Azazel's Tale - La leggenda del sigillo di cristallo

di AndreaMineLyo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una cortina di fumo. ***
Capitolo 2: *** Il soggetto A ***
Capitolo 3: *** WIRE Corp. ***
Capitolo 4: *** Colui che ha sofferto ***



Capitolo 1
*** Una cortina di fumo. ***


«Giorno 1, ore 15:24, sono finalmente giunto alla W.I.R.E. Corp, sono giorni che viaggio, senza sapere dove andavo per di più: la società è avvolta da una cortina di fumo. Non so neanche perché sono qui, mi è stato solo detto che sarei stato ben pagato per un solo paziente. “Alla fin fine – ho pensato – non sarà poi così orribile, e poi, con i debiti che ho non posso rifiutare”. Non so ancora se mi sbagliavo, tutto quello che so è che è assurdo che un laureato con 110 e lode, dottore in Psicologia, debba fare la fame finché una società governativa misteriosa non spunta dal nulla offrendoti un mucchio di quattrini. Mi hanno indicato di rivolgermi a un certo Sergente Maggiore H. T. White, chiederò informazioni a qualcuno.» Questa l'ultima frase di Alexander, ora “Dottor Alexander Thorp” ufficialmente, al suo registratore, prima di dirigersi verso quelli che sembravano essere gli uffici dell'aeroporto della base militare della Worldwide International Restricting Enchantment Corporation. L'aeroporto era caratterizzato da un tono grigio metallico alle pareti, con una sigla “A1” scritta sulla parete laterale in giallo; la base sembrava molto grande, il solo aeroporto occupava probabilmente almeno una cinquantina di chilometri quadrati, e si sviluppava sotto lo strato roccioso di qualche grossa montagna; per questi e altri motivi Thorp ipotizzò che la sigla fosse identificativa della sezione della base. Ad ogni modo era molto affollato, molti militari con divise blu o rosse, e scienziati indaffarati andavano e venivano, muovendosi attraverso grandi porte verso altre sezioni della base. Trovatosi di fronte alla porta dell'ufficio aeroportuale della base, Thorp entrò «Qualcuno qui sa dove si trova l'ufficio informazioni?» chiese con fare molto serio; tutti scoppiarono a ridere. Tra le risate generali un giovanotto fece «Amico, siamo in una base militare, dove lo vorresti trovare un “ufficio informazioni”?», lo psicologo sembrò incupirsi sempre di più tra il fastidio e la rabbia causati dalle risate e dalla poca serietà dei presenti «Cerco il Sergente Maggiore White.» disse infine con tono seccato. Tutti smisero seduta stante di ridere «I-il Sergente M-maggiore Ha-Harold Thomas Wh-White? Quel Sergente Maggiore White?» chiese il giovanotto con aria quasi spaventata adesso. «Esattamente.» disse soddisfatto Thorp; la sua soddisfazione sparì gradualmente notando che nessuno sembrava essere in grado di rispondergli, tutti lo fissavano solo con aria stupita. Alla fine il giovanotto stava per dire qualcos'altro ma un altro dei militari lo stroncò sul nascere «Ok. Seguimi.» disse, senza aggiungere nient'altro; Alexander seguì il militare che lo accompagnava, un ragazzo alto, robusto, sembrava forte, un uniforme blu che ne esaltava le forme, e lo psicologo non tardò a notarle, in quanto pareva non essere della sua misura; uno “apposto” insomma, ma ciò nonostante aveva un tono cupo e non disse una parola mentre accompagnava Thorp attraverso le diverse sezioni della base: la sezione A1, la sezione B1, le sezioni R1 e 2 e la divisione S. Nella divisione S oltre ad un sensibile aumento della tensione, si aggiunse anche una nota di timore. Lo psicologo non capì se si trattava di rispetto o paura, c'era qualcosa di strano: la sezione S inoltre sembrava sensibilmente diversa dalle altre, aveva toni molto più scuri, la lettera identificativa “S” era scritta in rosso, invece che nel tipico tono giallo che caratterizzava le altre sezioni; era poi molto silenziosa e c'erano solo scienziati al contrario delle sezioni A, B ed R, nelle quali c'era presenza mista di personale sia militare che scientifico. Alla fine, il militare, accompagnato da Thorp, giunse di fronte ad una porta, e si fermò. “Sergente Maggiore Harold Thomas White” questo era indubbiamente il suo ufficio, il militare fece il saluto allo psicologo, e, prima di andarsene, poggiò una mano sulla spalla di Thorp e sussurrò «Scappa finché sei in tempo...». Detto questo, il militare si allontanò, lasciando da solo il dottorando di fronte alla porta. “Che gesto inaspettato” pensò Alexander, tuttavia fu distratto dalla porta che si apriva, di fronte a lui, il Sgt. Maggiore White: un uomo alto, con capelli bianchi tagliati a spazzola, l'abbigliamento era simile a quello dei militari, solo che invece del tipico blu che contraddistingueva le uniformi della maggior parte dei militari, lui ne aveva una bianca, e portava un camice. «Ti sei perso ragazzo?» la voce grave del Sergente tuonò verso Thorp, mentre uno scienziato sgattaiolato dalla porta dell'ufficio di White si allontanava. Alexander quasi intimidì di fronte ad un “gigante” come il sergente, ma ciò nonostante rispose quasi subito «Sono Alexander Thorp, lo psicologo che avete assunto.» «Ah, soggetto A. Bene bene, entra nel mio ufficio, voglio parlare con te a quattrocchi, anzi a sei.» la battuta sugli occhiali non fu molto gradita da Alexander, che era distratto a guardare altro...

