Pura Magia

di eliseCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** 1. How the story began ***
Capitolo 3: *** 2. Shock ***
Capitolo 4: *** 3. Introducing myself ***
Capitolo 5: *** 4. Detention?! ***
Capitolo 6: *** 5. Lucky girl ***
Capitolo 7: *** 6. Wrong ***
Capitolo 8: *** 7. How things went ***
Capitolo 9: *** 8. The ambush ***
Capitolo 10: *** 9. Doubts ***
Capitolo 11: *** 10. The only one ***
Capitolo 12: *** 11. Double James ***
Capitolo 13: *** 12. Photocopy ***
Capitolo 14: *** 13. Natural disaster ***
Capitolo 15: *** 14. Owl post ***
Capitolo 16: *** 15. Old friends ***
Capitolo 17: *** 16. Memories ***
Capitolo 18: *** 17. Training ***
Capitolo 19: *** 18. A matter of trust ***
Capitolo 20: *** 19. A long night ***
Capitolo 21: *** 20. Home ***
Capitolo 22: *** 21. The other version of the story ***
Capitolo 23: *** 22. One... two... three ***
Capitolo 24: *** 23. A jump into the past ***
Capitolo 25: *** 24. Speechless ***
Capitolo 26: *** 25. Time's up (bis) ***
Capitolo 27: *** 26. Miracle ***
Capitolo 28: *** 27. Don't ***
Capitolo 29: *** 28. Go ***
Capitolo 30: *** 29. Discoveries and photos ***
Capitolo 31: *** 30. Tears of Jade ***
Capitolo 32: *** 31. Interrogation ***
Capitolo 33: *** 32. Point of no return ***
Capitolo 34: *** 33. Beyond the veil ***
Capitolo 35: *** 34. Nice to meet you ***
Capitolo 36: *** 35. Sparkles ***
Capitolo 37: *** 36. The moment of truth ***
Capitolo 38: *** 37. Pure magic ***
Capitolo 39: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Prologo
 
 
 
Avvocato di successo lei , chirurgo molto conosciuto e stimato lui: ci si sarebbe aspettato che i signori Starlet fossero contenti della vita apparentemente perfetta che conducevano.
E invece dopo il lavoro, dopo la casa, si erano accorti che nella loro vita mancava ancora qualcosa: qualcuno.
Quando alla fine avevano scoperto di non poter avere figli non avevano avuto dubbi: ne avrebbero adottato uno.
L’Orfanotrofio Wool era stato il primo posto dove erano andati a informarsi.
Lì una molto professionale signora Collins, la direttrice dell’istituto, aveva provveduto a fornire alla giovane coppia tutte le informazioni di cui avevano bisogno.
Dopo una lunga serie di scartoffie, documenti e incontri con l’assistente sociale, i due furono finalmente considerati idonei ad avere in custodia un bambino.
Passarono così alla seconda parte dell’adozione: la scelta.
 
La signora Starlet era stata irremovibile: lei voleva una bambina, e il marito non aveva neanche provato a opporre resistenza. Alla fine dei conti la moglie era pur sempre un avvocato, e sapeva far valere bene le sue motivazioni: discutere con lei non sarebbe servito a molto. E poi, in fondo in fondo, neanche a lui dispiaceva l’idea di avere una piccola principessa per casa.
Sul secondo punto erano invece d’accordo: se possibile avrebbero preferito adottare una bambina piccola, meglio se sotto i quattro-cinque anni. Pensavano che così, essendo più piccola, la nuova arrivata sarebbe riuscita ad adattarsi meglio al cambiamento.
 
Queste erano le loro idee, ma poi avevano visto Elise.
 
La prima volta che l’avevano notata si stava dondolando a testa in giù, appesa per le gambe a uno dei giochi nel cortile dell’orfanotrofio. Sembrava persa in un mondo tutto suo.
Dopo un po’ si era riscossa, era scesa, e aveva cominciato a giocare con gli altri bambini.
Non aveva fatto niente di strano, niente di speciale, ma gli Starlet erano comunque rimasti stranamente colpiti da quella bambina.
Durante la loro visita successiva avevano chiesto, curiosi, chi fosse.
E così gli venne raccontata la storia di una neonata trovata infagottata in una pesante coperta davanti alla porta d’ingresso dell’orfanotrofio un’uggiosa mattina di novembre di quasi otto anni prima.
Non aveva niente con sé, se non uno strano foglio di pergamena tutto stropicciato infilato tra le coperte su cui erano stati scarabocchiati un nome e una data in corsivo, con una calligrafia stretta e sottile: Elizabeth Charlotte – 31 ottobre
Gli venne spiegato come quello scricciolo dalla zazzera bionda era ben presto stata soprannominata ‘terremoto’ per la sua energia che pareva non mancarle mai e la voglia di fare, pur rimanendo una bambina buona ed educata, sempre allegra e gentile con tutti.
Visita dopo visita alla fine la coppia era arrivata a decidere che sarebbe stata lei che avrebbero adottato, perché quella bambina era sembrata loro speciale fin da subito, li aveva incantati, stregati.
 
 
Elise non ci aveva messo molto ad ambientarsi nel nuovo, grande appartamento –praticamente un attico- e anche nella nuova scuola fu subito presa in simpatia da tutti: bambini e insegnanti.
E anche se all’inizio il signor Starlet aveva provato a dissuadere la moglie per non caricarla troppo, la bambina si era subito mostrata entusiasta delle lezioni di danza e di pianoforte a cui la sua nuova mamma l’aveva iscritta, dimostrandosi in breve tempo un’allieva piuttosto dotata e che imparava in fretta, senza mai tirarsi indietro davanti a nuove sfide.
Però a dispetto di tutte quelle cose che quella nuova vita aveva da offrirle c’era una cosa in particolare che rendeva Elise felice e orgogliosa più di ogni altra: finalmente aveva un cognome, finalmente il suo nome era completo.
 
Lei era Elizabeth Charlotte Starlet.
 
Col passare degli anni il fatto di essere stata adottata era passato sempre più in secondo piano: ormai Rupert e Diana erano i suo genitori a tutti gli effetti, nonostante fosse palese che lei non assomigliasse –almeno fisicamente- a nessuno dei due.
I suoi capelli biondi erano ben lontani dal castano scuro di Diana quanto dal nero corvino di Rupert, e per gli occhi era la stessa cosa: quel verde così insolito e brillante nella famiglia Starlet non si era mai visto.
Inoltre i due neogenitori ebbero ben presto l’occasione di rendersi conto che la loro bambina non era affatto come tutte le altre.
 
 
Era la sera del suo dodicesimo compleanno: Elise aveva già passato buona parte del pomeriggio con i suoi amici andando di casa in casa, per tutto il vicinato, a fare ‘dolcetto o scherzetto’, concludendo poi la festa a casa con una grande torta.
Fortunatamente tutti gli invitati erano già andati via, e i tre Starlet stavano finendo di riordinare la sala da pranzo che per l’occasione era stata addobbata a festa anche se alla fine assomigliava più ad un campo di battaglia.
Elise stava giusto facendo la spola dal salotto alla cucina portando piatti e bicchieri destinati alla lavastoviglie quando si bloccò di colpo sul posto, irrigidendosi.
In un attimo il rumore dei piatti che si infrangevano sul pavimento richiamò Diana e Rupert dalla stanza accanto, i quali si spaventarono non poco nel vedere la figlia svenuta per terra, percorsa da violenti tremiti, in mezzo ai cocci delle stoviglie che miracolosamente non l’avevano ferita.
 
Dalla casa all’ospedale il passo fu breve –e veloce- ma a quanto pareva neanche i medici riuscivano a spiegarsi quella strana crisi: avevano sottoposto la ragazzina a tutti gli esami del caso, e se non l’avessero vista con i loro occhi avrebbero potuto tranquillamente affermare che, basandosi solo sui risultati delle analisi, quella bambina scoppiava di salute.
Fu così che Elise venne riportata a casa e messa al caldo sotto le coperte, mentre Diana e Rupert passarono la notte a darsi il cambio per tenerla sott’occhio.
Fu con grande sorpresa e sollievo che la mattina successiva Elise si svegliò come se nulla fosse successo, allegra e in forze come ogni giorno. Aveva un vago ricordo di essere svenuta, ma non avrebbe saputo spiegare perché.
Si augurava solo che quello strano episodio fosse stato il primo e l’ultimo.
Non sapeva che invece quello era stato solo l’inizio, come non sapeva che quella crisi era in qualche modo collegata a quello che uno strano bambino dai capelli scuri e spettinati le aveva detto diversi anni prima dietro la siepe di un parco giochi.
 
Per Elise quello strano incontro era ormai diventato un vecchio ricordo sbiadito e senza importanza, nulla più di un insolito e confuso sogno.













Salve a tutti!
Lo so che è breve e che ovviamente non si capisce nulla, ma ho pensato che la protagonista si meritava la sua introduzione essendo Elise un personaggio nuovo.
Questa ff ho iniziato a scriverla qualcosa come un anno e mezzo fa, per poi lasciarla vergognosamente da parte per mancanza di ispirazione.
Diciamo che ho deciso di cominciare a pubblicarla per vedere se magari la suddetta ispirazione si degna di tornare, quindi eccomi qua.
Ci terrei davvero molto a sapere cosa ne pensate, anche semplicemente se quello che ho scritto fin ora è leggibile (visto che per quanto riguarda la storia vera e propria i contenuti penso lascino un po' a desiderare...)
Potrei magari decidere di caricare il secondo capitolo in un paio di giorni (se qualcuno manifestasse il suo desiderio di continuare a leggere) altrimenti vi toccherà aspettare fino alla prossima settimana.
Per il momento credo di aver detto tutto
Grazie a chi è arrivato a leggere fino a qua in fondo
alla prossima
E.

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Capitolo 2
*** 1. How the story began ***


1 – Come la storia ebbe inizio
 
 
 
-FLASHBACK (o era un sogno?)-
 
“James Sirius Potter! Vieni subito fuori!”
Una giovane mamma dai capelli rosso fiamma stava richiamando a gran voce il figlio che era riuscito a sparire dalla sua visuale, come d’altronde faceva ogni volta che gli si concedeva un minimo di libertà.
Possibile che anche in un comune parco giochi quella peste non riuscisse a comportarsi come tutti gli altri bambini?
Sospirò mentre si alzava dalla panchina dov’era seduta per andare a cercare il figlio: aveva già una mezza idea di dove cercare. Non era la prima volta che il bambino portava i nuovi amichetti conosciuti dietro ai cespugli al di là dello scivolo per fargli vedere cosa sapeva fare.
Così piccolo e già così esibizionista: chissà come sarebbe diventato una volta messe le mani sulla sua bacchetta magica…
Nonostante lei gli avesse spiegato e ripetuto più volte che non doveva assolutamente fare magie, alla fine ogni volta le capitava di sentire bambini entusiasti raccontare ai genitori di come un loro giocattolo avesse cambiato colore o di come un bambino fosse capace di sollevarsi da terra.
A soli tre anni James Potter si era preannunciato essere un terremoto, e adesso che di anni ne aveva otto era, se possibile, ancora peggio.
“James, dobbiamo…” incominciò facendo capolino da dietro la siepe da cui provenivano le risate del figlio, ma si interruppe bruscamente a corto di parole: quella volta aveva proprio esagerato.
 
Davanti a lui, sollevata a circa mezzo metro da terra, c’era una bambina con una folta chioma di capelli biondo cenere che James stava facendo girare come una trottola.
Ancora troppo sconvolta per dire qualcosa osservò la bambina mentre veniva riappoggiata sull’erba ridendo come una matta, o almeno, sperava che le sue fossero davvero risate.
Il figlio non si era ancora accorto della sua presenza.
Stava finalmente per intervenire quando la bambina, dopo aver smesso di ridere, ancora con le lacrime agli occhi disse: “Adesso tocca a te” e senza aspettare una risposta dal bambino incominciò a sollevarlo da terra riservandogli lo stesso trattamento che lei stessa aveva subito poco prima.
Ginny non potè impedirsi di tirare un sospiro di sollievo: almeno quella bambina era una di loro.
“James dobbiamo andare, è tardi” richiamò infine il figlio.
Le risate cessarono.
“Ma come, di già? Siamo stati pochissimo!” protestò il bambino che nel frattempo era tornato con i piedi per terra, un po’ barcollante. In realtà era piuttosto sorpreso che la madre non l’avesse rimproverato.
“Siamo stati qui tutto il pomeriggio Jamie. Lily, Al, e papà ci staranno aspettando. Sai che stasera siamo a cena dagli zii…”
Il bambino mise il broncio, salutò l’amichetta e prese riluttante la mano che la madre gli aveva offerto.
“E tu, piccola streghetta? Sei qui da sola?” disse la signora Potter prima di incamminarsi, rivolta alla nuova compagna di giochi del figlio.
La bambina scosse forte la testa, scompigliando ulteriormente la lunga chioma già arruffata. Tese il braccio e con il dito indicò una figura al di là della siepe.
Lo sguardo della signora Potter cadde così su una graziosa signora, giovane e bionda, seduta su una panchina intenta a scrutare i bambini che giocavano. Probabilmente anche lei stava cercando di individuare la figlia in mezzo a tutti quei terremoti urlanti.
“Forse anche per te è ora di andare a casa, sembra che tua madre ti stia cercando” commentò. “Ciao” la salutò poi, cominciando a incamminarsi trascinandosi dietro il figlio.
Non si era accorta che la bambina, alla sua affermazione, aveva aggrottato le sopracciglia, come se non avesse ben capito di cosa stesse parlando quella gentile signora dai capelli rossi.
In effetti però, la mamma del suo nuovo amichetto aveva ragione: si stava facendo tardi e più di qualche bambino aveva già lasciato i giochi, richiamato dai genitori.
 
La bambina uscì dalla siepe, si diresse verso la panchina dove la giovane donna bionda era ancora seduta e… la superò.
Una signora non molto più anziana con i capelli corvini rigorosamente stretti in uno chinion sulla nuca, gli occhi scuri e severi, le labbra strette e le mani appoggiate sui fianchi la accolse guardandola con disapprovazione.
“Si può sapere cos’hai combinato? Guardati! Sei tutta sottosopra… e i capelli! Hai idea di quanto ci vorrà stasera per sciogliere tutti quei nodi?” esclamò la signorina Clark –quello era il suo nome- squadrandola dalla testa ai piedi.
“Beh” sospirò infine “Almeno stavolta non ho dovuto venire a cercarti e sei tornata da sola… Dio solo sa dove vai a imbucarti ogni volta bambina mia!” Il tono di voce si era addolcito: la signorina Clark sembrava sempre molto severa in apparenza, ma alla fine era proprio una brava donna che ci sapeva pure fare con i bambini.
La bambina le sorrise con aria innocente, tradita dagli occhi verdi che però brillavano: andava sempre a nascondersi perché non reputava prudente farsi vedere dagli altri bambini mentre giocava. Non se i giochi prevedevano cose come arrampicarsi su un albero e poi planare fino a terra. Ma il bambino che aveva conosciuto quel pomeriggio era diverso, era come lei.
L’aveva osservato di nascosto mentre –convinto di non essere visto da nessuno- era saltato dall’altalena lasciando il seggiolino quando era nel suo punto più alto, e quando l’aveva visto planare fino a terra con leggerezza, invece di precipitare come avrebbe fatto un qualsiasi altro bambino, un grande sorriso le si era allargato sul viso. Si era assicurata a sua volta che nessuno stesse guardando nella loro direzione e aveva replicato l’acrobazia sotto lo sguardo dapprima sbalordito, in seguito euforico del bambino.
Quel pomeriggio aveva giocato con lui tutto il tempo.
 
 
La signorina Clark le strizzò l’occhio con aria complice per poi avvicinarsi ai giochi: “Forza ragazzi! È ora di andare!”
Una decina di bambini di età compresa tra i sette e gli undici anni si bloccarono e cominciarono a lasciare i giochi dirigendosi verso la signora che li aveva appena richiamati. Brontolando, chi più chi meno, si misero ordinatamente in fila per due. La signorina Clark finì di contarli, assicurandosi che non mancasse nessuno, dopodiché si mise in testa alla fila e tutti insieme lasciarono il parco.
 
 
L’orfanotrofio Wool distava poco più di dieci minuti a piedi dal parco: era un imponente edificio a pianta quadrata circondato da un’alta cancellata, ma non per questo poteva essere definito cupo o austero, anzi.
Il colore rosa pastello con cui i muri esterni erano stati riverniciati conferiva una certa serenità all’edificio, e il giardino esterno, che lo circondava lungo tutto il perimetro, era molto ben curato.
C’era anche un’ampia zona attrezzata con dei giochi, anche se la signorina Clark, quando era possibile, preferiva portare i bambini al parco in modo che potessero uscire un po’ dal solito ambiente.
Anche all’interno l’aria era familiare e accogliente: corridoi ampi e colorati portavano alle varie zone della struttura. Ogni cameretta ospitava due, massimo tre bambini, e poteva essere personalizzata a loro piacimento. La mensa era grande e spaziosa e quasi un’intera ala dell’edificio era stata convertita in zona scuola: era infatti previsto un programma di istruzione fino alla terza media.
Il tutto funzionava grazie a un notevole corpo di insegnanti ed educatori, la squadra di cuochi nelle cucine e la signora Collins, l’instancabile direttrice.
 
E proprio lei si trovava al momento dritta in piedi in cima alla scalinata in pietra, ingresso dell’edificio, mentre allungava il collo osservando la strada. Appena vide la fila di bambini capeggiati dalla Clark fare capolino dal cancello lasciò la sua posizione e andò loro incontro.
“Bene Cheryl, finalmente siete arrivati. Dov’è la piccola Elizabeth?” disse, cominciando a far scorrere lo sguardo sulla fila di bambini. “Oh, eccoti qua… santo cielo bambina mia, sembra che tu sia stata risucchiata in un tornado… Cheryl, potresti per favore darle una sistemata, preparare le sue cose e portarla nel mio ufficio?” aggiunse poi. “Arriveranno a momenti…”
La signorina Clark annuì sorridendo. “Molto bene ragazzi: rompere le righe! Confido siate in grado di tornare da soli alle vostre camere… mi raccomando: puntuali per la cena!”
Alle sue parole i bambini, che fino a quel momento erano rimasti fermi e zitti al cospetto della direttrice, si animarono di colpo e presero a correre verso l’ingresso ridendo e scherzando tra loro.
 
L’unica a non muoversi fu la bambina dai capelli biondi, che invece alzò lo sguardo verso la signorina Clark chiedendo spiegazioni: “Cosa succede? Ho fatto qualcosa di male?”
“Ma certo che no, tesoro! Tranquilla, c’è una sorpresa per te” rispose la donna mentre insieme entravano nell’edificio e si dirigevano verso la camera della bambina. “Ti ricordi quei due signori che sono venuti a farti visita nelle settimane passate? Hanno deciso di adottarti!”
La bambina accolse la notizia in silenzio: era stata adottata?
Un sorriso cominciò lentamente a illuminarle il visetto: “Davvero?”
“Davvero. Adesso da brava vai a farti un bagno, che io preparo le tue cose”.
Intanto avevano raggiunto la stanza.
La bambina non se lo fece ripetere due volte e si fiondò in bagno. Quasi subito cominciò a sentirsi lo scrosciare dell’acqua della doccia. Una decina di minuti dopo la bambina ne riuscì gocciolante e avvolta in un accappatoio due volte più grande di lei.
Nel frattempo la signorina Clark aveva già finito di preparare un piccolo baule con dentro le poche cose della bambina, lasciando fuori sono quello che avrebbe dovuto indossare e la spazzola.
La bambina guardò il vestitino appoggiato sul letto: era color indaco, molto semplice. Il collo a forma di ‘U’ comprendeva una fascia di tessuto un po’ più ampia che andava a formare anche le maniche. Appuntati sulla destra due fiocchetti dello stesso colore dell’abitino.
Storse il naso: il vestito non era brutto, ma era, appunto, un vestito.
La signorina Clark notò l’occhiata che la bambina aveva riservato all’indumento steso sul letto: “Non mi dirai che non ti piace già più? E meno male che sei stata tu a sceglierlo…”
 
Era vero: ogni bambino doveva sempre avere un vestito presentabile da usare in caso si presentasse l’occasione, e l’abitino blu steso sul letto era proprio nuovo di quell’anno, visto che quello rosa degli anni precedenti non le andava più bene. Questo però non toglieva il fatto che la bambina non amasse particolarmente le gonne, alle quali preferiva i ben più comodi pantaloni.
 
Dopo un altro quarto d’ora avevano finito, era pronta: sembrava di avere davanti un’altra bambina.
I pantaloni e la maglietta consumati dal tanto giocare erano stati sostituiti dal vestito. Ballerine ai piedi al posto delle scarpe da ginnastica. I capelli arruffati e annodati in modo inimmaginabile erano stati domati e raccolti in una bella treccia che le arrivava oltre la metà della schiena.
Dopo averlo chiuso la signorina Clark prese il baule, e trascinandoselo dietro accompagnò la bambina fino all’ufficio della direttrice.
Bussò, e dall’interno la invitarono a entrare.
 
“Bene, eccola finalmente” disse soddisfatta la direttrice uscendo da dietro la scrivania, avvicinandosi alla bambina –improvvisamente diventata più timida del solito- e spingendola avanti.
“Ecco qua la vostra Elizabeth Charlotte”
Un uomo e una donna si alzarono dalle poltroncine dov’erano accomodati fino a quel momento. Erano davvero i due che erano venuti a trovarla ogni settimana da qualche mese a quella parte.
Lei aveva i capelli castano scuro lunghi fino alle spalle, sciolti. Gli occhi marroni e un sorriso gentile.
Lui invece aveva capelli ancora più scuri, neri, e gli occhi blu. Anche lui aveva un’aria simpatica. Infatti si avvicinò alla bambina, si accovacciò e disse: “Piacere di rivederti Elizabeth. Io sono Rupert e lei è mia moglie, Diana. Ti ricordi di noi, no?”
Dal canto suo la bambina rispose: “Elise. Mi chiamo Elise”.
L’uomo sorrise: “Il nome Elizabeth non ti piace?”
Elise scosse vigorosamente la testa: “No, è troppo… serio” disse facendo sorridere ancora di più la giovane coppia. “Davvero verrò via con voi?” aggiunse poi.
“Ma certo” assicurò la direttrice Collins. “I signori Starlet sono venuti qui apposta per prenderti”
“Quando volete potete andare, avete già firmato tutti i documenti… la bambina è ufficialmente vostra ” disse poi rivolta ai due.
“Benissimo. Grazie di tutto signora Collins” rispose la signora Starlet stringendole la mano.
Nel frattempo il marito aveva recuperato il baule dalla signorina Clark che per tutto il tempo era rimasta in piedi vicino alla porta.
“Allora… andiamo Elise?” disse rivolto alla bambina aprendole l’uscio.
Elise salutò educatamente la signora Collins. Prima di uscire saltò al collo della signorina Clark, abbracciandola.
“Potrò tornare a trovarti?” chiese.
“Ma certo. Quando vuoi. Adesso vai, e mi raccomando: comportati bene piccola peste!” rispose sciogliendo l’abbraccio.
 
 
 
Più tardi quella sera, Elise giaceva distesa con gli occhi aperti sul suo nuovo letto, nella sua nuova camera.
Non si era mai sentita così sveglia.
Per festeggiare gli Starlet l’avevano portata a mangiare fuori, una cosa completamente nuova per lei, e aveva potuto ordinare tutto quello che voleva.
Quando poi avevano rincasato le avevano fatto fare il giro completo dell’appartamento, un enorme attico all’ultimo piano di un altrettanto enorme palazzo che aveva addirittura un portiere all’entrata: era proprio bello.

Nulla poteva comunque competere con la felicità che la pervadeva per il fatto di essere finalmente stata adottata.
Diana e Rupert sembravano ricalcare in pieno tutto quello che Elise aveva sempre immaginato quando si fermava a fantasticare su come sarebbe stato avere i genitori, avere una famiglia.
Quando si sarebbe svegliata il giorno seguente sarebbe cominciata una nuova parte della sua vita, e lei non vedeva l’ora.













Visto che sono buona e gentile ho messo subito il primo capitolo.
E sì, lo so che ancora non si capisce niente (per entrare nel vivo della storia vi toccherà aspettare il prossimo capitolo) ma almeno stavolta di mezzo ci sono anche personaggi non del tutto sconosciuti. James Sirius tanto per dirne uno... :)
A questo punto direi che, come da tradizione, tenderei ad aggiornare una volta alla settimana. Nello specifico direi il lunedì (eventualmente se qualcuno preferisse qualche altro giorno fatemi sapere).
Fatemi sapere cosa ne pensate (non serve che ribadisca che ci terrei davvero tanto, no?)
alla prossima settimana

E.

 

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Capitolo 3
*** 2. Shock ***


2 - Scossa
 
 
 
Che noia.
Non gli veniva in mente altro se non quelle due parole: che noia.
Quella era sicuramente una di quelle giornate di lezione in cui si chiedeva cosa gli fosse saltato in mente quando aveva deciso di studiare per diventare Guaritore.
 
Quando, finito il settimo anno alla Scuola di Magia e Stregonerie di Hogwarts, l’aveva annunciato alla famiglia, le reazioni erano state le più disparate.
Sua sorella aveva cercato di trattenersi, ma suo fratello era scoppiato a ridere senza ritegno dicendo che quello era proprio un bello scherzo. Perfino sua madre gli aveva chiesto più volte se fosse sicuro di quella scelta. Ma lui sì che era sicuro, e oltretutto aveva già inviato la domanda per poter accedere al test d’ammissione al corso.
Nonostante tutta la scuola –e non era un’esagerazione- desse per scontato che il primogenito del grande Harry Potter avrebbe seguito le orme del padre diventando a sua volta un Auror, il ragazzo era rimasto terribilmente affascinato dalla professione del Guaritore. Durante gli incontri di orientamento con la professoressa McGranitt aveva poi chiesto ulteriori informazioni che lo avevano definitivamente convinto.
Ebbene sì: al bello, ambito, ammirato, spaccone e un po’ arrogante James Potter piaceva l’idea di poter aiutare le persone dando personalmente il proprio contributo, in un contesto particolare come quello dell’ospedale San Mungo.
Oltre al fatto che le materie trattate nel corso sembravano maledettamente interessanti, era anche stufo di sentirsi dire da tutti quello che avrebbe dovuto fare, e per una volta voleva scegliere qualcosa che gli piacesse davvero.
L’unico che l’aveva supportato fin dall’inizio era stato suo padre, dicendogli che se quello era ciò che voleva davvero fare, allora era libero di farlo.
 
Era certo però che lezioni come quella gli facevano seriamente riconsiderare la sua decisione.
Vent’anni compiuti, secondo anno di corso, James era più che convinto che argomenti come quello sarebbero benissimo potuti essere tolti dal programma: erano completamente inutili, oltre che, appunto, noiosi.
 
Crisi da sovraccarico di magia? Ma andiamo!
 
Le condizioni in cui si realizzavano episodi del genere erano più uniche che rare, e da quando aveva detto l’insegnante dall’ultima volta che se n’era verificato uno erano passati più o meno due secoli.
E poi… e poi nulla perché aveva smesso di seguire, decidendo di dedicarsi a qualcosa di più interessante: avrebbero avuto lezione fino alle sei di sera per recuperare ore arretrate, in che altro modo sarebbe riuscito a sopravvivere se non mettendosi a chiacchierare con il collega, nonché amico, al suo fianco riguardo i programmi per quella serata?
Dopotutto era il 31 ottobre, non si poteva non avere un programma per la sera di Halloween.
“Signor Potter, signor Williams! C’è qualcosa che vorreste condividere con il resto della classe?” il Medimago Robbins, l’insegnante della disciplina, si interruppe all’ennesima risatina dei due.
“I nostri programmi per stasera…?” rispose James pronto con nonchalance.
A più di qualche ragazza brillarono gli occhi: a loro non sarebbe di certo dispiaciuto sapere cosa avrebbe fatto James Potter quella sera.
Il professore scosse la testa sospirando e richiamando l’ordine: “Vi pregherei davvero di prestare attenzione ragazzi. Non si può mai sapere quando qualcuna di queste noiose nozioni potrebbe tornare utile…”
James ancora non sapeva quanto il mago avesse ragione.
 
 
 
///
 
 
 
Libera!
Finalmente avevano finito!
Quel pomeriggio avevano dovuto recuperare alcune ore di lezione, motivo per cui avevano finito non prima delle sei di sera.
Certo che però avrebbero potuto benissimo farne a meno: al secondo anno di corso di laurea in Infermieristica Elise si sarebbe aspettata materie di studio sempre più interessanti, e invece no…
Quel pomeriggio erano rimasti bloccati addirittura quattro ore con il professore di Infettivologia che aveva ripetuto né più né meno argomenti che avevano già trattato l’anno prima: una noia mortale.
Quando poi aveva finito di salutare tutti aveva constatato che doveva davvero sbrigarsi: era già piuttosto tardi, e doveva fare ancora un salto al supermercato per comprare qualche dolcetto per i bambini che sarebbero sicuramente passati quella sera.
Era Halloween dopotutto, non poteva farsi trovare sguarnita.
 
E poi aveva anche un altro buon motivo per tornare a casa al più presto…
 
La sede universitaria dove seguiva le lezioni distava da casa non più di venti minuti a piedi, e ad Elise solitamente piaceva godersi la passeggiata, ma quella sera non era decisamente il caso.
Per fortuna in negozio fece in fretta, uscendone nel giro di qualche minuto. Così adesso aveva la borsa dei libri in spalla e un’altra borsa piena di schifezze nell’altra mano.
Tagliò per il parco come faceva sempre, quello stesso parco dove la signorina Clark portava i bambini dell’orfanotrofio… era da un po’ che non andava a trovarla, le chiacchierate che faceva con lei almeno una volta al mese erano così piacevoli… no. Non era nemmeno il caso di mettersi a pensare ai vecchi tempi.
Se i suoi calcoli erano esatti – e fino a quel momento lo erano sempre stati- aveva ancora 30 minuti, forse un po’ di più, per arrivare a casa, chiudersi in camera, sdraiarsi sul letto e aspettare pazientemente che la sua solita crisi annuale venisse e passasse.
Ogni anno infatti, puntuale come un orologio svizzero, una di quelle sue crisi si presentava precisa il giorno del suo compleanno.
Dopo le prime tre aveva notato che perfino l’orario era sempre lo stesso.
Non era invece ancora riuscita a capire a cosa fossero dovuti quegli attacchi, e dopo l’ennesima visita medica negativa –visto che risultava sempre sana come un pesce- aveva rinunciato a cercare di capire.
L’unica cosa che aveva notato era che le crisi non erano mai una uguale all’altra.
Per essere più precisi, si era resa conto che ogni anno diventava peggio del precedente: i tremori, la scarica di energia che la percorreva dalla testa ai piedi come se fosse attraversata dalla corrente elettrica… all’inizio era fastidioso, ma da un paio d’anni a quella parte aveva iniziato a farle male.
Non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbe andata quell’anno.
 
Be’, l’avrebbe scoperto presto, forse prima di quanto avrebbe pensato…
 
Comunque non era quello il momento di mettersi a rimuginare, doveva darsi una mossa se voleva arrivare a casa in tempo.
Attraversò il parco a testa bassa e passo svelto, senza perdersi a guardarsi intorno. Il luogo era deserto, l’unico rumore era dato dai suoi passi che calpestavano le foglie secche facendole scricchiolare.
 
Ad un certo punto davanti a lei apparvero due ragazzi che, intenti a parlottare tra loro, le stavano venendo incontro. Probabilmente anche loro avevano deciso di usare il parco come scorciatoia per andare dovunque dovessero andare.
Uno aveva i capelli castano chiaro ricci, l’altro li aveva più scuri e lisci, anche se sembrava si fossero presi una lunga vacanza dal pettine. Mano a mano che si avvicinavano sentì per caso quello che si stavano dicendo.
“No Dan, devo almeno passare per casa prima, mia mamma altrimenti sarebbe capace di farmi storie… comunque buona l’idea di fare qualche scherzetto a…”
 
Babbani? Aveva detto davvero babbani? Chissà cosa voleva dire…
 
“Ma andiamo James!” protestò il riccio. “Hai vent’anni, davvero ti fanno storie se passi la notte fuori casa?”
“Eh… vai tu a capire come mai i miei sono così apprensivi… quasi quasi mi trasferisco da te, è ancora valida la tua proposta?”
Bastò un attimo: passandole accanto il ragazzo di nome James, quello con i capelli scuri, le urtò un braccio, probabilmente senza neanche rendersene conto.
Non sarebbe stato un problema se non fosse stato che il punto in cui l’aveva toccata aveva cominciato a pulsare in maniera insistente. Nel giro di pochi secondi si sentiva bruciare, cominciando a percepire quella sensazione sgradevole che precedeva ogni episodio di crisi.
 
Non era possibile, non era ancora l’ora!
 
Ma ormai sarebbe stato troppo tardi per fare qualsiasi cosa.
La borsa con le caramelle scivolò per terra rovesciando il suo contenuto sul vialetto del parco insieme alla borsa con i libri dell’università, seguita subito dopo dalla sua proprietaria.
Con la mente annebbiata dal dolore sempre più prepotente, distesa per terra sul freddo selciato, Elise non riusciva neanche a emettere un suono, a chiamare aiuto.
Le sembrò di sentire delle voci, come se venissero da molto lontano.
 
 
 
“James, accidenti, cosa le hai fatto?”
“Non dire cavolate Dan, io non ho fatto nulla…”
“Come no! Ti ho visto che le sei andato addosso. Era divertente l’idea di fare qualche scherzetto ai babbani, ma questo mi pare eccessivo!”
“Ma chiudi il becco: ti ho detto che non ho fatto niente!” “Guarda” aggiunse poi accovacciandosi di fianco alla ragazza e toccandola per vedere se rispondeva.
Nessuna reazione.
 
No, non poteva essere… era semplicemente impossibile. O qualcuno di stava prendendo gioco di lui o il caso aveva decisamente un pessimo senso dell’umorismo.
 
Eppure…
 
Le parole del Medimago Robbins gli rimbombarono nella mente: non si può mai sapere quando qualcuna di queste noiose nozioni potrebbe tornare utile…
 
Senza pensarci un attimo di più fece passare un braccio dietro la schiena della ragazza e l’altro sotto le sue gambe tirandola su.
“…cosa stai facendo?” gli domandò Daniel che non si stava perdendo neanche un movimento dell’amico.
“Dobbiamo subito portarla in ospedale, tu prendile la borsa: potrebbe esserci utile” rispose James cominciando a incamminarsi da dove erano venuti, la ragazza saldamente stretta tra le sue braccia. I violenti tremiti che la scuotevano sembravano aumentare sempre più e cominciava a scottare.
“Ehm… posso comprendere che tu non lo sappia, ma l’ospedale babbano è da quella parte…” gli fece notare Dan indicando la direzione opposta rispetto a dove stava andando James, la borsa della ragazza stretta in mano.
“Non l’ospedale babbano, idiota! Dobbiamo portarla al San Mungo al più presto. Non hai ancora capito? È una crisi da sovraccarico, non abbiamo molto tempo…”
 
Per fortuna che erano già nella zona del centro e che il San Mungo era proprio lì vicino, perché una delle poche cose che era riuscito ad ascoltare durante la lezione di quel pomeriggio era proprio che in caso di crisi bisognava intervenire al più presto: episodi del genere potevano addirittura portare alla morte della persona.
L’altra cosa che si ricordava era che quelle crisi erano dovute al fatto che al mago o alla strega in questione non venisse consentito di usare la magia per un lungo periodo di tempo: la magia non utilizzata si accumulava all’interno della persona e annualmente provocava una crisi per cercare di uscire. Più tempo passava e più le crisi diventavano gravi e potenzialmente pericolose.
 
Guardando la ragazza a occhio e croce avrebbe detto che più o meno avrebbe dovuto avere la sua stessa età: però si ricordava di non averla mai vista a Hogwarts, una ragazza così carina gli sarebbe sicuramente rimasta impressa…
Chissà per quale motivo gli era stato impedito di usare i suoi poteri.
 
Camminando a passo svelto osservò di nuovo quel viso contratto dal dolore e non potè fare a meno di sentirsi in colpa per non aver ascoltato l’ultima parte della lezione: avrebbe davvero voluto fare qualcosa per aiutarla e alleviare la sua condizione almeno durante il tragitto.
 
Per fortuna la vetrina del negozio abbandonato con i due manichini svestiti, entrata dell’ospedale dei maghi, era già in vista.
Non si curò neanche del fatto che qualche babbano avrebbe potuto vederlo o sentirlo: “James Potter. C’è un’emergenza per crisi da sovraccarico di magia, devo entrare subito!”
E senza attendere una risposta da parte del manichino entrò deciso nella vetrina passandoci attraverso, seguito a ruota da Daniel che nel frattempo si era presentato a sua volta.
 
 
Un isolato più indietro, in un parco deserto, una borsa della spesa piena di dolci rovesciata sul vialetto era l’unico segno che lì, solo qualche momento prima, fosse appena successo qualcosa.
 
