Best nerds...sorry, friends. Best friends

di Eowyn_SEE
(/viewuser.php?uid=142041)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter One ***
Capitolo 3: *** Chapter Two ***
Capitolo 4: *** Chapter Three ***
Capitolo 5: *** Chapter Four ***
Capitolo 6: *** Chapter Five ***
Capitolo 7: *** Chapter Six ***
Capitolo 8: *** Chapter Seven ***
Capitolo 9: *** Chapter Eight ***
Capitolo 10: *** Chapter Nine ***
Capitolo 11: *** Chapter Ten ***
Capitolo 12: *** Chapter Eleven ***
Capitolo 13: *** Chapter Twelve ***
Capitolo 14: *** Chapter Thirteen ***
Capitolo 15: *** Chapter Fourteen ***
Capitolo 16: *** Chapter Fifteen ***
Capitolo 17: *** Chapter Sixteen ***
Capitolo 18: *** Chapter Seventeen ***
Capitolo 19: *** Chapter Eighteen ***
Capitolo 20: *** Chapter Nineteen ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Ciao a tutte! Io sono Eowyn, la pazza che scrive. Capisco che questo e il prossimo capitolo possano risultare un po' noiosi e vi incoraggio a resistere: dal capitolo tre le cose vanno meglio. Forse. Spero. Non so, fatemi sapere ;)

Buona lettura!

Prologue

Londra, quanto mi era mancata. Prima dell'Erasmus e prima dell'università, era stata la mia casa per nove mesi. E ancora la vedevo così. La sentivo così. Lì abitavano le mie migliori amiche, e, come scoprii, anche lui. Ma chi lo sapeva? O meglio, sì, lo sapevo, credo, ma non me ne curavo, non ero quel tipo di fan.

Sarebbe stata la mia ultima estate da studentessa.

Ero tornata dall'Erasmus qualche mese prima e da allora non mi ero fermata un attimo: prima il tirocinio, poi gli ultimi esami da dare. Un inferno! In tutto questo non ero riuscita ad arrivare neanche a metà della mia tesi di laurea, e così potevo dire addio alla sessione di novembre. Ciao ciao! Laurea ad aprile, ok. Pazienza. Di certo non ero la prima, né l'ultima. Sarei riuscita a fare le cose con calma e meglio: era una nota positiva.

Ne avrei anche approfittato per fare compagnia ai miei genitori. Tra l'anno sabbatico a Londra, i due anni a Torino e l'Erasmus erano anni che non mi vedevano a casa per un periodo così lungo. E probabilmente sarebbe stata l'ultima volta. Di conseguenza, la prospettiva di passare quasi un anno a casa non mi dispiaceva. Anche perché avevo la tesi su cui lavorare.

Ma prima di ributtarmi sui libri dovevo assolutamente staccare, e per quello conoscevo il posto perfetto. Cara, dolce e maledetta Londra, la città più stimolante del mondo, soprattutto se come me lavori in ambito teatrale. La mia città. Perché quando diventi londinese non c'è modo di tornare indietro, è un marchio che porterai dentro di te per sempre.

Adoravo Londra. Per una misantropa come me era il posto perfetto. So che pare contraddittorio, ma mi piace la sensazione di essere sola nella folla. Credo di essere l'unica al mondo, ma è così. I londinesi sapevano farsi gli affari propri, non giudicavano, nemmeno se passeggiavi per Knightsbridge vestito da Batman (non scherzo, ho le prove!). Può essere una città crudele che, se non fai attenzione, ti ingurgita senza pietà, ma come resistere al suo fascino? Io non potevo.

Avevo già parlato con le mie ex coinquiline e migliori amiche che mi avrebbero più che felicemente ospitata. Sarei tornata nella mia vecchia casa, incredibile ma vero. Sembrava un ritorno alla vecchia quotidianità. Quanto mi sbagliavo!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter One ***


Chapter One

 

Ero a Londra da quattro giorni. A parte il fatto che non avevo un letto tutto mio (beh, non uno che si possa chiamare tale) e non avevo un lavoro, mi sembrava di essere tornata a tre anni prima. In casa alcune persone erano cambiate, ma gli antichi pilastri erano ancora lì: Nicola e Gaia, a Londra e in quella casa da ormai otto anni, ancora litigavano in molisano tutte le volte (poche) che erano svegli nello stesso momento; Gabriel, che nonostante avesse più volte annunciato la sua intenzione di tornarsene in Portogallo ancora si fumava il cervello tutte le sere e tutti i weekend nel capanno degli attrezzi, a cui era rimasto quell'unico scopo; Francisco, che gli faceva compagnia suonando la chitarra; Asia e Martina, che dopo essere tornate in Italia pochi mesi dopo di me e aver completato i loro studi in Storia si erano ributtate su Londra giusto l'anno prima, un po' per disperazione un po' perchè Londra ha una forza gravitazionale tutta sua, e una volta che ti cattura sei finito. Questa volta però, con tanto di laurea magistrale e tre lingue nel loro bagaglio culturale erano riuscite a trovarsi dei lavori decenti nell'insegnamento. Addio Caffe Nero e Patisserie Valerie! E poi c'era Rossana, che era stata vicina a lasciare sia la casa che Londra: se l'era vista brutta per un periodo, cosa facile quando dividi la casa con altre 15 persone, il coglione più coglione del solito è sempre dietro l'angolo, ma con il ritorno di Asia e Martina e il contratto rinnovato nell'azienda innominabile dove lavorava (18£/ora!!) aveva deciso di rimanere ancora per un po'.

In quel momento a parte i “pilastri” in casa c'erano altre nove persone, meglio identificate come: la fantasma francese del piano di sotto, la cavalla (una finlandese troiona), il fattone nella vecchia camera di Francisco, il fantasma francese del piano di sopra, lo spagnolo, e Cassandra, che era...beh, Cassandra. Ah, sì, dimenticavo, nella mia vecchia tripla...no, aspettate, erano lì le cavalle! La finlandese troiona la chiamavano...credo fosse solo “finlandese troiona”. Non ho mai saputo i loro veri nomi.

Il numero 9 di Sheldon Avenue era di nuovo il mio paradiso, con i miei amici, almeno per un po'. Certo, la cucina era sempre un casino nonostante Rosa, la signora brasiliana delle pulizie, passasse due volte a settimana, e se volevi usare una padella te la trovavi già bella unta, pronta per il soffritto (AIUTO!!), la lavatrice era sempre costantemente piena, anche se magari solo di una camicia solitaria che qualcuno aveva buttato dentro perchè gli serviva per andare a lavoro, e sentivi odore di maria non appena oltrepassavi il cancelletto, ma chi ha mai detto che il paradiso è perfetto?

Villa Villacolle, la chiamava Asia. La adoravo. Sempre piena di attività. La casa che non dorme mai.

Ora probabilmente vi siete belle che rotti di camminare sul mio viale dei ricordi, quindi probabilmente dovrei andare al punto. Beh, il punto è che tutte le mie migliori amiche lavoravano dalla mattina alla sera su settimana, il che lasciava a me moltissimo tempo libero.

In quei primi quattro giorni avevo cercato di fare tutto ciò che, lavorando, non avevo mai avuto il tempo, o la voglia, di fare: mi ero girata per bene tutti i parchi del centro, ero andata a Notting Hill (non chiedetemi perchè non ci fossi mai stata, non ne ho idea), ero finalmente riuscita a visitare tutti i bellissimi Kew Gardens, che la prima volta ero riuscita a vedere solo in parte, ed ero andata per la millesima volta alla National Gallery, il mio museo preferito in assoluto, sia per l'incredibile bellezza delle opere esposte, sia per il senso di calma e pace che riesce sempre a trasmettermi, anche quando è piena di tutti i turisti di agosto. E ovviamente un salto al Forbidden Planet, e chi me lo toglie!

Così quel venerdì mattina decisi che volevo passare a salutare i miei ex colleghi, giù in centro, o almeno quelli che erano rimasti.

Rossana era già uscita, perciò me la presi con calma. Andai in bagno e mi feci una doccia, litigando con la tenda della vasca che non ne voleva sapere di starsene al suo posto, poi ritornai in camera e mi asciugai alla bel e meglio i capelli con l'asciugamano, avevo rinunciato al phon anni prima: essendo così lunghi e delicati il calore non faceva altro che spezzarmeli. Ma sapevo che con il caldo e con il vento sarei arrivata alla fermata della metro con i capelli già asciutti. Mi conoscevo. Indossai il mio vestito bordeaux, i sandali (era un'estate stranamente calda anche a Londra), la sciarpa (mai fidarsi della metro londinese, anche con 40 gradi all'ombra rischi una bronchite con quelle correnti d'aria), infilai un cardigan in borsa (vedi sopra alla voce bronchite) e uscii senza neanche fare colazione. Erano solo le nove e la maggior parte dei negozi avrebbero aperto alle dieci, avrei avuto tutto i tempo del mondo per arrivare in centro trovare un bel bar e mangiare fuori.

Passai in salotto per salutare Francisco che fumava fuori dalla finestra e mi diressi verso la porta, chiudendomela dietro alle spalle i più delicatamente possibile per non disturbare “il fattone nella vecchia camera di Francisco”. Dopodichè inforcai gli occhiali dal sole, misi la borsa a tracolla e inspirai a fondo. Londra, rieccomi.

 

 

 

N.A.: Lo so, lo so, ancora niente Tom, ma volevo inquadrare la situazione, e poi mi sono divertita tantissimo a scrivere questi due capitoli, probabilmente i più personali della storia.

Giusto per chiarire le cose, non esiste una Sheldon Avenue a Londra, non che io sappia per lo meno, però esiste una Sheldon Road, e i fan di The Big Bang Theory potranno andarci e farsi una risata. Non è granchè però, residenziale, nemmeno delle migliori. Fa solo ridere sentire annunciare la fermata sul bus.

Rinnovo la richiesta di recensire e vi prometto che il capitolo tre sarà più interessante. O almeno, farò del mio meglio!!

E_SEE

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter Two ***


Chapter Two

 

Ci misi poco più di dieci minuti per raggiungere la stazione della metro. Avrei potuto metterci anche meno prendendo un paio di bus, ma era una bella giornata e, in fin dei conti, che fretta avevo? Come previsto quella piccola passeggiata era bastata ai miei capelli per asciugarsi, perciò “tappai” (gergo tecnico XD) la Oyster sull'apposito congegno e il tornello si aprì immediatamente. Scesi le scale e controllai il cartellone: Stratford, 1 min. Puntuale come al solito. Avevo deciso che sarei passata prima dal primo negozio in cui avevo lavorato, perciò scesi a Green Park e salii sulla Piccadilly, diretta a South Kensington. Lì avrei avuto ampia scelta su dove fare colazione e non era distante dalla mia destinazione finale.

A quell'ora la linea blu era pienissima: lavoratori, turisti, sembrava che si fossero dati tutti appuntamento su quella carrozza. Quando le porte si aprirono finalmente su South Kensington, mi lanciai fuori, sfortunatamente seguita da tutta la folla di turisti diretti ai musei. Affrettai il passo mi misi in disparte, aspettando che si disperdessero verso il tunnel sotterraneo che li avrebbe portati direttamente dall'altra parte della strada, quindi mi accodai e, superati i tornelli, mi diressi nella direzione opposta, uscendo direttamente in strada. 'Turisti!' pensai. Poi risi di me stessa.

La prima volta che ero stata lì, in quella stazione, avevo 17 anni, ed ero da sola, come al solito. Volevo andare al Victoria and Albert Museum, ma non avevo visto i cartelli che dicevano che un tunnel mi ci avrebbe portata direttamente. Già, sono una che non vede i cartelli, neanche se stanno ballando la samba davanti al mio naso. Questo fa di me una pessima guidatrice. Comunque, ero uscita in strada, ed ero un po' spaesata, non sapevo da che parte fossi girata. Ci avevo messo un quarto d'ora buono a trovare la giusta direzione, e dovevo solo ringraziare il fatto che ci fosse il sole, perchè avevo letteralmente seguito le ombre, che a quell'ora puntavano verso nord. Perciò forse dovevo starmene zitta e lasciare in pace i poveri turisti che sicuramente avevano più cervello di quanto ne avessi avuto io ai tempi.

Mi diressi verso la strada principale e mi infilai dentro a Le Pain Quotidien, decisa a fare una colazione coi fiocchi. Ordinai un succo di frutta e un pain au chacolat, portandoli su un tavolino all'esterno.

Erano ormai le 11 quando mi decisi a pagare e mi alzai, camminando lentamente verso Hyde Park. Non ero sicura di chi avrei trovato, una volta arrivata al negozio. Era passato parecchio tempo dalla mia ultima visita, perciò c'era anche la possibilità che non fosse rimasto più nessuno di mia conoscenza. In quel caso, mi sarei semplicemente fatta un giro cercando, inutilmente, un vestito sotto le 50£. E mi sarei messa il cuore in pace. Ma quando arrivai lì davanti, riconobbi immediatamente la figura grassoccia di Hamid che sorvegliava l'ingresso. Sorrisi e gli feci un timido cenno di saluto con la mano, sfilandomi gli occhiali da sole. Ci mise un attimo, poi mi riconobbe.

-Amy!!-

-Ciao Hamid!- gli andai incontro e lo abbracciai.-Come va?

-Bene, ma tu che ci fai qui, sei tornata a Londra?

-Solo per le vacanze, così ho pensato di passare a salutare. Come stanno tua moglie e tuo figlio?

-Alla grande, Samira si è laureata l'anno scorso e Hassan ora ha 14 anni, ed è già più alto di me!- il suo sguardo era pieno di orgoglio.

-Beh, non che sia difficile..- lo stuzzicai, sorridente.

-Ah, ah, quanto sei divertente! E tu, che fai, a parte la vacanza?

-Ho finito gli esami, devo solo laurearmi e poi ho chiuso. Non vedo l'ora.

-Ci credo! Cos'è che hai studiato?

-Arte e archivistica.- non c'è un equivalente del DAMS in Inghilterra.

-Interessante!- replicò lui, poco convinto.

-Sì, molto. Senti, Hamid, chi altri è rimasto, a parte te, della “vecchia guardia”?- chiesi, interessata.

-Nessuno dei manager, non che li rimpianga, ma se dai un'occhiata di là c'è Enzo, e di sopra dovrebbe esserci Abi, è arrivato una mezz'ora fa, perciò immagino che attaccasse alle 11. O almeno spero, perchè è appena entrato un cliente, e io non mi posso muovere da qui.

-D'accordo, allora vado a fare un salutino.-dissi.

-Mi ritroverai qui al tuo ritorno

-Non ne dubito!

Trovai Enzo intento a trafficare con la cassa, dei fogli di carta nella mano sinistra. Mi avvicinai di soppiatto, e poi esclamai: -Ti hanno messo alle consegne oggi, eh?

-Amelia!!- fece il giro del bancone e si chinò per abbracciarmi e baciarmi sulle guance. I portoghesi sono molto più espansivi degli inglesi. -Cosa ti porta da queste parti?

-Mah, il solito, i servizi segreti volevano che controllassi un pacco indirizzato alla regina, così mi sono detta 'visto che sono da quelle parti passo dentro a salutare'. Non ti pare?- dissi con nonchalance.

Si mise a ridere. Mi chiese che cosa stavo facendo al momento, così gli raccontai velocemente dell'università e poi lo lasciai lavorare, dirigendomi verso il mio vero obiettivo, Abi, al piano di sopra, nel settore 'uomo'. Avevo avuto una piccola cotta per lui per un po', e anche se ormai mi era passata da tempo, ero comunque molto felice di poterlo rivedere.

Quando raggiunsi la cima delle scale lo vidi alla mia sinistra, impegnato con un cliente. Mi vide e mi riconobbe, ma continuò a concentrarsi sul suo lavoro. Il massimo della professionalità. Io gli sorrisi ma girai a destra, facendo finta di nulla e girando lentamente intorno alla tromba delle scale in modo da raggiungerlo per la via più lunga, curiosando tra le camicie dal 100£ l'una (ed erano in saldo!), lasciandogli il tempo di finire di fare quel che doveva. Poi, vedendo il cliente diretto verso i camerini, mi avvicinai a braccia aperte.

-Amy! Che bello rivederti!- mi disse abbracciandomi.

In punta di piedi, ricambiai l'abbraccio. -Anche per me, Abi, anche per me!

-Sei tornata definitivamente oppure sei solo...-

-No, no, solo di passaggio, torno in Italia la settimana prossima

-No perchè, sai, ci farebbe comodo qualcuno come te in magazzino!- scherzò.

Risi. -Ho visto Enzo di sotto che faceva le consegne, sembrava disperato!

Rise anche lui. -Eh, sì, oggi tocca lui, non la scampa!

A quel punto vidi una signora salire le scale. -Cliente!- sussurrai.

-Oh! Torno subito, non scappare!- Mi disse prima di girarsi verso la signora e chiedere -Buongiorno, come posso aiutarla ma'am?

-Devo fare un regalo...-la sentii rispondere, dopodichè iniziarono ad allontanarsi e non riuscii più a sentirli sopra alla terribile musica sempre troppo alta che l'headoffice costringeva a mettere in sottofondo.

Andai a sedermi sul divanetto davanti ai camerini, osservandolo da lontano.

-Oh, credevo fosse ancora qui!- sentii dire alla mia sinistra. Il cliente con cui Abi stava parlando quando ero arrivata era uscito dai camerini, probabilmente in cerca di un parere e... Cristo Santo! Ci volle tutto il mio autocontrollo perchè non mi cadesse la mascella, e ringraziai mentalmente La Gonza (una storia da raccontare in un altro momento, molto divertente, vi assicuro) che mi aveva inconsapevolmente aiutata ad allenare la mia faccia di bronzo. Perchè in quel momento, davanti a me, vestito di tutto punto, c'era Loki. Beh, no, non Loki, Tom Hiddleston. Ho menzionato il fatto che sono un po' una nerd? No? Beh, lo faccio ora. E vi basti sapere che ancora non capisco chi sostiene che Chris Hemsworth sia più figo di lui. Davvero, spiegatemi COME!? Ma lasciamo da parte le crisi isteriche da fangirl e torniamo a noi.

Mi ci era voluto un secondo per comandare ai miei muscoli facciali di pietrificarsi in un'espressione a metà tra l'indifferenza (noo, non so mica chi sei!!) e l'innocenza (ma che dici, non ho mai fantasticato in vita mia di portarti a letto!!), così riuscii a rispondere abbastanza prontamente.

-Mm, Abi?, si sta occupando di una cliente, ma sarà presto di ritorno.

-Oh, sì, certo, è ovvio- e mi sorrise.

TIENI A BADA L'ORMONE, RAGAZZA!! Comportati da essere umano!

Lo squadrai. Stava davvero bene in quell'abito blu scuro, ma...

-Vuoi un parere?- gli chiesi, bloccandolo mentre si rigirava verso i camerini.

-Certo, mi farebbe piacere!- rispose inclinando la testa.

Mi alzai dal divanetto e ripresi a squadrarlo, facendogli mezzo giro intorno, mentre lui, accondiscendente, girava lentamente su se stesso a braccia alzate.

-Mmm, posso controllare l'etichetta?- chiesi con piglio esperto.

-Accomodati!

Mi avvicinai. -E' uno spezzato o un completo?

Mi guardò confuso. -Un completo, penso.

-Allora l'etichetta dovrebbe essere nella tasca interna.- risposi indicandola.

Mi diede un'occhiata di comprensione e infilò la mano nella tasca, tirando fuori un cartoncino con attaccato un nastro.

Lo consultai e poi mi guardai attorno. Mi diressi sicura verso il completo che assomigliava di più a quello che Tom indossava e controllai le etichette, controllando che avesse lo stesso nome e cercando una taglia più piccola, mentre lui mi osservava incuriosito. Fui fortunata, era esposta. Sarebbe stato imbarazzante, oltre che inappropriato, che io entrassi in magazzino in cerca di qualcosa visto che non lavoravo più lì da anni. Così tornai da lui porgendogli l'etichetta e il nuovo abito.

-Prova con questo!- gli suggerii.

Lui prese ciò che gli porgevo e mi lanciò un'occhiata indagatrice. -Tu non lavori qui.- disse indicando la borsa che avevo appoggiata alla spalla.

-Ragazzo perspicace.- ridacchiai, poi tonai più seria.-No, non lavoro qui, non più almeno.

-Beh, grazie doppiamente allora!

-Non c'è di che!- gli sorrisi.-Ma aspetta di vedere se va bene, prima di ringraziarmi.

Mi sorrise di rimando che chiuse la porta del camerino.

Mi risedetti sul divanetto inspirando profondamente. Figura di merda evitata...per ora. Valutai velocemente l'opzione di scappare via per evitare di poterne fare nel prossimo futuro, ma scartai velocemente l'idea: sarebbe stato da vigliacchi e poi dovevo salutare Abi. Abi! Guardai verso di lui e lo vidi alla cassa, intento a impacchettare una camicia per la signora in cerca di un regalo.

-Allora?- Tom era di nuovo fuori dal camerino. Quando mi girai verso di lui fece una piccola giravolta. Ora sì che andava!

-Oh sì, molto meglio! Ora sì che il tuo culo parla da solo!- Ecco, sarei dovuta scappare.

Si mise a ridere, ma non riuscì a non arrossire fino alla punta delle orecchie. Risi con lui. Forse non era una figura così di merda come pensavo.

-A parte gli scherzi, come te lo senti?- chiesi, cercando di tornare seria.

-Proprio bene a dire il vero. Il che è strano, è una taglia più piccola di quella che porto di solito.- rispose chiudendosi il bottone della giacca e riassumendo, almeno in parte, il suo colorito naturale.

-E' abbastanza normale, a dire il vero, le taglie di Reiss sono leggermente più grandi.

Sentii Abi avvicinarsi dietro di me. -Allora, come andiamo?- chiese a Tom.

-Molto bene, a dire il vero, Miss...-mi guardò interrogativo.

-Amy- gli suggerii.

-Giusto, Miss Amy mi ha dato una mano a trovare la taglia giusta, mentre tu eri occupato. Devo dire che ha proprio occhio.- disse, sorridendomi angelico.

Bastardo. Io feci la finta tonta guardandomi attorno innocente.

Abi girò lo sguardo verso di me, facendo una silenziosa quanto chiara domanda con gli occhi: 'Che cazzo gli hai detto?'

Enfatizzai la mia espressione innocente in risposta.

-Già, ha proprio occhio!- disse Abi tornando a rivolersi al suo cliente.

Tom era evidentemente divertito dal nostro breve scambio, ma non disse nulla a riguardo.-Bene, allora, direi che lo prendo!

-Molto bene, signore. Sicuro di non voler dare un'occhiata anche a qualcos'altro?- il perfetto commesso!

-Sicurissimo, mi cambio e vengo a pagare.

-La aspetto alla cassa, quando vuole.- fu l'ultima cosa che gli disse prima che Tom si chiudesse la porta del camerino alle spalle.

A quel punto mi fulminò e iniziò a dirigersi verso il bancone.

-Che c'è, non sei contento, ti ho chiuso una vendita?- gli chiesi inseguendolo.

-Certo, e non sei stata in nessun modo inopportuna, quindi.-cercava di rimanere serio, ma si vedeva che tratteneva un sorriso.

-Assolutamente no, ma come ti viene in mente. Ti sembro il tipo?- ribattei sarcastica appoggiandomi sul fianco del bancone.

Abi alzò un sopracciglio.

E poi la sentii. Non potevo crederci. Il negozio era sempre inondato di musica orribile, era sempre stato così. Credo che fosse parte integrante del marchio. Reiss, vestiti fantastici, musica schifosa. Avrebbero potuto farci uno slogan. Eppure quella che sentivo era “I'm Gonna Be” dei Proclaimers. Qualcuno doveva essersi infiltrato all'headoffice inserendola di nascosto nella playlist. Istintivamente mi misi a ballarla, cercando di coinvolgere anche Abi, che mi guardava a metà tra lo stupore e l'imbarazzo e poi si guardava in giro con la tipica aria di chi sta pensando 'io non la conosco!'. Quando la canzone finì e io finii il mio ballo con un gesto molto teatrale, sentii una risata dietro di me. Mi girai ricomponendomi, per nulla imbarazzata (forse avrei dovuto), e vidi Tom che si avvicinava con il suo nuovo abito posato su un avambraccio.

I due uomini mi guardavano di soppiatto, Abi cercando di sembrare il più professionale possibile, Tom sopprimendo una risata meglio che poteva.

-Che c'è?- chiesi indifferente.-E' un giorno da festeggiare! Finalmente della musica decente ha raggiunto anche questo angolo di mondo. E' da quando me ne sono andata io che queste mura non sentivano della musica degna di tale nome!

-La musica qui non è poi così male..-tentò di contestarmi Abi mentre piegava con cura il completo blu per impacchettarlo.

-Perciò tu puoi affermare che nel periodo in cui io lavoravo qui, non sei mai entrato in magazzino senza nessuna ragione che non fosse ascoltare un po' della mia musica invece di questa merda- dissi alzando l'indice verso il soffitto.

Mi guardò, aprì la bocca e, dopo un attimo di indecisione disse -Assolutamente!-

-Bugiardo- dissi assottigliando gli occhi. Lui scoppiò a ridere.

Tom nel frattempo aveva ascoltato silenziosamente il nostro piccolo battibecco, ridendo sotto i baffi.

Abi gli fece pagare il conto e gli consegnò la busta.

-Grazie infinite per l'aiuto, a entrambi- continuò guardando verso di me. -Miss Amy, è stato un piacere conoscerla.- Mi tese la mano.

-Il piacere è stato tutto mio, Mr Hiddleston!- risposi stringendola.

Mi sembrò di vedere un barlume di sorpresa brillare nei suoi occhi, ma sparì subito. Cosa, pensava che non l'avessi riconosciuto?

Strinse la mano anche ad Abi, e poi si avviò verso le scale, e verso l'uscita.

Addio.

 

 

N.A.: Oh che fatica. Non avete idea. Questo è proprio lungo per i miei standard. Vi allego il link della canzone e vi incoraggio a recensire, ora che Tom è apparso forse sarete più propense a dirmi ciò che ne pensate. E' davvero importante per me, vorrei capire se sbaglio qualcosa.

Eccovi il link, divertitevi XD https://www.youtube.com/watch?v=FPKgPB80jNA

E_SEE

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter Three ***


Chapter Three

 

Rimasi a chiacchierare con Abi ancora per qualche minuto, poi lo salutai, scesi le scale, salutai Enzo e Hamid e uscii in strada. Non appena varcai la soglia sentii una voce provenire dalla mia sinistra.

-Ciao di nuovo!- mi diceva.

Mi girai. Tom Hiddleston era appoggiato con la schiena vicino alla vetrina del negozio. Feci due passi verso di lui, lo sguardo pieno di curiosità, ma mi fermai vedendolo venirmi incontro.

-Che ci fai ancora qui?- gli chiesi, anche un po' sospettosa. Perchè, parliamoci chiaro, cose del genere non accadono nella vita reale, o no?

-Beh, me ne stavo andando, poi ho pensato che di ragazze che si mettono a ballare i Proclaimers nei negozi senza nessuna ragione apparente, non se ne incontrano molte, e ho deciso che sarebbe stato interessante conoscerne una.

Ero scioccata. Scoppiai a ridere.

-Beh, se le cose stanno così... Amelia Stefani, pazza scatenata che balla nei negozi, piacere di conoscerti.- mi presentai, tendendo la mano. Me la strinse sorridendomi.

-Tom Hiddleston, sono un tuo ammiratore.

Rimanemmo un attimo così, in silenzio. Poi lui chiese: -Posso offrirti un caffè?

-Non vedo perchè no!

-Bene!- Sfilò la mano dalla mia e mi offrì l'avambraccio. -Andiamo?

-Ma che gentiluomo!- replicai, afferrandoglielo.

Lo seguii mentre girava verso destra, passando dietro ad Harrods, fino in un piccolo caffè autonomo, quasi una rarità a Londra, patria delle multinazionali e dei franchise. Ci sedemmo a un tavolino sul fondo del locale, io con le spalle verso il muro (detestavo dare le spalle alle stanze), lui di fronte a me (strategico, nessuno l'avrebbe riconosciuto). Il bar non era pienissimo, nonostante fosse praticamente ora di pranzo, perciò la cameriera venne subito a prendere i nostri ordini.

-Ciao, cosa posso portarvi ragazzi?- chiese con forte accento spagnolo.

-Ehm, per me va bene una Coca, con uno spicchio di limone, se possibile. Niente ghiaccio.- le dissi.

-Certo! Per te invece?- si rivolse a Tom.

-Un caffè, per favore.

-Arrivano subito!- e tornò verso il bancone.

-Niente caffè?- mi chiese lui.

-No, meglio di no, ho avuto brutte esperienze. Non sono molto abituata, perciò su di me ha un effetto triplo rispetto a una persona normale.

-Ah, credevo che fosse perchè sei italiana, e questa per te è brodaglia!

Sghignazzai. -Anche, ma a dire la verità non essendo una grande bevitrice e cultrice di caffè dubito che noterei molto la differenza. Sono la vergogna del mio Paese.

Rise anche lui. -Sai, devo farti i miei complimenti, se non mi avessi detto il tuo nome non avrei mai capito da dove provieni. Hai davvero un bell'accento! Si sente un po' che non sei inglese, ma ci ho messo un attimo ad accorgermene, e non riuscivo comunque a capire da dove provenissi.- mi disse, ammirato.

Wow. Non era il primo a dirmi una cosa del genere, ma faceva sempre molto piacere.

-Grazie, davvero! E detto da uno che fa il tuo mestiere conta anche di più! E' che ci tengo, mi sembra assurdo cercare di parlare una lingua mantenendo il proprio accento. Ci deve pur essere un motivo per cui ogni lingua ha un accento diverso. E poi, mi diverte cercare di imitarli! Quasi al livello da feticismo!- scherzai.

La cameriera si avvicinò con il nostro ordine su un vassoio. -Ecco a voi!- Posò il bicchiere e la tazza davanti a noi. Ringraziammo.

-A dire il vero anche io ho un approccio simile alle lingue. Se devo dire qualcosa, voglio farlo bene, oppure me ne sto zitto.

-Parli altre lingue oltre all'inglese?-chiesi, interessata.

-Sì, ho studiato francese per parecchi anni, a scuola. Lo parlo abbastanza bene. Capisco lo spagnolo, ma lo parlo poco. E l'italiano ancora meno. E ho studiato latino e greco in università. E' grazie al latino che riesco a capire molto delle lingue che ne derivano.

-Oh, che brutta cosa!-

-Cosa?

-Il latino! Ho dovuto studiarlo al liceo, sarà che il primo anno ho avuto un'insegnante obiettivamente incapace, ma l'ho sempre odiato. Ho iniziato a prendere bei voti solo quando abbiamo iniziato a studiare la letteratura: quella sì che mi piaceva!

-Certo, il primo approccio è importante. Io la trovo una lingua affascinante. E mi piace il fatto che se non so il significato di una parola, sapendo il latino, e il greco, in certi casi, riesco a capirlo.

-Sì, beh, quello è un aspetto positivo, ma la grammatica è un inferno!

Rise. -Sì, quello sì! Tu parli altre lingue, oltre l'inglese? E l'italiano, ovviamente.- mi chiese, bevendo un sorso di caffè.

-Francese, anche io. Sono appena rientrata da un Erasmus proprio lì, perciò o la imparavo, o morivo di fame!- Sorrise.- Anche se in verità l'avevo già studiata alle scuole medie, ma chi se la ricordava più! E capisco lo spagnolo, ma non è molto difficile per noi italiani, è molto simile. Non l'ho mai studiato.

Presi un sorso di Coca, mentre lui chiedeva: -Sei stata in Erasmus? Quindi vai all'università!

-Sei sempre più perspicace, Hiddleston, complimenti!- scherzai.

Rise. -Cosa studi?

-Ho appena finito il triennio in un corso di studi che prevede cinema, teatro, musica, arte contemporanea e letteratura. Tutte le arti, insomma. Mi manca solo la laurea vera e propria, e poi sarò libera come un fringuello. E disoccupata a vita!

-Beh, deve essere stato un percorso interessante, ma se sei così convinta che rimarrai disoccupata, perchè lo ha scelto?

-Era l'unica cosa che mi interessava davvero. Se poi dopo la laurea mi aspetta un futuro da commessa, allora così sia. Ma sarò una commessa laureata in qualcosa che la appassiona!-esclamai, fintamente entusiasta.

-Quali sono le prospettive per chi esce da quel corso di studi?

-Beh, puoi entrare nel mondo del cinema e del teatro, spesso come assistente alla regia, o come regista vero e proprio. Qualcuno prova a fare l'attore.- lo indicai con la mano.

-E a te non piacerebbe?

-Ehhhh, è complicato...-

-Non vado da nessuna parte!- . Insistente, l'amico!

Exterminate! Salvata da un Dalek, questa sì che è nuova! Lo vidi trattenere una risata: da buon inglese aveva riconosciuto la voce. Mi ritrovai a pensare: 'Ha riconosciuto il Dalek! Mi piace il ragazzo!'. Tirai fuori il cellulare dalla borsa, felice di avere una scusa per evitare la domanda, e controllai lo schermo. Messaggio vocale da Lucia.

-Scusami tanto, è un messaggio vocale, ti dispiace se lo ascolto?- chiesi a Tom. Ero a Londra da quattro giorni ed era la prima volta che avevo sue notizie, ma sapevo che lavorava molto, perciò non mi ero sorpresa troppo.

-No, figurati, fai pure!- e si concentrò sul caffè, sempre sogghignando.

Premetti su play. “Amoreeeeeeee”si sentì dire, in un forte accento napoletano. Lucia chiamava quasi tutti 'amore'. “Come stai? Senti, ho appena finito di parlare con Asia. Io questa sera sono off, quindi pensavamo che potevo venire da voi e potevamo fare un po' di baldoria. Una bella festa in vecchio stile 'Sheldon Avenue', che ne dici? Ci penso io agli alcolici, ho appena preso lo stipendio! Fammi sapere che ne pensi. Un bacione! Ora scappo, bella, a stasera!!”

Risi, poi scrissi la risposta. 'Ottima idea. A stasera!x'

-Scusa ancora- mi rivolsi a Tom. -ma non la sentivo da un secolo!

-Tranquilla, ti capisco!- mi rassicurò. -Allora, festa in programma?

-Allora è vero che capisci l'italiano!!- sorrisi ammirata.

-Credo che la parola 'festa' sia universalmente riconosciuta!- Ridemmo entrambi.

-Sì, beh, a quanto pare!- E poi partì il pilota automatico. Davvero, non so perchè glielo chiesi. D'altronde, come dicono gli inglesi, I had just met the guy! -Vuoi venire?- Idiota!

Ci pensò un attimo. Poi disse sorridente: -Non vedo perchè no!- La stessa cosa che gli avevo detto io quando mi aveva invitata poco fa.

Brava, Stefani, complimenti! Quando si tratta di complicarti la vita, non c'è alcun dubbio, tu sei la migliore! A quando il Nobel?

 

N.A.: Voglio ringraziare tutte voi che mi state seguendo: so che la storia va un po' a rilento e che in molte fanfiction al quarto capitolo i protagonisti si sarebbero già 'rotolati nel fienile' una dozzina di volte e molto probabilmente avrebbero un marmocchio in giro per casa, ma a me non piace fare le cose così. Perciò, se continuerete a leggere, sappiate che ve la farò sudare! Siete avvertite!

A parte tutto, grazie davvero a chi mi segue, e fatevi sentire con le recensioni!

Xx

E_SEE

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chapter Four ***


Chapter Four

 

Chiacchierammo ancora un'oretta, in cui lo avvisai di quello che si sarebbe trovato davanti se davvero aveva intenzione di venire quella sera alla festa, forse in un vano tentativo di scoraggiarlo, e cercando di riparare all'errore che sentivo di aver fatto invitandolo, ma non funzionò. Anzi, probabilmente i miei racconti ebbero l'effetto contrario. Ora sembrava più che deciso a conoscere tutti quei personaggi un po' fuori dalle righe di cui gli raccontavo.

-Come sei capitata in una casa del genere?- mi chiese.

Così gli raccontai la storia della Gonza, e di come mi ero trovata a dividere la tripla con lei e Lucia, tre anni prima.

-...Martina è ancora sconvolta dalla storia delle foto al parco!!- conclusi, ridendo.

Rise. -Ah, i coinquilini! Guarda il lato positivo, però! Ora che hai lasciato passare un po' di anni, è una storia divertente!

-Oh, sì. Anni di prospettiva la rendono divertente. Vissuta sulla pelle però, era più che altro tragicomica!

-Ma cosa le avevi fatto?- chiese, scuotendo la testa.

-A oggi, non ne ho la più pallida idea, giuro! La mia ipotesi, ma è solo un'ipotesi, è che lei si sentiva la regina dell'universo e io invece non eseguivo gli “ordini”. E per una abituata a urlare dietro pure a sua madre, deve essere scioccante.

Mi raccontò quindi delle sue esperienze di convivenza, dagli anni del collegio, passando per gli anni dell'università, a Cambridge, e i primi anni lavorativi. Poi, con il primo stipendio grosso, immaginai che parlasse di Thor, era riuscito a comprarsi una casa tutta per sé, e quindi niente più coinquilini, finalmente.

-Non sai quanto ti invidio!- sospirai.

-Beh, dipende sempre dai coinquilini. Se sei fortunato, un po' di compagnia non guasta mai.

-Certo, ma devi ammettere che tornare in una casa dove tutto è messo come vuoi tu, e dove non devi rendere conto di niente a nessuno, è liberatorio! Se poi vuoi compagnia, puoi sempre invitare qualcuno, o andare tu in giro!

-E' vero, sì.-ammise. -Devo dire che, soprattutto dopo una certa età, la necessità di avere degli spazi personali si fa sentire.

Risi. -Eh, già, povero vecchietto!

-Mi stai prendendo in giro?

-Chi? Io? Nooo!! Comunque, se può consolarti, non credo sia l'età. Sarà che ho sempre dovuto dividere la camera con mia sorella la dittatrice, ma ho sempre desiderato una casa tutta mia. Anche minuscola, non mi importa. Il mio sogno per quando diventerò ricca!- scherzai.

A quel punto mi chiese della mia famiglia e io gli chiesi della sua.

Quando finimmo di chiacchierare era ormai l'una. Lui doveva andare ad un appuntamento.

-Dimmi solo dove devo venire stasera.

-Sei sicuro? Guarda che puoi ancora tirarti indietro! Non ti giudico!- Ultimo tentativo.

-Sicurissimo!

-Ok!- Tirai fuori un bigliettino bianco e una penna dalla borsa e vi scrissi l'indirizzo e i miei numeri di telefono, sia quello inglese che quello italiano, per Whatsapp.

-Se ti perdi, non esitare a chiamare- gli dissi porgendoglielo.

-Non lo farò! A stasera!

-A stasera!- Lo osservai mentre si fermava al bancone per pagare il conto, poi mi salutò di nuovo con la mano. Ricambiai e uscì.

Io mi fermai ancora un po' per finire la Coca e pensare a quello che era appena successo. Era assurdo! Ma allo stesso tempo, assolutamente normale. Avevo incontrato un ragazzo gentile che mi aveva invitata a prendere un caffè. Niente per cui appendere i manifesti! Che quel ragazzo gentile fosse Tom Hiddleston, l'attore, forse non era poi così importante...

 

Rimasi in centro ancora qualche ora, passando da Oxford Street per salutare i colleghi di Clarks, ma la presenza davanti all'ingresso dell'odioso Michael mi fece cambiare idea.

Quando tornai a casa erano le 5 del pomeriggio.

Non avendo le chiavi, suonai al campanello. Sentii 'Jingle Bells' echeggiare nella casa. Trattenni una risata.

Venne ad aprirmi Gabriel, che doveva essere appena rientrato da lavoro, ma aveva già gli occhi sottili ed era a torso nudo. -Olà, piccollina, o che se passa?- mi disse sorridente.

-Ciao, ginger boy! Già tornato da lavoro?- gli chiesi entrando. Lui chiuse la porta dietro di me.

-Veramente, mi sono finto malato oggi. Shhhh!- rispose, portandosi un dito alle labbra. Ecco spiegati gli occhi.

-Oh, che ragazzaccio!- sorrisi.

Ci dirigemmo verso il salotto, e da lì vidi Nicola, Gaia, Francisco, Asia e Lucia seduti intorno al tavolo fuori in giardino.

-Vedo che avete già iniziato la festa, voi!- dissi mentre seguivo Gabriel in cucina e poi fuori.

-C'è sempre una festa, qui!- mi rispose strizzandomi l'occhio.

Non appena arrivammo fuori e Lucia si accorse di me, si alzò correndomi incontro.

-Amelia!!- urlò, saltandomi praticamente addosso.

-Luce! Quanto mi sei mancata!- la strinsi anche io.

Quando mi lasciò ci sedemmo e salutai tutti. Non potei non notare un'anguria 'decapitata' che spiccava al centro del tavolo.

-Cosa avete messo nell'anguria, ragazzi?- chiesi curiosa.

-Provala!- Francisco mi porse una cannuccia.

-Posso fidarmi?

-Assolutamente no!- rise lui in risposta.

Afferrai la cannuccia e tirai su. C'era sicuramente vodka, e qualcos'altro che però non riuscii ad identificare. Rinfrescante e alcolico. Perfetto!

-E' fantastico! Cos'è?

Mi rispose Nicola: -Meglio non sapere...

Ridemmo tutti.

-Uh, ragazzi, vi spiacerebbe se avessi invitato una persona per stasera? Solo una, singola persona,giuro.

-Certo che no!- mi rassicurò Asia. -Chi?? Un ragazzo?- sempre curiosissima, specialmente quando si trattava di ragazzi.

-Sì, un ragazzo!

-Lo conosco?- chiese eccitata.

-No. A dire il vero, lo conosco anche io a malapena...

-Oh..quindi, come mai lo hai invitato?- intervenne Luce. -E' carino??

-Beh, onestamente, non ho idea come mai. Ma sono sicura al 100% che è una persona a posto. Non darà problemi. Giuro! E sì, è piuttosto carino!

Luce fece un piccolo applauso, felice.

Francisco si sporse a toccarmi un braccio.-Non ti preoccupare, se fa casini possiamo sempre dare la colpa allo stramboide francese! Il padrone di casa ci crederà sicuramente!

Altre risate.

Passammo così il pomeriggio, a scherzare, ricordare i tempi andati, prenderci in giro e bere. Verso le sei arrivarono anche Martina e Rossana, che si unirono a noi più che volentieri. Era perfetto!

Verso le otto decidemmo che era ora di cominciare a cucinare qualcosa. Nicola si autoproclamò 'cuoco ufficiale di Sheldon Avenue' e cucinò per tutti pasta ai funghi.

Quando, intorno alle 10, suonò il campanello, eravamo già rientrati visto che non faceva più caldissimo fuori, e ci eravamo già ributtati sull'alcol, ballando le canzoni più sceme che riuscivamo a trovare su YouTube (vedi 'Honey Honey', la preferita di Martina).

Con un bicchiere di vodka tonic in mano uscii dal salotto e mi diressi verso l'ingresso. Vidi un'ombra alta dietro il vetro della porta e ne riconobbi la sagoma di Tom, non senza un po' di stupore. Sì che l'avevo invitato, ma mi resi conto che fino a quel momento non mi aspettavo DAVVERO che venisse.

-Ciao straniero!- lo salutai aprendogli.

-Ciao a te!- rispose sorridendomi di rimando. Non potei fare a meno che sorridergli anch'io: era contagioso.

-Dai, entra e preparati per la follia!- mi spostai di lato per lasciarlo passare, chiusi la porta e gli feci strada fino in salotto, dove lo presentai a tutti: -Ragazzi, lui è Tom. Tom ti presento i ragazzi!

I miei amici non erano nerd quanto me, perciò non mi ero preoccupata troppo che lo riconoscessero, e avevo ragione.

-Ciao Tom!- gli dissero solamente prima di tornare a ballare, o fumare, o suonare, o semplicemente chiacchierare. Mi accorsi che fino a quel momento era stato teso, perchè in quel momento si rilassò, probabilmente felice di non essere oggetto di ulteriore attenzione.

-Vuoi un drink?- gli chiesi quindi.

-Cosa avete?- chiese lui, finalmente tranquillo e a suo agio.

Risi in risposta. -Cosa NON abbiamo? Luce ha comprato da bere per qualche secolo!- Lo afferrai per un polso e lo trascinai in cucina, mostrandogli la collezione di alcolici.

Quando mi sentì dire il suo nome, Lucia si alzò dal divano e venne verso di noi. -Qualcosa di cui lamentarvi?- chiese poggiandosi a una mia spalla.

-Non da parte mia!- le assicurai.

Lei si voltò verso Tom e allungò una mano. -Lucia, piacere.

Lui gliela strinse, sempre sorridente, chinando leggermente la testa. -Il piacere è tutto mio.

-Ci siamo già incontrati? Mi sembri familiare...-

Lui si irrigidì leggermente. -Ho una di quelle facce..-iniziò, ma Luce lo interruppe subito.

-Sai cosa? Probabilmente ti ho visto al club. Faccio la barista a Soho, ti avrò visto lì!

-Sì, è possibile!- confermò Tom. Probabilmente mentiva. Luce doveva aver visto la sua faccia sulle pubblicità di Thor 2 che spopolavano su tutti gli autobus, ma lui era relegato in un angolino, capelli neri e sbarbato, perciò probabilmente non riusciva a connetterlo con l'uomo dai capelli rossi e un po' di barba, rossa, che si trovava ora davanti. Fui sollevata: Lucia era una persona buonissima, ma spesso e volentieri reagiva in modo un po' esagerato.

-Allora, quel drink?- mi chiese Tom, cambiando discorso.

-Certo! Ti cerco un bicchiere, tu intanto decidi!

-Mmm, credo che inizierò con una birra. Posso?

-Sicuro! Possiamo risparmiare sul bicchiere allora, se non ti dispiace bere dalla bottiglia!- dissi interrompendo la mia caccia al tesoro. Con la coda dell'occhio vidi che Luce era stata richiamata in salotto. -Serviti pure!- aggiunsi, indicandogli il cartone di birre davanti a lui. Ne prese una e la aprì senza difficoltà. -Cheers!

Mi sedetti su uno sgabello e porsi il mio bicchiere di vodka tonic fino a toccare la bottiglia. -Cheers!

Cavolo se il suo sorriso era contagioso!

Presi un sorso e poi dissi: -Sai, non ero sicura che saresti venuto davvero!-

-Ti ho detto che sarei venuto. Mantengo sempre la mia parola!- mi assicurò.

-Beh, allora sei uno dei pochi che lo fa ancora! Brindo a te!- alzai il bicchiere in suo onore. Lui rise toccò di nuovo il mio bicchiere con la sua bottiglia.

-Italiana Piccollina Prima!- mi sentii chiamare da Gabriel. -Vieni qui, per favore?

Scesi dallo sgabello e mi diressi in salotto per vedere cosa stessero combinando.

-Che c'è?- chiesi sedendomi su bracciolo del divano vicino al mio ginger boy. Percepii Tom dietro di me appoggiarsi allo stipite della porta.

Mi rispose Martina. -Vogliono giocare a qualcosa, qualche idea?

-Beerpong!!- saltò su Lucia.

-Dio, no. Non beerpong!!- pregai.

-Perchè no, è una buona idea!- protestò Asia.

-Tu sai perchè!!- le puntai il dito contro. -Tu più di tutti gli altri dovresti saperlo! Ricordi l'ultima volta?

-Oh, dai, ti prego!!

Le lanciai un'occhiataccia.

Rossana prese in mano la situazione. -Votiamo, no? Chi vuole giocare a beerpong?- Tutti tranne me alzarono la mano. Mi girai: anche Tom aveva alzato la mano. Gli lanciai un'occhiata tradita, di cui lui rise apertamente.

