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di Gniagna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Telefoni ***
Capitolo 2: *** Scema ***
Capitolo 3: *** Poesia ***
Capitolo 4: *** Animali ***
Capitolo 5: *** Queen Clara ***
Capitolo 6: *** Temporali ***
Capitolo 7: *** Primo appuntamento ***
Capitolo 8: *** Genialata ***



Capitolo 1
*** Telefoni ***


I telefoni sono stronzi.

Quella ragazzina lo aveva imparato a sue spese, lentamente, giorno dopo giorno.

L'aveva imparato in quei tre – quattro – mesi, lontana da lei.

Aveva imparato che al telefono si può mentire e fingere, senza neanche sforzarsi.

Aveva imparato che non si può capire e consolare qualcuno attraverso un telefono.

Aveva imparato che i telefoni ti illudo, che se chiudi gli occhi e ascolti la tua voce la sentirai a pochi passi da te, quando a pochi passi da te, non c'è nessuno.

Perché se allunghi la mano o se ti spingi verso quella voce non trovi il tuo corpo e non ti ritrovi fra le sue braccia.

Perché se anche ti addormenti cullata dalla sua voce, non avrai meno freddo né sarai meno sola.

“In realtà non ho alcuna voglia di vederti.”

“Davvero?”

“Già.”

“Non ti manco?”

“No, per niente.”

“Wow...”

“Tutto bene?”

“Certo.”

“Ottimo.”

Forse quella ragazzina sapeva tutto dei telefoni e su quanto possono essere stronzi, ma sottovalutava sempre e comunque la sua ragazza.

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Capitolo 2
*** Scema ***


I corpi aggrovigliati, i respiri che, lentamente, si calmano, calore e sudore ancora impregnano l'aria mentre il rimbombo dei gemiti si allontana dalle loro orecchie.

“Mi ami?” gli occhi della ragazzina non cercano neanche quelli dell'altra, non importa, non serve, non si aspetta bugie e comunque, probabilmente, non sarebbe in grado di riconoscerle.

“Ti amo.” appena un sussurro con un evidente nota di insofferenza paziente che non sfugge all'orecchio della prima e le strappa una soffice risata, malamente soffocata sul corpo della compagna mentre la ragazzina si stringe ancora di più all'amante.

“Non riesci a stare ferma, mocciosa?”

No, non ci riesce. Lei, che rinfaccia sempre a tutti l'incapacità di stare zitti e fermi per qualche minuto, non riesce a non agitarsi tra le braccia di quella lì che, quasi per dispetto, la stringe ancora cercando di tenerla ferma.

“Facciamo l'amore?” si libera dalla presa della compagna mentre cerca con le labbra il suo seno e i suoi capezzoli.

“Abbiamo appena finito...” brontola svogliata mentre il suo corpo si tende, suo malgrado, sotto il lieve tocco della ragazzina. Le sue mani affondano tra capelli biondi della compagna, spingendola, non proprio lucidamente, verso il suo corpo.

“Fermati” la voce è un sibilo disperato, che non ha niente di sicuro o autoritario, nessuna convinzione né nessuna voglia che la biondina si fermi davvero.

Con un discreto sforzo di volontà la ragazza allontana il viso dal corpo dell'altra tornando ad accucciarsi, ubbidiente, tra le sue braccia.

La mora rimane ferma immobile, le dita ancora perse nei capelli dell'altra che sembra, per una volta, aver preso sul serio le sue parole e le sue intimazioni.

“Sei scema?”

“Me l'hai chiesto te...” alza uno sguardo candido verso la compagna cercando di trattenere, senza troppa convinzione, le risate.

“Sei scema.” conclude con un soffio mentre la ragazzina torna ad affondare il viso sul suo corpo, alla ricerca del suo seno.

“Completamente scema.”

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Capitolo 3
*** Poesia ***


“Fa schifo.”