 
 
~
 
 
 
“Dannazione, ce la siamo lasciata sfuggire!”
“Vedi di calmarti, non eravamo neanche sicuri che fosse lei quella giusta”
“Sì, ma lei non sarà per niente contenta quando lo verrà a sapere…”
“Oh, chiudi il becco. Non saremo riusciti a prenderla comunque. Maledetti Rigidi, sempre a immischiarsi in affari che non li riguardano!”
“Seguiamoli, non dobbiamo perderla di vista…”













Ecco, direi che adesso la storia è iniziata sul serio.
Lo so che c'è ancora poco, ma vedrete che pian piano le cose inizieranno ad avere un senso e una spiegazione (almeno spero).
Grazie a tutti quelli che dedicano il loro tempo per leggere
alla prossima settimana
E.

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Capitolo 4
*** 3. Introducing myself ***


3 – Mi presento ai tuoi
 
 
 
Lo stato di torpore sembrava finalmente cominciare a dissolversi.
Era come quando era piccola e la mattina di Natale andava nel lettone dei genitori mettendosi sotto i numerosi strati di coperte: mano a mano che Rupert tirava via una coperta dopo l’altra lentamente i suoni tornavano ad essere meno attutiti, finchè anche l’ultimo strato non veniva rimosso e lei tornava ad essere esposta alla luce e ai rumori della stanza.
Solo che quella volta sopra di lei non c’era nessuna coperta.
 
Era distesa su un letto, le lenzuola erano un po’ ruvide ma sapevano di pulito.
Non era il suo letto.
In modo molto confuso alcuni ricordi cominciarono a riaffiorarle nella mente: stava tornando a casa, stava attraversando il parco.
Poi per qualche strano motivo la sua crisi aveva deciso di farsi sentire in anticipo e così era svenuta direttamente su vialetto.
Aveva sentito delle voci, qualcuno che la tirava su prendendola in braccio e poi aveva definitivamente perso conoscenza, in balia del dolore bruciante che sembrava invadere ogni fibra del suo corpo.
L’oscurità tornò a circondarla mentre un’unica domanda le rimbombava nella mente: cosa mi sta succedendo?
 
 
 
***
 
 
 
“Potter! Ne hai stesa un’altra?” appena entrato uno dei maghi dell’accettazione l’aveva salutato facendo lo spiritoso. Ad un’esclamazione del genere avrebbe solitamente risposto a tono, ma non quella volta.
Il mago non ci mise infatti molto a notare la sua espressione preoccupata, oltre al fatto che stesse richiamando a gran voce un Medimago che fosse disponibile.
“Io sono disponibile! Cos’abbiamo qui?” il Medimago Robbins (proprio lui doveva essere di turno?) si affrettò in direzione di James appellando una barella in modo che potesse appoggiarvi la ragazza, ancora tremante.
Il ragazzo ci mise qualche secondo a capire che la domanda era rivolta a lui.
“Ehm… sì, certo… ecco… probabile crisi da sovraccarico di magia, signore…” disse abbassando la voce verso la fine della frase.
Il fatto non sfuggì al Medimago: “Probabile?” tuonò infatti. “Potter, abbiamo affrontato questo argomento a lezione, non più di mezz’ora fa, e mi viene a dire che non è capace di…”
“Mi scusi signore, ma credo che al momento le sue condizioni siano più importanti del fatto che io abbia seguito o meno le sue lezioni!” lo interruppe James indicando la ragazza sul lettino lì davanti.
“Molto bene Potter, così mi piace, focus su paziente!” replicò il Medimago lasciando il ragazzo momentaneamente disorientato.
“Allora…” continuò poi. “Chi è questa fanciulla? Una tua vecchia conoscenza per caso?” domandò il mago mentre cominciava a spingere la barella verso il reparto dedicato agli shock e alle emergenze.
“No, temo proprio di no” rispose lui, senza sapere che invece sì, lo era, e anche molto più vecchia di quanto potesse pensare…
Strappò di mano a Dan la borsa della ragazza e si affrettò a seguire il Medimago cominciando a frugarci dentro.
“Niente bacchetta…” commentò dopo qualche istante di ricerca. “A meno che non ce l’abbia addosso… però ho trovato questo” e sventolò in aria il documento di identità della ragazza.
“Si chiama Elizabeth Charlotte Starlet… non mi sembra un cognome conosciuto, che sia…” lasciò la frase in sospeso, stupito.
Se quella ragazza era una nata babbana a cui nessuno aveva mai spiegato di essere una strega stava rischiando non poco.
 
“Cosa si fa adesso?” domandò infine, eccitato all’idea di poter assistere a qualche procedura anche se non era in turno di tirocinio.
“Tu non fai proprio niente” esclamò ridendo Robbins fermandosi davanti alla porta del reparto, spalancandola con un colpo di bacchetta.
In pochi secondi un altro Medimago e un paio di Guaritori accorsero portandosi via barella e ragazza.
“Di qui in avanti ce no occupiamo noi. Se proprio vuoi renderti utile cerca di rintracciare i genitori della ragazza, se ne ha, spiega loro la situazione e portali qui. Anche la relazione con la famiglia del paziente è un aspetto importante sai?” concluse quasi prendendolo in giro, e senza aggiungere altro sparì dietro la porta lasciando James a bocca aperta con la borsa della ragazza in una mano e la carta d’identità nell’altra.
 
Ma cosa si aspettava? Che piombasse da questi Starlet dicendo: “Scusate, ma sembrerebbe che vostra figlia sia una strega, e siccome rischia di morire l’ho portata al nostro ospedale, sapete, quello dei maghi…”
Che poi manco sapeva se la ragazza ce li avesse ancora, i genitori, e come avrebbe fatto a rintracciarli?
 
“Serve aiuto?” una voce femminile lo fece sobbalzare, distogliendolo dai suoi pensieri.
Una guaritrice dall’aria gentile e disponibile era appena uscita dal reparto tenendo in mano un librone da far invidia ad alcuni tomi della biblioteca della sua vecchia scuola.
“Il Medimago Robbins mi ha detto che forse ti serviva una mano per rintracciare una famiglia babbana. Puoi usare questo” e gli tese il libro.
Sulla copertina c’era scritto: Elenco Telefonico.
“Ogni tanto capita che in qualche incidente restino coinvolti dei babbani e il più delle volte riusciamo a rintracciare le famiglie proprio con quello. Dentro ci sono anche gli indirizzi sai?”
James annuì e fece per ringraziarla, ma la Guaritrice era già sparita.
 
Appoggiandosi sul primo ripiano libero che riuscì a trovare il ragazzo aprì l’elenco, cercò la lettera S e cominciò la sua ricerca.
Finalmente trovò il cognome che stava cercando: Starlet.
Ce n’erano due.
Confrontò gli indirizzi: uno segnava una via dalla parte opposta delle città, mentre l’altro indicava un posto abbastanza vicino. Pensando poi a doveva aveva trovato la ragazza sicuramente il secondo era l’indirizzo più plausibile.
Lo rilesse un altro paio di volte per memorizzarlo, chiuse l’elenco telefonico, prese in mano la bacchetta, fece un respiro profondo e si smaterializzò.
 
Riapparve esattamente davanti a quello che, evidentemente, era il palazzo segnato sull’elenco.
Salì i pochi gradini che lo separavano dalla porta d’ingresso e si fermò.
La porta era chiusa.
Stava giusto per sfoderare di nuovo la bacchetta quando dall’interno un uomo vestito piuttosto elegantemente la spalancò.
“Le serve qualcosa giovanotto?”
“Cosa? Io… no… anzi, sì!” balbettò il ragazzo preso alla sprovvista.
“Sì… io sono un compagno di… ehm… scuola di Elizabeth, e lei ha dimenticato la sua borsa, glie l’ho riportata…” disse cercando di apparire credibile, sollevando la borsa in questione che aveva avuto la prontezza di portarsi dietro.
Il portiere alzò un sopracciglio: “Sta per caso parlando della signorina Elise Starlet?” domandò.
Il cuore di James mancò un battito: e come poteva sapere lui che la ragazza si faceva chiamare solo Elise?
 
Elise… quel nome però non gli era nuovo, non del tutto…
 
“Sì, proprio lei” confermò flebile.
“Be’, la signorina Elise non è ancora tornata a casa, mi dispiace. Se vuole può lasciare la borsa a me: provvederò io a ridargliela non appena rientra”.
Ecco, e adesso?
Senza neanche sapere lui cosa stesse facendo tirò fuori la bacchetta e colpì l’uomo con un incantesimo Confundus: “Non hai visto nessuno, io qua non ci sono mai stato, d’accordo?” stabilì approfittando dello stordimento dell’uomo.
“Oh… e a che piano abitano gli Starlet?”
“Ultimo”
 
E te pareva…
 
 
 
Fu abbastanza stupido da ricordarsi solo quando era ormai arrivato a destinazione che avrebbe potuto comodamente smaterializzarsi al posto di farsi tutte le scale di corsa.
Quando ebbe finito di riprendere fiato notò che, al contrario dei piani sottostanti, quel pianerottolo ospitava una sola porta d’ingresso: evidentemente l’appartamento degli Starlet occupava, da solo, il piano intero.
Cercò di ricomporsi pensando a cosa dire una volta che avesse suonato il campanello e che la porta di fosse aperta.
Vuoto totale.
Pazienza, avrebbe improvvisato.
 
 
DIRIIN – DRIIIN
 
 
Due suonate decise.
Dall’altra parte si sentirono dei passi frettolosi e dopo pochi secondi la porta si aprì.
“Elise, tesoro, finalmente! Stavamo cominciando a preoccupa…”
Una signora dai capelli castani e l’aspetto molto curato smise bruscamente di parlare non appena si rese conto che la persona ferma sull’uscio di casa non era sua figlia.
James cercò di sorridere: “Buonasera signora Starlet. Elizab… voglio dire, Elise è in casa? Ha dimenticato la sua borsa…”
Perché cavolo non la smetteva con quella farsa e non andava dritto al dunque? Pensò mentre la signora lo scrutava dalla testa ai piedi.
“E tu saresti un suo compagno di corso?” domandò lei diffidente.
Il ragazzo non fece in tempo a rispondere, interrotto da un’altra voce, maschile, che si avvicinava da una stanza adiacente.
“Tesoro hanno suonato alla porta… è tornata? Hai visto che ore sono? Non vorrei mai che…” ma anche l’uomo si interruppe non appena vide James impalato sulla porta di casa.
“E tu chi sei?”
“Un compagno di corso di Elise…” cominciò la signora, ma James scosse la testa.
“No, direi proprio di no…”
Diana aprì la bocca inorridita: “Cos’hai fatto a mia figlia…!!” gli urlò contro.
“Signora, la prego, mi lasci spiegare…”
“Su Diana, lascia parlare il ragazzo”
 
“Grazie… forse è meglio sei vi sedete…”
I due ubbidirono guardandosi allarmati, prendendo poi posto sul divano del salotto.
James entrò chiudendosi la porta alle spalle.
 
E così raccontò ai due di come lui e la ragazza stessero attraversando il parco, che Elise ad un certo punto aveva perso i sensi e che lui alla fine l’aveva portata di corsa in ospedale.
“Il Saint Mary’s?” esclamò la signora Starlet, e senza attendere una risposta si precipitò fuori dal salotto per andare a prendere borsa e cappotto.
“Tanto non le troveranno niente neanche stavolta…” fu il commento amaro che arrivò attutito dalla camera da letto.
Da parte sua Rupert stava ancora studiando James: “Che cosa devi ancora dirci ragazzo?”
“Signor Starlet… vostra figlia non è al San Mary, o come si chiama. Al momento è nel reparto d’emergenza del San Mungo, l’ospedale per le ferite e malattie magiche” fece una pausa per vedere che effetto avrebbero sortito le sue parole, ma riprese quasi subito.
 
“Evidentemente vostra figlia è una strega e non l’ha mai saputo: ha avuto una di quelle che noi chiamiamo crisi da sovraccarico: succede quando a un mago o a una strega viene impedito di usare i propri poteri per un lungo tempo. Più è lungo il periodo, più la crisi è grave; e più la crisi è grave… meno sono le possibilità di farcela” concluse.
“Per otto anni… per otto anni ha avuto questi episodi e non siamo mai riusciti a capire cosa avesse…” la signora Starlet era tornata nel salotto e aveva sentito tutto. Era sul punto di scoppiare in lacrime.
“Possiamo vederla?” domandò più concretamente il marito.
“Certo. L’ospedale è nella Mall Street, vi accompagno”.













Lo so, lo so, lo so
capitolo completamente di passaggio. 
Mi dispiace se all'inizio la storia sembra così lenta, ma poi prometto che andando avanti migliora, giuro.
L'unica nota che ho da fare riguarda la crisi da sovraccarico, che mi sono ovviamente inventata.
Ringrazio comunque tutti coloro che sono arrivati a leggere fino a qui, grazie!
A lunedì prossimo 
E.

 

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Capitolo 5
*** 4. Detention?! ***


4 – In Punizione?!
 
 
 
Dove. Sei. Stato?”
 
Quando quella notte, o meglio, quella mattina presto, era tornato a casa l’accoglienza era stata esattamente come si era aspettato: non aveva neanche fatto in tempo a richiudersi la porta d’ingresso alle spalle che la luce del corridoio si era già accesa –accecandolo momentaneamente- mentre la voce di Ginny Weasley in Potter aveva cominciato con una interminabile ramanzina degna di quelle che, come raccontava più volte zio Ron, faceva una volta nonna Molly.
In effetti sua madre non gli era mai sembrata così minacciosa, nemmeno come quella volta di tanti anni prima quando era salito sulla sua scopa di nascosto, era caduto fratturandosi il braccio, e le aveva pure prese.
La sua figura tonica e snella, seppur avvolta da una vestaglia a pois rosa, incombeva su di lui bloccandogli l’accesso alle scale che lo avrebbero portato in salvo in camera sua, al piano di sopra.
Aveva forse ingenuamente sperato di riuscire ad arrivare a casa senza che nessuno si accorgesse di niente, ma sapeva che sarebbe stato chiedere troppo.
 
“Ti sembra questa l’ora di tornare? Avevamo detto massimo per mezzanotte, hai visto che ore sono? Sono quasi le tre!”
L’idea che sua madre lo avesse aspettato alzata fino a quel momento non era poi così improbabile.
“… potevi almeno mandare un Patronus per avvisare!”
In effetti non aveva tutti i torti, ma con tutto quello che era successo a partire dalla sera prima si era ricordato di sua madre che probabilmente lo stava aspettando quando ormai era troppo tardi e stava già tornando a casa.
“Mamma calmati! Sto bene, non serve essere così apprensivi… Ho vent’anni ormai!” cercò di difendersi e di sdrammatizzare James.
“Lo sai bene che finchè abiterai sotto questo tetto ci sono delle regole da rispettare!”
 
Ecco, di nuovo quella storia.
 
Probabilmente avrebbe davvero dovuto decidersi a trasferirsi da Dan, almeno non avrebbe più dovuto rendere conto a nessuno se rientrava a casa più tardi o senza avvertire.
“Mi lasci almeno spiegare perché ho fatto tardi o sono condannato già in partenza?” commentò alla fine James dopo un attimo di silenzio, consapevole che alla fine sua madre avrebbe comunque preteso una spiegazione.
“Sentiamo…” lo incitò lei, le sopracciglia ancora inarcate nel suo tipico sguardo di quando era arrabbiata.
Si vedeva lontano un miglio che non pensava che il figlio avesse una buona scusa per quel mostruoso ritardo.
 
Dopo aver cercato le parole per cominciare James iniziò a raccontare quello che era successo partendo dal principio: come aveva trovato una ragazza la sera prima al parco alla fine delle lezioni, il fatto che fosse svenuta sotto i suoi occhi senza un apparente motivo e di come alla fine avesse capito cosa potesse avere e l’aveva portata di corsa al San Mungo dimenticandosi di qualsiasi altra cosa: i piani che lui e Dan avevano fatto per la serata, Dan stesso… l’aveva mollato alla hall dell’ospedale e non si era più ricordato di averlo abbandonato…
 
Perfetto, ora si sarebbe dovuto scusare anche con lui!
 
Raccontò ad una sempre più stupita signora Potter di come si era ritrovato a suonare alla porta di casa dei genitori babbani di quella ragazza, la sua difficoltà nel riuscire a trovare il coraggio per confessare loro che la figlia era in realtà una strega e non lo aveva mai saputo ed era per quello che era stata male e al momento si trovava all’ospedale.
 
 
 
 
*Flashback*
 
Il viaggio in macchina da casa Starlet al San Mungo era stato caratterizzato da un lungo silenzio imbarazzante, rotto di tanto in tanto dal rumore dei singhiozzi della madre della ragazza che ancora non riusciva a capacitarsi del fatto che la sua ‘bambina’ fosse speciale e lei non se ne fosse mai accorta.
Quando erano finalmente arrivati all’ospedale James aveva ardentemente sperato che i Medimaghi avessero già finito con la ragazza, in modo che i genitori potessero vederla subito e tranquillizzarsi.
Purtroppo però le sue speranze erano state infrante nel momento in cui, dopo aver fatto capolino con la testa all’interno del reparto chiamando a gran voce qualcuno che potesse sapergli dire qualcosa, la stessa Guaritrice che non molto tempo prima gli aveva dato l’elenco telefonico per cercare l’indirizzo degli Starlet gli era andata incontro scura in volto, bisbigliandogli poi sottovoce che il Medimago Robbins e l’equipe erano ancora in sala con la ragazza, che la situazione era più grave di quanto avessero preventivato, e che non sapevano dire per quanto ancora ne avrebbero avuto.
James aveva ripetuto quanto gli era stato riferito con più tatto possibile, ma gli Starlet erano babbani, non stupidi: magari non avevano capito bene cosa fosse davvero successo alla figlia, ma avevano compreso fin troppo bene che la situazione era grave.
 
A quel punto, se fosse stato per lui, se ne sarebbe anche tornato a casa: cos’altro avrebbe potuto fare poi?
Un ulteriore sguardo ai due coniugi, così preoccupati e intimoriti per tutto quello che era successo, l’aveva però fatto desistere.
Era riuscito a farli accettare di prendere un caffè, e poi si era offerto di rispondere –se ne fosse stato in grado- a qualsiasi domanda o dubbio avessero avuto.
Di certo non si sarebbe aspettato di ritrovarsi a fare una lezione anche abbastanza completa su quello che era il mondo della magia, le regole, l’organizzazione, come funzionavano le cose per i giovani maghi e streghe, le bacchette magiche, Hogwarts…
 
Diverse ore più tardi aveva appena finito di spiegare quello che presumibilmente era successo alla figlia quando la porta del reparto si era aperta di nuovo, lasciando uscire un Medimago Robbins dal visto stravolto e solo parzialmente soddisfatto.
Sembrava sorpreso di trovare il ragazzo ancora lì, ma non disse niente al riguardo.
Scrutò per un attimo gli Starlet, cominciando subito dopo a spiegare loro la situazione della figlia.
Al momento la ragazza era stabile, ma l’accumulo di magia che aveva portato a quell’ultima crisi era stato particolarmente ingente, tanto che avrebbe potuto addirittura riportare danni permanenti.
Danni che però, purtroppo, sarebbero stati manifesti solo nel momento in cui la ragazza si fosse svegliata, se ce l’avesse fatta.
 
A quel punto gli Starlet avevano ringraziato James per il suo tempo, e avevano seguito il Medimago dentro al reparto per raggiungere la stanza della figlia.
A James non era rimasto altro da fare se non tornare finalmente a casa, rendendosi conto solo in quel momento quanto fosse tardi.
 
*Fine Flashback*
 
 
 
Come James ebbe finito di parlare il silenzio tornò a regnare nell’ingresso della casa.
La signora Potter era rimasta davvero colpita dalla spiegazione che il figlio le aveva fornito: innanzitutto era più verosimile di quelle che cercava di rifilarle di solito, e poi era lieta che non fosse rimasto in giro per locali fino a quell’ora insieme alle sue solite compagnie poco raccomandabili, come aveva pensato fino ad un attimo prima.
 
Vedendo l’espressione meno arrabbiata sul volto della madre James tornò a respirare normalmente, pensando che forse, per quella volta, si sarebbe risparmiato l’epica punizione che di sicuro la signora Potter aveva già in mente.
 
Ma ovviamente sua madre la pensava diversamente.
 
“Della tua punizione vogliamo discuterne adesso già che ci siamo o preferisci domani mattina?”
 
James, che nel frattempo era arrivato a metà della rampa di scale si pietrificò all’istante, la bocca spalancata.
“Punizione? Mamma, andiamo! Ho vent’anni, non sono più un bambino…!”
“Però ti comporti come se lo fossi, James. Non puoi pensare di stare fuori tutta la notte senza avvertire. Hai idea di quanto mi sia preoccupata?”
“Va bene, ho capito, ma non è successo niente…”
“Un mese direi che dovrebbe essere sufficiente…” continuò lei come se il figlio non avesse parlato.
“Un mese…?”
“Solo lezioni, tirocinio e casa. Niente uscite con Daniel o con i ragazzi, niente Quiddich… sono stata chiara?”
“Ma…” probabilmente se non si fosse tenuto al corrimano sarebbe caduto dalle scale.
“Niente ma James. Che ti serva da lezione, così magari la prossima volta presterai più attenzione a quello che fai” ribattè la signora Potter in tono che non ammetteva repliche.
“Non c’è bisogno che ti spieghi il motivo, vero?” continuò poi assumendo ad un tratto un tono più preoccupato. “Come non devo spiegarti perché tuo padre è sempre fuori per lavoro, anche di notte…”
 
 
A quelle parole James smise di cercare di protestare e abbassò il capo.
Sempre più spesso suo padre, il capo del dipartimento degli Auror, veniva chiamato in servizio anche alle ore più improbabili per quello che sembrava essere un nuovo movimento creatosi nell’ultimo periodo e che nonostante tutto creava non pochi grattacapi.
 
C’erano state misteriose sparizioni: maghi che tornando dal lavoro non arrivavano mai a casa e di cui si perdevano completamente le tracce; l’unico segno rimasto la loro bacchetta spezzata rinvenuta nel presunto luogo della sparizione.
 
Quando poi si era scoperto che tutte quelle persone erano Indicibili, che cioè lavoravano nell’Ufficio Misteri del Ministero della Magia, si era quasi sfiorato lo scandalo.
Dopo gli Indicibili però anche altre persone, apparentemente scelte a caso, avevano cominciato a sparire, e un po’ tutti non potevano fare a meno di domandarsi chi sarebbe stato il prossimo e soprattutto perché.
 
Il tutto aveva poi assunto un risvolto ancora più strano agli occhi delle persone e di chi indagava: in quanto accanto alla bacchetta spezzata di alcuni dei maghi che erano stati rapiti era stato trovato un pezzo di pergamena con scritta la parola Puro.
 
Si era alla fine convenuto che quel biglietto fosse una sorta di firma di quell’organizzazione, la parola scritta in corsivo con quella calligrafia stretta e sottile il loro nome.
Però non si riusciva a capire come mai delle persone che si definivano pure andassero in giro a rapire gente lasciandosi alle spalle una scia di bacchette spezzate.
 
La cosa non aveva senso.
 
 
Ovviamente alla signora Potter non poteva interessare di meno il senso della faccenda, ma non avrebbe mai rischiato di dover leggere sulla prima pagina della Gazzetta del Profeta che nella notte era stati rinvenuta la bacchetta rigorosamente spezzata a metà di qualcuno a lei caro.
Questo James lo sapeva bene, e per questo si rimproverò mentalmente di non aver avvisato la madre che stava bene.
In effetti la punizione se l’era meritata, anche se… accidenti, un mese…!
Sapeva benissimo che non avrebbe avuto senso cercare di ritrattare, non ce l’avrebbe mai fatta a spuntarla con sua madre, perciò borbottò qualche ultima scusa per poi finire di salire le scale e chiudersi finalmente in camera.
 
Dopo un po’ sentì i passi di sua madre che si dirigeva a sua volta verso la camera matrimoniale.
 
Prima di addormentarsi James non potè fare a meno di pensare tra sé e sé che quella era stata la notte di Halloween più strana e lunga che avesse mai passato.













Ecco, iniziamo a spiegare un po' il contesto della storia.
Lo so che probabilmente anche questo capitolo non vi sembrerà un granchè come contenuto, ma prometto che nel prossimo inizierà finalmente a succedere qualcosa.
Come sempre grazie a chi legge e mette la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
A lunedì prossimo
E.

 

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Capitolo 6
*** 5. Lucky girl ***


5 – Ragazza fortunata
 
 
 
Aprì gli occhi di colpo, richiudendoli all’istante in risposta alla forte luce che c’era nella stanza.
Provò di nuovo, più lentamente, facendo abituare un occhio alla volta finchè finalmente non riuscì a tenerli tutti e due bene aperti.
 
Si trovava in una stanza singola d’ospedale, ordinata e asettica, dall’arredamento essenziale e bianco; un quadro vuoto con una cornice dorata appeso alla parete di fronte a lei era l’unico elemento d’arredo.
Sulla parete alla sua sinistra una finestra lasciava entrare la forte luce del sole: sembrava proprio una bella giornata.
Dedicò qualche istante per esaminarsi: era distesa su un letto dalle lenzuola candide e fresche, la schiena sorretta da tre morbidi cuscini.
Indosso aveva una camicia da notte, bianca anche quella.
Si scoprì le braccia e notò con sua grande sorpresa che erano libere: niente aghi, niente flebo.
 
In che ospedale era capitata?
 
Trovare un accesso venoso era ovunque la procedura standard per ogni paziente che accedeva ad un reparto… le fece notare una parte di sé mentre ricordava quanto imparato durante lezioni e tirocini in ospedale.
 
Decise di lasciar perdere per il momento, e il suo sguardo cadde sul comodino e sulla sedia di fianco al letto.
La sua borsa!
Sporgendosi, cercando di non ribaltarsi, riuscì a raggiungerla e ad appoggiarsela sulle gambe.
Si fermò: quel semplice movimento le aveva causato delle leggere vertigini, probabilmente strascico della crisi che aveva avuto… quando?
La sera prima? Due sere prima?
Quanto tempo era passato?
E i suoi genitori? Doveva avvisarli!
Aprì la borsa e cominciò a frugare all’interno in cerca del cellulare.
Che strano: era spento.
Lo accese, ma lo schermo venne invaso da uno sfarfallio di pixel e tornò nero.
 
“Dubito che riuscirai a far funzionare quell’aggeggio qui dentro, mia cara”
Una voce di donna, per quanto dolce e gentile, la fece sobbalzare: che strano, nella stanza non c’era nessuno e la porta era ancora chiusa.
“Oh, non serve che ti guardi tanto in giro mia cara, sono proprio qui di fronte a te” continuò la voce in risposta alla confusione della ragazza.
 
E poi la vide.
 
La sua voce gentile era perfettamente in sintonia con i tratti delicati del viso, i lunghi boccoli biondi e gli occhi dolci e azzurri.
Era proprio una bella donna.
 
Ed era un dipinto.
 
Aveva appena sentito parlare la donna ritratta nel quadro appeso alla parete davanti al suo letto…
Quadro che fino a qualche secondo prima –avrebbe potuto giurarlo su qualsiasi cosa- era vuoto.
Incapace di spiccare parola Elise rimase a bocca aperta, fissando con occhi sgranati la figura del dipinto mentre si sistemava il vestito.
L’unico pensiero coerente che riuscì a farsi strada nella sua mente fu: ma i quadri non si muovono, né tanto meno parlano!
 
Probabilmente cadendo doveva aver battuto la testa, e quella strana allucinazione ne era il risultato.
 
Un rumore la distrasse dai suoi ragionamenti: la porta si era aperta lasciando vedere sulla soglia un ragazzo e un uomo piuttosto imponente.
Se la memoria non la ingannava il ragazzo era lo stesso di quella sera…
Fu lui il primo ad entrare nella stanza e a parlare: “Non cedo che riuscirai a farlo funzionare qui dentro… è come a scuola: qualsiasi congegno babbano impazzisce e smette di funzionare…” commentò con un sorriso indicando con un cenno il telefono che Elise aveva ancora stretto in mano.
 
Ovviamente lei non aveva capito di cosa stesse parlando.
 
“È quello che le ho detto io poco fa” rincarò la donna nel dipinto annuendo con aria solenne.
“Ok, basta così. Non confondetela più di quanto non sia già” si intromise a quel punto l’uomo entrando a sua volta nella stanza.
“Grazie per averla tenuta d’occhio Dilys, e per avermi avvisato che si era svegliata”
La donna annuì congedandosi e dopo qualche secondo sparì dal quadro.
Intanto l’uomo aveva superato il ragazzo e si era fermato di fianco al letto della ragazza.
“Allora, bentornata tra noi! Come ti senti?” le domandò.
 
Mmm… come si sentiva? Non lo sapeva neanche lei.
Elise rabbrividì al pensiero dell’unica cosa che si ricordava di quell’ultima crisi: il dolore.
Quella volta si era davvero sentita come ustionata da un’invisibile scarica di corrente elettrica che l’aveva violentemente attraversata da capo a piedi, aumentando di intensità attimo dopo attimo e senza dar segno di voler smettere.
C’era stato un momento in cui avrebbe dato qualsiasi cosa pur di far smettere quella tortura.
“Dove sono?” domandò alla fine invece di rispondere.
“Potter per favore, vai a chiamare gli Starlet: li avevo fatti accompagnare da Nancy giù al bar a prendere un caffè…”
Il ragazzo ubbidì capendo che non era il momento per mettersi a discutere.
Intanto il Medimago aveva preso posto sulla sedia di fianco al letto della ragazza: “Elise, io sono il Medimago Robbins, e tu al momento ti torvi al San Mungo, l’ospedale per le malattie e ferite magiche” disse con voce calma e rassicurante.
Nonostante tutto Elise non potè impedirsi di rimanere piuttosto perplessa.
 
Medimago? San Mungo? Ferite e malattie magiche?
 
Adesso era sicura: lei aveva battuto la testa, ed evidentemente anche piuttosto forte.
 
Il mago sembrò percepire la confusione della ragazza e le lasciò quindi qualche altro istante per elaborare le informazioni appena ricevute prima di passare alla ‘roba grossa’.
“E quindi io cosa ci faccio qui?” domandò Elise più lucidamente di quanto l’uomo si aspettasse.
“Cos’è successo?”
“Mia cara, quattro giorni fa hai avuto uno grave crisi da sovraccarico…”
“Quattro giorni? Ho dormito quattro giorni??”
“Sì e meno male che ti sei svegliata: stavamo cominciando a pensare che forse non ce l’avresti fatta…” spiegò lui senza mostrarsi infastidito dall’interruzione.
Adesso la ragazza sembrava spaventata: “Scusi se l’ho interrotta continui pure” disse, suo malgrado curiosa di sapere finalmente cosa le fosse successo.
“Non devi scusarti, hai tutti il diritto di essere confusa, puoi interrompermi quando vuoi…”
“Crisi come quella che hai avuto tu sono molto rare e accadono quando a un mago o ad una strega viene impedito di usare i propri poteri per lungo tempo. E con lungo tempo intendo anni” spiegò.
Elise era a bocca aperta: “Quindi io sarei… sarei una…”
“Tu sei una strega Elise, sì. E per questo prima che arrivino devo chiedertelo: per caso i tuoi genitori ti hanno impedito di frequentare Hogwarts? Perché ogni mago ci è iscritto dalla nascita, è molto strano che tu non abbia ricevuto la lettera come succede di solito. Non ti è mai capitato di far accadere qualcosa di strano, magari quando eri arrabbiata o molto felice, o anche annoiata…?”
“No… io non credo…. Cos’è Hogwarts? Perché non avrebbero voluto mandarmi?” rispose lei confusa da tutte quelle strambe domande.
 
Il Medimago annuì sospirando: quella ragazza si stava rivelando un mistero ogni minuto di più.
Ovviamente aveva già parlato con i genitori, i quali gli avevano assicurato che mai nessuna misteriosa busta in pergamena, scritta con inchiostro smeraldino e sigillata con della ceralacca era mai arrivata a casa loro.
Avevano anche giurato di essere assolutamente sicuri di non aver mai notato nessuno strano comportamento da parte di Elise, come per esempio far volare oggetti o cambiare colore alle cose.
Se poi si aggiungeva il fatto che la ragazza era stata adottata… sarebbe stato impossibile dire da dove venissero i suoi poteri: evidentemente i suoi genitori erano dei maghi, anche se nemmeno quello era sicuro. Ormai c’erano più Nati Babbani che Purosangue!
 
Stava per rispondere alla ragazza spiegandole cosa fosse Hogwarts, ma venne interrotto ancor prima di cominciare.
“Elise, tesoro! Finalmente!”
“Non sai quanto eravamo preoccupati!”
I signori Starlet entrarono nella stanza catapultandosi ad abbracciare la figlia con le lacrime agli occhi.
Il Medimago uscì silenziosamente dalla stanza per lasciarli soli.
 
Aveva avuto modo di parlare a lungo con loro, nell’attesa che Elise si risvegliasse, e ne aveva approfittato per spiegargli le cose più importanti di quel mondo di cui la ragazza avrebbe dovuto far parte da sempre, approfondendo le informazioni che James aveva già avuto occasione di fornire.
Fortunatamente, nonostante la condizione precaria della figlia, gli Starlet si erano mostrati fin da subito desiderosi di conoscere tutto ciò che c’era da sapere al riguardo, e si erano persino offerti di parlare loro con Elise, in modo da rendere le novità meno traumatiche possibile.
Erano babbani, ma avevano preso straordinariamente bene il fatto che la loro figlia –seppur adottiva- fosse una strega.
 
Di certo la ragazza poteva considerarsi davvero fortunata ad aver trovato due persone così come genitori.
 
 
 
***
 
 
 
“Sono quasi cinque giorni che siamo appostati qui e ancora non è successo niente”
“Hai sentito cos’ha detto: non dobbiamo muoverci di qui finchè non esce!”
“E come fa ad essere sicura che uscirà? Ma l’hai vista la parco? La crisi che ha avuto… dai retta a me, quella lì c’è rimasta secca, e noi faremo la sua stessa fine non appena andremo a riferirglielo…”
“Taci! La conosco, è più forte di quanto pensi, ce la farà sicuramente. Ma se sei stufo sei libero di andartene…”
“E darle un altro motivo per farmi fuori? No grazie…”
“Zitto… arriva qualcuno…!”
 

 
“Bene, ma guarda un po’ chi si rivede…”
“Io non sfotterei tanto, ho delle novità…”
“Parla…”













Salve!
In realtà mi sono sbagliata, avevo promesso che sarebbe successo qualcosa ma mi ero dimenticata che prima c'era questo capitolo di mezzo... ops
Spero almeno che l'ultimo pezzettino vi abbia incuriosito almeno un pochino... :)
Come sempre grazie a tutti quelli che leggono e seguono la storia. Guardate che se lasciate recensioni non mordo mica! Anzi: pareri, critiche e suggerimenti sono sempre ben accetti.
Alla prossima settimana
E.

 

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Capitolo 7
*** 6. Wrong ***


6 – Sbagliata
 
 
 
Finalmente poteva uscire.
Alla fine era passata una settimana da quando era stata ricoverata e non vedeva l’ora di poter tornare a casa.
 
Quando quella mattina il Medimago Robbins era venuto ad annunciarle che finalmente la dimettevano si sarebbe messa a ballare per la gioia: era stufa di stare tutto il giorno in quella stanza d’ospedale.
Se non altro la compagnia non le era mancata troppo.
Il Medimago passava spesso e volentieri a fare due chiacchiere con lei e a chiederle come stava, e i suoi genitori, nonostante avessero ripreso a lavorare dopo essersi assicurati che non avrebbe avuto nessuna ricaduta, passavano a trovarla il più spesso possibile.
Anche Nancy, un’infermiera, anzi, Guaritrice molto disponibile si era data da fare affinchè non si annoiasse troppo.
Era stata lei insieme al ragazzo, James, che aveva pazientemente cominciato a spiegarle come sarebbero andate le cose da quel momento in poi, chi era veramente e cosa sarebbe stata in grado di fare.
Ed Elise non era riuscita a fare altro se non ascoltarli, incantata da tutte quelle novità che parevano quasi irreali.
Lei, Elizabeth Charlotte Starlet, era una strega: sarebbe stata capace di compiere magie e incantesimi, preparare pozioni, forse volare su un manico di scopa, materializzarsi da un posto a un altro e, dulcis in fundo, avrebbe avuto una vera bacchetta magica tutta sua.
 
Non avrebbe potuto frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts perché ormai non ne aveva più l’età, ma James l’aveva subito rassicurata che sua zia, una certa Hermione, sarebbe sicuramente stata entusiasta di insegnarle i fondamenti, aggiungendo poi che anche lui l’avrebbe aiutata.
 
