Small steps into oblivion di Ice_DP (/viewuser.php?uid=46572)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo incontro ***
Capitolo 2: *** Alto tradimento ***
Capitolo 3: *** Appuntamento con sorpresa ***
Capitolo 1 *** Il primo incontro ***
SMALL
STEPS INTO OBLIVION
Il
primo incontro
L'università
è un posto orribile se sei solo; diventa come un labirinto
di
persone che ti ignorano, ed è più che facile
passare inosservati.
Questo
vale anche per Aki, una ragazza che apparentemente non ha nulla di
così eclatante da mostrare al mondo; ma se quel mondo si
soffermasse
per un attimo sforzandosi di scambiare anche solo una parola con lei,
allora capirebbe che davvero le apparenze ingannano.
Un
ragazzo, tra questa massa di gente molle e informe, che passa la vita
sperando di diventare qualcuno, si è accorto di questa
ragazza che
vive nell'ombra di sé stessa, cercando di non dare mai
fastidio a
nessuno e di non dare particolarmente nell'occhio; vuoi per non
essere disturbata, vuoi per non essere giudicata.
È
cominciato tutto così, in un banale giorno di pioggia.
“Maledizione!”
imprecò la ragazza, ormai infradiciata dalla testa ai piedi,
guardando il suo ombrello rovesciato al contrario.
Quel
giorno la pioggia aveva deciso di battezzarla, come se non fosse
già
abbastanza avere una coinquilina che avrebbe fatto uscire di testa
anche il Papa. E fare uscire di testa il Papa era pressoché
impossibile.
Il
suo grazioso ombrello a fiorellini aveva deciso di disertare proprio
in quel momento, rivoltandosi come un calzino e lasciandola alla
mercé del tempo.
Molto
simpatico, effettivamente.
“Maledizione
alla pioggia, all'ombrello e anche a...” sbraitò
Aki, spostandosi
malamente i capelli ricci appiccicati alla faccia e non finendo la
frase.
“Basta,
devo trattenermi. Non devo essere volgare” disse subito dopo,
tirando un respiro profondo che doveva servire a riprendere il
controllo di sé.
Se
qualcuno l'avesse sentita parlare da sola in quel modo, sicuramente
l'avrebbe presa per una pazza scriteriata. Non che non lo fosse, sia
chiaro. Ma quella giornata era cominciata davvero troppo male.
Prima
la sveglia non era suonata, poi la metropolitana l'aveva gentilmente
schiacciata contro una quarantina di persone; come se non bastasse il
tempo aveva iniziato a fare i capricci, ma di quelli pesanti, e il
suo ombrello aveva deciso che morire era una valida alternativa al
riparare la sua malcapitata padrona.
Aki
si incamminò a grandi passi verso l'ingresso
dell'università,
stranamente poco frequentato quel giorno. Se ci pensava, in effetti
le lezioni erano già iniziate da un pezzo e lei, ovviamente,
era in
ritardo.
“Merda,
merda, merda!” imprecava ancora, salendo velocemente le
scale,
subito dopo l'ingresso. Non poteva assolutamente perdere un'altra
lezione, altrimenti sarebbe saltato tutto il suo programma per il
primo semestre.
Era
abbastanza triste che se ne fosse fatto uno già al primo
anno di
università, ma non avendo amici con cui uscire o con cui
condividere
qualcosa, quello le occupava il tempo che non spendeva a studiare.
Già,
perché lei non aveva amici. Non che ci mettesse impegno nel
cercarli, semplicemente nessuno la vedeva, tra quella folla di gente.
Era la classica persona insignificante, quella che ti passa vicino e
nemmeno te ne accorgi. Ma ad Aki andava bene così, o almeno
cercava
di convincere sé stessa, e anche sua madre. Soprattutto sua
madre,
che era preoccupata che la figlia fosse depressa; trascurando il
fatto che tra le due la depressa, non era la figlia.
Lasciando
da parte questi pensieri, Aki continuò a camminare
velocemente,
passando distrattamente davanti al bagno degli uomini e urtando
qualcuno.
Un
rumore di libri rovesciati per terra riempì il corridoio, ma
lei
nemmeno si voltò a guardare; chiese velocemente scusa e
continuò a
correre.
“Ma
dimmi te che gente...” commentò il ragazzo che era
stato
investito, raccogliendo i suoi libri.
“Però,
ha un bel culo!” ridacchiò, guardando la ragazza
riccia andare
via.
Aki
rinunciò la corsa alla lezione quando capì che
tanto non sarebbe
arrivata in tempo per poter capire di che cosa stessero parlando.
Rallentò
il passo, sbuffò sonoramente e fece dietro front, scendendo
le scale
che portavano al cortile interno della struttura.
Con
lo sguardo perso chissà dove, aprì la porta a
vetri e uscì, stando
attenta a rimanere sotto al parapetto del piano superiore, in modo da
non prendere la pioggia battente un'altra volta; le era già
bastata
quella di poco prima -non si era ancora nemmeno del tutto asciugata-.
