Miraculous Heroes

di Echocide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?
Wordcount: 1814 (Fidipù)
Introduzione: Sono passati quattro anni da quando Ladybug e Chat Noir hanno sconfitto Papillon, riportandolo dalla parte del bene.
Ma una nuova minaccia giunge a Parigi e i due eroi non sanno se stavolta riusciranno a fermarla...
Note dell'autrice: Ehm...salve! Questa è la prima storia seria che pubblico nel fandom di Miraculous Ladybug e...
Beh, niente di che! E' una what if...? che mi è venuta in mente, dove ritroverete i personaggi della serie, delle new entry e una cattiva nuova nuova di zecca!
Buona lettura!



Prologo

Secoli fa, furono creati sette gioielli magici che donavano dei poteri fantastici: I Miraculous.
Durante la storia, questi gioielli sono stati usati dagli eroi per salvare l’umanità.
Due di questi erano più potenti degli altri: gli orecchini della coccinella, con il potere della creazione; e l’anello del gatto nero, con il potere della distruzione.
La leggenda dice che a colui, che avrebbe avuto entrambi i gioielli, sarebbe stato donato il potere assoluto.
Solo una persona, in tutta la storia, ha cercato di prendere i due potenti Miraculous: Papillon, il possessore del Miraculous della farfalla.
Ma, quattro anni or sono, Ladybug e Chat Noir hanno fermato il loro nemico e l’hanno riportato dalla parte del bene.



Plagg sbadigliò sonoramente, mentre ascoltava Nooroo raccontare loro qualcosa che sapevano benissimo: «Non è per rovinarti la storia…» mormorò, sistemandosi meglio contro la scatola vuota di Camembert e allungando una zampetta all’interno, alla ricerca di qualche pezzetto superstite di formaggio: «Ma c’eravamo anche noi.»
«Ssssh!» intimò Wayzz, il kwami del Miraculous della tartaruga, osservando male il felino nero: «Adesso c’è la parte più interessante.»
Plagg fissò il kwami verde, sperando che non dicesse sul serio: davvero voleva stare a sentire Nooroo raccontare la storia che avevano vissuto non poco tempo fa?
«Quale?» commentò l’esserino nero: «Quella dove narra di come Ladybug e Chat Noir hanno scoperte le relative identità, si sono innamorati – cioè lo erano già l’uno dell’altra, ma troppo idioti per capire che si amavano a vicenda – e si sono messi insieme?»
«No! Me l’hai rovinata!»
«Stai scherzando, vero?»
Nooroo sospirò, osservando Plagg e Wayzz iniziare a litigare e scosse il capo: «Speravo fosse una cosa carina, ritrovarsi e commentare ciò che è successo quattro anni fa…» mormorò, sedendosi accanto alla kwami della coccinella che ridente osservava gli altri due.
«Beh, come idea non era male. Ma conosci Plagg, non è tipo da cose come questa.»
«E Wayzz prende sempre tutto sul serio.»
Si voltarono entrambi, giusto in tempo per vedere il kwami verde lanciare pezzi di lattuga contro il felino nero, che rispondeva a suon di formaggio: la kwami rossa rise, scuotendo il capo: «Però è bello sapere che siamo in pace, che la mia protetta e quello di Plagg stanno vivendo il loro amore felici e contenti…» si fermò, sospirando: «Tutto è perfetto!»


Fu osservò i quattro kwami: Plagg e Wayzz stavano litigando come loro solito, Nooroo cercava di placare gli animi e Tikki li osservava tranquilla.
Da quanto non vedeva quei piccoletti tutti assieme? Tanto tempo.
Con un sospiro, si voltò verso il grammofono, al cui interno era nascosto lo scrigno dei Miraculous: tre kwami mancavano all’appello, tre Miraculous che aveva donato a giro per il mondo.
Perché, se aveva imparato una cosa fondamentale nei suoi centonovant’anni, era che il Male non riposava mai.


L’aeroporto di Charles De Gaulle era febbricitante: turisti che arrivavano nella capitale francese, turisti che se ne andavano, altri che erano solo di passaggio, altri ancora erano giunti fin lì per lavoro.
Quel luogo era pieno di vita.
E lei era giunta in quel luogo con una missione.
«Pensi sia una buona idea?» le domandò una vocina, mentre un musetto giallo faceva capolino dalla sua borsa.
«Mikko! Potrebbero vederti!» esclamò la ragazza, guardandosi attorno.
La folletta gialla ridacchiò, ritornando nel suo antro: la ragazza sbuffò, ricordando di come la kwami era uscita da una strana scatola nera, che aveva trovato nella sua camera, qualche tempo fa; legata dalla magia a un pettinino a forma di ape, Miko le aveva detto di essere un Kwami e che le avrebbe donato dei poteri.
Da quel giorno era diventata Bee, paladina della giustizia e del bene.
E per la giustizia e il bene era giunta fino a Parigi.
Perché la sua nemica era lì.
E lei l’avrebbe fermata.


Sorrise, osservando la calca di gente che affollava la pista da ballo, sotto il balcone vip che aveva prenotato per quella sera; sentì le mani della sua compagna scivolargli sulle spalle, mentre il profumo costoso gli arrivava alle narici: sapeva benissimo cosa voleva lei.
Era bello e lo sapeva.
Era ricco e la sua partner lo sapeva.
Si portò il bicchiere colmo di liquore e lo buttò giù in un sorso, voltandosi poi verso la sua partner: «Che strano ciondolo…» commentò la donna, facendo scorrere le dita laccate di rosso sul ciondolo che teneva al collo.
«E’ un ciondolo magico.» dichiarò lui, sorridendole e allontanandole le mani dal monile, baciandole uno a uno i polpastrelli: «Dentro c’è un folletto che mi fa trasformare in un supereroe.»
«Come Ladybug e Chat Noir?»
«Esattamente come loro.» dichiarò, sorridendo convinto: «Ma io sono più bello di Chat Noir. E più potente.»
La donna rise, gettando la testa all’indietro e, quasi sicuramente, pensava che lui stesse scherzando.
Non sapeva quanto distante dalla realtà era.


Sospirò, mentre il suo datore di lavoro avanzava verso di lui, pronto all’ennesima strigliata: non poteva dirgli che aveva capito male l’ordinazione. Era a Parigi da parecchio tempo ormai, abbastanza per aver imparato le basi della lingua e non fare un errore scemo come quello di capire pesce per acqua.
Il proprietario del ristorante si fermò davanti a lui, alzando la testa per fissarlo negli occhi: tentennò, come faceva sempre di fronte a lui.
Essere grandi e grossi aiutava ogni tanto.
«Dimmi cosa devo fare con te!» esclamò il suo capo, portandosi il pollice e l’indice alla base del naso: «Dimmelo. Perché io non so più cosa fare!»


Il kwami della volpe la osservò: «Perché sei voluta venire a Parigi?» le domandò, mentre la ragazza si appoggiava al balcone del piccolo appartamento che aveva preso in affitto.
«Non lo so. Sentivo di dover venire qua.»
«Sentivi di dover venire qua?» la parafrasò il kwami, soppesando poi quelle parole e rimanendo in silenzio.
«Sì, Vooxi. Era come se qualcosa mi stesse chiamando.»


Era così strano ritrovarsi da sola nel terrazzino della sua camera, pensò Marinette mentre si accomodava meglio sulla sdraio e osservava il cielo notturno di Parigi: Notre Dame illuminava la notte, imponendosi nel panorama parigino.
Tikki era andata a una specie di ritrovo fra Kwami.
Chat – o meglio Adrien – non sarebbe venuto a trovarla, poiché anche Plagg era a quel ritrovo.
Quella sera era tutta per lei, per Marinette.
Abbassò lo sguardo sul blocco da disegno che teneva in mano, osservando i vestiti che aveva disegnato in quella serata di solitudine: avrebbe dovuto effettuare qualche modifica qua e là ma, tutto sommato, le piacevano.
Quasi quasi avrebbe convinto qualcuno ad accompagnarla a comprare le stoffe per poterli cucire.
Ovviamente quando avrebbe concluso il disegno.
Il suo cellulare vibrò, distraendola dai suoi piani: si allungò, prendendo l’apparecchio abbandonato sul tavolinetto di legno e sorrise alla vista del mittente: Dì la verità, ti manca quel meraviglioso e sensualissimo gatto nero che sa come rendere bollenti le tue notti.
Arrossì, rileggendo il messaggio: sapeva sempre come sorprenderla, anche dopo quattro anni che si conoscevano e nonostante il fatto che aveva imparato a placare i tentativi di seduzione di quel gatto nero.
Beh, tentativi placati finché non aveva scoperto che dietro la maschera nera c’era l’amore della sua vita.
Un nuovo vibro l’avvisò di un nuovo messaggio.
Oh oh. Il gatto ti ha forse mangiato la lingua?


Adrien ridacchiò, abbandonando il cellulare sul ripiano di marmo del lavabo e osservando il proprio riflesso allo specchio: i capelli biondi erano sparati in tutte le direzioni, come ogni volta che usciva dalla doccia. Afferrò l’asciugamano bianco, frizionando la testa e aspettando una risposta dalla sua principessa.
Perché, era sicuro, che dopo il momento d’imbarazzo iniziale, gli avrebbe risposto pan per focaccia.
Era questo che adorava di lei: sapeva essere estremamente timida e, allo stesso tempo, audace.
Finì di asciugare i capelli con la salvietta, osservando poi il cellulare: non gli aveva ancora risposto.
Possibile che, questa volta, era riuscito a zittirla?
Sorrise e prese il telefono, aprendo il registro delle chiamate e selezionando poi il numero della ragazza: rimase in linea un po’, prima che lei rispondesse – quasi sicuramente aveva dovuto cercare il coraggio per rispondergli –: «Salut, Marinette.» la salutò innocente, come se non avesse spedito nessun messaggio.
Che poi non è che fosse chissà cosa quel messaggio, avrebbe potuto fare di peggio se ci si fosse messo d’impegno.
La sentì respirare profondamente e poi iniziare a balbettare qualcosa: quattro anni di conoscenza lo avevano reso un perfetto traduttore degli sproloqui senza senso di Marinette.
Rimase ad ascoltarla, poggiato contro il lavabo e osservando i piedi scalzi contro le mattonelle scure del pavimento: «Pensavo che la mia lady non si scandalizzasse per così poco…» commentò alla fine, quando la ragazza ebbe finito di balbettare quello che stava dicendo.
«Ladybug non si scandalizza.» bofonchiò la voce femminile all’altro capo del telefono: «Marinette sì.»
Adrien alzò gli occhi al cielo, sospirando: ancora non capiva perché si ostinava a dire che Ladybug e lei erano diverse.
«Sai, dovremmo lavorare su questa tua tendenza a sminuirti.» mormorò, dirigendosi verso la porta e passando in camera sua: «Visti i nostri genitori, dovrei essere io quello con poca autostima.»
«Tranquillo, ce l’hai per tutti e due.»
«Beh, in fondo dove si può trovare un altro come? Bello, intelligente, sexy…»
«Rompiscatole, fin troppo sicuro di sé...»
«Sono purr-fetto. Che posso farci?»
Adrien ascoltò la risata di Marinette, lasciandosi andare sul letto: «Questa è vecchia, Adrien.»
«Ma sempre d’effetto.»
«Se ne sei convinto tu.»
«Hai appena riso, Marinette.» la riprese lui, sorridendo e osservando l’enorme finestra della sua camera.
«Non è vero!»
«My lady, non pensavo fossi una bugiarda!» dichiarò, ascoltando poi un borbottio confuso dall’altra parte della linea: «Hai riso al mio gioco di parole, che può essere vecchio ma efficace. Fine.»
«No.»
«Sì.»
«No.»
«Marinette…» mormorò tranquillo, chiudendo gli occhi: «…sai cosa succede alle coccinelle bugiarde?»
«Non sono più fortunate?»
«No, vengono punite dal gatto nero.» dichiarò, lasciando intendere doppi e tripli sensi con quella frase.
Mmh, dal vivo avrebbe reso di più, perché ci sarebbero stati sguardi e postura ad aiutarlo, nonché un certo contatto fisico.
Vabbè, ormai era andata così.
Marinette respirò profondamente e balbettò il suo nome, facendolo ridacchiare: «Cosa ti stai immaginando, piccola coccinella pervertita?» domandò innocente.
«Io?» strillò la ragazza all’altro capo: «Sei tu quello che…»
«Ho forse detto qualcosa io?» Ghignò, mentre la immaginava cercare qualcosa con cui accusarlo e non trovando niente: alla fine lui aveva detto solo una frase innocente: «Beh, my lady, dovrei andare a dormire: sai com’è, domattina c’è scuola…» si fermò, sorridendo e buttò l’ultima battuta prima di chiudere la chiamata: «Ah, mi raccomando, nei tuoi sogni porno, preferirei stare sopra.»
«Adrien!»


Parigi.
La capitale della Francia.
Per tanti anche la città dell’amore.
Alzò il bicchiere di vino bianco, osservando la Tour Eiffel attraverso il liquido e sorridendo, mentre rimaneva comodamente distesa sulla chaise longue: «Il luogo dove sono apparsi i Miraculous...» dichiarò, portandosi il bicchiere alle labbra e sorridendo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?
Wordcount: 3.430 (Fidipù)
Introduzione: Sono passati quattro anni da quando Ladybug e Chat Noir hanno sconfitto Papillon, riportandolo dalla parte del bene.
Ma una nuova minaccia giunge a Parigi e i due eroi non sanno se stavolta riusciranno a fermarla...
Note: Prima di ogni cosa, mi scuso se causerò malesseri con la lettura di questo capitolo: non era intenzionale, davvero! Quasi sicuramente ho reso Adrien OOC (Out of Character), anzi ne son assolutamente certa ma mentre scrivevo...non so, sentivo la presenza di Chat Noir alle spalle che mi diceva come far muovere la sua versione everyday. Marinette...beh, stranamente devo ancora imparare a usarla (e dire che mi sono sentita subito affine a lei, dalla prima volta che l'ho vista), per quanto riguarda Gabriel...giuro, io volevo farlo serioso e tutto d'un pezzo, ma ogni volta che scrivevo una scena con lui ripensavo a quel flop flop e a quel brrrr, e quindi è venuto fuori quel che è venuto fuori.
E ora qualche piccola informazione random: il liceo Louis-le-grand esiste veramente a Parigi (qui potrete trovare il sito della scuola) e anche il Balajo (per il sito cliccate qui) citato da Nino. Sì, sono talmente malata che mentre scrivevo, cercavo informazioni e...beh, ero fissa con google maps aperto!
Per finire, volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto, inserito in una delle liste e commentato il primo capitolo!



Capitolo 1

Adrien canticchiò, finendo di vestirsi e osservando il kwami nero che, completamente stravaccato sulla scrivania, osservava il soffitto: «Avete fatto le ore piccole, ieri?» chiese, afferrando un bracciale di cuoio intrecciato, poggiato sul comodino e allacciandoselo al polso destro: teneva particolarmente a quel monile, dato che era stato il primo regalo di Marinette.
Il primo regalo che Marinette aveva fatto, con le sue mani, per lui.
«Wayzz…»
«Ah. Pensavo che le ore piccole le facevi con Tikki. Non hai una specie di cotta per la kwami di Marinette?»
Plagg issò la testa, sgranando gli occhi e fissandolo torvo: «Io non ho nessuna cotta per Tikki.» dichiarò l’esserino nero, alzandosi e svolazzando fino alla scatola di Camembert poggiata sul tavolino da caffè, davanti la TV: «Sei contento. Fin troppo contento.»
«Dici?»
«Quanto hai tormentato quella poveretta, ieri sera?»
«Ho semplicemente chiamato la mia ragazza, ieri sera.» sentenziò Adrien, poggiandosi con la spalla contro l’armadio e osservando il suo kwami: «Non mi sembra che si dica tormentare.»
Plagg tenne lo sguardo fisso sul suo umano, mentre apriva la scatola e prendeva un triangolo di formaggio: «Giochi di parole?»
«Solo uno.»
«Battutine alla Chat?»
«Qualcuna.»
«Consolazione alla Adrien?»
«Mmmh…» il biondo incrociò le braccia, alzando gli occhi al cielo: «No, quello no.»
Il kwami addentò il formaggio, masticandolo lentamente: «Per caso ha finito la chiamata con “Adrien!”?» domandò, cercando di imitare una voce femminile e facendo ridere il ragazzo.
«Solo perché ho chiuso la chiamata, altrimenti mi avrebbe rimproverato. Alla Ladybug, per essere precisi.»
«Ok. Hai tormentato quella povera ragazza.»
Il sorriso di Adrien si accentuò, mentre si spostava e indicava il giubbotto al kwami: «Andiamo, Plagg. Devo ancora fare colazione.» dichiarò, prendendo la borsa e aspettando che il felino nero si nascondesse in una tasca. Uscì dalla camera e velocemente scese le scale, raggiungendo la sala da pranzo; aprì la porta, osservando suo padre seduto capotavola con il tablet davanti: da quando Papillon era stato smascherato e poi sconfitto, suo padre aveva fatto un esame di coscienza e lentamente stava cambiando, ritornando il genitore che Adrien conosceva.
Il padre che era stato finché c’era stata anche sua madre.
«Buongiorno.» esclamò, entrando e salutando il genitore con la mano: Gabriel alzò lo sguardo, annuendo e tornando poi al suo lavoro.
Beh, il cambiamento era lento.
Però almeno ora consumavano i pasti insieme e, Adrien n’era certo, aveva visto il genitore sorridere ogni tanto; quando poi Marinette andava a trovarlo, suo padre era sempre il perfetto padrone di casa e, alle volte, lo aveva visto parlare appassionato con Marinette su qualche collezione o stilista.
Si mise seduto, sorridendo alla cameriera che prontamente gli servì il caffè caldo: «Quella camicia non è mia.» dichiarò suo padre, mettendo da parte il tablet e osservando l’abbigliamento del figlio.
«No, è una Marinette Dupain-Cheng originale.» dichiarò orgoglioso Adrien, lisciando la stoffa bianca con delle sottili linee grigie: Marinette aveva talento e a lui piaceva indossare gli abiti che la ragazza gli confezionava, anche perché era un modo per incoraggiarla a continuare su quella strada.
Gabriel annuì, continuando a osservarlo e studiando il capo d’abbigliamento, quasi sicuramente valutandolo con l’occhio critico da stilista di fama mondiale: «Sta migliorando.» dichiarò compiaciuto, piegando leggermente le labbra in un sorriso.
«La tua futura nuora sarà presto tua rivale.» dichiarò Adrien orgoglioso, bevendo un sorso di caffè: «Di nuovo.» precisò, ricordandosi di quando Papillon e Ladybug erano nemici giurati.
«La mia futura nuora sarà l’erede della mia maison.»
«L’importante è che sia tua nuora.»
Gabriel fissò il figlio, scuotendo la testa: «Fattela sfuggire e ti akumatizzo, figlio.»


Fu strinse il cuscino, mentre il sogno di quando era un giovane guerriero sfumava alla luce del giorno: ricordava perfettamente il giorno in cui aveva dovuto dire addio a quella bella fanciulla, perché il sacerdote del tempio gli aveva affidato la custodia dello scrigno dei Miraculous.
«Maestro, maestro!»
«Sì, tornerò da te…» mormorò l’anziano, afferrando Wayzz e portandoselo verso il volto: il kwami verde sbarrò gli occhi, osservando le labbra dell’umano farsi sempre più vicine al suo musetto.
«Maestro! Maestro! Maestro, si svegli!»
Fu aprì gli occhi, osservando il kwami: «Wayzz, che stai facendo?»
«Cosa stava facendo lei, maestro!»
L’anziano scosse il capo, mettendosi seduto e osservando il folletto della tartaruga: «Lasciamo perdere.» dichiarò, cercando di ricomporsi: «Cosa è successo? Perché mi hai svegliato?»
«Ho appena avvertito l’energia del Miraculous dell’ape.»
Fu sbatté le palpebre, fissando il kwami e poi il grammofono sul mobile, poco distante da lui: «Ma non l’avevo dato a una ragazza in America?»
«Maestro?»
«Ha un’aura negativa?»
«No, maestro. Ma avverto anche i Miraculous del Pavone e della Volpe.»
Fu si massaggiò il mento, iniziando a camminare per la stanza: «Pessimo segno, pessimo segno.»


Marinette sbadigliò, avanzando verso la scuola con Alya: «Hai dormito poco stanotte?» le chiese l’amica, mentre metteva il cellulare nella borsa; la mora osservò il movimento stizzito che aveva accompagnato il gesto e sospirò: a quanto pare la ragazza aveva di nuovo litigato con Nino.
Cosa che succedeva almeno una volta alla settimana.
«Nino?» chiese, cercando di sviare dalla domanda che le era stata rivolta: aveva passato gran parte della notte con gli occhi aperti, a ripensare alle parole di Adrien; quel poco che era riuscita a dormire era stato pieno di sogni…
Di sogni alla Chat Noir.
Quando Tikki era tornata poi, l’aveva trovata con il volto completamente in fiamme e, quando la kwami le aveva chiesto il perché, aveva balbettato qualcosa.
Sinceramente non ricordava cosa avesse detto e cosa la sua kwami avesse capito.
In ogni caso Tikki l’aveva ascoltata paziente e fatta calmare, come sempre.
Alya sbuffò, riportandola alla realtà: «Al solito, preferisce andare a fare il dj sabato sera, piuttosto che passarlo con me.» dichiarò la ragazza, alzando le braccia al cielo con un gesto stizzito: «Capisco che lo fa perché gli piace e mette su un po’ di esperienza ma…» si fermò, scuotendo il capo e facendo ondeggiare le ciocche marroni: «Mi piacerebbe stare un po’ con lui, ogni tanto. Con lui da solo.»
Già.
In effetti da quando stavano insieme, Alya e Nino erano usciti sempre con Adrien e lei: «Scusa.» mormorò la mora, fermandosi davanti l’entrata della scuola e fissando l’amica: «La prossima volta che Nino invita Adrien gli dirò di dire no.»
«A cosa devo dire no?» domandò la voce di Adrien, mentre due braccia circondavano la vita di Marinette e la ragazza si ritrovò imprigionata nell’abbraccio forte e sicuro del suo partner: «Buongiorno, mia principessa. Buongiorno, Alya.»
«Buongiorno anche a te, Adrien “sono il fidanzato perfetto” Agreste.» sbottò Alya, fissandolo male: «E comunque devi dire di no agli inviti del tuo amico, soprattutto quando ti dice: “Ehi, Alya ed io andiamo in quel posto. Volete venire anche tu e Marinette?”»
«Ah.»
«Ah cosa, Adrien?» domandò Alya, facendo un passo verso il giovane e fissandolo minacciosa; Adrien spostò le mani sulle spalle di Marinette, trattenendola fra lui e la ragazza: «Non osare farti scudo con la mia amica, Adrien Agreste.»
«Inventerò una scusa. Giuro.»
«Sarà meglio per te.» concluse Alya, voltandosi e andandosene a passo di marcia.
«Il pericolo è passato, mon minou.» dichiarò Marinette, sciogliendo la stretta delle mani sulle sue spalle e voltandosi verso il ragazzo: «L’hai combattuta quando era Lady Wifi e non ti ha fatto paura, ma ora sì?»
«Ora mi avrebbe ucciso.» dichiarò Adrien, additando la ragazza che entrava nel liceo, aprendo la calca di studenti come se fosse stata Mosé: «Ho avuto paura di morire.»
Marinette lo fissò male, schiaffeggiandogli l’avambraccio: «E mi hai usata come scudo?»
«Ero certo che non ti avrebbe ucciso.» dichiarò sicuro Adrien, sorridendole: «Piuttosto, principessa, dormito bene stanotte? Dallo sguardo stanco si direbbe di no. Forse un certo gatto nero ti ha tenuta sveglia?»
Marinette tenne lo sguardo in quello verde, inclinando poi la testa e sorridendo: «Già, tutta colpa di un gattaccio nero.» dichiarò, avvicinandosi e posando l’indice sotto al mento del giovane: «Quasi quasi sento Alya se vuole occuparsene lei. Penso ne sarebbe veramente felice.»
«Marinette.»
«Adrien.»
«Adriennuccio!» la voce squillante di Chloe Bourgeois li fece sobbalzare entrambi, mentre la bionda si appropriava del braccio destro del ragazzo e scoccava un’occhiata malevola a Marinette: nonostante lei e Adrien stessero insieme, Chloe continuava a comportarsi come quando erano al collége, dichiarando suo il giovane Agreste.
«Devo andare a portare i disegni alla professoressa d’arte.» dichiarò Marinette, facendo un passo indietro e ricevendo un’occhiata malevola dal ragazzo: se sperava che non si sarebbe vendicata della notte in bianco, il suo gattino, si sbagliava di grosso.
«Ci vediamo dopo, Adrien.» lo salutò, facendogli l’occhiolino e voltandosi poi verso la scuola, affrettando il passo: era certa che, appena si fosse liberato di Chloe, Adrien gliel’avrebbe fatta pagare.
«Non pensi di essere stata un po’ troppo cattiva con Adrien?» domandò Tikki, facendo capolino dalla tasca della giacca e fissando la sua compagna umana: «L’hai abbandonato con Chloe.»
«Io penso che sia stata malefica. Cattiva. Imperdonabile.» dichiarò la voce del biondo, facendo sussultare Marinette: «Hai abbandonato il tuo ragazzo.» sbottò Adrien, afferrandola per la mano e costringendola a fermarsi nel giardino interno della scuola: «Ti sembra una cosa da fare?»
«Come hai fatto a…?» iniziò Marinette, venendo interrotta da un cenno del capo del ragazzo; seguì la direzione indicata e osservò Chloe avvinghiata al braccio di un ragazzo dai capelli scuri.
«Chi è?»
«Non conosci Rafael Fabre?»
«Il modello?»
Adrien annuì, posandole una mano sulla schiena e invitandola a proseguire verso attraverso il giardino, verso l’ala più interna dell’edificio: «Ho posato qualche volta con lui, è uno dei nuovi modelli che mio padre ha reclutato quest’anno.»
«Non sapevo che frequentasse la nostra scuola.»
«Nemmeno io.» dichiarò Adrien, grattandosi la guancia con l’indice: «Sinceramente, pensavo fosse più grande di me…»
«Davvero?»
«Adrien Agreste!» esclamò una voce maschile, facendo voltare i due: Rafael Fabre li aveva raggiunti con Chloe ancora avvinghiati al braccio: «E’ davvero piccolo il mondo.»
«Come va, Rafael?»
«Molto bene.» dichiarò il moro, passandosi una mano fra i capelli, mentre lo sguardo grigio si posava su Marinette: «Ho il piacere di conoscere…»
«Marinette. La mia ragazza.» affermò secco Adrien, fissando l’altro: «Non sapevo che frequentavi il Louis-le-Grand.»
Rafael abbozzò un sorriso, senza staccare gli occhi da Marinette che, sotto quello sguardo, si era avvicinata ad Adrien, come se lui potesse nasconderla: non le piaceva essere fissata in quel modo, per niente. Era uno sguardo troppo indagatore, troppo attento.
Troppo tutto.
«E’ stata una decisione improvvisa.» dichiarò il moro, spostando lo sguardo su Adrien: «Adesso devo andare, questa graziosa testolina bionda mi ha promesso di farmi vedere un po’ di cose.» concluse, posando poi lo sguardo nuovamente sulla mora: «E’ stato un piacere, Marinette.»
«Mio, non di certo.» dichiarò Marinette, dopo che i due si furono allontanati un poco, fissando le schiene del modello e di Chloe.
«Se lo conosco un po’, penso che Chloe gli mostrerà un po’ di cosette. E non saranno solo della scuola.»
«Cosa?»
Adrien abbozzò un sorriso: «Niente, niente. Mia dolce innocente lady.» mormorò, posandole una mano sulla testa e scompigliandole i capelli: «Avevi detto che dovevi portare dei disegni alla professoressa d’arte, giusto?»


Gabriel Agreste osservò i modelli della nuova linea, posti sui macchini: «Quel rosso non va bene, voglio una tonalità più scura. A quello manca la trina attorno al bordo e lì…» si fermò, scuotendo il capo e avvicinandosi a un cappotto: «La tonalità di beige non va bene e il taglio è sbagliato.»
Natalie appuntò tutto sul tablet, sistemandosi poi gli occhiali: «Per la festa devo prenotare solo due posti?»
«Festa?»
«L’apertura della settimana della moda.»
«Tre posti, Natalie.» dichiarò Gabriel, voltandosi verso la segretaria: «Sono certo che Adrien vorrà far partecipare Marinette.»
«D’accordo.» dichiarò la donna, segnando il tutto: «Per la signorina Dupain-Cheng devo far preparare qualche abito della linea Agreste?»
«Vai da lei e informati se ha qualche modello adatto.» mormorò Gabriel, studiando il cappotto che aveva appena bocciato: «Se ce l’ha, consegnalo ai nostri sarti. Cancella l’appunto sulla tonalità di beige, Natalie. Però voglio un taglio più trasversale.»
«Sì, signor Agreste.»
«Gabriel Agreste!» esclamò una voce femminile, facendo voltare i due verso la porta: alta e slanciata, completamente vestita d’oro e con i capelli perfettamente acconciati, questa era la nuova arrivata.
Gabriel la studiò da dietro le lenti, mentre si avvicinava maestosa e regale, allungando una mano verso di lui: «Sono Willhelmina.»
«Dovrei conoscerla?» domandò l’uomo, sistemandosi le lenti e fissando la sua segretaria.
Willhelmina rimase immobile, con il sorriso stampato sulle labbra dipinte di rosse: «Le piace scherzare, vedo. Sì, dovrebbe conoscermi: sono Willhelmina, la stilista del marchio Coeur.» si presentò la donna, assottigliando lo sguardo: «Un marchio che fa concorrenza con il suo, Agreste.»
Gabriel annuì, voltandosi poi verso Natalie: «Appunti sui vestiti, inviti e informati per la signorina Dupain-Cheng.»
«Sì, signore.» dichiarò la segretaria, seguendo il suo datore mentre usciva dalla stanza a grandi passi, lasciando lì la stilista rivale.


«Andiamo, bro! Non puoi abbandonarmi!»
Adrien poggiò sul vassoio il piatto, che l’inserviente della mensa gli aveva offerto, voltandosi poi verso Nino: «Non ti sto abbandonando. E poi, amico, vai con Alya.»
«Appunto. Non puoi lasciarmi solo con lei!»
«Ma state insieme da cinque anni!» sbottò il biondo, scuotendo il capo: «Cosa vuol dire che non posso lasciarti solo con lei?»
Nino sbuffò, alzando gli occhi al cielo e prendendo il suo piatto dall’inserviente, posandolo sul vassoio e facendolo scivolare in avanti: «Alya ce l’ha a morte con me perché sabato sera la lascio sola.» iniziò a spiegare, afferrando due pagnotte dalla cesta in vimini: «Ti ricordi di quell’aggancio in quella discoteca…»
«Il Balajo?»
«Esatto, bro.» Nino annuì con la testa, sorridendo: «Ecco. E’ un aggancio importante, insomma.»
Adrien assentì, sollevando il suo vassoio e voltandosi verso la mensa, cercò con lo sguardo Marinette e la trovò seduta con Alya, non molto distanti: «Immagino che non possiamo sederci con loro, vero?» domandò, indicando con un cenno del capo le due ragazze.
«Vuoi come amico un uomo morto?»
Il biondo sospirò, indicando due posti vuoti abbastanza vicini: «Lì?»
«Sei il mio bro per questo!» dichiarò esultante Nino, dirigendosi verso le sedie libere e facendo sospirare Adrien, che lo seguì: «Comunque, ti dicevo: Alya ce l’ha a morte con me per questa storia. Se venerdì vado a vedere il film da solo con lei…» si fermò, scrollando le spalle: «Nella migliori delle ipotesi mi castra, nella peggiore mi uccide.»
«Se veniamo anche Marinette ed io, quello succederà a me.» sbottò Adrien, infilzando la pasta e sbuffando: «Seriamente, andate a vedere il film, parlate e vi chiarite.»
«Amico, non sono te: di sicuro dirò qualcosa che non devo dire, Alya s’incavolerà e…» Nino si fermò, portandosi una mano alla nuca e togliendosi il berretto rosso che indossava: «Mi ucciderà. Lo so. E’ matematico, garantito al 100%.»
«Ma no! Sono certo che andrà tutto alla grande!» Il biondo si allungò sul tavolo, dandogli una pacca sul braccio: «Fidati! Sei il mio migliore amico, no? Saprai risolvere questa situazione.»
«Adrien?»
«Cosa?»
«Dimmi la verità, bro. Tu vuoi rimanere da solo con Marinette. Vero?» domandò il moro, fissandolo serio: «L’hai finalmente convinta a fare quel passo e scommetto che venerdì è l’unico giorno, perché uno dei due a casa libera. Ho indovinato?»
C’erano solo due cose che poteva fare: assentire alla storia che Nino aveva tirato dal nulla oppure fargli capire che voleva solo il suo bene, facendogli passare un po’ di tempo con Alya.
Solo due cose…
Adrien avrebbe scelto la seconda opzione, senza dubbio.
Chat invece…
Sorrise, poggiandosi alla schiena e incrociando le braccia sulla pancia: «Che posso dire?» mormorò, alzando le spalle e guardandosi poi indietro, in modo da osservare la schiena di Marinette: «Finalmente ce l’ho fatta!»
Annotare: Marinette non deve sapere assolutamente nulla o mi legherà con il suo yo-yo in una vasca piena di coccodrilli.
Assolutamente nulla.

Il suo amico annuì, allungando la mano chiusa verso di lui: «Sono fiero di te, bro.» dichiarò contento, mentre Adrien allungava il proprio pugno e colpiva quello dell’amico.
Sì, se Marinette lo avesse scoperto, l’avrebbe sicuramente ucciso.


La giornata si era conclusa senza tanti problemi: Nino aveva tenuto la bocca chiusa per tutto il giorno – forse pensava che il Grande Progetto di Venerdì, così ribattezzato dal ragazzo, era una sorpresa per Marinette – e lui era ancora vivo.
Alya avrebbe avuto il suo appuntamento in solitaria e lui sarebbe rimasto in vita.
Perfetto.
Tutto assolutamente perfetto.
Nemmeno tutta la sfortuna di Chat Noir poteva rovinare quella perfezione.
Finì di lavarsi i denti e si preparò a una notte di sonno meritato: scuola, lezione di scherma e set fotografico nella stessa giornata non andavano bene.
Sbadigliò, spegnendo la luce del bagno ed entrando in camera sua, senza notare la figura vicino alla finestra: «Dobbiamo parlare.» dichiarò una voce decisa femminile, facendolo sobbalzare.
«Ma porc…» sbottò Adrien, voltandosi verso la finestra e osservando la sua partner che, a braccia conserte, lo fissava: «Ladybug?» domandò, facendo scorrere lo sguardo sulla tuta rossa a pois neri: «Marinette! Avvisa quando entri in casa d’altri.»
La ragazza lo fissò, sciogliendo poi le braccia e ordinando al suo kwami di liberarla dalla trasformazione: «Sei nei guai.» cantilenò Tikki, volando fino alla scrivania e sorridendogli, mentre veniva raggiunta da Plagg.
«Come faccio a essere nei guai, se non ho fatto nulla?» domandò Adrien alla kwami, voltandosi poi verso la ragazza che, ancora ferma vicina alla finestra, lo fissava con il volto in fiamme.
Nino.
A quanto pare aveva detto qualcosa.
«Ti posso spiegare…» iniziò, ma subito venne investito da una raffica di parole senza senso – le uniche che captò con un significato erano gattaccio, maniaco e qualcosa su un certo uso del suo bastone allungabile. L’arma di Chat Noir, per la precisione, non l’altro bastone –; fortunatamente aveva imparato a gestire quegli attacchi e, velocemente, si avvicinò alla ragazza, stringendola fra le sue braccia.
«Non pensare di cavartela con così poco, Adrien Agreste.» sbottò Marinette, alzando il volto e fissandolo irata.
Ottimo!
Approfittando dell’occasione, Adrien abbassò il volto e sfiorò le labbra della ragazza con le proprie, sorrise soddisfatto e le fece l’occhiolino: «Cosa dicevi, my lady?» le domandò, chinando il viso per la seconda e dandole un secondo bacio, sentendola rilassarsi un poco fra le sue braccia: «Ho cercato di salvarmi oggi, davvero. Solo Nino ha inteso in una certa maniera e…» Con il viso nascosto contro di lui, Marinette urlò piena di frustrazione, mentre lui continuava a cullarla fra le braccia, dondolandosi: «Non c’è niente di male, principessa.»
«Hai una minima idea di cosa ho dovuto…» iniziò la ragazza, ma un boato la interruppe: entrambi si girarono verso la finestra, osservando il palazzo vicino a quello degli Agreste e, poi, la figura imponente e illuminata della Tour Eiffel: «Fumo…» mormorò Marinette, indicando la voluta nera davanti il monumento.
Adrien annuì, voltandosi e correndo fuori dalla camera, seguito a ruota da Marinette, giungendo fino allo studio di Gabriel: suo padre aveva qualche problema a dormire, quindi sicuramente sarebbe stato lì. Bussò, scambiandosi un’occhiata con Marinette e attese l’invito a entrare: «Una domandina veloce veloce.» iniziò, non appena fece il suo ingresso nella stanza: «Per caso hai akumatizzato qualcuno?»
Gabriel si tolse gli occhiali, massaggiandosi il setto nasale e facendo spaziare lo sguardo ai due ragazzi: «Marinette, buonasera.»
«Buonasera, signor Agreste.»
«Volevo farti i miei complimenti per la camicia di Adrien…» iniziò Gabriel, alzandosi e superando la scrivania: «Anche se gli avrei dato un taglio un po’ diverso, soprattutto al collo…»
«Sì, ok.» sbottò Adrien, alzando gli occhi al cielo: «Akuma. Persona. Per caso hai mandato qualcuna delle tue farfalline nere a giro per Parigi?»
Gabriel Agreste spostò lo sguardo sul figlio, allungando poi un braccio e facendo notare il kwami della farfalla, completamente addormentato sul divano dello studio: «No.»


Le corse fra i tetti di Parigi le mancavano, decretò Marinette, mentre lanciava il suo yo-yo e usava un comignolo come attracco: corse in avanti e si lanciò nel vuoto, lasciando andare il comignolo e afferrando con la sua arma magica un altro: «Secondo te cosa può essere successo?» le domandò il suo compagno, fermandosi e osservandola atterrare.
«Spero sia solo un incidente…»
Chat Noir annuì, osservando davanti a sé e sorridendo: «Beh, sono certo di una cosa.» dichiarò, allungando il braccio e indicando qualcosa davanti a sé: «Io non mi metto a cantare Let it go, anche se quello è uscito da Frozen.»
L’eroina seguì la direzione indicata e si ritrovò a bocca aperta: grosso, tanto grosso e fatto completamente di ghiaccio.
Quasi sembrava il bestione che era presente nel film che Chat Noir aveva citato.
Ok, senza il quasi.
«E quello da dove salta fuori?»


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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.578 (Fidipù)
Note: Perdonatemi. Davvero perdonatemi, ma le scene di battaglie e combattimenti non fanno per me: infatti fa schifo. Infatti mi sto mangiando le mani perché ho deciso di fare una storia dove ci sono scene di combattimento. Tante scene di combattimento. Sono scema, c'è poco da fare.
Passando ad altro: quella che canticchia Chat all'inizio è Let it go nella sua versione francese e... uhm. Fanno una veloce comparsata i possessori dei Miraculous dell'Ape e del Pavone. A parte ciò, penso di aver smadonnato non so quante volte contro Google maps mentre scrivevo (Sì, per muovermi meglio dentro Parigi, scrivo con Google Maps aperto!) e basta. Rimane solo da ringraziare chiunque legga e mi regala un piccolo commento sia qui che sul gruppo Miraculous Ladybug - Italia: sono piccole perle preziose che mi fanno felice e mi spronano ad andare avanti! Grazie di tutto cuore!



Il tenente Roger aveva pensato che tutta quella cosa di mostri e roba sovrannaturale fosse finita quattro anni fa, quando il misterioso Papillon era scomparso nel nulla: certo, Ladybug e Chat Noir aiutavano ancora le forze dell’ordine, ma in compiti più tranquilli come la cattura di quel criminale o la salvezza dei civili quando succedeva qualche incidente.
Insomma, erano quattro anni che Parigi non aveva niente di anomalo.
Fino a quella sera, quando dal nulla era comparso quel colosso di ghiaccio e aveva iniziato a distruggere tutto.
L’uomo si tolse il berretto, grattandosi la nuca e osservando la barricata fatta di volanti e transenne: di certo non avrebbe fermato il bestione, ma l’avrebbe rallentato fino all’arrivo dei due supereroi.
Sospirò, osservando i suoi poliziotti sparare contro l’essere di ghiaccio, senza sortire nessun effetto, mentre questo avanzava minaccioso: «Libérée, Delivrée» canticchiò una voce maschile e un’ombra nera atterrò su una delle due volanti vicino al tenente Roger, voltandosi poi verso l’uomo sorridendo: «Je ne mentirai plus jamais…»
«Chat, ti prego.» sospirò Ladybug, saltando sul tetto dell’altra volante e sorridendo al poliziotto: «Non temete, siamo arrivati.»
«Ladybug, Chat Noir.» mormorò Roger, mettendosi il berretto e fissando i due eroi speranzoso: adesso sarebbe andato tutto a posto. Quei due avrebbero fermato il colosso di ghiaccio e la città sarebbe stata al sicuro: «Vi stavamo attendendo.» dichiarò, riprendendo la sicurezza di un ufficiale.
«Lasciate che ci pensiamo noi al ghiacciolino.» dichiarò Chat, saltando giù dall’auto e mettendo mano al suo bastone, fermandosi quando notò che Ladybug non l’aveva seguito: «My lady?»
«Tenente Roger, potrebbe chiedere ai suoi di allontanarsi? Non vorrei venissero coinvolti nello scontro.»
«Certamente, Ladybug.»
L’eroina sorrise, raggiungendo il suo compagno e mettendo mano allo yo-yo: «Andiamo a scaldare la situazione, Chat?»
«Non aspettavo altro, my lady!» dichiarò il giovane, allungando il proprio bastone e saltando per aria, ruotò poi l’arma e colpì il colosso sul muso, senza sortire nessun effetto; Ladybug lanciò il proprio yo-yo verso un lampione e lo usò come leva per issarsi, liberò velocemente il filo e colpì anche lei il nemico, fallendo miseramente.
«Un tipo tutto d’un pezzo, eh?» commentò Chat, mentre atterrava insieme alla compagna: «Come minimo se lo invitano a una festa è capace di raggelare l’ambiente. L’hai capita questa? Raggelare!»
«Chat, ti prego…»
Il colosso ruggì, facendoli sobbalzare entrambi: «Ehi, era carina come battuta!» sbottò l’eroe nero, additando il nemico.
«Penso che anche a lui non sia piaciuta.»
«My lady, ciò mi ferisce.»
La ragazza alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo divertita: «Puoi provare a rallentarlo? Colpendolo magari, invece di farlo arrabbiare con i tuoi giochi di parole?»
Un sorriso mefistofelico piegò le labbra del giovane: «My lady, io non colpisco. Io cataclismo forte.» dichiarò sicuro Chat Noir, invocando poi il nome del proprio potere e correndo verso il colosso di ghiaccio: lo toccò con la mano che aveva il potere della distruzione e gli mandò in mille pezzi una delle gambe. Balzò indietro, osservando l’enorme essere crollare miseramente a terra e cercare di acciuffarlo, mentre Chat effettuava un nuovo balzo e si metteva distanza di sicurezza.
«Io cataclismo forte?» ripeté Ladybug, scuotendo il capo: non era il momento per pensare alle battute di Chat. Lanciò in aria il suo yo-yo, pronunciando ad alta voce il nome del proprio potere magico e dal nulla apparì un oggetto, che sarebbe servito alla vittoria di quello scontro: «Un punteruolo?»
«Lo scaliamo?» domandò Chat, tornando al suo fianco e osservando l’oggetto fortunato: «Seriamente, il Lucky charm mi lascia perplesso alle volte. Ok, no: quasi sempre.»
La ragazza lo ignorò, per quanto gli era possibile, e si guardò attorno, cercando qualche indizio su come usare quell’arnese: alla fine, con un particolare gioco di angoli con i lampioni e il bastone di Chat, la soluzione si creò davanti a lei: «Chat, colpiscilo.»
«Ho sempre sognato giocare a golf.» gongolò il giovane, impugnando il bastone a mo’ di mazza e colpendo il punteruolo, osservandolo mentre colpiva prima il lampione alla loro sinistra e poi, di rimbalzo, quello alla destra, andando a conficcarsi nella fronte del colosso, che cercava miseramente di raggiungerli: l’incrinatura, partendo dalla fronte, si sviluppò per tutto il corpo del bestione e, con un ultimo ruggito di sconfitta, si frantumò in mille pezzi.
«Ehm. Lo abbiamo ucciso?» domandò Chat, osservando ciò che era rimasto del colosso: «Ma non era una persona come tutti gli altri?»
«A quanto pare no.» mormorò Ladybug, avvicinandosi e studiando il ghiaccio: un piccolo pezzo captò la sua attenzione, si chinò allungando la mano verso il cristallo nero che risaltava fra quelli bianchi: «Che cosa è?»
«Distruggetelo!» ordinò una voce autoritaria, facendo voltare i due eroi verso la figura di un vecchietto che li fissava attentamente: «Distruggetelo o quell’essere tornerà come nuovo entro breve.»
Ladybug fece ondeggiare il suo yo-yo e colpì il cristallo nero, osservandolo sbriciolarsi e poi, come polvere, vennire portati via dal vento; la ragazza si voltò nuovamente verso l’anziano signore che, in camicia hawaiiana e bermuda, risaltava nella notte parigina: «Ma lei…»
«Ti ricordi ancora di me?» domandò l’uomo sorridendo alla fanciulla: «Non ti ho ancora ringraziato per avermi offerto il tuo macaron...»
«Aspettate. Fermi tutti.» s’intromise Chat, fissando il vecchietto e poi la sua compagna: «Quello ha assaggiato il tuo macaron?»
«Ho paura a chiederti cosa intendi con macaron.»
Chat sbatté le palpebre, osservando Ladybug mentre la sua bocca si allargava in un sorriso che non prometteva niente di buono: «My lady, io sono un gattino innocente…»
«Innocente dove?» sbottò la ragazza, indicandolo: «Con tutta quel ben di dio in mostra con questa roba nera…» si fermò, sgranando gli occhi e portandosi le mani alla bocca, mentre sentiva le guance farsi fuoco.
«Ooooh.» mormorò Chat, sorridendo lascivo e avvicinandosi alla sua compagna: «Quindi è questo che pensa la mia coccinella pervertita?»
«Io non ho detto niente.» biascicò Ladybug, incrociando le braccia al seno e infossando il mento: «E comunque fra il completo di Chat Noir e quei maledetti jeans dell’ultimo set…»
«Stai pensando a voce alta.» cantilenò il biondo, ridacchiando quando vide le guance della ragazza diventare rosse quanto la sua maschera: «Ehi, maestro Miyagi.»
«Mi chiamo Fu.»
«Mi ricordo anch’io di lei.»


Il mostro era stato sconfitto.
Appollaiata sul tetto di uno degli edifici che si ergevano davanti Champs de Mars, Bee aveva osservato i due eroi parigini sconfiggere il mostro: aveva sentito parlare di Ladybug e Chat Noir e aveva voluto vederli in azione, capendo subito che erano come lei.
Anche loro avevano un Miraculous.
«A quanto sembra siamo arrivati tardi.» commentò una voce maschile dietro di lei, facendola sobbalzare: si librò in aria, voltandosi e studiando il giovane: una tuta blu pavone, molto simile a quella che indossava anche lei, che lo fasciava dal collo fino ai piedi e una maschera dello stesso colore; sui pettorali, risaltava poi il disegno di una coda di pavone.
Il proprietario del Miraculous blu a quanto pare
«Interessante, puoi volare.» osservandola mentre rimaneva sospesa a pochi metri da lui: quando era Bee, lei poteva librarsi in volo come un’ape, l’animale del suo Miraculous.
«E tu chi sei?» domandò studiando il nuovo arrivato, senza avere intenzione di scendere: se fosse stato un nemico si sarebbe potuta dare alla fuga velocemente; se fosse stato un amico…
Beh, si sarebbe scusata per la poca fiducia accordata.
«Puoi chiamarmi Peacock, signorina apetta.»
«Bee.» mormorò, fissandolo male: «Sei un supereroe anche tu?»
«Supereroe…» mormorò Peacock, massaggiandosi il mento e sorridendo divertito: «Beh, direi di sì.»
«Lavori con loro?»
Peacock gettò uno sguardo dietro la ragazza, osservando le figure di Ladybug e Chat Noir che si allontanavano nella notte: «Come dire? Preferisco fare in solitaria.»
Bee incrociò le braccia al seno: «Sei uno dei suoi servi?»
Un sorriso piegò le labbra di Peacock che, con fare galante, s’inchinò davanti a lei: «Questo sta a te scoprirlo, signorina apetta.»


«Camembert.» esclamò Marinette, mostrando la scatola di formaggio a Plagg che, con espressione contenta, l’afferrò fra le zampette, volando poi fino alla scrivania e accomodandosi accanto a Tikki, che già sgranocchiava i suoi biscotti: «Se sei stanco, non dovresti accompagnarmi a casa.» commentò la ragazza, girandosi verso Adrien, che si riposava sulla chaise longue rosa: la testa era appoggiata al bordo dello schienale, gli occhi chiusi e il corpo completamente abbandonato.
«Grazie per il camembert di emergenza. Domani te ne porto un po’ per la riserva.» mormorò il biondo, aprendo pigramente un occhio e voltandosi a osservare il proprio kwami che, senza ritegno, aveva iniziato a mangiare il formaggio.
«Nessun problema.» dichiarò Marinette, sorridendo alla vista dei due kwami che si rifocillavano tranquilli, parlottando tra loro: «Non pensavo che l’avrei usata, comunque. Sembrava ci fosse calma, ultimamente.»
«Già…» sospirò Adrien, tirando su la testa e sorridendole: «Vieni qui.»
La ragazza si avvicinò, sedendosi sul bordo della poltrona: «Vuoi parlare di quello strano cristallo che il Maestro Fu ci ha fatto distruggere? Ma tu lo sapevi che era da lui che facevano le loro riunioni i kwami? Tikki non mi ha mai detto dove…»
Adrien sorrise, afferrando per un polso Marinette e tirandola addosso a sé: «Di questo possiamo parlare domani.» dichiarò, aiutandola a sistemarsi meglio sopra di lui e abbracciandola, notando come le guance le divennero subito di un delizioso rosa: «Volevo parlare dei tuoi pensieri sconci…»
Marinette arrossì. Tanto.
Alzò la testa, osservandolo con gli occhi celesti sgranati, mentre iniziò a muovere le labbra a vuoto: «Ca…ah…eh…uh…bl…ml...» il balbettio sconclusionato che seguì il momento di silenzio, fece sorridere maggiormente Adrien, ricordandogli la ragazzina imbranata che non riusciva ad articolare una frase davanti a lui.
All’epoca aveva pensato che lo facesse perché ancora arrabbiata con lui per la storia del chewingum, poi aveva scoperto che c’era un altro motivo – nettamente più interessante – per quel piccolo problema.
«Qu-quando mai l’ho detto?» riuscì a dire Marinette alla fine, buttando giù la saliva e osservando il ragazzo, mentre le guance erano passate alla tonalità più accesa di rosso.
«Mmh. Quando?» si domandò Adrien, accarezzandole il braccio e sorridendo al volto imbarazzato: «Quando mi hai detto che la tuta di Chat Noir ti eccita? E hai tirato fuori anche dei jeans di un set fotografico, se non sbaglio.»
«Io non ho detto questo!»
«Ah no?»
«I-io…»
Adrien sorrise, stringendo più forte a sé la ragazza e spostandogli i capelli con la mano destra, in modo che il collo fosse libero: «Io faccio sempre pensieri sconci su di te.» bisbigliò, iniziando a lambirle il collo: Marinette si morse il labbro inferiore, mentre poggiava le mani sulle spalle del ragazzo, inspirando profondamente; si accomodò meglio in grembo a lui, piegando la testa di lato e assaporando i baci che, lentamente, salivano verso l’alto, giungendo fino a un punto delicato sotto all’orecchio: «Sempre.» continuò Adrien, prendendo poi il lobo fra i denti e mordicchiandolo leggermente: «Soprattutto, quando sei sopra di me con solo questo addosso.»
«So-so-sono solo una canotta e un paio di pantaloncini…» mormorò Marinette, inarcandosi, quando sentì le dita fredde di lui risalire lungo la schiena; tenne gli occhi chiusi, stringendosi al giovane e lasciando che continuasse a leccarla e toccarla.
«Sei talmente deliziosa…» sussurrò il biondo, carezzandole la guancia e portando nuovamente indietro una ciocca di capelli mori, mentre l’altra mano scendeva lungo la coscia in una lenta carezza: «Che vorrei mangiarti.»
Marinette aprì le palpebre e fissò gli occhi verdi che la guardavano tranquilli e sicuri, mentre una strana tensione s’impadroniva del suo corpo: «Fal…»
Plagg ruttò sonoramente, facendola sussultare e riportandola alla realtà: rossa in volto scese da sopra di Adrien e chiuse la felpa, nascondendo parte del suo pigiama, come se fosse quello il problema.
«Plagg, l’educazione…» sbuffò Adrien, alzando gli occhi verso l’alto e issando su anche lui: «Te l’ho detto mille volte: anche se il camembert è buono, non si rutta.»
«Diciamo che quello era un richiamare l’attenzione su noi due.» sbottò il kwami nero, indicando sé stesso e la sua compagna: «Sembrava che qualcuno si fosse dimenticato di noi.»
«Come se fosse possibile dimenticarsi di te…» sbuffò il ragazzo, allungando la mano con l’anello verso il suo amico: «Plagg, trasformarmi.» ordinò e un lampo di luce verde-gialla lo avvolse, trasformandolo nuovamente in Chat Noir.
Con addosso gli abiti dell’eroe parigino, si voltò verso la ragazza e le fece l’occhiolino: «Ci vediamo domattina, my lady?»
«Eh…ah…s-sì.»
«E stanotte vedi di dormire. Non mi sembra di averti dato materiale per rimanere sveglia.»
Marinette si sedette sulla poltrona, alzando lentamente la testa e osservando il ragazzo vestito di pelle nera: «Veramente mi hai dato materiale per rimanere sveglia almeno due mesi.» biascicò, stringendo le mani in grembo.
Chat si chinò davanti a lei, e prendendole le mani fra le sue, se le portò alle labbra: «Marinette?» mormorò, osservando gli occhi celesti fissarsi nei suoi: «Prima stavi per dirmi di sì?»
La ragazza arrossì, abbassando lo sguardo e annuendo con la testa.
«E’ già qualcosa.» mormorò il giovane, baciandole nuovamente le mani e poi issandosi in piedi: «Significa che mi sto avvicinando alla meta.»
«E pensare che stavi andando così bene…» sospirò Marinette, alzandosi anche lei e scuotendo il capo: «Scusami, penso sia difficile avere a che fare con un’imbranata come me.»
«Io veramente adoro il tuo essere imbranata: sei così tenera che mi fa solo venir voglia di proteggerti e tenerti al sicuro.» spiegò Chat, incrociando le braccia: «Mentre quando sei Ladybug sei talmente sicura di te, che il mio unico pensiero è “voglio essere schiavo di questa donna”.» si fermò, annuendo con la testa: «Devo avere qualche problema, mi sa.»
«E te ne accorgi solo ora?»
«Ti ricordo che hai preso il pacco completo.»
«L’offerta diceva solo Adrien, Chat Noir è stato aggiunto dopo.»
«Oh no, principessina.» le intimò Chat, premendole un dito guantato sul naso: «Anche se eri innamorata persa per Adrien – e sono certo che qualche pensierino l’avevi fatto anche su Chat –, quando ci siamo messi insieme già sapevi chi ero, quindi hai preso il pacco completo.»
«Che affarone!»
«A-ha! Divertente.» dichiarò il ragazzo, facendole l’occhiolino: «Adesso vado, altrimenti domattina non avrò forze sufficienti per…»
«Adrien!»
«…per tenere lontani tutti i tuoi ammiratori. Non so se hai notato che attiri uomini come se tu fossi erba gatta e quelli un branco di gatti drogati!»
«Non è vero!»
«Oh sì, fin dal collége ci sono stati Nathanael e Nino; fortunatamente Nino è stato tolto dai piedi perché qualcuno lo ha rinchiuso in una gabbia con Alya.»
«Devo ricordati che qualcuno, qui presente, aveva spinto Nino a provarci…»
«Errori di gioventù. Poi c’è Theo, che prima era innamorato di Ladybug ma ho visto come ti ha guardato l’ultima volta che l’abbiamo incontrato.» Marinette alzò gli occhi al cielo, iniziando a spintonare il ragazzo verso le scale: «E l’ultimo è Rafael. L’ho visto lo sguardo che ti ha rivolto e non mi è piaciuto per niente. Per niente.»
«Per niente?»
«Già, perché era lo stesso mio di quando t’immagino senza nulla addosso!»
«Adrien!»
«O forse solo con quegli slip di pizzo rosso…»
«Tu…quando…come…Come fai a saperlo?»
«Alya mi ha mandato un foto, quando siete andate a fare shopping, cara la mia coccinella pervertita.»
«Voglio morire.»
«Comunque è meglio dormire e essere in forze per proteggerti da questi cattivi, my lady.» dichiarò Chat, voltandosi e chinandosi per baciarla sulla labbra: «Devo salvare te, salvare Parigi. Un mucchio di salvataggi.»
«Dura la vita per il supereroe.»
Chat balzò sulla scaletta, arrivando agilmente alla botola e balzando fuori nella notte: «Non ne hai idea, my lady.» dichiarò, facendole l’occhiolino e chiudendosi dietro lo sportello.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.279 (Fidipù)
Note: Premetto: Marinette ha un sapore di pazza andante, ma questo perché, a differenza di Adrien, non ha ancora trovato un punto di equilibrio con sé: alle volte prevale Ladybug, alle volte la goffa e imbranata quattordicenne che era. Non vedo l'ora che prenda finalmente coscienza di sé, anche perché inizia a essere stancante avere queste due versioni di lei (in verità mi diverto, ma ha un'aria da pazza potente!) Oltre a ciò: beh, Alya penso abbia dato voce ai pensieri di tutte le ragazze che vedono Chat Noir e ho pensato bene di mettere un piccolo cameo di una ship amata da tanti.
Per concludere, ancora grazie a tutti coloro che leggono, commentano, inseriscono la storia in una delle loro liste.Grazie tantissimo!



«Ma ti rendi conto?» sbottò Alya, alzando la testa verso il cielo e urlando frustrata, attirando l’attenzione degli altri studenti: «Ladybug e Chat Noir sono apparsi ieri sera. Ieri sera. Ed io ero a casa e non ho potuto riprenderli!» Marinette annuì, mordendosi il labbro inferiore e rimanendo in silenzio, mentre l’amica continuava a inveire contro la sua sfortuna: «Un nuovo super cattivo ed ho perso l’occasione! Sai da quanto non aggiorno il Ladyblog? Da mesi, ormai! L’ultimo aggiornamento riguarda quando salvarono le persone di quell’elicottero…»
«Ma non sei felice? Vuol dire che Parigi era tranquilla.»
«Sì, è bello questo ma…» Alya fece un gesto stizzito, scuotendo il capo: «Secondo te è tornato Papillon? Anche se mi hanno detto che Ladybug non ha fatto il suo solito rituale.»
«Il suo solito rituale?»
«Sì, sai quella cosa che fa con lo yo-yo e cattura quella specie di cosa nera che fa diventare cattivi.»
«Ah.» la mora si picchiettò l’indice sulle labbra, incapace di rispondere: non poteva dirle che Papillon non centrava niente, in quanto Marinette non poteva saperlo e per il resto…
Beh, ne sapeva veramente ben poco.
«Buongiorno, ragazze!» Adrien le salutò, mentre scendeva dalla macchina argentata, che si era accostata al marciapiede e le raggiunse velocemente: «Ho parlato con Nino.» dichiarò subito, notando l’espressione cupa della ragazza: «Avrete la serata tutta per voi e sarà purrfe…voglio dire perfetto!»
«E’ arrabbiata perché non è riuscita a registrare Ladybug e Chat Noir, ieri sera.»
«Oh.» il ragazzo annuì, osservando l’amica: «Beh, non è la prima volta che non ce la fai.»
«Ma era da tanto che non si vedevano in giro.» mormorò mogia Alya, avviandosi verso la scuola, imitata dai due: «Insomma, era tutto tranquillo e bam! Appare questo coso enorme di ghiaccio ed io ero a casa. A casa, capite? Non sono nemmeno potuta uscire e tentare di riprendere qualcosa, perché dovevo controllare mia sorella.»
«Sono certo ci sarà qualche altra occasione e potrai filmare Chat in tutto il suo coraggio.»
Alya ridacchiò, scuotendo il capo: «Ciò che voglio riprendere di Chat è quella meraviglia di corpo che si ritrova: sono innamorata di Nino, ma ogni volta che vedo tutti quei muscoli stretti in quella tuta nera…» sospirò sognante, mentre Adrien tossiva imbarazzato e Marinette cercava di non ridere: «Beh, la voglia di legarlo a un letto e fargli cose – tante cose – sale!»
«D-davvero?» balbettò il biondo, allontanandosi leggermente dall’amica e provando a nascondersi dietro l’altra ragazza, che voltata di lato riusciva a stento a trattenersi dal ridere.
«Già.» Alya scosse il capo, riprendendosi da quel sogno a occhi aperti: «In ogni caso, sto con Nino e non potrei mai tradirlo. Ok, lo tradirei solo con Chat Noir.» spiegò velocemente, prendendo il cellulare e guardando l’ora: «A proposito, se voglio stare un po’ con lui devo sbrigarmi. Ci vediamo dopo, Marinette.»
La mora annuì, continuando a mordersi il labbro inferiore e osservando l’amica allontanarsi: «Non è stato bello. Per niente.» sentenziò Adrien, voltandosi e fissando torvo la ragazza: «Potevi dirle qualcosa.» borbottò, colpendola leggermente con il gomito.
Marinette ricambiò il colpo, scuotendo il capo: «Dovevi vedere la tua espressione: era terrore allo stato puro.» dichiarò, mentre le spalle erano scosse dalle risate trattenute: «Povero piccolo micetto, Alya ti ha spaventato tanto.»
Adrien le assestò un nuovo colpo con il gomito, provando a fissarla male ma non riuscendoci: «Devo sentire Plagg se può fare qualcosa per il mio costume. Una bella tonaca da prete. Che ne dici?»
«Non per rovinare i tuoi piani, ma l’ultima volta che siamo uscite, Alya ha visto un gruppo di preti e…»
«Non voglio sapere cos’ha detto. Seriamente.» mormorò Adrien, scuotendo il capo incredulo: «Nino, accidenti, dovresti farle fare qualche giro sul tuo amico dei piani bassi, invece di andare a fare il dj.» Incapace di trattenersi ancora, Marinette si accucciò, con il corpo scosso dalle risate e il volto nascosto fra le mani: «Marinette?» mormorò Adrien, chinandosi davanti a lei e cercando di scoprirle il viso: «Ti prego, non morire. Ho bisogno della mia adorata lady.»
«Piantala, allora.» dichiarò la ragazza, schiaffeggiandogli il bicipite e continuando a ridere: «Non potrò più vedere Nino, gli scoppierei a ridere in faccia.»
«Povero Nino, preso in giro dal suo primo amore…»
«Guarda che sei tu che lo prendi in giro.»
«Sempre a sottolineare…» sospirò il biondo, aiutandola a tirarsi su: «Parlando di cose serie, Nathalie mi ha chiesto se questo pomeriggio sei a casa.»
«Perché la segretaria di tuo padre vuole sapere se sarò a casa?»
«Beh, è una sorpresa e quindi mi è stato vietato dirti di più, altrimenti verrò akumatizzato.» dichiarò il ragazzo, alzando le spalle con espressione divertita: «Sinceramente non sono molto interessato di vedere la mia versione cattiva.»
«La tua versione cattiva sarebbe…» Marinette si picchiettò l’indice sulle labbra, cercando di immaginare il ragazzo in versione supercattivo: «Mmmh, Chat Blanc.»
«Il bianco non mi sta bene.» mormorò il giovane, massaggiandosi il mento: «Comunque pensavo, andiamo dal maestro Miyagi…»
«Fu, si chiama Fu.»
«…sentiamo quello che ha da dirci e poi andiamo a casa tua, così Nathalie ti dirà la sorpresa e poi io sarò ricompensato.»
«Perché dovrei ricompensare te? Se centra Nathalie, e dato che sei stato minacciato, la sorpresa proviene da tuo padre.»
«Odio il fatto che tu sia così intelligente.»
«Lo so, sono geniale.»
«Vola basso, coccinella. E comunque non puoi ricompensare mio padre…» si fermò, scuotendo il capo, mentre un’espressione schifata gli si stampò in volto: «Non voglio nemmeno immaginarlo. Brr. Meglio bloccare tutto e subito. Dicevo: dato che mio padre è off limits, la tua gratitudine dovrà ricadere sul sottoscritto e mi sacrificherò volentieri per la causa.»
«Oh, povero piccolo Minou. Allora, vuol dire che farò la maleducata e non ringrazierò nessuno.»
«Ah, no. Mio padre non deve pensare che sto con una ragazza che non sa cos’è l’educazione! No, no, no. Mi ringrazierai a dovere: possibilmente in un modo in cui centrino un letto e noi due. Nudi.»
«Adrien!»


Alya ridacchiò, sedendosi al tavolo e osservando l’amica posare il vassoio del pranzo e fare altrettanto: «Chi l’avrebbe mai detto che quel ragazzino pacato e tranquillo si sarebbe trasformato così?» dichiarò, scuotendo il capo mentre il viso di Marinette diventava rosso: «Alle volte, quando non inizi a balbettare cose senza senso, mi ricordate Ladybug e Chat Noir.»
Forse perché siamo Ladybug e Chat Noir.
«E comunque non capisco perché…» Alya si fermò, chinandosi sul tavolo e abbassando la voce, in modo che solo l’altra ragazza potesse sentirla: «Perché…beh, perché non potete farlo. Insomma, state insieme da parecchio tempo, ormai.»
Marinette sospirò, prendendo la forchetta e iniziando a giocherellare con il cibo nel suo piatto: «Marinette, non c’è nulla di cui avere paura.» iniziò l’amica, allungando una mano e posandola su quella della ragazza: «Imbarazzante? Oh sì, tantissimo, soprattutto le prime volte, ma poi viene naturale.»
«Per te, forse.»
«Anche per te, Marinette. Basta che ti lasci andare.»
Marinette gemette, spostando il vassoio di lato e poggiando il viso contro il tavolo, iniziando un monologo melodrammatico dove si parlava di cadute, incidenti mortali, arresti e ambulanze; Alya l’ascoltò ridacchiando: «Marinette, i tuoi film mentali dovrebbero essere da Oscar: mi spieghi come sei arrivata da una semplice prima volta a un arresto?»
«Quando si tratta di me tutto è possibile.» sbottò la mora, alzando il viso e guardando l’amica: «Riesco a cadere dappertutto. E la volta che ho preso quel muro in faccia?»
«Beh, sono certa che Adrien sia assicurato contro il Cataclisma Marinette.»
«Alya.»
«Mh?»
«Guardami.»
«Ti vedo.» dichiarò la ragazza, infilzando un pezzo di carne e portandolo alla bocca, mentre Marinette afferrava la sua borsa e tirava fuori una rivista di moda, sfogliandola velocemente: «E adesso guarda lui.» ordinò, mettendogli sotto il naso una foto di Adrien.
«Ok. Lo ammetto: se non fosse il tuo ragazzo ed io non stessi assieme al suo migliore amico, ci proverei.»
«Non posso. Semplicemente non posso.»
«Ma perché, Marinette?»
«Perché io sono io e lui è lui. Finché si tratta di botte e risposte, posso farcela: ho imparato ormai, ma…»
«Questo discorso non ha assolutamente senso. Marinette, seriamente, hai solo paura e, più che dell’atto in sé, penso tu abbia paura di essere imbranata e goffa.»
«Come sono sempre.»
«Marinette, Adrien sa benissimo come sei fatta.» dichiarò dolcemente Alya, sorridendo: «E gli piaci così come sei, anzi è innamorato perso di te! Non lo chiamo il fidanzato perfetto per caso: si vede che ti adora e che farebbe di tutto; quindi non avere paura e lasciati andare.»
«Tu non dovresti stare dalla mia parte?»
«Io sto dalla parte di quello che ha più sale in zucca e, strano a dirsi, a questo giro è Adrien.»
«Grazie tante.» bofonchiò Marinette, avvicinando nuovamente il suo vassoio e iniziando a infilzare la sua carne: «Alya?»
«Mh?»
«Davvero Adrien sembra innamorato perso di me?»
«Giuro, prego che ci sia davvero un nuovo supercattivo e che, come Papillon, mi trasformi in cattiva, così ti apro quella testa per vedere cosa hai dentro!»
«Quando eri…» Marinette si fermò, osservando l’ombra che era apparsa sul tavolo e voltandosi, incontrando lo sguardo sorridente di Rafael Fabre: il modello sorrise convinto, facendo vagare lo sguardo da lei ad Alya per tornare, infine, su di lei: «S-salve.» balbettò sotto lo sguardo scuro che la studiava.
«Salve.» dichiarò il ragazzo, afferrando una sedia dal tavolo vicino e sistemandosi al loro: «Allora, stavo pensando di andare a fare un giro, dopo scuola e pensavo che voi due belle signorine mi potreste fare compagnia.»
«Spiacente, siamo entrambe impegnate.» dichiarò decisa Alya: «E per impegnate, intendo “abbiamo il ragazzo”.»
«Non sono un tipo geloso.»
«Tu no.» borbottò la ragazza, spostando lo sguardo dietro al modello: «Ma il tuo collega lì e il suo amico sì.»
Rafael si voltò, sorridendo ai volti scuri di Adrien e Nino che, fermi in mezzo allo spazio fra i tavoli, lo fissavano: «Ragazzi.» li salutò tranquillamente, alzandosi e rimettendo a posto la sedia che aveva preso: «Beh, signorine, se cambiate idea sapete dove trovarmi.» concluse, facendo l’occhiolino e andandosene come se nulla fosse.
«Bro.» commentò Nino, osservando il tipo avvicinarsi ad altre ragazze: «Pensavo che queste cose succedessero solo ai tipi come, non anche a quelli come te.»
«Queste cose cosa, Nino?»
Il ragazzo si sedette, togliendosi il cappello e grattandosi la nuca: «Beh, Alya…» iniziò il ragazzo, abbozzando un sorriso: «Tu sei tu ed io sono io.» spiegò, indicando prima lei e poi sé stesso.
«Anche tu?» sbuffò Alya, voltandosi verso Marinette: «Vi siete messi d’accordo per farmi ammattire?»


Marinette sospirò, osservando il ragazzo che camminava davanti a lei con passo svelto: era arrabbiato, lo si poteva capire lontano un miglio e ciò era avvalorato anche dal fatto che Plagg aveva deciso di stare nella sua borsetta, piuttosto che nascosto addosso al suo partner; quasi chiamato in causa, il kwami nero si affacciò e la fissò con gli occhietti verdi: «Qualsiasi cosa hai in mente di fare, lascialo stare. Fagliela sbollire, è solo gelosia allo stato puro.» le spiegò velocemente, tornando poi al sicuro e Marinette fu quasi sicura di sentire Tikki dargli del fifone.
Scosse il capo e, ignorando bellamente l’avvertimento del kwami, accelerò il passo e posò una mano sul braccio del giovane: «Adrien…»
«Mai nessuno che ascolti il kwami della sfortuna.» sbuffò Plagg, dall’interno della borsetta.
Il biondo si voltò, fissandola male: «L’avevo detto, no? L’avevo detto! Quel pezzo di…» si fermò, scuotendo il capo e fermandosi in mezzo al marciapiede: «Se non c’era Alya che gli diceva no, che avresti fatto? Avresti accettato, perché non sai dire di no a nessuno, tranne che a me.»
«Non è vero…»
«Quante volte ci ho provato nei panni di Chat e mi hai snobbato, eh?»
«Questo perché…»
«Ti rispondo io: sempre. Poi arriva quest’idiota e tu non riesci neanche a dirgli no.»
«Te l’ho detto!» sbottò Plagg, facendo capolino dalla borsa: «E’ geloso! E quando è geloso diventa stupido.»
«Plagg, vuoi ancora mangiare Camembert?»
«Ehi, signorino. Vuoi ancora essere l’eroe di Parigi?»
«Siamo arrivati!» trillò Tikki, mettendo fine a ogni discussione e indicando l’insegna di un centro massaggi cinese: «E lì che dobbiamo andare.»
«Ma Tikki quello è…»
«Esatto, Marinette.»
«Ci siete già state?» domandò Adrien, voltandosi verso la ragazza e studiando sia lei che la kwami.
«Una volta sola, Tikki si era sentita male e mi aveva detto di portarla da un medico per kwami.» Marinette si bloccò, portandosi una mano alla bocca: «Il vecchietto! Era lui, il medico per kwami!»
Il ragazzo sospirò, guardando la porta e notando che l’anziano stava facendo capolino dalla porta e li fissava divertito: «Ladybug e Chat Noir. Siete arrivati finalmente.»


«Questo caffè fa schifo.» commentò la ragazza, poggiando la tazzina e osservando male il contenuto: «E’ acqua colorata, senza sapore.»
«Pretendevi di trovare del vero caffè italiano a Parigi?» le domandò il kwami arancio e dalle fattezze volpine, nascosto nella tasca della sua felpa: «Sei stata solo una povera illusa.»
«Molto divertente, Vuxi.» borbottò l’umana, prendendo il proprio tablet e tornando a studiare il Ladyblog.


Fu osservò i due giovani seduti davanti a lui, sorseggiando il thé tranquillamente: «Bella giornata, vero?» domandò, osservando la ragazza abbozzare un sorriso imbarazzato e il suo compagno sbuffare.
«Perché ovviamente siamo venuti a parlare del tempo…» bofonchiò quest’ultimo, incrociando le braccia al petto e fissandolo.
«Noto che ho scelto bene il possessore dell’anello del Gatto Nero.» commentò Fu, posando la tazza e sorridendo al giovane: «Sei impaziente come Plagg…»
«Io non sono impaziente.» borbottò Plagg, volando fuori dal suo nascondiglio e accomodandosi sulla spalla di Adrien: «Non mi piace attendere quando non è necessario.»
«Quello vuol dire essere impazienti, Plagg.»
Marinette e Adrien si voltarono verso il grammofono, trovandosi davanti un esserino verde, molto simile a una tartaruga, che li salutò: «Buonasera, sono Wayzz.»
«Il famoso Wayzz…» mormorò Adrien, mentre il kwami verde volava vicino Fu.
«E’ un kwami?»
«Sì, signorina.» dichiarò Fu, annuendo e mostrando loro il braccialetto che indossava: «E’ il kwami del Miraculous della Tartaruga.»


«Non pensi di stare tirando un po’ troppo la corda?»
Il ragazzo sorrise, voltandosi verso l’esserino blu, picchiettandogli l’indice sulla testa: «Tu dici, Flaffy?»
«Io dico.» sbottò stizzito il kwami del Pavone, aprendo la coda e fissando male il suo protetto.
«Mi sto solo divertendo.»
«Non dovresti divertirti. Abbiamo una missione da compiere.»


Adrien si fermò davanti la vecchia scuola, proprio nel punto esatto in cui, parecchio tempo prima, aveva aiutato un anziano signore a raccogliere il suo bastone: «Sai, non pensavo che quel giorno avrebbe cambiato così tanto la mia vita…» mormorò, fissando la ragazza a pochi passi da lui: «Ero riuscito a scappare di casa e stavo venendo a scuola, Nathalie e il gorilla mi avevano raggiunto, sarei riuscito a entrare, ma poi vidi quel signore e nessuno che lo aiutava…»
«Anche per me fu lo stesso: ero uscita di casa e c’era questo vecchietto che attraversava con il rosso, stava quasi venendo investito da un auto e…» alzò le spalle, scuotendo il capo: «Fra tutti ero proprio la meno adatta a diventare Ladybug.»
«Sicura? Secondo me ha fatto una scelta ottima.» dichiarò Adrien, offrendole il braccio e avviandosi poi verso la boulangerie dei genitori della ragazza: «Allora, cosa ne pensi?»
«Del fatto che, secondo la leggenda che gira attorno ai Miraculous, Ladybug e Chat Noir sono anime gemelle? O riguardo al fatto che tale Coeur Noir vuole avere il potere assoluto e per questo sta cercando i Miraculous?»
«Dato che abbiamo provato personalmente la questione delle anime gemelle, direi su Coeur Noir.»
La ragazza sospirò, scuotendo il capo: «Che non c’è mai pace per i supereroi?»
«E riguardo agli altri Miraculous?»
Marinette strinse leggermente la presa sul braccio del ragazzo, mentre si fermavano in attesa che il semaforo diventasse verde: «Secondo il maestro Fu dovremmo trovare gli altri.» mormorò, poggiando la testa contro la spalla di lui.
«Però...» Adrien sospirò, alzando il volto verso il cielo che si stava imbrunendo: «Siamo realisti, guarda cos’è successo a mio padre: chi ci assicura che anche gli altri siano tutti buoni? Seriamente, altre tre persone con superpoteri come i nostri che pensano al bene? E’ possibile?»
«Noi l’abbiamo fatto.»
«Sì, ma…»
«Vediamo come andrà avanti questa storia, ok?»
«In fondo siamo Chat Noir e Ladybug.»
«Ladybug e Chat Noir, è differente.»
«Come desidera la mia signora.» dichiarò Adrien sospirando e portando lo sguardo verso il negozio, notando la macchina argentea ferma davanti: «Andiamo, devi ancora scoprire la tua sorpresa.»
«Così che potrò ringraziarti?»
«Oh oh.»
«Ti dirò semplicemente “Grazie”» dichiarò Marinette, puntandogli il dito contro il naso e attraversando velocemente la strada: «Non quello che pensi tu, gattaccio maniaco.»
«E’ solo questione di tempo, my lady.» commentò Adrien, superandola e aprendole la porta della boulangerie: «Buonasera, Sabine!»
«Oh, Adrien!» la mamma di Marinette gli sorrise, avvicinandosi con un vassoio di croissants: «Tom sta facendo un po’ di prove, vuoi assaggiare? Nathalie…» si volse verso la segretaria austera degli Agreste: «…ha dichiarato che quelli al caramello sono i migliori.»
«Assaggio più che volentieri.» Adrien osservò il vassoio, leccandosi le labbra poi, ricordandosi di un certo evento del passato, si voltò verso Marinette, guardandola serio: «Tu non dire niente. Nulla. Zitta.»
«D’accordo, d’accordo!» sbuffò la ragazza, superandolo e alzando gli occhi al cielo: «Per quanto intendi rinfacciarmelo ancora?»
«Mi hai portato via un vassoio di croissants e uno di biscotti. Sono cose che non si dimenticano facilmente.»
«Ma è successo quattro anni fa!»
«Buonasera, Marinette.» s’intromise Nathalie, mettendo fine al diverbio e attirando su di sé l’attenzione della ragazza: «il signor Agreste mi ha detto di consegnarle questo, sperando che possa accettare ed essere presente.»
La ragazza prese la busta bianca che le venne offerta e l’aprì: «Oh…mio…ah…eh..io…cioè…non…io…»
«Sta dicendo “grazie”, Nathalie.» tradusse Adrien, pulendosi la bocca dalle briciole del croissant e avvicinandosi: «Papà pensava ti potesse interessare…»
«Interessare? Interessare? L’apertura della settimana della moda è…oooh. Non posso crederci. Ci saranno tutti i più grandi stilisti! Ci sarà Gabriel Agreste!»
«Ma va?» borbottò Adrien, prendendo un'altra brioche: «Questa a cos’è?»
«Penso sia all'uva passa.» gli rispose Sabine, studiando il cornetto: «Adrien, ringrazia tuo padre per questo invito.»
«Presenterò.»
«Il signor Agreste…» continuò Nathalie, sistemandosi gli occhiali: «Ha chiesto se ha un modello adatto all’occasione, in modo da fornirlo ai sarti della nostra maison e realizzarlo.»
«Un mio modello? Per la festa?»
«Sì, possibilmente qualcosa di elegante. Un vestito lungo sarebbe ideale.»
«Non ho mai disegnato niente del genere…»
«Sì, invece.» s’intromise Adrien: «Ce n’è uno che va bene.»
«Che succede?» domandò Tom Dupain, uscendo dal laboratorio del negozio e sorridendo ai presenti: «Adrien! Assaggiato qualcosa?»
«Ho provato quello alla mela e adesso questo.» rispose prontamente il ragazzo, alzando la brioche che teneva in mano e poi tornando a fissare la ragazza: «Il blocco da disegno, Marinette.»
«Tesoro, il padre di Adrien ha invitato nostra figlia all’apertura della settimana della moda.» lo informò velocemente Sabine, avvicinandosi al marito e sorridendo, mentre Adrien prendeva l’album e sfogliava le pagine finché non trovò quella che cercava: si allontanò mostrando il modello a tutti e addentando soddisfatto il croissant.
«Ma è bellissimo, Marinette.»
«No, questo no.»
«Perché no?» chiese il ragazzo, avvicinandosi e studiando il disegno: «E’ un abito da sera, no? E poi a me piace.»
«La schiena. Guarda la schiena.»
Il biondo osservò il modello: «Ok, è scoperta. E allora?»
«Non va bene.»
«Va benissimo.» dichiarò deciso lui, passando il blocco a Nathalie e sorridendo allo sguardo di disapprovazione di Marinette: «Questo.»
«Adrien, non posso metterlo…»
«Perché no, tesoro?» domandò Sabine, abbracciando la figlia e sorridendo: «E’ un bel disegno e sono certa che sarai bellissima.»
«Quello che dico anch’io.» assentì Adrien, osservando il vassoio di croissant: «Nathalie, quali sono quelli al caramello?»
«Quelli con la granella di zucchero sopra.»

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.764 (Fidipù)
Note: Bene, dopo la puntata di ieri...beh, sto ancora venendo a conti fatti con tutto ciò che è accaduto e sul finale (Io necessito della seconda stagione tipo adesso!). Ce la potrò fare, sicuramente. Parlando della fanfiction: in questo capitolo sono presenti due scene che hanno dato il via a tutta la storia: il discorso fra Gabriel e Adrien sul futuro di quest'ultimo (con annessa chiamata a Marinette) e la scena del balcone: sì, tutto è nato da queste due scene, a cui se ne sono aggiunte altre.
E per stavolta non ho altro da dire se non ringraziare, come sempre, chi mi legge, commenta e inserisce la storia nelle sue liste.



«Hai dei problemi con il tuo riflesso?» commentò Plagg, osservando il ragazzo che, da una buona manciata di minuti, si osservava allo specchio: «Altrimenti non capisco tutto questo tuo interesse per la tua figura.»
Adrien sorrise, continuando a fissare lo specchio: quando era uscito dalla doccia aveva dato un’occhiata al suo riflesso, iniziando a valutare con occhio critico i suoi lineamenti, i capelli biondi, gli occhi verdi e il fisico che, le lezioni di scherma e il lavoro da supereroe, avevano reso atletico e muscoloso.
Certo, non poteva competere con Kim, il suo vecchio compagno di scuola, che aveva fatto dello sport la sua vita, ma neanche sfigurava accanto a lui.
Il kwami nero si appoggiò al rubinetto, con un’espressione seria in volto: «Che problema c’è?» gli chiese, fissandolo attentamente e attendendo: nessuna battutina, nessuna frecciatina.
«Nulla.» mormorò Adrien, afferrando la maglietta bianca che aveva poggiato sul lavandino e infilandosela: lo avrebbe preso in giro a non finire, lo sapeva.
«Ti sei fissato per dieci minuti buoni. Per me c’è un problema.»
«Prometti di non ridere o fare battute.»
«E’ come chiedermi di rimanere in astinenza dal camembert.»
Adrien sospirò, poggiando un fianco contro il mobile del lavabo e incrociando le braccia al petto: «Stavo cercando di capire come mi vede Marinette.» mormorò, chinando il capo e aspettandosi la risata del kwami; dopo un po’, e notando il silenzio protratto, rialzò il capo e osservò l’esserino nero: «Plagg?»
«Sto cercando di capire se mi prendi in giro o fai sul serio.»
«Secondo te?»
Il kwami sbuffò, volando fino al viso del suo partner e studiando anche lui il riflesso: «Di sicuro centra quel tipo che viene a scuola, vero? Beh, secondo me ti vede come una meravigliosa forma di Camembert.» iniziò, incrociando le zampette e socchiudendo gli occhi verdi: «Una di quella marca costosa…»
«Quella che puzza di più. Ho capito quale. Grazie Plagg, è sempre bello essere paragonato a del formaggio.»
«Sei tu che me lo hai chiesto.» dichiarò il kwami, alzando le spalle e volando in camera, subito seguito da Adrien che si buttò sulla sedia, gettando indietro il capo e inspirando profondamente, ascoltando i rumori che Plagg faceva, mentre apriva la scatola di formaggio.
Il bussare alla porta lo fece issare su, pochi secondi prima che suo padre entrasse nella stanza: Gabriel guardò il figlio, poi il kwami nero che mangiava tranquillo il suo formaggio: «Com’è andata la giornata?» domandò l’uomo, chiudendo la porta dietro di sé e raggiungendo il letto.
Adrien lo seguì con lo sguardo, mentre il genitore si sedeva sul materasso e rimaneva pazientemente in attesa: «Al solito, più o meno.» mormoròil giovane, allungando le gambe davanti a sé: «Oggi siamo andati a incontrare il maestro Fu, per chiedergli qualcosa sul nemico di ieri sera e a quanto pare c’è tale Coeur Noir che vuole avere i Miraculous. Strano, vero? Questa mania di volere i Miraculous.»
«Il potere assoluto fa sempre gola.»
«Dovresti stare attento anche tu.» borbottò Adrien, passandosi una mano fra i capelli e portandosi indietro la frangia bionda: «Possiedi un Miraculous.»
«Non è un problema che ti riguarda.»
«Certo, che è un problema che mi riguarda.» sbottò Adrien, alzandosi in piedi e camminando stizzito verso la finestra: «Non sei intoccabile. Dovresti saperlo, ma ovviamente sia mai che ascolti qualcuno all’infuori di te.»
Gabriel abbozzò un sorriso, prendendo un fazzoletto dalla tasca della giacca: «Non ero venuto qui per litigare.» spiegò, togliendosi gli occhiali e iniziando a pulire le lenti: «Ma prometto che starò attento.»
«Ecco, bravo.» Adrien annuì, ritornando alla scrivania: «Se volevi sapere come ha preso Marinette l’invito…» si fermò, sorridendo al ricordo della ragazza: «Beh, direi che era felice. Felicissima.»
«Me lo ha detto Nathalie.»
«E allora perché sei qui?»
«Volevo parlare di te.» dichiarò Gabriel, rimettendosi gli occhiali: «Sei all’ultimo anno delle superiori, hai deciso cosa fare?»
Adrien fissò il genitore, poggiandosi contro la schiena della poltrona: «Ma come? Non hai già pianificato tutta la mia vita?»
«Dimostro di voler così tanto controllo?»
«Mi hai tenuto in casa finché non ho avuto i poteri di Plagg per fuggire…»
«Giusto. Bene. Hai ragione, ho avuto qualche problema con la gestione del controllo.»
«Solo quale? Vogliamo parlare anche della sicurezza di questa casa?»
«Parecchi problemi.»
«Adesso va bene.» sentenziò Adrien, sorridendo soddisfatto: «Riguardo alla tua domanda.» si fermò alzando le spalle: «Sono già Chat Noir, no?»
Suo padre rimase in silenzio per qualche secondo, poi si alzò: «Spero che sia uno dei tuoi scherzi.» dichiarò, voltandosi verso la porta e raggiungendola in pochi passi: «E che non sia l’unica carriera lavorativa che hai preso in considerazione.» concluse, girando la maniglia e uscendo dalla stanza.
«Sbaglio o qualcuno è appena stato rimproverato?» domandò Plagg, ingoiando l’ultimo pezzetto del formaggio.
Adrien sospirò, alzandosi e gettandosi sul letto: che cosa voleva adesso? Dopo aver pianificato la sua vita per così tanto tempo, adesso se ne usciva con quella domanda? Aveva pensato che suo padre avesse dei progetti per lui, che dovesse solo seguire la strada che gli indicava e tutto sarebbe andato bene.
Si girò sulla schiena, osservando il soffitto della camera, mentre allungava una mano verso il comodino e prendeva il cellulare: cercare il numero di Marinette e avviare la chiamata fu un gesto automatico.
«Adrien?» domandò la ragazza, non appena rispose: «E’ successo qualcosa?»
«No.»
La sentì sospirare: «Ti prego, stasera non potrei davvero sopportare i tuoi giochi di parole.»
«Troppe emozioni nella stessa giornata, my lady?»
«Sì. Quello che ci ha detto il maestro Fu, l’invito di tuo padre…»
«Ti stai dimenticando di Alya che vorrebbe stuprarmi quando sono Chat Noir.»
«Giusto, come potevo dimenticarlo?» la sentì ridacchiare all’altro capo.
«Che stai facendo?» le domandò, mentre si accomodava meglio sul letto.
«Niente!»
«Mh. Voce acuta, risposta veloce. Qualcuno sta nascondendo qualcosa.»
«Assolutamente niente.»
«Mh.»
«Non stavo assolutamente guardando riviste con delle tue foto!»
Adrien scoppiò a ridere, scuotendo il capo: «Mi spieghi perché devi sbavare sulle riviste quando puoi avere l’originale?»
«Forza dell’abitudine?» borbottò la ragazza: «E non stavo sbavando!»
«Certo, certo.»
«E’ successo qualcosa?» gli domandò nuovamente Marinette, dopo qualche secondo di silenzio: sicuramente la sua mente era al lavoro, pensando quali possibili cause avevano portato a quella chiamata.
«Volevo solo sentire la tua voce.»
«Ah. Perché?»
«Mh. Per ricaricarmi.» risposte tranquillo, socchiudendo gli occhi: «Anche se mi ricarico a modo solo quando ti abbraccio o ti bacio.» le spiegò velocemente, sentendola balbettare una risposta senza senso e rimase ad ascoltare quelle frasi senza senso, sorridendo divertito.
«Marinette?»
«S-sì?»
«Ti amo.»
Silenzio.
Troppo silenzio.
«Marinette?»
«Ehm, Adrien?» la voce di Tikki gli arrivò attraverso il telefono: «Marinette, ecco…come dire? E’ rossa. Tanto rossa in volto e sta balbettando tantissimo.»
Il ragazzo rise, scuotendo il capo: «Te la lascio, Tikki.»
«Va bene, ci penso io! Buonanotte. Adrien. E salutami anche il formaggio-dipendente.»
Il biondo chiuse la chiamata, alzando lo sguardo verso Plagg che aveva finito di mangiare e lo guardava interessato: «A cosa ho appena assistito? Vero amore?»
«Ti saluta Tikki.»
«Oh.» mormorò il kwami, abbassando lo sguardo e grattandosi la testa, con fare imbarazzato, facendo sorridere il ragazzo: «Beh, buona notte Adrien.»
«Notte, Plagg.» Adrien l’osservò volare fino al suo giaciglio e acciambellarsi come un gatto, mentre lui si alzava e scostava le coperte: il suo cellulare vibrò e, mentre andava a premere l’interruttore della luce, dette un’occhiata ai messaggi appena arrivati.

Ti amo anch’io.
Scusa se non riesco mai a dirlo.


«Sono un’idiota.»
«Su, Marinette.» mormorò Tikki, cercando di intrufolarsi sotto al cuscino, che la ragazza teneva sulla testa: «Adrien sa come sai fatta.»
«Non fate altro che dirmelo tutti: “Adrien sa come fatta”, “Adrien sa”…» borbottò Marinette, mettendosi seduta e osservando imbronciata la kwami: «Questo però non vuol dire che io non sia idiota.»
«Marinette!»
«Sì, lo so. Lo so. Dovrei essere più sicura di me.» sospirò la ragazza, prendendo un cuscino e stringendolo al petto: «Solo che non ci riesco, soprattutto quando parla di certe cose o mi dice…mi dice…» si bloccò, mentre il volto le diventò nuovamente rosso.
«Beh, pensa che è lo stesso ragazzo che hai rifiutato per parecchio tempo.» La ragazza gemette frustrata, nascondendo il volto contro il guanciale e attutendo così i gemiti: «Forse questo non devo dirlo.» mormorò la kwami, sospirando: «Marinette?»
«Uccidimi, Tikki.»
«Non posso.» ridacchiò la kwami, avvicinandosi alla ragazza e strusciandosi contro di lei: «E comunque non fai solo figure idiote con lui! Pensa a quanto sei cambiata, da quando non riuscivi neanche a parlargli: adesso state insieme, riesci a parlarci e scherzarci. Certo, alle volte la tua timidezza prende il sopravvento, ma è normale!»
Marinette si voltò, abbozzando un sorriso: «Grazie, Tikki.»


Chat sbadigliò, mentre camminava sul cornicione e osservava il golem, che si divertiva a lanciare vetture: «Dovrebbero creare la legge che i supercattivi non possono attaccare alle quattro di mattina.» bofonchiò, poggiandosi contro un comignolo e osservando il nemico: «Seriamente, ma non poteva rimanere a letto?»
Ladybug atterrò vicino a lui, allungando una mano e accarezzandogli la testa bionda: «Mai sentito dire che il male non dorme mai?» gli domandò, facendogli l’occhiolino: «Come mai così stanco, mon minou? Hai dormito male?»
«Beh, se qualcuno evitasse di mandare dichiarazioni d’amore, io mi riposerei tranquillamente.»
Ladybug rise, scuotendo il capo corvino: «Povero, gattino.»
«Mi sento preso in giro.» bofonchiò Chat, mettendo mano al bastone e ruotandolo: «Andiamo a sistemare quel cattivone? Sappi che dovrà morire fra atroci tormenti.»
La ragazza annuì, prendendo lo yo-yo e lanciandolo contro il comignolo della casa davanti a quella dove si erano fermati: «Vorrà dire che ti porterò un po’ di croissant a scuola.»
«Ehi, è un promessa!» esclamò Chat, balzando in avanti e usando il bastone per arrivare sul tetto opposto.
«Allora, secondo te dov’è il cristallo nero?» domandò Ladybug, saltando su un altro tetto e raggiungendo il golem, che aveva iniziato a colpire un pullman.
«Bella domanda. Quel coso è fatto tutto di pietra, mi ricorda Ivan quando era Coeur de pierre.» bofonchiò Chat, accucciandosi e studiando l’avversario: «Provo a distruggerlo con il mio cataclisma? Magari è all’interno come con il bestione di ghiaccio.»
«Tentiamo.»
Chat annuì, balzando giù e attivando il proprio potere speciale, correndo poi verso il golem e, schivando una macchina che gli era stata lanciata contro, toccando il nemico, riducendolo in mille pezzi: «Ehi, ce l’ho fatta!» esclamò contento l’eroe, voltandosi verso l’alto e facendo il segno della vittoria.
Ladybug gioì ma il sorriso si spense, quando vide le pietre riunirsi nuovamente e creare due golem: «Chat, attento!»
«Cosa? Ehi, ma così non vale!» dichiarò, indicando i due bestioni di pietra e schivando l’attacco del primo: «My lady, che ne dici di vedere qual è l’oggetto fortunato della giornata?» domandò, ritornando al sicuro sul tetto e osservando i due golem che alzavano i pugni contro di lui.
La ragazza annuì, lanciando in aria lo yo-yo e osservando materializzarsi una corda elastica: «Oh. Bene.» borbottò Chat, incrociando le braccia: «Ora spiegami come sconfiggiamo due golem di pietra con questo, per favore. Sono curioso.»
«Fammi pensare…» mormorò Ladybug, iniziando a guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa.
«Mai una volta che si materializzasse un carro armato o un bazooka.»
«Chat!»
«Sto zitto. Ho capito.»
La ragazza inspirò profondamente, finché non iniziò a formarsi un piano nella sua mente e, dopo averlo spiegato al compagno, saltò giù e legò un capo della corda a una vettura e poi, mentre Chat li distraeva, la fece girare attorno ai due golem, facendo sì che si scontrassero fra di loro e si distruggessero: «Il cristallo nero! Prima che si moltiplichino ancora.» esclamò il ragazzo, indicando la pietra nera, che la ragazza distrusse con il proprio yo-yo.
Infine, Ladybug lanciò il lucky charm e tutto tornò alla normalità: «Ora, come la seguirò la lezione di matematica oggi?» domandò Chat, sbadigliando e avvicinandosi alla ragazza: «Ripeto: dovrebbero fare una legge.»
«Beh, puoi dormire un altro po’ appena tornato a casa.»
«Vorresti farmi compagnia, my lady?»
«Sarebbe un po’ difficile spiegare ai miei perché non sono nel mio letto, non credi?»
Chat alzò le spalle, prendendole la mano e portandosela alle labbra: «Potrei venire io nel tuo letto, allora.» dichiarò, passandole un braccio attorno alla vita e tirandola verso di sé: «Che ne pensi, my lady?»
Ladybug sorrise, alzandosi sulla punta dei piedi e avvicinando il proprio viso a quello del giovane: «Penso…» momorò, facendogli l’occhiolino e sfuggendo alla sua presa: «…che tu dovresti andare a dormire. Non so se ricordi, ma abbiamo anche fisica oggi.»
Il ragazzo sbuffò, alzando gli occhi al cielo: «Sai sempre come ferirmi, my lady.»
«Povero piccolo micetto.» mormorò Ladybug, saltellando verso di lui e baciandolo velocemente: «Ci vediamo dopo, Chat.» esclamò, sfuggendo nuovamente quando cercò di abbracciarla e lanciando il suo yo-yo verso il comignolo, saltando per aria e sparendo dietro l’edificio.
Chat sorrise, leccandosi le labbra e balzando sul tetto, nella stessa direzione in cui era sparita la sua signora, seguendola fino a casa e balzando sul terrazzino, nello stesso momento in cui la trasformazione si scioglieva: «Devi dirmi qualcosa? Ti sei lamentato finora che avevi poco tempo per dormire.» domandò Ladybug, incrociando le braccia e osservandolo rialzarsi, mentre Plagg planava sulla sdraio esausto.
Già. Perché l’aveva seguita?
Doveva smetterla di farsi prendere dall’istinto…
Affondò le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta, che usava come pigiama, e abbozzò un sorriso: «Ho parlato con mio padre stasera, cioè ieri sera.» dichiarò, mettendosi seduto per terra, poggiando i gomiti sulle ginocchia e osservandola dal basso: «Ha voluto sapere cosa avevo in mente di fare della mia vita.»
«Adrien…»
«Ed io non ho saputo rispondergli.» continuò, abbassando lo sguardo e guardandosi le mani: «Ho sempre pensato che avrei dovuto seguire la strada che mi era stata imposta da lui e adesso…» si fermò, osservando la ragazza inginocchiarsi davanti a lui e prendergli una mano fra le sue: il beep-beep degli orecchini lo avvertì che la trasformazione di Ladybug era agli sgoccioli.
Abbassò lo sguardo, osservando il riverbero della luce della trasformazione che si scioglieva: «Alle volte t’invidio, Marinette.» dichiarò, alzando lo sguardo e incontrando il volto senza maschera della ragazza: «Tu sai cosa fare della tua vita, hai già deciso da parecchio tempo. Io…»
Marinette strinse la sua mano, sorridendo lieve: «Troverai…» si bloccò, scuotendo il capo e facendo ondeggiare le ciocche scure: «Troveremo la tua strada. Io ricevo sempre così tanto da te, stavolta sarò io a dare. Lasciami aiutarti.» allungò la mano libera, carezzandogli la guancia: «Fidati di me.»
Adrien liberò la mano, facendo scivolare le braccia attorno alla vita della giovane e attirandola verso di sé, socchiudendo gli occhi e ascoltando il respiro leggermente affannato: «Mi sono sempre fidato di te.» mormorò, respirando profondamente e sentendo il tocco delicato delle dita di Marinette fra i capelli.
Plagg sospirò, osservando i due giovani abbracciati, e scosse il capo: «Vorrei dire qualcosa sul fatto che nessuno mi ha dato del formaggio, ma penso non sia il momento.» dichiarò, voltandosi verso la sua compagna e vedendola annuire soddisfatta.


«Ti vedo assonnato.» constatò Gabriel, alzando gli occhi dal tablet e fissando il figlio che girava il caffè e tratteneva l’ennesimo sbadiglio.
«Succede se un golem impazzito, decide di fare un po’ di casino alle quattro di mattina.» borbottò Adrien, prendendosi il setto nasale tra l’indice e il pollice: fra lo scontro, il discorso con Marinette e il ritorno a casa, praticamente non aveva più toccato il letto: «Tu almeno avevi orari decenti.»
Il padre sbuffò, scuotendo il capo: «Stavo pensando…» iniziò, mettendo da parte l’apparecchio e congiungendo le mani davanti a sé: «Di riportare il Miraculous di Nooroo a Fu.»
«E perché?»
«In questo modo potrebbe trovare un proprietario migliore di me.» sentenziò l’uomo, accarezzandosi la spilla che teneva alla cravatta: «Ne ho parlato con Nooroo, ieri sera.»
«E che ne pensa?»
«Non è d’accordo.»
Adrien sorrise, portandosi la tazzina alle labbra e bevendo il caffè, sperando che l’aiutasse a svegliarsi: «E se finisse in mani peggiori delle tue?» domandò, guardando il padre: «Preferirei sapere il Miraculous con te, piuttosto che preoccuparmi di chi potrebbe usarlo.»
«Adrien.»
«Sì?»
«Vorrei fare qualcosa per aiutarvi, tu e Ladybug.»
Il ragazzo annuì, posando la tazza: «Tieni al sicuro Nooroo, allora. Se questo fantomatico Coeur Noir vuole i Miraculous, fa sì che non trovi il tuo.» dichiarò, alzandosi dal tavolo: «E ora, se vuoi scusarmi, una certa coccinellina mi ha promesso dei croissants!»


«Io non sono d’accordo e anche Adrien.»
«Lo so.»
«E allora perché siamo qui?»
L’uomo non rispose, facendo scivolare lo sguardo dal kwami alla porta che si apriva: «Fu.»
L’anziano sorrise, annuendo tranquillamente: «Aspettavo una vostra visita.» dichiarò, facendosi da parte e invitandoli a entrare: «Nooroo. Papillon.»

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.456 (Fidipù)
Note: Eh già. Sono di nuovo qua a molestarvi con un nuovo capitolo: era pronto e ho già iniziato a scrivere il successivo, quindi perché lasciarlo a prendere polvere, mi son detta. Chiedo scusa se questo capitolo vi sembrerà caotico perché è nato come un insieme di tante piccole scene, che dicono qualcosina e danno il via a ciò che succederà da ora in poi (o, almeno, questo è il progetto che ho in mente e che sto provando a realizzare!). Come sempre un grazie a tutti coloro che mi recensiscono e mi danno una loro opinione qui, su facebook, dappertutto! Grazie davvero di tutto cuore! Grazie anche a chi legge e a chi inserisce la storia in una delle liste: fatevi sentire, non mangio. Se sono a pancia piena, ovviamente!



«Devo essere sincero…» iniziò Fu, osservando l’uomo sedersi davanti a lui: «Non mi aspettavo una tua visita.»
Gabriel annuì, portando una mano alla tasca della giacca e tirando fuori la scatola nera che, molti anni prima, aveva trovato sulla sua scrivania: «Sono venuto per restituirle questo.» dichiarò, aprendola e mostrando la spilla all’interno, spingendo poi il contenitore verso l’anziano: Fu fece vagare lo sguardo sulla piccola scatola di legno nero e poi sull’uomo, rimanendo immobile: «Mio figlio mi ha spiegato a grandi linee cosa sta succedendo.»
«E pensi che rendermi il Miraculous della Farfalla possa servire?»
Gabriel annuì, mantenendo lo sguardo in quello dell’anziano: «Potrebbe trovare un possessore migliore di me, come fece per quello di mia moglie.»
Fu annuì, alzandosi in piedi e andando davanti il grammofono che, grazie a un delicato meccanismo, proteggeva lo scrigno dei Miraculous: «Trovare un nuovo possessore, dici?» domandò, accarezzando l’oggetto e abbassando il capo: «Non posso farlo, Gabriel. Oltretutto, possiedo già il Miraculous della Tartaruga. E’ pericoloso per me, anzi no, per tutti che io ne abbia due, proprio per questo, dopo la tua sconfitta, ho fatto in modo di trovare le persone giuste per gli altri Miraculous.»
«Potrebbe cercare un’altra persona…»
«La persona giusta, per questo tempo, sei tu. La persona che merita di possedere questo Miraculous adesso è seduta davanti a me.»
«Io non posso.»
«Gabriel Agreste, capisco che ciò che è successo in passato ti faccia sentire in colpa e indegno…» si fermò, scuotendo il capo: «Ma sei tu il possessore di quel Miraculous. Solo tu.» Fu si voltò, abbozzando un sorriso: «Proteggi Nooroo e aiuta Ladybug e tuo figlio. Questo è il modo in cui puoi redimerti, Papillon: non scappare, ma affronta.»


Strinse la borsa che teneva in grembo, osservando la porta della preside della scuola: l’aveva incontrata non appena era arrivata e lo sguardo austero e freddo l’aveva fatta rabbrividire, mentre le indicava una delle sedie poste fuori dalla sua porta, quasi a ordinarle di attendere lì.
Forza. Puoi farcela.
Non è niente di che.
Devi solo entrare, sistemare i moduli del trasferimento e il gioco è fatto.
Ce la puoi fare ad affrontare il drago. Anzi no: la draghessa!

Inspirò a fondo, maledicendosi per tutto quel caos che aveva creato nella sua vita: perché starsene tranquilla in America, quando invece poteva andare a Parigi e segnarsi in un liceo? Soprattutto, l’ultimo anno.
«Ricordalo, lo fai per un bene superiore…» mormorò a se stessa, inspirando profondamente e rilasciando andare l’aria: sarebbe andato tutto bene, si ripeté nuovamente dentro di sé, e faceva tutto ciò per un qualcosa d’importante.
Un ragazzo entrò nella segreteria, osservandola e sorridendo leggermente.
Perché quel tipo doveva sorriderle?
Che voleva da lei? Stava solo aspettando la draghessa!
Quasi come se si fosse sentita tirare in ballo, la preside aprì la porta e osservò un attimo il giovane: «Monsieur Baudin, la prego di svolgere alla svelta ciò che l’ha portata qui.» dichiarò, trattenendo lo sguardo sul ragazzo che annuì velocemente con la testa; poi la draghessa spostò l’attenzione su di lei: «Madamoiselle Sarah Davis?» domandò, leggendo uno dei due fogli che teneva in mano.
«Sono io.»
Il rumore di passi affrettati la fece voltare verso l’entrata, giusto in tempo per vedere una ragazza poggiarsi contro l’uscio e respirare affannosamente: «E Madamoiselle Lila Rossi, immagino.» continuò la draghessa, leggendo il secondo foglio e guardando male la nuova arrivata.


«Pegno per il mio gattino preferito.» esclamò Marinette, posando sul banco di Adrien un sacchetto marrone; osservò divertita lo sguardo verde illuminarsi, mentre le dita si muovevano agili sulla busta e aprivano i lembi: «Non dovrei essere il tuo unico gattino?» le domandò il ragazzo, sorridendo divertito, mentre inspirava profondamente il profumo dei dolci.
Marinette ridacchiò, posando la borsa sul banco: «Ovviamente. Sei il mio gatto signore e padrone.»
«Questa mi piace.» sentenziò Adrien, osservando l’interno del sacchetto: «Vedi che se vuoi riesci a provarci con me senza tirar fuori lingue aliene?»
«Co-cosa? I-Io non stavo…»
«Certo, certo.» la liquidò velocemente Adrien, alzando gli occhi al cielo e poi concentrandosi solo sulle brioche: «Ciao, tesorini miei!»
«La tua passione per i croissant inizia a diventare inquietante.»
«Zitta.»
«D’accordo, d’accordo.» sbuffò la ragazza, scivolando nel posto accanto a quello del ragazzo e iniziando a tirare fuori il tablet e i libri: «Quando avrai finito il tuo rendez-vous amoroso con le brioche, vuoi parlare di quella cosa che mi hai accennato ieri sera?»
Adrien annuì, mandando giù il boccone: «Stavo pensando di andare in aula informatica dopo le lezioni e studiare un po’ i siti delle università.» dichiarò addentando nuovamente il dolce e divorandolo in poco tempo: «Volevo…mh. Non so. Fare una prima selezione?»
«Hai almeno in mente un indirizzo?»
«Ehm. No.»
«Qualcosa che non vorresti mai fare?»
«Il medico e qualsiasi indirizzo sanitario.» affermò subito Adrien, prendendo una seconda brioche dal sacchetto: «Sinceramente non mi vedo molto bene con il camice e, comunque, non sarebbe un lavoro adatto a me.»
«Io con il camice ti vedrei benissimo invece.» sospirò Marinette, mentre la sua mente iniziava a imbastire un film mentale con Adrien medico e protagonista.
Adrien ridacchiò, scivolando sulla panca e avvicinando le labbra all’orecchio della ragazza: «Sai, per essere una che s’imbarazza subito, hai una mente molto perversa, coccinellina.» attese, osservando le guance della ragazza diventare prima di un tenue rosa e poi, passando attraverso le varie gradazioni, arrivare a un acceso rosso.
«Tu. Tu…»
«Io. Io…»
«Ragazzi!» la voce di Alya li interruppe, facendoli voltare entrambi verso la porta dell’aula: la ragazza entrò trafelata, con il cellulare alla mano e lo sguardo acceso, lo stesso sguardo che aveva quando raccoglieva uno scoop o una nuova notizia: «Non sapete cosa ho scoperto.»
«Le vere identità di Chat Noir e Ladybug?» domandò Adrien, rimediandosi una leggera gomitata dalla ragazza seduta al suo fianco.
«E’ Ladybug e Chat Noir.» lo riprese subito quest’ultima, facendolo sorride.
«Due nuove alunne. Del nostro stesso anno. In classe nostra.»
«Non mi piacciono le nuove alunne.» sbuffò Marinette, poggiando il viso contro il banco mentre la sua mente navigava nei ricordi, tornando a un’altra nuova alunna con cui aveva avuto a che fare.
Pessimi ricordi.
Adrien sorrise, prendendole una mano e stringendola delicamente, tornando a dedicare attenzione ad Alya: «Sai niente di queste ragazze, grande giornalista?»
«Poco.» dichiarò la ragazza, armeggiando con il cellulare: «Una è americana e l’altra italiana.» dichiarò, venendo accompagna dal gemito strozzato di Marinette.
Aveva problemi con le nuove alunne italiane.


Sarah osservò la ragazza che camminava davanti a lei: alta e slanciata, pelle abbronzata, lunghi capelli scuri che danzavano a ogni passo.
In una parola: meravigliosa.
Strinse la cinghia della sua borsa, accelerando il passo e affiancandola: «Non ci siamo presentate, sono Sarah.» dichiarò, abbozzando un sorriso e notando lo sguardo verde dell’altra scivolare su di lei: «Direi di fare fronte comune, visto che siamo entrambe nuove.»
«Perché no?» dichiarò la mora, allungando una mano verso Sarah: «Lila.»
Sarah ricambiò la stretta, sorridendo: «Vogliamo aprire le danze?» domandò, indicando la porta aperta dell’aula che la preside – ormai nota come draghessa per Sarah – aveva detto loro; entrarono insieme e la prima cosa che Sarah notò fu i tre al primo banco: un ragazzo, bello come il sole, che teneva la mano a una ragazza dai tratti orientali e, infine, una seconda ragazza dalla carnagione scura; continuò a ispezionare il resto poi degli studenti, notando che di posti liberi ce n’erano pochi e separati.
Sentì Lila irrigidirsi al suo fianco e Sarah notò che fissava i tre in prima fila: «Vado in quel posto laggiù.» dichiarò, marciando spedita verso un posto vuoto verso la fine dell’aula, senza voltarsi neanche un attimo, seguita dallo sguardo dei tre che avevano attirato la sua attenzione appena entrata.
Era come…
Era come se Lila li conoscesse.
Non sono affari tuoi, Sarah.
Sarah abbozzò un sorriso e si avvicinò ai tre, vedendo la ragazza mora voltarsi verso il giovane seduto accanto e fissarlo preoccupata.
Ok, c’era qualcosa sotto.
E tu devi ignorare tutto.
Non sono affari tuoi. Fine.

«E’ occupato quello?» chiese, indicando il banco accanto al loro, ancora vuoto.
«Se vuoi essere masticata e digerita da Chloe Bourgeois no, fai pure.» dichiarò la ragazza orientale, portando lo sguardo su di lei e sorridendole dolcemente.
«Marinette…» la riprese il ragazzo, scuotendo la testa e abbozzando un sorriso.
«Ehi, è vero!» esclamò Marinette, voltandosi verso di lui e fissandolo imbronciata: «Se vuoi il posto accanto ad Alya è libero.»
«Questo perché la mia migliore amica preferisce sedersi accanto al suo ragazzo.» sentenziò l’altra ragazza che, fino a quel momento era stata in silenzio: «Sono Alya, mentre questi due innamorati qua si chiamano Marinette e Adrien.»
«Sono Sarah.»


Di nuovo quella visione.
Ogni tanto, quando utilizzava il suo potere, una scena si presentava davanti ai suoi occhi: lui, in piedi sulla cima di un palazzo, e circondato da altre cinque persone.
Altri cinque portatori di Miraculous: Ladybug, Chat Noir, Papillon, l’apetta e altri due che non conosceva. Per il momento.
Parigi era distrutta, i monumenti che la caratterizzavano, erano solo un pallido ricordo.
L’ultima grande battaglia.
La visione sfumò, come un sogno alla luce del sole, e il suo Miraculous iniziò il lento conto alla rovescia.
Si adagiò sulla poltrona, attendendo che i cinque minuti passassero velocemente e ripensò allo scontro che aveva osservato quella mattina: prima il colosso di ghiaccio, poi i golem di pietra…
L’apetta.
Stavano succedendo troppe cose strane a Parigi, ultimamente.
Non che gliene importasse poi molto, ma avrebbe preferito non trovarsi sulla linea di fuoco nel caso e, proprio per questo, quella mattina aveva deciso di usare il potere del Miraculous del Pavone e dare un’occhiata al futuro.
Bella cosa avere il potere delle visioni.
I cinque minuti passarono e la trasformazione si sciolse: abbozzò un sorriso, osservando Flaffy che planò dolcemente sul divano, guardandolo male: «Non dovresti usare i tuoi poteri così alla leggera.» sentenziò il kwami, scuotendo le piume della coda e avvicinandosi alla scatola di cioccolatini: «Hai anche saltato la scuola, stamattina.»
«Dovevo verificare una cosa.»
Flaffy scartò un cioccolatino, osservandolo serio: «Sai che dovresti usare il potere del Miraculous per un bene superiore.» Lo riprese, come ogni volta che si trasformava e non faceva qualcosa di buono, qualcosa come Chat Noir. O come Adrien Agreste.
Sinceramente non sapeva chi dei due trovava più rivoltante: l’eroe mascherato o il ragazzo perfettino?
Sbuffò, scuotendo il capo e osservando il kwami che s’ingozzava di cioccolato: «Ancora quella visione?» gli domandò Flaffy, volandogli davanti il viso con un cioccolatino fra le zampette.
«Sì.»
Il kwami annuì, addentando la cioccolata: «Non hai mai pensato che quello forse è il tuo destino, Rafael?»


«Vuoi andare subito in aula informatica?» domandò Marinette, riponendo il tablet e il libro dell’ultima lezione nella borsa; si voltò verso Adrien, osservandolo annuire mentre faceva altrettanto: «Oppure preferisci…»
«Priorità, coccinellina.» dichiarò il ragazzo, facendole l’occhiolino: «Anche se…» si fermò, massaggiandosi lo stomaco: «E se andiamo a mangiare qualcosa e controlliamo i siti dal tablet?»
«Tu pensi con lo stomaco.»
«E anche con qualcos’altro, fidati.»
Marinette sospirò, alzandosi e scuotendo il capo: «Come preferisce il mio gatto signore e padrone, allora.»
«Brava coccinella.»
«Marinette…»
La voce di Lila fermò la ragazza, che si voltò e incontrò lo sguardo della sua vecchia nemica giurata: Lila, nota a lei anche come Volpina.
La persona akumatizzata che, sia per Ladybug che per Marinette, era stata una rivale ostica: «Lila.» mormorò, non sapendo cosa volesse da lei.
Lo sguardo chiaro della ragazza rimase fermo in quello di Marinette, mentre le labbra si curvarono in un sorriso appena abbozzato: «Vorrei parlare con te.»
Parlare? Perché voleva parlare con lei?
Marinette si morse il labbro inferiore, stringendo il laccio della borsa, non sapendo cosa dire: doveva accettare? Oppure rifiutare? Cosa doveva fare?
Adrien le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla e facendole capire, con quel gesto, che l’avrebbe supportata qualsiasi decisione prendesse: avrebbe voluto voltarsi, abbracciarlo e baciarlo, ma invece rimase immobile, continuando a fissare la sua vecchia rivale.
«Da sola.»
«Se vuoi posso rimanere.» mormorò Adrien, ignorando le ultime due parole dell’italiana.
Non voleva lasciarla da sola, voleva essere al suo fianco.
Marinette portò una mano sopra quella che le stringeva la spalla, negando poi con la testa: «Hai qualcosa da fare, no? Ed è importante.» dichiarò, voltandosi e sorridendogli: «Vai a controllare quei siti, davvero. E’ una cosa che posso…» si fermò, scuotendo il capo: «Che devo fare da sola.»
Adrien rimase fermo, annuendo dopo un po’ con la testa, spostò lo sguardo sull’altra ragazza e poi su Marinette: «Chiamami appena finisci.» le ordinò, baciandole poi la fronte e regalandole un breve abbraccio, recuperando le sue cose e uscendo dall’aula.
«State insieme.» commentò Lila, stringendo la cinghia della borsa: «Da quanto?»
«Mh. Quattro anni.»
«Quindi da…»
«Sì.»
«Sa che tu sei…»
Già. Lila sapeva le loro identità.
«Sì, ed io so chi è lui.»
«Bene.»
«Bene.»
L’italiana sospirò, abbozzando un sorriso: «Andiamo a parlare da qualche parte? Vorrei prendere un caffè, se non ti dispiace.»
«D’accordo.»


Wayzz osservò l’anziano uomo che, seduto con le gambe incrociate al centro della stuoia, stava meditando: «Perché non ha accettato il Miraculous della Farfalla, maestro?» domandò il kwami, rimanendo immobile sul tavolino basso: «Oltretutto non ha detto tutto ciò che sa: né a Ladybug e Chat Noir, né a Papillon.»
Fu aprì lentamente una palpebra, fissando l’esserino magico e poi sospirò profondamente: «Raccontare loro tutta quella storia…» si fermò, scuotendo il capo e sciogliendo le gambe dall’intreccio: «Non potevo farlo, Wayzz.»
«Ma così…»
«Così combatteranno Coeur Noir senza farsi troppi problemi, oltretutto è una storia vecchia e non c’è bisogno di rispolverarla.»
«Mi perdoni se la contraddico, maestro, ma non è una storia vecchia e poi Coeur Noir era…»
«Wayzz, non una parola di più.»
Il kwami mantenne lo sguardo dell’anziano, chinando poi il capo: «Come vuole lei, maestro.»
Fu annuì, osservando Wayzz volare fino al suo nascondiglio nel grammofono, mentre carezzava il bracciale che teneva al polso destro: doveva prendere un’altra decisione, un’altra che Wayzz non avrebbe sicuramente compreso né accettato.


Non farlo.
Quelle due parole risuonavano dentro di lei, mentre si avviava verso il suo nemico.
Poteva sentire il grido disperato del suo amato.
Poteva vedere i corpi dei suoi compagni.
Poteva vedere il suo nemico.
Poi il nulla.
Poi il male.
Si svegliò, con le spire del sogno che ancora non la lasciavano andare: si mosse nel letto, sentendo la seta del lenzuolo contro la pelle nuda.
Si alzò, indossando la vestaglia abbandonata ai piedi del letto e avvicinandosi al tavolino, ove era già stata sistemata una bottiglia di vino e un calice: verso il liquido cremisi e rimase a osservarlo, mentre faceva scorrere l’indice sul petto all’altezza del cuore.
I Miraculous.
Ne aveva bisogno.
Doveva averli tutti.
Dovevano essere suoi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.233 (Fidipù)
Note: Quando ho iniziato questa storia, non pensavo che avrei scritto così spesso dal punto di vista di Adrien: di solito mi sento più affine con i personaggi femminili, piuttosto che con quelli maschili ma Adrien/Chat...beh, ha la mia stessa scemenza e quindi mi risulta facile scrivere. E adesso: Lila! Ora, io sono una sostenitrice della teoria che le persone possono cambiare (in meglio o in peggio), ma possono cambiare e, quindi, Lila è diventata quel che è diventata; Marinette sta acquistando coraggio (scusate se vi ammorbo con un'altra dichiarazione, ma è importante per Marinette) e...basta. Credo. Ancora una volta grazie a tutti voi che leggete, commentate, sostenete in qualche modo questo storia!



Plagg guardò le due ragazze che camminavano tranquille, a pochi metri di distanza, e poi il ragazzo che le seguiva: «Mh. Se non erro le avevi detto…» iniziò, spostando di nuovo lo sguardo sulla ragazza più bassa.
Adrien sospirò, alzando gli occhi al cielo: «Lo so cosa le avevo detto.» borbottò, osservandole girare l’angolo della strada: «Ma non mi sento sicuro a lasciarla da sola con Lila.»
«Se ci scopre, ti ucciderà.» decretò Plagg, calcando le ultime due parole e poggiandosi sulla spalla del ragazzo, sbadigliando: «Sarà una seccatura dover trovare un nuovo partner.»
«Se mi scopre, sarà…» Adrien si bloccò, massaggiandosi la bocca: «…estasiata dal mio senso di protezione. Ecco.»
«L’importante è che tu ci creda.» sentenziò il kwami, mettendosi seduto: «Ho fame. Voglio del camembert!»
«Ma non hai fatto nulla!»
«Sto facendo la voce della tua ragione, è un lavoro faticoso!»
«Se tu sei la voce della mia ragione, sono messo veramente male.»
«Colgo un velato insulto nelle tue parole.»
«Non è tanto velato.»
Plagg sbadigliò nuovamente, voltando il musetto e osservando l’enorme edificio alla loro sinistra: «Cos’è quello?» domandò, attendendo paziente; quando si accorse di non ricevere nessuna risposta, si attaccò alle ciocche bionde, facendo voltare a forza il volto all’umano: «Cosa è quello?» chiese nuovamente, indicando la struttura.
Adrien osservò l’edificio che il kwami gli indicava: «Ah. E’ il Panthéon-Sorbonne.»
«E sarebbe?»
«Un polo universitario: ci sono il rettorato e gli uffici, se non sbaglio.»
«Andiamoci.»
«Ma Plagg, Marinette…»
«Marinette sa cavarsela da sola.» sentenziò il kwami, tirandolo nuovamente per i capelli: «E se scopre che non hai fatto quello che dovevi per seguirla, ti ucciderà.»
«Marinette non lo farebbe.»
«Andiamo là!» sentenziò il kwami, salendogli sulla testa e afferrandogli alcune ciocche: «Mh. Strano, in quel film che ho visto con Tikki funzionava.»
«Da quando in qua tu e Tikki vedete film? Insieme poi!»


