Shattered

di MedOrMad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Distanza ***
Capitolo 2: *** Con-tatto ***
Capitolo 3: *** Yin vs Yang - The Darkness before the dawn - ***



Capitolo 1
*** Distanza ***


Alla fine, contro ogni mia tendenza naturale, mi trovo ad aver scritto un capitolo di una ff (che sarà, al massimo, di tre capitoli, credo)… Principalmente perché non sono particolarmente soddisfatta del modo in cui il legame di Daryl e Carol è stato scritto questa stagione. Più per i “vuoti cosmici” nella scrittura che altro. Non mi sono mai azzardata a scrivere fanfiction: mi sono sempre limitata alle originali, anche perché ritengo che le ff richiedano una maggiore bravura. Riuscire a scrivere dei personaggi in character, coerenti con la personalità che si vede sullo schermo, è sicuramente oltre la mia portata… Ma mi è venuta così, di botto. Il risultato è decisamente discutibile.  Per ora è una specie di missing moment dopo “The Same Boat”, che dovrebbe avere luogo nella 6x14… che, nelle ultime righe, ha comunque preso una piega diversa da quella che avevo progettato in origine. Ma con me è sempre così: quando scrivo, le cose mi cambiano in corso d’opera.
 
 


And I've lost who I am, and I can't understand.
Why my heart is so broken, rejecting your love,
without, love gone wrong, lifeless words carry on.
But I know, all I know, is that the end's beginning.
Who I am from the start, take me home to my heart.
Let me go and I will run, I will not be silent.
All this time spent in vain, wasted years, wasted gain.
All is lost, hope remains, and this war's not over.
There's a light, there's the sun, taking all shattered ones.
To the place we belong, and his love will conquer all.
 
-Shattered-
Trading Yesterday


 
 
Distanza


 

 
Distanza. Lei la cercava e lui gliela negava.
Non era sempre stato così tra loro: un tempo sarebbe stata lei ad osservarlo con insistenza nella speranza di incrociarne lo sguardo e convincerlo ad aprirsi. A fidarsi. A lasciarsi rassicurare.

Ma oggi le cose erano diverse: ad Alexandria, Carol aveva imparato a nascondersi dietro a quel suo sguardo d’acciaio e al suo aspetto innocente. Una copertura che le assicurava distanza emotiva da chiunque provasse a sfiorarle il cuore; gli abitanti della comunità non avrebbero avuto il lusso di respirarne l’anima.

Ultimamente, però, sembrava che questo onore fosse negato anche a quelli della loro famiglia che la conoscevano dall’inizio dell’apocalisse: Carol faceva le cose a modo suo, secondo uno schema che aveva condiviso solo in parte con Rick e Daryl, calcolando il valore di ogni gesto, di ogni parola e di ogni sorriso. Sembrava avere tutto sotto controllo dal giorno in cui avevano varcato i cancelli di Alexandria e solo oggi Daryl si accorgeva di non aver capito. Di non aver notato. Di non aver osservato con sufficiente attenzione.

Era stato fuori forse troppo a lungo per comprende davvero cosa significasse per lei stare a Alexandria.

Le carte in tavola erano cambiate troppo in fretta e Daryl non sapeva a che punto della partita fossero tutti. Non sapeva neppure più a che gioco stessero giocando e se ci fossero ancora due squadre distinte. I buoni e i cattivi si mescolavano come l’orizzonte.
Lui aveva provato ad integrarsi ma lei non aveva capito la sua scelta di fidarsi: Daryl gliel’aveva letto negli occhi. L’aveva visto nello schiudersi delle sue labbra stupite; l’aveva colto nella confusione che le si era espansa negli occhi; l’aveva percepito nelle linee di preoccupazione che le rigavano il viso da un po’ di tempo.

L’aveva sentita allontanarsi piano piano e non aveva provato a fermarla: credeva che sarebbe venuta da lui una volta pronta ad affrontare i demoni che le si agitavano dentro. Ma non era successo.
L’aveva vista indossare una maschera, insieme a quei vestiti ridicoli: si era nascosta da tutti, anche da lui.

Anche da se stessa.

Poi la facciata aveva cominciato a sgretolarsi: quando erano partiti per la missione omicida, per eliminare la minaccia Negan, Daryl l’aveva osservata da lontano e sapeva che la donna con loro non era la stessa Carol di prima. C’era un profondo disagio che le si annidava sotto la pelle e le si rifletteva nello sguardo: una confusione che le aveva spento gli occhi, il sorriso e le faceva tremare le mani.

Daryl lo sapeva. L’aveva visto, eppure non aveva fatto niente.

Non le aveva chiesto cosa fosse successo durante l’invasione di vaganti di Alexandria. Non le aveva chiesto perché tra lei e Morgan ci fosse una tensione strana. Non le aveva domandato perché avesse posato un biscotto sulla tomba di quel bambino.
Non l’aveva fatto perché aveva compreso di averla lasciata allontanare troppo e, nel processo, lei gli era scivolata tra le dita, andandosi a rifugiare in un’oscurità fatta di rimorsi, paure e dolore.

Un dolore così profondo che, alla fine, Carol l’aveva ammesso: quando lei e Maggie erano uscite dall’edificio in cui erano state portate dai Salvatori, Daryl aveva sentito lo stomaco stringersi in una morsa indecifrabile. Un sollievo amaro: era viva, ma nei suoi occhi c’era solo disperazione. L’aveva avvicinata e l’aveva vista per quello che in quell’istante era: l’ombra di se stessa, un’anima spezzata in due. Gli occhi così azzurri e così sofferenti che incrociarne lo sguardo lo aveva terrorizzato. Chiederle se stava bene gli era sembrata una cosa così stupida: le lacrime le facevano brillare le iridi di pura angoscia e sconforto e, quando l’aveva abbracciata a sé, si era sentito sciocco e impotente. Perché lei era rimasta rigida e smarrita. Le sua braccia non le avevano dato sollievo, non l’avevano consolata, non l’avevano fatta sentire al sicuro, protetta e amata.

Era lontana da lui. Così lontana che non era sicuro di riuscire ancora a raggiungerla e riportarla indietro.

Aveva atteso troppo. Le aveva dato troppo spazio. Per la prima volta era stato come gli altri: non aveva capito.

E lo sentiva adesso nel silenzio che invadeva la cucina della loro casa. Carol risciacquava con insistenza una maglia ancora insanguinata, dando le spalle al resto del gruppo che occupava il salotto e ascoltava con attenzione l’ennesimo monologo di Rick.
L’aveva avvicinata un paio di volte, senza parlare e senza invaderne lo spazio fisico: si era appoggiato al bancone della cucina e l’aveva osservata con insistenza in attesa che lei gli spiegasse che cosa stesse succedendo o che gli chiedesse qualcosa. Qualunque cosa.
Ma Carol non aveva fiatato: aveva evitato il suo sguardo con tenacia e si era limitata a allontanarsi di un paio di passi da lui.

Una persona paziente le avrebbe concesso altro tempo e avrebbe aspettato. Ma Daryl non era mai stato troppo paziente e cominciava a temere di non riuscire a controllare la distanza che sembrava diventare enorme con il passare dei minuti.
Allungando improvvisamente il braccio verso di lei, chiuse il rubinetto, spegnendo il getto di acqua che le accarezzava le mani.

«Non verrà mai più pulita di così. Lascia perdere.» le disse con voce ferma e gli occhi fissi sul suo viso.
Carol non reagì: restò ferma a guardare di fronte a sé, prima di asciugarsi una mano, estrarre dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette e prelevarne una, accendendola.
«Da quando fumi?» le chiese cercando, invano, il suo sguardo.
«È importante?» domandò lei passandogli accanto, come se lui non fosse lì, come se non lo vedesse.

Come se lui non vedesse lei.

Come se lei non fosse lì.

«Dobbiamo parlare.» annunciò Daryl levandole la sigaretta dalle labbra e spegnendola nel lavandino. Con un cenno del capo, la invitò a seguirlo al piano superiore, ma Carol non sembrava intenzionata a muoversi dalla cucina.
«Di che cosa?»
Lui spostò lo sguardo brevemente sugli altri inquilini della casa prima di tornare a concentrarsi su di lei:
«Non qui. Di sopra.»
«Daryl…»
«Ho aspettato abbastanza.» sibilò tra i denti mentre cercava di non farsi sopraffare dall’ira: in fondo lei non aveva fatto nulla di male e la sua consueta aggressività non avrebbe aiutato in questa situazione. Fece un respiro profondo e quando riprese a parlare, la sua voce era ancora una volta la voce che sembrava esistere solo per lei.

Più attenta, più delicata, più leggera.

«Vieni con me. Per favore.» ribatté e, senza attendere risposta, si allontanò, salendo silenziosamente scale. Non aveva bisogno di voltarsi per sapere che lei lo stava seguendo; con Carol era così: la sua presenza Daryl la sentiva nelle ossa ormai.

Entrò in camera sua, aspettando che anche lei varcasse la soglia e chiuse la porta alle spalle di lei. Carol proseguì, oltrepassò il letto e si fermò di fronte alla finestra, guardando oltre il vetro.

Daryl attese in silenzio: non era mai stato bravo con le parole, ma da ieri non riusciva a smettere di rivedere lo sguardo di Carol dopo che avevano ritrovato lei e Maggie. Non riusciva a togliersi dalle orecchie la disperazione che le aveva fatto tremare la voce quando aveva risposto che no, non stava bene.

«Carol, parlami.»
«Di cosa?»
«Che ti sta succedendo?»

Carol non rispose subito: appoggiò la fronte al vetro fresco della finestra, restando immobile per qualche secondo. Dalla sua posizione Daryl riusciva a vedere la tensione che le scorreva nel corpo e le incurvava la schiena. Come se portasse su di sé tutto il peso del mondo. Come se cercasse di proteggere se stessa.

Come se volesse sparire.

«Secondo te si può morire per amore?» sussurrò lei all’improvviso.
«Si muore o si vive. Per cosa, conta poco.» le rispose Daryl, facendo cadere la testa all’indietro e lasciando che la porta sorreggesse il suo corpo.
«Penso che il mio amore stia portando solo morte.»

Daryl non comprese: non sapeva cosa volesse dire quella affermazione e non la sapeva soppesare. Poi lei parlò ancora.
«Ho ucciso più di venti persone per amore.» la voce rotta e appena sopra un sospiro. «E ora quell’amore, quello che sono disposta a fare per amore, sta ammazzando me.»
«Hai fatto quello che dovevi fare per salvarti.»

«No. È questo il problema: per salvare me stessa non ucciderei. Per voi sì.»

Fu in quel momento che Daryl capì: capì che non era cambiato nulla da Atlanta, da quando insieme avevano cercato di raggiungere il Grady Memorial Hospital . Carol era ancora intrappolata in quella rete di paura e dolore che le aveva adombrato gli occhi mentre, insieme, vagavano per Atlanta alla ricerca di Beth.

«Hai smesso di provare…» le disse in una affermazione che suonava quasi come un’accusa.
«A fare cosa?»
«Ricominciare. Hai smesso di provarci.»
«Non ho mai cominciato, Daryl. Non potevo sopportare l’idea di vedervi morire, ma non ho mai pensato di poter ricominciare. Ho cercato di proteggervi e, per farlo, ho continuato a uccidere.»

Una confessione che lei non avrebbe mai voluto fare, ma che non riuscì a fermare: Daryl era speciale nel suo mondo come nessun altro avrebbe mai potuto essere. Lui aveva provato in ogni modo a salvarla da se stessa, dalle proprie paure, dal proprio senso di inadeguatezza: dirgli in faccia che aveva fatto tutto inutilmente, equivaleva a ferirlo. E di tutte le persone ancora in vita su questa terra, Daryl era l’unica che non avrebbe mai davvero voluto ferire.

«È per questo che mi hai tenuto lontano?»
«Non ti ho tenuto lontano: tu stavi trovando il tuo posto in questa comunità e io il mio. Era solo più facile farlo senza che tu mi guardassi.»
«E qual è il tuo posto? L’hai trovato?»

Ancora una volta Carol non rispose: si voltò verso di lui e, con stupore, scoprì che si stava avvicinando a lei con passi lenti e silenziosi, come un animale che si muove in un territorio pericoloso.