Tirò
fuori il suo pacchetto di sigarette, estraendone una; quando fu il
turno dell'accendino però, scoprì con sgomento
che l'acqua era
riuscita ad infilarsi nella sua borsa e a renderlo inutile.
“C'è
ancora qualcosa che deve andare storto oggi?” chiese a
nessuno,
lanciando l'accendino in mezzo al cortile.
“Forse
non chiedere scusa alla gente che si investe perché non si
guarda
dove si va”
Una
voce calda la fece sobbalzare e girare di scatto. Ma da dove era
sbucato? In cortile non c'era nessuno quando era entrata.
Davanti
a lei si parò un ragazzo alto e ben piazzato; probabilmente
aveva
dei muscoli come Dio comandava, ma i vestiti autunnali non
permettevano di vedere oltre. I suoi capelli erano più
spettinati di
quelli di un senzatetto e, insieme a quella spruzzata di lentiggini
che aveva sul naso e sulle guance, contribuiva a dargli un'aria
infantile. Infantile e molto furba.
Però
caspita se era bello.
“Scusa?”
chiese la ragazza, non capendo a che cosa si riferisse.
Il
ragazzo rise.
“Mi
hai investito poco fa nei corridoi del terzo piano, buttandomi
giù i
libri. E non te ne sei nemmeno accorta” sorrise sghembo, con
una
faccia che di rassicurante non aveva niente.
Aki
si portò una mano alla bocca, aperta, scoprendo di essere
stata una
vera maleducata.
“Oddio,
io...scusa, non...non volevo è solo che...ero in ritardo
e...”
farfugliò, in preda all'imbarazzo. Non era da lei
comportarsi a quel
modo!
Il
ragazzo rise nuovamente, interropendola.
“Non
importa, è passato. Piuttosto...” quel sorriso
malandrino ancora
stampato sul volto; le si avvicinò di qualche piccolo passo
con la
testa leggermente inclinata da un lato.
“Puoi
scusarti ancora meglio uscendo con me” disse a bruciapelo,
lasciando Aki completamente spiazzata.
“Cosa
scusa?” chiese confusa. Doveva aver capito male.
“Esci
con me, stasera alle otto” ripeté tranquillo, come
se fosse la
cosa più banale del mondo. Sembrava che stesse parlando di
quali
biscotti comprare per la colazione.
“Ma
se non mi conosci nemmeno, non sai neanche il mio nome!” si
indispettì lei, visibilmente imbarazzata. Nessuno le aveva
mai
chiesto una cosa del genere, men che meno un completo sconosciuto.
Ancora meno uno sconosciuto bello come quello che aveva davanti.
“Allora
piacere, io mi chiamo Ace, e tu, bella ragazza?” disse
gentilmente
ma sempre con quello strano sorrisetto in faccia, tendendo la mano ad
una Aki molto sospettosa e titubante. Non è che si fidasse
molto
della gente, di quei tempi poi ancora meno del solito.
“Guarda
che non mangio mica!” si difese scherzosamente Ace, vedendo
che lei
non accennava a schiodarsi dal suo immobilismo.
“Tu
sei pazzo...!” pronunciò, con non molta
convinzione. Però era
davvero una situazione strana; queste cose le aveva viste capitare
solamente nei film che tanto amava.
“No,
sono Ace, te l'ho detto!” ridacchiò lui, alquanto
divertito.
“E
tu, mi dirai il tuo nome o no? Posso averlo questo onore?”
Aki
sospirò, porgendo la mano che Ace prontamente
intrappolò nella sua,
dandole un bacio sul dorso. Aki arrossì. Ma da dove diavolo
veniva
quello strano essere?
“Mi...mi
chiamo Aki” le sue gote erano rosso fuoco.
“Piacere
mio!” esordì lui allegro, lasciandole la mano.
“Allora,
esci con me?”
Lei
rimase a pensare a qualcosa, qualcosa che sembrava davvero intricato.
“No,
direi di no” disse, infine.
L'espressione
di Ace rimase delusa per circa due secondi, per poi tornare a
sorridere.
“Così
mi ferisci, Aki”
Alla
ragazza scappò un risolino; era davvero una persona molto
strana. Un
brivido però la scosse quando pronunciò il suo
nome.
“Vedo
che sei molto provato!” rispose a tono lei, divertita.
“Io
sono un ragazzo sensibile! Mica come tutti gli altri!” si
gonfiò
Ace, mostrando il petto come un tacchino.
“Già,
almeno mi hai rivolto la parola, non come tutti gli altri...”
pensò
Aki. Forse poteva dargli mezza chance. Ma proprio solo mezza, eh.
Poteva sempre ricavarci qualcosa di buono da quella situazione.
“Allora ascolta,
Ace.” iniziò convinta, sperando di sembrarlo
almeno la metà di
quello che pensava.
“Se per te vale lo
stesso, accompagnami a casa, visto che tu hai l'ombrello e il mio ha
optato per il suicidio oggi” disse con aria quasi di sfida,
indicando l'ombrello arancione che aveva lui accanto.
