999 Giorni da Adesso

di Natsumi92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preparazione ***
Capitolo 2: *** Parametri Vitali ***
Capitolo 3: *** Diagnosi ***
Capitolo 4: *** Linea Piatta ***
Capitolo 5: *** Battito Cardiaco ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Preparazione ***


999 Giorni da Adesso

Opera originale di Dear Collectress
Traduzione di SognatriceNotturna

 



Nota della traduttrice: OKAY SONO VIVA. In realtà un po' mi pento di essermi imbarcata nella traduzione di questa mastodontica fanfic, ma sul web viene definita la "Twist&Shout 2.0" e quindi non potevo non leggerla. Sia chiaro, io non so niente di questa storia, perché la sto leggendo man mano che la traduco, ma fin ora promette meravigliosamente bene. I capitoli in tutto sono 6 (solo sei? penserete voi, ma siete dei poveri sciocchi perché sono 34MILA parole!!!!) e per tradurre solo questo ci ho messo due giorni interi, senza mai staccarmi dal pc. Perché un conto è parlare e capire l'inglese, ma l'adattamento è un altro paio di maniche. Insomma una faticaccia! 
Comunque, tornando alla storia, ci sono millemila "warning", e alcuni li ho scritti nella presentazione della fanfic. Ma sappiate solo una cosa, in breve. SI PIANGE E SI SOFFRE. Oh. 
Spero di riuscire a pubblicare una volta a settimana, spero di aver fatto un lavoro quanto meno decente [non sono una traduttrice esperta, sorry :( ] e spero che vogliate iniziare insieme a me questo percorso verso il dolore. Buona lettura!
PS: L'originale è qui e qui, se sapete masticare l'inglese e non avete voglia di aspettare i miei aggiornamenti. Alla prossima!
 


CAPITOLO 1: PREPARAZIONE


 
PROLOGO
 
La vita non era la scatola di cioccolatini che Forrest Gump ha voluto farci credere.

Dean ha capito che la vita è fatta di frammenti dei momenti più belli e più brutti che hai vissuto, ripetuti all'infinito nella memoria. E non mostravano molto, perché erano solo degli scorci -- il calore del sorriso di sua madre, Sam che perde il suo primo dentino, i ridicoli capelli di Castiel appena sveglio, le fusa del motore di Baby in una gelida mattina nel Nebraska, oppure quel pezzo della torta di noci diviso con qualcuno -- ma insieme sono rattoppati tra loro in una storia, che va dall'inizio alla fine.

Dean inizialmente non sapeva che tipo di storia potesse raccontare la sua vita. Ma col tempo lo capì, accadde in maniera così naturale che Dean non si rese quasi conto di essersi innamorato. Ma allora, non essendosi mai innamorato prima, si aspettava che l'amore fosse fatto di fuochi d'artificio, passeggiate al chiaro di luna e film smielati; invece trovò crostate e risate e film di Bruce Lee. Probabilmente il rendersi conto di essere innamorato sarebbe dovuto essere il climax della storia, perché le storie non iniziano così, e certamente non iniziano così vicine alla fine. In realtà, la storia d'amore di Dean è iniziata il giorno in cui ha messo nel caffè di Sam il sale al posto dello zucchero.


 
GIORNO 1
 
«Non così veloce,» disse Dean a Jess «Nessuno vuole un hamburger crudo. Non serviamo la bistecca alla tartara qui.»

Jess strinse la spatola con un po’ più di forza, avvicinandola al petto, trasformando la scritta “Dive Burger” sulla sua t-shirt in “Divurger”. «Girare degli hamburger dovrebbe essere più semplice che frequentare l’università.» si lamentò lei. Strinse le labbra con disgusto mentre fissava il pezzo di carne, che assomigliava più ad un cumulo di fagioli fritti piuttosto che a carne di manzo. «Forse dovrei tornare a fare semplicemente la cameriera.» disse.

«Ce la puoi fare,» insistette Dean. «Ti faccio vedere.» Afferrò un paio di guanti in lattice usa e getta e una spatola. La voce di Ellen riecheggiò nella sua testa “Pulizia extra e dovute precauzioni significano meno violazioni del codice sanitario”. Dopo aver indossato i guanti, afferrò un po’ di carne cruda dal vassoio degli ingredienti di fronte a sé, e poi una manciata di salsa verde. Massaggiò i due ingredienti insieme. Jess lo fissava con un’espressione di puro scetticismo dipinta sul bel viso. «Fidati di me.» le disse. Divise la carne a metà, piazzando un po’ di formaggio pepperjack[1] nel mezzo, e riattaccò la carne insieme, utilizzando la spatola per dargli la forma perfetta dell’hamburger. «Bello, vero?» chiese a Jess.

Lei annuì. Il resto dello staff lavorata attorno a loro, come se i due fossero dei frangiventi nel bel mezzo di una tempesta del Nebraska. Dean cosse l’hamburger per sei minuti precisi su un lato prima di girarlo, e una volta fatto aggiunse altro formaggio pepperjack in cima. Tostò leggermente un panino sulla griglia, bagnandolo con un po’ di olio d’oliva aromatizzato all’aglio per dargli sapore.

Jess sentì la salivazione aumentare quando lui assemblò l’hamburger, completandolo con un po’ di avocado, pomodori, e lattuga. «Ecco,» disse porgendole il panino, «Prova questo.»

Prese il più grande morso che lui avesse mai visto, e i suoi occhi andarono all’indietro mentre lo assaporava. «Oooh mmiooo ffioooo,» gemette.
«Beh, sono contento che ti piaccia, ora vuoi provare di nuovo? A farne uno da sola?»

Lei scosse la testa. «Non ce n’è bisogno,» disse tra un morso e l’altro. «Ho ottenuto ciò che volevo.» sorrise lei.

Ovviamente Jess l’aveva manipolato affinché lui le preparasse il pranzo. Di nuovo. «Uno di questi giorni,» giurò lui, «Cucinerò qualcosa al cavolo nero.»

«No, non lo farai, perché odi il cavolo nero tanto quanto lo odio io. Questo è delizioso, comunque. Dovresti aggiungerlo al menù del Dive Burger.»

«Grazie, forse lo farò. Per quanto riguarda il cavolo, conosco qualcuno che probabilmente potrebbe mangiarlo,» promise Dean. Afferrò un canovaccio e glielo tirò addosso. «Ora torna al lavoro.» le ordinò severo.

«Io faccio quello che voglio,» replicò lei. Si aggiustò il grembiule e andò verso la parte anteriore della tavola calda. Dean ripulì il piano di lavoro dalle sue “lezioni di cucina” con Jess, e anche se la donna era stata dietro i fornelli per circa 5 minuti, aveva combinato un pasticcio che la maggior parte dei cuochi fa in un’ora. Dopo aver finito di pulire, raggiunse Jess dalla parte opposta del bancone, per dare un’occhiata al locale. Aveva fatto un bell’affare riguardo lo staff del Dive Burger: c’erano dei problemi ogni tanto, ma il più delle volte funzionava tutto come una macchina ben oleata. Lui era il proprietario e manager, e ogni tanto soffriva di emicrania. E sapeva che la colpa era al 90% di Jessica Moore, ma non gliel’aveva mai detto per evitare di gonfiare ulteriormente il suo ego.

«Qualche segno di vita da Sammy?» le chiese.

Lei scosse la testa. «Questo semestre è stato difficile per lui, non è vero?» disse lei. «Riusciamo a vederlo qui solo quando viene a studiare.»
Dean udì una distinta nota di disappunto nella voce della cameriera, e parlando di Sam, in quel momento il suo fratellino Bigfoot entrò nel locale con una ventiquattrore. Una ventiquattrore. Solo perché studiava alla facoltà di legge non significava che doveva iniziare a comportarsi come un avvocato coglione. «Yo, Sam.» disse, «Perché quel bagaglio da vecchio?»

«Eh?»

«La ventiquattrore. Perché?» chiese Dean.

«Ci hanno assegnato tipo dieci casi per questo weekend, e mi sembrava il modo migliore per trasportarli,» spiegò Sam. Posò la valigetta sul bancone, e per un istante Dean pensò di trovarsi in una realtà parallela, perché, esattamente, quando era cresciuto Sam? Ricordò la volta in cui Sam si era ostinatamente rifiutato di farsi aiutare a trasportare i libri di testo. Lui aveva quattordici anni più o meno, e Sam dieci, e il ragazzino non aveva capito che non servisse riportare tutti i suoi libri a casa ogni giorno.

Adesso Sam era più alto di lui e indossava solo delle polo e andava in giro con una ventiquattrore. Certo, il “ragazzino” aveva ventotto anni ormai, e, dio, quando era successo? Suo fratello aprì la valigetta e allineò metodicamente tutti i documenti di lavoro sistemandoli sul bancone, nessun pezzo di carta era fuori posto. Ogni foglio era diviso per colore con un’enorme quantità di note scritte ai lati, tutte firmate dalla stenografica calligrafia di Sam. Dean ne apprezzò l’organizzazione, ma non i due metri del bancone che i documenti di Sam avevano occupato.

«Sammy, questo è un ristorante, non una biblioteca. Puoi andare a studiare da qualche altra parte?» in realtà Dean non voleva che Sam se ne andasse – la tavola calda era praticamente deserta alle 2 di venerdì pomeriggio – ma l’istinto da fratello maggiore non si lasciava mai sfuggire la possibilità di rendere la vita di Sam un po’ più complicata.

Sam sbuffò, le sue guance si gonfiarono leggermente. «Prenderò un caffè,» disse. «Vedi? Adesso sono un cliente. Fammi studiare in pace.»
Dean fece un sorrisetto e arruffò i capelli di Sam. Sam se lo scrollò di dosso e passò le dita attraverso la sua criniera. Dean scoppiò a ridere perché anche se suo fratello stava per entrare nella Legione degli Avvocati Coglioni, non si sarebbe mai tagliato i suoi capelli da hippie. Glieli arruffò di nuovo.

«Dean. Piantala.»

«Perché porti i capelli lunghi se non vuoi che la gente ci pasticci un po’?»

«Dean!»

«Va bene, va bene,» disse. Alzò le mani ed indietreggiò. «Non studiare troppo, okay? È venerdì.»

«Già, ma alla facoltà di legge non interessa.»

«Beh, forse dovrebbe? C’è molto altro nella vita oltre i libri e le aule di tribunale.» Non che Dean potesse rendersene davvero conto, in realtà. Possedeva forse tre libri nella loro casa. Versò il caffè di Sam e piazzò la tazza di fronte a suo fratello. Sam sembrava stanco; non come se volesse dormire, ma più come se gli servissero un abbraccio e sei doppi bicchieri di Jack Daniel’s.  «Fammi sapere se hai bisogno di altro, okay? Sarò sul retro. Jess è qui da qualche parte.»

Sam non alzò lo sguardo dal suo fascicolo mentre diceva, «Grazie, Dean.»

Dean si diresse verso il retro-bottega della tavola calda, raddrizzando i portatovaglioli e le posate mentre passava. Jess, che si era autodefinita “cameriera superiore e assistente manager non ufficiale”, spesso gli diceva che c’era un qualcosa di militare nella sua pignoleria. Le loro discussioni il più delle volte andavano in questo modo: lui minacciava di licenziarla, lei gli ricordava quanto fosse inutile perché per la contabilità aveva bisogno del suo aiuto, poi bevevano un frullato insieme (che poteva anche contenere qualcosa di più forte al suo interno quando Jess era in vena) parlando di stronzate fino all’orario di chiusura. Se Jess non fosse letteralmente impazzita per Sam la prima volta che l’aveva visto, Dean ci avrebbe provato con lei molto tempo prima. Nonostante Sam fosse intelligentissimo, non lo era abbastanza da accorgersi della bionda sexy che lo guardava costantemente con gli occhi a cuoricino.

Esattamente come stava facendo in quel momento.

La cameriera bionda era poggiata sul bancone di fronte a Sam, cercando di coinvolgerlo in una conversazione. In tutta risposta Sam le rivolgeva dei monosillabi sotto forma di grugniti, finché Jess non fu chiamata da un gruppo di sei liceali, che avrebbero ordinato sicuramente della coca-cola e delle patatine fritte da condividere. A Jess avevano sempre dato fastidio gli adolescenti che entravano nel Dive Burger, diceva che erano solo una perdita di tempo e di energie, finché Dean non le circondava le spalle con un braccio e le diceva, «Potrebbe anche andare peggio.»

Dean si piazzò alla fine del lungo bancone, facendo finta di pulire delle briciole. Stava solo tenendo d’occhio il suo fratellino, si disse, e tirò fuori il suo telefono per controllare dei messaggi che non avrebbe mai ricevuto. Nessuno gli scriveva mai degli sms, ad eccezione di Sam e Jess. E ogni tanto di Ellen. E di Jo, una volta l'anno per il suo compleanno. O quando aveva bisogno di una diagnosi per quell’ "irritante strano suono" che aveva fatto la sua auto.

Jess mise nella lista degli ordini una porzione di patatine fritte e si spostò accanto a Sam, con occhi speranzosi. Quando Dean si diresse in cucina per mettere le patatine nella friggitrice, si chiese mentalmente se quello fosse finalmente il giorno nel quale Sam avrebbe tolto la testa dal suo culo e avrebbe notato la ragazza.

«Ehi Sam,» disse Jess, «come va l’università?»

Sam grugnì in risposta e voltò un’altra pagina. «Bene.» disse con l’entusiasmo di un ateo che entra in chiesa.

«E come va in generale?» riprovò lei.

«Il solito. Sai, scuola, lavoro, dormite,» rispose Sam. Non guardò Jess, mentre evidenziava delle sezioni di un documento legale che stava leggendo.«Mi dispiace, Jess, ma non ho davvero tempo per parlare. Magari un’altra volta.»

«Non preoccuparti,» disse lei. «Lo vedo che sei frak[2]impegnato.» Mentre Dean avrebbe voluto applaudire a quella citazione di Battlestar Galactica, decise invece di stare in silenzio e notare come Jess scrollasse le spalle mentre gli passava davanti.

Lui seguì Jess nell’ufficio sul retro della tavola calda dove lei passò l’ora successiva a far finta che non le importasse di come Sam l’aveva spazzata via come se fosse lanugine su una vecchia felpa. Quindi cosa sarebbe accaduto se Sam non si fosse mai accorto di lei? Lei sapeva divertirsi e aveva una vita, a differenza del fratello più giovane-più stupido-più deficiente di Dean. Non aveva bisogno di Sam per essere felice, disse lei, perciò poteva andarsene e vivere per sempre da solo con i suoi stupidi casi e i suoi stupidi libri e i suoi stupidi capelli perfetti.

«Uhm, Jess, ti ricordi che stai parlando di mio fratello, vero?»

Prese un sorso dal suo più-rum-che-milkshake. «Sì. Quindi? Ciò che è stupido è stupido. E questo è ciò che è Sam. Stupido. E non ho intenzione di sprecare il mio tempo ad essere gentile con uno stupido.»

Dean non si sentiva in vena di dissentire. «Sì, stupido,» mormorò. Prese un lungo sorso dal proprio milkshake. Il Rum bruciava in fondo alla gola. Non era più abituato a bere quella merda. John Winchester si sarebbe rivoltato nella tomba ridendo e l’avrebbe chiamato rammollito.

«E un’altra cosa,» continuò Jess. «Tu, tu non sei migliore di lui. Vieni semplicemente qui a cucinare e a comandarmi a bacchetta e a preoccuparti di Sam, e davvero, che razza di vita è questa? Tu sei stupido. I Winchester sono stupidi.» Si voltò col viso arrossato, e lo infilzò con i suoi occhi azzurri.

«Beh, è proprio questo il punto,» disse lui. «Tutto quello che faccio è preparare frullati e pagarti.»

Lei lo fissò e gli tolse il frullato dalle mani. Lo bevve svogliatamente e alzò la voce per dimostrare la sua tesi. «Non devi berlo così velocemente,» disse a mo’ di spiegazione.

«Mocciosa.»

Lasciò Jess in ufficio e si diresse nuovamente nella sala per affrettarsi a prepararsi per l’ora di cena. I venerdì sera i ragazzi di Stanford si recavano lì per fare un party pre-partita con un paio di cheeseburger con pancetta del Dive Burger. Il sabato mattina invece, Dean serviva loro gli stessi panini, con la differenza che venivano definiti “toccasana per la sbornia”.

Beh, tutti i ragazzi di Stanford eccetto Sam, ovviamente.

Sam era ancora seduto al bancone, con carte e documenti sparpagliati attorno a lui, per un raggio di due metri di noiosa merda da avvocato. La tazza di caffè era vuota. Suo fratello a quanto pare non aveva preso in considerazione il discorso da “È il Funday Friday[3]!” che gli aveva fatto. «Ne vuoi un altro?» gli chiese Dean.

Sam lo guardò con aria assente.

Dean prese una tazza e la sventolò davanti la faccia del fratello. «Un’altra cup o’ joe[4]

«Oh. Certo. Grazie.» e dopo tornò a studiare.

Lui versò il caffè di Sam – nero con due zollette di zucchero – ma poi cambiò idea e lo svuotò nel lavandino.

Sam non se ne accorse.

Dean si sarebbe dannato se suo fratello avesse trascorso tutto il venerdì sera sui libri. Jess aveva ragione: lui aveva bisogno di vivere. Ne versò una seconda tazza – in quel momento Jess lo raggiunse e gli lanciò uno sguardo di pura confusione – ma questa volta invece di due zollette di zucchero, mise due cucchiaini di sale. Jess gli si affiancò e sussurrò non-proprio-sommessamente, «Cosa stai facendo?»

Dean la ignorò e mise la tazza davanti a suo fratello. «Ecco a te, amico.»

«Grazie.» borbottò Sam.

E poi prese un sorso.

Dean avvertì Jess trattenere un respiro, come se Sam fosse una granata senza linguetta di sicurezza e le fosse stata lanciata in grembo. Ma Sam continuò a sorseggiare il suo caffè, e se non fosse stata una scena maledettamente triste, Dean sarebbe scoppiato a ridere. Così aggirò il bancone, raccolse i documenti di Sam, e iniziò a rimetterli nel bagaglio da vecchio.

«Che stai facendo?» chiese Sam. Non sembrava particolarmente infastidito, solo stanco.

«Andiamo a giocare a basket. Sei stato su questa spazzatura legale per troppo tempo.» replicò Dean.

«No, non è vero. Devo leggere le note di questa sentenza,» piagnucolò Sam. Tentò di riprendersi la ventiquattrore indietro, dando vita ad un tira e molla tra fratelli. Quello ricordò a Dean un Natale della loro infanzia quando ricevettero abbastanza regali da farci a botte.
«Sammy, ce ne andiamo. Hai finito.»

«Dean, non posso. Ho troppe cose da fare. E anche tu.»

«Il mio bar. Le mie regole. Jess può coprire il mio turno.»

«Questo non è un bar.»

«Sai cosa intendo.»

La discussione andò avanti finché Jess, infastidita dal loro litigio, non si mise in mezzo. «Tu» disse, rivolta a Dean, «hai ragione. Sam sta lavorando troppo.»

«Sentito? Ho ragione.»

«Chiudi il becco, Dean.» disse lei. «Invece tu» indicò Sam, «hai bisogno di una pausa. Non discutere; questa non è un’aula di tribunale. Inoltre, ho l’arringa conclusiva: non hai notato che Dean ha “addolcito” il tuo caffè con il sale, invece dello zucchero. Ciò significa che è arrivato il momento di fare una pausa, signore. Quindi va’ fuori a giocare. Farebbe bene al tuo cervello.» Beh, Jess non scherzava quando diceva che ne aveva abbastanza della stupidità di Sam. Spinse Sam giù dallo sgabello. «Adesso fuori di qui.»

Sam era stato davvero un idiota a non togliere quella fantastica ragazza dal mercato.

«Dài, Sammy,» disse Dean, «ho intenzione di stracciarti.»

Sam ci pensò un po’, rivolgendo i suoi grandi occhi da cucciolo a Jess – che dal canto suo, non ci cascò e lo spinse praticamente fuori dalla porta – e una volta all’interno dell’Impala di Dean, si rilassò. Apparentemente.

Dean portò suo fratello in una palestra nelle vicinanze. Era una cosa che facevano spesso, una promessa che si erano fatti quando si trasferirono per la prima volta in California dal Nebraska; la vita prima, il lavoro (o lo studio) dopo. Arrivarono sul campo da gioco, e non si sentiva nient’altro se non il cigolio delle suole di gomma sul pavimento di legno e l’energia che trasmetteva la rivalità tra fratelli. Anche se Sam era più alto di Dean di pochi centimetri (maledetto Bigfoot), Dean era solitamente il più agile dei due. Sam gli diceva che era a causa delle sue gambe storte. Stronzo.
Normalmente, Dean avrebbe potuto dirigere tranquillamente il gioco, ma quella volta Sam gli stava sopra di venti punti. «È questo il meglio che sai fare?» lo insultò Sam.

Quello non era il suo meglio, e lo sapevano entrambi.

«Ci sto andando piano con te oggi.» mentì Dean. «Quando diventerai un vero avvocato, talmente grasso da non riuscire a prendere in mano una penna, allora non mi batterai più.»

«Staremo a vedere.» disse Sam. «Non ho intenzione di diventare quel tipo di avvocato.»

«Che intendi?» Dean colse l’occasione per riposarsi, gettandosi su una panchina. Se si stavano prendendo un time-out non ufficiale, lui aveva tutta l’intenzione di riprendere fiato. Sam lo stava davvero prendendo a calci in culo.

«Prima di tutto, non voglio essere quel tipo di avvocato che si dimentica perché la legge è stata creata. La legge è fatta per difendere le persone e non ho intenzione di stare seduto nel mio ufficio e guidare una Mercedes dimenticandomi tutto questo.»

Per un momento, Dean dimenticò che Sam era uno studente di legge di 28 anni. Vide il Sammy capellone e topo da biblioteca, di 12 anni che, il giorno in cui il loro padre decise di uscire dalla porta di casa per l’ultima volta, aveva detto, “Ho intenzione di cambiare le cose un giorno. I bambini come noi dovrebbero essere protetti da persone come lui”.

Dean non lo avrebbe mai ammesso, ma aveva iniziato ad ammirarlo da allora, in tutti i sensi.

«Andiamo, Bigfoot,» disse Dean «Puoi provare a cambiare il mondo dopo che ti avrò battuto nell’uno-contro-uno.»

Sam gli rivolse lo stesso sorriso appena abbozzato che aveva quando erano piccoli. «Sì, giusto. Preparati ad essere annientato.»
 
 
GIORNO 57

Dean era steso a faccia in giù sul divano, quando Sam uscì dalla sua stanza in tarda mattinata. «Ehi, amico, non vai al lavoro oggi?» gli chiese Sam.

«Nah,» disse Dean nel cuscino del divano dove aveva affondato la faccia. «Non mi va.»

«Beh, cos’ha da dire Jess in proposito?»

Dean si sforzò di aprire un occhio. I capelli di suo fratello erano arruffati in una sorta di ridicola pettinatura afro. Doveva essere rimasto a studiare fino a tardi di nuovo. «Sono io il capo,» disse Dean. «Significa che faccio quello che voglio.» si trascinò fino a mettersi seduto, sbadigliando e stiracchiando le braccia. «Le ho detto che ho dovuto tener d’occhio il mio stupido fratello che non riesce a smettere di studiare.»

Sam arcuò le sopracciglia. «Stupido?»

«Parola sua. Non mia.»

Dean si spostò in modo tale da permettere a suo fratello di crollare sul divano accanto a lui. «C’è una cassa di birra nel frigo per te.» riprese lui.

«Amico, sono tipo le 10 del mattino.»

«Mi stai dicendo che non vuoi divertirti con tuo fratello? Quello che si è preso un giorno libero per guardare film di Bruce Lee con te?»

Sam esitò esattamente 0.23 secondi prima di dire, «Metti I 3 dell’operazione drago. Vado a prendere le birre.»
 
GIORNO 126
A Ellen: sei sicura di venire questo mese, quindi? 9:17 a.m.

Da Ellen: non potrei mai perdermi il tuo compleanno. 11:27 a.m.
 
GIORNO 195

Dean decise che la vita di Sam aveva raggiunto un livello pericolosamente patetico; e non era nemmeno sicuro che si potesse definire “vita”. Sam non era stato da nessuna parte eccetto che all’università, alla tavola calda e nell’appartamento, per settimane. Aveva rifiutato un invito ad una festa più o meno elegante per il martedì grasso, organizzata da due studentesse davvero attraenti (Dean gli aveva servito solo caffè decaffeinato nei giorni successivi, per punizione). Avevano il frigo di casa infestato da broccoli, sedano e cavolo nero, perché Sam li definiva "cibo per la mente”. Ed adesso? Adesso il Gigantor si era addormentato di faccia sui libri mentre studiava alla tavola calda. Alcuni clienti avevano scosso la testa ridacchiando, mentre una ragazza di nome Becky (che diceva di essere una compagna di studi di Sam) gli aveva scattato una foto col suo telefono. Dean sperò con tutto il cuore che lei non aggiungesse quella foto in un qualche santuario di Sam Winchester che teneva nascosto nel suo armadio di casa.

Jess sarebbe tornata da un momento all’altro e anche se Dean era davvero tentato di versare dell’acqua gelata sulla sua schiena, pensò che il risveglio di Sam Winchester sarebbe stato meglio nelle mani della bionda insolente. Non era un patetico tentativo di matrimonio combinato, si disse, ma se Sam si sarebbe dovuto svegliare come la Bella Addormentata ed innamorarsi di un bel viso, sarebbe potuto essere quello di Jess.

No, sicuramente doveva essere quello di Jess.

Jess arrivò a piedi dieci minuti dopo. «Sembri un merdoso pancake fritto che è stato messo sotto da un autocarro,» disse Dean, «Che ti è successo?»

Lei lo fissò, e anche il più tenero dei coniglietti non sarebbe sfuggito al suo sguardo assassino. «Sta zitto, Dean. Non è affar tuo.» I suoi occhi si ammorbidirono quando vide Sam. Dean era sempre stupito dal modo in cui Jess diventava più felice, più leggera quando c’era Sam nei paraggi; a volte sembrava come se brillasse, non che Dean avesse intenzione di farglielo notare. Lui ci teneva ai suoi gioielli di famiglia.

«Studia davvero troppo,» disse lei gesticolando in direzione del gigante che russava leggermente.

«Già.» concordò Dean.

«Lo sveglierai? Non puoi farlo dormire così. Gli farà male al collo.» lei aleggiò verso Sam con un’espressione da Mamma Orsa.

«L’ultima volta che l’ho svegliato, mi ha rivolto la Faccia da Stronzo per circa un’ora. E non ho tempo per questo. Sveglialo tu.» disse Dean.

«D’accordo.» Jess strusciò la punta delle dita sulla spalla di Sam, delicatamente. Dean non era certo che questa donna – che nei giorni buoni aveva la forza di un uragano e in quelli brutti era qualcosa di molto più terrificante – era la stessa che arrivava in ritardo ogni mattina perché i suoi esercizi di Jiu Jitsu l’avevano sopraffatta. Improvvisamente, l’immagine di una donna che svegliava suo figlio di quattro anni nello stesso modo, balenò nella mente di Dean, e in quel momento un’ondata di dolore lo fece annegare. Jess era come lei, in qualche modo, come quando riusciva a versare il caffè in una tazza guardandoti negli occhi senza farlo cadere, o come tutto il suo corpo tremava mentre rideva ogni volta che Sam faceva delle battute da avvocato. Nello stesso modo Mary Winchester rideva alle battute di suo marito riguardanti i proprietari delle auto su cui aveva lavorato. Il ricordo di sua madre, anche adesso, dopo quasi trent’anni, gli faceva stringere il petto al pensiero di come sarebbe potuta andare diversamente.

Questo era il motivo per il quale Dean era certo che non ci fosse nessun Dio: Sam non ricordava la loro mamma; l’infanzia di suo fratello era cucita col dolore di essere stato dimenticato a scuola, col suono che la cintura del loro padre produceva al contatto con la pelle nuda e con l’odore di Whiskey che proveniva dal respiro di John Winchester.

«Sam,» disse Jess. Lei si sporse facendo passare le dita attraverso i suoi capelli. «Sam, svegliati.»

«Mmmmmmmnggh,» gemette Sam. «Non voglio.»

Dean guardò l’inaffondabile Jessica Moore portare il Gigantor fuori dal suo coma, come Bilbo aveva risvegliato il drago[5], e quando Sam sbatté le palpebre e Jess portò una tazza di caffè non salato sotto il suo naso, Dean rimase colpito da quanto tutto quello gli sembrasse normale. Lui avrebbe potuto immortalare centinaia di mattine come quella – un Sam con gli occhi assonnati e un battibecco pre-caffeina con Jess su chi avesse finito il latte o chi non avesse pulito il filtro del caffè o qualsiasi altra cosa. Se Sam non avesse tolto la testa dai suoi libri e non avesse chiesto a Jess di uscire, Dean si sarebbe assicurato di fargliene pentire per il resto della sua vita, non importava quanto tempo ci avrebbe impiegato. Per dimostrare la cosa, anche se Sam non ne sapeva niente, gli tirò un calcio allo stinco. Sam imprecò e alzò la testa dal libro, col rischio di cadere all’indietro mezzo addormentato.

«Sveglia e risplendi, Sammy-boy.» cantilenò Dean a suo fratello.

Sam si accigliò. «Non chiamarmi Sammy.»

«Permaloso. Permaloso.»

«Sparisci.»

«Territorio mio. Significa che faccio quello che voglio.»

Sam alzò la testa tanto da lanciargli il suo Sguardo da Stronzo. «”Territorio mio”? Sei un mafioso degli anni ’30 adesso?»