 
Ovviamente in quei giorni aveva anche avuto occasione di conoscere meglio il ragazzo che l’aveva salvata: il suo nome completo era James Sirius Potter.
Nome piuttosto ingombrante, soprattutto il cognome, visto che era figlio nientemeno che di Harry Potter, il Salvatore della seconda guerra magica.
Aveva un fratello, Albus, di un anno più piccolo, e una sorella che invece stava ancora frequentando l’ultimo anno di scuola.
La cosa che però l’aveva colpita di più era stato scoprire che James stesse studiando per diventare Guaritore, che alla fine dei conti era il corrispondente magico del più babbano infermiere.
Chissà, forse dopo aver studiato anche lei sarebbe potuta diventare una Guaritrice…
 
 
 
Era tutto pronto: le cose che i suoi genitori le avevano portato in quei giorni erano state stipate dentro un borsone e finalmente si era potuta togliere la camicia da notte a favore di jeans e maglietta.
Il Medimago Robbins aveva accompagnato lei e i suoi genitori fino alla hall prima di salutarla e tornare indietro al suo reparto.
James la stava aspettando vicino all’uscita con un sorriso stampato in volto.
“Allora, sei pronta?” le domandò.
“Lo puoi dire forte! Non vedo davvero l’ora di tornare a casa” rispose lei ricambiando il sorriso. “E comunque grazie di tutto, se non fosse stato per te…”
“Non serve che mi ringrazi” la interruppe lui notando il suo imbarazzo. “E poi non mi stavo riferendo al tornare a casa, non ancora…”
“Ah no?”
“No no. Non ho chiesto a mia madre di fare un’eccezione per la punizione solo per venire a salutarti…”
“Di che punizione stai parlando?”
“Lascia perdere, ti racconterò un’altra volta. Stavo dicendo… sei una strega, e ogni strega che si rispetti deve avere una bacchetta… Credo proprio che sia arrivato il momento di procurartene una: non vorrai mica continuare ad avere quelle crisi, no? Così quando avremo fatto potrò già insegnarti un paio di incantesimi semplici, così ti potrai già allenare…”
“…e nel caso non l’avessi capito sono stato incaricato di accompagnarti” aggiunse infine sorridendo ancora di più.
“Allora cosa stiamo aspettando?” esclamò lei entusiasta, gli occhi che le brillavano. “Andiamo!”
 
 
 
Uscirono dal San Mungo (“Non ci posso credere! Tutte le volte che sono passata davanti a questa vetrina e non mi sono mai accorta di nulla!”) e James cominciò a fare strada lungo la via affollata.
Era un bel pomeriggio e nonostante fosse ormai novembre il sole splendeva alto nel cielo quasi dimentico che a Londra giornate del genere erano più uniche che rare, soprattutto in quella stagione.
“E davvero si può trovare tutto a Londra?” domandò Elise alla fine della spiegazione di James riguardo il materiale che solitamente era richiesto per la scuola.
“Sì, se uno sa dove andare…” fu la sua misteriosa risposta.
 
Dopodichè trascinò gli Starlet dentro un locale: Elise fece appena in tempo a scorgere la sua insegna scura, Il Paiolo Magico, che già la porta si era chiusa alle sue spalle lasciando fuori il sole e la bella giornata.
Dentro l’ambiente era piuttosto tetro, ma la ragazza lasciò da parte le sue riflessioni per seguire James che era quasi già dall’altra parte della stanza.
Gli Starlet si affrettarono ad andargli dietro ignorando le occhiate incuriosite che i presenti gli avevano riservato al loro passaggio.
Uscirono dal pub da una porta sul retro e si ritrovarono in un piccolo cortiletto circondato da un solido muro di mattoni.
James sfoderò la bacchetta e fece segno ad Elise di avvicinarsi.
“Guarda anche tu, così la prossima volta saprai già come fare” le disse.
 
Elise annuì non poco dubbiosa: fare cosa?
 
Osservò attentamente il ragazzo mentre contava i mattoni al di sopra del bidone della spazzatura, unico elemento estraneo in quel cortile così spoglio.
“Tre verticali… due orizzontali… ecco, è questo!” disse infine il ragazzo colpendo un mattone tre volte con la punta della bacchetta.
Questo dapprima cominciò a vibrare, poi a contorcersi.
Al centro apparve un piccolo buco che nel giro di pochi secondi si allargò diventando abbastanza grande da far passare comodamente una persona molto alta e molto grossa.
“Benvenuta a Diagon Alley!” esclamò a quel punto James godendosi l’espressione stupita e affascinata di Elise.
 
 
La via lastricata e affollata superava di gran lunga quello che la ragazza si era immaginata quando James le aveva parlato di una strada con negozi per maghi.
La via principale era gremita di maghi e streghe indaffarati e dai lati sporgevano le insegne dei vari negozi che sormontavano le rispettive vetrine, allestite al meglio per attirare i clienti a compare la mercanzia.
C’erano cose che Elise non aveva mai visto, primi tra tutti i manici di scopa; negozi che vendevano qualunque tipo di cianfrusaglia e una grande farmacia con esposti fuori dei grandi fasci di erbe essiccate raccolti in calderoni arrugginiti.
James riuscì a trascinare via Elise dal Serraglio Stregato e dall’Emporio del Gufo cogliendo l’espressione degli Starlet al pensiero che la figlia avesse potuto compare un gufo, ma fallì miseramente nel replicare il gesto quando passarono davanti alla libreria il Ghirigoro.
 
Probabilmente se la ragazza avesse già avuto la bacchetta sarebbe finito schiantato dalla parte opposta della strada, vista la forza con cui Elise si era diretta verso il negozio.
Con tutte quelle pile di libri alte fino al soffitto che sembravano restare in equilibrio beh, per magia, Elise non aveva voluto sentire ragione e si era fiondata all’interno del negozio.
In fondo aveva sempre adorato leggere, ed era curiosissima di vedere quali fossero gli argomenti di quei testi.
Quando finalmente riuscirono a staccare la ragazza da un pesante libro sugli antichi stregoni del passato (“Non mi dirai che sul serio quel libro ti incuriosisce? È una roba noiosissima, l’abbiamo fatta in Storia della Magia al secondo anno, credo...”) James le fece promettere che non si sarebbero più fermati da nessuna parte finchè non avessero preso la sua bacchetta: dopotutto era per quello che erano venuti.
E così Elise si ritrovò di nuovo a seguire il ragazzo cercando di guardarsi in giro il più possibile per non perdersi nulla.
 
Fu solo quando ci arrivarono davanti che lo notò: il negozio era l’unico a trovarsi all’ombra, e confronto a quelle che aveva visto fino a quel momento la sua vetrina poteva considerarsi praticamente vuota. L’unica cosa esposta era un cuscino color porpora dall’aspetto polveroso con appoggiata sopra una bacchetta magica –che funzionasse sul serio?- che sembrava potesse spezzarsi solo a guardarla da tanto era sottile.
Sopra la porta d’ingresso un’insegna in legno riportava il nome del negozio in sbiadite lettere d’oro: Olivander, Bacchette Magiche di Prima Qualità dal 382 a.C.
 
“È questo” rispose James alla muta domanda di Elise, dopodichè aprì la porta, la tenne aperta per far passare tutti, e alla fine entrò a sua volta.
Si diresse poi a passo deciso verso un bancone in legno massiccio collocato in fondo al locale per suonare un campanello d’ottone che vi era appoggiato sopra.
Lo scampanellio che ne seguì lacerò per un paio di secondi la quiete innaturale del negozio: non se n’era accorta subito, ma alla fine aveva notato che dentro il negozio non si sentivano i rumori della via, ed Elise avrebbe giurato che una cosa del genere sarebbe stata impossibile vista la folla di gente indaffarata che c’era.
Rinunciando a cercare di trovare del razionale in tutto ciò, anche perché forse non ce n’era, la ragazza ricominciò a fare quello che aveva fatto da quando aveva messo piede a Diagon Alley: guardarsi intorno.
 
Non potè infatti fare a meno di convenire con se stessa che l’atmosfera in quel locale potesse davvero essere considerata magica, con l’aggiunta di un tocco di mistero grazie alla penombra che vi regnava all’interno.
Ammirò affascinata i molteplici scaffali su cui erano stipate con cura tante scatoline dalla forma allungata, e un fremito di eccitazione la scosse quando si rese conto che evidentemente era in quelle scatole che erano conservate le bacchette.
 
Erano tantissime…
 
Aveva compiuto vent’anni da poco, ma si sentiva come se ne avesse avuti di nuovo dieci: felicissima e in trepidante attesa di fronte alla prospettiva di comprare un nuovo giocattolo.
Finalmente qualcosa si mosse nel retrobottega, e dopo qualche secondo un vecchietto uscì da dietro la lunga tenda accompagnato da un giovane che sembrava piuttosto nervoso.
Nervosismo che aumentò quando l’uomo lo riprese dicendo: “Timothy, ti avevo detto di andare avanti ad accogliere i clienti, riesco ancora a camminare da solo, sai?” “È un bravo apprendista, ma non so perché è sempre molto timido con le persone” spiegò poi rivolto ai presenti squadrando i loro volti uno per uno.
 
I suoi occhi si fermarono sulla figura di James che aveva ancora la mano appoggiata sul bancone.
“Signor Potter, bentornato. Ha forse qualche problema con la sua bacchetta?” domandò.
“In realtà  non siamo qui per la mia bacchetta, ma per la sua” rispose il ragazzo prendendo Elise per un braccio e facendola avanzare.
“Ah…” fu il commento di Olivander.
Elise si sentì non poco intimorita dalla profonda occhiata che le fu riservata: quegli occhi argentati mettevano davvero in soggezione.
Quando ebbe finito di scrutarla da capo a piedi l’uomo proseguì: “Temo di non aver mai avuto il piacere di fare la vostra conoscenza mia cara. Il che vuol dire che la tua bacchetta non è di mia produzione… ma non ti preoccupare, chiunque sia stato a fabbricarla sono sicuro che riusciremo a trovare una soluzione al suo problema…”
“Ora potrei vedere la bacchetta in questione?” domandò poi dopo una breve pausa visto che Elise era rimasta ferma.
“Io… io credo che abbia capito male, signore. Vede, il fatto è che…” cominciò la ragazza non sapendo bene come spiegarsi.
Fortunatamente James venne in suo aiuto: “Quello che Elise sta cercando di dirle è che ha bisogno di una bacchetta nuova
“Bastava dirlo subito! Sarà facile trovarne una. Se fosse così gentile da ricordare da quale legno e quale anima era composta quella che non avete più…” esclamò il mago sorridendo e facendo segno al ragazzo di tenersi prono per un’eventuale arrampicata sugli scaffali.
“No, credo che abbia capito male di nuovo Olivander. Siamo qui per comprare ad Elise una bacchetta nuova in tutti i sensi… la sua prima bacchetta…”
 
A quel punto Olivander guardò i due ragazzi come se gli avessero appena fatto uno scherzo di cattivo gusto.
“Che storia è mai questa? Badi che non tollero che ci si prenda gioco di me, signor Potter! Una strega senza la sua bacchetta per così tanto tempo? È semplicemente impossibile! Lo sa cosa succede se un mago non usa i suoi poteri così a lungo? Rischia di avere una crisi…”
“Una crisi da sovraccarico, sì, lo so. E infatti è così che Elise ha scoperto di essere una strega non più di una settimana fa…”
A quelle parole l’espressione di Olivander si raddolcì.
“Capisco… scusate per la mia reazione” disse in tono pacato. “Allora sarà meglio trovarle una bacchetta al più presto mia cara… Timothy! Vieni a prenderle le misure!”
 
Cominciando a sentirsi un po’ più a suo agio la ragazza osservò affascinata l’apprendista mentre incantava un metro a nastro in modo che prendesse le misure da solo.
Dalla spalla al gomito, dal gomito alla punta dell’indice…
“Che mano usa per impugnare la bacchetta signorina?” le domandò il ragazzo mentre il metro le stava misurando la distanza tra la punta del naso e il polso.
“Mmm… la sinistra” rispose lei dopo averci pensato un attimo.
“Oh, è mancina?”
“Sì…”
Olivander, che fino a quel momento si era allontanato per scrutare più da vicino alcune scatole di bacchette su dei ripiani in basso, tornò da lei domandando: “Il vostro nome, Elise, immagino sia un diminutivo. Potrei avere l’onore di sapere quello completo?”
“Certo, mi chiamo Elizabeth Charlotte Starlet, signore”
“Un nome importante…” borbottò il mago parlando tra sé e sé allontanandosi di nuovo.
“Credo che così possa bastare Timothy” commentò infine, e il ragazzo si affrettò a fermare il metro e a rimetterlo al suo posto.
“Bene, adesso possiamo cominciare” Olivander si sfregò le mani con fare soddisfatto per poi prendere dal bancone una scatola tra quelle precedentemente prese.
La aprì e porse il contenuto ad Elise.
Un po’ titubante la ragazza la prese e la strinse nella mano.
Non successe niente.
 
Prima di avere il tempo di chiedere spiegazioni il mago le aveva già strappato di mano la prima bacchetta rimpiazzandola con un’altra.
Accadde lo stesso con la terza, la quarta e la quinta.
Alla quindicesima Olivander si sentì in dovere di rassicurare la ragazza: “Non devi preoccuparti, troveremo quella giusta per te. Vedi, è la bacchetta a scegliere il mago, e ogni tanto può capitare che ci voglia un po’ di più per trovare quella adatta…”
Elise non aveva proprio capito cosa volesse dire, ma si sentì rincuorata nel vedere James che annuiva concordando con quanto il vecchio mago aveva appena detto.
 
Il mucchio di bacchette scartate appoggiate sul bancone continuava però a crescere inesorabilmente, e persino la ragazza ad un certo punto capì che doveva esserci qualcosa che non andava.
 
Successe senza preavviso: Elise aveva appena agitato in aria l’ultima bacchetta che Olivander le aveva passato, puntandola senza neanche rendersene conto contro un vaso di fiori secchi appoggiato verso il fondo del bancone.
Il vaso si ruppe con uno schianto schizzando acqua, fiori e frammenti di vetro in tutte le direzioni.
Il viso di Olivander assunse d’un tratto un’espressione preoccupata, e qualcosa disse ad Elise che non era per il vaso che aveva appena rotto, almeno non direttamente.
Anche l’apprendista aveva un’espressione incredula e persino James sembrava stupito… ma da cosa?
“Strano, molto strano…” commentò a quel punto il fabbricante guardando Elise.
“Scusi, ma cos’è strano?” chiese lei.
“Vedi mia cara, con le bacchette è o tutto o niente. Se la bacchetta ti sceglie, beh, te ne accorgi, se non è quella adatta a te invece non succede nulla. E strano perché non avevo mai avuto l’occasione di veder accadere una via di mezzo come quella di poco fa”
Elise annuì poco convinta: e allora?
“Se voleste scusarmi un attimo…” e il mago sparì nel retrobottega molto più agilmente di quanto chiunque avrebbe potuto aspettarsi.
Seguirono alcuni attimi carichi di tensione durante i quali i presenti non fecero altro se non guardarsi tra loro lievemente imbarazzati.
 
C’è qualcosa che non va
 
Pensò Elise, se lo sentiva.
 
Ma cosa?
 
Quando finalmente Olivander riemerse dal retrobottega non sorrideva, e portava tra le braccia due vasi di vetro simili a quello che Elise aveva appena rotto.
Ne sistemò uno dove prima c’era l’altro e porse una nuova bacchetta alla ragazza.
“Se volesse farmi il piacere di puntare a quel vaso… non ti preoccupare, poi si possono riaggiustare”.
Elise annuì e mosse la bacchetta in direzione del vaso come aveva fatto poco prima.
Altri frammenti di vetro volarono per il locale.
 
Nuova bacchetta, nuovo vaso… stesso risultato.
 
Olivander sospirò sonoramente: “Mi dispiace davvero signorina Starlet, ma temo che questo sarebbe il risultato che continueremo ad ottenere usando qualsiasi bacchetta del mio negozio… temo di non poterti dare quello per cui sei venuta…”
Le ci volle qualche secondo per registrare quello che l’uomo aveva appena detto e cosa avrebbe significato.
James fu più veloce: “Non è possibile, non ci credo! C’è una bacchetta per ogni mago, me l’ha spiegato lei quando ho comprato la mia: troveremo anche quella per Elise, dobbiamo solo continuare a cercare!”
“Mi dispiace signor Potter, sono desolato, è la prima volta che mi capita, ma qui non c’è niente per lei…”
 
 
 
***
 
 
 
Non poteva crederci.
Per un attimo aveva avuto un assaggio di un mondo nuovo e meraviglioso di cui avrebbe potuto far parte e adesso era tutto svanito.
James era stato troppo gentile per dirlo, ma lei aveva capito cosa significava quello che era successo nel negozio: se non hai una bacchetta non sei una strega, e quindi lei alla fine dei conti non lo era.
Sarebbe tornata alla sua normale vita facendo finta che nulla fosse successo, ma con quanta fatica?
 
Quando quella sera erano tornati indietro era rimasta impassibile per tutto il tragitto. Aveva salutato James con voce piatta vedendolo svanire davanti ai suoi occhi dopo che l’aveva salutata con un poco convinto “Allora… ci si vede. Ciao”.
Non aveva detto una parola fino a casa e una volta arrivata si era chiusa in camera senza voler uscire nemmeno per la cena.
 
E aveva pianto.
 
Era delusa e arrabbiata, soprattutto per il fatto di aver pensato di poter essere speciale: lei, che nemmeno i suoi genitori avevano voluto tenere?
 
Questo aveva pensato, salvo poi sentirsi in colpa nei confronti di Rupert e Diana che invece l’avevano accolta da loro trattandola sempre come fosse stata davvero figlia loro.
Non se lo meritavano.
 
Lei era speciale per loro con o senza magia, e se lo sarebbe fatto bastare.


















Salve!
Sono un po' in ritardo, ma meglio tardi che mai, no?
Un paio di appunti sul capitolo:
non so bene neanche io da dove sia saltata fuori l'idea per Timothy, inizialmente mi sembra di ricordare che avrebbe dovuto ricoprire un qualche ruolo nella storia solo che andando avanti le cose sono cambiate e adesso non avevo voglia di riscrivere il capitolo... Chissà che magari alla fine non salti di nuovo fuori.
La seconda cosa riguarda la scelta della bacchetta.
Lo so che nel film Harry manda all'aria mezzo negozio, ma nel libro quando prova le varie bacchette non succede mai nulla. Perciò ho deciso che il "non succede nulla" è normale, mentre la "via di mezzo" no.
Non mi sembra di aver dimenticato nulla, se qualcuno avesse altri dubbi non si faccia scrupoli a chiedere e io sarò ben felice di rispondere. Può essere che cose che sono chiarissime nella mia testa non siano altrettanto ovvie per chi legge... :P
Detto questo vi saluto, alla prossima settimana
E.

 

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Capitolo 8
*** 7. How things went ***


7– Come sono andate le cose
 
 
 
Un silenzio quasi innaturale regnava nello studio della preside della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Un mago dall’aspetto anziano e caratteristici occhi argentati aveva appena finito di ripetere quello che era successo nel suo negozio non più tardi di quel pomeriggio.
“E sei proprio sicuro che quella ragazza fosse sua figlia, Olivander?”
A rompere il silenzio era stato l’uomo calvo, di colore, la voce bassa e profonda ma al tempo stesso rassicurante.
“Avreste dovuto vederla Ministro, quella ragazza era senza dubbio sua figlia. Ha detto di chiamarsi Elizabeth Charlotte” rispose deciso il fabbricante di bacchette.
 
A quel nome il Ministro sussultò visibilmente: allora era proprio lei…
 
“Se tutto ciò è vero dobbiamo provvedere a mettere al sicuro la ragazza il prima possibile” commentò la professoressa McGranitt dopo un attimo di riflessione. “E naturalmente dovremo anche informare i suoi genitori adottivi…” aggiunse.
“Se posso intromettermi Minerva, penso che per il momento dovremo aspettare”
Un mago dalla lunga barba argentata e penetranti occhi azzurri nascosti dietro la montatura dei suoi occhiali a mezza luna aveva preso parola dalla sua postazione all’interno di un dipinto appeso al muro di fianco alla scrivania della preside.
“Sono certo che se avesse voluto avrebbe potuto prendere la ragazza oggi stesso, appena lasciato l’ospedale, ma non l’ha fatto”
I presenti rivolsero la loro attenzione al vecchio preside, non troppo stupiti che fosse intervenuto.
“Immagino che rapire una ragazza nel bel mezzo del centro di Londra avrebbe richiamato l’attenzione, Silente. Davanti al figlio del capo del Dipartimento Auror poi…” spiegò tranquillamente il Ministro.
“Spero mi perdonerai Kingsley se io non la penso esattamente così” proseguì gentilmente Silente.
“Vedi, ho avuto anch’io occasione di conoscere Shayleen, ben prima della guerra e prima che avesse il suo incarico presso il Ministero. E dopotutto è stata anche una tua allieva, Minerva. Sono sicuro che anche tu converrai sul fatto che già all’epoca ha sempre dimostrato di preferire un approccio piuttosto particolare quando voleva ottenere qualcosa. Del tipo: se non puoi batterli fatteli amici, non so se mi spiego…”
“Non hai tutti i torti, in effetti… continua” lo esortò la McGranitt.
Gli occhi del mago scintillarono dietro le lenti degli occhiali.
“Io penso che Shayleen cercherà di arrivare alla ragazza un po’ per volta, cercando di portarla dalla sua parte, di convincerla. Penso che un gesto eclatante come un rapimento in piena regola non sia assolutamente nel suo stile, oltre al fatto che è l’ultima cosa che vuole. Se sua figlia dovrà stare dalla sua parte non è questo il modo in cui cercherà di avvicinarsi a lei” concluse semplicemente.
“Quindi secondo te non dovremo fare niente, dovremo stare qui fermi ad aspettare senza dire nulla a quella povera ragazza!” esclamò quasi esasperata la professoressa McGranitt. “Proprio come l’ultima volta. Non sarebbe meglio metterla subito al corrente di tutto?”
“Suvvia Minerva, sto solo dicendo che per il momento dovremo aspettare che sia lei a fare la prima mossa, per cercare di capire quali siano le sue reali intenzioni. Dopodichè potremo raccontare tutto anche alla ragazza”.
“E con Potter come la mettiamo? Dopotutto è stato con la ragazza per tutto questo tempo”
“Concordo con la preside” intervenne Olivander. “Il giovane Potter mi è sembrato particolarmente coinvolto, non credo che lascerà perdere molto facilmente”:
“Credo che almeno sotto questo profilo Albus abbia ragione. Magari Shayleen non vuole riprendersi la figlia con la forza, ma non credo che si farà scrupoli nell’eliminare chiunque cerchi di ostacolarla. Potter non deve più vedere quella ragazza” convenne Kingsley. “Te ne occupi tu, Minerva?”
La preside annuì, sconfitta.
 
 
 
Tutta quella storia stava cominciando a preoccuparlo.
Quando quasi trent’anni prima, a poco più di cinque anni dalla fine della seconda guerra magica, quella nuova minaccia si era presentata, il neo Ministro della Magia Kingsley Shacklebolt non ci aveva pensato due volte e aveva subito provveduto a porre fine alla questione il prima possibile.
La comunità magica aveva appena cominciato a riprendersi dall’ultima guerra, non aveva bisogno di un nuovo pazzo fissato sulla superiorità di alcuni maghi su altri.
 
 
 
 
Shayleen Skelton, ragazza sveglia, intelligente, brillante, Nata Babbana e… Serpeverde.
Il Cappello Parlante era stato il primo ad accorgersi della furbizia e dell’ambizione di quella ragazzina dai capelli biondo cenere, e aveva ritenuto opportuno destinarla alla casa verde-argento.
Timida e riservata si era inizialmente rivelata il bersaglio perfetto e veniva presa di mira dalla quasi totalità dei componenti della sua stessa casa a causa del suo status di sangue, ma aveva ben presto trovato il modo di tirare fuori le unghie e farsi rispettare.
Già alla fine dell’anno tutti avevano imparato più o meno a loro spese che non era davvero il caso di mettersi contro le capacità, il talento e il grande potere di quella ragazzina così minuta solo per il gusto di prenderla in giro per il suo essere una Nata Babbana.
A meno che ovviamente non si desiderasse finire in Infermeria in seguito a misteriosi incidenti a cui stranamente la Serpeverde non sembrava mai essere collegata, anche se in realtà era universalmente risaputo che c’era lei dietro.
Però intanto nessuno era mai riuscito a dimostrarlo e alla fine, chi prima chi dopo, tutta la Casa aveva capito che il gioco non valeva la candela, e che un elemento del genere era meglio poterlo contare tra gli amici.
Quando al suo terzo anno Harry Potter aveva varcato le soglie di Hogwarts per la prima volta, Shayleen non se n’era curata più di tanto. Anzi, non se n’era curata proprio per niente.
Aveva ben altro a cui pensare.
 
Solo l’anno precedente un primino Serpeverde, Purosangue fino al midollo, aveva pensato che sarebbe stato molto divertente sottrarle di nascosto la bacchetta e poi rinchiuderla in uno sgabuzzino delle scope che nemmeno il custode Gazza usava mai, in modo che nessuno potesse trovarla e liberarla.
Dopotutto era una Sanguesporco, se lo meritava.
Inizialmente Shayleen si era maledetta per essersi fatta fregare a quel modo, ma a posteriori aveva dovuto riconoscere che avrebbe quasi potuto ringraziare quel ragazzino per lo scherzo.
 
Se non l’avesse chiusa dentro quello sgabuzzino lei non avrebbe mai scoperto di essere diversa da tutti gli altri, di essere speciale.
 
Non avrebbe mai scoperto i suoi veri poteri.
 
 
Appena la serratura era scattata alle sue spalle Shayleen aveva cominciato a urlare e a battere i pugni contro la porta sperando di riuscire ad attirare l’attenzione di qualcuno.
Dopo mezz’ora aveva infine realizzato che nessuno l’avrebbe trovata a prescindere dal fracasso che sarebbe riuscita a provocare e si era fermata a riflettere.
Se avesse avuto con sé la sua bacchetta sarebbe uscita in una manciata di secondi: l’incantesimo che le serviva era stato uno dei primi che aveva imparato.
Peccato che lei al momento fosse completamente disarmata.
 
Vista la momentanea mancanza di idee per liberarsi la ragazzina aveva iniziato a far divagare la sua mente alla ricerca della vendetta perfetta per quel borioso Purosangue.
Aveva giusto pensato che avrebbe potuto scaraventarlo accidentalmente giù per le scale come era successo con un bambino che alla scuola babbana la prendeva sempre in giro.
All’epoca la cosa non era stata nemmeno programmata: all’ennesima presa in giro la bambina si era sentita infiammata dalla rabbia e la sua magia involontaria aveva fatto il resto.
Altro che bacchetta… quel bambino non l’aveva neanche sfiorato.
 
Fu in quel momento che le arrivò l’illuminazione: perché no? si era detta.
 
Si era rialzata in fretta dal secchio rovesciato dove era rimasta seduta fino a quel momento per tornare a fronteggiare la porta chiusa a chiave.
Aveva steso la mano verso la serratura e chiuso gli occhi, concentrandosi.
Dopo qualche minuto il braccio aveva cominciato a formicolare, e lei aveva esultato riconoscendo quella familiare sensazione: era la stessa di quando usava la magia involontaria prima di imparare a usare la bacchetta.
Sentì l’energia, il suo potere, scorrere lungo il braccio fino alla mano. Lo sentì staccarsi dalle sue dita tese, percorrere il breve spazio che lo separava dalla serratura e cominciare a scontrarsi contro gli ingranaggi, facendoli muovere.
Qualche istante dopo si era sentito un forte scatto e la porta di era aperta davanti ai suoi occhi.
 
Ce l’aveva fatta, era libera. Ma soprattutto: aveva fatto tutto senza bacchetta.
 
Inutile dire che il ragazzino era rimasto più che stupito nel veder rientrare Shayleen in Sala Comune come se niente fosse, dopo solo tre quarti d’ora dalla messa in atto del suo scherzo.
Aveva a mala pena fatto in tempo a notare il sorriso angelico sul volto della ragazza che si era ritrovato in balia delle correnti delle acqua del Lago Nero, esattamente dalla parte opposta della vetrata che costituiva una delle pareti della Sala Comune e che dava, appunto, sulle profondità del lago.
Nessuno seppe mai come la Skelton fosse riuscita a fare una cosa del genere, il ragazzino rischiò seriamente di affogare e dopo quell’episodio venne trasferito in un’altra scuola.
 
Da quella volta nessuno osò più infastidire Shayleen Skelton.
 
 
Come faceva il Ministro della Magia a sapere tutto questo?
Shayleen stessa gli aveva raccontato tutto quando era andata a richiedere un posto di lavoro presso il Ministero.
Si era tenuta alla larga per tutta la durata della guerra cambiando addirittura paese, più preoccupata di continuare ad allenare il suo singolare potere che a prendere parte in un conflitto che a suo parere non la riguardava.
E quando tutto era finito lei si era presentata nello studio del Ministro della Magia in persona chiedendo di poter lavorare in uno degli uffici del Ministero. Ma non uno qualunque: le voleva lavorare all’Ufficio Misteri.
 
Shacklebolt era inizialmente rimasto basito dalla richiesta di quella ragazza che all’epoca aveva solo vent’anni, ma dopo aver sentito e visto che cosa era in grado di fare non aveva avuto altra scelta se non nominarla Indicibile e ammetterla all’interno di quell’oscuro ufficio.
Shayleen sapeva, dalle informazioni che tanto faticosamente era riuscita a raccogliere negli anni, che nell’Ufficio Misteri venivano studiate quella branche della magia ancora sconosciute e incomprese. Il tempo, la morte, l’amore…
La magia involontaria, o pura –come l’aveva ribattezzata lei- era una di quelle.
E così, grazie ai mezzi di cui ora disponeva, aveva scoperto che in realtà la sua capacità di utilizzare la magia senza bacchetta non era una cosa che fosse alla portata di tutti, non era qualcosa che si potesse imparare.
Era arrivata alla conclusione che lei era davvero speciale e migliore rispetto a tutti coloro che invece restavano inesorabilmente legati ad un rigido bastoncino di legno per tutta la vita.
 
Da lì era nato tutto.
 
Nei due anni successivi aveva girato il mondo alla ricerca di persone che fossero come lei, in grado di controllare la magia pura.
Affiancata da quel nutrito gruppo di persone che aveva personalmente scovato e addestrato aveva cominciato a pensare che, essendo loro migliori e più potenti rispetto al resto dei maghi comuni, fosse un loro diritto quello di governare e dettare legge.
 
Ed era stato quello il momento in cui Kingsley aveva detto basta.
 
Aveva sempre lasciato a Shayleen ampia libertà su come svolgere il suo lavoro, ma vista la piega che stava prendendo il pensiero dell’Indicibile aveva previsto fin troppo bene dove si sarebbe andati a finire nel giro di poco se nessuno l’avesse fermata.
Il mondo magico non era scampato ad una dittatura fondata su ideali razzisti solo per ricadere all’interno di un’altra basata su ideali tremendamente simili.
Nel giro di una notte aveva richiamato in servizio gli Auror migliori del dipartimento e aveva dato ordine che Shayleen Skelton venisse arrestata insieme a tutti coloro che avrebbero provato ad aiutarla ad opporre resistenza.
La mattina dopo alcune celle di Azkaban prima vuote erano state riempite, mentre Shayleen era riuscita a scappare e farla franca nonostante tutto.
Da quel giorno si erano perse del tutto le sue tracce e nessuno aveva più sentito parlare di quella ragazza diventata Indicibile ad una così giovane età.
 
 
Tre anni dopo il Ministro ebbe comunque l’occasione di riportare i suoi pensieri su Shayleen Skelton, seppur per il breve tempo di alcune ore.
Era il primo novembre 2005, l’alba passata da poco, e Shacklebolt era stato svegliato da qualcuno che bussava furiosamente alla porta di casa sua come se ne andasse della sua stessa vita.
Mai similitudine era stata più calzante.
Quando il Ministro aveva aperto la porta di casa, ancora in vestaglia e con la bacchetta davanti a sé, un uomo con le vesti zuppe di sangue era caduto ai suoi piedi prima che avesse il tempo di capire cosa stesse succedendo.
Nonostante il sangue che usciva copioso da uno squarcio trasversale che attraversava il petto dell’uomo contribuendo alla sua espressione sofferente Kingsley lo riconobbe subito: era Evan.
 
Evan era un altro degli indicibili che lavoravano all’Ufficio Misteri con Shayleen, ma per lei era stato più di un semplice collega. Kingsley sapeva che lui era il suo compagno, ed era l’unico che era riuscito a scappare con lei quando ne avevano ordinato l’arresto.
Tralasciando momentaneamente tutta la faccenda il Ministro si era subito dato da fare per cercare di soccorrerlo, ma non sembrava fosse quello che l’uomo voleva da lui.
Tra un gemito e l’altro aveva infatti cominciato a parlare con voce via via sempre più flebile.
Alla fine il Ministro si era affrettato a chiamare il San Mungo per chiedere aiuto, e solo quando l’unico segno della presenza di Evan fu il sangue rimasto sul pavimento dell’ingresso si concesse di fermarsi a riflettere su quello che l’uomo si era premurato di fargli sapere a tutti i costi.
 
In quegli anni di lontananza le idee di Shayleen si erano ulteriormente rafforzate: prima o poi sarebbe ritornata per portare a termine quello che aveva cominciato sei anni prima.
Cosa l’aveva momentaneamente fermata?
Non più tardi del giorno prima Shayleen aveva dato alla luce una bambina, figlia sua e di Evan: Elizabeth Charlotte.
Figlia di due persone in grado di usare la magia pura, la piccola era destinata a diventare più potente dei due genitori messi assieme.
E appena Evan si era reso conto della cosa aveva anche capito come mai la compagna aveva tanto insistito per avere un bambino: non si sarebbe fatta scrupoli a usare la sua stessa figlia pur di raggiungere i suoi scopi.
E così Evan aveva preso la bambina di nascosto e l’aveva portata via.
Era riuscito a lasciarla in quello che aveva definito un luogo sicuro dove Shayleen non avrebbe potuto trovarla.
La donna aveva però trovato lui e la ferita al petto era stato il risultato quando lui si era rifiutato di dire dove fosse la piccola.
 
Kingsley non era riuscito a sapere più nulla perché a quel punto Evan aveva perso i sensi, e quando dal San Mungo gli era arrivata la notizia che non erano riusciti a salvarlo dovette rassegnarsi all’idea che quello che gli era stato detto in quella breve conversazione era tutto ciò che avrebbe mai saputo.
In realtà era però rimasto parecchio colpito dalla morte dell’uomo: pensava che sarebbero riusciti a curarlo in qualche modo nonostante la gravità della ferita, ma a detta dei medimaghi quel taglio doveva essere stato procurato da una qualche magia a loro sconosciuta. A dispetto di tutti i tentativi per farlo rimarginare aveva continuato a sanguinare copiosamente e alla fine Evan era morto prima che potessero rendersene conto.
 
Per vent’anni il nome Shayleen Skelton era rimasto sepolto nella sua mente nascosto da ben altri pensieri, ma nonostante fosse passato così tanto tempo non era poi così sorpreso che fosse saltato di nuovo fuori.
Lo sapeva che prima o poi sarebbe successo, e quel poi era alla fine arrivato.
 
 
 
 
 
 
*** Quattro mesi dopo, casa Potter, Londra ***
 
 
“Professoressa McGranitt! A cosa devo il piacere della sua visita?” esclamò James Potter dopo aver aperto la porta ed essersi ritrovato davanti la sua vecchia preside.
La invitò ad accomodarsi, ma la strega preferì saltare i convenevoli per arrivare subito al punto.
“Non sono qui per una visita di piacere, Potter” disse infatti. “Ti ricordi quello che ti è stato chiesto quattro mesi fa?” gli domandò.
 
Il ragazzo capì subito a cosa si stava riferendo.
 
Quattro mesi prima, proprio come quel giorno, la professoressa McGranitt si era presentata alla porta di casa sua con una richiesta ben precisa: stare alla larga dalla ragazza che la settimana prima aveva salvato da una crisi di sovraccarico di magia.
La professoressa non aveva risposto a nessuna delle sue domande, ma alla fine era comunque riuscita a farsi promettere da James che non avrebbe più cercato quella ragazza.
 
“Certo che mi ricordo. Mi avete chiesto di non cercare più una certa ragazza che aveva appena scoperto di essere una strega per la quale stranamente non c’era nessuna bacchetta e che era sicuramente confusa e spaventata dopo tutto quello che le era successo. Mi avete chiesto di sparire dalla vita di quella ragazza senza lasciarle uno straccio di spiegazione” rispose lui, forse più duramente di quanto avesse intenzione.
 
Certo che si ricordava. Come avrebbe mai potuto dimenticarsi di Elise?
 
La preside annuì, capendo lo stato d’animo del giovane. Il ragazzo non sembrava meno coinvolto nella faccenda rispetto a quanto lo fosse quattro mesi prima.
“Bene” sospirò. “Perché sono qui per chiederti di fare il contrario di quanto ti è stato detto quattro mesi fa. Cercala, trovala, chiedile scusa se necessario. So che per il lavoro di tuo padre la tua abitazione e sottoposta a determinate misure di sicurezza alquanto efficaci. Trova la ragazza e convincila a rimanere in questa casa il tempo sufficiente per avvisarmi che l’hai trovata: le dobbiamo qualche spiegazione e non è più il caso di rimandare”.
“E lei davvero si aspetta che mi seguirà senza dire niente dopo che l’ho ignorata per quattro mesi?”
“Tu convincila Potter, e poi, forse, la situazione verrà spiegata anche a te. Ti era stato chiesto di starle lontano per la tua sicurezza, non per farti un dispetto” rispose piccata la professoressa.
E dopo aver salutato con un secco “Arrivederci” si smaterializzò lasciando James più confuso che mai.
 