Ace
la guardò per un secondo, studiandola.
Assottigliò un po' gli
occhi, per poi esplodere in un sorriso magnifico, che Aki non aveva
mai visto in nessun altro.
“Wow...”
“Ok, ci sto!”
proruppe infine, entusiasta.
“Così saprògià
dove abiti!”
Quella
giornata, alla
fine, non si rivelò affatto così tremenda come
era iniziata.
Una
ragazza
apparentemente invisibile aveva trovato quel qualcuno nel mondo che
aveva avuto la pazienza di rivolgerle la parola; e lei lo aveva
accettato, come non faceva da tempo ormai.
Quel
giorno due persone
si erano trovate, inconsapevoli di ciò che ne sarebbe
derivato; si
sarebbero cambiati la vita a vicenda.
Almeno
non ci sarebbero
più stati stupidi programmi per il semestre a venire.
ANGOLO
DELLA DEMENZA
Hola
malcapitati di turno! :D
Inizio
col dire che, se siete arrivati fin qui, siete delle persone
magnifiche; perché mi avete regalato il vostro tempo, ed
è una cosa
che a me fa sempre piacere! ❤
Detto
questo.
Dei
piccoli chiarimenti.
Questa
one shot, e quelle a venire dopo di lei, sono delle spin-off della
mia long fic Oblivion,
che potete trovare qui.
La
sua lettura è consigliata per capire meglio, se non questa,
almeno
le altre storie. Mi è venuta questa idea semplicemente
perché non
potevo ammassare tutte queste vicende in una storia sola; sarebbe
stata infinita e noiosa, oltre che la lettura sarebbe davvero
risultata pesante. Però mi dispiaceva un sacco non poterle
piazzare
da qualche parte! E poi, come lettrice, mi piacerebbe leggere dei
retroscena, delle scene che sono state escluse, proprio come succede
nei dvd. Tante volte sono più curiosa di leggere quelle che
la
storia in sé, perché mano a mano che essa
procede, i flashback
possono far capire davvero un sacco di cose.
Ok,
la smetto.
Ringrazio
ancora chiunque sia arrivato fino qui.
Sappiate
che Ace vi ama ❤
Alla
prossima, se sarà possibile!
Peace
& Love! ❤
|
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Capitolo 2 *** Alto tradimento ***
SMALL STEPS INTO OBLIVION
Alto tradimento
Era
una festa come tante di quelle che avevano sempre fatto da quando si
conoscevano. C’era Ace che faceva il solito cascamorto con
chiunque gli
capitasse a tiro, senza ben distinguere se fosse un uomo o una donna;
Aki che
ogni tanto lo andava a tirar via, più ubriaca di una spugna;
Sanji correva
dietro alle sottane di tutte le esponenti di sesso femminile che
trovava sul
suo cammino, con una predilezione per Robin; Franky difendeva a spada
tratta la
sua dolce metà che se la rideva sommessamente; Usopp, Brook
e Rufy cantavano
tutti insieme dondolando a ritmo di musica mentre Nami scuoteva la
testa
irritata, e Zoro..beh Zoro dormiva.
Insomma,
uno dei tanti teatrini simpatici cui tutti erano abituati ormai. Non
che non
fosse divertente, anzi.
Quella
sera però, qualcosa galleggiava maligno nell’aria,
e qualcuno doveva essersene
accorto; peccato che fosse la persona sbagliata.
Non
si sapeva bene chi avesse invitato tutta quella gente a casa di Rufy e
compagnia bella, fatto sta che quell’appartamento sembrava
scoppiare. Tra quelle
persone spiccava di sicuro la bella Boa Hancock, che non aveva mancato
una sola
occasione per stare appiccicata al padrone di casa durante tutta la
serata;
adesso era in ginocchio, in sua palese adorazione mentre quello
strillava frasi
senza senso con un tono che avrebbe rotto persino un vetro
più spesso di un
prosciutto. Naturalmente il ragazzo non la degnava di uno sguardo,
troppo
occupato a consumarsi la voce con i suoi fidati amici, ma qualcuno lo
faceva
per lui: dall’altra parte della stanza, con un’aria
furente e tutto meno che
amichevole, c’era Nami, indecisa se agire e spaccare subito
la faccia a quella
smorfiosa o starsene tranquilla lì dov’era. Era
decisamente più propensa per la
prima ipotesi.
Continuava
a ripetersi che tanto il suo ragazzo non avrebbe mai potuto fare nulla
di male,
ma una vocina cattiva continuava a darle il tormento, dicendole che
sarebbe
accaduto di sicuro qualcosa di sbagliato; ma dopotutto era di Rufy che
si stava
parlando, la persona più ingenua e genuina che avesse mai
avuto modo di
conoscere. Ad arrivare in suo soccorso fu Robin che espresse i pensieri
della
rossa.
“Stai
tranquilla, non succederà nulla” le aveva detto, e
lei ci vedeva sempre giusto
in queste cose. E infatti Nami si rilassò, lasciando che la
tensione che aveva
accumulato sulle spalle scivolasse via e le permettesse di godersi una
birra in
tutta tranquillità. Diede le spalle alla scena stomachevole
che aveva osservato
fino ad un istante prima, e raggiunse Robin che nel frattempo si era
seduta sul
comodo divano.
