A game of Pokémon - The begin of the end di Ashura_exarch (/viewuser.php?uid=632781)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Rhaegon I ***
Capitolo 3: *** Haerrik I ***
Capitolo 4: *** Daeron I ***
Capitolo 5: *** Manny I ***
Capitolo 6: *** Bhaela I ***
Capitolo 7: *** Robert I ***
Capitolo 8: *** Miana I ***
Capitolo 9: *** Calla I ***
Capitolo 10: *** Doran I ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Le
celle di Raventree Hall erano
terribilmente umide, colpa probabilmente delle radici dell'albero-diga.
Esse,
prima che l'albero morisse, erano penetrate in profondità
nella terra,
infiltrandosi persino nei robusti blocchi di pietra del castello dei
Blackwood
e strisciando lungo le pareti come vipere. Un'escrescenza
particolarmente grossa
era presente anche nella cella di Ethan. Sbucava fuori da un angolo in
alto,
strisciava lungo tutto il soffitto diramandosi in pezzetti
più piccoli, per poi
ritornare di nuovo all'interno della roccia.
E da quelle fessure l'acqua non
faceva altro che gocciare, con un rumore talmente fastidioso da far
impazzire a
lungo andare. Non era un flusso né regolare né
forte, ma creava un baccano
assurdo, perfettamente percepibile se c'era assoluto silenzio. Era
davvero
snervante non poter far nulla di diverso dall'ascoltare quella tortura.
Probabilmente questa cosa era
stata studiata, non doveva essere casuale. Esattamente come le celle
del Nido
dell'Aquila erano più destinate a far impazzire i
prigionieri piuttosto che a
tenerli tali a causa della suggestione perpetrata dal baratro che si
spalancava
sul fianco della montagna, così la goccia d'acqua nelle
celle dei Blackwood
doveva essere destinata a togliere il sonno, e a lungo andare anche il
senno.
Ethan non riusciva a capacitarsi
di aver vissuto praticamente tre quarti della sua vita così
vicino a quel
posto, eppure così inconsapevole della sua esistenza.
Pensava a come potesse
dormire beatamente allora, quando ancora non poteva sentire cadere
quella
stupida goccia d'acqua. Del resto non avrebbe mai potuto immaginare che
un
giorno sarebbe finito prigioniero nella sua stessa casa. Ma sapeva a
cosa
andava incontro quando aveva scelto di disertare dai Guardiani della
Notte, e
aveva più volte ringraziato i Sette Dei di essere riuscito a
ritornare a
Raventree Hall. Se fosse stato catturato da un altro lord non avrebbe
avuto
nemmeno il tempo di spiegare la situazione, l'avrebbero subito messo a
morte. Aveva
rischiato più volte di essere sorpreso, a Barrowton era
stato quasi scoperto,
mentre era stato quasi ucciso da una freccia nei pressi di Seagard.
Aveva
ringraziato la Vecchia più e più volte per
avergli illuminato la via per
tornare a Raventree Hall. Casa sua. Per morire lì.
Lord Andros non aveva detto nulla
quando si era presentato al suo cospetto. Aveva preso la spada e
l'aveva fatto
rinchiudere nelle celle del castello, stando bene attento a non
rimuovere la
viscosa tela di Ariados che la celava alla vista. Due grossi uomini
d'arme che
Ethan non ricordava di avere mai visto lo avevano preso per le braccia
e
trasportato di peso fino a quella squallida cella, lasciandolo in
compagnia del
carceriere. Poco dopo anche lui se n'era andato, lasciandolo
completamente solo
e immerso nel buio e nel silenzio. E con quella goccia, naturalmente.
E così Ethan Blackwood, figlio
secondogenito di lord Andros Blackwood e disertore dei Guardiani della
Notte,
aspettava la morte mentre ascoltava il rumore prodotto da quella
stupida goccia
d'acqua. Perché era sicuro che prima o poi sarebbero venuti
a prenderlo. Era
sempre così per i confratelli disertori, nessuna
pietà, solo la morte poteva
essere il loro destino.
Era talmente impegnato con quella
dannata goccia che quasi non si accorse dei passi, dapprima appena
udibili in
lontananza e poi sempre più vicini e rimbombanti.
Alzò la testa solo quando
sentì tintinnare un mazzo di chiavi e cigolare la porta
della sua cella.
Davanti a lui c'erano due uomini, uno completamente vestito di nero e
un altro
con una lanterna in mano. Il primo era di spalle, ma Ethan riconobbe il
secondo.
- Grazie, Rynyer, puoi andare. -
disse l'uomo in nero, come a confermare l'ipotesi di Ethan. Rynyer,
l'anziano
carceriere, sorrise con la sua bocca sdentata e si
allontanò, consegnando però
prima la torcia all'uomo in nero, che solo allora si voltò.
Dapprima Ethan faticò a mettere a
fuoco, era da troppo tempo che non vedeva una luce, ma poi
scattò in piedi
appena riconobbe i lineamenti severi di lord Andros Blackwood. Suo
padre.
Ethan non disse nulla per lo
stupore, e lord Andros fece lo stesso per altri motivi. Lo
guardò per alcuni
attimi mentre appoggiava la torcia sul freddo pavimento di pietra della
cella.
Poi, sempre restando in silenzio, si avvicinò lentamente al
figlio sedendosi accanto
a lui nella brandina. Prima che potesse dire qualsiasi cosa, Ethan fu
stretto
dall'abbraccio paterno.
Non disse nulla, si limitò a
ricambiarlo. Era da tanto che non riceveva un abbraccio. Era da tanto
che non
rivedeva qualcuno di caro. Era da tanto che non rivedeva un membro
della sua
famiglia, almeno sei anni.
- Padre.
Ethan alla fine si lasciò
sfuggire queste parole, la voce traballante per la commozione. Andros
Blackwood
non lo aveva mai abbracciato, né lui né suo
fratello Hectar, nemmeno quando
erano piccoli, tanti anni prima. Non un'esternazione d'affetto che
andasse al
di là di parole dolci o carezze affettuose quando ancora era
innocente e non
aveva lasciato il castello di famiglia. Adesso, quando vi ritornava da
disertore marchiato per l'eternità da un velo di vergogna,
aveva ricevuto la
prima dimostrazione che il padre alla fin fine gli voleva bene.
- Figlio mio.
Nonostante cercasse di
nasconderlo, anche Andros Blackwood era emozionato, Ethan lo capiva
dall'incrinatura che aveva nella voce. Nonostante ciò
evitò di dar a vedere di
averlo capito.
- Sono contento di vedervi ancora
su questa terra, padre mio. Ho sentito alcune storie, su alla Barriera.
Parlavano di un'epidemia di morbo grigio scatenatasi nelle Terre dei
Fiumi,
l'anno scorso.
A sentire questo lord Andros si
rabbuiò, seppure avesse abbassato la testa quasi
impercettibilmente. Ethan era
diventato piuttosto bravo a discernere lo stato d'animo delle persone,
tale
abilità è fondamentale per la sopravvivenza.
- Sì - confermò lui con voce leggermente
più fredda e controllata - Le storie che hai sentito
dicevano il vero. Ha
imperversato per almeno quattro lune, soprattutto nelle nostre terre e
in
quelle dei Wayn, dei Paege e degli Shawney. Oltre a qualche centinaio
di
persone fra il popolino sono morti anche lord Wayn, ser Janos Paege e
la figlia
di lord Shawney.
Ethan aveva visto sia lord Ruben
Wayn che ser Janos Paege una sola volta, ad un torneo a Delta delle
Acque.
Darna Shawney invece era considerata una delle fanciulle più
belle a nord del
Tridente, e lord Andros aveva valutato il suo matrimonio con Ethan o
con suo
fratello Hectar, il tutto vanificato dai loro desideri.
- Qualche caso c'è stato anche ai
piedi della Valle, mi ricordo che anche lord Grell si
ammalò. Per fortuna ne è
uscito vivo, anche se i segni della malattia saranno indelebili. Te lo
ricordi,
Viserys Grell? Eravate scudieri assieme a Delta delle Acque.
Sì, Ethan si ricordava di Viserys
Grell. Lo chiamava "il falso drago" a causa del suo nome. Si
ricordava di lui come di un ragazzino dalla fervida immaginazione, il
quale
immaginava di cavalcare il proprio Gyarados su per la Forca Verde. Solo
che ai
tempi il suo pokemon era ancora un Magikarp smagrito, pure deboluccio.
- Lord? - Ethan si era stupito -
Per caso suo padre è morto?
- Sì - rispose Andros - Lord
Valarr Grell è passato a miglior vita poco dopo che tu fosti
partito per la
Barriera. Era andato ad Harrenhal su invito di lady Wode, e aveva
trascorso
qualche giorno tra quelle mura. Una volta tornato al suo castello si
ammalò
gravemente, i maestri dissero che non c'era nulla da fare. Sembra che
il morbo
che affliggeva lady Wode avesse contagiato anche lord Grell, il
popolino dice
così almeno. Lo ritengo poco probabile comunque. Lady Wode
è spirata poco dopo,
e adesso alla guida di Harrenhal c'è lord Bowman.
Casa Bowman. Ethan non l'aveva mai
sentita nominare, nonostante maestro Denys avesse insistito
perché studiasse
bene l'araldica quand'era ancora giovane. Prese poi a ripensare al suo
amico
d'infanzia. Viserys Grell aveva un anno meno di Ethan, luna
più luna meno, e
lui proprio non riusciva a figurarselo alla guida di un castello.
Impacciato
com'era faticava solo a tenere dritta una lancia, figuriamoci a guidare
un
intero possedimento.
- Mi dispiace, se l'avessi saputo
avrei inviato un corvo di condoglianze al giovane Grell.
- Sì, so che l'avresti fatto se
avessi potuto. L'epidemia ha infuriato a nord della Forca Rossa, invece
a sud
del fiume niente. Eppure i Bracken sono così vicini a noi.
Sono pronto a
giurare che la malattia sia stata invocata da quella strega che
è la moglie di
Edgarth Bracken.
In effetti Ethan si ricordava di
lady Elna Bigglestone. L'aveva vista un paio di volte quando questa
veniva in
visita a Delta delle Acque, tanti anni prima. La rammentava come una
donna
asciutta, rigida e perfettamente dritta come un bastone. Aveva sentito
dire del
suo carattere schivo e oscuro, e anche dell'incertezza delle sue
origini. Casa
Bigglestone infatti era estinta dai tempi della Danza dei Draghi, Ethan
l'aveva
imparato studiando araldica, ma a quanto pare al padre di lord Edgarth
non era
importato di fronte alla dote che il padre di lei, un mercante,
intendeva
concedere per il matrimonio.
- Figlio mio, tu invece come
stai?
Questa domanda un po' colse alla
sprovvista Ethan. Non si aspettava che suo padre glielo chiedesse.
Decise
comunque di rispondere.
- Bene, almeno per ora. Alla
Barriera faceva un freddo cane, è vero quel che si dice in
giro. Persino i
pokemon Ghiaccio tremano di freddo lì in cima.
Ethan si lasciò scappare una
risatina. Lord Andros non si scompose, pur sorridendo leggermente. Il
giovane
Blackwood comunque tornò quasi subito serio.
- Bloodlimb è morto. E' successo
due anni fa. L'avevo portato con me mentre io e altri ranger andavano
di
pattuglia. L'avevo mandato in avanscoperta per vedere se ci fossero
tracce di
bruti, e ce n'erano eccome. Di bruti. Probabilmente l'hanno scambiato
per un
pokemon selvatico e gli hanno tirato una freccia. Gli ha inchiodato
l'ala al
corpo, penetrando in profondità. Riuscì a
riportarlo indietro al Castello Nero,
ma il maestro disse che non c'era nulla da fare.
Parlare di Bloodlimb non piaceva
ad Ethan. Lui e il Rufflet erano stati inseparabili sin da piccoli, e
quella
bestia testarda l'aveva voluto seguire quando aveva deciso che avrebbe
preso il
nero. Non aveva potuto fermarlo, erano compagni da una vita e di certo
non si
sarebbero separati in quel momento. Si era rivelato un viaggio a senso
unico
per entrambi.
- Gli sono stato vicino fino alla
fine.
Una lacrima rischiò di uscire dall'occhio
di Ethan, ma riuscì a trattenerla. Gli faceva ancora male
pensare al suo amico
defunto.
- L'ho sepolto sotto un albero
diga. Ho scavato una buca bella profonda, non volevo che qualche lupo o
la
Madre sa cos'altro si potesse mettere a scavare per divorare la
carcassa. Sarei
rimasto a vegliarlo per giorni, ma alla fine i miei confratelli mi
hanno
riportato indietro.
Lord Andros rimase impassibile.
Doveva essere conscio del profondo legame che c'era stato tra il
ragazzo e il
suo pokemon, visto che anche lui un tempo ne aveva posseduto uno. Non
era mai
sceso nei dettagli però, per cui Ethan non sapeva molto di
lui.
- Ho notato che siete diventato
signore di Raventree Hall. - disse Ethan, cercando di cambiare discorso
- Il
lord mio nonno è deceduto?
Lord Blackwood annuì grave.
- Esattamente. Contrasse il morbo
grigio di cui ti parlavo prima. Tua madre gli prestò
assistenza sino alla fine
assieme a septa Lorelle.
Solo allora Ethan si ricordò di
avere altri parenti oltre a suo padre. La prigionia gli stava proprio
dando
alla testa.
- La lady mia madre? - chiese
scosso - Come sta? E gli altri?
Lord Andros si rabbuiò di nuovo.
Ethan vide il suo viso austero contrarsi ancora di più.
- Contrasse il morbo grigio dal
lord tuo nonno. Lo Sconosciuto l'ha reclamata sei lune fa.
Ad Ethan crollò il mondo addosso
quando sentì queste parole. Non si sarebbe mai aspettato che
sua madre sarebbe
morta. Forse però era meglio così, non l'avrebbe
visto morire per la vergogna
che aveva causato alla famiglia.
- L'ho sepolta a Cairns. Le
piaceva quel villaggio, amava passare le belle giornate di sole sulla
collina
che dava sull'abitato.
Ethan non disse nulla. Non
avrebbe mai potuto visitare la tomba della madre, visto che presto
anche lui
sarebbe finito a marcire dentro una fossa.
- Hectar invece - proseguì il
lord, con un tono leggermente più alto e tranquillo -
è stato fatto cavaliere
dal principe Laerion in persona. C'erano tutti: lord Tully, lady Wode,
persino
Edgarth Bracken, quell'inetto.
Ethan constatò con piacere che le
due case si odiavano ancora. Come poteva essere altrimenti poi?
- E' successo meno di una luna
dopo la tua partenza, ad un torneo a Delta delle Acque. Tuo fratello si
è fatto
valere, disarcionando un cavaliere misterioso, il giovane Deddings e
quel
gigante di Garth Tully. Purtroppo nulla poté contro il
principe Laerion, ma
costui rimase impressionato dal suo valore, nominandolo cavaliere.
Ad Ethan si scaldò il cuore a
sentire che il fratello si era fatto un nome. Certo, quel nome poteva
essere
benissimo rovinato dalle sue azioni scellerate, ma oramai il danno era
stato
fatto.
- Si è sposato l'anno dopo, e
quello dopo ancora è nata la sua prima figlia, la piccola
Arlis.
Congratulazioni, zio.
Il giovane Blackwood rimase
sorpreso. Zio lui? Si era già dimostrato un pessimo membro
di famiglia,
figuriamoci. Cercò di mantenere un'espressione
imperturbabile, chiedendo chi
fosse la sposa.
- Lady Catryn, sì. La conobbe ad
un altro torneo ad Approdo del Re. Non era una grande manifestazione,
ma riuscì
a vincerla disarcionando lord Hayford. Come regina dell'amore e della
bellezza
incoronò lei, lady Catryn Pyle. Una volta tornato qui non
pensava che a lei,
sembrava così triste. Così contattai lord Pyle e
mi
accordai per il matrimonio. I
Pyle non sono una grande casata, e un matrimonio con noi Blackwood gli
avrebbe
di sicuro portato un minimo di importanza.
Andros Blackwood non sarà stato
un gran padre, ma non negava mai la felicità ai propri
figli, e quello che gli
aveva appena raccontato lo dimostrata. Esattamente come la sua
benedizione
quando Ethan gli aveva comunicato il desiderio di voler prendere il
nero.
- Adesso è di nuovo incinta -
continuò lord Andros - Sia Hectar che lei pregano per un
maschio, come del
resto anch'io. Maestro Denys ha calcolato che il parto dovrebbe
avvenire tra
meno di due lune. Mi dispiace che tu non possa assistere. Avrei tanto
voluto
farti vedere tua nipote, ma lady Catryn non ha acconsentito.
Lord Andros si rabbuiò ancora.
Ethan non ricordava di aver mai visto una tale variazione di carattere
in suo
padre, né mai se lo sarebbe aspettato. A quanto pare quegli
anni, oltre che a
farlo più magro e tirato, lo avevano reso un po'
più dolce, loquace e aperto.
Lo ricordava ai vecchi tempi, austero e sempre composto, un nobile che
non
lasciava mai trapelare le proprie emozioni.
- Domani morirai.
Ethan non si stupì di quella
affermazione, sapeva già che sarebbe successo.
- Lo so, padre.
- Sarò io stesso ad eseguire la
sentenza.
Questo sorprese di più il giovane
Blackwood.
- Sai - cominciò a spiegare lord
Andros - Le leggende dicono che i Blackwood provengono dal Nord. E nel
Nord chi
pronuncia la sentenza deve essere anche colui che la esegue. E io non
farò
eccezione. Per quanto Skell sia bravo con la spada non ho intenzione di
sottrarmi alla legge ancestrale.
Sì, Ethan si ricordava anche di
Skell il Lussurioso. Era un armigero vetusto, aveva combattuto nella
Ribellione
di Matarys, questo lo ricordava. Era più vecchio di lord
Andros, ma era ancora
abile con la lama. Ethan ricordava che lord Emmett Blackwood, suo
nonno, faceva
eseguire a lui le condanne. Era chiamato il Lussurioso per le selvagge
notti
d'amore che era solito passare a Raventreeton oppure in altri villaggi
e anche
per i bastardi che aveva seminato per tutta la Valle di Blackwood. Gli
esempi
più lampanti erano ser Jacor Rivers, un lesto cavaliere che
si aggirava sempre
per il castello, e anche Kylis Rivers, si vociferava una delle ragazze
più
belle di tutte le terre dei Blackwood. Pur avendoli riconosciuti come
suoi
figli non aveva avuto interesse a togliere da loro il marchio da
bastardi.
- Come desiderate, padre.
Ethan abbassò la testa,
sconsolato. Aveva gettato vergogna sulla sua famiglia, e come se non
bastasse
sarebbe stato suo padre a togliergli la vita. Mai un Blackwood aveva
commesso
azioni più riprovevoli quali abbandonare i Guardiani della
Notte. Sperava
almeno che il fatto di aver recuperato la spada potesse in qualche modo
far
vivere la sua memoria in modo positivo nelle menti dei suoi parenti
più
stretti.
Quando lord Andros prese le mani
del figlio tra le sue questi trasalì. Aveva capito che il
lord suo padre era
cambiato molto, ma non pensava fino a tal punto. Aveva sempre detestato
il
contatto fisico, e invece adesso non solo l'aveva abbracciato ma gli
stava
anche stringendo le mani. E quando con un dito gli sfiorò il
mento e gli fece
rialzare il volto, quella che Ethan vide sul volto di suo padre fu
un'espressione risoluta ma allo stesso tempo fraterna.
- Figlio mio, so quello che
pensi. Molti lord e gente del popolino guarderanno ai Blackwood con
disgusto,
disonorando la tua memoria. Ma io non lo farò, né
così Hectar e i suoi
discendenti. Hai portato a termine un'impresa a dir poco epica
recuperando la
spada. Sono fiero di te, Ethan. Tu sei un vero Blackwood
Ethan. Sentirsi chiamare per nome
lo fece sentire felice. Suo padre mai l'aveva chiamato per nome,
limitandosi ad
apostrofarlo come "figlio mio", "figlio",
"figliolo" e cose del genere. Ma oramai aveva capito che lord Andros
Blackwood gli riservava ancora molte sorprese.
- Forza - lo spronò, allargando
per la prima volta le labbra in un sorriso. Ethan non ricordava di
averlo mai
visto sorridere, e men che meno in modo così evidente.
- Raccontami come è andata.
Ethan si decise, doveva dire
tutto. Voleva passare le ultime ore che gli rimanevano con suo padre, e
solo
con lui. Così cominciò a raccontare.
Parlarono
per tutta la notte. Non
si fermarono nemmeno quando la torcia si fu consumata del tutto, e
continuarono
al buio e sapendo di essere l'uno accanto all'altro solo avvertendo
l'uno il
calore corporeo dell'altro.
Parlarono di molte cose. Di come
il regno fosse cambiato negli ultimi anni, dei lord e delle lady che
adesso
c'erano nelle Terre dei Fiumi, delle voci che giravano riguardo ai
movimenti di
Maelor l'Esule e sulla Compagnia Dorata, degli eroici Blackwood del
passato.
Parlarono soprattutto di questi, personaggi del calibro di Roderick
Blackwood,
lady Agnes Blackwood, Benjicot Blackwood il Sanguinoso, Alysanne
Blackwood la
Nera, oppure anche di bastardi come Robb Rivers il Rosso oppure Brynden
Rivers
Sangue di Corvo e delle loro imprese, eroiche che fossero o meno.
Ma parlarono anche del viaggio di
Ethan oltre la Barriera e nelle terre ancora dopo. E di tutto
ciò che aveva
visto. E di come aveva ritrovato la spada. Lord Andros fu molto attento
sotto
questo aspetto, e annuiva ogni volta che un particolare fatto lo
colpiva.
Solo quando lord Andros calcolò
che l'alba sarebbe sorta di lì a poco fu costretto ad
andarsene. Nessuno era a
conoscenza del fatto che fosse lì con lui, nemmeno Hectar.
Quando questi aveva
chiesto a lord Andros di poter visitare il fratello il padre gli aveva
risposto
con un secco rifiuto. Aveva spiegato ad Ethan che non voleva fargli
vedere suo
fratello per non fargli venire in mente strane idee, Hectar era fatto
così. Forse
avrebbe tentato di farlo scappare, ma né Andros
né Ethan volevano questo, né se
lo potevano permettere.
- Sei consapevole che morirai di
qui in capo a poche ore? - gli aveva chiesto il padre prima di
andarsene.
- Certo, padre. Avrei per questo
un ultimo favore da chiedervi. Prima di morire vorrei pregare sotto
l'albero
del cuore, nel parco degli dei.
E così Andros Blackwood aveva
concesso al figlio quest'ultimo desiderio, facendolo scortare un'ora
prima
dell'esecuzione nel parco degli dei per lasciarlo con sé
stesso nell'ultimo
frangente della sua vita. Per quell'ora pregò i sette dei,
ringraziando la
Vecchia per avergli illuminato la via per il compimento dell'impresa e
per il
ritorno a casa e anche la Madre per avergli concesso la fortuna
più di una
volta. Ringraziò il Fabbro per avergli concesso di ritrovare
la spada, mentre
chiese perdono alla Fanciulla per non aver mai conosciuto l'amore.
Ringraziò il
Padre per essere riuscito nei suoi propositi dove altri prima di lui
avevano
fallito, e chiese al Guerriero di dargli il coraggio per affrontare
quell'ultimo viaggio. Pregò poi lo Sconosciuto di
concedergli una morte veloce,
e nonostante non fosse il suo credo chiese anche ad Arceus di fargli
rivedere
un'ultima volta il suo amato Bloodlimb prima che i Sette Inferi o
qualsiasi
altro posto in cui dovesse andare fagocitasse per sempre la sua anima.
Quando gli stessi due armati del
giorno prima lo vennero a prelevare dal parco degli dei, Ethan seppe
che la sua
ora era giunta. Non oppose resistenza, né ebbe paura di
quello che stava per
succedere. Aveva abbandonato i Guardiani della Notte pur di riportare
indietro
la spada, infrangendo così il sacro voto che sin
dall'Età degli Eroi vincolava
i Guardiani alla Barriera, era giusto che morisse.
Il viaggio non fu lungo. Il
patibolo era stato allestito a Raventreeton, precisamente nella piazza
centrale
del villaggio. Le case circondavano lo spiazzo circolare, e la
primavera
nascente conferiva all'ambiente una gradevole tonalità
accesa. Una piccola
piattaforma rialzata di legno era stata allestita al centro della
piazza, e
sopra di essa il ceppo su cui Ethan avrebbe dovuto poggiare la testa.
Erano già tutti lì quando il
giovane Blackwood, con le mani legate dietro la schiena,
arrivò dopo meno di
un'ora di cavalcata scortato dai due armigeri. Si erano riuniti tutti
gli
abitanti del villaggio, e alcuni erano accorsi persino dagli
insediamenti
vicini.
Anche alcuni nobili avrebbero
presenziato all'esecuzione. Distaccato dalla folla, a cavallo, Ethan
riconobbe
il suo amico d'infanzia Viserys Grell. Aveva i capelli castani
scompigliati e
in disordine, e una cicatrice grigia gli deturpava la faccia. Lord
Viserys lo
squadrava con uno sguardo indecifrabile, che Ethan non avrebbe saputo
dire se
fosse dettato dalla compassione o dal disgusto. Dietro di lui c'erano
due
armigeri e un araldo, i quali recavano tutti il simbolo di casa Grell,
ovvero i
tre usignoli rossi sulla banda bianca obliqua. Il tutto era ornato da
una cappa
blu che andava a completare l'uniforme degli uomini di Grellington.
Viserys
invece era interamente vestito di nero, anche il mantello lo era.
Chissà perché
era venuto, magari si ricordava che un tempo erano stati amici.
Davanti al patibolo stava invece
Hectar Blackwood. Ethan cercò di non guardarlo mentre veniva
trasportato
attraverso la folla urlante, ma gli riuscì ugualmente di
vederlo. Portava un
elegante farsetto rosso scuro con l'emblema di casa Blackwood, ovvero
l'albero
del cuore bianco attorniato dai corvi neri, mentre per il resto era
vestito con
un'impersonale cappa nera. I capelli erano più lunghi di
quanto Ethan
ricordasse, e si era anche fatto crescere la barba. Nonostante suo
fratello
fosse bravo a mascherare le emozioni, Ethan vide che piangeva, seppur
silenziosamente.
Quando arrivò al patibolo Ethan
vide che lord Andros era già arrivato. Stava a fianco del
ceppo, accanto a lui
ser Jacor Rivers, il quale appena vide Ethan gli porse il fodero della
spada.
Le guardie costrinsero Ethan ad andare sino al ceppo e ad
inginocchiarsi.
Guardò un'ultima volta suo padre.
Era vestito esattamente come la notte prima, e non sembrava
assolutamente come
aveva dimostrato di essere. Nel suo vestito di velluto nero appariva
austero ma
allo stesso tempo elegante, e l'espressione risoluta non lasciava dubbi
riguardo
allo zelo con cui avrebbe compiuto il suo dovere di lord.
Mentre il lord estraeva la spada
dal fodero ser Jacor zittì la folla con un cenno della mano,
facendo intendere
che lord Andros era in procinto di enunciare la sentenza. E
così infatti fu.
- Quest'oggi - cominciò - viene
giustiziato Ethan Blackwood, colpevole di aver disertato dai Guardiani
della
Notte.
Mentre diceva ciò Andros
Blackwood rimase impassibile, nonostante stesse per uccidere il proprio
figlio
con le sue stesse mani.
- Adempirò io stesso
all'esecuzione, in quanto è giusto che chi emetta la
sentenza debba essere
anche colui che la esegue. In nome di Jaehaemond della casa Targaryen,
primo
del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei
Sette
Regni e Protettore del Reame, io, Andros della casa Blackwood, lord di
Raventree Hall e della Foresta Nera, ti condanno a morte.
Quando ebbe finito il suo
discorso lord Andros alzò la spada. Ethan abbassò
da solo la testa, non volendo
essere costretto da quei rudi armigeri. Era pur sempre un Blackwood, e
i
Blackwood non si opponevano mai al loro destino.
Mentre la folla urlava e un
rumore secco di aria spostata indicava che la spada aveva incominciato
la sua
discesa verso il suo collo Ethan alzò leggermente gli occhi
verso l'orizzonte
in lontananza. Là, sopra le dolci colline, oltre la Forca
Rossa e sotto le
candide nubi, gli sembrò di vedere un uccello volare, un
pokemon forse. Un
Rufflet sembrava.
Sentì un po' di freddo sul retro
del collo, e subito l'immagine del patibolo sotto di lui si
sbiadì. Poi più
nulla.
Note
dell'autore
Terza
fanfiction cominciata. La mia vita comincia ad essere strana, ma
parecchio strana.
Esatto,
è come sembra, mi sono lanciato in questa pazzia.
Perdonatemi ma un crossover tra Game of Thrones e i pokemon ce l'ho
sempre avuto in mente. Cercherò di prenderlo con le pinze,
perché so che non sarà facile da gestire e ho
già visto progetti come questo fallire alla radice.
Prima
però voglio chiedere scusa a tutti quelli che hanno
letto le os su Tywin Lannister e Aerys Targaryen. Ebbene sì,
erano delle mezze trollate. All'epoca pensavo ancora di fare un mix tra
i libri e la serie tv, ma poi (per fortuna dico io) ho cambiato idea.
Insomma,
ditemi se quest'idea vi convince, perché
sinceramente la sto già adorando non avendola neppure
iniziata.
Ah, prima che
mi dimentichi, parta pure la sigla:
http://youtu.be/4oEgHOtmBkw
|
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Capitolo 2 *** Rhaegon I ***
Rhaegon
Un
altro giorno stava
trascorrendo tranquillo - si fa per dire almeno - sulla grande Approdo
del Re.
La città, avvolta dalla sua stessa puzza, dal vociare dei
mercanti, dai versi
degli animali, dai ruggiti dei pokemon, dal cozzare delle lame, dal
tintinnare
dei soldi e da tante altre cose, ferveva di vita come la capitale
dell'immensa
Westeros doveva essere.
Le giornate si stavano facendo
man mano sempre più lunghe e calde, segno della fine della
primavera e
dell'approssimarsi dell'estate, incoraggiando così molti
degli abitanti ad
uscire per strada per godersi un po' di calda aria aperta, oppure anche
di
andare ai moli per farsi una nuotata nelle gelide ma piacevoli acque
della Baia
delle Acque Nere, oppure anche sulle rive del Fiume delle Rapide Nere,
la cui
acqua in quel periodo scorreva meno impetuosa del solito.
A festeggiare l'arrivo imminente
della nuova stagione folle di bagnanti seminudi o completamente
svestiti si
potevano trovare a piccoli gruppi lungo tutto il bagnasciuga. Nell'aria
c'era
giubilo ed erano in molti a sembrare divertiti da quell'atmosfera,
anche coloro
che di norma avrebbero dovuto svolgere il proprio lavoro come i marinai
con le
gambe nell'acqua mentre stavano seduti sui moli, oppure anche le cappe
dorate
della Guardia Cittadina le quali spesso disertavano le postazioni per
farsi un
bagno oppure per pescare nel fiume. Tutti sembravano essere felici.
Almeno
tutti tranne uno.
Rhaegon Targaryen non dormiva
oramai da due notti, e non era più uscito dalle sue stanze
nemmeno per andare alla
latrina. Non accettava cibo e non si cambiava i vestiti, non lasciando
nemmeno
entrare nessuno nei suoi appartamenti. Pur avendo più di
trent'anni si
comportava ancora come un bambino capriccioso. Cosa che in un certo
senso
ancora era realmente.
Il principe, dopo aver ricevuto
quella sconvolgente notizia, aveva deciso di ritirarsi dal mondo
intero,
isolandosi da tutto e da tutti. Non accettava di vedere nessuno e non
rispondeva ai richiami fattigli da dietro la porta della sua camera.
Tentava
persino di resistere ai suoi bisogni fisiologici, anche se non con
molto
successo. Piuttosto che mollare tutto e arrendersi alla
realtà dei fatti aveva
preferito pisciarsi addosso, invece di richiedere almeno un pitale come
la
buona educazione avrebbe previsto.
Schifato dal suo stesso olezzo,
alla fine Rhageon era stato costretto ad aprire la finestra anche
perché si
moriva dal caldo in quella stanza chiusa. Era come un grande forno, era
giunto
a questa conclusione, e non voleva certo finire lessato come i cuochi
lessavano
le carni degli animali giù al Fondo delle Pulci. Il caldo
poi aveva acuito la
puzza di pipì, costringendo l'uomo a spalancare
completamente le imposte per
poter respirare.
Camminava avanti e indietro
davanti alla finestra, fermandosi ogni volta subito prima di toccare il
letto o
il suo leggio per voltarsi e riprendere a camminare. Erano due giorni
che era
intento a fare questo e poco altro, gettando di tanto in tanto qualche
sguardo
distratto al panorama fuori dalla finestra.
Nemmeno una nuvola solcava il
cielo, e essendo gli appartamenti di Rhaegon sulla parte della Fortezza
Rossa
che dava sul mare, una fresca brezza marina soffiava costantemente su
quella
facciata, spazzando costantemente le pareti esterne. In basso il mare
cristallino era punteggiato da velieri di ogni dimensione, anche se da
quell'altezza sembravano tutti minuscoli.
All'inizio aveva osservato per un
po' il panorama, ma si era presto stancato di quel paesaggio in lento
mutamento. Come il bambino che era aveva preso a fare i capricci,
barricandosi
nella sua stanzetta e impedendo a qualsivoglia persona di penetrare nel
suo
piccolo rifugio segreto. Doveva ancora riprendersi dalla notizia, e
aveva
deciso di elaborare il lutto da solo, senza l'ausilio di nessuno.
L'ennesimo bussare alla porta di
legno all'inizio sembrò non destare alcun effetto nel
principe. I colpi erano
leggeri e delicati, e forse Rhaegon nemmeno se ne accorse nella foga
del suo
camminare. Alla successiva mandata si fecero più forti, pur
mantenendo una
certa leggerezza e un ritmo gradevole. Era sicuramente una donna.
Rhaegon si riscosse
all'improvviso, spaventato, segno che era stato colto di sorpresa. Pur
avendo
sbarrato la porta lui stesso aveva ancora paura che qualcuno la potesse
sfondare, forse un membro della Guardia Reale, o magari uno dei suoi
stessi
fratelli, infuriato per il suo comportamento. Ma la voce che
udì non
apparteneva a nessuno di questi.
- Figlio mio, fa il bravo e apri.
Era sua madre, la riconobbe dal
tono rauco e dalla voce traballante seppur autoritaria. Ma per quanto
le
volesse bene aveva fatto un giuramento a sé stesso e decise
di ignorarla,
tornando a camminare avanti e indietro facendo finta di niente.
La donna bussò un'altra volta, ma
non ottenendo risposta decise apparentemente di lasciar perdere.
Rhaegon esultò
mentalmente pur continuando nella sua futile attività. Si
lasciò scappare per
sbaglio una risatina, quasi subito repressa per paura che la madre
potesse
essere ancora lì fuori. Cosa in effetti vera.
- Rhaegon, aprimi.
Detta con voce più bassa anche se
molto più inquietante, l'uomo la udì lo stesso.
Si immobilizzò e smise
immediatamente di respirare. Restò a fissare la porta ad
occhi sgranati,
terrorizzato, come se un gigantesco Tyranitar la dovesse sfondare da un
momento
all'altro. Non fece il minimo movimento mentre una goccia di sudore
freddo gli
scendeva dai capelli per penetrare nel farsetto, strisciandogli lungo
la
schiena. Poi trovò il coraggio sufficiente per una debole
risposta.
- N-no...
- Rhaegon.
Probabilmente aveva parlato in tono
talmente basso che la lady sua madre non l'aveva nemmeno udito. Il
principe
rimase di nuovo spaventato da quelle parole impersonali eppure
così
autoritarie, e non poté fare a meno di provare ad
indietreggiare. Tentativo
fatto fallire dal suo stesso terrore, la cui morsa gli attanagliava il
corpo
facendolo diventare quasi un pezzo di marmo.
- Aprimi.
Rhaegon, sospinto da una strana
forza molto più potente di lui, alla fine fu quasi costretto
ad andare ad
aprire. Avanzò a scatti, come cercando di rifiutarsi, ma
qualcosa dentro di lui
gli diceva che se non l'avesse fatto l'intera faccenda sarebbe finita
molto
male.
Si avvicinò cautamente alle assi
di legno, togliendo quella che bloccava l'entrata. Dopodiché
procedette ad
aprire la porta, azione che richiese molto più tempo di
quanto Rhaegon avrebbe
mai potuto immaginare. La porta si aprì con un lento
cigolio, rivelando
gradualmente la figura leggermente in carne della lady sua madre.
Ella lo guardò non appena la
visuale glielo consentì. Si guardarono negli occhi, lei con
i suoi azzurri e
lui con quelli violetti. Lei con i lunghi capelli castani e lui con i
lunghi
capelli argentei. Lei col suo fisico robusto e lui col suo smilzo.
Difficilmente qualcuno avrebbe detto che erano madre e figlio, anche se
così era.
A Rhaegon prese voglia di
vomitare. Non ce l'avrebbe mai fatta a sostenere uno sguardo come
quello della
madre troppo a lungo. La regina madre Bethany poteva anche sembrare una
qualsiasi nobile grassa e arrogante, ma era la sua forza d'animo e la
sua fermezza
che aveva evitato al reame molte grane nel corso degli anni.
Fortunatamente per lui fu la
madre a prendere l'iniziativa. Ella, senza distogliere lo sguardo,
avanzò verso
di lui e lo abbracciò, apparentemente ignorando la puzza di
piscio e la
viscidità dei suoi vestiti sporchi. Non era però
un abbraccio vero, quasi una
cosa di circostanza, come per ribadire il loro rapporto all'interno
della
famiglia.
Lady Bethany si staccò quasi
subito dal figlio, il quale restò confuso. La regina
continuò a guardarlo negli
occhi, rimproverandolo silenziosamente per i suoi capricci. Rhaegon non
poté
fare altro che chinare umilmente la testa, esattamente come un bravo
pargolo
quando finalmente capisce di avere sbagliato.
Senza dire una parola la regina
lo prese per mano e lo portò di fianco al letto. Dopo che si
fu sistemata lo
guardò di nuovo, come ad invitarlo a fare altrettanto.
Rhaegon seguì l'ordine
(perché alla fine di questo si trattava) con leggera
riluttanza, distogliendo
lo sguardo dalla parente mentre sentiva la soffice superficie del
materasso
premere contro il suo fondoschiena. Cercò di ignorarla,
facendo finta di
guardare lo specchio dall'altro lato dell'ambiente.
Quando però la madre gli prese il
mento non poté fare a meno di seguire i movimenti delle sue
mani. La sua non
era una presa ferrea, ma stretta abbastanza da imporre la sua
autorità materna
su quel figliolo particolare. Lui, pur mantenendo un visibile broncio,
girò la
sua testa verso quella di lady Bethany.
- Rhaegon. - esordì lei - Adesso
basta. Hai fatto abbastanza capricci. Non hai risposto a nessuno,
né a servi,
né a ser Jared e nemmeno a Bhaela che pure è
stata tanto gentile con te.
Rhaegon non rispose.
- Sei stato cattivo, sappilo.
Devi imparare a superare il lutto, esattamente come ho fatto anch'io
quando
sono morti tuo padre e tuo fratello. Non sei più un bambino,
almeno lo spero,
impara ad essere uomo.
Sentir nominare suo padre e suo
fratello turbò ancor di più il povero Rhaegon
Targaryen. Re Jaehaemond e il
principe Laerion erano gli unici ad averlo probabilmente mai capito, e
se
n'erano andati sin troppo presto da questo mondo. Ma Rhaegon era
l'ultimogenito
nato dall'unione tra Jaehaemond Targaryen e Bethany Bracken, doveva
saperlo che
i più vecchi - come Laerion appunto, che era il primogenito
- muoiono prima. Ma
se era vero che i vecchi morivano, perché sua madre, che era
decisamente più
anziana di suo fratello, non era morta prima di lui?
Rhaegon continuò comunque a
rimanere in silenzio, non esternando nulla di quel ragionamento finale.
Sapeva
che sua madre era una donna rancorosa e non voleva di certo provocarla.
Era
anche abbastanza intelligente da aver capito che magari sarebbe potuto
risultare in qualche modo offensivo.
- Capisco che fossi molto
attaccato a tua zia Jaella, ma cerca di capire. Tutti prima o poi
dobbiamo
morire, e lei era vissuta anche fin troppo.
Rhaegon rimase scosso da queste
parole. Era vero che la zia Jaella era vecchia, molto più di
suo padre, di sua
madre, di Laerion e degli altri della famiglia, ma non avrebbe mai
immaginato -
e nemmeno voluto - che morisse. Era forse la persona a cui voleva
più bene al
mondo, e non poteva accettare che se ne fosse andata. Al massimo sua
madre se
ne poteva andare, come avevano fatto tutti gli altri. Lei era cattiva,
non le
era mai piaciuta.
Prese ad accarezzarsi la corta
barbetta argentata nervosamente, come se stesse facendo fatica a
nascondere
quei pensieri nefandi. Era pur sempre la propria madre contro cui stava
mentalmente ingiuriando, e rinnegare i propri genitori non era
decisamente una
cosa bella. Ma Rhaegon questo non lo sapeva, e anche se l'avesse saputo
non
l'avrebbe capito.
- E' il cerchio della vita. Lo
Sconosciuto arriva prima o poi per prendere la tua vita, e non ci si
può
opporre. Alla fine è toccato anche a Jaella, esattamente
come è toccato a
Laerion, a tuo padre e ai suoi fratelli. Un giorno sarà
anche il nostro turno.
E' inevitabile, prima o poi quel momento arriva per tutti.
Il ragionamento della regina
Bethany non faceva una piega, anzi, era abbastanza ovvio per tutti che
la vita
dovesse andare così. Ma non per Rhaegon. Lui non era
così acuto, non capiva le
meccaniche della vita, e mai lo avrebbe fatto. A suo tempo il Gran
Maestro
Quenkal aveva detto che la mente di Rhaegon si sviluppava tre volte
più
lentamente del normale, e probabilmente era vero, visto che a
trent'anni il
principe si comportava come se ne avesse dieci.
Rhaegon lo aveva sentito dire una
volta, mentre origliava una conversazione tra sua madre e il Gran
Maestro. Non
sapeva bene cosa volessero dire, ma percepiva non essere qualcosa di
bello. Non
poté fare a meno di pensare che adesso anche il Gran Maestro
Quenkal era morto
da alcuni anni. Se lo ricordava ancora, i lunghi capelli bianchi e la
catena
che portava al collo molto più grande di lui.
- Rhaegon, devi mostrare la
stessa forza dei tuoi fratelli come farebbe un vero Targaryen. Non puoi
ridurti
così.
"Io sono un vero
Targaryen!" pensò rabbiosamente. Ma in cuor suo sapeva che
la madre aveva
ragione, non era nulla in confronto ai fratelli. Laerion non se lo
ricordava ed
era tanto tempo che non vedeva Naelys, ma pensare agli altri lo faceva
sentire
insignificante. Bhaela era così forte e tenace, sembrava un
vero guerriero
nonostante fosse una donna. Jaehaerys, suo fratello il re, era forte
anche lui
seppur in modo diverso; quella sua postura sempre eretta e lo sguardo
pronunciato gli davano un'aria solenne. Baelor invece gli faceva paura,
era
malvagio. Ricordava quando da piccolo lo spaventava con delle maschere
bruttissime; lo odiava, e sapeva che faceva così solo
perché era più forte di
lui.
Gli altri invece... gli volevano
bene. Jaehaemion gli ricordava tanto il loro padre e sapeva che lo
amava,
nonostante lo desse mai a vedere. Maera invece era sempre stata
lì dopo la
morte di Jaehaemond, a fargli da mamma, quasi come che la loro fosse
morta. Era
così dolce, Maera. L'avrebbe sposata se solo non lo fosse
già stata a Baelor.
"Quel bastardo" pensò con rabbia Rhaegon "Quel bastardo mi
ruba
sempre tutto. Lo odio!".
- Sei o non sei un drago?
Questa domanda lasciò Rhaegon
interdetto per un attimo. Ci stava pensando proprio in quel momento,
mentre
decideva quali dei suoi fratelli meritassero il suo affetto. Era un
drago come
loro? O più probabilmente solo solo una lucertola?
- Io sono un drago.
Quest'affermazione stupì persino
il principe stesso. Si accorse di averlo detto solamente quando vide la
madre
fare uno sguardo compiaciuto, anche se non troppo. Ma Rhaegon era
conscio di
aver mentito, non credendo nemmeno nelle sue stesse parole. Lui non
sarebbe mai
stato un drago, e nemmeno un pokemon. Non sarebbe mai stato nemmeno una
lucertola. Che cos'era lui davvero?
- Un drago, esatto. - ripeté la
regina - E i draghi non piangono. L'acqua gli fa male, è per
questo che nessun
drago piange, come anche fa ogni pokemon di fuoco. Nessuno di loro
versa mai
una lacrima, esattamente come noi Targaryen. Perché noi
siamo draghi. Anche tu
lo sei.
"Io piango. Io sono debole.
Io non sono un drago.". Se era vero che nessuna di quelle creature
piangeva, pensò Rhaegon, allora tutte le loro emozioni non
facevano altro che
restare imprigionate al loro interno. E ciò non andava
affatto bene,
rischiavano di esplodere come una casa attaccata da uno stuolo di
pokemon
infuriati. Rhaegon si sentiva proprio così in
verità, sul punto di esplodere.
- Tuo padre e tuo fratello
Laerion erano draghi, e per questo non hanno mai pianto. Anche
Jaehaerys,
Jaehaemion e Baelor sono draghi e non piangono. Persino Bhaela e Maera
non
piangono, perché anche loro sono draghi. Vuoi essere da meno?
Il principe, nonostante la sua
mente semplice, non poté fare a meno di notare che la madre
non aveva citato
sua sorella Naelys. E lei allora che faceva? Piangeva? Non era un drago
come
loro? Queste domande rimasero nella testa di Rhaegon, anche se aveva
una voglia
matta di enunciarle ad alta voce.
- No, madre. - si limitò ad
annuire.
- Molto bene. Spero che tu abbia
compreso quello che volevo dirti.
- Certo, madre.
Aveva compreso che tutti, nella
sua famiglia, anche i figli dei suoi fratelli, erano draghi. Tutti
tranne lui.
Lui non era un drago. Nemmeno un pokemon. Neanche una lucertola. Lui
non era
niente. Si costrinse comunque a smettere rapidamente di lacrimare per
far
contenta la parente, la quale annuì leggermente quando con
la manica della
veste si asciugò la faccia appiccicosa per le lacrime e il
sudore vecchi di
giorni.
- Sono contenta di vedere che mi
hai capito.
Si alzò, si sistemò appena i
vestiti e fece per uscire dalla stanza.
- Tra poco arriveranno dei servi
per rifare la stanza, cambiarti e pulirti. Mi raccomando, non fare
storie e
lascia che facciano il loro lavoro. Non ti vogliono fare del male, sono
stata
io a farli chiamare.
Quando la regina fu uscita
Rhaegon quasi riprese a frignare. Gli occhi gli divennero di nuovo
lucidi e
fece per buttarsi sul materasso, ma in qualche modo riuscì a
trattenersi sino
all'arrivo dei servi. Se davvero non era un drago almeno doveva far
finta di
esserlo. Glielo aveva spiegato una volta Maera, la vita è
solamente apparenza.
E le parole della madre gli avevano tolto qualsiasi dubbio, la sorella
gli
aveva detto il vero. Quindi avrebbe mantenuto la facciata di un drago,
e quando
loro se ne sarebbero andati... sarebbe tornato il bambino di prima.
I servi non ci misero molto a
bussare alla porta. Non ottenendo risposta entrarono di loro spontanea
volontà,
e trovarono Rhaegon ancora seduto sul letto, intento a fissare il
vuoto. Non si
mosse e non scappò come di solito faceva alla vista degli
estranei, rimase
semplicemente seduto sul materasso, estraniato da tutto e da tutti.
Un servo provò a chiamarlo, ma il
principe parve non udirlo. Al che, dovendo eseguire gli ordini
impostigli dalla
regina, lo prese delicatamente e lo fece alzare per portarlo a lavare,
mentre
gli altri rifacevano il letto e pulivano la stanza per togliere
quell'orribile
puzzo.
Lo lavarono lui e alcuni altri in
una stanza poco lontana, la quale dava non sul mare ma sulla
città sottostante.
Mentre lo strofinavano Rhaegon osservò Approdo del Re in
tutta la sua vastità.
Immaginò quanta gente, quanti pokemon e quanti abitanti vi
dovessero abitare,
numeri talmente alti che la sua mente semplice non avrebbe mai avuto la
forza
di realizzare.
Il suo sguardo spaziò per luoghi
molto diversi, dal Grande Tempio di Baelor sulla Collina di Visenya ai
resti
della Fossa del Drago su quella di Rhaenys. Guardò anche
verso luoghi più
bassi, come il Porto oppure il Fondo delle Pulci. Si ritrovò
più volte a
pensare come facesse il suo malvagio fratello a portare senza provar
vergogna
lo stesso nome del pio monarca vissuto più di due secoli
prima.
Pianse
solo quando i servi se ne
andarono dopo averlo rivestito e riportato nella sua camera, che nel
frattempo
era stata pulita, rifatta ed aveva anche assunto un odore gradevole,
merito di
qualche unguento. Prima di abbandonarsi di nuovo alle lacrime Rhaegon
arrivò
quasi a complimentarsi con sé stesso per aver resistito per
così all'impulso di
scoppiare a piangere.
Si buttò quasi subito a peso
morto sul letto, senza quasi guardare il nuovo ambiente che lo
circondava.
Quasi sfondò il baldacchino, ma non glie ne sarebbe
importato comunque nulla.
Affondò la testa tra i cuscini mentre ne afferrava un altro
e se lo stringeva
al petto. Non si curò nemmeno di chiudere di nuovo la porta
con l'asse. Che lo
vedessero piangere per il bambino che era, questa la crudele sentenza
non
detta, stabilita se da lui stesso o da sua madre nemmeno Rhaegon lo
sapeva.
Lasciò infine che le lacrime cominciassero a scorrere da
sole, abbandonandosi
nuovamente alla disperazione e lasciando che le proprie deboli forze
venissero
totalmente impiegate nello sforzo di versare le lacrime.
Mentre provvedeva a sfare
nuovamente il letto scalciando di tanto in tanto e agitandosi, si mise
di nuovo
a ripensare a sua zia Jaella. Cioè, non era propriamente sua
zia, era già la
zia di suo padre, questo lo aveva imparato guardando gli arazzi
quand'era più
piccolo assieme alla stessa Jaella. Lei gli aveva insegnato a leggere
il
proprio nome ed il suo, come anche gli tutti gli altri della sua
famiglia.
Aveva anche provato ad insegnargli a scriverli, ma la mano di Rhaegon
si era
rivelata troppo tremolante per riuscire a vergare come si deve anche
solo una
lettera.
Se c'era qualcun'altro che voleva
bene e capiva Rhaegon ancor più di suo padre e di Laerion,
quella era
sicuramente Jaella Targaryen. Figlia di Rhaegar il Saggio e sorella di
Jacaerys
il Temerario, sorellastra di Aegon il Buono e di Rhaenys la Tenace. Zia
di tre
re e prozia di un altro, Jaella Targaryen aveva vissuto per
più di otto decadi
prima di spegnersi due giorni prima nella Fortezza Rossa,
all'età di ottantasei
anni. Rhaegon non si ricordava mai di aver pianto così tanto.
Non gli era mai stato permesso di
vedere il corpo. All'inizio si era persino rifiutato di credere che la
zia
fosse morta quando Maera era venuta per dirglielo. Aveva iniziato a
piangere
allora, con la sorella che tentava di consolarlo. Vedendo i suoi sforzi
vani,
Maera se n'era andata, lasciandolo sfogare. Sfogo che ancora non era
terminato
dopo quasi tre giorni.
L'avevano bruciata nel cortile
della fortezza la sera precedente. Dovevano aver esposto il corpo da
qualche
parte, altrimenti non avrebbero aspettato così tanto.
Rhaegon non aveva visto
il rogo, solo un fumo più scuro del cielo notturno quando
aveva aperto la
finestra. Il vento l'aveva raccolto e l'aveva trasportato
chissà dove, sul Mare
Stretto.
Se c'era una cosa che il principe
non riusciva a concepire era che la sua amata zia fosse finita in fumo.
Le
membra che un tempo si erano strette a lui, nel letto della
principessa, mentre
ella gli narrava le leggende e le gesta degli antichi Targaryen, come
Aegon il
Conquistatore, Daeron il Giovane e Aemon il Cavaliere di Drago, adesso
erano
semplicemente svanite nell'aria, consumate dalle fiamme, le ossa
ridotte in
polvere. Era pur sempre una Targaryen, e i Targaryen morti mai
avrebbero
conosciuto il freddo abbraccio della terra, solo le fiamme li
attendevano oltre
la morte.
Ma così Rhaegon non avrebbe mai
potuto depositare un fiore sulla sua tomba. Non avrebbe mai avuto un
posto dove
ricordarla adeguatamente. Aveva persino sentito dire da uno dei servi
che la
sua camera da letto sarebbe presto stata occupata da qualcun altro.
Rhaegon
voleva morire, morire solamente per potersi ricongiungere con l'unica
persona
che gli avesse veramente voluto bene. Nessuno adesso gli voleva bene,
nemmeno
Maera. Sentiva che per lui non provava affetto, ma solo compassione.
Rhaegon voleva morire, e provò a
soffocarsi sia trattenendo il respiro più a lungo che poteva
che tuffando la
testa contro i cuscini, premendoseli spasmodicamente contro la faccia.
Ma lo
Sconosciuto non arrivò.
Perse
la cognizione del tempo
mentre piangeva. Potevano essere passati giorni interi come benissimo
pochi
minuti, ma la faccia rigata dalle lacrime del principe oramai conosceva
solo la
superficie morbida e umidiccia dell'ormai zuppo materasso. Non avrebbe
mai
smesso di piangere se non avesse sentito i battiti alla porta.
Dapprima non se ne accorse, preso
com'era a frignare, ma quando essi si fecero insistenti si
girò senza tuttavia
alzarsi. Aspettò alcuni momenti per capire se non se li era
immaginati, non
smettendo comunque di singhiozzare. Quando li sentì,
bofonchiò qualcosa di
incomprensibile che poteva suonare come un "vattene via" e si
rituffò
nel suo giaciglio.
Ma non smisero di bussare. Adesso
Rhaegon si era veramente infuriato. Chi era che lo stava disturbando?
Voleva
solo piangere in pace! Se sua madre voleva che superasse il lutto
almeno che
glielo lasciasse fare a modo suo, facendogli finire le lacrime, e non
voleva
essere disturbato mentre lo faceva.
Pensando che fosse sua madre si
alzò definitivamente dal letto e corse verso la porta
spalancandola. Voleva
urlargli tutto il suo disprezzo per lei, gridandogli in faccia di
andarsene,
che non la voleva, che voleva essere lasciato in pace.
Ma quando aprì la porta la
persona che si ritrovò davanti non era sua madre.
Note
dell'autore
Esatto, mi
piacciono i protagonisti particolari. E dopo Neville di I
am legend vi
beccate anche Rhaegon Targaryen (personaggio inventato da me,
chiariamoci, come la stragrande maggioranza di quelli che compariranno).
Chiedo scusa
se ancora i pokemon non sono apparsi, ma essendo il
protagonista del prologo un condannato a morte e quello del primo
capitolo uno con problemi non sono esattamente il genere di persone a
cui vengono fatti usare.
A presto,
A_e
|
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Capitolo 3 *** Haerrik I ***
Haerrik
Quella
notte nessuno riuscì a
dormire a Capo Tempesta. Tutto cominciò poco prima dell'Ora
del Pipistrello,
quando ancora al sorgere del sole mancava poco. Fu attorno a quel
periodo che
cominciarono a sentirsi i primi rumori, e nel giro di mezz'ora l'aria
si era
riempita di grida, versi e latrati. I primi raggi del sole mattutino
avevano
rischiarato una fortezza in preda alla confusione più totale.
Nessuno riuscì a capire com'era
successo. Semplicemente pareva che ad un certo punto qualcuno fosse
penetrato nottetempo
nelle stalle e avesse irritato oppure spaventato gli animali. La parte
peggiore
però era che anche i pokemon si erano infuriati. Uno di loro
aveva sfondato i
possenti ma vecchi portoni di legno, fuggendo all'esterno e dando via
ad un
fuggi fuggi generale.
Molti pokemon erano usciti subito
con al seguito i cavalli, mentre per qualche strano motivo alcuni erano
rimasti
all'interno come se non fosse successo nulla. "Bé, meno
lavoro per
noi" pensò con un sospiro di sollievo Haerrik. Si era appena
svegliato e
non gli andava proprio di giocare a fare il cacciatore.
Quando Nynt, il maestro dei
cavalli, aveva udito il trambusto all'esterno si era precipitato a
vedere cosa
succedeva, non prima di aver incaricato suo figlio Nysen di restare a
guardare
i ragazzi delle stalle, tra i quali c'era anche Haerrik. Era rientrato
di corsa
dopo pochi minuti, quando oramai tutti si erano svegliati e si
chiedevano cosa
stava succedendo. Era sudato e aveva il fiatone, i capelli grigi che
gli
ondeggiavano attorno alla faccia. Aveva spiegato in fretta la
situazione
(almeno quello che aveva capito) e in testa ai ragazzi della stalla era
di
nuovo uscito per riacchiappare i pokemon evasi.
Haerrik invece era stato mandato
assieme a Oss e Aley a controllare la stalla per vedere se c'era
rimasto
qualche animale dentro. Avrebbero poi dovuto tornare a riferire a Nynt
o a suo
figlio - più a questo che all'altro - la situazione
all'interno, e nel caso non
fosse stata problematica sarebbero andati ad aiutare gli altri a
riprendere i
fuoriusciti.
I tre costatarono con piacere che
molti dei cavalli erano rimasti al loro posto, addormentati o solo
lievemente
nervosi. Anche qualche pokemon non si era mosso, ma era stata la
maggioranza di
loro a dare in escandescenza, ed era questo il problema più
grosso. E non era
per niente una cosa bella.
I pokemon non erano come gli
animali normali, erano molto più particolari. E soprattutto
pericolosi. Ma la
loro caratteristica principale era tutto il chiasso che facevano. Una
volta
aveva Haerrik sentito dire che erano stati gli antichi valyriani a dare
il nome
ai pokemon. La parola derivava da due vocaboli, pokaerys
e aeklemon,
rispettivamente aventi il significato di "bestia" e
"rumoroso". Almeno così aveva sentito dire. Così
in un colpo solo
aveva arricchito la propria cultura e imparato che anche gli antichi
valyriani
avevano capito come girava il mondo.
- I cavalli ci sono quasi tutti -
disse Oss dopo una veloce conta - Sono rimasti ventinove su quaranta.
Nonostante nessuno di loro
sapesse né leggere né scrivere gli stallieri
sapevano tutti far di conto. Era
un requisito fondamentale per molti mestieri in fondo, vi erano anche
stati
costretti. Era stato maestro Quetor prima e maestro Laezroth poi a
insegnare al
piccolo Haerrik a far di conto. Nei nove anni in cui aveva abitato a
Capo
Tempesta si erano avvicendati tre maestri, di cui l'ultimo era stato
maestro
Dewey. Era originario dell'Altopiano e si sentiva. Era anche nobile, di
casa
Orme si diceva, lo si percepiva nel suo modo di parlare. Haerrik aveva
preferito decisamente Quetor e Laezroth ai modi spocchiosi dell'altro.
Peccato
fossero morti per la loro età avanzata.
- Meno male - annuì Aley in tono
grave.
Era una cosa sia positiva che
negativa. Le stalle non sembravano essere state danneggiate
più di tante,
constatò Haerrik, solo qualche asse spezzata e qualche
divisione abbattuta,
nulla di che. Il lavoro di un falegname avrebbe risolto tutto. Ma
adesso
toccava loro andare fuori ad aiutare gli altri, e non sarebbe stato per
nulla
un compito facile.
- Allora andiamo, dobbiamo andare
da Nysen a dirglielo.
I tre uscirono quasi
immediatamente dalle stalle, stando bene attenti a richiudere dietro di
sé i
resti del portone. Era la prima cosa che ad Haerrik avevano insegnato,
richiudere sempre il portone alle proprie spalle, anche se magari
poteva essere
del tutto inutile. Le possenti porte erano state infatti per
metà divelte dai
cardini. Un'anta era caduta a terra, mentre l'altra pendeva in modo
decisamente
sbagliato.
Appena uscirono videro che la
situazione non era delle migliori. Già solo nel grande
piazzale del castello
c'erano almeno una decina di combattimenti in corso, ed era
già tanto se si
riusciva a distinguere uno scontro dall'altro. Verso l'angolo nordovest
cinque
stallieri stavano tentando di mettere con le spalle al muro un
Infernape,
mentre dalla balconata soprastante altri due erano pronti con una
grande
bacinella d'acqua per gettargliela addosso e destabilizzarlo. Un
Monferno
invece si era arrampicato sulla grata di ferro che chiudeva le porte
del
castello, disperdendo quelli sotto di lui bersagliandoli con palle di
fuoco. Un
Quilava correva all'impazzata per il cortile, schivando agilmente gli
altri
pokemon e gli stallieri che tentavano di prenderlo, mentre un
Fletchinder e un
Fearow volavano in circolo al di sopra della confusione, lanciandosi di
tanto
in tanto qualche attacco l'un l'altro. Queste erano le prime cose che
saltavano
all'occhio.
Non persero tempo, individuando
subito Nysen alle prese con un riottoso Zebstrika assieme ad altri due
stallieri. Il pokemon era circondato dagli uomini, e si muoveva
lentamente
nitrendo in modo minaccioso e percettibile. Quelli che l'attorniavano
se ne
tenevano bene a distanza, mentre sembravano star aspettando solo
l'occasione
giusta per intrappolarlo.
E così infatti fu. Quando ormai
Haerrik e compari erano quasi arrivati da Nysen questi con uno scatto
fulmineo
si gettò contro il pokemon, schivando agilmente un fulmine
diretto contro di
lui e saltandogli in groppa dopo averlo preso per il collo. Lo
Zebstrika nitrì
furiosamente, scalciando e ondeggiando per far cadere quel cavaliere
indesiderato.
- Le briglie, presto! Datemi il
morso! - urlò agli stallieri a terra.
I due, senza perdere tempo,
cercarono di avvicinarsi il più possibile per riuscire a
gettare a Nysen le
redini. Il pokemon ne era infatti sprovvisto, ma lo avrebbero
sicuramente
calmato o almeno stordito se fossero state montate.
Haerrik, Aley e Oss decisero di
dare una mano. Si consultarono brevemente con Symond ed Elmetto, gli
stallieri
che stavano aiutando Nysen, e adottarono in fretta una strategia. Era
estremamente semplice, ma se fossero stati attenti e l'avessero
applicata a
dovere avrebbero avuto sicuramente successo.