-Sei in minoranza!- mi fece notare Ross.

Mi arresi. -D'accordo! Ma non lamentatevi con me poi dopo: qualunque cosa io faccia, ora è colpa vostra!

Mentre tutti iniziavano a preparare il gioco riempiendo i bicchieri d'acqua e cercando la pallina da ping pong, Tom mi si avvicinò. -Cos'è successo l'ultima volta?

-Mi sono ubriacata. Tanto. E visto che sono già abbastanza ubriaca, ho paura di cosa potrei fare oggi...

Rise. Poi chiese: -A che ora avete iniziato a bere, oggi?

-Ehm....- esitai.-Asia?

-Eh??- si sporse dalla cucina.

-Il signore qui vuole sapere a che ora abbiamo iniziato a bere, oggi. Devo contare anche l'anguria?

-DEVI!

Mi rivolsi di nuovo a lui. -Alle 5, allora!

Mi guardò alzando un sopracciglio. -Che cosa diavolo avete messo dentro quell'anguria?

-Meglio non sapere!!

 

N.A.: scusate il ritardo di questo capitolo. Sto tentando di postare i capitoli più frequentemente possibile, ma ero molto indecisa su questo (e lo sono ancora) e in più non sono stata bene.

Devo dire che non mi convince proprio per niente, ma spero di poter riparare con il prossimo, che per questo motivo posto simultaneamente.

Recensite!

Un bacio.

E_SEE

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Chapter Five ***


Ho caricato due capitoli insieme, perciò prima di leggere questo, credo che vorrete dare un'occhiata al capitolo quattro. E_SEE

Chapter Five

 

Quando mi svegliai, la mattina dopo, con un gran mal di testa, fui subito investita dai ricordi della sera prima. Ricordavo di aver iniziato a giocare a beerpong con gli altri, facendo movimenti sempre più strani mentre preparavo il tiro, nel vano tentativo di imitare un samurai. Ma man mano che il gioco procedeva, ed io bevevo di conseguenza, ero sempre più inferma sulle gambe e le acrobazie dovevano essere risultate sempre più ridicole. Ricordavo che, tra un turno e l'altro, mi ero messa a fare pop corn, urlando 'Pipoca!!' (il termine portoghese per pop corn, appunto) una volta messi in una ciotola. Ricordavo di aver costretto Tom a ballare con me una canzone jazz anni '50, rimanendo piacevolmente sorpresa che sapesse ballare così bene, al contrario di me che mi limitavo a cercare di non pestargli i piedi. Ricordavo di aver ballato anche con Gabriel, un po' meno elegantemente. Dopotutto, però, non avevo fatto niente per cui avrei dovuto nascondermi per il resto della mia vita dalla vergogna. Grazie a Dio!

Quello che non ricordavo, evidentemente, era di essermi addormentata sul divano. Ci misi qualche minuto a rendermi conto di avere la testa poggiata su qualcosa di troppo duro per essere un cuscino. Sempre a occhi chiusi, alzai una mano e tastai alla cieca.

...un ginocchio??

Aprii gli occhi e mi tirai su di scatto. Non avrei dovuto. Mi portai le mani alla testa con una smorfia dolorante.

Vicino a me qualcun altro sembrò svegliarsi con un verso. Riaprii un occhio per vedere chi.

-Buongiorno!- mi disse strofinandosi gli occhi con una mano. E' mai possibile che Tom Hiddleston sembri l'immagine della perfezione anche dopo aver passato una notte intera ubriaco a dormire seduto su un divano? Che ingiustizia!

-Buono non lo so, mi scoppia la testa!- risposi ributtandomi sul divano con la schiena e ricoprendomi gli occhi con le mani. -Scusami tanto...

Sbadigliò, coprendosi la bocca. -Per cosa?

Spostai una mano per guardarlo.-Essermi addormentata su di te. Non era mia intenzione, giuro! E' davvero imbarazzante...

Rise della mia espressione. -Non ti preoccupare!

-Sono terribilmente dispiaciuta!- ripetei, a mo' di disco rotto.

-Guarda che se qualcuno deve essere dispiaciuto, quello sono io. Non sei tu che ti sei addormentata su un divano altrui, e senza neanche conoscerli bene questi 'altri'!

In effetti. -Beh, a dirla tutta non è neanche il mio divano...

Ci guardammo e iniziammo a ridere come degli idioti.

Quando finalmente ci calmammo gli dissi: -Senti, che ne dici se per sdebitarmi ti offro la colazione? C'è un bar vicino alla stazione che prepara delle colazioni con i fiocchi!

-Non rifiuto mai una buona colazione! Anche se non hai nulla di cui sdebitarti.

-Fai finta di sì, allora! Vado solo un attimo a cambiarmi e sistemarmi, torno subito!- gli dissi afferrando la borsa e dirigendomi verso la porta del salotto.

-Allora ne approfitto anche io per andare in bagno..dov'è?- chiese.

-Queste due porte qui...- iniziai a frugare nella borsa finchè non trovai un pacchetto di fazzoletti. Glieli porsi. -Tieni, non c'è la carta igienica. In 16 è difficile organizzarsi per comprarla, perciò ognuno ha la propria.- gli spiegai.

-Oh, grazie mille!- esclamò, afferrandoli.

Gli sorrisi in risposta e mi diressi su per le scale. Era sabato, perciò quando entrai nella stanza di Rossana lei ancora dormiva. Raggiunsi il più silenziosamente possibile la mia valigia e aprii piano la cerniera. Non abbastanza piano.

-Già sveglia?- mi chiese Rossana, la voce ancora impastata dal sonno.

-Sono quasi le dieci.

-Non ti ho sentita salire ieri sera.- Era incredibile, in qualunque stato fosse, riusciva sempre a trovare l'argomento più spinoso, e tu non potevi fare a meno che confessare.

-Ho dormito sul divano...-dissi, afferrando il vestito verde.

-Dove vai con quel bel vestito?

-Porto Thomas a fare colazione.- Mi aveva beccata.

-Ahhhh, Thomas!- disse con fare sognante, ma trattenendo le risate.

-Oh, shut up!!- ma anche io, uscendo per andare in bagno, dovetti trattenere un sorriso.

Mi feci una doccia veloce, senza però lavarmi i capelli per evitare di far aspettare Tom per qualche ora. Mi lavai anche i denti visto che immaginavo che il mio alito puzzasse così tanto di vodka che pure un russo alcolizzato si sarebbe sentito male davanti a me. Mi infilai il vestito, rinfilai i sandali e mi truccai leggermente con un po' di matita e mascara e giusto un po' di correttore sulle occhiaie. Riportando la mia roba in camera notai che Rossana si era già riaddormentata. Afferrai la borsa silenziosamente e tornai di sotto. Trovai Tom in piedi davanti alla porta-finestra. Aprii la porta del salotto e mi affacciai. -Sono pronta!- annunciai.

Lui si girò verso di me frugandosi nella tasca dei jeans e porgendomi quindi il pacchetto di fazzoletti. -Grazie davvero! Andiamo?- quindi mi porse il braccio, come aveva già fatto il giorno prima. Ficcai i fazzoletti in borsa e glielo afferrai.

Passammo i dieci minuti che ci separavano dalla stazione camminando silenziosamente. La cosa mi sorprese parecchio: non è normale sentirsi così a proprio agio a camminare in silenzio a fianco di una persona praticamente sconosciuta. Eppure sembrò la cosa più naturale del mondo. Non appena arrivammo e mi spostò la sedia con galanteria, decisi di non stare a pensarci troppo. Affamata, iniziai a consultare il menù. Il cameriere ci raggiunse dopo un minuto, pronto a prendere il nostro ordine.

-Mmm, credo che opterò per un tè e una fetta di quella torta al doppio cioccolato che vedo là in vetrina.- gli dissi ridandogli la carta. -Tu?- mi rivolsi a Tom.

-Colazione all'inglese e caffè, grazie!

Il cameriere se ne andò e io scossi la testa.

-Che c'è?- mi fece lui.

-L'ho presa anche io una volta la colazione all'inglese...per pranzo. Non capirò mai come fate a mangiare così tanto di prima mattina!

-Beh, a parte il fatto che sono quasi le undici,- ridacchiai. In effetti... -credo che sia questione di abitudine. E poi noi mangiamo meno di voi a pranzo, perciò, in un certo senso, bilanciamo.

-Ottima risposta, Dottore!

Mi sorrise e io ricambiai. Mannaggia a lui e al suo sorriso contagioso.

-Posso farti una domanda?- mi chiese dopo un attimo.

-Se so la risposta, certo!

-Come mai Gabriel ti chiama...Italiana...

-Italiana Piccollina Prima?

-Quello!

-Beh, tre anni fa quando sono arrivata in quella casa eravamo 9 italiani su 16, ed essendo portoghese per lui l'italiano è facile da imparare, soprattutto visto che era circondato. Così per distinguermi ha iniziato a chiamarmi Italiana Piccollina. La ragione mi sembra evidente.- mi indicai la testa per sottolineare il concetto. Con il mio metro e cinquanta scarso non potevo certo definirmi una stangona! -Poi quando è arrivata Martina, c'era un'altra Italiana Piccollina, e quindi io sono diventata Italiana Piccollina Prima e lei Italiana Piccollina Secunda, in ordine di arrivo!- conclusi.

Scosse la testa, ridacchiando. -Che tipo!

-Non ne hai idea! Te ne potrei raccontare all'infinito sul povero vecchio Gabriel, ma staremmo qui davvero fino a notte fonda!

Il cameriere si avvicinò con le nostre colazioni. -Ecco a voi, buon appetito!

-Grazie!- rispondemmo in coro.

Ah, che fame! Mi buttai con gusto sulla mia torta mentre Tom iniziava a godersi le sue uova.

-Ieri non hai finito di spiegarmi la complicata storia della tua carriera di attrice.- disse poi dopo un paio di minuti.

Mi bloccai con la forchetta a mezz'aria. -No, infatti.- Ritornai a concentrarmi sulla torta.

-Proprio non vuoi parlarmene?- indagò ancora lui, inclinando la testa.

-In realtà non c'è niente da dire.- risposi alzando le spalle. -Tu perchè hai scelto questa carriera?

-Stai cercando di evitare la domanda spostando l'attenzione su di me!- alzò un sopracciglio.

-Proprio così!- sorrisi. Probabilmente i miei occhi lasciavano trapelare un po' della disperazione che provavo, perchè sospirò e si arrese.

-D'accordo, te la do vinta per questa volta!-

Fu il mio turno di sospirare, ma di sollievo.

-Perchè ho voluto fare l'attore? Mi piaceva l'idea di poter essere qualcun altro. Una cosa che mio padre non ha mai capito, ma a me ha sempre affascinato.

Si sentiva dalla sua voce, il modo in cui lo diceva trasmetteva passione.

-Non ti piace essere te stesso?- gli chiesi.

-No, non dico questo. Solo che mi piace poter vedere il mondo attraverso un punto di vista diverso dal mio solito, mi piace potermi comportare come io personalmente non mi comporterei mai. E' difficile talvolta, specialmente se devo interpretare una persona diametralmente opposta a me, ma è anche liberatorio. Dopotutto, sono convinto che dentro di noi ci siano più personalità diverse, ma per conservare le apparenze ed essere parte della società, siamo costretti a farne trapelare una soltanto. Come attore, invece, posso trasgredire a questa regola della società.

Rimasi a fissarlo per un attimo, affascinata dalla passione che aveva messo in quel discorso. Quando riuscii a spiccicare parola, dissi soltanto: -Deve essere davvero fantastico!

-Lo è.- confermò. Prese un boccone dalla sua colazione e poi mi disse: -Ora tocca a te!

-Eh?

-Io ti ho dato le mie ragioni, ora sono curioso delle tue.

-Avevi detto che me la davi vinta!- mi lamentai.

Sorrise malefico. -Ho cambiato idea!

Sbuffai.

-Che è successo?- ora sembrava tra il curioso e il preoccupato.

Sospirai la mia resa. -Niente, a dire il vero. Appena finito il liceo, ho fatto un provino per un'importante scuola di recitazione di Roma. Centinaia di candidati, ne prendevano solo 14. Prova a indovinare!

-Non ti hanno presa...

-Sorpresa delle sorprese! No, sono stata rifiutata. Così ho messo in atto il mio piano di riserva: ho fatto armi e bagagli e sono venuta a Londra a lavorare. E' andato tutto bene per tre mesi. Poi ho litigato con quell'ubriacone del mio padrone di casa, che mi ha dato due settimane per sgomberare; una settimana dopo il mio capo mi ha annunciato che non avevano i soldi per rinnovarmi il contratto, e quindi quella sarebbe stata la mia ultima settimana di lavoro. E' stato terrificante: da sola, a Londra, praticamente senza lavoro e senza casa. Non fosse stato per La Gonza sarei tornata in Italia. Poi abbiamo trovato la casa e le cose sono migliorate, ma ho cercato lavoro ancora per due settimane, prima di trovare il posto da Clarks. Non mi è piaciuto per niente. Quella sensazione di impotenza, la paura di non arrivare alla fine del mese! Qualche mese dopo mi è venuto in mente che se facessi l'attrice, quella sensazione sarebbe quasi permanente nella mia vita, a meno di non essere molto ma molto fortunata. E io non voglio più sentirmi così.- terminai fissando il fondo della mia tazza di tè.

Cadde il silenzio. Dopo un attimo, visto che non diceva niente, alzai lo sguardo su di lui. Mi guardava a occhi spalancati, colmi di...ammirazione? E un po' di tristezza.

-Avevo ragione!- disse alla fine.

-Di cosa parli?- chiesi confusa.

-Avevo detto che pensavo che sarebbe stato interessante conoscere una ragazza che ballava in un negozio senza alcuna ragione apparente. Avevo ragione!

 

 

N.A.: come promesso ecco anche il sesto capitolo, che mi piace molto di più. Spero che piaccia anche a voi. Finalmente vediamo i nostri protagonisti aprirsi l'uno con l'altra!

Fatemi sapere!

Xx

E_SEE

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Chapter Six ***


Chapter Six

 

Finimmo la colazione continuando a chiacchierare. Mi raccontò dei suoi primi lavori e di come, in effetti, fosse stato difficile farsi notare.

-La recitazione è una di quelle cose che ti chiedono tutto, e se tu non dai tutto, allora non sei nessuno.- concluse.

-E' quello che stai facendo tu ora? Dai tutto te stesso?

-Ci provo. Diciamo che sto approfittando del momento. Ho avuto fortuna incontrando la persona giusta al momento giusto, ma se non voglio tornare subito a essere nessuno devo darmi da fare. Non posso lasciarmi distrarre da nulla.-

Rimasi un attimo in silenzio, riflettendo su quello che mi aveva detto.

-A che pensi?- mi chiese dopo un attimo.

Presi un respiro profondo. Non ero sicura che stesse a me dirlo, ma i suoi occhi curiosi mi convinsero a farlo.

-Stai attento.- gli dissi, quasi sottovoce.

-A cosa?

Iniziai, cauta. -Io capisco che per te la tua carriera sia importante, e hai avuto un'occasione che saresti davvero scemo a lasciarti scappare! In più hai un incredibile talento, perciò fai bene a concentrarti sul tuo lavoro, in questo momento. E io non ti conosco per niente, perciò sono l'ultima che può dire qualcosa a riguardo...

-Non farti scrupoli, sputa il rospo!- mi interruppe.

Lo guardai, ancora esitante.

-Davvero!- mi incoraggiò sorridente. -Se poi penso che ti sbagli, te lo dico e amici come prima!

-Ok!- Presi un altro respiro e poi gli dissi. -Attento a non rimanere solo.

Chinò la testa verso il piatto, come appesantito dal mio avvertimento e dopo un attimo lo vidi annuire. -Lo so, non sei la prima a dirmelo.

-Non sono affari miei, non avrei dovuto dire nulla...- misi le mani avanti. Non erano davvero affari miei!

-Forse no, ma hai ragione! Solo che...- si interruppe.

-Al momento non la vedi come una priorità.- completai per lui. -E' comprensibile.

-Lo è?- mi chiese, quasi fosse in cerca di approvazione.

-Per me sì. Stai parlando con una che non riesce fisiologicamente a provare sentimenti più complessi o più profondi dell'amicizia, però. Non è così per tutti. Per questo ti dico di fare attenzione.

-Mi sono già perso il matrimonio del mio migliore amico, a causa di un provino.- da come lo disse, sembrava quasi una confessione. Le sue spalle curve sembravano voler andare nascondersi sotto il tavolo.

-Ouch! No bene, questo! No bene!- commentai. -Lui come l'ha presa?

-Secondo te?- mi chiese, sarcastico.

-Così male?

Annuì. -Ora sto cercando di sistemare le cose, visto che sarò a Londra per qualche mese, ma non so se ci riuscirò.

-Vedrai che si sistemerà tutto. Non importa quanto tempo ci vorrà, ma se vi volete davvero bene, riuscirete a capirvi.- cercai di consolarlo.

Mi sorrise malinconico. -Lo spero!- Poi il suo sguardo si fece indagatore. -Cosa intendi dire con 'non riesci fisiologicamente a provare sentimenti più complessi o più profondi dell'amicizia'?

Mi strinsi nelle spalle. -Esattamente quello. Non saprei come altro spiegarlo.

-Mi stai dicendo che non hai mai avuto un ragazzo?- alzò un sopracciglio verso di me.

-Non è questo ciò che ho detto!- lo corressi. -Ma di lì a dire che provavo qualcosa per loro, oltre al fastidio di sentire il telefono squillare ogni 5 minuti, la strada è lunga! Voglio molto bene a una piccola cerchia di amici, che però non sento spessissimo e vedo ancora meno, purtroppo. Ne hai conosciuti la maggior parte ieri sera. Per il resto, l'unica cosa davvero in grado di trasmettermi emozioni, è l'arte. Qualsiasi tipo: libri, film, quadri...Sono capace di commuovermi davanti a tutto. Ma se un ragazzo dovesse mai dirmi 'Ti amo!', credo che scoppierei a ridergli in faccia!- Non seppi interpretare la sua espressione, perciò aggiunsi: -Lo so, sono una brutta persona!

-No, no, non stavo pensando questo! Solo che non sembri il tipo!

Risi. -E che tipo sembro?

-Non lo so! Dolce, forse. Oserei dire romantica, anche.- Vedendomi scuotere la testa, chiese: -No?

-Romantica proprio no! Non sei il primo a dire che ho la faccia di una dolce, ma conoscendomi bene, in molti se lo sono rimangiato!- risi ancora. -Sono brava a fingere, però. Altrimenti la gente scappa subito...

-Stai fingendo anche con me?- chiese, e suonò quasi come una sfida.

-Può darsi...- risposi, inclinando la testa con fare misterioso. Poi tornai seria. -In realtà è una cosa abbastanza triste.

Mi rattristai, e lui lo notò. -Solo perchè non dai il tuo amore a destra e a manca, non vuol dire che ci sia qualcosa che non va in te, ricordatelo!

Gli sorrisi. Poi cercai di cambiare discorso.

-Eri già stato in questa parte di Londra, prima di ieri?- gli chiesi. Capii che capì che cosa volevo fare, e mi sorrise accondiscendente prima di rispondermi.

-A dire il vero no!

-Se vuoi, e se hai tempo, possiamo fare una passeggiata: c'è un parco, vicino a casa, e se si sale sulla collina c'è un laghetto meraviglioso e una vista ancora più bella!

-Volentieri!- acconsentì.

Dovetti quasi lottare per arrivare prima di lui alla cassa e impedirgli di tirare fuori il portafoglio.

-No, no, e poi no!- lo sgridai, puntandogli il dito. -Ho detto che ti offrivo la colazione, ed è questo che ho intenzione di fare. Non osare!- aggiunsi vedendolo portarsi la mano alla tasca posteriore. Presi velocemente il portafoglio dalla borsa e posai venti sterline sul bancone. Vidi che il cameriere ci guardava stranito mentre mi porgeva il resto. -E buona giornata!

-Grazie, altrettanto!- gli risposi, felice. Missione colazione: compiuta!

Tom mi seguì fuori dal bar guardandomi come si guardano i bambini quando fanno i dispetti. Gli sorrisi angelica in risposta. Scosse la testa e mi appoggiò un braccio intorno alle spalle. -Dai, ragazzina, fammi vedere questa vista straordinaria!

-Ehi, ragazzina a chi?!- protestai, indignata.

Rise, accarezzandomi un braccio. Mentirei se dicessi che non mi vennero un po' i brividi, ma li ignorai, appendendo entrambe le mani alla tracolla della borsa e continuando a camminare con lui al mio fianco.

Durante il tragitto iniziammo a farci domande a casaccio, cercando di conoscerci meglio.

-Film preferito?- chiese lui a un certo punto.

-Nessuno dei tuoi, mi dispiace!- scherzai.

-Ohh, così mi ferisci!- si portò le mani al petto, simulando il dolore. -Dai, rispondimi!- mi pungolò dopo un attimo.

-OK! 'La leggenda del pianista sull'oceano'.- risposi sicura.

-Oh, sì, l'ho visto. E' molto bello, in effetti. Il regista è italiano, vero?

-Sì, Tornatore. E anche lo scrittore del monologo teatrale da cui è tratto, Baricco. A dire il vero, 'Novecento' è il mio 'tutto' preferito: libro, opera teatrale e film. E ho ADORATO Tim Roth nella parte di Novecento!- conclusi con enfasi.

-Adesso sono geloso!-si finse imbronciato.

Ridendo, gli tirai una gomitata su un fianco. -Il tuo, invece?

-Ohh, quasi non riesco a scegliere! Sono cresciuto amando profondamente 'Il libro della giungla'!

-Sai che non l'ho mai visto?

Mi guardò come se fossi stata un'aliena. -Che cosa?

-Che c'è? Capita! I miei non mi lasciavano guardare molto la televisione, da piccola, e non avevamo la cassetta. Mi piaceva 'La Bella e la Bestia', però. E 'Atlantis', quello sì che era forte!

Rimase a fissarmi ancora un attimo, poi mi disse: -Dovremo rimediare.

-Altri preferiti?- lo incalzai.

-Sì, giusto...un film italiano, a dire il vero: 'La stanza del figlio' di Nanni Moretti. E' stato una rivelazione!

-Un altro mai visto, questa volta per una scelta precisa però.

-Sarebbe?

-Non guardo molti film italiani, ho sempre paura di rimanere terribilmente delusa e vergognarmi della mia provenienza. La maggior parte dei film italiani usciti negli ultimi anni mi hanno suscitato questa reazione, perciò a un certo punto ho smesso di provare. Ma se tu mi dici che merita, credo che gli darò una chance!

-E faresti bene! Sottovaluti troppo il tuo Paese!- mi rimproverò.

-Mmm...- risposi, poco convinta, ma lasciando cadere l'argomento.

In un quarto d'ora eravamo arrivati a Gladstone Park. Mi era sempre piaciuto quel parco: era abbastanza fuori città perchè non ci fossero turisti perciò si respirava un'aria di calma e familiarità.

Trascinai Tom fin quasi all'estremità opposta rispetto a dove eravamo entrati per raggiungere il sentiero che portava in cima alla collina, dove c'era il laghetto artificiale.

-Wow!- disse lui quando arrivammo.

-Vero?

Il laghetto era posizionato sotto un grosso albero. Al suo centro si ergeva una statua di una donna con le mani tra i capelli: sembrava una ninfa. A rendere il tutto ancora più magico, c'era l'alga estiva, così sviluppata da rendere l'acqua completamente verde acceso, tanto che sembrava un prato. Bastava poi alzare un poco lo sguardo per vedere tutta Londra srotolarsi ai piedi di quella piccola collinetta.

-E' Wembley, quello?- chiese indicando quell'edificio così caratteristico.

-Ehi, Mr British, dovresti essere tu a dirmelo!

-Te l'ho detto, non ero mai stato da queste parti!- protestò.

Sghignazzai. -Sì, è Wembley. Non male la vista, eh?

Mi andai a sedere sul mio muretto preferito e lui mi seguì, sedendosi accanto a me.

Rimanemmo lì, senza dire nulla, osservando l'orizzonte.

Fino a quando non gli squillò il telefono.

-Scusami- mi disse, alzandosi. -Devo rispondere, è il mio agente.-

-Vai tranquillo.

Si allontanò un poco. Lo osservai per un po' mentre, parlando al telefono, camminava su e giù per il prato. Poi decisi che volevo prendere un po' di sole (ero sempre pallida come un fantasma spaventato da uno zombie!), perciò mi sdraiai sul muretto e chiusi gli occhi, godendomi il sole e il vento.

Quando sentii dei passi nell'erba intuii che fosse Tom che si riavvicinava e riaprii gli occhi schermandomeli con una mano. Era raggiante!

-Buone notizie, suppongo!- gli dissi senza smuovermi dalla mia posizione.

-Mi hanno offerto una parte!- sembrava quasi non credere alle sue stesse parole.

-Mooolte buone, allora! Si lavora!- mi tirai a sedere. -Non capisco perchè sei così sconvolto, però. Non sarà una novità, per te, vederti offrire un lavoro!

-Lo è da Guillermo Del Toro!

-PORCO CAZZO!- esclamai io in risposta. In italiano. Lo so, non riuscii a trattenermi.

Rise della mia reazione. Poi tornò serio. -Ti prego, non dirlo a nessuno. Non sono sicuro di poterlo dire in giro.

-Sarò muta come una tomba, tranquillo!- gli promisi.

-Grazie. Ti offendi se ti mollo qui? Mi hanno inviato la sceneggiatura e non vedo davvero l'ora di leggerla!- sembrava davvero impaziente.

-Vai, corri! Che ci fai ancora qui? Fila via! Non si fa aspettare Del Toro!- lo incoraggiai, sorridente. Anche io, se avessi dovuto scegliere tra una sceneggiatura di Del Toro e una tipa che conosco a malapena, avrei scelto la sceneggiatura, a occhi chiusi! Lo so, non sono per niente romantica, ma mi pare di averlo già fatto notare, o no?

Lui mi sorrise di rimando, grato. Mi venne vicino e mi abbracciò. Con quelle braccia lunghe avrebbe potuto avvolgermi due volte!

-Grazie per la bella serata, ieri. E per la passeggiata, oggi. Mi ha davvero fatto piacere conoscerti!

-Il piacere è stato davvero tutto mio!- gli assicurai, ricambiando l'abbraccio e lasciandolo dopo un attimo.

-Ho il tuo numero, ti chiamo, ok?

Trattenni una risata. -No, non lo farai.

-Promesso!- si portò una mano al cuore.

Vi appoggiai sopra la mia. -E' stato bello conoscerti Thomas!

-E non crederci, allora! Ma ti sorprenderò! Devo farti vedere 'Il libro della giungla'!- esclamò allontanandosi.

Risi. -Non vedo l'ora!- gli urlai dietro.

 

 

N.A.: ed eccone qui un altro! Spero che vi piaccia! Fatemi sapere recensendo! Non so ancora quando riuscirò ad aggiornare ancora, spero presto, ma credo dipenderà tutto dall'università e da altre varianti (molto pallose, vi posso assicurare!)

Bacioni!

E_SEE

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Chapter Seven ***


Chapter Seven

 

Quando tornai a casa, venne ad aprirmi Asia, ancora in pigiama e con l'aria assonnata.

-Buongiorno!- la salutai, chiudendomi la porta alle spalle.

-Caffè?- mi chiese mentre la seguivo in salotto e lì mi fermavo, mentre lei continuò verso la cucina.

-No, grazie, ho già fatto colazione. Buongiorno!- salutai anche Martina e Rossana, sedute a tavola a fare colazione. Bofonchiarono qualcosa in risposta. Posai la borsa e mi sedetti sul divano. Asia tornò con la caffettiera e si sedette a tavola anche lei, versandosi il caffè nella tazza di latte che era già lì.

-Siete consapevoli del fatto che è l'una del pomeriggio, vero? E voi state facendo colazione!- feci loro notare.

Tre paia di occhi assonnati si girarono a guardarmi.

-Senti, giovine,- iniziò Rossana. Con i suoi 32 anni era la più 'vecchia' del gruppo, mentre io, 24 non ancora compiuti, ero la più giovane. Non che questo ci avesse mai impedito di essere culo e camicia, ma ogni tanto ci divertivamo a farcelo notare a vicenda, specialmente lei che tirava spesso in ballo la sua 'saggezza da anziana'. -lo so che tu ancora riesci a fare nottata e svegliarti fresca come un fiore, ma qui ci sono degli adulti che su settimana lavorano e hanno bisogno di un po' più di tempo di ripresa, sai? Quindi, taci!

Risi. -Oh, povera vecchietta!

-Dove te ne sei andata tu, così di prima mattina?- mi chiese improvvisamente Martina.

Aprii la bocca per rispondere, ma Ros mi batté sul tempo. -E' andata a fare colazione con Thomas!- disse, mettendo enfasi sul nome.

-Thomas? Intendi Tom, quello di ieri sera? Non se n'è andato a casa?

-Evidentemente no.

-Dove ha dormito?- intervenne Asia.

-Sul divano...-risposi mio malgrado.

Ros mi guardò di traverso, un mezzo sorriso sulle labbra. -Non ci hai dormito tu sul divano?

Tre paia di occhi mi fissarono di nuovo, improvvisamente svegli.

-Non è come credete!- alzai le mani.

Tina mi sorrise accondiscendente. -Sì, sì, dicono tutti così!!

-E brava Amelia!- approvò Asia.

-Dico sul serio! Non è successo niente! Sul divano, poi! Ma dai!!- insistetti. -Ci siamo solo addormentati. E visto che mi ero addormentata su di lui, per scusarmi gli ho offerto la colazione. Tutto qui!

-E ci avete messo fino ad adesso, dalle 10 che sei uscita?- Ros mi guardò dubbiosa.

-Prima di tutto, sono uscita che erano le 10.30.- iniziai.

-Oh, scusa!- ghignò lei.

-Secondo, siamo andati a farci una passeggiata al parco dopo colazione.- mi resi conto troppo tardi che probabilmente avevo solo peggiorato la mia situazione.

-Oh, una passeggiata al parco! Che romantico!- mi dissero, quasi in coro.

Scossi la testa e alzai gli occhi al cielo, disperata.

-E ora dov'è finito?- mi chiese Tina quando finalmente finirono di tubare.

-Aveva da fare- risposi seccata. -Cosa che di certo non si può dire di qualcun altro qui presente, che invece si diverte a romanzare la mia vita come se fosse un romanzo d'appendice di pessimo gusto!- le fissai. Mi fissarono.

-Oh, ti riferisci a noi?- fece Asia con fare innocente.

-Noo, parlavo del frigorifero!

E scoppiammo tutte a ridere.

 

Il sabato trascorse tranquillo. Rimanemmo quasi tutto il giorno in giardino a chiacchierare, ridere e cantare, Francisco con la chitarra a farci da accompagnamento e Gabriel a fumare come un turco. Gaia lavorava e Nicola era andato a trovare un amico.

Verso le 17 Rossana volle andare a fare un po' di spesa. Ci offrimmo di accompagnarla, ma lei disse che no, non aveva bisogno di aiuto, doveva prendere solo un paio di cose, nulla di pesante. E se ne andò.

Quando tornò sembrava un'indiavolata. Poggiò la borsa della spesa sul bancone della cucina, dopodiché si sporse in giardino, dove eravamo ancora tutti, e mi urlò: -Tu, dentro, subito, ora! Parliamo!- e ritornò in casa.

Mi girai verso glia altri, squadrando Asia e Tina in particolare, sconcertata. Non era da Ros comportarsi così. O meglio, sì, lo era, ma era raro. Ci scambiammo un'occhiata, poi mi alzai e andai dentro.

Rossana stava mettendo a posto le sue compere in cucina. Quando mi sentì entrare mi disse: -Ho visto il tuo ragazzo!

Mi caddero le braccia. -Non è il mio ragazzo!- la corressi, alzando gli occhi al cielo.

-Poco importa! Mi puoi spiegare che cosa ci faceva la sua faccia attaccata a un bus vicino alla scritta 'Thor: The Dark World'?

La fissai per un momento. Poi non mi trattenni più, e scoppiai a ridere.

-C'è poco da ridere, mi è venuto un colpo!- mi rimproverò.

Io non riuscivo a smettere. Avevo le lacrime agli occhi, ormai, dalle risate. Tutta quella scena, per quello!

Asia e Martina, sentendo le risate, entrarono a vedere, seguite da Cisco e Gabriel. -Che succede?- chiese Tina a nome di tutti.

Ora, Ros è una persona intelligente e lavora tutti i giorni con cose di cui non può dire niente a nessuno. Perciò si rendeva conto che probabilmente Tom non voleva rendere di dominio pubblico tutti i suoi spostamenti. E per quanto Asia e Martina fossero persone di cui ci si poteva fidare, non si poteva dire lo stesso di Cisco e Gabriel, buoni come il pane ma con la bocca larga. Perciò, invece di urlare 'Sapete che il tizio che è venuto ieri alla festa è un attore di Hollywood?!?!?', disse semplicemente: -Niente, mi sono appena accorta che Amy mi ha rubato i biscotti, e io non li ho comprati!

Quella frase mi fece ridere ancora più forte. Ma fui grata a Ros per non aver detto nulla. Nonostante le nostre differenze, riuscivamo sempre a capirci al volo, senza bisogno di parole.

 

Domenica passò come sabato. Tranquillo, assolato. Senza imprevisti, però. Restai a casa, pigra, godendomi i miei amici finché potevo. Poi arrivò lunedì. Giorno lavorativo. Mi alzai tardi e, ancora in pigiama, presi telefono e tablet e scesi a fare colazione. Non c'era nessuno in giro, il che non mi sorprese più di tanto: nonostante ci vivessero 16 persone in quella casa, non era per niente raro essere soli, specialmente su settimana. Mentre aspettavo che l'acqua del tè bollisse, accesi tutta la mia tecnologia. Stavo pensando a cosa avrei potuto fare quel giorno (Camden? Ma sì, mi faccio un giro al mercatino e magari faccio anche un salto al famoso cimitero, non ci sono mai stata!) sentii arrivare un messaggio. Finii di versare il tè, poi appoggiai il bollitore e mi diressi, tazza in mano, verso il telefono. Un nuovo messaggio su Whatsapp da sconosciuto. E chi sarà mai? Aprii il messaggio.

'Indovina un po' cos'ho trovato? -T ' e sotto c'era la foto della copertina di un dvd: 'Il libro della giungla', la versione italiana. Thomas. Sorrisi istintivamente e cliccai su 'Aggiungi', salvando il suo numero. Mi accomodai su uno sgabello, appoggiando la tazza sul piano. Che potevo rispondere?

'Dove lo hai trovato?' gli scrissi. Non era per niente facile trovare dvd in lingua non inglese da quelle parti.

Ritornai a concentrarmi sulla mia colazione, ma il telefono mi interruppe quasi subito. Questa volta, però, una chiamata. Come suoneria avevo impostato 'I am the Doctor', dalla colonna sonora di Doctor Who. Ve l'ho già detto: nerd!

-Pronto?- risposi.

-Oh, ben svegliata! Stai facendo colazione o stai già pranzando?- sentii dall'altra parte. Guardai l'ora: le 10.30.

-Colazione, perchè, problemi?- borbottai.

Lo sentii ridere. -Comunque, il dvd l'ho trovato ieri in un Charity Shop. Stavo facendo un giro con mia madre e mi è caduto l'occhio. Provvidenziale, non trovi?

-Trovo!- concordai.

-Hai qualcosa da fare oggi pomeriggio?- mi chiese.

-Pensavo di fare un giro a Camden, ma non è niente che non possa fare domani!

-Bene, lo possiamo vedere insieme allora!- esclamò entusiasta.

-Vuoi davvero vederlo con me?!- gli chiesi stupita.

-Non posso farne a meno: tutte le volte che trovo qualcuno che non l'ha ancora visto devo sedermi e guardarlo con loro, è più forte di me!

Risi piano. -D'accordo, ma dovrai portare un computer: non esiste un lettore dvd in questa casa!

-Oh!- sembrò interdetto.-Sì, d'accordo! Quando posso passare?

-A questo punto quando vuoi, resto a casa.

-No, no, non devi, solo per me. Io tanto ho da fare, che ne dici se passo verso le 17? Così tu riesci a farti un giro, e io vado dove devo andare, poi passo a casa a prendere il computer e arrivo.

Non male come piano. -Sì, ok, perfetto. A dopo allora!

-A dopo!- e riagganciò.

Se voleva sorprendermi, ci era riuscito. Non mi aspettavo davvero che mi richiamasse!

'L'ormone, ragazza, l'ormone!' cercai di controllarmi. Anche se la mia testa mi diceva 'E' solo un ragazzo gentile che vuole vedere un film', gli ormoni continuavano a cercare di farmi notare che quel ragazzo gentile, e anche piuttosto figo (e su questo insistevano parecchio), era Tom 'freaking' Hiddleston.

'Tacete, ormoni! Non siete d'aiuto, anzi, siete anche abbastanza inappropriati!' pensai tra me e me.

Finii colazione poi tornai di sopra a cambiarmi. Mi ero fatta la doccia la sera prima, perciò ci misi poco a prepararmi: mini gonna-pantalone, camicetta, un velo di trucco e i miei fidatissimi sandali. E ovviamente sciarpa e cardigan (vi ricordate quando vi ho parlato della bronchite?). Quel giorno Rossana mi aveva voluto lasciare le sue chiavi, sapendo che comunque mi avrebbe trovata a casa, di ritorno da lavoro, mentre io avrei rischiato di rimanere chiusa fuori. Afferrai quindi anche il mazzo, chiusi la porta della camera e uscii.

Passai tutto quel che rimaneva del mattino e il primo pomeriggio a girare tra le bancarelle di Camden Town, tra cui ne trovai una che serviva cibo francese, e decisi di provare. Verso le quattro mi dissi che era ora di tornare a casa, se non volevo arrivare in ritardo. Non c'era una tratta diretta con la metro, perciò avrei dovuto prendere un bus fino a Swiss Cottage e da lì ero a due fermate di metropolitana, perciò c'era sempre la variabile 'traffico'.

Avevo fatto bene i conti: erano le 5 meno 5 ed ero a un minuto da casa. Che precisione! Stavo iniziando a frugare nella borsa in cerca delle chiavi, quando mi suonò il telefono. Lo ripescai e risposi, sapendo già chi era.

Non aspettò neanche che dicessi 'Pronto'. -Sono qui davanti a casa tua!- sentii dire.

Attraversai di corsa la strada e mi infilai in Sheldon Avenue. -Anch'io!- dissi fermandomi davanti al cancelletto.

Si girò verso di me, il telefono ancora all'orecchio, e sorrise. Aveva una borsa per laptop appoggiata alla spalla.

-Puntuale come un inglese!- commentai riagganciando il telefono e superando il cancelletto. Mi imitò, infilando il suo nella tasca della giacca di pelle che indossava.

-Anche tu! Non sapevo se eri già tornata, perciò non ho suonato.- mi disse, a mo' di scusa.

-Hai fatto bene, chissà chi sarebbe venuto ad aprirti!- ebbi un piccolo brivido al pensiero dell'accoglienza che avrebbe potuto riservargli 'il fattone nella vecchia camera di Francisco', o una delle 'cavalle', per dirne un paio.

Ripresi la caccia alle chiavi mentre lui mi chiedeva: -Avuto una bella giornata?

-Ma sì, normale, mi sono fatta un giro a Camden, come ti ho detto 'sta mattina. Nulla di speciale. Tu?- Eccole, finalmente le bastardelle! Infilai la chiave nella serratura.

-Sì, giornata abbastanza produttiva. Ho incontrato la troupe dello spettacolo teatrale per cui mi sto preparando. Fortunatamente io e la regista la pensiamo in modo simile riguardo al mio personaggio, perciò non ci sono state troppe discussioni.- concluse mentre ci avviavamo verso il salotto.

Spettacolo teatrale? Aveva detto spettacolo teatrale?! Nel mio cervello da studentessa del DAMS si accese una sirena. NI-NO-NI-NO-NI-NO SPETTACOLO TEATRALE!! Esteriormente, però, rimasi più composta.

-Oh, e che spettacolo è, se posso chiedere?- chiesi, prudente mentre appoggiavo la borsa su una sedia vicino al divano.

-Coriolanus, di Shakespeare.- mi rispose, tranquillo.

Mi girai a fissarlo, la mascella sul pavimento. SHAKESPEARE!! Dopo un attimo di immobilità (da parte mia), Tom, trattenendo le risate davanti alla mia faccia scioccata, mi portò un dito al mento per chiudermi la bocca e commentò sarcastico: -Vedo che la cosa ti lascia totalmente indifferente!

-Sì, infatti!- risposi debolmente. Poi aggiunsi: -Qualcosa mi dice che tu sarai Coriolano.

-Quel qualcosa ti dice giusto.- ancora cercava di trattenere le risate.

-Complimenti!

-Grazie!

-Prego!

A quel punto non si trattenne più e scoppiò a ridere. -Certo che sei proprio una tipa strana!- commentò.

Essendomi un po' ripresa dallo shock, risposi: -Lo prendo come un complimento!

-E fai bene! Allora, film?

-Film!- confermai.

Ci sistemammo sul divano, appoggiammo il laptop su una sedia e facemmo partire il dvd.

-Sarà un'esperienza interessante.- commentò. -L'ho visto talmente tante volte che ormai lo so a memoria, ma non l'ho mai visto in un'altra lingua!

-Beh, c'è una prima volta per tutto!- dissi, avvicinando un'altra sedia al divano per appoggiarci le gambe e stravaccarmi per bene. Lui mi imitò e ci concentrammo sul film, seduti comodamente.

Non era male, in effetti. Risi spesso delle battute dell'orso Baloo e quando iniziò la canzone 'Ti bastan poche briciole' non riuscii a fare a meno di farmi trasportare dalla musica. Tom, da parte sua, iniziò a cantare con Baloo, sovrapponendo la versione inglese originale a quella doppiata in italiano. Risi doppiamente, muovendo la testa e le spalle a ritmo di musica.

Era quasi finito quando Gabriel tornò da lavoro.

-Olà!- esclamò entrando in salotto e posando lo zaino.

-Hello, ginger boy!- lo salutai.

-Ciao Gabriel!- disse Tom.

-Oh, ciao Tom!- esclamò lui, sorpreso di trovarlo lì. Alla luce fioca del tramonto non doveva averlo visto, o almeno non aveva capito chi fosse. -Che fai ancora da queste parti?

-Dovevo far vedere 'Il libro della giungla' a questa miscredente che non l'aveva mai visto!- rispose sorridente, indicandomi.

-Davvero?- Gabe mi guardò incredulo. Poi si mise a canticchiare la canzone di Baloo in portoghese.

-Che ci devo fare?- risposi, stringendomi nelle spalle.

Lui scosse la testa, ma poi smise di fare caso a noi e iniziò a frugare nel suo zaino, tirando fuori il suo kit per 'sigarette un po' meno legali'. Sapendo che si sarebbe messo a rollare sul tavolo alzai le gambe dalla sedia e la spostai verso di lui, sedendomi poi a gambe incrociate sul divano. Mi ringraziò, si sedette e iniziò a trafficare con le cartine, mentre io tornavo a concentrarmi sul film. Dopo un attimo mi accorsi che Tom stava fissando Gabriel rollarsi la canna, sorpreso. Silenziosamente, gli rifilai una gomitata tra le costole per attirare la sua attenzione e gli lanciai un'occhiata. Ritornammo a concentrarci sul film, ormai praticamente finito. I titoli di coda partirono quasi in contemporanea con Gabriel che si alzava dalla sedia, metteva ordine sul tavolo e usciva in giardino a fumare, seguito a distanza di 30 secondi da Francisco che, accortosi che il suo compagno di stanza era tornato a casa, era finalmente uscito dalla camera per fargli compagnia, degnandoci a malapena di un saluto. A quel punto, Tom mi guardò stranito.

-La mamma non ti ha insegnato che fissare è maleducazione?- lo rimproverai, divertita dalla sua espressione.

-Ma lo fa proprio così, davanti a tutti, anche davanti agli sconosciuti?- mi chiese a voce bassa, indicando se stesso al termine 'sconosciuti'.

Risi. -Anche davanti al padrone di casa, se è per questo!

-Sul serio? E lui?

-Non gli dice nulla. Sa che, in fondo, è innocuo. Altrimenti lo avrebbe cacciato di casa parecchi anni fa.

Osservai il 'mio ginger boy' attraverso la finestra: si era accomodato su una sedia di plastica posando i piedi sulla panchina del tavolo da pic-nic e fumava tranquillo, chiacchierando con Cisco.

-C'è da preoccuparsi solo quando esce con un certo suo amico.- continuai -Un tipo davvero poco raccomandabile. L'ho conosciuto perché ogni tanto lo invita a casa. Uscendo con lui, più di una volta è tornato a casa con tagli e ferite di vario genere. Una volta si è buttato in una rissa con un buttafuori per difenderlo. Un'altra – e a quel punto mi venne da ridere -beh, nessuno sa bene cosa sia successo. Nicola una sera torna a casa da lavoro ed era vicino alla porta, in cucina, che fumava. Sarà stata l'una, le due di notte.- Non riuscivo a non ridere, raccontando. -A un certo punto torna a casa Gabriel, va in cucina e dice con Nicola- provai a imitare la sua voce strascicata -'Oh, amico, ho male dappertutto, ho male dappertutto!'. A quel punto Nicola gli chiede: 'Che cosa ti è successo?'. Lui si tira su la maglia: aveva escoriazioni su tutto un fianco. 'Sono caduto sui binari della metro!' gli spiega. 'Come sui binari? Come hai fatto?' gli chiede allora Nicola. 'Sono caduto!' gli dice solo lui. E poi se ne va a dormire.- Risi ancora, incapace di trattenermi al pensiero di come continuava quella storia. -La mattina dopo, Nicola si era svegliato ed era DI NUOVO in cucina, che faceva colazione. Gabriel si alza, va in cucina e dice- risi ancora -'Oh, amico, ho male dappertutto!' Alza la maglia e gli mostra il fianco. 'Guarda! Chissà come me lo sono fatto!' Al che Nicola gli dice: 'Sei caduto sui binari della metro ieri sera!'. Gabe lo guarda, tutto sorpreso. 'Ah, perchè, c'eri anche tu?'. 'No, coglione' gli dice Nicola 'me l'hai detto tu ieri sera quando sei tornato a casa!'- Risi e Tom rise con me. -Non si ricordava niente!

Ridemmo ancora per un po', poi cercai di ritornare seria. -Ora ci ridiamo su, ma in effetti ha rischiato davvero! Poi non so se quel che aveva detto corrispondeva alla realtà, ma in ogni caso...

Rimanemmo un attimo in silenzio, sghignazzando ancora di tanto in tanto.

Poi Tom saltò su, cambiando discorso. -Allora, ti è piaciuto il film?

Sorrisi. Sembrava un bambino impaziente. -Non è male!

-Non è male?!

-Ok, ok, è divertente e le musiche sono DAVVERO belle.

-Mmm, così va meglio...

Guardai l'ora mentre lui si girava a spegnere il computer: le 18.30. Le ragazze sarebbero sicuramente tornate entro breve. Mi allungai verso il tavolo per prendere il telefono. Aprii la chat del nostro gruppo e scrissi: 'Pasta?' e bloccai la tastiera.

Appoggiandomi con un gomito al bracciolo del divano rimasi un momento a guardare Thomas che aspettava che il PC si spegnesse per chiuderlo e riporlo nella borsa, riflettendo. Come l'avrebbe presa se gli avessi chiesto di rimanere per cena? Io volevo solo essere gentile, ma lui come avrebbe interpretato quel gesto? Decisi che l'unico modo per scoprirlo era chiedere.