Due
occhi grigi e magnetici avevano osservato attentamente tutto lo
svolgersi della
vicenda con un certo interesse, e contemporaneamente delle labbra si
erano
increspate in un sorriso malefico, che faceva venire i brividi.
“I BELIEVE I CAN
FLYYYYYYYYYYYY!!”
Urla
sovraumane e senza apparente senso arrivavano dal coretto che i tre
moschettieri,
visibilmente ubriachi e con ancora meno neuroni del solito, avevano
intonato da
qualche secondo. Erano ancora più ridicoli perché
si tenevano per le spalle,
con gli occhi chiusi e la bocca vibrante e spalancata peggio di quella
di una
balena anoressica che cercava disperatamente cibo.
“Bravo!!”
si sentiva cinguettare, in mezzo a imprecazioni e oggetti che volavano
nella
direzione dei cantanti improvvisati; non erano stati apprezzati come
avrebbero
dovuto.
Un’adorante
Boa Hancock stava saltellando davanti a Rufy, che la guardava senza
realmente
capire che cosa stesse facendo. Per lui quella donna era qualcosa che
andava
oltre la sua infantile comprensione.
“Bravo
amore mio, sei un cantante favoloso!!” urlava lei, arrossendo
e facendo gli
occhi languidi in direzione del ragazzo davanti a lei.
“Lo
sho…shono un grande cantante io!!” si gonfiava
Rufy, che da vantarsi aveva ben
poco, ma avendo trovato almeno un appoggio al suo splendido karaoke
improvvisato, non poteva fare altrimenti.
“E
noi??” si lagnavano all’unisono Usopp e Brook,
indignati per non aver ricevuto
anche loro le attenzioni e i complimenti che meritavano. O almeno erano
convinti di meritare. In fondo erano un trio, che diamine!
“Rufy
amore!” si scioglieva ancora la donna prosperosa non dando
minimamente loro
ascolto, avendo occhi solo per Rufy; le altre persone non apparivano
nemmeno al
suo sguardo innamorato. C’era posto solo ed esclusivamente
per il ragazzo dai
capelli corvini e nient’altro.
“Abbiamo
capito, togliamo il disturbo!” fece un offeso Usopp che,
barcollando, si
incamminò da qualche altra parte sorreggendosi ad un Brook
che di stabile non
aveva nemmeno i capelli afro.
Così
Boa fu finalmente da sola con il suo amato, che la guardava con due
occhi
simili a quelli di una triglia lessa. Non stava veramente capendo
niente.
“Shono
bravisshimo!” si glorificava, alzando un braccio in aria e
sbattendosi l’altra
mano sul petto con fare molto macho.
Tutto
questo, ovviamente, non fece che aumentare di più la libido
di Boa, che non ci
pensò due volte nel lanciarglisi tra le braccia.
“Oh
mio eroe, sei il migliore!” starnazzò,
stringendosi il capo di Rufy tra i suoi
seni e rischiando di soffocarlo. Da quell’ammasso morbido
provenivano rumori di
dissenso e di aiuto, ma lei pareva non farci caso.
Dopo
quelli che parevano interminabili secondi, Boa liberò il
ragazzo da quella
morsa assassina e soffocante, per portarlo a pochi centimetri dal suo
viso,
prendendolo delicatamente per le guance.
“Oh
amore mio…” disse sensualmente, guardandolo negli
occhi. Quello respirò
rumorosamente, ringraziando il cielo di poter di nuovo respirare della
preziosa
aria.
Era
evidente che Rufy non stava capendo nulla di quello che gli stava
accadendo il
quel momento, altrimenti ci avrebbe pensato due volte prima di cadere
in quel
tranello e scatenare l’inferno.
In
un batter di ciglia Boa, che aveva sfruttato a pieno
l’occasione ghiotta, se lo
portò sempre più vicino alle labbra, rubandogli
un bacio che non venne mai
ricambiato. Rimase addosso alle labbra di Rufy per tutto il tempo che
le
serviva per bearsi di quel contatto; ma fu anche abbastanza
perché Nami potesse
vedere quella scena con i suoi stessi occhi, dato che si era appena
voltata
come se avesse intuito qualcosa.
Rufy
rimase con gli occhi aperti, stupito e anche leggermente stordito da
quella
situazione che non riusciva a comprendere, complice l’alcool
che aveva in corpo.
Li strizzò solo dopo qualche secondo, indeciso se scagliare
lontano quella
donna che gli pareva una sanguisuga. Optò proprio per questa
scelta, ma
nell’agire non si rese conto che posò le mani
proprio sul seno prosperoso di
Boa, scatenando in lei mugolii di assenso. La donna si
staccò dalle sue labbra
con fare teatrale, non dandogli nemmeno il tempo di reagire e staccarla
da sé;
reclinò la testa all’indietro e gemette talmente
forte da attirare l’attenzione
di tutti i presenti.