I tre si sparpagliarono attorno
allo Zebstrika, e cominciarono a fare quanto più rumore
possibile. Certo, era
un'impresa riuscire a farsi sentire in mezzo a tutto quel casino, ma
diedero
fondo all'aria nei loro polmoni per potercela fare. Agitavano le
braccia in
alto e urlavano come dei forsennati, correndo a scatti e arrestandosi
di colpo.
Sembrava che qualche strana entità li stesse possedendo,
facevano quasi paura.
E in fondo era proprio questo l'effetto che volevano ottenere.
Si tenevano a distanza abbastanza
ravvicinata per mettere alle strette il pokemon, il quale nel frattempo
era
tenuto faticosamente a bada da Nysen che cercava di calmarlo e di
bloccarlo al
tempo stesso. Ad un segnale concordato i tre scattarono
contemporaneamente in
avanti urlando a squarciagola e protendendo minacciosamente le braccia
in
avanti, e allora successe quel che doveva succedere.
Lo Zebstrika allora si impennò in
tutta la sua altezza. Nella sua posa normale superava di poco i cinque
piedi,
Haerrik aveva visto qualche uomo più alto di cosi. Ma eretto
in tutta la sua
vera altezza uno Zebstrika arrivava anche a superare i sette piedi e
mezzo,
abbastanza da farsela fare addosso anche da un gigante come lo doveva
essere
stato ser Duncan l'Alto.
Si impennò nitrendo, e per poco
Nysen non cadde rovinosamente. Riuscì in qualche modo a
tenersi aggrappato al
collo della animale, stringendosi spasmodicamente e penzolando per
metà nel
vuoto. Lo Zebstrika non parve farvi caso e agitò gli zoccoli
anteriori per
scacciare quei pazzi che gli stavano davanti.
Fu allora che Symond ed Elmetto
agirono. I due, che si erano portati alle spalle del pokemon, si
lanciarono
gridando contro di lui, tenendo ben strette le briglie. Urlarono per
attirare
l'attenzione di Nysen, il quale subito voltò la testa e
capì le loro
intenzioni. Sfortunatamente anche il pokemon fece lo stesso.
Percependo di essere assalito da
più lati decise di agire. Atterrò pesantemente
sulle zampe anteriori, quasi
schiacciano Aley che riuscì a spostarsi per poco dalla
mortale traiettoria. Il
pokemon, con il capo leggermente girato all'indietro per capire chi lo
stava
attaccando, scalciò.
Symond fu rapido e scansò subito
la testa, facendo finire lo zoccolo nel vuoto. Elmetto invece fu
colpito in
pieno. Quasi per un riflesso involontario aveva chinato la testa subito
prima
che il calcio partisse, e lo zoccolo colpì con un rumore
metallico il pesante
elmo che lo stalliere portava sempre sulla testa e da cui derivava
anche il suo
nome.
Elmetto cadde frastornato,
portando con sé anche quel che aveva. Symond invece
riuscì a gettare a Nysen un
semplice morso, che però si fece bastare. Afferrò
al volo lo strumento e lo
infilò fulmineamente nella bocca semiaperta dello Zebstrika.
Questi, furente,
riprese a scalciare e a nitrire, e per poco a Oss non venne sfondata la
testa.
Nel farlo però chiuse la bocca e decretò
così la sua cattura.
Appena vide che il morso era
finito in bocca al pokemon Nysen si riassestò rapidamente
sul suo dorso e diede
un secco strattone. Immediatamente lo Zebstrika si impennò
di nuovo, facendo
sprizzare scintille tutt'attorno. Per non essere colpito sul volto
Haerrik
dovette proteggersi con un braccio, e un attimo dopo sentì
un terribile
bruciore. Quando tornò a guardare vide che un getto di
elettricità gli aveva
incenerito buona parte della manica, lasciandogli scoperto un pezzo di
carne viva.
Ma lì per lì non sentì alcun dolore,
forse a causa dell'eccitazione per quelle
circostanze.
Haerrik si buttò a terra, e così
fecero anche Oss, Aley e Symond (Elmetto c'era già invece,
giacendo incosciente
a qualche piede di distanza). Era una delle cose da fare quando un
pokemon di
tipo Elettro stava attaccando, buttarsi a terra dava un'alta
probabilità di non
essere colpiti. Ciò non voleva dire di essere al sicuro, ma
fortunatamente per
loro il pokemon fu domato prima che potesse attaccare nuovamente.
Nysen era incredibilmente bravo
come stalliere, e un giorno avrebbe sostituito degnamente suo padre
Nynt alla
guida delle stalle di Capo Tempesta. Se la cavava bene soprattutto con
i
pokemon, e se già suo padre era capace di fornire i migliori
pokemon di tipo
Elettro, Fuoco, Lotta e Volante ai membri della casa Baratheon allora
Nysen
avrebbe sicuramente fatto di meglio.
A dimostrazione delle sue innate
capacità riuscì a calmare in fretta lo Zebstrika
sussurrandogli parole in una
delle orecchie. Per un attimo Haerrik pensò che Nysen
dovesse avere il Dono, ma
gli passò di mente quasi subito. Il Dono era una cosa rara,
e Nysen sapeva fare
quella cosa di certo per la sua esperienza con gli animali, non certo
perché
sapeva parlare con i pokemon. Del resto c'era già Gravven
Wensington per
questo, l'attendente di lord Orson. Lui sì che possedeva
veramente il Dono.
Nysen smontò delicatamente dal
pokemon e allentò la presa del morso, sempre continuando a
parlargli mentre lo
accarezzava. Lo Zebstrika sembrò calmarsi tutt'a un tratto,
chinando subito
umilmente il capo. Il magro stalliere fece uno sguardo compiaciuto,
conducendolo verso i suoi sottoposti sdraiati a terra.
- Alzatevi! - gli urlò - Ho
bisogno di qualcuno che lo riporti nelle stalle!
Tutti, tranne Elmetto per ovvie
ragioni, si rialzarono. Aley si fece avanti per prendere le briglie, le
quali
gli vennero consegnate dal sudato Nysen.
- Tu - ordinò a Symond accennando
nel mentre ad Elmetto steso per terra - Riporta il tuo amico nelle
stalle, non
mi sembra messo bene. Poi torna qui, se ne occuperà maestro
Dewey.
I due stallieri eseguirono gli
ordini, l'uno facendo avanzare il pokemon tenendosi rasente il muro per
non
incappare nel clamore degli scontri, mentre l'altro correndo con il
ragazzo
svenuto in braccio. Haerrik li osservò per un attimo mentre
se ne andavano, poi
Nysen disse a lui e ad Oss di seguirlo per aiutarlo in una nuova
cattura.
Mentre si dirigevano verso lo
scontro successivo dalle mura interne uscirono anche i nobili,
risvegliati da
tutto quel baccano notturno. Gravven Wensington si precipitò
fuori da una
porticina laterale del palazzo principale mentre si stava ancora
infilando
precipitosamente un farsetto.
- Presto! Di là, di là! - provò a
ordinare a un gruppo di stallieri che gli stavano passando accanto
correndo, i
quali lo ignorarono bellamente. L'attendente gli urlò
dietro, ma servì a ben
poco data tutta la confusione circostante.
Mentre incedevano attraverso il
cortile trasformatosi in un campo di battaglia ad una balconata si
affacciò
lady Naelys. Haerrik non poté fare a meno di non guardarla.
Nonostante la luna
fosse ormai in procinto di scomparire nel cielo i suoi raggi facevano
brillare
i suoi lunghi capelli argentei da Targaryen, riconoscibili anche da
miglia di
distanza. Il ragazzo non poté fare a meno di pensare alla
sua bellezza,
nonostante oramai avesse più di quarantacinque anni e il suo
corpo pareva
appartenere ad uno scaricatore di porto piuttosto che ad una donna.
Forse
Haerrik da adulto sarebbe diventato robusto come sua nonna, chi poteva
saperlo.
Restò a fissarla per un attimo di
troppo. Lo sguardo della lady ricadde rapidamente su di lui, e mosse la
bocca
come a volergli dire qualcosa. Agitò anche una delle sue
braccia ad indicare
qualcosa dietro di lui. Haerrik non capì, ma lo intendette
anche troppo bene
quando sbatté violentemente la faccia a terra.
Sentì di avere il sapore schifoso
del terreno in bocca, e sputò subito un grumo di saliva
mista a terriccio. Si
puntellò subito sui gomiti, trattenendosi dall'imprecare. Si
guardò attorno, e
vide che anche Nysen e Oss erano a terra a fianco a lui.
- Che cazzo è successo? - chiese
con voce ansante.
Oss alzò la testa e indicò
debolmente con un braccio il muro davanti a loro. Buona parte dei
mattoni era
stata divelta dalla muratura, e adesso giacevano spezzati
grossolanamente a
terra. Probabilmente qualche pokemon aveva lanciato un attacco verso di
loro e
Nysen aveva spinto a terra i due ragazzi.
- State tutti bene? - chiese
questo tossendo mentre si rialzava.
- Sì - disse Oss, nonostante si
stesse stringendo il braccio.
- Che è successo? - ripeté
Haerrik verso il superiore.
- Una palla di fuoco - un altro
colpo di tosse - Stava venendo dritta verso di noi. Me ne sono accorto
in tempo
e mi sono buttato addosso a voi. La sicurezza dei ragazzi prima di
tutto.
Haerrik si voltò e vide che la
sezione di muro che un attimo prima era davanti a lui adesso era
scomparsa,
lasciando al suo posto uno strato di mattoni semifusi che stavano
lentamente
colando a terra. Il ragazzo rabbrividì al pensiero che anche
la sua carne
sarebbe diventata così se fosse stato colpito. Doveva solo
ringraziare Nysen e
la sua prontezza di riflessi, altrimenti avrebbe fatto la fine di una
sventurata pecora arrostita da un drago.
Haerrik si rialzò, e proprio in
quel momento da una porta laterale uscì ser Baelon. Era
magnifico, avvolto nel
mantello color ocra di casa Baratheon, recante il cervo nero
incoronato. Sotto
doveva indossare la camicia da notte, ma anche se così fosse
stato non si
vedeva per nulla. La spada pendeva sul suo fianco, tintinnando nel
fodero ogni
volta che sbatteva contro la sua pelle, mentre con una mano guantata
l'uomo
teneva l'elsa.
Nonostante si fosse appena
svegliato come tutti loro sembrava fresco come una rosa, e i suoi
capelli neri
come il carbone sembravano essere più lucidi alla luce delle
fiamme. Il suo
sguardo era risoluto, decisamente era intenzionato a mettere fine a
tutta
quella faccenda, e stava puntando direttamente a Wensington
l'attendente, il
quale si trovava a qualche decina di metri di distanza.
Fu solo per un attimo che Haerrik
vide suo padre, il quale poi passò oltre senza probabilmente
averlo nemmeno
notato né riconosciuto, tanto sporco era di cenere e terra.
Il ragazzo si sentì
leggermente offeso da quel comportamento. Sarà anche stato
solo il suo figlio
bastardo, ma era l'unico figlio che aveva! Per la Madre, come si
permetteva di
ignorarlo così?
Haerrik Storm venne presto
distolto dai suoi pensieri da un nuovo richiamo di Nysen, il quale gli
ordinò
di seguirlo assieme ad Oss. Mentre si apprestavano a prendere parte ad
un'altra
cattura, Haerrik notò che l'erede di Capo Tempesta si era
appartato per parlare
con Gravven Wensington, stando bene attento a non dare nell'occhio.
Assieme a
loro c'era anche Nynt, il quale annuiva ogni volta che ser Baelon
diceva
qualcosa.
Nel giro di un'oretta la
situazione pareva essere migliorata un poco. Grazie all'ausilio di
acqua,
museruole, reti, morsi, qualsiasi attrezzo adatto per intrappolare le
bestie,
molti dei pokemon erano stati ricatturati. Certo, ancora qualche bestia
ostinata resisteva qua e là, ma grazie al lavoro
instancabile degli scudieri
molti dei pokemon fuggitivi vennero ripresi.
Haerrik poté vantare di aver
contribuito alla cattura di un Magmortar, del Quilava che scorrazzava
per il cortile
e di un Galvantula che si era arrampicato in un anfratto della Torre
dell'Ingranaggio. Il ragazzo era salito su nella torre, e assieme ad
Owen,
l'assistente del maestro Dewey in quel momento nelle stalle a curare i
feriti,
aveva abilmente districato una rete dalle maglie fittissime mentre
dalla
finestra sottostante altri scudieri distraevano il pokemon. Quando poi
il
pokemon Elettroragno aveva cominciato a bersagliare coloro che lo
disturbavano
con palle di tela appiccicosa Owen e Haerrik gli avevano buttato la
rete
addosso. Il pokemon, nel tentativo di liberarsi, aveva perso la presa
sulla
parete ed era precipitato di sotto nel cortile, dove alcuni scudieri
prontamente lo riportarono nelle stalle.
Appena fu tornato nel cortile
vide che un folto gruppo di stallieri si era radunato al centro dello
spiazzo,
intenti ad osservare la cima del Fortino di Durran. Haerrik li
raggiunse,
curioso di sapere cosa li intrattenesse, e quello che vide fu davvero
stupefacente.
Appena alzò la testa gli sembrò
di essere tornato indietro nel tempo di due secoli e mezzo, quando
sopra i
cieli di Capo Tempesta si affrontarono i draghi Arrax e Vhagar. Erano
infatti
in corso almeno tre battaglie aeree differenti, e tutte vedevano almeno
un
partecipante di tipo Fuoco. Un Charizard stava affrontando un Pidgeot,
un
Talonflame lanciava implacabilmente attacchi contro un Emolga mentre un
Fletchinder stava inseguendo ad una velocità spaventosa uno
Spearow.
Haerrik non poté fare a meno di
restare a bocca aperta. Non era tanto per il fatto che ben tre
battaglie
diverse infuriavano sopra la fortezza, quanto per il modo in cui esse
venivano
combattute. Gli sfidanti non parevano star combattendo, sembravano anzi
quasi
danzare. Schivavano agilmente le lingue di fuoco lanciate dagli
avversari e
scivolavano leggiadramente per le correnti d'aria, facendo sembrare
l'intero
processo quasi un grande ballo.
Ma per quanto lo spettacolo
potesse sembrare bello era presto destinato a finire a causa della
bellicosità
dei suoi partecipanti. I maestri della Cittadella avevano appurato che
lo
spirito di autoaffermazione dei pokemon li portava quasi
automaticamente a
combattere contro i propri simili solo per affermare la loro
superiorità, un
po' come i branchi di lupi su nel Nord dei Sette Regni.
Il primo a cadere fu l'Emolga, il
quale venne colpito da una palla di fuoco scagliata dal Talonflame e
precipitò
nel vuoto percorrendo cerchi concentrici sempre più piccoli,
mentre il fuoco
che l'aveva avvolto disegnava strane spirali nell'aria circostante.
Precipitò
dritto contro il tetto liscio del fortino, e sembrò che
l'impatto dovesse
essere inevitabile
Solo allora Haerrik si accorse
che sulla cima del Fortino di Durran stavano un nugolo di persone.
Alcune
tendevano una vasta rete, altre erano armate di corde e altre ancora di
rampini, mentre due stallieri particolarmente corpulenti reggevano un
bacile
pieno d'acqua mentre un terzo armato di secchio scrutava preoccupato il
cielo.
Appena l'Emolga rimbalzò sulla
rete l'uomo col secchio lo immerse nel bacile e gettò
dell'acqua addosso al
pokemon. Bastò tanto per spegnere le fiamme, e
immediatamente un altro servo,
approfittando del fatto che fosse stordito, gli saltò
addosso e lo assicurò con
delle corde, provvedendo poi a riportarlo nella fortezza.
Poco dopo fu il turno del
Talonflame che aveva battuto l'Emolga. Il pokemon aveva preso la non
troppo
saggia decisione di scontrarsi contro il Charizard, non uscendone
vincitore.
Probabilmente il pokemon Fiamma gli spezzò un'ala, dato che
il Talonflame
ricadde malamente sul tetto del fortino con una traiettoria innaturale.
Fu
immediatamente acciuffato da chi si trovava lì.
Haerrik seppe in quel momento di
voler salire sul tetto del fortino. Lui doveva essere là per
assistere a quel
combattimento spettacolare, probabilmente non ne avrebbe mai visto
nessun altro
del genere. Forse solo se fosse venuta una guerra si sarebbe potuta
verificare
quest'eventualità, ma ovviamente nessuno ci sperava per ovvi
motivi.
Appena fece per muoversi verso
l'entrata del fortino venne raggiunto da Oss e Aley, i quali l'avevano
visto
uscire dalla folla e dirigersi freso il Fortino di Durran.
- Dove vai? - gli chiese uno.
- Non penserai di andare lì a
farti ammazzare? - disse l'altro.
- Non senza di noi almeno -
risposero in coro.
Erano i suoi migliori amici.
Erano cugini, almeno questo gli sembrava di aver capito. Venivano da un
villaggio delle terre di lord Staedmon, ma erano emigrati a Capo
Tempesta
quando ancora erano piccoli assieme ai loro genitori a seguito della
Primavera
di Sangue. Avevano abitato con i propri parenti nell'ammasso di
baracche che si
era formato attorno alla fortezza, ma quando un'epidemia di febbri
aveva
sterminato le loro famiglie erano rimasti orfani assieme a molti altri
ragazzi.
Era stato allora che Nynt, il
maestro delle stalle di Capo Tempesta, aveva avuto l'idea degli
stallieri. Dopo
aver ottenuto il consenso di lord Baratheon aveva proceduto a
raccogliere dalla
strada i bambini, portandoli dentro le mura del castello e facendone
dei
perfetti stallieri. Alcuni di loro erano divenuti persino scudieri, la
maggior
parte di cavalieri erranti, addirittura qualcuno del figlio di qualche
nobile
di piccolo calibro.
Haerrik invece era lì
semplicemente perché era stato rifiutato da suo padre quando
sua madre si era
presentata con lui. Quando, un giorno di dodici anni prima, sua madre
si era
presentata con lui in braccio, nessuno aveva voluto credere che si
trattasse
del figlio naturale di ser Baelon Baratheon, e le guardie non l'avevano
nemmeno
lasciata entrare, schernendola e invitandola ad andarsene.
Proprio in quel momento però
passava sulle mura lady Naelys, la quale si incuriosì di
tutto quel trambusto
al ponte levatoio e andò a vedere. Una volta saputa la
storia fece entrare i
due e mandò a chiamare maestro Quetor, il sapiente in
servizio al tempo a Capo
Tempesta. Non ci volle però la sua conferma per attestare
che la donna diceva
il vero: se già i capelli neri come il carbone del bambino
non fossero stati
una prova sufficiente si potevano considerare anche i suoi splendidi
occhi
violetti, caratteristica peculiare dei Targaryen che ser Baelon aveva
ereditato
dalla madre.
Baelon Baratheon venne convocato
seduta stante e venne messo di fronte alle sue colpe. Il risultato di
un'azzardata avventura amorosa dell'anno precedente, non c'erano dubbi.
Tutti
sapevano che ser Baelon si dilettava a scorrazzare per le campagne
quando
poteva, e quel che combinava oltre andare a caccia lo si poteva
intuire. La
madre lo mise di fronte a suo figlio, obbligandolo a guardarlo.
Un servo gli raccontò le testuali
parole della nonna:"Allora? Neghi ancora di essere suo padre? Io non
sono
stupida e nemmeno la maggior parte degli abitanti di Capo Tempesta.
Oramai a
quest'ora la voce si sarà diffusa, le guardie avranno
sicuramente parlato.
Prova un po' di vergogna per una volta, guarda il risultato della tua
dissolutezza".
L'uomo non aveva replicato, aveva
solo abbassato la testa. Aveva chiesto sommessamente alla madre il
permesso di
andarsene, e poco dopo la principessa Naelys accordò a
Haerrik e sua madre il
permesso di rimanere nel piccolo villaggio fuori le mura del castello.
Da quel
momento l'erede di Capo Tempesta non uscì più
dalla fortezza se non per stretta
necessità, e le voci che parlavano della sua passione per le
donne morirono nel
giro di un paio d'anni.
Poi, meno di nove lune dopo,
l'epidemia di febbri. Haerrik era rimasto contagiato, ma la madre
morente
riuscì a portarlo fino a maestro Quetor, penetrando
nottetempo nella fortezza
quando le guardie l'avevano già cacciata una volta. Era
spirata poco dopo,
consumata dalla stessa malattia del figlio. Lui invece era stato capace
di
guarire grazie alle abili cure del maestro, ed era solo a lui che
doveva la
vita. Poi in mancanza di parenti (e dopo il rifiuto di Baelon Baratheon
di
prendersene cura), il piccolo Haerrik era stato dato a Nynt, il quale
era stato
ben contento di crescerlo come uno dei suoi ragazzi di stalla,
poiché un paio
di braccia in più non avrebbero di certo fatto male.
Nonostante il rifiuto del padre,
Haerrik non se l'era affatto presa per questo. Certo, era il figlio di
uno dei
nobili più potenti dei Sette Regni, ma non avrebbe
desiderato nulla dalla vita
di più di quanto già non avesse. Nelle stalle
aveva vitto, alloggio, amici, una
casa. Nessuno lì lo chiamava bastardo (complice anche il
fatto che molti altri
lo erano), o se lo facevano era solo quando non prestava attenzione ed
erano
costretti a ricorrere alle maniere forti. Aveva conosciuto Oss e Aley,
i suoi
due migliori amici, e molti altri come Symond ed Elmetto, e amava il
cameratismo
che si era creato tra tutti loro.
Ma non stette a riflettere su
tutto ciò che poteva perdere quando assieme ai suoi amici si
affrettò a salire
su per le scale del Fortino di Durran. Le scale erano strette e ripide,
e ogni
tanto erano costretti ad appiattirsi contro il muro per lasciar passare
qualcun
altro che scendeva o saliva di fretta. Da dentro il forte nel forte
sembrava
molto più piccolo di quanto non apparisse, e ciò
era dovuto al fatto che le
mura del Fortino di Durran erano spesse svariati piedi.
Quando finalmente arrivarono alla
fine delle scale nessuno si accorse della loro entrata sulla cima del
fortino,
anche perché tutti erano col capo per aria a scrutare
attenti e preoccupati
quello che accadeva sopra di loro. Haerrik e i suoi amici si gettarono
una
rapida occhiata intorno per vedere dove sistemarsi. L'angolo ovest era
occupato
dalle reti contenenti i pokemon più ingombranti, i quali per
essere riportati
nelle stalle necessitavano di essere calati direttamente dalla cima
della torre.
Nel frattempo che loro facevano le scale anche il Pidgeot era caduto,
andando a
far compagnia al Talonflame (l'Emolga, essendo abbastanza piccolo, era
già
stato riportato nelle stalle, avevano visto uno stalliere con in
braccio il
pokemon mentre salivano).
Gli angoli nord e sud, anche se
era poco corretto parlare di angoli visto che la cima della torre era
una
circonferenza perfetta, erano già occupati da coloro che
reggevano gli estremi
della rete così come il centro, leggermente rialzato
rispetto al resto del
piano. Così i tre optarono per l'angolo est, la parte che
dava sul mare, dove
c'erano meno persone a intralciarli. Si appostarono dietro un grosso
merletto e
stettero ad osservare la scena che si svolgeva sopra le loro teste.
Il Charizard, dopo aver sconfitto
il Pidgeotto, fece per attaccare il Fletchinder. Haerrik
pensò che la stazza
del pokemon Fiamma gli avrebbe fatto sicuramente avere la meglio, ma si
dovette
presto ricredere. Charidard aveva sì una grossa mole, ma nel
volo era lento,
decisamente troppo per l'avversario.
Appena provò ad attaccarlo
Fletchinder distolse per un attimo la propria attenzione dallo Spearow
giusto
per fare una spettacolare e velocissima inversione ad U nel cielo. Il
Charizard
non ebbe nemmeno il tempo di reagire mentre l'altro pokemon lo colpiva
con il
becco in pieno petto. Dopodiché con tre rapidi colpi di ali
Fletchinder si
portò a distanza di sicurezza dall'avversario, si
girò e riprese la propria
caccia.
Charizard ruggì per la rabbia, ma
dopo alcuni attimi smise di battere le proprie ali prendendo
così a cadere di
sotto.
- La rete! Tendete la rete! -
urlò qualcuno.
Haerrik ebbe solo un attimo per
ragionare. Quel pokemon doveva pesare almeno duecento libbre a
giudicare dalla
grandezza, solo un pazzo avrebbe provato a sollevarlo. Figuriamoci cosa
avrebbe
fatto quando si sarebbe schiantato ad una velocità
così elevata.
In effetti quando Charizard
atterrò sulla rete la forza dell'impatto fu così
violenta che tutti coloro che
la reggevano ricevettero una spinta, come uno strattone in avanti. Non
poterono
fare a meno di assecondarla, e molti di loro caddero a terra dopo pochi
piedi
di corsa forzata. Due uomini si schiantarono contro i merletti, mentre
un altro
fu meno fortunato trovando un tratto di mura senza niente per fermarlo.
Le
gambe si schiantarono con violenza contro la pietra del muretto, l'uomo
cadde
in avanti e volò oltre il bordo della torre, cadendo nel
vuoto. Nessuno riuscì
a sentire quando si schiantò nel cortile sottostante.
Haerrik ebbe un brivido. Aveva
intravisto per un attimo la faccia dell'uomo prima che volasse di
sotto, e ne
era rimasto turbato. Esprimeva un terrore cieco di fronte alla
consapevolezza
che di lì a pochi secondi sarebbe precipitato giù
dalla torre, i lineamenti
tirati e i muscoli contratti. Si considerò fortunato di non
essere stato
chiamato per svolgere quel compito, ma non per questo non avrebbe
accettato se
gliel'avessero chiesto. Gli sarebbe veramente piaciuto dimostrare il
suo
coraggio e il suo valore a quel padre che non lo considerava solo
perché era un
bastardo.
Il meglio del combattimento però
doveva ancora venire. Una volta sconfitto il Charizard il Fletchinder
aveva
ripreso ad inseguire lo Spearow, il quale però aveva
notevolmente distanziato
l'inseguitore nel mentre del combattimento tra questi e il pokemon
Fiamma. La
distanza però si ridusse in pochissimo tempo, ma ad Haerrik
non sembrava che
fosse stato Fletchinder ad acquisire velocità quanto Spearow
a ridurre la
propria. Ma non gli sembrava nemmeno che fosse stanco, forse... l'aveva
fatto
intenzionalmente?
Per un attimo sembrò che il
pokemon Sfavillante dovesse raggiungere e sopraffare lo Sguardofermo,
ed
allungò anche le proprie zampe artigliate per tentare di
ghermirlo. Ma la sua
morsa si chiuse sull'aria, dal momento che lo Spearow
riacquistò slancio tutto
d'un tratto, sorprendendo sia il suo inseguitore che gli spettatori a
terra. Il
Fletchinder lanciò un ululato di frustrazione e riprese
l'inseguimento.
Ma lo Spearow era troppo in
gamba. Ogni volta che sembrava essere stato raggiunto riusciva a
svincolarsi
dal tiro nemico grazie ad improvvise e provvidenziali virate, oppure
buttandosi
in picchiata sulla fortezza oppure salendo ancora di più nel
cielo. Haerrik non
aveva mai visto uno spettacolo tanto bello quanto pericoloso.
La battaglia, se così si poteva
chiamare in quanto al massimo era il Fletchinder a lanciare di tanto in
tanto
degli attacchi, sembrò durare per un tempo infinito. Haerrik
di preciso non
seppe dire quanto tempo passò, però di sicuro
doveva essere molto in quanto ad
un certo punto cominciò a fargli male il collo da quanto lo
teneva alzato. Si
vide costretto ad abbassare la testa per un attimo, prendendosi a
massaggiare
il retro della nuca con una mano per cercare di far cessare il dolore.
Fu proprio in quel momento che lo
Spearow si stancò. Fece improvvisamente una brusca virata,
scendendo in
picchiata contro il Fortino di Durran. L'inseguitore prontamente lo
imitò,
lanciandosi sulla sua scia. Il ragazzo non vide nulla di ciò
essendo col capo
chino, ma poté intuire qualcosa dalle esclamazioni di
stupore di chi lo
attorniava, in partiolare Aley e Oss avevano gli occhi sgranati.
Sentì come un tonfo provenire
dall'altra parte della torre, come se vi si fosse schiantato qualcosa.
Quando
finalmente rialzò la testa Haerrik si vide arrivare contro
letteralmente una
scheggia. Non ebbe tempo di scansarsi, semplicemente fece quello che
l'istinto
gli suggeriva: arcuò la schiena e si piegò
leggermente in avanti.
La testa dello Spearow si andò ad
incassare esattamente tra il suo braccio sinistro e il suo fianco,
incastrandosi. Haerrik non sapeva bene perché l'avesse
fatto, forse aveva in
qualche modo realizzato che se si fosse scontrato con il pokemon nella
maniera
sbagliata probabilmente sarebbe stato squarciato in due dalla forza con
cui gli
stava venendo incontro.
Fu in una frazione di secondo che
realizzò: aveva la sua opportunità. Era
un'occasione più unica che rara, poteva
provare a catturare la bestia che ormai era l'unica ad essere rimasta
libera di
portare scompiglio. Se fosse riuscito nell'intento avrebbe in tal modo
dimostrato di essere veramente coraggioso, degno di discendere da due
nobili
stirpi quali i Targaryen e i Baratheon.
Vennero ambedue spinti, il
pokemon avanti e il ragazzo indietro, l'uno sbattendo le ali e l'altro
cercando
di opporre resistenza. Haerrik provò a serrare la stretta,
cercando di tenere
fermo il corpo del pokemon e di bloccargli le ali al contempo, impresa
molto
difficile se non impossibile. Lo Spearow invece, rendendosi conto di
cosa stava
accadendo, tentò furiosamente di divincolare il capo dalla
presa dimenandosi
come un folle e sbattendo contemporaneamente le possenti ali, creando
spostamenti d'aria che costringevano le persone vicine a coprirsi il
volto.
Per alcuni attimi sembrò che il
ragazzo potesse riuscire nella sua impresa, ma la realtà
della differenza di
forza venne ben presto a galla. La possanza del pokemon ebbe la meglio
e lo
Spearow riuscì a liberarsi, sbattendo vigorosamente le ali
per prendere quota.
Fondamentale fu il momento in cui Haerrik sbatté
violentemente la schiena
contro la cinta muraria dall'altro lato della torre, venendo costretto
ad
allentare la presa per il dolore. Il pokemon approfittò di
quel momento per
tornare libero, salendo poi velocemente in aria.
Haerrik venne aiutato ad alzarsi
da un irsuto inserviente. Lo conosceva, frequentava le stalle in quanto
i figli
del suo defunto fratello abitavano lì poiché lui
non li poteva mantenere. Gli
piaceva chiacchierare, e si fermava sempre a parlottare con Nynt. Si
chiamava
Dorran, o forse Dorvan, Haerrik non ci aveva mai fatto poi tanto caso.
- Tutto bene, ragazzo?
- Sì, credo essere ancora tutto
intero.
L'impatto era stato abbastanza
violento, ma non sentiva particolarmente male in un singolo punto,
quanto più
egualmente su tutta la schiena, forse le scapole erano più
doloranti.
- Che è successo all'altro, allo
Sfavillante? - chiese all'inserviente, curioso di sapere il destino
dell'avversario dello Spearow.
- Si è schiantato qui proprio un
attimo fa. Ha sbattuto contro la torre ed è caduto di sotto.
Non c'è nessuno lì
sotto pronto a prenderlo, si è schiantato in terra. Forse
è morto, non so. E'
proprio vero che i pokemon sono animali più per-
- Attenzione!!!
L'urlo giunse come attutito alle
orecchie dei due, ma entrambi furono abbastanza reattivi da abbassarsi
dopo
aver visto la macchia con la coda dell'occhio. Lo Spearow, una volta
tornato in
aria, era di nuovo sceso in picchiata verso il basso. E sembrava che il
suo
bersaglio fosse proprio Haerrik.
Il ragazzo riuscì a vedere il suo
volto per un attimo. Il becco e gli occhi erano distorti da
un'espressione
furiosa, probabilmente il pokemon era preda di un attacco d'ira
caratteristico
della sua specie. E a quanto pare l'oggetto della sua collera era
proprio
Haerrik, forse perché aveva tentato di catturarlo poco prima.
Haerrik sentì l'aria che si
spostava mentre il pokemon passava proprio sopra la sua testa, facendo
appena
in tempo a rifugiarsi dietro un grosso merlo. Si sporse poi di un poco
per
provare a vedere che fine aveva fatto il pokemon, ma la voce di Dorran
(o
Dorvan) lo fece voltare.
- Dietro di te ragazzo!
Haerrik ebbe un presentimento e
si buttò a terra, e un attimo dopo l'affilato becco del
pokemon perforò l'aria
in cui l'istante precedente era presente la sua testa. Oramai era
appurato,
quello Spearow ce l'aveva con lui. E non si sarebbe fermato fin quando
non
l'avesse ucciso, anche questo era sicuro, gli Spearow e i Fearow erano
fatti
così. Pokemon crudeli e vendicativi, perseguitavano un uomo
colpevole di avergli
fatto uno sgarbo sino ad ucciderlo o a farlo impazzire, non c'era
scampo.
Il ragazzo si rialzò, stando bene
attento a vedere dove fosse il pokemon. Mentre si rimetteva in piedi
teneva lo
sguardo fisso sullo Spearow che nel frattempo volteggiava in aria
svariati
piedi sopra di lui. Temeva che sarebbe ritornato subito all'attacco, ma
l'uccello si limitò per quel momento a descrivere ampi
cerchi sopra il Fortino
di Durran.
Pensò velocemente a cosa fare,
sicuramente non ci sarebbe voluto molto perché la bestia
ritornasse alla
carica. Poteva provare a rientrare nella torre, la solida costruzione
l'avrebbe
di sicuro protetto dagli attacchi. No, il pokemon l'avrebbe persino
demolita a
costo di arrivare a lui. Altrimenti avrebbe potuto fare causa comune
con gli altri
inservienti e catturarlo assieme a loro. No, nemmeno questo avrebbe
funzionato,
gli Spearow accettavano la sconfitta solo quando chi sfidavano era
anche colui
che li sottometteva. Per cui restava una sola opzione...
- Haerrik, attento! - gridò Aley.
- Sta arrivando! - gli fece eco
Oss.
Ma il ragazzo aveva già iniziato
a correre verso la rete. Evitò un attacco del pokemon
buttandosi in avanti e
facendo una sgraziata ma efficace capriola e subito dopo
arrivò alla rete.
Scansò un paio di inservienti increduli e ne
afferrò un lembo.
- Che fai?! - chiese uno, ancora
indeciso sul da farsi.
Haerrik non rispose. Fece
scorrere velocemente con le mani la rete e si diresse subito verso il
merlo più
vicino. Legò un'estremità della rete alla pietra
e fece lo stesso con la
merlatura dalla parte opposta dello spiazzo. Forse il piano che aveva
ideato
aveva qualche speranza di funzionare. Non gli restò che
tornare al centro della
torre e alzare lo sguardo al cielo, andando alla ricerca del suo nemico
alato.
Nel mentre che lui preparava la
trappola lo Spearow era scomparso tra le nuvole. L'aveva attaccato con
impeto
sino ad un attimo prima e adesso sembrava essersi volatilizzato, questo
era
strano. Haerrik si guardò tutt'attorno, dall'interno delle
Terre della Tempesta
allo sconfinato muro d'acqua del Mare Stretto, ma nulla, sembrava
scomparso.
Appunto, sembrava.
- Dietro di te! - urlò ad un
certo punto qualcuno.
Ma Haerrik era pronto, e non si
sarebbe fatto cogliere facilmente di sorpresa. Si girò e
vide lo Spearow
scendere in picchiata verso di lui. Per incoraggiarlo a venire Haerrik
spalancò
le braccia e si mise ad inveire contro di lui.
- E' me che cerchi?! Vieni a
prendermi, stupida bestia!
La furia del pokemon a quelle
parole fu ben visibile, e i suoi lineamenti si distorsero ancora di
più di
quanto non fossero già alterati. Lanciò uno
spaventoso verso di collera e
acquisì ancora più velocità, puntando
dritto alla sua preda.
Haerrik restò fermo, immobile,
cercando di non scappare cedendo alla paura. Non seppe nemmeno lui come
riuscì
a mantenere tutto quel sangue freddo, forse era più che
sicuro che il suo piano
sarebbe riuscito. Perché se non lo fosse stato sarebbe di
certo morto, e non
aveva intenzione di farlo a quell'età.
Tenne le braccia aperte sino a
pochi istanti prima dell'impatto, muovendole solo quando fu certo che
lo
Spearow non avrebbe potuto cambiare traiettoria. Alzò
fulmineamente la rete,
fino a quel momento giacente floscia a terra, per quanto le sue braccia
gli
consentirono. Dopo di che si buttò di lato, lasciandosi
cadere sulla superficie
ricurva del tetto della torre e prendendo a ruzzolare giù
per il dislivello.
Un istante dopo il pokemon
penetrò l'aria dove prima c'era lui, finendo dritto nella
rete. Accortosi del
pericolo provò disperatamente a cambiare direzione, ma era
troppo tardi. L'alta
velocità lo fece ben presto avviluppare nella rete, e il
pokemon perse slancio,
finendo per schiantarsi malamente contro uno dei merletti sottostanti.
Haerrik vide solo qualche
frammento di questa scena mentre rotolava, andando infine a schiantarsi
contro
la merlatura. Si rimise subito in piedi benché fosse
dolorante, ma pensò prima
di tutto al suo dovere. Si lanciò contro il pokemon,
saltandogli addosso mentre
questo era ancora prigioniero delle maglie di corda e ferro.
- Presto, aiutatemi! - gridò -
Qualcuno lo leghi!
Nonostante lo stupore,
immediatamente alcuni stallieri vennero a dargli manforte. Dopo poco
anche Aley
e Oss arrivarono, ognuno reggendo una robusta corda. Lo Spearow
combatté
furiosamente contro gli aggressori tentando di liberarsi, ma fu uno
sforzo
vano. Ben presto qualcuno riuscì ad immobilizzargli le
zampe, poi un'ala, e
alla fine fu il turno del becco.
Dopo alcuni minuti l'emergenza si
poteva considerare rientrata. Con la cattura dello Spearow tutti i
pokemon
fuggiaschi erano stati ripresi, e Haerrik si asciugò
soddisfatto la fronte
imperlata di sudore. I suoi capelli erano fradici, e per questo li
lasciò
liberi di ondeggiare al vento perché si asciugassero.
Si diresse verso il bordo della
torre e si sporse. Mentre passava vide lo Spearow lanciargli
un'occhiata al
veleno. Questa sarebbe stata solo la prima battaglia di una guerra
più lunga e
intensa. Nel cortile sottostante riconobbe, più
dall'armatura che dalla faccia,
ser Baelon Baratheon, il quale guardava la cima del fortino
incuriosito,
probabilmente chiedendosi cosa fosse la causa di quella tutta
confusione.
Sorrise. Quando l'erede di Capo
Tempesta sarebbe venuto a sapere dell'impresa del suo figlio bastardo
forse per
Haerrik Storm ci sarebbe stata qualche speranza. Forse.
Note dell'autore
Chiedo infinita venia per il ritardo, ma l'ambiente scolastico negli
ultimi tempi è stato caldissimo per non dire rovente. Per il
prossimo capitolo cercherò di fare prima, lo prometto.
Intando però godetevi la lunghezza di questo.
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Capitolo 4 *** Daeron I ***
Daeron
-
Principe, la prego, venga qui!
Giù alla Porta Insanguinata si stanno preoccupando!
"E' un posto sicuro"
aveva detto Vilon "Qui non ci troverà nessuno, è
talmente sperduto che a
nessuno verrà in mente che potremmo essere qui". E invece a
quanto pare
non era così sperduto come sembrava.
Neo del Crinale - nome quanto mai
appropriato - era effettivamente un fortilizio minuscolo, e casa Brune
sicuramente non aveva una nomea tale da fargli acquisire fama. Sperduto
sui
monti di fronte alla Lancia del Gigante, era riparato da un costone
roccioso.
Nonostante ciò si poteva perfettamente scorgere il Nido
dell'Aquila, e per un
gioco di prospettiva non era possibile la vista inversa. Daeron ci
aveva
provato un paio di volte a scorgere Neo del Crinale dal Nido
dell'Aquila, ma
non gli era mai riuscito. Lo trovava quasi inconcepibile.
Ma che l'attendente di lord Arryn
li trovasse subito, quasi si fossero nascosti dietro un tendaggio,
questo sì
che era inconcepibile.
- La prego, principe Daeron,
venga giù!
Per la verità Daeron non aveva
nessuna voglia di venire giù. I tornei lo annoiavano, aveva
deciso sin da
subito che avrebbe disertato l'evento sportivo. E se ciò
avesse richiesto
l'utilizzo dei privilegi e dei diritti derivanti dal suo rango, sarebbe
ricorso
anche a quelli pur di non essere costretto ad assistere al torneo.
- Non credo che lo farò - rispose
dall'alto delle mura, mentre grattava la testa del suo Vhagar, il quale
sembrava apprezzare non poco il gesto mentre se ne stava seduto per
terra.
- Signore! - urlò l'attendente in
risposta.
- Ecco, lo sapevo che non
dovevamo farlo! - squittì Robert Arryn, al suo fianco.
Non faceva altro che squittire,
quello. Daeron non riusciva a credere che fossero imparentati, seppur
solo alla
lontana. Una sua prozia aveva infatti sposato il nonno di Robert,
rendendo
quindi suo padre Baelor e lord Aeron Arryn cugini.
- Lo sapevo che non dovevamo
andare!
Vilon Brune, lui taceva. Restava
in disparte a capo chino, stando zitto e con lo sguardo per terra.
Daeron
Targaryen certe volte si chiedeva come faceva ad essere amico di due
tipi così.
Normalmente nemmeno li avrebbe considerati. Ma quando era arrivato al
Nido
dell'Aquila come protetto, cinque anni prima, c'erano solo loro come
altri
ragazzini della sua età, ed era finito inevitabilmente per
stringere se non
amicizia almeno una sorta di affinità. Ma certe volte
desiderava avere come
compagno qualcosa di meglio.
L'unico vero amico che sentiva di
avere era il suo Vhagar. L'aveva trovato quando otto anni prima lui e
suo
fratello Viseghar avevano fatto un viaggio clandestino nella Fossa del
Drago.
Mentre vagavano per le stalle il piccolo Daeron, che allora aveva
sì e no
cinque anni, aveva visto un uovo sperduto nel bel mezzo del corridoio.
Un uovo
pokemon.
Si era chiesto cosa ci facesse lì,
le stalle dei pokemon erano da tutt'altra parte. Aveva pensato di
andare a
chiamare il fratello per farglielo vedere e lasciarlo lì, ma
qualcosa gli disse
che se non l'avesse salvato sarebbe sicuramente finito rotto, magari da
qualche
sbadato che passava di lì senza guardare per terra.
Già lui aveva rischiato di
pestarlo in precedenza prima di accorgersene.
L'aveva preso e l'aveva portato a
Viseghar, chiedendogli cosa doveva fare. Il fratello si era grattato la
nuca,
poi aveva detto "Visto che era nel bel mezzo della strada vuol dire che
non l'hanno voluto. Perché non lo prendi tu?". Perché devo prenderlo io? Se non l'hanno
voluto i suoi genitori perché lo
devo prendere io? aveva risposto Daeron. "Perché"
e la risposta
di Viseghar non gli era ancora passata di mente "Se ci fossi stato tu
al
posto dell'uovo non avresti desiderato che ti prendesse qualcuno?".
Tale
frase era bastata per convincere Daeron a prendersene cura.
Da allora per vari mesi aveva
nascosto l'uovo nella sua cameretta. Aveva fatto molta attenzione a non
farlo
trovare dai servi, sapeva che suo padre non lo avrebbe tollerato. Ogni
quando
sapeva di essere solo prendeva l'uovo e si sdraiava sul letto,
tenendolo
premuto contro la sua pancia calda e guardando le sue striature blu e
nere con
qualche macchia rossa qua e là. Chissà
cosa sarà? si chiedeva, e poi pensava Mi
importa? Avrò un pokemon!.
E fece così finché un giorno,
mentre era impegnato ad ammirarlo, con un sonoro CRACK so
fermò un'incrinatura
sul guscio dell'uovo. Poi un'altra. E un'altra ancora. Daeron era
rimasto fermo
immobile ad osservare la scena, estasiato. Di lì a poco una
testolina fece
capolino dalla parte rotta dell'uovo. Una testolina blu ricoperta da
pelo nero.
Inizialmente aveva tenuto
nascosta la nascita del suo nuovo amico a tutti, perfino a Viseghar. Ma
non ci
era voluto molto perché una servetta lo scoprisse mentre
riordinava la sua
stanza, correndo urlante a comunicarlo al principe Baelor Targaryen,
padre di
Daeron e Viseghar. Quando era stato chiamato a rispondere delle sue
"colpe", Daeron aveva affrontato suo padre a testa alta. Non aveva
ceduto alla paura, e nonostante fosse solo un bambino seppe comportarsi
come un
vero Targaryen, non cedendo mai alle minacce paterne.
Quella volta non ebbe la minima
idea di cosa rischiò, ma grazie all'intercessione della
madre Maera aveva
potuto tenere il suo nuovo amico. C'era voluto un po' per trovargli un
nome, ma
alla fine aveva optato per Vhagar, ovvero lo stesso nome del drago
della regina
Visenya. In fondo anche quel pokemon era un Drago per metà,
gli aveva detto
Viseghar. E nessun nome poteva essere più adatto come quello
del più grande
drago mai vissuto dopo Balerion il Terrore Nero. Non l'aveva chiamato
così
perché quel nome non gli piaceva.
E così dalla sua nascita fino a
quel momento Daeron e Vhagar erano stati inseparabili, l'uno pronto a
dare la
vita per l'altro. Daeron voleva bene a quel Deino, e il pokemon
ricambiava il
sentimento se non alla pari anche di più. Era l'unico vero
amico che poteva
dire di avere, anche se in quell'occasione non gli stava tornando molto
utile,
limitandosi ad incassare le coccole del suo padrone mentre era questo a
discutere con l'attendente.
- Mio principe, signore! Lord
Aeron è molto turbato! Ha mandato tutti i suoi uomini in
perlustrazione senza
trovarvi, se vostro padre venisse a sapere che fate questo genere di
capricci...
- Io non ho paura di mio padre -
rispose freddamente Daeron.
Forse lo disse perché essendo suo
figlio aveva un rapporto particolare, ma effettivamente Baelor
Targaryen era
una persona da temere. Abile con la spada, lesto di lingua e crudele
come solo
un Targaryen sapeva essere, incarnava lo stereotipo del perfetto nobile
per non
dire del perfetto erede al trono. Solo che non era lui il principe
della Roccia
del Drago, bensì suo nipote Aegon, cugino di Daeron e figlio
di Jaehaerys, suo
zio il re.
- Dovresti invece.
Finalmente il tetro Vilon
interruppe il suo silenzio. Forse aveva ragione, ma il principe lo
ignorò per
quel momento.
- Ho già detto quel che farò -
continuò parlando con l'attendente - E quel che
farò sarà restare qui.
Il suo tono era fermo e senza
emozione, il tono che si confaceva ad un comandante. Forse un giorno
avrebbe
rivestito una carica importante, e per questo voleva essere pronto. Si
era
esercitato per molto tempo da solo a pronunciare discorsi, ed
esercitandosi con
i suoi amici era riuscito a renderli totalmente a lui fedeli, tanto che
l'avrebbero seguito in capo al mondo. Certo, per quanto potesse essere
utile al
settimo in linea di successione avere ben due seguaci.
- Mio signore... - fece per
continuare l'altro, ma una mano guantata gli tappò la bocca.
Daeron, fino ad
allora disinteressato al discorso pur mettendoci un po' di carisma per
sembrare
più convincente, sobbalzò al rumore del metallo
che cigolava. Dapprima osservò
per un istante la mano, poi fece lentamente scorrere lo sguardo lungo
il
braccio del proprietario. Che si rivelò essere ser Hector
Brune.
Tra tutte le persone che sperava
di non vedere quel giorno Daeron aveva messo al primo posto ser Hector.
Nominato sua guardia del corpo da lord Arryn quando Lorgon era morto
quattro
anni prima per un'infreddatura, a Daeron non era mai piaciuto.
Inflessibile,
altezzoso, rigido, ma anche schietto e pronto a prendere in giro il
prossimo
quando se ne presentava l'occasione. Se al tutto poi si aggiungeva che
era lo
zio di Vilon tal cosa lo faceva ronzare attorno al principe ancor
più di quanto
lo avrebbe fatto normalmente.
- Forse - cominciò - non avrai
paura di tuo padre. Ma se il re venisse a sapere che suo nipote fa le
bizze?
Cosa direbbe?
Il fatto che gli desse del tu a
Daeron dava ancora più fastidio. Gli si poteva parlare
così solo quando era lui
ad autorizzare che lo si facesse, non certo per un capriccio. Lord
Arryn gli
dava del tu, pur mostrandogli la dovuta deferenza, come anche lady
Vanessa e
ser Bors, ma solo perché glielo permetteva LUI. Anche Robert
e Vilon gli davano
del tu, solo perché lo voleva LUI. Ma ser Hector, nonostante
le proteste, gli
parlava sempre così, come se fossero amici intimi. E questo
lui non lo voleva.
- Non direbbe niente. Il re e ad
Approdo del Re, molto lontano da qui. E poi cosa potrebbe interessargli
di me,
sono il figlio del suo secondo fratello.
- Nulla, ma da un membro di casa
Targaryen in quanto parte della famiglia reale si esige educazione, e
non mi
sembra che tu in questo momento sia educato. Lord Arryn ha
già chiesto a
maestro Pyman di mandare un corvo ad Approdo del Re per avvisare sua
maestà
della tua scomparsa, ma sei ancora in tempo per impedirlo.
Daeron stava per ribattere, ma
venne subito zittito.
- Vuoi forse che il re venga
disturbato per una sciocchezza del genere? Sai cosa dico io? Mai
disturbare il
drago che dorme. Oramai non sei più un ragazzino, fra pochi
anni sarai un uomo,
devi imparare a comportarti da tale. E non mi risulta che gli uomini
facciano i
capricci.
Il principe cercò di sfruttare
quella breve pausa per dire qualcosa, ma venne di nuovo battuto sul
tempo.
- Al massimo le lady grasse e
grosse fanno così. E sinceramente non mi sembra che a te,
mio principe,
manchino gli attributi e che tu abbia un bel paio di tette in via di
sviluppo.
Per cui o sei un uomo oppure un eunuco, ma non mi risulta che i
Targaryen
fabbrichino eunuchi. Per cui se sei un uomo comportati da tale. Mi sono
spiegato? Oppure quel corvo deve per forza spiccare il volo?
Daeron fumava letteralmente dalla
rabbia. Nessuno si era mai permesso di parlargli così, se
fosse stato ad
Approdo del Re a qualcuno che avesse detto delle cose del genere
avrebbe fatto
mozzare la lingua. Ma adesso non era ad Approdo del Re,
bensì in uno sperduto
fortilizio nella Valle.
- Allora, mio principe, vieni?
Vhagar emise dei brevi e
concitati versi che a ben pensare sembravano risatine. I pokemon erano
animali
quanto mai intelligenti, in grado di capire la maggior parte dei
discorsi degli
umani. Daeron non gradì quel gesto, e gli tirò un
calcio non troppo forte. Il
Deino si alzò da terra, risentito, soffiandosi via seccato
un ciuffo di pelo
nero dal muso.
Il principe dopo quel discorso,
nonostante si sentisse umiliato, ridicolizzato, oltraggiato,
sottovalutato e
preso in giro, acconsentì molto riottosamente a seguire
l'invito della guardia
del corpo a tornare a valle, del resto non poteva fare altro se non
obbedire.
Questa volta era stato scavalcato in carisma, nonostante la voce di
Daeron non
avesse mai vacillato. Ser Hector l'aveva battuto. Ma non avrebbe
permesso che
succedesse di nuovo.
Il
principe prese il posto che
gli spettava nella tribuna d'onore di malavoglia. Scortato da ser
Hector, venne
fatto sedere nella fila di sedili più alta, quella che
spettava ai nobili dal
sangue più regale quali lord Arryn, lord Royce e appunto
lui, il principe
Daeron Targaryen. Nessuno gli disse nulla per la sua fuga forse
perché era il
nipote del re, ma la disapprovazione nello sguardo di lord Arryn era
evidente.
L'uomo però si mise a parlare con lord Royce e la sua
attenzione venne distolta
dal giovane.
Si sedette a non molta distanza
dai grandi lord, pur restando un po' in disparte verso l'angolo del
padiglione.
Ser Hector non protestò per questa sua scelta, nonostante
fosse abbastanza
irritato di suo. Forse pensava che il principe si volesse solo riparare
dall'ombra, era in effetti una giornata più calda del
normale quella che stava
vivendo la Valle. Forse l'estate stava davvero arrivando come si diceva
in
giro.
Accanto a lui si sedette Robert
Arryn, figlio di lord Aeron ed erede del Nido dell'Aquila. Vilon Brune
invece
fu costretto ad andare a sedersi più in basso in mezzo ai
nobili di bassa lega
e signorotti di medio rango non essendo nobile quanto i due amici. A
Daeron un
po' fece pena quel ragazzo, non era per nulla giusta quella
discriminazione. Ma
le cose andavano così nei Sette Regni, e non poteva farci
nulla. Per il
momento.
I tornei lo annoiavano a morte,
Daeron non capiva cosa ci fosse di divertente nel guardare uomini fare
a gara
per chi si ammazzava prima. Non si capacitava di come i ragazzi della
sua età
avessero la testa intasata dai tornei e fremessero all'idea di
assistere ad
uno, forse perché non si tenevano più con
frequenza come un tempo. Ad Aemond e
in particolare a Viseghar i tornei piacevano, ma a Daeron non era mai
andato
giù vederli.
Stette lì a non fare nulla per
almeno una buona ventina di minuti. Il marasma di gente attorno a lui,
sia
nobili che popolani, era un continuo e fastidioso mormorio ripetitivo.
Anche
Robert Arryn a fianco a lui parlottava eccitato con un altro ragazzo,
voltandosi ogni tanto per dire qualcosa che Daeron nemmeno sentiva - o
ascoltava. Un altro buon motivo per vivere al Nord era
perché quella terra era
talmente desolata che non vi si tenevano tornei.
Vhagar si era accoccolato ai suoi
piedi e si era messo a sonnecchiare. "Beato lui che ce la fa in mezzo a
tutto questo casino" pensò il principe, frustrato "Non so
cosa darei
per scambiarmi di posto con lui. Chissà, forse se dico ad
Arceus che sono
disposto a rinunciare al mio rango reale per diventare un pokemon mi
scambierà
con Vhagar".
Per la noia del non fare niente
il suo sguardo prese a vagare per il campo sportivo. Tutta la struttura
era
stata eretta al di sotto dell'incombente fortezza della Porta
Insanguinata.
Daeron alcuni giorni prima era salito in cima alla fortezza e aveva
osservato
il campo del torneo sotto di lui, e gli era apparso sin troppo
strizzato in
quella pietrosa spianata angusta compresa tra la Lancia del Gigante e
il
Bersaglio Immobile.
Ad adornare i bordi del campo
oltre che a delimitarli in modo marcato stavano appesi i blasoni
recanti i
simboli delle casate a cui i partecipanti al torneo appartenevano.
Daeron
riconobbe, oltre al noto falcone e alla luna degli Arryn, le frecce
degli
Hunter, la torre rossa dei Redfort, la torre gialla dei Grafton e le
torri blu
dei Frey, i cuori e i corvi dei Corbray, le rune e il cancello di
entrambe le
casate dei Royce, i quadrati degli Hardyng, il salmone dei Mooton ed
altri
emblemi che non si ricordava.
Senza che se ne rendesse conto il
tempo passò veramente in fretta, e alla fine si chiese come
mai tutto d'un
tratto la folla si fosse zittita di colpo. La risposta era situata
qualche
metro più in basso, ovvero dove il corpulento maestro Pyman
si accingeva a dare
il via al torneo.
- Quest'oggi - tuonò col suo
vocione, zittendo coloro che ancora parlavano - Si svolge qui sotto le
mura del
castello della Porta Insanguinata il grande torneo della Valle, bandito
da lord
Devron Royce, lord della Porta Insanguinata e delle Porte della Luna,
per
stabilire chi sarà il futuro marito di Bernyce Royce, la
splendida lady sua
figlia!
A queste parole fece seguito un
risolino ben troppo udibile. Lady Bernyce Royce, trent'anni e
più d'età,
grassoccia, dal seno cadente, la faccia piena di lentiggini, con le
labbra
sporgenti e d'un idiozia che Daeron raramente aveva visto, era paonazza
in
volto e molto divertita e lusingata dalle parole del maestro. Il
principe si
chiese chi mai avesse avuto il coraggio di iscriversi al torneo sapendo
che il
premio sarebbe stato lei. Forse i contendenti erano attratti
più dalla dote che
dalla donna: la signoria della Porta Insanguinata. Lady Bernyce era
infatti
l'unica figlia ed erede di lord Devron, e difficilmente qualcuno si
sarebbe
fatto sfuggire quest'occasione.
- Tre campioni la difenderanno, e
altrettanti cavalieri in tredici lizze consecutive si contenderanno la
sua
mano! I campioni in persona sceglieranno casualmente i loro sfidanti
estraendone i nomi da delle urne! Chi disarciona un campione diventa
campione a
sua volta! Chi mantiene il titolo di campione per più tempo
sarà dichiarato
vincitore e avrà la benedizione di lord Royce per prendere
la mano di lady
Bernyce! Al vincitore inoltre verrà consegnata la bellezza
di cinquemila
dragoni, al secondo classificato tremilacinquecento e al terzo duemila!
"Altro buon motivo per
partecipare. E non vincere".
Il maestro si fece da parte
apparendo visibilmente affaticato dalle urla appena emesse. In quanto
maestro
del torneo era però tenuto ad adempiere al dovere iniziale
di spiegare le
regole al pubblico. Il suo posto venne presto preso da un araldo, il
quale
cominciò a declamare i nomi dei campioni.
- I campioni iniziali chiamati a
difendere lady Bernyce sono ser Moras Waynwood, ser Gyles Grafton e ser
Bors
Arryn! Si facciano avanti per rendere omaggio a lord Royce e reclamare
il posto
che gli spetta!
Immediatamente si udì un rumore
di zoccoli. Quasi come dal nulla (in realtà da un'entrata
laterale
seminascosta) comparvero sulla pista tre cavalieri, ognuno in sella al
proprio
cavallo. Il primo era bardato di verde col simbolo del timone nero
spezzato dei
Waynwood, il secondo di rosso e nero con la torre infuocata dei
Grafton, mentre
il terzo di bianco e azzurro con il falcone e la luna degli Arryn.
Avanzarono
né troppo lentamente né troppo velocemente,
portando al trotto i loro cavalli
con abili movimenti di briglie.
I tre si posizionarono di fronte
al palco rialzato dei grandi lord, mettendosi l'uno a fianco all'altro
e
alzandosi la visiera dell'elmo. Daeron li guardò con una
leggera curiosità. Non
aveva mai visto Moras Waynwood e Gyles Grafton, ma conosceva Bors
Arryn. Il
forzuto castellano trentacinquenne del Nido dell'Aquila appariva
così stretto
in quell'armatura, quasi ci fosse stato ficcato dentro a forza. A
Daeron quasi
venne da ridere al pensiero che da un momento all'altro il cavaliere
sarebbe
esploso.
- Noi giuriamo - risposero i tre
in coro - Di difendere lady Bernyce da coloro che tenteranno di
arrivare a lei!
La difenderemo anche a costo della vita! Per i Sette, che il torneo
abbia
inizio!
Le voci apparivano molto diverse
le une dalle altre. Mentre quella di Moras Waynwood era stridula e
traballante,
quella di Gyles Grafton era bassa e atona, mentre quella di Bors Arryn
era roca
e cupa. Si intuiva che non erano entusiasti di essere stati scelti come
campioni. Moras Waynwood, diciannove anni e terzo figlio di lord
Waynwood, era
stato scelto per aver fedelmente prestato servizio come scudiero di
lord Royce
sino a prima che Daeron arrivasse nella Valle; Gyles Grafton,
quarantasette
anni e zio di lord Grafton, era stato selezionato in merito alle sue
imprese
durante la Follia di Luffeo, mentre invece Bors Arryn per due motivi:
il fatto
di essere fratello di lord Aeron e la malaugurata coincidenza di essere
rimasto
vedovo da meno di un anno.
- Si procede adesso con la prima
estrazione! Chi di voi intende dare il via al torneo? - chiese l'araldo
ad alta
voce rivolto ai tre cavalieri.
Inizialmente nessuno si mosse, ma
forse spinto dall'inevitabilità della situazione alla fine
fu il giovane
Waynwood ad avanzare. Senza che scendesse da cavallo un inserviente gli
porse
l'urna stracolma dei nomi dei partecipanti alle lizze, e dopo aver
frugato un
po' estrasse un pezzo di pergamena accartocciato. Tenendolo non
saldamente col
guanto di ferro esso gli scivolò di mano, ma venne preso al
volo
dall'inserviente il quale lo porse all'araldo, che procedette a
leggerlo.
- Il primo sfidante della prima
lizza, il quale affronterà ser Moras di casa Waynwood,
sarà... ser Parsifer di
Città del Gabbiano!
Ser Moras si andò a posizionare
ad un lato della lizza, mentre dall'altra parte del campo fece il suo
ingresso
un altro cavaliere. Non era colorato come i precedenti, e il suo scudo
recava
un emblema che Daeron non aveva mai visto: quattro monete d'oro su un
campo
blu, il quale stava al di sotto di una sezione gialla più
piccola. Il ragazzo
si voltò verso Robert, il quale molto probabilmente sapeva
chi era. Era un
patito di tornei, tanto per cambiare.
- Conosci quel cavaliere? - gli
chiese.
- Certamente! - rispose lui
entusiasta, felice di vedere l'amico interessato - Ser Parsifer di
Città del
Gabbiano era il capitano della guardia cittadina di lord Grafton,
almeno fino a
tre lune fa, quando è stato congedato per
l'anzianità. E' arrivato assieme a
ser Gyles, pare siano amici.
"Mi chiedo cosa sarebbe
successo se fosse stato ser Gyles a pescarlo allora".
Quando i due cavalieri si furono
posizionati alle estremità del campo un tamburo prese a
rullare.
- Quando il rullo terminerà -
annunciò l'araldo - caricate!
Abbassate
le lance!
I due eseguirono il comando. La
lancia di ser Moras era riccamente decorata di verde e nero, mentre
quella di
ser Parsifer era di semplice legno marroncino. Il suono dello strumento
sembrò
durare per un tempo infinito, ma quando si interruppe i due spronarono
immediatamente i cavalli i quali partirono in un forsennato galoppo.
Ser Parsifer mirò allo scudo, mentre
ser Moras al fianco dell'avversario. I cavalli si sorpassarono dopo
pochi
secondi, e la lancia di ser Parsifer esplose in mille pezzi contro lo
scudo di
ser Moras. L'avversario invece mancò il bersaglio facendo
finire la lancia nel
vuoto. Non sembrò però frutto di un errore,
quanto più di una prova.