«Ti chiedo scusa.» sospirò Marinette, osservando Plagg che costringeva Adrien ad andare verso il polo universitario: «Non avrei mai pensato che ci seguisse.»
Lila scosse il capo, poggiando una mano su un fianco e osservando anche lei il ragazzo che si allontanava: «Nessun problema, è stato divertente.» dichiarò, continuando a fissare la figura maschile: «Da piccolo era carino ma adesso è diventato da reato.» sentenziò, leccandosi le labbra e poi scoccando un’occhiata alla mora: «Inizi a preoccuparti, Marinette? Vuol dire che fra voi le cose non vanno benissimo.»
«N-no. Ce-certo che no.»
Lila sorrise convinta, indicando con un cenno del capo la direzione opposta: «Il locale che ti dicevo è da questa parte. E’ l’unico che fa un caffè abbastanza decente.»
Marinette annuì, seguendo la nemica fino al posto che diceva: lo stesso dove, di tanto in tanto, si fermava assieme ad Adrien, Alya e Nino dopo le lezioni: «Lo conosci?» le domandò Lila, voltandosi verso di lei: «Oppure preferisci andare lì?» indicò il McDonald nell’angolo: «Per me è indifferente.»
«No, va bene qui.» dichiarò Marinette, avvicinandosi ai tavoli esterni del locale: «Dentro o fuori?»
«Facciamo dentro?»
Marinette annuì e, raggiunta la porta, entrò nel locale: «Buongiorno!» li salutò la donna dietro al bancone, ritornando subito al lavoro; le due ragazze si sistemarono a un tavolo in angolo e rimasero in silenzio, finché la barista non venne da loro a prendere l’ordine.
«Immagino che il mio commento di poco fa ti abbiamo un po’ shockata.» mormorò Lila, giocherellando con il portasalviette del tavolo: «Così come il mio invito qua.»
«Un po’.»
Lila annuì, inclinando leggermente il capo: «In verità, volevo parlare con te. Per questo ti ho chiesto di venire qui.»
«Parlare con me?»
«Sì.» Lila inspirò profondamente, stringendo poi le labbra: «Quando ci siamo conosciute, io mi sono comportata male con te. Certo, neanche tu sei stata un angioletto e quindi…»
«Sì. Lo so.»
«Però, nonostante tutto quello che ti ho fatto passare, sia come me stessa che come Volpina, hai sempre cercato di salvarmi da Papillon…» si fermò, chinando la testa e poi rialzandola, incontrando lo sguardo celeste dell’altra: «Io sono sempre stata con i miei genitori, fin da piccola, e…beh, diciamo che non ho avuto una famiglia amorosa. I miei sono diplomatici e non sono mai stati genitori modello: ho imparato fin da piccola a crearmi un mondo tutto mio, dove le cose andassero come volevo io e…» si fermò, abbozzando un sorriso: «Beh, lo sai anche tu. Super Bugiarda, mi chiamavi.»
«Già.» Marinette sorrise, ricordando il nomignolo che le aveva affibbiato: «Scusami, io…»
«Non ti scusare, me lo ero più che meritato.» sentenziò Lila, bloccandosi quando la barista portò loro il caffè e il latte aromatizzato: «Comunque dopo quello che successe qua, sono andata a stare da mia nonna in Italia e ho avuto modo di ripensare a tutto: a come mi ero comportata e a quello che avevo fatto.» Lila si portò la tazza alle labbra, sorseggiando la bevanda scura: «Io volevo scusarmi. Con te. Scusarmi per ciò che sono stata e quello che ti ho fatto passare.»
«Lila…»
Sembrava sincera.
Posso fidarmi di lei?
Quante volte mi ha mentito in passato?

Marinette scosse il capo e abbozzò il sorriso: «Anche io devo scusarmi. Se fossi stata meno orgogliosa e meno gelosa, forse avremmo potuto avere un rapporto diverso.»
Lila ridacchiò: «In Italia si dice “non piangere mai sul latte versato”.» dichiarò, allungando la mano sul tavolo: «Amiche?»
La mora fissò mano che le veniva offerta e poi lo sguardo dell’altra: «Amiche.» sentenziò, stringendo la mano che gli era stata offerta.
Voleva fidarsi.
Forse sbagliava, ma qualcosa nello sguardo di Lila le dava la forza di fidarsi di lei.
Lila sorrise, sciogliendo la stretta e portandosi una mano al collo: «E se hai bisogno…» mormorò, mostrandole il ciondolo che teneva al collo: «Il mio kwami ed io saremo al tuo fianco.»
«Quella è…»
Lila sorrise, lasciando in bella mostra il Miraculous della Volpe: «Non è la collana che comprai quattro anni fa. Un giorno ho trovato una scatolina nera in camera mia e dentro…» si fermò, scostando un attimo il giacchetto e mostrandole il kwami arancio, che la salutò agitando una zampetta: «Beh, dentro c’era il Miraculous.»


Marinette sospirò, aprendo la porta di casa: «Va tutto bene?» le domandò Tikki, scivolando fuori dalla borsa e osservando l’umana: «Stai pensando a Lila?»
La ragazza annuì, togliendosi la giacca e appendendola al portasoprabiti: «Da una parte vorrei credere a quello che mi ha detto, ma dall’altra…» si fermò, scuotendo il capo: «…quante bugie ha detto in passato?»
«Se può aiutarti, il suo Miraculous è vero.»
«Ne sei sicura, Tikki?»
La kwami annuì con la testa, mentre Marinette prendeva il cellulare e chiamava Adrien: «Ma che…?»
«Che succede, Marinette?»
La ragazza chiuse la chiamata, scuotendo il capo: «E’ irraggiungibile.» spiegò alla kwami, iniziando a salire le scale, che portavano alla sua stanza: «‘Chiamami quando finisci’» scimmiottò la ragazza, aprendo la botola della sua stanza e issandosi su: «Certo, fosse raggiungibile lo far….»
Marinette urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, scivolando all’indietro e andando a sbattere contro il muro: «Marinette? Tutto ok?» le domandò Chat Noir, alzandosi dalla sedia dove l’aveva attesa pazientemente.
«Che ci fai qui?» strillò la ragazza, calciando l’aria e rialzandosi, fissando il ragazzo.
«Beh, volevo sapere com’è andata con Lila.»
«E devi entrare in camera mia senza permesso per saperlo?»
«Lo faccio sempre!»
«E se i miei ti avessero scoperto?»
«Tranquilla.» Chat le sorrise, poggiandole le mani sulle spalle e avvicinando il viso mascherato a quello della ragazza: «Non mi farei scoprire per così poco. Insomma, se mi faccio scoprire ora, quando inizieremo a fare…»
Marinette gli tappò la bocca con entrambe le mani, avvicinandosi e tenendo lo sguardo in quello verde: «Dì solo un’altra parola e ti portò dal veterinario per una sterilizzazione.»
«My lady…» farfugliò Chat, facendole l’occhiolino: «Ci rimetteresti solo tu.»
Un gemito frustrato uscì dalle labbra della ragazza, mentre poggiava la borsa per terra e osservava il giovane mascherato sdraiarsi sulla sua scrivania: «Ehm. Cosa dovrei fare? Ritrarti?» gli domandò, scuotendo il capo divertita.
«Ritraimi come le tue ragazze francesi.» dichiarò Chat, facendole l’occhiolino e sistemandosi meglio, imitando la posa di Kate Winslet in Titanic.
Marinette scosse il capo: «Non è che puoi trasformarti? Così possiamo fare un discorso serio.» gli chiese, cercando di non ridere e sedendosi sulla sedia girevole: tirò su le gambe e poggiò il mento sulle ginocchia, tenendo lo sguardo in quello verde del ragazzo.
Chat sorrise, mettendosi a sedere e facendo penzolare le gambe fuori dalla scrivania: «Sentiamo. Che ti ha detto Lila?»
«Vediamo: mi ha raccontato un po’ della sua infanzia e…» si fermò, inclinando il capo: «…potremmo dire che ci siamo chiarite.»
«Pensi che menta?»
«Ho la sensazione che sia sincera.»
Il ragazzo annuì, tirando su una gamba e poggiando il gomito contro il ginocchio: «Se ti fidi tu, mi fido anch’io.»
«Grazie.»
«Siamo una squadra, no?»
«Ah. C’è anche dell’altro…»
«Sentiamo.»
«Lila ha il Miraculous della Volpe.»
«Seriamente?»
Marinette annuì, raccontando del ciondolo che Lila le aveva fatto vedere e della conferma di Tikki sulla veridicità del Miraculous: «Quindi è veramente Volpina adesso.» concluse la ragazza, prendendo la mano destra fra le sue e iniziando a giocherellando con gli artigli: «Non ti ho mai chiesto se questi funzionano davvero?»
«Vuoi che ti graffi tutta, my lady?» le domandò, avvicinando il viso a quello di lei e sorridendo lascivo: «Ammettilo, stai immaginando le mie mani sulla schiena che ti graffiano, mentre ti lecco e mordo il seno, poi...» si fermò, sentendo il respiro di lei farsi leggermente affannoso: «Marinette.» bisbigliò, chinandosi maggiormente in avanti e sfiorando le labbra della ragazza.
«Marinette, sei in casa?»
Chat sospirò, scendendo dalla scrivania: «E’ incredibile la sfortuna che ho.» sbottò, mettendo le mani sui fianchi: «Marinette?» si avvicinò alla ragazza, completamente immobile: «Ehm. Sei per caso stata toccata da Chronogirl? Marinette? Ehi, Marinette.» le si parò davanti, agitandole una mano davanti al viso ma senza suscitare nessuna reazione: «Cavolo! Stavolta è collassata veramente!»
Si chinò davanti alla ragazza, poggiando il viso contro le gambe e strusciandosi, sentendola ritornare alla vita.
«Marinette?»
La voce della madre si fece più insistente dal piano inferiore: «Sono a casa, mamma.» strillò la ragazza con una voce fin troppo acuta; scosse il capo, cercando di riprendersi: «Stavo studiando e…»
«Ho capito: musica alta.»
«Sì, la musica…» biascicò Marinette, mentre Chat continuava a strusciarsi contro le sue gambe, come un gatto in cerca di coccole: «Cosa fai?»
Il ragazzo alzò il viso, poggiando il mento contro le ginocchia della ragazza e abbozzando un sorriso: «Scusa. Quando sono Chat tendo ancora a essere esagerato.»
«L’ho notato.»
«Io non volevo…»
«Lo so.»
«Volevo…»
«Lo so.» ripeté Marinette, allungando una mano e carezzando le orecchie di boyfriend material – come le aveva detto una volta il ragazzo – con il polpastrello: «Scusami.»
Chat alzò la testa, sorridendole: «Non scusarti. Ho accelerato un po’ troppo, tutto qua.» le spiegò, facendole l’occhiolino e alzandosi in piedi: «Vorrà dire che stasera, per compensare, farò una chiamata sdolcinata come solo io, Adrien Agreste, so fare.»
«Plagg ti prenderà in giro poi.»
«Ci sono abituato.» le spiegò il ragazzo, abbozzando un sorriso e avvicinandosi alle scale: «Ci sentiamo dopo, my lady?»
«Adrien…»
Il ragazzo si fermò, inclinando la testa e studiandola: non era da lei chiamarlo con il suo nome quando era trasformato e, le poche volte che lo aveva fatto, era stato per parlargli di cose serie; la vide ispirare profondamente e sentì un ‘sii Ladybug’ bisbigliato, che lo fece sorridere intenerito: «Mi piace quando. Uhm. Come hai detto tu acceleri un po’ troppo.» iniziò Marinette, guardando in basso e sorridendo leggermente: «Ogni volta che sei così Chat è bello, perché mi fa rendere conto che sei finalmente libero.»
Adrien sorrise, intrecciando le mani con quelle di lei e tirandola verso di sé: «Mi sono innamorata da ragazzina dell’Adrien che era gentile e dolce, quello che mi ha offerto un ombrello in segno di pace; ho amato il giovane eroe che combatteva al mio fianco, sicuro di sé e sfrontato e adesso amo te, ti amo per ciò che sei ora.» Marinette allungò una mano, carezzandogli il viso: «Sono innamorata di te e, ogni volta che ci provi con me in quel modo, io mi sento desiderata ed ec-citata, solo…»
«Solo la tua timidezza cronica ti blocca. Lo so.» concluse per lei il ragazzo, prendendole le mani e portandosele alle labbra: «Anch’io ti amo per ciò che sei, Marinette.»
«Lo so, sono affascinante e bella, no?»
«Inizi a essere un po’ troppo Ladybug ora.»
Marinette sorrise, allungandosi e baciandolo: «Ti amo, Adrien..»
«Ti amo anch’io.»
«E pretendo lo stesso la mia chiamata sdolcinata, stasera!»
«Come la signora comanda.»


Peacock sbadigliò, mentre aspettava che l’eroe nero finisse l’incontro con la sua bella.
Non sapeva di chi era la casa, finché non aveva visto la ragazza accompagnare fuori Chat Noir: Marinette Dupain-Cheng.
La fidanzatina di Adrien.
Mh. Interessante.
Le poche volte che aveva provato a interagirci, gli era sembrata un piccolo topolino tremante, e invece…
Beh, buono a sapersi.
«La signorina ha parecchio lavoro…» commentò fra sé e quasi gli veniva da ridere a pensare a quel perfettino di Adrien Agreste cornificato dall’eroe parigino.
Li osservò salutarsi con un bacio decisamente appassionato e poi il gatto balzò su un tetto, mentre la ragazza ritornava dentro l’abitazione.
Perfetto.
Peacock seguì l’eroe nero, finché questi non si fermò nei pressi della Tour Eiffel: «Vuoi qualcosa da me?» gli chiese, facendogli capire che si era accorto di essere stato pedinato.
Da modello qual era, si piazzò un sorriso sulla faccia e uscì allo scoperto, notando come lo sguardo verde dell’altro non lo perdesse di vista: «Lascia che mi presenti, sono Peacock.»
«Piacere. Immagino che il mio tu lo sappia già, in fondo sono molto famoso.»
«Ovviamente. Sei l’eroe di Parigi.»
«Cosa vuoi da me.»
Un tipo parecchio deciso.
Un po’ gli piaceva: sarebbe stato un ottimo compagno di bevute.
«Solo presentarmi.»
«Dovrebbe interessarmi sapere chi sei?» gli domandò Chat, appoggiandosi a un comignolo e incrociando le braccia: «Sto aspettando.»
No. Ok. Lo odiava.
«Beh, siamo possessori di Miraculous entrambi, mi sembrava giusto presentarmi.»
Chat Noir lo fissò serio: «E quindi?»
«Pensavo di fare conoscenza.» buttò lì Peacock, sorridendo all’altro: «Scoprire chi sei nella vita…»
«Spiacente. Non rivelo certe informazioni al primo pennuto che passa.»
Come se gli interessasse…
«Ehi!»
«Senti, ho avuto una giornata stressante e sono stanco.» sentenziò Chat, ruotando il bastone e sorridendo freddamente: «Quindi se non ti dispiace, vorrei smetterla di sentire i tuoi starnazzi e andare a casa. Au revoir.»


«Chi cavolo era quello?» sbottò Adrien, atterrando in una delle stanze della casa e ordinando a Plagg di sciogliere la trasformazione.
«Non lo stai chiedendo a me, vero?» domandò la voce di suo padre e, solo allora, Adrien si accorse di aver scelto l’ufficio di suo padre come entrata: «Non lo sta chiedendo a me, Nooroo? Perché non ho la più pallida idea di cosa sta dicendo.»
Adrien annuì, avvicinandosi al divano e buttandocisi a peso morto: «Sembri stanco.» sentenziò Nooroo, fluttuandogli davanti la faccia: «E’ successo qualcosa?»
«Ho solo incontrato uno strano tipo, si fa chiamare Peacock.» sbuffò il ragazzo, alzandosi in piedi e iniziando a camminare per la stanza, seguito dai due kwami: «Cosa cavolo sta succedendo a Parigi? Prima quegli strani attacchi, poi è tornata Lila e ha il Miraculous della Volpe, ora appare questo Peacock e dice di possedere un Miraculous anche lui…»
Gabriel si tolse gli occhiali, massaggiandosi il setto nasale: «Adrien, ricordi il libro sui supereroi?»
«Quello che io ho rubato dalla tua cassaforte, poi Marinette l’ha rubato a me e l’ha portato da Fu e dopo è stata due settimane buone incapace di dirmi qualcosa perché non sapeva da che parte iniziare?»
«Quello. Sinceramente non avrei saputo fare una spiegazione migliore.»
«Grazie. Comunque dicevi?»
«Un passaggio di quel libro, dice che i Miraculous appaiono dove c’è bisogno di loro.»
«E tradotto vuol dire che mister Miyagi se ne va a giro per il mondo, mollando i Miraculous a gente random.»
«Si potrebbe dire anche così. Sì. Comunque, quanti Miraculous ci sono a Parigi adesso?»
«Beh, contando i nostri, quello di Miyagi e gli altri due: siamo in sei.»
«Manca solo quello dell’Ape.»
«Papà, se…»
Gabriel si alzò, superando la scrivania e raggiungendo il figlio: «Sarò al tuo fianco, non m’importa cosa o chi dovremmo combattere.» dichiarò l’uomo, prendendo il figlio per le spalle: «Ho perso tua madre, non perderò anche te.»


«Che carino…» mormorò Marinette, parlando verso il telefono e tenendo il pizzo nero steso, mentre infilzava l’ago nella stoffa: «Tuo padre non sembra neanche più lui.»
«Stupisce anche me.» dichiarò la voce di Adrien, dall’altro capo: «E questo è quanto: quel pennuto vuole sapere chi sono e mio padre sembra sia a favore dell’apocalisse.»
«Pensi che dovremmo parlare con Fu?»
«Con il maestro Miyagi? Penso che quel vecchietto ne sappia più di noi.»
«Giusto.» sentenziò Marinette, infilando l’ago e prendendo, assieme alla stoffa, anche il suo dito: «Ahia!»
«Che stai facendo?»
La ragazza succhiò il dito punto, guardando poi malevola lo strumento di tortura: «Alya mi ha chiesto di sistemarle un vestito per domani. E’ il grande giorno.»
«Giusto! E’ domani. L’avevo dimenticato. Vuol dire che tutto questo casino è successo in una settimana?»
«Dura la vita degli eroi, eh?»
«Quando mi ha mollato l’anello, mister Miyagi poteva anche dirmelo che sarebbe stato così stancante, invece di entrare in casa d’altri…» Adrien si fermò e Marinette riprese il suo lavoro: «Secondo te com’è entrato in casa mia?»
«E da me?»
«Glielo devo chiedere la prossima volta.»
«Sai, vero, che non ti risponderà mai?»
«Tentar non nuoce.» sentenziò Adrien: «Noi che facciamo domani?»
«Andiamo a scuola come sempre.»
«Dicevo la sera. E’ venerdì, siamo liberi. Che facciamo?»
«Hai qualche idea, mon minou?»
«Io ho tante idee.»
«Oltre a quelle.»
«Mh. Pensiamo: potremmo andare al cinema, è da un po’ che non ci andiamo.»
«C’è qualcosa d’interessante?»
«Controllo subito.» Marinette ascoltò i rumori che provenivano dal cellulare: il rumore del materasso – Adrien doveva essere stato disteso –, la sedia spostata, i tasti che venivano premuti: «Allora, abbiamo un film sui supereroi…»
«L’ultima volta che ne abbiamo visto abbiamo iniziato a commentare su quanto tempo duravano i loro Miraculous.»
«Vero.»
«Questo sarà un horror? Un film con una casa maledetta è horror, secondo te?»
«Può essere. Oppure?»
«Abbiamo una storia drammatica, un film sullo spionaggio e uno sugli zombie.»
«Mh. Supereroi?»
«Supereroi sia.» dichiarò Adrien dall’altro capo del telefono: «Che spettacolo? Potremmo fare quello serale, così nel pomeriggio, non so, vuoi andare un po’ per negozi?»
«Mh. Non ho niente da comprare…»
«Tu sei l’unica che quando il ragazzo bello e ricco – e sottolineo bello e ricco – le chiede se vuole andare per negozi, se ne esce con “non ho niente da comprare”.»
«Sai che non…»
«Sì, lo so. Mi ami per il mio splendido carattere.»
«Puoi definire splendido carattere? C’è qualcosina del tuo carattere che non definirei splendida.» decretò Marinette, ridacchiando e abbandonando il lavoro, per prendere in mano l’album da disegno: «Comunque ho trovato qualcosa da comprare.»
«Fammi indovinare: stoffe?»
«Sì. Ho disegnato una nuova maglia e volevo vedere quale colore ti stava meglio. Non sei alzato o ingrassato, vero?»
«No, tranquilla.»
«Perfetto.»
«Nel caso potresti prendermi di nuovo le misure, per sicurezza. Mi piace quando mi prendi le misure, soprattutto per i pantaloni.»
«Lo immaginavo.»
«Quindi negozi e film per domani, ok?»
«Sai, vero, che succederà sicuramente qualcosa.»
«Non succederà assolutamente nulla.»


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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.681 (Fidipù)
Note: Buona Pasqua a tutti! Bene, anche per le feste son qua a rompervi. Contenti, vero? Dunque...che posso dire di questo capitolo? A parte la citazione (rimaneggiata, ovviamente) a uno dei miei film preferiti, che altro posso dire? Siamo arrivati al fatidico giorno (fortuna che la storia non si sviluppa in un arco di anni, altrimenti mi uccidevo seduta stante visto quando sono lenta a narrare) e...Mh. Sapete che non so cosa dire? Anche perché sarebbe tutto altamente spoiler, e dato che sono diventata una seguace dell'Astrucismo (Religione di Astruc), la mia prima regola è "No Spoiler". No, scherzi a parte, non  voglio rovinarvi (di più) la lettura. Quindi, ringrazio tutti coloro che leggono, commentono, inseriscono in una delle liste la mia storia e...al prossimo capitolo!



Tikki si svegliò, avvertendo la presenza di Plagg: era strano che il kwami nero giungesse fino a casa di Marinette da solo, ma dubitava che a quell’ora della notte il giovane facesse visita alla sua signora; attenta a non svegliare la ragazza, volò oltre la botola e osservò il piccolo terrazzino leggermente illuminato dalla luce lunare.
Plagg era seduto sulla balaustra di metallo, il musetto rivolto verso l’alto: «Non è da te venire solo.» mormorò Tikki, planando al fianco del compagno e osservandolo: «Anzi, tu non vieni mai da solo e se vieni è solo perché Adrien si trasforma.»
«Volevo parlare di alcune cose.» dichiarò Plagg, voltandosi verso di lei e abbozzando un sorriso: «Ma con quel gatto in calore è un po’ difficile.»
Tikki ridacchiò, portandosi una zampina al musetto: «Ma non sono le femmine che vanno in calore?»
«In ogni caso, quello ha gli ormoni a mille.» sbuffò Plagg, scuotendo il capo: «Tu lo vedi solo quando è con lei, non sai com’è…» si fermò, muovendosi a disagio: «…da solo.»
«Eppure dovresti esserci abituato, quanti Chat Noir adolescenti hai avuto?»
«Nel passato erano molto più tranquilli di questo.»
Tikki sorrise, alzando il faccino rosso verso il cielo e socchiudendo gli occhi alla brezza notturna: «Perché sei qui, Plagg?»
Il kwami nero rimase in silenzio, abbassando lo sguardo e osservando i pochi che si avventuravano per la città addormentata: «Secondo te, Fu ci ha detto tutto?»
«In che senso?»
«Non so. E’ come se ci fosse qualcosa che dovremmo sapere…»
«Riguardo a Coeur Noir?»
«Sì. Mi sento come se fossimo in bilico su qualcosa: possiamo cadere ma anche non farlo.»
«Siamo poetici stanotte.» mormorò la kwami, soppesando le parole dell’altro: «E’ una sensazione che ho anch’io: Coeur Noir, secondo te, potrebbe essere…»
«No. Assolutamente no. E’ morta da tempo ormai.»
«Ma non lo sappiamo per certo.»
«Tikki no!»
«E se fosse davvero lei?»
Plagg si alzò, posando le zampette sulle spalle dell’altra e fissandola negli occhi: «No. Sappiamo benissimo che è impossibile: non è lei, Tikki.»
La kwami rossa sospirò, annuendo con la testa: «Sì, hai ragione. Non può essere. Scusami, Plagg.»
«Tranquilla, Tikki.»


Sbadigliò, osservando i video sul web dei due eroi cittadini: il suo gigante di ghiaccio, il suo golem, i suoi cristalli neri…
Tutti distrutti da quei due.
«Ladybug e Chat Noir…» mormorò, accarezzando l’immagine dei due eroi: «Mi chiedo se saprete battere anche il mio prossimo giocattolino.»


«Ti vedo felice.» commentò Tikki, osservando la ragazza che si stava preparando, canticchiando la canzone di Jagged Stone, che proveniva a tutto volume dalle casse del pc.
«Stanotte ho preso una decisione.» decretò Marinette, prendendo un vestito dall’armadio e provandoselo, gettandolo poi sul fondo del mobile e afferrandone un altro: «La mia indecisione, il mio imbarazzo costante…beh, tutto viene perché ho paura, no?»
La kwami annuì, osservandola scartare un altro abito.
«E quindi mi sono detta: perché avere paura di questi sentimenti? Io amo Adrien, Adrien ama me e…» si fermò, muovendo la mano destra nell’aria: «beh, tutto verrà da sé.»
«Marinette…» mormorò Tikki, volteggiando nell’aria e poi fermandosi davanti al volto della ragazza: «Sono così fiera di te…»
«C’è veramente poco da essere orgogliosi: guarda quanto tempo ci ho messo per prendere questa decisione.»
«Ma l’hai presa!»
«Bisogna vedere quanto durerà questa mia sicurezza.»
«Ogni volta che hai preso una decisione così, l’hai sempre mantenuta. Ricordatelo.»
«Grazie, Tikki.»


Licenziato.
Wei osservò la busta che conteneva il suo ultimo stipendio, sapendo che con quei soldi avrebbe dovuto vivere finché…
Beh, finché non avrebbe trovato un nuovo lavoro.
Fantastico. Meraviglioso.
L’alternativa sarebbe stata tornare in Cina, ma non voleva nemmeno pensarci: la vita là era anche peggiore.
Doveva solo trovare un lavoro. Tutto lì.
E ci sarà stato qualcuno che voleva un ventenne cinese, che parlava malissimo francese, ma in compenso lavorava come un mulo?
Sospirò, alzando lo sguardo da terra e osservando un anziano signore camminare nella sua direzione: il passo era tremolante e la presa sul bastone incerta; lo vide vacillare e, senza pensarci, corse e lo afferrò prima che rovinasse a terra: «Bene sta?» scosse il capo, cercando di ricordare come si diceva la frase corretta: «Sta bene?»
L’uomo, di sicuro cinese come lui, gli sorrise ringraziandolo calorosamente: «Posso andare?» mormorò Wei, incerto sul suo francese: «Può arrivare a casa?»
«Certo. Grazie mille, giovanotto.»
Il ragazzo annuì, riprendendo la sua strada e ignorando lo sguardo d’interesse del vecchio.


Fu sorrise, fissando il ragazzo che lo aveva appena aiutato.
L’aveva trovato.



«Bro, ti prego, non lasciarmi.»
Adrien sospirò, alzando gli occhi al cielo e tirando fuori una camicia dall’armadio: «Nino, seriamente, è la tua ragazza.»
«Sì, lo so.»
«E mi spieghi perché dovrei venire anch’io?»
«Perché ho paura di quello che potrebbe farmi se siamo soli?»
«Cosa potrebbe farti?» bofonchiò il biondo, gettando un’occhiata a Plagg che, tranquillo, si sbaffava l’ennesima scatola di camembert: «Stuprarti?»
Silenzio.
Adrien scosse il capo, attivando il vivavoce e iniziando a vestirsi: «Pensi che lo farebbe veramente?» domandò Nino dall’altro capo, con la voce strozzata.
«Dipende. Dove andate?»
«Non abbiamo deciso niente, pensavamo…» il ragazzo si fermò, schiarendosi la voce: «…beh, di fare un giro e poi andare in un locale. Qualcosa di molto semplice.»
«Non pensare a quello che ti ho detto io, allora.» sentenziò Adrien, osservando la sua figura allo specchio e scuotendo il capo, prendendo una nuova camicia e ignorando il commento che Plagg bofonchiò: «Andrà tutto bene, fidati.»
Sentì un sospiro dall’altro capo: «Massì, cosa vuoi che succeda.»


Wayzz volò fino all’ingresso, osservando il maestro rientrare: «Posso sapere dov’è andato?» domandò, incrociando le zampette e seguendo l’anziano fino al grammofono: «E posso sapere cosa sta facendo?»
«Coeur Noir è una minaccia.»
«Lo so.»
Fu si voltò verso il kwami, azionando il meccanismo e aspettando che lo scrigno dei Miraculous uscisse: «Io non posso più tenere questo.» dichiarò, alzando il polso e mostrando il bracciale al kwami: «E’ tempo che mi metta da parte e che ci sia un nuovo portatore.»
«Maestro, non può…»
«Sarò una guida per tutti voi.» sentenziò Fu, senza guardare il kwami: si tolse il monile e si voltò, in tempo per osservare Wayzz sparire in una sfera di luce: «Perdonami, Wayzz, per non avertene parlato prima.» mormorò, carezzando la pietra verde e poi prendendo una scatolina nera: adagiò il bracciale della Tartaruga al suo interno, facendo scivolare le dita sul monile e sorridendo mestamente: «Sei stato un fidato compagno, in questi centonovant’anni. Ma è tempo che tu abbia qualcuno più giovane al tuo fianco.»


«Andrà tutto bene…» bofonchiò il biondo, seduto a gambe incrociate, mentre poggiava la guancia contro il pugno chiuso e osservava ciò che gli si parava davanti: «Seriamente, quanto posso essere sfortunato per questo?» sbottò, indicando il mostro di sabbia che stava creando caos per la strada.
Ladybug sorrise al suo fianco, allungando la mano e accarezzandolo sulla testa: «Non per girare il coltello nella piaga, ma…»
«Sì, sì. Lo avevi detto.»
«Il film salterà, ma possiamo andare a bere qualcosa, no? Possibilmente qualcosa di caldo.»
«Se vuoi qualcosa di caldo ci sono io, my lady.»
La ragazza s’inginocchiò davanti al giovane, sorridendo e posandogli un dito guantato di rosso sulle labbra: «Lo so, micetto. Ma al momento abbiamo un nemico da sconfiggere…»
«Sbaglio o qualcuno sembra aver preso sicurezza? domandò Chat, issandosi a sedere e sgranchendosi i muscoli delle spalle: «E non intendo solo perché sei Ladybug, al momento.»
«Ti ricordi di quando andavamo al college e iniziai a parlarti in modo normale?»
«Perché? C’è mai stato un momento in cui non balbettavi o creavi parole assurde?»
«Bene. Bello, sapere che il coraggio che mettevo nel parlarti non funzionava.»
«Sto scherzando, my lady.» dichiarò Chat, sorridendo: «Sì, ricordo che a un certo punto hai iniziato a parlarmi in modo semi decente…»
«Ecco, ieri ho preso una decisione simile a quella che presi in quel periodo.»
«Ovvero?»
Ladybug sorrise, voltandosi verso di lui e guardandolo negli occhi: «Non voglio più essere intimorita da quello che provo per te.»
L’eroe le sorrise, passandole un braccio attorno alla vita e tirandola verso di sé: «Mi piace come decisione.» dichiarò, chinando la testa e sfiorando le labbra con le sue; la sentì posare una mano sulla sua spalla, allungandosi per poter baciarlo meglio: la convinse ad aprire le labbra, approfondendo il bacio, mentre le mani di lei scivolavano dietro il collo e lo stringevano.
«Ah. Adesso è così che combattete i nemici?» domandò una voce divertita che, entrambi, conoscevano bene: si staccarono velocemente e si voltarono verso Volpina che, dalla cima del tetto ove stavano, li fissava divertita: «Ciao LB. Micetto, è sempre una gioia per gli occhi incontrarti.»
«Volpina.» mormorò Ladybug, mentre l’altra saltava e atterrava a fianco dell’eroina parigina: «Qual buon vento?»
«Te l’ho detto: conta su di me.» dichiarò la ragazza, indicandosi e facendole l’occhiolino: «Se c’è un nemico, Volpina ti aiuterà!»
«Grazie.»
«E poi io non cerco d’infilarmi nella tua tutina, il che vuol dire tanto.»
«Ti odio.» dichiarò Chat, fissando male la ragazza in arancio e bianco, che ricambiò il sorriso divertita: «Sei sulla mia lista nera, volpe.»
«Oh. Ho fatto arrabbiare il gattino nero. Come farò adesso? Come potrò sopravvivere a ciò?»
«Io ti…»
«Fermatevi! O vi lego da qualche parte.»
«My lady…»
«Insieme!»
«Giuro, non potrei sopportarlo per più di due secondi.» Volpina indicò Chat, scuotendo il capo: «Tu mi hai illuso quattro anni fa! Sembravi il principe azzurro e invece sei…»
«Un modello, ricco, bello? Ah, e non dimentichiamoci: supereroe, idolo delle folle…» buttò lì Chat, sorridendo affabile e evitando il colpo con il flauto che Volpina aveva provato a infliggergli.
«Ora basta! Possiamo andare a occuparci di quella cosa là?» domandò Ladybug, indicando la figura umanoide fatta di sabbia che, ancora, distruggeva la strada sottostante.
«Disse quella che, fino a pochi secondi fa, aveva la lingua infilata nella sua bocca.» commentò Volpina, indicando l’eroe in nero e saltando poi giù dal tetto.
«Io avviso: se per caso la colpisco con il mio potere, non l’ho fatto apposta.» 


Wei si sdraiò sul divano, socchiudendo gli occhi.
Che giornata inconcludente.
Aveva sperato di poter cercare lavoro ma la città era stata bloccata per via di un attacco e, così, era stato costretto a tornare a casa.
Bene.
Fantastico.
Si voltò, notando solo in quel momento la scatola nera poggiata sul piano della sua cucina.
Non era sua.
Non l’aveva mai vista.
Si alzò, avvicinandosi e studiandola: era in legno scuro, laccato di nero, e un simbolo rosso era inciso sul coperchio. La prese fra le mani, costatandone il peso e poi, spinto dalla curiosità, l’aprì, venendo avvolto da una strana luce che lo costrinse a chiudere gli occhi; quando li riaprì, uno strano esserino verde era a mezz’aria di fronte a lui.
«Maledetto Fu! Ma tanto prima o poi ci rincontreremo e potrò dirti tutto quello che penso.» sbuffò l’affarino, fissando poi lo sguardo su di lui: «Il mio nome è Wayzz e sono un kwami.»


Volpina sorrise, osservando Ladybug aspirare il mostro di sabbia, dopo che i loro attacchi erano andati a  vuoto: «Utile il Lucky Charm.» constatò, ruotando il flauto lungo e sorridendo alla ragazza: «Ha fatto apparire un aspirapolvere.»
«Per una volta…» sentenziò la ragazza, finendo di aspirare il tutto con l’apparecchio portatile che il suo potere aveva materializzato, lanciandolo poi per aria e riportando tutto alla normalità: «Di solito non è così efficiente, diciamo.»
«Ah no?»
Ladybug scosse il capo, avvicinandosi al suo partner: «Chat ne sa qualcosa, vero?»
«Come dimenticare le biglie, l’asciugamano, poi cos’altro hai tirato fuori dal tuo cilindro? Ah sì, la lacca, la scatola da scatola da scarpe…» si fermò, scuotendo il capo biondo: «Una lista infinita di oggetti assurdi.»
«E adesso che si fa?»
«Tu non lo so.» decretò subito Chat, indicando l’eroina vulpina: «Noi abbiamo un appuntamento.»
«Tranquillo, micetto. Non voglio rovinare il tuo rendez-vous.»
«Lo spero bene.»
«Ci vediamo lunedì a scuola, LB. Micetto.» dichiarò la ragazza, balzando via e lasciando i due da soli.
«Non la sopporto.»
«Ma come? Non eri tu…»
«Non ricordarmi cosa ho detto in passato. Ora non la reggo.» dichiarò il ragazzo, imbronciandosi e incrociando le braccia, fissando male il punto in cui Volpina era sparita, mentre Ladybug ridacchiò, scuotendo il capo corvino: «Che c’è?»
«Tu non hai idea di quanto sei adorabile quando fai così.»
«Meraviglioso. La mia ragazza pensa che io sia adorabile.»
«Ehi, è un complimento!»
«Adorabile è un complimento se rivolto a te.» sbuffò Chat, saltando sul tetto e venendo immediatamente seguito dalla ragazza: «Ma se rivolto a me…» si fermò, balzando in uno dei vicoli sottostanti e sentendo la trasformazione sciogliersi: «…beh, è sminuirmi, my lady.» concluse, alzando la testa e osservando l’eroina.
Ladybug alzò gli occhi al cielo e sbuffò; poi saltò e, come per Chat, anche la sua trasformazione si concluse: «Cosa dovrei dirti allora? Che sei bello, tremendamente sexy e che, per non so quanto tempo, ho avuto problemi anche solo a dirti: “Ciao, figone, sono Marinette e vorrei invitarti al cinema, ma sono talmente innamorata di te che non riesco a parlarti senza che la mia bocca”?»
«Mh. Sì, direi che così è meglio.»
«Scusatemi.» mormorò Plagg, fluttuando fra i due: «Odio davvero interrompere questi momenti in cui gli ormoni si librano in volo e tutto quanto, ma qua noi abbiamo fame.»


«Maledizione!» tuonò, osservando la sua creatura venire aspirata.
Aspirata.
Strinse le mani a pugno, sentendo le unghie conficcarsi nella carne.
Un altro esperimento.
Un ultimo tentativo.


Adrien abbozzò un sorriso alla cameriera che lo guardava stranita, sperando che con quello ignorasse l’ordine di formaggio e caffè: «Ah, può mettere solo Camembert?»
«Solo Camembert?»
«Sì.»
«Camembert?»
«Già.»
«E’ possibile avere anche un po’ di biscotti?» mormorò Marinette, intromettendosi e sorridendo dolcemente alla donna: «assieme al mio latte. Grazie.»
La donna annuì, osservando poi Adrien e andandosene borbottando qualcosa: «Non potevi mangiare biscotti come Tikki?» piagnucolò il ragazzo, guardando male il kwami che faceva capolino dalla tasca: «O qualcosa di più normale.»
«Voi miscredenti non capite la bellezza del Camembert.»
«L’unica cosa che capisco di quel formaggio è che puzza. Puzza tanto.»
«Adrien…» mormorò dolce Marinette, allungando una mano e toccando quella di lui, subito le dita del giovane si mossero catturando quelle della ragazza: «…mi dispiace per l’appuntamento.»
«Beh, non sei stata tu a far venire Sandman, no?»
«Però almeno sono riuscita a prendere la stoffa.» dichiarò giuliva Marinette, spostando lo sguardo sulla borsa ai suoi piedi: «Sei sicuro che ti vada bene quella tonalità di grigio? Se preferisci altri colori…»
«Mi fido della mia stilista preferita.»
«Pensavo fosse tuo padre, il tuo stilista preferito.»
«Vesto la marca di mio padre perché è l’unica che trovo in casa mia, ma la mia stilista preferita è Marinette Dupain-Cheng.»
Marinette sorrise, allungandosi sopra al tavolo e baciandolo a fior di labbra: «Grazie.» mormorò, mentre le guance le diventavano rosa; si voltò, osservando la cameriera con i loro ordini e tornò al loro posto: «Mi scusi.»
«Tranquilla, signorina.» dichiarò la donna, posando sul tavolo il piatto di formaggio, i biscotti e le bevande: «A voi.»
«Grazie.»
«Ok, è tempo di mangiare.» dichiarò Adrien, osservando i due kwami volare sul tavolo e iniziare a rimpinzarsi, mentre Marinette e lui li nascondevano meglio che potevano: «Plagg, ti avviso, niente rutti.»
«Ci proverò.»
Aveva la risposta pronta da dare a quell’insolente di kwami e stava per dirla, quando alcune urla e gente in fuga, lo bloccarono: «Cosa sta succedendo?» si voltò verso Marinette e la trovò in piedi, che allungava il collo per vedere meglio fuori dalla vetrata: «Non può essere un altro attacco, no?»
«Non so dirti…»
La cameriera corse verso di loro, affannata e con lo sguardo stravolto: «Ragazzi, presto! Dobbiamo andare via! Sembra sia apparsa una pianta gigante in un parco qui vicino e i suoi tentacoli…» la videro scuotere il capo e andare ad allertare gli altri clienti.
«Ok, è un altro attacco. Ma non ha niente di meglio da fare questo Coeur Noir? Che so una partita a poker con gli altri super-cattivi? Una vita vera?»
«Andiamo, dobbiamo trasformarci. Di nuovo.»
«Ho sempre sognato di fare un po’ di giardinaggio con piante mortali.»

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.426 (Fidipù)
Note: Ed eccomi di nuovo qua! Lo so, sono una piaga! Bene, bene, prima di ogni cosa vi informo che una scena che "manca", la potrete trovata come shot: sinceramente non aveva voglia di alzare il rating di questa storia e, quindi, ho pensato di metterla separata e la potrete trovare al questo link. Per il resto, beh...ho poco da dire. Le pedine si stanno muovendo, i portatori di Miraculous si stanno incontrando...non posso che dire: ci vediamo al prossimo capitolo! Ah, giusto! Fatevi sentire e fatemi sapere se vi piacciono i nuovi portatori, la mia Lila e...beh, tutto! Come sempre, ringrazio chi legge, commenta e/o inserisce questa storia in una delle sue liste.



Chat balzò su uno dei lampioni, osservando l’enorme pianta che dominava il piccolo parco: grossa, con grandi denti acuminati e tentacoli lunghi e minacciosi: «Ovviamente, non poteva essere una margheritina innocua.» sbuffò il ragazzo, osservando la sua compagna imitarlo e atterrare su un secondo lampione: «O un girasole…»
«Una rosa, no?»
«No, perché ogni rosa ha le sue spine.»
Ladybug scosse il capo, sedendosi e osservando il vegetale sotto di loro: «Hai per caso delle cesoie dietro?»
«Certo, esco ogni giorno con il mio set da giardiniere provetto.»
«E’ un no?»
«Perché non le fai apparire con il Lucky Charm?»
«Perché come minimo esce una zappa?»
«Giusta osservazione.» commentò Chat, inclinando la testa e osservando la pianta che, dopo aver avvolto una panchina con i suoi tentacoli, l’aveva portata alla bocca e masticata: «Ok, direi di stare lontani da quei dentini.»
Qualcosa di arancio sfrecciò davanti a loro, fermandosi nei pressi di un terzo lampione: «Lavoro extra oggi?» domandò Volpina, salutandoli con la mano e posando poi lo sguardo sulla pianticella: «Ma li pagano gli straordinari almeno? Ho lasciato un ragazzo carino per venire qua e…»
«Un ragazzo carino?»
«Dovevi vederlo, LB. Alto, muscoloso, capelli neri, occhi scuri…» la ragazza scosse il capo, facendo ondeggiare i lunghi capelli castani: «Uno di quelli per cui ti toglieresti le mutandine e…»
«Fermati! Non dire oltre!»
«Perché, micetto?»
«Non vorrei avere incubi stanotte, grazie.»
«Se sogni me non sono incubi.»
«Oh sì, che lo sono!»
«Ma…»
Ladybug scosse il capo, ignorando i due che si prendevano a suon di battutine e studiò la pianta: la bocca era l’apertura di un enorme bulbo, che sembrava poggiare su quattro grandi foglie e proprio da quella zona sembravano diramarsi i tentacoli: «Secondo voi come fa ad accorgersi di ciò che la circonda?» domandò, senza ottenere risposta; si voltò e trovò Chat che stava…
Stava baciando l’aria?
Mentre Volpina se la rideva soddisfatta.
«Volpina?»
«Senti, è impossibile vincere con lui a parole.»
«Ti prego.»
La castana sbuffò, ruotando il lungo flauto e colpendo l’aria davanti a Chat: «Cosa? Che?» il biondo si guardò intorno spaesato, osservando Ladybug e poi il vuoto attorno a lui: «Tu eri qui…»
«Era un’illusione di Volpina.»
«Tu…» ringhiò Chat, voltandosi verso l’altra che ricambiò con un sorriso innocente: «Sei morta, volpe.»
«Come se ci credessi.»
«Scusate? Nemico. Cattivo. Sconfiggere.»
I due si guardarono male, portando poi l’attenzione sulla pianta: «Dovremmo trovare quella cosa nera, giusta?» domandò Volpina, studiando i tentacoli che si alzavano verso il cielo e poi si abbattevano su tutto quello che trovavano: «Mh. Sembra che non ci veda se siamo qui.»
«O ci avverta, quella cosa non ha occhi.»
«Spero non sia all’interno…» mormorò Ladybug, studiando i tentacoli: «Volpina, ricapitoliamo i tuoi poteri: puoi creare illusioni e…»
«Posso volare e ho la super-forza.» spiegò velocemente la ragazza, sorridendo: «E il mio potere speciale consiste nel creare fuochi fatui.»
«In pratica sei inutile.» sentenziò Chat, indicando il mostro: «Proviamo ad attaccarlo e vediamo come reagisce?»
«Non penso bene, mon minou.»
«Non possiamo neanche rimanere qui a chiacchierare, my lady.» dichiarò il ragazzo, alzandosi in piedi e mettendo mano al bastone: «Io vado, chi mi vuol seguire, mi segua.»
Ladybug e Volpina l’osservarono saltare giù e dirigersi verso la pianta, iniziando a combattere contro i tentacoli che, in prossimità del bulbo, si erano accorti della sua presenza: «Ok, ci avverte se siamo vicini.»
«Andiamo, prima che quell’idiota si faccia uccidere.»
Le due ragazze balzarono a terra, correndo anche loro verso il nemico e iniziando a ingaggiare una lotta con i tentacoli, ritrovandosi presto senza fiato: «Qualcuno ha visto il cristallo nero?» domandò Ladybug, proteggendosi con il suo yo-yo dall’ennesimo colpo da una delle diramazioni della pianta.
Due risposte negative le arrivarono alle orecchie, provocandole un gemito frustrato: non poteva essere dentro.
Assolutamente.
Volpina suonò alcune note e delle sue copie si materializzarono, iniziando a correre in varie direzioni, attirando i tentacoli: «E se fosse davvero dentro?» domandò, osservando gli altri due riprendere fiato: «Dovremmo…»
«Vado io.»
«My lady, no!»
«Ma se è dentro…»
«Non ti lascio farti mangiare da quel coso!»
«Chat…»
«No, se qualcuno deve andare sono io!»
«No!»
Si fronteggiarono, occhi negli occhi ed entrambi decisi a non cedere di un millimetro: «Mandiamo lei!» dichiarò alla fine Chat, indicando Volpina.
«Cosa? Spero tu stia scherzando, micetto!»
«Mai stato più serio in vita mia.»
Volpina aprì bocca, pronta a dirgliene quattro ma un’ombra la fermò: si voltò, in tempo per vedere un tipo vestito di blu, balzare vicino a loro: «Amico vostro?» domandò, indicando il nuovo arrivato e vedendo Ladybug scuotere il capo, mentre Chat fissare male l’altro.
«Sono amico di Chat.» si presentò il tipo, marciando sicuro verso di loro: «Ladybug, è un onore fare la tua conoscenza.» dichiarò, prendendole la mano e portandosela alle labbra: «Hai degli occhi incantevoli.»
«Ehi, toglile le tue zampacce di dosso!»
«Mi piacerebbe poter dire lo stesso.» dichiarò Ladybug, sorridendo e facendo scivolare via la mano; si voltò verso Chat, trovandolo imbronciato e intento a guardare male il nuovo arrivato.
«Se sei amico di Chat…» s’intromise Volpina, ignorando ogni frase provenisse dal gatto: «Vuol dire che sei dei nostri?»
«Più o meno.»
«Più o meno?»
L’eroe blu sorrise, incrociando le braccia: «Ero qua, non avevo niente di meglio da fare e mi son detto: perché non dare una mano a quei poveracci?»
«Fatemelo uccidere, vi prego.» dichiarò Chat Noir, venendo subito bloccato dalla sua partner, mentre Volpina si metteva in mezzo, tenendo il suo flauto pronto: «Anzi, non lo uccido, lo do in pasto alla margherita troppo cresciuta.»
«Sei dei nostri, ehm…»
«Peacock.»
«Sei dei nostri, Peacock?» domandò Volpina, tenendo lo sguardo fisso sull’altro e attendendo una risposta; lo vide spostare l’attenzione su Chat e, poi, dietro tutti loro, sorridendo divertito.
«Mi sa che le tue illusioni stanno finendo, Volpina.»
«Cosa?» la ragazza si voltò, osservando le ultime due copie venire colpite dai tentacoli: «Maledizione!» esclamò, saltando all’indietro e cercando di suonare subito alcune note, ma venendo interrotta da un attacco simultaneo di due propagazioni.
Chat e Ladybug balzarono in direzioni opposte, iniziando a duellare con un tentacolo a testa, ritrovandosi poi schiena contro schiena, mentre Peacock spiccò un salto su un lampione e osservò divertito la scena: «Solo perché sono generoso, vi darò una mano oggi!» dichiarò, chiudendo gli occhi e invocando il nome del suo potere.
Osservò il tempo andare veloce e riuscì a vedere gli attacchi nemici, finché…
Ahia.
Ok, non era un bel finale.
«Ok, io ve lo dico: se non volete diventare spezzatino, è meglio distruggere il cristallo nero.» dichiarò, attirando l’attenzione degli altri tre su di sé: «E si trova là dentro.» spiegò, indicando il bulbo della pianta.
Chat Noir si fermò, osservando l’altro: «Posso fidarmi?»
«Ehi, non ho voglia di salvare Parigi da solo. Non vi farò morire.»
L’eroe nero annuì con la testa, voltandosi verso la pianta e sorridendo; ignorò il richiamo della sua signora e iniziò a correre, saltando ed evitando gli attacchi dei tentacoli; si chinò, evitando l’ennesimo colpo e, poi, usando il bastone come asta, s’issò e si gettò all’interno della bocca della pianta.
«Chat!»
Ladybug urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, facendo un passo verso il mostro che aveva inghiottito il suo compagno.
Non poteva…
No. Non era successo.
Qualcuno l’afferrò da dietro, trattenendola lì: «Lasciami!» urlò, cercando di liberarsi dalla stretta dell’altra ragazza e sentendo le lacrime bagnarle le guance: «Devo andare da lui! Lasciami!»
Chat.
Il suo Chat.
«Ragiona!» tuonò Volpina, facendo forza e trattenendola: «Non ti lascerebbe mai!»
«Lasciami andare! Chat! Chat!»
«Ladybug!»
«Devo andare…» mormorò la ragazza, allungando una mano verso la pianta, che aveva cessato ogni ostilità; poi qualcosa l’attirò, dal centro del bulbo, si stava propagando una macchia nera e, pochi secondi dopo, esplose: Ladybug rimase immobile, osservando Chat uscire incolume e con un cristallo nero in mano.
«Quindi è questo che succede se uso il cataclisma su qualcosa di vivo.» mormorò il ragazzo, camminando verso di loro, con un sorriso soddisfatto, e osservando il macello che aveva fatto intorno a sé: «Per la mia lady.» dichiarò, porgendole il cristallo nero.
Ladybug lo ignorò, tuffandosi fra le sue braccia e piangendo disperata: «Scusami.» mormorò il giovane, carezzandole la testa e posando poi le labbra sulla capigliatura corvina: «Non volevo farti preoccupare, ma era il metodo migliore.» le spiegò, osservandola negare con il capo: «Potrai rimproverarmi dopo, my lady. Adesso distruggi questo, non ho assolutamente voglia di farmi un altro viaggetto dentro quel coso.»
La ragazza lo fissò male, tirando fuori lo yo-yo e dare al cristallo un colpo secco, osservandolo sbriciolarsi come sempre: «Ho pensato…» si fermò, scuotendo il capo: «Credevo che tu…»
«Non ti lascerei mai sola.» affermò Chat, facendole l’occhiolino e attirandola di nuovo fra le sue braccia: «Io ci sarò sempre.»
Volpina sbuffò, sorridendo e osservando i due completamente dimentichi di lei, poi si voltò verso il luogo dov’era Peacock, trovandolo deserto: quel tipo…
Chi era?


Ladybug. Chat Noir. Volpina. Peacock.
Quattro eroi.
Quattro portatori di Miraculous.
Com’era possibile che ce ne fossero così tanti a Parigi?
«Cinque, se considero anche me.»
La ragazza scosse il capo, alzandosi e librandosi in volo; guardò un’altra volta il trio – Peacock era sparito poco prima che l’enorme pianta esplodesse – e solo allora notò che lo sguardo dell’eroina in arancio era rivolto verso la sua direzione.
Anzi no, era fisso su di lei.


Rafael si passò una mano fra i capelli bagnati, uscendo dal bagno e osservando il kwami che si stava ingozzando di cioccolata: «Come ti senti?» gli domandò Flaffy, sorridendo.
«Stanco. Ecco perché non voglio fare l’eroe.»
«Però li hai aiutati.»
«Sarebbero morti, nel caso.»
«Solo per questo?»
«Dove vuoi arrivare, Flaffy?»
Il kwami blu sorrise, avvicinandosi al suo umano: «Il tuo sguardo, Rafael, è cambiato.»
«Stai dicendo un mucchio di cavolate.»


Da quando era tornata a casa, da quando aveva lasciato Adrien, era in preda a una strana agitazione: aveva provato a disegnare qualcosa, ma tutto ciò che era nato si traduceva in una marea di carta appallottolata che giaceva sul pavimento abbandonata, che adesso osservava dal suo letto.
Dal basso, le proveniva il rumore di suo padre che si alzava, per iniziare la giornata lavorativa: lo poteva sentire provare a muoversi silenziosamente per la casa, nonostante la mole; sorrise, allungando una mano e azionando lo schermo del cellulare.
Quasi le quattro di mattina.
E lei non aveva chiuso occhio.
Si alzò a sedere, stando attenta a non svegliare Tikki e prese l’apparecchio fra le mani, facendo scivolare il polpastrello e accedendo alla galleria: foto di Adrien, foto di loro due assieme, foto con i loro amici…
Il cuore prese a farle male, battendole furiosamente in petto, mentre l’agitazione che l’aveva ghermita sembrava accentuare la presa.
Doveva andare.
Gettò le gambe fuori dal letto e scese la scaletta, raggiungendo l’armadio e cambiando il pigiama con le prime cose che le capitarono a mano: «Marinette?» pigolò Tikki, fluttuando a mezz’aria sopra il letto e osservandola con sguardo assonnato, mentre lei finiva di cambiarsi e le sorrideva impacciata.
«Devo andare.» mormorò la ragazza, afferrando il cellulare e mettendolo nella borsetta, mentre la piccola kwami volava e s’infilava nel suo nascondiglio: «Tikki?»
«Posso immaginare dove stai andando ed è meglio avermi con te.»
«Grazie.»
Scese dabbasso, osservando al genitore che stava facendo colazione: «Buongiorno…» mormorò, salutando il padre con la mano e abbozzando un sorriso: ecco, e adesso che doveva dire? Papà, faccio un salto a casa di Adrien, penso di tornare presto.
Mh. No, meglio di no.
Tom si alzò, sorridendole e mettendo la tazza della colazione nel lavello: «Ti ho svegliata, tesoro?»
«Ah no.»
«Non riuscivi a dormire?»
«Papà, ecco…»
«Sei sempre stata una brava ragazza, a parte le scuse assurde che trovavi quando non andavi a lezione…» commentò il genitore, massaggiandosi i baffi e accentuando il sorriso che gli piegava le labbra: «Quindi immagino che hai un buon motivo per uscire a quest’ora.»
«Mh. Sì.»
«E non puoi dirmelo?»
«Devo…» si schiarì la voce, osservando il padre e inclinando la testa: «Papà, ti ricordi di quando mi hai raccontato di come hai seguito la mamma in Cina, perché sapevi che doveva essere tua moglie?»
«Sì.»
«Diciamo che è qualcosa di simile…»
Tom Dupain annuì con la testa: «Vorrei ordinarti di tornare in camera tua, seriamente. Dovrei farlo, tua madre lo farebbe sicuramente se fosse sveglia…»
«Papà…»
«Ma mi hai appena ricordato di com’ero io, quindi vai da Adrien. Ma ti do il permesso solo questa volta e perché sembra sia importante.»
«Grazie, papà.»
«Solo questa volta, Marinette. Sia chiaro, non ti conviene tirare la corda troppo…»
«Certo, papà.»
«Solo questa volta.»
«Sì.» dichiarò la ragazza, raggiungendo la porta e uscendo velocemente dalla casa: «Grazie, papà.» mormorò di nuovo, salutando il genitore e chiudendosi il portone di casa dietro: corse giù per le scale e uscì in strada, voltandosi in direzione della casa di Adrien.
Bene, era il momento di scoprire quanto era veloce senza il costume di Ladybug.
Iniziò a correre attraverso la città che si stava svegliando: forse sarebbe stato meglio trasformarsi, ma aveva paura che la maschera di Ladybug in qualche modo influenzasse ciò che aveva deciso.
Era stupido, lo sapeva bene, in fondo era sempre lei.
Ma voleva fare quella cosa come Marinette.
Solo come Marinette.
Quando giunse davanti alla villa degli Agreste, si chinò sulle gambe ansante, cercando di recuperare un po’ di fiato; alzò la testa, osservando la casa e non sapendo cosa fare: suonare il campanello? Ma così avrebbe svegliato l’intera casa e, sinceramente, non voleva il signor Agreste: «Forse hai bisogno di questo.» mormorò Tikki, mostrandole il cellulare e sorridendo alla ragazza.
Marinette annuì, prendendo l’apparecchio e facendo partire immediatamente la chiamata, rimanendo poi in attesa: «Pronto?» mormorò la voce assonnata del giovane, dopo parecchi squilli: «Marinette, è successo qualcosa?»
«Ehm. Sono davanti casa tua.»
«Cosa?»
«Mi potresti aprire?»
Sentì dei rumori provenire dal telefono e rimase in attesa, osservando poi il portone di casa Agreste aprirsi e Adrien uscire: veloce, il giovane corse al cancello, azionando il meccanismo di apertura: «Che ci fai qui?» le domandò, osservandola con lo sguardo assonnato e reprimendo uno sbadiglio.
Marinette sorrise, chinando la testa e notando i piedi nudi di lui: «Possiamo entrare?»
Il biondo annuì con la testa, facendole cenno in direzione della casa: «Ha attaccato qualche mostro?» le domandò, mentre chiudeva il portone e poi prendeva le scale, che portavano al piano superiore.
«No, nessun mostro mattutino.» dichiarò la ragazza, entrando nella camera del ragazzo e notando lo sguardo confuso che aveva sul volto.
«E allora, perché?» le chiese nuovamente Adrien, strusciandosi gli occhi e cercando si svegliarsi, senza accorgersi che la ragazza si era avvicinata; rimase sorpreso, quando sentì la lieve pressione delle labbra di lei sulle proprie e rimase imbambolato a osservarla, mentre gli prendeva una mano e lo guidava verso il letto: «Marinette?»
«Io…» iniziò la mora, scuotendo il capo e fissandolo negli occhi, come a pregarlo di capire.
E lui capì.
Deglutì, trovandosi immediatamente sveglio: «I-io…» balbettò, abbozzando un sorriso, mentre le mani di Marinette prendevano l’orlo della maglia e la sollevavano: «Po-potrei non essere capace di fermarmi.» dichiarò, aiutando la ragazza a spogliarlo.
«Ma io non voglio che ti fermi.» dichiarò decisa Marinette, gettando l’indumento da qualche parte della stanza e tirandolo verso di sé e verso il letto: caddero entrambi sul materasso e la ragazza gli catturò la bocca con la propria.
«Davvero, non potrei…» mormorò Adrien, puntellandosi con le mani contro il materasso e guardando la ragazza sotto di lui; scosse il capo, alzandosi a sedere e sentendosi idiota: quanto aveva spinto in quella direzione? E adesso che stava succedendo…
Adesso lui aveva paura?
Marinette si mi a sedere anche lei, per quanto glielo permettesse il peso del ragazzo che le gravava sulle gambe, e con un respiro profondo portò le mani al bordo della maglia, togliendosela: «Adrien...» bisbigliò, poggiandogli una mano sulla guancia e distraendo un attimo l’attenzione di Adrien da ciò che gli stava mostrando: «Voglio che sia tu e solo tu.»
Il biondo respirò profondamente, annuendo con la testa: «Come la mia signora comanda.» dichiarò, chinandosi in avanti e baciandola, invitandola poi a distendersi nuovamente sul letto.


Gettò il bicchiere contro il muro, osservando il vino schizzare la vernice chiara.
Due sue creature, sconfitte entrambe.
Ladybug e Chat Noir l’avevano annientata su ogni fronte.
E adesso i portatori di Miraculous erano aumentati: Volpina, il tipo in blu…
Dovresti lasciare che sia io a occuparmi di loro…
Si voltò verso il suo riflesso, osservando il suo volto sorriderle maliziosamente: «Pensi davvero di fare meglio?»
Avevi detto che quello era l’ultimo tentativo.
Era vero.
L’aveva deciso.
Quello era l’ultimo tentativo, prima di utilizzare quel potere.
«Non voglio.» mormorò, carezzandosi il petto all’altezza del cuore.
Tu vuoi. E vuoi i Miraculous.
«Sì.»
Utilizza il mio – il nostro – potere.
«Il mio potere…»
Usalo. Fallo.
Annuì al suo riflesso, osservando le volute di fumo nero uscire dalla sua figura e poi tre guerrieri, scuri come la notte, materializzarsi alle sue spalle.


Adrien osservò la ragazza che dormiva profondamente nel suo letto, carezzando con la punta delle dita la spalla nuda; sorrise, quando lei aprì gli occhi e gli puntò contro lo sguardo celeste: «Buongiorno, my lady.» mormorò, chinandosi e baciandola sul collo.
«Non ho sognato tutto, quindi?»
«Se intendi essere venuta a casa mia – senza trasformarti. E di questo dovremmo fare un discorsino, signorina. –, essermi saltata addosso e avermi privato della verginità…» riassunse il ragazzo, mentre lei si accoccolava contro di lui: «…mh, no. Direi che è stato tutto reale.»
«Non è che ti sei lamentato o hai fatto resistenza.»
«Mi sono lasciato trasportare. Scusa, che avrei dovuto fare? Una ragazza bella e disponibile, viene a casa mia alle quattro di mattina…» si fermò, scuotendo il capo e facendo scivolare una mano lungo la schiena della ragazza: «…questa me la segno. Non potevi venire un po’ più tardi?»
«Non erano le quattro.»
«Saranno state le quattro e mezzo o, al massimo, le cinque, capirai. Tu e i golem sareste un’accoppiata purrfetta.»
«Hai detto che sono bella?»
«Ah. Ah. Bel modo di cambiare argomento.» ridacchiò Adrien, chinandosi e baciandole la punta del naso: «Sì, sei bella. Anzi, bellissima. Ed io sono stato un deficiente a non aver notato subito i tuoi occhi: si riconoscono subito.»
«Sei cieco.»
«Anche tu non mi hai riconosciuto!»
«Ehi, i tuoi occhi cambiano del tutto quando ti trasformi.» mormorò la ragazza, stringendosi maggiormente contro di lui: «Quindi sono bellissima?»
«Al momento direi qualsiasi cosa, sappilo.»
«Davvero?»
«Beh, sei nuda. Nel mio letto. Stretta a me.» spiegò Adrien, brevemente e deglutendo: «Inizio a faticare a trattenermi.»
La ragazza sorrise, allungando il collo e baciandogli la mascella: «E allora non fallo.» decretò, ridacchiando quando il giovane scivolò sopra di lei.

Wei osservò l’abitazione dove Wayzz l’aveva trascinato, buttandolo giù dal letto: «Qui?»
«Esattamente.» dichiarò il kwami verde, colpendo l’aria con i pugni e con i calci: «Lo farò pentire amaramente di quello che ha fatto.»
«Ma che cosa…?»
«Suona, Wei!»
Il giovane sospirò, premendo il campanello e attendendo che qualcuno aprisse; poco dopo la porta si schiuse e il vecchietto che aveva aiutato il giorno prima fece capolino: «Sì?»
«Maestro Fu!» mormorò dolce come il fiele Wayzz, sorridendo all’uomo che, alla vista del piccolo kwami, era indietreggiato: «Deve spiegarmi molte cose.»


«E non verrai più qui a orari assurdi non trasformata.» dichiarò Adrien, osservando Marinette davanti al portone della villa e attendendo che lei ripetesse le identiche parole.
«E non verrò più qui a orari assurdi non trasformata. Seriamente, Adrien, è una cosa assurda…»
«Silenzio. Voglio stare tranquillo e saperti al sicuro.»
Marinette sbuffò, alzando gli occhi al cielo: «Come il mio gatto e padrone comanda.» borbottò, allungandosi e baciandolo: «Ci vediamo o sentiamo dopo?»
«A dopo, my lady.»
Adrien la osservò uscire dal cancello e la salutò con la mano, prima di tornare dentro l’abitazione: «Era Marinette?» domandò suo padre, apparendo sulle scale e cercando di allungare il collo, per vedere l’esterno dell’abitazione.
«Già.»
Gabriel annuì, scendendo e dirigendosi verso la sala da pranzo: «Figliolo.» iniziò, sedendosi al suo solito posto e osservando Adrien, fare altrettanto: «So che sono stato un genitore pessimo e, quindi, capisco se il nostro rapporto è così incrinato e difficile…»
«Ho paura di sapere dove vuoi andare a parare.»
«Ma ci sono cose che un genitore, per quanto pessimo, deve sapere.» dichiarò Gabriel, incrociando le mani davanti a sé e fissando il figlio da dietro le lenti degli occhiali: «Adrien. Tu hai…» si fermò, respirando profondamente: «…catturato la farfallina di Marinette?»

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.559 (Fidipù)
Note: Ed eccomi di nuovo qua! Contenti? Immagino di no, ormai sono diventata il vostro tormento, sono peggio dello spirito infernale che decide di perseguitarvi...Vabbè, problemi vostri! Scherzi a parte, eccomi di nuovo qua (sì, questo l'ho già detto) con il nuovo capitolo e...mh. Informazioni prima della lettura? A parte che ho iniziato a correggere i primi capitoli (sperando di notare tutti gli errori che mi sono lasciata dietro.) e a cercare di modificare il pezzo con l'arrivo di Fu - in modo da adattarlo all'ultima puntata trasmessa -, non ho altro da dire. No, stranamente a questo giro sono di poche parole...Detto questo vi lascio alla lettura, ringranziandovi perché leggete, commentate, inserite la storia in una delle vostre liste, mi piacizzate, mi mandate messaggi (anzi, chiedo scusa a tutti coloro che mi hanno mandato un messaggio via FB se sembro sulle mie: sono veramente timida e tendo a rimanere con poche parole XD In verità, son dietro allo schermo che urlo, squittisco e altro; quindi contattatemi pure, sono felicissima quando succede!). E bon, niente. Buona lettura e al prossimo capitolo.



La sveglia del cellulare suonò, strappando Plagg dal suo sonno: alzò il musetto, osservando la coppia addormentata nel letto e, poi, la piccola kwami che dormiva acciambellata vicino a lui; con un sospiro si mise a sedere, sbadigliando sonoramente e poi volò fino alla faccia del suo compagno umano: «Ehi, ragazzino.» mormorò, prendendo una ciocca bionda e tirandola leggermente.
«Cinque minuti, Plagg.» sbuffò Adrien, voltandosi di lato e stringendo maggiormente la ragazza che dormiva con lui.
«Senti, bell’innamorato, non sei a casa tua. Ti ricordi? Seratina romantica e bollente da Marinette, la seconda di fila…» iniziò Plagg, tirandogli più forte i capelli e osservandolo aprire le palpebre, mentre le iridi verdi si guardavano intorno: «Non per rovinare la tua pace dei sensi, ma non puoi rimanere qua. Oggi è lunedì, genio.»
«Lunedì. C’è scuola.»
«Ok, il cervello sta riprendendo a funzionare.»
Attento a non svegliare Marinette, Adrien scivolò fuori dalle lenzuola e iniziò a raccogliere i propri indumenti, sparsi per il pavimento, e a rivestirsi: «Che c’è?» sbuffò, dopo un po’, stanco dello sguardo fisso di Plagg su di lui.
«Stavo solo pensando che hai recuperato quattro anni in due giorni.»
«Plagg…»
«Sto solo facendo un semplice pensiero. Spero che la signorina ce la faccia a camminare oggi.»
«Plagg…» mormorò la dolce voce di Tikki, attirando l’attenzione dei due: «…sei pregato di finirla con questi discorsi.»
«Grazie, Tikki.» sussurrò Adrien, infilandosi i pantaloni e andando alla ricerca della maglietta: «Perché non potevo avere un kwami come te?»
«Perché Plagg è malizioso e anche tanto. Però è felice per voi, sappilo.»
«Tikki…» sibilò il kwami nero in tono di avviso e ricevendo in cambio un sorriso soddisfatto dall’esserino rosso.
Adrien sorrise, trovando la maglia sulla scrivania e infilandosela, mentre alcuni rumori dal soppalco del letto, gli fecero capire che Marinette si stava svegliando: «Adrien?»
«Sono di sotto.» bisbigliò il ragazzo, adocchiando una scarpa da tennis e andando alla ricerca dell’altra, trovandola poi nei pressi della botola, nonché porta della camera.
La ragazza scese le scalette che portavano di sotto, strusciandosi gli occhi e con addosso solo una maglietta.
Sua. Ma la ragazza l’aveva requisita la mattina prima, dichiarandola proprietà di Marinette.
E stava decisamente meglio a lei.
«E’ già ora di alzarsi?» domandò la giovane, osservandolo infilarsi le scarpe e poi dandosi una veloce sistemata ai capelli.
«C’è scuola, principessa.» le spiegò brevemente Adrien, voltandosi poi verso il proprio kwami e allungando il pugno con l’anello verso di lui: «Plagg! Trasformami!»
«Giusto.» assentì la ragazza, scrollando il capo e socchiudendo gli occhi di fronte alla luce della trasformazione: la prima cosa che vide, quando riaprì gli occhi, fu il sorriso strafottente del suo compagno.
Chat le sorrise, chinandosi a baciarla velocemente: «Ci vediamo dopo.»
«A dopo.»
Raggiunse le scale che davano sulla botola del terrazzino, fermandosi appena messo il piede sul primo scalino: «Marinette?»
«Mh?»
«Ehm. Come dire…» si fermò, grattandosi imbarazzato il naso con la mano guantata: «Va tutto bene?»
Le ragazza sorrise, avvicinandosi e allungando una mano, carezzandogli la testa: «Sto benissimo.»
Il giovane annuì, piegandosi verso di lei e catturandole le labbra in un secondo bacio: «A dopo.» dichiarò, scivolando fuori e, aiutato dal bastone, iniziò a balzare sui tetti, raggiungendo velocemente casa sua; saltò nella finestra di camera sua, atterrando a quattro zampe: «Mi stavo domandando dove fossi.» dichiarò la voce di suo padre, facendolo sussultare.
Adrien alzò lo sguardo verde, incontrando la figura impeccabile di Gabriel Agreste, seduta sul divano: «Papà…» mormorò, portandosi una mano alla nuca e grattandola con fare imbarazzato: «Posso spiegare.»
«Non c’è bisogno.» dichiarò l’uomo, fermandolo con un gesto della mano: «Marinette è venuta qua sabato mattina, poi tu sei sparito sabato notte e stanotte. Non sono nato ieri, per tua sfortuna.» spiegò velocemente, alzandosi e avvicinandosi a lui: «Posso capire che sei in quella fase dove vorresti passare con lei tutto il tuo tempo, ma…»
«Lo so, dovremmo andarci piano. Pianissimo.»
«Non sono la persona più indicata per dirti qualcosa, ho sposato tua madre quando eravamo giovanissimi ma gradirei che limitassi le visite a casa di Marinette, almeno durante la settimana.»
«Mi stai dicendo che posso andarci durante il weekend?»
Gabriel lo fissò, sospirando: «Io non ho sentito niente. E non saprò niente di dove sarai nei prossimi weekend.»
Adrien l’osservò andare fuori dalla camera: «Grazie, papà.»


Marinette si sedette al suo posto, sbadigliando e attirando l’attenzione di Alya e Lila: «Come mai così stanca, Marinette?» domandò l’italiana, poggiando la borsa sul suo banco e avvicinandosi alla ragazza: «Lila Rinaldi.» si presentò, allungando la mano verso Alya: «Ma immagino che ti ricordi di me…»
«Sì, sei quella che ha creato un po’ di problemi a Marinette.»
«E’ acqua passata, Alya.»
«Sicura?»
«Certo! Lila è dei buoni, vero?»
«Ovviamente.» decretò l’italiana, facendo l’occhiolino: «Ho chiesto scusa per il mio passato, e…oh mio dio, splendore! E tu chi saresti?» domandò, gettandosi indietro una ciocca di capelli e sorridendo al ragazzo che era appena entrato e si era avvicinato a loro.
«Rafael.» si presentò questo, ricambiando il sorriso e stringendo la mano che Lila gli stava offrendo: «E ho il piacere di parlare con…?»
«Lila.»
«Un nome incantevole.» mormorò Rafael, lasciando andare la mano e poi spostando l’attenzione su Marinette: «Sei una meraviglia per gli occhi, mio piccolo fiorellino.» si complimentò, allungando una mano e posandola sulla spalla della ragazza, che indietreggiò di un passo: «Sei così bella che…»
«Che ti ritroverai un occhio nero molto presto, se non la lasci immediatamente andare.» dichiarò la voce di Adrien, facendo voltare il modello e la ragazza: «Veloce, Rafael.»
Il ragazzo sorrise, lasciando andare Marinette e superando il biondo: «Ti conviene non fare tanto il figo con me, alla fine il palco di corna te le fa un micio.» gli sussurrò, assestandogli poi una generosa manata fra le spalle.
«Che cosa ti ha detto?»
«Qualcosa su corna e gatti.» mormorò Adrien, poggiando la borsa con i libri: «Ma insomma, ti resta proprio difficile metterlo al suo posto?»
«Non ne ho avuto il tempo!»
«E’ vero, Agreste.» s’intromise Lila, sorridendo: «Quello è partito in quarta. Bel tipo ma…no. Non ci siamo.» scosse il capo, facendo poi l’occhiolino: «Mentre la tua entrata: fenomenale. Giuro, ti avrei lanciato delle mutandine se…»
«Tienile dove stanno. Non le voglio. Non voglio neanche sapere cosa ne fai!»
«Cucciolo, ma non sarebbero state le mie.» mormorò Lila, ridacchiando e indicando Marinette con la testa.
«Ok. Questo gruppo sta diventando strano…» commentò Alya, non capendo minimamente qualcosa: «Ma mi piace: Lila aggiunge quel qualcosa che questi due verginelli…» spiegò ma fermandosi, non appena ebbe notato gli sguardi imbarazzati di Marinette e Adrien: «Ferma. Ferma. Ferma. Cosa mi state nascondendo voi due?»
Lila rise, scuotendo la lunga chioma e osservando i due studenti che entravano in quel momento: «Nino! Sarah!»
«Nino!» tubò Alya, correndo dal ragazzo e indicando i loro due amici con fare commosso: «I nostri bambini l’hanno fatto finalmente! Non devo più dubitare sul fatto che a Adrien non si…»
«Alya!»


Sarah sospirò profondamente, osservando il proprio riflesso e domandandosi come fosse finita in quel modo: quando era giunta in Francia l’aveva fatto per la missione e lo stesso era stato iscriversi in quella scuola; ma, adesso, dopo pochi giorni da quando era lì, si era ritrovata in un piccolo gruppo di amici chiassosi e divertenti.
«Va tutto bene, Sarah?» le domandò Mikko, facendo capolino dalla borsa e sorridendo alla portatrice del suo Miraculous.
La ragazza annuì, sistemandosi le ciocche bionde in uno chignon e bloccandolo con il pettinino dell’ape, abbozzando un sorriso: «Finora ero sempre stata solo con…» si fermò, ricordando l’unico amico che aveva, colui che aveva abbandonato in America per seguire il suo destino: «…e adesso mi ritrovo tirata dentro e…»
«Goditi la vita, Sarah.» le mormorò la kwami, facendole l’occhiolino: «Per quanto la minaccia di Coeur Noir è grande, tu devi vivere la tua vita. Non sei solo Bee, ricordalo.»
«Ok.» dichiarò la bionda, aspettando che il piccolo spirito dell’Ape s’infilasse nella tasca della felpa e uscì dal bagno; camminò per i corridoi pieni di gente e raggiunse la mensa. Appena entrata, adocchiò il tavolo ove erano riuniti i suoi nuovi amici: Lila e Adrien stavano di nuovo litigando, Marinette ridacchiava al fianco del fidanzato, mentre Nino stava controllando qualcosa sul cellulare e Alya si era alzata, agitando una mano nella sua direzione.
Un sorriso le piegò le labbra e indicò la postazione del self-service, come a dire che li avrebbe raggiunti non appena avesse fatto rifornimento: si mise in fila, prendendo uno dei vassoi di plastica e allungando il collo, cercando di vedere cosa c’era nei vari contenitori: «Il menù di oggi offre verdure lesse. E verdure lesse. Verdure lesse. Oh, quello sembra essere un cordon bleu.» commentò una voce maschile dietro di lei: si voltò, incontrando lo sguardo sorridente di un ragazzo decisamente più alto di lei: «Comunque mi sembra di aver visto anche qualcosa di simile al tabulè: io penso ripiegherò su quello. Il resto sarà sicuramente roba congelata.»
«Grazie.»
«Essere alti a qualcosa serve.» commentò il ragazzo, sfoggiando un sorriso da modello: «Mi chiamo Rafael.»
«Sarah.» mormorò lei, abbassando lo sguardo e tornando a fissare davanti a sé; la fila procedette velocemente e, finalmente, riuscì a dare un’occhiata alle cibarie esposte: «Ehm. Patate e cordon bleu.» mormorò, sperando di aver azzeccato la pronuncia esatta dei due alimenti e sospirò rincuorata, quando vide la donna dall’altra parte prepararle il piatto.
«Straniera…» sbuffò Rafael, accanto a lei: «Marie, luce dei miei occhi!» esclamò, facendo l’occhiolino all’inserviente: «Puoi dare alla mia amica un po’ di tabulè? Sai, questi stranieri…»
Marie l’osservò, incrociando le braccia e scuotendo il capo: «Solo perché me lo chiedi tu, Rafael. Sia chiaro!» dichiarò, preparando un piattino con il cous-cous saltato con le verdure: «Offre la casa, tesorino.» dichiarò a Sarah, poggiando il piatto sul divisore di plexigass e accompagnandolo con un sorriso.
«Grazie.» bofonchiò la ragazza, mettendolo nel proprio vassoio e dando una fugace occhiata a Rafael: «Ehm. Io…»
«Dimmi solo se ti piace, ok?»
Sarah annuì, alzando il vassoio di plastica con il suo pranzo e marciando verso il tavolo ove gli altri erano seduti: «Conosci Mister “Sono bello e me ne vanto”?» le domandò Lila, lasciando perdere il suo contendente e osservandola posare il vassoio sul tavolo.
«Mister “Sono bello e me ne vanto?”»
«Rafael.» borbottò Adrien, indicando il ragazzo in questione, mentre questi andava a sedersi assieme ad alcune ragazze: «Stai attenta: lavoro assieme a lui e…beh, non si può dire che sia…»
«E’ uno che se può s’infila.» sbottò spiccia Lila, sorridendo all’occhiataccia del biondo: «Quindi, a meno che tu non voglia uscirne a pezzi…»
«Per una volta, sono d’accordo con te.» dichiarò Adrien, tirando fuori il suo cellulare e sbuffando alla vista del messaggio: «Devo andare. Servizio fotografico oggi.»
Sarah infilzò una patata, osservando il biondo voltarsi verso la propria ragazza e chiederle qualcosa sugli appunti – il suo francese non era ancora così fluente da capire tutto al primo colpo –, Marinette annuì e il giovane si chinò, baciandola velocemente prima di andarsene: «Seriamente, siete così zuccherosi che mi fate venir voglia di avere una relazione seria.» commentò Lila, ridacchiando.
«Scusa, ma non esci con Antoine? Ti ho visto stamattina con lui…» mormorò Nino, alzando la testa dal cellulare e attirando l’attenzione delle quattro ragazze.
«Antoine? E sarebbe?»
«Quello a cui ti strusciavi stamattina.»
«Ah. Mister Ricciolo. No, non ci esco…»
«E allora perché stamattina…?»
«Perché era carino, Nino.»
«Ma…»
«Lascia stare, Nino.» s’intromise Alya, scuotendo il capo e mostrando il proprio cellulare: «Guardate qua! Ho trovato una ripresa amatoriale del mostro-pianta! Quattro eroi a Parigi, gente! Quattro!»
«Immagino che dovrai aggiornare il Ladyblog, adesso.» mormorò Marinette, scambiandosi un’occhiata con Lila e sorridendo: «Ormai non hai più solo Ladybug e Chat Noir.»
«No.» gongolò la ragazza, riprendendo il cellulare e armeggiando un altro po’: «Ah. Ho trovato anche questo video, solo non capisco chi è.» dichiarò, mostrando il filmato di un’eroina solitaria su un tetto: «Se non sbaglio la tuta è gialla?»
«Già…» assentì Lila, studiando la ragazza mascherata che aveva notato il giorno prima: «Pensi sia un’altra supereroina?»
«Sarebbe fantastico! Eccezionale! Ooooh! Cinque supereroi a Parigi!» Alya si esaltò, iniziando a tormentare Nino con tutte le teorie che le frullavano per la mente, inventandole anche sul momento; Marinette abbozzò un sorriso, scuotendo il capo e ascoltando l’amica, mentre Lila si voltò verso Sarah che, stranamente, era rimasta in silenzio.
Molto strano.
Quasi tutti s’interessavano a quell’argomento, invece l’americana aveva abbassato il capo sul suo piatto e non aveva aperto bocca.


«Mi dispiace farti perdere le lezioni del pomeriggio.» spiegò Gabriel, osservando il figlio seduto di fianco a lui nell’auto: «Ma volevo fare questo set prima della settimana della moda.»
«Nessun problema.» commentò Adrien, osservando il Gorilla accostare davanti l’edificio che ospitava gli uffici della griffe di Gabriel: «Poi oggi c’era storia e non è la mia materia preferita.»
«Per quanto riguarda ciò che vuoi fare dopo?»
«Ci sto lavorando.»
«Sono felice di saperlo.» dichiarò Gabriel, scendendo dall’auto e aspettando che il figlio facesse lo stesso: «Marco ha detto che vuole fare alcune foto nello studio fotografico e poi improvvisare un set per strada.»
«Va bene.»
«Gabriel Agreste!» tubò una voce femminile, mentre Willhelmina Hart li accolse all’entrata, allargando le braccia e stirando le labbra rosse i un sorris: «Sono onorata di incontrarti.»
«Mi piacerebbe poter dire lo stesso.» sbuffò l’uomo, sistemandosi gli occhiali e osservando serio la donna che, rimanendo con la stessa espressione, incassò la risposta.
«Immagino che questo sia tuo figlio.» affermò la donna, spostando la sua attenzione su Adrien e osservandolo intensamente, sorridendo quando lo vide fare un passo indietro: «Willhelmina Hart, stilista del marchio Coeur.» si presentò, dandogli la mano come se aspettasse un baciamano: il ragazzo la osservò, allungando la propria e stringendogliela: «Immagino che sei qui per il set.»
«Proprio così.» dichiarò secco Gabriel, riprendendo a camminare e superando la donna, senza neanche salutarla.
«Arrivederci, signora Hart.» mormorò Adrien, raggiungendo il padre e fissandolo: «Ti ha fatto qualcosa?»
«A parte il fatto che non mi piacciono i suoi modi e la sua voce stridula?»
«Io aggiungerei che non mi piace come mi ha guardato: mi sono sentito una bistecca davanti a un branco di gatti affamati.» bofonchiò il biondo, rabbrividendo a come lo aveva guardato: «Seriamente, pensavo mi sarebbe saltata addosso.»
«Adrien…»
«Davvero! Mancava poco che si leccasse le labbra, sembrava pronta a buttarsi sul buffet…» si fermò, ripetendo le parole dentro di sé: «Buttarsi sul buffet…buffettarsi! L’hai capita? Buffettarsi!» Il padre si fermò, studiando serio il figlio e poi scuotendo il capo e riprendendo la marcia, ignorando il ragazzo che lo seguiva: «Dai, non era male!»


Wei sospirò, dando un’occhiata fugace al bracciale che teneva al polso destro e poi spostando lo sguardo sulla gente che affollava il vagone della metrò: erano passati due giorni, da quando Wayzz lo aveva trascinato dal Maestro Fu, scoprendo il pericolo che incombeva su Parigi e il fatto che lui era il nuovo possessore del Miraculous della Tartaruga.
E ancora doveva venire a patti con tutto.
Sinceramente, quando aveva lasciato la Cina non aveva pensato assolutamente che sarebbe diventato un supereroe.
Non gli piacevano nemmeno i supereroi.
Scosse il capo, massaggiandosi il polso e toccando involontariamente il bracciale.
Che doveva fare?
Aveva provato a ridare il gioiello al Maestro, ma quello era stato categorico: lui era il nuovo prescelto.
La voce registrata lo informò che era arrivato alla sua fermata e così si preparò a scendere: la metrò si fermò e le porte automatiche si aprirono, facendo scendere i passeggeri; Wei seguì il flusso, ancora perso nei suoi pensieri, e non si accorse del trio di ragazze, finché non andò a sbattere contro una: immediatamente la prese per le braccia, impedendole di cadere e la osservò alzare lo sguardo e sorridergli: «Grazie, splendore.»
«Mia colpa.» biascicò lui, assicurandosi che fosse salda sui suoi piedi e scuotendo il capo quando, abbassando lo sguardo, notò i trampoli con cui la tipa camminava.
«Tutte le fortune a te, eh Lila?» commentò una delle altre due, facendo ridacchiare quella che aveva soccorso.
Wei sentì le guance andarsi in fiamme, superando la giovane di nome Lila e ignorando i commenti che seguirono: sapeva benissimo di essere fin troppo grosso e fin troppo alto, non per nulla il suo ex-datore di lavoro l’aveva sempre chiamato Bestione.
Dov’è il bestione?
Ehi, bestione, vieni qua e porta queste casse dentro.

Scosse il capo, cercando di dimenticare tutto e salì velocemente le scale che portavano all’aperto: «Non prendertela, Wei.» mormorò Wayzz, apparendo da sotto la felpa aperta che indossava: «Non erano commenti cattivi, anzi direi tutt’altro.»
«Lo sa.»
«Si dice: lo so.»
«Lo so.»
«Senti, mi hai raccontato un po’ la tua vita, quindi ti dico solo di ignorare quello che ti diceva il tuo datore di lavoro e di camminare a testa alta. Sei un portatore di Miraculous, adesso. Sei un eroe.»
Wei annuì con la testa, abbozzando un sorriso e carezzando la testolina del kwami con un dito: «Grazie.»


Rafael sbadigliò, ignorando l’ennesima chiamata di Chloe – quella ragazza non comprendeva il concetto di botta e via, a quanto pareva – e osservando la folla che stava attendendo il bus con lui: un capo biondo, stretto in uno chignon, attirò la sua attenzione: «Ehi!» esclamò, attirando l’attenzione della compagna e sorridendo quando lei si voltò dalla sua parte: «Sarah, giusto?» la vide annuire, mentre faceva un passo indietro: «Allora? Com’era il tabulè?» le domandò, ignorando il fatto che si fosse irrigidita.
«Era buono.» bisbigliò la ragazza, guardandosi attorno come un topolino impaurito.
Rafael sospirò, scuotendo il capo: «Tranquilla. Ho già mangiato.» buttò lì, vedendola alzare la testa e fissarlo con lo sguardo nocciola sorpreso: era carina, tutto sommato. Non il suo genere, ma aveva quel qualcosa che poteva interessare: forse le lentiggini che le costellavano le guance, oppure i grandi occhioni di cerbiatto: «Abiti lontano da qui?» s’informò, infilando le mani in tasca e dondolandosi: «Io sto vicino a Montmartre.»
«Nel XIV° arrondissement.»
«Dalla parte opposta rispetto a me.»
«Già.»
«Non faresti prima con la metrò?»
«Mh. Se posso la evito.»
«Sei americana, no? Dovresti esserci abituata…»
«Mio padre è morto in un incidente in metropolitana.»
«Ah. Scusami.»
«Nessun problema.»
Rimasero in silenzio, finché il bus di Sarah non arrivò: «Ci vediamo domani a scuola.» la salutò Rafael, sorridendole: lei annuì, salendo poi e sistemandosi in uno dei posti vicino al finestrino e rimase a osservarlo, mentre il bus partiva e lui agitava un braccio per aria; sorridendo la ragazza si voltò davanti a sé, sgranando gli occhi alla vista dei tre guerrieri neri che erano fermi in mezzo alla strada.


Rafael fissò a bocca aperta i tre guerrieri neri, mentre fermavano l’autobus e corse nel vicolo accanto alla fermata: «Che vuoi fare?» gli domandò Flaffy, uscendo dal suo nascondiglio e guardandolo stranito.
«Flaffy, trasformarmi!»
Un sorriso comparve sul volto del kwami, mentre veniva risucchiato nel ciondolo che il giovane teneva al collo.


Sarah saltò giù dal bus e si nascose dietro una macchina, osservando i tre nemici avanzare nella strada: «Sono le sue guardie.» mormorò, mentre Mikko le fluttuava accanto; la ragazza portò una mano al pettinino, che teneva fermo il suo chignon e poi si voltò verso la kwami: «Mikko! Trasformami!»


Wei si fermò, riprendendo fiato e cercando di capire in che direzione andare: era appena tornato a casa e acceso la TV, quando l’edizione straordinaria aveva interrotto la normale programmazione; era rimasto ad ascoltare le notizie della giornalista e a vedere i filmati che riprendevano due eroi mascherati – un ragazzo in blu e una ragazza in giallo – che combattevano contro dei guerrieri neri, prima di trasformarsi e correre in loro aiuto.
Si guardò nuovamente intorno, non capendo dove andare: la giornalista l’aveva detto ma…beh, aveva parlato troppo veloce e lui non aveva capito.
Un boato l’attirò e un sorriso gli piegò le labbra: bene, sapeva la direzione.


Chat spiccò un salto, atterrando su un tetto e portando mano al suo bastone, che squillava inesorabilmente: «Sto andando.» dichiarò, senza controllare chi fosse all’altro capo: due sole persone avevano quel numero e una era lì con lui; si fermò, osservando Papillon camminare tranquillamente sul tetto: ovviamente suo padre non era impeccabile anche nella sua versione trasformata, con il completo viola scuro che sembrava uscito da una delle collezioni dell’uomo.
«Dove sei, my lady?» domandò alla ragazza, che lo aveva chiamato e abbozzando un sorriso al genitore.
«Vicina. Sto arrivando con Volpina.»
«Purrfetto.»
«Chat, se arrivi prima…»
«Non farò sciocchezze, my lady. Tranquilla.»
«Non sono tranquilla! Due giorni fa ti sei buttato dentro una pianta carnivora! Come faccio a stare tranquilla?»
«Rilassati. E poi ci ho guadagnato, no?»
«L’unica cosa che guadagnerai, se riprovi a fare qualcosa di simile, è una visita dal veterinario!» sbottò la ragazza, chiudendo la comunicazione e lasciando Chat sospirante.
«Problemi?»
«Solo una lady troppo ansiosa.» mormorò l’eroe, voltandosi verso l’uomo e fissandolo: «Sei veramente sicuro di voler venire anche tu?»
«Posso dare una mano.»
«Akumatizzare non va bene, ricordatelo.»
«Il mio potere originario è creare dei Campioni: hai presente i cinque minuti di notorietà? Bene, sono tradotti in cinque minuti di eroicità.»
Chat alzò gli occhi al cielo, riprendendo la sua corsa verso il luogo in cui era iniziato l’attacco e dove Peacock e un’altra eroina stavano lottando.
L’ultima portatrice di Miraculous…
A quanto pare erano davvero tutti e sette a Parigi.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.308 (Fidipù)
Note: Salve a tutti! E bentornati fra queste...mh. Pagine andrà bene? Ok, tagliamo la testa a toro: salve a tutti e bentornati! Al posto dei miei sproloqui senza senso, questa volta, volevo darvi una piccola spiegazione dei poteri dei quattro Miraculous "nuovi": Volpina, come detto nella serie, usa le illusioni a cui ho aggiunto, ispirandomi alla kumiho (uno spirito volpe coreano), anche il fuoco fatuo come potere speciale; Per Bee mi sono ispirata, invece, al wu xing (ovvero la teoria cinese degli elementi, su cui è basato lo scrigno): controllando la posizione del Miraculous dell'Ape, ho notato che si trova nella sezione della Terra e, secondo la teoria del wu ming, questo elemento è collegato alla milza, che trasporta e invia energia. Per Tortoise (che conoscerete a breve), beh...per lui mi sono ispirata un po' all'uso protettivo del guscio delle tartarughe e, infine, per Peacock ho usato il fatto che uno dei significati del Pavone è la visione.
Ok, è sicuramente un discorso contorto, ma sono certa che capirete - o almeno spero - una volta letto il capitolo (Ignoro bellamente che sono pessima a spiegarmi).
Che altro devo dire? Ah sì, "xie xie" vuol dire grazie in cinese e...
Vabbè, che Adrien/Chat è in perenne calore si sapeva già.
Detto ciò, ancora una volta vi ringrazio per i vostri commenti (qui, su fb, nei messaggi che mi mandate), per il fatto che perdete tempo leggendo questa storia e la inserite in una delle liste.
Davvero, non farei altro che dirvi "Grazie! Grazie! Grazie!"
Al prossimo capitolo!



Ladybug osservò lo schermo del suo yo-yo e indicò una direzione alla ragazza che la seguiva: «Da quella parte!» urlò, balzando su un tetto e notando le due figure scure poco lontane da loro: Chat Noir e Papillon.
Quindi anche il signor Agreste era venuto.
Lanciò il suo yo-yo verso un comignolo, usando come punto di appoggio e si lanciò, atterrando vicino al suo ragazzo: «Ben arrivata, my lady.» la salutò lui, osservandola rialzarsi e facendole l’occhiolino: «Oggi abbiamo anche il burattinaio.»
«Il burattinaio?»
«Si riferisce a me.» decretò tranquillamente Papillon, osservando i due eroi sotto di loro: «Il Miraculous del Pavone e quello dell’Ape.»
«Manca il maestro Miyagi e siamo al completo.» decretò Chat, mentre Volpina atterrava vicino a Ladybug: «Andiamo a dar loro una mano?»
Ladybug annuì, lasciandosi cadere giù e subito imitata dagli altri: «Ma come? C’è una festa e non inviti, Peacock?» domandò Chat, ruotando il bastone e camminando spavaldo verso l’eroe in blu.
«Sbaglio o avevi detto che non eravamo amici?» domandò il pavone, bloccando le braccia a uno dei tre guerrieri e usandolo come scudo contro l’attacco di un altro: «Alle mie feste private, invito solo gli amici stretti.»
«Ti conviene mettermi in lista, allora.»
«Qualcuno mi salvi dai questi due...» sbuffò Volpina, dirigendosi verso il guerriero che teneva impegnata l’eroina in giallo e suonando alcune note del suo flauto, facendo comparire alcune sue copie, che iniziarono a correre in direzioni opposte, colpendo da entrambi i lati il nemico e facendolo svanire in una nube di fumo: «Ehi, sono debolissimi.»
«Magari.» sbuffò Bee, osservando il fumo dividersi in due volute e formare, ognuna, un guerriero nero: «Il problema è questo: se li sconfiggiamo, loro si moltiplicano.»
«Ma così non vale!»
«E come facciamo?» domandò Ladybug, osservando l’ultima arrivata e poi i quattro guerrieri che si erano riuniti e li fissavano minacciosi: «Ci sarà un modo per sconfiggerli definitivamente!»
«Il potere purificante del tuo yo-yo, Ladybug.»
«Tu come…?»
«Sentite, vi dirò tutto appena li avremmo annientati. Adesso non è proprio il momento delle spiegazioni.» decretò Bee, mostrando i due bracciali che teneva ai polsi e da cui fuoriuscivano due pungiglioni dall’aria decisamente letale: «Avete un piano, comunque? Perché io sono pessima a idearli.»
Chat si voltò verso Peacock, che li affiancò, mettendo mano al ventaglio che teneva appeso alla cintura: «Ehi, non guardare me. Non ho ancora approfondito la conoscenza con questa dolce signorina, con tanto di affari appuntiti…»
«Sei veramente inutile.»
«Ehi, ti aiutato l’ultima volta! Gatto stronzo!»
«Senti, pennuto…»
«Scusate.» la voce imperiosa di Papillon mise fine alla discussione fra i due: «Posso provare una cosa?» chiese, mentre migliaia di farfalle bianche apparivano dal nulla e si lanciavano verso i quattro guerrieri.
«Papillon?» domandò Bee, osservando l’uomo e poi voltandosi e meravigliandosi alla viste del nemico sparito in una nuvola di fumo nero: «Abbiamo vinto?»
Il fumo si divise in otto colonne, creando da ognuna un guerriero identico: le maschere nere erano minacciose, i vestiti scuri come la notte; in simultanea gli otto guerrieri estrassero le spade, che tenevano al fianco, e si misero in posa di attacco.
«Un applauso a Papillon.» decretò Chat, applaudendo al genitore, imitato da Peacock: «Adesso si che siamo nella merda.»
Volpina li ignorò, voltandosi verso Ladybug: «Hai un piano?» domandò ruotando il flauto e non prestando attenzione al nemico, finché l’urlo di Bee non la riscosse e si voltò, osservando uno dei guerrieri correre verso di lei con la spada alzata: sarebbe dovuta fuggire ma le gambe non le rispondevano, alzò un braccio per proteggersi ma qualcosa di verde e scuro si parò fra lei e il nemico.
«Scusate il ritardo.» mormorò il nuovo arrivato, abbassando lo scudo con cui aveva protetto Volpina e se stesso dall’attacco nemico, poi con una spallata colpì il guerriero rivale, che barcollò all’indietro: «Spero di non essermi perso niente.»
«Il maestro Miyagi?» domandò Chat, indicandolo e non credendo ai suoi occhi: com’era possibile che il Miraculous della Tartaruga avesse trasformato così tanto il nonnino cinese?
«Dici l’uomo che mi ha dato questo?» domandò il nuovo arrivato, mostrando il bracciale al polso destro.
«Non sei il maestro?»
«No.»
«Sentite, chiacchieriamo dopo!» sbuffò Ladybug, guardando il gruppetto: «E prometto che vi offro brioches e dolci. Ora occupiamoci di quelli lì.»
«L’hai promesso, my lady.»
«Come LB comanda.»
«Sei tu il capo.» dichiarò Peacock, facendole l’occhiolino.
Ladybug sospirò e iniziò a guardare uno ad uno gli altri: «Volpina puoi creare delle tue copie?» domandò e sorrise al cenno affermativo della ragazza, poi l’eroina in rosso si voltò verso Papillon: «Ci servono le tue farfalle.»
«Come desideri, Ladybug.»
«Peacock, oltre a qualsiasi cosa hai fatto l’altro giorno, quali sono i tuoi poteri?»
«Diciamo che posso vedere: quando l’attivo posso vedere tutto, anche il futuro. E poi ho questo.» dichiarò l’eroe, mostrando il ventaglio e aprendolo, mostrando le varie parti staccabili e sorridendo allo sguardo scettico dell’altra: «E’ affilato, posso assicurarlo.»
«Bee?»
«Ho i miei pungiglioni.» decretò la ragazza, mostrando entrambe le braccia: «E il mio potere speciale consiste nel creare sfere di energia.»
Ladybug annuì, voltandosi poi verso l’ultimo arrivato: «Ehm…»
«Tortoise. Puoi chiamarmi così: posso usare lo scudo e la mia tazza.» si fermò, scuotendo il capo: «Volevo dire la mia stazza. Il mio potere speciale consiste nel creare barriere.»
Ladybug annuì con la testa, osservando il gruppo di portatori di Miraculous: «Annientiamoli, ok? Volpina, Papillon, distraeteli con illusioni e farfalle; Bee, tu e Peacock occupatevi degli attacchi a lunga distanza, mentre Chat, Tortoise ed io ci assicureremo del corpo a corpo.»


Osservò lo scontro fra i suoi guerrieri e il gruppo di portatori.
Non ce l’avrebbero fatta.
Ogni volta che li colpivano, i suoi figli si moltiplicavano.
Stavolta non sarebbero usciti vittoriosi.
Stavolta avrebbe vinto.


Chat colpì un nemico con il bastone, spedendolo contro Tortoise che, con un colpo di scudo, lo assicurò a terra: «Bel colpo, Torty!» si complimentò il gatto, sorridendo all’altro: «My lady, guerriero nero pronto a essere purrificato solo per te!»
«Torty?»
«E’ più semplice da dire di Tortoise.»
«Ma…»
«Annuisci, fai prima.» dichiarò Ladybug, ignorando le lamentele di Chat azionando il suo yo-yo, lanciandolo poi contro il nemico che, alla luce purificatrice, svanì in una voluta di fumo grigio: «Fuori uno, ne restano altri sette.»
Bee e Peacock lanciarono in contemporanea le loro armi, colpendo altri due guerrieri e Ladybug corse in avanti, facendo vorticare lo yo-yo e purificando altri due guerrieri: «E siamo a cinque.» decretò l’eroina rossa, sorridendo agli altri.
I restanti cinque guerrieri si riunirono e, dopo essere diventati fumo nero, si assemblarono in un unico, gigantesco combattente: «Ehi! No,  tutti insieme appassionatamente no!» sbottò Chat, indicandolo, mentre il nemico faceva comparire nella sua mano una mazza: il gigante iniziò la sua marcia e alzando l’arma contro Chat e Ladybug.
«Attenti!» urlò Tortoise, invocando poi il potere del suo Miraculous e creando una barriera, impendendo al colpo nemico di abbattersi sui due eroi: «Bee!»
L’ape annuì al richiamo della tartaruga, azionando il proprio potere speciale e creando una sfera di energia, facendola roteare tra le mani e lanciandola poi contro il bestione, mentre Ladybug dava ordini a Peacock e Volpina: il primo iniziò a vedere, trovando il punto debole del bestione, mentre Volpina, usando il fuoco fatuo, lo accecò aiutata dalle farfalle di Papillon.
«Ehi! Micetto!» urlò il pavone, indicando il guerriero gigante: «E’ tempo di cataclisma! E assicurati di colpire la maschera. Ladybug, il Lucky Charm. Subito!»
I due annuirono: Ladybug ruotò lo yo-yo e lo lanciò per aria, facendo apparire una tanica d’olio e sorrise: sapeva già come usarla.
Fece un cenno a Chat che invocò il proprio potere e corse verso il bestione, saltò agilmente sulla mazza e raggiunse un punto cieco, dandosi una spinta e arrivando fino alla maschera, sfiorandola e vedendola distruggersi al solo contatto; poi con un calcio lo fece barcollare in avanti e balzò lontano per evitare di essere preso: «Bestione nero per la mia amata!» urlò, osservando il nemico scivolare sulla pozza d’olio che Ladybug aveva creato, versando il liquido per strada e sorrise, quando la ragazza agitò lo yo-yo, purificandolo.


«Vi spiego tutto dopo la battaglia…» scimmiottò Adrien, sbuffando sonoramente: «Peccato che sia sparita non appena abbiamo sconfitto il bestione! E pure il pennuto!»
«Non lo facevamo sempre anche noi?» domandò Marinette, alzando le spalle e cercando aiuto nei due kwami, che comodamente seduti sul tavolino davanti la TV, si rifocillavano: «Anche Tortoise se n’è andato subito dopo.»
«Torty ha detto che lo avremmo incontrato da mister Miyagi.» bofonchiò il ragazzo, poggiando la testa contro il divano e osservando la sua stanza: «Eravamo tutti lì…»
«Come?»
«I portatori di Miraculous. Eravamo tutti e sette. Lì.»
«Già…» mormorò la ragazza, scuotendo il capo: «E stato strano. Incredibile, ma strano.»
Adrien sorrise, allungandosi verso di lei e spostandole le ciocche scure dal collo: «Tu sei stata incredibile.» mormorò, leccandole la pelle e sentendola irrigidirsi appena: «Hai saputo guidarci tutti…» continuò, scivolando fino all’orecchio e prendendole il lobo fra i denti, mentre la invitava a distendersi sul divano e le montava sopra; le mani scivolarono sotto la maglietta, carezzandole la pancia e salendo lentamente verso l’alto: «Eri bellissima, mentre…»
Un pezzetto di formaggio gli arrivò in testa, facendolo voltare verso il tavolino e osservare male il kwami nero: «Sto mangiando.» dichiarò Plagg, osservando la ragazza, rossa in viso, sgusciare da sotto il giovane e alzarsi in piedi: «E vorrei non farmi morire l’appetito.»
«Plagg…» ringhiò Adrien, rimettendosi seduto e iniziando una battaglia di sguardi con il piccolo.
«Non mi fai paura, signorino. Non sei certo il primo gatto in calore con cui ho a che fare.»
«Ma come?» s’intromise Tikki, addentando un biscotto e masticando lentamente: «Non avevi detto che gli Chat Noir passati erano più tranquilli.»
«Tikki, per favore, sto cercando di insegnargli un po’ di disciplina: capisco che l’istinto animale è forte, così come il bisogno di accoppiarsi ma deve trattenersi.»
«Parli proprio tu?»
Adrien scosse il capo, alzandosi in piedi anche lui e osservando Plagg iniziare a discutere con la kwami rossa: «Ti sei mai chiesta…» iniziò raggiungendo la ragazza e abbracciandola da dietro: «…se i nostri kwami hanno una specie di relazione?»
Marinette sorrise, sentendo il peso del viso di Adrien gravarle su una spalla: «Alle volte sembrano marito e moglie, vero?» domandò, voltandosi e baciandogli una guancia.
«Forse perché lo siamo.» s’intromise Plagg, fissandoli e ignorando la kwami accanto a lui: «Più o meno.»
«Cosa? Che?»
«Non siamo sposati.» sbuffò Tikki, alzando gli occhi al cielo e voltandosi verso i due ragazzi: «Semplicemente le nostre vite sono molto intrecciate, con il fatto che i portatori dei nostri Miraculous tendono…beh, lo sapete. E quindi…»
«E quindi la sopporto da ben più di cinquemila anni. Un matrimonio, in pratica.»


Lila osservò la ragazza bionda entrare nel palazzo e poi, dopo una buona manciata di minuti, le luci al terzo piano si accesero: «Perché hai voluta seguirla?» domandò Vuxxi, aprendo la scatoletta di carne in scatola e guardando la sua partner umana.
La ragazza rimase a osservare le finestre illuminate, scuotendo il capo: «Non lo so, ho come un sospetto.»
«Pensi che sia il nemico? Che lei sia Coeur Noir?»
L’italiana scosse il capo, sorridendo al kwami e dando un’ultima occhiata alle finestre: «Per niente.» dichiarò, incamminandosi per la strada.
No, non poteva essere assolutamente un nemico.


«Sono così orgoglio di te, Rafael! Hai combattuto con gli altri! Hai protetto Parigi.»
«Bah…»
Il kwami del pavone sorrise, sedendosi sul cuscino, accanto al viso dell’umano: «Non ti senti migliore? Eri lì e ti sei trasformato subito…»
«Non volevo che quella ragazza rimanesse coinvolta nello scontro.»
«Chi? La tua compagna di scuola?»
Rafael sospirò, girandosi e dando le spalle a Flaffy: «Lascia perdere.»


«E così andata è.»
«E’ andata così.» lo corresse immediatamente Wayzz, mentre Wei si portava alle labbra la tazza di the, che Fu gli aveva offerto, nascondendo l’imbarazzo per avere sbagliato nuovamente: «E siamo andati via subito, dopo aver detto a Ladybug e Chat Noir che li avremmo incontrati qua.»
Fu annuì con la testa: «Sei stato bravo, Wei.» commentò, allungandosi e dando una pacca sulla spalla muscolosa del ragazzo: «Dovresti essere orgoglioso di ciò che hai fatto.»
«Xie xie.» mormorò il ragazzo, nella loro lingua d’origine, finendo la bevanda calda.
Fu sorrise, massaggiandosi poi il mento: «Avete detto che c’erano tutti? Tutti e sette i portatori di Miraculous?»
«Sì, maestro.»
«Le pedine si stanno muovendo…»


I suoi guerrieri.
Annientati.
I sette portatori li avevano annientati.
Lei li aveva purificati.
Più potere.
Più forza.
Aveva bisogno di entrambi, se voleva battere quei sette e avere i Miraculous.


Sabine alzò la testa, osservando i due ragazzi entrare nella panetteria: «Qualcuno si è dimenticato che oggi doveva dare una mano in negozio…» cantilenò, guardando la figlia sgranare gli occhi e iniziare a maledirsi per essersi scordata una cosa così importante.
«E’ stata colpa mia, Sabine!» s’intromise Adrien, abbozzando un sorriso e guardando imbarazzato la donna: «Ho chiesto a Marinette di aiutarmi con la scelta dell’università e il tempo è volato…»
«La scelta dell’università? Pensavo che avresti preso il posto nella maison di tuo padre.»
«Lo credevo anch’io.» borbottò Adrien, grattandosi imbarazzato la nuca.
«Beh, se vuoi puoi prendere la panetteria di Tom, un giorno.»
«Così andrebbe in fallimento dopo poco, perché mangerebbe tutto lui.» bofonchiò Marinette, rimediandosi una leggera spintarella dal ragazzo: «Ho solo detto la verità! Pensi non mi sia accorta di come stai guardando quei biscotti?»
«Ne vuoi un po’, Adrien?»
«No, non importa.»
«Sì, li vuole.» sbuffò Marinette, prendendo le pinze e un sacchetto che riempì, facendolo poi ondeggiare sotto al naso del ragazzo: «E li avrai se riesci a battermi a Ultimate Strike.»
«Cosa?»
«Forza, mon minou. Non li vuoi i tuoi biscotti?» dichiarò la ragazza, correndo poi verso le scale che portavano al piano superiore e venendo immediatamente rincorsa.
«Questa me la paghi, my lady.»
«Oh! Che paura!»
«Sarà un conto bello alto!»

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.003 (Fidipù)
Note: Salve salvino, miei cari e gentilissimi lettori! Sono di nuovo qua con il nuovo capitolo fresco fresco di scrittura. Più o meno. Qualche notizia random prima di passare al capitolo? Allora, La cigale è un locale che si trova nelle vicinanze della chiesa Sacre Coeur e...beh, vedendo alcune foto dell'interno del locale me ne sono innamorata (sto anche pensando di farci un concerto con Jagged, giusto per far apparire il cantante e il suo coccodrillo. Sia chiaro, m'interessa di più il coccodrillo del cantante XD), mentre il negozio che Flaffy tanto adora è...è il male fatto luogo. Già solo guardando il sito stavo sbavando come Plagg di fronte a una montagna di Camembert.
Detto questo nel capitolo succede veramente pochissimo, a parte il fatto che le pedine si stanno muovendo e i vari portatori...beh, fraternizzano. Per quanto possono fraternizzare gente che sta sulle sue e non vuol rivelare chi è veramente.
E adesso vi lascio al capitolo, dicendovi come al solito: Grazie! Grazie di leggere, commentare, mandarmi messaggi e quant'altro. Lo so, sono noiosa perché lo sto ripetendo a ogni capitolo, ma ci tengo a farvi sapere quanto...mh. E' importante per me? Sì, Quanto è importante per me! E adesso vi lascio al capitolo!



Chat Noir balzò su uno dei tralicci della Tour Eiffel, osservando la città illuminata sotto di lui, alzando poi la testa e sorridendo alla vista della sua lady che, con le gambe penzolanti nel vuoto, ammirava il panorama poco più in alto: «Serata tranquilla, vero?» domandò, saltando e raggiungendo il traliccio più alto.
Ladybug si voltò, sorridendo al ragazzo: «Non pensi che lo sia troppo?» gli domandò, seguendo con lo sguardo i movimenti di lui mentre si sedeva al suo fianco.
«Non fare l’uccello del malaugurio, my lady.» le mormorò Chat, passandole un braccio attorno alle spalle e attirandola a sé: «Ci penso già io con la mia sfortuna, non c’è bisogno di altro.» dichiarò, sentendola poggiare il capo contro la sua spalla e rimanendo in silenzio a osservare il panorama parigino.
Non c’erano stati attacchi di Coeur Noir negli ultimi tre giorni, ma erano tutti in allerta: nelle loro ronde notturne avevano incontrato gli altri Portatori – a parte Papillon che, tranquillamente, restava nella sua magione – ma sia Bee che Peacock sembravano non voler approfondire la conoscenza.
«Secondo te chi sono?» domandò dal nulla il giovane, voltandosi verso la ragazza.
«Chi?»
«Bee. E Peacock. E anche Torty, dato che non c’è mai da mister Miyagi, anche se vado a trovarlo tutti i giorni.»
«Lo stai veramente chiedendo a me?»
«Beh, sei più intelligente di me, no?»
«Ti vorrei ricordare che non mi sono mai accorta chi eri tu.» dichiarò Ladybug, puntandogli contro il petto l’indice: «Finché non sei venuto a casa mia.»
«Già. Dimenticavo.» Chat annuì con la testa, sorridendo: «Sono talmente abituato al fatto che sappiamo e poi Volpina…beh, lei è impossibile non sapere.»
La ragazza annuì, muovendo le gambe nel vuoto e posando di nuovo la testa contro la spalla del compagno: «Tu hai idee, invece?»
«Mh?»
«Fra noi due sei stato il primo a rendersi conto di chi era l’altro, quindi pensavo…»
«Ah. Mh.»
«Che c’è, mon minou?»
«Penso di non avertelo mai detto…» mormorò il ragazzo, grattandosi il naso con la mano libera: «Mi sono accorto che tu eri Ladybug perché ti notavo.» dichiarò, abbozzando un sorriso impacciato: «Quando avevamo quattordici anni…beh, per farla breve ero innamorato sia di Ladybug che di te. Di te, intendo. Te, te.»
«Ho capito…» mormorò sorridente Ladybug, abbassando poi lo sguardo e arrossendo leggermente: «Non me n’ero mai accorta.»
«Secondo te perché ti ho chiesto l’autografo, quando hai fatto la copertina del cd di Jagged? O ti salutavo sempre? O…»
«Ok. Ho capito!»
«Bene. Comunque ero indeciso perché ero innamorato di entrambe…» continuò a spiegare Chat, sorridendo al ricordo di sé stesso: «Ed è allora che ho iniziato a notare qualcosa: bastava che io non fossi presente e tu cambiavi, non balbettavi o dicevi cose senza senso…»
«Scusa.»
«Scherzi? E’ divertente capire quello che dici in quei momenti. Comunque per tanto tempo, pensavo che ce l’avevi ancora con me per quella storia del chewingum…»
«Scusa.»
«Piantala! Poi…beh, insomma, per scusarmi ti ho offerto un ombrello, non era proprio il massimo.»
La ragazza sorrise, strusciando il viso contro Chat: «E’ stato lì che mi sono innamorata di te.»
«Davvero?»
«Puoi chiedere a Tikki: ho balbettato in tre modi differenti a domani.» dichiarò orgogliosa la ragazza, alzando la testa e Chat ne approfittò per baciarla: accentuò la stretta attorno alla vita, attirandola verso di sé e approfondendo il bacio, invitandola a dischiudere le bocca.
«Abbiamo compagnia, my lady.» le bisbigliò Chat contro le labbra, agitando nervoso la coda e muovendo a scatti le orecchie, voltandosi indietro.
La ragazza osservò quel cambiamento di atteggiamento, osservando la coda che si muoveva nell’aria mentre l’eroe si guardava intorno attentamente: «Non ho ancora capito come fai…»
«A fare cosa?»
«A muovere orecchie e coda.»
«E’ una tuta magica, mon amour.» dichiarò il ragazzo, facendole l’occhiolino e alzandosi, aiutandola poi a fare altrettanto: Bee planò vicino loro con le braccia spalancate, in modo che le ali, che dalla schiena raggiungevano i polsi, fossero ben distese; abbassò gli arti, attenta a non stropicciare il delicato tessuto che le permetteva di volare e puntò lo sguardo nocciola verso i due: «Buonasera, Bee.» la salutò cordialmente Chat, sorridendole affabile: «Come andiamo? Vuoi spiegarci qualcosa o farai come l’altro giorno e sparisci in…hop! Un attimo!»
«Sono venuta qui apposta.»
«Oh. E’ un grande onore.» decretò il gatto, inchinandosi in modo plateale e sorridendole: «Chi sei?»
«Questo non posso dirvelo. E’ meglio che la mia identità resti segreta.»
«Questa l’ho già sentita…» mugugnò Chat, voltandosi verso Ladybug, che era rimasta dietro di lui in silenzio: «Non ricordo chi l’ha detto, però. Potresti rinfrescarmi la memoria, my lady?»
Ladybug alzò gli occhi al cielo, assestandogli una manata sulla spalla e osservando l’eroina in giallo: «Posso capire.» dichiarò, sorridendo all’altra: «Non vogliamo sapere chi sei veramente, solo cosa sai su Coeur Noir e se sei dei nostri.»
«Ho seguito Coeur Noir fin qua. Sono dei vostri, se intendete batterla.» dichiarò Bee, incrociando le braccia al petto: «In verità so poco anch’io di lei: all’inizio pensavo che non fossero suoi gli attacchi che avete subito, lei non usa golem o altri mostri del genere ma l’ultimo…» si fermò, scuotendo il capo: «Quei guerrieri neri sono di Coeur Noir.»
«Quindi dici che ci sono due supercattivi?» domandò Chat, sbuffando e agitando stizzito la coda: «Fantastico! Non ne bastava uno solo.»
«Io penso che sia sempre stata Coeur Noir, lo dimostra il fatto che avete trovato dei cristalli neri all’interno dei mostri…»
«Ma in quei guerrieri non c’erano cristalli.»
«Non ho avuto modo di…» Bee sciolse le braccia e fece un gesto per aria con le mani: «…teorizzare, ma penso che i cristalli fossero fumo nero condensato. Coeur Noir può usare quel fumo per creare. Qualunque cosa.»
«Bello. No, davvero. Splendido!»
«Chat…»
«Comunque penso che d’ora in poi adopererà i suoi guerrieri. Prima di venire qua ha sempre usato solo quelli; magari ha provato a utilizzare quei cristalli per mettervi alla prova, per vedere se poteva…»
«Prendere i nostri Miraculous. Sì, lo sappiamo che mira a quelli. Sai perché?»
«No, Ladybug.» mormorò Bee, scuotendo il capo e fissando per terra: «Ha provato a prendere anche il mio, tante volte, ma non ho mai saputo perché li volesse; però sono sicura di una cosa: li vuole tutti e sette.»


«E questo è quanto.» dichiarò Adrien, poggiandosi contro lo schienale della poltrona e osservando suo padre dall’altro lato della scrivania: «Poi ho riaccompagnato a casa Marinette e sono venuto subito qua.»
«Subito…» bofonchiò Plagg, mangiucchiando un triangolo di formaggio: «Magari dopo una mezz’ora passata a farle un’ispezione accurata.»
«Plagg…»
Gabriel li ignorò entrambi, incrociando le mani e tenendo lo sguardo fisse su queste: «Sinceramente, so che chi ha il Miraculous della Creazione e quello della Distruzione – ovvero il tuo e quello di Marinette – può ambire al potere di un dio.» mormorò Nooroo, posandosi sui fogli con gli schizzi che erano sparsi sulla scrivania: «Ma tutti e sette…»
«Cosa succede? Attivano il calice della vita eterna? Portano ricchezza e prosperità?» buttò lì Adrien, allungandosi in avanti e incrociando le braccia, poggiando poi il viso sopra queste e osservando il piccolo kwami viola camminare avanti e indietro sul legno scuro del tavolo.
«Di certo, tutti e sette i Miraculous attiverebbero un grande potere.» mormorò Nooroo, scuotendo il capo sconsolato e fermandosi, abbassando le spalle: «Ma non so cosa potrebbe fare.»
«Mister Miyagi sa qualcosa secondo voi?»
«Mister Miyagi?» ripeté il kwami della Farfalla, aggrottando il musetto di fronte a quel nome e passando poi lo sguardo su Plagg che, in silenzio, stava finendo il suo formaggio.
«Il maestro Fu. Il moccioso lo chiama in quel modo.»
«Ah.» Nooroo annuì con la testa, voltandosi poi verso il proprio partner umano che, in silenzio ascoltava tutto, e poi scuotendo il capo: «Penso di no. Sinceramente non è mai successa una cosa del genere.»


Bee osservò il locale, da cui proveniva la musica a tutto volume, inframezzata dalle chiacchiere delle persone che sostavano fuori dal locale: aveva visto il suo compagno di classe entrare, mentre lei terminava il suo giro di ronda e, quasi spinta da una forza misteriosa, si era acquattata sul tetto del palazzo di fronte, rimanendo in attesa.
Come una stupida.
Il giorno successivo c’era scuola e lei era già abbastanza stanca per via della ronda, non aveva motivo attendere che il suo compagno uscisse dal locale.
Poi per cosa?
Solo perché era stato gentile con lei una volta in mensa?
Sei una stupida, Sarah, si disse ma rimase ferma sul posto finché non lo vide uscire; silenziosamente si alzò, balzando agilmente sul tetto dell’edificio vicino e seguendolo, mentre proseguiva lungo la strada principale: non erano lontani dalla chiesa del Sacre Coeur, anche da lì poteva intravedere la maestosità dell’edificio bianco che, dall’alto del suo piccolo colle, s’imponeva sul quartiere.
Aprì le braccia, approfittando della folata di vento, e planò sul tetto di un edificio dall’altra parte della strada, ritrovandosi a pochi passi di distanza dal giovane e lo seguì silenziosamente, notando che imboccava un vicolo che costeggiava la zona verde su cui poi si ergeva la chiesa dalle candide mura.
Si fermò, osservando il parco immersa nel buio e promettendosi di visitarlo uno dei giorni successivi: magari avrebbe chiesto anche agli altri di accompagnarla…
Più volte,  Alya, Lila e Marinette – ma anche Nino e Adrien – le avevano proposto di farle da guida per la capitale francese, ricevendo sempre dinieghi da parte sua: non le interessava conoscere la città. Almeno fino a quel momento.
Scosse il capo, riprendendosi dai suoi pensieri e abbassando lo sguardo, notando che la figura del ragazzo era scomparsa: come aveva fatto? Come poteva averlo perso nonostante i superpoteri che aveva?
Balzò giù, atterrando nella strada e guardandosi attorno: Forse abitava lì? Fece un passo, entrando in un cono di luce di un lampione e avvertendo una presenza alla sua destra: si voltò, notando in quel momento le scale in pietra che portavano a una zona più alta del quartiere e il ragazzo che, comodamente poggiato, contro la balaustra in metallo la fissava ridente: «Buonasera.» la salutò, rimanendo immobile con le mani ben piantate nelle tasche dei jeans: «Sei una dei protettori della città, vero?»
Bee annuì, facendo un passo indietro, come a mettere maggiore distanza fra di loro, mentre tranquillamente lui rimaneva fermo al suo posto: «Posso sapere come mai mi stavi pedinando?» le chiese, sempre sorridente e sempre nascosto nelle ombre che abitavano le scale.
«Chiedo scusa.» mormorò Bee, guardandosi attorno e notando la strada deserta: non era un vicolo frequentato dagli abituè notturni di quel quartiere; riportò l’attenzione sul giovane che, sorridendo, sembrava trovare divertente il suo smarrimento.
L’aveva portata lì apposta.
«Sai…» mormorò il ragazzo, spostandosi leggermente dalla sua postazione e scendendo uno scalino: «…ho notato la tua figura fin da quando sono uscito da La Cigale – a proposito, localino interessante se ti piace la musica e ascoltare un po’ di rock – e ho iniziato a farmi un po’ di domande: perché una supereroina mi sta seguendo? Perché una dei protettori di Parigi mi sta pedinando? Ah, non ci siamo presentati: Rafael Fabre per servirla.»
Era diverso: più freddo, sprezzante e cinico.
Non era il ragazzo della mensa o quello che aveva cercato di fare due chiacchiere alla fermata dell’autobus.
O quello che, il giorno dopo, l’aveva fermata nel cortile d’entrata della scuola e chiesto come stava.
Chi sei veramente, Rafael?
Sorrise, facendo un passo indietro: «Mi domandavo come mai un ragazzo giovane come te fosse qui. Di notte.»
«Mi piace fare la bella vita. Problemi, signorina eroe?»
Vattene.
Non gli servi.
Non gli interessi.
Lui non è…
«Bene. Nessun civile da salvare.» dichiarò, aprendo le braccia per spiegare le ali e poi saltare in alto: sentì subito l’aria fresca, mentre roteava nell’aria e raggiungeva il tetto di un palazzo; si voltò, osservando Rafael fissarla e poi salutarla con un cenno del capo, riprendendo poi la strada in salita e sparendo nel buio del vicolo.