-Ti fermi per cena? Le ragazze dovrebbero arrivare a momenti, puoi mangiare con noi!- cercai di sembrare il più casuale possibile. Vedendolo esitare, aggiunsi: -Se non hai altri progetti, è chiaro!

-No, no, sono libero!- rifletté un momento, poi sorrise. -Certo, accetto volentieri!

-Perfetto! Vediamo cosa mi dicono le ragazze e poi pensiamo al menù!

In tutta risposta mi suonò il telefono ('EXTERMINATE!'). Lo vidi sogghignare e sorrisi anche io, controllando lo schermo. Ros mi avvisava che nel suo armadio in cucina c'erano penne per un reggimento, mentre Martina mi diceva che lei e Asia avevano della panna da consumare. 'Qualcuno ha delle olive?' scrissi. E poi chiesi a Tom: -Ti piace la pasta con sugo di panna e olive?

-Non lo so- mi rispose -ma separati mi piacciono tutti e tre e sono pronto a sperimentare!

-Così mi piaci, temerario!- gli diedi una pacca sul braccio, alzandomi.

Il telefono squillò ancora: Asia mi diceva di guardare nel loro armadio, le olive dovevano esserci.

-Perfetto!- esclamai dirigendomi in cucina.

Iniziai riempiendo la pentola più grande che c'era d'acqua, che misi sul fuoco a bollire. Poi andai fuori da Gabriel e Francisco.

-Faccio della pasta, volete unirvi a noi?- chiesi.

Mi rispose Francisco: -Oh, no, grazie, abbiamo appena ordinato delle pizze!

-Oook, peggio per voi!- scherzai. Tornai in cucina. Thomas si era tolto la giacca di pelle e si stava tirando su le maniche delle camicia. -Posso fare qualcosa?

-Mmm- ragionai. -Forse, tra un attimo.

Andai a prendere le olive nell'armadietto di Asia e Martina, le scolai e, preso un tagliere e un coltello, le tritai. Poi le infilai un un pentolino e misi anche quello sul fuoco.

-Ok, compito importantissimo: guarda che non brucino. Le facciamo saltare un attimo e poi ci mettiamo la panna. E a quel punto bisognerà stare a mescolare finchè non è cotto perchè la panna si attacca alle pentole che è una meraviglia. Tutto chiaro?- gli chiesi.

Mi fece il saluto militare -Signorsì, signora!

-Idiota!- borbottai sorridente.

Quando Rossana, Asia e Martina furono tornate a casa buttammo la pasta e spegnemmo il fornello sotto il pentolino del sugo, ormai cotto, permettendo al 'povero Thomas' di staccarsi dal fornello.

-Oh, ciao, anche tu da queste parti?- lo accolse Ros quando lo vide.

-Ma sì, mi unisco a voi, se mi volete!- rispose lui.

-Certo che sì, sei il benvenuto!- gli disse lei.

Dieci minuti dopo scolammo la pasta e ci accomodammo a tavola, spostandola leggermente dal muro per poterci girare attorno.

-Buon appetito!- augurò Asia prendendo la prima forchettata.

-Spero di non avvelenare nessuno...- aggiunsi io, sempre molto fiduciosa delle mia capacità culinarie. Io non cucino, dico sempre, io sopravvivo!

Risero tutti.

Tom provò a rassicurarmi: -Se dovesse capitare, testimonierò in tuo favore prendendomi parte della colpa!

-Ohh!!- Gli feci. -Sono commossa!

Non morì nessuno, fortunatamente.

 

N.A.: Eccomi qui, a quest'ora tarda, a postare per voi! Ringrazio ancora tutti voi che mi seguite, anche silenziosamente: è davvero bello sentirsi ascoltati!

Vorrei sottolineare che la storia di Gabriel, così come Amy la racconta, non è per niente inventata, sfortunatamente: così mi fu raccontata dai miei ex coinquilini e ho pensato fosse divertente da condividere con voi. Oltre al fatto che, talvolta, la realtà è più folle dell'invenzione.

Alla prossima!

Xx

E_SEE

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Chapter Eight ***


Chapter Eight

 

Passammo la cena a chiacchierare tranquillamente. La pasta piacque a tutti, e io piano piano mi tranquillizzai.

-Oggi sulla metro ho visto una ragazza bellissima!- esclamò a un certo punto Martina. -Ma davvero stupenda! Voi non avete idea!

-Più bella di Cate Blanchett?- le chiesi. Tina adorava Cate Blanchett con tutta se stessa.

-No, beh, dai, non esageriamo! Però era davvero bella! Lunghi capelli biondissimi, naso perfetto...

-Ma perché a tutti piacciono i capelli biondi?- la interruppi.

-Perché sono fantastici!- mi rispose Rossana, passandosi una mano tra la corta chioma bionda (tinta!).

-Bah, io li trovo un po' senza carattere.- commentai. -Sono in pochi i ragazzi biondi che riescono a suscitare il mio interesse.

-Tipo?

Ci pensai. -Mmm, Jamie Campbell Bower è uno che li sa portare! Pochi altri, ora non mi vengono in mente.

-E' quello che recita in quel film...The Mortal Instruments, che dovrebbe uscire a fine mese, vero? Ho visto le pubblicità in metropolitana.- commentò lei.

-Proprio lui, sì.-

-Le hai parlato?- Asia si rivolse a Tina riprendendo il discorso precedente.

-E cosa le dicevo? 'Ciao, sei bellissima, usciamo insieme?'- chiese Tina con sarcasmo.

-No, vabbè, potevi trovare una scusa!

-'Oh, ti prego, salvami, ho perso le mie amiche!'- imitò lei. Ridemmo tutte. Rise anche Tom, ma sapevo che non poteva capire.

-Asia una volta ha utilizzato questa tecnica!- gli spiegai.

-Oddio! Davvero? E ha funzionato?- chiese strabuzzando gli occhi.

Intervenne Martina. -Solo perché eravamo in un pub e lei puntava a dei ragazzi, ubriachi probabilmente, oltretutto. Delle ragazze non ci cascherebbero mai!

Ripresi a raccontare. -La cosa più divertente è che, mentre lei faceva la fanciulla in pericolo dicendo 'Ho perso le mie amiche!', le amiche in questione, Tina e Lucia, erano a due metri da lei che si sbracciavano e Asia faceva di tutto per ignorarle!

Scoppiammo di nuovo tutti a ridere.

-Che c'è, in qualche modo bisogna farsi notare!- si scusò la diretta interessata.

-Ribadisco, con le ragazze non funzionerebbe!

-Ci sarà qualche metodo che funziona, però!- insistette la mia amica.

-Beh, prima di tutto bisogna assicurarsi di essere sulla stessa sponda del fiume, e sono sicura che quella ragazza fosse etero!- affermò Martina, scoraggiata.

-Potevi convertirla tu!- Asia, inguaribile ottimista.

-Per quanto mi piacerebbe provare l'ebbrezza di convertire qualcuno, dubito che ci riuscirei mai. E comunque le nuove lesbiche sono troppo insicure, non so se mi troverei bene.

Rossana sporse il gomito fino toccare a toccare quello di Tina. -A Martina piacciono le ragazze mature, eh?- le disse facendole l'occhiolino.

-Tu non sei lesbica, che vuoi? E hai pure già il ragazzo!

-Beh, dai, sono dettagli!- Ros e Tina erano solite punzecchiarsi a vicenda sulla questione 'sessualità', perciò non erano nuove a questo tipo di scenette. E neanche noi ad assistervi.

-Già, piccoli dettagli! Comunque, per rispondere alla tua domanda, Ames, non era bella quanto Cate, ma le assomigliava un po'. Tranne che per l'eleganza con cui si muoveva: in quello proprio non ha eguali!

-Che ne sai? Magari era lei, che però se non è inquadrata da qualche telecamera cammina come una zoticona!- le feci notare.

-Nah, riconoscerei Cate Blanchett a due chilometri di distanza anche se fosse completamente struccata e fosse vestita di soli sacchi della spazzatura! Non era lei!- affermò sicura.

-Ti piace così tanto?- si intromise Tom.

-E a chi non piace?

Alzai una mano. -Io in realtà conosco una persona. Una mia collega di università, non la può proprio vedere! Tutte le volte che gliela nomini va fuori di testa!

Tina scrollò la testa, sconvolta.

-Sono gusti!- liquidò l'argomento Asia.

Finito di mangiare spreparammo in fretta la tavola lasciando spazio ai ragazzi con le loro pizze e alle cavalle che erano scese a mangiare. Visto che io e Tom avevamo cucinato, Ros si offrì di lavare i piatti e noi altri decidemmo di fare compagnia ad Asia fuori in giardino mentre fumava. Io e Thomas ci sistemammo sulla panchina del tavolo, rivolti verso la casa, mentre Asia e Martina presero posto sulle sedie di plastica appoggiando i piedi sull'altra panchina come aveva fatto prima Gabriel.

-La conosci?- chiesi a Tom dopo un attimo, curiosa.

-Chi, Cate Blanchett?- Annuii. Lui scosse la testa. -Solo di vista, non ci siamo mai presentati. E' troppo in alto pure per me!- scherzò.

Tina, che ci stava ascoltando, lo guardò e d'improvviso fu come se lo vedesse per la prima volta. -Ahh, ecco dove ti avevo già visto! Mi pareva che avessi un viso familiare, ma credevo di stare uscendo pazza io!

Asia ci guardò tutti stranita, non seguendo il discorso. -Che cosa mi sono persa?

Tom intanto sogghignava, e io con lui.

-Tu sei famoso!- riprese Tina, indicandolo.

-Beh, più o meno.- tentò di fare il modesto Thomas.

-No, no, tu sei proprio famoso! Sei Loki!

-Shh!- le intimai io. Non c'era bisogno che lo sapesse tutto l'isolato.

A quel punto anche Asia si mise a squadrarlo per bene. -E' vero! Con i capelli rossi e la barba sei quasi irriconoscibile, però!

-E' per questo che me la faccio crescere!- confermò lui sorridente.

In quel momento Ros ci raggiunse in giardino. Doveva aver sentito l'ultima parte della conversazione perché esordì, avvicinandosi: -Avete fatto la grande scoperta?

-Tu lo sapevi?- chiese Asia. -E tu pure!- mi accusò.

-Certo, non invito sconosciuti a casa senza avere almeno una vaga idea di con chi ho a che fare! Non come qualcuno!- la presi in giro.

-Io l'ho scoperto quasi mio malgrado: mi sono trovata davanti il suo bel faccione mentre aspettavo il bus davanti al Lidl, sabato. Mi è preso un colpo!

Io e Tom ridemmo ancora, mentre le altre collegavano i puntini.

-Ahh, ecco il perché di quella sfuriata! Mi sembrava un po' esagerata per dei biscotti!- esclamò Tina. -E' stata esagerata lo stesso...

-T'ho detto, mi è preso un colpo!- si scusò Ros, sedendosi sulla panchina di fronte a noi.

-Beh, questa è nuova, non mi era ancora capitato di riuscire spaventare qualcuno così. Non mi sono mai considerato un sex symbol, ma neanche brutto a questi livelli!- buttò lì Tom.

Ridemmo di gusto.

-Fidati, non lo sei! E' Rossana che ha problemi di vista. SERI problemi!- lo consolò Asia quando la risata si quietò. Era buio, perciò non potevo esserne certa, ma mi parve che fosse arrossito. Era già la seconda volta che lo vedevo reagire così a un complimento. Mr Man of the Year era in realtà un timidone che arrossiva ai complimenti? Sorrisi dentro di me a quel pensiero.

-Vorrei vedere te a trovarti a un metro dalla versione gigante della faccia ghignante di un tizio che hai appena conosciuto per caso a una festa!- si girò rivolgendosi al diretto interessato. -Seriamente, sei piuttosto inquietante su quei cartelloni. Sei lì, con la faccia da pazzoide, che guardi verso il basso, puoi darmi torto?

Lui rise. -Porti valide giustificazioni, sei assolta!- le concesse.

Iniziava a fare piuttosto freddo. Mi fregai le braccia nude, rabbrividendo.

-Freddo?- mi chiese Tom.

-Sì, credo che andrò a prendermi la maglia.- feci per alzarmi. -Vuoi che ti porti la giacca già che ci sono?

-Ma sì, grazie. Se non ti disturba!- mi rispose.

-Ma figurati. Voi, ragazze, volete qualcosa?- scavalcai la panca e mi tirai in piedi.

-Me la porti una birra?- mi fece Asia.

-Ce n'è ancora?- chiesi dubbiosa.

-Sìì, ne è rimasta tantissima dall'altra sera! E anche gin e vodka. Abbiamo finito la tonica, però.- mi confermò lei.

-Io ho ancora della Coca, se volete.- ci informò Rossana.

-Sìì, vodka e Coca! Fantastico!- mi guardarono tutti schifati. -Come, mai provata?

-Sinceramente non ci tengo! Birra anche per me.- mi assicurò Tina.

-Non sapete cosa vi perdete!

-Vengo dentro a darti una mano, allora, se tutti ordinano qualcosa!- Tom fece per alzarsi, ma Ros lo precedette.

-Tu stai tranquillo e seduto, sei l'ospite e hai già fatto più di quello che dovevi cucinando! Vado io!- vedendo che ancora voleva insistere, sfoderò la sua occhiata 'cattiva'. -SEDUTO!

Tom non ebbe alternative. -Sissignora!- acconsentì, fingendosi intimidito.

Gli diedi una pacca sulla spalla ridendo. -Tu vuoi qualcosa?

-Una birra sarebbe perfetta, grazie.- mi disse.

-Arriviamo.- e poi seguii Rossana dentro. Li sentii continuare a chiacchierare. Andai subito a infilarmi la maglia e a prendere la giacca di Tom mentre la mia amica si occupava delle birre. Poi, posando la giacca su uno sgabello in cucina mi preparai la mia vodka-Coca.

-Inizio ad andare in là con le birre.- mi avvisò Ros.

-Sì, vai. Io porto i bicchieri.

-Servono?

-Oggi ne abbiamo, non vedo perché non usarli.- ribattei. Un conto era se erano tutti sporchi, come il giorno della festa, ma oggi non c'erano di questi problemi.

-Ok, ce la fai?

-Sì, vai tranquilla!

Finii di prepararmi il drink e raccattai altri quattro bicchieri. Il problema ora non era portarli fuori, a parte il mio erano tutti vuoti: il problema era portare i bicchieri E la giacca. Non ci pensai due volte e me la infilai.

-Arrivo!- avvisai entrando lentamente in giardino. Quando Tom mi vide con il mio bicchiere pieno in una mano e gli altri quattro stretti tra il braccio e il petto, con indosso la sua giacca che camminavo praticamente al buio, da bravo gentiluomo inglese mi venne incontro e mi prese i bicchieri vuoti.

Lo ringraziai seguendolo al tavolo. -Adesso ti ridò anche la tua giacca.

Mi sorrise. -Tranquilla, se hai freddo tienila.

-No, no, ho la maglia sotto, e poi mi sta decisamente troppo grande! Ma grazie per l'offerta.- posai il bicchiere sul tavolo e me la sfilai, porgendogliela.

-Come vuoi.- la prese e la indossò. Ci sedemmo di nuovo tutti e loro presero a versarsi la birra nel bicchiere.

-Stavamo dicendo, con Tom- iniziò Asia -che ora capisco perché ti piacesse tanto lavorare da Reiss. Se tutti i clienti erano come lui!

Dovevano avergli chiesto dove ci eravamo incontrati, perché io non ne avevo fatto parola. E lo sapevano tutti, al numero 9 di Sheldon Avenue, che quando avevo perso il mio lavoro da Reiss lo avevo rimpianto per dei mesi. Facevo praticamente solo lavoro di magazzino: niente contatto con il cliente, pochi rompimenti di palle. Era perfetto! Da Clarks invece dovevo servire: avevo iniziato ad odiare la gente come solo chi ha mai lavorato in un negozio può capire! Davvero, odio profondo!

Alzai gli occhi al cielo: Asia e i ragazzi! -Ma se io quasi neanche li vedevo i clienti, da Reiss! Se c'era una vista da rimpiangere, quello era Abi!

Adesso Asia era moolto interessata. -Ohhh, adesso li scopriamo gli altarini! Non hai mai parlato prima di un Abi! Abi chi?

-Non si chiamava Abi il ragazzo che mi ha aiutato venerdì?- chiese Tom, anche lui stranamente interessato al discorso.

-Ti ci metti anche tu?- gli feci sarcastica.

Sogghignò in risposta.

-Lavora ancora lì? Ecco chi sei andata a trovare!- intervenne Tina, smettendo di sorseggiare dal suo bicchiere di birra.

-Ma da quando siete tutte così interessate alla mia vita sentimentale?- domandai esterrefatta.

-Da sempre!- risposero le ragazze in coro.

Tom soffocò la sua risata nel bicchiere di birra. Io decisi di imitarlo e mi nascosi dietro al mio. Purtroppo se hai un bicchiere di vodka-Coca in mano, non puoi nasconderti per troppo tempo dietro di esso, bevendo, o in due minuti finisci svenuto sul tavolo in cirrosi epatica.

-Dai, dai, racconta!- mi intimò Asia.

-E che c'è da raccontare? Si chiama Abi, è di origine nigeriana ed è obiettivamente figo! Fine della questione!- la tagliai corta.

-Certo che togli tutta la poesia, tu!- si lamentarono.

Mi strinsi nelle spalle.

Dopo un attimo di silenzio, Tom si girò e mi chiese: -Posso assaggiare?- indicando il mio bicchiere.

-Certo!- risposi, e glielo porsi.

-Vuoi un po' di birra?- mi offrì.

Scossi la testa. -Non mi piace.

Si portò il mio bicchiere alle labbra. Quando assaggiò, la sua faccia non fu delle migliori. Ne risi.

-Mmm, un po' troppo dolce per me.- commentò restituendomi il bicchiere.

-Va a gusti!

Finimmo tranquilli i nostri drink. Le ragazze presto ci annunciarono che sarebbero andate a dormire, dovevano lavorare il giorno dopo e avevano la sveglia di prima mattina. Augurammo loro la buona notte e rimanemmo soli.

Mi venne in mente una cosa. -Oggi hai detto che ti stai preparando per Coriolanus...

Sorrise. -Mi ricordo, hai fatto una faccia per niente memorabile!- mi prese in giro.

Gli rifilai una gomitata fingendomi offesa. -Volevo sapere, quando lo portate in scena? Magari vengo a vederti!

-Saremo a Covent Garden per tutto dicembre e gennaio.

-Ohh...- mormorai, delusa. Dubitavo che sarei riuscita a tornare a Londra così presto.

-Credi di non poter venire?

-E' periodo di feste, non so se riuscirò a tornare. C'è sempre un gran casino a casa mia in quel periodo. Per non parlare di Londra! E poi non so quando riuscirò a finire la tesi...Accidenti!

Mi posò una mano sulla schiena. -Dai, c'è ancora tanto tempo da qui a dicembre, chissà cosa succederà! Comunque se ci tieni posso riservarti un biglietto, basta solo che me lo dici prima!- tentò di consolarmi.

Annuii, abbattuta. -Ti farò sapere.

Rimanemmo lì in silenzio ancora un momento, poi lui disse: -Ora è meglio che vada, altrimenti chiude la metro.

-Oh, sì, giusto!- mi alzai, subito imitata da lui.

Lo accompagnai dentro, dove andò a recuperare la borsa del computer e lo seguii fino alla porta.

-Quando torni a casa?- mi chiese vicino alla soglia.

-Martedì prossimo.- risposi, triste al pensiero.

-Allora magari ci vediamo ancora! Grazie per la cena e per la serata!

-Ma figurati! Grazie a te per avermi fatto vedere 'Il libro della giungla'!

In tutta risposta si mise a frugare nella borsa, tirando fuori il dvd. -Tienilo! Io già ce l'ho, non me ne faccio niente di un altro, in italiano, per giunta!

Lo guardai, sorpresa. -Oh, sicuro?

-Sicurissimo!

Lo presi in mano. -Grazie!

Dovette chinarsi parecchio per potermi abbracciare. Ricambiai augurandogli la buona notte.

-Anche a te!- mi rispose.

Lo osservai andarsene ancora una volta: stava diventando un'abitudine.

E rientrai.

 

N.A.: in questo capitolo ho voluto provare a evidenziare il rapporto che Amy ha con le sue amiche, spero che vi sia piaciuto.

A presto,

xx

E_SEE

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Chapter Nine ***


Chapter Nine

 

Il giorno dopo, praticamente scappai di casa. Martedì: giorno di pulizie. E Rosa non era una tipa silenziosa. Negli anni aveva sviluppato un odio profondo per gli abitanti della casa, vecchi o nuovi che fossero, e non perdeva mai l'occasione di creare fastidio. Non si presentava mai ad un orario fisso: a volte arrivava alle otto del mattino, e se a te serviva il bagno, lei lo doveva pulire; altre volte te la trovavi tra i piedi all'ora di pranzo, e chiaramente lei doveva pulire la cucina; quando era di buon umore arrivava di pomeriggio, e almeno non rompeva troppo le scatole.

Quel martedì di agosto fu lei a svegliarmi, alle nove: aveva la brutta abitudine di girare con gli auricolari, a volte ascoltando la musica, a volte parlando al telefono. Ora, io non ho niente contro chi gira con le cuffie nelle orecchie, ma se inizi a cantare a squarciagola o a chiacchierare al telefono a voce talmente alta da rendere il telefono quasi inutile, tanto ti sentono comunque, e lo fai alle nove del mattino mentre io sto ancora dormendo, allora potrei incazzarmi un poco (io che facevo niente tutto il giorno. Pensate i poveri cristi che erano tornati da lavoro alle 4 del mattino!)! Ma conoscevo Rosa e sapevo che sarebbe stato inutile!

Quel giorno aveva deciso di iniziare dalla cucina (la sentivo bestemmiarci contro in portoghese persino dal piano di sopra), perciò ebbi il tempo di sgattaiolare in bagno, prima che riempisse la vasca di varechina, e farmi una doccia veloce. Dopodiché, fuggii dalla donna pazza.

Non avevo progetti per quel giorno così, mentre mi avviavo verso la metro, iniziai a vagliare le mie possibilità. Alla fine decisi che mi sarei semplicemente fatta una passeggiata in centro, ma con un'ottica diversa dal solito. Una volta un vecchio amico mi ha detto: 'Il modo migliore di visitare una città è perdersi'. E così feci. Uscii a Bond Street e iniziai a infilarmi nelle viuzze più defilate, senza alcuno schema e, dopo un po', senza alcuna idea di dove stessi andando. E' incredibile quello di cui ti accorgi quando non fai attenzione a dove stai andando: trovai la casa più patriottica d'Inghilterra, tutta dipinta di blu, rosso e bianco, scoprii piccoli giardini di quartiere, trovai la strada dei musicisti, sulla via per Tottenham Court Road e molto altro ancora. Ogni tanto però arrivavo in posti che riconoscevo, come Leicester Square, e allora dovevo ricominciare da capo. Quando mi ritrovai a Soho, perdermi non fu per nulla difficile: era un quartiere in cui non ero mai riuscita a orientarmi!

Stavo camminando in quella che avevo riconosciuto essere la City, saranno state le quattro del pomeriggio, quando mi squillò il telefono: Luce.

-Prontissimi!- risposi.

-Ciao, bellissima! Che fai?- mi strillò in un orecchio.

-Lunga passeggiata in centro, perché? Avevi qualcosa in mente?

-Solo due chiacchiere. Attacco alle otto questa sera. Ti va?

-Certo che sì! Dove e quando?

-Dove non so, quando: ora. Ti raggiungo in centro così intanto mi avvicino al club. Dimmi tu dove vederci!

Ci pensai. -Mmm, che ne dici del Caffe Nero a Long Acre? Ti piace?

-Sì, il tempo di uscire di casa e sono lì!

-A tra poco, allora!

Una bella chiacchierata con Luce: mi ci voleva. Alla festa, tra una cosa e l'altra, non eravamo riuscite a parlarci come si deve, e mi mancava.

Cercai la stazione della metropolitana più vicina, che si rivelò essere Tower Hill (cavolo, non credevo di aver camminato così tanto!) e, dopo due cambi, riuscii ad arrivare a Covent Garden e a raggiungere il bar. Luce non era ancora arrivata, ma non mi sorpresi: se lei diceva che stava per uscire significava che doveva ancora docciarsi, mangiare e fare una lavatrice. Lucia Manni in ritardo era normale amministrazione.

Mi sedetti su una poltroncina ma aspettai a ordinare. Nella mezz'ora che passò ancora prima che Luce arrivasse mi guardai un po' in torno, osservando le persone intorno a me andare e venire e ascoltando la musica.

E poi eccola arrivare, tutta trafelata. -Ehi, ciao! Scusa, scusa, scusa! Ti avrò fatta aspettare un secolo!!-

Mi alzai ad abbracciarla forte. -Ciao! No, dai, tranquilla! Guarda che sono in vacanza! Non ti preoccupare! Vado ad ordinare, offro io! Che cosa prendi?

-No, no, non ti preoccupare...

-Guarda, non se ne parla! Con tutto l'alcool che hai comprato per l'altra sera qualcosa te lo devo! Allora: caffè e torta al caramello?- la conoscevo, ero sicura che sarei riuscita a prenderla per la gola.

Sbuffò, ma sapeva che non glie l'avrei data vinta. -E' perfetto, grazie.

-Tieni il tavolo, torno subito.- e mi avviai alla cassa.

Cinque minuti dopo ero di ritorno con un vassoio su cui era posato l'ordine per Luce e un succo di frutta e un'altra torta per me.

-Allora- iniziai. -Come va?

-Beeene! Te l'ho detto che sono tornata con Luca?- rispose, tutta entusiasta.

-No! Ma davvero?- gemetti. Non mi era mai piaciuto quel tipo, e lei lo sapeva.

-Sìì!! Stiamo cercando casa insieme!

-Di nuovo? Ne sei davvero sicura, Luce?

-Sì! Non preoccuparti, Amy, questa volta andrà bene!- provò a tranquillizzarmi.

-Certo che mi preoccupo, Luce! Sei mia amica! E sai che lui non mi piace. Mi ricordo benissimo come è finita l'ultima volta, tu no?- era finita che lei si era ritrovata praticamente in mezzo a una strada perché 'l'amore della sua vita' aveva improvvisamente deciso che Londra non gli piaceva ed era tornato a casa, lasciando lei con una camera doppia che non poteva permettersi. Evidentemente adesso Londra gli gustava di nuovo e aveva bisogno di qualcuno con cui dividere le spese. Non si spiegava altrimenti.

-E' diverso ora! Ha trovato un lavoro che gli piace: fa il cuoco in un albergo a Sheperd's Bush. Andrà molto meglio. Davvero, non hai nulla di cui preoccuparti!

Ero dubbiosa. Mooolto. Ma Luce quando si parlava di cuore non dava retta a nessuno, e non si sarebbe tirata indietro finché non si fosse scottata. E a quel punto sarebbe stato tardi.

Prima che potessi ribattere, cambiò discorso. -Tu piuttosto! Novità? Come va con il tuo bello?

Inarcai le sopracciglia. -Scusa, il mio bello chi?

-Ma Tom, no? Quello della festa!

-E' solo uno che ho conosciuto per caso, non 'il mio bello'!- contestai.

-E' davvero figo!

-Questo non lo posso negare, ma non è come pensi tu! Anzi, è mille miglia da come pensi tu!- conosco i miei polli!

-E come credi che la stia pensando?- mi sfidò.

-Conoscendoti, nella tua testa, quello che in realtà non si può neanche ancora definire amicizia, è diventato infinite volte più romantico di quanto non sarà mai!

-Non sono una persona così romantica!- protestò.

L'assurdità che aveva detto era tale che il mio sopracciglio, di sua spontanea volontà, si alzò, scioccato. -Quindi non eri tu quella che si è letteralmente aperta la testa, finendo in pronto soccorso, per inseguire un ragazzo. E continuavi a non essere tu a insistere di inseguirlo, tutta sanguinante, perché credevi che fosse l'uomo della tua vita, quando in realtà era solo un coglione che non hai mai più rivisto in vita tua!

Mi fissò un attimo a bocca aperta, poi alzò le spalle. -Ok, ma nel frattempo sono cresciuta!

Il mio sopracciglio ormai mi stava dichiarando l'indipendenza.

-E comunque stavamo parlando di te! Non rigirare la frittata! Cosa sta succedendo tra te e 'occhibelli'?

-'Occhibelli'?

-Non li hai notati? Sono fantastici!

-Sì che li ho notati, ma non pensavo che qualcuno su questo pianeta usasse davvero il soprannome 'occhibelli' nella vita reale.

-Beh, nel suo caso è meritato! Ma stai di nuovo evitando il discorso! Cosa c'è tra voi?

-A parte la Manica?- alzò gli occhi al cielo. Le mie battute non piacciono mai a nessuno, uffa! - Niente! Ci siamo conosciuti, visti quella sera alla festa e ancora un'altra volta ieri. Sono stata bene. Punto. Probabilmente non lo vedrò mai più in vita mia! Succede sempre così.

-Non è vero!

-Ti ricordi Riccardo? Te ne avevo parlato.

-Il ragazzo dell'aereo?

Tre anni prima, tornando a casa proprio da Londra, avevo conosciuto sul bus per l'aeroporto un ragazzo che casualmente doveva prendere il mio stesso volo. Avevamo parlato per tutto il tempo: una persona squisita, intelligente e acculturata. E amante delle serie tv. Fossi stata il tipo, l'avrei chiamato amore a prima vista!

-Lui. Dopo quel giorno l'ho sentito solo un paio di volte su Facebook, poi più niente. E' così che funziona con me: se sono troppo belli per essere veri, si volatilizzano nel giro di un paio di giorni. E' successo con Riccardo, succederà anche con Tom.

-Magari invece è l'uomo della tua vita!- e poi insisteva a dire di non essere romantica!

-A quello ho già rinunciato da un pezzo. Mi sono arresa al fatto che morirò zitella con la casa piena di gatti, di cui i miei nipoti dovranno prendersi cura dopo che sarò morta. Ho già avvisato mia sorella in proposito.

-Ma dai!!- rise lei.

-Credo solo che, se per puro caso o per qualche strano miracolo, non dovesse sparire come succede sempre, abbia il potenziale per essere un ottimo amico. E' davvero una bella persona. E non sto parlando solo dell'aspetto fisico.

-Che non è per niente male!- Luce e i miei ormoni sarebbero andati d'amore e d'accordo!

-Parlo del suo carattere! Trovo che somigli molto a Riccardo, in effetti. E proprio per questo credo che farà la sua stessa fine.

-Nah, sei troppo pessimista, Amelia!

Scossi la testa. -Le persone belle scompaiono sempre dalla mia vita.

-Ohi!- mi fece. -Così mi offendi! Stai dicendo che io sono una brutta persona?

-Sto dicendo che vivi a 1200 km da me, Luce. Come tutti coloro che amo di più!

-Amy!- provò a consolarmi.

-Sono stanca, Luce! Mi mancate così tanto! A volte vorrei tornare indietro nel tempo e rivivere quei sei mesi di nuovo e di nuovo ancora, all'infinito!

Mi sorrise. -Nonostante la Gonza?

Risi piano e annuii. -Nonostante la Gonza! Dopotutto, anche lei era parte del divertimento!

-Sì, è vero! Quante risate ci ha fatto fare!

Ridemmo per un po' al ricordo. Poi sospirò e mi chiese: -Ora cosa vuoi fare? Una volta tornata a casa, intendo.

Mi strinsi nelle spalle. -Finire la tesi. Godermi casa mia per un po' visto che sarà l'ultima volta che potrò farlo.

-E poi?

-Io in Italia non ci resisto!

-Puoi tornare qui!

-E' un'opzione! La prima della lista, a dire il vero. Ma non sarà la stessa cosa. Non sarà come l'ultima volta.

-Che intendi dire?- chiese confusa.

-Questa è Londra, Luce. Non è mai la stessa cosa!

 

Restammo lì ancora un po', a chiacchierare, a scherzare, tanto che arrivò l'ora che Luce doveva andare a lavorare.

-Vieni con me!- mi offrì. -Ti offro da bere!

-Ma no, dai!

-Insisto! Sono una bartender, ora: posso offrire da bere a chi voglio!- si vantò.

-Certo, finché non ti beccano e non ti licenziano!

-E io non mi faccio beccare! Dai, vieni, ti diverti un po'.

La guardai in silenzio.

-Pensa ai vantaggi: locale gay, niente ragazzi che ti palpano se vuoi ballare, e le ragazze di solito non palpano nessuno comunque! Puoi ballare fino allo sfinimento!

Quella era una prospettiva interessante! Luce mi conosceva bene: io adoravo ballare!

-Dai! So che lo vuoi!- mi incoraggiò.

Sorrisi. -Ok! Ma non sto tanto. Massimo l'una e me ne vado!

-Affare fatto!

Ballai tutta la sera. Stavo da Dio! Perché non lo facevo più spesso? Ah, giusto: a Torino di locali gay non ce n'erano a bizzeffe, e a meno che non fosse nel weekend, dovevi tornare sicuramente a casa a piedi, dopo esserti fata palpare un centinaio di volte dai vari pervertiti. No, non ne valeva la pena.

Dio se mi mancava Londra!

 

N.A.: un altro capitolo dedicato al rapporto con le amiche. Per ora può sembrare un po' inutile, ma vi prometto che ha un senso nel lungo termine. Chi leggerà vedrà ;)

Grazie ancora a chi mi segue, recensendo o anche solo silenziosamente.

Xx

E_SEE

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Chapter Ten ***


Chapter Ten

 

Il resto della settimana passò tranquillo. Ogni giorno uscivo al mattino e andavo a fare i miei giri, tornando a casa solo alla sera per cena, e a volte neanche quello. Venerdì io e le mie amiche decidemmo che sarei passata a prenderle fuori dal lavoro e saremmo uscite a cena fuori, per poi finire la serata all'O'Neills, inaugurando così il nostro ultimo weekend insieme.

Eravamo tornate a casa alle tre del mattino e, tutt'ora non so spiegarmi il perché, invece di andare subito a dormire ci eravamo sistemate sul divano a guardare un documentario. Argomento: sconosciuto. Dormicchiammo per tutto il tempo. Verso le quattro, poi, ci eravamo guardate in faccia chiedendoci 'Ma che cazzo stiamo facendo?', ed eravamo finalmente andate a dormire.

Perciò, quando verso le nove mi suonò il telefono, dire che ero un po' frastornata è dire poco.

Dal mio materasso gonfiabile sistemato sul pavimento mi allungai, ancora a occhi chiusi, verso la borsa e iniziai a tastare in cerca del telefono: mannaggia a me che non l'avevo spento la sera prima!

Sentii Rossana mugugnare, infastidita, e io le mugugnai una scusa in risposta. Quando finalmente trovai quello stronzo di un cellulare, sepolto in fondo alla borsa, aprii un occhio e gattonai piano fuori dalla stanza per rispondere. Ero talmente rincoglionita che non avevo nemmeno guardato chi fosse lo schifoso bastardo che chiamava a quell'ora del sabato mattina.

-Pronto?- iniziai con voce assonnata.

-Buongiorno!

-Scusa, chi sei?

-Ehm, Tom! Tutto bene?- mi chiese lui con una punta di preoccupazione nella voce.

Tom! Era tutta la settimana che non avevo sue notizie. -Ma tu non dormi mai?- lo accusai.

Rise. -Sono appena tornato dalla mia corsa mattutina. Immagino che tu stessi ancora dormendo.

-E che cosa te lo fa intuire?- gli feci sarcastica.

Ridacchiò. -Scusa, non volevo svegliarti.

Sospirai. -Non ti preoccupare. Corsa mattutina? E chi ti insegue?- il mio cervello stava lentamente iniziando a ingranare, e la mia vena sarcastica era sempre la prima a fare capolino.

-Si chiama tenersi in forma, dovresti provare.- mi punzecchiò.

-E con questo cosa vorresti insinuare? Che sono grassa?

-Per niente, anzi, sei tutta pelle e ossa! Ma ti ho vista ballare: lo sai che non è normale avere il fiatone dopo una sola canzone, vero?

Lo sapevo. Aveva più che ragione: mi veniva il fiatone anche dopo una rampa di scale. Ma non volevo dargliela vinta. Non avendo argomenti a mio favore, però, cambiai discorso. -Mi hai chiamata all'alba del sabato mattina solo per potermi dare i tuoi consigli da personal trainer, oppure hai una ragione migliore?

-All'alba? Ma se sono le nove e mezzo?

-Ho dormito cinque ore...- mi lamentai.

Rise. -Alla sera leoni...

-Sì, papà, ho capito! Anche se a giudicare dal weekend scorso, se dovessi fare una lista di persone che possono rimproverarmi per le mie serate brave, tu saresti molto vicino al fondo!

-Touche!- mi concesse. -Ma è stata colpa tua!

-Mia?

-Assolutamente!

-Ma guarda un po' questo!- esclamai sconvolta.

-Sono una persona dalle sane abitudini, io!- lo sentivo trattenere una risata. -Corro tutte le mattine!

-E questo che cosa centrerebbe, scusa?

Rise. Io scossi la testa, sbuffando.

-Senti, me lo vuoi dire il motivo di questa chiamata, così posso tornare a svenire sul letto, oppure lo fai apposta a tenermi sveglia?

-Ok, ok. Pensavo solo che, visto che tu parti martedì e io lunedì lavoro, questa sera avremmo potuto vederci, così ci salutiamo come si deve. Che ne pensi?

-Che cosa avevi in mente?

-Niente di che, solo bere qualcosa e poi, che ne so, andare a ballare da qualche parte. Ti piace ballare da quel che ho capito.- sghignazzò.

Stava sicuramente pensando a me che ballavo i Proclaimers da Reiss. A posteriori, era stata davvero una scena imbarazzante di cui stavo iniziando a pentirmi parecchio. Che diavolo mi era saltato in mente quel giorno?!

Ragionai sulla sua proposta: avevo sperato di poter passare l'intero weekend con Rossana, Asia e Martina, ma in effetti non potevo neanche tornarmene a casa senza salutarlo, soprattutto visto che la proposta veniva da lui.

In quei giorni ero stata più volte sul punto di chiamarlo o mandargli un messaggio, ma mi ero sempre fermata dicendomi che probabilmente stava lavorando e non voleva essere disturbato, specialmente da una che conosceva così poco. Continuavo a ripetermi che se l'avessi contattato io per prima, sarei passata per una stalker e, considerato il personaggio, non avevo osato rischiare. Già ero una che il telefono lo usava quasi solo per le emergenze, se poi c'era anche il rischio di passare per un'invasata, meglio starmene zitta e buona.

Ora però era stato lui a chiamare, perciò che potevo rispondere? E che cosa avrebbero pensato le mie amiche se le avessi piantate in asso? No, neanche a parlarne!

-Ti va se chiedo a Rossana, Asia e Martina se vogliono venire? Ho promesso di passare con loro il weekend visto che non ci vedremo più per parecchio tempo.

-Certo! Era sottinteso!- esclamò lui, entusiasta.

-Oook, propongo la cosa e ti faccio sapere, va bene?

-D'accordo. Ci sentiamo dopo, allora.

-Mmm, buonanotte.- Lo sentii ridere mentre attaccavo.

Gattonai di nuovo dentro la stanza e mi rituffai sul materasso.

-Chi era?- bofonchiò Ros.

-Tom.- risposi solo.

-Che voleva?

-Invitarci fuori, questa sera. Vuole salutarmi prima che torni a casa.

-Non so Asia e Tina, ma io non ce la posso fare. Non due sere di fila!

-Allora dopo lo richiamo e gli dico di no.- C'ero rimasta male, ma cercai di non darlo a vedere. E poi, comunque, avevo i miei dubbi anche sulla mia tenuta: per quanto fossi 'giovine', a tutto c'è un limite.

-Guarda che ho detto che IO non ce la faccio, non che tu non devi andare. E' te che vuole salutare, dopotutto, noi siamo solo un male necessario!

Ridacchiai. -Voi siete tutto tranne che un male! E poi vi ho promesso il weekend, non vi pianto in asso!

-Così però pianti in asso lui! Noi abbiamo ancora tempo fino a martedì per vederci.

Rimasi in silenzio, e Ros intuì il perché. -Ames, che succede con quel ragazzo?

Presi un respiro profondo.

-Ti piace, vero?

-Sì, ma non nel senso che pensi tu. Beh, forse anche in quello, ma considerati i miei precedenti ormai ignoro quella parte di me, che si è rivelata essere composta da soli ormoni. E ho capito che una relazione, di qualunque tipo, non si può basare sui soli ormoni.

Toccò a lei ridacchiare. -E' questo il problema, gli ormoni?

-No, quelli li so tenere a bada.

-Qual è allora?

-Il problema in realtà è un elefante nella stanza!

-Addirittura! E sarebbe?

-Lui è famoso.

-Non ti seguo.

Era complicato da spiegare, soprattutto perché neanche io avevo le idee chiare sulla questione. -E' che più lo conosco, più trovo che sia una persona davvero interessante e vorrei averlo come amico. Ma poi mi ritrovo a pensare che questo è quello che vorrebbero milioni di ragazze e donne su questo pianeta, e mi sento una stalker!

-Tu non sei una stalker!- mi contestò lei. -E' lui stesso che ti sta chiedendo di essere sua amica!

-Lo sta davvero facendo?- la guardai dubbiosa.

-Questa è una domanda che puoi sempre rivolgere a lui, se proprio non ne sei convinta.

La 'saggezza da anziana' di Rossana colpiva ancora.

-Vai!- mi incoraggiò. -Se non altro per chiarire le cose. Noi possiamo festeggiare anche domani sera. Lunedì saremo tutte degli zombie a lavoro, ma ne sarà valsa la pena.

Risi.

-Un giorno però me lo spiegherai per bene il perché hai deciso di negarti l'amore, così, a priori.- suonò molto minacciosa.

-Un giorno, forse. Quando il doposbornia avrà smesso di fracassarmi la testa!

 

Durante colazione estesi l'invito di Tom anche ad Asia e Tina, che però, come Ros, mi confermarono che non ce l'avrebbero fatta per due sere di fila. Avevo netta la sensazione che nel loro rifiuto ci fosse lo zampino di Rossana, ma non dissi nulla.

Più tardi lo chiamai, dandogli la notizia che le ragazze non se la sentivano di venire, ma che io sarei uscita volentieri.

-Dove ci possiamo trovare?- gli chiesi.

-Hai mai provato il Dirty Martini a Covent Garden?

-Sì, un paio di volte, durante l'Happy Hour. E' un bel posto e i drink sono buoni.

-Ci possiamo trovare lì, allora.- propose lui. -Alle otto?

-Affare fatto!

-Ci vediamo lì. Ora devo andare, mia sorella mi sta costringendo a fare shopping con lei!- la sua voce sembrava sofferente.

Ridacchiai, immaginandomelo. -Buona fortuna, allora! A dopo!

-Grazie! A presto!

 

-Wowowo, Piccollina, dove vai così tirata?-

Erano le sette passate e stavo uscendo di casa, quando Gabriel mi fermò in corridoio facendomi fare una giravolta.

Dopo secoli di ripensamenti mi ero decisa a indossare una semplice camicetta con maniche a tre quarti viola scuro, un paio di pantaloni neri a vita alta che mi arrivavano a metà polpaccio e un paio di ballerine. Avrei tanto voluto mettere i tacchi, mi sentivo così bassa vicino a Tom, ma considerato che sarei dovuta tornare a casa in bus, probabilmente un po' brilla, e che avrei dovuto salire e scendere le scale con l'autobus in movimento, probabilmente non sarebbe stata la scelta più saggia. E poi volevo ballare! Ergo: niente tacchi. Avevo poi chiuso documenti, soldi, telefono e chiavi nella borsa più piccola che possedevo, in modo che non mi desse fastidio. Et voilà, avevo stupito Gabriel!

-Vado a ballare!- risposi, arrossendo un po' sotto il suo sguardo.

-Divertiti, allora!

-Sarà fatto!- gli assicurai, dirigendomi verso il salotto.

Ros, Tina e Asia erano lì che chiacchieravano. -Che ne pensate?- chiesi loro.

Mi studiarono e Asia mi chiese: -Vuoi fare colpo?

-Ehm, no...? Voglio solo apparire carina senza sembrare una prostituta!

-Allora direi che va bene.- mi concesse lei.

Tina scosse la testa in direzione di Asia. -Stai benissimo, Amy. Molto...smart! E per nulla 'prostituta'!

-Voi sì che sapete come fare un complimento, eh ragazze?- intervenne Ros. -Divertiti anche per noi nonne, Ames!

Risi. -Lo farò! Buona serata! Ci vediamo domani.- salutai con la mano e mi chiusi dietro la porta del salotto.

-NON ACCETTARE CARAMELLE DAGLI SCONOSCIUTI!!!- sentii Asia urlare mentre uscivo di casa. Risi ancora e mi avviai verso la stazione.

 

Quando scesi le scale del locale, fui quasi investita da una cameriera con un vassoio, ma che mi evitò per un soffio.

-Oh, mi scusi tanto! Posso aiutarla?- mi chiese, probabilmente preoccupata che le facessi una sfuriata. Fortunatamente per lei, non ero quel tipo di cliente, e poi non era successo niente, perciò la tranquillizzai.

-No, non si preoccupi, grazie. Cerco solo un amico.- le sorrisi conciliante.

-D'accordo, faccia con comodo. Mi faccia sapere se vuole ordinare!

-Certamente!

E ritornò per la sua strada.

Di certo non il miglior inizio serata in cui potessi sperare, ma contavo su un miglioramento.

Mi guardai attorno cercando Tom, e quando lo trovai era seduto a un tavolino in un angolo, le spalle rivolte al muro. Di fronte a lui un altro uomo. Mi avvicinai incuriosita: non aveva accennato a nessun altro al telefono. Chissà chi era! Dallo sguardo negli occhi di Tom sembrava stessero discutendo di qualcosa di importante, perciò rallentai il passo, temendo di interromperli. Lui però mi scorse tra la folla, e improvvisamente il suo sguardo serio si illuminò e mi rivolse uno di quei suoi sorrisi ad alto rischio contagio, che io non potei fare a meno di ricambiare, avvicinandomi.

-Ciao, straniero!- lo salutai.

Lui si alzò dal divanetto venendomi in contro. -Ciao a te!- si chinò ad abbracciarmi e mi posò un bacio delicato sulla guancia. Alzandomi sulle punte per ricambiare la stretta mi pentii di non aver messo i tacchi. -Tutto bene? Ti sei ripresa da ieri sera?- mi prese in giro.

-Perfettamente!- Ok, forse stavo un po' esagerando. La testa ancora mi pulsava leggermente, ma a quello ero abituata: ero emicranica di natura e i miei mal di testa potevano andare avanti per settimane. Non mi sarei fatta fermare certo da un piccolo mal di testa da alcool! Cosette da nulla!

-Bene! Vieni, ti voglio presentare una persona.- si voltò verso il tavolo, indicandomi l'uomo che era ancora seduto davanti a noi. Seguii con lo sguardo il suo gesto, e ci rimasi secca. - Amy, ti presento Ben, un mio buon amico. Ben, Amy, la persona di cui ti parlavo prima.

Di questo passo avrei dovuto scrivere un inno di lode alla Gonza per il suo inaspettatamente utile allenamento alla 'facciadibronzaggine', da cui dovetti attingere a piene mani per impedirmi di iniziare a sbavare. Perché il 'buon amico Ben' non era altri che Benedict Cumberbatch. Devo dire, per non creare fraintendimenti, che non lo avevo mai trovato esteticamente attraente (tratti troppo spigolosi, capelli troppo biondi, pelle troppo pallida), ma ammiravo profondamente il suo immenso talento attoriale. Avevo studiato al DAMS, dopotutto!

