Nobody's wife

di Mana Sputachu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Never tought it could happen ***
Capitolo 2: *** 2. Never ever ***
Capitolo 3: *** 3. Never be the same again ***
Capitolo 4: *** 4. Nevermore ***
Capitolo 5: *** 5. Never gonna give you up ***
Capitolo 6: *** 6. Never say never ***



Capitolo 1
*** 1. Never tought it could happen ***


Nobody’s wife

 

1. Never thought it could happen

 

What goes around comes around, you’ll see.



 

5 Dicembre 1990

 

Mai avrei pensato che questo diario, nato per sfogo più che per reale interesse a tenerne uno, potesse rivelarsi per me così... così prezioso.

Gli ultimi mesi sono stati quanto di più emotivamente pesante io abbia mai affrontato; se non avessi avuto modo di sfogarmi tra queste pagine, sarei...

 

Si morde il labbro inferiore, indecisa su come concludere quella frase.

Credeva di aver superato la fase di negazione della sua fragilità, venendo finalmente a patti con se stessa, ma la sua natura di guerriera ogni tanto cerca di riemergere e prevalere sul resto.

Inspirando, riprende a scrivere:

 

...sarei crollata. Ho imparato a contare anche sugli altri, a non  ritenere l'aiuto di qualcuno una forma di debolezza.

E per una come me è un traguardo non indifferente.

 

Fa una breve pausa, poi sfoglia il quaderno fino a tornare indietro alle prime pagine.

 

20 Febbraio 1990

 

Continuo a chiedermi perché io abbia questo improvviso bisogno di tenere un diario. Non è da me.

Io, Shan-Pu di Joketsuzoku, non ho mai avuto bisogno di scrivere su carta i miei pensieri. Quando cresci come un'amazzone non è certo la prima cosa che ti viene insegnata.

Ciò che impari subito è che nel tuo villaggio le donne sono la razza dominante. Noi comandiamo, gli uomini obbediscono. Nessuno di loro, nemmeno i guerrieri migliori, hanno alcun diritto su di noi: non possono nemmeno guardarci senza permesso, siamo noi donne ad avere il comando.

Eppure nel giro di un mese sono riuscita a perdere totalmente il controllo di me, della mia vita... perdere tutto ciò che avevo di più caro. È bastato un errore. Uno stupido, insignificante errore che ha fatto crollare tutto come un castello di carte.

E le cose non sono di certo migliorate da quando tutto è cominciato. Anzi, se possibile, va tutto a peggiorare, e solo i kami sanno se e quando questo inferno finirà e vedrò finalmente la luce in fondo al tunnel.

Dicono che una volta toccato il fondo non rimane altro che risalire... ma a me sembra solo di raschiarlo, continuando a scavare invece di guardare verso l'alto in cerca di un appiglio.

 

Si ferma di nuovo, massaggiandosi gli occhi che le pizzicano.

Ormai è passato il tempo in cui piangeva nel rileggere quelle righe; ora si limita tutto a una fitta al cuore e al pizzicore agli occhi.

Non si supera mai un dolore, soprattutto quelli così grandi. Semplicemente impari a conviverci, ti abitui alla sua presenza invasiva e soffocante, finché a poco a poco non diventa una cosa piccola che riponi nell’angolo più remoto della tua testa. All’inizio, ripensarci farà male come la prima volta. Ma il tempo riuscirà ad affievolirlo e riempirà il vuoto che credevi incolmabile: non del tutto, ma abbastanza da rendere quella sofferenza sopportabile e permetterti di guardare avanti senza rimanere incatenata a quel ricordo.

 

Per quasi tutta la mia esistenza ho creduto che essere un’amazzone fosse la cosa migliore al mondo: ero convinta volesse dire essere forte, libera; ero convinta che le nostre leggi fossero giuste.

A posteriori, mi rendo finalmente conto di quanto in realtà fossi tutt’altro che libera.

Forte fisicamente, ma fragile dentro.

Ero convinta della bontà delle nostre leggi, che sposare l’uomo che mi avrebbe battuta fosse la cosa migliore, senza accorgermi di come il nostro modo di vivere funzionasse finché limitato a quelle montagne.

Ero libera come un uccello in gabbia, ma per rendermene conto avevo, ironicamente, dovuto attendere il momento in cui mi avrebbero davvero dato quella libertà.

Non perché la meritassi, ma perché era la mia punizione.

 

Il rintocco dell' orologio che segna lo scoccare della mezzanotte scuote Shan-Pu dalla lettura del diario. Lo ripone con cura nella tasca del grembiule, ritira l'insegna del ristorante e chiude la porta d'entrata per poi recarsi verso le scale, non prima di essersi assicurata che anche la porta sul retro sia chiusa.

Una porta che trova aperta è invece quella di Mousse, lasciata socchiusa come fa ormai da qualche mese a questa parte: Shan-Pu sbircia dentro e una massa scomposta di coperte sotto le quali si trova Mousse, nel caso non bastasse il suo russare a confermarne la presenza. Sorridendo, Shan-Pu si chiude la porta alle spalle e si dirige finalmente nella sua stanza, augurandosi come ogni sera un sonno senza sogni.

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Soundtrack: Nobody’s wife - Anouk




***

Ciao fandom di Ranma, torno a molestarti!
Questo è il mio secondo esperimento con una (non molto) long, nata da una mia riflessione sulle leggi amazzoni di Joketsuzoku, nello specifico un aspetto che la Takahashi non ha mai approfondito.
Siccome mi piace la suspance al momento non vi dirò nulla, ma già dal prossimo capitolo potrete cominciare a farvi qualche idea in merito. E visto che questo primo capitolo è così breve il prossimo potrebbe arrivare tra un paio di giorni, per il resto aggiornerò a cadenza settimanale (la storia è già completa).
Se siete reduci dalla mia Sleeping Awake... vi giuro che a questo giro non vi farò brutti scherzi, promesso XD Per il resto spero possa piacervi, come sempre ho fatto del mio meglio per rimanere IC pur piazzando i personaggi in una situazione del tutto nuova, e ovviamente per offrirvi una storia interessante.
Non so se avrò modo di fare fanart per ogni capitolo, ma per il primo e l'ultimo sono assicurate :)
Penso di aver detto tutto, come sempre potrete trovarmi su FB e nel mio gruppo (che ha cambiato url per... chiamiamoli problemi tecnici XD) se vi andasse di chiacchierare. Poco più sotto troverete una legenda, spero che i dialoghi risultino comunque comprensibili ma better safe than sorry!
Ringrazio Nyappy (la beta seria) per il betaggio dall'Olanda con furore, Subutai Khan (il beta sui generis) per la rottura di cazzi per farmi finire la storiail supporto morale e The edge of Darkness per alcune nozioni mediche! Grazie, soci. ♥
Al prossimo capitolo,
Mana

Legenda:
-Normale: le pagine di diario di Shan-Pu, scritte in cinese e per questo grammaticalmente corrette.
-Corsivo: Narrazione in terza persona
-Corsivo tra * *: I ricordi scritti sul diario, narrati sempre in terza persona.
-Dialoghi tra « »: Dialoghi in cinese
-Dialoghi tra " ": Dialoghi in giapponese (qui Shan-Pu parla sgrammaticato, cosa che personalmente preferisco all'uso smodato delle L in sostituzione delle R)


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Capitolo 2
*** 2. Never ever ***


 

2. Never ever

 

A few questions that I need to know

how you could ever hurt me so?


 

2 Marzo 1990

 

È passato un po’ di tempo dalla prima volta che ho scritto, convinta che non avrei più ripreso in mano questo quaderno.

Non so cosa fosse scattato dentro di me in quel momento.

Forse è stata quella sensazione di… leggerezza che ho provato, dopo aver messo tutto su carta. È stato quasi come togliermi un macigno dal cuore.

Certo, i miei attuali problemi sono ben lontani dall’essere risolti, ma avere una valvola di sfogo sembra lenire la mia sofferenza. In fondo non è che abbia qualcuno con cui sfogarmi… per cui mi farò andare bene il diario. E cercherò di mantenere questi buoni propositi, provando a scrivere tutto ciò che è successo da circa una settimana a questa parte.

Kami, non so nemmeno da dove cominciare… dalla notte brava con conseguenze disastrose?  Dagli sguardi colmi di delusione della bisnonna? Da Mu-Si, che è l’unico che ancora mi parla?

Ok, Shan-Pu. Respira. Calma.

Cominciamo dall’inizio.

Era l’inizio di febbraio, un mese fa circa.

La giornata era cominciata uguale a tutte le altre: sveglia presto, pulizie della sala ristorante, preparativi in cucina per l’apertura a mezzogiorno, Mu-Si già fuori per la spesa. La bisnonna era fuori chissà dove, a sbrigare faccende di cui noi non venivamo mai informati.

Come sempre, avevo deciso di presentarmi al Furinkan per l’ora di pranzo nella vana speranza di riuscire a vedere Ranma; due suoi compagni di classe, quelli con cui lo vedevo spesso a scuola, mi avevano informata che quel giorno né lui né Akane erano presenti. Così decisi di andare direttamente a casa Tendo.

 

Sospira, poi riprende a scrivere.

 

Beata la mia stupidità.

 

***

 

“Ranma?”

Saltato il muro di cinta, Shan-Pu si aggira per il giardino alla ricerca del ragazzo; sembra non esserci nessuno in casa, così decide di dirigersi in palestra.

Ed è lì che li trova, seduti sul pavimento, forse a parlare.

“Ranma?” chiama, stranamente cauta. Per la prima volta da quando lo conosce, reprime l’istinto di saltare addosso al ragazzo. Sente che qualcosa non va.

Quando Ranma si volta verso di lei, sul suo viso c’è qualcosa che non riesce a decifrare: è stranito nel vederla lì, ma c’è anche altro.

“Shan-Pu? Cosa ci fai qui?”
“A scuola mi hanno detto che eri a casa, e volevo vederti…” balbetta, mentre i suoi occhi si posano ora sul ragazzo ora su Akane, che a sua volta sembra stranamente a disagio. I rapporti tra lei e la minore delle Tendo sono sempre stati belligeranti, e vederla così… sfuggente le fa scattare un campanello d’allarme in testa.

“Qualcosa non va, Ranma?” chiede. “Tu sembra… strano. Tutto è strano. Mi nascondi qualcosa?”
Ranma scambia uno sguardo silenzioso con Akane, poi si volta verso la cinesina.

“Volevo cercare un modo migliore per dirtelo ma… probabilmente non esiste un modo giusto per farlo. E quindi tanto vale che lo faccia adesso…”

Un brivido percorre la schiena della ragazza.

Non ha bisogno di chiedere a Ranma cosa sta per dirle, perché lo sa.

Ha temuto quel momento per tantissimo tempo, covando il terrore che il codinato facesse finalmente i conti con i suoi sentimenti; e quel momento tanto temuto è infine giunto.

“Shan-Pu, io...” borbotta lui, forse cercando le parole più giuste. “Shan-Pu, io ho riflettuto molto dopo quello che è successo sul Monte Hooh. Ci ho pensato tanto e…”

“No… no” scuote la testa, rifiutandosi di ascoltare.

“Ti prego, non rendere tutto più difficile…”
“No! Ranma deve sposare Shan-Pu! È legge amazzone!”
“Maledizione Shan-Pu, proprio non capisci?!”
“Non c’è niente da capire! Tu ha battuto Shan-Pu e deve sposarla!”
“No che non devo! Non siamo a Joketsuzoku, le vostre leggi qui non valgono!”
“Nostre leggi sempre valide, tu non può sottrarti e-”
“Io AMO AKANE!”

È un’affermazione improvvisa, urlata, eppure sincera e sentita: Ranma è rosso dall’imbarazzo, ma per una volta non sembra voler rimangiarsi quelle parole; Akane lo guarda con occhi increduli e trattiene il fiato, quasi tema che quel testone finisca per negare tutto come suo solito.

Shan-Pu è stordita e desidera solo che una voragine le si apra sotto i piedi e la inghiotta.