Rafael sbuffò, scuotendo il capo: ci mancava solo che gli altri lo pedinassero quando era in forma civile, anche se dubitava che Bee si fosse accorta della sua vera natura.
Non sembrava aver dato l’aria di conoscerlo come Peacock.
Flaffy fece capolino dalla tasca della giacca, osservandolo con un sorriso gioioso in volto: «Che c’è?» domandò al kwami, già sapendo quale risposta gli avrebbe dato: era contento – anzi no, estremamente felice – che lui avesse preso a cuore la sua missione come prescelto del Miraculous del Pavone.
«Niente.»
«Certo. Hai l’aria di uno che è appena entrato in una cioccolateria.»
«Oh. A proposito…» lo fermò il kwami, con lo sguardo che brillava: «E’ da tanto che non andiamo in uno di quei posti! Sai, mi piacerebbe tanto tornare in quella dove c’è quell’affare a due ruote in vetrina, fatto di cioccolato…»
«Ovviamente, la più costosa dovevi ricordarti.»
«Ehi, sei un modello per qualcosa, no?»
«Non certo per far campare un kwami goloso di cioccolata!»


Tortoise sbuffò, sistemandosi meglio lo scudo sulle spalle e voltandosi appena: era una fortuna che il suo costume fosse fornito di un comodo cappuccio che teneva calato sul volto: «Bisogno di qualcosa, Volpina?» domandò, fermandosi e incrociando le braccia al petto, voltandosi poi verso l’eroina in arancio che, da buona mezz’ora, lo seguiva.
La ragazza piegò le labbra, dipinte dello stesso colore del suo costume, in un sorriso: «Giusto per sapere: quante ore di palestra fai per essere così pompato?»
«Lavoro. Io alzo pesi a lavoro. Tanti pesi.»
«Lavori quindi?»
Tortoise annuì, abbozzando un sorriso: «Non sono tanto più garande di te, credo.»
«Garande?»
«Grande.» biascicò imbarazzato Tortoise, voltandosi e riprendendo la sua marcia: idiota. Eppure lo sapeva che faceva schifo a parlare, soprattutto senza Wayzz che lo correggeva. Ancora si meravigliava di come era riuscito a non fare errori durante l’attacco, ove si era riunito agli altri.
«Ehi. Non prendertela! Anche una mia amica ogni tanto s’inceppa quando parla…» dichiarò Volpina, saltellandogli dietro: «In verità due amiche s’inceppano quando parlano: una perché è straniera, l’altra…» si fermò, ridacchiando: «…beh, perché il suo ragazzo la fa imbarazzare e quando lei s’imbarazza inizia a balbettare e dire cose senza senso.»
Tortoise sorrise, pensando alle due ragazze che Volpina aveva accennato: sentire le avventure di quelle due, gli riportava alla mente che lui era stato solo fin dal suo arrivo in Francia.
Ma adesso ho Wayzz. E il maestro Fu.
«Bisogno di qualcosa, Volpina?» domandò nuovamente, fermandosi e osservando il parco dalla forma quadrata sotto di loro: Places des Vosges, se non sbagliava. Ok, era ancora parecchio lontano da casa.
«Sapere chi sei.» dichiarò l’eroina, sorridendo e incrociando le braccia sotto al seno: «Tutto qua.»
«Perché?»
«Non mi piacciono le bugie.»
Tortoise aprì la bocca, richiudendola poi e passandosi una mano sulla faccia: «Tu usi le illusioni.» dichiarò, come se quello spiegasse tutto: «Le illusioni non sono bu-bu…»
«Bugie. Sì, e se ti raccontassi un po’ del mio passato, inizieresti a ridere alla mia frase di poco prima. In verità, sono certa che se lo dicessi al micetto si rotolerebbe dalle risate…» si fermò, scuotendo il capo e facendo ondeggiare la lunga chioma: «In ogni caso, non mi piace chi mente e non dire la propria identità…»
«Neanche tu dici la tua.»
«Touché.»
Il guerriero la fissò, osservando il sorriso impacciato: «Stavi…» si fermò, cercando di ricordare come si diceva la parola che aveva in mente, ma sbuffando di fronte al vuoto cosmico che trovò.
«Mentendo? No. Odio davvero le bugie e voglio sapere chi sono le persone con cui combatto. Diciamo che voglio sapere di chi è il bel culetto che potrei salvare.» dichiarò, indicando una certa zona di Tortoise e ridendo, quando lo vide portare le mani alla parte interessata: «Comunque capisco anche perché non vuoi dirmela, quindi attenderò.»
«Mh.»
«Davvero.» dichiarò Volpina, facendogli l’occhiolino: «Adesso devo andare: la notte è tranquilla, Parigi sembra al sicuro e domani…» si fermò, sorridendo: «Beh, ho da fare.» dichiarò, salutandolo con la mano e volando via velocemente.
Che strana tipa.


Quando suo padre entrò con passo di marcia nella sala da pranzo ad Adrien sembrò di essere tornato indietro nel tempo: «Che è successo?» domandò, afferrando un biscotto dal vassoio e osservando il genitore sedersi e posare il tablet con un gesto stizzito.
«Nathalie ha sbagliato a compilare l’ultimo preventivo…»
«Nathalie? Ha sbagliato? Nathalie? La stessa che…»
«Sì. Nathalie. La donna che si occupa della gestione delle nostre vite, che programma le nostre giornate minuto per minuto.»
«Come può avere sbagliato? Quella donna è un robot.»
«Forse ha bisogno di una vacanza…»
«E’ un grosso errore?» domandò Adrien, prendendo il tablet e studiando il preventivo incriminato: «Mh. Così poco il budget per gli accessori? Ma è il preventivo di una nuova collezione o…»
«No. E’ il preventivo della mia sfilata alla settimana della moda, che è già stato proposto al consiglio e accettato già da un po’.»
Il ragazzo annuì, studiando il preventivo errato e picchiettandosi il labbro inferiore con le dita: «Devi seguire alla lettera quanto indicato, oppure puoi…» si fermò, posando il tablet e indicando la cifra indicata per le stoffe: «…giostrare i soldi come ti pare?»
«Se non sono grosse cifre, possiamo giostrarle come ci pare.»
Adrien annuì, picchiettando il dito sulla voce Stoffe: «Con Marinette, ormai, sono diventato esperto: potresti risparmiare su quelle, prendendole magari da un fornitore come quelli dove va Marinette e buttare i soldi che rimangono negli accessori. Ovviamente, anche per quelli dovremmo abbassare il calibro…»
Gabriel annuì, continuando a seguire il ragionamento che il figlio gli esponeva: «Potremmo veramente fare così.» dichiarò, osservando serio Adrien e sorridendo appena: «E’ un vero peccato che tu non abbia quel qualcosa che serve a uno stilista, altrimenti potevo lasciarti tranquillamente la mia maison.»
«E’ per questo che mi hai detto di trovare la mia strada?»
«Per questo e perché è giusto che tu abbia i tuoi sogni: io sono diventato Gabriel Agreste, stilista di fama mondiale, perché adoravo disegnare abiti e sognavo che altri li portassero. Tu devi fare quello che sogni per diventare Adrien Agreste.»

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.219 (Fidipù)
Note: Eccomi qua! Con un altro capitolo che vede solo...beh, lo spostamento di alcune pedine della storia (più che altro due) e un po' di scene da fangirl, che fanno sempre comodo, no? Inoltre, mi sto accorgendo che io non riesco a fare personaggi normali (Vooxi, a questo giro sei capitato tu nelle mani del mio disagio mentale!) e che non ho ancora fatto un ritrovo fra Vooxi e gli altri kwami (o, almeno, con Nooroo, Plagg e Tikki. - Wayzz ce lo siamo giocati con la segretezza per ora XD -). Devo rimediare.
Vediamo poi...
Non mi sembra di avere informazioni vari da dare su posti di Parigi, quindi passo subito ai ringraziamenti di rito: grazie. Grazie. Grazie. Grazie di leggere, di commentare e di inserire la storia in una delle vostre liste. Lo so, lo ripeto a ogni capitolo, ma non mi sembra mai abbastanza! E adesso a voi il nuovo capitolo!



Vooxi sbadigliò, volando con una scatoletta fra le mani e osservando la propria umana finire di prepararsi per una nuova giornata: «Me la puoi aprire?» domandò, tendendole la confezione e aspettando che Lila facesse ciò che gli aveva chiesto.
La ragazza s’infilò la maglia ed eseguì l’operazione, osservando poi il kwami della Volpe volare fin sopra il comò e posare la scatoletta, poi fluttuò nuovamente nell’altra stanza e tornò con un forchetta fra le zampette: «Non dovresti fare come i cani, scusa?» gli chiese, osservandolo mentre infilzava con la posata un pezzo di alimento e se lo portava alla bocca.
«Ehi, la tua razza è imparentata con le scimmie, ma tu mica ti spulci come loro, no?»
Lila sorrise zuccherosa, avvicinandosi al kwami e requisendo la scatoletta: «Sai, penso che dovresti imparare ad aprirti da solo questi cosi.»
«Oh! Andiamo! Solo perché ho detto che…»
«Proprio perché hai detto che…»
«Chiedo venia, somma Lila! Non volevo offenderla!» dichiarò subito il kwami, mettendosi seduto e inchinandosi di fronte alla ragazza con fare arrendevole.
«Il bello è che so che mi stai prendendo in giro.» sbuffò Lila, scuotendo il capo e ridando la scatoletta a Vooxi, tornando poi a finire di prepararsi: «Ma ti avviso: al prossimo accenno alle scimmie, tu impari ad aprire le scatolette.»
«Come tu desideri, somma Lila.»
«Continuo a sentirmi presa in giro.»
«Ma Vooxi non potrebbe mai prendere in giro la sua umana. Vooxi è un kwami fedele.»
Lila si voltò, posando le mani sui fianchi e fissando male lo spirito della volpe: «Ammettilo. Ti sei di nuovo sparato tutti i film di Harry Potter, vero?»
«Lila. Ti prego, quando tutto questo sarà finito, andiamo a Londra! Ti prego!»
«Lo sai, vero, che è tutta finzione e che non c’è un binario 9 e 3/4? Lo sai, vero?»
«Ehi, sono un kwami! Se esisto io, può esistere anche un binario 9 e 3/4.»
«Qualcuno mi salvi da te!»
Vooxi alzò le spalle, riprendendo a mangiare e osservando la castana: «Magari un certo possessore di Miraculous che parla male il francese, eh?»
«Cosa?»
«La persona che ti potrebbe salvare da me.»
«Non ho la più pallida idea di quello che stai dicendo: sono interessata a Tortoise – o Torty, come lo chiama il micetto – ma solo perché voglio scoprire chi è. E’ l’esatto interesse che ho sia per Peacock che per Bee.»
«E allora perché gli altri due non li pedini?»
«Bee vola.»
«Peacock no, però.»
«E’ difficile da rintracciare.»
«Certo. Ed io sono un chihuahua.»
«In effetti…» mormorò Lila, inclinando la testa e sorridendo al kwami: «Potrei spacciarti tranquillamente per uno di quei cagnolini. E farti indossare vestitini pieni di gale e trine…»
«Provaci e sei morta!»


«Puoi farcela, Wei!» dichiarò Wayzz, volando sopra il libro di francese e incoraggiando il giovane che sta trascrivendo alcune parole, ripetendo la pronuncia esatta.
«Posso farcela!» dichiarò il ragazzo, ripetendo l’operazione: «Io saperò parlare francese.»
«Saprò.» lo corresse immediatamente Wayzz, volandogli davanti il viso: «E’ solo un errore! Non demoralizzarti!»
«Non mi demoralizzo!»
«Bravo il mio ragazzo!»
Fu osservò la scena, scuotendo il capo di fronte ai due e non sapendo se dare man forte a Wayzz nel supporto morale che stava dando a Wei o farsi direttamente gli affari propri.
Hai il cuore troppo tenero, Fu, si disse mentre si sedeva al tavolo con i due e leggeva le parole scritte dal ragazzo: «Andiamo, puoi farcela.» dichiarò, unendosi anche lui al kwami verde nell’incitamento.


Gabriel sospirò, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi il setto nasale, dando un’ultima occhiata ai preventivi dei fornitori che Adrien gli aveva suggerito: poteva farcela. La sfilata non sarebbe stata il disastro totale che si preannunciava.
Un lieve bussare alla porta lo riportò alla realtà e, dopo essersi massaggiato la faccia per scacciare un po’ di stanchezza, inforcò nuovamente gli occhiali: «Avanti.» ordinò, tornando a prestare attenzione alle carte, quasi certo che il nuovo arrivato fosse Nathalie con una nuova serie di scuse.
«Gabrielluccio!»
Un brivido corse lungo la schiena dell’uomo, mentre alzava lo sguardo e incontrava la figura di Willhelmina Hart: il corpo stretto in un abito rosso fuoco di parecchie stagioni passate, i capelli biondo platino tirati indietro e il viso truccatissimo.
E quella donna era una stilista?
Ricorda Gabriel, la moda è dettata dagli uomini. Chi sei tu per dire che il suo look fa schifo?, si disse mentalmente, trovando però immediatamente una risposta alla domanda.
Gabriel Agreste, che domande.
Gabriel, ricorda: la moda è sensazione. La moda è innovazione.
La moda è personale.
Sì, ma si veste da schifo.

La osservò sedersi in una delle due poltroncine beige messe davanti alla scrivania e l’uomo si tirò indietro, pauroso che un punto della cucitura saltasse e lo colpisse in pieno viso: «Gabriel, ho appena dato un’occhiata ai tuoi vestiti: quell’abito rosso e oro…» si fermò, agitando le mani per aria e Gabriel notò gli artigli laccati di cremisi: «…semplicemente meraviglioso! Immagino che sia il fulcro della tua sfilata.»
Chi. Era. L’imbecille. Che. L’aveva. Fatta. Entrare. Nell’atelier?
Trattenendo a stento la rabbia, l’uomo rimase impassibile e fece mente locale all’abito che la Hart aveva osannato: «Quello non è uno dello sfilata.»
«Ah no? E come mai?»
«Non penso siano affari suoi, Madame Hart.»
Willhelmina sorrise zuccherosa, allungandosi in avanti e posando le mani su quelle di Gabriel, e ignorò volutamente lo sguardo di ghiaccio che ricevette in cambio: «Avanti, non fare il prezioso, Gabrielluccio e raccontami tutto.»
L’uomo la fissò, spostando poi lo sguardo sul cellulare e analizzando brevemente la situazione: se voleva liberarsi di una seccatura, c’era una sola cosa da fare.
Certo, non era bella, ma come Papillon ne aveva fatte di peggiori
Liberò le mani dalla stretta della donna e prese l’apparecchio, mandando velocemente un messaggio.
E poi un altro.
E un alto ancora.
Mentre i suoi timpani venivano martoriati dalla voce della Hart: ma perché non rispondeva mai quando c’era bisogno?


Marinette ansimò, mentre le labbra del biondo scivolavano lungo il collo e le mani risalivano l’addome nudo: «Adrien…» gli sussurrò contro l’orecchio, facendo scorrere le mani sulle spalle muscolose e stringendosi maggiormente a lui; si morse il labbro inferiore, sentendo le labbra correre più in giù, fino all’incavo fra i seni.
«Ehi.»
La ragazza sospirò, voltando la testa e osservando il kwami nero che prendeva la mira e lanciava poi un pezzo di camembert, che finì sulla testa di Adrien.
«Adrien…» mormorò nuovamente Marinette, cercando di portare anche lei l’attenzione su Plagg e fallendo miseramente, ritrovandosi sdraiata e con le labbra di Adrien sulla pancia.
«Ehi! Gatto in calore!»
Un nuovo pezzo di formaggio sulla testa, ma Adrien era troppo concentrato a mordicchiare l’addome di Marinette che, inutilmente, stava cercando di allontanarlo da sé; Plagg sbuffò, volando fin dall’umano e tirandolo per i capelli, ricevendo in cambio un’occhiata di fuoco: «Che vuoi?» domandò il ragazzo, trattenendo a mal fatica la rabbia nella voce.
«Io niente. Tuo padre ti sta mandando messaggi da dieci minuti buoni!»
Adrien sbuffò, alzandosi in piedi e recuperando il cellulare che aveva abbandonato sulla scrivania e dando un’occhiata a ciò che gli aveva inviato il padre: il primo parlava solo di andare alla maison urgentemente.
Poi i toni erano diventati più allarmanti e aveva dichiarato che voleva essere salvato.
Il terzo, infine, dichiarava il piano malefico che il genitore aveva in mente per lui, ovvero immolarlo come vittima sacrificale alla Hart per la pace dei suoi nervi.
«Sta scherzando, spero.» sbottò Adrien, rileggendo l’ultimo messaggio e scuotendo il capo: «Altro che sono diventato buono, quello è Papillon fatto e finito.»
«Che ti ha scritto?» domandò Marinette, finendo di rimettersi la canotta e raggiungendo il ragazzo: a differenza di lui, che stava girando tranquillamente con solo i jeans addosso – e slacciati, fra l’altro – si sentiva ancora intimidita a camminare per una camera – non sua – mezza nuda. Si avvicinò e, posando le mani sul bicipite del giovane, lesse velocemente i tre messaggi: «Hart?»
«Willelhmina Hart.»
«La conosco! E’ una stilista americana, se non sbaglio.»
«Come ci si aspetta dalla mia Marinette.» dichiarò Adrien, posandole una mano sulla testa e scompigliandole affettuosamente i capelli: «Perché ti sei rivestita?» domandò, notando solo allora che la ragazza era più coperta rispetto a poco prima.
«Perché devo andare a casa.» spiegò Marinette, cercando con lo sguardo la maglia a maniche lunghe e trovandola sul divano: «A differenza di te, che sei un genio della matematica, io ho parecchi problemi con quella materia e la professoressa mi ha dato del lavoro extra.» dichiarò, raggiungendo il mobile e finendo di rivestirsi: «Quindi, per quanto l’idea di – tue testuali parole – rotolarmi con te sul letto sia…» si fermò in cerca della parola esatta da dire: «…attraente? Sì, attraente. Beh, devo andare a casa a studiare.»
«Oh, hai detto “rotolarmi con te sul letto” senza arrossire e balbettare!» dichiarò Adrien, vedendola immediatamente diventare rosso fuoco e balbettare un qualche rimprovero verso di lui: «Stai facendo progressi.» sentenziò, recuperando la sua maglia sul letto e rivestendosi: «Dai, ti do una mano io: come hai detto tu sono un genio della matematica.»
«Davvero?»
«Marinette…» Adrien si fermò, studiandola un attimo e incrociando le braccia: «Ammettilo: hai fatto tutto questo per avere un aiuto con i compiti.»
«Ti ho portato anche i biscotti!» dichiarò giuliva la ragazza, recuperando la propria borsa e tirando fuori i libri della materia maledetta e un sacchetto marrone pieno di dolcetti, portando tutto al ragazzo con un sorriso sulle labbra.
«Sei pessima: prima mi attrai con il tuo corpo e poi vuoi darmi del cibo…»
«Sono quelli che fa mio padre, con i pezzi di cioccolata.» spiegò Marinette, facendo dondolare il sacchetto davanti al viso del ragazzo e sorridendo dolce: «Magari, se finiamo alla svelta potremmo riprendere anche il discorso di prima…»
«Questo è…»
«Questo è…?»
Il ragazzo sbuffò, afferrando il sacchetto e sedendosi sul divano: «Dammi quei libri, donna cattiva.» dichiarò, infilandosi un biscotto in bocca e divorandolo velocemente: «Mi sento usato, sappilo.»
«Ma non ti sto usando.» dichiarò Marinette, sedendosi accanto a lui e passandogli i testi di matematica: «Io ti aiuto con storia dell’arte e disegno, tu con matematica. E fisica. E…»
«Ti aiuto con tutto, fai prima così.»
«Non è vero! Ho voti alti in tutte le materie e non mi aiuti sempre te.»
«Bene. Brava la mia coccinella! Comunque le materie dove te la cavi da sola sono solo tre.» dichiarò Adrien, sfogliando il libro e afferrando il quaderno di Marinette, dando un’occhiata agli esercizi supplementari: «Ah. No. Quattro: storia dell’arte, Disegno, Letteratura ed Educazione civica.»
«Non è vero! E comunque tu sei troppo bravo! E pensare che non sei venuto a scuola per parecchio tempo.»
«Nathalie era un’insegnante severa. Parecchio severa.» spiegò Adrien, abbozzando un sorriso e cercando la pagina della teoria del primo esercizio: «E il suo programma di studi era da suicidio. Davvero. Oltretutto penso che abbia una laurea in economia, perché la maggior parte delle volte mi faceva studiare gestione aziendale, economia…» fece un gesto vago con la mano per aria: «Roba così. Però c’è da dire che mi sono sempre piaciuti: i numeri e il far quadrare tutto, intendo.»
«Potresti studiare quella, no?»
«Mh?»
«Economia. Questa roba qua. All’università, intendo.»
Adrien annuì, abbozzando un sorriso e facendo vagare lo sguardo sulle pagine davanti a sé, scuotendo poi il capo e voltandosi verso la ragazza: «Sei pronta, my lady?»
«Alla matematica? Mai.»
«Non sarà peggio che affrontare una persona akumatizzata. O uno di quei guerrieri di Coeur Noir.»


Sarah alzò il cellulare, aspettando che l’obiettivo mettesse a fuoco e poi premette, scattando una foto alla chiesa del Sacré Coeur e sentendosi soddisfatta dello scatto che aveva appena fatto: «E’ un bel posto! Mi piace!» mormorò Mikko, facendo capolino e osservando la piazza di Louis Michel: le scalinate bianche risaltavano nel verde del prato, mentre dalla cima del suo colle, la chiesa dominava il tutto: «Comunque sei rimasta ossessionata da questo posto.»
«Mi ha…» Sarah si fermò, sistemandosi meglio la tracolla della borsa sulla spalla e iniziando la salita verso l’edificio candido: «…incantata.» dichiarò la ragazza, sorridendo alla vista di una bambina che, con i genitori, era seduta su un plaid steso sull’erba e giocava tutta felice con le bambole; raggiunse la terrazza poco più in alto rispetto all’entrata della piazza e si voltò, osservando il panorama di Parigi da lì: da un lato gli edifici della città, dall’altro la struttura che l’aveva ossessionata dalla sera prima.
Si appoggiò alla balaustra di pietra e rimase a osservare le persone che affollavano la parte sottostante: «Sarah?» mormorò una voce maschile che lei conosceva molto bene: si voltò, incontrando lo sguardo allegro di Rafael: «Che fai qua?» le domandò, raggiungendola e sorridendole caloroso.
Ecco. Adesso era di nuovo il ragazzo avvicinabile e non quello freddo e intoccabile che aveva incontrato la volta prima.
«Ah. Sono venuta a vedere la chiesa. Sono qui a Parigi da un po’ e non ho ancora fatto un po’ di turismo…» spiegò, indicando l’edificio candido e poi sistemandosi meglio la borsa: era quasi certa di aver sentito Mikko ridacchiare.
No, era certa di aver sentito la kwami ridacchiare.
«Potevi dirmelo, abito qui vicino e avrei potuto farti compagnia.»
«Ho deciso all’ultimo.»
Ovvero qualcosa tipo dodici/quindici ore fa?
«Sei già stata alla chiesa?»
Sarah scosse il capo, facendo ondeggiare le ciocche bionde che le incorniciavano il viso e portandosi poi una mano ai capelli, assicurandosi che il pettinino dell’Ape fosse ancora lì: che Miraculous fastidioso che era, doveva sempre stare attenta che non scivolasse via dai suoi capelli.
«Allora ti faccio da guida, ok?»
La ragazza annuì e Rafael le fece cenno di riprendere la salita verso la basilica: «Allora, vediamo se ricordo bene…» mormorò Rafael, aggrottando lo sguardo e studiando l’edificio: «Se non erro è stata costruita intorno alla fine del 1800. Gli anni 70-80, ora non ricordi preciso la data…»
«Ah. Non importa.» mormorò Sarah, frugando nella borsa  e tirando fuori una guida tascabile di Parigi: «Ho questa. Ho pensato di prenderla per…» si fermò, roteando gli occhi: «…avere informazioni.»
«Bella mossa. Allora, sperando che il mio inglese non sia come il francese di qualcuno…» dichiarò Rafael, prendendo il libretto e sfogliandolo velocemente, alla ricerca della pagina sul monumento.
«Io parlo benissimo francese.»
«Grammaticalmente non lo metto in dubbio, ti manca quel qualcosa che fa capire che sei straniera, però.» dichiarò il ragazzo, sorridendo orgoglioso: «La basilique du Sacré-Coeur è una basilica cattolica dedicata al Sacro Cuore; elevata al rango di Basilica minore da Papa Benedetto XV nel 1898. L’intero edificio è in pietra calcarea che ha la caratteristica di non trattenere polvere e smog, così dopo ogni pioggia il Sacré Coeur risulta ancora più splendente.»
«Hai letto benissimo!»
Rafael sorrise, voltando il libretto verso di lei e picchiettando l’indice su un trafiletto: «C’è il pezzo in francese, è stato facile.»
«Questo è barare.»
Un sorriso piegò le labbra del ragazzo, che riprese la marcia verso l’alto: «No. E’ solo usare tutti i mezzi a propria disposizione: e, comunque, se non c’era il pezzo in francese l’avrei tradotto tranquillamente: mia madre è una ricercatrice molecolare e da piccolo la seguivo sempre nei suoi spostamenti. Adesso è a New York, se non sbaglio, mentre io mi sono fermato qui in Francia: tecnicamente dovrei vivere con mio padre ma…» si fermò, scuotendo il capo divertito: «…lui è una specie di avventuriero e quindi è da qualche parte con tante piante, tanti animali striscianti e poca comodità.»
«Una ricercatrice molecolare e un avventuriero?»
«Già. Dovresti vedere come diventano diabetici quando sono insieme. Insopportabili.»
«Secondo me devono essere carini.»
«Forse dal tuo punto di vista, dal mio sono due che limonano troppo in una casa troppo piccola per tutti e tre.»


Il bussare alla porta svegliò Adrien che, messosi a sedere nel letto, si osservò intorno: vestiti sparsi, libri sul tavolo…
Si voltò, notando la ragazza addormentata nel suo letto e sorrise; si sarebbe chinato a baciare la parte di schiena lasciata scoperta dalle lenzuola, ma i colpi alla porta si fecero più insistenti e così sgusciò fuori dal letto, recuperando velocemente la sua biancheria intima e i suoi pantaloni, andando poi ad aprire. Suo padre lo studiò e Adrien si maledisse per non aver preso anche la maglietta: velocemente scivolò nello spazio aperto dell’uscio e lo richiuse dietro di sé: «Adesso capisco perché non sei venuto a salvarmi.»
«Rendermi la tua vittima sacrificale perché non vuoi sopportare Willhelmina Hart non è salvarti, è suicidio.»
«Non ti ho allevato così.»
«Dai! Magari non è tanto malaccio, prova a uscirci insieme: magari scopri che è la donna della tua vita.»
«C’è stata una sola donna nella mia vita: tua madre.» dichiarò Gabriel, fissandolo serio: «E devo dire che su questo punto mi assomigli: dimmi, figliolo, perché non provi a uscire con quella tua vecchia amica, Chloé Burgeois, magari scopri che è la donna della tua vita.»
«Non si rubano le battute altrui. E comunque c’è una sola donna nella mia vita: Marinette.»
«Anche tu hai rubato la mia.»
«Che volevi?»
«Sapere perché avevi abbandonato il tuo unico genitore in balia di quel mostro assetato di sangue.»
«E’ stata così brutta?» sentenziò Adrien, poggiandosi contro la porta e incrociando le braccia al petto: «Andiamo, sei Papillon, colui che faceva tremare tutta Parigi con i suoi akuma.»
«Ero a un passo dall’autoakumatizzarmi oggi.»
«E’ possibile farlo?»
«Non lo so. Ma ero vicino a scoprirlo.»
«Adrien?» la voce sommessa di Marinette giunse dall’interno della camera: il ragazzo si voltò e poi portò nuovamente attenzione sul padre, mentre i rumori da dentro facevano capire che la ragazza si era alzata e lo stava cercando.
«Va da lei.» commentò Gabriel, ignorando il sorriso imbarazzato del figlio e osservandolo mentre apriva velocemente la porta: «Adrien?»
«Sì?»
«Ti avviso fin da adesso: sorvolerò su questo tuo comportamento se, prima o poi, metterai un anello al dito di quella ragazza, altrimenti non pensare più di considerare questa casa come il tuo hotel per appuntamenti personale. Sono stato chiaro?»
«Sì.»
Adrien sgusciò dentro la stanza, chiudendo la porta alle spalle e addossandosi contro: Economia. Anello al dito.
Sembrava che quel giorno tutti volessero dirgli qualcosa.
«Adrien?» domandò Marinette, sbucando dal bagno e osservandolo, mentre lui rimaneva fermo dov’era: «Ero convinta che fossi andato a fare una delle tue docce. Sai il lato da modello…»
«Ah. Ah. Divertente.»
«Era buffo, vederti sparire in bagno nei momenti più assurdi come l’attacco di un nemico.»
«Disse quella che veniva sempre a controllare che fossi intero. Speravi in una sbirciatina, my lady?»
«Co-cosa? N-no! Ce-certo che no!»
«Quanto stiamo balbettando…»
«Smettila.»
«Come la signora comanda.»
Marinette inclinò la testa, mentre alcune ciocche more scivolavano sulle spalle lasciate nude dalla sua maglietta – a quanto pareva doveva dire addio a un altro capo d’abbigliamento –, e lo studiò attentamente: «Va tutto bene?»
«Sì, direi di sì.»
«Sei sicuro?»
«Certamente, my lady. Va tutto purffettamente bene!»


Willhelmina buttò giù il bicchiere di vino in un sorso solo, osservando il riflesso nello specchio davanti a lei: Gabriel Agreste.
Odiava il modo in cui la trattava, come se si sentisse superiore a lei.
Come se lui fosse il migliore.
Ma lui non era niente.
Lui era solo una misera creatura senza niente.
Oh, quanto le sarebbe piaciuto vederlo strisciare e implorarle pietà.
Sorrise, versandosi un nuovo calice di vino e bevendolo tutto d’un fiato.
Già, sarebbe stato magnifico.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.066 (Fidipù)
Note: Salve persone! Eccomi qua con un nuovo capitolo! E, come sempre, un po' di chiacchiere random, giusto per farvi attendere le nuove avventure...
Allora, partiamo subito con quello che dice Tikki e che segue il ragionamento donna = essere che da la vita = creazione. Fine. Un ragionamento molto lineare, no?
Stranamente non ci sono posti da linkarvi; però devo dire che ho deciso di svelarvi la vera identità di Coeur Noir...
Ci ho pensato e ho deciso di dirvelo: Coeur Noir è...*rullo di tamburi* Cersei Lannister!
Bene, ora vorrete uccidermi, vero? Scherzi a parte, ho fatto questo ragionamento pensando al fatto che...beh, ogni volta che la cara Coeur entra in scena, ha un bicchiere di vino in mano. Vino rosso, fra l'altro.
E con questa scemata vi lascio al capitolo, dicendovi come sempre: Grazie! Grazie dei commenti, del fatto che leggete la mia storia, che la inserite in una delle liste e...
Niente. Grazie! Grazie davvero!



Tikki ridacchiò, scuotendo il capino rosso e attirando l’attenzione della ragazza seduta alla scrivania che, con un asciugamano a mo’ di turbante in testa, stava dando un ultimo sguardo ai compiti: «Cosa hai?» domandò Marinette, incuriosita dall’allegria della kwami.
«Stavo ripensando a Plagg.» dichiarò la piccolina con il sorriso sulle labbra: «Sinceramente non lo invidio: ha sempre a che fare con prescelti…» si fermò, ridacchiando divertita: «…beh, con prescelti in fasi critiche della loro vita.»
«Tu hai mai avuto Ladybug maschi?»
«No.» dichiarò prontamente la kwami, annuendo con la testa: «Coloro che hanno portato il mio Miraculous sono sempre state donne.»
«E come mai?»
«Penso sia dovuto al fatto che il Miraculous della Coccinella è quello della Creazione.» spiegò Tikki, sistemandosi sopra un libro e osservando la ragazza: «Le donne hanno già il potere della creazione: sono loro che portano in grembo una nuova vita e la fanno nascere. Penso sia per questo che sono sempre state fanciulle.»
«Mentre i prescelti di Plagg?»
«Beh. La distruzione è insita sia nell’uomo che nella donna, no?»
«Capito.» dichiarò la ragazza, carezzando il musetto di Tikki e sorridendo: «Devi averci pensato tanto, vero?»
«Ho avuto parecchio tempo per farlo, se è quello che intendi. E comunque è solo una mia teoria, Marinette.» mormorò la kwami sorridendo: «Come minimo il vero motivo è che i vari Guardiani hanno scelto a casaccio i possessori di Miraculous.»
«Beh, in fondo hai più di 5000 anni e Plagg non mi sembra un marito molto presente.»
«Oh, ti prego. Non dare retta alle parole di quello lì!»


Plagg aprì gli occhietti, osservando la stanza illuminata dalla luce azzurrina dello schermo del pc: si alzò e si passò le zampette sul muso, studiando il giovane seduto alla scrivania: «Cosa stai facendo?» domandò, sbadigliando rumorosamente e raggiungendolo, notando solo allora il quaderno che Adrien aveva davanti.
«Non riuscivo a dormire…» mormorò il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli e appuntando qualcosa: incuriosito Plagg volò sopra il foglio, studiando quello che era stato scritto, e poi posò gli occhietti verdi sul volto dell’umano: «Vuoi una spiegazione, vero?» domandò Adrien, annotando un altro punto e abbozzando un sorriso di fronte allo sguardo del kwami.
«Sì, mi piacerebbe.»
Il biondo sospirò, stravaccandosi sulla sedia e osservando il sito che aveva aperto: «Ho iniziato a ripensare ad alcune cose di oggi…»
«A quello che ti ha detto Marinette?»
«Sì. Mi piace lavorare con i numeri; poi quando ho aiutato mio padre con il preventivo mi è venuto così facile pensare a tutto…» si fermò, muovendo il mouse senza un preciso scopo: «Perché non seguire questa strada? Perché non provare se questo è veramente il mio cammino?»
«Ne sei sicuro?»
Adrien abbozzò un sorriso, muovendo il mouse e chiudendo la finestra di navigazione, fissando lo sfondo dello schermo: quando aveva quattordici anni su quel pc capeggiava solo la foto di sua madre diciassettenne, adesso invece le immagini erano due.
Le due donne più importanti della sua vita.
«L’unica cosa di cui sono sicuro è Marinette e di quello che provo per lei.» dichiarò risoluto, sorridendo al kwami: «E lo so benissimo che mi trovi sdolcinato, melenso e vomitevole quando faccio così.»
Plagg sospirò, volando sopra il monitor e studiando il ragazzo: «Sia chiaro, se me lo domanderanno io negherò ogni cosa che dirò da adesso in poi, ok?»
«Ok.»
«Quando ti ho conosciuto eri un ragazzino che non era mai riuscito a scappare dalla prigione che era questa casa: ti ho visto crescere e diventare il giovane uomo che sei ora e, in gran parte, lo devi anche al fatto che Marinette è al tuo fianco. Vi completate a vicenda e vi sostenete, quindi non sarai mai sdolcinato e vomitevole quando parli di lei: sono i tuoi sentimenti e non c’è mai niente di sbagliato in questo.»
«Anche se un vecchio brontolone non fa altro che borbottare?»
«Ehi, ragazzino, non sono vecchio.»
«Ma brontolone sì.»
Adrien sorrise, allungando una mano e accarezzando la testolina del kwami sentendolo sbuffare: «Se sono come sono adesso, lo devo anche a te, Plagg. Mi hai aiutato a cambiare, amico.»
«E’ finito il momento in cui esterniamo i nostri sentimenti? Non mi sento a mio agio a fare questi discorsi…»
«Ok, ok.» dichiarò il ragazzo, alzando il quaderno e mostrandogli il progetto alla luce dello schermo: «Che ne dici? Dammi un tuo parere, brontolone.»
«Se sei sicuro delle tue scelte, direi che potrebbe andare.» dichiarò Plagg, studiando assorto lo schema: «Però ti conviene giocare bene le tue carte o ti ritroverò legato sul fondo della Senna.»


Wei sbadigliò, alzando lo sguardo e osservando il numero civico dell’edificio e poi il foglietto che Fu gli aveva messo in mano il giorno prima, dicendogli di presentarsi in quel posto la mattina successiva – possibilmente presto – e di dire che l’aveva mandato lui.
«Entriamo?» propose Wayzz, dandogli un colpetto sul collo e poi nascondendosi nel cappuccio della felpa, mentre il ragazzo avanzava e si guardava intorno: scatoloni. Tanti scatoloni. Pile di scatole ovunque.
«Buongiorno.» mormorò Wei, sentendo alcuni rumori provenire da dietro una piramide di scatole e un uomo anziano – forse coetaneo del maestro Fu – fece capolino da dietro la costruzione: «Saluve. Cioè, salve!»
«Chi sei?» sentenziò l’anziano, togliendosi gli occhiali e pulendoli con un fazzoletto che aveva visto giorni migliori.
«Oh. Ehm. Mi manda il signor Fu.»
Il vecchietto inforcò nuovamente la montatura e Wei notò che le lenti era due fondi di bottiglia: «Fu. Oh! Quel maledetto cinese con la puzza di fritto! Finalmente mi manda qualcuno!» sbottò l’uomo, saltandogli attorno: «Quanto diamine sei alto, ragazzo?»
«Un metro e ottanta.» mormorò Wei, incerto sul francese mentre il nonnetto continuava a ispezionarlo commentando i suoi muscoli e la sua stazza.
«Bene, bene. Gliel’avevo detto che non volevo un mingherlino, a quel cinese con la puzza di fritto. Voi cinesi siete tutti grissini che si reggono a malapena in piedi. Sei cinese, vero?»
«S-sì.»
«Io mi chiamo Mercier e…» si fermò, allargando le braccia e mostrando orgoglioso il proprio posto: «Benvenuto al punto di stockaggio di tutte le scuole superiori di Parigi! Noi forniamo loro risme, carta igienica, fazzolettini…» sorrise orgoglioso, voltandosi e indicandogli le scatole: «Tutta la carta di Parigi è qui!»


Adrien sbadigliò, facendo scorrere le dita sul tablet e digitando alcune parole: si era svegliato presto quella mattina – o meglio, non era mai andato a dormire –, riportando sull’apparecchio il suo piano – ancora senza nome – e adesso lo stava analizzando e appuntando alcune cose qua e là.
Era stupido, lo sapeva, fare un piano così dettagliato e a lungo termine sulla sua vita, soprattutto se si considerava che lui non pensava mai a quello che poteva succedere: si gettava a capofitto e via.
«Ehi bro!» la voce di Nino attirò l’attenzione del biondo, che alzò lo sguardo dall’apparecchio e sorrise alla vista dell’amico: «Strano vederti a scuola così presto!» dichiarò il ragazzo di colore, sedendosi anche lui sulla panchina e facendo vagare lo sguardo sul piazzale dell’entrata: c’era pochissima gente che ciondolava sulle panchine e attendeva l’orario di entrare.
Per il momento.
«E’ strano anche per te, amico.» sentenziò Adrien, tornando a studiare il suo lavoro e cancellando un punto.
«Cos’è?»
«Una lunga storia.»
«Mi piacciono le lunghe storie.» dichiarò Nino, allungando il collo e leggendo tutto: «Bro, devi dirmi qualcosa?»
«Beh, per farla breve mio padre qualche tempo fa mi ha chiesto che avevo in mente di fare della mia vita…»
«Tuo padre? L’uomo che ti ha programmato quante volte dovevi andare al cesso?»
«Ero convinto che avesse già dei piani per me.»
«Pure io, bro! Ma cavolo potevi dirmelo! Ti avrei dato una mano!»
«L’unica che lo sa è Marinette.»
«Ovviamente.»
«Comunque ho pensato e ideato e…» si fermò, indicando il tablet: «…questo si può dire che è il risultato.»
Nino annuì, massaggiandosi il mento e lesse nuovamente il piano dell’amico: «Si vede che sei figlio di tuo padre, eh. Io non avrei pensato di fare una cosa così…così….così dettagliata. Ma mi piace. Bel lavoro, bro!»


Coeur Noir osservò la cameriera che, frettolosamente e intimorita dalla sua presenza, stava sistemando la sua stanza: era giovane, molto giovane, poteva aver al massimo una ventina d’anni e aveva un viso grazioso con un corpo nella norma.
Una ragazza normale.
Com’era stata lei, tanto tempo addietro.
«Quanti anni hai?» domandò, allungandosi sul divano e prendendo il bicchiere di vino rosso che aveva appoggiato sul tavolo da caffè: «Venti? Ventuno?»
«Venti, signora.» mormorò la ragazza, finendo di sistemare il letto e sorridendole impacciata.
«Oh. Studi ancora?»
«Sì. Architettura.»
«Interessante materia.» dichiarò Coeur, portandosi il bicchiere alle labbra e buttando giù il liquido in un unico sorso: «Sogni. Un tempo ne avevo anch’io.»
«Mia nonna dice che non si è mai troppo vecchi per sognare.»
«Tua nonna è una persona saggia.» dichiarò la donna, poggiando il bicchiere e osservando alcune gocce di liquido scivolare lungo la parete trasparente: «Ma i miei sogni ormai non possono più realizzarsi. Vedi, tempo fa ero un’idealista che voleva il bene nel mondo, volevo fare qualcosa e feci una scelta: sarei diventata qualcuno, avrei fatto la differenza. Questo pensavo…» mormorò, alzandosi e avvicinandosi alle grandi vetrate: «…nessuno mi aveva detto quale prezzo avrei pagato.»
«Quindi si è pentita di quella scelta?»
«Ogni giorno di questa dannata vita.» dichiarò Coeur Noir, voltandosi verso la ragazza e sorridendole, facendo vagare lo sguardo sullo specchio dietro l’altra e sospirando al suo riflesso: «Puoi andare adesso.»
La cameriera sorrise, salutandola allegramente e, dopo aver raccolto la roba delle pulizie, uscì velocemente dalla stanza: «Solo i Portatori.» dichiarò Coeur Noir, appena fu sola: «Non puoi toccare nessun’altro.»
Abbiamo ancora il cuore tenero, eh.
Sei ancora la persona di cui parlavi.

«No, non lo sono più. Se lo fossi…»
Non fai tutto questo per te.
«Sì, invece.»
Un giorno cadrai totalmente in mano mia, ricordatelo.
«Non lo sono già? Vuoi dirmi che sono ancora padrona della mia vita?» Il riflesso sorrise lascivamente, prima di svanire per un attimo: Coeur si avventò contro il suppellettile, picchiandoci contro il pugno e ringhiando: «Sono libera quindi? Dimmelo! Dimmelo!»


«Come mai siamo venute qua?» domandò Tikki, facendo capolino dalla borsa e osservando la ragazza che apriva la pesante porta della biblioteca della scuola.
«Compiti.» dichiarò Marinette, indicando con un cenno del capo i libri che teneva in mano: «E dato che qualcuno è stato portato via da Nino per una rimpatriata con Max e Kim, io posso studiare.»
«Adrien è impegnativo, vero?»
«Ultimamente sì.» dichiarò la ragazza con il sorriso sulle labbra, entrando poi nella biblioteca e osservando i grandi tavoli già parzialmente occupati: a quanto pare non era stata l’unica ad avere idea di andare a studiare lì, una volta finite le lezioni; allungò il collo, adocchiando Sarah in disparte con una pila di libri davanti a sé e un dizionario aperto di fianco.
Ottimo.
Fece per muoversi verso l’amica, quando un braccio muscoloso le si parò davanti e, una volta che ebbe risalito la massa muscolare, trovò il volto sorridente di Rafael che la fissava: «Salve, Marinette.»
«Ciao…»
«Possiamo parlare?»


Sarah sbadigliò, massaggiandosi il volto come se così potesse scacciare la botta di sonno che l’era presa e alzò la testa, trovandosi a osservare la scena di Marinette trascinata in una fila di scaffali da…
Da Rafael?
Abbandonò il suo posto, cercando di fare il meno rumore possibile e, attenta a non farsi scoprire, raggiunse il punto in cui i due erano spariti: «Sai, mi sei interessata dalla prima volta che ti ho visto…» dichiarò la voce di Rafael, mentre l’americana provava a sporgersi nel corridoio creato dalle due scaffalature e osservò il modello fin troppo vicino all’altra ragazza.
A Rafael piace Marinette?
Ma Marinette sta con Adrien.

«Così carina. Dolce. Indifesa.» mormorò il ragazzo, avvicinandosi maggiormente a Marinette, mentre quest’ultima stava cercando di diventare disperatamente un tutt’uno con gli scaffali dietro di lei: «Mi stavo domandando se non potessi…»
Che faccio?
«Sto con Adrien…» balbettò Marinette, mentre si guardava intorno e sembrava cercare un modo di sfuggire a quell’attenzione non richiesta; Rafael ridacchiò e si chinò maggiormente, bisbigliando qualcosa alla mora a voce così bassa che Sarah non capì niente ma, di sicuro, fu qualcosa che fece arrabbiare la ragazza dato che, poco dopo, la vide rifilare una ginocchiata in una certa zona del modello.
Sarah lo osservò stupita andare giù come una pera cotta: «Prova anche solo a ripetere un’altra volta qualcosa del genere e ti assicuro che ti farò molto, ma molto, più male.» dichiarò Marinette sicura come mai l’americana l’aveva vista in quei pochi giorni di conoscenza.
Uao. Sembra Ladybug in questo momento.
Continuò a osservare la scena, vedendo la ragazza chinarsi all’altezza della sua vittima e mormorargli qualcos’altro, prima di voltarsi e andarsene stizzita.
Uao.
E chi l’avrebbe mai pensato che Marinette fosse così?

Sarah la seguì con lo sguardo, mentre usciva dalla biblioteca borbottando da sola; sentì un rumore alle sue spalle e si voltò, osservando Rafael rialzarsi e tenersi dolorante una mano al cavallo dei pantaloni: «Sarah…» mormorò il ragazzo, mentre lei scuoteva il capo e se ne andava via.
Ecco.
Brava, Sarah.

Arrivò al tavolino, recuperando velocemente le sue cose e posando i libri che aveva preso dagli scaffali sul carrello dei libri consultati, raggiungendo velocemente la porta e correndo verso l’uscita della scuola.
Esiste solo la missione, Sarah.
Non c’è nient’altro.



«Quel…quel…» Marinette gettò la giacca sul divano di casa, scuotendo il capo e pestando stizzita un piede per terra: «Ma ti rendi conto di quello che mi ha detto?»
«Che praticamente sei una poco di buono che si diverte a zampettare da Adrien e Chat?»
«Zampettare? Tikki, stai passando decisamente troppo tempo con Adrien.» sbuffò Marinette, scuotendo il capo e andando nella zona cucina, recuperando una manciata di biscotti: «Quel…quel…»
«Comunque sono così orgogliosa di te, Marinette!»
«Perché sei orgogliosa di lei, Tikki?» domandò la voce di Adrien, attirando l’attenzione delle due verso la porta, che era stata lasciata aperta da Marinette: «My lady, te l’hanno mai detto che questa dovrebbe venire chiusa, una volta entrati in casa?»
La ragazza bofonchiò qualcosa, addentando un biscotto e voltando lo sguardo di lato: «Cosa c’è?» domandò il biondo, guardandola e poi cercando aiuto nella kwami: «Marinette?»
«Niente.»
«Non direi.»
«Se dico che non c’è niente, non c’è niente.»
«Oh. Certo. Questo è proprio un comportamento da non c’è niente. Davvero.» affermò Adrien, avanzando nella casa e appoggiandosi al tavolo della cucina, incrociando le braccia mentre la ragazza sbuffava: «Adesso, vorresti dirmi cosa è successo. Chloe ti ha detto qualcosa?» buttò lì, scontrandosi con il mutismo della compagna: «Marinette, parla. Se non dici nulla, io non posso aiutarti.»
«Oh! Adrien avresti dovuto vederla!» esclamò Tikki, voltando fra i due, incapace di trattenersi ancora: «Quel tipo ci stava provando con lei…»
«Aspetta. Quale tipo ci stava provando con lei? Marinette!»
«Ehi, non guardare me!»
«E poi le ha detto che ti tradiva e che anche lui era disponibile.»
«Cosa?»
«Adrien, calmati!»
«E allora Marinette gli ha assestato una ginocchiata…» la kwami si fermò, tossendo imbarazzata e indicando con lo sguardo una certa parte del corpo del ragazzo: «…beh, sai dove fa più male.»
«Cosa hai fatto tu?» esclamò il ragazzo, mentre Plagg usciva dal suo nascondiglio, battendo le zampette una contro l’altra e attirando l’attenzione del biondo: «Cosa applaudi?» sbottò Adrien, fissando alternativamente i due kwami e la ragazza: «Ok, adesso ci sediamo e mi spieghi tutto.»


«Vai a fidarti di quelle che sembrano topolini indifesi.» sbottò Rafael, mettendosi in posizione fetale nel letto e ignorando lo sguardo divertito di Flaffy: «Mai più mai poi.»
«Se evitavi di provarci forse…»
«Andiamo! L’ho vista con Chat Noir.» sbottò il moro, sospirando: «Forse le piacciono i biondi.»
«E se ci fosse altro?»
«Eh? Flaffy cosa…»
Il suono del campanello lo interruppe;  con uno sforzo si alzò dal letto e raggiunse la porta dell’appartamento: «Chi è?» domandò, aprendo l’uscio e trovandosi davanti il suo rivale: Adrien Agreste lo fissava poggiato contro il muro opposto, le mani infilate nelle tasche dei jeans e un sorriso divertito.
«Ci ha già pensato la tua fidanzata.»
«Lo so.»
«Ma come? Non fai nulla?»
«Penso che Marinette abbia già fatto abbastanza.» dichiarò il biondo, scostandosi dal muro e facendo un passo verso l’altro con il sorriso sulle labbra: «Ma provaci di nuovo e una ginocchiata nei gioielli ti sembrerà un lusso.»


Sarah si poggiò alla balaustra di pietra, osservando il panorama di Parigi e ignorando la chiesa alle sue spalle: «Va tutto bene, Sarah?» domandò Mikko, studiandola dalla tasca della giacca.
«Certo.»
«Sai, non si direbbe…»
«Sono preoccupata per Coeur Noir.»
«Solo per quello?»
«Certo. Per cos’altro dovrei preoccuparmi?»
Mikko aprì la bocca, richiudendola subito quanto sentì un urlo provenire dal basso della piazza: Sarah si sporse e osservò uno dei guerrieri della nemica apparire dal nulla in una voluta di fumo: «Parli del diavolo…» commentò, correndo via dalla zona e andando a cercare un punto nascosto in cui trasformarsi.


«Gran bella giornata.» bofonchiò Chat, usando il bastone per salire su un tetto e aspettando che la ragazza in rosso facesse lo stesso: «Uno ci prova con la mia ragazza, adesso guerrieri neri fumosi…»
«Ti lamenti tu?» domandò Ladybug, atterrando al suo fianco e fissandolo stranita.
«Ehi, mi hai tolto il mio diritto di battermi per il tuo onore. Sono offeso.»
«Dovresti essere orgoglioso che sappia difendermi da sola!»
Chat sorrise, facendole l’occhiolino e le carezzò la testa: «Brava la mia ragazza!» dichiarò, ricevendo in cambio un volto corrucciato e uno sbuffo poco convinto: «No, scusa. Quello ci prova con te e tieni il muso a me?»
«Di chi credi sia la colpa se pensa che tradisca te con te?»
«Più che altro come ha fatto a vedermi?»
«Non lo so. Hai idee?»
«Nessuna.» dichiarò Chat, piazzandosi le mani sui fianchi e osservando le scalinate che portavano al Sacre Coeur: «Andiamo, prima che ci buttiamo in battaglia, dimmi cosa devo fare per non farti tenere ancora quel muso.»
Ladybug sospirò, scuotendo il capo corvino e avvicinandosi al ragazzo: gli passò le mani attorno alla vita e si strinse a lui: «Niente.» mormorò, alzandosi sulla punta dei piedi e baciandolo sulla guancia: «Basta che tu ci sia.»
«Cosa facile da fare.» dichiarò baldanzoso l’eroe nero, sorridendole: «Adesso andiamo a fare la bua a un po’ di guerrieri fumosi con quelle brutte maschere?»
«Come il mio gatto signore e padrone comanda.»

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.750 (Fidipù)
Note: Salve a tutti! Penso di stare iniziando a viziarvi con questi aggiornamenti, ma la stesura della storia sta procedendo bene e, quindi, perché tenere i capitoli a prender polvere nel pc? Bene, bene. Che si può dire di questo capitolo? Non ho informazioni random da darvi - ultimamente non sto toccando posti d'interesse di Parigi. Strano ma vero - e...beh, l'unica cosa che posso dirvi è che è - o, almeno, spero che sia - ad alto tasso di dolcezza, quindi una bella iniezione di insulina per evitare il diabete ci vuole.
Detto ciò, come sempre, vi ringrazio per i vostri commenti, per il fatto che leggete la mia storia e la inserite nelle vostre liste! Grazie anche a chi mi lascia la sua opinione su FB. Grazie, davvero, grazie!



Bee saltò, evitando l’affondo di spada del guerriero nero e atterrò su uno degli alberi che circondavano la scalinata; inspirò profondamente, allungando davanti a sé le braccia: i bracciali che teneva a entrambi i polsi rifletterono la luce del sole, mentre lei prendeva la mira e lanciava i pungiglioni contro il nemico che, ruotando la spada, neutralizzò.
«Serve una mano?» domandò la voce di Ladybug, mentre l’eroina rossa atterrava sulla balaustra di pietra assieme a Chat Noir: «Bee, se volevi fare un po’ di turismo potevi contattarci.»
«Non ho il vostro numero.» dichiarò la ragazza in giallo, sorridendo alla vista dei due, alzando poi il braccio sinistro e azionando lo schermo che conteneva: «Dovremmo rimediare.»
Ladybug sorrise, alzando lo yo-yo: «Te lo passo via wi-fi?»
«Signore…» s’intromise Chat, tenendo il bastone sulle spalle e guardando le due ragazze: «Vogliamo prima sistemare Mister Sorriso e poi pensare a scambiarci i numeri?» domandò, indicando il guerriero nero che, in posizione di guardia, stava attendendo un loro attacco.
«Forse possiamo batterlo senza aver bisogno dei nostri poteri speciali.» dichiarò Bee, allungando nuovamente le braccia in avanti e prendendo la mira, rimanendo in attesa: «Ovviamente, se lo facciamo rimanere uno solo.»
Chat sorrise, balzando nel prato davanti al guerriero e appoggiandosi al proprio bastone: «Allora, voi ragazzoni siete venuti qua per…» iniziò, studiando l’abbigliamento di questo: ricordava molto quello di alcuni guerrieri orientali che aveva visto in qualche action-movie, mentre la maschera dall’aria grottesca e l’espressione inquietante scolpita sopra sembrava fatta di…
«Ehi. La maschera è di cristallo nero!» urlò, rivolto alle altre e tenendo d’occhio il rivale: «Inizio a capire perché il pennuto aveva detto di distruggerla l’altra volta.»
«Quindi è a quella che dobbiamo puntare.» mormorò Ladybug, roteando lo yo-yo e mettendosi anche lei in posizione di attacco, pronta a balzare in aiuto del compagno: «Bee. Tienilo sotto tiro!»
«Ok.»
«Chat…»
L’eroe nero assunse la classica posa da schermidore, impugnando il bastone come se fosse un fioretto: «Vediamo, scherma contro…» si fermò, inclinando il capo: «arte della spada cinese? Giapponese? Dai, mascherone, di dove sei?»
Il guerriero, senza emettere un suono, alzò le braccia, pronto a calare un fendente che Chat parò, mettendo il proprio bastone in orizzontale e balzò indietro sorridendo: «Ah. Era un po’ che non duellavo a modo.» dichiarò, usando il piede sinistro come perno e caricando un affondo, iniziando così il duello.
Bee non perse un movimento dei due, cercando di tenere sempre sotto mira la maschera del guerriero, mentre Ladybug balzava giù e si avvicinava roteando la sua arma: «Chat, se lo tieni fermo un attimo…»
Il felino sbuffò, evitando l’ennesimo affondo e guardando la ragazza: «Aspetta, glielo chiedo gentilmente: senti, mascherone, la mia amata deve purificarti…» saltò, evitando la carica del guerriero e, usando la sua testa come punto di appoggio, si dette lo slancio e roteò in aria: «…potresti stare fermo lì?» domandò, atterrando e inchinandosi con fare cavalleresco.
Bee scosse il capo, lanciando un pungiglione e colpendo il nemico al centro della fronte, creando una frattura che si allungò lungo il setto nasale e raggiunse velocemente il mento: «Ladybug! Adesso!» urlò la ragazza, mentre l’eroina in rosso corse verso il nemico e, usando il potere purificante dello yo-yo, lo sconfisse.
«Interessante. Se non diventano il mascherone pompato possiamo batterli tranquillamente.» dichiarò Chat, osservando la compagna che richiudeva lo yo-yo e gli sorrideva: «Non ho neanche usato il mio potere.»
«Povero, mon minou.» ridacchiò la ragazza, allungando una mano e carezzandolo fra le orecchie feline: «Non ha potuto usare il suo cataclima.»
Chat sorrise, afferrandola per i fianchi e tirandola verso di sé: «Posso sempre usare un altro cataclisma, my lady.» dichiarò sfrontato, facendole l’occhiolino e ridacchiando quando la vide diventare di una tonalità molto simile a quella della maschera e della tuta.
Bee planò poco vicino, ripiegando con cura le ali: «Ma siete…» iniziò, indicandoli alternativamente: «Cioè, so che lavorate da tanto tempo assieme, mi chiedevo se…beh, se state insieme.»
Chat sospirò, scuotendo il capo: «Per lungo tempo, questa donna crudele, mi respingeva sempre in malo modo.» iniziò con fare teatrale mentre, dietro di lui, la ragazza sbuffava e iniziava a fargli il verso: «Ogni volta che c’incontravamo, io la trattavo come una regina e lei invece mi sfruttava per sconfiggere i nemici…»
«Ma non è vero!»
«Poi un giorno, però, notò tutto il mio fascino e…» Chat si fermò, raggiungendo la ragazza dietro di lui con una piroetta: «…adesso è completamente schiava di me.»
«Io ti sfruttavo? E’ questa l’opinione che avevi di me?»
«My lady, stavo solo teatralizzando un po’.»
«Tu…»
«Scusate.» mormorò Bee, interrompendo i due e mostrando il bracciale al polso sinistro: «Ci scambiamo i numeri?»


«A quanto pare siamo arrivati tardi.» commentò Peacock, dando una manata sulle spalle di Tortoise e osservando il trio di eroi: «Beh, meglio per noi.»
«Meglio per noi?»
«Sì.» dichiarò Peacock, abbozzando un sorriso e incrociando le braccia: «Combattere significa fare fatica, prenderle. Sinceramente vorrei evitare tutto questo.»
«E allora perché sei diventato un eroe, Peacock?»


Adrien si allungò, osservando il display della metrò: «Dieci minuti.» commentò, notando il tempo d’attesa e poi posando lo sguardo sulla ragazza che, voltata dall’altra parte, sembrava tenergli il muso: «Certo siamo stati stupidi: potevamo rimanere trasformati e raggiungere casa in quel modo.»
Silenzio.
«Marinette?»
Silenzio.
Adrien si portò una mano alla nuca, sospirando in modo plateale: «Marinette, vuoi tenermi il muso ancora per tanto?» le domandò, afferrando una ciocca di capelli mori e tirandola leggermente: «Ti ho già detto che stavo scherzando. Non dicevo…»
La ragazza scostò la mano di lui, voltandosi e sorridendogli zuccherosa: «Ma io non ti sto tenendo il muso, ti sto ignorando.» dichiarò, voltandosi di nuovo dall’altro lato.
«Vai così, campione!» sentenziò Plagg, facendo capolino dall’interno del giubbotto e addentando il pezzo di formaggio che aveva con sé: «Dovresti scrivere un libro: come offendere una signora in poche e semplici parole. Sarebbe un successo.»
«Plagg, continua a mangiare.» borbottò Adrien, spingendo dentro il kwami con l’indice della mano: «Marinette, davvero, non ho pensato tanto a quello che dicevo. Lo sai come sono, no?»
«Vero. Come sempre: non pensi a quello che dici e tutto è un gioco, soprattutto io. Giusto.» dichiarò la ragazza, abbozzando una smorfia e voltandosi verso di lui: «Fai finta di niente, ok?»
«Oh, andiamo! Marinette!»
«E’ tutto ok. Davvero! Hai anche ragione, visto il modo in cui ti trattavo quando ero Ladybug. Lascia perdere, ok?»
«Marinette…»
La metrò arrivò e Marinette si mise davanti le porte automatiche, in attesa che gli altri passeggeri scendessero, poi entrò e si appoggiò a uno dei sostegni in metallo; sbuffando, Adrien la imitò, dando un’occhiata alle fermate che li separavano da quella vicino casa della ragazza.
Lesse un nome fra le varie stazioni.
Quasi come un segno del destino.
Rimase immobile, mentre il mezzo partiva: cinque fermate lo dividevano da quel fatidico nome.
Doveva prendere una decisione.
Che decisione vuoi prendere? L’hai già fatto.
Vuoi usare quella cosa come modo per farti perdonare, però?
No. Non era per farsi perdonare.

Era per dimostrare quanto lei fosse importante.
Spostò l’attenzione su Marinette, trovandola voltata di lato che fissava il proprio riflesso: poteva farlo? Era tutto così improvvisato, così avventato…
Beh, io sono sempre avventato.
Marinette me lo dice sempre.

Buttati, Adrien.
Segui il momento.

Ok. Sì, l’avrebbe fatto.
Poteva farcela.
La voce registrata annunciò l’arrivo a una fermata precedente quella incriminata: oh, fantastico. Solo tre fermate.
Sarebbe morto nell’attesa.
In silenzio osservò la gente che scendeva e altri nuovi passeggeri che salivano, prima che la metrò ripartisse.
Due fermate.
Stesso scenario.
Una fermata.
Uguale come alle precedenti.
Ok. E’ la prossima.
La voce annunciò il prossimo arrivo e lui si allungò, prendendo la mano di Marinette: «Scendiamo.» dichiarò, tirandola leggermente e sorridendo al suo sguardo confuso.


Perché era diventato un eroe?
Peacock balzò giù dal tetto, atterrando poco vicino casa sua: in verità non lo sapeva neppure lui.
Un giorno aveva trovato la scatola contenente il Miraculous del Pavone in camera sua, l’aveva aperta ed era apparso Flaffy.
Non aveva mai capito come il monile fosse arrivato a lui e per quale motivo.
Parigi era in pace.
Papillon era stato sconfitto.
Perché fare di me un eroe?
Per quale motivo avrei dovuto essere un eroe?


«Si può sapere perché siamo qui?» domandò Marinette, non capendo quale pazzia fosse presa ad Adrien: all’improvviso era voluto scendere dalla metrò, portandola poi a spasso per una zona residenziale di Parigi e non capiva per quale motivo.
«Ci siamo quasi.» dichiarò il ragazzo con il viso alzato per aria e un sorriso soddisfatto che gli stirava le labbra: «Perfetto! Eccolo lì!» dichiarò, tirandola leggermente più avanti e fermandosi in mezzo alla strada: «Bene. Ci siamo.»
«Dove?»
«My cara e smemorata lady…» iniziò Adrien, allargando le braccia e indicando l’intera zona attorno a loro: «Qui è dove ci siamo conosciuti.»
«No. Ci siamo conosciuti a scuola, quando tu…»
«Come Marinette e Adrien. Ma il nostro primo incontro è stato qui.» le spiegò il biondo, alzando l’indice verso il cielo: «Il giorno in cui abbiamo ricevuto i nostri Miraculous: io mi stavo esercitando con il mio bastone, quando una certa coccinella mi è praticamente piombata addosso…»
«E’ vero.» mormorò la ragazza, sorridendo e portandosi le mani alle labbra: «Avevo lanciato lo yo-yo e mi sono ritrovata a volare, finché non ti sono finita addosso.» dichiarò, ridacchiando e scuotendo la testa: «Era la prima volta che lo usavo.»
«Puoi finirmi addosso tutte le volte che vuoi.» dichiarò Adrien, prendendole le mani e portandosele alle labbra, baciando riverente le dita: «E usarmi o sfruttarmi. Esisto per essere al tuo servizio, my lady.»
«Adrien, io…»
«Comunque non ti ho portato qui per farti scusare del tuo pessimo carattere.» dichiarò, allungandosi e baciandola velocemente: «A dir la verità, volevo farti questo discorso un po’ più in qua, quando sarei stato veramente sicuro di tutto ma…beh, la mia lady ha bisogno di essere rassicurata ed io non sono mai stato sicuro di qualcosa come di questo.»
«E’ normale che non capisca niente?»
«Sì, normale.» la rassicurò Adrien, tirandola a sé e passandole un braccio attorno alla vita, invitandola a raggiungere il marciapiede lì vicino: «Ti chiedo scusa, se non mi esprimerò bene e…beh, farà schifo il tutto ma non mi sono preparato.»
«Vuoi lasciarmi?»
«No.» sbuffò il biondo, scuotendo il capo: «Fammi parlare senza interrompere, ok?»
«Ok.»
Adrien annuì, osservando la ragazza in attesa e abbozzando un sorriso: «Fantastico. Non so come iniziare.»
«Da una parte?»
«Tu sai che io ho sempre creduto di prendere il posto di mio padre un giorno, no? Aveva sempre organizzato la mia vita e, quindi, credevo che lo avrebbe fatto anche con il mio futuro; quando ha detto che ero libero di fare quel che volevo, ho iniziato a pensare e la tua idea di studiare economia…» Adrien scosse il capo, sorridendo: «…per farla breve: voglio studiare economia per prendere il posto di mio padre un giorno.»
«E’ fantastico, Adrien.»
Il ragazzo le prese le mani, intrecciando le dita con quelle della ragazza: «Solo io non sono e non sarò mai uno stilista, come ha giustamente detto mio padre a me manca quel qualcosa per esserlo e…»
«Mi stai forse chiedendo di diventare stilista del marchio Agreste?»
«Esattamente. Amo quando mi leggi nel pensiero.»
«Mi hai portato qui per chiedermi questo?» ridacchiò Marinette, scuotendo il capo corvino: «D’accordo. Sarò la stilista di punta della tua maison, quando ne prenderai le redini.»
«Grazie.» dichiarò Adrien, sorridendole e stringendo maggiormente la presa sulle mani di lei: «Comunque ti ho portato qui per un altro motivo….» socchiuse gli occhi, inspirando profondamente e poi riaprendo le palpebre: «Io ti amo, Marinette. Mi sono innamorato di te quando eravamo ragazzini: ho amato il tuo coraggio e la tua forza fin dall’inizio; ho adorato la tua dolcezza, la tua timidezza e il tuo talento. Sei l’amore della vita, l'unica che potrei e voglio amare. Ti ho amata, ti amo e ti amerò per sempre. E so che siamo giovani, non abbiamo ancora finito le superiori ma sono sicuro di una cosa: io ti voglio nella mia vita ora e per sempre e…» si fermò, abbozzando un sorriso imbarazzato: «Marinette, vuoi sposarmi?»
«No.»
«Cosa?»
Adrien la fissò, mentre si portava le mani alle labbra e sgranava gli occhi celesti: «Cioè: no, non ci credo. E’ ovvio che voglio sposarti. Oh, ma perché non penso mai! Riesco sempre a rovinare tutto.»
«Marinette?»
«Eh?»
«Vuoi essere mia moglie?»
Marinette respirò profondamente, allungando le mani e prendendogli il volto: «Sì.» bisbigliò, fissandolo negli occhi verdi e sorridendo: « Sei l’amore della mia vita, l’unico che potrei e voglio amare e ti ho amato, ti amo e ti amerò. Per sempre.» dichiarò, allungandosi e sfiorandogli le labbra con le proprie.
«Si sposano!» strillò Tikki, volando fuori dalla borsa e attirando su di sé l’attenzione dei due ragazzi: «Oh. Dobbiamo pensare alla cerimonia. E l’abito! E gli invitati! Il rinfresco!»
«Tikki?» mormorò Marinette, allungando una mano verso la kwami che volava in modo sconclusionato.
Plagg sbadigliò, uscendo dal suo nascondiglio e fluttuando davanti ai due: «Tranquilli. Fa sempre così. Ogni maledetta volta.» dichiarò, prendendo poi la kwami rossa per una zampa e trattenendola: «Lo sai, vero, che è presto? Vanno ancora a scuola!»
«Non è mai presto per organizzare un matrimonio! Dovresti saperlo! Ti ricordi di quando eravamo a Roma prima di Cristo? Quanto tempo c’è voluto prima che si organizzasse tutto? Eh? Eh?»
«Ma perché devi impazzire ogni santa volta? Perché?»
«Dovremmo dirlo ai nostri genitori. Credo.» mormorò Marinette, osservando Plagg e Tikki discutere e non sapendo bene se interromperli o lasciarli continuare.
«Mentre venivamo qui ho mandato un messaggio a mio padre.»
«Ah.»
«Non gli ho detto niente. Solo di andare alla panetteria dei tuoi.»
«Adrien?»
«Ehi, io ti ho chiesto di sposarmi, tu mi hai detto sì. Prima glielo diciamo e meglio è.»


Wei osservò il maestro Fu, mentre riponeva alcuni rotoli dall’aria molto antica: «Maestro?» domandò, felice di poter usare la sua lingua natale con l’uomo: «Posso chiederle una cosa?»
«Dimmi, Wei.»
«Perché dobbiamo tenere nascoste le nostre identità?»
«Come?»
«Perché fra noi portatori non possiamo conoscerci?»
Fu si voltò, osservandolo: «Perché questa domanda?» chiese, raggiungendo il tavolino a cui il ragazzo era seduto: «Comunque, non è che dovete tenere per forza nascoste le vostre identità, ma nella mia vita ho fatto parecchi sbagli e penso che fidarsi del prossimo…»
«Io credo che fidarmi del prossimo, fidarmi degli altri guerrieri che lottano con me, sia molto meglio che non farlo.»
«Ogni giorno mi dimostri che ho fatto una buona scelta, affidandoti il Miraculous della Tartaruga.» dichiarò Fu sorridendo: «Vuoi conoscere gli altri Portatori?»
Wei annuì, sorridendo al ricordo delle parole di Volpina: «Anche a me non piacciono le bugie, in fondo.»


Adrien aprì la porta della panetteria, osservando i tre al loro interno: i genitori di Marinette e suo padre non avevano mai avuto grandi occasioni per parlare e conoscersi; si erano incontrati poche volte e c’era sempre stato un certo imbarazzo fra le due parti.
Come in quel momento.
«Salve.» mormorò, spingendo dentro il negozio una recalcitrante Marinette e abbozzando un sorriso ai tre: «Come va?»
«Oh Adrien!» lo salutò Sabine, sorridendogli affabile come sempre: «Tuo padre ha detto che gli hai chiesto di venire qua.»
«Già…»
«Forza, dirglielo.» bisbigliò fra i denti Marinette, dandogli un leggero con il gomito.
«Hai accettato, ci sei dentro quanto me.» borbottò Adrien, ricambiando il colpo e sorridendo ai tre adulti: «Bella giornata, vero?»
Tom guardò Sabine che, con un certo imbarazzo, cercò l’appoggiò di Gabriel: «Dovete dirci qualcosa?» domandò quest’ultimo, austero come lo era stato tanti anni addietro.
«Beh, penso ci sia solo un modo per dirvelo.» sentenziò Adrien, passando un braccio attorno alle spalle di Marinette e attirandola a sé: «Ho chiesto a Marinette di sposarmi e lei ha accettato.»
Silenzio.
«Complimenti. Non so chi è più immobile: se loro o i golem di Notre Dame.» borbottò Marinette, notando l’immobilità innaturale dei tre adulti.
«Pensavo la prendessero meglio…»
Come riscossa da qualcosa, Sabine afferrò il marito per un braccio: «Tom…» mormorò, voltandosi verso il marito e, contemporaneamente, afferrando anche il polso di Gabriel: «La cerimonia. L’abito. Gli invitati. Il rinfresco!»
«Ovviamente, la cerimonia verrà fatta nella nostra villa.» sentenziò Gabriel, riscossosi anche lui e annuendo quando Tom Dupain si offrì – o meglio s’impose – per la torta di nozze.
«Secondo te come si calmano?» domandò Adrien, osservando i tre confabulare animatamente.
«Non lo so. Però so una cosa.»
«Cosa?»
«Io non farò più vita con mia madre.»

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.628 (Fidipù)
Note: Ciao a tutti! Eccomi qua con il consueto aggiornamento del giovedì! Yeeeeeh! Bene, bene. Vediamo...Notizie random non ho da darvene, stranamente Coeur a questo giro è senza il suo bicchiere di vino e...qualcuno si è svelato.
Ecco come riassumere in poche e semplici parole questo capitolo!
Vi lascio subito alla lettura, senza tante chiacchiere senza senso, ringraziandovi come sempre: grazie di leggere, grazie di inserire questa storia nelle vostre liste, grazie per i commenti (sia qui che su facebook!), grazie per l'entusiasmo che mi donate a ogni aggiornamento e... Niente: grazie di tutto cuore!



La stanza era immersa nell’oscurità e nel silenzio, quest’ultimo interrotto solo dal rumore di Plagg che scartava l’ennesima forma di formaggio: «Cos’è? Hai già ripensamenti?» gli domandò il kwami, continuando la sua opera finché il sentore del camembert non si diffuse per tutta la stanza: «Sinceramente non è tanto saggio mettersi un cappio al collo in questo modo.»
«Plagg…»
«Non è che sia contrario, sia chiaro.» dichiarò il kwami, inspirando poi il profumo del formaggio e rimanendo un attimo in silenzio: «Ma sono a favore anche di una filosofia di vita più incentrata sul divertimento…»
Il bussare alla porta evitò ad Adrien di rispondere al felino nero, biascicò un avanti e rimase immobile nel letto: «Oh.» mormorò suo padre, entrando e lasciando l’uscio aperto, così che la luce del corridoio entrasse anche lì: «Sei qui.»
«E dove dovrei essere?» domandò il ragazzo, mettendosi seduto nel letto e osservando il genitore entrare: Gabriel premette l’interruttore, accendendo la luce e Adrien storse il naso, socchiudendo gli occhi, aspettando che questi fossero di nuovo avvezzi alla luminosità.
«Ti ho portato una cosa.»
Il ragazzo l’osservò, mentre il genitore tirava fuori da una tasca della giacca una scatolina nera e gliela porgeva: «Spero non sia un Miraculous.» dichiarò Adrien, prendendo il contenitore e aprendolo: «Papà, questo è…» si fermò, alzando lo sguardo verso il genitore e poi tornando a fissare il gioiello nella piccola scatola nera.
«Era l’anello di tua madre, sì.» affermò Gabriel, posando lo sguardo chiaro sulla vera in oro bianco, impreziosita da fiore creato con piccoli diamanti: «L’anello di fidanzamento di tua madre, per la precisione. Ho pensato che…»
«A Marinette piacerà.» mormorò Adrien, sorridendo e carezzando con il polpastrello il piccolo capolavoro di oreficeria: «Grazie.» dichiarò, alzandosi in piedi e allungando il pugno destro verso il kwami: «Plagg! Trasformami!» urlò e, pochi secondi dopo, si ritrovò nei panni di Chat Noir.
«Dove stai andando?» domandò Gabriel, osservando il figlio trasformato che si avvicinava alla finestra e sistemava la scatola con l’anello in una delle tasche della tuta nera: «Adrien?»
Chat balzò sulla struttura di metallo, voltandosi verso il genitore e facendogli l’occhiolino: «Da Marinette, che domande!» esclamò, prima di lanciarsi nel vuoto e, aiutato dal suo bastone, raggiungere il tetto dell’edificio accanto.


«Cosa devo fare? Come posso sconfiggerli?» domandò Coeur Noir marciando minacciosa per la stanza e gettando per terra tutto ciò che incontrava: «Le mie creazioni. I miei guerrieri neri. Tutti sconfitti. Perché non riesco a vincere?»
Hai mandato un guerriero solo contro tutti loro.
Non è stato molto intelligente.

«Piantala! Come se tu sapessi fare di meglio.»
Ovviamente.
Io conosco il potere.
Io sono il potere.

«Io…»
Concediti a me.
Lasciami libero.

«Mai!»


Marinette respirò a fondo, socchiudendo gli occhi: aveva cercato di mantenere un contegno decoroso per tutto il tempo, ma ora…
Urlò.
Con tutto il fiato che aveva in corpo.
«Tikki!»
«Lo so!»
Le due strillarono insieme: l’umana saltellando sul posto e la kwami volando in modo sconclusionato.
«Tikki!»
«Lo so!»
«Non ci credo! Non ci credo! Non ci credo! Non ci credo!» esclamò Marinette, ripetendo le tre parole quasi come se fossero una sola e iniziando a ballare scombinata, prendendo poi Tikki per le zampette e volteggiando per la stanza, finché non colpirono la sedia girevole e la ragazza si ritrovò seduta senza neanche sapere perché.
«Marinette!» la voce perentoria di sua madre le giunse attutita attraverso la botola: «Capisco tutto, ma ricorda che domattina hai scuola!»
Tikki e Marinette iniziarono a ridere, poi la mora scosse il capo e si avvicinò all’armadio, recuperando il pigiama e iniziando a togliersi gli indumenti della giornata: «Ah. Sono arrivato al momento giusto?» domandò la voce allegra di Chat: con uno strillo, Marinette si voltò e trovò l’eroe nero fermo nell’apertura dell’oblò della camera; alzò le mani e tenne la maglia stretta contro il corpo, coperto solo dal reggiseno: «My lady…» mormorò Chat, balzando sulla chaise longue e sorridendole lascivo: «…so esattamente come sei lì sotto. Non c’è bisogno di essere così timide.»
«Voltati!»
«Cosa? Ma perché?»
«Voltati!»
Sbuffando, Chat girò su se stesso e Marinette rimase un attimo a fissarlo, prima di voltarsi verso l’armadio: lanciò la maglia che si era appena tolta nella cesta dei panni sporchi e recuperò la canotta che usava per dormire, rabbrividendo quando sentì le labbra di qualcuno posarsi sulla sua spina dorsale e risalire lentamente verso l’alto: «Chat…» mormorò, inarcando la schiena e sospirando; socchiuse gli occhi, sentendo la pelle fredda dei guanti contro l’addome, mentre le mani di lui risalivano verso l’alto, imitate dalle labbra.
«Ti lascio vestire.» le bisbigliò il ragazzo all’orecchio, baciandola sul collo e poi allontanandosi; Marinette s’infilò la canotta e trafficò poi con l’abbottonatura dei jeans, mentre sul pavimento si rifletté la luce della trasformazione di Chat Noir: velocemente Marinette sostituì i pantaloni con quelli corti del pigiama e si voltò, trovando Adrien comodamente seduto alla scrivania.
«E’ successo qualcosa?» gli domandò la ragazza, avvicinandosi a lui e notando l’abbigliamento che aveva: «Attacco nemico?»
«No, my lady.» rispose tranquillamente Adrien, prendendola per un polso e invitandola sederglisi in grembo; sorrise, vedendo le guance di lei diventare leggermente rosse e sentendola irrigidirsi appena: «Oh. Andiamo. Come puoi imbarazzarti per così poco dopo che…»
Marinette gli premette le mani sulla bocca, fissandolo negli occhi verdi: «Non dire nulla.»
«Come la mia signora comanda.» borbottò Adrien, solleticandole i palmi con il movimento delle labbra; la ragazza lo fissò un attimo, prima di liberarlo dalla presa: «Non riuscivi a dormire?»
«No. Anzi. Devo dire che sto davvero sentendo il bisogno di dormire: le ultime ronde e l’attacco di oggi…» si fermò, abbozzando un sorriso: «…mi stanno mandando a terra.»
«Vorrei ricordarti che ieri notte non hai chiuso occhio per il tuo assurdo progetto.» sentenziò Plagg, attirando l’attenzione su di sé.
«Assurdo progetto?»
«Economia. Matrimonio.» spiegò Adrien alla ragazza, allungando il collo e baciandola sulle labbra: «Mi sembra di avertene parlato oggi…»
«Oh. Quel piano.»
«Già. Quel piano.» ripeté Adrien, prendendo la scatola che aveva appoggiato sul tavolo e aprendola: la sentì trattenere il fiato, mentre prendeva l’anello e glielo infilava all’anulare sinistro: «Me l’ha dato stasera mio padre.» le spiegò, carezzando il gioiello, che sembrava perfetto per il dito di Marinette: «Era l’anello di fidanzamento di mia madre.»
«Adrien, non posso…»
«Puoi, invece.» le spiegò il ragazzo, portandosi la mano di lei alle labbra e baciandola riverente: «Sei la sola che può indossarlo. E poi è perfetto per il tuo dito.»
Marinette sorrise, baciandolo: «Rimani qui.» mormorò, carezzandogli la guancia e sorridendo allo sguardo confuso di lui: «Rimani con me.»


Peacock sbadigliò, osservando dalla sua postazione la coppietta che, scavalcando il cancello, era entrata nel parco chiuso a quell’ora serale e si stava dando da fare: «Non va bene spiare.» commentò una voce divertita alle sue spalle: l’eroe blu si voltò, incontrando la figura di Volpina che lo fissava di rimando.
«Volpina.»
«Peacock.»
«Qual buon vento?»
L’eroina in arancio alzò le spalle, ruotando il lungo flauto che usava come arma: «Giratina notturna.» dichiarò, affiancando l’altro e dando un’occhiata dabbasso anche lei: «Ho sentito dell’attacco di oggi. Purtroppo non ce l’ho fatta ad arrivare in tempo.»
«Tranquilla. Neanche Tortoise ed io.»
«Conosci Tortoise?»
«Beh. Per quei cinque minuti in cui ci ho parlato…» Peacock sospirò, scuotendo le spalle: «…posso dire che lo conosco come le mie tasche.» Volpina alzò gli occhi al cielo, muovendo stizzita la lunga coda: «Volpina, posso farti una domanda?»
«Se vuoi chiedermi chi sono, prima devi dirmi chi sei tu.»
«No, tranquilla.»
«Chiedimi pure, allora.»
Peacock la fissò un attimo, spostando poi lo sguardo verso il cielo notturno e tornando infine sull’eroina: «Per che cosa combatti?» le chiese tutto d’un fiato: quasi sicuramente sarebbe scoppiata a ridergli in faccia ma, da quando Tortoise gli aveva posto quella domanda, lui era diventato ossessionato nel trovare una risposta.
«Per la redenzione.» rispose seria la ragazza, fissando davanti a sé come se fosse persa nei ricordi: «Nel mio passato, ho fatto cose di cui non vado fiera e quando mi è stata data la possibilità di essere questo…» si picchiettò il pugno contro il petto: «…ho deciso che sarei stata qualcosa di migliore.» si fermò, inclinando la testa e studiando l’altro eroe: «Perché questa domanda?»
«Diciamo che non sono proprio quello che si direbbe un eroe. Nella mia vita di tutti i giorni.» spiegò Peacock, scuotendo il capo: «Anzi, sono il cattivo.»
«E allora diventa il buono. Ci è riuscito Papillon, perché non dovresti farlo tu?»
«La fai facile.»
«Non è mai facile, fidati.» sentenziò la ragazza, voltandosi e iniziando ad andarsene: «Ma ti dico una cosa: hai un Miraculous, quindi c’è qualcosa di buono anche in te. Trovalo e troverai il motivo per cui combattere. Fidati.»


«Marinette. Marinette…»
La ragazza aprì pigramente un occhio, incontrando lo sguardo verde e la maschera nera di Chat: «Che c’è?»
«Devo andare.» bisbigliò il ragazzo, posandole le labbra sulla fronte e sorridendole: «Mio padre, minimo minimo, mi uccide appena tornerò a casa.»
«Digli che non voglio essere vedova prima del tempo.»
Chat ridacchiò, dandole un secondo bacio: «Riferirò.»


Sarah sbadigliò, mentre entrava al Louis-le-grand e si fermò, vedendo il ragazzo seduto a una delle panchine del cortile d’entrata; rimase a fissarlo un attimo, prima di scuotere il capo e sospirare.
Sei proprio una deficiente, si disse mentre marciava verso di lui: «Buongiorno!» mormorò, accompagnando il saluto con un movimento della mano.
Rafael alzò lo sguardo dal tablet, fissandola un attimo e poi voltandosi indietro: «Stai salutando me?»
«Già.»
«E perché?»
«Perché siamo compagni di classe?»
«Ma…»
«Tranquillo, il fatto che Marinette ti ha steso resterà un segreto. Non sia mai che la tua immagine di bello e impossibile ne risenta.»
Rafael scosse il capo, ridendo: «Americani…» sentenziò, come se con quella parola avesse detto tutto.
«Francesi!» sbuffò Sarah, scuotendo il capo biondo e superandolo, con il sorriso sulle labbra.


Marinette sospirò, entrando in classe e abbozzando un sorriso al ragazzo che, già seduto al suo posto, la salutò allegro: «Sono ancora vivo.» sentenziò Adrien, osservandola e posando poi lo sguardo sulla mano sinistra ove faceva bella mostra di sé l’anello: «Certo, mio padre ha cercato di…beh. Fare quel che tu sai…»
«Fare quel che io so?»
«Sì, per un attimo, ha avuto l’insano pensiero di…» Adrien si fermò, guardandosi intorno e aspettando che la ragazza si sedesse al suo posto: «akumatizzarmi.» bisbigliò all’orecchio di lei, facendola ridacchiare: «Ridi, ridi. Io ho avuto paura che lo facesse seriamente.»
«Povero, mon minou.» mormorò Marinette, carezzandolo sulla testa e scompigliandogli i capelli biondi; si fermò, notando il ragazzo che entrava in quel momento nell’aula, facendo alzare il capo ad Adrien – che aveva chinato per ricevere le attenzioni della ragazza – per notare il nuovo arrivato.
«Ehilà, Rafael!» lo salutò allegro Adrien, sorridendo allo sguardo cupo dell’altro: «Come andiamo? Tutto intero?»
«Pensa al tuo palco di corna, cerbiatto.» sbuffò l’altro, raggiungendo il suo posto in fondo all’aula sotto lo sguardo di Adrien e Marinette.
«Perché è così convinto che tu mi tradisca?» mormorò Adrien, studiandolo un attimo e poi spostando l’attenzione sulla ragazza: «Nessuno mi ha mai visto quando vengo da te, a parte…»
«A parte?»
«Peacock. La prima volta che l’ho incontrato mi stava pedinando…»
«Tu dici…» mormorò Marinette, voltandosi verso il compagno di scuola e studiandolo: «Possibile che sia lui?»
«Tu lo credi?»
«Come potrebbe sapere altrimenti?» Si voltarono entrambi verso Rafael, iniziando a vederlo con uno sguardo nuovo: «Un po’ gli assomiglia, Adrien.»
«No. Dai. Non può essere lui.»
«Puoi dirlo con sicurezza?»
«Cosa è quello?» urlò la voce di Alya, facendoli sussultare e voltare entrambi: l’amica di Marinette si fiondò sulla mano sinistra della ragazza, portandosela davanti agli occhi – e trascinando con sé anche la proprietaria – e studiando l’anello, facendo poi vagare lo sguardo da Marinette ad Adrien e tornare, infine, su Marinette: «Nino! Guarda qui!»
«Bello, bro!»
«Bello bro? Tu lo sapevi? Perché non mi avete detto niente?»
«Alya. Calma, ti spiego tutto!»
«Che succede?» domandò Lila, entrando assieme a Sarah e sorridendo al gruppetto: «Come mai questo…» si fermò, notando anche lei il gioiello alla mano di Marinette e calamitandosi anche lei per vederlo da vicino: «Cosa è questo? Cosa mi sto perdendo?»
«Sarà una lunga mattinata, bro.» commentò Nino, osservando le tre, perché dopo un momento di smarrimento iniziale anche Sarah si era aggiunta alle urla e alla richiesta di informazioni, che stavano martoriando Marinette.
«Molto lunga.»
«Gliel’hai chiesto veramente, bro?»
«Certo.»
«Uao. Sei un vero uomo.»


Wei osservò l’imponente edificio dall’aria antica: «Sono qui?» domandò al piccolo esserino verde che, comodamente poggiato sulla sua spalla, stava mangiucchiando una foglia di lattuga; il ragazzo tirò su il cappuccio della felpa, in modo da nasconderlo alla vista dei passanti: «Ne sei sicuro?»
«Sì. Tutti gli altri portatori frequentano questa scuola. A parte Papillon.»
«Capisciuto.»
«Si dice capisco.»
«Capisco.»


Alya sorrise, prendendo di nuovo la mano dell’amica e sorridendo all’anello: «Non ci credo.» mormorò, scuotendo il capo e facendo danzare le ciocche marroni: «Mi sembra un sogno…»
«A te?» mormorò Marinette, allungando le gambe e offrendo il viso al sole che, da qualche giorno, aveva iniziato a rendere più calda l’aria: «Pensa alla sottoscritta.»
«Ti ricordi di quella volta che Adrien stava facendo un servizio fotografico nel parco vicino casa tua e tu avevi iniziato a fantasticare partendo da una semplice uscita?»
«Certo. E’ il mio progetto: tre figli, un cane e un gatto.»
«Non erano meglio i criceti? Mi ricordo che avevi detto così…»
«Ad Adrien piacciono i gatti.»
«E il cane?»
«Un gatto solo in casa si sentirebbe il padrone del mondo. E poi i cani sono carini!»
Alya sorrise, circondando le spalle dell’amica e stringendola a sé: «Sono così felice per te, Marinette.» dichiarò, poggiando la testa contro quella corvina e sorridendo: «Il ragazzo di cui sei innamorata da una vita, ti ha chiesto di sposarlo.» tirò su con il naso e Marinette la strinse a sé: «Se ripenso a tutto quello che vi è successo, a tutte le volte che parlavi a vanvera o a come ti comportavi quando c’era lui…» Alya scosse la testa, sciogliendo l’abbraccio: «Sono veramente felice per tutti e due.»
«Grazie, Alya.»

Wei aveva perso la cognizione del tempo, quando il suono di una campanella scosse l’edificio scolastico dall’interno e, poco dopo, gli studenti iniziarono a riversarsi fuori: «Sei sicuro?» gli domandò Wayzz e, al suo cenno affermativo, il kwami sospirò: «Andiamo allora. Ti dirò chi sono Ladybug, Chat Noir e Volpina.»
«Peacock e Bee?»
«Un passo alla volta, Wei.»
«D’accordo.» Wei attraversò la strada, ignorando le occhiate che le persone gli lanciavano e fermandosi in mezzo al marciapiede: «E adesso?» domandò al kwami, ispezionando la folla senza che nessuno gli saltasse all’occhio; fece un passo di lato, per evitare un gruppetto di ragazze, ma un ragazzo lo spintonò per sbaglio: «Scusa.» borbottò, voltandosi verso questo e incontrando uno sguardo verde allegro.
«Tranquillo, amico. Colpa mia.» dichiarò il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli biondi e sorridendogli: «Vieni a scuola qui? Non ti ho mai visto. Ci farebbe comodo uno come te nella squadra di basket, vero Nino?» gli domandò, interpellando il ragazzo che era con lui.
«Ah no. Sono venuto a cercare delle persone.»
«Adrien!»
Il biondo si voltò, sorridendo alla ragazza che stava correndo verso di lui: «Scusa, ma la professoressa di matematica…»
«Fammi indovinare: ti ha dato roba extra.»
«Ma che bravo il mio micetto.» dichiarò la ragazza, sorridendogli e spostando poi l’attenzione su Wei: «Salve.»
«Mostra loro il bracciale, Wei.» sentenziò Wayzz dal suo nascondiglio all’interno del cappuccio.
«Co…»
«Mostra loro il bracciale!»
Wei sospirò, alzandosi la manica della felpa e mostrando al biondo e alla ragazza il bracciale che teneva al polso: «Penso che dobbiamo parlare.» borbottò, notando lo sguardo verde di lui e quello azzurro di lei sgranarsi alla vista del monile.


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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.841 (Fidipù)
Note: Tadan! Eccomi di nuovo qua con un nuovo aggiornamento di Miraculous Heroes! Yeeeeehh!! Ok, esco da ore di studio, ho il cervello fuso, quindi chiedo scusa in anticipo per il delirio di queste note: bene, bene. Cosa c'è da dire su questo capitolo? La massima citata da Wei è di Confucio ed è l'unica cosa che ho trovato riguardo al matrimonio (cercavo disperata un qualcosa simile a una benedizione, ma niente da fare. Vabbè, pazienza.); oltre a questo...beh, Gabriel è terrorizzato da Willhelmina e si nota benissimo, le pedine si stanno muovendo e una molto importante è appena arrivata.
E dire che questo è tutto...Ah! Il locale dove sono all'inizio è lo stesso dove andarono a parlare Lila e Marinette, un po' di tempo fa (notizia random di cui potevate fare a meno. Lo so.)
Se volete lasciare un commentino, sappiato che è sempre ben accetto e detto questo, come al solito, vi dico: Grazie! Grazie a chi legge, a chi commenta - sia qui che sul gruppo di FB -, a chi inserisce questa storia in una delle liste, a chi urla "Hai aggiornato!" e...
Niente, semplicemente grazie!



Adrien fissò il ragazzo seduto di fronte a lui: «E’ molto che sei in Francia?» domandò, usando la lingua natale dell’altro e sorridendo quando lo vide sgranare lo sguardo: «Mio padre mi ha fatto studiare cinese, quindi…»
«Grazie.» mormorò Wei, stirando le labbra in un sorriso: «Sono arrivato qualche anno fa, ma la lingua è un problema per me. Non riesco a impararla.»
«Fidati, sei sempre meglio di Marinette.» dichiarò Adrien, indicando la ragazza che, fuori dalla vetrina del locale, stava parlando animatamente al telefono: «Dovresti sentirla parlare cinese. Il tuo francese è a livello madrelingua al confronto.»
«Ma è…»
«Sua madre è cinese, sì. Ma non ha mai insegnato la sua lingua a Marinette.» spiegò Adrien, prendendo la tazza di caffè e portandosela alle labbra: «E quindi…»
«Lila sta arrivando!» dichiarò Marinette, rientrando nel locale e raggiungendo il tavolo a cui erano seduti i due: «Appena ha saputo chi c’era…» si fermò, facendo un gesto vago con la mano in direzione di Wei: «…ha detto che sarebbe venuta. Subito.»
«Lila è…»
«Volpina.» lo informò subito Adrien, seguendo con lo sguardo la ragazza che si sedeva al suo fianco: «Ovvero l’essere più inutile del nostro gruppo.»
«Adrien!»
«Ehi, è vero!»
«Ma non è inutile!» sbottò Marinette, prendendo il menù e dando un’occhiata alle varie voci: «I suoi poteri sono molto utili.»
«Certo, come no?» ridacchiò il ragazzo, togliendole il libretto di mano e riponendolo: «Ho già ordinato il tuo solito latte aromatizzato.»
«E se volevo cambiare?»
«Tu?»
«Spero che ti sia ricordato di…»
«Di ordinare anche un muffin per la mia bellissima lady? Sì, l’ho fatto.»
Wei ridacchiò, girando il suo the a vuoto: «Siete esattamente come quando…» mormorò, agitando una mano verso la coppia davanti a lui e sorridendo: «Beh, come quando…»
«Come quando qualcuno indossa una tutina di lattex rosso che non nasconde niente?»
«Adrien!»
«Ehi, io apprezzo quella tutina!»
Marinette sospirò, poggiando i gomiti sul tavolo e nascondendo il volto tra le mani: «Scusa, Wei.» mormorò, aprendo le dita e fissando il ragazzo cinese dalle fessure fra queste: «Di certo non ti stiamo dando una bella immagine.»
«Siete gli eroi di Parigi, ma siete anche persone come tutti.» mormorò Wei, sorridendo e sentendosi fiero di sé: non aveva fatto nessun errore. Stava migliorando.
«Grazie.» mormorò Marinette, scambiandosi uno sguardo con Adrien: «Ma anche tu sei un eroe di Parigi, Wei.»
«Ti ringrazio, Marinette.»
«L’importante, Wei, è che ti ricordi che questa fantastica ragazza è proprietà privata.» dichiarò Adrien, sorridendo all’altro: «Ultimamente sembra sia un concetto che non entra nelle teste di tutti.»
«Oh. Qualcuno sta mettendo il recinto?»
«Ed ecco a noi, l’eroina più inutile di tutta Parigi!»
«Ti ammazzo, gatto!»
Marinette sospirò, alzando gli occhi al cielo: «Lila, ti presento Wei.» dichiarò, presentando con un cenno della mano il ragazzo: «Wei, lei è Lila.»
«Ciao zuccherino!»
«Wei, fuggi! Ti ha puntato!»


«Gabrielluccio!»
Un brivido corse lungo la schiena dell’uomo, mentre si voltava e notava la donna stretta in un soprabito dorato che marciava spedita, sui tacchi alti, verso di lui: si guardò intorno, cercando una possibile via di fuga ma non trovandola.
Non voleva finire fra le grinfie di quella donna.
E non poteva mandare un messaggio ad Adrien: era certo che il figlio, ingrato!, lo avrebbe ignorato come la volta precedente.
In certe situazioni un uomo poteva fare solo una cosa…
Gabriel si voltò, camminando il più velocemente possibile e sentendo il ticchettio dei tacchi che lo seguivano, sempre più vicino; alla fine vide il luogo mistico e sacro che stava cercando: il bagno degli uomini.
Velocemente s’infilò nella porta, chiudendola dietro di sé e sentendo il rumore delle scarpe alte che si fermavano proprio davanti la porta.
Non sarebbe entrata.
Non poteva entrare.
L’uomo si allontanò dal legno bianco, osservando l’uscio come se, da un momento all’altro, si sarebbe trasformato in una bestia pericolosa.
Poi, come un suono angelico, il ticchettio riprese e iniziò ad allontanarsi.
Era salvo.
Almeno per quel giorno.


Lila osservò il giovane uomo seduto accanto a lei, studiando lo sguardo scuro e i capelli neri, vagando poi sui lineamenti del volto e sulla stazza enorme: «Quindi tu sei Tortoise?» domandò e, al cenno affermativo dell’altro – Wei –, sorrise: «Non sei esattamente come t’immaginavo. Sai?»
«Grazie?»
«Ma non ci siamo già incontrati?»
«Lila, questa è strausata! Ti direi di buttarti su qualcosa di più originale.»
L’italiana sbuffò, indicando il biondo e osservando l’altra ragazza: «Puoi zittirlo in qualche modo?» domandò a Marinette, mentre Adrien comodamente stravaccato sulla sua sedia li guardava sorridente: «Vuoi davvero sposarlo? Seriamente?»
«Sì?»
«Tu sei pazza.»
Wei seguì la conservazione, facendo vagare lo sguardo sulla coppia: «Vi soposate?»
«Sposate.» lo corresse Adrien, prendendo la mano sinistra di Marinette e mostrando l’anello a Wei: «Ti ho detto che la signorina qui è proprietà privata.» dichiarò gongolante, mentre la mora scuoteva il capo: «Comunque sì, Marinette ed io ci sposeremo. Non ora, ovviamente. In futuro.»
«Congratulazioni.» dichiarò Wei, sorridendo ai due ragazzi: «Quando due persone sono unite nell’intimo del cuore, infrangono persino i vincoli di bronzo o di ferro. E quando due nell’intimo del cuore s’intendono appieno, le loro parole sono soavi e forti come profumo di orchidee.» recitò, chinando poi il capo di fronte alla coppia in segno di rispetto.
«Presumo sia un modo cinese per farci le congratulazioni.» buttò lì Adrien, abbozzando un sorriso.
«Sì.»
I quattro rimasero in silenzio, guardandosi gli uni con gli altri: «Quindi tu sei Tortoise.» esordì Lila, posando lo sguardo sul giovane uomo e facendolo vagare sul volto, sulle spalle massicce e poi tornando al viso: «Ti immaginavo diverso.»
«Che qualcuno mi salvi.» sbuffò Adrien, gettando la testa indietro e ricevendo in cambio un’occhiata fredda dalla portatrice del Miraculous della Volpe: «Seriamente, Lila. Hai fatto di meglio anche con me.»
«Possiamo evitare di rivangare quel periodo?»
«Marinette, ha ragione. Ti prego, non ricordarmi i miei sbagli di gioventù.»
«Vi conoscete da tanto?» domandò Wei, mettendo fine al diverbio fra i tre e bevendo un sorso del suo the, in attesa della risposta.
«Dunque, per farla breve: questa qui…» iniziò Adrien, indicando la sua fidanzata: «…mi si è letteralmente gettata fra le braccia il primo giorno che ci siamo conosciuti: io ero lì, tranquillo che provavo i poteri del mio Miraculous, quando l’ho vista volare in cielo e venirmi addosso. Quando si dice colpo di fulmine, eh? Poi ci siamo ritrovati in classe insieme – ma non sapevamo chi eravamo – e dopo un po’ di problemini iniziali abbiamo imparato a conoscersi – certo, è stato un po’ difficile imparare a tradurre i suoi balbettii ma, alla fine, ce l’ho fatta – e abbiamo fatto amicizia anche in veste civile, diciamo così. Comunque è sempre stata pazza di me, anche se quando si trasformava respingeva ogni mio tentativo di conquista.»
«Chiamare una ragazza insettina mia non è un tentativo di conquista, Adrien.»
«Secondo me è carino come soprannome. E’ tanto che non ti chiamo così…»
«Preferisco my lady o coccinella. Davvero.»
«Per tornare a noi Wei: dopo aver fatto la bua a quel cattivone di Papillon…»
«Se tuo padre se che hai detto questo, ti akumatizza.»
«E, ovviamente, poi Marinette non ha saputo più resistere al mio fascino. Ovviamente, dopo che il sottoscritto ha scoperto chi si nascondeva sotto la maschera a pois neri e si è presentato a lei, prima come Chat e poi come…» si fermò, sorridendo convinto: «…beh, me!»
«E tu?» domandò Wei, voltandosi verso Lila che aveva ascoltato il racconto di Adrien, scuotendo la testa.
«Lei è in più.»
«La smetti?» brontolò Lila, fissando male il biondo: «Da ragazzina avevo una cotta per lui; all’epoca sembrava il classico principe azzurro: nascondeva bene i suoi tanti difetti, devo dire. Comunque prima venni akumatizzata da Papillon e gli detti una mano nel combatterli, poi grazie a Marinette sono riuscita a uscire da quel vortice di odio in cui ero imprigionata, sono tornata in Italia e…» si fermò, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i lunghi capelli scuri: «…diciamo che dopo un periodo di introspezione e di lavoro su me stessa, un giorno ho trovato in camera mia la scatola che conteneva il mio Miraculous.»
«Introspezione e lavoro su se stessa…» ripeté il biondo, scuotendo il capo e sbuffando a quelle parole.
«Marinette!»
La mora sospirò, posando una mano sul volto del ragazzo e fissandolo negli occhi: «Adrien…» bisbigliò, trattenendo lo sguardo verde nel suo, finché non lo vide arrendersi.
«D’accordo. Non la prendo più in giro. Per ora.»
«Perfetto.»
«Quello che hai appena visto, Wei, sarà il futuro dei signori Agreste.» dichiarò Lila, sorridendo zuccherosa allo sguardo del biondo che, sempre con la mano di Marinette poggiata sulla guancia, si era voltato a fulminarla: «Ma ovviamente era prevedibile: da quando lo conosco è sempre stato il suo schiavetto fedele.»
«Non è vero! Adrien è sempre stato il mio fidato compagno.»
«Certo. Ed io sono Bee.»
«Voi non sapete chi sono Bee e Peacock?» s’intromise Wei, attirando nuovamente su di sé l’attenzione generale: «Non conoscete le loro vere identità?»
«Purtroppo no. Sono entrambi un po’ sfuggenti.» mormorò Lila, notando come era cambiato Adrien: qui gatta ci covava…
«In verità…»
«In verità cosa, micetto?»
«Hai presente il nostro compagno, Rafael?» domandò il biondo, scambiandosi una veloce occhiata con Marinette e sorridendo al suo cenno affermativo: «Ho il mezzo sospetto che sia lui il nostro Peacock.»
«Dai, Agreste che mette in moto i neuroni. E da che cosa l’hai dedotto, Sherlock?»
«Perché sa qualcosa che solo Peacock potrebbe sapere.»


Rafael sbadigliò, voltando svogliato le pagine e picchiettando la penna sul quaderno, attirando gli sguardi iracondi degli altri seduti al tavolo: «Posso sedermi qui?» bisbigliò una voce femminile, facendolo voltare e incontrare lo sguardo nocciola di Sarah.
«Fai pure.»
«Strano vederti in biblioteca…» commentò Sarah, spostando la sedia e sistemandosi accanto al ragazzo: «A parte per…» si fermò, scuotendo il capo: «…beh, sai.»
«Sono rimasto indietro con storia.»
«Capito.» dichiarò Sarah, tirando fuori i suoi libri e poi alzandosi per andare a recuperare il dizionario di francese/inglese dallo scaffale e tornando al posto; sentì Rafael ridacchiare, mentre lei si posizionava vicino il macigno: «Che c’è?»
«Niente. Niente.»


Il pomeriggio era volato, mentre lei, Marinette e Adrien facevano conoscenza di Wei, il possessore del Miraculous della Tartaruga e, alla fine, Lila era rimasta da sola con lui, dopo che la coppietta felice era dovuta andare via: «Non capisco. Se avevi intenzione di rivelarti, perché non mi hai detto chi eri l’altra volta?» gli domandò, mentre attendevano che il semaforo dei pedoni diventasse verde: «Non capisco.»
«Sono state le tue parole a spingermi.» dichiarò Wei, incespicando sulla pronuncia delle parole: «Dopo aver parlato con te, ho pensato e preso una decisione.»
«Perché?»
Il semaforo scattò e Wei le sorrise: «Perché anche a me non piacciono le bugie.» dichiarò, prima di allungare il passo e marciare spedito verso l’altra sponda della strada.
Lila l’osservò, mentre la salutava con un gesto della mano: «Sappi che questo tuo comportamento non ti fa guadagnare nessun punto!» gli urlò dietro, voltandosi poi e andando impettita per la sua strada.


«Che ne pensi?» domandò Adrien, aiutando la ragazza a uscire dall’auto grigia e facendo poi un cenno al Gorilla di andarsene; stringendo poi la mano della ragazza e portandosela alle labbra: «Ovvero, che ne pensi di Wei?»
«E’ tanto. Ma tanto tanto.»
«Devo preoccuparmi, my lady?»
«Non so, mon minou. Tu pensi di doverti preoccupare?»
Adrien la fissò negli occhi, socchiudendo lo sguardo e poi, con uno scatto felino, si chinò stampandole un bacio sulle labbra: «Penso di no. Anzi, sono sicuro di no e, poi, anche se tu dovessi prendere una sbandata per Wei, saprei sempre come riconquistarti.»
«Oh! Siamo sicuri di sé, vedo.»
«Io? Sempre, my lady.»
Marinette sbuffò, roteando gli occhi e avvicinandosi alla porta della boulangerie: «Comunque, per tua informazione, non è di Wei l’anello che porto al dito.» dichiarò, proprio mentre l’entrata del negozio si apriva e Sabine usciva con un pacchetto finemente incartato.
«Anello?» esclamò la madre di Marinette, guardando alternativamente la figlia e il ragazzo: Adrien ridacchiò, mentre Marinette allungava la mano e mostrava il gioiello alla madre che, squittendo dalla contentezza, rientrò immediatamente nella boulangerie e chiamava a gran voce il marito.
«Non gliel’avevi fatto vedere?»
«E come potevo?» domandò di rimando Marinette, portandosi le mani ai fianchi: «Mamma, guarda! Il tuo futuro genero è entrato stanotte in camera mia – ah! E’ Chat Noir, per informazione – e mi ha portato questo. Poi io l’ho convinto a rimanere e…beh, da cosa è nata cosa…»
«Sì, in effetti non sarebbe stato un discorso…»
«Mh. Avrei potuto anche dirle che sono Ladybug, non credi?»
«D’accordo, d’accordo. Diventi antipatica quando vuoi avere ragione.»
I genitori di Marinette uscirono dal negozio e nuovamente, fra un gridolino e l’altro, Sabine volle vedere nuovamente l’anello: «Immagino ti sarà costato Adrien.» commentò Tom, prendendo delicatamente la mano della figlia nelle proprie e sorridendo al gioiello: «Mi ricordo quanto ho faticato per prendere l’anello che regalai a Sabine…»
«In verità…» mormorò Adrien, affiancando Marinette e posandole un braccio sulle spalle: «Quello è l’anello di fidanzamento di mia madre. Mio padre…» si fermò, sorridendo alla ragazza: «…beh, ha pensato che…»
Sabine tirò su con il naso, posando una mano sul braccio del ragazzo e sorridendogli: lo stesso sorriso dolce della figlia, si ritrovò a pensare Adrien, stringendo leggermente la presa sulla ragazza: «Vuoi rimanere a cena da noi?» domandò la donna, cercando l’appoggio della figlia e del marito.
«Ah. Mi dispiace lasciare mio padre solo…»
«Digli di venire.»


Sarah allungò il collo, cercando di vedere quando il suo bus sarebbe arrivato: «Speriamo che stavolta non ci sia nessun attacco…» mormorò fra sé e sé, ricordando poi che non era sola alla fermata; Rafael la fissò, annuendo con la testa: «A proposito, l’ultima volta non sei rimasto coinvolto?»
«No. Mi sono nascosto, ho visto l’arrivo di tutti quegli eroi e poi me la sono data a gambe.»
«Capisco.» dichiarò la ragazza, infilando le mani nelle tasche della felpa e rimanendo in silenzio: «Posso farti una domanda?»
«Anche due.»
«Perché hai provato a…» Sarah si fermò, muovendo le mani in aria: «Con Marinette, intendo.»
«Ah. Mh. Diciamo che se vedo una conquista facile mi ci butto.»
«Ma Marinette non è facile.»
«Mh.»
«Davvero. E’ innamoratissima di Adrien.»
«Mh.»
«Dico sul serio.»
«C’è il tuo bus, Sarah.»


I genitori di Marinette ci hanno invitato a cena. Non era carino rifiutare, quindi presentati qua con un bel sorrisone in volto. Ok?
Adrien osservò il genitore, domandandosi quale parte del messaggio non aveva compreso: era immobile, nel salotto dei Dupain-Cheng, e rispondeva conciso alle domande che Sabine e Tom gli facevano.
«Signor Gabriel?» domandò Marinette, scendendo le scale che portavano alla sua camera con un blocco da disegno in mano: «Posso farle vedere gli ultimi schizzi che ho fatto?»
Adrien osservò le spalle del padre rilassarsi un poco, mentre Marinette si sedeva accanto a lui e gli metteva sotto naso i suoi lavori, iniziando poi a discutere animatamente di stoffe e quant’altro: «Marinette sa sempre come prenderlo.» dichiarò Adrien, sorridendo ai Dupain-Cheng: a casa anche lui sapeva come prenderlo ma, ogni volta che Gabriel Agreste metteva il muso fuori dalla sua magione, tornava a essere l’uomo freddo e tutto d’un pezzo del passato.
«Tranquillo, Adrien. Marinette ci ha raccontato un po’…» dichiarò Tom, lavorando alacremente ai fornelli: «…non preoccuparti. Ok?»
«Ok.» dichiarò il ragazzo, voltandosi nuovamente e osservando Marinette mostrargli un nuovo lavoro: alzò lo sguardo, sorridendogli e facendogli l’occhiolino; con il sorriso sulle labbra, Adrien li raggiunse e si sedette accanto alla ragazza, prendendole una mano fra le proprie e studiando anche lui gli schizzi che stava mostrando.
«Che ne dice, signor Agreste?» domandò Sabine, portando loro un vassoio di bocconcini di pasta frolla e seguita dal marito: «Marinette può farcela nel suo settore?»
«Mi chiami Gabriel, la prego.» dichiarò lo stilista, prendendo uno stuzzichino e addentandolo, divorandolo velocemente: «Sono certo che Marinette diventerà una stilista affermata: è creativa e ha idee molto innovative.» dichiarò, iniziando a intavolare una conversazione con i genitori della ragazza.
Adrien si accomodò sul divano e sorrise, quando sentì la ragazza sistemarsi contro di lui: «E’ strano…» mormorò, passandole un braccio attorno alle spalle e accentuando lieve la stretta.
«Cosa?»
«Tutto questo.»
«Si chiama famiglia, Adrien. Direi che è il caso che inizi a farci pratica.»


Parigi.
Dopo undici ore di volo, gli sembrava strano essere lì, nella città dove lei era corsa, abbandonando tutto in America.
Parigi.
Lei era lì.
La sua Sarah era in quella città.
Si sistemò meglio gli occhiali sul naso che, come al solito, scivolavano poi, serrando la presa sulla custodia della chitarra e sul trolley, si avviò verso l’uscita dell’aeroporto: doveva cercare un modo per raggiungere l’albergo dove aveva prenotato, sistemare le valigie e…
Beh, poi doveva trovare Sarah.
Gli aveva dato qualche notizia, la prima e ultima volta che si erano sentiti, dicendogli quale scuola avrebbe frequentato e in quale zona di Parigi era andata ad abitare.
«Puoi farcela, Alex.» si disse, rinvigorendosi a quelle parole e iniziando a marciare più spedito.
L’avrebbe trovata, sì.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.876 (Fidipù)
Note: Bonsoir a tout le monde! Eccomi qua con un nuovo capitolo, allora...Vediamo cosa c'è da dire? Beh, Vooxi ormai penso si sia capito che è un Potterhead nell'animo e, quando mi è passato davanti quel trailer, non potevo mettere una scena con lui...Scusa Lila, ti ho dato una bella volpe da pelare. A parte ciò: mh. Vediamo un po'...eh. Mi sa che sto lasciando troppi indizi su Coeur Noir ma va bene così e, a quanto sembra, la nostra cattiva amante del vino e sicuramente imparentata con i Lannister ha un nuovo giocattolino fra le mani.
Detto tutto questo, come ben sapete, ci sono i soliti ringraziamenti di rito: grazie a chi legge, commenta, inserisce questa storia nelle sue liste. Un grazie ai lettori che mi seguono sempre e a quelli nuovi, al gruppo di FB.
Lo so che lo ripeto ogni volta, ma ci tengo tantissimo a ringraziarvi a ogni nuovo capitolo e...
Beh, semplicemente grazie!



Chat Noir balzò su un tetto, osservando il suo obiettivo: aveva iniziato a pedinare Rafael da quando era uscito di casa, poche ore prima, e all’attivo aveva un ristorante e due locali: «Come accidenti fa a venire a scuola?» bofonchiò Chat, mettendo mano al bastone e usando la fotocamera, in modo da osservarlo meglio.
«Non potevi venire con Ladybug?» gli domandò l’eroe in verde, saltando sul tetto e guadagnandosi un’occhiata dal felino: «Diciamo che non sono molto bravo con queste cose.»
«Più che altro: verde. Scudo. Armadio ambulante. Amico, sei davvero un pessimo elemento per i pedinamenti.»
«Esatto! Non poteva venire Ladybug?»
«Ladybug è più per: “se non ti dicono chi sono, avranno i loro perché”.» dichiarò Chat, scimmiottando la voce della ragazza: «Quando eravamo più piccoli, è stata per molto tempo senza dirmi chi era in realtà: io ero innamorato perso di lei, però non sapevo chi fosse nella realtà…»
«Me l’avevi già detto. Non dev’essere stato facile…»
«Per niente, amico gusciato.» dichiarò Chat, scuotendo il capo e sorridendo: «L’hai capita? Gusciato!»
«Continuiamo a pendinarlo.»
«Pedinarlo, Torty. Pedinarlo.»
«Pedinarlo.» ripeté Tortoise, sillabando la parola: «Pedinarlo.»
«Oh. Un’altra.» commentò Chat, allargando lo zoom nello schermo del bastone e osservando Rafael uscire a braccetto con una procace moretta: «Questa è la numero…?»
«Sette? Sei?» domandò Tortoise, osservando anche lui lo schermo: «Questa non è male.»
«Marinette è meglio.»
«L’hai detto di tutte le conquiste del tuo amico.»
«Non è mio amico.»
«E allora perché speri che sia Peacock?»
Chat si alzò in piedi, sorridendo all’altro e assicurandosi l’arma sulla schiena: «Veramente io spero che non lo sia.» dichiarò, l’eroe nero scoccando un’occhiataccia alla loro preda: «Mi va bene chiunque, tranne lui.» dichiarò, fissando il ragazzo e trovandolo comodamente appoggiato a un muro dell’edificio di fronte, con lo sguardo rivolto verso loro.
«Siamo stati scoperchiati.»
«Scoperti.»


Ingollò il liquido cremisi, gustandone il sapore e osservando poi il bicchiere vuoto: tanto tempo prima, ogni volta che lui provava a farla bere, negava gentilmente e allontanava da sé il calice che le offriva; poi qualcosa era cambiato, il giorno in cui aveva accettato il demone dentro di sé – il giorno in cui aveva perso lui – e quella bevanda era l’unica cosa che glielo ricordava.
Che glielo ricordava in modo felice.
Tutto il resto era immerso nella tristezza e nel dolore.
Essere votati al bene non sarà sempre facile: ci sarà fatica, ci sarà dolore. L’importante è ricordarsi per che cosa combattiamo.
Coeur Noir sospirò, ricordando le parole del Maestro e si riempì nuovamente il calice.
Un altro bicchiere per ricordarlo ancora.
Ci stiamo perdendo nei ricordi?
«Vattene.»
E’ dura ricordarsi di chi eri una volta, vero?
Soprattutto se lo paragoni a ciò che sei ora.

«Ti ho detto di andartene.»
La grande eroina…
«Vattene.»
Che adesso è solo un fantoccio nelle mie mani.
Coeur si voltò verso lo specchio, alzando la mano con cui teneva la bottiglia e pronta a scagliarla contro la superficie riflettente: certo, per cosa? Per vedere la cameriera guardarsi intorno stranita il giorno successivo? Per trovare una nuova scusa al suo ennesimo scatto d’ira?
Il suo riflesso sorrise, mentre lei posava l’oggetto che aveva in mano e afferrava il bicchiere di vino, buttandolo giù in un sorso.
Sei solo una mia pedina, ricordatelo.
«Ti posso dire una cosa?» domandò, voltandosi verso lo specchio e alzando il calice vuoto: «Ricordati anche tu contro chi combattiamo.» dichiarò, sorridendo alla smorfia che venne sul suo profilo.
Se la ricordava bene, a quanto pareva, la forza di Ladybug.


Lila sbuffò, chiudendo i libri e stirando le braccia verso l’alto: bene, compiti fatti.
Adesso doveva solo trasformarsi e andare a controllare che Parigi fosse al sicuro.
«Vooxi!» chiamò ad alta voce, ricevendo in cambio solo il mormorio indistinto del pc dall’altra stanza: cosa stava combinando quel kwami?
Con un sospiro si alzò e uscì dalla sua camera, andando a vedere cosa stesse facendo lo spirito volpino: seduto davanti il pc, con una scatoletta di carne fra le zampine posteriori, la forchetta ferma a mezz’aria, Vooxi stava osservando a bocca aperta un filmato.
«Cosa stai…?» iniziò la ragazza, avvicinandosi e guardando un pezzo di filmato anche lei.
Oh no.
Oh no.
Vooxi si girò, lo sguardo illuminato dalla felicità: «Lila! Dobbiamo andare a vederlo!»
«Nei tuoi sogni!»
«Ma è Animali Fantastici!»
La ragazza sbuffò, alzando il pendente a forma di coda di volpe e puntandolo verso il kwami: «Vooxi! Trasformami!» sentenziò, avvertendo la magia che avvolgeva il suo corpo e, poco dopo, i suoi vestiti vennero cambiati nella tenuta di Volpina: «Fra tutti i kwami…» sbuffò la ragazza, stringendo le mani guantate: «Proprio quello fissato dove capitarmi!»
Con un nuovo sospiro, saltò fuori dalla finestra della stanza e raggiunse il tetto opposto, mettendo mano al ciondolo che teneva al collo: «LB!» esclamò, non appena riuscì a chiamare l’eroina coccinella: «Che combini?»
«Secondo te?»
«Se continuate a questo ritmo, nascerà a breve un Cocci-gatto!» sbuffò Volpina, camminando tranquilla per il tetto dell’edificio e fermandosi quando ebbe raggiunto la parte opposta: «Seriamente, posso capire che è in calore perenne, il micetto, ma…»
«Veramente sono sola.»
«Cosa? Come? Micetto ti ha lasciata sola?»
«Ha detto che aveva qualcosa da fare. Qualcosa di urgente.»
«Ti tradisce?»
«Volpina!»
«Sì, vero. E’ impossibile questo.» dichiarò la ragazza, volando fino al tetto opposto: «E poi è troppo scemo: non saprebbe come fare.»
«Perché mi hai chiamata?»
«Dunque, se hai risposto, immagino tu sia trasformata e, dato che sei sola, che ne dici di fare un po’ di ronda assieme? Robetta semplice: controlliamo che Parigi sia al sicuro, facciamo un po’ di chiacchiere tra ragazze…»
«Ci troviamo al Trocadero?»
«Perfetto, LB!»


Stava male.
Tanto male.
Appoggiò le mani alla ceramica bianca del water, mentre il corpo era scosso dai conati di vomito.
Accidenti!
Era arrivato in Francia da una manciata di ore e stava malissimo!
A quanto pare la nouvelle cousine non faceva per lui.
Rimise tutto ciò che aveva mangiato per cena, abbandonandosi poi nei pressi di quello che aveva ribattezzato il suo nuovo migliore amico e sospirò, sentendo le spire dell’oblio catturarlo.


Rafael osservò i due eroi balzare a terra, proprio davanti a lui, e sorrise: «Buonasera.» li salutò, rimanendo immobile al suo posto: sorriso sfrontato, mani in tasca, posa rilassata…
Ricorda di sembrare il padrone del mondo, Rafael.
Chat Noir incrociò le braccia, fissandolo a sua volta: proprio come si era aspettato. Non voleva dargli nessun vantaggio e ciò avrebbe portato a una sfida su chi avrebbe abbassato prima lo sguardo; mentre Tortoise…Beh, lo conosceva veramente poco, ma era certo che in quel momento – mentre lui non cedeva allo sguardo verde – stava fissando alternativamente l’eroe e il civile.
«Posso sapere cosa volete da me?»
Il felino sorrise, quasi come se si aspettava quella domanda: «Sai, un uccellino mi ha detto qualcosa.» iniziò, rimanendo nella stessa posizione: «Anzi, che tu hai visto qualcosa.»
«Vedo tante cose.»
«Qualcosa che potresti aver visto solo se eri trasformato in Peacock.»
Ahia.
Nega, Rafael.
Nega sempre.