Nami
osservava la scena come impietrita.
Vedere
il suo ragazzo con gli occhi spalancati, che si fissava le mani posate
sul
decolleté di quella vipera con la testa
all’indietro e l’espressione goduta, le
faceva venire il sangue al cervello. Ma non un suo muscolo si mosse.
Ci
volle un po’ prima che Rufy riuscisse a liberarsi da Boa, la
quale si accasciò
sul divano più vicino in preda all’estasi
più totale, non rendendosi nemmeno
conto che quasi l’aveva scagliata lontano. Ma Nami
già se n’era andata.
La
cercò per la casa, trovandola nel bagno che piangeva; non
appena lo vide sulla
soglia cercò di darsi un contegno davanti a
quell’imbecille. Se solo pensava
quanto tempo ci avevano messo per arrivare a quel punto con tutti gli
ostacoli
che avevano affrontato, quanto tempo ci aveva messo per fidarsi di lui
e
considerarlo finalmente poi come suo ragazzo; se anche solo pensava a
tutto
quello che aveva fatto Rufy per riuscire a conquistarla, a quante cose
avesse
rinunciato e forse a quanto si era potuto umiliare con i suoi amici pur
di
entrare nel suo cuore. L’aveva quasi ossessionata con tutte
le sue attenzioni,
e adesso i suoi tentativi durati dei mesi –perché
Nami non era persona da
cedere immediatamente, senza far soffrire l’altra parte per
testarla per bene,
e per potersi fidare per davvero – e adesso buttava tutto
all’aria così.
Le
sue convinzioni erano cadute tutte quante, inesorabilmente, come un
castello di
carte al primo alito di vento.
“Nami…”
“Vattene,
non ti voglio vedere”
“Nami,
io…”
“Ho
detto di andartene!!”
Di
lì a poco, si sentirono solo più delle grida che
avrebbero fatto accapponare la
pelle anche a chi la pelle non l’aveva. Nessuno
osò intervenire.
Lui
e Nami faccia a faccia che si urlavano a pochi centimetri l'uno
dall'altra.
In realtà ad urlare era solo lei, accusandolo di essere un
maiale che non ha il
minimo rispetto per la sua persona. Volavano insulti rivolti al ragazzo
come
“stronzo, non sei capace di essere una persona affidabile, mi
fai schifo!”.
Insulti ai quali Rufy aveva risposto l'unica cosa che non doveva dire,
e che
non pensava nemmeno, ma che gli sembrava l’unica cosa di
senso compiuto pur di
farla smettere di urlare così; mai mossa fu più
sbagliata.
“Io
e te mica stiamo
insieme”
L'aveva detto con tranquillità e senza scheggiature,
né nell'espressione e né nella
voce. La più grande cazzata della sua vita.
Qualcosa in Nami però si era rotto, irrimediabilmente
spezzato, forse per
sempre.
“Benissimo.”
Si era voltata e se n'era andata, lasciandolo da solo nel bagno.
Rufy
non seppe per quanto tempo rimase lì, in piedi e immobile;
capì
che ad un certo punto Ace era arrivato e l’aveva portato a
letto. Non aveva una
bella espressione sul viso, ma non gli chiese nulla, si
limitò a seguirlo e a
tornare tra le lenzuola.
Il
suo cervello era ancora troppo annebbiato dall’alcool per
poter fare
chiarezza su ciò che era appena successo.
Trafalgar
Law, ragazzo noto per essere stranamente silenzioso e
inquietante, si era appostato vicino al bagno in cui aveva visto Nami
entrare
poco prima. Assistette a tutta la scenata che derivò quando
Rufy la raggiunse,
ma non intervenne tra loro. Stette al suo posto, godendosi ogni parola,
ogni
insulto e ghignando in modo perfido.
Quando
la ragazza uscì, senza che si accorgesse di lui, si
leccò le
labbra e scattò in avanti per artigliarle il braccio esile.
“Lasciami!”
aveva esordito lei con ancora tutta la rabbia che le girava
in corpo; ma lui non le aveva dato retta.
“Puoi
vendicarti se vuoi” le aveva sussurrato
all’orecchio, tirandosela
addosso, mentre lei cercava di divincolarsi.
I
loro corpi aderivano perfettamente l’uno con
l’altro, e Nami si era
presto accorta che la sua presenza faceva un immenso piacere a Law; non
poteva
dire altrettanto.
Tutti
sapevano che quel ragazzo aveva un debole per lei, ma Nami lo
trovava inquietante e poco raccomandabile, oltre che con un pessimo
gusto per
quanto riguardava il vestire.
Era
bello, e questo non poteva affatto negarlo; aveva due occhi che
attiravano anche a centinaia di metri di distanza. Aveva qualcosa di
estremamente pericoloso nella sua figura, eppure questo lo rendeva
tremendamente interessante.
“Lasciami
ti ho detto…” ma il suo ordine non suonava affatto
come tale.
“Sai
che non lo farò” continuava a sussurrarle,
leccandole il lobo
dell’orecchio.