La ragazza sventolò il pezzo di carta sotto il naso della compagna, ripetendo, solo per la trentesima volta, quelle due parole nel vano tentativo di strappare all'altra qualcosa di più che quel sorrisetto mezzo ebete e mezzo divertito di chi sa qualcosa che tu ignori e non ha neanche intenzione di renderti partecipe della sua conoscenza.

“Non è colpa mia, tesoro, se il tuo nome fa rima solo con varechina.”

La diciassettenne scandì le parole lentamente continuando a sorridere all'altra: aveva scritto quella poesia esattamente per prenderla in giro e adesso raccoglieva i frutti dei suoi sforzi.

“Tanto per cominciare,” la mano armata di biro si abbatté sulla testa bionda della ragazza più giovane, “non mi chiamare tesoro e poi,” la biro tornò a colpire caparbiamente, “non è obbligatorio che in quello che scrivi ci sia sempre il mio nome, sai?”

La ragazzina sbuffò annoiata cercando rifugio tra le braccia dell'altra, quasi non fosse stata proprio lei a colpirla: “Hai ragione! Se non metto il tuo nome posso riciclarle per le amanti...”, lasciò la frase in sospeso e si fece più piccola nel tentativo di evitarsi l'ennesimo colpo in testa che, chiaramente, non mancò di arrivare nel giro di pochi secondi.

“Tu non ce l'hai l'amante.” la voce fermissima non tradiva assolutamente la (quasi)ventenne che, in realtà, vedeva profilarsi un'amante in ogni donna che si avvicinava troppo alla sua ragazza.

“Perchè mi picchi, allora?”

Il miagolio della ragazzina strappò un sorriso alla mora che abbassò definitivamente la penna e tornò a spingere il foglio sotto il naso della fidanzata: “Fa schifo, sai?”

La ragazzina alzò gli occhi verso la compagna strappandole, con una linguaccia, un sorriso, mentre allungava la mano nel tentativo di rubare a quell'essere orribile la sua creazione che, chiaramente le fù allontanata al volo: anche se faceva schifo la mora non aveva la minima intenzione di mollare il foglio.

“Puoi scriverne altre...” un misto tra un permesso e una scusa per quel foglio sottratto, “..ma cambia verechina: il mio nome non fa rima solo con quello.”

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Capitolo 4
*** Animali ***


“Gatto!”

“Cane.”

“Gatto.”

“Cane!”

Come fossero finite a discutere anche di quello, era un mistero, ma poco importava, qualunque cosa potesse distrarle dal presente era sempre la benvenuta.

“Sono allergica!"

“Tra noi è finita.”

“Mi lasci per un cane?”

“Non posso vivere senza almeno un cagnolino che si infila nel mio letto per rompere le scatole!”

La ragazzina posò uno sguardo confuso sulla fidanzata, nella speranza di trovare, nei suoi occhi, quella fastidiosissima nota ironica che, in quel momento, sarebbe stata molto più che apprezzata.

“Ci sono io, no?”

Fu il turno della mora di osservare la fidanzata come se fosse un alieno nel vano tentativo di capire se, davvero, stava paragonando la sua presenza in una casa a quella di un bel, grande, gigantesco cagnone.

“Tu non hai la coda, non fai le feste, non sei piccola piccola per poi diventare immensa…”

Ad ogni affermazione un dito della mancina della ventenne veniva alzato trionfale sotto il naso dell’altra che osservava, in religioso silenzio, quelle dita distruggere ogni speranza per lei di fungere sia da fidanzata che da animale domestico.

“In definitiva sei solo una rompiscatole.” La mora concluse con un soffio sul viso dell’altra che, da parte sua, riuscì solo a sibilarle contro qualcosa di molto simile ad un: “Allora comprati un cane!”

“Ti amo e… mi limiterò a nasconderlo nell’armadio, senza fiatare sulla sua esistenza.”