Cosa voleva dire che aveva dovuto starle lontano per la sua sicurezza?













Salve a tutti!
Allora... direi che finalmente si capisce qualcosa, no? Come anche è stato finalmente svelato chi è quella "Lei" di cui avevata avuto un assaggio in un paio dei capitoli precedenti.
Spero di essere stata all'altezza delle aspettative almeno un pochino...
Come sempre ricordo che le recensioni sono sempre ben accette e che non mordo :)
alla prossima settimana
E.

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Capitolo 9
*** 8. The ambush ***


8– L’imboscata
 
 
 
Finalmente febbraio aveva lasciato il posto a marzo, le giornate cominciavano lentamente ad allungarsi e persino il tempo iniziava a dare tregua lasciando al sole la possibilità di apparire occasionalmente da dietro lo spesso strato di nuvole a causa del quale era rimasto nascosto praticamente per tutto l’inverno.
Erano passati ormai quattro mesi, quattro mesi durante i quali Elise si era imposta di riprendere la sua vita come se quella settimana di inizio novembre non fosse mai esistita.
Ed era piuttosto compiaciuta di se stessa per esserci riuscita –a parer suo- in modo alquanto soddisfacente.
Non aveva più rivisto James Potter, anche perché non avrebbe neanche saputo come fare per contattarlo, non aveva parlato con nessuno di quello che era successo, e le lezioni, il tirocinio in ospedale e gli esami avevano assorbito tutta la sua attenzione e le sue energie.
 
E poi c’era stato anche il trasloco.
 
Elise aveva infatti accettato la proposta di una sua compagna di corso, tra l’altro la sua migliore  amica praticamente da sempre visto che si conoscevano da quando Elise aveva cominciato a frequentare la nuova scuola dopo essere stata adottata, di affittare un appartamento più vicino alla sede delle lezioni in modo da sprecare meno tempo in spostamenti e dividere le spese.
I signori Starlet avevano accettato di buon grado il cambiamento, lieti che la figlia fosse riuscita a trovare un modo per distrarsi, e avevano subito dato il loro permesso al trasferimento, a patto che Elise promettesse di tornare a casa di tanto in tanto, magari per il pranzo della domenica.
Se avesse avuto bisogno di qualsiasi cosa loro sarebbero sempre stati disponibili per lei.
 
Seppur lentamente, alla fine tutto era tornato alla normalità, ed Elise era di nuovo una ragazza qualunque che si annoiava durante le ore di lezione troppo monotone.
 
 
 
 
Quel giorno il sole sembrava aver voluto dare il meglio di sé, e concentrarsi sulla lezione non era mai stato così difficile vista la splendida giornata che si prospettava fuori dalla finestra dell’aula.
La pausa pranzo sarebbe durata più del solito visto che l’ultimo professore della mattinata era dovuto andare via prima, così si era deciso che per quell’occasione ci si sarebbe potuti permettere di mangiare qualcosa che non provenisse dalla mensa dell’università ma magari da un bar poco lontano, cogliendo così l’occasione per sgranchirsi un po’ le gambe sotto il sole.
Il tempo di fare un salto nella biblioteca dell’università per lasciare un libro che doveva restituire ed Elise raggiunse l’esterno dell’edificio pronta per andare a pranzare.
Di certo non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi un buon numero delle sue compagne di corso ferme appena fuori dall’ingresso, la scalinata d’entrata dell’ingresso dell’edificio ancora da scendere, dispose quasi in cerchio a confabulare tra loro ridacchiando eccitate.
E meno male che non avevano più quindici anni…
Jessica, l’oca del gruppo, si stava sistemando i boccoli biondo platino con movimenti inequivocabili ed Elise capì: non aveva ancora individuato dove, ma nei paraggi doveva esserci un ragazzo, piuttosto carino a quanto pareva.
 
“Cosa succede?” domandò ugualmente facendo notare il suo arrivo.
“Ma vai in giro con i paraocchi come i cavalli, tu?” la prese in giro Julia, la sua amica con cui divideva l’appartamento.
Questa, senza aspettare una risposta da Elise la prese per le spalle facendola voltare.
“Guarda!” disse infine indicando un punto sul marciapiede dall’altra parte della strada. “Non è uno schianto?”
 
In tutto quello Elise non potè fare a meno di pensare che la reazione delle sue amiche fosse stata esagerata.
 
Certo, seguendo un corso di infermieristica i ragazzi per loro erano una specie rara, ma questo non giustificava il loro comportamento da oche starnazzanti.
“Sembra che stia aspettando qualcuno, quasi quasi vado a chiederglielo” commentò ad un tratto Jessica. “Magari posso offrirmi di aspettare insieme a lui…”
Elisa alzò gli occhi al cielo, degnandosi finalmente di guardare il ragazzo in questione compatendolo già per quello che l’avrebbe aspettato: Jessica diventava particolarmente testarda quando si impuntava su qualcosa.
 
Lo mise a fuoco ed ebbe un tuffo al cuore.
I capelli scuri erano arruffati e in disordine, come se fossero stati investiti da una folata di vento, gli occhi color nocciola furbi e accattivanti e il sorriso come di uno che la sa lunga. Aveva le mani infilate nelle tasche della felpa e un’espressione compiaciuta dipinta sul volta, probabilmente dovuta alle attenzioni del gruppo di ragazze.
A costo di sembrare ripetitiva, quel ragazzo era davvero uno schianto, e ne era sicuramente consapevole.
Ma non era quello il punto.
 
Quel ragazzo era James.
 
 
Durante la settimana che aveva trascorso in ospedale non si era mai soffermata a pensare al ragazzo da quel punto di vista: per lei al momento l’unica cosa che contava era il fatto che le avesse salvato la vita.
Ma rivederlo dopo così tanto tempo l’aveva colta di sorpresa –aggiungendo il fatto che pensava che non l’avrebbe più rivisto- e il risultato era stato che anche lei si era bloccata a guardarlo a bocca aperta, leggermente intontita di trovarselo davanti senza nessun preavviso.
 
Avevo davvero i paraocchi quando l’ho visto l’ultima volta…
 
“Oh oh! Finalmente abbiamo trovato qualcuno adeguato ai tuoi standard Elise…” ridacchiò Julia che non si era persa l’espressione dell’amica. “Nel caso non te ne stessi rendendo conto hai una certa espressione da pesce lesso…”
“Chiudi il becco Julia!” si rabbuiò subito lei. “Andiamo a mangiare va’, che ho fame” aggiunse poi cominciando a incamminarsi lasciando le altre indietro a starnazzare, Julia al seguito.
Peccato che come ebbero finito di scendere i pochi gradini d’ingresso si trovarono il ragazzo davanti: nel frattempo era andato loro incontro.
“Oh… ehm… ciao, serve qualcosa?” domandò Julia impacciata mentre Elise restava in disparte, leggermente voltata, pregando con tutta se stessa che per un qualche miracoloso motivo James non si fosse accorto che era lei.
“Veramente sì” rispose lui pronto, senza smettere di sorridere. “Posso rubarti la tua amica?”
Elise raggelò sul posto mentre a Julia sfuggì una risatina nervosa: quel ragazzo stava scherzando, vero?
Poi però notò lo scambio di sguardi tra quello sconosciuto e la bionda…
“Aspetta un attimo… tu lo conosci?!” domandò rivolta ad Elise con tono accusatorio, interpretando poi il suoi silenzio come un sì.
“E cosa stavi aspettando a presentarmelo?”
Fece per tendere la mano per presentarsi da sola, visto che la sua amica era talmente rigida da sembrare pietrificata, ma all’ultimo momento Elise la bloccò: “Non ora Julia. Ho fame e adesso andiamo a mangiare. Quanto a te…” aggiunse poi in direzione del ragazzo “Non ho tempo –né voglia- di parlare, né ora né mai, quindi sparisci!”
 
Girò velocemente sui tacchi incamminandosi quasi a passo di marcia lungo il marciapiede con Julia che si affrettò a seguirla protestando e facendole notare di non essere stata affatto educata.
Elise alzò le spalle e non disse una parola finchè non arrivarono al bar e presero posto a un tavolino per ordinare qualcosa.
Tutti i tentativi di Julia di estorcere qualche informazione alla ragazza mentre aspettavano le ordinazioni fallirono miseramente, e alla fine, con grande sollievo di Elise, Julia si rassegnò e smise di farle domande.
Mangiarono in silenzio, Elise completamente persa nei suoi pensieri.
 
E così James aveva deciso di farsi rivedere, ma perché?
E perché proprio ora?
Se gli importava tanto di lei allora perché non si era fatto vivo prima?
Qualsiasi fosse la risposta Elise si impose di convincersi di non volerla sapere: erano passati quattro mesi, era finalmente riuscita a lasciarsi quella faccenda alle spalle, e lui se ne tornava fuori così, come se niente fosse?
 
Finirono di mangiare il gelato che si erano concesse come dolce scommettendo sulle probabilità che il professore di farmacologia si dimenticasse di nuovo di presentarsi a lezione e infine si alzarono per andare a pagare.
Prima che potesse avviarsi verso l’uscita Julia la fermò: “Se sei così decisa a non parlargli io aspetterei un attimo prima di uscire” le disse.
Elise rispose con un’occhiata interrogativa e Julia indicò una delle vetrate del locale: erano coperte da delle tende, ma si riusciva comunque a vedere in strada.
Con orrore Elise notò che James era lì fuori, appoggiato ad un lampione.
“Non ci posso credere…” commentò sospirando mettendosi le mani nei capelli.
“Nel caso non te ne fosse accorta è lì da quando siamo arrivate… forse qualsiasi cosa abbia da dirti varrebbe la pena ascoltarlo”
Elise annuì poco convinta: avrebbe ascoltato quello che aveva da dire ma niente di più.
Appena uscirono dal bar il ragazzo si fece loro incontro e fece per aprire bocca, ma Elise lo precedette: “Hai un minuto per dirmi cosa vuoi” annunciò senza tanti giri di parole.
“Ma…” protestò debolmente James guardando dubbioso Julia: era ovvio che non voleva che lei sentisse.
“Qualsiasi cosa tu abbia da dirmi può sentirla anche lei… E ora sbrigati, ti sono rimasti solo cinquanta secondi…” ribattè lei spietata.
“Io… ecco… volevo chiederti scusa per quello che è successo…” cominciò cautamente lui scegliendo le parole. “Sarei voluto tornare a trovarti ma tra la scuola e… tutto il resto… e poi mia mamma… la sera che ti ho incontrata sono tornato a casa tardissimo e lei ha praticamente dato di matto perché non l’avevo avvertita… ti ricordi che avevo parlato di una punizione…”
Mentre parlava i tre avevano cominciato a camminare, dirigendosi senza rendersene conto verso il parco che era proprio lì vicino.
 
Il parco dove tutto era iniziato.
 
Elise represse un brivido: da quella sera non ci era più tornata.
 
“…insomma, era talmente arrabbiata che mi ha vietato di uscire per quasi un mese. Ti rendi conto? Mi ha messo in punizione! Punizione a me che ho vent’anni…! Comunque credimi che nessuno osa disubbidire a mia madre quando è arrabbiata…”
“Ciò non toglie che alla fine tu non ti sia comunque fatto rivedere! Sono passati quattro mesi, James! Quattro mesi! Ho cominciato a pensare di essermi sognata tutto…”
“Qualcuno vorrebbe spiegarmi di cosa state parlando?” si intromise Julia che aveva seguito tutto il discorso, senza capirci nulla.
Ci fu un lungo attimo di silenzio in seguito alla sua esclamazione e tutti lo sentirono: un fruscio ben udibile proveniente dal cespuglio di fronte alla panchina presso la quale si erano fermati.
James si avvicinò cautamente verso la siepe: avrebbe voluto tirare fuori la bacchetta, ma c’era anche quella ragazza babbana…
Alla fine, dopo che si fu avvicinato abbastanza, non potè fare a meno di mettersi a urlare, esasperato ma sollevato allo stesso tempo: “Dan! Brutto idiota! Ci hai fatto prendere un colpo! Cosa ti è saltato in mente?”
Intanto un ragazzo dai ricci capelli castani era uscito dalla siepe togliendosi alcune foglie dai vestiti.
“Senti chi parla! Hai detto che oggi pomeriggio non potevamo ripassare perché avevi una cosa urgente e della massima importanza da fare e vengo a scoprire che mi hai mollato per spassartela con ben due ragazze?” lo rimbeccò. “Da quando in qua non mi presenti più le tue nuove conoscenze?” domandò infine facendo arrossire James.
“Da quando ho scoperto che davanti alle ragazze mi fai sempre fare pessime figure…”
“Ma come siamo gentili… signore: Daniel Williams al vostro servizio, potete chiamarmi tranquillamente Dan se vi fa piacere…”
“Senti amico, questo non è il momento. Stavo cercando di…” ma il riccio lo interruppe sgranando gli occhi dopo aver riconosciuto Elise: “Per Merlino! Ma tu sei… James, lei non è la ragazza che abbiamo trovato qui nel parco la notte di Halloween? Alla fine non mi hai più detto neanche se si era ripresa dalla crisi…”
 
James lo guardò esasperato mettendosi poi le mani tra i capelli, arruffandoli ancora di più: perché quella testa vuota del suo amico non sapeva mai quando doveva stare zitto?
Ma ormai il danno era fatto, e infatti…
 
“Elise?! Adesso mi spieghi tutto! Si può sapere di cosa stanno parlando? Sto cominciando a preoccuparmi…” esclamò Julia con un tono che non ammetteva repliche.
“Semplicemente la sera del mio compleanno, tornando a casa, mi sono sentita male. Fortunatamente loro sono passati per la mia strada in quel momento e mi hanno soccorso, nient’altro” spiegò Elise omettendo praticamente tutto.
E difatti Julia non sembrava convinta neanche un po’.
 
“Voi tre non me la state raccontando giusta. Da te non me lo sarei mai aspettato Elise: sono la tua migliore amica!” disse delusa.
“... e la tua migliore amica qui è una strega” sbottò James dopo qualche secondo.
“C-cosa?”
“Non essere ridicolo!” disse Elise, infuriata che il ragazzo avesse detto una cosa del genere così a cuor leggero di fronte a Julia, ma decidendo poi di rispondergli per le rime.
“C’eri anche tu da Olivander, l’hai sentito: non c’è nessuna bacchetta che potrà mai andarmi bene. Io non sono una strega!”
 
“E noi non potremo essere più d’accordo!”
“Già, sarebbe davvero stato uno spreco se avessimo seguito una Rigida per tutto questo tempo…”
 
I quattro ragazzi indietreggiarono spaventati di fronte alle due figure scure che erano apparse alle loro spalle.
Erano un uomo e una donna, entrambi con i capelli corvini, quelli di lei stretti in uno chignon alto, i volti coperti da una maschera nera, come il loro abbigliamento e il mantello che gli ricadeva sulle spalle.
Sembravano apparsi dal nulla, nessuno di loro li aveva sentiti arrivare, e adesso stavano intercedendo con fare minaccioso verso i ragazzi.
Subito James sfoderò la bacchetta mettendosi davanti ad Elise, seguito da Dan che fece altrettanto con Julia: l’espressione divertita e rilassata che aveva fino a qualche attimo prima era scomparsa dal suo viso.
“Signori, credo che qui ci sia stato un malinteso” cominciò James cercando di mantenere un tono civile nonostante dal suo sguardo trasparisse ben altro.
“Temo che chiunque voi stiate cercando non sia di sicuro uno di noi, avrete sbagliato persona…” aggiunse Dan serio.
“Ma infatti non siamo qui per voi” rispose l’uomo con tono beffardo.
“Esattamente” proseguì la donna.
Quella voce, quella voce Elise l’aveva già sentita…
“Dateci la ragazza e nessuno si farà male” concluse.
Quell’ultima affermazione li colpì come se qualcuno avesse appena rovesciato loro addosso un secchio di acqua ghiacciata.
James si girò impercettibilmente a guardare Elise con la coda dell’occhio per cercare di capire se lei ne sapesse qualcosa, ma l’espressione terrorizzata della ragazza, gli occhi sgranati e la bocca semiaperta gli fecero capire che lei ne sapeva tanto quanto lui.
“Non vedo perché dovremo… voi non la toccherete!” esclamò James riportando la sua attenzione sulle due figure mascherate.
“E scommetto che sarà proprio un Rigido come te a fermarci!” ribattè la donna facendogli il verso.
“Vorrei proprio vedere!”
 
A quella provocazione James non ci vide più e scagliò il primo incantesimo che gli venne in mente: era un semplice schiantesimo, ma era ben fatto, aveva mirato bene, e il fascio di luce rossa stava procedendo preciso verso il suo bersaglio.
All’ultimo momento però la donna sollevò il braccio davanti a se, il palmo della mano ben aperto, e l’incantesimo del ragazzo venne deviato andandosi ad infrangere sul tronco di un albero, lasciandovi una lieve bruciatura.
Il ragazzo la guardò incredulo: come aveva fatto?
Non aveva neanche la bacchetta in mano, com’era possibile che fosse riuscita a parare l’incantesimo in quel modo?
La sua muta domanda venne ripetuta, ad alta voce, da Elise: “Come hai fatto? Senza bacchetta…?” domandò sporgendosi da dietro James.
 
Gli occhi della donna lampeggiarono esultanti dietro la maschera: aveva catturato l’attenzione della ragazza, e quello era un grande punto a suo favore.
Noi non abbiamo bisogno di quell’insulso bastoncino di legno. Noi possiamo usare la magia in modo diverso, migliore… puro!”
Parlando aveva cominciato ad avanzare verso la ragazza tendendole una mano.
Elise, quasi come in trance, scostò il braccio che James aveva sollevato per tenerla indietro e lo superò, lo sguardo fisso sulla mano che la donna le porgeva.
“Non ti piacerebbe imparare a farlo anche tu, Elizabeth? Non ti piacerebbe essere tu quella speciale, per una volta? Tutti questi anni passati in mezzo a gente che non sa niente di te, che non riuscirà mai a capirti… non sei curiosa di sapere chi sei?”
L’ultima domanda, così sibillina, sembrò sbloccare la ragazza: mosse un ulteriore passo avanti e fece per stringere la mano della donna.
 
“No! Non te lo permetterò!”
L’urlo di James squarciò l’innaturale silenzio che era calato sul parco facendo riscuotere Elise che si fermò ad osservare inorridita quello che stava per fare.
Intanto il ragazzo aveva scagliato un altro incantesimo che fu debitamente bloccato.
“Stupido ragazzino, proprio non capisci? Tu non sei nulla confronto a noi!”
La donna fece un cenno al compagno e questi alzò un braccio puntando la mano verso James stringendo il pugno: come lo ebbe rilasciato un lampo di luce nera partì dal palmo della sua mano investendo James in pieno: venne sollevato in aria e scaraventato indietro finendo con uno scricchiolio sinistro contro il tronco massiccio di un albero lì vicino.
 
Dopo la caduta non si mosse più.
 
“E adesso signorina tu vieni con me, abbiamo perso già abbastanza tempo!” cercò di afferrare Elise per un braccio, ma quella si divincolò tirandogli uno schiaffo senza neanche sapere come.
Ma non fu uno schiaffo normale, e la ragazza se ne rese conto solamente quando si accorse che con quel suo gesto l’uomo era stato sbalzato diversi metri più indietro.
Si guardò la mano stupita, uno strano formicolio la percorreva: era stata davvero lei a farlo?
Sfruttò il momento di tregua per raggiungere Dan e Julia che nel frattempo si erano inginocchiati di fianco a James: il ragazzo era incosciente, un lungo taglio –probabilmente dovuto all’incantesimo che l’aveva colpito e che gli aveva anche lacerato la maglietta- gli percorreva trasversalmente il petto dalla clavicola destra quasi fino al fianco sinistro sanguinando copiosamente e imbrattandogli i vestiti.
 
Sollevò lo sguardo dal ragazzo e scoccò un’occhiata piena di odio ai due che nel frattempo stavano tornando alla carica.
Avevano fatto del male a James, e ora lei ne avrebbe fatto a loro…
Neanche lei sapeva bene come o perché, ma la rabbia che le era montata dentro aveva fatto comparire in lei quella strana sensazione che aveva da sempre caratterizzato l’arrivo di una delle sue crisi.
Sentiva come dell’energia accumularsi in lei, ma questa volta, invece di cercare di contenerla tutta, si concentrò come a voler trovare un modo per farla uscire.
 
Questa volta non era spaventata, non si sarebbe lasciata sopraffare: questa volta era pronta.
 
Quasi inconsapevolmente, come se in realtà neanche lei sapesse bene cosa stesse facendo, raccolse le braccia al petto stringendo i pugni.
Si godette per un istante l’espressione stupita e spaventata dei due, ben visibile dai loro occhi nonostante le maschere, e poi aprì le mani allargando nel contempo anche le braccia.
Sentì l’energia abbandonarla di colpo fluendo dal suo petto attraverso le braccia, fino alle mani per poi disperdersi nell’ambiente circostante sotto forma di un potente campo di forza.
I due in nero riuscirono a scappare in tempo, sparendo nel nulla per non esserne investiti.
Elise sorrise debolmente alle espressioni più che stupefatte di Dan e Julia per poi svenire subito dopo sull’erba proprio di fianco a James.













Da-dan!
Direi che con questo capitolo ho compensato un po' la monotonia di quelli precedenti, no?
Compaiono anche due nuovi personaggi: Julia e Dan. Forse ancora non cè l'ho ben chiaro nemmeno io, ma vi posso assicurare che avranno la loro parte nella storia.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ad essere sincera è -quasi- uno dei miei preferiti fino ad ora.
Grazie a tutte le persone che mettono la storia tra le preferite/seguite/ricordate, e grazie in anticipo a chi vorrà spendere un po' del suo tempo per farmi sapere cosa ne pensa :)
Alla prossima settimana
E.

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Capitolo 10
*** 9. Doubts ***


9 - Dubbi
 
 
 
La luce di quello che poteva essere un raggio di sole che cadeva proprio sul suo viso la fecero svegliare.
O forse era stata quella stranissima sensazione di sentirsi osservata?
Aprì gli occhi cautamente sbattendo più volte le palpebre per mettere a fuoco l’ambiente che la circondava, e il suo sguardo incontrò quello di un paio di occhi scuri incorniciati da una folta chioma di lunghi capelli rossi che contraccambiavano l’occhiata con curiosità.
Un attimo di silenzio e poi…
“Mammaaaa! Si è svegliata!” esclamò la ragazza alzandosi dalla sedia avvicinata al letto su cui era rimasta seduta fino a quel momento, uscendo dalla stanza.
 
Elise represse una smorfia: era come la prima –e ultima- volta che si era presa una sbronza. La testa le rimbombava incredibilmente, e anche il minimo suono le sembrava amplificato in modo esagerato. Dopotutto era quasi sicura che quella ragazza non avrebbe mai potuto avere una voce così acuta.
Se non altro non le veniva da vomitare…
 
Lo scricchiolio del pavimento di parquet la avvisò del rientro della rossa: aveva in mano una tazza fumante, ma dopo averne intravisto il contenuto non riuscì a trattenere un’espressione disgustata: adesso sì che le veniva da vomitare.
Rifiutò i tentativi della ragazza di metterle quella tazza tra le mani per farla bere: quella roba verdina e gorgogliante lei non voleva neanche sapere cosa fosse. E poi non avrebbe mai bevuto una cosa così neanche se fosse stata Julia ad offrirgliela, figuriamoci un’estranea!
“Bevila e vedrai che ti sentirai meglio!” esclamò ad un certo punto la ragazza riuscendo, non si sa come, a mettergli la tazza tra le mani.
Elise sentì la sua testa percorsa da una nuova fitta.
“… basta che la smetti di parlare…” borbottò tra i denti, e trattenendo il respiro buttò giù quella roba tutta d’un fiato.
Con sua grande sorpresa scoprì che non era poi così male: aveva un leggero sapore di menta, e mano a mano che continuava a bere la sensazione di rimbombo che aveva provato fino a quel momento nella sua testa aveva cominciato a dissolversi progressivamente, fino a lasciarle la mente del tutto limpida e sgombra.
“Te l’avevo detto che ti saresti sentita meglio” la rimproverò bonariamente la rossa con tono indulgente, la sua voce perfettamente normale.
“Scusa” arrossì lei “è che non sono ancora abituata a…”
 
A cosa?
 
Di sicuro non a quello che si trovava intorno a lei in quella stanza.
Il rosso era il colore predominante: i mobili, i muri tappezzati di poster, il copriletto su cui era seduta… C’era talmente tanto rosso in quella stanza che ti faceva venire caldo solo a guardare.
Una strana scopa era appoggiata nell’angolo tra l’armadio e il muro e fissate alla parete sopra la scrivania, con delle puntine da disegno, c’erano delle bandierine rosse e oro con la scritta ‘Grifondoro’.
Non avrebbe saputo dire se fosse rimasta più sorpresa dal fatto che le persone all’interno dei poster si muovessero salutando le due ragazze nella stanza o dal sentirsi dire: “Cosa stai guardando impicciona!” da un indignato specchio appeso al muro sopra una mensola mezza nascosta dietro la porta quando era rimasta per qualche secondo a fissare il suo riflesso.
Aveva tutti i capelli in disordine ed era più pallida del solito –il che era tutto dire visto che lei non riusciva ad abbronzarsi neanche andando al mare-.
 
“Vieni?”
Non se n’era neanche accorta, ma la ragazza con i capelli rossi la stava pazientemente aspettando facendole segno di seguirla.
Si alzò cautamente, assicurandosi che l’ambiente circostante non cominciasse a girare, e quando fu sicura di essere sufficientemente salda sulle gambe si apprestò a seguire la rossa fuori dalla camera.
 
 
Apprese così che l’abitazione dove si trovava dovesse avere due piani, visto che il corridoio su cui si era ritrovata dava sbocco, oltre ad alcune porte chiuse, ad una rampa di scale che scendeva verso il piano inferiore.
Finite le scale si trovò in un altro corridoio: verso il fondo c’era quella che doveva essere la porta d’ingresso, un’altra porta lasciava intravedere una cucina piuttosto moderna arredata in bianco e infine un’altra porta a vetri colorati che segnava l’ingresso al salotto.
Era una stanza abbastanza grande, ma non abbastanza da risultare dispersiva, e anche lì predominava il bianco.
Appoggiati su una delle due pareti più lunghe c’erano due mobili: uno più grande, alto quasi quanto una persona, ospitava due ante, un paio di cassetti e due vetrinette da cui facevano bella mostra diverse foto e soprammobili vari. L’altro, più basso, forniva appoggio ad un grande televisore a schermo piatto.
Di fronte alla tv, disposti a L, erano posizionati due divani in pelle, e in centro allo spazio lasciato libero un tavolinetto in cristallo a base quadrata.
Più a destra, verso il fondo della stanza, vicino alla parete con le finestre, un tavolo con il ripiano in vetro e l’anima di metallo era attorniato da alcune sedie, bianche, e sopra esponeva un bel vaso dall’aria antica con un bel mazzo di fiori colorati all’interno.
 
Entrando nel locale Elise notò che i posti sui divani erano praticamente tutti occupati.
Come le due ragazze entrarono i presenti si girarono nella loro direzione e così la bionda potè vedere chi c’era.
Ovviamente aveva riconosciuto Julia anche da dietro, e i capelli ricci di Dan erano pressochè inconfondibili, ma c’erano anche un altro ragazzo, tremendamente simile a James a parte che per gli occhi verdi, e una signora dai capelli rossi, che sembrava avere pressappoco la stessa età di Diana, con lo sguardo preoccupato.
Nel vederla Elise pensò di sentire qualcosa sbloccarsi in lei… era possibile che quella signora le fosse familiare?
 
La prima a rompere il silenzio che si era creato fu Julia: “Finalmente bella addormentata! È quasi un’ora che aspettiamo, stavamo cominciando a preoccuparci…”
“Stavamo?”
“Oh sì…”
“Io comunque sono Lily. Lily Luna Potter” la rossa interruppe Dan che aveva cominciato a parlare. Se non altro adesso poteva smetterla di pensare a lei chiamandola ‘ragazza’.
“e questo è mio fratello Albus Seve…”
“Guarda che so presentarmi da solo” la interruppe il moro. “E comunque puoi chiamarmi semplicemente Al” concluse poi mentre la scrutava da capo a piedi.
Dan cercò di alleggerire la tensione riuscendo finalmente a prendere la parola: “E colei che ci ha gentilmente messo a disposizione la casa e il salotto è la signora Potter, la madre di Lily, Al e…”
“Dov’è James?” esclamò di punto in bianco Elise interrompendo di nuovo Dan.
Si era subito accorta della sua assenza, ma non se n’era preoccupata: era verosimilmente finita in una casa i cui abitanti possedevano tutti una bacchetta magica, guarire la ferita che i due mascherati al parco avevano inferto a James sarebbe stato una bazzecola.
 
Questo era quello che aveva pensato all’inizio, ma evidentemente le espressioni tese e preoccupate sui volti dei presenti lasciavano presagire tutt’altro.
 
L’immagine del ragazzo che veniva scaraventato contro il tronco dell’albero attraversò la sua mente come una scarica, seguita subito dopo da quella del taglio sanguinante che avevano rinvenuto sul petto del ragazzo nei pochi secondi di tregua che avevano avuto prima che i due individui tornassero alla carica.
Ricordava distintamente che il ragazzo respirava ancora, però a fatica. Che fosse…?
No, Elise si rifiutava di crederlo.
 
“Come…sta?” domandò con voce tremante aspettando con non poca paura la risposta.
“Sono momentaneamente riusciti a farlo smettere di sanguinare” rispose la signora Potter, la voce sofferente. “Però il taglio non ne vuole sapere di rimarginarsi e rischia di riaprirsi da un momento all’altro. Abbiamo contattato diversi Medimaghi ma non sono riusciti a fare nulla, sembrava la prima volta che vedevano una ferita del genere. Qualsiasi incantesimo lo abbia colpito… noi non conosciamo la cura” concluse.
 
“Posso vederlo?” domandò ancora la bionda, un’idea che lentamente cominciava a farsi strada nella testa: se lei era davvero come le persone che li avevano attaccati, forse sarebbe potuta riuscire a trovare un modo per risolvere la situazione, anche se in fondo in fondo dubitava che la signora l’avrebbe lasciata avvicinare al figlio dopo quello che era successo… dopotutto era tutta colpa sua.
“Immagino di sì” rispose invece la signora, sorprendendola. “Da quello che mi è stato detto tu potresti essere l’unica a fare qualcosa…”
Il tono rassegnato che aveva usato per parlare fece deglutire la ragazza, dandole al tempo stesso una determinazione che non pensava di avere: avrebbe salvato James, glielo doveva.
 
Dopo un istante di teso silenzio la signora si alzò dal divano e fece segno ad Elise di seguirla, incamminandosi fuori dalla sala.
“È nella sua camera. I Medimaghi hanno detto che magari avere un ambiente familiare intorno avrebbe potuto aiutare… sono ritornato al San Mungo per consultarsi con alti colleghi e torneranno il prima possibile”
 
Le fece strada su per le scale lasciandola poi davanti a una delle porte chiuse del pianerottolo.
“Ti prego… salvalo”
Fu un sussurro, al punto che quando Elise si girò la signora Potter aveva già ricominciato a scendere le scale lasciando la ragazza a domandarsi se quella disperata richiesta non fosse solo frutto della sua immaginazione.
 
 
Questa volta l’hai combinata davvero grossa Elise…
 
Pensò la ragazza una volta rimasta sola appoggiando la mano sulla fredda maniglia della porta.
 
Certo, come se fosse stata davvero colpa mia… sono stati i due tizi del parco…
 
Però se avessi ascoltato James e non l’avessi scansato per avvicinarti forse tutto questo non sarebbe successo…
 
La corresse una fastidiosa vocina nella sua testa.
La ragazza dovette ammettere che aveva ragione: se non si fosse lasciata ammaliare a quel modo forse James sarebbe stato ancora tutto intero…
Se, se, se…
Sospirando si decise finalmente ad aprire la porta.
 
La stanza in cui entrò assomigliava terribilmente a quella della sorella, contava però molti più poster e stemmi, e quando entrò chiudendosi l’uscio alle spalle qualcosa di vagamente simile ad una noce dorata con le ali le sfrecciò incontro costringendola a scansarsi per non prendersela in un occhio.
La cosa che subito catturò l’attenzione di Elise fu però che nella stanza James non era solo: qualcuno era infatti seduto sul letto di fianco al ragazzo, il busto proteso sopra il suo petto e una mano ad accarezzargli il viso.
 
La sconosciuta alzò gli occhi da James nel sentire la porta chiudersi, per quanto Elise avesse cercato di fare piano.
 
“E tu chi diavolo sei?”













Buon lunedì a tutti!
Lo so che questo capitolo è corto e noioso, ma purtroppo anche i capitoli di passaggio servono  u.u
Ora, siccome sono buona e gentile (e visto che anche il prossimo è sempre un po' di passaggio) potrei forse pensare di pubblicare il prossimo capitolo già domani.
Forse.
Alla prossima
E.

 

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Capitolo 11
*** 10. The only one ***


10– L’unica
 
 
 
“E tu chi diavolo sei?”
 
La domanda era stata pronunciata con tono freddo e ostile, quasi indignato, ed Elise si sentì trapassare da parte a parte dall’occhiata che la ragazza le riservò subito dopo.
I capelli neri come la notte le ricadevano sulle spalle in boccoli perfetti che parevano essere appena usciti dal parrucchiere, occhi azzurri come il ghiaccio e abbronzatura impeccabile: la ragazza si era alzata in piedi, abbandonando momentaneamente il capezzale di James, lisciandosi con cura le pieghe del corto vestitino color pervinca che la fasciava in modo invidiabile e si era messa a fissare Elise con le mani sui fianchi, lo sguardo insistente in attesa di una risposta.
 
Il fatto che la ragazza avesse un fisico da modella e fosse praticamente perfetta sotto ogni punto di vista fece sentire la bionda non poco inadeguata nei suoi jeans scoloriti abbinati alla prima maglietta che in fretta e furia aveva pescato dall’armadio per non arrivare in ritardo a lezione.
“Ehm… io sono Elise” si presentò quasi balbettando.
 
La determinazione che l’aveva animata fino a qualche istante prima sembrava essersela data a gambe insieme alla sua autostima.
 
La mora alzò un sopracciglio continuando a scrutarla.
“Be’, io sono Calliope. Ora, se non ti dispiace, vorrei essere lasciata sola con il mio ragazzo” rispose a tono facendo arrossire violentemente Elise: l’idea che James potesse essere… impegnato non l’aveva mai minimamente sfiorata.
Si chiese tra sé e sé cosa mai avrebbero potuto avere in comune quei due, per poi darsi della stupida subito dopo: lei era bellissima, era ovvio che James avesse scelto una come lei come fidanzata.
 
“Beh? Cosa ci fai ancora qui?” la voce infastidita di Calliope interruppe i suoi pensieri facendole notare che la ragazza era tornata di nuovo sul letto di fianco a James e facendola arrossire di nuovo.
Se avesse saputo che il ragazzo aveva compagnia non sarebbe mai entrata, non voleva certo mettersi a fare il terzo incomodo.
Ormai però il danno era fatto, e alla fine dei conti lei era lì per un motivo: tanto valeva andare fino in fondo.
 
“Sono qui perché forse potrei riuscire a guarirlo…” cominciò sforzandosi di mantenere un tono di voce udibile.
Calliope sembrò guardarla per la prima volta come se fosse stata una persona e non una mosca fastidiosa da scacciare.
Il tutto durò però meno di un paio di secondi: “Non ti sembra di aver già fatto abbastanza?” domandò infatti con astio.
Evidentemente anche lei era al corrente di quello che era successo al parco.
 
“No, non se posso porre rimedio” ribattè Elise.
Stavolta era lei quella che cominciava a infastidirsi: chi si credeva di essere quella lì?
“Ti prego quindi di accomodarti un attimo…” proseguì poi indicando la porta adottando il tono che aveva imparato ad usare in reparto quando parenti troppo apprensivi non volevano assolutamente staccarsi dal letto del paziente.
Calliope sembrò scandalizzata al solo pensiero e fece per aprir bocca, ma Elise fu più svelta: “Prima comincio e prima finisco” la zittì.
La mora sembrò per un attimo valutare le possibilità.
Alla fine si diresse verso la porta, la aprì e se la richiuse alle spalle non prima di aver lanciato un’occhiata assassina alla ragazza rimasta dentro.
 
 
 
Finalmente era rimasta sola.
Si diresse verso il letto concedendosi finalmente di osservare James da vicino.
Il viso solitamente sorridente era contratto da una smorfia di dolore, i capelli incollati alla fronte sudata.
Un brivido le corse lungo la schiena quando si accorse che il ragazzo era praticamente a petto nudo: a coprirlo parzialmente c’era solo un’abbondante fasciatura che copriva la ferita trasversale che gli attraversava il torace.
In un primo momento le era sembrata pulita, ma ad un’occhiata più accurata si accorse che in diversi punti stavano cominciando a spuntare dei puntini rossi che si allargarono a formare un’unica chiazza scarlatta ad una velocità che non avrebbe pensato fosse possibile: come aveva detto la signora Potter erano riusciti a fermare il sanguinamento solo momentaneamente.
Nessuno era riuscito a trovare una soluzione, lei era la loro ultima e unica possibilità.
 