Jess intervenne prima che Capitan Faccia da Stronzo diventasse più irrequieto, il che fu fantastico perché Dean non aveva abbastanza energie da sprecare per litigare col fratello.

«Che ne dici di mangiare, Sam?» disse lei, «Hai bisogno del tuo cibo per la mente se hai intenzione di continuare a studiare sodo.» Lei mise un braccio attorno alla spalla del minore dei Winchester e lo strinse delicatamente. Sam si cullò in quell’abbraccio, poggiando la testa nell’incavo della sua spalla. Dean desiderò fare “aaaawwww” come un adolescente. E così lo fece. Jess allontanò il braccio dalle spalle di Sam come scottata. «Uhm, vado a prepararti qualcosa da mangiare.» disse lei.

Dean la seguì in cucina. «Cos’era quello?» le chiese.

«Niente.» protestò lei. Incrociò le braccia di fronte a sé, «Sembrava come se Sam avesse bisogno di un abbraccio.» Lei scrollò le spalle come se non fosse importante.

Entrambi sapevano che stava mentendo.

«Sei strana oggi,» disse Dean. «Tu non… Tu non sei una tipa da abbracci.»

«Le persone cambiano.» afferrò alcuni pomodori e iniziò ad affettarli per preparare un’insalata, «Sto bene, Dean» insistette lei. «Ho appena... rotto con quel tizio con cui uscivo.»

«Oh, il Signor Coglione? Già, era proprio un buon partito.»

Gli tirò un pungo sulla spalla, e fece più male di quanto Dean ebbe il coraggio di ammettere. «So di avere un pessimo gusto in fatto di uomini, okay? Ho solo- ho solo pensato come sempre “andrà diversamente questa volta”, sai? Ma non succede mai. Non è mai fottutamente diverso.» sospirò. Dean non l’aveva mai vista così triste. «Forse dovrei uscire con te.» continuò lei. «Potrei tenerti testa.»

Dean scoppiò a ridere. «Sì, funzionerebbe finché non ci ammazzeremmo a vicenda.»

«Ma avremmo dei bambini così belli.» puntualizzò lei.

«Già,» concordò Dean. «Dei bambini meravigliosamente testoni.»

Continuarono a ridere e scherzare per qualche minuto sui loro potenziali disastri domestici. Jess cucinò a Sam un piatto di “cibo per la mente” (Dean non aveva idea di dove lei avesse trovato tutta quella roba verde); Dean preparò ad entrambi poi, dei frappè alla vaniglia, e Jess versò un po’ di Rum al loro interno perché aveva bisogno di sentirsi come se fosse “nei peggiori bar di Caracas[6]”, e alla fine, Jess gli raccontò tutto.

Dean sorseggiò lentamente il suo frullato, come faceva sempre quando Jess li correggeva. Lei l’aveva notato una volta, e lui era riuscito ad elaborare una scusa del cazzo sul fatto che non gli piacesse bere “roba leggera”. Non le aveva mai raccontato nulla dei giorni in cui beveva “roba forte” come un neonato che non riesce a staccarsi dalla tetta della madre. Quel Dean era morto e sepolto al centro di riabilitazione Hallmark Healthcare di Omaha.
Tornando a rivolgere l’attenzione a Jess, Dean capì che il Signor Coglione – seriamente, in che altro modo puoi chiamare qualcuno che indossa i mocassini e si vanta di mollare le ragazze tramite un sms? – l’aveva lasciata perché lei era troppo concentrata sui suoi studi e non abbastanza su di lui. «Credo mi piacesse solo perché è un tipo disponibile, sai?» disse Jess. «Lui era, dio, era così carino. E i tipi carini sono sempre stupidi.»

Dean si trattenne dal dirle che c’era un gigante “carino” mezzo addormentato sui suoi libri a circa sei metri da lei, che a parte il fatto che fosse completamente ignaro di tutto, era ben lontano dall’essere stupido. Invece le disse, «Beh, non ho molta esperienza riguardo le relazioni durature, sai, ma credo che quando si ami qualcuno – sì, ho detto “ami”, non ne sono allergico – si desideri il meglio per quella persona, anche se ciò significa non vederla così spesso. Non so se Sam te l’ha mai raccontato, ma io stavo quasi per rimanere nel Nebraska.»

«Hai quasi lasciato che Sam attraversasse il paese senza di te? Perché?»

Dean sospirò. La Breve Storia dei Winchester, capitolo quattro. «Immaginavo che sarebbe stato troppo impegnato con gli studi, e che non avesse avuto bisogno di me. E poi un giorno, arriva nel nostro appartamento di merda e mi dice che rinuncerà alla borsa di studio di Stanford. Che non ci sarebbe andato senza di me. A quel tempo ero in una brutta situazione, ma ciò che disse mi fece aprire gli occhi, sai? Non si trattava di me, se Sam voleva andare all’università, avrebbe dovuto farlo, e non potevo comportarmi da egoista. Il giorno dopo comprai i biglietti aerei.»

«Pensavo aveste guidato fin qui.»

«E l’abbiamo fatto. Quando siamo arrivati all’aeroporto, ho dato un’occhiata all’ammasso di latta che avrebbe dovuto trasportarci in volo per cinque miglia, e mi sono fiondato fuori di lì più in fretta di quanto tu possa dire “Heidenberg”.»

Jess ridacchio. «Allora non dovrò preoccuparmi di vederti partire per le Hawaii senza fare mai più ritorno, eh?»

«No, non dovrai farlo. Le Hawaii non sono il mio genere. Però potrei guidare fino a Redwoods e sparire per sempre.» scherzò Dean. «Oppure potresti preoccuparti del fatto che io e Sam potremmo tornare nel Nebraska, se è quello che lui vuole fare dopo la laurea.»

Jess non disse nulla per un minuto o due, sorseggiando il suo frullato. «Che ne dici di quello che vuoi tu, Dean?» chiese infine. «Non è importante anche quello?»

Dean strinse le spalle. «Mi sono preso cura di Sam da quando avevo sedici anni. Io non sono come lui. Non sono abbastanza intelligente per l’università o altro. Tutto quello che ho sempre voluto è stato far sì che avesse tutto il meglio. Mi ci sono voluti degli anni per capirlo, però. Angosce adolescenziali e tutto il resto.»

«Non parli molto del Nebraska.»

«Non ne ho motivo.»

«Non ti sei mai pentito di nulla?» infierì Jess. «Di non aver fatto niente per te stesso?»

«Prendermi cura di Sam è tutto quello che faccio. Sia per me stesso che per lui, ma non so,» ammise Dean. «Cerco di non pensarci troppo.» Che poi era una mezza verità. Lui non aveva mai avuto dei rimpianti riguardo l’essersi preso cura di Sam, ma a volte, a volte si era chiesto che tipo di persona sarebbe adesso, se i venerdì sera della sua infanzia non fossero stati consumati da bottiglie di Jack Daniels e dal vomito di John Winchester.

Jess disse, «Beh, hai fatto un buon lavoro con lui.»

«Ho fatto del mio meglio.»

«Dean, accetta i complimenti. Sam è un brav’uomo proprio perché l’hai cresciuto come tale.»

«Già, e neanche tu sei male, quindi smettila di uscire con i coglioni.»

Jess scoppiò a ridere. «Beh, se un giorno tuo fratello decidesse di svegliarsi e di notarmi, ha il mio numero.» afferrò il piatto di cibo che aveva preparato per lui e lasciò la cucina. Dean rimase lì un altro po’, assicurandosi che tutto funzionasse senza intoppi.

Poche ore più tardi si trovava ancora sul divanetto del suo ufficio, odiando l’idea che aveva avuto di passare l’intera giornata a riorganizzare la cella frigorifera. Non aveva più sedici anni, e le gambe glielo ricordavano dolorosamente. Gemette stiracchiandosi, allungandole sopra i braccioli e facendole penzolare di lato. Già, non aveva decisamente più sedici anni.

Il suo cellulare vibrò, ma si trovava sulla scrivania dall’altra parte dell’ufficio così Dean decise di ignorarlo finché Sam o Jess non fossero arrivati e glielo avessero dato.

Cosa che, ovviamente, Sam fece poco dopo.

«Ehi, Sammy! Puoi prendermi il telefono?»

Sam gli fece la Faccia da Stronzo per un minuto ma poi afferrò il cellulare di Dean. «A volte sei così pigro.» Suo fratello guardò il telefono e si accigliò. «Chi ti sta inviando queste foto di gatti?»

«Non tutti siamo dei secchioni che studiano legge. E piantala di spiare i miei messaggi.» glielo strappò via da Sam. Oh. Un Gollum-gatto. Lui scrisse una rapida risposta. Qualcuno gli ha rubato il suo puurrrresoro? ;)

«Con chi stai messaggiando?»

Dean nascose il suo telefono in tasca, il che non fu un’impresa facile data la sua posizione. «Nessuno.»

«Le uniche persone a cui mandi sms siamo io, Jess, e Ellen. E qualche volta Jo. Stai messaggiando con Jo? Sai che Ellen potrebbe ucciderti se uscissi con sua figlia, vero?»

Dean sospirò. «Non sto messaggiando con Jo.»

«D’accordo. Ho visto che hai mandato una faccina ammiccante. Tu non mandi la faccina con l’occhiolino a “nessuno”.»

«Quanti anni hai, dodici? Chi dice “faccina ammiccante”?»

Sam sospirò, e Dean giurò di aver avvertito la Faccia da Stronzo nel suo respiro. «È una ragazza carina, perché non vai là fuori a parlare con lei? Messaggiarci è un po’ inutile.» disse Sam. Sembrava come sconfitto.

«Aspetta, cosa? Chi è carina?»

«Jess.»

Dean quasi soffocò. E lo incenerì con lo sguardo. «Cosa intendi dire con questo, Sammy?»

«Niente. Sto solo dicendo che lei è carina. Tutto qui.»

Dean sarebbe scoppiato a ridere se non fosse tutto così dannatamente triste. «Già… questo non accadrà. Tipo mai.»

«Perché no? È una brava ragazza.»

«Nulla da obiettare.»

«Allora qual è il problema?»

«Devi smetterla di studiare così tanto.»

«Piantala di cambiare argomento.»

«È solo… Jess non è il mio tipo, okay?» Dean voleva sgattaiolare via dal suo ufficio, ma quell’alce di suo fratello gli bloccava la via di fuga.

«E allora a chi stai mandando i messaggi?»

Wow, suo fratello non aveva nessuna intenzione di lasciarlo andare. «Perché è così importante, Sammy?»

Lo sguardo che rivolse al volto di Sam gli fece capire che la conversazione aveva preso la strada sbagliata che portava a Merdopoli. Lui si rese conto che la Faccia da Stronzo di Sam sarebbe andata avanti finché non gli avesse dato il proprio telefono, in modo tale da fargli leggere con chi stesse messaggiando. Sapeva che Sam stava ripensando ai giorni nel Nebraska, quei giorni nei quali lui diceva a Sam di mandare messaggi agli “amici” al posto suo, perché lui era troppo impegnato ad organizzare degli incontri nel parcheggio del Lion’s Den.

«Stai mentendo. Forse non sul fatto di Jess, ma lo stai facendo su qualcosa.» disse Sam infine. Si chinò verso di lui e annusò deliberatamente il suo fiato. «Hai bevuto

«No.»

Sam sprofondò nel divanetto. Lo sguardo che Dean vide sul volto di Sam, lo fece sentire come se avesse preso a calci un cucciolo con degli stivali dalla punta di metallo. Era lo stesso sguardo che aveva Sam quando il loro padre tornava a casa con le bottiglie di Jack Daniel’s invece che con del cibo. «Pensavo avessimo superato tutto questo.» disse Sam. La voce del minore dei Winchester tremò, solo leggermente. Ma quanto basta da far capire a Dean quanto grave fosse la cazzata che aveva fatto.

«Jess e io abbiamo bevuto dei frullati leggermente corretti, ma niente di peggio di uno sciroppo per la tosse.» giurò Dean.

«Oh, quindi è stata un’idea di Jess?»

«Lei non sa niente, Sammy.»

«E perché non glielo dici, Dean

Dean si ricordò improvvisamente una notte di cinque anni prima, quando suo fratello gli stava accanto mentre guardavano degli orribili film di Nicholas Cage sulla tv via cavo. Sam non l’aveva mai lasciato solo, nemmeno una volta. Né allora, né i giorni che seguirono. Così in quel momento gli giurò che non era niente di serio. Non era come l’ultima volta.

Non era come loro padre.

«Allora perché l’hai fatto, Dean? Non capisco.»

«Non è niente. Jess aveva avuto una pessima giornata e aveva bisogno di bevuta in compagnia, sai.»

Lo scintillio che balenò negli occhi di Sam avrebbe fatto sì che anche il diavolo rivalutasse le proprie scelte di vita. «Perciò, piuttosto che ammettere che sei un ex drogato in via di recupero, permetti ad una tua dipendente di portare dell’alcol sul posto di lavoro? Questo è stupido, Dean, persino per te.»

Cinque anni prima, Dean aveva promesso che non avrebbe mai più bevuto alcol (o assunto pillole, o qualsiasi altra sostanza di cui aveva abusato quella settimana). Fu la sua decisione. Mentre due anni prima, avevano ricevuto la notizia della morte del loro padre. John Winchester era andato a sbattere con la sua auto contro un albero, con una bottiglia di Jack Daniel’s in mano. “Almeno è morto con l’amore della sua vita” aveva detto Sam amaramente. Quell’evento aveva cancellato in Dean qualsiasi desiderio di ritoccare una bottiglia, ma non aveva minimamente pensato che bere un goccetto di nascosto con Jess fosse sbagliato.

La faccia di Sam gli disse che sì, era incredibilmente sbagliato ciò che aveva fatto.

Crollò sul divanetto accanto a suo fratello. Cazzo. Si passò una mano sul viso. Quando erano piccoli, Sam aveva l’abitudine di leggergli le avventure degli Hardy Boys ogni volta che Dean si ammalava. Sognava spesso di essere come quei due fratelli, che andavano in giro a risolvere crimini e a vivere mille avventure, ma poi si svegliava e vedeva il loro padre svenuto nel suo vomito. Erano stati imbrogliati. Non avevano avuto un’infanzia fatta di staccionate bianche e felicità[7]. Avevano avuto solo merda. E Sam che leggeva per lui? Era quello che più si avvicinava alla normalità, finché John Winchester non aveva deciso di uscire per sempre dalle loro vite. La California era stata la loro possibilità di avere una vita normale, ma gli sembrava come se il passato fosse sempre dietro di lui, pronto a strisciare fuori da un momento all’altro e a mordergli il culo.

Mise un braccio attorno alla spalla di Sam, il che era difficile dato che era alto dieci centimetri più di lui, ma era una cosa da fratello maggiore che doveva fare. «Ho fatto una cazzata, okay? So cosa stai per dire: avrei dovuto dirlo a Jess. Non avrei dovuto fare una cosa del genere. Mi sono lasciato trascinare. Bla bla bla. Lo giuro Sammy, spaccherò la prossima bottiglia che Jess porterà qui.» promise.

Si aspettò un ripasso delle Lezioni del Nebraska, dove Sam diceva che le droghe fanno male, che lui poteva essere migliore di così, che il modo di merda in cui John Winchester li aveva cresciuti non doveva condizionare le loro vite. Ma ciò che invece Sam disse, lo sorprese.
«Non sei come lui, sai. Non hai niente in comune con lui.» disse Sam.

Dopo la morte di John Winchester, ne avevano riparlato solo tre volte. La prima quando dovevano organizzare il suo funerale, la seconda quando dovevano discutere dei debiti che gli aveva lasciato, e la terza quando scoprirono di avere un fratellastro nel Minnesota. Questa era la quarta volta, e c’era una sensazione che gli fece capire che si trattasse dell’ultima. Sam probabilmente avrebbe nominato il loro padre per un’ultima volta. Dean invece, ne avrebbe approfittato per rispondere a quella domanda lasciata aperta cinque anni prima, pronto a chiudere la porta che riguardava il loro passato incasinato con John Winchester, con chiodi e bulloni.

«Mi dispiace.» disse Dean. Si contavano sulle dita di una mano le volte in cui l’aveva detto pensandolo seriamente. La ragazza che in secondo superiore (di cui non ricordava più il nome) gli aveva detto di amarlo e l’unica cosa che rispose fu “Mi dispiace”, dopo essersi tirato su la zip dei pantaloni ed averla lasciata sola sul sedile dell’auto di lei. La prima volta che Ellen e Sam gli erano andati a fargli visita al centro di riabilitazione, quando gli aveva sbattuto talmente forte la porta in faccia da creare una crepa sul muro. Poco dopo aveva chiamato Ellen per scusarsi, e la trovò sorpresa di sentirsi dire quelle parole. Mentre Sam ritornò il giorno successivo e l’aveva guardato proprio come guardava loro padre. Quel “mi dispiace” non fu mai detto ad alta voce, ma rimbombava ogni volta che andava ad un incontro degli Alcolisti Anonimi e ogni volta che passava davanti ad un bar o un negozio di liquori senza mai fermarsi.

Quelle scuse Dean avrebbe dovuto dirgliele anni prima. Era ancora troppo poco, ma sapeva essere meglio di niente.

Sam sembrò capire, perché era la maledetta persona migliore che fosse capitata nella vita di Dean. «Parla a Jess del Nebraska.» fu tutto quello che suo fratello gli disse.

E così fu. I momenti da film smielati non erano nello stile dei Winchester. Ci avrebbero litigato ancora in futuro, probabilmente dopo un mese o due, quando avrebbero finito le cose stupide su cui essere pignoli. Un’ora più tardi, Dean rinunciò a suo “lavoro” (ovvero stare seduto sulla sedia del suo ufficio) e lasciò a Jess la direzione della tavola calda. Sam era ancora chino sul bancone a studiare, e Jess era poggiata di fronte a lui, mentre con le mani mimava la storia che stava raccontando a suo fratello. La cameriera era riuscita a farlo ridere e sorridere, nonostante la serietà della conversazione che avevano avuto prima, con degli aneddoti sugli scherzi alle sue due sorelle minori (Dean fu colpito dall’uso creativo che Jess poteva fare del filo interdentale).
 
 
 
 
Dean si chiese se la loro vita fosse come quella dei film smielati, e se quello fosse finalmente il momento nel quale Sam avrebbe capito i sentimenti della ragazza. Afferrò il proprio cellulare, scattò una foto ai due e la allegò ad un messaggio. Ci credi che questi due non stanno insieme? Idioti ;)
 
GIORNO 200

A Cas: potrebbe sembrare strano chiederlo via messaggio ma non conosco i tuoi orari di lavoro 7:46 p.m.

A Cas: ti andrebbe un caffè domani? 7:47 p.m.

Da Cas: a che ora? 7:50 p.m.

A Cas: alle 9 al Douce France? 7:52 p.m.

Da Cas: sarò lì. 7:53 p.m.

A Cas: a domani, allora :) 7:54 p.m.

Da Cas: non vedo davvero l’ora. 7:55 p.m.

 
GIORNO 220

Da Jo: sbaglio o non mi hai mai chiamato per parlarmi di questo Castiel che mette mi piace a tutte le tue foto su FB? 2:17 p.m.

A Jo: no non l’ho mai fatto.  3:02 p.m.

Quella sera, Dean modificò le impostazioni della privacy a tutte le sue foto.
 
 
GIORNO 261

«Lo so che è imbarazzante. Voglio dire, so che ci conosciamo da un po’ ormai, ma si sa. È diverso. Questo è diverso.» disse Dean. Guardò il bordo di cartone del suo bicchiere di caffè, carezzandolo con la punta del dito. «Io, oh non lo so. Credo che io volessi solo parlare?» non era sicuro di aver formulato l’ultima frase come una domanda o meno. Non c’erano dubbi nella sua mente sul perché volesse essere lì al Douce France.

L’uomo di fronte a lui sorrise, in maniera genuina. «Va tutto bene, Dean.» disse. «Non dobbiamo dirci niente, se non vuoi. Godersi il caffè e la presenza l’uno dell’altro è abbastanza per me.» E poi, come per dimostrarlo, prese un lungo sorso del suo caffè macchiato.

«Castiel--» riprese Dean.

L’uomo lo zittì. «Ci siamo già passati, giusto? Non ti avevo detto che “Cas” andava bene?»

«Dicesti che non ti piacevano i soprannomi.» protestò Dean.

«Infatti,» disse Castiel, «ma le persone possono cambiare, no? Inoltre il fatto che tu mi abbia dato un soprannome mi fa sentire molto più a mio agio quando sono con te, come se fossimo dei veri amici.»

«Ovvio che siamo amici, Cas.»

«Allora dimmi cosa ti passa per la mente.» disse Cas, «Questo è quanto, se ti senti abbastanza a tuo agio da parlarmene.»

«Pensavo a ciò che mi hai detto per messaggio l’altro giorno, su come dovrei uscire di più. Godermi davvero la vita e tutto il resto.» si fermò per fare un respiro. O forse dieci. Odiava davvero parlare dei propri sentimenti, anche se era con Cas (con Sam era anche peggio). Dean continuò, «E non lo so, forse dovrei fare di più.» Certo, l’altro uomo gli aveva dato la possibilità di stare lì seduti in silenzio, ma Dean voleva sentire la voce di Castiel, per memorizzare le piegoline delle sue labbra quando parlava, per vedere come i suoi occhi blu si illuminavano davanti a qualcosa di divertente. Sam probabilmente l’avrebbe definita una cosa da film smielato. Dean decise di rivalutare completamente la qualità dell’intero genere cinematografico.

Il sorriso di Cas riempì il locale. «Ne sono felice. Meriti di goderti la vita.» disse. Si fermò, le parole rimasero in bilico sulle sue labbra come dei subacquei pronti ad un’immersione. Cas però non parlò più. Dean sapeva che se di fronte a lui si fosse trovato Sam, le sue parole sarebbero state un trampolino di lancio per discorsi sul “benessere emotivo” o sulla “resilienza psicologica”, che si concludevano col fatto che Dean avrebbe dovuto prendersi una vacanza. Anche se conosceva Cas da pochi mesi, l’aveva spinto a fare il passo più lungo della gamba. Sam era come la marea, un interminabile tira e molla su Dean, una presenza sempre costante e rassicurante. Cas, beh, Cas era diverso. Pensava che Cas fosse come il suo battito, morbido e silenzioso e sempre presente. Forse faceva molto film smielato, perché paragonare Cas ad un battito cardiaco era una cosa che si avvicinava parecchio alla merda di Nicholas Sparks.

«Non credo di averti mai visto sorridere,» disse Dean. Lui non stava assolutamente deviando il suo monologo interiore. «È strano.»

«Forse è solo una giornata insolita. Siamo venuti qui in sacco di volte, e oggi per la prima volta non hai ordinato la torta.»

«Beh, sì, forse voglio tenere sotto controllo la mia linea.»

Lo sguardo che gli lanciò Cas voleva dire per due terzi “Che stronzata” e per un terzo era chiaro flirt. Cas parlò lentamente, in modo tale da permettere a Dean di assimilare ogni parola. «Posso assicurarti che il tuo fisico è perfetto esattamente quanto lo era quando ci siamo incontrati per la prima volta. Anzi forse di più, adesso che ti conosco meglio.» si alzò, spazzolandosi delle pieghe immaginarie sui pantaloni blu. «Noci o ciliegia?»

«Noci.»

«Sarò di ritorno celermente.» disse Cas. Camminò fino in fondo alla pasticceria e si mise in fila dietro ad un considerevole numero di persone in attesa di acquistare i dolci.

Celermente. Dean non sentiva quella parola da quando, dieci anni prima, aveva aiutato Sam nella preparazione dei test attitudinali. Significava “presto”… oppure “da un momento all’altro”? A volte Castiel – Cas – aveva un vocabolario che solo Sam avrebbe potuto apprezzato a pieno. Sam. Oh merda, era martedì. Martedì era il giorno nel quale Sam doveva andare al Douce France a prendere l’ordine dei pasticcini per la tavola calda. Controllò la fila alla cassa, e notò che Cas era a metà strada. Sperò con tutto il cuore che avrebbe capito il perché se ne dovevano andare da lì, dato che Sam ancora non sapeva.

Quando aveva sette anni, Sam ruppe un vecchio specchio appartenuto alla loro mamma, una delle poche cose che il loro padre non aveva ancora venduto per l’alcol. Sam pianse per ore, convinto che avrebbe avuto una vita di sfortune, finché Dean non gli aveva detto che la vita di sfortune se l’era presa tutta lui, al posto del fratellino.

Sam entrò nel Douce France e si diresse verso il suo tavolo, convincendo Dean che la maledizione che si era preso quella volta era davvero reale. Come gli avrebbe spiegato di Cas? Non era ancora pronto ad avere quella conversazione.

«Ehi, Dean, che ci fai qui?» si buttò sulla sedia vuota di Cas. «Credevo avessi la mattinata libera.»

«Ce l’ho. Tu no. Vattene.» rispose Dean, con il tono di voce ruvido e carico di irritazione. Notò Cas ancora in fila, a chiacchierare goffamente con la donna di fronte a lui.

Sam scosse la testa, e Dean giurò di aver visto un paio di adolescenti dietro di lui sospirare alla vista del fruscio dei suoi capelli. Forse era una buona cosa che suo fratello fosse ignaro dell’effetto che aveva sulle donne. «Mi hai chiesto di ritirare l’ordine in pasticceria martedì, ricordi?» gli ricordò Sam. «Non capisco perché mi hai chiesto di farlo se ci sei già tu qui.»

Perché Dean aveva dimenticato di averglielo detto, in primo luogo. Invece gli disse, «Un uomo può venire a prendersi un caffè senza subire un interrogatorio?»

Sam guardò il bicchiere di caffè di Dean, e poi posò lo sguardo sulla tazza di caffè macchiato mezza terminata di fronte a sé. Il caffè macchiato ovviamente non era il suo: Sam una volta gli aveva detto che non pensava che suo fratello potesse bere qualcosa di più dolce dell’acido di una batteria (Dean non gli aveva mai parlato del suo amore segreto per il frappè al caramello). Sam fissò il caffè macchiato finché Dean non pensò che stesse assorbendo la caffeina tramite l’uso della telepatia, telecinesi o quant’altro. «Okay, penso che ti lascerò al tuo caffè.» gli disse poi, senza smettere di guardare il macchiato. «Mi limiterò a ritirare l’ordine e andarmene.» Il Gigantor si alzò, in maniera goffa come se fosse una giraffa che si alza in piedi per la prima volta. «Ci vediamo dopo.» Il modo in cui gli occhi di Sam girarono per il locale affollato fecero capire a Dean che stava chiaramente cercando il proprietario del caffè macchiato. Gli occhi di Sam non si fermarono mai su Cas.

«Ci vediamo.» disse Dean. E cacciò via suo fratello.

Sam guardò la tazza un’ultima volta, e poi uscì dalla pasticceria. Per poi rientrare trenta secondi dopo quando aveva capito di essersene andato senza aver ritirato l’ordine. Dean si dispiacque per lui, ma se Sam non aveva voluto chiedere, lui non aveva motivo per parlargliene. Parola di scout.
Quando Cas tornò al tavolo, con in mano il piatto con una giga-enorme fetta di torna di noci, Dean sputò tutto, «Sam è stato qui. Non sapevo come dirgli di te. Di me. Di noi. Quello che è.»

Nessuno avrebbe mai potuto descrivere Dean come una persona “eloquente”.

Cas posò la torta davanti a Dean. Poi gli diede una forchetta. Silenzioso ed efficiente. Cas afferrò la propria forchetta e prese il primo morso della torta. Dean lo lasciò fare. Mentre masticava, guardò Dean, come se il Winchester fosse un cavallo impazzito da dover domare.
E Dean ci aveva pensato. Più di una volta.

«Ti mette ancora a disagio l’idea di dirlo a Sam.» disse Cas. «È perfettamente normale. Tuttavia desidererei che tu ne potessi parlare con qualcuno. Un amico o un confidente importante.» fece scivolare la torta più vicino a Dean, in un gesto semplice e familiare, ma che acquisì una grande importanza per Dean. Non aveva mai incontrato nessuno come Cas; le persone che entravano nella vita di Dean generalmente era divise in due categorie: Sam o Non Sam (le ex spesso non finivano nemmeno in quest’ultima categoria). Dean, dal momento in cui aveva incontrato Castiel Novak, aveva capito che c’erano ben tre categorie nella sua vita: Sam, Castiel e Chiunque Altro. Dean pensò che ciò era dovuto al modo in cui aveva incontrato Castiel per la prima volta. La maggior parte delle persone entrano ed escono dalla vita, come uno staff che lavora dietro le quinte a teatro, ma conoscere Cas è stato come trovarsi di fronte ad un’eruzione vulcanica, che aveva completamente scombussolato il paesaggio, che era la vita di Dean.

«Non so come dirlo a Sam.» disse Dean. «Ma Ellen lo sa. La scorsa settimana era in città, e con un solo sguardo ha capito che stava succedendo qualcosa.» Prese un boccone di torta alle noci. Dio, era deliziosa.

«E come ti senti in proposito? So quanto sia importante Ellen per te.» disse Cas. I suoi occhi blu erano grandi e seri, e Dean si chiese come fosse affogarci dentro.

Questa era una cosa che prima o poi avrebbe raccontato a Cas: se non ci fosse stata Ellen Harvelle, lui non sarebbe stato niente. Era stata Ellen a prenderli con sé, quando John Winchester se n’era andato lasciandogli solo un mezzo sacchetto di Cheetos e una vecchia Impala del ’67. Era stata Ellen a prenderlo a schiaffi e a trascinarlo a centro di riabilitazione, quando era stato troppo ubriaco per rimettersi in piedi. Era stata Ellen ad insegnargli a cucinare e a gestire un ristorante, ed era stata Ellen ad aver investito dei soldi per permettergli di aprirsi il Dive Burger, così che Dean potesse stare in California assieme a Sam. Lui doveva ad Ellen molto più del semplice denaro, quindi quando gli aveva chiesto di dirle la verità, lui non aveva potuto far altro che farlo.

