Dawnburgh

di Andrea_Vitali
(/viewuser.php?uid=803325)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cacciatore... ***
Capitolo 2: *** ... l'usignolo... ***
Capitolo 3: *** ... e il guerriero ***



Capitolo 1
*** Il cacciatore... ***


La missiva dell'Alto Consiglio della Cattedrale di Dawnburgh era chiara e diretta: - Richiediamo urgentemente l'intervento di Leon Savior e della sua squadra di cacciatori -.

Leon ripiegò la missiva e la ripose nella tasca interna dell'impermeabile. La stanza era lievemente illuminata dalle prime luci del mattino che filtravano dalla porta, che faceva da cornice a una sagoma secca e ricurva.

«Una missiva di Dawnburgh! Mi creda, mastro Leon, in quasi cinquantanni di consegne, non ho mai visto arrivare nulla da Dawnburgh!»

Il vecchio postino rise in modo rauco, compiaciuto della novità.

L'impermeabile nero del cacciatore lasciava intravedere solo due occhi color della luna che scrutavano insistentemente il vecchio postino appoggiato sull'uscio. Non sembrava molto entusiasta di quella missiva, ne tanto meno del fatto che venisse da Dawnburgh.

«Voi dimorate qui da poco tempo, e forse non potete comprendere la grandiosità di questa notizia! Dawnburgh ha posato l'occhio su di voi e, indirettamente, sul nostro paese. L'Anima dei Quattro è con noi! L'Anima ci proteggerà!»

Il vecchio riprese a ridere, ma per la seconda volta non trovò nessuna risposta.

«Oh, dovete scusare la mia insopportabile gioia, ma queste sono cose che accadono una volta nella vita. E voi dovreste ritenervi fortunato, ragazzo mio: essere convocati dall'Alto Consiglio è come essere accompagnati davanti ai cancelli dei Cieli dall'Anima in persona! Capite l'importanza del momento? Dawnburgh vi aspetta, e con essa la vita eterna!»

Non vedendo alcuna reazione, l'entusiasmo del vecchio postino si spense.

«Non voglio di certo disturbarvi, mastro Leon. Voi siete un cacciatore impegnato, di certo provate disturbo a parlare con un povero vecchio logorroico come me»

Lo sguardo del cacciatore si abbassò per un attimo, come se tentasse di mettere in ordine tutte le idee in mezzo alla nenia del vecchio.

«Certo che è strano però...»

Leon smise di guardare in terra per tornare a fissare l'interlocutore.

«Segua il mio ragionamento...», il vecchio si tolse il berretto e si grattò la fronte.

«I quattro Vassalli dell'Alto Consiglio convocano con estrema urgenza voi, un cacciatore. Capite, non chiamano, non so, la Guardia Imperiale o la Milizia Magica. Richiedono un cacciatore. Nulla di personale, si intende, non sono mai stato un uomo intelligente e di certo mi sfugge qualcosa, ma è facile capire che qui sta succedendo qualcosa di strano»

Il cacciatore non si scompose. Si alzò da una grande poltrona rosso cremisi e camminò lentamente verso l'armadio vicino all'ingresso; lo aprì e tolse dall'interno una valigia in pelle nera. Con un movimento quasi meccanico si girò e appoggiò la valigia sopra la poltrona dalla quale si era alzato, rimestandone il contenuto.

«Voi cosa cacciate di preciso? Orchi?» chiese incuriosito il postino.

Leon non rispose.

«O qualche altra bestia? Goblin? Troll?»

Leon estrasse due pistole a pietra focaia nere, di ottima fattura, una finemente intarsiata d'argento e l'altra d'oro. Nonostante il buio della stanza, due scritte brillavano sulla canna delle pistole: Giudizio e Sentenza. Le controllò velocemente, le mise nelle fondine nascoste dall'ampio impermeabile, indossò il cappello e si girò, fissando il postino.

«Streghe» sibilò il cacciatore.