Sorrise, scuotendo il capo: «Stai dicendo che io sono Peacock?» domandò, fingendosi incredulo: sguardo attonito, mano sul cuore, posa tranquilla. Poteva farcela. Era solo un sospetto il loro.
Non sanno che sei tu.
Chat Noir l’osservò, negando con la testa e sospirando: «Purtroppo per te, ti sei smascherato con la tua stessa linguaccia.» dichiarò, portando le mani ai fianchi e fissandolo serio: quello sguardo così minaccioso…
Rafael ricordava di averlo già visto.
Uno sguardo verde, freddo e tagliente…
«Sai cosa si dice dei pennuti che starnazzano troppo?»
«Che cantano bene?»
«Che parlano troppo.» dichiarò l’eroe in nero, fissandolo serio: «E dato che parlare troppo sembra sia una tua abitudine, fallo ora. Sei Peacock?»
«Ti sembra che io possa essere un eroe di Parigi?»
«Un eroe di Parigi che non sa per cosa combattere.» mormorò Tortoise, sospirando e parlando per la prima volta.
«A quanto sembra non ci sono più gli eroi di una volta, eh?»
«Scoprirò chi sei.» dichiarò Chat, fissandolo serio: «Ho fatto parecchio allenamento con la mia lady, scoprire chi è un pennuto che parla troppo non sarà un problema. Sei avvisato, Rafael Fabre.»
«L’eroe di Parigi mi sta minacciando?»
«Fidati. Se volessi minacciarti, m’impegnerei di più.»


«Il tuo kwami è fissato con Harry Potter?» domandò Ladybug, osservando l’amica e scuotendo il capo: «Che cosa carina!»
Volpina sbuffò, rimanendo poggiata contro uno dei tralicci di metallo e alzando gli occhi al cielo: «Carina. Certo, finché non ti chiede di andare a Londra per vedere se esiste veramente il binario 9 e ¾ o, come oggi, mi chiede di portarlo al cinema.»
«Mi piacerebbe incontrarlo…» mormorò la coccinella, tirando le ginocchia contro il petto: «Non l’abbiamo mai visto il tuo kwami, Chat ed io.»
«Ah. Questo è perché…»
«Perché…?»
Volpina sospirò, sedendosi anche lei e osservando l’altra: «A quanto pare Vooxi ha scommesso qualcosa con Plagg – quando erano con i loro portatori precedenti – e…» si fermò, poggiando la nuca contro il metallo: «…beh, sembra che adesso non possa pagare la scommessa.»
«Quindi è per questo che non si fa vedere?»
«Esatto!»
«Conoscendo Plagg, sicuramente riguarda il formaggio. Non è che gli ha chiesto chissà quale forma di Camembert?»
«Il kwami del micetto mangia camembert?»
«Esatto! La mia invece biscotti al cioccolato…»
«Ed io che mi lamentavo di Vooxi e della sua ossessione per la carne in scatola! Il micetto sta peggio di me!»
«Volpina…»
«Come fai con la puzza?»
Ladybug ridacchiò, voltandosi verso la città illuminata e scuotendo il capo: «Dopo un po’ ci fai l’abitudine.» dichiarò, notando qualcosa nel cielo notturno che si avvicinava velocemente: «Abbiamo compagnia!» dichiarò, osservando Bee dirigersi verso di loro: l’eroina in giallo si fermò a mezz’aria, tenendo le braccia spalancate e, poi, usufruendo delle correnti d’aria scese fino a toccare il metallo della torre.
«Buonasera!» esclamò, osservando prima Ladybug e poi Volpina: «Che fate?»
«Beh. Per riassumere: abbiamo fatto un po’ di ronda, poi ci siamo messe qua a parlare delle abitudini culinarie dei nostri kwami.» riassunse Volpina, facendo l’occhiolino alla nuova arrivata: «Il tuo cosa mangia, Bee?»
«Miele!» dichiarò prontamente la ragazza, avvicinandosi a Volpina e poggiandosi contro il traliccio: «E’ capace di farsi fuori un barattolo intero!»
«Il micetto ha sempre il kwami con i gusti peggiori.»
«Perché? Cosa mangia quello di Chat?»
«Camembert.»
«Poveraccio! Non oso pensare alla puzza…» dichiarò Bee, agitando una mano davanti al naso: «I vostri formaggi puzzano sempre così tanto?»
«Alcuni.»
Bee annuì, sorridendo: «Comunque come fate a sapere che il kwami di Chat mangia camembert?» chiese, fissando prima Volpina e poi Ladybug: «Lo conoscete anche senza maschera? Perché l’altra volta non è che abbia capito molto dal discorso di Chat…»
«Dai discorsi di Chat non si capisce mai molto.» sospirò Ladybug, scuotendo il capo e sorridendo all’altra: «Comunque sì, lo conosco anche senza maschera.»
«Ah. Non lo sai?» le domandò Volpina, guardandola dal basso: «Ladybug e Chat stanno insieme. Sono una coppia. Una coppia con la C maiuscola.»
«Ah.»
«Ed io li conosco da qualche anno. In verità, all’inizio non ero una portatrice di Miraculous, ma una persona akumatizzata da Papillon.»
«Quindi vi conoscete tutti?»
«Solo noi tre. E Papillon. E Tortoise.» rispose prontamente Volpina, sorridendo: «Ma solo perché è venuto da noi per presentarsi; mentre non sappiamo niente di te e di Peacock.»
«Mi dispiace, ma…»
«Tranquilla, Bee.» la fermò Ladybug, alzando la mano guantata di rosso e sorridendole dolcemente: «Immagino che hai i tuoi motivi per tenere nascosta la tua identità e non ti forzeremo a rivelarla. Se mai vorrai dircela, saremo felici di sapere chi sei, altrimenti…»
«Altrimenti ci incontriamo quassù la sera e facciamo un po’ di chiacchiere tra donne.» concluse Volpina, alzando lo sguardo verso l’eroina in giallo, in piedi al suo fianco, e facendole l’occhiolino.


Marinette era tornata da poco in camera sua, quando un rumore nel terrazzo la fece sorridere; afferrò una felpa e aprì la botola sopra il suo letto, osservando Adrien e Plagg entrare nella sua camera: «Non dovresti andare a riposarti?» gli domandò, richiudendo lo sportello dietro ai due.
«Ho fame! Voglio il camembert!»
Adrien sbuffò, abbandonandosi sul materasso e osservando Marinette che scendeva al piano inferiore della casa, recuperando il camembert di scorta che teneva: «Per te, Plagg.» dichiarò la ragazza, tornando e dando la scatola al kwami nero, osservandolo poi mentre fluttuava di sotto e si sedeva vicino a Tikki: «Com’è andata?» domandò poi, voltandosi verso il biondo che la fissava dal basso.
Adrien si spostò, invitandola a distendersi accanto a lui e, una volta, che l’ebbe accontentato, le circondò la vita con un braccio: «Lo abbiamo seguito per un po’. Beh, almeno finché non ci ha scoperti…»
«Come vi ha scoperti?»
«Se non è Peacock, è veramente in gamba. E se lo è…»
«Hai parlato con lui?»
«Sì. Diciamo di sì.»
Marinette si appoggiò su un gomito, osservando il ragazzo che la fissava con un sorriso innocente e lo sguardo puro: «Adrien…»
«Abbiamo solo parlato. Davvero. L’ho solo minacciato che scoprirò chi è.»
«Perché sei così ossessionato dal sapere chi sono?» domandò Marinette, allungando una mano e portando indietro alcune ciocche bionde: «Anche quando non sapevamo chi eravamo, abbiamo lavorato bene insieme.»
«Sì, però…»
«Però?» domandò la ragazza, stendendosi di nuovo al suo fianco e continuando a carezzargli il volto: rimase in silenzio, osservando lo sguardo verde che vagava sul suo volto ed era quasi sicura di vedere la mente di Adrien lavorare per darle una risposta.
«Alle volte mi chiedo come sarebbe stato.» commentò il ragazzo, sorridendole: «Sapere chi eravamo dietro quelle maschere. Forse sarebbe stato diverso: mi sono sempre fidato ciecamente di te, ma forse avremmo potuto darci una mano a vicenda anche nella vita di tutti i giorni, aiutarci con le scuse, darci una mano a vicenda quando dovevamo sparire…» si fermò, portandosi una mano di lei alle labbra e baciandole i polpastrelli: «Cose così, insomma. Forse sarebbe stato più facile o forse no, magari qualcuno non avrebbe fatto altro che balbettare per tutto il tempo…»
«Ah. Ah. Divertente.»
«E vederti arrendere così facilmente al mio corteggiamento…»
«Adrien, ti ripeto che chiamare una ragazza insettina non è corteggiare.»
«Te lo sei proprio legata al dito?»
«Sì!»
«Antipatica!»
«Fuori dal mio letto, gattaccio!»
«Come?» esclamò il ragazzo, strusciandosi contro di lei e ridacchiando: «Vuoi mandare un povero micetto al freddo e al gelo? Sono senza casa, lo sai.»
«Veramente ce l’hai una casa!»
«Dettagli.» dichiarò Adrien, scivolando sopra di lei e sorridendo divertito: «E poi preferisco dove è la mia bellissima, meravigliosa, stupenda lady.»
«Non mi dimenticherò insettina, sappilo.»
Un sorriso malizioso piegò le labbra del biondo, mentre si chinava sopra di lei e avvicinava la bocca all’orecchio della ragazza: «Scommetto che conosco un modo per fartelo dimenticare?»


Coeur si portò una mano al petto e sentendo uno strano senso di irrequietezza dominarle il corpo: cosa stava succedendo? Perché si sentiva così?
Alzò lo sguardo, osservando lo specchio e trovandolo stranamente silenzioso.
Cosa stava succedendo?
La porta della sua stanza si aprì e lei si voltò, osservando il guerriero in armatura nera che era fermo sulla porta: «Tu…» mormorò, alzandosi e osservandolo: «Perché sei qui?» domandò, mentre questi avanzava nella stanza e si inchinava di fronte a lei.
Il seme che aveva lasciato dietro di lei era giunto fin lì.
Puoi usarlo…
E’ venuto fin qui per te.
Con questo puoi sconfiggere i tuoi nemici e poi potrai…

Già, avrebbe potuto usarlo.


Marinette sospirò soddisfatta, sistemandosi meglio nell’abbraccio del biondo e sentendo le loro pelli nude l’una contro l’altra; allungò le mani attorno alla vita del ragazzo, carezzandogli i muscoli della schiena e risalendo verso l’alto: «Mi stai palpando, lo sai?» mugugnò la voce assonnata di Adrien, aprendo pigramente un occhio e sorridendo alle guance imporporate della ragazza.
«St-stavo solo notando una cosa.»
«Cosa?»
«Non posso dirtela.»
Adrien sorrise, strofinando il naso contro il collo e sorridendo quando la sentì sospirare: «Dimmelo, Marinette.» mormorò, mentre con le dita risaliva lungo la schiena e la sentiva arcuarsi fra le sue braccia.
«S-sei pa-pa-pa…»
«Sono pa…»
«Oh! Dammi tregua!»
«Come la mia signora comanda.»
Marinette ispirò a fondo, socchiudendo gli occhi: «Stavo notando che sei parecchio muscoloso. Cioè, lo sapevo già ma non so perché ci ho fatto caso, forse perché è bello toccarli…»
«Sei una maniaca dei muscoli, per caso?» domandò il biondo, spostandole una ciocca mora dalla fronte: «Perché se è così, dovrebbe piacerti di più il nostro nuovo amico Wei.»
«Wei è tanto. Troppo tanto per i miei gusti.» dichiarò Marinette, storcendo la bocca: «Poi preferisco i tuoi di muscoli.»
«Felice di saperlo.» scherzò il ragazzo, stringendola di più a sé: «Comunque sai che faccio scherma, no? Quindi sono così grazie a quella e al fatto che fare l’eroe di Parigi è una faticaccia.»
«Grazie Parigi per essere sempre in pericolo, così mi permette di essere stretta da queste meraviglie di bicipiti!»
«Mi stai prendendo in giro?»
«Secondo te?»
Plagg si alzò dal cuscino dove dormiva con Tikki e volò fra i due: «Qua c’è gente che vuole dormire!» sentenziò il kwami, subito raggiunto dall’esserino rosso, che si sistemò vicino al volto della sua partner umana; il kwami nero sbuffò, infilandosi sotto le coperte e riapparendo subito, guardando schifato il suo umano: «Sei nudo! Che schifo!»
«Ehi, io mica mi lamento di te che giri così.»
«Vorrei anche vedere.»

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.996 (Fidipù)
Note: Buonasera e bentornati su questi lidi! Nuovo capitoli e vecchie conoscenze che approdano da queste parti: sì, direi che con questo si può riassumere questo capitolo. E ritorna anche la rubrica: mille luoghi di Parigi (titolo appena inventato): il locale dove le ragazze si ritrovano è Le Malabar (qui potrete trovare la pagina facebook), che mi ha letteralmente conquistato con le foto dei suoi piatti/stuzzichini: tutti i piatti ordinati, li potrete anche trovare sulla pagina del locale (io ho letteralmente sbavato vedendoli!). Ovviamente la mafia cartacea di Monsieur Mercier me la sono totalmente inventata: cerco di essere il più possibile fedele alla realtà, ma qualche licenza poetica (chiamiamo così il mio costruire cavolate grandi quanto palazzi) ogni tanto me la prendo.
E niente. Penso sia tutto per questa volta. Credo.
Come al solito - si sono una piaga, ma ci tengo! - voglio ringraziarvi! Un grazie grosso grosso grosso a chi legge, a chi commenta (qui, su Facebook, ovunque!): voi non sapete quanto mi rendete felice e...beh, mi spronate a continuare questa storia! Grazie, davvero davvero, grazie!
Detto questo: buona lettura!



Marinette sbuffò, tenendo il pacco di fogli che la professoressa le aveva dato, marciando verso la zona della scuola ove avevano riunito le fotocopiatrici: voglio venti copie di ogni foglio, signorina Dupain-Cheng, le aveva ordinato la donna, guardandola da dietro le lenti rettangolari degli occhiali.
Ok. Ed io come le porto dopo?, si domandò la ragazza, stringendo il malloppo di fogli con un braccio solo e cercando di aprire la porta con la mano libera: «Serve mano?» le chiese una voce dietro di lei e, quando si voltò, incontrò la figura di Wei che, con una scatola di risme sotto al braccio e una tenuta sulla spalla, le sorrideva cordiale.
«Grazie.» mormorò lei, osservandolo posare una delle scatole e aprire la porta, facendole cenno di entrare: «Mi hai salvato.» dichiarò, entrando nella stanza e posando i fogli accanto a una delle macchine, accendendola e attendendo che si mettesse in moto: «Quindi il tuo lavoro è rifornire la scuola?»
«Solo carta.» spiegò Wei, poggiando una delle scatole e andando a recuperare quella che aveva abbandonato fuori dallo stanzino: «Il signor Mercier è…» si fermò, inclinando il capo e cercando la parola adatta: «…ossessionato da carta e quindi rifornisce quasi tutte le scuole parigine.»
«Davvero?» esclamò Marinette, poggiandosi alla fotocopiatrice e scuotendo il capo: «Uao, non sapevo di questa cosa.»
«Penso che sia perché è il signor Mercier.» spiegò Wei, sorridendole: «Sembra sia una specie di boss della carta.»
«Tipo interessante.»
«Abbastanza.»
Marinette sorrise, voltandosi e iniziando a sistemare i fogli da fotocopiare: posizionò il primo sul ripiano e, dopo aver digitato venti sul display, lasciò che la macchina facesse il suo lavoro: «Com’è andata ieri con Chat?»
«Bene.» dichiarò Wei, sistemando le due scatole nello scaffale in fondo alla stanza: «Molto simpatico e con battuta sempre poronta.»
«Pronta.»
«Esatto.»
«Lo so.» dichiarò Marinette, sorridendo: «E’ uno dei suoi lati affascinanti: il fatto che non sappia chiudere la bocca quando deve.»
«Non dovrebbe essere un difetto?»
«Con Adrien Agreste, anche quelli diventando pregi: il suo essere iperprotettivo, con la lingua lunga, geloso…» spiegò Marinette, voltandosi e cambiando foglio da fotocopiare: «Tutte queste cose sono difetti in ragazzi normali, ma in Adrien diventano pregi: il fatto che sia iperprotettivo e geloso ti fa sentire adorata e desiderata. La sua lingua lunga? Alle volte, vien voglia di ba-baciarlo solo per farlo stare zitto…»
«Lo ami veramente molto.»
«E’ il primo e unico amore.»
Wei sorrise, poggiandosi al muro e incrociando le braccia: «E’ bello.» dichiarò, chinando leggermente il capo: «Un amore come il vostro fa ancora sperare.»
«Tu sei mai stato innamorato, Wei?»
«In passato, ma non sono stato tanto forutunato.»
«Mi dispiace.»
«Trovare l’anima destinata a noi non è sempre facile. Adrien e tu siete stati fortunati a incontrarvi subito…»
«Questo è perché abbiamo avuto i Miraculous.»
«Siete anime destinate, vi sareste ritrovati ugualmente.»
«Grazie, Wei.» dichiarò Marinette, sorridendo al ragazzo: «E sono certa che anche tu troverai l’anima a te destinata. Lo dice Ladybug.»
«Allora la incontrerò sicuramente!»


Lila osservò il biondo davanti a lei, notando come lo sguardo verde andasse sempre alla porta dell’aula: «Senti, Agreste.» dichiarò, battendo una mano sul libro che il ragazzo aveva di fronte: «Capisco che fare un lavoro in coppia con me sia una tortura – Per entrambi, sia chiaro –, e che vorresti solo andare dalla tua fidanzatina ma…» si fermò, sorridendo zuccherosa allo sguardo dell’altro: «…prima finiamo, prima potrai andare. Da qualche parte.»
«Di certo non con Marinette, dato che tu e Alya l’avete sequestrata per un pomeriggio fra ragazze.» bofonchiò Adrien, abbassando lo sguardo e scrivendo qualcosa sul quaderno.
«Quanto la fai lunga! Quella povera ragazza può avere un po’ di vita sociale oltre te? E poi non è stata un’idea nostra, ma di Rose che ha voluto fare una specie di rimpatriata fra tutte noi.»
«E perché anche tu?»
«Perché sono stata in quella classe anch’io?»
«E Sarah?»
«E’ nuova, non conosce nessuno. Mi sembrava un’ottima idea per farle ampliare le amicizie.»
«Potevo venire anch’io…»
«La tua dipendenza da Marinette fa paura, Agreste. Sappilo.» dichiarò Lila, poggiandosi contro la spalliera della sedia e fissandolo male: «Quindi, prima di farmi chiamare il primo psichiatra sull’elenco, tu prendi Nino e qualche altro amico e andate a fare cose da ragazzi.»
«Ma…»
«Sono stata chiara, Agreste? Altrimenti faccio quella chiamata.»
«Ti odio.»


Rafael sospirò, mentre si allungava per vedere se la stazza del bus sarebbe comparsa all’orizzonte: un’altra giornata di scuola andata.
Sarah gli aveva parlato come sempre, accennando a un incontro con alcune vecchie amiche delle tre con cui gironzolava sempre e, quindi, quel giorno non sarebbe stata con lui ad attendere alla fermata.
Vabbè, non che gli importasse poi molto…
Certo. Come no?
Inizio a pensare un po’ troppo a quella ragazzina.
«Va tutto bene, Rafael?» gli domandò Flaffy, facendo capolino dalla felpa e sorridendogli: «Mi sembri pensieroso ultimamente.»
«Non è niente.»
«Sicuro.»
«Sì, pensavo solo…»
«A Sarah? E’ una ragazza carina.»
Ok, meglio non dirgli la verità.
Flaffy aveva il brutto vizio di farsi film mentali degni da oscar.
Si portò una mano al collo, toccando il Miraculous del Pavone: «Tu sai chi mi ha dato questo?» gli domandò, bloccando ogni inizio di regia da parte del kwami blu: «O meglio: chi l’ha lasciato in camera mia.»
Flaffy lo fissò un attimo, facendo poi vagare lo sguardo sulla strada: «Il Gran Guardiano dei Miraculous.» rispose, dopo un po’: «Colui che protegge e custodisce i gioielli sacri in tempi di pace.»
«E tu sai dov’è?»
«Ogni kwami sa dove è.»
Rafael annuì, osservando il bus che era apparso all’orizzonte: «Voglio incontrarlo.» dichiarò deciso, sorridendo al kwami: «Voglio sapere perché io.»


Marinette osservò il locale che, esattamente all’angolo fra le Rue Malabar e Rue Saint-Dominique, faceva bella mostra di sé: «Ovviamente, ha scelto Myléne il locale.» dichiarò Alya, mettendosi in posa per mostrare il locale e sorridendo alle tre ragazze con lei: «Ed è quello dove Ivan lavora ogni tanto. Che cosa strana, eh?»
«Io non mi lamento! La torta dell’ultima volta era squisita!» sentenziò Marinette, attraversando la strada e salutando con il braccio le quattro ragazze, già all’interno, che adocchiavano l’esterno: era un po’ che non le vedeva e, quindi, era veramente contenta di quella rimpatriata.
«Marinette! Alya!» Myléne le salutò, trotterellando verso di loro: i dreadlock erano sempre colorati e sparati in tutte le direzioni, lo sguardo dolce e il sorriso aperto; dietro di lei saltellava, tutta contenta, Rose: gli occhioni azzurri, i capelli biondi tagliati in un caschetto – a differenza del taglio corto che aveva al collége – e la stessa esuberanza di sempre.
Juleka era rimasta ferma al tavolo, assieme ad Alix, ma entrambe le ragazze le salutarono calorosamente quando entrarono nel locale: i capelli di Juleka erano sempre lunghi e neri, ma le punte e il ciuffo che le copriva parte dell’occhio adesso erano di un blu elettrico; mentre Alix aveva i capelli più corti e lo stesso temperamento da maschiaccio.
«Vi ricordate di Lila?» esclamò Alya, non appena si furono accomodate sui divanetti di pelle che costeggiavano le vetrate e sulle sedie dall’altro lato del tavolo: «E’ tornata da poco! Lila, dì ciao alle ragazze.»
«Ciao ragazze!» dichiarò l’italiana, facendo seguire alle parole un gesto della mano: «Lei è Sarah, una nostra compagna di classe: è americana e non ha tanti amici, quindi abbiamo pensato di invitarla.» dichiarò Lila, passando un braccio attorno alle spalle di Sarah e stringendola a sé: «E’ un tesoro di ragazza!»
Le altre quattro s’interessarono subito alla nuova arrivata, tempestandola di domande: perché sei venuta in Francia? Come ti trovi? Hai problemi con la lingua? America? Da che parte dell’America vieni?
Marinette ridacchiò, osservando Sarah venire subissata dalle domande delle altre – soprattutto da Rose – e alzò lo sguardo, notando la figura di Ivan avvicinarsi a loro: «Che ordinate, ragazze?» chiese loro, sorridendo impacciato e poggiandosi alla sedia di Myléne.
«Io ho visto quei mini-burger con le patatine.» dichiarò Alix, indicando un tavolo dall’altra parte del locale: «Prendo quelli.»
«Anche io!» dichiarò Sarah, allungando il collo e notando il cibo dall’aria prettamente americana.
«Io torta al cioccolato. E latte aromatizzato alla vaniglia.» ordinò Marinette, sorridendo alle altre e notando lo sguardo di Rose e Juleka sull’anello che portava alla mano.
Ahia.
A quanto pare sarebbe stata il nuovo argomento di conversazione…
«A me ispira la cheesecake.» dichiarò Alya, voltandosi verso il bancone e osservando, per quanto possibile, i dolci: «Prendo quella. Tu, Lila?»
«Anche io.»
«Anch’io.» dichiarò Rose, sorridendo alle altre: «L’ho assaggiata quando ci sono venuta con Myléne l’ultima volta: è fenomenale!»
Ivan annuì, segnandosi tutto: «Myléne?» domandò poi, attendendo le ultime due ordinazioni.
«C’è ancora la frutta? Prenderei quella.»
«C’è: oggi però solo banane, mela e arancio, mi pare.»
«Va benissimo.»
«Juleka?» domandò il ragazzo, voltandosi verso l’ultima ragazza che doveva ancora ordinare.
«Prendo la frutta anch’io.»
Ivan ricapitolò le ordinazioni e poi tornò al banco, iniziando a preparare, assieme alla proprietaria, l’ordine delle ragazze: «Qualcosa mi dice che tu sei di casa qui, Myléne.» dichiarò Alix, togliendosi il berretto e passandosi una mano fra i capelli rosa: «Quante volte ci vieni?»
«Non tanto spesso quanto immagini!»
«Certo, certo. Dopo chiedo a Ivan.»
Rose sorrise, ascoltando il discorso fra le due e poi, quando si accorse che Myléne non rispondeva, si allungò sul tavolo, catturando la mano sinistra di Marinette e studiando l’anello: «Dimmi che è quello che penso. Dimmi che è quello che penso!» squittì, osservando con gli occhioni celeste il fiore fatto di diamanti: «Oh ti prego, Marinette.»
«E’ quello che pensi.» dichiarò Alya, ridacchiando alla vista delle guance imporporate di Marinette: «Il nostro Adrien ha chiesto a Marinette di sposarlo.»
Un urlo si levò da Rose che saltò per aria, portandosi poi le mani al cuore e fissandola con gli occhi lucidi, mentre le altre tre si allungavano per osservare l’anello di Marinette: «Lo sapevo! Lo sapevo! Lo sapevo! Sapevo che eravate destinati a stare insieme fin da quando andavamo a scuola tutti insieme!» dichiarò Rose, prendendo la mano di Marinette e guardandola negli occhi: «Il vero amore si sente sempre.»
«Ma se all’epoca manco si parlavano...» borbottò Alix, scuotendo il capo: «Cioè, Adrien provava a parlare, ma qualcuno non faceva altro balbettare e fare cose stupide.»
«C’è qualcuno che non se n’è accorto?»
«Un po’ difficile, Marinette.» dichiarò Alix, facendole l’occhiolino: «Anzi, io mi son sempre chiesta come ha fatto Adrien a non accorgersi, per tanto tempo, che gli piacevi! Si vedeva subito che eri pazza di lui.»
«Perché?» s’intromise Myléne ridacchiando, e scuotendo la testa: «Quando hanno iniziato a uscire insieme, l’ultimo anno? Adrien tutto carino e lei che farneticava e gesticolava!»
«No!» esclamò Lila, ascoltando l’altra: «Perché mi sono persa questo?»
«Perché eri tornata in Italia.»
«Giusto!»
Juleka sorrise, stringendo la mano di Marinette: «Sono felice per te.» dichiarò, mentre Alix e Myléne ricordavano vecchi episodi di quando erano tutti assieme a scuola: «Sono veramente felice per te.»
«Grazie, Juleka.»
«Aspettate!» esclamò Alix, zittendo il tavolo: «Vi ricordate il film dell’ultimo anno?»
«Quello con Myléne e il mostro?»
«No, quello storico, dove tu e Adrien dovevate fare gli innamorati sfortunati.» spiegò Alix, ridacchiando: «C’era Nino che faceva: Tranquilli, tanto stanno insieme, le scene romantiche verranno perfettamente. Quante volte abbiamo dovuto rifare quella del bacio?»
«Venti volte!» rispose prontamente Alya, scuotendo il capo e ridendo: «E solo perché Adrien, alla fine, si era stufato e l’aveva baciata all’improvviso.»
«Sì, e poi Marinette è svenuta. E Nino aveva iniziato a inveire contro il mondo!»
«Povero Nino, con i film non aveva fortuna: quello con Myléne bocciato al concorso, quello con Marinette è stato un parto, però era arrivato in semifinale.»
«Torta al cioccolato e cheesecake!» esclamò Ivan, portando parte degli ordini al tavolo: «Di che parlate?»
«Ivan! Guarda!» esclamò Myléne, prendendo la mano di Marinette e alzandola per aria, in modo da far vedere l’anello al ragazzo: «Adrien le ha chiesto di sposarla!»
«Congratulazioni, Marinette!»
«Grazie, Ivan!»
Mylène sorrise, osservando il ragazzo andarsene subito e scosse il capo: «Ivan non ti prenderebbe mai in giro, tranquilla.» dichiarò, facendo l’occhiolino all’altra: «Sei speciale per lui: mi ha raccontato di come lo avevi incoraggiato a cantarmi la sua serenata.»
«Facendo più che altro danno…»
«Non è vero, Marinette. Se Ivan ha avuto il coraggio di cantarmi la sua canzone è per merito tuo, me lo dice sempre.»


Gabriel sorrise, accettando il the che Fu gli aveva messo davanti: «Allora…» dichiarò il cinese, accomodandosi al tavolino e prendendo la tazza fra le mani: «Come mai sei qua, Gabriel?»
«Lo fa per sfuggire a una sua collega.» dichiarò prontamente Nooroo, scartando una caramella e addentandola con soddisfazione: «Ultimamente lo sta seguendo ovunque. Prima eravamo a un incontro con un suo collega ed è apparsa.»
«Nooroo.»
«E’ la verità!» sentenziò il piccolo kwami viola, sorridendo: «E’ strano che non sia ancora venuta a casa nostra.»
«E spero non venga mai.»
Fu sorrise, sorseggiando la bevanda calda: «Immagino ci sia altro, vero?» domandò, osservando l’uomo davanti a lui: «Vuoi chiedermi qualcosa su questo nuovo nemico o…»
«In verità, volevo sapere cosa succede se una persona s’impossessa di tutti e sette i Miraculous.»
Fu sospirò, posando la tazza e osservando il liquido fumante all’interno: «Possedere i miraculous della creazione e della distruzione dona un potere assoluto…» spiegò, alzando lo sguardo sull’altro: «…ma possedere tutti e sette i Miraculous significherebbe avere tra le mani una forza così grande da comandare l’universo intero: ogni cosa si piegherebbe al volere di chi possiede tutti i gioielli. Ed è qualcosa che non può essere permessa.»
«Capisco.» dichiarò Gabriel, intrecciando le mani davanti a sé: «Coeur Noir. Ho la sensazione che lei sappia qualcosa su questa persona…»
«Vorrei sbagliarmi, ma ho paura che Coeur Noir sia un vecchio fantasma del mio passato.»


«Ti sei divertita oggi, Sarah?» domandò Mikko, facendo capolino dalla borsa mentre la ragazza risaliva le scale della metrò: il cielo era imbrunito e, per la strada, molte persone se ne stavano tornando alle proprie abitazioni.
«Tanto.» dichiarò la ragazza, carezzando la testolina della kwami: «Le amiche di Marinette e le altre sono…»
«Allegre?»
«Esatto!»
Mikko sorrise, annuendo con la testa: «L’importante è che tu sia stata bene.» dichiarò, facendole l’occhiolino: «Pensare troppo alla missione ti fa male, lo sai.»
«E’ quello che dico anch’io, Mikko!» dichiarò una voce maschile alle spalle delle due: Sarah si voltò, sgranando gli occhi e portandosi una mano alla bocca.
Davanti a lei c’era il suo migliore amico: i capelli mori spettinati come sempre, lo sguardo chiaro nascosto dietro le lenti quadrate degli occhiali, il naso cosparso di efelidi e i vestiti che avevano visto giorni migliori.
Era Alex.
Il suo Alex.
Esclamò il suo nome, buttandosi fra le sue braccia e stringendolo forte: «Quando sei arrivato? Come? Perché?»
Alex le sorrise, liberandosi della stretta della ragazza: «Ho pensato che Bee avesse bisogno del suo genio informatico. Tutto qua.» dichiarò convinto: «E poi mi annoiavo da solo, in America. Senza nessun supercattivo da combattere o supereroe da aiutare.»
«E’ bello averti qua!»


«Quindi Ivan pensa questo.» dichiarò Chat Noir, allungando una mano e aiutando Ladybug a scendere lo scalino creato dal comignolo: «Mi sa che devo farci due chiacchiere, con il caro Ivan.»
«Oh. Piantala!» sbuffò la ragazza, assestandogli una manata in pieno petto: «Secondo me è stato carino! Insomma, alla fine gli ho solo detto di cantare quella canzone e di restare positivo.»
«Il fatto poi che si è trasformato nuovamente in Coeur de Pierre è un dettaglio, vero?»
«Puoi evitare di ricordarmelo?»
«Come la mia lady comanda.» dichiarò Chat, chinandosi verso di lei e baciandola: «E poi è grazie al fatto che Ivan è stato akumatizzato che noi ci siamo incontrati.»
«Non è grazie al fatto che tuo padre è diventato Papillon?»
Chat annuì con la testa, incrociando le braccia: «Giusto!» esclamò, sciogliendo poi l’intreccio e battendo il pugno destro contro la mano sinistra: «Ricordami di ringraziarlo. Gli dirò: Papà, grazie per essere diventato un supercattivo, perché così io ho potuto incontrare la mia lady, nonché tua futura nuora.»
«Ho come l’impressione che poi dopo farei la conoscenza di Chat Blanc.»
«Ah ah. Spiritosa.»
Ladybug sorrise, mettendo mano allo yo-yo e allacciandolo a un comignolo del palazzo di fronte: saltò e atterrò sul tetto, aspettando che Chat la raggiungesse: «Anche oggi direi che è tutto a posto.» dichiarò, osservando le strade sottostanti: «Sentiamo Volpina e Tortoise e poi andiamo a casa?»
«Io non dico nulla, my lady.»
Ladybug sorrise, aprendo il suo yo-yo e azionandolo, contattando immediatamente gli altri due eroi e ricevendo più o meno le stesse notizie da entrambi: Parigi era tranquilla quella sera e Coeur Noir sembrava non voler fare nessuna mossa.
Per sicurezza, l’eroina contattò anche Bee, ma l’eroina gialla era irraggiungibile.
«Possiamo andare?» domandò Chat, osservandola allacciarsi di nuovo lo yo-yo alla vita: «Devo anche finire di studiare storia.»
«Io ho ancora qualche esercizio di matematica, invece.»
«Povera la mia lady.»
«Ah!» esclamò la ragazza, battendo le mani fra loro: «Alix ha detto Kim l’ha sfidata. Di nuovo.»
«Come l’ha sfidata?»
«Una gara di velocità: lui a piedi, lei con i roller.»
«Tutto ciò mi ricorda qualcosa…»
«Indovina dove.»
«No, dai. Al Trocadéro? Un’altra volta?» sbuffò il ragazzo, scuotendo la testa bionda: «Cosa hanno messo in palio stavolta?»
«Chi perde farà da servo all’altro per un mese.»
«Non ci credo. E’ uno scherzo?»
«No, mon minou.» dichiarò Marinette, sorridendo: «E ci saranno tutti. Verranno anche Lila e Sarah.»
«Bene. Speriamo che Alix porti qualche strano orologio e a che mio padre venga voglia di akumatizzare qualcuno.»
«Perché?»
Chat Noir sorrise, chinandosi e mettendo il viso alla stessa altezza di quello della ragazza: «Perché se Alix venisse di nuovo akumatizzata, io potrei tornare nel mio paradiso personale, dove c’erano due Ladybug tutte per me.»
La ragazza sorrise, sbattendo le ciglia con fare civettuolo: «Sai, vero, che non succederà mai e un’altra battuta del genere ti porterà a non avere nessuna Ladybug?»
«Fammi sognare, my lady.»
«Sogna pure, mon minou. Nel tuo letto e con solo Plagg a farti compagnia.»

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.923 (Fidipù)
Note: Salve salvino a tutti! Aggiornamento anticipato questa settimana perché...beh, mi è stato richiesto e, dato che avevo il capitolo già ponto, ho potuto farlo! Bene. Bene. Cosa c'è da dire di questo nuovo capitolo? A parte un piccolo revival di una certa puntata della serie originale, le domande di Rafael sul suo essere eroe e la conoscenza leggermente più approfondita di Alex...beh, non c'è nient'altro. No, niente informazioni su Parigi, a meno che non volete qualcosa sul Trocadéro, che è un'area monumentale che si trova dalla parte opposta della Senna rispetto alla Tour Eiffel (e nella realtà è un tantinello diversa da come è stata disegnata nell'opera. Ma dettagli!).
Detto questo, vi lascio immediatamente al capitolo, dicendovi come sempre: grazie! Grazie dei commenti - qui su EFP, su Facebook, ovunque! -, grazie perché inserite questa storia in una delle vostre liste e grazie perché, prima di ogni cosa, leggete!
Grazie, davvero davvero davvero, grazie!



Sarah sorrise, mentre versava l’acqua calda nelle tazze e ascoltava distrattamente le chiacchiere di Alex e Mikko; quasi le veniva da ridere, ricordando come la kwami non avesse visto di buon occhio il ragazzo, all’inizio della loro avventura: quando lei aveva ricevuto il Miraculous dell’Ape e la missione di combattere Coeur Noir, le era stato naturale mettere al corrente di tutto Alex.
Lui era il suo migliore e unico amico.
Lui c’era sempre stato, da che lei aveva memoria.
E tenerlo all’oscuro di una parte della sua vita…
Era stato impensabile per Sarah.
All’inizio, Alex non aveva creduto alle sue parole ma, quando poi si era trasformata di fronte ai suoi occhi, era andato completamente fuori di testa, decidendo di aiutarla: ogni supereroe che si rispetti ha una spalla che lo aiuta, le aveva detto con un sorriso; ideando poi un programma per il pc, in modo da aiutarla nel combattere Coeur Noir.
Le doti di hacker di Alex erano state ampiamente utilizzate, permettendo ai due ragazzi di fermare gli attacchi della nemica, finché quest’ultima non era corsa a Parigi.
«Come sta andando?» domandò il ragazzo, sorridendole quando lei gli posò davanti la tazza fumante: «Ah! Vero caffè istantaneo americano!»
«Per ora va.» dichiarò Sarah, sedendosi davanti a lui e sorridendogli: «Qua non sono sola.»
«Cosa?»
«A Parigi lavoravano già due eroi.» spiegò la ragazza, portandosi la tazza alle labbra e bevendo una generosa dose di caffé: «Ladybug e Chat Noir.»
«Ma dai!»
«E non sono i soli, al momento siamo in sette supereroi che proteggono Parigi.»
«C’è un ritrovo all’Avengers, per caso?» domandò Alex, sorridendole: «Io chi faccio? Nick Fury?»
«Scemo.» dichiarò Sarah, scuotendo il capo biondo: «Comunque, oltre ai due che ti ho detto ci sono anche Volpina, Tortoise, Peacock e Papillon.»
«Tutti animali, eh?»
«Tutti possessori di Miraculous.»
Alex annuì, massaggiandosi il mento e sorridendo alle notizie dell’amica: «Quindi vi siete coalizzati contro Coeur?»
«Sì.» dichiarò la ragazza, asserendo con la testa: «A parte Papillon, che si fa vedere ogni tanto, stiamo tutti combattendo le forze della nostra cara amica.»
«Ed io che sono corso qua perché pensavo che avevi bisogno di Mister Hacker.»
«Seriamente, continuo a dire che questo nome fa schifo.»
Alex fece una smorfia, bevendo un po’ del suo caffè: «Allora? Li hai già conosciuti tutti? Intendo senza maschera.»
«Ehm. No.»
«E perché?»
«Penso sia il caso di tenere il lato da supereroe nascosto. Sai con Coeur Noir…»
«Sai, con Coeur Noir, forse sarebbe meglio sapere chi sono i tuoi alleati invece di brancolare nel buio.» dichiarò Alex, passandosi una mano fra i capelli scuri: «Ricordati che lei può essere ovunque.»
«Lo so.»
«Quindi facci un pensierino: non sarebbe male avere un gruppo all’Avengers. Questo mondo ha veramente bisogno di gente come voi.»
«Guarda che anche tu hai i poteri.»
«Già. Sono un mago quando si tratta di hackerare.» dichiarò il ragazzo, facendole l’occhiolino: «E tu, Mikko, qual è la tua opinione in merito?»
«Io rispetto le decisioni di Sarah.» dichiarò la kwami che, fino a quel momento, era rimasta in silenzio a mangiare il miele: «Ma non mi dispiacerebbe incontrare i miei vecchi amici.»
«Ecco! Fallo per Mikko! Povera, adesso che potrebbe trovarti altri folletti come lei…»
«Siamo kwami, Alex.»
«Ma non può incontrarli perché tu, egoista!, hai deciso di non dire niente.»
«Ok. Ci penserò!» sbuffò Sarah, alzando gli occhi al cielo: «Quando hai detto che torni a casa?»
«Non l’ho detto. Comunque penso che starò una settimana, forse due: giusto per vedere se le cose sono a posto e poi tornerò a fare la noiosa vita dello studente.»
«I tuoi come stanno?»
«Al solito: mio padre è il solito generale di sempre, mia madre è la solita sclerata di sempre…» dichiarò Alex, sorridendo: «Non ti dico come è andata fuori di testa quando ha saputo che sarei venuto in Europa. Da solo.»
«Posso immaginarlo.»
«Tua madre da quanto non la senti?»
«Ehm. Un po’.»
«Ecco, mi ha detto di dirti: chiama, figlia ingrata!»
«Devo ricordarmi di chiamarla.»
«Brava.»


Rafael osservò il posto dove Flaffy l’aveva portato: dietro la porta, sopra cui capeggiava l’insegna Centro Massaggi Cinese Da Fu con Ardore, c’era la persona che gli aveva consegnato il Miraculous del Pavone.
Finalmente avrebbe avuto delle risposte.
Finalmente avrebbe saputo il perché.
Si fermò, osservando la porta aprirsi e la figura di Gabriel Agreste uscire dal locale: perché era lì?, si chiese Rafael, nascondendosi per non essere visto dallo stilista e l’osservò mentre, con il suo solito portamento austero ed elegante, superava il suo nascondiglio e se ne andava tranquillamente per la sua strada.
«Flaffy.» mormorò Rafael, uscendo e notando l’uomo raggiungere la strada principale: «Perché l’uomo per cui sfilo era qui?»
«Ehi, sono un kwami! Mica un veggente!»
«Giusto.» Il ragazzo sospirò, voltandosi verso la porta e annuendo fra sé: «Andiamo.» dichiarò ad alta voce, facendo un passo verso la porta e notandola aprirsi un’altra volta.
Un vecchietto uscì e, dopo averlo visto, gli sorrise affabile: «Ti stavo aspettando, Peacock.»


Adrien sbadigliò, aprendo il frigo e cercando qualcosa da sgranocchiare: aveva cenato da solo, poiché suo padre era chissà dove e, quando era tornato dalla ronda, il genitore era ancora dato per disperso.
Pure Nathalie non sapeva dove fosse.
Ma su quella donna, ultimamente, non si poteva fare più di tanto affidamento.
«Ha bisogno veramente di una vacanza.» dichiarò il ragazzo, dando un’occhiata a ciò che il frigo conteneva: tacchino a fette – avanzo della cena -, la scorta di camembert di Plagg, yogurt vari…
Afferrò uno di quest’ultimi, andando poi alla ricerca di una tazza e dei cereali e, dopo aver trafficato un po’, si mise comodo sul bancone della cucina a mangiare la pappa: «Il mio camembert?» domandò Plagg che, fino a quel momento, era rimasto in silenzio a finire una scatola di formaggio.
«Ne hai fatta fuori una ora!»
«Ehi, io ho fame!»
«In frigo.»
«Potresti prendermelo…»
«Puoi prendertelo da solo.» dichiarò il ragazzo, infilandosi una cucchiata di yogurt e cereali in bocca: «Non ho usato i miei poteri, stasera.»
«Non ci sono più i Portatori di una volta.»
Adrien lo scimmiottò, notando poi il genitore entrare nella cucina: «Alla buon’ora! Iniziavo a preoccuparmi, sai?» dichiarò, continuando a mangiare il suo spuntino e osservando Gabriel avvicinarsi al frigo e tirare fuori il tacchino: «Dov’eri?»
Il genitore lo ignorò, prendendo una baguette e preparandosi uno spuntino: «Ero da Fu.» dichiarò, mentre richiudeva il sacchetto del pane e lo riponeva; addentando poi il panino appena fatto: «Volevo chiedergli alcune cose.»
«Roba lunga, immagino.»
«Abbastanza.»
«Hai di nuovo provato a ridargli Nooroo?» domandò Adrien, indicando il kwami viola che, con una generosa manciata di caramelle fra le zampette, si era accomodato accanto a Plagg.
«No.»
«Mh. Siamo di poche parole stasera.»
«Diciamo che devo ancora assimilare il tutto.»
«Cosa ti ha detto Fu?»
Gabriel fissò il figlio, addentando il pane e masticandolo lentamente: «Non posso dirtelo.» dichiarò, buttando giù il boccone: «Non spetta a me dirlo.»
«Ma…»
«Non avrai una parola da me, Adrien.»


Rafael sorrise all’uomo, dando poi un’occhiata intorno a sé: «Le chiedo scusa per essere venuto qui a quest’ora, ma…» si fermò, massaggiandosi la nuca e osservando Flaffy che, comodamente seduto sul tavolino basso, restava in paziente attesa.
«Ma quando si ha bisogno di risposte ogni momento è buono.» concluse Fu, annuendo con la testa: «Perché ha scelto me? Perché ha dato a me il Miraculous del Pavone? Sono queste le domande che ti poni, vero?»
«Sì…»
«Perché io? Per cosa devo combattere? Perché sono diventato un eroe di Parigi?» continuò Fu, massaggiandosi il mento: «Tante domande, un’unica risposta.»
«Davvero?»
«Quando ti ho lasciato il Miraculous, io ho visto qualcosa in te: forse non te lo ricordi, ma quel giorno avevi aiutato una giovane mamma a ritrovare il proprio figlio, perso in un centro commerciale.» spiegò Fu, sorridendogli: «Ti ho osservato e ho notato il buon cuore, che nascondi sotto questa facciata di strafottenza: ho visto il vero te, Rafael. E so che non sei quello che vuoi far credere di essere.»
«Ma…»
«Sei un bravo ragazzo. Se vedi qualcuno che ha bisogno di aiuto, ti lanci in suo soccorso. Questo ho visto in te, quel giorno. E per questo ho deciso che meritavi il Miraculous.»
«Io non sono come gli altri.»
«Lo sei, invece.»
«Io…»
«Rafael, devi credere in te. Devi credere in Peacock.»
«Ma io…»
«Sì, lo so. Sei abbastanza sicuro di te, ma lo sei come Rafael, il modello. Rafael, il favorito dalle donne. Come eroe…» Fu si fermò, sorridendo: «Come eroe devi ancora trovare la fiducia dentro di te.»
«Cosa è lei? Un dispensatore di frasi fatte?»
«Un tempo ero come te.»
«Bello e meraviglioso?»
«No. Un Portatore. Poi sono stato scelto come Gran Guardiano e ho dovuto decidere a chi donare i Miraculous.» si fermò, allungandosi e battendogli una mano sulla spalla: «Penso di aver fatto un bel lavoro, stavolta.»


Adrien sospirò, osservando il gruppetto riunito al Trocadéro: gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, quando la stessa sfida era stata lanciata. Ricordava come si era sentito felice di poter partecipare e di come era arrivato lì in anticipo, ancor prima dei due sfidanti, e aveva atteso l’arrivo di tutti gli altri.
Rose e Juleka erano giunte assieme a Nathanel.
Poi Max e Kim, l’insperabile duo.
Dopo erano giunti Ivan, Myléne e Nino.
Alya era corsa giù per le scale, il telefono in mano mentre chiamava Marinette.
Chloé era arrivata, sbuffando, con Sabrina e poi si era attaccata al suo braccio e lui, facendo buon viso a cattivo gioco, aveva sopportato in silenzio.
Infine era arrivata lei, con lo striscione stretto sotto al braccio: aveva volato le scale ed era giunta fin da loro, mostrando poi orgogliosa il suo lavoro e arrossendo quando si era complimentato.
Per ultima era arrivata Alix, scivolando sui suoi roller.
Poi…
Poi beh, il resto era storia.
«Vi sposate?» domandò Kim, riportando alla realtà, mentre Adrien spostava lo sguardo dal gruppetto di ragazze, che aveva circondato Marinette, all’amico: «Accidenti! E pensare che non la consideravi nemmeno, quando eravamo in classe insieme!»
«Non è vero!»
«Andiamo, Adrien. Era già tanto se sapevi che stava dietro di te in classe.»
«Ma non è così.» sbottò il ragazzo: era sempre stato fin troppo consapevole di Marinette, fin dal primo giorno che l’aveva conosciuta. Non considerarla? Era stato impossibile per lui.
«Posso confermare.» dichiarò Nino, avvicinandosi e prendendoli entrambi per le spalle: «Adrien è sempre stato innamorato perso di Marinette. Solo non se ne rendeva conto.»
«Ma…»
«Kim, su.» esclamò Alix, scivolando sulle ruote fino a loro e assestando una manata fra le scapole del ragazzo: nonostante fosse piccolina, la ragazza aveva veramente forza: «Non sforzare l’unico neurone che hai: tutti ci siamo accorti che Marinette era stracotta di Adrien e Adrien perso per Marinette. Solo i diretti interessati, tu e Chloe.»
«Uao!»
«Di che parlate?» domandò Marinette, giungendo fino a loro e aggrappandosi al braccio di Adrien, facendo vagare lo sguardo sugli altri.
«Di quanto eravate tonti?» buttò lì Alix, ridacchiando: «Marinette poi era la tontaggine fatta persona: insomma, non si è accorta che Nath aveva una cotta per lei, non si è accorta che Adrien moriva per lei…» si fermò, scuotendo il capo: «Nemmeno di Nino ti sei accorta.»
«Puoi finirla?»
«Tutti pazzi per Marinette, nella nostra classe.» ridacchiò Nino, assestando una gomitata al biondo: «E questo qua è stato il vincitore.»
«Come se fossi un premio.»
«Ma lo sei, principessa.» dichiarò Adrien, facendole l’occhiolino e liberando il braccio dalla sua presa, passandoglielo attorno alle spalle e stringendola a sé: «Ovviamente ti ha vinta il migliore.»
«Quando il tuo ego si darà una calmata, mon minou?»
«Mai.» rispose prontamente Adrien, ridacchiando: «E poi devo compensare il tuo ego inesistente.»
«Ma non c’è bisogno. Davvero.»
«Invece c’è bisogno. Davvero.»
«La finite?» sbuffò Nino, scuotendo il capo di fronte ai due: «Ok, che vi sposerete in un futuro non troppo lontano, ma i vostri bisticci da coppietta di novelli sposi teneteveli per voi.»
«Tutta invidia, bro.»
Alix sospirò, osservando Nino spintonare l’amico: «Andiamo, gorillone.» dichiarò, tirando per la maglia Kim: «E’ il momento della nostra sfida.»
«Sei pronta a mangiare la mia polvere, nanerottola?»
«Casomai il contrario.»
«Secondo voi stanno insieme?» domandò Nino, mettendo mano al cellulare e pronto a filmare tutta la gara: «No, perché…»
«Non lo so.» commentò Adrien, sistemandosi sul marciapiede dietro a Max che, come la volta precedente, era il giudice indiscusso della sfida: «Però starebbero bene insieme.»
«Attualmente sono usciti tre volte, altre cinque volte però Kim è stato rifiutato da Alix.» spiegò Max, captando la conversazione: «Non si può dire che loro siano una coppia, ma sono al 74% per diventarlo ufficialmente.»
«Grazie, Max!»
«Di niente, Adrien.» esclamò l’altro, sistemandosi gli occhiali: «Quando una sfida a Ultimate Strike?»
«Sfida a Ultimate Strike?» domandò Marinette, illuminandosi in volto: «Posso partecipare?»
«No.» fu la risposta unanime dei due ragazzi; la ragazza li guardò alternativamente, sgranando gli occhi e poi borbottando qualcosa senza senso che Adrien non si curò di capire.
Alix e Kim si misero in posizione, mentre Max ricordava a tutti i punti della sfida in questione: tre giri del Trocadéro – Max correndo, Alix sui suoi pattini – e chi sarebbe arrivato per ultimo sarebbe stato servo dell’altro per un mese.
Esattamente come la volta precedente.
Max diede il via e Kim partì subito in quarta con Alix alle costole: «Ma non doveva venire anche Sarah?» domandò Adrien, non notando l’amica fra il gruppetto e  spostando poi lo sguardo sulla ragazza al suo fianco.
«Mi ha mandato un messaggio stamattina: a quanto pare è venuto a trovarla un suo amico.»
«Capito.»
Kim passò davanti a loro, decretando l’inizio del secondo giro, e poco dopo anche Alix sfrecciò davanti.
«Stavolta vincerà Kim.»
«Vuoi scommettere, mon minou?»
«E cosa? Chi scommette sul perdente fa da servo all’altro?»
«Ma tu sei già il mio cavalier servente, mon minou.» dichiarò Marinette, sorridendogli e iniziando a picchiettarsi un dito sulle labbra e alzando lo sguardo verso il cielo: «Ci sono: chi perde dovrà salutare l’altro con un bacio, ogni giorno, per un mese.»
«Non è quello che facciamo sempre?»
«No. Tu mi salti addosso quando hai voglia.»
«Non è che ti lamenti.»
«Ultimo giro!» esclamò Max, voltandosi indietro e fissando i due: «Facciamo che chi perde farà un regalo all’altro, ogni giorno, per un mese?»
«Ci sto!» dichiarò Adrien, facendo l’occhiolino a Marinette: «Kim.»
«Alix.»
Si voltarono, osservando il loro amico correre per l’ultimo rettilineo: Kim avanzava con il passo pesante, mentre dietro di lui, Alix scivolava veloce sulle sue ruote; la ragazza lo raggiunse, chinandosi e sfruttando la spinta dei suoi pattini, superandolo e portandosi in vantaggio: «Ho vinto!» esclamò Marinette, gettando le braccia per aria e saltellando sul posto, quando l’amica tagliò per prima il traguardo.
«Kim!» sbottò Adrien, scuotendo il capo con il sorriso sulle labbra, osservando l’amico giungere al traguardo e piegandosi in due sulle ginocchia: «Mi hai fatto perdere la scommessa! Avevo puntato su di te!»
«Questo perché non sai scegliere il cavallo vincente, Agreste!» dichiarò Alix, tornando indietro e poggiandosi sulle spalle del suo sfidante: «Kim non potrà mai battermi!»
«Lo vedremo, nanerottola!»
«Oh! Che paura!»


Sarah lesse velocemente il messaggio che Marinette le aveva mandato, informandola su come si era conclusa la sfida fra Alix e il fantomatico Kim, di cui lei aveva solo sentito parlare; sorrise, digitando velocemente una risposta e osservando il posto vuoto davanti a sé: Alex era corso in bagno, adducendo al fatto che, a quanto pareva, aveva preso un qualche virus intestinale e non era più tornato.
«Spero non sia morto.» borbottò la ragazza, girando il the che aveva ordinato e sospirando, prima che alcune urla dall’esterno l’attirassero: «Coeur Noir.» mormorò, osservando il guerriero nero che, in mezzo alla strada, tagliava qualsiasi cosa si parasse sul suo cammino.


Chat balzò su un tetto, notando la figura di Tortoise correre sull’edificio dall’altro lato della strada: lo salutò con un gesto della mano, mentre seguiva la sua lady e saltava sull’ennesimo tetto: «Volpina!» esclamò Ladybug, indicando il fascio arancio che, alla loro destra, solcava il cielo.
«Perfetto, manca solo il pennuto.» dichiarò l’eroe nero, mettendo mano al bastone e usandolo per raggiungere il tetto dalla parte opposta della strada.
«Mi hai chiamato?» dichiarò Peacock, balzando dietro di lui: «Uno spera di riposarsi e invece gli tocca correre a salvare la città. Bah.»
«E’ quello che fanno gli eroi, pennuto.»
«Ho finito il tetto!» urlò dall’altro lato Tortoise, fermandosi e osservando la distanza che lo separava dall’altro lato: fece alcuni passi indietro e poi si lanciò dalla parte opposta, atterrando con tutto il suo peso sul tetto.
«Torty!» sbottò Chat, evitando una tegola che era stata scagliata via dall’atterraggio dell’eroe in verde: «Per te sono vietati i salti.»
«Scusate.»
«Ma non puoi usare il tuo scudo come Silver Surfer?» domandò Peacock, osservando Tortoise e scuotendo il capo: «Non è che dobbiamo fare più danni dei nostri nemici.»
«Sarebbe figo lo scudo-surf.» commentò Chat, mettendosi in posa e imitando quella di un surfista: «Può funzionare?»
«Non ho mai provato.» mormorò Tortoise, dando una pacca allo scudo che teneva appeso alla schiena: «Chissà se funziona. Per ora l’ho usato solo come scudo o come arma da lancio.»
«Cioè lo lanci come Captain America? Figo!»
«Voi tre!» esclamò Ladybug, portando l’attenzione dei tre eroi su di lei che, con le mani piantate sui fianchi, li osservava severa: «Potete chiacchierare dopo? Non so se ve lo ricordate, ma abbiamo un guerriero nero che sta distruggendo Parigi!»
«Hai ragione, Ladybug. Scusaci.»
«Agli ordini, boss.»
«Come la mia lady comanda.»   


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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.630 (Fidipù)
Note: Salve salvino a tutti (Ned Flanders è potente in me!) e sì, sono di nuovo qua con un capitolo: beh, alla fine sono parecchio avanti con la stesura della storia e...beh, non è un problema fare aggiornamento così ravvicinati.
Allora, allora: su questo capitolo ci sono un po' di cosette da dire! Prima di tutto, entra in scena Mogui: un nemico che...beh, vedrete cosa combina! Quello che posso dirvi io qui nelle note è che prende il nome da un tipo di demone della mitologia cinese: i mogui (O mogwai) che cercano di danneggiare gli uomini e si riproducono con l'arrivo delle piogge: dei veri teppistelli e, se siete un po' appassionati di cinema, potrete ricordare i Gremlins, che sono chiamati Mogwai dal venditore cinese.
Passando poi alla scena finale, devo dire che poco prima di scrivere questo capitolo, avevo rivisto la puntata in questione e...beh, mi ero chiesta come mai Adrien non avesse sentito niente mentre Marinette stava quasi gridando e, quindi, ecco che è nata l'ultima scena di questo capitolo con Adrien che ha effettivamente sentito ma, da bravo ragazzo qual è, ha finto di non sapere niente (o meglio, ha usato certe informazioni a suo favore). E sì, lo so: da queste note non capite assolutamente niente, ma appena leggerete tutto vi sarà più chiaro!
Detto ciò passo ai consueti ringraziamenti (lo so, sono pesa!): grazie, davvero grazie, per leggere la mia storia e commentarla - qui, su FB, ovunque! - e di inserirla fra le varie liste. Grazie, davvero davvero davvero grazie!
E buona lettura!



Sarah osservò gli eroi parigini arrivare tutti assieme: Ladybug, Chat Noir, Volpina, Tortoise e Peacock avevano risposto immediatamente all’appello di aiuto di Parigi; spostò lo sguardo sul guerriero nero che, spada alla mano, avanzava per la strada principale, senza avere una meta precisa: in fondo, doveva solo aspettare e ciò che Coeur voleva sarebbe giunto lì da lui.
«Mikko.» mormorò, aprendo la borsetta e fissando la kwami: «Trasformami.»


«Ha qualcosa di diverso.» commentò Peacock, chinandosi sulle ginocchia e osservando attentamente il guerriero nero: «Ha l’armatura!»
«Ed è pure figa!» dichiarò Chat, balzando vicino all’eroe in blu e fissando anche lui il loro avversario: «M’immagino combattere con una di quelle!»
«Anche gli altri avevano un’armatura?» domandò Tortoise, avvicinandosi ai due ragazzi e incrociando le braccia: «Ok, non avevano le porotezioni alle spalle, ma…»
«Porotezioni?»
«Protezioni, pennuto. Il nostro Torty non parla tanto bene il francese.»
«Lo noto.» dichiarò Peacock, annuendo con la testa e rialzandosi: «Comunque è vero, gli altri non avevano le protezioni alle spalle e…» inclinò la testa: «E’ diverso. Poche storie, gente. E’ diverso.»
Ladybug sospirò, alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo: «Qualcuno mi salvi da voi tre.» dichiarò, voltandosi indietro e fissando i tre eroi che, alle sue spalle, continuavano tranquillamente a chiacchierare: «Che qualcuno mi salvi.»
«Hai chiamato, LB?» domandò Volpina, atterrando al suo fianco e osservando anche lei i tre: «E poi dicono che siamo noi donne quelle che spettegolano?»
«Hanno anche questo coraggio, sì.»
«Iniziano a preoccuparmi.»
«Ignorali, Volpina.» sbuffò Ladybug, osservando una macchia gialla volare verso di loro: «E’ arrivata Bee!»
«Perfetto! Ci siamo tutti. A parte Papillon, ma Papillon è troppo uomo per mischiarsi a noi comuni eroi.»
«Papillon è troppo uomo?» domandò Chat, ignorando gli altri due e fissando Volpina: «Seriamente, volpe, piano con le cavolate.»
«Torna a fare la comare, micetto.»
«Possiamo pensare al nemico?» sbuffò Ladybug, alzando gli occhi al cielo e osservando Bee planare accanto a lei: «Ciao Bee.»
«Cosa mi sono persa?» domandò la ragazza, sorridendo a tutti.
«A parte il trio di idioti che fa amicizia?»
«Io non sono amico di questo qui!» urlarono in contemporanea Peacock e Chat, guardandosi male a vicenda.
Bee li osservò, spostando l’attenzione su Tortoise che, con un’alzata di spalle, commentò il tutto e facendo  scivolare poi lo sguardo su Ladybug e Volpina: «A parte questo. Sì.»
«Il solito direi: cattivone da prendere a calci, Parigi da salvare…»
«Hai un piano, Ladybug?» domandò Tortoise, facendo un passo verso le tre ragazze e fissando il guerriero per la strada, che si era fermato e aveva sollevato la faccia verso di loro.
«Se è uno solo possiamo farcela senza poteri speciali.» dichiarò la coccinella, voltandosi verso il gruppetto: «Bee, tu occupati di tenerlo occupato con i tuoi pungiglioni; Volpina abbiamo bisogno delle tue illusioni: crea più copie possibili di te stessa e mandagliele contro; Tortoise, Chat e Peacock…»
«Noi tre ci occuperemo del corpo a corpo, my lady.» dichiarò Chat, facendole l’occhiolino e mettendo mano al bastone: «Mentre tu penserai a purificarlo appena possibile.»
«Perfetto.» dichiarò la ragazza, sorridendo al proprio compagno e poi osservando gli altri: «Il piano è chiaro a tutti?»
Bee le sorrise, facendole l’occhiolino e saltando su un lampione, accucciandosi e prendendo la mira, tenendo così sotto tiro il nemico; Volpina suonò alcune note, facendo comparire una decina di sue copie che, immediatamente, andarono contro il guerriero, mentre Chat, Peacock e Tortoise saltarono in strada, ognuno preparando la propria arma.
Ladybug rimase ferma sul tetto, osservando Chat iniziare a correre e superando le illusioni di Volpina, ingaggiando un duello con l’altro, mentre Peacock lanciava le parti dei suoi ventagli come se fossero coltelli e, nello stesso tempo, Tortoise usava come un frisbee il suo scudo.
Il guerriero nero parò tutti i loro attacchi: bloccò il bastone di Chat con una mossa della spada; roteando poi su se stesso e, usando il fodero, rese nullo l’attacco di Peacock, infine saltò per evitare lo scudo lanciato rasoterra.
«E’ forte.» commentò Ladybug, voltandosi e notando Bee sparare un pungiglione, cercando di colpire la maschera di cristallo nero, ma il nemico fermò il proiettile, bloccando l’aculeo con la mano.
«Questo non è come gli altri.» dichiarò Volpina, chinandosi e osservando anche lei il guerriero che, facendo un passo verso i tre eroi, ringhiò con tutto il fiato che aveva in corpo: «Ok, questo non è decisamente come gli altri.»
Ladybug saltò in strada, mettendo mano allo yo-yo e lanciandolo contro il nemico, imprigionandolo nella morsa del filo; lo strattonò, tirandolo verso di lei ma questi si mosse e la trascinò in avanti, facendole perdere l’equilibrio e cadere a terra: «Tutto bene, my lady?» le domandò Chat, affiancandola immediatamente e tenendo il bastone rivolto verso l’avversario.
«Peacock! Ho bisogno del tuo potere!» urlò Ladybug, voltandosi verso l’eroe in blu: lo vide annuire e socchiudere le palpebre, invocando il proprio potere speciale: «Tortoise, occupati di proteggere Peacock con le tue barriere finché non ha visto qualcosa.»
«Ok, Ladybug.»
«Bee!»
«Gli spedisco contro una sfera di energia!»
«Volpina!»
«Fuoco fatuo a volontà, LB!»
La ragazza osservò gli eroi eseguire le loro mosse e lanciare contro il nemico una sfera di energia combinata con il fuoco fatuo, mentre Tortoise si posizionava davanti a Peacock ed ergeva una barriera: «E noi, my lady?» domandò Chat, aiutandola ad alzarsi e sorridendole: «Ci riposiamo?»
«Puoi provare a colpirgli la maschera con il tuo cataclisma?»
«Come la signora comanda.» dichiarò Chat, invocando il suo potere e sorridendo poi alla mano, impregnata del potere della distruzione; Ladybug lo vide correre verso il nemico, mentre lei evocava un Lucky Charm che si materializzò sotto forma di uno specchietto portatile: se lo rigirò tra le mani, non sapendo cosa farne.
«Chat! Attento!» urlò Peacock, mettendo in allarme Ladybug: si voltò, osservando il proprio partner balzare di lato e toccare, con la mano destra un lampione che, immediatamente, si sgretolò.
«Dannazione!» imprecò il felino, evitando l’affondo di spada del nemico e mettendosi a distanza di sicurezza: «Peacock, visto qualcosa di utile?»
«Assolutamente niente.»
«Come niente?»
«Niente. Non ho visto niente! Ho solo sentito una voce che diceva: la sua vera natura…»
«Tu sei sicuro di non avere problemi, vero? No, perché sentire voci non è una buona cosa.»
«Ehi, anche avere una mano che polverizza tutto non è bello!»
«La sua vera natura…» mormorò Ladybug, osservando il guerriero urlare nuovamente: gli attacchi congiunti di Volpina e Bee non gli avevano fatto nulla, l’assolo di Chat era andato perduto…
Abbassò lo sguardo, notando lo specchio che teneva serrato nella mano e poi studiò l’ambiente circostante.
Pensa, pensa.
La sua vera natura…
Uno specchio.
«Chat!» esclamò, lanciando lo specchietto verso l’eroe in nero e osservandolo annuire, mettendo poi mano al bastone e colpendo l’oggetto non appena fu giunto davanti a lui, spedendolo contro il guerriero: il Lucky Charm cadde ai piedi del sottoposto di Coeur che, nel silenzio generale, chinò lo sguardo e vide il suo riflesso.
Urlò.
Nuovamente e con tutto il fiato che aveva.
Avanzò minaccioso verso di loro: una mano stretta sull’elsa della spada, l’altra tenuta in avanti; poi iniziò a tossire e, alla fine, vomitò del fumo nero, scomparendo all’interno.
«Cosa è appena successo?» domandò Volpina, balzando a terra e raggiungendo il gruppetto: «Bee!»
«Non guardate me.» sentenziò l’eroina in giallo, scuotendo il capo biondo: «Anche per me è tutto strano.»
«Mi state dicendo che lo abbiamo battuto solo facendogli vedere il suo riflesso?» domandò Peacock, incrociando le braccia e guardando gli altri: «E’ stato facile.»
«La sua vera natura…» mormorò Chat, ignorando il beep-beep del suo anello: «Magari voleva dire questo.»
I sei rimasero in silenzio, ascoltando ognuno l’allarme del proprio Miraculous: esauriti i cinque minuti, sarebbero tutti tornati alla normalità.
Ladybug recuperò lo specchietto, lanciandolo in aria e osservando la magia miracolosa rimettere tutto a posto, come prima dell’attacco del guerriero: «Non l’abbiamo sconfitto.» commentò la ragazza, osservando le onde di magia mentre riportavano alla normalità le auto e la strada: «E’ fuggito.»
«Questo non va bene.» dichiarò Tortoise e Volpina annuì alla sua affermazione: «Se è fuggito…»
«Vuol dire che lo affronteremo nuovamente. Sì.»


Coeur Noir osservò il guerriero che, chino davanti a lei, sembrava pentito del suo fallimento: «Sei tornato da me.» mormorò, chinandosi e portando le mani alla maschera di cristallo nero, facendo alzare il volto al suo sottoposto: «Senza un Miraculous.»
Uccidilo.
Non è degno di vivere.

Coeur ignorò il riflesso nello specchio, notando il guerriero che, mesto, abbassava di nuovo la testa: «Ma sei tornato da me.» dichiarò, abbozzando un sorriso e ridendo; si alzò, raggiungendo il tavolo e prendendo il bicchiere che aveva lasciato, quando il sottoposto era tornato: «Va bene. Vuol dire che puoi sconfiggerli. Tu sei meglio di ogni altro mio figlio!» sentenziò, buttando giù il liquido cremisi e ridendo: «Con te, io potrò avere ciò che desidero.»
Uccidilo.
«Ti darò un nome.» continuò, sorridendo al riflesso e poi spostando lo sguardo sul guerriero: «Mogui. Ti chiamerai Mogui.»


Sarah sospirò, tenendo la borsa stretta al grembo e chiedendosi dove fosse finito Alex: era andato al bagno prima dell’attacco e poi…
Beh, poi era stato il caos generale.
Scosse il capo, sperando che il suo amico non fosse rimasto coinvolto nella battaglia o nei danni collaterali di questa: sinceramente non sapeva fino a che punto il potere di Ladybug risistemava le cose; sospirò nuovamente, marciando lungo la strada, indecisa se richiamare o meno Alex: aveva già provato tre volte, nell’ultimo minuto, ma era sempre irraggiungibile.
Sbuffò, portandosi l’apparecchio all’orecchio e poi qualcosa di blu le balzò davanti: «Maledetto gattaccio!» sbottò Peacock, fissando male il tetto da cui, sicuramente, era giunto fino a lì e poi voltandosi verso di lei: il monile che teneva appuntato al petto stava strillando a più non posso, segno che a breve la sua trasformazione si sarebbe conclusa: «Salve.» le mormorò, facendole un impacciato saluto con la mano.
«S-salve.» ripeté lei, abbassando il cellulare e osservandola intontita: «T-tutto bene?»
«Oh. Ah. Sì.» dichiarò l’eroe, voltandosi verso la cima dell’edificio: «Sto solo scappando da un gattaccio troppo curioso.»
«Ah. Ok.»
Il Miraculous del Pavone suonò e il ragazzo portò una mano a questo, abbozzando un sorriso: «Io devo…»
«Ok.»
«Stai attenta.»
«Ok.»
Sarah l’osservò correre e saltare su un tetto dall’altra parte della strada, scomparendo poi all’orizzonte; poco dopo un’ombra nera sfrecciò veloce al suo inseguimento, seguita a sua volta dall’eroina di Parigi.
Chat Noir e Ladybug.
Scosse il capo, sperando che il povero Peacock riuscisse a sfuggire.


Wei sorrise, osservando Wayzz divorare la sua foglia di lattuga con voracità: «Quindi è questo il tuo kwami.» commentò Lila, osservando lo spiritello della tartaruga: «Con lui non hai problemi, Vooxi?»
«No.» dichiarò il kwami arancio, allungandole la scatoletta di carne: «Wayzz è un bravo ragazzo.»
«A quanto pare è cosa comune di quelli che hanno a che fare con il Miraculous della Tartaruga.» dichiarò Lila, sorridendo a Wei e notando come le guance del cinese erano diventate rosse: «Tu conosci il Gran Guardiano, Wei?»
«Sì.»
«Mh.» commentò la ragazza, picchiettandosi l’indice sulle labbra: «Non sei un tipo di tante parole, eh?»
«Mi spiace.»
«Non è un problema.» Lila sorrise, scuotendo il capo e osservando i due kwami che, seduti fra di loro, si stavano sbaffando la loro meritata ricompensa: «I tipi troppo chiacchieroni non mi piacciono.» continuò, facendo poi vagare lo sguardo sul parco dove si erano fermati.
«Quel tipo…» mormorò Wei, chinandosi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia: «Quel guerriero è qualcuno di forte. Tanto forte.»
«Sì.»
«Mi chiedo se la prossima volta riusciremo a far..fare…farcela.»
«Mai essere pessimisti.» dichiarò Lila, accavallando le gambe e gettandosi indietro una ciocca di capelli castani: «E’ una delle mie regole di vita; quando lo incontreremo di nuovo, combatteremo di nuovo e ce la faremo.»
«Bella regola.»
«Grazie.»


Adrien osservò la ragazza che camminava al suo fianco, stringendo maggiormente le dita strette alle sue: «Marinette?» la chiamò, riportandola alla realtà: «Dove ti avevo perso?» le chiese, sorridendole e strizzandole l’occhio.
«Stavo ripensando a prima…»
«Mi sono già scusato. Lo so che non è stato bello rincorrere Peacock ma devo sapere se è…»
«No, no. Riflettevo su quel guerriero.» spiegò Marinette, sorridendogli: «Perché vedere il suo riflesso gli ha provocato quella reazione?»
«Beh, non è bello. Ammettiamolo. Magari non sapeva di essere così brutto.»
«Io credo ci sia qualcos’altro sotto.» mormorò la ragazza, osservando l’edificio che ospitava la panetteria dei suoi e la sua casa: «Oh no.»
«Che c’è?»
La ragazza indicò con un cenno del capo le finestre del primo piano: sua madre era ferma davanti a una di queste e stava sventolando davanti a sé qualcosa: «Che cosa…?»
«Ti ricordi quando ti ho detto che mia madre non mi avrebbe fatto fare vita per la questione del matrimonio?»
«Sì.»
«Bene. Quello che ha in mano è l’abito da sposa di mia nonna.»
«Ma è rosso.»
«In Cina la sposa si veste di rosso.» spiegò Marinette, sbuffando e agitando una mano per aria: «Comunque a mia madre non è entrato in testa il concetto che non ci sposiamo ora.»
Adrien ridacchiò, avviandosi verso la panetteria e trascinando con sé la ragazza: «Potremmo farlo, no?» le domandò, voltandosi e osservandola diventare rossa in volto e, poi, balbettare qualcosa in preda all’agitazione: «Marinette.» le mormorò, prendendole le mani fra le sue e fermandosi, aspettando che la ragazza lo guardasse in volto: «Adesso. Domani. Fra cinque, dieci anni…» le sorrise, chinandosi e baciandole la fronte: «Per me non cambia niente. Tu e solo tu.»
«Ti prego, trattienimi dal portarti nella prima chiesa.»
«Come la mia lady desidera. Comunque io sarei d’accordo, nel caso.»
«Adrien…» sospirò la ragazza, poggiando la fronte contro il suo petto: «Non darmi idee. Per favore.»
«D’accordo.» dichiarò il biondo, slacciando la stretta dalle sue mani e passandogliele attorno alle spalle, stringendola a sé: «Con calma. Va bene?»
«Con calma.»
«Certo…» mormorò Adrien, facendole l’occhiolino e allontanandola da sé: «Disse quella che, una volta, iniziò a blaterare di matrimoni, figli e cani e gatti. Anzi no, criceti…»
«Tu come…?»
Adrien si chinò in avanti, sorridendole: «Sai, quando inizi a fantasticare, mia bellissima lady, dovresti farlo a voce bassa.»
Marinette sgranò gli occhi, arretrando di un passo e portandosi le mani: «Tu…»
«Non so se ti ricordi di quando feci un servizio là.» Adrien si voltò, indicando il piccolo parco: «Quello dove poi feci qualche scatto con Manon.» le spiegò, facendo un passo verso di lei e catturandole le mani: «Beh. Ho sentito tutto.»
«E me lo dici ora?»
«Ehi! Ero in imbarazzo anch’io! Fino a quando non ti ho sentito parlare di figli e animali, pensavo che mi odiassi!»
«E me lo dici ora?»
«Sapevo che non avresti reagito bene, se te l’avessi detto.»
«Quindi tu sapevi che… tu lo sapevi ed io…» Marinette sgranò gli occhi, scuotendo il capo: «Dove sono le buche quando servono? Perché non m’inghiottisce una adesso?»
«Marinette, va tutto bene.»
«No!»
«Oh, andiamo! Stiamo insieme da quattro anni, ormai!»
«Ma tu…»
«Sì, sapevo che avevi una cotta – una bella cotta – per me. Se ho iniziato ad avvicinarmi a te, è anche per questo!» sbuffò il ragazzo, trattenendola, nonostante lei facesse di tutto per sfuggirle: «Insomma, quando mi sono accorto dei miei sentimenti per te, mi son detto: “Ehi, perfetto! Anche lei è innamorata di me!” e invece di farmi mille paranoie, ho subito…»
«Voglio morire.»
«Marinette, non cambia niente.»
«Se ripenso a tutte le volte che…»
«Non pensarci. Semplice.»
«Facile a dirlo!»
Adrien sospirò, chinandosi e baciandola: le passò un braccio attorno alla vita e la strinse a sé, invitandola ad aprire le labbra e approfondire il bacio: «Non pensarci. Ok? Il passato è passato.» le mormorò, posando la fronte contro quella di lei e tenendo lo sguardo fisso in quello celeste.
«Disse quello che non si era mai reso ridicolo…»
«Oh, piantala!»

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.478 (Fidipù)
Note: Buon salve! Eccomi qua, pronta per una nuova settimana (di studio) e con un nuovo capitolo! Cosa si può dire di questo capitolo se non che...beh, c'è tanta ma tanta ma tanta carne al fuoco, signore e signori! E questo è un capitolo bello ricco. Di informazioni random non ce ne sono, se non che Plagg si sta ancora lavando gli occhi per ciò che è stato costretto a vedere e quindi passo al solito rituale di ringraziamenti, contenti? Stavolta vi rompo le scatole veramente pochissimo!
Grazie davvero tantissimo di leggere la mia storia (e fatemi sapere la vostra, mi raccomando!), di commentarla (qui e su FB), di inserirla nelle varie liste e, lo so che lo dico ad ogni capitolo ma...
Grazie grazie grazie grazie grazie!



Sarah si rigirò il telefono fra le mani, avvertendo lo sguardo di Mikko su di sé: aveva chiamato Alex dal pomeriggio, trovando sempre il numero irraggiungibile.
Dov’era?
Possibile che fosse rimasto coinvolto nello scontro con quel guerriero nero?
No. Non era da Alex.
Lui sapeva e riusciva sempre a mettersi al sicuro.
Lo aveva fatto tante volte in America.
No, Alex stava bene e non rispondeva alle sue chiamate…
Ecco, di questo non conosceva perché.
La ragazza alzò lo sguardo, incontrando quello della kwami, e abbozzò un sorriso: «Provo un’altra volta?» chiese, quasi più a se stessa che allo spiritello; Mikko annuì con la testa, volando fino alla sua spalla e sistemandosi fra i capelli biondi lasciati sciolti. Sarah abbozzò un sorriso, portandosi una mano al pettinino dell’Ape, che teneva ferma una ciocca su un lato, quasi come a farsi coraggio.
Sarebbe andato tutto ok.
Alex avrebbe risposto e le avrebbe detto il perché non l’aveva fatto alle precedenti telefonate.
Premette il pulsante di chiamata e si portò l’apparecchio all’orecchio: «Ehi! Supereroina!» esclamò la voce allegra di Alex dall’altro capo, dopo alcuni squilli: «Com’è andata la battaglia?»
«Com’è andata la battaglia?» ripeté Sarah, strillando quelle parole e alzandosi, ignorando Mikko che rotolò sul divano: «Hai una minima idea di quante volte ti ho chiamato?»
«Eh. Sì.»
«Eh sì. Il signorino risponde solo questo!»
«Sarah…»
«Ora tu mi dai una spiegazione chiara e sensata del perché non mi hai risposto!»
Sentì un sospiro dall’altra parte e poi il rumore di alcuni passi: «Hai visto che sono dovuto andare in bagno, mentre eravamo al locale?» le domandò Alex e Sarah mormorò qualcosa in assenso: «Ecco. Diciamo che non mi sento bene da quando sono arrivato: devo aver preso un virus intestinale o qualcosa; comunque mentre combattevi, io ero abbracciato a uno dei water del locale e poi…» si fermò, sospirando rumorosamente: «Sinceramente, non ricordo come sono tornato in albergo, però…»
«Alex…»
«E dire che quando eravamo a casa mangiavo di tutto.»
«Non è che hai preso qualche malattia strana?»
«Forse sono incinto!»
«Idiota.»
«Comunque scusami se non ti ho risposto.» mormorò il ragazzo, sospirando: «Ma ero lì, con il mio nuovo amico – si chiama wc, è un bravo ragazzo. Devo presentartelo – e non avevo la forza di alzarmi.»
«Mh.»
«Davvero.» esclamò Alex, sospirando poi al telefono: «Domani ti accompagno a scuola, ok? Così mi racconti dell’attacco di oggi, degli altri eroi e…» si fermò e Sarah alzò gli occhi al cielo, sapendo che l’amico l’avrebbe tormentata per sapere ogni dettaglio degli altri: «…e beh, mi racconti tutto. Ok?»
«E pretendo di essere presentata al tuo nuovo amico.»
«Wc sarà felicissimo di conoscerti. Mi ha detto che ha un debole per le bionde.»
«Il mio uomo, allora.»
«Decisamente.»


Plagg carezzò la forma di camembert, sospirando beato: quella mattina si era svegliato, trovando quella delizia sulla scrivania e aveva quasi pianto dalla contentezza.
Inspirò il delicato profumo che proveniva dal formaggio, assaporando quasi il momento in cui avrebbe affondato i dentini sulla superficie bianca: nulla avrebbe potuto distruggergli quel momento, nulla…
Eccetto il suo umano che, nudo come un verme, era uscito di corsa dal bagno ed era corso al cassetto della biancheria.
Plagg lo fissò, sperando che la sua mente dimenticasse le natiche esposte all’aria e…
No, basta.
Si voltò, fissando i monitor spenti.
Ecco come rovinargli un perfetto risveglio.
«Ehi!» esclamò, sperando di attirare l’attenzione del nudista: lo sentì trafficare nel cassetto e, n’era certo, nemmeno lo aveva sentito: «Ehi!»
«Che c’è, Plagg?»
Che c’era? Aveva pure il coraggio di domandarglielo?
Si voltò e subito si pentì dell’azione fatta, dato che trovò il ragazzo intento a mettersi un paio di boxer: «Senti, non è che sei un bello spettacolo…» spiegò, carezzando la forma di camembert quasi come a scusarsi di quello spettacolo.
«Ti devo ricordare che sono un modello molto ricercato?»
«Ti devo ricordare che non voglio vomitare la mia colazione? Vederti così…»
«Mi ero dimenticato le mutande, ok?»
«Potevi avvisarmi.»
«La prossima volta urlerò: umano nudo in arrivo, ok?»
«Il mio appetito ne risentirà comunque.»
«Plagg, mangia il tuo formaggio e falla finita.»
«Ehi, prima devo lavarmi gli occhi con qualcosa di forte: l’immagine del tuo sederino non se ne andrà tanto facilmente!»


Rafael sbadigliò, entrando al Louis-le-Grand e osservò alcuni studenti che ciondolavano nel cortile principale della scuola; sorrise, notando un capo biondo che conosceva fin troppo bene e, alzando una mano in segno di saluto, fece un passo verso di lei: «Sa…» iniziò, fermandosi subito alla vista del ragazzo che era con lei.
Riabbassò il braccio, studiando il tipo che stava dicendo qualcosa all’americana: non l’aveva mai visto a scuola, anche se non dava gran peso alla fauna maschile, eccetto pochi elementi. Elementi di disturbo.
Il tipo disse qualcosa e Sarah scoppiò a ridere, scuotendo il capo e facendo danzare le ciocche bionde, portandosi poi subito una mano per controllare se il pettinino, quello che Rafael le aveva visto sempre portare, fosse ancora a posto: «Buongiorno, Rafael.» mormorò una voce femminile vicino lui e un brivido corse lungo la schiena del ragazzo: si voltò, incontrando lo sguardo celeste e allegro di Marinette e, inconsciamente, le sue mani andarono a pararsi una certa parte vitale del suo corpo.
Marinette sgranò gli occhi a quell’atteggiamento mentre, il ragazzo che era con lei, iniziò a ridere divertito, attirando su di sé l’attenzione di molti, compresa quella di Sarah e del suo amico: «Marinette, hai fatto colpo.» dichiarò Adrien, passando un braccio attorno alle spalle della ragazza e ignorando lo sguardo che questa gli rifilò: «Beh, meglio così. Certa gente dovrebbe sapere dove potersi prendere libertà e dove no.»
«Certa gente, dovrebbe fare più attenzione, secondo me.» ribatté Rafael, scoccando un’occhiata verso Sarah e notandola girata verso di loro: fantastico! Ci mancava solo che venisse da quella parte…
Ecco appunto.
Non era riuscito neanche a formulare il pensiero completo che la ragazza aveva chiamato Marinette e si era diretta verso di loro: «Ciao!» esclamò Sarah, non appena fu giunta presso il trio: «Marinette, mi dispiace tanto per ieri, ma…»
«Tranquilla! Alix ha vinto, come aveva ampiamente dichiarato. E anch’io.» dichiarò la mora, voltandosi poi verso il proprio ragazzo: «A proposito…»
«Non me ne sono dimenticato.» sospirò Adrien, facendole l’occhiolino e poi spostando lo sguardo sul ragazzo che era con Sarah: «Adrien Agreste.» si presentò, allungando una mano verso il moro e sorridendogli caloroso.
«Alex.» si presentò questo, stringendo la mano che gli veniva offerta e ricambiando il sorriso: «Sono…»
«E’ il mio migliore amico.» dichiarò Sarah, sorridendo a tutti loro: «Lei è Marinette, una delle mie amiche e lui è Rafael, un altro mio amico.»
Siamo tutti amici per te, Sarah?, si domandò Rafael scuotendo il capo e stampandosi in faccia un sorriso fasullo: «Piacere.» dichiarò, allungando una mano anche lui e stringendo quella dell’americano: accentuò l’espressione contenta, facendo forza e vedendo la smorfia sul volto dell’altro.
Alla fine lasciò andare la mano di Alex, fissandolo poi in volto: «Qualcuno è geloso…» cantilenò sottovoce Adrien e, Rafael n’era certo, l’aveva fatto apposta per farsi sentire solo da lui e da Marinette, che gli rifilò una leggera manata nell’addome.
«Io non sono niente.» bofonchiò il modello, salutando poi il quartetto e andandosene a passo spedito: lui era Rafael Fabre, modello e ultraricercato dalle donne, gli bastava schioccare le dita per averne quante ne voleva ai piedi.
Lui non era geloso di una ragazzina.
Per niente.


Vuoi mandare di nuovo lui?
Coeur osservò annoiata il riflesso che, serio, ricambiava il suo sguardo; sbuffò, spegnendo il televisore e allungando una mano per prendere il bicchiere di vino che aveva appoggiato sul tavolo: uno sospiro infastidito si levò dalle labbra, quando notò che era vuoto.
Rispondimi.
«Sì. Voglio mandare di nuovo lui.» mormorò, alzandosi dal divanetto e avvicinandosi alla grande vetrata, osservando il panorama cittadino: «Forse è l’unico che può portarmi ciò che voglio.»


Lila giocherellò con il cibo che aveva nel piatto, osservando gli altri due seduti al tavolo: «Che ne pensate?» domandò, attirando su di sé lo sguardo verde di Adrien e quello celeste di Marinette.
«Se intendi avere un parere sul cibo della mensa, posso dire solo due parole: fa schifo.»
«Grazie, micetto.» sospirò l’italiana, alzando gli occhi al cielo: «Comunque io volevo sapere cosa ne pensavate del nostro amico di ieri. Sai quello corazzato, che se non gli facevamo vedere il suo riflesso ci avrebbe fatto tanta bua?»
«Parla per te, volpe. Io l’avrei sconfitto.»
«Non è un nemico da prendere alla leggera.» commentò Marinette, sorridendo all’occhiataccia che gli rifilò Adrien: «Ha resistito all’attacco congiunto di Volpina e Bee. E Peacock…»
«Non ha visto nessun punto debole.» sentenziò Lila, sospirando: «Sinceramente mi chiedo come funzioni il potere del nostro pavoncello: cioè, vede. Ok. Ma cosa? Vede il futuro? Vede i punti deboli?»
«Potremmo chiedere a lui. Se sapessimo chi sia…» sentenziò Adrien, sorridendo alla propria ragazza: «Ma purtroppo non conosciamo la sua identità, perché qualcuno mi ha fermato…»
«Inseguirlo in quel modo non è stato bello. E ti sei anche scusato per il tuo comportamento.»
«Sì, sì.»
«Wei vorrebbe parlarne con il maestro Fu.» mormorò Lila, riportando l’attenzione sull’argomento principale: «Magari spera che lui sappia qualcosa.»
«E questo quando te l’ha detto?»
«Ieri sera.»
«Oh oh oh.» Adrien sorrise, abbandonandosi contro lo schienale della sedia e sorridendo all’italiana: «Qui gatta ci cova…»
«Seriamente…» mormorò Lila, indicando il biondo: «Ce la facciamo a fare un discorso serio con lui o è impossibile?»
«Adrien…»
«Ok. La smetto.» dichiarò il ragazzo, poggiando i gomiti contro il piano del tavolo e annuendo: «Penso anch’io che sia un’ottima idea quella di sentire il nonnetto. Anche se mister Miyagi sa sicuramente più di quanto ci fa credere e, quasi certamente, non ci dirà tutto: secondo me conosce molte più cose su Coeur Noir di quelle che ci ha rifilato.»
«Potremmo sentire il kwami di Wei. Fino a che non ha passato il Miraculous a Wei era al fianco di Fu, no?» propose Lila, prendendo la bottiglietta d’acqua sul suo vassoio e svitando il tappo: «Insomma, qualcosa saprà.»
«Non penso che ci dirà molto.»
«Ma perché? Adesso è Wei il suo portatore e…»
Adrien sospirò, catturando la mano di Marinette e stringendola forte sotto al tavolo: «Andiamo con Wei da mister Miyagi e sentiamo quel che ci dice.» dichiarò, sorridendo quando sentì le dita della ragazza intrecciarsi alle sue: «E se non ci basta, possiamo provare con Wayzz.»
Lila annuì, sospirando e poggiandosi contro lo schienale della sedia: «Mi chiedo cosa ci sia sotto per tutta questa segretezza. Insomma, non capisco.»
«Non sei l’unica, volpe.»


Gabriel osservò l’abito, carezzando la stoffa cremisi e sorridendo; ricordava che anche lei, una volta, aveva indossato un abito simile: era leggermente più scollato ma ricordava ancora le risate che aveva fatto, girando su se stessa e creando un mare rosso attorno a sé.
«Mi manchi…» mormorò, poggiando la testa contro il manichino e chiudendo gli occhi: sentì le pupille pizzicargli dalle lacrime che tratteneva: «Nostro figlio sta crescendo.» continuò, parlando con il nulla e sorridendo della sua stupidità: «Saresti orgogliosa di lui e ti piacerebbe la compagna che si è scelto: lo rende felice, non ho mai visto Adrien così felice da quando la conosce. Lei lo completa, come tu facevi me.» si fermò, ascoltando il silenzio nell’atelier: quanto tempo aveva trascorso là dentro? Quante volte lei era entrata, con la forza di un uragano, e l’aveva portato via?
La vita è fuori, Gabriel.
I tuoi vestiti devono prender vita fuori da questo posto.

«Gabriel?» la voce di Nooroo lo riportò alla realtà: si allontanò dal manichino, togliendosi gli occhiali e stringendosi il setto nasale: «Va tutto bene?»
«Sì. Nooroo.» dichiarò l’uomo, inforcando nuovamente le lenti e osservando nuovamente il vestito: «E’ un bell’abito, vero?»
«Sì.»


Sarah sospirò, osservando le persone alla fermata degli autobus e sorridendo alla vista di Rafael: «Ehilà!» esclamò, saltellando verso di lui e battendogli una mano fra le scapole: «Ci incontriamo sempre qua, eh?»
«Mi hai fatto male.»
«Oh, scusa. Non pensavo fossi delicato.»
Rafael la fissò, sospirando e alzando gli occhi al cielo: «Il tuo amico dov’è?» le domandò, notando l’assenza di Alex.
«Mh. Non lo so. Da qualche parte.»
«Da qualche parte? Viene fin qua e poi se ne va da qualche parte.»
«Penso sia tornato in albergo, non si sente molto bene: deve aver preso qualche virus intestinale.»
«Delicato l’amico.»
«In verità no, anzi alle volte lo prendevo in giro dicendogli che avrebbe digerito anche una bomba nucleare.»
Rafael sorrise, voltandosi un attimo per vedere se l’autobus stava arrivando e poi si girò nuovamente verso la ragazza: rimase immobile, mentre una voluta di fumo nero comparve dietro a Sarah e prendeva le sembianze del guerriero corazzato che avevano incontrato il giorno prima: «Sarah!» esclamò, allungando una mano verso di lei, ma il guerriero di Coeur la catturò nella sua stretta e poi, con un balzo, raggiunse il tetto dell’edificio dietro di loro: «Lasciala andare!» ordinò, ma le sue parole furono gettate al vento: il guerriero urlò qualcosa e poi iniziò a correre con il suo ostaggio stretto fra le braccia.
Rafael rimase immobile, incapace di rendersi conto di ciò che aveva appena visto.
Il guerriero di Coeur aveva rapito Sarah.
Perché?
Per quale motivo?
«Flaf…» iniziò, voltandosi verso la borsa e osservando il kwami fare capolino: una mano si poggiò sulla sua spalla e lui si voltò, incontrando lo sguardo verde di Chat Noir e, dietro di lui, vide gli altri tre.
Ladybug, Volpina e Tortoise.
Veloci, gli eroi parigini.
«Che cosa è successo?» domandò l’eroe in nero, abbassando la mano e fissandolo serio.
«Quel guerriero è apparso e ha portato via la mia amica.»
«Sai perché?» gli domandò Ladybug, facendo un passo e osservando preoccupata Chat Noir: Rafael negò con la testa e l’eroina sospirò: «Dobbiamo inseguirlo.» ordinò e a Rafael quasi scappò una risata, sentendosi pronto a eseguire il suo ordine.
Volente o nolente era diventato uno di loro, a quanto pareva.
Sarah…
Devo salvarla.

«Vengo anch’io.» dichiarò, osservando serio i quattro supereroi: ok, ancora non sapeva perché combatteva e perché era stato scelto.
Ok, era ancora pieno di dubbi e, sinceramente, non moriva dalla voglia di combattere e faticare per salvare perfetti sconosciuti.
Ma il suo corpo, il suo essere, aveva sentito il bisogno di eseguire l’ordine di Ladybug.
E poi Sarah…
Sarah non era una sconosciuta.
Sarah era la ragazza che…
Sarah era sua amica.
Per Sarah e per tenere al sicuro la città dove lei viveva, per questo avrebbe combattuto.
«Senti, amico.» iniziò Chat, voltandosi verso gli altri e cercando sostegno: «Non è uno scherzo. E’…»
Rafael sospirò, armeggiando con la catenina che teneva al collo e tirando fuori il Miraculous del Pavone: «Lo so benissimo cosa è.» dichiarò, osservandoli sgranare gli occhi: «Flaffy!» ordinò e il piccolo kwami volò fuori dalla borsa, mettendosi davanti al suo umano con lo sguardo rivolto verso gli altri Portatori: «Trasformami.»

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.119 (Fidipù)
Note: Buon salve! E' giovedì, quindi è tempo di un nuovo capitolo! Contenti? Bene, partiamo con qualche informazione random come, per esempio, il luogo ove si svolge la battaglia fra Mogui e la nostra combriccola di eroi, ovvero la piazza (che poi per me è una rotonda) Edmond-Rostand, che si trova vicino ai Giardini di Lussemburgo: in pratica da questa piazza c'è un'entrata per il grande parco parigino.
A parte questo (e qua m'immagino che state guardando lo schermo dicendo: ok. Ci doveva interessare la cosa?), non ho nient'altro da segnalare e quindi vi lascio al capitolo e,come sempre, vi voglio dire grazie.
Grazie dei vostri commenti (qui e su FB), che sono sempre graditissimi!, del fatto che leggete la mia storia e...
Beh, come sempre...
Grazie grazie grazie grazie grazie!!!



Chat Noir balzò sul tetto, osservando Peacock davanti a lui: «Qualcosa non va, mon minou?» gli domandò Ladybug, raggiungendolo e correndo al suo fianco; alla sua sinistra, Volpina solcava il cielo: un lampo arancio contro l’azzurro del cielo; mentre Torty…
Beh, Torty si stava muovendo nella strada sottostante, vista la sua naturale tendenza a distruggere i tetti.
«Odio avere ragione.» dichiarò il felino, arrivando alla fine dell’edificio e mettendo mano al bastone, in contemporanea con Ladybug che prese il suo yo-yo e lo lanciò verso un balcone, assicurando la presa e saltando dall’altra parte della via: «Io l’avevo detto che era lui.» sbottò, allungando la propria arma e usandola come asta per superare il vuoto.
«Tu avevi il sospetto che fosse lui.» precisò la coccinella, sorridendogli quando il ragazzo fu al suo fianco: «E’ differente.»
Peacock si voltò, fissandoli e allargando frustrato le braccia: «Volete anche the e pasticcini, per caso?» domandò, ricevendo in cambio uno sguardo imbarazzato da Ladybug e un sorrisetto da parte di Chat: «Non possiamo parlare dopo aver salvato Sarah?»
«Mh. Si direbbe che Sarah è molto importante per te.» commentò il felino, voltandosi verso la ragazza al suo fianco: «Vero? Non da anche a te quest’idea?»
«Chat…»
«D’accordo, d’accordo. Lo prendo in giro dopo.» sentenziò Chat, alzando le mani in segno di resa e voltandosi verso Peacock: «Secondo te perché il nostro amichetto l’ha rapita?»
«Forse gli piacciono le bionde?»
«Dici? Io pensavo fosse un tipo da rosse.»
Volpina atterrò sul tetto, osservando il trio e affiancando Ladybug: «Cosa stiamo facendo?» domandò all’amica, poggiando una mano sul fianco destro e spostando il peso sul lato sinistro del corpo: «Non dovevamo correre a salvare la fanciulla in pericolo?»
«Mi piacerebbe saperlo anche a me.»
«Ehi!» la voce possente di Tortoise arrivò dal basso, mettendo fine a ogni discorso: i quattro eroi si avvicinarono al bordo del tetto, osservando di sotto.
«Dicci, Torty, cosa vedono i tuoi occhi da testuggine?» domandò Chat, voltandosi poi verso le due ragazze e ridendo: «Ho sempre sognato di dirla.»
«Io la ricordavo diversamente.»
«Sai, volpe, devi saper adattare le citazioni alle tue esigenze.»
«Il nostro amico si è fermato in mezzo alla strada.» urlò Tortoise, allungando il braccio e indicando la fontana che fungeva da rotanda: il guerriero nero era fermo, in equilibrio sopra la statua, e con Sarah gettata come un sacco di patate sulla spalla.
«Sarah!» urlò Peacock, saltando giù e correndo verso la ragazza e il nemico; evitò per un soffio un’auto e si fermò a pochi metri dall’altro, osservandolo nel suo insieme: la maschera dall’aria grottesca, l’armatura scura, le vesti dall’aria orientale…
Ladybug osservò i due che si sfidavano con lo sguardo, spostando poi l’attenzione e notando le forze dell’ordine parigine che, appostate a un’entrata della rotonda, fissavano tutto in silenzio: «Tortoise, pensa a proteggere Peacock.» ordinò e sorrise, vedendo il ragazzo fare un cenno affermativo con la testa: «Volpina, Chat…»
«Sappiamo cosa fare, my lady.» dichiarò il ragazzo, facendole l’occhiolino: «Tenere fuori dai guai Peacock e cercare di sconfiggere il simpaticone.»
«Io vado dal tenente Rogers.» mormorò la ragazza, indicando con un cenno del capo i poliziotti che, non sapendo bene cosa fare, si tenevano a distanza dal guerriero nero: «Vorrei evitare di coinvolgere più gente possibile…»
«Vai, my lady. Noi intanto andiamo a fare la bua a mister Sorrisone. Giusto, volpe?»
«Sono mister Sorrisone, sono mister Sorrisone…» canticchiò l’altra, attirando su di sé gli sguardi della coppia: «Che c’è? Andiamo! Chat fa battute sceme tutto il tempo, una volta che…»
«Io mi chiedo che problemi hai, volpe.»
«Sempre meno gravi dei tuoi, micetto.»
«Io vado, eh?» esclamò Ladybug, lanciando lo yo-yo verso un lampione e, usandolo per saltare, atterrò su un tetto dell’auto: «Salve!» esclamò, sorridendo agli uomini delle forze dell’ordine e individuando subito il genitore della sua vecchia compagna di scuola: «Tenente Rogers, può bloccare questa zona? Un perimetro intorno a questo isolato sarebbe l’ideale.»
«Come vuoi, Ladybug.» sentenziò deciso il poliziotto, mettendo mano alla ricetrasmittente e dando gli ordini ai suoi uomini: la ragazza osservò gli agenti presenti fermare le auto e rimandare indietro le persone che, curiose, si stavano addossando sui marciapiedi; si voltò, guardando Peacock e l’altro fissarsi ancora a vicenda mentre, alle spalle dell’eroe blu, Tortoise, Chat e Volpina erano in posizione di attacco.
Sorridendo agli agenti, Ladybug raggiunse i suoi compagni, schierandosi a fianco di Peacock: «Hai un piano?» gli domandò, facendo volteggiare lo yo-yo e tenendo anche lei sotto controllo l’altro e Sarah che, dimostrando sangue freddo e controllo di sé, non stava urlando e rimaneva stoica: «Oppure…»
«Sei tu il boss, Ladybug.»
La ragazza annuì, sospirando rumorosamente: «Peacock, mi serve che usi il tuo potere. Tortoise…»
«Faccio come la volta prima e lo proteggo.»
«Volpina, voglio delle tue copie e poi lanciagli contro il tuo fuoco fatuo. Chat, tu ed io vediamo di recuperare Sarah.»
Tutti annuirono: Peacock balzò indietro, inspirando profondamente e attivando il proprio potere, mentre Tortoise si metteva davanti lui e creava una barriera semicircolare, in modo da proteggerlo su tutti i fronti; Volpina suonò alcune note, creando delle copie e invocando poi il potere speciale della volpe, facendo apparire tante piccole fiammelle blu intorno a sé.
Chat Noir sorrise, mettendo mano al bastone e correndo verso il guerriero: saltò sulla recinzione che circondava la fontana e, con la sua arma tenuta sopra la testa, affondò un colpo nello stesso momento in cui Ladybug lanciò il suo yo-yo, avvolgendo il filo attorno al corpo di Sarah e tirandola poi verso di sé; l’eroina calcolò male la distanza e il peso, ritrovandosi addosso il corpo della bionda: «Stai bene?» le domandò, mentre cercavano di mettersi a sedere e sorrise al cenno affermativo dell’altra: «Chat! Il tuo potere!» urlò, vedendo il biondo assentire e balzare indietro, nello stesso momento in cui il guerriero nero aveva messo mano alla spada.
«Ehi, pennuto!» urlò Chat, tenendo il bastone in orizzontale e parando l’affondo del nemico: «Ci decidiamo a vedere qualcosa o lo invito per cena?»
«Niente. Come l’altra volta.» dichiarò Peacock, riaprendo le palpebre: «La sua vera natura…»
«Questo tizio inizia a essere noioso.» sentenziò il felino, saltando indietro e attivando il proprio potere, poggiando poi la mano destra per terra e creando una voragine, che imprigionò il guerriero nero: «Direi che è ora di farla finita.» sentenziò, voltandosi verso la coccinella e osservandola invocare il Lucky Charm e nuovamente, la magia della creazione, dette alla ragazza uno specchio.
«A quanto pare al tipo piace guardarsi.» dichiarò Volpina, scagliando i suoi fuochi fatui verso il guerriero e osservandolo mentre sopportava impassibile le fiamme azzurre.
Ladybug annuì, avvicinandosi lentamente e tenendo la superficie riflettente davanti a sé: si fermò a pochi passi dal nemico, chinandosi e poggiando lo specchio davanti a lui e, come la volta precedente, questi iniziò a urlare: alzò la testa verso il cielo, gridando disperato e poi voltandosi verso tutti loro.
Ladybug e Chat Noir rimasero immobili in prima linea, fissando il guerriero mentre usava la sua forza per uscire dalla crepa; Peacock e Tortoise raggiunsero Sarah, mettendosi davanti e facendole da scudo, mentre Volpina si portava il flauto alle labbra, pronta a suonare.
Il loro nemico riuscì a liberarsi, balzando davanti a tutti loro e ruggendo: «Adesso basta!» sentenziò una voce melodiosa mentre, alle spalle del guerriero, comparve una voluta di fumo e da questa ne uscì una figura femminile. Il combattente oscuro si voltò, inginocchiandosi alla nuova arrivata: il corpo era stretto in un lungo abito nero e un corpetto di cristallo nero proteggeva l’addome della donna, mentre un elmo elaborato le nascondeva la parte superiore del volto: «Mogui, figlio mio, hai fatto abbastanza per oggi.» mormorò lieve, carezzando la maschera del guerriero, poi si voltò verso gli eroi radunati: «Volevo incontrarvi, tutti quanti, Possessori di Miraculous.»
«Fammi indovinare…» mormorò Chat, indicandola e sorridendole: «Coeur Noir.»
«L’unica e sola.» dichiarò la donna, sorridendo: «Finora avete sempre sconfitto i miei figli, ma sappiate che non andrà sempre così: mi prenderò ciò che mi spetta. I Miraculous saranno miei.»
«Dicono sempre tutti così…» sentenziò Ladybug, fissando l’altra: «Ma ricorda: noi ti fermeremo.»
«Voi non avete idea di chi state combattendo.» dichiarò Coeur Noir, posando una mano sulla spalla del suo sottoposto e, con un movimento della mano, creò una voluta nuova di fumo scuro, scomparendo.
«Quindi è quella la nostra nemica?» domandò Volpina, mettendo giù il proprio strumento e scuotendo il capo: «Me la immaginavo diversa…»
«E come? Secondo me era perfetta come Coeur Noir: era vestita di nero, ha fatto la sparata da cattiva…»
«Ci sarà mai qualcosa che prendi seriamente, micetto?»
«Oh. Ma ci sono tante cose che io prendo seriamente…»
«Scusate…» mormorò Sarah, attirando l’attenzione dei cinque: la ragazza sorrise, portandosi dietro l’orecchio una ciocca bionda e controllando che il pettinino fosse ancora al suo posto: «Ehm. Ecco. Volevo ringraziarvi, mi avete salvata…»
«Grazie a te per non aver dato di matto, madamoiselle.» dichiarò Chat, avvicinandosi e facendole l’occhiolino: «Mai visto ostaggio più calmo e controllato di te.»
«Grazie…» mormorò la ragazza, chinando il capo e arrossendo vistosamente.
Chat si voltò verso gli altri, alzando la mano destra e indicando l’anello: «A quanto sembra dobbiamo andare, prima che sveliamo al mondo le nostre identità…» dichiarò ridente: «Non vorrei far svenire fanciulle indifese.»
Peacock osservò i quattro andarsene velocemente: avrebbe dovuto farlo anche lui, il suo Miraculous stava segnando lo scadere del tempo a disposizione: «Stai bene?» domandò alla ragazza, abbozzando un sorriso: «Non sei ferita?»
«No, no.» Sarah sorrise, facendo un giro su se stessa: «Sto benissimo.»
«Ottimo.» sentenziò Peacock, voltandosi nella direzione presa dagli altri; sospirò, sapendo benissimo che le ore successive sarebbero state infernali e poi balzò sull’edificio alla sua destra, trovando ad aspettarlo Chat, Ladybug e Volpina: «Fatemi indovinare: dobbiamo parlare?»
«Oh. Ma dai? Non pensavo che il pennuto avesse un cervello.»
Peacock alzò gli occhi al cielo, facendo poi un cenno del capo: «Io vi seguo.» dichiarò, sospirando: «Fatemi strada e portatemi in un posto dove potremmo chiacchierare: io vi ho svelato chi sono, adesso tocca a voi.»


Perché l’hai salvato?
Perché ti sei svelata?

«Perché mi andava?» Coeur Noir rise della sua risposta, gettandosi sul divano con il sorriso sulle labbra: «Volevo vederli di persona. Vedere lei: è carina, non trovi? Mi ricorda me quando ero…»
Non dovevi farlo.
«Non sapranno mai chi sono.»
Non dovresti giocare.
«Stai diventando noioso, sai?» sentenziò la donna, alzandosi e andando allo specchio: «Minacciami pure, non mi fai paura. Vuoi usarmi? Fallo pure. Io non ho più niente: ho perso tutto il giorno in cui ti ho combattuto! Ho perso l’amore della mia vita, i miei amici, me stessa. Non hai più niente da togliermi.»


Chat balzò all’interno delle mura del fortino degli Agreste e sorrise al genitore che, serio, era fermo all’entrata della casa: «Potevi avvisarmi.» sentenziò Gabriel, osservando gli altri eroi giungere dopo il figlio: «Noto facce nuove.»
«Perché siamo qui?» domandò Peacock, guardandosi in giro: «Questa è la casa degli Agreste, o sbaglio?»
«Beh, lascia che ti presenti il portatore del Miraculous della Farfalla, noto a tutta Parigi come Papillon.» dichiarò Chat, indicando il genitore con la mano destra, mentre il suo Miraculous lanciava l’ultimo segnale prima che la trasformazione si sciogliesse davanti agli occhi: «E immagino che me…beh, noi già ci conosciamo, purtroppo.»
«Tu? Tu sei Chat Noir?»
«Eh già.»
«Adrien Agreste è Chat Noir? Mister Perfettino è…» Peacock si portò le mani ai capelli, scuotendo la testa e sentendo la trasformazione svanire; si voltò verso Ladybug, fissandola con lo sguardo incredulo: «Non dirmi che tu sei…»
Il Miraculous della Coccinella esalò l’ultimo respirò e l'eroina cambiò aspetto, ritornando a essere Marinette: sorrise, alzò una mano e facendola oscillare leggermente, in segno d saluto: «Ciao…» mormorò, raggiungendo immediatamente il biondo.
«Quindi non ti tradiva?»
«Ti pare che Marinette sia un tipo che tradisce?» domandò Adrien, passandole un braccio attorno alle spalle e sorridendo all’altro: «Basta vederla per capirlo.»
«Che vorresti dire con questo, Adrien?»
«Che sei bellissima?»
«Non credo che volessi dire questo.»
«E mentre riprendono i loro bisticci matrimoniali…» sentenziò Lila alle sue spalle, afferrando il proprio kwami per la coda prima che si schiantasse a terra: «Io sono Volpina. E lui si chiama Wei, ma tu lo conosci come Tortoise.» dichiarò, indicando il ragazzo accanto a lei.
«Io devo sedermi…» mormorò Rafael, sedendosi per terra e fissando gli altri cinque: «Ora mi venite a dire che Bee è la vostra amica. Alya, giusto?»
«No. Non è Alya.» dichiarò Marinette, avvicinandosi al ragazzo e chinandosi; abbozzò un sorriso, vedendolo portare subito una mano ai gioielli di famiglia, quasi a mo’ di protezione: «Magari non abbiamo iniziato con il piede giusto, ma che ne dici di unirti a noi, Peacock? Diventare parte del gruppo.»
«Ehi, io non lo voglio!»
«Micetto, non c’interessa!»


«Sarah, va tutto bene?» domandò Mikko, facendo capolino dalla borsa e osservando la ragazza che, immobile, stava ancora fissando la zona dello scontro: «Non vuoi andare…»
«Stavo pensando.»
«A cosa?»
«Quel guerriero…» mormorò, addossandosi contro il muro e osservando le persone passare davanti a lei: alcune si fermavano, indicando quello che era stato il teatro dell’ennesimo scontro; altre fotografano con i loro smartphone la fontana, altre ancora tiravano dritte per la loro strada: «Perché mi ha rapita? Perché voleva me? Me, non il mio Miraculous.»
«Non so. Di certo quel guerriero, quel Mogui, è importante per Coeur Noir.» dichiarò Mikko, scuotendo il capino: «Non è mai intervenuta per salvarne uno dei suoi, giusto?»
«Sì. E’ tutto così strano…»


«Tu! Maledetto!» urlò Plagg, avventandosi sul kwami arancio e spedendolo vicino al bordo del tavolo: «Pensavi di sfuggirmi in eterno? Eh? Eh?»
«Domanda.» dichiarò Adrien, osservando il proprio compagno combattere contro quello di Lila: «Perché Plagg ce l’ha tanto con il tuo kwami?»
«Storia vecchia.» bofonchiò la ragazza, addentando uno dei sandwich che il rinomato cuoco degli Agreste aveva preparato per tutti loro: erano riuniti nella sala da pranzo, il tavolo apparecchiato con panini e quant’altro lo chef aveva preparato; una piccola zona era stata adibita ai kwami che, finalmente riuniti, stavano chiacchierando amabilmente fra loro.
A parte Plagg e Vooxi.
«Se non sbaglio…» iniziò Wayzz, dopo aver masticato bene il pezzo di lattuga: «Riguarda una scommessa che fecero uno o due secoli fa.»
«Una scommessa?» domandò interessata Marinette, allungandosi e recuperando un biscotto dal vassoio davanti a lei: «Che genere di scommessa.»
«Se non sbaglio, all’epoca, i possessori dei Miraculous del Gatto Nero e della Volpe erano entrambi innamorati di Ladybug…»
«Tutti pazzi per Ladybug, prossimamente al cinema.»
«Adrien.»
Wayzz mordicchiò la foglia, masticando lentamente e poi buttando giù il boccone: «Comunque, erano entrambi innamorati e i due geni decisero di scommettere su quale dei loro pupilli avrebbe conquistato il cuore dell’amata; ma, come ben sapete, il filo del destino unisce sempre i possessori dei Miraculous del Gatto Nero e della Coccinella e così…»
«E così Vooxi perse la scommessa.» concluse Flaffy, addentando la barretta di cioccolata che teneva fra le mani.
«E in cosa consisteva il permio della scommessa?»
«Premio, Wei.» lo corresse immediatamente il kwami della Tartaruga, indicando poi i due kwami litiganti: Plagg stava tenendo un pezzo di camembert fra le zampe e stava cercando di farlo mangiare a forza a Vooxi, trattenuto sotto di lui.
«Dovevano mangiare del camembert?» domandò Adrien, scuotendo il capo: «Ma per Plagg non è una penitenza.»
«Plagg, avrebbe dovuto mangiare carne.» sentenziò Nooroo, fissando anche lui la scena e scuotendo il capo: «Mentre Vooxi il camembert.»
«Che cosa…?»
«Erano secoli che Plagg non metteva le mani su Vooxi.» mormorò Tikki, gustandosi il suo biscotto: «Di solito riusciva sempre a sfuggirgli.»
«Ma oggi no!» sentenziò il kwami nero, ridendo malvagiamente e osservando l’altro con la bocca piena di formaggio: «Finalmente! Finalmente oggi ho avuto ciò che mi spetta!»
Rafael si massaggiò il viso, osservando gli occupanti alla tavola: «Ma siete sempre così?» domandò, facendo vagare lo sguardo sui kwami e poi sugli altri cinque umani.
«A parte i kwami deficienti?» domandò Lila, indicando il felino e la volpe: «Mmmh. Sì, penso di sì.»
«Parlando di cose serie…» Gabriel attirò l’attenzione generale su di sé, mettendo fine all’aria goliardica: «Il guerriero nero. Mogui, esatto? Avete idee del perché abbia rapito la vostra amica?»
Rafael si addossò alla sedia, picchiettando le dita sul tavolo: «E’ apparso dal niente e l’ha presa.» mormorò, ripensando alla scena che si era svolta alla fermata dei bus: «Non c’era dubbio che voleva lei: le è comparso proprio dietro.»
«Forse ha qualcosa a che fare con tutto questo?» domandò Wei, scuotendo il capo e prendendo un sandwich: «Magari è Coeur Noir.»
«E la tipa in nero che è apparsa per salvare MoCoso?» chiese Adrien, sospirando: «No, non penso che Sarah sia Coeur Noir.»
«Ma allora perché Mogui avrebbe dovuto rapirla? Per quale scopo?» Lila lo guardò, mordendosi il labbro inferiore e osservando il tavolo, come se potesse dargli le risposte alle domande che aveva appena formulato.
«Forse gli piacciono davvero le bionde…»
«Adrien…»
«Seriamente, Marinette: Sarah non mi sembra una tipa da mettere a ferro e fuoco Parigi per avere i Miraculous.»
«Se è per questo nemmeno io sembro essere Ladybug o sbaglio?»
«E’ diverso. Tu sei buona, sia come Marinette che come Ladybug: anche se sbagli, fai sempre ciò che è giusto. Coeur Noir no. Coeur Noir sta mandando i suoi guerrieri per Parigi per avere i nostri Miraculous e per farne chissà cosa.»
«Sono d’accordo con il micetto: Sarah non mi sembra il tipo da fare questo genere di cose.»
«E allora perché è stata rapita?» chiese Wei, massaggiandosi il setto nasale: «Perché lei? Non è una normale studuntessa?»
«Studentessa.» lo corresse Rafael, scuotendo il capo: «Voleva lei. Poco ma sicuro. Perché?»
«E se ne parlassimo con chi ci ha dato i Miraculous?» buttò lì Lila, afferrando una manciata di patatine dalla ciotola di cristallo e portandosele alla bocca: «Magari sa qualcosa.»
«Dubito che ci dirà qualcosa.» sentenziò Adrien, poggiando la nuca contro la spalliera e fissando il soffitto: «Non l’ha fatto con Coeur Noir, non lo farà con Sarah.»
«Il maestro ha i suoi motivi.» dichiarò Wayzz, attirando su di sé l’attenzione generale: «E non pensate di avere informazioni da me: per quanto il mio protetto adesso è Wei, devo mantenere la promessa fatta al maestro Fu.»
«Quindi non parlerai, tartarughina?» chiese Rafael, punzecchiando il kwami verde con l’indice.
«Mi spiace. Wei, davvero…»
«Tranquillo, Wayzz. Sono certo che hai i tuoi motivi per non dirci nulla.»
«Non mi piace questa storia.» commentò Adrien, alzando la testa e fissando il padre a capotavola e la ragazza seduta al suo fianco: «Voglio sapere.»
«Come tutti noi, Adrien.» mormorò Marinette, facendo scivolare lo sguardo sugli altri e sospirando: in quella storia c’erano troppi punti oscuri, troppe domande e loro avevano veramente poche risposte.






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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.422 (Fidipù)
Note: Buon salve! E' lunedì, quindi è tempo di un nuovo capitolo! Qualche notizia random? Mh. In verità c'è veramente poco da dire - anche perché non vi voglio spoilerare troppo del capitolo! -, a parte qualche informazione sull'Osservatorio astronomico di Parigi che è luogo della parte finale di questo capitolo: lo sapete che  nasce per volontà di Jean-Baptiste Colbert, ministro delle finanze del Re Sole? E fu costruito nel 1667, diventando uno dei centri astronomici più antichi e interessanti della Francia e del mondo. Al suo interno, poi, si può trovare il merdiano di Parigi, utilizzato come meridiano zero prima di essere sostituito da quello di Greenwich.
E la pianto qui, giuro! Solo che mi diverto: scrivendo la storia, sto studiando un po' tutti i luoghi di Parigi e mi sto facendo una discreta cultura (sia sui monumenti che sui menu dei locali!).
Detto questo passo ai soliti ringraziamenti: grazie, davvero grazie di tutto cuore, a voi tutti che leggete, commentate (qui e su FB. Anzi, perdonatemi se sono indietro con le risposte, ma giugno e gli esami dell'università si avvicinano,quindi sto studiando come un'indemoniata...) e inserite questa storia nelle vostre liste.
Grazie grazie grazie grazie!