Peccato che Elise stessa non avesse la più pallida idea di quello che avrebbe dovuto fare.
 
Pensa
Si disse chiudendo gli occhi e respirando profondamente.
Come aveva fatto al parco?
Non lo sapeva. Era accaduto tutto così in fretta… aveva semplicemente agito seguendo l’istinto.
Come se l’istinto si potesse comandare…
Riflettè sbuffando.
 
Aprì gli occhi sentendosi completamente fuori posto.
 
Cosa ci faceva lei lì? Cosa centrava?
 
Nulla
 
Fece per alzarsi –non si era neanche accorta di essersi seduta- con l’intenzione di richiamare dentro Calliope, passare a scusarsi dai Potter per non essere riuscita a combinare niente se non guai per poi andare a nascondersi da qualche parte per il resto della sua vita.
Nel farlo però non potè impedire al suo sguardo di posarsi di nuovo sul ragazzo… e accadde.
 
La sensazione dell’energia che si accumulava dentro di lei comparve all’improvviso, e ad Elise non restò altro da fare se non assecondarla.
Quasi in trance appoggiò le mani sul petto di James ai lati della fasciatura ormai intrisa di sangue: come le sue mani entrarono in contatto con la pelle del ragazzo sentì l’energia fluire attraverso le sue palme e abbandonandola.
Dopo qualche secondo era tutto finito: tutto sembrava essere tornato normale, l’energia era sparita e la vista le si oscurò per qualche attimo facendola ondeggiare pericolosamente per essersi improvvisamente trovata come priva di forze.
Probabilmente sarebbe caduta dal letto se qualcuno non l’avesse tempestivamente afferrata saldamente per le spalle.
Quando finalmente rimise a fuoco la stanza si rese conto che a sorreggerla era stato nient’altri che James.
 
Il ragazzo sembrava aver riacquistato di colpo il suo colorito roseo e la sua espressione non era più sofferente, semmai perplessa nel ritrovarsi la ragazza così vicino e stupita nel constatare quello che aveva appena fatto.
Sedendosi infatti la fasciatura si era sciolta scivolando dalla sua posizione, ed Elise potè notare che lì dove prima c’era il taglio non era rimasta neppure una piccola cicatrice.
Sembrava che James non fosse mai stato toccato.
Il peso che le aveva oppresso il petto fino a quel momento si dissolse in un istante: ce l’aveva fatta. Non sapeva come, ma quello che importava era che James non fosse più in pericolo.
L’aveva salvato.
Anche il ragazzo sembrava essersene reso conto.
 
“Mi hai guarito” disse infatti a bassa voce.
“Eh già” rispose Elise sorridendo nervosamente.
“Beh… grazie” continuò lui tirando fuori il suo solito sorriso.
“Tu per me hai fatto lo stesso” gli ricordò lei.
Nessuno aggiunse più niente e i due tornarono ad essere avvolti dal silenzio.
Elise non riusciva a staccare lo sguardo da quegli occhi color nocciola: aveva davvero avuto paura di non vederli più?
La risposta era ovviamente sì, anche se forse non avrebbe dovuto esserlo…
 
Le loro teste si avvicinarono pericolosamente, ma all’ultimo secondo qualcosa scattò nella ragazza facendola allontanare bruscamente e alzare dal letto.
“Dovresti rivestirti… la tua ragazza ti sta aspettando, era molto preoccupata” sentenziò più freddamente di quando avesse pensato.
“C-cosa?” domandò lui confuso e preso alla sprovvista dalla brusca reazione della ragazza.
Ma ormai Elise aveva già aperto la porta per uscire.
 
“Finalmente! Ancora un minuto e avrei…” ma Elise non si fermò a sentire quello che Calliope avrebbe fatto. La scansò senza nemmeno guardarla prendendo le scale in tutta fretta sentendo che le lacrime cominciavano a minacciare di venire fuori.
Alla fine della rampa trovò tutti ad aspettarla, probabilmente attirati dal trambusto che aveva fatto.
Non appena notò la sua espressione la signora Potter si fece scappare un singhiozzo mentre Albus si apprestava a sorreggerla.
Elise avrebbe voluto dire qualcosa, rassicurarla, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu uscire da quella casa il più in fretta possibile.
Se non altro James scelse proprio quel momento per precipitarsi giù per le scale, una maglietta infilata solo per metà, urlando: “Elise aspetta…!” finendo solo per trovarsi davanti la porta dell’ingresso sbattuta con forza.
Ma almeno i Potter non avevano più nulla di cui preoccuparsi.
 
 
Sentendosi estranea a quel clima di gioia e sollievo che si era creato anche Julia approfittò del momento per recuperare tutte le cose sue e dell’amica per poi sgusciare fuori dall’abitazione, però non senza aver notato una ragazza mozzafiato che, compiaciuta, teneva a braccetto un James alquanto infastidito.
 
Non ci mise molto a raggiungere l’amica.
“Si può sapere che cosa ti è preso?” domandò afferrandola per un braccio costringendola a fermarsi e a guardarla in faccia.
“Hai appena salvato la vita di quello schianto di ragazzo usando i tuoi nuovissimi super poteri… dovresti essere alle stelle, non piangere come una fontana!” commentò rimproverandola ma riuscendo a strapparle un piccolo sorriso.
“Allora… mi vuoi dire cos’è successo?”
 
 
 
 
I cartoni delle pizze giacevano ormai vuoti, abbandonati sul tavolino del salotto mentre le due ragazze se ne stavano spaparanzate sul divano davanti alla tv accesa a cui nessuna delle due prestava più attenzione da un pezzo.
Grazie all’aiuto del navigatore del cellulare di Julia erano riuscite a ritornare a casa abbastanza in fretta nonostante la casa dei Potter fosse in un quartiere di Londra che le due non conoscevano molto bene.
Tra una fetta di pizza e l’altra le due ne avevano approfittato per aggiornarsi su quello che era successo da quando Elise era svenuta a quando Julia aveva lasciato i Potter ad abbracciare James che a giudicare dalle loro reazioni sembrava essere appena tornato dal regno dei morti.
“… e poi stavamo quasi per baciarci, credo” concluse Elise, finendo di raccontare quello che era successo quel pomeriggio.
Le era quasi tornato il buon umore: pizza e coca-cola potevano fare miracoli, soprattutto se uniti alla compagnia della sua migliore amica.
“E di grazia per quale motivo non l’hai lasciato fare?” domandò Julia, scioccata che l’amica si fosse sul serio tirata indietro.
“Beh, è semplice: non hai per caso notato una certa ragazza… capelli scuri, fisico pazzesco, più simile ad una modella che ad una comune mortale? Ecco: quella è la ragazza di James”
Julia assimilò la notizia senza sembrare troppo convinta: “Certo, sarebbe stato un po’ difficile non notarla in effetti. Però James non sembrava troppo felice di vederla” commentò dubbiosa.
“Cosa vorresti dire?”
“Voglio dire che se non fossi scappata via come un’adolescente alla prima cotta avresti potuto apprezzare il fatto che James si è quasi rotto l’osso del collo correndoti dietro giù per le scale…”
“Non credo che avrei apprezzato un suo tentativo di suicidarsi dopo tutta la fatica che ho fatto per salvargli la vita…” commentò Elise funerea.
“Guarda che io sto parlando sul serio! Sembrava veramente dispiaciuto che te ne fosse andata così, e non sembrava per niente contento che Miss Perfezione gli stesse attaccata peggio di una sanguisuga…”
 
 
***
 
 
“Allora? Dov’è lei? Avevate detto che finalmente me l’avreste portata!”
“Mia signora, noi… noi non siamo riusciti a prenderla… c’era quel mago, quel Rigido con lei…”
“E da quando un semplice Rigido costituisce un problema?”
“Vede, il punto è che la ragazza ha usato i suoi poteri…”
“Siete degli incapaci! Vi avevo detto che la volevo prima che imparasse ad usarli!”
“Siamo mortificati Milady, la prego…”
“Basta, sono stufa! Avete due settimane per portarmela, e vi sto dando anche troppo. Se fallirete anche stavolta non dubitate che provvederò a trovare qualcun altro che faccia il lavoro!”
“Non si preoccupi, non ce ne sarà bisogno…”
“Vorrei ben vedere… è tempo che mia figlia torni a casa…”













Come promesso ecco la conclusione delle vicende del capitolo precedente!
Spero non abbia deluso le aspettative (se qualcuno le aveva...)
Ringrazio chi segue/preferisce/ricorda la storia e soprattutto le anime pie che recensiscono: commenti e critiche sono sempre ben accette e utili per migliorare!
Alla prossimo capitolo
E.

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Capitolo 12
*** 11. Double James ***


11 - Doppio James
 
 
 
Elise aprì gli occhi di scatto, il respiro affannoso e lo sguardo che vagava quasi impazzito da un punto all’altro della stanza.
Andava tutto bene, non era successo niente.
Chiamare incubo quello che aveva appena vissuto nella sua mente le sembrava alquanto riduttivo: era possibile che esistesse un termine in grado di descrivere il terrore, lo sgomento e il dolore che aveva provato?
 
Probabilmente no.
 
Rivivere quello che era successo a James l’aveva profondamente turbata –ancora convinta che alla fine dei conti la colpa fosse tutta sua- ma mai quanto il fatto che il finale era stato diverso rispetto a quanto era, fortunatamente, successo realmente.
Nel suo sogno, pardon, incubo, lei non era riuscita a fare niente, i suoi cosiddetti poteri non si erano degnati di venir fuori e lei non aveva fatto altro che restare a guardare impotente mentre la fasciatura del ragazzo diventava sempre più impregnata di sangue finchè James non aveva smesso di respirare del tutto.
Scuotendo la testa per cercare di far andare via le immagini che ancora la tormentavano il suo sguardo cadde sulla sveglia appoggiata sul comodino.
 
Segnava le dieci e trenta passate.
 
Non era in ritardo, di più.
 
Un istante di panico prima di ricordarsi che era sabato e che quindi non c’era lezione.
Non potè fare a meno di pensare che però lasciarla dormire così fino a tardi non era affatto un comportamento da Julia. Di solito la lasciava in pace al massimo fino alle otto, dopodichè pretendeva che fosse bella e pronta e la trascinava fuori di casa con le scuse più disparate, come per esempio andare a correre…
Aveva sempre pensato che avere una coinquilina mattiniera fosse un vantaggio nei periodi di lezione e tirocinio quando ci si doveva alzare presto, ma purtroppo non riusciva a capire perché anche nei giorni festivi si dovesse mantenere quella routine.
 
Stropicciandosi gli occhi nonostante tutto ancora impastati di sonno si diresse verso la cucina per mettere qualcosa nello stomaco.
Sul tavolo un biglietto la informava che Julia era dovuta uscire per svolgere una commissione urgente (probabilmente uscire con qualcuno) e che sarebbe tornata dopo pranzo (era decisamente uscita con qualcuno).
Elise sorrise: ecco spiegato l’inusuale silenzio che pervadeva l’appartamento. Quando Julia non era in casa era impossibile non notare la differenza.
Stava per aprire il frigo per recuperare il cartone del latte quando suonò il campanello.
 
Due trilli rapidi e decisi.
 
Sbuffando contro chiunque avesse osato interrompere il rito sacro della sua prima colazione la ragazza si diresse verso la porta d’ingresso.
“Sì?” domandò aprendo uno spiraglio non prima di essersi assicurata che la catenella di sicurezza fosse inserita.
“Ti ho svegliata? Scusa, non volevo…” le rispose una voce che sembrava tutt’altro che spiacente.
Gli occhi di Elise si spalancarono perdendo di colpo l’espressione assonnata e la porta venne richiusa di colpo.
“Ehi!” si sentì protestare, ma la ragazza non vi fece caso.
 
Era ancora in pigiama, uno di quelli vecchi e consumati e che, a dirla tutta, le andava anche un po’ piccolo ma che non avrebbe mai abbandonato perché ci era troppo affezionata, e probabilmente in testa i capelli ancora annodati e arruffati dopo la notte assomigliavano più al nido di qualche volatile che ad una capigliatura.
Non si era nemmeno ancora lavata il viso.
E così conciata aveva avuto la geniale idea di aprire la porta.
A James Potter.
 
“Cosa vuoi?” gli domandò attraverso la porta mentre cercava freneticamente di darsi una sistemata ai capelli facendo passare le dita tra le ciocche più ribelli.
“Ehm… parlare?” rispose lui con voce canzonatoria. “Ti dispiacerebbe farmi entrare?” aggiunse poi “Credo che i condomini potrebbero anche fare a meno di sentire quello che devo dirti…”
In effetti non aveva tutti i torti: era risaputo da tutti quanto rimbombassero i suoni nei ballatoi del palazzo.
Cercando di assumere un’espressione dignitosa e raddrizzando le spalle Elise tolse la sicura dalla porta e la aprì invitando il ragazzo ad entrare.
Inutile dire che i suoi sforzi vennero annullati nel momento in cui James commentò con un “Bello il pigiama” che la fece arrossire in tempo zero.
Borbottò qualcosa che suonò come “Chiudi il becco, Potter” incamminandosi di nuovo verso l’angolo cucina con tutta l’intenzione di riprendere da dove si era interrotta, ma James la fermò di nuovo.
“In realtà…” cominciò incerto “In realtà anch’io devo ancora fare colazione… ti andrebbe…”
Elise si voltò a guardarlo stupita: non si sarebbe mai immaginata di sentire il ragazzo così indeciso.
“Mi stai invitando a fare colazione fuori?” domandò lei più concretamente.
James annuì.
“Ok” rispose lei sospirando. “Dammi cinque minuti che vado a vestirmi…”
E ignorando James che tornato di colpo sicuro di sé le urlava dietro: “Guarda che sei bella anche così!” sparì in camera per cercare qualcosa da mettersi.
 
Piazzandosi davanti all’armadio aperto alla ricerca di qualcosa di adatto le tornò in mente Calliope e non potè fare a meno di mettersi a confronto con lei.
Si concesse più o meno trenta secondi di tempo per infierire sulla sua autostima, dopodichè afferrò un paio di jeans puliti, una camicetta azzurra che non era ancora troppo spiegazzata, la giacca e le sue solite scarpe di tela.
Con dei decisi colpi di spazzola i suoi capelli vennero riportati ad un aspetto presentabile e l’acqua fresca sul viso scacciò anche l’ultima traccia di sonno che ancora era rimasta.
Controllo di avere telefono e portafoglio in borsa e tornò da James.
 
Il ragazzo sembrava non essersi mosso dalla posizione in cui l’aveva lasciato: in piedi vicino al tavolo della cucina con le mani nelle tasche della felpa. Stava guardando proprio nella direzione della porta dietro la quale era sparita per andare a cambiarsi, e appena la vide tornare fuori la accolse con un gran sorriso.
“Allora andiamo?”
Elise annuì entusiasta rispondendo a sua volta al sorriso.
Non l’avrebbe mai ammesso ma l’arrivo del ragazzo le aveva incredibilmente risollevato il morale.
L’incubo di quella mattina sembrava non essere mai accaduto.
 
 
“Allora… dove avevi detto che mi volevi portare?” domandò Elise dopo un po’ che camminavano giusto per rompere il silenzio che stava cominciando a diventare imbarazzante.
“Immagino che tu ti ricordi del Paiolo Magico…” rispose lui pronto. “So che molto probabilmente non ti è sembrato nulla di che, ma ti assicuro che la colazione la fanno bene”.
Elise sembrò rimanere momentaneamente senza parole, ma alla fine si ritrovò ad annuire seppur non molto convinta.
“Pensavo che quel posto fosse solo per maghi e streghe” commentò dopo un po’.
“Beh, credo che dopo tutto quello che è successo non ci siano dubbi sul fatto che tu sia una strega, non credi?” la rassicurò James con un sorriso al quale la ragazza non potè fare a meno di rispondere sorridendo a sua volta.
“Quindi io sarei un strega anche se non ho la bacchetta?” domandò.
“A quanto pare…” rispose il ragazzo. “Sai cosa facciamo? Dopo colazione torniamo da Olivander, magari ci sa dire qualcosa di più su questa storia. Cosa ne dici?”
Elise annuì, questa volta più decisa: “Direi che è un’ottima idea. Adesso però diamoci una mossa, altrimenti al posto della colazione facciamo direttamente il pranzo…”
 
 
 
Il Paiolo Magico non era cambiato di una virgola dall’ultima volta che ci era stata: era sempre il solito locale ombroso e dall’aria trasandata.
Come però le aveva anticipato James la colazione non era stata affatto male, e lei e il ragazzo avevano passato tutto il tempo a chiacchierare.
James in particolare era sembrato particolarmente interessato al fatto che Elise volesse diventare quello che era il corrispettivo babbano del Guaritore, e l’aveva bombardata di domande, apparentemente curioso e affascinato dal modo così diverso in cui i babbani svolgevano la professione rispetto ai maghi.
 
“Ti va di fare un giro prima di andare da Olivander?” domandò James una volta che furono usciti dal pub oltrepassando il varco apertosi dal muro di mattoni ed entrando a Diagon Alley.
“Magari! L’altra volta non mi hai neanche lasciato finire di vedere la libreria…” rispose la ragazza che già stava cercando il negozio con gli occhi.
James parve momentaneamente disorientato, ma si riprese subito: “Sì, beh… diciamo che l’altra volta eravamo più di fretta”
“Sai cosa?” aggiunse poi “Tu vai pure al Ghirigoro, io intanto faccio un attimo un salto a salutare una persona… un paio di minuti e ti raggiungo”
“Certo, ma se vuoi ti accompagno” propose Elise
“Oh no, non ce n’è bisogno, ti annoieresti e basta… è solo un vecchio amico di famiglia: i miei insistono sempre che io vada a salutare quando passo… Davvero, ti raggiungo subito”
“Ehm, ok” concordò la ragazza.
In realtà era rimasta un po’ stupita dalla risposta frettolosa di James, ma decise di non farci caso.
“A dopo allora” lo salutò poi prima di entrare nel negozio che nel frattempo avevano raggiunto.
“A dopo”
 
 
 
///
 
 
 
“Eccoti finalmente. Dov’è la ragazza? Non dirmi che te la sei lasciata scappare di nuovo…”
“Vorrei ricordarti che l’ultima volta c’eri anche tu, e comunque no, non mi è scappata. L’ho lasciata al Ghirigoro per venire a controllare che tutto fosse pronto”
“Certo che è tutto pronto, manca solo lei: la passaporta è già attiva, basterà fargliela toccare e il gioco è fatto. Come pensi di portarla fino a qui?”
Il ragazzo scoppiò a ridere: “Ma hai visto come sono conciato? Finchè sarò così quella ragazza mi seguirà dovunque voglia… e non ti dico cos’ho dovuto sopportare mentre facevamo colazione: non sta zitta un attimo quella…”
“E sei sicuro che non sospetti di nulla? Lo sai che questa volta non possiamo permetterci errori”
“Tranquilla, non c’è pericolo. Alla fine non credo che sia così intelligente come pensavamo…”
“Se lo dici tu…”
 
 
///
 
 
Passando tra uno scaffale e l’altro Elise avrebbe dovuto confessare che i libri era il suo ultimo pensiero, che invece era concentrato su una cosa sola, anzi, su una persona sola: James.
Se era rimasta altamente sorpresa quado se l’era ritrovato fuori dalla porta di casa, altrettanto poteva dire riguardo il suo comportamento.
Dopo quello che era successo si sarebbe aspettata una spiegazione per la comparsa di Calliope e un po’ di imbarazzo per il loro quasi-bacio, ma dal modo di porsi di James sembrava che niente di tutto ciò fosse accaduto.
Doveva sentirsi offesa? Ferita?
Non lo sapeva nemmeno lei.
Passando vicino ai libri in sconto che erano stati strategicamente posizionati vicino all’ingresso del negozio il suo sguardo attraversò la vetrina del negozio finendo sulla strada lastricata di Diagon Alley. Nonostante quello fosse periodo di scuola maghi e streghe affaccendati affollavano la via passando da negozio a negozio come api che volano da un fiore all’altro.
Stava per riportare la sua attenzione sui libri quando due figure familiari apparvero nel suo campo visivo passando dal lato opposto della strada per poi infilarsi dentro al negozio Accessori di Prima Qualità per il Quiddich.
I capelli ricci e disordinati di Dan li avrebbe riconosciuti ovunque, ma nonostante tutto non era lui che aveva attirato la sua attenzione.
No, era stato il ragazzo che camminava al suo fianco.
Non l’aveva visto in viso, ma avrebbe potuto giurare che fosse James.
James che quella mattina indossava dei pantaloni neri e una felpa blu scuro, non blue jeans e una maglia rossa come il ragazzo che le era appena passato davanti.
Scacciò il pensiero dicendosi che di sicuro Dan aveva anche altri amici oltre a Potter, e che quel ragazzo doveva solo assomigliarci molto.
Resistette una decina di secondi dopodichè, vinta dalla curiosità, uscì dalla libreria per dirigersi verso il negozio dentro il quale erano entrati i due ragazzi.
 
Aveva quasi finito di attraversare la strada quando si sentì chiamare.
“Elise? Dove stai andando?”
James, quello che si era presentato da lei quella mattina, le stava venendo dietro quasi correndo.
Aveva una strana espressione negli occhi che la ragazza non seppe decifrare ma che le lasciò addosso una sensazione che non prometteva nulla di buono.
“Visto che non arrivavi ho pensato di dare un’occhiata a questo negozio” rispose lei pacata indicando il locale dedicato al Quiddich alle sue spalle. “L’ultima volta mi hai parlato così tanto di manici di scopa e affini che mi sono incuriosita”
“Sì, beh… il Quiddich è proprio un bello sport… ma facciamo un’altra volta, ok? Adesso volevo farti vedere un altro posto” disse lui dopo aver lanciato un’occhiata sospettosa al negozio e guidando Elise lungo la via.
A quella risposta la ragazza si morse la lingua: strano ma vero, ma quando James l’aveva portata a Diagon Alley la prima volta per comprare la bacchetta il Quiddich non l’aveva neanche nominato.
Non sapeva nemmeno lei perché, ma la sua voleva solo essere una provocazione, per vedere se James l’avrebbe smentita.
L’unica conclusione logica che le venne in mente fu: quello non è il vero James.
Ma com’era possibile?
 
Si accorse di essersi fermata in mezzo alla strada solo quando si sentì tirare il braccio.
“Andiamo?” la esortò il ragazzo.
Adesso sembrava impaziente e continuava a gettarsi occhiate nervose in giro.
Elise si divincolò facendo poi un passo indietro per allontanarsi.
“Senti… facciamo un’altra volta? Non… non mi sento molto bene, sarà meglio che torni a casa…”
“Io non credo proprio…” sibilò James facendola rabbrividire tornando a strattonarla per la giacca.
Nel suo sguardo si era accesa una strana luce che era più che sicura di non aver mai visto: sembrava che volesse farle del male.
“James… ti prego…”
Mentre continuava ad avanzare il ragazzo stava stringendo sempre di più la presa sul suo braccio tanto che cominciava a farle male.
Intanto pareva che nessuno si fosse accorto di quello che stava succedendo.
Con orrore Elise si accorse che gli sguardi delle persone che le passavano accanto sembravano stranamente vacui… nessuno avrebbe mosso un dito per aiutarla, non finchè James le fosse rimasto vicino.
Cercando di tenere a bada il panico sempre più crescente Elise riprese a divincolarsi, ma James non sembrava intenzionato a mollare la presa nonostante i suoi sforzi.
Prima di darsi per sconfitta decise che avrebbe per lo meno dovuto provarle davvero tutte.
“Ho detto lasciami!” urlò più forte di quanto avesse pensato, accompagnando la sua esclamazione con un calcio che andò preciso a colpirlo dietro al ginocchio, facendolo cedere.
La manciata di secondi durante i quali il ragazzo allentò la presa sul suo braccio furono sufficienti: con uno strattone si liberò definitivamente cominciando poi a correre il più velocemente possibile nella direzione opposta.
 
Era quasi arrivata alla fine della via quando si concesse di rallentare un po’ per guardarsi alle spalle: del ragazzo non sembrava esserci traccia, ma se non altro le persone sembravano essere tornate normali mentre la guardavano quasi con disapprovazione dopo la corsa che aveva fatto.
Si sentì appoggiare una mano sulla spalla e prima di poter elaborare un pensiero coerente era già scattata.
“Ehi! Calma! Elise, aspetta un attim… ahi!”
Una familiare voce maschile aveva cercato di tranquillizzarla finendo poi con una sonora esclamazione di dolore mista a disappunto nel momento in cui la mano della ragazza era entrata in contatto con il suo viso tramite un sonoro schiaffo.
 
Elise si fermò a guardare il suo interlocutore.
Maglia rossa, jeans: un’altra versione di James Potter la stava osservando curioso massaggiandosi una guancia, ma nonostante tutto non sembrava arrabbiato con lei.
“Però… bel sinistro bionda!”
Concentrata com’era a scrutare con sospetto gli occhi color nocciola del ragazzo di fronte a lei non si era nemmeno accorta che non era solo.
“Te la sei scelta bella aggressiva, eh James?” scherzò Dan punzecchiando l’amico con il gomito.
Il ragazzo chiamato in causa alzò gli occhi al cielo sbuffando.
“Vedo che sei sempre molto opportuno… Posso sapere cosa sta succedendo?” domandò poi ad Elise.
La ragazza assottigliò gli occhi continuando a scrutarlo: “Come faccio a sapere che sei davvero tu?” domandò a bassa voce.
James aggrottò le sopracciglia: “Come? E questo cosa vorrebbe dire?”
Aveva fatto un passo verso la ragazza, che a sua volta ne aveva fatto uno indietro.
“Elise cosa sta succedendo?”
 
La ragazza fece per aprire bocca, ma si bloccò ad osservare con espressione spaventata un punto alle spalle dei due ragazzi.
 
“Te lo devo riconoscere ragazzina, non sei un bersaglio facile come avevamo pensato, impari in fretta…” commentò il nuovo arrivato mentre camminava nella loro direzione.
Elise notò con piacere che zoppicava.
Quando si fu avvicinato abbastanza James si ritrovò a fissare un ragazzo identico a lui, a parte per lo sguardo che invece era molto più freddo e cattivo.
“E questo chi sarebbe? Il tuo gemello malvagio?” borbottò Dan che come James aveva già sfoderato la bacchetta.
“Pozione Polisucco” commentò a voce talmente bassa che ad Elise sembrò quasi di esserselo immaginato.
Il ragazzo ghignò e dopo qualche istante il suo visto si contrasse in una smorfia mentre il suo corpo cominciava a cambiare.
 
I capelli diventarono ancora più scuri e si allungarono fino a raggiungergli le spalle e anche gli occhi divennero neri come la notte.
Le spalle si ingrossarono e si allargarono andando a tendere la felpa che indossava e una buona zona delle caviglie era rimasta scoperta dopo che aveva guadagnato almeno una decina di centimetri in altezza. Sarebbe risultato quasi ridicolo se non fosse stato per l’espressione minacciosa del viso.
Anche se l’ultima volta indossava un mantello e una maschera tutti e tre i ragazzi lo riconobbero subito: era uno dei due che li avevano attaccati al parco il giorno precedente.
 
Prima che Elise potesse fare qualsiasi cosa sentì James urlare mentre la teneva saldamente per un braccio: “Dan! Ci vediamo a casa mia!” e senza ancora aver capito cosa stesse succedendo sentì uno strappo all’altezza dell’ombelico seguito dalla sensazione di essere risucchiata nel vuoto.













Buon lunedì a tutti!
Oggi aggiornamento presto perchè oggi pomeriggio non ci sono.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere :)
Come sempre grazie a chi continua a seguire la storia, alla prossima settimana!
E.

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Capitolo 13
*** 12. Photocopy ***


12 - Fotocopia
 
 
 
L’atterraggio arrivò inaspettato e brusco.
I suoi piedi toccarono terra quasi con violenza, tanto che per il contraccolpo le ginocchia le cedettero facendola cadere mentre un forte senso di nausea si impossessava di lei.
Le orecchie le fischiavano discretamente e percepiva in modo confuso i suoni intorno a lei.
“Elise? Riesci a sentirmi?” la voce di James riuscì a superare quella sorta di barriera e a farsi strada della sua mente.
Poco alla volta la ragazza riaprì gli occhi: non si era neanche accorta di averli chiusi.
Con sollievo constatò che l’ambiente attorno a lei non girava più, e fissò il suo sguardo in quello del ragazzo che, con espressione preoccupata si era accovacciato di fronte a lei.
“Come va la nausea? So che è normale quando uno non è abituato…” domandò gentilmente lui, e ad un cenno di assenso di Elise le porse una mano che la ragazza accettò volentieri per aiutarsi a tirarsi su dal pavimento.
Il ragazzo non aveva comunque smesso un attimo di osservarla, quasi volesse accertarsi che fosse ancora tutta intera…
 
“Dan?” domandò Elise ad un certo punto?
In risposta si udì un sonoro crack e il riccio apparì davanti ai suoi occhi.
Un po’ indispettita la ragazza notò che, come James, nemmeno lui sembrava avere avuto i suoi problemi.
“Come mai ci hai messo tanto?” domandò bruscamente James, che aveva inconsapevolmente tirato un sospiro di sollievo nel momento in cui aveva visto comparire l’amico.
“Mi sono attardato un po’ di più per assicurarmi che non rimanesse indietro nessun pezzo…” rispose lui tranquillamente accennando alla ragazza. “Tanto il tipo era talmente sconvolto di essersela lasciata scappare da sotto il naso un’altra volta che non avrebbe potuto fare proprio niente…”
“Cosa vuol dire che non rimanesse indietro nessun pezzo?!” domandò Elise allarmata, la voce di un’ottava più altra, interrompendo Dan.
James fulminò il riccio con un’occhiataccia: “Alle persone più inesperte, o quando ci si smaterializza in fretta, può capitare di spaccarsi, ovvero di lasciare indietro una parte del corpo… ma tranquilla! Non è nulla di grave ed è una cosa reversibile” spiegò cercando di tranquillizzarla.
Elise non sembrava molto convinta ma lasciò comunque cadere il discorso.
 
“Come mai siamo proprio qui?” domandò dopo un po’.
Aveva riconosciuto l’ordinato salotto di casa Potter appena aveva avuto il coraggio di riaprire gli occhi sperando di non rimettere la colazione.
“Beh, diciamo che questa, per il lavoro che fa mio padre, è una specie di casa sicura: nessuno può entrare se prima non ha ricevuto il permesso da parte di mio padre o di mia madre” rispose James. “Il che mi fa ricordare che devo chiamare una persona…” aggiunse poi lasciando la stanza.
 
Elise e Dan si scambiarono uno sguardo interrogativo.
“E quindi io avrei ricevuto il permesso? Tu sai chi è andato a chiamare?”
“No, non ne ho proprio idea… sarà meglio sedersi, non so quanto tempo ci metterà…”
I due ragazzi presero posto su uno dei divani del salotto.
Sembravano entrambi persi nei propri pensieri finchè il ragazzo non parlò.
“Sai, la prima volta che ti ho vista ho pensato che fossi una ragazza normale… carina, ma assolutamente normale. Diciamo come ci si aspetta che sia una babbana, ecco. Senza offesa, eh! Evidentemente però non mi sono mai sbagliato così tanto in vita mia: immagino che tu sia molto più che speciale se ti vogliono così tanto, chiunque essi siano. Senza contare che sei riuscita a guarire James quando neanche i migliori Medimaghi del San Mungo sono riusciti a farlo”
 
“Chi sei, Elise?” le domandò guardandola negli occhi.
La ragazza sostenne lo sguardo: “Non lo so Dan, non lo so. Ma ti assicuro che vorrei tanto saperlo” si sentiva stanca come non era mai stata, persino più che dopo una crisi.
Era stanca e stufa di non riuscire a capire cosa stesse succedendo e perché quelle persone la stessero cercando così assiduamente.
 
Perché lei?
 
Senza che se ne accorgesse una lacrima le scivolò lungo la guancia.
“Ehi!” esclamò Dan avvicinandosi e raccogliendo la lacrima con la punta di un dito. “Sono sicuro che si risolverà tutto, vedrai” e così dicendo abbracciò la ragazza cercando di rassicurarla come poteva.
 
Dei colpi di tosse li fece separare: James era in piedi sulla porta del salotto e li stava squadrando con espressione che poteva sembrare delusa e infastidita allo stesso tempo.
I suoi capelli sembravano ancora più spettinati di quando aveva lasciato la stanza e il viso e le spalle sembravano essere vagamente sporchi di… fuliggine?
Elise distolse lo sguardo sentendosi vagamente in imbarazzo.
“Allora?” domandò Dan, che invece sembrava perfettamente a suo agio.
“Stanno arrivando” rispose semplicemente James.
“Chi sta arrivando?” lo sollecitò Elise, ma il ragazzo ignorò completamente la domanda ponendogliene un’altra: “Alla fine non mi hai risposto… cosa ci facevi a Diagon Alley? E come hai fatto ad entrare?”
Dan annuì dichiarandosi d’accordo: anche lui era curioso di saperlo.
La ragazza aprì la bocca e la richiuse: no, non avrebbe raccontato quello che era successo quella mattina da quando si era svegliata, non in quel momento.
“Elise…” la richiamò James. Sembrava quasi arrabbiato, ma prima che potesse proseguire dei rumori provenienti da quella che Elise presumeva fosse la cucina attirarono la loro attenzione.
 
Daniel scattò subito in piedi, ma con un cenno James gli fece capire che non c’era da preoccuparsi.
A quel punto anche Elise si alzò dal divano, giusto in tempo per veder entrare dalla porta le persone più strane che avesse mai visto.
 
La prima era una donna, piuttosto anziana a giudicare dai capelli grigi ampiamente striati di bianco raccolti in un rigido chignon e dalla pelle di volto e mani che sicuramente un tempo era stata molto più liscia e giovane.
Nonostante tutto il suo sguardo denotava una grande forza e decisione da dietro la montatura squadrata degli occhiali, e la sua figura abbigliata con una tipica veste da strega con tanto di mantello smeraldino era dritta e fiera.
Il secondo era un uomo: alto, imponente, pelato e di colore, riusciva stranamente ad infondere allo stesso tempo un senso di sicurezza. L’abbigliamento era ancora più insolito rispetto a quello della strega appena entrata, più esotico, e aveva addirittura un orecchino d’oro all’orecchio. A giudicare dagli sguardi sbalorditi dei ragazzi doveva essere una persona importante.
Il terzo era ancora diverso.
Era un uomo, molto più giovane rispetto ai due che l’avevano preceduto.
Indossava quella che aveva tutta l’aria di essere una divisa, almeno per quanto riguardava la giacca in pelle nera su cui spiccava, all’altezza del cuore, una specie di strana “M” ricamata con filo dorato.
Aveva i capelli scuri pettinati non proprio ordinatamente all’indietro e sulla sua fronte, sopra gli occhiali tondi che portava, era visibile una sottile cicatrice a forma di saetta che, secondo Elise, non faceva altro che aumentare il suo fascino.
In realtà la ragazza non potè fare a meno di pensare che quel volto le era dannatamente familiare.
E infatti…
“Papà?” domandò stupita la voce di James, ed Elise si diede mentalmente della stupida: come aveva fatto a non arrivarci subito? Era così ovvio.
James sembrava proprio la fotocopia del padre, eccetto che per gli occhi.
Quelli del ragazzo erano di un caldo color nocciola, mentre quelli dell’uomo erano verdi.
“Come mai sei qui anche tu?” continuò il ragazzo distogliendola dai suoi pensieri.
“In qualità di Capo del Dipartimento Auror il Ministro e la professoressa McGranitt hanno ritenuto che sarebbe stato opportuno che anch’io fossi informato riguardo a questa faccenda” rispose l’uomo pacato, rivolgendo la sua attenzione ad Elise.
In effetti, solo ora se ne rendeva conto, da quando erano entrati anche l’altro mago e la strega non le avevano tolto un attimo gli occhi di dosso.
 
La cosa cominciava ad essere alquanto imbarazzante: non le era mai piaciuto essere fissata in modo così insistente.
 
“In effetti credo che qualche presentazione potrebbe essere utile” continuò il signor Potter notando che la ragazza continuava a spostare spaesata lo sguardo da Kingsley alla McGranitt.
“Lei è la professoressa Minerva McGranitt” spiegò indicando la strega. “È la preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts… sai cos’è Hogwarts, giusto…?”
“Sì, lo so” disse sbrigativa la ragazza. “James mi ha spiegato…”
“Mentre lui è Kingsley Shacklebolt” continuò il padre di James “è il Ministro della Magia, sarebbe come il vostro Primo Ministro Babbano…” spiegò.
Elise annuì: aveva capito.
“Io invece sono Harry Potter, come avrai capito sono il padre di James, e sono un Auror che sarebbe il corrispettivo babbano del…
“Del poliziotto, sì lo so. Mi è stato spiegato anche questo” lo interruppe Elise.
 