**************

Ciao a tutti! Questo è il mio primo racconto fantasy in assoluto, quindi traetene le conclusioni! La storia l'ho ben delineata in testa, ma al momento ho perso la mia (già poca) capacità di stesura, quindi mi metto al riparo e mi scuso se il testo dovesse risultare troppo "insipido". Ogni suggerimento è ben accetto!!! Grazie per l'attenzione!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** ... l'usignolo... ***


La taverna dell'Elfo Ubriaco sembrava in festa: dalle finestre luride di fango e polvere si intravedevano figure danzanti e boccali alzati, musica di violini e flauti, e un gran vociare.

«E il nano, e il nano, e il nano sta cadendo...»

Il bardo si zittì, aspettando la risposta del pubblico.

«È troppo basso e sta morendo!»

Ogni persona all'interno del locale si unì al coro, gridando, ridendo e rovesciando birra da ogni boccale.

Una giovane donna era seduta sul bancone: indossava un completo in pelle beige con un corsetto in tessuto grigio cenere. Il viso pallido era incorniciato da lunghi capelli neri. Formosa e sensuale, guardava il pubblico del locale e cantava insieme a loro.

Un uomo pingue e dondolante si avvicinò, sputacchiando e sistemandosi i pantaloni.

«Buonasera madame...»

Ogni parola era intervallata da singhiozzi e rutti. La ragazza si limitò a guardare l'uomo dai vestiti disfatti e dall'alito di birra marcia.

«Ho qui con me giusto trenta monete d'oro, piccola. Che ne dici di andare a coccolarci un po' nella foresta? Si, so che lo vuoi.» e tentò di baciarla, portandole le grasse mani al volto.

La ragazza mise delicatamente un piede in faccia all'uomo. Pur facendo un gesto molto discutibile, riusciva a mantenere una certa eleganza.

«Che genere di ragazza pensi che io sia?»

Il tono autoritario ingannava la sua apparente fragilità.

«Una puttana che si intrattiene con gli Elfi, vero? Lo sanno tutti che te la sei spassata con Symir e che ti ha...»

Non fece in tempo a finire la frase che la giovane donna balzò alle spalle dell'uomo a una velocità inumana e gli infilò un coltello tra le cosce. Gli mise un braccio attorno al collo e gli avvicinò le labbra all'orecchio.

«Ora, maiale, continua pure la frase!»

Stava sussurrando con una ferocia incontrollata, quasi animalesca.

«Io-io n-non...» le parole dell'uomo rimasero strozzate in gola. Sulla sua fronte fecero capolino diverse gocce di sudore che iniziarono a scendere sul volto e sulla pappagorgia tremolante.

«Prova a parlarmi un'altra volta, solo un'altra volta e, puoi giurare sull'Anima dei Quattro, avrai una protuberanza in meno da far vedere alle signore. Intesi, porco?»

Le parole dell'uomo uscirono quasi come un lamento piagnucoloso, uno squittio di un topo; si limitò quindi a fare un cenno col capo.

Nel frattempo il silenzio iniziò a calare nel locale. Le facce lunghe degli avventori guardavano incuriosite la scena.

«Ora vattene da qui, sacco di letame.»

La ragazza tolse il coltello dai genitali dell'uomo e fece un paio di passi indietro, sistemandosi i capelli e guardandosi intorno. Gli occhi delle persone rimbalzavano da lei all'uomo ansimante.

Improvvisamente l'uomo si voltò, impugnando una pistola; sul suo volto si poteva leggere tutta la collera per l'insulto subito, dipingendogli di rosso le guance paffute.

«Lurida putt...»

Con uno scatto improvviso, la ragazza calciò l'arma dalla mano dell'aggressore e gli mise in bocca la canna della sua pistola.

«Puttana sarà vostra madre. Addio.»

E premette il grilletto.

Non partì alcun colpo, ma nella stanza riecheggiò un sordo e secco click.

Con lo sguardo impietrito dalla paura, l'uomo crollò a terra, svenuto, facendo tremare i boccali sul bancone.

La sala scoppiò in una fragorosa risata e i violini e i flauti ripresero a suonare.

«Quel grassone se l'è fatta sotto, guardate!»

Due uomini si avvicinarono e trascinarono fuori l'individuo svenuto, continuando a ridere dell'accaduto.