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Capitolo 2
*** Il soggetto A ***


Thorp e il Sergente Maggiore White si sistemarono nell'ufficio di quest'ultimo «Allora ragazzo. Non ci saranno colloqui, ti abbiamo scelto sulla base di dati precisi, pertanto non c'è necessità di metterti ulteriormente sotto pressione. Sei qui perché io non sono qualificato per fare quello che abbiamo bisogno faccia tu. Ho un dottorato di ricerca in fisica ed uno in ingegneria meccanica, ma non ho una laurea in psicologia, mentre vedo che tu ce l'hai. Sei qui per la tesi del dottorato, non è così?» chiese il Sergente. Alexander fece cenno di sì con la testa, nonostante il suo iniziale aspetto autoritario e da tipico militare ottuso, il Sergente Maggiore era una persona intelligente e piena di arguzia, ed era anche fornito di una buona dose di carisma, umorismo e sarcasmo, a Thorp tutto questo piaceva. «Benissimo allora. Qui troverai pane per i tuoi denti. Il “soggetto A” è uno dei soggetti più instabili che abbiamo avuto fin'ora. Ma ciò nonostante, è anche il più importante in assoluto. Ti senti pronto?» chiese White, Thorp che voleva fare una buona impressione rispose subito di sì. «Bene allora.» White gli fornì un blocco per gli appunti, una penna, un camice ed un badge e lo scortò fuori dal suo ufficio fino ad una grande struttura al centro della divisione S. Lo sguardo di Thorp fin'ora era stato concentrato sul viso del Sergente, che sembrava scolpito, ma poi, tutta la sua attenzione fu catturata dalla grande struttura al centro: era un enorme parallelepipedo d'acciaio, che arrivava fino al tetto. Su ogni lato era scritta la lettera “A” con vernice rosso fuoco, ancora fresca, che colava; Thorp si chiese come fosse possibile che non l'avesse notata prima «So cosa stai pensando. Perché non l'ho vista prima? He he, molto semplice, si tratta di un sistema di A.O.C. vale a dire Advanced Obscure Cloaking. E' un complesso sistema di specchi particolari che riflettono i fotoni della luce in modo da deviare la prospettiva e la tridimensionalità e renderlo praticamente invisibile.» Alexander fu stupito, ma, ricordandosi che si trattava di un lavoro molto importante, decise di tenere per se eventuali osservazioni e ammirazioni verso il Sergente. Man mano che si avvicinavano, il numero di scienziati intorno alla struttura diminuiva gradualmente; a tal punto che, appena arrivati, il Sergente e Thorp erano praticamente soli, se non per due scienziati appostati di fronte alla porta. «James, Trixie, che ci racconta il soggetto A?» chiamò White, «Il soggetto A sta bene...» cominciò James «...non ci sono anomalie di nessun tipo, e...» continuò Trixie «...non è stata riportata alcun tipo di anomalia medica!» concluse infine James. Il modo in cui questi due parlavano completando l'una le frasi dell'altro, inquietò un po Thorp, che però, osservando più attentamente dettagli come l'evidente somiglianza fisica e l'assenza di anelli di qualsiasi tipo, oltre che del fatto che i due si volevano evidentemente bene, ma non si tenevano per mano ne mostravano nessun tipo di attrazione l'una per l'altro, capì che non erano fidanzati, ma fratello e sorella. «Allora, questo è il nostro nuovo amico, Alexander Thorp. E' un genio della psicologia e abbiamo bisogno di lui ricordate?» chiese White ai due, che non tardarono a rispondere «Ma certo...» cominciò Trixie «...che ci ricordiamo! Prego, seguiteci.» continuò James, e così fecero Thorp e il Sergente. Alexander dovette passare attraverso tre porte blindate, corrispondenti a tre strati di acciaio, intervallati da materiali che dovevano impedire il passaggio di radiazioni di qualsiasi tipo; poi, superate le porte, una sala di controllo, con una finestra che corrispondeva ad un pannello bianco dall'altro lato. Thorp tuttavia non riuscì a vedere nulla dalla finestra, in quanto Trixie e James lo spinsero dentro senza dire nulla e chiusero la porta dietro di lui. Quella porta sembrava la più robusta. La stanza era grande e spaziosa, le pareti e il pavimento erano coperti con piastre bianche di metallo; era separata in due da diversi strati di vetro infrangibile e antiproiettile. Dal lato di Thorp c'erano una poltrona, un tavolino e un divano, dall'altro invece c'erano un letto, una scrivania piena di fogli, una poltrona rivolta verso il vetro, e l'accesso ad una stanzetta più piccola nella quale risiedeva il bagno. Al centro dell'altro lato, eccolo lì, il potenziale dottorato di ricerca di Alexander, quel soggetto che Thorp aveva capito essere così pericoloso, il soggetto A. Vestito di bianco, piedi e mani nude, un paio di occhiali neri che si intravedevano soltanto in quanto era girato dall'altro lato; era seduto per terra, con le gambe rannicchiate e le braccia intorno a queste ultime. «Uhm, ciao?» chiese timidamente lo psicologo. «.oɒiɔ» rispose il soggetto A girandosi leggermente, facendo un sorrisetto laterale. Il bianco dei suoi occhi era invece nero come la pece e aveva strani simboli al posto delle pupille.

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Capitolo 3
*** WIRE Corp. ***