“E perché mai sareste qui?” domandò infine restando stupita dal tono sfrontato che le era uscito.
A risponderle fu l’uomo di colore, il Ministro della Magia: “Quando il signor Potter ha contattato la professoressa McGranitt ha fatto riferimento ad un episodio non molto piacevole che vi ha coinvolto tutti e tre mentre eravate a Diagon Alley non più tardi di una decina di minuti fa, per non parlare di quello che è accaduto ieri” cominciò l’uomo con voce calma e profonda rivolgendosi ai ragazzi.
“Prima di dire qualsiasi cosa vorrei però sentire la versione di Elise” concluse poi guardando la ragazza negli occhi.
 
Elise sostenne lo sguardo sperando che la nota di panico che era scattata nella sua testa quando aveva registrato la richiesta dell’uomo non fosse troppo visibile all’esterno.
In fondo sapeva che il mago voleva solo aiutarla, ma era anche vero che era evidente che lui sapesse qualcosa su di lei ma volesse prima sapere cosa era successo quella mattina (cosa del tutto trascurabile al confronto, secondo Elise) prima di rivelarglielo.
Non è che non si fidasse, ma non voleva neanche passare per una che obbedisce senza batter ciglio al primo ordine impartitole da un perfetto sconosciuto.
Se voleva la sua versione dei fatti avrebbe prima dovuto darle qualcosa in cambio: era stufa di non sapere e di essere presa in giro.
 
“Credo che quello che James le ha riferito sia più che sufficiente” rispose alla fine con tono di sfida. “Uno dei tizi che ci ha attaccato al parco ieri è saltato fuori all’improvviso e ci ha riprovato. Non capisco cosa ci sia da aggiungere”
L’uomo sorrise facendo qualche passo in avanti fino a trovarsi esattamente di fronte alla ragazza, il contatto visivo ancora ininterrotto.
“Sei sicura che non ci sia proprio nient’altro? Qualche dettaglio, qualche particolare…?”
La voce dell’uomo sembrava essersi abbassata ulteriormente, era diventata come ipnotizzante.
 
Le sue orecchie captarono vagamente James che, indignato, aveva esclamato qualcosa che suonava come: “Cosa sta facendo?!” mentre lei era concentrata su tutt’altro.
 
Nel momento in cui il Ministro aveva pronunciato l’ultima parola Elise aveva infatti cominciato a sentire qualcosa.
Non sapeva neanche lei come definirlo non avendo mai provato una cosa del genere, ma sentiva come una presenza al limitare della sua mente, una presenza che stava cercando di entrare senza il suo permesso.
 
In un primo momento aveva provato a fermarla, ma sarebbe stato come cercare di fermare il transito di un fiume in piena con le sole mani: quella specie di entità scivolava via come acqua ogni volta che Elise provava a bloccarle la strada.
 
Ormai era del tutto isolata da quello che stava succedendo all’esterno, era completamente concentrata su quello che invece stava accadendo nella sua testa.
 
Senza neanche averli richiamati cominciò a rivedere nella sua mente stralci di alcuni ricordi… Lei che si annoiava a lezione… Julia che si lamentava per il voto di un esame… lei e Julia che mangiavano la pizza davanti alla tv la sera prima, commentando a bocca piena tutto quello che era successo nel pomeriggio…
Quando la sua memoria indugiò sul ricordo della sua sveglia che segnava le 10.30 di quella mattina incominciò ad allarmarsi.
Aveva capito cosa stava succedendo: quella presenza, che di sicuro era dovuta al mago di fronte a lei, le stava leggendo la mente cercando di arrivare al ricordo di quello che era successo quella mattina.
 
Consapevole di ciò Elise decise che non l’avrebbe permesso.
 
La sensazione di intorpidimento che sembrava averla avvolta si diradò di colpo mentre la ragazza cominciò a impegnarsi sul serio per respingere i tentativi del mago di intrufolarsi nella sua testa.
Anche il suo avversario sembrò accorgersene, ma doveva però essere parecchio abile a quel gioco perché riusciva sempre a eludere in qualche modo le sue difese.
Stava iniziando a sentirsi stanca quando le venne un’idea.
 
Aveva paragonato quella presenza all’acqua che riusciva a scivolare sempre via aggirando ogni ostacolo.
Ma si dava il caso che l’uomo alla fine avesse comunque trovato un modo per piegare l’acqua al proprio volere, impedendole di andare dove volesse: costruendo argini, sponde, dighe…
 
In pochi secondi Elise immaginò un alto e solido muro di mattoni come se fosse lungo tutto il perimetro della sua mente.
Sorrise inconsapevolmente mentre percepiva la mente del mago che, ignara di tutto, ripartiva all’attacco, immaginando la dura consistenza del muro quando ci sarebbe andato a sbattere.
 
Nella sua mente lo schianto ci fu davvero, in seguito al quale si sentì subito la testa finalmente libera e leggera: nessuno stava più cercando di penetrare all’interno.
 
 
Il sorriso le svanì dalle labbra quando, rimettendo a fuoco la stanza, si accorse che tutti la stavano guardando con espressione stupita e… spaventata?
Notò solo in un secondo momento che il Ministro si stava tamponando con un fazzoletto il naso, che sanguinava e sembrava essere moderatamente più schiacciato come se l’uomo fosse andato a sbattere addosso a…
“Oddio! Sono stata io?” domandò con voce preoccupata Elise realizzando quello che doveva essere successo. Ma lei non aveva la minima idea che quella sarebbe stata la conseguenza!
“Vi giuro che non avevo nessuna intenzione di…” cominciò, ma il Ministro la interruppe prima che potesse finire.
“Non devi scusarti di niente mia cara. Anzi, credo che dovrei essere io a porgerti le mie scuse: quello che ho fatto non è stato per niente carino, né corretto… me la sono cercata” commentò concludendo addirittura la frase con una bassa risata che rincuorò in parte la ragazza.
Nonostante tutto non riusciva a smettere di fissargli il naso: era colpa sua se era rotto, forse avrebbe potuto…
 
Sotto lo sguardo allibito di tutti Elise allungò una mano verso il viso del Ministro posando poi l’indice all’altezza della radice del naso, proprio in mezzo agli occhi.
 
Appena aveva formulato il pensiero di voler riparare al danno che aveva fatto un non più così strano formicolio le aveva invaso il braccio, concentrandosi sulla sua mano.
Era stato come quando aveva guarito James: i suoi poteri si erano risvegliati e a lei non restava altro da fare che assecondarli.
Con una nota di orgoglio riconobbe che però quella volta lei era consapevole di quello che avrebbe voluto fare, non era stata una cosa puramente istintiva.
 
Nel momento in cui il suo polpastrello si appoggiò sulla pelle dell’uomo sentì l’ormai familiare sensazione dell’energia che fluiva attraverso il suo dito, mentre i presenti osservavano sbalorditi il naso del Ministro mentre, con un paio di scrocchi, ritornava esattamente com’era prima dell’incidente.
 
“Sei ancora convinta che possa esserci stato un errore, Minerva?” domandò l’uomo visibilmente compiaciuto, come se Elise avesse fatto esattamente quello che lui si aspettava che facesse, rivolgendosi all’anziana strega che alzò gli occhi al cielo pur mantenendo il suo cipiglio severo.
“Solo perché è la sua fotocopia non potevamo essere certi che fosse davvero lei, Kingsley” rispose la donna.
 
“Aspettate un attimo” li interruppe Elise che non si era persa una parola.
“Di chi sarei la fotocopia, io?”
 
 
 
 
“Di tua madre, naturalmente”













Eccomi, puntuale come promesso.
Mi rendo conto che, tanto per cambiare, ho di nuovo lasciato in sospeso il finale del capitolo.
Siccome mi sento buona prometto che per metà settimana, diciamo verso giovedì, vedrò di caricare anche il prossimo...
Per dubbi, domante, questioni sapete dove trovarmi.
Sempre un grazie a chi continua a leggere e seguire la storia, e soprattutto a chi dedica un momento del suo tempo per farmi sapere cosa ne pensa! 
A presto
E.

 

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Capitolo 14
*** 13. Natural disaster ***


13 – Disastro Naturale
 
 
 
“Aspettate un attimo […] Di chi sarei la fotocopia, io?”
“Di tua madre, naturalmente”
 
 
 
L’affermazione pronunciata con così tanta leggerezza lasciò Elise senza parole, mentre nella sua mente regnava il caos come conseguenza a quelle quattro semplici parole: di tua madre, naturalmente.
Il Primo Ministro aveva appena detto che lei era la fotocopia di sua madre… ma non era vero!
Lei non sarebbe potuta essere più diversa da Diana di così: i suoi capelli non erano ramati ma biondi, i suoi occhi non erano caldi e scuri, ma verdi e brillanti con quella strana sfumatura a metà tra il dorato e l’arancione che le circondava la pupilla.
La verità era che lei a Diana non assomigliava per niente.
 
Ma la verità era anche che ovviamente Diana non era sua madre, non quella biologica almeno.
 
 
Delle mani le cinsero le spalle guidandola fino a farla sedere sul divano.
“Cosa vorrebbe dire tutto questo?” domandò James rimanendo seduto accanto alla ragazza che ancora stava cercando di elaborare fino in fondo l’informazione.
“Esattamente quello che ho detto, signor Potter” rispose Kingsley. “Se avessi una foto a disposizione temo che arriverebbe anche lei a convenire con me che Elise è praticamente identica a sua madre quando aveva la sua età”.
“Quello che non capisco…” continuò il ragazzo per nulla soddisfatto della risposta “è come mai la cosa sia saltata fuori proprio adesso. Elise è stata in un orfanotrofio – un orfanotrofio!- per otto anni! Se sua madre la voleva così tanto allora perché abbandonarla? Perché è lei quella che sta dietro a quello che è successo ieri, vero?”
“E immagino che sia una strega visto che voi sembrate sapere piuttosto bene di chi state parlando” aggiunse Daniel parlando per la prima volta.
“Sì, è così. Pensiamo che lei voglia che Elise ritorni… a casa, in un modo o nell’altro”
“E probabilmente continuerà a provarci finchè non ci sarà riuscita, per questo ti avevo chiesto di portare la ragazza a casa tua Potter: qui non possono arrivare” spiegò la McGranitt al ragazzo.
 
Seguì un attimo di silenzio durante il quale tutti guardarono Elise preoccupati.
In effetti la notizia non le era stata data nel migliore dei modi e lei non sembrava averla presa esattamente bene.
“Stamattina mi sono ritrovata James fuori dall’appartamento che divido con Julia” cominciò la ragazza suscitando lo stupore di tutti.
“Ma io non…” provò ad inserirsi il diretto interessato, ma lei non lo lasciò continuare.
“Mi ha invitato a fare colazione al Paiolo Magico e io ho accettato. Poi mi ha proposto di fare un giro a Diagon Alley e io ho accettato di nuovo” proseguì lei passandosi una mano tra i capelli.
“In realtà sono stata piuttosto stupida: sentivo che c’era qualcosa che non andava, ma non riuscivo a capire cosa così non ci ho dato peso. Questo finchè non mi ha lasciata un attimo con una scusa assurda e io ho visto James e Dan passarmi davanti. Lì mi sono resa conto che probabilmente stamattina non avrei neanche dovuto aprire la porta” commentò tristemente.
 
Finì di raccontare come il falso James si fosse accorto che evidentemente lei aveva capito che c’era decisamente qualcosa che non andava, come era riuscita a sfuggirgli e come il vero James l’aveva trovata.
Il resto lo sapevano.
 
“Perché mi rivuole?” domandò Elise quando ebbe finito. “Perché adesso? Come ha detto James: che senso ha avuto abbandonarmi?”
I tre adulti si scambiarono uno sguardo preoccupato: adesso era arrivato il loro momento di dare spiegazioni, e non sarebbe stato affatto facile darle.
“Ragazzi sedetevi, tutti e tre” disse il signor Potter. “Elise ha diritto a sentire questa storia in quanto diretta interessata, ma voi due no. motivo per cui…” proseguì stroncando sul nascere le proteste di Dan e James “dovete promettere che poi non rivelerete ad anima viva o morta quello che verrà detto qui dentro tra poco. Non è un gioco, ci vanno di mezzo anche le ultime sparizioni di cui voi sapete bene, e non voglio assolutamente coinvolgervi più dello stretto necessario. Sono stato chiaro? James?”
Il ragazzo annuì serio spostando poi il suo sguardo da suo padre ad Elise: che era una ragazza speciale lo aveva capito nell’esatto momento in cui si erano incontrati, ma evidentemente non aveva ancora finito di rimanere stupito da lei e da qualsiasi cosa la riguardasse.
 
 
L’ora successiva il Ministro si ritrovò a riferire quello che era stato l’incontro con la professoressa McGranitt e Olivander avvenuto mesi prima, quando per la prima volta dopo anni il nome di Shayleen Skelton era stato di nuovo pronunciato ad alta voce.
La professoressa si occupò di raccontare di quando Shayleen era ancora a scuola mentre il Primo Ministro proseguì con la parte del suo insolito colloquio di lavoro e di tutto ciò che ne era conseguito.
Di quello che Shayleen stava organizzando, di come il suo compagno aveva capito che avrebbe usato la loro stessa figlia solo come strumento per raggiungere i suoi scopi e di come l’avesse quindi portata via per metterla al sicuro, pagando il suo gesto con la vita.
 
 
 
Elise ascoltò in silenzio per tutto il tempo: non una volta la sua bocca si aprì per porre una domanda, non una volta la sua espressione mutò da quella seria e concentrata che aveva assunto da quando la preside aveva cominciato a parlare. Non una lacrima lasciò i suoi occhi, nemmeno quando Kingsley finì di raccontare come era morto suo padre.
Non aveva lacrime da versare ma stava piangendo dentro di lei.
Per anni aveva fantasticato sui suoi veri genitori, sul fatto che forse un giorno sarebbero tornati a prenderla per essere di nuovo una famiglia.
Poi erano arrivati Diana e Rupert e aveva deciso che non le importava più: aveva trovato una nuova famiglia e le andava benissimo così, non l’avrebbe cambiata per nulla al mondo.
E adesso veniva a scoprire che in realtà una parte di quella famiglia di cui non le importava più non l’aveva mai lasciata: le crisi che aveva avuto per anni ne erano la prova. In fondo in fondo forse l’aveva sempre saputo di non essere davvero come tutti gli altri bambini. Il fatto di essere un’eccezione anche all’interno del mondo magico… beh, quello era un altro discorso.
 
Si accorse che tutti la stavano guardando come se si aspettassero una qualsiasi reazione da parte sua.
Reazione che non sarebbe arrivata, non ancora.
 
“Posso tornare a casa?” domandò semplicemente alzandosi dal divano.
“Cosa? No!” saltò su James fermandola prima che potesse muovere un passo.
“Scusami?” domandò lei tagliente rivolgendogli uno sguardo di ghiaccio.
“Andiamo Elise, James ha ragione” intervenne Dan a difesa dell’amico. “Quelli adesso sanno dove abiti, non puoi tornare là come se nulla fosse…”
“A questo si può rimediare” annunciò il signor Potter guadagnandosi in un colpo solo la gratitudine di Elise e un’occhiataccia di fuoco da parte del figlio. “Mi occuperò personalmente di mettere gli incantesimi di difesa e protezione sul tuo appartamento: sarà sicuro come stare qui”.
“Bene, andiamo allora” disse dura Elise, e senza aggiungere altro si diresse verso l’uscita.
 
 
 
/ / /
 
 
 
“Perché mi hai mandato un messaggio con l’indirizzo del nostro appartamento?” domandò Julia non appena rientrò a casa quel pomeriggio. “E perché poi hai scritto di non far leggere il messaggio a nessuno e di cancellarlo subito?”
“L’hai fatto, vero?”
“Certo!”
“Bene. Beh, per rispondere alla tua prima domanda: se non l’avessi fatto credo che non saresti riuscita a trovare l’appartamento, se ho capito bene come funziona…” disse Elise
“Elise ma che stai…” cominciò Julia, ma si bloccò non appena si ritrovò a guardare sul serio l’amica da quando era rientrata.
Era rigidamente seduta sul divano, le gambe incrociate e la schiena dritta. Quello che più la colpì fu però il suo viso: sembrava una maschera e anche nei suoi occhi c’era qualcosa di diverso, non brillavano come al solito, si erano spenti.
“Elise, cos’è successo?” le domandò la mora sedendosi accanto a lei.
 
La ragazza fece diversi respiri profondi e cominciò a raccontare.
Tutto.
Compreso quello che gli era stato detto riguardo la sua vera famiglia.
 
E finalmente si concesse di provare qualcosa, di rompere quella maschera di apparente indifferenza che aveva ostentato fino a quel momento.
Perché per quanto avesse cercato di negare il contrario, a lei dispiaceva che suo padre fosse morto in modo tanto orribile (se poi pensava che era la fine che aveva rischiato di fare James…)
La distruggeva sapere che per sua madre non era altro che un contenitore pieno di energia da cui attingere a proprio piacimento, e non una figlia amata e voluta.
Cos’altro poteva fare se non piangere?
 
Quando si staccò dall’abbraccio spacca ossa in cui Julia l’aveva costretta nel esatto momento in cui aveva cominciato a singhiozzare Elise notò che, pur avendo anche lei gli occhi lucidi, l’amica stava sorridendo sotto i baffi.
“Che c’è?” le domandò soffiandosi il naso.
“Stavo pensando che sei proprio un disastro naturale, amica mia. Come faresti senza di me?” rispose Julia con tono solenne.
Elise alzò un sopracciglio con aria interrogativa.
“Beh, guardati!” continuò Julia lasciando la bionda sempre più perplessa. “Passo meno di mezza giornata senza di me e guarda cosa mi combini… Non posso lasciarti sola un attimo, eh?” concluse facendole l’occhiolino.
 
Le due si guardarono per un istante per poi scoppiare a ridere insieme mentre Elise si sporgeva per abbracciare di nuovo l’amica.
“Hai ragione Julia” le sussurrò all’orecchio tra una risata e l’altra “sono proprio un disastro!”
 
 
 
/ / /
 
 
 
Dire che James ci era rimasto male quando Elise era letteralmente scappata da casa sua sarebbe stato alquanto riduttivo.
Avrebbe voluto convincerla a restare per parlare con lei di quello che era appena stato detto loro, capire come si sentiva, cercare di rincuorarla in qualche modo… perché nonostante la ragazza non avesse battuto ciglio lui aveva visto che i suoi occhi si erano spenti, lui aveva capito che non era tutto a posto come lei voleva far credere.
Suo padre però l’aveva bloccato ancora prima che avesse potuto muovere un dito dicendo che era meglio che solo lui accompagnasse la ragazza fino a casa e che non gli serviva aiuto per gli incantesimi di protezione a cui avrebbe dovuto sottoporre l’appartamento.
 
James sapeva che con tutta probabilità la ragazza, appena arrivata a casa, si sarebbe sfogata con la sua migliore amica, Julia.
 
Quando quella mattina lui e Dan erano usciti per andare a comprare un nuovo kit di manutenzione per il loro manico di scopa il riccio ne aveva approfittato per aggiornarlo su quello che era successo il pomeriggio precedente mentre lui era ancora privo di sensi, ed era saltato fuori che lui e Julia avevano avuto occasione di parlare abbastanza a lungo mentre aspettavano che Elise si risvegliasse.
 
Così adesso sapeva che le due ragazze erano amiche da quando Elise aveva cominciato a frequentare la nuova scuola dopo essere stata adottata dai signori Starlet e che da quel momento erano state come sorelle.
Con sorpresa le due avevano anche scoperto di avere le stesse aspirazioni riguardo quello che avrebbero voluto fare “da grandi” e oltre a condividere il percorso di studi da quell’anno abitavano addirittura insieme in un appartamento non troppo lontano da dove si tenevano le lezioni dell’università.
 
Sicuramente, unite com’erano, Elise non avrebbe aspettato un attimo prima di confessare cos’era successo quella mattina, e James si sentiva vagamente geloso nei confronti di Julia visto che sarebbe voluto essere lui al suo posto.
 
 
Nemmeno lui riusciva a spiegarselo fino in fondo, ma quella ragazza lo aveva stregato.
Aveva paura a usare l’espressione colpo di fulmine, ma per quanto ci girasse intorno non riusciva proprio a trovare nessun altra spiegazione per quello che gli era successo.
C’era poco da fare, ancora prima di scontrarsi con lei per sbaglio –con tutte le conseguenze- James aveva posato gli occhi sulla ragazza e da lì non era più riuscito a spostarli.
Elise era simpatica e gentile, a parer suo molto più che carina, anche se sembrava che lei neanche se ne rendesse conto.
Parlando con lei durante la sua permanenza al San Mungo si era sorpreso a pensare che non si sarebbe mai annoiato nel sentirla parlare: la sua compagnia era troppo piacevole per poterne fare a meno.
Era una ragazza ma non lo guardava, come facevano praticamente tutte, solo per il cognome famoso che portava o la bravura nel Quiddich dimostrata durante gli anni a Hogwarts. Lei quelle cose non le sapeva nemmeno, e probabilmente era per quello che quando lo guardava lo vedeva per quello che era: un ragazzo di vent’anni che come lei aveva scelto di studiare per poter, un giorno, aiutare le persone.
E questa cosa a James piaceva da impazzire.
Non come Calliope che quando le aveva annunciato che era passato al test per poter frequentare il corso di Guaritore aveva storto il naso e lo aveva mollato su due piedi dicendo che fare il Guaritore era da femminucce.
 
Calliope…
 
Dopo quasi un anno e mezzo che non stavano più insieme non sapeva se era rimasto più sorpreso o infastidito nel sapere che era rimasta per tutto il tempo al suo capezzale prima che arrivasse Elise a guarirlo.
Beh, no… in realtà lo sapeva come si sentiva al riguardo.
Quando alla fine era riuscito a scollarsela di dosso aveva assalito suo fratello Albus chiedendo spiegazioni, visto che la ragazza aveva la sua stessa età e frequentava con lui il corso di Auror.
Al si era difeso dicendo che quando erano venuti a chiamarlo per conto di sua madre per dirgli di andare a casa perché James aveva avuto un incidente la ragazza non aveva voluto sentir ragione e aveva voluto a tutti i costi andare anche lei.
Evidentemente nessuno era riuscito a impedirglielo.
 
Questa era un’altra cosa di cui James avrebbe voluto parlare con Elise.
Diamine! Stava quasi per baciarla e lei si era tirata indietro all’ultimo dicendo che non era il caso visto che c’era la sua ragazza fuori dalla porta che stava aspettando.
In un primo momento lui non aveva nemmeno capito di cosa stesse parlando, e quando poi ci era arrivato avrebbe preferito non averlo mai fatto, pregando in cuor suo che fosse tutto un malinteso.
Ma anche quella volta Elise era corsa via senza lasciargli il tempo di spiegare.
 
Gli venne da sorridere ripensando a come la ragazza aveva aggiustato il naso a Kingsley dopo averglielo rotto.
Sapeva di poter usare la magia in quel modo così unico e singolare –senza bacchetta- da meno di un giorno e già riusciva a compiere in modo impeccabile un incantesimo di guarigione non esattamente semplice come quello di sistemare le ossa di un naso rotto.
Nemmeno lui, dopo anni che usava la sua fidata bacchetta, era riuscito ad ottenere un simile risultato la prima volta che ci aveva provato.
 
Sarebbe stato interessante insegnare a Elise tutti quegli incantesimi che di solito venivano imparati a scuola per vedere con che prontezza e velocità la ragazza sarebbe riuscita ad apprenderli.
Ne avrebbe sicuramente parlato con suo padre: voleva essere lui a farlo.
Ora non gli restava altro da fare che convincere la ragazza a stare in una stanza con lui per abbastanza tempo da riuscire a parlargli.
 
L’ultimo pensiero che gli attraversò la mente quella sera prima di addormentarsi fu che suo padre, da quando era ritornato a casa, aveva accuratamente evitato di dirgli dove abitava Elise.













...E poi non ditemi che non son buona, eh!
Mi sono accorta che a causa dei turni di tirocinio domani non sarei riuscita ad aggiornare, quindi spero di avervi fatto un piacere ad anticipare di un giorno anzichè rimandare tutto a lunedì.
Grazie a Helena Lily e _purcit_ che hanno recensito lo scorso capitolo e a tutti gli altri che continuano a seguire la storia!
A lunedì!
E.

 

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Capitolo 15
*** 14. Owl post ***


14 – Posta via gufo
 
 
 
Quella domenica mattina il risveglio di Elise fu probabilmente uno dei più strani di tutta la sua vita.
Ancora sospesa a metà tra il sonno e la veglia un rumore era riuscito a farsi strada fino ai suoi timpani nonostante la ragazza avesse la testa completamente nascosta sotto il cuscino: la sera prima si era completamente dimenticata di chiudere le persiane e lei con tutta quella luce che entrava dalla finestra non sarebbe mai riuscita a dormire.
 
Toc-toc-toc
 
Sembrava che qualcuno stesse bussando, ma non alla porta.
Sicuramente non era Julia, lei non avrebbe di certo perso tempo a bussare: di solito quando andava a svegliarla si limitava a saltarle addosso minacciandola poi di andare a prendere il famoso secchio d’acqua se ci metteva troppo a svegliarsi.
 
Toc-toc-toc
 
In effetti i colpi non sembravano proprio provenire dalla porta, quanto dalla finestra…
 
Toc-toc-toc
 
Sembrava quasi il rumore prodotto da dei sassolini lanciati addosso al vetro della finestra, pensò Elise stiracchiandosi, avendo ormai rinunciato a provare a riprendere sonno.
Da dei sassolini oppure da un gufo che… un gufo?
 
Seduta sul bordo del letto la ragazza si strofinò gli occhi, convinta di essere come minimo in preda ad una allucinazione.
Magari stava ancora sognando… sì, doveva essere quella la spiegazione.
 
Quando le fu chiaro che nonostante tutto non stava ancora dormendo si concesse di osservare meglio il volatile che stava ancora battendo sul vetro della finestra.
Era proprio bello, il piumaggio scuro e folto, un’aria quasi regale e… era una sua impressione o sembrava leggermente scocciato?
Dandosi mentalmente della stupida –come poteva un gufo avere un’espressione scocciata?- aprì la finestra rabbrividendo all’aria mattutina e il gufo entrò nella stanza planando sul suo letto facendo un verso indispettito.
“Di cosa ti lamenti? Quella che è stata svegliata presto qui sono io!” borbottò Elise che nel frattempo aveva addocchiato la sveglia che segnava le otto passate da poco: per lei era ancora molto presto visto che era domenica.
Solo in quel momento notò che il volatile aveva qualcosa legato alla zampa: una lettera?
Cercando di essere il più delicata possibile, ed evitando accuratamente il becco dell’animale, Elise liberò il gufo dalla busta.
Quello, non prima di averle scoccato un’ultima occhiata di disapprovazione, schioccò il becco e con un frullo d’ali era di nuovo fuori dalla finestra sparendo poi in pochi secondi dalla sua vista.
 
Fantastico: era domenica mattina ed era stata svegliata da un gufo che le aveva recapitato una lettera… probabilmente dopo tutto quello che le era capitato nei due giorni precedenti quella poteva essere considerata una cosa quasi normale.
Quasi.
 
La busta era strana, non era in carta semplice, ma in pergamena ruvida e leggermente giallina.
Il suo nome era scritto in inchiostro nero sul fronte con una calligrafia che lei non riconobbe.
Stava per aprirla, ma all’ultimo momento cambiò idea e si fermò.
Almeno per quella mattina aveva bisogno di un po’ di normalità.
Fece giusto in tempo a nasconderla sotto alcuni fogli di appunti che aveva sulla scrivania che Julia fece il suo ingresso nella stanza, rigorosamente senza bussare, ancora in pigiama anche lei.
 
“Sorgi e splendi cara… sono le otto e…” cominciò bloccandosi poi stupita nel constatare che la sua coinquilina non era ancora a poltrire sotto le coperte come si sarebbe aspettata.
Alzò le spalle come a dire ‘fa niente’ e poi continuò come se non si fosse interrotta.
“Mi era sembrato di vedere un gufo prima” annunciò dirigendosi verso la finestra e sbirciando fuori.
Elise alzò gli occhi al cielo e sbuffò cercando di essere il più possibile credibile: “Un gufo, qui? E di giorno poi? Secondo me stavi ancora sognando Ju…”
La mora la guardò per qualche istante assottigliando gli occhi, ed Elise ringraziò che lei non fosse in grado di leggergli la mente come aveva fatto il Ministro della Magia il pomeriggio precedente.
“Probabilmente hai ragione…” commento Julia alla fine. “E comunque… come mai sei già in piedi?”
“… mi sono dimenticata di chiudere le persiane ieri, con tutta questa luce non riuscivo proprio a dormire…”
 
 
 
Con grande soddisfazione di Elise il resto della mattinata trascorse in maniera perfettamente ordinaria: lei e Julia avevano deciso, nonostante fosse domenica, di cominciare con il ripasso di alcune materie visto che di lì a un paio di settimane sarebbe cominciata una sessione di esami dell’università.
Si era completamente dimenticata della lettera ricevuta quella mattina, almeno finchè Julia non tornò in cucina dove si erano messe a studiare, tendendola saldamente in mano per poi sventolargliela davanti al naso per attirare la sua attenzione.
“E questa cosa sarebbe?” domandò incuriosita.
“E quella dove l’hai trovata?” domandò di rimando Elise evitando allo stesso tempo di rispondere.
“Era sotto i tuoi appunti che mi hai mandato a recuperare” rispose pratica Julia appoggiando sul tavolo gli appunti in questione, gli stessi sotto i quali la ragazza riconobbe di aver nascosto la lettera.
“Allora?” la incitò Julia, ancora concentrata sulla sua domanda a cui non aveva ancora ricevuto risposta.
“Ecco… forse il gufo di stamattina non te lo sei sognato…” cominciò lentamente la bionda non sapendo che reazione aspettarsi dall’amica.
“Ah! Lo sapevo!” esclamò Julia soddisfatta. “Certo che deve essere stato proprio forte: posta via gufo… wow!”
Elise la guardò trattenendosi dal mettersi a ridere: era incredibile che Julia riuscisse sempre a tirare fuori qualcosa di positivo per ogni cosa. Per quanto la riguardava quella lettera era solo stata la causa del suo risveglio anticipato.
“E come mai non l’hai ancora aperta? Io sarei curiosissima di vedere chi mi scrive… tu no?” continuò poi interrompendo i suoi pensieri.
“Un po’ curiosa forse, ma curiosissima no di certo Julia” rispose Elise prendendo la lettera e facendo il gesto di metterla da parte.
Il rettangolo di carta le fu sgarbatamente strappato di mano.
La ragazza guardò contrariata Julia che le stava di nuovo porgendo la lettera e sembrava, se possibile, ancora più contrariata di lei: “Se non la apri tu lo faccio io” disse seria.
Elise sospirò e fece come le era stato ordinato: certo che la mora era proprio testarda quando ci si metteva!
La grafia all’interno era la stessa con cui era scritto il suo nome sul fronte della busta, sconosciuta, disordinata ma nonostante tutto perfettamente leggibile, e leggendo Elise si ritrovò a pensare che in realtà c’era qualcosa che le sembrava familiare.
 
 
Lo so che mi stai evitando, non sono stupido (sebbene spesso qualcuno si diverta a dire che lo sembro).
Possiamo parlare?
Papà non mi ha voluto dire dove abiti e in realtà non so nemmeno se questo gufo arriverà a destinazione, quindi…
Se vuoi (sempre che la lettera arrivi) oggi pomeriggio sarò dove ci siamo incontrati  la prima volta, diciamo verso le cinque e mezza?
Per favore vieni
                                                           J.S.P
 
 
“Sti sorridendo come una scema, lo sai?” la riprese Julia quando ebbe finito di leggere la lettera.
Elise arrossì porgendole il foglio di pergamena: “Sempre molto delicata tu, eh? Toh, leggi…” disse semplicemente.
La mora fece come le era stato detto assumendo poi un’aria compita e seria.
“Che c’è? Mi sono persa qualcosa?” domandò Elise stupita dall’espressione dell’amica, magari c’era un post scriptum in cui c’era scritto qualcosa di importante e lei non ci aveva fatto caso…
“Oh sì” rispose quella mantenendo un tono quasi solenne. “Ti sei persa che James è completamente cotto di te!” esclamò alla fine mettendosi a ridere.
“Ma piantala!” la ammonì Elise arrossendo ancora di più e unendosi suo malgrado alla risata.
 
“Dove stiamo andando?” domandò poi visto che Julia l’aveva presa per un braccio trascinandola fuori dalla stanza.
“Stiamo andando a vedere cosa ti metterai oggi pomeriggio per andare all’appuntamento con James, ovvio” rispose l’altra proprio come se la bionda le avesse fatto una domanda stupida.
“Non è un appuntamento…” si lamentò Elise. “E poi chi ha detto che ci vado?” aggiunse poi quando registrò completamente quello che Julia aveva detto.
“Ma certo che ci vai!” ribattè l’altra guardandola quasi scioccata. “E poi dove pensi di trovarlo un altro ragazzo che ti invita ad uscire scrivendoti una lettera? È così romantico…”
Questa volta fu Elise a guardare Julia quasi scioccata, ma la seconda parve non farci caso liquidando il tutto con un gesto della mano.
“Vedrai che mi ringrazierai…”
 
 
 
***
 
 
 
Alla fine avevano affrontato il discorso dei vestiti dopo pranzo.
Elise era riuscita a fermare Julia dicendole che non aveva senso che si preparasse a mezzogiorno per uscire alle cinque del pomeriggio.
Dopo aver mangiato però ebbe il suo bel daffare a contenere l’entusiasmo dell’amica.
 
Non si poteva certo dire che Elise non ricevesse mai attenzioni dai componenti dell’altro sesso, anzi, e aveva anche avuto un paio di ragazzi ancora durante la scuola.
Da quando aveva iniziato l’università però –probabilmente vista anche la scarsità di esemplari all’interno del corso che seguiva- non era più uscita con nessuno se non con le sue amiche.
 
Dopo mezz’ora di lotta le due erano riuscite ad accordarsi su un paio di jeans piuttosto attillati che la bionda non usava quasi mai abbinati ad un maglioncino non troppo pesante che sarebbe potuto andare d’accordo con la giornata soleggiata che si prospettava all’esterno dell’appartamento.
Il vestito verde scuro lungo fin sopra il ginocchio che Julia aveva tanto insistito per farle indossare era sparito di nuovo dentro l’armadio prima che potesse fare ulteriori danni.
Niente vestiti: su quello Elise era stata categorica.
Un filo di trucco, la borsa con la tracolla ed era pronta.
 
 
 
Uscendo di casa dirigendosi verso il parco Elise non potè evitare di sentirsi inquieta.
 
Lo so che mi stai evitando, non sono stupido
 
Quella frase continuava a rimbombarle nella testa facendola sentire sempre più in colpa ogni volta che si ripeteva.
In prima battuta lei non aveva mai pensato, neanche per un attimo, che James fosse stupido. Mai.
Secondariamente si sentiva in colpa perché il ragazzo in realtà aveva ragione: seppur cercando di farlo notare il meno possibile era vero che lo stava evitando.
Dopotutto non era stata proprio lei, il giorno prima, a chiedere che fosse solo il signor Potter a riaccompagnarla a casa per poi supplicarlo di non dire a James dove abitava?
Non sapeva neanche perché: un comportamento del genere non era affatto da lei, che aveva sempre preferito affrontare qualsiasi ostacolo a testa alta senza andare a nascondersi dietro a nessuno.
Forse però questa volta era diverso.
Forse questa volta avrebbe potuto accettare che qualcuno la aiutasse.
 
Un brivido le scese lungo la schiena quando varcò il cancello in ferro battuto del parco.
Sarà anche stato il posto dove di erano incontrati la prima volta, ma era anche dove erano stati attaccati due giorni prima, dove James aveva quasi rischiato di morire…
 
Un bambino le passò davanti correndo e ridendo raggiungendo un gruppo di amici urlanti.
Senza che se ne fosse accorta i suoi piedi l’avevano automaticamente portata alla piazzola dove c’erano i giochi.
Notando quanto fosse affollata lasciò che le sue preoccupazioni sparissero: non avrebbero osato attaccare con tutte quelle persone presenti (o almeno sperava).
 
Guardò i giochi: gli scivoli, le altalene, le reti per arrampicarsi… la nuova area attrezzata, inaugurata qualche anno prima, era venuta davvero bene.
Non potè fare a meno di provare una punta di nostalgia per i giochi dove invece aveva giocato lei quando era piccola, quelli che venivano presi d’assalto quasi ogni giornata di bel tempo quando la signorina Clark portava i bambini dell’orfanotrofio al parco.
Costruendo l’area nuova non avevano smantellato quella vecchia, che ora rimaneva in stato di semi abbandono molto più isolata, raggiungibile procedendo lungo il sentiero lastricato che si snodava all’interno del parco.
Nonostante tutto però i giochi non erano poi così rovinati e un po’ le dispiaceva vedere che i bambini non andassero più a giocare anche lì.
Rispetto a dov’era poco prima quella zona era deserta, e gli schiamazzi dei bambini sembravano ovattati da lì, probabilmente a causa della vegetazione che negli anni era cresciuta intorno, creando un’atmosfera tutta particolare.
 