E lui non le aveva chiesto di non dirlo a Sam.

Il cellulare di Cas cinguettò, e lui aggrottò la fronte guardando i messaggi. Dean aveva catalogato le espressioni facciali di Castiel in base all’intensità dei solchi sulla sua fronte. Questo era il Cipiglio #5: il “devo-andare-a-lavoro-ma-non-voglio-farlo”, accompagnato dall’alzata di sopracciglia “spero-che-starai-bene”.

«Vai,» disse Dean. «Starò bene. Promesso.»

Cas rimase fermo. Poi si chinò in avanti e prese un altro pezzo della torta alle noci di Dean. «Ora capisco perché ti piace così tanto.» disse.

«Smettila di rubare la mia torta, amico.» non si mosse di un centimetro mentre Cas prendeva l’ultimo pezzo, però.

Cas sistemò il suo trench ambrato, quello che Dean scherzosamente chiamava “coperta di sicurezza”, dal momento che appariva ogni volta che andavano assieme a prendersi un caffè o una torta o un cheeseburger. Prima di lasciare la pasticceria, Cas portò una mano sulla spalla di Dean, stringendola in maniera rassicurante, e gli disse, «Considera l’idea di parlarne ancora con Ellen. Per quanto apprezzi il nostro tempo insieme, credo dovresti beneficiare anche del fatto di parlare con qualcun altro, di tutto.»

«Ci penserò.» promise Dean.

Osservò Cas allontanarsi e dirigersi verso l’uscita della pasticceria, con i passi veloci ma costanti, proprio come un battito cardiaco, e wow, che cos’era quello?

Fu allora che Dean realizzò come la sua vita fosse diventato un film smielato.

Mandò un sms a Sam: se dovessi mai incontrare Nicholas Sparks lo prenderò a pugni 9:42 a.m.

Da Sam: ??? 9:43 a. m.
 

[1] Formaggio piccante tipicamente americano.
[2] “Frak” è il modo in cui la parola “Fuck” veniva censurata in Battlestar Galactica. Ho pensato di lasciarlo in questo modo per intendere “fottutamente impegnato”.
[3] Gioco di parole per indicare il divertimento del venerdì sera.
[4] Slang militare che si riferisce ad una tazza di caffè.
[5] Lo Hobbit
[6] L’ho riadattato perché la versione originale nominava uno spot americano di un Rum.
[7] Riadattamento di “White picket fence and apple-pie childhood”.
 

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Capitolo 2
*** Parametri Vitali ***


Capitolo 2: PARAMETRI VITALI
 
 
GIORNO 316

Duecento miglia e tre termos di caffè dopo, Dean decise di dare un’occhiata ai suoi sms mentre si trovava all’interno dell’Impala. Aveva un promemoria per un appuntamento – cancellato –, un sms da una ex – cancellato – e circa una dozzina di messaggi da suo fratello e da Jess, gli unici che gli importava davvero leggere.

Da Sammy: amico, so che avevi bisogno di un giorno libero, ma dovevi scegliere PROPRIO il Lunedì? 6:23 a.m.

Da Sammy: Jess è davvero un orso a prima mattina. Come fai a sopportarla ogni giorno??? 6:36 a.m.

Da Jess: tuo fratello è inutile, ma carino. 7:02 a.m.

Da Sammy: ehi ma chi mette i cetriolini nell’omelette? Cmq dove tenere i condimenti? Ho paura a chiederlo a Jess prima di mezzogiorno 7:38 a.m.

Da Jess: tuo fratello ha appena provato a cercare i cetriolini sotto al lavandino. Idiota. 7:41 a.m.

Da Jess: lasciami di nuovo sola con tuo fratello e mi licenzio. 8:29 a.m.

Da Sammy: provo a prendermi una pausa. Hai cambiato la psw del wifi? 9:04 a.m.

Da Sammy: seriamente, ho bisogno della psw!!! 9:10 a.m.

Da Sammy: Jess non vuole dirmi la psw! Ma perché l’hai assunta 9:12 a.m.

Da Jess: la nuova psw del wifi è jessèilsignoresupremo 9:13 a.m.

Da Sammy: devo davvero mettermi a studiare, amico. Diglielo tu a lei 9:17 a.m.

Lasciare quei due da soli a dirigere la tavola calda non era stata né la migliore né la peggiore idea che Dean avesse mai avuto in fatto di affari, ma come Sam si ostinava a ripetere, a volte anche il boss ha bisogno di una pausa. Scrisse velocemente un sms a Sam: non ho cambiato io la psw. Meglio se non fai arrabbiare Jess. Mentre a Jess scrisse semplicemente: alla grande.

Lui era a circa 150 miglia di distanza da Crescent City e dal Parco nazionale di Redwood. Ellen avrebbe descritto quel piccolo viaggio come "una semplice passeggiata attraverso il paese”. Guidare attraverso la parte settentrionale della California era così diverso da come lo era farlo nel Nebraska. Il Nebraska era solo terreni pianeggianti e cielo aperto, mentre la California era fatta di montagne, spiagge e sole. L'ultima volta che aveva fatto un viaggio lungo in auto era stato quando lui e Sam si erano trasferiti in California quasi cinque anni prima. Ricordò il lungo percorso che attraversava il Nebraska, il Kansas e il Colorado. In quelle strade, pianure o no, non c'era molto da fare tranne che ammirare i campi di grano o le foreste, e pensare. Ripensò alla più grande palla di spago del mondo[1], ai cerchi nel grano che dicevano, "L'aborto è omicidio" o "Gesù è l'unica via", ma il più delle volte pensava a Sam, che amava il grande cielo riempito solo da soffici nuvole, e il Nebraska era famoso proprio per quello. Si chiedeva spesso perché Sam avesse scelto un’università così lontana da quel posto che amava tanto.

Lungo la Route 101, i ricordi iniziarono a riaffiorare man mano che proseguiva, e le miglia misuravano la lunghezza dei suoi pensieri. Al Miglio 64, vi trovò il ricordo di quando mangiava delle more cantando “Hey Jude” con sua madre. Quella notte, si era infilato silenziosamente nel suo letto, e le aveva chiesto se potessero chiamare il nuovo bambino “Ringo”[2]. Al Miglio 89, ripensò al giorno nel quale capì che la parola “cancro” significava che Mary Winchester non avrebbe più potuto preparare la crostata di mele. Al Miglio 107, trovò la prima volta che assegnarono dei compiti a casa a Sam, ovvero fare un disegno riguardante la sua famiglia. Nel disegno erano rappresentate solo due persone. Al Miglio 118, ripensò al suo primo bacio a Jo Harvelle. Lei in cambio gli regalò un occhio nero e la sua amicizia. E poi, a circa venti miglia da Crescent City, un ricordo di suo padre fece capolino da una nuvola che aveva la forma del Pi greco.

Aveva da poco imparato a calcolare l’area del cerchio, aveva nove anni, forse dieci, e la sua insegnante, Mrs. Ciotta, aveva chiamato suo padre per un incontro genitori-insegnanti. Lui era seduto in fondo alla classe, ed era impegnato a calcolare l’area di una maxi-pizza e quella di un frisbee mentre gli adulti parlavano tra loro. Dean non sarebbe dovuto essere presente, ma John dopo aver fissato Mrs. Ciotta negli occhi e abbassato la voce, disse, “Mi dispiace, signora, ma non smetto mai di tenerlo d’occhio da quando sua madre è scomparsa qualche anno fa. Mi capisce, vero?”. Mrs. Ciotta ammorbidì il suo sguardo amorevole. “Ma certo.” aveva risposto, “Lei è un buon padre per Dean. Non molti uomini si sarebbero assunti una tale responsabilità.”

Dean non ricordava più di cosa avessero parlato la sua insegnante e suo padre, ma ricordava perfettamente che quella fu la prima volta nella quale si rese conto che John e Sam avevano le stesse fossette sulle guance quando sorridevano. Fu una delle poche volte che Dean vide suo padre sorridere, dopo la morte di Mary Winchester, e prima che l’alcol e l’indifferenza verso i propri figli prendessero il sopravvento. Per il resto di quell’anno scolastico, Mrs. Ciotta chiese notizie sul suo “caro padre” quasi una volta a settimana, anche quando aveva smesso di andare agli incontri genitori-insegnanti. Si chiese perché quel ricordo fosse emerso proprio ora, dato che non ripensava a Mrs. Ciotta da quasi dieci anni. Probabilmente i ricordi vengono fuori come se fossero dei venditori porta-a-porta, e tu non puoi far altro che accettarli, per poi richiudergli la porta in faccia.

Quando fu a meno di dieci miglia dalla sua destinazione, desiderò che quelle strade fossero un po’ più libere e che il limite di velocità fosse più alto, così da poter schiacciare liberamente il piede sull’acceleratore dell’Impala. Da quando viveva lì, era passato molto tempo da quando aveva sentito l’ultima volta le ruote dell’auto rimanere attaccate all’asfalto come se fosse un salvagente, con la forza centripeta che era l’unica cosa che gli teneva il culo incollato al sedile, mentre svoltava velocemente ad una grande curva. Era passato tanto tempo da quando si era sentito così vivo mentre guidava, finché poi l’auto dello sceriffo che lampeggiava nello specchietto retrovisore, non lo fece tornare con i piedi per terra.

Si fermò poi davanti all’ingresso del Parco Nazionale di Redwood[3], per dare di nuovo un’occhiata al suo cellulare. Immaginò che non ci sarebbe stato segnale vicino al parco, ma nonostante fosse il suo giorno libero, voleva sapere cosa stessero combinando Jess e Sam.

Trovò due sms da Sam, tre da Jess, e uno rispettivamente da Cas e da Ellen.

Da Sammy: il tuo sistema di archiviazione non ha senso 12:01 p.m.

Da Sammy: adesso capisco perché hai assunto Jess. Dovresti darle un aumento. 12:13  p.m.

Da Jess: tuo fratello è ancora inutile. Può essere carino quanto vuole, ma non basta 12:22 p.m.

Da Jess: guardare Sam che serve ai tavoli è come osservare un Bigfoot. Non credo ai miei occhi 12:28 p.m.

Da Jess: tuo fratello prepara dei milkshake migliori dei tuoi. 12:32 p.m.

Da Ellen: goditi la guida e l’aria fresca. Chiamami dopo. 12:37 p.m.

Da Cas: passi il tuo tempo libero guidando senza meta? Sembra piuttosto controproducente. 12:43 p.m.

Beh, sembrava che Sam e Jess se la sapessero cavare benissimo anche senza di lui, dopo tutto.

A Jess: non dirglielo. Ha già un ego smisurato.  12:51 p.m.

A Sammy: non ringraziarmi per la lezione su come preparare i milkshake, eh. 12:51 p.m.

A Ellen: certo mama E. 12:52 p.m.

A Cas: è più per il viaggio, non per la destinazione. E poi, io non ho mai criticato i tuoi hobby. 12:53 p.m.

Cas rispose quasi immediatamente: in realtà non mi hai mai chiesto come passo il mio tempo libero. 12:54 p.m.

Cas doveva essere in pausa. Dean notò la malinconia che trasmetteva la foresta di fronte a sé, e gli iniziarono a prudere le mani per la voglia di riaccendere il motore. E andarsene.

A Cas: tu avresti del tempo libero? Credevo non facessi nient’altro che lavorare :P  12:55 p.m.

La faccina forse era un po’ troppo flirtante, ma Dean aveva inviato il messaggio senza pensarci troppo.

Da Cas: sì, ho dei giorni liberi. E sono molti di più dei tuoi, comunque   12:57 p.m.

Dean si sentì un po’ in colpa. Dava per scontato che quando Cas non lavorava, passava il tempo con uno dei suoi fratelli. O con Dean. E secondo Cas, la seconda opzione era sempre preferibile alla prima.

A Cas: ok quindi cosa FAI nei giorni liberi? (quando non ti godi la mia fantastica presenza) :P  12:58 p.m.

Ma da quando usava le faccine così spesso?

Da Cas: vieni al St. Ann e te lo mostrerò. 12:59 p.m.

A Cas: la chiesa? 12:59 p.m.

Da Cas: sì. 1:00 p.m.

L’ultima volta che Dean aveva messo piede in una chiesa, sua madre era ancora viva. Il suo funerale lo celebrarono al cimitero. “Dio non l’ha salvata,” aveva detto suo padre, “perché dovrei pagare per una messa in chiesa, se a Dio non importa?”

Era una delle poche cose su cui Dean era d’accordo con John Winchester.

A Cas: sono a Crescent City adesso. Volevo vedere gli alberi. 1:01 p.m.

Da Cas: quindi c’entra la destinazione, allora. Il tuo hobby non è così inutile dopo tutto. 1:02 p.m.

A Cas: già non so. Mi è sempre piaciuto guidare. È la cosa che più si avvicina a volare. Che mi dici del tuo di hobby? 1:03 p.m.

Da Cas: che intendi? Ti ho detto dove trovarmi. 1:03 p.m.

A Cas: oh quindi è così :P 1:04 p.m.

Okay, quindi le faccine nei messaggi per Cas erano diventate un vizio.

Da Cas: credo di sì 1:05 p.m.

A Cas: quindi passi il tempo libero in chiesa. Strano. 1:06 p.m.

Cas non rispose. Dean immaginò (sperò) che fosse tornato al lavoro. Entrambi avevano sempre accuratamente evitato i discorsi sulla religione, anche se Dean sapeva che Cas prestava servizi del genere ogni settimana. Non che a lui importasse che Cas fosse cristiano; molte delle persone che conosceva lo erano, incluso Sam. Semplicemente a lui infastidivano gli sguardi che i credenti gli lanciavano quando ammetteva di non credere in niente, come se avesse la lebbra o qualcosa del genere. Una mancanza di credo religioso non indica certo l’assenza di moralità. O almeno era quello che aveva detto Sam all’ultimo Evangelista che aveva bussato alla loro porta.

Dannato saputello.

Il suo cellulare vibrò. Un altro sms.

Da Cas: parlami degli alberi. 1:09 p.m.

Dean mise in moto l’auto e si diresse verso l’ingresso del parco.
 
GIORNO 345

Da Sammy: perché c’è una macchina per l’espresso nel nostro appartamento? 10:32 a.m.

A Sammy: ho sentito che la caffeina aiuta contro la sindrome premestruale 11:17 a.m.

Da Sammy: fesso 11:31 a.m.

A Sammy: puttana 11:38 a.m.
 
GIORNO 375

Dean si sentiva come se fosse in caduta libera. La crescita della sua amicizia con Cas – gli incontri una volta a settimana per un caffè, i pranzi occasionali, le ore passate a convincere Cas che non tutto il lavoro si svolge dietro una scrivania – aveva raggiunto il limite di velocità.

Dean non poteva cadere più velocemente di così, e non sapeva nemmeno se avesse un paracadute ad attutirne la caduta.

Erano ventisette giorni che non vedeva Cas. Non che stesse tenendo il conto. Avevano messaggiato continuamente per settimane, ma una volta Cas era fuori città e poi era Dean ad essere fuori città, e poi Ellen era in città e poi di nuovo Cas era fuori città. Dean aveva capito in fretta che cercare di coordinare i loro impegni era come perdere una partita a Tetris.

Il giorno libero successivo, Dean scrisse un messaggio a Cas: spiaggia oggi? 5:16 a.m.

Era presto, dannatamente presto, ma la gamba sinistra di Dean a furia di sbattere si era beccata un crampo. E si trovava già a bere il suo terzo caffè.

Da Cas: ma è quasi Ottobre 5:31 a.m.

Rispose: E quindi? 5:32 a.m.

Da Cas: ci vediamo lì. Porta il caffè. 5:33 a.m.

A Cas: Macchiato extra-dolce? 5:34 a.m.

Da Cas: sì per favore. Con caramello. 5:35 a.m.

Un’ora più tardi, dopo aver parlato a Sam di un concerto che si sarebbe tenuto a San Francisco (gli aveva detto che i concerti di mattina sono tutt’altra cosa), Dean entrò nel parcheggio del Gray Wale Cove State Beach[4]. Era stato uno dei primi posti che lui e Sam avevano visitato quando si erano trasferiti in California, ed era diventato uno dei preferiti di Dean. Mai da quando avevano lasciato lo stato del Nebraska, Sam aveva insistito così tanto per vedere l’Oceano Pacifico, in tutti quegli anni da quando si erano trasferiti.

Quando Dean ripensava a quel giorno, poteva ancora sentire le risatine poco virili che aveva emesso Sam, quando le dita dei suoi piedi avevano toccato l’acqua fredda del mare per la prima volta. Poteva ancora vedere il panico diramarsi sul suo volto quando si era reso conto di non poter vincere contro le onde, e i suoi occhi che si erano illuminati quando aveva visto una balena emergere dall’orizzonte dell’oceano. Guardandosi alle spalle, Dean si chiese come sarebbero stati quei momenti se li avessero condivisi con la loro mamma. O con loro padre. Lo faceva arrabbiare, in maniera irrazionale, ripensare a come sarebbero potute andare diversamente le loro vite, a come sarebbero stati quei viaggi se avessero prenotato per quattro invece che per due. La rabbia esplose, come un lampo scintillante, ma proprio come un lampo, sparì velocemente, lasciandogli solo una scia carbonizzata di solitudine e angoscia.

Ma quella sensazione non era niente paragonata alla rabbia che montava dentro Dean, quando ripensava alle sedie vuote ai loro compleanni, ai Natali o ai matrimoni che dovevano ancora venire. Tutto quello non era fottutamente giusto né per lui, né per Sam, e si chiese di nuovo chi avesse fatto incazzare nella vita precedente, per meritarsi così tanta merda.

Quando Dean riconobbe un familiare cumulo di capelli scuri dall’altra parte del parcheggio, decise di lasciare il passato alle spalle a marcire. Aveva cose più importanti di cui preoccuparsi, come ad esempio portare a Cas il suo caffè macchiato ed evitare che diventasse disgustosamente tiepido. Mandò un breve messaggio a Jess per assicurarsi dello stato della tavola calda, e un altro a Sam, dicendogli di essere gentile con Jess. Non che Sam avesse bisogno di un promemoria, comunque.

Portò le gambe fuori dall’Impala e si diresse verso il suo amico. «Ehi.» gli disse, mentre gli metteva il caffè tra le mani.

«Ciao, Dean.» rispose Cas, con la voce ruvida di uno che si era appena svegliato. Mosse il termos che Dean gli aveva dato e poi prese un sorso. «Mmmmmmh» disse leccandosi le labbra. «È delizioso.»

«L’ho, uh, fatto io.»

«Non sapevo fossi anche un barista provetto.»

«Non lo sono.» disse Dean. «Ho preso una macchina per espresso, e ho pensato che avrei dovuto imparare ad usarla.» Si strinse nelle spalle.

«È piuttosto buono.» fece una pausa. «Lo sapevi che la temperatura media dell’oceano è di 55 gradi?»

Naturalmente solo Cas poteva sapere merda a caso come quella. «No che non lo sapevo.» rispose Dean. «Dimmi di più.»

«In media, un adulto raggiunge lo stato ipotermico nel giro di una o due ore a quella temperatura. La speranza di sopravvivere è – aspetta, per caso eri sarcastico?»

Dean scoppiò a ridere, avvertendo come la risata raggiungesse ogni parte del suo corpo. Quel piccolo strano uomo (anche se “piccolo” era soggettivo dato si sentiva lui stesso così quando era vicino a quel Gigantor di Sam) non smetteva mai di stupirlo con le sue perle di conoscenza lanciate a caso. La prima volta che erano andati a prendersi il caffè insieme, Cas gli aveva detto che la “cartilogenofobia” era la paura delle ossa.

Dean era ancora orgoglioso di se stesso, dato che quella volta si era astenuto dal fare battute imbarazzanti sulle ossa.

«A volte mi chiedo perché siamo amici.» sbuffò Cas, prendendo un lungo sorso della sua bevanda. Lo sguardo di protesta sul volto del suo amico, fece ridere di nuovo Dean.

«Me lo chiedo ogni giorno.» rispose Dean. Ma solo lui sapeva di averlo detto scherzosamente.

Cas non disse niente, non che si aspettasse diversamente. Una volta Cas gli aveva raccontato che da bambino, era silenzioso in maniera anormale. Dean non gli aveva fatto pressioni per parlarne, perché aveva come l’impressione che non era una storia divertente, ma sentiva come se Cas non fosse una persona che parlasse con tutti. Credeva che se qualcuno gli avesse chiesto che ore fossero, Cas sarebbe stato sfuggente come lo era una tartaruga che si ritira nel suo guscio.

Senza dire una parola, Cas si avviò verso la baia, e anche se era metà Settembre e Cas era un sud-californiano di nascita, descrisse l’aria come “assolutamente gelida”. Era ancora così presto, che il sole non si era alzato del tutto da dietro la linea dell’orizzonte e la nebbia abbracciava ancora la costa, come una coperta fatta di tenebre e mistero. La nebbia rendeva l’aria ancora più fredda, e Cas si strinse di più nel suo trench, come un bambino che cerca calore nella sua coperta preferita. L’uomo dai capelli scuri si piazzò in mezzo alla spiaggia, e dopo essersi tolto le scarpe, infilò le dita nella sabbia.

Dean si stava letteralmente sciogliendo, perché tutto quello a cui riusciva a pensare era che il cielo grigio, che rendeva gli occhi di Cas di un blu cristallizzato, e il rombo sordo delle onde del mare, erano lo sfondo perfetto per il loro primo bacio.

Lui si buttò sulla sabbia accanto al suo amico, e per un tempo indefinito rimasero così, fermi e in silenzio. Fino a dieci anni prima, Dean non sarebbe stato capace di stare lì fermo. Avrebbe corso, saltato, provato a fare surf, non fregandosene un accidente della possibile ipotermia.

Il suo cellulare cinguettò. Un sms da Jess.

Da Jess: tutto bene alla tavola calda. Sam non ha ancora bruciato niente. Un giorno mi dirai che cosa combini nei tuoi giorni liberi. 7:01 a.m.

«Jess?» chiese Cas.

«Già.» disse Dean. Fece scivolare il suo telefono di nuovo in tasca, leggermente infastidito dal fatto che Jess avesse rovinato quel momento.

Cas iniziò a disegnare sulla sabbia, le sue dita tracciavano dei simboli che Dean non conosceva o che non capiva, la lingua unica di Castiel. Una lingua che Dean avrebbe voluto parlare. «Hai mai letto “Harold e la matita viola”?» chiese Cas.

«No.» replicò Dean. «Non è un libro per bambini?»

Cas annuì e poi spiegò a Dean la trama. A quanto pare Harold era un bambino che voleva passeggiare al chiaro di luna, ma la luna non c’era, così prese un pastello viola e la disegnò, andando poi a creare un intero mondo con quel colore grazie alla sua immaginazione. Era strano che a Cas potesse piacere un libro del genere, e poi Dean desiderò che sua madre fosse ancora viva per poter leggere a lui e Sam.

«Qual è il punto, Cas?»

Cas continuò a disegnare nella polvere, lunghi e sinuosi riccioli che sembravano delle molle per bambini. «Harold sapeva che il mondo è quello che noi creiamo, anche se hai a portata di mano un solo pastello.»

«Non ti seguo.»

«Tu hai detto che ti chiedi perché siamo amici: il motivo è perché noi disegniamo il nostro mondo, e io ho disegnato te nel mio.»

«Merda, Cas.» imprecò Dean. «È roba profonda, amico.»

«Harold e la matita viola è un libro “profondo”. Ho imparato molte cose preziose leggendolo.»

Dean si aspettava che il libro preferito di Cas potesse essere un tomo sugli schemi di migrazione delle api nell’emisfero occidentale oppure una prolissa biografia di Peter Ganine, l’inventore delle paperelle di gomma. In un angolino della mente di Dean, vi era un elenco con tutte le cose che l’avevano sorpreso nella sua vita. #64 il falsetto di Sam. #40 la collezione di tacchi alti di Ellen. #29 Jess che parla fluentemente lo spagnolo. #17 l’attrazione che aveva per “Zio Jesse” della serie Gli amici di papà. L’elenco era slittato ed era cambiato nel tempo, ma c’era un costante #1 da nove mesi ormai: Castiel Novak.

«Perché proprio quel libro?» chiese Dean.

Cas si rilassò sulla sabbia. «Perché no?» disse. «Perché è per bambini? Non l’ho letto finché non sono cresciuto, e trovo tuttora che il suo messaggio sia molto commovente.» Chiuse gli occhi. Dean immaginò che Cas stesse orchestrando una sinfonia nella sua mente che seguisse il ritmo della marea.

Dannazione, era davvero cotto.

«Qual è il tuo libro preferito?» chiese Cas. I suoi occhi erano ancora chiusi.

«1984[5].» rispose lui. «L’hai letto?»

«Un libro sulla censura, sull’estremo nazionalismo e sulla manipolazione psicologica? No, non l’ho letto.» rispose Cas. «Preferisco i libri spiritualmente e emozionalmente positivi.»

«È molto più di quello.» protestò Dean.

Cas aprì gli occhi. Alzò un sopracciglio, un segno distintivo che Dean avrebbe voluto saper fare. «Davvero? Dimmi di più.» biascicò lui.

«Si tratta, sai, di ribellarsi al Grande Capo. Combattere per i propri diritti, per il libero arbitrio. Quella roba lì.»

Cas ridacchiò. La risata scosse le sue spalle. «È strano come i nostri interessi riflettano le nostre personalità.» disse lui. «Il modo in cui riflettono le nostre storie personali. Il tuo libro preferito mi ha detto di te molto di più, di quello che ho appreso nel primo mese di conoscenza.»

Quello che aveva detto Cas era vero, ora che Dean ci faceva caso. Non sapeva molto dell’infanzia di Cas, ma quello che non sapeva non era abbastanza. Il libro preferito di Cas poteva avere senso quando Dean pensava che il suo migliore amico fosse un polpo farcito.

«Il libro preferito di Sam è “I fratelli Karamazov”[6]. Che mi sai dire su di lui?»

Apparentemente, quello non diceva molto, a giudicare da quanto Cas disse in merito. I due uomini continuarono a scherzare e a ridere a lungo, dopo che il sole si era fatto spazio nella nebbia, finché non furono interrotti dal suono incessante del telefono di Dean.

Da Sammy: sapevi che Jess è single? 11:11 a.m.

Dean si appuntò mentalmente di prendere a schiaffi suo fratello.

Il suo cellulare squillò di nuovo.

Da Sammy: come fa una ragazza come lei ad essere single? È fantastica 11:12 a.m.

«È di nuovo Jess?» chiese Cas.

Dean scosse la testa. «No, è Sam.» gli mostrò il cellulare. «Credo che l’abbia finalmente notata.»

«Era ora.» mormorò Cas.

A Sammy: davvero? E l’hai capito tutto da solo? 11:14 a.m.

«Magari potresti facilitargli le cose.» suggerì Cas.

«Intendi tipo appuntamento combinato? Nah. Non è nel mio stile.» Entrambi sapevano fosse una bugia, perché Dean lasciava spesso Sam e Jess da soli alla tavola calda, per “facilitare le cose”.

Dean non era in servizio quel giorno, comunque. Spense il telefono e trascorse il resto della giornata a cercare di capire quale angolazione del sorriso di Cas gli piacesse di più.
 
GIORNO 422

«Alzati. Hai bisogno di farti una vita.»

Sam alzò lo sguardo dallo schermo del laptop che aveva fissato nelle ultime quattro ore. Libri di legge, appunti legali e talmente tanti post-it da far rabbrividire gli ambientalisti, erano sparsi tutti attorno al minore dei Winchester.

«Va’ via, Dean. Sto lavorando ad un caso.» disse Sam.

«Davvero? E quando devi consegnarlo?»

Sam si strinse nelle spalle. «La prossima settimana, credo.»

Dean raggiunse suo fratello e chiuse il portatile. Ignorò le cose davvero poco carine che gli stava dicendo Sam, protestando. Poi lui gli disse che studiare così tanto era da sfigati. Sam lo insultò chiamandolo “mamma chioccia”. Dean gli disse “YOLO”[7] e gli tirò un paio di jeans addosso.

La discussione finì quando Sam si infilò svogliatamente il cappotto dopo che Dean gli aveva promesso di pagargli una birra. O tre.

«Devi lasciarti andare.» disse Dean. «Divertirti. Trovare una ragazza.»

Sam arrossì. Oh, quello era un argomento delicato. «L’ho trovata una ragazza.»

«Quindi? Come sta andando? Hai intenzione di fare qualcosa in proposito?» Dean non attese la risposta di Sam, e prese il proprio cellulare dalla tasca, iniziando a digitare un sms a Jess: sto andando a bere qualcosa con Sam. Vuoi venire?

«Che stai facendo?» gli chiese Sam.

«Sto invitando Jess.» rispose Dean.

«Perché?»

«Perché è nostra amica e ha bisogno di divertirsi anche lei.»

«Oh.» rispose Sam. Guardò Dean come se stesse mettendo insieme dei pezzi di un puzzle. «Stai invitando qualcun altro?»