«Nightingale, se non ti conoscessi direi che tra le gambe nascondi un fioretto agghindato con due palle di cannone da una libbra ciascuna.»

La ragazza si voltò e vide arrivare un uomo di mezza età, zoppo e con un occhio coperto da una fascia sporca. L'uomo si appoggiò al bancone.

«Ti piacerebbe, Everett?»

Nightingale sorrise e si avvicinò all'uomo, appoggiandogli una mano sulla spalla.

«Finisci sempre in mezzo ai guai, vero ragazzaccia? Dimmi un po', come è andato l'affare alla distilleria? È stato un buon modo per riprendere il lavoro?»

Nightingale sorrise compiaciuta.

«La merce la puoi trovare sul retro, e in più...» appoggiò un sacchetto di monete d'oro sul bancone «ci sono almeno trenta pezzi d'oro che il maiale di prima ci ha gentilmente offerto.»

Everett scoppiò a ridere e iniziò a battere la mano sul legno del bancone.

«Sei... sei davvero unica Nightingale! La Gilda è fortunata ad averti. Andando avanti di questo passo potremo comprarci l'intera contea!»

Lo sguardo della ragazza si rabbuiò un istante.

«A proposito Everett. Ho bisogno di abbandonare la Gilda. Ora non posso più restare, lo sai.»

L'uomo si calmò e guardò con l'unico occhio il volto di Nightingale. Un grande occhio nero.

«Ti posso capire e io di certo non ti trattengo. Ma lo sai come funziona, ci sono delle regole. Devi pagare la tua libertà Nightingale, e credo che il Capo non chiuda un occhio solo perchè sei tu»

La ragazza si appoggiò coi gomiti sul bancone e prese un lungo respiro.

«Everett, farò in modo che il Capo accetti subito la mia uscita dalla Gilda»

L'uomo si avvicinò ancora di più, fremendo.

«Everett, vecchio mio, preparati ad assistere al furto più grande che sia mai stato realizzato. Nessun furto, passato, presente o futuro riuscirà ad eguagliarlo. Io, Nightingale, porterò all'Elfo Ubriaco... la reliquia di Dawnburgh!»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** ... e il guerriero ***


Tra tutti i soldati della Guardia Imperiale, il capitano Ronin sicuramente era il più adatto allo scopo: dodici anni di onorata carriera, unico guerriero ad aver partecipato a tutte le campagne nelle Terre Esterne, maestro d'armi a vent'anni e capitano della Sesta Colonna a ventidue. Sì, era l'uomo adatto allo scopo, e lui lo sapeva.

L'imperatore in persona lo stava aspettando e questo gli riempiva il cuore d'orgoglio. Con l'elmo sotto braccio e il passo deciso, attraversò il lungo corridoio della magione imperiale, imbellito da preziosi arazzi ed eleganti gonfaloni. Al suo passare, le guardie portavano la mano sul cuore e lo salutavano con vigore, lo stesso vigore con cui marciava verso la sala del trono.

Arrivato davanti al grande portone dorato, due guardie si fecero un cenno e lo aprirono: davanti ai suoi occhi si aprì una visione da sogno: l'intera stanza era bianca, immensa, adornata con meravigliose statue in marmo degli antenati dell'Impero, con un lungo tappeto rosso che fendeva il pavimento verso il trono dell'imperatore; sopra il trono, l'imperatore in persona lo stava aspettando.

Ronin fece un sorriso compiaciuto e, con lo stesso vigore di prima, si incamminò vero il trono.

Il lungo tabarro bianco ondeggiava a ogni suo passo, ma indossato da Ronin perdeva tutto il suo candore; lo rendeva imponente, invincibile, un feroce guerriero mascherato da angelo.

Giunto davanti all'imperatore, si mise una mano sul cuore e si inginocchiò.

«Vi prego Capitano Ronin, alzatevi» disse pacatamente l'imperatore: un tempo anche lui era stato un prode guerriero, ma non ai livelli di Ronin. Da uomo d'armi che fu, sapeva bene che un combattente come lui non amava inginocchiarsi davanti a nessuno, nemmeno davanti all'imperatore in persona.

«Mi avete convocato, mio signore, e io mi sono presentato.»

