si schermò gli occhi con una mano. Aguzzando la vista, scorse in lontananza un gruppetto di sagome scure. Allora si girò verso il suo compagno, accennando al bosco.
Gwanunig capì senza bisogno di parole. Insieme, rientrarono nella foresta, e camminarono tra gli alberi sinché non giunsero all’altezza degli Orchi.
Con loro, si trovavano i due Elfi Silvani che erano stati catturati. Il più vicino al limitare della foresta doveva da poco aver tentato di fuggire, poiché era accasciato a terra mentre un Orco gli tirava indietro la testa per i capelli castani, esponendo alla loro vista il suo labbro spaccato e sanguinante.
Tauriel estrasse i suoi pugnali, e Gwanunig fece lo stesso. A quel punto uscirono allo scoperto: Tauriel si lanciò sull’Orco che aveva atterrato una guardia, mentre Gwanunig attaccava quello che teneva ferma l’altra.
L’Elfo col labbro spaccato incespicò nel rimettersi in piedi. Tauriel tagliò rapidamente le corde che gli imprigionavano i polsi, per poi lanciargli uno dei propri pugnali.
Approfittando di quell’istante di distrazione, un Orco le si scagliò contro e la fece cadere lungo distesa sul terreno. Lei si girò rapidamente su un fianco, evitando la sua lama e colpendolo alle ginocchia con un calcio furioso, per poi balzare in piedi e affondargli il proprio pugnale nel collo scuro e tozzo.
Si sarebbe scagliata subito su quello successivo, ma si costrinse a dare una rapida controllata all’Elfo che aveva liberato. La priorità, si ricordò, era il salvataggio dei prigionieri.
Si accostò al compagno in modo da poterlo aiutare – sembrava infatti che lui ne avesse bisogno: da come si spostava, era probabile che avesse una gamba fratturata.
Tauriel si passò il pugnale da una mano all’altra e trafisse l’Orco più vicino.
Gwanunig non era molto lontano, e Tauriel gli gettò una breve occhiata per accertarsi che accanto a lui ci fosse l’altro prigioniero. Era così, ma l’attenzione di lei venne subito catturata da un altro dettaglio. Un Orco si era distanziato dal gruppo, ed ora stava puntando contro Gwanunig un arco rozzamente intagliato.
Tauriel si abbassò per evitare un colpo, e si risollevò gridando: «Gwanunig! Dietro di te!»
Lui sgranò gli occhi e si voltò di scatto, prendendo coscienza del pericolo… per poi lanciarsi di lato quando la freccia partì.
Tauriel era quasi certa che lui l’avesse evitata, ma non ebbe il tempo di fermarsi a controllare. La lama di un Orco le lacerò il fianco, e lei annaspò per la sorpresa ed il dolore, incespicando di lato per sottrarsi all’arma. Fu un movimento goffo, ma servì allo scopo.
Stringendo una mano sul pugnale, Tauriel portò istintivamente l’altra alla ferita, e sentì il sangue bagnarle le dita.
L’adrenalina alleviava il dolore, però, e la aiutò a finire l’Orco che l’aveva colpita. Un altro prese il suo posto, e Tauriel lo affrontò con determinazione, sinché l’Elfo dal labbro spaccato non spuntò alle spalle del nemico e lo decapitò.
A quel punto, i loro occhi si incrociarono per un istante, poi loro due si guardarono attorno, ma degli Orchi non erano rimasti che i cadaveri sul terreno.
Tauriel si lasciò cadere seduta sull’erba, respirando appena troppo affannosamente e premendo una mano contro il proprio fianco.
«Capitano?» chiamò l’Elfo di fronte a lei, ignorando il sangue che gli era colato dal labbro e gli aveva impiastricciato il mento. «Sei ferita».
Tauriel lo fissò. «Senti chi parla» borbottò, e lui sorrise.
Lei era meno incline a farlo. A parte il bruciore del taglio, le era appena sovvenuto che sarebbe stato meglio tenere in vita almeno un Orco, così da poterlo interrogare.
«Che è successo?» domandò Gwanunig, la preoccupazione dipinta sul volto fanciullesco mentre si avvicinava seguito dall’altro prigioniero.
Tauriel sentì una fitta di immotivata irritazione. «Niente di ché» rispose, inspirando dal naso.
Gwanunig guardò prima lei e poi la gamba spaccata dell’altro Elfo con una punta di incertezza. «Riuscite a camminare?»
Tauriel soffocò l’impulso di rispondergli male. Tendeva a diventare alquanto indisponente quando era ferita, e ne era consapevole.
Senza staccare la mano dal proprio fianco, si alzò con cautela. Fortunatamente la ferita non era troppo profonda. Faceva male, specie quando lei si muoveva, ma non così tanto da impedirle di stare in piedi.
«Io ce la faccio» affermò, decisa, poi si voltò verso l’Elfo con la gamba rotta. «Tu?»
Lui fece una smorfia. «Con qualche difficoltà».