La bionda sospirò sconfitta, lasciandosi ricadere sul letto, non aveva molte possibilità di uscire vincitrice da una discussione del genere, né tanta voglia di negare all’altra qualunque cosa desiderasse.

“Sei impossibile.”

“Sì, abbastanza. Facciamo che prendiamo anche uno scimmiotto?”

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Capitolo 5
*** Queen Clara ***


Si era svegliata lentamente, cullata dal suono di parole che non avrebbe mai pensato di sentire, era rimasta immobile, ferma, cercando di capire da dove pervenissero o, meglio, se davvero provenissero da lei, da quella ragazza – la sua ragazza – che sedeva sul suo letto a pochi centimetri da lei.

“… poi ti amo e ti sposerò…”

Sentiva quelle parole suonargli melodiose nell’orecchie e, nella dormiveglia, si lasciava cullare dolcemente da queste e dalla consapevolezza che, se fosse stata sveglia, non avrebbe mai sentito l’altra dire tutte quelle cose.

“… vorrei solo riuscire a passare più tempo con te…”

Se avesse aperto gli occhi, probabilmente, l’avrebbe vista. Magari la guardava con occhi amorevoli, o magari faceva finta di niente guardando da un’altra parte; ma non poteva rischiare di interrompere quel momento, facendosi beccare sveglia.

“… e vorrei che tu non fossi sempre così fredda, con quel sorriso stupido stampato in faccia, Clara…”

Il corpo della ragazzina si irrigidì notevolmente mentre questa, sempre senza aprire gli occhi cercava di raccogliere le idee: era chiaro che la ragazza – la sua ragazza – non stava parlando con lei. Primo perché lei non si chiamava Clara e secondo… secondo perché lei era tutto tranne che fredda, magari il sorriso stupido stampato in faccia poteva starci, ma non era fredda e comunque non era Clara!

Da una parte voleva – doveva – aprire gli occhi, capire se, davvero, la ragazza di cui era perdutamente innamorata era così stupida da parlare con l’amante a pochi centimetri da lei, il cui sonno, lo sapevano tutti, era molto meno che leggero, d’altra parte non era così sicura di voler affrontare in quel momento quella discussione, era una cosa che sapeva sarebbe successa, l’aveva un po’ data per scontato, da sempre, ma non era quello il momento.

Aprì gli occhi, lentamente osservando la sua ragazza per un attimo, un lungo attimo. Cinque, dieci, venti secondi, prima di capire che quello che aveva in mano non era un telefono, bensì un peluche, un suo peluche, a forma di scimmia alto come lei, circa quando aveva quattro anni.

“… ma un giorno ci libereremo di questa brutta bionda, scapperemo insieme e ci sposeremo!”

Le ultime parole le aveva pronunciate guardando dritto degli occhi la fidanzata appena sveglia e burlandosi della confusione dipinta sul suo volto.

“Dammi la scimmia.”

La mano della ragazzina si allungò verso l’animale color terra bagnata mentre i suoi occhi continuavano a squadrare la mora con sguardo basito.

“Si chiama Queen Clara!”

“Dammi la scimmia.”

Ripete ferma e convinta ignorando le proteste dell’altra e costringendola, non senza altre proteste, a consegnare l’animale che, nel giro di pochi istanti, finì per terra dall’altra parte della stanza.

“Devo bruciarla?”

Non era lei quella poco gelosa, no?

Non era lei quella del niente scenate di gelosia?

Com’era finita ad essere gelosa di un scimmia, di un scimmia finta?

“Non lo faresti mai…”

La ragazzina sbuffò scivolando verso di lei e finendo indecorosamente acquattata tra le braccia della mora.

“Se ti becco un’altra volta con la scimmia vi uccido, chiaro?”

No, la bionda non era gelosa.

Molto possessiva e un po' isterica forse, al massimo.