Fu un attimo, come un lampo.
Qualcosa, un ricordo forse?, si era affacciato per un istante nella mente di Elise, ma la ragazza non fece in tempo ad afferrarlo perché la sua attenzione fu attirata da un movimento al margine del suo campo visivo che colse con la coda dell’occhio.
 
Non era vero che l’area era vuota, non del tutto almeno.
 
Una delle altalene al limite più lontano dell’area era occupata.













Per la vostra gioia (spero) ecco il capitolo 14!
Forse è un po' di passaggio, ma posso promettere che nei prossimi due succederà qualcosa.
Chissà chi sarà il misterioso occupante dell'altalena... (indizio: è assolutamente chi pensate che sia XD).
Grazie, grazie, grazie a chi continua a seguire la storia e a chi recensisce: sono sempre disponibile se qualcuno avesse dubbi o domande (a volte rischio di dimenticarmi che le cose sono chiare per me che le ho tutte in testa, ma possono non esserlo per il lettore).
Al prossimo capitolo!
E.

 

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Capitolo 16
*** 15. Old friends ***


15– Vecchi Amici
 
 
 
Il ragazzo sembrava completamente perso nei suoi pensieri: gli occhi chiusi e la testa leggermente rivolta all’indietro mentre si dondolava piano sull’altalena spingendosi con i piedi.
Elise si avvicinò facendo scricchiolare la ghiaia sotto i suoi piedi in modo che il ragazzo si accorgesse della sua presenza.
“Ehi!” lo salutò quando si fu avvicinata abbastanza.
Il ragazzo aprì gli occhi di scatto guardandosi intorno sorpreso: evidentemente nonostante il rumore che la ragazza aveva fatto non si era accorto del suo arrivo.
“Ciao” rispose James riconoscendola e lasciando che un ampio sorriso gli illuminasse il viso. “Sono contento che tu sia venuta”
“Diciamo che Julia ha cercato di buttarmi fuori di casa non appena ha finito di leggere la lettera…” commentò Elise pregando di non essere arrossita.
“Allora ringraziala da parte mi quando ritorni a casa” rispose lui ridacchiando. “Come mai sei venuta anche tu fino a qui?” le domandò poi.
La ragazza scrollò le spalle e andò a sedersi sull’altalena libera di fianco a James.
“Ero in anticipo e quindi ho pensato di venire a dare un’occhiata fin qua, in onore dei vecchi tempi… sai, quando ero all’orfanotrofio ci portavano spesso qui al parco a giocare e ogni tanto mi piace tornare. Da quando poi hanno messo i giochi nuovi qui è sempre vuoto… è un buon posto se si vuole un po’ di tranquillità” spiegò Elise, e si meravigliò nel notare che mentre parlava James non aveva distolto per un istante il suo sguardo da lei.
 
Lo guardò di rimando e il ragazzo sembrò riscuotersi.
 
“Ti potrà sembrare strano, ma anche io quando ero piccolo venivo qui. Mia mamma mi ci portava spesso, diceva che mi avrebbe fatto bene giocare con i bambini babbani… che magari avrei finalmente imparato a comportarmi…” raccontò ridacchiando.
Aveva cominciato a spingersi con più forza sull’altalena, salendo sempre più in alto.
“Vuoi vedere una cosa?” domandò ad Elise. “In realtà non so se ci riesco ancora, ma quando non avevo ancora la bacchetta lo facevo sempre, quando non c’era nessuno che guardava… mi mettevano sempre in punizione ma ne valeva la pena…”
La ragazza non fece in tempo a chiedersi cosa James volesse dire che il ragazzo, una volta arrivato nel punto più alto consentito dalla giostra, si buttò letteralmente in avanti abbandonando il sellino e lanciandosi in aria.
Evidentemente le cose non erano andate esattamente come avrebbe voluto, vista la smorfia che esibì dopo che la forza di gravità ebbe finito di fare il suo lavoro e lui si fu rialzato da terra dove era atterrato non molto elegantemente, togliendosi la polvere dai pantaloni con le mani.
“Uffa, non ci credo che non riesco più a farlo…” borbottò quasi arrabbiato tornando a sedersi sull’altalena.
Solo in quel momento si accorse che Elise lo stava fissando con gli occhi spalancati ma senza metterlo davvero a fuoco, l’espressione era concentrata come se stesse cercando di ricordare qualcosa…
 
“Cosa stai…?”
“Ssshh!” lo bloccò lei senza lasciargli finire la frase.
Quel flash che aveva avuto appena arrivata si era ripresentato, questa volta però molto più nitido e definito.
 
Rivide un bambino con i capelli castano scuro molto spettinati che saltava dall’altalena per poi planare con leggerezza fino a terra.
Rivide lei di otto anni imitare il gesto sotto lo sguardo del bambino che passò dallo sbalordito all’estasiato.
Dopo quello ci aveva giocato tutto il pomeriggio, con quel bambino.
 
Chiuse gli occhi sorridendo, cominciando a dondolarsi anche lei sull’altalena, sempre più in alto.
Quando ebbe preso abbastanza velocità fece esattamente quello che aveva fatto quel pomeriggio di tanti anni prima.
Si lanciò nel vuoto, gustando la sensazione di rimanere sospesa in aria per qualche secondo, per poi scendere lentamente finchè i suoi piedi non toccarono gentilmente il suolo.
A quel punto riaprì gli occhi e sempre sorridendo si girò verso James che la stava fissando a bocca aperta.
“Beh, direi che a te è venuto meglio…” commentò lui cercando di darsi un tono, tradito dalle guance che erano leggermente arrossate.
“Mm-mm… adesso però tocca di nuovo a te” disse Elise, il sorriso che le si allargava sempre di più sul viso nonostante nella sua mente stesse pregando di non essersi sbagliata facendo probabilmente la figuraccia più grande di tutta la sua vita.
“Cosa vuol dire che tocca di nuovo a me?” domandò James dubbioso, ma qualcosa nella sua espressione faceva intuire che anche lui si stava sforzando di richiamare alla mente qualcosa.
 
“Ecco… adesso dovrebbe esserci la parte in cui mi sollevi da terra e mi fai girare come una trottola, no?” spiegò Elise insicura.
Ecco, ormai l’aveva detto, non poteva più tornare indietro: il danno era fatto.
 
A quelle parole però James parve bloccarsi, corrugando la fronte per la concentrazione.
“Non ci credo!!” esclamò alla fine, il sorriso a trentadue denti e un’espressione entusiasta e incredula allo stesso tempo.
“Eri tu! Quella bambina che ho incontrato qui al parco e che usava la magia involontaria come me eri tu!”
“A quanto pare sì!” rispose Elise altrettanto entusiasta, sollevata di non essersi sbagliata.
Stava per aggiungere qualcosa ma James aveva abbandonato l’altalena andandole incontro, l’aveva presa per la vita e l’aveva sollevata in aria compiendo un giro completo su se stesso prima di rimetterla giù.
“Lo sapevo che ti aveva già vista da qualche parte, lo sapevo! Anche quando ti ho portata al San Mungo non ho potuto fare a meno di pensare che il tuo viso mi era così familiare… ma da lì a pensare alla bambina scalmanata che avevo incontrato quando avevo otto anni…” commentò ridendo, contagiando ben presto Elise.
“Guarda che nemmeno tu era un angioletto…” lo riprese lei con tono bonario.
 
“Sai, ho chiesto a mia mamma di riportarmi al parco il giorno dopo, e quello dopo ancora. E quello dopo ancora… tu però non sei più tornata…” disse James con tono casuale, ma si vedeva che ci teneva alla risposta.
“È perché dopo quel pomeriggio non sono più stata all’orfanotrofio… Diana e Rupert avevano completato le pratiche per l’adozione e così sono venuti a prendermi. Con loro poi facevo così tante cose che qui ci sono tornata davvero pochissime volte, si vede che poi non siamo più riusciti ad incrociarci…”
“Sì, perché… stavo pensando che… stai bene?”
La ragazza si era bloccata a metà di un movimento, la stessa espressione che aveva nel momento in cui si era ricordata di James.
 
“Io non capisco…” sussurrò poi di punto in bianco. “Non ti sembra strano?”
“Elise non ti seguo…”
“All’epoca, quando ci siamo incontrati la prima volta, io i miei poteri li usavo!” cominciò a spiegare quasi avesse appena avuto un’illuminazione. “Non è che facessi chissà che cosa… svolazzare un pochino, spostare oggetti… quando però sono andata ad abitare con Diana e Rupert ho smesso, ne sono assolutamente certa”
“Ok, ma ancora non capisco dove tu voglia arrivare…”
“Quando mi sono svegliata al San Mungo dopo l’ultima crisi il Medimago Robbins mi ha chiesto se mi fosse mai capitato di far succedere cose strane… e io ho detto di no”
“Oh” adesso capiva dove voleva andare a parare, in realtà era proprio quello che stava per chiedergli: perché le crisi se lei era in grado di usare la magia, seppur senza bacchetta?
Lo stesso Medimago aveva commentato in sua presenza quanto fosse strano che la ragazza da piccola non avesse mai manifestato nessun segno dei suoi poteri, ma in realtà non era vero, adesso James lo sapeva.
“E perché allora hai detto di no?” domandò James sapendo che non era tutto lì quello che la ragazza aveva da dire.
“Perché non me lo ricordavo fino a qualche istante fa”
 
 
L’atmosfera si fece tesa all’istante, nessuno dei due sorrideva più e l’unico rumore erano le voci dei bambini che arrivavano da lontano.
“Non chiedermi come sia possibile una cosa del genere perché non ne ho idea. So solo che nel momento in cui ti ho visto saltare dall’altalena qualcosa si è sbloccato. È stato come aprire una porta di cui ignoravo l’esistenza fino a questo momento: i miei ricordi erano tutti là dietro ma io non me ne sono mai accorta” Elise ruppe il silenzio cercando di spiegarsi.
“Come quando ho visto tua madre l’altro giorno” continuò poi. “Mi ricordo di aver pensato di averla già vista da qualche parte, ma non avrei saputo dire dove. Adesso invece lo ricordo benissimo, anche perché alla fine dei conti non è cambiata poi così tanto in questi anni… avrei dovuto riconoscerla appena l’ho vista, ma così non è stato”.
Non sapeva bene neanche lei come spiegare quello che era successo nella sua mente in una manciata di secondi, e cominciava ad avere paura che James se ne sarebbe presto andato, annunciando che era stufo di starla a sentire perché anche per gli standard del mondo magico era troppo bizzarra.
 
“Potrebbe essere che ti abbiano cancellato la memoria… avrebbe senso e spiegherebbe come mai i ricordi ti siano tornati all’improvviso tutti in una volta” disse invece il ragazzo sorprendendola.
“Gli incantesimi di memoria possono essere più o meno potenti, in linea generale sono definitivi ma comunque non cancellano mai del tutto il ricordo: possono essere infranti in particolari condizioni. Sui bambini poi abbiamo visto che sono più blandi e spesso necessitano anche di essere rinnovati per durare nel tempo. Magari qualcuno ti ha fatto un incantesimo di memoria prima che lasciassi l’orfanotrofio… non ti viene in mente nessuno…?”
“No” disse Elise forse un po’ troppo in fretta scuotendo la testa.
 
Bugiarda… qualcuno ti è venuto in mente…
 
…Forse…
 
In ogni caso non sapeva cosa pensare.
L’unica cosa che riuscì a fare fu apprezzare la rapida spiegazione che James le aveva fornito. Con quell’ abbiamo visto intendeva verosimilmente qualcosa che aveva affrontato a lezione al corso di Guaritore, e la ragazza pensò che anche a lei non sarebbe affatto dispiaciuto poter frequentare quelle lezioni.
 
Si riscosse notando che James le si era avvicinato fermandosi esattamente di fronte a lei.
“Quando ho mandato la lettera chiedendo di incontrarti per parlare non era esattamente questo quello che avevo pensato…” commentò con un mezzo sorriso, cercando di cambiare discorso.
Se la sua intenzione era quella di distrare Elise allora ci era riuscito.
“Tecnicamente noi stiamo parlando” puntualizzò la ragazza alzando lo sguardo che fino a quel momento era rimasto puntato verso i suoi piedi, per guardarlo negli occhi.
“Allora diciamo che non era di questo che volevo parlare” ribattè lui.
“E di cosa volevi parlare?”
 
“Calliope… non è la mia fidanzata” disse velocemente prima che Elise potesse aprire bocca per ribattere.
“Ci siamo lasciati quando ho cominciato il corso di Guaritore ed era da quasi due anni che non la vedevo. Ti giuro che quando me la sono trovata davanti con quel suo sorrisetto falso l’unica cosa che avrei voluto fare era buttarla fuori dalla finestra per poterti spiegare che avevi frainteso…”
“Grazie, ma non devi giustificarti con me…”
“Perché no?”
“Perché lei era la tua ragazza, mentre io non sono nessuno…”
“Un nessuno che mi ha salvato da morte certa due pomeriggi fa!”
“Come se non fosse stata colpa mia, era il minimo che potevo fare… e come se tu non avessi fatto lo stesso con me!”
“Ma io non ho fatto altro che portarti in ospedale, quindi tecnicamente non ho fatto nulla, al contrario non mi risulta che qualcuno ti abbia aiutata quando tu hai guarito me”
“Questo non nessuna differenza…”
“Questo fa tutta la differenza…”
“Andrai avanti così finchè non dirò che hai ragione tu, vero?”
“Puoi scommetterci”
 
“E se dicessi che mi hai convinta? Se dicessi che hai ragione tu?” domandò timidamente Elise dopo un istante di esitazione.
James non rispose. Alzò invece una mano verso il visto della ragazza spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio e avvicinando il suo viso a quello di lei.
“Finalmente…” sussurrò fermandosi a pochi centimetri dalle sue labbra, colmando quella distanza subito dopo.
 
Non durò molto.
Solo il tempo che Elise impiegò per pensare che le labbra di James fossero calde e morbide, che sapevano in qualche modo di casa e che sarebbe potuta rimanere così per ore.
Solo il tempo in cui James si chiese come mai fosse stato così stupido da non farlo prima e come fosse possibile provare certi sentimenti per una persona che conosceva relativamente da poco tempo.
 
Fu Elise a separarsi da James, abbassando lo sguardo e arrossendo manco fosse una ragazzina alle prese con la sua prima cotta.
 
“Pensavo che sarebbe stato interessante provare a insegnarti gli incantesimi che solitamente vengono fatti a scuola, così, per capire meglio come funziona il tuo potere” disse James quando reputò di essere in grado di parlare senza balbettare o arrossire.
“Mi sembra proprio una bella idea” concordò Elise cercando di dissimulare il tremito della sua voce. “Così magari potremo anche dire a qualcuno questa cosa dei miei ricordi…” aggiunse poi.
“Giusto, hai ragione. Facciamo domani?”
“Ecco… io avrei lezione. Sai, l’università…”
“Oh, in realtà avrei lezione anch’io adesso che ci penso… potremo fare nel pomeriggio?”
“Ci ritroviamo qui? Sei tu l’esperto, ma penso che potrebbe andare bene come posto per… allenarsi?”
“Direi che è perfetto” rispose James entusiasta, già sorridendo all’idea di passare un altro pomeriggio insieme alla ragazza.
“Ah… e puoi portare anche Daniel?” domandò Elise e il sorriso di James sembrò spegnersi come una lampadina fulminata.
“Perché?” domandò lui forse più aggressivamente di quanto avesse voluto.
La ragazza rise alla sua reazione: “Julia mi aveva chiesto se c’era un modo per poterlo rivedere, visto che non sapeva come contattarlo…” spiegò alzando gli occhi al cielo al ricordo delle minacce di morte che l’amica aveva giurato di portare a termine se si fosse dimenticata di chiedere di Dan a James.
“Ah, ok” rispose lui, arrossendo leggermente per la figura appena fatta ma recuperando il sorriso.
 
Si incamminarono insieme fuori dall’area dei giochi fino a raggiungere il cancello del parco.
In effetti ormai erano rimaste poche persone in giro.
“Tu e la tua amica Julia avete qualche programma per la serata?” domandò James con finta noncuranza mentre camminavano.
“Il solito: cena e poi a letto. Quando c’è lezione preferiamo cercare di dormire il più possibile, visto che altrimenti con alcune materie c’è il rischio di addormentarsi sul banco…”
“Ti capisco…” commentò lui comprensivo. “È ancora presto per la cena però… magari ti andrebbe di fare un giro…?”
La ragazza sembrò sinceramente stupida dalla sua proposta, ma si trovò a rifiutare: “Grazie ma non oggi… in realtà sono rimasta fuori più del previsto, non vorrei che Julia si preoccupasse…”
“Potresti sempre avvisarla con quel vostro feletono che avete voi babbani…”
Elise sembrò presa in contropiede: avrebbe davvero voluto fare un giro con lui, ma allo stesso tempo sapeva di dover dire di no… il problema era farlo senza deludere il ragazzo.
“In realtà… è che vorrei prendermi un po’ di tempo per pensare a tutto quello che è venuto fuori oggi pomeriggio, ok? Mi piacerebbe davvero venire a fare un giro con te, ma oggi no. Mi dispiace…”
“Ehi, tranquilla, ti capisco, non c’è davvero nessun problema” si affrettò a rispondere lui strappandole un sorriso.
“Subito a casa, però” si raccomandò alla fine.
“Certo” rispose lei sorridendogli di rimando.
 
 
“A domani allora?” la salutò James prima che prendessero ognuno la propria strada.
Con sua grande sorpresa Elise si sporse verso di lui lasciandogli un veloce bacio a stampo sulle labbra, mettendogli allo stesso tempo in mano un pezzo di carta piegato in quattro.
“A domani” la ragazza rispose al suo saluto sorridendo soddisfatta per poi girare sui tacchi e correre via.
 
Quella volta però non stava scappando, James ne era sicuro: sul pezzo di carta, con calligrafia precisa e ordinata, c’era scritto un indirizzo.
 
 
 
/ / /
 
 
 
In colpa.
 
Ecco come si sentiva Elise mentre camminava per strada.
Non avevano più parlato del fatto che la ragazza aveva cercato di evitare James, quasi di scappare da lui, ma Elise aveva notato con la coda dell’occhio il suo sorriso quando lui aveva letto il suo indirizzo di casa sul foglio di carta che gli aveva lasciato.
E in quel sorriso aveva visto che James era felice, felice perché lei non stava più cercando di scappare.
Ma non era vero.
 
Terribilmente in colpa.
 
Quella di voler stare da sola era una bugia. Beh, una mezza bugia, ma di sicuro non era la verità.
 
Come era una bugia quel “no” che aveva pronunciato quando James le aveva chiesto se le veniva in mente qualcuno che all’orfanotrofio avesse potuto cancellarle la memoria.
Da quando raccontava bugie così a cuor leggero?
Forse, se se lo fosse ripetuto ancora un paio di volte, sarebbe riuscita a convincersi di averlo fatto per James, per proteggerlo.
 
Ciò però non toglieva che il ragazzo si sarebbe di sicuro arrabbiato tantissimo quando lo fosse venuto a sapere.
 
Se lo fosse venuto a sapere.
 
Perché la verità era che da quando aveva ricordato quel pomeriggio al parco di otto anni prima qualcos’altro sembrava aver fatto capolino tra i suoi ricordi, fremendo per uscire allo scoperto, e c’era solo un posto dove Elise era certa di poter trovare le risposte.
 
 
 
L’orfanotrofio Wool non era cambiato molto dall’ultima volta che ci era stata, prima di cominciare il nuovo anno all’università.
Forse avevano ritinteggiato i muri esterni dell’edificio, e sicuramente anche il giardino era stato ritoccato, ma alla fine dei conti la struttura le risultò comunque familiare sotto ogni aspetto.
Probabilmente era un po’ tardi, ma d’altronde avevano sempre fatto un’ eccezione per lei, non vedeva perché quella volta sarebbe dovuto essere diverso.
Fece un respiro profondo ripetendosi ancora una volta quello che avrebbe fatto e come si sarebbe dovuta comportare una volta entrata e superò l’alto cancello in ferro battuto dirigendosi verso il portone d’ingresso.
 
 
 
La persona che l’aveva osservata fino a quel momento da una finestra del secondo piano fece riscivolare al suo posto la tenda che aveva spostato per vedere meglio, abbandonando la stanza per andare incontro alla ragazza.
Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato quel momento.













Buon lunedì a tutti!
Ve l'avevo detto che in questo capitolo
qualcosa sarebbe successo.
Per la questione della memoria di Elise non dovrete aspettare molto. Vi posso solo anticipare che con tutta probabilità il prossimo capitolo di intitolerà "Ricordi" (se non cambio idea nel frattempo...)
Come sempre mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate del capitolo.
Grazie a tutti coloro che continuano a seguire la storia
Alla prossima!
E.

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Capitolo 17
*** 16. Memories ***


16 – Ricordi
 
 
 
Entrata nell’ampio ingresso Elise si fermò a guardarsi intorno.
Dovette però chiudere gli occhi e appoggiarsi alla scrivania postazione del custode che sorvegliava l’ingresso dell’orfanotrofio di notte per non cadere come conseguenza al capogiro che l’aveva colta di sorpresa insieme alla cascata di immagini che le avevano invaso la mente.
 
 
“Elise! Ferma, aspetta, cos’è successo?” una signora abbastanza giovane, i capelli corvini raccolti dietro la nuca, stava rincorrendo una bambina che a occhio e croce non aveva più di cinque anni.
Quella sembrò correre ancora più velocemente fino a raggiungere la scrivania del guardiano notturno nell’ingresso dell’orfanotrofio nascondendocisi sotto.
“Elise…” la signorina Clark fece capolino sotto la scrivania osservando stupita la bambina che si era raggomitolata in un angolo del mobile, le ginocchia al petto.
“Non l’ho fatto apposta, mi dispiace… non so neanche come ho fatto…” singhiozzò la bambina tirando su col naso e asciugandosi malamente le lacrime passandosi il braccio sul viso.
“Tesoro, cosa stai dicendo? Cosa avresti fatto?” domandò l’educatrice tendendo una mano verso Elise per esortarla a venire fuori da sotto la scrivania.
“È colpa mia se Abby è caduta” rispose lei seria.
La signorina Clark sembrò presa in contropiede dalla risposta.
“Cosa… cosa vorrebbe dire che è colpa tua? Elise, non eri neanche vicino a lei…”
“Ma sono stata io! Volevo giocarci io con quella bambola e lei ha fatto la prepotente come al solito e non me l’ha lasciata… mi ha fatto cadere” disse la bambina massaggiandosi un ginocchio attraverso la stoffa rovinata dei pantaloni.
“Così io ho fatto cadere lei” concluse abbassando lo sguardo. “Ma non volevo che si facesse male!” si affrettò ad aggiungere subito dopo vista l’occhiata dubbiosa della signorina Clark.
“Io volevo solo farla inciampare, non che si slogasse una caviglia…” a quelle parole le lacrime tornarono a scenderle lungo le guance.
“Fammi un po’ capire…” cominciò l’educatrice. “Come avresti fatto a far cadere Abby se eri a più di tre metri di distanza da lei?” le domandò gentilmente.
“Ecco… io l’ho guardata e… ho desiderato che inciampasse…” confessò la bambina arrossendo.
La signorina Clark alzò un sopracciglio guardando la bambina, prendendo per la prima volta seriamente in considerazione quello che la piccola aveva detto.
“Va bene…” sospirò alla fine dopo aver riflettuto. “Adesso però esci da lì sotto, bisogna andare a prepararsi per la cena, forza” la incoraggiò ed Elise finalmente lasciò il suo rifugio.
“Ma Abby…” provò la bambina, ma la signorina Clark la fermò: “Non ti preoccupare tesoro, la sua caviglia starà presto meglio, si è presa solo una storta” la rassicurò.
“Tu non ci pensare, ok?” disse poi appoggiando una mano tra i capelli biondi della bambina accarezzandole dolcemente la testa.
La bambina annuì chiudendo gli occhi per qualche secondo.
Quando li riaprì ogni traccia di preoccupazione sembrava svanita.
“Vado a prepararmi per la cena!” annunciò allegramente alla signorina Clark che annuì sorridendo guardandola mentre spariva lungo il corridoio che portava all’area dell’edificio destinata alle camere.
Elise non poteva saperlo, ma la signorina Clark aveva appena deciso che quella bambina andava tenuta d’occhio.
 
 
Elise riaprì gli occhi constatando con sollievo che l’ambiente intorno a lei aveva smesso di girare.
Aveva ricordato.
Aveva ricordato della prima volta che aveva usato i suoi poteri in maniera consapevole.
Sentiva che mancava ancora qualche pezzo per quanto riguardava il dopo, ma se non altro quel ricordo aveva sbloccato quello che era successo prima.
Adesso si ricordava: la prima volta che i suoi poteri si erano manifestati aveva quattro anni.
Il rosa confetto della maglia che avrebbe dovuto indossare proprio non le andava giù, e nessuno era riuscito a spiegarsi come alla fine la bambina fosse riuscita a procurarsi una nuova maglietta azzurra. A nessuno era passato per la testa che quella era sempre la stessa maglietta, solo con un colore diverso.
Da quell’episodio c’erano stati altri incidenti di quel genere, ma erano cose talmente minime che nemmeno la piccola Elise se n’era mai resa veramente conto.
L’episodio con Abby aveva però risvegliato una certa consapevolezza nella bambina, e anche la Elise si vent’anni si trovò leggermente imbarazzata nel prendere atto che la prima volta che aveva usato volontariamente la magia l’avesse fatto per nuocere a qualcuno per ripicca.
E la signorina Clark l’aveva consolata dicendole di non pesarci, che non era colpa sua.
L’aveva consolata talmente bene che lei se n’era completamente dimenticata
Scosse la testa: non aveva senso farsi problemi prima del tempo. Dopotutto era lì proprio per vedere la sua vecchia educatrice, avrebbe fatto ogni cosa a suo tempo.
 
Un rumore di passi rimbombò lungo il corridoio ed Elise si trovò davanti l’oggetto dei suoi pensieri.
“Elise, cara! Che piacere rivederti, è passato un sacco dall’ultima volta che abbiamo fatto due chiacchiere” la salutò la signorina Clark quando fu abbastanza vicina, passando poi ad abbracciare e baciare la ragazza.
Elise si ritrovò a pensare che le sembrava eccessivo definire un paio di giorni come ‘un sacco di tempo’, ma sorrise a sua volta ricambiando l’abbraccio e i baci.
 
Calma, mantieni la calma…
 
“Beh, stavo tornando a casa e sono praticamente passata qui davanti… non potevo non fermarmi a salutare” spiegò.
“Sei sempre troppo gentile tesoro. Ti va se andiamo a parlare fuori? Sai che dopo l’ora di cena nessuno dovrebbe più entrare… in effetti Jack dovrebbe arrivare a momenti” propose l’educatrice facendo strada.
“Certo, nessuno problema. Mi ricordo il regolamento. E, ehm… chi sarebbe Jack?” domandò Elise.
“Oh, è il nuovo guardiano per la notte. Il povero Neil è finalmente riuscito ad andare in pensione e per fortuna hanno trovato in fretta qualcuno che lo sostituisse. È anche più giovane, quindi dovrebbe rimanere qui abbastanza…” rispose l’altra facendo l’occhiolino alla ragazza.
Elise si ritrovò suo malgrado a ridacchiare: il suo rapporto con la signorina Clark era sempre stato speciale, di certo molto più profondo rispetto a quello che solitamente si crea tra un bambino in un orfanotrofio e la sua educatrice.
Però se si metteva a pensare che… no, una cosa per volta. Dopotutto non sapeva ancora se aveva davvero ragione, non sapeva neanche lei perché ma era disposta a darle il beneficio del dubbio.
Per il momento.
 
Come se avessi bisogno di altre conferme…
Cantilenò una vocina nella sua testa che la ragazza si affrettò a scacciare.
 
 
Intanto erano uscite all’esterno, per fortuna nonostante cominciasse ad imbrunire la temperatura era ancora accettabile, ed avevano raggiunto l’area con i giochi nel giardino dell’orfanotrofio.
Vista l’assenza di panchine la signorina Clark si sedette su un’altalena, invitando Elise ad imitarla.
La ragazza si accomodò a sua volta, ripensando a quando, solo poco tempo prima, era nella stessa situazione però con James.
Il viso sorridente del ragazzo fu scacciato malamente dai suoi pensieri quando un’altra serie di immagini le passarono davanti agli occhi impedendole di vedere altro.
 
 
“Forza ragazzi! È ora di rientrare, tutti dentro!” un’educatrice aveva richiamato a gran voce i bambini dell’orfanotrofio che stavano giocando in giardino.
L’aspettativa del pranzo fu sufficiente affinchè tutti abbandonassero quello che stavano facendo per poi riversarsi correndo verso l’ingresso della struttura.
Tutti tranne uno.
Una bambina dai capelli biondi era infatti rimasta nascosta dietro allo scivolo tornando allo scoperto solo quando fu sicura che non fosse rimasto più nessuno.
Erano settimane che voleva provare a farlo, ma non era mai riuscita a trovare il momento giusto.
Le altre educatrici, quelle più anziane, la conoscevano bene e si sarebbero subito accorte della sua assenza. Quella a cui era stato affidato il suo gruppo quella mattina però era arrivata da poco, e non aveva pensato di controllare che effettivamente tutti i bambini l’avessero seguita all’interno.
Sorridendo soddisfatta Elise, che quella volta di anni ne aveva sei e mezzo, si diresse a passo deciso verso la sua altalena preferita.
Era quella con il sellino più alto, tanto che doveva fare un piccolo salto per salirci, e la catena non cigolava nemmeno quando si dondolava.
La bambina saltò su e cominciò a spingersi, impaziente di prendere abbastanza velocità e altezza per fare quello che voleva.
Se ci era riuscita saltando dal letto perché dall’altalena sarebbe dovuto essere diverso?
Di sicuro sarebbe stato più divertente, ne era sicura.
Più saliva più la bambina si spingeva avanti sul seggiolino finchè alla fine, una volta raggiunta la massima altezza consentita dalla giostra, con un colpo di reni si buttò letteralmente in avanti lasciando l’altalena a dondolare per conto suo.
Se qualcuno avesse guardato in quel momento avrebbe visto una bambina sollevata di un paio di metri da terra, le braccia aperte e la testa buttata all’indietro e un sorriso che andava da un orecchio all’altro illuminandole il viso.
Solo un piccolo solco sulla fronte, tra le sopracciglia, lasciava capire quanto la bambina si stesse in realtà concentrando.
Un rumore di passi, un’esclamazione di sorpresa ed Elise si trovò a ricongiungersi con il terreno più bruscamente di quanto avesse voluto.
Riuscì comunque a mantenere l’equilibrio e ad atterrare sui piedi, piegandosi sulle ginocchia per attutire l’urto.
La signorina Clark la stava guardando sbalordita, un’espressione di pura sorpresa dipinta sul volto.
La bambina al contrario le restituì un’espressione a metà tra il colpevole e l’impaurito.
“Cosa… cos’era quella… Elise come hai fatto?”
“Io… volevo vedere com’era volare…” balbettò la bambina, l’espressione dell’educatrice sempre più stupita.
“E… l’hai fatto altre volte?” domandò alla piccola che la guardò con tanto d’occhi: si aspettava una sgridata di proporzioni epiche, non che l’educatrice si interessasse ancora di più.
“No…” cominciò lei. “Non sull’altalena” specificò poi, decidendo che forse non le conveniva dire una bugia. “Di solito lo faccio saltando dal letto” aggiunse alla fine notando lo sguardo della Clark che sembrava esortarla ad andare avanti a spiegarsi.
“E qualcuno ti ha mai visto?”
Elise scosse la testa, era sempre stata molto attenta quando usava i suoi poteri, nessuno si era mai accorto di niente… fino a quel momento.
“E non l’hai detto a nessuno, giusto?” chiese ancora l’educatrice.
La bambina scosse di nuovo la testa: a chi mai avrebbe potuto raccontarlo? L’avrebbero presa per quella strana…
“Bene, vorrà dire che questo sarà il nostro segreto, ok?” le fece promettere la signorina Clark.
“Tu sei davvero una bambina speciale, Elise” la rassicurò poi, intuendo i pensieri che in quel momento stavano verosimilmente affollando quella bionda testolina.
“Sei speciale e questo ti rende diversa dagli altri… in senso buono ovviamente! Spesso però la gente ha paura di ciò che è diverso, di ciò che non conosce. Per questo non devi dire a nessuno quello che sai fare, hai capito?”
“E tu non hai paura?” domandò a quel punto la bambina, lo sguardo già intimorito per la risposta che avrebbe potuto ricevere.
“Ma certo che no tesoro!” rispose la signorina Clark regalandole un buffetto sulla guancia. “Anzi, sai che ti dico? Vorrei essere capace io di fare le cose che sai fare tu… perché scommetto che oltre a saltare dall’altalena c’è altro, ho ragione? Adesso però dobbiamo proprio andare, ma la prossima volta mi fai vedere bene tutto quello che sai fare: cosa ne dici?”
La bambina rispose entusiasta lasciando che il suo visetto venisse illuminato nuovamente da un grande sorriso, lieta di aver ricevuto l’approvazione di quella che era sempre stata la sua educatrice preferita.
 
 
L’area giochi dell’orfanotrofio ritornò a fuoco mentre Elise cercava di non boccheggiare dopo quello che aveva visto.
La signorina Clark sapeva… com’era possibile?
La ragazza rivolse la sua attenzione all’educatrice: stava ancora parlando, dondolandosi distrattamente sull’altalena e sembrava non essersi accorta che per qualche istante Elise si era assentata.
“In effetti l’altalena è sempre stata il tuo gioco preferito…” concluse l’educatrice finendo un discorso di cui Elise non aveva sentito una parola.
“Eh già” rispose lei nervosamente. “Mi è sempre piaciuta perché quando si va in alto sembra quasi di volare…” buttò lì, ma la signorina Clark non si scompose più di tanto.
Non riusciva a capire una cosa: dopo l’episodio dell’altalena non le era stata cancellata la memoria, allora perché continuava a sentire che mancava ancora qualcosa? Non aveva ancora recuperato tutto? Voleva dire che c’era ancora qualcosa da sapere?
Stava per aggiungere qualcosa quando con la coda dell’occhio percepì un movimento al limite del suo campo visivo.
Un uomo alto, i capelli corvini lunghi fino alle spalle e lo sguardo verosimilmente nero come la notte era appena entrato dal cancello dell’orfanotrofio, raggiunto l’ingresso dell’edificio ed era entrato indisturbato.
Elise fece per avvisare la signorina Clark ma quella la precedette notando il suo sguardo ancora rivolto all’ingresso dell’orfanotrofio: “Non ti preoccupare cara, quello è Jack, il nuovo guardiano notturno” spiegò.
 
Guardiano notturno un corno pensò Elise cercando di mantenere un’espressione neutra.
 
Quello era veramente troppo, a quel punto poteva benissimo andare, aveva avuto la conferma di quello che pensava, non aveva senso restare ancora e rischiare magari di mettersi nei guai.
 
“Pensavo che fossi tornata qui per avere delle risposte Elise. Sei sicura di voler andare via proprio adesso?” commentò la signorina Clark nell’esatto momento in cui la ragazza si alzò dall’altalena.
A quelle parole Elise trattenne il respiro: adesso sì che era nei guai.
“Non capisco cosa vuoi dire…”
“Suvvia Elise, sei una ragazza intelligente e io non sono stupida. Ti conosco da quando sei nata, non pensare di potermi mentire”
Le due si guardarono con espressione di sfida.
“Hai la mia parola che poi ti lascerò andare, ma prima ti consiglio di sederti di nuovo, non vorrei mai che cadessi e andassi a sbattere da qualche parte…” disse alla fine la signorina Clark.
“Non ti ricordi Elise? Eri così contenta quel giorno quando i tuoi nuovi genitori sono venuti a prenderti…”
Elise la guardò confusa, salvo poi afferrare saldamente la catena dell’altalena non appena la vista tornò ad appannarsi di nuovo.
 