«Lo aiuto io» intervenne l’altra guardia, facendo un passo in avanti. Aveva splendidi occhi marroni, contornati da lunghe ciglia nere, ed i capelli molto scuri.
Quando l’altro Elfo gli passò un braccio attorno alle spalle, lui lo guardò con sollievo e preoccupazione, e gli rivolse un borbottio. Suonava sospettosamente come «idiota, ti sei quasi fatto ammazzare».
Tauriel distolse lo sguardo. «Va bene» mormorò, mentre Gwanunig la affiancava.
«C’era un altro con noi» disse l’Elfo dai capelli castani e il labbro spaccato. «Magoldir. Si era ribellato e lo hanno ferito, per poi lasciarlo indietro».
«Lo sappiamo» disse Tauriel, voltandosi a guardarlo. «Lo abbiamo trovato. Altri due Elfi lo hanno riportato a Bosco Atro».
Il suo interlocutore annuì, appoggiandosi all’Elfo dai bellissimi occhi scuri.
Erano un gruppetto un po’ malconcio e procedettero con una certa lentezza, ma alla fine giunsero al Reame Boscoso. Avvertiti dal corno di Feren, degli Elfi Silvani accorsero per accogliere i feriti, e Tauriel si fece da parte per mandare avanti i prigionieri che avevano liberato.
Giunse anche Pîn Gwanunig – seguito a breve distanza da Merion – e corse incontro al suo gemello, abbracciandolo.
Tauriel sorrise appena e si rivolse a Merion. «Magoldir?» domandò.
La sua espressione fu una risposta sufficiente, e le fece morire il sorriso sulle labbra.

Quella sera, Tauriel si trovava nelle proprie stanze, seduta sull’orlo del letto.
Aveva cercato di sgusciare via subito, ma aveva avuto la sfortuna di essere intercettata da una guaritrice, che l’aveva guardata con occhi di falco e si era subito accorta della sua ferita.
Una volta sistemato il fianco, Tauriel si era recata a far rapporto a Thranduil. Dopodiché, nonostante le fosse stato raccomandato di non muoversi troppo almeno sino al mattino successivo, aveva cercato di dare una mano coi feriti, per poi recarsi a parlare coi propri uomini e con le famiglie delle guardie uccise.
Alla fine, Galion le aveva suggerito di andare a riposare nelle proprie stanze.
Tauriel strinse la mano sulla pietra di Kíli, così forte che le parve che le rune si incidessero sul suo palmo. Nel sentire un rumore leggerissimo, sollevò il capo.
Sulla soglia della sua camera da letto si trovava Legolas. A giudicare dal suo aspetto un po’ scarmigliato, non doveva essere rientrato da molto dalla sua ricerca.
«Galion mi ha detto che eri qui» disse, semplicemente.
Tauriel abbassò gli occhi e si rimise in tasca la pietra. «Avete trovato Gollum?»
Ci fu un momento di silenzio.
«Abbiamo perso le sue tracce verso Dol Guldur».
Tauriel strinse le labbra ed annuì, sempre senza guardarlo.
«Ho saputo di Magoldir» disse poi Legolas, pesantemente, e lei lo sentì trarre un respiro prima di domandare: «Stai bene?»
Tauriel si morse il labbro inferiore, spostandosi appena come per cercare una posizione più comoda, poi alzò gli occhi sul principe e scosse la testa. «No» mormorò.
Legolas, allora, lasciò la soglia della stanza e venne a sedersi di fianco a lei. Le circondò le spalle con un braccio, e Tauriel posò la testa sul suo petto come faceva quando era bambina e lui le narrava una storia.
«C’erano troppe sentinelle ai piedi dell’albero di Gollum» gli disse. «Alcune guardie avevano abbandonato le loro postazioni per sorvegliarlo».
«L’avevo immaginato» rispose Legolas, quasi con cautela, lisciandole un ciuffo ramato.
Tauriel trasse un respiro. «Avrei dovuto accorgermi prima che Gollum non era nella sua cella».
Le mani del principe si fermarono sui suoi capelli. «Non è stata colpa tua».
Tauriel si raddrizzò per poterlo guardare in faccia, e Legolas la lasciò andare. «Ma è una mia responsabilità. Sono il capitano delle guardie, dovrei proteggere la nostra gente».
“Dovrei mostrarmi degna” aggiunse col pensiero, “della fiducia che tu e tuo padre riponete in me”.
Erano morti una ventina di Elfi, Magoldir tra loro. Tauriel non poteva dire di conoscerli perfettamente, ma aveva pur sempre combattuto al loro fianco per secoli. Faceva male.
«E io sono il loro principe» ribatté Legolas. «Credi che il mio dovere verso di loro sia minore del tuo?» I suoi pugni si serrarono sulle sue gambe. «Mi daresti la colpa di quanto è accaduto?»
Tauriel fu colpita dalla sua veemenza. Per un momento, si sentì la bambina che si contorceva e si accigliava di fronte ad un rimprovero.
«No» disse poi. «Certo che no».
Legolas esalò un respiro, rilassando le mani, e la sua espressione si addolcì. «Hai fatto tutto quello che potevi. Con Gollum, e con Magoldir».