C’era qualcosa che non andava.
Questo pensò Sarah entrando nell’aula e trovando Rafael che stava tranquillamente parlando con Lila. E Marinette. E Adrien.
Mh.
C’era decisamente qualcosa non andava.
Si sistemò meglio la cinghia della borsa sulla spalla, avvicinandosi al gruppetto: «Proprio te volevo!» esclamò Alya, balzandole quasi addosso con il cellulare alla mano: «Posso farti un’intervista piccina picciò? Com’è stato essere rapita da quel guerriero? E, secondo te, perché ti ha presa? Puoi dirmi tutto quello che sai sugli eroi di Parigi? Li conosci oppure no? E…»
«Alya.» mormorò Marinette, scuotendo il capo di fronte all’atteggiamento dell’amica: «Lasciala respirare.»
«No.»
«Come no?»
«Senti, mister son figo, son bello e son fotomodello non mi ha saputo dire niente.» sentenziò Alya, indicando Rafael con un cenno della mano: «Quindi vado diretta alla fonte, ovvero la sequestrata. Ah! Perché non c’ero? Ultimamente mi sto perdendo tutte le imprese eroiche! Poi vogliamo parlare del gruppo! Abbiamo un gruppo di eroi come gli Avengers!»
«In verità sono molto meglio degli Avengers.» commentò Rafael, poggiando un fianco contro il banco di Alya: «Fra Cap e Tortoise, il secondo mi sembra meglio: può creare barriere, dai!»
«Mh.» Adrien si batté le dita sulle labbra, guardando il soffitto: «Se Tortoise è il Cap, Chat Noir è Iron Man. E Peacock…» si fermò, sorridendo all’altro ragazzo: «Beh, lui è senza dubbio Hulk.»
«Muori.» sibilò Rafael, fissando male il biondo che ricambiò sorridendo innocentemente.
«Ladybug chi sarebbe?» domandò Marinette, scuotendo il capo e sperando di mettere fine all’ennesimo litigio fra i due: da quando si erano incontrati non avevano fatto altro che punzecchiarsi a vicenda.
«Mh. Vedova Nera: è sexy quanto lei.» sentenziò Adrien, facendole l’occhiolino e ridacchiando, vedendola diventare rossa: «Mentre Volpina è Thor.»
«Mi unisco a Rafael: muori.»
«Oh. Andiamo! Thor ha il martello! Il martello è figo!»
«Ma non potevi dare Thor a Peacock?» sbuffò Rafael, incrociando le braccia: «Direi che ci sta di più come personaggio.»
«Peacock è Hulk. Ho deciso così.»
«E Bee?» chiese Sarah, attirando su di sé l’attenzione generale di tutti: «Lei chi sarebbe?»
«Mh. Occhio di Falco?»
«Solo perché è quello rimasto, eh?» domandò Lila, scuotendo il capo: «E Papillon chi fa? Nick Fury?»
Adrien si voltò, fissando la ragazza: «Per la prima volta, sono d’accordo con te.»
Alya li fissò, scuotendo il capo e sospirando: «Mai una volta che mi prendete seriamente.» dichiarò e si avvicinò a Nino, rimasto in silenzio ad ascoltare il discorso, poggiando poi la testa contro la spalla del ragazzo: «Non è cosa da tutti avere un gruppo di supereroi che salva la città e questi cosa fanno? Me li paragonano a quelli dei fumetti. Immagino che non seguite nemmeno più il Ladyblog: cosa lo fate a fare, non ho scoop! Sono sempre…» alzò la testa, fissando male il proprio ragazzo: «E’ colpa tua, sai?»
«Cosa?»
«Se tu non mi tenessi occupata, io potrei fare i miei scoop! Insomma, qua ne va di mezzo la mia futura carriera giornalistica!»
«Non voglio sapere come Nino tiene occupata Alya.» sentenziò Adrien, scuotendo il capo e fissando i due leggermente disgustato: «Davvero, non voglio sapere.»
«Hai presente quello che fate tu e Marinette?» gli chiese Alya sorridente: «Ecco, metti noi due al vostro posto.»
«Ecco. Non dovevi dirmelo.»
«Come siamo innocenti, micetto.» lo prese in giro Lila, spintonandolo per la spalla mentre Rafael scuoteva il capo, ridacchiando.
«Mi sono persa qualcosa?» domandò Sarah, avvicinandosi a quest’ultimo e osservando il gruppetto: «Insomma tu…»
«Diciamo che abbiamo raggiunto un punto d’incontro.» le spiegò il ragazzo, sorridendole: «Soprattutto io e mister perfettino.»
«Ti ho sentito, pennuto.»
Pennuto…
Quel soprannome ricordava qualcosa a Sarah, ma non riusciva a capire cosa; scosse il capo, poggiando la borsa nel posto accanto ad Alya e si sedette, ascoltando le chiacchiere degli altri, finché la professoressa non entrò e, diligentemente, Nino, Lila e Rafael andarono ai loro posti.
La mattina passò velocemente e, quando suonò la campanella che determinava la fine delle lezioni mattutine, Adrien fermò Rafael, che stava uscendo dall’aula: «Dobbiamo parlare.» dichiarò, facendo cenno anche a Lila e Marinette: «O meglio, metterci d’accordo.»
«Sia chiaro, se pensi a qualche entrata ad effetto per il gruppo…» iniziò Rafael, fissando male il biondo: «Io ne esco.»
«Ti prego non dargli idee!» esclamò Marinette, scuotendo il capo e stringendo la mano al proprio ragazzo: «Altrimenti inizierà a dire che dobbiamo avere un’entrata in scena.»
«Facciamo già entrate spettacolari.» sentenziò Adrien, dirigendosi con gli altri tre verso il cortile principale della scuola e, una volta lì, fece vagare lo sguardo verde, finché non adocchiò una panchina libera: «In verità volevo parlare di Fu.»
«Ma questo Fu è quello del centro massaggi Da Fu con ardore?» domandò Rafael, sedendosi e osservare Lila fare altrettanto, mentre Marinette e Adrien rimanevano in piedi davanti a loro.
«Cosa?»
«Non ci sei mai stato, perfettino? Da questo tipo, intendo.»
«Sì, ci sono stato.»
«E non hai mai letto l’insegna?»
«Ehm. No.» rispose Adrien, fissando l’altro: «Davvero si chiama così? Cioè mister Miyagi ha un centro massaggi e l’ha chiamato Da Fu con ardore
«Chi è mister Miyagi adesso?»
«Il maestro Fu. Mon minou lo chiama così.»
«Perfettino, non mi mettere troppi nomi in tavola.»
«Non sono tanti: tu sei pennuto, lei è volpe. Wei è Torty, il maestro è mister Miyagi.» iniziò Adrien, indicando poi la ragazza al suo fianco: «E lei è la mia signora. Fine.»
«Ma chiamare gli altri con il proprio nome ti fa fatica?» sbottò Lila, accavallando le gambe e fissando il biondo: «Comunque, torniamo all’argomento principale, perché vorrei andare anche in mensa. Sapete com’è, ho fame.»
Adrien annuì, sospirando: «In verità, è molto semplice: pensavo di fare un salto da mister Miyagi oggi, dopo la scuola. Andare tutti insieme – compreso Wei, ovviamente – e chiedergli di questo Mowgli.»
«Mogui.» lo corresse Marinette: «Dimmi che non l’hai fatto apposta.»
«Mowgli è più simpatico.»
«Adrien…»
«Ok. Ok. Gli chiediamo di questo Mogui e vediamo…» il biondo si fermò, alzando le spalle: «Vediamo se si comporta in modo strano o, nella migliore delle ipotesi, sa dirci cosa è.»
«Tutto qui?»
«Sì. Tutto qui, volpe.»
Lila annuì, osservando gli altri: «Per me si può fare.» dichiarò, prendendo il cellulare dalla tasca della giacca e scrivendo veloce un messaggio: «Sento Wei se può venire con noi.»
«Uh. Hai il suo numero…»
«Lo abbiamo tutti, micetto.»
«Io no.»
«Tu perché sei l’ultimo arrivato, pennuto.»
«Senti tu…»
«Non iniziate.» sentenziò Marinette, fissando male i due ragazzi: «Lila senti Wei. Per me non ci sono problemi ad andare. Rafael, per te?»
«Non ho problemi, boss.»
«E non chiamarmi boss.»
«Sei tu il capo, signorina coccinella.» dichiarò Rafael e sorridendo, stravaccandosi maggiormente sulla panchina: «E devo dire che è rassicurante avere te come leader e non lui.»
«Non sono il vostro leader.» dichiarò Marinette con un sorriso, ricevendo tre occhiate scettiche di rimando: «No. Non lo sono. Se io sono il vostro leader andremo incontro a una fine dolorosa: ci saranno terremoti, bombe atomiche e la terra esploderà.»
«Perfettino.»
«Che vuoi?»
«Come siamo arrivati dal fatto che lei è la leader del nostro gruppo all’apocalisse? Mi sono perso un passaggio.»
«E’ solo un suo film mentale.» dichiarò il biondo, sorridendo all’altro: «Stranamente stavolta non ci sono arresti, omicidi o mutilazioni…»
«Ah.»
«L’ultima volta che ne ha fatto uno, non mi ricordo come ma mio padre era inciampato in una scarpa ed era finito contro uno spigolo, finendo all’ospedale e l’aveva dichiarata colpevole mandandola in galera.»
«Ah.»
«Sarebbe una sceneggiatrice fantastica.»
«Convinto tu.»
«Ehi, belli e dannati.» li richiamò Lila, mostrando loro il cellulare: «Wei ha detto sì.»
«Bene. Allora oggi pomeriggio tutti Da Fu con ardore.»


Gabriel entrò nell’ascensore, premendo il pulsante del piano desiderato e osservò le porte chiudersi, purtroppo non abbastanza velocemente: un piede, calzato da un’elegante decolleté nera, si mise fra queste, facendole riaprire e il volto sorridente di Willhelmina Hart gli apparve davanti al viso.
Maledizione.
Quella donna era un incubo.
«Gabrielluccio!» tubò la stilista, entrando nell’ascensore e sbattendo le ciglia: il piccolo abitacolo s’impregnò del profumo dolce con cui si era cosparsa. Troppo dolce per i gusti di Gabriel.
«Buongiorno.» la salutò, rimanendo fermo al suo posto e osservandola preme il bottone del piano inferiore a quello a cui lui era diretto.
La fissò, studiandone l’abbigliamento vistoso: giacca rossa aperta, vestito stretto e dello stesso colore, scollatura generosa.
Borsetta e scarpe nere.
Trucco appariscente.
Unghie simili ad artigli.
«Ho saputo che hai cambiato alcune cose della tua sfilata.» commentò la donna, poggiandosi contro la parete argentata e incrociando le braccia sotto al seno: «Non pensi sia un azzardo? Siamo veramente a ridosso dell’inizio della settimana, ormai.»
«Non è un problema.»
«Immagino. Non è mai un problema per Gabriel Agreste, vero?»
«Spero che il fatto che sia così interessata alla mia sfilata significhi che la sua è pronta, signora Hart.»
«Signorina, grazie. Comunque sì, ho tutto sotto controllo. Sarà qualcosa di unico.»
«Posso immaginare.»
Willhelmina sorrise, sbattendo nuovamente le ciglia: «Sai, Gabrielluccio, sono molto interessata a te: sei vedovo da quanti anni ormai?» gli domandò, facendosi vicina a lui e carezzando i risvolti della giacca scura che l’uomo indossava quel giorno: «Immagino sia da tanto tempo, giusto? Potresti trovarti una nuova compagna, piuttosto che continuare a vivere nel ricordo di una moglie che ormai non c’è più.»
Gabriel la fissò un secondo, prendendole poi i polsi e allontanandosi da sé: «Il suo piano, signora Hart.» sentenziò, indicandole le porte che si erano aperte sul corridoio ove regnava il caos: «Inoltre, la mia vita privata non è affar suo.» continuò, spingendola fuori dall’ascensore e liberandosi della sua presenza: «Au revoir.» sentenziò, premendo il bottone del piano desiderato e osservando il volto della donna mentre le porte si chiudevano.
Rabbia.
Rabbia allo stato puro.
Sorrise, addossandosi contro la parete: se fosse stato ancora il vecchio Papillon, l’avrebbe subito akumatizzata…
Ma quello era il vecchio Gabriel.
Quello era l’uomo che aveva combattuto contro il proprio figlio.
«Adesso non sono così. Non sarò più così.» si disse, socchiudendo gli occhi: per Adrien, per Marinette – che era entrata nelle loro vite –, per Nooro e per l’amore della sua vita, non sarebbe più stato l’uomo di un tempo.

Fu osservò i cinque ragazzi, seduti nello stanza ove di solito accoglieva i clienti, mentre i kwami svolazzavano tranquillamente in giro: «Immagino che avete qualcosa da chiedermi.» commentò, facendo vagare lo sguardo su tutti loro: «E’ una bella cosa vedervi riuniti, anche se mancano due all’appello.»
«Mio padre doveva lavorare.» spiegò Adrien, massaggiandosi il mento: «Gli ho mandato un messaggio ma ha detto che non poteva venire.»
«E non sappiamo ancora chi è Bee.» continuò Marinette, sorridendo all’ometto: «Come ben sa.»
«Mh. Non l’avete ancora avvicinata?»
«In verità non vuole rivelarci chi è.» rispose Lila, fissando l’uomo: «Questa è la prima volta che c’incontriamo. Immagino sia lei che mi ha dato il Miraculous della Volpe.»
«Sì, Volpina.»
«Io…»
«Te lo sei guadagnato.» sentenziò Fu, annuendo con la testa: «Il tuo riconoscere gli errori fatti e il volerti migliorare mi ha fatto capire che sei l’unica a cui potevo darlo.» le spiegò, sorridendole calorosamente e poi facendo vagare lo sguardo sugli altri: «Voi siete le scelte che ho fatto come Gran Guardiano e non me ne pentirò mai: avete la forza, il coraggio e la volontà per elevarvi a difensori. Non potevo fare scelta migliore di voi, ricordatevelo sempre.» I cinque ragazzi annuirono, chinando leggermente la testa: «Ma immagino che avete qualche domanda per me, se siete tutti qui.»
«L’altro giorno abbiamo incontrato Coeur Noir.» iniziò Marinette, attirando subito l’attenzione dell’uomo: «Ecco, il suo ultimo guerriero – che lei ha chiamato Mogui – è strano.»
«Strano in che senso?»
«E’ molto più forte degli altri.» spiegò Adrien, sospirando: «E sembra avere una qualche volontà. Non so. Gli altri guerrieri che ci ha mandato contro avevano come chiodo fisso il combattere e distruggere tutto ciò che avevano davanti, questo nuovo…»
«Questo nuovo ha rapito una mia amica, apparendo dal nulla. Non l’ha scelta, era comparso proprio per prendere lei.» continuò Rafael: «Inoltre, con il potere della visione non riesco a trovare punti deboli: ogni volta che lo uso, sento una voce nella mia testa che dice “la sua vera natura”.»
«E il mio Lucky Charm, per due volte, ha fatto apparire uno specchio.»
«E  se questo tipo si riflette…» iniziò Lila, scambiandosi un’occhiata con Marinette: «…inizia a urlare e poi scompare.»
«L’ultima volta, Coeur Noir è apparita per salvarlo.»
«Apparsa, Wei.»
Fu annuì, ascoltando i cinque e poi si alzò, avvicinandosi al grammofono: «Non pensavo fosse possibile…» commentò, scuotendo il capo e intrecciando le mani dietro la schiena: «Il mio timore è che Coeur Noir abbia messo un suo cristallo in un essere umano.»
«Ci sta dicendo che stiamo combattendo contro una persona?» domandò incredula Lila, alzandosi in piedi: «Mogui non è un fantoccio come gli altri?»
«E cosa succede se lo sconfiggiamo?»
«Il fatto che il potere di Peacock e il tuo, Ladybug, non danno indizi su come annientarlo è importante.» spiegò Fu, voltandosi verso di loro: «Il cristallo…Non so se è possibile rimuoverlo ma i vostri poteri vi stanno dando una strada: fategli capire chi è veramente, solo così potrete sconfiggerlo e salvarlo. Forse in questo modo, la presa di Coeur Noir su questa persona si allenterà e sarà libera.»
«Ma non sappiamo nemmeno chi sia.»
«Hai detto che ha rapito una tua amica, Peacock.»
«E’ qualcuno che ha a che fare con Sarah? E chi?»
Fu abbozzò un sorriso, osservando i kwami che ascoltavano in silenzio e in disparte: «Questa, purtroppo, non è una domanda a cui io so rispondere.»


Sarah osservò il messaggio che aveva appena mandato ad Alex: il suo amico sembrava essere diventato un fantasma.
Aveva detto di essere lì per aiutarla e l’aveva visto pochissime volte.
Sospirò, alzando lo sguardo e osservando la cupola dell’osservatorio astronomico parigino: aveva scelto quel luogo per il semplice fatto che era il più vicino a casa sua, nonostante l’idea iniziale fosse stata quella di andare al Sacré Coeur, che aveva un posto speciale nel suo cuore.
Il cellulare vibrò e lei lesse velocemente la risposta dell’amico, sorridendo.
Sembrava lo stesso Alex di sempre.


Adrien si strinse nella giacca, osservando la fontana al centro del parco vicino casa di Marinette: «Che ne pensi?» domandò alla ragazza e voltandosi verso di lei, trovandola pensierosa; sospirò, passandole un braccio attorno alle spalle e attirandola verso di sé: «Quali pensieri turbano la mia signora?» le domandò, posandole le labbra sui capelli scuri.
Marinette si appoggiò al ragazzo, trovando conforto nel suo calore e alzò la testa, incontrando le iridi verdi: «Mogui è una persona.» mormorò, scuotendo la testa: «Una persona…»
«Abbiamo già affrontati nemici simili, non mi sembra il caso di farci tanti problemi.»
«Ma prima sapevo cosa fare: distruggevamo l’oggetto con l’akuma e poi lo purificavo. Ma ora…»
«Marinette…»
«E se sbagliassi qualcosa? E se io…»
«Marinette, calmati.» sentenziò il ragazzo, allontanandola da sé e posandole le mani sulle spalle: «Non succederà niente di sbagliato. Sei Ladybug, l’eroina di Parigi. Tu farai sempre la cosa giusta da fare…»
«Il mio passato è pieno di cose non giuste che ho fatto.»
«Sbagliare è umano, tesoro mio.»
«Non quando c’è di mezzo una vita, Adrien. Se per caso lo purifico e chiunque sia Mogui ci rimette?»
«Non succederà mai.»
«Come fai a esserne così sicuro?»
«Perché io ho fiducia in te. L’ho sempre avuta e sempre ne avrò.» le spiegò, tirandola verso di sé e cullandola nel suo abbraccio: «Andrà tutto bene, ne sono certo. Riusciremo a vincere anche questa.»
Marinette sospirò, circondando l’addome di Adrien con le braccia e stringendolo a sua volta: «Spero tanto che sia così.»
«Sarà sicuramente così. E stavolta non siamo soli: il peso di proteggere e salvare Parigi non è solo su noi due. Abbiamo dei compagni, adesso.»
La ragazza annuì, alzando il volto e fissandolo: «Hai ragione.»
«Io ho sempre ragione.»
«Mon minou…»
«Ok, quasi sempre ragione.»


Sarah osservò l’amico che, tranquillamente, stava camminando verso di lei: «Stai meglio?» gli domandò, alzandosi una volta che fu di fronte a lei: «L’ultima volta che ci siamo visti non avevi una bella cera.»
«Già.» mormorò Alex, massaggiandosi la nuca imbarazzato: «Sono venuto fin qua e l’unica cosa che vedo di Parigi sono i bagni.»
«Andare a farti vedere da un medico?»
«Nah. Ora sto benissimo.» sentenziò il ragazzo, sorridendole e poi guardandosi attorno: «Bel posto! Almeno qualcosa di questa città la vedo.»
«Magari domani ti porto a vedere le Sacré Coeur. Mi sono innamorata di quel luogo.»
«Ok! Perf…» Alex si interruppe, portandosi una mano alla gola e chinandosi sulle ginocchia, mentre il suo corpo era scosso e sembrava che fosse vicino a rimettere; Sarah si chinò al suo fianco, mentre il ragazzo s’inginocchiava per terra, le mani strette alla gola e le spalle incurvate.
«Alex…» mormorò la ragazza, poggiandogli una mano sulla spalla e sentendolo bollente al tocco: «Dobbiamo andare…» si fermò, osservando l’amico vomitare del fumo nero, che lo circondò come un bozzolo; Sarah si alzò, facendo qualche passo indietro e osservando la forma indistinta creata dalle volute nere tirarsi su: l’esalazione scura fasciò il corpo, trasformandosi nell’armatura che lei conosceva bene: «Mogui.» mormorò, osservando il guerriero che si era appena trasformato davanti a lei.
Mogui.
Alex.
Mogui.
Alex.
Fece un passo indietro, osservando sconvolta la maschera di cristallo nero, rivolta verso di lei: «Alex?» domandò titubante, mentre il guerriero alzava il viso verso il cielo e ruggiva rabbioso.
Scappare. Doveva scappare.
Si voltò, iniziando a correre sul ghiaietto e sentendo i passi di Alex – di Mogui – dietro di lei.
No, non poteva.
Perché? Alex stava con Coeur Noir? No, era impossibile.
L’aveva sempre aiutata a combatterla in America.
Ma allora perché si era trasformato nel suo guerriero?
Perché? Quando? Cosa era successo?
Calma, Sarah. Calmati.
Calmati. Puoi farcela. Devi salvare Alex.
Devi…Fare qualcosa.

Ma cosa poteva fare? Cosa poteva fare da sola?
Aveva bisogno di aiuto. Qualcuno che l’aiutasse.
Qualcuno…Gli altri. Doveva trovare gli altri.
Sì, perfetto. Ma dove?
Doveva trasformarsi e provare a contattarli. Sì, giusto. E se loro non erano trasformati in quel momento? Come avrebbe fatto?
Si voltò, fissando il guerriero: «Mikko.» mormorò, aprendo la borsa e permettendo alla kwami di volare fuori: «Trasformami.»
Io ti salverò, Alex. In qualche modo lo farò.
La luce della trasformazione l’avvolse, sostituendo i suoi abiti con quelli di Bee e, appena fu mutata, spiccò in volo, osservando il guerriero dall’alto: «Come posso fare?» mormorò, atterrando su un tetto e mettendo mano al piccolo schermo nel suo bracciale: provò a chiamare i numeri che aveva in rubrica, senza risultato.
Nessuno era trasformato, ovviamente.
Cosa faccio? Cosa posso fare?
Scosse il capo, correndo fino alla fine del tetto e balzando, aprì le ali ma una folata di vento le fece perdere l’equilibrio e cadde rovinosamente, chiudendo gli occhi e aspettando il contatto con la terra: strano, era certa che il marciapiede fosse decisamente più duro.
Quando aveva imparato a usare i poteri di Bee era caduta tante volte, ed era certa che avrebbe trovato qualcosa di duro e freddo, non una cosa relativamente morbida e calda: «Uao, è la prima volta che un’ape mi cade tra le braccia.» dichiarò una voce allegra maschile che lei conosceva bene.
Alzò la testa, incontrando lo sguardo grigio e spensierato di Rafael: «Va tutto bene, miss eroina?» le domandò, facendole l’occhiolino: «Mi stavi di nuovo pedinando?»
«Io…»
Bee scosse il capo, allontanandosi dall’altro e mettendosi seduta per terra: cosa ci faceva Rafael lì? Perché era lì? Si voltò indietro, domandandosi quanto distante fosse Alex – Mogui –? Era al sicuro Rafael? Poteva…
«Sembra che tu abbia qualche problema.» dichiarò il ragazzo, alzandosi e scuotendosi i pantaloni, allungando una mano verso di lei: «Posso aiutarti?»
«Sai per caso come fare a contattare i miei compagni? Perché è l’unico modo di aiutarmi.»
«Mogui è apparso di nuovo?»
Come faceva Rafael a sapere di Mogui? Lui non era…
Non c’era l’altra volta.
Non poteva sapere come…
«Come…?» iniziò, scuotendo il capo: «Come sai…?»
Il ragazzo sospirò, tirando fuori dalla maglia la catenina che aveva al collo: «Mi sono rilevato agli altri, perché non a te?» si domandò, mostrandole il monile a forma di coda di pavone: «Peacock, per servirla signorina apetta.»
«Peacock?»
«Già.»
Bee si portò una mano alla bocca, notando solo allora la somiglianza che c’era fra l’eroe e il ragazzo: Rafael era Peacock. Peacock che l’aveva avvicinata all’inizio, che aveva combattuto con lei…
«Aiutami.» mormorò, prendendolo per le spalle e fissandolo disperata: «Aiutami a salvare il mio amico. Aiutami a salvare Alex.»

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.818 (Fidipù)
Note: Ce la farò a rispondere alle recensioni, io ce la farò, ce la farò! Perché poi all'alba sorgerò!!! (cantata sulle note di All'alba sorgerò).
Ok, perdonate il piccolo sclero-time, ma mi era partita la traccia all'mp3 e la mia mente...beh, non è tanto sana. Bene, bene! Eccoci qua con il capitolo numero 25! Devo dire che quando postai il primo, non pensavo assolutamente che avrei continuato e che questa storia sarebbe piaciuta così tanto! Sono felice, davvero felice!
Cosa c'è da dire su questo capitolo? Mh. Ah! Giusto! La patisérie citata da Rafael nel capitolo è questa qua e sì, potrei evitare di mettere il link del sito, pieno di dolci e cioccolatini ma mi sembrava giusto condividere.
Detto questo, come al solito, voglio ringraziare tutti voi che leggete, commentate (sia qui che su FB: mi piace leggere le vostre opinioni e le ipotesi che fate <3), inserite questa storia nelle vostre liste e...
Beh, davvero grazie grazie grazie grazie! Di tutto cuore e dal più profondo: Grazie!



Rafael osservò l’eroina che, addossata contro il muro, si teneva una mano all’altezza del cuore: Aiutami a salvare il mio amico. Aiutami a salvare Alex, le parole che lei gli aveva detto con voce disperata rimbalzavano nella sua mente.
Alex.
Al momento conosceva un solo Alex, l’amico di Sarah.
Possibile che sia lei?, si domandò, osservandola: i capelli biondi, gli occhi nocciola…
Mh. Sì, in effetti si assomigliavano veramente molto.
Sbuffò, buttando giù il telefono e imprecando sottovoce: sia Lila che Adrien non gli rispondevano. Che accidenti avevano da fare di così urgente da ignorare la chiamata? Scosse il capo, appoggiandosi anche lui contro la parete e abbozzando un sorriso alla ragazza vicina; corse lungo il menu della rubrica, selezionando il nome di Marinette e portandosi nuovamente l’apparecchio all’orecchio…
Se non rispondeva neanche lei…
«Rafael?» mormorò la voce della ragazza dall’altro capo dopo alcuni squilli, facendolo sospirare: «E’ successo qualcosa?»
«Abbiamo un problemino.» sentenziò veloce il ragazzo, strizzando l’occhio a Bee: «Mogui è apparso di nuovo ed io sono con Bee che…beh, mi ha chiesto di aiutarlo, dato che è un suo amico.»
«Sei con…»  ripeté la ragazza con la voce incredula: «Aspetta ma non sei…»
«Ah no. Sono ancora io, però le ho detto chi sono.» dichiarò Rafael, sentendo la ragazza trattenere il respiro e poi parlottare con qualcuno che era con lei: sicuramente mister perfettino, pensò fra sé, passandosi una mano fra i capelli e portando indietro alcuni ciuffi.
«Rafael?» la voce di Adrien gli arrivò all’orecchio ed era carica di rabbia maltenuta: «Capisco che ti sei voluto rivelare a noi, ma non è che adesso puoi andare tranquillamente in giro e dire “Oh, ma lo sai? Sono quel pennuto idiota! Sì, quello infilato in una tuta blu puffo…»
«E’ blu pavone.»
«…che starnazza come un deficiente!”»
«E’ Bee, nessun problema.»
«E’ uguale!» sbottò Adrien e sospirò, quasi Rafael se lo immaginò mentre scuoteva il capo: «Dove sei?»
«Vicino all’osservatorio astronomico.»
«Arriviamo.»
«Puoi contattare anche l’altra coppietta? Ho provato a chiamare Volpina ma non mi risponde. Come qualcun altro…»
«Ehi, ero occupato!» sentenziò spiccio Adrien e Rafael fu sicuro di sentire Marinette gridare qualcosa: «Comunque chiamo Wei, sperando che Lila lo stia tormentando come al solito.»
«Perfetto. Vi aspetto qua. E sbrigatevi.»
«Fai conto di vedere già la mia coda, pennuto.»
Rafael scosse il capo, chiudendo la chiamata e infilandosi il cellulare nella tasca posteriore dei jeans: «Stanno arrivando.» dichiarò, sorridendo alla ragazza: «A breve saranno qui.»
«Faranno in tempo….» iniziò l’eroina, voltandosi nella direzione da cui sarebbe dovuto apparire Mogui: «Era molto vicino.»
«Forse si sarà messo a rapire qualche altra bionda.» sentenziò Rafael, incrociando le braccia e alzando la testa verso il cielo, tenendo d’occhio i palazzi in attesa degli altri: «Sai, tipo l’altro giorno…»
«Hai capito chi sono, vero?»
«A differenza di quel gatto spelacchiato, sono molto più intelligente.» dichiarò, sorridendole caloroso: «E quando hai chiesto di aiutarti a salvare il tuo amico Alex.» si fermò, scuotendo il capo biondo: «Non per dire, ma non è un nome molto comune a Parigi.»
«Io non…»
«Tranquilla, se non hai detto chi eri avevi i tuoi buoni motivi, no? Come tutti noi.»
Bee annuì, voltandosi nuovamente indietro e inspirando profondamente: «Dovresti trasformarti.» sentenziò, cercando di concentrarsi e sentire qualcosa: un guerriero di Coeur Noir, lasciato solo e arrabbiato…beh, sicuramente avrebbe distrutto tutto quello che avesse trovato a tiro, invece il quartiere era stranamente silenzioso.
Al suo fianco, Rafael sospirò: «Flaffy.» mormorò, facendola voltare in tempo per vedere un kwami celeste e con la coda da pavone svolazzare davanti il ragazzo: «Trasformarmi.» Bee socchiuse le palpebre davanti la luce della trasformazione che, una volta, svanita aveva lasciato il posto a Peacock: «Beh, che ne dici?» commentò il ragazzo, piroettando su se stesso.
«Sei identico a ogni volta che ti ho visto.»
«Ma questa è la prima volta che mi vedi trasformare.»
«E allora?»
Peacock aprì la bocca, pronto a ribattere quando alcuni movimenti lo interruppero; si voltò, osservando Ladybug e Chat Noir balzare dall’altro lato della strada: l’eroina lo salutò con un braccio alzato verso l’alto e lui ricambiò il saluto, notando anche l’arrivo di Tortoise e Volpina: «Scusate il ritardo.» commentò Ladybug, sorridendo a loro, una volta che ebbe attraversato la strada assieme agli altri: «Dov’è Mogui?»
«Dovrebbe essere qui in zona.» rispose prontamente Bee, voltandosi indietro: «Anche se…»
«Anche se?» incalzò Chat, incrociando le braccia e fissando intensamente l’ape: «Su, continua.»
«Non trovate che sia troppo silenzioso?»
Tortoise annuì, guardandosi attorno: «E’ tranquillo. Non si dice.»
«Non si direbbe, Tortoise.» lo corresse Volpina, trovandosi d’accordo: non c’erano persone che urlavano e fuggivano, nessun rumore di distruzione, niente. Assolutamente niente.
«Dividiamoci e controlliamo il quartiere.» sentenziò Ladybug, socchiudendo gli occhi: «Dove è apparso Mogui?»
«All’osservatorio astronomico. Avevo un appuntamento con Alex e, poco dopo essere arrivato, si è sentito male e…» Bee si fermò, scuotendo il capo: «Beh, si è trasformato in Mogui.»
«Alex?» domandò Volpina, fissando l’altra intensamente: «Ma non è l’amico di…Sarah?»
«Ciao.» mormorò l’ape, agitando una mano in segno di saluto: «A quanto sembra ci conosciamo anche nella vita di tutti i giorni, eh?»
Volpina scosse il capo, ridendo: «Lila. E loro sono Marinette e Adrien.» dichiarò, indicando prima se stessa e poi la coppia: «Mentre immagino che non hai avuto il piacere di conoscere Wei; mentre Rafael…»
«Beh, il pennuto sta dicendo a tutta Parigi chi è.»
«L’ho detto solo a voi.»
«Fermatevi.» ordinò Ladybug, bloccando l’ennesimo scambio di battutine fra i due: «Abbiamo Mogui a piede libero: non è il momento, ok?» si zittì, guardandosi attorno: «Esattamente dove siamo qui?»
«Boulevard Blanqui.» le rispose Peacock, abbozzando un sorriso: «Ero venuto qua per andare a una patiserié che Flaffy adora, ma poi qualcuno mi è caduta fra le braccia.»
«Scusa.»
«Nessun problema.»
Ladybug annuì, socchiudendo gli occhi: «Volpina, Tortoise. Voi andate a destra. Bee, Peacock, voi a sinistra; mentre Chat ed io andremo a diritto. Dobbiamo trovarlo e circondarlo.»
«Ma come faremo a batterlo? Lui è…»
«Qualcosa ci inventeremo Bee, ok?»
La ragazza annuì, voltandosi poi verso Peacock e, dopo un cenno d’assenso da parte dell’eroe, si diressero nella direzione detta loro, mentre Volpina e Tortoise andavano dalla parte opposta: «Hai un piano, my lady?» le domandò Chat, prendendo il suo bastone e allungandolo, in modo da usarlo come asta per raggiungere il tetto.
«No.»
«E allora…»
«Qualcosa faremo. Non permetterò che Alex ci rimetta.»
«Purrfetto! Così mi piaci.»


Coeur Noir osservò il guerriero che, immobile nel parco, osservava la direzione in cui la ragazza era scomparso: «E così quella è Bee…» mormorò, abbracciando da dietro Mogui e stringendolo a sé: «Sei stato bravo, mio servo, a far uscire allo scoperto uno di loro. Ora so chi possiede il Miraculous dell’Ape.»
Mogui urlò, alzando il viso verso il cielo e Coeur sorrise: «Va tutto bene, piccolo mio. Va tutto bene.» gli mormorò, facendolo voltare e posando le mani sulla maschera di cristallo: «Vieni con me, mio guerriero.» bisbigliò, mentre volute di fumo scuro e denso li avvolgevano: «Io ti aiuterò.»


Tortoise si fermò, osservando la strada e scuotendo il capo: «Non c’è.» urlò, alzando la testa e osservando Volpina immobile a mezz’aria: «Sentiamo altri?» domandò, mentre la ragazza planava dolcemente, guardandosi a destra e a sinistra, annuendo poi con un sospiro; il ragazzo mise mano allo scudo, premendo la pietra centrale e attendendo, finché il volto di Chat Noir non comparve al centro: «Ehi, Torty. Che si dice?»
«Noi non abbiamo trovato niente. La zona è a posto.»
«Anche noi. Siamo arrivati fino all’osservatorio ma nulla.»
«E’ possibile che sia svanito?» domandò Volpina, sbuffando: «Anche se mi chiedo come sia possibile: grosso, nero, arrabbiato. Come accidenti ha fatto ad andarsene così?»
«Non lo so, volpe.»
«Bee e Peacock? Li avete sentiti?»
«Mi ha chiamato prima il pennuto. Anche loro niente.» sbuffò Chat, scuotendo il capo: «Ladybug dice di fare un ultimo giro e poi andarcene. Ci troviamo tutti da mister Miyagi, ok?»
«Perfetto!»
«Si dice purrfetto, Torty.»
«Purrfetto.»
«Non ascoltarlo!» sbottò Volpina, chiudendo la comunicazione e scuotendo il capo: «Mai ascoltare il gattaccio.»


Fu sospirò, sentendo il campanello suonare: per una volta che aveva chiuso il negozio, desideroso di rilassarsi, qualcuno era giunto a disturbarlo: «Fa che sia qualcosa di grave…» borbottò fra sé, andando ad aprire la porta e ritrovandosi sei Portatori di Miraculous trasformati.
Li guardò uno a uno, studiando le maschere e l’abbigliamento: questi Portatori moderni. Sembravano usciti da uno di quei film tutti effetti speciali che si vedeva ogni tanto in televisione….
«Come mai siete qui?» domandò, aprendo la porta e facendoli entrare: «Sarebbe casa mia. Sapete?»
«Ci sembrava un posto carino dove riunirsi.» gli disse Chat Noir, facendogli l’occhiolino e rilasciando andare poi la trasformazione, tornando a essere Adrien Agreste.
Uno a uno, anche gli altri cinque lo imitarono e la saletta ove Fu accoglieva i clienti fu piena di adolescenti e kwami.
Bella giornata di riposo, sì.


Alex uggiolò di dolore, aprendo le palpebre e notando il soffitto: ok, dov’era?
Ricordava di essere andato all’osservatorio astronomico per incontrarsi con Sarah. L’aveva incontrata oppure no?
Non ricordava. E non ricordava come fosse arrivato lì.
In verità non sapeva neanche dove fosse.
Si tenne la testa, alzandosi a sedere e osservando l’ambiente: sembrava una camera di un albergo. Una costosa camera di un albergo altrettanto costoso: l’arrendamento lussuoso, la grande vetrata che dava sulla capitale parigina.
Oh! Finalmente vedeva la Tour Eiffel.
Da lontano, però.
Ok, le cose importanti prima: cosa era successo? Perché era lì?
«Ti sei alzato.» commentò una voce femminile, facendolo voltare: seduta su un divanetto, una donna lo osservava sorridente con un bicchiere di vino in mano: «Mio Mogui.»
«Veramente mi chiamo Alex.»
La donna sorrise, inclinando il capo e Alex notò solo allora il grande specchio che era alle sue spalle: «I nomi non hanno tanta importanza.» sentenziò la sua ospite, buttando giù il liquido cremisi e schioccando poi le labbra: «Anch’io sono stata chiamata in tanti modi, ma nessuno di questi ha mai definito pienamente chi io fossi.»
Bene. Fantastico.
Era in balia di un’alcolizzata.
Lentamente scivolò sul bordo del letto, poggiando i piedi nudi per terra e sentendo il parquet freddo: «Senta, la ringrazio per avermi aiutato, qualsiasi cosa sia successa, ma io devo andare.»
«Vuoi veramente andare, mio Mogui?»
«Già. Devo andare.»
«E dove…?»
«Ecco, io…» Alex si fermò, sbattendo le palpebre e notando solo allora che lo specchio non rifletteva la stanza: no, la superficie era scura e sembrava come se fosse in movimento perpetuo.
Sto male. Decisamente male.
La donna sorrise, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sul petto, all’altezza del cuore, con il palmo aperto: «Sei legato a me, mio Mogui. Sei il mio guerriero più fidato, sei l’unico che può portarmi i Miraculous…»
«Cosa…» iniziò il ragazzo, zittendosi quando una scarica gli attraversò il corpo, mettendolo in ginocchio: quel dolore, nuovamente.
Quel bisogno di buttare fuori qualsiasi cosa il suo stomaco contenesse; inspirò a fondo, poggiando le mani contro il pavimento e cercando di respirare: gli manca l’aria, non sapeva come fare a respirare…
Alzò la testa, gemendo di dolore, e quasi fu certo di sentire una risata provenire dalla donna.
E poi...
Di nuovo l’obliò.


«Mikko!» Tikki si lanciò sulla kwami gialla, abbracciandola fra le zampine: «Quanto mi sei mancata!» esclamò, strofinando il musetto contro quello dell’altra e facendo ridere le partner umane delle due.
«A quanto pare i nostri kwami si conoscono.» mormorò Sarah, osservando Mikko venire letteralmente sommersa dalle chiacchiere di Tikki: «Non mi aveva mai accennato ad altri come lei, almeno finché non siamo venute qui a Parigi.»
«I kwami si conoscono tutti.» spiegò Fu, sorridendo al gruppo di ragazzi: «Da quando l’uomo è apparso sulla Terra, ha sempre avuto bisogno di qualcuno che si ergesse per proteggerlo: per questo vennero creati i Miraculous e i loro rispettivi spiriti protettori. Inoltre, Tikki e Mikko sono le uniche due signorine fra loro sette.»
Sarah si guardò attorno, notando solo allora l’assenza dell’ultimo Portatore: «Manca Papillon…» mormorò, guardando uno per uno gli altri: «Oppure è il signor Fu?»
«Papillon è mio padre.» le spiegò Adrien, sorridendole: «Gli ho mandato un messaggio prima, ma con la settimana della moda vicina non può assentarsi dal lavoro. Ci penserò io a spiegargli tutto.»
«Bene, Sarah.» sentenziò Lila, poggiando i gomiti sul tavolino basso e osservando l’americana: «Pendiamo dalle tue labbra.»
Sarah sorrise, portandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli biondi: «E’ iniziato tutto due anni fa: io vivevo a New York e…beh, era un periodo in cui c’erano degli strani attacchi da parte di guerrieri orientali completamente vestiti di nero…»
«I guerrieri di Coeur Noir.»
«Esattamente, Adrien.» Sarah annuì, osservando il legno del tavolo e sospirando: «Un giorno tornai a casa e andai in camera mia come al solito: fortunatamente vivevo in una zona abbastanza tranquilla. Era un quartiere residenziale il mio, perché quei guerrieri avrebbero dovuto attaccarlo? Ma mi sbagliavo. Quel giorno, poco prima che io salissi in camera mia, ci fu un boato all’esterno e, quando mi avvicinai alla finestra, vidi tre di quei guerrieri marciare per la strada. Corsi nella mia stanza e, solo allora, notai la scatolina nera che era sulla mia scrivania…»
«Mister Miyagi, se continua così, prima o poi verrà arrestato per violazione di domicilio.» dichiarò Adrien, voltandosi verso l’anziano e rimediando uno sguardo di rimprovero.
«La aprii e…beh, immagino che tutti voi sappiate cosa successe: da quel giorno diventai Bee e iniziai a contrastare i guerrieri di Coeur Noir, aiutata anche da Alex a cui avevo svelato la mia identità: era il mio migliore amico fin da quando ero piccola e non potevo tenergli nascosto questa cosa.»
«Perché sei venuta in Francia?» domandò Marinette, osservando come l’altra stava martoriando la manica della felpa: «Hai detto che hai seguito Coeur Noir…»
«Sì. Un giorno gli attacchi cessarono misteriosamente. Senza motivo. Fino al giorno prima c’era la possibilità che i guerrieri neri apparissero e poi…puff! Spariti nel nulla.» Sarah si fermò, portandosi una ciocca di capelli indietro: «Con Alex indagammo, ma senza riuscire a trovare qualcosa e fu allora che Mikko mi disse di venire a Parigi: c’era la possibilità che qui ci fossero altri Portatori e che Coeur Noir volesse prendere i loro Miraculous. E…beh, eccomi qui.»
«Alex all’epoca era già…» iniziò Rafael, sospirando rumorosamente: «Era già Mogui?»
«No. Non l’ho mai incontrato prima.»
«Quindi può darsi che il cristallo gli sia stato inserito dopo che Coeur Noir è venuta a Parigi? Ma come ha fatto?» domandò Rafael, voltandosi verso gli altri: «Come può…»
«Cosa stai dicendo?»
Vedi, Sarah…» Fu prese parola, sorridendo alla ragazza: «Ho il sospetto che Coeur Noir abbia inserito un frammento di cristallo nel tuo amico, in modo da controllarlo e manovrarlo, creando un guerriero immensamente più forte dei suoi fantocci.»
«Ma Alex non ha mai…»
«Si può dire che Coeur Noir è posseduta.» spiegò Fu, fissando il gruppo: «E ciò che la possiede può interagire con gli specchi…»
«Quindi, Coeur Noir può avere deciso di prendere qualcuno e, quando questo si  è specchiato, gli ha messo il cristallo addosso?»
 «Sì, Lila.»
«Ma perché Alex? Coeur non sa chi sono.»
«Forse Alex è qualcuno che l’ha interessata.» mormorò Fu, scuotendo il capo canuto: «O forse è stato terribilmente sfortunato.»
«Maestro Fu.» mormorò Wei, fissando l’anziano: «Sembra che lei sappia tante cose su Coeur Noir.»
«Forse so anche fin troppo su Coeur Noir.» commentò l’ometto, alzandosi in piedi e voltando loro le spalle: «Ma prima di rivelarvi ogni cosa, vorrei essere sicuro.»
«Sicuro di cosa? Di farci ammazzare?»
«Adrien…»
«No, niente Adrien, Marinette. Lui sa ed io sono stanco di non sapere nulla su chi sto combattendo.»
«Mi sembra che anche con Papillon eri in queste condizioni, Chat Noir.»
«La situazione era differente.»
«La situazione è uguale, Chat.» sentenziò Fu: «Ogni cosa vi sarà detta a tempo debito: non voglio rivelarvi più dello stretto necessario. Per quanto pensiate che sia crudele da parte mia, ma lo faccio solo per il vostro bene.»
«Ma…»
«Ogni cosa che mi dirai, Adrien Agreste, non mi farà vacillare.»
Il silenzio calò come una cappa su tutti loro: Sarah li osservò uno per uno, scuotendo poi il capo biondo: «Io non so molto su Coeur.» mormorò, abbozzando un sorriso: «Non l’ho mai incontrata quando ero a New York e mi sono sempre scontrata con i suoi guerrieri; l’unica cosa che so è che è determinata a vincere e a possedere tutti i Miraculous: lo so, non è niente a paragone di ciò che ci direbbe il signor Fu, ma…»
«Grazie, Sarah.» mormorò Lila, prendendole le mani fra le sue e stringendole: «E grazie di averla seguita fin qua e di essere al nostro fianco.»
«Quindi siamo un gruppo adesso?» domandò Rafael, alzando le braccia: «Siamo diventati gli Avengers parigini?»
«Siamo anche molto meglio, pennuto.»
«E siamo sicuri di alcune cose.» dichiarò Marinette, sorridendo agli altri: «Salveremo Alex, impediremo a Coeur Noir di mettere le mani sui nostri Miraculous e la sconfiggeremo.»

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.843 (Fidipù)
Note: Buonasera a tutti voi! E benvenuti con un nuovo capitolo di Miraculous Heroes! A differenza delle altre volte, questa volta...beh, ho molto da dire! Parto prima di tutto col dire che l'Hotel Aviatic (ove alloggiava Alex prima di essere stato rapito da Cerse..ehm, volevo dire Coeur Noir) è un posto abbastanza economico - si tratta di un hotel a tre stelle - posto nel XIV arrondissement. Nel caso interessasse e volete passare una vacanza a Parigi lì...beh, ditegli che vi mando io e loro vi guarderanno come a dire: Ok. E chi sarebbe?
E dopo la demenza, passiamo alle cose serie: fin da quando ho iniziato a scrivere questa storia, ho sempre cercato di non allontanarmi dall'atmosfera che avevo respirato durante le 26 puntate della serie; mi sono sempre appoggiata a ciò che è stato detto durante le varie puntate e alle poche cose che Astruc diceva nei suoi tweet; continuando a scrivere, però, mi sono accorta che stavo creando una mitologia tutta mia su quell'universo, poiché mi mancavano alcuni tasselli e, in questo capitolo, si avverte ancora di più: come per la storia, anche per la mitologia, l'universo, che c'è dietro Miraculous Heroes, ho cercato di rimanere fedele il più possibile all'opera originale, aggrappandomi a quei pochi tasselli che Thomas Astruc ha dato sul suo mondo. E questo è tutto. Sinceramente spero che le idee che ho avuto vi piacciano e...beh, come al solito voglio ringraziarvi tutti e abbracciarvi virtualmente: grazie di tutto cuore per i commenti che mi lasciate - giuro, li leggo ogni volta e mi piacerebbe trovare il tempo di rispondere: spero in settimana di riuscirci, perchè lo meritate! -; grazie per il semplice fatto che leggete questa mia storia e...
Beh, niente. Semplicemente grazie!



Marinette sospirò, aprendo gli occhi e osservando il piano inferiore della propria camera: «Dovresti dormire, sai?» mugugnò la voce di Adrien dietro di lei mentre il braccio, che le cingeva la vita, aumentò un po’ la presa: «E se proprio vuoi rimanere sveglia, fai dormire gli altri almeno.»
La ragazza sorrise, voltandosi nell’abbraccio del ragazzo: «Se devi lamentarti, vai a dormire a casa tua.» dichiarò, passandogli un braccio attorno alla vita, stringendosi così a lui e strofinando il naso contro il petto nudo, sentendolo sospirare.
Adrien aprì un occhio, fissandola assonnato: «Sei crudele, sai?» le bisbigliò, abbassando nuovamente la palpebra e lasciandosi sfuggire uno sbuffo: «Dormirai adesso oppure devo darti una mano a scaricare un po’ di stress?»
«Sempre pronto per quello, eh?»
«Ovviamente sì, my lady.»
Marinette sorrise, allungando una mano e sfiorando delicata i lineamenti del volto: «Hai intenzione di non farmi riposare, vero?» le chiese il biondo, catturandole la mano con la propria e portandosi i polpastrelli alle labbra, mentre gli occhi verdi si aprivano faticosamente: «Quali pensieri vorticano in questa graziosa testolina?»
La ragazza allungò una mano verso il ripiano sopra il cuscino e, attenta a non svegliare i due kwami che dormivano acciambellati lì, prese il suo cellulare guardando l’ora, scuotendo poi il capo: «Lascia stare.» dichiarò, riponendo l’apparecchio e abbozzando un sorriso: «Sono quasi le tre e fra qualche ora devi andare, dormi.»
«Certo. Come se mi fosse possibile.» brontolò il ragazzo, picchiettandole l’indice contro la fronte: «Su, avanti. Dimmi che problemi hai. Alla fine servo anche a questo.»
«Servi come mio confessore?»
«No, direi più come spalla su cui piangere, roccia a cui aggrapparsi…»
«Sei multiuso.»
«Già. Che fortuna, eh?»
Marinette sorrise, stringendosi maggiormente al ragazzo: «Stavo pensando a Mogui…» mormorò dopo qualche momento di silenzio, mentre il ragazzo le carezza la schiena lentamente.
«Io pensavo a qualcos’altro, invece.»
«Adrien…»
«Senti, non posso pensare a qualcos’altro se mi stringi così; e poi…» si fermò, carezzandole la pelle nuda e chinando il viso verso di lei, sfiorandole l’orecchio con le labbra: «…ti devo ricordare che non hai niente addosso?»
«A-adrien!»
«Sei diventata rossa, vero? Quanto vorrei avere la vista notturna anche adesso.» sghignazzò il ragazzo, girandosi sulla schiena e sentendola sistemarsi al suo fianco: «Davvero. Qual è il problema che ti tiene sveglia?»
«A parte te?»
«Io non sono un problema. Io sono la soluzione.»
Marinette rise, allungandosi e baciandogli il collo: «Grazie.» mormorò, sistemandosi meglio contro di lui e usandolo come cuscino: «Secondo te Alex saprà di essere Mogui?»
«Non lo so, my lady. Non è che abbia tutta questa conoscenza e per quel poco che ci ho parlato l’altro giorno…Non so. Forse no, forse sì. Dovresti fare questa domanda a Sarah.» le spiegò il ragazzo, rimanendo poi in silenzio: la stanza calò nella tranquillità, riempita solo dal leggero russare di Plagg e da alcuni pigolii di Tikki: «Loro non si fanno tanti problemi, vero?»
Marinette gettò la testa all’indietro, osservando i due kwami che dormivano sul ripiano barra comodino del letto: «E’ stato carino vederli tutti assieme.»
«Mancava Nooroo.»
«Dovremmo fare una riunione a casa tua. Penso che Nooroo senta un po’ la mancanza dei suoi amici.»
«E non dimentichiamoci che l’unica compagnia che ha quel povero kwami è mio padre.»
«Adrien…»
«Ehi, è vero.»
Marinette sospirò, poggiandosi di nuovo contro la spalla: «Stavo pensando una cosa…» mormorò dopo un po’, sentendo il suo cuscino ridacchiare sommessamente: «Che cosa ti è venuto in mente, Adrien?»
«Nulla. Per caso i tuoi pensieri erano incentrati sul fare una certa cosa finché io non devo andare via per non farmi beccare da tuo padre?»
«Ma possibile che pensi solo a quello?»
«Ehi! Sono un sano ragazzo di diciotto anni! E’ normale che pensi solo a quello.»
«Ti sei dimenticato che sei anche un gatto in calore.»
«Non ricordarmelo, ci pensa già Plagg a sottolineare questa cosa.» bofonchiò Adrien, voltandosi di lato: «Devo fare una ricerca sulle abitudini delle coccinelle in questo campo.»
«Cosa?»
«Beh, come io risento della parte felina che è in me, penso che tu risenta del tuo lato coccinelloso.»
«Alya mi ha informato su questo lato: le coccinelle si accoppiano una volta l’anno, in primavera.»
«Ah, ecco perché sei così fredda con me!»
«Cosa?»
«Stavo scherzando, my lady. So benissimo quanto sei…mh. Calda? Appassionata?» dichiarò Adrien, tappando la bocca alla ragazza e allungando il collo verso la botola: «Comunque non è l’ora adatta ai tuoi strilli.» sentenziò il ragazzo, togliendo la mano e dandole un bacio veloce: «Vorrei evitare che Tom mi uccida.»
«E a me piacerebbe tanto dormire, sapete?» borbottò Plagg, attirando l’attenzione su di sé: «Già mi devo tappare le orecchie quando vi accoppiate…»
«Plagg, ci sono tanti modi per definirlo.»
«…e poi devo pure starvi a sentire chiacchierare alle…» l’esserino si fermò, guardandosi intorno: «Che ore sono?»
«L’ora che tu dorma, brontolone.» borbottò Tikki, allungando una zampina e costringendo l’altro a rimettersi giù: «E lasciali in pace. Vorrei ricordarti di com’eri tu alla loro età.»
«Aspetta. Eravate umani, Tikki?» domandò Marinette, girandosi e mettendosi prona, in modo da osservare l’esserino rosso che, ancora sdraiata sul suo cuscinetto, stava aprendo pigramente gli occhi: «Voglio dire, prima di essere…»
«Prima di essere kwami?» domandò Plagg, sbadigliando rumorosamente e grattandosi il pancino: «Sì, un tempo lo eravamo. Un tempo molto lontano.»
«Davvero?»
Tikki sospirò, alzandosi in piedi e sedendosi di fronte ai due ragazzi che, ormai erano completamente concentrati su di lei e sul suo compagno: «Il maestro Fu vi ha spiegato che i Miraculous sono stati creati quando l’uomo è apparso sulla Terra, no? L’umanità ha sempre avuto bisogno di qualcuno che la proteggesse e per questo che alcuni sciamani crearono i gioielli che voi indossate…» la kwami si fermò, scuotendo il capino rosso: «…all’epoca erano molto diversi, possiamo dire che erano molto ma molto più grezzi.»
«Se non sbaglio hanno preso la forma di adesso quando fu creato lo scrigno…» borbottò Plagg, tenendosi il mento con una zampina: «Dovete sapere che i Miraculous, quando non sono in mano ai loro Portatori, vengono tenuti in uno scrigno magico, protetto da un Gran Guardiano.»
«Ovvero dal Maestro Fu, adesso. Giusto?»
«Esattamente, Marinette.» annuì Plagg, indicando la ragazza: «Comunque lo scrigno è molto più recente, rispetto ai gioielli…»
«Quindi voi sareste stati i primi Portatori?» domandò Adrien, poggiando il peso sui gomiti e osservando i due: «E poi vi siete legati ai gioielli per proteggerli?»
«Per dirla in maniera spiccia sì.» sentenziò Tikki, annuendo con la testa: «Eravamo umani e gli sciamani dell’epoca ci legarono ad alcuni animali sacri per le tribù a cui appartenevamo; era una magia potente che ci cambiò nel corpo e nell’anima: ci trasformò in esseri potenti, che potevano fare di tutto e poi…»
«E poi…beh, fenomenali poteri cosmici in questi corpicini qua!» concluse Plagg, alzandosi in piedi e allargando le zampette: «Non so come successe, ma da fighi quali eravamo siamo diventati questi cosi.»
«Io direi che siete diventati carinissimi.» dichiarò Marinette, allungando le mani e carezzando la testolina rossa della sua compagna: «Grazie di esserti confidata, Tikki. Io non sapevo…non pensavo…eri una ragazza come me e…»
«E’ passato tanto tempo, Marinette. Non ricordo più nemmeno com’è essere umana.»
«Cioè non toglie che quello che hai fatto è stato coraggioso e meritevole.»
«Grazie.» mormorò la kwami, volando fino al viso della ragazza e strusciandosi contro la guancia della giovane: «Grazie, davvero.»
Adrien si schiarì la voce, gettando un’occhiata al kwami nero, che era rimasto seduto sul cuscinetto: «Ecco io…sinceramente ho sempre pensato che fossi solo un mangiatore di camembert svogliato e…»
«Lo so. Non avresti mai pensato che, tanto ma tanto tempo fa, avevo dato la mia vita per un bene superiore, eh? Forza dillo, moccioso.»
«Lo ammetto.»
«Mh.»
«Bene.» sentenziò Adrien, schierandosi nuovamente la voce e Plagg lo guardò, lo sguardo verde assottigliato: «Ok, finiamola qui. Questi momenti mi metto a disagio.»
«Anche a me.»


Rafael sbadigliò entrando in classe e notando Sarah e Lila confabulare: «Buongiorno, splendori.» esclamò, allargando le braccia e avvicinandosi alle due: «Che si dice questa mattina?»
«Oh. E’ arrivato il Piumino!» dichiarò Lila, facendo l’occhiolino al ragazzo e ridendo all’espressione che si era venuta a creare sul volto di Rafael: «Ehi, ho pensato tutta la notte al tuo nomignolo.»
«E’ sempre meglio di pennuto, direi.» commentò Sarah, scuotendo il capo biondo e portandosi immediatamente una mano alla coda, controllando che il pettinino fosse ancora lì: «Invidio i vostri Miraculous.»
«E’ strano e bello poter parlare di questo.» sentenziò Lila, sorridendo: «Finché sono stata in Italia l’unico con cui potevo confidarmi era quel fissato potteriano di Vooxi.»
«Fissato potteriano?» ripeté Rafael, sbattendo le palpebre: «Mi stai dicendo che il tuo kwami è fissato con Harry Potter?»
«Già. Vuole andare a Londra e andare al cinema a vedere il nuovo film in uscita.»
«Se ti consola Flaffy adora Il signore degli anelli.»
«Cosa?»
«L’abbiamo guardato una volta e, da allora, come può si spara tutta la trilogia.» spiegò il ragazzo, poggiando un fianco contro il banco e incrociando le braccia: «Fortunatamente finora sono riuscito a non fargli sapere niente de Lo Hobbit?»
«Cosa è Lo Hobbit?» esclamò il kwami del pavone, volando fuori dalla borsa e fermandosi davanti il volto del suo umano: «E’ un seguito? O ti prego, dimmi che è un seguito!»
«Flaffy!» esclamò Rafael, afferrando l’esserino e sbattendolo di nuovo nella borsa: «Non farlo più.»
«E tu dimmi cos’è questo Lo Hobbit.»
«E’ la storia di Bilbo Baggins. Hanno fatto una nuova trilogia un po’ di tempo fa e…»
«Devo vederla!»
«Flaffy!»
«Voglio vederla!»
«Qualcosa mi dice che dovevi stare zitto…» commentò Lila, ridacchiando alla vista dello sguardo stralunato del kwami e di quello stanco del ragazzo: «Ora dovrai prendergli i film.»
Sarah ridacchiò, facendo vagare lo sguardo sui due: «Mi ritengo fortunata, Mikko non ha simili fissazioni.»
«Beata te.» bofonchiò Rafael, voltandosi verso la porta dell’aula e osservando Marinette e Adrien entrare: «Buondì, coppietta felice.»
«Ciao, pennuto.»
«Da oggi Piumino, gattaccio.»
«Piumino?» domandò Adrien, poggiando la borsa sul banco davanti Sarah: «Ma se lo chiamo così mi aspetto una cosa carina e morbida. Meglio pennuto.»
«Come preferisci. Io lo chiamo Piumino.»
«Chiamarmi Rafael vi fa schifo?»
«Sì!» sentenziarono assieme Lila e Adrien, scambiandosi poi un’occhiata gelida a vicenda.
«Oh. La prima volta che vi vedo andare d’accordo da quando Lila è tornata!» commentò Marinette, notando poi come Rafael si allontanava di alcuni passi da lei: «Ma cosa…?»
«Questo, mia adorata lady, significa fare colpo su un ragazzo. Ma in senso negativo.»
«Ehi, non sei stato tu quello che ha ricevuto una ginocchiata nei gioielli da questa qui.»
«Non ci provavi e i tuoi gioielli stavano tranquilli. Piuttosto, ti sei assicurato di avere ancora la possibilità di continuare la discendenza dei pennuti? Non vorrei che poi tu andassi in via d’estinzione.»
«Sei morto!»
«Che paura!»
Lila li osservò, sospirando rumorosamente: «Mentre i due galletti si beccano e starnazzano, noi parliamo di cose serie.» spiegò, facendo girare un dito come a creare un cerchio: «Con Sarah stavamo pensando di andare all’albergo dove alloggia il suo amico e vedere…beh, se trovavamo qualcosa.»
Marinette annuì con la testa, battendosi un dito sulle labbra: «E’ un’ottima idea. Dovremmo avvertire Wei…»
«Già fatto. Gli ho mandato un messaggio poco prima che arrivasse Piumino.»
«Non penso che Alex sappia di essere Mogui.» spiegò Sarah, battendo le dita sul banco: «Ha solo detto di aver preso qualcosa da quando è in Francia e…»
«Forse Coeur Noir ha messo il cristallo prima della sua partenza e, una volta giunto qua, questo ha reagito alla presenza della sua padrona, creatrice, qualsiasi cosa sia.»
«Anch’io pensavo questo, Marinette.» dichiarò Sarah, annuendo con la testa: «Vorrei sapere perché lui. Se lo avessi messo in pericolo io…»
«Non credo. Coeur Noir non sa che sei Bee, no?»
«No.»
«Quindi non è colpa tua.» dichiarò Marinette, allungando una mano e prendendo una di quelle dell’amica: «Non è assolutamente colpa tua.»
Sarah abbozzò un sorriso, ricambiando la stretta della ragazza: «Grazie. Davvero, grazie. Sapere che non sono sola, che ho dei compagni…» si fermò, sorridendo alle due ragazze e ai due litiganti che si erano fermati: «…mi da coraggio. E speranza.»
«Riusciremo a salvare Alex.» sentenziò Adrien, indicando poi Rafael al suo fianco: «Al massimo lo possiamo scambiare con lui.»
«Vuoi morire?»
Lila batté la lingua contro il palato, osservando i due ragazzi che riprendevano nuovamente a litigare: «Ecco. No, bello come i momenti seri finiscono subito grazie a loro due. Davvero bello.»


Gabriel osservò i bozzetti di alcuni vestiti, annotando su un blocco alcuni appunti e cercando di ignorare lo sguardo insistente che aveva addosso: poteva farcela, poteva far finta che non fosse lì finché il lavoro sui disegni non fosse concluso.
Sbuffò, allungando una mano verso il cassetto della scrivania e aprendolo, prendendo una manciata di caramelle dalla ciotola di cristallo che teneva all’interno: «Hai fame, Nooroo?»
Il piccolo kwami, che lo stava fissando intensamente da una buona manciata di minuti, stirò la bocca in un sorriso, mentre gli occhi si illuminarono alla vista delle caramelle che Gabriel fece cadere davanti a lui: allungò le zampette, prendendone una al gusto di lampone e la scartò velocemente, ingoiandola poi intera.
L’uomo lo fissò, mentre sgranocchiava una dietro l’altra i piccoli bon-bon: «Stavo pensando…» iniziò, attirando su di sé l’attenzione del kwami, che lo fissò dritto negli occhi: «Non vorresti…»
«Non provare a riportare il mio Miraculous al Guardiano o la mia ira si abbatterà su di te.»
«In vero, volevo chiederti se volevi andare con Adrien e Plagg, qualche volta.» spiegò l’uomo, poggiandosi contro lo schiena della poltrona: «E incontrare gli altri kwami.»
«Sì!» esclamò Nooroo, trasformandosi nel perfetto ritratto della contentezza: occhi luminosi, sorriso aperto, le alette che sbattevano rumorosamente nell’aria.
«Sentirò Adrien, allora.»
«Oh. Potrei vedere di nuovo Wayzz. E Flaffy. E Tikki.» iniziò Nooroo, volteggiando allegro per la stanza: «Plagg mi ha detto che anche Mikko è tornata! Sarebbe bellissimo rivederli tutti, Gabriel.»
«Lo dirò ad Adrien.»
«Sarebbe veramente bellissimo.»
Gabriel sospirò, mettendo mano al cellulare, scrivendo veloce un messaggio al figlio.


La prossima volta portati Nooro dietro.
Adrien lesse il messaggio, scuotendo il capo: «Cosa avrà voluto dire?» domandò, mostrando lo schermo alla ragazza, mentre con gli altri entrava nella metrò, diretti verso l’hotel dove aveva preso una camera Alex.
Marinette afferrò il cellulare, leggendo veloce il messaggio e poi scosse il capo: «Che forse Nooroo sente la mancanza dei suoi compagni?» buttò lì la ragazza, prendendo posto a sedere accanto a Sarah: «L’hai detto tu che sta sempre con tuo padre.»
Adrien annuì, mettendosi il cellulare in tasca e aggrappandosi a uno dei supporti: «A che fermata dobbiamo scendere?» domandò, guardando Lila e Wei sedersi accanto all’americana, mentre Rafael si sistemava in piedi davanti a loro.
Sarah prese il suo cellulare, scorrendo fra le varie applicazioni: «Mouton-Duvernet.» mormorò, facendo ridacchiare Rafael: «Che ho detto?»
«La tua pronuncia, americana.»
«Pignolo di un francese.»
Rafael replicò, mostrandole la lingua e mettendo poi mano al cellulare, studiando la mappa delle fermate: «Ok, è la penultima di questa linea.»
«Come si chiama quella prima?» domandò Wei, alzando la testa verso il compagno e attendendo paziente la risposta.
«Quella prima…mh. Raspail.»
«E l’alburego?»
«Albergo.»
«Albergo. Grazie, Lila.»
«Come si chiama l’albergo?» domandò Sarah, chinando di nuovo la testa verso lo schermo: «Mh. Hotel Aviatic.»
«Quanto è lontano dalla fermata della metrò?» domandò l’italiana, allungando il collo verso il cellulare di Sarah e osservandola aprire la mappa di Parigi e digitare velocemente l’indirizzo dell’hotel: «Mh. E’ abbastanza vicino, direi.»
«Dov’è?» s’informò Rafael, allungandosi anche lui per vedere, ma senza riuscirci.
«Praticamente è nella prima strada secondaria andando verso nord. Rue…Sarah, allarga il campo, non leggo il nome. Ok, Rue Brézin.»
«Qualcuno ha idea di cosa diciamo a quelli dell’hotel?» domandò Marinette, attirando su di sé l’attenzione generale di tutti: «Insomma, non possiamo andare lì e chiedergli di farci entrare nella stanza di Alex.»
«Possiamo dire che Alex si è sentito male e ha mandato noi a prendergli un cambio. Magari descriviamo una bella scena di vomito, così quello della reception ci manda subito in camera…» iniziò Adrien, facendo l’occhiolino alla ragazza: «Oppure possiamo usare il vostro fascino femminile e ci assicuriamo la chiave.»
«E se è una donna, micetto?»
«Beh, volpe, hai il meglio della fauna maschile parigina davanti a te.»
«Spero che non dica di te stesso, perché avrei molto da ridire.»
«Qualcosa ci inventeremo sul momento.» dichiarò Rafael, alzando le spalle: «Magari potremmo trasformarci e…»
«Oh, certo! Andiamo lì e gli diciamo che un loro cliente è diventato un guerriero cattivo cattivo e che vorremo ispezionare la sua stanza?»
«Senti, mister perfettino, è senza dubbio migliore del tuo piano!»
«Il mio piano…»
«Arriviamo davanti l’hotel e poi vediamo com’è la situazione, ok?»
Ecco perché è lei il capo.» dichiarò Lila giuliva, osservando i due ragazzi in piedi davanti a lei e gettandosi indietro una lunga ciocca di capelli scuri: «Mentre voi due siete le ultime ruote del carro.»
«Mi permetto di dissentire, volpe. Io sono il capitano in seconda. E’ Pennuto l’ultima ruota del carro.»
«Eccoli che ricamano.»
«Forse volevi dire ricominciano, Wei.»
«Sì. Grazie, Sarah.»

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.732 (Fidipù)
Note:Eccomi qua! Oggi è giovedì, quindi nuovo capitolo fresco fresco! Che cosa si può dire? A parte che ho imparato a memoria Rue Brézin mentre scrivevo questo capitolo perché sì, mentre buttavo giù il capitolo avevo google maps aperto con la visione Street View. Lo ammetto, sono un tantinello pignola quando si tratta di scrivere di città realmente esistenti, quindi mi documento, studio le mappe e ringrazio Maps per darmi modo di vedere esattamente (o come era, dato che la maggior parte delle foto son datate 2015) la zona. Sì, ho dei seri problemi, non temete me lo dico da sola.
Per quanto riguarda l'Hotel Aviatic qui troverete la camera di Alex: quando ho visto quella carta da parati, per quanto io ami le strisce, ho avuto un momento di: "ma stiamo scherzando? Seriamente hanno questa carta nelle stanze?" E...niente, mi pare di aver detto tutto quello che avevo da dire su questo capitolo, quindi come al solito voglio ringraziarvi tutti per il fatto che leggete e commentate questa mia storia: davvero grazie, grazie, grazie di tutto cuore!



Il gruppetto uscì dalla metrò, osservando l’ambiente circostante: «Da che parte?» domandò Rafael, guardando le vetrine dei negozi e poi la bionda che, cellulare alla mano, stava cercando di capire in che direzione andare; con uno sbuffo le prese l’apparecchio di mano e studiò la mappa: «Di là.» dichiarò, allungando il braccio davanti a sé.
«Sicuro, pennuto?» domandò Adrien, guardandosi intorno anche lui e passando un braccio attorno alle spalle di Marinette, attirandola verso di sé e ignorando bellamente il rossore che si era diffuso sulle guance della ragazza.
«Sì, sicuro. So orientarmi, sai?»
«Ne dubito.»
«Cosa facciamo quando siamo all’hotel?» domandò Wei, incamminandosi con gli altri nella direzione indicata da Rafael: «Come facciamo per andare nella camera?»
«Le proviamo tutte?» buttò lì Lila, voltandosi verso il ragazzo e alzando le spalle: «Dobbiamo entrare in quella camera a ogni costo.» dichiarò, mentre Rafael si fermava all’incrocio con una strada e annuì, quando alzò la testa e trovò la targa con il nome della via.
Gongolante, indicò al resto del gruppo la direzione, incamminandosi in Rue Brézin: «Dovrebbe essere più avanti.» mormorò, rendendo il cellulare alla proprietaria e studiando le attività commerciali: «Bel posticino. Cinese o thailandese?» domandò, indicando i due ristoranti che erano quasi contrapposti ai lati della strada.
«Io direi cinese.» dichiarò Adrien, facendo l’occhiolino a Marinette: «Poi mi piace quel cartello con Buffet a volontà.»
«Non è neanche male il prezzo.» commentò Lila, fermandosi e studiando la vetrina, inclinando la testa: «Prenotiamo?»
«Per me va bene. Sembra strano ma non mangio la cucina del mio paese da troppo.»
«Da tanto, Wei.» lo corresse Sarah, scuotendo il capo: «Magari prima raggiungiamo l’albergo e poi veniamo a mangiare?»
«Chiamiamo anche Nino e Alya?»
«Brava, Marinette.» dichiarò Rafael, sorridendo: «Così, una volta a tavola, affrontiamo il discorso anche con loro e gli diciamo…»
«Senti, pennuto, non è che puoi andare a dire a tutta Parigi che sei Peacock, sai?» sbuffò Adrien, guardandolo male: «La prossima volta che vai dal tuo dottore che gli dici: “No, sa. Questi lividi li ho perché combatto il male a Parigi. Vede, io sono Peacock.”»
«Veramente volevo dire ad Alya e Nino che anch’io sono del gruppo ora, ma se tu vuoi coinvolgerli nella lotta contro il male, chi sono io per negartelo?»
«Io lo uccido.»
«Adrien, calmo.»
«Io comunque ho preso il numero del ristorante.» si mise in mezzo Lila, alzando il suo cellulare e mostrando il display: «Magari ci facciamo un pranzo o una cena tutti assieme, che ne dite? Poi dai, il prezzo è buono e possiamo mangiare tutto quello che vogliamo.»
«Il bello degli All you can eat.» comment Sarah, sorridendo: «A New York ce ne sono veramente tantissimi.»
«Stanno prendendo piede anche in Italia, sai?»
«Continuiamo per l’albergo?» domandò Rafael, indicando la direzione e riprendendo a camminare: «Hotel Aviatic.» esclamò, fermandosi davanti la piccola entrata, molto più simile a quella di abitazione privata, e sormontata da una tenda blu: «Bel posticino…»
«E ora?» domandò Wei, allungando il collo e osservando il tipo all’interno: «Non possiamo entrati tanti.»
«Forse volevi dire tutti?» buttò lì Adrien, annuendo con la testa: «No, tutti e sei saremmo sospetti. Sarah, tu…»
«Io devo entrare per forza.» decretò la ragazza e il biondo annuì, sospirando: «Hai un piano, my lady?» domandò alla moretta al suo fianco, calamitando l’attenzione di tutti su di lei.
«Perché state guardando tutti me?»
«Perché sei il nostro capo, semplice.»
«La vogliamo finire con questa storia? Non sono il vostro capo quando sono…beh, me.»
«Sì. Certo.» annuì Rafael, incrociando le braccia al petto: «Il piano?»
Marinette lo fissò, sbuffando rumorosamente: «Allora, voi ragazzi state fuori e noi tre andiamo dentro?»
«No.» fu la risposta che provenne dai tre giovani, facendo alzare gli occhi alla mora.
«E allora facciamo così: Sarah, Adrien ed io andiamo dentro.» decretò Marinette, indicando con un gesto svogliato della mano l’entrata dell’hotel: «Mentre Rafael, Lila e Wei rimangono qua fuori.» il gruppetto annuì e Rafael, con Lila e Wei al seguito, se ne andò dalla parte opposta della strada, interessandosi alle vetrine della Chocolaterie lì davanti.
«Andiamo.» decretò Sarah, entrando nell’hotel, seguita a ruota dagli altri due: si guardò intorno, osservando l’ambiente stretto e sorridendo poi all’uomo nello stanzino della reception, proprio alla sua sinistra: «Buongiorno…» mormorò, avvicinandosi al piccolo bancone e guardando i due con lei.
«Buongiorno.» lo salutò Adrien, facendo un passo avanti e superando Sarah: «Un nostro amico alloggia qui da voi…» iniziò, notando gli occhi del suo interlocutore sgranarsi alla sua vista: lo conosceva. Perfetto.
«Adrien Agreste?»
«Già, sono proprio io.»
L’uomo si passò una mano fra i capelli radi, sorridendogli luminoso: «Mia figlia è una sua fan e…» si fermò, sospirando e sorridendo: «non è che mi farebbe un autografo?»
«Se lei mi aiuta.» dichiarò prontamente Adrien, poggiandosi con i gomiti al bancone: «Vede, il mio amico alloggia qui da voi ed è venuto a casa mia. Sa, era un po’ che non ci vedevamo…»
«Sì, capisco perfettamente.»
«Purtroppo però deve aver preso uno di questi virus intestinali che girano e…beh, non ha dato un bello spettacolo di sé.»
«Oh. Oh. Capisco, capisco.»
«Ora è a casa mia, non sta ancora bene, però mi ha chiesto di venire a prendergli alcune cose…»
«Oh. Ma certo! Ma certo! Come si chiama il suo amico?»
«Alex…» Adrien si voltò verso Sarah che, fino a quel momento, era rimasta in silenzio e con la bocca aperta di fronte alla faccia tosta del biondo: «Sarah. Alex…»
«Eh. Oh. Alex Simmons.»
L’uomo annuì, sfogliando il registro delle camere e sorridendo alla vista del nome: «Eccolo qua. Stanza 201.» dichiarò, voltandosi e prendendo la chiave della camera, assieme a un foglio di carta e una penna: «A voi. Nell’autografo, ci può mettere anche Alla piccola Louise?»
Adrien annuì, prendendo il foglio e la penna  e scribacchiando velocemente il suo nome e cognome, assieme alla dedica che l’uomo gli aveva detto: «Ecco a lei, è stato gentilissimo.»
«Grazie a lei.»
Adrien sorrise, girando l’anello delle chiavi nell’indice destro: «Andiamo.» mormorò, esortando le due ragazze a proseguire verso le scale e, velocemente, raggiunsero il piano della camera: «201…201…dovrebbe essere la prima, no?»
«A rigor di logica.»
«Eccola!» esclamò Marinette, indicando la targhetta con il numero che interessava loro: «A proposito: cosa dobbiamo cercare?»
Adrien infilò la chiave nella toppa: «Qualsiasi cosa sospetta?» buttò lì, girando la chiave e aprendo la porta: «Ok. Sappiate che questa carta da parati è un crimine verso la vista.» dichiarò, indicando le pareti a strisce bianche e grige: «E non sto scherzando.»
«Lo diremo alla direzione.» commentò Marinette, richiudendo la porta, dopo che gli altri due erano entrati: «Bene, al lavoro.»


«Secondo te quei cioccolatini saranno buoni?» commentò Flaffy, studiando le varie scatole esposte e battendo le zampine fra loro: «Direi che quella sembra la migliore.»
«Tanto non la compriamo, Flaffy!»
«Cosa? Ma perché?»
«Perché non siamo qui per rimpinzare il tuo rifornimento di cioccolata.»
«Sei cattivo, Rafael.»
«Oh. Andiamo! Hai ancora tanta cioccolata a casa…»
«Ma non questa!» esclamò lo spirito del pavone, indicando la vetrina e fissando l’umano con il volto imbronciato: «Io voglio assaggiare questa cioccolata.»
«E se non ti piace?»
«Mi piacerà!»
«Non puoi saperlo! E ti vorrei ricordare di quella volta che hai voluto a tutti i costi una confezioni di cioccolatini che poi hai buttato via perché sapeva di muffa! Tue parole, eh!»
Lila ridacchiò, scuotendo il capo e legandosi i lunghi capelli scuri in una coda: «E’ consolante sapere che tutti i kwami sono così.» dichiarò, voltandosi verso Wei: «Wayzz ti da problemi?»
«No. Non tanti.» dichiarò il cinese, incrociando le braccia e sorridendo al kwami, che faceva capolino dalla felpa: «Mi incoraggia mentre studio francese e poi è divertente vederlo mangiare lettigia.»
«Lettigia?»
«Forse voleva dire lattuga.» buttò lì Rafael, acciuffando Flaffy, che svolazzava davanti la vetrina, e infilandolo nella tasca della giacca.
«Quella.»
«Vooxi invece mi sta tormentando per avere un paio di occhiali. Tondi. Alla Harry Potter.»
«Ehi, mi starebbero benissimo.» dichiarò l’esserino arancio, affacciandosi dalla borsa della ragazza: «E mi darebbero un’aria intellettuale.»
Lila sbuffò, alzando gli occhi al cielo: «Sentirò Marinette se può farteli.»
«Grazie, Lila!»
«Quando il vecchietto ci ha mollato i Miraculous.» sbuffò Rafael, scuotendo il capo: «Poteva metterci l’avviso: se li usate avrete a che fare con degli esserini un po’ particolari. Un po’ tanto particolari.»
Wei ridacchiò, voltandosi in direzione dell’albergo e notando gli altri uscire: «Arrivano.» mormorò, indicando i tre corsero verso di loro: «Trovato niente?»
«Nella stanza no, non c’era niente d’interessante. A parte la carta da parati da denuncia.» bofonchiò Adrien, tirando fuori il cellulare e mostrando loro lo schermo: «Ma guardate che sta combinando il nostro amico.»
Lila, Rafael e Wei osservarono lo schermo dove Nadja Chamack, la giornalista di punta del canale TVi, stava riferendo gli ultimi avvenimenti e mostrando le immagini di Mogui che, marciando attraverso il Pont d’Iéna, stava puntando alla Tour Eiffel: «Dobbiamo sbrigarci.» mormorò Sarah, guardando gli altri e ricevendo un cenno affermativo da tutti: «Forse questa volta riusciamo a salvarlo.»


Il tenente Rogers si tolse il cappellino, asciugandosi il sudore sulla fronte e osservando la figura scura che stava marciando verso il posto di blocco: quasi tutte le auto della polizia erano state collocate su Quai Branly, creando un posto di blocco, e i poliziotti erano già in posizione, con le armi alla mano; si voltò, osservando le forze speciali che, con gli scudi pronti, erano l’ultimo baluardo prima della Tour Eiffel.
E, doveva essere sincero con se stesso: non gli sarebbe dispiaciuto vedere le figure degli eroi di Parigi.
Insomma, saltellavano a destra e a manca per Parigi, possibile che quando c’era veramente bisogno di loro non si facessero vedere?
Sbuffando si mise di nuovo il cappello, calcandoselo ben bene sulla testa e osservò il guerriero, sempre più vicino.
«Buongiorno, tenente.» lo salutò la voce allegra di Chat Noir, mentre l’eroe atterrava alle sue spalle, sorridente come sempre e con la sua partner al fianco: «Direi che è il momento degli eroi, no?»
Dietro di loro, il resto dell’allegra combriccola arrivò, dando un po’ di speranza all’uomo: non era mai stato tanto ansioso di combattere quei cattivi che imperversavano su Parigi, quindi che ci pensassero loro!
Ladybug gli sorrise, poggiandogli una mano sulla spalla e osservando la situazione davanti a lei: «Tortoise, Bee: occupatevi del fianco destro; Volpina, Chat: voi del sinistro. Peacock, tu usa il tuo potere, mentre io mi occuperò della linea centrale.» spiegò brevemente l’eroina in rosso, lanciando il suo yo-yo verso un lampione e, con un balzo, superò la barricata di auto, venendo immediatamente imitata dal resto che, sfruttando i propri mezzi, si misero in prima linea.
Ladybug ruotò la propria arma, correndo verso il nemico e ingaggiando con lui un breve duello, lanciandogli contro lo yo-yo contro e impedendogli di continuare l’avanzata; Mogui parò i colpi della ragazza con facilità, mentre le spalle erano quasi scosse dalle risate.
Come se stesse ridendo di lei.
«Ti sembro comica?» domandò Ladybug, scagliando lo yo-yo e imprigionandolo con il filo, trattenendolo mentre Chat e Tortoise balzavano contro di lui; Mogui strattonò la ragazza, facendola cadere e si liberò, voltandosi verso l’eroe verde e colpendolo in pieno petto, spedendolo contro la balaustra del ponte.
Volpina suonò alcune note, mandando contro il nemico alcune sue copie e poi corse dal compagno, aiutandolo a mettersi seduto: «Stai bene?» gli domandò, accucciandosi accanto a lui e osservandolo mentre scuoteva la testa: «Tortoise…»
«Sto bene.» mormorò lui, sorridendole e gettando il cappuccio indietro: «Tranquilla. Non sono…mh. Come si dice nella tua lingua?»
«Debole?»
«Non era quello che avevo in mente ma va bene.»
Volpina annuì, aiutandolo a rialzarsi e osservandolo mettere mano allo scudo, ancora posizionato sulla schiena di Tortoise: «Stai attento.»
«Sempre.» dichiarò Tortoise, osservando Chat che aveva coinvolto l’altro in un duello di spade, ogni tanto interrotto dagli attacchi congiunti di Ladybug e Bee che, da lontano, cercavano di tenere impegnato il guerriero nero, facendo riprendere un po’ di fiato al felino.
Volpina invocò il proprio potere speciale, lanciando una sfera di fuoco fatuo contro Mogui, mirando alla maschera, rimanendo poi a osservarlo mentre faceva cadere la spada e si portava le mani al viso: «Bee!» urlò verso l’eroina in giallo che, dopo un cenno affermativo con la testa, creò due sfere di energie e le scagliò contro le gambe dell’avversario.
«Non si fa tanti poroblemi.»
«Problemi? Perché è Alex? No, direi di no: sa che deve essere fermato e lo farà. Un po’ come Ladybug quando Chat veniva controllato dai loro nemici.» dichiarò Volpina, vedendo la coccinella invocare il Lucky Charm e, nello stesso momento, Chat balzare in avanti e colpire con il Cataclisma, il cemento ai piedi di Mogui, imprigionandolo nella strada.
«Ancora specchio!» urlò l’eroina rossa, mostrando l’ennesimo specchietto portatile che era apparso: «Ma se glielo metto davanti finché non ritorna se stesso?»
«Possiamo provare, my lady.» dichiarò Chat, sorridendo al guerriero che, bloccato per metà nel cemento, si agitava e cercava un modo di liberarsi: «Tanto di qui non scappa.» dichiarò, voltandosi verso la ragazza e notando l’eroe blu che stava correndo verso di loro: «Pare che Pennuto abbia fret…» si fermò, portando nuovamente l’attenzione su Mogui e notando che gli occhi – o almeno, quelli che sembravano gli occhi – diventarono luminosi.
Un’inquietante luce rossa.
«Gli occhi!» urlò Peacock, fermandosi a pochi passi da Bee: «Tortoise, la tua barriera! Subito!»
L’eroe annuì, evocando il suo potere e creando una barriera davanti Ladybug e Bee, pochi secondi prima che un raggio rosso si scagliasse contro le due ragazze; Chat balzò indietro, mettendo mano al bastone e fissando sconvolto il nemico: «Adesso sparaflasha dagli occhi?» domandò, notando Mogui girare faticosamente verso di lui.
Chat tenne il bastone davanti a sé, mentre Mogui sparava un nuovo raggio e lo evitò, facendolo deviare con la sua arma.
Un altro.
E nuovamente fu deviato.
Sorrise, fissandolo sfrontato: «Beh, dai non sei tanto pericoloso, anche se hai gli occhi luminosi e…» si fermò, deviando l’ennesimo colpo e ruotando su se stesso, non accorgendosi del raggio già pronto negli occhi di Mogui.
«Chat attento!» esclamò Ladybug, lanciandosi in protezione del compagno e rovinando a terra, quando il raggio la colpì alla spalla sinistra.
«Ladybug!» urlò il felino, balzando verso la ragazza e tirandola su: «Lady…» si fermò, carezzando il volto e stringendola a sé: «No. No. Non puoi…»
«Sto bene.» mormorò lei, abbozzando un sorriso e allungando una mano, fino a carezzandogli il volto: «Davvero, mi ha preso di striscio.»
Chat boccheggiò, scuotendo il capo e stringendola contro di sé, voltandosi poi verso Mogui che, con strani versi, sembrava prendersi gioco di loro: «Ride!» ringhiò Chat, osservandolo mentre, facendo leva con le braccia, si issava e riusciva a liberarsi dalla sua prigione di asfalto.
Mogui si voltò verso Volpina, gli occhi ancora rossi e sparò l’ennesimo raggio: «Attenta!» esclamò Tortoise, stringendo l’eroina arancio a sé e parando il colpo con la sua schiena, rovinando poi a terra con la ragazza; Mogui li osservò, spostando poi l’attenzione su Peacock che, con i ventagli in mano, era in posizione di attacco: il guerriero nero sparò l’ennesimo raggio che il pavone deviò facilmente, poi un secondo e, solo al terzo, riuscì a colpire la mano dell’avversario, facendogli cadere l’arma per terra.
Si avvicinò a Peacock, osservandolo dall’alto, mentre quest’ultimo si teneva la mano dolorante, accucciato sull’asfalto: «Fermo!» intimò Bee, tenendolo sotto tiro con il bracciale destro: «Non osare. Alex.»
Mogui si voltò verso di lei, rimanendo immobile mentre Bee faceva vagare lo sguardo, cercando di valutare la situazione dei loro compagni: Peacock era ai piedi di Mogui, la mano ferita tenuta contro il petto; poco distante, Volpina stava cercando di far rinvenire Tortoise, preso in pieno dal raggio rosso e, poco lontano, Chat Noir stava aiutando Ladybug a rialzarsi.
«Perché Alex?» domandò, sempre tenendolo sotto tiro e sentendo la voce spezzata dalle lacrime trattenute: non avrebbe pianto. Non voleva piangere.
Non l’avrebbe fatto.
Osservò Mogui allungare una mano verso di lei, un lamento provenire da dietro la maschera, poi il guerriero urlò e volute di fumo comparvero, avvolgendolo interamente: «Alex!» urlò Sarah, abbassando la propria arma e osservando il nulla, che era rimasto al posto del guerriero.


Coeur osservò soddisfatta il proprio sottoposto: «Sei stato bravo.» mormorò, allungando le mani e posandole sulla maschera di cristallo: «Li hai messi in ginocchio.»
I Miraculous…
«A tempo debito. Non essere impaziente.»
Sei tu che li vuoi.
Non io.

«Lo so.»

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.847 (Fidipù)
Note: Italiani! Figli e figlie della connessione wifi, eccomi qua a presentarvi il nuovo capitolo! E dopo questa introduzione, palesemente rubata a Bonolis, che posso dirvi? Ah! Giusto, non c'è niente di importante da dire ma devo fare un piccolo lavoro di traduzione. Allora...Zorro e Abeja, in spagnolo, significano rispettivano Volpe e Ape; Hu Die, in cinese, significa Farfalla e Pavão, in portoghese, vuol dire Pavone. Mentre Genbu è una creatura della mitologia cinese, chiamata anche Tartaruga Nera. Perché vi dico questo? Beh, leggete e scoprirete!
Detto ciò, come al solito, voglio ringraziarvi tutti quanti: grazie dei vostri commenti, grazie del fatto che leggete la mia storia e...
Beh, grazie di tutto!
Grazie grazie grazie grazie!



Fu sospirò, osservando i sei ragazzi che erano piombati in casa sua: Adrien scortò Marinette all’interno, mentre la ragazza si teneva dolorante la spalla sinistra, e la esortò a sedersi mentre lui tornava fuori, trasportando poi dentro Wei, assieme a Lila e Sarah; Rafael li seguiva silenzioso, tenendo la mano destra contro il petto.
Il biondo tornò poi dalla sua ragazza, lo sguardo triste mentre lei abbozzava un sorriso: «Maestro.» mormorò, voltandosi verso Fu: «Può controllare…»
«Prima Wei.» sentenziò Marinette, scoccando un’occhiata al biondo: «Non si è ancora svegliato da quando ha preso il colpo. Io sto bene. Davvero.»
«Tu non stai bene.»
«Di sicuro sto un po’ meglio rispetto a lui.» dichiarò la ragazza, indicando il cinese svenuto: «Adrien, davvero…»
Fu annuì, avvicinandosi al ragazzo che era stato messo sulla stuoia, che di solito usava per i massaggi, e osservò la  ragazza dai lunghi capelli scuri che, seduta vicino al giovane, gli carezzava le guance con fare amorevole: «Può aiutarlo?» gli domandò Lila, alzando lo sguardo verso di lui: «E’ stata colpa mia. Si è buttato per salvarmi e…»
«Non è colpa tua, Lila.» sbuffò Rafael, sedendosi per terra e addossando la testa contro il muro: «Non è colpa di nessuno. Se non di quella carissima donna – e saprei dire molto di peggio, davvero – di Coeur Noir.»
Fu rimase in silenzio, sollevando faticosamente la maglia di Wei e osservando la ferita alla schiena; con un sospiro si alzò, avvicinandosi a uno degli armadi della stanza e recuperando un po’ di barattoli e bende: «Siete stati bravi, ragazzi.»
«Bravi?» sbottò Adrien, alzandosi in piedi e spostando l’attenzione da Marinette al vecchietto: «Bravi? Mogui ci ha praticamente messo in ginocchio! Se avesse combattuto Sarah, invece di scappare, ora noi…» scosse il capo biondo, portandosi i capelli indietro: «Ora noi…»
«Adrien.» mormorò Marinette, riportando l’attenzione del giovane su di lei: Adrien s’inginocchiò di nuovo al suo fianco, poggiando la fronte contro quella della ragazza e respirando profondamente: «Va tutto bene. Ce l’avremmo fatta.»
«No, non ce l’avremmo fatta. Tu, Wei e Rafael siete stati feriti.»
«Non avremmo smesso di lottare.» commentò Rafael, sorridendo allo sguardo verde che si catalizzò su di lui: «Avremmo continuato fino alla morte. Beh, a parte Wei che è svenuto.»
«Parli proprio tu che stavi quasi per rimetterci le penne?» domandò Adrien, fermandosi un attimo e ripetendo sottovoce le parole che aveva detto: «Pennuto…rimetterci le penne…ehi, l’hai capita?»
«Sì, e fa schifo.»
«Perché lo chiedo a te, pennuto, lo so solo io.»
Fu sorrise, mentre spalmava un unguento sulla schiena di Wei: «Beh, non mi devo preoccupare: se riuscite a litigare e fare battute sceme, non siete tanto disperati.» dichiarò, continuando a curare la ferita del suo connazionale e spostando poi l’attenzione su Lila: «Non preoccuparti, ragazza mia. Wei è forte e questa ferita non è profonda.» le spiegò, recuperando alcune bende e iniziando a passarle attorno all’addome del ragazzo: «Tornerà come nuovo.»
Lila ascoltò in silenzio, annuendo poi con la testa e tornando a fissare il volto addormentato di Wei: «Il prossimo?» commentò Fu, alzandosi in piedi e osservando gli altri due feriti: Rafael accennò verso Marinette con la testa e il vecchio assentì, avvicinandosi alla ragazza e chinandosi accanto a lei: «Adrien, puoi darmi una mano?» gli domandò, dandogli le istruzioni di aiutare Marinette con la felpa.
Adrien eseguì gli ordini, aiutando la ragazza a togliersi il capo d’abbigliamento e il maestro studiò la ferita che aveva sulla spalla, iniziando poi a spalmare l’unguento: «Brucerà un po’.» avvisò, osservandola  stringere la mano del compagno, quando lui iniziò a spalmare la crema: «Come ha fatto?»
«Cosa?»
«A ridurvi così.»
Marinette scosse il capo, inspirando profondamente: «Dai suoi occhi…» iniziò, mordendosi il labbro inferiore e stringendo più forte la mano di Adrien: «Lo avevamo imprigionato, poi i suoi occhi sono diventati rossi e ha iniziato a sparare un raggio e…»
«Ho capito.» dichiarò Fu, posando il barattolo dell’unguento e prendendo le bende: «Siete stati fortunati. Poteva uccidervi, ma ve la siete cavata con delle ferite lievi. La prossima volta…»
«La prossima volta lo sconfiggeremo.» dichiarò deciso Adrien, fissando l’anziano negli occhi: «Non farà altri danni.»
Fu ridacchiò, scuotendo il capo e finendo la fasciatura: «E’ bello notare che, anche se cambiano i tempi, Chat Noir è sempre lo stesso: scanzonato e idiota, almeno finché non gli toccano la sua Ladybug. E’ allora che diventa veramente pericoloso…»
«E’ un complimento?»
«In parte.»
«Immagino che ha conosciuto molti Portatori.» mormorò Marinette, infilandosi nuovamente la maglia con fatica: «Oltre a noi.»
«In verità no.» dichiarò secco Fu, alzandosi e andando dall’ultimo ferito: «Bene, Rafael. Dammi la mano…»
«Ehi, perfettino! A me non la vieni a tenere la manina?» domandò Rafael, ridendo rumorosamente allo sguardo che Adrien gli lanciò: «A quanto pare saremo solo io e lei, maestro.»
«Vuoi che te la tenga io?» domandò Sarah, sedendosi accanto a lui e sorridendogli, osservando poi l’anziano preparare il medicinale e le bende: «Allora?»
«Posso farcela.»
«Tienigliela.» s’intromise Fu, poggiando per terra il barattolo e fissando male il ragazzo: «Brucia. Brucia parecchio e vorrei evitare che mi arrivassero manate.»
Sarah annuì, allungando una mano e abbozzando un sorriso, quando toccò le dita sane di Rafael; il ragazzo inspirò profondamente, storcendo la bocca quando l’uomo iniziò a spalmare la crema sulla ferita: «Che cavolo è?» sibilò, stringendo forte le dita della ragazza e trattenendosi dal sottrarre la mano ferita alle cure infernali.
«Un unguento di mia produzione.» spiegò allegramente Fu, posando il vasetto e prendendo le bende: «Per evitare che puzzasse quando un topo che non si fa il bagno da parecchio, ci ho messo la menta.»
«Non m’interessava saperlo.» sbottò Rafael, osservando le mani dell’uomo che lo fasciavano velocemente: «Ho una domanda.»
«Dilla.»
«In verità centra ben poco con tutto questo, è una curiosità che ho da parecchio.»
«Dilla.»
«Coeur Noir. Perché si chiama così?»
Fu sospirò, alzando le spalle e prendendo tutti i suoi abbecedari: «Non lo so. Se l’è dato da sola il nome, a quel che so.»
«Perché i cattivi si danno sempre i nomi da soli?»
«Anche noi ce lo siamo dati da soli, pennuto.»
«Dettagli.»
Fu sorrise, osservando i sei ragazzi e notando i kwami che, in disparte e in silenzio fino a quel momento, avevano raggiunto i loro partner umani: Vooxi e Wayzz si erano accomodati in grembo a Lila, sorvegliando anche loro il sonno di Wei; Flaffy e Mikko stavano fluttuando vicino a Rafael e Sarah e, infine, Plagg e Tikki parlottavano fra loro, coinvolgendo nel discorso anche Marinette e Adrien.
Era un bel gruppo.
Improvvisato, abbozzato, riunito da poco e ancora inesperto nelle strategie di combattimento.
Ma era un bel gruppo: energetico, speranzoso e pieno di ideali.
Lo riportava indietro, al tempo in cui anche lui era stato un Portatore e aveva combattuto al fianco dei suoi compagni: ricordava la Ladybug dell’epoca, una ragazza allegra e gioiosa; Black Cat – così si faceva chiamare il Portatore del Miraculous del Gatto nero – spavaldo e incline al divertimento; Zorro, che era il predecessore di Volpina, un tipo allegro, dalla battuta sempre pronta. Hu Die, battagliera e intelligente; Abeja, la compagna di Zorro e l’unica che sapeva prenderlo per il verso giusto e, per ultimo, Pavão, spaccone e iperattivo.
E poi c’era lui, Genbu. L’allievo del Gran Guardiano dell’epoca.
Giovane e incosciente.
Erano stati un bel gruppo…
Si erano ritrovati per caso, come i ragazzi che erano ora davanti a lui, e avevano combattuto assieme fino a quel maledetto giorno.
Fu scosse il capo, riponendo l’unguento e le bende: «Guarirete velocemente.» dichiarò, voltandosi verso il gruppo e trovandosi cinque paia d’occhi a fissarlo: «Vi siete feriti mentre eravate trasformati, no? La magia dei Miraculous vi ha protetto e vi permetterà di guarire più velocemente rispetto a dei comuni esseri umani. Per quanto riguarda Mogui…»
«Ha qualche consiglio da darci?»
«L’altra volta mi avete detto che il Lucky Charm fa apparire uno specchio e il potere delle visioni di Peacock dice solo “la sua vera natura”, giusto?»
«Sì.» sentenziò Marinette, guardando Rafael e vedendolo annuire, confermando ciò che il maestro e lei avevano detto: «Ogni volta che lo combattiamo…»
«Beh, questa volta io non ho sentito nessuna voce, ma ho solo visto un spezzone di futuro e Mogui che sparaflashava.»
«Ecco, perché hai chiesto a Torty la barriera.»
«Speravo funzionasse, invece…»
Fu sospirò, annuendo e si sedette accanto a Lila: «Penso che l’unico modo per salvare l’amico di Sarah sia risvegliare il suo vero essere, la sua vera natura.»
«Cioè fargli capire che è Alex?»
«Esattamente, Sarah.»
«E come?»
«Avete detto che reagisce male quando si specchia, no?»
«Ok, so come fare.» dichiarò Rafael, sorridendo: «Portiamolo in una casa degli specchi e chiudiamocelo dentro.»
Adrien ridacchiò, scuotendo il capo: «Non è male come idea. O impazzisce o torna normale.»
«Questi due stanno andando d’accordo.» commentò Lila, sistemandosi meglio accanto al corpo addormentato di Wei e scuotendo il capo: «La fine del mondo è vicina.»
«Continua ad accudire il tuo bello, volpe.»
«Tu…»
«Oooh.» commentò Adrien, sghignazzando: «Sei arrossita! E’ la prima volta che ti vedo diventare rossa. Hai ragione: il mondo sta per finire.»
«Adrien…» sospirò Marinette, poggiandosi contro di lui e ridacchiando: «Lasciala in pace.»
«E’ lei che ha iniziato!»
Fu tossì, cercando di nascondere la risata che gli era salita in gola: «Comunque, diciamo che l’idea di base di Rafael è buona.» spiegò,  massaggiandosi la barba: «Lo specchio e la sua vera natura. Sono questi i punti chiave per salvare Alex.»


Coeur Noir sorrise, osservando il ragazzo che dormiva placido nel letto: «Sei stato bravo.» mormorò, carezzando i riccioli scuri e facendo poi scivolare le dita lungo il naso e sulle labbra: «Sei stato veramente bravo.»
Poteva annientarli, ma non l’ha fatto.
«E’ difficile lasciare la vecchia vita.»
Potrebbero sconfiggerlo.
«Non lo faranno. Sanno quello che può fare: è il mio bambino prediletto.»
E’ uno strumento.
Coeur si voltò verso lo specchio, osservando il suo riflesso: teneva le braccia poggiate alla cornice, quasi come se potesse lanciarsi fuori dalla superficie in cui era  rinchiuso: «Come me?»
Esattamente.


Marinette storse la bocca, infilandosi la canotta del pigiama e sospirò: «Stai bene?» le domandò Tikki, volandole davanti il volto e poi abbassandosi a recuperare i vestiti della ragazza e gettandoli nella cesta dei panni sporchi: «Io…»
La ragazza abbozzò un sorriso, prendendo la piccola kwami fra le mani e avvicinandosela al viso: «Sto bene. Quella roba che mi ha messo il maestro Fu sta funzionando e poi l’hai sentito, no? Il potere dei Miraculous accelererà la guarigione.»
La kwami annuì, strusciandosi contro la gota della ragazza e poi riprendendo a volare, recuperando il resto degli abiti abbandonato per terra: «Non voglio che tu faccia la sua fine.»
«La fine di chi?»
«C’è stata una ragazza, tanto tempo fa. Era la Portatrice del mio Miraculous e…» Tikki si fermò, tenendo la maglietta di Marinette fra le zampette e scuotendo la testa: «…e per il bene superiore, per combattere il male, è morta. Io non voglio che anche tu…»
«Non morirò, Tikki.» dichiarò Marinette, sorridendo convinta: «E questa è una piccola ferita, non…» si fermò, voltandosi verso l’oblò della sua camera e notando la figura nera e mascherata: «Chat Noir. Sbaglio o avevi detto…»
«Che sarei dovuto rimanere a casa eccetera eccetera.» commentò il ragazzo, balzando dentro la stanza: «Ma pensi davvero che l’avrei fatto? Plagg trasformarmi.»
Marinette lo fissò, osservando Chat Noir diventare Adrien: «E’ stata una giornata pesante per tutti. Dovresti riposarti.»
«E lo farò. Qui.»
«Adrien.»
Il ragazzo sospirò, avvicinandosi a lei e attirandola fra le braccia, stringendola forte: «Non potrei riposarmi senza te. Non dopo oggi.» si fermò, chinandosi e baciandole la spalla: «Avrei iniziato a pensare a oggi, a cosa sarebbe successo se Sarah…» si fermò, scuotendo il capo e Marinette gli circondò la testa con le braccia, posando le labbra sui capelli biondi; Adrien sospirò, rialzando la testa e guardandola negli occhi: «Non potevo stare a casa mia.»
«Ho capito.» bisbigliò la ragazza, circondandogli la vita con le braccia e posandogli la testa contro il petto, ascoltando il suo cuore battere: «Sono contenta che tu sia venuto.»
Adrien sorrise, strizzandole l’occhio e poggiando la fronte contro quella della ragazza: «Venuto…» mormorò, passandosi la lingua sulle labbra: «Questa parolina mi fa pensare a una cosetta…»
«Ed ecco la bestia in calore.» commentò Plagg, volando sul soppalco del letto e, recuperato il cuscino ove dormiva con Tikki, lo portò di sotto e lo mise nell’armadio: «Sia chiaro! Fate poco rumore!»


Bee balzò su un tetto, osservando le finestre del palazzo di fronte e sorrise, vedendo il ragazzo vicino alla finestra: trovato!
Saltò sull’altro lato, afferrando la ringhiera di un balcone e, con uno slancio, atterrò sul davanzale: bussò al vetro e attirò l’attenzione del proprietario della casa; Rafael si alzò dal tavolo, aprendo la finestra con la mano sana e osservandola entrare nella sua casa: «Che ci fai qui?» le domandò, tenendo lo sguardo su di lei mentre si toglieva il pettinino dai capelli e ritornava a essere Sarah.
L’americana si voltò, sorridendogli mentre la kwami gialla prese il suo Miraculous e, velocemente, le risistemò l’acconciatura: «Aspetta. Hai la pettinatrice ufficiale?» domandò il ragazzo, ridacchiando e indicando Mikko.
«Mikko è bravissima.» dichiarò Sarah, sorridendo alla kwami che si sistemò sulla spalla della sua umana: «Hai bisogno di aiuto con quella?»
«Grazie, ma no. Posso cavarmela da solo.»
«Ma…»
«Dovresti andare a casa a riposare, sai?»
Sarah abbozzò un sorriso, abbassando lo sguardo per terra e tormentandosi le mani: «Non volevo rimanere a casa.»
«Puoi sentire Lila o Marinette per farti compagnia.»
«Lila è ancora con Wei e Marinette…» la bionda si fermò, alzando le spalle: «Penso che Adrien sia con lei e…»
«E, quindi, sono l’ultima ruota del carro, eh?»
«Non è vero!»
Il moro sospirò, allargando le braccia: «Prego, fai pure come a casa tua. Basta che non tocchi la televisione.» dichiarò, indicando lo schermo piatto su cui stavano passando le scene de Lo Hobbit: «Flaffy ha preteso di vedere il primo della trilogia.»
«Di che parla?» domandò Mikko, volando accanto al kwami blu e osservando interessata la televisione: «C’è una storia d’amore, per caso?»
«Mikko. Questo è un film di formazione: il viaggio di un hobbit che da fifone e pauroso diventa un avventuriero.» spiegò Flaffy, mentre Sarah si sedeva dietro di loro e ridacchiò.
La kwami gialla annuì, ascoltando l’amico tessere le lodi del film: «Sì, ho capito. Ma qualcuno s’innamora, poi?»
«Sì…» sbuffò Flaffy, tornando a fissare lo schermo e addentando un cioccolatino, spostando poi la scatola verso l’umana seduta dietro: «Quelli con le noci sono buoni.»
«Oh. Questo sì che è strano. Flaffy che offre la sua cioccolata.»
«Sarah ne ha bisogno.»
«Grazie, Flaffy.»


«Dovresti riposarti.» mormorò Wayzz, osservando la ragazza che, con le ginocchia tenute contro il petto, teneva sotto controllo il ragazzo che dormiva supino: «Wei sta bene, deve solo dormire e recuperare le forze.»
«Finché non si sveglia starò qui.» sentenziò Lila, poggiando il mento sulle gambe, senza spostare lo sguardo: «Si è ferito per causa mia e quindi…»
«Lila, Wei non si è ferito per causa tua. Lui…»
«Auguri, Wayzz. Se cerchi di farle cambiare idea.» dichiarò Vooxi che, comodamente sdraiato sul secondo volume dei libri di Harry Potter, stava leggendo avidamente il terzo: «E’ una testona tremenda.»
«Lui mi ha protetto.» dichiarò l’italiana, osservando seria il kwami della taraturga e non accorgendosi che il giovane cinese aveva riaperto gli occhi e ascoltava le sue parole.
«Quanto siamo ego…ego…come si dice?» la voce roca di Wei arrivò alle orecchio di Lila, facendola voltare verso il giovane: «Ego…»
«Egocentrica?»
«Quella.» assentì Wei, abbozzando un sorriso e alzandosi sui gomiti, osservando l’ambiente in cui si trovava: «Siamo dal maestro Fu. Com’è andata?»
«Com’è andata?» sbuffò Lila, alzando le braccia verso l’alto: «E’ stato svenuto per tutte queste ore, mi ha fatto preoccupare e la prima cosa che chiede è com’è andata! E’ andata che Sarah ha fronteggiato Mogui e questo è scappato. E se non ci fosse stata lei non so cosa sarebbe successo, minimo ci avrebbe fatto fuori tutti!»
Wei si alzò a sedere con una smorfia di dolore: «Non è andata bene.» sentenziò, portandosi l’indice e il pollice alla base del setto nasale e sospirando: «No, direi di no.»
«No, infatti.»
Il ragazzo annuì con la testa, osservandosi intorno: «Sei rimasta qui con me tutto il tempo?»
«Già.» dichiarò stizzita Lila, alzandosi a sedere e recuperando il proprio kwami e i libri: «Non faticare a dirmi grazie.» sbottò, dirigendosi a grandi passi verso la porta: «La prossima volta che verrai colpito non ti farò da infermiera, sappilo.»
Wei sorrise, osservandola aprire l’uscio: «Ah. Lila.» la ragazza si fermò, rimanendo immobile e senza voltarsi verso di lui: «Grazie.»
«Di nulla.» bofonchiò la ragazza, uscendo dal negozio di Fu e lasciandolo solo con il kwami: «Potevi essere più carino con lei. Si sente in colpa perché eri rimasto ferito ed è stata con te tutto il tempo.»
Wei si alzò, allungando una mano verso il kwami e gli sorrise: «Tu come stai?»
«Io bene. Tu vedi di ringraziare a modo Lila la prossima volta.»
«Lo farò.»

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.537 (Fidipù)
Note: Bonsoir a tout le monde! Ed eccoci giunti al capitolo 29! Devo dire che, quando ho iniziato a scrivere questa storia, mai e poi mai avrei pensato di arrivare a questo numero di capitoli (e di finire una storia perché sì, proprio la scorsa settimana ho concluso l'ultimo capitolo), ma invece eccoci qua. Ventinovesimo capitolo. Uao! Bene, bene. Su questo capitolo non ho niente da dire, nessuna informazione random, quindi mi zittisco subito e vi lascio alla lettura, ovviamente  però prima...
I ringraziamenti!
Perché sono d'obbligo, dato che se ho avuto la forza/voglia/quelchevipare di continuare a scrivere questa storia è anche merito vostro e del vostro supporto! Quindi...
Grazie grazie grazie!
Grazie di leggere, di commentare, di ascoltare gli sproloqui che metto ogni volta a inizio capitolo, beh...
Grazie!



Marinette sbadigliò, scendendo dabbasso e osservando sua madre che si affaccendava intorno alla cucina, preparando la colazione per lei: «Buongiorno, tesoro.» la salutò Sabine, voltandosi e sorridendo, quando la ragazza la circondò con le braccia da dietro, poggiandole la testa contro la spalla: «Come mai così affettuosa?»
«Lo sono sempre.» mugugnò la ragazza, stringendo il piccolo corpo della madre e ripensando all’ultimo scontro con Mogui: se qualcosa fosse andato storto, se invece della spalla fosse stata colpita da qualche altra parte…
Socchiuse gli occhi, aumentando la stretta dell’abbraccio e facendo ridere la madre: «Spero che tu sia così anche con Adrien.» sentenziò la donna, voltandosi fra le braccia della figlia e sorridendo, posandole una mano sulla guancia: «Come sei cresciuta.» mormorò, carezzandola e spostando indietro alcune ciocche more: «Mi sembra ieri quando sgambettavi per casa e per il negozio, mentre ora…guardati. Sei una giovane, bellissima donna. Hai un ragazzo che ti ama e…»
«E non metterò assolutamente l’abito di nonna.» sentenziò Marinette, sedendosi e prendendo la tazza di latte che il genitore le offriva: «Quando succederà – e, mettiti l’anima in pace, non succederà a breve – me lo sceglierò da sola l’abito. O me lo farò.»
Sabine osservò male la figlia, scuotendo poi il capo: «Sei testarda come tuo padre.» dichiarò alla fine, prendendo alcune fette di pane tostato e spalmandoci sopra il burro e la marmellata, sedendole davanti: «Una testa dura come lui.»
«Secondo papà – e anche secondo Adrien – assomiglio a te in maniera spaventosa.» le rispose Marinette, bevendo un po’ del suo latte e osservando Sabine mangiucchiare la fetta di pane.
Di sicuro stava pensando a una possibile risposta.
Marinette la vide aprire la bocca, pronta a ribattere quando il campanello di casa suonò: «Resta lì.» sentenziò la donna, indicando la figlia e poi correndo ad aprire velocemente la porta al visitatore mattutino: «Adrien! Buongiorno!» tubò, facendo entrare il ragazzo biondo che, regalandogli un sorriso, si chinò poi a baciarla sulle guance.
«Tom mi ha detto che potevo salire.» spiegò Adrien, chiudendo la porta dietro di sé e marciando verso il tavolo: «Spero di non aver disturbato.»
«Tu non disturbi mai, Adrien.» cinguettò Sabine, facendolo accomodare al suo posto e poi raggiungendo velocemente la porta dell’appartamento: «Vado a prenderti qualche croissants.» dichiarò, uscendo velocemente e richiudendosi l’uscio dietro di sé.
«Tua madre è unica.» sentenziò Adrien, scuotendo la testa e allungando una mano catturando quella della ragazza: «Come ti senti, my lady?»
«Bene. La spalla non mi fa più male e posso già muoverla come voglio.»
«Non mi riferivo a questo, ma sono felice di sapere che sta meglio.» spiegò Adrien, facendole voltare la mano e giocherellando con le dita di lei: «Mi riferivo al fatto che, da tre notti, non fai altro che tenermi stretto tutto il tempo, finché non me ne vado dal tuo letto per tornare a casa. Non che mi lamenti, sia chiaro.»
«Sto bene.»
«Marinette…»
«Sto bene. Davvero.»
Adrien sospirò, scuotendo il capo e stringendole la mano: «Ogni tanto puoi mostrarti debole, sai? Non devi per forza essere quella sempre forte che non viene scalfita da niente e nessuno.» le sorrise, accentuando la stretta: «Puoi lamentarti, abbatterti…io sono con te. Posso essere la tua roccia, ogni tanto. No?»
«Io…»
«Lo so. E’ dura dover fare i conti con le due parti di noi e Ladybug, che è forte e incredibile, non ti fa lamentare.»
«Tu però ci sei riuscito benissimo: a mettere d’accordo le due parti.»
«Sono geniale, che posso farci.»
Marinette abbozzò un sorriso, chinando il capo sulle loro mani unite: «Io iniziato a pensare a cosa sarebbe successo se Mogui mi avesse colpita ed io fossi…» si fermò, scuotendo la testa: «Ho iniziato a pensare questo e ho avuto paura; non so cosa avrei fatto se non ti avessi avuto con me durante la notte…»
«Ti saresti trasformata e saresti venuta da me.»
«Io…»
«Non permetterò mai più che Mogui ti tocchi. Lo ucciderò nel caso lo facesse.»
«E’ l’amico di Sarah.»
«E tu sei l’amore della mia vita.» dichiarò Adrien, fissandola negli occhi: «Non gli permetterò mai più di colpirti: mi è bastata una volta e non voglio che ce ne sia una seconda.»
«Adrien…»
«Marinette, non potrei sopportarlo di vederti ferita un’altra volta.»
«Non voglio che ti metti in pericolo per causa mia.»
«Ehi, sono il tuo cavaliere dall’armatura scura, no?» dichiarò il ragazzo, sorridendole: «Lascia che ci penso io ai cattivoni.»
«Adrien…»
«Starò attento.» sbuffò il ragazzo, strizzandole l’occhio: «Contenta?»
«No. Perché nel tuo starò attento è compreso il farmi scudo con il tuo corpo, gettarti davanti agli attacchi che sarebbero destinati a me e…»
«Starò più attento del solito, ok? Ehi, vorrei arrivarci intero al nostro matrimonio, sai?»
«Perché non dovresti arrivarci intero, Adrien?» domandò Sabine, comparsa nel vano della porta con un vassoio di brioche bello carico: «Ho preso un po’ di tutto.»
«Tu mi vizi, Sabine.»
«Come hai fatto ad aprire la porta, mamma?»
«Marinette, non sottovalutarmi: lavoro nella boulangerie di tuo padre da vent’anni. Ci sono poche cose che ancora non so fare.»
«Quindi sai aprire le porte con il pensiero?»
«No, però sono bravissima ad aprirle tenendo un vassoio pieno di brioches con una mano sola.»
Adrien addentò un cornetto, mugolando di piacere: «Questi croissants sono buonissimi.» sentenziò, buttando giù l’ultimo pezzo e afferrando un altro dal vassoio, sotto lo sguardo compiaciuto di Sabine.
«Sai, sto iniziando a pensare che vuoi sposarmi solo per avere libero accesso alla boulangerie…»
«Marinette!» sbottò sua madre, dandole un lieve colpo sul braccio e scuotendo la testa: «Mangiane quanti ne vuoi, Adrien.»
Adrien  fece la linguaccia alla propria ragazza, prendendo una nuova brioche e mangiandola soddisfatto davanti gli occhi della mora: «Avvalori solo la mia tesi, così.»
«Adesso che hai smascherato il mio piano malvagio, dovrò zittirti.» sentenziò il  biondo, allungandosi sul tavolo e sfiorandole le labbra con le proprie, ignorando il sospiro estasiato di Sabine: «E ora sei sotto il mio controllo.» Marinette si portò una mano alla bocca, arrossendo vistosamente e iniziando a balbettare parole senza senso, facendo ridacchiare il ragazzo: «Quanto mi mancavano i tuoi balbettii. Era un po’ che non li sentivo.»
«A-adrien!»


Wei sbuffò, sistemando alcuni scatoloni e ignorando il dolore alla schiena: la ferita era migliorata e anche tanto ma, a differenza di quelle di Marinette e Rafael, non era ancora guarita del tutto.
Ma se non lavoro non mangio e il signor Mercier ha bisogno di me.
Sospirò, voltandosi e osservando lo sguardo chiaro che non lo perdeva d’occhio nemmeno per un secondo: quella mattina Lila si era presentata davanti casa sua e, senza dire una parola, l’aveva seguito mettendosi poi da una parte e fissandolo per tutto il tempo.
Questo dopo due giorni che non si era fatta sentire per niente.
«Vuoi qualcosa?» le domandò, poggiandosi alla pila di scatole e asciugandosi il sudore con la maglietta: osservò lo sguardo di lei seguire i suoi movimenti e poi tornare a puntarlo negli occhi: «Vuoi…»
«Niente.» sentenziò spiccia la ragazza, rimanendo immobile con i gomiti poggiati sulle cosce e il viso tenuto fra le mani, mentre Vooxi e Wayzz erano comodamente seduti sulle sue ginocchia.
Donne, sbuffò Wei, alzando gli occhi al cielo e avvicinandosi: da quando si erano conosciuti Lila aveva cercato in ogni modo di avvicinarlo, di essergli amica e lui si era abituato velocemente alla presenza della ragazza.
Molto spesso era passata a trovarlo, mentre aiutava il signor Mercier a preparare le consegne, portandogli anche qualcosa da mangiare.
In effetti, Mercier si era stupito dell’assenza dell’italiana nei giorni precedenti.
Si lasciò cadere a terra, accanto alla ragazza e la osservò tenere lo sguardo dritto davanti a sé: «Grazie.» mugugnò, massaggiandosi la base del collo e alzando la testa verso il cielo terso: «Per essermi rimasta vicino quando io…»
«Non farlo mai più.» dichiarò Lila, tenendo lo sguardo sempre fisso in avanti; Wei la osservò socchiudere le palpebre e poi voltarsi verso di lui: «Non proteggermi. Mai più.»
«Non…»
«Non dirmi che non puoi.» sentenziò la ragazza, alzandosi in piedi e osservandolo dall’alto: «Io non voglio essere protetta, se il prezzo è vederti ferito; sono una Portatrice di Miraculous anch’io, non sono una ragazzina incapace di combattere.»
«Lo so.»
«E allora non farlo più.» gli ripeté, chinandosi e afferrando la propria borsetta, voltandogli poi le spalle mentre Vooxi le fluttuava accanto, prima di nascondersi all’interno della giacca.
«Perché?» le domandò, rimanendo immobile al suo posto e osservandola fermarsi: «Perché non vuoi essere protetta da me?»
«Non voglio essere protetta. Da nessuno.»
«Perché?»
«Perché cosa?» sbottò Lila, voltandosi e facendo cadere la borsa per terra, guardandolo con lo sguardo lucido: «Forse perché non voglio vedere qualcuno a cui tengo soffrire? Forse perché sono morta di paura pensando che non ti saresti svegliato? Forse perché…» si zittì, ritrovandosi imprigionata nell’abbraccio forte e caldo di Wei; rimase immobile per alcuni secondi, iniziando poi a ribellarsi e picchiando i piccoli pugni contro il petto muscoloso del cinese: «Non voglio la tua pietà!»
«Sfogati, Lila.» le mormorò Wei, stringendola di più a sé e carezzandole la testa scura: «Piangi.»
E, quasi come se non aspettasse altro, Lila iniziò a piangere.


Lo aveva sentito, ma non voleva dargli la soddisfazione di voltarsi.
Era rimasta immobile, sul tetto di paglia di una delle capanne della periferia, mentre lo sguardo era rivolto verso il porto ove era nascosto il loro nemico: «Lo so che mi avevi sentito.» le sussurrò una voce calda all’orecchio, facendola voltare e incontrare il suo sorriso scanzonato.
Gli sorrise, tirando su le gambe e stringendole al petto: «Pensieri?» gli domandò lui, accomodandosi al suo fianco.
«Sì.»
«Il piccoletto sa il fatto suo, non c’è nulla di cui avere paura.»
«Ne sei certo?»
Lui alzò le spalle, sorridendole: «L’ho visto combattere e non mi sembra uno sprovveduto.» dichiarò, tenendo lo sguardo sulla nave imperiale: «Gli affiderei la mia stessa vita.»
«Spero sia come dici tu. Non voglio avere morti sulla coscienza.»
«Sempre così pessimista?»
«Sempre così ottimista?»
Lui le sorrise, scuotendo il capo: «Non sono ottimista. Penso solo che andare subito al peggio sia un modo brutto di vivere: ti perdi la metà delle cose.»

Coeur aprì le palpebre,  storcendo la bocca: ricordi. Ancora ricordi tramutati in sogni.
Avrebbe voluto che tutto sparisse, che la sua vita passata fosse stata spazzata via quando aveva accettato lo spirito dentro di sé, invece ogni giorno doveva ricordare chi era stata e cosa era diventata.
Un demone.
Una creatura maligna.
Qualcosa che avrebbe sicuramente combattuto.
Qualcosa che lui avrebbe annientato.
Si strinse nelle spalle, massaggiandosele come se avesse freddo: «Mi manchi…» mormorò, tirando su le gambe e poggiando la fronte contro le ginocchia: avrebbe voluto piangere, ma non c’era lacrime nel suo corpo.
Avrebbe voluto rivederlo, ma era impossibile. Lui era morto, tanti anni prima.
Avrebbe voluto urlare e gridare, rompere qualcosa magari, ma così facendo avrebbe dato spettacolo e divertimento allo spirito.
Alzò la testa, sospirando rumorosamente e, afferrando la vestaglia abbandonata in fondo al letto, si alzò in piedi e la infilò: seta contro pelle nuda.
Quella sensazione…
Sorrise, ricordando la prima volta che si era donata a lui: la seta cinese del suo costume, che le carezzava il corpo e veniva lentamente gettata via dalle sue mani esperte…
Mi manchi.
Scosse il capo, stringendo il nodo delle veste e andando nell’altra stanza: Mogui, o meglio Alex, dormiva placido sul divano e lo specchio era scuro come sempre.
Bene.
Ottimo.
Non l’avrebbe disturbata.
Di sicuro si stava gustando la sua disperazione e la sua tristezza, diventando più forte.
Si avvicinò al mobile che conteneva le bottiglie di vino e, prendendone una a casaccio, si versò un bicchiere, voltandosi poi verso lo specchio e alzandolo a mo’ di brindisi: «Alla tua salute!»


Rafael sospirò, mentre camminava verso casa sua, dopo aver passato la serata a Le Cigale: «Ti ho vista da un bel po’, Bee.» sentenziò, mettendosi seduto sui gradini e ridacchiando: quello era il luogo dove si era incontrato con Bee un po’ di tempo fa.
«Come hai fatto?» sbottò la ragazza, atterrando poco lontano da lui: «Volavo sopra le luci…»
«Rifattela con il tuo costume, che riflette la luce. E con i lampioni di Parigi.» le spiegò Rafael, indicando uno di questi ultimi e sorridendole: «Perché mi stavi seguendo?»
«Così…»
«Sai che potrei denunciarti per stalking? Non penso che sarebbe bello leggere su Le monde qualcosa del tipo: eroina parigina denunciata per stalking da modello del marchio Agreste.»
«Mi preoccupavo, ok? Dopo quello che è successo ad Alex e…» lo indicò, iniziando a camminare avanti e indietro davanti a lui: «beh, anche noi siamo amici, no? Io…»
«So proteggermi. Ho un Miraculous e un kwami e non ho paura di usarli.»
«Ehi, non sono un’arma.» dichiarò il kwami del pavone, sbucando dalla tasca della giacca e guardandolo male: «Non puoi usarmi. L’unica cosa che posso fare è trasformarti.»
«Flaffy, mi hai rovinato la battuta.»
Bee ridacchiò, scuotendo il capo biondo e voltandosi verso la direzione del Sacré Coeur: «Mi stai dicendo che mi preoccupo troppo?»
«Abbastanza sì.»
«Io non…»
«Andrà tutto bene.» sentenziò il ragazzo, alzandosi in piedi e avvicinandosi all’eroina, allungò le mani alla capigliatura della ragazza, prendendo il pettinino e togliendolo, osservando Bee trasformarsi in Sarah e la piccola Mikko uscire dal Miraculous: «Il parco è chiuso, ma Sacre Coeur si può vedere anche dalla strada…» mormorò, indicando verso la chiesa.
«Mi piace quel posto.» mormorò Sarah, creando uno chignon con la lunga capigliatura bionda e fermandolo con il pettinino dell’Ape che Rafael le aveva reso: «Penso di essermene innamorata.»
«Solo di quello?»
«Eh?»
«Beh…ci sono tanti posti belli a Parigi…»
«Mh. No, Sacre Coeur ha il mio amore eterno.»
«Capito.»