Thorp sembrò sensibilmente scosso dall'aspetto del ragazzo: “Avrà sì e no la mia età, eppure sembra così diverso.” pensò; era alto, anche se non avrebbe potuto dirlo con certezza dal modo in cui era rannicchiato a terra, portava una semplice maglietta e dei pantaloni, con una tunica aperta lateralmente, tutto bianco candido; aveva capelli neri, un viso di bellezza quasi celestiale, la sua pelle di un candore quasi in competizione con quello dei suoi vestiti; lo guardava lateralmente con la testa leggermente piegata, occhi neri, le pupille erano sostituite da strani simboli che cambiavano in sequenza “Ե, Գ, Թ, ʍ, ȝ, Ծ ed Ր” inoltre la “ȝ” appariva due volte di fila, tutto questo insospettiva Thorp, che segnò velocemente sul foglio i simboli e la sequenza. Poi di colpo Alexander si ricordò che il ragazzo aveva detto qualcosa “.oɒiɔ”. Non ne capì il significato: «Scusa, puoi ripetere? Non ho capito bene quello che hai detto.» Il soggetto scosse la testa, quasi si fosse ripreso da una trance, il nero e i simboli sparirono dai suoi occhi per essere sostituiti da un paio di occhi verdi intensi e profondi «Scusa, ogni tanto mi piace parlare al contrario. Ho detto “ciao”.» rispose alla domanda dello psicologo «Non c'è nessun problema, non so come tu ci riesca, ma è interessante.» lo rassicurò quindi Thorp. «Davvero? Non ti sembro... strano?» chiese il soggetto «Beh, se intendi strano negativamente, nient'affatto. Ti trovo interessante.» rispose Thorp, con una leggera nota di curiosità, sedendosi sulla poltrona probabilmente messa a sua disposizione. Appoggiandosi contro lo schienale Thorp notò la presenza di alcuni mobili saldati al tetto, e rimase a fissarli impietrito. Il soggetto, che ora si era girato verso il vetro, e, di conseguenza, verso lo psicologo, era ora passato da una posizione rannicchiata e tesa ad una più aperta e tranquilla: era seduto sul pavimento con le gambe incrociate e i gomiti appoggiati alle ginocchia, fissava intensamente lo psicologo «Ti chiedi come mai ci sono dei mobili sul tetto, eh?» chiese a quel punto. Thorp, riportò la sua attenzione sul soggetto A e disse «Sì, effettivamente...» il ragazzo, ridacchiando, rispose «Per questo.» e detto questo si alzò e cominciò a camminare verso la parete “Ma cosa..?” pensò Thorp, arrivato al muro, il soggetto A poggiò un piede, poi l'altro e cominciò a camminare sul muro raggiungendo poi il tetto. «Ecco perché.» disse a quel punto il ragazzo sedendosi sul tetto.

 