-Piacere di conoscerti, Amy!- fece lui alzandosi e tendendomi la mano. Oddio, dal vivo la sua voce pareva ancora più profonda!

Presi un respiro profondo e sfoderai il mio sorriso più innocente. -Il piacere è mio!- gli assicurai stringendogliela.

-Amy. Diminutivo per Amelia?- mi chiese. E chiaramente lo aveva pronunciato all'inglese ('Amilia').

-Sì, ma la pronuncia è leggermente diversa in italiano: Amelia.- lo corressi mentre loro tornavano a sedersi e io mi accomodavo sul divanetto, a metà tra Tom e la poltroncina dove era seduto Benedict.

-Oh, suona anche meglio!- commentò lui.

Ridacchiai.

-Ordiniamo?- propose Tom.

-Certo! Muoio di fame!- esclamai entusiasta.

La lista di cibo presente sul menù non era lunghissima, perciò ci ritrovammo a ordinare praticamente tutto, insieme a tre Martini, uno a testa, giusto per iniziare. Io mi buttai su un Martini al frutto della passione: lo avevo assaggiato anni prima e mi era piaciuto moltissimo.

-Eri già stata qui?- mi chiese Ben.

-Un paio di volte, sì. La domenica fanno Happy Hour tutto il giorno, ci sono venuta con delle amiche. E' passato qualche anno, però.- gli risposi.

-Tom mi ha detto che hai vissuto a Londra per un po'.

-E' esatto. Ho passato il mio anno sabbatico qui. Non ho potuto fare a meno di innamorarmi di questa città!- risposi, facendo trapelare un po' della nostalgia che provavo.

-Come mai te ne sei andata allora?- incalzò Benedict.

Tom ci interruppe. -Ehi, Sherlock, vacci piano! Non devi mica interrogarla!- scherzò.

Risi dell'allusione, e Ben con me. -Ti sto mettendo a disagio?- mi chiese.

-Per niente! Anzi.- li rassicurai. -Me ne sono andata per completare i miei studi. Cosa che avrei fatto volentieri anche qui a Londra, se non fosse stato per i costi decisamente fuori dalla mia portata e per l'alta selettività delle vostre università. E non essendo madrelingua, parto anche svantaggiata.

-Come sono le università italiane?- mi chiese Tom.

-Beh, i corsi credo che siano preparatori quanto possono essere i vostri, ma dal punto di vista strettamente organizzativo...beh, diciamo solo che se riesci a uscire vivo, niente al mondo saprà più fermarti! E' un vero inferno!- Risero. -Com'è invece la costosissima università britannica?-

Si guardarono, come per decidere quale fosse la risposta migliore.

Mi rispose Ben: -Stancante. Stimolante. A dire il vero non ricordo poi granché, credo di aver passato la maggior parte degli anni del college da ubriaco, tra un festino e l'altro!

Scoppiammo tutti a ridere.

Continuammo a chiacchierare del più e del meno, mangiando e arrivando a ordinare fino a un terzo drink prima di deciderci a cambiare locale. Tom volle pagare per tutti, e né io né Benedict riuscimmo a dissuaderlo.

-Tu- disse deciso puntando il dito verso di me -questa sera non paghi proprio niente. La festa è per te!

Alzai le mani, arrendendomi.

Ci spostammo in un locale nei pressi di Leicester Square, uno di quelli in cui, se fossi stata da sola oppure con le mie amiche, non sarei mai entrata: troppo posh per i miei gusti, e facevano pagare l'entrata. Ma come Tom aveva messo bene in chiaro, quella sera io non avrei pagato nulla (e ci provai parecchie volte!). Fui però bloccata all'entrata.

-Documenti!- mi fece il buttafuori.

Sbuffai, cercando la patente nella borsa e mostrandogliela scocciata. Con la coda dell'occhio vidi i miei accompagnatori ridere sotto i baffi mentre il buttafuori esaminava dubbioso il mio documento.

-Ok, vai.- mi disse poi, alla fine.

Ripresi il tesserino e li raggiunsi.

-Ma si può?- mi lamentai. -Ho 23 anni e ancora mi fermano all'entrata dei locali!

Tom tentò di consolarmi, trattenendo le risate. -Beh, prendilo come un complimento! A 23 anni ancora ne dimostri 16, dovresti esserne contenta!

-Sedici? Davvero?- lo fissai sconvolta. Sapevo di sembrare più giovane di quanto non fossi in realtà, ma 16?!

-E' stata la mia prima impressione. Poi però si capisce dal tuo linguaggio del corpo che ne hai di più: una sedicenne non si muoverebbe come ti muovi tu!

-Mah, non saprei,- lo contraddisse Benedict -ormai ci sono anche delle sedicenni che sembrano più vecchie di lei!

-Sì, ma sedici?!- ero ancora sconvolta.

Risero ancora, dopodiché ogni suono fu inghiottito dalla musica altissima del locale.

A Tom piaceva DAVVERO tanto ballare. Ben se la cavava, ma Tom si scatenava come non avevo mai visto fare a nessuno. Ci divertimmo un mondo. La musica non era male: il DJ alternava la musica che io chiamo ancora 'tunz tunz tunz', a della musica più normale e melodica, ma comunque facilmente ballabile.

Dopo un po' iniziai ad avere sete, ma mi limitai a prendere una bottiglietta d'acqua, seguendo un consiglio datomi da Luce anni prima: mai prendere un bicchiere in un locale affollato, onde evitare che pillole indesiderate ci finiscano dentro. Fu una delle volte in cui provai, senza successo, a pagarmi qualcosa, ma Tom se ne accorse e mi trascinò via di peso, lasciando £5 sul bancone.

-Per una bottiglia d'acqua!- protestai mentre mi rimetteva a terra.

Erano le tre quando fummo 'gentilmente' cacciati fuori dal locale in chiusura. Ero stanchissima. Sobria ma stanchissima. Feci appello agli ultimi neuroni ancora svegli nel mio cervello cercando di ricordarmi da dove partiva il bus più vicino che mi avrebbe riportata a casa. Sì, ok, il 185 da Oxford Circus. Non era vicinissimo, ma per arrivarci sarei passata per strade sicure, anche a quell'ora di notte. Forse c'era qualcosa che partiva anche da Trafalgar, ma non ne ero sicura e non avevo voglia di mettermi a cercare su internet.

E poi Tom smontò tutti i miei piani chiedendo: -Chi vuole un passaggio a casa?

Lo guardai a occhi sbarrati. -Hai la macchina?

-Certo che ho la macchina! Secondo te perché ho bevuto così poco questa sera?- mi rispose come se fosse la cosa più naturale del mondo.

-Scusa, è che non ho mai visto un parcheggio in centro Londra. Dove l'hai messa, in tasca?

Rise. -Ci sono se li cerchi.

-Tranquillo, amico, io prendo un taxi. Tu porta a casa lei, io me la cavo. Non voglio farti fare troppi giri a quest'ora di notte.- gli rispose Ben.

-Guarda che non è per nulla un disturbo. Sei sicuro?

-Affermativo. Grazie per la serata. Buona notte.- gli fece lui.

Guardai i due uomini abbracciarsi dandosi grandi pacche sulla schiena.

-Buona notte, allora.- gli fece Tom.

Sciolto l'abbraccio, Ben venne verso di me, chinandosi per baciarmi le guance. -E' stato un vero piacere conoscenti, Amy. Spero di vederti ancora in giro da queste parti.

-E' stato un piacere anche per me. Lo spero anche io, ma dubito che sarà nei prossimi mesi.- gli risposi io.

-Beh, quando sarà, fatti sentire. Sei una che si sa divertire, mi piaci!

Risi di quell'affermazione. -Lo farò. Buona notte!

-Notte!- E si allontanò alla ricerca di un taxi.

-Andiamo, ti porto a casa!- mi fece Tom dopo un attimo.

-Non è necessario, davvero, prendo l'autobus!- provai a oppormi, più per gentilezza che per altro. Era ovvio che avrei preferito la macchina.

-Non se ne parla neanche! Forza!- mi posò un braccio sulle spalle, l'altra mano in tasca, e ci avviammo verso il misterioso parcheggio.

Iniziavo a sentire freddo, perciò incrociai le braccia nel vano tentativo di trattenere il calore a me. Tom non disse niente, ma era inglese: si tolse silenziosamente la giacca e me la poggiò sulle spalle.

-Grazie.- gli dissi con un sorriso.

Arrivammo alla macchina e mi accomodai sul sedile del passeggero, appoggiando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi.

-Stanca?- mi fece lui, avviando il motore.

-Distrutta!- confermai. Riaprii gli occhi e mi allacciai la cintura.

-Dai, tra poco sarai a casa e potrai crollare sul letto! Non ci metteremo molto.- mi assicurò.

-Non vedo l'ora!

Restammo qualche minuto in silenzio, e io riflettei un po' sulla conversazione di quella mattina con Ros: se volevo affrontare l'elefante nella stanza, quella sarebbe stata l'ultima occasione disponibile.

Presi un respiro profondo e iniziai. -Thomas, posso chiederti una cosa?

Lanciò un'occhiata veloce verso di me, prima di tornare a concentrarsi sulla strada. -Certo!

Lo guardai, indecisa sulle parole da usare. -Perché stai a perdere tempo con me? Io non sono nessuno! Di certo non valgo il tuo tempo.

Inarcò le sopracciglia, sorpreso da quella mia uscita. -Hai un'opinione così bassa di te stessa?

Scossi la testa. -Sono solo realista.

-Il mio tempo con te non è perso. Mi piace la tua compagnia: sei intelligente, divertente. Ed è tutto ciò che cerco nei miei amici. Quanto all'essere nessuno: non è vero! Tu sei Amelia, non sei nessuno per me!

Ero davvero lusingata. E un po' imbarazzata. -Amici allora?

-Amici!- confermò.

-Mi piace!- sorrisi soddisfatta.

-Posso fartela io una domanda, ora?

-Spara.

-Non ti ho sentita per tutta la settimana.

Oh-oh! -Questo è un dato di fatto, non una domanda.

Sospirò. -Perché non ti sei fatta sentire?

-Non volevo essere invadente.- gli risposi stringendomi nelle spalle.

-Non lo saresti stata.

-Beh, ora lo so. Comunque, io e il cellulare abbiamo un rapporto conflittuale.- cercai di riparare.

-Non era per colpa del mio lavoro, quindi.- Lo sapeva. Probabilmente ci era abituato.

Esitai. 'Gli amici non si mentono', mi sussurrò il mio inconscio.

-Forse un pochino.- ammisi.

Ci fu un momento di silenzio, in cui io continuai a studiare il suo volto in cerca di reazioni.

-Oltre ad essere un attore sono anche una persona normale.

-Lo so.- annuii.

-Lo so che lo sai, ma sembra che tu abbia paura lo stesso.- La sua voce rimaneva calma, ma sentivo un po' del dolore che provava trasparire.

-Puoi darmi torto?

Sospirò ancora. -No, hai ragione.

Gli sorrisi, cercando di tirargli su il morale. -Tranquillo, non sono una che scappa davanti agli ostacoli. Specialmente se si tratta dei miei amici.

Mi lanciò un'altra occhiata, rincuorato e sorridente. -Bene!

Quando arrivammo davanti a casa, accostò e spense il motore. -Beh, allora, che dire? Fai buon viaggio!

-Grazie. Di tutto. Prometto che mi faccio sentire, se lo fai anche tu.

Si portò una mano al cuore. -Promesso.

Mi slacciai la cintura e lui fece altrettanto mentre mi allungavo verso di lui per abbracciarlo. Ci stringemmo per un minuto buono.

-Lo sai che abbracci davvero bene?- gli feci, ancora stretta a lui.

Sogghignò, e sentii il suo petto sussultare appoggiato al mio. -Anche tu non te la cavi male.

-Mi piacciono gli abbracci. La gente non lo fa mai abbastanza!

-Hai proprio ragione!- fece lui.

Gli schioccai un bacio sulla guancia e mi allontanai. Mi tolsi la sua giacca, ringraziandolo ancora.

-Ci sentiamo presto allora!- aprii la portiera della macchina.

-Ci puoi giurare.

-Buona notte!

-Notte.

-Mandami un messaggio quando arrivi a casa, così so che non ti sei addormentato al volante e non ti sei andato a schiantare contro un lampione!- mi raccomandai. Era una cosa che facevo con tutti i miei amici, nessuna eccezione.

Rise. -D'accordo, mamma!

-Ciao!- Chiusi la portiera e appoggiai una mano al finestrino, in segno di saluto.

Lui riavviò il motore e ingranò la retromarcia. Lo guardai allontanarsi, poi mi avviai verso la porta di casa. In punta di piedi salii al piano di sopra. Arrivata in camera, afferrai il beauty case e il pigiama e scappai in bagno a struccarmi e cambiarmi.

Avevo messo il silenzioso al telefono, così aspettai un po', sdraiata sul materasso, l'arrivo del messaggio.

'Sono arrivato a casa, tutto intero. Buona notte!'

'Buona notte, Thomas.'

Spensi tutto e mi addormentai.

 

N.A.: lo so, lo so, ci ho messo un secolo. Devo ammettere che questo capitolo mi ha dato un po' di problemi, ma alla fine eccomi qui!

Ringrazio ancora tutti quelli che seguono questa piccola follia, e vi incoraggio a recensire.

Xx

E_SEE

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Chapter Eleven ***


Chapter Eleven

 

Ottobre.

 

-Ciao straniero!

-Ciao straniera!

Quello ormai era il nostro saluto. Negli ultimi mesi ci eravamo sentiti spesso, non sempre con chiamate, anzi, più spesso con messaggi fugaci. Era stato in Australia per un periodo, e il fuso orario era un gran problema.

Però, quando ci sentivamo, parlavamo di tutto: da che cosa avevamo mangiato a pranzo alla pace nel mondo. Beh, forse esagero, ma rende l'idea.

Quella sera stavo per andare a letto quando mi era suonato il cellulare. Mi stavo già preparando le bestemmie da scagliare contro il povero malcapitato che mi stava chiamando a mezzanotte passata, quando avevo visto il nome sul telefono: Thomas era una delle cinque persone autorizzate a chiamarmi a qualsiasi ora del giorno e della notte senza il rischio di essere ricoperte di insulti. Le altre erano, ovviamente, Ros, Tina, Asia e Luce. La mia famiglia...beh, forse anche loro, con le giuste motivazioni.

Fatto sta che, vedendo il suo nome sullo schermo, gli insulti che mi erano saliti in gola erano spariti in un batter d'occhio.

-Come va la tesi?- mi chiese subito.

Ahi, punto dolente. -Salvami, ti prego!- lo implorai in risposta, buttandomi sul letto a pancia in giù.

Rise. -Dai, non esagerare! Sono sicuro che non va così male.

Mugugnai nel cuscino. -Dillo al mio relatore!

-Che c'è ancora che non gli piace?- Lo avevo tenuto aggiornato sulla pedanteria del mio relatore che era arrivato a correggermi pure le virgole, pur di dirmi che qualcosa non andava.

-A quanto pare non sono abbastanza incisiva. Che cosa vuol dire, poi, secondo me non lo sa neanche lui.- risposi seccata, girandomi nel letto andando a fissare il soffitto, il telefono ancorato all'orecchio.

Sospirò. -Forza e coraggio, Amy. Forza e coraggio. A parte 'l'incisività', come sta andando, comunque? A che punto sei?

-Ho quasi finito, a dire il vero. Sono sicura che entro il mese prossimo finisco, incisività compresa. Anche perché se non me la accetta, gliela faccio mangiare! Sì, sì, ridi pure, ma vedrai!

-Guarda che secondo me lo fa per te: come passerai il tempo fino ad aprile se finisci così presto? Così invece almeno ti tieni occupata!- scherzò.

-Certo! Vedi cosa gli occupo io, se solo prova a rompermi le palle fino a febbraio! Perché a quel punto la dovrò consegnare.

-No, dai, vedrai che andrà bene.- cercò di consolarmi.

-Tu invece? Che fai?- spostai il discorso su di lui.

-Beh, sono tornato a Londra, finalmente.- affermò, contento.

-Alleluia, alleluia!- Sapevo quanto non vedesse l'ora di tornare e mettersi a lavoro. Un lavoro che non si limitasse a salutare e rilasciare interviste.

-Già. La settimana prossima c'è la premiere londinese di Thor, dopodiché comincio le prove per Coriolanus.

-Quand'è che aprite? A dicembre vero?

-Sì, inizio dicembre.- mi confermò.

-Non è un po' poco tempo per uno spettacolo di tre ore? Poco più di un mese!

-Nah, si può fare. Ho già conosciuto la compagnia: sono tutte persone serie, non ci saranno perdite di tempo. Le parti più laboriose saranno le coreografie per i combattimenti: nessuno vuole che ci caviamo un occhio a vicenda per sbaglio! E poi ovviamente ci sono gli aggiustamenti di regia, ma non dovremmo occupare più di due settimane per quelli, Josie ha già le idee molto chiare a riguardo. Sono ottimista.- ribatté, sicuro.

Sorrisi al soffitto. -E quando non lo sei?

-Mai e poi mai! Qualcuno deve pur bilanciare il tuo pessimismo, dopotutto. Dobbiamo portare equilibrio nell'universo!- mi punzecchiò.

-Io non sarò mai tanto pessimista come tu sei ottimista.

-Meglio così, allora.

Scossi la testa, sorridendo. Una telefonata con Thomas era come farsi una dose di ottimismo e allegria endovena. Lo invidiavo per questo.

-A parte il lavoro, comunque, come stai?- gli chiesi.

-Bene. Stanco, ma sto bene. Il jet lag ripetuto è un inferno, però. Credo che dormirò per i prossimi due giorni.- sospirò.

-Non riesco neanche a immaginare la confusione che cambi d'ora così grossi possano dare. Non ho mai fatto viaggi così lunghi, ma di certo questo non è un lato del viaggiare che ti invidio.

-E' il prezzo da pagare. Ma lo pago volentieri.

-Ci credo! Allora ti lascio andare a dormire, ora.- mi apprestai a salutarlo.

-Sì, ora mangio qualcosa e poi vado a letto. Luke mi ha lasciato una pizza in forno, fortunatamente, altrimenti avrei fatto la fame fino a domattina.

Luke, il suo agente, che faceva sempre anche più di quello per cui era pagato. Da come me ne parlava Tom era una di quelle persone che darebbero anche l'anima se solo gliela chiedessi.

-Oh, che perfetta donna di casa!- scherzai.

Rise.

-Buon appetito, allora. E buonanotte.

-Grazie. Buonanotte anche a te. E buona fortuna con 'l'incisività'.

Sbuffai.-Grazie. E a te per la premiere. Non ti ubriacare troppo!

Rise ancora e riattaccammo. Io spensi il telefono e lo posai sul comodino. Mi infilai sotto le coperte e mi addormentai.

 

Novembre

 

Era il giorno del mio compleanno. Ma non c'è riposo per i laureandi. Scrivevo, pensavo, facevo ricerche, riscrivevo. Un ciclo infinito. “Dio, no, fa che non sia infinito!”.

Ero china sui libri, il portatile davanti a me, quando sentii una macchina, no, un furgoncino, fermarsi davanti alla porta di casa di mia nonna, al piano di sopra. Sì, lo so, sembra strano, il piano a livello con la strada è anche il piano più alto della casa: il delirio di vivere in collina. Mi girai verso la seconda finestra di camera mia, sbirciando il furgone attraverso la tenda, pensando a chi poteva avere ordinato qualcosa da Amazon. Io no, ma probabilmente papà aveva trovato qualche nuovo oggettino strano per la sua macchina fotografica.

Il campanello di mia nonna squillò e sentii i suoi passi irregolari dirigersi verso l'ingresso e aprire la porta (alla faccia dell'isolamento acustico!).

-Grasie!!- fece al corriere con la sua voce “delicata”.

Sbattè la porta d'ingresso e aprì la porta delle scale che collegavano il suo appartamento al nostro.

-Amelia!!!!- urlò. La delicatezza fatta persona!

Sogghignando mi alzai e andai a vedere.

-Per te!- mi fece porgendomi il pacchetto.

-Per me? Io non ho ordinato niente.- risposi stranita. Lo osservai: veniva dal Regno Unito.

-E che ne so io! Il nome è il tuo!

-Grazie per l'osservazione.- commentai sarcastica.

Rise e continuò. -Magari è qualcuno che ti manda un regalo di compleanno!

-Ma sì!!- sbuffai. -E chi? E comunque me lo avrebbero detto.- ribattei, dubbiosa. Con le ragazze c'era un tacito accordo di 'niente regali', né a Natale né per i compleanni. E a tutte andava bene così: perdere tempo e denaro per scambiarsi cazzatine inutili solo per dire “ti ho fatto il regalo” non era nelle corde di nessuna di noi. Ed erano le uniche amiche che vivevano all'estero ad avere il mio indirizzo.

-Magari volevano farti una sorpresa, che ne sai!- ribatté mia nonna.

-Boh!...Grazie.- e mi apprestai a tornare di sotto.

-A proposito,- mi fermò lei. -auguri!

Sorrisi. -Grazie, nonna.

-Vieni a farti tirare le orecchie!!

-Nooo, non ci provare!- e scappai sopra la risata di mia nonna.

Tornata in camera mia mi sedetti alla scrivania e mi concentrai sul pacchetto: era sottile, non ingombrante, ma era stato spedito via corriere in posta prioritaria. E non era stata una cattiva idea, considerata la reputazione delle poste italiane. Nessun mittente. Curiosa più che mai, aprii. Dentro trovai solo tre foglietti in cartoncino e un foglio, più grande, piegato a metà. I cartoncini attirarono subito la mia attenzione: biglietti. Due erano biglietti aerei: Torino – Londra Stansted, andata per il 30 dicembre, ritorno per il 7 gennaio. Mi si spalancarono gli occhi dalla sorpresa. Deglutii e guardai il terzo biglietto. Questa volta gli occhi mi uscirono dalle orbite: 'Coriolanus', posto in prima fila, centrale per il 3 gennaio. Thomas! “Brutto figlio di buona donna!” pensai con un sorriso che andava da una tempia all'altra. Con le mani tremanti dall'eccitazione afferrai la lettera e la aprii.

 

Ciao straniera!

Spero che non ti dispiaccia se ho chiesto a Rossana il tuo indirizzo: volevo farti una sorpresa. Spero di esserci riuscito e che sia una bella sorpresa. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere passare capodanno a Londra, e sono SICURO che apprezzerai il biglietto per venire a vedere Coriolanus: tu stessa l'hai reso piuttosto ovvio quando ci siamo conosciuti.

Conto anche di aver scelto delle date per te comode, ma da quel che ho capito e che mi hai detto non avevi ancora niente di programmato per quel periodo, perciò incrocio le dita e spero di non aver fatto casini.

Buon compleanno, Amelia!

Con affetto,

-Tom

xx

 

Scossi la testa, incredula e commossa. Posai la lettera e andai a pescare il cellulare, sepolto sotto i libri. Lo chiamai. Lasciai squillare un po', ma non rispose. Guardai l'ora e pensai che probabilmente era a teatro che provava. Lasciai perdere. Avrebbe visto la chiamata persa quando avrebbe finito di lavorare. Mi rimisi a studiare. O almeno, ci provai.

 

Mi richiamò qualche ora dopo. Salvai il documento sul PC e risposi con il sorriso sulle labbra.

-Ciao pazzo scatenato che fa regali di compleanno decisamente fuori scala! E poi da quando tu e Ros siete pappa e ciccia?

-Non ti è piaciuto?

-Mmm, no- dissi con voce scherzosa, ma lo rassicurai subito. -E' fantastico, Thomas. Non dovevi!

-E invece sì. Sono contento che ti sia piaciuto. E non credere che sia un regalo totalmente disinteressato: tormentarti dal vivo sarà ancora meglio che per telefono.

-Ohh, e perché vorresti tormentarmi?

-Si chiamo scambio equo: tu tormenti me, io tormento te!

-Io non ti tormento!- protestai.

-E come lo chiami quello a proposito di Miranda?

-Ma come? Io lo faccio per te! Si chiama incoraggiamento! Tu mi hai detto che è interessante, io ti ho detto “Fatti sotto”!

Mugugnò. -Per un mese?

-Sei tu che hai la testa dura! Non è colpa mia! E continuo a pensare che dovresti invitarla a cena.- ribattei.

-Ecco, visto? Tormento!- fece lui fingendosi scocciato.

-Solo per il tuo bene, Thomas! Solo per il tuo bene. Così almeno smetti di farti le seghe.- aggiunsi con divertita nonchalance.

-AMELIA!!

Risi di gusto.

-E poi scusa, ma chi ti dice che abbia bisogno di ricorrere alla masturbazione?

Alzai un sopracciglio, sapendo già la risposta alla domanda che stavo per fare. -Stai andando a letto con qualcuno?

Esitò. -Può darsi...

-E' un no?- Conosco i miei polli.

Sospirò. -Ok, va bene, no.

-Appunto. Chiedi a Miranda di uscire!- ribadii. Quel ragazzo era davvero un testone!

-Lo sai, sei peggio di mia madre. Almeno lei non viene a mettere il becco nella mia vita sessuale! Si preoccupa solo di quella sentimentale.- si lamentò debolmente.

-Solo perché tua madre è una signora e la chiama sentimentale invece che sessuale.

-AMELIA!!

Risi ancora.

-Oddio, Amy, ora non sarò più in grado di guardare mia madre in faccia quando mi chiederà se ho conosciuto qualcuno!

Io mi stavo tenendo la pancia dalle risate.

-Sìii, tu ridi, brava! Perché tu invece non hai una serata libera tanti sono i ragazzi con cui esci!- mi punzecchiò lui.

Placai la mia risata per protestare. -Io sono chiusa in casa! Non è giusto!

-Tu ti chiudi in casa! E' una tua scelta. Potresti uscire. Divertirti, rimorchiare.

-L'unica cosa da rimorchiare da queste parti sono le auto in doppia fila.- commentai sardonica.

-Non ci credo!

-Credici. Davvero non vale la pena.

-Parli come se conoscessi tutti i ragazzi della zona uno per uno.

-Ne conosco abbastanza da sapere che non vale la pena conoscerne di più. Piuttosto esco con un orangotango.

Tom tornò un po' più serio. -Da quant'è che non hai una relazione, Amy? Penso di non avertelo mai chiesto.

Sospirai. -No, infatti. Dall'Erasmus.

-Uhh, amore da Erasmus. Che cliché, non ti facevo il tipo. L'amore non ha saputo resistere alla lontananza?

-A dire il vero temo che non abbia saputo resistere alla vicinanza. Abbiamo rotto prima che ripartissi.

-Come mai?- mi chiese, sinceramente interessato.

-Colpa mia: sono troppo scontrosa. I francesi invece sono tutto romanticismo. Ma mi ci vedi?

-Ehm, no. Decisamente no.

-Tu, invece?- rigirai la frittata. -A quanti secoli fa risale l'ultima sana scopata?

-Sei davvero incorreggibile!

-”Incorreggibile” è il mio secondo nome.- sorrisi.

Sapevo, dopo tutti quei mesi, che in realtà sotto quel primo strato da perfetto studentello di Cambridge, le mie prese in giro lo divertivano. E lui sapeva che non lo facevo per essere invadente: più di una volta si era tirato indietro dall'approfondire argomenti delicati, come la sua ex Susannah (delicatissimo!!) e io non lo avevo pressato, cambiando abilmente discorso. Come anche lui aveva capito che era meglio non insistere sull'argomento “ex-amiche andatesene affanculo”.

-Non mi hai ancora risposto, comunque.- gli feci notare.

-Mmm, qualche mese fa.

-Posso chiederti chi?

-Ehm, no.

-Ohhhh, sposata? Che ragazzaccio!- scherzai. -E' comunque ora di togliere le ragnatele, non trovi?

-Mmm, non so, sto bene così.- In effetti dal tono di voce sembrava piuttosto indifferente.

-D'accordo, Hiddleston, stai sulle tue. Ma fai attenzione, l'immagine del bel tenebroso irraggiungibile farà aizzare un mare sempre più immenso di fangirl. Io ti ho avvisato.

Rise. -Correrò il rischio.

-La scelta è tua.

Toccò a lui rigirare la frittata. -Allora, visto che dalle tue parti sembra che nessuno sia abbastanza valoroso da poter chiedere la tua mano di virginale pulzella...- Sbruffai sarcastica. -...quando verrai a Londra vedremo di trovarti il principe azzurro, che ne dici?

-Dico che è un'idea un po' del cazzo, ma perché no? Tanto non funzionerà.

-E viva l'ottimismo!- esclamò lui sarcastico e divertito.

-Vabbè, va, lasciamo perdere.

Poi mi ricordai una cosa. -A proposito di Londra, devo ricordarmi di avvisare Ros: di solito per Capodanno lei torna su. Così le chiedo se mi ospita.

-Non se ne parla.- saltò subito su lui. -Vieni a stare da me. Io ho una camera degli ospiti, così non devi dormire per terra. Sempre se ti va, ovviamente.- aggiunse alla fine.

Non lo negherò: ero sorpresa. E lusingata. Sapevo quanto tenesse ai suoi spazi. E che casa sua era il suo sancta sanctorum. In quei mesi avevo capito che abitava nei pressi di Primrose Hill non perché me lo avesse detto, anzi, era sempre stato molto attento a evitarlo, ma perché mi diceva che andava a correre al parco vicino a casa e che quando usciva a bere andava spesso a Camden, così da non dover prendere la macchina. Aggiungendo che poteva permetterselo, avevo fatto due più due.

Quando mi riscossi dalla sorpresa feci: -Oh, sì, ha senso. Letto batte materasso gonfiabile, senza dubbio...- Esitai. -Ma sei sicuro?

-Sì, perché?

-Beh, so quanto sacra consideri casa tua, non vorrei dissacrarla.- provai a metterla sul ridere.

Capì la mia esitazione. -Forse sta diventando anche troppo sacra, non trovi?

-Wow, Hiddleston, devo ammetterlo: sono sorpresa.

-”Sorprendente” il mio terzo nome.- scherzava, ma dalla sua voce traspariva un po' di imbarazzo, consapevole del proprio grande passo.

-E quale sarebbe il secondo?

-William.

-Thomas William Hiddleston.- provai a sentire come suonava. Ero sicura che avrei potuto trovarlo facilmente su Wikipedia in quei mesi, ma mi ero imposta di non fare ricerche su di lui: non si googla un amico, si chiama.

-Thomas William “Sorprendente” Hiddleston.- mi corresse.

-Oh già, scusa, dimenticavo.- sorrisi.

Cadde il silenzio per trenta secondi buoni.

-Grazie.- feci poi io, commossa. Per l'ospitalità; per lasciarmi entrare; per l'amicizia. Perché mi sopporti mentre ti tormento. Perché mi tormenti. Quel 'Grazie' ne conteneva altri mille che però ero troppo testarda per esternare.

-Prego.- replicò calmo lui.

Dopo però ci riscosse entrambi. -Devo tornare dentro, pausa finita.

-Certo, vai. Buon lavoro.- gli augurai.

-Amelia?

-Sì?

-Buon compleanno!

Sorrisi. -Grazie Thomas.

Riattaccammo.

 

 

N.A.: *si nasconde sotto la scrivania in attesa dei pomodori marci in arrivo*. Lo so. Perdonatemi. Ho avuto cose, poi altre cose, poi cose ancora. Insomma, eccomi qui. E con la prospettiva di questi mesi mi sono resa conto che certe cose non mi piacciono. Perciò, mentre cerco di aggiornare proverò anche a modificare un po' i capitoli precedenti. Non preoccupatevi, comunque, se non avete voglia di andarveli a recuperare volta per volta: la storia non cambia, cercherò solo di scriverli meglio. Non assicuro la riuscita. Ma dopotutto, è una fanfiction, non mi aspetto il Premio Strega.

Spero che non mi odiate troppo.

Xx

Eowyn

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Chapter Twelve ***


Chapter Twelve

 

N.A. Questo è un capitolo da “illuminazione sotto la doccia”, ecco perché lo sto postando a così poca distanza dall'ultimo. Non era assolutamente programmato! Vedetelo come una continuazione del capitolo undici. Spero che vi piaccia. (Una recensione fa sempre piacere ;) )

Eowyn

 

SEMPRE NOVEMBRE

 

Arrivata la fine del mese avevo le orecchie che fumavano. Volevo uscire. Dovevo uscire. Andare da qualche parte. Ovunque tranne che a casa, almeno per una sera. Io e le mie amiche del liceo eravamo solite andare al cinema e poi a mangiare al ristorante cinese che si trovava vicino alla stazione ferroviaria. Con il passare degli anni, le amiche si erano ridotte a l'amica. Singolare. Una, Cecilia, era andata a lavorare lontano da casa, ma ci sentivamo ancora; l'altra, Alessandra, invece si era trovata il ragazzo il primo anno di università e aveva messo bene in chiaro che preferiva passare il tempo libero con lui piuttosto che con noi. Tutto il tempo libero. Non si faceva sentire da quattro anni.

Perciò un pomeriggio presi il cellulare e mandai un messaggio all'amica superstite, Erika.

“Cinema-cinese?”

Mi rispose quasi subito. “Sìii, che danno?”

Boh, e che ne so?, pensai. Ero diventata una tale cavernicola che non mi informavo neanche più sui film che uscivano. Shame on me! Così chiusi la chat e andai a controllare sul sito dei cinema della mia zona. Double shame on me!! Come potevo essermelo dimenticato? Amica ingrata che non sono altro! Era uscito Thor!

Feci subito lo screenshot della locandina e degli orari di trasmissione e lo mandai a Erika.

“Sìii! Quello, quello!” scrisse subito lei. Come me era una grande fan di Loki.

“Primo spettacolo?”

“Perfetto. Ci vediamo lì.” concluse.

Posai felice il telefono e andai in cucina da mia madre.

-Mamma, questa sera prendo la macchina.- la avvertii.

Lei alzò gli occhi dal tagliere su cui stava affettando delle zucchine e mi chiese: -Dove vai?

Alzai gli occhi al cielo. -A battere in via Germanasca.- le risposi sarcastica.

Dovetti scansare il fulmine che mi lanciò dagli occhi: mia madre era peggio di Thor e Superman messi assieme.

-Al cinema.- dissi con fare ovvio.

-Con chi?

Mi caddero le braccia. -No, ma seriamente?

Mi guardò innocente. -Sto solo chiedendo. Che c'è di male?- si difese.

-Con Erika.- risposi con una smorfia esasperata.

-Cosa andate a vedere?- Ma che, davèro?

-Hai finito con il terzo grado? Tanto anche se ti dico il titolo tu non sai cos'è!

Si arrese. -Ok! Scusa! Quanto sei suscettibile!

Vabbè!

 

Per le sette partii di casa così da arrivare con un po' d'anticipo e riuscire a prendere i posti migliori: era la prima settimana dall'uscita del film e prevedevo una folla di ragazzini e di genitori che avrebbero sgomitato per prendersi i “nostri” posti. Quando arrivai Erika mi stava già aspettando.

-Ciao!- la salutai catturando la sua attenzione.

-Hey! Come va?

La abbracciai. -Bene ora. Non vedevo l'ora di uscire di casa. Tu tutto a posto?

-Sì, alla grande. I corsi della magistrale sono un po' noiosi, ma si fa quel che si può.- mi rispose.

Sorrisi comprensiva. -Tieni duro. Pensa al Giappone.

-Eh, lo so. Sto già iniziando a informarmi un po' su che lavori offrono là. Vedremo. Tu invece, scrivi la tesi?

Sbuffai. -Sì. Fortunatamente ho quasi finito, sto scrivendo le conclusioni. Dopodiché, poltrirò fino ad aprile.

Rise. -Forse è meglio di no.- Poi aggiunse. -Programmi per dopo la laurea?

Mi strinsi nelle spalle. -Credo che proverò a cercare un lavoro a Londra, in qualche teatro. Mi accontento anche di portare caffè al regista. Ho bisogno di fare esperienza.

-Per portare caffè?- scherzò.

-Ah, ah! No, per stare nell'ambiente. Mi va bene qualsiasi cosa, davvero.

-E poi anche portare caffè è una nobile professione.

-Infatti.

Ci avviammo dentro il cinema sghignazzando. Comprammo i biglietti, ci procurammo una dignitosa dose di pop-corn ed entrammo in sala. Ci zittimmo solo quando le luci si spensero.

-Oh, Loki, Loki!- mi sussurrò, eccitata dalla prospettiva.

Io trattenni una risata colpevole. Lei non sapeva ancora di Thomas. Meglio dirglielo a film concluso.

Ridemmo tanto. Il film era fantastico da tutti i punti di vista. Tom era stato perfetto, e non solo lui. Ovviamente, da fan accanite dei film Marvel quali eravamo, restammo fino alla fine dei titoli di coda, aspettando la scena finale. Quando uscimmo ridevamo ancora ripensando alle scene più divertenti.

Prendemmo la mia macchina e andammo insieme al ristorante. Mentre aspettavamo l'ordine Erika mi disse: -Comunque, il vero protagonista di questo film era Loki. E' innegabile.- Risi. -Anzi, sai che ti dico? Dammi il tuo biglietto.

La guardai stranita e feci quel che mi diceva. Tirò fuori anche il suo, insieme a una penna. Poi prese entrambi i biglietti, sbarrò il nome di Thor e sotto scrisse “Loki”. “Loki: The Dark World”.

-Ok, ora va meglio.- commentò soddisfatta.

Guardai divertita quella correzione. Ora non potevo non dirglielo! Ma come?

Beh, intanto dovevo assolutamente mandare a Thomas una foto di quei biglietti, così tirai fuori il telefono.

-Aspetta,- dissi a Kay che mi stava porgendo il mio. -devo assolutamente farli vedere a un amico. Prendili in mano, ti faccio la foto.

-No, dai!- protestò, sempre restia a farsi fotografare. -La faccio io a te!

-No, no! Così capisce che ci sono andata con qualcuno e non da sola due volte. Dai! Usa i biglietti per coprirti la faccia se proprio vuoi nasconderti.

-Uffa!- si rassegnò. -Ok.

Si coprì in modo da lasciare liberi solo gli occhi e io scattai la foto, stando attenta a mettere a fuoco le scritte sui biglietti.

-Ok, va bene. Fatto.- la avvertii inviando l'immagine.

-Oh, bene!- rispose sollevata.

-La fai sembrare come se ti avessi torturata!

Mise il broncio. -E' così!

-Ohh, esagerata!- la rimbrottai.

-Ma a chi l'hai mandata quella foto?- chiese curiosa.

Inspirai a fondo. -A...- Come dirglielo senza sembrare assurda? Fortunatamente Thomas mi venne in aiuto. Mi suonò il cellulare e quando controllai il messaggio mi trovai davanti a una sua foto in posa da rockettaro. Aveva una faccia assurda! Scoppia a ridere fragorosamente, poi girai il telefono verso Erika e dissi: -A lui!

Ci mise un attimo a capire chi fosse, ma quando ci riuscì spalancò gli occhi dallo stupore.

-Lui...- balbettò.

-Sì.- confermai, mentre ancora ridevo.

-Tu...

-Già.

-Nooo! Non è possibile! Oddio! No, non può essere!- esclamò portandosi le mani alla bocca.

-E' lui.-. Confermai ancora mentre cercavo di controllare le risate.

-No, mi stai prendendo in giro! Non è possibile!- insistette.

-Ti giuro che è vero!

A quel punto mi prese il cellulare dalle mani per esaminare meglio l'immagine.

-Noo!- continuò a ripetere.

-Aspetta,- le feci. -dammi un attimo che gli rispondo.

Me lo passò con la faccia sconvolta. Mentre lei cercava di realizzare e metabolizzare i fatti, io scrissi all'improvvisato rockettaro.

“Che faccia da scemo! :'D”

Quando inviai Erika mi sequestrò di nuovo il telefono, riprendendo a fissare la fotografia, ancora in fase di negazione.

-Oh, ti ha risposto.- mi avvisò dopo un attimo.

-Che dice?

-Dice: “Will you stay up all night to get Loki?” e poi una faccina che fa l'occhiolino.- lesse. [la canzone originale dice 'get lucky']

-Oddio! Che freddura da inglese!- commentai divertita. Mi ripresi il cellulare e gli scrissi: “Allora non è solo la faccia: sei scemo proprio! >D”. Mi rispose con una emoticon dalla linguaccia ammiccante.

Intanto era arrivato il cameriere con i nostri piatti ed Erika stava iniziando a riprendersi dallo shock.

-Ma...come? Com'è possibile che tu lo conosca? Quando?- iniziò ad interrogarmi, passando piano piano alla fase d'accettazione.

Allora presi a raccontarle di Reiss e del mio ballo improvvisato, fino alla sua richiesta di essere amici, che io avevo felicemente accettato.

-Da allora ci sentiamo spesso.- conclusi. -E lascia che ti dica: sarà anche un sex symbol, ma è un idiota fatto e finito, come hai potuto notare.

Le scappò una risata. -E' assurdo!

-Lo so ma...non so, ormai mi sembra normale. Come se avessi...umanizzato quello che prima era solo un'immagine su uno schermo. Un'idea. Ecco, sì, ho umanizzato un'idea. E quindi non mi sembra più troppo assurdo. Come se- abbassai la voce. -Tom Hiddleston fosse solo un qualcosa di appartenente al mondo platonico delle idee, separato da quello che per me è diventato solo...Thomas.

-Thomas.- mi fece eco Kay.

-Sì, Thomas. Semplicemente un amico con un lavoro da sballo.

-E bello da morire.- aggiunse.

Alzai gli occhi al cielo. -Sì, anche quello. Ma sai, questi mesi di amicizia a distanza sono stati molto utili. Mi hanno permesso di lasciare da parte quell'aspetto e vederlo per l'idiota che è davvero.- scherzai. -Non so se mi spiego.

Lei era pensosa. -Sì, ha senso.

Poi aggiunsi: -E' una bella persona, ma il suo fisico non c'entra niente.

-Sembra che tu ti stia innamorando.- commentò sarcastica.

-No! No, no.- risposi seria. -E' diverso. Provo per lui esattamente quello che provo per te e per gli altri miei amici. Detesterei sapere che c'è qualcosa di romantico tra di noi. E' così banale!

-Il romanticismo?

-Sì.- mi strinsi nelle spalle e mi concentrai sul piatto.

Mi sentii addosso lo sguardo pungente di Erika. -Sai, Amy, credo che tu sia l'unica persona al mondo a pensare che una relazione romantica con Tom Hiddleston possa essere banale.

Rialzai lo sguardo su di lei. -Sì, è probabile.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Chapter Thirteen ***


Chapter Thirteen

 

N.A.: Buongiorno, lettrici! Rieccomi con un capitolo appena sfornato pronto per voi. Spero che sia divertente da leggere quanto lo è stato da scrivere. Fatemi sapere!

 

 

E alla fine il 30 dicembre arrivò. I miei genitori, ancora sconvolti dal fatto che qualcuno mi avesse per davvero regalato dei biglietti aerei (come me d'altronde), mi accompagnarono in macchina all'aeroporto di Caselle. Avevo il volo alle 19.05, perciò eravamo dovuti partire di casa alle 16.30 per poter arrivare con un po' di anticipo rispetto alla chiusura dell'imbarco. Un viaggio in aereo era sempre un'Odissea!

Dopo tutte le varie raccomandazioni di rito (“Scrivici quando atterri”, “Scrivici quando arrivi a casa”, “Metti la maglia di lana”) li salutai e superai i controlli, solo per poi venire fermata all'ispezione: mi ero dimenticata di togliermi il fermaglio per capelli. Di nuovo.

Dopo essersi assicurati che non fossi una terrorista ma solo una povera imbecille con problemi di memoria a breve termine mi lasciarono andare, ed entrai nel duty free. Come al solito neanche mi guardai attorno. Se c'è una cosa che non capirò mai, è perché una persona sana di mente dovrebbe aspettare di essere in aeroporto per comprarsi una valigia di Prada, pagandola pure il doppio. Boh. Illuminatemi!

Arrivata finalmente alla fine dei negozi chic, cercai però un bar per comprarmi una bottiglia d'acqua e qualcosa da mangiare poi in aereo. Compiuta la missione cibo, non persi altro tempo e mi avviai verso il gate, dove mi sedetti, e aspettai. E aspettai. E aspettai.

Dopo mezz'ora ci annunciarono: -C'è stato un piccolo imprevisto che ha causato 30 minuti di ritardo...- Ma dai! Non ce ne eravamo accorti! -L'imbarco sta per iniziare. Vi preghiamo di formare una fila ordinata in attesa del controllo. Ci scusiamo per il disagio.

Alla fine, con 40 minuti di ritardo rispetto all'orario previsto, l'aereo decollò.

Ero d'accordo con Thomas che, dato che lui quella sera lavorava, il suo agente Luke, anche se a quel punto io l'avrei chiamato il suo “tuttofare”, sarebbe venuto a prendermi alla stazione di Baker Street. Tom aveva provato a convincermi a farmi venire a prendere direttamente in aeroporto, ma io avevo obbiettato che non avrei mai costretto un povero innocente a farsi tre ore di macchina (una e mezza andare e altrettante a tornare) solo perché prendere l'autobus pareva troppo proletario. Lui aveva riso, ma si era arreso, dandomi però per sicurezza il numero del suddetto povero cristo in caso ci fossero stati imprevisti. Così, prima di decollare, mandai a Luke un messaggio per informarlo del ritardo.

Non appena fummo in quota recuperai la mia cena dalla borsa, guadagnandomi un'occhiataccia da una hostess, evidentemente offesa che non avessi comprato nulla da lei. Finito di mangiare, provai a sonnecchiare un po', senza riuscirci, ma limitandomi a tenere gli occhi chiusi nella speranza di riuscire ad appisolarmi. Di certo i miei vicini di posto non aiutavano: ora dell'atterraggio sapevo tutto del cane di uno, Attila, e dei tre gatti dell'altro: Maltese, Caligola ed Ettore. Ma perché proprio a me?! Sempre meglio, comunque, della tipa che cercava di vendere articoli sessuali per telefono che avevo trovato una volta sul Torino-Milano!

Arrivata a Stansted almeno fui più fortunata: riuscii a prendere all'ultimo minuto l'autobus che mi avrebbe portata in centro, risparmiandomi mezz'ora d'attesa per il successivo.

Novanta minuti dopo venivo scaricata a Baker Street, a pochi passi dalla stazione della metropolitana. L'autista mi aiutò a recuperare il mio trolley, poi ripartì e io iniziai a guardarmi intorno in cerca di Luke: peccato che neanche sapessi che faccia avesse!

-Amy!- mi sentii chiamare d'un tratto. Mi girai. Un ragazzo alto e biondo (perché sono tutti alti e biondi da queste parti?) veniva a lunghi passi verso di me.

-Sei tu Amy, vero?- mi chiese quando fu abbastanza vicino.

-Sì, presente! Tu devi essere Luke.

Mi allungò la mano. -Sì, piacere di conoscerti.

-Piacere mio.- replicai stringendogliela.

Era un ragazzo davvero carino, dai tratti tipicamente britannici e dalle movenze vagamente...moderne. Alla Oscar Wilde, per intenderci. E sembrava decisamente più giovane di quanto sapevo fosse in realtà. Già mi stava simpatico.

-Vieni,- mi disse. -ho lasciato la macchina qui vicino. Vuoi darmi la valigia?

-No, tranquillo. E' leggera.- lo rassicurai.

-D'accordo. Andiamo. E' andato bene il viaggio, a parte il ritardo?

-Sì, bene. Non sono tanto riuscita a dormire, ma recupererò stanotte.

Arrivammo in fretta alla macchina, quindi infilammo la mia valigia nel portabagagli e partimmo.

-A quanto pare ti devo un favore.- mi disse lui d'un tratto.

Lo guardai confusa. -Ah sì? Per cosa?

-Mi hai risparmiato tre ore di macchina fino a Stansted.- mi ricordò sorridente.