«No. Dovrei?» Dean si sentì notevolmente in difficoltà, perché entrambi sapevano cosa Sam stesse davvero chiedendo. Sam pensava che Dean avesse una fidanzata segreta, ma come avrebbe reagito se avesse saputo la verità? Dean pensò di invitare Cas, ma lui era sempre al lavoro, e davvero, Dean non sapeva ancora come spiegare cosa fosse Cas per lui. Un amico? Sì, ma era solo quello, Dean? Sapeva che Cas avrebbe detto che stava facendo una cosa ridicola, che non poteva “quantificare ciò che in realtà andrebbe solo qualificato”. Qualunque dannata cosa significasse. Inoltre, quella poteva essere finalmente la sera nella quale Sam avrebbe fatto la sua prima mossa, conquistando la ragazza. Anche se ancora non se ne rendeva conto.

Arrivò un sms da Jess: certo. Dove ci vediamo? 8:28 p.m.

«Jess verrà.» confermò Dean.

Gli occhi di Sam si spalancarono leggermente dal panico. «Uhm, vado a cambiarmi.» balbettò. «Torno subito.» Si infilò nel corridoio dell’appartamento e poi chiuse con forza la porta della sua camera.

«Maledetta principessina,» mormorò. Dean si buttò sul loro logoro-ma-comodo divano. Scrisse a Jess l’indirizzo del bar e poi accese la televisione. Non c’era nulla, a parte dei notiziari e delle repliche dei Simpson, che era piuttosto sicuro di non voler guardare. Lasciò al telegiornale – la Russia agiva come un’idiota ancora una volta – e scrisse un messaggio a Cas: Ehi, come butta?

A Cas ci vollero pochi minuti per rispondere, e nel frattempo Sam era venuto fuori non una, non due, ma tre volte con magliette diverse, rimanendo sempre insoddisfatto delle scelte. Dean lo definì una ragazzetta adolescente, e Sam se ne andò sbattendo di nuovo la porta.

Nessuno poteva dire che non fosse immaturo.

Quando controllò di nuovo il suo cellulare, trovò tre messaggi di Cas.

Da Cas: il modo più accurato per rispondere alla tua domanda sarebbe quello di dirti che non ho nulla da buttare al momento. 8:32 p.m.

Da Cas: però mi rendo conto che probabilmente non era quello che intendevi 8:33 p.m.

Da Cas: sono a casa. Com’è andata la tua giornata oggi, Dean? 8:33 p.m.

Dean sbuffò. Niente lo divertiva quanto gli sms che gli mandava Castiel. Eccetto forse l’episodio di Seinfeld dove quel ragazzo non voleva dar loro la zuppa. Quello sì che era un gran bell’episodio.

A Cas: è andata bene. Sto per uscire con Sam e Jess a bere. 8:34 p.m.

A Cas: loro bevono. Io guido.  8:34 p.m.

Dopo quel giorno che Dean chiamava “l’Incidente del Frullato”, aveva passato diversi mesi a provare a convincere Sam che non c’era nessun rischio quando usciva da solo. Non aveva davvero nessuna intenzione di ricascarci, ma come faceva a far sì che Sam gli credesse? Sarebbe stato più facile che i film di Twilight vincessero degli Oscar. Dean immaginò che Sam avesse acconsentito ad andare al bar quella sera, solo per potergli tirare un pugno in faccia se avesse osato ordinare anche due dita di whiskey.

Da Cas: sta attento. 8:37 p.m.

A Cas: come sempre. 8:37 p.m.

Da Cas: festeggerai Halloween stasera? 8:38 p.m.

A Cas: no usciamo solo a bere. Stai lavorando al tuo hobby super segreto? :P  8:39 p.m.

Da Cas: no, non oggi. Credo che ci lavorerò domani, comunque. 8:40 p.m.

Da Cas: e non è “super segreto”, puoi venire al St. Ann quando vuoi a vedere quello che faccio. 8:41 p.m.

Sam riapparve in salotto indossando una camicia a quadri, dei jeans, e degli scarponi da trekking. Lo sguardo sul volto di suo fratello era un ghigno ebete che diceva “che adorabile cucciolo felice del suo primo giro in auto!”. Non che avesse mai detto a Sam che lo trovava adorabile. Infatti, decise di prenderlo in giro. «Adesso sembri un bifolco del Nebraska.» lo canzonò Dean.

«Sta’ zitto.»

«Spero che a Jess piacciano i ragazzi che odorano di granoturco.»

«Stai zitto, Dean.»

«No, davvero. La flanella ti sta proprio bene. Fa molto ragazzo-della-porta-accanto che incontra una pornostar Canadese.»

Sam fece una smorfia. «Ti prego non dirlo mai più.» lo supplicò. «Possiamo andare adesso?»

«Certamente.» Dean raccolse le chiavi dell’auto e il suo cellulare. «Dopo di te.» disse, facendogli segno con un braccio. Mentre Sam usciva dal loro appartamento davanti a lui, Dean gli scattò una foto e la allegò ad un messaggio: indossa la stessa camicia che indossava ieri. Cretino :D

Da Cas: e tu non glielo dirai, vero? 8:45 p.m.

«Con chi stai messaggiando?» chiese Sam.

«Con la farmacia. La prescrizione del tuo Buscofen è pronta.»

Sam gli rivolse un ringhio e se ne andò via. Suo fratello aveva davvero bisogno di fare sesso.

Dean aveva scelto il bar dopo aver dato un’occhiata su Yelp, ed era uno di quei posti che servivano birra artigianale, e ciò era fantastico, perché Dean era interessato a permettere lo sviluppo delle piccole imprese e blablabla, ma l’aveva anche scelto perché serviva cibo biologico e tutte quelle stronzate da hipster.

Sam l’avrebbe odiato, perché l’unica cosa che Sam odiava più degli hipster erano i clown. (Sam una volta gli aveva fatto la ramanzina per un’ora intera, riguardo il suo notevole livello di coglionaggine, dopo uno scherzo sui clown)

La settimana precedente, durante la loro biennale guerra di scherzi, Sam per vendicarsi aveva cambiato il messaggio in segreteria sul cellulare di Dean. Tutti quelli che avevano chiamato per lasciargli un messaggio erano stati accolti da “Casa dei Dolori e dei Piaceri di Dean Winchester. Al momento sono un po’ impegnato con la frusta, quindi siete pregati di lasciare nome, numero e livello di dolore che riuscite a sopportare.” Dean non se ne accorse per quattro giorni. L’ultimo messaggio ricevuto fu una risata di Ellen della durata di sei minuti.

Dean non riusciva a contenere l’eccitazione mentre camminavano lungo la Number 90 – Dean notò che era il nome della strada --, finché Sam non entrò per primo nel bar. Il barista, che indossava degli skinny jeans, dei baffi da fine ottocento e un cardigan alla Mr. Rogers[8], si complimentò con Sam per la sua camicia a quadri, dicendogli quanto fosse “completamente all’ultimo grido”.

La faccia di Sam era un misto di orrore e confusione. Davvero senza prezzo.

«Dean.» gemette lui. «Ma dove siamo?»

«Guardati attorno, Sammy-boy. E usa le abilità induttive che hai imparato a scuola.»

«Credo che tu voglia intendere “deduttive”.»

«Sì, quello che è.»

Il barista fece saltare lo sguardo da uno all’altro, insicuro su come comportarsi con i due fratelli. «Posso portarvi qualcosa da bere?»

«Uhm --  credo che…» iniziò Sam.

«Ha mai pensato di scuotere i baffi e pianificare il dominio del mondo?» chiese Dean all’uomo. «O di legare delle donzelle-in-difficoltà ai binari di un treno?»
Sam sospirò, visibilmente risentito dall’idea di passare la serata nella terra degli hipster. «Prenderò una pinta di quello che vuole, alla spina.» disse al barista. Poi si rivolse a Dean. «Ottima mossa.»

Sam allungò al barista una banconota in più di 20$ per far sì che Dean non bevesse nulla di più forte del semplice caffè, e anche se lui gli aveva giurato che non fosse necessario, fu segretamente contento di ciò, così non avrebbe avuto nessuna tentazione. Jess arrivò dieci minuti dopo di loro, con indosso un abito corto sportivo che metteva in mostra delle gambe che avrebbero fatto morire di invidia anche le Rockette[9]. Dean le rivolse un fischio di approvazione, per poi ricevere una gomitata nelle costole da Sam e un’occhiata truce da Jess. Lui rispettava i sentimenti che suo fratello provava per lei, ma stava così dannatamente bene vestita in quel modo. «Se indossassi vestiti del genere anche al lavoro, faremmo facilmente un sacco di soldi.» le disse Dean.

«Beh, tu non hai abbastanza soldi per permetterti un’accusa contro le molestie sessuali.» rispose lei. «Ma immagino tu stia cercando di farmi dei complimenti, anche se in modo molto fastidioso.» Jess scosse i lunghi capelli biondi, portandoli indietro sulle spalle. Dean avrebbe raccontato più tardi a Castiel del modo in cui gli occhi di Sam erano schizzati fuori dalle orbite. Si sedette su uno sgabello, mettendo in mostra le lunghe gambe. Sam impallidì, e Dean si chiese se sarebbe svenuto da un momento all’altro. «Quindi siamo qui per bere, ragazzi? Beh, se non Dean, immagino io e te, Sammy-boy.» Lei ordinò due bicchierini di Tequila e rivolse a Sam un’occhiata maliziosa. «In alto i bicchieri,» disse lei, «chi perde si occupa del turno di mattina per una settimana.»

Il povero Sammy non aveva alcuna chance.

Ci volle un’ora, tre shottini di Tequila e una pinta di birra per far sì che Sam iniziasse a rispondere al flirt di Jess seriamente, invece di annuire e basta. La band che si chiamava “Heroes of Yesterday” (o qualunque fosse il loro merdoso nome) aveva finito di suonare l’ennesima canzone sull’amore non corrisposto e sulle albe al mare. Il bar era mezzo pieno, e Dean sorseggiava il suo virgin Cuba Libre (aka una coca-cola), mentre decise di scrivere a Cas, il quale aveva iniziato a gestire a distanza l’appuntamento combinato dei due.

Da Cas: probabilmente dovresti evitare che ci vadano giù pesante con i liquori 10:48 p.m.

Da Cas: Sam le sta chiedendo ancora della sua famiglia? Alle donne non piace parlarne 10:49 p.m.

A Cas: Sam davvero non sta facendo nulla. E Jess non fa altro che parlare 10:50 p.m.

Dean ordinò un’altra coca-cola dal barista, che sembrò visibilmente offeso dal fatto che continuasse ad ordinare roba con un alto contenuto di fruttosio, e valutò la situazione. Jess era vivace, loquace e civettuola. Sam? Dean aveva visto alberi mostrare più emozioni. Il suo telefonò suonò. Un altro messaggio da Cas: forse è arrivato il momento di aiutarli? 10:53 p.m.

In passato, Dean ci avrebbe provato malamente con Jess,per far sì che Sam acquistasse dei punti. Anche adesso, era tentato di pagare un qualche tizio dai pantaloni stretti quanto il culo di Satana affinché offrisse un drink a Jess, per far ingelosire Sam. Avrebbe funzionato (probabilmente), ma Sam (sicuramente) se la sarebbe presa a morte con lui, ed era già stato arrabbiato con Dean abbastanza per una vita intera. O forse due.

A Cas: che cosa devo fare? 10:55 p.m.

Da Cas: incoraggiarlo a mostrare i suoi sentimenti a Jess. 10:57 p.m.

Grande. Come avrebbe dovuto farlo?

Da Cas: parla con lui 10:58 p.m.

Okay, poteva farlo. Scese dallo sgabello e disse a Sam che stava andando fuori a fumarsi una sigaretta. Come era prevedibile, Sam lo seguì all’esterno del bar, mostrandogli la faccia accigliata e stronza da “non ti permetterò di farlo”.

«Dean! Ne abbiamo parlato. Me lo hai promesso. Niente più alcol, niente più sigarette, niente --»

«Rilassati, amico.» rispose lui. «Volevo solo allontanarmi da Jess per un secondo.»

«Perché?»

«Così possiamo parlare di lei.»

«Oh.» Sam vacillò leggermente, e forse aveva bevuto troppo alcol per sostenere una conversazione del genere. Ma Dean ci provò lo stesso, perché Jess era sola all’interno del bar, e il tempo ha denaro. O è denaro. In qualunque modo si dicesse.

Dean batté una mano sulla spalla di suo fratello, che scattò verso l’alto. «Sammy, arriva un momento nel quale, uhm, non devi far altro che agire. E questo è quel momento.»

«Ehm, okay?» la faccia di Sam rifletteva la sua confusione.

«Jess, Sam. Sto parlando di Jess.»

«Oh, uhm, okay. Ehm, sì.»

Dean sospirò. «Okay quindi hai bevuto o troppo oppure troppo poco, a seconda dei punti di vista. Ora ascoltami: Jess è una ragazza maledettamente fantastica, e se tu non porti subito il tuo culo da Bigfoot di là e non le offri da bere, pagherò oro per far sì che la parola “cacasotto” sia ricamata su ogni tua maglietta.»
La bocca di Sam si spalancò come se fosse uno stoccafisso. Dean gli fece un favore e gliela chiuse. «Torna là dentro, e divertiti.» Spinse suo fratello all’interno del bar. Sam inciampò, e iniziò ad attraversare il locale come se fosse una stella marina gigante.

Oops.

Quando tornarono all’interno del locale, Jess non era più seduta allo sgabello. La videro sulla pista da ballo (Dean sospettò che lei avesse spostato qualche sedia e qualche tavolo per farsi più spazio) fare la mossa dell’Electric Slide. Gli Yo-yo Psicotici (o qualunque fosse il nome di quella band) avevano messo su un mix di canzoni, delle quali Jess stava seguendo il ritmo. Forse non tutte le band hipster facevano musica di merda, dopo tutto.

Quando Jess li notò, scivolò nella loro direzione e afferrò Sam per un braccio, trascinandolo sulla pista da ballo con lei. Jess non lo sapeva, ma l’ultima volta che lui aveva ballato (undici anni prima più o meno), si era slogato la caviglia così male che non aveva potuto camminare per giorni. E così, Jess stava insegnando a Sam dei passi di danza? Era davvero un grosso problema per il minore dei Winchester.

C’erano stati alcuni momenti, nei lunghi trentatrè anni di Dean, nei quali aveva provato nient’altro che un senso di speranza, come quando il giudice era sul punto di dare a Ellen l’affidamento dei due fratelli, o quando stava camminando lentamente verso l’uscita del centro di riabilitazione, o quando uno sconosciuto gli disse che “non sono le ali a rendere tale un angelo”. Ma guardando Sam e Jess, felici e sorridenti, sulla pista da ballo, beh, lui sperò che i due potessero guardarsi per sempre in quel modo stupidamente innamorato.

Fece un video ai due che ballavano in mezzo alla pista, e lo allegò ad un messaggio per Cas: guarda questi due idioti :)

Da Cas: era ora. Credi che le chiederà di uscire? 11:19 p.m.

A Cas: se non lo fa, è davvero un cretino 11:20 p.m.

 
[2] Sembra stupido specificarlo, ma Hey Jude è una canzone dei Beatles e Ringo Starr è uno dei membri.
[3] Foto qui
[4] Foto qui
[5] George Orwell
[6] Fëdor Dostoevskij
[7] You Only Live Once, ovvero “Si vive una volta sola”
[9] Loro
 
Nota della traduttrice: Buon salve, come va? Allora, questo capitolo l'ho tradotto prima del tempo, dato che era formato principalmente da scambi di sms, e ne sono stata davvero felice. Comunque, non trovate che la scena sulla spiaggia sia stata davvero sublime? Inutile, questi due fanno scintille in ogni fanfic, non c'è nulla da fare. 
Ho dato un'occhiata al prossimo capitolo, e inizia con un bel WARNING ANGST da parte dell'autrice, quindi posso solo immaginare che per i prossimi quattro capitoli ne vedremo delle belle (si fa per dire belle, perché soffriremo come cani).
BTW, ci vediamo al prossimo aggiornamento, spero di pubblicarlo per la fine della prossima settimana, anche se la vedo dura dato che è un altro capitolone immenso. Alla prossima! SognatriceNotturna

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Capitolo 3
*** Diagnosi ***


Capitolo 3: DIAGNOSI
 
Nota dell'autrice: Se non l'avete già fatto, leggete i warnings e i tags. Io vi ho avvisati. Ci risentiamo a fine capitolo.

Nota della traduttrice: Ragazzi forze e coraggio, buona lettura, ci risentiamo a fine capitolo.
 
 
 
GIORNO 477
 
«Tuo fratello si sta comportando in modo strano. Più strano del solito»

Le parole di Jess non permisero a Dean di distogliere l’attenzione dalle scartoffie che stava faticosamente compilando. Gestire una piccola impresa poteva davvero essere una spina nel fianco. «Quindi? Che c’è di nuovo?» disse a Jess.

La cameriera lasciò cadere la scatola chiusa delle decorazioni di Natale sul pavimento e si fiondò giù dalla sedia per essere di fronte a Dean. Incrociò le braccia al petto. «Pensavo potessimo andare d’accordo, sai? Visto che ho lentamente superato la mia stupida cotta, credevo potessimo rimanere amici e poi oggi, oggi non mi ha parlato nemmeno una volta.» si lamentò Jess.

«Che schifo.» la tassa che doveva pagare all’Agenzia delle Entrate era ancora del 7,50%, o era aumentata di nuovo? «Jess, la tassa è ancora del sette-punto-cinque percento?» le chiese.

«Davvero?»

«Cosa?»

«È tutto quello che hai da dire?»

«Beh cosa vuoi che ti dica?» Jess era una maledetta studentessa universitaria, e non riusciva a gestire un Sam offeso? Non era un suo problema.

«Io voglio un consiglio riguardo tuo fratello.» esplose lei.

«Sì, Sam è uno strano idiota. No, non ho idea del perché ti stia riservando il trattamento del silenzio.» le disse Dean. Stava passando una giornata di merda: si era svegliato con la caraffa del caffè vuota, quella mattina aveva trovato una multa sul parabrezza dell’Impala (la vigilessa gli aveva davvero scritto buone feste sul retro), e si era dimenticato di pagare l’IVA mensile, ciò significava che si ritrovava con 250$ dollari in più da pagare. Era uno di quei giorni nei quali avrebbe solo voluto tracannare una bottiglia e dimenticare tutto. Ma quella non era un’opzione, non più.

«Beh, ma perché mi sta riservando il trattamento del silenzio?»

«Non lo so. Perché non glielo vai a chiedere e mi lasci fottutamente in pace così posso lavorare?»

«Perché non vai a fare in culo e muori?» sputò di getto, e uscì dal suo ufficio, continuando a dare di matto.

Grande. Perfetto. Almeno adesso avrebbe potuto lavorare in santa pace.

Il cellulare vibrò. Un messaggio da Cas: Come stai oggi Dean? 11:24 a.m.

Onestamente? Aveva dormito di merda, i piedi gli facevano male, e la tosse non voleva saperne di andarsene. Jess era arrabbiata con lui, Sam non parlava con nessuno e ogni volta che si sedeva per controllare il libro contabile, qualcuno lo interrompeva nel bel mezzo dei calcoli. Aveva ricominciato da capo sei volte. Sei cazzo di volte.

Da Cas: stanotte prova a dormire con i piedi sollevati su un cuscino. Questo dovrebbe alleviare il dolore 11:27 a.m.

Naturalmente Cas era ancora un maledetto tesoro mentre lui si comportava come un cazzone.

Da Cas: [foto allegata] 11:28 a.m.

Uh. Un gatto vestito da taco.

Da Cas: ti piacerebbe fare un taco-incontro? 11:28 a.m.

Da Cas: mio fratello mi aveva assicurato che fosse una battuta divertente 11:28 a.m.

Da Cas: per quello che vale, un anziano signore mi ha appena vomitato sulle scarpe 11:29 a.m.

A Cas: ma che schifo! 11:29 a.m.

Da Cas: erano nuove. Provo un po’ di disappunto. 11:30 a.m.

A Cas: meglio le scarpe del trench 11:31 a.m.

Da Cas: l’uomo non sarebbe sopravvissuto per raccontarlo 11:32 a.m.

Da Cas: a proposito, ho apprezzato molto quel film sui pirati. Possiamo rivederlo? 11:33 a.m.

A Cas: sì certo 11:33 a.m.

Da Cas: devo tornare a lavoro adesso. 11:33 a.m.

A Cas: ci sentiamo dopo. E non uccidere quelli che ti vomitano addosso 11:34 a.m.

Da Cas: sembro un santo quando faccio la parte del diavolo 11:35 a.m.

A Cas: ????? 11:35 a.m.

Da Cas: è Riccardo III. Shakespeare. 11:36 a.m.

A Cas: vai a lavorare, mi stai distraendo 11:36 a.m.

Da Cas: [foto allegata] 11:37 a.m.

Da Cas: spero che la tua giornata possa migliorare 11:37 a.m

L’uomo gli aveva mandato un selfie, con indosso il suo trench, e con una palla rossa al posto del naso, in stile Patch Adams[1]. Dean sorrise al telefono e gli rispose: torna al lavoro, stupido. 11:39 a.m.

Dean continuò a ridere stupidamente allo schermo del telefono, finché Sam non entrò nel suo ufficio cinque minuti dopo. «Ehi.» disse suo fratello prima di gettare il suo lungo corpo sul divanetto, arricciandosi in posizione fetale.

Istinto di fratello maggiore su allarme rosso. «Che è successo?» Dean chiese a Sam.

«Niente.»

«Niente?»

«Niente. Posso rimanere semplicemente seduto qui, uhm, a fare niente? Ho bisogno di una pausa dallo studio.»

«Va bene.» disse Dean. Tornò alle sulle scartoffie. Aveva davvero bisogno di fare affidamento sull’online banking, perché la matematica non era mai stata il suo forte. Anche se era davvero tentato di andare a chiedere scusa a Jess, così che lei potesse occuparsi della contabilità, decise di accendere la radio per riempire l’ufficio di rock classico, e tornò a digitare le stringhe di numeri sulla calcolatrice. Non guardò Sam nemmeno una volta. Se avesse avuto bisogno di parlare, avrebbe potuto farlo quando voleva.

Servirono esattamente sette minuti al Bigfoot, prima di scoppiare.

«Si tratta di Jess.» iniziò Sam. «Beh, uhm, in particolare di me e Jess. Voglio chiederle di uscire ma, ehm, non so come fare.»

Dean fu tentato dal gettare le braccia al cielo e gridare un “Alleluja! Sam ha visto la luce!” Ma l’istinto gli disse che Sam non l’avrebbe apprezzato. Invece, annuì e gli disse di continuare. Meglio lasciare che Sammy vuotasse il sacco, così Dean avrebbe potuto trovare un modo carino per dirgli di piantarla di fare il gattino spaventato e di andarsi a prendere la ragazza.

Sam apriva e chiudeva le mani, un segno di nervosismo che aveva avuto fin da quando era piccolo. Dean l’aveva sempre preso in giro dicendogli che fosse un desiderio inconscio di avere qualcuno a cui stringere la mano. Sam gli rispondeva sempre di stare zitto.

«Tu la conosci meglio di me… e probabilmente le piaci anche di più. Cosa dovrei fare? Cosa le piacerebbe?» la voce di Sam era carica di incertezza.

Jess avrebbe apprezzato che Sam facesse l’uomo e andasse a prenderla. Così gli disse di invitarla a cena. Semplice e diretto. A Jess sarebbe piaciuto.

Sam non sembrava convinto, ma lo stava ascoltando. Il suo corpo si sporse in avanti, e negli occhi non c’era solo una richiesta di aiuto, ma era come se stesse chiedendo il permesso. Dean conosceva i suoi sguardi – avendolo cresciuto, sapeva quando suo fratello voleva qualcosa – ma questa volta era diverso. Sam non gli stava chiedendo un passaggio o di prendere in prestito il suo giubbotto di pelle, gli stava chiedendo il permesso per uscire con una ragazza, e quella era una cosa che Sam non aveva mai fatto prima. Dean si accorse che Jess era la prima ragazza per la quale Sam mostrasse più di un casuale interesse, da quando si erano trasferiti dal Nebraska (e se doveva proprio essere onesto con se stesso, da quando lui era entrato in riabilitazione). Si schiarì la voce. «Ascolta, Sammy. Posso farti una domanda?»

«Certo.»

«Perché vuoi uscire con Jess?»

Le mani di Sam si fermarono e si posarono sulle ginocchia, stabili e calme. «Mi fa ridere,» ammise, «e non so, negli ultimi mesi abbiamo lavorato davvero molto insieme. Quando non lavoriamo, studiamo entrambi qui. Se avessi passato così tanto tempo con te, ti avrei già ucciso. Ma lei… io non vedo l’ora di lavorare se lei è qui. È come se i miei giorni fossero vuoti senza di lei, mi capisci?»

Sì, Dean lo capiva.

«Ma allora non sarebbe più sensato, che ne so, che lei entrasse ufficialmente a far parte della tua vita?» disse Dean.

«E se mi dicesse “no”?»

Ah. Ecco qua. Signore e Signori, Dean Winchester vi presenta l’ossessionante paura di Sam di essere rifiutato, portata a galla da quella testa di cazzo di Mr. John Winchester.

Dean si fermò e tirò fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni. Prese una venti sgualcita e la mise nelle mani del fratello.

Sam fissò la banconota come se fosse fatta di pelle umana. «Perché me la stai dando?» chiese.

«Ti pago 20$ per andare a chiedere a Jess di uscire.»

«Perché?»

«Quando eri piccolo ed eri troppo spaventato per fare qualcosa, tipo arrampicarti su un albero o dire una parolaccia, io ti davo un dollaro, ricordi?»

«E cosa avrebbe a che fare con questo?»

«Non avrai mai il cuore di Jess, a meno che tu non tiri fuori i cojones e le chiedi di uscire.»

«Oh, capisco. Okay. Sì, posso farlo.» si alzò in piedi e si stirò la maglietta. «Augurami buona fortuna.»

«Rompiti una gamba. Oh, e Sammy? Lei è davvero una ragazza fantastica. Non capisco cosa ci veda in te.»

«Fesso.»

«Puttana.»

Afferrò il suo telefono, spingendo momentaneamente di lato la calcolatrice, e scrisse un sms a Cas: indovina cosa sta per fare Sam 12:20 p.m.

Sapeva che Cas stava lavorando, perciò non si aspettò una risposta immediata. E non si aspettò nemmeno di vedere Jess fiondarsi letteralmente nel suo ufficio come una tempesta, dicendo: «Ok, tuo fratello è letteralmente inciampato sui suoi piedi mentre cercava di allontanarsi da me. Ti prego digli di crescere. Oh, e ha rotto due tazze.»

Oh, avrebbe adorato raccontare quella storia a Cas. «Come ha fatto ad inciampare?»

Jess era carina, anche quando aveva l’aria seccata. Disse, «Mi era tra i piedi mentre stavo sparecchiando i tavoli, continuando a farneticare riguardo il sushi. Così gli ho chiesto di spostarsi, e davvero, per la fretta di allontanarsi da me è maledettamente inciampato e ha urtato le due tazze che avevo tra le mani. Grazie a dio non erano piene di caffè, altrimenti mi sarei incazzata il doppio.»

Dean si morse il labbro inferiore cercando di trattenere una risata. «Dimmi che è caduto di faccia a terra.»

«No,» disse Jess, «è atterrato sul didietro. Perché ti importa?»

Dean scoppiò a ridere. In un’incontrollabile ondata di divertimento a discapito di suo fratello. Più tardi, quando l’avrebbe raccontato a Cas, lui gli avrebbe senz’altro detto che non era bello ridere a spese di suo fratello. Ma dannazione Sam avrebbe fatto la stessa cosa a parti inverse. Dean continuò a ridere finché non avvertì i polmoni bruciare alla ricerca di ossigeno, al punto che iniziò a tossire mentre la sua trachea cercava disperatamente di incanalare aria. Jess, probabilmente impietosita dal suo problema respiratorio, si inginocchiò tra le sue gambe e gli disse di respirare lentamente; quello era un altro piccolo dettaglio che gli ricordava Mary Winchester, che riusciva a mantenere la calma davanti a crisi di qualsiasi genere. Quando riuscì a riprendere fiato, la ringraziò e le strinse la mano. La sua mano era piccola e delicata, e quei due aggettivi non li avrebbe mai usati per descrivere la sua personalità.

«Mi vuoi dire cosa c’è di così divertente?» gli chiese lei. Stava sorridendo, ma Dean poté notare la sincera preoccupazione che aleggiava sul suo viso, nei suoi occhi, nella sua voce.

«Sicuro. Tu e Sam siete degli idioti.» i suoi occhi si scurirono come facevano quando era arrabbiata. Prima che lei potesse dire qualcosa, lui continuò, «Quello era Sam che stava per invitarti a cena. Un appuntamento. Ha bisogno di lavorare sul suo approccio ma lui. vuole. invitarti. a. uscire.» Si assicurò di pronunciare ogni parola lentamente e in maniera definita, come facevano quei coglioni della motorizzazione con quelli che non parlavano inglese. Come se, davvero, parlare lentamente potesse in qualche modo essere utile per capire una lingua straniera. Che deficienti.

«Oh.» disse lei.

Attimo di pausa.

«OH.» il suo sorriso raggiunse gli occhi, e Dean si appuntò nella memoria che quella era la cosa più bella che avesse mai visto, subito dopo il guidare Baby attraverso il parco di Redwood. «Io, ehm, devo andare.» Lei volò fuori dal suo ufficio, ma ci ritornò due minuti dopo. «Immagino se ne sia andato.» disse lei, delusa.

«Tu hai un telefono, lui ha un telefono…»

E il sorriso tornò. «Oh, già. Beh, vado a chiamarlo.»

Cinque minuti dopo il suo cellulare squillò. Un messaggio.

Da Sammy: sabato porto Jess a mangiare sushi. Posso prendere in prestito la tua giacca di pelle? 12:33 p.m.