Gabriel sospirò, sentendo il figlio rientrare in casa.
Le tre di notte.
Avrebbe voluto tanto salire e dirgli qualcosa, fargli presente che con la settimana della moda che si avvicinava lui dormiva di meno per preparare tutto quanto e sapeva quando rientrava ma, ogni volta, si fermava.
Com’era stato lui alla sua età? Esattamente uguale.
Quante volte aveva rischiato di farsi scoprire dai genitori di lei, per stare qualche minuto in più fra le sue braccia? Tante. Tantissime.
E quando avevano scoperto di attendere un figlio? Era stato difficile trovare il modo – trovare la scusa – per dirlo ai loro genitori.
Gabriel si appoggiò allo schiena della poltrona, rimanendo in silenzio: poteva sentire i passi di Adrien di sopra, mentre cercava di andare a letto senza fare rumore, e il respiro pesante di Nooro, che dormiva sul divano poco distante; osservò la foto che teneva sulla scrivania, sorridendo al volto della donna: «Ho sempre pensato che fosse più simile a te, ma mi ricorda quando ero giovane: la stessa incoscienza, la stessa spavalderia…Tu diresti che ha anche il mio modo di fare con la sua ragazza, ne sono certo.» sospirò, scuotendo il capo: «Dovrei dirglielo che so che rientra tutte le mattine perché passa la notte da lei? O faccio meglio a stare zitto? Ogni  volta penso a cosa tu avresti fatto, a come ti saresti comportata con lui se fossi ancora qui: sono certa che lo ascolteresti rientrare, sorridendo e scuotendo divertita la testa.» Gabriel si fermò, prendendo il portaritratti e carezzando i lineamenti della donna fotografata: «Già tu faresti proprio così.»

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.186 (Fidipù)
Note: Li avete sentiti i cori da stadio ieri? O i canti angelici? Bene, ero io che, finalmente!, mi mettevo in pari con le risposte alle recensioni (chiedo scusa per avervi intasato di messaggi!). Finalmente ce l'ho fatta!
Allora, passiamo al nuovo capitolo: bene, bene. Che posso dire? A parte il fatto che, come indirizzo del Centro Massaggi Da Fu con ardore, ho usato quello di un centro realmente esistente (per la cronaca si chiama Kin Massage, se per caso andate a Parigi e volete farvi un massaggino...), che si trova nel X arrondissement, vicino alla stazione ferroviaria Gare de l'Est.
E niente!
Al solito vi ringrazio tantissimo per i commenti che mi lasciate e per il fatto che leggete la mia storia!
Grazie grazie grazie grazie!



Fu sorseggiò il the caldo, studiando assorto uno dei rotoli che aveva sul tavolo, e sospirando: aveva cercato su qualsiasi documento o carta che il suo vecchio maestro, il Gran Guardiano Liu, gli aveva lasciato in eredità ma non aveva trovato niente.
Tutto ciò che aveva rinvenuto era una piccola annotazione sui mogui: i demoni che, secondo la mitologia cinese, si moltiplicavano con la stagione delle piogge e portavano danni agli esseri umani: «Io non ho un demonietto che si diverte a distruggere e danneggiare.» sbuffò, posando con forza la tazza sul tavolo e ignorando gli schizzi con cui aveva tempestato la pergamena: «Io ho…»
«Tu hai qualcosa di assolutamente nuovo.» commentò una voce femminile alle sue spalle: Fu si voltò, sgranando lo sguardo alla vista della figura femminile, completamente vestita di nero e con una maschera di cristallo scuro sul volto: «Qualcosa che non troverai mai sui rotoli del Maestro Liu.»
«Tu non sei reale.»
«Perspicace come sempre, piccolo Fu.»
«Che cosa vuoi da me, Coeur?»
La donna si aggirò per la stanza, studiando interessata il paravento in carta e il grammofono: «Ero venuta a trovare un vecchio amico. E’ un po’ che non ci vediamo…»
«Mi hai ignorato per gli ultimi centottant’anni.» sentenziò Fu, incrociando le braccia e osservandola serio: «Perché adesso?»
«Sono centosettantasei anni, per la precisione. E poi so che dietro quei ragazzini ci sei tu.» dichiarò la donna, fermandosi e fissandolo a sua volta: «Tu eri l’erede del maestro Liu, sei stato il Gran Guardiano in tutti questi anni e il Portatore del Miraculous della Tartaruga, almeno finché non l’hai dato a quel bestione…»
«E sai bene che farò tutto ciò che è in mio potere per annientarti.»
«Vuoi uccidere una tua vecchia amica?»
«La mia amica è morta quel giorno. Assieme a lui!» dichiarò Fu, alzandosi in tutta la sua statura: «L’ho pianta quel giorno. Tu sei solo l’involucro di ciò che lei era. Tu non sei lei!»
Coeur Noir sorrise, alzando le braccia verso l’alto, mentre il suo corpo si trasformava in fumo nero impalpabile: «Piccolo Fu.» mormorò la sua voce, mentre le volute si disperdevano nell’aria: «Io sono lei.»


Rafael sbadigliò, mentre scendeva le scale che portavano alla metrò, e gettò un’occhiata agli altri quattro che lo seguivano: «Non capisco…» iniziò, catturando l’attenzione generale: Sarah era al suo fianco, lo sguardo rivolto verso di lui; Lila aveva appena riposto il cellulare, sicuramente dopo aver mandato un messaggio a Wei  e…Beh, la coppietta felice faceva la coppietta felice.
«Cosa non capisci?» domandò Adrien, sorridendo affabile allo sguardo d’odio di Rafael: «Perché ci sono tante cose che…»
«Adrien…»
«D’accordo, mon amour, non continuo.»
«Potete essere un po’ meno zuccherosi?» domandò Lila, scuotendo il capo e facendo ondeggiare la lunga chioma scura, mentre superava il tornello e si avviava verso i binari della metrò: «Mi chiedo come fanno i vostri kwami a sopportarvi tutto il giorno. Soprattutto il tuo, micetto.»
«Plagg è un romanticone.»
«Nei tuoi sogni, moccioso.» sbottò la voce di Plagg, da sotto la giacca del biondo, facendo ridere il gruppo nell’attesa della metrò che, dopo pochi minuti, comparve alla fine del tunnel: aspettarono che il mezzo si fermasse e le persone uscissero, prima di entrare e rimanere in piedi nello spazio delle porte.
«Qual è la nostra fermata?» domandò Lila, osservando le porte automatiche chiudersi.
«Paris Est.» le rispose Rafael, scivolando con il pollice sullo schermo del cellulare: «Quella prima della nostra è Château d’Eau.»
«E ringraziamo il CIP, Centro Informazioni Pennuto.»
«Ti odio.»
«Anche io, tranquillo.»
«Secondo voi perché il maestro Fu ci ha chiamato?» domandò Marinette, cercando di mettere fine all’ennesimo inizio di un litigio fra i due: «Sembrava molto turbato, quando mi ha telefonato.»
«Forse sarà rimasto bloccato con la schiena.» buttò lì Adrien, scuotendo il capo: «Comunque stavo pensando…»
«Non pensare.» lo intimò Lila, sorridendogli: «Il tuo cervello non c’è abituato, micetto.»
«Muori, volpe.»
«A cosa pensavi?» s’intromise Marinette, posando una mano sul braccio del biondo e sorridendogli, come a invitarlo a continuare il discorso che aveva iniziato.
«Beh, siamo un gruppo, no?» iniziò il biondo, ricevendo consensi da parte degli altri quattro: «Quindi ci serve un nome.»
Sarah sospirò, tamburellandosi le dita sulle labbra e alzando lo sguardo verso l’alto: «Miraculous Heroes?» propose, spostando lo sguardo sugli altri.
«Nel senso che ci serve un miracolo per salvare Parigi?» le chiese Rafael, mettendo in tasca il cellulare e guardandola: «Perché a meno che non veniamo miracolati non so come…»
«No, nel senso che siamo tutti Portatori di Miraculous. E siamo supereroi.»
«Sarah, pensi davvero di fare un discorso serio con questi due?» domandò Lila, sbuffando e recuperando il cellulare dalla borsa, leggendo velocemente il messaggio: «Wei ci aspetta davanti l’uscita della metrò.»
«Fammi capire.» mormorò Rafael, massaggiandosi il mento: «Tu e il cinese state insieme?»
«Perché? Ti piacerebbe provarci con me?»
«Non sei il mio tipo.»
«Perché tu hai un tipo? Pensavo ti bastasse solo che una respirava per provarci.»
«Ah. Ah. Molto divertente.» sbuffò Rafael, imbronciandosi e guardando male l’italiana: «mi chiedo come faccia quel poveraccio di Wei a sopportarti?»
«Come fa Sarah con te?»
«Non mettetemi in mezzo.» dichiarò l’americana, fissando male i due e rimediando due sorrisi in cambio.
Adrien ridacchiò, scuotendo la testa e ascoltando la voce preregistrata che annunciava la fermata: «La prossima è nostra. Come passa velocemente il tempo, quando sei in compagnia…» dichiarò, mentre la metrò si fermava e alcuni passeggeri scendevano: «Tornando all’argomento principale: come mai maestro Miyagi ci ha chiamato?»
Marinette roteò gli occhi, sbuffando: «Io l’avevo chiesto, prima che iniziaste a beccarvi fra di voi.»
«Sono loro!» dichiarò immediatamente Lila, indicando i due ragazzi: «Tirano fuori il peggio di me!»
«Ora è colpa nostra?» domandò Adrien, puntando alternativamente il dito su se stesso e Rafael: «Volpe, mi deludi.»
«Perché Fu ci ha chiamato?» chiese nuovamente Marinette prossima alla disperazione, attirando su di sé l’attenzione generale, mentre la voce preregistrata annunciava la fermata di Paris Est: «Era abbastanza agitato e, da quel poco che so del maestro, non mi sembra un tipo che si agiti per poco.»
«E’ molto calmo, vero.» sentenziò Rafael, voltandosi verso le porte automatiche che si aprivano e uscendo dal mezzo assieme agli altri: «Forse ha scoperto qualcosa su Mogui. Qualcosa di grosso.»
«Il pennuto non ha tutti i torti.» sbuffò Adrien, avviandosi verso l’uscita della metrò e iniziando a salire le scale che portavano verso la superficie: strinse gli occhi alla luce, abituandosi piano piano alla luminosità e, una volta uscito, iniziò a guardarsi intorno, scorgendo immediatamente la figura di Wei: «Ehilà, amico!» lo salutò, mentre lo raggiungeva assieme agli altri.
«Ciao a tutti.»
«Pronti per sapere cosa ha a dirci il maestro Fu?» domandò allegro Rafael, sorridendo agli altri.
«Andiamo a sentire, piumino.» sbuffò Lila, avviandosi per la strada e venendo immediatamente seguita. Sarah si fermò, osservando l’enorme edificio dalla parte opposta della strada e afferrò Rafael per la maglia, indicandogli la costruzione: «Cosa è?» domandò, voltandosi e attendendo paziente la risposta.
«La Gare de l’Est: è una delle stazioni di Parigi.» le rispose prontamente il ragazzo, sorridendole: «Dentro ci sono anche un casino di negozi.»
«E uno Starbucks!» esclamò allegra Lila, afferrando i due per le spalle: «Dopo che abbiamo parlato con il nonnino ci andiamo?»
«Ti piace il caffè di quelli?» domandò il ragazzo, sgranando gli occhi: «Pensavo che a voi italiani piacesse quello bello forte.»
«Infatti è così e, se dovessi prendere il caffè normale lì, te lo sputerei in faccia! Però hanno quei cosi pieni di panna e altre schifezze che sono veramente buoni…» spiegò l’italiana, facendogli l’occhiolino e poi allungando il collo, in modo da vedere il resto della compagnia che si era fermata: «Ci andiamo dopo?»
«Per me va bene.» dichiarò Marinette, alzando le spalle e voltandosi verso Adrien che annuì con la testa, mentre Wei sospirava sorridente.
«Bene!» esclamò allegra Lila, alzando un pugno per aria: «Era da un po’ che volevo provare quel bicchierone di latte e caffè che chiamano Macchiato.»
«Fissata!» bofonchiò Vooxi dalla tasca della giacca della ragazza, mentre quest’ultima alzava lo sguardo verso il cielo e borbottava una risposta poco signorile.


Sei imprudente.
Coeur Noir sorrise, incrociando le braccia al seno e osservando lo specchio, rimanendo comodamente seduta sul divano: «Prego?»
Non dovevi incontrarlo. Ora lui sa chi sei.
«Fu l’ha sempre saputo.»
Adesso…
«Lui ha paura. Teme il mio potere e ciò che sono diventata.»
Il nostro potere.
«Come ti pare…» sbuffò la donna, alzandosi e avvicinandosi alla finestra, osservando la città: «Fu non può fare niente, non troverà mai niente della mia creatura e non saprà mai come insegnare ai suoi allievi a sconfiggerla…»


Fu sospirò, osservando i sei ragazzi che si stavano accomodando nella piccola sala: «Oggi mi è venuta a fare visita Coeur Noir.» iniziò, senza tanti giri di parole e trovandosi lo sguardo di tutti addosso: Rafael si era immobilizzato, mentre si stava sedendo; Lila, Sarah e Marinette avevano trattenuto il fiato, mentre Wei inspirava profondamente e Adrien…
Il biondo tossì leggermente, guardandosi attorno e abbozzando un sorriso: «Voleva un massaggio totale?» domandò, osservando poi gli altri: «Che ho detto?»
«Niente, mon minou.» sospirò Marinette, battendo il pezzo di stuoia accanto a lei e invitandolo a sedersi lì: Fu l’osservò sistemarsi accanto alla ragazza.
«No, non è venuta per dei massaggi.» rispose Fu, avvicinandosi all’armadietto e aprendo le ante, tirando fuori un vecchio rotolo: «Ma per fare due chiacchiere.»
«Certamente! La cattiva che sta mandando guerrieri neri e Mogui viene qui a fare due chiacchiere…» sbottò Adrien, incrociando le braccia e imbronciandosi: «Ci sta nascondendo qualcosa, maestro Miyagi?»
«Ogni cosa ha un suo tempo e un suo perché.» spiegò Fu, scuotendo il capo e prendendo un rotolo: «Ho fatto una piccola ricerca sul vostro amichetto: avete detto che si chiama Mogui, giusto?» l’anziano si fermò e, dopo il cenno affermativo di tutti, riprese: «Ho cercato nei documenti che mi ha lasciato il mio vecchio maestro in eredità e ho trovato veramente poco: i mogui – o mogwai – sono demoni che cercando di danneggiare gli esseri umani: si riproducono con l’arrivo delle piogge, che simboleggiano l’abbondanza e la fertilità.»
Wei annuì, portandosi una mano alla bocca: «Ricordo. Mia nonna diceva sempre ai miei fratellini di stare attenti a non trovare un mogwai, quando uscivano a giocare dopo il periodo delle piogge.»
«Saggia donna, tua nonna.» sentenziò Fu, sorridendo e facendo scorrere la mano sulla pergamena: «Ora, dovete sapere che il termine Mo deriva dal sanscrito Mara, che vuol dire essere malvagio.»
«E tutto questo…» iniziò Rafael, scuotendo la testa: «Senza offesa, maestro Fu, ma non ci sto capendo veramente niente.«
«Ed io con lui.» sentenziò Sarah, poggiando le mani sul tavolo e osservando il documento e i caratteri che vi erano scritti: «Cosa significa? Alex è…»
«Io penso che ci sia un motivo se Coeur Noir lo ha chiamato Mogui e sia da ritrovare nel fatto che ama danneggiare e distruggere ogni cosa che incontra.» continuò Fu, battendo una mano sulla pergamena: «Ora, io credo che abbia inserito il suo cristallo nel tuo amico Alex perché ha visto un’ombra in lui ed è in questa che ha fatto germogliare il suo seme – ricordatevi che Coeur Noir è pura malvagità – e ha creato Mogui.»
«Come possiamo salvarlo, maestro?» domandò Marinette, scuotendo il capo: «Il Lucky Charm…»
«Mogui deve rendersi conto di essere Mogui.» sentenziò Fu, socchiudendo gli occhi: «La visione di Peacock, lo specchio che il Lucky Charm fa apparire ogni volta: lo specchio può permettere a Mogui di riscoprire la sua vera natura, di riscoprire la sua vera essenza, ovvero l’essere umano di nome Alex.»
«E quindi?» chiese Adrien, scuotendo il capo: «Cosa dobbiamo fare? Tenere Mogui davanti a uno specchio finché non torna normale?»
«Cosa fa Mogui ogni volta che gli mettete davanti la sua immagine?»
«Urla.» rispose prontamente Wei: «Urla e poi scappa.»
«E cos’altro è che lo fa scappare?»
«Sarah.» dichiarò Rafael: «Lui riconosce Sarah: l’ha rapita perché era lei e l’ultima volta non ha voluto fronteggiarla…»
«Perché qui.» l’anziano si portò il pugno all’altezza del cuore, sorridendo: «E’ ancora Alex, il migliore amico di Sarah. La prossima volta che lo affronterete, ricordatevi di questo: non è Mogui il vostro nemico, ma Alex in preda alla sua parte nascosta.»


L’oscurità l’avvolgeva, mentre lui sprofondava sempre più.
Più giù, verso un fondo che sembrava irraggiungibile.
Arrabbiati, Alex, mormorò la voce che lo accompagnava in quel limbo oscuro: arrabbiati. Urla, distruggi.
Pensa a tuo padre, che cerca di comandarti come uno dei suoi soldati.
Pensa a tua madre, che ti tappa le ali.
Arrabbiati, Alex.

Perché doveva arrabbiarsi? I suoi genitori erano come erano, ma gli avevano dato anche tanto…
Pensa a lei, che ti ha abbandonato.
Sarah non l’aveva abbandonato.
Sarah era andata in Francia per sconfiggere Coeur Noir.
Non è vero, lei è venuta in Francia per finire fra le braccia di un altro.
Beh, Sarah aveva diritto a vivere la sua vita. Quante volte l'aveva esortata a uscire con qualcuno?
Ricorda, Alex.
Ricorda l’uomo con cui era quando l’hai presa per portarla al sicuro…
L'hai fatto perché sai che lui la ferirà.

Era vero.
Quando era andata a cercarla, Sarah era in compagnia di qualcuno.
Salvarla. Perché doveva salvarla? Lui…
Ricorda, Alex. Ricorda quell’uomo.
Un uomo.
Un ragazzo.
Lui la farà soffrire.
Lui gliel’aveva portata via.
Lui aveva portato via la sua migliore amica e di sicuro l'avrebbe ferita.
Proteggi sempre la famiglia, gli dice suo padre.
E Sarah era parte della sua famiglia, era la sorella che non aveva mai avuto.
E quello…
Urla, Alex. Urla.
La voce lo incitava, mentre lui continuava a sprofondare sempre più.


«Che ne pensate?» domandò Lila, osservando i tre ragazzi che, diligentemente, stavano aspettando le ordinazioni al banco e poi spostando lo sguardo sulle due ragazze che erano sedute con lei: «Sarah, soprattutto tu.»
La bionda sospirò, massaggiandosi il collo e spostando la mano fino allo sterno, ascoltando i battiti del cuore: «Non lo so. Conosco Alex da quando eravamo piccoli, siamo come fratello e sorella, e…» si fermò, scuotendo il capo: «Suo padre è un generale della Marina americana ed è sempre stato un tipo…beh, un militare anche con il figlio e sua madre è apprensiva fino all’inverosimile: Alex si è lasciato con la sua ultima ragazza quasi per colpa sua, perché non lo lasciava mai libero di stare da solo con lei e…»
«Pensi sia questa l’ombra di cui parlava il maestro Fu?» domandò Marinette, notando un movimento alla sua sinistra e osservando la parte maschile del loro gruppo giungere al tavolo.
«Se posso dare la mia opinione: i genitori possono tranquillamente creare un’ombra in cui Coeur Noir potrebbe far germogliare un seme.» dichiarò Adrien, posando un bicchiere davanti a Marinette: «Il suo Mocha blanc, my lady. E il mio espresso.»
«Che farà sicuramente schifo.» sentenziò Lila, allungando e recuperando il Macchiato, facendo poi la linguaccia al biondo: «Dovresti provare quello vero italiano! Quell’affare lì ti sembrerà acqua colorata.»
«Il tuo the, Wei.» dichiarò Rafael, passando la tazza di vetro con il liquido arancio al cinese, che la appoggiò davanti al suo posto, tenendo in equilibrio il vassoio con i dolci.
«E questi?» domandò Sarah, adocchiando i dolci mentre prendeva il caffè mocha che Rafael le stava passando: «Da dove vengono queste personcine interessanti?»
«Mentre eravamo in fila, Wei ha avuto la brillante idea di prendere anche qualcosa da mangiare.» spiegò Adrien, recuperando i vassoi e poggiandoli sul tavolo vuoto vicino loro: «E quindi abbiamo comprato un po’ di cosette: brownies, cookies…»
«Se davamo retta a mister perfettino saremmo tornati qua con l’intero banco dei dolci.»
«Che ti sei preso, Piumino?» domandò Lila, osservando il bicchiere con il liquido giallo-arancio dentro: «Succo?»
«Un frappuccino al mango.» le rispose Rafael, sorridendo: «Ehm. Non posso bere caffè, mi fa un brutt’effetto e…beh, volevo evitare.»
«Sei allergico, per caso?» chiese Adrien, afferrando un biscotto con pezzi di cioccolato bianco.
«No, solo intollerante.»
«Bah!» sbuffò Lila, scuotendo il capo: «Come si fa a essere intolleranti al caffè’?»
«Bene. Lo bevi e poi passi il resto della giornata in compagnia del bagno.»
«Evitami i particolari.» dichiarò Lila, girando la sua bevanda: «Non voglio sapere. Non voglio sapere. Non voglio sapere.»
«Di cosa stavate parlando?» domandò il biondo del gruppo, afferrando un nuovo biscotto e osservando Marinette e Sarah: «Pensate che centrino i genitori di Alex?»
«Diciamo che l’argomento era su che cosa ha creato un’ombra in Alex? E Sarah ci stava spiegando un po’ la sua situazione familiare: suo padre è un militare e la madre…» Marinette si fermò, muovendo una mano per aria: «Si può dire che sia un Gabriel Agreste al femminile?»
«Anche Alex non poteva uscire di casa? Confinato fra quattro mura perché l’intero mondo fuori era pericoloso?»
«Diciamo che, quando lo faceva, doveva avvisare molto spesso la madre.» spiegò Sarah, sorridendo: «Comunque c’è un motivo se sua madre è così: Alex aveva un fratello maggiore ma è morto in un incidente, quando lui era ancora piccolo e sua madre…»
«Sua madre è diventata terrorizzata dall’idea di perdere anche il secondo figlio. Capisco benissimo.» asserì Adrien, sorseggiando la sua bevanda: «Mio padre era diventato così dopo che mia madre è scomparsa…»
«Mi dispiace.»
«Tranquilla, Sarah.» il biondo sorrise, annuendo poi con la testa: «Comunque sì, sono comportamenti che possono far nascere ombre…»
«Abbastanza scure da poter far crescere un cristallo nero?»
«Non lo so: quando lottavamo contro Papillon ho capito che ciò che sembra sciocco e stupido per me, non lo è per qualcun altro ma, anzi, potrebbe essere qualcosa di veramente importante.» spiegò Adrien, voltandosi verso Marinette e sorridendo allo sguardo orgoglioso che la ragazza aveva: «Quindi sì, è possibile che il comportamento dei genitori abbia creato quest’ombra.»
«Quando tu sei venuta a Parigi, come l’ha presa Alex?» domandò Marinette: «Forse anche essere lasciato dalla sua migliore amica può avere ingigantito l’ombra…»
«Ma io…»
«Sì, lo sappiamo che sei venuta qui per seguire la tua missione, ma forse ad Alex…»
«Forse Alex l’ha visto come un abbandono?» domandò Sarah, scuotendo poi il capo: «Non lo so. Forse sì, siamo sempre stati insieme e poi…»
«Però il cristallo nero, Coeur Noir deve averlo messo prima di venire in Francia.» commentò Wei che, fino a quel momento, aveva ascoltato tutto in religioso silenzio: «Quindi Sarah…»
«Giusto.» Marinette annuì con la testa, sospirando: «Il fatto che Sarah sia venuta a Parigi non centra niente. Scusami, io…»
«Tranquilla, Marinette. L’ho pensato anch’iospiegò la bionda, abbozzando un sorriso: «So di essere stata parecchio fissata con la missione: ogni cosa che mi riguardava era incentrata su di essa, forse…»
«Con i forse di questa storia ci potremmo costruire un palazzo.» sbuffò Adrien, allungando una mano e afferrando un nuovo biscotto: «Secondo me, dobbiamo concentrarci su quello che ci ha detto mister Miyagi: fargli capire che lui è Alex, fargli riscoprire la sua vera natura.»
Lila annuì, voltandosi poi verso Rafael che, seduto accanto a lei, era assorto nella visione del cellulare: «Tu vuoi fare l’asociale oppure dire qualcosa?»
Il moro alzò la testa, abbozzando un sorriso: «Sembra che Mogui sia tornato alla carica.» sentenziò, mostrando a tutti loro lo schermo del cellulare, dove la presentatrice di TVi stava narrando le vicende in un edizione straordinaria, mostrando Mogui che, nella piazza antistante Notre-Dame, stava urlando con le braccia spalancate e lo sguardo rivolto verso il cielo.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.821 (Fidipù)
Note: Ed eccoci finalmente giunti allo scontro con Mogui e, ovviamente, per la battaglia non poteva mancare anche lui, l'eroe nell'ombra (non vi dico il nome altrimenti vi faccio spoiler. XD). E che cosa posso dire? La scena si svolge davanti Notre-Dame e...beh, niente. Vi lascio al capitolo!
Al solito, voglio ringraziarvi perché leggete e commentate (qui, su FB, everywhere!) questa mia storia e v'invito a farmi sapere la vostra, quindi: GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE!
Lo so, sono noiosa!



Ladybug balzò sul tetto, tenendo fisso lo sguardo Notre-Dame che si stagliava oltre i tetti parigini: corse velocemente, saltando alcuni comignoli e roteando lo yo-yo, lo lanciò verso un doccione; dopo essersi data una spinta, atterrò sul marciapiede dalla parte opposta della strada, seguita a ruota da Chat Noir e Peacock.
Alcuni cittadini chiamarono il suo nome e quello degli altri eroi, mentre lei riprendeva la corsa verso la chiesa parigina: alzò la testa verso il cielo terso, osservando Volpina sfrecciare come un fulmine arancio e Bee che, sfruttando le correnti d’aria, planava sul tetto del palazzo adiacente e riprendeva a correre, aprendo le braccia e sfruttando una nuova corrente.
«Noi stiamo correndo…» sentenziò Tortoise, che si era unito al gruppo quando questi erano atterrati in strada: «Ma abbiamo un piano?»
«Parlare con Mogui?» buttò lì Chat, voltandosi leggermente indietro per vedere il compagno: «Ci mettiamo seduti per terra in cerchio e ognuno butta fuori quello che sente. Che ne dite?»
«Che è un’idea stupida!» sbottò Peacock, scuotendo il capo: «Minimo prova a ucciderci appena gli diciamo ciao!»
«Ehi, mai detto che sarebbe stato facile parlarci!»
Ladybug sospirò, lanciando il proprio yo-yo e issandosi sul tetto di casa sua: si fermò, respirando a pieni polmoni e osservando Notre-Dame poco distante; camminò sulla balaustra di metallo del proprio terrazzino e abbassò un attimo lo sguardo, osservando i suoi genitori che, fuori dal negozio, stavano fissando l’orizzonte anche loro: «Pensi che Sabine e Tom siano al sicuro qui?» le domandò Chat, balzando al suo fianco e tenendo lo sguardo sui genitori della ragazza.
«Sì.» la ragazza annuì, roteando l’arma e notando che Tortoise si era fermato vicino al padre e gli stava dicendo qualcosa: Tom annuì, posando un braccio sulle spalle della moglie e scortandola all’interno; mentre Peacock si era fermato poco dietro l’eroe verde: «Dobbiamo mantenere Mogui sull’isola.» dichiarò la ragazza, lanciando lo yo-yo verso il palazzo vicino e saltando, dopo aver assicurato la presa, venendo immediatamente imitata da Chat; Tortoise e Peacock correvano giù per la strada, venendo poi raggiunti dagli altri due quando fu il momento di attraversare la Senna.
Continuarono a correre nella strada che si dipanava da Pont Notre-Dame: tutto era deserto, segno che la polizia parigina aveva già reso inaccessibile quell’area alla popolazione, mentre il personale medico dell’Hôtel-Dieu stava scortando fuori i pazienti: «Proprio vicino a un ospedale…» sbottò Peacock, osservando gli infermieri che stavano trasportando fuori alcuni lettini, caricandoli poi sulle ambulanze.
«Bisogna fare alla svelta.» sentenziò Chat, guardando davanti a sé e sorridendo alla vista di Bee e Volpina, che si erano fermate in mezzo alla strada: «Che succede, ragazze?»
«Niente. A parte mister urlo e spacco tutto che sta distruggendo qualsiasi cosa si trovi a tiro.» dichiarò Volpina, indicando il guerriero nero che, davanti a Notre-Dame, si stava accanendo contro i lampioni della piazza e ogni altra cosa gli capitasse davanti: «Tu sei davvero sicura che non abbia qualche problema con i genitori? No, perché a me ricorda davvero un bambino…»
«Non ho detto che non ha problemi con i genitori, solo non così grandi da…» Bee agitò una mano, sbuffando: «Creando tutto questo.»
«Sentite. Rimanendo qui a parlare non risolveremo niente.» decretò Peacock, indicando poi un punto alle sue spalle: «E là c’è un ospedale. Dobbiamo impedirgli di raggiungerlo e mettere in pericolo quelle persone.»
«Ed ecco che Pennuto stupì tutti trasformandosi in un perfetto eroe.» Chat ridacchiò, scuotendo il capo e assestando una manata sulle spalle dell’altro: «Ma sono d’accordo con te: quello va fermato prima che raggiunga l’Hôtel-Dieu.» si voltò, sorridendo all’eroina in rosso: «My lady, attendiamo i tuoi ordini.»
Ladybug si portò le mani guantate al viso, inspirando profondamente e osservando l’ambiente: la polizia parigina, come aveva pensato, aveva creato una recinzione attorno alla Piazza di Notre-Dame cercando di delimitare l’area in cui Mogui si muoveva: «Ricordiamoci ciò che ha detto il maestro Fu: noi non stiamo combattendo Mogui. Noi stiamo affrontando la parte oscura di Alex.» si fermò, facendo vagare lo sguardo sui suoi compagni e ricevendo da ognuno un cenno di assenso: «Dobbiamo fargli capire chi è, fargli riscoprire l’essere umano di nome Alex.» si fermò, socchiudendo gli occhi e lasciando andare il respiro che, inconsciamente, aveva trattenuto: «Volpina, puoi provare a creare un’illusione di Alex?»
«Sì, ho visto una foto sul cellulare di Bee, quindi posso farlo.»
«Perfetto. Creane più che puoi, in modo che l’attenzione di Mogui sia su di loro.»
«Peacock, Chat. Il vostro compito è quello di stancarlo: usate tutto ciò che avete in vostro potere per farlo indebolire.»
«Niente di più facile, my lady.»
«Si può fare, boss.»
«E, mi raccomando, non fatelo arrabbiare: già lo è parecchio di suo, vorrei evitare che con le vostre battute lo diventi ancora di più.»
«My lady…»
«Non. Fatelo. Arrabbiare.»
«Come la mia signora comanda.»
«Bee. L’energia che usi…» Ladybug si fermò, picchiettandosi le dita sulle labbra: «Puoi solo creare sfere oppure modificarla come ti pare?»
«Posso creare ogni cosa.»
«Qualcosa tipo frusta? Per immobilizzarlo, una volta che i nostri baldi cavalieri l’avranno stancato.»
«Posso farlo. Sì.»
«Perfetto.» l’eroina rossa annuì, sorridente: «E ricordati tu devi essere sempre nel suo campo visivo. Sei ciò che gli ricorda chi è.»
«D’accordo.»
«Tortoise. La tua barriera puoi modificarla in modo da creare una specie di gabbia attorno a Mogui?»
«Non ho mai provato ma penso di sì.» Tortoise si fermò, mordendosi il labbro inferiore:«Wayzz mi ha detto che posso creare ogni forma che voglio e…sì, penso di sì. Per ora ho solo creato scudi, ma creduco di poter fare anche una gabbia o qualcosa di simile.»
«Credo, Tortoise. Credo.»
«Credo. Grazie, Volpina.»
«Io evocherò il Lucky Charm – ovvero l’ennesimo specchio – e darò una mano a Peacock e Chat.» si fermò, abbozzando un sorriso: «Salviamo Alex da Coeur Noir, ok?»
Cenni di assenso si levarono dagli altri e Ladybug sorrise, mettendo mano allo yo-yo e fronteggiando Mogui che, fermo nella piazza, aveva notato la loro presenza: al suo fianco, gli altri cinque eroi presero posizione: «Salviamo Alex.» mormorò una seconda volta la coccinella, facendo un passo verso il nemico, affiancata da Chat e Peacock.
Volpina balzò indietro, suonando alcune note e facendo comparire delle copie dell’amico di Sarah, mandandole contro Mogui che, alla loro vista, ruggì pieno di rabbia e, dopo che gli occhi gli si erano illuminati, iniziò a colpirle una per una: «Non ti stai molto simpatico, eh? Alex?» domandò Chat, salvando un’illusione e bloccando il fendente del guerriero, che aveva sfoderato la spada per colpire i suoi doppioni più vicini: «Che problema hai con te stesso? Dai, dimmelo. Genitori? O sei proprio tu?»
Mogui ruggì, arretrando di un passo e caricando il colpo, ma Ladybug lo bloccò con il suo yo-yo, fissando poi male il biondo: «Sbaglio o avevo detto di non farlo arrabbiare?»
«Forza dell’abitudine, my lady.»
«Se non fai alterare il mondo, non sei contento, eh Chat?»
«Non è colpa mia se il mondo non ha senso dell’umorismo.» decretò l’eroe nero, saltando indietro, evitando così un raggio laser di Mogui osservandolo mentre cercava di liberarsi dalla stretta del filo dello yo-yo: «Amico, quel filo è indistruttibile e la mia lady è abbastanza forte da tenerti imprigionato.» sentenziò, voltandosi verso la sua signora e notando Tortoise che era andato a darle una mano: «Ecco, se ci si mette anche il nostro Torty non hai speranze.»
Il guerriero ringhiò, strattonando il filo che lo avvolgeva mentre Ladybug e Tortoise lo tenevano saldo dall’altro capo e, davanti ai suoi occhi, Bee l’osservava: «Alex…» mormorò, allungando una mano guantata di giallo verso di lui: «Sono io.»
Un nuovo ruggito si levò da Mogui che, con uno strattone, si liberò dalla stretta del filo e, con una spallata, gettò Chat Noir per terra e marciò verso Bee, la spada alta: «Bee! Attenta!» urlò Volpina, creando delle fiammelle di fuoco fatuo attorno a sé e lanciandole verso il nemico; questi ringhiò, agitando la spada e annullando il potere speciale dell’eroina: «Bee!»
L’ape indietreggiò, osservando Mogui alzare l’arma e poi calare il colpo: Bee cadde per terra, chiudendo gli occhi e aspettando il colpo mortale ma, accorgendosi che questo non avveniva, riaprì le palpebre notando uno stormo di farfalle bianche che, bloccando la spada, le aveva fatto da scudo: «Papillon.» mormorò, alzando lo sguardo e notando il genitore di Chat Noir in piedi accanto a lei.
«Va tutto bene?» le domandò questi, allungando una mano e aiutandola a rialzarsi, muovendo poi un dito e spedendo le farfalle contro Mogui, facendolo retrocedere di qualche passo.
«Quando si dice entrata a effetto, eh?» dichiarò Chat, allargando le braccia e sorridendo al padre: «Vieni qua e fatti abbracciare, Papillon.»
«Prego?»
«Oh. Andiamo! Almeno quando sei in maschera poi essere un po’ meno rigido.»
Papillon sospirò, scuotendo il capo e, poggiando il peso sul bastone, osservò il guerriero nero: «Sapete come sconfiggerlo?»
«Sì, dobbiamo solo fargli ritrovare la sua vera natura.»
«Che sarebbe?»
«Il suo migliore amico.» spiegò Chat, indicando Bee: «Già. Brutta storia, vero?»
Ladybug sorrise, osservando Mogui che, si era messo in posizione di difesa: «Che facciamo adesso?» domandò Tortoise, prendendo lo scudo e assicurandoselo al braccio destro, voltandosi la ragazza e rimanendo in attesa.
«Continuiamo con il piano. E state tutti attenti al suo sguardo.» L’eroina rossa inspirò profondamente: «Peacock! Visione!» urlò e ricevendo un segno di assenso dal compagno in blu: Peacock ripose i ventagli e, dopo ave chiuso gli occhi, venne immediatamente catapultato nell’oscurità che precedevano le sue visioni: La sua vera natura…
Non me ne faccio niente.
Lo so che devo fargli capire chi è Alex.
Perché è diventato Mogui?

Il cristallo nel suo cuore.
So anche quello.
Amica. Sorella.
Mi servirebbe qualcosa di più concreto.
La paura di essere debole, di non saper proteggere le persone care.
La paura di essere abbandonato, di rimanere indietro…
Peacock respirò a fondo, tornando al presente e osservando il guerriero nero: «Tu hai paura.» mormorò, sorridendo incredulo: «Hai paura di essere abbandonato da Sarah, di non saperla proteggere perché lei ti è cara…»
Mogui ringhiò, voltandosi verso di lui e, alzando la spada, caricò: Peacock mise mano ai ventagli, iniziando a parare i colpi dell’altro: «Sai, non è che diventare cattivi sia la soluzione? Oltretutto non credo che Sarah sia il tipo da abbandonare gli amici.» sentenziò l’eroe blu, balzando all’indietro e fissando l’altro: «Non ha abbandonato me, che sono un coglione fatto e finito.»
«Sono d’accordo!»
«Tu zitto, gatto!» sbottò Peacock, fissando male il compagno in nero e spostando nuovamente l’attenzione su Mogui: «Andiamo, Alex. Pensi davvero che Sarah ti avrebbe abbandonato perché eri senza poteri? Ci ha raccontato come l’hai aiutata a New York! Non sei debole! Sei un grande, Alex!»
Un nuovo urlo si levò da Mogui che, nuovamente, caricò contro Peacock e, trovandolo impreparato lo colpì all’addome, facendolo rovinare per terra: «No!» urlò Bee, correndo verso il compagno e sgranando gli occhi quando vide Mogui avvicinarsi con gli occhi che brillavano minacciosi.
Peacock osservò, mentre si avvicinava e rimase in attesa del colpo, ma un’ombra nera si parò davanti a lui: «Non te lo lascio far fuori.» sentenziò Chat, con il bastone alla mano, attaccando poi Mogui, costringendolo a metter di nuovo mano alla spada: «Soprattutto perché devo ancora menarlo per averci provato con la mia ragazza!»
«Pensavo fosse acqua passata…» mormorò l’eroe in blu, mettendosi faticosamente a sedere e tenendo una mano sul fianco sinistro, dove era stato colpito; Bee accorse al suo fianco, osservando inorridita la ferita e il sangue che macchiava la tuta blu: «Va tutto bene.» la tranquillizzò il ragazzo, sorridendole: «E’ solo un graffio.»
«Solo un graffio?» domandò l’ape, scuotendo il capo e alzandosi in piedi: «Solo un graffio? Alex! Ti rendi conto di cosa hai fatto?»
Il guerriero nero si bloccò, fermando il colpo che stava caricando contro Chat e, quest’ultimo, ne approfittò per colpirlo e mandarlo lontano: «Ora!» urlò, osservando Bee manipolare l’energia con le mani e creare una frusta: la fece schioccare contro il pavimento e poi la lanciò verso Mogui, bloccandogli i piedi, mentre Tortoise creava una barriera circolare attorno al nemico e Ladybug invocava il Lucky Charm che, esattamente come le altre volte, materializzò uno specchio.
«Penso debba tenerlo tu.» mormorò la coccinella, dando lo specchio portatile a Bee, che lasciò andare lo scudiscio e osservò l’altra: «E’ compito tuo.»
L’ape la osservò, spostando poi lo sguardo sui suoi compagni: Volpina teneva una mano al collo, le dita attorno al suo Miraculous che, implacabile, le ricordava quanto tempo le rimanesse; Papillon era fermo accanto a lei, osservando interessato la scena; Chat Noir stava aiutando Peacock, mentre Tortoise era impegnato a tenere la barriera attorno a Mogui: «Bee…» la esortò Ladybug, posandole le mani sulle spalle e spingendola verso l’avversario imprigionato.
Posso farcela.
Posso salvare Alex.
Possiamo farlo.
Sospirò, avvicinandosi alla barriera di Tortoise e si chinò, osservando la maschera di cristallo nero: «Alex…» mormorò, alzando lo specchio e puntandolo contro di lui: subito il guerriero iniziò a urlare, portandosi le mani alla testa e quasi tentò di strapparsi di dosso la maschera scura: «Alex, quello che ha detto Peacock è vero: io non ho mai pensato di abbandonarti! Sei una delle persone più importanti della mia vita, non potrei mai farlo! Sei il mio migliore amico! Sei un fratello!» si fermò, sentendosi le guance bagnate dalle lacrime e osservò la maschera scura: «Quando il maestro Fu ha lasciato il Miraculous dell’Ape in camera mia, sei stato l’unico a cui ho detto tutto perché sei importante per me.»
«Sa…»
«Scusami se non me ne sono mai accorta. Sono un’idiota lo so, ma non ho mai voluto abbandonarti!»
«Sa…»
«Sei troppo importante per me e non potrei mai farlo. Non ti abbandonerò mai. Mai, mai, mai.»
Mogui urlò e volute di fumo si alzarono da lui, elevandosi verso il cielo mentre il guerriero nero si trasformava sotto gli occhi di tutti, rivelando le fattezze del ragazzo che era: «Il cristallo nero!» urlò Chat, indicando la piccola pietra, che era fuoriuscita dal petto del giovane.
Ladybug fece un cenno a Tortoise e questo lasciò andare la barriera, mentre l’eroina, con l’aiuto del suo yo-yo, purificò immediatamente il cristallo, osservandolo trasformarsi in polvere, che si perse immediatamente nell’aria.


«No!» Coeur Noir urlò, picchiando le mani contro il tavolo e rovesciando il bicchiere di vino: «No! No! No!»
La tua creatura è stata battuta…
«Loro non posso…» la donna si alzò, scuotendo il capo e marciando nervosa per la stanza: «Loro…»
Non li potrai mai battere così.
«Sta in silenzio.»
Non puoi darmi ordini.
«Silenzio, ho detto!»
Una risata beffarda si levò nell’aria, facendola rabbrividire; Coeur Noir scosse il capo, stringendosi nelle braccia e osservando la superficie scura dello specchio: non aveva più molto tempo, stava diventando ogni giorno più forte…
E lei aveva sempre più bisogno dei Miraculous.


Fu osservò la ferita sul fianco di Rafael, spostando poi lo sguardo sul volto del giovane: «Se non ti ferisci, non sei contento?» domandò, iniziando a spalmare l’unguento, mentre Adrien e Wei lo aiutavano, tenendo fermo il compagno: «Sai, non è che sei più eroe se ti fai ferire.»
«Sinceramente, anche a me piacerebbe evitare.» sbottò il giovane, stringendo i denti: «Brucia.» ringhiò, stringendo con le mani l’asciugamano sotto di lui e tenendo lo sguardo sull’altro lato della stanza, dove Sarah e Marinette stavano sistemando Alex nel letto del maestro.
«Lo so che brucia.» sentenziò Fu, finendo di spalmare la crema e prendendo le bende che Lila gli aveva offerto, iniziando a fasciare l’addome del giovane: «Questo t’insegnerà a essere più attento in battaglia.»
Rafael si alzò, aiutando così l’anziano nel bendaggio della ferita e borbottò qualcosa, rivestendosi una volta che tutto fu finito: «Siete stati bravi.» dichiarò l’anziano, sistemando tutto l’abbecedario che aveva tirato fuori per curare il giovane e sorridendo orgoglioso ai sei ragazzi – più Gabriel – riuniti lì: «Avete salvato quel ragazzo da Coeur Noir e avete purificato il cristallo nero che lei aveva messo. Ma non pensate che sia finita qui! Coeur Noir sarà ancora più agguerrita e ricordatevi che vuole i vostri Miraculous.»
«Non possiamo festeggiare la vittoria?»  domandò Adrien, alzando le spalle: «E preoccuparci di Coeur Noir domani? Sinceramente tutto quello che voglio fare ora è non preoccuparmi di guerrieri neri o di attacchi a Parigi.»
Marinette ridacchiò, alzandosi dal suo posto e avvicinandosi al ragazzo: «Povero, mon minou. E’ sfinito.» mormorò, sedendosi accanto a lui e arruffandogli i capelli.
«Per alcune attività ho sempre energia, my lady.»
«Finitela!» sbottarono assieme Lila e Rafael, facendo ridere gli altri.
Fu sorrise, riponendo tutto nell’armadietto: «Gli dirà mai la verità su Coeur Noir?» gli chiese Gabriel, comparendo accanto a lui e fissandolo serio.
«Vorrei evitare.» sentenziò Fu, voltandosi e osservando il gruppetto che rideva e chiacchierava allegro: «La verità su Coeur Noir, ciò che è successo in passato...» l’anziano si fermò, facendo vagare lo sguardo sui sei giovani: «Come posso addossare un simile peso su di loro?»
«Ce l’hanno già quel peso.»
«Una parte, Gabriel. Non tutto.»

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.028 (Fidipù)
Note: Nuova settimana e nuovo capitolo! Tranquilli, dovrete sopportarmi ancora per...ok, devo solo considerare Miraculous Heroes, giusto? Quindi ancora quindici capitoli per giungere alla conclusione di questa storia. Ma se pensate di liberarvi di me...col cavolo! (Citazione presa dal Genio di Aladdin.), perché non finirà qui! *risata malefica*
Bene, per quanto riguarda una cosa che sarà presente nel capitolo, vi invito ad aprire questo link dopo la scena.
Per finire: grazie, grazie, grazie davvero di tutto cuore per i vostri commenti (qui e su FB) e per il fatto che continuate a leggere la mia storia.
Grazie di tutto cuore.


Marinette sbuffò, sedendosi sulla sedia girevole e allargando le braccia, osservando la kwami che ridacchiava, seduta sulla scrivania: «Stanca?» le domandò Tikki, volando fino alla testa della giovane e iniziando a frizionare, per quanto poteva, l’asciugamano sui capelli bagnati: «Questi ultimi giorni sono stati parecchio spossanti…»
«Già.» sospirò la ragazza, gettando indietro la testa e sorridendo alla kwami: «Però adesso Parigi ha un pericolo in meno.»
«Ricordati di Coeur Noir.»
«Sì, sì.» sospirò la giovane, portandosi le mani al capo e iniziando a strofinare con forza l’asciugamano, cercando di togliere l’umido dai capelli: «Secondo te, Tikki, ci darà qualche giorno di tregua o tornerà subito alla carica?»
La kwami sospirò, fluttuando nell’aria e osservandola: «Non lo so. Alla fine, Mogui era il suo guerriero più forte quindi…» si fermò, scuotendo il capino rosso: «Può darsi che si dia una calmata per qualche giorno, magari dovrà pensare a una nuova strategia. Non so, Marinette.»
La ragazza sorrise, gettando l’asciugamano sulla sedia e scuotendo la capigliatura scura: «Non mi dispiacerebbe…» mormorò, andando alla ricerca del phon nell’armadio, ma fermandosi quando avvertì un rumore provenire dal terrazzino sopra la sua camera: «Un po’ di pace.» sospirò, scambiandosi un’occhiata con Tikki: «Abbiamo visite! Il mio adorabile fidanzato e…beh, tuo marito.»
«Non è mio marito.»
«Non è quello che ha detto Plagg.» dichiarò Marinette, ridacchiando quando Tikki gonfiò le guance e la superò velocemente, trapassando la botola; la ragazza scosse il capo, salendo velocemente le scale e aprendo l’oblò, notando immediatamente Chat Noir, con le braccia cariche di regali, e la piccola kwami che lo fissava male e con le braccia conserte: «E’ Natale, per caso?»
«No, my lady.» sentenziò Chat, avvicinandosi al tavolino di legno e lasciando cadere i pacchetti lì: «Solo che, con tutta la storia di Mogui, mi ero dimenticato della nostra scommessa.»
«Giusto!» esclamò la ragazza, battendo le mani e osservando incuriosita i pacchetti finemente incartati: «Devi farmi un regalo al giorno, per un mese!»
«Esattamente.» dichiarò Chat, inchinandosi in modo plateale: «Parlando d’altro, perché Tikki mi sta guardando male?»
«Tiralo fuori!» sentenziò la kwami, volando davanti al muso di Chat e punzecchiandogli il naso: «Togliti l’anello e fallo uscire, quella bocca larga che parla sempre a sproposito!»
«Che cosa…?»
«L’ho solo presa in giro con la storia di Plagg che dice che sono sposati.» dichiarò Marinette, alzando le spalle e poi indicando i regali: «Posso aprirli?»
«Sì.» sospirò Chat Noir, togliendosi l’anello e riprendendo le sembianze di Adrien, mentre il piccolo kwami nero veniva espulso dal gioiello: «Io sono passato in secondo piano, eh?»
«Poi ti saluto.» lo liquidò velocemente la ragazza, prendendo i pacchetti e sistemandosi sulla sdraio, posandosi tutto fra le gambe: «Comunque me ne ero dimenticata anch’io della nostra scommessa.»
«Oh. Bene. Potevo far finta di niente!» esclamò Adrien, accomodandosi per terra al suo fianco e poggiandole la testa contro la coscia: «Su, che aspetti…»
«Tu! Maledetto linguaccione!» la voce acuta di Tikki li distrasse entrambi e si voltarono, osservando lo spettacolo della kwami rossa che stava picchiando il compagno sulla testa, sbraitando a più non posso.
«Vai, Tikki! Fagli vedere chi sei!»
«Tu dovresti tifare per me, ingrato!»
«Certo, certo.» annuì il biondo, spostando lo sguardo sulla ragazza che aveva iniziato a scartare i primi pacchetti: la luce gioiosa negli occhi di Marinette lo fece sorridere, mentre lei toglieva la carta da regalo dall’album da disegno e poi dal set di pantoni: «Ho pensato ti avrebbero fatto comodo…» mormorò, alzandosi e picchiettandole sulla spalla: Marinette scivolò più avanti e lui si sistemò dietro di lei, passandole le mani attorno alla vita e stringendola: «Dici sempre che li finisci subito.»
«In effetti è vero!» esclamò la ragazza, allungando un braccio indietro e carezzandogli i capelli: «Grazie.» mormorò, gettando la testa indietro e dando l’occasione al giovane di baciarla: «E ora gli altri!»
Marinette riprese a scartare, ritrovandosi velocemente fra le mani una catenina con un pendente a forma di chiave, il nuovo cd di Jagged Stone, due biglietti per il cinema, un portafogli nuovo con una coccinella dipinta sopra e una borsa con la litografia di un noto locale parigino: «Le Chat Noir?» domandò la ragazza, voltandosi e osservando Adrien fare spallucce.
«Mi sembrava carino.» dichiarò il biondo, osservandola mettere mano all’ultimo pacchetto: «Ehm. Quello forse è meglio se lo apri quando sarai sola…»
«Perché?»
«Perché? Mh. Bella domanda…»
Marinette assottigliò lo sguardo celeste, fissando attentamente il volto e il sorriso imbarazzato di Adrien, voltandosi poi e scartando velocemente l’ultimo pacchetto: «Adrien!» strillò la ragazza, osservando imbarazzata il completo intimo nero che aveva in mano: il sopra era formato da una fascia ampia su cui faceva bella mostra di sé un oblò a forma di testa di gatto, mentre il pezzo inferiore aveva due piccole puntine che ricordavano le orecchie del felino e due graziosi fiocchetti ai lati.
«Io l’avevo detto che era meglio se lo aprivi da sola.» sbuffò il giovane, scivolando giù dalla sdraio e mettendo le mani davanti al viso, pronto a parare qualsiasi colpa: «A mia discolpa posso dire che mi era sembrato uno scherzo carino e immaginarti con quello addosso…»
«Ah!» strillò la ragazza, con la stoffa nera stretta in mano e il volto rosso come un peperone; Adrien la vide accucciarsi e portarsi le mani al volto, quasi come se così si potesse nascondere da lui.
«Marinette, ecco io…» Adrien si chinò davanti a lei, posando le mani su quelle della ragazza e invitandola ad abbassarle: «Era solo uno scherzo.» le spiegò, incontrando lo sguardo celeste; lasciò andare una mano, carezzandole la guancia rossa e calda: «Davvero. Ok, ammetto che ho una certa fantasia con te che indossi questo ma…»
«Adrien!»
«Sono un sano ragazzo, dopotutto! Insomma, è normale che io…» si bloccò, chinando lo sguardo e arrossendo leggermente anche lui: «Beh, faccio fantasie. Tante fantasie su di te.»
«Tu si che sei di aiuto quando una è imbarazzata.» sbottò Marinette, incrociando le braccia e accorgendosi di avere ancora il completino fra le dita, ridendo leggermente.
«Sono solo sincero, my lady.» sentenziò Adrien, facendole l’occhiolino: «Tu non hai fantasie su di me?» le domandò, osservandola arrossire ancora di più e si trovò a sorridere: «Oh. Oh. No. Va bene. Io devo saperle, Marinette.»
«Tu non saprai niente da me.» sentenziò la ragazza, recuperando i suoi regali e correndo verso la botola, tallonata dal biondo: «Assolutamente niente.»


Rafael osservò il ragazzo americano, mentre saliva sulla metrò con lui: «Sei sicuro che non ti disturbo?» domandò Alex, abbozzando un sorriso: «Posso tornare all’albergo e…»
«E rischiare che Coeur Noir ti usi nuovamente?» sbuffò Rafael, guardandosi attorno alla ricerca di qualche posto a sedere libero, non trovandoli sistemò meglio il trolley dell’altro e la custodia della chitarra: «Comunque nessun disturbo. Casa mia è grande e i miei non ci sono mai…»
«Dev’essere forte. Avere casa sempre libera.»
«Se ti piace la solitudine, sì.» sentenziò Rafael, incrociando le braccia e appoggiandosi al supporto di metallo: «Sarah ci ha detto che, invece, i tuoi sono un tantinello opprimenti.»
«Hanno i loro momenti, ma non posso lamentarmi.» dichiarò Alex sorridendo e fissandolo: «Quindi anche tu hai un Miraculous.»
«Già.»
«Uao. Forte.» mormorò Alex, massaggiandosi il mento: «E ti trasformi in…»
«Peacock.» rispose Rafael, abbassando leggermente la voce: «Il mio Miraculous è quello del  Pavone.»
«Te lo sei dato da solo il nome?»
«Mh. Sì.»
«Anche Sarah fece così. Ci ha messo ore per trovarlo: io avevo suggerito Queen Bee, ma lei ha preferito togliere la parte regale.»
«Non mi sembra il tipo da tenere un nome così altisonante.»
«No. Infatti.» Alex scosse il capo, ridacchiando: «Anche da bambina era così: non l’ho mai vista giocare a fare la principessa; in compenso si divertiva un mondo a fare la cantante.»
«La cantante?»
«Sarah canta come un angelo.» gli spiegò Alex, strizzandogli l’occhio: «Non l’hai mai sentita?»
«No, non c’è stata l’occasione.»
«Bisognerà farla cantare, prima o poi.» sentenziò l’americano, annuendo convinto con la testa: «Sarah, mi ha detto che tu sei un modello, invece.»
«Sì, lavoro per il marchio Agreste.»
«Mh. Non me ne intendo tanto, ma penso sia una marca grossa.»
«Abbastanza grossa, sì.» annuì Rafael, voltandosi verso i finestrini e osservando il suo riflesso: «Tu e Sarah vi conoscete da tanto?»
«Da quando eravamo piccoli.» spiegò Alex, abbozzando un sorriso: «Le nostre famiglie vivono sullo stesso pianerottolo da quando siamo nati e…beh, ci siamo sempre stati l’uno per l’altra.» si fermò, studiando il francese da dietro le lenti degli occhiali: «E so cosa stai pensando: ecco, loro sono innamorati l’uno dell’altra ma si nascondono dietro l’amicizia e questo poveraccio qui è diventato pure cattivo per lei…»
«Io…»
«No. Spiacente, amico, ma hai sbagliato: voglio bene a Sarah, le voglio un mondo di bene ma è come una sorella per me. Baciarla? Immaginare di andarci a letto insieme?» Alex scosse il capo, tremando leggermente: «Sarebbe come immaginare di fare certe cose con mia madre.»
«Ehm. Perché mi stai dicendo questo?»
«Così…» mormorò Alex, alzando le spalle e guardandosi attorno: «Mh. Qual è la nostra fermata?»
«Barbès – Rochechouart.» rispose automaticamente Rafael, fissando l’altro: possibile che essere stato fra le mani di Coeur Noir avesse provocato qualche danno al cervello di Alex?: «Ehi.»
«Mh?»
«Com’era…» si fermò, portandosi una mano alla nuca e massaggiandosela: «Beh, quando eri Mogui, com’era?»
«Oscurità. Era come se non facessi altro che cadere nell’oscurità.» mormorò Alex, sospirando profondamente: «Sono certo di essere stato cosciente qualche momento e di aver visto qualcosa, ma ora come ora è come se mi fossi svegliato e dovessi ricordare il sogno che ho fatto.»
«Capisco…»
«Appena mi ricorderò qualcosa – se mi ricorderò qualcosa – ve lo dirò: combatto Coeur Noir da quando ero a New York, non smetterò ora perché ero temporaneamente passato dalla parte del male.»
«Temporaneamente passato dalla parte del male?»
«Ehi, sono certo che se fossi stato cosciente di essere Mogui, avrei avuto la sicurezza che mi avreste salvato.»
«Tu sei malato…»


Wei si fermò al centro della Place des Vosges, guardandosi attorno e non notando la figura di Lila; sospirò, alzando lo sguardo e studiando il volto dell’uomo a cavallo nella statua, girandogli poi attorno e fermandosi davanti e osservando la scritta nella pietra: «Luigi XIII…» mormorò, superando l’anno di nascita e di morte e andando a leggere il breve testo sottostante: «Questa statua, lavoro di Dupaty e Cortot, è stata alzata il 4 novembre 1825 a so…soti…sost…»
«A sostituzione dell’antica statua in bronzo eretta nel 1639.» terminò per lui la voce di Lila: Wei si voltò, osservando la ragazza poco distante da lui: «Stai migliorando con il francese. I miei complimenti.»
«Se voglio lavorare, devo saperlo.»
Lila sorrise, affiancandolo e studiando anche lei la statua: «Se hai bisogno di una mano, posso aiutarti.» mormorò, gettandosi indietro una ciocca di capelli scuri e mordendosi il labbro inferiore: «Con il lavoro dei miei ho dovuto viaggiare parecchio e quindi…»
«Grazie, Lila.» mormorò Wei, spostando lo sguardo verso la statua: «Era uno importante?»
«E’ stato Re di Francia.» Lila sorrise, scuotendo il capo: «E’ quello che appare nei Tre moschettieri.»
«Ok, era importante.»
«Già.»
Rimasero in silenzio, fianco a fianco: «Perché mi hai chiamato?» domandò alla fine Wei, spezzando il silenzio e posando lo sguardo scuro sulla ragazza; Lila lo fisso brevemente con la coda dell’occhio, tornando poi a guardare un attimo la statua e, infine, facendo vagare lo sguardo sulla piazza: «Lila?»
«Io non sono timida con i ragazzi.» sbottò l’italiana, superando la cerchia di alberi che circondava la statua di Luigi XIII e puntando decisa verso una delle uscite: «Da quando sono arrivata, e Nino può confermarlo, penso di essermi divertita con parecchi ragazzi a scuola: niente di serio, qualche bacio e palpata, al massimo un’uscita.»
«Mh. E quindi?»
Lila si voltò, fissandolo serio e tenendo le mani sui fianchi: «Da quando ti conosco, invece, non sono più io! Non ho più provato nessun interesse per nessun ragazzo: faccio l’eroina e vado a scuola con due dei modelli più belli di tutta Parigi, ma quello a cui penso sei tu!»
«Ah. Ehm…Io…»
«Non ci provare a dirmi che mi vedi solo come un’amica, perché ti faccio trasformare e ti do in testa quel maledetto scudo.»
«Io…» Wei sbuffò, portandosi due dita al setto nasale e abbozzando un sorriso: «Io non credevo che…»
«Che mi piacessi? Invece è così.»
«Perché sei arrabbiata?»
«Lo sono con me stessa!» sbraitò l’italiana, alzando le braccia al cielo e scuotendo il capo: «Non ho mai avuto simili problemi, nemmeno con quel gattaccio quando mi piaceva! Poi arrivi tu e mi ritrovo quasi a balbettare come Marinette!»
«Lila…»
«Che c’è?»
«Anche tu mi piaci.»


Sarah si tirò leggermente il vestito, alzando poi la mano alla testa e controllando che lo chignon fosse a posto: «Giusto per sapere…» mormorò Mikko, facendo capolino dalla borsa: «Non ti sei fatta bella per Alex, vero? No, perché il nostro amico ti ha visto con quel pigiama con gli unicorni e…»
«Ma non mi sono fatta bella.» mormorò la ragazza, dando una veloce occhiata a ciò che aveva addosso: in effetti avrebbe potuto mettere il vestito rosa, invece di quello bianco che indossava, e sostituire la felpa nera con quel cardigan grigio e…
Sbuffò, osservando le converse nere che aveva ai piedi.
«Ah no?» mormorò la kwami, tornando all’interno della borsa: «Comunque ad Alex non farai né caldo né freddo; però non so dirti cosa ne penserà Rafael.»
«Mikko.» sbottò Sarah, scuotendo il capo e suonando il campanello: meglio entrare come le persone normali questa volta.
Rimase in attesa, sentendo dei passi veloci dall’altra parte della porta e poi Rafael aprì trafelato: «Cia…»
«Fai qualcosa!» sentenziò il ragazzo, indicando un punto dietro di sé e facendole spazio per passare; Sarah avanzò incerta nell’appartamento, seguendo il suono delle voce della Tv e raggiungendo il salotto, dove trovò Alex e Flaffy, il kwami di Rafael, intenti a guardare…
Il signore degli anelli?
«Ma cosa…?»
«Flaffy gli ha proposto di guardare la trilogia appena siamo arrivati a casa. Dovevi dirmelo che il tuo amico era fissato!»
«Non ci ho pensato…» mormorò Sarah, guardando Alex e Flaffy discutere animatamente su come Frodo era stato stupido a mettersi l’anello mentre era inseguito da Nazgul: «Sono ancora al primo film?»
«Flaffy ha le versioni estese.» mormorò Rafael, sedendosi al tavolino della sala da pranzo, che dava direttamente sul salotto: «E hanno deciso di fare nottata, guardandoli tutti e tre. Senza contare che stoppano il video ogni cinque minuti perché devono commentare…» il ragazzo si mise le mani fra i capelli, uggiolando: «Ed io domattina ho scuola, senza contare le prove per la sfilata: era meglio se morivo per mano di Coeur Noir.»
«Scusa.»


Marinette sospirò, stringendosi al biondo e crogiolandosi nel calore della sua pelle nuda: «Ho soddisfatto qualche tua fantasia, my lady?» le domandò Adrien, posandole un bacio fra i capelli scuri e strofinando poi il naso contro di questi: «Io mi chiedo come mai i tuoi genitori non si siano ancora accorti di niente…»
«La camera dei miei è abbastanza distante e poi…» la ragazza tirò fuori un braccio da sotto le coperte e indicò un punto dabbasso: «Quello è insonorizzato.»
«Mi stai dicendo che il pavimento di camera tua è…»
«Sì. Non so cosa ci facesse il proprietario precedente: penso sia stato una specie di musicista, comunque quando i miei comprarono quest’appartamento, il vecchio padrone li informò che il pavimento era completamente isolato acusticamente.» spiegò Marinette, allungandosi e posandogli le labbra sull’angolo della bocca: «E dato che io ho la pessima abitudine di cucire anche durante la notte…»
«I tuoi sono stati più che grati di questo particolare. E anch’io.» sentenziò Adrien, ridacchiando: «Ci siamo dimenticati fuori Tikki e Plagg.»
«Non penso che il tuo kwami se ne lamenti.» mormorò Marinette, stringendosi maggiormente al ragazzo: «Grazie per i regali.»
«Ti sono piaciuti?»
«Sì. Anche quello.» mormorò Marinette, aprendo le palpebre e fissandolo: «Non lo metterò mai, ma è carino.»
«Mh. Non c’è nessun modo per convincerti a indossarlo? Almeno una volta…»
«No, nessuno.»
«Nemmeno una volta piccola piccola?»
«Adrien…»
«Una volta sola.»
«Morirei d’imbarazzo e mi sentirei stupida e…»
«E adesso sicuramente partirai con uno dei tuoi film mentali.» mormorò Adrien, girandosi di lato e osservandola in volto, portandole indietro una ciocca di capelli mori: «Mh. Fammi indovinare. Morirò trafitto da uno dei laccetti dello slip, vero?» le domandò, sorridendo quando la vide diventare rossa: «D’accordo, la smetto di prenderti in giro.»
«Mh.»
«Non lo faccio più. Per stasera.»
Marinette socchiuse gli occhi, allungando una mano e seguendogli il contorno delle labbra: «Fo-forse u-una volta po-potrei anche metterlo. Una volta sola, però.»
«Come la mia signora desidera: puoi anche metterlo nell’armadio e fine.» dichiarò Adrien, avvicinandosi e baciandole la punta del naso: «Ma se lo metterai, mi farai il felino più felice della faccia della terra.»


Che cosa hai in mente di fare?
«Niente. Rimarrò qui e berrò il mio vino.» dichiarò Coeur fissando lo specchio e poi gettando indietro la testa: sdraiata sul divano, con i piedi poggiati su un bracciolo e il collo sull’altro, un braccio abbandonato sullo stomaco e l’altro disteso con il bicchiere in mano: «Non pensi che sia una bella idea?»
Potresti lasciare che ci pensi io…
«Lasciarti prendere il controllo? Non sono ancora così disperata.»
Lo sei.
La donna scosse il capo, socchiudendo gli occhi: «Fai quello che ti pare. Non m’importa più di niente.»
Attendevo questo momento.
Il rumore di un’incrinatura fece scattare Coeur Noir che, osservando inorridita lo specchio, si alzò dal divano: «Maledizione!» mormorò, gettando via il bicchiere e arretrando.
Era stata stupida.
Incredibilmente stupida.
Nella sua autocommiserazione per aver perso il suo prezioso Mogui, aveva lasciato abbassate le difese e adesso lui si stava liberando: «Torna nello specchio.»
Non puoi più trattenermi.
Osservò le volute di fumo nero uscire dalla superficie riflettente e assumere una forma vagamente umana davanti a lei: «Non osare.» mormorò, alzando una mano come a intimare di fermarsi.
Una risata echeggiò nell’aria, prima che il fumo si avventasse su di lei: Coeur Noir gettò la testa all’indietro, mentre le volute l’avvolgevano, inglobandola e divorandola: «Non hai più potere su di me.» mormorò alla fine la donna, guardandosi le mani e sorridendo allo specchio completamente nero: «Non l’hai mai avuto, povera stolta.»

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.662 (Fidipù)
Note: Tadaan! Eccomi qua con il secondo appuntamento settimanale di Miraculous Heroes! Lo so, lo so. Vi sto venendo a noia, ma che posso farci? Io e le storie brevi non andiamo d'accordo XD Quindi dovrete sopportarmi ancora per un po' (perché non pensiate che finirà tutto con questa storia *risata malefica*)
Bene, bene. Che si può dire di questo capitolo? Un altro capitolo tranquillo tranquillo, giusto per far riprendere i nostri eroi - e me - dalle fatiche di Mogui.
E niente, non ho altro da dichiarare, quindi vi lascio subito con i ringraziamenti: un grazie a chi legge, a chi commenta qui su EFP e su FB (mi raccomando, fatevi sentire!), a chi mette questa storia in una delle sue liste e...
Grazie, semplicemente e di tutto cuore, grazie.


C’era qualcosa che le dava fastidio.
Sarah storse il naso, alzando una mano e scacciando qualsiasi cosa le stesse pungolando la guancia, sperando di poter tornare al suo sogno, ma vanamente dato che il disturbatore riprese nuovamente: «Cosa…?» mormorò, aprendo gli occhi e osservando l’ambiente.
Perché camera sua sembrava una sala da pranzo?
E perché lei non era sdraiata nel suo letto?
Ok. C’era qualcosa che non andava.
Si mise a sedere, sbattendo le palpebre e passandosi le mani sul volto, cercando di scacciare gli strascichi del sonno, guardandosi attorno spaesata: «Buongiorno, bella addormentata.» la salutò la voce di Rafael alla sua sinistra, facendola voltare e incontrare lo sguardo grigio e divertito del ragazzo.
«Cosa?»
Perché Rafael era a casa sua?
«Ce la fai a svegliarti?»
«Perché sei a casa mia?»
«Veramente sei tu che sei da me.»
Sarah si tirò su, osservando la sala da pranzo e il salotto, lo stesso dove la sera prima Alex e Flaffy avevano guardato Il signore degli Anelli, spostando poi l’attenzione sul ragazzo in piedi accanto a lei e con un piatto in mano: «Io…»
«Sei crollata, ieri sera. Lo so.» sentenziò Rafael, mettendole davanti il piatto e scuotendo il capo: «Ero lì tranquillo che stavo facendo i miei compiti di fisica, alzo la testa e ti trovo che dormi tranquilla e beata. Ah, fra l’altro da bravo cavaliere ho provato a prenderti per metterti a letto, ma mi hai rifilato in ordine un calcio e un pugno…»
«Scusa…»
«Tranquilla. Li ho evitati entrambi, però per evitare altri colpi, ti ho lasciato a dormire qui.»
Sarah annuì con la testa, guardandosi attorno: «Alex?»
«Se la sta dormendo della grossa. Ha detto di non chiamarlo, però dovrò farlo prima di andare a scuola, dato che viene Wei a darmi il cambio come sua babysitter..»
«E questo cosa è?»
«Pane e marmellata.» le spiegò Rafael, sparendo dietro una porta e urlando dall’altra stanza: «Io non bevo caffè per…beh, sai il perché, quindi che preferisci? The, latte, cioccolata oppure succo?»
«Oh. Non preoccuparti, io…»
«Se pensi di andare a casa, non ce la farai.» dichiarò il ragazzo, facendo capolino dalla porta: «Anche se ti trasformi. Invece, fai colazione poi un voletto a recuperare i libri e…tadan! In perfetto orario per la scuola! Che cosa vuoi bere?»
Sarah annuì: «The, grazie.» mormorò, prendendo una delle due fette di baguette e studiando attenta la marmellata: «A cosa è?»
«Il the? Mh. Penso sia the normale, non ho controllato quando l’ho comprato…»
«No, la marmellata.»
«More.»
Sarah annuì, anche se il ragazzo non poteva vederla e addentò il pane, assaporando la friabilità della crosta e poi il sapore zuccherino della confettura: «Buono…»
«Non hai mai fatto una vera colazione francese?» le chiese Rafael, uscendo da quella che Sarah pensava fosse la cucina con due tazze fumanti in mano: «Zucchero? Limone?»
«Entrambi.» mormorò Sarah, osservando la sua kwami svegliarsi e guardarsi attorno spaesata: «Hai anche del miele?»
Rafael annuì, tornando in cucina e ritornando con un piccolo vassoio ove aveva poggiato un barattolo di miele, due cucchiaini, alcune fette di limone e la zuccheriera: «Per le signore.» sentenziò, osservando Mikko volare fino al barattolo e cercare di aprirlo con le zampette; sospirò, prendendo il contenitore e lo aprì, ridandolo alla kwami: «Flaffy!» gridò poi, avvicinandosi alla porta che dava sul corridoio delle camere: «Sveglia!»
«Arrivo. Arrivo.» sbottò il kwami blu, volando a zig zag per il corridoio e sbadigliando: «Il tuo re esige il suo cioccolato.» sentenziò Flaffy, raggiungendo il tavolo e sedendosi accanto a Mikko: «Cioccolato per i Nazgul!»
«Io ti requisisco i film.»
«Non puoi, Rafael!»
«Posso eccome!» sentenziò il ragazzo, tornando in cucina e borbottando qualcosa contro il kwami e tornando con una scatola di cioccolati: «Vorrei fare colazione. Il re dei Nazgul ha altro da ordinarmi?»
«Fai pure colazione e ricorda l’Occhio di Sauron è su di te.»
«Siete sempre così?» domandò Sarah, osservando alternativamente il ragazzo e il kwami.
«Ogni mattina.» sbuffò Rafael, sorridendo alla vista del suo kwami che mangiava con gusto la cioccolata.


Marinette sbadigliò, osservando gli studenti che attendevano la campanella d’inizio delle lezioni, cercando di trovare qualcuno dei suoi amici: «Buondì, Marinette!» la salutò Lila, posandole una mano sulla spalla e facendola voltare: «Bellissima giornata, vero?» sentenziò l’italiana, marciando spedita verso una delle panchine e buttandocisi sopra.
«Qualcosa mi dice che non lo è.» mormorò la mora, avvicinandosi e osservando la compagna: «Qualche problema?»
«Wei.»
«Che ti ha fatto?»
«Oh niente. Ieri mi sono semplicemente dichiarata e lui che fa: eh, ma anche tu mi piaci!»
«E non è una cosa positiva?»
«Lo sarebbe…»
«Ho paura di essermi persa.»
«Buongiorno, ragazze!» esclamò Sarah, raggiungendole e sorridendo a entrambe: «Che si dice?»
«Nulla: mi sono dichiarata a Wei, lui mi ha detto che gli piaccio e…»
«Che cosa bella, Lila! Quindi state insieme ora?»
«Ne dubito.»
«Perché?» domandò l’americana, guardando l’altra ragazza e ricevendo in cambio uno sguardo dubbioso: «Cosa hai fatto?»
«Nulla.»
«Cosa rientra in nulla, Lila?» sospirò Marinette, accomodandosi accanto all’italiana e fissandola attentamente: «Perché non hai l’aria da: Oh mio dio, il ragazzo che mi piace mi ricambia!»
Lila sbuffò, posando i gomiti contro le ginocchia e incassando il viso fra le mani: «Ero così sicura di ricevere un rifiuto da parte di Wei che, quando se n’è uscito con quel “anche tu mi piaci”, non ci ho visto più e gli ho tirato contro la borsetta.»
«Cos’hai fatto?»
«Gli ho tirato contro la mia borsetta, poi sono andata a riprendermela e me ne sono andata.»
«E Wei?» domandò Sarah, incrociando le braccia e scuotendo la testa incredula: «Che ha fatto?»
«Niente. Se n’è rimasto tranquillo tranquillo lì, con quella sua espressione calma sul volto.»
«Io non capisco…» mormorò l’americana, portandosi una mano alla bocca e battendosi le dita sulle labbra: «Lui ti piace. Tu gli piaci. Perché ti sei arrabbiata?»
«Perché poteva farmelo capire in qualche modo?»
«Ti ha fatto da scudo contro l’attacco di Mogui.» spiegò Sarah, alzando le braccia verso il cielo: «E da quel che ho visto, nel poco tempo che siamo insieme, è sempre carino con te.»
«Anche Rafael è carino con te, ma tu mica vai a pensare che gli piaci.»
«Mi avete chiamato?» domandò il ragazzo in questione, comparendo alle spalle di Sarah e facendola sussultare: «Avevi dimenticato questa da me.» mormorò, allungando la felpa che l’americana aveva la sera prima: «Capisco che stamattina avevi fretta di andartene, ma…»
«Grazie.» biascicò Sarah, recuperando il capo e gettando un’occhiata veloce a Marinette e Lila, che ascoltavano interessate: «Alex?»
«Wei è venuto prima che io uscissi. Ha detto che lo porta con sé al lavoro.»
«Perfetto.»
«Rafael!» esclamò zuccherosa Lila, tirando su le spalle e assumendo un’aria sicura: «Come mai avevi la felpa di Sarah? E cos’è questa storia che stamattina aveva fretta di andarsene…»
«E’ venuta da me ieri sera.»
«Oh.»
«Per controllare Alex.»
«Certo, Sarah. Certo.»
«E si è addormentata e…»
«E quando stamattina mi sono svegliata, sono corsa a casa mia per recuperare i libri e mi sono dimenticata la felpa. Contenta, Lila?»
«Contentissima.»
«Disse quella che ha gettato la borsetta in faccia a quello che gli piace dopo essersi dichiarata e aver scoperto di essere ricambiata.» mormorò Marinette, scrutando l’entrata della scuola e notando la figura di Adrien: alzò un braccio verso l’alto, catturando l’attenzione del ragazzo che si diresse verso di loro con Alya e Nino.
«Per la mia principessa.» dichiarò il biondo, sedendosi accanto a Marinette e spintonandola leggermente per farsi spazio, sorridendo allo sguardo furente di Lila, che si era ritrovata nell’angolo della panchina.
«E per noi?» domandò Rafael, guardando il piccolo pacchetto e poi il compagno di scuola.
«Per voi niente.»
«Fa parte di una scommessa che Adrien ha perso.» spiegò Nino, sorridendo impacciato al moro: «Per un mese, Adrien deve fare un regalo a Marinette ogni giorno.»
«Oh.»
«Non lo apri?» chiese Adrien, sorridendo angelico di fronte all’occhiataccia della ragazza: sapeva benissimo il perché lei non si era fiondata sulla scatolina e si stava trattenendo dal ridere.
«Ho paura.»
Il biondo sghignazzò, chinandosi verso di lei e sfiorandole l’orecchio con le labbra: «Non c’è nulla di cui aver paura, my lady. Certe cose le lascio per quando siamo soli.» decretò, notando come le guance le erano diventate rosse; la osservò sospirare e scartare lentamente il piccolo regalo, aprendo poi la scatolina e portandosi all’altezza degli occhi il portachiavi con un pendente a forma di felino: «Ti piace?»
«Ha il tuo sguardo.»
«Non è vero!»
«Oh sì!» sentenziò Marinette, portandolo davanti al visto e Adrien lo studiò: quel gatto aveva uno sguardo impertinente e leggermente vacuo: «E’ esattamente uguale al tuo.»
Il biondo s’imbronciò, tirandole una ciocca di capelli e facendole poi la linguaccia: «Questa me la pagherai.» sentenziò, facendole l’occhiolino e sorridendo quando le guance della ragazza si tinsero nuovamente di una tonalità cremisi.


Alex sbadigliò, osservando il ragazzo cinese che stava caricando alcune scatole su un vecchio camioncino: si era presentato quella mattina a casa di Rafael, dicendo di chiamarsi Wei e che sarebbe stato la sua ombra durante la giornata per evitare che Coeur Noir potesse catturarlo e farlo suo schiavo di nuovo.
Come se fosse possibile…
Comunque Wei lo aveva portato con sé al lavoro – a quanto aveva capito fra i loro pessimi francesi –, aveva una ventina d’anni e lavorava per mantenersi, inoltre era anche il supereroe che rispondeva al nome di Tortoise: quello con lo scudo alla Captain America, aveva spiegato il cinese.
Peccato che lui non li avesse mai visti trasformati.
Almeno non come Alex.
Chiuse gli occhi, mentre una visione fugace di uno specchio che rifletteva il suo aspetto gli attraverso la mente: «Va tutto bene?» gli domandò il kwami verde, facendo capolino dalla felpa che Wei aveva abbandonato vicino a lui.
«Sì. Credo.» mormorò Alex, scuotendo la testa: che cosa aveva appena visto?
Uno specchietto portatile che rifletteva il suo aspetto, ma non era lui: sembrava uno dei guerrieri neri di Coeur Noir, aveva riconosciuto perfettamente la maschera nera e gli abiti scuri.
Possibile che…
«Wayzz, giusto?» domandò, attirando l’attenzione del kwami che annuì: «Giusto per sapere, com’ero da Mogui?»
«Mh. Assomigliavi a uno dei suoi guerrieri, però con un’armatura più grande e forse anche più resistente.»
Alex annuì, tamburellando le dita sulle cosce coperte dai jeans: «Penso di essermi appena ricordato qualcosa di quando ero Mogui.»
«Davvero?»
«Sì, c’era questo specchietto e io mi ero riflesso…»
«Forse uno dei Lucky Charm che Ladybug aveva evocato; ogni volta che lo faceva compariva uno specchio.»
«Ci sta.» mormorò il ragazzo, togliendosi gli occhiali e stringendosi il setto nasale fra l’indice e il pollice: «Mi piacerebbe ricordarmi di più, magari dirvi dove sta quella santa donna – sono sarcastico, eh! – o qualcos’altro ma tutto ciò che ricordo è il buio.»
«Non preoccuparti, Alex.» mormorò Wayzz, guardandosi intorno e poi uscendo dal suo nascondiglio, posandogli una zampetta sulla mano: «Ti abbiamo portato via da lei, per noi è già un grande risultato.»
Wei arrivò da loro sbuffando e togliendosi il cellulare dalla tasca dei jeans, posandolo sopra il maglione: «Lila non ti ha ancora risposto?» gli domandò il kwami, prendendo l’apparecchio telefonico e mettendolo al sicuro in una tasca.
«No.»
«Dalle tempo.»
«Chi è Lila?»
«Un’altra Portatrice di Miraculous.» rispose prontamente Wayzz, sorridendogli: «Il suo è quello della volpe e il suo nome da eroina è Volpina.»
«E mi sembra che il nostro amico Wei abbia dei problemi con lei.»
Wayzz annuì, voltandosi verso il suo protetto e sorridendo all’espressione curiosa che aveva in volto: «Vedi, Lila si è dichiarata ieri a Wei e anche lui a lei…»
«Però non so perché mi ha turato contro la borsa.» bofonchiò il cinese, sedendosi per terra e portandosi indietro i ciuffi che gli coprivano la fronte: «Di solito non si gettano fra le braccia?»
«Quello succede nei film, amico. Minimo non gli hai detto quello che si aspettava: anche con la mia ex era così.» Alex sospirò, inforcando di nuovo gli occhiali: «Ti posso dare solo un consiglio: non farti domande e segui l’atmosfera.» dichiarò, sorridendo al cenno affermativo dell’altro: «Con la mia ex funzionava sempre.»


Rafael posò il proprio vassoio al posto accanto a Sarah, osservando gli altri commensali: Adrien stava parlando con Nino, mentre Alya stava mostrando qualcosa sul cellulare a Lila e Marinette: «Qualche problema?» gli domandò Sarah, osservandolo tirare fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e posarlo sul tavolo.
«No. Niente. Mi sembra strano essere allo stesso tavolo di Agreste.»
«Se vuoi puoi pure andartene.» dichiarò il biondo, voltandosi e osservandolo: «In verità, ho accettato solo perché me l’hanno chiesto Sarah e Marinette, se era per me…»
«Se era per te cosa, mister perfettino?»
«Sai, mi sono appena ricordato che sono ancora in debito di un pugno per quando…»
«Mi sembra che lei si sia difesa perfettamente da sola!» sbottò Rafael, indicando Marinette e sedendosi: «Oltretutto questa storia era già chiusa.»
«Per te.»
«Adrien, ora basta.»
«Ma…»
«Adrien!»
Rafael sghignazzò, afferrando la pagnotta e spezzandola in due, aprì bocca per dire qualcosa ma venne fermato dallo sguardo di Sarah: «Dice il saggio: ci sono momenti in cui è meglio stare zitti!» dichiarò l’americana, continuando a fissarlo finché, con un borbottio, il ragazzo abbassò lo sguardo verso il proprio piatto.
«Lila…» mormorò Alya, chinandosi verso l’italiana e osservando i comportamenti degli altri: «Per caso, mi sono persa qualcosa?»
«Mh. Possiamo dire che Rafael e Adrien hanno trovato qualche punto in comune, uno dei quali è quello di essere sottomessi dalle loro ragazze.» bisbigliò Lila, sorridendo a Sarah quando questa si voltò verso di lei: «E non dire niente a Sarah, pensa ancora di essere single o non ci è ancora arrivata.»
«Sarò muta.» sentenziò Alya, facendole l’occhiolino e ridacchiando fra sé, spostando l’attenzione sul nuovo acquisto del gruppo: «Comunque dici…»
«Sì, prima o poi succederà.»
«Ehi.» mormorò Rafael, portando l’attenzione di tutti su di lui: «Che fate domani sera?»
«Perché, pennuto?»
Il moro girò il suo cellulare verso la tavolata: «A quanto pare Jagged Stone farà un live a Le Cigale.» spiegò, mostrando il sito bianco e rosso del locale, ove faceva bella mostra di sé la locandina del live del cantante inglese: «Ci andiamo?»
«E lo domandi anche?» chiese Adrien, scambiandosi un’occhiata con Marinette e sorridendo, quando la vide annuire: «Alya? Nino?»
«Bro, non si dice mai di no a Jagged.»
«Lo stesso vale per me.»
«Sento se vuole venire anche Alex.» mormorò Sarah, prendendo il suo cellulare e mandando un veloce messaggio all’amico: «Tu, Lila, senti Wei?»
«Chi è Wei?» domandò Alya, guardandosi attorno: «Qui dovete farmi un corso accelerato! Cosa è successo? Perché mi sto perdendo cose?»
Lila prese il cellulare, inviando un veloce messaggio al ragazzo e alzò gli occhi al cielo: «Ti aggiorno dopo, ok? Vorrei evitare che qualcuno mi prenda in giro.»
«Non sta mica parlando di me, vero?» domandò Adrien, guardandosi attorno e cercando consensi da parte degli altri: «Vero che non parla di me?»
«Sto parlando esattamente di te!»
«Giusto per sapere…» mormorò Rafael, attirando nuovamente l’attenzione su di sé: «Quanti siamo in totale? Così vedo se riesco a prenotare un tavolo vicino al palco.»
«Mh. Siamo nove?»
«Ottimo, mister perfettino.» dichiarò il moro, mandando velocemente un messaggio e sorridendo, appena gli arrivò la risposta: «Ok. Abbiamo il posto, non è proprio sotto al tavolo ma è una posizione abbastanza buona.»
«Scusa, ma come hai fatto?» domandò Nino, togliendosi il berretto rosso e calcandoselo nuovamente sulla testa: «Doveva essere tutto…»
«Pieno sì. Ma conosco il proprietario e alle volte do una mano al bar, quindi sono di casa lì e…» Rafael alzò le spalle, sorridendo: «…beh, diciamo che mi hanno fatto un favore.»
«Tu sarai mio amico.»
«Fermi tutti!» dichiarò Lila, mettendo le mani avanti e fissando il compagno: «Felice che tu faccia amicizia, ma qui abbiamo cose più urgenti da pensare: come ci dobbiamo vestire?»
«Cosa?»
«Abbigliamento, Rafael!» sbottò l’italiana, scuotendo il capo e sospirando, cercando man forte nelle altre ragazze della tavolata: «Come dobbiamo vestirci?»
«Ehm. Boh?»

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.084 (Fidipù)
Note: Buonasera a tutti! Eccomi di nuovo qua con l'aggiornamento del lunedì! Siete contenti, vero? Siete caldi, vero? Perché a questo giro c'è il concerto di Jagged...più o meno XD Che altro c'è da dire? Mh. Nulla...ah no, a questo link troverete la canzone citata da Wayzz. (giusto per darvi inquietanti immagini di Fu.) e niente, con questo vi lascio veramente al capitolo, ma prima...
Beh, prima ci sono i ringraziamenti: un grazie di tutto cuore a tutti coloro che commentano (qui, su Fb), a chi legge e a chi inserisce la storia in una delle liste di EFP.
Grazie, davvero, grazie.


Marinette osservò la calca di gente che era ammassata di fronte al locale dove Jagged Stone si sarebbe esibito, inspirando profondamente: «Paura, my lady?» le domandò Adrien, prendendole una mano e tirandola verso di sé sul sedile posteriore dell’auto, mentre il Gorilla accostava al marciapiede: «In verità dovrei essere io quello terrorizzato.»
«E perché?» Adrien le sorrise, facendole scivolare addosso lo sguardo verde e Marinette si mosse a disagio sul sedile: «Che c’è?» domandò, dopo un po’ e sentendosi le guance in fiamme.
«Nulla. Stavo solo pensando che con quella minigonna e questa maglia…» il biondo si fermò, scuotendo il capo: «Forse stasera potrò finalmente far valere il mio status di fidanzato.»
«Vuoi menare qualcuno?»
«Solo se ci provano con te, my lady.» dichiarò Adrien, facendole l’occhiolino e poi, bloccato dal grugnito dell’autista, diresse la sua attenzione su di lui: «Ti chiamo appena usciamo.» decretò, osservando l’uomo annuire: Adrien aprì lo sportello, uscendo dall’abitacolo e aiutando la ragazza a fare altrettanto. Ridacchiò, osservandola tirarsi giù l’orlo della gonna: «Stai benissimo.» le mormorò all’orecchio, prendendole la mano e posandosela nell’incavo del braccio: «E adesso andiamo a caccia di pennuto.»
«Chi vorresti cacciare tu?» sbottò Rafael, facendosi strada con Sarah e Alex al seguito.
«Non hai proprio senso dell’umorismo…» sospirò Adrien, scuotendo il capo biondo e sorridendo al terzetto: «Siamo solo noi?»
«Vicino all’entrata ci sono gli altri.» spiegò Sarah, ridendo allegra e avvicinandosi all’amica: «Marinette, sei…»
«Incredibilmente bella? Straordinariamente sexy?» buttò lì Adrien, sorridendo alle due ragazze che lo guardarono un attimo, prima di allontanarsi e chiacchierare fra loro: «Bello. Uno le fa i complimenti e viene mollato così…»
«Sono donne, amico.» sentenziò Alex, sistemandosi gli occhiali: «Quando si ritrovano devono spettegolare.»
«A sentire quelle due là – tre se ci aggiungiamo anche l’italiana – siamo noi quelli che spettegolano.» mormorò Rafael, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans e fissando il suo ospite: «E solo perché quando eri Mogui avevi una signora armatura.»
«Ero figo?»
«Parecchio, amico.» sentenziò Adrien, annuendo con la testa: «Volevo la tua armatura. Veramente! Stavo già pensando al mio nuovo nome da eroe!»
«Perché avresti dovuto prenderla tu? Sarebbe stata benissimo a me!»
«Io ho un costume nero.»
«Nero su nero fa schifo.»
«Scusate…» mormorò Wei, avvicinandosi ai due e interrompendoli: «Lila chiede se posso entrare.»
«Beh, Wei. Se vuoi entrare in Lila, entra pure.» sentenziò Rafael, scuotendo il capo e ridendo, alla faccia del cinese: «Tranquillo, amico. Ho capito, ho capito. Sì, andiamo.» decretò, dirigendosi verso il gruppetto vicino la porta de Le Cigale e parlottando con un tipo che indossava una maglietta nera con il nome del locale scritto sopra.
«Che cosa ho detto?» domandò Wei, voltandosi verso Adrien e trovandolo piegato in due dalle risate: «Ho sbagliato…»
«Tecnicamente non hai sbagliato niente, amico.» sentenziò il biondo, portandosi indietro le ciocche della frangia e ridacchiando ancora: «Solo…»
«Solo?»
«Dobbiamo assolutamente farti un corso accelerato di francese.» sentenziò Adrien, raggiungendo il resto del gruppo e ridacchiando ancora; Wei guardò Alex, osservandolo negare con la testa e dirigersi anche lui verso l’entrata, seguito da Wei.
«Siamo tutti?» domandò Rafael, voltandosi verso il gruppetto e annuendo poi con la testa: «Andiamo. Jagged Stone ci aspetta!» esclamò, facendo cenno di entrare: Nino li superò tutti, prendendo Alya per mano e sorridendo al buttafuori; subito seguito dagli altri che, uno dopo l’altro, lo seguirono tranquillamente.
«Dove è il nostro posto?» domandò Adrien, osservando la calca di gente che aveva riempito la zona centrale e poi le due logge, che abbracciavano il centro e il palco; Rafael indicò un punto e il biondo annuì, prendendo una mano di Marinette: «Per non perderti, my lady.»
Marinette annuì, osservando il loro compagno farsi strada fra la folla che aveva iniziato a occupare anche la loggia, arrivando alla fine – praticamente davanti il palco – e sorridere ai nove posti a sedere che erano stati lasciati liberi: «I nostri posti.» dichiarò Rafael, allargando le braccia e sorridendo: «Ringraziamo Alain, se possiamo ammirare Jagged Stone in tutta la sua magnificenza da vicino.»
«Chi è Alain?» domandò Sarah, accomodandosi a sedere e poggiando la borsetta sulle ginocchia, mentre Alex si sedeva alla sua sinistra e parlottava con Nino e Alya, accomodati proprio dietro di lui.
Rafael sorrise, sedendosi accanto all’americana e allungando le gambe davanti a sé: «Il proprietario.» spiegò, guardando il palco: «E’ un amico di mio padre ed è quello che si occupa di controllare che io sia vivo, di tanto in tanto.»
«Perché? I tuoi dove sono?» domandò Marinette, prendendo posto accanto al ragazzo e osservandolo interessata, mentre Adrien si accomodava al suo fianco.
«Mia madre è a New York, mentre mio padre al momento penso sia da qualche parte in Africa.»
«Ma dai? Tua madre è nella nostra città!» esclamò Alex, sorridendo e dando una lieve gomitata a Sarah: «Se vuoi, quando torno a casa posso portare un tuo messaggio o qualcos’altro.»
«Terrò presente, bro.»
«Cosa vuol dire che tuo padre è da qualche parte in Africa?» domandò Lila, sedendosi dietro Rafael e scuotendo la testa: «Non…»
«E’ una specie di avventuriero: hai presente Indiana Jones? Ecco, immaginatelo meno figo e avrai mio padre.»
«Fa l’archeologo?»
«Un qualcosa del genere sì. Penso sia laureato in archeologia, sinceramente l’unica cosa che so è che va a giro per il mondo, trova vecchie reliquie e le molla a qualche museo; nel mentre scrive libri sulle sue avventure, che vendono un casino.»
«Quindi tu vivi da solo?» domandò Nino, allungandosi sui sedili davanti e sorridendo: «Forte.»
«Già. Forte.» esclamò il ragazzo, abbozzando un sorriso e notando poi lo sguardo di Sarah fisso su di sé: «Non è male, veramente. Sono libero di fare quel che mi pare, mi manca solo un po’ di compagnia quando torno a casa, fortuna che ho Fl…»
Adrien tossì, fissando male il moro e scuotendo il capo, che abbozzò un sorriso: «Fortuna che ho Flaffy, il mio cane.» spiegò, sorridendo a Nino e Alya: «Senza di lui sarei perso.»
I due annuirono e Rafael tornò a fissare il biondo, scuotendo poi il capo: «Sta per iniziare.» sentenziò, indicando il palco ove i tecnici avevano appena finito di montare il tutto; alcuni membri della band di supporto presero posizione e le luci della sala si abbassarono lentamente, facendo cadere l’oscurità.
Un fascio di luce viola si accese, puntato verso il palco e un urlo si levò dalla folla, quando Jagged Stone fece la sua entrata in scena: un braccio alzato per aria a mo’ di saluto per i fans, si avvicinò al microfono: «Buonasera Parigi!» gridò e una nuova risposta si alzò dalla calca.
Adrien si appoggiò al bracciolo della sedia, osservando il cantante e poi ridacchiando, quando il suo sguardo si spostò su una persona ferma al margine del palco che, macchina fotografica alla mano, stava scattando parecchi scatti all’inglese: «Marinette…» bisbigliò, osservando la ragazza voltarsi verso di lui: le indicò la persona in questione, osservandola scuotere la testa quando lo ebbe notato.
«Vincent Asa!»
«A quanto sembra lo segue ancora.»
La ragazza ridacchiò, voltandosi verso il  biondo e portandosi una mano sinistra alla tempia: «Guarda l’obiettivo.» mormorò, ricordando quando il fotografo stalker di Jagged era stato akumatizzato.
Adrien uggiolò, scuotendo la testa: «Non ricordarmelo!» dichiarò, abbassandole la mano e baciandole la punta del naso: «Devo rinfrescarti la memoria su chi era stato rinchiuso con Chloe in quello posto assolutamente assurdo? Bianco e infinito. Un incubo.»
«Il posto o essere rimasto con Chloe?»
«Entrambi.»


Fu sorseggiò il the, tamburellando le dita sul tavolino e osservando il gruppetto di kwami: Tikki e Mikko stavano parlottando fra loro, una intenta a mangiucchiare biscotti e l’altra gustandosi generose cucchiaiate di miele; Vooxi e Plagg, dopo aver ritrovato l’amicizia perduta a causa della scommessa fatta in passato, avevano decretato che sarebbe stato divertente inseguire Nooroo e così stavano facendo, volando per tutta la stanza dietro il kwami della Farfalla; infine, Flaffy stava convincendo Wayzz sulla bellezza della trilogia de Il signore degli anelli.
«Perché non vi hanno portato con loro?» sentenziò l’anziano elevato, per quella serata, a kwami-sitter: «E se Coeur Noir attaccasse proprio stasera?»
«Marinette ha detto che avrebbe chiamato immediatamente in caso di attacco.» dichiarò Tikki, sorridendo al Gran Guardiano: «Ma io spero che non succeda niente: si meritano un po’ di pace per una serata.»
Fu sospirò, vedendosi passare davanti Nooroo e, subito dopo, i suoi due inseguitori: «Voi tre…» iniziò, venendo zittito subito dal rumore di qualcosa che si rompeva.
Non il vaso Ming…
Non il vaso Ming…
Si voltò, osservando i tre kwami che guardavano colpevoli il vaso caduto e distrutto in millepezzi: «Quello era un Ming!» esclamò Fu, balzando in piedi e indicando il pezzo di antiquariato ormai andato: «Avete una minima idea di quanto valeva?»
«Maestro…» mormorò timidamente Wayzz, fluttuando vicino all’uomo: «Quella era la replica. Il vaso Ming l’abbiamo venduto negli anni ’20 per andare a Charleston.»
«Ah.»
«E cosa ci siete andati a fare là?» domandò Plagg, inclinando la testolina mora e scuotendo poi il capo, fissando l’anziano: «Maestro!»
«Non è come pensate!»
«Ha sempre avuto un debole per quei vestitini corti e luminosi.» sentenziò Wayzz, scuotendo il capo e sospirando: «Dovevate vederlo mentre ballava Yes, We Have no Bananas


Lila si strinse nella giacchina, osservando il ragazzo, che camminava tranquillo al suo fianco: «Non eri tenuto ad accompagnarmi.» mormorò, chinando la testa e mordendosi il labbro inferiore: dopo la scenata del giorno prima si sentiva tremendamente in imbarazzo e non sapeva cosa fare o dire.
Quasi sembrava Marinette nei sui tempi d’oro.
Ci mancava solo che balbettasse parole senza senso.
«Non è un problema.» sentenziò Wei, infilando le mani nelle tasche dei jeans e alzando la testa verso il cielo stellato: «Poi mi è di strada.»
«Wei, tu abiti dalla parte opposta.» sbuffò Lila, sorridendo: «Se vuoi mentire bene, devi metterci un pizzico di credibilità! Qualcosa tipo: Non è un problema, devo andare a trovare un amico che sta in questa zona.» spiegò, voltandosi e fissandolo: «Non sapendo se fosse vero o no, ci avrei creduto. Ma mi è di strada? Quando so che abiti dalla parte opposta della città? Dai!»
«Sei esperta di bugie, per una che le odia.»
«Quando ero piccola non facevo altro che raccontare bugie: ero bravissima.» mormorò Lila, alzando la testa e sospirando: «Fingere di essere stata in un posto? Niente di più semplice. Mi bastava imparare qualcosa della zona, qualche locale e il gioco era fatto. Far credere che un cantante mi aveva dedicato una canzone? Ehi, sai che Jagged ha scritto una canzone che si chiama Layla? E’ dedicata a me, ma purtroppo non poteva mettere il mio vero nome.» si fermò, voltandosi la vetrina di un negozio di ottica: «Sapevo sempre come rigirare la verità a mio comodo: quando avevo quattordici anni, avevo perso la testa per Adrien e mi fu facile avvicinarlo: era pazzo di Ladybug, quindi perché non fingersi la migliore amica del suo idolo? Non avevo valutato le doti di stalker di Marinette e il fatto che lei e l’eroina fossero la stessa persona. Mi chiamò Super Bugiarda e devo ammettere che me lo meritavo come appellativo.» Lila si bloccò una seconda volta, inclinando la testa: «Diventai una delle vittime di Papillon: Volpina, mi chiamava.»
«Il tuo nome…»
«Sì, lo stesso nome che porto ora.» mormorò Lila, abbozzando un sorriso e voltandosi verso il ragazzo: «Divenni una vittima della mia rabbia: più e più volte. Perché Ladybug mi aveva umiliata? Perché? Io volevo solo avere un punto in comune con il ragazzo che mi piace! Questo pensavo ogni volta e quella maledetta farfalla mi trovava sempre, mi trasformava ed io combattevo contro Ladybug e Chat Noir. Sempre. Ah, fra l’altro stavo rendendo una vita impossibile anche a Marinette: avevo notato come Adrien la guardava e facevo di tutto per mettermi in mezzo.»
«Accidenti…»
«Già. Ho reso la vita un inferno a Marinette, in ogni modo possibile. Eppure lei ha sempre cercato di salvarmi e ce l’ha fatta alla fine; l’ultima volta che sono stata akumatizzata, mi disse di rendere vere le mie illusioni…» Lila si fermò, scuotendo il capo e riprendendo a camminare: «Sinceramente non capii cosa mi disse: rendere vere le mie bugie? Perché di questo si trattava, alla fine; comunque riuscì a dissolvere la mia rabbia e, poco dopo, tornai in Italia ma quelle parole mi martellavano la testa. Rendere vero ciò che era falso? Come potevo? Ci pensai e ripensai, poi alla fine qualcosa scattò in me: mi accorsi del mondo finto che mi ero creata attorno; tutto ciò che mi circondava era fasullo. Ecco, cosa aveva voluto dirmi Ladybug: dovevo crearmi un mondo vero, tangibile. O, almeno, io l’ho inteso in questo modo.»
«E fu allora che il Maestro Fu…»
«Non proprio immediatamente ma sì, dopo un po’ mi ritrovai in camera il Miraculous della Volpe.» spiegò la ragazza, sorridendo: «Da quel giorno ho cercato di crearmi verità attorno a me, non voglio più essere la ragazza che faceva del male con le sue bugie, voglio essere una persona che fa del bene con le sue ver...»
Wei la fermò, sfiorandole le labbra con le proprie e poi tirandosi su: «Sei una persona meravigliosa: hai fatto tuoi gli errori del passato e sei cresciuta. Sono orgoglioso di conoscerti e di piacerti, non potevo trovare compagna migliore.»
«Ho la sensazione di dovermi sentire offesa e felice al tempo stesso.»
Wei sorrise, chinando leggermente la testa: «Ti sto scusando per avermi gettato addosso la tua borsutta ieri e di accettare i tuoi sentimenti e te come compagna.»
«Ho sempre quella sensazione.»
«Come posso dire…» mormorò il ragazzo, massaggiandosi il mento e guardando verso l’alto: «Come si dice in francese? Ah! Ti sto chiedendo di stare insieme a me.»


Rafael osservò l’insegna del negozio di calzature, poi spostò l’attenzione sulla ragazza davanti a lui che si stava guardando attorno: «Hai un’idea di dove stai andando?» le domandò, indicando poi la bottega alla sua sinistra: «Perché sono convinto di essere già passato davanti Mephisto.»
«Era un altro negozio.»
«No.» sbottò il ragazzo, incrociando le braccia: «Ti sei persa?»
«Diciamo di sì…»
«Diciamo di sì? Come hai fatto?»
«E’ l’uscita della metro!» sbottò Sarah, iniziando a gesticolare e guardandosi attorno confusa: «Faccio sempre confusione quando esco da là sotto! Di solito ho Mikko che mi dirige ma…»
Il moro sospirò, massaggiandosi il volto: «Questo succede quando faccio il cavaliere e decido di accompagnare una ragazza a casa.» sentenziò, prendendo il cellulare: «Dammi il tuo indirizzo.»
«Eh?»
«Navigatore.» spiegò Rafael, mostrandole il cellulare: «Così vediamo da che parte andare.»
«Ah! Ok! Rue Bezout.»
Rafael annuì, inserendo il nome della via e osservando l’app mettersi in funzione: «Sarah! Stiamo andando dalla parte opposta!» esclamò, mostrandole lo schermo: «Come cavolo…»
«Te l’ho detto! Quando esco dalla metro perdo il senso dell’orientamento!»
«No, come hai fatto finora a muoverti per Parigi?»
«Mikko!»
«La tua kwami è un navigatore satellitare?»
«Fra le altre cose sì.» mormorò Sarah, stringendosi nelle spalle: «E poi cerco sempre di evitare di prendere la metro; le poche volte che l’ho fatto ero sempre con qualcuno, preferisco i bus o andare a piedi.»
«Come hai fatto a venire a…»
«A Sacré Coeur? Semplice, con il bus!»
«Ma ci metti una vita!»
«Ma almeno non mi son persa.»
Rafael sbuffò alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo: «Da oggi in poi ti è negato andare a giro per la città!» sentenziò, indicandola e marciando spedito nella direzione giusta: «Minimo se c’è un attacco di Coeur Noir, ti ritroviamo nella parte opposta di Parigi!»
Sarah sbuffò, correndo e affiancandolo: «Ti ho già detto che mi succede solo quando esco dalla metro e poi c’è Mikko!»
«Sì, sì.»


Marinette ridacchiò, osservando Tikki completamente addormentata sul suo cuscino e, facendo il più silenziosamente possibile, si cambiò, sostituendo gli abiti che aveva indossato quella sera con una camicetta da notte; l’aveva cucita da poco e le piaceva molto: era corta, in stoffa viola, con le spalline sottili e un nastro bianco che decorava la scollatura: «Questo è il mio paradiso personale! Altro che due Ladybug!» esclamò la voce di Adrien alle sue spalle, facendola sobbalzare: si voltò, incontrando la figura di Chat incastrata nell’oblò della finestra.
«Chat!» sbottò, andando a chiudere la botola della camera rimasta aperta e osservando il ragazzo entrare dentro.
«Oops. Non me n’ero accorto.»
«Lo noto.» bofonchiò Marinette, rialzandosi e venendo subito stretta nell’abbraccio del biondo: «Che cosa…?»
«Dimmi chi devo ringraziare per questa meraviglia.» sentenziò Chat Noir, spostandole le ciocche more e baciandole il collo, risalendo verso l’orecchio e catturandole il lobo fra i denti: «Farò una statua in suo onore.»
«La vorrei in platino, grazie.»
«L’hai cucito tu?» domandò il ragazzo, allontanandosi e osservandola nelle iridi celesti, mentre lei annuiva orgogliosa: «Marinette…»
«Avevo bisogno di prendermi qualcosa di nuovo con cui dormire e…» si fermò, intrecciando le mani dietro al collo di Chat: «E ho pensato di farmelo da sola.»
«Sei stata bravissima.» dichiarò Chat, passandole le mani sotto le natiche e sollevandola di peso, ridacchiando quando sentì le gambe avvolgersi attorno al suo bacino: «Molto brava. Devo dire che pretendo tu indossi questa meraviglia ogni notte!»
«Pretendi?»
«Già.» annuì il ragazzo, posandola sulla chaise longue e sdraiandosi sopra di lei: «Pretendo.»
Marinette sorrise contro le labbra del compagno, allungando una mano a quella destra del ragazzo e facendo scivolare sull’anulare l’anello del Gatto Nero: «Ciao, Adrien.» mormorò, quando la trasformazione si fu sciolta e sorridendo al volto libero dalla maschera del giovane.
«Ciao, Marinette.» la imitò Adrien, catturandole nuovamente le labbra con le proprie, mentre le mani s’intrufolavano sotto l’orlo della camicetta da notte.
Plagg osservò un attimo la scena, sbuffando e raggiungendo la sua compagna sulla scrivania: «Che succede?» domandò Tikki, svegliandosi e notando il kwami nero, mentre dietro di lui i due giovani salivano verso il soppalco che ospitava il letto: «Plagg?»
«Fammi posto Tikki.» sbottò il felino, spintonando leggermente la kwami e acciambellandosi: «Anche stanotte si dorme qua.»
«E’ interessante notare come i portatori del tuo Miraculous ti assomigliano sempre…»
«Io non ero in calore perenne.»
«Plagg, vorrei ricordarti di quando eri umano…» mormorò Tikki, acciambellandosi anche lei e ridacchiando: «Io mi ricordo perfettamente di quella volta in cui la Gran Sacerdotessa dovette cercare nuove vergini da consacrare alla dea Farfalla, perché qualcuno aveva passato la notte con tutte le loro…»
«Che cosa hai fatto, Plagg?» urlò Adrien, affacciandosi dal soppalco e fissando il kwami sconvolto: «Quante erano, Tikki?»
«Una decina, più o meno.»
«Dieci ragazze? In una notte?»
«Tu non eri venuto qua con una cosa in mente? Ecco, falla!»

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.528 (Fidipù)
Note: Bene, bene! Eccomi di nuovo qua con un nuovo capitolo! Yeeeeehh! Ad ogni capitolo la fine si avvicina inesorabile e...beh, in questo saluteremo un personaggio che è stato con noi per un po' di tempo.
Bene, qualche informazione random...mh, vediamo, vediamo...beh, in verità non c'è niente da dire (questi ultimi capitoli sono stati un po' carenti sulle mie informazioni random su Parigi!) e quindi passo subito ai ringraziamenti.
Un grazie a chi legge, a chi commenta sia qui che su FB (Sì, sono di nuovo indietro con le risposte, appena mi libero di almeno un esame, riprenderò a rispondervi. Scusatemi ancora, ma sappiate che leggo sempre ogni commento!), a chi ha inserito questa storia nelle sue liste e a chi, nonostante tutto, mi sta ancora sopportando!
Grazie, immensamente grazie!


Marinette non ricordava che il suo letto respirasse.
Per niente.
Lentamente aprì gli occhi, ritrovandosi a osservare il suo cuscino e ridacchiò, puntellando il mento contro il petto del ragazzo sul quale era si era addormentata e osservando il volto dormiente di Adrien: era diventata abitudine per lei averlo al proprio fianco; eppure alle volte, come quel momento, si stupiva ancora di quanto era fortunata.
Quante volte aveva sospirato sulle immagini ritagliate dalle riviste, studiando quel volto, che ancora aveva i lineamenti morbidi e acerbi della fanciullezza? Tante. Tantissime.
E quante altre volte aveva osservato lo stesso volto, nascosto dietro una maschera nera, con quel sorriso beffardo che sembrava prenderla perennemente in giro? Tante. Tantissime.
Ogni tanto si dava ancora della stupida per non essersi accorta subito della somiglianza che c’era fra Adrien e Chat Noir, pensando poi a quanto tempo avevano perso, rincorrendosi a vicenda...
Erano stati ciechi, tremendamente ciechi.
Allungò la mano sinistra, carezzando la guancia del ragazzo, sorridendo all’anello che ormai era diventato parte di lei: «Marinette?» mormorò la voce di Adrien e la giovane sorrise, osservando le palpebre sbattere sugli occhi verdi, che si guardavano intorno confusi: «Buongiorno.»
«Ciao.»
«Mh. Penso di aver avuto un incubo…» bofonchiò Adrien, sistemandosi meglio nel letto e catturando fra le dita una ciocca di capelli scuri, iniziando a giocherellarci, mentre la ragazza si accomodava nell’incavo del suo braccio, posandogli una mano all’altezza del cuore.
«Davvero?»
«Ho sognato Plagg con le dieci vergini.» borbottò il biondo, concentrandosi sulle punte scure che si era intrecciato fra le dita e sorridendo, quando la sentì sghignazzare contro il suo corpo: «E lui non era in forma umana ma…»
«Versione kwami?»
«Esatto! Solo a grande quanto una persona e…» Adrien scosse il capo, sospirando rumorosamente: «No, sinceramente preferisco dimenticare il seguito.»
«Non sono neanche tanto sicura di volerlo sapere.» dichiarò Marinette, intrecciando una gamba lasciata scoperta dalla misé notturna a quella del giovane, coperta dal jeans: «Quella storia di Plagg ti ha veramente sconvolto.»
«Traumatizzato rende meglio l’idea.» sospirò Adrien, allungando un braccio indietro e afferrando il proprio cellulare, sbloccando e osservando l’orario: «Devo andare.»
«Mh. Di già? E’ domenica!»
Adrien la strinse a sé, baciandole la fronte: «Oggi ci sono le prove della sfilata di mio padre e, se per caso tua madre sale su…beh, sarà difficile spiegarle la mia presenza nel tuo letto...» le spiegò, sciogliendo l’abbraccio e mettendosi seduto, passandosi una mano sul volto e osservando la ragazza ancora sdraiata: «Anche se devo dire, sono molto tentato di rimanere qui con te. L’ho già detto che adoro questa tua camicia da notte?»
«Sì, hai preteso che la indossassi ogni notte.» dichiarò Marinette, mettendosi seduta e afferrando la felpa che il ragazzo che le aveva lanciato, indossandola: «Sono le prove per la settimana della moda?»
«Sì.» assentì Adrien, scendendo velocemente le scale e recuperando le scarpe da ginnastica vicino alla chaise longue: «Ormai è alle porte e papà deve controllare il tutto nel suo insieme: la musica, le tempistiche di noi sul palco, la scaletta dei modelli…» le spiegò, alzando lo sguardo e osservandola seduta sul soppalco, mentre dondolava le gambe nel vuoto: «Se mi libero presto ci vediamo?»
«Oggi pomeriggio dobbiamo andare all’aeroporto…»
«Giusto! Alex torna a casa!» esclamò il ragazzo, battendosi la mano sulla fronte: «Me l’ero dimenticato. Ok, salutiamo Alex e poi andiamo da qualche parte?»
«Mi piacerebbe, ma sono piena di compiti.»
«Quello pure io. Vengo a farli qui da te.»
Marinette annuì, poggiandosi contro la balaustra di ferro e osservando il ragazzo svegliare il proprio kwami e poi trasformarsi in Chat Noir: «Allora ci sentiamo dopo, ok?» le domandò, mentre risaliva le scalette del soppalco e l’affiancava, allungando le mani per aprire la botola sopra il letto: «Se mio padre non fa il solito Gabriel Agreste dovrebbe essere una cosa veloce.»
«Se tuo padre non fa tuo padre?» chiese la ragazza, ridendo e seguendolo nel terrazzino sopra la sua camera: «Non pensi che c’è qualcosa che non va in quello che hai detto?»
«Tu dici?» Chat scosse il capo, balzando sulla ringhiera e voltandosi verso di lei: «Ti chiamo, allora.»
«D’accordo. E adesso vai, prima che tuo padre faccia tuo padre e…beh, ti akumatizzi perché sei arrivato in ritardo!» sentenziò la ragazza, alzandosi sulle punte dei piedi e baciandolo sulle labbra; si ritrasse poi, rossa in volto: «Adrien?»
«Mh?»
«T-ti amo.»
«Ti amo anch’io, Marinette.» le mormorò il ragazzo, facendole l’occhiolino e poi balzando giù dal terrazzo; atterrando sul tetto di un bus e correndo per tutta la lunghezza del mezzo, aiutandosi con il bastone per raggiungere il tetto dell’edificio di fronte.
Marinette si poggiò alla ringhiera, osservando l’orizzonte e stringendosi nella felpa color crema: «Oops.» esclamò una voce maschile, mentre un qualcosa di blu atterrò alla sinistra della ragazza, facendola sobbalzare: «Buondì, boss!»
«Peacock!»
«Salve! Bel vestito!» buttò lì il ragazzo, osservando la mise della giovane e sorridendo: «Immagino che a Perfettino sia piaciuto parecchio.»
«Co-cosa fai qui?» domandò Marinette, stringendosi addosso la felpa e osservando il compagno di squadra.
«Prima che tu parta con chissà quali castelli…» iniziò l’eroe, poggiandosi alla ringhiera e incrociando le braccia: «Sono venuto perché Nino mi ha detto che tuo padre fa i migliori macarons al cioccolato di tutta Parigi e…» si fermò, sciogliendosi e passandosi una mano sulla nuca: «Beh, l’ho detto a Flaffy e voleva assaggiarli…»
Marinette ridacchiò, scuotendo il capo e facendo ondeggiare le ciocche scure: «Sai, non si direbbe che tu sia così dolce con il tuo kwami.» dichiarò, sorridendo: «Sinceramente, non pensavo che facevi tutto questo per Flaffy.»
«E’ mio amico.»
Il sorriso della ragazza si allargò, annuendo con la testa: «Sono contenta che sei in squadra, sai?»
«Anche se ci ho provato con te?»
«Anche se ci hai provato con me.» dichiarò Marinette: «Anzi, devo scusarmi per come ho reagito…»
«Scusarti per come hai reagito?» domandò Peacock, scuotendo la testa: «Se un coglione come il sottoscritto ci prova con te, devi reagire in quel modo! Capito?»
«Sono completamente d’accordo.» mormorò la voce di Chat, facendo sobbalzare i due: Marinette e Peacock si voltarono, trovando l’eroe nero appollaiato sul tetto sopra il terrazzino: «Cosa ci fai qui Peacock?»
«Non è come sembra…» iniziò il Portatore del Miraculous del Pavone, allungando le mani in avanti e saltando sopra la ringhiera: «Davvero.»
«Oh. Certo. Anche il mio pugno non sarà quello sembra…»
«Come mai sei tornato?»
«Ho dimenticato il cellulare, my lady.» le spiegò il biondo, sorridendole dolcemente: «Sistemo un attimo il pennuto e poi sono da te.» dichiarò velocemente, voltandosi e notando che Peacock era sparito: «Dov’è andato?»
«Nel negozio dei miei. A comprare dei macarons per il suo kwami.»
«Certo, ed io sono Volpina.»


Lila sorrise, stringendo il braccio del ragazzo al suo fianco e marciando allegra per la strada, dando un’occhiata a ogni vetrina che incontravano sul loro cammino: Wei era molto più alto e grande di lei, al suo fianco sembrava una cosa piccolina e delicata.
Ridacchiò nuovamente, attirando su di sé l’attenzione del ragazzo: «Niente.» mormorò di fronte all’occhiata incuriosita di Wei, alzando il viso verso il cielo e offrendolo ai primi raggi del sole: «Grazie per essere venuto con me. Sono talmente abituata a fare colazione fuori casa che…beh, non mi piace prepararmela.»
«Nessun problema.» sentenziò Wei, abbozzando un sorriso: «Stamattina non lavoravo e quindi…»
«Come? Niente giro sporco di carta la domenica?»
«No, la domenica è sacrilega per monsieur Mercier.»
«Forse sacra.»
«Sì, sacra.»
«Quel tipo è assurdo.»
«E’ interessante.» mormorò il ragazzo, sorridendo: «Mentre lavoro mi racconta un po’ della sua vita e da quel che ho capito è stato una specie di…di…» si fermò, aggrottando la fronte e mordendosi il labbro inferiore: «Come è che Peacock chiama Ladybug?»
«Mh. Boss?»
«Ecco, Mercier è stato una specie di boss dell’industria della carta da giovane.» spiegò Wei, massaggiandosi la nuca con la mano libera: «Mi ha raccontato di un suo rivale e di quello che ha fatto per farlo…farlo…come si dice?»
«Mh. Farlo fallire?»
«Esatto!» esclamò il ragazzo, fermandosi e chinandosi per baciarla, sorridendo poi e riprendendo a camminare: «Ha fatto le peggio cose.»
«A-ha.» mormorò Lila, le labbra piegate in un’espressione gioiosa, ascoltando attenta il ragazzo che le narrava tutto ciò che sapeva su Mercier, ignorando bellamente il mondo che la circondava.
«Lila?»
«Mh?»
«Il locale per fare colazione?»
L’italiana si guardò intorno, osservando il grande incrocio all’inizio degli Champs-Élysées: «Come ci siamo arrivati qui?» domandò, voltandosi indietro e guardando la strada che avevano appena percorso: «L’abbiamo superato!»
«Io seguivo te.»
«Non seguirmi, soprattutto dopo che mi hai baciata.»
«Perché?»
«Perché divento come Marinette!» bofonchiò la ragazza, percorrendo a passo svelto la strada appena fatta e sorridendo alla vista del tendaggio verde pistacchio: «Café le carré élysée!» esclamò allegra, sorridendo al compagno: «Uno dei posti dove ho trovato un caffè abbastanza decente.»
«Mh.»
«Fanno anche il the, ho controllato ieri.»
«Ottimo!»


Sarah alzò la testa, osservando la parte posteriore del Sacré Coeur e poi abbassò lo sguardo, abbozzando un sorriso all’amico: «Devi per forza andare?» domandò, prendendolo sottobraccio e posando la testa sulla spalla di Alex: «Praticamente sei arrivato, sei finito nelle mani di Coeur Noir e…»
«E sono stato salvato.» concluse il ragazzo, sorridendole: «Beh, mi sarebbe piaciuto visitare Parigi un po’ di più: salire sulla Tour Eiffel, andare al Louvre, vedere Notre-Dame…ah, aspetta. Notre-Dame l’ho vista, ero Mogui ma ci sono stato. Dovevo farmi un selfie, maledizione!»
«Dubito che da Mogui ti saresti fatto un selfie.»
«Ah già. Avevo dei problemi con la mia immagine. E dire che non sono mai stato molto vanitoso!» sospirò Alex, scuotendo il capo: «Ah, prima che me ne dimentichi! Stamattina mi sono ricordato una cosa di Coeur Noir.»
«Davvero?»
«Sì, avrei voluto fare una specie di riunione, ma non c’è il tempo quindi lo dico a te e…beh, ci penserai tu a riferirlo a tutti: quando ero sotto il suo controllo, sono stato suo ospite – diciamo così – e…» si fermò, scuotendo la testa e sospirando: «Per quanto sia tutto assolutamente confuso, ricordo vagamente il suo volto: è una donna, avrà sui trenta, quarant’anni, ed è ancora molto bella.» Alex si fermò, portandosi due dita al setto nasale: «Il suo specchio. Nella sua stanza c’era uno specchio e il suo riflesso era strano…»
«Strano?»
«Sì, sembrava vivo.»
«Ma che cosa…?»
«Non mi ricordo altro, mi spiace.»
«Alex, già questo è tanto!» esclamò Sarah, posandogli le mani sulle spalle e alzandosi sulle punte dei piedi, per dargli un bacio sulla guancia: «Specchio. Sembra che quasi tutto giri attorno agli specchi: per sconfiggere Mogui dovevamo farti specchiare per mostrarti la tua vera natura, Coeur Noir ha uno strano specchio…» la ragazza scosse il capo, facendo danzare la coda bionda e sospirò: «Spero che il maestro Fu abbia qualche risposta.»


Rafael sbadigliò, osservando il biondo sfilare sulla passerella e guardarlo male, quando gli passò davanti: «Adrien.» lo riprese immediatamente Gabriel, avanzando sul défilé con una cartellina fra le mani: «Potresti fare uno sguardo meno arrabbiato?»
«Ci posso provare.» sbuffò il ragazzo, incrociando le braccia al petto e sospirando all’espressione del genitore: «D’accordo lo farò.»
Rafael abbozzò un sorriso, salendo sul palco e avvicinandosi al collega: «Non stavo facendo niente.» spiegò, mettendo le mani in avanti: «Davvero. Nino mi…»
«Ti ha parlato dei macarons che fa Tom e tu volevi comprarli per il tuo kwami.» concluse Adrien, portandosi le mani alla fronte e passandosele fra i capelli: «Me l’ha spiegato Marinette.»
«Perfetto, quindi è tutto…»
«Fatto sta che ti sei avvicinato a lei!»
«Non è che puoi ringhiare contro ogni ragazzo che le parla, Perfettino.»
«Posso e lo faccio.»
«Stai messo proprio male, amico.» sentenziò Rafael, scuotendo il capo e abbozzando un sorriso: «Insomma, non è brutto?»
«Essere totalmente presi da una ragazza? Sapere che lei è come l’aria che respiri e che senza moriresti?»
«Riesci a essere un po’ meno sdolcinato? Seriamente, fai venire il diabete.»
«Posso provarci. Comunque non è brutto, anzi tutt’altro…» Adrien infilò le mani nelle tasche dei jeans, sorridendo: «Quando ancora non stavamo insieme…beh, alle volte ha fatto male, così tanto che non riuscivo a respirare; ma ogni volta che lei mi guardava, che mi sorrideva era come…»
«Come se tu fossi invincibile e potevi fare di tutto?»
«Sembra che tu conosca la sensazione.» dichiarò Adrien, inclinando la testa: «Chi è la sfortunata?»
«Ti sembro tipo da legarmi come te?»
«Per niente. Ma Marinette dice che sei un bravo ragazzo e che hai un certo interesse per qualcuna; ed io credo a quello che lei dice…»
«Ha sbagliato totalmente stavolta. Fidati.»
«Mh. Sarà…»
«Vogliamo riprendere le prove o vi faccio portare un po’ di caffè e biscotti?» sbottò Gabriel, fissando male i due modelli, voltandosi poi verso uno degli addetti: «E tu! Ti ho detto che non volevo quel modello qui! Imbecille!»