Quando i cavalli arrivarono alle
estremità del campo si fermarono. Ser Parsifer
sollevò la visiera dell'elmetto,
e a Daeron sembrò di vedere una massa di capelli bianchi
tentare di uscire. Si
fece dare un'altra lancia e si voltò. Ser Moras invece si
tenne quella che già
aveva, abbassandola di nuovo. Quando ambedue furono di nuovo allineati
cominciarono un nuovo scontro.
Ser Parsifer mirò nuovamente allo
scudo, e la sua mossa risultò fin troppo prevedibile
all'avversario. Ser Moras
tenne la protezione solo con un paio di dita della mano sinistra,
mentre con la
destra faceva finta di regolare la lancia in modo fallimentare.
All'ultimo
istante spostò la lancia quel tanto che bastava per colpire
ser Parsifer, mentre
l'arma dell'avversario impattava contro lo scudo mal tenuto e lo faceva
volare
via. Ser Parsifer, colto di sorpresa, venne disarcionato, atterrando
malamente
poco più in là.
Waynwood si fermò e smontò da
cavallo estraendo la spada, ma l'anziano cavaliere si rialzò
a fatica su un
ginocchio e si tolse l'elmo, rivelando una lunga chioma bianca.
Respirava a
grandi boccate e aveva un mezzo sorriso ebete sul volto. Disse
qualcosa,
probabilmente che si arrendeva, Daeron non riuscì a sentirlo
per la distanza. La
prima vittoria del torneo andò quindi a ser Moras Waynwood.
Procedette poi sul campo Bors
Arryn, il quale estrasse il nome di ser Maron Plumm, un cavaliere delle
Terre
dell'Ovest di una casata nobile ma non particolarmente ricca. Plumm
riuscì a
spezzare due lance contro l'avversario, venendo però
disarcionato alla terza.
Il cavaliere si arrese subito senza che l'Arryn dovesse scendere di
sella.
Daeron rimase impressionato. Non
si aspettava che ser Bors fosse così bravo in sella al suo
cavallo. Certo, era
muscoloso e robusto, ma nonostante gli fossero state spezzate addosso
ben due
lance riusciva ancora a tenersi perfettamente in groppa all'animale
senza
nemmeno essersi un po' scomposto. Possibile che... potesse vincere lui
il
torneo? Nonostante il principe non se ne intendesse un
granché l'incontro tra
lui e Plumm gli fece venire questo presentimento.
A Grafton invece capitò ser Boras
Templeton, cavaliere di Novestelle detto Stellabianca per la sua chioma
argentea simile a quella dei Targaryen. Non era però
imparentato con loro, suo
padre aveva semplicemente sposato una donna di Volantis dalla quale ser
Boras
aveva ereditato i capelli, oltre che un'ingente fortuna. Nonostante
potesse
sembrare che ser Boras fosse più anziano dell'avversario in
realtà era tutto il
contrario. Erano i capelli argentei e le rughe ad ingannare, in quanto
il più
vecchio tra i due era ser Gyles.
Nonostante non ne fosse pratico,
persino Daeron fu costretto ad ammettere che il duello tra i due fu
sublime.
Sei lance per parte furono spezzate in poco più di una
decina di minuti, e
Stellabianca cadde solo alla settima senza però arrendersi.
Estraendo la spada
ne diede la conferma, e Grafton smontò anch'esso di sella
per accettare la
sfida. Il duello terrestre fu altrettanto spettacolare, con i due
cavalieri che
si equiparavano in forza e abilità. Alla fine
però fu ser Gyles a spuntarla,
facendo perdere l'equilibrio a ser Boras con una spallata e facendolo
così
cadere a terra. Gli era poi montato addosso e gli aveva puntato la
spada sul collo
scoperto, decretando così la sua sconfitta.
Il vecchio cavaliere, nonostante
l'età, appariva forte come se di anni ne avesse venti e non
quasi cinquanta.
Non per niente quattordici anni prima aveva guidato l'assalto a
Piccolasorella
quando il re aveva riconquistato l'arcipelago strappandolo ai pirati di
Luffeo.
Doveva essere stato al massimo della forma allora, ma nemmeno adesso
sembrava
debole. "Forse anche lui ha qualche possibilità di vincere"
azzardò
Daeron. Ancora non lo sapeva, ma il torneo lo stava pian piano
prendendo.
Iniziò così la seconda lizza, che
venne in seguito ricordata come l'Assalto dei Redfort. A tutti e tre i
campioni
infatti capitarono degli esponenti di quella casata, iscrittisi in
massa al
torneo.
- La moglie del precedente lord
Redfort era una Frey - spiegò Robert - E lo sai quanto sono
prolifici quelli.
Il primo a farsi avanti fu Joseth
Redfort detto Torrerossa, uno dei più forti cavalieri
viventi della Valle aveva
detto Robert, il quale gareggiò contro Moras Waynwood.
In effetti così si dimostrò,
essendo il primo ad abbattere uno dei campioni. Dopo quattro lance
spezzate
Torrerossa, evidentemente scocciato dallo stallo dello scontro, scese
di sella
ed estrasse la spada. Waynwood scelse codardamente di rimanere in sella
e di
caricarlo con la lancia, ma Redfort lo schivò agilmente e
spezzò l'arma con un
secco fendente dall'alto in basso, costringendo così a
scendere di sella ser
Moras. Poi ebbe gioco facile, sottomettendo il campione in appena pochi
istanti
e divenendo così il nuovo campione.
Jon, fratello minore di Joseth,
venne estratto per gareggiare contro Bors Arryn, e si rivelò
un'accoppiata
sfortunata per il Redfort. Alla quarta lancia infatti il cavaliere
venne
sbilanciato dal colpo di ser Bors cadendo malamente di sella. L'urlo
straziante
che emise toccata terra evidenziò che doveva essersi come
minimo rotto
qualcosa. Venne subito trasportato via da alcuni inservienti, e poco
dopo tra
le tribune cominciò a circolare la voce che si fosse rotto
una gamba.
Jason Redfort invece gareggiò
contro ser Gyles in uno scontro se possibile ancora più
spettacolare del
precedente. Le lance spezzate furono ben tredici, con entrambi i
partecipanti
sul punto di cadere più di una volta. Alla quattordicesima
fu ser Jason a
cadere di sella per una distrazione dettata dal nervosismo, e capita
l'antifona
decise di arrendersi subito senza passare allo scontro diretto con
l'avversario.
Per la terza lizza il nuovo
campione Joseth Redfort estrasse come primo sfidante ser Roland Frey,
detto la
Torre-in-Fiamme. Effettivamente il suo emblema recava le due
caratteristiche
torri blu dei Frey, solo pervase dal fuoco e avvolte in un cupo
rossore.
"Sarebbe stato ironico se le due torri infuocate si fossero
affrontate" pensò Daeron riferendosi a ser Gyles,
immaginandosi la scena.
Robert gli disse che il suo soprannome derivava dal fatto di aver
incendiato
una torre del castello di Lord Blackwood durante la Seconda Ribellione
di
Maelor, quindici anni prima, mentre lo conquistava.
Entrambi prestanti fisicamente e
determinati a rimanere in sella, Daeron si chiese quale fra le due
torri
sarebbe crollata prima. La risposta fu: la torre blu. A dispetto delle
apparenze la Torre-in-Fiamme cadde alla terza lancia, appoggiando pure
male il
piede a terra e slogandosi una caviglia.
Un altro Redfort venne estratto
per gareggiare contro Bors Arryn. Il pio Jammos Redfort, noto per la
sua fervente
fede per il Credo, alla settima lancia spezzata decise di ritirarsi
dalla
competizione credendo che i Sette avessero decretato la
superiorità di ser Bors
rispetto a lui. - I sette hanno dato il verdetto! - decretò
uscendo dal campo.
Queste parole vennero approvate da septon Clodoth, il religioso del
Nido
dell'Aquila seduto poco lontano.
L'ultimo scontro della terza
lizza vide cadere un secondo campione. Ad affrontare ser Gyles scese
ser Layn
Corbray, figlio secondogenito di lady Corbray di Casa del Cuore.
All'ottava
lancia
spezzata anche ser Layn similmente a Torrerossa scese di sella,
puntando sulla
stessa strategia, venendo subito imitato da ser Gyles.
Ma la spada che estrasse dal
fodero non era una lama qualsasi: Lady Forlon, la lama ancestrale di
Acciaio di
Valyria appartenente a Casa Corbray, istoriata dalle rune dei Royce ai
quali
prima apparteneva. Evidentemente lady Diana aveva concesso al figlio
l'utilizzo
della spada per quell'occasione speciale affinché si
assicurasse la vittoria.
Daeron restò affascinato dal luccichio che la luce solare
produceva riflettendo
sulla lama, e Vhagar accanto a lui alzò la testa chiedendosi
cosa stesse
ammirando il suo padrone.
Probabilmente ser Layn si
aspettava che l'avversario sarebbe stato scoraggiato dalla vista della
possente
lama e si sarebbe arreso spontaneamente, impotente di fronte a
quell'arma
vecchia di migliaia di anni eppure ancora così affilata e
assetata di sangue.
Ser Gyles scelse però di combattere. Mai errore
più grosso poteva essere
commesso.
Forse per la fatica derivata dai
due precedenti duelli, ser Gyles apparve subito in
difficoltà, più contro Lady
Forlon che contro colui che la brandiva. Fatale fu l'attimo in cui fu
troppo
lento a parare un attacco. Ser Layn sfruttò quell'occasione
per riassestarsi ed
effettuare un possente colpo trasversale dall'alto verso il basso. La
lama
valyriana penetrò come burro il ferro dell'arma di ser
Gyles, arrivando sino
all'elsa e recidendo anche buona parte di quella. E due dita di ser
Gyles. Un
gridolino spaventato di lady Bernyce fece da sfondo al tutto.
In seguito il cavaliere cadde a
terra per lo shock, non rispondendo nemmeno quando ser Layn lo
invitò ad
arrendersi. Lord Royce concesse la vittoria a ser Layn e dispose che
ser Gyles
fosse portato da maestro Pyman affinché fosse curato. L'uomo
semisvenuto e le
due dita - a Daeron sembrarono l'anulare e il mignolo, anche se da
lontano non
si vedeva bene - furono portati fuori in fretta dagli inservienti,
forse c'era
ancora qualche possibilità di riattaccargliele.
Ecco un altro motivo per il quale
a Daeron non piacevano i tornei, ci scorreva sin troppo sangue. Certo,
la colpa
era stata anche di ser Gyles, era da sciocchi affrontare una lama
valyriana senza
prima aver valutato i rischi. Ma il principe aveva udito di cavalieri
morti ai
tornei perché una lancia li aveva trapassati, oppure
perché un frammento gli
era finito in un occhio, oppure ancora perché erano rimasti
schiacciati dal
proprio cavallo. "Muore meno gente in una battaglia" si disse tra
sé e
sé ridendo sommessamente.
Nonostante lo sgomento di alcune
lady il torneo riprese quasi subito. Torrerossa estrasse un altro
cavaliere
della Valle: ser Mors Lynderly, un anziano nobile di piccolo calibro
che però
seppe dare del filo da torcere all'avversario. Alla quinta lancia
spezzata
entrambi scesero da cavallo e si affrontarono in duello, con alla fine
ser Mors
sconfitto a causa della differenza d'età e di forza.
Ser Bors per il suo quarto
avversario scelse ser Aron Sunderland, figlio minore del lord delle Tre
Sorelle.
Pareva che l'isolano si fosse allenato molto in previsione del torneo,
in
quanto ser Bors prima di farlo cadere di sella dovette spezzare ben
quindici
lance. Egli però non rinunciò, rialzandosi da
terra ed estraendo la spada. Il
castellano del Nido dell'Aquila accettò la sfida, riuscendo
a trionfare non
senza difficoltà dopo un duello di tre minuti buoni.
Il primo sfidante di ser Layn
Corbray invece fu ser Arlan Royce, figlio di lord Jaremy Royce di
Runestone e
suo erede. Lord Devron storse il naso alla sua entrata, Daeron non
poté fare a
meno di notarlo. Da quello che gli aveva detto Robert (e dai
pettegolezzi delle
servette del posto) sapeva che i Royce delle Porte della Luna e i Royce
di
Runestone si odiavano a morte nonostante condividessero lo stesso
sangue.
Una volta il principe aveva
sentito dire che Jaremy Royce aveva deflorato la promessa sposa di lord
Devron,
svergognandolo e mettendolo in ridicolo di fronte a tutta la Valle,
creando
così attriti tra le due casate destinati a durare varie
generazioni. Ovviamente
lord Devron parteggiò fin da subito per Layn Corbray, e
Daeron non poté fare a
meno di pensare che se al posto di ser Gyles ci fosse stato Arlan Royce
oppure
suo padre Jaremy lord Devron avrebbe senz'altro sorriso.
Il duello fra ser Layn e ser
Arlan non fu lungo ma molto intenso. Dopo due tesissime manche in cui
due lance
vennero spezzate per parte, già ser Layn si apprestava a
scendere di sella e ad
estrarre Lady Forlon.
- Che c'è? - lo schernì Royce -
Senza la lamuccia della tua mammina non riesci a battere un piccolo
cavaliere?
Codardo!
Tanto fu sufficiente per
richiamare ser Layn in sella. Furente, immediatamente spronò
il suo destriero
al galoppo, avanzando a gran velocità contro l'avversario.
Ed era proprio a
quello che ser Arlan puntava. Era risaputo che Layn Corbray perdeva
velocemente
le staffe, e forse anche gli avversari successivi avrebbero giocato su
questo
punto casomai fosse riuscito a sconfiggere il Royce.
Corbray sembrò manovrare con
difficoltà la lancia, mentre apparve chiaro sin da subito
che Royce sapeva
perfettamente cosa stava facendo. La lancia arancione di ser Arlan
impattò
contro lo scudo di Layn facendolo volare via e sbalzando il cavaliere a
terra.
L'impatto fu talmente violento che anche Lady Forlon venne strappata
dal fodero
e scaraventata chissà dove.
Ser Layn si rialzò, confuso. Ser
Arlan gli piombò addosso quasi subito, stendendolo a terra e
facendolo rotolare
di qualche metro. Il Royce lo derise, puntandogli la lama al collo e
deridendolo per la sconfitta. Ma si distrasse, e questo
decretò la vittoria di
ser Layn. Corbray era infatti vicino al suo scudo che era voltato via
quando la
lancia lo aveva colpito. Lo afferrò velocemente e con un
rapido colpo di mano, sfruttando
l'effetto sorpresa, colpì la spada di Royce facendogli
perdere la presa. Dopo
che la lama fu caduta a terra ser Layn sfruttò l'attimo di
stupore
dell'avversario per sbattergli lo scudo in testa.
Appena il tempo perché lo
stordito ser Arlan fosse portato via dal campo dagli inservienti che
ser Joseth
Redfort procedette ad estrarre un nuovo nome. Quando l'araldo lo lesse
molti
non poterono fare a meno di trattenere un grido di eccitazione.
- Ser Ronas Martell!
Daeron sobbalzò. Ronas Martell? Quel Ronas
Martell? Lancialucente,
il nipote di Duncan Martell detto la Lancia del Deserto? Possibile che
uno dei
cavalieri ritenuti i migliori dei Sette Regni si trovasse lì
quel giorno?
Persino Daeron che non seguiva molto la mondanità conosceva
ser Ronas Martell,
detto Lancialucente. Le imprese del dorniano erano note il tutti i
Sette Regni,
da Arbor alla Barriera, e chiunque lo conosceva per la sua nomea.
Divenne famoso alla tenera età di
dieci anni quando, scudiero del nonno, aveva preso il suo posto alla
Battaglia
del Bosco delle Piogge quando ser Duncan era stato ferito, guidando i
dorniani
in una seconda carica contro l'esercito di Maelor Darksister. A
venticinque
anni era considerato uno dei più grandi cavalieri viventi,
degno della fama di
suo nonno Duncan Martell Lancia del Deserto, eroe della Ribellione di
Matarys e
della Seconda Ribellione di Maelor. Poteva vantare già vari
tornei vinti
all'attivo, e molte lady stravedevano per lui.
Joseth Redfort, detto Torrerossa,
possente armatura di metallo, elmo con una piccola cresta rossa,
l'enorme
stallone nero bardato di rosso e bianco come i colori di casa Redfort e
scudo
recante la fortezza rossa simbolo della sua famiglia, si
posizionò velocemente
sul campo da gioco. Il cavaliere dondolava piano la lancia, scrutando
l'altra
estremità del campo in attesa che il suo avversario facesse
la sua trionfante
entrata come se dovesse vincere già prima di cominciare.
Daeron, quando si ritrovava a
fantasticare sui cavalieri, non poteva non pensare a come fossero
fisicamente.
Alti, forti, muscolosi, i capelli lunghi ricadenti sulle spalle, biondi
possibilmente. Era un'immagine fissa, e il principe si era figurato che
tutti i
veri cavalieri dovessero essere così, e Ronas Martell, se le
storie sul suo
conto erano vere, non doveva essere da meno. Se lo immaginò,
anche se avrebbe
dovuto aspettare solamente pochi secondi per vederlo.
Invece Ronas Martell risultò
essere l'esatto contrario di quel che tutti si aspettavano. Molti
pensarono ad
uno scherzo quando in campo fece il suo ingresso un ometto basso in
sella ad un
cavallo smagrito che aveva visto sicuramente tempi migliori. Non
indossava
nessun'armatura, e soprattutto non portava alcuno scudo recante il sole
trafitto dalla lancia di casa Martell. Delle strette protezioni di
cuoio gli
avvolgevano gli arti e il petto, mentre un'anonima maglia di lino
scolorito dal
sole e di una non proprio gradevole tonalità
giallo-verdognola gli copriva il
resto del torace e delle braccia. Ai piedi indossava calzari di pelle,
mentre
teneva sulle gambe degli stretti pantaloni verdi.
In testa indossava un mezzo elmo
di metallo leggero che gli lasciava completamente scoperta la faccia.
Che non
risultava essere particolarmente attraente: lentiggini, corti capelli
riccioluti biondo sporco e un accenno di labbro leporino che gli faceva
risultare il labbro superiore leggermente sproporzionato rispetto al
resto
della bocca. Daeron era avvantaggiato poiché stava in un
punto da cui si
vedevano abbastanza bene i partecipanti al torneo (e anche
perché Lancialucente
gli passò proprio davanti).
- Chi sei tu? - chiese l'araldo,
spazientito - Non abbiamo chiamato il buffone di corte. Smamma,
è ser Ronas
Martell che vogliamo.
L'altro lo squadrò dall'alto in
basso con aria di sufficienza, chiedendo solamente: - Datemi la lancia.
- Ma per piacere!
L'araldo era infuriato.
- Qui si sta celebrando un
torneo, e non vogliamo che dei popolani lo disturbino con stupide
messinscene! Per
cui al massimo tu potresti essere il messo che chiama Ronas Martell,
non Ronas
Martell! Certo lui non si vestirebbe con questi stracci, per cui adesso
o te ne
vai oppure...
"Quello ha proprio una bella
parlantina" pensò Daeron, divertito. Ma "quello con la bella
parlantina" venne infine zittito dallo "straccione".
- Molto bene, posso andarmene a
cercare Ronas Martell per poi tornare nuovamente, perché
Ronas Martell sono io.
Se non ci credete chiedete conferma a ser Doran Wyl oppure a Jon Uller,
miei
amici anch'essi iscritti al torneo. Oppure volete disturbare mio padre
Lawren
giù a Dorne, oppure la Lancia del Deserto, mio nonno? Oppure
anche lord
Derrick? Volete che sia il re in persona a riconoscermi, che mi fece i
suoi
encomi quando guidai la carica contro Maelor al Bosco delle Piogge?
Oppure lord
Wylde, che cadde quel giorno e che mi lodò prima di morire
per le ferite?
Potreste chiamare anche il Primo Cavaliere già che ci siete,
no? E se invece
che scomodare tutta questa gente dai loro castelli mi deste quella
lancia?
La folla cominciò a rumoreggiare.
Pur apparendo poco più che uno straccione nessuno poteva
sapere tutti quei
dettagli senza essere Ronas Martell. O lo scherzo era stato
architettato
magistralmente oppure l'araldo aveva appena commesso un magistrale
errore.
Apparve evidente che era la seconda ipotesi ad essere quella giusta
visto che
l'araldo, paonazzo, si fece da parte, ordinando sommessamente che una
lancia
venisse data al cavaliere.
Quando Lancialucente ottenne la
sua arma gli sfidanti si prepararono ad affrontarsi. Da una parte ser
Joseth
Redfort Torrerossa, uno dei cavalieri più forti della Valle,
e dall'altra ser
Ronas Martell Lancialucente, uno dei cavalieri più forti dei
Sette Regni a dar
retta alle chiacchiere. Se Daeron non avesse saputo
l'identità dello sfidante
di Torrerossa non avrebbe scommesso mezzo soldo bucato su di lui.
Martell non sembrava trovarsi a
suo agio con quella pesante lancia di legno, saggiandola con la mano
non
apparendo molto sicuro su come agire. D'altro canto Torrerossa appariva
sicuro
della sua vittoria, non poteva certo perdere contro uno straccione del
genere,
fosse quello Ronas Martell oppure no. I dorniani, gente difficile da
capire.
Appena i tamburi finirono di
rullare Torrerossa si lanciò al galoppo. Partì
come un fulmine diretto contro
l'avversario, deciso a farlo crollare alla prima lancia. Ser Ronas
invece partì
in ritardo, come se nel frattempo si fosse addormentato nell'attesa del
torneo.
Manovrava la lancia con difficoltà facendola oscillare
paurosamente, ad un
certo punto sembrò anche che stesse per farla cadere.
- Ritirati! - gridò qualcuno
dalla folla - Ritirati finché sei in tempo! Non sei
Lancialucente! Ritirati,
buffone!
Martell sembrò più concentrato a
tenere la lancia che stare a sentire le rimostranze del pubblico. Alla
fine,
stancatosi di non saperla manovrare, abbassò il braccio
tirandolo leggermente
indietro, dando l'impressione di voler far cadere a terra l'arma e
arrendersi,
dando fine a tutta quella farsa che stava diventando quello scontro.
E invece, per lo stupore di
tutti, si rivelò essere una strategia ben precisa. Quando
Torrerossa gli fu a
non più di dieci piedi di distanza Lancialucente non
alzò la lancia per
contrastarlo come chiunque dotato di buonsenso avrebbe fatto.
Semplicemente...
la lanciò. Con un movimento repentino fece schizzare la
lunga lancia di legno
in avanti, abbassandosi e schiacciandosi contro la sella del cavallo
per
evitare l'arma dell'avversario.
Torrerossa fu colto completamente
di sorpresa. Aveva tenuto lo scudo tutto a destra, sicuro che
l'avversario
avrebbe lasciato cadere la lancia, commettendo il fatale errore di
lasciare
scoperto il petto. La lancia del dorniano impattò contro
l'armatura di lui con
un rumore sordo ed esplose in mille pezzi. Ser Joseth cadde
rovinosamente a
terra, mentre invece nel frattempo ser Ronas era arrivato incolume
dall'altra
parte del campo.
Alcuni emisero delle grida di
stupore per quella dimostrazione di abilità, altri si
lasciarono sfuggire delle
imprecazioni.
- Cazzo, è veramente
Lancialucente! - esclamò qualcuno.
- Nessuno avrebbe potuto fare una
cosa del genere se non lui! - urlò un signorotto da una
panca più in basso.
Torrerossa si rialzò presto,
furente. A parte lo scombussolamento dovuto alla sorpresa non aveva
subito
molti danni, e provvide immediatamente ad estrarre la spada per
continuare il
duello. Dal canto suo Lancialucente girò il suo "destriero",
e vedendo
che ser Joseth si preparava dalla battaglia smontò anch'esso
da cavallo.
- La mia lancia! - urlò a
qualcuno nelle tribune.
Immediatamente un'arma gli venne
lanciata addosso, e Daeron per un istante pensò che il
cavaliere stesse per
venire trafitto. Invece Lancialucente, in un'altra dimostrazione
d'abilità,
afferrò al volo la lancia facendo un'agile piroetta. Adesso
che ser Ronas era
sceso da cavallo Daeron lo poteva osservare bene: oltre che non
particolarmente
bello di faccia era anche basso, ma in compenso appariva agile.
Lancialucente
si tolse il mezzo elmo, lasciandolo cadere a terra e rivelando dei
capelli
biondicci, coi riccioli appiccicati alla testa dal sudore.
Torrerossa avanzò incombente
contro di lui, lo spadone sguainato e la maglia di ferro che tintinnava
al
contatto con l'armatura. Lancialucente invece rimase dov'era, sulla
difensiva,
affidandosi ad una lancia corta di legno d'arancio e dalla punta non
particolarmente affilata e alle sue misere protezioni in cuoio.
Senza nemmeno aspettare che l'avversario
si stabilizzasse ser Joseth partì all'attacco con un
possente affondo.
"Abbastanza forte da tranciare anche una corda robusta"
valutò
Daeron. Lancialucente però non faticò a
schivarlo, facendo un'agile piroetta
verso destra. Di rimando Torrerossa fece seguire allo spadone la stessa
traiettoria, tentando inutilmente di raggiungerlo.
Ronas Martell, sembra senza
nemmeno fare troppa fatica, riuscì ad evitare la pesante
spada di Torrerossa e
a portarsi dietro di lui. Ed effettuò con la lancia un
fulmineo affondo,
penetrando tra le giunture dell'armatura presenti nelle gambe. Il
gemito di ser
Joseth indicò chiaramente che la lancia aveva colpito
l'obbiettivo.
La lama doveva essere penetrata
dietro il ginocchio, poco al di sopra del polpaccio, ma non molto a
fondo dato
che ser Joseth si mosse quasi subito. Si voltò, e mentre lo
faceva caricò un
possente colpo con il braccio, torcendo la spada. Quando si fu quasi
girato del
tutto fece scattare avanti la lama, lasciando appena un istante a
Lancialucente
per schivare. Senza dargli tregua fece rientrare lo spadone verso di
lui,
provando a colpirlo di rimando e mancandolo di poco. Lancialucente
sarà anche
stato forte, ma nemmeno Torrerossa scherzava.
Ronas Martell fece un balzo
indietro, e una volta atterrato si pulì con una mano la
fronte grondante di
sudore. Joseth Redfort si puntellò con la spada a terra,
cadendo su un
ginocchio e ansimando pesantemente. Appena appoggiò la gamba
a terra un piccolo
rivolo di sangue prese a sgorgare dall'armatura, andando a formare una
chiazza
rossa sotto il ginocchio.
Ma Torrerossa non parve
demordere. Dopo appena una decina di secondi, durante i quali Ronas
Martell lo
guardava pensieroso attendendo che ripartisse all'attacco, ser Joseth
si rialzò
di scatto e con un urlo spaventoso si avventò contro
Lancialucente, deciso a
concludere quella battaglia in quel momento. Lasciò andare
lo scudo e prese con
entrambe le mani la sua arma, pronto ad assestare un fendente mortale.
La lama calò come una falce al di
sopra di ser Ronas. Quello però doveva aver previsto tale
mossa, dato che balzò
di lato scambiandosi nel frattempo la lancia dalla mano destra alla
sinistra.
Mentre ser Joseth veniva trascinato a terra dal colpo andato a vuoto,
ser Ronas
colpì di nuovo alle gambe dell'avversario, questa volta
penetrando di una buona
decina di centimetri nella giuntura con l'arma, trapassando la gamba di
ser
Joseth. Questi emise un urlo, più furibondo che dolorante.
- Basta così! - decretò lord
Royce, alzandosi dal proprio seggio - Ser Ronas è
chiaramente il vincitore di
quest'incontro. Egli adesso è il nuovo campione. Direi che
per questa mattina
può bastare, concedo a tutti due ore per rifocillarsi. Il
torneo riprenderà
presto.
Mentre un gruppo di scudieri si
precipitava ad aiutare il furibondo Torrerossa ad uscire fuori dal
campo,
Daeron guardò ser Ronas che pacatamente, come se nulla fosse
successo, tornava
indietro per raccogliere l'elmo. "Mi sbagliavo. Ecco chi
vincerà il
torneo." pensò con un piccolo moto di curiosità
"Forse quest'evento
sarà più interessante di quel che mi aspettavo.".
E non sapeva ancora
quanto avesse ragione.
Note dell'autore
Eccoci qua, terzo capitolo. Avrei voluto metterci più cose,
ma la telecronaca del torneo mi ha preso più del previsto, e
mi ha costretto a dividere i capitoli. Non disperate,
arriverà anche la seconda parte. Prima o poi.
Purtroppo anche qui i pokemon non sono molto presenti... almeno non
ancora, aspettate di leggere l'altra parte, era anche per questo che mi
è dispiaciuto maggiormente dividerle.
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Capitolo 5 *** Manny I ***
Manny
Alberobianco
risultò essere esattamente
come il gruppo pensava: completamente vuoto e deserto. Prima di esso
avevano
ispezionato i villaggi di Pietranera, Sorgenteghiacciata e
Casa-sul-Torrente,
tutti vuoti. I bruti sembravano essersi volatilizzati, di loro nessuna
traccia.
Nessun altro segno di vita poi, né animali né
pokemon. Anche la natura sembrava
farsi più rada e spoglia man mano che proseguivano.
Già da un po' Manny si chiedeva
se non avessero dovuto già essere rientrati alla base. Erano
quattro giorni che
proseguivano verso nord solo per ottenere lo stesso risultato: villaggi
vuoti e
abbandonati, la neve che ricopriva le case facendole crollare. Quei
risultati
desolati e desolanti stavano facendo venire i nervi a fior di pelle ai
ranger
in perlustrazione, che cominciavano a mostrare già da un po'
evidenti segni di
nervosismo.
Il sole cominciò a tramontare
poco dopo che arrivarono ad Alberobianco, ma ser Aden non si diede per
vinto.
Ordinò a tutti di esplorare le poche case del villaggio in
cerca di qualche
segno degli abitanti. Evidentemente non accettava il risultato scarso,
visto
che il Lord Comandante Fossoway li aveva inviati in perlustrazione per
scoprire
perché i bruti si stessero riversando in massa verso la
Barriera, arrendendosi
pur di venire fatti passare.
Tutto era cominciato da due
inverni prima, quando ancora Manny era poco più di un
poppante e abitava nelle
Terre dei Fiumi con la sua famiglia. I bruti avevano cominciato a
venire verso
sud appena le temperature si erano fatte più rigide, certi
organizzati in vere
e proprie bande armate con l'intenzione di passare con la forza, altri
solo in
grandi gruppi di donne e bambini frignanti, tutti con un solo
obbiettivo:
passare la Barriera e andare a sud.
All'inizio i Guardiani non
avevano esitato a rifiutare loro il passaggio e ad uccidere quelli che
tentavano di forzare gli ingressi, uomini, donne o bambini che fossero.
Ma di
fronte a un sempre maggiore afflusso di gente alcuni avevano ceduto e
li
avevano fatti passare. Altri invece si mantenevano fedeli al dogma dei
Guardiani, e molti altri ancora non seppero minimamente come
comportarsi.
Ci pensò il nuovo Lord Comandante
Garreth Butterwell a stabilire il da farsi: impedire a qualunque costo
l'ingresso dei bruti a Westeros, ucciderli se necessario. Grazie a
questa linea
i Guardiani erano andati avanti sino alla Primavera di Sangue, quindici
anni
prima, quando lord Butterwell era stato portato via da una polmonite e
al suo
posto era stato eletto il più moderato Hurdon Cartwell, il
quale aveva stabilito
di far passare i fuggiaschi.
Molti nutrivano dei dubbi verso
questa politica, ma gli anni avevano fatto presto a passare e con essi
anche i
Lord Comandanti. Ogni successore di Cartwell aveva adottato un
comportamento
diverso riguardo ai bruti, e ancora quello di Rylen Fossoway rimaneva
un
mistero per tutti. Più che voler accogliere i rifugiati
sembrava più che altro
voler scoprire la causa di quella migrazione ininterrotta che andava
avanti
quasi da un ventennio, ed era per questo che inviava regolarmente
squadre di
ranger in perlustrazione per tentare di capirci qualcosa. Erano due
anni oramai
che queste missioni non portavano a nulla di costruttivo.
Dopo un rapido sopralluogo per
accertarsi che il posto fosse davvero deserto il gruppo si
riunì nello spiazzo
principale, non molto distante dall'albero-diga.
- E' deserto come appare -
osservò Beron Staunton.
- Già - ser Aden Hetherspoon non
appariva contento - Ma voglio evitare di avere sorprese, qualcuno deve
esaminare per bene tutto. Per, quante case ci sono in tutto?
- Mah - rispose l'interpellato
con fare interrogativo, inarcando il sopracciglio dell'occhio guasto -
Direi
sei o sette, non so contare molto bene, ma credo che sia la cifra
giusta.
- Allora, Per e Yora, controllate
la parte sud. Manny e Kyle la parte nord. Tash, Dyv e Mio-Erede, voi
verrete
con me, controlleremo qui nei dintorni per vedere se qualche bruto ci
vuol fare
una sorpresa. Staunton, tu pensa ai cavalli e accendi il fuoco. Ci
accamperemo
qui per stanotte, non voglio arrischiarmi a proseguire oltre.
La squadra era composta da nove
ranger, che oltre al Ranger Anziano ser Aden Hetherspoon e a Manny
erano Kyle
il Serio, Yora di Skagos, Beron Staunton, Tash l'Issatore, Per il
Vecchio, Dyv
di Città di Harroway e Rynkel Mio-Erede. E decisamente il
Serio era quello che
a Manny stava meno simpatico di tutti.
Kyle proveniva da Vecchia Città,
dalla Cittadella per la precisione. Aveva studiato per diventare un
maestro, ma
era stato mandato alla Barriera dopo essere stato accusato dello stupro
di una
nobile di basso rango. Il caso era stato portato davanti a lord
Hightower, che
per non avere problemi l'aveva mandato alla Barriera due anni prima.
Era stato detto il Serio perché
non sorrideva mai, ed era sempre avvolto da un'aria saccente quasi che
fosse
stato un maestro. Che probabilmente avrebbe corrisposto a
verità se solo non
fosse stato accusato di quel crimine infame. Era stato rifiutato come
attendente del maestro Zick semplicemente perché c'erano
già Cappello e Ril
Quellobasso per questi ruoli. Era stato rifiutato anche dai costruttori
per il
suo fisico non particolarmente prestante, e per questo era stato dato
ai
ranger. L'unico suo pregio era quello di avere una vista acutissima,
cosa utile
almeno quella.
Dopo che tutti si furono allontanati
per adempiere alle proprie mansioni, Kyle e il Serio si avviarono verso
le
capanne nella parte nord del villaggio. Cominciarono da quella
più distaccata
dall'agglomerato, secondo il Serio almeno si sarebbero liberati subito
della
zona più pericolosa. A Manny sembrava sempre di essere nella
zona pericolosa,
col Serio di fianco. Non se ne stava mai zitto, e la sua logorrea
poteva
risultare molto svantaggiosa nei momenti in cui dovevano starsene in
silenzio.
Appena entrarono nella capanna li
accolse un ambiente davvero desolato. Nella stanza regnava un freddo
pungente,
quasi che un fuoco non vi venisse acceso da mesi. Effettivamente lo
spiazzo del
focolare appariva sgombero da pezzi di legno e da cenere, tranne che
per
qualche sporadica scheggia congelata.
- Decisamente qui non si accende
il fuoco da un po' - sottolineò in maniera ovvia il Serio
mentre Manny si
chinava ad esaminare i resti del falò.
"Grazie, signor sotutto. Per
Arceus, vedi se dovevo venire alla Barriera per ritrovarmi questo
idiota sempre
tra i piedi". In quattro anni di permanenza nell'estremo Nord Manny non
aveva mai incontrato nessuno che gli desse così fastidio. Il
Serio era
risultato sgradito a tutti fin dal suo arrivo, e negli ultimi tempi si
era
appiccicato in maniera del tutto sgradevole proprio a Manny,
soprattutto adesso
che erano insieme in missione al di là della Barriera. Stava
seriamente
cominciando a chiedersi se veramente avrebbe infranto il giuramento da
guardiano "dimenticandosi" un confratello nelle distese gelate in
mezzo alla Foresta Stregata, in preda ai lupi, ai bruti e a... altre
cose.
Mentre Manny si rialzava il Serio
prese ad ispezionare l'arredo in maniera sin troppo rumorosa. Se arredo
si
potevano chiamare due tende logore e una buca di terra ricoperta da un
grosso sasso.
Le tende erano di un color rosa sbiadito e risultavano ruvide, indurite
da
molti anni di freddo. La buca invece non conteneva nulla di
interessante, pochi
ramoscelli e un tozzo di pane andato a male e duro come il marmo.
"Sì,
decisamente qui non abita nessuno da mesi" pensò Manny
gettando via quel
cibo immangiabile.
Uscirono dopo poco, dirigendosi
verso le altre capanne. Quella che avevano appena controllato era
leggermente
distaccata dal resto del villaggio, e per tornarvici dovevano
percorrere una cinquantina
o più di piedi tra gli alberi. Appena si incamminarono il
Serio prese di nuovo
a parlare su quanto quel posto fosse deprimente e desolato.
Ma Manny aveva altro per la
testa. Sentiva una strana sensazione fin dal giorno precedente, che si
era fatta
più forte sin da quando erano arrivati in vista del
villaggio. Si sentiva uno
strano pizzicorino sulla nuca, quasi fosse sempre sotto lo sguardo di
qualcuno.
O qualcosa.
La Foresta Stregata lo aveva
messo a disagio sin da quando vi si erano addentrati, ma mai come
adesso.
Nonostante non fosse la prima volta che vi andava per una pattuglia,
sentiva
che c'era qualcosa di diverso in quel periodo. Sentiva di non essere
solo, o
meglio di non esserlo assieme ai compagni. C'era qualcun'altro, anzi,
qualcos'altro
che li seguiva da un po'. Almeno era questa la sensazione che
tormentava il
Guardiano già da un po' di notti.
Un fruscio, appena percettibile.
Il Serio smise di parlare appena Manny sguainò la spada, i
riflessi allerta.
Proveniva da dietro di loro, questo Manny l'aveva capito. Rimase
immobile per
un attimo con il Serio che lo guardava stupito. Poi si voltò
fulmineamente,
puntando la spada al collo del presunto aggressore. Che si
rivelò essere Rynkel
Mio-Erede.
- Scusa amico - fece lui alzando
le mani - Non volevo spaventarti. Solo che dovevo passare di qua e per
farlo ho
dovuto smuovere un po' di cespugli. Ho fatto un po' di casino?
- Aye, eccome se l'hai fatto -
rispose Manny stizzito, rinfoderando
la spada - Se fossi stato un bruto saresti già morto e
sepolto.
- Non sono mai stato un granché
nel muovermi furtivamente.
Rynkel abbassò le mani
sorridendo. Aveva il sorriso facile lui, riusciva sempre a sorridere
per tutto.
- Truffare era il mio mestiere,
non sfilare i soldi dalle tasche dei proprietari. Erano loro stessi a
darmeli.
- Sì, sì - intervenne il Serio,
ripresosi da un attimo di spavento - Sappiamo tutti quello che facevi
prima di
finire qui, Duskendale alla fine aveva finito i fessi da truffare e hai
provato
a venire ad Approdo del Re, solo che quelli delle Cappe Dorate ti hanno
preso
al primo...
- Sappiamo anche - lo interruppe
Rynkel - come tu ti sia fatto quella nobildonna giù a
Vecchia Città e come il
promesso sposo era andato a piangere dal benevolo lord Hightower, e di
come tu
abbia gagliardamente tremato davanti...
- Adesso basta! - li interruppe
Manny. Il Serio era diventato tutto rosso, sembrava un
pokémon di tipo Fuoco,
mentre Mio-Erede aveva assunto un non troppo rassicurante sorrisetto
malizioso.
Aveva già abbastanza preoccupazioni per la testa e non aveva
intenzione di
farne nascere un'altra con un litigio tra confratelli, cosa
assolutamente da
evitare.
- Mio-Erede, che stai facendo
qui? Non dovevi stare con ser Aden a perlustrare il bosco?
- Sì - rispose questi senza
distogliere lo sguardo dal Serio - Mi ha detto di andare da questa
parte e io
ci sono andato, ho solo eseguito un ordine. E' stata solo la sfortuna
che ci ha
messo sulla stessa strada, non ti pare?
Manny non sapeva se credergli o
no, Mio-Erede era notoriamente un gran contaballe, ma per quella volta
decise
di far finta di nulla. Erano a tante, troppe miglia a nord della
Barriera, ed
avere dei dissidi coi suoi compagni non rientrava tra le sue
prerogative.
Adesso voleva solo pensare ad assolvere il suo dovere e tornare dietro
il muro
di ghiaccio al più presto.
- Sì, va bene, adesso torna a
cercare bruti però. - concluse Manny, facendogli cenno che
poteva andare.
- Certo, ser Manny del Formaggio!
- ghignò Mio-Erede prima di svanire tra i cespugli.
- Ah, certa gente non cambierà mai
- sospirò Manny, rivolto più a sé
stesso che al compagno. Il quale però male
interpretò le parole e prese con un nuovo sproloquio.
- Guarda, non me ne parlare, giù
alla Cittadella ce n'erano di palloni gonfiati, pensa che una volta
c'erano due
dorniani...
Manny lo lasciò sproloquiare
mentre cominciò ad incamminarsi nuovamente verso il
villaggio. Durante il breve
tragitto ripensò a Mio-Erede e al motivo per cui era alla
Barriera. Prima
abitava a Duskendale e per vivere si occupava di truffe, spesso a danno
di
vecchi mercanti o locandieri in punto di morte. Era abile al punto di
farsi
proclamare erede universale di tutti i beni della vittima (da qui il
suo
soprannome), accumulando così una discreta fortuna.
Ma alla fine il suo volto era
diventato troppo noto a Duskendale ed era stato costretto a cambiare
aria.
Aveva pensato che Approdo del Re sarebbe stato il luogo perfetto, ma
appena vi
aveva messo piede era stato arrestato dalle Cappe Dorate. A quanto pare
persino
lord Rykker aveva udito di questo truffatore e si era addirittura
disturbato a
mandare un corvo al comandante delle Cappe Dorate per farlo arrestare.
Poi
appena era passato il reclutatore dei Guardiani della Notte Rynkel si
era
subito offerto volontario per la Barriera piuttosto che marcire in una
putrida
cella per il resto dei suoi giorni.
Lui e Manny erano stati imbarcati
assieme per la Barriera. Lui era salito sulla nave quando questa aveva
fatto
scalo a Padelle Salate assieme ad altri tre criminali. E
perché era lì?
Semplicissimo, aveva rubato dalle scorte di lord Bracken. Nessuna
importanza
avevano le motivazioni di Manny: la sua famiglia moriva di fame. E lady
Elna
cosa aveva risposto? "Come tutti del resto", sue testuali parole, ed
era stato mandato alla Barriera.
Lui e Rynkel avevano subito fatto
amicizia, e quando il secondo era stato soprannominato Mio-Erede Manny
era
diventato Ser Formaggio, in quanto aveva preso il nero per una forma di
formaggio. "Mai nessuno era stato punito per crimine più
stupido" si
ritrovava spesso a pensare Manny sul proprio fato.
Usavano quei soprannomi per
scherzo, del resto erano amici e potevano fare poco o nulla col loro
passato.
Avevano sbagliato e adesso erano alla Barriera per sempre, decisamente
meglio
scherzarci sopra piuttosto che compatirsi. E così Rynkel era
lì per un pugno di
monete, mentre invece Manny per un po' di formaggio.
In
tutto il resto del villaggio
non trovarono nulla di interessante. Esplorarono l'ultima casupola
assieme a
Per e Yora, i quali avevano finito di ispezionare la propria parte di
villaggio, ma nemmeno da quel posto risultò esservi nulla di
particolare. In
definitiva quello era l'ennesimo villaggio deserto in tutti i sensi.
Quando ebbero finito, non sapendo
cosa fare, decisero di andare al falò che Beron Staunton
aveva acceso nel
mentre che loro scandagliavano le case. Il sole era definitivamente
tramontato,
motivo in più per fare in quel modo. Aveva fatto veramente
un buon lavoro, il
fuoco ardeva e scoppiettava che era una meraviglia da guardare. E ancor
di più
da individuare da lontano. I guardiani dovevano solo sperare che non ci
fossero
bruti nei paraggi.
Aspettarono pazientemente che ser
Aden e gli altri terminassero il loro giro di ricognizione, cominciando
nel
frattempo a pasteggiare e a conversare. Qualcuno tirò fuori
della carne secca,
Yora aveva con sé un corno di birra, così fecero
un giro di bevute ognuno e si
dividettero le dure striscioline. Manny assaporò la sua per
parecchio tempo,
gustando il sale che si scioglieva in bocca. Era decisamente una bella
distrazione dal freddo pungente della notte appena calata.
- Spero che abbiate lasciato un
po' di birra anche per me.
Nessuno si era accorto del
sopraggiungere di Aden Hetherspoon. All'udire le sue parole tutti i
discorsi si
interruppero e calò un silenzio di tomba. Il Ranger Anziano
prese posto davanti
al falò, sistemandosi accanto a Per il Vecchio e a Yora di
Skagos. Tash, Dyv e
Rynkel lo seguirono a ruota. Manny si ritrovò stretto
così tra Mio-Erede e
Beron Staunton, ma non si poteva certo lamentare. Tutti i posti erano
meglio di
quelli vicino a Kyle il Serio, e compativa per questo Dyv e Tash.
- Bel lavoro, Staunton. - disse
Hetherspoon mentre masticava una striscia di carne - Questo fuoco
è venuto
fuori proprio bene. Talmente bene che se fossi stato un bruto saresti
già
morto. La prossima volta vedi di farlo in un posto più
riparato.
Beron Staunton, inizialmente
galvanizzatosi, chinò la testa affranto a sentire il severo
tono del Ranger
Anziano. Effettivamente il bivacco era sorto al centro del villaggio,
in un
luogo facilmente avvistabile dall'esterno. Oramai comunque era stato
fatto lì,
non ci si poteva fare più nulla.
- Comunque - proseguì il ranger -
Passatemi quella birra.
Yora, che aveva in quel momento
il corno in mano, glielo diede repentinamente. Ser Aden
tracannò una bella
sorsata, poi ridiede la birra al legittimo proprietario.
- Scommetto che questa te l'ha
data Dawsin. In effetti mi sono sempre chiesto cosa facesse quel cuoco
col
grano che metteva da parte. Bé, niente di speciale, ma
decisamente meglio di quello
schifo che Fossoway chiama vino.
"Sicuramente" pensò
Manny "Quando stava nelle Terre dell'Ovest beveva birra migliore.".
Solo che quanto si era trattato di scegliere ser Aden aveva scelto la
parte
sbagliata. Era al seguito di Ascar Lannister quando questi
tentò di portare
rinforzi a Maelor Darksister che assediava Vecchia Città, ed
era uno dei suoi
fedelissimi. Era stato uno dei primi a radunarsi a Lannisport e aveva
combattuto a Castamere e al Lago Rosso. Infine era rimasto ferito alla
Battaglia dell'Acqua Insanguinata ed era stato preso prigioniero dalle
truppe
fedeli al re. Poi, quando Rylen Lannister gli aveva dato la
possibilità di
scegliere tra la Barriera e la decapitazione l'alternativa da scegliere
era
parsa ovvia.
Sì, decisamente birra e vino
erano migliori prima. E pensare che mentre tutto questo succedeva Manny
correva
mezzo nudo per il suo villaggio nelle Terre dei Fiumi, con Harry che
rideva e
Garry che lo rincorreva. Ah, la sua famiglia, quanto gli mancava.
Harry, il
solo fratello più grande di lui, poi venivano Garry, Morne,
Benny, Norry ed
Enna, senza contare il piccolo Jon, il pargolo che Harry aveva avuto
dalla
figlia del fornaio. Poi c'era Nyx. Ma non pensava di averlo mai
conosciuto un
granché, suo fratello minore, nonostante fosse
più piccolo solamente di un anno
rispetto a lui. C'era suo padre anche, un uomo tanto buono. E sua
madre...
Manny venne distolto dai suoi
pensieri da ser Aden, il quale aveva ripreso a parlare.
- Tsk, se Fossoway avesse voluto
che indagassimo a fondo ci avrebbe dovuto dare più scorte.
Che volete ne
capisca uno dell'Altopiano. Sapete che vi dico? Domani ci rimettiamo in
marcia
e arriviamo fino al Lago Azzurrabrina. Se anche lì non
troviamo niente torniamo
indietro. Mi fanno male le terga a forza di dormire per terra, non vedo
l'ora
di stare di nuovo nel mio letto del Castello Nero, e voi?
Un mormorio di assenso si diffuse
tra la truppa in nero. Decisamente tutti erano d'accordo con l'idea di
ser
Aden.
- Bene, allora faremo così. Ma ci
dobbiamo arrivare a quel lago, sapete come diventa Fossoway quando non
gli va
bene qualcosa. Magari gli diciamo che siamo andati anche un po' oltre,
non
tanto ma un po', giusto per farlo più contento.
Tutti acconsentirono, anche
Manny. Il Lord Comandante era senza dubbio una brava persona, ma quando
ci si
metteva sapeva essere anche peggio di Kyle il Serio. L'aveva visto una
volta
accanirsi contro un attendente che non aveva svolto un non meglio
determinato
compito. A quel poveraccio gli c'era voluto come minimo un mese per
riprendersi.
Poi quell'uomo stava sempre col
suo Tropius al fianco. Manny sapeva che quella specie era tranquilla,
ma
guardando quello del Lord Comandante mai si sarebbe detto. Quel pokemon
era
intrattabile e nel migliore dei casi lanciava sguardi minacciosi e
ringhi a
qualsivoglia persona gli passasse davanti, tranne ovviamente il
padrone. Nel
peggiore dei casi invece menava testate a più non posso, e
parecchi confratelli
si erano ritrovati senza sensi per non avergli prestato la dovuta
attenzione.
Il poveretto già citato aveva quasi perso un dito per un
morso che gli era
stato rifilato dal pokemon.
Manny si era sempre chiesto come
il Lord Comandante si fosse procurato tale creatura. Aveva chiesto in
giro, e
nei quattro anni che aveva vissuto alla Barriera ne aveva sentite di
tutti i
colori. Alcuni dicevano che quella bestia proveniva dall'Isola dei
Volti Verdi,
al centro dell'Occhio degli Dei, altri che fosse un tempo
proprietà di uno dei
lord dell'Altopiano (stando alle voci di lord Sawyer Tarly, detto il
Cacciatore
Folle), altri ancora addirittura che fosse nato e allevato presso i
Dothraki.
Tra tutte le ipotesi quella che
Manny riteneva più verosimile era la seconda. Fatto sta che
stando ai
confratelli più anziani quando Rylen Fossoway era arrivato
alla Barriera oltre
trent'anni prima quel Tropius era con lui, e questo in parte smontava
la tesi
del Cacciatore Folle visto che questi era nato circa due anni dopo
l'entrata di
Fossoway nei Guardiani della Notte (almeno stando alle voci).
Comunque sia il Tropius sembrava
avere un profondo legame col Lord Comandante, e prendeva ordini solo da
lui.
Molti ranger anziani dicevano che quando Fossoway e Tropius scendevano
in
battaglia non temevano nulla. Aveva sentito dire che i bruti avevano
cominciato
a temere "la Foglia della Mela", metafora per dire che Tropius era la
foglia della mela dei Fossoway, loro stemma araldico.
- Vedo che siamo tutti d'accordo.
- concluse ser Aden.
Calò per un attimo il silenzio,
mentre il Ranger Anziano addentava una striscia di carne secca e
prendeva a
masticarla. A Manny sembrava quasi di udire la carne dura come cuoio
scricchiolare sotto la pressione dei denti del cavaliere.
- Allora - fece questi con la
bocca mezza piena - Io direi di metterci a riposare adesso o comunque
tra poco,
se vogliamo arrivare all'Azzurrabrina entro domani dobbiamo essere
belli
freschi. A fare i turni di guardia staranno due persone per volta.
Staunton,
Mio-Erede, inizierete voi che siete giovani. Fate passare un paio
d'ore, poi
svegliate chi vi pare per continuare la guardia.
Staunton annuì grave, mentre
Mio-Erede fece uno dei suoi sorrisi sornioni. I confratelli restarono a
parlare
accanto al fuoco ancora per un po', poi complice anche la birra si
addormentarono come se nulla fosse. Manny fu uno degli ultimi. Era
così stanco
per quei giorni al freddo e al gelo che non fece nemmeno molto caso a
dove si
lasciò prendere dal sonno. Si guardò per un
attimo attorno, e notò di essersi
addormentato tra Yora di Skagos e Per il Vecchio. Il suo ultimo sguardo
prima
di perdere coscienza fu rivolto a Staunton e Mio-Erede che si
allontanavano dal
falò, ma non se ne accorse nemmeno.
- Manny, vieni!
La voce squillante di suo fratello Garry lo spronò a
continuare a
correre con loro. Quando erano piccoli facevano sempre questo genere di
giochi.
Chiaramente Manny, essendo di tre anni più grande, vinceva
quasi sempre. Quasi.
- Eccomi! - rispose, precipitandosi dietro alla scheggia che suo
fratello era.
Sembrava quasi un pokemon da quanto era veloce. Garry era sempre stato
una piccola belva, sin da quando era stato in grado di camminare. Tra
tutti i
suoi fratelli era quello che più preferiva, persino
più di Harry. Se si fissava
su qualcosa e decideva di perseguire un obbiettivo nulla poteva
fermarlo, fosse
quello di vincere un gioco o di rubare un pezzo di formaggio dalla
dispensa.
Il bambino si fermò all'Albero del Penny, appoggiando una
mano sul suo
tronco morto. Manny lo raggiunse presto, e per un attimo si
fermò a guardare lo
splendido panorama. Distaccato dal resto del bosco, l'albero si trovava
su un
piccolo rialzo dal quale si poteva ammirare l'intera terra sottostante.
Il
villaggio di Pennytree era veramente una bella vista, ma non era questo
che ai
fratelli interessava.
- Che c'è Garry? Stavo con la mamma, aveva bisogno di me.
- Facciamo una gara?
- Mi hai disturbato per questo?!
- Dai Manny! Una gara!
- No, devo aiutare mamma. E tanto vincerei io.
- Non è vero!
- Sì che lo è! Tant'è vero che ho
vinto l'ultima volta. E quella prima.
E quella prima ancora. E quell'altra prima ancora. E...
- Questa volta vincerò io!
- Come no. Adesso torno da mamma.
Manny si voltò, facendo per ritornare verso casa. Dietro di
lui Garry
cominciò a singhiozzare, e probabilmente lacrime
cominciarono a scendergli
dagli occhi.
- Sei cattivo!
Il ragazzo non rispose e non si girò, sorridendo sotto i
baffi. La
verità era che moriva dalla voglia di fare quella gara, ma
voleva giusto
stuzzicare un po' il suo fratellino. Era testardo come pochi, si
incaponiva
come nessuno quando voleva ottenere qualcosa. Voleva solamente vedere
se
avrebbe ceduto o no. Ma sapeva già la risposta.
Cominciò a camminare simulando il suo ritorno a casa. Voleva
sembrare
convincente così da farlo arrabbiare un po'. Ah, quanto si
sarebbe divertito
adesso!
- Non la vuoi fare perché hai paura di perdere contro uno
più piccolo
di te! Dillo che hai paura di perdere!
Manny si bloccò all'istante. Questo non era affatto quello
che voleva
sentirsi dire. Pensava che Garry avrebbe detto cose del tipo
"Rimani!" oppure "Non è vero, vinco io!", ma evidentemente
aveva fatto male i suoi calcoli.
Questo era decisamente troppo. Farsi insultare così dal suo
fratellino,
questo non poteva permetterlo. Non aveva paura di perdere,
però gli scocciava
darla vinta così facilmente al fratello. Gli avrebbe teso un
bel trabocchetto,
così avrebbe imparato a non provocarlo.
- Facciamo così - disse girandosi verso il fratello - Adesso
vieni qua
e ci mettiamo in posizione. Conto fino a tre e poi partiamo. Vince il
primo che
arriva al ceppo dietro casa, va bene?
Garry, il quale era nel frattempo arrivato da lui, si
asciugò
velocemente gli occhi.
- Va bene! - esclamò tutto contento.
- Uno...
Garry, tutto eccitato, si piegò con un ginocchio a terra,
pronto a
partire non appena il fratello avesse terminato il conto alla rovescia.
- Due...
Poi, appena finito di pronunciare la parola "due", Manny
prese a correre. Aveva giocato sporco stavolta, ma l'aveva voluto
Garry. Così
avrebbe imparato a disturbarlo.
- Non vale! - gli urlò dietro il fratellino - Non vale! Non
vale!
Manny nemmeno lo ascoltò, pensò solamente a
correre. Le immagini del
bosco gli sfrecciavano accanto, veloci. In men che non si dica
attraversò buona
parte del colle, e ben presto avvistò casa sua. Man mano che
continuava a
correre la dimora si faceva sempre più grande, per quanto la
casupola di un
taglialegna lo potesse essere.
Più si avvicinava e più particolari riusciva a
scorgere. Il camino che
emetteva fumo, il carretto carico di legna posteggiato vicino alla
finestra del
retro, l'onnipresente fessura sul tetto. Sulla soglia c'era sua madre,
che gli
sorrideva in maniera dolce e comprensiva.
Quando fu abbastanza vicino Manny si fermò, guardandosi
indietro.
Nessuna traccia di Garry, era riuscito a seminarlo con successo. Quindi
tornò a
guardare la madre, sorridendo a sua volta e alzando un braccio in segno
di
saluto. La madre però rimase immobile.
Non vedendo nessuna reazione da parte del genitore Manny si
avvicinò
alla casa. L'espressione della madre non mutò nel mentre che
la distanza tra i
due si riduceva. Questa cosa non gli piaceva per niente.
- Mamma?
Nessuna risposta.
- Mamma, stai bene?
Ancora niente. Quando il ragazzo fece per toccare l'inquietante volto
immobile della madre questo scivolò per terra come se fosse
stato una maschera.
Al suo posto venne fuori un ammasso informe di carne putrefatta,
brulicante di
vermi. E gli occhi di sua madre erano tondi e bianchi, e lo stavano
fissando.
Improvvisamente quel bel sogno si era trasformato in un incubo. Manny
urlò, facendo un balzo indietro. Tutto collassò
precipitando nell'oscurità,
mentre nell'aria riecheggiavano le urla di un neonato.
Manny si
svegliò di soprassalto,
agitandosi nel giaciglio che si era ricavato con la pelle che ricopriva
la
sella del suo cavallo. Non aveva mai avuto così caldo nelle
sue nere vesti
pesanti, sentiva di stare cuocendo a fuoco lento.
Poco lontano Dyv stava
riattizzando il fuoco con un bastone, quando si accorse che Manny si
era
risvegliato.
- Mannaggia a te, potevi anche
tornare tra noi prima. Dannazione, almeno il Vecchio non mi avrebbe
disturbato
per venire a fare il turno di guardia. Tornatene nel mondo dei sogni, e
la
prossima volta vedi di svegliarti dieci minuti prima.
Manny si infilò un dito
all'interno della scollatura della pelliccia, allargandosela
leggermente per
farsi aria. Nonostante stesse quasi morendo dal caldo decise di seguire
il
consiglio spassionato di Dyv, e tornò così a
distendersi sul freddo suolo delle
terre oltre la Barriera.
Una risata. Bassa e roca, ma riecheggiante nel
vasto spazio in cui si
era ritrovato. Tutto era immerso nell'oscurità, non si
vedeva quasi nulla.
Manny si ritrovò letteralmente ad avanzare alla cieca,
cercava di mettere le
mani davanti a sé per avvertire la presenza di eventuali
ostacoli. Non sapeva
perché ma sentiva di dover andare avanti, nonostante sapesse
in cuor suo che
nulla di bello lo stava aspettando.
Volti nell'oscurità, tutto attorno a lui. Altre risate si
aggiungevano
al cupo sottofondo, andando a comporre una spettrale melodia.
Nonostante non
riuscisse a vedere nulla, Manny poteva essere sicuro di non essere solo
dovunque fosse. E quella cosa non gli piaceva per niente.
All'improvviso, nonostante avesse preso le dovute precauzioni,
andò a
sbattere contro una di quelle facce. Anzi, più che altro fu
quella a
comparirgli davanti, materializzandosi in un attimo. Quasi cadde a
terra dallo
spavento, ma riuscì chissà come a rimanere in
piedi. Nonostante gli avesse
quasi fatto prendere un colpo non si mosse nemmeno di un pollice. C'era
qualche
strana forza che gli impediva di farlo.
Al contrario delle altre facce questa non emetteva suoni. Era contorta
in un ghigno malizioso, denti bene in mostra ed occhi chiusi, ma era
qualcosa
di falso. Il vero occhio lo osservava dalla fronte. Un occhio azzurro
come il
ghiaccio.
Manny restò senza fiato per alcuni istanti. I muscoli del
torace
divennero immobili e totalmente inerti, presto all'uomo venne a mancare
l'aria.
Presto sentì di aver finito le scorte polmonari e
disperatamente si affannò per
respirare di nuovo, senza però ottenere successo. Sarebbe
morto soffocato di lì
a poco se non avesse fatto qualcosa. Doveva...
Improvvisamente, nonostante fosse buio pesto, vide che una gigantesca
voragine si stava aprendo sotto di lui. Tentò disperatamente
di togliersi di lì
per non cadervi dentro, ma non ci riuscì. Sentì
il vuoto sotto di sé, cominciò
a precipitare. L'aria gli frustava il viso mentre cadeva in una spirale
di
follia infinita.
Atterrò in
maniera non proprio delicata sulla gelida terra. Si sentiva
tutto indolenzito, come se non si muovesse da giorni. Fece per tossire,
ma
quello che gli uscì fu una specie di soffio stentato appena
udibile. Provò ad
alzarsi ma non ci riuscì. Fu così costretto ad
afferrare col braccio un ramo
vicino per potersi sollevare.
Una volta in piedi costatò che si trovava in mezzo alle
frasche. Non si
ricordava come ci era finito, sicuramente non da solo. Si
guardò attorno,
osservando attentamente l'ambiente che lo circondava. La Foresta
Stregata
assumeva la sua particolare aria spettrale di notte, risultando un cupo
ammasso
di alberi inquietanti e soffi di vento sussurranti.
Cautamente si guardò attorno, poi si decise ad uscire dai
cespugli in
mezzo ai quali era. Si ritrovò in uno stretto sentiero
naturale formatosi tra
gli alberi. Guardò in entrambe le direzioni. A sud nulla. A
nord anche, però...
sarà forse stata solo una sua impressione, ma non era una
luce quella che
scorgeva?
Si diresse senza quasi rendersene conto verso quella direzione, senza
nemmeno sapere in fondo perché. Semplicemente decise di
seguire l'istinto, e il
suddetto istinto gli diceva di andare verso quella luce. Era...
confortante,
rispetto a tutto l'ambiente che lo circondava, per non parlare del
freddo che
in quel momento stava provando.