A Sammy: congratulazioni per l’appuntamento. E diavolo no. 12:34 p.m.

Dean finì di lavorare alle sue scartoffie in un tempo record, così da poter sorprendere Cas nella pausa pranzo per raccontargli tutta la storia. A Dean non infastidiva più il fatto che la sua vita fosse diventata degna di un film smielato.

 
GIORNO 540
 
Da Ellen: Jo mi ha detto che hai un giovanotto. 4:18 p.m.

Da Ellen: Voglio conoscerlo. 4:19 p.m.

A Ellen: Jo ti ha mentito. 4:48 p.m.

A Ellen: l’hai già conosciuto 4:51 p.m.

 
GIORNO 602
 
«Ho bisogno di quindici minuti, amico, e poi sarò pronto. Fa come se fossi a casa tua.»

Cas era nel suo appartamento. Non era un grosso problema. Lui e Sam avevano invitato lì un sacco di amici (bugia) tante volte (mai) e non sempre si avvisavano l’un l’altro della presenza di persone in casa (un’altra bugia). Dean non gli aveva detto che Cas sarebbe passato dopo il lavoro, semplicemente perché Sam era fuori per un appuntamento con Jess, che sarebbe andato avanti per diverse ore. Mostrò a Cas come usare il televisore e poi sparì nel bagno per lavarsi via da dosso la salsa barbecue che il nuovo chef gli aveva “accidentalmente” versato addosso (Jess aveva insistito dicendo che il nuovo ragazzo, Michael, sapeva fare il suo lavoro, ma Dean pensò che quel ragazzino avrebbe dovuto avere la parola “coglione” stampata in fronte).

Dean si ricordò, mentre era nudo sotto la doccia, e cercava di lavarsi via l’odore di barbecue, che era il “giorno degli asciugamani”. Ciò significava che Sam quella mattina aveva tolto tutti gli asciugamani dal bagno per metterli a lavare. Ciò significava che Dean avrebbe dovuto fare la corsa-nudo-senza-asciugamano dal bagno alla camera da letto, attraversando il soggiorno. Non era un grosso problema. Cas aveva già visto la maggior parte del suo corpo, anche se non tutto. In una volta. Okay, così avrebbe dovuto chiedere a Cas di portargli un asciugamano.

Inoltre ciò ricordò a Dean un film smielato, quello nel quale Sandra Bullock e Ryan Reynolds si accorgono della reciproca attrazione sessuale dopo essersi incontrati nudi nel corridoio. Avrebbe ucciso Sam e Jess per avergli fatto guardare Ricatto d’amore (anche se in quella situazione, lui era molto più Ryan Reynolds, piuttosto che Sandra, grazie tante).

Quando finì la doccia, aprì la porta del bagno quanto bastava per infilare fuori la testa e gridare, «Ehi Cas! Ehm, potresti portarmi un asciugamano?»

Cas apparve di fronte la porta, e il tipo indossava ancora il suo trench, nonostante Dean gli avesse mostrato dove fosse l’appendiabiti. «Dov’è l’armadio della biancheria?» gli chiese l’uomo.

Dean indicò un armadio in fondo al corridoio, accanto la porta della stanza di Sam, «Quello. Nel ripiano superiore.» Dean trovò adorabile il fatto che Cas doveva mettersi in punta di piedi per raggiungere la pila di asciugamani grigi. Cas gli porse l’asciugamano attraverso la fessura della porta, e Dean se la avvolse attorno ai fianchi. Quando aprì del tutto la porta, Cas era ancora in piedi in mezzo al corridoio. Ogni pelo sul corpo di Dean scattò sull’attenti, magnetizzato dalla presenza dell’uomo dai capelli scuri. «Uhm, Cas, spazio personale?» disse ridendo, ma in maniera forzata, e se ne accorsero entrambi.

Gli occhi di Cas rimasero incollati dove aveva infilato il lembo dell’asciugamano per chiuderlo, all’altezza dell’osso del suo bacino. Dean deglutì. Lui non riusciva a capire la maggior parte delle stranezze di Cas, ma questo? Questo riusciva a capirlo. Conosceva Cas da più di un anno ormai, ed erano stati amici per la maggior parte del tempo, in una lenta progressione da sconosciuti a conoscenti ad amici ad amici che si parlano/si scrivono ad ogni risveglio. Se Dean non avesse avuto una lunga lista di motivi per non farlo, avrebbe definito quel momento come il passo successivo, quello nel quale lui si sarebbe avvicinato di più e avrebbe preso le mani di Cas nelle sue e, dio, quelle mani erano abbastanza per fargli perdere la sanità mentale. Le sue mani erano mosse dalla disperazione di raggiungerle, toccarle, sentirle come non era riuscito a fare per molto tempo. Un tempo dannatamente lungo. «Cas,» sussurrò. E non seppe se quel sussurro significasse un avvertimento, un invito o una confessione.

Gli occhi del suo amico carezzavano il corpo di Dean. Non in maniera lasciva e sensuale, come aveva fatto Jo Harvelle prima che lui la baciasse, o in maniera morbida e ad-occhi-di-cerbiatto come facevano le sue ex ragazze quando lui le preparava la cena. Gli occhi di Castiel scivolavano giù verso la sua anima, giudicandola e lasciandolo insoddisfatto per far sì che ne desiderasse ancora. A chiunque altro l’avesse guardato così, se ne sarebbe uscito con un commento sprezzante -- del tipo “Ti piace ciò che vedi?” oppure “Fai una foto, durerà più a lungo” – ma non con Cas.

«Dean, io --» iniziò Cas. Si schiarì la gola. Dean guardò il suo pomo d’Adamo. Realizzò quanto Cas fosse nervoso. Cas era nervoso e non trovava un modo per uscire da quella situazione di stallo fatta di sguardi carichi di sesso. E Dean nemmeno.

La mano di Cas si mosse in avanti, le sue dita percorsero il bordo dell’asciugamano dove era nascosto, in un modo quasi spettrale, l’osso del bacino di Dean. «Dean,» sussurrò l’altro. Lui non sapeva cosa fare, cosa dire, così le dita di Castiel tracciarono la sua anca in maniera un po’ più decisa, facendo sì che le sue unghie graffiassero la pelle di Dean. Sarebbe stato così facile per lui fare un piccolo passo avanti, per afferrare Castiel e stringerselo addosso, mescolando i loro respiri, i loro corpi.

Quel momento fu spezzato quando la porta dell’ingresso si aprì. «Dean?» lo chiamò Sam, «Sei a casa?»

Nel frangente che andava dall’apertura della porta di ingresso all’arrivo di Sam nel corridoio dove si trovavano il per lo più nudo fratello e il suo amico col trench, Dean vide comparire due opzioni: 1. nascondersi nel bagno o 2. stare lì imbarazzatamente immobile finché Sam non gli avesse chiesto chi fosse il suo “amico” e sperare di avere una risposta decente da dargli.

Vinse l’opzione numero due.

Dean ascoltò suo fratello parlare mentre si muoveva per l’appartamento. A quanto pare Jess non si sentiva molto bene e avevano posticipato il loro appuntamento e chiese a Dean di ordinare la pizza per guardare il match di boxe alla tv. «Oh,» disse Sam quando vide il per lo più nudo Dean insieme a Cas. La mano di Cas era ancora poggiata sull’asciugamano di Dean.

Dean si strinse l’asciugamano addosso come se ne valesse della sua vita. «Oh ehi Sammy.»

«Uhm, ehi.» disse Sam. «Lui chi è?»

«Già, presentaci, Dean.» disse Cas. Era un ghigno quello che Cas stava provando a nascondere?

«Cas, lui è Sam, mio fratello.» disse Dean. «Sam, lui è Cas, il mio… il mio ragazzo.»

Cas fece quell’arco perfetto con le sopracciglia. «È un piacere conoscerti, Sam. Dean non fa altro che parlare di te.» disse. Tolse la mano dall’asciugamano di Dean, e la porse a suo fratello.

Gli occhi di Sam si spalancarono mentre seguivano il movimento della mano di Cas. Assomigliava ad un rospo. Ma Sam gliela strinse comunque.
«Mi piacerebbe dire che Dean mi ha parlato di te.» disse Sam dopo aver riacquistato un po’ di compostezza. «Dimmi un po’, a te piace il caffè macchiato?» lanciò a Dean uno sguardo che diceva chiaramente “Ora capisco tutto, subdolo coglione”.

Fanculo. Dean li interruppe e si affettò a dire, «Vado a vestirmi.» informando i due.

«Sicuro che sia necessario?» disse Sam. Fece l’occhiolino a Cas, e sì, era arrivato proprio il momento che Sam se ne andasse. Dean colpì due volte il lato del proprio naso, che nel codice dei Winchester significava “Va’ via, ho da fare”.

«Credo che andrò a portare a Jess un po’ di zuppa. Uhm, sì, tornerò tra qualche ora… già. Diciamo tre ore.»

Dean girò attorno a Cas e a suo fratello e tornò nella sua stanza per vestirsi. Sperò che per quando sarebbe uscito da lì, gli ultimi cinque minuti non fossero mai esistiti o che almeno sperò che il pavimento potesse inghiottirlo.

Il cellulare vibrò. Un messaggio da Sam.

Da Sammy: non stai per dirmi una stronzata del tipo ero-appena-uscito-dal-bagno, vero? 6:27 p.m.

A Sammy: no 6:28 p.m.

Da Sammy: non posso credere che tu non me l’abbia detto 6:29 p.m.

Da Sammy: io ti ho parlato di Jess 6:31 p.m.

Da Sammy: lo sapevo che il macchiato non era per te 6:32 p.m.

Da Sammy: Jess lo sa? 6:33 p.m.

Da Sammy: Ellen lo sa? 6:34 p.m.

Da Sammy: dean? 6:35 p.m.

Da Sammy: sei incazzato vero? 6:36 p.m.

Da Sammy: sembra un tipo a posto 6:37 p.m.

Dean spense il suo cellulare.

Uscì dalla sua stanza completamente vestito, e trovò Cas seduto sul divano. Sam se n’era andato. Cas si era finalmente tolto il suo trench e l’aveva messo sull’appendiabiti. Dean sapeva che quello significava che Cas si sentiva a suo agio in casa sua. Si sedette accanto a lui, troppo vicino forse, e le loro ginocchia si sfiorarono. Sapeva quale domanda stava per fargli Cas, e non era sicuro quale risposta avrebbe voluto sentire davvero il suo amico.

«Dean, perché hai mentito a tuo fratello?» chiese Cas.

Ed eccola lì, la domanda del secolo.

«Non sono il tuo ragazzo,» continuò Cas, «Io sono… ero il tuo medico, anche se ritengo che possiamo considerarci amici.» Cazzo, quegli occhi blu erano troppo intensi quando parlava con tutta quella serietà.

Dean si rifiutò di guardare Cas. Semplicemente non poteva.  Non con quegli occhi. Se l’avesse fatto, non sarebbe riuscito a dire ciò di cui aveva bisogno, e Cas meritava la verità. «Sam è la mia vita.» disse Dean. «Ci sono stato per lui sin dal giorno in cui è nato. E siamo stati io e lui per tanto tempo – non guardarmi così – devo dirlo.» Dean tirò un respiro profondo e immaginò che l’ossigeno extra l’avrebbe aiutato in qualche modo a dire quello che sapeva doveva essere detto. Perché aveva mentito? «Come potrei dire a Sam,» disse, «che la persona che ha passato la sua vita a prendersi cura di lui, presto non ci sarebbe stata più?»

«Lo puoi dire, Dean.» disse Cas, «È giusto così.»

No, davvero non lo era.

«Come faccio a dirgli che sto morendo?» dirlo ad alta voce lo rendeva reale, il conto alla rovescia stava iniziando sul serio. Se Dean avesse pianto solo un po’, Cas non ci avrebbe fatto caso.

«Stai provando a proteggerlo.» disse Cas.

«Credo di sì,» disse Dean. Sorrise, ma entrambi sapevano che si trattava di un sorriso vuoto. Molti dei suoi sorrisi lo erano ormai. «Soprattutto non voglio che lui mi soffochi. Voglio godermi il tempo con lui. Glielo dirò, solo non ora.»

«Ti capisco.» disse Cas. «Non posso dire che avrei fatto la stessa cosa, se fossi stato in te.»

Rimasero in silenzio per parecchio tempo, finché Dean non si rese conto che c’era un’altra confessione da fare. Era arrivato il momento che facesse quel passo. Non aveva molto da perdere. «Non era del tutto una bugia,» disse.

Per un minuto, pensò che Cas non l’avesse sentito.

«Sai che non dovremmo farlo. Ci sono delle regole. C’è un regolamento.»

Dean si mise a ridere, per davvero questa volta. «Non ho tempo per preoccuparmene.» disse, ma ciò che intendeva realmente era che se avesse avuto più tempo, non sarebbe stato lì seduto accanto Cas. Aveva un tempismo pessimo, lo sapeva, e tutto quello era così maledettamente ironico. Dio, così fottutamente ironico! Il suo tempo stava scadendo e ancora una volta, quando era con Cas, sentiva come se avesse tutto il tempo del mondo a disposizione.

Nicholas Sparks avrebbe potuto guadagnarci milioni sui momenti smielati che stavano succedendo nella vita di Dean. Era lì, seduto accanto all’uomo per il quale il suo cuore batteva, e quell’uomo era lo stesso che gli aveva detto che presto il suo cuore non avrebbe battuto più. Prese la mano di Castiel poi, e la strinse nella sua. Il calore delle dita di Castiel si irradiò in lui, riscaldandolo dentro e fuori, raggiungendo anche parti che Dean non sapeva esistessero. «Non me ne importa un accidente delle regole. Le regole sono fatte per essere infrante, comunque.» e poi baciò Cas.

Quando si staccarono, minuti – o erano decadi? – dopo, Cas disse, «Il tuo tempismo è orribile.»

«Lo so.»

Cas lo baciò di nuovo, e per un momento, Dean dimenticò il fatto che stesse per morire.

 
GIORNO 125 – La prima volta che Dean incontrò Cas
 
C’erano poche cose che Dean odiava di più degli studi medici (al momento gli veniva in mente solo JarJar Binks[2]). Le sedie di plastica della sala d’attesa gli facevano addormentare il culo, i programmi che trasmetteva la televisione erano maledettamente noiosi (Dr. Phil[3] non era un vero dottore comunque) e l’addetto alla reception lo guardava male ogni volta che tirava fuori il suo telefono per giocare a Plant vs Zombie. Le ultime settimane erano state un carosello di appuntamenti dal medico e bugie per evitare di dire a Sam dove andasse realmente. Oggi, gli aveva detto che stava andando a tagliarsi i capelli; suo fratello sembrava prenderla veramente male quando Dean gli diceva il modo in cui il barbiere usava i suoi strumenti.

Questo era il quarto appuntamento in molte settimane e il terzo medico. Il primo dottore dopo aver dato un’occhiata alla sua storia medica l’aveva indirizzato da uno specialista; e lo specialista l’aveva indirizzato da un chirurgo. E adesso era lì, nella clinica del dottor Castiel Novak (nome strano), M.D.[4], ad intorpidirsi il culo mentre aspettava che un cazzone in camice bianco trovasse del tempo per lui. C’era una donna seduta di fronte a lui, con la pelle pallida e giallognola; gli ricordava la lampadina del suo ufficio, che lampeggiava ogni minuto.

«Signor Winchester?»

Dean scattò. L’infermiera gli fece cenno di seguirla e prese i suoi parametri vitali – peso, pressione sanguigna, tutte quelle stronzate – e lo lasciò solo in una sala d’esame. Sulla carta da parati erano rappresentati dei cuccioli. Probabilmente per calmare i pazienti ed evitare che venissero presi dal panico. C’era una pila di riviste ad un angolo della stanza, con i bordi tutti sgualciti per essere stati letti troppe volte. Dean fu tentato dal leggere Soap Opera Digest; aveva sentito che Dr. Sexy aveva una nuova fiamma, ma prima che potesse farlo, la porta della stanza si aprì e il dottore entrò.

Se Dean avesse incrociato il Dr. Novak per strada, gli sarebbe passato oltre senza dargli una seconda occhiata. Il dottore era attraente, certo, ma in quello strano modo nerd come lo erano solo persone come Sam. Era muscoloso ma magro, alto ma non troppo, e le sue labbra erano un po’ troppo piccole e gli angoli dei suoi occhi erano stranamente piegati all’ingiù. Quando guardò il dottore negli occhi per la prima volta, il blu intenso colpì Dean come un pugno nello stomaco, e Dean modificò immediatamente la sua lista mentale di cose che l’avevano sorpreso: #1, gli occhi del Dr. Novak e il modo in cui non voleva più guardare altro.

«Buon pomeriggio, signor Winchester, sono il Dr. Novak. Come sta oggi?» disse il dottore. La sua voce, che Dean si aspettava che fosse nitida e tagliente, era bassa, grave ed era un mix tra le fusa e un ringhio.

Dean aveva davvero bisogno di uscire di più.

«Sto bene, doc. Sono pronto per avere il suo via libera e tornare al lavoro.»

«Che cosa fa?»

«Sono proprietario di un ristorante.»

«Oh?»

«Sì, si chiama Dive Burger. Sono piuttosto impegnato all’ora di pranzo, quindi se può prescrivermi una medicina o qualsiasi altra cosa così che possa andarmene, sarebbe meglio.» disse Dean.

Il Dr. Novak si accigliò. «Mi dispiace, signor Winchester,» disse, «temo che questo potrebbe richiedere parecchio tempo.»

Beh, non presagiva nulla di buono.

Il dottore si sedette di fronte a Dean. Avvicinò la sua sedia, così tanto da far sì che le loro ginocchia si sfiorassero. «Signor Winchester,» iniziò.

«Mi chiami Dean.»

«D’accordo, Dean. Credo che tu possa apprezzare l’onestà: non posso aiutarti in nessun modo.» disse il Dr. Novak. La voce del dottore non assomigliava più alle fusa, era come se avesse appena pronunciato la sua sentenza di morte.

Quando Dean non rispose, il dottore continuò. «Sei stato mandato qui dalla Dr. August perché lei credeva che io avrei potuto aiutarti in qualche modo. Nella maggior parte dei casi, la tua situazione si può gestire. Ma l’infiammazione reumatica del cuore è molto rara, davvero rara negli Stai Uniti, in realtà, e sono piuttosto perplesso su come abbia fatto a resistere così a lungo.»

Sia Dean che il Dr. Novak sapevano quanto la malattia si fosse insidiata nel suo cuore, come diceva esattamente la sua cartella clinica, alla quale Dean aveva dato di nascosto un’occhiata quando la Dr. August non stava prestando attenzione. Era scritto, “la febbre reumatica è stata trattata probabilmente con negligenza durante l’infanzia, ed è progredita in un’infiammazione reumatica del cuore e in una stenosi mitralica. Si sospetta la presenza di ipertensione polmonare e insufficienza cardiaca della parte destra. Fare riferimento al Dr. Novak per un consulto cardiotoracico.” Dean aveva memorizzato quelle parole e le aveva tradotte in un qualcosa di molto più semplice: era malato perché suo padre era stato un vero disastro come genitore.

«Cosa sai dell’infiammazione reumatica del cuore?» gli chiese il dottore.

La Dr. August era stata molto disponibile a riguardo. Dean sapeva così tanto della sua condizione che poteva scriverci un dannato articolo su Wikipedia. Così, mentre blaterava di tutto quello che sapeva della progressione dalla febbre reumatica all’infiammazione reumatica del cuore, il Dr. Novak mantenne un completo interesse, anche se Dean sapeva che lui aveva già sentito tutte quelle informazioni milioni di volte. Quando Dean terminò la sua lunga spiegazione, il medico disse, «Dean, possiedi già un’ampia comprensione della tua condizione, ma prima di discutere su ciò che succederà d’ora in avanti, devo chiederti se hai qualcuno che desideri avere al tuo fianco. Non sarà una conversazione facile, e alcuni pazienti sentono la necessità di un sostegno da parte di un membro della famiglia o di un coniuge. Hai qualcuno che posso chiamare per te?»

Dean scosse la testa. «No, nessuno.» Non voleva infastidire Sam per questo, non ora che stava preparando gli esami di fine semestre.

«Ne sei certo?» il volto del dottore era pieno di una misurata neutralità, ma i suoi occhi erano un oceano di preoccupazione.

«Sì, doc. Facciamolo e basta.»

Il Dr. Novak tirò fuori un block notes e iniziò a disegnarci sopra. La penna del dottore faceva di movimenti rapidi, costanti e decisi; quei movimenti erano chiaramente confortevoli per lui. Le sue mani erano graziose, ma da così vicino Dean poté notare delle piccole crepe sul dorso delle mani del dottore – probabilmente causate dal fatto che le lavasse spesso per le operazioni. «Sai cos’è questa?» chiese il dottore, interrompendo il flusso di pensieri di Dean.

Dean scrutò il foglio. «Sembra una pompa del carburante.» replicò. L’aspetto non era proprio quello di una pompa – Dean aveva visto immagini meno accurate sulle riviste di motori e di ingegneria alle quali era abbonato mensilmente.

Il medico annuì. «Il cuore è simile ad una pompa del carburante nel suo modo di trasferire e pressurizzare il fluido vitale, una sorta di pompa idraulica. Ma il cuore è un sistema a circuito chiuso, a differenza della pompa del carburante, e ciò dipende dal fluido che pompa come carburante e ossigeno.» Il dottore disegnò velocemente un cuore umano stilizzato accanto alla pompa di benzina, e mostrò a Dean dove erano collocate le pompe, le valvole e le cavità, in ciascuno dei due. Aveva tutto molto più senso rispetto alle spiegazioni che gli avevano dato i precedenti due medici, o quel noioso articolo su Web MD.[5] «Ora mi puoi dire cosa succede quando la pompa del carburante ha bisogno di essere rimpiazzata nella tua auto?» chiese il dottore.

«Il motore si brucia o la macchina perde potenza quando acceleri.» rispose Dean.

Il dottore annuì senza dire nient’altro.

«Sta cercando di dirmi che il mio cuore è messo male, vero, doc?» La domanda non necessitava di una risposta, ora che Dean ricordava tutte le volte nelle quali il suo cuore accelerava quando saliva una rampa di scale, o i giorni nei quali non riusciva quasi a respirare dopo il suo jogging mattutino o i giorni in cui si svegliava completamente esausto. Il Dr. Novak stava confermano ciò che Dean già sapeva.

«Questo perché la tua condizione è peggiorata dato che non hai eseguito alcun trattamento finora, provocando un’insufficienza cardiaca destra e un’ipertensione polmonare.» spiegò il medico.

Insufficienza cardiaca destra. Ipertensione polmonare. La Dr. August l’aveva accennato, gli aveva detto che ci sarebbe stata la possibilità di “aumenti di pressione” e “inspessimento dei vasi polmonari” e “diminuzione di ossigeno nel flusso sanguigno”. Avrebbe dovuto prestare più attenzione al significato di quelle parole. «Non si potrebbe, sa, rimpiazzarlo?» chiese Dean. Si portò una mano al petto, indicando il cuore.

Gli occhi del dottore si ammorbidirono. «Mi dispiace molto, signor Winchester – Dean – ma la chirurgia non è più tra le opzioni. Lo scopo del trapianto sarebbe quello di prevenire l’insufficienza cardiaca, ma siamo ben oltre quella fase. In più, l’ipertensione polmonare non permette che il trapianto di cuore abbia successo, ma anche se fosse possibile farlo, la tua storia medica passata avrebbe fatto sì che finissi in fondo alla lista per le donazioni.»

Quindi, in sostanza, l’alcolismo di Dean stava per ucciderlo, dopo tutto. Sam aveva ragione.

«Quindi cosa, il mio cuore sta semplicemente cedendo?»

Il dottore sembrò davvero angosciato mentre diceva, «Per farla breve, sì.»

Rimasero in silenzio a lungo, e Dean ne fu grato così poteva mettere in ordine i suoi pensieri. Non poteva essere vero, che sarebbe morto così giovane. Morire era per le persone che avevano vissuto a lungo e avevano fatto tutto quello che volevano, non per Dean, che non aveva nemmeno mai visitato la foresta di Redwood o Las Vegas. Quando il Winchester parlò di nuovo, chiese, «Quanto tempo?»

 Quanto tempo aveva per dirlo a Sam? Quanto tempo mancava affinché il dolore diventasse così costante da fargli desiderare che tutto quello finisse quanto prima? Per quanto tempo poteva ancora prendersi cura di se stesso? Quanto tempo?

«Dai due ai cinque anni. Ogni caso è diverso.» Le parole dovevano sembrare stoiche e preparate, ma erano scosse dal tono grave della voce del dottore, e Dean capì di non essere l’unico in quella stanza a desiderare di poter dimenticare tutto e scappare via. Ma dove sarebbe potuto andare? Non poteva dirlo a Sam, non ancora, non se non riusciva neanche ad ammetterlo a se stesso. E Dio, immaginare lo sguardo che avrebbe fatto Sam una volta scoperto tutto, l’avrebbe ucciso seduta stante. No, non l’avrebbe detto a Sam. Non ancora, non finché non avesse davvero dovuto dirlo. Non sapeva cosa dire.

Cosa avrebbe dovuto fare in una situazione del genere? Avrebbe dovuto piangere? Avrebbe dovuto dare la colpa ad un dio che non credeva esistesse o sperare in un miracolo? Avrebbe dovuto sentirsi scombussolato da tutta quella faccenda? Invece chiese, «Come faceva a sapere che avrei compreso tutto grazie alla pompa del carburante?»

Il dottore sorrise, e che il mondo possa essere dannato se la frase “un sorriso che riesce ad illuminare tutta la stanza” non avesse attraversato la mente di Dean. «Hai una macchia di olio di motore sulla manica sinistra,» disse il dottore, «e mio fratello maggiore è un ingegnere meccanico. L’ho aiutato con molti progetti, e le somiglianze tra l’ingegneria e la medicina sono inspiegabili a volte. È uno dei tanti motivi che mi hanno spinto a diventare medico.»

«Ha mai dei rimpianti?» chiese Dean. Okay, la domanda era un po’ troppo personale, ma l’uomo conosceva la meccanica e riusciva a disegnare una pompa del carburante a memoria e davvero, Dean non voleva pensare ai noiosi e insistenti tonfi che venivano dal suo petto.

«No,» disse il Dr. Novak, «non provo rimpianti perché sto provando a fare la differenza e a salvare delle persone.»

Dean sbuffò.

Il dottore tirò fuori il ricettario e ci scarabocchiò qualcosa. «Il trattamento rimane nelle mani della Dr. August, perché lei è più qualificata nel gestire i sintomi del tuo problema,» disse strappando il foglio dal blocchetto. Lo consegnò a Dean. C’era scritto un numero di telefono. «Se dovessi aver bisogno di parlare con qualcuno.» disse, «Non sarò in grado di operarti, ma posso ascoltarti, se vuoi.» Stava uscendo dalla stanza, mentre si infilava le scartoffie di Dean sotto un braccio. Era quasi fuori dalla porta, quando si voltò. «Tu non credi di meritare di essere salvato,» disse il dottore, «ma io credo di meritare di provarci.»

Quella notte, Dean non riuscì a dormire. Mandò un sms al dottore: grazie dr novak 12:04 a.m.

Il dottore rispose istantaneamente. Chiamami Castiel 12:05 a.m.

Dean aggiunse il contatto alla sua rubrica e lo salvò sotto il nome “Cas”.
 
GIORNO 670
 
Da Sammy: ho comprato i fuochi d’artificio! 4:29 p.m.

Da Sammy: quindi siamo pronti per il 4 luglio! 4:31 p.m.

A Sammy: già, cucini tu quest’anno 4:33 p.m.

Da Sammy: ma cucini sempre tu 4:34 p.m.

Da Sammy: non mi lasci mai toccare la griglia 4:34 p.m.

A Sammy: beh ora che sei un ragazzo vero con una fidanzata vera, è arrivato il momento che tu impari a cucinare come un uomo 4:38 p.m.

A Sammy: non preoccuparti te lo insegnerò io 4:39 p.m.
 
[1] Inventore della clownterapia
[2] Personaggio di Guerre Stellari
[3] Psicologo e protagonista di una serie omonima
[4] Letteralmente Dottore in Medicina
[5] Sito completamente dedicato alla salute e alla medicina

 

Nota dell'autrice: Mi dispiace davvero, davvero tanto.

Nota della traduttrice incazzata: AH LE DISPIACE, LE DISPIACE DI AVERCI ASSESTATO QUESTO COLPO BASSO!!!! Non posso fare questa vita, stavo piangendo mentre leggevo e mentre scrivevo. Ragazzi mi dispiace di avervi rovinato la pasqua, ma non potevo aspettare per pubblicare questo capitolo.
Ci risentiamo prossimamente per il capitolo 4, ora torno in posizione fetale a chiedermi chi me l'ha fatto fare.

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Capitolo 4
*** Linea Piatta ***


Capitolo 4: LINEA PIATTA
 
 
GIORNO 130 – La seconda volta che Dean incontrò Cas
 
Stava piovendo copiosamente quando Dean notò la figura di un uomo avvolta in un trench stare in piedi nel parcheggio della tavola calda. Era presto, mancava un’ora all’apertura, ma c’era sempre qualche studente di Stanford con i postumi della sbornia che si recava lì per delle patatine al formaggio in omaggio. Decise che si sentiva caritatevole e infilò le chiavi nella porta d’ingresso. Girò la serratura e chiamò il tipo, «Ehi, amico, vuoi entrare?»

L’uomo esitò per un minuto prima di riversarsi all’interno, col cappotto tirato sopra la testa, come un imbarazzante ombrello improvvisato. Lasciò cadere il trench sulle spalle e scrollò l’acqua dai capelli con una sola mano. Quando l’uomo si voltò, Dean trattenne il respiro, perché quegli occhi blu lo colpirono come un pugno come avevano fatto la prima volta che Dean li aveva visti. «Cas?» chiese.