Alex sospirò, osservando il piccolo gruppetto riunito per salutarlo: «Beh. E’ stato breve ma intenso.» dichiarò, sorridendo e facendo passare lo sguardo su tutti: «Proverò a tornare, magari senza che qualche germe malvagio mi faccia diventare cattivo…»
«Nino ha detto di scusarlo, oggi aveva un lavoro come dj e non ha potuto rimandare…» mormorò Adrien, passandosi una mano fra i capelli e sorridendo all’americano: «Sono stato felice di conoscerti, anche se avrei preferito evitare di fare la conoscenza di Mogui: simpatico ragazzo, ma un po’ troppo arrabbiato.»
«Mi hanno detto che non era facile parlare con lui.»
«Per niente, quando urlava poi…»
Marinette sorrise, affiancando Adrien: «Alya è con Nino, quindi anche lei non è potuta venire…»
«Tranquilla.»
«Spero davvero che tornerai.»
«Devo assolutamente venire ad assaggiare i dolci di tuo padre! Ieri sera ne ho sentite talmente tante su questi croissants, che devo provarli!»
«Quando vuoi, Alex.»
L’americano sorrise, osservando la coppia: «Beh, posso dire di aver conosciuto Ladybug e Chat Noir. Gli eroi di Parigi.»
«E non dimenticarti di Volpina e Tortoise.» esclamò Lila, avvicinandosi e sorridendo: «Torna, mi raccomando.»
«Tornerò, Lila.»
«Fai il bravo, ok?»
«Lo farò Wei. E tu studia il francese, per quando tornerò voglio sentirti parlare da dio!»
«Lo farò.»
Alex sorrise, voltandosi poi verso Rafael: «Grazie, amico.» mormorò, allungando una mano e sorridendo quando vide l’altro titubare nel prendergliela e stringerla: «Grazie per avermi ospitato a casa tua e per avermi salvato. Sei un tipo a posto e…» scoccò un’occhiata a Sarah, sorridendo: «Ti affido la mia sorellina. Proteggila.»
Rafael fissò l’altro negli occhi, annuendo con la testa e aumentando la presa della mano: «Lo farò.» dichiarò sicuro e sentendosi soddisfatto dell’espressione convinta che vide nello sguardo di Alex; dietro di lui qualcuno sbuffò e si voltò, osservando Adrien portarsi una mano alla bocca e Marinette fissarlo male.
Sarah chinò lo sguardo, sentendosi le guance andare a fuoco: «Alex…» mormorò, venendo subito catturata dall’abbraccio dell’amico: «Tornerai, vero?»
«Appena mia madre finirà di sclerare, salto sul primo aereo e torno da te. Da voi.» sentenziò il ragazzo, accentuando la stretta: «Sei la mia migliore amica e la mia sorella mancata, non ti lascerò mai sola. E adesso sono anche più tranquillo perché hai dei compagni con te: fai il culo a Coeur Noir e falla pentire di tutto ciò che ha fatto a New York e qui, ok?»
«Lo farò.» mormorò Sarah, voltandosi verso gli altri e sorridendo: «Lo faremo.»

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.312 (Fidipù)
Note: Tadaaaaannn! Aggiornamento extra per questa settimana! Perché? Beh, perché mi andava, sinceramente: ho parecchi capitoli che scalpitano di essere postati (Sì, non pensate che le mie avventure si concludano con la fine di Miraculous Heroes, perché vi sbagliate di grosso...dovrete sopportarmi per mooooolto tempo!) e, quindi, perché non fare un aggiornamento così, tanto per? (Tecnicamente, avrei dovuto impiegare questo tempo a rispondere alle vostre recensioni, ma per quello aspetto di avere una connessione neuronale più tranquilla e che non mi faccia assomigliare a un minion esagitato).
Allora, la Fondazione Louis Vuitton (che qui nella mia storia è un po' la base per tutti gli stilisti di Parigi. Un po' di licenza poetica la prendo anch'io, il Sommo Astruc ha praticamente creato una Parigi tutta sua XD), in verità è un complesso con 11 gallerie che ospitano mostre permanenti e temporanee e, se non ricordo male, ospita anche alcune sfilate della Settimana della Moda di Parigi. Si trova all'interno di Bois de Boulogne, un'immensa macchia di verde che ospita anche lo zoo.
E dopo queste info (che potrei anche evitare di dirvele, ma almeno allungo il brodo delle note XD), passo ai consueti ringraziamenti: grazie a chi legge, grazie a chi commenta (qui, su FB), a chi mi sopporta ed è giunto fino a qua e a chi inserisce questa mia storia in una delle sue liste.
Grazie, davvero, grazie!


Fai il culo a Coeur Noir e falla pentire di tutto ciò che ha fatto a New York e qui, ok?
Lo farò. Lo faremo.

Bee sospirò, prendendo la mira e lanciando un pungiglione contro il guerriero nero che stava per attaccare Tortoise alle spalle, ripetendosi per l’ennesima volta la promessa che aveva fatto ad Alex, prima che il ragazzo partisse.
Il compagno si voltò, alzando la mano libera dallo scudo e sorridendole, mentre lei caricava un nuovo aculeo, sollevando poi il braccio destro e tenendolo, all’altezza del polso, con l’altra mano in modo da avvertire meno il peso; esattamente sotto al lampione su cui si era appostata, invece, Peacock e Chat Noir stavano ingaggiando lotta con altri guerrieri scuri.
«Sto rimpiangendo Mogui.» bofonchiò l’eroe nero, assestando un calcio a uno dei suoi rivali e spendendolo contro un altro: «Seriamente. Era uno solo, con problemi d’immagine certo, ma sempre uno e basta.» sbottò, scuotendo il capo biondo e roteando il bastone, mentre Peacock bloccava un attacco con uno dei ventagli e lanciava, contemporaneamente, le parti dell’altro come pugnali verso altri due nemici.
«Idiota!» sbottò Lila, usando il flauto come un’asta e atterrando uno dei rivali, fissando male Peacock e poi sbuffando alla vista del fumo nero che usciva dai due feriti dal compagno: «Dobbiamo atterrarli, non ferirli!»
«Me l’ero dimenticato!»
«Ecco un’altra cosa positiva di Mogui…» sospirò Chat, spingendo indietro il bastone e colpendo il nemico che stava cercando di colpirlo alle spalle: «Potevi combatterlo senza tanti problemi.»
Bee sospirò, spostando l’attenzione su un lato del campo di battaglia e osservando Tortoise atterrare uno dei guerrieri di Coeur, voltandosi poi verso Ladybug che, dopo aver purificato quello contro cui stava combattendo, roteò su se stessa e colpì il nemico che l’altro teneva a terra: «Peacock! Attento!» urlò l’eroina in rosso, osservando uno dei guerrieri arrivare alle spalle del compagno, che calciò all’indietro, spedendolo contro un altro.
«Ragazzi!» sbottò Peacock, allargando le braccia e scuotendo la testa: «Ho una sfilata fra pochi giorni, non posso farmi vedere pieni di lividi.»
«Siamo in due.» borbottò Chat, roteando il bastone sopra la testa e fermando gli affondi di due guerrieri neri: «Sinceramente non ho voglia di sentire le truccatrici strillare perché dovranno usare il fondotinta dappertutto.»
«No, scusate.» Volpina si fermò, chinandosi per evitare lo yo-yo di Ladybug, che andava a purificare l’ennesimo nemico e fissò i due modelli: «Vi truccano? Dappertutto?»
«Ci tocca.» sospirò Chat Noir, fermandosi e usando il bastone come appoggio: «Io lo dico sempre che son bello naturale ma…»
«Tu sei quello che fa tutto quello che gli dicono.» lo interruppe Peacock, inspirando profondamente: «A…»
«Dì il mio nome e quello che ti ha fatto la mia dolce signora sarà niente.» ringhiò l’eroe nero, fissandolo un attimo e poi sorridendo a Bee, che era saltata giù dalla sua postazione: «Ti unisci alla festa?»
«Veramente, mentre voi parlavate, Ladybug e Tortoise hanno annientato quelli che rimanevano.» mormorò la bionda, sorridendo ai due che stavano riprendendo fiato: «Andiamo a mangiare qualcosa?»
«Ottima idea, Bee!» bofonchiò Ladybug, scoccando un’occhiata gelida agli altri mentre il guerriero verde sorrise, sistemandosi lo scudo sulla schiena: «Combattere fa venire sempre fame.»
«Noto un certo sarcasmo nella tua battuta, my lady.»
«Lo noti solamente?»


Coeur Noir colpì la superficie dello specchio, osservando i Portatori di Miraculous sconfiggere con facilità i guerrieri che aveva mandato contro loro: «Maledetti!» ringhiò, respirando profondamente e fissando il proprio riflesso, sorridendo alle sembianze della donna che lo aveva imprigionato in quello specchio e in se stessa: non più prigioniero di quell’affare e di lei.
Adesso era il padrone – la padrona – di quel corpo e presto il mondo avrebbe conosciuto la vera paura e il vero terrore.


«Spero sia qualcosa d’importante, Sarah.» mormorò Marinette, gettando la borsa sulla sedia libera, davanti a uno dei pc della scuola e sedendosi sull’altra, sbadigliando: «Dopo fisica l’unica cosa che voglio sono i miei dolci e dormire. Tanto dormire.» La bionda si voltò, sorridendo e allungando il collo, facendo ridere la mora: «Sono sola.»
«Che cosa strana…»
«Lila è dovuta scappare, perché Vooxi voleva andare a comprare un libro su Harry Potter, qualcosa sul magico mondo di Harry Potter… non ho capito bene; mentre Adrien aveva le prove per la sfilata.»
«Oh.»
«Anche Rafael.»
«Sì, mi deve aver accennato a qualcosa…» mormorò Sarah, facendo un vago cenno con la mano e scuotendo la testa, facendo oscillare così la coda bionda: «Quando sono venuta qui in biblioteca mi ha intimato di non farmi rapire da nessun guerriero nero. Come se mi mettessi d’accordo con loro: ehi, ragazzi! Facciamo qualcosa, dai! Venite a rapirmi!»
Marinette rise, poggiando i gomiti sulla scrivania e, tenendosi la testa fra le mani, osservò lo schermo del pc: «Specchi?» domandò, voltandosi verso l’americana come a chiedere risposte: «Mi sono persa qualche cosa che hanno dato i professori?»
«No. Mi sono solo ricordata di qualcosa che ha detto Alex prima di partire.» spiegò Sarah, abbozzando un sorriso: «In verità, avrei dovuto farlo subito ma sono tre giorni – da quando Alex se n’è andato, per la precisione – che subiamo attacchi dai guerrieri di Coeur e quindi…beh, mi è passato di mente.»
«Cosa ti ha detto?»
«In verità non è che ricordasse molto, mi ha solo detto che Coeur Noir è una donna, sui trenta, quarant’anni più o meno e…» si fermò, indicando lo schermo del pc e la ricerca che stava facendo: «Mi ha detto che nella sua stanza – o qualsiasi posto sia quello dove si trovava – c’era uno specchio e che era strano, sembrava che il riflesso fosse vivo…»
«Non è tanto.»
«No. Purtroppo non ricordava nient’altro. Mi ha detto che mi avrebbe avvisata se si fosse ricordato di qualcosa…» Sarah si fermò, scuotendo il capo: «Per ora non ha chiamato.»
Marinette annuì e sospirò, guardando il monitor: «Lo specchio è spesso legato al tema del doppio, dell’universo alternativo della bellezza e della divinazione.» lesse a voce alta, allungandosi per prendere il mouse e far scorrere la pagina: «Nelle credenze popolari gli specchi duplicano la realtà, sarebbero in grado di imprigionare l’anima nell’immagine riflessa. La connessione specchio/anima è anche all’origine di caratteristiche tipiche di creature demoniache: secondo alcune versioni, i vampiri non riflettono la propria immagine poiché prive di anima…»
«Direi che non è il nostro caso.» sentenziò Sarah, storcendo la bocca: «Noi abbiamo un riflesso fin troppo vivo. Se Alex si è ricordato giusto…»
«Un tòpos letterario e cinematografico è l'apparizione nello specchio di creature altrimenti invisibili come fantasmi e demoni…» riprese Marinette, facendo scorrere la pagina: «La cui immagine è resa più inquietante dal fatto che, all'atto di voltarsi, non trova corrispondenza nel mondo reale: sono, cioè, riflessi di corpi visibili solo al di là dello specchio.» la ragazza si fermò, mordendosi il labbro inferiore e ripercorrendo le ultime parole lette: «E se fosse questo?»
Sarah rilesse anche lei, annuendo con la testa: «Un fantasma o un demone?» domandò, voltandosi verso la mora: «Può essere…»
«Non sai niente su Coeur Noir?»
«A parte che vuole i Miraculous e manda guerrieri neri? No, nulla.»
«Quindi potrebbe anche essere…» Marinette si fermò, scuotendo il capo: «Che so? Posseduta o un demone lei stessa?»
«Potrebbe essere.»
«Se il maestro parlasse…» sospirò la mora, gettando indietro la testa e fissando il soffitto: «Adrien ha ragione quando dice che Fu sa molto più di quello che dice.»
«Non c’è modo di farlo parlare?»
«Non credo. In verità, non ci siamo impegnati più di tanto a cercare di tirargli fuori qualcosa…»
«Forse dovremmo riprovarci.» sentenziò l’americana, portando nuovamente l’attenzione sul pc: «Se sapessimo contro chi combattiamo, magari potremmo ideare un piano e fare qualcosa…beh, sicuramente qualcosa di meglio rispetto a quello che facciamo ora.»
Marinette annuì alle parole dell’amica: «Dovremmo fare una riunione con gli altri e decidere il da farsi.» sentenziò, voltandosi verso l’altra e sorridendo: «Siamo un gruppo, no?»
«Giusto.»


Wei osservò la struttura in vetro e cemento, dall’aria moderna che immersa nel verde della zona dominava il tutto: «Fondazione Louis Vitton…» lesse ad alta voce, facendo vagare gli occhi sulle lettere che sormontavano l’ingresso della struttura.
Bene. L’ultimo incarico prima di concludere la giornata di lavoro.
Strinse la scatola, che teneva sotto il braccio, ed entrò nell’edificio, guardandosi intorno e sorridendo: due ragazze stavano spingendo due carelle pieni di abiti di tutti i colori, mentre dietro di loro una terza arrancava con le braccia cariche di stoffe; davanti a lui la reception era in fermento e le due signorine dietro il desk – perfettamente adatte all’ambiente – sembravano avere tutto sotto controllo.
Wei si avvicinò, sorridendo a una signora e posando la scatola che doveva consegnare: «Per madame…» iniziò, tastandosi le tasche dei pantaloni e trovando la bolla di accompagnamento della scatola: «Madame Willhelmina Hart.»
«Oh. Sono io!» esclamò la donna a cui aveva sorriso poco prima: madame Hart posò le mani sulla scatola – e solo allora Wei notò gli artigli rossi che aveva –, ridacchiando: «Immagino sia quello che attendevo da monsieur Mercier.» dichiarò la donna, sollevando con un po’ di sforzo la scatola e delegandola al galoppino dietro di lei, rimasto invisibile fino a quel momento: «Ringrazialo da parte mia. Questi papier sono importantissimi per la mia sfilata.»
«Presenterò.»
Madame Hart gli sorrise, mentre lui si portavano una mano ai capelli: «Bel bracciale…» mormorò, allungando una mano e afferrandogli il polso: «Pietra molto interessante, si direbbe una tartaruga…»
«Grazie.»
«Wei!» esclamò la voce allegra di Rafael: Willhelmina gli lasciò andare il polso e il cinese si voltò verso l’amico, che lo stava raggiungendo seguito da Adrien: «Che ci fai qui, bello?» domandò il moro, assestandogli una manata sulle spalle.
«Ho fatto una consegna.» spiegò Wei, indicando la scatola e poi la signora Hart, che sorrideva affabile ai tre: «Monsieur Mercier non poteva venire e quindi…»
«Adrien Agreste e Rafael Fabre.» tubò Willhelmina, sorridendo ai due: «I modelli migliori di tutta Parigi, nonché i due diamanti di Gabrielluccio.»
«Gabrielluccio?» ripeté Adrien, scuotendo la testa e sorridendo: «Signora Hart.»
«Chiamami pure Willhelmina.»
«Questa non deve sapere che sei felicemente fidanzato.» borbottò Rafael, inclinandosi verso l’altro modello e sorridendo, mentre Willhelmina era partita in un monologo ove decantava la bellezza dei due ragazzi e le favolose creazioni dello stilista Agreste.
«Tutta tua. Da quel che mi ricordo ti piacciono le babbione…»
«Babbione?» domandò Wei, intromettendosi nel discorso e ignorando bellamente anche lui la donna.
«Donne anziane.»
«Sono stato con una sola più grande di me! E aveva solo quattro anni in più.»
«Mi chiedo se Sarah sappia della tua tendenza a volare di fiore in fiore come una farfallina…»
«Cosa centra Sarah adesso?»
Adrien fissò il moro, voltandosi poi verso Wei: «E’ uno scherzo, vero?» domandò, ricevendo in cambio un’alzata di spalle e la più completa attenzione di Willhelmina.
«Cosa è uno scherzo, Adriennuccio?»
«Il fatto che Wei non ha ancora pranzato.» dichiarò prontamente il biondo, indicando il padre che stava attraversando l’atrio in quel momento: «Arrivederci, signora Hart!»
«Signorina!»


«Non ci credo…» sospirò Lila, poggiando il libro sul bancone e sorridendo al cassiere: «Io che compro Il Quidditch attraverso i secoli.»
«Non rompere e paga.» bofonchiò Vooxi, nascosto sotto la sua giacca, e squittendo allegro: «Non vedo l’ora di averlo fra le zampette.»
«Tu sei malato, Vooxi.»
«Come, signorina?»
«Niente.» borbottò la ragazza, dando la carta di credito e recuperando poi il cellulare, che aveva iniziato a squillare, dalla borsa: «Dimmi, Marinette.» mormorò, una volta visto chi l’aveva chiamata.
«La nostra amica ha attaccato di nuovo.» sentenziò la ragazza all’altro capo: «Sarah ed io stiamo per andare. Mi domandavo se volevi unirti alla festa…»
«Dove?»
«Fondazione Louis Vitton.» risposte prontamente Marinette: «I ragazzi e Papillon sono già sul posto.»
«Ci vediamo lì!»


Tortoise bloccò la carica di due guerrieri neri, tenendo lo scudo davanti a sé e usando la spalla sinistra per fare più forza: «Papillon!» urlò, voltandosi verso l’eroe in completo viola e osservandolo spedire le sue farfalle bianche verso i due; sentendo il carico sullo scudo farsi meno, lo riposizionò sulla schiena e bloccò entrambi i guerrieri a terra: «E ora?»
«Ora ti faccio una bella foto!» esclamò Chat, balzando su una delle guglie del palazzo e mettendo mano al bastone: «Un sorriso per la stampa, Torty!»
«Chat!»
Il felino si voltò, osservando un guerriero nero saltare contro di lui con la spada alta fra le mani, ma un filo nero lo avvolse, tirandolo via: «My lady!» trillò allegro Chat, osservando Ladybug scaraventare il guerriero nero a terra: «E’ sempre meraviglioso vederti.»
«Chat, giusto per la cronaca, non voglio diventare vedova prima del tempo e, soprattutto, prima di sposarmi.»
«Tranquilla, my lady. Sono immortale.»
«Certo…» sospirò la ragazza, alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo: «Come mai sono venuti qua?»
«Gliel’abbiamo chiesto.» sentenziò Peacock, bloccando l’attacco di uno dei nemici e dandogli poi una spallata, voltandosi in tempo per vedere un pungiglione colpire la maschera del guerriero che stava per attaccarlo da destra: «Ma non ci hanno saputo rispondere.»
«Per me si sono persi.» dichiarò Chat, saltando a fianco di Ladybug e passandole un braccio attorno alla vita: «My lady, ogni minuto senza di te è lungo come un’eternità…» mormorò, chinandosi e sfiorandole le labbra con le proprie.
«Ma vi sembra il momento di pomiciare?» gridò Peacock, assestando un calcio a uno dei guerrieri neri e voltandosi, osservando Volpina andare ad aiutare Tortoise: «Fai quella cosa il tuo yo-yo e purificali! C’è Tortoise che è fermo da mezz’ora là!»
«Giusto.» dichiarò Ladybug, sciogliendo l’abbraccio del biondo e afferrando la propria arma, facendola roteare e azionandone il potere purificante: «Non è proprio il tempo per certe cose…»
«Sei morto, pennuto!»


Osservò l’ennesima disfatta dei suoi guerrieri, sorridendo: «Interessante.» mormorò, passandosi il pollice sulla bocca e sorridendo: «Molto interessante.»
«Cosa è interessante?» le domandò l’omuncolo che, aveva scoperto quel giorno, essere l’assistente di quella misera donna.
«Gli eroi di Parigi. E’ la prima volta che li vedo in azione.»

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.307 (Fidipù)
Note: Tadaaaaaannn! Eccomi qua con il classico aggiornamento del lunedì! Allora, prima di ogni cosa, qua potete trovare il link del locale presente nel capitolo (Così non sarò la sola a sbavare sulle foto, manco fossi Flaffy!). Che altro posso dire? Ah, giusto! Beh, farete una nuova conoscenza in questo capitolo e il mistero di Coeur Noir si sta leggermente dissolvendo...ormai manca veramente poco.
Detto ciò, al solito, voglio ringraziarvi per i vostri commenti (qui e su FB), per il fatto che inserite questa storia in una delle liste messa a disposizione da EFP, perché leggete e mi sopportate con i miei millemila capitoli.
Grazie, di tutto cuore, grazie!



Adrien sbuffò, camminando spedito per Rue de Rivoli e gettando un’occhiata distratta al Museo del Louvre alla sua sinistra: «Qualcosa non va?» gli domandò Marinette, allungando una mano e stringendo le dita attorno alla stoffa della camicia all’altezza del gomito, inclinando la testa e studiandogli l’espressione.
«Beh. Avrò una settimana infernale a partire da domani…» sentenziò il ragazzo, liberando una mano dalla tasca dei jeans e catturando quella della ragazza, portandosela alle labbra: «Avrei preferito fare qualcosa con te, piuttosto che questo ritrovo di supereroi a cui dobbiamo partecipare.»
«Perché tutto quello che dici ha qualcosa come millemila doppisensi?»
«Perché tu sei una coccinella pervertita, semplice.» le rispose tranquillamente Adrien, facendole l’occhiolino e sorridendo: «Ti ricordi di quando l’Imposteur rubò la Monna Lisa? Quel tipo poi cercava di imitarmi facendo battute ridicole…»
Marinette aprì bocca, decisa a far tornare il discorso sulla sua natura pervertita, ma rinunciò alla vista dello sguardo del ragazzo: «Quando Alya mi chiamò avevo capito che qualcuno ti avesse rapinato…»
«Cosa?»
La ragazza sorrise, inclinando la testa: «E’ strano. Sono passati un po’ di anni, ma ricordo benissimo tutto e alcune cose sceme meglio di altre.»
«Ovvero?»
«Mh. Ti ricordi di quando abbiamo affrontato il tipo che si trasformava in qualsiasi animale?»
«Sì.»
«Ti ricordi di come ti eri arrabbiato perché si era trasformato in un dinosauro?»
«Io ricordo di qualcuno che si era lanciata di sua volontà dentro la bocca di quel bestione…» sospirò Adrien, alzando gli occhi al cielo: «Ehi, E quando Alya si trasformò in Lady Wi-fi nella metrò? Era sotto il controllo della Marionettiste.»
«Sì!» esclamò Marinette, battendo le mani e ridacchiando: «Sai che quella volta sei stato molto vicino a scoprirmi?»
«Davvero?»
Marinette annuì, riprendendo a camminare e ridacchiando: «Certe paure non si dimenticano! Stavo dicendo a Tikki di trasformarmi ed ecco una mano sulla spalla…»
«Ho sempre avuto un pessimo tempismo.» borbottò il ragazzo, scuotendo il capo biondo: «Potevo sapere chi eri all’epoca e invece…Come quando ti rinchiudesti in quello sgabuzzino ed io, imbecille!, chiusi la porta.»
«Beh, quella volta rivalutai un po’ Chat Noir.»
«Davvero?»
«Mh mh. Non era l’idiota totale che pensavo.»
«Grazie, sempre bello sapere l’opinione che avevi di me.»
«Vediamo…»
«Non inferire, my lady.»
«Avevo l’impressione di conoscerti da sempre…» mormorò Marinette, battendosi le dita sulle labbra e sorridendo: «Comunque non eri il mio tipo: troppo sicuro di te, senza contare i tuoi giochi di parole…» si fermò, ridacchiando: «no, in verità quando li miagolavi eri divertente.»
«Non ero il tuo tipo? Miagolavo i miei giochi di parole?»
«Ah! E poi cercavi sempre di metterti in mostra…ok, questo lo fai anche ora…»
«No, ma prego. Colpisci direttamente qua.» sentenziò Adrien, picchiandosi il pugno sul petto: «Fai prima.»
«Però ero contenta che tu fossi con me.»
«Davvero?»
«Senza il tuo aiuto non so come avrei fatto a combattere tutti gli akumatizzati di Papillon.»
«Ah. Ecco.»
«Beh, però hai anche molte qualità: combatti benissimo e so che posso contare sempre su di te.» dichiarò Marinette, gettando indietro la testa e sorridendo: «Se non ci fossi stato tu come Adrien…beh, avrei guardato Chat Noir in un altro modo.»
«In pratica mi sono dato la zappa sulle zampe – l’hai capita? – da solo.»
«Io non sono stata da meno, no?»
Adrien ridacchiò, prendendole di nuovo la mano e camminando al suo fianco: «All’epoca era tutto più facile, non pensi? C’era l’akumatizzato, lo combattevano e ognuno per la sua strada: niente riunioni strategiche e problemi su capire dove e quando il nemico attaccherà…»
«Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, mon minou.»
«A-ha. Questa l’ho già sentita.» Adrien le fece l’occhiolino, ridacchiando e dandole un lieve colpetto sul naso: «Piuttosto, dov’è che Lila ha detto di trovarci?» domandò, osservando il Palais Royal dall’altra parte della strada: «Rue de Rivoli. Ma dove?»
«Penso che il locale che ci ha detto sia più avanti.» spiegò Marinette, indicando davanti a sé: «Se ho capito bene quale locale è…beh, ci sono già stata con mio padre.»
«Davvero?»
«Sì. Il titolare è un amico di papà e ci siamo andati qualche volta.»
«Quindi fanno dolci?»
La ragazza annuì con la testa, sorridendo: «E’ una sala da the, in verità; ma monsieur Rumpelmayer – l’amico di papà – fa dei dolci…»
«Ottimo.» sentenziò Adrien: «Anche se non tradirò mai tuo padre.»
«Tranquillo, anche papà riconosce il talento di Rumpelmayer.»
«Quei vassoi di croissants e biscotti…» sospirò teatrale il ragazzo, scuotendo il capo: «Ogni volta venivano da me e qualcuno li cacciava…»
«Non avevo già chiesto scusa per questo?» mormorò Marinette, alzando la testa verso il cielo terso: «Era la prima volta che venivi a casa mia, avevo fatto – avevamo fatto, perché Tikki mi dette una mano – tutta quella fatica per sistemare camera mia e renderla presentabile e mio padre ci disturbava ogni tre secondi…»
«Perché dovevi rendere presentabile camera tua?»
«Ah.»
«Ah che, Marinette?»
La ragazza ridacchiò a disagio, scuotendo il capo: «Nulla di che. Era davvero in disordine, tutto qui.»
«Mh.»
«Davvero!»
Adrien sospirò, afferrando la borsetta della ragazza e aprendola, sorridendo alla kwami rossa: «Ciao, Tikki!» esclamò allegro e notando la piccolina inclinare la testa: «Stavi ascoltando, vero?»
«Sì.»
«Cosa mi sta nascondendo?»
«Semplicemente il fatto che aveva tappezzato tutta camera di tue foto, ritagliate dai giornali?»
«Traditrice!» sibilò Marinette, imbronciandosi e voltandosi di lato, mentre le guance le diventano rosse: «Uno pensa che almeno il suo kwami non ti tradisca mai…»
«Avevi le mie foto appese in camera?»
«Penso di aver quasi sbavato quando vidi la collezione di tuo padre…» sospirò la ragazza sognante: «Aveva anche la gigantografia della mia preferita…»
«La cosa bella è che ha l’originale qui davanti.» dichiarò Adrien, scuotendo il capo: «Terra chiama Marinette. Terra chiama Marinette.»
«Eh?»
«Ciao, sono Adrien. Il protagonista di quello che stavi fantasticando poco fa.»
«Purtroppo l’originale ha il brutto vizio di parlare.»
«Eh, non posso farci niente. Ho provato anche a smettere, ma è più forte di me.»
La ragazza sorrise, avvicinandosi e passandogli le braccia attorno alla vita, stringendosi a lui: «Ma ti amo anche per questo.» sentenziò, alzando la testa e sorridendo, mentre le guance le diventavano rosa acceso: «Ogni tanto mi accorgo che mi ero innamorata solo di un aspetto di te.»
«Non è un problema, no?» dichiarò Adrien, abbracciandola a sua volta e chinandosi, sfiorandole le labbra con le proprie: «Alla fine ti sei innamorata della mia purffezione!»
«E ovviamente sempre a pomiciare, eh?» domandò la voce di Rafael: Marinette sussultò, voltandosi di lato e incontrando lo sguardo sconsolato del ragazzo che, assieme a Sarah, li osservava a pochi passi di distanza: «State iniziando a essere insopportabili.»
«Sarah…» esordì Adrien, trattenendo una recalcitrante Marinette nel suo abbraccio: «Dovresti stare attenta alle persone con cui giri. Piuttosto, che ci fate insieme, voi due?»
«Qualcuno…» Rafael indicò con la mano l’americana, abbozzando un sorriso: «Ha problemi di orientamento, così invece di doverla andare a raccattare dalla parte opposta di Parigi, l’ho scortata fino a qui.»
«Ti ho già detto e ripetuto che ho problemi solo quando esco dalla metrò!»
«Ma guarda un po’? Per arrivare qui da casa tua bisogna prendere la metro’!»
Sarah sospirò, roteando gli occhi e scuotendo il capo: «Tu sei stato troppo tempo con Alex.» sentenziò, incrociando le braccia: «Vi comportate allo stesso modo.»
«Mai pensato di essere tu il problema?»
«Pennuto…» mormorò Adrien, sorridendo ai due che si erano voltati verso di lui: «Giusto per sapere, ma esiste un essere umano a questo mondo con cui non litighi?»
«Forse?»
«Comunque…» s’intromise Sarah, indicando Rafael e sorridendo: «Qualcuno parla parla, ma si è perso.»
«Non mi sono perso, solo non ho capito dove cavolo è il locale che ci ha detto Lila!» sbottò il moro, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e imbronciandosi.
«Dovrebbe essere davanti il Giardino delle Tuileries.» spiegò Marinette, indicando davanti a loro: «Poco più avanti su questa strada.» spiegò, riprendendo a camminare con Adrien al fianco, mentre Sarah e Rafael si accodavano.
«Il Giardino delle Tuileries?» domandò Sarah, voltandosi verso il compagno e aspettando.
Rafael annuì, facendo scivolare una mano fuori dalla tasca e passandosela sulla nuca: «Mh. Non ne so molto senza guida turistica, ma è un parco che c’è fra Place de la Concorde e il Louvre.» borbottò, sospirando: «Ci dovrebbero essere anche due gallerie e…»
«La ruota panoramica!» esclamò Sarah, raggiunto l’incrocio e indicando la grande struttura che si elevava sopra il verde: «Voglio andarci! Voglio andarci! Ci andiamo, Rafael?»
«Mi stai ricordando Flaffy quando vede una chocolaterie…» mormorò il ragazzo, scuotendo il capo e ridacchiando: «Magari dopo la riunione strategica degli Avengers parigini, d’accordo?» acconsentì, spingendo l’americana avanti a sé e raggiungendo il lato opposto della strada: Sarah annuì, tenendo d’occhio l’attrazione turistica e sorridendo allegra.
«Dovremmo esserci quasi…» mormorò Marinette, marciando spedita sul marciapiede e osservando il colonnato dall’altra parte della strada: «Dovrebbe essere più avanti.»
«Non facciamo prima ad attraversare?»
«Vorrei evitare di superarlo…» dichiarò Marinette, superando le scale che scendevano sotto terra, segno che lì era presente una fermata della metrò: «Tuileries. Ci conveniva scendere a questa…»
«Mi ricordate di quando vivevo a New York.» sentenziò Sarah, ridacchiando: «Conoscevo benissimo solo la zona in cui vivevo.»
«Penso succeda un po’ a tutti quelli che vivono nelle metropoli.» dichiarò Adrien, voltandosi indietro: «Anch’io so perfettamente l’isolato dove vivo e quello di Marinette. Ah, anche quello della scuola; per il resto sembro un idiota quando mi muovo…» si fermò, storcendo il naso: «Forse conosco meglio Parigi via tetti…»
«Via te…Oh! Capito!»
«Eccolo!» esclamò Marinette, battendo le mani e indicando il tendaggio grigio perla su cui spiccava il nome del locale, Angelina.
«Avevi paura di non vederlo?» domandò Adrien, facendo un cenno con la testa verso le strisce pedonali e raggiungendole assieme agli altri: «Mi spieghi come si potrebbe non vedere?»
«Ehi, tutto è possibile con me.»
Rafael ridacchiò, avvicinandosi al locale e notando la vetrina carica di dolci: «Oh no!» esclamò, vedendo poi qualcosa di blu sgusciare fuori dalla giacca e spiaccicarsi contro il vetro: «Flaffy!» sibilò, recuperando il kwami e guardandosi intorno, mentre Adrien lo affiancava.
«Se questo è il paradiso, ti prego non riportami in vita…» mormorò sognante il kwami, fissando alcuni pasticcini ricoperti di glassa al cioccolato.
«Concordo con lui.» dichiarò Adrien, deglutendo e tenendoanche lo sguardo sui piccoli capolavori di pasticceria che facevano bella mostra di sé in vetrina: «Lasciatemi qui con queste meraviglie. Non portatemi via.»
«Sì. Rimaniamo qui…»
«Voi due siete preoccupanti.» bofonchiò Rafael, nascondendo nuovamente il kwami sotto la giacca e afferrando il collega modello per il colletto, trascinandolo dentro, al seguito delle due ragazze: Marinette avanzò nel locale, sorridendo alle ragazze al di là del bancone e poi voltando verso sinistra e trovandosi nella sala interna del locale; si guardò intorno e sorrise alla vista di Lila e Wei, seduti a un tavolo in un angolo.
«Eccoli là!» esclamò la mora, avviandosi verso i due amici, seguita da Sarah e i due ragazzi: «Scusate il ritardo.»
«No problem.» sentenziò Lila, osservandoli sedersi e ridendo: «Ho avuto modo di studiare ogni cosa di questo meraviglioso posto.»
«E sbafare su ogni dolce che passava.»
«Sbavare.»
«Sba-va-re. Sbavare.»
Una cameriera arrivò da loro non appena tutti si furono accomodati e, con un po’ di confusione, prese l’ordine: «Perfetto. Iniziamo la riunione strategica supersegretissima, fatta in un locale chic con una sala piena di gente. Chi prende la parola?» domandò Adrien, fissando a turno i compagni: «Andiamo. Nessun coraggioso?»
«Chiedo subito scusa per non averlo detto prima, ma fra la partenza di Alex e tutti quegli attacchi…» iniziò Sarah, muovendo le mani nell’aria: «Beh, me ne sono dimenticata. Comunque prima di partire, Alex mi ha detto che si è ricordato qualcosa…»
«Cosa?»
«Mh. Allora ha detto che Coeur Noir è una donna…»
«E lo sapevamo già.» sentenziò Lila, annuendo con la testa: «Allora. Coeur Noir è una donna. Ok. Che altro?»
«Ha ricordato che nella stanza dove stavano c’era uno specchio. Uno specchio strano…»
«E questo è nuovo.» dichiarò l’italiana, guardando seria il tavolo e mordendosi il labbro inferiore: «Un altro specchio…»
«Sembra sia un tema ricorrente per Coeur Noir.» sentenziò Rafael, poggiando le spalle contro lo schienale della sedia e sorridendo alle due cameriere che erano giunte con il loro ordine: il gruppo le osservò mentre disponevano bevande, dolci e tramezzini sul tavolo per poi andarsene: «Mogui e i suoi problemi con la sua immagine riflessa, ora questo specchio strano…»
«Strano in che senso?» domandò Adrien, voltandosi verso Sarah: «Alex te l’ha detto?»
«Gli sembrava che il riflesso fosse vivo; comunque non ha ricordato nient’altro.»
Il biondo annuì, sospirando sconsolato: «Con Sarah abbiamo fatto qualche ricerca…» li informò Marinette, abbozzando un sorriso: «ma abbiamo trovato poco o niente.»
«In Cina c’è la leggenda che i morti vedono la forma in cui rinasceranno attraverso uno specchio magico.» buttò lì Wei, scuotendo il capo: «Ma non penso centri molto con Coeur Noir.»
«In Italia abbiamo l’usanza di coprire gli specchi quando muore qualcuno per non far imprigionare l’anima.» dichiarò Lila, stringendosi nelle spalle: «Poi…boh, so che i vampiri non possono rispecchiarsi perché sono senza anima e il basilisco – ringraziate Vooxi se so questo – muore se si riflette in uno specchio.»
«E se il riflesso che Alex ha visto fosse un’anima intrappolata?»
«Se lo fosse, my lady.» iniziò Adrien, voltandosi verso la ragazza: «Dobbiamo chiederci se è buona o cattiva.»
«Visto ciò che fa Coeur Noir, micetto, direi che sarebbe buona.» bofonchiò Lila, alzando gli occhi al cielo: «E se Coeur Noir fosse una specie di demone, spirito, che s’impadronisce dei corpi e imprigiona l’anima dell’ospite nello specchio?»
Il gruppo si guardò a vicenda, sospirando: «Dobbiamo far parlare mister Miyagi.» sentenziò Adrien, colpendo il palmo destro con il pugno sinistro: «Sono assolutamente convinto che sa.»
«Sono d’accordo con te, perfettino.» assentì Rafael, osservando il resto della tavola annuire: «Il maestro è l’unico che sa e direi che è anche ora che ci dica tutto.»


Ascoltò il rumore della chiamata in uscita, respirando pesantemente: da quanto tempo non la sentiva? Sicuramente un centinaio d’anni…
Possedere un Miraculous aveva donato a ogni portatore una vita più lunga rispetto a quella di un comune umano.
Dopo che aveva lasciato la Cina, Fu aveva fatto di tutto per non sentire più gli altri Portatori di Miraculous: sapeva che Zorro e Abeja erano morti alla bellezza di centocinquant’anni, circondati dai nipoti e pronipoti; di Pavão non aveva più saputo niente da dopo che era scoppiata la Prima guerra mondiale, mentre Black Cat e Ladybug…
Loro non voleva assolutamente ricordarli.
Il cuore gli doleva ancora al pensiero dei due compagni, caduti durante la loro lotta contro il male.
«Sì?» domandò una voce femminile all’altro capo della linea e Fu sorrise, ascoltando il suono della sua lingua madre.
«Sto cercando Fa Mei. Le dica che la cerca Fu.» dichiarò, maledicendosi per non aver controllato se la vecchia Portatrice del Miraculous della Farfalla fosse ancora viva: minimo era morta e…
«Tu! Maledetto!» urlò la voce di Fa dall’altro capo, facendolo sobbalzare: «Come osi chiamarmi dopo tutti questi anni e dopo che mi hai abbandonato in quel modo?»
Ok. Era viva.
«Fa.» disse il nome dell’antica compagna, con tutta l’autorità che possedeva, quella che aveva imparato a usare da quando era Gran Guardiano: «Lei è viva.»
«Lei chi, vecchio maledetto?»
«Lei, Fa!»
«Hai una minima idea di quante Lei conosco?»
«Non Lei in senso di Lei!» sbottò Fu, spalmandosi una mano in faccia e sospirando: «Lei lei!»
«Ti si è rincitrullito il cervello? Passami Wayzz, almeno con lui posso fare un discorso decente.»
«Non posso. Wayzz non è più con me.»
«Come non è…» Fa si bloccò e Fu la sentì inspirare profondamente: «Un nuovo Portatore?»
«Sì. Qui a Parigi è giunta una minaccia, una vecchia oscura minaccia…»
Sentì la donna dall’altro capo trattenere il respiro: «Mi stai dicendo che lei è viva?»
«Te lo sto dicendo dall’inizio, vecchia incartapecorita!»
«Non darmi della vecchia, vecchio!»
«Vecchio è chi vecchio lo fa!»
«Questo discorso non sta andando da nessuna parte, Fu. Quanti Miraculous hai già dato?»
«Tutti, Fa.»


Lila sorrise, osservando Sarah e Rafael in una delle cabine che, lentamente, stava salendo; l’americana la salutò con la mano, voltandosi poi verso il ragazzo e dicendogli qualcosa: «Qualcosa non va…» commentò Wei al fianco dell’italiana, osservando il sorriso spegnersi sulle labbra di quest’ultima.
«Hai presente quando hai una brutta sensazione, ma non sai riguardo a cosa?»
«Sì.»
«E’ come mi sento.» dichiarò l’italiana, mentre lo sguardo le si posava su Adrien e Marinette, in fila per andare sulla giostra: «Ho la sensazione che qualcosa di brutto succederà, ma non so cosa o quando.»
Wei annuì, passandole un braccio sulle spalle e attirandola verso di sé: «Farò tutto ciò che è in mio potere per evitare che la tua sensazione si trasformi in realtà. Lo giuro.»
«Grazie, Wei.» mormorò Lila, abbandonandosi contro il corpo del ragazzo e sospirando, lo sguardo che scivolava dalla coppia in fila a quella già sulla ruota: «Voglio anch’io che non si trasformi in realtà.»


«Che bello!» esclamò Sarah, indicando il panorama parigino e ridendo: «Immagino che di sera è cento volte meglio.»
«Ci sono le luci delle case, i monumenti illuminati…» spiegò Rafael, voltandosi anche lui e osservando la città che si dipanava sotto di loro: «Sì, decisamente meglio.»
«Ci eri già salito?»
«Una volta, quando ero piccolo: mio padre era stranamente a Parigi e decise di farmi fare il turista…» il moro si fermò, grattandosi il naso con l’indice e sorridendo al ricordo: «Andammo al Louvre e poi qui: mi ricordo che avevo una paura assurda di salire e mi attaccai a lui per tutto il tempo; arrivammo in cima e mi fece guardare il panorama, dicendomi di non avere paura perché ero in alto: se dovevo morire, sarebbe successo anche se fossi stato con i piedi per terra.»
«Quanti anni avevi?»
«Sette? Otto?»
«E tuo padre…»
«E’ sempre stato un tipo particolare.»
«Lo noto.»
«Comunque penso che fosse un modo tutto suo per dirmi di essere coraggioso.»
Sarah sorrise, voltandosi e osservando la figura della Tour Eiffel che, in lontananza, si ergeva su Parigi: «Quando mio padre morì, per un bel po’ io non riuscivo a scendere nella metropolitana: mi sentivo mancare l’aria ogni volta; un giorno mamma decise di andare a vedere uno spettacolo a Broadway e…beh, per farla breve mi spinse letteralmente giù dalle scale, costringendomi a prendere la metropolitana…» si fermò, voltandosi e incontrando lo sguardo grigio: «Una volta sopra mi disse che non dovevo aver paura di quello che aveva ucciso mio padre, perché non era detto che mi sarebbe toccata la stessa sorte: penso fosse il suo modo per dirmi di essere coraggiosa.»
«Anche tua madre era un tipo particolare.»
«Sì. Parecchio.»
Rafael annuì, voltandosi e osservando l’emblema parigino: «E secondo te, lo siamo? Coraggiosi, intendo.»
«Io conosco uno degli eroi più coraggiosi di tutta Parigi e si chiama Peacock.»
Il ragazzo si voltò, sorridendole: «Mi piacerebbe dire lo stesso di Bee, ma se ne sta sempre appollaiata su un lampione.»
«Ehi, è una cecchina.»
«E’ coraggiosa anche lei: è venuta dall’America per inseguire Coeur Noir e batterla. Secondo me è anche più coraggiosa di Peacock.»
«Non sminuirti, Rafael. Sei un grande eroe e Parigi è fortunata ad averti come suo protettore.» mormorò Sarah, allungandosi e prendendo una mano del giovane fra le sue, stringendola lieve: «Io sono onorata di conoscerti.»
Rafael fissò le loro mani unite e poi alzò lo sguardo verso Sarah, fissandola negli occhi: «Non dovresti essere onorata di conoscere un tipo come me: io sono…»
«Sei Peacock, eroe di Parigi e Portatore del Miraculous del Pavone. Devi essere orgoglioso di ciò che sei, di ciò che indossi.»
Rafael girò la mano, stringendo quella piccola di Sarah nella sua: erano quelle le parole che aspettava? Era per quello che aveva iniziato a combattere? Sorrise, intrecciando le dita con quelle della ragazza e alzò lo sguardo: «Grazie.»

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.377 (Fidipù)
Note: Buon salve salvino! Eccomi qua con un nuovo capitolo fresco fresco! E siamo a meno nove capitoli dalla fine di Miraculous Heroes e, vorrei già avvisarvi, che non vi lascerò tanto presto perché le avventure dei sei miracolati (coff...eroi...coff) parigini avranno un seguito (già in fase di scrittura). Sì, vi tormenterò ancora e per tanto tempo: mi dispiace per voi.
In questo capitolo...beh, finalmente c'è la tanto fatidica e attesa serata della Settimana della moda e finalmente qualcosa verrà allo scoperto, inoltre vi presenterò Iris Apfel: signora newyorkese, diventata un'icona della moda per il suo stile particolare (forse la conoscete per la pubblicità di un'auto che ha fatto qualche mese fa). Che posso dire? Mi è sembrata un'idea carina inserirla e, controllando il regolamento di EFP, ho notato che potevo farlo e quindi...beh, salutate Iris!
Detto questo, passo ai soliti ringraziamenti di rito: un grazie a chi legge e perde un po' del suo tempo per seguire questa mia storia; un grazie a chi commenta qui e su FB nel gruppo italiano di Miraculous Ladybug; un grazie a chi inserisce questa mia storia in una delle sue liste e...Grazie, davvero, grazie: lo so, sono ripetitiva ma ci tengo a ringraziarvi sempre perché se alla fine sono arrivata a completare Miraculous Heroes e a iniziare il suo seguito, oltre che alla mia passione viscerale per la scrittura e la serie originale, lo devo anche a tutti voi.
Quindi grazie.


«Sei scappato.» sentenziò Gabriel Agreste, osservando il figlio nel monitor e scuotendo il capo, quando Adrien abbozzò un sorriso: «Potevi lasciare tutto a Nathalie.»
«Volevo andare a prenderla io.» dichiarò Adrien, allentandosi un poco la cravatta nera e slacciandosi il primo bottone della camicia candida: «E poi pensi davvero che io mi fidi di Nathalie al momento? Lo pensi veramente?»
Gabriel si portò l’indice destro alla fronte, massaggiandosela e sospirando: «Torna immediatamente qua.» dichiarò, mentre l’auto si fermava davanti la boulangerie dei Dupain-Cheng: «Immediatamente.»
«Il tempo di recuperare la mia bella e torno.» dichiarò il figlio, strizzandogli l’occhio e sgusciando fuori dalla macchina; si sistemò il completo nero, strattonando leggermente la giacca e dando una leggera ripulita ai pantaloni dallo sporco invisibile che poteva essersi deposto mentre era in auto.
«Sbaglio o qualcuno è nervoso?» domandò Plagg, uscendo fuori dal suo nascondiglio e fissandolo con sguardo malizioso il suo umano: «Cosa ci sarà mai da essere nervosi, dico io.»
«Stranamente hai ragione…»
«Sai chi mi ricordi in questo momento?»
«Mh. No?»
«Te stesso a quattordici anni.» sentenziò il kwami, ridacchiando: «Lo stesso nervosismo e la stessa ansia…»
«Il gatto perde il pelo ma non il vizio.» cantilenò il ragazzo, raggiungendo la porta della boulangerie e sospirando: «Mi sembra di essere tornato a quando l’andai a prendere per il nostro primo appuntamento…» allungò una mano davanti a sé, osservando le dita curate: «Guarda, sto tremando. Io.»
«Oh. Apri quella porta e falla finita!» sbottò Plagg, rintanandosi all’interno della giacca e dandogli un piccolo colpetto contro il petto, quasi a esortazione.
«Avanti. Sei Adrien Agreste!» sibilò il ragazzo, spingendo la porta e sorridendo a Tom che, dietro il bancone, stava mettendo via le poche cose avanzate della giornata: «Buonasera!» esclamò, facendo voltare il gigante bonaccione e sorridendo allo sguardo di allegria che gli vide in volto: «Sono venuto a prendere Marinette.»
«Oh certo! Ciao, Adrien.» Tom uscì da dietro l’angusto spazio, pulendosi le mani al grembiule: «E’ ancora su. Sua madre sta dando gli ultimi ritocchi: oggi ho avuto la casa invasa di ragazze! Sono venute alcune compagne di scuola di Marinette per aiutarla a prepararsi e…beh, io mi sono rintanato in negozio.»
Adrien annuì alla piccola cronaca del genitore della ragazza, mentre questi lo scortava nel laboratorio e verso la porta, che dava accesso alle scale del palazzo: «Io ho avuto a che fare con stilisti pazzi, truccatrici assatanate e fotografi che dicono solo “Pensa alla pasta di mamma!”» ribatté Adrien, fermandosi alla fine delle scale e poggiandosi al corrimano: «Sinceramente non so chi ha avuto la giornata peggiore, Tom.»
«Oh davvero? Povero mon minou.» esclamò dall’alto la voce di Marinette; Adrien osservò il padre voltarsi verso l’alto e anche lui fece lo stesso, pronto a rimbeccare la sua dolce lady ma ogni parola gli morì in gola alla vista della ragazza: si staccò dal corrimano, facendo un passo indietro e osservandola scendere i gradini, con la gonna del vestito rosso – corta sul davanti e lunga nella parte posteriore – che ondeggiava a ogni passo; il corpino era tagliato sopra il seno e adornato da un colletto dorato, che richiamava le origini cinesi della ragazza con gli alamari, e che si attaccava al vestito sotto le ascelle.
«Sei…» il ragazzo allungò una mano e prese quella della ragazza, aiutandola a scendere gli ultimi gradini: «…bellissima.» mormorò, facendo vagare lo sguardo verde sui capelli, tirati su e adornati con alcuni fermagli orientali, e sul volto finemente truccato, passando nuovamente in rassegna l’abito e per finire sui sandali, ridacchiando alla vista delle dita di lei arricciate: «Tacchi?»
«Lila ha insistito che li mettessi.» sbuffò Marinette, facendo un vago cenno con la mano, mentre sua madre volava letteralmente giù dalle scale, sorridendo allegra e facendo vagare lo sguardo dalla figlia al ragazzo: «Mamma vorrebbe farci una foto…»
«Oh. Va bene.» esclamò ridente Adrien, voltandosi verso Sabine e passando un braccio attorno alle spalle della ragazza: «Va bene così, Sabine?»
«Perfetti!» sentenziò la donna, alzando la macchina fotografica che teneva gelosamente fra le mani e scattando alcune foto, ridacchiando: «E’ così strano vedervi vestiti così; anche tu, Adrien, di solito sei sempre…beh, è raro vederti così elegante.»
«Se mi vestissi sempre così, distruggerei i cuori di troppe fanciulle, Sabine.» sentenziò Adrien, posando una mano sulla schiena nuda di Marinette – giusto! Come aveva fatto a dimenticarsi di quel piccolo particolare del vestito? –; sorrise,  carezzandola lentamente e scivolando verso il basso, osservandola muoversi a disagio e con le guance tinte di rosso: «Dovremmo andare. Mio padre mi ha intimato di tornare subito…»
La ragazza annuì, salutando i genitori e seguendolo fuori dall’abitazione, rabbrividendo per il freddo, nonostante lo scialle che la madre le aveva messo attorno alle spalle: «Montiamo subito in macchina, my lady?»
«Direi di sì.»
Adrien sorrise, allungando il passo e aprendole la portiera: «Ti assicuro che la macchina e la Fondazione Vuitton sono riscaldate.» le assicurò, osservandola sedersi nell’abitacolo: «E nel caso posso pensarci io a riscaldarti.» concluse, facendole l’occhiolino e chiudendo la portiera, in modo da bloccare qualsiasi risposta da parte della ragazza.


«La pietra filosofale.»
«Il prigioniero di Azkaban!»
«Ma non puoi iniziare a vedere la saga dal terzo!» sbottò Vooxi, incrociando le zampette e volando davanti il viso della ragazza, imbronciandosi: «E’ come iniziare un pasto dal contorno.»
«La pietra filosofale la sappiamo a memoria.» sentenziò Lila, infilando il cucchiaio nella ciotola di yogurt e frutta che si era fatta per cena, prendendone una generosa dose: «E poi nel Prigioniero di Azkaban c’è Gary Oldman: per poco ma c’è.»
«Tu non puoi voler vedere un film in base agli attori! La magia! Devi seguire la magia di quel magico mondo, quella sensazione che scaturisce dal tuo cuore e…»
«E Pietra Filosofale sia.» sbuffò la ragazza, scuotendo il capo e afferrando il dvd del film, poggiato sul tavolinetto basso davanti al divano: «Basta che la pianti!»


Marinette si portò le mani alla bocca, osservando la sala ove era riunita la creme de la creme della moda: «Quello è Issei Miyake. E sta parlando con Junya Watanabe!» esclamò, tenendo lo sguardo sui due stilisti giapponesi, prima di girarsi e inspirare profondamente: «Quello è…quello è…»
Adrien ridacchiò, prendendole la mano e mettendosela nell’incavo del braccio: «Jean-Paul Gaultier sì. E quello accanto a lui è Valentino, il famoso stilista italiano.»
«Posso morire…»
«Gradirei non diventare vedovo prima del tempo.» sentenziò Adrien, baciandole la tempia e ridacchiando: «Mentre là abbiamo Chloé Bourgeois.» indicando la loro compagna di classe che, al braccio del padre, stava facendo gli onori di casa: «Cosa cavolo…»
«Se ti stai chiedendo se quel vestito è veramente fatto di rete…» esordì Rafael dietro di loro, facendoli voltare entrambi: «Sì. Ho avuto modo di vederlo da vicino e posso dire che è tutto un vedere, tranne per parti essenziali, coperte da un apposito disegno.»
«Com’è che tu hai avuto modo di vederlo da vicino, pennuto?»
«Stavo sfuggendo alla cara Iris.» spiegò Rafael, sospirando pesantemente e facendo scoppiare a ridere l’altro: «Ridi poco, amico. Guarda che sei anche tu sulla lista dei possibili candidati al posto di marito, liberato dopo la morte di Carl.»
«Sono felicemente fidanzato, quindi ti lascio Iris.»
«Chi è Iris?»
«Io.» decretò una donna anziana, avvicinandosi al terzetto e studiandoli da dietro gli occhiali dalla montatura rotonda ed esagerata: «Iris Apfel, signorina.» si presentò, fermandosi accanto a Rafael e poggiando il peso sul bastone da passeggio, sorridendo divertita: «E’ la tua fidanzata, Adrien?»
«Sì.» dichiarò il biondo, stringendo Marinette a sé e voltandosi verso la ragazza: «Conosci Iris Apfel?»
«Se la conosco? Come faccio a non conoscerla! E’ un’icona nel campo della moda!» esclamò Marinette a voce alta, portandosi poi una mano alla bocca e arrossendo vistosamente, mentre il ragazzo accanto a lei scuoteva il capo e Rafael alzava gli occhi al cielo: «M-mi p-perdani…peroni…perdoni…»
«Tipa interessante.» sentenziò l’anziana, indicandola con il bastone e sorridendo: «Come ti chiami, ragazza?»
«Ma-ma-marin-nette Du-dupain-Cheng.»
«Nome grazioso.» dichiarò Iris, annuendo con la testa: «Vestito molto bello. Mi piace questa tonalità rossa! Devo chiedere a tuo padre, Adrien, di farmene uno più o meno simile: anche se preferirei essere più coperta sulle spalle, magari una bella casacca alla cinese…»
«In verità questo vestito l’ha disegnato Marinette.» le spiegò Adrien, sorridendo: «E’ un Marinette Dupain-Cheng originale. Mio padre l’ho solo fatto cucire alla sua maison.»
«Quindi sei una stilista, Marinette?»
«Mi piacerebbe divertal…diventu…diventarlo.»
Iris Apfel annuì, piegando le labbra dipinte di arancio e socchiudendo gli occhi dietro le lenti rotonde: «Se questo vestito rappresenta solo un quarto del tuo talento, Marinette, lasciatelo dire: andrai alla grande in questo mondo! Sarai circondata da squali, ma immagino che il peggiore, Gabriel Agreste, ti proteggerà! Il padre di questo bel signorino qui, immagino, ti ha preso sotto la sua ala e spero di indossare qualcosa di tuo, prima o poi.»
«Gr-grazie.»
«Meno timida, figliola. E spalle alte! Hai poco seno, ma un bel viso e degli occhi meravigliosi! Mostrali al mondo!»
«Sì.»


Il telefono squillò, facendole abbassare il volume della tv: «Cosa vuoi, Alex?» domandò secca Sarah, osservando gli attori del telefilm continuare la scena ma senza voce: fantastico! Ora non avrebbe saputo cosa Cesare stava dicendo a Lucrezia!
«Ehi, bel modo di rispondere al telefono!»
«Stavo guardando I Borgia, fa tu!»
«I Borgia?»
«E’ una serie tv storica, mi sono appassionata vedendo le repliche qui in Francia.»
«Ci capisci qualcosa almeno?»
«Il mio francese è notevolmente migliorato.» dichiarò orgogliosa la ragazza, sorridendo alla kwami che si era appisolata sul divano: «Allora? Sentivi la mancanza della tua amica?»
«Fra le altre cose sì.»
«Come fra le altre cose?»
«Ehi, sono un uomo impegnato! Comunque ieri stavo sfogliando una rivista di mia madre e l’ho vista…»
«Chi? Tua madre?»
«No. Coeur Noir.»


Wei sorrise all’anziano, accettando il piatto di zuppa che gli era stata offerta: «Immagino che sei venuto qua con uno scopo, Wei.» mormorò Fu, sedendosi anche lui e passando le bacchette al ragazzo: «Non solo per fare compagnia a un vecchio durante la cena.»
«Perché non ci dice cosa sa su Coeur Noir? Sarebbe molto meglio per noi sapere contro chi o cosa stiamo combattando.»
Fu immerse le bacchette nel liquido caldo, girando e catturando un po’ di verdure: «Sono un vecchio orgoglioso, che non vuole farvi conoscere gli sbagli che ha fatto in basso. Raccontarvi di Coeur Noir, narrarvi tutto ciò che so, vorrebbe dire questo per me, oltre che rivangare un passato che avevo cercato di seppellire.»
«Il suo orgoglio è più importante delle nostre vite?»
Fu alzò lo sguardo, incontrando quello serio di Wei e annuendo: «Avrei voluto avere la tua saggezza, Wei. Forse avrei salvato la vita a due miei cari amici e non li avrei pianti o forse no…»
«Maestro…»


«Stai andando alla grande, Marinette!» esclamò Tikki, uscendo dalla pochette e sorridendo alla ragazza, che si era rintanata nel bagno: «A parte quando hai versato addosso lo champagne a quel tipo e quando hai balbettato Buonasera a Valentino. Per il resto sei stata fenomenale!»
«Uno pensa che con il tempo, certe cose migliorino…» sospirò Marinette, osservandosi nello specchio del bagno e sorridendo al suo riflesso: «Ma rimango sempre la stessa imbranata.»
«Sei cresciuta così tanto, Marinette! Ed io sono orgogliosa di…» la kwami si fermò, voltandosi verso la porta e volando veloce nella borsa della ragazza, poco prima l’uscio del bagno si aprisse e una donna entrasse: Marinette respirò profondamente, riconoscendo immediatamente la stilista americana che era entrata e le sorrideva affabile.
«Parlavi con lo specchio?» le domandò la nuova arrivata, sorridendo: «Lo faccio anch’io a volte.»
«Ah…eh…mh…»
«Willhelmina Hart.» si presentò la donna, porgendole la mano e con un sorriso affabile sul volto: «Ti ho vista insieme al rampollo degli Agreste, immagino che tu sia la ragazza di Adriennuccio.» Marinette annuì con la testa, aggrottando le sopracciglia e allungando una mano per stringere quella che le era stata offerta: Willhelmina sorrise, chiudendo le dita attorno a quelle di Marinette e tirandola verso di sé: «Graziosi orecchini.» mormorò, allungando la mano libera e portando dietro l’orecchio un ciuffo moro: «Mi sembra di averli già visti tempo fa.» sentenziò, passando il polpastrello sulla pietra scura e sorridendo: «Tanto tempo fa…»
«Madame Hart…» mormorò Marinette, sentendosi a disagio e cercando di liberarsi dalla stretta dell’altra; fece un passo indietro, ma il tacco le slittò sulle mattonelle, facendola cadere rovinosamente a terra mentre Willhelmina si aggrappò al lavandino e si voltò verso lo specchio, osservando irata il suo riflesso: «Mi…mi scusi, io…»
La donna si voltò verso di lei, prendendola per le spalle e guardandola disperata: «Tu sei la Portatrice del Miraculous della Coccinella, vero?» le chiese, respirando profondamente: «Non ho molto tempo, lui prenderà nuovamente il controllo di questo corpo ed io mi ritroverò di nuovo in quel posto.»
«Ma cosa…»
«Ascolta attentamente ciò che ti dirò adesso. D’accordo?»
«Cosa?»
«Promettimelo!»
«Va bene.»
Willhelmina sorrise, annuendo con la testa: «Io ho sbagliato, ho cercato di combattere voi Portatori e di prendere i Miraculous: pensavo di riuscire a controllarlo, di avere la forza sufficiente per tenerlo soggiogato ma invece…» si fermò, scuotendo il capo: «Lo specchio. Lo specchio è il suo punto debole, ricordatelo. Solo in questo modo potrai sconfiggerlo.»
«Lo specchio?»
«Chiedi al piccolo Fu. Lui ti potrà dire tutto.»
«Ma…»
La donna la lasciò andare, arretrando di un passo e sorridendo alla ragazza: «Mi dispiace per tutto quello che ho combinato finora. Finché non mi ha posseduta completamente non mi sono accorta di tutto il male che avevo causato.» mormorò, poggiando una mano sulla maniglia della porta: «Dì a Fu che ha fatto un’ottima scelta con la Portatrice del Miraculous della Coccinella, anzi no, con tutti i Portatori: siete stati avversari fantastici.»
«Ma cosa…?»
«Ricordati. Lo specchio.» ripeté nuovamente la donna, abbassando la maniglia e fuggendo via; Marinette si rialzò, afferrando la pochette e uscendo dal bagno, guardandosi attorno per cercare di ritrovarla.
«Marinette!» esclamò Rafael, facendole un cenno con la mano e raggiungendola: «Adrien è stato catturato da Chloé, ma ha dichiarato che si sarebbe liberato e…ehi. Che cosa è successo?»
«Non lo so, sinceramente.» mormorò la ragazza, portandosi una mano al petto e sentendo il cuore battere furiosamente, si voltò verso il modello che la fissava curioso e cercò di respirare a fondo, ritrovando un po’ di calma: «Ho il sospetto di aver appena incontrato Coeur Noir.»

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.839 (Fidipù)
Note: Buonasera a tutti! Un aggiornamento extra, lo so bene, ma in verità stavo scalpitando dalla voglia di mettere questo capitolo e quindi mi son detta: perché non farlo? Perché attendere lunedì? E vi lascio immediatamente al capitolo, spedendo più parole nel prossimo dove avrò veramente da dire; prima di lasciarvi, comunque, voglio scusarmi per avervi intasato le caselle dei messaggi con le risposte alle vostre recensioni ma...beh, ci tenevo a rispondere a tutte e a mettermi in pari.
Detto ciò, vi lascio davvero al capitolo, ringraziandovi come sempre per il tempo che perdete leggendo questa mia storia, per i vostri commenti e per inserire la storia in una delle vostre liste.
Grazie, davvero, grazie.


Adrien poggiò la testa contro il muro dietro di sé, osservando il display illuminato del cellulare abbandonato sul materasso vicino ai suoi piedi scalzi: tre ore, ventitré minuti e quarantacinque secondi.
Questo era il tempo passato da quando aveva lasciato Marinette a casa dei suoi, con la raccomandazione, da parte della ragazza, di riposarsi: si era sentito un mostro, soprattutto dopo che l’aveva trovata sconvolta in compagnia di Rafael; lì per lì aveva pensato che il suo collega l’avesse importunata nuovamente ma, alla vista dello sguardo preoccupato del moro, aveva capito che c’era qualcos’altro sotto.
Qualcosa di grave.
«Willhelmina Hart…» mormorò, alzando lo sguardo verso il soffitto scuro e osservando le luci riflesse, che provenivano dai lampioni dalla strada: «Chi l’avrebbe mai pensato?»
«Di certo non tu.» dichiarò Plagg, osservandolo dalla scrivania con gli occhi verdi che s’intravedevano nel buio della stanza: «E poi, ammettiamolo, l’abbiamo vista una volta sola ed era tutta mascherata.»
«Hart. La linea Heart. Coeur Noir…» elencò Adrien, sorridendo al kwami: «Di indizi ce n’erano…»
«Beh, non è che tutto ciò che ha a che fare con il cuore si può collegare a Coeur Noir, no? Altrimenti Sacré Coeur dovrebbe essere la sua base segreta, giusto?»
«Ehi, potrebbe essere…»
«Stavo scherzando, moccioso.» sentenziò Plagg, sospirando e volando davanti all’umano: «Non potevi saperlo, non angosciarti per questo. Ricordi di quando hai scoperto che tuo padre era Papillon? Quanto tempo sei stato disperato perché non te n’eri accorto?»
«E’ un po’ stupido non accorgersi che il tuo nemico viveva sotto il tuo stesso tetto…»
«Vogliamo parlare di me, che non mi sono mai accorto di Nooroo?»
«Siamo due idioti.»
«Quello è poco ma sicuro.» annuì Plagg, storcendo la bocca in un ghigno: «Quello che ti sto dicendo è che non sempre è facile vedere sotto le maschere delle altre persone. Andiamo! Seriamente tu avresti pensato che quella cosetta con le tette grandi, l’ancheggiamento folle e la voce stridula potesse essere quella cattivona di Coeur Noir?»
«Qualcosa mi dice che l’hai notata parecchio, eh Plagg?»
«E’ una donna che non passa inosservata.» sentenziò il kwami, poggiandosi sulla gamba del ragazzo: «E poi ha un che…» si fermò, scuotendo il capino nero: «Mi sembra di averla già vista da qualche parte.»
«Magari su una rivista di mio padre o di Marinette?»
«No. Ho la sensazione di averla incontrata…»
«Forse qualche Portatore prima di me ha…»
«No. Il mio ultimo Portatore fu un sergente dell’Impero Britannico di stanza a Nanchino, nel lontano 1840.» gli spiegò Plagg, sorridendo al ricordo: «si chiamava Felix Norton e, per molti versi, era come te, quando si trasformava: battuta sempre pronta, sconsiderato e impulsivo; quando era in versione normale, invece, era serio e composto. Alle volte sembrava che avesse un palo infilato…» Plagg si fermò, voltandosi verso Adrien che, tirata su la gamba destra, poggiò il gomito contro di essa, ascoltando interessato il kwami: «A ogni modo, si faceva chiamare Black Cat ed era innamorato perso della Ladybug dell’epoca e, come tu ben sai, è la prassi per i Portatori del mio Miraculous e di quello di Tikki.»
«Era quello della scommessa con Vooxi?»
«No, quello era il precedente. Un italiano del ‘700.»
Adrien annuì, osservando il kwami seduto comodamente su di lui: «Felix fu mandato in Cina per quella che è passata alla storia come la Guerra dell’Oppio e, mentre era lì, fece la conquista di una ragazza, la figlia di un commerciante che aveva parecchi allacci in India e voleva espandersi anche in Cina…» si fermò, alzando il musetto verso l’alto: «Se non sbaglio si chiamava Bridgette qualcosa…Comunque Felix non la sopportava e la trattava malissimo.»
«Che successe poi?»
«Il solito: Felix incontrò Ladybug e s’innamorò. Come succede sempre, in fondo. Ai due, poi, si unirono anche gli altri Portatori, giunti in Cina per i motivi più disparati, uno dei quali era Fu: all’epoca aveva quattordici anni ed era l’allievo del Gran Guardiano Liu.»
«Ma dai! Non ce lo vedo Fu con la tutina…»
«Le tutine non c’erano all’epoca. Se non mi ricordo male Fu, o come si faceva chiamare Genbu, portava un’armatura con un elmo che gli copriva la faccia.»
«Quindi i vestiti cambiano?»
«Sì, penso che il potere del Miraculous dia delle tenute – chiamiamole così – adatte all’epoca. In verità, non so tanto come funziona.»
«Ma come?» Adrien pungolò il kwami con il dito indice, scuotendo il capo: «Che successe a Felix? Immagino che scoprì l’identità della sua bella e vissero felici e contenti.»
«Purtroppo non scoprì mai chi era la donna sotto la maschera di Ladybug.» mormorò Plagg, chinando il capo e scuotendolo: «E il vissero felici e contenti non avvenne mai.»
«E perché?»
«Perché Felix morì in battaglia, contro il nemico dell’epoca e lei lo seguì poco dopo, combattendo quel demone.»
«Demone?»
«Demone. Spirito malvagio. Non so definirlo ancora, ma so che era pura malvagità: Ladybug lo sconfisse, ma farlo le costò la vita.» Adrien annuì, inspirando profondamente e attirando lo sguardo del kwami che sorrise: «La storia fra Ladybug e Chat Noir è finita anche bene, alle volte.»
«Alle volte?»
«Diciamo che le vite dei Portatori non sono tranquillissime.»
«Grazie. Davvero. Mi sento molto rassicurato…»
«Se ti può consolare, è finita male solo tre volte da quel che mi ricordo: Felix, un giovane francese nel periodo dell’Inquisizione e…»
«E…»
«Beh, il terzo sono io.»


Marinette osservò i tre eroi che erano giunti fino a casa sua, osservandoli mentre si accomodavano nel terrazzino: «Ci stai dicendo che Coeur Noir è Willhelmina Hart?» domandò Volpina, scuotendo il capo e portandosi una mano al setto nasale: «Una esce da una maratona di Harry Potter e gli arrivano queste notizie.»
«Maratona di Harry Potter?»
«Sì. Vooxi aveva voglia di rivedersi i film: abbiamo iniziato con la Pietra Filosofale. Poi non vedi la Camera dei Segreti? E mi sono impuntata per vedere il Prigioniero di Azkaban…»
«Come? Ti sei impuntata tu?» domandò Marinette, guardando l’amica e accomodandosi sulla sdraio, cercando con lo sguardo Bee che, seduta contro la balaustra di metallo, ridacchiava.
«Ehi, c’è Gary Oldman in quello.»
«Avrei detto che eri più un tipo da Robert Pattinson.» decretò l’eroina gialla, tirando le gambe su e poggiando il mento contro queste: «Sì, ti vedevo più così.»
«No, spiacente. Preferisco il fascino maturo di Oldman.»
«Possiamo tornare all’argomento principale?» domandò Tortoise, sorridendo alle tre ragazze: «Parlete di attori quando io non ci sarò.»
«Parlerete, Wei.» lo corresse Volpina, assestandogli un leggero pugno contro il bicipite: «Dobbiamo lavorare parecchio sui verbi.»
«Se dai ripetizioni a Wei sui verbi posso esserci anch’io?» domandò Bee, sorridendo: «O ancora un po’ di problemi con quelli.»
«Tu fattele dare da Rafael.»
«E perché da lui?»
«Me lo stai chiedendo veramente?»
«Non capisco perché proprio lui in particolare. Rafael è un amico, come Marinette e Adrien. E Wei. E tu.»
«Sarah. E sì, sto usando il tuo nome di battesimo nonostante il completo da supereroe: mi stai dicendo che fra Rafael e te c’è solo amicizia? Solamente questo?»
«Cos’altro dovrebbe esserci? Ammetto che è un bel ragazzo, ma…» si strinse nelle spalle, abbozzando un sorriso: «…sinceramente non credo di essere il suo tipo, quindi prima di farmi false speranze…»
«Mi stai dicendo che Rafael ti piace ma, siccome sei cieca come una talpa e non ti sei accorta degli sguardi e dei segnali che lui ti manda, preferisci rimanerci amica per non soffrire?»
«Ragazze…»
«Sguardi e segnali?»
Marinette ridacchiò, scuotendo il capo: «Penso che tutti abbiamo notato che a Rafael tu piaci, sai?» dichiarò, supportata da Volpina che annuiva vigorosamente con la testa.
«Io? Piacere a Rafael? Ma no! Mi considera come un’amica, davvero!»
«Ed io sono Papillon.» sbuffò Volpina, alzando gli occhi al cielo e sospirando: «Dammi la forza, ti prego, perché non so quanto potrò reggere ancora!»
«Ragazze!» tuonò Tortoise, portando l’attenzione delle tre su di sé e sorridendo a tutte loro: «Possiamo tornare a Coeur Noir e a Willhelmina Hart?»
«Anche Alex ha confermato la cosa.» mormorò Bee, portandosi indietro una ciocca di capelli biondi: «Mi ha chiamato proprio stasera, dicendomi che aveva visto una foto della stilista e l’aveva riconosciuta: in fin dei conti, non l’avevamo mai incontrata e quindi non sapevamo come fosse…»
«Adrien e Rafael hanno detto di voler andare da Fu domani; purtroppo Gabriel non può venire.» dichiarò Marinette, stringendosi nella felpa e osservando uno a uno gli altri: «E anch’io sono d’accordo: con quello che mi ha detto Willhelmina e quello che sta succedendo…beh, è ora che il maestro parli.»
«Non hanno sfilate domani?»
«No. Quella di Gabriel è prevista per dopodomani, quindi possono venire tranquillamente dopo le prove.»
Volpina annuì, voltandosi verso gli altri due: «Per me si può fare. Magari ci andiamo dopo scuola. Tortoise?»
«Anche per me va bene. Ma il maestro…»
«Sinceramente, ora come ora, me ne frego di quello che dice il maestro.» sbottò l’eroina arancio, voltandosi verso la bionda: «Bee?»
«Ok. Direi che è giunto il momento di sapere.»


Lanciò la bottiglia contro lo specchio, ringhiando a quest’ultimo: «Pensi di essere furba? Pensi davvero che riuscirai a liberarti di me?» urlò, afferrando un secondo oggetto e lanciando anche questo: «Tutti questi anni, due secoli in tua compagnia, e ho capito solo ora il tuo piano. Ho capito perché volevi i Miraculous: farmi credere che volevi riportare in vita lui e invece…» Si fermò, sorridendo al riflesso che ricambiava il suo sguardo: «Non te lo lascerò fare. Distruggerò quei maledetti gioielli!»


Rafael sospirò, osservando il kwami blu e il suo collega in adorazione davanti la pâtisserie.
Era andato tutto bene fino a quel momento: avevano incontrato gli altri davanti il Louis-le-grand e poi si erano incamminati in direzione della fermata della metrò, che li avrebbe portati direttamente dal maestro Fu.
Tutto era andato liscio come l’olio, finché non erano passati da quella viuzza – Rue de l’École de médecine – e si erano giocati in un colpo solo Adrien e Flaffy: entrambi, attirati come falene, da quelle vetrine cariche di dolci.
«Che facciamo?» domandò il modello, indicando i due che stavano quasi sbavando e poi il quartetto che lo seguiva: «Li lasciamo qui?»
«Per me si può fare.» dichiarò Lila, stringendosi nelle spalle e cercando, con lo sguardo, man forte in Wei: «E’ un discorso serio quello che dobbiamo avere con Fu e il micetto ha il brutto vizio di parlare. Sempre e a sproposito.»
«Adrien è un Portatore come noi.» sentenziò Sarah, sorridendo alla vista del duo di golosi: «Dobbiamo portarlo.»
«Io sto iniziando a pensare che ama i dolci più di me.»
«Ah. Ti è venuto ora il dubbio?» domandò Lila, ridacchiando e superando il duo, seguita dagli altri.
«E al solito a me tocca il compito di portarvi via.» sbuffò Rafael, afferrando kwami e umano, trascinandoli via dalla vetrina: «Dovete imparare a contenervi!»
«Ehi. Hai visto quelle meraviglie in vetrina?»
«Che problemi hai tu con i dolci?»
«In casa mia non circolavano tanto, quando ero piccolo.» spiegò Adrien, alzandosi nelle spalle e raggiungendo la sua ragazza che lo fissò per un secondo, prima di voltarsi dall’altra parte; Rafael scosse il capo, vedendo il biondo stuzzicarla finché lei non cedette e ritornò a guardarlo.
«Che cos’è quello?» domandò Sarah, indicando l’edificio alla sua destra e guardando il resto del gruppo.
«Non guardare me.» dichiarò Wei, alzando le mani a mo’ di scudo: «Ne so quanto te.»
«Dovrebbe essere la facoltà di medicina.» spiegò Adrien, guardando anche lui il palazzo dall’aria antica: «Questa dovrebbe essere una zona universitaria o comunque scolastica. Davanti al nostro liceo c’è parte della Sorbona, per esempio.»
«Quel palazzo davanti il nostro è la Sorbona?»
«Una parte, sì.»
Lila si fermò alla fine della strada, osservando le strada che scendeva sottoterra: «Non è questa l’entrata, vero?» chiese agli altri, cercando il cartello con il nome della fermata e non trovandolo.
«No, è più avanti quella da cui dobbiamo salire.» dichiarò Adrien, indicando davanti a sé: «Questo penso sia un sottopassaggio, sai?»
«Allora da che parte, micetto?»
«Sempre dritto.» mormorò Adrien, allungando il collo e notando le scale: «Eccola là!»
«Ed io vedo uno Starbucks lì! Perché non l’ho notato l’altra volta?»
«Lila, ti prego.» sospirò Rafael, attraversando la strada: «Andiamo a quello dell’altra volta. Adesso la priorità è il maestro Fu!»
«Voi non capite l’importanza del caffè per un italiano!»
«A parte che hai detto che non ti piace il caffè dello Starbucks.» decretò Adrien, indicando il locale in questione e fermandosi vicino alle scale della metrò: «Poi il fotografo ufficiale di mio padre è italiano e la sua fissa sono gli spaghetti.»
«Non farmelo ricordare…» sbuffò Rafael, scuotendo il capo e portandosi le mani al volto, mimando una macchina fotografica: «Pensa a un piatto di spaghetti! Sorridi come se ti trovassi davanti un piatto di spaghetti fatto dalla nonna! Ma ehi, cos’è quel muso lungo? Hai mangiato troppi spaghetti?»
«Questo ragazzo non va! Ha la pancia piena di spaghetti!»
«Questo è pazzo…» mormorò Lila, fissando il duo di modello e scuotendo la testa: «Mi rifiuto di credere che un mio connazionale sia veramente così.»
«Tolta la fissa per gli spaghetti è un piacere parlare con lui.» decretò Adrien, sorridendo: «Andiamo allora?»
«Andiamo da Fu e poi Starbucks.» esclamò Lila, alzando un braccio per aria e superandoli tutti: «L’ultimo che arriva non è un Portatore di Miraculous!»
«Ma certo! Urliamolo in mezzo alla strada!» sbuffò Adrien, seguendo l’italiana e voltandosi verso la propria ragazza: «Anni di segretezza mandati al gatto, eh?»


«Posso sedermi qui?»
Gabriel si voltò alla domanda che gli era stata posta, alzandosi in piedi e chinando leggermente la testa alla donna anziana, in piedi accanto a lui: «Siediti pure, Iris.» sentenziò, aiutandola a mettersi comoda e studiando l’abbigliamento eccentrico, appuntandosi di usare il binomo turchese-viola per un suo qualche futuro abito.
«Ieri ho conosciuto la fidanzata di tuo figlio.»
«Ragazza interessante, vero?»
Iris annuì, osservando le modelle che sfilavano davanti a loro: «Sì. Molto: ha talento. Il suo vestito era qualcosa di veramente bello, mi sarebbe piaciuto chiederle di provarlo ma dubito che ci sarei entrata. Peccato.» la donna sospirò, battendo il bastone e scuotendo il capo: «Mi ha ricordato tua moglie, sai? Quando l’ho vista sorridere ad Adrien, l’ho rivista: lo stesso sguardo innamorato, lo stesso sorriso…»
«La ricorda, in effetti.»
«Il mio Carl se n’è andato da poco, quindi posso capire cosa provi Gabriel e mi chiedo come hai fatto: è un dolore che fa impazzire.»
«Ci si fa l’abitudine, più o meno.»
Iris annuì con la testa, tirando su con il naso, guardando l’uomo da dietro le lenti rotonde e gigantesche, tornando poi a osservare la sfilata: «Bah. Io continuo a chiedermi perché fate vestiti per modelle anoressiche? Siamo noi, donne vere, che dobbiamo portarli!»


«Dovete smetterla di considerare il mio centro come il vostro covo segreto.» sentenziò Fu, osservando il gruppetto di ragazzi che si stava accomodando: «Siete la rovina per la mia attività.»
«Veramente siamo qui per parlare con lei, maestro.» mormorò Marinette, voltandosi verso gli altri e, ai loro cenni affermativi, si girò nuovamente verso l’anziano: «Ieri ho conosciuto personalmente Coeur Noir: è una stilista americana di nome Willhelmina Hart.»
«Ma davvero?»
«Era molto strana e mi ha detto alcune cose…beh, per farla breve, mi ha avvicinato in bagno, poi siamo cadute e…» Marinette, scosse il capo: «Si è guardata allo specchio ed è cambiata, diventando quasi un’altra persona. Mi ha detto di chiedere al piccolo Fu di raccontarmi – raccontarci – tutto.»
«Piccolo Fu…» mormorò l’anziano, mentre lo sguardo si puntava sul tavolino e si perdeva nei ricordi: «Era solita chiamarmi così.»
«Maestro.»
«In verità non vorrei dirvi niente. Come ho già detto a Wei: è un passato che voglio seppellire e non ricordare.»
«Maestro, ne abbiamo bisogno.»
Fu alzò lo sguardo, osservandoli uno a uno e poi alzandosi, dando loro le spalle: «Io ho centonovant’anni.» dichiarò, avvicinandosi al grammofono e accarezzando la tromba in ottone: «I Portatori dei Miraculous godono di longevità: anche voi vivrete più a lungo, rispetto alla gente comune perché la magia del Miraculous si è legata a voi…»
«Maestro…»
L’uomo sospirò, scuotendo il capo e voltandosi verso il gruppo: «Era il 1840 ed io ero stato scelto dal mio maestro, il Gran Guardiano Liu, per indossare il Miraculous della Tartaruga: una minaccia, ben più grande dell’Impero Britannico, gravava sulla Cina. Era un demone, liberato da uno dei Guardiani del tempio da cui provenivamo, che rispondeva al nome di Chi You: assetato di sangue e distruzione, aveva iniziato a vagare per la terra dopo la sua liberazione e, infine, aveva posseduto una delle Imperatrici.» si fermò, sedendosi e intrecciando le mani, spostando lo sguardo su di queste: «Il Maestro Liu era andato a Nanchino e lì, aveva trovato i Portatori dei Miraculous della Coccinella e del Gatto Nero, gli ultimi ancora in suo possesso poiché aveva già donato i restanti: Volpe e Ape erano andati a una coppia di commercianti portoghesi, che vivevano a Macao; Farfalla, invece, era in mano a una ragazza del mio stesso villaggio…Quando la tensione fra Inghilterra e Cina raggiunse il suo picco, raggiunsi il mio maestro e conobbi Ladybug e Black Cat.»

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.034 (Fidipù)
Note: Salve salvino! Bene, bene. Finalmente siamo arrivati alla parte di Miraculous Heroes che chiamo "Storia di Fu". Perché? Semplicemente perché da questo - e per i prossimi 2 capitoli - verrà narrata la storia del maestro Fu e della nascita di Coeur Noir. Ovviamente vista dalla prospettiva di Fu e, quindi, leggermente di parte; avrei da darvi qualche informazione random su ciò che verrà detto di seguito ma, sinceramente, preferisco attendere il prossimo capitolo per...beh, spiegarvi un po' di cosette!
Quindi, per ora, vi lascio e come al solito vi ringrazio! Un grazie a chi legge in silenzio, un grazie a chi commenta qui e su FB, un grazie a chi inserisce questa storia in una delle sue liste...
Grazie, davvero, grazie!


1840, Nanchino.

Fu addentò la mela, che aveva sgraffignato alla bancarella del fruttivendolo, e osservò le navi inglesi attraccate al porto, gustandosi la pasta dolce del frutto: erano due anni che ormai le tensioni fra l’Impero Celeste e quello britannico avevano raggiunto il punto di non-ritorno.
Fra gli eserciti delle due potenze c’erano stati numerosi scontri, facendo subire alla Cina e alla sua milizia la potenza degli inglesi: meno numerosi ma con armi più forti e potenti…
L’Impero Celeste stava soffrendo, dimostrando tutta la sua debolezza.
«Fu!» la voce imperiosa del maestro Liu lo fece sobbalzare e, poco dopo, sentì il dolore della manata che l’uomo gli aveva assestato sulla nuca: strinse i denti, portandosi una mano nella zona lesa e osservando la mela rotolare per terra; si voltò irato, fissando il suo mentore e, poi, spostò l’attenzione sulla ragazzina che, dietro il maestro, sghignazzava allegramente.
«Fa!» ringhiò il ragazzino, abbassando le mani e stringendole a pugni.
«Ti ho detto mille volte di non rubare, Fu!» tuonò Liu, battendo il bastone per terra e richiamando l’attenzione su di sé: «O sbaglio?»
Il ragazzo osservò l’uomo che lo aveva raccolto dalla strada pochi anni prima: bianco. Totalmente bianco. Questo pensava ogni volta che lo vedeva: barba, capelli, sopracciglia cespugliose e il lungo changshan erano tutti dello stesso colore.
«Mi perdoni, maestro.» mormorò, chinandosi per raccattare il frutto e ripulendo velocemente alla propria casacca: «Ma non l’ho rubata: era caduta dal banco e…»
Un nuovo colpo si assestò sulla testa del giovane, facendogli stringere i denti e guardare irato la verga che l’anziano teneva in mano: «D’accordo. L’ho rubato ma, come dico sempre, le vecchie abitudini sono dure a morire.»
«O forse tu sei veramente stupido.» sentenziò Fa, portandosi una mano alla bocca e ridacchiando sommessamente: «Potevi rimanere a Nêdong: sono assolutamente che posso sistemare la questione da sola.» dichiarò, portando le mani sui fianchi e mostrando fiera il Miraculous della Farfalla, che teneva appuntato all’allacciatura del qipao scuro che indossava.
Fu si portò la mano al polso destro, carezzando la pietra del bracciale che gli aveva donato il maestro Liu e scuotendo il capo: «Non potevo. Ho sentito qualcosa…» in verità gli sarebbe piaciuto moltissimo rimanere al sicuro a Nêdong, protetto dal tempio dove lo aveva condotto il maestro, al sicuro fra le montagne dello stato vassallo del Tibet; ma qualcosa era scattato in lui, quando aveva sentito da alcuni monaci che il suo mentore era a Nanchino.
Fa scosse il capo, pestando stizzita un piede per terra, facendo sì che l’attenzione di Fu si calamitasse su questi: a differenza delle comuni donne, lei che era stata allevata dai monaci di Nêdong, non aveva subito la pratica della fasciatura dei piedi; Fa non sarebbe mai stata considerata qualcosa di fragile e debole, impossibilitata ai lavori pesanti, e non avrebbe mai contrattato un matrimonio buono.
Perché questo succedeva solo alle donne con i Gigli d’oro, ovvero i piedi fasciati.
In compenso Fa sapeva combattere ed era dannatamente pericolosa con un bastone in mano; inoltre il qipao informe che indossava, nascondeva le fattezze femminili della ragazza, facendola passare tranquillamente per un esponente di sesso opposto: «Cosa stai guardando?» gli domandò e Fu abbozzò un sorriso allo sguardo scuro, che lo scrutava serio.
«Finitela.» sentenziò Liu, battendo il bastone e riportando l’ordine fra i due: «Poche settimane fa ho donato i Miraculous della Coccinella e del Gatto Nero.» mormorò, lisciandosi la lunga barba candida: «E ho sentito avvicinarsi quelli della Volpe, dell’Ape e del Pavone. Sia tu che Fa mi avete raggiunto…»
«I sette Miraculous si stanno riunendo, maestro?» domandò Fa, portandosi una mano alla bocca e inspirando profondamente: «Ma questo…»
«Cosa significa? Che ci saranno sette persone come noi a spasso per Nanchino?» chiese Fu, alzando le spalle: «Non mi sembra niente…»
«Quando i sette Miraculous si riuniscono in un luogo significa che un grande male apparirà lì!» sbottò la ragazza, scuotendo il capo: «Dormivi durante le spiegazioni di maestro Mei oppure…»
«Alle volte dormivo, sì.»
«Maestro! Come avete potuto dare il Miraculous della Tartaruga a Fu?»
«Fu si è dimostrato degno di possederlo, come tu hai dimostrato di essere adeguata per quello della Farfalla.»
Fu borbottò qualcosa, suscitando l’ennesima occhiata irata da parte della ragazza: «Voi mi avete detto che esiste questo spirito malvagio, Chichan…Chi…»
«Chiyou.» sbottò Fa, scuotendo il capo: «Il tuo livello d’ignoranza è davvero insopportabile.»
«Il tuo livello di voler essere la più saccente…» dichiarò il ragazzo, incrociando le braccia: «Quello sì che è veramente insopportabile.»
«Chiyou è una presenza oscura che si aggira su questo mondo: il sommo Huangdi, l’Imperatore Giallo e padre della nostra civiltà, l’ha combattuto, ma non è riuscito a ucciderlo e da allora, Chiyou vaga, possedendo i corpi e creando il caos e la distruzione attorno a sé.»
«Se nemmeno l’Imperatore Giallo è riuscito a sconfiggerlo, come potremmo noi?»
«Perché voi, piccolo Fu, avete i Miraculous.»


Fu sospirò, osservando le merci esposte nelle bancarelle e ascoltando il vociare attorno a sé: gran bella gatta da pelare gli aveva mollato il maestro Liu…
«Non dovevo venire a Nanchino.» sbottò, tenendo lo sguardo basso e senza guardare dove stava andando, finendo per scontrarsi contro qualcosa. O qualcuno.
Barcollò all’indietro, finendo con il sedere per terra e osservando la donna, contro cui si era scontrato, imitarlo: un’occidentale, si ritrovò a pensare, fissando il vestito dall’aria straniera, il volto pallido e circondato da ciuffi scuri: «Perdonami!» esclamò la ragazza con un cinese fluente e sorridendo all’espressione confusa che lui doveva avere: «Ah. Mio padre è un mercante e ho vissuto a Hong Kong, per questo so la tua lingua.» gli spiegò, tirandosi su e spazzolandosi le gonne voluminose, allungando poi una mano verso di lui: «Ti sei fatto male?»
«No. No.»
«Oh. Ottimo!» esclamò allegra la ragazza, battendo le mani fra loro e poi voltandosi verso una bancarella: «Stavo guardando quelle stoffe e non guardavo dove andavo…»
«Anche io.»
«Che maleducata! Non mi sono presentata: Bridgitte Hart.» trillò contenta, allungando una mano verso di lui.
Che doveva farci? Aveva visto alcuni occidentali portare la mano delle donne alle labbra ma lui non lo avrebbe mai fatto; chiuse la mano destra a pugno e la circondò con quella sinistra, chinando leggermente la testa: «Il mio nome è Fu.» dichiarò, alzando poi lo sguardo e notando l’aria vagamente imbarazzata che la sua interlocutrice aveva.
«Perdonami. Dimentico sempre che i nostri modi di salutare sono differenti.» mormorò, imitandolo e chinando lievemente la testa: «E’ un onore per me conoscerti, Fu. Di solito i tuoi connazionali mi guardano con sospetto o odio…»
«Sei inglese?»
Domanda stupida.
Ma ormai c’erano così tanto occidentali nell’Impero Celeste ed era così difficile riconoscerli che non avrebbe saputo dire se la giovane davanti a sé fosse portoghese, inglese o olandese.
«Sì.»
Fu annuì, guardandosi di lato e notando alcuni soldati britannici camminare verso di loro, con una donna anziana che gesticolava indemoniata: «Miss Hart!» strillò quest’ultima, correndo verso la ragazza – per quanto il voluminoso vestito glielo permettesse – e, una volta giunta davanti la giovane, le prese le mani, facendola indietreggiare: «Miss Hart! Quante volte le ho detto di non aggirarsi da sola per questa zona, non sa cosa sarebbe potuto succederle!»
«Sono certa che Fu, il mio nuovo amico, non avesse intenzione di uccidermi.»
Ah. Quindi era diventato suo nuovo amico?
Solo per il fatto di essersi scontrato con lei ed essersi presentato?
Occidentali…
«Sergente Norton!» trillò allegra la sua nuova amica, avvicinandosi sorridente al soldato dai capelli chiari e lo sguardo azzurro: «Che cosa strana vederla qua. Lasci che le presenti il mio amico…»
«Non m’interessa.» sentenziò il sergente Norton, scoccando un’occhiata fredda alla ragazza e a Fu, voltandosi poi verso la donna anziana: «Avete ritrovato la vostra pupilla, quindi posso andare.»
«Sempre glaciale, eh Norton?» esclamò il suo compagno, osservando l’altro andarsene: «Non dategli peso, Miss Hart, al nostro Norton non piace stare in questo paese.»
«Io trovo la Cina un posto davvero interessante.» dichiarò Bridgette, voltandosi e sorridendo a Fu: «Posso considerarti mio ospite per un the, Fu?»
«Miss Hart!»
«Vorrei tanto conoscerti meglio e parlare del tuo paese.»
Forse avrei dovuto assicurarmi se avesse battuto o no la testa.
Questa straniera non è normale…

Fu annuì, osservando il volto della fanciulla illuminarsi di gioia: «Facciamo domani? Magari nel primo pomeriggio? Miss Peregrine, com’è il nostro indirizzo?»


Genbu.
Quando aveva scoperto che non poteva usare il suo nome, quando utilizzava il potere del Miraculous, aveva deciso di usare il nome di una delle Siling, le bestie sacre: la tartaruga nera, il simbolo di longevità e saggezza.
E quella sera era Genbu, il protettore dell’umanità.
Sorrise, saltando sul tetto di una capanna e osservando Nanchino dipanarsi davanti a lui: «Perché siamo dovuti uscire così?» domandò, voltandosi verso la sua compagna: Hu Die.
Non sapeva perché Fa avesse deciso di usare la parola che indicava semplicemente l’animale del suo Miraculous, ma doveva ammettere che aveva un bel suono: la ragazza lo affiancò, il volto coperto da una maschera di stoffa viola, guardando davanti a sé: «Il maestro ha detto di farlo.»
«Dobbiamo cercare Chiyou, per caso?»
«No. Il maestro sa dov’è…»
«E allora…» si fermò, osservando Hu Die indicare un punto davanti a sé e Genbu seguì la direzione indicata, osservando un qualcosa di rosso saltare di tetto in tetto, leggiadra e veloce, seguita a ruota da un’ombra scura come il cielo notturno: «Per caso sono…»
«I Portatori dei Miraculous della Coccinella e del Gatto Nero.» spiegò Hu Die, riprendendo a correre e saltando sul tetto della capanna vicina; Genbu scosse il capo, osservando le stoffe cremisi sparire dietro l’ennesimo tetto e seguì la compagna, raggiungendo velocemente i due Portatori.
Coloro che avevano i Miraculous più potenti…
«Abbiamo compagnia, mia signora.» sentenziò l’uomo in nero, fermandosi e osservando i due con un sorriso accondiscente sul volto: «Ma siete ragazzini!»
«Ho quattordici anni.» sbottò Genbu, incrociando le braccia al petto: «Un’età più che adeguata al ruolo che ho.»
«Contento tu…»
«Ti ho già detto mille volte di non chiamarmi mia signora, Black Cat.» sentenziò la fanciulla in rosso, raggiungendoli e sorridendo: «Dunque siete i compagni di cui i nostri kwami hanno parlato? Io sono Ladybug e lui…»
«Black Cat, per servirvi.» sentenziò il Portatore del Miraculous del Gatto Nero, chinandosi con quel fare che Genbu aveva visto in alcuni occidentali, sembrava lo chiamassero cavalleresco: «Mentre voi siete…»
«Genbu.»
«Hu Die.»
«Farfalla in cinese?» domandò Black Cat, voltandosi verso Ladybug e sorridendo: «Lo sapevo che avrei trovato compagni con nomi impronunciabili.»
«Non sei stato poi così sfortunato.»
«Almeno quando indosso questi panni.» commentò l’eroe nero, alzando le spalle e scuotendo la testa bionda: «Di solito sono veramente fortunato: sai oggi…»
«Non m’interessa la tua vita privata, Black Cat.» sbuffò la fanciulla, avvicinandosi a Genbu e Hu Die: «Sono veramente onorata di conoscervi e spero che lavoreremo bene assieme…» si fermò, sorridendo e sbattendo le palpebre dietro la maschera cremisi: «In verità, il mio kwami non ha saputo dirmi molto contro cosa avrei dovuto combattere e perché.»
«Neanche il mio.» dichiarò Black Cat, giocherellando con l’anello che portava alla mano destra: «Sarei molto propenso ad avere qualche informazione al riguardo: chi combattiamo? Perché?»
«Il nostro nemico è un certo Chiyou.» sentenziò Genbu, ignorando lo sguardo irato che Hu Die gli aveva rivolto: «Uno spirito malvagio che si diverte a impossessare le persone e crea caos e distruzione.»
«Oh. Bello.» annuì Black Cat, scuotendo il capo: «E dire che in patria dicevano che le uniche cose che avrei trovato in Cina sarebbero stati the e riso; nessuno aveva fatto cenno a spiriti che possedevano e a gioielli che trasformavano…»
«Black Cat, potresti gentilmente stare zitto?»
«Come la mia signora comanda.»
«Non sono la tua signora.» dichiarò irata Ladybug, portando nuovamente l’attenzione su Genbu e Hu Die: «Sapete chi ha posseduto?»
Il guerriero del Miraculous della Tartaruga si voltò verso la compagna, vedendola sospirare vistosamente: «Abbiamo buttato il riso, tanto vale lasciarlo cuocere…» bofonchiò Hu Die, scuotendo il capo: «Sì. Lo sappiamo.»
«Puoi dirmi chi è?»
«Xiao Quan Cheng.»
«Stai scherzando, spero.» esclamò Black Cat, dando voce allo stesso pensiero che aveva attraversato la mente di Genbu: la persona che Hu Die aveva appena nominato, quella che doveva essere posseduta da Chiyou era…
«La conosci, Black Cat?»
«Penso che in tutto l’Impero Celeste sia conosciuta, poiché è una delle mogli dell’imperatore Daoguang ed è una delle quattro che portano il titolo di Imperatrice.» spiegò Genbu, scambiandosi un’occhiata con la sua compagna e trovandola tranquilla: lei sapeva. Per tutto quel tempo sapeva contro chi avrebbero combattuto e non lo aveva messo a parte di ciò.
«Esattamente.» dichiarò Black Cat, scuotendo la testa: «E ti dirò di più: sua maestà imperiale non si trova qui a Nanchino, ma nella capitale celeste: Pechino. E più precisamente all’interno del Palazzo imperiale, che è praticamente inaccessibile.»
«In verità, l’Imperatrice si trova in incognito qui a Nanchino.» mormorò Hu Die, attirando su di sé gli sguardi di tutti: «Una delle figlie, la principessa Shoun-An, verrà presto data in sposa e Xiao Quan Cheng è venuta qua per discutere i termini del contratto.»
«Non dovrebbe pensarci l’imperatore?»
«Al momento è troppo preso a combattere gli inglesi.»
«Giusto.»
«Quindi dobbiamo muoverci prima che l’imperatrice riparta per Pechino.»
«Beh, Miss Hu Die, sembra che tu sappia davvero tante cose: sei per caso una spia?»
«Il mio…» Hu Die si fermò, dando una breve occhiata a Genbu: «Il nostro maestro sa tante cose.»
«Noto.»
«Sai quando l’imperatrice partirà?» domandò Ladybug, battendosi le dita sulle labbra e fissando per terra: «Quanto tempo abbiamo per sconfiggere questo Chiyou?»
«Il maestro questo non lo sa.»


Fu fissò male la ragazza, osservando il kwami della Farfalla svolazzarle intorno: «Potevi informarmi.» dichiarò, sentendo Wayzz posarsi sulla sua spalla: «Potevi dirmelo che il nostro nemico è una delle Imperatrici.»
«E poi cosa avresti fatto? Saresti corso da lei e ti saresti fatto uccidere!» sbottò Fa, scuotendo il capo: «C’è un motivo se i Miraculous si stanno riunendo qui a Nanchino ed è perché Chiyou non è un nemico che possiamo sconfiggere da soli: se ti avessi detto tutto quello che il maestro Liu mi ha detto, tu…»
«Non sono così avventato.»
«Lo sei, Fu. Per questo il maestro avrebbe voluto che tu rimanessi al tempio, ma…»
«Io…»
Cos’avrebbe potuto dire?
Alzò lo sguardo, trovando quello compassionevole di Fa e lui odiava quella luce nei suoi occhi perché gli ricordava costantemente ciò che era: il ragazzino che era, quello raccattato da Liu e portato al tempio; quello che sapeva veramente pochissimo del mondo in cui si era ritrovato...
«Io non sono avventato! Avrei ideato un piano e…»
«E ti saresti fatto uccidere, Fu. Ti conosco, lo so.»
«Non pensare di conoscermi, Fa.»
«Ho vissuto con te questi ultimi anni: ti ho visto quando Liu ti ha portato al tempio e mi sono allenata con te. Scusami, se mi prendo l’arroganza di conoscerti ma è così.»
«No, non è così.»


Quanti giorni erano passati dal loro primo incontro con Ladybug e Black Cat?
Non li aveva contati, ma più o meno erano stati una decina.
Qualche sera dopo l’incontro con i due, aveva intravisto altri due Portatori vagare per i tetti della città: Zorro e Abeja, così si erano presentato coloro che avevano il Miraculous della Volpe e quello dell’Ape; infine, la sera dopo ancora era arrivato Pavão, il Portatore del Miraculous del Pavone.
Sette persone benedette dai Miraculous.
Sette difensori che si sarebbero messi fra Chiyou e l’umanità.
Questo aveva detto il maestro Liu quando gli avevano riportato la notizia dell’arrivo di Pavão.
«Sei perso nei tuoi pensieri, Fu?» gli domandò Bridgette, riportandolo alla realtà: la ragazza lo fissava dall’altro lato del tavolo, gli occhi chiari rivolti verso di lui e le labbra piegate in un sorriso: «O forse il the non ti piace?»
«Il vostro the fa schifo.» sentenziò Fu, osservando il liquido arancio nella tazza: «Non è assolutamente paragonabile a quello della mia gente.»
«Mi piacerebbe provarlo…» mormorò Bridgette, prendendo la tazzina di porcellana e portandosela alle braccia: «Ma, purtroppo, sono costretta in questa casa: dopo la mia bravata al mercato – che poi non ero sparita da davanti gli occhi della mia chaperon – e i nuovi tumulti che ci sono in città, mio padre pensa bene che stare in casa sia più sicuro per me.»
«Mh…»
«In verità, tutta la mia vita è così: sono rinchiusa in una bella gabbia, ma ciò che voglio è al di là di essa.»
«Immagino non sia facile…» mormorò Fu, abbassando nuovamente lo sguardo sul the che gli era stato offerto: «La mia unica gabbia è la povertà: senza soldi non puoi fare niente.»
«I soldi si possono fare. Mio padre lo ripete sempre, ma se non hai la libertà, è inutile averli…» mormorò Bridgette, abbozzando un sorriso triste: «Un giorno mi piacerebbe visitare il mondo: andare nelle Americhe e vedere le città che stanno costruendo là, tornare in Francia – la patria della mia defunta madre – e l’Italia! Oh. Ho sempre sognato di vedere l’Italia.»
Fu ascoltò rapito i racconti di Bridgette, che gli narrava di posti così lontani dal suo e così esotici, da sembragli un sogno: gli aveva parlato dei monumenti di Parigi, la capitale francese, facendolo rimanere a bocca aperta; e poi gli aveva raccontato delle meravigliose opere che c’erano in Italia e di cui lei aveva solo letto; parlandogli poi di quel grande continente, lontano nel mare, dove nuove città e nuove sfide attendevano chi aveva il coraggio di andarci.
«Io…» mormorò il ragazzo, riprendendosi da quel sogno in cui la fanciulla inglese lo aveva trasportato: «Non credevo che il mondo fosse così…»
«Grande? Immenso?»
«Sì.»
«Lo è. E spero di visitarlo un giorno.» dichiarò Bridgette, posando lo sguardo sul giovane cinese davanti a lei: «Ma se le mie catene non si spezzeranno, promettimi che tu vedrai questi posti per me.»
Fu annuì, non sapendo nemmeno perché lo stava facendo: «Lo farò.» mormorò, sorridendo all’espressione felice che si era dipinta sul volto dell’inglese: la sua vita era legata al tempio, legata al Miraculous che portava e, quasi sicuramente, sarebbe rimasto a Nêdong, fino alla fine dei suoi giorni.
Perché fare quella promessa che non poteva mantenere?

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Capitolo 41
*** Capitolo 41 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.333 (Fidipù)
Note: Ed eccomi di nuovo qua con la seconda parte della storia di Fu! Come avete potuto vedere la storia è narrata dal punto di vista del nostro cinese preferito, dispensatore di gioielli magici e, quindi, è la sua visione di cosa successe in quel periodo. E ora andiamo con le spiegazioni: la storia si svolge all'epoca della Guerra dell'Oppio ed ho scelto la città di Nanchino perché, per prima cosa, è attraversata dal Fiume Azzurro e ha una comunicazione più diretta con il mare (e, quindi, un punto più interessante per i commercianti); inoltre fu invasa dalle truppe britanniche nel momento dello scoppio delle tensioni (senza contare il fatto che proprio qui fu stipulata la fine delle ostilità fra le due potenze).
Spero non si siano sentite le mie urla, quando mi è toccato scrivere in un periodo storico differente dal nostro!
E passiamo a Chiyou, la cara entità che si è conosciuta come prigioniera dello specchio di Willhelmina: secondo la leggenda, Chiyou era un leggendario leader tribale della tradizione cinese, che comandava gli eserciti delle 9 tribù barbare Li e venne sconfitto dall'Imperatore Giallo, uno dei tre fondatori della civiltà e dell'arte medica cinese (qui potrete trovare il link alla wikia se volete approfondire il tutto): in verità non sarebbe una figura propriamente malvagia ma, in alcuni videogiochi e fumetti (God Eater, La-Mulana o le Tartarughe Ninja, per fare alcuni esempi), è visto come antagonista e quindi l'ho utilizzato anch'io in quel modo (poi non vi dico la difficoltà di trovare un vero demone malvagio e cattivo nella mitologia cinese!).
Per quanto riguarda Bridgette e Felix: sì, sono gli stessi presenti nel promo 2D di Ladybug. Più andavo avanti con la storia, e più si avvicinava il momento di raccontare questa parte, sentivo sempre maggiore la sensazione che loro sarebbero stati perfetti per questo ruolo e così è stato.
E penso di aver detto tutto o, almeno, lo spero! Nel caso vi tormenterò nel prossimo capitolo, se mi son dimenticata qualcosa.
Per finire, al solito, eccomi qua a ringraziare tutti: grazie di tutto cuore a chi legge silenziosamente, a chi commenta (qui e su FB) facendomi sapere la sua opinione e le sue teorie su questa storia, a chi la inserisce in una delle liste di EFP...
A tutti voi, che siete giunti fin qua, grazie.


Genbu saltò attraverso la piccola finestrella della stanza, atterrando vicino alla stuoia su cui si stava riposando il maestro Liu: «Spero che nessuno ti abbia visto.» sentenziò l’uomo, facendo sussultare il giovane: «Non vorrei spiegare perché una delle ombre di Nanchino sia entrata nella nostra stanza…»
«Ombre di Nanchino?» domandò Fu, osservando Wayzz volare fino alla sua spalla, mentre Liu scuoteva il capo, alzandosi e accendendo lo stoppino di una delle candele poste per terra: «Fa?»
«Arriverà a breve.» sentenziò il ragazzo, gettandosi sulla propria stuoia e incrociando le braccia sotto la testa: «Abeja, la Portatrice dell’Ape, l’ha presa in simpatia e l’ha invitata da lei.»
«Li avete conosciuti…»
«Senza tutto l’abbecedario da guerrieri? Sì.» sentenziò Fu, mentre alla sua mente apparivano i volti allegri della coppia portoghese che si era presentata, pochi giorni fa, come Zorro e Abeja, Portatori dei Miraculous della Volpe e dell’Ape: Henrique e Maria Alvares erano sposati e avevano un fiorente mercato commerciale fra Macao e Lisbona, la capitale della loro patria.
Erano giunti a Nanchino il giorno successivo a quello in cui lui e Fa avevano fatto la conoscenza di Ladybug e Black Cat, irrompendo con la loro natura allegra: «Sei portatori…»
«Ne manca uno.»
«E ancora nessuna notizia di Chiyou.»
«In verità, stanotte abbiamo visto un’ombra…»
«Un’ombra?»
«Sì. Stavamo controllando la zona del porto, quando Abeja ha visto una strana ombra muoversi nel vicolo…» spiegò Fu, mettendosi a sedere e stringendo i pugni: «Ho guardato nella direzione che mi ha indicato, ma tutto ciò che ho visto è stato qualcuno vestito di nero.»
«Aveva una maschera, per caso?»
«Non lo so. Era voltato di spalle…»
«I guerrieri di Chiyou indossano una maschera: nera come l’oscurità da cui il loro padrone è giunto. Se ti può essere utile, piccolo Fu, ricordano molto quelle che portano alcuni attori durante le loro recite.»
«Bene. Se vedrò venirmi incontro qualcuno vestito di scuro e con una maschera nera come la notte, saprò che è un guerrieri di Chiyou.» dichiarò il ragazzo, scuotendo il capo: «Consolante.»
«E’ bello vedere che non hai perso il tuo spirito…»
«Alla fine stiamo perdendo tempo da…quanti giorni ormai? Dieci? Undici?»
«La pazienza è una virtù che va coltivata con amore e dedizione, Fu.»
Il ragazzo scosse il capo, osservando il suo kwami abbozzare un sorriso, e si distese nuovamente, rimanendo in silenzio: «Maestro?» mormorò dopo un po’ di tempo, inspirando profondamente.
«Dimmi, piccolo Fu.»
«Che cosa succederà all’imperatrice se…»
«Se?»
«Se noi non sconfiggiamo Chiyou.»
Fu sentì Liu spostarsi nella stanza, finché il volto dell’uomo non entrò nel suo campo visivo: «Tutto ciò che Chiyou possiede viene consumato: velocemente e inesorabilmente, verrà portata alla morte dal suo ospite.»
«Quindi dobbiamo assolutamente sconfiggerlo!» esclamò il ragazzo, balzando in piedi e stringendo i pugni: «Dobbiamo distruggere Chiyou, così l’imperatr…» Fu si bloccò, osservando il sorriso triste sul vostro dell’uomo: «Maestro?»
«Chiyou è una malattia che si attacca al suo ospite e, una volta che possiede una persona…» si fermò, inspirando profondamente e voltandosi verso la finestrella da cui Fu era entrata: «E’ legato totalmente all’Imperatrice: un filo che nessuno può spezzare. Sconfiggerlo, vorrà dire…»
«L’imperatrice morirà lo stesso, vero?»
«Sì.»
Il ragazzo scosse il capo, raggiungendo il maestro e fissandogli la schiena: «Che senso ha? Se lo sconfiggiamo quella donna morirà, se non lo sconfiggiamo verrà uccisa lo stesso…»
«E’ un sacrificio necessario, Fu.» mormorò Liu, voltandosi verso di lui e posando le mani sulle sue spalle: «Per un bene incredibilmente più grande.»
«E’ una vita, maestro.»
«Una vita che può essere sacrificata, rispetto a tutto quelle che possono essere salvate.»
«Ma…»
Liu sorrise accondiscendente, annuendo con la testa: «Anch’io un tempo ero un idealista come te, piccolo Fu; ma ormai vivo da ben più di cento anni e ho imparato che alcuni sacrifici vanno fatti e accettati, soprattutto quando c’è in gioco l’equilibrio di questo mondo.»


«Qualcosa ti turba, Fu?» domandò Bridgette, appoggiandosi alla balaustra di legno della piccola pagoda, posta al centro del laghetto artificiale della villa degli Hart: «Il tuo sguardo…»
«Mi sono solo scontrato con la realtà.» sbottò il ragazzo, facendo vagare lo sguardo sulla macchia verde: «Avete un bel giardino.»
«Mio padre dice sempre che non è grande, neanche un mignolo di quello che avevamo a Hong Kong.» dichiarò la ragazza, alzando le spalle e portandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli: «Ma a me piace molto più questo: è suggestivo, non trovi?»
Fu annuì, osservando gli orecchini che adornavano i lobi della ragazza: li aveva notato la seconda volta che aveva incontrato Bridgette e li aveva riconosciuti.
Un po’ difficile non farlo, dato che aveva vissuto gli ultimi anni con monaci che idolatravano quei gioielli.
Il miraculous della Coccinella.
Bridgette Hart era Ladybug.
Si portò una mano al polso destro, carezzando la pietra verde del suo Miraculous: da quando l’aveva scoperto era stato indeciso se rivelare o meno la sua identità alla ragazza, alla sua amica…
Amica.
Non aveva mai considerato molto le donne: esseri inutili che si muovevano al limitare delle vite degli uomini, poi aveva conosciuto Fa e aveva scoperto che quello che considera il sesso debole…beh, menava da paura.
Se non era rimasto turbato dall’atteggiamento espansivo di Bridgette lo doveva a Fa: quella ragazzina dalla lingua lunga e dal carattere insopportabile lo aveva forgiato, rendendogli facile accettare donne che non si limitavano a rimanere sullo sfondo.
«Quel bracciale ti è molto caro.» mormorò Bridgette, sorridendo e facendo il gesto di allungare una mano per toccarlo, ritirandosi subito: «Scusa, dimentico sempre che…»
Fu sorrise, allungando una mano e stringendo quella pallida della ragazza: «Io…»
«Ah!» Bridgette trillò allegra, tirando via la mano dalla stretta dell’altro e avvicinandosi alla balaustra di legno, dietro Fu: «E’ il sergente Norton!»
Il ragazzo osservò la propria mano, storcendo la bocca e sospirando: «L’uomo per cui spasimi e che non sa nemmeno che esisti?»
«Fu! Non potevi essere più brutale!» borbottò Bridgette, scuotendo il capo: «Io spero che un giorno si accorga di me…»
«Penso sia stupido perdere tempo in attesa di qualcosa che non sai se si avvererà.»
«Non sei mai stato innamorato, vero Fu?»
Il cinese incontrò lo sguardo della ragazza, scuotendo il capo: «Non c’è tempo per l’amore nella mia vita.»
«C’è sempre tempo per l’amore.» dichiarò Bridgette, sorridendogli: «Sono innamorata di lui da quando l’ho conosciuto a un ballo dell’ambasciatore inglese a Hong Kong: sono stupida, lo so. Ma non posso fare a meno di amarlo, di sperare che un giorno lui ricambi questo mio sentimento…»
«Non hai altri pretendenti?»
«Uomini che hanno chiesto la mia mano a mio padre? No. Però c’è qualcuno che m’importuna sempre.»
Black Cat.
Sta sicuramente parlando di lui.

«E com’è questo tipo?»
«Mh.» Bridgette si portò una mano alla bocca, perdendo lo sguardo nel vuoto: «E’ un gentiluomo, ma con quel qualcosa che hanno solo i libertini: è uno di quelli di cui non potresti mai fidarti, perché è questa l’impressione che ti danno. Bravo solo a parole.»
E il maestro Liu aveva dato il Miraculous del Gatto Nero ha un persona simile?
Dove aveva la testa quell’uomo?
«Oh. Se n’è andato…» sospirò la ragazza, storcendo la bocca in un’espressione delusa: «Mi chiedo di cosa abbia parlato con mio padre.»
«Forse è venuto per chiedere la tua mano.»
«Ed io sono così stupida da credere che le tue parole possano essere vere.»


Zorro ridacchiò, osservando il neo arrivato Pavão cadere rovinosamente per terra: «Tutto a posto, pulcino?» domandò in quel suo buffo cinese, che faceva ridere Hu Die: «Peste e corna! Pensavo che gli uccelli sapessero volare.»
«Il pavone non è tanto bravo in quello.» bofonchiò Pavão, prendendo una piccola rincorsa e saltando, atterrando vicino ad Abeja, catturandole una mano fra le proprie: «In compenso sa come attirare e ammaliare le signore. Abeja, ti ho detto quanto sei splendida stasera? Devo dire che questo kimono…»
«E’ un qipao, Pavão. E sono sposata.» sentenziò la donna, allontanando l’altro da sé: «Non ti conviene provarci con me.»
«E neanche con Hu Die, che sarebbe capace di atterrarmi con una delle sue mosse di arti cinesi.» sbuffò il Portatore del Miraculous del Pavone, scuotendo la testa: «Dovrei provare con Ladybug. A proposito, dov’è?»
Con Black Cat, rispose dentro di sé Genbu, superando il gruppetto e osservando la strada sottostante: era cambiato qualcosa in Bridgette – Ladybug – da quel giorno nella pagoda nel giardino: aveva iniziato ad accettare la corte di quel lascivo di Black Cat e, molto spesso, li aveva visti anche in atteggiamenti fin troppo intimi.
«Qualche problema, Genbu?» gli domandò Hu Die, affiancandolo e scrutandolo in volto: «Ultimamente sei sempre cupo.»
«Dovreste venire a cena da noi, domani. Che ne dite?» domandò Zorro, affiancando i due ragazzi: «La mia signora cucinerà per tutti. Specialità portoghesi! Niente riso!»
«Posso autoinvitarmi?»
«Come se potessi impedirtelo.» sbottò il Portatore del Miraculous della Volpe: «Sinceramente, quando sei arrivato e ci siamo rivelati a te, non pensavo che poi ti avrei avuto tra i piedi ogni santissimo giorno!»
«Andiamo! Fra connazionali ci si aiuta!»
Abeja sorrise, ascoltando distratta il marito e l’altro litigare: «Sono sempre così!» dichiarò, voltandosi verso Genbu e Hu Die: «Oggi, stavano litigando a voce talmente alta che hanno svegliato pure la piccolina.»
«Come sta tua figlia, Abeja?»
«Come ogni neonata a questo mondo: felice e ignara di ciò che succede nel mondo.» rispose la donna, scrollando le spalle strette nel qipao giallo: «E sono felice che sia così.»
«Guerriero di Chiyou.» dichiarò Pavão, indicando la strada buia e zittendo Zorro con un cenno dell’altra mano: «L’ho visto. La sua maschera ha riflesso la luce della luna.»
«Dovremmo combattere?»
«Abeja, tu rimani sul tetto.» dichiarò Zorro, portandosi il flauto alle labbra e suonando alcune note, facendo apparire fiammelle azzurre attorno a sé e illuminando la strada: «Bravo Pavão! Sei utile a qualcosa!»
«Ricordate. Dobbiamo distruggere la maschera di cristallo.» spiegò Hu Die, prendendo i due bonbori che teneva appesi alla cintura del qipao viola e dandosi un’occhiata intorno: «Nessuno che possa elevare a mio campione…»
«Ti conviene combattere.» sentenziò Genbu, posizionando lo scudo, la sua arma, sul braccio destro e saltando, seguito a ruota dal pavone: «Pavão! Lanciagli i tuoi pugnali.»
Il Portatore sorrise, afferrando i ventagli, tenuti nascosti nella casacca blu che indossava, e lanciò le lame di cui questi erano composti, infilzando le vesti nere con precisione: «A chi l’onore di distruggere quel mascherone brutto brutto?»
«Ci servirebbe Ladybug per purificarlo.»
Lei non c’è adesso.
Si sta…

«Eccomi!» esclamò la voce trafelata della giovane, facendo voltare il piccolo gruppo: «Scusate il ritardo.»
«Dove eri, Ladybug?» domandò Abeja, fissando la ragazza mentre questa portava una mano allo yo-yo e iniziava a farlo ruotare; Ladybug non rispose, avvicinandosi al guerriero di Chiyou e, grazie alla luce purificante, lo sconfisse facilmente.
«Tutto risolto.» dichiarò la ragazza, riappendendo l’arma alla cintura e sorridendo al gruppo: «Perdonatemi. Giuro che non succederà più che io arrivi in ritardo.»
«Lo spero, signorina in rosso.» dichiarò Pavão, incrociando le braccia e fissando l’altra: «Lo spero.»


Fu ridacchiò, osservando Henrique e Pedro litigare furiosamente: «Dicevi sul serio…» mormorò Fa, mentre i due uomini aumentavano il volume delle voci: «Quando dicevi che litigavano così.»
«Mi sarebbe piaciuto tanto che fosse uno scherzo.» sentenziò Maria, scuotendo il capo di fronte al marito e al connazionale: «Ma purtroppo sono due caratteri incredibilmente simili ed incredibilmente focosi.» dichiarò, alzando gli occhi al cielo: «Piuttosto, avete mangiato veramente poco. Mi devo preoccupare?»
«La tua cucina è buonissima, ma…» Fa abbozzò un sorriso, voltandosi verso Fu e cercando aiuto: «Come dire?»
«E’ molto diversa a quella a cui siamo abituati.»
«Oh. Perdonatemi!» esclamò la donna, portandosi una mano alle labbra e fissandoli imbarazzata: «In vero, sono sempre stata abituata ad avere come ospiti…»
«Persone più occidentali?»
«Sì. Esattamente, Fu.»
«Tranquilla, capiamo benissimo.» dichiarò Fa, sorridendo: «Vorrà dire che la prossima volta, vi porteremo alcune nostre specialità.»