Quelle parole l’hanno colpita in pieno stomaco e fanno male quanto un calcio ben assestato, ma non può dire che l’abbiano colta di sorpresa: nessuno a Nerima credeva che Ranma e Akane si odiassero sul serio, e non era certo lei quella che il ragazzo correva a salvare nei momenti di pericolo, quella con cui litigava fino allo sfinimento, ma da cui cercava in ogni modo di farsi perdonare. Non era lei la ragazza che guardava di nascosto, convinto di non essere notato.

Mentre le lacrime scendono sulle sue gote paffute, Shan-Pu inizia a tremare.

“Tu… maledetta Akane Tendo…” ringhia, e le si avventa contro. Akane è già in posizione di difesa, ma Ranma intercetta l’amazzone e la blocca.

“Shan-Pu! Calmati!”
“No! Io distrugge lei! Io uccide Akane e tu sposa me!” urla, cercando di divincolarsi dalla stretta di Ranma, che fatica a contenere la sua furia.

“Ma ti senti? Credi davvero che potrei stare con te se uccidessi Akane?!”
“Non m’importa! Devo farlo, ne va del mio onore!”
Shan-Pu continua a dimenarsi, e da quel momento le cose nella sua testa si fanno confuse: ricorda la stretta di Ranma sempre meno salda, ricorda quello stupido maschiaccio urlargli di fare attenzione e di non farle male. Ricorda il momento in cui riesce a sfuggire alle braccia di Ranma (oh, l’ironia!) e correre verso Akane; ricorda il ragazzo che riesce nuovamente a placcarla, afferrandola saldamente per la vita. Ricorda la colluttazione, sgomitate da parte sua cercando di farsi largo, e un calcio al basso ventre.

Ricorda di essersi accasciata al suolo, le urla di Akane e le scuse di Ranma; dice che non voleva farle male, che spera non sia nulla di grave e che se maledizione l’avesse ascoltato senza scaldarsi tutto questo non sarebbe successo.

Ricorda poi di essersi rimessa in piedi e di averli guardati entrambi un’ultima volta, piena di odio e rancore, per poi trascinarsi verso casa.

Del tragitto invece non ricorda nulla, a parte la vista annebbiata dalle lacrime e quel dolore alla pancia. Sperava non rimanesse un ematoma.

 

***

 

Il pizzicore agli occhi si fa fastidioso, e afferra un fazzoletto sulla scrivania. Ormai ha imparato

a tenerne una scatola di scorta.

 

Così è cominciato il calvario.

Con la dichiarazione d’amore di Ranma ad Akane.

Non voglio più prendermi in giro, ho sempre saputo che non aveva occhi per nessuna se non per quel maschiaccio, o non avrei mai fatto uso dei trucchetti più infimi per conquistarlo. Non avevo mai avuto alcuna speranza, leggi o non leggi, ma… come si suol dire, occhio non vede cuore non duole.

Anche se in quel caso era la pancia a farmi un male del diavolo. Non potevo credere che Ranma mi avesse dato un calcio, pur trattandosi di un incidente! Ma finii per aggrapparmici inconsciamente come unico appiglio per odiarlo e allontanarlo da me… e, stranamente, alla lunga sembrò funzionare.

Non sapevo ancora cosa sarebbe successo dopo.

Non potevo neanche immaginarlo.

 

***

I'll take a shower, I will scour, I will rub

To find peace of mind

The happy mind I once owned, yeah.


 

Quando rientra, il locale è stranamente silenzioso. Sembra non esserci nessuno.

Shan-Pu si trascina verso la cucina, il dolore alla pancia che ancora non la lascia in pace. Impreca mentalmente contro Ranma mentre decide esattamente il da farsi: l’istinto le urla di cercare qualche intruglio tra le pozioni della nonna, come rimedio miracoloso a tutti i mali. Ma la parte razionale di sé le sussurra che non serve a nulla, che è tempo sprecato.

Così vaga per la cucina alla ricerca di qualcosa da fare, qualcosa da distruggere per sfogarsi, quando un dettaglio attira la sua attenzione: lì, nel ripostiglio delle provviste, nota delle bottiglie. Decine e decine di bottiglie di sakè, di quelle che servono ai clienti danarosi. Shan-Pu rimane per un attimo a fissarle: l’unica volta in cui si è ubriacata era stato con Ranma (ancora, maledetta ironia!), durante la corsa ad ostacoli alle terme. Non è abituata a bere, né le interessa provare… ma in quell’istante le sembra l’idea migliore del mondo. Tutto pur di cancellare quanto è appena successo, anche solo per qualche ora.

 

***

 

Era la prima volta che bevevo per la pura voglia di farlo.

La mia prima sbronza, se così possiamo definirla.

I miei ricordi sono un po’ annebbiati, so solo che ad un certo punto mi sentii chiamare, e quando mi voltai Mu-Si mi guardava dalla porta che dava sul cortile.

Da quel momento la situazione mi sfuggì totalmente di mano.

 

***

 

Non sa quanti bicchieri di sakè ha mandato giù o da quanto è seduta sugli scalini del cortile, né le interessa: quello che sa è che la sua testa è leggera, libera dai brutti pensieri e dalla rabbia; gli avvenimenti accaduti (da quanto? Un’ora? Un giorno?) prima sembrano solo un ricordo, e persino il dolore al basso ventre sembra decisamente più sopportabile. Probabilmente, quando gli effetti dell’alcol saranno passati, ne pagherà le conseguenze riversa sul water dandosi dell’idiota tra un conato di vomito e l’altro, ma ci penserà a tempo debito.

«Shan-Pu? Cosa stai facendo?»
Ci mette qualche secondo a realizzare che la voce sta parlando con lei. Si volta e alle sue spalle vede Mousse che la osserva stranito.
Shan-Pu strizza un attimo gli occhi, poi semplicemente torna ad ignorarlo.

«Figurati, non rispondermi, fa proprio come se non ci fossi» è la piccata risposta del ragazzo, che si limita a sedersi sullo scalino vicino con un cesto di patate da pelare. Shan-Pu non sa cosa rispondere, o se magari è meglio star zitta; nel dubbio, beve ancora.

«Quello è sakè?»

La voce di Mousse la desta di nuovo dall’assenza di pensieri. Questa volta si gira a guardarlo e annuisce, porgendogli instintivamente il bicchiere.

Il ragazzo inarca un sopracciglio: «Non mi piace particolarmente bere… soprattutto se è appena mezzogiorno.»

«Che importa di che ora è» risponde lei, biascicando un po’, «ho solo bisogno di non pensare.»

«Shan-Pu sei… ubriaca?»
La ragazza si limita a fare spallucce, non essendo sicura se possa definirsi solo un po’ brilla o totalmente sbronza.

«Che diamine ti prende?»

«Te l’ho detto, non voglio pensare.»
«E qual è la novità rispetto al solito?» borbotta Mousse, credendo di non venir sentito, o forse non gli importa proprio.

Shan-Pu soffoca un ringhio, rivolgendo al ragazzo uno sguardo torvo: «Non mi sembra che tu abbia mai brillato per acume, quando ordivi stupidi piani per conquistarmi Mentalmente, si congratula con se stessa per non aver biascicato come un’ubriacona.

«Hai ragione, forse non è stato particolarmente intelligente da parte mia correrti dietro fin dall’inizio» borbotta lui; se non fosse così brilla, Shan-Pu troverebbe ancora più strane le battutine al vetriolo del ragazzo, quasi volesse ripagarla di tutti gli insulti che lei gli ha rivolto negli anni.

«Già. Nemmeno io sono stata poi tanto furba, quando mi sono incaponita nel voler sposare Ranma a tutti i costi» sussurra, osservando la bottiglia già mezza vuota.

«Passa quel bicchiere, và» sbuffa Mousse alla fine; e Shan-Pu, desiderosa di dimenticare e di non rimanere sola, non se lo fa ripetere due volte.

Mousse osserva il liquido con un’espressione indecifrabile, difficile dire se abbia qualche ripensamento in merito oppure non lo veda. Poi semplicemente lo butta giù tutto d’un fiato: il suo viso si fa rosso e tossisce un paio di volte, probabilmente perché non è abituato, ma qualche istante dopo allunga di nuovo il bicchiere verso la ragazza, chiedendo altro sakè.

Mentre lo serve, Shan-Pu si scopre a guardare Mousse con una strana curiosità; sarà l’alcol forse, ma comincia a fare strani paragoni con Ranma: entrambi mori, entrambi combattenti, entrambi affascinanti seppur in maniera diversa; Ranma è muscoloso e fiero, ma Mousse è più alto cosa che non le dispiace, e in quanto al fisico scolpito non ha nulla da invidiare al giovane Saotome...

Per un attimo si chiede se non sia realmente ubriaca: non ha mai avuto di questi pensieri, non sul goffo, fastidioso Mu-Si che le urla amore eterno da quand’erano bambini. La sua mente decide di giocarle un altro tiro mancino, riportando a galla tutti i momenti in cui, per un motivo o per un altro, aveva visto il ragazzo senza quella ridicola tunica larga come una tenda da circo. In effetti è carino, si dice, osservando le maniche arrotolate che lasciano scoperti gli avambracci muscolosi.

È decisamente carino, si ripete, guardando Mousse togliersi per un istante gli occhiali e lasciare scoperti i suoi occhi chiari...

Se fosse stata nel pieno delle sue facoltà mentali si sarebbe sicuramente data della stupida per aver formulato un simile pensiero. Ma quel giorno aveva deciso di non pensare, di distrarsi… e aveva trovato in lui quella distrazione tanto desiderata.

 

***

 

Ancora oggi non mi capacito di quanto successo dopo.

So solo che quell’errore mi è costato la mia vita per come la conoscevo, e che nulla sarebbe più stato come prima.

 

Never ever have I had to find

I've had to dig away to find my own peace of mind.



Soundtrack: Never ever - All Saints


***

Come promesso, ecco il secondo capitolo!
Il primo era davvero troppo corto per lasciar passare una settimana intera: così adesso potrete cominciare a farvi un'idea di ciò che è successo e che ha portato alla situazione dello scorso capitolo.
Non ho altro da aggiungere al momento, se non che spero che questa storia possa intrigarvi e piacervi! Fatemelo sapere, ci conto! :D
Come sempre potete trovarmi su FB e nel mio gruppo, se vi andasse di conoscermi e fare quattro chiacchiere. :)
Ci aggiorniamo la prossima settimana!
Sempre vostra,
Mana

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Capitolo 3
*** 3. Never be the same again ***


3.  Never be the same again

 

Mi avevi abbandonata

ed io mi son trovata

a un tratto già abbracciata a lui...


 

12 Marzo 1990

 

Non ho più avuto tempo di aggiornare il diario come mi ero ripromessa, il ristorante risucchia via tutte le mie energie, ma finalmente ho qualche ora libera solo per me.

Dunque, dov’ero rimasta?
...ah, già.

L’inizio della fine.

Non riesco a ripensarci senza darmi dell’idiota. Come ho potuto perdere il controllo di me stessa in questo modo? Come ho fatto a credere che ubriacarmi fosse la migliore delle idee?

Ancora oggi non riesco a darmi una risposta che non sia… karma.

Si dice che quello che facciamo prima o poi ci torni tutto indietro.

Quello che non ti dicono è con quanta forza ritorni.

 

***

 

Quando apre gli occhi la prima cosa che prova è una fitta fortissima alla testa.

«Hmm…» è l’unico verso che Shan-Pu riesce ad emettere, persino parlare le provoca dolore e un senso di nausea. Dopo qualche minuto riesce finalmente ad aprire lentamente gli occhi, cercando di ricordare quanto successo: ricorda chiaramente di essere andata al Furinkan a cercare Ranma e…

«Oh… Kami…»

Tutto le torna in mente in un istante e la colpisce in pieno con la stessa forza di un tir: Ranma che le urla di voler sposare Akane, la colluttazione, il calcio…

«Il sakè…» sussurra, trovando finalmente una spiegazione a quel mal di testa insopportabile.

«Hmmm.»

Un mugolio la distoglie dai suoi pensieri, gettandola invece nell’orrore.

«...Mu-Si?»
Il ragazzo, nudo, giace con lei sotto le coperte del futon.