Man mano che avanzava il bagliore si faceva sempre più
intenso. Avvertì
delle voci ancora prima di vedere degli esseri umani. Cauto, decise di
posizionarsi dietro alcuni piccoli arbusti quando seppe di trovarsi in
prossimità della luce. Quando si fu trovato un buon posto,
sbirciò dall'intrico
di foglie davanti a sé.
C'era un piccolo villaggio composto da rozze capanne, in mezzo al quale
si trovava un falò. Attorno ad esso c'erano vari umani,
molti dei quali
dormivano. Due invece erano svegli accanto al fuoco, e conversavano.
- Direi di svegliare quello del formaggio - disse uno - Prima lo ha
fatto proprio poco dopo che è toccato a noi. Io dico che
gliela dobbiamo far
pagare.
Un grugnito fu la risposta dell'altro.
- Bene, allora lo faccio. Così impara a svegliarsi dopo di
noi.
L'uomo si rivolse quindi verso uno degli individui addormentati,
facendo per richiamarlo.
- Sveglia, Ser Formaggio!
- Sveglia, Ser
Formaggio!
Quelle parole, pur non urlate né
dette ad un livello alto, bastarono per far risvegliare Manny e Kyle il
Serio,
il quale si era addormentato a pochi pollici da lui. Non molto
più in là stava
Dyv, in piedi di fronte al focolare con accanto Tash, il quale stava
letteralmente crollando dal sonno.
- E' arrivato il tuo turno di
fare la guardia. - continuò Dyv - Io ho già dato
abbastanza.
L'Issatore biascicò qualcosa che
probabilmente serviva a dare manforte al confratello, ma aveva la bocca
talmente impastata che non si capì nulla. Manny si stupiva
sempre che uno
grande e grosso come lui riuscisse a ridursi a tali livelli, o forse si
faceva
solamente delle illusioni riguardo a quelli con una corporatura
prominente.
- Anche Tash è stanco, adesso te
e qualcun altro venite a darci il cambio. Sveglia il Serio,
lì accanto. Certo
non gli farà male un po' di attività notturna.
L'uomo si passò una mano in
faccia, tentando di riprendersi dal risveglio non proprio desiderato.
Mentre lo
faceva ripensò a tutti i sogni avuti quella notte. I primi
due... oramai quel
genere di incubi li aveva sin troppo spesso. Da quando la madre era
morta dando
alla luce Enna erano state poche le notti in cui aveva avuto dei sonni
tranquilli, per cui non se ne rammaricò più di
tanto.
Quello che lo turbò invece fu
l'ultimo. Da quando quattro giorni prima aveva lasciato la Barriera
ogni notte
sognava una cosa del genere. Non aveva idea di cosa pensare, non sapeva
cosa
stava sognando. Sentiva di essere lui il protagonista del sogno, ma
allo stesso
tempo percepiva di... non esserlo. Era come se si trovasse nelle vesti
di
qualcun altro, o forse anche nella pelle.
Non aveva ancora capito se in
sogno fosse un bruto, un animale, un pokemon o chissà
cos'altro. Qualcos'altro...
No, non ci voleva nemmeno pensare. Tutte le leggende che aveva udito
degli
orrori che si celavano al di là della Barriera: tormente
assassine, belve
feroci, tribù di cannibali... e gli Estranei. No,
decisamente voleva tornare a
sud quanto prima.
Non si sentiva sicuro lì, aveva
paura, ma cercava di controllare le proprie emozioni. Non voleva mica
risultare
un disertore. Si ricordava dell'ultimo confratello che aveva provato a
disertare, era un ragazzo magrolino proveniente da Approdo del Re.
Decisamente
la Barriera non era fatta per lui, nei sei mesi che era stato
lì era deperito
vistosamente.
Poi, una notte, era scomparso. La
sua fuga non era comunque durata molto, era stato riportato alla
Barriera da un
gruppo di abitanti di Città della Talpa ai quali aveva
chiesto aiuto,
illudendosi che provassero pietà per lui. Era stato lord
Fossoway in persona ad
ucciderlo tramite decapitazione, non prima di aver fatto un discorso ai
guardiani radunati davanti al patibolo. Manny era di guardia sulla
Barriera
mentre ciò succedeva, ma anche se non aveva sentito aveva
visto tutto. Il Lord
Comandante che estraeva la lama, il suo Tropius che scalpitava, la
testa del
ragazzino che veniva staccata dal collo, la pozza di sangue...
Manny si alzò in piedi. Sbadigliò
mentre lo faceva, assaporando il freddo pungente dell'aria notturna. Si
sentiva
tutto indolenzito, fu per questo che decise di sgranchirsi un po' i
muscoli del
collo e delle braccia. Distese entrambi gli arti superiori, piegando al
contempo la testa verso sinistra, nel tentativo di riscaldarsi e
scacciare il
torpore. E fu questo a salvargli la vita.
Avvertì lo spostamento d'aria in
ritardo, quando oramai tutto si era compiuto. Fu cose se un improvviso
alito di
vento gli avesse accarezzato la pelle del collo, oppure come se la
pelliccia di
qualche animale gli avesse fatto il solletico. A richiamare di
più la sua
attenzione fu il lamento strozzato che sentì provenire da
davanti sé, e quasi
senza rendersene corto si ritrovò ad alzare lo sguardo. Era
come se qualcuno
stesse soffocando come aveva fatto lui in sogno, e così
effettivamente fu.
Con evidente sgomento in volto
Dyv si stava tastando la gola, incredulo. Da essa infatti spuntava la
coda di
una freccia. Il suo sguardo era terrorizzato, e lo spostò
presto su Manny.
Provò a chiedere aiuto, ma al posto delle parole dalla sua
bocca uscì solo un
mare di sangue. Restò per un attimo in piedi, poi si
accasciò a terra. E fu in
quel momento che Manny si rese conto che se non si fosse stiracchiato
ci
sarebbe stato lui al suo posto.
Non ci fu nemmeno il tempo per
rendersi conto di cos'era successo che un'altra freccia si
conficcò sibilando
nella gamba di Tash. Questo, il quale si era appena accorto di quel che
era
successo a Dyv, non ebbe il tempo di reagire e lanciò un
possente urlo che
riecheggiò per tutta la foresta circostante. Fatto
ciò non poté fare a meno di
cadere malamente a terra, continuando a lamentarsi disperatamente e a
tenersi
la gamba.
Tutti i guardiani si
risvegliarono all'istante, allarmati dal richiamo del compagno. Alcuni
lo
fecero confusamente come Kyle il Serio, il quale si guardava attorno
spaesato,
probabilmente non sapeva nemmeno dove si trovava. Altri invece, come
ser Aden,
in men che non si dica scattarono in piedi, pronti ad affrontare il
nemico e
con la spada in pugno.
- Tutti attorno al fuoco! In
cerchio! In cerchio!
L'ordine risuonò chiaro nella
notte, e tutti immediatamente cercarono di avvicinarsi al focolare, chi
prontamente e chi meno. Manny estrasse la lama e si
posizionò accanto al
superiore, mentre subito dopo a fianco gli si mise Per il Vecchio.
Tutti
presero a scrutare guardinghi il bosco e le case tutt'attorno, a
malapena
illuminate dalla luce del focolare.
Tash invece giaceva a pochi piedi
più in là, proprio accanto al cadavere ancora
caldo di Dyv. Aveva preso a
piangere, implorando i compagni di aiutarlo. Sì, decisamente
Manny aveva
sopravvalutato quelli grandi e grossi. Tash continuò a
singhiozzare per
all'incirca un minuto, diventando l'unico rumore che disturbava
l'irreale
silenzio sceso sulla foresta.
- Aiutatemi! Aiutatemi! Vi prego!
Aiut-
Andò avanti così almeno finché
una nuova freccia gli si piantò nel collo, zittendolo e
uccidendolo
all'istante. Subito tutti alzarono la guardia ancor più di
quanto già non lo
fosse.
- Garny, maledetto vecchio, ti
avevo detto di prendere bene la mira.
Tutti si voltarono immediatamente
verso dove erano arrivate la freccia e la voce femminile.
- Uscite allo scoperto, maledetti
bruti! - gridò ser Aden - Lo sappiamo che siete
lì!
Detto fatto. Una decina di uomini
- almeno - uscirono dalla boscaglia, accerchiando repentinamente i
guardiani, i
quali dal canto loro non si mossero. Dovevano mantenersi compatti se
volevano
avere qualche possibilità di vittoria.
Manny osservò i nemici. Erano
vestiti di pelli nemmeno troppo lavorate e tenute insieme da legamenti
ricavati
dai tendini animali. Alcuni indossavano dei mezzi elmi scolpiti
rozzamente nel
legno, nella rocca oppure rubati a qualche Guardiano della Notte. Tutti
avevano
in mano delle armi, da delle semplici lance con la punta di pietra a
spade
forgiate da un fabbro delle Terre dell'Ovest, indubbiamente strappate
dalle
mani dei cadaveri di qualche ranger. Due bruti avevano un arco e non
poche
frecce. Uno era un vecchio piuttosto attempato (doveva essere il Garny
nominato
dalla voce) e l'altro era una donna. La stessa donna che aveva parlato.
- Oh oh, sembra che dei corvi
siano scesi dal cielo per beccare qualche cadavere! - disse la donna
con tono
ilare - Solo che a parte due corvi a terra non vedo altri corpi. Mi sa
che
avete attaccato qualche preda troppo grossa, e magari anche troppo
viva. Credo
che i corvi stanotte resteranno a becco asciutto!
Alcuni dei bruti scoppiarono in
delle grasse risate. La donna invece mantenne lo stesso sorriso
sardonico,
quasi a voler prendere in giro i guardiani. "Una moglie di lancia"
pensò Manny "Solo una moglie di lancia potrebbe parlare
così.". Alla
Barriera la gerarchia della società bruta era abbastanza
nota. Manny sapeva
quanto bastava per stabilire che le mogli di lancia erano pericolose
quanto gli
uomini, se non di più. Erano nemici insidiosi, da uccidere
assolutamente.
- Chi sei? - chiese Beron Stauton
con fare incerto. La spada che aveva in mano tremava. "La
farà cadere di
questo passo.". Il guardiano aveva paura e si vedeva, Manny non
riuscì a
spiegarsi dove avesse trovato il coraggio di porre un quesito alla
moglie di
lancia.
- Ma come, i corvi non mi
conoscono?
La donna si alterò sembrando
offendersi, anche se il ghigno canzonatorio le restò sul
volto.
- Possibile che la fama di Ondar,
moglie di lancia di Tiessach il Grande, non sia giunta fino alla
Barriera? Mi
sembra impossibile che nemmeno uno di voi corvi mi conosca.
"Ma certo, Ondar. Non poteva
essere nessun altro.". Ondar era responsabile della morte di non meno
di
una ventina di ranger negli ultimi tempi. Il suo simbolo, un cerchio
sanguinolento, era stato ritrovato su molti cadaveri di ranger
scomparsi al di
là della Barriera e lasciati nottetempo ai limiti della
Foresta Stregata. Era
una delle mogli di lancia di Tiessach il Grande, meglio conosciuto dai
guardiani come Tiessach l'Infame.
L'inverno precedente, quando
ancora Manny non era arrivato alla Barriera, il bruto aveva catturato
una
pattuglia di ranger comandata da ser Holimer Buckwell, cavaliere
encomiato dal
re in persona per la sua fedeltà durante la Primavera di
Sangue e ritiratosi
nei Guardiani della Notte per le ferite riportate. Solamente un uomo
dei dieci
che lo accompagnavano ritornò a sud, descrivendo tutte le
ignobili torture
inflitte da Tiessach ai confratelli, in particolare era truce il
momento in cui
ser Holimer era stato costretto a mangiare dei pezzi delle proprie
interiora.
Ovviamente tutti coloro rimasti in mano bruta erano morti. Quel
sopravvissuto
era ancora vivo, cieco e mezzo folle ma vivo e vegeto, e abitava
segregato al
Forte Orientale.
Ondar era una delle più brutali
mogli di lancia di Tiessach, e qualsiasi uomo tremava di fronte a lei.
Nessun
uomo che fosse un Guardiano della Notte almeno, anche se c'erano dei
dubbi
sulla virilità di alcuni di loro. "Non ho paura di lei"
pensò Manny
"Non mi fa paura.".
La osservò mentre quella
continuava a ridere e a prendersi gioco di loro. Se non fosse stata una
nemica
Manny avrebbe pensato che sarebbe anche potuta essere una bella donna.
Sui
trent'anni, corpo formoso ma allo stesso tempo robusto, denti
insolitamente
bianchi per un bruto, ma soprattutto i capelli rossi. I bruti
chiamavano i
rossi "baciati dal fuoco", e li tenevano in grande considerazione.
Sicuramente Ondar era una delle mogli preferite di Tiessach non solo
per la sua
brutalità ma anche per il fatto di essere baciata dal fuoco.
- Allora, corvetti - riprese la
moglie di lancia dopo un bel po' di risatine - Fa freddo questa notte,
che ne
dite se ci scaldiamo un po'?
Mise nuovamente mano all'arco e
alle frecce, facendo poi un cenno al suo compagno che la
imitò.
- Adesso io incoccherò la freccia
e conterò fino a tre. Poi la scoccherò, e uno di
voi corvi cadrà al suolo. Se
proverete a muovervi i miei uomini vi attaccheranno. Allora, cosa fate,
corvetti miei?
Con un ghigno malizioso estrasse
una freccia dalla faretra e la incoccò nell'arco. Poi la
puntò contro il gruppo
di guardiani e prese a contare.
- Uno...
Manny pensò velocemente a cosa
fare. Ser Aden avrebbe certamente ordinato di attaccare, ma
probabilmente la
bruta avrebbe scagliato lo stesso la sua freccia. Poteva colpire uno
qualsiasi
di loro, Manny compreso. Si ripromise di togliersi di lì non
appena il ranger
avesse comandato l'attacco.
- Due...
Vide ser Aden molleggiare la
spada, pronto per scattare. Beron Staunton sembrò farsi
più piccolo al
confronto dei compagni. Yora di Skagos, oltre alla spada, estrasse
furtivamente
anche il pugnale. Mio-Erede cercò di ripararsi il
più possibile dietro al suo
piccolo scudo nero. Per il Vecchio sputò in direzione dei
bruti. Kyle respirava
affannosamente.
- Tr-
- ORA!!!
Il grido del ranger giunse
all'improvviso e i bruti furono lenti a reagire. I guardiani invece se
l'aspettavano, così riuscirono a caricare. Gli arcieri
scoccarono comunque i
loro dardi. La freccia di Garny si piantò a terra, mancando
i parecchio
l'eventuale bersaglio. Quella che scagliò Ondar si
conficcò dritta nel centro
dello scudo di Mio-Erede, il quale crollò all'indietro per
il violento
contraccolpo. Yora nel frattempo lanciò il suo pugnale, che
con letale
precisione si conficcò nell'occhio di un bruto.
Manny senza pensarci corse in
avanti, urlando con quanto fiato aveva in corpo. Quasi immediatamente
si trovò
davanti un bruto, il quale provò a colpirlo con la sua
ascia. Manny, quando
questo menò un fendente con la sua pesante ascia, decise di
non combatterlo ma
di scansarlo. Evitato agilmente il colpo approfittò del suo
sbilanciamento in
avanti per assestargli una ginocchiata al fianco e lo
sorpassò. Con la coda
dell'occhio vide Yora di Skagos ingaggiare il combattimento con quel
bruto.
Una lancia di un secondo bruto lo
sfiorò proprio mentre sbirciava, così si decise
di non perdere di vista il
proprio obbiettivo. Continuò a correre, finché
gli venne incontro un bruto
urlante che menava fendenti a destra e a manca. Non fu difficile da
abbattere,
bastò abbassarsi quando quello provò un affondo e
trafiggerlo al ventre dal
basso. Manny estrasse la spada, si rialzò velocemente e
proseguì verso il
proprio obbiettivo.
Fin da quando Ondar aveva deciso
di rompere gli indugi Manny l'aveva scelta come proprio avversario. Era
pericolosa per quanto fosse una donna, e se l'avesse uccisa avrebbe
contribuito
non poco a debellare gli ultimi capi dei bruti rimasti oltre la
Barriera. In
fondo, nonostante all'inizio avesse odiato quell'ambiente e il suo
nuovo
incarico, aveva preso a cuore la missione e ci teneva ad adempiere al
suo
dovere rispettando i voti che aveva pronunciato.
Evitato un altro bruto si ritrovò
finalmente di fronte agli arcieri. Almeno ad uno di essi. Ondar si era
posizionata a vari piedi di distanza, scagliando frecce contro i
nemici. Alcune
erano andate a segno, poiché Manny vide ser Aden zoppicare e
Per giacere a
terra con due dardi che gli spuntavano dalla schiena.
Quello che Manny affrontò fu
Garny, il vecchio arciere agli ordini di Ondar. Vedendoselo davanti
all'improvviso, il bruto si spaventò e tentò di
scagliare contro di lui la
freccia che stava incoccando in quel momento. Erano a distanza
ravvicinata, per
cui se il dardo l'avesse colpito la forza l'avrebbe sicuramente
trapassato. Ma
Garny si dimostrò nuovamente un inetto con l'arco, mancando
il bersaglio.
Manny così gli si avvicinò senza
indugio. Vide chiaramente il terrore del vecchio, il quale
provò a proteggersi
con l'arco prendendolo in mano come se fosse una spada. Quando Manny fu
giunto
a pochi passi da lui provò a colpirlo, ma il Guardiano della
Notte lo scansò
senza fatica, facendo toccare terra ad un'estremità
dell'arco, immobilizzandolo
con il piede e spezzandolo con un secco colpo di spada.
Il vecchio probabilmente capì che
per lui era finita, ma cercò ugualmente di proteggersi con
le mani. Manny non
esitò comunque nell'ucciderlo. Gli si avvicinò e
con una mano lo afferrò dietro
alla nuca, costringendolo a spingersi in avanti. Poi con la spada
sguainata lo
trafisse all'altezza del cuore. Il vecchio non emise nemmeno un
lamento, e
quando Manny estrasse la spada si accasciò a terra senza
muoversi più.
Non era la prima volta che
uccideva un bruto. Nei suoi quattro anni alla Barriera ne aveva
affrontati di
nemici, e ne aveva uccisi quasi altrettanti. La sua prima uccisione si
era
registrata alla terza perlustrazione oltre la Barriera, sotto gli
ordini dello
stesso ser Aden. Avevano sorpreso un piccolo accampamento di bruti ed
avevano
ingaggiato un furioso combattimento, da quale solo pochi dei guardiani
presenti
erano usciti. Manny era tra quelli.
Aveva ucciso il suo primo nemico,
quel giorno. Era una donna, la quale però gli si era fatta
incontro brandendo
un'ascia. Manny aveva esitato. Com'è
possibile, si era chiesto, che io
uccida una donna?. Ma alla fine, temendo per la propria vita,
l'aveva
fatto. Le era passato alle spalle e l'aveva uccisa menandole un colpo
tra le
scapole. Si era tormentato per mesi per aver strappato quella vita, ma
poi
quando uccise un secondo bruto, poi un altro e poi un altro ancora
smise di
struggersi. Era il suo dovere di Guardiano della Notte, e se si fosse
lasciato
sopraffare dai sentimenti non avrebbe mai potuto svolgere il proprio
ruolo.
Manny fece per pulirsi la spada
nel mantello. Odiava doverla utilizzare quando era sporca, e in
mancanza di uno
straccio si doveva arrangiare. Avrebbe poi lavato l'indumento ad un
fiume, oppure
se fosse stato paziente sarebbe ritornato alla Barriera e l'avrebbe
dato ad un
attendente addetto.
Proprio mente lo stava facendo
però avvertì un'esplosione di dolore alla gamba.
Non ce la fece più a
sorreggerla, così si ritrovò costretto in
ginocchio. Per evitare di cadere con
la faccia nella neve si sorresse con una mano e guardò
inavvertitamente in
basso. Dal suo ginocchio spuntava la punta ormai rossa di una freccia.
- Garny! NO!
L'urlo arrivò distorto dalla
rabbia ma fin troppo chiaro da dietro alle spalle di Manny.
Cercò di girarsi
per vedere il bastardo che l'aveva colpito, ma non ce la fece a farlo e
a
sorreggersi allo stesso tempo. Cadde così di fianco,
rivolgendosi parzialmente
verso la direzione opposta e potendo vedere il suo aggressore.
A quanto pare Ondar aveva visto
tutta la scena dell'uccisione di Garny, e senza perdere tempo si era
avvicinata
a Manny mentre quello era distratto colpendolo con una freccia. La
moglie di lancia si stava avvicinando sempre di più, estraendo nel
frattempo una nuova
freccia dalla faretra. La sua faccia era distorta da un'espressione
furiosa.
- Tu! Maledetto bastardo! Come
hai osato uccidere Garny!?!
Incoccò la freccia nell'arco e si
preparò ad uccidere Manny.
- Muori corvo! MUORI!!!
Manny ebbe solamente un attimo
per realizzare che era finita. Tutta la sua vita gli passò
davanti in un
attimo, da quando giocava con Garry a quando era morta sua madre, dal
furto
della forma di formaggio all'uccisione della donna bruta. Si rese conto
che non
voleva morire in quel momento, ma aveva troppo poco tempo per reagire.
Non
riuscì a decidere se rassegnarsi oppure no.
Ma, proprio mentre Ondar stava
per rilasciare il braccio, venne spinta in avanti e cadde lunga distesa
nella
neve. La freccia partì comunque, ma essendo stata
bruscamente distolta dalla
traiettoria andò a conficcarsi nel terreno immediatamente
vicino a Manny.
Quello, incredulo, guardò il proprio salvatore. Beron
Staunton, quello
smidollato, stava in piedi a poca distanza, ansimante. Poi il giovane
guardiano
si scagliò contro la moglie di lancia, la quale nel frattempo
si stava rialzando.
Manny realizzò che era
l'occasione giusta per spostarsi. Provò ad alzarsi, ma la
gamba si rivelò
troppo messa male per poter anche solo sperare di zoppicare. Si
trascinò fin
quando poteva con la gamba sana verso una zona in cui non infuriava il
combattimento, poi crollò a terra. Così si
ritrovò a strisciare nella neve,
gomiti immersi nella terra e con la gamba ferita che si trascinava
pesantemente.
Mentre strisciava e la neve si
compattava e scricchiolava sotto il suo peso, rischiò di
finire calpestato
molte volte durante il tragitto. Ogni qualvolta qualcuno gli veniva
addosso
l'istinto gli diceva di ripararsi la testa, ma tutte le volte decise di
fingersi morto. Questa strategia si era rivelata vincente
già in altre
occasioni, e anche questa volta lo fu.
Individuò ser Aden con non poca
difficoltà. Inizialmente in mezzo alla confusione non
riuscì a distinguere
nulla dal turbinare di pelli grigie e nere, ma poi grazie ad un attimo
di tregua
lo scorse. Era anch'egli chino a terra, una freccia nella schiena.
Rynkel stava
duellando con un bruto a poca distanza, mentre Yora lo proteggeva.
Manny riuscì a trascinarsi fin
dov'erano ser Aden quasi per miracolo. Fece un giro ampio, che gli
richiese
anche fin troppo tempo. Almeno però evitò di
essere scorto, e finalmente riuscì
a posizionarsi accanto al comandante. La freccia l'aveva colpito alla
spalla
destra, fortunatamente non era un colpo mortale. Con un po' di lavoro
probabilmente maestro Darem sarebbe riuscito ad estrarla.
- Manny - fece ser Aden,
accorgendosi di lui - Credevo fossi morto. Che hai fatto?
- Una freccia... nel ginocchio...
L'uomo si stupì della propria
voce. Ancora non si era sentito, sicuramente non si doveva essere reso
conto che
lo shock gli aveva fatto assumere un tono assurdamente roco.
Trovò comunque la
forza di continuare.
- Voi...
- Una freccia nella spalla.
Niente di che, solo non riesco più a muovere il braccio
della spada. Odio dover
farmi proteggere, vorrei tanto combattere.
Proprio in quel momento giunsero
attorno al comandante anche i guardiani rimanenti. Rynkel si
posizionò dietro a
Manny e al ranger, spada e scudo ben alzati e rivolti nella direzione
opposta.
Yora invece si mise davanti al comandante, spada in una mano e pugnale
nell'altra. La mano del pugnale sanguinava, dove prima c'era il mignolo
adesso
c'era un moncherino fumante per il freddo.
Ci fu una pausa dai
combattimenti, e un silenzio innaturale calò sul campo di
battaglia. I bruti
accerchiarono nuovamente il gruppo, senza però attaccare.
Manny guardò a terra,
cercando di identificare i corpi sparsi qua e là. Per il
Vecchio giaceva come
prima, immobile, probabilmente era morto. Kyle il Serio era steso un
poco più
in là, anch'esso immobile. I corpi di Dyv e Tash erano nelle
stesse posizioni
in cui si erano accasciati all'inizio del combattimento. Vari bruti
facevano
compagnia a tutti loro, ma pur essendone morti per lo meno una mezza
dozzina i
nemici restavano comunque troppi.
Però... Manny aveva l'impressione
che mancasse qualcuno. Sapeva che non era il momento giusto, ma
cercò di fare
mente locale per ricordare, cosa non facile data la situazione critica.
Rynkel,
ser Aden, Yora con lui in mezzo... Tash, Dyv, Kyle e Per a terra
morti... Ma
certo! Dov'era Beron Staunton? L'ultima volta che Manny l'aveva visto
era
quando l'aveva salvato da Ondar.
La risposta giunse quasi
immediata. In mezzo ai bruti si aprì un varco, dal quale
eruppe Ondar, la quale
tirava Beron Staunton per i capelli. Aveva la faccia pesta e gonfia e
il sangue
gli scendeva copiosamente dal naso, segno che probabilmente era rotto.
Un
braccio gli pendeva inerte. La moglie di lancia lo gettò
malamente a terra,
bloccandogli la testa contro il terreno con un piede prima che potesse
scappare.
- Maledetti corvi - eruppe - Mai
che vi facciate ammazzare senza fare storie.
Ser Aden alzò orgogliosamente la
testa. Ondar lo guardò in cagnesco, ma presto
spostò lo sguardo su Manny,
adagiato accanto al ranger.
- Tu! - ringhiò - Hai ucciso
Garny, e la pagherai! Ti scuoierò e userò la tua
pelle come mio stendardo! At-
La donna non fece in tempo a
finire la frase che tre bruti accanto a lei vennero spazzati via.
Caddero a
terra oppure volarono via come fuscelli di legno, non facendo nemmeno
in tempo
ad urlare. Gli altri si abbassarono istintivamente, persino Yora e
Rynkel lo
fecero, pur mantenendo alta la guardia.
Al primo attacco ne fese seguito
quasi subito un secondo, il quale abbatté non meno di altri
quattro bruti.
Alcuni finirono direttamente addosso a Yora, il quale, superato
l'iniziale
stupore, li finì velocemente col suo pugnale. Ondar
lasciò perdere il povero
Beron Staunton e si girò con un'espressione incredula, e non
poté fare nulla
per evitare un nuovo attacco diretto verso di lei.
La bruta venne scaraventata
addosso a ser Aden, il quale venne travolto. Entrambi caddero addosso a
Manny,
e tutti e tre si ritrovarono in uno strano miscuglio di corpi in mezzo
alla
neve. Manny si ritrovò disorientato, tra il dolore per il
ginocchio e il
"combattimento" a cui stava prendendo parte non riuscì
più a fare
niente di sensato.
Ad un certo punto ser Aden sembrò
scomparire. In realtà, come Manny apprese più
tardi, era stato tirato fuori
dalla mischia da Rynkel Mio-Erede, sopraggiunto a causa della fuga
degli altri
bruti, spaventati dal misterioso assalitore.
Così infine si ritrovarono
solamente loro due a combattere, Manny e Ondar. La donna
riuscì presto a
inchiodarlo a terra, ginocchia sul petto e mani a bloccare le braccia
del
confratello. In una di esse brandiva un pugnale.
- Bastardo di un corvo! Ancora
non ne hai abbastanza!?!
Alzò la mano con il pugnale, la
punta rivolta verso il basso e pronta a trafiggere le carni di Manny.
- Muori, corvo! MUORI!
Manny pensò di essere spacciato.
Ebbe una reazione analoga a quella di prima, con scene familiari che
gli
passavano davanti agli occhi come la lunga ma statica e relativamente
breve
vita di una pianta. Come un albero che viene abbattuto egli stava per
essere
falciato, e la sua guardia sulla Barriera avrebbe avuto la sua fine.
Ondar sembrò congelarsi in un
instante, la lama del coltello sospesa a mezz'aria. La presa si fece
poco a
poco più lenta, mentre una chiazza rossa si andava a formare
dove la punta
della lama spuntava dalla pancia della bruta. Il coltello cadde e il
ferro
sbatté rumorosamente sul terreno accanto alla testa di
Manny. La presa di Ondar
si fece molle, e poi la donna si accasciò addosso a Manny,
ormai morta.
L'uomo non riuscì a credere a
cos'era appena successo. Stava nuovamente per morire e nuovamente era
stato
salvato da un suo confratello. Chi avrebbe dovuto ringraziare al pari
di Beron
Staunton? Deciso a guardare in volto il suo salvatore, si
scrollò di dosso il
cadavere ancora caldo, imbrattandosi di sangue. Non gli fu difficile
scorgere
la lama che aveva trafitto Ondar.
Solo che nessuno la brandiva.
Restava sospesa a mezz'aria, come tenuta da un fantasma. Poi un drappo
legato
all'elsa la rimise nel fodero, il quale era anch'esso tenuto dal
drappo. Che
fosse stato salvato da uno spettro? O peggio ancora da un Estraneo? La
risposta
era così ovvia, ma essendo scampato alla morte due volte in
meno di una decina
di minuti Manny doveva ancora riprendersi dallo shock.
Ma un raggio di sole - perché nel frattempo era spuntata l'alba - rischiarò la
"creatura", mettendola finalmente in mostra al guardiano della notte.
Un sorriso ilare, un ghigno quasi canzonatorio, era impresso sul fodero
della
spada. Poco al di sopra un occhio rotondo dalla sottile pupilla nera lo
scrutava. Un occhio azzurro e freddo come il ghiaccio.
Note dell'autore
Ed eccoci col quarto capitolo! Imploro perdono per il mostruoso
ritardo, ma l'inizio di aprile si è rivelato l'inferno sceso
in terra per quanto riguarda la scuola. E pensare che credevo di aver
superato il momento critico...
So che la storia non possa sembrare molto avanzata a livello di trama
fino a adesso, ma sto cercando di equivalere Martin nella
complessità (e complice anche il fatto di non avere tutto il
tempo del mondo per scrivere), ma vi giuro, da da questo capitolo viene
fatto un importante passo avanti.
A presto,
A_e
PS
ora provvedo anche a rendere più leggibile il testo a
livello di carattere, mi piange il cuore a vedere un opera
semi-martiniana straziata dall'Arial.
|
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Capitolo 6 *** Bhaela I ***
Bhaela
Per
tutta Approdo del Re quel
giorno cominciò in maniera splendida. Era appena l'alba
quando le Cappe Dorate
di vedetta sulle mura cittadine avvistarono qualcosa avvicinarsi
all'orizzonte.
Dapprima sembrava solo un tremolio nella calda aria che sapeva di
estate
imminente, ma più il tempo passava e più la forma
si ingrandiva, assomigliando
ad un volatile. Un volatile bianco.
La voce che il corvo bianco era
stato avvistato si sparse dalle Cappe Dorate sulle mura ai poveracci al
Fondo
delle Pulci ancora prima che esso andasse a posarsi sul davanzale dello
studio
del Gran Maestro Cedric. Il Gran Maestro, in quel momento assente in
quanto si
trovava ad assistere il re, venne informato poco dopo da un servitore
dell'arrivo dell'uccello e si precipitò nei suoi alloggi.
Ma il Gran Maestro capì fin dalla
prima occhiata che non si trattava di un corvo, bensì di una
colomba. Aveva
intuito immediatamente che non poteva provenire dalla Cittadella: era
troppo
lontana, e di certo una colomba non avrebbe mai potuto coprire grandi
distanze.
Almeno questo fu quello che disse a qualsivoglia membro della famiglia
reale
che incontrò, Bhaela compresa.
In sostanza il messaggio non
recava l'annuncio del cambio di stagione deciso dai saggi di Vecchia
Città,
bensì il lieto evento del parto della principessa Perenelle
alla Roccia del
Drago. Aegon Targaryen e sua moglie Perenelle Tully si erano ritirati
sull'isola già da quasi due lune prevedendo l'imminenza
della nascita, e si
erano attrezzati al meglio. La piccola Dhaella aveva fatto qualche
storia per
rimanere a corte, ma alla fine la madre era riuscita a convincerla a
seguire
lei e il padre.
La missiva era stata vergata dal
principe Aegon in persona, il quale aveva fatto sapere di voler
chiamare il
figlio appena nato - un maschietto - Rhaegar, come il trisavolo Rhaegar
il
Saggio. Certo, magari non di proprio pugno, più
probabilmente era stato maestro
Aledor a farlo sotto dettatura. Ma la struttura leggermente
sgrammaticata era
facilmente identificabile col lessico del principe Aegon.
Bhaela pensava a qualche altro
nome. Jaehaemond ad esempio, come il nonno del principe. Altre
alternative
interessanti sarebbero stati Daeron, Maekar oppure Viserys. Perenelle
si diceva
indecisa, mentre Aegon non si era mai espresso al riguardo, anche se
Bhaela non
si sarebbe mai aspettata quel nome per qualche strano motivo.
La donna fu la quinta ad essere
informata dopo ovviamente il Gran Maestro, il re, la regina madre e il
Primo
Cavaliere. Riuscì ad avere la lettera, anche se il Gran
Maestro era piuttosto
riluttante a cedergliela.
Cari congiunti,
sono felicissimo di informarvi della nascita del mio tanto desiderato
figlio maschio.
Il parto è stato più semplice del previsto,
Perenelle sta bene e
maestro Aledor dice che si riprenderà in fretta. Dhaella
è così contenta di
avere un fratello, dovreste vederla. E' così allegra! Spero
che anche voi
possiate condividere la gioia che ha preso me, mia moglie, mia figlia e
il
resto della corte nel sapere che il regno ha un nuovo erede.
Ho deciso di chiamarlo Rhaegar, come re Rhaegar il Saggio. Per quanto
gli ultimi giorni del suo dominio siano stati travagliati dai complotti
e dalle
guerre il suo è stato uno dei regni più lunghi
per i Targaryen, dalla
Ribellione di Robert sino a quella di Matarys, e spero tanto che per il
piccolo
possa andare in questo modo e anche meglio. Certo, senza ribellioni
ovviamente.
So che mio padre il re non sta bene, e gli porgo i miei auguri di
pronta guarigione. Mando calorosi saluti anche al Primo Cavaliere lord
Morgan e
a voi, zia Bhaela. Spero di poter presentare presto il mio pargolo a
corte.
Aegon Targaryen, principe della Roccia del Drago ed erede del regno
Le forti emozioni
contenute nella
lettera si trasmisero presto anche a Bhaela, la quale non
poté fare a meno di
stringersela al petto. Era evidente che il nipote stava provando
probabilmente
uno dei momenti migliori della sua vita, e Bhaela si sentì
sinceramente felice
per lui. E dall'Incidente del Bosco del Re Bhaela non era quasi mai
stata
felice.
La Regina Madre Bethany diede ordine
di far suonare tutte le campane della città a festa per
annunciare il lieto
evento, e che i septon indicessero una settimana di preghiere in favore
del
neonato futuro re. Ordine che fu eseguito in meno di un'ora, e per
tutto il
pomeriggio Approdo del Re risuonò dell'allegro rumore
metallico delle campane.
Rumore che infine cambiò da uno
scampanellio di festa ad uno a lutto.
Fino
a una settimana prima Morgan
Bar Emmon era apparso in forma smagliante, diceva di non essersi mai
sentito
meglio adesso che il principe stava per dare il tanto desiderato erede
alla
corona. All'ultima riunione del concilio ristretto, quattro giorni
prima, il
Primo Cavaliere era apparso leggermente affaticato, ma nulla di che,
doveva
solo essere stanco per tutto il lavoro che era costretto a svolgere.
Ma dopo aveva continuato a
peggiorare. Il giorno prima dell'arrivo della notizia della nascita del
piccolo
Rhaegar Targaryen il Gran Maestro Cedric aveva riferito che il Primo
Cavaliere
aveva continuato a star male per tutta la notte, rimettendo la cena a
più
riprese. Bhaela era andata a fargli visita, e Bar Emmon era
terribilmente
pallido e sudato.
L'uomo a malapena si reggeva in
piedi, e anche solo per fare due passi aveva dovuto appoggiarsi ad un
servo.
Era però apparso sorridente e affabile come al solito,
dicendo di aver
esagerato con i dolci di recente. Bhaela non gli aveva creduto, ma per
evitare
di risultare scortese aveva finto di essere appagata dalla risposta.
La buona nuova dalla Roccia del
Drago sembrava però aver rimesso in forze il Primo
Cavaliere. Bar Emmon era di
persona (sostenuto sempre da un servo) andato a trovare il re per
porgergli le
congratulazioni per essere diventato nonno. Bhaela l'aveva incrociato
per
strada, e le era parso in condizioni leggermente migliori rispetto ai
giorni
precedenti. La principessa in quel momento aveva sperato che sia lui
che il
fratello si sarebbero rimessi presto.
Ma evidentemente gli dei avevano
deciso diversamente. Poco dopo il tramonto il Gran Maestro era stato
chiamato
d'urgenza nelle stanze di lord Bar Emmon, allertato dai servitori. Essi
avevano
riferito che le condizioni del Primo Cavaliere erano improvvisamente
precipitate dopo il tramonto. Aveva cominciato a muoversi come un
ossesso, a
delirare pronunciando frasi senza senso e a perdere sangue dalla bocca.
Cedric
riferì di aver capito che non avrebbe potuto fare nulla sin
dal principio, così
si era limitato a fargli bere del latte di papavero.
Bar Emmon era trapassato poco
dopo. La voce si era sparsa in fretta per la Fortezza Rossa, e Bhaela
era stata
una delle prime persone ad accorrere sulla scena. Il cadavere del Primo
Cavaliere era ancora caldo quando la principessa l'aveva visto. Era
disteso sul
suo letto sopra le lenzuola, come se non avesse fatto in tempo ad
infilarcisi,
ed era bloccato in una posizione di estrema tensione. Sembrava che, nel
momento
della morte, si fosse allungato per afferrare qualcosa, fallendo. I
suoi occhi
erano ancora aperti, la bocca leggermente socchiusa dalla quale
scorreva ancora
del liquido a cui Bhaela preferiva non pensare.
Fu lei stessa a coprire il corpo
con uno dei lenzuoli di lino disposti di fianco al letto. Non gli
piaceva
l'idea che i resti di lord Bar Emmon diventassero un attrazione da
guitto e che
frotte di persone si spintonassero per vederlo. Diede disposizioni ai
servitori
di farlo rimuovere il prima possibile e di farlo portare nel tempio
interno del
castello. E che entrambi gli ambienti, sia il tempio che quella stessa
stanza
da letto, restassero chiusi a chiave sino a nuovo ordine.
Oramai era sera inoltrata e
difficilmente si sarebbe potuto fare qualcosa, così Bhaela
disse di far
ripulire il corpo e di farlo coprire con unguenti per fermare o
quantomeno
rallentarne la decomposizione. Grazie agli studi di anatomia
impartitigli dai
vari Gran Maestri sapeva che i cadaveri si decomponevano in fretta.
Anche
troppo.
Era
rientrata da poco nelle sue
stanze private quando un leggero bussare alla porta attirò
la sua attenzione.
- Mia signora - disse una voce da
fuori - Posso entrare?
- E' aperto, venite pure.
L'anta di legno venne velocemente
aperta e richiusa, e un uomo in armatura fece il suo ingresso nella
stanza.
Indossava un'armatura completa nonostante l'ora tarda, il tutto ornato
da un
candido mantello bianco che dalle spalle gli scendeva sino ai piedi,
coprendogli tutta la storia. Era grosso più di Bhaela, anche
se di poco, e la
superava in altezza di una spanna. Ma in un confronto tra i due sarebbe
stata
sicuramente la Guardia Reale ad uscirne sconfitta.
- Mi avete fatto chiamare? -
chiese lui.
- Veramente avevo richiesto la
presenza di lord Darren. Dov'è il lord comandante?
- Sarebbe venuto lui stesso, ma
il re aveva richiesto la sua persona e non ha potuto rifiutare.
- Non importa - continuò Bhalea -
Voi, ser Lucas, andrete benissimo per portare questo messaggio. Vi
prego di
informare tutti i membri del concilio ristretto che una riunione
urgente è
stata indetta per domani mattina.
- Certamente, principessa.
L'uomo chinò umilmente il capo
per poi andarsene.
"Ser Lucas Templeton" pensò
Bhalea "Il più stupido della Guardia Reale. Possibile che ci
fosse solo
lui disponibile stanotte?". Oh, certo che era possibile. Con ser Marq
Smallwood alla Roccia del Drago con Aegon e ser Jaran Blackbar alle
Torri
Gemelle con Jaehaemion ad Approdo del Re restavano solo in cinque.
Togliendo
poi ser Adrian Bushy - il quale era sicuramente con Baeron da qualche
parte nel
Fondo delle Pulci - e ser Barden Florent nel Bosco del Re con Viseghar
rimanevano in tre. Il lord comandante Darren Marsh sembrava ormai che
fosse
diventato la guardia personale del re, e lo stesso si poteva dire di
Jared
Cockshaw con la regina. Quindi sì, quel bestione senza
cervello di Lucas
Templeton era l'unico disponibile. Oramai comunque aveva comunicato il
messaggio, ed entro un'ora tutti i membri del concilio sarebbero stati
informati.
La riunione era prevista per il
primo mattino successivo, per cui il buonsenso avrebbe suggerito di
stendersi
immediatamente a letto al fine di riposarsi al meglio. Probabilmente
nemmeno i
lord protettori potevano immaginare quanto faticose fossero le riunioni
del
concilio ristretto, e ci volevano lunghe ore di sonno per compensare
tutto lo
stress accumulato da quegli incontri. Ma la principessa aveva bel altre
intenzioni.
Il Gran Maestro Cedric era stato
talmente bravo che aveva formulato una diagnosi per la morte del Primo
Cavaliere sul momento. Febbre fulminante,
l'aveva chiamata. Aveva detto di aver studiato dei casi simili alla
Cittadella
e di aver sentito che verso il regno di Aegon il Buono c'era stata un
epidemia
del genere a Lorath.
Il saggio era stato talmente
bravo da non accorgersi che dai suoi alloggi mancava un libro. Era un
tomo
vecchio, risalente come minimo a prima dell'inizio del secolo ma ancora
perfettamente conservato. Alla luce di una candela la principessa
cominciò a
leggerlo. Intrugli e pozioni, di
maestro Korio Xuvys di Lys. Bhaela aveva ben altra diagnosi per la
morte di
lord Morgan Bar Emmon.
Come
previsto la riunione si
tenne poco dopo che il sole fu sorto. Il primo ad arrivare fu il
mattiniero
lord Olyvar Rykker, il maestro del conio, ma vi trovò
già Bhaela ad aspettarlo.
Avendo indetto lei la riunione pur non facendo parte del concilio
ristretto ci
si aspettava che fosse la principessa stessa a presiederla.
Ad arrivare furono, in
successione escluso lord Rykker: Grennan Sunderland, maestro della
flotta;
Maric Stokeworth, maestro delle leggi; il Gran Maestro Cedric; ser
Halys
Chelsted, il castellano della Fortezza Rossa; ser Darren Marsh, lord
comandante
della Guardia Reale. Con un po' di ritardo di presentarono lord Maron
Brune, il
comandante della Guardia Cittadina, e un septon di nome Norbert che
disse di
essere venuto per sostituire l'Alto Septon, anch'egli in condizioni
poco
permissive. "Aye" pensò
Bhaela "Sembra che questa febbre
fulminante stia falcidiando tutte le personalità
di Approdo del Re. Che
tempismo perfetto.".
Infine, con più ritardo di tutti,
fece il suo ingresso Medrick Woolfield, maestro dei sussurri. Bhaela e
gli
altri avevano già cominciato a discutere quando l'uomo fece
il suo silenzioso
ingresso nella sala. Woolfield era sempre stato silenzioso, il quella
sua
bizzarra cappa di satin di seta viola, esattamente come lo stemma della
sua
casata.
Ma questo non permise a Bhaela di
non notare la presenza di una persona in più nella stanza
del concilio.
- Lord Medrick - constatò infine
- Ben trovato.
Quello, interpellato, chinò
leggermente il capo in segno di rispetto.
- Mi dispiace di avervi fatto
attendere - si scusò con la sua voce strascicata - Ma la... principessa Bhaerys voleva
parlarmi.
"Certamente" pensò
Bhaela "O magari suo padre. Quando mai non sei a parlare con Baelor". Quei due erano
sempre stati "amici", se così si può definire un
rapporto di
vicinanza frequente. E mai come negli ultimi tempi erano stati insieme.
Bhaela si
chiedeva spesso cosa facessero quei due da soli, oltre complottare,
complottare
e ancora complottare.
Un leggero brusio si era alzato
con l'arrivo del maestro dei sussurri. Lord Rykker e lord Sunderland si
erano
messi a parlottare tra di loro lanciando di tanto in tanto occhiate al
nuovo
arrivato. Lord Stokeworth dondolava in avanti e indietro, come se fosse
molto
timido, mentre septon Norbert cominciò a recitare a bassa
voce una preghiera
alla Madre. Darren Marsh e Maron Brune si misero a discutere tra di
loro,
mentre Woolfield rimase in silenzio quando invece di fianco a lui
maestro
Cedric si era abbandonato ad uno dei suoi attacchi di parlantina mista
a
megalomania. Ser Halys invece sembrava perso nel nulla come suo solito.
- Miei lord... - provò a
richiamare l'attenzione Bhaela, senza tuttavia ottenere successo - Miei
lord...
Cominciava a spazientirsi. Aveva
indetto quel concilio urgente per risolvere la situazione di vuoto di
potere,
non per perdere tempo in chiacchiere. Persino la Guardia Reale la stava
trascurando.
Se Bhaela fosse stata Maegor il Crudele probabilmente l'avrebbe fatto
giustiziare per questo. "Ma io non sono Maegor il Crudele" si
rammentò mentalmente.
- Miei lord!
Certe volte avere un fisico
enorme era di grande aiuto. Così, quando la voce profonda di
Bhaela risuonò
tonante per la stanza tutti si zittirono all'istante. Tutti la
guardarono con
sguardi contrastanti, chi con disappunto, chi confuso, chi impassibile
e così
via. La principessa invitò tutti a sedersi, cosa che venne
fatta all'istante.
- Stavo dicendo - fece la donna,
schiarendosi la voce - Prima dell'interruzione, che ho indetto questa
riunione
urgente per un motivo più che valido. Con il nostro re a
letto malato e
incapace di governare adeguatamente l'unico che poteva farlo davvero
era il
Primo Cavaliere.
Non si era mai abbandonata ad
elogiare un nobile, soprattutto un nobile morto, ma Morgan Bar Emmon
era una
brava persona in fin dei conti, per cui decise di fare un'eccezione per
quella
volta.
- Morgan Bar Emmon è stato forse
il miglior Primo Cavaliere dai tempi di re Aenar e di lord Walys
Fossoway, e
siamo tutti addolorati per la sua perdita. Era un uomo nobile e di buon
cuore,
capace e intraprendente, ricordiamo tutti come da semplice erede di un
castello
nell'Uncino di Massey abbia saputo diventare un grande maestro della
flotta e
poi un grande Primo Cavaliere. Possano i Sette condurlo nel cammino
verso la
beatitudine.
Tutti chinarono la testa in segno
di rispetto per il defunto. Tutti tranne lord Woolfield, ma nessuno ci
fece
caso. Bhaela si sentì quasi sporca a dire quelle cose. Forse
il septon avrebbe
potuto dire parole del genere, ma non di certo lei. Lei non ci credeva
nemmeno
nei Sette, non dopo... dopo... Non ci credeva più e basta.
- Se il re non è in grado di
scegliersi un Primo Cavaliere, tale scelta spetta al concilio ristretto.
La principessa decise di andare
dritta al punto. Odiava i concili, ma era stata costretta dal dovere ad
indirne
uno. Avevano tergiversato abbastanza e voleva concludere il prima
possibile. E
poi già a quell'ora aveva cominciato a far caldo, aveva
voglia di volare con la
sua Meleys per sentirsi schiaffeggiare dal vento freddo delle alte
quote. Era
da un po' che non volava con la sua Altaria, voleva librarsi
sull'enorme
Approdo del Re e lasciarsi trasportare dal vento.
- E come rappresentante del regno
io farò da garante. Un Targaryen deve sempre essere presente
alle decisioni
importanti.
Bhaela guardò i lord, uno per
uno. Alcuni, come Sunderland, riuscirono a rimanere perfettamente
impassibili.
Altri, come l'austero Rykker, lasciarono trapelare la propria
disapprovazione. Chelsted
invece, anche nel bel mezzo del concilio, sembrava sempre perso nel suo
mondo. "Il
potere non è affare da donne" aveva detto una volta Aerys II
Targaryen, il
Re Folle. E guarda caso era morto per colpa di una donna. E Bhaela,
fosse stata
in loro, non avrebbe sottovalutato così sé
stessa. Soprattutto perché era abile
con la spada quanto con il pugnale. Il fisico da guerriero myriano
della
principessa dissuase ben presto chiunque avesse da ridire sulle sue
parole.
Ma Bhaela poteva quasi sentire
quel che si chiedevano mentalmente "Perché lei? Se ci
dev'essere proprio
un Targaryen, perché non Baelor?". Già, Baelor di
qua, Baelor di là,
Baelor su, Baelor giù. Sembrava che suo fratello volesse a
tutti costi essere
contemporaneamente da tutte le parti. Bhaela sapeva dell'ambizione del
fratello, ed era stata lei ad indire per prima il concilio
perché era sicura
che Baelor l'avrebbe pilotato per eleggere come Primo Cavaliere un suo
uomo. O
peggio ancora sé stesso.
Nonostante il disappunto dei
lord, mascherato o meno che fosse, nessuno disse nulla dopo sua ultima
frase,
così Bhaela continuò a parlare.
- Quindi, miei lord, come ho già
detto prima abbiamo il compito di scegliere il nuovo Primo Cavaliere in
vece
del re. Avete qualche idea?
Era stata franca. Forse anche
troppo. Non aveva la minima idea di chi potesse prendere il posto di
lord
Morgan, non conosceva bene le personalità capaci ed
importanti che vivevano in
quel periodo nel Continente Occidentale. D'altro canto lord Morgan era
rimasto
in carica per undici anni, fin dalla morte di Jaehaemond e dalla presa
di
potere di Jaehaerys, e la sua morte era stata così repentina
e inattesa che non
si era pensato ad un sostituto.
Nemmeno gli altri membri del
concilio ristretto a quanto pare avevano pesci da prendere, Bhaela lo
capì
dalle facce perplesse e pensanti dei vari lord. Dopo qualche silenzioso
momento
carico di imbarazzo - dettato dall'assenza di personaggi importanti
nelle menti
dei lord - a intervenire fu lord Sunderland.
- Se mi posso permettere -
suggerì - credo che nessuno di noi abbia in mente un
candidato adatto. Ma io
sono dell'idea che dovremmo escludere sin da subito chi non lo
è.
Un mormorio di approvazione
percorse la sala.
- Direi di partire dagli alti
lord - proseguì - Mi sembrano quelli più portati
per la carica di Primo
Cavaliere.
"Sensato" disse Bhaela.
Gli alti lord erano quelli più disponibili - e soprattutto
desiderosi - di
diventare Primo Cavaliere, ma ognuno aveva più difetti che pregi, e
difficilmente avrebbero potuto imitare la saggia politica portata
avanti fino a
poco prima da Bar Emmon. Egli era stato uno dei più grandi
Primi Cavalieri
dell'ultimo secolo, forse di tutta la storia dei Targaryen, e Bhaela
aveva veramente
paura che lo sarebbe rimasto per un bel po'.
- Voi avete qualche idea? -
chiese Bhaela a lord Grennan - Visto che l'avete proposto penso che
siate voi
la persona a dover sottoporre per prima un candidato al nostro giudizio.
- Bé, hmm - lord Sunderland non
aveva pensato a quell'evenienza, per cui ci pensò un po' su
- Magari... visto
che teoricamente sarei un vassallo di lord Arryn la logica mi
porterebbe a
proporre lui. Ma non credo che lord Aeron sia la persona adatta.
- Già - concordò il Gran Maestro
Cedric - Tra tutti gli alti lord penso che sia il meno adatto a
ricoprire la
carica di Primo Cavaliere. Io sono cresciuto nella Valle e ho prestato
servizio
al Nido dell'Aquila finché a dettar legge c'era lord Alyn, e
ricordo che era
molto insoddisfatto del proprio primogenito. Si lamentava della sua
timidezza e
della sua inesperienza, diceva che perfino le sue figlie sarebbero
state
migliori di lui al comando della Valle. Decisamente no, direi di
scartare lord
Arryn a prescindere.
Bhaela non poté che concordare
mentalmente col Gran Maestro. Aveva visto lord Arryn qualche volta,
l'ultima
quando si erano recati nella Valle per il matrimonio di lady Sarelle
Arryn con
Myles Redfort, l'erede della sua famiglia. Il re era correlato a lord
Aeron
tramite sposalizio in quanto aveva preso in moglie sua sorella Alyssa,
la quale
purtroppo era morta nel dare alla luce i gemelli venuti dopo Aegon.
Solo uno,
Baeron, era sopravvissuto. L'altra, una femmina, era morta poco dopo.
I figli di lord Arryn però
rimanevano pur sempre suoi nipoti, per cui aveva accettato di buon
grado di
recarsi al Nido dell'Aquila per vedere il matrimonio tra Sarelle Arryn
e il
Redfort. Anche Bhaela l'aveva seguito, nonostante non avesse mai visto
la
nipote né tantomeno il suo promesso sposo. E Aeron Arryn gli
aveva dato sempre
la stessa impressione: un completo idiota. Non aveva mai smesso di
ridere alla
famiglia reale e fare battute stupide fortunatamente non a loro,
nemmeno quando
sua moglie l'aveva pregato di smettere. Bhaela si chiedeva come la
donna
potesse sopportare un marito così. La Targaryen era stata
comunque lieta di
rivedere il nipote Daeron, ed era l'unica nota positiva di quel viaggio.
Era da quando erano tornati dal
Nido dell'Aquila che il re si era ammalato. Probabilmente era l'aria di
lassù
ad avergli fatto male. Troppo fredda, decisamente si stava
eccessivamente
esposti alle intemperie, figurarsi che d'inverno gli Arryn si
ritiravano a
vivere nel castello più in basso, quello delle Porte della
Luna. Posto carino
ma non molto adatto ad un nobile.
Bhaela si riscosse. Non doveva
perdere di vista l'obbiettivo, doveva nominare il Primo Cavaliere prima
della
fine della mattinata se voleva scappare alla routine di corte.
- Concordo con voi - disse
rivolta a qualcuno dei due, non sapeva nemmeno se a lord Sunderland o
al Gran
Maestro - Altre idee?
- Forse - intervenne Rykker -
Qualche altro lord della Valle potrebbe andare bene.
L'intera sala ci pensò un attimo
su, ma appariva chiaro sin da subito che quella non sarebbe stata la
soluzione.
- Lord Sunderland - disse Bhaela
infine - Voi che siete nativo di quelle parti, cosa ci suggerite?
- Hmm - iniziò, assumendo
nuovamente la sua espressione pensierosa - Al momento non mi viene in
mente
nessun valido candidato. Sicuramente non uno della mia famiglia,
conosco poco
mio nipote lord Beron e ancora meno i suoi figli. Delle altre case
delle Tre
Sorelle so che lord Longthorpe è troppo vecchio anche solo
per lasciare la sua
isola e che suo figlio non si scomoderà di certo nemmeno se
arrivasse un'orda
di schiavisti ad invadere il suo castello. Lord Torrent invece sa a
malapena
leggere, è ignorante come una capra, mentre suo figlio
è ancora peggio. Degli
altri lord della Valle so poco o nulla. Magari il Gran Maestro
può dirci di
più?
- Oh sì, forse posso esservi
d'aiuto, qualcosa conosco.
"Qualcosa eh?" pensò
Bhaela. Cedric, oltre che aver servito al Nido dell'Aquila sino alla
dipartita
di lord Alyn Arryn e alla sua successiva riconvocazione alla Cittadella
e
promozione a Gran Maestro, era un Redfort di nascita. Sicuramente
conosceva
tutto su tutti i nobili della Valle, era talmente pettegolo che
probabilmente
era in confidenza anche con i Barbari delle Montagne.
- Vediamo, da dove partire? Ci
sono così tanti nobili nella Valle... Sicuramente
però non vi consiglio nessuno
della mia famiglia. Mio cugino Derrick è un bravo lord,
nulla più di un bravo
gestore di un castello. I suoi fratelli e i relativi figli sono tutti
uguali,
guerrieri irsuti sempre pronti alla guerra e mai alle parole. Mio
fratello Davos
è un brav'uomo, ma è solo il castellano di
Redfort. E noi un castellano ce
l'abbiamo già.
Ser Halys sembrò ritornare per un
attimo alla realtà, annuendo alla citazione fattagli dal
Gran Maestro, per poi
ritornare a fantasticare su chissà cosa. "Povero Chelsted"
pensò per
un attimo Bhaela, distraendosi. Era il castellano della Fortezza Rossa
da più
di una decina d'anni, e cominciava oramai ad avere una certa
età. Da quando
l'anno prima tutti i suoi figli erano morti nell'incendio della
fortezza di famiglia
sembrava che nulla riuscisse più ad avere la sua attenzione,
nemmeno le altre
persone. Nessuno aveva avuto il cuore di sollevarlo dall'incarico in
quella
situazione, nemmeno il re. Così l'uomo continuava a
partecipare alle riunioni
del concilio ristretto pur non ascoltandole nemmeno.
- Poi, per quanto riguarda gli
altri, lord Egen dev'essere abbastanza preso da tutta la sua
discendenza per
pensare ad altro, mentre lord Moore non è abbastanza
appropriato per-
- Vi prego - intervenne Bhaela
leggermente spazientita - Limitatevi a riportarci la situazione dei
principali
lord. - . "Altrimenti qui facciamo notte".
- Oh, va bene. D'accordo, ehm...
Sì, allora, lord Belmore è ancora troppo giovane,
la stessa cosa vale per lord
Grafton. Lord Hunter è invece troppo vecchio, nonostante sia
ancora un
combattente tutt'altro che risibile. Lord Waynwood è come
lord Hunter, solo
senza l'abilità nel combattere. Poi, vediamo... ah
sì, i Corbray non presentano
membri degni di nota al momento, mentre per lord Devron Royce delle
Porte della
Luna vale la stessa cosa di lord Waynwood. Per quanto riguarda suo
cugino
Jaremy di Runestone lo sconsiglio vivamente. Chi abita lì
dice che sembra quasi
un'incarnazione del Re Folle. Con molto meno potere fortunatamente.
Una breve pausa carica di
riflessioni fece da cornice al discorso del Gran Maestro.
- Molto bene - intervenne infine
lord Woolfield, aprendo bocca per la prima volta dall'inizio del
consiglio -
Abbiamo così appurato che non c'è nessuno nella
Valle che possa fare al caso
nostro.
Il suo sguardo ricadde sulla
principessa.
- Io comunque consiglierei di non
ricercare il nuovo Primo Cavaliere in posti così lontani -
continuò - Se mi
posso permettere-
- Certo - intervenne Rykker,
interrompendolo quasi come se non l'avesse nemmeno ascoltato (cosa
probabilmente vera) -
Lord Woolfield ha
ragione. Forse nelle Terre della Tempesta si cela la soluzione. Conosco
lord
Fell, forse lui potrebbe essere in grado di sostituire Bar Emmon.
"Certamente, un uomo
meschino e dal braccino corto quanto lo sei tu. I Sette Inferi si
mangino la
tua anima, dannato.". Decisamente lord Rykker non gli stava simpatico,
e
dopo questa uscita a proposito di lord Fell Bhaela aveva deciso
all'istante che
il maestro del conio non avrebbe più avuto voce in capitolo
in quel concilio.
Lord Fell era lì quando... quando... era successo... e non
aveva fatto niente,
quel bastardo.
- Sapete, lord Fell-
- Sappiamo tutti - lo interruppe
Bhaela, decisa a troncare quel discorso - Quanto voi
e lord Fell vi conosciate bene, ma lo conosco anch'io e so che
non è l'uomo adatto.
La principessa lanciò un'occhiata
carica d'odio a lord Rykker. L'uomo fece uno sguardo offeso e
scandalizzato per
essere stato interrotto come egli stesso aveva poco prima fatto con
Woolfield.
E non rispose, rimanendo in silenzio. Aveva pur sempre a che fare con
un'esponente della famiglia Targaryen, per quanto fosse una donna -
alta e
robusta più di qualsiasi uomo normale - che cominciava ad
essere in età.
- Non mi va di discutere oltre.
Bhaela si era stufata. Voleva
mettere fine a tutto il più presto possibile.
- Dobbiamo lasciar stare i
piccoli lord. E a ben guardare anche quelli grandi. Sappiamo tutti come
Brandon
Stark non sia a posto con la testa, mentre Tully, Lannister e Baratheon
sono
dei completi idioti. Tully per di più è un
traditore, ricordatevelo bene.
Nemmeno dei Lannister c'è da fidarsi, metà di
loro combatterono per Maelor
durante la Primavera di Sangue. I Buonfratello sono Uomini di Ferro, e
tanto
basta ad escluderli. Lady Tyrell è vecchia, potrebbe morire
in qualsiasi
momento e il suo erede è ancora un ragazzetto inesperto.
Diffiderei anche di
lord Martell, per quanto ci sia rimasto sempre leale. I dorniani non mi
piacciono, e sono sicura che non piacciano neanche a voi.
Si era lasciata decisamente andare,
Bhaela fu la prima a capirlo. Il suo discorso era suonato molto simile
ad una
sfuriata, ad uno sfogo della frustrazione che sentiva montare dentro di
sé
sempre di più. Se ne voleva andare, ecco la
verità, ma in quel momento non era
proprio il caso. Così cercò di proseguire il
discorso in maniera da formare un
ragionamento logico.
- Ma Derrick Martell è l'unica
scelta valida. Forse avrei proposto Duncan Martell, ma è
vecchio e da quel che
ne so confinato a letto, e per quanto sia già stato Primo
Cavaliere due volte
in passato non è sicuramente più adatto a tale
ruolo. Sperando che lord Martell
abbia almeno la metà dell'abilità di Duncan, io
propongo lui come alternativa a
Bar Emmon, pace all'anima sua.
Un silenzio di tomba scese sulla
sala. Il "discorso" della principessa sembrava aver colto nel segno.
O almeno sembrava aver profondamente turbato i presenti. Molti avevano
assunto
espressioni riflessive, come ad esempio l'eterno pensante lord
Sunderland,
mentre Maric Stokeworth aveva sgranato gli occhi, quasi stregato da
quella
specie di comizio.