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Capitolo 6
*** Temporali ***


Non sapeva come – né cosa – fosse successo. Un attimo prima erano in cortile, con le altre, a scherzare e a fare casino, poi – un attimo dopo – si era messo a piovere e loro erano rientrate tutte.

Ma era successo qualcosa, non sapeva bene quando – né cosa – eppure era cambiato qualcosa.

Lo vedeva sul volto teso della ragazza seduta sul divano al suo fianco, lo vedeva dal sorriso tirato che aveva preso prepotentemente il posto di quel sorriso calmo e dolce che difficilmente abbandonava l’altra.

Lo vedeva dalla distanza tra di loro che la ragazzina non aveva ancora annullato come suo solito.

Lo vedeva dalla mano della bionda che si contraeva sul divano seguendo un ritmo e un tempo che la mora non riusciva a cogliere.

Poi era saltata la luce.

Qualcuno si era alzato per andare a vedere cosa fosse successo e lei ne aveva approfittato per scivolare verso la sua ragazza senza incorrere nelle solite batuttine – “Ma che puffolose!” Che carine!” “Dolci…”.

L’aveva trovata rigida e tesa, esattamente come l’aveva immaginata alla luce.

“Va tutto bene, amore?”

Le aveva preso la mano, l’aveva stretta e aveva sentito il suo corpo rilassarsi, lievemente.

“Sì, sto bene…”

Non aveva neanche fatto in tempo a protestare per la bugia che l’ennesimo tuono aveva strappato un tremito al corpo di nuovo rigido tra le sue braccia.

Sorrise nel buio scivolando a cercare con la bocca l’orecchio della sua ragazza.

“Tu hai paura dei temporali!”

“Zitta e proteggimi, rompiscatole.”

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Capitolo 7
*** Primo appuntamento ***


Non avevano mai avuto un primo appuntamento, semplicemente perché non avevano mai avuto bisogno di averne uno.

Erano semplicemente scivolate una nelle braccia dell’altra, senza bisogno di corteggiamenti, di fiori, di cene a lume di candela, di poesie e canzoni dedicate in slanci di passionalità e di qualsiasi cosa rientrasse sotto la dicitura di “romanticherie”.

Sicuramente la bionda era stata costretta a perdere notti, voce e pazienza per convincere l’altra ad essere la sua ragazza, ma non si trattava davvero di conquistarla, solo di convincerla ad ammetterlo, che era tutta un’altra cosa.

Avevano però deciso di volerne uno anche loro, una cosa veloce, così, improvvisata.

Un primo appuntamento fatto in casa, nel vero senso della parola.

Era andata a prenderla in camera sua, dove lei si era fatta bella, bellissima; era andata a prenderla con dei fiori fregati da un vaso in camera della mamma.

L’aveva portata fino alla cucina, una cortissima passeggiata romantica mano nella mano, dove aveva apparecchiato per due a lume di candela.

Avevano mangiato la pizza, come al solito, solo che, questa volta, si era addirittura degnata di pagare lei, giusto per ricordare all’altra quanto falsi e inutili fossero i primi appuntamenti.

Finito di mangiare aveva sparecchiato e ripulito tutto mentre lei si “rinfrescava”, poi l’aveva riaccompagnata fino alla camera dove, senza alcuno sforzo, era riuscita a strapparle un invito per entrare a vedere “la sua collezione di farfalle” e, una volta lì, era riuscita, addirittura a convincerla a concederle un ballo.

Ecco come erano finite una nelle braccia dell’altra, muovendosi lentamente e baciandosi con un po’ troppa naturalezza per un primo appuntamento.

“Tesoro sto male.”

La voce della sua ragazza l’aveva risvegliata in pochi istanti e, senza neanche rendersene conto, già stava spegnendo la musica e aiutando l'altra a sedersi.

“Cos'hai?”

“La pancia, mi fa male, tanto.”

Le aveva misurato la febbre, dato un antidolorifico e messa a letto.