«No. Nonononono…»

In preda al panico, cerca di mettere a fuoco i ricordi del giorno prima: avevano finito una bottiglia di sakè in due, ognuno preda dei propri problemi; ricorda improvvisamente come si fosse ritrovata a pensare quanto lui fosse, in fondo, affascinante; lo ricorda parlare a ruota libera ma non sa di cosa probabilmente borbottava qualcosa contro di lei, e che per farlo star zitto aveva pensato che baciarlo fosse una buona idea.

«Oh kami… oh per tutti i kami del cielo…»

 

***

 

Ci misi poco a capire che ero nei guai fino al collo.

Il mio primo pensiero fu: la bisnonna non deve trovarmi così.

Afferrai al volo una blusa, me la misi addosso e scesi di corsa al piano di sotto, per assicurarmi di avere ancora abbastanza tempo per poter risolvere la situazione e, magari, convincere Mu-Si a mentire e fingere che nulla fosse mai accaduto, soprattutto con la bisnonna.

A posteriori mi chiedo da dove derivasse la mia convinzione di essere più scaltra di tutti gli altri.

 

***

 

«Vestiti.»
Seduta a un tavolo della sala, Obaba non degna la nipote di uno sguardo, continuando a fissare un punto indefinito di fronte a sé.

Shan-Pu rimane sulla soglia delle scale, raggelata: il karma non si è fatto attendere, e con quello svanisce la speranza di salvare almeno le apparenze.

«Bi… bisnonna, io-»
«Ho detto vestiti. Non fiatare, non dire una parola» tuona Obaba, senza neanche voltarsi. «Devi solo sperare che questa tua bravata non abbia nessuna conseguenza… e che nessuno al villaggio venga a saperlo, in qualche modo.»

 

***

 

La cosa che più mi fece male fu la delusione che lessi negli occhi della bisnonna.

Ancor più della prospettiva che il Consiglio scoprisse dell’accaduto e prendesse provvedimenti, il pensiero che lei potesse ritenermi un fallimento era ciò che mi terrorizzava: ero cresciuta seguendo i suoi insegnamenti, nella speranza di diventare l’amazzone perfetta, quella guerriera ideale che ogni donna di Joketsuzoku aspira ad essere.

E avevo mandato tutto all’aria.

La bisnonna non mi rivolse mai lo sguardo durante il tragitto fino all’ambulatorio - un posto asettico e impersonale, così diverso da quello del Dottor Tofu, o dalla casa della dottoressa del villaggio - e le poche ore passate lì furono le più lunghe ed estenuanti della mia vita: mi sentivo gli sguardi degli altri pazienti addosso, mi sentivo giudicata nonostante nessuno, in realtà, si curasse davvero della mia presenza. Cominciai a chiedermi cosa ne sarebbe stato di me, nel caso in cui avessi contratto qualche malattia o… se fossi rimasta incinta.

 

***

 

“Cosa vuol dire che non potete fare il test di gravidanza a mia nipote?”
“Signora, la prego…”

“Che razza di ambulatorio siete?”

“Signora… devono passare almeno sette giorni prima che sia possibile avere un qualsiasi risultato. Di solito si fa al primo giorno di ritardo, e lei ha detto che sua nipote ha avuto un rapporto non protetto soltanto ieri…”
Shan-Pu distoglie lo sguardo, vergognandosi come una ladra.

Vedere la sua vita privata sbandierata così ai quattro venti è una cosa dannatamente mortificante, così come trova imbarazzante l’ignoranza sua e della bisnonna sui moderni metodi contraccettivi; non sono cose che alle amazzoni interessano, il mondo al di fuori dei loro monti è per loro inospitale e malvisto, scienza compresa.

“Deve esserci un modo per sapere se mia nipote rischia una gravidanza, adesso” ringhia Obaba, e Shan-Pu capisce che è meglio calmarla prima che se la prenda con un’infermiera innocente: “Andiamo via bisnonna, se test non si può fare è inutile insis… ahi. Ahia…”
“Shan-Pu, tutto bene?” chiede l’anziana donna, ed è la prima volta in tutta la giornata in cui le rivolge uno sguardo che non sia di delusione.

“S-sì, è tutto apposto” mente la ragazza, “ho solo un dolore allo stomaco…”

Aveva totalmente dimenticato l’ematoma, che per un po’ aveva smesso di farle male ricominciando però nel momento peggiore; l’infermiera sembra notare che qualcosa non va, così si intromette: “Senti, visto che sei qui facciamo un controllo veloce… magari non è nulla ma meglio esserne sicuri.”
Shan-Pu scambia un veloce sguardo con la bisnonna, che dopo qualche secondo di incertezza annuisce e acconsente la visita.

 

***

 

L’attesa fu snervante.

L’infermiera e il medico che la raggiunse poco dopo sembravano preoccupati per quell’ematoma a cui io non avevo dato peso, guardavano le lastre e poi borbottavano tra di loro.

Cosa c’era che non andava? Stavo male? Ero davvero incinta e la nonna si sbagliava? Volevo sapere, l’ansia mi stava divorando viva.

Quando finalmente ebbi la risposta, pensai che l’ignoranza certe volte è un bene.

 

***

 

“Allora dottore, qual è l’esito dell’esame?”
Il medico osserva in silenzio le due donne, forse cercando le parole più giuste per rispondere.

Shan-Pu fissa intensamente la punta delle scarpette, rifiutandosi di alzare lo sguardo e affrontare la diagnosi: vuole sapere, ma allo stesso tempo vorrebbe solo tornare indietro al giorno prima, al momento in cui ha deciso di andare al Furinkan a cercare Ranma e prendersi a ceffoni per impedirlo.

“Per favore...” insiste la bisnonna, e lui abbassa lo sguardo sulla scrivania: “Voi siete venute qui per un test di gravidanza, e come vi abbiamo già detto è impossibile farlo il giorno dopo l’avvenuto rapporto. Tuttavia…”
Attesa, ancora.

“Dottore, parli” ordina Obaba e l’uomo sembra tentennare, poi sospira: “Signora… sua nipote non può avere figli.”

Il medico mostra loro delle lastre e indica un punto specifico: “Vede questa macchia? Corrisponde all’ematoma che sua nipote ha sul ventre. Qualunque cosa lo abbia causato… è stato talmente forte da danneggiare l’utero e renderla sterile.”

Shan-Pu non sente più la voce del medico, perché l’unica cosa a cui riesce a pensare è l’ematoma sulla pancia, al calcio che Ranma le ha dato per tenerla lontana da Akane.

“E… e non c’è soluzione?”
La voce della bisnonna la distoglie dai suoi pensieri.

“Temo di no. Mi dispiace molto…”

La risposta del dottore colpisce Shan-Pu in pieno petto, e di nuovo dimentica come si respira.

 

***

 

Fino a quel momento non avevo mai pensato realmente all’idea di avere un bambino: era una cosa troppo lontana nel tempo, troppo strana a cui pensare a sedici anni. Sapevo che probabilmente sarebbe successo quando finalmente avessi sposato un uomo valoroso quando avessi sposato Ranma, ma non era la mia priorità; sapevo solo sarebbe stato il guerriero che mi avrebbe battuta, e tanto mi bastava.

In quel giorno di febbraio, invece, tutte le mie poche certezze erano state distrutte con una sola frase.

Ricordo ancora lo sguardo nella bisnonna… la ricordo voltarsi lentamente verso di me, guardarmi con occhi sgranati e sconvolti.

La ricordo mentre realizza con orrore le conseguenze di questa notizia.

Uscimmo dall’ambulatorio in silenzio, e solo fuori la bisnonna finalmente parlò.

 

***

 

«Vai a casa, Shan-Pu. Io devo sbrigare delle faccende.»

Senza neanche darle tempo di replicare Obaba si volatilizza, lasciando la nipote ancora sotto shock.

Le parole del dottore continuano a ronzarle in testa e lei cerca di assimilarle, eppure sembra non realizzare appieno il loro significato.

Istintivamente comincia a camminare, sempre più veloce finché non si ritrova a correre: non sa neanche dove sta andando, dovrebbe andare a casa come ha detto la bisnonna, ma i suoi piedi hanno deciso diversamente; continua a correre a perdifiato fino a che non si ferma davanti alla sua meta.

Casa Tendo.

Salta sul muro di cinta e si guarda attorno alla ricerca di Ranma, ma non vede nessuno.

“Buongiorno Shan-Pu! Stai cercando Ranma?”

Abbassa lo sguardo e incrocia quello di Kasumi Tendo, che dal giardino le sorride. Shan-Pu le fa un cenno veloce con la testa.

“Per adesso è a scuola, ma se vuoi aspettarlo...”

Non lascia nemmeno che la ragazza finisca la frase, salta giù e corre verso il Furinkan.

Facendosi largo tra la calca di studenti arriva nell’aula di Ranma, ma lui non è lì; i compagni di classe le dicono che lui e Akane erano andati a comprare qualcosa per il pranzo, quando…

“Shan-Pu! Cosa ci fai qui?”

La sua voce la riconoscerebbe tra mille.

Si volta e lo vede davanti la porta con una confezione di anpan in mano; alle sue spalle Akane la guarda preoccupata, non sa se per se stessa o per quanto successo il giorno prima.

“Senti, mi dispiace per ieri” continua il ragazzo, avvicinandosi a lei “spero di non averti fatto male, mi sento davvero in colpa… io non volevo, giuro…”

Quella frase è la goccia che fa traboccare il vaso, e in meno di un secondo Shan-Pu è addosso a lui e cerca di picchiarlo con tutta la forza che ha in corpo.

“TI ODIO! TI ODIO!”
“S-Shan-Pu! Ferma!”
Il ragazzo cerca invano di fermare la furia della cinesina e a poco serve l’intervento di Akane, Hiroshi e Daisuke, che provano a bloccare la ragazza senza successo.

“Ti odio! È colpa tua, è colpa tua!” urla Shan-Pu, mentre i suoi pugni solitamente precisi si trasformano nei colpi di una ragazzina disperata piena di rabbia e rancore; finalmente Ranma riesce ad afferrarle i polsi e bloccarla, abbastanza a lungo da chiederle: “Cosa è colpa mia, Shan-Pu? Cosa?!”

A quella domanda la ragazza si divincola fino a liberarsi e si alza in piedi, allontanandosi da Ranma; istintivamente porta le sue mani alla pancia.

“È colpa tua” ripete con la voce rotta dal pianto, “è colpa tua… io non può avere bambini…”

Lo sguardo del ragazzo sulle prime è spaesato e sembra non capire… finché non ricollega il tutto al giorno prima, e l’espressione dispiaciuta sul suo volto per un attimo fa tentennare Shan-Pu.

“Io… mi dispiace Shan-Pu, io… io non credevo che…”
“Io non può più avere bambini, e la colpa è TUA!”

Lo urla con tutto il fiato che ha nei polmoni, e quando lui cerca di avvicinarsi lei scappa via.

Corre fuori dall’aula, dalla scuola, corre per strada fino a rimanere senza fiato.

Corre per scappare da quella situazione, dal volto dispiaciuto di Ranma, da quella parte di lei che per un attimo aveva creduto di poterlo perdonare.

Corre per non dover pensare a niente, almeno per un po’.

 

***

 

Dopo quasi mezz’ora passata a correre, tornai al ristorante.

Come immaginavo la bisnonna era ancora via, forse alla ricerca di qualche suo contatto per scoprire se il Consiglio era già stato informato di quanto successo. Al momento non mi importava nulla delle notizie che sarebbero giunte dalla Cina: volevo solo buttarmi a letto e rimanerci in eterno, sperando che prima o poi sarei sparita nel nulla.

Mi sentivo disperata, distrutta, sola.

Eppure, in tutto quel casino, c’era ancora un sostegno di cui non avevo tenuto conto.

 

***

 

«Shan-Pu? Sei tornata?»

Quando entra al ristorante Mousse è seduto sulle scale ad aspettarla.