-Oh, Thomas te lo ha detto?- feci io stupita. E continuai. -Guarda, è già tanto che tu mi sia venuto a prendere fin qui, perciò sono io a doverti un favore. Grazie davvero.

-Ma figurati.

La macchina tornò silenziosa per un momento.

-Posso farti una domanda un po' brutale?- mi chiese lui infine.

Sollevai le sopracciglia, sorpresa da quella richiesta. -E brutale sia!- acconsentii.

-Non vorrei che la prendessi male,- iniziò cauto. -ma non è che stai usando Tom per qualche strano, sordido motivo?

Beh, dal suo agente c'era da aspettarsi una domanda del genere. Non la presi male.

-Intendi pubblicità, soldi e potere?- chiesi ironica.

-Ehm, sì, per esempio.

Tornai seria. -No, Luke. Te lo giuro.- promisi.

-Sei sicura?- mi domandò lui, ancora dubbioso.

-Sì. Ma se mai dovesse capitare hai il mio permesso di prendermi a racchettate in faccia. E se vuoi te lo metto nero su bianco.

Rise. -Spero che non ce ne sia bisogno. Non l'hai presa male, vero?

-No, tranquillo. L'ho presa come se vedessi un professionista che cerca di difendere gli interessi del suo cliente. E amico, mi sembra di poter aggiungere.

Annuì. -Ne sono felice.

Tornai a guardare fuori dal finestrino.

-Sai Luke, penso che dovresti farti dare un aumento.

Rise ancora. -Tranquilla: già fatto.

 

Quando arrivammo a destinazione, onestamente, non avevo un'idea precisa su dove mi trovassi. L'unica cosa che sapevo era che dopo un po' di strade e stradine dalle case tutte uguali, ci eravamo fermati. E grazie al cazzo! Se mi scusate il francesismo.

Una cosa certa era che mi trovavo nei quartieri alti. Era una piccola strada senza uscita, anche se in fondo mi sembrava di intravedere un sentiero e una grande distesa d'erba. Quando Tom diceva che abitava vicino al parco, intendeva davvero VICINO, ma il “ho gli scoiattoli che mi entrano in casa perché credono che sia la loro” tipo di 'vicino'.

Scendemmo dalla macchina. Luke prese il mio bagaglio dal baule e si avviò verso una delle villette a schiera. Io, borsa in spalla, lo seguii in silenzio, guardandomi attorno: erano tipiche villette vittoriane, finestra esagonale e tutto il resto. Con il buio, di più non riuscivo a vedere.

Saliti i pochi gradini davanti alla porta d'ingresso, Luke ripescò le chiavi dalle tasche e la aprì. Riprese la mia valigia ed entrò tenendomi la porta. Entrai a mia volta e me la chiusi alle spalle mentre lui accendeva la luce.

Era una casa semplice e piuttosto spartana, ma accogliente. Superato il piccolo ingresso, vidi aprirsi alla mia sinistra un grande spazio in cui riuscivo a vedere il salotto e la sala da pranzo. Davanti a me, una rampa di scale.

-Se hai fame la cucina è di là.- Luke mi indicò un punto oltre il tavolo da pranzo. -Tom mi a detto di riferirti di non farti problemi e saccheggiare pure il frigorifero.

Ridacchiai. -Ok. Grazie.

-Vieni, ti mostro la camera. Potresti solo toglierti le scarpe? C'è la moquette di sopra.- mi chiese, facendolo a sua volta.

-Certo, nessun problema. A essere onesta non vedevo l'ora!- Mi tolsi gli stivaletti e li presi in mano.

Luke mi precedette dirigendosi verso una delle porte di fronte alle scale. Entrò accendendo la luce e posò la mia valigia accanto al letto matrimoniale.

-Ecco qui, tutto tuo.- mi mostrò. -Qui a destra c'è il bagno. Ha un'altra porta che dà sul corridoio, perciò ricordati di chiuderla quando sei dentro. In ogni caso Tom ha il suo, quindi non dovrebbero esserci grossi problemi. Nella cassettiera laggiù dovrebbero esserci degli altri asciugamani. Beh, penso sia tutto.- concluse.

-Grazie mille, Luke. Sei stato davvero gentilissimo.- gli sorrisi. Poi mi scappò un sbadiglio, che cercai di coprire con una mano.

-Non c'è di che. Ti lascio andare a letto, allora.- fece uscendo dalla stanza. -Tom dovrebbe tornare tra un'ora circa, dipende da quanto lo trattengono fuori dal teatro.- mi informò.

-Magari lo aspetto allora.

-E' stato un piacere conoscerti. La prossima volta che ci vediamo vedrò di ricordarmi di portare la liberatoria a proposito delle racchettate in faccia.- scherzò.

Risi di gusto. -Bravo, ricordati. E' stato un piacere anche per me.- gli dissi allungandogli la mano. Me la strinse augurandomi la buonanotte. Poi scese la scale, si rimise le scarpe e uscì.

Ritornando in camera mi tolsi sciarpa e cappotto, appendendoli a uno dei ganci vicino alla porta insieme alla borsa, che avevo in precedenza posato sul letto. Mi diressi poi verso la valigia e la aprii, recuperando spazzolino e dentifricio prima di entrare nel piccolo bagno. Quando ne uscii decisi di andare ad aspettare Thomas in salotto, così afferrai il libro che mi ero portata dietro e mi avviai fuori dalla stanza. Prima di scendere le scale notai una porta davanti alla mia, che immaginai essere la camera di Tom, e un'altra scala che portava al piano di sopra. Trattenni la mia curiosità e andai di sotto. Esplorai velocemente la cucina e sbirciai nel giardino buio dalla portafinestra prima di andare al sedermi sul divano accendendo una piccola lampada al suo fianco, e iniziai a leggere.

 

Mi svegliai al tocco di una mano sulla mia spalla. Aprii piano gli occhi, strizzandoli alla luce dell'abat-jour. Per un attimo rimasi spaesata, non riconoscendo il posto dove mi trovavo, poi ricordai, e mi girai verso la presenza che sentivo alla mia sinistra.

-Buongiorno, bella addormentata.- mi sorrise Thomas, accarezzandomi ancora la spalla.

-Hey, ciao.- sussurrai io di rimando, la voce impastata dal sonno.

-Come stai?- mi chiese.

-Bene. Volevo aspettarti sveglia. Temo di aver fallito miseramente.

Ridacchiò sottovoce. -Temo anch'io.

-Tu come stai?- domandai io, riappropriandomi lentamente delle mie facoltà mentali e tirandomi a sedere.

-Sto bene, grazie. Come è andato il viaggio?

-Non male. Siamo partiti in ritardo, ma il vento ci ha fatto riguadagnare un po'. Sei sicuro di star bene?- Aveva uno strano sguardo negli occhi: sembrava preoccupato, pensoso e sollevato, tutto in una volta.

-Sì, sì, non ti preoccupare. La stanchezza. Tre ore di spettacolo sono dure.- cercò di rassicurarmi. Ma si notava lontano un miglio che era una scusa.

-Ehi, signor grande attore, guarda che a me non la dai a bere. Che ti è successo?

Sospirò la sua sconfitta. -C'era Freddie allo spettacolo.

Spalancai gli occhi sorpresa. -L'amico del matrimonio?

Annuì.

-E...?

-Abbiamo parlato.

-E...? Dai, Thomas, non fartelo tirare fuori con le pinze. E' andato tutto bene?

-Beh, è stata una conversazione civile.

-E' un passo avanti!- commentai. -E perché sei comunque così preoccupato?

Accennò un sorriso. -Non ti sfugge mai niente, eh?

-Spero di no!- risposi ironica. Gli posai una mano sull'avambraccio. -Hey, che c'è?

Esitò, ma poi si rassegnò. -E' che ho paura che prima o poi farò di nuovo qualcosa di stupido ed egoista, e lo perderò di nuovo. E se non sarà lui, sarà qualcun altro.

Lo guardai con tenerezza. -Vieni qui.- Mi inginocchiai sul divano e lo abbracciai forte. Lui ricambiò la stretta con altrettanta forza, nascondendo il viso nell'incavo della mia spalla.

-Non ti posso promettere che non accadrà, ma la vita prosegue. E' così che funziona. Spero che tu non perda mai più nessuno, ma certe volte è inevitabile. Sai, è vero quello che dicono: certe volte per andare avanti bisogna lasciarsi qualcosa indietro. Non sai quanti amici ho perso anche io negli anni! E' doloroso, lo so, ma poi passa. Questo ovviamente non toglie che, se puoi, dovresti sistemare le cose con Freddie.

Dopo un attimo, Tom si girò a guardarmi negli occhi. -Da quando sei così saggia?

Feci una smorfia indifferente. -Ho i miei momenti buoni.

Ridacchiò, stringendomi ancora fermamente prima di allentare l'abbraccio e posarmi la fronte sulla spalla.

-Letto. Dormire.- mugugnò.

Sorrisi. -Forza, straniero! La mia spalla non è un cuscino!- lo incitai ad alzarsi. Si tirò in piedi mollemente.

Lo seguii al piano di sopra e stavo per entrare nella camera degli ospiti, augurandogli la buonanotte, quando mi disse: -Sono contento che tu sia qui.

Sorrisi ancora. -Anch'io. E a proposito, grazie per averlo reso possibile.

-L'ho fatto per ragioni puramente egoistiche.

-E allora vedi che l'egoismo non è sempre così cattivo?

Inclinò la testa. -No, ma è uno di quei prodotti con l'etichetta “usare con moderazione”.

Accennai una risata. -Buonanotte, Thomas.

-Buonanotte.

 

Quando la mattina dopo scesi di sotto, ancora in maglietta e pantaloni della tuta, Tom era già sveglio e stava facendo colazione seduto su uno degli sgabelli della cucina. Sentendomi arrivare, si girò sorridente. -Buongiorno.

-Buongio-oo-orno.- feci io sbadigliando.

Sogghignò divertito. -Dormito bene?

-Mmm- annuii avvicinandomi. -Benissimo, grazie. Tu?

-Abbastanza.- indicò la mia maglietta. -Proud to be a nerd, eh?

-Always and forever.- replicai. -Me l'hanno regalata delle mie amiche, ma mi sta larga.

-Vedo. Hai fame?

-Un po', sì- ammisi.

-Cosa mangi di solito?- mi chiese alzandosi.

-Di solito tè e biscotti.

-Ottimo, c'è tutto.

Afferrò il kettle, mise a bollire dell'acqua e prese una tazza. -Che tè ti piace?

-Hai l'Earl Grey?- domandai andandomi a sedere sul secondo sgabello.

-Sì, ecco qui. Latte? Zucchero?

-Zucchero. Tre cucchiaini.

Mi guardò di sbieco. -Ti verrà il diabete.- scherzò.

Ridacchiai. -Già, è probabile.

Versò l'acqua e mi porse la tazza.

-Grazie.

Poi andò ad aprire un'antina e ritornò con dei Digestive al cioccolato.

-Oh, li adoro! Mi sono mancati tanto! Oh, venite dalla mamma!

Thomas rise, tornando a sedersi al mio fianco. -Non li trovi in Italia?

-No, quelli al cioccolato no.

Mi misi a sorseggiare il tè e mentre lo osservavo finire le sue uova mi accorsi di una cosa a cui la sera prima, nella penombra, non avevo fatto caso.

-Ti sei tinto i capelli!- Ora erano decisamente più biondi.

Si passò istintivamente una mano tra le ciocche corte. -In realtà, questo è il mio colore naturale.

Allungai una mano ad accarezzare a mia volta il ciuffo sparato all'insù sopra la fronte. -Peccato, mi piacevano rossi.- Ritirando la mano aggiunsi: -Perché allora hai le sopracciglia e la barba rosse?

Alzò le spalle. -Mistero della fede. Comunque meglio così: i capelli rossi mi fanno sembrare un pastore scozzese.

-E che c'è di male? E poi, ti assicuro che eri molto più sexy prima.- affermai con nonchalance.

Avvampò fino alle orecchie. Ne risi. -Quando smetterai di arrossire quando qualcuno ti fa un complimento, Mr Sex Symbol?

Se possibile, arrossì ancora di più. -E' che io proprio non la capisco questa storia del “sex symbol”.

-Devo farti un disegnino?- lo presi in giro.

-Ah-ah. No, seriamente! Non sono così bello. Non mi sono mai considerato brutto, ma, insomma, nella norma.

-La bellezza sta negli occhi di chi guarda, non lo sai?

Sbuffò.

Lo squadrai mentre iniziavo a sgranocchiare un biscotto.

-In effetti no, non sei COSI' bello.- dissi con indifferenza.

Alzò di nuovo gli occhi su di me, con l'aria di chi ha trovato un'alleata. -Vero?

-Beh, no. Prima di tutto sei troppo alto, il che è un insulto a noi poveri cristi che non superiamo il metro e sessanta.

Lui rise e io continuai. -Hai le orecchie un po' a sventola tipiche di voi inglesi, ma in effetti compensano perché hai il viso sottile.

Per niente offeso, lui mi guardava divertito mentre continuavo a elencare i suoi difetti. -Hai le sopracciglia buffe, non si riesce bene a capire che forma abbiano, probabilmente perché sei riccio. Hai le labbra troppo sottili e il tuo naso pende a destra. Ah, e dovresti dire ai tuoi occhi di decidersi: ogni volta che ti vedo hanno un colore diverso. E' irritante.- Feci una pausa, sorseggiando serafica il mio tè. Poi conclusi. -Ma alla fine, l'insieme non è niente male.

Mentre tornavo a concentrarmi sulla mia colazione, Tom rimase a fissarmi, sconcertato e divertito. Solo in un secondo momento decise di commentare. -Sai, sei la prima persona dopo tanto tempo, escluse le mie sorelle che invece non hanno mai smesso, a dirmi una cosa del genere. Mi sento una persona normale adesso!

Lo guardai sorridente. -Quando vuoi.

Mi rivolse un sorriso malefico. -Ora però mi sento in dovere di ricambiare.

-Ok.- gli concessi. -Fatti sotto. Sii brutale.- Ero perfettamente a conoscenza dei miei difetti e dei miei punti di forza e, una volta superata l'adolescenza, li avevo superati senza problemi.

Prese a osservarmi, concentrato.

-Per cominciare, sei troppo bassa.

-Ok, dimmi qualcosa che non so.

-Mmm, vediamo. Hai il naso troppo appuntito e le labbra leggermente troppo sporgenti. Se ti tiri su i capelli, come adesso, il tuo viso è un po' troppo tondo e i tuoi occhi sono allungati, il che, da lontano, li fa sembrare troppo piccoli. Hai le sopracciglia più corte del normale e anche tu dovresti fare un discorsetto ai tuoi capelli visto che non si riesce a capire se sono neri, castani o ramati.

-Bravo, ottimo osservatore!- mi congratulai.

-Ma nell'insieme non sei niente male.- aggiunse.

-Oh, quanto sei tenero.- commentai.

Ridacchiò alzandosi dallo sgabello. -Quando vuoi.- Mi si avvicinò e mi posò un bacio sulla tempia. Poi prese il suo piatto vuoto e andò a metterlo in lavastoviglie insieme alla sua tazza.

-Comunque ti sei dimenticato l'erre moscia e la fessura tra i denti. Anche se devo ammettere che ormai non si nota quasi più: da bambina sì che avevo una finestra lì in mezzo!

-Erre moscia?- domandò confuso.

-Ah, giusto.- mi resi conto. -In inglese non si sente. Beh, sì. In italiano non riesco a pronunciare la erre correttamente. Involontariamente la faccio suonare un po' alla francese. Nessuno sa perché: a parte mia sorella non ci sono precedenti in famiglia.

-Interessante.

Ripresi a sorseggiare il mio tè.

-Allora, che vuoi fare oggi? Ultimo giorno dell'anno!- fece poi appoggiandosi con gli avambracci sul bancone della cucina.

Mi strinsi nelle spalle. -Non lo so... Beh, come prima cosa vorrei vedere Rossana: non esiste che la lasci sola a Capodanno.

-Già messo in conto. Le ho mandato io stesso un messaggio per chiederle se aveva da fare oggi. Ha detto che fanno una festa questo pomeriggio nel suo ufficio, ma per le 18 dovrebbe riuscire a liberarsi. Possiamo andarla a recuperare.

Lo fissai a bocca aperta. -Com'è che ne sai più tu di cosa fa Ros di quanto ne sappia io?

Rise. -Le ho mandato un messaggio.- ripeté.

-Anch'io! Sono profondamente offesa, sai?

Rise ancora del mio broncio. -Allora, che vuoi fare nell'attesa?- mi incalzò.

-Boh, non lo so. Non mi viene in mente nulla? Tu hai voglia di uscire?

-A dire il vero non molta. Soprattutto se penso che faremo nottata.

-Cos'hai in mente per stasera?- gli domandai curiosa.

-Se vuoi, Ben ci ha invitati a festeggiare da lui. Gli ho detto che ti avrei chiesto, sapendo che avresti voluto stare con Rossana. Così lui ha invitato anche lei. Ma forse volete festeggiare con i tuoi ex coinquilini.

-Mmm, in realtà forse quella non è una grande idea. Asia e Tina non ci sono, e so per certo che gli altri danno il peggio di sé a Capodanno. E parlo solo di quelli che conosco ancora in quella casa.

-E Luce?- chiese ancora.

-Voglio un mondo di bene a Luce, ma ho una sincera paura di scoprire cosa farà lei questa sera, conoscendo i precedenti. Sempre che non lavori, il che a dir la verità significherebbe solo che si ubriacherà a merda gratis invece che a pagamento. Se posso azzardare un'ipotesi, vagherà in giro per Soho insieme ai suoi colleghi fino alle sette e poi andrà in qualche parco a vedere l'alba.

Rise. -Ok, forse è meglio evitare. Venite con me allora?

-A me va bene. E probabilmente anche a Ros. Dopo le mando un messaggio per conferma.

-D'accordo allora. Da quello che mi ha detto Ben, ci sarà della gente che sarai felice di conoscere.

Posai di scatto la tazza. Oddio! -Quanto felice?

Sogghignò. -Molto felice!

-Il che vuol dire per niente felice!

Mi guardò confuso. -Perché?

Assunsi una voce minacciosa avvicinando il viso al suo. -Perché la figura di merda è sempre dietro l'angolo! E' lì, in agguato, pronta a prenderti alla sprovvista nei momenti meno opportuni. Tu sei lì, tranquillo, che parli...e poi...ZAAN!: hai fatto una figura di merda!

Thomas mi fissò immobile per una decina di secondi, poi scoppiò a ridere fragorosamente. Lo guardai sbellicarsi finendo il mio tè.

-Ce ne metti di impegno per inventarti queste cavolate, vero?- mi chiese tra le risa.

Cercai di rimanere impassibile. -E' una cosa che prendo molto seriamente, sì.

Quando riuscì più o meno a smettere di ridere, indicando la mia tazza mi chiese: -Hai finito?

-Oh, sì. Grazie.

Mentre riponeva anche quella in lavastoviglie mi disse: -Non abbiamo ancora deciso cosa fare fino a stasera.

Scesi dallo sgabello. -Beh, dal momento che nessuno dei due ha voglia di uscire, direi che ci rimane poca altra scelta.

-Ti va un film?

-Ma che domande sono? A me va SEMPRE un film.- scherzai in risposta.

-Ok, aggiudicato. Prima però voglio farti vedere una cosa. Vieni.- mi tese la mano.

-Oh, così mi incuriosisci, Hiddleston.- replicai afferrandogliela.

-Sono sicuro che ti piacerà.

Mi trascinò al piano di sopra, e poi ancora più su, salendo per la scala che avevo notato la sera prima. Mi ritrovai in una stanza molto luminosa grazie a un'intera parete di finestre, mentre un'altra era...tappezzata di libri! Un mare di libri! Oh. Mio. Dio!

Scossi la testa sconcertata. -No, non puoi farmi questo! Tu non puoi prendere una ragazza il cui cartone preferito da bambina era “La Bella e la Bestia” e semplicemente portarla nella tua biblioteca personale! E' illegale! Assolutamente contro ogni regola sulla sicurezza domestica! Avrei potuto avere un infarto!

Lui ridacchiò. -Beh, non l'hai avuto, fortunatamente.

-Non lo sai, potrebbe essere in corso!

-Terrò vicino il telefono allora, in caso debba chiamare l'ambulanza.- replicò divertito.

-Ecco, bravo. Dio, ma li hai letti tutti?- chiesi avvicinandomi alla libreria.

-Non tutti tutti, ma quasi. Gli ultimi in fondo sono quelli che ho comprato ma devo ancora leggere.- mi rispose.

-Cavolo, Thomas. Sei la seconda persona con più libri che io abbia mai conosciuto!- esclamai.

-E chi è la prima?- domandò curioso.

Mi voltai a guardarlo. -Mio nonno. Anche se non è corretto dire che l'ho conosciuto visto che è morto cinque anni prima che io nascessi. Il giorno di Natale.

-Mi dispiace.- disse lui con compassione.

-Non ti preoccupare.- lo tranquillizzai. -Mi sarebbe piaciuto conoscerlo, però. Aveva una stanza in cui collezionava qualsiasi cosa: centinaia di libri, centinaia di dischi e CD. Una volta io e mia sorella provammo a fare un inventario, ma dopo una settimana rinunciammo. Su ogni scaffale c'erano due, se non tre file di libri. Una cosa assurda!

-Era un intellettuale?

-Un fabbro.

Sorrise. -E ora che fine hanno fatto tutti quei libri?

-Sono ancora lì, e lì resteranno finché mia nonna resiste. Dopodiché mia madre vorrà vendere la casa, ma non credo che venderà anche i libri. Sono un ricordo del nonno, dopotutto.

Ritornai a concentrarmi sui titoli. -Wow, Thomas, qui c'è roba in latino e greco! Eschilo, Sofocle, Plauto e Terenzio, ovviamente. Questo non mi stupisce. Apuleio, Platone, Aristotele, Catullo, Petronio! Davvero? Petronio?

Si strinse nelle spalle. -Sì, beh, è divertente.

-E volgare.

-Senti chi parla!

Lo guardai storto. -Fottiti.

-Appunto!- sghignazzò.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Chapter Fourteen ***


Chapter Fourteen

 

N.A.: Questo capitolo è stato un parto lungo e doloroso: l'ho riscritto almeno un paio di volte. Spero vi piaccia.

E per chi sta iniziando a farsi delle domande, rispondo, riprendendo la citazione nella descrizione: Dante è uscito dall'Inferno.

Buona lettura!

Xx

Eowyn

 

 

Continuai a scorrere i titoli, molti dei quali non conoscevo o avevo solo sentito nominare. Avevo sempre amato leggere ma soprattutto negli ultimi anni, in cui i miei gusti in fatto di letteratura si erano notevolmente raffinati, non avevo avuto molto tempo per leggere libri che non fossero quelli da portare agli esami, e me ne rammaricavo. D'altro canto, però, proprio i libri d'esame avevano contribuito a raffinare i miei gusti.

Nella libreria di Thomas trovai anche molti libri moderni, ma la presenza più massiccia era quella dei classici, d'ogni genere e lingua: oltre alla letteratura antica, spiccavano letteratura inglese e americana, francese, spagnola e russa. Aveva addirittura una copia della Divina Commedia e pareva apprezzare molto Pirandello e Leopardi.

-Questa bruciala!- gli dissi indicando la Commedia.

Mi guardò stranito. -Perché?

-Me l'hanno fatta studiare tre volte! Non la posso più vedere. Resusciterei Dante solo per poterlo ammazzare di schiaffi. Lui e quella stronza di Beatrice. Se gliela avesse data ci saremmo risparmiati un gran supplizio. Noi in Italia, almeno.

Rise. -E' un'opera fantastica, Amy, non dovresti denigrarla.-provò a farmi cambiare idea.

-Non lo nego, né nego l'importanza che ha avuto per la lingua italiana, anche se poi nel lungo termine ha vinto Machiavelli, ma prova a studiarla per intero per tre volte di fila, scuole medie, superiori e università. Fidati, in Italia se non odi Dante non sei normale.

-Beh, noi studiamo Shakespeare così, ma non è così odiato.- osservò lui.

-Con Shakespeare non devi stare lì due ore per capire cosa vuol dire un verso. Lui scriveva per farsi capire dal popolo, Dante scriveva per non farsi capire dall'aristocrazia. E' pieno di frecciatine criptiche ai nobili.

-Io ne ho letto gran parte, non mi è sembrato così difficile.

-Il potere della traduzione!

Me lo concesse.

-Da dove ti arriva questa grande passione per i classici, me lo spieghi?- gli chiesi d'un tratto.

Lui per tutto il tempo era rimasto a osservarmi a distanza. Si strinse nelle spalle. -Mi piacciono le storie ben raccontate. E poi era l'unica cosa che sapevo fare bene, a scuola. A mio padre sarebbe piaciuto che seguissi le sue orme ma sono un disastro in matematica, immagina in fisica!

-E' un fisico?- chiesi stupita.

Annuì.

-Quanto un disastro?

-Peggio di quanto tu possa mai immaginare!- mi assicurò.

Ridacchiai.

-Beh, ma avresti potuto scegliere, che so, letteratura inglese. Tu sei andato a complicarti la vita con le lingue morte.

Sorrise chinando il capo. Ci pensò un attimo, poi prese a raccontarmi. -Anche mia madre è sempre stata un'appassionata di letteratura antica. Al punto che, quando fummo abbastanza grandi da capire cosa ci leggeva, come favole della buonanotte iniziò a leggerci i miti greci. Mi sono poi reso conto che non ci leggeva gli originali ma solo versioni ridotte, dal linguaggio semplificato e opportunamente censurate, ovviamente. Specialmente in certi casi.- sorrise al pensiero. Lo imitai. -Ma in quel momento io non lo sapevo. Lei diceva che quelle storie erano state scritte migliaia di anni fa e in una lingua che ora non parla più nessuno, non perché nessuno la sa più, ma perché è considerata così potente che nessuno osa più usarla. E rimasi talmente affascinato da quella cosa che volevo assolutamente sapere come potevano suonare quelle storie già potenti di per sé in una lingua altrettanto potente. E perché poi lo era? Come era fatta? Perché nessuno osava usarla più?

-Era un mistero da risolvere.- compresi. Già me lo immaginavo, il piccolo Tom a scervellarsi sul mistero della lingua.

-Già. E me lo sono portato dietro per tutti questi anni. Anche quando ho capito che in realtà nessuno la usava più perché era un inferno da imparare.- rise di sé.

-Ma tu sei troppo testardo per desistere.- scherzai, convinta però di ciò che dicevo.

-Sì, proprio così.- confermò infatti lui.

Ripresi a guardarmi intorno. Sulla parete opposta alla grande finestra faceva bella mostra di sé una grande porta scorrevole a cui prima non avevo fatto caso, troppo presa dalla libreria.

-Cosa c'è di là?- chiesi indicandola.

-Oh,- vi si diresse e la fece scorrere di lato. -una piccola palestra, se così si può chiamare. Nel caso non riesca ad andare a correre fuori.

Mi avvicinai a mia volta: c'era un tapis roulant , qualche peso e...

-Un tavolo da ping pong?- lo guardai scettica.

-Beh, sono un appassionato di tennis, ma non posso certo portarmi a casa un campo da tennis. Questa è la versione casalinga.- si giustificò. -Sai giocare?- mi chiese speranzoso.

-Non riuscirei a colpire la palla nemmeno se me la incollassi alla racchetta.- fu la risposta.

-E' sempre un buon giorno per imparare!- disse spingendomi verso il tavolino.

-Oh, no, per favore. Risparmiami quest'umiliazione!- lo pregai.

Rise. -Guarda che sono un ottimo insegnante.

-Anche gli ottimi insegnanti hanno bisogno di materia prima da modellare. Qui di materia prima proprio non ce n'è.- ribattei.

-Nah, non ci credo. Dai, tieni.- disse porgendomi la racchetta. La presi esitante. -L'unica cosa che ti serve sono dei buoni riflessi. Nient'altro.

-Io ce li ho, dei buoni riflessi. Solo che non so estenderli a qualcosa più in là del mio corpo.

-Forza, con un po' di pazienza si può fare tutto!- mi incoraggiò ottimista.

Devo riconoscerlo: ce la mise tutta. Ma alla trecentesima volta che o non beccavo la pallina, o non riuscire a centrare il campo, anche lui si arrese.

-Ok, sei davvero un caso disperato.- ammise.

-Io ti avevo avvisato!

-Ma non credere che sia finita qui.- mi minacciò. -Arriverà il giorno in cui riuscirò a insegnarti a giocare come una professionista.

-Ma non è questo il giorno!- scherzai.

Mi guardò storto, ma un sorriso affiorava dalle sue labbra.

-Allora?- cambiai discorso. -Prima di questa imbarazzante tortura avevamo detto film, no?

Sospirò, arrendendosi. -Sì!

Tornammo alla libreria, dove in un angolo teneva anche una discreta collezione di DVD. Finimmo per scegliere “Basta che Funzioni” di Woody Allen.

-Che tipo è?- gli chiesi.

-Woody Allen? Beh, non è che abbia avuto molto tempo per riuscire a farmi un'idea precisa, ma mi è sembrato parecchio eccentrico e sicuro di sé. La cosa più bella, però, quando si tratta di registi/attori, non solo lui ma in generale, è che sanno pienamente di cosa stanno parlando quando ti chiedono di fare qualcosa. E non ti chiederebbero mai di fare qualcosa che loro stessi non sarebbero mai in grado di fare.

Scendemmo di nuovo le scale e andammo a sistemarci in salotto. Io mi accomodai sul divano mentre Thomas inseriva il DVD nel lettore e lo faceva partire. Si venne a sedere sul divano, stravaccandosi bene a gambe larghe. Accanto a lui io mi raggomitolai abbracciandomi un ginocchio.

Finito il film era passata da un po' l'ora di pranzo. Lo aiutai a cucinare una pasta veloce e senza pretese, riprendendo a chiacchierare animatamente. Quando finimmo di mangiare tornammo al divano, dove io mi accomodai di traverso per riuscire a guardarlo in faccia. Lui si sedette ai miei piedi all'estremità opposta del divano.

Mi raccontò di come stavano andando le cose a teatro. Mi disse che una sera si era spaventato un po' quando una donna aveva cercato di salire sul palco, ma era stata prontamente fermata dalla sicurezza prima di riuscire nel suo intento. Grazie a Dio! Certo che ce n'erano di pazzi in giro!

Mi raccontò del suo Natale: erano andati tutti a pranzo da sua madre, lui, sua sorella Emma e anche sua sorella Sarah, appositamente tornata dall'India per passare il Natale in famiglia. Dai suoi occhi traspariva ancora la felicità che aveva provato nel rivederla. Suo padre, come al solito pareva, non si era unito a loro, cercando di riparare con una misera telefonata. Nonostante cercasse di mostrarsi indifferente e distaccato mentre lo diceva, era evidente che era rimasto deluso. La naturale delusione di un figlio nei confronti di un padre poco presente.

A quel punto aveva cercato di cambiare discorso, rovesciando la domanda su di me e chiedendomi del mio Natale. Che era stato il solito, pazzo 'Natale in casa Stefani': cena della vigilia a base di polenta e baccalà, la mia nonna veneta non ci dava scampo, e poi pranzo di Natale, sempre tutti insieme. Niente di troppo speciale.

Mandai un messaggio a Rossana per chiederle conferma a proposito della festa. Come previsto accettò volentieri l'offerta, chiedendoci però di darle un po' più di tempo per poter tornare a casa, darsi una lavata e cambiarsi. Saremmo andati a prenderla verso le 20.30.

Intorno alle 18.30 anche io dissi a Thomas, alzandomi. -Vado a farmi una doccia, prima di uscire.

-Certo, vai pure. Tra un attimo vado a farmela anch'io. Tanto sicuramente ci metto molto meno di te.- mi prese in giro.

Gli feci la linguaccia. -Posso solo chiederti in prestito un asciugacapelli? Io di solito non me li asciugo, ma uscire con i capelli bagnati con questo freddo potrebbe non rivelarsi la più saggia delle decisioni.

-Sì, concordo.- disse alzandosi a sua volta. -Vieni che te lo do.

Salimmo le scale e lui aprì la porta di camera sua, diretto verso il suo bagno. Io, non sentendomi a mio agio ad entrare, lo aspettai sulla soglia. Come il resto della casa, anche la camera era priva di fronzoli e gingilli inutili. Mi chiesi se questo non dipendesse anche dal fatto che era spesso in viaggio e non riuscisse a trovare il tempo di riempirla. A parte l'ultimo piano, con la libreria, l'unico segno davvero personale erano le fotografie della sua famiglia su una mensola del salotto.

Tornò in fretta con il phon. Lo ringraziai ed andai a lavarmi. Uscita dalla doccia mi asciugai in fretta i capelli, ragionando su cosa indossare. Avendo conosciuto Benedict, dubitavo che ci fosse un dress code di qualche tipo, e poi di vestiti eleganti non ne avevo preso neanche uno, facendo invece spazio ai maglioni. Alla fine mi decisi su un paio di pantaloni a sigaretta bordeaux e una lunga maglia di cotone pesante un po' svasata che però, con la sua apertura a goccia sulla schiena che partiva dalla nuca e mi arrivava alla cintura, faceva il suo effetto. Evitai di truccarmi troppo gli occhi sapendo che durante la serata mi sarebbe sceso, e puntai tutto sulle labbra con un rossetto in tinta con i pantaloni che sapevo avrebbe resistito tutta la serata e oltre: facevo fatica a togliermelo anche con lo struccante, ma in quel caso era perfetto.

Dopodiché presi borsa, giacca, sciarpa e stivaletti e scesi di sotto, andando ad appoggiare il tutto vicino al divano. Tom si era già cambiato (jeans, camicia e cardigan) e stava, seduto al tavolo da pranzo, controllando con il portatile le notizie sul sito del Guardian. Si girò sentendomi arrivare.

Lo vidi squadrarmi da capo a piedi e poi emettere un fischio. -Su chi vuoi fare colpo?

Mi avvicinai ricambiando innocente lo sguardo. -Lo hai detto tu che mi avresti trovato il principe azzurro, ricordi? Non sarò Cenerentola ma sono sicura che tu sarai una splendida Fata Madrina.- lo presi in giro.

Stette al gioco. Si batté una mano sulla fronte. -Accidenti, ho portato ieri la bacchetta magica a fare il collaudo. Mi sa che il negozio adesso è chiuso, però. Temo che dovremo farne a meno.

Mi finsi delusa. -Che peccato! Ci tenevo tanto alla carrozza!

-Ah, per quello non ti preoccupare: la metropolitana ne ha quante ne vuoi!

Ridemmo insieme. Poi lui mi disse: -A proposito di metropolitana. Io questa sera non ho per niente voglia di guidare. Ti dispiace se usiamo quella?

-Per niente. Tanto è Capodanno, dovrebbe essere aperta per tutta la notte.

-Sì, ho controllato.- confermò.

Alzai le spalle. -Allora non c'è nessun problema. E tu potrai bere quanto vuoi.

Fece un sorriso colpevole. -Quello era uno dei miei obiettivi.

Inarcai un sopracciglio. -Dovrò trascinarti a casa per le caviglie, Hiddleston?

-Non posso prometterti il contrario.

Sogghignai. -D'accordo, straniero. Che fermate ci sono qui vicino?

-Swiss Cottage, che ci porta direttamente a Willesden. L'altra opzione è Chalk Farm, ma nel nostro caso è inutile.

-Beh, dipende. Potremmo anche prendere la Northern, cambiare a King's Cross prendendo la Metropolitan o la Circle fino a Baker Street e finalmente salire sulla Jubilee che, passando da Swiss Cottage, ci porterà fino a Willesden. Oppure continuare con la Metropolitan fino a Finchley e cambiare lì con la Jubilee. Così, tanto per fare dei giri a vuoto!- scherzai.

-Vedo che ti manca parecchio la metropolitana londinese!- commentò sardonico.

-Da morirci dentro!- risposi ridendo.

Dopo esserci imbacuccati per bene (io almeno. A quanto pareva a lui bastava l'aura inglese per proteggerlo dal freddo, visto che girava a cappotto aperto.), uscimmo e lo seguii fino alla suddetta stazione di Swiss Cottage. Prima di entrare mi fermai a caricare la Oyster.

Saliti sul treno un pensiero mi colpì all'improvviso: cosa sarebbe successo se qualcuno si fosse accorto di Tom e ci avesse fatto una foto insieme? Risposta: un gran casino. Beh, forse non così grande ma facilmente risolvibile con il passare del tempo, ma sinceramente non ci tenevo. Mi guardai attorno in cerca di segnali sospetti. Thomas percepì la mia tensione e provò a tranquillizzarmi. -Non ti preoccupare, sono già tutti abbastanza ubriachi da non fare caso a noi.

Gli rivolsi un sorriso teso.

-Tranquilla, davvero. Avessi creduto che qualcuno avrebbe potuto infastidirci, avrei chiamato un taxi. Sono un esperto, ormai, nell'evitare intromissioni nella mia vita privata. E so bene che tu invece non ci sei abituata.

Annuii, decidendo di fidarmi. -D'accordo.

In effetti tutti coloro che salirono nella nostra carrozza erano troppo occupati a pensare ai loro progetti per quella serata per badare a noi. E dopotutto, non era la prima volta che andavamo in giro insieme. Chissà come mai le altre volte non ci avevo mai pensato!

Scesi a Willesden mi offrì il braccio e ci incamminammo verso casa Sheldon. Ci venne ad aprire Cisco. -Amy! Che sorpresa! Non sapevo che fossi tornata!- disse sporgendosi per abbracciarmi.

-Solo per pochi giorni.

Staccandosi vide Thomas. -Oh, tu sei...ehm...Tom, vero? Quello della festa di agosto.

L'interessato annuì e gli porse la mano. -Piacere di rivederti.

-Anche per me.- rispose Cisco. -Ma venite, venite dentro. Si gela qua fuori.

Chiudendo la porta dietro di noi ci chiese: -Volete fermarvi a festeggiare, stasera?

-No, ci siamo già organizzati. Ma grazie per l'offerta. Siamo venuti a prelevare Ros e poi andiamo.

In tutta risposta un grido si levò dal piano di sopra. -Amy!!

Guardai in su, vedendo Rossana che correva giù dalle scale. Le corsi incontro, fermandomi sul pianerottolo per abbracciarla stretta. Avevo le lacrime agli occhi dalla felicità.

-Sono davvero contenta che tu sia venuta.- mi disse infine lasciandomi andare.

-Anch'io. Ma ringrazia il pazzo laggiù.- ribattei indicando Thomas. -E' tutta colpa sua.

Ros sorrise girandosi verso di lui. -Ciao “pazzo laggiù”. Sono contenta di rivederti. Come va?

Le rivolse un sorriso a sua volta. -Tutto bene. Tu?

-A posto. Grazie per avercela riportata.- fece indicandomi.

-Il piacere è tutto mio! Ne sarebbe valsa la pena anche solo per vedere le smorfie che fa quando gioca a ping pong.- mi derise.

Gli lanciai un'occhiata prima di spiegare a Rossana. -Mi ha costretta a giocare a ping pong, oggi. Anche se “giocare” in questo caso mi sembra una parolona.

Lei sogghignò e poi disse: -Sentite, fatemi solo prendere giacca e borsa e poi possiamo andare.

La aspettammo di sotto, poi salutammo Francisco, augurandogli buon anno, e uscimmo.

-Dov'è che fa la festa il tuo amico?- chiese d'un tratto Ros.

-Oh, giusto. A casa sua ad Hampsted.- rispose Thomas.

-Bene, è vicino. Avevo paura di dover attraversare tutta la città per riuscire a tornare a casa!

 

Venne ad aprirci Benedict. -Benvenuti! Entrate, prego. Tom, è bello rivederti, amico.- gli fece abbracciandolo, dopo aver chiuso la porta dietro di noi.

-Sono contento anch'io, Ben. Grazie per l'invito.

-Figurati. Era più che dovuto. Amy!- si girò verso di me. -Non mi aspettavo di rivederti così presto.- si chinò a darmi una piccola stretta.

-Sinceramente neanche io. Ma sono felice di essere qui. Ti presento la mia amica Rossana. Ros, lui è Benedict.

-Piacere di conoscerti, Benedict.- sorrise lei tendendogli la mano. -E grazie per aver invitato anche me.

-Il piacere è tutto mio.- E si piego a farle il baciamano. Ellallà! Inutile dire che Ros arrossì fino all'inverosimile.

Vicino a me, Thomas rise. -Attento amico. Guarda che è fidanzata!

Ritornando in posizione eretta lui le fece un occhiolino scherzoso e rispose: -Non avevo alcun dubbio!

Tom scosse la testa esasperato.

Ben lasciò la mano di Rossana e ci accompagnò in una stanza al piano di sopra dove avremmo potuto lasciare i cappotti. Poi ci fece strada di nuovo di sotto conducendoci nel grande salotto che dava sul giardino. Una festosa musica di sottofondo aleggiava nell'aria, in parte coperta dal chiacchiericcio creato dalla dozzina di persone che occupavano la stanza, bevendo e mangiano stuzzichini. E sì, alcuni erano volti noti. Sentii il fiato freddo della figura di merda sfiorarmi il collo. Inspirai a fondo mentre Ben ci presentava ai suoi amici.

-Gente, credo che tutti voi conosciate Tom, anche se non di persona. E queste sono le sue amiche Amy e Rossana.

Sorrisi educatamente montando la mia faccia di bronzo. “Avanti, Stefani! Contegno!”

Poi Ben si rivolse a noi, iniziando a presentarci gli altri invitati. -Loro sono Jeff, Paul e Jean- ci indicò un trio sulla destra. -miei ex colleghi ai tempi dell'università, e i loro compagni, Leslie, Lucie e Oliver. Immagino che conosciate Martin [Freeman!], Amanda [Abbington!], Mark [Gatiss!] e suo marito Ian.

Ros probabilmente no, o magari solo di faccia, per caso, ma io sicuramente sì! -Ehm, di vista. Giusto un po'.- provai a ironizzare.

Gli interessati, insieme a Ben e Tom, che tentava di contenersi, sghignazzarono. Poi Ben concluse: -Mentre loro sono Sophie, una collega e amica, e mio cugino Jack.

Anche loro alzarono la mano in segno di saluto.

-Gli ultimi che vi voglio presentare sono Mr Tavolo Del Buffet e Mrs Tavolo Degli Alcolici, laggiù.- E, con un tono da pubblicità, aggiunse: -Bevete responsabilmente.

Scoppiammo tutti a ridere.

Le chiacchierare ripresero. Thomas si avvicinò a Mark dicendogli scherzoso: -Oh, Mark, quanto tempo che non ci vediamo!

-Eh, lo so!- gli rispose lui con leggerezza. -Venti ore senza di me devono essere state uno strazio!- Poi si girò verso me e Ros dicendo: -E' un piacere conoscervi. Rossana, giusto?

Lei sorrise. -Sì, piacere.- disse stringendogli la mano.

-Mentre tu sei la famosa Amy!

Lanciai un'occhiata a Tom, che in quel momento si stava per niente sospettosamente dondolando sui talloni, prima di chiedere. -Famosa? Ah sì? E da quando?

-Da quando lui scoppia a ridere tutte le volte che guarda il telefono.- mi rispose indicando il nostro accompagnatore. -Devi essere una persona molto divertente.

Sogghignai. -No, è l'amico Fritz qui che ha la risata facile. Che ci posso fare?

-Su questo non posso darti torto.- ridacchiò.

Dopo un attimo ci scusammo e andammo verso i Mr e Mrs Tavoli per prendere qualcosa da mangiare e da bere. Thomas non faceva altro che guardarmi di sottecchi trattenendo un sorriso divertito.

-Che c'è?- gli chiesi quando arrivammo alla nostra destinazione.

Lasciò finalmente andare la risata. -Stavo ripensando al tuo discorso di questa mattina sulla brutte figure.

-Sarebbe?- chiese Ros interessata, versandosi il punch.

-Che nel momento in cui incontri i tuoi idoli finisci inevitabilmente di fare una gran figura di merda senza neanche rendertene conto.- le spiegai.

-Ah, sì! Sono d'accordo al 100%!

-Questa mattina l'ha messa un po' diversamente, ma sì, il succo era quello. Vedi che sta andando tutto bene, però?

-La serata è appena iniziata.

Mentre eravamo lì che mangiucchiavamo e bevevamo si avvicinò a noi la donna che Benedict aveva presentato come Sophie.

-Ciao Tom! Che bello rivederti. Quanto tempo!- gli disse sporgendosi per un abbraccio.

-E' bello anche per me rivederti. Ben non mi aveva detto che c'eri.- fece lui stringendola delicatamente.

-No, beh, è stata una cosa un po' all'ultimo.- si voltò poi verso di noi. -Amy e Rossana, vero? Piacere, Sophie.

-E' un piacere anche per noi.- dicemmo io e Ros stringendole la mano. Chiacchierammo con Sophie a lungo, anche quando Tom si allontanò per salutare gli altri. Era una donna molto simpatica e intelligente con cui fare conversazione risultava davvero facile. Chiacchierando ci spostammo vicino alla portafinestra. A un certo punto entrammo nell'argomento lingue: scoprimmo che lei parlava sia italiano che francese, ma Ros batteva tutte a mani basse visto che ne sapeva quattro, quasi cinque.

-Tu invece?- mi chiese Sophie.

-Esattamente come te: italiano, francese e inglese. Cambia solo la madrelingua.

-Vinco io, non c'è storia.- si vantò Rossana.

-Tu però bari.- la accusai. -Sei bilingue di nascita.

-No es mi culpa.- alzò le mani in sua difesa.

Guardai il mio bicchiere vuoto. -Vado a prendermi da bere. Volete qualcosa?

-No, grazie. A posto.- mi assicurarono.

Andai verso i tavoli. Sgranocchiai un paio di tartine, un po' per fame, un po' per non rischiare il coma etilico, e poi mi versai un po' di punch. Mentre lo facevo sentii la musica alzarsi di volume e, girandomi, vidi Ben che invitava Sophie a ballare. Avendo perso la compagna di chiacchierate, Ros venne verso di me.

-E' cotto.- mi disse.

-Eh?- chiesi, presa alla sprovvista.

-Benedict! E' cotto perso di Sophie.- chiarì.

-Dici?

-Guardalo.

Lo guardai. In effetti sembrava abbastanza preso. -Mi sa che hai ragione.

Intanto anche Martin e Tom si stavano avvicinando al tavolo del rinfresco.

-Ehi, ragazze. Tutto bene?- chiese quest'ultimo (Tom, non il tavolo del rinfresco. Non facciamo confusione!)

-Sì, stavamo giusto notando che il vostro amico Benedict sembra proprio cotto a puntino.- rispose Ros indicando la coppia che ballava.

Martin, che nel frattempo si era versato da bere, quasi si strozzò con il suo whisky dal ridere. Mentre lui si riprendeva, Thomas, ridendo a sua volta sotto i baffi, disse. -Lo so. E' anni che le gironzola intorno come una mosca al miele. E neanche lei gli è indifferente. Ormai è solo questione di tempo.

-Io e Amanda stiamo scommettendo.- aggiunse Martin tutto rosso. -Secondo lei si sposano entro l'anno. Io gliene do due.

-Beh, parlare di matrimonio pare un po' esagerato, non trovi?- commentai io.

Lui scosse la testa. -Non conosci Ben. Quando si mette in testa una cosa magari ci mette un po' a farla, in questo caso anni!, ma quando si decide la fa per bene. Probabilmente sta già pensando a che cravatta indossare.

Scoppiammo a ridere.

-E quanto state scommettendo?- domandò Thomas.

-Tre mesi di pulizie di casa.

Ridemmo ancora più forte.

Attirato dalle risate, quello che avevo capito essere il cugino di Benedict, Jack, si avvicinò. Pensai che doveva avere giusto qualche anno più di me, non molti però.