Era sempre stato un po’ preda e un po’ predatore, in qualche modo; Daryl aveva dovuto imparare a stare al mondo sopravvivendo con le sue forze e usando tutte le proprie risorse. Sapeva muoversi senza fare rumore: riusciva a nascondersi e a attaccare senza preavviso. Era un cacciatore e era una preda. Preda di una vita che gli aveva insegnato a non credere in se stesso e cacciatore di tutto ciò che minacciava di ferire il suo cuore. Era protettore e, al tempo stesso, da proteggere. Aveva troppe emozioni per saperle elaborare e era troppo emotivo per sentirle nel modo giusto: aveva imparato a sentire la rabbia, quella sì. Quella era un’emozione che capiva: era il modo con cui liberava la tristezza, la paura e persino l’affetto. E, da come la guardava ora, Carol era convinta che stesse provando proprio a controllare paura, rabbia e affetto, perché dietro quel ciuffo di capelli scuri, i suoi occhi bruciavano di ira.
Per lei.

«Sei arrabbiato.»
Non era una domanda. Era una constatazione.
«No.» Rispose lui con voce roca, fermandosi a un passo da lei. «Sono frustrato.»
Che, nel caso di Daryl, era la stessa cosa.

«Perché?»
«Perché non so cosa senti. Perché non so aiutarti.»
«Non puoi salvare tutti, Daryl. Non possiamo salvare nessuno. Per ogni persona che decidi di salvare, un’altra muore.»

«Non credo che possiamo più salvare le persone» aveva detto Carol quella notte nel rifugio per donne maltrattate. Lui aveva provato a farle cambiare idea. Per un attimo ci era riuscito. Ora capiva che era stata un’illusione e la cosa, un po', lo fece infuriare.

Eppure, una carezza per scoprire gli occhi disorientati di Daryl bastò per calmare l’ira che gli scorreva nelle vene: la donna di fronte a lui era ancora la sua Carol. Doveva solo spingere un po’ più forte per riuscire a toccarla e tirarla fuori dalla lava di sconforto in cui stava bruciando. Proprio come lei aveva fatto con lui innumerevoli volte.

Le avvolse un polso in una stretta delicata, impedendole di voltarsi lontano da lui e lei gli permise di avvicinarsi ancora un po’.

«Che cosa ti hanno fatto?»
«Non è quello che loro hanno fatto a me. È quello che io ho fatto a loro…» sussurrò Carol, sentendo le dita di lui sfiorarle il mento per costringerla a guardarlo, «è quello che non riesco ad accettare.»

«Cosa posso fare?» le domandò lui, arrendendosi al fatto che da solo non sapeva capire di che cosa lei avesse bisogno.
Carol sorrise appena: un sorriso che non le raggiunse gli occhi, però. Un sorriso che non era un sorriso: era una smorfia di dolore mascherata. Una copertura. Una protezione.

Come tutto quello che Carol era stata da quando erano arrivati ad Alexandria.

«Niente, Daryl. Non puoi fare niente.» Bisbigliò lei in un respiro che sapeva di sconfitta.

In quel sospiro vuoto, Daryl si sentì ancora una volta come quel giorno fuori dal capannone dei Greene. Si sentì di nuovo come quando vide Sophia uscire da quel capannone, morta, perché lui non era stato in grado di salvarla. Provò ancora quel bruciante senso di fallimento e di delusione. Oggi, come allora, sembrava che per Carol lui non potesse fare nulla.

Appoggiò la fronte a quella di lei: un gesto per lui così difficile e pericoloso. Qualcosa di innaturale ma di improvvisamente necessario. Un movimento di intimità e resa. Un gesto per distruggere la distanza.

«Non mi basta.» le disse con voce sicura e delicata.

Quella voce che era solo per lei. Quella voce che lasciava trapelare tutta la sua determinazione: non era disposto ad arrendersi. Non ancora. Non oggi.

Lei lo sapeva e, per quella sua determinazione, lo adorava ogni giorno di più. Dalla scomparsa di Sophia fino ad oggi. A questo momento. Lo adorava al punto che, per un attimo, il suo cuore dimenticò il dolore e sentì solo l’affetto tra loro.

Carol pensò che di quel momento avrebbe potuto vivere in eterno: per questo non si fermò a pensare. Gli accarezzò il lato del collo col dorso della mano e, mentre un singhiozzo le si bloccava in gola, sfiorò con cautela le sue labbra a quelle di lui.

E tutto, per un istante, si fermò.

Anche il dolore.

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AN: D'accordo, in origine non doveva essere una storia con ship romantica: doveva solo essere un missing moment della 6x14, perché a me il legame tra questi due ha sempre esaltato un sacco... Loro, con le debolezze e le loro barriere, che comunque si capisco su un piano molto particolare. Ragion per cui sono rimasta molto insoddisfatta dai loro mini-dialoghi recenti: era un po' che aspettavo un confronto tra loro due e, siccome non c'è stato, me lo sono scritta da sola. Poi la shipper che è in me ha preso il sopravvento e m'è scappato il bacio alla fine. Ma, siamo onesti, sono sei stagioni che "mi aspetto almeno una leccatina" (cit.). Sì, io li shippo un sacco.

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Capitolo 2
*** Con-tatto ***


 
And high up above or down below
When you're too in love to let it go
But if you never try you'll never know
Just what you're worth
 
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you
 
Tears stream down your face
When you lose something you cannot replace
Tears stream down your face and I
Tears stream down your face
I promise you I will learn from my mistakes
Tears stream down your face and I


Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you

- Fix you-
Coldplay
 
 
 

 
 
 
 
 
Con-tatto
 

 
Lo sentì tremare. Letteralmente fremere contro le sue labbra e Carol non seppe dire se per la paura o il piacere: restò immobile per un tempo interminabile, terrorizzata da come lui avrebbe reagito a quel contatto. 
 
Daryl era paralizzato: l’unico muscolo del suo corpo che percepì contrarsi fu il cuore, che iniziò a battere in modo frenetico, terrorizzato. Poi, con la stessa delicatezza con cui lei l’aveva sfiorato, la sentì ritrarsi e un panico indescrivibile gli si espanse nel fondo dello stomaco.
Per Daryl il tatto era sempre stato il senso più pericoloso e quello che cercava di utilizzare meno: quel tramite con cui il mondo lo aveva marchiato di dolore e di disprezzo. Il mezzo con cui aveva imparato a odiare se stesso.
 
Per questa ragione, in quei secondi di immobilità, Carol pensò di aver oltrepassato un limite invalicabile, di essersi spinta oltre i confini di Daryl, più in là di quello che lui era disposto a dare. 
Inaspettatamente però, proprio quando la speranza iniziò a spegnersi in Carol, lo sentì rispondere al bacio. In modo incerto e impacciato, guidato dal dubbio e dall’insicurezza. 
 
Un movimento impercettibile che le scosse l’anima fino al centro di sé.

Le sue labbra erano timide quasi quanto il suo cuore: gli ci voleva un’eternità per mostrarlo e, anche quando riusciva a farlo, la fiducia sembrava cristallizzata dietro il timore di parlare apertamente. 
 
Carol sorrise contro la pelle di lui, sentendo una mano di Daryl posarsi sul suo fianco, prima di sgusciarle delicatamente sulla schiena e, con imbarazzo, tirarla a sé. Era così pieno di inibizioni e di timori che Carol sentì il petto scaldarsi di tenerezza quando lo percepì lottare contro le sue barrire per avvicinarsi a lei il più possibile: quando avvertì che le mani che la accarezzavano sembravano tremare meno, Carol si fece coraggio e con un movimento leggerissimo, intensificò il bacio.
 
Questa volta Daryl si ritrasse con un sussulto, staccando le labbra da quelle di Carol e strozzando un respiro sorpreso. Aveva rotto il bacio, ma non la lasciò andare: al contrario, si trovò a stringerla a sé appena più forte. 
 
«Va tutto bene?» gli chiese lei, accarezzandogli la bocca con un dito.

Non lo sapeva. Daryl non sapeva cosa sentisse: sapeva solo che non voleva che lei si allontanasse ancora. Non le rispose ma, quando avvertì il corpo di Carol spostarsi dal suo, le sue mani la strinsero con determinazione.
Aprì gli occhi: non si ricordava neppure di averli chiusi, eppure ora li sentiva bruciare come se avesse guardato il sole troppo a lungo.
Carol era lì, vulnerabile come non lo era mai stata prima, eppure Daryl si sentiva come se lei potesse spezzarlo con un solo respiro. Era a un passo dal suo corpo, immobile in attesa che lui decidesse se lasciarla andare o tenerla con sé: Daryl sentiva ancora la morbidezza delle sue labbra sulla pelle e, il solo ricordo, bastò per accelerare nuovamente il battito del suo cuore.

«Daryl?»
Quell’incertezza nella voce di lei lo risvegliò dal torpore in cui era caduto: cosa doveva fare, ora?
Carol cercò il suo sguardo e lui la fissò da dietro quel ciuffo di capelli che, da un po’, lo proteggevano dal mondo.
 
“Ci pensi mai? A sistemarti?” le parole di Abraham gli risuonarono nelle orecchie come una profezia. 


 
Non ci aveva mai sperato, Daryl. Non aveva mai creduto che ci fosse qualcuno per lui in questo mondo. Qualcuno che lo volesse toccare con dolcezza: per Daryl il tatto era sempre stato il senso più orribile. Quel mezzo con cui la pelle trasmetteva al cuore la paura, l’odio, il dolore, il rifiuto. Aveva imparato a vedere nel tatto e nel contatto un nemico: nella vita era stato toccato e marchiato solo dal disprezzo e, attraverso quel disprezzo, aveva imparato a odiare se stesso. A non fidarsi. A sentire che il tatto esisteva per dirgli che non valeva la pena. Che doveva averne paura.

Poi il mondo era finito e proteggersi dal contatto era diventata quasi una questione di vita o di morte. 


 
“Nessuno ti vorrà bene come me, fratellino.”  Aveva detto Merle. Era un’allucinazione, ma ai tempi Daryl ne era in parte convinto.
 
Era stato un errore, pensò Carol. Daryl non era pronto. Magari non lo sarebbe mai stato. Non con lei, forse. Il loro rapporto era fatto di una forma d’amore che non andava corrotta e, probabilmente, lui non aveva mai pensato a lei in questi termini. 
Daryl non era un uomo come gli altri: aveva dei confini invisibili che non si potevano varcare. Un muro di pietra che lei aveva avuto l’onore di sfiorare, ma che neanche a lei era permesso oltrepassare. Ora Carol lo capiva: entrare nel cuore di Daryl era stato difficile, ma non era stato sufficiente a concederle il permesso di toccarlo davvero. 
L’uomo di fronte a lei non voleva quella forma di intimità; Daryl sopravviveva al mondo a modo suo e non c’era spazio per il contatto fisico. L’affetto, per lui, si concretizzava nella sua forza fisica, nel fare di tutto per mantenere in vita quelli a cui voleva bene.

Eppure, quando Carol provò ad allontanarsi di nuovo, lo sentì sussurrare un no.

«Aspetta.»

Poi, con l’incertezza che sembrava oscurargli il viso, si chinò su di lei e catturò le sue sua labbra in un bacio nuovo. Diverso. Pieno di intenzione e, allo stesso tempo, di dubbi.
La strinse con braccia insicure, quasi non sapesse se fosse un gesto lecito: Carol lo lasciò fare, secondo i suoi tempi e seguendo i suoi movimenti.
Una carezza sulla nuca le bastò come incoraggiamento a inclinare il capo a sufficienza per concedergli più spazio e più controllo: Daryl fece una serie di passi titubanti, costringendola ad indietreggiare finché Carol non percepì il proprio corpo collidere con la parete. Le loro labbra non si separarono neanche per un secondo lungo il percorso: ad ogni passo il bacio si fece più insistente e, pensò Daryl, quasi disperato.

«Non so bene quello che sto facendo…» le confessò in un sussurro a fior di pelle; gli parve di sentila sorridere appena nel bacio e non poté fare altro che arrossire. Forse stava sbagliando qualcosa? Forse lei ci stava ripensando? Forse non era così che voleva essere baciata. Forse non voleva più essere toccata.   