La ragazza non credeva di trovarlo lì, dopo quello che era successo: non era una delle sue solite “bravate” che Mousse finiva per perdonare o lasciar correre, è qualcosa di maledettamente serio… e invece è lì, e la sua espressione preoccupata basta a far cadere quell’ultima, fragile barriera che lei aveva eretto per non crollare definitivamente.

Senza pensarci Shan-Pu corre tra le braccia di Mousse e scoppia a piangere, un pianto disperato che non trova consolazione.

 

***

 

La presenza di Mu-Si era inaspettata, e a posteriori posso ammettere tranquillamente che… senza lui a sostenermi non ce l’avrei fatta. Niente inutili sentimentalismi o dichiarazioni mielose, solo la realtà dei fatti: se non ci fosse stato lui al mio fianco non avrei saputo come andare avanti, come rimettermi in sesto diamine, non sarei nemmeno riuscita a mandare avanti il ristorante!

È stato ed è ancora una presenza fondamentale per me, e nei giorni che seguirono ebbi modo di rendermi conto di quanto il suo sostegno mi sarebbe servito.



Soundtrack: Perdono - Caterina Caselli


***

In un commento al capitolo precedente mi era stato detto che la “scappatella” tra Shan-Pu e Mousse era una trovata un po’ banale… ed è verissimo, lo ammetto senza vergogna. XD
Ma se siete arrivati fin qui avrete capito che quella era solo una trovata per parlare delle conseguenze di quel gesto. Nobody’s wife, come dicevo nel primo capitolo, nasce da una mia riflessione sulle leggi amazzoni: sappiamo che le donne di Joketsuzoku sposano solo uomini forti in grado di batterle, e che di conseguenza non tengono conto di maschi deboli incapaci di dare una prole forte e sana. Ma se ad essere incapace di procreare è un’amazzone, cosa succede? Come si comporta il Consiglio?
Ecco, questa storia vuole tentare di dare una risposta a questo quesito (che la Takahashi non ha mai approfondito).
Ringrazio sentitamente The Edge of Darkness che ai tempi mi aveva dato un enorme aiuto con le nozioni mediche: tra i suoi suggerimenti e le ricerche in proposito sono *abbastanza* sicura di ciò che ho scritto, ma continuo a non essere un medico, quindi se notate qualcosa che non va vi prego di farmelo sapere!
(Edit del 02/04/2016: Miss Hinako mi ha giustamente fatto notare che i medici potevano proporre a Shan-Pu la pillola del giorno dopo, e avendole dato una risposta piuttosto esaustiva (almeno spero!) ho pensato di ricopiarla qui: ho preferito rimanere sul vago perché non ho trovato nessuna informazione riguardo la sua diffusione in Giappone. Se la storia fosse stata ambientata in un periodo più recente avrei dato per scontato che fosse già abbastanza diffusa (anche se ammetto di non averla mai vista menzionata in nessun manga degli ultimi anni), ma Ranma è ambientato alla fine degli anni '80 (Nobody's wife inizio '90) e da quello che ho trovato su Wiki ha cominciato ad essere molto diffusa verso il 1997 in soli nove paesi (tutti occidentali), mentre sul Giappone non diceva nulla. Quindi piuttosto che scrivere una cavolata ho preferito rimanere sul vago. ^^)
Anche per stavolta è tutto, e come sempre sapete dove trovarmi (profilo FB e nel mio gruppo).
Sempre augurandomi che la storia vi piaccia, ci aggiorniamo la prossima settimana!

Mana

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Capitolo 4
*** 4. Nevermore ***


4. Nevermore

 

Cos it's all in the hands of a bitter, bitter man

Say goodbye to the world you thought you lived in…


 

15 Marzo 1990

 

Pochi giorni dopo partimmo in fretta e furia per la Cina.

Io, la bisnonna e Mu-Si.

Il Consiglio voleva risolvere la cosa alla svelta e nella maniera… migliore possibile.

Ricordo distintamente il brivido che provai nell’udire quelle parole: i decani di Joketsuzoku ritenevano che eventuali punizioni dovessero essere esemplari per tutto il villaggio, e una situazione come la nostra meritava la più severa delle pene.

E la loro idea di severo era ampia. Molto ampia.

Ma continuare a rimuginarci su non sarebbe servito a rimandarla o a cambiare le carte in tavola: potevamo solo presentarci lì e sperare nella clemenza dei kami.

 

***

 

Shanghai è esattamente come la ricorda.

Grande, caotica, piena di gente e di profumi che quasi aveva dimenticato e che adesso le impregnano le narici; se fosse stata una gita di piacere, Shan-Pu si sarebbe concessa un paio d’ore girando senza meta gustando dei baozi; ma l’occasione è infausta e il tempo stringe, e diversi treni e un carretto di fortuna dopo giungono finalmente nei pressi di Joketsuzoku. Anche il villaggio è proprio come lo ricorda: piccolo, chiuso, diffidente verso il mondo esterno.

Gli sguardi dei suoi compaesani sono sfacciati ed eloquenti: «Davvero è andata a letto con Mu-Si?», «Shan-Pu è sterile?», «Con che faccia si è ripresentata al villaggio?».

Cerca di evitarli camminando a testa alta e guardando dritto davanti a sé; di quando in quando si volta verso Mousse, che al contrario di lei sembra non curarsi assolutamente di ciò che pensano gli altri… come ha sempre fatto, fin da quand’era bambino.

Obaba li precede e i passi svelti ne rivelano l’agitazione: la situazione è critica e fare aspettare gli anziani può solo aggravarla.

La calca comincia a disperdersi, e davanti a loro finalmente si intravede la sede del Consiglio di Joketsuzoku.

 

***

 

L’atmosfera era dannatamente tesa, e gli sguardi fissi su di noi - su di me - non aiutavano a stemperarla. Volevo solo scappare, andare in un posto dove nessuno mi conosceva e non sapeva della colpa che mi portavo dietro.

Non avevo idea di cosa mi aspettasse una volta al cospetto degli anziani: quale punizione avevano in serbo per me? Mi avrebbero chiusa in prigione, o torturata?

Mi avrebbero uccisa?

 

***

 

È la prima volta che Shan-Pu entra nella sala del Consiglio di Joketsuzoku, e inevitabilmente si lascia distrarre da tutto quello sfarzo, quello splendore: lascia correre lo sguardo sulle colonne rosse laccate, sui decori dorati, sui dragoni e i legni intarsiati che adornano le pareti, e non riesce a non pensare a quanto sia distante dal suo villaggio; un lusso che si contrappone alla povertà della gente là fuori, ma che non ha mai intaccato il loro orgoglio amazzone.

La sala in cui vengono portati, tuttavia, è spoglia e tetra, con scranni su entrambi i lati per i membri del Consiglio; di fronte a loro vi è il pulpito riservato alle cariche più alte, e tra loro adocchia subito Wei-Zan, il membro più anziano e rispettato del Consiglio; tra lei e Obaba non è mai corso buon sangue, e Shan-Pu ha il sospetto che quel sorriso beffardo nasconda una voglia di rivincita celata per anni.
Forse il suo errore è ciò che gli anziani aspettano da più di un anno e lei gliel’ha servito su un piatto d’argento.

«Tu sai perché ti trovi qui, Xian-Pu?»
La pronuncia cinese del suo nome la fa trasalire distogliendola dai suoi pensieri; non la sentiva da tanto tempo. Annuisce velocemente, ma a Wei-Zan non basta: «Rispondi ad alta voce.»
«S-sì.»

«Bene. Ti renderai conto, quindi, di quanto grave sia la situazione… e non mi riferisco solo al tuo» si ferma un attimo, ghignando «errore con Mu-Si, ma soprattutto alle conseguenze.»

Mousse non batte ciglio, e anzi sostiene il loro sguardo senza alcun timore; Shan-Pu gli invidia quell’apparente sicurezza, lei che al momento preferirebbe morire lì sul colpo invece di attendere l’esito di quell’udienza.

«Il consiglio ha discusso a lungo sui provvedimenti da prendere» prosegue Wei-Zan, «in centinaia di anni non si era mai verificata una situazione del genere: per nostra fortuna le donne di Joketsuzoku sono sempre state forti e in grado di mettere al mondo figli sani, quindi non abbiamo mai avuto necessità di stilare delle leggi in caso di sterilità. Ma a quanto pare c’è sempre una prima volta» ridacchia, una risata fastidiosa come unghia su una lavagna; poi si zittisce e volge lo sguardo verso Mousse: il ragazzo cerca di mostrarsi calmo ma lo stupore sul suo viso è evidente a tutti in sala; Shan-Pu lo osserva in un misto di paura e… rimorso. La bisnonna non aveva detto nulla a Mousse se non lo stretto indispensabile per giustificare il viaggio: lo aveva convinto che il motivo era la loro notte brava, ma era totalmente ignaro della situazione della ragazza.
E lei adesso si sente in colpa.
La voce della decana interrompe i suoi pensieri: «Giovanotto, spero tu ti renda conto del guaio in cui vi siete cacciati.»
«Sì.»

«Spero anche che tu sia pentito di ciò che hai fatto.»
«No.»

Tanta schiettezza e sfacciataggine colgono di sorpresa Wei-Zan e gli anziani, persino Obaba lo guarda sconvolta; Shan-Pu è combattuta tra la tentazione di picchiarlo per farlo rinsavire e l’invidia per quella sicurezza nel prendersi la  responsabilità delle proprie azioni, affrontandone le conseguenze.

Un colpo di mano sullo scranno e Wei-Zan riporta il silenzio in aula: «Visto che le cose stanno così, è ora che vi comunichi quanto il consiglio ha deciso.»

 

***

 

Passai in rassegna ogni ipotesi possibile e immaginabile senza sapere quale fosse la peggiore… ma quando comunicarono la loro decisione mi resi conto che esistono molti modi di intendere la parola “punizione”.

 

***

«Dopo lunghe e accese discussioni, siamo giunte alla conclusione che le opzioni sono due» tuona la vecchia, e di nuovo rimane in silenzio per qualche secondo; forse, pensa Shan-Pu, la loro disperazione è un enorme fonte di sollazzo per lei.

«Opzione numero uno: tornate a Joketsuzoku e riprendete la vostra vecchia vita da dove l’avevate lasciata.»

Un ringhio da parte di Mousse lascia intendere che per il ragazzo non è una soluzione accettabile: tornare significa vivere nella vergogna, ridursi a reietti rifiutati da tutti, persino dalla famiglia.

«Opzione numero due: rimanete in Giappone, se lo desiderate. Ma non potrete mai più fare ritorno a Joketsuzoku o avere contatti con qualcuno del villaggio.»

Shan-Pu è allibita.

Di tutte le punizioni che ha immaginato quella è di sicuro la più inaspettata.

Libertà.

Poter vivere senza più seguire le regole del villaggio o preoccuparsi delle conseguenze, ignorando il giudizio degli altri perché ormai lontani.

Senza poter più vedere la propria famiglia, cancellata da Joketsuzoku come non fosse mai esistita.

La peggiore delle punizioni camuffata da opportunità.

Wei-Zan probabilmente sa quale sarà la loro scelta, e quando Mousse si alza ed esce dalla sala sorride, probabilmente soddisfatta dalla piega presa dagli eventi.

«Mu-Si ha fatto la sua scelta. Tu cos’hai deciso, Xian-Pu?»
 

***

 

C’è sicuramente della crudele ironia nel dover scegliere il male minore in una situazione che farà schifo in ogni caso.

Ricordo che rimasi in silenzio per diversi minuti chiedendomi cos’era meglio fare, se seguire Mu-Si e dimenticare Joketsuzoku o rimanere e accettare il peso della vergogna. Mi voltai verso la bisnonna sperando nel suo supporto, o almeno in uno sguardo preoccupato: mi guardò di sfuggita per poi voltarsi nuovamente verso il consiglio.

E allora capii qual’era la scelta migliore per me.

 

***

 

Senza fiatare, Shan-Pu si volta verso l’uscita.

L’andatura è incerta ma acquista sicurezza ad ogni passo, e quasi senza accorgersene si trova fuori e il suo sguardo incrocia quello dei suoi compaesani, che la scrutano e la giudicano come avevano fatto solo un’ora prima.