-Ciao.- ci salutò.

-Ciao a te.- ricambiammo.

-Benedict mi aveva detto che eri in Francia. Sei tornato definitivamente?- gli chiese Martin.

-No, torno a Parigi il mese prossimo. Sono tornato solo per le feste.- rispose lui versandosi da bere.

-Parigi?- chiesi io. -Ci ho passato l'Erasmus, sai?

-Davvero? Come l'hai trovata?

Dire “sulla mappa” sarebbe stato troppo scortese, vero? Già, me ne resi conto. “Ok, non lo dico, non lo dico”.

-Bellissima e caotica.- gli risposi invece sorridente. -Preferisco Londra però. Anche se devo ammettere che Parigi ha le migliori discoteche.

-Non me ne parlare! Il lunedì mattina ho sempre selle occhiaie terribili per colpa loro! Quand'è che ci sei stata?- domandò.

-Da settembre dell'anno scorso fino ad aprile.

-Allora sicuramente conoscerai una canzone. La danno in tutte le discoteche dall'anno scorso.

-Parli di “Tous le memes”?- In effetti sì, l'avevano data in tutte le discoteche per dei mesi. Era spopolata talmente che avevano addirittura inventato i passi ufficiali.

-Proprio quella.- confermò.

-Certo, la ballavo sempre con i miei amici. Ci divertivamo un mondo.- dissi tornando con la mente a quei giorni. A volte mi mancavano.

-Ti ricordi ancora i passi?

Lo guardai sospettosa. -Certo.

Mi offrì la mano. -Mi concede questo ballo, miss?

Esitai un attimo: era un ballo a tratti sensuale. La canzone era un mix strano e bellissimo di elettronico e accenni di tempo di tango, non il tipo di canzone che di solito avrei ballato con il primo che capitava. Ma ero un po' brilla, e l'Erasmus era un mio punto debole, perciò alla fine dissi: -Volentieri.

Lui si allontanò un secondo per attaccare il telefono allo stereo e io mi raccolsi i capelli. Quando la canzone partì, tornò indietro e mi accompagnò al centro della stanza. Gli sorrisi e iniziammo a ballare.

Alla fine avevo l'adrenalina a mille e un fiatone da paura. Ringraziai Jack e tornai sorridente verso il tavolo. -Ho bisogno di bere!- annunciai.

Tom e Martin mi guardavano a occhi sbarrati, come immaginavo anche molti altri nella stanza. Ros invece commentò: -Ma guarda che cagna la Stefani!

Ridemmo tutti.

-Che cosa non si impara in Erasmus!- replicai io.

Decisi di andare un attimo fuori a prendere aria. Per fortuna prima del giardino vero e proprio c'era una piccola veranda chiusa, a mo' di serra. Faceva fresco ma non tanto quanto fuori, così non sarei stata lì a tremare come un'idiota.

Ero lì da un paio di minuti, riprendendo fiato, quando sentii la porta scorrevole aprirsi alle mie spalle. Era Jack.

-Ciao di nuovo.- mi disse.

-Ciao.- accennai un sorriso. -Grazie per il ballo. Mi hai fatto ricordare momenti felici.

-Grazie a te. Balli davvero molto bene. E' stato un onore.- Mmm, il tono non era dei più promettenti.

-Grazie. Anche tu non sei male.- risposi cortesemente.

-Starai molto qui a Londra?- mi chiese.

-Ehm, no. Torno a casa la settimana prossima.

-Oh.- rimase interdetto. -Stavo pensando di chiederti se volevi uscire. Che ne so, una cena o qualcosa del genere.

ALT!! Incontro romantico programmato?! Aveva toccato il tasto sbagliato. Era quello che attivava la sirena “Levare le tende! Levare le tende! Levare le tende!”.

Non fraintendetemi, era un ragazzo carino, anzi, proprio bello. E gentile. E ballava bene. Ma il solo pensiero di programmare un appuntamento innegabilmente romantico a tu per tu mi dava un brivido lungo la schiena (anche se devo ammettere che lo scollo della maglia potrebbe aver fatto la sua parte). Ci avevo già provato: con me non funzionava.

Cercai di rimanere stoica e di essere delicata. -Beh, non è che ho molto tempo e...ho parecchi impegni sai, è un po' che non vedo i miei amici.

-Oh, sì, giusto. E poi comunque, io torno a Parigi e tu a casa...- provò a fare marcia indietro.

Gli sorrisi imbarazzata. -Già. Forse non è il caso.

Annuì guardandosi le scarpe. -Allora scusa il disturbo.

Feci un sorriso dispiaciuto. -Nessun disturbo. Scusa tu.

Ricambiò il sorriso e rientrò.

“Accidenti Stefani! Dovevi proprio metterti a ballare?” mi rimproverai da sola. Poi però pensai che solo perché volevo ballare non dovevo per forza dargli un pass di libera entrata. E che cavolo, una ragazza non può più ballare?

Sentii di nuovo la porta aprirsi dietro di me. “No, ti prego, non insistere!” pregai.

-Dovresti rientrare, si gela qui fuori.- Thomas! Sospirai sollevata, girando la testa verso di lui.

-Grazie a Dio sei tu. Pensavo fosse di nuovo Jack.

-Ti ha chiesto di uscire, eh?- fece lui malizioso.

Sbuffai. -Sì.

-E gli hai detto di no?

-Non mi piacciono gli appuntamenti. Finisce sempre che stai lì due ore senza sapere cosa dirti.

-A me avevi detto di sì.- mi fece notare.

-Tu mi avevi invitata per un caffè, subito, in quel momento. E non avevi intenzioni strane. Se mi avessi chiesto di andare a cena anche solo quella sera stessa, avrei detto di no anche a te.

Mi guardò confusa. -Primo: chi ti dice che non avessi intenzioni strane, come le chiami tu? Secondo: che differenza c'è tra un caffè e una cena?

-Da un caffè puoi scappare, soprattutto se non è programmato. Se avessi scoperto che eri un maniaco avrei potuto piantarti in asso con facilità. Da una cena non hai scampo.

-E per quanto riguarda la prima domanda?- insistette.

Mi strinsi nelle spalle. -Non eri il tipo. E sono brava a riconoscere quel tipo. E come ho detto, se avessi capito che mi sbagliavo, sarei scappata.

Mi si avvicinò e mi abbracciò da dietro. -A quanto pare siamo due corridori, eh?

Ridacchiai. -Saresti scappato anche tu?

-Più veloce del vento. Come ti dissi quel giorno, per me non è il momento giusto. Ma sono felice di aver trovato un'amica.

Sorrisi. -Oh, così mi commuovo!

Rise. -Vedi che te l'ho trovato il principe azzurro, però? Sei tu che non lo vuoi.- mi rimbrottò.

-Non è il mio tipo. E neanche per me è il momento giusto, Thomas, lo sai.

Annuì. -Sì, lo so.

Mi lasciò andare.

-Non mi avevi mai detto che hai un tatuaggio. Non lo avevo mai visto fino ad ora. Cos'è?

-Non l'hai mai visto perché non vado in giro a schiena nuda tutti i giorni.- scherzai.

-Posso?- chiese indicandomela.

-Prego.- Spostai i capelli, che uscendo avevo sciolto, da un lato.

Sollevò leggermente i lati dell'apertura a goccia della maglia per vederlo tutto.

-E' un albero stilizzato.- gli spiegai. -Frutto di una lezione davvero noiosa al primo anno di università.

-L'hai disegnato tu?

-Mmm-mmm.- annuii.

-E' molto bello.- commentò rimettendo a posto la maglia. -Ha un significato?

-Sì. Mi piace pensare che ho delle radici che non posso dimenticare, ma questo non mi impedirà di crescere ed espandermi in direzione del sole.

-E' un bel pensiero. E perché bianco?

Alzai le spalle. -Boh, mi piaceva. E mi faceva pensare a quello di Minas Tirith.

Rise. -Sei irrimediabilmente una nerd!

Mi voltai verso di lui, un sopracciglio alzato. -Come se fossi l'unica qui!

Chinò la testa. -Colpevole.- ammise.

Tornammo dentro a goderci la festa. Ballammo e bevemmo. A mezzanotte festeggiammo a suon di champagne.

-Buon 2014 a tutti!- augurò Ben stappando la bottiglia.

Passate le tre di notte, il tasso alcolemico nel sangue iniziava a farsi sentire, facendoci intuire che forse era meglio fare Baglioni (levamose dai coglioni).

Ros, Tom ed io riprendemmo la nostra roba dal piano di sopra , salutammo tutti e uscimmo in direzione della stazione. Arrivati lì, Ros doveva andare da una parte, noi dall'altra.

-Ti accompagniamo a casa.- offrii. Thomas annuì concordante.

-No, ragazzi, siete più ubriachi di me, meglio se tornate a casa. Io me la cavo.- obbiettò. -Ti scrivo quando arrivo.

-Non siamo così ubriachi!- la contraddissi. Guardai Tom. -Ci trovi ubriachi?

-Mmm, forse non sono nella giusta posizione per giudicare.- rispose lui.

-Davvero, ragazzi, andate a casa.

-A parte tutto, Rossana, sei sicura? Potrebbe esserci chiunque per strada, soprattutto oggi. Per quanto ubriachi, tre sono meglio di una.- fece notare Thomas.

-Non a Willesden, fidati. Non c'è mai nessuno. Andate a casa.

Provammo a insistere, ma quando Ros si impuntava era inutile.

La abbracciai e la guardai salire sul treno. -Ricordati il messaggio.- le gridai prima che si chiudessero le porte. Fece OK con la mano.

Io e Tom aspettammo il treno ancora un minuto, poi salimmo e ci sedemmo. Posai la testa sulla sua spalla mentre lui la appoggiava al finestrino.

-Sono distrutta.- gli dissi.

-A chi lo dici. Non ho più l'età per fare queste cose!

Scoppiai a ridere. -Sembri Ros!

-Beh, considerando che abbiamo la stessa età direi che tutto torna.

Continuai a ridere di gusto. -Oh, poveri i miei vecchietti! L'ospizio chiama! Ma io vi voglio bene lo stesso. Basta che non iniziate a farvela addosso,.

Rise anche lui. -Non ti prometto nulla.

Ricevetti il messaggio da Rossana mentre camminavamo verso casa. Mi tranquillizzai.

Arrivati a destinazione Tom tirò fuori le chiavi e, al buio, cercò il buco della serratura. Era una stradina piccola, non aveva neanche un lampione.

-Non ce l'hai una luce qua fuori?- gli chiesi.

-Si è bruciata la lampadina. Mi dimentico sempre di cambiarla. Ok, dovrebbe essere qui.

-Guarda che è casa tua. Se non trovi la serratura due domande dovresti fartele.

Ridacchiò.

Iniziai anch'io a cercare quella maledetta serratura: in effetti l'aveva trovata, ma tra il buio e l'alcool non riusciva a centrarla.

-Siamo davvero ubriachi.- constatai.

-E da cosa lo deduci, Sherlock?

-Dal fatto che in due non riusciamo a centrare una cavolo di serratura.

Continuammo a ridacchiare.

-Aspetta.- gli dissi. Misi la mano sulla sua che teneva la chiave. -Se io sbando da una parte e tu sbandi dall'altra, dovremmo riuscire a fare centro.- Beh, in quel momento pareva un ragionamento logico.

Quando finalmente riuscimmo ad entrare in casa (non con il mio metodo) ci togliemmo scarpe e giacche lasciandole vicino al divano. Tom si lasciò andare su una poltrona.

-non ce la posso fare ad andare di sopra.- disse.

Scossi la testa. -Non se ne parla, Lazzaro. Alzati e cammina.- Gli presi le mani e cercai di tirarlo su. Fortunatamente collaborò. Lo spinsi su per le scale fino in camera sua. Spingendolo sul letto mi circondò la vita e mi trascinò con sé. Nella foga, una mano era entrata dallo scollo sulla schiena stringendomi il fianco da sotto la maglia.

-Ehi!- protestai.

A occhi chiusi mi strinse a sé. -Ero un bambino che dormiva con l'orsacchiotto.- mi fece.

-Hai abbondantemente superato la dicitura “bambino”. In più di un senso, spilungone! E io non sono il tuo orsacchiotto.- protestai ancora.

-No, ma sei della misura giusta. In proporzione almeno.

-Ma guarda un po' questo!- borbottai.

Sempre a occhi chiusi, sorrise, stringendomi più forte un fianco. -Dai, resta qui.

-No.- risposi decisa.

Aprì un occhio. -Perché no?

-Mi ruberesti le coperte.

-Non è vero, faccio il bravo.- promise riaprendoli tutti e due. -E giuro che non ho nessuna intenzione strana.

Scossi la testa. -Non mi piace dormire con la gente: respirate. E' fastidioso.

-Io non sono “la gente”.

-Tu sei parte de “la gente”.

Fece una smorfia. -Sono offeso.

-Ti passerà.

Aspettai che mi lasciasse andare. Non lo fece.

-Comunque non ti porterò mai più ad una festa.- disse a un certo punto. -Tu non puoi ballare così davanti a tutti.

Corrugai la fronte. -Perché?

-Non è corretto. Sei troppo sexy quando balli così. Chissà chi potresti avvicinare! I malintenzionati sono dappertutto!

Scoppiai a ridere a crepapelle.

-Non ti lascerò mai più ballare in pubblico.- concluse.

-Ah, vorrei proprio vederti!

Mi sporsi per dargli un bacio sulla guancia. -Dai, lasciami andare. Hai bisogno di riposare. E anche io. Ci vediamo domattina.

Mi sciolse piano dal suo abbraccio. -Ok. Buonanotte.

Mi alzai e mi diressi un po' barcollante verso la porta.

-Non dormire vestito.- gli dissi prima di uscire. Mi rispose con un mugugno.

Entrai nella camera degli ospiti, mi spogliai velocemente e mi tuffai a mia volta nel letto.

Oddio, che serata!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Chapter Fifteen ***


N.A.: Rieccomi, più carica che mai! Beh, più o meno...

Con questo capitolo potrei aver fatto una gran cavolata, ma, in mia difesa, non sono più in potere, qua dentro: Tom e Amelia decidono di testa loro e io posso solo dire “Zì, badrone!”. Spero che vi piaccia ugualmente.

Bacioni xx

Eowyn

P.S. Ci ho messo così tanto anche perché, tra gli esami, ho anche scritto un paio di capitoli che si collocheranno più avanti nella storia. Tanto più avanti. Ho un pacco di appunti che fa paura. Perciò, abbiate fede!

 

Chapter Fifteen

 

Purtroppo per me non dormii molto. Era sempre così: più alcool avevo in corpo e più tardi andavo a dormire, prima mi svegliavo. Il mio corpo funzionava al contrario. Perciò alle 8 ero già sveglia. Quattro ore di sonno. “Noo! Dormi, testa di cazzo!” mi rimproverai. Mi sembrava di avere la testa in una bolla. Non potevo neanche chiamarla emicrania, non faceva male, ma tutto era attutito. Cercai di riaddormentarmi. Ci provai per mezz'ora, poi il nascente mal di schiena che mi veniva sempre quando stavo troppo a letto, mi costrinse ad alzarmi. Andai a farmi una doccia nella vana speranza che l'ottundimento se ne andasse. Vana, appunto. Mi asciugai, mi misi addosso dei vestiti morbidi e caldi e scesi di sotto. Tom evidentemente dormiva ancora. Andai in cucina e cercai di ricordarmi dove fossero le bustine del tè e le tazze. Le trovai e misi a bollire l'acqua. Finii per berne due, di tè, cercando di placare la sete da alcool.

Thomas nel frattempo non si era ancora alzato.

Andai in camera a prendere il mio libro e il telefono e tornai a sistemarmi sul divano provando a leggere un po', ma non è certo una delle attività consigliate durante un dopo-sbornia. Aprii Facebook e scorsi un momento tra gli ultimi post. Mi fermai quando ne trovai di già visti.

Non sapevo più che fare. Non c'è una vasta scelta di attività consigliate per quando ti ritrovi in casa d'altri con un ottundimento da alcool e non riesci a dormire. Tornai in camera e posai libro e telefono. Seduta sul letto guardai sconsolata la porta di fronte alla mia. Dopo un attimo di incertezza mi alzai e, esitante, la socchiusi piano. Tom dormiva ancora placidamente. Mi avvicinai piano, cercando di non fare rumore per non svegliarlo. Mi inginocchiai a lato del letto. Dormiva così serenamente che sarebbe stato un peccato svegliarlo. Doveva aver seguito il mio consiglio, perché da sotto le coperte emergevano spalle e un braccio nudi. Gli ormoni iniziarono ad agitarsi a quella vista. Mi rifilai uno schiaffone mentale. “Ricomponiti, Stefani! Insomma! Gli ormoni lasciali a casa loro! E' Tom! E' solo Tom.”. “Solo?” mi chiese una vocina nel retro della mia testa. “Ma porca troia, volete starvene tranquilli? Non provateci nemmeno! Non rovinate tutto di nuovo!”

Messo a tacere il mio assurdo dibattito interiore, tornai a osservare il suo viso. La ruga tra i suoi occhi sembrava sparita. Invidiai quel suo sonno tranquillo.

Non sapendo ancora che altro fare, feci il giro del letto e piano, in modo da non disturbarlo, mi distesi al suo fianco, sopra il piumone. Sicuramente non sarei riuscita a dormire (non scherzavo la sera prima dicendo che trovavo fastidioso il respiro della gente che dorme vicino a me), ma magari un po' sarei riuscita a riposare mentre aspettavo che si svegliasse. E non avevo voglia di tornare nella solitudine del salotto per farlo. In quel momento Thomas non era una compagnia molto loquace, ma era meglio di niente.

Mi accucciai su un fianco girata verso di lui, che mi dava la schiena, e provai a chiudere gli occhi. Sentivo chiaramente il suo respiro lento e regolare. Come pensavo: di dormire neanche a parlarne. Provai allora, invece che cercare di ignorarlo, a concentrarmi specificatamente su di esso: un elemento di disturbo dovrebbe esserlo meno se è l'unico su cui ti focalizzi, o no? “Proviamoci” pensai. Al peggio avrei fatto esercizio di respirazione.

Inspirazione. Espirazione. Di nuovo. Inspirazione. Espirazione. Inspirazione. Es...

 

Qualcuno mi stava toccando i capelli. “I capelli no! Me li sono appena lavati!” fu il primo pensiero. “Perché cazzo qualcuno dovrebbe toccarmi i capelli?” fu il secondo. Istintivamente andai con una mano a cercare la sorgente di quel tocco, incontrando una grande mano liscia. E fin qui nessuna sorpresa. Aprii piano gli occhi. Thomas, il viso ancora un po' assonnato, mi osservava dal suo cuscino con il braccio allungato ad accarezzarmi con le dita le ciocche ancora umide sopra l'orecchio. Sensazione piacevole, per carità, ma sicuramente non la prima che ti aspetti di sentire mentre sei ancora mezza rincoglionita dal sonno.

Notando che mi ero svegliata, ritirò la mano.

-Ciao.- sussurrò.

-Ciao.

Accennò un sorriso. -Hai i capelli bagnati.- notò.

-Lo so. Scusa se ti ho bagnato il cuscino.

-Non ti preoccupare per quello. Si asciuga.

Ci fu un attimo di silenzio. Lo vidi trattenere un sorriso.

-Avevo capito che tu non dormivi con la gente.- mi disse infine.

-Infatti non era mia intenzione.- mi difesi. -Ma mi sono svegliata dannatamente presto, tu non ti svegliavi e io volevo un po' di compagnia, anche se non molto attiva devo dire. Non credevo che mi sarei addormentata.

-Avresti potuto svegliarmi.

Scossi la testa. -Non volevo condannarti alla mia stessa agonia. Stavi dormendo così bene.

Sorrise. -E a me dispiace avere svegliato te, ora. Non volevo. Scusa.- disse, sinceramente contrito.

-No, hai fatto bene.- lo rassicurai. -Non voglio perdermi la giornata. E poi se no diventa un ciclo infinito: io aspetto te, tu aspetti me, e poi io di nuovo te, eccetera. Meglio così.

-D'accordo.

Cadde ancora il silenzio.

-Sai,- mi disse poi. -mi sono appena reso conto di quanto sforzo fai per essere te stessa.

Lo guardai stranita. -Che intendi dire?

Tentò di spiegarsi. -L'altro giorno era un po' che non ti vedevo, perciò non me ne sono accorto, ma ora sì. Hai una faccia completamente diversa quando dormi. Quando sei sveglia sei un fascio di nervi, anche quando sembri rilassata. Ora mi rendo conto che non lo sei mai, rilassata. Addormentata sembri una persona completamente diversa. Mi chiedo come fai.

Sbuffai. -Vivo con un torcicollo e un mal di testa cronici, ecco come.

-Ma perché?- mi chiese confuso. -Potresti evitarlo. Non c'è alcun motivo per essere così tesa. Rilassati.

Mi strinsi nelle spalle. -Non so come.

Sospirò. -Sotto quanti strati ti stai nascondendo, Amelia?

-E tu?- gli rinfacciai.

Nessuno dei due voleva rispondere. O forse non sapevamo la risposta.

Cambiò discorso. -A quanto pare avevo ragione io: non sono “la gente”. Con me sei riuscita a dormire.- fece tutto sorridente.

-Ora non montarti la testa, Hiddleston. Il tuo respiro è fastidioso quanto quello di tutti gli altri.

-Ma ti sei addormentata.- insistette.

-Chiamala eccezione che conferma la regola. Oppure “aver-dormito-solo-quattro-ore-e-non-poterne-più”. A te la scelta.

Sbuffò sorpreso. -Solo quattro ore? Eri stanchissima ieri.

-Lo so. E' normale. Insonnia da alcool.

-Vuoi riposarti ancora un po'?- chiese.

-Sono venuta su a Londra per te, non per il letto. Mi perderei la giornata.

-Resto qui a farti compagnia. E non è che abbiamo molto da fare oggi. A meno che tu non abbia qualche programma.

Cercai di pensare a qualcosa, ma poi scossi la testa.

-Facciamo del “dormire” il nostro programma per la mattinata?

Ci riflettei. -Forse non è un'idea così malvagia. Tu lavori questa sera?

-No, ma domani sì. Al massimo facciamo qualcosa stasera.

-Se ci scende un po' il fancazzismo.- aggiunsi.

Ridacchiò. -Aggiudicato. Vado solo a prendere dell'acqua, ho la gola secca. Ne vuoi?

-Sì, grazie.- risposi.

Mi tirai a sedere sul letto mentre lui spostava le coperte e si alzava. Mi stavo stropicciando gli occhi, ma improvvisamente mi fermai: aveva proprio seguito il mio consiglio! Difatti era in mutande. “Eh ma così non vale!”. Lui neanche ci fece caso e uscì dalla camera per andare a prendere l'acqua. Che gran culo!

Quando tornò con i bicchieri e guardò verso di me, mi trovò con la testa maliziosamente inclinata di lato e un sopracciglio alzato, mentre lo studiavo da capo a piedi.

-Che c'è?- mi fece con sguardo innocente, avvicinandosi.

-Niente. Solo che io sono una donna e tu sei un uomo attraente in mutande.- gli feci notare.

-Sono in casa mia.- si difese. -In camera mia. E tu stessa mi hai detto di non dormire vestito.

-Infatti non sto dicendo che non dovresti. Anzi. Tanto di guadagnato per me: non disdegno mai una bella vista. Ma se dovessi saltarti addosso, non ti lamentare.- Cercò di nascondere un sorriso imbarazzato e si venne a sedere sul letto porgendomi il bicchiere. Lo presi.

-E' una minaccia, Stefani?

-Solo un avvertimento, Hiddleston.

Trattenne una risata. -Lo terrò a mente.

Sorseggiammo un po' d'acqua.

-Sei davvero così a tuo agio ad andare in giro mezzo nudo davanti alla gente?- gli chiesi.

-Al contrario tuo, io non penso che tu sia “la gente”.- replicò leggermente piccato.

Ahi, questa bruciava. Mi immobilizzai. -Ti ho offeso veramente?- domandai preoccupata.

Ci rifletté. -Forse un po'.

-Scusa.

Scosse la testa. -So che non lo intendevi, e che volevi sono essere onesta.

-Non importa cosa intendevo. Mi dispiace averti offeso.

Mi sorrise. -Davvero, non ti preoccupare. Sono adulto e vaccinato, lo posso sopportare. Nei prossimi sei mesi potrei occasionalmente rinfacciartelo, ma per il resto è tutto a posto.- scherzò.

-Mi sembra giusto.- concordai ridacchiando.

-Comunque, per tornare alla tua domanda,- riprese. -il pudore mi è stato sradicato a forza.

Aggrottai la fronte, stranita. -Sarebbe?

-Alla RADA fa parte della preparazione. Un giorno i nostri insegnanti arrivarono in classe e ci dissero tranquilli: “Oggi tutti nudi. Dovete abituarvi a mostrarvi senza paura. E a entrare in contatto intimo con altri attori. Forza, spogliatevi.”. E abbiamo passato le quattro ore successive nudi come dei vermi,uomini o donne che fossimo, facendo lezione relativamente normalmente. Inutile dire che non eravamo al massimo della concentrazione.

Spalancai gli occhi. -Oddio! E' terrificante! Io mi sarei sotterrata.

-Non ti senti a tuo agio con il tuo corpo?

-Non è quello. Lo so che sono una gran figa!- scherzai.

Rise di gusto. -Sei la modestia fatta a persona.

-E' un dato di fatto.- dissi con fare ovvio. Rise ancora e io ripresi. -Lasciando da parte la mia indubbia figaggine, nemmeno io sono particolarmente pudica. Finché non ci si spinge troppo in là. Non è certo il mio più grande sogno, ritrovarmi nuda davanti a una folla di sconosciuti. O peggio ancora, conoscenti. Fossero amici, ancora ancora, ma proprio così... lo troverei un po' scioccante, credo.

Ridacchiò. -Inizialmente lo fu. Ma dopo quattro ore fidati che ti sei abituata.

-Ti credo sulla parola!- esclamai. -Perciò mi stai dicendo che non ti fai problemi ad andare in giro nudo, ma se qualcuno ti dice che si bello arrossisci come un eschimese al sole?

-Sono due cose diverse.- protestò.

-Non sai accettare un complimento.- conclusi.

-Parla quella che li mette sull'ironico.- mi rinfacciò.

-Touche.- Colpita e affondata.

Sogghignò la sua vittoria.

Finii di bere l'acqua e posai il bicchiere sul comodino mentre lui faceva altrettanto.

-Restiamo a riposare ancora un po', allora?- domandò.

-Ci possiamo provare.

Ritornò sotto le coperte. -Dai mettiti sotto anche tu, altrimenti tiri le coperte.

-Fa caldo.- contestai.

-Con il maglione sì. Hai qualcosa sotto?

Annuii e me lo tolsi, restando in canottiera. Lo feci cadere a terra, infilandomi sotto il piumone.

-Posso usarti come orsacchiotto, allora?- scherzò Thomas.

Lo guardai storto. -Non ci provare. Se c'è una cosa che detesto più del rumore del respiro, è la sensazione di qualcuno che mi stritola impedendomi di muovermi.

-Non sei tipo da coccole, eh?

-Non a letto. A letto o si fa sesso, o si dorme. La via di mezzo è fastidiosa. E scomoda.- replicai.

-Ora capisco la tua fiamma francese. Una relazione non può resistere senza coccole! Sono le basi!

-Non dico no alle coccole.- precisai. -Dico no alle coccole quando si cerca di dormire. E quando si guarda un film. In quel caso è semplicemente irrispettoso nei confronti del film, nonché idiota perché passi la maggior parte del tempo a cercare di non uccidervi a vicenda a forza di gomitate e testate cercando una posizione comoda, invece che fare effettivamente attenzione al cavolo di film. E che lo accendi a fare se non lo guardi?

Ridacchiò. -Evviva il romanticismo!- commentò sarcastico.

-Solo perché nessuno lo dice mai, non significa che nessuno lo pensi. Semplicemente non lo si vuole ammettere. Io lo dico. E non ci credo che a te non è mai capitato.

-Intendi coccolarsi davanti a un film?

-Sì.

-Mi ci sono trovato, in effetti. Svariate volte. E sì, hai ragione, certe volte trovare la posizione giusta può essere difficile, ma basta un po' d'esperienza.

-E tu sei un professionista?- alzai le sopracciglia sardonica.

-Assolutamente. Ho fatto un lungo tirocinio.- si vantò scherzoso.

Risi. -Che Don Giovanni!

Si unì alla mia risata.

Dopo un attimo le palpebre iniziarono a rifarmisi pesanti. Le chiusi sospirando.

-Rilassati, Amelia.- lo sentii sussurrare.

-Ci provo.- replicai a occhi chiusi.

Tornò a sfiorarmi la guancia. -Quanto dovrò scavare prima di conoscerti per davvero? Sai, così mi preparo.- provò a ironizzare.

-Parecchio temo.- Riaprii lentamente gli occhi. -E io?- Sapevo di aver a malapena scalfito la superficie della sua personalità. E dopotutto, non potevo pretendere altro dopo così pochi mesi. Ma mi ci sarei impegnata.

Piegò un angolo della bocca. -Parecchio, temo.

Sospirai. -Siamo gente complicata, eh?

-Vorresti non esserlo?

-A volte.- ammisi. -Credo che sarei molto più felice. Guarda Lucia: lei non si complica la vita, si mostra sempre per quella che è, senza vergogna. A volte esagera, devo ammetterlo, ma quella è lei e non si nasconde. E guarda come è felice. Sempre, nonostante tutto. Anche quando il mondo le rema contro.

-Non puoi esserne certa.- mi fece notare. -La semplicità non determina la felicità. Possiamo essere felici anche noi, anche se tendiamo a nasconderci qualche volta. Basta trovare qualcuno che ci accetti così come siamo. Non è facile, lo so, ma si può fare.

Sorrisi e andai con la mano a stringere la sua, ancora sul mio viso. -Ciao Mr Ottimismo. Mi sei mancato.

Mi sorrise a sua volta. -Sempre qui a sua disposizione, signorina.

-Il Dalai Lama ti paga per essere sempre così ottimista? Ti da una percentuale?- ironizzai.

Rise. -No, sono un volontario.

-Che anima pia.

-Beh, magari pia no, ma sono felice di aiutare. Ora riposati, sei stanca. Lo vedo da qui che stai combattendo per tenere gli occhi aperti.- concluse ritraendo la mano.

Io richiusi finalmente gli occhi.

-Thomas?- sussurrai ancora.

-Sì?

-Grazie.

 

Feci un sogno strano, quel giorno. Ero in un grosso prato che si stendeva a perdita d'occhio lungo una collina. L'unica cosa visibile era una grandissima quercia.

C'era un prato simile vicino a casa mia, in Italia. Ci passavo davanti obbligatoriamente tutte le volte che uscivo dal mio paesino, ma non era nemmeno lontanamente così grande.

Questo era sconfinato!

Avevo un libro rosso in mano. Avevo la sensazione di essermi appena alzata dopo aver passato ore seduta sotto quella vecchia quercia a leggere. Il sole splendeva così luminoso da costringermi a socchiudere gli occhi, ma non c'era caldo.

All'improvviso sentii una presenza dietro di me. Mi voltai e vidi un ragazzo. Gli sorrisi. Non avevo la più pallida idea di chi fosse, non consciamente almeno. Il mio inconscio doveva pensarla diversamente perché gli sorrisi. Non vidi il suo viso, non vedevo mai i volti delle persone nei miei sogni, semplicemente sapevo che erano loro. Ma in quel caso no. Sapevo solo che gli volevo bene, che mi fidavo di lui. E che in quel momento era lì che mi tendeva la mano. Senza esitazione gliela afferrai, e lui iniziò a correre, portandomi con sé. Correvamo e ridevamo. D'un tratto mi lasciò la mano e continuammo a correre, con lui che ogni tanto si voltava verso di me, un sorriso sgargiante dipinto sul viso offuscato. E io lo inseguivo su per la collina, lasciandomi la quercia alle spalle. Correvo senza fatica, e ridevo.

Non mi ero mai sentita così libera in vita mia.

 

-Allora, che facciamo oggi?- mi chiese Thomas.

Ci eravamo svegliati un paio d'ore prima, avevamo mangiato qualcosa con calma e ora non sapevamo che fare. Era ancora primo pomeriggio.

-Ti va di andare a fare un giro alla National Gallery?- proposi.

-Non dirmi che non ci sei mai stata!

-Più volte di quante ne possa contare, ma non mi stanco mai. E poi le mostre temporanee cambiano sempre.- mi giustificai.

-D'accordo.- acconsentì. -Tra l'altro dovremmo essere abbastanza fortunati, non prevedo una gran folla dentro il museo.

-No. Neanche io.

Dieci minuti dopo eravamo in strada, diretti a braccetto verso la metropolitana.

Trafalgar Square, nonostante fosse il primo dell'anno, o forse proprio per quello, era affollata come al solito. Le fontane erano spente e gli artisti intrattenevano la folla, ma senza spirito, come se si stessero riprendendo a loro volta dai bagordi della sera prima. E probabilmente era proprio così.

Entrammo nella galleria, che era effettivamente più calma della piazza in cui avevamo potuto tranquillamente passare inosservati. Per sicurezza mi staccai dal braccio di Thomas, che ancora me lo stava offrendo, sperando che non si accorgesse delle mie intenzioni o che perlomeno non se la prendesse a male. Semplicemente non mi intrigava affatto l'idea di finire sui giornali di gossip per il semplice fatto che ero sua amica. E poi chissà quanto ci avrebbero ricamato sopra! In più, pensavo al mio curriculum: se a Londra si fosse scoperto che eravamo amici, nel caso avessi cercato lavoro lì, come era probabile tra l'altro, qualcuno avrebbe potuto insinuare che avevo ottenuto dei favoritismi. So che può sembrare un ragionamento cinico, ma ero sicura che lui avrebbe capito. Ciò però non significava che non potesse prendersela un po'. E su quel fronte avevo già dato.

Lui comunque non sembrò farci caso, continuando tranquillamente a camminare al mio fianco.

Ci dirigemmo subito verso la mostra temporanea, dove erano esposte le opere di un geniale paesaggista nordico di nome Peder Balke, che rappresentava i fiordi e i fari norvegesi. Aveva dipinto il mare e il cielo in maniera straordinaria, riuscendo a trasmettere la sensazione di calma e purezza in alcuni, e di ferocia in altri. Le nuvole sembravano venirti incontro, uscire dalle tele. Mi commossi davanti a quei piccoli ma splendidi quadri.

-E' incredibile!- commentai sporgendomi per osservarli più da vicino. -Sono fantastici!

-Lo sono davvero.- concordò Thomas osservandoli a sua volta. Nel dirlo si voltò verso di me, che avevo le mani alla bocca dalla meraviglia. -Non starai per metterti a piangere?- mi chiese divertito.

-Ci sono vicina.- risposi, fissando ancora i dipinti con ammirazione.

-Seriamente?

Mi girai verso di lui, che mi guardava stupito. -Guardali!- gli intimai. -Hai presente tutto il lavoro che c'è dietro? Tutta la passione che uno deve avere per riuscire ad arrivare a questi risultati? E tutto il sentimento dietro di essi? Si riesce a percepire il terrore e l'amore che l'artista provava per il mare e per il cielo, amando anche ciò che lo avrebbe potuto portare alla morte. Guardali bene! Qui non c'è solo olio e tela, c'è il suo cuore. Come fai a non commuoverti?

Mi guardava con un'aria strana, un sorriso tenero a solcargli il viso. Non disse niente, tornando invece a voltarsi verso le opere.

Ci facemmo un giro anche nella parte perenne della galleria dove gli feci notare che in quattro quadri appartenenti a un artista i personaggi sembravano avere tutti la stessa faccia, come in quei fotomontaggi in cui uno ha la faccia idiota e qualcuno copia quella faccia su tutti gli altri. Era davvero esilarante. Per dei nerd, perlomeno, e noi rientravamo pienamente nella categoria, perciò ridemmo come dei matti di quella cosa. A me lo aveva fatto notare Tina anni prima, e anche con lei ci eravamo fatte delle grasse risate.

Evitammo chirurgicamente la sezione dedicata al '300, che non appassionava nessuno dei due con tutto quell'oro e quella religione. Tornai a commuovermi davanti ai dipinti di Turner, di Monet e Canaletto, e Thomas quasi dovette trascinarmi via quando ci annunciarono che la galleria stava per chiudere. Dispiaciuta, lo seguii fuori, imboccando la strada che portava a Leicester Square.

-Ci prendiamo qualcosa di caldo?- mi offrì.

Annuii. -Volentieri.

Ci infilammo in una traversa ed andammo a sederci nel primo caffè che trovammo, accomodandoci a un tavolino vicino al vetro. Il cameriere venne a prendere l'ordine, e quando se ne andò io mi misi a osservare la gente che andava su e giù per quella stradina pittoresca durante la prima sera dell'anno.

-Sai,- esordì dopo un attimo Tom, interrompendo il filo dei miei pensieri. -oggi mi sono reso conto che quando quel giorno, ad agosto, mi hai detto che eri capace di commuoverti davanti a ogni tipo di arte, non avevo davvero capito fino in fondo. Credevo fosse solo una questione di tematiche, ad esempio quando muore qualcuno in un libro o un film, come succede a tutti. Non mi aspettavo certo che rischiassi di metterti a piangere davanti a un Monet!

Scoppiai a ridere, di me stessa più che altro. Sapevo che era strano, ma non potevo farci niente. -Lo so. Sono pazza.- replicai infatti.

-Decisamente!- concordò. -Probabilmente sei l'unica donna al mondo che fugge da un ragazzo che ti invita a cena e poi va a sbavare su un dipinto.

-Noo!- esclamai ridendo. -Ci sono un sacco di lesbiche che amano l'arte, a questo mondo. Scapperebbero dal ragazzo per motivi diversi, ma comunque cambia poco.

Scoppiò anche lui a ridere.

Quel giorno, e a quell'ora, non c'era più granché da fare in centro, così tornammo a casa. Da bravi pantofolai ci stravaccammo sul divano e accendemmo la TV su un programma a caso, giusto per far finta di fare qualcosa. Ancora non ci eravamo del tutto ripresi dalla sera prima e non ci veniva in mente niente di meglio da fare.

Girandomi per commentare la stupidità di uno dei protagonisti, notai, grazie alla luce riflessa dello schermo, un particolare del suo viso a cui non avevo mai fatto caso. Dimentica del commento di prima gli chiesi: -Come ti sei fatto quella cicatrice che hai sulla fronte?

-Mmm?- si riscosse, spostando l'attenzione su di me.

-La cicatrice che hai sulla fronte. Che è successo?- ripetei.

-Oh.- ridacchiò. -E' una storia piuttosto divertente.- mi anticipò. -Avevo dieci anni. I miei genitori, dopo mesi e mesi di insistenze, si erano arresi alle mie richieste di avere dei pattini a rotelle e me li regalarono per il mio compleanno, insieme a casco e tutte le protezioni necessarie. Immagina la mia eccitazione! Era febbraio e fuori faceva troppo freddo, così, pattini in mano, corsi al piano di sotto dove c'era il parquet e avrei potuto pattinare con facilità. Peccato che rotolai giù per le scale e battei la testa proprio su una parte metallica e un po' spigolosa di quei pattini. Il commento di mio padre fu: “Mi aspettavo che cadessi e ti facessi del male con quei cosi, ma questo non era esattamente quello che intendevo”.

Risi a crepapelle. -Che imbranato!- commentai.

-Sì, ero particolarmente goffo da bambino.- confermò. -Ancora mi sorprendo che me li abbiano effettivamente comprati, quei pattini. A posteriori è stata davvero una brutta decisione. Dopo quel giorno ho ancora rischiato di ammazzarmi un altro infinito numero di volte. Alla fine ho rinunciato, preferendo i miei piedi alle rotelle.

Io intanto continuavo a ridere. -Sto cercando di immaginarti mentre ti spiaccichi sul pavimento. Deve essere stato esilarante assistere!

-Oh, beh, grazie tante!- finse di prendersela. -Come se tu non fossi mai caduta in vita tua!

Cercai di placare le risate. -Sì, beh, hai ragione. Anche io le mie cadute di faccia me le sono fatte. E devo dire che una in particolare è stata peggiore della tua.

Mi guardò interessato, pronto a prendersi la sua rivincita. -Ti ascolto.

-Vuoi davvero rispolverare le mie imbarazzanti ferite di guerra?- gli chiesi sarcastica.

-Assolutamente. Mi divertirò a immaginarti mentre ti spiaccichi sul pavimento!- mi fece eco.

Gli diedi una leggera spinta alla spalla.

-Dai, dai. Fuori la storia.- mi incitò.

Mi arresi. -D'accordo. Dunque, avrò avuto...vediamo...undici o dodici anni. Io e i miei amici eravamo soliti andare in giro per il paese di pomeriggio, a volte in bicicletta e a volte a piedi. Quel giorno eravamo a piedi, ma una mia...amica...aveva portato il monopattino. Mi piacevano tantissimo i monopattini, così le chiesi di provare. Io abito in collina, non ci sono spazi in piano nemmeno a pagarli, perciò ci ritrovammo in una discesa.

-Già me lo immagino: Amelia più monopattino più discesa: la ricetta per un disastro!- ridacchiò Thomas.

-Già!- confermai. -Il problema fu che non mi fidai del freno del monopattino, così misi giù i piedi cercando di fermarmi. E mi fermai: di faccia sull'asfalto.

-Uhh! Che male!- commentò.

-A dire la verità quella è l'unica cosa che non mi ricordo. Mi ricordo però che mi alzai dall'asfalto e vidi una goccia di sangue cadere per terra, così urlai “Sangue!” ai miei amici. E poi notai gli occhiali: avevo rotto gli occhiali! Passai tutto il tragitto fino a casa con il sangue che mi colava dal sopracciglio ripetendo “Ho rotto gli occhiali! Ora mia madre mi ammazza! Oddio, mi ammazza!”.- conclusi.

-Portavi gli occhiali?- mi chiese stupito, ancora ridacchiando.

-Li ho portati per tutta la mia gioventù!- confermai sorridendo. -Fino all'anno scorso. Mi sono fatta operare prima di partire per l'Erasmus.

-Per evitare di romperli ancora in incidenti simili?- scherzò.

-Tu ridi,- lo rimbrottai. -ma al liceo mi hanno tirato la bellezza di tre pallonate in faccia, rompendomi altrettanti occhiali. Perciò sì, potrebbe essere considerata una buona motivazione.

Lui rise ancora più forte. -Tre pallonate? Certo che sei sfortunata!

-Capito perché sono così pessimista? E' deformazione professionale!- mi giustificai.

-E la professione sarebbe “bersaglio”?

-Apparentemente.

Aspettai che le risate si placassero. Dopodiché lui mi disse: -Sai che non riesco neanche a immaginarti con gli occhiali?

-No?

-Per niente.

-Aspetta lì.- Mi girai in cerca della borsa che avevo lasciato lì vicino e tirai fuori gli occhiali da riposo. Li inforcai e mi girai verso di lui. -E ora?

Spalancò gli occhi. -Se non sapessi che sei tu, quasi non ti riconoscerei.

-Addirittura?

-Ti deformano la faccia.- affermò.

Mi strinsi nelle spalle, portandomi gli occhiali sulla testa.

-Ti mancava così tanto, per arrivare a operarti?- mi chiese.

-Parecchio, sì. Più di metà delle diottrie per occhio. Il problema però erano le mie emicranie: sia con che senza gli occhiali peggioravano solo la situazione. Ho preferito togliere almeno un problema.- gli spiegai.

Annuì. -Ha senso.

-Anche tu porti gli occhiali.- osservai. -Li ho visti in giro.

-Sì, qualche volta. Non mi manca molto. Giusto un po' di astigmatismo. Temo però che presto dovrò iniziare a portarli sempre quando guido. E quando leggo. La vecchiaia.- sospirò drammatico.

Ridacchiai. -Non riiniziare!

 

 

N.A. 2: La Vendetta.

*assume tono da 5 per mille*

Ogni anno, milioni di autori soffrono di sindrome da povertà di recensioni. Questa consiste nel costante dubbio esistenziale che la propria storia faccia schifo al cazzo e non sia degna neanche di uno sputo di cammello. Ma se così è, la certezza può comunque salvarlo.

Siate generosi: donate una recensione. Potrete salvare l'autostima di un povero autore (o affossarla, ma anche questo è ben accetto).

Grazie.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Chapter Sixteen ***


N.A.: Chiedo umilmente venia, so che ci ho messo un secolo, ma il blocco dello scrittore colpisce anche i migliori, perciò figuratevi me! E poi, quando l'università chiama, tu o rispondi, o finisci come Loki contro Hulk.

Spiegazione anticipata: la mia coinquilina mi ha fatto notare che il concetto di “quarta parete” non è noto, come credevo io, all'universo mondo, perciò lo spiego. In teatro, ma anche al cinema, si parla di “quarta parete” riferendosi al muro immaginario che divide il palco dagli spettatori. Se un attore si rivolge direttamente al pubblico “infrange la quarta parete”. Capirete tra un attimo il perché di questo pippone.

Apprezzo tantissimo le recensioni, perciò, orsù!, siate pure crudeli. ;) Ma non troppo.

Buona lettura e spero di riuscire a strapparvi almeno un sorriso.

Eowyn

 

Chapter Sixteen

 

Quella notte tornai a dormire nella camera degli ospiti, dove potei felicemente lanciarmi a croce sul letto. Sì che per qualche strano motivo riuscivo a dormire con Thomas nonostante il suo respiro pesante, ma volete mettere con la possibilità di muovermi liberamente su un letto a due piazze? Non c'è storia!

Ehi, lo so a cosa state pensando. Siete delle pervertite, vergognatevi. I miei ormoni approvano e concordano con voi, io no. Fine della questione. Niente discussioni e niente risentimento. Baci e abbracci. Ok, ora risolleviamo la quarta parete, che è meglio.

La mattina dopo, quando lui finì la sua corsa mattutina, che per me aveva già sospeso per due giorni, aspettai che si lavasse e poi decidemmo di fare una passeggiata a Regent's Park. Era il mio parco preferito in assoluto e non era distante. Non lo avevo mai visto d'inverno e quello era un giorno particolarmente azzeccato perché nella notte era caduto un velo di neve. Ci congelammo i nasi, ovviamente. Tom quel giorno stette più attento a coprirsi visto che avremmo passato tutta la mattinata all'aperto e non solo pochi minuti, come nei giorni precedenti: quella sera lavorava e avrebbe avuto bisogno della voce (che esigenti questi attori! Pure la voce pretendono!), perciò, in aggiunta alla grossa sciarpa che portava già sempre, si chiuse il cappotto di piuma grigio scuro fin sotto al mento. Io, essendo io, lo presi in giro tutta la mattina perché quella giacca lo faceva sembrare l'omino Michelin. Anzi, riflettei, un omino Michelin a cui avevano stirato le gambe. Era davvero ridicolo: si vedevano quelle gambe lunghe lunghe e magre magre e poi sul torace esplodeva.

-Sembri Gru di Cattivissimo Me.- gli dissi ridendo. -Hai mai pensato di rasarti la testa?

-Se io sono Gru, allora tu sei il mio Minion.- mi rinfacciò spettinandomi i capelli sogghignante, alludendo in modo più che evidente alla mia bassezza.

Mi arresi, scostandomi i capelli dalla faccia. -Ok, questa me la sono tirata.

Passeggiammo tranquilli. Così conciato ero sicura al 100% che nessuno lo avrebbe riconosciuto, anche perché, in ogni caso, solo i pazzi come noi passeggiavano per Regent's Park il 2 gennaio. I pazzi e i fotografi paesaggisti, scoprimmo.