Daryl cercò sostegno appoggiando entrambe le mani sulla parete e incorniciando il viso di Carol tra le sue braccia. In quell’istante, assaporò il dolore di lei sulla lingua: solo allora si accorse che stava piangendo e che le sue lacrime erano scivolate tra le loro bocche.

«Perché piangi?» le domandò mentre ancora lasciava leggeri baci sulle sue labbra.

Carol non rispose: gli accarezzò il ventre, facendo scorrere le dita fin sotto la sua camicia e andando alla ricerca della sua pelle, forse per distrarlo da quello che le lacrime volevano dire.
Daryl non riuscì a bloccare il brivido che si sprigionò dal punto in cui lei lo toccò, ma cercò di restare concentrato su Carol e su quello che stava succedendo di fronte ai suoi occhi.

La maschera stava cadendo; il muro dietro cui si era nascosta da lui per mesi aveva cominciato a tremare; un bacio e una lacrima stavano rimescolando l’intero universo che Daryl aveva imparato a gestire.
Il sapore di una sola lacrima sembrava bruciargli nell’anima come acido sulla pelle: Daryl poteva sopportare il proprio dolore, lo faceva da una vita e lo sapeva soffocare, ma vedere Carol soffrire non era altrettanto facile. Era come se stesse sanguinando senza sosta e Daryl non riuscisse a trovare la ferita che la stava uccidendo.

«Non fermarti.» Lo implorò lei quando percepì il suo tentennamento di fronte alle lacrime.

Carol lo voleva più di ogni altra cosa; non lo sapeva, prima. Non sapeva di desiderarlo tanto: non era riuscita a bloccare le emozioni che le erano salite dal cuore agli occhi e ora, per queste lacrime, lui si era fermato.
 
Era vero, stava piangendo: ma non solo perché il rimorso delle sue azioni le aveva graffiato l’anima. Piangeva perché Daryl, con un solo bacio, l’aveva incatenata a sé. Perché sentirlo toccarla e baciarla con quella delicatezza e quella determinazione l’aveva distratta dal proprio dolore. E non voleva: non voleva dimenticare quello che aveva fatto. Ma, Dio, voleva continuare a baciare Daryl finché il fuoco in lei restava vivo e finché il suo cuore riusciva a sentire.
L’aveva messo a tacere per troppo e, insieme al dolore, si era impedita di provare anche le emozioni positive: ora aveva aperto i cancelli e, insieme alla sofferenza, era entrato qualcosa che dava assuefazione.
L’amore. La gioia dietro un bacio. Il sollievo in una carezza.

«Non posso.» Rispose Daryl affondando il viso contro il collo di lei, «Tu non sei qui con me. Non con la testa. Non come dovresti.»

Non era così che voleva andassero le cose tra loro. Non poteva sopportare l’idea di averla, di fare l’amore con lei sapendo che era solo una distrazione. Che lei, con la mente e col cuore non era lì.
Doveva esserci un modo per riportarla a sé, per trascinarla fuori dal buio in cui si stava nascondendo.

«Dimmi cosa senti.» La supplicò, sollevando il capo e incrociando i suoi occhi. Quello che ci lesse dentro lo terrorizzò. Il fuoco in lei si stava spegnendo: veloce e inesorabile, come se l’ossigeno che l’aveva tenuto in vita fosse stato risucchiato da un pensiero. Dal senso di colpa. La fiamma in lei spenta dalle ceneri di ciò che il fuoco aveva bruciato lungo il cammino che dalla prigione aveva condotto ad Alexandria.
 
“Non siamo cenere.”

“Devi permetterti di sentirlo. Siamo diversi, tu e io. Non posso permettermi di… Ma ti conosco. Tu devi sentire il dolore.”
 
«Non posso andare avanti così, Daryl. Non ce la faccio.»
«Non devi farlo.»
«Come? In questo mondo, come fai non uccidere? Non posso più farlo per voi.»

Daryl glielo lesse negli occhi e nella voce: non sentiva più di appartenere alla loro famiglia. Si sentiva fuori posto, ma li amava troppo per lasciarseli alle spalle, indifesi.

«Non devi fare tutto da sola.»

Non appena pronunciò quelle parole, si accorse di averla liberata di un piccolo peso: la rabbia gli salì dal cuore alla gola.Come era arrivata a pensare che lui non fosse lì per lei? Perché era convinta di doversi fare carico di tutto il lavoro sporco? Erano una squadra: lo erano sempre stati da quando lei lo aveva riportato indietro dal suo isolamento dal gruppo dopo la morte di Sophia.

Carol avrebbe ucciso per salvare loro, ma non per se stessa; Daryl ripensò a quelle parole e si sentì accecato dall’ira: doveva trovare il modo di farla lottare. Di farla combattere per la sua stessa vita quanto era disposta a combattere per quella degli altri.

Non stava a lei salvare tutti, ma stava a lei salvare se stessa.

«Ehi, guardami.» le ordinò allontanandosi appena da lei, ma cercando di estirpare la rabbia dalla sua voce. Non voleva spaventarla, ma solo ricordarle che il suo posto era qui con loro. Con lui.

«Non c’è un modo giusto, Carol. Cerchiamo solo di sopravvivere…»
«Ma a che prezzo?»
«Il prezzo della vita oggi.»
«È la morte.»
«Lo è sempre stato. Anche prima che il mondo finisse, la gente era disposta a morire per amore.»
«Era diverso.»
«In che modo?»
«La gente era disposta a dare la propria vita, non a togliere quella di un altro.»

«È sempre morte.» La corresse con convinzione e aggiunse, cocciuto: «Non è quello che stai facendo tu? Stai bruciando un pezzo di te ogni volta. Non è molto diverso dal dare la vita.»

Facendo leva contro il muro, si spinse indietro e le diede le spalle: camminò nervosamente in cerchio per qualche istante, prima di lasciarsi cadere sul materasso e, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, si sfregò il viso con le mani per lenire la frustrazione.

«Se resta solo cenere di te, a me cosa rimane?»

Non sapeva se pentirsi o meno di quella confessione, di essersi esposto così tanto e di averle dato, forse, un peso in più. Non era giusto caricarla di quella responsabilità: costringerla a lottare per lui era un ricatto morale, un gesto scorretto. Ma Daryl era disposto a tutto per salvarla da quello che il dolore le stava facendo: e per questo non provò il minimo rimorso.

«Tu sei disposta a uccidere per noi? Io sono disposto a tutto per salvare te. Alla fine è sempre così…» la sua stessa voce gli parve incredibilmente grave e roca mentre pronunciava queste parole, senza fornirle i dettagli per sapere a cosa si riferisse veramente.
Avrebbe ucciso per lei, su questo non vi era alcun dubbio. Avrebbe ucciso per tutta la loro famiglia. Per lei avrebbe fatto di più: avrebbe messo in gioco se stesso.

Non l’aveva forse appena fatto con quel bacio?

«Ma tu cosa sei disposta a fare per salvare te stessa?»

Il silenzio tra di loro si espanse e si solidificò, prendendo la forma del loro dolore e dei loro dubbi.
Non c’era una risposta giusta a nessuna delle loro domande.
Le regole del mondo di una volta non valevano più oggi: la certezza era solo la vita, che valeva la pena di essere vissuta insieme alle persone che si amavano.
Quello valeva ancora. E, poiché la vita di Daryl sembrava essere scritta al contrario, per lui questa regola era vera solo oggi, in questo mondo spietato e inarrestabile.

Con la vista ancora oscurata dalle proprie mani, Daryl percepì Carol avvicinarsi al letto e fermarsi di fronte a lui.
Sentì le sue mani accarezzargli la testa e le dita scorrere tra i suoi capelli, toccando ogni frammento con attenzione e scivolando fino alla sua nuca: giunta lì, con una leggera pressione sul collo, lo invitò a guardarla.
Daryl superò la paura di trovare di nuovo quella rassegnazione nei suoi occhi; sollevò il viso verso di lei, portando le mani sul retro delle sue ginocchia, forse per impedirle di allontanarsi ancora una volta da lui.

«Ho ucciso Lizzy.» Sussurrò Carol, fissandolo con vergogna, «L’ho dovuto fare. Aveva ucciso Mika e voleva fare lo stesso con Judith. Ho dovuto…»

Eccola lì, la verità. Libera, crudele e difficile come nulla che Daryl avrebbe mai potuto immaginare.
Ecco l’origine del più profondo dei dolori che, nei mesi, aveva fatto della sua Carol un’ombra afflitta dalle responsabilità delle proprie azioni. Non c’erano parole per consolarla: Daryl sapeva cosa significavano quelle due bambine per lei e sapeva che qualunque cosa avesse detto non avrebbe cambiato il modo in cui Carol si sentiva. Non avrebbe cancellato il senso di colpa per quello che aveva dovuto fare.

Lottando contro ogni suo freno, si costrinse a respingere la paura del contatto fisico e la tirò a sé, accompagnandola finché non gli si sedette a cavalcioni in grembo: le mani di lui le cinsero la vita e le sue labbra le baciarono prima il cuore e poi la gola.

Contro la sua pelle, lui sussurrò solo: «Mi dispiace.»

Un’assoluzione.
Non una consolazione. Solo un’assoluzione.

«Hai dovuto.» aggiunse piano, ascoltando in silenzio il rumore del cuore di Carol. Un battito irregolare che, ad ogni contrazione, sembrava rompersi e sanguinare di più.
Poi un sospiro caldo e frammentato annunciò l’arrivo di lacrime nuove: Carol posò le labbra sulla sua testa e lo strinse delicatamente.

«Non voglio più doverlo fare, Daryl.»
«Non puoi.»
«Perché?»
«Perché qualcuno cercherà sempre di ucciderci.»
«Siamo ancora intrappolati da ciò che eravamo nella nostra vita passata.»
«No, non lo siamo.»

Sentirla piangere era qualcosa che Daryl non riusciva a sopportare, ma strinse e denti e soppresse il proprio disagio per dare spazio a lei.
Per la prima volta dopo tanti mesi Carol si stava aprendo e lui non avrebbe sprecato questa occasione di aiutarla.

Restarono così per un tempo che Daryl non seppe quantificare: Carol era cambiata giorno per giorno dalla morte di Sophia, insieme a lui. Se Daryl aveva provato a sentirsi a suo agio nella propria pelle, Carol aveva fatto di tutto per strapparsi di dosso la propria identità, per liberarsi dei vincoli che la sua di pelle le avevano imposto.

Si era adattata e aveva scoperto, come lui, che dalle cicatrici del passato, potevano nascere risorse nuove: forza, fiducia, coraggio, lealtà, rispetto. E amore.

Daryl non sarebbe mai riuscito a dirle quella parola ad alta voce, ma l’amore era stata la sua scoperta più grande. E era stata lei ad insegnarglielo. Ad amare se stesso. Ad amare gli altri. Ad amare lei. A vedere l’amore che gli altri nutrivano per lui e per le persone per cui erano disposti a lottare.

«Siamo cambiati perché dovevamo. Ma non del tutto. Non sei scomparsa. Sei sempre qui e sei ancora tu.» Le disse in un sospiro.

“Non siamo cenere.”

«Io ti vedo. Ti ho sempre vista: ti ho guardata rinascere da ogni sconfitta. Lo farai ancora.»
«Non so come. Non ci riesco, questa volta.»
«Non sei sola, questa volta.»

Si guardano senza più parlare, in uno di quei silenzi che solo tra loro poteva funzionare: completamente esposti nell’anima e con una fiducia totale nell’altro.

Scrutandola in viso, a Daryl parve di leggere ogni emozione scorrerle addosso e, piano piano, vide le sue lacrime asciugarsi. Raccolse l’ultima e la più ostinata con le labbra e sentì Carol rilassarsi contro di lui: poi, mentre ancora assaporava la sapidità delle sue lacrime, Carol lo spinse all’indietro sul letto. Seguendo il suo invito, Daryl appoggiò entrambi i gomiti al materasso per sostenere il proprio peso: le gambe ancora a penzoloni dal bordo del letto e gli occhi fissi su quelli di lei.