- Gran Maestro, provvedete subito
a mandare un corvo a Lancia del Sole per informare lord Derrick.
L'uomo non rispose. Guardò il
tavolo, come se non sapesse cosa fare. Stranamente non aveva come al
solito
attaccato con il suo caratteristico e irrefrenabile fiume di parole.
- Ahem.
Fu un colpo di tosse di lord
Woolfield però a richiamare l'attenzione della principessa.
- Forse... forse avrei una
proposta, un'alternativa valida ai candidati presi in considerazione.
E con "ai candidati presi in
considerazione" probabilmente si riferiva a qualsiasi persona avessero
anche solo pensato fugacemente per un attimo. Sicuramente stava per
proporre,
realizzò Bhaela, un suo uomo o uno di Baelor, o comunque
qualcuno che avesse qualche
tipo di affare con loro. Non lo zittì subito solamente
perché era curiosa. Se
ne pentì immediatamente.
- Magari un membro della famiglia
reale potrebbe svolgere il compito di Primo Cavaliere del re,
è già accaduto
molte volte in passato, anche vostro fratello lo fu per vostro padre.
Per cui
mi chiedo se il principe Baelor possa...
- No.
La risposta di Bhaela era stata
secca e decisa. Aveva capito le intenzioni del maestro delle spie
appena aveva
cominciato a parlare della famiglia reale, si era già
pentita di avergli
concesso di parlare.
- Ma, principessa Bhaela,
potrebbe-
- Ho. Detto. No.
Un silenzio carico di tensione
subentrò all'affermazione decisa della Targaryen. Il maestro
delle spie stava
osservando la principessa con uno sguardo indecifrabile, mentre Bhaela
lottava
per non lasciarsi deformare il volto dalla rabbia dopo la proposta di
lord
Woolfield. Probabilmente gli sarebbe saltata addosso da un momento
all'altro. E
decisamente in modo molto più violento in cui lo facevano le
puttane del Fondo
delle Pulci.
- S-se permettete, principessa -
chiese ad un certo punto Maric Stokeworth, aprendo bocca forse per la
prima
volta quel giorno - Io d-dovrei assolvere le mie funzioni corporali.
Un altro silenzio, stavolta
pregno di un leggero imbarazzo, avvolse i presenti, almeno
finché il lord
comandante della Guardia Reale non provò a romperlo.
- Sì, credo che tutti avremmo
bisogno di una pausa.
Bhaela
si fece portare una
caraffa d'acqua da alcuni servitori. Normalmente avrebbe optato per il
vino, ma
più il giorno procedeva e più l'afa si faceva
insopportabile, solo l'acqua
avrebbe potuto moderare la calura. Il vino altrimenti l'avrebbe
infiammata
ancora di più di quanto già quella riunione non
avesse fatto, e non si voleva
ritrovare a bruciare come un pezzo di legno di sera nel caminetto.
La principessa era furiosa.
Furiosa per quel che aveva provato a fare lord Woolfield. Furiosa per
il
patetico tentativo di Baelor di prendere il potere adesso che il loro
fratello
sua maestà il re era a letto malato. Furiosa per la morte da
"febbre
fulminante" di Bar Emmon. Furiosa che Baelor esistesse. Furiosa con
Baelor. Furiosa di Baelor.
Si trovava in una stanza non
molto lontano dalla sala delle riunioni. Stava affacciata ad una
finestra,
assaporando la leggera brezza mattutina che filtrava dalle ante aperte
e che
rinfrescava leggermente quell'ambiente afoso. Se quella era primavera
lei era
Rhaenyra prima di essere mangiata da Soledifuoco. Ma quanto ci
mettevano alla
Cittadella per appurare che quella era l'estate? Aveva più
raziocinio lei che
tutti quei vecchi dementi messi assieme.
Un leggero ma deciso bussare la
distolse dalle proprie divagazioni ingiuriose sugli Arcimaestri di
Vecchia
Città. Si voltò appena mentre diceva che era
aperto.
- Mia signora - disse Darren
Marsh con un leggero inchino.
- Lord Darren, siete voi. Cosa
c'è?
- Ecco, hanno chiesto di vedervi.
E parlarvi in privato.
"Cosa?" pensò per un
attimo Bhaela confusa "Chi è che mi vuole. E sono loro a chiedere di vedermi?".
- Stanno aspettando fuori - continuò
l'uomo - Possono entrare?
- Sì sì, falli venire pure.
Bhaela si voltò completamente
questa volta, curiosa di vedere chi l'aveva disturbata. Così
magari si sarebbe
potuta sfogare con loro. Del resto lei era una principessa, nessuno le
avrebbe
potuto dire niente anche se virtualmente non aveva nessun potere. Certe
volte
era grata ad Arceus per essere nata dove era nata. Solo certe volte.
Nella stanza fecero il loro
ingresso in fila indiana tre componenti del concilio ristretto. Erano
Sunderland, Stokeworth e septon Norbert. Gli ultimi due apparivano
nervosi, il
septon stava intonando piano una preghiera alla Madre mentre il maestro
delle
leggi tremava leggermente. Sembrava comunque che alla fine il bagno
l'avesse
usato.
"Cosa vogliono?" si
chiese la principessa, perplessa e del tutto sorpresa della loro
visita. Non si
aspettava di rivederli, almeno non in quel momento, credeva che lo
avrebbe
fatto comunque a breve alla ripresa della riunione. Avvertì
l'arrivo dei guai
quando ancora i suoi visitatori dovevano aprire bocca.
- Ci dispiace avervi disturbata,
mia signora - cominciò lord Sunderland - Ma abbiamo affari
urgenti di cui
discutere.
- Per questo c'è già la riunione
tutt'ora in corso. - rispose lei con fare annoiato.
In realtà era tutt'altro che
annoiata. Era attenta. Mentre giocherellava con una ciocca dei suoi
capelli
albini guardava con attenzione i suoi interlocutori. Avevano in mente
qualcosa,
lo sentiva. Non amava i complotti, e sperava per loro che non volessero
organizzare qualche gioco di potere. Bhaela non era mai stata portata
per la
politica, come del resto anche Jaehaemion e Maera. Gli altri invece
sembravano
dei regnanti nati, come Jaehaerys e Laerion. Già, Laerion...
- Lo sappiamo.
Sembrava che Sunderland stesse
parlando a nome di tutti loro. Anche Darren Marsh annuiva mentre il
maestro
della flotta parlava, segno che anche lui era al corrente di quel
complotto in
procinto di essere rivelato.
- Ed è proprio per questo che
abbiamo scelto questo momento per venirti a parlare.
Adesso avevano catturato
completamente l'attenzione di Bhaela. Li avrebbe ascoltati, anche se
tutto quel
discorso alla fine si fosse rivelato un inutile vaneggiamento.
- Fin da quando lord Woolfield ha
menzionato il principe Baelor noi tutti abbiamo avuto un brutto
presentimento.
Sapete fin troppo bene quanto vostro fratello sia desideroso del
potere, e
crediamo... che sia in connubio con gli altri membri del concilio per
farsi
eleggere nuovo Primo Cavaliere...
"... questo ovviamente dopo
aver tolto di mezzo il predecessore, cosa perfettamente riuscita."
pensò
Bhaela, concludendo il discorso di lord Sunderland. Se il maestro della
flotta
l'avesse esternato personalmente quello sarebbe stato alto tradimento,
magari
ser Darren stesso gli avrebbe separato la testa dal collo ad un ordine
di
Bhaela. Ma non l'avrebbe fatto per due ragioni: primo, nulla del genere
era
stato detto ad alta voce; secondo, la principessa era perfettamente
d'accordo
con lui.
- Ti chiediamo di fermarlo, mia
signora.
- E come?
La richiesta di lord Sunderland
gli sembrava assurda.
- Io sono una donna, praticamente
non ho poteri reali. Potrei esservi di ben poco aiuto nelle decisioni
politiche.
- Poco ma buono - rispose il
maestro della flotta, i lunghi capelli castani che ondeggiavano ogni
volta che
muoveva la testa - E' vero che non disponi di effettivi poteri, e che
solamente
i membri del concilio ristretto si potrebbero opporre ad una tale
decisione. Ma
in quanto unico membro della famiglia reale capace di intendere e di
volere
presente ad Approdo del Re potresti darci un apporto fondamentale per
la
riuscita dell'impresa.
Bhaela ci pensò su.
Effettivamente aveva ragione, non poteva imporre nulla ma poteva invece
agevolare le decisioni dei membri del concilio ristretto. Ah, le
sottigliezze
della politica. Bhaela odiava le sottigliezze della politica. Diciamo
che
odiava la politica in generale, e anche molte altre cose.
- Tutti noi conosciamo il
principe Baelor, e sappiamo che dietro l'apparenza è
piuttosto sgradevole - disse
Sunderland,
pronunciando l'ultima parola con uno strano tono - Per cui vi stiamo
chiedendo
di formare una piccola "alleanza". Sappiamo quanto odiate la
politica, ma sarà solo per oggi, garantito.
Le affermazioni di Sunderland
erano di nuovo ricadute pericolosamente vicino alla soglia del
tradimento, ma
nemmeno stavolta la principessa diede peso a questo fatto. Concordava
con il
maestro della flotta, e per quanto odiasse i giochi di potere doveva
ammettere
che stavolta toccava a lei prendere le decisioni. Se non altro
l'avrebbe fatto
per il bene del regno.
- D'accordo, accetto. Ma solo per
oggi.
La
ripresa della riunione del
concilio ristretto si dimostrò infuocata fin da subito. In
tutti i sensi. Dalla
finestra della stanza infatti si poteva scorgere del fumo salire dal
Fondo
delle Pulci, probabilmente a causa dell'afa era scoppiato un incendio.
Chissà,
magari la scintilla del martello di un fabbro, un focolare lasciato
incustodito, un pokemon non guardato, ognuna di queste cose poteva aver
dato
fuoco a qualche mucchio di paglia marcia o a qualche catasta di legno
vecchio
nella parte peggiore di Approdo del Re. Non che l'atmosfera alla
Fortezza Rossa
in quel momento fosse di molto migliore.
Fin dalle prime battute Bhaela
capì che mentre i tre del concilio erano da lei gli altri
avevano egualmente
complottato per lo scopo opposto. Da cosa lo capiva? Semplice, dal
fatto che
adesso Rykker, Brune e il Gran Maestro parlavano come se Baelor fosse
stato la
loro dolce mammina ancora adesso. L'improvvisa e rinnovata devozione
con cui ne
parlavano dava alla principessa il voltastomaco. Se solo ne avesse
avuto la
possibilità avrebbe sguainato la spada e li avrebbe aperti
in due seduta
stante. Nel frattempo Chelsted annuiva a qualsiasi affermazione con
aria
assente, probabilmente sarebbe presto stato usato come una marionetta
in una
possibile votazione.
Il Gran Maestro non aveva inviato
un corvo a lord Martell come gli era stato richiesto, e Bhaela stava
facendo
fatica a controllare la rabbia. Lei era una Targaryen, e quell'insulso
essere
di un Redfort le doveva rispetto, deferenza e obbedienza assoluta, non
fare il
bello e il cattivo tempo sulle sue decisioni. La principessa stava
cominciando
a riconsiderare le posizioni di Maegor il Crudele riguardo alla sorte
dei Gran
Maestri. Il re infatti ne aveva decapitati due di propria mano, il Gran
Maestro
Gawen perché aveva protestato alla sua ascesa al trono e il
suo successore
Desmond per non aver fornito un aiuto sufficiente al parto della regina
Alys
Harroway. Erano stati uccisi per molto meno di aver disatteso un
ordine, se
Bhaela fosse stata regina...
- Principessa - disse Woolfield,
cercando di mantenere un tono più calmo e pacato possibile -
Non è stato raro
che la posizione di Primo Cavaliere sia stata affidata ad un membro
della
famiglia reale. Pensate ad esempio a Baelon Targaryen per suo padre
Jaehaerys
il Conciliatore, oppure per Viserys Targaryen quando sul trono ci
furono suo
fratello Aegon III, e poi i suoi figli Daeron I e Baelor il Benedetto -
e
rimarcò l'ultima parola in tono mellifluo - prima di
diventare re egli stesso.
"Già, chissà perché Viserys
alla fine è diventato lui stesso
re.".
- Oppure anche vostro zio Aenar
in favore di Aerys, suo fratello maggiore, prima di portare la corona
dopo di
lui. Non capisco perché siate così riluttante a
concedere a vostro fratello
cotale privilegio.
- Non sono tenuta a fornirvi
spiegazioni - rispose lei con fare sprezzante - Se proprio devo farlo
parlerò
col diretto interessato.
- Sapete benissimo - intervenne
Rykker - che vostro fratello al momento è in visita a Rosby.
- Bé - ribatté Sunderland - Se si
è scomodato per andare a Rosby mentre le condizioni del
Primo Cavaliere
precipitavano vuol dire che non ci teneva poi molto ad avere quella
carica.
"Eccome se ci tiene"
pensò Bhaela "Probabilmente il fatto di andare a Rosby
è stato solo un
diversivo. Sono pronta a scommettere che in realtà non ha
nemmeno lasciato la
città, quel figlio di puttana. Se chiedessimo a Rosby sono
sicura che lord
Damon risponderebbe che Baelor è stato con lui per tutto il
tempo.". Ecco
un'altra cosa che Bhaela odiava del fratello, sembrava avere amici
dovunque.
Sarebbe stato davvero bene come maestro delle spie, se non che una
carica del
genere non si addiceva ad un membro della famiglia reale.
- Vi ricordo che il principe -
protestò Woolfield - è partito prima che lord
Morgan cominciasse a mostrare i
sintomi della malattia. Come poteva immaginare che sarebbe morto di
lì a poco?
"Lui non immaginava. Lui
sapeva.".
- Già - lo sostenne Brune - Sono
stato io in persona ad accompagnarlo fino alle mura e a farlo uscire
dalla
Porta del Drago.
- Poco importa, non è comunque
adatto per il ruolo di Primo Cavaliere - continuò Bhaela
imperterrita.
- E chi vorreste proporre al suo
posto? - disse Rykker - Quell'idiota di Rhaegon?
- Non. Offendete. Mio fratello. -
ringhiò Bhaela. Era a tanto così dallo snudare la
sua lama.
- Sappiamo tutti - cominciò a
parlare il Gran Maestro - che i dorniani sono gente infida e astuta.
Prendete
Duncan Martell. E' stato Primo Cavaliere per due incarichi, entrambe le
volte
in momenti delicati quali erano la Ribellione di Matarys e la Primavera
di
Sangue. La prima volta era un ragazzino, la seconda un vecchio, ma si
è
dimostrato sagace in entrambe le occasioni. Aveva il reame in mano sua,
ma non
ha nociuto in alcun modo alla corona. Questo solo perché non
aveva modo di
farlo. So di ripetermi, ma non c'è da fidarsi dei Martell.
- Calmatevi, principessa - gli
aveva nel frattempo sussurrato ser Darren mettendo una mano sul fodero
della
sua spada - Non è il momento di lasciarsi cogliere dall'ira.
Bhaela sbuffò, ma sapeva che il
cavaliere aveva ragione. Una strage nel bel mezzo di una riunione di un
concilio ristretto sarebbe stata di ben poco aiuto in quel momento, a
parte
ovviamente provocare qualche morto in più e lasciare libera
la strada per
Baelor. E Bhaela non aveva intenzione di concedere questo vantaggio a
suo
fratello.
- Effettivamente - fu lord
Woolfield a continuare la conversazione - Nessun dorniano a parte il
già citato
ser Duncan è mai stato Primo Cavaliere. E ci deve pur essere
un motivo per
questo. Ebbene, io dico di continuare su questa strada. Il mio voto va
al
principe Baelor.
"Adesso è una votazione,
tsk". Il tono mentale di Bhaela era sia indignato che sprezzante allo
stesso tempo, ma questa decise di dargliela vinta. Erano, nella
peggiore delle
ipotesi, cinque contro cinque, un perfetto pareggio non avrebbe
cambiato le
cose. "Massì, lasciamoglielo pure fare.".
- Visto che avete cominciato -
disse lei ad alta voce - direi di procedere con le votazioni.
Furono in molti a guardarla in
modo perplesso. Una votazione nel concilio ristretto non veniva
effettata da...
quando? Il regno di Aegon il Buono, morto quarant'anni prima? Molto
probabile,
e c'erano i suoi perché. Ma a Bhaela non importava da quanto
venisse fatta,
trovava che fosse la cosa giusta da fare.
- Lord Sunderland? - chiese,
spronando il maestro della flotta.
- Io mi pronuncio per lord
Martell, e questo è quanto.
- Molto bene. Lord Rykker?
- Il principe Baelor è il più
indicato per questa carica, anche se rimango del parere che Unwin Fell
non sia
del tutto da scartare.
"E siamo uno a uno.".
- Lord Woolfield, avete per caso
cambiato idea?
- L'ho già detto, ritengo il
principe la persona più indicata - disse lui, accarezzandosi
i corti e
sudaticci capelli castani - per questo tipo di ruolo. Sì,
decisamente il mio
voto va a lui.
- Lord Brune?
- Il principe.
"Merda.". La risposta
secca e decisa del lord comandante della Guardia Cittadina aveva
portato i
sostenitori di Baelor in netto vantaggio, Bhaela cominciava seriamente
a temere
di essersi sbagliata. Ma era solo l'ansia del momento, la situazione
era
infatti destinata a rimanere neutrale, non molto diversa da quelle di
prima.
- Septon Norbert?
- Per la Madre, io parlo a nome
dell'Alto Septon. E l'Alto Septon ritiene che il matrimonio contratto
dal
principe con sua sorella Maera non sia consono ad un membro della
famiglia
reale. Noi del Credo non facciamo politica, per cui il mio voto va a
chiunque
non sia il principe Baelor. E quindi credo che lord Martell sia una
valida
alternativa.
"Tre a due.".
- Ser Darren?
- Per quanto sia mio compito
proteggere i membri della famiglia reale, non lo è certo
quello di agevolarli
nell'ascesa politica. Non sono mica il Primo Cavaliere io. Vada per
lord
Martell.
"Tre a tre.".
- Gran Maestro?
- Il mio parere - disse quello
con fare lento e strascicato - è il medesimo di prima. Il
principe Baelor va
eletto Primo Cavaliere per molte ragioni, ad esempio...
- Sì, abbiamo capito. - lo
interruppe bruscamente Bhaela - Lord Stokeworth?
- L-lord Martell va bene. L-la
mia fedeltà va alla corona, ed è per questo c-che
voglio veder diventare
P-primo Cavaliere l'uomo che più se lo merita.
Pur balbettando lord Maric aveva
riportato la situazione in parità. Quando lo guardava Bhaela
gli faceva un po'
di pena. Sapeva che era un esperto giurista, lei non aveva mai
partecipato ad
una riunione del concilio ristretto prima di allora, ma aveva udito
tutto su di
lui dai commenti ironici dei servitori. La balbuzie e l'insicurezza di
lord
Stokeworth erano motivo di grande ilarità a corte, non
passava giorno che non
si ridesse di lui.
- Per quanto mi riguarda -
riprese Bhaela - Io voto per lord Martell. Conosco abbastanza bene mio
fratello
da sapere che il ruolo di Primo Cavaliere del re non è
adatto a lui.
La faccia di lord Rykker si
crucciò, ma quelle degli altri membri del concilio ristretto
rimasero
perfettamente impassibili.
- Molto bene, direi che con
questo abbiamo concluso. - Bhaela si alzò, facendo per
andarsene - Maestro
Cedric, inviate immediatamente un
corvo a lord Derrick Martell per informarlo della sua nomina. Fatelo...
- Un momento! - esclamò lord
Rykker scandalizzato - E ser Halys? Lui non vota?
- Ehm, dovrebbe? - chiese Bhaela.
- Certo che deve! - c'era un che
di maligno nel fare del maestro del conio - E' anch'egli un membro del
concilio
ristretto, e quindi ha il diritto di voto come noi. Vero, ser Halys?
Il cavaliere interpellato annuì,
probabilmente senza nemmeno sapere cosa gli era stato chiesto. La sua
espressione assente dava conferma di tutti i sospetti i Bhaela, i
"nemici" del concilio intendevano usarlo come uno strumento.
- Invece lui non voterà. Guardate
com'è ridotto, nemmeno ci sta ascoltando e annuisce
meccanicamente.
- Ma rimane pur sempre un membro
del concilio ristretto!
- Effettivamente - intervenne il
maestro delle spie - Questo è vero, per cui teoricamente
anche lui deve
votare...
- Ma che sciocchezze andate
dicendo - disse lord Sunderland - Nelle sue condizioni non gli
è possibile
votare, mi pare ovvio.
- Certamente che è possibile per
lui esprimere la propria opinione!
I toni si stavano facendo
concitati e anche piuttosto alti, tanto che si dovevano sentire in
tutti i
corridoi adiacenti.
- Mica è la lingua a mancargli!
Allora, ser Halys, voi per chi vi esprimete? Per il principe Baelor o
per Lord
Martell?
- Sì, sì. - fece lui muovendo
leggermente la testa.
- Vedete? - continuò lord Rykker
imperterrito - Ha detto sì.
- Esatto! Ha detto sì! - Bhaela
non ne poteva più - E "sì" in questo momento non
costituisce una
risposta!
- E perché no? Ha annuito quando
ho parlato del principe Baelor!
- Lui annuisce sempre, adesso non
fate il furbo.
- Nessuno sta facendo il furbo.
Questa è una votazione e ser Halys ha votato per il
principe, mi sembra molto
chiaro.
- Come osate...?!
"... prendervi gioco di
me" sarebbe dovuto uscire anch'esso dalla bocca della donna. Aveva
anche
portato mano all'elsa della spada, pronta ad estrarla e a decollare lei
stessa
l'uomo che aveva avuto l'insolenza di contrastarla, ma accadde qualcosa
che
bloccò quella discussione e anche qualsiasi altra disputa in
corso in quel
momento.
- Basta!
La voce, pur distorta e arrochita
dalla malattia, giunse forte e chiara in ogni dove della sala. Tutti si
girarono verso la porta, desiderosi di sapere chi l'avesse interrotti
in un
momento così delicato e di magari mandarlo via a calci.
Calci per i quali
sarebbero sicuramente tutti stati uccisi, visto che il "disturbatore"
altri non era che re Jaehaerys.
Jaehaerys Targaryen, terzo del
suo nome, era stato fino a qualche anno prima un uomo atletico, non
grosso
quanto la sorella ma abbastanza temibile con la spada e la lancia.
Ebbene,
quello che Bhaela si ritrovò davanti era solamente la sua
pallida ombra. Magro,
provato dalla malattia, una barbetta rada ad increspargli le guancie, i
capelli
argentei che gli ricadevano flosci sulle spalle, gli occhi che
lacrimavano per
la fatica di rimanere aperti, e il tutto sostenuto da un servitore. Una
camicia
di lino pregna di sudore gli copriva il torace, mentre dei pantaloni di
tela
ormai madidi gli penzolavano flosci ogni qualvolta si muoveva.
Bhaela era sgomenta. Quello non
poteva essere suo fratello. Il re che aveva conosciuto non si era mai
lasciato
ridurre così da una malattia, come ad esempio quando era
stato ferito al primo
attacco contro le Tre Sorelle oppure alla Battaglia del Bosco delle
Piogge.
Eppure, davanti a quell'essere,
tutti
meno lei chinarono la testa in segno di rispetto, tranne ser Darren che
si
precipitò a sostenere il proprio monarca.
- Sire, perché non mi avete fatto
chiamare? - chiese preoccupato - Vi avrei portato io stesso!
- Lo so... lo... so... coff
coff...
Per quelle quattro parole l'uomo
pareva aver fatto una fatica immensa, al punto che dopo un violento
colpo di
tosse aveva dovuto riprendere fiato. Respirò pesantemente
per alcuni attimi,
finché fece cenno al servitore che lo sosteneva di lasciarlo
andare. Rischiò di
crollare a terra tanto gli mancavano le forze, ma venne subito ripreso
dal lord
comandante della Guardia Reale.
- Sire, dovete stare a letto per
guarire, il Gran Maestro ve l'ha raccomandato.
- Ne... sono consapevole...
coff... ma tutto il vostro discutere... ha richiamato la mia
attenzione...
stavate facendo un bel po' di confusione... coff coff... vi si sentiva
persino
dalle mie stanze... coff coff...
- Perdonateci, vostra maestà -
disse Woolfield mesto, col capo chino - Non era nostra intenzione...
- Bar Emmon... è morto, vero?
- Purtroppo sì, mio re.
- Immagino... che stiate
discutendo... su chi mettere al suo posto... coff coff...
- Esattamente, vostra maestà.
Il re si fece così ricapitolare i
contenuti di quella riunione (esclusi ovviamente i vari litigi e
alleanze
segrete che vi erano state). Jaehaerys non parlò
più mentre Woolfield gli
diceva tutto per filo e per segno, si limitava ad annuire lievemente
ogni
tanto. Infine, quando credette di averne recepito abbastanza, gli fece
un cenno
con la mano, al che il maestro delle spie tacque.
- Molto bene... coff coff...
credo di aver capito... e... credo di aver preso una decisione...
"E' pur sempre il re"
pensò Bhaela "La scelta finale spetta comunque a lui.".
- Credo...
I membri del concilio rimasero
tutti, Bhaela compresa pur non facendone parte, col fiato sospeso.
- Che lord Woolfield abbia
ragione... un membro... coff... della famiglia reale... è
quello che ci vuole
adesso...
"Merda.".
- So che Baelor è a Rosby...
coff... Gran Maestro, mandate subito un corvo ad avvertirlo...
- Sarà fatto, vostra grazia.
Mentre il re si allontanava
lentamente e il concilio si scioglieva, Bhaela rimase immobile nella
sala.
Guardò per terra e digrignò i denti. Aveva perso,
in un campo che per di più
detestava. E lei odiava perdere.
Note dell'autore
Ecco, quinto capitolo. Scusate ma questi tempi si stanno rivelando
più difficili del previsto, lasciandomi molto meno tempo da
dedicare alla storia.
Comunque, alla faccia di quelli che dicono che la trama fin'ora non
c'era, adesso non potete dire che non ci sia. Rosicate, bitches!
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Capitolo 7 *** Robert I ***
Robert
Il
torneo riprese esattamente
dopo il tempo che lord Royce aveva concesso a tutti per rimettersi in
sesto. I
cavalieri e i vari nobili erano tutti tornati alle loro tende per
consumare il
proprio pasto, mentre Robert, assieme al padre, Daeron, lord Royce e
qualche
altro signorotto che non conosceva era tornato al padiglione paterno.
Il fresco che c'era stato di
primo mattino, quando ancora lui, Daeron e Vilon si nascondevano a Neo
del
Crinale, era scomparso per lasciare il posto ad un afa soffocante come
non se
n'erano mai percepite nella storia della Valle. "Forse" si era
ritrovato a pensare più volte Robert "E' vero che l'estate
sta
arrivando.".
Il padiglione di lord Arryn era
piacevolmente fresco e ombroso rispetto al torrido esterno, Robert
dovette ammettere
che ci si stava davvero bene. Una tavola era stata approntata per i
nobili,
alla quale avevano preso posto tutti loro. Il lord suo padre si era
seduto a
capotavola, mentre il principe al lato opposto. Robert si era sistemato
accanto
a quest'ultimo, e si era trovato subito a proprio agio.
Il pranzo era stato ottimo in un
ambiente altrettanto piacevole: erano stati serviti dei deliziosi
spiedini di
castrato ancora colanti del grasso di cottura contornati con delle
patate
arrostite nel suddetto grasso. Per finire, probabilmente per compensare
l'alta
temperatura esterna, erano stati serviti dei biscotti di farro e
zucchero di
canna guarniti di panna gelata. "Scesi direttamente dal Nido
dell'Aquila
una mezzora fa" aveva assicurato il servitore che si occupava di
portare i
piatti e servire da bere.
C'era stato vino per tutti,
perfino per Daeron, mentre invece a Robert era stata data solo
dell'acqua.
"Sei troppo giovane ancora per il vino" gli aveva detto strizzandogli
la guancia suo padre. Ma a Daeron l'avevano dato il vino, probabilmente
solo
per il fatto che fosse il principe e in qualità di suo
protetto lord Arryn non
gli doveva far mancare mai nulla. Nonostante fosse un poco geloso,
Robert era
riuscito a godersi ugualmente il pranzo.
Ma il suo amico non era sembrato
apprezzare allo stesso modo. Se n'era sempre stato il silenzio con aria
annoiata, appoggiato con un gomito sul tavolo e mezzo girato verso una
direzione casuale. Aveva giocherellato col cibo per tutto il tempo,
solo
qualche volta aveva staccato qualche boccone di carne che aveva
prontamente
fatto cadere nelle fauci del suo pokemon, accoccolato ai suoi piedi.
A Robert quel Deino aveva sempre
messo soggezione, nonostante Daeron continuasse ad affermare che fosse
buono
come il pane. Una volta Robert aveva provato ad accarezzargli la testa
ma era
riuscito a ritrarre la mano prima di venire morso. Se davvero quella
creatura
era "buona", lo era solo con Daeron.
Ovviamente lord Aeron glielo
lasciava tenere dovunque andasse, sempre perché era un
principe, pur abbastanza
basso nella successione. Ah, il lord suo padre, cosa non avrebbe fatto
per non
far bella figura con la corona. Peccato che facendo così
aveva sembrato
tralasciare suo figlio. Robert ancora non aveva un pokemon, suo padre
diceva
che erano bestie pericolose, adatte a rozzi bruti del volgo e non certo
ad un
nobile. Ma Daeron non sembrava di certo un rozzo bruto del volgo.
Quando ripresero posto sulle
pedane Robert si sedette nuovamente vicino al suo amico, notando un
particolare
che lo fece sorridere. Daeron infatti sembrava molto più
attento al torneo che
stava per ricominciare di quanto non lo fosse stato prima. Il ragazzo
poté
veder luccicare negli occhi al di sotto dei capelli argentei a
caschetto
striati di bruno dell'amico quello stesso luccichio che lui stesso
provava ogni
qualvolta guardava un torneo. Certo, questo era di
un'intensità molto ridotta,
ma c'era. Robert Arryn era sempre stato un appassionato di tornei, e
gli faceva
piacere aver visto finalmente Daeron venire anch'esso contagiato dalla
sua
passione.
L'araldo richiamò l'attenzione
una volta che tutti si furono sistemati. Quando lord Royce gli fece
cenno di
parlare, l'uomo suonò un corno e poi cominciò a
declamare i cavalieri che
avrebbero dovuto giostrare.
- Ecco! Ecco che ricomincia il
torneo! Silenzio, miei signori!
Immediatamente tutte le voci si
zittirono sulla piana al di sotto delle Porte della Luna.
- La competizione riprenderà da
dove si era interrotta! Fra pochi istanti il Campione ser Bors Arryn si
dovrà
confrontare... - al che Arryn estrasse un nome dall'urna e lo porse
all'araldo
- ...con ser Donnel Darke!
"Darke di Duskendale"
pensò Robert, ricollegando il nome alle lezioni di araldica
impartitegli da
maestro Pyman in tutti quegli anni "Discendenti degli estinti Darklyn".
Donnel Darke era un cavaliere dalla corporatura non particolarmente
prominente,
ma che riuscì a spezzare due lance contro il forzuto zio di
Robert prima di
cadere da cavallo e dichiararsi sconfitto.
Il secondo avversario di Layn
Corbray fu invece un nuovo Redfort, ser Jaremy, fratello minore di
Torrerossa. Somigliava
davvero molto a Torrerossa, soprattutto per il fisico.
Riuscì a mettere
seriamente in difficoltà l'uomo di Casa del Cuore, facendolo
cadere giù da
cavallo già alla prima lancia e saltandogli addosso. Il
combattimento corpo a
corpo era stato davvero concitato, molti spettatori fra cui Robert
stessi erano
stati col fiato sospeso, ma alla fine ser Layn era riuscito ad estrarre
la
spada. Redfort, memore del fato toccato a ser Gyles Grafton, si arrese
subito.
Una volta che Jaremy Refort fu
uscito dal campo l'araldo si fece di nuovo avanti, portando l'urna e
chiamando
nel frattempo ser Ronas Martell per estrarre un nuovo nome. Il dorniano
si fece
attendere un po'. "Certo, vuole creare l'atmosfera" pensò
Robert.
Quando un cavaliere faceva così il ragazzo si sentiva molto
eccitato, voleva in
fondo essere una dimostrazione di superiorità nei confronti
degli avversari.
Quando i grandi lord cominciavano
a spazientirsi, Lancialucente apparve da un ingresso laterale. Era a
piedi, e
stava conducendo il suo cavallo senza fretta. A Robert quasi venne da
ridere
quando guardò la faccia di suo padre. Lord Arryn appariva
irritato, mentre lord
Royce al suo fianco era senza parole. Alla fine non ce la fece
più, e all'erede
del Nido dell'Aquila scappò una risatina. Daeron, seduto al
suo fianco, sorrise
anch'esso.
Quando finalmente Martell si
affiancò all'araldo gli diede le redini del suo cavallo. Il
pover'uomo, già
recante l'urna con due mani, si dovette contorcere e arrabattare in
modi
impossibili per tenere le redini e non far cadere l'urna allo stesso
tempo,
provocando il divertimento generale. Robert un po' si
spazientì, lui voleva il
torneo, non certo vedere un araldo comportarsi come un buffone.
Ronas Martell rovistò un po' con
la mano dentro l'urna guardando tuttavia dall'altra parte, estraendo
infine un
pezzetto di carta all'apparenza più stropicciato degli
altri. Si riprese le
redini del cavallo, non prima di aver consegnato il biglietto al
già stracarico
araldo, il quale o per fortuna o per bravura era ancora riuscito a non
far
cadere nulla.
L'uomo, sfinito, appoggiò l'urna
per terra e riprese fiato un attimo. Ci furono altre risate
apparentemente
senza motivo, poi procedette a leggere.
- Il prossimo sfidante... per ser
Ronas Martell è... ser Ben Simisage!
Immediatamente la folla, a
sentire quel nome, si ammutolì. Anche Robert rimase quasi
pietrificato, non si
aspettava che quello fosse proprio
lì.
Nemmeno una mosca volava in quel momento, si poteva distintamente udire
il
sibilo del vento che infuriava appena poche decine di metri
più in alto. Alcuni
spettatori, non molto distanti dai ragazzi, fissarono il Deino di
Daeron.
Il principe invece era rimasto
tale e quale a com'era prima, il nome sembrava non aver sortito nessun
particolare effetto su di lui. Anzi, le improvvise attenzioni altrui
riservate
al suo pokemon cominciarono a spazientirlo. Con uno sguardo truce
fulminò tutti
coloro che stavano fissando Vhagar, i quali immediatamente si voltarono
da un'altra
parte facendo finta di niente.
- Insomma, cos'avrebbe di
particolare quel nome? - chiese irritato a Robert quando ebbe finito di
guardar
male la gente. L'amico in risposta sgranò gli occhi.
- Davvero non lo sai?
Robert era confuso. Come poteva
Daeron, che pure era un membro della famiglia reale, non sapere nulla
sui
Simisage?
- Sapere cosa? Dimmi cosa devo
sapere, odio quando la gente guarda Vhagar in quel modo.
- Va bene - rispose Robert,
ancora sorpreso dalla dimostrazione di "ignoranza" dell'amico - Anche
se mi sembra strano che proprio tu, un Targaryen... bé,
comunque, sicuramente
conoscerai la Battaglia della Strada del Re.
- Certamente - rispose Daeron -
Quando re Aegon il Buono si scontrò contro suo cugino e
pretendente al trono
Matarys. Sarà stato... sessant'anni fa?
- Sessantadue.
- Però, non sapevo conoscessi
così bene la storia.
- Sai, maestro Pyman ha sempre
voluto che fossi preparato. E' incredibilmente noioso ma anche utile,
ti
invidio ogni volta che sei libero di esplorare la Lancia del Gigante
mentre io
sono bloccato a studiare col maestro. Comunque mi sembra strano che tu
non
conosca la storia della tua stessa famiglia.
- Non sono uno a cui importa
molto della storia. O della geografia. O di qualsiasi altra materia
letteraria.
Conosco un po' di araldica, ma niente di che. Procedi insomma.
- Bé, Aegon rischiò la vita
parecchie volte in quello scontro, tanto che si scontrò col
grande ser Andrew
Mallister e per poco non venne ammazzato da Ormond Deddings, detto lo
Sgozzanobili. Poi il re si scontrò direttamente con Matarys,
e stava quasi per
soccombere quando in suo aiuto venne Havel, un soldato di lady Wode.
Grazie al
suo aiuto il re poté ribaltare la situazione, in quanto
facendogli scudo Havel
gli permise di trovare la giusta occasione per uccidere Matarys e
infine per
annientare le sue forze rimanenti. Dopo la battaglia il re fece
cavaliere il
suo salvatore e gli conferì il titolo di lord di Padelle
Salate, la città che
sta sulla Baia dei Granchi. Havel assunse il cognome di Simisage e il
suo
discendente Lautrec possiede ancora oggi quel posto.
- E dove sarebbe tutta questa
specialità? Ho sentito di molti altri divenuti signori di
qualche terra grazie
ad imprese simili.
- Vedi, Havel e tutta la sua
famiglia... sono dei pokemon.
Lì Daeron parve davvero
impressionato, al punto che aprì la bocca per lo stupore.
- Dei pokemon? Cosa?
- E' la reazione che hanno tutti
quando sentono per la prima volta parlare di loro.
- E' che, sembra strano... voglio
dire, una cosa del genere so essere possibile ad Essos, ma pensavo che
a
Westeros...
- Se dici così allora vuol dire
che non hai studiato l'araldica come dai a vedere. Oltre a lord
Simisage posso
citarti, che so, lady Froslass di Corona della Regina, lord Poliwrath
di Grande
Wyk...
Robert si interruppe lì, vedendo
che l'attenzione dell'amico era stata attirata da qualcosa, o meglio da
qualcuno alle sue spalle. Robert, girato verso l'interno della tribuna,
si
voltò e vide per la prima volta l'oggetto di quella
discussione.
Ser Ben Simisage si presentò a
cavallo, ma era palesemente a disagio. Evidentemente non era abituato a
montare
degli animali, in fondo lo era anche lui per certo versi. Faceva
leggermente
impressione, il manto verde foresta e le zampe all'apparenza morbide a
penzoloni, mentre si faceva consegnare la lancia.
Appariva come un normale membro
della propria specie, solamente con diverse cinture di cuoio che lo
legavano
alla sella (evidentemente non era capace di cavalcare, o comunque se lo
faceva
lo faceva in una modalità scorretta) e un mezzo elmo che gli
schiacciava il
caratteristico ciuffo di... capelli? No, peli suonava decisamente
meglio.
Nessun grido di acclamazione e
incoraggiamento si levò dal pubblico, né per il
pokemon né per il suo sfidante
ser Ronas Martell, il quale evidentemente non aveva il sostegno del
pubblico. A
Lancialucente, proprio come a Daeron inizialmente, la fama e poi la
vista
dell'avversario non avevano destato nessuna particolare reazione.
Evidentemente
a Dorne le usanze e i comportamenti verso i pokemon erano molto
più aperti.
Oppure semplicemente non gli importava.
I due cavalieri si passarono
vicino quando s'apprestarono a raggiungere le proprie postazioni di
partenza, e
quando i cavalli passarono a meno di dieci pollici di distanza i due si
fecero
un inchino, prima Lancialucente e subito dopo il pokemon come risposta.
Robert
non sapeva se quella fosse un'altra usanza dei dorniani, ma credette di
no
visto che nel precedente incontro di Martell con Torrerossa. Forse
Lancialucente pensava di aver trovato un combattente al suo livello?
Oppure lo
scontro era troppo particolare per non stabilire un qualsiasi tipo di
rapporto
con l'avversario?
Umano e pokemon presero i propri
posti, stabilizzando le lance e sistemandosi gli elmi. Quando venne
dato il
segnale apposito entrambi diedero di speroni, partendo in un galoppo
sfrenato.
Sia Martell che il suo avversario sembrarono non apprezzare
più di tanto le
modalità di combattimento, visto che le prime quattro lance
andarono a vuoto.
Robert sentiva che nessuno dei
due vi aveva messo una reale intenzione di vittoria. Lui, in tutta la
sua breve
vita, aveva assistito a non meno di una decina di tornei, e conosceva
bene il
comportamento di chi si prepara a sfidare un cavaliere sperando di
disarcionarlo. Conosceva anche quello di chi sperava di essere
disarcionato, e
nei due sfidanti non aveva riscontrato né l'uno
né l'altro. Era come...
Ma certo, si stavano studiando.
"Che stupido" si maledì Robert "Come ho fatto a non pensarci
prima? Stanno valutando la forza l'uno dell'altro, devono ancora
cominciare a
fare sul serio.". I cavalieri più bravi facevano
così quando trovavano un
avversario di cui non erano in grado di quantificare
l'abilità a colpo
d'occhio. "Ecco che partono...".
La quinta lancia fece per la
prima volta sussultare gli astanti. Stavolta entrambi gli sfidanti
sembrarono
fare sul serio, tanto che Robert poté vederli belli
concentrati già prima che
si fossero avvicinati l'uno all'altro. Lancialucente colpì
in pieno lo scudo di
Simisage ed esplose in mille pezzi, facendolo sussultare ma
paradossalmente
anche rimettendolo nella corretta posizione sulla scomoda sella. L'arma
del
pokemon invece mancò il bersaglio, passando al di sopra
della spalla sinistra
di Martell e mancandolo per poco meno di una spanna.
- Ecco, così si fa!
Il grido del giovane Arryn
risuonò forte e chiaro per tutto il campo, facendo voltare
alcune teste a
guardarlo. Perfino quella del lord suo padre, il quale lo
guardò severo. Non
aveva mai approvato quella sua passione per i tornei, a quanto pare
Aeron Arryn
voleva che il figlio non diventasse un bravo cavaliere ma solo un bravo
lord,
nulla più, esattamente come lui.
Il ragazzo si fece piccolo
piccolo per l'imbarazzo nella sua postazione. Non aveva la minima idea
di dove
avesse mai potuto trovare la forza e il coraggio per fare quel grido.
Daeron lo
guardò divertito mentre cercava di nascondersi col braccio,
e il sorriso
malizioso gli restò impresso per parecchio tempo in seguito.
Vhagar invece
continuava a sonnecchiare tranquillo ai piedi del proprio padrone.
L'urlo sembrò comunque aver avuto
qualche effetto, poiché entrambi i contendenti sorrisero a
sentire quella
specie di sostegno. Martell si risistemò l'elmo mentre
Simisage si spostò più
in avanti sul dorso del cavallo, la coda color verde foglia che
sferzava
nervosamente l'aria sopra il didietro dell'animale.
Armeggiò per un po' con le
cinghie che lo tenevano legato al cavallo, e si sollevò un
mormorio di dissenso
dalla folla. Nelle lizze dei tornei i cavalieri dovevano essere
disarcionati e
non era ammesso l'uso di qualsiasi mezzo che lo potesse impedire, e per
questo
Simisage aveva inizialmente chiesto di poter combattere a piedi fin da
subito.
Gli era stato detto di no ma maestro Pyman, vedendo il curriculum di
tutto
rispetto del pokemon (tre primi posti e sette secondi posti in tornei
di tutte
le Terre dei Fiumi, il più importante dei quali quello di
Delta delle Acque di
due anni prima), vincitore di numerosi tornei e uno dei pochi della sua
razza
ad essere mai stato fatto cavaliere, non gli aveva potuto rifiutare
quell'opzione.
Robert si chiese quanti guai
avesse affrontato (e avrebbe dovuto affrontare) il maestro per quella
decisione
in caso di vittoria del pokemon. Ma del resto l'avversario di Simisage
rimaneva
Lancialucente, ed una sua vittoria risultava piuttosto improbabile
anche
tenendo conto dei vantaggi che la sua particolare specie gli conferiva.
Il
dorniano era semplicemente troppo abile per perdere, indifferentemente
dalla
razza dell'avversario.
Solo che Simisage non sembrava
stare stringendo le cinture, sembrava piuttosto che le stesse allentando. "Ha in mente qualcosa,
ci scommetto il mio farsetto di velluto di Tyrosh". Era palese, almeno
per
Robert, che il pokemon stesse escogitando qualcosa. Che fosse una
manovra
simile a quella di Lancialucente con Torrerossa di poco prima? No,
decisamente
il dorniano non era tipo da farsi cogliere di sorpresa con una delle
sue stesse
tecniche. Ma allora cosa stava escogitando?
I due finalmente partirono.
Lancialucente si avviò ad un trotto leggero, mentre Simisage
assestò un
poderoso colpo di cosa al deretano della sua cavalcatura, la quale
imbizzarrita
parti al galoppo. Repentinamente Simisage spostò la lancia
di lato... e la
lasciò cadere. Con un fendente carico di energia erbacea
tranciò di netto una delle
cinghie che lo legavano al cavallo, poi un altra e poi un'altra ancora.
Nel frattempo Martell aveva
sollevato la propria lancia, allineandola col pokemon intento a
liberarsi. Ma
quando il colpo sembrò ormai inevitabile, Simisage
riuscì a rompere anche l'ultima
cintura si alzò in piedi sul dorso del cavallo e con
un'elegante capriola saltò
sopra alla lancia. Atterrò nel punto dove Martell teneva
l'arma con la mano
destra e gli assestò un poderoso calcio al ventre.
Evidentemente però Lancialucente
si era aspettato qualcosa del genere, visto che appena il colpo
sembrò andare a
segno si inarcò paurosamente, stringendo nella morsa formata
dal suo corpo e
dalla lancia l'avversario, lasciandosi poi cadere di lato. Entrambi
scivolarono
giù dalla cavalcatura, ma mentre Martell si
schiantò malamente sul terreno
Simisage fece un giro della morte a mezz'aria per poi atterrare nella
polvere
con un'altra capriola.
Il pokemon si rialzò subito, la
faccia attraversata da un sorriso. O almeno ciò appariva,
Robert non sapeva se
quella fosse la sua espressione normale oppure no visto che anche ad
inizio
gara ce l'aveva. Comunque, anche se il sorriso fosse stato vero sarebbe
ben
preso morto, in quanto Martell si rialzò, seppure malfermo,
trattenendo ancora
la lancia da torneo. La gettò a terra e si fece dare la sua
personale,
mantenendosi poi sulla difensiva.
I due si girarono attorno per un
po'. Simisage, il manto verde sporco di polvere e la faccia incrostata
di
terra, sferzava violentemente l'aria dietro di sé con la
coda, gonfiando
regolarmente il petto forse per apparire più grande; in
faccia aveva sempre
quella specie di sorriso, che rendeva difficile capire le sue vere
intenzioni.
Martell, il braccio sinistro penzoloni e probabilmente rotto, la sua
lancia di
legno d'arancio della destra, un'espressione risoluta sul viso, le
labbra
serrate.
Robert poteva non comprendere
molte cose, ma almeno una l'aveva capita: entrambi i contendenti erano
ben
determinati a vincere quell'incontro. Entrambi però
esitavano ad attaccare,
aspettando che fosse l'altro a fare la prima mossa. Robert aveva visto
solo
Lancialucente combattere e unicamente una volta, ma aveva intuito che
non era
tipo che attaccasse per primo. Così si limito a sedere e ad
aspettare
trepidante. Daeron al suo fianco guardava l'incontro con espressione
indecifrabile mentre accarezzava la testa del suo pokemon.
Robert seppe di avere ragione
quando fu Simisage, con un gran balzo, ad attaccare Martell. Gli
saltò
direttamente addosso, sembrando coglierlo di sorpresa. Essendo
controsole,
Lancialucente si coprì col braccio della lancia per evitare
di venire
abbagliato, e Simisage gli atterrò addosso. Robert
sospettò lo avesse fatto per
proteggersi non dal sole ma dall'avversario.
Entrambi rotolarono per terra, la
lancia di ser Ronas che se andava lontano per conto suo. Simisage fu il
primo
ad andare in vantaggio nel corpo a corpo, immobilizzando con una zampa
il
braccio rotto di ser Ronas. Martell urlò di dolore, muovendo
spasmodicamente
l'altro braccio. A Robert inizialmente sembrò che l'avesse
fatto casualmente.
- Ti arrendi? - chiese a voce
alta il pokemon.
Martell non rispose, tendendo
dietro di sé il braccio sano. La sua mano
artigliò una pietra che si trovava
sul campo e, con una rapidità sorprendente, la
batté in tesa all'avversario.
Quello riuscì a notare i suoi movimenti con la coda
dell'occhio ed ebbe un
attimo di preavviso, appena sufficiente per non farsi colpire in un
punto che
l'avrebbe messo altrimenti fuorigioco.
Cadde all'indietro, la testa
colpita appena dietro il punto dove ci sarebbe dovuto essere
l'orecchio.
Martell si rimise in qualche modo in piedi, sovrastandolo per un
attimo. Poi
alzò la pietra per aria mentre respirava a grandi boccate.
- Ti... arrendi...? - annaspò.
Stavolta fu il turno di Simisage
di non rispondere, apparentemente essendo rimasto intontito dal colpo
subito.
Poi, con un movimento fulmineo delle gambe, falciò quelle di
Lancialucente, il
quale lasciò cadere la pietra e atterrò sul
fianco destro. Simisage gli fu
nuovamente sopra, afferrò il sasso al volo e mentre con una
mano lo teneva
sollevato con l'altra prese Lancialucente per il collo, minacciando non
verbalmente di colpirlo.
Martell rimase immobile per
alcuni secondi, guardando negli occhi forse l'unica... creatura il
tutto il
Continente Occidentale che era mai riuscita a batterlo.
Sputò infine un grumo
di sangue alla sua destra, poi si lasciò andare ad una tenue
risata.
- Mi arrendo.
Il
torneo però non aveva ancora
finito di concedere combattimenti spettacolari. Dopo che Simisage ebbe
sconfitto
Lancialucente fu di nuovo il turno di suo zio Bors, il quale si
ritrovò a
fronteggiare ser Oswyn Grafton, un cugino di ser Gyles.
Riuscì a liquidarlo in
quattro lance, vincendo così la sua sesta lizza. Robert fece
un rapido calcolo,
e capì che se suo zio avesse vinto anche la prossima sarebbe
stato de facto
anche il vincitore del torneo, poiché visto il numero dei
partecipanti le lizze
totali sarebbero state dodici. Provò un moto di stima per il
parente,
desiderando nel profondo di essere come lui.
Layn Corbray come secondo
avversario ebbe ser Terrence Mooton, un cavaliere proveniente da
Maidenpool. A
Robert diede una cattiva impressione fin da subito, sembrava troppo
presuntuoso. Schernì sin da subito Corbray un po' come aveva
fatto Arlan Royce,
ma molto più pesantemente. Ser Layn, furioso, era partito
subito alla carica,
ma Mooton pareva aver previsto tutto poiché colpì
con precisione Corbray alla
spalla, disarcionandolo. Il cavaliere piombò a terra,
seguito subito dopo
dall'avversario il quale scese con tutta tranquillità da
cavallo, dirigendosi
poi verso il nemico a terra e puntandogli la lama al collo.
- Ti arrendi? - chiese con fare
canzonatorio.
Questa volta Lady Forlon non
bastò a far vincere Layn Corbray. Mooton aveva dimostrato
un'innata bravura e
astuzia, e l'avversario non ebbe altra possibilità se non
quella di arrendersi.
Robert avrebbe giurato che ser Terrence fosse più che pronto
ad ammazzare ser
Layn nel caso si fosse rifiutato. L'aveva capito dagli occhi, ser
Terrence
aveva lo sguardo di una persona assetata di sangue.
Il primo avversario per ser Ben
Simisage fu invece Marcyl Corbray, fratello di Oswyn. Il pokemon, il
quale era
apparso in seria difficoltà con Martell unicamente per il
fatto che anche il
nemico era un combattente formidabile, non ci mise molto a
sconfiggerlo, appena
due lance e si passò ad un breve combattimento all'arma
bianca. Simisage aveva
provveduto presto a disarmare ser Marcyl, costringendolo alla resa.
Bors Arryn ebbe gioco altrettanto
facile con ser Kyle, un cavaliere che prestava servizio alla Porta
Insanguinata
e che come proprio stemma aveva adottato una muraglia rossa. "Come il
sangue che nel tempo ha colorato le pietre della fortezza" disse il
cavaliere stesso presentandosi alla folla. Era andato giù
alla terza lancia e
si era arreso non appena suo zio era sceso da cavallo estraendo la
spada. Era
fatta, aveva vinto, ma il torneo proseguì lo stesso.
La prima lizza da campione per
ser Terrence Mooton fu anche l'ultima. Si ritrovò a
fronteggiare lord Morton
Hunter, uno dei favoriti alla vittoria del torneo. Il campione si fece
una
grassa risata quando l'araldo lo annunciò subito dopo
l'estrazione.
Evidentemente non era mai venuto a conoscenza della fama
dell'avversario.
L'abilità in combattimento del
signore di Arcolungo era rinomata in lungo e in largo per la Valle,
Robert ne
aveva sentito parlare più volte da cavalieri in visita al
Nido dell'Aquila. In
gioventù lord Hunter era stato un formidabile cavaliere e
vincitore di molti
tornei. Aveva combattuto sia nella Prima che nella Seconda Ribellione
di
Maelor, prestando in mezzo alle due guerre servizio come mercenario
prima sulle
Stepstones e poi nelle Terre Contese prima di essere richiamato in
patria per
la morte del lord suo padre. Si era fatto valere anche nell'assalto
alle Tre
Sorelle, e teneva periodicamente dei tornei fuori dal suo castello. Si
diceva
che non disertasse mai a nessuna competizione cavalleresca in tutta la
Valle, e
l'ultimo torneo tenutosi pochi mesi prima a Città del
Gabbiano lo aveva visto trionfare
nella lizza finale contro Torrerossa. Girava voce che Redfort fosse
ancora
infuriato per questo.
Robert non aveva mai visto Morton
Hunter in vita sua, e quando lo scorse per la prima volta gli
sembrò un anziano
lord come molti altri. Era vestito di una pesante armatura metallica,
ma aveva
preferito lasciare alzata la visiera così da avere una buona
vista del
combattimento. Alcune ciocche di capelli bianchi sporgevano da sotto
l'armatura, e la sua presa sulla lancia non sembrava tanto forte. Il
suo scudiero
lo dovette aiutare persino a tenerla in mano. Ser Terrence si
lanciò spavaldo
alla carica, accompagnandosi con una risata selvaggia.
A quanto pare la scenetta di lord
Hunter era stata solo apparenza. Aveva continuato a dondolare la lancia
per
quasi tutta la cavalcata verso il centro del campo, salvo poi
riassestarla a
pochi attimi dall'impatto con l'avversario. Mooton si
ritrovò spiazzato, e
mentre la sua lancia colpiva lo scudo con le cinque frecce di lord
Hunter la
lancia avversaria esplose in mille pezzi contro il suo petto, facendolo
violentemente sbalzare all'indietro.
Mooton cadde supino a terra, ma a
quanto pare Hunter non era ancora soddisfatto. L'anziano lord
saltò giù dal
cavallo mentre era ancora al galoppo e piombò su ser
Terrence mentre questi
tentava di rialzarsi. Gli assestò un violento pugno in
faccia facendogli di
sicuro saltare qualche dente, e inchiodatolo a terra puntandogli la
spada
contro lo costrinse alla resa. Mentre usciva Robert si fece una grassa
risata a
vedere Mooton rosso e fumante di rabbia.
Arrivò così la seconda lizza per
ser Simisage, il quale dovette affrontare il cavaliere errante ser Mike
il
Marinaio. Non ci furono storie, il pokemon vinse in un battibaleno.
Nemmeno ci
fu bisogno che le lance si scontrassero per far cadere il cavaliere
avversario,
visto che ci pensò Simisage stesso balzandogli addosso.
Quando il Marinaio uscì mesto dal
campo l'araldo si fece di nuovo avanti. Robert infine si era fatto dire
il suo
nome da un signorotto dei palchi inferiori, si chiamava Ubrick. Si fece
avanti
quindi suo zio per estrarre un nuovo nome, quindi porse il foglietto
all'araldo. La faccia di Ubrick sembrò oscurarsi per un
attimo alla vista del
nome, poi tornò normale e passò quindi a
declamare il nominativo del
contendente.
- Il prossimo a sfidare ser Bors
Arryn sarà... ser Jonothor Arryn!
A Robert, se in quel momento
avesse mai bevuto qualcosa, gli sarebbe andata di traverso.
Quell'accoppiata
era l'ultima delle cose che poteva capitare. E che doveva
capitare. La reazione del pubblico circostante fu più o meno
la stessa, in quanto era risaputo in lungo e in largo l'odio fraterno
che Bors
e Jonothor Arryn provavano l'uno per l'altro. Daeron si fece una
risatina
all'udire gli sfidanti dello scontro prossimo, avendo vissuto vari anni
nella
Valle sapeva tutta la storia.
Figli di lady Vanessa Royce,
seconda moglie di lord Alyn Arryn, non si erano mai sopportati fin da
bambini,
e la crescita non aveva fatto altro che acuire il loro odio. Ogni
pretesto era
buono per litigare, nonostante gli sforzi della lady loro madre per
riappacificarli. D'altro canto lord Alyn ci aveva messo del suo,
ignorando
questa inopportuna faida familiare sino alla morte.
La repentina comparsa dell'altro
zio di Robert impedì a chicchessia di formulare qualsivoglia
pensiero. Robert
non fece fatica a riconoscerlo: indossava una pesante armatura di
metallo,
comunque più leggera di quella del fratello. Bors lo
sovrastava di almeno un
pollice ed era largo il doppio, ma di faccia Jonothor era molto
più spaventoso.
Portava un elmo senza visiera, ornato ai lati dalle ali di un'aquila di
bronzo,
che lasciava intravedere i suoi lineamenti. Lineamenti distorti in un
largo
sorriso maligno.
Quando si passarono accanto il
castellano del Nido dell'Aquila evitò lo sguardo, mentre suo
fratello lo guardò
voltargli le spalle sempre con quell'orribile ghigno impresso sul
volto. Robert
parteggiò sin da subito per il più anziano dei
suoi zii, Jonothor non gli era
mai piaciuto. Lo prendeva a male parole ogni qualvolta lo vedeva, e per
un
futuro lord della Valle non era proprio una cosa consona.
Bé, ad essere sinceri
Jonothor Arryn prendeva a male parole chiunque. Quando Ubrick l'araldo
lo
sfiorò egli gli ringhiò qualcosa che poteva
suonare come "stammi
lontano!".
I due sfidanti si posizionarono
alle estremità del campo. Bors Arryn, silenzioso come sempre
e interamente
coperto dall'armatura, alzò la propria lancia puntandola
verso il fratello. Da
parte sua Jonothor appena ebbe afferrato l'arma lanciò un
insulto allo scudiero
che gliel'aveva portata. Per qualche strano motivo lady Bernyce si fece
una
grassa risata. "Forse oltre ad essere brutta è anche corta
di
cervello".
Quando venne dato il segnale per
procedere entrambi si lanciarono in una corsa selvaggia. Si
avvicinavano a
velocità vertiginose, sembrò intercorrere solo un
attimo dalla partenza al
momento in cui entrambe le lance esplosero in mille pezzi sugli scudi
ornati
dall'aquila e dalla luna. Le prime sei lance furono tutte
così, ma alla settima
Bors Arryn diede segni di cedimento.
- Non sai fare di meglio,
fratello? - gridò Jonothor Arryn. Bors parve infuriarsi e si
lanciò alla
carica. Il fratello approfittò di quel momento e all'ottava
corsa cercò di
deviare la sua lancia verso un fianco, ma andò a vuoto. Bors
nel frattempo si
era rimesso dal furore improvviso e continuò a tenere il
ritmo precedente sino
alla dodicesima. Alla tredicesima Jonothor quasi cadde da cavallo, a
quella
successiva il castellano sembrò di nuovo sul punto di venire
disarcionato. Alla
quindicesima caddero entrambi.
Immediatamente i contendenti si
rialzarono, passando ambedue alle spade. Robert fremette a quella
vista,
entrambe le lame dall'elsa a forma del falcone degli Arryn sguainate e
rilucenti sotto la luce del sole. Tutti e due i cavalieri portavano un
mantello
blu e bianco col simbolo della loro casata, e ciò rendeva
difficile
distinguerli. Robert riconobbe suo zio Jonothor dalla figura senza
celata, ma
appena cominciarono a duellare lo perse di vista.
Sarebbe stato scorretto dire che
i due Arryn avessero cominciato a combattersi, mentre sarebbe stato
più
appropriato definire il loro duello una danza. Certo, una danza
sgraziata da
una parte per l'ingombrante stazza di Bors e per i movimenti
leggermente
impacciati di Jonothor causati dall'armatura, ma che sapeva mantenere
un ritmo
mortale al punto di tenere la folla col fiato sospeso fino all'ultimo.
Fendenti a decine vennero
eseguiti, potenti colpi a dozzine vennero menati, imprecazioni -
soprattutto,
anzi, unicamente da parte dell'Arryn più giovane - a
centinaia vennero
lanciate, interi litri di sudore e sangue scorsero dalle giunture di
metallo
delle armature. Colpi furono schivati, altri invece no, entrambi
subirono molte
ferite e ammaccature. Robert avrebbe giurato, anzi ne era sicuro, che i
suoi
zii non mirassero a sconfiggere l'avversario, ma ad ucciderlo, vista la
potenza
e la velocità dei loro colpi.
Nessuno seppe dire con esattezza
per quanto lo scontro durò. Alcuni dissero dieci minuti
buoni, altri venti,
altri addirittura un'ora. Sta di fatto che gli astanti non si
annoiarono mai. E
per tutta la durata dell'incontro Robert non seppe distinguere uno zio
dall'altro, ma continuò sempre a fare silenziosamente il
tifo per Bors. Non
avrebbe parlato una seconda volta dopo lo scontro di Lancialucente.
A più riprese entrambi gli Arryn
sembrarono sul punto di cedere, ma tutte le volte riuscirono a
recuperare lo
svantaggio con una rapida capriola oppure con un fendente ben assestato
per far
sbilanciare l'avversario. Quando oramai la sfida sembrava non terminare
più
Jonothor fece un passo falso, venendo trascinato in avanti da un
fendete
caricato con troppa forza andato a vuoto. Bors ne approfittò
all'istante e,
nonostante la grossa stazza, lo scartò e gli
assentò una gomitata nella
schiena, facendolo cadere carponi con un gemito. Poi calciò
via la sua spada.
Jonothor sbatté contro la terra
con un rumore metallico, girandosi subito dopo ricercando alla cieca la
spada.
Il fratello si chinò su di lui, puntandogli la lama al collo
e intimandogli
silenziosamente di porre fine allo scontro. Il sudore sulla faccia
dell'Arryn
più giovane era evidente attraverso la celata, almeno questo
Robert intuì dai
vaghi riflessi lucenti sul suo viso appena visibile.
- Mi... arrendo...
Le parole furono appena
sussurrate, ma nel silenzio della piana sembrarono quasi un grido.
Immediatamente la folla eruppe in un rumoroso applauso nei confronti di
Bors
Arryn. Ci furono grida come "Il migliore! Il migliore!", "Viva
ser Bors!" oppure "Viva gli Arryn!". Qualcuno gridò
addirittura
"Viva il re!".