Davanti a quegli occhi curiosi la sua sicurezza vacilla: per un attimo vorrebbe tornare dentro, prostrarsi ai piedi di Wei-Zan e implorare il suo perdono.

«Shan-Pu.»

La ragazza si volta verso Mousse, che la attende all’uscita: la sua espressione è serena, sicura, quella di chi è convinto di aver fatto la scelta giusta.

Basta quello a donarle abbastanza fiducia da camminare a testa alta davanti alle altre amazzoni, senza voltarsi indietro.

Non è più Shan-Pu di Joketsuzoku.
Shan-Pu se ne va dal villaggio da donna libera.

 

***

 

Ero libera, è vero.

Ma a quale prezzo?

Avevo perso la mia identità, la mia storia, me stessa. Non sapevo più chi ero.
Questa e tante altre domande affollavano la mia testa durante un viaggio di ritorno lungo e silenzioso. Ad esclusione di poche parole, io e Mu-Si non parlammo per buona parte del tempo; immagino che nessuno dei due ne avesse voglia, soprattutto lui, impegnato probabilmente a rimuginare su quanto successo e quello che ci aspettava una volta tornati a Nerima.

Che ne sarebbe stato della mia vita, da quel momento in poi? Avrei continuato a gestire il Neko Hanten? Ne sarei stata capace?

Arrivammo al ristorante all’alba del giorno dopo, tornando in punta di piedi come quando eravamo partiti: faceva male vederlo vuoto, senza la voce della bisnonna a impartirci ordini; di dormire non se ne parlava proprio, almeno per me, così passai le ore seguenti a riordinare una già ordinata cucina, fare l’inventario delle provviste, piegare i tovaglioli. Quando finalmente crollai esausta su una sedia erano ormai le sette inoltrate, e forse complice la stanchezza feci una cosa che non avevo ancora fatto, tranne dopo la mia visita medica: piangere.

Piansi a dirotto, piansi tutte le lacrime che avevo trattenuto in quei giorni sforzando di mostrarmi forte e stoica anche quando non la ero; piansi fino ad addormentarmi sul tavolo, dove Mu-Si mi trovò qualche ora dopo.

 

***

 

«Shan-Pu? Ehi?»

Nonostante il mal di testa e quel terribile dolore al collo, la ragazza riesce a sollevare lo sguardo verso la voce: Mousse la guarda a qualche centimetro di distanza, evidentemente sorpreso nel trovarla ancora al piano di sotto.

«Che ci facevi qui a quest’ora?» chiede il ragazzo, e lei si limita a guardare l’orologio a parete: le dodici e trenta. In una giornata qualsiasi per il ristorante sarebbe ora di punta, pensa distrattamente.

«Ieri notte non riuscivo a dormire» replica lei, alzandosi e sgranchendo i muscoli «e così sono rimasta qui a sistemare e- ouch!»

«Tutto ok Shan-Pu?»
«Sì sì, solo una fitta…» mente lei portando una mano al ventre. L’universo cerca di ricordarle la sua condizione in ogni istante, anche quando vorrebbe solo dimenticare.

«Ne sei sicura?» insiste Mousse, e lei sbuffa: ha sempre detestato quella sua stupida insistenza, quel suo… tenerci a lei. «Sicurissima» borbotta, massaggiandosi istintivamente la pancia dolorante. Quando nota che lo sguardo indagatore del ragazzo è ancora fisso su di lei, decide di dirigersi in cucina con la scusa di preparare qualcosa da mettere sotto i denti: in questo modo spera di convincere quell’impiccione che non ha nulla di cui preoccuparsi, e lei forse potrà smetterla di pensare per un po’.

«Non mi sembri in forma.»

Ancora?

Shan-Pu decide di ignorarlo, o finirà per lanciargli addosso la pentola di acqua bollente; afferra due porzioni di noodles, delle verdure e del pollo che spera non sia andato a male durante i loro giorni di assenza. Quei movimenti meccanici riescono ad allontanare i pensieri e per un po’ riesce a svuotare del tutto la mente, trovando finalmente un po’ di quiete.

Ma la sua pace interiore sembra destinata a durare poco, perché durante il pasto Mousse si azzarda ancora a domandare: «Come va il dolore alla pancia?»
«Meglio» risponde a denti stretti, sperando che il ragazzo riesca a leggere tra le righe.

«Sicura? Vuoi parlarne?»

Shan-Pu si impone di non saltargli al collo: «Sono sicura, e no, non voglio parlarne.»

Per qualche minuto regna il silenzio, almeno finché Mousse non torna alla carica: «Forse raccontare tutto ti farebbe bene.»
«Quello che mi farebbe bene» sbotta lei, alzandosi e dirigendosi in cucina con i piatti «è dimenticare. E le tue continue domande non mi sono d’aiuto!»
«Sono solo preoccupato per te» balbetta il ragazzo, ma lei ha smesso di ascoltarlo: «Non preoccuparti per me! Non ho bisogno di qualcuno che mi guardi le spalle, sono una guerriera io! Sono un’ama…» si ferma, perdendo d’un colpo tutta la spavalderia: «sono… ero un’amazzone…»

«Oh, Shan-Pu!» le si avvicina di scatto Mousse, ma lei si allontana: «Non toccarmi! Sto… sto bene. Sto benissimo!»

«No che non stai bene! Ma ti senti? Sei sconvolta, ferita, hai bisogno di sfogarti-»
«E dovrei farlo con te?!»
«Ti rimane forse qualcun altro?» risponde amaramente il ragazzo, e la frase sembra sortire un qualche effetto su Shan-Pu, che distoglie lo sguardo; Mousse le si avvicina, in un goffo tentativo di scuse: «Scusami, non volevo… è che tenerti tutto dentro così ti logora e basta! Dovresti…»
«...confidarmi? Raccontarti tutto?» ride lei, una risata amara che nasconde una sofferenza terribile. «Cosa dovrei dirti? Che è tutta colpa mia, perché qualche mattina fa sono andata a cercare Ranma e ho scoperto che ama Akane? Che me l’ha detto in faccia?» urla, lasciando scendere le lacrime. «Dovrei dirti di come ho cercato di aggredire quel maschiaccio, e di come Ranma me l’abbia impedito calciandomi così forte da rendermi sterile? Che l’imbarazzo che ho provato all’ambulatorio era insopportabile, e che sono andata a cercare Ranma una seconda volta per vendicarmi e dirgli cosa mi aveva fatto… e che quando ha cercato di farsi perdonare io stavo per cedere?»

Shan-Pu è un fiume in piena, e Mousse non può che osservare quel torrente di parole in silenzio.

«Cosa vuoi che ti dica, Mu-Sì? Che mi sento… vuota? Inutile? Che per un capriccio ho perso tutto quello che avevo? Ho perso la possibilità di avere bambini, la… la mia identità» singhiozza, accasciandosi sulle ginocchia. «Non sono più un’amazzone… cosa sono? Che cosa mi rimane?!»

Shan-Pu si lascia andare al pianto e alla disperazione, continuando a stringere quella pancia ormai difettosa. Senza accorgersene Mousse le si avvicina e osa un abbraccio, a cui lei però non si oppone, anzi si lascia cullare da lui, che pare essere rimasto il suo unico punto fermo nella vita.

L’ironia del trovare un appiglio nell’unica persona che fino a poco tempo prima avrebbe voluto lontana da sé non le sfugge.

 

***

 

Ancora una volta Mu-Si si era dimostrato quello maturo tra noi due.

Aveva sopportato le mie urla, i miei modi bruschi, ed era rimasto lì a raccogliere tutti i miei pezzi e cercare di rimetterli insieme.
E se non ci fosse stato lui, sarei ancora lì a piangermi addosso.



 

Say goodbye to the world you thought you lived in...

Say goodbye.


 

Soundtrack: Any other world - Mika


 


***

Questo capitolo è quello decisivo, in cui finalmente Shan-Pu va in contro alle conseguenze del suo errore ma soprattutto di quelle del calcio (involontario) di Ranma: è stato interessante da scrivere, ma è anche quello in cui sono entrata nel campo delle ipotesi riguardo il modo di comportarsi di Shan-Pu, Mousse e Obaba - cosa intrapresa in piccola parte nei precedenti capitoli, ma che da qui e nei prossimi due (che sono anche gli ultimi) si fa più importante - e per questo ho preferito cambiare gli avvertimenti e inserire l' OOC. Penso di essere rimasta abbastanza fedele ai loro caratteri pur avendoli buttati in una situazione assolutamente fuori dagli schemi takahashiani, ma insomma, sarete voi a dirmi se ho cannato di brutto o no. XD
Chi segue me e il socio Subutai Khan da un po' probabilmente avrà riconosciuto il nome Wei Zan: ai tempi in cui scrivevamo Secret la creammo come membro anziano del consiglio di Joketsuzoku; visto che dovevo comunque crearne uno per questa storia, ho voluto riesumare questo personaggio e autocitare una delle storie di cui sono co-autrice e alla quale sono ancora tanto affezionata. :D E non escludo di farlo ancora in futuro. XD
Penso di non avere altro da aggiungere, come sempre potete trovarmi su Facebook e nel gruppo per le mie fanfiction nel caso vogliate fare due chiacchiere (sempre gradite!).
Alla prossima settimana, e grazie per aver letto fin qui!

Mana

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Capitolo 5
*** 5. Never gonna give you up ***


5. Never gonna give you up

 

We are young, we are strong

We're not looking for where we belong.

We're not cool, we are free

And we're running with blood on our knees.


 

26 Marzo 1990

 

Nonostante non mi fossi ancora ripresa da quei giorni turbolenti, non ebbi il tempo nemmeno il tempo di provarci: la realtà mi richiamava a gran voce, soprattutto quelle grane che in genere si trovano sotto la voce età adulta.

Io, che adulta non lo ero per niente ma dovevo costringermi a diventarlo nel minor tempo possibile, perché il ristorante di certo non si sarebbe gestito da solo.
E nelle due settimane che seguirono il nostro rientro a Nerima scoprii quanto io, di gestione di un ristorante (o della rabbia, o di qualunque cosa), non ne sapessi un bel niente.

 

***


«Báichī ! Zhòu nǐ zǔzōng shíbā dài, zǐsūn sānshíbā dài!»*

«Con chi ce l’hai…?»
Shan-Pu si volta verso Mousse, furibonda, non prima di aver quasi distrutto la cornetta del telefono: «Col fornitore del pesce!.»

«E perché, di grazia?»
«Mi ha presa in giro! Mi ha detto che non capisce niente di quello che dico, e di richiamare quando avrò imparato a parlare da persona normale! Ma ti pare?!» ringhia lei lanciando via la cornetta, per fortuna ancorata al muro grazie al filo.

«Puoi forse dargli torto?» azzarda lui, rimettendo misericordiosamente il ricevitore al suo posto. «Il tuo giapponese è onestamente imbarazzante.»
«Cos’è, avete tutti voglia di morire oggi?»

Mousse inspira e alza gli occhi al cielo, cercando di rimanere zen: «Facciamo così: mi occuperò io di parlare con fornitori e quant’altro» propone, e Shan-Pu sta per saltare di gioia quando l’entusiasmo scema di colpo: «...ma tu studierai giapponese. Ci stai?»

Shan-Pu osserva il ragazzo inorridita: «E perché dovrei? Hai appena detto che sarai tu a parlare con i fornitori, no?»
«Assolutamente sì. Ma prima o poi capiterà un giorno in cui verrà qualcuno a cercare uno dei titolari, e io sarò fuori a fare la spesa o per le consegne. E troverà te, che probabilmente comunicherai a gesti nella speranza di farti capire
Shan-Pu lo guarda torva, ma non sa come replicare: poco tempo prima la sua risposta a tanta sfrontatezza sarebbe stata una secchiata d’acqua fredda e una risata, ma le cose adesso sono diverse. Possono contare solo su loro stessi, e ha ormai capito che lavorare sul suo caratteraccio è  fondamentale.
Inoltre, un po’ le duole ammetterlo, Mousse si è rivelato il più maturo e pragmatico tra i due.