Carol gli sfiorò la pancia con le unghie, prima di sbottonargli la camicia e chinarsi appena verso di lui: a quel punto Daryl sentì il viso andargli a fuoco per l’imbarazzo e le guance arrossire.
 
Un conflitto tra ciò che il corpo avrebbe voluto e quello che, invece, la mente gli suggeriva prese vita dentro di lui: voleva fermarla, perché non era sicuro di come lei stesse veramente, ma sentiva il sangue pulsargli nelle tempie, per quanto la desiderava.

«Carol…» mormorò dubbioso, ma non la fermò quando lei avvicinò la propria bocca alla sua. Schiuse le labbra e sentì l’ossigeno lasciare completamente i suoi polmoni quando Carol spostò le mani sulla cintura dei suoi pantaloni e la slacciò.

«Sono qui. Con te.» Rispose lei in un respiro che gli solleticò la lingua. «È quello che voglio. Davvero.»
Il rumore della cerniera dei suoi jeans che si apriva gli invase le orecchie e, in quell’istante, Daryl perse ogni battaglia.

Non sapeva come muoversi, ma sapeva che questo momento era loro e che non sarebbero servite altre parole per dirle che lui era con lei. Avrebbe potuto mostraglielo. Farglielo sentire con ogni cellula del proprio essere.
Le prese il viso tra le mani e la tirò a sé, chiudendo il labbro inferiore di Carol tra i denti per un secondo, prima di massaggiarlo con la propria bocca: in quel bacio ci mise tutto ciò che era, tutto quello che non riusciva a dirle con le parole, tutto quello che lei era per lui. Facendo appello a ogni grammo del proprio coraggio, accarezzò l’incrocio delle labbra di lei con la lingua, attendendo che gli permettesse di baciarla davvero.
Carol seguì ogni suo gesto, accogliendo quel bacio che da timido era divenuto profondo e privo di ogni freno.

Sapore.

Carol sentì sulla lingua il sapore della caccia, della foresta, dell’aria calda e umida che opprime la pelle. Daryl sapeva di libertà: di muschio, di tabacco e di coraggio. Era un sapore che non si poteva descrivere col gusto di qualcosa. Era come se il suo essere, ciò che lui era e che lo rendeva così speciale e inavvicinabile, si fosse condensato in un’essenza che le inondò le papille gustative e le entrò nel sangue, fino ad annebbiarle tutti gli altri sensi. Era così diverso da ciò che si sarebbe immaginata.

Odore.

Daryl respirò a pieni polmoni mentre si perdeva completamente nelle labbra di Carol e l’odore di lei gli invase le narici, arrivando dritto alla sua mente e spegnendo ogni pensiero. Profumava di delicatezza e polvere da sparo, di fumo di sigaretta e di sapone: dai suoi capelli si sprigionava il ricordo della vaniglia e sulla sua pelle il fantasma del sangue e della forza. Ma, più di ogni cosa, la sua epidermide profumava di dolcezza e di qualcosa che era solo e distintamente Carol. E quell’odore, così preciso e così dolce, lo inebriò e prese il controllo dei suoi muscoli: si ritrovò a stringerle i fianchi e, contro il proprio volere, a premere il proprio bacino contro il suo.

Un suono gutturale, quasi un lamento di piacere, gli sfuggì dal fondo della gola e si scontrò con il gemito di lei, ed entrambi i rumori si spensero nell’incontro delle loro labbra.
Carol cercò ancora quel contatto, quella frizione contro di lui e, mentre si perdeva alla ricerca di quel piacere, avvertì Daryl sollevarle la maglietta e tremare ancora.
Aveva paura e non era sicuro di come muoversi.

Voce.

Daryl la sentì sussurragli che andava tutto bene, che non aveva paura di lui.
La sua voce gli scaldò le vene, suonando prima leggera e rassicurante contro il lobo del suo orecchio: poi Carol lasciò una scia di baci soffici come fiocchi di neve, scendendo in modo dolorosamente lento dal suo collo fino al petto e fermandosi più a lungo sul tatuaggio che gli decorava la pelle all’altezza del cuore. Lì il suono delle parole di Carol si espanse come elettricità nella carne: le udì pronunciare il suo nome con un desiderio così intenso che la voce le tremò e Daryl, a quella vibrazione, rispose sospirando a fatica.
Non si accorse neppure delle proprie mani che le levarono la maglia con impazienza, né di averla delicatamente spinta lontano dal suo corpo per farla rotolare sul materasso: si ritrovò a baciarla ancora, questa volta sdraiandosi per metà su di lei mentre, con un ginocchio, incoraggiava a divaricare leggermente le gambe.

Vista.

Carol strinse i suoi capelli tra le dita per un istante e lo costrinse a sollevare il viso: quando lui sollevò il capo, lei lo guardò con attenzione. Gli occhi di un azzurro intenso e scuri per il desiderio riflettevano ancora tutta la sua insicurezza; le labbra schiuse, arrossate per l’insistenza dei suoi baci e un po’ più gonfie vibravano ad ogni suo sospiro.
I capelli scuri e lunghi che, a ciocche ribelli, gli ricadevano sul viso e lungo il collo, rendendolo molto più simile ad un angelo rivoltoso e dannato di quanto lui avrebbe mai immaginato. Quelle ali, quelle piccole decorazioni che troneggiavano su quel suo gilet di pelle usurato, gli appartenevano più di quanto Daryl pensasse.
Carol spostò lo sguardo prima sulle sue guance, intenerendosi quando si accorse che erano ancora arrossate – forse dall’imbarazzo di quanto la sua intraprendenza lo stava spingendo a fare – e poi cercò di scrutare il suo corpo. Per un attimo Daryl la ostacolò, ritraendosi di fronte al suo sguardo: poi sembrò ripensarci e la sorprese, levandosi completamente il gilet e la camicia e voltandosi per permetterle di vedere i segni del male che lo aveva afflitto per tutta l’infanzia. Che lo aveva segnato tutta la vita.

Restò voltato solo pochi secondi, il tempo di offrirle uno sguardo su ciò che più di ogni altra cosa Daryl nascondeva al mondo: poi, con gli occhi di chi porta con sé quel dolore, tornò a guardarla.
Comprendendo l’enormità di questo gesto, Carol decise di mostrargli lo stesso rispetto e la stessa fiducia, spogliandosi di ciò che ancora la copriva e condividendo con lui la mappa di quel passato che l’aveva resa oggi quella che era. I segni di un matrimonio crudele raccontavano sul suo corpo la storia di una donna che, come lui, aveva dovuto sopportare per anni le ferite di un amore sbagliato. Di un amore che non era poi davvero amore.

In quel momento erano ancora più uguali, più complementari, più in sintonia e vicini di quanto fosse mai accaduto.

Daryl vide sul fianco destro di Carol un livido nero, enorme e rabbioso che le colorava la vita e che andava a sparire sulla sua schiena, ma non le chiese cosa fosse: sapeva che potevano solo essere i segni di una battaglia avvenuta durante il suo rapimento. Non serviva che glieli raccontasse: erano lì ed erano la testimonianza della sua forza, esattamente come le loro cicatrici.
Avrebbero forse dovuto sentirsi inibiti dopo questo momento di condivisione, ma non fu così. A un momento di tale fiducia e intimità, entrambi risposero con un bisogno ancora più forte di toccarsi, di sentirsi nel presente, insieme.

Sentire. Insieme.

Daryl le accarezzò il collo, le baciò una clavicola con una delicatezza che le spezzò il cuore di commozione e che la costrinse nuovamente a sdraiarsi sul materasso: Carol chiuse gli occhi, perdendosi nella serenità che sentiva percorrerle il corpo per la prima volta dopo tanto tempo.
Il rumore dei pantaloni di lui le risuonò nelle terminazioni nervose quando capì che, in un impeto di iniziativa, Daryl se li era levati e li aveva lasciati cadere a terra.
E, quando percepì le sue dita tremanti accarezzarle l’interno coscia, Carol si sentì in pace: con Daryl poteva essere se stessa, essere debole, vulnerabile . Con Daryl poteva mostrare ciò che era e ciò che voleva.
 
Lui era lì, con lei, e le stava donando una parte di sé talmente intima e nascosta che per Carol significava una cosa sola: si stava legando a lei per sempre e come non aveva mai fatto prima d’ora. Lo sentiva nel suo respiro, nei suoi gesti, nella sua voce quando le sussurrò: «Sei meravigliosa.»

E, per la prima volta, Carol si sentì davvero così.

Lo baciò ancora e ancora, con tutto quello che aveva nascosto nel profondo della sua anima, cercando di restituirgli tutto il bene e la fiducia che lui le stava donando.
Daryl era sdraiato su di lei, senza più barrire che li separavano e le stava permettendo di toccarlo, accarezzarlo e assaporarlo senza alcuna paura.

Era ancora attento, a tratti intimorito e insicuro, ma le aveva affidato tutto: il corpo e il cuore, per Daryl, erano uniti da una rete invisibile e indistruttibile. Toccare il suo corpo era come stringere tra le mani anche il suo cuore.
 
«Va tutto bene…» mormorò Carol sulle sue labbra quando lo sentì indugiare e, con un leggerissimo movimento del bacino, trovò con lui quel frammento di intimità che fece di loro una cosa sola.
Rimasero immobili a lungo: i loro sguardi incrociati nell’unica forma di comunicazione necessaria e fusi insieme dal calore di quell’attimo, legati in un bacio che, dalle loro labbra si espandeva al resto dei loro corpi.

Daryl le invase i sensi. Era dovunque, dentro di lei.

Carol gli inondò ogni molecola del corpo. Era attorno a lui in un modo totale e la sentiva fondersi con lui.

Non c’erano più confini.

Daryl trattenne il respiro, cercando di non perdere il controllo e aspettando che Carol iniziasse a muoversi. La sentì espirare e dalle labbra di lei gocciolò un incoraggiamento a proseguire: un gemito gli risuonò nel petto e il sapore del piacere gli chiuse la gola quando ogni muscolo di lei si contrasse attorno a lui.

«Maledizione!»

Daryl tremò tra le braccia di Carol e, afferrandole il bacino, le bloccò i fianchi per qualche istante, per farle sapere che non era ancora pronto.

Posò la fronte a quella di lei e strinse gli occhi: un’espressione quasi sofferente gli oscurò i tratti. Carol gli accarezzò con dolcezza prima i capelli, poi il collo, scendendo lungo le spalle e la schiena, fino ad arrivare sui suoi fianchi: le mani di lei, nella loro lenta discesa, allentarono la tensione che gli attanagliava i muscoli. Poi, quando Carol lo vide di nuovo aprire gli occhi, lasciò scivolare le mani sulle sue natiche e, facendo pressione, lo accompagnò nel movimento.

All’inizio il ritmo era irregolare, forte e insicuro: ci volle qualche secondo perché Daryl riuscisse a lasciarsi andare e, baciandola, a entrare in sintonia con lei. Piano piano, scoprirono le necessità l’uno dell’altra e, senza accorgersene, i loro bisogni vennero a coincidere.

Si movevano lenti, insieme, sentendo ogni contrazione del corpo dell’altro, ogni respiro diverso, ogni richiesta non detta.

Le mani scorrevano, alla scoperta di un nuovo modo di toccare, della pressione giusta da applicare a una carezza, dei punti segreti da sfiorare per ottenere una risposta fatta di sospiri e di respiri spezzati. I baci esploravano la pelle, per sentire dove il sapore cambiava, per vedere in che punti baciare dolcemente, dove ci voleva maggiore pressione e dove, invece, lasciarsi sopraffare dalla passione e usare i denti per qualche piccolo morso.

Carol si accorse che Daryl perdeva il controllo e il ritmo ogni volta che lei lo baciava sul collo o gli graffiava la pelle in quel punto. Daryl si rese conto che Carol non riusciva a fermare i gemiti quando lui le accarezza la vita o le mordeva una spalla.

E lo fece più del voluto. Morderla.

Non tanto per vederla fremere, ma per cercare di trattenersi dal raggiungere l’orgasmo.