«Fu…» Bridgette mormorò il suo nome, osservando la pioggia cadere e sconvolgere la calma del laghetto: «Hai mai fatto un errore di cui ti sei pentito?»
«Ogni errore porta nuova conoscenza.» dichiarò il ragazzo, addentando la mela che aveva rubato dalla cucina, quando era arrivato nella villa e masticando lentamente il boccone: «Il mio mentore dice sempre così.»
«E se questo errore non insegna nulla?»
«Non esistono errori che non insegnano.»
Bridgette abbozzò un sorriso triste, voltandosi verso l’acqua: «E’ un bel modo di pensare.» dichiarò, poggiando la mano contro la colonna di legno chiaro e chinando la testa mestamente: «Io…»
«Cosa ti è successo?»
«Ho fatto qualcosa di sporco, Fu. Qualcosa che potrebbe portarti a guardarmi con occhi diversi…» mormorò la ragazza, voltandosi verso di lui e stringendosi nelle braccia: «Io non volevo, in vero. E mentre…ho sempre pensato a lui, solo a lui ma…»
Fu lo sapeva.
Lo aveva avvertito.
«Hai ceduto al poco di buono.»
«Fu, io…»
Il ragazzo si alzò, sorridendo all’altra: «Errare è nella natura dell’uomo. Non devi vergognarti di questo.»
«Neanche quando ho dato il mio corpo ha un perfetto sconosciuto? Perché questo ho fatto, Fu!» bisbigliò la ragazza, arretrando di un passo e scuotendo violentemente il capo.
Il giovane inspirò profondamente: che cosa avrebbe dovuto fare? Non sapeva com’era considerata quell’attività fra gli occidentali e, in vero, ne era totalmente ignorante sotto ogni verso.
«Bridgette, io…»
«Ho tradito il mio amore per Felix.» mormorò la ragazza, tirando su con il naso e decisa a non far scendere nemmeno una lacrima.
Felix.
Il sergente Norton, giusto.

«Non pentirti mai di ciò che hai fatto, perché questo porterà ombre nel tuo cuore.» mormorò Fu, recitando l’ennesimo insegnamento di Liu: «E le ombre sono la via d’accesso per l’oscurità.»
E tu non puoi averla.
Sei Ladybug, sei colei che ha il potere di purificare i guerrieri di Chiyou.
Tu sei…
Bridgette abbozzò un sorriso, facendo l’ennesimo passo indietro. L’ennesimo passo lontano da lui: «Sì. Vero. Niente ombre nel mio cuore. Giusto.» mormorò, annuendo con la testa: «Grazie, Fu.»
Fu la osservò, mentre poggiava una mano contro la balaustra e sollevava l’altra, offrendola alla pioggia: Perché non ti credo, Bridgette?



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Capitolo 42
*** Capitolo 42 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.944 (Fidipù)
Note: E con questo capitolo termina la storia di Fu: ancor più che nei precedenti, in questo si capisce quanto di parte è la visione di questa storia. Spero di rendere giustizia a questi Black Cat e Ladybug, quando ne scriverò la storia.
Detto questo, non ho nient'altro da dirvi (strano, vero? Logorroica come sono!) se non i soliti ringraziamenti di rito: un grazie a tutti voi che leggete silenziosi (fatemi sentire la vostra voce!), un grazie a chi commenta qui e su FB e un grazie a chi inserisce questa storia in una delle sue liste.
Semplicemente grazie!


Il maestro Liu era immerso nella lettura del grande tomo che aveva davanti a lui, ignorando completamente la scodella di riso e il contorno che il padrone della locanda aveva portato loro: «Sembra una lettura interessante.» commentò Fu, portandosi il riso alla bocca e chiudendo le labbra attorno alle bacchette, buttando poi giù il boccone: «Di che parla?» domandò, allungando il collo e osservando il dipinto della pagina che il maestro stava leggendo: una fanciulla, in vesti orientali rosse con pois neri, intenta a usare la propria arma: «Ladybug? Maestro, ma…»
«Questo libro è un testo importante e prezioso, Fu.» dichiarò Liu, chiudendo il tomo e carezzando la copertina scura: «Ciò che è contenuto qua dentro riguarda i Miraculous e non deve mai cadere in mani nemiche.»
«Perché mi sta dicendo questo?»
Liu sorrise al ragazzo, alzandosi e poggiandogli una mano sulla spalla: «Ti ho osservato in questi ultimi mesi, Fu. Ho visto il giovane fanciullo diventare un uomo acerbo; stai combattendo bene come Genbu e hai instaurato un bel rapporto con gli altri Portatori…» Fu aggrottò le sopracciglia, fissando il maestro e non capendo quale fosse il fine di quel discorso: «Quel lontano giorno, in cui ti raccolsi dalla strada, vidi il tuo futuro: il dolore sarà presente per molto tempo, difficile sarà dimenticare la perdita ma andrai avanti e diventerai un grande Guardiano.»
«Io? Un Guardiano? Maestro, ma…»
Liu sorrise, poggiando il libro davanti al ragazzo: «Un giorno dovrai fare delle scelte, le stesse che ho dovuto fare io. Sono certo che questo ti sarà di aiuto.» dichiarò l’uomo, annuendo con la testa e poi posando una mano sul capo del ragazzo, scompigliandogli i capelli scuri: «Cerca di andare d’accordo con Fa.»
Fu abbassò lo sguardo sulla copertina, scuotendo la testa e rialzandola, non trovando più il maestro al proprio fianco: era stato così strano e quelle parole…
Perché avevano il sapore amaro dell’addio?
«Fu. Hai visto il maestro?» domandò Fa, entrando nella stanza con una manciata di mele tra le braccia; la ragazza l’osservò, accomodandosi sulla stuoia e facendo scivolare la frutta per terra: «Allora?»
«Era qui fino a poco fa…»
«Cos’è quel libro?»
«Me l’ha dato il maestro. Ha detto che è prezioso.»
«E perché l’ha dato a te, allora?»
«Non lo so…»


Fu si rigirò nel suo giaciglio, ascoltando il respiro addormentato di Fa e non riuscendo a prendere sonno: quella notte non c’erano stati combattimenti, i guerrieri di Chiyou sembravano dissolti nel nulla, dopo nottate che avevano attaccato ininterrottamente; Zorro e Pavão erano stati contenti della serata tranquilla, mentre Abeja aveva abbozzato un sorriso, lo sguardo preoccupato rivolto verso la nave imperiale attraccata al porto: la notizia dell’accordo, che l’imperatrice era riuscita a concludere per il matrimonio della figlia, era scivolata in tutta Nanchino, arrivando anche alle orecchie dei Portatori.
Presto la donna, colei che era posseduta da Chiyou, avrebbe lasciato la città e sarebbe tornata nella sicurezza del Palazzo Imperiale.
E per loro sarebbe stato molto più difficile sconfiggere il nemico…
«Non riesci a dormire?» domandò Fa, nel buio della stanza: il ragazzo si issò, appoggiando il peso sui gomiti e osservando i pochi contorni che, grazie alla luce lunare, riusciva a intravedere.
«Sì.»
«Anche io.» mormorò la ragazza, muovendosi sulla sua stuoia: «Il maestro non è ancora tornato e nell’aria…» Fa si fermò, respirando profondamente: «Ho la sensazione che succederà qualcosa e non sarà bello.»
Fu annuì, sentendo una leggera disperazione nella voce della compagna: Fa teneva a Liu molto più di lui, poiché era suo zio, sangue del suo sangue, ed era la persona che l’aveva salvata dall’esistenza che avrebbe avuto come donna dell’impero celeste, portandola a Nêdong e dandole uno scopo.
«E’ come essere sull’orlo di un baratro…» mormorò Fu, stringendo la mano e guardando il pugno: «E il vento si sta alzando: impetuoso e forte…»
Un sospiro, lungo e lugubre si levò da Fa: «Mi fa male il cuore…» mormorò la ragazza, con la voce grave come se stesse trattenendo le lacrime: «Tanto male.»


Quando Fu uscì dalla locanda, quella mattina, sapeva già che avrebbe trovato qualcosa di spiacevole: era una sensazione che si era radicata in lui da quella notte, da quando la sua compagna aveva accusato un dolore al cuore; osservò il maestro Liu, accasciato contro il muro dell’abitazione dall’altro lato della strada, con i lunghi capelli scarmigliati, lo sguardo era spento e le vesti candide sporche di sangue: una grossa macchia si espandeva al centro del petto tingendolo di scarlatto.
Fu socchiuse le palpebre, sentendo le lacrime farsi prossime; chinò il capo, inspirando profondamente: «Giuro di vendicarvi, maestro.» mormorò, alzando la testa e osservando il cadavere di Liu: «Chiyou pagherà per ciò che ha fatto.» lo sguardo gli cadde sui caratteri che erano stati scritti vicini al corpo, pochi ma con un significato profondo per un Portatore come lui: I miracoli non sconfiggeranno mai l’oscurità.
Chiyou sapeva.
Chiyou li stava attendendo.
Strinse i denti, ritornando all’interno della locanda e raggiungendo velocemente la stanza che aveva condiviso con Liu e Fa, in quei mesi a Nanchino: tre lunghi mesi erano trascorsi da quando erano giunti in quella città e avevano iniziato la lotta contro Chiyou: «Che succede, Fu?» domandò Fa, alzandosi a sedere e osservandolo con sguardo assonnato.
«Dobbiamo andarcene.» sentenziò secco il ragazzo, infilando il libro che gli era stato lasciato da Liu e i suoi pochi effetti in una sacca.
«Ma Liu non è ancora…»
«Liu non tornerà.»
«Cosa? Come puoi…» Fa si fermò, sgranando gli occhi e velocemente si alzò, correndo fuori dalla stanza: avrebbe dovuto fermarla, lo sapeva, ma era anche conscio che non sarebbe servito a niente; l’urlo di dolore della ragazza gli giunse da fuori, facendogli stringere forte i pugni e chiudere gli occhi: sto sognando. Il maestro Liu a breve mi sveglierà ed io…
Fu riaprì le palpebre, osservando la stanza e alzandosi per radunare le poche cose di Fa, lasciando al loro posto quelle del loro maestro: il locandiere le avrebbe avute come pagamento per la stanza; si preparò velocemente, uscendo poi dalla stanza e raggiungendo la compagna all’esterno della locanda, trovandola china contro il corpo del congiunto: «Dobbiamo andare, Fa.» dichiarò, afferrandola per un braccio e trascinandola via dal cadavere di Liu.
Il tempo ormai era giunto al termine.
Liu l’aveva saputo la sera prima, quando gli aveva lasciato il tomo sui gioielli miracolosi.
Chiyou lo sapeva, quando aveva lasciato il cadavere del loro maestro davanti la locanda ove alloggiavano.
Era tempo di metter fine a tutto.
Era tempo dell’ultima battaglia.


Aveva lasciato Fa dagli Alvares, spiegando velocemente cosa era successo a Henrique e Maria, che avevano ascoltato in silenzio e rammaricandosi per la morte di un uomo che non avevano mai conosciuto, ma solo sentito parlare dai racconti dei due ragazzi.
Fu sospirò, sentendosi un verme per aver lasciato la sua compagna, ma qualcosa l’aveva spinto ad andare in quella villa: alzò lo sguardo, sorridendo alla giovane occidentale che correva verso di lui, tenendo le pesanti e ingombranti gonne dell’abito: «Fu!» esclamò allegra Bridgette, fermandosi davanti a lui e sorridendo gioiosa.
Dov’eri mentre Liu veniva ucciso?
Perché non stavi facendo il tuo dovere di Ladybug?

Fu strinse i pugni, chinando la testa, incapace di reggere lo sguardo dell’altra: la sua amica, la ragazza che aveva conosciuto, l’eroina fragile che aveva visto come Genbu, tutto era sparito…
«Fu?» sentì una nota di curiosità nella voce di Bridgette, che lo costrinse ad alzare lo sguardo e incontrare quello chiaro: «E’ tanto che non ci vediamo…»
«Sono venuto per dirti addio.»
«Cosa?»
Io stasera affronterò Chiyou, ma non so se tu sarai al mio fianco come Ladybug.
«Addio, Bridgette.» mormorò, chinando la testa e voltandosi; uscì velocemente dall’abitazione, ignorando la voce della ragazza che lo richiamava: iniziò a correre, alzando la testa e accogliendo l’aria fresca contro il viso, evitando gli ostacoli che si mettevano sul suo cammino e giungendo fino al porto, osservando la nave maestosa che s’imponeva su tutte le altre.
Stasera…
Stasera avrò la mia vendetta.



Black Cat abbozzò un sorriso, facendo lo sgambetto a un guerriero e mandandolo a finire contro Genbu che, con il suo scudo, lo placcò, trattenendolo a terra: «Gran bell’idea, sì.» commentò il felino, osservando il porto brulicante di guerrieri di Chiyou e scuotendo il capo: «Massì, andiamo in missione suicida nella base del nemico.»
Pavão sbuffò, parando l’assalto di due guerrieri neri con i suoi ventagli e calciandoli poi lontani: «Dovevamo farlo. Chiyou…»
«Sì, sì.» sbuffò Black Cat, prendendo il proprio bastone e roteandolo per aria, usandolo poi come una spada per parare gli assalti di un guerriero nero: «Allora, il piano qual è? Andiamo da Chiyou e poi…»
«Poi lo uccidiamo.» decretò freddamente Genbu, lanciando lo scudo e atterrando tre guerrieri neri, osservando Ladybug purificarli prontamente; afferrò nuovamente la sua arma, avanzando verso l’esercito nemico e colpendo qualsiasi cosa gli si parasse a tiro; sentì uno sbuffo dietro di sé e un’ombra nera scivolare alla sua sinistra.
«Hai intenzione di farti uccidere, ragazzino?» ringhiò Black Cat, parando l’assalto di un guerriero che Genbu non aveva visto e spendendolo poi contro gli altri: «Perché questo tuo atteggiamento, porterà proprio…»
«Black Cat!»
L’urlo di Ladybug fece voltare il Portatore del Miraculous del Gatto Nero, ma non abbastanza in tempo per schivare l’affondo del nemico: un gemito strozzato uscì dalle labbra del felino, mentre con una mano afferrava la spada infilzata nel proprio addome: «Questo non dovevi farlo.» ringhiò, tirando fuori l’arma dal proprio corpo e calciando il guerriero; si chinò, portandosi una mano alla ferita e respirando faticosamente, mentre un nuovo guerriero nero si avvicinava e lo calciava lontano, sotto lo sguardo attonito di Genbu.
Fai qualcosa.
Muoviti.

Rimase immobile, osservando Black Cat venire ferito dai guerrieri scuri, finché con un ultimo gemito strozzato il felino si accasciò a terra: «mi…a…si…gno…ra…» gemette, allungando una mano davanti a sé, la stessa a cui era infilato l’anello magico; i capelli biondi sporchi e incrostati del sangue delle ferite, una macchia cremisi che si espandeva sotto il corpo, stretto in un changshan scuro come la notte.
Black Cat abbozzò le labbra in un sorriso, l’ultimo ghigno, prima che la vita lasciasse il suo corpo per sempre.
Genbu si mosse, usando lo scudo per proteggere Black Cat dall’affondo di un nuovo guerriero e, dopo averlo mandato lontano, si voltò: «Black Cat?» mormorò, toccando il corpo e sentendolo ancora caldo: «Black Cat?» il giovane alzò lo sguardo, osservando Ladybug poco lontana da lui: lo sguardo sconvolto, le mani premute contro il viso e il corpo scosso dai tremiti.
Dolore e disperazione.
Il suono del Miraculous gli fece riportare l’attenzione sul corpo di Black Cat: l’anello esalava l’ultimo respiro, rilasciando la trasformazione e un kwami nero come la notte si materializzò, mentre il changshan nero lasciava il posto ad abiti occidentali e il volto, sgombro dalla maschera scura, era quello di qualcuno che Genbu conosceva.
Felix Norton.
Boccheggiò, osservando incredulo l’uomo: colui che Bridgette aveva sempre amato, l’uomo per cui aveva spasimato era sempre stato al suo fianco.
Felix era Black Cat.
Black Cat era…
Si voltò verso la ragazza, osservandola fare un passo incerto verso di lui: «Sergente Norton?» domandò, con la stessa intonazione che aveva avuto quel lontano giorno al mercato: «No. E’ un incubo…» mormorò, chinandosi anche lei accanto al corpo senza vita di Felix e allungando una mano: «Black Cat non poteva essere…»
«Ladybug!»
«Io sono andata con lui….»
«Ladybug!»
«Era Felix. Era sempre stato…» la ragazza si portò le mani al volto, toccandosi le guance asciutte: «Perché non piango, Genbu? Io ho sempre amato il sergente Norton, perché non sto piangendo ora?» gli chiese Ladybug, alzandosi e correndo verso l’esercito di guerrieri neri, con il suo yo-yo alla mano.
«Ladybug!» Genbu si alzò e la inseguì, osservandola lanciare l’arma contro l’albero maestro della nave dell’imperatrice e issarsi a bordo: «Bridgette!» urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, assestando colpi di scudi ai nemici che gli si paravano davanti a lui: doveva andare…
Doveva raggiungerla…
Doveva…
Qualcosa lo colpì alla nuca, una fitta di dolore che s’irradiò per tutto il corpo, facendolo rovinare a terra e cadere nell’oblio più profondo.
Bridgette.


Aprì faticosamente le palpebre, ritrovandosi a osservare un soffitto che non conosceva: dov’era? Che cosa era successo? Perché era lì?
Il volto tranquillo e pacato di Maria entrò nella sua visuale: «Finalmente ti sei svegliato.» gli mormorò, allungando una mano e scostandogli alcune ciocche dalla fronte: «Abbiamo temuto per la tua vita, Fu.»
«Che cosa è…»
«Dieci giorni fa, siamo andati al porto per sconfiggere Chiyou.»
«Lo ricordo.» mormorò il ragazzo, issandosi a sedere e osservando la donna: «Abbiamo perso Black Cat e Ladybug…»
«Ladybug è saltata sulla nave, mentre tu sei stato colpito da uno dei guerrieri di Chiyou; Pavão ti ha preso in tempo, prima che la nave dell’imperatrice saltasse in aria: Xiao Quan Cheng è morta. Siamo riusciti…»
«E Ladybug?»
Maria inspirò, allungando una mano e stringendo quelle del ragazzo: «Sono tutti morti, Fu. Nessuno si è salvato.»
Ladybug. Bridgette era morta…
Fu annuì, trovandosi stranamente sereno a quella notizia, forse perché lo aveva capito nel momento in cui lei era saltata a bordo della nave: l’aveva chiamata con il suo nome, in un ultimo disperato tentativo di fermarla ma non ci era riuscito.
E adesso lei è morta.
«Gli altri?»
« Pavão è partito qualche giorno fa: si è rammaricato molto di non poterti dire addio, ma doveva tornare in Portogallo.» mormorò Maria, allungandosi e afferrando tre scatoline nere: «Ti ha lasciato questo: sono il suo Miraculous e quelli del Gatto nero e della Coccinella, che ha raccolto dal pontile, prima di andare via: ha detto che quello di Ladybug era stato messo vicino all’anello di Black Cat..» Fu accettò le tre piccole scatole, posandosele in grembo e carezzando il legno scuro: «Henrique ed io aspettavamo che ti svegliassi, poi torneremo a Macao e daremo a te i nostri Miraculous.»
«Cosa? No…»
Maria sorrise, inclinando il capo: «Per quanto ci dispiaccia dire addio a Vooxi e Mikko, non abbiamo più la forza di combattere. Non dopo quello che è successo quella notte.»
Fu annuì, ascoltando le parole della donna e poi guardandosi intorno nella stanza: «Fa dov’è?»


Un piccolo gazebo in mezzo a un lago artificiale.
Una ragazza che osservava la superficie dell’acqua.
Tutto ciò riportava Fu indietro nel tempo: «Ti sei svegliato…» mormorò Fa, alzando la testa e osservandolo: «Come stai?»
«Mi riprenderò.»
La ragazza annuì, voltando di nuovo la testa verso il laghetto: «Qualche giorno fa è arrivato un messaggero da Nêdong.» lo informò, giocherellando con le maniche del qipao: «Voleva parlare con Liu e non sembrava stranito quando gli ho detto che era morto: mio zio, Liu, aveva mandato un messaggio al tempio, designandoti come suo successore.»
Fu annuì, assimilando l’ennesima notizia e poggiandosi contro la balaustra: «Sarò il nuovo Gran Guardiano.» dichiarò, inspirando e rilasciando andare l’aria: «Chiyou…»
«Non so dirti se è stato sconfitto, in vero. La tua amica, Ladybug, sicuramente ha combattuto contro di lui sulla nave ma…» la ragazza si fermò, scuotendo il capo: « Xiao Quan Cheng è morta; quindi sì, è stato sconfitto.»
«Almeno loro non sono morti invano.»
«La memoria dei nostri compagni sarà sempre in noi.»
«Sì.»
Fa rimase in silenzio e lui poteva sentire il suo sguardo addosso: «Che cos’hai, Fu? Sei così strano…»
«Io li ho odiati. Erano così presi l’uno dall’altro che ho odiato Bridgette per non aver salvato Liu: come poteva farlo? Lei neanche sapeva chi era e ho odiato Black Cat che aveva trasformato la mia amica…» il ragazzo scosse il capo, picchiando il pugno contro la balaustra: «Volevo vendicare Liu, volevo dimostrare che potevo farlo senza di loro ma Black Cat – il sergente Felix Norton – è morto per salvarmi e Bridgette…»
«Non puoi addossarti la colpa, Fu.»
«Come puoi dirlo?»
«Perché ero lì anch’io, perché ho provato i tuoi stessi sentimenti verso quei due inglesi che ignoravano la missione che ci era stata data.» mormorò Fa, alzandosi e avvicinandosi all’amico: «Non addossarti la colpa di essere stato umano, Fu. Non farlo.» dichiarò, posando le mani sulle spalle del giovane e sorridendo: «Non farlo e sii il Gran Guardiano che mio zio ha visto in te.»


1950, Parigi.
La Tour Eiffel si imponeva sulla capitale francese, un gigante quieto che sorvegliava la città: «Come mai Parigi, maestro?» domandò Wayzz, facendo capolino da sotto il cappello dell’uomo, mentre questi si guardava intorno, osservando entusiasta il fermento intorno a lui: «Prima New York, poi Roma…» continuò il kwami, scuotendo il capino: «E adesso Parigi?»
«Non fa male vedere il mondo, Wayzz!»
«Di certo fa male ignorare i messaggi dal tempio di Nêdong. La maestra Fa…»
«Oh! Ignora quella vecchia incartapecorita! Da quando si è sposata e ha messo su famiglia è diventata insopportabile!»
«Quale sarà la prossima tappa, dopo che avremmo visitato questa città?»
«Non ci sarà una prossima tappa, Wayzz.» decretò Fu, stringendo il manico della valigia che conteneva lo scrigno dei Miraculous: «Questa sarà casa nostra: c’è qualcosa…» mormorò, sorridendo: «Qualcosa che mi dice di aver finalmente trovato il posto in cui stare.»
«Se ne è sicuro lei, maestro.»
Fu annuì, piegando le labbra in un sorriso, calcandosi il cappello sulla testa e mischiandosi fra la gente che affollava la stazione di Saint-Lazare: una ragazzina corse di fianco a lui, la gonna ampia che ondeggiava a ogni passo e i lunghi capelli scuri stretti in due codine, facendolo sorridere quando, poco lontano da lui, la giovane quasi inciampò nel marciapiede.
Fu scosse il capo, guardandosi attorno e inspirando profondamente, avvertendo l’aroma del pane e dei dolci appena sfornati della boulangerie poco distante, mentre un auto sfrecciava lungo la strada: «Sono a Parigi, Bridgette.»

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Capitolo 43
*** Capitolo 43 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.338 (Fidipù)
Note: Salve salvino! Con questo capitolo torniamo al presente, con i nostri Miracolati e ritorniamo a Parigi e lasciamo l'esotica Nanchino. Che cosa si può dire? Vengono spiegate un po' di cosette, che avevo lasciato in sospeso nei precedenti capitoli e...beh, niente. Non mi sembra ci siano informazioni extra da aggiungere, quindi vi lascio subito alla lettura. Ma prima...
Beh, prima ci sono i soliti ringraziamenti di rito!
Grazie a tutti voi che leggete silenziosamente (fatevi sentire!), a chi commenta qui e su FB, a chi inserisce questa storia in una delle sue liste e a chi è giunto fino a questo capitolo, penso sia dura sopportarmi così tanto...
A tutti voi, grazie di tutto cuore!



Fu inspirò profondamente, riaprendo gli occhi e tornando con la mente nel ventunesimo secolo: osservò i sei ragazzi davanti a lui, gli sguardi seri che ricambiavano il suo, e abbozzò un sorriso: «Adesso sapete tutto.» mormorò, lisciandosi la camicia dalla stampa hawaiiana sul petto e abbassando lo sguardo: «Avrei preferito tenervi all’oscuro di tutto ciò, perché non è il periodo migliore della mia vita e…»
«Quindi Coeur Noir è...» Marinette si portò una alla bocca, aggrottando lo sguardo serio.
«Bridgette Hart, Marinette.» concluse Fu per lei, abbozzando un sorriso: «Anche se dovrei dire Willhelmina Hart, dato che adesso si fa chiamare così.»
«Poteva scegliere un nome meno complicato da dire…» borbottò Rafael, scuotendo il capo: «E qualcosa di più corto.»
«Se non ricordo male…» Fu si alzò, dirigendosi verso il grammofono e carezzando la tromba in ottone: «Era il nome della madre di Bridgette.» spiegò, voltandosi verso i ragazzi e sorridendo: «Sinceramente non so se Liu si fosse sbagliato su Felix e Bridgette o se loro non erano ancora pronti a ricevere i Miraculous. Anche se io non sono in grado di poter parlare: ero giovane e ho fatto i miei sbagli…» si fermò, sospirando: «Da quando sono Gran Guardiano, ho sempre cercato di non donare i gioielli, se non in tempi in cui era necessario che qualcuno si elevasse a protezione dell’umanità: prima di voi, c’è stata solamente Pavo. Non ho mai dato i Miraculous del Gatto Nero e della Coccinella, finché non ho incontrato voi due.» dichiarò, fissando orgoglioso Marinette e Adrien: «Mi ricordate moltissimo Bridgette e Felix ma, vi ho osservato in questi anni, vedendo come combattevate e come il dovere venisse prima di tutto: se ho avuto il coraggio di donare ancora i restanti Miraculous lo devo a voi due. Grazie.»
«Chi è Pavo?» domandò Adrien, ignorando il resto del discorso dell’uomo: «Non ho mai sentito nessuno con questo nome. E noi ce l’abbiamo già il nostro pavoncello.»
«Prima di donare il Miraculous del Pavone a Rafael, c’è stata un’altra persona che l’ha portato…»
«Davvero?»
Fu annuì, sorridendo al biondo che scuoteva la testa incredulo: «Era tua madre, Adrien.»


«Siamo la famiglia degli Incredibili?» domandò Adrien, entrando come un uragano nello studio del padre e poggiando le mani sulla scrivania: «Ho per caso un fratello rinchiuso nella cantina della casa che si chiama Jack-Jack?»
«Prego?»
«Mister Miyagi mi ha detto che la mamma era una Portatrice di Miraculous.»
«Ah.» mormorò Gabriel, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi il setto nasale: «Immaginavo che, prima o poi, saresti venuto a conoscenza di questo piccolo dettaglio.»
«Piccolo dettaglio?» sbottò Adrien, alzando le braccia al cielo: «E tu lo chiami piccolo dettaglio?»
«Sinceramente, non sapevo come dirtelo: come potevo spiegarti che tua madre possedeva un gioiello magico che la faceva trasformare…»
«Potevo capirlo, quando eravamo all’oscuro delle nostre identità ma, in questi ultimi quattro anni, non ti è mai venuto in mente che potevi fare qualche accenno alla cosa? Che so, magari durante la colazione: Ehi, Adrien. Mi sono dimenticato di dirti che tua madre aveva un Miraculous. Già anche lei, che cosa buffa, eh!»
«Prima o dopo il caffè?»
Adrien sbuffò, lasciandosi cadere su una delle poltrone e fissando il genitore: «Il fatto che è sparita centra qualcosa con il Miraculous che aveva?»
«In verità non so di preciso cosa è successo, ho solo fatto teorie: all’epoca tua madre aveva un rivale, uno scienziato fissato con i Miraculous per qualche teoria che aveva elaborato…» Gabriel si sedette dall’altra parte del tavolo, incrociando le mani davanti a sé e sospirando: «Un giorno, tua madre decise di seguirlo in Tibet: all’epoca tu avevi dieci anni ed io cercai in tutti i modi di fermarla, ma senza riuscirci: un giorno lei sparì semplicemente, se ne andò e, dopo qualche mese, arrivò un pacchetto contenente il gioiello del Pavone…»
«Tibet.» Adrien si addossò contro lo schiena della poltrona, portandosi il pugno alle labbra: «C’era qualcosa nella tua cassaforte sul Tibet!»
«Dopo aver ricevuto il Miraculous del Pavone, partii subito per il Tibet, venendo a conoscenza del Tempio di Nêdong e, da una donna della zona, scoprii l’esistenza di Fu, tornai a Parigi e lo cercai.»
«Così hai preso il Miraculous della Farfalla e sei diventato Papillon.»
«Esattamente.»
«Poi Nooroo ti ha raccontato dei Miraculous della Coccinella e del Gatto Nero e…» Adrien si fermò, agitando una mano per aria: «Beh, il resto è storia.»
«Avrei voluto tornare in Tibet, raccontarti tutto…» Gabriel si fermò, scuotendo il capo: «Ma tu eri così felice e non mi sembrava giusto distruggere il tuo mondo.»
«E’ mia madre.»
«E’. Era. Io non so più quale tempo usare quando parlo di lei: il più delle volte penso che sia morta, poi ci sono momenti in cui sono sicuro che sia viva. Da qualche parte.»
«Forse è così.»
«E’ passato troppo tempo.»
«Se c’è una  cosa che ho imparato da Marinette è che non dobbiamo mai arrenderci.» dichiarò Adrien, alzandosi e sorridendo al genitore: «E vedi di dare da mangiare a Jack-Jack, il mio fratello nascosto nelle segrete della casa.»
«Provvederò.»
Il ragazzo sorrise, uscendo dallo studio con un peso in meno sulle spalle; sbadigliò, salendo l’ampio scalone e diretto verso la sua stanza: doveva ancora finire i compiti di letteratura, poi un bel bagno e una bella dormita ristoratrice. Senza la sua lady.
Il giorno successivo aveva la sfilata della linea Agreste e, quindi, la ragazza gli aveva proibito di andare da lei: oltre a pensare al suo riposo, quasi sicuramente, voleva anche metabolizzare la storia che il maestro aveva narrato loro: «Ce la facciamo una fermata in cucina?» domandò Plagg, volandogli attorno al volto e dandogli dei lievi colpetti sulla guancia: «Tu. Io. Una bella forma di camembert…»
«L’hai già mangiato.»
«C’è sempre spazio per il camembert, miscredente!»
«Mi spieghi dove lo metti tutto il formaggio che mangi? A quest’ora dovresti essere formato extralarge!» bofonchiò Adrien, posando una mano sulla maniglia e guardando il suo kwami; rimase in attesa, scuotendo poi il capo e aprendo la porta della sua stanza.
«Ti devo ricordare che il camembert è ciò che da energia al mio potere? Senza camembert non c’è Cataclisma.»
«Se lo dici tu…»
«State di nuovo litigando?» domandò una voce femminile, facendoli sobbalzare entrambi: Adrien si voltò, osservando Ladybug in piedi, accanto al finestrone e con un sorriso timido sulle labbra: «Ciao.»
«Sbaglio o qualcuno mi aveva detto che mi avrebbe portato dal veterinario, se mi fossi fatto vedere…»
«A casa mia.» sentenziò la ragazza, intrecciando le mani davanti a sé e dondolandosi sui talloni: «Non penso faccia bene al tuo bel visetto alzarti presto e…»
«Bel visetto?» domandò Adrien, coprendo la distanza che lo separava dalla giovane e accogliendola nel suo abbraccio, stringendola a sé: «Mi sei mancata.»
«In queste ultime cinque ore che non ci siamo visti?»
«Ogni minuto lontano da te è un’eternità.»
Ladybug ridacchiò, stringendo la maglia chiara con la mano guantata di rosso e sospirando: «Mi sei mancato anche tu.» bisbigliò, chiudendo gli occhi e crogiolandosi nel calore della stretta del biondo: «In verità non sarei voluta venire: domani hai la sfilata ed io…»
«Che cosa c’è che ti preoccupa?»
Ladybug si allontanò leggermente, quanto bastava per vedere l’altro in volto: «Non mi piace il fatto che mi riesci a leggermi così bene.»
«Dici? Io l’adoro! Vuol dire che siamo veramente uniti.» dichiarò Adrien, sorridendole e passandole un braccio attorno alle spalle, scortandola fino al divano in pelle bianca: «Allora?»
«Tikki mi ha parlato un po’ di Bridgette.» mormorò la ragazza, sedendosi e portando su le gambe, in modo poggiare il mento sulle ginocchia: «Dal maestro Fu era sconvolta, perché aveva sospettato che potesse trattarsi di lei ma non ne era certa…Comunque mi ha raccontato il periodo che ha trascorso con lei e di come è finita. Ti ricordi che hanno trovato gli orecchini della Coccinella con l’anello?»
«Sì.»
«Ce li ha lasciati Bridgette. Tikki mi ha spiegato che ha combattuto contro Chiyou, o meglio l’imperatrice posseduta ed era riuscita a separare lo spirito dalla donna, ma poi le forze le son venute meno e....»
«Chiyou l’ha posseduta.»
«Sì. Era ancora trasformata, mentre Chiyou le entrava dentro: si è tolta gli orecchini e li ha lanciati lontani da lei; secondo Tikki, in Coeur Noir è rimasto un po’ del potere della creazione di Ladybug e con quello ha creato i nostri primi nemici.»
«Capisco.»
Ladybug annuì, fissando davanti a sé: «Comunque dopo che la nave è saltata in aria – e Tikki non sa bene come possa essere successo -, Bridgette ha protetto gli orecchini e, dopo essere tornata al molo, li ha lasciati con l’anello.»
«Forse in quel momento era ancora lei, magari possedere qualcuno sfinisce un po’ Chiyou.»
«Non so dirti.» mormorò la ragazza, portandosi una mano guantata di rosso all’orecchio e carezzando la pietra liscia: «In ogni caso, non ho potuto fare a meno di notare quanto Bridgette ed io siamo simili…»
«Simili nel senso che entrambe non avete saputo resistere allo charme di quell’affascinante felino nero che vi gira attorno?»
«Nel senso che abbiamo entrambe amato senza essere ricambiate e…»
«Ehi! Tu sei ricambiata al 100%! Mi sento offeso!» dichiarò il ragazzo, premendole l’indice sul naso e sorridendo: «Mh. Sì, posso capire cosa intendi: anche io ho sentito una certa affinità con Felix, anche se all’inizio non t’ignoravo brutalmente come Fu ha detto faceva lui. Felix, non ha mai conosciuto l’identità della sua signora, però se l’è scop…»
«Adrien!»


«Che vi servo?» domandò Rafael, osservando il trio dall’altro del bancone: Lila e Sarah si guardavano attorno curiose, mentre Wei era rivolto verso di lui: «Fammi indovinare, amico. Qualsiasi cosa senza alcool.»
«Esattamente.» dichiarò il cinese, osservando l’altro sorridere e iniziare a trafficare con le bottiglie: «Oggi non c’è tanta gente.»
«Beh, rispetto a quando ci siamo venuti per il concerto di Jagged sì.» spiegò il moro, mettendo alcuni cubetti nello shaker e versando due tipi differenti di succhi di frutta, chiuse il contenitore e iniziò ad agitarlo: «Poi siamo nel mezzo della settimana. Direi che è una buona serata…»
«Sai, Rafael, questa maglietta nera mette in risalto certe tue doti.» dichiarò Lila, pungolando con il gomito l’americana: «Vero, Sarah?»
«Cosa?» mormorò la bionda, osservando l’amica e poi il ragazzo dall’altro lato: «Tu non dovresti avere una sfilata domani?»
«Sì.»
«E ti puoi permettere di rimanere sveglio e lavorare?»
Rafael sospirò, finendo di agitare e aprendo lo shaker, versando il liquido rosso in un bicchiere lungo: «Volevo rimanere a casa, ma dopo quello che ci ha detto Fu…» si fermò, scuotendo il capo e poggiando il mix di succhi davanti a Sarah: «Sinceramente non ce la facevo a rimanere a casa. Flaffy è stato d’accordo di venire a Le Cigale, almeno mi distraggo un po’.»
«Capito.» dichiarò l’italiana, osservando il cocktail e poi lo pseudo-barista: «E i nostri?» domandò, indicando alternativamente Wei e se stessa.
«Arrivano, piaga.»


«Quindi hai raccontato tutto a quei ragazzi.» commentò la voce di Fa, dall’altro capo del telefono: «Sei certo che sia stata la scelta migliore? E se questo pregiudicasse il loro comportamento contro Coeur Noir?»
Era quello che aveva temuto anche lui, per questo aveva tergiversato e cercato di non narrare loro niente, ma non ci era riuscito: la risolutezza e la determinazione di quei sei l’aveva fatto vacillare: «So che faranno la cosa giusta.»
«Anche Liu lo pensava di noi…»
«Tu non li hai mai visti, Fa. Sono forti, determinati, coraggiosi, in gamba: hanno messo la missione davanti a ogni cosa e prendono seriamente il loro ruolo di Portatori di Miraculous. Ladybug e Chat Noir hanno sempre protetto Parigi e sempre lo faranno, come hanno promesso; Volpina è una  ragazza che ha imparato dai propri sbagli e ha capito come essere migliore. Peacock è un ragazzo che è cresciuto ed è diventato forte. Bee? Ha attraversato l’oceano per combattere Coeur Noir, trovandosi in un paese straniero eppure combatte ogni giorno. E Tortoise è un Portatore della Tartaruga cento volte migliore di me: è saggio, sicuro e determinato a proteggere chi gli sta intorno. E alla fine Papillon, un uomo con un passato difficile alle spalle ma che ha saputo migliorarsi e diventare qualcosa di buono.» si fermò, ritrovandosi ansante per il fervore che aveva messo nel proteggere i suoi pupilli: «Sono molto migliori di come eravamo noi un tempo.»
Fa ridacchiò e l’uomo quasi se la immaginò mentre scuoteva il capo: «Mi piacerebbe conoscere questi tuoi pupilli. Sei orgoglioso di loro. Sono felice di ciò.»
«Sono in gamba, Fa.»
«Li hai scelti tu, quindi mi fido. Volevo solo metterti alla prova, vecchio caprone.»


Gabriel ascoltò le risate allegre che provenivano dal piano superiore: Marinette doveva essere giunta a trovare Adrien e di ciò era felice.
Allungò una mano, aprendo il primo cassetto della scrivania e tirando fuori la foto della moglie: lei sorrideva felice, i capelli biondi stretti in una coda e gli occhi verdi allegri.
Ricordava perfettamente quando era stata scattata: lei lo aveva letteralmente rapito per portarlo via da Parigi, quando ancora era un giovane assistente di uno stilita famoso, e lo aveva trascinato in una romantica gita sulla Loira; si erano fermati a Saumur e lì l’aveva immortalata in quel secondo: «Sei da qualche parte, vero?» mormorò, carezzando i lineamenti del viso attraverso il vetro: «Dimmi che sei da qualche parte. Viva. E che prima o poi tornerai da me.»
Sorrise, scuotendo il capo e riponendo il ritratto nel cassetto: illudersi, continuare a sognare che lei fosse ancora in quel mondo avevano portato a un uso errato del Miraculous e alla sofferenza.
Era giunto il tempo di cambiare, di voltare pagina.
Era giunto il momento di smettere di sperare che lei sarebbe tornata.
Osservò per un’ultima volta il ritratto, chiudendo poi con forza il cassetto.


Chiyou sorrise, osservando il suo riflesso e portandosi il bicchiere di vino alle labbra: «Delizioso…» mormorò, schioccando le dita e voltandosi verso la finestra: la Tour Eiffel era illuminata, un faro nella notte parigina: «Direi che è tempo di porre fine a tutto. Per colpa di quella stupida donna, ho atteso fin troppo…»

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Capitolo 44
*** Capitolo 44 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.771 (Fidipù)
Note: Buon salve! Eccomi qua con il consueto aggiornamento di Miraculous Heroes (ancora 3 capitoli e questa storia giungerà al termine. Sigh.)! Bene, bene. In questo capitolo ho usato la leggenda del filo rosso (che non sto qui a spiegare, ci penserà più avanti qualcuno): ero convintissima che fosse di origine giapponese e, invece, andando a fare un po' di ricerche ho scoperto che aveva nazionalità cinese e che il protagonista di questa leggenda si chiamava Wei. Come non prendere la palla al balzo, eh?
Detto questo, come sempre, voglio ringraziarvi per essere giunti fino a questo capitolo. Grazie a chi legge silenziosamente, grazie a chi mi commenta sempre e a chi inserisce questa storia in una delle sue liste.
Grazie, davvero, grazie.


Rafael sbadigliò, massaggiandosi gli occhi e sperando di cancellare la stanchezza con quel gesto: «Non era necessario accompagnarmi.» mormorò Sarah, fissandolo e abbozzando un sorriso: «Oltretutto non so come farai a tornare a casa, dato che fra poco non ci saranno più corse.»
«Ho un kwami e non ho paura di usarlo.»
«Ehi!» sbuffò Flaffy, volando davanti al viso e guardandolo male: «Che razza di…»
«Flaffy!» sibilò il giovane, afferrando l’esserino e gettandolo dentro la tasca della felpa: «Quante volte ti ho detto di non volare come ti pare?»
«Ehi. Genio. Non c’è nessuno.» sbottò il kwami del Pavone, sospirando e guardando verso Sarah e Mikko: «Scusatelo, signore, purtroppo non sempre questo piccolo hobbit usa il cervello…»
«Hobbit?» sbuffò Rafael, mentre la ragazza ridacchiava, scuotendo il capo e facendo ondeggiare le ciocche bionde: «Li hai lasciati sciolti…»
«Cosa?»
«I tuoi capelli. La maggior parte delle volte li tieni legati.»
«Ah. Mh.» la ragazza si portò una mano al pettinino dell’Ape, carezzandolo con i polpastrelli: «Il mio Miraculous è un po’ difficile da indossare e trovo più comodo quando ho i capelli tirati su.»
Rafael annuì, osservando le dita che carezzavano il monile e sorrise: «Ti stanno bene in entrambi i modi.»
«Cosa?»
«I capelli. Stai bene sia quando li hai legati che sciolti come ora.»
«Ah. Grazie.» mormorò la ragazza, sorridendo e studiandolo: «Posso farti una domanda?»
Un gemito si levò dalle labbra del giovane che, dopo aver inspirato profondamente, allungò le gambe davanti a sé: «Odio quelle quattro parole, di solito non portano a niente di buono.»
Sarah ridacchiò, poggiando i gomiti sulle gambe e il viso contro le mani, studiando il compagno: «Perché ti comportavi come…beh, ti comportavi?»
«Prego?»
«Adrien mi ha parlato un po’ di te.»
«Quel gatto dovrebbe tenere la bocca chiusa, alle volte.» ringhiò Rafael, scuotendo il capo e gettando una breve occhiata alla bionda: «Cosa vuoi sapere?»
«Mh. Adrien mi ha detto che…» fece un lieve cenno con la mano per aria: «beh, diciamo che sfarfalleggiavi da un fiore all’altro e ti atteggiavi a grande uomo.»
«Ripeto: il gatto deve smettere di miagolare.»
«Beh?»
«Cosa?»
«Perché ti comportavi così?»
Il moro sbuffò, infossandosi nel sedile e guardando l’altra: «Non mollerai, eh?»
«No. E poi abbiamo una ventina di minuti ancora, il tempo adatto per sapere perché ti comportavi da...»
«Stronzo arrogante?» concluse per lei Rafael, sorridendo dolcemente: «Perdono, se il mio linguaggio è pessimo, ma non sapevo come altro definirmi.»
«Non hai una gran bella opinione di te, vero?»
«No.» rispose candidamente il ragazzo, fissando dritto davanti a sé: «Voglio bene ai miei genitori, seriamente; ma ogni volta che li vedevo partire pensavo che là fuori c’era qualcosa migliore di me, se preferivano trascorrere il loro tempo là piuttosto che con loro figlio. Quando sei bambino non vai a pensare che, forse, sono solo appassionati del loro lavoro e la lontananza faceva male a me quanto a loro due; crescendo l’ho capito, ma da piccolo…beh, ti chiederai cosa centra questo, giusto? Mh. Le donne, quelle con cui sfarfalleggiavo, erano un palliativo per ridurre la solitudine che sentivo dentro: se c’era qualcuno al mio fianco non potevo sentirmi solo, no?»
«Ma perché non una ragazza fissa?»
«Perché nessuna aveva quel qualcosa…» si fermò, scuotendo la testa e sorridendo: «Forse sono un romantico, ma penso che oltre a qualcuno che allontanasse la mia solitudine fossi anche alla ricerca della mia anima gemella.»
«Se mai esiste…»
«Non ci credi?»
«Nì.» mormorò la ragazza, puntando lo sguardo davanti a sé: «Ho visto i miei genitori amarsi con tutto loro stessi e vedendo loro direi: sì, esiste. Sicuramente da qualche parte la persona perfetta per me c’è, poi vedo me e…»
«E?»
«Non so, alle volte penso esista, alle volte no.» Sarah scrollò le spalle, sorridendo: «Beh, non che sia il mio interesse primario cercarla. Bene, mi hai spiegato lo sfarfalleggiare di fiore in fiore. Il resto?»
«Il resto?»
«Rafael…»
«Beh, c’è poco da dire: da piccolo ho imparato che se ti dimostro subito quello prepotente, nessuno ti darà noia.»
«Eri un bullo?»
«No, ma quelli ci pensavano due volte prima di prendersela con me.»
«Quindi per colmare la solitudine hai iniziato a uscire con tante ragazze e per non essere sottomesso hai imparato a essere quello aggressivo…» riepilogò la ragazza, annuendo con la testa: «Ma dietro queste maschere, in verità, c’è un ragazzo dal cuore d’oro che mi ha subito aiutata quando avevo bisogno e che cerca l’amore della sua vita. Mh. Penso di preferire il vero Rafael a quello che indossavi fino a qualche tempo fa.»
«Ah sì?»
«Già.» Sarah ridacchiò, mordendosi il labbro inferiore: «Se fossimo in uno di quel film che Mikko adora, tu saresti il cattivo ragazzo che è diventato un…Mikko, com’è che dici di solito?»
La kwami gialla fece capolino dalla borsetta, poggiando le zampette sulla zip e osservando il ragazzo: «Mh. Un cattivo ragazzo che è diventato un patatone dal cuore di puro cioccolato?»
«Grazie, Mikko!» esclamò Sarah, ridacchiando all’espressione sconvolta del compagno: «Tu hai il kwami fissato con Il signore degli anelli, io la kwami romanticona che si divora film romantici.»
«Una patata con un cuore di puro cioccolato?»
«Cioccolato?» esclamò Flaffy, volando fuori e guardandosi intorno impazzito: «Dove? Dove?»
«Tu hai dei problemi, Flaffy.» sospirò Rafael, acciuffando nuovamente il kwami e mettendolo di nuovo nella tasca della felpa; con la coda dell’occhio vide qualcosa alla sinistra, si voltò e rimase basito: Willhelmina – o Bridgitte – Hart era seduta poco distante da loro, nel vagone vuoto.
Era certo che non ci fosse stata, fino a poco prima.
«Cosa stai…» mormorò Sarah, voltandosi anche lei e trattenendo il fiato alla vista della donna.
Willhelmina sorrise affabile, alzandosi in piedi e Rafael la imitò, mettendosi davanti Sarah come a proteggerla: «Buonasera, Bee.» mormorò la donna, posando lo sguardo freddo sulla ragazza: «So chi sei. Non è stata una grande idea, quella di trasformarti davanti Mogui.» commentò, facendo scivolare lo sguardo sul giovane: «Mh. Peacock, vero?»
«Già.» dichiarò baldanzoso Rafael, sorridendole: «Mentre come devo chiamarti? Willhelmina? Bridgitte? Coeur Noir? Chiyou? Seriamente, hai troppi nomi: fai pace con te stessa e scegline uno.»
«Dato che quell’insulsa donna ha perso la partita contro di me…» mormorò Willhelmina, osservando interessata le unghie laccate di nero: «Ditemi: quale preferite? Coeur Noir o Chiyou?»
«Ha perso la partita contro di te?»
«Quella stolta ha sperato che inglobandomi sarebbe riuscita a dominarmi, non sapendo che io le lasciavo credere ogni cosa, finché non si è arresa al mio potere.» dichiarò Coeur Noir, sorridendo ai due: «In vero, sono quasi certa che aveva voluto prendere i Miraculous solo per annientarmi.»
«Ah. Quindi con tutti i Miraculous potremmo farti fuori?» domandò Rafael, sorridendo: «Me lo segno in agenda: tizia con tanti nomi, può essere fatta fuori con i sette Miraculous.»
«Io sono Chiyou, sono colui che non è stato sconfitto nemmeno dall’Imperatore Giallo! Non sarete voi ad annientarmi.»
«Credici, cuoricina.»
«Rafael…» mormorò Sarah, poggiando una mano sulla spalla del ragazzo e osservandolo mentre si voltava leggermente per vederla di sbieco: «Non penso che farla arrabbiare porti a qualcosa.»
«Sarah, sto cercando di discutere con la mummia qua.»
Coeur Noir mosse le labbra, fissando i due giovani: «Presto, vi annienterò tutti e allora non farete più gli spavaldi.» dichiarò, agitando poi le mani e sparendo in una voluta di fumo nero.
Rafael si rilassò, scrollando le spalle e rilasciando l’aria che aveva trattenuto negli ultimi secondi: «Perché i cattivi devono fare sempre questi discorsi? Non mi annienterete e, puntualmente, vengono fatti fuori.»


Adrien osservò la ragazza addormentata nel suo letto, sorridendo dolcemente: Marinette era immersa nel sonno, con i due kwami acciambellati vicino al volto; il corpo era coperto dalla camicetta che lui adorava tanto e una spallina sottile era scivolata, rivelando parte del seno.
Il suo amore.
La sua vita.
Con un sorriso si voltò e, dopo aver mosso il mouse, lo schermo del pc si accese, mostrandogli le foto di Marinette e di…
Sua madre.
Pavo.
Doveva ancora fare a patti con quanto era venuto a conoscenza quella sera: sua madre, un’eroina di Parigi, che combatteva uno scienziato pazzo e lo aveva seguito fino in Tibet…avrebbe voluto sapere di più, chiedere maggiori dettagli a suo padre ma aveva visto lo sguardo che aveva, mentre gli narrava velocemente, fatti avvenuti pochi anni prima e non se l’era sentita di fare altre domande.
Per cosa poi?
Per sbattere contro un muro? Per venire ossessionato dal fantasma di qualcuno che non c’era più?
Dove era?
Era ancora viva?
Perché aveva spedito il suo Miraculous?
L’aveva fatto lei o qualcun altro?
Troppe domande. Nessuna risposta.
Si era sentito così suo padre, quando si era ritrovato fra le mani il Miraculous del Pavone?
Stese le gambe e gettò indietro la testa, socchiudendo gli occhi: se fosse capitato a lui, se Marinette avesse seguito il loro nemico, sparendo chissà dove, come si sarebbe sentito?
Storse le labbra al dolore sordo che gli aveva carpito il cuore e quasi iniziò a comprendere il genitore: Sono diventato Papillon per avere il potere dei Miraculous e riportare da me qualcosa che amavo, questa era stata la spiegazione dell’uomo, pochi giorni dopo la sconfitta finale che aveva subito da parte di Ladybug e Chat Noir, e il quattordicenne che era allora non aveva compreso.
Non aveva capito la portata del dolore del genitore.
Poi la routine e la vita quotidiana aveva preso il sopravvento: timidamente e lentamente era iniziata la storia con Marinette e l’aveva sempre più coinvolto, facendogli relegare in un angolino le parole del genitore; Gabriel stesso, poi, era cambiato e tornato a essere il genitore di un tempo.
E tutto era stato dimenticato.
«Adrien?» la voce di Marinette gli giunse alle orecchie, facendogli aprire gli occhi e voltare la testa, trovandola seduta sul bordo del materasso, con i capelli sciolti che le carezzavano le spalle e incorniciavano il volto; la ragazza sorrise, alzandosi e avvicinandosi a lui, poggiandogli il mento sui capelli biondi e abbracciandolo da dietro: «Vuoi parlarne?»
Il giovane portò una mano al polso delicato della ragazza, stringendolo nella sua presa come se si aggrappasse a lei e, effettivamente, era quello che stava facendo: Marinette era la sua forza, la roccia che lo teneva saldo.
«Ti ricordi quello che ci disse mio padre, quando gli chiedemmo perché?»
«Perché era diventato Papillon? Sì, disse che c’era un motivo se aveva fatto quel che aveva fatto, ma non…»
«Qualche giorno dopo mi disse che aveva voluto il potere dei nostri Miraculous per riportare indietro qualcosa che amava.»
«Intendi che…»
«Penso che li volesse per far tornare a casa mia madre.» mormorò Adrien, chinando il capo e baciando la pelle del polso di lei: «Stasera non mi ha detto tanto di lei e…» scosse il capo, sospirando: «E’ viva? E dove si trova adesso? Perché non torna? Perché ha spedito il suo Miraculous? L’ha fatto lei oppure…»
Marinette lo strinse a sé, premendo le labbra sulla testa bionda e cullandolo dolcemente: «Quando questa storia sarà finita e saremo liberi dal nostro impegno di eroi, andremo a cercarla.» dichiarò decisa, sciogliendo l’abbraccio e scivolandogli davanti: «Anche a costo di andare in Tibet, la troveremo.»
Adrien sorrise di fronte a quello sguardo deciso e a quella sicurezza infinita che aveva sentito nella sua voce: «Sì. Come la mia lady desidera.»
«No. Come il mio gatto signore e padrone vuole.»


Wei storse il naso, quando avvertì l’aroma del caffè: «Non ti piace, eh?» domandò Lila, fissandolo da oltre il bordo della tazza e sorridendo: «In Italia è anche più forte di questo. Quando vivevo dai miei nonni, ogni mattina mi svegliavo con l’aroma del caffè, scendevo dal letto e andavo in cucina e trovavo la nonna che poggiava la moka sul tavolo e poi tirava fuori pane, burro e marmellata di tutti i tipi…»
Lila sospirò profondamente, appoggiando il viso sulla mano e sorridendo: «I miei nonni materni vivono nella campagna toscana, un borgo vicino Firenze e hanno un’azienda agricola: ogni mattina, prima di andare a scuola, ascoltavo le voci degli operai che iniziavano la giornata nei campi…»
«Oh. Abitavi in campagna?»
«Sì. Perché?»
«Beh, sei così…così…sofisto…soficastata…come si dice?»
«Cosa vuoi dire?»
«Mh. Elegante!» dichiarò Wei, illuminandosi: «Anche se non era la parola che volevo. E dire che l’ho letta stamattina…»
«Elegante…mh, alcuni sinonimi sono Ricercata, raffinata, sofisticata…»
«L’ultimo!»
«Sofisticata? Ti do davvero quest’impressione.»
«Ehm. Sì.» dichiarò il cinese, massaggiandosi la nuca e abbassando lo sguardo sulla tazza di the davanti a lui: «Sembri sempre uscita da una rivista, sei bella ed elegante…»
«Spiacente di deluderti. Sono una grezza ragazza di campagna.» dichiarò Lila, poggiando il viso sulle mani e osservandolo: «E tu saresti una risorsa utile: sei forte e la fatica non ti spaventa, oltretutto sei un lavoratore serio. Penso che al nonno piaceresti e ti troveresti bene nell’azienda e a lavorare all’aperto.»
«Mi stai chiedendo di venire con te, quando tornerai in Italia?»
«Lo faresti?»
Wei sorrise, allungando una mano sul tavolo con il palmo verso l’alto e attese che la ragazza poggiasse una delle sue sulla propria: «C’è una leggenda che nasce in Cina: secondo la tradizione ogni persona porta, fin dalla nascita, un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra che lo lega alla propria anima gemella. Il filo ha la caratteristica di essere indistruttibile: le due persone sono destinate, prima o poi, a incontrarsi e a sposarsi.» spiegò, intrecciando le dita con quelle di Lila: «Mia madre mi ha sempre detto che mi ha dato il nome dell’uomo della leggenda, perché anch’io, come lui, fossi benedetto dal Dio dei matrimoni e trovassi subito colei che ha l’altro capo del mio filo…»
Lila sorrise, allungandosi sul tavolo e, stringendo la mano dell’altro, lo baciò: «Smetti di cercare, ok?» mormorò, osservandolo sorridere e annuire. La ragazza piegò le labbra in un sorriso, allungandosi nuovamente verso il giovane: «Se tornerò in Italia, verrai con me?»
«Sì.»


«Mi stai dicendo che la tipa dai mille nomi è apparsa in metro e vi ha detto chiaramente che sapeva chi eravate e che ci attaccherà in maniera definitiva?» domandò Adrien, passandosi una mano e abbozzando un sorriso a una delle parrucchiere che, lacca e pettine alla mano, tornò alla carica per sistemargli il ciuffo di capelli che aveva spostato.
«Sì.» sbuffò Rafael, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e neri, inspirando profondamente: «Sarah ha detto che avviserà lei Marinette, Lila e Wei. Non mi sento sicuro.»
Adrien si voltò, verso il genitore che aveva ascoltato in silenzio fino a quel momento: «Dobbiamo tenerci pronti…» dichiarò Gabriel, annuendo con la testa: «Coeur Noir è alle strette: sa che la prossima volta la annienteremo e quindi sferrerà per prima l’attacco.»
«Speriamo non sia durante la sfilata.» bofonchiò Adrien, prendendo il borsalino che uno dei numerosi assistenti gli aveva passato, calcandoselo in testa: «Beh, come vi sembro?»
«Un gangster.» dichiarò prontamente Rafael, osservando il collega e quasi-amico, ruotare su se stesso: con il completo nero e il cappello sembrava davvero uno di quei malavitosi degli anni Venti.
«Mando una foto a Marinette.»
«Sento Sarah se può filmare l’urlo che lancerà in classe, così potrò prenderla in giro a vita.»


«Marinette, respira.»
«Non posso respirare!» dichiarò la ragazza, mostrando il cellulare e facendosi vento con la mano: «Come faccio a respirare dopo aver visto questo?»
Alya alzò le spalle, scuotendo il capo e sorridendo: le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, quando Marinette trovava una foto di Adrien su una qualche rivista di moda e andava in iperventilazione.
Beh, adesso il modello gliele mandava direttamente le foto, ma questo non cambiava il risultato finale.
«Sarah, cosa stai facendo?» domandò, osservando l’americana riprendere Marinette e ridacchiare.
«Mh. Rafael mi ha mandato un messaggio, dicendo di riprenderla.»
Marinette si voltò verso la camera, sorridendo dolce: «Rafael, prova anche solo a dire una parola e la ginocchiata che ti ho dato ti sembrerà niente, in confronto a ciò che ti farò. Buona sfilata, ragazzi.»
«Glielo mando?»
«Manda.»


Un brivido corse lungo la schiena di Rafael mentre ascoltava la minaccia di Marinette, mentre al suo fianco Adrien ridacchiava: «Quella ragazza sarà mia moglie. Ci credi?»
«Tu hai dei gusti strani, amico.»


Fu inspirò profondamente, osservando il cielo e ascoltando il suono del vento: c’era qualcosa che non andava, era come se il mondo intero lo stesse mettendo in allarme.
Qualcosa stava per succedere.
Il jingle dell’edizione straordinaria del tg lo fece voltare verso la tv, rimasta accesa: «Buongiorno a tutti!» dichiarò la voce decisa di Nadja Chamack, mentre l’immagine della giornalista lasciava il posto a una visuale aerea della Tour Eiffel e all’esercito di guerrieri neri che la circondava: «Ancora una volta Parigi è in pericolo…»
«Bridgette!»

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Capitolo 45
*** Capitolo 45 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.432 (Fidipù)
Note: E ci siamo: con questo capitolo inizia l'ultimo atto di questa storia e...beh, un po' mi dispiace esser quasi giunta alla fine: mi mancheranno tutti, lo so già da ora, dai personaggi originali a quelli creati da me. Ma vabbè, lasciamo i discorsi finali al capitolo finale. Per ora...beh, che posso dire? In verità c'è poco da informarvi su Parigi e, quindi, vi lascio subito al capitolo, non senza ringraziarvi, ovviamente.
Volevo ringraziare tutti voi che commentate sempre (appena possibile riuscirò a recuperare - di nuovo! - tutte le recensioni! Sappiate comunque che le leggo sempre!), che leggete silenziosamente, che inserite questa storia in una delle vostre liste e che...
Beh, mi avete sopportato finora.
Grazie di tutto cuore.


Adrien inspirò profondamente, sorridendo alla giovane assistente che finiva di sistemare gli ultimi dettagli, mentre la musica arrivava soffusa alle sue orecchie: sapeva che, una volta oltrepassato il tendone, sarebbe stato inondato dalle note che provenivano dalle casse, dal mormorio degli spettatori e i flash l’avrebbero abbagliato.
Una vera e propria tempesta.
Ma quello era il momento che la precedeva…
Inspirò nuovamente, osservando il via vai di sarte, truccatrici e acconciatrici che terminavano gli ultimi dettagli, mentre suo padre visionava il tutto, parlottando con Nathalie e richiamando, ogni tanto, qualcuno degli operatori.
Una modella marciò spedita, sui tacchi alti, verso il tendone e Adrien osservò uno degli addetti farle segno di aspettare, poi un piccolo conto alla rovescia e tirò su il sipario, mentre la ragazza camminava sicura di sé, ancheggiando e stampandosi un sorriso in faccia: la musica e il rumore degli scatti arrivarono alle orecchie del biondo.
Sarebbe andato tutto bene.
Sei Adrien Agreste, hai già sfilato un casino di volte. Andrà tutto bene, si ripeté mentalmente, socchiudendo gli occhi e muovendo leggermente il capo: «Ho sentito che Blanche si è lasciata con quell’attore con cui stava.» dichiarò la voce di Rafael alla sua sinistra; Adrien aprì gli occhi, voltandosi e guardando il collega finire di sistemare i gemelli alla camicia nera, abbozzando un sorriso: «Almeno è quello che mi ha detto la truccatrice.»
«Dovrebbe interessarmi?»
«Boh. Ti vedevo teso, pensavo di alleggerire la tensione.» sentenziò Rafael, continuando a tormentare il polsino: «A me funziona: Lorelie, quella santa donna di truccatrice, ogni volta mi dice le ultime novità di tutte le modelle ed io non penso alla figura che farei se scivolassi in passerella.»
«Odio le sfilate.»
«Siamo in due, amico.» sbuffò Rafael, scuotendo il capo e facendo un respiro profondo: «Sono la cosa che più odio di questo lavoro.»
Adrien annuì, osservando poi uno degli addetti del tendone che gli fece cenno di avvicinarsi: «Tocca a me.» dichiarò, poggiando la mano sulla spalla dell’altro e abbozzando un sorriso: «Ci vediamo dopo, pennuto.»
«In bocca al lupo.»
«Crepi.» rispose il biondo, fermandosi davanti all’addetto che lo fermò con il palmo aperto: Sei Adrien Agreste. Sei Chat Noir. Andrà tutto bene, si ripeté quelle brevi frasi come un mantra, buttando lentamente fuori l’aria e alzando la testa.
Testa alta, spalle dritte e sguardo fermo davanti a sé.
L’addetto si portò una mano all’auricolare, annuendo e facendo segno all’altro, poi si voltò verso Adrien alzando una mano e segnalando tre, poi abbassò un dito e infine un altro, portando poi la mano al tendone e sollevandolo: il biondo piegò leggermente le labbra in un sorriso, camminando deciso in avanti e socchiudendo leggermente gli occhi alle luci della passerella.
La modella che l’aveva preceduto, Blanche, lo superò, ancheggiando sicura sui suoi tacchi e ritornando al sicuro dietro la tenda scura.
Perfetto.
La passerella era tutta sua.
Infilò una mano nella tasca dei pantaloni scuri, portandosi l’altra al borsalino e avanzando deciso lungo la pedana, sorridendo lieve al mondo che lo circondava; si fermò alla fine, mettendosi in posa a beneficio dei fotografi e poi girò su se stesso, ripercorrendo il tragitto che aveva fatto fino alla sicurezza dietro il tendone.
«Ottimo lavoro.» si congratulò qualcuno del team di suo padre, passandogli una bottiglietta d’acqua: «La perfezione degli Agreste, eh?»
Adrien abbozzò un sorriso, girando il tappo e bevendo avidamente, cercando con lo sguardo il padre: Gabriel Agreste era nello stesso punto di prima, ma adesso in compagnia di un addetto alla sicurezza con cui stava parlando animatamente: «Qualche problema, Nathalie?» domandò il giovane, riavvitando il tappo e avvicinandosi alla segretaria, rimasta in disparte.
La donna lo fissò per un momento, scuotendo lieve il capo e mostrandogli il tablet: l’apparecchio era sintonizzato su TVi e Nadja Chamack era in piedi, davanti lo sfondo dell’edizione straordinaria del tg, mentre nel piccolo monitor sulla destra della giornalista venivano trasmesse immagini della Tour Eiffel e di un grande esercito nero che si era ammassato ai piedi del simbolo parigino: «Cosa sta succedendo?» mormorò, aumentando leggermente il volume e ascoltando la voce della donna.
«Un grande esercito di guerrieri, gli stessi che avevano attaccato negli ultimi Parigi, si è ammassato alla base del simbolo della nostra città. Il sindaco Bourgeois ha dichiarato di non intendere negoziare con il capo di questo esercito, che si è presentata come Coeur Noir.» Nadja Chamack si interruppe, voltandosi verso il monitor, dove venne mostrato un primo piano di Coeur Noir.
L’elmo di cristallo nero che le nascondeva la faccia, la pelle diafana in netto contrasto con le vesti neri e le labbra dipinte di rosso e piegate in un sorriso divertito: «Quest’oggi io, Coeur Noir, metterò fine a ogni cosa e nessuno potrà fermarmi. Nessuno, nemmeno i vostri sedicenti eroi!»
«Ehi, perfettino!» esclamò Rafael, avvicinandosi e battendogli una mano sulla spalla: «Hai visto come sono impazziti per…ehi, che sta succedendo?»
«A quanto pare Parigi è sotto attacco.» dichiarò Adrien, scoccando un’occhiata a Nathalie e allontanandosi di qualche passo con Rafael: «Coeur Noir ha dichiarato di mettere fine a ogni cosa…»
«Mettere fine a cosa?»
«Ogni cosa. Sinceramente non so cosa intenda, sai com’è, c’è un po’ troppa gente in quel corpo e non so chi ha parlato: Bridgette? Chiyou? Peggio di un condominio.»
«Dobbiamo avvisare gli altri.»
«Decisamente, pennuto.»


Marinette osservò la preside entrare trafelata nell’aula e parlottare con il professore di letteratura, che annuì e si voltò verso la classe, mentre la donna usciva velocemente dall’aula: «Ragazzi! Abbiamo appena ricevuto la notizia di un attacco a Parigi.» dichiarò, alzando le mani e osservando la classe iniziare a parlottare fra di loro: quasi tutti presero i cellulari e, poco dopo, nella stanza si sentì solo la voce della giornalista di TVi, i sussulti e i respiri dei ragazzi.
«Coeur Noir…» mormorò Marinette, voltandosi verso Sarah e trovando lo sguardo dell’americana fisso su di lei; la bionda annuì ed entrambe andarono a ricercare con gli occhi l’italiana: «Professore?» la mora alzò un braccio, richiamando l’attenzione dell’uomo: «Posso andare al bagno?»
«Anch’io!»
«Anch’io!»


Wei sbadigliò, voltandosi di lato e osservando monsieur Mercier tamburellare le mani sul volante del furgoncino: «Sembra ci sia traffico, oggi.» mormorò il ragazzo, sedendosi composto e allungando il collo per vedere cosa stava succedendo davanti loro: «Oppure è successo qualcosa?»
«A Parigi succede sempre qualcosa.» bofonchiò stizzito Mercier, piegandosi verso il finestrino e abbassandolo, dopo aver visto un poliziotto camminare verso il mezzo: «Ehi! Tizio in divisa!»
L’uomo delle forze dell’ordine si voltò, assottigliando lo sguardo all’appellativo con cui l’ometto l’aveva chiamato: «Sì?» domandò, fermandosi e poggiandosi al furgone: «Vuole che le faccia una multa per oltraggio a pubblico ufficiale?»
«Voglio che mi dica che sta succedendo.» dichiarò deciso Mercier, indicando il retro del furgone: «Ho una consegna per la Cardinal Amette. Sa, la scuola elementare.»
«Beh, credo che oggi non farà nessuna consegna, signore.» dichiarò il poliziotto, indicando davanti a sé: «La scuola sta per essere evacuata e chiusa.»
«Come mai?» domandò Wei, sporgendosi e fissando l’agente: «E’ successo qualcosa?»
«Siamo sotto attacco, signori. Avete presente quei guerrieri neri che stavano attaccando Parigi ultimamente? C’è un intero esercito alla base della Tour Eiffel.» dichiarò la guardia, togliendosi il berretto e passandosi una mano sulla nuca: «Tutta l’area compresa tra Pont de Bir-Hakeim e Pont de l’Alma è chiusa; stiamo usando i viali come perimetro, sperando di non dovere allargare maggiormente la zona.»
«Non vedo cosa c’è da preoccuparsi.» sbottò Mercier, scuotendo il capo: «Ci son quei tizi in calzamaglia, no? Ci penseranno loro.»
«E’ questo il problema: nessuno degli eroi parigini si è ancora visto.»
Wei osservò l’agente riprendere il suo percorso, mentre Mercier picchiava un pugno sul volante: «Questa gente che fa attacchi così. Non sa che c’è gente che deve lavorare?»
«Immagino che per oggi non ci saranno altre consegne, giusto?» domandò Wei, slacciandosi la cintura di sicurezza e allungando una mano alla maniglia dello sportello: «Ci vediamo domani, monsieur Mercier.»
«Come? Scendi qui?»
«Eh già.» dichiarò Wei, scivolando fuori dal furgoncino e iniziando a correre lungo la strada, zigzagando fra le auto ferme e le persone, che si allontanavano; si fermò, alzando la testa verso l’alto ma la vista del monumento era impossibilitata dai palazzi che lo circondavano: «Dobbiamo trovare un posto dove trasformarci.» mormorò, riprendendo la marcia: palazzo, palazzo con tante finestre, un garage…
Sorrise, vedendo poi la macchia di verde davanti a sé; aumentò il ritmo finché non raggiunse il piccolo giardinetto pubblico, attraversò velocemente la strada, osservando alcuni genitori portare via i bambini: sicuramente era vicino alla scuola dove dovevano effettuare la consegna: «Vuoi trasformarti? Non pensi di dover aspettare gli altri?» gli domandò Wayzz, mentre lui si accucciava fra alcuni cespugli: «Non penso che…»
«Sono più che certo che gli altri abbiano già appreso la notizia.» dichiarò sicuro il giovane, poggiando l’indice sulla testolina del kwami: «Tranquillo, non ho in mente di fare un attacco suicida: primo, non voglio ancora morire; secondo, non voglio lasciare Lila sola e terzo…beh, penso che se lo facessi, poi Lila troverebbe il modo di riportarmi in vita e uccidermi lei stessa.»
Wayzz annuì, socchiudendo gli occhietti: «Hai ragione.»
«Bene. E ora, Wayzz. Trasformami!»


Chat Noir saltò da un tetto all’altro, seguito a ruota da Peacock: «Ehi!» esclamò quest’ultimo, raggiungendolo: «Secondo te, perché tuo padre non è venuto con noi?»
«Ha detto che aveva qualcosa da fare.» dichiarò Chat, allungando il bastone e usandolo come passatoia dall’edificio su cui erano a quello dalla parte opposta della strada: «Ti hanno chiamato?» domandò, mentre come un equilibrista camminava sulla stretta superficie della sua arma.
Peacock scosse il capo, imitandolo e balzando sul tetto, quando fu abbastanza vicino: «No. Nessuno.»
Chat Noir sospirò, osservando la Tour Eiffel non molto distante e poi il compagno: «Noi siamo…noi siamo…dove accidenti siamo noi?» sbuffò, mentre Peacock si avvicinava al bordo del tetto e osservava sotto di sé: «Vedono niente i tuoi occhi da pennuto?»
«Mh. Lì c’è Starbucks.» dichiarò il moro, ridacchiando: «Lila ci ha plagiati, ormai. Comunque quella su cui siamo mi sembra una chiesa. No, ok. E’ una chiesa.» continuò, pestando un piede sul tetto: «Non è che vengo molto spesso da questa parte di Parigi, sai?»
«Nemmeno io.» bofonchiò Chat, sobbalzando leggermente quando il suo bastone si mise a squillare: «E’ Torty!» esclamò, azionandolo e rispondendo alla chiamata del compagno: «Ehi, amico! Dove sei?»
«Al Trocadéro.» rispose prontamente il Portatore della Tartaruga: «E devo dire che dall’altra parte della Senna c’è una bella festa. Vi unite?»
Chat armeggiò con le app del suo bastone, annuendo dopo aver visto la posizione del compagno: «Arriviamo subito, amico. Pronto a far conquiste fra guerrieri neri? Fra te, il pennuto e me faremo strage di cuori.»
Tortoise ridacchiò, scuotendo il capo: «Penso siano più interessati alle nostre dame.»
«Chiamali scemi.» sentenziò Chat, mentre Peacock sogghignava: «Ok, stiamo arrivando. Non fare pazzie.»
«Sono qui buono buono in vostra attesa.»
«Purffetto!» esclamò giulivo il felino, chiudendo la chiamata: «E’ al…» iniziò, venendo interrotto da un secondo squillo: «Che c’è?» domandò leggermente alterato, pensando che fosse nuovamente Tortoise, ma rimase a bocca aperta osservando il volto sorridente di Ladybug dall’altro lato.
«Mh. Siamo nervosetti, gattino? Sei forse nel tuo periodo del mese?»
«Ah. Ah. Molto divertente, my lady.»
Ladybug sorrise lieve, diventando poi seria: «Dove sei?»
«Sono con Peacock, sto raggiungendo Tortoise al Trocadéro.»
«Ok. Allora ci vediamo là.»


Tortoise osservò i due gruppi di eroi arrivare quasi in contemporanea: Ladybug, Volpina e Bee atterrarono vicino a lui, pochi secondi prima di Chat Noir e Peacock: «Sei stato veloce, Tortoise.» mormorò Volpina, affiancandolo e posandogli una mano sul braccio: «Come…»
«Ero con Mercier in zona.» le spiegò, sorridendole leggermente e chinandosi per baciarla.
«Oh. Anche voi?» sbuffò Peacock, alzando gli occhi al cielo: «Non bastavano quei due che facevano i piccioncini?» domandò, indicando Chat Noir e Ladybug che, appena visti, si erano scagliati l’uno fra le braccia dell’altra.
Bee ridacchiò, puntando l’indice destro contro la guancia del ragazzo: «Lasciali in pace.» dichiarò, iniziando a pungolarlo sulla guancia e vedendolo sbuffare.
«Sei noiosa.» borbottò Peacock, agitando una mano e allontanando quella di Bee che, con una risata, riprese la sua tortura: «Ehi, boss. Prima che faccia fuori Bee, hai qualche piano?»
Ladybug si voltò verso la Tour Eiffel, osservando i guerrieri neri che, come un immenso sciame di formiche, avevano occupato la zona: «Sicuramente Coeur Noir è sulla torre.» mormorò, scuotendo il capo: «Non possiamo affrontare tutti quei guerrieri neri…»
«Più che altro, dovresti occupartene tu da sola, LB. Come li feriamo, si moltiplicano…»
«E se vi dicessi che conosco il modo di impedire ciò?» domandò loro la voce di Fu: i sei eroi si voltarono, osservando l’anziano camminare tranquillo verso di loro: «Sono in Gran Guardiano, no? E anche se non ho un kwami, ho qualche carta vincente nella mia mano.»
«Che cosa intende, mister Miyagi?»
Fu sorrise, spostando lo sguardo sui sei ragazzi: «Penso che sappiate che questo è l’ultimo scontro con Coeur Noir, no? Un intero esercito di guerrieri neri, lei che li comanda in prima persona…» si fermò, socchiudendo le palpebre: «Siamo all’ultimo atto di questa battaglia ed io non potevo rimanermene al sicuro, lasciando voi a combattere. Quindi eccomi qua, con una potente magia cinese che impedirà ai guerrieri di moltiplicarsi e permetterà a voi di combatterli ad armi pari, permettendo così a Ladybug di concentrarsi su Chiyou.»
«Potente magia cinese?»
«E’ complicato spiegarla e non ho nemmeno voglia.»
«Grazie, maestro Fu.» mormorò Ladybug, sorridendo all’anziano e voltandosi verso la Tour Eiffel: «Avete sentito il maestro, no? Questo è l’ultimo scontro che abbiamo con Coeur Noir…»
«Sarà una missione suicida.» sentenziò Peacock, voltandosi verso i guerrieri neri e scuotendo il capo: «Anche con il trucchetto del maestro Fu sono dieci, venti volte più di noi…»
«Però siamo anche gli unici che possiamo farlo.» mormorò Bee, sorridendo al compagno: «Siamo gli unici che possono combatterli.»
«Portatori di Miraculous.» bisbigliò Volpina, chinando la testa e sorridendo lieve: «Gli unici con la forza di ergersi a protezione degli altri.»
«Siamo stati scelti dal Maestro.» aggiunse Tortoise, abbassandosi il cappuccio del costume e sorridendo agli altri: «Dimostriamo che la sua scelta è stata giusta.»
«D’accordo. D’accordo.» sbuffò Peacock, alzando le mani a mo’ di scudo, ridacchiando: «E poi ho già visto questa scena.»
«Come l’hai già vista?»
«Con il mio potere di visione. Alle volte lo usavo e…beh, vedevo questo.»
«Hai capito il pennuto che usava il potere per fatti suoi?» esclamò allegro Chat, mostrando un ghigno sicuro agli altri: «Beh, facciamo vedere a Chiyou come sono i Portatori di quest’epoca.»
Ladybug fece scivolare lo sguardo addosso a ognuno dei suoi compagni, annuendo con la testa: «Andiamo!»

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Capitolo 46
*** Capitolo 46 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.995 (Fidipù)
Note: Ed eccoci all'ultima battaglia fra i nostri eroi e Coeur Noir. Sinceramente spero vi piaccia, come vi è piaciuta la storia: lo dico e lo ripeto, sono negata nelle battaglie e, in special modo, in quelle finali.
E comunque ci siamo, siamo quasi alla fine...
Spero che vi piacciano anche le guest star di questo capitolo.
Per concludere, voglio ringraziare tutti voi che commentate, leggete in silenzio e inserite questa storia in una delle vostre liste.
Grazie infinite!



Ladybug osservò l’esercito che li attendeva dall’altra parte del Pont d’Iéna: i guerrieri neri si erano ammassati all’entrata, irrompendo nella struttura, e la ragazza fu certa che lo scontro sarebbe iniziato molto prima che loro sei arrivassero dall’altro lato della Senna; allungò una mano, afferrando quella di Chat e stringendola forte: «Andrà tutto bene, Ladybug.» le mormorò il ragazzo, ricambiando la stretta: «E in ogni caso, non ho niente di cui pentirmi.» La ragazza si voltò verso il suo compagno, osservando lo sguardo verde sicuro e pronto: «Qualsiasi cosa accada, sono contento di averti incontrata.»
«Ehi.» sbottò Volpina, voltandosi verso di loro e fissandoli: «Niente discorsi tristi: faremo tanta bua a quei simpatici esserini là, la faremo anche a Coeur Noir e quando la giornata sarà finita saremo tutti da Starbucks.»
«Qualcuno mi salvi da Starbucks.» dichiarò esasperato Peacock, alzando il viso verso il cielo: «E dalla tua fissa per il caffè.»
«Problemi, piumino?»
«Ho una lunga lista dei miei problemi con la tua fissa per il caffè…»
«Io direi di andare.» mormorò Bee, posando una mano sulla spalla di Peacock e sorridendogli: «Prima cominciamo questa cosa, prima finirà, no?»
Ladybug annuì con la testa, stringendo un poco la mano di Chat e lasciandola andare: si voltò verso il Trocadéro, ove avevano lasciato il maestro Fu e pregò che la sua magia – non sapeva davvero come altro definire ciò – funzionasse: «Andiamo.»


Gabriel aprì la pesante porta di metallo, osservando quel luogo così familiare: l’enorme rosone che illuminava l’interno della cupola, la stanza spoglia e piena di polvere: «Perché siamo di nuovo qui?» domandò Nooroo, volando all’interno della stanza e facendo alzare uno sciame di farfalle candide, mentre l’uomo richiudeva dietro di sé l’uscio, sigillando la stanza.
«Sinceramente io non sono un grande combattente.» dichiarò Gabriel, aggiustandosi la cravatta e abbozzando un sorriso: «Inizio ad avere una certa età, ma c’è una cosa che posso fare…Nooroo, trasformarmi.»


Camminavano fianco a fianco, quasi sincronizzati nei movimenti, lo sguardo fisso e battagliero sui loro avversari: un passo dietro l’altro si stavano avvicinando alla metà del ponte e, presto, sarebbe iniziato lo scontro. Chat mise mano al suo bastone roteandolo e tenendo poi in verticale, con la mano sinistra; Ladybug iniziò a giocherellare con lo yo-yo, lanciandolo verso il basso e tirandolo nuovamente su, al fianco della ragazza, Volpina, teneva pronto il suo flauto mentre Tortoise si stava assicurando il suo scudo al polso sinistro; Bee aveva tirato su le braccia, caricando i suoi bracciali con i pungiglioni e, infine, Peacock aveva messo mano ai suoi ventagli.
Pronti alla battaglia.
«Si stanno avvicinando.» commentò Tortoise, osservando i guerrieri avanzare sul ponte: un piccolo drappello, quasi in avanscoperta, era giunto fino alla metà della strada: «Non ci arriviamo dall’altra parte senza combattere.»
«L’avevamo messo in conto, Torty.» dichiarò Chat, facendo l’occhiolino al compagno: «Che ne dici di aprire le danze, eh amico?»
Tortoise sorrise, facendo un passo indietro e, afferrato lo scudo come se fosse stato un discobolo, lo lanciò verso i soldati di Chiyou: «Fa che la magia di Fu funzioni. Fa che la magia di Fu funzioni.» mormorò, tirandosi su e osservando i guerrieri colpiti dal disco dividersi letteralmente in due e svanire in una nuvola di fumo.
Esattamente come quando Ladybug li purificava.
«Ok.» sentenziò l’eroe verde, afferrando la sua arma che, come un boomerang, era tornata dal possessore: «Direi che il maestro sta facendo un ottimo lavoro.»
Chat annuì, roteando l’arma e sorridendo: «Bene, direi che è giunto il momento di fargli vedere contro chi si sono messi.»


Farfalle bianche volavano per tutta Parigi, posandosi qua e là, entrando in oggetti che appartenevano a qualcuno; Papillon era fermo al centro del suo vecchio covo, avvertendo le connessioni che si moltiplicavano e, quando anche l’ultimo insetto candido fu assimilato, aprì le palpebre: «Io sono Papillon…»


Bee colpì con un pungiglione un guerriero, allungando poi il braccio destro e sparando il secondo colpo; alzò nuovamente le braccia, ricaricando le sue armi e inspirando profondamente, iniziando a sparare un colpo dietro l’altro e avanzando lungo il ponte: «Sono in troppi.» sentenziò, voltandosi verso Peacock che stava prendendo a ingaggiando un corpo a corpo con due guerrieri.
Il giovane assestò un colpo e, aperto un ventaglio, tagliò il collo dell’avversario: «Prova a dirglielo.» dichiarò, assestando un calcio e spedendo uno degli avversari contro altri tre: «Ma penso che abbiano fatto della superiorità numerica il loro vanto.»
«Dietro di te.» dichiarò Bee, alzando un braccio e sparando un colpo, mentre Peacock si abbassava e girava su se stesso, osservando il nemico cadere a terra e diventare fumo.
«A buon rendere.» sentenziò, osservando Volpina e Ladybug combattere poco distanti da lui: «Immagino che i nostri poteri speciali siano off limits, eh boss?»
«Sì.» sbuffò Ladybug, avvolgendo il cavo del suo yo-yo contro un guerriero nero e sbattendolo a terra: «Direi che non vanno proprio usati per ora.»
Chat ringhiò, usando il bastone come spada e disarmando uno dei guerrieri neri, colpendolo poi e spedendolo contro la balaustra di pietra del ponte, finendolo con un secondo colpo: «Vi rendete conto che non siamo ancora a metà del ponte?»
«Quando arriveremo da Chiyou saremo stanchi.» dichiarò Tortoise, posizionando lo scudo davanti a sé e iniziando a correre verso i guerrieri neri, travolgendone alcuni: «Ma penso sia la sua idea.»
«Questo è sleale.»
Tortoise sorrise, abbassando lo scudo e sorridendo: «Pensi che gli interessi?» domandò, indicando la Tour Eiffel e lanciando nuovamente il suo scudo come se fosse un fresbee: «Dobbiamo aprirci un varco o farlo per almeno uno di noi; oltretutto non penso che il maestro Fu possa reggere l’incantesimo per molto tempo…»
Lo sguardo di tutti si posò su Ladybug: «Non ci pensate nemmeno.» dichiarò la ragazza, assestando l’ennesimo colpo mortale a uno dei guerrieri: «Quella era la Ladybug prima di me.»
«Beh, my lady, non è detto che tu…»
«Ci apriremo un varco tutti assieme, perché io non potrò mai sconfiggerlo da sola: siamo una squadra e come tale ci comporteremo.»
«Il boss ha parlato.» sentenziò Peacock, muovendo le braccia come se si stesse riscaldando: «Ehi, simpaticoni, l’avete sentita, no? Dobbiamo aprirci un varco.»
Volpina, rimasta in silenzio fino a quel momento, sorrise e si portò il flauto alle labbra: «Squadra, eh?» mormorò, suonando poi alcune note e creando numerose copie di se stessa e dei suoi compagni: «Quindi direi che è il caso che ci affrontiate tutti quanti.» dichiarò, mandando in avanti il suo esercito personale e, usando il flauto come un bastone da combattimento, iniziò a colpire alcuni guerrieri vicini a lei.
Bee prese la mira, colpendo i nemici alle spalle di Tortoise, mentre questi ruotava su se stesso e lanciava per l’ennesima volta lo scudo, facendo danni sulla linea nemica; Chat Noir allungò il suo bastone e, iniziandolo a muovere da sinistra verso destra, spazzò via alcuni nemici: «Continuano a essere troppi, però.»


Fu socchiuse le palpebre, osservando i suoi pupilli – così colorati che risaltavano nel mare nero di guerrieri neri. A parte Chat Noir, ma si riconosceva benissimo per la capigliatura bionda – e sospirò: erano avanzati di poco e l’incantesimo che aveva lanciato assorbiva inesorabile le sue forze vitali.
Mi va bene. Se devo morire per permettere loro di sconfiggere Coeur Noir…lo farò volentieri.
E’ il prezzo per i miei errori.

«Sapevo che dovevo venire qua, dalla tua prima telefonata.» dichiarò una voce roca, facendolo voltare, incontrando la figura di Fa: era in piedi, a pochi passi da lui, il volto e il corpo avevano ceduto allo scorrere del tempo, ma nei suoi occhi vedeva lo stesso fuoco di quando era giovane.
A bocca aperta la osservò sedersi accanto a lui e posizionare le mani nel suo stesso modo: «E’ quello che ci insegnò Liu?»
«Sì.»
«Bene.» dichiarò la donna, socchiudendo gli occhi e Fu sentì la morsa dell’incantesimo farsi più lieve in lui.
«Grazie.»
«Non è stato un errore solo tuo. Anche io devo accollarmi questo peso.»


Peacock colpì un guerriero nero con il gomito, osservandolo cadere e poi si avventò su di lui, tagliandogli la gola: uno in meno.
Si voltò, sentendo la gioia per l’ennesima sconfitta svanire subito: per quanti ne sconfiggevano, altrettanti tornavano alla carica.
Fece vagare lo sguardo, trovando Bee in piedi poco distante, che guardava sconsolata la fiumana di guerrieri; dietro di lei, a pochi metri di distanza, Volpina stava proteggendo Tortoise, che si teneva una mano sulla fronte e respirava faticosamente. Peacock storse la bocca, sentendo un’imprecazione salirgli in gola, si voltò verso l’altra coppia, trovando Ladybug impegnata in uno scontro con due guerrieri neri, mentre Chat stava duellando con un altro: «Chat!» esclamò Peacock, osservando un nemico avvicinarsi cauto da dietro.
Il felino si voltò, non abbastanza in tempo per evitare l’affondo e venendo colpito di striscio: «Chat!» esclamò Ladybug, annientando subito i due contro cui stava lottando e avvicinandosi al compagno, posandogli una mano sulla guancia ferita e alzando lo sguardo verso i nuovi nemici che stavano sopraggiungendo: «Sono troppi…»
«Dobbiamo sconfiggerli.» dichiarò Chat Noir, alzandosi e osservando anche lui la nuova ondata: «Dobbiamo…» si fermò, notando delle sfere…anzi no, bolle… volare verso i nemici e intrappolarli, per poi salire verso l’alto: «Ma che cosa…?»
«Bubbler è qui!» esclamò una voce conosciuta, mentre la vecchia forma akumatizzata di Nino atterrava sulla balaustra di pietra, al fianco di Chat: colorato e con la fida arma sulla spalla, il vecchio nemico di Chat e Ladybug sorrise loro.
«E anche Lady Wifi!» esclamò la voce di Alya, facendo voltare i due verso la parte opposta, trovando la ragazza akumatizzata che lanciava simboli di stop verso alcuni guerrieri, fermando così la loro avanzata.
«Cosa sta succedendo?» domandò Volpina, osservando un golem di pietra correre lungo il ponte con al seguito uno slime rosa e un…mimo.
«Coeur de pierre. Horrificator. Le mime.» mormorò Ladybug, portandosi una mano alla bocca e osservando gli ex-nemici di lei e di Chat combattere al loro fianco; una risata acuta le fece alzare la testa e trovò Climatika che puntava il suo ombrello verso l’esercito scuro, creando ghiaccioli con il nemico all’interno.
«Climatika.» borbottò Chat, sbattendo le palpebre incredulo: «E quello è Dislocoeur!» esclamò, indicando la versione akumatizzata di Kim, che scagliava un dardo dietro l’altro.
«Ehi!» urlò Peacock, indicando uno Chat Noir che stava combattendo vicino a lui: «Perché ce un altro gattaccio? Non ne bastava uno solo?»
«L’Imposteur.» bisbigliò Ladybug, osservando attonita mentre accanto alla copia di Chat, la versione akumatizzata di Chloe stava annientando un altro guerriero nero: «Antibug? E…ehi, cosa…?»
«Penso che quello stia combattendo contro Invisible.» dichiarò Chat Noir, sorridendo alla vista del guerriero, che osservava la sua spada muoversi a mezz’aria: «E lì c’è Rogercop con Animan e Jackady. E quell’affare piramidale…beh, penso sia Gamer.»
Ladybug annuì, osservando Chronogirl combattere poco lontano assieme a Pharaoh, Princesse Fragance e Dessinateur: «Qualcuno mi può spiegare cosa sta succedendo lì?» domandò Bee, indicando un punto davanti a sé.
Numéric sorrise al gruppo di guerrieri neri, portandosi la mano all’obiettivo e sorridendo: «Guardate l’obiettivo.» dichiarò, scattando poi una foto e facendo scomparire il nemico, marciando poi tranquillo con al seguito un cavaliere in armatura nera e una bambina che, volando a mezz’aria, agitava la sua bacchetta.
«Quelli sono Numéric, Chavalier Noir e Marionettiste.» spiegò Ladybug, scuotendo il capo: «Non capisco. Sono tutte persone che erano state akumatizzate da Papillon e contro cui noi abbiamo combattuto…»
«Pure contro quello?» domandò Peacock, osservando Mr. Pigeon muoversi sconclusionato sulla balaustra, agitando il sedere e facendo versi strani: «Vi prego, ditemi che quello non è stato un supercattivo di Parigi…»
«Mr. Pigeon. Disagiante come sempre.» sentenziò Chat, scuotendo il capo: «Pennuto, quello è stato uno dei più difficili da battere.»
Un ruggito si levò nell’aria e un drago sorvolò la zona sopra il ponte, atterrando dalla parte opposta della Senna e iniziando a fare razzia dei guerrieri neri: «Guitar Villain!» esclamò Ladybug, osservando i loro ex-nemici: «Ma come…?»
«Sono stato io.» dichiarò Papillon, camminando tranquillo nella loro direzione e sorridendo al gruppetto: «Ho usato il mio potere per creare un esercito di campioni e usarlo contro l’esercito di Coeur Noir…»
«Ma come…?»
Papillon sorrise, posando una mano sulla spalla del figlio e osservando il gruppetto: «Andate a sconfiggere Coeur Noir. Qui ci pensiamo noi.»
I sei ragazzi annuirono, iniziando a correre verso la torre, ove Coeur Noir li attendeva, superando facilmente la zona occupata dall’esercito nemico: i guerrieri erano tenuti sotto controllo dai loro ex-nemici, permettendo loro di raggiungere facilmente l’altra parte della Senna e fermandosi, osservando la donna in nero ferma ai piedi della torre: «E così ce l’avete fatta…» mormorò, sorridendo loro: «Mi dispiace che sarete sconfitti da me.»
«Peacock. Il tuo potere.» dichiarò Ladybug, osservando Coeur Noir agitare le braccia e creare volute di fumo nero: «Ora!» urlò, mentre la nemica lanciava verso di loro frusta fatta di vapore scuro, facendoli balzare in ogni direzione.
Peacock annuì, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente: Dammi un indizio, qualsiasi.
Tortoise si posizionò davanti l’amico, parando le varie frustate con lo scudo, mentre Volpina suonò alcune note, creando una pozza di sabbie mobili ai piedi di Coeur Noir: «Pensi che le tue illusioni mi facciano effetto?» domandò la nemica, sferzando una voluta verso la ragazza in arancio e gettandola indietro.
«Volpina!»
«Sto bene! Pensa a difendere Peacock!»
Bee sparò alcuni colpi, puntando all’elmo nero che la donna teneva in testa: «Questo è per Alex!» esclamò, caricando l’ultimo colpo e lo sparò, colpendo la parte centrale del copricapo frantumandolo in mille pezzi.
Il cuore. Purificato.
Cuore? Purificato?
Solo il potere della creazione può farcela…
Potere della creazione. Purificare.
Ladybug! Lei aveva il potere della creazione e purificare…
Il suo yo-yo.

Peacock riaprì gli occhi, osservando la coccinella: «Ladybug! Devi purificare il cuore di Coeur Noir.» urlò, osservando poi Tortoise davanti a lui, che lo difendeva dagli attacchi nemici: «Ehi! Ragazzi! Dobbiamo permettere a Ladybug di purificarla. Boss, usa il Lucky Charm: un aiuto in più non fa mai male!»
Chat Noir annuì, azionando il suo potere e lo stesso fecero Volpina, Tortoise e Bee, mentre Ladybug invocava il Lucky Charm: «Ma cosa…?» mormorò la ragazza, ritrovandosi fra le mani uno specchio dall’aria antica.
«Mi spiegate che problemi hanno questi con gli specchi?» sbuffò Chat, scuotendo il capo e alzando gli occhi al cielo: «Cattivi, chi li capisce è bravo.»
 Ladybug osservò il monile, facendo scorrere le dita guantate di rosso sui simboli nel retro e trovandoli così simili a quelli che erano incisi sulla scatola che aveva contenuto il suo Miraculous: aveva capito come fare, come sconfiggere una volta per tutte Chiyou. «Bee! Volpina!» esclamò, voltandosi verso le due ragazze che annuirono al richiamo: «Fruste di energia e fuoco fatuo a volontà! Tortoise!»
«Agli ordini!»
«Come per Mogui, imprigionala in una delle tue barriere.»
«Peacock!»
«Sì, boss!»
Ladybug sorrise all’appellativo e si avvicinò al compagno: «Tu occupati di questo e usalo quando…beh, te ne accorgerai.» Peacock si rigirò lo specchio fra le mani, notando anche lui il simbolo e annuendo con la testa: «Chat!»
«Sì, my lady!»
La ragazza sorrise alla risposta immediata del compagno, avvicinandosi e posandogli la fronte contro il petto, sentendolo trattenere il respiro: «Qualsiasi cosa accada…» mormorò, alzando la testa e incontrando lo sguardo verde: «Io ti amo e sempre ti amerò. Distruggi quello specchio, quando tutto sarà finito.»
«My lady…»
«Fallo.»
«D’accordo.»
Ladybug annuì, roteando il suo yo-yo, voltandosi verso Coeur Noir e sorridendo: «Sei pronta al nostro ultimo scontro?»
«Ho già vinto contro una Portatrice del tuo Miraculous, ragazzina. Vincerò anche contro di te.»
«Ma io non sono sola.» dichiarò Ladybug, facendo un cenno verso Bee e Volpina: la prima evocò l’energia, trasformandola nelle sue mani e facendola diventare una frusta, dette alcuni colpi per terra, lanciandola poi contro Coeur Noir che, senza voltarsi, l’afferrò e ridacchiò; Volpina evocò fiammelle di fuoco fatuo attorno a sé, mentre Tortoise creava una barriera attorno alla donna che, allungando la mano libera davanti a sé, iniziò a contrastare il potere della tartaruga.
Volpina lanciò il suo fuoco fatuo, colpendo Coeur Noir agli occhi e questa dovette lasciar andare la frusta di energia di Bee, che svanì nell’aria, mentre Tortoise cercava di sopraffare la nemica: «Ora basta!» esclamò la donna, usando il suo potere e distruggendo la barriera e osservando i tre affannata: «Voi non mi sconfiggerete.»
«Lo credi tu.» dichiarò Ladybug, correndo verso di lei e aprendo il suo yo-yo, posandolo all’altezza del cuore di Coeur e rovinando con lei a terra: la donna si ribellava, mentre ogni energia della ragazza era confluita nel tenere la sua arma sopra il punto che Peacock le aveva indicato.
Coeur Noir urlò, gettando la testa all’indietro, mentre qualcosa di nero e fumoso usciva dal suo corpo: «Peacock ora!» urlò Ladybug, continuando a tenere ferma la sua arma e osservando inorridita Chiyou uscire dal corpo di Willhelmina – Bridgette – Hart.
Mi impossesserò di te e con il tuo Miraculous nessuno potrà fermarmi.
Ladybug osservò la nuvola fluttuare a mezz’aria, poi, gettarsi contro di lei ma qualcosa si frappose: lo specchio, pensò la ragazza osservando la superficie rotonda da vicina e le mani guantate di blu che lo tenevano saldo, mentre Chiyou vi finiva all’interno: «Chat!» gridò la ragazza, una volta che la nuvola nera fu scomparsa contro la superficie riflettente.
Peacock gettò lo specchio con Chiyou distante da loro e l’eroe nero li raggiunse subito, posando la mano con il potere della distruzione sullo specchio e osservandolo andare in mille frantumi: volute di fumo scuro e il potere miracoloso del Lucky charm di levarono nell’aria e, dopo una breve lotta, le prime vennero inglobate nelle seconde e queste volarono per tutta Parigi, riportando tutto alla normalità.
L’esercito scuro era scomparso, i campioni invocati da Papillon erano ritornati normali…
«E’ finita?» mormorò Bee, avvicinandosi ai tre assieme a Tortoise e Volpina, osservando la magia della coccinella volare verso l’alto e scomparire come un fuoco d’artificio.
Ladybug sorrise a Chat Noir che, galantemente, l’aiutò a rialzarsi dal corpo svenuto della donna che era stata Coeur Noir: «Sì. Direi di sì.»

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Capitolo 47
*** Capitolo 47 ***


Titolo: Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico, sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.143 (Fidipù)
Note: Ci vediamo a fine capitolo!


«E poi mi sono ritrovata su Pont d’Iéna e c’erano tantissime persone, tutte confuse come me.» Alya si fermò, riprendo fiato dopo aver narrato le vicende del giorno prima alle tre ragazza che, religiosamente in silenzio, avevano ascoltato tutto: «Ed erano tutte ex-vittime di Papillon. Come me!»
«Che cosa strana…» mormorò Lila, incrociando le braccia e scuotendo la testa, facendo ondeggiare la lunga chioma castana: «Beh, io ero a casa mia però dal notiziario ho saputo che l’esercito di ex-akumatizzati ha aiutato a sconfiggere Coeur Noir.»
«Se sapevo che Parigi era così pericolosa, sarei rimasta a New York…» dichiarò Sarah, sorridendo ad Alya e posandole una mano su quelle della compagna di banco: «Beh, da quel che ho visto dal telegiornale dovresti considerarti un’eroina.»
«Di che state parlando, ragazze?» domandò Adrien, comparendo alle spalle di Marinette e chinandosi per baciarle il capo corvino: «Sembra un argomento interessante.»
«Del fatto che Alya – o meglio, la sua vecchia forma akumatizzata – ha aiutato gli eroi di Parigi a salvare la città e sconfiggere Coeur Noir.» spiegò velocemente Marinette, sorridendo al ragazzo e osservandolo scivolare nel posto accanto a sé: «Tu hai visto i filmati in televisione?»
«Mh. Sì. Ho controllato l’edizione straordinaria mentre ero alla fondazione Vuitton. Hanno anche interrotto le sfilate per questo e non sappiamo se le riprenderanno oppure no…»
«Ah, ecco perché il signorino è a scuola, oggi.» sentenziò Lila, sorridendolo: «Proprio uno studente diligente, eh?»
«Volevo vedere Marinette.» dichiarò il biondo, abbozzando un sorriso e guardando la ragazza seduta accanto a lui: «E anche il pennuto è a scuola.»
«Ci dovrebbe interessare?»
«A te no, volpe.» bofonchiò Adrien, scuotendo il capo e fissando Sarah: «Ma forse…»
«Oh! C’è Nino!» esclamò Alya, balzando in piedi e interrompendo il modello: «Nino, Nino!»
I quattro la osservarono scivolare via dal suo posto e raggiungere il ragazzo, iniziando a parlottare con lui: «Ah, stamattina ha chiamato il maestro Fu.» dichiarò Adrien, calamitando su di sé l’attenzione delle tre ragazze: «Lei si è svegliata.»
«Vogliamo veramente incontrarla?»
«Sarah, era posseduta.»
«Lo so, però…»
«Vediamo come va, ok?» propose Marinette, sorridendo all’americana: «Andiamo, la incontriamo e…»
«E seguiamo il flusso, my lady.»


Quanto tempo era che non vedeva il suo riflesso?
Willhelmina osservò la faccia che lo specchio le rimandava: nessun sorriso sardonico piegava le labbra del suo riflesso, l’altra se stessa non aveva nessuna vitalità, ma seguiva fedelmente i suoi movimenti.
«Pensavo che con la tua esperienza, avresti avuto paura di ogni specchio.» mormorò Fu, entrando nella piccola camera: «Pranzo.» esclamò, alzando il vassoio che teneva fra le mani e posandolo sul tavolo basso che era al centro.
Willhelmina annuì, piegando le labbra in un lieve sorriso e accomodandosi: «Ho sentito della confusione prima…» mormorò, afferrando la scodella e assaporando il profumo del brodo; allungò una mano, spezzando la pagnotta che accompagnava il pasto e portandosi alle labbra un piccolo boccone di mollica.
«Gli idioti sono arrivati.» sentenziò Fu, scuotendo il capo e alzando gli occhi al cielo.
«Gli idioti?»
«Quei sei.» spiegò immediatamente l’uomo, scuotendo il capo: «I Portatori.»
«Non dovrebbero essere i tuoi prescelti?» domandò la donna, portandosi alle labbra la scodella e bevendo una piccola sorsata di brodo: «Mh. Ricorda quello che bevevo a Nanchino.»
«Ricetta cinese.» dichiarò orgoglioso Fu, battendosi il pugno sull’addome: «Anche se non ci sono più gli ingredienti di una volta…»
Willhelmina annuì, posando la tazza e osservando il liquido ondeggiare all’interno: «Io non ci sono più tornata. Dopo aver assorbito Chiyou, sono salita su una delle navi inglesi e sono tornata in patria, da lì sono andata in America…» si fermò, scuotendo il capo: «Ho cambiato nome così tante volte, che adesso non riesco più a considerare Bridgette mio; forse avevi ragione quel giorno in cui volevo intimorirti: Bridgette è morta quella notte.»
«Io…»
«Io non ero pronta, quando ricevetti il Miraculous della Coccinella, quando diventai Ladybug: lo sentivo, avevo paura ogni volta che mi trasformavo, ma Tikki era così fiduciosa nelle mie possibilità che finii per…sbagliare. Tutto quanto.»
«Il maestro Liu aveva visto qualcosa in te…»
«Io penso che abbia fatto scelte dettate dall’urgenza del momento.» dichiarò Willhelmina, scuotendo il capo e sorridendo all’uomo: «Almeno per quanto riguarda me. Per te, Genbu, aveva fatto un’ottima scelta sia come Portatore di Miraculous che come suo erede; guarda il gruppo di eroi che hai messo su: hanno sconfitto Coeur Noir, hanno sconfitto Chiyou.»
«Sono bravi ragazzi, un po’ idioti alcuni, ma in gamba.»
«Sono fantastici.»
«Comunque anch’io ho fatto i miei sbagli…»
«Ti riferisci a Papillon?» domandò Willhelmina, portandosi nuovamente la scodella alle labbra: «Sai, in America esistono cose come internet e la Tv. Dove pensi che abbia avuto l’idea di iniziare ad attaccare per far uscire i Portatori?»
«Perché volevi i Miraculous?»
«All’inizio pensavo di prenderli per riportare indietro lui.» dichiarò la donna, sorridendo: «Ma poi, mentre combattevo contro di loro, mentre vedevo Ladybug…qualcosa è scattato dentro di me: non potevo assecondare ancora Chiyou e la disperazione che lo alimentava e se avessi avuto i Miraculous avrei potuto sconfiggerlo…» Fu annuì, osservandola portarsi un nuovo boccone di pane alla bocca: «Ma quando Mogui è stato sconfitto, non so…per un attimo ho allentato la guardia e Chiyou mi ha posseduta completamente.»
«Mogui. Perché Alex?»
«Perché ho messo in lui un pezzo di cristallo?» domandò Willhelmina, scuotendo il capo e sorridendo: «Ero a New York e stavo andando in un locale per un’intervista, quando mi passò accanto questo ragazzino e parlava al telefono, attirò la mia attenzione quando disse di essere il braccio destro di Bee…»
«E allora hai messo il tuo cristallo sperando che ti portasse dalla Portatrice.»
«Esattamente. E l’ha fatto, un po’ ritardo magari, ma l’ha fatto.»
Fu annuì, inspirando profondamente e buttando fuori l’aria: «Avete sentito tutto?» urlò, voltandosi verso la porta e vedendola aprirsi, mentre sei teste facevano capolino con altrettanti kwami al seguito: «Ti presento i tuoi avversari.» dichiarò Fu, alzandosi in piedi e osservando il gruppetto entrare nella stanza: «Adrien e Rafael penso li conosci già; Marinette uguale, poi qui abbiamo Lila, Sarah e Wei.»
Willhelmina si alzò, spazzolandosi le briciole dall’abito scuro che indossava e osservando i ragazzi, annuendo con la testa: «Tikki…» mormorò, osservando la kwami rossa superare tutti e farsi strada verso di lei.
«Bridgette.» mormorò la piccola, abbassando lo sguardo e inspirando profondamente: «Io…»
Willhelmina fece un passo, allungando una mano verso l’esserino e carezzandolo gentilmente: «Sei stata un’amica preziosa in quei giorni lontani.»
«Se io mi fossi accorta…» bisbigliò Tikki, scuotendo la testolina: «Io…»
«Ciò che è successo è stata una mia colpa esclusiva: non avevo la forza di affrontare tutto ciò che essere Ladybug portava e poi…la solitudine, il dolore di essere costantemente respinta dal sergente Norton: né tu e né il piccolo Fu potevate farci niente.»
«Piccolo Fu?» esclamò Adrien, punzecchiando il maestro con un gomito e ridacchiando: «Penso che questo nomignolo mi piaccia. Sì, lo preferisco a mister Miyagi.»
«Muori.» dichiarò spiccio l’anziano, guardando male il biondo che aveva iniziato a ridacchiare, seguito a ruota da Lila e Rafael: «Morite. Tutti e tre.»
Willhelmina li ignorò, sorridendo alla piccola Tikki e facendo poi vagare lo sguardo, soffermandosi su Marinette: «Fu ha fatto un’ottima scelta, assegnandoti il Miraculous della Coccinella.» dichiarò, osservando la ragazza arrossire leggermente e poi cercare con lo sguardo il figlio di Gabriel Agreste: «Hai la forza e il coraggio che io non avevo e un compagno che ti supporta, invece che distrarti dalla tua missione.»
«Io veramente ci provo a distrarla, è lei che non mi da udienza.» dichiarò Adrien, facendole l’occhiolino e rimediando una gomitata da Marinette: «My lady, non mi piace farlo violento, lo sai.»
«Argh.» sbuffò Marinette, le guance ormai rosse e lo sguardo celeste sconvolto rivolto verso il biondo.
Willhelmina ridacchiò, avvicinandosi alla coppia e stringendo Marinette in un abbraccio, voltandosi poi verso il ragazzo: «Adriennuccio! Non trattarmela male o ti scateno contro…beh, il nulla dato che non ho più nessun potere.» esclamò, ridendo e poi voltandosi verso il resto del gruppo: «Sarah, giusto?»
«Sì, signora.»
«Non darmi della signora, mi fa sentire così vecchia!» dichiarò Willhelmina, scuotendo il capo e lasciando andare un po’ Marinette: «In fondo ho solo…centonovant’anni, giù di lì.»
«Se io ne ho centonovanta, tu dovresti averne un po’ di più» sbuffò Fu, facendo voltare la donna verso di lui: «Eri più grande di me, ricordi?»
«Di tre anni, per la precisione.» sentenziò Willhelmina, scuotendo il capo: «E non interrompermi, vecchio mammalucco! Sto cercando di scusarmi con Sarah per aver combattuto con lei quando ero a New York e aver usato il suo amico come una bambolina nelle mie mani. Oh, avrei potuto vestirlo…sinceramente quel look con magliette slabbrate e jeans scuciti non è che mi piacesse granché.»
Sarah la osservò, voltandosi poi verso Rafael: «E’ la stessa tipa di ieri?»
«Sì, senza più quella presenza opprimente di Chiyou.» sentenziò Willhelmina, ridendo: «So che non potrai perdonarmi dall’oggi al domani, ma ci tengo a scusarmi con te e con il tuo amico, Alex.»
«Ok.» mormorò Sarah, facendo un passo indietro e allungando una mano verso quella di Rafael che, prontamente, la strinse nella sua; Willhelmina osservò quell’azione, sorridendo: «Beh, Rafael e Adrien li ignoro. E passiamo a…Volpina, giusto?»
«Esattamente. Il mio nome è Lila.»
«Oh. Nome grazioso! Non sei francese, vero?»
«Italiana.»
«Bella l’Italia. Ci sei stato, piccolo Fu? Io sono andata Firenze per il Pitti uomo e poi a Roma e Milano per le settimane della moda. Veramente un bel paese.»
«Grazie.»
Willhelmina sorrise, voltandosi poi verso Wei: «E tu devi essere Tortoise. Tutta questa abbondanza di certo risalta. Ma cosa stanno danno da mangiare in Cina adesso? Io ricordo tipi mingherlini…»
«Bridgette…»
«Willhelmina, piccolo Fu. O Willie, al massimo.»
«Bene. Manca Papillon, che sarebbe…»
«Mio padre.»
«Ok. Papillon è Gabriel Agreste, quindi immagino benissimo perché non sia presente.» dichiarò la donna, tornando al suo posto e osservando il gruppetto e i kwami che fluttuavano vicino ai propri partner: «Ladybug. Chat Noir. Peacock. Bee. Volpina. Tortoise. Siete davvero un’ottima scelta. Fu non poteva trovare Portatori migliori di voi.»


Fa osservò il grammofono, carezzando la tromba in ottone e sentendo le chiacchiere che provenivano dalla stanza ove alloggiava lei: i Portatori, quella branca di mocciosi, avevano voluto incontrarla e adesso stavano chiacchierando amabilmente con lei.
Come potevano?
Come potevano accettarla così facilmente dopo tutto quello che aveva fatto?
La vecchiaia porta rabbia.
«Hu Die?» mormorò una voce di donna, facendo voltare Fa e incontrare lo sguardo dell’altra: rivedeva in lei la ragazza di un tempo: «Io…mh. Dalla tua espressione immagino che tu non voglia parlarmi e posso comprenderti.»
«Che cosa vuoi?»
Willhelmina si strinse nelle braccia, voltandosi indietro e osservando la porta chiusa della sua stanza: «Chiederti un favore. Ascoltavo Adrien parlare di sua madre, l’ex-Portatrice del Miraculous del Pavone, e ho avuto un’idea…»
«Quale?»
«Vorrei venire con te a Nêdong.»
«Cosa?»
«Io vorrei essere certa di non avere più niente di Chiyou dentro di me e…» si fermò, voltandosi indietro e annuendo: «E voglio fare qualcosa per quei ragazzi, se venendo a Nêdong troverò qualcosa sulla madre di Adrien sarò felice.»
«E se fosse tutto un piano per attaccare il Tempio dei Miraculous?»
«Ti autorizzo a uccidermi.» dichiarò Willhelmina, alzando la testa e fissando l’altra seria: «La mia vita è nelle tue mani da adesso, Fa.»
L’anziana la osservò, sospirando profondamente: «Non so dire di no agli sguardi decisi.» sentenziò, assottigliando lo sguardo: «Ti avviso che la vita è dura là.»
«Non mi spavento per così poco.»
«Mh.»


Sarah osservò la signora anziana seduta davanti a lei in metrò: «Se stai pensando a un modo per dirmi di scendere alla mia fermata, spiacente ma non ti ascolterò.» dichiarò Rafael, facendola voltare verso di lui e sorridere: «Davvero. Non voglio iniziare a dovermi preoccupare di sapere dove potresti essere…»
«Ehi! C’è Mikko con me!»
«Fatti guidare da Rafael, è più esperto di me riguardo a Parigi.» bofonchiò la kwami dall’interno della borsa.
«E vicino casa di Sarah c’è quella chocolaterie che…»
«Non è tanto vicino, Flaffy.» ringhiò Rafael, ricacciando il suo kwami all’interno della felpa e sorridendo alla donna dall’alto lato del vagone: «Non uscire.»
«Sei un orchetto.»
«Sì, sì.»
Sarah ridacchiò, scuotendo il capo: «Quando tornerò in America mi mancheranno molto le vostre litigate.»
«Come?»
«Stavo pensando che ora che con Coeur Noir è finita, non ha tanto senso per me rimanere qui: a New York c’è mia madre e…» la bionda si fermò, scuotendo la e voltandosi verso il ragazzo: «Anche se sono certa che…» le labbra di Rafael fermarono qualsiasi discorso, sfiorando le sue in un bacio veloce.
«Ah. Ehm…io…»
«Anche se sono certa che mia madre mi scuoierebbe viva se dovesse rifare tutta la trafila di documenti, quindi rimarrò qui.» borbottò veloce Sarah, osservando l’altro e portandosi una mano alla bocca.
«Ah. Bene.» dichiarò Rafael, guardando fisso davanti a sé e sentendo uno strano calore salire lungo dal collo e invadergli il viso.
«Rafael?»
«Mh?»
«Torniamo alla ruota panoramica domenica prossima? Solo noi.»
Rafael annuì con la testa, piegando le labbra in un sorriso e voltandosi verso la ragazza: «Sì.» dichiarò, allungando un braccio e attirandola verso di sé, sentendosi finalmente completo quando Sarah si sistemò nel suo abbraccio.


«Sì, Nooroo?» domandò Gabriel, avvertendo su di sé lo sguardo fisso del kwami; posò la matita sullo schizzo che stava disegnando e si tolse gli occhiali, massaggiandosi il setto nasale: «Hai fame?»
Il piccolo kwami scosse la testa, sorridendo: «No. Io…» si fermò, scuotendo la testa e battendo le ali: «Io sono felice; quello che hai fatto, come hai utilizzato il tuo potere…» Gabriel sorrise, allungando un dito verso l’esserino e osservandolo mentre lo toccava con la sua zampetta: «Io sono orgoglio di te, Gabriel.»
«Grazie, Nooroo.»


Lila osservò i due kwami intenti a commentare il primo film di Harry Potter, accomodandosi meglio sopra Wei: sdraiati sul divano, stavano osservando la scena degli scacchi giganti che precedeva la battaglia contro il professor Raptor: «Wayzz si sta appassionando.» mormorò, alzando la testa dal petto di Wei e osservandolo, mentre guardava lo schermo con un braccio ripiegato sotto la testa: «Dovrai comprargli i film, se continua così.»
«Oppure venire qui a vederli.»
La ragazza annuì, studiando i lineamenti del cinese e poi voltandosi verso lo schermo, vedendo Ron fare una mossa e spostare la pedina gigante su cui era aggrappato Harry: «Wei?»
«Mh?»
Lila inspirò profondamente, puntando il mento contro il petto del ragazzo e incontrando lo sguardo scuro: «Ecco…Mh. So che è presto per noi ma pensavo se tu non volevi venire a vivere qui. Con me. In due potremmo dividere le spese e…beh, noi abbiamo già tutti i film di Harry Potter e…»
Wei si chinò, baciandola e stringendola a sé: «Si può fare.»
«Davvero?»
«Sì.»
«Non è troppo presto?»
«Mio padre mi ha sempre detto che quando incontri quella giusta non è mai troppo presto.»
«Quella giusta…oh!» Lila sorrise, poggiando la testa contro il petto di Wei e tornando a osservare il film, strinse più forte l’addome del ragazzo sentendo la presa di lui farsi più forte sulle sue spalle.
Quella giusta…
Le piaceva come appellativo.


Fu osservò le due donne sulla porta di casa sua: Fa aveva una borsa capiente che teneva appesa al braccio sinistro, mentre Willhelmina un piccolo trolley: «Avrei preferito saperlo prima.» dichiarò, guardando male entrambe: «Perché andare in Tibet, poi.»
«Voglio essere sicura di me, Fu.» mormorò Willhelmina, allungando una mano e stringendo quella dell’amico: «Chiyou è subdolo e io lo conosco bene. Voglio essere certa di essere totalmente libera dal suo giogo e il Tempio è l’unico posto dove posso accertarmi di questa cosa; inoltre, ascoltando i discorsi dei ragazzi ho deciso che voglio provare a cercare la mamma di Adrien…io voglio fare qualcosa di utile.»
«Ma…»
«Sono decisa, Fu.»
«Ci starò attenta io.» dichiarò Fa, sistemandosi meglio il suo bagaglio e osservando la sua compagna di viaggio: «Dobbiamo andare, gli aerei non aspettano noi.»
«Tornerò, Fu. Te lo prometto.»
«Io sarò qui.»


Il rumore di passi le aveva fatto alzare la testa, mentre un lieve sorriso le aveva piegato le labbra: «Sbaglio o aveva detto che aveva troppi compiti da fare per passare stasera?» domandò Tikki, osservando la  ragazza posare lo stilo sul tablet e infilandosi una felpa sopra la mise da notte.
«Vado di sopra. Vieni anche tu?»
«Io rimango qui.» dichiarò la kwami, addentando il biscotto e facendole l’occhiolino.
Marinette annuì, salendo velocemente le scalette e aprendo la botola, osservando la figura di Chat Noir, che si godeva il panorama della città: «Già finito i compiti?» domandò, salendo e affiancandolo: «No, perché se vuoi ti stanno aspettando anche i miei di matematica.»
Chat ridacchiò, voltandosi verso di lei: «Veramente mi è rimasto storia dell’arte.» dichiarò, grattandosi il naso con il dito guantato e facendo vagare lo sguardo sull’imponente figura di Notre-Dame, sospirando: «E’ solo che ero lì, alla mia scrivania e…niente, mi era venuta voglia di vederti.»
«C’è qualcosa…»
«A parte il fatto che tutto è finito ed è una sensazione strana?»
«A parte quello, sì.»
«No, niente.» mormorò il ragazzo, indicando il tavolino: «Lì ci sono gli altri regali della scommessa, penso di aver contato bene ma se ne manca qualcuno dimmelo, rimedierò.» le spiegò, vedendola annuire: «Bene. Vado. Storia dell’arte mi aspetta.»
«Sicuro di non voler fare anche i miei compiti di matematica?»
«Sicurissimo.» dichiarò Chat, chinandosi e sfiorandole le labbra con le sue: «Ma domattina li ricontrollerò, ok?»
«Ok.» mormorò Marinette, allungando una mano e carezzandogli la guancia, risalendo con i polpestrelli e sfiorando i contorni della maschera: «Ti amo.»
«Anche io. E…»
«Sì, nei miei sogni porno preferisci stare sopra.» mormorò Marinette, arrossendo ma sentendosi fiera di aver detto una simile frase senza balbettare.
«Te l’ho mai detto che amo come mi leggi nella mente?»
«Qualche volta sì.»
Chat Noir si chinò, baciandola una seconda volta: «Devo andare, altrimenti passerò tutta la notte in piedi a fare quello stupido compito. A domani, Marinette.»
«A domani, Adrien.» mormorò, osservandolo mettere mano al bastone e usarlo come leva per gettarsi nel vuoto, atterrò su una macchina e, da quella, saltò sull’edificio di fronte, sparendo poi fra i tetti parigini.
Marinette sorrise, poggiandosi alla balaustra di metallo e osservando la città sotto di lei: la notte stava calando e le illuminazioni delle strade erano già accese e i monumenti della città erano rischiarati dal basso, risaltando nel cielo imbrunito; le case si stavano di nuovo popolando: bambini che tornavano dalle giornate intense di scuola e giochi, adulti che rincasavano dopo la giornata lavorativa…
Sorrise maggiormente, dandosi una lieve spinta e tornando alla botola e l’aprì, poi si voltò verso il tavolo e afferrò i regali che le aveva lasciato Adrien, facendoli cadere dentro la botola, sul materasso sottostante; scese i primi scalini, dando un’ultima occhiata ai tetti delle case che intravedeva fra le sbarre del terrazzino.
Parigi.
La sua città.
La città che avrebbe sempre protetto, assieme ai suoi compagni.


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Prima di ogni cosa, mi scuso per gli errori e gli strafalcioni che sicuramente ho lasciato qua e là nel capitolo: l'ho corretto che ero più morta che viva, quindi...beh, penso sia umanamente possibile che abbia lasciato qualcosa. Tante cose.
L'ho ricontrollato due volte, ma la sensazione di essermi dimenticata qualcosa è forte. Tanto forte.
Bene, con questo posso concludere l'avventura di Miraculous Heroes e, sinceramente, non mi sembra vero.
Mi sembra ieri quando avevo iniziato a scrivere il primo capitolo di questa storia e, adesso, ha distanza di quattro mesi e una manciata di giorni pubblico l'ultimo.
E' finita quest'avventura, ma non la storia.
Anche se un po' mi dispiace, un po' tanto perché ho finito per amare tutti i personaggi che hanno popolato questa storia e, sebbene ci sarà un seguito (sì, preparatevi, perché ci sarà Miraculous Heroes 2 a rompervi le scatole!), so che i personaggi saranno in qualche modo cambiati.
Beh, che altro posso dire? Se non ringraziare tutti voi che mi avete supportata - e sopportata - in questo lasso di tempo, facendomi ridere ed emozionare con i vostri commenti: ogni volta che qualcuno mi contattava, il mio cuore batteva velocemente e mi ritrovavo a ridere come una demente davanti lo schermo a chiedermi "Ma davvero? Ma sta dicendo sul serio? Ma gli piace così tanto?", finendo per instaurare con la maggior parte un rapporto di amicizia e conoscenza.
Grazie a tutti voi!

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