«Allora?» incalza il ragazzo, e lei non può che acconsentire: «E va bene, va bene!»
«Ottimo» sorride Mousse «cominceremo le nostre lezioni da domani sera… e in generale in qualunque momento libero della giornata.» Shan-Pu sbuffa, un po’ contrariata, ma non ha tempo di lamentarsi perché lui cambia argomento, tornando serio: «Parlando d’altro, ho dato un’occhiata a queste bollette. Facendo qualche calcolo direi che, con quello che ci è rimasto in cassa, dovremmo poterle pagare tutte… ma significa che dobbiamo riaprire il locale al più presto e sperare di rimetterci almeno in pari entro breve, se non vogliamo avere problemi. Due settimane di chiusura sono state anche troppe.»
Shan-Pu si morde il labbro, preoccupata: «E come facciamo? Col mio giapponese zoppicante, e tutto il resto…» ma lui sorride di nuovo cercando di tranquillizzarla: «Per ora mi occuperò io della burocrazia, come ti avevo detto. Sarà dura in due, ma se ce l’avete fatta prima che io arrivassi a Nerima possiamo farcela anche da soli.»
La ragazza annuisce, e non le sfugge il modo in cui Mousse ha girato attorno all’argomento bisnonna, forse nel timore di toccare un tasto ancora troppo dolente.

Probabilmente non glielo dirà mai, e fingerà di non averlo mai ammesso neanche a se stessa, ma in fondo quelle premure le piacciono. Più di quei mazzi di fiori un po’ sghembi tirati fuori dalle maniche della tunica, o le plateali dichiarazioni d’amore fatte a un palo per via degli occhiali rotti. Sono gesti quasi invisibili se non sai che ci sono, ma più sentiti e significativi. Ed è proprio ciò di cui Shan-Pu ha bisogno adesso, più che di smielato romanticismo.
 

***

Avevo bisogno di un supporto, e a posteriori posso affermare che Mu-Si è stato fondamentale per mandare avanti il ristorante, e più in generale la mia vita.

Perché ammettiamolo, la mia risolutezza non sarebbe bastata per ricominciare daccapo: sola, con una padronanza della lingua giapponese decisamente elementare, come avrei potuto risollevare la mia situazione? Ad esclusione di lavori più… umilianti, per così dire, non avrei avuto altra scelta se non quella di ingoiare il rospo e tornare a Joketsuzoku implorando perdono.

Mu-Si invece si è rivelato un aiuto prezioso: si è sbarazzato di quell’aria goffa che l’aveva sempre contraddistinto, rimboccandosi le maniche e sobbarcandosi la parte amministrativa della gestione del locale.

Niente sentimentalismi inutili, o dichiarazioni d’amore o quant’altro: gli sono grata per essermi rimasto accanto ed avermi aiutata in una situazione disastrata qual era la mia.

Forse il mio (nostro?) cambiamento può risultare repentino… ma non mi (ci) è stata data altra scelta se non quella di crescere di colpo per sopravvivere nella giungla della vita adulta.

Sicuramente uno dei due è maturato prima, ma non si può avere tutto. Sto ancora lavorando sui miei problemi caratteriali, apprezziamo almeno il pensiero.

E comunque quando hai un ristorante da riaprire le divergenze le metti da parte per forza, se non vuoi affondare del tutto.
Per nostra fortuna sembrava che la fama del Neko Hanten non fosse diminuita neanche un po’ durante la nostra chiusura forzata.

 

***

 

Questo ramen è fantastico!
Si era sentita la mancanza dei tuoi manicaretti!”
Shan-Pu sorride e porta via i piatti vuoti.
I clienti abituali del Neko Hanten non solo non si erano dimenticati di loro, ma anzi si erano dimostrati entusiasti quando il locale aveva riaperto; inoltre gestirlo in due, pur essendo faticoso, si era rivelato fattibile: Mousse si era preso carico della parte amministrativa e insieme si dividevano tra sala e cucina. Qualcuno ovviamente aveva trovato strana l’assenza di Obaba: secondo la “versione ufficiale” era rimasta in Cina ad occuparsi di questioni familiari.
«Va bene così» si dice, portando le ordinazioni in sala, «la scusa è più che credibile per chi non conosce la bisnonna.»
Chi invece potrebbe sospettare qualcosa non si farà vivo al ristorante in tempi brevi.
«Andrà tutto bene» continua a ripetersi, e si è quasi convinta che forse le cose andranno davvero per il verso giusto quando la porta del locale si apre e le speranze vacillano di nuovo.

 

“Ma dove siete stati in queste settimane?”
“Credevamo foste andati via da Nerima a causa del… beh, del fallito matrimonio di Ranma e Akane.”
Shan-Pu inspira cercando di mantenere la calma. Non aveva tenuto conto di Hiroshi e Daisuke, i due compagni di classe del codinato che ora sono lì davanti a lei a fare domande a raffica con il tatto di un elefante.
“Motivi… familiari” balbetta lei, sperando che i due la smettano di ficcanasare, ma invece insistono: “Che strano, come mai Ranma non c’è?” chiede Hiroshi, e Daisuke gli fa eco: “È vero, di solito è qui a scroccare pranzi, quel disgraziato!”
La pazienza non è sicuramente la più spiccata virtù della cinesina, e mai come in questo momento vorrebbe prendere a schiaffi i due studenti impiccioni.

“Questo non è certo l’unico locale in cui Ranma pranza a scrocco. E comunque, ecco le vostre ordinazioni.”
La provvidenza ha ancora una volta le fattezze di Mousse, e Shan-Pu approfitta del suo arrivo per sgattaiolare in cucina.
«Dovevamo immaginare che quei due si sarebbero fatti vivi» commenta dopo averla raggiunta. «Ficcanaso.»
La ragazza inspira cercando di riacquistare la calma, poi si volta verso di lui: «La scusa dovrebbe reggere comunque
Mousse inarca un sopracciglio: «Sei sicura? Non credi andranno a raccontare tutto a Ranma?»
«Probabilmente lo faranno» replica, «ma lui non verrà qui a chiedere spiegazioni.»
L’espressione di Mousse è neutra, ma Shan-Pu lo conosce abbastanza da immaginare i dubbi del ragazzo riguardo la loro idea: in effetti non può essere assolutamente certa che il codinato non verrà al locale, ma la situazione tra loro è talmente delicata che spera almeno la lasci in pace per un po’, magari per quello che lui ritiene il tempo necessario per farla sbollire. Basta e avanza per ora, si dice. Poi si vedrà.
Mousse sospira, poi si accinge a tornare in sala: «Ti do il cambio per un po’, così ti calmi. Se continuano a impicciarsi li rimetto a posto io.»
Shan-Pu annuisce, poi comincia a controllare le comande.
La lista di favori che è convinta di dovere a Mousse è sempre più lunga.

 

***
 

Il cambio di ruoli fu provvidenziale: cucinare mi aiutava a distrarmi, e nessuno aveva più avuto il coraggio di fare domande indiscrete sull’assenza della bisnonna; avevo sentito dei lamenti e delle scuse provenire dal tavolo di Hiroshi e Daisuke, e mi dissi che probabilmente avevano fatto uscire Mu-Si fuori dalla grazia dei Kami. Peggio per loro.
La giornata proseguì tutto sommato tranquilla fino al tardo pomeriggio, poco prima dell’apertura serale.
Apparentemente le visite non erano ancora finite, e quella fu di certo la più inaspettata di tutte.

***

“È permesso?”
“Mi spiace, siamo ancora chiu-”
“Ah, Shan-Pu! Cercavo proprio te!”

Sull’uscio della porta, Kasumi Tendo le sorride serena come ha sempre fatto da quando la conosce; la cinesina la osserva impietrita: cosa diamine ci fa la sorella di Akane lì, nel suo locale? Per quel che sa di lei, dubita sia lì per una qualche forma di vendetta e di certo non vuole ricattarla. Quello è il modus operandi di Nabiki.
E allora cosa vuole?
“Spiacenti, siamo ancora chiusi… oh, Kasumi.”
“Ciao Mousse, sono contenta di vederti!” sorride lei, “Scusate se piombo qui senza preavviso, so che non è ancora orario d’apertura, ma vorrei solo parlare con Shan-Pu. Prometto che non ci vorrà molto.”
Shan-Pu e Mousse si scambiano un’occhiata perplessa, poi quest’ultimo invita Kasumi a sedersi: “Prego, siediti pure. Posso portarti qualcosa da bere? Avevo fatto del tè poco prima che arrivassi.”
“Beh se non ti è di disturbo” lo ringrazia lei, accomodandosi “ne prendo volentieri una tazza.”
“Nessun disturbo” annuisce il cinese, per poi defilarsi in cucina. Shan-Pu rimane in piedi ad osservare la maggiore delle Tendo, che non ha mai smesso di osservarla e sorridere; la ragazza allunga una mano verso una delle sedie e fa cenno alla cinesina di sedersi accanto a lei.

“Mi scuso per questa visita improvvisa, ma avevo davvero necessità di parlarti. Oh, prima che mi dimentichi! Ho portato questi” e tira fuori dalla sporta un vassoio avvolto in un panno, che apre con cura: biscotti fatti a mano, ancora caldi. “So che è un po’ stupido portare del cibo in un ristorante, ma mi sembrava scortese presentarmi a mani vuote.”
Shan-Pu è sempre più incredula: Kasumi Tendo le ha portato dei biscotti. Biscotti fatti in casa. A lei, che non ha mai mostrato cortesia o gentilezza nei confronti della sua famiglia, in particolar modo verso sua sorella minore.

“Ecco qua il tè e… vedo che ci sono già i biscotti” commenta Mousse, posando un vassoio con due tazze e una teiera fumante.
“Li ho portati per voi, prendine pure!” trilla Kasumi, e il ragazzo non se lo fa ripetere: “Ti ringrazio, sono squisiti. Ora vi lascio parlare, io ho faccende da sbrigare in cucina” conclude, lasciando sole le due ragazze.
Per qualche minuto nessuna delle due apre bocca, poi Shan-Pu decide di rompere quel silenzio: “Kasumi.”
“Hm?”
“Pe… perché sei qui?”
“Avevo bisogno di parlarti, come ti ho detto.”
“Parlare di cosa?”
Kasumi le sorride: “Volevo sapere come stai.”

Shan-Pu sgrana gli occhi.
“Ranma e Akane mi hanno raccontato cos’è successo.”

Si morde un labbro, distogliendo lo sguardo. Doveva immaginare che fosse quello il motivo della visita; certo, non si aspettava che sarebbe venuta a parlarle di persona.
“In casa nostra i segreti non durano molto” si scusa Kasumi, un po’ imbarazzata. “So che può sembrarti strano, ma sono entrambi molto preoccupati per te” prosegue “soprattutto Ranma… si sente davvero in colpa per tutto questo, e so che non lo giustifica ma sono sicura che non volesse darti un calcio di proposito. Ci sta veramente male, soprattutto dopo che ha saputo dei… danni che hai riportato.”

Shan-Pu abbassa la testa non sapendo come rispondere: in fondo è contenta di sapere che Ranma si senta in colpa per quell’incidente. Anche se sa che la causa non è del tutto sua, e che se lei non si fosse lanciata su Akane come una furia tutto questo non sarebbe successo.