Quando uno scudiero si avvicinò a
Jonothor Arryn per porgergli la sua spada e aiutarlo a rialzarsi questi
lo
cacciò in malo modo, riprendendosi la lama e assestandogli
un colpo di piatto
all'altezza dello stomaco. Il ragazzo cadde a terra prono senza fiato,
e ci
vollero altri tre scudieri per aiutarlo a caracollare fuori dal campo.
L'Arryn
nel frattempo se n'era andato, furente.
- Ser Bors!
Il richiamo di lady Bernyce
giunse forte e chiaro.
- Fate i complimenti a vostro
fratello, la sua prestazione è stata favolosa!
- Certamente, mia lady.
Bors Arryn nemmeno si tolse la
celata per rispondere a lady Bernyce, segno che non era interessato a
lei. In
più la sua voce metallica distorta dall'armatura suonava
piatta e priva
d'emozioni. Probabilmente era attratto molto di più dalla
sua dote, Robert lo
capì al volo. Effettivamente essere il castellano del Nido
dell'Aquila non gli
garantiva certo uno stipendio così lauto, a questo il
ragazzo non aveva mai
fatto caso. Effettivamente non ricordava di aver mai visto suo zio
maneggiare
del denaro.
Nonostante la spettacolarità del
duello meritasse almeno una pausa lord Royce e suo padre concordarono
che non
ci dovevano essere riardi sulla tabella di marcia, così si
riprese subito con
le altre gare. Lord Hunter scese in campo per affrontare ser Cedric
Frey, detto
Torreghiacciata per essere nato durante il particolarmente duro inverno
occorso
nel regno di Aenar Targaryen, il prozio di Daeron e Robert. "Sua
sorella
Bhaerys ha sposato per prima mio nonno, lord Alyn Arryn. Mia zia
Alyssa, mio
padre e l'altra mia zia erano il frutto della loro unione. Alyssa
è andata in
sposa al re ma è morta.". Nel dare alla luce una coppia di
gemelli di cui
uno morto, ma Robert preferiva non pensare ai propri cugini. Non aveva
mai
conosciuto i principi Aegon e Baeron, troppo grandi per stare con lui.
Ma
essendo lui destinato a diventare un lord della Valle prima o poi
sarebbe
arrivato il momento.
Cedric Frey, un bestione sia con
l'armatura che senza, appariva gigantesco sul suo cavallo. Robert si
chiese se
ser Duncan l'Alto fosse alto effettivamente a quel modo. Parve mettere
in seria
difficoltà lord Hunter, spezzandogli addosso quattro lance.
Ma l'anziano
signore doveva essersi ritrovato varie volte in situazioni del genere,
e Cedric
Frey cadde alla quinta lancia. Non era però intenzionato ad
arrendersi, così
anche lord Morton smontò da cavallo ed estrasse la spada.
Frey provò a far
valere la propria stazza contro l'anzianità dell'avversario,
ma la sua abilità
era troppo per lui. Si arrese nel giro di un minuto.
Un altro Frey, ser Gregor,
presumibilmente il fratello di ser Cedric in quanto gli somigliava come
una
goccia d'acqua - ed era anche più grosso di lui -, detto
Torre-che-crolla per
aver distrutto uno dei torrioni di Delta delle Acque durante la
Primavera di
Sangue quindici anni prima. Simisage non si scompose a vederlo e
nemmeno
durante il duello, a fronte delle sette lance che la Torre-che-crolla
gli
spezzò addosso. Il pokemon riuscì a batterlo con
un'azione copia di quella
fatta con Ronas Martell sua lancia, e stavolta ebbe l'effetto sperato
facendo
precipitare a terra il Frey. Simisage gli era poi saltato addosso e
l'aveva
costretto alla resa. Certe volte la stazza era solo d'impaccio.
Bors Arryn doveva essersi
stancato molto dopo il combattimento col fratello, ma se anche fosse
stato vero
non lo diede a vedere. Giostrò contro ser Doran Wyl, uno
degli amici che
Lancialucente aveva nominato nel suo discorso contro il presuntuoso
araldo Ubrick,
e se era di abilità anche solo lontanamente paragonabile al
dorniano allora se
ne sarebbero viste delle belle. Wyl spezzò quattro lance
contro suo zio, salvo
poi cadere alla quinta e cominciare a combattere a terra. Oppose una
fiera
resistenza, ma le differenze tra lui e ser Bors erano troppo marcate,
così alla
fine si arrese.
Incredibile ma vero, alla fine
lord Hunter conobbe la sconfitta dopo appena due lizze da campione. A
sconfiggerlo fu ser Ormund Kettleblack, cavaliere errante si diceva
proveniente
dalle Terre della Corona. Lord Hunter poteva anche essere un
formidabile
combattente, ma aveva la sua età, e Kettleblack
puntò a sfinirlo trattenendolo
per ben dodici lance. Poi l'anziano, stancatosi, era sceso da cavallo e
aveva
estratto la spada, imitato dall'avversario. Kettleblack era
incredibilmente
agile, e riuscì infine a disarmare Hunter. L'anziano lord
riconobbe la
sconfitta e uscì dal campo tra gli applausi generali.
La successiva lizza fu poco
emozionante per tutti e tre i campioni, i cavalieri che li sfidatono
furono di
talmente poca abilità che vennero disarcionati e si arresero
solo dopo poche
lance. Simisage riuscì a vincere a quel modo pur trovandosi
scomodo in sella
contro ser Walton Hersy, mentre Erryk Elesham cadde contro Bors Arryn e
Illifer
Tollett contro il neocampione Kettleblack.
Altri due Redfort uscirono per la
penultima lizza, ser Justin contro Simisage e ser Eustace contro lo zio
di
Robert. Justin, detto Piccolatorre in contrapposizione a suo cugino
Joseth, era
effettivamente di stazza minuta, ma si dimostrò una furia in
battaglia. Seppe
tenere a bada Simisage per undici lance, non concedendogli mai tregua,
e non si
fece sorprendere come Frey ed Hersy alla manovra del salto sulla
lancia. Passò
poi a combattere a terra, dove però ebbe la peggio contro il
pokemon. Eustace
Redfort durò il tempo di una lancia, visto che venne
disarcionato subito per
poi arrendersi. Ser Addam Rykker invece cadde contro Kettleblack dopo
tre lance
senza rialzarsi.
L'ultima lizza del torneo vide
ser Ben Simisage affrontare e sconfiggere facilmente ser Alyn Melcolm.
Gioco
più duro ebbe Bors Arryn contro Jon Uller, l'altro amico di
Lancialucente, il
quale lo tenne impegnato per sette lance prima ci cadere scompostamente
e
rompersi un braccio. L'ultimo cavaliere del torneo fu ser Garreth
Hardyng, il
quale ruppe nuovamente sette lance contro ser Ormund Kettleblack prima
di
cadere e perdere il duello a terra.
La fine delle competizioni fu
accolta tra applausi scroscianti e frasi di rammarico per la mancanza
di altri
eventi come la mischia, la mischia coi pokemon o il tiro con l'arco. A
lord
Royce evidentemente non interessavano le altre discipline,
sicché una volta
terminato il torneo gli spalti cominciarono a svuotarsi lentamente,
tutti che
facevano ritorno alla propria tenda per riposarsi. La premiazione
infatti ci
sarebbe stata solo nel tardo pomeriggio.
Robert e Daeron tornarono al
tendone di lord Arryn, e lì passarono il resto della
giornata a non fare
praticamente nulla. La temperatura aveva continuato ad alzarsi, al
punto che
anche lord decorosi come Devron Royce per rinfrescarsi erano stati
costretti a
togliersi il farsetto. Dentro alla tenda si stava benino, riparati
quanto basta
dal sole. Ma non dalla calura. I ragazzi si misero a torso nudo, mentre
Vhagar
si distese per terra, lingua di fuori e pancia scoperta. "Deve fargli
veramente caldo con tutta quella pelliccia addosso" pensò
Robert, provando
un po' di pena per il pokemon dell'amico.
Quando oramai il sole era
prossimo a tramontare dietro le montagne lord Arryn diede ordine di far
convocare tutti per la premiazione. Gli araldi, Ubrick in testa, fecero
il giro
del campo per annunciarlo, e Robert e Daeron udirono gli urli a decine
di piedi
di distanza. A comunicarglielo fu però ser Hector Brune, il
quale intimò ai
ragazzi di rivestirsi con sguardo truce. Daeron ricambiò
l'occhiata prima di
eseguire l'ordine, mentre Robert chinò immediatamente la
testa. Lo zio di Vilon
gli metteva soggezione, e ringraziava i Sette che fosse il guardiano di
Daeron
e non il suo.
Correva voce che lord Royce
volesse indire un banchetto per festeggiare la fine del torneo, e
effettivamente nell'aria si sentiva l'odore di carne speziata e vino,
ma poteva
anche essere solamente il pasto di un cavaliere in una tenda vicina.
Vhagar
alzò la testa, attirato dall'odore, e cominciò a
seguirlo fin quasi ad uscire
dalla tenda.
- Fermo - gli disse il Targaryen
in tono pacato.
Il pokemon si fermò
immediatamente, si voltò e tornò dal suo padrone,
docile come un cagnolino.
Certe volte Robert invidiava l'amico per l'empatia che riusciva ad
avere con
bestie del genere. "Bé" pensò "se in passato i
Targaryen
cavalcavano i draghi non vedo che difficoltà possano avere a
fare lo stesso coi
tipi Drago".
Si rimisero i farsetti, Daeron il
suo nero e rosso e Robert quello bianco e blu, e scortati da ser Hector
Brune
tornarono alle tribune, prendendo gli stessi posti di prima. Quando
tutti gli
spettatori ebbero ripreso i propri posti una processione di cavalieri
cominciò
a sfilare per il campo sottostante. Robert riconobbe lord Hunter,
Piccolatorre,
ser Arlan Royce e il fin troppo vistoso Simisage. Erano tutti i
partecipanti
del torneo.
Una volta schieratisi i cavalieri
si rivolsero verso la tribuna d'onore, dove sedevano Aeron Arryn, lord
Devron
Royce, sua figlia Bernyce e varie altre personalità
importanti della Valle.
Dopo di che si inchinarono tutti all'unisono. Quasi tutti, visto che in
un
angolo Jonothor Arryn, tetro, era rimasto immobile.
- Alzate la testa.
Il tono di lord Arryn era pacato,
sembrava non aver notato che il fratello non aveva abbassato il capo.
- Cavalieri, io e lord Royce vi
siamo grati per aver presenziato a questo torneo. Ognuno di vuoi ha
combattuto
molto bene, e lord Royce vorrebbe dire due parole.
Detto questo Aeron Arryn si fece
da parte per permettere a Devron Royce di prendere la parola.
- Lord Arryn vi lusinga, e tutti
voi ve lo meritate. Ma i premi andranno a pochi.
Il silenzio più assoluto scese
sulla piana. Lord Royce stava riprendendo fiato, evidentemente sarebbe
stato
lui ad annunciare le ricompense.
- Al terzo classificato, ser
Ormund Kettleblack - cominciò - per le sue quattro lizze
vinte, vanno duemila
dragoni.
L'interpellato si fece avanti. Era
un uomo grosso, non quanto gente come Torrerossa o i Frey, ma era
comunque
bello macilento. Portava un'armatura pesante ornata da un mantello
rosso, sul
quale era impressa quella che sembrava un calderone nero. Uno scudiero
gli
venne incontro, consegnandogli un piccolo forziere. Ser Ormund lo prese
sottobraccio, si rivolse di nuovo a lord Royce e chinò il
capo, poi tornò tra
le schiere dei cavalieri in armatura.
- Al secondo classificato, ser
Ben Simisage - e qui lord Royce fece una faccia strana - per le sue
sette lizze
vinte, vanno tremila e cinquecento dragoni.
Il pokemon si fece avanti, il
ciuffo che ondeggiava ad ognuno dei suoi strani passi arcuati. Lo
stesso
scudiero gli porse due forzieri ricolmi di monete. Il pokemon li prese
entrambi
sottobraccio e fece la riverenza ai signori più in alto.
L'espressione di lord
Royce divenne ancora più anomala, ma si ricompose subito
dopo.
- Al primo classificato, ser Bors
Arryn, castellano del Nido dell'Aquila - ed enfatizzò
l'unico titolo che lo zio
di Robert possedesse - vanno cinquemila dragoni.
Bors Arryn si fece avanti,
imponente nella grande armatura. Lo scudiero stavolta non gli porse
nulla,
mostrandogli un forziere più grosso che provvide poi a
portare via,
presumibilmente nella tenda del cavaliere.
- E oltre ciò - nella voce di
Devron Royce c'era una nota d'orgoglio - vi spetta anche la mano di
lady
Bernyce Royce, mia figlia.
La suddetta fece un risolino
sgradevole. Bors Arryn rimase immobile, ma Robert poté
facilmente immaginare la
faccia davvero poco entusiasta dello zio sotto l'elmo. Per questo non
lo
stupirono le parole che disse poco dopo.
L'Arryn alzò la propria celata,
rivolgendosi a lord Royce: - Col vostro perdono, credo di non essere
degno
della mano di lady Bernyce.
Lord Royce si gelò sul posto.
Evidentemente non si aspettava che qualcuno avrebbe potuto rifiutare la
mano
della lady sua figlia pur con la dote che vantava. Evidentemente
sperava che
questa potesse essere sufficiente per permetterle di trovare un nuovo
marito
dopo il torneo.
- Io sono solo un castellano -
continuò - e non sono degno di un tale onore.
Royce era sul punto di sbottare.
- Perché mai non dovrei... cominciò. Ma lord
Arryn, intuendo il pericolo e
ritenendo sconveniente un litigio tra il suo castellano ed il suo
alfiere, si
pose come arbitro tra le parti.
- Perché - fece - Non chiedere
alla diretta interessata la risoluzione del problema?
Lord Royce parve scontento, ma
non si oppose.
- Cara - disse alla figlia - Cosa
ne dici? Ritieni ser Bors degno della tua mano.
La fanciulla ci pensò su e poi,
con fare imperioso, ordinò allo zio di Robert: - Mostrati.
L'uomo si tolse l'elmo, rivelando
dei corti capelli castani tagliati di recente. Aveva la mascella
squadrata, un
mento molto pronunciato, un naso fin troppo grosso segnato da una
brutta
cicatrice e gli occhi azzurri. Lady Bernyce lo squadrò per
un po' con aria
indagatrice, tentando di assumere un'aria intelligente. A Robert
sembrò solo
stupida. Infine si pronunciò.
- Apprezzo la vostra sincerità -
disse con fare vagamente altezzoso - E concordo con voi nel dire che
non siete
adatto alla mia mano.
Bernyce si rivolse poi al padre.
- Padre mio, col vostro permesso
vorrei essere io a scegliere il mio futuro marito fra questi valorosi.
Lord Royce parve sorpreso da
questa prospettiva. Ma Robert sapeva che lady Bernyce era molto
affezionata al
padre e costui la ricambiava, sicché non lo stupì
vederlo infine cedere con un
cenno del capo.
- Bene, allora...
Lady Bernyce sondò la folla alla
ricerca di un candidato ideale. Gente come Arlan Royce
occhieggiò quando la
fanciulla lo squadrò. Robert infine distinse fin troppo bene
quando lo sguardo
della donna si posò su suo zio Jonothor, situato nell'ultima
fila di cavalieri
con lo sguardo rivolto da qualsiasi parte che non fossero le tribune.
- Ser Jonothor!
L'uomo si voltò, attirato
dall'appello. L'eccitazione nella voce di lady Royce era facilmente
percepibile.
- Avete dimostrato un valore
senza pari nel torneo, facendomi divertire come non ho mai fatto.
Sarete voi il
lord mio marito!
Le
voci che giravano sul
banchetto di lord Royce si rivelarono infine fondate. Ovviamente
vennero
invitati solamente i nobili di alto rango, ma intere pentolate di cibo
vennero
destinate anche ai cavalieri più umili e agli restanti
spettatori. Al tavolo
allestito nel mezzo dell'accampamento, proprio di fronte alla tenda di
lord
Royce, vennero però fatte sedere solamente una trentina di
persone. Robert e
Daeron erano tra questi, e il ragazzo riconobbe tra i commensali altre
facce
note oltre a quella del padre, di lord Royce e sua figlia. Layn Corbray
era
seduto accanto a lord Royce, mentre Arlan Royce era dalla parte opposta
del
tavolo, invece lord Hunter si era messo a chiacchierare amabilmente con
un
altro degli uomini seduti a tavola.
C'erano anche i suoi zii,
Jonothor a capotavola accanto alla sua futura coniuge, e Bors al lato
opposto.
Bors pensava ai fatti propri, mentre Jonothor sembrava più
tetro del solito,
restando a fissare il piatto davanti a sé e annuendo
fugacemente alle domande
postegli. "Sembra non essere molto felice" pensò Robert
"Probabilmente anche lui puntava unicamente al premio in denaro.".
I piatti furono pochi ma
sostanziosi. Il ragazzo in particolare apprezzò il coniglio
speziato che venne
servito con delle sugose patate arrosto. Non era dissimile dal pasto
consumato
in precedenza, ma riuscì ad apprezzarlo ugualmente come gli
altri commensali.
In più venne servito un delizioso rosso di Arbor, del quale
stavolta lord
Arryn, forse particolarmente di buon umore, aveva concesso di
assaggiare anche
al figlio.
Una coppa venne riempita a
Robert. "E' piccola" aveva pensato "Che peccato, vorrei più
vino". Il calice era effettivamente ristretto, e quel vino
andò giù
piuttosto in fretta. Robert lo sentì scendere fino allo
stomaco, poi avvertì la
gola bruciare. Gli piaceva quella sensazione, era gradevole e
contrastava
perfettamente la leggera brezza fresca serale che si era alzata poco
prima.
Chiamò il servitore con la brocca
e si fece riempire nuovamente il calice. Poi guardò timoroso
il padre temendo
un rimprovero, ma lord Arryn era impegnato a parlare e a ridere con
lord Royce.
Avendo paura che si potesse girare da un momento all'altro si
scolò la coppa
tutto d'un fiato e poi si infilò in fretta alcune patate in
bocca, cominciando
a masticarle per dare l'impressione di non star facendo nulla di male.
Il
sapore del sugo e delle patate gli riempì il palato, ma non
cancellò il sapore
del vino. Ne chiese un'altra coppa, e constatato che il padre non era
interessato a lui la bevve con più tranquillità.
Così, tra un calice di rosso di
Arbor e una sugosa patata oppure un pezzo di coniglio, Robert
cominciò pian
piano a perdere il conto dei bicchieri che stava mandando
giù. Mangiò sempre di
meno, e bevve sempre di più. Parlò con Daeron e
cominciò a ridere per un
qualche motivo. Aveva un gran caldo e si sentiva più vivo
che mai.
Quando
si svegliò non ricordava
praticamente nulla dopo quel momento. La prima cosa che
avvertì fu lo
sgradevole sapore acquoso dell'erba nella sua bocca. Tirò su
lentamente il viso
da terra, confuso, per poi sputare con vigore quando s'accorse di cosa
stava
mangiando. Tossì e sputacchiò alcuni fili verdi,
sentendo che stava per
vomitare.
Si girò su un fianco, e gli venne
un conato. Per qualche miracolo riuscì a non dare di
stomaco, e appoggiandosi
una mano sul ventre si sporse in avanti. Respirò a grandi
boccate e provò a
fare mente locale, fallendo miseramente. Si guardò attorno e
vide di essere
ancora in mezzo al labirinto di tende. Una tenue luce filtrava da
dietro le
montagne, stava albeggiando proprio in quel momento.
Provò a rimettersi in piedi ma
ricadde subito in avanti, atterrando dolorosamente su un ginocchio. Un
altro
conato venne soffocato a fatica, Robert si sentiva malissimo. Non
ricordava di
aver mai provato nulla del genere: gli mancava il respiro e sentiva
come un
blocco all'altezza dei polmoni. Non ce la faceva a respirare col naso,
doveva
per forza farlo rumorosamente con la bocca.
Si mise carponi, tentando di
rialzarsi, e stavolta ce la fece. Non da solo però: una mano
era intervenuto a
sorreggerlo. Presto alla mano si aggiunse un braccio, e poi un'intera
persona.
Robert girò la testa, confuso, e si ritrovò a
ricambiare lo sguardo di Daeron.
- Cosa...? - boccheggiò.
- Ti sei ubriacato.
- U-ub...
- Sì, ma adesso non parlare.
Vieni, ti riporto alla tenda.
Il Targaryen sorresse l'amico per
tutto il tragitto, il suo Deino che gli trottava allegramente dietro.
Il
viaggio fu relativamente breve, ma a Robert girava la testa, e dovunque
posasse
lo sguardo sembrava che la terra stesse venendo smossa da aratori
invisibili.
Ce la fece a non dare di stomaco fin quasi al padiglione, ma poi non
resistette
più.
Vomitò non una, non due ma ben
tre volte in breve sequenza, piegato dietro ad una piccola tenda vuota,
Daeron
al suo fianco che lo osservava con uno strano sguardo. Gli
sembrò di rimettere
anche l'anima, il respiro a pezzi. Gli occhi gli lacrimavano e le sue
orecchie
erano un inferno, per non parlare del blocco al ventre che adesso si
era
trasformato in un terribile bruciore.
Quando si fu rimesso un poco
Robert si raddrizzò. Cercò di non fare smorfie di
dolore ma gli risultò
estremamente difficile, così alla fine rinunciò.
Si voltò allora verso l'amico,
che lo squadrò da capo a piedi. Doveva fare veramente pena
in quel momento.
- Cosa... è successo... - chiese
in un sussurro con voce spezzata.
- Te l'ho già detto - rispose
l'altro - Ti sei ubriacato. L'avevo capito subito, ma anche io avevo
bevuto e
così non ci ho fatto molto caso. Solo che io sapevo dove
fermarmi, mentre tu
no. Eri ancora astemio, vero?
Robert non rispose, ma la verità
si poteva intuire.
- Abbiamo riso parecchio ieri
sera a cena - disse Daeron con un mezzo sorriso - Ma a un certo punto
abbiamo
litigato non mi ricordo nemmeno per cosa, e poi tu ti sei alzato e sei
andato
via. Ti ho cercato per tutta la notte, e alla fine avevo smesso, poi
però
mentre tornavo alla tenda ti ho trovato.
- Mio padre - chiese Robert a
voce tremante - Lo sa?
- Non lo so, ma credo di no,
altrimenti ci sarebbero armigeri sparsi a cercarti per tutto il campo.
Penso
che si fosse ubriacato anche lui.
Robert tirò un respiro di
sollievo o almeno ciò che doveva esserlo, visto che al suo
posto uscì solamente
un rantolo strozzato. Si portò una mano alla fronte e
percepì che era madida di
sudore.
- Hai... un fazzoletto...? -
chiese all'amico.
- Tieni.
Daeron tirò fuori un pezzo di
seta e glielo porse. Sembrava il pezzo strappato di un abito, ma il
ragazzo non
vi fece caso e si asciugò la testa. La pezza si
inzuppò in breve tempo
diventando fredda al tatto, e Robert chiuse gli occhi, assaporando
quella
frescura.
Quello che invece avrebbe dovuto
chiudere, ovvero le orecchie, rimase aperto e completamente esposto al
terrificante urlo che risuonò subito dopo per tutto il
campo. Era terribile,
disumano, distorto, animato da puro terrore. Le orecchie dolettero a
Robert, e
se le dovette tappare per smettere di sentire quella cacofonia.
Daeron non sembrava aver subito
gli stessi danni, ma si era immediatamente voltato verso la fonte di
quell'orribile suono. Dopo un attimo di titubanza si era avviato e
anche
Robert, seppur a malincuore, lo seguì. Passarono alcune
tende e scoprirono che
la fonte dell'urlo non si trovava a molta distanza. Nel mentre che
camminavano
la gente cominciò ad uscire dai padiglioni, confusa per il
brusco risveglio e
attirata dallo strano suono.
Infine arrivarono in un piccolo
spiazzo tra le pareti di seta. Lì, proprio davanti ad una
tenda dai motivi blu
e bianchi, era sdraiata una donna. Aveva le vesti lacere e piangeva. Il
grosso
seno cadente era esposto, mentre le terga erano visibili per
metà e per l'altra
coperte da un lembo di un vestito che una volta doveva essere stato
stupendo.
Aveva i capelli castani e la faccia chiazzata da numerose lentiggini,
e...
Robert avvicinò lo sguardo, riconoscendola. Era lady Bernyce
Royce.
Un cavaliere, Robert era ancora
troppo disorientato per capire chi, si avvicinò alla ragazza
e si tolse il
mantello, coprendola dalla piccola folla che si era formata attorno
alla scena.
- Cosa è successo? - le chiese in
modo gentile.
In quel preciso momento dalla
tenda bianca e blu uscì un uomo. Aveva il farsetto aperto e
i pantaloni
sbottonati, i corti capelli in disordine. Era confuso e sembrava non
sapere
dove si trovava. Robert lo fissò e, nonostante la mente
annebbiata dai fumi
dell'alcol, riconobbe anche lui. Era suo zio, Bors Arryn.
- Lui... - fece la donna tra le
lacrime - Mi ha... mi ha...
- L'hanno stuprata! - urlò
qualcuno.
Quando
maestro Pyman visitò lady
Bernyce constatò che aveva veramente subito violenza. La
voce dello stupro
della fanciulla fece in breve tempo il giro del campo, e in capo ad
un'ora
tutti parlavano del fattaccio. Lord Arryn convocò una
riunione d'urgenza con le
principali personalità presenti: lui stesso, lord Royce, e
lord Hunter. Septon
Clodoth venne ammesso in quanto religioso e maestro Pyman in quanto
sapiente,
mentre ser Layn Corbray, ser Arlan Royce e ser Joseth Redfort in quanto
rappresentanti delle maggiori casate della Valle. Anche Daeron e Robert
vennero
convocati, l'uno per il fatto di far parte della famiglia reale - anche
se
stavolta la presenza di Vhagar non era stata accettata e il pokemon era
stato
legato ad un asta poco fuori la tenda - e l'altro in quanto futuro
governatore
della Valle. E poi ovviamente le parti lese e lesionanti: ser Jonothor
e ser
Bors Arryn.
La riunione avvenne nel
padiglione di lord Arryn. Quando tutti furono entrati lord Aeron
ordinò a due guardie
di sorvegliare l'esterno e di impedire a chicchessia di mettersi ad
origliare
il risultato della discussione. Non che ce ne fosse bisogno, tutti i
partecipanti urlavano come se si trovassero a decine di piedi di
distanza l'uno
dall'altro.
- L'ha stuprata! - urlava furioso
Jonothor Arryn - Ha stuprato la mia promessa sposa! Mi ha disonorato!
Lo zio di Robert si fissava i
piedi, Robert non capiva se fosse ancora stordito o meno. Jonothor
fissava
furente il fratello, sembrava che gli dovesse saltare addosso da un
momento
all'altro. In un angolo maestro Pyman stava confortando lady Bernyce,
avvolta
in una pesante coperta e ancora in lacrime.
- Ha disonorato tutta la mia
casata!
Anche lord Royce era furioso.
- Adesso nessuno vorrà più
sposare mia figlia!
Da parte sua lord Aeron cercava
di mantenere calme le acque. L'ultima cosa che voleva era uno scontro
fratricida, così si era immediatamente frapposto tra i
fratelli cercando di
parlare ragionevolmente. Ma tra tutti i partecipanti era forse l'unico
a tentare
di apprendere la via della diplomazia.
- Suvvia Jon, non precipitiamo a
conclusioni affrettate. Lord Royce, mi rivolgo anche a voi, vedete in
che stato
confusionale si trova mio fratello, potrebbe non essere stato lui.
- Potrebbe?!
Jonothor dava
l'impressione che sarebbe
saltato in aria da un momento all'altro.
- POTREBBE!?! Tu non puoi capire!
Era vergine ed era stata promessa a ME! Sarò costretto a
rigettarla per evitare
il disonore!
- Casa Royce non ha mai raggiunto
un punto così basso dalla caduta dei primi uomini - si
accodò lord Royce - Non
potrò mai perdonare un affronto del genere.
Un tetro silenzio scese nella
tenda. Lord Hunter, Layn Corbray, Arlan Royce e Torrerossa osservavano
la scena
in silenzio. "Sono i rappresentanti delle grandi case" pensò
Robert
"Ma adesso sono ridotti a meri spettatori". Il ragazzo si chiedeva
quale sarebbe stato il risultato della riunione. Voleva bene a suo zio
Bors e
non gli piaceva Jonothor, sperava che il castellano ne uscisse fuori.
Daeron
dal canto suo guardava pensoso lo svolgersi della discussione.
- Io sostengo - riprese lord
Royce - La necessità della pena di morte.
A quelle parole Bors gemette,
segno che stava ascoltando.
- Già! - concordò Jonothor - Per
quel che ha fatto si merita la decapitazione!
- Suvvia - intervenne lord Arryn
- Non diciamo fesserie. La pena di morte mi sembra eccessiva...
- E allora - lo interruppe il
fratello - Quali provvedimenti dovrebbero essere adottati?!? Se si
perdona un
crimine del genere allora tutti, dal più grande signore al
più infimo
contadino, si sentiranno in diritto di poter infrangere la legge come e
quando
gli pare!
- Ma non sappiamo nemmeno se è
colpa sua! - il padre di Robert stava perdendo la pazienza - Maestro
Pyman ha
espresso i suoi dubbi, e io mi fido di lui.
Anche Robert trovava alquanto
strane le circostanze del crimine. Quando era stato interrogato Bors
non era
stato in grado di rispondere nemmeno alle domande più
semplice, richiedendo
solo con voce tremante qualcosa dal bere e sostenendo di non ricordare
niente.
Non erano state trovate tracce di sperma sulle sue brache e nemmeno sul
resto
dei suoi vestiti, e ciò era strano visto che sembrava non
essersi mai spogliato
dal giorno prima.
- Al diavolo il maestro! -
Jonothor Arryn si era infuriato definitivamente - Se occorre
sarò io
personalmente ad ucciderlo.
- Non diciamo fesserie! Qui
nessuno uccide nessuno!
- Io lo farò - continuò il
cavaliere imperterrito - E non sarai certo tu ad impedirmelo, fratello!
- Io sono il lord della Valle!
Alla fine anche il padre di
Robert si era messo ad urlare.
- Comando io qui, e nessuno si
azzardi a contraddirmi! Altrimenti quello che verrà
decapitato sarai tu!
"La discussione sta
sfuggendo di mano". Robert si girò per cercare sostegno, ma
Daeron
sembrava scomparso. Probabilmente si era defilato mentre i due Arryn
avevano
cominciato ad alzare la voce. Il ragazzo si diresse allora verso lord
Hunter,
pregandolo di aiutarlo a mettere un freno alla litigata.
- Mi dispiace, ragazzo - gli
disse - Ma io posso fare ben poco, questo è un vero e
proprio affare di
famiglia.
La risposta degli altri era stata
più o meno la stessa in termini più o meno
garbati. Layn Corbray aveva
declinato gentilmente l'offerta, Arlan Royce aveva risposto a male
parole
mentre Torrerossa aveva emesso un mugugno. Allora Robert
pensò di rivolgersi a
persone come septon Clodoth e maestro Pyman, forse loro che conoscevano
bene la
sua famiglia sarebbero stati ascoltati. Nel frattempo lord Arryn aveva
cominciato a cedere alle richieste del fratello, arretrando su
posizioni quali
l'unione da parte di Bors ai Guardiani della Notte. Jonothor, sostenuto
da
Devron Royce, era però irremovibile: voleva la pena di morte.
Improvvisamente un ruggito
riecheggiò per la sala, talmente forte da far tremare il
tavolo di legno al
centro dei tendaggi. Robert e gli altri si dovettero tappare le
orecchie per
non rimanere assordati, e d'istinto tutti chiusero anche gli occhi.
Quando
finalmente tutto ebbe fine i presenti si voltarono verso la fonte del
rumore.
Il principe Daeron a quanto pare,
quando era sgattaiolato fuori dalla tenda non visto, era andato a
liberare il
suo pokemon, conducendolo poi di soppiatto nella tenda. Il ruggito
probabilmente era servito a mettere fine al litigio. "Forse"
pensò
Robert speranzoso "Ha qualcosa da dire. E' un membro della famiglia
reale,
lo ascolteranno sicuramente.". Il giovane Arryn ci sperava con tutto il
cuore, non voleva spargimenti di sangue all'interno della sua famiglia.
- Miei lord - cominciò il
Targaryen - Mi dispiace per questa brusca interruzione.
Nel frattempo grattò la testa di
Vhagar, il quale sembrava fare le fusa come un gatto.
- Ma era l'unico modo per farvi
smettere. Ho ascoltato l'intera faccenda, e ho capito che voi siete
troppo
alterati per trovare una soluzione ragionevole.
A quell'affermazione Jonothor
Arryn parve infervorarsi ancor di più, ma Daeron non gli
diede il tempo di
ribattere.
- Per cui avrei io una soluzione
a questo problema: un giudizio per combattimento. Ma non uno qualsiasi.
La tensione era percepibile.
- Un giudizio dei sette.
Ci fu un attimo di silenzio, poi
septon Clodoth prese la parola.
- Il principe ha ragione - disse
- Stiamo parlando di un crimine infamante disprezzato dagli dei, e non
dobbiamo
prendere una decisione alla leggera, per di più per il fatto
che accusato e
accusatore sono consanguinei. Un giudizio dei sette sarebbe la cosa
migliore da
fare, gli dei sanno la verità e daranno il loro responso.
Nemmeno una mosca volava nella
tenda.
- E sia - concesse alla fine lord
Arryn - Avverrà domattina.
Poi si rivolse ai fratelli.
- Uscite, tutti e due, e andate a
cercarvi dei campioni. Altrimenti metterò a morte entrambi.
Robert non sapeva se in quel
momento suo padre fosse serio oppure no.
Note dell'autore
Eccomi qui, sesto capitolo, dove finalmente c'è la trama. E
che trama direi, e vi spoilero che è da qui che inizieranno
tutti i casini.
Ci ho messo un po' a scrivere, ma maggio è stato infernale.
Prometto di recuperare a giugno, visto che a luglio non sarò
in Italia e non potrò fare un bel nulla, così
voglio cercare di portarmi avanti con la storia il più
possibile.
A presto,
A_e
|
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Capitolo 8 *** Miana I ***
Miana
Si
svegliò di soprassalto,
avvertendo un terribile presentimento. Si ritrovò distesa in
mezzo alla sabbia,
la superficie rovente che le scottava la delicata pelle olivastra.
Sempre da
sdraiata si tastò le braccia, l'unica parte che la veste
lasciava scoperte, e
scoprì che anche solo toccarle le faceva male. Nonostante
potesse non sembrare
Miana era sempre stata piuttosto delicata alla luce del sole, per
questo
preferiva di gran lunga le sale oscure della Città Ombra
sotto Lancia del Sole.
Provò ad alzarsi, ancora un po'
stordita. Le sue mani affondarono nella sabbia soffice del deserto, ma
la donna
riuscì ugualmente a trovare una presa salda e la forza
necessaria per tirarsi
su. Si trovava dietro una duna, ma a giudicare dalle scottature doveva
essere
lì da un bel po', almeno dalla mattina visto che il sole
doveva essersi
spostato. Si guardò attorno, a desta e a sinistra, davanti e
dietro, ma il
risultato era sempre lo stesso: un mare desolato di onde sabbiose. Era
questo
il deserto di Dorne.
Si schermò la faccia con una
mano, cercando di proteggere gli occhi dai raggi solari. Sempre
osservando
l'orizzonte, distrattamente stavolta, si impose di stare calma.
Provò a fare
mente locale: come mai si trovava lì? Com'era possibile che
dalla sua casa
della Città Ombra si fosse improvvisamente ritrovata
lì nel bel mezzo del
nulla?
Quando comprese ricadde
mollemente a terra. Atterrò con un rumore non del tutto
sgradevole sulla
soffice sabbia, abbandonandosi sulla superficie irregolare. Non era
arrabbiata
però. Lasciò anzi che la sua bocca si piegasse in
un sorriso, e poi prese a
ridere di gusto. Rimase lì a sghignazzare per un bel po' di
tempo, divertita da
quello che le era successo. Non poteva non essere andata che in quel
modo, non
c'erano dubbi.
Ricordava ancora il discorso che
aveva fatto tempo prima a Dainis, sua protetta nonché sua
cugina di secondo
grado. Dainis Martell era diventata sua apprendista quattro anni prima,
quando
era scappata da suo padre Bryce, lord dei Giardini dell'Acqua. Le aveva
offerto
rifugio e aveva indirizzato suo padre da qualche altra parte, anche se
era
stata difficilmente creduta in quanto già nota come signora
dei sussurri per
lord Derrick, anche lui cugino solo di terzo grado. Era stata poi anche
l'artefice della riconciliazione tra Dainis e suo padre, ma la ragazza
era
comunque voluta rimanere con lei.
Tredici anni separavano Dainis da
Miana Martell, la prima era a malapena una donna mentre la seconda
aveva appena
superato la soglia dei trenta, divenendo una femmina fatta. Gli amanti
della
Serpe Oscura, così come era nota Miana nei bassifondi, erano
tanti, ma con
nessuno era riuscita a generare un'erede per il suo impero di spie.
Nessuno
poteva nulla a Dorne senza che Miana lo venisse a sapere, ma per tenere
in
piedi il suo "regno" Miana necessitava di un successore. E chi meglio
di Dainis, sua apprendista prediletta nonché appartenente
anche lei alla
famiglia regnante di Dorne?
Solo che ancora la ragazza era
piena di difetti. Non era più troppo giovane, ma aveva
ancora bisogno di tempo
per maturare. Era impulsiva, emotiva, e non dimenticava mai nulla.
Certo,
quest'ultimo fattore poteva rivelarsi un vantaggio, ma stavolta per
Miana non
lo era stato.
L'aveva presa da parte alcuni
giorni prima e le aveva fatto un bel discorso sul cosa vuol dire essere
una
signora dei sussurri.
- Ricordi - le aveva detto -
Tutte le volte che abbiamo studiato assieme le storie dei
più grandi signori
dei sussurri del passato? Mysaria la Larva per Daemon Targaryen, Varys
l'Eunuco
per il Re Folle e Viserys l'Ambizioso per Rhaegar il Saggio? Tutti loro
hanno
impartito delle lezioni, ovvero come fare e come non fare la spia. Tu
non sei
ancora pronta per succedermi, prendi esempio da tutti loro.
Le aveva allora raccontato come
lei stessa aveva sorpreso un giorno la sua maestra, organizzando un
finto
complotto ai suoi danni e mettendola con le spalle al muro. Ricordava
ancora
come ella aveva tremato inizialmente alla vista dei pugnali. Poi si era
guardata attorno, e aveva esaminato uno per uno coloro che l'avevano
assalita.
Infine aveva posato lo sguardo su un malvivente piccolo, e gli aveva
detto
semplicemente "rivelati". Miana si era così tolta il
cappuccio,
rivelando la lunga chioma di capelli corvini e la faccia piccola ma
graziosa.
La sua maestra aveva allora sorriso. "Sei pronta" le aveva detto
infine. Si era ritirata poco dopo dal ruolo di maestra dei sussurri di
Dorne,
lasciando a lei il suo posto. Lord Derrick all'epoca aveva ancora
dodici anni
ed era da poco il signore del paese, Miana solo quattro più
di lui, ma si era
dimostrata una dei suoi più preziosi consiglieri.
Da allora erano passati altri
quattordici anni, e anche lei si era presa un'allieva. Aveva sempre
prospettato
di fare una fine simile a quella della propria maestra, ma non pensava
che quel
momento sarebbe arrivato così presto, soprattutto da parte
di un allieva con
così poca esperienza. Miana era stata al servizio della
maestra da quando di
anni ne aveva sette, e ne erano passati altri nove prima della sua
rivincita.
Ecco perché si era sentita strana
dopo che lei, Dainis e Clarton avevano bevuto quel vino. Clarton era
l'amante
di Dainis, un grosso uomo del volgo proveniente dalla Città
Ombra. Aveva un suo
fascino, Miana l'aveva dovuto ammettere, ma su di lei non aveva mai
fatto
effetto. Invece Dainis ne era profondamente attratta. Se l'avesse
scoperto suo
padre di certo non ne sarebbe stato contento.
Insomma, lei e la cugina stavano
chiacchierando quando Clarton era arrivato portando una bottiglia di
vino.
"Distillato da mio cugino di Vaith" aveva detto "Fatto e spedito
direttamente a me". Così aveva riempito tre calici e avevano
preso a bere.
Miana aveva riso parecchio, doveva essersi ubriacata. Poi erano stati
tutti
colti da una stanchezza avvolgente, e si erano abbandonati dove si
trovavano.
L'ultima cosa che la donna ricordava era di aver visto Dainis che
ancora beveva
e Clarton già bello che andato disteso sul tavolo. Poi
più nulla.
Astuto, non c'era nulla da dire
in proposito. Dainis aveva corrotto quel buon vino con un potente
narcotico, e
per non destare sospetti anche lei e l'amante l'avevano bevuto.
Probabilmente
Clarton era anche all'oscuro del piano della Martell, o se non lo era
aveva
recitato davvero bene la sua parte. Poi qualche uomo ai suoi ordini
doveva aver
prelevato Miana e l'aveva portata lì.
Ricordava essere sera al momento
della bevuta, per cui ora che era pomeriggio... Miana
calcolò che doveva essere
lì da mezza giornata se aveva fortuna, oppure due giorni al
massimo, non di
più. Al sole di Dorne comunque bastava anche una sola ora
per scottare anche la
pelle più coriacea, per cui il tempo lì perdeva
di significato.
La donna si guardò nuovamente
attorno. Aveva un gran caldo, ma aveva imparato a non togliersi mai i
vestiti
di fronte ad alte temperature. Avrebbe esposto la pelle per nulla.
Tutt'attorno
a lei l'aria tremolava per l'afa, il debole vento che trasportava
fastidiosi
granelli di sabbia. Non c'era il benché minimo punto di
riferimento da prendere
per orientarsi, dalla sua posizione non si vedeva assolutamente nulla.
Almeno Dainis le aveva lasciato
una borsa con delle provviste, la Martell se n'era accorta solo in quel
momento. C'era un po' d'acqua in una borraccia, poi varie strisce di
carne
essiccata e qualche manciata di frutta secca come noci e noccioline, e
anche
qualche tipo di frutta amara adatta agli ambienti caldi, come datteri e
prugne.
C'era poi anche quella che doveva essere stata una pera, oramai marcia
per
l'esposizione al sole. Miana la gettò via, e la
guardò mente rotolava giù dalla
duna creando delle piccole folate di sabbia.
Scelse una direzione a caso e
cominciò ad avanzare lentamente verso chissà
dove. Il cibo lo aveva e per un
po' non sarebbe stato un problema. La vera questione era: dove andare
per
essere trovata? Non aveva la minima idea di dove fosse, poteva essere
vicinissima ad una fortezza come anche nel bel mezzo del deserto.
Scartò subito
l'ultima ipotesi, se era vero che non poteva essere lì da
più di un paio di
giorni non doveva essere lontana da Lancia del Sole. Anche i narcotici
più
potenti avevano una durata limitata che di solito non superava la
giornata
piena, per cui anche andando a cavallo o in groppa ad un veloce pokemon
non
poteva essere stata portata molto lontana da casa. Sperò con
tutto il cuore di
stare andando nella giusta direzione.
Il sole presto abbandonò lo
zenit, e cominciò lentamente a tramontare dietro le immense
dune. Arrivò la
prima notte, e Miana non poté fare altro che fermarsi dove
si trovava per
mangiare qualcosa. Non aveva toccato nessuna delle provviste per tutto
il giorno
per resistere alla tentazione di mangiare tutto in una volta sola, e
nonostante
avesse una fame da lupi razionò tutto al meglio. Doveva
essere avara con sé
stessa se voleva sopravvivere.
Bevve pochi sorsi ridotti
d'acqua, la quale nel frattempo era diventata tiepida. Faceva schifo ma
cercò
di mandarla giù ugualmente. Sgranocchiò una delle
strisce di carne e mangiò
qualche dattero e un paio di noci. Si scavò un piccolo
riparo in mezzo alla
sabbia e vi si coricò. Si tolse poi la mantellina di seta e
ricoprì con quella
l'ingresso della buca per proteggersi da eventuali predatori. In
verità la seta
l'avrebbe protetta ben poco, ma essendo gialla come anche la sabbia
forse
avrebbe tenuto nascosto il punto in cui stava Miana. Pregò
di essere ancora
viva la mattina dopo, poi si addormentò.
Proseguì
alla stessa maniera per
vari giorni. Ne contò quattro, poi si stancò e
smise di farlo, aveva cose più
importanti a cui pensare. Come ad esempio il fatto di non sapere se la
direzione che aveva preso era quella giusta. Per quanto ne sapeva
poteva anche
starsi allontanando da Lancia del Sole per inoltrarsi sempre
più in profondità
nel deserto. Ma per l'appunto non ne era a conoscenza, per cui poteva
solamente
andare avanti e sperare per il meglio.
L'aspetto peggiore era che
l'acqua a sua disposizione era drammaticamente poca rispetto al resto
delle sue
scorte. Pur impiegando tutta la sua buona volontà per non
sprecarla
razionandola, aveva per forza di cose dovuto assumerla regolarmente per
non
disidratarsi. Dopo cinque giorni - incluso quello in cui si era
svegliata -
aveva bevuto l'ultima goccia d'acqua, e da allora la borraccia non era
stata
più toccata. Aveva l'altro cibo, certo, e i datteri e le
prugne erano
abbastanza acquosi, ma nulla avrebbe potuto sostituire adeguatamente il
prezioso liquido.
Suo padre, quando ancora Miana
abitava a corte, le aveva fatto studiare geografia col maestro di cui
non si
ricordava nemmeno il nome. Dalle cartine aveva visto che Dorne,
comparato a
terre come l'Altopiano e il Nord, era davvero un paese piccolo. Ma quel
deserto, nonostante le apparenze, sembrava non finire più. O
le proporzioni di
quella mappa erano davvero sbagliate oppure Miana aveva completamente
perduto
il senso dell'orientamento. La seconda ipotesi era anche la
più probabile.
La donna continuò a marciare per
giorni nella sua direzione, se voleva avere qualche speranza di
sopravvivere
l'unica opzione disponibile era quella di perseverare. Se fosse
riuscita a
resistere ai morsi della fame, ai dannosi raggi del sole e ai piedi
brucianti e
pieni di dolore, forse sarebbe uscita viva da quell'avventura.
Presto però, nonostante le
pesanti restrizioni autoimposte, il cibo cominciò a
scarseggiare. Le noccioline
furono le prime a terminare, seguite dalle noci e dalle prugne. Miana
riuscì a
far durare le striscioline di carne per qualche giornata ancora, ma
alla fine
anche quelle terminarono. Riuscì quasi per miracolo a
razionare i datteri in
maniera tale da farseli durare per un po'. Ma per quanto esattamente
era un
dilemma. Quanto le mancava la Città Ombra, con le sue case
fresche e oscure, e
la sua coppa coi limoni canditi, sempre pronti per essere gustati...
Quando finalmente avvistò un
fiume aveva quasi del tutto finito il cibo. La sua prima reazione fu
quella di
lasciarsi cadere sulla duna su cui si trovava. Le forze l'avevano
completamente
abbandonata, e così rotolò sulla sabbia fin quasi
a finire in mezzo all'acqua,
venne fermata poco prima da una roccia sporgente.
Non era un fiume quanto più un
torrente, ma per Miana non fece differenza. Vi affondò la
faccia e cominciò ad
ingurgitare acqua a grandi sorsi. Quasi si strozzò, ma non
le importava. Se ci
fosse stato qualcuno alle sue spalle in quel momento avrebbe avuto
gioco facile
a prenderla per il collo, spingerla giù e annegarla.
Quando finalmente riemerse aprì
la borsa, tirò fuori la borraccia, la aperse e la immerse
all'interno delle
acque che scorrevano. Erano piuttosto limpide, leggermente miste alla
sabbia ma
meglio di nulla. Miana ebbe a quel punto un idea. Per evitare di
ingurgitare
anche i granelli tagliò un pezzetto della sua veste e lo
appose sul tappo, di
modo che quando avesse avuto voglia di bere la sabbia sarebbe stata
fermata
dalla seta mentre l'acqua vi sarebbe passata attraverso.
Rimase ferma lì a rifocillarsi
per un po', e dopo aver riempito e buttato giù due borracce
d'acqua
consecutivamente riprese la marcia. Adesso che aveva a disposizione una
scorta
d'acqua permanente il cibo era diventato l'ultimo dei suoi problemi.
Decise di
lasciar perdere i datteri per il momento, avrebbe rimandato il momento
di
mangiarli il più a lungo possibile.
Cominciò così a seguire il letto
del fiume verso valle. Se aveva calcolato bene le distanze, il corso
d'acqua
che stava scendendo doveva essere un affluente del Flagello, del Vaith
oppure
del Sangue Verde, se non addirittura uno dei tre. Se avesse avuto
fortuna prima
o poi sarebbe dovuta arrivare alla civiltà entro pochi
giorni.
Dopo una o due giornate di
cammino incontrò una strada. Più che una strada
sembrava essere un sentiero secco
appena visibile tra la sabbia dorata, che eppure mostrava i
caratteristici
segni che lasciavano le carriole durante il loro percorso. Forse
nessuno ci
camminava da anni, ma la donna si sentì più
motivata. Si stava avvicinando alle
terre abitate, se non ci era già avrebbe dovuto entrare nei
domini degli
Allyrion oppure dei Vaith da un momento all'altro.
Era tarda mattinata quando scoprì
il sentiero e prese a seguirlo, e si fermò solo dopo che il
sole era scomparso
dietro le dune all'orizzonte. La luce del giorno non era ancora
però totalmente
scomparsa, così Miana decise di riempire la borraccia
un'ultima volta. Si
allontanò dalla strada e si diresse verso il fiume. Il corso
d'acqua distava
meno di una mezza dozzina di piedi dal sentiero e Miana vi si diresse
sicura,
entrando senza quasi farci caso in un piccolo avvallamento.
Immediatamente il terreno sotto i
suoi piedi cedette. Si sentì cadere in avanti e le
mancò il respiro. La sabbia
tutt'attorno parve innalzarsi all'improvviso, o magari era solo lei che
cadeva.
Durò tutto una manciata di secondi, forse nemmeno quelli, e
il deserto si
richiuse velocemente sulla sua parte inferiore del corpo, che andava
dal seno
in giù. Il braccio destro rimase sotto, incastrato sotto
troppa e pesante
sabbia per muoversi.
Miana nel procedimento cozzò la
mandibola contro il duro terreno sotto di lei, e rimase intontita per
alcuni
istanti senza capire cos'era successo. Guardò impotente la
borsa con i suoi
alimenti, acqua e datteri, volare e atterrare pesantemente a non molta
distanza
da lei. Si aprì e la borraccia ne venne sbalzata fuori,
rovesciando per terra
la poca acqua che ancora era all'interno la quale venne subito
assorbita. I
datteri invece restarono all'interno della borsa.
Quando finalmente si fu ripresa
restò immobile per alcuni istanti. Realizzò in un
attimo che forse era finita
nelle sabbie mobili. Non erano rare nel deserto di Dorne, e non pochi
viaggiatori scomparivano mettendovi per sbaglio un piede dentro. Doveva
muoversi il meno possibile se voleva sopravvivere. Provò
ugualmente ad
allungare il braccio libero per tentare di trovare un appiglio al fine
di
issarsi cautamente fuori. Tutto inutile, dovunque serrasse le mani la
sabbia
fine le scivolava via tra le dita facendole il solletico.
Però... c'era qualcosa di strano
in tutta quella faccenda. Miana non sentiva il bagnato sotto i propri
piedi, e
sapeva che le sabbie mobili si formavano sopra le falde acquifere
sotterranee a
causa delle penetrazioni umide. Si formava così una bolla
d'aria mista a acqua
e sabbia, una poltiglia immonda che non lasciava più andare
chi ne restava
invischiato. E alla donna sembrava che fosse unicamente della sabbia
compatta
ad intrappolarla.
Provò a muoversi, e scoprì che
non stava andando sotto. Se fossero state veramente sabbie mobili
sarebbe stata
trascinata lentamente e inesorabilmente in giù, verso
un'atroce morte per
annegamento. Invece no, lei continuò a rimanere incastrata
sotto tonnellate di
sabbia, ferma esattamente dov'era prima. Cominciò a dubitare
d'essere
effettivamente finita preda delle sabbie mobili.
Così, senza più il timore di
affondare, cominciò a dimenarsi per uscire. Almeno ci
provò, visto che sotto il
terreno sentì la sabbia opporre una fiera resistenza ai suoi
movimenti, una
resistenza troppo forte per i suoi arti che tornarono preso nella
stessa
posizione di partenza. Tentò allora di allungare il braccio
e assieme ad esso
tutto il proprio corpo, protendendosi verso la borsa per cercare di
afferrarla.
Forse le sarebbe stata d'aiuto. Ma qualcun'altro ci arrivò
prima di lei.
Quando la sua mano fu a meno di
cinque pollici di distanza dal manico, accanto alla borsa si
formò dapprima una
piccola collinetta sabbiosa, dalla quale emerse una testa. Era piccola,
ovale e
soprattutto aveva due grosse fauci irte di denti aguzzi. Non sembrava
però
minacciosa, anzi, le zigrinature potevano ricordare vagamente un
sorriso. Due
occhi neri posti ai lati erano attraversati da pupille bianche a forma
di
croce.
Preso la creatura emerse
completamente, e alla testa s'aggiunse un corpo davvero piccolo se
posto a
confronto col capo. Era tozzo e avvolto da un carapace che poteva
ricordare
quello di una tartaruga. Dai quattro buchi agli angoli partivano
altrettante
zampe che terminavano senza nulla di particolare, semplicemente
finivano senza
dita, zoccolo o altre diavolerie.
Miana guardò confusa l'intera
scena. L'essere rimase fermo a guardarla per qualche istante.
Nonostante i suoi
occhi non si fossero mai mossi, la donna era sicura che stessero
squadrando
proprio lei, e non potendo fare altro ricambiò lo sguardo.
Poi capì. Delle
sabbie mobili che sabbie mobili non sono, un Trapinch che spunta
all'improvviso
dalla sabbia...
A conferma dei suoi sospetti il
pokemon cominciò ad annusare l'aria, poi si
orientò verso la borsa. In un
attimo ci infilò la testa e cominciò a mangiare
tutto ciò che c'era dentro.
Nonostante i datteri fossero abbastanza morbidi il caldo aveva fatto
solidificare la loro superficie, facendoli scrocchiare ad ogni morso.
Così la
donna avvertì dolorosamente ogni briciola di cibo scivolare
via per sempre
nella gola del pokemon.
Dapprima Miana rimase impietrita
sul posto. Era caduta in una trappola senza nemmeno accorgersene, e non
era
certo un vanto per un capo delle spie. Sapeva che delle bestie come i
Trapinch
erano piuttosto comuni nell'interno del deserto e che erano animali
abbastanza
intelligenti, ma che addirittura organizzassero trappole per poi
derubare chi
vi cadeva dentro, questa le era nuova.
- Fermo! - gridò,
Non seppe lei nemmeno perché lo
fece, forse sperando vanamente che il piccolo delinquente si fermasse.
Per
tutta risposta il Trapinch mise per un attimo la testa fuori dalla
borsa mentre
stava ancora masticando con le sue grandi mascelle. Poi socchiuse gli
occhi ed
emise un sibilo che Miana trovò terribilmente simile ad una
risata, tornando
subito dopo a mangiare. "Sfotte pure, quel piccolo bastardo...".
La donna, superata la sorpresa
iniziale, decise che non si sarebbe fatta gabbare da un pokemon.
Cominciò
nuovamente a dimenarsi per tentare di uscire. Fece quanta
più pressione
possibile col braccio incastrato, e quando vide la sabbia che v'era
sopra
sollevarsi cominciò a sperare per il meglio.
Quando l'arto emerse dalla sabbia
cercò di liberare anche il resto del corpo. Fu difficile
trovare un appiglio
saldo col quale issarsi fuori, ed effettivamente non ne
trovò nessuno. Però
riuscì a strisciare fuori dalla sabbia appiattendosi
completamente contro il
terreno, i granelli roventi che strusciavano contro la sua pelle,
infiltrandosi
nelle vesti.
Nel frattempo il pokemon aveva
capito le sue intenzioni, e così senza neppure aver finito
di mangiare aveva
afferrato il manico della borsa con la bocca e aveva cominciato a
correre lungo
il fiume, trascinando l'oggetto e sollevando in continuazione una
nuvola di
polvere e sabbia trasportata del vento.
A fatica Miana si rialzò e si
mise all'inseguimento. Dovette faticare parecchio anche solo per
guadagnare
qualche piede, e quel dannato piccoletto correva veloce nonostante
quelle
zampette minute che si ritrovava. Le dibatteva talmente forte che i
loro
movimenti risultavano quasi invisibile, ma la donna cercò di
mantenere il passo
e correre più veloce dell'avversario.
Lentamente e faticosamente,
riuscì pian piano ad avvicinarsi al ladro. Nei fatti erano
solamente pochi
piedi a separarli, ma Miana faticò ad acciuffarlo per via
della stanchezza che
l'esperienza dei giorni precedenti le aveva fatto accumulare. Si
sentiva
sfinita, ed era già un miracolo della Madre se riusciva a
mettere un piede
davanti all'altro. Le girava la testa per colpa del sole alto, ma tenne
duro e
continuò a correre.
La distanza cominciò infine ad
accorciarsi. Anche il pokemon se ne accorse, ed agitò di
più le zampe per
allontanarsi. Ma oramai Miana ce la stava mettendo tutta, e presto o
tardi
l'avrebbe raggiunto. Ecco, mancavano pochi pollici. Il Trapinch era
proprio
sotto di lei. Allungò una mano per afferrare la borsa, che
continuava a
strascinarsi pesantemente sulla sabbia. Sette pollici, cinque, tre,
due, ce
l'aveva quasi fatta...
Sprofondò in un istante, e si
sentì immergere fino alla vita. Riuscì a tirare
indietro la faccia prima di
farla finire dentro al fango, e sentì le sue gambe bagnarsi.
Le sue braccia
rimasero sollevate, ancora allungate verso il Trapinch fuggitivo.
Dapprima fu
confusa, ma poi realizzò. Stavolta c'era finita per davvero
nelle sabbie
mobili.
Cercò di non farsi prendere dal
panico, e in parte ce la fece. Solo in parte, perché la
sensazione di stare
affondando verso la morte non era certo facile da ignorare. Se poi si
aggiungeva il fatto che bastava anche un movimento minimo per
sprofondare,
Miana doveva stare completamente immobile, cosa peraltro impossibile se
voleva
uscire. Provò per un attimo a destreggiarsi tra la melma,
tentando di arrivare
ad una sponda che sembrava solida, ma il solo muoversi le fece arrivare
il
livello della superficie appena sotto le ascelle. Rimase allora
immobile
definitivamente.
Cercò di riflettere. Le sabbie
mobili non erano mai molto profonde e raramente portavano alla morte di
chi vi
finiva dentro. Il pericolo mortale era però quello di
restare intrappolati
nell'argilla senza via d'uscita, esposti a qualsiasi cosa fosse
capitava. Si
poteva morire di fame, sete, sbranati dalle bestie, divorati dagli
insetti, per
il caldo, per il freddo - visto che nel deserto di notte la temperatura
calava
drasticamente - e in decine di altri modi ancora. Ma quella pozza
sembrava
abbastanza scavata da inghiottire anche un cavallo intero.
Si guardò febbrilmente attorno
alla ricerca di un appiglio. Non c'era nulla da afferrare che sembrasse
anche
lontanamente solido, così cercò di avvicinarsi
ancora alla riva. L'acqua le
salì a mezza spalla, le braccia cominciarono a farsi
pesanti. La tentazione di
lasciarle andare all'abbraccio letale della sabbia era allettante, fin
troppo.
Si fermò di nuovo, e contemplò
ciò che l'attorniava. Era finita in una piccola riva fangosa
nella quale
passava un'ansa del fiume, il quale si era ingrossato notevolmente.
Forse non
era poi così lontana dalla civiltà. La trappola
naturale in cui era finita -
Miana la distingueva dalla terra asciutta per via del colore
più
"acquoso" - sembrava estendersi su buona parte di essa. Era lunga per
vari piedi, forse più di una decina, ma larga non molto
più di tre o quattro.
Si voltò quindi verso la riva
solida che le sembrava più vicina, e si ritrovò
davanti la faccia curiosa del
Trapinch. Non vedendola più inseguirlo si doveva essere
fermato e tornato
indietro per vedere il fato della sua inseguitrice. Sembrava sempre
sorridere,
e vederlo con quel leggero ghigno non fece altro che irritare la
già frustrata
Miana.
- Sei contento? Adesso per colpa
tua morirò.
Il pokemon emise di nuovo quello
sgradevole sibilo che era la sua risata.
- Ti diverti? Piccolo bastardo
maledetto, aspetta che venga fuori e poi vedrai.
Miana allungò una mano verso la
superficie più vicina, sulla quale si trovava proprio il
piccolo pokemon. La
sua mano riuscì a toccare terra proprio a pochi pollici da
lui, ma il Trapinch
non si spostò. Guardò invece incuriosito la mano,
poi nuovamente Miana.
- Cosa vuoi? Spostati, devo
venire fuori di qui.
Nessuna reazione, continuò
semplicemente a guardarla con quella sua aria apparentemente ingenua e
innocente.
"Maledizione, questo non si
sposta.". - Guarda che ti tiro una manata se...
Non fece in tempo a terminare la
frase perché il pokemon le aveva appena serrato la mano
nelle sue fauci. Era
stato talmente fulmineo che Miana emise un grido spaventato, e
provò a
divincolarsi. La presa però era troppo salda, nonostante non
la avvertisse
particolarmente stretta. Poi il Trapinch cominciò a tirare.
All'inizio le sembrò che le
volesse strappare la mano per mangiarsela. "Eh no cazzo! Non ho vissuto
tutti questi anni per farmi mangiare da un pokemon qualsiasi". Ma poi
si
accorse di star venendo trascinata interamente fuori dalla pozza
dov'era.
Infine capì, il piccoletto la stava aiutando ad uscire.
Vedendolo chiudere gli
occhi e impuntarsi sulle zampe per avere maggiore forza, anche lei
quando sentì
le braccia al sicuro sulla terraferma cominciò a strisciare
in avanti. Fu un
lavoro lungo e sporco, ma alla fine ne venne fuori.
Si rialzò e con le mani tentò di
ripulirsi un po' del fango che le incrostava i vestiti. Inutile, quella
poltiglia immonda gli si appiccicava alle mani e non ne voleva sapere
di
andarsene. Decise che si sarebbe lavata tutta, vestiti compresi, in un
tratto
del fiume più avanti.
Si voltò a guardare il suo
"salvatore". Il pokemon la guardava dal basso in alto, osservandola
curioso. Aveva la testa inclinata, come se stesse aspettando qualcosa.
La donna
rivolse tutta la propria aggressività contro il Trapinch.
- Vuoi che ti ringrazi anche?