Carol scoprì anche che, anche mentre faceva l’amore, Daryl sussultava ogni volta che le mani di lei sfioravano una delle sue cicatrici sulla schiena; eppure si stupì quando notò che, ad ogni tremore, lui faceva seguire un bacio. Come a scusarsi per quel timore. Per averle comunicato che aveva paura di quel tocco. La baciava come a dirle: «Mi fido. Puoi farlo.»

Daryl, dal canto suo, si rese conto del fatto che Carol gli stava aprendo il suo cuore come non aveva fatto fino ad ora: fare l’amore per lei, forse, in passato era stato legato a altro. Forse Ed faceva l’amore con lei per farsi perdonare le violenze; o, magari, non faceva affatto l’amore con lei.

Daryl non lo sapeva, ma nel modo in cui lei gli permetteva di avere il controllo, capì che si era abbandonata a lui, perché sapeva che avrebbe avuto cura del suo corpo come lei ne aveva di quello di lui.
La percepì accelerare appena i movimenti e cercare una frizione diversa e, di fronte a questo cambio, Daryl andò per un attimo nel panico: un po’ perché temeva di non soddisfarla, un po’ perché ogni nuovo contatto rischiava di fargli perdere il controllo.

«Ferma…» la implorò nascondendo il viso nella sua spalla e succhiandole la pelle con ansia.
«Daryl, va bene così. Lasciati…»
«No!» ringhiò lui tenendo le labbra premute contro la sua gola, «Prima tu.»

Era una questione complessa, Carol lo capì: c’era troppo nascosto dietro a questo suo bisogno di soddisfarla. Ma Carol cominciava a temere che questo stress e questo trattenersi stessero privando lui del piacere di questo momento insieme.
Ma non provò più a contraddirlo e, intrecciando le dita con quelle di lui, tornò a liberare la mente e la voce da ogni pensiero e parola sensata: sentì solo Daryl e il suo corpo.

Sentì di essere lì, presente come non mai. Sentì di non essere sola e, quando lui si lasciò sfuggire un improperio, poggiò la fronte contro quella di lui e percepì il proprio corpo iniziare a tendersi e a distendersi a ritmo regolare.
 
«Quasi…» gli disse piano e lui si mosse con più profondità, ma mantenendo quel ritmo lento e perfetto.

Lo baciò, allora, con tutta la passione che sentiva stringerle le vene e farle scorrere il sangue ad una velocità incredibile e, quando lui le morse il labbro inferiore, Carol avvertì il proprio ventre contrarsi in uno spasmo fatto solo di calore e di piacere e, lì, contro Daryl, si sentì se stessa.
Solo allora, mentre ancora i suoi muscoli restavano stretti in una rigidità meravigliosa, alleviati da piccole distensioni, Daryl si lasciò finalmente andare, rinunciando al controllo e, abbracciandola a sé, lasciò che il suo stesso corpo trovasse quello sfogo tra la braccia di lei.

«Dove sei?» lei domandò quando, dopo qualche minuto di silenzio e con il viso ancora premuto contro il suo petto, ebbe l’impressione di sentirla lontana.
 
«Sono qui, Daryl. Davvero.» Gli mormorò lei tra i capelli, ascoltando il respiro affannato di lui e percependo il suo calore sulla pelle.

Ed era vero. Non sapeva se e quanto sarebbe riuscita a resistere qui. Non sapeva neppure se Daryl fosse riuscito a scacciare i suoi demoni. Forse l’aveva fatto per poco. Ma sapeva che non si era sentita così presente e così vera da mesi.
Non poteva essere lui a farla stare bene: quello era qualcosa che solo Carol poteva fare.

Ma lui le aveva giurato che, se glielo avesse permesso, non sarebbe stata da sola.
E, mentre il sonno invase tutti i loro sensi, entrambi rimasero coscienti solo del contatto che ancora li univa, del corpo e della pelle dell’altro e della verità che entrambi avevano giurato: c’erano. Tutti e due. L’uno per l’altra e l’uno con l’altra.

Mentre si addormentarono, un solo senso restò attivo e vivo: il tatto.
 
 

AN: Quelle che io percepisco come incoerenze narrative nella serie tv hanno, probabilmente, risvegliato la mia ispirazione.
Questo capitolo è stato davvero una brutta bestia da scrivere: è stato faticoso e, come ogni volta, ero partita con un'idea che ha preso una forma completamente diversa in corso di scrittura. Chi mi ha letto in passato sa che scrivere scene intime mi crea qualche difficoltà e che non mi sento esattamente a mio agio, ma ci ho provato.
Carol e Daryl non sono esattamente due personaggi che, secondo me, direbbero molto a parole in quel momento: la cosa difficile di questi due è proprio riuscire a far calzare i dialoghi e la comunicazione. Spesso comunicano fuori dallo schema linguistico e le parole per loro sono ridondanti. Quindi, ecco, anche la parte di dialogo (che, in genere, è il mio forte) è ostica... Quello e il cercare di mettere nero su bianco la loro comunicazione non verbale e il loro modo di interagire su un piano diverso e particolare.
Ecco, basta. Credo di aver finito.
Grazie di cuore a chi ha letto anche questo secondo capitolo e per i commenti precendenti: sono stati un carburante incredibile per non arrendermi di fronte al capitolo che si rifiutava di essere scritto!

 

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Capitolo 3
*** Yin vs Yang - The Darkness before the dawn - ***


A/N: Quando troverete delle battute tra virgolette e in corsivo, saranno delle citazioni direttamente dal telefilm di dialoghi passati avvenuti tra loro. Vedrete, inoltre, spesso delle parole singole in corsivo: spero che alla fine del capitolo sarà chiaro il perché. Diversamente non importa: è più una cosa mia che altro.
È un capitolo davvero LUNGO e avevo pensato di postarlo in due momenti diversi, ma avrei dovuto “tagliarlo” in un punto crudele e – non amando io le attese – non mi sembrava carino costringere voi ad aspettare.


 
Regrets collect like old friends
Here to relive your darkest moments
I can see no way, I can see no way
And all of the ghouls come out to play

And every demon wants his pound of flesh
But I like to keep some things to myself
I like to keep my issues drawn
It's always darkest before the dawn

And I've been a fool and I've been blind
I can never leave the past behind
I can see no way, I can see no way
I'm always dragging that horse around

All of his questions, such a mournful sound
Tonight I'm gonna bury that horse in the ground
So I like to keep my issues drawn
But it's always darkest before the dawn

-Shake it out-
Florence + the Machine
Yin vs Yang
The drakness before the dawn



Buio.

Quell’oscurità profonda che assorbe e si espande sotto la pelle quando il sonno prende il sopravvento. I sogni, fatti di quell’ombra nera che sa di rimorso: la voce di quella coscienza che riesce a logorare anche nel sonno.



Era quello il buio in cui Carol si sentì risucchiare. 

Quel momento che affligge ogni notte: quell’attimo in cui il buio è più oscuro.

Un riposo fatto di volti e voci, di emozioni nere e fredde: di ricordi. 

Il viso di Mica mentre sbuccia le noci; le lacrime di Lizzy mentre non sa che la sua vita sta per finire; la rabbia nelle parole di Mary gridate alle spalle di Carol che la abbandona ad una morte lenta per mano dei vaganti. L’odio di Paula che si ostina a non scappare; il rantolio dei due Salvatori che hanno fatto lei e Maggie prigioniere; le urla di quel gruppo di persone a cui lei e Maggie hanno dato fuoco.

Le parole di Morgan: “Ogni vita è preziosa.”



Il volto di Sophia che piange e fugge oltre il guard-rail di quell’autostrada, inseguita da due morti. Il suo corpo decomposto che esce dal granaio dei Greene. La sua voce, che Carol iniziava a dimenticare.



“Ogni vita è preziosa.”
E quante ne aveva prese, Carol?

Si sentì mancare il fiato, come se qualcuno le stesse schiacciando il torace e le avesse serrato la bocca con del cemento: a ogni tentativo di riempire i polmoni, il volto di qualcuno che non c’era più le riempiva gli occhi. L’aria non arrivava al suo petto: i morti che aveva lasciato dietro di sé le bloccavano la gola, impedendole di respirare.
Un sudore doloroso le accarezzò il corpo e un panico crudele le invase la mente, il sangue, il petto: affogava nella colpa e nel ricordo dei propri crimini.

Si svegliò con un gemito; quello del dolore che le uscì dalle labbra e che le liberò la gola.

Attorno a sé, l’oscurità. Ancora. Di nuovo quell’attimo nero, prima di ogni giorno. Quel frammento di tempo che precede la luce, fatto di una notte così profonda da sembrare eterna.

Carol si sentì intrappolata, come se fosse destinata a non vedere più oltre quel buio. Come se non potesse lasciarsi il passato alle spalle.

Annaspò silenziosamente, sentendo finalmente i polmoni espandersi e il cuore rallentare lievemente. Sulla pelle umida di sudore, l’aria fresca della stanza la fece rabbrividire.
Poi una carezza lungo il fianco la riportò alla realtà. Al presente. Alla notte. Fuori dall’incubo.

Il buio non era più soffocante del sogno: era la notte che ancora avvolgeva la sua stanza e il tocco leggero che le sfiorava la pelle era quello di Daryl.

«Era solo un sogno.» lo sentì bisbigliare con voce roca, carica di sonno e di stanchezza.
Carol restò immobile, ancora scossa dai rumori e dalle immagini che le avevano tolto il fiato.
«No, erano ricordi.» sussurrò mentre la vista si abituava all’oscurità e, finalmente, riuscì a vedere il viso di Daryl di fronte a sé.

Lui non le chiese di raccontarglieli. Non la strinse a sé. Non la obbligò a fare nulla: Daryl restò accanto a lei, in silenzio, muovendo appena le dita sulla pelle di lei e respirando profondamente, cercando di calmarla nel modo meno invasivo possibile. Perché a Carol mancava l’aria da troppo tempo e Daryl sapeva che le serviva spazio. Aveva bisogno di tempo per uscire dal buio e trovare la luce del giorno. Di se stessa.

Per Daryl le notti erano sempre state corte, fredde e il suo sonno sempre leggero; avvertirla agitarsi così disperatamente era bastato per svegliarlo.

Sapere di non potere fare nulla per lei, però, lo fece sentire ancora una volta impotente.
Il mondo oggi non era fatto di compromessi: la vita o la morte erano l’unica alternativa e, se Carol non poteva più uccidere, per lei restava solo la morte.

A questo, però, Daryl non era disposto a cedere.

Rimasero in silenzio a lungo: i loro respiri, l’unico rumore che echeggiava nella stanza.

Avrebbe voluto chiederle tante cose, costringerla ad affrontare quei ricordi e spiegarle che non poteva arrendersi: Carol era cambiata radicalmente dalla morte di Sophia, più di chiunque altro nel loro gruppo. Aveva trovato il modo di reinventarsi e diventare una risorsa, qualcuno che non aveva bisogno di essere protetta: era rinata da ogni sconfitta inflitta dalla vita.

Non sarebbe caduta sotto il peso di questa battaglia, di questo Daryl ne era certo. Doveva solo riuscire a convincere anche lei; trovare il modo di ricordarle chi era e cosa poteva fare.

Ma lei era così lontana, così immersa negli eventi, così rassegnata, che Daryl non sapeva da dove cominciare.
Carol si mosse nel letto, voltandosi supina a osservare il nulla; Daryl seguì i suoi movimenti, lasciando scorrere la mano sulla sua pelle fino al ventre. Si sorprese quando percepì le dita di lei posarsi delicatamente sulle proprie: poi lei si voltò in quell’oscurità, così profonda al punto da avere sostanza e, accarezzandogli i capelli, lasciò cadere un bacio sulle sue labbra. Un bacio tremante, quasi spaventato; un bacio che aveva il sapore della paura. Del buio in cui si era rifugiata.

Daryl non le permise di allontanarsi subito, però. Spostò una mano sulla nuca di lei e rispose al suo tocco, cercando di rincuorarla e di rivivere contro la sua bocca il contatto di quella notte. Di ritrovare in lei la luce che aveva visto mentre facevano l’amore; quello spiraglio di speranza che l’aveva accarezzata quando il dolore aveva smesso di urlare, anche se solo per poco.