L’uomo chinò la testa, il suo orecchio destro raggiunse quasi la spalla. «Cas?»

«Oh, ehm, volevo dire Castiel.» si corresse Dean. «Che ci fai qui?»

«Mi sono ricordato che sei il proprietario di un ristorante e ho pensato che sarei potuto venire a mangiare qualcosa prima del prossimo intervento chirurgico.» disse Castiel. «Sono desolato. Non sapevo che il locale non apre prima delle sette. Vuoi che torni tra un’ora?»

«Nah,» rispose Dean. «Sei già qui. E sta piovendo.»

«Ti ringrazio.» disse Castiel.

I due uomini rimasero lì in piedi in imbarazzo, finché Dean non capì che Cas – Castiel – era in attesa che Dean gli dicesse di sedersi. «Oh, uh, accomodati dove vuoi.» disse Dean. «Ti porto il menù.»

Castiel si spostò al bancone, vicino al posto che solitamente occupava Sam e si tolse il suo trench appoggiandolo su uno degli sgabelli. Dean prese un menù e lo porse al dottore. «Posso portarti del caffè?» chiese. «Ne ho appena preparato una caraffa.»

«Hai una macchina per l’espresso?»

«No. Mi spiace.»

«Il caffè andrà bene.»

Dean afferrò la caraffa e riempì una tazza. Mise la panna e lo zucchero sul bancone di fonte a Castiel. «Cos’altro posso fare per te?» chiese Dean.

«Non devi servirmi, Dean.»

Dean fece un cenno alla grande sala. «È tipo il mio lavoro, amico.» Castiel non aprì il menù. «Sto per preparare dei pancake. Ne vuoi un po’?»

«Mi piacerebbe.»

Dean si diresse verso la cucina. «Uhm, Dean?» Castiel lo chiamò da dietro.

«Sì?»

«Ti dispiace se guardo?» chiese Castiel.

Dean pensò ad almeno sei cose inappropriate da dirgli in risposta, ma invece disse, «Certo.» Il medico seguì Dean in cucina, e forse era perché Dean cucinava sempre da solo, o forse era perché sentirsi osservato mentre cucinava lo faceva sentire come se lo stessero guardando mentre faceva sesso – puoi farlo in modo veloce ed efficiente oppure lento e mirato – ma il fatto che Castiel lo dovesse guardare lo faceva sentire nervoso, anche se doveva solo fare dei pancake. Afferrò il suo grembiule – una roba rosa pastello con la scritta “Keep Calm and Kiss the Cook”[1] -- e lo avvolse attorno alla vita. Castiel si poggiò contro lo stipite metallico della porta e osservò Dean prendere la farina e mescolarla col lievito e lo zucchero. Mentre preparava l’impasto, chiese a Castiel cosa lo avesse spinto ad andare lì così presto quella mattina.

«Dopo la nostra conversazione dell’altro giorno,» disse Castiel, «mi sono sentito preoccupato per te. Sembra come se tu non abbia nessuno con cui parlare della tua condizione?» Castiel formulò quella frase come una domanda, una al quale Dean era obbligato a rispondere.

«Siamo solo io e mio fratello, da tanto tempo. Lui studia legge, e non so come dirglielo, capisci?»

«Non hai nessun altro?»

«Non in California.»

«Che mi dici di chi ti ha dato quel grembiule?» Castiel fece un cenno in direzione della stoffa rosa appesa ai fianchi di Dean.

«Oh, questo? È un regalo-scherzo da parte di una dei miei dipendenti.»

Dean si spostò vicino la piastra, e finì di miscelare l’impasto. Versò delle generose porzioni sulla piastra calda, e guardò le bolle formarsi sulla pastella finché non prese colore.

«Hai dei rimpianti sull’essere diventato un cuoco?» gli chiese Castiel.

La domanda volò da sinistra e colpì Dean come uno schiaffo in faccia. «Uh, no?»

«L’altro giorno mi hai chiesto se avessi dei rimpianti sull’essere diventato medico, e mi chiedevo se quella domanda derivasse da un tuo rimpianto.» continuò Castiel. «Mi dispiace che la domanda sia un po’ troppo personale.»

Dopo quello, Dean rimase in silenzio per un bel po’. Girò i pancake con una spatola. Erano di un perfetto colore marrone-dorato, proprio come piacevano a Sammy. Avrebbe dovuto insegnare a Sammy come farli. Aveva ancora un sacco di tempo a disposizione, giusto?

«Avrei voluto salvare il mondo, sai.» disse Dean, interrompendo l’imbarazzante silenzio che aleggiava nello spazio intorno a loro. «Mi sarei unito ai Marines come mio padre, forse. O curato il cancro. O nutrito i bambini dell’Africa.» Dean sapeva che non avrebbe dovuto raccontare quella merda al dottore, ma le parole uscivano fuori comunque. «Ma ora sono solo un’altra persona che ha abbandonato gli studi e sa rigirare gli hamburger.» Per dimostralo, rigirò i pancake su due piatti da portata.

Consegnò un piatto a Castiel. Tirò fuori il burro e lo sciroppo, e rimasero entrambi lì, poggiati contro i banconi della cucina del Dive Burger, come se facessero colazione insieme da tutta una vita. Era lo stesso modo in cui mangiava con Sammy, realizzò, non seduti ad un tavolo, ma stando in piedi casualmente con il piatto in una mano e la forchetta in un’altra.

«Non abbiamo idea dell’effetto che abbiamo sulle vite degli altri.» disse Castiel tra un morso e un altro. «Tu sei più importante di quanto credi.»

Dean si strinse nelle spalle. «Facile a dirsi per te. Salvi vite praticamente ogni giorno.»

Castiel si spostò così da poter guardare Dean dritto negli occhi. «Non credere che io sia una persona altruista,» disse, «e forse tu non hai bisogno di salvare il mondo intero. Forse hai solo bisogno di salvare una persona. Non sono le ali a rendere tale un angelo, dopo tutto.»

Dean non trovò nulla da ribattere.

Castiel finì di mangiare velocemente. Doveva tornare a lavoro per prepararsi per un intervento che sarebbe avvenuto dopo mezzora, gli disse. Provò a pagare la colazione a Dean ma lui gli disse di mettere via i suoi soldi; la tavola calda non era ancora aperta e sentiva che non fosse giusto farsi pagare. Dean lo seguì nel parcheggio. Aveva smesso di piovere, e Jess sarebbe arrivata a momenti per aiutarlo nel turno di mattina. Castiel salutò Dean, dicendo, «Intendevo proprio questo quando ti ho detto che potevi parlare con me. E se non vuoi, allora puoi aspettarti di trovarmi qui una volta a settimana per colazione. Era tutto delizioso.»

«Segui in questo modo tutti i tuoi pazienti?» gli chiese Dean.

«No.» disse Castiel. Salì nella sua auto e guidò via.

A Cas: conosco un’ottima pasticceria che fa i caffè macchiati. 9:29 a.m.

 
GIORNO 730
 
«Dean? Sei sicuro di volerlo fare?»

Erano passati quattro mesi da quando Dean aveva baciato Cas per la prima volta. E lui non era sicuro se sembrassero quattro anni o quattro secondi. Alcuni giorni, quelli buoni pieni di giornate in spiaggia e di baci lunghi, lenti, lo facevano sentire come se camminasse tra le nuvole. Altri giorni, come questo, facevano sentire Dean come se fosse una lumaca che cammina su una striscia di sale. Stava diventando sempre più difficile spiegare a Sam perché non poteva andare a giocare a basket o perché Jess gestisse la tavola calda per la maggior parte della settimana. Nei mesi precedenti, aveva fatto intendere a Sam che era preoccupato per la sua relazione con Cas (il che era in parte vero), ma adesso Sam stava insistendo di più riguardo le uscite a quattro o le gite di gruppo. Finora Dean aveva utilizzato gli orari dell’ospedale di Cas come scusa per non andare a fare alpinismo, il volo dell’angelo[2], o qualsiasi altra attività che Sam considerava come “cose-da-fare”.

Ma una cena in un ristorante italiano locale? Non si poteva sfuggire.

«Starò bene, Cas. Stiamo solo andando a sederci e a mangiare, giusto? Posso farcela.» sorrise al suo… Beh, qualsiasi cosa era Cas per lui, ma sapeva che il suo sorriso non aveva raggiunto gli occhi.

Cas non sembrava credere a Dean, ma lo aiutò ad infilarsi le scarpe lo stesso. Dean raramente indossava le scarpe adesso. Cas gli aveva detto che il gonfiore ai piedi era prevedibile a causa dell’insufficienza cardiaca destra. Dean amava scherzare sul fatto che i suoi piedi da elefante gli impedivano di scappare dagli impegni. Cas non lo trovava divertente.

Quando raggiunsero il ristorante, trovarono Jess e Sam nel bel mezzo di una discussione. Mentre si avvicinava al tavolo, Dean poté notare come Sam stesse facendo di tutto per evitare di alzarsi e andarsene, come faceva ogni volta che discuteva con qualcuno eccetto che con Dean, un altro rimasuglio della merdosa genitorialità di John Winchester. Sam notò Dean quando li raggiunsero, e si strinse nelle spalle per scusarsi.

Jessica Moore era inarrestabile quando era incazzata.

«Non ho bisogno del tuo aiuto,» stava dicendo Jessica. «Posso prendermi cura di me stessa.» I suoi occhi erano carichi di rabbia, e Dean resistette all’impulso di alzare le mani in segno di resa e indietreggiare lentamente.

«Non sto dicendo che non puoi prenderti cura di te stessa. Sto solo dicendo che non hai bisogno di farlo.» La voce di Sam era tradita dalla frustrazione quando alzò leggermente il tono.

Il ristorante era affollato e le persone stavano iniziando a girarsi. E mentre la cosa non sembrava infastidire Jess o suo fratello, Dean poté dire che quelle attenzioni extra stavano mettendo Cas a disagio. Afferrò la mano di Cas e la strinse. «Ehi, uh, Sam, forse voi due dovreste, uh, andare fuori a parlarne?» disse Dean.
Cas lo guardò come se avesse scoperto la cura del cancro o qualcosa del genere.

Jess, tuttavia, non apprezzò l’intervento di Dean. «Non sono affari tuoi, Dean.» sputò, «Anche se probabilmente devo ringraziare te per il maschilismo del mio ragazzo, anzi ehi, perché non intervieni e non dici cosa le donne possono o non possono fare?» si alzò, borbottò qualcosa riguardo il bisogno di un drink e si diresse al piano bar.
Sam si prese la testa tra le mani, i gomiti poggiati sulla tovaglia bianca di lino. Questa era la prima grande litigata tra Sam e Jess, e Dean poté leggere la sconfitta in ogni linea sul volto del fratello. «Ehi, Cas, puoi darci un minuto?» Cas annuì e seguì Jess al bar.

Dean spostò la sedia accanto a Sam. Ricacciò indietro una smorfia quando il piede sinistro urtò la gamba del tavolo. La comesichiama cardiaca lo stava prendendo proprio a calci in culo oggi. Per fortuna, Sam era molto occupato con Jess per notare la salute visibilmente cagionevole di Dean. Ma il giorno in cui se ne sarebbe accorto stava arrivando: quando avrebbe scoperto che l’aumento di peso di Dean non era causato dal buon cibo, quando avrebbe scoperto che Dean non era “indaffarato” quando rispondeva al telefono con l’affanno, quando avrebbe capito che il vero motivo per il quale Dean chiedeva a Sam di sollevare e trasportare cose, non aveva nulla a che fare col la sua svogliatezza. Quel momento imminente indugiava sul confine della vita quotidiana di Dean, come l’iceberg che aveva affondato il Titanic. E come il capitano del Titanic, Dean stava andando avanti, a velocità massima. «Così,» disse a Sam, «è stato imbarazzante.»

Sam sbuffò. «Tu dici?»

«Guai in paradiso?»

Sam annuì. Dean fece un cenno al cameriere e ordinò una porzione di bruschette all’aglio. C’erano poche cose che i carboidrati extra non potevano risolvere. Mentre aspettavano il loro antipasto, Sam gli raccontò che uno stronzo aveva infastidito Jess durante la lezione di Economia Politica Contemporanea martedì sera. A quanto pare il coglione l’aveva stalkerata su Facebook inviandole messaggi “suggestivi” (Dean apprese che “suggestivi” stava ad indicare le foto di parti intime). «Le ho detto che volevo dire a quel tizio di fare marcia indietro.» disse Sam. «Ma Jess mi ha detto che poteva prendersi cura di se stessa. Io non conosco questo ragazzo, e se fosse davvero uno stalker psicopatico? Potrebbe essere pericoloso. Voglio fargli capire che Jess ha qualcuno che le guarda le spalle.»

Dean provò pietà per qualsiasi idiota che avesse provato a perseguitare Jessica Moore, cintura nera di Jiu Jitsu.

«Jess è una donna indipendente, lo so, ma non è il mio compito quello di proteggerla?» continuò Sam. «Non dovrei tenerla d’occhio?»

Forse la saggezza arriva con l’età, o forse la malattia stava colpendo altro invece che il suo cuore, ma Dean guardando la faccia di suo fratello, vide una versione di se stesso nelle parole di Sam. Era facile dimenticarlo, a volte, che Dean era stato un modello di riferimento per Sam, poiché non l’aveva mai fatto sentire solo, ma molte volte gli errori che aveva commesso Dean con Sam, saltavano di nuovo fuori e gli mordevano il culo.  Proprio come adesso. «Sammy,» disse, «proteggere Jess non deve diventare il tuo “compito”. Il tuo rapporto con Jess non è per niente un lavoro.» Sam provò a parlare, ma Dean continuò, «So di essere l’ultima persona che può dare consigli su questa merda, ma fidati di me, devi lasciare che Jess gestisca questa cosa come meglio crede. Non sei suo padre o la sua guardia del corpo. Tu sei il suo supporto, okay? Voi siete come una squadra e devi sostenere ciò che lei vuole.»

«Ma--»

«No, niente ma. Se lei vuole fare il culo a questo tizio, lasciaglielo fare. Se lei vuole che tu mantenga la sua Gatorade mentre lei fa il culo a questo tizio, tu fallo. È una ragazza intelligente e non si invischierà in situazioni pericolose, e tu devi fidarti di lei.» Mentre Sam rifletteva sulle sue parole, Dean lanciò un’occhiata verso il bar e vide Cas parlare on Jess, notando il modo in cui lui parlava con la fidanzata di suo fratello. Anche da lontano, riconosceva il fatto che i gesti di Castiel erano gli stessi che usava quando parlava con i pazienti, gli stessi che aveva usato con Dean la prima volta che si erano incontrati. Non c’era nessuno in grado di calmare Jess come faceva Cas, e sì, lui e Cas erano davvero una squadra maledettamente perfetta. Tirò fuori il suo telefono e gli mandò un messaggio: come sta andando lì? 7:47 p.m.

Da Cas: siamo legati da un amore reciproco per degli stupidi uomini ke hanno Winchester per cognome 7:48 p.m.

Quindi Jess aveva preso il cellulare di Cas. Grande. Lui buttò una lunga occhiata a Jess, che lei ricambiò. Cas era dietro di lei, apparentemente immune al cattivo umore della ragazza.

Sam seguì lo sguardo di Dean a Jess e a Cas. «Lui va bene per te.» disse Sam.

Momento da film smielato in arrivo. «È un brav’uomo.» rispose Dean. «Non sono sicuro di meritarmelo.» Non aveva abbastanza tempo per preoccuparsi del suo egoismo, del fatto che Cas era più di quanto meritava. Il giorno che aveva baciato Cas, aveva gettato tutti quei pensieri fuori dalla finestra. Sapeva che Cas, realisticamente, avrebbe trovato qualcun altro, qualcuno di migliore, dopo che lui… Beh, Dean non voleva pensarci. Quando lo faceva, si sentiva come se fosse già morto.

«Tu meriti una persona come lui,» disse Sam. «E Castiel lo sa.»

Dean si mosse sulla sedia, non gli piaceva la direzione che stava prendendo la conversazione. Avrebbero dovuto parlare di Sam, dannazione. «Sì, beh, e tu meriti una persona come Jess.» reindirizzò la conversazione, «Ora se non ti dispiace, mettile un anello al dito.»

Sam alzò gli occhi al cielo. «Non stiamo insieme da nemmeno un anno. Non è un po’ troppo presto?» gli indirizzò la sua solita Faccia da Stronzo, che per Dean significava “sto facendo storie, ma segretamente so che hai ragione”.

E Dean sapeva segretamente di aver ragione. Aveva scoperto Sam a guardare anelli di fidanzamento tre volte negli ultimi mesi (Dean forse potrebbe aver stalkerizzato il profilo Pinterest di Sam, ed era rimasto scioccato nello scoprire la sua bacheca era piena non solo di immagini su camice di flanella, ma anche piena di roba sul matrimonio. Sperava segretamente che Sam avesse potuto combinare le sue cose, infatti gli aveva inviato un Pin anonimo di un matrimonio dove i due sposi indossavano delle corna da cervo).

«Sto solo dicendo, se tu la ami – il che è ovvio – e lei ama te – e da parecchi anni ormai – perché aspettare?» guardò Cas di nuovo e il modo in cui gli angoli dei suoi occhi si erano piegati mentre rideva, e ripeté, «Perché aspettare, Sam?»

Sam si strinse nelle spalle. «Non lo so.» rispose. «Davvero.» Si alzò, le lunghe gambe urtarono il tavolo. Maledetto Bigfoot, a volte era così imbranato. «Vado a parlare con Jess.»

Sam si allontanò. Il cameriere portò le bruschette all’aglio subito dopo, e Dean mangiò l’intera porzione non pentendosi neanche un po’.

 
GIORNO 745
 
Da Ellen: dimmi la verità, ci hai provato? 6:03 p.m.

A Ellen: cas dice che non c’è nient’altro che possiamo fare 6:04 p.m.

A Ellen: ha provato qualsiasi cosa 6:07 p.m.

A Ellen: anche le preghiere 6:08 p.m.

Da Ellen: le preghiere non sempre funzionano nel modo in cui le intendi, tesoro 6:09 p.m.

 
GIORNO 777
 
Gli era sembrata una buona idea passare la serata-film-in-casa con Cas, fino a quando non si era reso conto che Cas normalmente guardava dei documentari o dei film di Terence Malick quando Dean non era con lui. Completamente incredulo, mandò un sms a suo fratello: ci credi che Cas non ha mai visto i 3 dell’operazione drago? 8:28 p.m.

Al che Sam aveva risposto: non potete guardarlo senza di me. Saremo lì tra 20 min 8:30 p.m.

Dean non era sicuro di voler sapere come facesse Sam a sapere dov’era la casa di Cas. Sospettava che facessero yoga insieme di nascosto, ma non aveva ancora prove per confermarlo.

«Immagino che Sam e Jess si uniranno a noi per il film.»

Cas non disse niente.

«I 3 dell’operazione drago è un film culturalmente significativo, Cas. Fidati di me.»

Cas versò i popcorn nella padella. Era una delle cose che Dean amava di lui, il fatto che preparasse i popcorn alla vecchia maniera. Considerando che la maggior parte delle persone compravano i popcorn per microonde, con così tanto burro su di essi da farti venire un attacco di cuore, l’approccio di Cas nel prepararli conteneva tutto: attenzione e impegno. «Ehi,» disse Dean. «possiamo guardare qualcos’altro, non dobbiamo farlo solo perché voglio vederlo io, anche se è il miglior film d’azione mai realizzato.»

Cas continuò a far scoppiare i popcorn in silenzio. Avrebbe potuto dire a Cas che in realtà non voleva vedere il film, eccetto per il fatto che voleva davvero vederlo. «Non capisco come la violenza fine a se stessa possa essere “culturalmente significativa”.» spiegò Cas. «La violenza non è intrattenimento. Non è né divertente né necessaria. La violenza è la perversione della gentilezza.» Scosse i popcorn, piuttosto violentemente, notò Dean.

A volte avere una conversazione con Castiel era come muoversi in un campo minato. «Bruce Lee non parla di violenza.» sostenne Dean. «Il suo kung fu si è ispirato alla filosofia. È come guardare una di poesia in azione, cazzo. Fidati semplicemente di me, okay? Se non ti piace, guarderemo un documentario sul Dust Bowl[3], o quello che vuoi.»

Cas non sembrava ancora soddisfatto, ma sembrava essersi calmato. Salò leggermente i popcorn e ne mise un po’ in una piccola ciotola per se stesso. Versò del succo di limone sui suoi popcorn, che Dean trovava disgustoso, ma Cas gli assicurava sempre che erano deliziosi.

«Cas, perché ti infastidisce così tanto?»

Cas si prese tempo per rispondere. «Da quando ero uno studente di medicina, ho visto cose orribili,» disse, «ferite di arma da fuoco, ferite da coltelli, abusi su minori. La razza umana ha una tale capacità di diffondere odio e orrore, e noi ancora la celebriamo. Perché?»

«Cas, è successo qualcosa al lavoro oggi?»

Castiel si calmò. «Sì,» rispose. «Una bambina… non ce l’ha fatta.»

«Ne vuoi parlare?»

Cas scosse la testa. Dean gli tolse la ciotola dalle mani e la posò sul bancone della cucina. «Ehi,» disse, facendo scivolare le dita attraverso i passanti di Cas e attirando il suo amante più vicino. Baciò Cas delicatamente. «Va tutto bene.» mormorò contro le labbra del suo amante. Castiel si rilassò nell’abbraccio, e per un po’ fecero finta che, proprio come aveva detto Dean, andasse tutto bene.

Cas rimase tranquillo quando Sam e Jess arrivarono, e rimase così per la maggior parte del film. A circa metà film, mentre un tizio stava picchiando un altro per strada con una protesi alla mano (forse Cas aveva ragione riguardo la violenza), le caviglie di Dean iniziarono a pulsare. La prima volta che era accaduto, quasi due anni prima, la pressione nelle gambe era stata così intensa che Dean aveva desiderato infilzarsi la gamba con un coltello da burro per alleviare il dolore. Adesso, succedeva abbastanza spesso e infatti Dean si muoveva un poco sul suo posto oppure si alzava per modificare il flusso di sangue nella parte bassa del corpo. Iniziò a sollevare lentamente le gambe, una alla volta, sperando che il cambiamento di posizione potesse alleviare il dolore. Ma non successe.

 
 

Cas notò il suo disagio, e fece cenno a Dean si mettere le gambe sulle sue. Afferrò la mano di Dean e premette un bacio sul palmo. Sam ridacchiò e Jess poteva aver fatto “aaawwww” giusto un po’, ma tornarono a guardare Bruce Lee prendere a calci in culo tutti, ignari dell’insufficienza cardiaca destra o dell’edema o del numero di battiti cardiaci che Dean aveva lasciato indietro. E quello? Quello lo faceva sentire molto peggio rispetto alla lenta morte del cuore di Dean.

Porca puttana, stava morendo. Stava davvero morendo, cazzo. Quella poteva essere l’ultima volta che vedeva un film di Bruce Lee o l’ultima volta che mangiava popcorn o l’ultima volta che vedeva Sam ridere di lui mentre si godeva i suoi momenti da film smielati. All’improvviso si rese conto che non accettava la sua scomparsa come pensava di fare. Lo sentì in ogni pulsazione di ogni battito cardiaco.

Tu-tum.

Moren-do.

Tu-tum.

Moren-do.

Tu-tum.

Niente Ellen.

Tu-tum.

Niente Jo.

Tu-tum.

Niente Jess.

Tu-tum.

Niente Sam.

Tu-tum.

Niente Cas.

Lui sapeva che più batteva veloce il suo cuore, più vicino era il momento in cui non avrebbe battuto più, e no, no, no. No. Non poteva. Non poteva proprio. Non era giusto. Non era giusto, cazzo. Aveva bisogno di più tempo per loro. Più tempo. Di più.

Non riusciva a respirare. I suoi polmoni bruciavano per la mancanza di ossigeno, e più cercava di aspirare aria e più bruciavano. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva pregato, ma ciò non gli impedì di gridare mentalmente Diomiotipregononancoranonancoraètroppopresto.

Sentì le mani preoccupate di Cas coprirgli la bocca e una narice, costringendolo a rallentare il suo respiro. Sentì la voce insistente di Sam, e quella di Jess, e lui alzò debolmente il pollice in alto, verso di loro. Non sarebbe stato sul punto di morire durante il suo film preferito di Bruce Lee.

Ci vollero diversi minuti, ma alla fine il suo respiro tornò normale. Cas alternò le mani da una narice all’altra per capire da quale respirasse, e le mani di Cas erano come un salvagente che lo trascinava verso acque più sicure. «Sto bene.» gracchiò quando riacquistò abbastanza fiato. «Devo essermi appisolato e aver avuto un incubo.» Sorrise debolmente. «Sto bene, lo giuro.»

Nessuno gli credette, ma Cas essendo l’angelo che era, assicurò la coppia del fatto che Dean stesse bene, che l’iperventilazione non era poi un evento così raro, e che aveva semplicemente bisogno di riposare in un ambiente senza stress. «Forse dovreste andare e possiamo finire di vedere il film un’altra volta.» suggerì Cas. «Posso tenere d’occhio io Dean stasera. Vi chiamo se succede qualcosa.»

A Sam non piaceva l’idea, ma Jess vide il motivo per farlo. «Cas ha ragione.» disse mentre tirava Sam verso la porta. «Lui è un dottore, dopo tutto.»

Quando se ne andarono, e la casa di Cas cadde in un silenzio incerto, Dean si stese di nuovo completamente sul divano e si stiracchiò il più possibile nei cuscini di pelle scamosciata. Respirò profondamente e rumorosamente ora che poteva farlo. Amava il divano di Cas, amava il modo in cui sentiva la pelle scamosciata contro la sua pelle, come un milione di piccoli polpastrelli lo carezzavano completamente. Cas era seduto accanto a lui, con le gambe sul suo grembo. Strofinò le sue caviglie, le sue mani fluttuavano sulla pelle gonfia di Dean. Dean chiuse gli occhi e immaginò che lui e Cas si trovassero su una spiaggia calda da qualche parte e che quell’infiammazione reumatica del cuore non esistesse. «Mmmmmh. È fantastico.» commentò Dean.

«Vuoi finire di vedere il film?»

Dean aprì un occhio. «Pensavo avessi mandato via Sam e Jess, così da non essere costretto a finire di vederlo.» scherzò lui.

Cas si accigliò, e Dean lesse il suo sguardo come “non posso credere che tu abbia pensato una cosa simile. Stavi avendo un’emergenza medica e mi sono comportato professionalmente”.

«Sto scherzando, Cas.»

Cas continuò a massaggiare le caviglie di Dean. Dean avrebbe voluto chiedergli informazioni sull’iperventilazione e cosa la causa. Sam l’avrebbe chiesto, ma Cas? Cas era seduto lì, a strofinargli le caviglie, finché Dean non si sarebbe sentito pronto per parlarne. Ma Dean non era mai pronto per parlarne. Così semplicemente non ne parlavano, perché c’erano alcune cose che non erano pronti a dirsi. Cose che suonavano troppo come un addio.

A Dean sembrava di essere in un deposito per autobus, col biglietto in mano, ma con nessun indizio che gli dicesse quale bus prendere. Linea 1: il bus per Dire A Sam La Verità. Linea 2: il bus per Esplorare I Propri Sentimenti Riguardo La Morte. Linea 3: il bus per Fare Finta Che Non Sia Accaduto.

E poi c’era Cas. Con il suo trench e con i suoi occhi blu e con le sue mani perfette, che sarebbe stato a bordo di qualsiasi bus lui avesse scelto. C’erano delle cose che Dean voleva dire a Cas, cose che suonavano come “Ti amo”. Ma le parole erano di poco conto, Dean lo sapeva, e né lui né Cas avevano bisogno di dirle.

«Cas, ti prego.» sussurrò Dean.

E Cas, siccome era Cas, sapeva cosa gli stava chiedendo, anche quando Dean non riusciva a formulare delle parole. Si mosse per essere più vicino a Dean, i nasi si sfiorarono. «Cas, ti prego.» Lui baciò Dean in silenzio. Le sue mani, le sue mani perfette, circondarono il volto di Dean, e Dean non ricordava l’ultima volta che era stato toccato in maniera così gentile. Forse era stato l’ultimo abbraccio di Mary Winchester, o la prima volta che aveva tenuto Sam tra le braccia. Senza volerlo, delle lacrime scivolarono lungo le guance di Dean, e Cas le baciò una ad una, le sue labbra erano soffici e delicate come le ali di una farfalla.

«Cas.» sussurrò di nuovo. Sembrava come se fosse l’unica parola che valesse la pena pronunciare. E forse lo era.

Cas catturò le labbra di Dean, con più decisione rispetto alla gentilezza di prima. Il bacio conteneva tutte le cose che non potevano dirsi, cose che suonavano molto come “Non voglio andarmene”. Si erano baciati in quel modo nella camera da letto di Castiel una volta. Quando Dean si era steso sul letto a tre piazze di Cas (“Mi muovo parecchio quando dormo”, era stata la scusa che aveva usato Cas la prima volta che Dean aveva visto l’enormità di quel letto), mentre Cas era seduto ai piedi del letto, carezzando le gambe gonfie di Dean.