Le aveva procurato uno di quei film stupidi che le piacevano tanto e si era messa a guardarlo con lei, massaggiandola lentamente e riscaldandola con il suo corpo.

Erano rimaste lì, per ore a fare quello che amavano fare e che, normalmente, facevano sempre: nulla, ma insieme.

“Ho rovinato il nostro primo appuntamento vero?”

“Sì, tesoro. Così come hai rovinato gli ultimi sette nostri primi appuntamenti.”

“No, no! Il quart'ultimo l’hai rovinato tu. Sei caduta come al solito, l’abbiamo finito in ospedale.”

“Mhpf, vero.”

Forse non avevano mai avuto bisogno di un primo appuntamento ma, sicuramente, non sarebbe mai e poi mai riuscite ad averne uno normale.





Sette dovevano essere e a sette sono arrivata... in ritardo solo di un mese e qualche minuto.
Non dedico tutto a te solo perchè ognuna di queste storie trasuda fin troppo di te, me e noi... quindi niente, mi dispiace.
Dedico tutto a quest'anno, non il 2009 nè il 2010 ma al mio personale.
Sperando che apprezzi.

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Capitolo 8
*** Genialata ***


“Non puoi farlo!”

Nonostante l’imperiosità di quelle parole la voce dalla ragazzina trapelava una lieve nota di panico, che tradiva non poco la sua sicurezza.

“Sono la tua ragazza, ho dei diritti!”

Il sibilo disperato della bionda si perse tra le risate dell’altra che, senza neanche degnarsi di risponderle, continuava a spingerla giù dal letto.

“Amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore…”

La litania continuò nell’orecchio della mora per qualche secondo prima che, con un’ultima spinta, riuscisse a spingere la sua donna definitivamente per terra.

Lasciò che il suo sguardo scivolasse sul viso offeso della più piccola prima di voltarsi dall’altra parte al suono di un: “Questo letto è troppo piccolo per tutte e due!”

Chiuse gli occhi concentrandosi sui movimenti della bionda alle sue spalle che, tempo mezzo minuto, era già di nuovo sotto le coperte abbracciata a lei.

“Ok, forse non è stata una genialata…”

Il ringhio che le arrivò in risposta bastò a chiuderle la bocca e a convincerla che, effettivamente, era stata una cazzata bella e buona.

Rimasero ferme, abbracciate, in silenzio aspettando che l’altra si decidesse a dire qualcosa per parecchi minuti finché proprio alla mora non si decise a spezzare quel silenzio alla ricerca delle scuse che lei stessa si era negata poco prima.

“Cercare di svegliarmi raccontandomi le prodezze erotiche delle tue amanti è la cosa più stupida, cattiva e antipatica che potessi farmi, sai?”

Perfetta.
Decisa, dura, senza un attimo d’esitazione e senza che né l’amore né la gelosia trapelassero dal suo tono o dalle sue parole… se non fosse stato per lo stupido – stupidissimo – errore di voltarsi, in cerca di una risposta, verso la bionda che, in meno di due secondi, si avventò sulle sue labbra distruggendo così tutti gli intenti cattivi della mora.

Si avventò su quelle labbra cercando di fermare quel fiume di parole e di farsi perdonare; non si stupì neanche per un istante dei denti che si chiusero a forza intorno al suo labbro e si lasciò scappare solo una specie di singulto senza opporre alcuna resistenza.

Quando la mora la lasciò aveva gli occhi lucidi e il labbro sanguinante, ma quello stupido sorriso furbo attraversava ancora il suo volto.

“Mi ami? Ma quanto mi ami?”

“Poco, pochissimo, stupida mocciosa.”



Questa l'avevo scritta in più, quando ero ancora indecisa sul numero delle storie che dovesse esserci in questa piccola raccolta, ora l'ho ritrovata ripulendo il vecchio pc e ho deciso di metterla con le altre.
Ora sono sette più una...

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