«Giorno 3, ore 8:34, continuo a scoprire un sacco di cose assurde sul soggetto A. Cammina sul tetto, medita senza toccare il pavimento, e sembra essere onniveggente, più moltissime altre cose che non so davvero come riesca a fare. E' probabilmente il paziente più interessante che ho avuto, ora devo solo cominciare a studiare la sua psiche approfonditamente.» così Thorp chiuse il suo audiodiario del terzo giorno di permanenza alla W.I.R.E. Corporation. Di colpo, mentre camminava verso l'edificio di contenimento del soggetto A, distratto dal cellulare con cui registrava il suo diario, si imbatté nel Sergente Maggiore White «Ah, S-Sergente White. Che piacere vederla.» disse rispettosamente Thorp «Alexander! Mi fermerei volentieri a parlare con te, ma ho da fare in questo momento. Ciao!» e detto questo, il sergente si allontanò correndo. “Strano.” pensò Thorp, tornando a dirigersi verso l'edificio. Thorp, ora più vicino, vide James e Trixie «Hey ragazzi!» li salutò, «Ciao Alexander!» dissero i due in coro, come al solito. Come gli ultimi due giorni, Thorp entrò nell'edificio di contenimento, poi nella camera di sicurezza, ed infine nella camera di contenimento del soggetto A. Alexander stava per salutare «Ehi...» ma si interruppe «Cosa succede?» chiese con aria interrogativa “A”, «Uhm. E' che, chiamarti “A” mi sembra brutto, e “Soggetto A” è ancora peggio.» spiegò Thorp «Come ti chiami?» chiese infine. Con un sorriso dispiaciuto “A” rispose «Mi dispiace, ma non posso dirti il mio nome. Posso solo scriverlo.» «Fallo allora!» rispose Thorp. Detto questo, l'indice e il medio del ragazzo diventarono improvvisamente neri, e cominciò a scrivere sul muro con le dita. Finito di scrivere, sul muro c'era scritto “ム乙ム乙乇レ” «Questo è il mio nome, purtroppo non posso leggertelo.» disse il soggetto A. Thorp, con aria interrogativa, rispose «Sembra ci sia scritto Azazel.» Azazel ridacchiando, rispose «Non è così che si legge, ma tu puoi chiamarmi così se lo desideri.» «Ok, Azazel. Sai perché sono qui?» chiese Thorp «Per fare una valutazione psicologica dello stato di salute mentale del soggetto A, vale a dire me.» «Ok, corretto. Da quanto sei qui?» «Esattamente 63 anni, 13 giorni, 8 ore, 47 minuti e 34 secondi.» Thorp inorridì a quest'ultima affermazione. «Se-Ses-Sessantatre anni? Come è possibile? Tu potresti avere al massimo la mia età.» affermò lo psicologo «Oh, così sembra. Ma l'universo è un'illusione, no?» chiese Azazel con un sorriso da psicopatico stampato sul volto, e con gli occhi coperti dai capelli neri come il cielo notturno; Alexander avrebbe potuto urlare, tremare dalla paura, “L'universo è un'illusione”, il nome della sua tesina di laurea scartata, un testo non pubblicato, di cui esisteva una sola copia: la sua. “Impossibile” pensò Alexander «O-ok. Non so come tu abbia fatto, ma devo proseguire con la mia analisi psicologica. Qual'è la cosa che ti piace di più fare?» chiese con voce ferma lo psicologo «Oh, mi piacciono la pittura, la scrittura, la scultura, il violino, il pianoforte, la tuba, il basso, la chitarra, il flauto traverso, il clarinetto, la tromba, la fisica, la chimica, la matematica analitica e statistica, l'architettura, la storia, la letteratura...» rispose Azazel. «Sai perché sei qui?» chiese quindi Thorp «Tu lo sai Alexander?» chiese a sua volta il ragazzo. Gli occhi dello psicologo sbarrati, fissi a guardare lo strano individuo che si trovava davanti a lui. «Voglio uscire. Trixie, James, fatemi uscire, ora.» ordinò Alexander, che come un fulmine si fiondò fuori dalla camera di contenimento, lasciando Azazel nella stanza, richiusa subito dopo. Thorp a questo punto non disse una parola, si diresse in linea retta verso l'ufficio di White, arrivato lì spalancò la porta «IO MOLLO.» White, seduto tranquillamente sulla sua scrivania, alzò gli occhi dal libro che stava leggendo per rivolgere il suo sguardo negli occhi di Thorp. «Tu non puoi mollare.» rispose con tono calmo White, tornando al suo libro. «C-Cosa? N-no. Non... non potete farmi ques-»

 

«Giorn- o- BZZZZT. Son-o -g- me- - che sono qu-i- Non posso andar-»

«Gior- n- BZZT. Azaz- perico- oso- incontr- labile. Cosa si- fac-»

 

Queste le uniche parole che ormai Thorp poteva sentire dalle sue plagiate registrazioni, un diario che rifletteva ormai solo la pazzia di un'incoscente. Decise di registrarne un ultimo, per poi abbandonare definitivamente la speranza:

 

«Giorno 1436...»

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Capitolo 4
*** Colui che ha sofferto ***


«Giorno 1436. Ore... BAH, non lo so e non mi interessa. So solo che non ho più cosa fare. Posso solo continuare a fare l'equivalente di scavare nel diamante con le mani nude, con la mente di Azazel, finché non diventerò pazzo o, con un po' di fortuna, morirò. Ultima registrazione.» così Alexander Thorp chiuse la sua pagina di diario, ormai morto e sepolto. Lo psicologo, che ormai dormiva nell'edificio di contenimento, si alzò, attraversò la camera di sicurezza, ed entrò nella camera di contenimento; aveva ormai l'aspetto di un barbone, il ragazzo carino, con i capelli castani, gli occhiali stretti rettangolari, alto, simpatico, giovane e geniale, era morto, per lasciar posto ad una persona che ormai non sapeva neanche chi era. Gli anni lo avevano piegato, lentamente e dolorosamente, il suo prezioso dottorato di ricerca ed il suo radioso futuro erano andati in fumo, bruciati completamente, non aveva più sogni ne speranze, se non quella di morire, e di liberarsi finalmente dal peso che aveva avuto la vita su di lui nei quattro anni precedenti.