La
ragazza soppesò per un attimo le parole di Law, collegando
il fatto
che avesse usato proprio la parola vendetta; era perfettamente
consapevole del
fatto che lui stava usando questa situazione per un tornaconto
personale, ma
anche lei poteva sfruttarla nel migliore dei modi.
E
fu allora che Nami perdette la propria coscienza. Ancora accecata
dalla rabbia per quanto visto fare poco prima dal suo ragazzo, si
gettò sulle
labbra di Law proprio come Rufy aveva fatto con Boa.
Il
ragazzo sorrise malignamente dentro a quel bacio che di passionale e
sincero aveva ben poco, ma a lui non importava poi molto; aveva
ottenuto quello
che voleva, ma non era ancora completamente soddisfatto.
Avrebbe
avuto di più, e aveva la certezza che Nami non si sarebbe
tirata indietro.
Con
un gesto rapido artigliò le gambe della rossa fino a
portarsela in
braccio, mentre lei gli si avvinghiava addosso con tutte le sue forze,
quasi
avesse paura di cadere.
Trovò
una stanza da letto libera, ci entrò e chiuse la porta a
chiave,
onde evitare spiacevoli inconvenienti.
Buttò
la ragazza sul letto e prese
a toglierle con lentezza estenuante i vestiti; quando fu il suo turno,
Nami
prese quelli che considerava quattro stracci, glieli strappò
di dosso con foga
e li fece sparire in un punto lontano e non precisato della camera.
Law
la guardò per un attimo
dall’alto, scrutandola e imprimendosi nella mente tutti i
particolari di quel
corpo perfetto che era sotto di lui. Era da un po’ che quella
ragazza veniva a
fargli visita durante la notte, nei suoi sogni; ma stesa lì
su quelle lenzuola,
reale, era ancora meglio di come mai aveva osato immaginarsela.
“Vuoi
piantarla di guardarmi?” ringhiò
infastidita; non era abituata che qualcuno la guardasse così
tanto a lungo
quando era così vulnerabile.
“Non
osare darmi ordini. Io faccio
quello che mi pare” e si leccò le labbra, famelico.
Rimase
a rimirarla ancora un po’,
facendola cuocere nell’impazienza. Poi le si buttò
addosso, facendola sua.
Nami
non seppe bene che cosa provò
quella notte, ma non volle pensarci per troppo tempo. Decise di godersi
quel
ragazzo che, a quanto pare, ci sapeva parecchio fare con certe cose.
Spense il
cervello e accese i sensi.
Ma
non aveva fatto i conti su come
si sarebbe svegliata la mattina dopo.
ANGOLO
DELLA DEMENZA
Hola miei prodi! Non sono morta, ho solo avuto un sacco di problemi col
computer che è tornato oggi! *tristità assoluta*
Avevo scritto questo capitolo,
ma mi si è fritto l’hard disk e ho perso tutto, ma
proprio tutto…quindi l’ho
riscritto da capo, ed è uscita una versione diversissima
dalla prima; ma devo
dire che ha più senso. Se mai riuscirò a
riaverla, posterò anche quella. Spero che
possiate apprezzare questa scorcio di Oblivion, davvero.
Ho
voluto mettere in
risalto il fatto che Rufy non l’abbia assolutamente fatto con
cattiveria, e di
come Nami si sia vendicata perché si è sentita
tradita dopo tutto il lavoro che
hanno fatto per arrivare fino a lì. E di come Law sia un
approfittatore
spudorato ahahahahah
Spero
che ci sia
ancora qualcuno di buon cuore a seguire questa raccolta! Presto, spero,
arriverà anche il nuovo capitolo di Oblivion!
Grazie
a chi ha
recensito e solo letto il capitolo precedente, e chi ha inserito la
storia
nelle preferite, seguite e ricordate! ❤
A
presto!
Peace
& Love! ❤
|
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Capitolo 3 *** Appuntamento con sorpresa ***
SMALL
STEPS INTO OBLIVION
Appuntamento
con sorpresa
Perché
Aki fosse lì, non l’aveva ancora ben compreso;
sì, sapeva perfettamente perché
fosse lì, ma non riusciva a capirne il motivo di fondo.
Sentiva che c’era
qualcosa che non quadrava, anche se stava cercando di ignorare quella
sensazione che le attanagliava il cervello.
Marco
la guardava in modo strano; non era il modo in cui un ragazzo guarda
una
ragazza da cui è attratto. Togliendo che Aki stesse
mangiando alla stregua di
uno scaricatore di porto, ma quelli erano dettagli. Insomma, era strano, non sapeva spiegarne il motivo
ma lo era e basta.
Ignorò
se stessa, com’era solita fare, e continuò a
mangiare, curandosi di sembrare almeno
decente agli occhi di Marco.
Quello,
manco a dirlo, sorrideva senza un apparente motivo, standosene in
silenzio.