Dopo che hai mangiato quel poco cibo che mi rimaneva dovrei solamente
maledirti
e spedirti nei Sette Inferi!
Si girò e prese ad avanzare a
grandi falcate verso il fiume. Non si accorse che il pokemon aveva
cominciato a
seguirla.
Il
Trapinch le stette appresso
mentre si spogliava e si lavava nel fiume, e non si
allontanò nemmeno quando
mise ad asciugare le proprie vesti. Quando riprese a camminare il
pokemon
continuò a seguirla, e Miana cominciò ad
irritarsi. Quando trovò un sasso
glielo tirò. Lo colpì sul carapace, ma o non gli
aveva fatto molto male oppure
al Trapinch non importava, continuò imperterrito a starle
dietro.
Si accampò in riva al fiume
quando arrivò la sera. Per la prima volta da quando era nel
deserto trovò una
pianta, almeno ciò che aveva dovuto un tempo esserla. Un
albero morto e secco,
cavo e spezzato. Finalmente avrebbe potuto accendere un fuoco, erano
troppe le
notti in cui aveva patito il freddo.
Scavò una piccola buca nella
sabbia e cominciò a spezzare, un po' con le mani e un po'
con alcuni calci ben
assestati, il cadavere del vegetale. Sistemò la legna nella
buca e, con un paio
di pietre che aveva raccolto e conservato durante il cammino,
riuscì a creare
la scintilla dalla quale si originò il falò. Si
accoccolò di fronte alle
fiamme, assaporando il calore e sentendo il sudore gelarsi man mano che
la
temperatura diminuiva. Era contenta, forse qualcuno avrebbe avvistato
il fumo e
sarebbe venuto a salvarla.
Sentiva però uno strano
pizzicorino sul collo, come se qualcuno la stesse osservando.
"Dannazione" pensò "Dev'essere ancora quel Trapinch". Si
girò e constatò che effettivamente il pokemon non
se n'era andato, e la stava
guardando dai limiti della luce proiettata dalle fiamme. Aveva sempre
la testa
inclinata, come se stesse aspettando qualcosa.
Quello fu troppo per Miana. Le
aveva rubato e mangiato il poco cibo che le rimaneva, l'aveva
intrappolata in
una buca e poi infine fatta finire nelle sabbie mobili. Poco importava
che poi
l'avesse aiutata ad uscirne fuori, l'aveva tediata in continuazione da
quando
si era salvata. Adesso ne avrebbe pagato le conseguenze.
Afferrò uno dei rami che
alimentavano il fuoco, prendendolo per l'estremità non in
fiamme. Lo prese a
mo' di torcia, si alzò e si allontanò dal fuoco,
diretta contro il pokemon. Adesso
gli avrebbe fatto vedere cosa significava dare fastidio alla signora
dei
sussurri di Dorne. Nella vita era così, potevi aiutare
qualcuno e quello in
cambio ti ammazzava, ma a questo Miana non ripensò
minimamente.
- Allora, te ne vuoi andare?! -
urlò, agitando il bastone che aveva in mano.
Il Trapinch non si mosse, anzi,
al massimo inclinò ancora di più la sua testa.
Quel suo sorrisetto le dava sui
nervi.
- Ti concedo tre secondi per
toglierti di mezzo, oppure ti infilzo. Uno...
Nessuna reazione da parte del
pokemon.
- Due...
Ancora niente.
- Tre.
Non si mosse.
- L'hai voluto tu.
Miana menò un fendente col
bastone, le fiamme che si dimenavano sulla punta. Trapinch
riuscì a schivare il
colpo, anche se di poco, e con le sue zampette corse velocemente fra le
gambe
di Miana. La donna provò allora nuovamente a colpirlo, ma
anche stavolta andò a
vuoto.
- Vuoi giocare? Sono stanca, non
ho voglia di fare storie.
Abbatté il bastone a terra,
facendo spezzare la parte carbonizzata e lasciando solo un moncone
incandescente.
- Adesso si fa sul serio.
Trapinch stavolta scappò subito
senza nemmeno aspettare la mossa della donna. Si diresse dalla parte
opposta,
verso il fiume, e Miana lo inseguì, le fiamme del ramo che
si protendevano
fameliche nell'aria. Il pokemon superò il falò e
si diresse verso il fiume, poi
quando fu arrivato in prossimità della corrente si
fermò.
"E' in trappola". Ci si
era cacciato da solo, forse spinto dalla paura nei confronti delle
fiamme.
L'acqua era però un nemico ben più temibile del
fuoco per lui, questo Miana
l'aveva imparato leggendo gli appunti dei maestri della Cittadella. Lo
doveva
riconoscere, i maestri avevano fatto un lavoro egregio secoli prima,
classificando
tutte quelle strane creature in base alle caratteristiche in diciotto
tipi
diversi per distinguerli più facilmente, ognuno con i suoi
pregi e difetti.
Miana si era documentata per imparare di più sulla fauna di
Dorne, e si
ricordava che i Trapinch si facevano più deboli se messi in
contatto con
l'acqua.
Il pokemon non si girò, si guardò
attorno come per valutare le sue vie di fuga, ma non ce n'erano. A
destra, a
sinistra e davanti vi era l'impetuoso corso d'acqua, e buttarvisi era
fuori
discussione, sarebbe probabilmente annegato. Poteva tornare indietro,
ma in
quel caso ci sarebbe stata Miana con la sua "mazza". Si era messo con
le spalle al muro.
Solo a quel punto si voltò,
quando oramai la donna gli era a meno di tre piedi di distanza. La
guardò con
occhi supplichevoli, ma Miana aveva già ben chiaro cosa
fare. Gli assestò un
colpo al fianco, e lo fece violentemente ribaltare sulla schiena,
esponendo il
sotto del carapace all'aria. Il pokemon la guardò, confuso.
Lei gli puntò il
moncone incandescente alla gola.
Avrebbe potuto ucciderlo, sarebbe
stato così facile. Ma per qualche ragione non lo fece.
Rifletté per alcuni
istanti, combattuta tra l'idea di trafiggerlo e mangiarselo oppure
risparmiarlo. D'altro canto non avrebbe avuto niente con cui rompere il
carapace, quindi...
- Bah.
Ritirò il bastone.
- Alzati e vattene. Ti risparmio
solo perché prima mi hai salvato la vita. Ma se ti fai
vedere di nuovo non sarò
più così generosa.
Il pokemon si rialzò lentamente,
e la guardò. Rimase nuovamente lì a fissarla, e
la donna si irritò di nuovo.
Stava per dirgli di andarsene, ma il pokemon, quasi come l'avesse letta
nel
pensiero, cominciò a camminare sulle proprie zampe. Si
allontanò dal raggio di
luce del fuoco e la guardò un'ultima volta con la sua
espressione misteriosa.
Miana ricambiò lo sguardo, truce. Il Trapinch rimase per
alcuni secondi a
guardarla, poi si voltò e scomparve nella notte.
Stava correndo al massimo che gli permettevano le
proprie zampe, ma non
c'era nulla da fare, l'avversario era troppo veloce. Arrancò
sulla sabbia a più
non posso per cercare di sfuggirgli, diretto in una direzione non ben
definita.
Eppure... Forse c'era una direzione che l'avrebbe salvato... Certo,
doveva
sperare per il meglio...
Sentiva il rumore del suo nemico. Era vicino, dietro di lui.
Dannatamente vicino, e strisciava troppo velocemente. Forse non ce
l'avrebbe
nemmeno fatta ad arrivare in salvo, oppure quella l'avrebbe ammazzato
ugualmente, l'aveva già avvertito prima. Ma tanto valeva
tentare.
Una luce! Eccolo, il fuoco! Il bagliore apparve come una scintilla
nella notte, lo notò con la coda dell'occhio destro.
Immediatamente cercò di
cambiare direzione, ma doveva stare attento all'inseguitore. Fece un
bel giro
ampio, giusto per star sicuro che non si accorgesse del cambio di
direzione.
Sperava con tutto il cuore che l'avrebbe aiutato e che si fosse
dimenticata
della promessa omicida di poco prima.
Aveva fatto un terribile sbaglio a non andarsene subito, di notte nel
deserto i predatori come quello andavano a caccia, e lui non era mai
stato in
grado di affrontarli. Ma aveva a tutti i costi voluto restare vicino
alla
donna, non sapeva nemmeno lui bene perché, maledisse
sé stesso per la sua
testardaggine. Ma paradossalmente colei che l'aveva minacciato di morte
poche ore
prima avrebbe anche potuto salvarlo.
Il bagliore si avvicinava lentamente. Maledizione, pensò, le
mie zampe
non mi fanno correre abbastanza. Un sibilo, e sentì qualcosa
mordere l'aria
appena dietro di lui. Dannazione, urlò una voce nella sua
testa, ce la devo
fare!
Finalmente, dopo una corsa che parve infinita, superò
l'ultima fatidica
duna e si ritrovò a poche decine di piedi dal
falò. La donna era lì che
dormiva, ignara di quello che le stava accadendo poco distante.
Eccola!,
esultò, Ancora pochi passi, la sveglio e-
D'un tratto gli mancò il respiro. Provò a
muoversi, ma si ritrovò
bloccato in una stretta che non gli lasciava tregua. D'istinto aveva
chiuso gli
occhi, ma vide distintamente il contorno delle spire che l'avevano
infine
avvolto. Provò a respirare, ma una di esse gli serrava la
gola, e di
conseguenza emise un rantolo strozzato. Quando aprì gli
occhi vide una bocca
spalancata, ornata da due denti simili ad artigli affilati.
Quando Miana si
svegliò aveva una
mano serrata sulla gola. "Un sogno" pensò,
tranquillizzandosi
"Era solo un sogno.". Rilasciò l'arto, il quale ricadde
mollemente
accanto a lei. "Merda, perché mi faccio condizionare? Adesso
sogno pure di
essere ammazzata dai serpenti. Bah.". Però... c'era qualcosa
che non le
tornava. Le sensazioni di quel sogno erano state troppo chiare, troppo
nitide
per essere solo il frutto della sua fantasia. C'era qualcosa di molto
strano in
tutta quella faccenda.
Poi lo udì, e si rizzò in piedi
più veloce che poté. Era un suono squillante,
come un tintinnare di
campanellini, e proveniva non molto distante da lei. "Un serpente a
sonagli! Allora non avevo tutti i torti!". Il fuoco si era spento, ma
alcune braci ardevano ancora sotto la cenere. Afferrò il
fido bastone con la
punta incandescente, e guardò in tutte le direzioni per
capire dove fosse il
serpente.
Lo individuò facilmente. Era
sulla cima della duna sopra di lei, aveva appena catturato una preda e
agitava
eccitato la coda con il sonaglio in segno di vittoria. La stava
stritolando
lentamente, e si stava preparando a dare il colpo di grazia alla povera
bestiola, lo intuiva dalla bocca aperta e dai denti avvelenati bene in
mostra.
"Mi sono spaventata per
niente" si disse cercando di calmarsi "Adesso lo ammazzerà,
lo
mangerà e se ne andrà. Non dovrebbe nemmeno
badarci a me dopotutto.". Fece
per disinteressarsi di tutta quella storia, quando gli venne la
curiosità di
sapere cos'aveva catturato. Almeno avrebbe potuto calcolare
grossolanamente
quanto gli ci sarebbe voluto per digerirlo e di conseguenza quanto
tempo aveva
lei per andarsene al fine di evitare guai.
Da quella distanza però non lo
vedeva bene, così decise di avvicinarsi. Giusto un po'
più vicino, e per
precauzione si portò dietro il bastone, non avrebbe mai
potuto sapere se il
serpente l'avrebbe attaccata oppure no. Quando fu più o meno
ad una ventina di
piedi di distanza aguzzò la vista e finalmente potette
distinguere i lineamenti
del povero animale destinato a morire.
Quasi le prese un colpo quando lo
riconobbe. "Quel piccolo idiota!". Miana era sconcertata. "Non
mi dire che non se n'era ancora andato! Cazzo, nemmeno Dai è
mai stata così
ostinata!". Probabilmente il Trapinch non era mai andato molto lontano
dopo che l'aveva quasi ucciso col bastone, e adesso ne stava pagando le
conseguenze.
"Non lo sapeva che di notte questo posto brulica di serpenti a
sonagli?!?".
Aveva cominciato a camminare
ancora prima di rendersene conto. Si avvicinò di soppiatto
al serpente, decisa
a coglierlo alle spalle. Aumentò il passo quando vide il
rettile cominciare a
mordere il pokemon. L'animale era troppo concentrato a stringere e
mordere la
propria preda per badare a lei, così non la vide mentre
alzava il piede. Poi,
cercando di mettervi tutta la propria forza, lo pestò sulla
coda a sonagli.
Sentì qualcosa spezzarsi sotto il
proprio sandalo. Sentì immediatamente il serpente allentare
la presa sul
pokemon, e la donna non perse tempo. Ignorando i sibili di dolore,
menò il ramo
come fosse stato una mazza, prendendo il serpente in piena testa.
Continuò a
colpirlo anche quando si accasciò a terra, e
continuò finché il cranio del
rettile non si fu ridotto ad una poltiglia verdognola.
Quando fu sicura di averlo
ucciso, passò a controllare il Trapinch. Si era accasciato a
terra, ma sembrava
più impaurito che ferito. C'erano vari graffi sul carapace,
segni lasciati dai
morsi del serpente. Quell'animale non doveva essere stato molto furbo,
se
l'avesse voluto uccidere avrebbe dovuto morderlo sul collo.
Allungò una mano verso il
pokemon, ma quello si mostrò reticente.
- Vieni qui, razza d'idiota. Non
ti faccio nulla.
Anche se di malavoglia il
Trapinch si lasciò prendere il braccio. La donna lo
esaminò, e vide che almeno
una volta il serpente aveva fatto centro. C'erano due buchi nella sua
pelle
arancione, poco al di sotto dell'entrata del carapace, su una delle
zampe
anteriori. Dopodiché rimise a terra il pokemon.
- Ce la fai a camminare? - gli
chiese.
Il pokemon la guardò
interrogativo, e provò a muovere un passo. Appena
provò ad appoggiare la zampa
a terra si ritrasse, le fauci contorte in una smorfia di dolore.
"Piccolo
stupido. Adesso mi toccherà portarlo in braccio.".
Camminò
senza sosta per due
giorni, fermandosi giusto il tempo per abbeverarsi e per controllare le
condizioni del pokemon. Continuò a marciare seguendo il
corso del fiume, finché
infine scorse qualcosa all'orizzonte. Dapprima le sembrò
solo un'ennesima duna,
ma più si avvicinava e più la duna assomigliava
ad una fortezza. "No, è
solo un miraggio" si disse "E' dello stesso colore della sabbia,
è
solo una duna dalla strana forma". Ogni suo dubbio si
dissipò però quando
vide la "duna dalla strana forma" brulicare di vita. C'erano uomini
sui parapetti, sulle torri, alle finestre, ai piedi delle mura, tutti
intenti
nelle loro mansioni. Sopra un merletto garriva uno stendardo al poco
vento che
soffiava in quel momento, figurante una mano dorata su sfondo rosso e
nero.
Quella era Grazia degli Dei, sede di casa Allyrion. Miana
cominciò
disperatamente a correre.
Quando arrivò alla porta
principale alcuni si erano già accorti di lei, e un
balestriere aveva già
caricato la propria arma.
- Via di qui - disse,
puntandogliela addosso - Non vogliamo mendicanti.
- Non sono una mendicante! - gli
gridò lei.
- E chi sareste voi, di grazia? -
le chiese un armigero da una finestrella poco al di sopra della sua
posizione.
- Miana Martell, al servizio di
lord Derrick Martell. E se non vi muovete a farmi entrare ne pagherete
le
conseguenze!
A sentire quel nome i soldati si
riscossero. La sua fama era nota in tutta Dorne e anche al di fuori,
era
risaputo che Miana Martell manteneva le promesse fatte, sempre. La
grata di
ferro venne alzata e Miana entrò dentro Grazia degli Dei.
Mentre avanzava nella
piazza, le vesti ormai lacere che le pendevano malamente, le si fece
incontro
un uomo grasso dalla pelle abbronzata. Portava una leggera armatura
sopra la
pelle madida di sudore, e boccheggiava.
- Mi dispiace, milady, per il
trattamento che avete subito - disse - Ma di questi tempi è
bene non fidarsi di
nessuno.
- Chi siete voi? - chiese la
donna in modo sgarbato.
- Ser Tobbott Allyrion, se vi
compiace.
Ser Tobbott era il fratello ed
erede di lady Allyrion, Miana l'aveva visto un paio di volte a qualche
festa
indetta da suo cugino il lord a Lancia del Sole. Ma in quel momento non
gli
importava minimamente chi fosse.
- Mi serve un maestro, una
coperta e dell'acqua calda.
- Certamente. Mandate subito a
chiamare il maestro! - urlò ad alcune guardie - Volete che
vi visiti in una
stanza del fortino oppure vi va bene nelle mura?
- Non è per me, razza d'idiota.
Più
tardi, mentre aspettava che
il maestro arrivasse, stava stringendo a sé il pokemon. Era
avvolto in una
coperta lacera, bruciava di febbre, e i suoi occhi socchiusi
lacrimavano. Tutta
colpa del veleno, indubbiamente.
- Che ostinato che sei - disse la
donna a voce alta - Perché non sei già morto? A
quest'ora avresti dovuto
esserlo da un pezzo. Sei più forte di quel che sembri, eh?
Lo guardò per un po'.
- Oberyn - disse infine - E' un
bel nome, non ti pare? Vedrai che ti piacerà. Se sei davvero
così forte,
resisti finché non arriva il maestro. Allora potrei anche
pensare che sei degno
di restare con me.
Note
dell'autore
Settimo
capitolo gente. Ormai avevo perso le speranze di farli così
in fretta, ma questo mi è venuto un po' più corto
del normale e così è andata bene. Può
sembrare non c'entrare niente con la trama, ma piano piano tutti i
pezzi del puzzle si incastreranno.
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Capitolo 9 *** Calla I ***
Calla
Quella
sera a Capo Tempesta si
tennero grandi festeggiamenti. Lord Orson aveva deciso di indire una
festa per
ricompensare gli stallieri per il duro lavoro di due settimane prima,
quando
c'era stata la fuga di massa dei pokemon dalle stalle. Non era stata
organizzata
prima perché Nynt, il maestro dei cavalli, aveva richiesto
alcuni giorni per
far riprendere i ragazzi.
Giorni che lord Orson era stato
felice di concedere anche per avere il tempo di invitare qualche altro
lord suo
vassallo. Del resto sarebbero serviti almeno alcuni giorni solamente
per
spedire gli inviti. Per il capo di casa Baratheon qualsiasi motivazione
era
buona per festeggiare, e del resto nessuno lo biasimava, in tempi come
quelli
bisognava stare allegri. La notizia della morte del Primo Cavaliere era
appena
arrivata tramite i corvi e lord Orson aveva addotto alla festa un altro
scopo,
quello di alzare il morale dei cortigiani. Del resto un nuovo Primo
Cavaliere
era stato eletto, e come aveva detto il signore di Capo Tempesta "non
c'è
bisogno di disperare".
A Calla le feste non erano mai
piaciute, in primis per tutto il chiasso che vi regnava. Poi un altro
motivo
era la puzza: poteva non sembrare ma certe volte i nobili ammassati
potevano
arrivare ad odorare allo stesso modo dei popolani. Alla ragazza piaceva
fare il
bagno spesso, anche d'inverno, e non sopportava gli odori forti,
specialmente i
cattivi odori.
Un'altro dei motivi per cui non
apprezzava i banchetti era per la presenza dei corteggiatori. Calla era
una
bella ragazza, su questo nessuno poteva mettere bocca, anche se non
certo la
più attraente tra le nobili delle Terre della Tempesta. Il
suo defunto padre
però, Barristan Baratheon, era stato uno degli amici
più fidati del principe
Laerion, ed era tenuto presso gran conto alla corte del re.
Ma sia suo padre che il principe
erano morti da lungo tempo, e Calla faticava a comprendere il motivo
per cui
era tanto desiderata. Aveva sentito dire una volta a Gravven Wensington
che era
la nipote preferita di lord Orson, ma Calla stessa dubitava di essere
tenuta in
gran conto per questo. Che i suoi pretendenti credessero di ottenere il
favore
di lord Baratheon per questo? Poveri illusi.
Partecipò comunque alla festa,
non per piacere ma per dovere. Era una lady ancora nubile, e alla ormai
"veneranda" età di vent'anni non era neppure promessa in
sposa.
Secondo lord Orson prima o poi si sarebbe dovuta trovare un marito. Tra
le sue
proposte più frequenti c'erano, oltre che a Gravven
Wensington e suo cugino
Rowan Baratheon, anche Norbert Connington, erede di Posatoio del
Grifone.
Quello che tra tutti le stava più antipatico.
E chi le venne incontro quando
entrò nella Sala Grande della fortezza se non lui? Era
accompagnata da due dame
di compagnia, due fanciulle frivole e talmente superflue da rendere
impossibile
anche solo tentare di avviare una conversazione, e indossava una lunga
veste
giallo intenso scollata. L'estate doveva star arrivando davvero
perché negli
ultimi giorni faceva davvero caldo, così aveva optato per
quell'abito che oltre
rinfrescarla rimarcava anche le sue origini familiari.
- Ma che splendido vestito, lady
Calla! Come mai non vi avevamo mai visto prima con esso addosso?
"Sono appena entrata"
pensò lei stizzita "E' un nuovo primato, non era mai passato
così poco
tempo tra il mio arrivo e i suoi squallidi tentativi di sedurmi.".
Norbert Connington le si avvicinò
sorridente con un paio di suoi amici nobili che lei non conosceva.
Dagli stemmi
sui farsetti poté però intuire la loro
provenienza. "Wagstaff e Morrigen.
Due bifolchi senz'altro, se sono nati da case altrettanto bifolche.".
- E' un vestito estivo - rispose
- Ecco perché non l'avevate mai visto.
- Capisco - ribatté lui con un
sorrisetto che la innervosì subito - State
meravigliosamente, lasciatevelo
dire.
- Grazie molte.
Cercò subito di allontanarsi,
mentre le due dame attaccarono bottone con i compari di Connington e
cominciarono a ridere alle loro battute oscene. La sala non era
ricolma, non
era una grande festa dopotutto, ma la donna dovette comunque farsi
strada con
le braccia tra i vari nobili per tentare di arrivare al tavolo. Non era
certo
un comportamento signorile quello che stava tenendo, ma quando si
alterava non
riusciva a rispettare tutto quello stupido galateo.
Era quasi arrivata al tavolo
quando Connington la raggiunse nuovamente.
- Aspettate! - le fece - Non
scappate così? Come mai siete fuggita? Sembra che io non vi
stia
particolarmente simpatico.
- Ma bravo - fece lei di rimando
- Avete colto nel segno.
- E posso chiederne il motivo, se
non sono impertinente?
La domanda venne posta sempre con
quel suo sorrisetto sornione, ed era questo un'altro dei motivi
perché Calla
non sopportava Connington, sembrava sempre prendere in giro la persona
all'altro capo della conversazione.
- Lo siete eccome, un
impertinente, ma bando alle ciance. Mi tediate con le vostre proposte
di
matrimonio, esattamente come tutti gli altri. La mia pazienza nei
vostri
confronti si è esaurita da tempo, e fatemi il favore di
riferirlo a tutti gli
altri miei corteggiatori. Sapete, non mi va di sprecare il fiato
stasera.
Detto questo girò i tacchi e si
avviò verso il tavolo. Questa volta Connington non la
seguì, era rimasto
impietrito sul posto. Probabilmente nessuna donna gli aveva mai
risposto a quel
modo, e quella reazione l'aveva lasciato di sasso. Calla sorrise
compiaciuta.
Aveva ottenuto una vittoria, anche se piccola, nei confronti della
moltitudine
di nemici che affrontava quotidianamente.
Vittoria
che fu piuttosto
effimera, dato che il destino - o magari lord Baratheon - a tavola le
mise vicino
proprio Connington. Quando egli arrivò Calla stava
scherzando con una dama
seduta vicino a lei, ma appena lo scorse il sorriso le morì
sulle labbra. Tentò
di voltarsi per non dare a vedere di averlo visto, ma non
servì.
- Ma guardate un po' chi ho qui!
- disse, deliziato - Sembra che dopotutto voi mi amiate!
- Non dite sciocchezze - fu la
secca replica di lei - Io non vi amo, sarà stato lord
Baratheon che facendo la
disposizione dei posti ci avrà accidentalmente affiancato.
- Accidentalmente.
Non le piacque il modo in cui
rimarcò l'ultima parola, ma non ci poté fare
niente. Non sarebbe certo potuta
andare da lord Baratheon, che in quel momento stava scherzando con lord
Grandison, per lamentarsi di una quisquilia del genere, sarebbe apparsa
frivola
come la maggior parte delle dame presenti. E lei frivola non era di
sicuro.
Per sua fortuna Connington si
disinteressò presto a lei. Inizialmente le rivolse qualche
attenzione, ma poi
trovò qualcosa di meglio da fare - ad esempio trangugiare
vino come se non ci
fosse stato per lui un domani - e la lasciò stare per il
resto del banchetto.
L'uomo preferì mettersi a parlare e a ridere con i suoi due
compari, Morrigen e
Wagstaff, piuttosto che tentare di sedurla come di solito faceva.
Calla poté così dedicare un po'
di tempo alla sua mente, tempo che impiegò per riflettere.
Fece scorrere lo
sguardo per la sala gremita di gente, e notò qualche lord
che conosceva, come
ad esempio il già citato Grandison, lord Penrose e quel
fetente di lord Unwin
Fell. Fell aveva fama di uomo avaro e avido, e quel suo modo di fare
mellifluo
non le era mai piaciuto. Una volta aveva provato ad organizzare un
matrimonio
tra Calla e suo figlio Ulrich, ma la donna si era fermamente opposta a
tale
unione.
Calla prese così a giocherellare
con i propri lunghi capelli neri corvini, osservando passivamente quel
che
succedeva attorno a lei. Le portate arrivarono e furono portate via in
continuazione, la ragazza ne toccò a malapena due o tre. Le
feste non le
avevano mai messo appetito, così mangiò solamente
quel che la attirò
maggiormente, il che fu veramente poco.
Gli ospiti più passava il tempo e
più si facevano ubriachi e anche lord Orson, seduto su una
piattaforma rialzata
assieme ad alcuni dei suoi vassalli maggiori, si fece presto brillo. A
quel
punto la festa degenerò. L'ubriachezza collettiva
portò all'improvvisazione di
piccole battaglie a chi mangiava o beveva di più, a approcci
sessuali
indesiderati, a volgari gare di rutti e ad altre cose disdicevoli per
un
nobile.
Calla seppe quando fu il momento
di andarsene quando vide un nobile poco distante vomitare. Erano tutti
talmente
ubriachi al punto che nessuno si accorse di Calla che si alzava la
veste per
evitare di sporcarla coi resti di cibo sparsi per terra e cominciava ad
arrancare verso la porta. Nemmeno Connington, anch'egli ubriaco e
intento ad
abbordare una giovane dama, parve rendersi conto che la sua "preda
preferita" si stava dileguando.
Era anche questo che Calla
disprezzava delle feste, tendevano a degenerare col passare delle ore.
A lei il
vino piaceva, ma si era sempre saputa controllare per evitare di
ubriacarsi.
Non riusciva a spiegarsi come lord Orson potesse permettere che una
simile
confusione regnasse nella Sala Grande, ma del resto era quella la fine
che
facevano la maggior parte delle celebrazioni in tutto il Continente
Occidentale. E probabilmente anche ad Essos. Gli uomini in fondo erano
uguali
dappertutto, e mai sarebbero cambiati.
Uscì dalla Sala Grande
dall'ingresso principale praticamente non vista, le guardie erano
ubriache sia
dentro che fuori, quelle dentro per aver partecipato alla festa e
quelle fuori
per compensare di non averlo fatto. "Che comportamento
contradditorio" pensò Calla leggermente divertita "Certe
volte la
vita è proprio beffarda.".
Le era venuta voglia di fare una
passeggiata. Dentro al castello c'era un caldo soffocante, mentre fuori
nel
cortile la brezza della sera lasciava sulla pelle una sensazione
incredibilmente piacevole. "Come si sta bene" pensò la
ragazza
"Forse potrei uscire fuori e fare una passeggiata al chiaro di Luna".
C'era la Luna, quella sera, era crescente.
Sempre tenendosi alzato il
vestito - non voleva sporcarsi di terra - passò vicino alle
stalle.
Immediatamente il fetore della paglia e degli escrementi
assalì il suo naso.
Purtroppo per arrivare alla grata di ferro e quindi al pontile di legno
che
permetteva di uscire dal castello era necessario transitare di
là, così cercò
di farsi forza e di non pensare al puzzo. Non poteva direttamente
tapparsi il
naso in quanto con le mani si stava tenendo su la splendida veste, e
poi
tenersi il naso non era certo un comportamento adatto ad una dama.
Passò vicino all'ingresso delle
stalle e sentì provenire da dentro grida, schiamazzi e
risate: anche lì stavano
festeggiando. "Certo, lord Orson ha indetto la festa per loro"
pensò
"Ma non li avrebbe mai fatti entrare nella Sala Grande assieme agli
altri
nobili.". Era strano che la festa si tenesse ugualmente senza i
festeggiati, ma sembrava che essi avessero rimediato da soli. Almeno
gli era
stato fornito il cibo, e a giudicare dal tono delle voci anche del
vino.
Dovevano esserci parecchi ubriachi lì dentro.
Le giunsero le note di una
canzone. Dapprima cominciò una sola voce malferma per colpa
del vino, ma più
proseguiva e più il numero dei cantanti aumentava. Il tono,
pur scoordinato e
confuso, divenne sempre più forte, e così Calla
poté distinguere meglio le
parole. Gli stallieri stavano cantando La
moglie del dorniano.
La moglie del dorniano era bionda come l'oro
e più caldo della primavera era il suo
bacio.
Ma la lama del dorniano era acciaio nero,
e terribile era il suo bacio.
La moglie del dorniano
cantava immergendosi,
dolce come una pesca era la sua voce.
Ma la lama del dorniano cantava
sguainandosi,
freddo come una sanguisuga era il suo morso
atroce.
"Che canzone
tetra"
pensò la donna "Eppure ha un tono così allegro.
Probabilmente sono così
ubriachi che non si rendono nemmeno conto di cosa stanno dicendo.". E
probabilmente era vero, ma Calla decise di non fermarsi per
chiederglielo.
Sapeva che disturbare un uomo ubriaco essendo una donna non era una
cosa
prudente, così passò oltre l'ingresso della
stalla. Qualcuno la vide e le
fischiò, ma lei lo ignorò.
Mentre al suolo giaceva, con le tenebre
attorno,
e il sangue che dalla sua lingua colò,
i suoi fratelli per lui pregarono, standogli
accanto in contorno,
così lui rise e sorrise e per loro
cantò:
"Fratelli, oh fratelli, i
miei giorni
son finiti,
la lama del dorniano la mia vita s'è
presa.
Ma questo nulla importa, tutti gli uomini
hanno i giorni contati,
gustando la moglie del dorniano ho compiuto
l'impresa!".
Gli ultimi versi
della canzone le
arrivarono mentre si era già allontanata. Entrò
in una zona buia del cortile,
la quale non veniva raggiunta dalla luce delle torce. Era al di sotto
delle
fondamenta di un torrione, e non ci sarebbe stato lo spazio del resto
nemmeno
per una finestra, figuriamoci per una torcia. Forse, anzi, sicuramente
a causa
del buio qualcuno le andò a sbattere contro.
- Che modi! - gridò lei,
lasciandosi scappare un lamento. Chiunque le fosse venuto addosso si
era
scontrato duramente con le sue parti basse, le aveva fatto male.
Sentì un tonfo, segno che chi
l'aveva urtata era caduto per terra. Calla aveva visto le stelle per
alcuni
secondi, il colpo le era arrivato dritto al pube in una zona abbastanza
delicata, ma dopo poco cercò di distinguere il maleducato
che le aveva fatto
questo. Dapprima faticò per via del buio, ma poi i suoi
occhi si abituarono
e...
Un ragazzino! Un ragazzino le era
andato a sbattere addosso! Nonostante l'oscurità fosse
abbastanza pesante
riuscì a distinguerne i lineamenti, e vide che era molto
sporco. Doveva essere
uno stalliere, magari scappato alla festicciola che aveva visto prima.
- M-mi dispiace - farfugliò lui ancora
a terra - Non vi avevo visto...
- Mi hai fatto male.
Nonostante il dolore, Calla non
ce la fece ad arrabbiarsi con lui, era poco più che un
bambino. La sua voce era
ancora abbastanza acuta, nonostante si notasse qualche inflessione
profonda,
segno che la pubertà era ancora ai suoi primi segnali.
Sicuramente non aveva
fatto apposta a scontrarsi con lei, non certo come facevano quei porci
di
Morrigen e Wagstaff. Una volta il secondo si era scontrato con lei solo
per
tentare squallidamente di sedurla.
- Vieni, ti aiuto ad alzarti - gli
disse, porgendogli la mano.
Immediatamente il ragazzino stese
una delle proprie braccia per afferrare l'aiuto che gli veniva porto, e
Calla
quasi si stupì di quanto fosse forte quella stretta se
paragonata a chi la
stava azionando.
- Cosa stavi facendo? - chiese la
donna mentre lui si rialzava.
- Volevo andare nelle stalle.
Ciò si intuiva anche dalla
direzione che stava prendendo, opposta a quella di calla. Di certo non
sarebbe
potuto andare nella Sala Grande, dove i nobili lo avrebbero
riconosciuto e cacciato
anche da ubriachi fradici.
- Hanno detto che i ragazzini non
possono festeggiare e ci hanno messo nelle cucine. Jorah ci ha fatto
mangiare
qualcosa, ma tutti si lamentavano.
Jorah era il capo delle cucine di
Capo Tempesta, Calla lo aveva intravisto qualche volta.
- Ma a me non interessa la festa.
Io devo andare... dagli animali. Per dargli da mangiare.
C'era stata una strana esitazione
nella voce del ragazzo quando aveva dovuto dire il motivo per cui stava
andando
verso la stalla. Che stesse nascondendo qualcosa? Probabile, ma
sicuramente
sarebbe stata qualche sciocca magagna da stalla, che alla donna non
sarebbe
sicuramente interessata, così non insistette.
Dopo che l'ebbe aiutato a
rialzarsi fece avvicinare il ragazzino.
- Mi raccomando - gli disse - La
prossima volta guarda dove vai.
- Lo farò, milady. Grazie.
Dopodiché lo lasciò andare, e
ognuno andò per la propria strada. Il ragazzino prese a
correre nuovamente
verso la stalla, mentre Calla si diresse verso la grata, che
già intravedeva.
C'erano due guardie, una addormentata e l'altra ubriaca, Calla lo
capiva dal
modo in cui si reggeva in piedi. Questa era l'efficiente sorveglianza
di Capo
Tempesta.
Mentre camminava ripensò a quel
ragazzino. Vestiva di stracci, o comunque di vesti molto povere, la
donna provò
quasi pena per lui. Di certo però non gli avrebbe dato nulla
da vestire, era
tanto se l'aveva perdonato per essergli andato a sbattere contro. Gli
venne in
mente la sua faccia. Aveva delle labbra secche e degli zigomi
abbastanza
pronunciati. I capelli erano neri, al punto che a Calla
ricordò il cugino
Baelon. "Già, anche Baelon ha gli occhi...".
Viola? Quel ragazzino aveva gli
occhi viola? Calla restò per un attimo confusa e si
fermò. Un ragazzino dai
capelli neri e gli occhi viola? Dove aveva già sentito
quella descrizione? Si
voltò per cercarlo, ma si era già dileguato. Le
era appena andato a sbattere
contro il bastardo di Baelon Baratheon. "Come si chiamava? Aspetta,
iniziava con la H... Harrold... Horace... Hobber... no, aspetta...
iniziava con
Ha... Harren? No... Harys... ecco, Haerrik! Si chiama Haerrik Storm!".
Sapere che quel ragazzino era imparentato con lei, seppur alla lontana,
le fece
tornare il buon umore. Aver incontrato un parente che non le stesse
antipatico
la fece sentire felice.
Arrivò finalmente al cancello, e
si sentì rincuorata alla vista della pesante grata di ferro.
Quel buio le aveva
messo addosso un'angoscia terribile che l'incontro con Haerrik non
aveva
allentato. Si avvicinò ad una delle guardie, quella sveglia
anche se ubriaca, e
gli chiese di lasciarla uscire. Sulle prime l'uomo non rispose,
continuando a
guardare il vuoto con aria spaesata, ma alla fine rispose.
- A-aprire... la grata?
- Esatto.
- N-non si può.
La sua voce era malferma, e quasi
per farsi coraggio alzò la caraffa di vino, se la
portò alla bocca e ne
trangugiò avidamente alcuni sorsi.
- O-ordini di lord Orson, non
lasciare entrare né- hic, uscire nessuno.
Il singhiozzetto emesso durante
la frase gli conferì un'aria ancora più ridicola
di quanto già lo fosse. Aveva
un passo traballante e a stento si reggeva in piedi, la cappa giallo
caldo gli
ricadeva floscia dietro la schiena, aveva l'elmo di traverso e la
faccia di un
viola paonazzo. Doveva essere ubriaco fradicio, nemmeno semplicemente
alticcio.
- E come mai?
- Gli ordini- hic, non si
discutono.
- Se non mi volete lasciar
passare, alzerò la grata da sola.
Calla si diresse così verso la
leva posta a poca distanza in grado di alzare la pesante grata. Era un
grosso
bozzolo di legno contornato da qualche sporgenza appena definibile come
un
braccio della leva, ma tant'era, le guardie si arrangiavano.
Provò a
posizionarsi davanti ad uno di essi e a spingere, aveva visto parecchie
volte
uomini anche minuti aprire da soli la grata. Ce la poteva fare, ne era
più che
sicura.
Solo che qualcun altro la afferrò
prima. Calla venne spinta all'indietro, si girò e si
ritrovò faccia a faccia
con la guardia alticcia.
- L-lord Orson ha detto di non
lasciar passare- hic, nessuno.
Il suo alito puzzolente investì
la faccia della donna, che distolse lo sguardo nauseata.
- Gli ordini del lord- hic, si
rispettano.
- Lasciami!
Calla si divincolò facilmente
dalla sua presa, anche se aveva per un attimo temuto che non la
lasciasse più
andare. E aveva anche temuto che il vino gli avesse fatto venire strane
idee,
ma a quanto pare si era sbagliata. Corse via. e l'armigero
restò a guardarla
imbambolato come se avesse appena visto un miraggio lontano. "Meno male
che il vino non ha lo stesso effetto su tutti" pensò Calla
"Altrimenti
chissà cosa mi avrebbe fatto...".
Ma non si sarebbe rassegnata,
assolutamente no. Aveva deciso che sarebbe uscita dal castello per una
passeggiata e l'avrebbe fatto, qualsiasi ostacolo le si fosse parato
davanti. Calla
Baratheon era nota per la sua testardaggine, dote ereditata da suo
padre
Barristan. O questo almeno aveva sempre sentito dire, aveva solamente
un vago
ricordo del padre. Lui era morto durante la Primavera di Sangue, quando
Calla
di anni ne aveva cinque. Aveva guidato lo schieramento dei Baratheon
alla battaglia
del Bosco delle Piogge assieme ad Aidan Storm, fresco di investitura
nella
Guardia Reale, e dicevano avesse combattuto con valore. Era poi stato
trafitto
da una lancia e Storm era morto poco dopo proteggendo il re Jaehaerys
all'epoca
ancora principe, almeno questo le era stato detto fin da quando poteva
ricordarsi.
Distolse la mente dal padre, e
ripensò al metodo per uscire da Capo Tempesta senza farsi
vedere. Sorrise:
Calla conosceva almeno un passaggio segreto che sicuramente non era
noto alle
guardie. C'era quello del Vecchio Parco degli Dei, che però
era pericolante, e
quello del canale sotterraneo. Optò per il secondo, il primo
le aveva sempre
fatto paura e raramente si era avventurata per più di
qualche piede al suo
interno.
Percorse a ritroso il tragitto
che dalla Sala Grande l'aveva portata sino alla grata.
Arrivò fin davanti ai
grandi portoni di legno della sala principale di Capo Tempesta, ma a
quel punto
si fermò. D'un tratto realizzò di non volere
nuovamente passare di là. Sentiva
al di là della spessa porta ancora i rumori della festa: le
giungevano attutite
ma nitide le voci degli ubriachi, le risate, il rumore metallico delle
postate
e il cozzare dei boccali di vino e birra, si sentiva anche il latrato
di
qualche cane. Decisamente non le andava di entrare. "Poco male"
pensò
"Ci sono altre vie per arrivare al passaggio. E io le conosco".
Quando era piccola lei amava
scorrazzare per il castello ed esplorare ogni suo pollice, abitudine
disapprovata da molti dei nobili che vi risiedevano ma che l'aveva resa
simpatica a tutti i cortigiani di rango più basso. Poi era
tornata "sulla
buona strada", come aveva detto la septa che l'aveva in custodia,
imparando le buone maniere e tutta la prassi di corte, ma non aveva
dimenticato
i giorni in cui era stata libera di circolare per Capo Tempesta.
Si poteva arrivare al canale
sotterraneo tramite varie strade, ma molte di esse passavano
direttamente
all'interno del castello. E purtroppo per entrarvi Calla avrebbe dovuto
per
forza passare per la Sala Grande. Ma ricordava esserci un ingresso in
profondità nelle stalle che le avrebbe permesso di aggirare
la confusione della
festa, portandola dritta nei sotterranei.
Si diresse così verso la rimessa
degli animali, la quale era ancora animata dalle risate e dai suoni
degli
stallieri ebbri di vino. Sicuramente Calla non avrebbe voluto passargli
vicino,
e per fortuna le stalle avevano più di un ingresso. Quello
principale e quello
sulla sinistra erano occupati dai festanti, ma l'apertura a destra
appariva
silenziosa, così la donna si diresse spedita da quella parte.
L'ala destra delle scuderie era
immersa nel silenzio e nel buio, contrastando alla grande con l'aria
allegra e
illuminata dello spazio che c'era a pochi piedi di distanza.
L'immobilità
veniva interrotta ogni tanto dagli scossoni che riceveva la parete e
dalle voci
troppo alte degli stallieri dall'altra parte della stalla. Quella parte
era
adibita soprattutto a residenza dei pokemon, e Calla ne poté
vedere qualcuno
agitarsi nervosamente nel proprio spazio, evidentemente disturbato dal
chiasso
prodotto da chi probabilmente lo curava. La maggior parte
però dormiva e non
sembrava curarsene.
Con qualche difficoltà e dopo
essere inciampata varie volte, Calla arrivò in vista delle
scale. In cima ad
esse vi era una porticina di legno che portava ad un corridoio, il
quale ad un
certo punto si biforcava, proseguendo da una parte per le cucine e
dall'altra
per le cantine. La sua meta erano le cantine.
Stava quasi per salire il primo
gradino, quando una voce familiare la fece sobbalzare.
- Ti ho già chiesto scusa, vero?
La donna restò impietrita sul
posto. Poi si rilassò, riconoscendo la voce acuta del
ragazzino che l'aveva
urtata prima. Sorrise al pensiero che ancora lui credesse di essere nel
torto.
Allora Calla si girò con l'intenzione di rincuorarlo.
- Sì, me l'hai...
Ma si interruppe, perché dietro
di lei non c'era nessuno. Aveva pensato che Haerrik fosse esattamente
alle sue
spalle, ma a quanto pare si sbagliava.
- Mi devi perdonare, ma era quel
che dovevo fare.
Calla girò immediatamente la
testa verso dove era venuto il suono della voce. Proveniva da uno degli
spazi
alla sua sinistra, a qualche piede di distanza dalla porta. Spinta
dalla
curiosità decise di avvicinarsi per sbirciare. Con chi stava
parlando il giovane
bastardo? Con un pokémon? O con qualcuno?
- Se non l'avessi fatto saresti
scappato, e a lord Baratheon non avrebbe fatto piacere.
Quando arrivò in prossimità della
cella dove presumibilmente si trovava il ragazzo Calla si
abbassò, riparandosi
dietro al divisorio di legno. C'era qualcosa che la spingeva a
nascondersi, non
sapeva nemmeno esattamente cosa. Forse era il dubbio di star
interrompendo
qualcosa di importante, oppure la paura di intromettersi in qualcosa
che non la
riguardava. Ma ormai era tardi per le recriminazioni, così
alzò piano la testa,
attenta a non produrre il minimo rumore.
Ci mise alcuni attimi, il tempo
che gli occhi si abituassero al buio - lo erano già, ma
quella parte delle
stalle era ancora più oscura -, è
individuò Haerrik Storm. Il ragazzo era
seduto con la schiena contro il muro, ma non guardava dalla sua parte,
bensì
sembrava squadrare il soffitto con occhi sognanti. A quanto pare non
l'aveva
sentita parlare poco prima, altrimenti avrebbe scrutato verso di lei.
Accanto a
lui, assicurato a terra da delle catene, vi era un pokemon. Calla
faticò a
rammentare di che specie si trattasse, ma alla fine, dall'orientamento
delle
penne sulla testa, dedusse che era uno Spearow.
- Ci stai male qui dentro, non è
vero?
Come a conferma dell'ipotesi di
Calla il pokemon emise un verso caratteristico.
- Già, effettivamente non sei
nelle condizioni migliori in cui potresti essere. Magari potrei parlare
con
Nynt e farti portare qualcosa in più. Sai, Nysen e io...
La donna ritirò la testa, aveva
sentito abbastanza. Quella conversazione - o meglio monologo - non era
affar
suo, ed era anche abbastanza noiosa. Attenta a non produrre il minimo
suono si
scostò dal divisorio e si diresse nuovamente verso la porta.
Salì piano le
scale e aprì l'anta di legno. Non seppe nemmeno
perché lo fece, forse perché
non voleva essere disturbata da nessuno nella sua passeggiata.
Quando fu però nel corridoio la
porta le sfuggì di mano, forse per l'emozione o forse
perché aveva le mani
sudate. Si richiuse vibrando, producendo un rumore secco che alle sue
orecchie
fu come il suono di un'esplosione. Pensando che il ragazzo si fosse
finalmente
reso conto di non essere solo Calla si mise a correre. Sarebbe uscita
prima che
chiunque potesse solamente udire il suono dei suoi passi.
Rischiò
di essere scoperta più
volte, ma riuscì a passare inosservata. C'era un via vai
continuo dei servitori
dalla cucina alle cantine, e Calla era dovuta rimanere nascosta per un
po'
nell'ombra. Alla fine i viaggi avevano acquisito un certo ritmo,
cosicché la
donna aveva potuto capire quand'era il momento giusto per passare.
Quando fu
sicura che non sarebbe passato nessuno si mise a correre e raggiunse in
men che
non si dica le cantine.
Non ci ritornava da anni, eppure
era tutto uguale a come lo ricordava. Gigantesche botti di vino erano
accatastate in ogni dove, e l'odore del liquore permeava l'aria. Calla
inspirò
la fragranza dell'alcolico e l'assaporò per un secondo, poi
si ricordò che
aveva poco tempo prima che tornasse un altro servitore e decise di
darsi una
mossa.
Si diresse a passo spedito verso
una grossa botte contro una parete umida. Conteneva un vino forte e
speziato,
Calla l'aveva assaggiato una volta ma non le era piaciuto, esso a
fermentare lì
fin dai giorni di re Rhaegar. Il lord Baratheon di allora era un gran
bevitore
e aveva riempito le cantine. Si diceva che le sapesse svuotare
altrettanto
velocemente, ma quel barile era in qualche modo sopravvissuto. Era vino
forte e
per questo adatto a pochi palati, così era stato assaporato
da poche persone in
nove decadi. Ricordava di averlo visto prendere una volta a Willem
Baratheon,
suo nonno. Era morto cinque anni prima, quando lei aveva quindici anni.
Facendo attenzione a non aprire
il rubinetto che permetteva di far uscire il vino, Calla tolse i freni
e fece
rotolare la botte di alcuni pollici in avanti. Il muro dietro il barile
rivelò
una grata, larga una quindicina di pollici e alta tre piedi e mezzo o
poco più.
La donna rimise i freni al barile e strinse con le mani il ferro, poi
fece
forza. La grata era vecchia, così venne via subito con una
nuvola di polvere.
Non veniva aperta da molto tempo, da quando Calla aveva smesso di
frequentare
quegli ambienti.
L'apertura conduceva ad uno
stretto passaggio, usato occasionalmente come canale di scolo in caso
di alta
marea. Non sembrava ma le cantine erano posizionate parecchio in basso
rispetto
al resto del castello, ed era successo più di una volta che
si fossero allagate
per il mare grosso. In quel caso le botti venivano prese e trasferite
faticosamente
nelle cucine.
Calla appoggiò la grata per terra
e si inginocchiò. "Per i Sette" pensò contrariata
"Mi sporcherò
tutto il vestito". Ma era ben determinata ad uscire da quell'ambiente
soffocante che era diventato Capo Tempesta quella notte,
così prese ad avanzare
carponi. Decise di non richiudersi la grata alle spalle per avere via
libera al
suo ritorno. L'aveva appoggiata esattamente dietro la botte, se avesse
avuto
fortuna nessuno si sarebbe accorto che il canale era aperto.
Calla entrava a malapena nel
condotto, se lo ricordava più grande. "Forse
perché allora ero una
bambina" rammentò tristemente. L'alta marea non si
verificava ormai da un
po' di anni, così per la gioia della donna il canale era
abbastanza asciutto.
Alcuni tratti però erano umidi, così Calla
dovette faticare per mantenere la
presa e non scivolare. Ad un certo punto il pavimento
cominciò ad avere una
certa pendenza, così Calla fu costretta a reggersi con
maggiore forza per non
scivolare.
Continuò a strisciare per un po',
finché avvertì con un sospiro di sollievo lo
sciabordio dell'acqua non molto
lontano da lei. Stava arrivando nel canale vero e proprio. A conferma
della sua
tesi si ritrovò infine davanti ad un'altra grata, la quale
si dimostrò più
difficile da spostare. La manutenzione non veniva fatta da anni e il
ferro si
era deformato nella pietra, ma alla fine Calla riuscì a
toglierla ed uscì dal
passaggio. Appoggiò la grata alla parete e si
guardò attorno.
Era emersa in una piccola scala,
la quale si inerpicava nella roccia fino alle sale di Capo Tempesta.
Scendendo
nella direzione opposta invece si sarebbe potuti arrivare ad un piccolo
canale
che comunicava col mare. Calla era già stata lì,
e sapeva che oltre il canale
c'era la spiaggia. Già si immagino a passeggiare sulla
sabbia al chiaro di
luna.
Prese a scendere gli scalini.
Erano stretti, ripidi e viscidi per l'umidità, e la donna si
dovette appoggiare
al muro per non perdere l'equilibrio. "Ma guarda te se devo fare questo
sforzo per arrivare fuori dalla fortezza". Oramai doveva essere passata
almeno un'ora da quando se n'era andata dalla festa, si erano
già accorti della
sua assenza? Probabilmente no, erano tutti troppo ubriachi.
Quando ebbe sceso alcune decine
di scalini finalmente vide un'apertura, da cui filtrava una leggera
brezza
fresca. Calla la attraversò, e non ebbe paura di cadere in
acqua, visto che
aveva viaggiato fin lì prevalentemente al buio e di
conseguenza aveva gli occhi
abituati all'oscurità.
Sbucò infine sul canale. L'acqua
sotto di lei sbatteva continuamente contro la roccia, producendo un
rumore
uniforme e persistente. Il canale era costeggiato da due stretti
camminamenti
scolpiti nella roccia, i quali conducevano all'esterno. Calla si
diresse verso
sinistra, e dopo poco scorse uno spicchio di cielo notturno fare
capolino tra
la roccia. Le stelle le illuminarono leggermente il cammino.
Ricordava che più o meno in quel
punto ci sarebbe dovuta essere una grande grata di ferro, la quale
però era
crollata in mare ai tempi di lord Ormund Baratheon, il padre di lord
Orson.
Lord Ormund aveva tentato di recuperarla mandando alcuni pescatori, ma
aveva
fallito tre volte, una per l'alta marea, una volta per il mare mosso e
un'altra
per una burrasca. Tutte e tre le volte era morto almeno un pescatore
nel
tentativo di recuperare la grata, e si dicesse che i loro fantasmi
vagassero
ancora per quei passaggi. Calla non era impressionabile da certe
storie, così
proseguì ugualmente.
Ma si spaventò lo stesso e
sobbalzò, rischiando di cadere in acqua, al sentire due voci
provenire da poco
più avanti da dove si trovava.
- Ti ripeto, è un'occasione
unica, non devi lasciarla scappare. Non si ripeterà
più.
- Te l'ho già detto, non mi
interessa.
Calla si era aggrappata alla
parete per evitare di precipitare in acqua. Venne oppressa da una
terribile
sensazione, la consapevolezza che si trovava nel posto sbagliato al
momento
sbagliato. Le sembrò di rivivere la stessa situazione di
poco prima, si stava
nuovamente intromettendo in affari che non la riguardavano. Ebbe la
tentazione
di girarsi e tornare da dove era venuta.
Ma la curiosità fu troppo forte. Camminò
in avanti, appoggiando piano i piedi sulla roccia, attenta a non
produrre il
minimo rumore. Quando arrivò ad una sporgenza della roccia
si appiattì contro
la parete e sporse poi la testa quanto bastava per vedere cosa c'era al
di là.
Due uomini stavano sul
camminamento, uno di spalle rispetto a Calla e l'altro di fronte a lui.
La
donna riconobbe senza fatica ser Rowan Baratheon, suo cugino e in
passato anche
suo corteggiatore. Aveva corti capelli neri, occhi verdi e una
sgradevole
faccia da maiale a cui si aggiungeva un costante rossore sulle guancie
rubiconde. L'aspetto lo faceva sembrare costantemente ubriaco. Calla
l'aveva
visto duellare con altri cavalieri nel cortile di Capo Tempesta qualche
volta,
ed era sempre riuscito a disarmarli, ma non aveva idea se si fosse
trattato di
fortuna o di bravura da parte sua.
L'altro uomo non lo riconobbe
subito. Aveva le caratteristiche dei Baratheon: capelli neri e spalle
larghe,
ma nulla più che lo potesse identificare subito. C'erano
troppi altri
Baratheon, tra legittimi e illegittimi. Nel secondo caso era merito di
suo
nonno Willem, i cui appetiti sessuali erano stati ereditati dal nonno,
Robert.
- Non dovresti rifiutare così
alla leggera - disse suo cugino.
- Non sto rifiutando alla
leggera, ci ho pensato.
- Davvero?
- Sono settimane che mi tedi con
queste proposte, e ho già detto di no.
- Pensaci ancora.
Rowan Baratheon afferrò le spalle
all'interlocutore.
- Il re è malato, non gli resta
molto da vivere. Il principe ereditario è lontano, alla
Roccia del Drago, e
molti nutrono dubbi sul fatto che sappia governare un regno. Suo figlio
è un
infante e suo fratello è un beone. Gli zii sono l'uno peggio
dell'altro:
Jaehaemion è un idiota, mentre Rhaegon è un
ritardato. L'unica alternativa
valida...
L'uomo scostò malamente le mani
di Rowan.
- Ne abbiamo già parlato, non...
- ma suo cugino non lo lasciò finire.
- Aspetta, se ci appoggi
diventeresti signore di Capo Tempesta. Tu sei rispettato molto
più degli altri
Baratheon, e sicuramente tutti i lord di queste terre ti seguirebbero.
Abbiamo
dalla nostra parte già molte casate, e se anche tu...
- Appoggiarvi? - nel tono
dell'uomo c'era ilarità mista a disprezzo - E
perché mai dovrei? Non ne vedo il
motivo. Almeno non dopo tutto il casino che avete combinato giorni fa.
Non ti è
sembrato un po' esagerato liberare metà degli animali delle
stalle del castello
solamente per potermi approcciare? E a cosa è servito? A
nulla, visto che poi
sono dovuto andare a dirigere i lavori di ricattura. Sai come si chiama
la cosa
che state facendo tu e i tuoi amici? Tradimento. Io otterrei comunque
Capo
Tempesta, mentre se vi denunciassi voi sareste gettati in cella per
essere
decapitati o mandati alla Barriera, dipende come si sente il re in quel
momento. Effettivamente ci sono troppi Baratheon, sbarazzandosi di
qualcuno si
starebbe solo meglio.
La faccia di Rowan venne
progressivamente distorta dalla rabbia. Probabilmente non era mai stati
insultato da nessuno a quel modo.
- Questa è l'unica risposta che
avrai da me. E se non vuoi che ti denunci a mio padre fareste meglio ad
andartene da Capo Tempesta stanotte stessa, tu e tutti i tuoi amici.
L'uomo puntò un dito contro
Rowan.
- Se domattina ti vedo ancora qui
ti farò incarcerare con l'accusa di tradimento. Mi hai
proprio stancato. E
adesso, se vuoi scusarmi, mi attendono alla festa.
L'uomo si girò, e finalmente
Calla lo poté vedere in faccia. Oltre ai capelli corti e
alle spalle larghe
possedeva una faccia dai lineamenti squadrati ma in un certo modo
graziosi. E i
suoi occhi viola non facevano altro che mettere in risalto gli zigomi
pronunciati. Era ser Baelon Baratheon, l'erede di Capo Tempesta. "Ecco
perché diceva che l'avrebbe ottenuta comunque".
Ser Baelon mosse un passo nella sua
direzione, e Calla si rese improvvisamente conto di essere
pericolosamente
esposta. Sarebbe dovuta già andarsene, e se fosse restata
lì anche solo un
istante di più l'avrebbero scoperta. Si staccò
dalla roccia, ma non poté fare
altro.
La faccia di Rowan venne
attraversata da un ghigno di malvagità pura.
Infilò la mano destra sotto il
mantello e ne estrasse qualcosa che rilucette alla luce della luna.
Calla ne fu
per un attimo abbagliata e non seppe distinguere cos'era. Ser Baelon
mosse un
altro passo, ma la mano sinistra di Rowan gli afferrò la
spalla destra.
- Cugino, se permetti... -
cominciò.
Baelon fu costretto a girarsi,
Calla poté vedere l'espressione annoiata sul suo volto
mentre lo girava.
Probabilmente era maleducazione per un nobile ignorare qualcuno, e
anche se di
malavoglia Baelon si voltò per ascoltare il cugino.
Fu allora che Rowan alzò il
pugnale e lo affondò nella parte sinistra del petto di
Baelon. Cinse poi
l'intero braccio sinistro attorno al collo del Baratheon e lo
tirò verso di sé,
permettendo alla lama di affondare ancora più in
profondità. Baelon emise un
rantolo strozzato, quasi come gli mancasse il fiato. Rowan fece girare
più
volte il polso, e Calla sentì l'orribile rumore di qualcosa
che veniva
strappato. Aveva colpito dove c'era il cuore.
- Avevi ragione, ci sono troppi
Baratheon - gli sussurrò all'orecchio, ma a Calla
sembrò che l'avesse urlato -
Meglio sbarazzarsi di qualcuno.
Baelon ebbe qualche sussulto, ma
smise presto di muoversi. Rowan tirò indietro la mano che
stringeva il pugnale,
e Calla poté vedere che le dita superiori erano
completamente sporche di
sangue. Il pugnale fece uno strano rumore quando venne tirato fuori
dalla carne
del Baratheon. Rowan tenne in equilibrio Baelon per un attimo, poi lo
spinse
all'indietro. Il corpo scivolò oltre il canale alla sua
sinistra, e quando
impattò con l'acqua produsse come il rumore di un sasso
quando cade in uno
stagno.
La donna restò immobile per un
attimo. Aveva appena visto morire un suo parente, ucciso per di
più da un consanguineo.
L'omicidio di consanguinei era peccato mortale per i Sette Dei, come le
avevano
sempre insegnato da piccola, anche se Rowan e Baelon Baratheon erano
ben
lontani dall'essere parenti stretti. Si sentì lo stesso
sconvolta e
disorientata. Quella sensazione terribile di essere nel posto sbagliato
al
momento sbagliato la colse di nuovo in tutta la sua potenza.
Si lasciò inavvertitamente
scappare un gridolino di spavento, e subito si coprì la
bocca con una mano.
Troppo tardi, Rowan voltò la testa e la vide. Quel suo
ghigno malefico si
amplificò ancora di più e cominciò ad
avanzare verso di lei, la mano che
stringeva il coltello che oscillava al suo fianco, come quasi
aspettasse il
momento giusto per colpire.
Calla indietreggiò in preda al
panico, e per poco non rischiò di cadere di sotto.
Riacquistò in qualche modo
l'equilibrio e si mise ad arrancare sulla roccia. Sentiva i passi di
Rowan
risuonare dietro di lei, così cercò di correre.
Fallì, e l'unico risultato che
ottenne fu quello di inciampare sul suo stesso vestito e cadere in
avanti.
Batté malamente la guancia, e
sentì un dolore bruciante sulla faccia. Quando
aprì gli occhi vide che nella
parete accanto a lei c'era una piccola rientranza, forse abbastanza
grande da
contenerla. Si rialzò velocemente e si guardò
dietro: Rowan non era ancora
arrivato. Si fece forza, e nonostante gli occhi avessero iniziato a
lacrimarle
copiosamente riuscì ad infilarsi nel vano. Cercò
di far entrare tutta la veste,
ma qualche lembo rimase fuori, terribilmente esposto. A quel punto
cominciò a
piangere per davvero.
Pochi istanti dopo comparvero gli
stivali di Rowan. Calla li sentì battere contro la pietra, e
li vide fermarsi
di fronte alla rientranza dove si era nascosta. Poi Rowan si
inginocchiò,
un'espressione trionfante sulla sua orribile faccia. Calla aveva
fallito nel
nascondersi a quanto pare.
- Cuginetta cara - disse,
trattenendosi dal ridere - Facevi una passeggiata notturna?
- I-io... - provò a farfugliare
la donna.
- Devi aver visto il mio...
incontro con Baelon. Decisamente il momento sbagliato per una
passeggiata.
Rowan si avvicinò all'apertura,
portando il pugnale all'altezza del proprio volto. Calla lo vide
inarcare il
braccio per prepararsi a colpire, ma le lacrime agli occhi la fecero
per un
attimo diventare cieca. Rowan si trasformò in una macchia di
colore indistinto,
e Calla si rese conto di stare per fare la stessa fine di Baelon. Dopo
averla
uccisa Rowan l'avrebbe buttata in mare e poi sarebbe stata ripescata
giorni
dopo, divorata dai pesci. La sua mente si figurò quella
scena, non lasciando
posto ad altri pensieri se non alla consapevolezza di star vivendo gli
ultimi
istanti di vita.
Improvvisamente però la macchia
che rappresentava Rowan scomparve dalla sua vista. Calla fu
disorientata per
alcuni istanti, e le orecchie presero a ronzargli. L'udito
però non era stato
compromesso come gli occhi, e poté udire un confuso rumore
proveniente da non
molto lontano. In un primo momento esitò, ma come sempre
alla fine la curiosità
ebbe la meglio su di lei e si sporse.
Dapprima vide solamente due
specie di nebulose scure orbitarsi intorno, ma poi quando si
strofinò gli occhi
con una mano riuscì finalmente a distinguere cosa stava
davvero succedendo.