Tornammo a casa per pranzare e verso le tre Tom iniziò a prepararsi per andare a teatro: ogni giorno lo aspettavano almeno un paio d'ore di trucco, perciò era sempre il primo ad arrivare. Lui e quella santa della truccatrice.

Mentre si preparava, io mi sistemai sul divano con il mio fidato libro, dove contavo di rimanere per il resto del pomeriggio considerata la temperatura esterna in continua e precipitosa discesa. Prima di uscire Tom mi si avvicinò, sbirciando il libro da dietro la mia spalla.

-Cos'è?- mi chiese.

-Guida Galattica Per Autostoppisti.-risposi girando la testa verso di lui.

-Ottima scelta.- commentò. Poi aggiunse. -Sicura di non voler venire con me? Stai per entrare nell'ambiente, sono certo che ti piacerebbe stare dietro le quinte.

Scossi la testa. -Non oggi. Prima voglio godermi lo spettacolo. E poi non voglio stare tra i piedi a nessuno. Ho già lavorato dietro le quinte durante il tirocinio, e so quanto casino ci può essere. Non voglio creare problemi.

-Sono sicuro che non ne creeresti. Anche perché la scenografia è minimale e c'è davvero poco per cui correre.- mi assicurò.

-Allora magari un altro giorno, ma lasciamelo prima godere da spettatrice.

-Mi sembra giusto.- convenne. - Allora... immagino tu abbia intenzione di uscire, più tardi.

Avevo sentito Rossana quella mattina e lei mi aveva invitata a cena a casa Sheldon, invito più che gradito. -Sì, vado da Ros. Perché?

-Perché io tornerò tardi e se tu arrivi prima di me rimarrai chiusa fuori.

-Giusto.- Riflettei. Non gli avrei mai chiesto di consegnarmi le chiavi, se è questo che state pensando, non è una cosa che si fa così alla leggera. Doveva essere una decisione sua e sua soltanto, e lui evidentemente aveva già scartato l'opzione. Concordavo con lui. Perciò andai a cercare un'altra soluzione. -Tu non ti preoccupare, tanto io e Ros abbiamo parecchie cose da dirci. Facciamo che mi mandi un SMS quando stai uscendo da teatro, così so quando iniziare a incamminarmi.

Ci pensò su. -Ti posso anche venire a prendere, tanto sono in macchina.- offrì.

-No, non fare troppi giri. Sarai stanco. Torno qui per conto mio.

-Tranquilla, non ci metto tanto ad arrivare fino a Willesden. E poi così sono più tranquillo anche io. Non protestare.- mi anticipò mentre stavo per contestarlo. -Ti vengo a prendere. Chiusa la questione.

Mi arresi e gli sorrisi grata. -D'accordo. Grazie.

Ricambiò il sorriso. -Allora io vado. Passa una buona serata e salutami Rossana.

-Sarà fatto. Ci vediamo stasera.

Si chinò su di me e mi posò un bacio sulla guancia. -A stasera.

-Buon lavoro.- agitai la mano mentre lui apriva la porta.

-Grazie!

 

Quella sera andai allegra a cena da Ros. A casa Sheldon c'era il solito via vai di gente, nonostante fossero i primi di gennaio: evidentemente un sacco di gente lavorava anche in quel periodo. Solo Tina e Asia, lavorando nelle scuole, ne erano esentate.

Venni a sapere che le cavalle avevano litigato fra di loro e se ne erano andate via tutte lasciando un gran polverone. Nicola e Gaia avevano preso la palla al balzo e si erano impossessati della tripla, trasformandola in un'enorme doppia. Dopo tanti anni, in effetti, si meritavano un po' di spazio in più.

Cenammo insieme a Francisco e Gabriel che, come delle vecchie comari, ci raccontarono tutti i sordidi dettagli e gossip della casa, oltre ad altri aneddoti idioti e divertentissimi che solo dei pazzi furiosi come loro potevano vivere e sopravvivervi per raccontarli. Molti includevano un buttafuori. Solo dopo la cena Ros e io salimmo in camera sua per poter chiacchierare più tranquillamente.

-Allora, come vanno le cose a casa? Paolo sta bene?- le chiesi. Paolo, il suo ragazzo, lavorava da anni a Pisa come ingegnere meccanico, ma la sua azienda di tanto in tanto lo mandava per dei mesi in giro per il mondo. In sostanza, era sempre in movimento, proprio come Ros. Portavano avanti una relazione a distanza da ancora prima che io li conoscessi. Erano una coppia solidissima.

-Sta bene. E' stato bello rivederlo. E anche i miei stanno bene. O almeno, se la cavano.- mi rispose.

-Litigano ancora?- chiesi cauta.

-Sì, di tanto in tanto. Ma pare che le cose tra di loro stiano leggermente migliorando. E finché nessuno parla di divorzio, c'è ancora speranza.

Sorrisi incoraggiante. -Sì, dai. Vedrai che sistemeranno tutto. Hanno sono bisogno di un po' di tempo.

-Tu, invece? Tutto bene a casa?

Annuii. -Non c'è male.

-Tua sorella ti fa ancora penare?- chiese scherzosa.

Sospirai esasperata. Mia sorella! -E' venuta a casa a inizio dicembre. Deve solo ringraziare che sono esageratamente paziente, altrimenti l'avrei strangolata.

-Addirittura? Che ha fatto?

-Al solito. Sono tre anni che non vive più lì, ma ogni volta che torna si atteggia a regina dell'universo.- le spiegai.

-Da quel che mi dici, si atteggia sempre a regina dell'universo.

Sbuffai. -Questo non lo rende meno irritante. Soprattutto quando invade i miei spazi personali. Finché si appropria della cucina mi sta bene, ma quando si appropria della camera la sparo affanculo senza esitazione.

-E' sempre casa sua, Amy.- provò a farmi ragionare. -Sarà sempre casa sua tanto quanto tua. Non puoi pretendere che si comporti da ospite quando torna a casa. E' normale che riprenda la sua routine.

-No, lo so questo. Non toglie però che sia irritante. Anche perché la sua routine io la detestavo anche prima che se ne andasse di casa.

Ros, arresa davanti alla mia testardaggine, rise. -Vero amore fraterno!- commentò.

-Sì, lo so.

Non c'era un vero perché, nessuno sapeva quando fosse iniziato, ma io e mia sorella Claudia ci eravamo sempre detestate, con il rammarico dei nostri genitori.

-E con Tom come va?- mi chiese all'improvviso.

-Con Tom? Non lo so, dimmelo tu.- scherzai. -Credo che tu lo veda più di me.

Rise. -Macché. E' venuto qui solo una sera per chiedermi il tuo indirizzo...

-A proposito, grazie per avermi informata.- la interruppi sarcastica.

-Mi aveva detto che voleva farti una sorpresa. Chi se lo aspettava che ti regalasse dei biglietti aerei?- si difese.

-E uno per andare a teatro.- aggiunsi.

-Beh, in ogni caso, accetta e ringrazia. Sai come si fa, no?

-E' quello che ho fatto. Ma era troppo. Come potrò mai ricambiare?

-Ohh.- comprese. -Ti senti in imbarazzo.

Era così. Con lui avevo cercato di non darlo a vedere ma, per quanto fossi contenta di quel regalo (davvero, davvero contenta), mi sentivo in dovere di ricambiare con qualcosa di equivalente, prima o poi, e non sapevo come. Per Natale gli avevo categoricamente proibito di farmi un qualsiasi regalo, che fosse anche un biglietto di auguri. Di contro, lui mi aveva detto che se lui non poteva, non avrei dovuto neanche io. Cosa che da una parte era positiva perché mi dava tempo fino a febbraio per pensare a qualcosa per ricambiare la sua eccessiva generosità. Fino al suo compleanno.

Quando mi riscossi dai miei pensieri mormorai: -Già.

-Già.- mi fece eco Ros. -Un po' ti capisco. Non sono certo regali che ti fanno tutti i giorni.

-Sai,- riflettei ad alta voce. -certe volte mi sorprendo che non sia ancora scappato.

Mi guardò confusa. -Ancora con questa storia?! Perché dici così?

In effetti era un discorso che avevamo già fatto, ma non lo sentivo come chiuso.

-E' troppo buono. Una persona così non dovrebbe avere a che fare con il mio cinismo.

Rise. -Non credo sia contagioso.

-Mmm.- feci, dubbiosa. -E poi certe volte mi rendo conto che siamo totalmente diversi, che proveniamo da mondi radicalmente opposti. Prendi questa storia del regalo, per esempio: a chi sarebbe venuto in mente? Per me non è una cosa normale, ma lui l'ha fatto con una tale naturalezza che quasi mette spavento. Un biglietto gratis per andare a teatro? Ok, ci può stare, non gli è letteralmente costato nulla. Ma due biglietti aerei? Hai presente quanto può aver speso con solo un mese di anticipo, sotto Capodanno? Mi chiedo semplicemente che cosa veda in me che lo porti a voler essere mio amico. A tal punto poi!

-A quanto pare qualcosa vede. Perciò mi spieghi perché non dovrebbe voler essere tuo amico? Perché anche io sono tua amica, e posso dirmi totalmente d'accordo con lui.

-Se vuoi ti do una lista di gente che saprebbe rispondere in modo molto dettagliato a questa domanda. E sarebbe una lista davvero lunga.

-Sì, di gente che si ferma all'apparenza e vede solo una giovane donna più grande della sua età. E la cosa spaventa gli stupidi. Oppure è gente a cui stai sul culo a pelle senza alcun motivo. Capita.- concluse con semplicità.

-Come con te?- A Rossana ero stata sul culo a prima vista. La sua descrizione della sottoscritta era stata: “Quella piccola spocchiosa con la gonna verde che si atteggia.”. Poi a quanto pareva l'avevo stupita ridendo per una cazzata tale per cui nessuno con un minimo di serietà in corpo avrebbe riso (non chiedetemi cosa fosse, non ricordo), e aveva capito che sotto “gli atteggiamenti” e la gonna verde si nascondeva una cogliona proprio quanto lei.

-Come con me.- confermò infatti. -Solo che io ho avuto la possibilità di ricredermi. Altri no. E altri ancora sono troppo imbecilli da pensare di potersi sbagliare perciò neanche ci provano.

-Buon per loro.- commentai.

-Sei un'idiota.- sbuffò. -Comunque, tornando a Tom: tu invece perché vuoi essere sua amica, se siete così diversi come dici tu?

-Non è evidente?- Sollevai un sopracciglio.

-La figaggine non è una scusa valida.- mi liquidò.

Ridacchiai.

-Avanti, davvero, sono curiosa. Capisco che è una persona simpatica, ma non ti ho mai vista affezionarti così a qualcuno, così velocemente. Sei sempre molto più diffidente.- mi fece notare.

-Uno deve per forza avere delle ragioni?

-Ci sono sempre, anche se non lo sai. Ma io ti conosco: tu analizzi sempre tutto. Con la tua dannata logica rivolti sempre tutto come un calzino, te stessa in primis. Ti psicoanalizzi da sola, perciò so che sei andata a cercare la ragione profonda del tuo affetto. Ergo, sputa il rospo.

E come sempre aveva ragione. Io cercavo un perché a tutto. Cercavo una logica in tutto. E ciò che non ne aveva mi urtava, mi faceva impazzire. Perciò sì, mi ero auto-psicoanalizzata in cerca della ragione della mia attrazione verso Thomas. Badate, l'attrazione ha più di una declinazione, e qui la sensualità non c'entra nulla.

Sospirai, arresa di fronte allo sguardo perspicace di Ros. -Perché è una bella persona, come ne trovi ancora poche. Magari mi sbaglio, magari non ho ancora visto il suo lato oscuro, so che tutti ne abbiamo uno, ma per ora non mi importa. Ha un'aura di serenità intorno a sé, cosa che per me è un concetto estraneo. Mi fa stare bene.- ammisi.

Lei mi sorrise comprensiva. -E magari non siete così diversi come pensi tu. Dopotutto avete le stesse passioni e siete entrambi dei lupi solitari. Da quel che ho capito di lui, e da quel che invece so di te, non mi sembrate così agli antipodi.

-Lui è un ottimista.- le feci notare.

-Beh, allora non può che farti bene. Di amiche ciniche quanto te ne hai abbastanza, vedi me, Martina e anche Asia, talvolta. E so che su quel fronte a Lucia non dai retta, e forse non hai tutti i torti.- ridacchiammo. Se avessimo detto a Luce che aveva una minima possibilità di essere capace di volare, si sarebbe buttata da una scogliera senza esitazione.

-Ti farà bene sentire il parere ottimistico di qualcuno di affidabile.- concluse Rossana.

-Forse hai ragione.- riflettei.

-Certo che ho ragione. Io ho sempre ragione!

E giù a ridere.

 

Sedute sul letto di Ros, chiacchierammo tutta la sera del più e del meno. Stavamo quasi per addormentarci quando il Dalek della mia suoneria per i messaggi ci fece saltare sul letto all'improvviso.

-Cazzo di suoneria, Amy. Mi ha fatto prendere un colpo! Cambiala una buona volta!- mi rimproverò Ros.

Io me la ridacchiai. Anche a me faceva prendere un colpo, di tanto in tanto, ma non ci avrei mai rinunciato: era troppo bello spaventare gli altri! Lo so, sono malefica.

Andai a raccattare il cellulare dalla borsa che avevo lasciato sul pavimento e lessi il messaggio: Thomas stava uscendo da teatro.

-Oh, bene.- commentò scherzosa Ros. -Così ti levi dal cazzo.

Le lanciai un'occhiata sarcastica e le dissi: -Ho sempre desiderato un'amica come te, Ros. Sei sempre così affettuosa.

-E' il mio istinto materno.- fu la risposta altrettanto sardonica.

-Oh poveri bimbi futuri!

 

--<>--

 

E alla fine la parte più attesa del mio regalo di compleanno era arrivata. Il mio accompagnatore per la serata sarebbe stato Luke. Era la persona perfetta perché mi avrebbe assicurato un facile passaggio dietro le quinte a fine spettacolo, cosa che senza di lui avrebbe richiesto un po' più di lavorio visto che la sicurezza del Donmar non mi conosceva. Avevamo deciso di incontrarci direttamente davanti al teatro, a Covent Garden. Quando arrivai, lui era già lì.

-Ehi, Luke!- cercai di attirare la sua attenzione.

Lui si girò nella mia direzione, mi vide e mi salutò con la mano. Avvicinandosi mi disse, sorridente: -Ciao, Amy. E' un piacere rivederti.

-Altrettanto. Spero tu abbia portato il contratto.- scherzai.

Lui mi guardò un attimo confuso, poi si ricordò. -Oh, no, mi sono dimenticato. Temo che dovremo rimandare alla prossima volta.- ridacchiò.

-E la prossima volta sia.

Il Donmar Warehouse si rivelò essere il teatro più accogliente che avevo mai visto in vita mia, più ancora del teatro Gobetti di Torino: si estendeva per larghezza, più che per profondità. Calcolai che non dovevano esserci più di 250 posti a sedere, ma la cosa più affascinante era che tra il palco e la platea non vi era alcuna separazione rilevante, trovandosi entrambi sullo stesso piano. E ora si spiegava il perché della facilità con cui quella pazza di cui mi aveva parlato Tom era riuscita ad invadere il palco.

Un po' mi ricordava il Globe, per come era organizzato, con appunto la differenza che al Globe il palco era rialzato. Era bellissimo!

I nostri biglietti dicevano A20 e A21, il che significava che, se avessimo voluto, avremmo potuto fare lo sgambetto agli attori semplicemente allungando una gamba. Risi dentro di me, già sapendo, conoscendomi, che avrei dovuto lottare contro quella tentazione per tutta la durata dello spettacolo. Eppure sarebbe stata una scena così divertente! Tenni per me quel pensiero malefico, seguendo Luke alle poltrone, o, più precisamente, ai divanetti. Mi guardai ancora intorno, analizzando la scheletrica scenografia: una scala. Chissà quanto ci avevano macinato su prima di prendere quella decisione. Già mi immaginavo quei cervelloni della regista e dello scenografo spremersi le meningi per settimane e poi venire fuori con qualcosa tipo “Che ne pensi di una scala?” “Ohh, grande idea!”. Anche in questa frugalità mi ricordava il Globe.

Chiacchierai un po' con Luke attendendo che le luci si spegnessero, e quando calò il buio, calò anche il silenzio.

Non sto a raccontarvi tutto lo spettacolo: se ci tenete, e dovreste, lo si può trovare in rete, anche se con un po' di fatica.

La fatica io invece dovetti impegnarla nel capire l'inglese shakespeariano, cosa non facile anche per le mie orecchie allenate. Averlo letto chiaramente aiutò. Rimasi...beh, c'è un'espressione inglese che rende alla perfezione come mi sentivo alla fine dello spettacolo: I was in awe. E awe si pronuncia, alla buona, “ohh”. E in quel momento tutto il mio essere diceva “Ohhhhh.”. Ero estasiata.

Dopo una buona manciata di minuti di applausi, Luke mi fece segno di seguirlo fuori dalla sala. Ci defilammo silenziosi prima che le luci si riaccendessero e tutti gli altri spettatori si alzassero dai loro posti, uscendo dal teatro per dirigerci verso l'ingresso secondario. La calca di gente in attesa di un autografo era già impressionante: la sicurezza aveva dovuto transennare uno spazio davanti alla porta per poterla rendere accessibile, e anche se non facevano particolare attenzione che nessuno le oltrepassasse, la piccola folla rimaneva ordinatamente dietro di esse, paziente, in attesa. Molti di loro si erano preparati delle immagini da farsi autografare.

Considerato che Luke, avevo scoperto, era piuttosto famoso a sua volta nella cerchia dei fan sfegatati, affondai con finta casualità il viso nella sciarpa, fingendo di proteggermi dal freddo mentre invece cercavo di nascondermi da chiunque avrebbe potuto farsi due domande su chi cazzo fosse la stronza che girava con l'agente dell'attore figo.

Avvicinandoci all'ingresso, un uomo della sicurezza si rivolse amichevolmente al mio accompagnatore. -Ehi, Luke. Piacere di rivederti, amico. Lavori anche stasera?

-Ciao Mike. No, oggi sono solo venuto a controllare se il mio lavoro da i suoi frutti.- scherzò lui in risposta.

Mike sorrise. -Ah, fai bene. Questi attori sono inaffidabili.

-Puoi dirlo forte. Senti, possiamo entrare? Lei è con me.- fece Luke indicandomi.

L'omone mi squadrò da capo a piedi prima di annuire. -Certo, certo. Entrate pure.- e si fece da parte lasciandoci passare.

Passato il piccolo ingresso si iniziò a sentire il brusio festoso tipico dei fine-spettacolo: gente che tornava in camerino per cambiarsi e tornare a casa il più in fretta possibile, altri che si scambiavano pareri sulla reciproca performance e altri ancora che cercavano di convincere i colleghi ad andare a farsi un goccetto.

In mezzo a quella amalgama di attori e tecnici, scorsi Thomas, ancora tutto sporco di sangue finto.

Quel giorno ci eravamo visti solo di sfuggita mentre stavo facendo colazione. Lui era appena tornato dalla sua corsa, si era fatto una doccia ed era andato via quasi subito a causa di un'intervista. E io avevo passato la giornata facendo da mamma a Lucia, cercando inutilmente di convincerla che tra i motivi per cui non riusciva ad arrivare a fine mese c'erano le più di £200 mensili che spendeva in sigarette.

Luke alzò il braccio per attirare l'attenzione di Tom, che si girò verso di noi con un sorriso. Gli sorrisi a mia volta mentre ci raggiungeva.

-Vuoi un abbraccio?- mi chiese subito, scherzoso.

Lanciai un'occhiata schifata a quella roba rossa (Dio solo sapeva cosa fosse!) che gli impiastrava la faccia e i capelli. -Non ci provare!- lo respinsi.

-Eddai! Veloce veloce.- provò a insistere, ridendo e facendo un passo verso di me.

-Vade retro, Coriolanus!- risi a mia volta, arretrando.

-Uffa. Luke, tu lo vuoi un abbraccio, vero?- si girò allora a braccia aperte verso il suo agente.

Lui si allontanò a sua volta di un passo. -Mi dispiace, ma mi associo alla tua amica: fai proprio un po' schifo con quella roba addosso.

-Ahh, è solo un po' di sangue finto, che volete che sia? Sa di lampone.

-Se ti piace così tanto allora tientelo.- ribattei io.

Tom rise prima di chiedermi: -A parte gli scherzi, ti è piaciuto lo spettacolo?

Annuii convinta. -Assolutamente sì. Davvero fenomenale. A parte una cosa: hai lavato tutta la prima fila nella scena della doccia, noi compresi. Anzi, noi per primi.- gli dissi indicando Luke e me stessa.

-E' la parte più divertente di tutto lo spettacolo!- ribatté lui con fare ovvio.

Gli lanciai un'occhiata indignata. -Che stronzo! Lo fai apposta!

Lo stronzo se la rise per bene, seguito a ruota da Luke, divertito dalla mia espressione. Io, per enfatizzare la mia disapprovazione, rifilai a Tom una leggera manata su un fianco.

Poi una voce catturò la nostra attenzione. -Ehi, Tom, ci vediamo domani.

Girandomi constatai che il proprietario di quella voce era un viso familiare che già avevo riconosciuto durante lo spettacolo: era il ragazzo che aveva recitato la parte di Dean Thomas in Harry Potter. Non ne conoscevo il nome, però.

-Ciao, Alfie, a domani.- Ah, ecco. Alfie.

-Però!- commentai guardandolo allontanarsi. -E' cresciuto bene il ragazzo.

-Se vuoi te lo presento.- mi offrì Thomas ridacchiando sotto i baffi.

Mi strinsi nelle spalle tornando a girarmi verso di lui. -Sarà per la prossima volta.

In quel momento Luke gli si avvicinò posandogli una mano sulla spalla. -Io ora vado, se non ti dispiace. Domani ho un aereo presto.

-Certo, vai. Vai a dormire. Ci sentiamo quando torni a Londra.- rispose Tom.

-Credo prima. Ti faccio sapere per quel contratto.

-Oh, sì, giusto.- parve ricordarsi. -Sicuro che non lo vuoi un abbraccio?- gli sorrise invitante.

Luke lo squadrò con un'aria schifata simile alla mia. -Vai a lavarti.

Tom rise e si salutarono.

Lo aspettai in corridoio, fuori dal suo camerino mentre lui si puliva. Mentre aspettavo feci due chiacchiere con Mark Gatiss che passava di lì e mi aveva riconosciuta, prima che uscisse e venisse inghiottito dalla folla scalpitante.

Quando Thomas uscì dal camerino, finalmente pulito e con vestiti di quest'epoca, tutto sorridente mi fece: -Ora lo vuoi un abbraccio?

Gli sorrisi a mia volta, divertita. -Ora forse lo posso accettare.

Ridacchiando si chinò per darmi una stretta veloce.

-Come è andata la giornata?- mi chiese tornando in posizione eretta.

Sospirai. Gli avevo detto che mi sarei vista con Luce quel giorno. -Ti sembra normale che io debba fare da mamma a una ragazza di due anni più grande di me?

Mi guardò comprensivo. -Conoscendo Lucia, sì.

Sbuffai.

-Che è successo questa volta?- mi chiese ancora, infilandosi il cappotto. Stavo per rispondergli, ma venimmo interrotti.

-Ciao Tom. Buonanotte. Ci vediamo domani.- Una bella donna mora con un sorriso da una tempia all'altra guardava verso di noi. Quando vide me, evidentemente un'estranea al teatro ed altrettanto evidentemente amica di Tom, il suo sorriso si indebolì.

Stavo quasi per dirle “Tranquilla, non sono la concorrenza. Flirta pure quanto ti pare, io mi faccio un giro e vi lascio un po' di privacy.”, ma Tom si affrettò a ricambiare il sorriso e rispondere al saluto. -Sì, ciao. A domani. Buonanotte.

La guardai allontanarsi e poi mi rivolsi sussurrando maliziosa al mio amico Don Giovanni. -E' carina. Come si chiama?

Lui mi guardò e alzò un sopracciglio davanti alla mia espressione cospiratoria. -Jane.

-Jane... me la farei pure io.- scherzai mentre ci avviavamo verso l'uscita.

-Non è il momento.

-Non ti sto dicendo di sposarla. Solo che potresti farci un po' di esercizio fisico.- ribattei con quanta più innocenza possibile.

Thomas allora spostò la questione su di me. -E allora tu con Jack? Niente esercizio fisico per te?

-Lui voleva un appuntamento.- protestai. -Non mi sorbisco due ore di silenzio imbarazzante solo per una scopata.

-E io dovrei?

-Tu sei tu! E voi due già vi conoscete, le possibilità che si arrivi a un silenzio imbarazzante sono ridotte. E poi non ti sto dicendo di invitarla a uscire. Le cose... capitano, no?- mi guardai intorno. -Quanto è grosso quello sgabuzzino?

-Amelia!- mi rimbeccò divertito. -Da un estremo all'altro.

-Non dirmi che lo hai mai fatto!

-Sesso in uno sgabuzzino? No, questa mi manca. In macchina, in giardino, ma lo sgabuzzino mi manca.

Alzai gli occhi al cielo. -No, dicevo sesso senza impegno. Lo sgabuzzino è solo un accessorio.

-Certo, ma proprio perché è senza impegno non mi metto lì a programmare il dove, il come e il quando. E tu che predichi, lo hai mai fatto?- mi chiese con aria di sfida.

-Una volta.- Secondo anno di università. Si chiamava Manuel e cavolo se era bravo! Peccato non abitasse a Torino. -E non è stato affatto male. Ecco perché lo predico.

Eravamo arrivati alla porta. Tom sospirò la sua resa e cambiò discorso chiedendomi: -Esci prima tu o io?

Ottimo: neanche lui ci teneva a finire in prima pagina.

-Vado io. Dove hai la macchina?

-Vai verso Shaftesbury Avenue. Ti raggiungo davanti al negozio di articoli mistici, è lì vicino.

-Ok, allora. A tra poco. Non far svenire troppe fangirl, mi raccomando.- scherzai.

-Non è mia intenzione.- ribatté con fare difensivo.

-Questo conta poco.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Chapter Seventeen ***


N.A.: Lo so, lo so, mi odiate. Chiedo umilmente perdono. A mia discolpa posso solo dire che scrivere contemporaneamente una sceneggiatura (per un esame), un racconto noir (per un esame), delle recensioni di spettacoli teatrali (per un esame) e anche questa storia era un po' complicato. Per cui ho messo questa un po' da parte, nell'ulteriore speranza di riuscire a schiarirmi un po' le idee e riprendere più carica di prima. Spero di esserci riuscita.

Buona lettura.

Eowyn

 

Chapter Seventeen

 

Il mattino dopo stavo preparando il tè per me e il caffè per Thomas quando lui scese di sotto strofinandosi il viso. Lo avevo solo sentito arrivare: davo le spalle alla stanza concentrandomi nel versare il caffè dentro la tazza e non sul bancone della cucina, perciò non lo vidi subito.

-Buongiorno.- mi salutò.

-Buongiorno, straniero. Ti ha svegliato il profumo del caffè?- chiesi appoggiando il bollitore (non mi abbasserò a chiamare caffettiera quella... cosa.).

-No, la sveglia. Ma il caffè mi ha messo di buon umore.

-Be...- cominciai voltandomi. Mi interruppi subito: era di nuovo in mutande. Ma porca troia! Perdonate ancora il francesismo.

-Hiddleston! I pantaloni!- lo rimproverai.

Lui rise della mia reazione. -Credevo apprezzassi la vista.- replicò voltandosi e dimenando scherzosamente il sedere.

Gli lanciai un'occhiata stizzita, poi sogghignai, presi la rincorsa e gli saltai in spalla.

-Ohi!- esclamò lui, colto di sorpresa, cercando di riacquistare l'equilibrio sorreggendomi dalle ginocchia.

-Io ti avevo avvertito che ti sarei saltata addosso.- lo presi in giro allacciandogli le mani alla gola per non cadere. -E io mantengo sempre le promesse.

Rise. -In maniera piuttosto letterale, devo dire.

-E tu che credevi?- replicai sarcastica.

-Ah-ah, molto divertente. Ora hai intenzione di scendere o vuoi continuare a fare la scimmia?

-Perché, hai altro da fare oggi, a parte l'albero?- scherzai.

-Mah, qualcosa di meglio lo trovo sicuro.

Ridendo, riposai i piedi sul pavimento e andai a prendere le tazze per porgergli la sua e circondare la mia con le mie mani perennemente fredde, cercando di riscaldarmele. Andò a sedersi su uno degli sgabelli della cucina e io lo seguii, sedendomi al suo fianco.

-Vieni con me, oggi?- mi chiese all'improvviso.

-A teatro?

-No, alla Torre di Londra a farci torturare.- mi rispose sogghignando sarcastico.

Gli spintonai leggermente la spalla.

-Non provare a battermi nell'arte del sarcasmo, Hiddleston, tanto non ci riesci.

-Tentar non nuoce. Allora, vieni?- incalzò.

Ci pensai su. In effetti mi sarebbe davvero piaciuto vedere lo spettacolo da una prospettiva professionale. Il teatro era il mio mondo.

-D'accordo. Accetto volentieri l'invito.- concessi bonaria.

Mi guardò assottigliando gli occhi. -Perché ho la sensazione che ci sia un “ma”?

-Ma ora vatti a vestire!- risi.

 

<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<

 

La serata era stata fantastica. Stare dietro le quinte era sempre fantastico, ma erano mesi che non mi capitava e quella sera sembrò ricordarmi il perché della mia scelta universitaria e lavorativa. Perché proprio quello era ciò che volevo fare per il resto della mia vita. E' difficile da spiegare la sensazione che si prova, ma quando trovi quella singola cosa che capisci essere la tua, è come se improvvisamente trovassi un senso alla tua vita intera. E ti dici “Ecco perché sono viva!”. La vita dietro il palco era il mio perché. So che può sembrare una cosa un po' Romantica e un po' metafisica da dire, ma era così che mi sentivo.

Quel turbinio di gente, di costumi, di luci. La miscela di realtà e finzione che su un palcoscenico sono così vicine da non riuscire a distinguere quale è quale. Se pensate che un film sia bello, andate a teatro, no, andate a vedere delle prove, a teatro. E non saprete più cosa è reale. E' una bella sensazione. Lo so, è discutibile, ma per me lo è.

Quella notte non dormii molto. Dopo aver dato la buonanotte a Thomas, che invece sembrava davvero distrutto, come ogni sera dopo teatro, mi preparai per andare a dormire ma una volta sotto le coperte mi misi a leggere: non mi sentivo per niente insonnolita. Leggere un po' aiutò e le palpebre iniziarono a farmisi pesanti, così posai il libro sul comodino e spensi la lampada. E, nel buio, il mio cervello decise di riprendere la sua piena attività. Proprio non ne voleva sapere di lasciarmi dormire. “D'accordo,” mi concessi. “cosa diavolo c'è ora che non va? Perché ora non riesco a dormire? Forza, Stefani, cosa ti disturba?”. Analizzai in modo quasi scientifico tutto ciò che provavo in quel momento: avevo come una sensazione di pesantezza al cuore, come se mi sentissi in colpa, ma non proprio; combinata ad essa c'era la sensazione di avere qualcosa in sospeso. Ritornai con la memoria alla conversazione che avevo avuto con Ros la sera prima.

“Ti senti in imbarazzo.” No, mi sentivo in debito. E dopo una serata così spettacolare (in tutti i sensi) lo ero anche di più. Come potevo sdebitarmi?

Passai molto tempo a girarmi e rigirarmi nel letto, a pensare. Dovevo trovare qualcosa, qualcosa di speciale, qualcosa che avrebbe potuto ricevere solo da me così come quello spettacolo sarebbe potuto venire solo da lui. Certo avrei avuto tempo fino a febbraio per pensarci però... oddio, febbraio! Quando sarebbe stata Pasqua?

Quando quell'illuminazione arrivò, un sorriso mi si dipinse in faccia. Andai a riaccendere il cellulare e mandai due messaggi: uno a mio padre e uno a Rossana, perché li vedessero come prima cosa la mattina dopo. E misi la sveglia. Felice del mio successo, riuscii finalmente ad addormentarmi.

 

<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<

 

Cinque ore di sonno non erano tante, ma dovevano essere abbastanza. Erano solo le sette e se volevo portare a pieno compimento la mia missione dovevo muovermi. Fare una sorpresa a una persona in casa sua senza avere le chiavi non è una cosa semplice, perciò mi servivano rapidità e l'aiuto inconsapevole della persona stessa. In realtà non era una grande sorpresa, né c'era voluto un gran piano, ma non potevo stare a guardare le allodole.

Fortunatamente, dovendo lavorare tutti i giorni fino a tardi, Thomas aveva ritardato di un paio d'ore la sua abituale sveglia delle sei. (Abitudine da pazzi, se chiedete a me.) Il che voleva dire che io avevo un'ora per uscire di casa senza che se ne accorgesse. Più che abbastanza. Mi sciacquai il viso, mi vestii e uscii. Direzione: Willesden Green.

Arrivata a casa Sheldon, Ros mi aprì sbadigliando.

-Mi spieghi a che cosa ti serve la macchina per la pasta?- mi chiese quando fummo in cucina, indicandomi la scatola che mi aveva preparato sul tavolo.

-Forse ho trovato un modo per ricambiare il regalo di compleanno.- le risposi sorridente.

-Bene. Vuoi fare colazione?- domandò ancora, troppo insonnolita per mostrare vero interesse.

-Volentieri. Ma un caffè può bastare. Sono un po' di fretta e devo ancora passare a fare la spesa.

-Caffè? Tu non bevi mai caffè.

-Oggi ne ho bisogno. Ho dormito poco.

-D'accordo, cospiratrice.

 

Erano quasi le nove quando suonai il campanello, non senza un po' di difficoltà a causa dalle borse della spesa e di quella con la macchina per la pasta.

La faccia di Tom quando venne ad aprire sarebbe stata da fotografare!

-E dire che per tutto questo tempo pensavo che fossi di sopra a dormire.- esordì.

-Avevo da fare. Mi sono svegliata presto.- spiegai entrando.

Lui guardò sospettoso e incuriosito le buste della spesa. -Lo vedo. Mi devo preoccupare?

-Probabilmente sì.- risposi scherzosa dirigendomi verso la cucina. Lui chiuse la porta e mi seguì per aiutarmi a posare tutto sul bancone.

-Posso chiedere di che si tratta?

-Del tuo regalo di compleanno.

Mi guardò confuso. -Il mio compleanno è tra più di un mese.

-Lo so, ma io sono qui ora, perciò ho deciso di anticiparlo. Quello, e il Carnevale.

-Il Carnevale? Che c'entra il Carnevale?- Era sempre più confuso.

Cominciai a svuotare le borse, posando tutta la spesa sul bancone mentre iniziavo a spiegare. -Beh, tu mi hai fatto un regalo di compleanno con i controfiocchi, perciò dubito che riuscirò mai a ricambiare,- ignorai i suoi occhi al cielo. -ma tentar non nuoce. Perciò ho pensato: tu hai voluto condividere con me una parte della tua vita ~ mi hai invitata qui, a casa tua, a vedere il tuo lavoro ~ perciò io ho deciso di condividere con te parte della mia. Il tuo compleanno cade all'incirca nel periodo di Carnevale, a seconda di quand'è Pasqua, e così mi è venuta l'idea. Tutti gli anni a casa mia, per Carnevale, mia nonna cucina dei dolci che si chiamano Bugie, o Chiacchiere, e tutti gli anni, da quando ho memoria, ci chiama sopra da lei per aiutarla: lei fa l'impasto e io, mia sorella e mio nonno facciamo le forme e poi lei le frigge.

-Ma tu quest'anno le vuoi anticipare.- fece con il sorriso sulle labbra.

-Noi le anticiperemo. Questo è un lavoro di squadra, perciò inizia a tirarti su le maniche.

Thomas mi guardava con gli occhi spalancati. Beh, almeno ci ero riuscita, a sorprenderlo. Era un bene o un male?

-Tu vuoi condividere un rito della tua famiglia... con me?- Rito... beh, sì, era una bella parola per descriverlo.

-Sì. Regalo di compleanno.- risposi semplicemente appoggiandomi con una mano alla cucina. -Ti consiglio però di aumentare di un paio di chilometri la tua corsa mattutina, questa è roba cal...- Non feci in tempo a finire la frase perché lui si era chinato su di me e mi aveva abbracciata stretta. Presa alla sprovvista, ricambiai delicatamente.

-... orica. Ehm... Ok, non mi aspettavo per niente una reazione del genere.- continuai, imbarazzata. -Devo dire qualcosa? Farti “pat-pat” sulla schiena? Prendere un fazzoletto...?

Ridacchiò sulla mia spalla. -Grazie.- mi sussurrò all'orecchio.

-Del fazzoletto?- sussurrai a mia volta.

-Idiota.- ridacchiò ancora. -E' un pensiero stupendo. E non sono sicuro di meritarmelo.

-Certo che sì.- gli assicurai, tirandomi indietro per guardarlo in faccia.

-Sicura? Parliamo di qualcosa che appartiene alla tua famiglia. E' una cosa importante.

-Famiglia mia, decido io.- risposi con decisione sciogliendomi definitivamente dall'abbraccio. -E poi che vuoi che siano due dolci fritti? Ah, a tal proposito, spero non ti dispiaccia avere odore di fritto in casa per tutta la settimana.

Scoppiò a ridere. -Se è per una buona causa, lo posso accettare.

-Oh, buona è buona! Perfetto. Ora, gambe in spalla. Mia nonna mi ha mandato la ricetta dell'impasto. Direi di dimezzare le dosi, però: con le sue ci mangiamo in sei per due settimane, di solito.

-Sì, forse è un po' esagerato. Ma potremmo sempre metterci fuori un banchetto e venderle.- scherzò.

-Nah, fa troppo freddo. Ci tengo alla punta del mio naso, e perderla a causa del gelo non è esattamente tra i miei propositi per l'anno nuovo.

Iniziammo a fare l'impasto, io che mescolavo mentre lui mi aggiungeva gli ingredienti come un chirurgo. La parte più divertente arrivò quando iniziammo a tirare la pasta con la macchina. Mentre io regolavo man mano lo spessore, lui teneva la lunga striscia di impasto che veniva fuori, e per la prima volta fui grata che fosse così alto: io tutti gli anni mi rompevo le braccia per tenere la pasta in modo che non si accartocciasse di nuovo, a lui invece bastava tenere le braccia all'altezza delle spalle mentre io giravo la manopola.

Poi gli insegnai a dare la forma. -Ecco... adesso che abbiamo queste lunghe strisce dobbiamo tagliarle in diagonale, così.- gli mostrai.

-A rombi.- sintetizzò lui.

-A rombi, sì. E poi gli facciamo ancora un taglio in mezzo. A questo punto arriva la cosa più importante e che distingue le nostre Bugie da tutte le altre a questo mondo: prendi un angolo, lo infili nel taglio centrale e tiri, delicatamente. Ecco qui, ora puoi essere sicuro che diventeranno buone.

Lui sorrise a quell'affermazione. -E' l'ingrediente segreto?

-Puoi scommetterci. La forma è tutto.

Lo aiutai per un po', poi lo delegai completamente alla formazione mentre io mi mettevo a friggere. Continuai però a supervisionarlo mentre faceva, incerto e un po' goffo, quei gesti che per me erano familiari fin dalla nascita. Era strano, in effetti, vederli compiere da una persona estranea alla mia famiglia.

-Sto sbagliando qualcosa?- mi chiese a un certo punto, accortosi che lo osservavo.

-No, nulla. Stai diventando un professionista, invece.- Poi mi girai e presi dalla ciotola una delle prime Bugie che avevo fritto. Era ancora calda ma non più ustionante. La immersi nello zucchero a velo, tolsi quello in eccesso e ne staccai un angolo per assaggiare: sì, erano loro. Gliela porsi. -A te l'onore.

-Che responsabilità.- esclamò prendendola. Diede un morso.

Lo guardai masticare, speranzosa, aspettando un commento. -Allora?- chiesi alla fine, impaziente.

Tom mi guardò e, ancora a bocca piena, annuì sorridente.

Tirai un sospiro di sollievo. Era la prima volta che le facevo senza l'aiuto dei miei nonni e non ero proprio certa del risultato.

-Sono buonissime! Mi sorprende che le facciate solo a Carnevale.

-E' la tradizione. E se le facessimo anche in altri periodi dell'anno saremmo tutti 200 kg per gamba.

Rise.

Finimmo giusto in tempo perché riuscisse a farsi una doccia prima di uscire, per togliersi di dosso la puzza di fritto. Mentre si infilava il cappotto e mi guardava finire di mettere a posto la cucina, mi disse: -Grazie ancora. E' stato un bellissimo regalo di compleanno.

-Sono contenta che ti piacciano.- gli sorrisi.

-Non parlo delle Bugie. Beh, sì, di quelle...- continuò, impacciato. -ma non delle Bugie in sé. Parlo del rito, grazie per averlo condiviso con me. E' stato il regalo più bello che potessi farmi. Non lo dimenticherò.

-E neanche io il tuo.- risposi io, commossa. Ma cambiai subito discorso, evitando un traboccare di sentimenti. -Ora vai, che sei già in ritardo. Non fare aspettare la tua Jane.- lo presi in giro.

Sbuffò andando verso la porta. -Ci vediamo questa sera.

-Fammi sapere se lo sgabuzzino è comodo!- gli gridai dietro.

-Ciao!- fu la risposta esasperata che mi rivolse mentre si chiudeva la porta alle spalle.

Scoppiai a ridere.

 

Quel pomeriggio avrei tanto voluto andare a recuperare un paio d'ore di sonno, ma il caffè che avevo preso quella mattina ancora non voleva lasciarmi andare. La caffeina mi imponeva di fare qualcosa di produttivo minacciandomi altrimenti la tachicardia, ma non avevo assolutamente voglia di uscire al freddo.

“Produttivo...”, ragionai. “Che posso fare di produttivo?”

Avevo finito la tesi prima di Natale e l'avrei consegnata di lì a due settimane, ma avevo a disposizione la collezione di libri di un attore classicista solo due piani sopra di me: perché non approfittarne? Quindi salii al piano superiore e mi misi a spulciare nella libreria recuperando quelli che capii essere i suoi vecchi libri universitari: erano pieni zeppi di sottolineature e appunti. Aveva una bella scrittura, elegante, ma totalmente incomprensibile, per quanto provassi a decifrarla.

In sostanza, passai il pomeriggio a studiare. So che può sembrare da pazzi, ma amavo davvero il mio campo di studi e non mi stancavo mai di esplorarlo. E poi, almeno, la caffeina fu accontentata.

Arrivata sera saccheggiai il frigorifero per cenare, dopodiché mi sistemai sul divano e accesi la televisione: su E4 facevano la maratona di The Big Bang Theory praticamente 24 ore su 24 e sette giorni su sette, perciò andai sul sicuro. Lì, provata dalle poche ore di sonno e dall'iperattività a cui mi aveva costretta la caffeina, mi addormentai secca.

 

Mi svegliai sentendomi sollevare. Non lo consiglio a nessuno: avete mai sognato di cadere? Ecco, la sensazione è molto simile. D'istinto mi aggrappai alla prima cosa che mi capitò a tiro, che si rivelò essere un maglione. Aprii piano un occhio, abbagliata dalla lontana luce che veniva dall'ingresso, mentre il mio sollevatore iniziava a incamminarsi. Riconoscendo il profilo di Tom richiusi l'occhio e abbandonai la testa sulla sua spalla.

-Thomas...- sussurrai insonnolita.

-Pare che tu e i divani siate molto in sintonia.- sussurrò scherzosamente di rimando. -Dormi più lì che nel tuo letto. Neanche fossi un'ottantenne.

Mugugnai portandogli una mano sulla spalla per sorreggermi meglio mentre sentivo che imboccava le scale.

-Non dovresti prendermi in giro, allora. Si deve portare rispetto alle persone anziane.

Ridacchiò. -Va bene, nonna.

Aprì con un po' di difficoltà la porta della camera degli ospiti ed entrammo. Per un attimo mi resse con un braccio solo per poter scostare il piumone prima di depositarmi sul letto, direttamente sul materasso. Lo percepii chinarsi su di me per rimboccarmi le coperte e posarmi un bacio delicato sulla guancia.

-Buonanotte, Amelia.- mi soffiò sulla pelle.

-'Notte, papà.

Lo sentii ridacchiare un'ultima volta prima di sentire il clic della porta.

 

<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<

 

-Hai preso tutto?

-Credo di sì. Spazzolino, telefono, libro, caricabatterie... Dovrei avere tutto.

-Passaporto?

-Preso. Tasca esterna della valigia.- risposi sicura.

Eravamo in salotto. Thomas mi aveva appena portato di sotto la valigia e si era messo a fare il padre apprensivo mentre io mi infilavo gli stivaletti.

-Sicura che non vuoi che ti accompagni?- mi chiese per l'ennesima volta.

-Sicura. Detesto gli addii, o i saluti in generale. Specialmente in aeroporto. Non sai mai quando finire. All'ingresso? Ai controlli? Ti devi ancora voltare a salutare dopo averli superati? E' uno stress!

Lui rise di gusto. -Ok, niente aeroporto. Nemmeno fino alla fermata dell'autobus?

Sospirai. -Non è necessario, davvero. Me la cavo.

Annuì. -Lo so. Come sempre.

-Come sempre.- confermai sorridente.

-Allora ti saluto qui.- Mi si avvicinò a braccia spalancate e mi avvolse nel suo abbraccio. Io lo strinsi a mia volta mentre lui mi sollevava leggermente per portarmi alla sua altezza invece che doversi chinare. Risi come una bambina e gli allacciai le gambe alla vita.

-Fatti sentire ancora, ok? Non sparire.- si raccomandò.

-Tranquillo, non ti libererai di me tanto facilmente.

-Ci conto.- Sospirò. -Ok, scimmia, ora è meglio che scendi dall'albero, altrimenti rischi di perdere l'aereo.

Ridacchiai e lo strinsi più forte per un attimo prima di slacciare le gambe e rimettere i piedi a terra. Andai verso il divano, dove avevo lasciato pronto il cappotto, e mi imbacuccai per bene. Poi afferrai la valigia e mi diressi verso la porta d'ingresso, con Tom al mio fianco.

Mi voltai ancora verso di lui. -Ciao, Mr Hid. Ci sentiamo presto, ok?

Sorrise e ci scambiammo un bacio sulla guancia. -A presto.

Mi aprì la porta e uscii, portandomi dietro la valigia. Scesi gli scalini e mi girai un'ultima volta agitando la mano in segno di saluto. Poi superai il cancelletto e mi diressi verso la fermata dell'autobus, preparandomi per l'ennesima volta a dire addio a Londra.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Chapter Eighteen ***


 N.A. Rieccomi con un altro capitolo. Purtroppo in questo periodo riesco a postare, e scrivere, molto poco a causa dell'università. Fortunatamente per voi (o sfortunatamente, dipende da come andrà a evolversi la storia in termini di qualità) non sono una a cui piace lasciare le cose a metà. Proprio per niente. E' possibile che le pubblicazioni diventino più rare, ma perché voglio cercare, con il poco tempo che ho, di scrivere al meglio, e magari anche più di un capitolo per volta. Credo che in questo modo riuscirò a dare alla storia un po' più di senso logico e storico. Sappiate però che sono sempre e costantemente a lavoro, se non altro perché questa storia riesce a calmarmi la mente. Un abbraccio e buona lettura.

Eowyn

P.S. Ah, sì, la campagna per la donazione di recensioni è ancora aperta. Siate caritatevoli, fate sapere cosa pensate. Gli autori tutti ringraziano =)

P.P.S. E un bel “Hip-hip!! Hurrà!!!” per il nostro Tommaso Guglielmo “Sorprendente” Hiddleston per il suo nuovo gingillo a forma di Globo Dorato. Meritatissimo!