“Io… non voglio vederlo” ammette con un sussurro appena udibile, e Kasumi annuisce: “Tranquilla, non verrà. Aveva avuto l’idea ma io e Akane gliel’abbiamo bocciata sul nascere” la rassicura. “Dopo qualche spiegazione ha capito.”
La cinesina si limita ad annuire, ancora confusa su cosa sta accadendo. “Perché sei qui?” balbetta verso Kasumi, “S-se tu non sei qui per costringere me a perdonare Ranma” incespica maledicendo quel suo giapponese imbarazzante, “allora qual è motivo? Non capisco.”
“Te l’ho detto, volevo sapere come stavi” replica Kasumi, sfoderando un sorriso a cui è difficile resistere. “Non voglio convincerti a perdonare Ranma o parlare con lui e Akane, questa è una tua decisione e non è mia intenzione interferire. Ma ero sinceramente preoccupata per te. So che può sembrarti strano ma è così” sorride ancora, e lei proprio non riesce a rimanere sulla difensiva.
“Comunque sono contenta di vedere che avete riaperto il locale. Ma… dov’è la nobile Obaba?” chiede Kasumi, ma subito si copre la bocca con la mano, forse temendo di aver fatto una domanda indelicata. La mia faccia vale più di mille parole, pensa Shan-Pu.
“Bisnonna è a Joketsuzoku” risponde, “sai, non c’è posto lì per amazzoni che non possono avere bambini” inspira. “Ho dato troppo disonore a lei e villaggio… quindi ha preferito rimanere in Cina. Solo io e Mu-Si siamo tornati a Nerima.”
“Oh, è terribile” sussurra Kasumi, “mi dispiace così tanto!”
“Va… va tutto bene” mente, “io e Mu-Si ce la caviamo. Sto bene” cerca di ricacciare indietro le lacrime. Per un po’ nessuna delle due parla: Kasumi sorseggia in silenzio il suo tè, Shan-Pu invece lascia la sua tazza a raffreddarsi. Poi la maggiore delle Tendo prende di nuovo parola: “Sai, forse… forse lei è rimasta in Cina per il tuo bene.”
La cinesina si volta verso di lei.
“Non fraintendermi, non conosco quasi per nulla la nobile Obaba, e lungi da me cercare di psicanalizzare cose di cui so poco e nulla” si affretta a spiegare, “ma magari l’ha vista come un’opportunità di una vita migliore per te, lontana dalle vostre leggi… un’occasione per essere libera.”
Le parole di Kasumi fanno scattare qualcosa in lei, come se tutto avesse finalmente una spiegazione, una logica che prima le sfuggiva.
“Chiaramente è solo una mia supposizione” prosegue, “ma mi piace pensarla così.”
Quel sorriso ha la strana capacità di rassicurare Shan-Pu, e per un po’ la sensazione di amarezza scompare, lasciando posto alla speranza.

***

Fu uno strano pomeriggio, eppure lo ricordo con piacere: Kasumi Tendo rimase a chiacchierare con me ancora un po’, promettendo di tornare a trovarmi poco prima di congedarsi.
E lo fece sul serio, presentandosi di quando in quando al locale con una delle sue leccornie; giusto qualche giorno fa ci ha omaggiati di una deliziosa torta al cioccolato che non avrebbe sfigurato tra i dolci del nostro menù.
Quando andò via mi sentivo meglio, sollevata; cominciavo a credere sul serio che il sorriso di quella ragazza potesse guarire ogni male
Iniziai a sistemare la sala per l’apertura serale con il cuore più leggero, quando mi accorsi che mancava un’altra presenza.

***

Il ristorante è ormai pieno quando Mousse rientra.
«Si può sapere dove sei stato?!» ringhia Shan-Pu intercettandolo per le scale, ma si zittisce quando nota l’occhio nero del ragazzo.
«Non dire niente. Non chiedere» taglia corto lui, chiudendosi in bagno.
Shan-Pu rimane in silenzio a fissare la porta chiusa, con in testa più domande che certezze.

 

***
 

Mu-Si non ne parlò mai, e io non chiesi.
Mi ci volle un po’ ma alla fine capii: quel pomeriggio aveva ascoltato la conversazione tra me e Kasumi, e poi era andato a cercare Ranma per fargliela pagare.

Lo aveva fatto per me, per difendere il mio onore, o quel che ne rimaneva.

Le aveva prese di santa ragione, ma scoprii in seguito che anche Ranma non era messo meglio. E un po’, lo ammetto, ne ero contenta. Solo un po’.
Non ho idea di cosa lo trattenne dal farlo poco dopo il nostro rientro dalla Cina, so solo che quella sera mi limitai a preparargli una borsa del ghiaccio e mi offrii di sostituirlo in sala: ero pronta ad affrontare anche le domande più scomode.
Non avevo più paura.  


 

What do they know about us?

Are they thinking of somebody else?

Are they wondering what we might be?

Are they thinking of you or of me?

 

Soundtrack: Kick ass - Mika






*”Idiota! Maledico i vostri antenati per 18 generazioni e la tua discendenza per altre 38!”



Questo capitolo, insieme al prossimo, è stato forse il più complesso da scrivere: dovevo immaginarmi un dopo, il modo in cui un personaggio come Shan-Pu impara a rimettersi in piedi e affrontare un tipo di vita a cui non è abituata - prima il ristorante era una "facciata" tra un colpo gobbo a Ranma e l'altro, adesso è ciò che le rimane. E vi giuro che scrivere di "normalità" per lei è stato davvero complicato, temendo di andare totalmente OOC e scrivere cavolate... ma penso di essere riuscita a trovare un buon equilibrio, più ci riflettevo più non riuscivo a trovare un'alternativa che non "stonasse". Spero sarete d'accordo con me. :D
Mi spiace per chi sperava in un happy ending per Shan-Pu e Mousse, ma... come avrete capito non era questo lo scopo della storia: piacciono tanto anche a me come coppia, ma inserire il romanticismo in Nobody's wife avrebbe stonato totalmente a mio parere. E poi riuscire a renderli credibili in così pochi capitoli sarebbe stato davvero difficile. :°D Magari un giorno ci tenterò!
Ah, l'insulto in cinese esiste sul serio. XD Ho trovato un elenco di insulti usati in Cina e non ho resistito a volerlo inserire non tradotto... è un "di più" visto che parlano già in cinese tra di loro, ma spero me lo perdonerete. XD
Non ho altro da dirvi, come sempre se avete voglia di fare due chiacchiere potete trovarmi qui e qui.
Ci aggiorniamo la prossima settimana con l'ultimo capitolo, e come sempre grazie a chi ha letto fin qui!

Mana

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Capitolo 6
*** 6. Never say never ***


6. Never say never

 

Child, don't you worry

It's enough you're growing up in such a hurry.


 

27 Dicembre 1990

 

Mai come in questo periodo il Neko Hanten è in piena attività: l’ultimo giorno dell’anno è vicino e tra ordinazioni, prenotazioni dell’ultimo minuto e cene aziendali non c’è quasi mai tempo di fermarsi a riposare.

L’unico momento che Shan-Pu riesce a dedicare a se stessa è al mattino presto, dopo aver pulito la cucina e preparato il necessario per l’apertura all’ora di pranzo, poco prima di passare alla pulizia della sala: mette via le pentole, prepara una tazza di tè e prende posto ad uno dei tavoli. Mousse in genere è ancora addormentato a quell’ora, e Shan-Pu non lo disturba. Quei venti minuti di tranquillità sono tutti per lei.

Oggi ha deciso che ha voglia di aggiornare il suo diario, così lo tira fuori dalla tasca del grembiule assieme ad una penna e comincia a sfogliare le pagine fino a trovarne una bianca.

 

Il trentuno dicembre si avvicina.

Quale momento migliore per tirare le somme e fare un bilancio degli ultimi mesi?

Credo che “turbolenti” non inizi nemmeno a descriverli: la mia vita per come la conoscevo è stata letteralmente rivoltata come un calzino, pestata e poi riconsegnatami con un biglietto che diceva “Tieni, divertiti a rimetterla insieme”. Definizione un po’ melodrammatica magari, ma abbastanza fedele ai fatti. La bomba che mi è stata lanciata addosso ha cancellato quelle che credevo essere le mie certezze e i miei punti di riferimento, costringendomi a mettere in discussione la mia intera esistenza.

Ciò in cui avevo sempre creduto, quelle leggi amazzoni che avevo sempre ritenuto giuste e insindacabili mi si erano ritorte contro a causa di un mio errore, che avrei potuto evitare se solo fossi stata capace di portare a termine la mia missione… o se semplicemente mi fossi decisa ad affrontare la realtà. Mi sarebbe bastato aprire gli occhi per rendermene conto, ma tenerli chiusi era infinitamente più comodo. E aggrapparmi alle leggi della mia tribù giustificava tutto.

A mia discolpa posso dire che non ho mai conosciuto altro se non quello che mi veniva insegnato a Joketsuzoku: fino a sedici anni non ho mai avuto alternative, qualcuno che mi dicesse che non esisteva solo quel modo di vivere, che forse avrei potuto scegliere un percorso diverso; ma quando poi mi sono trovata in Giappone, immersa in una cultura differente dalla mia, ho preferito fare un passo indietro e rimanere fedele ai miei principi di amazzone, ripetendomi che quelle regole erano valide ovunque.

Perché temevo di scoprirmi attratta da quelle novità.

 

Si ferma un attimo e inspira.

 

Ho fatto cose deplorevoli in Giappone.

Cose di cui ora mi vergogno, ma che sul momento ritenevo lecite pur di arrivare al mio scopo: sposare Ranma.

Credevo che quella fosse una giusta forma d’amore l’unica, dato che non ne conoscevo altre.

Più ci penso più mi rendo conto di quanto sia… malato, primitivo obbligare qualcuno a sposarti perché ti ha battuto in combattimento. Qualcuno che nemmeno conosci.

Ho negato l’evidenza per anni, trincerandomi dietro le regole della mia tribù e crogiolandomi nella fantasia di un ragazzo che esisteva solo nella mia testa: io non sono mai stata innamorata di Ranma Saotome, io amavo l’idea che mi ero creata di lui e che ovviamente non combaciava con quello vero. Se penso a quante volte Mu-Si, seppur accecato dalla sua stessa gelosia, ha cercato di aprirmi gli occhi… e io ho sempre risposto con la violenza verbale e la crudeltà perché mi rifiutavo di credere alle sue parole. Non potevo accettarlo, non volevo: significava ammettere la sconfitta, aver sbagliato e tornare a casa con la coda tra le gambe, umiliandomi davanti all’intero villaggio.

Piuttosto mi sarei accontentata di un amore falso, costruito a tavolino.

 

Un rumore sommesso di passi strascicati la distrae. Si volta verso le scale ma non vede nessuno: una porta che si chiude al piano di sopra, qualche attimo di silenzio, acqua che scorre e di nuovo passi. Shan-Pu sorride, pensando che probabilmente Mousse si è appena svegliato per la sua solita routine bagno-altri cinque minuti a letto-sveglia definitiva.

 

Probabilmente mi ripeto come un disco rotto, ma se sono qui a scrivere e con un ristorante avviato lo devo a Mu-Si. Mi è stato vicino quando non meritavo altro che sdegno, mi ha teso una mano e mi ha aiutata a rimettermi in piedi.

Non c’è stato… altro, dopo quell’incidente. Non era il momento e non so se lo sarà mai. E ora come ora non mi interessa nemmeno scoprirlo, perché è ormai ovvio che io e i gesti impulsivi abbiamo un rapporto disastroso. So però che gli devo tanto, e anche se lui continua a dire che è una stupidaggine so di dovergli restituire più favori di quanti possa farne in una vita intera.

Ranma, invece…

 

Si morde il labbro, indecisa sulle parole da usare; scrive un kanji, poi due, poi li scarabocchia con la penna e ritenta.

 

Ranma non lo vedo da tanti mesi, ormai.

Ammetto di non aver mai provato a cercarlo, lui ha fatto altrettanto, e a questo punto non so se si tratta di un senso di colpa particolarmente persistente o semplicemente considera la questione chiusa; se così fosse credo non me la prenderei nemmeno… per quanto un chiarimento sarebbe la giusta conclusione, mi rendo conto di avergli reso la vita un inferno negli anni passati, e dal suo punto di vista un mio silenzio è probabilmente una benedizione.

Kasumi dice che è ancora molto dispiaciuto e che non sa se sia giusto o no venire a parlarmi; lei nel frattempo ha mantenuto la sua promessa di continuare a farmi visita portando con sé qualcuno dei suoi dolci fantastici: è una bizzarra abitudine che si è venuta a creare, ma che non mi dispiace affatto.

Una volta è venuta insieme ad Akane, qualche settimana dopo la sua prima visita.

Era pomeriggio, il ristorante ancora chiuso e lei si era presentata alla mia porta per fare ammenda.

 

*

Ferma sull’uscio, Akane la osserva.

Non muove un muscolo né distoglie lo sguardo da Shan-Pu.