Le accarezzò la pelle, baciando con insistenza prima il labbro superiore e poi quello inferiore: era tutto così strano, per lui. Ogni gesto intimo, qualcosa di difficile, eppure – allo stesso tempo – necessario. Una rassicurazione.

Perché a ogni bacio, lei rispondeva. A ogni tocco, stringeva più forte la sua mano: si aggrappava a lui. Lottava contro la notte.

Quando Daryl ruppe il bacio, Carol cercò rifugio contro la sua pelle, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla e ritrovando il proprio respiro.
Per un attimo, ancora, si sentì al sicuro dai ricordi, dai demoni, dal buio.
L’aveva sempre amato, di questo era certa, ma ora quell’amore le faceva paura: dove l’avrebbe portata? Fin dove si sarebbe spinta per lui? Cosa sarebbe stata disposta a fare per salvare questo amore?

Tutto.

Per lui più di chiunque altro: questo pensiero, però, improvvisamente era più doloroso di ogni altra cosa. Perché per lui sarebbe rimasta in vita e incollata all’oscurità piena di peccati e di rimorsi. A quei demoni che oggi le presentavano il conto, avrebbe venduto l’anima per lui: avrebbe rinunciato per sempre al giorno e sarebbe rimasta nel dolore e nella paura della notte.

Daryl aspettò qualche minuto, sperando che lei riuscisse a parlare, ma il silenzio sembrava essersi cristallizzato tra loro. Una mediazione che non avevano mai conosciuto e aggravata dall’oscurità che li avvolgeva: le parole tra loro erano spesso di troppo. Sapevano comunicare su un piano irraggiungibile, fatto di sguardi e di percezioni. Ma Carol si era nascosta da lui in un modo che neppure Daryl capiva.

In quel buio impenetrabile che nessuno sapeva trovare. Perché non si può fermare la notte e un cuore come quello di Carol non poteva evitare di sentire in eterno. La sua coscienza si era liberata dalle catene e l’aveva trascinata in un posto che Daryl non riusciva a raggiungere. In un buio che nessun bacio poteva sconfiggere.

La frustrazione gli annebbiò i pensieri con prepotenza e Daryl sentì i propri muscoli contrarsi per la rabbia. Doveva aiutarla, ma si rese conto di non avere le risorse per farlo. Lei l’aveva salvato da se stesso un’infinità di volte e lui oggi non poteva fare lo stesso.

Si ritrasse, allontanandosi da lei e mettendosi a sedere sul bordo del letto, improvvisamente lucido e vigile.
La distanza che aveva cercato di accorciare sembrava cercare di insinuarsi ancora tra loro.

«Ti sei pentito?» la sentì domandare con voce flebile e stanca. Come se si aspettasse di vederlo uscire dalla porta; come se sperasse di essere lasciata da sola.
La cosa lo fece infuriare ancora di più.
«Di cosa?» chiese lui tra i denti, lottando contro la propria natura e cercando di non mostrare il proprio livore.
«Di tutto.» rispose Carol semplicemente in un sospiro consapevole.
«Dovrei essere pentito di aver fatto l’amore con te? È questo che vuoi?» non appena le parole lasciarono le sue labbra, Daryl si accorse dell’accusa che nascondevano.

O forse la sua era solo paura. Perché dal momento in cui aveva ricambiato il bacio di lei, un pensiero gli era rimbombato costantemente nella mente: che lei stesse cercando di distrarlo. Che dietro a quell’intimità si nascondesse un tentativo di impedirgli di arrivare a lei. Che fosse un modo per non affrontare la verità. Per tenerlo lontano dal cuore. Per restare nel buio.

Che fare l’amore con lui fosse un addio.

«Volevo andarmene.»
«Lo so.»
«Vorrei ancora andarmene.»
«So anche questo.»

Daryl si sentì morire per un istante: perché era vero. Sapeva che se ne voleva andare: l’aveva percepito poche ore prima, nelle sue parole piene di dolore e di resa. Lo sapeva dalla notte in cui l’aveva seguita fuori dalla chiesa dopo averla ritrovata a Terminus.

“Che stai facendo?”
“Non lo so…”


Aveva avuto la netta sensazione che lei fosse in bilico tra due vite e si era illuso di averla presa per mano e ricondotta a loro. A casa.

Carol osservò le spalle di Daryl irrigidirsi insieme alla sua voce: lo guardò chinarsi in avanti e affondare il viso nelle mani. Vederlo così aggravato dagli eventi le spezzò il cuore, perché sapeva di essere lei la causa di quel dolore.
Si sollevò dal materasso, stringendo a sé le lenzuola per coprire il proprio corpo ancora nudo; poi si mosse verso di lui fino a che non riuscì ad accarezzargli la schiena. La pelle calda, morbida e tesa allo stesso tempo, le fece pizzicare la gola: perché non potevano restare per sempre in questo momento della notte, loro due, da soli? In questo pezzo di vita in cui il buio più nero di tutti li nascondeva dalla verità, dai doveri e dalle colpe?

«Non ha nulla a che fare con te» cercò di spiegare Carol, lasciando cadere un bacio contro la sua spalla, appena sopra il tatuaggio.
«Io sono qui. Se tu te ne vai da questo posto, te ne vai anche da me.»
«Non vorrei farlo.»
«E allora non farlo.»
«Daryl, quando tieni a qualcuno, in questo mondo hai qualcuno per cui devi essere pronto a uccidere. E se non vuoi farlo, o se non puoi, allora ti devi allontanare. Non puoi avere entrambe le cose.»

Daryl non sapeva combattere la logica assolutista di Carol: era sempre stata questa la differenza tra loro. Lei sapeva usare le parole, sapeva parlare di pensieri e di emozioni e riusciva a dare voce alla propria ragione. Daryl, invece, usava i fatti per comunicare con lei. Ma se fare l’amore non era bastato a farle capire, nulla sarebbe servito.
Sentì il cuore precipitargli nello stomaco: aveva atteso troppo a lungo? O, forse, il suo amore non bastava? Non era stato sufficiente a farle cambiare idea? A farle capire che il suo posto era qui, con la loro famiglia. Con lui. Che lui l’avrebbe protetta da tutto?

«Stronzate!» le disse con rabbia, ritraendosi dal suo tocco e alzandosi dal letto di scatto, «Sono tutte stronzate che ripeti a te stessa perché hai paura.»
«Daryl…» nella voce di lei si intrecciavano tristezza e rammarico.

Carol non sapeva come fargli capire che a lui teneva più di ogni altra cosa al mondo, ma che non poteva più vivere così: non riusciva a vedere una via d’uscita tra il dovere di uccidere per proteggere e il peso di ogni vita spezzata in nome dell’amore. Il conflitto interiore che la opprimeva era troppo forte.
Era chiusa in un vicolo cieco. Una spirale di colpe senza fine.
Restare e non uccidere voleva dire stare a guardare loro, a guardare lui, morire. Sarebbe stata un peso. Restare e uccidere equivaleva a morire lentamente, probabilmente costringendola comunque un giorno a seppellire qualcuno che amava.


«No! No.» sibilò lui tra i denti mentre con rabbia si infilava i pantaloni abbandonati ore fa sul pavimento, «Pensa quello che vuoi. Raccontati tutte le balle che ti servono per convincerti che non puoi fare altro che andartene da sola, ma non pensare di startene lì, dopo aver fatto l’amore con me, e chiedermi di accettarlo.»

Daryl raccolse con gesti convulsi i propri vestiti, sopraffatto dal timore, dalla delusione. Carol sapeva di aver scatenato in lui un bruciante senso di rifiuto e per questo si trovò a corto di parole; perché ebbe l’impressione di non potergli fare capire le proprie ragioni.

Lui era sempre stato un uomo concreto, che mostrava il suo cuore in modo vivido, senza logica e senza dialettica. Non sapeva mascherare le emozioni e viveva la vita sull’onda di ciò che sentiva in modo cocente, senza compromessi. Senza remore. Alla luce.
Carol, invece, aveva imparato ad essere pragmatica in un modo completamente diverso: tenendo le emozioni sotto controllo, scegliendo un angolo buio della notte e nascondendovi ogni rimorso, ogni colpa, ogni demone. Perché aveva combattuto una vita per sopravvivere alla violenza. La violenza era contro la sua natura, ma solo mantenendo il controllo avrebbe potuto fare quello che era necessario.

«Mi hai insegnato a sentirmi parte di questa famiglia. Mi hai mostrato cosa voleva dire appartenere a qualcuno. Mi hai aiutato a trovare il mio posto e a accettare l’affetto. A permettere a me stesso di tenere alle persone.» le disse con voce graffiante, avvicinandosi al letto e accendendo la lampada del comodino.

Una luce fioca si irradiò solo in parte della stanza, illuminando appena il corpo di Daryl ma non riuscendo a raggiungere Carol.
Una lampada inutile, pensò Daryl.
Daryl appoggiò i pugni sul materasso, abbassandosi appena e chinandosi verso il lato del letto di Carol per guardarla negli occhi ancora una volta: non riusciva più a trattenersi. La disperazione di provare a convincerla a restare strideva contro il doloroso senso di abbandono che bussava contro il suo cuore.

«Perché?» le domandò in un sospiro contrito; il suo rammarico gli scintillò nelle iridi ad ogni parola, mentre le pupille si stringevano sotto i deboli raggi di luce che si dirigevano dal comodino al suo viso. O forse era la delusione che le faceva contrarre, pensò Carol.
«Che cosa?» rispose lei perduta e confusa, ma protetta dalla notte.
«Perché mi hai insegnato tutto questo se ora pensi che non ne valga la pena?»
«Ne vale la pena. Ne vale la pena al punto che uccidiamo. E io non posso più farlo.» bisbigliò lei incrociando il suo sguardo e cercando di accarezzargli il viso. Ma Daryl scansò la sua mano ancora una volta, le emozioni che gli scorrevano dentro improvvisamente troppe e troppo forti.

Non riusciva a sopportare l’idea che lei si stessa arrendendo: Carol lo vedeva nei suoi occhi e nella tensione dei suoi muscoli.
Avrebbe voluto rassicurarlo, ma non vedeva una via di uscita da questo inferno e non sapeva come proteggerlo dalla delusione. Dalla resa. Dalla sconfitta.
Eppure, proprio in questo momento, vedeva riflesso sul suo viso l’amaro effetto delle proprie decisioni: Daryl si sentiva usato e abbandonato. Le stava gettando addosso un’ira nata solo dal logorante dolore provocato dall’idea che lei fosse pronta ad abbandonarlo.


Si era esposto in modo totale, donandole tutto ciò che aveva per farle sapere quanto l’amasse: le aveva permesso di diventare un’unica cosa con lui e le aveva aperto una parte di se stesso che aveva sempre custodito.

Tempo fa Daryl era un lupo solitario, qualcuno che - di fronte al dolore - reagiva isolandosi, allontanando gli altri. C’era qualcosa di estremamente puro in Daryl, qualcosa di raro e di prezioso; qualcosa che non si imparava dalle sue parole, ma dal suo corpo, dai suoi movimenti e dalle sue azioni. Era un uomo che nella fine del mondo aveva trovato l’amore e la fiducia e per queste due cose era pronto a morire. Carol lo sapeva, per questo sentì dentro di sé il bisogno di proteggerlo; dal dovere di sacrificare tutto quello che aveva pur di salvare qualcuno. Di salvare lei. Lei, che fino a poche ore fa non sapeva se voleva o se meritava di essere salvata ancora.

Lei, che nel buio aveva iniziato ad affogare inesorabilmente.

Da quando si erano conosciuti il loro rapporto era cresciuto in modo silenzioso e costante, senza fretta e in modo naturale: il loro passato simile era stato solo l’inizio, qualcosa che aveva permesso ad entrambi di percepire, capire e sentire l’altro senza bisogno di parole. Perché negli occhi e nelle ferite dell’anima di uno, si riflettevano i ricordi angoscianti dell’altro.

Ma non era stato il loro trascorso comune a unirli: era sto l’istinto, il coraggio di fidarsi, ascoltarsi, proteggersi. Amarsi. Erano nati lentamente, avevano nutrito il loro affetto e, senza fretta, il loro legame era sbocciato in qualcosa di speciale, di delicato: in un sentimento fatto di speranza.