 

«Giorno 23. Azazel mi spaventa, ho paura di lui, è gentile, cordiale, non sembra intenzionato a farmi del male, ma mi fa paura. Ogni tanto entro di soppiatto e lo sento sussurrare di cose come la data di morte di James e Trixie, catastrofi, eventi terribili, che succederanno nel futuro. Sembra avere una grande conoscenza del mondo, ma ho paura di lui.»

 

«Giorno 67. Sono passati due mesi ed ancora nessun risultato, da Azazel riesco solo a strappare dettagli futili, ma non ricavo nessuna delle informazioni che vorrebbero io cavassi dalla testa di Azazel.»

 

«Giorno 194. E' assurdo. Più informazioni mi chiedono e meno riesco a capirci della complessa psiche di Azazel. Sembra sapere tutto, ha una conoscenza ben oltre quello che immaginavo, non ho idea di quanti anni abbia, di come sappia tutto quello che sa, di come sia nato, di chi siano i suoi genitori.»

 

«Giorno 434. Io ed Azazel abbiamo cominciato a giocare a scacchi insieme, ha davvero una tecnica impeccabile. Giocare a scacchi con lui dovrebbe farmi capire meglio la sua psiche, ma non capisco davvero come funziona la sua mente, ho addirittura provato a giocare con lui, a sua insaputa, con i suggerimenti di calcolo del computer, sapendo esattamente come spostarmi per non farmi mai mangiare neanche una pedina. Di solito questo sistema funziona per capire come la mente di una persona lavora nelle situazioni disperate, ma con Azazel no. Non ha mostrato il minimo segno di debolezza e mi ha battuto comunque.»

 

«Giorno 945. Sono passati due anni e mezzo, ed ancora non riesco a capire perché Azazel fa quello che fa e come lo fa. Sono un incapace, un inutile, piccolo omuncolo. Qualche anno fa qualcuno mi considerava un genio. Ora sono scomparso. Il Sergente White mi ha comunicato ieri che tutti i miei dati e le mie tracce sono state finalmente eliminate da tutti i computer, da tutte le anagrafi, da tutte le università. Non conto più nulla. Non esisto neanche più. Dio, vorrei morire.»

 

«Giorno *cough* 1244. Le sto provando tutte per morire, ma non c'è proprio modo. Sono sorvegliato, e non ho armi ne modi per suicidarmi. Perché la vita è così crudele?»

 

«Giorno 1400. Li voglio tutti morti. Dovranno morire tutti nel modo più doloroso possibile. LI VOGLIO VEDERE TUTTI MORTI.»

 