C’era stato un tempo, mesi prima, che Dean nascondeva il suo corpo a tutti, anche a Castiel. L’insufficienza cardiaca destra provoca piedi e gambe gonfi e Dean era impossibilitato a fare il suo jogging quotidiano. Si sentiva grosso e brutto come un troll del Signore degli Anelli. Una mattina, Dean aveva deciso di cambiarsi in bagno lontano dagli occhi di Castiel, ma il suo amante aveva varcato la soglia senza bussare e dicendo: “Non devi vergognarti di questo corpo, Dean. Stai combattendo una battaglia, e con essa ci si aspetta anche delle cicatrici”. Dean aveva continuato a nascondere il suo corpo in decomposizione a Sam, ma da quel giorno, non lo aveva più nascosto a Cas.

Cas si spostò avanti, schiacciando il corpo di Dean col suo. Normalmente, Dean si sarebbe inarcato verso l’alto e avrebbe spinto i fianchi contro quelli di Cas, deliziandosi degli attriti. Ma adesso, il peso del corpo di Cas sulle sue gambe lo faceva sentire come se fosse bloccato in un compressore, e Dean urlò a Cas di fermarsi.

Cas si paralizzò. Si spostò quindi, sdraiandosi accanto a Dean, e avvolse le braccia attorno al suo torso. Cas sussurrò, «Volevo solo prendermi cura di te.» Baciò nuovamente Dean, a mo’ di scuse. Dean cominciò a sbottonare la camicia di Cas, perché ovviamente lui indossava una camicia per le serate-film-in-casa. Baciò il collo di Cas, la clavicola, le spalle, qualunque parte riuscisse a raggiungere, ma non era abbastanza. Dio, non sarebbe stato mai abbastanza.

«Dean, devi rallentare. Alzare la frequenza cardiaca può essere pericoloso.» la voce di Cas era carica di preoccupazione. Mise le mani sul cuore di Dean. «Non dobbiamo farlo.»

«Cas, prenditi cura di me.» disse Dean. «Cas, ti prego.»

Ma non era niente in confronto alla prima volta che avevano fatto sesso, che era stata piena di imbarazzanti momenti e di risate. Questa volta, Cas stava prendendo il controllo, tolse i vestiti di Dean velocemente ed efficientemente, e poi i propri. Aiutò Dean a mettersi nella posizione che sapevano sarebbe stata più comoda, steso di schiena, e le gambe sollevate da pile di cuscini. Mantenne alte le sue gambe doloranti, per evitare che Cas potesse accidentalmente urtarle, ma era la cosa più lontana possibile dall’essere sexy. Sembrava più una donna in attesa di essere sottoposta al pap test, piuttosto che un uomo che stava per fare sesso, ma poi Cas si mise tra le sue gambe e lasciò una scia di baci sull’addome di Dean, e semplicemente non gli importò più nulla.

Cas preparò Dean accuratamente, aprendolo lentamente con un dito lubrificato in precedenza, e al tempo stesso accarezzando l’uccello di Dean. In altri giorni, in altri universi forse, avrebbero passato delle ore a baciarsi, lasciando che le mani vagassero sul corpo dell’altro, e “tempo” sarebbe stata una parola come tutte le altre, come “il” o “da” o “quello”. Tempo non era più una parola, era una rete gettata su di loro, che tirava verso il basso, intrappolandoli nei suoi confini. Dean la sentiva, l’urgenza di fare tutto in fretta, e sapeva che anche Cas la sentiva. Ma c’erano delle cose che non avrebbero mai fatto velocemente, e Dean non era davvero dell’opinione di lamentarsi quando Cas lo scopava con un dito mentre glielo succhiava.

Se questa cosa del cuore non l’aveva ancora ucciso, l’avrebbe senz’altro fatto Cas.

Quando Dean gemette, Cas rallentò, la mano iniziò a fare una frizione per secondo. Dean non era il tipo di persona che elemosinava, non l’aveva mai fatto. Ma pregò Cas si andare più veloce, lo pregò di riempirlo completamente, lo pregò di dargli un altro bacio. Cas non si mosse più velocemente, ma si posizionò tra le gambe di Dean. Baciò Dean ancora una volta, lo baciò come se stesse affogando e Dean fosse aria. Infine, finalmente, quando Cas affondò dentro Dean, e cominciarono a muoversi insieme, Dean si sentì di nuovo come se stesse cadendo, che stesse raggiungendo il limite di velocità, ma questa volta sapeva di non avere il paracadute.

«Cas.» sussurrò ancora senza un vero motivo. «Cas.»

Il volto di Cas era vicino al suo orecchio sinistro, e il suo fiato caldo gli entrava dentro. «Dean,» disse lui. «Sono proprio qui. Sono qui.» Lo disse ancora e ancora e ancora e ogni volta era accompagnata da una spinta dei fianchi di Castiel. Si persero l’uno dentro l’altro finché Dean non si rese conto che in quel momento, avvolto attorno a Cas con i battiti cardiaci che andavano in sincrono, era più vicino che mai a volare. Quando venne, gridò a Cas di non smettere mai, di non lasciarlo mai andare. Cas lo seguì poco dopo, respirando su Dean e promettendogli “mai”.

Ore dopo, quando Cas l’aveva ripulito e l’aveva aiutato a sollevare le gambe di nuovo, Dean ascoltava il respiro regolare di Cas e stava provando ad addormentarsi. «Cas?» sussurrò.

«Sì, Dean?»

«Ho paura. Non voglio che questa sia la fine.» le parole furono pronunciate come se potessero essere soffiate via da un’espirazione del respiro di Cas.

«Non lo sarà.»
 
 
GIORNO 818
 
La cena del Ringraziamento era l’evento più importante dell’anno, secondo Dean. Lui ed Ellen avevano cucinato per ore, finché lei non l’aveva sbattuto fuori dalla cucina con un’eloquente occhiata che diceva, “È meglio se ti siedi e ti riposi, caro.” Dean sapeva che era meglio non discutere col capo chef.

Cas sarebbe arrivato nell’appartamento di Dean e Sam da un momento all’altro, e avrebbe incontrato Ellen per la prima volta come suo fidanzato, e non come dottore (Jo l’avrebbe incontrata un’altra volta perché era a casa del suo ragazzo per le vacanze). Sam amava Cas. Jess amava Cas. Non c’era alcun motivo per il quale Ellen non dovesse amarlo. Vero?

Il suo cellulare squillò.

Da Cas: sarò lì a breve. Che tipo di torta devo portare? 12:16 p.m.

A Cas: qualsiasi tipo. 12:16 p.m.

Da Cas: questo non mi aiuta. 12:17 p.m.

A Cas: porta quella alla zucca. E quella alle noci. 12:19 p.m.

Si accasciò sul divano accanto a Jess, che era intenta a leggere una rivista che non aveva nulla a che fare con l’organizzazione delle feste. «Ehi.» le disse.

«Ehi a te.»

«Come va?»

Jess si strinse nelle spalle. «Il solito. L’università fa schifo. I capelli di Sam sono più belli dei miei.»

Dean alzò le gambe sul tavolino. Jess gli lanciò un’occhiataccia. «Schiaffeggiami. Sono i miei mobili.»

«Sono i nostri mobili!» Sam gridò dalla cucina. Perciò Ellen lo aveva messo a schiacciare le patate. Ottima idea quella di sfruttare la forza del Bigfoot.

«Schiaffeggiami anche tu!»

Ci furono delle risate ovattate e poi la voce di Ellen saltò fuori, «Credevamo quello fosse compito di Cas!»

Jess derise l’espressione di Dean. «Sai, ci si abitua prima o poi.» disse lei. «Le persone ti prendono in giro perché sanno che sei felice.»

«Non è passato molto tempo dall’ultima volta che sono stato con qualcuno, e nessuno mi ha mai preso in giro prima.»

«Prima non eri felice.» sottolineò Jess. «Con Cas è diverso. Te lo dico io.»

«È una sorta di “intuito femminile” a parlare?»

Jess gli tirò un pugno sulla spalla. «No è il mio intuito ho-due-occhi-e-vedo-cose.» disse lei.

«Cosa intendi con “vedo cose”? Non vedi la gente morta, vero?»

«Continua a fare l’idiota e inizierò a parlare davvero con un morto.»

Dean sbuffò una risata. Non una risata piena che era solito rivolgere a Jess, ma una tranquilla, una che non avrebbe costretto i polmoni a bruciare per i successivi dieci minuti.

«Parlando del tuo ragazzo: dov’è Cas?» chiese Jess.

«Sta arrivando. È andato a prendere la torta.»

«Ottima idea. Col bacon.» lei schioccò le labbra. «Sì, torta, con bacon. E sciroppo d’acero.»

Sembrava disgustoso, persino Dean pensava che quel tipo di torta facesse parte di un gruppo alimentare a sé stante. Ma… Jess odiava le torte. Jess odiava qualsiasi cosa anche lontanamente simile alle torte, anche i grafici a torta. Jess si descriveva come una “odiatrice accanita di torte”. Aveva acconsentito affinché Dean mettesse delle torte speciali settimanali alla tavola calda, solo perché lui aveva minacciato di licenziarla. In breve, Jess non era tipo da torte. «Torta… con bacon.» disse Dean lentamente. Jess era ovviamente malata. O incinta. Guardò il suo bicchiere. Acqua. Una volta gli aveva raccontato che lei e le sue sorelle durante il ringraziamento facevano fuori sei casse di birra, per commemorare il defunto nonno. «Uhm, Jess,» disse Dean. «Tu sei…»

«Sono cosa? Incinta? Ci hai messo una vita a notarlo. Sam sta cercando di dirtelo da una settimana. Era nervoso come se fosse il suo primo giorno di scuola.»

Porca puttana. Sam stava per diventare padre. Porca puttana. Porca puttana, cazzo. «Uhm…» il respiro stava iniziando ad accelerare e chiuse gli occhi, costringendosi a rallentarlo, come gli aveva insegnato Cas.

«Ehm, Sam? Dean ha bisogno di te!»

Sam apparve in soggiorno. «Che c’è?» chiese. Poi guardò Dean. «Oh, merda. Glielo hai detto?»

«Non l’ho detto! L’ha capito!»

«Voi… state scherzando, vero?» Dean si costrinse a dire.

«No.» risposero all’unisono Sam e Jess.

«Non stanno mentendo!» gridò Ellen dalla cucina.

«Un… bambino?»

«Sorpresa?» disse Jess.

«Buon Natale in anticipo?» aggiunse Sam.

Dean non seppe se congratularsi con Sam o dargli un pugno sulla spalla. Così decise di fare entrambe le cose. Poi diede al suo fratellino che presto-diventerà-padre (già, era così strano pensarci), il più grande abbraccio che gli avesse mai dato. E poi ne diede uno a Jess. E poi ad entrambi insieme.

Dean li stava ancora abbracciando quando Cas arrivò qualche minuto dopo.

«Ciao Sam, Jess.» disse Cas. «Dean?» lo spostò così da poter vedere il volto di Dean, nascosto contro le spalle di Sam e Jess. «Dean?»

Dean non stava assolutamente piangendo. Niente affatto.

Afferrò Cas e coinvolse anche lui nell’abbraccio. «Jess è incinta.» mormorò nella spalla di Cas.

Cas gli rivolse dei complimenti sinceri e genuini, perché tutto quello che faceva Cas era sincero. Ellen entrò nella stanza e sciolse i Winchester dall’abbraccio, per darne uno lei. «Voi ragazzi siete ridicoli.» disse. «E ve le darei di santa ragione. Ora, Sam, torna a schiacciare le patate. Ne farai a tonnellate quando il tuo bambino inizierà a mettere i dentini.» Spinse Sam in cucina, trascinando anche Cas con loro. «Vado ad assicurarmi che sia quello giusto per te, ragazzo.»

Cas sembrava terrorizzato. E faceva bene ad esserlo.

Ciò permise a Dean e Jess di rimanere soli nel soggiorno. Ellen aveva lasciato lì una pila di piatti e posate, il suo non-così-sottile segnale per fargli apparecchiare la tavola. Il momento da famigliola felice era finito, e Dean e Jess decisero di buttarsi di nuovo sul divano a godersi una partita di football tra college, in pieno stile americano. «I Cornhuskers fanno schifo,» disse Jess. «Gli Hawkeyes stanno andando alla grande quest’anno.»

Dean scoppiò a ridere. «Ti prego, gli Hawkeyes sono guidati da un ragazzino scarno che non sa nemmeno lanciare la propria merda. Il Nebraska li prenderà a calci in culo fino alla morte.»

Continuarono a parlare di football finché Ellen non intervenne, «Invocherò il demonio dall’inferno, se non apparecchiate la tavola.» li avvertì. Borbottarono qualcosa ma poi si alzarono continuando a tenere gli occhi sulla tv.

I piedi di Dean iniziarono a fargli male, e aveva già l’affanno mentre si muoveva attorno al tavolo. Se il dottore fosse stato nel soggiorno con loro, avrebbe trovato senz’altro una scusa plausibile per farlo rimanere seduto sul divano. Infatti, Dean non riusciva a pensare a nessuna scusa per lasciare che Jess apparecchiasse da sola, così continuò imperterrito.

Era fottutamente patetico, pensò, che apparecchiare la tavola per il Ringraziamento lo facesse sentire come se fosse ad una gara di triathlon.

«Vogliamo che tu ed Ellen siate i padrini.» disse lei, mentre piegava un tovagliolo a forma di tacchino. Lo mise al centro del piatto e poi si spostò a quello successivo.

«Wow.»

«So che non sei un tipo da chiesa,» disse lei, «ma significherebbe molto per Sam. E per me. Ci penserai?»

C’era qualcosa bloccato nella gola di Dean, che somigliava molto a dolore.

«Dean?» disse Jess. «Stai bene?» portò la sua completa attenzione su di lui.

«Sì, uhm, devo andare a controllare una cosa.» Quella bugia scivolava liscia come carta vetrata. Dean si affrettò ad imboccare il corridoio fino alla sua camera, e crollò sul materasso. Si tolse le scarpe e poi i calzini, e li gettò da qualche parte nella stanza. Sospirò di sollievo. Poggiò i piedi su alcuni cuscini, come gli aveva insegnato Cas e decise di fare un piccolo sonnellino. Cinque minuti. Cinque minuti e avrebbe potuto affrontare il resto della giornata del Ringraziamento e le persone che non avrebbe mai visto invecchiare.

Tap. Tap. Tap. Jess aprì la porta della sua stanza. «Dean? Ti senti bene?» chiese lei mentre entrava. Si bloccò di colpo quando notò i suoi piedi. «Oh mio dio! Cosa ti è successo ai piedi?» Si avvicinò a lui e Dean scattò seduto, cercando di nascondere i piedi sotto di sé, trasalendo per il dolore. Non era stato veloce abbastanza, e Jess aveva dato una lunga occhiata alle sue gambe da elefante.

«Sono stato in piedi tutto il giorno.» mentì. «Sto diventando vecchio. Eheh.»

Jess arcuò le sopracciglia in quel modo che Dean non avrebbe mai potuto dimenticare. Incrociò le braccia al petto, e Dean ebbe un assaggio di come sarebbe sembrata da mamma. «Ti ho mai detto che mio nonno aveva la fibrosi polmonare? Le sue gambe si gonfiavano come le tue.» si sedette sul letto accanto a Dean. «Fammi vedere.»

Dean allungò le gambe. Temeva lo sguardo che lei avrebbe avuto sul volto quando avrebbe scoperto che aveva mentito per i due anni precedenti. Il sangue si irradiò sul suo viso, sentì il petto stringersi, mentre aspettava che lei dicesse qualcosa. Jess si avvicinò ancora, allungando una mano per toccagli le caviglie, ma si fermò all’ultimo. «Oh, Dean.» disse. «Dimmi la verità.»

Si chiese cosa sarebbe successo se non l’avesse fatto, se le avesse detto che era solo una reazione allergica o che era una cosa che gli succedeva ogni inverno col calare delle temperature. Si chiese anche cosa sarebbe successo se l’avesse fatto, se avesse smesso di rimandare l’inevitabile, e si fece forza per dire la verità.

«Beh, se controlli su Web MD, si tratta sempre di cancro.» scherzò lui.

Merda, Jess sembrava credere alla cosa del cancro. «Non è cancro.» aggiunse in fretta. Lui disse «È insufficienza cardiaca» nello stesso momento in cui Jess disse «Oh grazie a dio.»

Ed ecco l’imbarazzante scambio di sguardi in silenzio.

«Cosa?» disse Jess. «Come è possibile? Voglio dire, certo, hai messo su un po’ di peso di recente, ma insufficienza cardiaca? Non posso crederci. No.»

Cosa doveva fare? Non si poteva più tornare indietro. La verità era appesa alla luce del sole, in un cartellone gigante che recitava “Dean Winchester sta morendo”, con le lettere fatte di neon fosforescente.

«Starai bene.» continuò Jess. «E diventerai uno zio terribile che vizierà me e i figli di Sam con troppi milkshake e gite allo zoo.»

Ne sembrava così sicura, così piena di speranza. Dean voleva continuare a lasciarglielo credere, invece disse, «No, Jess. No.»

«Dean,» supplicò lei. «Ti prego dimmi che è uno scherzo. Un orribile scherzo malato.»

«Non lo è.»

«Cas lo sa?»

Dean sorrise amaramente. «È stato lui a dirmelo,» ammise. «Ti ho detto che Cas è un medico. Era lo specialista al quale mi ero rivolto.»

«Sam lo sa?» chiese Jess. Non aspettò la risposta. «Ovviamente non lo sa. Hai delle idee ridicole sul fatto che tutti gli eroi sono martiri, perciò non glielo hai detto. Non finché non sarebbe giunto il momento.» Jess stava praticamente urlando adesso.

«Lo dirò a Sam,» promise Dean.

«Davvero? Quanto tempo dovrai aspettare ancora, Dean? E quanto tempo è già passato?» le sue parole arrivarono come uno schiaffo in pieno volto.

«Lo dirò a Sam,» ripeté Dean.

«Dirmi cosa?» chiese Sam mentre entrava nella camera da letto di Dean.
 
 

[1] Mantieni la calma e bacia il cuoco
[2] Zip-lining, intesa come quell’attività di lancio nel vuoto attaccato ad una corda. Google-it ;)
[3] Una serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali e il Canada tra il 1931 e il 1939
 

Nota della traduttrice sempre più depressa: Sto facendo uno sforzo immane a fare questo lavoro, e non perché la traduzione è faticosa (per niente, anzi ora riesco a farlo più velocemente), ma perché è un angst dietro l'altro, troppa sofferenza qui!
Comunque volevo comunicarvi che il prossimo capitolo (il 5) è l'ultimo diciamo, perché il 6 è solamente un piccolo epilogo. Quindi li pubblicherò a distanza di un giorno, credo. Spero. Sempre se sopravvivo a tutto questo. Alla prossima, Sognatrice Notturna
 

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Capitolo 5
*** Battito Cardiaco ***


Capitolo 5: BATTITO CARDIACO
 
 
GIORNO 858
 
Cas era arricciato attorno a lui per quanto fosse possibile, considerando che Dean era steso di schiena con le gambe più alte rispetto al cuore. Sapeva che Cas non stava dormendo; lo poteva capire dal suo respiro. Cas non dormiva molto quando Dean era con lui. E Dean non dormiva molto e basta.

«Jess aveva l’ecografia oggi.»

«È un maschio o una femmina?»

«Non vogliono saperlo. Quei pazzi vogliono che sia una sorpresa.»

«Tu vuoi saperlo?»

«No. Non importa.»

Gli importava. Ma Cas lasciò che la bugia scivolasse nell’oscurità.

«Hai parlato con Sam?»

«Sì.»

«Dean.»

«È ancora arrabbiato, okay? Non posso parlargli se lui non vuole farlo. Sono una persona di merda per avergli mentito per anni. Ha tutto il diritto di essere arrabbiato con me.»

«Quello che hai fatto – quello non ti rende una cattiva persona.»

«Beh, non mi rende nemmeno una brava persona.»

Cas rotolò via da Dean e si alzò dal letto. Raccolse qualche felpa (notò che quell’azione metteva in bella mostra il culo del suo amante) e ne tirò una addosso a Dean. «Vestiti.» disse prima di sparire nel corridoio.

Dean gemette e guardò l’orologio. L’1:28 del mattino. Avrebbero dovuto lavorare entrambi la mattina seguente, e svegliarsi non sarebbe stato facile com’erano abituati a fare. Si alzò comunque, e indossò la felpa che Cas gli aveva lanciato.

Cas lo caricò sulla sua auto e guidò per tutta la città, nonostante Dean protestasse continuamente sul fatto che fosse piena notte. Quando raggiunsero St. Ann, la chiesa che Cas visitava spesso, Dean si impuntò nel non voler scendere dall’auto. «Perché siamo qui?» chiese. «Perché andare in chiesa nel bel mezzo della notte? Sono certo che Dio può aspettare fino a domattina.»

Cas alzò gli occhi al cielo, una brutta abitudine che aveva preso da Sam. «So che non credi.» gli disse. «E non ti sto chiedendo di farlo. Voglio solo mostrarti qualcosa. È un mio hobby, in realtà.»

Dean obiettò ancora. Come sarebbero potuti entrare? Chi avrebbe aperto le porte della chiesa alle due del mattino?

«Ho le chiavi.» rispose Cas, spazzolandosi il trench. Naturalmente, Cas poteva indossare il trench con i pantaloni della tuta e risultare ancora sexy. Coglione.

Cas aprì la porta della chiesa e fece cenno a Dean di entrare prima di lui. Era la terza volta, dopo la morte della madre, che Dean rimetteva piede in una chiesa. E certamente non era mai stato portato in chiesa da un fidanzato prima d’ora. Attraversò la navata e si addentrò nel santuario, passando tra i banchi di legno diretto alla parte anteriore della chiesa. Somigliava a qualsiasi altra chiesa che Dean avesse mai visto in televisione. Si sedette in prima fila, aspettando che Cas lo raggiungesse. Pochi minuti dopo si avvicinò a lui, dopo aver acceso le luci. «Okay, Cas, perché siamo qui?»

«Guarda in alto.»

«Cosa? Perché?»

«Guarda.»

Dean lo fece. Non era mai stato in Italia o in Francia o in qualsiasi altro luogo dove l’arte era importante. Michelangelo. Da Vinci. Lì in quella chiesa, tra tutti i posti proprio in California, il dipinto metteva a dura prova artisti di quel calibro. Il soffitto a volta era dipinto per metà, con colori così brillanti che Dean si sentiva quasi bruciare gli occhi. Non sembrava nemmeno possibile, che un dipinto come quello poteva trovarsi in una chiesa così moderna. «L’hai dipinto tu?» chiese a Cas incredulo.

«Sì,» affermò Cas. «Quando mi sono trasferito qui per la prima volta, venni in questa chiesa per caso. Il reverendo era gentile con me, e mi sono offerto di dipingere quest’affresco per lui. Ci sto lavorando da diversi anni, sin da prima che ti incontrassi.»

Dean ammirò il soffitto e non trovò nessuna parola capace di descrivere quanto fosse incredibile e meraviglioso quel dipinto. Non aveva mai visto nulla di simile? Cas lo sapeva già. Cas aveva un grande talento? Sapeva anche quello, o non dipingerebbe in una maledetta chiesa. Qualsiasi cosa gli avesse detto, sarebbe stato come polvere di intonaco accanto a quello che Cas aveva creato.

Cas prese la mano di Dean e lo portò di fronte al santuario, dietro l’altare, che era anch’esso dipinto con affreschi. «Questa è stata la prima parete che ho dipinto,» disse lui, sfiorandola con un dito. «Cosa vedi?»

«Uhm, quello sembra Gesù e, uh, una donna. Maria come si chiama?»

«No, non è Maria Maddalena.» Cas gli raccontò la storia di Gesù e della donna sanguinante, che era riuscita a raggiungere e a toccare il mantello di Gesù e quindi era guarita.[1] Dean non credeva nei miracoli, ma poteva capire perché quella storia era diventata famosa tra le persone che avevano riposto valore nella fede. Eppure Dean era sicuro che in nessun modo la fede avrebbe potuto curare il suo cuore, e non vedeva il motivo di andare in chiesa alle due del mattino per rendersene ancora più conto.

«Non è per questo che ti ho portato qui.» disse Cas. «Voglio raccontarti una storia.»

Quando Cas aveva undici anni, a sua madre fu diagnosticata la leucemia. Era stata una devota episcopale, disse Cas, e quando iniziò a morire, anche la fede di Castiel iniziò a svanire. Perché Dio avrebbe permesso ad una donna buona come sua madre di morire? Perché l’avrebbe dovuta far soffrire così tanto, se Lui era così buono e giusto? Era una cosa che Dean aveva già sentito prima, in modi diversi e da persone diverse. Le cose brutte capitano anche a persone buone, bla bla bla.

«No.» disse Cas. «La morte fa parte della vita, proprio come la nascita, le risate, o l’amore. La mia fede fu distrutta perché credevo che Dio gestisse ogni aspetto dell’universo, e che potesse impedire la morte delle persone, che è un processo che fa parte della vita stessa, perché era il suo volere. Ma questo non è quello che fa Dio.»

Mise una mano sulla parete, accanto al volto di Gesù e continuò la sua storia. Il giorno che sua madre morì, era scappato dall’ospedale ed era rimasto seduto da solo in un parco per ore. «Tu lo sai quanto ci si sente soli,» disse Cas, «quando si perde un genitore.»

Sì, lo sapeva.

«Nessuno si degnò di guardarmi, e più a lungo rimanevo seduto lì, e più mi sentivo solo.» guardò di nuovo il dipinto, e con un dito tracciò i contorni del volto di Dio. «Il dottore di mia madre mi trovò. Si sedette accanto a me. Non provò a darmi le condoglianze – sapevamo entrambi quanto fossero inutili dinanzi a così tanto dolore – ma mi disse che non ero solo, se non volevo esserlo.»

Cas si allontanò dal dipinto e guardò Dean negli occhi. Dean si accorse che gli occhi del suo amante stavano iniziando a riempirsi di lacrime, e istintivamente portò una mano sul suo volto e le raccolse.

«La prima volta che ci siamo incontrati,» disse Cas, «mi hai chiesto perché sono diventato un medico; è stato perché ho visto Dio nel volto di quell’uomo, del dottore.»

«Cas,» sospirò Dean. Si porse in avanti per premere la sua fronte contro quella dell’amante.

«Io lo vedo nel tuo volto, Dean, quando parli di Sam.»

Lì, nel bel mezzo della chiesa, davanti agli occhi di Dio o di chiunque o di qualunque cosa li stesse guardando, Dean baciò Cas.

Quando finalmente si staccarono per riprendere aria, Cas disse, «Io ho fede, Dean, grazie a te.»

 
 
GIORNO 897
 
Era giovedì, il giorno nel quale Jess chiuse Dean e Sam in macchina e se ne andò via. Era sicuro che fosse giovedì, perché Cas era in ospedale, e il giovedì era il giorno in cui Cas era sempre in ospedale. Stava diventando sempre più difficile per Dean preoccuparsi dei giorni. Le ore, i minuti, erano molto più immediati e importanti.

Era importante che Dean uscisse dalla Toyota Corolla di Jess perché stava sprecando troppi minuti. E lei non si era davvero buttata dalla finestra (anche perché era febbraio e stava piovendo, quindi in realtà non importava più di tanto). Che cazzo era quello, una sorta di castigo? Aveva trentaquattro anni per amor del cielo. Per non parlare del fatto che stare chiuso in una Corolla non faceva per niente bene alle sue gambe. Se avesse avuto una spada laser avrebbe tagliato tutto e tutti a pezzettini e se ne sarebbe andato in giro solo con un sacco di spazzatura al posto dei vestiti (aveva imparato a fare la voce di Darth Vader anni prima).

Okay, forse meritava di essere stato messo in castigo. Giusto un po’. Ma la colpa era di Sam tanto quanto era sua.

Guardò la pioggia fuori dalla finestra, osservando come le gocce d’acqua si infilassero nei disegni del marciapiede di cemento. Cas una volta gli aveva detto che le gocce di pioggia vengono dalle nuvole, “goccioline di nube” le aveva chiamate, e per raggiungere le dimensioni effettive di una goccia di pioggia, queste goccioline di nube dovevano crescere almeno un milione di volte rispetto alla loro forma originale. "Se la pressione atmosferica fosse diversa, ciò non potrebbe mai verificarsi." gli aveva detto Cas, mentre erano distesi fianco a fianco sotto un cielo diverso, osservando una pioggia più lieve. "Se la combinazione degli elementi fosse stata diversa, non avremmo mai nemmeno avuto la pioggia." E se lui non avesse mai incontrato Castiel, non avrebbe mai potuto sapere queste cose.

Sam era seduto sul sedile davanti, guardando anche lui il temporale. Le tempeste in Nebraska non erano mai state così. Sam stava ripensando a quei temporali che contorcevano e trasformavano il cielo in diverse tonalità di viola, e avevano fulmini che erano come dei flash di una macchina fotografica, così brillanti e inaspettati? A Sam mancava il Nebraska? Gli mancavano i giorni nei quali c’erano solo loro due, due Winchester contro il mondo? Se fossero restati, Dean avrebbe mai guidato per tre ore fino ad Omaha per vedere il cardiologo? Avrebbe mai scoperto che il suo cuore – che diverse ex-ragazze erano sicure che non avesse – stava facendo il conto alla rovescia in ogni battito?

Jess sapeva che lui avrebbe pensato queste cose, quando aveva deciso di chiuderli in macchina?

Probabilmente sì.

Neanche a farlo di proposito, il suo cellulare e quello di Sam suonarono nello stesso momento per un messaggio da parte di quella diavolessa incinta.

Da Jess: parla. Sono passati tre mesi e sono stufa di essere la versione umana del muro di berlino 2:37 p.m.

«Noi parliamo,» protestò Dean al suo telefono, «Parliamo ogni giorno.» Jess non poteva sentirlo, ma Sam sì. «Stiamo bene.»