«Non voglio lasciare te. Ma se tieni veramente a qualcuno, c’è un prezzo da pagare e io l’ho pagato e non posso più farlo.»

«Quello che è successo tra noi… non cambia le cose?»
«Cambia tutto.» la voce Carol tremò considerevolmente mentre gli dava la risposta che non avrebbe mai voluto sentire, «Ora più che mai sarei disposta a tutto… e il mio cuore non se lo può permettere.»

«Vuoi ancora andartene. Non è che vorresti. Lo vuoi.» la fissava con risentimento, un sentimento che non le rivolgeva dai tempi della morte di Sophia. La abatjour illuminava appena il suo viso, lasciando invece lei completamente immersa nel buio.
«Non lo so.»


E gli parve un ricordo di quella notte nella casa delle donne maltrattate. Oggi, come allora, lei non sapeva.
“Quando eri là fuori, con l’auto… Se non fossi arrivato io?”
“Ancora non lo so.”



«Stai fuggendo da te stessa. E da me.» disse Daryl voltando gli occhi verso la luce della lampada accanto al letto per non incontrare lo sguardo di lei.
«Tu sei nel mio cuore e saperti al sicuro sarà l’unico pensiero che porterò con me.»
«Non lo sai se sarò al sicuro.»
«Daryl, non so che altro fare.»
«No, non vuoi fare altro. E io non voglio darti la mia benedizione.»

Carol strinse le lenzuola e le tirò a sé, liberandole dal materasso, per alzarsi dal letto: Daryl si sollevò in risposta e indietreggiò appena. Rimase immobile, tremante sotto il flusso elettrico che la rabbia e il dolore gli espandevano nella carne: lei si fermò ad un nulla di distanza.

Daryl si stupì quando si rese conto che la luce era alle spalle di lei e, ancora una volta, non raggiungeva il viso di Carol. I raggi deboli arrivavano al suo volto, offrendo a lei un’immagine nitida dei suoi tratti, ma non regalando a lui la stessa fortuna.

Daryl lo trovò terribilmente ingiusto: Carol avrebbe avuto un ultimo ricordo del suo viso, mentre l’ultima immagine che il destino avrebbe concesso a lui della donna che amava, sarebbe stata rovinata dall’ombra e dal nero della notte.


E la rabbia in lui si fece rovente e luminosa: era tutto sbagliato. Non era così che doveva andare.

Avevano fatto l’amore. Lui le apparteneva in modo così profondo e così radicato nell’anima che le radici di questo legame non avevano fondo. Non poteva permetterle di andarsene. Era sua: lo era sempre stata, solo che Daryl non si era mai concesso il lusso di sperare di averla davvero.

Vederlo così alimentò in Carol il dolore, che si fece potente e nero: non solo non poteva restare accanto a lui, ma doveva portare con sé la consapevolezza di averlo ferito? Di avergli fatto sentire il bruciore dell’abbandono? Doveva portare nel cuore anche questa colpa, forse. Magari questo era il modo del nuovo mondo di scontare la propria pena.

Per un attimo esitò, ma non poté fare a meno di toccarlo: lui fece di tutto per non sussultare e, forse, si trattenne perché anche lui aveva bisogno di sentirla. Di respirare il suo profumo. Di percepire il suo calore.

«Perché non puoi restare?» le chiese Daryl chiudendo gli occhi e assaporando – forse per l’ultima volta – la dolcezza e il calore delle mani di Carol tra i suoi capelli, lungo le sue spalle, contro il suo cuore.
«Perché non so come proteggere voi senza distruggere me stessa.» sussurrò lei poggiando le sue labbra contro la sua clavicola, «Perché forse stare da sola, senza di te, è la mia punizione.»

E così punisci anche me, pensò Daryl.

«Perché nella notte c’è sempre un momento più buio di tutti e io mi sento intrappolata lì. E forse è quello il mio posto… forse quell’attimo di oscurità è quello in cui sono destinata a stare. Forse il buio è la mia pace.»
«Morirai là fuori da sola.»
«Forse no.»

Daryl sentì le braccia di lei cingergli la vita, scorrergli sulla carne e lasciare un segno indelebile sulla sula pelle, per sempre.

Avrebbe dovuto abbracciarla a sua volta, lo sapeva. Sapeva che era quello che lei gli stava chiedendo e che ne aveva bisogno. Era consapevole che le stava negando un ultimo contatto, ma non riuscì a concederglielo. Non riuscì a darle quello che voleva.

«No.»
«Lo so che non capisci. Non so neppure io cosa devo fare: so solo che in questo momento, qui non mi sento a casa.»

Quello fu il dolore più grande di tutti, per entrambi, perché in qualche modo erano sempre stati casa l’uno per l’altra.

“Non ti ho ancora detto che sono felice che tu sia tornato.”
“E dove? In questo casino?”

“È casa nostra.”
“È una tomba.”
“È così che T-Dog la chiamava. Ho pensato avesse ragione, ma poi tu mi hai trovata.”



«No. Non ti dirò addio.»

Per la prima volta da quando si conoscevano, Carol lo sentì parlare con la stessa voce dura e guardinga che usava con tutti. Le strinse le spalle inconsciamente e poi, con il cuore pesante, la allontanò dal suo corpo; un freddo pungente li avvolse e si distese nella stanza.

«Daryl, ti prego.» le lacrime le occlusero la gola mentre sussurrava un’ultima supplica che, sapeva già, non sarebbe servita a niente.

Perché non sapeva neppure lei se voleva andarsene, ma nella notte è impossibile vedere oltre le ombre. E, nonostante l’amore che provava, nell’oscurità di questa notte Carol non vedeva una soluzione, un futuro. Vedeva solo il nulla.

«No, se ne te andrai, lo farai sapendo che io non volevo. Che io non lo accettò mai.»

La rabbia gli colò dalle labbra come una maledizione e sentì il cuore stringersi per il dolore e il senso di colpa. Si sentì un mostro quando le diede le spalle, ma darle il suo permesso ad andarsene voleva dire ammettere di essere pronto a perderla, e questo non sarebbe mai accaduto.

Non si voltò a guardarla mentre uscì dalla stanza e chiuse con forza la porta alle sue spalle, portando con sé le lacrime che la luce della abatjour avevano mostrato a Carol nei suoi occhi.

E non vide quelle negli occhi di lei, che il buio gli aveva nascosto.

Carol non lo fermò: lo lasciò andare, perché Daryl aveva bisogno di elaborare le emozioni da solo, sentendole nel modo più vivo possibile prima di accettarle. Lo amava anche per questo: per il suo cuore potente e ruvido. Per il fatto che aveva lottato contro di lei per tenerla con sé.

Si lasciò cadere sul materasso e ripensò a tutte le volte in cui lui le aveva dato una ragione per restare; a tutti quei momenti in cui Daryl si era allontanato da loro e a come, ogni volta, era tornato. Alla fattoria, dopo la morte di Sophia; più avanti con Merle; ancora dopo la caduta della prigione; poi dopo la morte di Beth. E, infine, ad Alexandria.

Forse anche lei sarebbe potuta andare e, una volta guarita da questo stato di costante conflitto e perenne dolore, sarebbe potuta tornare.

Si sdraiò sul lato del letto che aveva occupato Daryl e, affondando il viso nel suo cuscino, si lasciò avvolgere e cullare dal suo odore.
Era davvero pronta a fare a meno di lui?

No.

Ma come poteva restare con Daryl e non fare quello che era necessario per proteggerlo?
Qual era il compromesso?
Dove stava la sua salvezza?
Nel buio della notte, non c’era uno spiraglio di luce a guidarla.

E ora più di prima si sentì perduta per sempre in quell’oscurità.

Nella notte, dove i peccati hanno il sapore dell’eternità e dove le paure si fanno grandi e devastanti.

La stanchezza e le lacrime la privarono di ogni pensiero: forse, al risveglio, se ne sarebbe andata. Probabilmente l’avrebbe fatto. Ma era ancora notte e, per un altro po’, Carol voleva restare su questo letto, a ripensare al sapore delle labbra di Daryl e a rivivere nel sonno i suoi baci e le sue carezze.
Forse il destino la voleva sola, ad andare incontro alla morte, ma avrebbe sempre avuto il ricordo di lui, della sua voce che sussurrava il suo nome, delle sue mani e del suo corpo tremante mentre lei lo stringeva a sé.
 

Daryl scese le scale di fretta, percependo il peso della colpa in tutto il corpo: ogni passo diventò difficile e ogni respiro impossibile. La stava perdendo. Nel buio di questa notte piena di amore e di dolore, stava perdendo la guerra.

Aveva salvato sconosciuti e amici e ora non riusciva a salvare lei. A salvare se stesso dalla perdita. A sconfiggere questo muro enorme e ostinato che si poneva tra di loro.

Uscì dalla porta di casa, quasi correndo, e si diresse verso i cancelli di Alexandria: era un gesto stupido e incosciente, ma aveva bisogno di uscire da queste mura per un attimo. Di pensare senza sentirsi opprimere dai confini della città. Dalla verità. Dalla paura di non vederla più.

Carol voleva andarsene. Lasciare dietro di sé tutto quello che avevano passato insieme.
Aveva scelto di restare nell’ombra e di pagare lì il conto di quei crimini che oggi la volevano risucchiare.
L’aveva detto anche lei che c’era sempre un momento più scuro nella notte: quello dove i demoni si agitavano e reclamavano il proprio pezzo di anima. Ma il buio non è mai eterno e, camminando con agitazione lungo le mura esterne di Alexandria, Daryl trovò la speranza immobile ai suoi piedi.

Si chinò e accarezzò l’erba, poi la terra.

Carol non voleva lasciarlo: era solo troppo ferita e combattuta. Stava bruciando un’altra versione di sé: era il fuoco che la consumava. Un fuoco che era divampato insieme a tutte le emozioni che si era impedita di provare. Insieme a quei ricordi che aveva cercato a dimenticare.

Eppure non era sola in quel buio e, a costo di lottare con lei e per lei in eterno, Daryl avrebbe passato ogni giorno della sua vita a farle inseguire la luce. In fondo, anche lei in passato l’aveva ostacolato e gli aveva impedito di cedere al proprio dolore e alle proprie paure.

Forse non stava a lui salvarla da se stessa, forse lui non avrebbe mai trovato le parole giuste; di una cosa, però, era certo: avrebbe fatto tutto il possibile per prendersi cura di lei proprio come Carol aveva fatto con lui ogni volta.

Quando varcò nuovamente i cancelli della città, faceva fatica a distinguere i contorni delle case: era questo il momento di ogni notte di cui aveva parlato Carol. Quell’attimo che precede un nuovo giorno, in cui il buio è più nero di ogni altro momento.
Mentre camminava seguendo l’istinto, questa notte gli parve la più lunga di sempre: piena di emozioni e di contrasti. Piena di svolte e di ritorni. Un cerchio senza fine che sperava, ora, di poter spezzare.

Contro ogni previsione, trovò Carol seduta sui gradini del portico della loro casa: se ne stava lì, con una tazza tra le mani e con lo sguardo basso, avvolta in una coperta per proteggersi dal vento.
Daryl sentì il cuore accelerare nel suo petto e il sangue pulsare con determinazione nelle vene: per un attimo aveva creduto di non trovarla più e il rimorso di non averle detto addio l’aveva schiacciato con forza.

Ma era ancora qui. Era ancora viva.

«Se devi andare, vai.» Carol sentì la voce di Daryl provenire da qualche metro di distanza.

Il viso le avvampò quando percepì ancora quella rabbia sporcare le sue parole.

Non sarebbe mai riuscita a fargli capire quale veleno le si stava espandendo nelle vene, perché Daryl aveva fatto pace con le regole di questo mondo da molto tempo. Era un giusto: credeva nella loro famiglia e per loro era disposto a uccidere, proprio come lei. Lui, però, nel tempo aveva imparato a sperare nelle persone come non gli era mai stato concesso prima e ad accettare che alcuni valevano la pena di essere salvati, altri di essere combattuti. Viveva secondo il suo codice e sapeva accettare il prezzo da pagare. Lei no; non ancora.