Solo dopo che la cameriera venne a chiedere se volessero altro, e se ne
fosse
andata con le loro ordinazioni per il dolce, iniziò a
parlare. Non che prima
non lo avesse fatto, solo che erano entrambi molto impegnati a mangiare
piuttosto che a conversare, manco fossero stati dei profughi del
Bangladesh.
“Allora,
Aki, ti starai chiedendo perché ti ho chiesto di
uscire”
In
effetti, era proprio così; solo che non aveva ancora avuto
il coraggio di
chiederglielo.
Marco
sorrise benevolo, e questo la fece un poco tranquillizzare, ma quella
strana
sensazione alla bocca dello stomaco proprio non voleva lasciarla andare.
“Ti
devo chiedere un favore, prima di rivelartelo” disse il
biondo, serio.
“Spara”
rispose Aki, ingollando l’ultimo pezzo di cibo rimastogli in
bocca e mettendosi
in posizione per ascoltare dignitosamente ciò che Marco
aveva da dirle.
“Non
vorrei distruggere i tuoi sogni, ma non l’ho fatto per
iniziare una relazione
con te, quindi ti prego di non dare in escandescenze”.
Spiazzante,
davvero; e anche forse un po’ affrettato ma meglio
così. Aki apprezzava le
persone sincere e dirette, che non t’intortavano con inutili
giri di parole.
Doveva ammettere che però un minimo di delusione aveva preso
il sopravvento, ma
non lo diede a vedere.
“Mi
dispiace” aggiunse Marco, e lo sembrava davvero.
“Non
ti preoccupare” sorrise lei, quasi amaramente. Dopotutto era
ben abituata a
questo genere di cose, ma decise di passarci sopra; pensarci e dare
troppo peso
alla faccenda era qualcosa su cui non valeva la pena porre la propria
attenzione.
Marco
la scrutò per qualche secondo, senza dire niente. Era ovvio
che ci fosse
rimasta male, ma lui non poteva fare altrimenti. Sicuramente avrebbe
apprezzato
molto di più quello che le avrebbe detto da lì a
breve.
“Però…”
iniziò lei, curiosa di sapere il perché di tutto
quel trambusto.
“Perché
ti ho invitata ad uscire comunque?” la anticipò il
biondo. Aki annuì.
“Per
Ace” disse tranquillamente Marco, affondando il cucchiaio nel
suo budino al
cioccolato.
“Per
Ace?” ripeté Aki dubbiosa.
“Sì,
perché se non fossi arrivato io a salvare la situazione,
probabilmente
riuscirebbe a non rivelare mai quello che pensa sul serio”.
Era
serio, estremamente serio, ma Aki non riusciva ancora a capire il suo
discorso.
“Scusa
Marco, non ti seguo” disse, infatti, confusa.
Quello
rise piano, chiudendo gli occhi e lasciando che la testa gli si
voltasse verso
l’alto. Pareva davvero divertito, e questo suo atteggiamento
finì per
infastidire Aki.
“Ace
è innamorato di te”.
Spiazzata
un’altra volta. Credette di aver avuto
un’allucinazione uditiva; non poteva
essere vero quello che era uscito dalla bocca di Marco.
“Co…cosa?
Non starai dicendo sul serio!” la sua voce uscì
più acuta di quanto non
volesse, e ciò fece ridere di nuovo il ragazzo seduto
davanti a lei.
“Hai
capito bene, e penso che anche per te sia la stessa cosa” era
tranquillo,
Marco, e non faceva una piega durante il suo discorso. Sapeva di avere
ragione,
e in quella conversazione si trovava perfettamente a suo agio, al
contrario di
lei.
“Io
non credo che…” tentò di arrampicarsi
sugli specchi, Aki, finendo per fissare
il suo dessert. Era rossa fino alla punta delle orecchie.
“Aki?”
le domandò Marco, aspettando che lei alzasse gli occhi per
guardarlo in faccia.
Ci volle un po’, ma lo fece. Aveva un’espressione
seria dipinta in volto.
“Non
dirmi bugie”.
Lei
sospirò, affranta.
“Hai
ragione. Sono innamorata di lui, ma non credo che questo possa cambiare
le
cose” sputò amaramente, non senza imbarazzo,
abbassando nuovamente lo sguardo.
“Oh
sì, invece” controbatté il biondo,
convinto.
“E
come?” i suoi occhi schizzarono immediatamente in quelli del
suo interlocutore,
attenti. Lui sorrise.
“Basta
solamente che la smettiate di fare il gioco del silenzio; e la
piantiate di
essere idioti” lo disse facendo una pausa a effetto.
Aki
iniziò a torturarsi le mani, e Marco intuì quale
doveva essere il suo problema.
Lei non era stupida, e proprio per questo aveva preso in considerazione
tutte
le possibilità che potevano esserci in una situazione del
genere.
“Marco
io…non potrebbe essere un momento
peggiore…” confessò, con gli occhi che
iniziavano a diventare lucidi, che scostò per non farli
vedere.
“Per
Perona intendi?”.
Quel
ragazzo non aveva proprio mezzi termini.
Aki
annuì sconsolata.