Sam ridacchiò. «Già, immagino che questo possa definirsi “stare bene”.»

«Che cosa vorresti dire?»

Sam si voltò per affrontare Dean, il che risultò un’impresa ardua dato che si trovavano in una mini Corolla. «Hai evitato di parlarne sin da quando hai scoperto di essere malato.» disse Sam. «E sai cosa? Fa male. Non mi piace il fatto che mio fratello non potesse dirmi cosa gli stava succedendo. Non mi piace il fatto di averlo scoperto solo quando non potevi più nasconderlo.»

Le parole di Sam erano molto simili a quelle che aveva usato quando l’aveva trovato sul pavimento del bagno ricoperto di vomito e dovette chiamare il 9-1-1 a causa di una probabile overdose. «Stavo cercando di proteggerti, Sammy.» disse Dean a suo fratello. «Non volevo che ti preoccupassi per me; non avremmo potuto fare nulla in ogni caso. Nemmeno Cas può salvarmi.»

«Non è il tuo compito quello di proteggermi.»

«È questo il punto, Sammy, è il mio compito.» Era sempre stato il suo compito, perché dal giorno in cui Mary Winchester era morta, il loro padre aveva deciso di prendere in mano una bottiglia. «Non sto dicendo di aver fatto bene o di non aver mandato tutto a puttane, ma se potessi scegliere di nuovo? Sì, farei esattamente la stessa cosa.»

Sam sospirò. Si passò le dita tra quei capelli da hippie e disse: «Sto cercando di capire, davvero. Non voglio essere arrabbiato con te. Non c’è abbastanza tempo per esserlo.»

Cosa avrebbe potuto dire Dean? Una bugia? Doveva dirgli che avevano un sacco di tempo per discutere sulla sorprendente abilità di Dean di scappare dalla merda o sull’ossessione di Sam sui libri di auto-aiuto? Sapevano entrambi che non ce n’era. «Non ho bisogno che tu capisca,» disse Dean, «Non ho bisogno che tu pianga o che tenga una veglia di preghiera tutta la notte, anche se probabilmente Cas ti chiederà di partecipare ad una veglia, prima o poi. Ho bisogno di stare insieme a te, okay? È tutto quello che voglio.»

Le mani di Sam si congiunsero davanti a lui, e lo sguardo era fisso sul cruscotto. Chiunque penserebbe che suo fratello stesse pregando, ma Dean sapeva che quella era la posa da “Ci sto pensando davvero intensamente”. «Okay.» disse Sam dopo una lunga pausa nella quale Dean aveva trattenuto il respiro.

«Okay?»

«Okay.» disse di nuovo Sam. «Staremo insieme, finché potremo farlo.»

Un brivido corse lungo la schiena di Dean. Avrebbe dovuto ringraziare Jess. Un momento. Erano ancora bloccati in auto. «Uhm, Sam? Credi che Jess ci farà uscire adesso?»

Sam si strinse nelle spalle. «È andata in missione per trovare il passeggino perfetto. Se la interrompessi ora, potrei non essere vivo per la nascita di mio figlio.»

Alcuni giorni Dean trovava difficile credere che Sam sarebbe diventato padre nel giro di quattro mesi. Una volta o due aveva provato a parlarne con Cas, sull’ironia del fatto che come un Winchester se ne andava dal mondo, ne arrivava subito un altro, ma c’erano alcune conversazioni che neanche Cas era pronto ad affrontare. «Amico, stai per diventare padre.» disse Dean. Mimò il cervello che gli esplodeva.

«Lo so. Assurdo, vero?»

«Assurdissimo.»

«Vuoi vedere un’altra cosa assurda?» Sam infilò una mano nella tasca, e tirò fuori un piccolo scatolino di velluto.

«È quello che penso che sia?»

Come era ovvio, Sam aprì lo scatolo e mostrò a Dean un semplice anello di diamanti. Era lo stesso che aveva visto sul profilo Pinterest di Sam, la settimana prima. Non che stesse cyberstalkerizzando suo fratello.

«Credi che dirà “sì”?» chiese Sam. Il tono di voce era nervoso come sembrava essere.

«Amico, sta per sparare tuo figlio fuori dal suo utero. Non fare la faccia schifata – sarai lì a tenerle la mano. Se questo non è amore, non so cosa sia.» Voleva dire a Sam di essere orgoglioso, così dannatamente orgoglioso, dell’uomo che sarebbe diventato, e invece disse, «Ora messaggia la tua ragazza e facci uscire da questa dannata macchina.»

 
 
GIORNO 899
 
Da Cas: scusami devo lavorare oggi 8:33 a.m.

A Cas: ti ho lasciato una cosa in ufficio 8:58 a.m.

Da Cas: un pastello? 11:28 a.m.

A Cas: non sono riuscito a trovarlo viola. scusa 11:30 a.m.

A Cas:  buon san valentino 11:31 a.m.

Da Cas: credevo che si usasse mandare dei fiori 11:32 a.m.

A Cas: il pastello significa di più 11:33 a.m.

Da Cas: sì è vero. 11:33 a.m.

Da Cas: ti amo anche io. 11:34 a.m.

 
GIORNO 900
 
Da Sam: ha detto sì 9:45 p.m.

Da Jess: ciao fratello. 9:47 p.m.

 
GIORNO 146 – La prima volta che Cas chiamò Dean
 
Il suo cellulare vibrò così violentemente che cadde dalla sporgenza sulla quale Dean l’aveva poggiato. Imprecò, e mise giù i suoi attrezzi mentre raccoglieva il cellulare dal pavimento.

1 chiamata persa da Cas.

Compose il numero del dottore e portò il cellulare all’orecchio, afferrando di nuovo gli attrezzi e tornando a lavorare al motore dell’Impala. Il che era più facile a dirsi che a farsi, come capì piuttosto velocemente. Quando la voce roca di Castiel rispose con un “Pronto?”, decise di abbandonare gli strumenti definitivamente.

«Ehi, Cas, mi hai chiamato?»

«Cas?»

«È un soprannome.»

«I miei fratelli usano chiamarmi “Cassie”. Non mi è mai piaciuto.»

«Okay, scusa, Castiel.»

«Puoi chiamarmi Cas. Non mi dispiace.»

«Cas. Castiel. Quello che è. Perché mi hai chiamato?»

«Oh, è il ventiquattro gennaio, vero?»

«Già. Aspetta, metto il vivavoce, così posso tornare a lavorare alla mia macchina.»

Dean rimise il suo telefono su quella sporgenza pericolosa, controllando che rimanesse in equilibrio. «Sì, il 24 gennaio, perché?»

«Buon compleanno.»

«Oh, grazie. Chi te l’ha detto?» Dean afferrò la pinza e tirò fuori le candele, una alla volta.

«Facebook.»

«Uhm, sai che potevi scrivermelo direttamente su Facebook, vero?»

«È una cosa impersonale.»

«Okay, beh ti ringrazio.»

«Non c’è di che.»

«Quindi, uh, come stai, Cas?»

«Sto bene. Come stai tu, Dean? A cosa stai lavorando?»

«Uhm, sto cambiando le candele dell’Impala.»

«Oh, si sono bruciate?»

«No, sto solo mettendo quelle di iridio. Hanno un punto più alto di fusione e conducibilità. Dovrebbero permettere a Baby di andare più veloce.» Accarezzò la fiancata dell’Impala, anche se Cas non poteva vederlo.

«Capisco. C’è qualche ragione che ti ha spinto a migliorarla?»

«Penso di portarla sulla strada aperta. Così potrei raggiungere il parco di Redwood. Ho sempre voluto vedere quelle sequoie.»

«Gli uomini più vanitosi, più sorridenti e irriverenti, davanti alle sequoie, entrano in un incantesimo fatto di meraviglia e rispetto.»

«Cosa?»

«È una citazione di Steinbeck.»

«Ovviamente.»

«Egli paragona anche lo stupore e la tranquillità che si sperimentano la prima volta che si vedono quegli alberi, all’imponenza di una cattedrale. Infatti, gli alberi spesso sono definiti come la “cattedrale di Dio”.»

Dean mise giù le pinze. «Non mi interessa quello. Solo gli alberi.»

«Oh, beh, la tribù Paiute li chiama woh-woh-nau.»

Dean scoppiò a ridere mentre prendeva la candela e il cricchetto. «Parlami dei ua-ua-nou.»

«I woh-woh-nau.»

«Cas, in futuro, atteniamoci agli sms.»

 
 
GIORNO 910
 
Da Jess: ho bisogno di te al lavoro 8:33 a.m.

Da Jess: sto insegnando qualcosa al nuovo ragazzo e ho bisogno che tu lo metta in difficoltà 8:34 a.m.

Da Jess: è un rito di passaggio 8:35 a.m.

A Jess: a che ora? 8:38 a.m.

Dean arrivò alla tavola calda un’ora dopo e zoppicò verso un tavolo in un angolo per sedersi. Era da parecchio che non vedeva Jess assumere un nuovo dipendente, e quella volta lei aveva optato per un “cliente adirato” per mettere in difficoltà lo staff. La guardò dare direttive al ragazzo che aveva assunto – una matricola del college che si chiamava Kevin Tran che aveva tutta l’aria di essere il capitano della squadra di matematica – e gli abbaiava ordini per tutta la tavola calda. Jess era più spaventosa al sesto mese di gravidanza rispetto a quella volta che Dean l’aveva vista atterrare un tizio con un pugno ben piazzato.

Povero Kevin.

Alla fine arrivarono al suo tavolo, e Jess con molta calma disse a Kevin, «Prendi il suo ordine, e non mandare tutto a puttane stavolta.» Poi sorrise dolcissimamente smielata a Dean e gli fece l’occhiolino.

Kevin giocherellò con gli angoli del suo blocchetto delle ordinazioni. «Cosapossoportarlesignore?» sbottò in una corsa frenetica fatta di consonanti e vocali.

Jess lanciò uno sguardo divertito nella sua direzione, e Dean si costrinse ad ignorarla. «Portami un’omelette greca.» rendendo la sua voce più rauca del normale, «Ma tieni i peperoni, sostituisci il cavolo nero con gli spinaci, aggiungi i funghi e aggiungi della feta extra. Vorrei anche delle frittelle di patate con cipolle e ravanelli, e una porzione di biscotti e sugo di carne, con il sugo di lato e i biscotti tagliati in quattro parti e tostati. Anche del caffè alla francese.»

Kevin stava furiosamente scarabocchiando l’ordine sul blocchetto, «Niente cavolo nero… aggiungi olive… ravanelli… biscotti…» il povero ragazzo era sopraffatto e ogni volta che Jess guardava nella sua direzione se la faceva nei pantaloni.

Jess si chinò dando un’occhiata a quello che Kevin stava scrivendo. «No, dovrebbe esserci il cavolo nero ma niente spinaci, e funghi ma niente olive.» lo corresse lei.

«Ah, giusto.» disse Kevin, «Vado a consegnare l’ordine.» girò i tacchi e si allontanò dal tavolo di Dean, finché quest’ultimo non lo richiamò.

«Ho cambiato idea.» disse Dean. «Prenderò solo un caffè.»

«Solo un caffè?»

«Solo un caffè.»

Kevin sembrava sul punto di piangere. «Posso farlo.» disse. E poi praticamente scappò via.

Jess crollò al tavolo, ridendo così forte che Dean pensò potesse farsela addosso.

«Oh cielo,» disse, «Non se lo dimenticherà mai per tutto il tempo che lavorerà qui. Biscotti tagliati in quattro parti e tostati? È stato impagabile.»

«Beh, era il mio obiettivo,» disse lui, «rendere tutto indimenticabile.»

Jess smise di ridere. Allungò le mani sul tavolo e prese quelle di Dean tra le sue.

«Non sarai dimenticato.» disse lei.

«Hai intenzione di costruire un altarino sacro su di me nell’orinatoio o qualcosa del genere?»

«Qualcosa del genere.» disse lei.
 
 
GIORNO 920
 
A Sammy: dovete venire in ospedale 1:29 a.m.

Da Sammy: Dean? Che succede 1:30 a.m.

A Sammy: sono Cas. Dean è stato ricoverato. Ho dimenticato il mio telefono a casa 1:32  a.m.

Da Sammy: arriviamo 1:33 a.m.

 
GIORNO 929
 
Cas prese un congedo dal lavoro. Dean non se ne lamentò.

 
GIORNO 932
 
Sam e Jess anticiparono il loro matrimonio. Dissero che volevano rendere le cose ufficiali prima della nascita del bambino. Dean sapeva che stavano mentendo.
 
 
GIORNO 962
 
Dean finalmente vide Las Vegas.

In una piccola cappella sul Las Vegas Boulevard, era accanto a suo fratello, Jo e Ellen erano in piedi al loro fianco, mentre Sam diceva “Lo voglio” alla donna migliore che avesse mai conosciuto.

Al ricevimento, che aveva pagato Cas, Dean ballò con Jessica. Lei era incinta, mentre le sue gambe erano delle dimensioni di trochi d’albero, e si muovevano lentamente e goffamente per tutta la pista da ballo. Quando si fermarono, lei lo avvolse stretto in un abbraccio e disse, «Mi prenderò cura di lui.»

Dean non ne aveva mai dubitato.

 
 
GIORNO 994
 
Dean vide la sua ultima alba mentre i paramedici lo trasportavano nell’ambulanza.

 
GIORNO 998
 
Da Ellen: io e Jo saremo lì domani 7:53 p.m.

Da Jo: se muori prima del mio arrivo non ti perdonerò mai 8:27 p.m.


 
GIORNO 999
 
Dean si svegliò con il lento e costante battito del suo cuore sul monitor. Sembrava un conto alla rovescia. E forse lo era. Sam era seduto al suo capezzale, dove era rimasto negli ultimi tre giorni, leggendo I Fratelli Karamazov per la cinquantesima volta.

«Ehi,» disse Dean. La sua voce era rauca e graffiante. «Per quanto tempo sono stato fuori uso?»

Sam mise il segnalibro e lo chiuse. Lo poggiò sul tavolino da ospedale attaccato al letto di Dean. «Diciotto ore,» disse Sam. «Ti hanno dovuto intubare. Ecco perché la tua voce suona strana.»

Gli ritornarono alla mente diversi frammenti – un suono frenetico dal cuore sul monitor, qualcuno che gridava “Codice blu” (credeva lo dicessero solo nei film), il volto pieno di panico di Sam. Non aveva mai visto Sam così spaventato prima d’ora, e Sam non aveva dormito per settantadue ore dopo aver visto L’Esorcista.

«Come ti senti adesso?» chiese Sam.

«Come morto.»

Le risate che vennero fuori sostituivano le lacrime, Dean lo sapeva. La sua battuta era stupida e inadeguata, ma valeva la pena vedere Sam sorridere. E questo lo era. L’ultimo ricordo di Sam. Lui sapeva che Sam sapeva che non l’avrebbe mai più visto fuori da quell’ospedale, e lui sapeva che Sam sapeva cosa voleva dire in realtà, quando gli chiese, «allora, i Royals, ce la faranno ai playoff quest’anno?»

Sam scosse la testa. I Royals erano un tasto dolente per i Winchester, dopo che avevano perso l’ultima World Series. Dean aveva il sospetto che Sam avesse pianto sulla spalla di Jess quella volta. Jess, ovviamente, aveva fatto baldoria alla tavola calda in onore della vittoria dei Giant, e Dean ricordò la confusione sul viso di Cas mentre Jess provava a spiegargli la superiorità della squadra della costa occidentale. Era uno dei suoi ricordi preferiti, uno che aveva aggiunto nella sua lista mentale delle cose che l’avevano sorpreso: #24 Jess che poteva nominare il vincitore di ogni World Series dal 1970.

«Ti ricordi la figurina di Nolan Ryan del 1978 che papà ti regalò per il tuo ottavo compleanno?»

Dean la ricordava.

«Amavi quella figurina,» disse Sam, con voce malinconica. «La tenevi sotto chiave, non me la facevi mai toccare, anche se valeva a malapena 25$.»

Dean aveva davvero amato quella figurina, e quando aveva tredici anni aveva fatto di tutto per convincere il tipo del banco dei pegni che valesse 28$, e non 25$, il che era appena sufficiente per comprare a Sam il suo guanto da baseball preferito per Natale.

«Scrivesti male Babbo Natale.» disse Sam.

L’ortografia era sempre stato il punto debole di Dean.

«Ho ancora quel guanto.» disse Sam. «L’ho tenuto. Ho sempre pensato che mi portasse fortuna perché me l’hai regalato tu.»

«Avevi bisogno di tutta la fortuna del mondo.» lo schernì Dean. «Eri un esterno sinistro di merda.»

«Lo so.»

Forse nessuno dei due Winchester era in grado di dire “grazie” in quelle parole, ma Dean conosceva Sam abbastanza da sapere che suo fratello gli stava dicendo: grazie per esserci stato quando papà non c’era.

Jess a volte diceva a Dean che invidiava la capacità che aveva di comunicare con suo marito – porca puttana, Sammy era un uomo sposato – senza parlare. “Cazzo è come vedere gli X-man”, avrebbe detto lei, “tipo, davvero, qualche volta usate le parole come noi comuni mortali.” Jess non si sarebbe più dovuta preoccupare di quello.

«Sam,» disse Dean. «Dov’è Jess?»

Sam sorrise, ed era il sorriso più triste che Dean avesse mai visto. «Sta per partorire.» disse.

Era più che ovvio. Era proprio da Jess partorire un bambino mentre lui stava per morire. «Passami il tuo telefono,» disse Dean.

«Non dovresti usare il cellulare in ospedale.» protestò Sam.

«Va tutto bene. Vado a letto col dottore.»

Sam gli consegnò il telefono senza protestare ulteriormente.

A Jo: scusa, ragazzina -D 2:48 p.m.

A Ellen: grazie -D 2:48 p.m.

A Jess: la tavola calda è di tua proprietà. Ho depositato tutta la documentazione. Sarà meglio che tu dia al bambino il mio nome 2:49 p.m.

«Vai.» disse a Sam. «Lei ha bisogno di te.»

«Anche tu.»

Sempre.

«Sam, ti prometto che nella prossima vita potrai farmi da mammina tutte le volte che vorrai.»

Ed ecco la Faccia da Stronzo, un’ultima volta.

«Ma in questo momento,» continuò Dean, «Hai una moglie che ha bisogno di te e anche un bambino tra poco. Non osare mancare. Non osare.» Non c’era bisogno che aggiungesse, “Non osare diventare come papà”.

Sam allungò la mano e strinse quella di Dean. «Tornerò e tu potrai conoscere il tuo nipotino o la tua nipotina.»

«Aspetterò qui.»

Entrambi sapevano fosse una bugia. Sam esitò quando raggiunse la porta, la sua lealtà era divisa tra suo fratello e suo moglie. «Vai,» ripetè Dean.

Il monitor cardiaco continuò col suo beep. Dean era solo. Sam era con Jess. Jess stava per avere un bambino. Ellen e Jo erano sull’aereo, partite dal Nebraska. E Cas? Cas era tornato a casa a dormire un po’, aveva detto Sam. Aveva ancora il telefono di Sam. Poteva chiamare Cas, per farlo arrivare prima, per passare un po’ più di tempo con lui. Qualche minuto in più? Qualche secondo in più?

Non voleva che i suoi minuti con Cas avessero come sottofondo i beep del monitor cardiaco. Non voleva nessun ricordo di Cas che non sorrideva, o che indossava un camice bianco invece che il trench beige, o di Cas che gli diceva addio. Non sapeva se Cas avesse pianto alla fine; non sapeva se avesse avuto un po’ di fiato per dirgli addio.

In che modo doveva morire? Non esisteva nessuna guida su questo, nessun tutorial su Youtube. Doveva essere da solo? Avrebbe dovuto trovare delle stronzate da dire sul letto di morte? Come doveva lasciare Sam e Jess e Cas? Come poteva andarsene senza combattere ancora, senza combattere un po’ più duramente?

Come cazzo fa una persona a morire, comunque?

La camera d’ospedale aveva un’orribile color crema di burro. Sembrava una vecchia meringa. Poteva quasi piangere di fronte alla cazzo di ironia del fatto che stava per morire in una camera che somigliava proprio al dolce che gli piaceva di meno.

Quando Cas entrò pochi minuti dopo, Dean ricordò la prima volta che l’aveva visto, quando aveva pensato che il Dr. Novak somigliasse solo ad un altro cazzone in camice bianco. Come si era sbagliato, cazzo si era assolutamente sbagliato su di lui.

Cas infranse circa dieci regolamenti dell’ospedale quando salì sul piccolo letto e si rannicchiò accanto a Dean. Faceva male, faceva così male avere Cas premuto addosso, cazzo, ma non si dovrebbe morire comodi, almeno? Tra l’altro, stava per morire e rivolse un silenzioso “vaffanculo” all’interior designer dell’ospedale, anche se sarebbe morto guardando il volto di Castiel invece che delle putride pareti colorate.

«Hai paura?» gli chiese Cas.

«No.» Non più. Probabilmente avrebbe dovuto averne, ma invece era contento di essere con Cas. Era fottutamente egoista a volere Cas al suo fianco fino alla fine, ma, ehi, almeno non se ne sarebbe pentito il mattino successivo.

«M… mi mancherai.» il tremore della voce di Cas fece eco nel monitor cardiaco.

Cazzo, era quello, vero? Con Sam non aveva avuto bisogno di parole. Ma Cas? Cas meritava un addio e molto altro ancora. Cas si meritava una vita di felicità e di cuccioli e di unicorni color arcobaleno. «La prossima volta che ci vedremo,» gli disse Dean, «avremo molto più tempo. Te lo prometto. Molto altro ancora. Anche se dovrò prendere a calci in culo San Pietro per farlo succedere.»

Cas strinse ancora di più le braccia attorno a Dean, come se potesse tenerlo con sé più a lungo. «Sarai un pessimo ospite celeste lassù.»

Dean sorrise, e sapeva che era l’ultima volta. «Beh, non sono le ali a rendere tale un angelo.» Mise la mano di Castiel sopra il suo cuore. Era arrivato il momento della confessione smielata alla Nicholas Sparks. «Non mi pento di nulla, Cas. Non rimpiango niente.» Se non fosse stato per questo stupido cuore malato, non avrebbe mai incontrato Cas.

Cas si chinò e baciò il petto di Dean, proprio accanto al punto in cui era attaccato il monito cardiaco, e disse, «Non mi pento di averti incontrato, o di averti amato, mi dispiace solo che mi mancherai. Che non vedrai crescere il figlio di Sam. Che non potrò più svegliarmi accanto a te.»

Dean ripensò al sorriso di Jess quando aveva sentito il calcio del bambino per la prima volta, e al bagliore negli occhi di Sam quando aveva detto “Lo voglio”, e alla chiesa nella quale Cas aveva passato molto tempo a dipingere. Non sapeva se ci fosse davvero qualcosa, o qualcuno, lassù, che era responsabile della sua vita, o della sua morte, ma forse Cas aveva ragione, aveva ragione nel dire che ci fosse altro in serbo per loro. «Non credo che questa sia la fine.» disse Dean. Con grande sforzo portò la mano di Castiel alle labbra e la baciò. «Se c’è una cosa in cui credo,» disse, «È che ci rivedremo di nuovo.»

Rimasero in silenzio, e l’unico suono nella stanza era il continuo beep da parte del monitor cardiaco. Il respiro di Cas era intervallato da singhiozzi lievi, e Dean lottò per mantenersi costante. Combattè, lottò per sentire le braccia di Castiel attorno al suo corpo ancora per un altro minuto. Solo uno.

Beep.

La felicità di Sam quando Dean gli diede quel guanto da baseball.

Beep.

Lo sguardo infuriato sul volto di Jo poco prima che gli desse uno schiaffo per averla baciata.

Beep.

Le lacrime di Ellen quando Dean finì la riabilitazione.

Beep.

Il modo in cui Jess guardava Sam.

Beep.

Il modo in cui Sam si illuminò quando sentì il calcio di suo figlio.

Beep.

Le mani di Cas mentre dipingeva.

Beep.

Cas.

Il monitor cardiaco fece beep. Beep. Beep.

E poi non lo fece più.
 
 



Nota della traduttrice col cuore spezzato:  Non so come ho fatto a rileggerlo per correggerlo, ma, dio, sono a pezzi. Ragazzi non piangevo così per una fanfic da T&S, porca pupetta. Vi carico questo capitolo a mezzanotte, perché sì, non vedo l'ora che voi lo leggiate, così da poter condividere il dolore con me. Ci sentiamo domani o dopodomani, per l'epilogo (capitolo 6). Un bacio.


 [1] Vi consiglio questo video dove Benigni spiega bene questa parabola

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Capitolo 6: EPILOGO


 
Non è facile per il Dr. Castiel Novak svegliarsi. Lui teme ogni giorno, quando deve uscire dal letto e ricordare.

Dean se n’è andato.

Dean è morto.

Esce dal letto. Si fa la doccia. Si veste, indossando sempre il suo trench. Va in cucina, si versa sempre una tazza di caffè. Ogni giorno ricorda a se stesso di non prendere una seconda tazza. Fa colazione, un uovo bianco semplicemente strapazzato. Dean gli aveva insegnato la ricetta, modificandola per le abitudini “salutari” di Castiel. Prende le chiavi della sua Prius, le mette giù, e prende le chiavi di Dean con un portachiavi a zampa di coniglio. Erano ancora le chiavi di Dean, così come era ancora l’Impala di Dean, anche se era parcheggiata del garage di Castiel.

Sam non la voleva. Diceva di aver bisogno di una macchina adatta ad un bambino.

Jess diceva che quella macchina era il cuore di Dean, e che quindi apparteneva a Cas.

La giacca di pelle di Dean era sul sedile del passeggero. Castiel ci parla qualche volta, come se Dean fosse lì, come se stesse ancora ascoltando, con una mano che segue il ritmo della batteria dei Led Zeppelin sul suo ginocchio destro. Parla a Dean dell’abissale chilometraggio dell’Impala e del fatto che non riesce a capire lo scopo di lasciare una papera di gomma nella doccia a mo’ di scherzo. Parla alla giacca di Dean mentre guida la macchina di Dean e qualche volta immagina che Dean non sia davvero morto. Immagina tanti mondi diversi, universi diversi, nei quali loro si sarebbero potuti incontrare. Qualche volta si incontrano in un negozio di caffè, qualche volta nei bar, qualche volta anche nei siti di incontri online. Si chiede se potrebbe finire allo stesso modo, se lui e Dean potrebbero diventare sempre amanti. Spera che in qualche mondo Dean mantiene la sua promessa e almeno lì loro hanno più tempo.

Guida verso il Dive Burger. Ci va ogni giorno prima di andare a lavoro. Oggi è il suo giorno libero comunque, e non ha particolare fretta mentre entra, saluta Sam mentre se ne va per fare il suo tirocinio in un ufficio legale, raggiunge Jess al bancone per una tazza di caffè. Per un motivo che non capisce, lei mette sempre una saliera accanto alla sua tazza.

La figlia di Sam e Jess, Mary Deanne Winchester, compie sei mesi oggi. Somiglia a Dean. Sorride quando Castiel la prende in braccio, e gioca col bavero del suo trench.

«Aaaawww, tu adori lo Zio Cas, non è vero?» cinguetta Jess.

Zio Cas. Gli piace come suona, e pensa che anche a Dean sarebbe piaciuto.

Jess gli passa una scatola di cartone, che è logora ai bordi. «Credi che finirai oggi?» chiede lei.

«Ho intenzione di farlo.» risponde onestamente.

Questa scatola, è l’ultima cosa che Dean gli ha dato, ma non l’ha ancora portata a casa. Si sposta in fondo alla sala, la apre e tira fuori una collezione di colori e pennelli. C’è un pastello blu che tira fuori e posiziona accanto a sé mentre colora. Ci mescola insieme un verde della stessa tonalità degli occhi di Dean e si mette al lavoro.

Ha finito nello stesso momento in cui Sam torna alla tavola calda per il turno serale. Cas e Jess sono seduti con Mary affianco l’ingresso della tavola calda, entrambi preoccupati per ciò che Sam potrebbe dire. Non parla molto di Dean, a meno che Castiel o Jess non tirano fuori il discorso. Sam entra, allentandosi la cravatta rossa mentre cammina, ma lascia cadere la ventiquattrore quando si accorge della parete in fondo alla sala.

«Wow,» farfuglia Sam, «Cas, è… wow.»

Si siede accanto sua moglie e sua figlia e insieme, fissano il capolavoro finito di Cas.

È Dean, nell’Impala, mentre percorre un lungo tratto di strada deserta attraverso la foresta di Redwood.

Castiel lo guarda e ricorda gli sms che Dean gli aveva mandato quel giorno, il giorno che guidò attraverso la foresta di sequoie.

Da Dean: ci sono alberi che sono più vecchi di me e ci saranno anche dopo che me ne sarò andato

Da Dean: promettimi che verrai qui qualche volta e penserai a me

Cas lo fa.
 
FINE




 
Nota dell'autrice: Grazie per aver letto. Abbracci gratis per tutti quelli che ne hanno bisogno <3 Dear Collectress

Nota della traduttrice: E siamo giunti anche alla fine di questa storia. Sono letteralmente a pezzi, il dipinto e i messaggi di Dean, l'Impala che è diventata di Cas, Cas che parla col giubbotto di pelle di Dean mi hanno distrutta. Eppure non riesco a non amare questa storia, è davvero meravigliosa. L'autrice vi ringrazia per tutti i commenti positivi, e se volete dirglielo di persona, potete lasciarle un commentino qui. Adesso vi saluto, sto ultimando la traduzione del primo capitolo di... *spoilers* Painted Angels, e quindi domani (incrociando le dita) riuscirò a pubblicarlo! A presto, Sognatrice Notturna
 

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