Carol aspettò di sentirlo di fronte a sé, prima di parlare; voleva essere sicura di aver capito bene, anche se – ammise a sé stessa – sapere che la lasciava andare le fece male in modo inaspettato.


«Che cosa?»

«Vai. Se è questo quello di cui hai bisogno, vai.» le ripeté Daryl una volta arrivato a lei. Poi si sedette accanto a lei sui gradini, guardando tra le ombre. «Ma non lo farai da sola. Ti ho già persa troppe volte.»

Un nodo le strinse lo stomaco: non era questo che voleva. Non poteva portarlo via dalla loro famiglia.
«Daryl…»
«No.» la interruppe con voce roca, ma ora più delicata, «Devi trovare il modo di stare meglio, di fare pace con quello che è il mondo oggi. Lo capisco. Hai bisogno del tuo spazio. Va bene. Ma io vengo con te.»

Daryl sapeva che non sarebbe stato facile convincerla, ma non era disposto a cedere. L’avrebbe seguita, anche contro la sua volontà e questo Carol doveva immaginarselo.

Era difficile per lui spingersi oltre le proprie abitudini, al di là di quelle zone di sicurezza in cui si sentiva a suo agio: tutta questa notte l’aveva costretto a lottare con le proprie difese e inibizioni. Affrontare il timore dell’intimità e accettare l’affetto in una forma nuova e terrificante per lui. Aveva dovuto lottare con il senso di rifiuto; si era costretto a calmare il sangue che ribolliva dentro di lui.
E ora doveva spingersi un po’ più in là: usare le parole. Quelle parole che non aveva mai trovato con facilità.

Era stata una notte tra le più belle e più difficili della sua vita. Ma si trattava di Carol. Per Carol e grazie a Carol, Daryl aveva imparato a smuoversi dal suo nascondiglio di ferro da tanto tempo.

«Daryl, il tuo posto è qui.»
«Il mio posto è accanto alla mia famiglia. E tu sei la parte più grande di quella famiglia. Se non fosse stato per te, non l’avrei neanche una famiglia. Il mio posto è accanto a te, perché questa volta sei tu quella che ha bisogno.» le accarezzò la nuca con delicatezza in un gesto che gli era ancora così estraneo e che gli sembrava terribilmente difficile.

Poi, quando la percepì rilassarsi sotto il suo tocco, lasciò andare tutta la rabbia e la premura che ancora lo attanagliavano e mormorò: «Io ti conosco.»

Carol si abbandonò alla delicatezza della sua carezza; con lui così vicino, le sembrò impossibile pensare davvero di andarsene. Non poteva fargli questo: non dopo quello che era successo tra loro. Andarsene equivaleva a spezzargli il cuore. Un cuore che lei amava con tutta se stessa.

«Quello che è successo stanotte… tra noi… Lo volevo davvero. Non ti stavo ingannando, Daryl.» bisbigliò Carol in risposta.

C’erano mille parole che le si agitavano nell’anima, migliaia di promesse che avrebbe voluto fargli, centinaia di pensieri che avrebbe voluto condividere, ma le restarono tutti incollati nel petto. L’unica cosa importante, a prescindere da come sarebbero andate le cose, era che lui sapesse quanto contasse per lei e quanto quello che avevano condiviso fosse speciale.

«Dopo Ed, non pensavo che ci sarebbe stata nella mia vita un’esperienza così. Non credevo più che fare l’amore potesse essere così.» fece un sospiro profondo, cercando di racchiudere in poche parole tutto quello che sentiva e di guadagnarsi il suo perdono per averlo ferito. «Ha significato tutto per me. Mi dispiace di averti fatto percepire qualcosa di diverso, davvero.»
«Lo so.»

Per qualche istante il silenzio si insinuò tra di loro, dando a entrambi il tempo di metabolizzare la verità: questa notte aveva cambiato tante cose e non si poteva tornare indietro.

«So che non vuoi più uccidere, ma dovrai farlo prima o poi. Questo è l’ordine del mondo ora.»
«Non finirà mai. Ci sarà sempre una nuova minaccia, qualcuno in pericolo, qualcosa per cui combattere… Io sono stanca.»
«La vita è sempre stata una minaccia per noi. Non sto dicendo che non dovrai più uccidere. Sto dicendo che io farò tutto il possibile per te e per aiutarti.»

Carol cercò la mano di lui e, quando sentì il calore della sua pelle, intrecciò le dita con le sue. Il solo pensiero di non poterlo più toccare le chiuse lo stomaco.

«Non so come uscirne. Non vorrei stare senza di voi, senza di te. Ma non so cosa devo fare.»
«Ti serve tempo.»

Lei annuì confusa, consapevole del fatto che, probabilmente, quel gesto impercettibile non sarebbe stato visibile agli occhi di lui.
Daryl la tirò con gentilezza verso di sé, costringendola a voltarsi con tutto il corpo; le accarezzò il naso con la punta del proprio, invitandola ad aspettare.
Carol, di fronte alla sua nuova audacia, si trovò a sorridere, nonostante il peso della propria anima. Era ancora incerto nei gesti, nonostante poche ore prima fossero stati in una intimità ben più profonda; eppure cercava il contatto, benché fosse evidente che ogni movimento fosse per lui una nuova fatica, una battaglia da vincere contro se stesso.
Poi si spinse più in là: con le dita sotto il mento di Carol, guidò il viso di lei finché non riuscì a catturare la sua bocca in un bacio dolcissimo, lento come i minuti che avevano dilato il tempo di questa notte. Un bacio fatto prima di leggeri tocchi, poi di pressioni più intense, cariche di parole non dette. Ad ogni sfioro di labbra seguiva un contatto più lungo e più profondo: tra un bacio e l’altro, lui le sussurrava sulla pelle «Aspetta», «Ancora un attimo». Carol si innamorò a ogni tocco indeciso, a ogni bacio tremante, a ogni morso irrefrenabile ma timido.

Poi, quando le parve che il tempo si fosse espanso al punto di coincidere con l’eternità, percepì la mano di Daryl posare qualcosa di leggero sulle sue cosce, prima di invitarla ad aprire gli occhi.

Lo fece lentamente, Carol, quasi temendo di perdere per sempre la perfezione di quest’attimo di intimità, in cui le paure e i rancori si erano polverizzati contro la tenerezza e la certezza.

Quando riuscì a focalizzare lo sguardo, di fronte a sé trovò il volto di Daryl, ora illuminato da una nuova luce. Una luce che fino a pochi minuti prima non c’era. I raggi di un nuovo sole che dalla terra si risvegliava e portava velocemente sempre più chiarore.
Carol abbassò gli occhi verso il proprio grembo e lì, delicatamente posata sulle sue gambe, vide una Rosa Cherokee.

«L’ho trovata qui fuori» le disse lui piano e accese l’accendino per illuminare meglio il fiore.
«Se devi andare, lo capisco. Non so cosa troverai là fuori, ma se devi andare, devi permettermi di venire con te.»
Carol accarezzò i petali di quella rosa, la stessa che le aveva portato lui quando Sophia era scomparsa. Le aveva dato speranza. La aveva fatta sentire meno sola. Più forte e fiduciosa.

«Non so quanto tempo mi servirà.» sussurrò lei, sentendo il muro di determinazione e solitudine che si era costruita attorno scricchiolare con tenacia.
«Non importa. Torneremo a casa quando sarai pronta.»
«Non possiamo lasciare gli altri qui indifesi. Hanno bisogno di te.»
«In questo momento ne hai più bisogno tu.»

La sua era una promessa, bisbigliata alle prime luci del giorno che gli illuminavano il volto: un giorno nuovo, come la speranza.
La forza di Daryl abbatté ogni sua resistenza, permettendole di accettare un’idea che – da qualche tempo – le era ostile: anche lei, come lui, aveva bisogno di essere sorretta e salvata dalle proprie emozioni.

Non sarebbe stato facile, trovare la nuova sé; riscoprirsi capace di stare alle regole che questo mondo le imponeva. Non era mai stata favorevole alla violenza, ma aveva messo a tacere le emozioni per riuscire a fare ciò che era necessario. Ora, un’altra versione di sé veniva bruciata, per rinascere in una nuova forma, più consapevole e ancora più forte.

Daryl non sarebbe stato al suo fianco combattere al posto sua una guerra con se stessa e con la morale del mondo di oggi; non poteva lottare e non poteva essere accanto a lei mentre Carol cercava il modo di rinascere e ritrovarsi.

Ma poteva stare alle sue spalle, per sorreggerla ogni volta che sarebbe caduta e che si sarebbe sentita fragile.

Era solo un modo diverso di salvarla: quello di lasciarla andare per la sua strada, alla ricerca del proprio modo di fronteggiare la vita e il dolore, seguendola a ogni passo silenziosamente.

«Non ti perderò un’altra volta. Sei ancora te stessa: devi solo trovare il modo per convivere con questa nuova parte di te » borbottò, baciandola un’altra volta prima di voltarsi a guardare il sole che sorgeva.

Un sole che a Carol sembrava illuminare lui più di ogni altra cosa e, guardandolo, pensò che sarebbe stata una cosa calzante: lui, con i suoi modi bruschi, la sua rabbia, la sua testardaggine e quella rosa, le aveva ricordato che oltre il buio, c’è la luce.

Che prima dell’alba, la notte è sempre più buia. Proprio come poco fa, prima di questo momento.

«D’accordo.» Carol mormorò il suo permesso, posando lo sguardo sul fiore bianco che ora teneva tra le mani, «Partiamo domani.»
«No, partiamo oggi. Prima andiamo, prima starai meglio.» disse con decisione, prima di accarezzarle in modo impercettibile una guancia, «ti aspetto su.»


Poi si diresse dentro casa, lasciandole il tempo di abituarsi all’idea di quello a cui aveva acconsentito.
Il tempo avrebbe guarito ogni cosa e là fuori, lontana dai timori dei pericoli che minacciavano la loro famiglia, forse avrebbe davvero trovato la sua pace.
Nel suo piano originale non era contemplato Daryl: averlo con sé sarebbe stato un costante rischio di dover uccidere per salvarlo.

Ma lasciarlo indietro non era più un’opzione: forse, pensò Carol guardando l’alba che si espandeva sulla città, non lo era mai stata, ma il buio del cuore le aveva impedito di vedere la luce che Daryl reggeva per lei oltre quell’oscurità.

Ombra e luce. Nero e bianco. Yin e Yang.
Avevano lottato tutta la notte: ombra vs luce, yin vs yang.
Poi il sole si era svegliato e la battaglia era svanita, i confini sbiaditi e la luce e l’ombra erano tornati a mischiarsi. Perché non c’è luce senza buio e non c’è ombra se non c’è luce.
 
A/N: Mamma mia, è stato davvero difficile. Questo capitolo si è risucchiato ogni mia forza: stare fuori dalla mia “zona di conforto” è stato particolarmente ostico, lo ammetto. Inutile che vi dica che scrivere tutto questo Angst è stata una sfida per me: se avete anche solo accidentalmente sbirciato il mio profilo autore, avrete visto che me la cavo meglio con le commedie e l’introspezione… L’angst l’ho azzardato solo raramente. In ogni caso, mi scuso per il ritardo di questo capitolo, ma la Season Finale si è portata via ogni mia ispirazione e mi ha bloccata per un po’.
Ringrazio chiunque abbia avuto la voglia di leggere e commentare questa storia, perché non mi sarei mai sognata un’accoglienza così calorosa e perché ogni feedback ha contribuito a fare da carburante per le idee e per la voglia di continuare. Ammetto che, senza di voi, probabilmente questa sarebbe una rimasta una One Shot. Quindi, grazie di cuore.
Sono contenta di essere riuscita a portare a termine questa storia: è da un po’ di giorni che mi frullano in testa un altro paio di idee per delle long su questa ship e la voglia di scrivere si fa sentire come non capitava da un po’, ma prima volevo concludere questa storia.
Confesso di non essere esattamente soddisfatta di questo ultimo capitolo (anche perché, come al solito, si è scritto da sé e ha preso pieghe e trama che non avevo preventivato), ma credo che diversamente non avrei potuto fare… Vi giuro, però, che non era mia intenzione farli litigare.
Grazie davvero di cuore per aver dedicato un po' del vostro tempo a questa mia avventura!









   

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