Thorp si sedette sulla poltrona, aveva trafugato un coltello dalla mensa della W.I.R.E. ed era ormai senza controlli quando era con Azazel, non sarebbe stato difficile piantarselo nel cuore e finalmente porre fine alla sua vita, ma voleva vedere il suo tormentatore un'ultima volta. Azazel si alzò da terra, era seduto poco prima nella stessa posizione in cui era la prima volta che si erano incontrati, quasi quattro anni prima: era in piedi ora, ma girato verso il muro; si voltò lentamente, era in lacrime, singhiozzava, stava piangendo. Thorp riconobbe che stava piangendo davvero. Non stava fingendo. Alexander fu stupito, era la prima volta che vedeva Azazel piangere in 4 anni. Era orribile, piangeva lacrime scarlatte, quasi fossero lacrime di sangue. Non poteva crederci: dopo tutti quegli anni non lo temeva più, era diventato suo amico, ma ciò nonostante lo odiava, i suoi segreti avrebbero potuto salvarlo da questa condizione di schiavitù anni prima, ma Azazel affermava di non poter rivelare i suoi segreti, per niente al mondo. «Sei stato un vero bastardo Azazel. Ho passato anni a soffrire per causa tua. A sentirmi incapace, impotente, uno stupido di quelli che compativo al liceo. E ora stai piangendo? Perché bastardello? Perché piangi ora? Sai, avevo sognato una vita fuori da qui... una vita nel campo della ricerca, con un ragazzo bello e gentile, in una grande casa. E che cos'ho? Una ricerca che non porta da nessuna parte, un bastardello che mi ha tenuto incatenato alla mia sofferenza ed una “casa” grande come un ripostiglio in un sottoscala. Quindi ora asciugati quelle lacrime e dimmi perché piangi.» «Per la sofferenza che ti ho arrecato. Non ti avrei inflitto tutto questo se non fosse stato necessario. Mi dispiace da morire.» rispose Azazel tra un singhiozzo e l'altro. «Ti dispiace? Ma cosa cazzo ti passa per quella testa vuota? Credi possa perdonarti per quello che mi hai fatto, per quello che mi hai tolto?» rispose Thorp pieno di rabbia «Non mi aspetto il tuo perdono, ti capisco, ma ora posso donarti la libertà, scusa.» disse infine Azazel amareggiato. A questo punto il ragazzo cominciò a fluttuare, un aura nera ne ricopriva i contorni, fu a quel punto che, con un lieve movimento della mano, egli spostò le lastre di vetro infrangibile antiproiettile che separava le due porzioni della stanza. Fu allora che Azazel si avvicinò a Thorp, prese il suo viso tra le mani, pose un bacio sulla sua fronte e si allontanò nuovamente, in lacrime e con il volto amareggiato. Testa bassa, piedi uniti, braccia aperte, l'edificio cominciò a tremare. Le lacrime di Azazel cominciarono a cadere verso l'alto, una luce intensa si accese al centro del suo torace, i suoi vestiti da bianchi divennero neri, un maglione ed un lungo impermeabile nero si formarono da dei fasci di luce intorno a lui. Azazel alzò la testa al cielo, una sfera di particelle di luce si formò intorno a lui, dei fasci lucenti cominciarono a girare intorno a lui. Il pianto si fece più intenso, ed i singhiozzi più frequenti. Le mura cominciarono a creparsi, Azazel distrusse il tetto e lo strato roccioso soprastante con un raggio oscuro, poi le mura si sgretolarono: Azazel alzò le braccia di scatto, e tutto l'edificio, così come la montagna che lo teneva nascosto, si disintegrarono, esplodendo nell'aria intorno. Thorp guardava impotente, ma soddisfatto. I frammenti di roccia che si avvicinavano a loro venivano polverizzati da una barriera di luce pura invisibile. Il sole era rosso, Alexander si mise a piangere rivedendolo per la prima volta dopo quegli anni passati nel buio. Poi tutti frammenti rocciosi, sotto gli occhi increduli degli impiegati della WIRE, cominciarono a ruotare a sfera intorno ad Azazel; poi lui, Alexander e i vari strati delle sfere, cominciarono a fluttuare, lo strato roccioso esplose mentre Azazel li teletrasportava via da lì.

 

«Siamo a casa.»

«Sì Alexander. Sei a casa.»

«Non ci rivedremo mai più non è vero?»

«E' così.»

«Allora devo chiederti un'ultima cosa.»

«Tutto quello che vuoi.»

Lo spazio intorno ai due diventò grigio, segno che il tempo era fermo.

«Quanti anni hai, Azazel?»

«Tanti quanti ne ha l'universo.»

«...»

«Scusa, Alexander. Addio.»

Il tempo ripartì, Azazel scomparve, Alexander Thorp non lo rivide mai più.

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