“Non
ti crucciare, per me è tutta una messa in scena!”
sbottò inaspettatamente
Marco, e ciò attirò l’attenzione della
ragazza su di sé un’altra volta. Sembrava
seccato.
“Che
cosa vuoi dire?” chiese curiosa di quella svolta cui, forse,
non aveva pensato
abbastanza.
“Questa
storia mi puzza, e sono convinto che alla fine la verità
verrà a galla”.
Dopo
quella frase, ad Aki si sciolse qualcosa che pareva essere rimasto
lì da troppo
tempo; non seppe dire che cosa fosse, solamente, si sentiva meglio.
“Comunque…”
ricominciò quello, vedendo la faccia perplessa della ragazza.
“Vedrai
che le cose andranno per il meglio, solo, cerca di non essere stupida
tanto
quanto lui”.
“Credo
che non sia così difficile” ridacchiò
lei, ma sapeva perfettamente che Ace non
lo era per nulla. Marco sorrise di rimando a quella battuta.
“In
amore tutti sono stupidi” e lo disse con un tono di chi la sa
davvero lunga.
“Parli
come uno che ne ha passate tante” azzardò Aki,
senza nascondere quel velo di
curiosità tipico delle donne per le questioni di cuore.
“Oh
già” ma non aggiunse altro, e Aki non volle
insistere. Se avesse voluto, glielo
avrebbe detto lui stesso, di certo non sarebbe stata lei a forzarlo.
“Anche
Ace quando ho detto che uscivo con te a pranzo, ha sfoderato la sua
espressione
più stupida per dire senza parlare che non era per niente
d’accordo” ridacchiò
Marco, ricordando la faccia contratta del suo amico quando aveva
appreso la
notizia. Aki sorrise un poco, felice di quello che aveva appena sentito.
Inevitabilmente
erano tornati al discorso di partenza.
“A
proposito di Ace, comunque” ricominciò, e Aki si
rabbuiò un poco.
“Non
preoccuparti, i suoi sentimenti nei tuoi confronti sono veri, solo che
deve
ancora capirlo. Per questo ti ho portata fuori a pranzo, per far
sì che almeno
uno dei due usi il cervello, e tu mi sembri la persona più
adatta” finì la
frase, mentre Aki arrossiva un po’, lusingata.
“Grazie…”
sussurrò grata, con un filo di voce.
“Non
ringraziarmi, almeno non ancora. Stareste bene tu e lui”
costatò pensoso, e si
portò un’altra cucchiaiata di budino in bocca, che
era arrivato poco prima. Aki
avvampò fino alla punta delle orecchie.
“Non
penso di essere proprio il suo tipo…”
rivelò a malincuore, passando in rassegna
tutte le ragazze che Ace si era portato a letto. Ben vestite, ben
truccate,
magre e con due gambe che svettavano verso l’alto senza
un’apparente fine. Lei
era esattamente l’opposto.
“Oh
invece io credo di sì. Chiediti perché non ha mai
funzionato con le altre” la
stuzzicò Marco, capendo che lei si sentiva a disagio e
interpretando alla
perfezione i suoi pensieri. D’altronde anche lui conosceva
Ace molto bene, e
sapeva quasi certamente di aver ragione.
Finirono
di mangiare e, dopo che Marco ebbe pagato il conto –non
dietro a lamentele da
parte di Aki che insisteva per pagare almeno la sua parte-, uscirono
dal locale
con la pancia piena.
“Marco?”
lo chiamò Aki, prima di dividersi per tornare ognuno a casa
propria.
“Mh?”
“Grazie”
e gli diede un grosso bacio sulla guancia, prima di salutarlo e
scomparire
dietro l’angolo.
Il
biondo sorrise, convincendosi ancora di più che quella
ragazza era
assolutamente quella giusta per Ace; e niente gli avrebbe mai fatto
cambiare
idea.
ANGOLO
DELLA
DEMENZA
Miei
prodi lettori, sono tornata, finalmente. O non finalmente,
dipende dai casi. Non mi uccidete, vi prego, perché vi
assicuro che sto
procedendo con la storia, adesso che la sessione esami è
finita e ho un
briciolo in più di tempo. Inoltre mi sono pure messa a
dieta, e quindi avrò più
tempo da dedicare alle mie storie in quanto non posso occuparlo per
mangiare.
Per chi non ci avesse capito un accidente in questo capitolo
(credetemi, è passato così tanto tempo che la
prima stesura ho dovuto
modificarla, perché non mi ricordavo assolutamente di aver
commesso errori
madornali rispetto alla trama principale…che beota),
può andare qui
per trovare il capitolo di Oblivion che ha lasciato dubbi su
dubbi a tutti voi (?) e anche a me.
Ecco il fatidico incontro tra Aki e Marco, e devo dire che
l’intelligenza di quest’ultimo non manca mai. Sia
fatto santo che tra quei due
babbei non so che faccia la peggio figura. Comunque, spero possiate
apprezzare
anche questo capitolo! Presto arriverà anche quello nuovo di
Oblivion, abbiate
fede in questo!
A presto! :D
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