Tauriel abbassò il capo, sentendo la forma della pietra runica contro il martellare del proprio cuore.
Subito dopo aver ricevuto la notizia della morte di Magoldir, era tornata indietro con la mente. Aveva pensato a tutto ciò che aveva fatto, a tutto ciò che avrebbe potuto fare. Aveva solo cercato di fermare l’emorragia; forse avrebbe dovuto dare ordini differenti a Merion e Pîn Gwanunig. Alla fine, aveva concluso di aver fatto tutto quel che poteva.
Ora combatté l’impulso di digrignare i denti per la rabbia e la frustrazione. Tutto quel che poteva. Perché sembrava non essere mai abbastanza?
«Lo so» mormorò comunque, guardandosi le ginocchia. Si morse le labbra e cambiò argomento: «Come stava Inhel?»
«Sembrava provata» ripose Legolas dopo un attimo. «E penso che in parte si senta ancora responsabile di quanto è successo».
Tauriel scosse impercettibilmente la testa. «Che sciocca».
«Già» concordò Legolas, «somiglia al suo capitano più di quanto avessi notato all’inizio».
A quel commento, Tauriel aggrottò la fronte, ma continuò a fissare le proprie gambe.
Legolas, allora, sospirò. «Comunque, dopo aver fatto rapporto abbiamo incrociato Merilwen, e Inhel è andata con lei».
Per un istante, Tauriel si chiese chi era Merilwen… Poi ricordò una giovane dai capelli castani che talvolta raggiungeva Inhel alla fine degli allenamenti. Di consueto, la sua presenza era sufficiente a rendere il sorriso di Inhel abbacinante.
«Mi auguro che lei abbia più successo a consolarla».
Ci fu un istante di silenzio. «Ti ricordi» chiese poi il principe, in tono pensoso, «cosa diceva Magoldir quando veniva sconfitto in un duello, o nel tiro con l’arco, o… In qualsiasi cosa?»
Tauriel aggrottò la fronte ed annuì. «Domani è un altro giorno. Me lo diceva anche quando ero bambina e non imparavo subito quel che cercava di insegnarmi». Tacque un istante, alzando lo sguardo su Legolas. «Era una cosa che odiavo. Pensavo che sì, sapevo che avrei avuto altro tempo per correggere i miei sbagli, ma io volevo essere brava subito».
Legolas sorrise mestamente, le perdite vive e presenti nei suoi occhi azzurri. «Povero Magoldir» disse, «gli hai dato del filo da torcere…»
«Neanche troppo» replicò Tauriel. «Ero molto interessata a quello che mi insegnava».
«Pensa se non la fossi stata».
I due giovani tacquero e si sorrisero, ed altrettanto rapidamente tornarono seri.
Tauriel abbassò di nuovo lo sguardo sulle proprie mani. «Galion mi ha offerto del vino» borbottò. «Il suo rimedio a tutti i mali».
«Non mi stupisce affatto. E tu hai accettato?»
Tauriel alzò di colpo gli occhi sul principe. «No!» esclamò, sin troppo sulla difensiva. «Ecco… quasi. Ma poi ho cambiato idea».
Legolas la trasse a sé per stamparle un bacio sulla tempia. «Brava bimba».
Tauriel gli indirizzò una smorfia, ma non mancò di notare la tensione sotto il suo tono scherzoso. Senza dir nulla, allungò una mano a stringere quella del principe.
Lui non si mosse. Rimasero in silenzio per qualche istante, ognuno immerso nei propri pensieri.
Per qualche motivo, Tauriel ricordò Tilda. A volte, di notte, la bambina si infilava nel suo giaciglio e la pregava di raccontarle una storia.
Una storia sugli Elfi, o una storia che facesse paura.
Tauriel poteva parlare di mostri e battaglie, e Tilda ascoltava avidamente. Non aveva paura perché le storie non potevano ferirla. Non aveva paura perché c’era sempre un lieto fine.
Legolas sospirò. «Domani è un altro giorno» disse, accarezzando col pollice il dorso della mano di Tauriel. «Domani è un altro giorno».
Lei non rispose. Il cuore le picchiava contro il petto, e lei si sentiva stanca e prosciugata, e pensò che in realtà il lieto fine non esisteva. Esistevano solo altri giorni. Potevano essere sereni. Potevano essere pessimi e pieni di morte.
Per un istante, cercò di riportare alla mente lo sguardo di Kíli. Lui sarebbe riuscito dove lei stava fallendo, ne era sicura. Lui avrebbe avuto fiducia, senz’ombra di dubbio, nel fatto che l’indomani sarebbe stato migliore.









Note:
E così, ecco anche l’ultima parte.
Spero non sia stata una delusione (non so ancora perché ho voluto scrivere delle scene di combattimento, visto che le scene d’azione sono tutto fuorché il mio forte).
Chiedo scusa per il finale non esattamente consolatorio, e ringrazio tantissimo tutti i lettori e recensori e chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/scelte.
Alla prossima!

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