 

Chapter Eighteen

 

MARZO 2014

 

-Sto uscendo di testa, Maddy. Seriamente. Non mi piace stare con le mani in mano.- dissi alla mia amica con tono esasperato mentre uscivamo dal locale.

-Dai, non è vero che non fai niente.- cercò di contestare lei.

-Beh, dipende dalla tua idea di “qualcosa”, immagino.

Maddy sghignazzò. -Guardare tanti film è “qualcosa”, no?

Le lanciai un'occhiata sarcastica. -Cos'è, fai l'avvocato del mio diavolo personale? Non dovrei essere io a difendermi e tu farmi notare che sto con le mani in mano?

-No, quello lo fai benissimo da sola. Quindi a me spetta il compito di difenderti da te stessa.- ribatté divertita.

In realtà c'era ben poco da cui proteggermi, se non dalla noia. In quel periodo si sarebbe benissimo potuto dire che non facevo davvero niente: ero a casa, da sola perlopiù, e non facevo altro che guardare film e serie TV. Soprattutto serie TV: tutte quelle che mi ero persa nei tre anni precedenti. E, tra una puntata e l'altra, avevo deciso di tuffarmi nei libri classici che avevo pian piano collezionato ma, mio malgrado, mai letto. Non proprio niente, quindi. Si potrebbe anzi dire che ampliai la mia cultura più in quei tre mesi che in tutto il mio periodo di studi universitari.

Il problema però era la sedentarietà estrema a cui il mio piccolo paesino (1000 anime, tanti alberi e tanti cinghiali) mi costringeva. Presa dalla disperazione mi ero addirittura lasciata contagiare dal salutismo di Thomas e avevo ripreso a fare la mia corsa serale, abitudine che avevo coltivato per un po' quando ancora abitavo a Torino, ma che avevo presto abbandonato. Questa volta però mi ero intestardita a continuare, cercando di ignorare le salite e le discese (che a Torino non erano mai state un problema, ma a casa lo erano... eccome se lo erano!) e concentrandomi invece sugli aspetti positivi, quali la risalita del mio culo, fino ad allora cadente a causa delle ore passate seduta a studiare, e l'irrobustimento del fiato che, come mi aveva fatto notare Thomas quell'estate, non era proprio dei migliori. Non mi ero però lasciata convincere a correre al mattino: la sola idea di dovermi mettere a correre appena svegliata mi faceva istintivamente crollare di nuovo sul cuscino.

Andavo anche spesso a Torino, macchina permettendo, ovviamente. Uscivo con i miei amici, ed era bello cambiare aria e riuscire a fare due chiacchiere con qualcuno che non fosse i miei genitori, i miei nonni o il mio cane.

Quella sera ero uscita con Maddy, la mia collega di corso che si sarebbe laureata con me in aprile. Eravamo amiche sin dalle prime settimane del primo anno ed era una delle persone più buone e belle del mondo. Mi era mancata durante l'Erasmus e sapevo che mi sarebbe mancata ancora, una volta laureate, perché non ci saremmo più riviste per parecchio tempo. Ci eravamo trovate per fare aperitivo, che poi si era allungato in una cena seguita da una serata-discoteca. Ce l'eravamo spassata, insomma. Stavamo giusto uscendo dal locale, alla veneranda ora delle 2.30 del mattino, quando Maddy mi aveva chiesto “Che fai in questi giorni?”. E quella era stata la mia disperata risposta.

-Ok, va bene, forse non faccio proprio “nulla”,- le concessi -ma mi sento inutile. Non mi piace.- Sospirai facendole segno di seguirmi. -Vieni, ho la macchina da quella parte.

Lei si incamminò al mio fianco lungo il marciapiede. -Secondo me invece dovresti approfittarne e godere del tempo che hai a disposizione. Questa è la vacanza più lunga che ti sarà concessa da qui alla pensione. Pensaci.

Ci pensai: non aveva tutti i torti.

-E tu? Ti stai riposando?- le chiesi.

Maddy sbuffò, tristemente divertita da quella domanda. -Io sono un'attrice, Amy. Se mi riposo muoio di fame. Ho trovato un paio di parti da comparsa parlante, l'altro giorno. E ho un altro provino dopodomani.

Le sorrisi incoraggiante. -Wow, è fantastico! Pagano bene?

-Abbastanza. Cento euro a giornata.

-'azz! Dove si firma?

-Sì, ma sono solo un paio di giorni.- mi fece notare lei.

Non ci mettemmo molto ad arrivare alla macchina: quella sera una grandiosa botta di culo mi aveva fatto trovare parcheggio in piazza Vittorio, in pieno centro, non lontano dal locale. Il parcheggio sotterraneo era talmente silenzioso che si sentiva l'eco dei nostri passi. Proprio per niente inquietante! Ci avvicinammo alla macchina e mentre Maddy saliva sul sedile del passeggero, io aprii lo sportello posteriore per lasciare la borsa. Stavo per chiuderlo quando mi resi conto che per tutta la sera non avevo guardato il cellulare: già mi immaginavo la lista di chiamate perse dei miei che si chiedevano se fossi ancora viva, visto che avevo detto loro che sarei arrivata per l'una. Tornai quindi alla borsa e ripescai il telefono, notando però che mi era arrivato solo un messaggio. E non erano i miei genitori. Era Tom.

-Wow,- informai Maddy -i miei non mi hanno ancora chiamata! Domani nevica!

-Staranno iniziando a fidarsi di te.

-Alleluia!- commentai sedendomi alla guida. Aprii il messaggio.

Oggi se fossi stata qui avresti riso tanto da farti venire i crampi allo stomaco!”

Sorrisi incuriosita.

-Di nuovo il tuo ragazzo?- chiese Maddy con un'espressione compiaciuta che non prometteva nulla di buono, allacciandosi la cintura.

-Ragazzo?- Non le avevo parlato di Tom, non le avevo parlato di nessuno, perciò non aveva elementi per travisare. In teoria, almeno.

-Sì, quello di cui non mi hai ancora detto niente. Quello a cui scrivi sempre con il sorrisino idiota stampato in faccia.

Sbuffai. -Nessun ragazzo. Solo un amico. Comunque sì, è lui. Gli rispondo e partiamo subito.

-D'accordo.- Ancora quel tono compiaciuto.

In realtà non mi sorprendevo troppo dell'interesse generale per la mia vita sentimentale: in pochi sapevano della mia fiamma francese (non era finita bene e non mi andava granché di parlarne) e, se non contiamo la sveltina al secondo anno, la mia ultima relazione risaliva a tre anni prima.

Tornai a guardare il telefono e scrissi “Ok, allora fammi ridere. 'Esci' la storia!”.

-D'accordo, si parte.- annunciai posando il cellulare sotto la radio e accendendo il motore.

-E' simpatico, almeno?- mi chiese ancora Maddy mentre uscivamo dal parcheggio.

Sorrisi. -Sì, molto... Ma davvero ho il sorriso idiota?

Lei ridacchiò. -Giusto un pochino. E' uno dell'Erasmus?

-No, di Londra. L'ho conosciuto quest'estate.

-Oh, bene.- la sentii riflettere. -E' per lui che sei andata a Londra a Capodanno?

Deglutii. Mi fidavo di Maddy, ma da quando mi ero trovata a girare per la strada con Tom al mio fianco, in gennaio, avevo sviluppato un'irrazionale diffidenza verso tutti, tanto che mi ero pentita di averne parlato con Erika, nonostante lei avesse mantenuto la promessa di non dire niente a nessuno. Credo che avessi paura che qualcuno potesse raggiungere lui attraverso me. Lo volevo proteggere, persino da me stessa.

-Anche per lui, sì.- risposi quindi, cercando di stare sul vago.

-Deve essere una persona speciale. Come si chiama?

-Thomas.

-Ah, un inglese-inglese!- esclamò, alleggerendo l'atmosfera.

Risi. -Sì, un inglese-inglese. Londinese, tra l'altro. Nato e cresciuto, per quel che ne so.

-Oh, wow! Credevo si fossero estinti!

Stetti al gioco. -Beh, sono sicuramente in via d'estinzione. Ne restano solo pochi esemplari, così io invece che adottare un panda, ho adottato lui. Campagna per la protezione della specie, sai...- conclusi divertita.

Maddy rise di gusto. -Sei davvero un cuore grande, Amy. E cosa fai per sostenerlo? Gli mandi quantità industriali di tè?

-Tè e pudding.- rincarai.

-E non dimentichiamo il fish 'n chips!

-Quello lo davo per scontato.

Ridemmo di gusto mentre percorrevamo le strade quasi deserte di Torino, dirigendoci verso casa di Maddy, appena fuori città.

-Ma ti scrive alle due di notte? Cos'è, un vampiro oltre che un inglese?- chiese ancora quando le risate si placarono un po'.

-In realtà credo che per lui siano...- contai mentalmente. -... le otto di sera. E' in Canada al momento.

-Ah, allora ha senso, sì. Canada... Figo! Per lavoro?

-Sì.

-Non mi vuoi dire di più?- mi chiese con tono arreso.

-E' che... è un tipo riservato, ecco.- sospirai. -E' un attore.

Maddy sollevò le sopracciglia. -Uno famoso? Da come tratti questo argomento pare che sia uno famoso.

Fissai intensamente il semaforo rosso che avevo davanti, indecisa se rispondere. Mi ero fidata di Erika ed ero sicura di potermi fidare di Maddy. Stavo per rispondere quando...

-Ok, sì, è famoso.- esclamò Maddy. -Non dirmi nient'altro. Che poi mi viene voglia di chiedergli lavoro. Solo che io l'inglese non lo so, dannazione.

Ridacchiai. -Sicura? Se mi prometti di non dirlo a nessuno io te lo dico.

-No, no. Pensandoci bene non voglio saperlo. E poi al massimo se mi capitasse di annoiarmi, avrei un passatempo: cercare tutti gli attori inglesi nati a Londra con primo nome “Thomas”. Ho paura che sarà una lunga lista.

-Temo anch'io.- sorrisi.

Le strade di Torino di notte sono praticamente deserte perciò non ci mettemmo molto ad arrivare a casa di Maddy.

-Sicura che non vuoi dormire da me? Così torni a casa domattina che sarai un po' più sveglia.- mi chiese un'ultima volta.

-No, tranquilla, sono sveglissima, ma grazie per l'offerta. Ora metto la musica a palla e tra un'oretta sono a casa.

-Ok, come vuoi. Ma mandami un messaggio quando arrivi.- si raccomandò apprensiva.

-Certo. Buonanotte.- la salutai io mentre scendeva dall'auto.

-'Notte.

La seguii con lo sguardo mentre entrava nel condominio, poi accesi la radio e ripartii, canticchiando sulle note della canzone.

 

Stavo uscendo dall'autostrada quando mi arrivò un altro messaggio. Approfittando del rettilineo afferrai il telefono giusto per guardare chi fosse il destinatario. Le possibilità erano due: i miei o Thomas. Fortunatamente era Tom. Rimisi al suo posto il cellulare e invece accesi il vivavoce della macchina mentre uscivo dal casello.

-Chi si desidera chiamare?- mi domandò la voce artificiale.

-Tho-mas.- dissi scandendo bene le sillabe.

-Tho-mas.- mi fece eco l'aggeggio. Meno male: quando volevo chiamare mia sorella Claudia chiamava sempre Clarks. E se c'era una persona con cui proprio non volevo parlare, quello era il mio vecchio capo Lee.

Mi rispose dopo un paio di squilli. -Ciao!- sembrava sorpreso.

-Ciao a te. Come stai?

-Bene. Non pensavo di trovarti ancora sveglia. Ero sicuro che mi avresti risposto domattina.

Aveva un tono vagamente colpevole, come un bambino beccato con le mani nella marmellata, che mi incuriosì.

-Se ora ti disturbo posso richiamarti domani.

-No! No, no.- mi assicurò. -Sono felice di sentirti, sono solo sorpreso. Che ci fai ancora in piedi?

-Ho fatto notte brava a Torino. Ora sto tornando a casa, sono in macchina.- gli spiegai.

-In macchina? Che ore sono lì? Le tre?- esclamò.

-E tu chi sei, mio padre in incognito? Ecco, mi sembrava strano che non avesse ancora chiamato!- lo presi in giro.

Sbuffò. -Ah-ah. Non posso neanche preoccuparmi un po'? Non è che ti addormenti al volante?

-Sono sobria e sveglissima, non c'è bisogno di preoccuparsi.- gli assicurai. -E poi sono quasi arrivata. Ma se proprio vuoi fare il padre apprensivo, renditi utile: raccontami la storia divertente che mi devi, così mi tieni sveglia.

-Ok, mi sembra un buon piano. Dunque... Oggi abbiamo girato una scena di sesso. Ne stavo parlando con Guillermo ed è venuto fuori che, essendo una storia gotica, avrebbe dovuto essere anche un po' sexy, un po' dissacrante rispetto al rigorismo dei tempi in cui è ambientata.

-Che cosa hai combinato Hiddleston?- gli chiesi come si chiede ai bambini quando fanno pasticci.

-Beh, Guillermo era d'accordo con me e allora ho proposto: visto che di solito nelle scene di sesso la donna è più svestita dell'uomo, considerato che qui il vero protagonista forte è la donna, avremmo potuto... ridefinire gli equilibri, e mantenere la donna vestita e l'uomo più... scoperto. Cosa facile in realtà se pensi a quelle gonne gigantesche con cui giravano nell'Ottocento.

Sollevai un sopracciglio. -Qualcosa mi dice che l'uomo in questione sei tu.

-Che intuito!

-Modestamente...- scherzai.

-Sì, beh, mi sono offerto volontario a mostrare qualche grazia. Con dei limiti, è chiaro.

-Accidenti, Mr Hid, sei davvero un cavaliere del femminismo. Sono commossa.

-E ne sono fiero. Comunque, ne parliamo con Mia, con cui dovevo girare la scena, e ci accordiamo che avrei mostrato le natiche...

-Hai girato una scena chiappe al vento?- chiesi conferma, incredula e divertita.

-Chiappe al vento.- confermò.

-Dio sia lodato!- esclamai. -Sai di aver fatto un dono all'umanità, vero? Sono la prima a dire che il tuo culo è un patrimonio da conservare e proteggere, ma un'occasionale apertura al pubblico mi pare il minimo che tu possa fare. E' un servizio all'arte! Non è giusto tenere cotanta beltà solo per una cerchia ristretta.- Ci misi tutte le mie forze per non scoppiare a ridere mentre dicevo tutto questo.

Seguì un attimo di silenzio. Quando poi parlò dalla sua voce traspariva la sua indecisione tra l'essere esasperato o divertito. -Sapevo di non dovertelo dire.

-E pur sapendolo, lo hai fatto.- ridacchiai.

-Questo perché evidentemente sono masochista. E comunque l'espressione “apertura al pubblico” può risultare un po' ambigua.

-Dai, finisci la storia, signor Masochista-Chiappe-D'Oro.- gli intimai.

-D'accordo. Beh, ci mettiamo d'accordo, dopotutto che io sappia è piuttosto difficile fare sesso senza abbassarsi i pantaloni, perciò tutti sembrano d'accordo e iniziamo a girare: io ero sopra Mia che nel momento in cui mi abbasso i pantaloni decide tutt'un tratto di improvvisare e mi pianta le unghie sul sedere. Credo che mi abbia lasciato i segni. Perciò immaginati la scena: una stanza più piccola della mia cucina piena di omoni con telecamere e microfoni, e io sto lì con le chiappe al vento, come dici tu, con i segni delle unghie ben evidenti. Se Guillermo non è morto dalle risate oggi, credo che sia diventato immortale.

Oh, sì che me la immaginavo! E mi immaginavo anche le risate di Del Toro! Io intanto cercavo in tutti i modi di trattenere le mie per continuare a concentrarmi sulla strada, con poco successo però. Ridevo come una matta.

-Lo sapevo che avresti riso delle mie disavventure.- mi rimbeccò con fare ovvio.

-Oh, sì. Ci puoi scommettere! Beh, in sua difesa devo ammettere che ad avere il tuo sedere tra le mani sarebbe stato un peccato non aggrapparvisi. E dubito che nessuno ci abbia mai provato prima.

-Sì, ma non davanti al mondo e il piacere, in quell'occasione, è stato di entrambi.- mi fece notare.

-Ok, ok, non voglio sapere i dettagli, grazie.- liquidai in fretta. -Ne hai parlato con Mia dopo?

-Più o meno. L'ho gentilmente ringraziata per le unghiate e lei si è messa a ridere. La scena è venuta bene, però, erano tutti molto soddisfatti.

Continuai a ridere sotto i baffi. -Non ne dubito. Sai, potresti denunciarla, però: strizzamento improprio di chiappe d'oro. Da vent'anni all'ergastolo.

Rise anche lui. -Ma smettila! Ho visto di peggio.

-Woo, sono curiosa!

-Non questa sera. Direi che ti sei già divertita abbastanza a mie spese, oggi.

-Sei un guastafeste, Hiddleston.- mi finsi imbronciata.

-Lo so.- ridacchiò.

Cadde per un attimo il silenzio mentre io piano mi ricomponevo e continuavo a guidare per le deserte stradine di provincia.

-Sei ancora sveglia?- mi chiese.

-Sì, sono qui, tranquillo.

-Tu come stai?

-Bah, come al solito. La nullafacenza non mi dona, però.

-Continui a correre?

-Stranamente sì. Sto iniziando a diventare anche bravina: cammino sempre di meno. Ma l'altro giorno ero così disperata che mi sono messa a fare le pulizie di primavera.

Ridacchiò. -Beh, non mi sembra una brutta cosa.

-No, ma non è da me. Io detesto fare le pulizie!

-Sai come la chiamavamo noi?

-Come?

-“Sindrome dell'iperattività pre-esame”. E ti farà piacere sapere che non sei l'unico caso al mondo.

-Già, ora che lo so sto proprio meglio, Thomas, grazie mille.- replicai sarcastica.

Lo percepii riflettere. -Se vuoi ti do qualcosa da fare.

-Cosa?- chiesi ansiosa. Qualunque cosa!

-Mi hanno inviato una nuova sceneggiatura. So che a te piace leggerle e mi farebbe piacere sapere che ne pensi.

-Di che si tratta?- domandai, sinceramente interessata.

-Una miniserie prodotta dalla BBC. E' tratta da un libro di John LeCarré. Si intitola The Night Manager.

-E che parte ti hanno offerto?

-Protagonista. E mi affascina molto. Ora voglio recuperare il libro per capirlo meglio.

-Sai già che l'accetterai, quindi.

-Ne sono quasi certo, sì. Ma vorrei sapere che ne pensi tu.

-Perché mi carichi di questa responsabilità?- chiesi seria.

-E' una parte importante, ci sarà un cast importante e non voglio fare la scelta sbagliata. E' una di quelle parti che ti possono elevare all'Olimpo se le fai bene ma anche affossarti in caso contrario.

-Accipicchia! D'accordo, la leggerò. Sicuro che posso, però? Non dovrebbe essere roba segreta?

-Tu hai intenzione di diffonderla?

-Certo che no.

-Allora siamo a posto. Te la mando via mail.

-Ok, aspetterò. Grazie. Che responsabilità, però!

Ridacchiò. -Vedila solo come qualcosa da fare nell'attesa. E non temere: condividi questa responsabilità con le mie sorelle.

-Oh, bene. Allora cosa farai, alla fine, visto che siamo in tre? A votazione?

-Probabilmente. O forse ignorerò tutte e farò di testa mia.

Ridacchiai. -Mi sembra giusto.

In quel momento sentii una voce femminile provenire da qualche parte intorno a Thomas. -Ehi, sei libero...? Oh, scusa, non sapevo fossi al telefono.

-Scusa un attimo, Amy.- mi disse lui. Sentii il tipico suono di qualcuno che copre il microfono con la mano. Purtroppo per lui i microfoni Apple sono dannatamente sensibili, perciò servì a poco.

-Ehi.- lo sentii infatti dire. Chiunque fosse la donna sembrava molto felice di vederla. Sorrisi sotto i baffi.

-Scusa, non volevo interrompere.- disse lei.

-Non ti preoccupare. Dimmi pure.

-Volevo solo sapere se sei... libero stasera.

-Sì. Sì, certo. Finisco questa telefonata e... arrivo.

-D'accordo, allora ti aspetto di sopra.

-A dopo.- Tolse la mano dal microfono e si rivolse di nuovo a me. -Scusa, una collega.

Sogghignai maliziosa. -Una collega?

-Una collega.- confermò.

-Mmm-mmm.- feci io con sarcasmo.

Nel frattempo ormai ero arrivata a casa. Rallentai e imboccai il vialetto fino ad entrare nel garage. Spensi la macchina ma rimasi seduta sul sedile per approfittare del vivavoce.

-Che c'è?- chiese sospettoso.

-Niente, cosa ti fa pensare che ci sia qualcosa?- gli risposi sfoderando la più innocente delle voci.

-Forse il tuo tono cospiratorio?

-Parla l'altro! Perché la tua conversazione criptica con la tipa non era neanche un filo cospiratoria.

-Hai sentito tutto?

-Purtroppo per te, sì. E pensare che stavo iniziando a cercare numeri di “accompagnatrici” lì a Toronto da mandarti ma, Cristo!, che prezzi. A quanto pare però non servirà. Meglio così. Le mie finanze sono limitate.

Sospirò esasperato. -Sei la peggiore amica del mondo.

-Lo so che mi adori.- sghignazzai.

-Basta che tu ne sia convinta!- scherzò lui.

-Ah-ah.- tornai seria. -A me invece basta sapere che non sei solo.

Ritornò serio anche lui. -Perché sei sempre così preoccupata che io sia solo?

-Perché vedo quanto sei triste quando lo sei e quanto invece è bello il tuo sorriso quando sei in compagnia. E io adoro il tuo sorriso.

Seguì un silenzio imbarazzato. Sì, ero stata un po' sdolcinata, ma era la verità.

Fu lui a parlare per primo. -Ma io non sono solo. Ho te, no?

-Come amica, sì. Non sto parlando di quello.

-Allora anche tu sei sola.- mi fece notare.

-E' una situazione diversa. Io non voglio quello che vuoi tu.

-E secondo te cosa voglio?- mi sfidò.

-Tu vuoi una famiglia. So che non vedi l'ora.

-E tu no?

-No, non ci tengo. Mi basto così.- risposi semplicemente.

-Se lo dici tu.- concluse dubbioso.

Un altro silenzio.

-Ora che sei tornata ad uscire di casa come le persone normali, non hai ancora conosciuto nessuno?- Sghignazzò prima di continuare. -Da quel che ricordo, non hai nessuna difficoltà a rimorchiare se vuoi.

Pensava a Jack, ovviamente.

Io mi strinsi nelle spalle. -Mmm, ogni tanto provo a guardarmi un po' intorno, ma non è facile quando detesti gli uomini pelosi mentre l'universo ti rema contro su quel fronte.

Scoppiò a ridere di gusto.

-C'è poco da ridere, Hiddleston.- lo riproverai. -Piuttosto, hai qualcuno da consigliarmi?

-Beh... Luke è poco peloso per quel che so.

Sbuffai. -Qualcuno di eterosessuale?

-Quante pretese!- rise.

-Non sei simpatico.

Aspettai che smettesse di ridere, poi gli dissi -Vabbè, io nel frattempo sono arrivata a casa senza distruggere la macchina. Vado a dormire così lascio andare anche te. Hai una gran figa che ti aspetta, mi sembra.

-Chi ti dice che sia una gran figa?

-La legge di natura.- risposi con fare saggio.

Rise ancora. -D'accordo, stai iniziando a delirare dal sonno. Vai a dormire, che è meglio.

-Agli ordini, signore! Buonanotte, Thomas.

-Buonanotte, Amelia.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Chapter Nineteen ***


Chapter Nineteen

 

Il gran giorno era finalmente arrivato: la laurea. Inutile dire che ero elettrizzata. Per l'occasione mi ero comprata un bel vestito blu sgargiante, elegante ma non esagerato. “Il blu rilassa.” mi aveva detto una volta Tina. “Per esempio: mai andare a un esame vestita di rosso: ti odieranno a pelle. Il blu li renderà più disponibili.” Avevo seguito questo consiglio per tutti quegli anni e devo dire che aveva funzionato. Perché rinunciarci proprio il giorno della laurea?

Rossana, in rappresentanza di tutta casa Sheldon, era venuta a fare il tifo per me: Asia e Tina purtroppo non avrebbero potuto lasciare il lavoro in quel periodo, ma mi erano vicine spiritualmente. Anche mia sorella aveva deciso di venire ad assistere e, nonostante non fossimo mai andate molto d'accordo, ne ero abbastanza felice. Più felice ancora lo sarei stata se anche Thomas avesse potuto essere presente, ma non gli avrei mai chiesto di farsi qualcosa come 6 ore di aereo solo per la mia cazzo di laurea. Così mi aveva telefonato il giorno prima facendomi gli auguri e anticipandomi (non come per il mio compleanno!) che mi sarebbe arrivato un pacchetto contenente un piccolo regalo di laurea. Gli avevo fatto notare che non era per niente necessario, ma ormai lo aveva già spedito e io non mi potevo opporre. “Ringrazia che questa volta ti ho avvertita!” mi aveva detto ridendo.

Perciò eravamo tutti lì, i miei genitori, mia sorella, Rossana ed io, nell'ingresso di quell'orribile edificio che è Palazzo Nuovo, sede dell'Università di Torino, in attesa che aprissero la sala lauree. Maddy e la sua famiglia erano a pochi metri da noi, e mi fece sentire un po' meglio vedere che, nonostante lei fosse molto più abituata di me a parlare in pubblico, era altrettanto nervosa mentre strizzava la mano del suo ragazzo. Quando si girò verso di me ci scambiammo uno sguardo pieno di significato.

Non lontano riconobbi Alessio, un altro collega, che invece provava a sembrare disinvolto, ma, conoscendolo, sapevo che se la stava facendo sotto come tutti noi. Mentre si voltava nella mia direzione, alzai la mano sorridente in segno di saluto. Lui ricambiò entusiasta.

-Devi stare tranquilla, Amy.- mi disse Rossana in quel momento, indicando il tremito che avevo alla gamba. -Guarda, mettila così: anche se ti danno 0 punti tu ti laurei. Da che voto parti?

-103.- risposi poco convinta: nessuno comunque poteva assicurarmi che non avrei fatto una grandissima figura di merda davanti a tutti!

-'sti gran cazzi, Amy! Come fai ad essere nervosa?

-Su, dai!- intervenne conciliante mio padre. -Stai calma, andrà benissimo.

-La fai facile.

-Ci siamo laureati tutti, Amy, e siamo tutti vivi.- fu il commento rassicurante e sbrigativo di mia sorella. -Non è certo la cerimonia a doverti spaventare.

-Grazie, Dì. Mi sento molto meglio ora.- replicai sarcastica.

-Non litigate proprio adesso.- s'intromise mamma mentre cercava di aggiustarsi la borsa sulla spalla, facendo attenzione a non rompere la corona d'alloro che teneva in mano.

Sospirai e mi diressi verso Maddy alla ricerca di un po' di comprensione.

-Aiuto!- le dissi.

Lei si allungò per darmi una breve stretta. -Sei terrorizzata quanto me?

-Di più!- replicai indicandomi la gamba che continuavo a far ballare. -Guarda la gamba! Guarda la gamba!*

Lei scoppiò a ridere davanti alla citazione del Cupiello: lo avevamo studiato per un esame al secondo anno, tanto da farcelo uscire dalle orecchie.

-Pensieri felici. Oggi solo pensieri felici.- aggiunse.

Mi sentii posare un braccio intorno alla spalle e girando lo sguardo trovai Alessio che ci guardava dall'alto del suo metro e novanta.

-Come il fatto che da domani saremo ufficialmente disoccupati?- chiese lui tutto calmo.

Io e Maddy gli lanciammo un'occhiataccia.

-Grazie, Ale, per la ventata di ottimismo.- lo rimbeccò lei. -No, come al fatto che da domani saremo qualificati per fare un lavoro che ci piace.

Guardai Ale dal basso in su: aveva la mia stessa espressione dubbiosa. Pensai di replicare, ma mi morsi la lingua. “Solo pensieri felici, solo pensieri felici!” mi costrinsi a ripetermi.

-Beh,- mi fece Alessio. -tu comunque, Amy, per oggi non dovresti preoccuparti: hai una bellissima tesi, per non parlare del fatto che il tuo amante è in commissione.

Alzai gli occhi al cielo: da quando il professore di sceneggiatura mi aveva dato la lode (la seconda della sua carriera, immaginate la mia felicità nel riceverla!) per tutti ero diventata la sua amante.

-Figurati se si ricorda di me. Magari si ricorda della lode, ma so, per sua stessa ammissione, che è totalmente incapace di collegare i voti ai nomi e i nomi ai volti. Perciò, aspetta e spera.

-Si ricorderà di te.- fece Maddy con aria sognante.

-Ripeto: aspetta e spera.

-Comunque la tesi su Riccardo III è fantastica.- ribadì lei. -Tutte le nostre tesi sono fantastiche!

-Infatti io non sono preoccupato.- affermò Alessio con nonchalance.

Io e Maddy ci guardammo, poi guardammo lui.

-Ok, va bene, solo un po'.- ammise allora.

Scoppiammo tutti a ridere.

Tornai ancora ridacchiando dalla mia famiglia e da Ros, un po', ma solo un po', rincuorata.

-Sei ancora tesa?- mi chiese Rossana.

-Assolutamente sì! Dai, distraimi. Dimmi: quali nuove da casa Sheldon?

-Mmm, d'accordo. Vediamo...- rifletté. -Beh, non so se te l'ho già detto, ma Asia è recidiva.

-Recidiva? A proposito di cosa?- chiesi confusa.

-Gabriel.

Compresi. -Ah.

Vado a spiegare: Asia e Gabriel erano già stati scopamici tempo addietro, quando anch'io vivevo ancora a Londra. Asia era consapevole di con chi avesse a che fare (un fattone poco costante, tanto simpatico quanto coglione) e insisteva a dire che non cercava niente di più in lui e invece non era vero. In ogni caso la loro storia era continuata finché lei non era tornata in Italia per la magistrale. Nel periodo successivo, Gabe sembrava aver trovato la ragazza giusta per lui e aver messo la testa a posto, ma la cosa non era durata a lungo. Ora Asia era tornata a casa Sheldon, evidentemente la cotta per Gabriel non le era passata come voleva farci credere e i due avevano ripreso ad andare a letto insieme.

Mi caddero le braccia. -Ma che, davèro?

Rossana si strinse nelle spalle in un segno di rassegnata conferma. -Io e Tina glielo abbiamo detto e ripetuto di non fare la cogliona. Poi sai, è adulta e vaccinata, che ci possiamo fare? Metterle la cintura di castità?

-No, niente, infatti.- sospirai. -Cerca ancora di portarlo sulla via della redenzione?

-Dice di no.- mi rispose Ros, guardandosi intorno. -Dice che vuole solo fare sesso. Io non le credo. Sai com'è...

-Considerato che per fare sesso con qualcuno deve farsi film mentali su come saranno tutti una bella famiglia felice come quella della Mulino Bianco, sì, capisco cosa intendi.

Ros distolse lo sguardo dalla folla, che per qualche motivo continuava a scrutare, per rivolgerlo a me. -Ah, questa mi mancava.

-Sì, beh, me lo ha detto anni fa, la prima volta che è stata con Gabriel.

-Allora è peggio di quanto pensassi. Purtroppo però temo che dovremo lasciarle sbattere il muso.

-Sia lei che Lucia.- aggiunsi pensando a Luca, il ragazzo storico di Luce, che l'avrebbe presto raggiunta a Londra. Già mi vedevo a doverla consolare nel momento in cui l'avrebbe mollata a piedi per la seconda volta.

-Che poi magari ci sbagliamo noi e finiranno tutti felici e contenti. Chi lo sa?- E con questo tornò a guardarsi attorno, il cellulare stretto in mano a cui occasionalmente lanciava occhiate impazienti.

-Cerchi qualcuno?- le chiesi stranita.

-No, no.- Tornò improvvisamente a guardare me. -Noto solo che c'è tanta gente. Si laurea il mondo oggi, o cosa?

Ridacchiai. -Si laurea gente con grandi famiglie, evidentemente.

In effetti la mole di parenti a questa sessione era impressionante. Non ricordavo che alla sessione di novembre ci fosse così tanta gente. Né alla laurea di mia sorella.

-Hai sentito Tom di recente?- mi chiese Ros, ricatturando la mia attenzione.

Sorrisi. -Sì, giusto ieri sera. Mi ha fatto l'in bocca al lupo per oggi. Beh, letteralmente mi ha detto di rompermi una gamba- ridacchiai, e Ros con me. -però il significato è quello.** Tu l'hai sentito?

Scosse la testa. -Non da gennaio. Dopotutto è amico tuo, non mio.

Mi avvicinai scherzosa per darle dei colpetti con il gomito. -Tanto lo so che ti sta simpatico.

-Mah,- fece con finta aria da superiore. -ci devo ancora pensare.

Risi ancora.

Intanto avevano finalmente aperto le porte della sala lauree e lentamente riuscimmo a entrare per prendere posto, già comunque sapendo che avremmo dovuto alzarci e uscire ancora molte volte per lasciare alla commissione il tempo di valutare ogni candidato. Io, con la S, ero tra gli ultimi.

Ascoltammo tesi dopo tesi. Prestai più attenzione a quelle di Maddy, ovviamente, (un'analisi comparativa tra le prime e le ultime opere di Strehler), e a quella di Alessio, intitolata La guerra secondo Hollywood.

Seduta al mio fianco, Ros sembrava diventare, minuto dopo minuto, quasi più agitata di me.

-Tutto bene?- le chiesi a un certo punto mentre aspettavamo fuori dalla sala.

-Certo.- mi rispose con fare ovvio. -Perché?

-Sembri un po' sulle spine. Vuoi rubarmi il ruolo?- scherzai.

-Mi hai contagiata.- mi accusò. -No, a parte gli scherzi... è Paolo: dovrebbe ricevere oggi una chiamata per un lavoro.

-Oh!- feci sorpresa. -Non lo sapevo. Dove questa volta?

-Ehm... Francia mi pare.- Non ne sembrava molto sicura.

-Beh, meglio che la Florida, no?

Annuì distrattamente, controllò ancora il telefono e tornò a guardarsi intorno, come a cercare di distrarsi scrutando tra la folla. La imitai mentre la mia gamba iniziava di nuovo a ballare.

Quando arrivò il mio turno ero tutta un tremito, manco fossi un chiwawa. “Pensieri felici, pensieri felici!” mi ripetevo mentre, tesi stretta al petto, mi dirigevo verso la commissione. In quel momento, di colpo tutto sembrò rallentare: d'improvviso ero calma e pronta a tutto. Dio benedica l'adrenalina! Fui comunque felice di non dover parlare rivolta verso la folla, a cui invece davo le spalle. Mi concentrai sui professori davanti a me, lanciai un'occhiata al mio relatore che mi sorrideva incoraggiante (nonostante i grattacapi), una al mio “amante” e iniziai.

-Buongiorno...

 

Quando conclusi la mia discussione ed ebbi risposto alle ultime domande, finalmente fui libera. Il peso che avevo sul petto si sollevò e tirai un lungo sospiro di sollievo mentre riprendevo il libretto rilegato dal leggio di fronte a me e mi voltavo per uscire, cercando i miei con lo sguardo. E lì ci rimasi. Gli occhi mi si spalancarono dalla sorpresa perché, seduta vicino a Ros, nel posto che era stato mio fino a poco prima, spiccava un'altra figura familiare.

-Thomas?- sussurrai tra me. Che diavolo ci faceva lì? Avrebbe dovuto essere in Canada!

Feci un passo nella sua direzione, ma fui subito bloccata dall'ingorgo di amici e parenti che si erano alzati per lasciare la sala. Lo vidi solo lanciarmi uno di quei suoi sorrisi contagiosi prima che fosse costretto a voltarsi per seguire Rossana e tutti gli altri in corridoio con un grosso zaino in spalla. A fatica mi feci largo sgomitando tra la folla che procedeva lentamente verso l'uscita.

-Permesso... Grazie.... Scusi... Permesso...- recitai finché non riuscii a raggiungerli.

Il primo a placcarmi fu mio padre, abbracciandomi. -Brava.- si complimentò commosso.

-Grazie papà.

Quando anche mia madre mi ebbe dato un bacio, le affidai la tesi e finalmente mi girai verso Thomas, che aveva poggiato a terra lo zaino e si teneva un po' in disparte insieme a Ros, come per non interferire con la gioia familiare. Si vedeva che era stanco, ma sorrideva entusiasta.

-Tu sei tutto matto!- esordii.

-Anche a me fa piacere vederti.- commentò lui ironico.

Risi e corsi a lanciargli le braccia al collo. Lui mi strinse forte, sollevandomi da terra e ridendo a sua volta sulla mia spalla. Non potevo crederci: era lì, era venuto! Senza dirmi niente, eccolo lì. Inspirai forte il suo profumo per essere sicura di non stare sognando e no, non era un sogno: era venuto davvero!

Quando mi riposò a terra allentai l'abbraccio per guardarlo in viso ed esclamai -Dal Canada! Hai preso un aereo da Canada solo per venire qui!

-Come potevo mancare?- replicò lui con fare ovvio.

-Tu sei tutto matto!- ripetei.

Si strinse nelle spalle. -E' un gran giorno.

Risi ancora, sinceramente commossa dal suo gesto, e mi allungai per abbracciarlo di nuovo. Gli schioccai un bacio sulla guancia prima di allontanarmi di un passo.

-Grazie.- dissi dal profondo del cuore.

-Dovere, straniera.- replicò lui con semplicità.

Quando mi voltai verso la mia famiglia, mio padre e mia madre avevano un'espressione quantomeno confusa, mia sorella sembrava più che altro scioccata e Rossana sfoderava l'espressione compiaciuta tipica dei complottisti. Altro che Paolo! Quei due me l'avevano fatta sotto il naso per la seconda volta. Guardai la mia amica con aria riconoscente prima di rivolgermi ai miei.

-Famiglia, lui è Tom, un amico di Londra. Quello del regalo di compleanno.- chiarii prima di rivolgermi di nuovo a Thomas, in inglese. -Tom, ti presento mia madre Simona, mio padre Lorenzo e mia sorella Claudia.

Dì si fece avanti allungando una mano. -Nice to meet you.- disse cortese.

-Piacere mio.- ricambiò Tom stringendogliela.

Anche mio padre si avvicinò. -Com'è che è? Nais tu che?- ci chiese.

-Nice to meet you.- lo correggemmo io e Dì, divertite dal suo tentativo fallito.

-Ah, sì.- disse lui rivolgendosi a Tom e stringendogli la mano. -Nais tu mit you.

Thomas provò a salutare papà in italiano, e devo dire che quei tre anni di latino a Cambridge avevano dato i loro frutti in fatto di pronuncia. Il suo vocabolario però non andava molto oltre quel “Piacere”.

-Mamma parla francese.- lo informai allungandomi sulle punte, ancora più di quanto i tacchi già non facessero, per sussurrargli all'orecchio.

-Oh, meno male.- commentò sollevato prima di salutare mia madre in francese.

Vedendolo più a suo agio in una lingua che conosceva, mi girai per abbracciare Ros.

-Uno di questi giorni tu e quell'altro mi farete venire un infarto.- la accusai scherzosa mentre ci separavamo.

-E che ti lamenti pure? Non te le faccio più le sorprese se mi accusi tutte le volte!- si finse offesa.

Ridacchiai prima di girarmi verso Maddy, che si stava avvicinando.

-Amy!- mi strinse a sé. -Amy, è fatta! Ma ci credi?

-Non ancora, no. Ma aspettiamo il voto prima di dire che è fatta.- le feci notare.

-Il voto? E che te frega?- rise. -E poi la tesi era bella, di che dovrebbero lamentarsi?

-La tua amica ha ragione, Amy.- intervenne Rossana. -Ho provato anche a tradurla allo stangone laggiù- fece cenno verso Tom -e anche lui concorda.

-Giusto!- saltò su Maddy. -Non ci posso credere, Amy. E'... davvero lui?- sussurrò fitto fitto con gli occhi pieni di sorpresa.

Io e Ros ci scambiammo un'occhiata complice. -E' lui.- confermai.

-Wow! Ma... uno più basso no?

Scoppiammo tutte a ridere.

-Lo sapevi che sarebbe venuto?- mi chiese ancora Maddy, alla fine.

-No, per niente. Qualcuno...- mi girai eloquentemente verso Ros -...a quanto pare ha cospirato alle mie spalle. Di nuovo.

Lei ricambiò lo sguardo con aria innocente.

-A proposito,- anche Maddy si rivolse a Rossana -non ci siamo ancora presentate. Io sono Maddy.

-Piacere, Rossana “la Cospiratrice”.- ricambiò lei.

Alessio all'improvviso spuntò alle loro spalle. -Cospiratrice? Perché Cospiratrice?- chiese curioso. -Comunque io sono Alessio.

Scambiatasi una stretta di mano Ros rispose. -Perché sono brava a fare sorprese.

-Sorprese come il dio norreno lì dietro che parla amabilmente con i tuoi?- mi chiese lui.

Annuii. -Tipo. E' già la seconda volta che questi due mi prendono alla sprovvista.

Alessio alzò un sopracciglio come se avesse voluto sapere di più. Se ne accorse anche Maddy che, capendo che non era il luogo per raccontare quella storia, gli rifilò una debole gomitata allo stomaco prima di dirgli -Poi ti racconto io.

-Lo so, Ale.- aggiunsi. -Storia lunga. Un altro giorno, non qui. Per ora ti basti sapere che è mio amico.

Le sopracciglia di Alessio ora erano entrambe sollevate. -Ok. Me lo segno, però. Sono proprio curioso.

Gli sorrisi. -Bravo, sì.- gli dissi prima di rivolgermi di nuovo a Ros. -Ma quando cavolo è arrivato? Non l'ho proprio visto.

-Avevi appena iniziato a discutere.- mi raccontò lei. -Eri parecchio concentrata e lui è stato molto silenzioso. E' arrivato con un tempismo impressionante. Avevamo paura che non riuscisse a fare in tempo.- Pronunciò l'ultima frase in inglese facendoci capire che Thomas si era voltato verso di noi. Mi girai e infatti eccolo lì, al mio fianco.

-Sono riuscito a sentire la tua tesi, però. Rossana me l'ha tradotta.

-Me l'ha detto. Ti è piaciuta?

Annuì. -Molto. Sai che quando si tratta di Shakespeare non so resistere.

-Non sei l'unico.- commentò Maddy con voce incerta. Non sapevo se fosse per Tom o se fosse insicura del proprio inglese.

-Giusto!- mi ricordai che dovevo presentarli. -Tom, loro sono Maddy e Alessio. Ragazzi, Tom.- lo indicai. Non che fosse davvero necessario ma, sapete, è educato.

Si scambiarono saluti e strette di mano.

La gente intorno a noi cominciò ad agitarsi, facendoci intuire che la sala era di nuovo aperta. Rientrammo per ascoltare l'ultima tesi andando a sederci tra le ultime file, dove mi sistemai vicino a Tom. Mentre la discussione procedeva mi piegai verso di lui e gli chiesi, sottovoce -Non hai paura di essere riconosciuto qui?

Sorrise rassicurante. -A meno di non fare gesti eclatanti non mi preoccupo troppo. Con il tempo ho imparato che la gente è più rispettosa di quanto non ci si aspetti. E poi sono tutti troppo concentrati a festeggiare per fare caso a me.

-Lo sai vero di essere in una stanza piena di cinefili?- gli feci notare. -E che sei la persona più alta dell'intero isolato. Oso dire di tutta Torino.

Ridacchiò. -Non è vero: il tuo amico Alessio, per esempio, mi raggiunge. Fidati, dai. E poi, anche se fosse, che può succedere di male. Rilassati.

Non ne ero molto convinta. In più, rimasi sorpresa del fatto che per la prima volta mi diceva una cosa del genere: si era davvero talmente abituato a me da non preoccuparsi di essere paparazzati insieme? Io no di sicuro. Comunque venne fuori che aveva ragione lui: a volte qualcuno lo guardava in modo strano, come se stesse avendo un deja-vu, ma nessuno venne a infastidirlo. Ringraziai silenziosamente la parrucca nera di Loki che lo camuffava un po'.

Il momento dell'assegnazione dei voti arrivò più in fretta di quanto pensassi, troppo in fretta a parere delle mie ginocchia tremanti e delle farfalle che mi si agitavano nello stomaco. Thomas mi rivolse un sorriso incoraggiante mentre raggiungevo Maddy e Alessio e mi allineavo insieme ai miei colleghi davanti alla commissione schierata. Guardai i miei amici e ci scambiammo uno sguardo eccitato e agitato insieme.

Sentii a malapena i voti degli altri, a parte Alessio e il suo 110 e Maddy, 108, applaudendo però educatamente per ciascuno. Quando alla fine chiamarono anche il mio nome mi avvicinai timida alla cattedra, lisciandomi il vestito, come in cerca di conforto e incoraggiamento anche nella stoffa.

-Signora Amelia Stefani,- intonò altisonante il Presidente. -la commissione, considerato il curriculum di studi e valutata la tesi di laurea, attribuisce alla prova finale la votazione di 109 su 110.

La gioia e il sollievo che esplosero dentro di me in quel momento sono indescrivibili: dopo anni di fatica e sacrifici, avevo ricevuto la certezza che erano valsi a qualcosa, che avevo concluso qualcosa. Una sensazione di realizzazione mi invase.

-Per l'autorità conferitami dal Magnifico Rettore la proclamo Dottore in Discipline dell'Arte, della Musica e dello Spettacolo. Congratulazioni.- concluse il Presidente.

-Grazie.- risposi sorridente mentre gli stringevo la mano.

Tornai al mio posto raggiante e quando anche l'ultimo ricevette la valutazione mi voltai verso Maddy. Insieme scoppiammo a ridere e ci abbracciammo, includendo poi nell'abbraccio anche Alessio, che provò a opporsi, ma alla fine si arrese.

Mentre poi loro tornavano dalle loro famiglie, io, prima di dimenticarmi, andai a ringraziare il mio relatore che, per quanto pedante, alla fine mi aveva aiutata a fare un bel lavoro. Quando raggiunsi i miei, loro erano felici quanto me.

-Dottoressa.- mi accolse sorridente mio padre.

-Vieni, tienti la corona.- mi disse mamma porgendomi la corona d'alloro. La indossai entusiasta e mi voltai verso Tom e Rossana. Lei si allungò a darmi una piccola stretta, complimentandosi, mentre lui guardava scettico l'alloro.

Mi avvicinai e gli chiesi, indicando la corona -Che ne pensi?

Lui ridacchiò. -Ti dona.

Avevo un sorriso che mi arrivava alle tempie mentre lo abbracciavo stretto, tenendomi l'alloro con una mano.

-Sei felice?- mi sussurrò all'orecchio.

-Sì, tanto.- sussurrai a mia volta.

-Bene.

 

 

* Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo.

** In inglese l'equivalente di in bocca al lupo è break a leg. Sì, sono molto simpatici. A proposito, l'origine Romana di in bocca al lupo dice che bisognerebbe rispondere “Grazie” e non “Crepi”. Povero lupo!

 

 

N.A.: Scusate. So che se state leggendo questo siete già pronte con i forconi, e non avete torto. In mia difesa posso solo dire che in questo periodo di silenzio stampa ho avuto tempo di mettere in ordine le idee. Per non parlare del fatto che dopo un anno su questa storia stavo iniziando ad odiarla (mi succede sempre).

Spero che questo piccolo capitolo possa piacervi lo stesso. Io, tra un esame e l'altro, continuerò a scrivere, prometto.

A presto(?).

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3415620