Riconobbe subito Rowan, il quale si stava azzuffando con qualcosa di
piccolo e
veloce. Calla non lo vide bene, così dovette socchiudere gli
occhi. Era Haerrik
Storm.
"Quel ragazzino!" pensò
"Deve avermi seguita. Dannazione a me quando non sto attenta a sbattere
le
porte". Haerrik stava combattendo con una furia cieca, menando calci,
pugni e anche morsi a più non posso. Rowan provava a
contrastare i colpi con il
pugnale ma era troppo lento, non era decisamente un tipo da corpo a
copro. Per
un attimo Calla riuscì a vedere in faccia il ragazzo e si
accorse che stava
piangendo. Non stava però singhiozzando, stava versando
lacrime come avrebbe
fatto un adulto. Doveva aver assistito anche lui all'uccisione di
Baelon. Suo
padre.
Quando Haerrik morse la mano in
cui Rowan teneva il pugnale l'uomo lanciò un urlo e lo
lasciò cadere. La lama
produsse un rumore metallico rimbalzando sulla roccia, e
finì sul ciglio del
canale. Il ragazzo diede poi una ginocchiata nello stomaco all'uomo, il
quale
fu costretto ad arretrare sui gomiti. Haerrik poi gli si
gettò addosso,
prendendogli a pugni la pancia. Calla lo guardò combattere;
doveva aver già
fatto risse del genere, ma qui era diverso: stava combattendo per
vendetta, e
per la vita... di Calla?! Possibile che la stesse difendendo?
Ma la situazione si capovolse
d'improvviso. Rowan riuscì in qualche modo ad allungare la
mano e a recuperare
il pugnale, ma sfortunatamente per lui dalla posizione in cui si
trovava era
molto difficile menare un fendente. Ci provò ugualmente, e
la lama quasi
raggiunse il petto semi-esposto dalle vesti lacere di Haerrik. Calla
urlò, ma
il ragazzo riuscì a bloccarlo con entrambe le mani.
Per alcuni attimi ci fu una sorta
di tira e molla tra Haerrik e Rowan, ma l'uomo era troppo forte per
lui, e la
lama cominciò lentamente a scivolare in avanti. Aveva
però una curvatura verso
il basso, e quando Haerrik cedette fu talmente rapido a scansarsi che
il
pugnale non lo colpì, andandosi invece a conficcare nella
gamba di Rowan, il
quale lanciò un altro urlo di dolore.
Il ragazzo si mise poi a
prenderlo a calci, ma l'uomo riuscì ad afferrarlo per un
piede e a farlo
cadere. Gli rotolò sopra e gli si mise sullo stomaco,
impedendogli di muoversi.
Visibilmente scosso, Rowan si tirò fuori il pugnale dalla
gamba. Era ancora più
rosso del solito, e sembrava fradicio di sudore. Era pronto a calare il
colpo.
- Maledetto bastardo - gli gridò
- Sei ancora più fetente di tuo padre!
- Da che pulpito! - disse una
voce alle sue spalle.
Calla nel frattempo non se n'era
stata a guardare. Si era alzata e, sentendosi in dovere di fare
qualcosa, aveva
afferrato un grosso sasso e si era faticosamente portata alle spalle di
Rowan.
L'uomo non l'aveva notata perché era troppo occupato a
combattere Haerrik, ma
girò appena la testa alle sue parole. La pietra
calò sull'attaccatura del collo
e Rowan rotolò di lato, stordito ma non fuorigioco.
Calla corse subito da Haerrik e
lo aiutò a rialzarsi, ma il ragazzo aveva lo sguardo fisso
su Rowan. Digrignava
i denti dalla rabbia, e calde lacrime gli rigavano il viso.
- Maledetti! - gridò l'uomo
dietro di loro - Ve la farò pagare.
Calla si voltò, appena in tempo
per vedere Rowan, il quale zoppicava tenendosi la gamba fradicia di
sangue,
salire la stretta scala per capo tempesta. Il pugnale era sparito
chissà dove,
forse gli era caduto in mare. La donna lo vide sparire nella roccia, e
piano
piano il rumore da lui prodotto si affievolì.
Sobbalzò quando Haerrik la prese
per mano e la strattonò dalla parte opposta.
- Vieni, dobbiamo andare - disse
con voce stranamente ferma.
- Ma... - Calla era perplessa.
- Non possiamo andare di là,
rischiamo di incontrarlo di nuovo. Dirà che siamo stati noi
ad uccidere ser Baelon
e che poi l'abbiamo aggredito. A chi pensi che crederanno? Ad un
bastardo e a
una nobile di basso rango oppure al figlio del castellano di Capo
Tempesta?
Calla si rese conto che aveva
ragione. Arstan Baratheon, fratello minore di Barristan e padre di
Rowan, era
il castellano dell'imponente fortezza, e Orson si fidava di lui come un
fratello. Aveva più volte insistito perché Calla
e Rowan - certe volte Derrick,
suo fratello minore - fossero promessi sposi, ma il primo si era
sposato a sua
volta e aveva avuto un figlio mentre al secondo era nato un bastardo
due anni
prima, così le proposte alla fine erano cadute. La donna
sapeva di non stargli
simpatica, e se anche lui fosse stato invischiato in quella specie di
complotto
avrebbe senza dubbio spalleggiato suo figlio.
Mentre camminavano lungo il
canale la donna fece caso ad un particolare all'apparenza
insignificante: poco
prima il ragazzo, mentre spiegava le motivazioni della loro fuga, aveva
apostrofato Baelon come "ser" e non come "mio padre". Aveva
avvertito una certa disperazione nella sua voce, ma era normale, in
fondo era
il suo genitore, anche se questi non l'aveva mai riconosciuto. Si
sporse
leggermente, e si accorse che Haerrik stava ancora piangendo ma che
cercava di
nasconderlo, così la donna fece finta di niente.
- Grazie - gli disse invece.
Il ragazzo rimase in silenzio.
Dal
canale arrivarono su una
spiaggia, e dalla spiaggia risalirono un crinale sassoso per inoltrarsi
in una
natura quasi incontaminata. Probabilmente Rowan aveva già
allertato le guardie,
così decisero di nascondersi in una macchia d'era alta per
decidere il da
farsi. La fortezza incombeva ancora su di loro, nonostante si fossero
allontanati ormai di almeno un paio di chilometri. Calla non si
ricordava di
aver mai camminato così tanto in vita sua, e i piedi avevano
presto cominciato
a farle male.
- Potremmo scappare a piedi -
disse debolmente mentre si massaggiava i suddetti, ma già
mentre lo diceva
sapeva che non sarebbe stato fattibile.
- Sarebbe un suicidio - Haerrik
decise di obbiettare ugualmente - A cavallo e con i cani ci
prenderebbero in
poche ore.
- Allora cosa facciamo?
- Mi viene in mente una sola
possibilità.
Mentre si riposava un po' a causa
di tutte le emozioni di quella sera, Calla ascoltò sempre
più incredula il
"piano" elaborato dal bastardo. Era una cosa assolutamente folle, e
la probabilità di essere scoperti era altissima. Lei non
temeva ripercussioni
dirette, avrebbe potuto denunciare a lord Orson Rowan per l'omicidio di
Baelon,
ma Haerrik probabilmente sarebbe stato ucciso prima. Aveva paura per
l'incolumità di quel ragazzo, e inizialmente diede il
proprio dissenso per quel
piano.
- Non se ne parla, è troppo
pericoloso.
Haerrik non le rispose subito, ma
quando lo fece ci mise tutto sé stesso.
- E' la nostra unica speranza di
fuggire, non abbiamo altre alternative. Funzionerà, ne sono
sicuro, non si
aspetteranno che ritorni dentro le mura.
In quel momento uno scalpiccio di
zoccoli richiamò l'attenzione di entrambi, e Haerrik fece
appiattire ancora di
più Calla nell'erba. A poca distanza si stava avvicinando un
soldato della
guarnigione di Capo Tempesta, riconoscibile dalla cappa giallo oro. Si
fermò e
scese da cavallo, mettendosi a perlustrare la zona circostante.
- Allora, ti fidi di me? - le
sussurrò Haerrik sbrigativo.
Calla ci pensò su un attimo. Era
stato astuto, le aveva riservato la scelta proprio nel momento
peggiore, ma la
donna ci rifletté comunque su un attimo. Poi
accettò, temendo che l'uomo li
potesse scoprire da un momento all'altro.
L'armato si era messo a
perlustrare un piccolo gruppo di arbusti a poca distanza,
così i due si misero
a strisciare silenziosamente dentro l'erba alta. Calla sentì
il proprio
splendido vestito impigliarsi e strapparsi più volte, ma
cercò di non pensarci.
Gliel'aveva regalato Boremund, il fratello minore di Baelon, un paio
d'anni
prima per il suo compleanno, e lei ci teneva molto. Involontariamente
si
ritrovò a pensare che adesso era lui l'erede di Capo
Tempesta. In quel momento
era in viaggio nelle Terre dell'Ovest, si diceva per fare la corte a
qualche
lady.
La guardia, una volta finito di
ispezionare gli arbusti, passò all'erba dove si
nascondevano, ma ormai se
l'erano lasciata alle spalle. Erano arrivati in un piccolo avvallamento
roccioso, e lì dovettero stare attenti a non smuovere nulla
per non provocare
rumore. Continuarono così per un bel po', e videro almeno
altre due guardie che
perlustravano le zone, riuscendo sempre ad aggirarle in qualche modo.
La caccia
era aperta.
Alla fine arrivarono ad un cumulo
di detriti. O almeno ciò che sembrava tale. Haerrik si mise
a scostare il più
piano possibile un intrico di rovi, piante ed erbacce cresciuto sulla
superficie della catasta che Calla mai avrebbe osato toccare. Non si
sarebbe
mai sognata di farlo, chissà quali malattie le riservavano
quei vegetali.
Con sua estrema sorpresa da sotto
le erbacce spuntò una porticina. Era abbastanza squallida,
non più di due ante
di legno costruite alla bell'è meglio, ma perlomeno era
stata mascherata
abbastanza bene. Haerrik scostò piano le ante, rivelando al
di là della porta
un piccolo tunnel che si snodava nella terra. Poi il ragazzo le fece un
gesto,
invitandola ad entrare.
Avanzare dentro quel bugigattolo
non fu come farlo nel canale. Se prima si era appoggiata sulla pietra
leggermente umida adesso lo faceva sulla nuda terra. Il fango le
entrò presto
sotto le unghie, e persino alcuni insetti le caddero in testa dal
soffitto.
Dovette ricorrere a tutta la propria forza di volontà per
non lanciare un
gridolino d'orrore. Haerrik si infilò nel buco -
perché di questo alla fine si
trattava il tunnel - e si richiuse la porta alle spalle. Poi
toccò lievemente
Calla, dicendole non verbalmente di avanzare.
Quella che seguì fu la camminata
- o meglio la strisciata - più lunga della vita di Calla. Se
davvero del
proprio vestito era sopravvissuto qualche bel particolare, sarebbe
stato presto
cancellato. Sentiva la fredda e ruvida terra graffiargli i palmi delle
mani, e
sentiva le ginocchia impattare sul duro terreno mentre la preziosa seta
si
imbrattava di poltiglia marrone.
Più procedevano e più Calla ebbe
la sensazione che il tunnel si stesse allargando in altezza. Il suo
sentore
ebbe conferma quando andò bruscamente a sbattere contro una
parete. Nel tunnel
era completamente buio ed Haerrik le aveva assicurato che era tutto
dritto fino
al castello, ed era per questo che non si era aspettata nessun ostacolo
davanti
a sé. Quando sbatté malamente il naso contro la
terra si lasciò sfuggire un
gemito.
Da dietro Haerrik la toccò, come
a volerle dire di proseguire. Si massaggiò un attimo il naso
dolorante, poi si
aggrappò con le mani alla parete di terra e si
tirò faticosamente su. Batté
duramente la testa contro il soffitto duro, ed emise un altro gemito di
dolore.
Decisamente quello non era il suo momento fortunato. Il rumore giunse
però
stranamente attutito, come se qualcosa di morbido vi fosse sopra.
- Apri - le disse Haerrik.
Lei non capì subito, e il ragazzo
le dovette ripetere l'ordine. Poi realizzò che la cosa
contro cui era andata a
sbattere e che credeva il soffitto del tunnel era in realtà
una botola. Scoprì
che era fatta di legno, e ciò spiegava lo strano rumore che
aveva sentito
prima, ma quando l'aprì si ritrovò sommersa da un
mare di paglia. Una puzza
terribile le invase il naso, e quasi le venne da vomitare. Haerrik le
spintonò
i piedi, ansioso di alzarsi, e la costrinse ad uscire. Calla
sbucò nelle
stalle.
Una volta che anche lui fu uscito
dal passaggio segreto si richiuse piano l'apertura alle spalle, e fece
segno a
Calla si stare bassa. Erano sbucati in una delle cellette per gli
animali
situate nelle stalle, che in quel momento era vuota. Si sentivano
però molti
rumori all'esterno, probabilmente gli stallieri erano stati informati
di cosa
Haerrik non aveva commesso ed avevano cominciato a cercarlo anche loro.
Sicuramente lord Orson aveva predisposto una ricompensa per chiunque
l'avesse
trovato e riportato da lui. O meglio da Rowan.
Restarono in silenzio finché tutti
i rumori all'esterno non furono svaniti. Probabilmente in quella cella
avevano
già guardato, così nessuno sospettava che vi
fossero all'interno proprio in
quel momento. Haerrik sbirciò dai divisori e socchiuse la
porticina che
permetteva l'accesso ai cavalli, poi quando fu sicuro che non ci fosse
nessuno
fece cenno a Calla di uscire.
Assieme strisciarono nell'ombra,
evitando qualsiasi punto in luce o troppo esposto, e Haerrik la
guidò fino alla
parte della stalla adibita ai pokemon. Si diresse verso una celletta e
l'aprì,
entrandovi. Calla lo seguì, e stupì nel
riconoscere lo Spearow con cui il
ragazzo aveva "conversato" qualche ora prima. Haerrik
cominciò a
liberarlo dalle catene che lo trattenevano al suolo.
- E adesso? - chiese lei
disorientata.
- Adesso ti trovi un pokemon tuo.
Mica avrai pensato che un solo Spearow potesse portarci a tutt'e due?
- Ma io... io non sono mai stata
a cavallo di un pokemon.
- Dannazione - mormorò il
ragazzo.
Haerrik sembrò meditare un
attimo, poi le consegnò l'unica catena che ancora vincolava
lo Spearow ad una
zampa, la quale probabilmente serviva per farlo camminare nella
direzione
voluta.
- Aspetta qui - le disse, e uscì.
Calla rimase come imbambolata, la
catena nella destra che penzolava e produceva un leggero tintinnare. Si
sentì
schiacciata da tutto quello che le era successo quel giorno: solamente
per
farsi una passeggiata al chiaro di luna aveva assistito ad un omicidio
e adesso
era probabilmente ricercata per ciò. Era talmente presa che
si accorse troppo
tardi che qualcuno si era infilato nella cella.
- Ah! - gridò lei quando si sentì
toccare - Lasciami!
- Zitta!
Riconobbe la voce di Haerrik, e
poi anche la sua persona. Aveva urlato per niente.
- Ci farai scoprire!
Troppo tardi. Si udirono quasi
subito schiamazzi e richiami, e tutti gli animali che fino a poco prima
stavano
beatamente dormendo si risvegliarono all'unisono, cominciando a
produrre un
gran baccano che avrebbe richiamato l'attenzione anche di un sordo.
Haerrik non perse tempo. Consegnò
nella sua mano un'altra catena e riprese la propria.
- Corri! - le urlò.
Calla eseguì alla lettera, anche
se oramai non capiva più nulla, e lo seguì fuori
dalla celletta. Haerrik le
aveva procurato un Pidgeotto, un giovane esemplare dalle lunghe piume
rosse e
dal petto prominente. Quando Calla strattonò la sua catena
il pokemon la seguì,
anche se visibilmente di malavoglia.
Haerrik aprì le porte della
stalla, e d'improvviso si ritrovarono nella fredda aria notturna del
cortile di
Capo Tempesta. C'erano molte guardie che correvano qua e là
con delle torce, e
subito una mandria di stallieri si mise a correre verso di loro.
- Svelta, monta su!
Haerrik diede una forte pacca
allo Spearow, il quale con un forte sbatter d'ali si sollevò
da terra in un
attimo e cominciò ad alzarsi in volo. Il ragazzo si
aggrappò ad una delle due
zampe con una mano, evidentemente era troppo grande per salire in
groppa al
piccolo pokemon.
- Io non so come fare! - urlò la
donna disperata.
- Monta su e dai di speroni! - le
urlò di rimando Haerrik, una mano alla bocca per amplificare
la propria voce -
Partirà da solo! Poi tieniti forte!
- Prendetela!
Un gran numero di uomini si stava
avvicinando, così Calla, spaventata a morte,
seguì le parole di Haerrik. Montò
in groppa al pokemon e fece come aveva visto fare decine di volte ai
cavalieri
di rientro, ovvero calciò rientrando con le gambe in quelli
che dovevano essere
i fianchi del pokemon. Quello ebbe uno scossone e immediatamente
scattò in
avanti, travolgendo cinque o sei stallieri che gli si erano parati
incontro.
Fece due giri concentrici dentro
il piazzare della fortezza, sfiorando con la punta delle ali i
camminamenti sui
quali le sentinelle sgomente provarono ad allungare le braccia per
afferrarla.
Poi, quando fu abbastanza in alto, il pokemon virò fino a
raggiungere Haerrik e
lo Spearow, che si stava dimostrando parecchio forte per sostenere un
peso
morto come lo era il ragazzo.
Calla provò a muovere la mano, e
la sentì ancora. Miracolosamente era ancora viva. Spaventata
a morte, ma viva.
Con la stessa mano tremante si asciugò la fronte madida di
sudore, e si rese
conto di star volando praticamente di fianco ad Haerrik. Senza sapere
perché si
abbandonò ad una risata liberatoria, assieme alla quale
sgorgarono lacrime
calde dai suoi occhi. Erano in salvo. Per il momento.
Note dell'autore
Ottavo capitolo, qui ci ho messo veramente tutto me stesso. Ho un po'
riadattato la canzone La
moglie del dorniano perché non mi piaceva la
versione tradotta a cazzo di cane. Una canzone senza rime è
una bestemmia per me, come un arbitro senza fischietto: senza senso di
esistere.
Questo sarà l'ultimo pezzo che pubblicherò prima
di andarmene in vacanza, per cui ci rivediamo ad agosto!
Chissà, forse mi ci scappa anche una os questa settimana...
|
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Capitolo 10 *** Doran I ***
Doran
La mattinata
cominciò in maniera convulsa. Si
poteva dire che quel giorno fosse cominciato da quando Bernyce Royce
era stata
trovata nuda all'aria aperta, e nessuno da allora aveva più
dormito, Doran
compreso. Tutto l'accampamento fremeva per ciò che era
successo solamente la
notte precedente, e la notizia che era stato indetto un giudizio dei
sette
aveva presto fatto il giro del campo.
Una volta
appresa la notizia lui
e Ronas erano stati tra i primi ad accorrere alle tende degli alti
lord, ma
erano stati trattenuti a distanza da un cordone di guardie. Poi avevano
visto
Bors e Jonothor Arryn uscire dallo spazio del lord loro fratello, e
poco dopo
un araldo aveva annunciato la decisione del Protettore della Valle.
Inutile dire
che subito Ronas era
stato in prima fila per partecipare al combattimento, anche se non era
chiaro
da quale parte lo avrebbe fatto. In più Lancialucente
pretendeva di tirare in
ballo anche l'amico, e Doran non era stato entusiasta di dover prendere
una
decisione del genere a notte fonda. Ma la risposta era scontata: lui e
Ronas
Martell erano cresciuti assieme, e nessuno dei due avrebbe abbandonato
l'altro
in caso di bisogno. Lo stesso valeva anche per Jon Uller, ma essendo
ancora
alle cure del maestro per le ferite riportate durante il torneo non
ebbe voce
in capitolo in quel momento.
Nonostante
avesse opposto una
debole resistenza alla fine Doran Wyl aveva ceduto, accettando di
accompagnare
Ronas nel combattimento.
Ma sulla parte
da aiutare avevano
quasi avuto un litigio. "Bors Arryn ha stuprato una vergine!" diceva
lui "Jonothor è nel giusto ad accusarlo!". "Suvvia, non sei
tanto idiota da farti infinocchiare" aveva ribattuto Lancialucente
"E' chiaro che non è stato lui. E poi, anche se fosse, era
ubriaco e non
poteva sapere quello che faceva.". Doran era indignato dal fatto che un
cavaliere del calibro di Lancialucente volesse difendere uno
stupratore, ma
alla fine era stato lui ad avere la meglio.
Sia Doran che
Ronas si erano
presentati al cospetto di Bors Arryn per offrirgli la propria
partecipazione,
che era stata prontamente accettata. L'Arryn di mezzo, un uomo enorme e
di
poche parole, si era limitato a fare un cenno del capo facilmente
interpretabile come un assenso. Oltre a loro fino a quel momento
solamente ser
Roland Frey, la Torre In Fiamme, aveva fatto lo stesso schierandosi per
Bors.
Sembrava che invece nessuno si fosse ancora espresso a favore di
Jonothor
Arryn.
Ma col sorgere
del sole cominciò
anche la gara per accaparrarsi i posti. Saputa della partecipazione di
Lancialucente Ben Simisage, ansioso di confrontarsi di nuovo con il
dorniano,
si era schierato con Jonothor Arryn. Lo stesso aveva fatto Joseth
Redfort, desideroso
di prendersi una rivincita. Saputo però dell'iscrizione di
Torrerossa suo
cugino Justin Piccolatorre aveva ottenuto di combattere per Bors Arryn;
pareva
infatti che tra i due Redfort non corresse buon sangue. Lo stesso
valeva per
Cedric e Gregor Frey, l'uno combattente per ser Bors e l'altro per ser
Jonothor. Morton Hunter aveva deciso di non perdere l'occasione di
partecipare
a un evento così raro e si era schierato con l'Arryn
più giovane, ottenendo di
avere ser Terrence Mooton, ancora infuriato per la sconfitta
inflittagli
dall'anziano cavaliere, schierato con Bors Arryn. Gli ultimi a dirsi
pronti a
partecipare furono ser Boras Templeton Stellabianca e ser Layn Corbray
con la
sua lama valyriana, entrambi a favore di Jonothor. Gli schieramenti
erano così
completi.
Doran
sospettava che molti di
loro più che dal senso del dovere fossero mossi dalla voglia
di mettere in
risalto il proprio nome partecipando ad una manifestazione
così importante.
Poco importava ci fosse il rischio di morire, uomini come Hunter erano
abituati
al combattimento, mentre gente del calibro di Simisage e Lancialucente
era
semplicemente troppo brava per farsi sopraffare.
Ma Doran
temeva di più per sé
stesso. Lui non era all'altezza di molti di loro, e una voce dentro di
sé gli
diceva che non era ancora troppo tardi per tirarsi indietro. Non lo era
nemmeno
per fare la figura del codardo, e l'uomo si sentiva tutto meno che
tale. Fu per
questo che non ritirò il proprio sostegno all'accusato.
All'alba tutto
era pronto, il
campo per la disputa già allestito dove fino a poche ore
prima c'era lo spazio
per le lizze da torneo. Il giudizio era stato previsto per la tarda
mattinata,
quando il sole era alto e faceva diventare le armature dei veri e
propri forni,
facendo bollire lentamente la carne al loro interno e facendo annegare
il
malcapitato nel proprio sudore.
Dopo
l'iscrizione nella notte Doran
aveva provato a dormire, ma non ce l'aveva fatta. Sapere che di
lì a poco
avrebbe messo in gioco la propria vita gli impedì di
chiudere occhio, così
quando le prime luci cominciarono a filtrare da dietro le montagne
uscì dalla
tenda per fare un po' di pratica con la spada. Ronas lo raggiunse poco
dopo e
si mise a duellare con lui. La temperatura non era ancora ottimale, ma
entrambi
semplicemente non vi fecero caso.
- Mi chiedo
ancora se sia stata
una buona idea - disse Doran, quasi tra sé e sé.
- Certo che lo
è - ribattè Ronas,
scansando un fendente - I giudizi dei sette sono rarissimi. In quasi
quattro
secoli di regno Targaryen sono stati talmente pochi da essere contati
sulla
punta delle dita di una mano. I nostri nomi saranno scritti nei libri
di storia.
- Non mi
riferivo a quello -
puntualizzò Doran, lanciandosi in un nuovo attacco - A me
non interessa
diventare famoso. Dico, non sarà pericoloso? I giudizi non
sono i tornei, qui
gli avversari punteranno ad uccidere.
- Di che ti
preoccupi? - sorrise
l'altro - Mi sembra che noi dorniani sappiamo il fatto nostro. E poi se
hai
paura ti coprirò le spalle.
- Non ho paura
per me - gli
rispose - Ma per te.
- Per me?
Dopo aver
scansato un nuovo
fendente Ronas Martell mise giù la spada, incuriosito.
-
Perché mai dovresti aver paura
per me?
- Due
contendenti si sono offerti
di combattere solamente per prendersi la rivincita su di te.
- Mi pare una
cosa normale, i
duelli hanno sempre funzionato così.
- Ma quella
non è gente
qualsiasi.
- Chi, gente
come Torrerossa? Quell'energumeno
mi fa un baffo, troppo lento per i miei gusti. Ci sono andato anche
leggero con
lui quando abbiamo combattuto alla lizza.
- E che mi
dici del pokemon?
- Simisage,
lui sì che è
interessante. Non ho mai visto un pokemon che fosse anche un nobile e
un
cavaliere, tantomeno un pokemon che sapesse combattere come lui.
- Guarda cosa
ti ha fatto al
braccio, non dovresti combattere con una ferita del genere.
Dopo il
combattimento con
Simisage il maestro aveva controllato il braccio di Ronas. Non era
rotto ma
nemmeno completamente sano, e per questo il maestro l'aveva fasciato
strettamente, raccomandandogli di tenerlo il più immobile
possibile. Nonostante
le proteste per via del fatto che Lancialucente usasse il braccio
sinistro per
combattere, aveva deciso di seguire il consiglio del sapiente.
- Non
è nulla, la mano destra va
bene lo stesso per tenere la lancia.
Doran non era
del tutto sicuro
che l'amico gli stesse dicendo la verità. Lo conosceva bene,
e Ronas Martell
era un tipo a cui non piaceva ammettere quando era il caso di darsi un
contegno. Era sicuro di farcela con un braccio solo, ma pensando ai
suoi
avversari Doran ne dubitava seriamente. Non lo tranquillizzava il fatto
che
fosse sopravvissuto ad una battaglia a nove anni.
Presto li
raggiunse anche Jon
Uller, e lui sì che era messo male. Il suo braccio era
veramente rotto, e il
maestro lo aveva immobilizzato dentro un gesso e appeso al collo di
Uller.
Nonostante ciò l'uomo era sorridente, non mostrando il
minimo segno di dolore o
di sofferenza causata dall'arto rotto. Era in momenti come quello che
Doran lo
ammirava.
- Allora Jon,
come andiamo? - gli
chiese scherzosamente Ronas.
- Semmai ci
siamo assomigliati
adesso siamo due gocce d'acqua - replicò Uller, riferendosi
alle braccia ferite
di entrambi.
Tutti e tre
scoppiarono in una
grossa risata. Era sempre stato così, adoravano scherzare e
fare battute tra di
loro. La loro infanzia trascorsa a Lancia del Sole - più
alla Città Ombra - era
stato un periodo fantastico, Doran Wyl non lo rimpiangeva mai. Lui e
Ronas
erano cugini, il primo terzogenito di Lawren Martell, il secondo sempre
terzogenito di Elaena Martell, andata in sposa a lord Vernan Wyl di
Wyl. Jon
Uller invece lo avevano incontrato un giorno che il lord suo padre era
venuto
in visita a Lancia del Sole, e da allora non se n'era più
andato.
Avevano
passato molti anni
insieme, scoprendo i piaceri della vita - il sesso in particolare - e
cercando
avventure. Adesso avevano tutti e tre venticinque anni (Uller quasi
ventisei,
era il più vecchio dei tre) ed erano quasi dieci che
viaggiavano senza meta per
i Sette Regni. Qualcuno non vedeva ancora di buon occhio i cavalieri
erranti,
ma se c'era una vita da condurre Doran Wyl voleva che fosse proprio
quella. Di
certo però non voleva che né la sua né
quella dei suoi amici terminassero in
quel modo e soprattutto in quel luogo.
- A parte
scherzi - fece Uller -
Il maestro ha detto che devo tenere il braccio al collo per almeno una
luna a
partire da oggi. Che cazzo, mi sa che non potrò fare quel
torneo a Delta delle
Acque. Non vi dispiace allora se vi faccio da scudiero?
Risero di
nuovo.
- Nessun
dispiacere - replicò
Ronas - Mi serviva proprio qualcuno che mi togliesse la merda da sotto
gli
stivali.
- A me invece
c'è da riattaccare
lo scudo dopo che quell'Arryn fetente me l'ha rotto - disse Doran.
- Strano che
lo chiami fetente -
ribatté Uller - A me risulta che combatterai per lui.
- Colpa di
Ronas. Mi ci ha
trascinato lui nel combattimento, come se in tutta la Valle non ci
fossero
stati altri cavalieri ansiosi di prendervi parte.
- Che
c'è? - fece Lancialucente,
mettendo la mano sana avanti - Mi serviva un po' di sostegno morale!
Però non
mi andava di lasciarti in tribuna a fare la lady che strilla e sviene,
mi
servirai a portata di mano.
Risero
nuovamente, stavolta fino
alle lacrime. Mentre se ne asciugava una Doran pensò che da
nessuna parte si
era mai sentito bene come in compagnia di Ronas e Jon. Non avrebbe
scambiato il
suo posto con nessuno, tantomeno avrebbe voluto perderlo in quel
combattimento.
Era determinato a non morire. "Sopravvivrò" si disse "Se
c'è
Ronas ne uscirò vivo, e anche lui. In fondo ha affrontato
una battaglia, una vera battaglia. Cosa mai
potrà esserci
di peggio?".
Mai
avesse formulato quell'ultimo
pensiero. Giusto un'ora prima dell'inizio del giudizio il cielo
cominciò a
rannuvolarsi, e nel giro di pochi minuti si era passati da una
splendida
giornata ad una nera coltre minacciosa. Cominciò a piovere
nella mezz'ora
precedente, dapprima come una leggera pioggerellina che andò
man mano
ingrossandosi.
Iniziò anche a tirare un forte
vento. Nella loro tenda i tre dorniani si stavano preparando, Ronas e
Doran
indossando le proprie armature e Jon Uller passandogli le armi. Doran
guardò
con apprensione la struttura di tela venire scossa dalle intemperie, ma
sapeva
dall'esperienza che non sarebbe crollata. Però... quel vento
era davvero forte.
Qualcuno avrebbe potuto benissimo venire sbalzato giù dalla
propria sella.
Quando uscirono la terra si era
già trasformata in un pantano di fango. I loro stivali di
cuoio affondarono
nella melma, ma fortunatamente non più di tanto in quanto le
loro armature
leggere aumentavano di poco il loro peso complessivo. Gli altri
partecipanti
invece, nelle loro armature di acciaio pesante, avrebbero sicuramente
incontrato
più difficoltà.
Raggiunsero i cavalli, li
slegarono e vi montarono in sella. Erano nervosi per il temporale, e
Doran
dovette trattenere il suo quando un tuono rimbombò in
lontananza. Serpe, il
cavallo del Wyl, era giovane e aitante in confronto a Vecchio, il
destriero di
Doran. Si chiamava così perché era... vecchio. Da
quando il precedente cavallo
di Lancialucente era morto quattro anni prima Ronas aveva cominciato ad
usare
quello, chiamandolo così perché "Si vede che
è vecchio! Non gli do più di un
anno di vita, ma lo prenderò lo stesso.". E ne erano passati
quattro, in
cui l'anziano ronzino si era dimostrato più che affidabile
per il dorniano.
Condussero piano i cavalli fino
allo spiazzo del torneo per non farli scivolare nel fango. Si
affiancarono agli
altri partecipanti quando ormai mancavano solo dieci minuti all'inizio
di
tutto. I cavalieri si agitavano nelle loro armature, a disagio nella
pioggia
quanto i loro cavalli. Sopra di loro un fulmine illuminò la
zona, seguito poco
dopo da un fragoroso tuono. "Di bene in meglio" pensò tetro
Doran.
Probabilmente lord Arryn stava
tenendo un discorso o qualcosa del genere, a Doran parve di sentire la
sua voce
perdersi nel vento senza però riuscire a distinguere bene le
parole. Dopo un
po' si avvicinò Ubrick, l'araldo con cui Ronas aveva avuto
un alterco, e fece
cenno a tutti gli uomini a cavallo di avanzare.
Mentre declamava i nomi dei
partecipanti - resi inudibili a causa di tutto il frastuono causato dal
vento -
i cavalieri si disposero lentamente alle estremità opposte
del campo,
mettendosi in fila come dei bravi soldatini. Per poco Doran a causa
della
scarsa visibilità non andò a sbattere contro un
altro cavaliere, non avrebbe
saputo dire chi. Doveva aguzzare gli occhi solo per vedere attraverso
la fitta
pioggia, e non si immaginava come dovesse essere per quelli bardati
più
pesantemente.
Provò a guardare verso le tribune
d'onore, quelle riservate ai grandi lord. Riconobbe i contorni del
palco, ma
non riuscì a vedere più di così.
Scorse del movimento, probabilmente anche
quella zona era in subbuglio per l'imminente gara. Gli parve quasi di
riuscire
a scorgere la grassa figura di Bernyce Royce che spintonava dei
malcapitati per
arrivare al suo seggio d'onore.
Si accorse che la sua gamba
destra ballottava. Lo faceva spesso quando era nervoso, e per cercare
di
fermarla vi mise una mano sopra. Non funzionò
granché, sentiva l'irrefrenabile
voglia di continuare a muovere l'arto.
Per cercare di calmarsi guardò
chi aveva accanto. Alla sua sinistra c'era ser Cedric Frey, la
Torre-di-Ghiaccio, lo riconobbe dalle torri blu su sfondo grigio della
bardatura del cavallo. "Che assurdo soprannome" pensò Doran
"Ne
ho sentiti di migliori". Alla sua destra invece aveva ser Terrence
Mooton,
il quale stava parlottando con sé stesso dentro l'armatura.
"Quello è
matto" dedusse Doran "Sta parlando come se ci fosse qualcuno
nell'armatura con lui. Mah, valli a capire questi Uomini dei Fiumi.".
Poi
si rese conto di ciò che stava pensando. "Che sto facendo?"
si chiese
"Forse sto per morire e mi ritrovo a pensare alla sanità
mentale degli
altri. Forse anch'io sono matto.".
Provò a scrutare davanti a sé per
individuare il proprio avversario, ma la pioggia aveva reso impossibile
anche
vedere ad un palmo dal naso. Cercò allora di individuare
Ronas tra i suoi
alleati, ma oltre la cresta blu di Cedric Frey il mondo piombava in un
grigiore
spazzato dal vento, mentre era sicuro del fatto che Mooton fosse quello
che
delimitava l'ala destra dello schieramento. Decisamente una pessima
giornata per
effettuare un giudizio dei sette.
Arrivarono degli scudieri
fradici, i quali consegnarono ad ogni cavaliere delle lance
appositamente
fabbricate. La lancia di Doran era stata colorata di giallo e di verde,
i
colori della sua casata, con anche dei pallini rosa qua e là
ad indicare la
gamba che veniva morsa dalla serpe dei Wyl nell'emblema. "E' bella.
Peccato che tra pochi minuti debba già finire distrutta",
perché
probabilmente quella sarebbe stata la sua fine.
La lancia si rivelò molto più
pesante del previsto. Quella da torneo era parsa più leggera
a Doran, anche se pure
quella aveva una certa massa. Dovette aiutarsi con entrambe le braccia
ad
issarla, e trovò un po' di difficoltà a
sorreggere sia quella che lo scudo. Pensò
di abbandonarlo, ma sarebbe stata davvero una pessima scelta.
Riuscì in qualche
modo a tenere in equilibrio la lancia, ma cominciò a sentire
il proprio braccio
cedere lentamente. Pregò che il segnale di inizio arrivasse
presto.
E quando quello arrivò l'uomo si
pentì subito di averlo chiesto. Tutti diedero di speroni ai
propri destrieri, e
altrettanto fece Doran con Serpe. Il cavallo nitrì e
partì al galoppo, facendo
quasi cadere all'indietro il cavaliere che lo montava. La lancia si
sbilanciò
pericolosamente, rischiando di finire contro Mooton. Fortunatamente
Doran
riuscì a riacquistare il controllo dell'arnese e lo
puntò di nuovo in avanti.
Mentre avanzava aguzzò la vista
per vedere chi sarebbe stato il suo avversario. Distinse un'imponente
figura in
mezzo alla foschia, e man mano che si avvicinava la riconobbe: vide uno
scudo
con le torri gemelle blu su sfondo grigio, e visto che due Frey su tre
erano
con ser Boras quello non poteva essere altri che ser Gregor Frey, la
Torre-che-Crolla. "Di bene in meglio" pensò Doran in un
attimo.
Le punte delle lance si stavano
avvicinando velocemente l'una all'altra, e Doran riconobbe le sagome
degli
altri sfidanti avversari. Mooton, che aveva spronato più di
tutti il cavallo,
impattò per primo contro un cavaliere minuto che non poteva
essere altri se non
lord Morton Hunter. Ser Terrence venne sbalzato giù di
cavallo, mentre lord
Morton proseguì la sua corsa andando dietro a Doran.
Gregor Frey cercò di raddrizzare
la propria lancia a pochi attimi dall'impatto, e Doran cercò
di fare lo stesso
con la propria. Da come però venne direzionata al momento
dello schianto il
dorniano capì di aver dolorosamente sbagliato i calcoli. La
sua lancia infatti
riuscì a passare tra lo stretto spazio che correva tra lo
scudo e il busto di
ser Gregor, finendo nel vuoto dietro di lui. L'uomo ebbe un moto di
terrore e
se la fece scappare di mano.
La lancia della Torre-che-Crolla
invece lo colpì in pieno, al fianco. Doran si
sentì immediatamente scaraventare
di lato in un'esplosione di dolore, e in un attimo perse il controllo
delle
briglie. Cadde sul fianco destro nel fango, Serpe che continuava a
galoppare
nonostante fosse rimasto senza cavaliere. Impattando batté
la testa, e
immediatamente perse i sensi.
Quando
si risvegliò il clangore
della battaglia che infuriava attorno a lui lo accolse prontamente.
Riprese
lentamente i sensi, restò fermo ad osservare le gocce di
pioggia che cadevano
nel fango tutt'attorno a lui. Riuscì a muovere la mano, e
con essa cercò di
pulirsi gli occhi dal fango, tentando di vedere qualcosa.
E fu così che si accorse di
essere faccia a faccia con un cadavere. La faccia bianco cereo solcata
da fiumi
d'acqua piovana, gli occhi sbarrati e lo squarcio sanguinante nella
gola fecero
venire un colpo al giovane dorniano. Si spaventò a morte e
cacciò un urlo che
passò del tutto inascoltato nel caos dello scontro,
allontanandosi di qualche
pollice. "E' un cadavere" cercò di calmarsi il
più in fretta
possibile "Non può farti niente. Ciò che
è morto resta morto".
Era Layn Corbray. Un grosso
squarcio nel collo, visibile al di sotto dell'elmo ammaccato, gli
deturpava il
pur gradevole aspetto. Il sangue a terra era ancora poco, segno che era
morto
recentemente, e che il suo uccisore probabilmente era ancora nei
paraggi.
"Merda, mi devo muovere. Qui rischio seriamente di lasciarci la pelle.
Se
la spada valyriana non ha difeso lui...".
Si alzò in piedi, sputando un po'
del fango che gli era finito in bocca. Estrasse immediatamente la
propria lama
dal fodero, un modello più corto e maneggevole a differenza
di quelle degli
avversari, e assunse una posa guardinga. Assomigliava più ad
una daga lunga, a
pensarci bene. Anche Ronas e Jon ne avevano di simili. "A proposito,
dov'è
Ronas?" si chiese.
Si guardò intorno. A terra, oltre
a Corbray, giacevano anche Boras Templeton, i capelli bianchi
inzaccherati dal
fango, e Roland Frey, ferito ad una gamba. "Corbray e Stellabianca sono
morti. Siamo avvantaggiati nel numero, anche se la Torre-In-Fiamme non
può più
combattere. Arceus, vedi di non fare cilecca.".
Un luccichio attirò la sua
attenzione, e voltò immediatamente lo sguardo. Proveniva da
una spada, e Doran
non faticò ad indovinare quale fosse dato che Lady Forlon
non era col corpo di
Corbray. Non ci fu nemmeno bisogno di provare a pensare chi fosse il
suo
uccisore, dato che era Terrence Mooton ad impugnarla. Subito dopo aver
ucciso
Corbray doveva avergli rubato la spada per sostituirla alla propria, e
con la
nuova lama aveva subito ingaggiato un combattimento con lord Hunter, il
quale
non sembrava però impiegare molta difficoltà a
tenere a bada quel cavaliere
dall'indole malsana.
Altri scontri nel vivo erano
quelli tra i due Frey, i due Redfort e i due Arryn, segno che le faide
familiari erano infine riemerse tra tutti i partecipanti. Sembrava
però che per
quel momento Doran fosse passato inosservato, perché
altrimenti probabilmente
sarebbe già stato a combattere contro qualcuno. "Trova
Ronas, non ti
distrarre!" gli ricordò una voce nella propria testa.
Spaziò lo sguardo
sulla battaglia, ma non riuscì ad individuare l'amico.
- Doran!
Infatti ci aveva pensato
Stellalucente ad individuare lui. Il dorniano si voltò
subito nella direzione
opposta, e fu contento di vedere il viso familiare venirgli incontro.
Solo...
c'era anche qualcun'altro vicino a lui. Un ombra gli si stava
avvicinando
furtiva alle spalle, e Doran intuì chi potesse essere.
- Attento! Dietro di te! - gli
gridò, cercando di farsi sentire.
Probabilmente ebbe successo,
perché l'attacco lanciato da Simisage finì nel
vuoto appena sopra la spalla di
Ronas, che aveva proprio fatto in tempo a scansarsi. Il cavaliere
provò a
girarsi, ma si ritrovò immediatamente addosso il pokemon,
che lo trascinò
subito nel fango e cominciò una zuffa talmente veloce che
Doran da spettatore
fece fatica a distinguere chi stesse colpendo chi.
Evitò il colpo proveniente da
dietro solamente per la propria prontezza di riflessi. E anche
perché aveva
sentito i pesanti calzari di verro cozzare contro il fango alle sue
spalle. Si
scansò repentinamente verso sinistra, e dove un attimo prima
c'era lui calò un
grosso spadone intriso di sangue. "E' enorme! Chi mai...". La
risposta gli arrivò immediatamente.
- Fanculo, stronzo di un
dorniano.
Era Gregor Frey, la
Torre-che-Crolla. Dietro di lui, a una decina di piedi di distanza, si
poteva
scorgere il corpo senza vita del fratello Cedric, l'armatura e
l'acciaio che la
componeva deformati dove lo spadone l'aveva trapassato. "Ecco
perché è
pieno di sangue. Ora che anche l'altro Frey è morto dovremmo
essere cinque
contro cinque. Merda, non si mette bene.".
Frey si fece di nuovo avanti,
brandendo la propria grande arma. Era davvero minaccioso in quella sua
enorme
armatura e con quello sguardo iniettato di sangue, ma Doran non si
lasciò
intimidire. Aveva visto di peggio, una volta lui e Jon avevano fatto a
botte
con alcuni armigeri di lord Tarly. Il Cacciatore Pazzo li aveva
lasciati andare
solamente perché con loro c'era anche Ronas, ma
quell'esperienza era comunque
stata ben più paurosa di ciò che stava vivendo in
quel momento, anche se
decisamente meno importante.
Provò a sincronizzarsi con i
movimenti dell'avversario. Non era certo un asso del combattimento come
l'amico, ma se la sapeva cavare egregiamente come tutti i dorniani che
si
rispettino. Frey si stava avvicinando a passi lenti ma concisi, e Doran
capì
subito che il momento giusto per attaccarlo sarebbe stato quando si
fosse
sbilanciato per colpirlo. Si preparò a scattare, sperando di
non scivolare sul
fango in quel momento cruciale.
Uno, due, tre secondi, Frey
continuava ad avvicinarsi sempre di più con la sua lama
insanguinata. Doran
avvertì ogni singola goccia di pioggia cadergli in testa e
ogni singola folata
di vento schiaffeggiargli il viso. Sapeva di essere pericolosamente
vicino alla
morte, ma del resto ad andare in giro con uno come Ronas ci si poteva
sempre
essere. Erano i rischi del mestiere del cavaliere errante in fin dei
conti.
La Torre-che-Crolla fece mulinare
la spada con una lentezza sfiancante, al dorniano parve vedere tutta
l'azione
in modo rallentato. Si gettò alla destra del cavaliere,
passando poco al di
sotto della traiettoria della sua spada. Scivolò nella mota
e si lasciò
trascinare per inerzia, mentre con la sua lama provò a
fendere l'avversario. Il
rumore dell'acciaio che cozzava contro altro acciaio risuonò
per tutto il campo
di battaglia, misto ovviamente a grida, imprecazioni e suoni vari. La
spada del
dorniano rimbalzò contro le protezioni dell'Uomo dei Fiumi,
non causandogli
alcun danno.
"Merda.". Frey provò a
colpirlo di nuovo, ma anche stavolta fu troppo lento e Doran fece in
tempo a
scansarlo. Stavolta però non cercò di colpirlo,
sapeva già che non avrebbe
avuto successo. Non poteva combattere alla cieca, doveva trovare un suo
punto
debole. E quel bestione non sembrava averne, almeno di visibili.
L'unica parte
scoperta era il volto - Frey aveva sollevato la visiera - e a meno di
non
colpirlo lì non l'avrebbe mai sconfitto. Avrebbe significato
ucciderlo.
"Lui ci ha provato con me, è bene che gli ricambi il
favore.".
Continuò ad evitare il colpi di
Frey, spingendosi ogni volta un po' più lontano in modo che
il cavaliere
dovesse arrancare per raggiungerlo. Se dalla sua parte la
Torre-che-Crolla
aveva la stazza Doran possedeva molta più
agilità, la quale gli sarebbe
senz'altro tornata utile. Il grosso nemico cominciò a fare
sempre più fatica
per raggiungerlo, stremato dal combattimento precedente ma deciso a non
demordere dal poter uccidere una seconda preda. Del resto anche Doran
era
sfinito per il colpo di lancia infertogli poco prima dallo stesso Frey,
ma
cercava di tollerare il lancinante dolore al fianco.
Trovò il momento giusto quando
Frey, con un possente urlo, si lanciò alla carica in un
ultimo e potente
attacco. Doran gli si fece incontro, quasi a voler incontrare la sua
spada, ma
proprio mentre la lama gli stava per calare sulla testa
scivolò
intenzionalmente, finendo a terra e aggrappandosi alle gambe di Frey.
Il grosso
cavaliere, colto di sorpresa, provò a staccarselo di dosso
col solo risultato
di perdere l'equilibrio e finire nel fango anche lui.
Il dorniano uscì frastornato dallo
scontro, avendo sbattuto la testa sia dopo la caduta accidentale che
quando la
Torre-che-Crolla gli era finito addosso, ma si riprese quando vide la
spada di
Frey giacere a poca distanza, immersa nel fango. "Deve averla persa
nella
caduta.". In quel preciso istante realizzò di avere la sua
occasione.
Cercò la propria spada,
trovandola sotto una delle gambe di ser Gregor. Faticò non
poco ad estrarla,
complice anche la mole dell'avversario. Era rimasta incastrata, e
l'altro per
giunta si stava riprendendo dopo essere rimasto stordito per alcuni
attimi
dalla caduta. "Dai, forza, forza, vieni fuori...".
Con un sibilo la lama emerse dal
fango, scintillando mentre veniva bagnata dalla pioggia, l'acciaio
gocciolante
solcato da decine di fiumiciattoli. Doran restò per un
attimo a rimirarla.
"La mia spada non è mai stata così bella come in
questo momento.".
Poi si decise ad agire. Riuscì a mettersi sopra a Frey in
una posa per la quale
i suoi amici in circostanze normali l'avrebbero sicuramente preso in
giro per mesi,
e puntò la spada verso la testa di Frey.
Il cavaliere, nonostante non si
fosse ripreso del tutto, capì subito le intenzioni
dell'avversario, e provò a
divincolarsi. Non fosse stato per la sua velocità Doran
probabilmente sarebbe
scivolato di lato, ma riuscì in qualche modo a far calare il
braccio sulla
faccia di ser Gregor. La lama non incontrò praticamente
resistenza, ma Doran
continuò ad affondare la spada. Sentiva il corpo sotto di
sé muoversi ancora e
non voleva correre rischi, e si fermò solo quando
sentì il metallo grattare
contro gli anelli della cotta di maglia del paracollo dell'avversario.
Solo a quel punto ritirò l'arma,
estraendola da quel che rimaneva della faccia di ser Gregor. Doran
guardò con
un misto di orrore e fascino il suo operato: la spada era penetrata
nella
guancia, perforando la gola della Torre-che-Crolla. L'elmo dell'enorme
cavaliere cominciò a sembrare un mare da quanto sangue
cominciò ad uscire dalle
ferite e ad accumularcisi dentro.
Pensare che tutto quel macello da
lui causato poco prima era senziente e si muoveva gli fece provare una
sensazione strana. Aveva combattuto, ferito e menomato altri uomini
prima di
allora, ma questa era la prima persona che uccideva. La vista comunque
non gli
provocò particolari emozioni. "Ho visto di peggio"
pensò "Come
quando quel matto di lord Tarly fece mangiare un serpente vivo a quel
criminale".
Restò ad osservare il cadavere
per alcuni attimi, i quali comunque gli sembrarono degli anni. Poi il
fragore
della battaglia lo richiamò alla realtà e si
voltò ad osservare gli altri
combattimenti, ai quali precedentemente non aveva prestato attenzione.
Bors e
Jonothor Arryn stavano ancora combattendo, il primo con vari squarci
nell'armatura e con l'aquila dell'elmo tagliata, mentre il secondo con
la testa
scoperta e sanguinante per una ferita. Sembrava che non si fossero mai
dati
tregua per tutto il tempo dello scontro. Lo stesso si poteva dire per i
due
Redfort, anche se Piccolatorre piegava una gamba in modo strano.
Ma lo scontro che più di tutti
catturò la sua attenzione fu quello tra Mooton e lord
Hunter. Il suo sguardo
venne richiamato da un vero e proprio lampo che quasi lo
spaventò. Pochi
istanti dopo ne seguì un altro, e Doran con sgomento
realizzò che proveniva...
dalla spada di Mooton! Lord Hunter sembrava in difficoltà ma
non di certo
intimorito, nella sua lunga vita doveva aver visto cose ben
più incredibili.
Un nuovo fulmine carico di
elettricità attraversò l'aria, andando a
scaricarsi nel terreno poco lontano.
Doran poté udire le grida spaventate degli spettatori, anche
se solo come eco
lontane in quella cacofonia di suoni. Buttando alle ortiche ogni sorta
di
prudenza si avvicinò, provando a scoprire la causa di quello
strabiliante
fenomeno. "Non esistono lame magiche, dev'esserci una ragione
perché
faccia così.". Quando fu a meno di una decina di piedi di
distanza si
fermò per non rimanere coinvolto dallo scontro,
aguzzò la vista e...
"Bastardo, così non
vale.". Poco sopra l'elsa della spada di Mooton era appostato un
piccolo
Joltik, largo a malapena quanto la lama. Il minuscolo pokemon era
carico di
elettricità, Doran lo poteva vedere anche da lontano
emettere in continuazione
un mare di scintille, e ogni qualvolta la spada di Mooton si scontrava
con
quella dell'avversario impregnava il ferro di energia elettrica,
provocando
luminosi fulmini al contatto delle due lame. Il dorniano non aveva idea
se ciò
servisse solo a fare scena o potesse effettivamente danneggiare lord
Hunter, ma
lo considerò ugualmente una scorrettezza. "Ecco con chi
parlava prima
della carica. Gli stava impartendo gli ordini, quel maledetto
bastardo.".
Nei giudizi dei sette erano
ammessi solo i cavalieri e nessun esterno - uomo, animale o pokemon che
fosse -
poteva prendervi parte. Doran odiava chi si comportava slealmente
violando le
regole, e anche se apparteneva ad una religione diversa non poteva
sopportare
una scorrettezza palese come quella.
Forse in un altro momento ci
avrebbe pensato su due volte - e magari anche di più - ma
improvvisamente una
rabbia incontenibile prese il sopravvento su di lui. Non
riuscì a controllarsi,
complice anche la ferocia che quella battaglia richiedeva, e
cominciò ad
avanzare verso Mooton. Non gli passò neanche per la testa
che il cavaliere
fosse un suo compagno in quella lotta, semplicemente lo voleva punire.
Lord Hunter aveva appena parato
un fendente con lo scudo, lasciandolo sollevato. Il suo avversario
stava
provando a sfruttare quel momento in cui l'anziano lord aveva la
guardia aperta
per colpirlo, ma fu la spada di Doran la prima ad agire. Il dorniano
non
calcolò nemmeno con precisione dove volesse esattamente
andare ad impattare,
semplicemente caricò un potente colpo e lo sferrò
con tutta la forza che riuscì
a mettere nel braccio.
La lama colpì ser Terrence sulla
spalla destra, molto vicino all'articolazione che la univa al braccio.
Risuonò
un inquietante rumore metallico quando la spada colpì
l'armatura, deformandola.
Mooton, colto di sorpresa, urlò di dolore e
lasciò cadere la spada oltre che il
suo intero corpo a terra. Doran poté scorgere lo sguardo
stupefatto di lord
Hunter attraverso la celata dell'elmo.
- Per la bontà del Guerriero! -
sembrò esclamare lord Hunter sotto la celata, anche se era
difficile
distinguere le sue parole.
Doran avrebbe voluto gridargli
qualcosa di rimando, ma tutto d'un tratto gli mancò il
respiro. Mooton era
stato sorprendentemente veloce a rialzarsi, e il suo pugno aveva colto
il
dorniano completamente di sorpresa. Essendo girato non se n'era potuto
nemmeno
accorgere, e finì gambe all'aria in men che non si dica, la
spada che volava
chissà dove.
Perse l'orientamento per qualche
attimo, quanto bastò a Mooton per scagliarsi contro lord
Hunter e farlo cadere
a terra. Impiegò sorprendentemente poco tempo per sistemare
il nobile, e
qualche secondo dopo, proprio mentre Doran cercava di rialzarsi in
piedi, si
attestò davanti al dorniano e con un calcio in pieno petto
lo rispedì a
crogiolarsi nel fango.
- Traditore - fece il cavaliere -
Come hai osato attaccare un tuo compagno di squadra? Questo
è un giudizio sacro
agli dei!
- Forse ai tuoi, ma non ai miei -
ribatté Doran, sputando un grumo di fango che gli era finito
in bocca - E il
traditore siete voi, ser Terrence, visto che avete violato le regole.
Messo davanti al fatto compiuto,
l'altro non poté far altro che digrignare i denti per la
frustrazione sotto
l'elmo, o almeno questo Doran si figurò.
- Idiota di un dorniano, la
pagherai. Joltik, carica.
La spada che ser Terrence
impugnava si illuminò per le scintille che in quel momento
il piccolo pokémon
cominciò ad emettere. Il cavaliere se la portò
frontalmente, impugnandola a due
mani e preparando un fendente che probabilmente avrebbe tagliato a
metà il
dorniano nell'eventualità quasi sicura che lo centrasse.
- Muori!
Sembrò passare appena un attimo
prima che il fulmine colpisse Doran. Fu come se tutta la sua pelle
avesse preso
fuoco nello stesso momento, come se fosse stato messo al rogo. Il
dolore che
provò in quel momento era qualcosa di indescrivibile, che
mai aveva
sperimentato prima di allora, e fu probabilmente per questo che
svenì. Prima di
perdere i sensi riuscì però a vedere che un'altra
sagoma si era sovrapposta a
Mooton, parando il colpo. Poi però più nulla.
Si
risvegliò all'asciutto.
Immediatamente cominciarono i dolori, e ancora prima di aprire gli
occhi sentì
un fremito che lo attraversava. Gli venne l'istinto di muoversi, e
immediatamente tutti i muscoli del suo corpo gridarono per la
sofferenza. Gli
sfuggì un gemito non appena provò a muoversi,
gemito che non passò inosservato
a chi gli stava accanto.
- Ben svegliato, ragazzo. - fece
una voce vicino a lui.
Fu allora che Doran riaprì gli
occhi. Non era più sul campo di battaglia, ma all'interno di
una tenda. Un
focolare ardeva in un braciere poco lontano, e una debole luce
rischiarava la
seta marroncina di cui erano composte le pareti della struttura. Stava
disteso
su un giaciglio di legno foderato di paglia, e accanto a lui c'era un
seggio. E
sul seggio c'era un uomo.
Sembrava anziano, almeno questo
suggerivano i capelli grigi che gli attorniavano la fronte e le rughe
che la
solcavano. La sua faccia era piccola e canuta, ma in compenso appariva
gentile
e rassicurante. "Un benefattore" fu la prima cosa che pensò
Doran una
volta che lo ebbe guardato in faccia per la prima volta. Poi lo sguardo
gli cadde
su uno scudo appoggiato accanto all'ingresso della tenda; uno scudo
marrone
recante tre frecce bianche legate assieme.
Fu allora che realizzò che chi
aveva davanti era lord Morton Hunter, uno dei più
formidabili cavalieri viventi
dei Sette Regni, oltre che uno dei più nobili signori della
Valle di Arryn.
Nonché suo avversario durante il giudizio dei sette di poco
prima, avversario
che però Doran aveva soccorso contro ser Terrence Mooton. A
proposito, che era
successo? Dov'erano Mooton, gli Arryn, i Redfort, Ronas, il Simisage e
tutti
gli altri? Com'era finito il giudizio?
- Lord Hunter - farfugliò il
dorniano, ancora stordito - Voi... cosa...
- Zitto, ragazzo - gli intimò
Hunter, senza tuttavia apparire arrabbiato - Il septon ha detto che non
devi
sforzarti troppo per qualche giorno, per cui ascoltami. Non so cosa ti
sia
saltato in mente prima quando sei venuto ad aiutarmi, potevo benissimo
cavarmela da solo. Ho affrontato situazioni peggiori di quella nella
mia vita,
come alle Tre Sorelle o quando facevo il mercenario per la Compagnia
Dorata
nelle Stepstones. Nessuno aveva chiesto il tuo aiuto.
Doran sapeva di essere stato
inopportuno, ma non si immaginava così tanto. Si
preparò mentalmente per una
sfuriata e magari anche per qualche conseguenza spiacevole. Doveva aver
compreso che ad aiutare gli sconosciuti non ci si guadagnava mai nulla,
eppure
si ostinava ad essere sempre gentile. Dannato il suo spirito
cavalleresco.
- Eppure - continuò lord Hunter -
Devo ammettere che il tuo intervento è stato provvidenziale.
Mi trovavo in
seria difficoltà; certo, avevo già combattuto
contro dei pokémon in vita mia,
ma mai contro una di quelle bestie in comunione con un umano. Ero un
po'
disorientato a dir la verità. Ma grazie al tuo aiuto ho
abbattuto l'avversario.
- L'avete... - chiese Doran -
L'avete ucciso?
- No, assolutamente - rassicurò
il lord - Solo, gli ho lasciato un paio di dita in meno per ricordargli
di non
riprovarci mai più a fare una slealtà del genere.
Il dorniano restò in silenzio per
un attimo.
- Il giudizio - chiese poi -
com'è finito?
- Ahimè, avete vinto voi - si
lamentò Hunter - Jonothor Arryn si è arreso a suo
fratello poco dopo la tua
dipartita. Saranno passati meno di due minuti, ma è successo
di tutto in quel
mentre. Alla fine, quando l'Arryn minore si è arreso, si
è fatta la conta dei
morti. Dalla tua parte sono deceduti la Torre-di-Ghiaccio, trafitto
all'inizio
da una lancia, e anche ser Justin Piccolatorre, ucciso dall'altro
Redfort che
comunque è perito anch'egli per mano del tuo amico
Lancialucente.
"Alla fine Ronas ha
sistemato quel bestione. Ben gli sta".
- Dalla nostra parte invece -
continuò Redfort - Oltre a Torrerossa anche Layn Corbray,
ser Boras Templeton e
la Torre-che-Crolla sono morti. Che destino crudele, troppi giovani di
grandi
casate sono morti oggi. E se penso che quell'indegno di Mooton dopo
aver ucciso
Corbray ha osato impugnare Lady Forlon... bah, non voglio nemmeno
pensarci.
Ci fu un attimo di silenzio,
durante il quale Doran rabbrividì ripensando a Gregor Frey e
alla fine che gli
aveva fatto fare.
- Alla fine lord Arryn - continuò
l'altro - Ha dovuto esiliare suo fratello per la falsità
comprovata delle
accuse da lui mosse. Mi dispiace per lui, ma questa è la
legge degli dei.
"Ben gli sta a quel
fetente" pensò Doran compiaciuto. Jonothor Arryn non gli era
mai stato
simpatico, e a prescindere se avesse ragione o meno ad accusare ser
Bors dello
stupro della sua promessa sposa era contento per com'era finita tutta
quella
storia.
- Da quanto sono qui?
- Tre giorni. - rispose lord
Hunter - Ormai la maggior parte dei nobili se n'è andata.
Sono rimasti solo il
mio seguito e pochi altri che hanno deciso di intrattenersi con lord
Arryn e
col giovane principe Daeron. Oltre anche ai tuoi amici.
- Sono qui?
- Sì, stanno qui fuori, sono
ansiosi di parlarti. Visto che adesso sei sveglio vado a chiamarli.
Il lord si alzò e si diresse
verso l'ingresso della tenda. Prima di scostare la seta che la divideva
dall'esterno però si voltò e riprese a parlare al
dorniano.
- Comunque grazie per ciò che hai
fatto. Sono decenni che sono un cavaliere, ma non ho mai visto un
comportamento
lodevole come il tuo. Sarai sempre il benvenuto a Sala dell'Arco Lungo,
e anche
i tuoi amici.
Detto questo uscì. Doran rimase
nel silenzio più assoluto, a contemplare il fuoco che ardeva
nel braciere.
Poteva sentire le voci lontane di Ronas e di Jon che discutevano con
lord
Hunter, e decise di godersi quell'attimo di pace prima della tempesta
di
domande che sicuramente gli avrebbero rivolto gli amici. Non
poté fare a meno
di sorridere. "In fondo" pensò "Non è stata una
cattiva idea
venire nella Valle.".
Note
dell'autore
Nove mesi hanno contribuito a far risalire la mia voglia di continuare
questa storia. Non assicuro aggiornamenti continui però, ho
anche altro a cui pensare.
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