Quest’ultima, presa in contropiede, sente l’amazzone sopita dentro di lei svegliarsi e prepararsi alla battaglia, vecchie abitudini dure a morire.

“Non sono qui per combattere” la precede Akane quasi leggendole nel pensiero, ma è solo l’esperienza a guidarla.

“Perché sei qui allora?” chiede Shan-Pu, diffidente. “Cosa vuoi?”
“Io… volevo sapere come stai” ammette Akane, spiazzandola: di tutte le ragioni che ha ipotizzato in quei pochi istanti quella è l’ultima che poteva aspettarsi. Una risatina alle sue spalle la coglie di sorpresa, e voltandosi si ritrova a guardare Mousse che ridacchia: sospetta che il papero fosse già al corrente di questa visita, o che semplicemente si aspettasse una reazione così sospettosa da parte sua.

Shan-Pu volge di nuovo lo sguardo verso la minore delle Tendo, e solo in quel momento nota Kasumi alle sue spalle, che le sorride benevola e le fa un cenno d’assenso. Anche Kasumi sa, solo lei sembra essere all’oscuro di tutto — come sempre, pensa, ritrovandosi intrappolata in un momento che sembra la metafora della sua vita negli ultimi anni.

Appurato che non può tirarsi indietro decide di sedersi a un tavolo, facendo cenno alle due sorelle di prendere posto; Mousse si rifugia in cucina con la scusa di preparare del tè.

“Allora, cosa vuoi Akane?” chiede di nuovo Shan-Pu, saltando a piè pari i convenevoli. Akane sorride, per nulla sorpresa: “Te l’ho detto, volevo sapere come stavi.”

Shan-Pu fa una smorfia: “Mi perdonerai se non ti credo” ammette, e l’altra si lascia sfuggire una risatina: “Non mi aspettavo niente di meno da te. Sempre sul piede di guerra… o sulla difensiva.”

Quell’ultima affermazione punge sul vivo Shan-Pu e provoca l’amazzone dentro di lei, la cui sete di vendetta e rivalsa non si è mai placata: la sente crescere e cercare di uscire, di saltare al collo di Akane Tendo come ha sempre desiderato fare. La tentazione è forte e per un attimo il suo autocontrollo vacilla.

“Dico sul serio, Shan-Pu. Volevo sapere come stavi dopo quello che è successo mesi fa e… quello che è successo in Cina.”
Shan-Pu alza gli occhi e li rivolge a Kasumi, che subito si scusa: “Non volevo sbandierare ai quattro venti i tuoi problemi, ma lei e Ranma si chiedevano come mai il ristorante avesse riaperto, e del perché la nobile Obaba sembrasse svanita nel nulla… ti chiedo perdono” sussurra, e Shan-Pu le fa un cenno con la testa lasciando intendere che va tutto bene: non è qualcosa per cui vale la pena arrabbiarsi, e in fondo se l’era aspettato che prima o poi venissero a sapere la verità. E poi, come Kasumi le aveva detto la volta precedente, i segreti non durano in casa Tendo.

“Non c’è molto da dire” sospira, “cerchiamo di andare avanti e ristorante per fortuna va bene.”

“Davvero? E per quel…” si ferma Akane, forse cercando le parole più giuste per chiedere senza risultare priva di tatto; Shan-Pu intuisce la domanda e fa un mezzo sorriso: “Provo ad abituarmi. Non è cosa che posso cambiare… non è bello, ma non posso neanche farci nulla. Solo conviverci.”

Stranamente ammetterlo la fa stare meglio. Non è qualcosa che può cambiare, come ha detto prima, ma averlo detto ad alta voce non l’ha annientata come temeva, né causato una crisi isterica. Invece sembra finalmente averlo accettato: sono qui, sono rotta, ma sono viva e posso continuare a camminare.

Sente finalmente di essersi tolta un enorme peso dal cuore, e smette di trattenere il respiro come ha fatto nell’ultimo mese.

“Senti io… volevo solo chiederti scusa.”

La voce di Akane la distoglie dai suoi pensieri.

“So che non servono a nulla, che sono solo parole, ma è giusto che lo faccia. Non volevo che le cose finissero in questo modo, non lo voleva nemmeno Ranma…”

Nel sentire il suo nome Shan-Pu si irrigidisce appena e Akane sembra notarlo.

“Quando vorrai, se vorrai… anche lui vorrebbe chiederti scusa.”

La cinesina non risponde, limitandosi a distogliere lo sguardo.

“Beh, credo sia tutto. Ma se dovessi avere bisogno di qualcosa” insiste Akane ma Shan-Pu alza gli occhi, di nuovo sulla difensiva, e quando parla è l’amazzone che cerca ancora di uscire: “Non ho bisogno di niente. Me la cavo da sola.”

L’altra però non demorde e invece di aggredirla a sua volta sorride: “Lo so e non lo metto in dubbio. Se così non fosse il ristorante non avrebbe mai riaperto” risponde. “Però davvero, se mai dovessi aver bisogno di qualcosa, anche di un aiuto qui al ristorante… beh, sai dove trovarmi.”

Shan-Pu è incredula ancora una volta: Akane Tendo, la sua rivale numero uno, è lì a tenderle la mano. Senza secondi fini o bizzarre vendette, solo interesse sincero per lei, che aveva cercato di rovinarle la vita in tutti i modi.

Sente un pizzicore agli occhi e improvvisamente si vergogna tantissimo.

“Tu pessima cuoca” borbotta, “ma… grazie” aggiunge, in un sussurro appena udibile. Ma chi di dovere sembra averlo percepito: “Non c’è di che” ridacchia Akane, e poco dopo Mousse accompagna lei e Kasumi alla porta. Li sente scambiarsi saluti e la promessa di tornare a trovarli.

Dentro di lei l’amazzone si cheta, deponendo finalmente le armi: la vittoria più importante, quella con se stessa, l’ha appena portata a casa ed è l’unica che conta.

«Non era poi così difficile, eh?» la punzecchia Mousse, che schiva appena in tempo una scarpetta e se ne torna in cucina ridacchiando.

«Idiota» borbotta Shan-Pu fra sé e sé, ma stavolta è certa di non pensarlo sul serio.

 

*

 

Inutile dire che, ancor più della visita di Kasumi, quella di Akane mi aveva lasciata decisamente a bocca aperta.

Le avevo reso la vita un inferno eppure era venuta a scusarsi e addirittura offrire il suo aiuto, quando avrebbe potuto tranquillamente lavarsene le mani e continuare felice con la sua vita.

Forse sta qui la differenza tra me e lei: al posto suo io l’avrei considerata un problema in meno e archiviata come tale. Meno avversari tra me e l’ambito premio. Akane però non è cresciuta a Joketsuzoku, lei ha avuto una famiglia amorevole e insegnamenti più… civili, per così dire. Io non avevo i mezzi per capire come vivere in quel mondo: per me tutto si divideva in vincitori e vinti, e ogni trucco era valido pur di finire nella prima categoria, anche quelli più infimi.

Akane invece non aveva bisogno di qualche stupida trovata per conquistare Ranma, pur senza rendersene conto: le era bastato sorridere e aiutarlo ogni volta che si presentavano delle difficoltà, anche quando lui non se lo meritava. Come fece con me quel pomeriggio.

Fu una grande lezione di umiltà. E anche lei, come sua sorella, mantenne la promessa di tornare a trovarmi di quando in quando (ma con il divieto assoluto di mettersi ai fornelli).

 

Per un attimo i suoi occhi indugiano su una frase detta da Akane.

“Quando vorrai, se vorrai… anche lui vorrebbe chiederti scusa.”

 

Ho ripensato spesso a quelle parole.

Ci ho rimuginato vagliando ogni ipotesi, chiedendomi come avrei reagito se l’avessi visto davvero, per poi lamentarmi che tanto non avrebbe mai avuto il coraggio di farsi vivo.

Ma la verità è che nemmeno io ho mai mosso un dito perché ciò accadesse.

Non avrei mai alzato la cornetta per prima, questo è sicuro, ma anche semplicemente prendere l’argomento durante una delle visite di Kasumi o Akane avrebbe potuto portare finalmente alla rottura di questo impasse che ormai dura da tanti mesi: io troppo orgogliosa per fare la prima mossa, lui probabilmente ancora convinto che sia troppo presto per presentarsi qui.

Forse è giunto il momento di smuovere un po’ le acque.

Forse potrei provare a chiedere notizie a Kasumi, la prossima volta.

Forse è finalmente ora di mettere l’orgoglio da parte e dimostrare di essere cresciuta, soprattutto a me stessa.

 

Un saluto biascicato da parte di Mousse le dice che è quasi ora di mettersi a lavoro. Mentre rimette il diario nella tasca del grembiule qualcosa cade fuori dalle pagine: un piccolo foglio di pergamena con su scritto il carattere cinese del qi, della forza interiore. L’aveva scarabocchiato la bisnonna tanti anni fa, quando Shan-Pu era ancora bambina, e l’aveva regalato a lei affinché la forza non le mancasse mai.

 

Non ho notizie della bisnonna dal giorno del processo a Joketsuzoku, così come non ne ho di mio padre né Mu-Si di sua madre; se provassero a contattarci rischierebbero la vita, e se ci provassimo noi le lettere non giungerebbero mai a destinazione.

Ogni tanto mi chiedo come sta la bisnonna, se sta bene ed è ancora in salute, se quanto è successo ha avuto ripercussioni sulla sua vita al villaggio.

Ogni tanto mi chiedo se mi pensa.

Per quanto all’apparenza potesse sembrare assurdo, so che mi voleva bene: mi ha cresciuta al meglio delle sue capacità seguendo le nostre leggi, provando a fare di me l’amazzone perfetta.

So di averla delusa e questo ancora mi addolora.

Mi piacerebbe poterle scrivere per dirglielo, che non deve più preoccuparsi per me (se ancora lo fa); che non sono diventata la guerriera che sperava, ma sono diventata una donna forte. Che sono cresciuta e ho imparato a camminare sulle mie gambe, ma senza rifiutare l’aiuto degli altri come invece ci imponevano le nostre leggi.

Mi piacerebbe renderla orgogliosa di me.

È in momenti come questi che mi ritornano in mente le parole di Kasumi, quando venne a trovarmi la prima volta: Magari l’ha vista come un’opportunità di una vita migliore per te, lontana dalle vostre leggi… un’occasione per essere libera” mi disse.

Non so se abbia ragione. Una parte di me è intimamente convinta che la bisnonna avesse pensato più alla sua situazione che alla mia, in quel momento.

Eppure ci sono giornate come questa in cui mi piace pensare che Kasumi Tendo avesse ragione, e che questo fosse l’ultimo regalo per me da parte della bisnonna.

 

Il rintocco dell’orologio comunica che sono le otto e non c’è più tempo per poltrire.

Shan-Pu ripone il diario in tasca e si avvia in cucina: accanto alla finestra passavivande, sulla parete, c’è una bacheca in sughero che da sempre viene usata per le comande e le liste della spesa; Shan-Pu prende il foglietto di pergamena con il simbolo del qi e lo appende accanto agli altri, così da poterlo vedere sempre.

Affinché la forza di andare avanti non le manchi mai.


 

And nobody knows what's gonna happen tomorrow

So don't let go, now we've come this far.

Hold my hand please, understand me - we're never alone.


 

Soundtrack: What happens tomorrow - Duran Duran


 

***

Ed eccoci all'ultimo capitolo di Nobody's wife.
Ammetto che il poco feedback ricevuto mi ha davvero fatto temere delle mie capacità di fanwriter (già non altissime) e aver scritto castronerie, ma in ogni caso sono contenta di aver scritto questa storia: era un piccolo quesito sulle leggi amazzoni e su Shan-Pu che andava raccontato, e non lo potevo tenere per me. :)
Ringrazio i pochi che hanno letto e recensito e chi mi ha seguita fin qui in silenzio, significa tanto per me! Grazie!
Vi lascio come sempre con i link a cui potete trovarmi (qui e qui), se volete fare due chiacchiere o anche solo lanciarmi i pomodori. XD
Alla prossima. :)

Mana

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