Ronin si alzò e attese una risposta.

«Capitano, mi segua per favore.»

L'imperatore si alzò dal suo trono e, lentamente, si diresse verso l'arcata che conduceva verso la balconata esterna. Con un impercettibile gesto fece segno a Ronin di seguirlo.

La sola presenza dell'imperatore rendeva l'ego del capitano più grande di qualsiasi esercito, di qualsiasi vittoria.

Giunti sulla balconata, l'imperatore riprese a parlare, scrutando l'orizzonte oltre alle mura cittadine, oltre le colline e i monti che circondavano i suoi possedimenti.

«Ronin, ormai sono vecchio e credo che sia passato il tempo dei giri di parole e delle etichette di corte. Sarò diretto: l'Impero è in grave pericolo.»

Ronin distolse lo sguardo dal panorama della città e guardò l'imperatore.

«In pericolo?»

Ronin è sempre stato un uomo di poche parole. I fatti, pensava, valgono più di qualsiasi parola.

«Guardate, oltre quella montagna, vedete? Laggiù, dove il cielo sembra farsi tempesta.»

Ronin tornò a guardare l'orizzonte e notò che dietro al cima dei monti a nord una nube nera come la notte si stava iniziando a formare.

«Mio Signore, non capisco.»

«Laggiù si trova Dawnburgh, la città dove dimorano i Vassalli dell'Alto Consiglio.»

Nella mente di Ronin si formarono mille pensieri. Dawnburgh? Cosa stava accadendo? Perchè l'imperatore era così allarmato? Perchè era stato convocato? Mille perchè si aggiungevano a ogni domanda.

«L'ombra distesa nel cielo non è un semplice temporale. I miei avi assistettero a un episodio del genere, mille o più anni ors sono, e i miei studiosi di corte ne sono certi: qualcosa di oscuro, qualcosa di demoniaco sta per accadere. E vuole qualcosa che è custodito laggiù, tra le mura di Dawnburgh.»

Si girò verso Ronin è gli mise una mano sulla spalla.

«Una guerra contro cui nemmeno il nostro esercito potrà vincere sta iniziando. Dawnburgh è destinata a cadere, ormai è troppo tardi. Ma l'Impero, la mia città, la nostra città può ancora essere salvata. Ti ho convocato perchè credo che tra tutti i miei sudditi, tu, ragazzo mio, sei l'unico che può compiere questa impresa: nei sotterranei della Cattedrale è racchiusa un'antica reliquia. Non so dirti che forma abbia, se è fatta d'oro o altro, ma al suo interno è racchiuso il potere per salvare tutto l'Impero. Almeno per i prossimi mille anni. Ebbene, dovrai andare a recuperarla e dovrai portarla a palazzo il più velocemente possibile, in modo che i miei eruditi potranno studiarla e capire come gestire il potere in essa racchiuso. Non ti nascondo che è una missione ardua, forse suicida, ma non posso dispiegare tutto il mio esercito per recuperarla; esso sarà messo a difesa della città, a difendere fino all'ultimo uomo qualsiasi minaccia si presenti, mentre tu sarai in viaggio. I Vassalli non permetterebbero comunque l'ingresso della milizia in città, e sapete quanto me quanto i soldati sanno essere superstiziosi. Non possiamo permetterci nessuna diserzione, nella peggiore delle eventualità, ogni singolo uomo è essenziale. Partirete non appena sarete pronto; entrerete nella città senza farvi notare e prenderete la reliquia. Nessuno, ripeto, nessuno dovrà mettersi sul vostro cammino, ogni secondo è prezioso.»

Lo sguardo di Ronin non lasciava trapelare alcun timore; nessun timore in verità si celava nel suo cuore. Aveva aspettato questo momento per dodici lunghissimi anni: era diventato l'uomo che aveva la possibilità di salvare l'Impero, da solo, con le sue mani.

«Non dovete aver timore, mio Signore, finchè il mio respiro non mi abbandonerà, l'Impero non cesserà di esistere. Non lo permetterò.»

«Bene» disse l'imperatore. «Buona fortuna Capitano Ronin, l'Impero confida in te. Io confido in te.»

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3401534