 
“… e quando ha visto che lo sapevo fare anch’io è rimasto a bocca aperta come un pesce lesso!” stava dicendo una bambina uscendo dal bagno avvolta in un accappatoio di due taglie più grande. Da quando era rimasta sola con l’educatrice non aveva fatto altro che parlare di quanto si era divertita quel pomeriggio a giocare con quel bambino che era speciale come lei.
“E poi ha detto che non siamo i soli! Per esempio tutta la sua famiglia è capace di fare magie, solo che usano una bacchetta… noi siamo ancora troppo piccoli per averne una, ma quando si compiono undici anni ti arriva una lettera che ti avvisa che devi cominciare la scuola e allora puoi anche comprare la bacchetta!” era davvero elettrizzata per tutte le cose di cui era venuta a conoscenza, e sapere che poi era finalmente era stata adottata non aveva di certo contribuito a tranquillizzarla.
Mentre la bambina continuava a chiacchierare la signorina Clark la osservava con le labbra strette provvedendo a preparare il baule di Elise e sistemando sul letto i vestiti che avrebbe dovuto indossare.
“Non mi dirai che non ti piace già più? E meno male che sei stata tu a sceglierlo…” disse l’educatrice notando lo sguardo che la bambina aveva riservato al vestitino che aveva appoggiato sul letto.
Elise arricciò il naso ma alla fine indossò l’indumento senza fare troppe storie, dopotutto era vero che l’aveva scelto lei…
“Adesso vieni qui che ti pettino” disse poi l’educatrice appena Elise ebbe finito di vestirsi.
La bambina annuì e si sedette obbediente sul letto mentre la signorina Clark le spazzolava quel groviglio che al momento si trovava al posto dei capelli cercando di farli tornare ad uno stato presentabile.
Ad un certo punto la donna mise giù la spazzola e appoggiò le mani ai lati della testi di Elise.
Lo sguardo di sorpresa della bambina fu ben presto sostituito da uno vacuo e perso nel vuoto.
“Fidati che è meglio così tesoro…” sussurrò l’educatrice parlando più a se stessa continuando a tenere le mani be appoggiate al capo della bambina seduta davanti a lei.
Alla fine dopo qualche istante interruppe il contatto con la bambina.
Quest’ultima sbattè più volte le palpebre per poi recuperare subito il suo buon umore.
“Mi fai la treccia?” domandò all’educatrice che nel frattempo aveva ripreso in mano la spazzola come se non fosse successo niente.
E in effetti per Elise era così: si sentiva ancora su di giri per il fatto che i suoi nuovi genitori erano finalmente venuti a prenderli, ma non sapeva che parte di quella felicità era dovuta a quello che un certo bambino speciale come lei le aveva raccontato quel pomeriggio al parco tra un salto dall’altalena e l’altro.
Bambino di cui non aveva più il ricordo, come anche dei suoi stessi poteri.
Elise era ufficialmente tornata ad essere una bambina normale, almeno per i successivi quattro anni…
 
 
Quella volta Elise non si preoccupò di sforzarsi di rimanere impassibile né di mascherare la smorfia che le si era sicuramente dipinta sul volto a causa della sgradevole sensazione di giramento che si era presentata insieme all’ultimo ricordo.
Ricordo che aveva definitivamente confermato i suoi sospetti –come se ce ne fosse stato bisogno-: era stata davvero la signorina Clark a cancellarle la memoria.
Se non fosse stato per lei si sarebbe ricordata di cosa era capace di fare, avrebbe potuto usare i suoi poteri, non avrebbe avuto crisi…
Le crisi! Cancellandole la memoria la Clark aveva cancellato del tutto anche la consapevolezza dei suoi poteri, se non l’avesse fatto si sarebbe potuta risparmiare anni di visite inconcludenti all’ospedale e dolori ogni anno più forti.
Lo sguardo che la ragazza riservò all’educatrice era freddo e pieno di rabbia.
 
“Hai idea di quello che ho passato?” le domandò mantenendo un tono di voce basso solo perché non riteneva opportuno attirare l’attenzione delle persone all’interno dell’orfanotrofio, in particolare di un certo guardiano notturno…
“Io mi sono fidata di lei, e lei mi ha fatto dimenticare tutto! Ha idea di quanto mi sia costato non poter usare la magia per tutti questi anni? Ha idea di quanto abbia fatto male?” domandò ancora con rabbia.
La signorina Clark sussultò, molto probabilmente il pensiero di una crisi da sovraccarico non l’aveva mai minimamente sfiorata.
Elise non si fece fermare dall’espressione colpevole e vagamente dispiaciuta sul volto della donna.
“Davvero non capisco come mai si sia data così tanto da fare per farmi dimenticare tutto se poi mia madre mi rivuole indietro… perché scommetto quello che vuole che ha sempre lavorato per lei, non è così?” continuò. “Esattamente qual era il suo piano? Continuare a cancellarmi la memoria così quando mi avrebbe portata da lei non mi sarei ricordata neanche chi sono? E…”
“Non parlare di cose che non sai ragazzina” la interruppe la Clark. L’ultima parte del discorso di Elise sembrava averla punta sul vivo e adesso anche lei sembrava davvero arrabbiata.
“Per chi lavoro non è affar tuo…”
“Oh, a me sembra decisamente affar mio. Un mio amico è quasi morto per colpa vostra, non venirmi a dire di starne fuori!”
“Di quello puoi incolpare solo lui. Se fosse stato più intelligente si sarebbe fatto da parte e non gli sarebbe successo niente…”
“Non dare la colpa a James, perché non è stata colpa sua…”
“Hai ragione, se è stato ferito è stata colpa tua, no?”
 
All’ultima domanda seguì un lungo attimo di silenzio carico di tensione durante il quale le due donne si guardarono quasi a volersi incenerire a vicenda con il solo sguardo.
“Non verrò mai con voi. Dì pure a mia madre che non mi avrà mai dalla sua parte, mai!” disse alla fine Elise incamminandosi verso l’uscita.
“Contaci, ma sei un’illusa se pensi che Shayleen rinuncerà a te solo perché tu non vuoi stare dalla sua parte. In un modo o nell’altro alla fine riuscirà a convincerti: non esiste un finale in cui lei non ottiene quello che vuole, ricordatelo” replicò la voce della signorina Clark arrivandole da dietro.
“Sono proprio curiosa di vedere come farà allora…” rispose la ragazza con tono ironico continuando a camminare.
 
“Ecco la luce che come una stella dal buio nasce
Crescendo con l’ombra amica che sa e ricorda.
Cose taciute e mezze verità faranno parte del suo cammino
Finchè contro il suo volere imparerà ciò che non è mai stato imparato.
Il buio cercherà insistentemente di farla tornare a lui
E con altrettanta insistenza sarà rifiutato
Ma il buon cuore prevale anche quando tutto sembrerà perduto
E la luce si spegne sotto l'arco antico.”
 
Elise si bloccò girandosi di scatto a guardare la signorina Clark che stava sorridendo soddisfatta.
“Come dicevo, Elise, alla fine tua madre otterrà quello che vuole, che tu lo voglia o no: così è stato predetto e non si può cambiare”
La ragazza non disse nulla, le voltò le spalle e cominciò a correre con la vaga sensazione che dovunque fosse andata nessun posto sarebbe stato abbastanza lontano per lasciarsi indietro quello che aveva appena sentito.
 
 
 
///
 
 
 
“L’hai lasciata andare via così? Sembrava sconvolta, prenderla sarebbe stato un gioco da ragazzi Cheryl” disse una voce fredda e profonda in tono di rimprovero.
“Le ho detto la Profezia…”
“Tu… che cosa?” adesso sembrava arrabbiato.
“Chiudi il becco Jack. Lo sai anche tu come finisce, avresti dovuto vedere la faccia che ha fatto. Se siamo fortunati e se lei ha un po’ di sale in zucca verrà da sola evitandoci un sacco di problemi”
“Convinta tu”
“Sarà soltanto questione di tempo”













Come promesso ecco puntuale il sedicesimo capitolo.
E così si è finalmente fatta luce sul passato di Elise e sul ruolo della signorina Clark (o forse no...?)
Ci tengo particolarmente a questo capitolo, soprattutto per quanto riguarda la parte della profezia: sono stata indecisa fino all'ultimo se inserirla o meno, e non vi dico quante volte l'ho dovuta riscrivere per ottenere qualcosa di accettabile (almeno spero che lo sia).
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate, grazie a _purcit_ che ha recensito lo scorso capitolo.
A lunedì prossimo!
E.



P.S. Stavo pensando, se è un'idea carina che piace anche a voi, che alla fine di ogni capitolo potrei lasciarvi il titolo del capitolo successivo e due righe di spoiler, cosa ne dite?
Intanto vi lascio quello del capitolo 17: Addestramento.

Scacciò quei pensieri cercando di concentrarsi sulla piuma davanti a lei.
Aprì la bocca per pronunciare l’incantesimo e… “Ma devo recitare la formula ad alta voce o…?” domandò arrossendo. Si sentiva stupida.
Hermione sembrò capire la sua difficoltà visto che le si avvicinò comprensiva: “Prova a vedere come ti trovi meglio. Tenta, sperimenta. Nessuno è qui per giudicarti, Elise, ma per aiutarti ad imparare. Se ti fa sentire meglio sappi che né Harry né Ron sono riusciti a far sollevare la loro piuma alla prima lezione…” disse.
Elise non aveva idea di chi fosse questo Ron, ma in effetti vedere il signor Potter che si grattava la nuca in evidente stato di imbarazzo riuscì a risollevarle il morale. ... continua...
Fatemi sapere se come idea vi piace :)


 

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Capitolo 18
*** 17. Training ***


17 – Addestramento
 
 
 
 
Quel lunedì le ore di lezione sembravano non passare più, e di certo Elise non trovò facile concentrarsi su quello che i docenti spiegavano.
 
La sera precedente, prima di entrare in casa, si era fermata per qualche istante davanti alla porta dell’appartamento per riprendere fiato dopo la corsa che aveva fatto dall’orfanotrofio.
Aveva chiuso gli occhi e si era imposta di impostare l’espressione più felice e soddisfatta del suo repertorio, quella che avrebbe effettivamente avuto se dopo l’appuntamento con James fosse tornata direttamente a casa come aveva detto al ragazzo.
Non era il caso che Julia venisse a sapere della sua deviazione, si sarebbe preoccupata per niente.
Per fortuna la sua recita era risultata convincente, e Julia si era accontentata di sapere per filo e per segno quello che era successo tra lei e James quel pomeriggio.
Da parte sua Elise le raccontò anche del fatto che le stavano tornando alcuni ricordi, e che aveva scoperto che in realtà lei e James si erano incontrati per la prima volta quando avevano otto anni.
Quello non aveva motivo di nasconderglielo.
La reazione di Julia quando le aveva detto che il pomeriggio seguente lei e il ragazzo si sarebbero incontrati di nuovo per mettere alla prova i poteri di lei, che ci sarebbe stato anche Dan e che lei era invitata fu esattamente come Elise si era aspettata: la mora aveva improvvisato un balletto per il salotto per poi andare a stritolare la coinquilina in un abbraccio che le aveva letteralmente tolto il respiro.
 
 
Elise accolse la fine delle lezioni con un grande sospiro di sollievo, anche se non poteva fare a meno di sentirsi leggermente preoccupata per quello che la aspettava di lì a poco: e se non fosse stata all’altezza? E se avesse fatto una pessima figura?
Inutile dire che dopo questi pensieri Julia sembrava decisamente più entusiasta di lei all’idea del pomeriggio che avrebbero trascorso.
 
“Sei sicura che siamo nel posto giusto?” domandò la mora quando si furono inoltrate nel parco.
“Certo, che domande fai? Guarda: laggiù c’è lo scivolo” rispose Elise stupita dalla domanda dell’amica. Non era la prima volta che anche lei veniva in quella parte del parco.
“Elise io non vedo niente. Forse sarebbe meglio tornare indietro…” protestò Julia cominciando a tirare l’altra per il braccio.
“Ma che cavolo stai dicendo Ju? Muoviti che siamo arrivate” ribattè Elise, e alla fine riuscì a trascinare Julia fino all’area dei giochi.
Le sembrò di essere attraversata da un formicolio e di colpo Julia smise di divincolarsi guardandosi intorno confusa.
“Si può sapere che cosa ti è preso?” le domandò Elise.
“Non lo so, è strano. È stato come se all’improvviso avessi qualcosa di importante da fare… il più lontano possibile da questo posto…” rispose Julia non sapendo bene come spiegarsi.
 
“Colpa degli incantesimi respingi-babbano, scusateci. Ci eravamo dimenticati che doveva venire anche lei” rispose una voce, e solo allora le due ragazze parvero realizzare che non erano sole.
“Abbiamo circondato l’area con alcuni incantesimi di protezione in modo che solo i diretti interessati possano entrare, così non correremo il rischio di essere scoperti” spiegò il signor Potter facendo un ampio cenno con le braccia come ad invitarle a guardarsi intorno.
E in effetti Elise dovette riconoscere che ai confini dell’area sembrava ci fosse una leggera nebbiolina opalescente. Evidentemente era di quello che parlava il signor Potter.
Facendo vagare il suo sguardo non potè fare a meno di soffermarsi sulla figura di James, al quale sorrise arrossendo un poco al ricordo del pomeriggio precedente, e di Dan che invece era già completamente concentrato su Julia.
Elise ridacchiò e si avvicinò a James: “Come mai c’è anche tuo padre?” gli chiese.
“È stato lui a mettere le misure di sicurezza, essendo un Auror è piuttosto bravo in queste cose… e poi si è offerto insieme a mia zia di farti un po’ da insegnante” spiegò lui.
“Tua zia?”
James annuì all’ultima domanda indicandole un punto con lo sguardo, ed Elise si rese conto che effettivamente c’era anche una donna che prima non aveva notato.
La cosa che subito le saltò all’occhio furono i capelli: una nuvola di ricci castani che avevano tutta l’aria di essere più ribelli dei capelli di Potter senior e jr. messi insieme. A parte quello l’aspetto della donna fece pensare ad Elise di avere davanti una persona molto precisa e ordinata, e sicuramente anche molto brava visto che, bacchetta alla mano, stava letteralmente facendo apparire dal nulla dei grandi cuscini colorati.
“Hermione credo che possano bastare…” commentò divertito il signor Potter notando i cuscini disseminati sul prato. “In realtà non pensavo di certo di arrivare agli schiantesimi oggi…”
“E perché no? Se è brava come dite non vedo perché non potrebbe farcela, dovremo pur insegnarle qualche incantesimo per difendersi” rispose la strega girandosi per la prima volta a guardare Elise, soppesandola per qualche istante.
Evidentemente non trovò nulla da ridire visto che alla fine le rivolse un sorriso e le tese la mano presentandosi: “Io sono Hermione, la zia di James. E chiamami tranquillamente per nome cara. Tu invece sei Elise, giusto?”
“Elise Starlet, piacere” rispose lei stringendole la mano.
“Bene, quando James mi ha esposto la sua idea di provare a farti esercitare con qualche incantesimo ho subito pensato ad Hermione” disse il signor Potter. “È sempre stata la più brava a scuola, quindi ho pensato che sarebbe stata la scelta migliore come insegnate e lei fortunatamente ha accettato”
“Avevo pensato di cominciare con gli incantesimi che di solito vengono insegnati al primo anno e poi in base a come te la cavi decidere come andare avanti” proseguì Hermione prendendo la parola.
Elise annuì interessata, non vedeva l’ora di cominciare.
“Mi hanno detto che tu non usi la bacchetta…” disse poi e la ragazza assentì leggermente in imbarazzo.
“Io non credo che sia un problema…” proseguì gentilmente la donna. “James eseguirà per primo l’incantesimo e poi tu proverai a replicarlo, questa era la mia idea” spiegò.
“Allora iniziamo!” esclamò alla fine visto che nessuno aveva nient’altro da aggiungere.
 
Fece apparire due piume bianche che appoggiò sul ripiano di una panchina: “Il primo incantesimo è quello di levitazione. Più pesante è l’oggetto da sollevare più l’incantesimo è difficile e più concentrazione è richiesta. La formula è Wingardium Leviosa, mi raccomando attenzione alla pronuncia… James, comincia pure. Spero per te di non doverti ricordare qual è il movimento da fare con la bacchetta…” spiegò Hermione dando direttive.
Elise osservò con attenzione James impugnare la bacchetta, agitarla disegnando un piccolo cerchio nell’aria e concludere il movimento con una leggera stoccata in direzione della piuma mentre con voce sicura recitava la formula.
Ubbidiente la piuma si sollevò sotto lo sguardo dei presenti, James palesemente soddisfatto di non aver fatto un figuraccia.
“Adesso tocca a te” disse con tono rassicurante mettendo una mano sulla spalla di Elise.
“Ok” rispose lei non molto convinta.
 
Avrebbe voluto avere Julia al suo fianco a incoraggiarla come solo lei sapeva fare, come per esempio prima di un esame, ma lei e Dan si erano defilati almeno una decina di minuti prima e qualcosa le diceva che l’avrebbe rivista solo quella sera a cena.
In più sapere che non c’era solo James a guardare non la rendeva più tranquilla.
Certo, era contenta che ci fosse qualcuno che sapesse sul serio come insegnare, ma questo voleva dire anche più testimoni nel caso in cui i suoi tentativi fossero stati un disastro.
 
Scacciò quei pensieri cercando di concentrarsi sulla piuma davanti a lei.
Aprì la bocca per pronunciare l’incantesimo e… “Ma devo recitare la formula ad alta voce o…?” domandò arrossendo. Si sentiva stupida.
Hermione sembrò capire la sua difficoltà visto che le si avvicinò comprensiva: “Prova a vedere come ti trovi meglio. Tenta, sperimenta. Nessuno è qui per giudicarti, Elise, ma per aiutarti ad imparare. Se ti fa sentire meglio sappi che né Harry né Ron sono riusciti a far sollevare la loro piuma alla prima lezione…” disse.
Elise non aveva idea di chi fosse questo Ron, ma in effetti vedere il signor Potter che si grattava la nuca in evidente stato di imbarazzo riuscì a risollevarle il morale.
Ignorò James che stava prendendo in giro suo padre (“Questo non me lo avevi mai detto!”) e tornò a guardare la piuma.
 
Wingardium Leviosa si disse nella mente.
Suonava bene.
Immaginò che la sua piuma si sollevasse come quella di James… poteva farcela.
Un familiare formicolio cominciò a farsi sentire sulla punta delle sue dita e la ragazza sorrise: non aveva più dubbi, ce l’avrebbe fatta.
 
Stese la mano verso la piuma con un gesto quasi noncurante e ripetè ancora una volta la formula, sempre senza pronunciarla ad alta voce.
 
Non fu l’unica a rimanere stupita quando la piuma cominciò tremolante ad alzarsi in aria.
Era strano, ma con quel semplice incantesimo qualcosa si era messo in moto nella sua testa, come se pian piano le cose stessero cominciando a diventare più chiare.
Forse in futuro la formula non le sarebbe neanche più servita: aveva percepito in che modo la sua energia si era raccolta intorno alla piuma per poi sollevarla. Era quello che le serviva sapere.
 
“Te l’avevo detto che ci saresti riuscita!” James la distolse dai suoi ragionamenti battendole una mano sulla schiena.
Il signor Potter ed Hermione la osservarono a sua volta sorridendo, ma decisamente il sorriso di James era il suo preferito.
“Ti ricordi di quella volta al parco?” gli domandò illuminandosi tutt’un tratto. “Dopo il salto dall’altalena…”
A quella precisazione anche James parve capire visto che i suoi occhi si spalancarono: “Pensi di poterlo rifare?” chiese alla ragazza.
“Se vuoi posso provarci” rispose Elise ridendo mentre i due adulti li guardavano stupiti non capendo di cosa stessero parlando.
James si allontanò di qualche passo dalla ragazza per poi fermarsi e spalancare le braccia: “Quando vuoi, Elise” la invitò.
 
Elise chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.
Quando li riaprì il suo sguardo era completamente concentrato mentre guardava il petto di James talmente intensamente che il ragazzo pensò che avrebbe benissimo potuto vedere il suo cuore che batteva rapido.
Quella volta la ragazza non dovette nemmeno ripetere la formula nei suoi pensieri: si abbandonò alla sensazione della magia che si staccava da lei per raggiungere James e avvolgerlo, guidata dall’istinto e dal ricordo dell’ultima volta che l’aveva fatto, nonostante fosse stato ben dodici anni prima.
Contrariamente a quanto era successo quando aveva dovuto guarire la ferita, una volta entrata in contatto con il corpo del ragazzo la magia non cercò di penetrare attraverso la pelle, ma gli si strinse attorno.
A quel punto il resto veniva da sé: la ragazza dovette semplicemente pensare di far alzare James da terra, e i piedi del ragazzo cominciarono subito a staccarsi dal terreno.
In effetti Hermione aveva ragione: si accorgeva che c’era più resistenza visto che il ragazzo non pesava certo quanto la piuma, anche se però per quanto riguardava la concentrazione non percepiva alcuna differenza rilevante.
Una volta acquistata un po’ di sicurezza avrebbe potuto dire che stava sollevando James con la stessa spontaneità con cui avrebbe sollevato un bicchiere con la mano per bere.
Provò ad ampliare un po’ il suo campo visivo in modo da non dover guardare solo James ma anche quello che c’era intorno, e si accorse che sia il signor Potter che Hermione la stavano guardando a dir poco sbalorditi. Dal canto suo poteva dire che ormai quell’incantesimo era completamente assodato.
 
“…vediamo se riesci anche a farmi girare come l’ultima volta…” la provocò James che sembrava completamente indifferente al fatto che stesse galleggiando a due metri buoni da terra.
Elise sorrise: “Hai qualche dubbio per caso?” gli rispose a tono.
“Io? Ma certo che n…” la risposta del ragazzo si perse nell’aria nel momento in cui cominciò a roteare su se stesso come una trottola.
“Peccato che tu non mi possa più rendere il favore, eh James?” lo prese in giro Elise facendolo ritornare con i piedi per terra.
“Aspetta che ti prendo…” la minacciò scherzosamente lui puntandole contro la bacchetta in modo decisamente poco minaccioso e cercando di andarle incontro.
Cercando.
Evidentemente non si era ancora ripreso del tutto dall’ultima giravolta che Elise gli aveva fatto fare perché dopo il primo passo barcollò pericolosamente.
Probabilmente sarebbe finito dritto per terra se non fosse che all’ultimo qualcosa sembrò trattenerlo.
 
Elise aveva puntato la sua mano verso di lui, il palmo aperto.
 
Il signor Potter si affrettò ad andare a sorreggere il figlio mentre Hermione sembrava stesse riflettendo.
“Davvero ben fatto” disse alla fine complimentandosi con Elise.
La ragazza le restituì uno sguardo interrogativo.
“Non ho mai visto nessuno reagire così prontamente… se non fosse stato per te credo che James avrebbe avuto un incontro ravvicinato con il prato del parco…”
“Sì ecco, allora forse sarebbe il caso di provare con un altro incantesimo visto che questo mi riesce così bene…”
 
 
Da quel momento in poi il pomeriggio sembrò volare.
James l’aveva ringraziata per il suo salvataggio strappandole un bacio mentre il padre e la zia non stavano guardando, e forse fu proprio grazie a quello che Elise smise finalmente di preoccuparsi.
Dopo l’incantesimo di levitazione vennero quelli di appello e disappello, quelli per ingrandire e ridurre gli oggetti, uno a suo parere molto divertente con cui aveva cosparso festoni e coriandoli per tutti i giochi e gli incantesimi illuminanti.
Lo stupore iniziale di Hermione e del signor Potter nel vederla riuscire al primo tentativo per ogni incantesimo fu presto sostituito da espressioni soddisfatte e compiaciute.
James sembrava addirittura più contento di lei nel vedere quanto bene riusciva nell’esecuzione di ogni incantesimo.
 
Dal canto suo anche Elise poteva dire di essere più che soddisfatta di se stessa: non avrebbe mai pensato che quella specie di lezione-addestramento sarebbe potuta essere così utile.
Sentiva che finalmente stava davvero imparando a capire come funzionavano i suoi poteri.
Conoscere le formule era un valido aiuto all’inizio quando ancora non sapeva bene cosa aspettarsi dall’incantesimo che doveva lanciare, ma alla fine aveva concluso che, rispetto ai suoi insegnanti che usavano la bacchetta, per lei le cose erano molto più istintive.
Una volta capito come funzionava il meccanismo, in che modo il suo potere fluiva attraverso di lei per sollevare un oggetto piuttosto che per respingerlo, qual era l’esatto livello di attenzione che l’operazione richiedeva e quanta energia era necessaria il gioco era fatto.
Le bastava pensare di voler sollevare qualcosa, rivolgere appena uno sguardo all’oggetto prescelto e quello eseguiva.
Era una cosa che ormai le veniva così naturale che dopo i primi incantesimi aveva smesso di chiedere la formula. Le bastava che le venisse spiegato precisamente quale fosse l’effetto dell’incantesimo che avrebbe dovuto eseguire e lei procedeva.
In effetti avrebbe dovuto fare attenzione che non le venisse troppo naturale, o rischiava di mettersi a fare magie anche davanti ad altre persone…
 
“E con questo abbiamo finito anche gli incantesimi del secondo anno” commentò Hermione disegnando un segno di spunta su un foglio di pergamena mentre Elise finiva di spegnere con un getto d’acqua un fuocherello sospeso a mezz’aria che lei stessa aveva evocato qualche istante prima.
“Abbiamo ancora un po’ di tempo… potremo provare qualche incantesimo di difesa?” propose. “Cosa ne dici Harry?”
Il signor Potter sembrò pensieroso per qualche istante, ma alla fine si convinse: “Va bene, ma nulla di complicato per oggi” avvisò subito.
In realtà gli si era accesa una luce negli occhi, Hermione se n’era accorta subito.
“Come ai vecchi tempi, eh?” domandò sorridendo.
“Eh già” rispose l’uomo sorridendo a sua volta. “Allora… il primo incantesimo di difesa che viene insegnato è quello di disarmo” cominciò poi, ed Elise non potè fare a meno di pensare che in realtà anche lui sembrava parecchio portato per l’insegnamento.
“Non so quanto ti possa servire saperlo, la formula è Expelliarmus. Come penso tu abbia intuito lo scopo è quello di disarmare l’avversario, quindi togliergli la bacchetta. James?” concluse poi invitando il figlio a farsi avanti.
Il ragazzo quella volta non sembrava troppo contento di prendere parte alla dimostrazione, ma alla fine si fece comunque avanti mettendosi in posizione.
Un lampo di luce rossa scaturì all’improvviso dalla bacchetta del signor Potter e l’attimo successivo la bacchetta di James era sfuggita alla presa del suo proprietario per finire in mano all’Auror.
“Elise, vuoi provare…?” domandò, ma non fece in tempo a concludere la domanda che entrambe le bacchette, la sua e quella del figlio, gli vennero letteralmente strappate di mano per volare in quella della ragazza che era stesa in avanti nella sua direzione.
Tutti guardarono per l’ennesima volta Elise con tanto d’occhi.
“Papà, lasciatelo dire, secondo me ci sono buone probabilità che Elise riesca a batterti in duello anche adesso!” esclamò James mettendosi a ridere nel vedere la faccia che il padre aveva fatto quando le bacchette gli erano sfuggite di mano senza preavviso.
“Per oggi può bastare?” domandò poi, la sua attenzione già completamente rivolta ad Elise che aveva nel frattempo restituito la bacchetta a suo padre ma continuando ad osservare incuriosita la sua.
Ovviamente sperava in una risposta affermativa in modo da poter riuscire a passare un po’ di tempo con la ragazza da soli.
Elise accolse con un gran sorriso la domanda di James: dire che lei non avrebbe voluto passare un po’ di tempo con lui sarebbe stata una bugia bella e buona.
 
Stava giusto per aggiungere che anche secondo lei per quel pomeriggio era abbastanza, visto che in ogni caso il giorno seguente di sarebbero riuniti di nuovo per un’altra sessione di allenamento quando la faccia improvvisamente allarmata di James la spinse a girarsi verso il punto che il ragazzo stava guardando.
 
Alcune scintille di luce rossa stavano sfrigolando a mezz’aria per poi dirigersi dritte verso di loro sotto forma di due getti dall’aria precisa e pericolosa.














Spoiler Capitolo 18: Una questione di fiducia
Un rumore forte e ripetitivo cominciò a farsi strada ai limiti della coscienza di Elise.
I suoi tentativi di ignoralo fallirono miseramente e la ragazza si trovò a stropicciarsi gli occhi svegliandosi del tutto.
Uno sguardo all’ora proiettata sul soffitto dalla sveglia la informò che era da poco passata l’una.
Il rumore intanto continuava a farsi sentire: sembrava che qualcuno stesse disperatamente bussando alla porta dell’appartamento.
Si trattenne dal cacciare un urlo quando si scontrò con Julia nel buio del corridoio per poi accendere finalmente la luce.
Adesso che era arrivata davanti alla porta in questione dovette correggersi: chiunque ci fosse la fuori non stava semplicemente bussando, sembrava che volesse buttarla giù, la porta.


A lunedì! :)



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Capitolo 19
*** 18. A matter of trust ***


18 – Una questione di fiducia
 
 
 
James fu il primo a reagire buttandosi a terra e rotolando sul fianco, schivando il raggio diretto verso di lui che andò ad infrangersi sulla fiancata dello scivolo alle sue spalle lasciandoci una leggera ammaccatura.
Solo alla fine si accorse che Elise era ancora dove l’aveva lasciata, senza essersi spostata di un passo.
Dal canto suo la ragazza gli lanciò la bacchetta, visto che ce l’aveva ancora in mano lei, e allungò le braccia davanti a sé, le mani bene aperte, mentre l’incantesimo venne deviato finendo tra la vegetazione al perimetro dell’area.
 
“Stai bene?” domandò andando incontro a James che nel frattempo di era rialzato.
“Tu?” chiese a sua volta lui cercando di resistere all’impulso di abbracciarla.
Lo schiantesimo che aveva respinto avrebbe potuto fare discreti danni se l’avesse colpita…
“Sei stata grande comunque. Hai un sortilegio scudo davvero potente” si complimentò poi.
“Un cosa?”
“Lo chiamiamo sortilegio scudo… Protego… ma direi che possiamo dire a mio padre di escluderlo dall’elenco di incantesimi da insegnarti…”
“A proposito… dov’è finito? Ed Hermione?”
Fecero appena in tempo a darsi una rapida occhiata intorno quando, apparentemente dal nulla, apparvero altri due lampi di luce rossa che si diressero nuovamente verso i due ragazzi.
Elise si mise davanti a James e ripetendo il gesto appena eseguito respinse entrambi gli incantesimi.
“Ma quest’area non dovrebbe essere stata messa in sicurezza?” domandò, la voce leggermente più acuta per la preoccupazione che cominciava a farsi sentire.
“Io non capisco…” mormorò il ragazzo
Non ebbero il tempo di farsi altre domande visto che l’istante successivo si trovarono ad essere di nuovo sotto tiro.
Gli incantesimi sembravano spuntare dal nulla e da qualsiasi angolazione: James si era rimboccato le maniche e tenendo la bacchetta ben davanti a sé aveva cominciato a rispondere dirigendo i suoi incantesimi verso gli stessi punti da dove venivano gli attacchi.
Dal canto suo Elise parava e deviava gli incantesimi diretti verso di lei, cercando occasionalmente di coprire anche James.
 
Andarono avanti così per un paio di minuti, finchè un incantesimo non colpì James facendolo sbilanciare e lasciandogli un taglio su una guancia.
Elise reagì quasi senza rendersene conto: ruotò su se stessa puntando vero il punto da cui era arrivato l’incantesimo che aveva colpito il ragazzo e dalle sue mani, ancora una volta tese in avanti, scaturì un lampo rosso, simile ai primi con cui erano stati attaccati.
Ad un certo punto sembrò scontrarsi con qualcosa… qualcosa che fu scagliato in aria e mandato a sbattere contro la barriera per poi ricadere a terra con un tonfo.
Dopo qualche istante le figure del signor Potter e di Hermione tornarono visibili distese sul prato lasciando i due ragazzi alquanto confusi.
 
E arrabbiati… almeno nel caso di James.
 
“Si può sapere che cosa vi è saltato in mente?” sbraitò il ragazzo dirigendosi verso il padre che si stava rialzando in piedi, ignorando il taglio dal quale il sangue stava colando abbastanza copioso sulla guancia.
“Questa è l’idea più stupida che ti sia venuta in mente!” continuò urlando contro il genitore mentre sua zia cercava, inutilmente, di tranquillizzarlo.
“James, calmati, ti prego…”
“Col cavolo che mi calmo! Cosa pensavate di fare, eh?”
“Volevamo vedere che reazione avrebbe avuto nel trovarsi improvvisamente in pericolo. Vedere come avrebbe risposto…”
“E se non fosse riuscita a parare lo Schiantesimo? Non potevate farlo in un altro modo?”
“James basta dai, non è successo niente, non importa” intervenne Elise guadagnandosi un’occhiata di riconoscenza da parte dei due adulti.
Inizialmente avrebbe voluto anche lei dire la sua sulla geniale idea del signor Potter, ma alla fine aveva convenuto con se stessa che era stato utile: se si fosse trovata di nuovo in una situazione simile a quella dell’imboscata della settimana prima –e lei sperava vivamente di no- almeno avrebbe saputo come comportarsi.
Non era nemmeno svenuta quella volta.
 
Recuperò dalla borsa un fazzoletto che bagnò usando uno degli ultimi incantesimi che le erano stati insegnati per poi andare ad appoggiarlo sulla guancia sanguinante di James.
Il ragazzo si lasciò sfuggire un gemito di sorpresa: “Brucia…”
Elise ridacchiò vedendolo stringere i denti procedendo poi a tamponare il taglio ignorando l’occhiataccia che James le aveva lanciato.
Quando si fu assicurata che il taglio fosse pulito mise da parte il fazzoletto per poi appoggiare una mano sul viso del ragazzo.
Quando la tolse il taglio era sparito.
“Vedi di non farci l’abitudine, eh!” lo canzonò Elise mentre James si stava tastando incredulo la guancia.
“Visto Hermione? Te l’avevo detto che era stata lei a guarirlo l’altro giorno” commentò il signor Potter alla cognata che, sbalordita, stava facendo passare rapidamente il suo sguardo dalla mano di Elise al nipote e viceversa.
“Niente giramenti stavolta?” domandò intanto James alla ragazza.
“Per un graffietto come quello?” rispose Elise scuotendo la testa. “Guarda un po’ chi sta arrivando” aggiunse poi indicando un punto all’esterno della barriera.
 
Dan si stava avvicinando trascinando con sé una Julia alquanto contrariata e combattiva.
I due passarono la barriera e la ragazza si tranquillizzò di colpo, sbattendo le palpebre e guardandosi intorno.
“Non è che potreste fare qualcosa? È imbarazzante che debba essere trascinata con la forza ogni volta… per non parlare di quello che potrebbero pensare le persone se dovessero vedere un ragazzo che cerca di portarmi da qualche parte mentre oppongo resistenza…” commentò rivolgendo uno sguardo di rimprovero al signor Potter.
“Allora, cosa mi sono persa?” domandò poi dirigendosi verso Elise e prendendola a braccetto. “Hai fatto saltare in aria qualcosa?”
“Sì… noi!” rispose inaspettatamente Hermione facendo scoppiare a ridere tutti quanti.
“Oddio, è vero… mi sono completamente dimenticata! Volete che…?”
“No grazie, Elise. Siamo a posto” rispose gentilmente il signor Potter.
Aggiornarono rapidamente gli ultimi arrivati su quello che era stato fatto quel pomeriggio ed Elise si trovò ad arrossire più volte ai complimenti del signor Potter e di Hermione.
“Ho davvero un’amica magica!” fu il commento finale di Julia che fece sorridere tutti e guadagnare un abbraccio riconoscente dalla diretta interessata.
“Però adesso sarà meglio andare, perché a quanto mi risulta la cena non si fa da sola e non mi sembra che quello che hai fatto nel pomeriggio possa essere utile in questo caso… ieri sera per aspettarti ho cenato tardissimo…”
A quelle parole risero tutti.
Tranne James.
Elise si morse la lingua desiderando improvvisamente di essere in grado di sparire… avrebbe dovuto chiedere al signor Potter se ci fosse un incantesimo anche per quello.
 
“Che c’è? Cosa ho detto?” domandò a quel punto Julia notando che l’amica la stava guardando male.
“Hai detto che saresti tornata a casa subito” disse James con tono basso, e solo in quel momento anche gli altri parvero accorgersi che l’aria si era improvvisamente fatta più tesa.
“Ho solo fatto un giro più lungo…” si giustificò Elise senza guardare il ragazzo negli occhi.
“Un giro più lungo? Andiamo Elise, e se qualcuno ti avesse seguito?”
“Beh, non è successo!” era vero: tecnicamente nessuno l’aveva seguita visto che era stata lei ad andare da loro.
“Non puoi esserne sicura… a che ora è tornata a casa?” domandò James a Julia.
“Ehm… verso le otto, mi sembra…?” rispose incerta la ragazza.
Elise si trattenne dall’incenerirla –adesso che sapeva che probabilmente sarebbe stata in grado di farlo- che cosa le sarebbe costato dire un orario diverso?
Avrebbe parlato con James di quello che era successo, solo non in quel momento. Aveva bisogno di rifletterci su, di pensare…
Quella specie di cosa che la signorina Clark aveva recitato prima di lasciarla andare l’aveva davvero inquietata.
Qualcosa la distrasse dai suoi pensieri e solo in quel momento si accorse che James le stava letteralmente urlando addosso.
Un’ora?! Sei rientrata quasi un’ora dopo che ci siamo lasciati? Sei rimasta fuori un’ora prima di…”
“Sì, James. Sono tornata a casa un’ora dopo che ci siamo salutati, abbiamo capito!” urlò a sua volta Elise esasperata. “Non sono tornata subito a casa ma…”
“Ma…?”
La ragazza si insultò mentalmente: adesso avrebbe dovuto dire tutto, oppure no?
“Avevo bisogno di risposte, così ho fatto un salto fino al mio vecchio orfanotrofio” cominciò a spiegare. “Speravo che vedendo qualcosa di familiare potesse tornarmi alla mente qualche ricordo”
“E ha funzionato?”
Elise abbassò la testa a fissarsi i piedi: se avesse risposto di no James si sarebbe arrabbiato dicendole che aveva corso rischi inutili, e se avesse detto di sì non pensava che sarebbe cambiato molto.
E ancora non aveva raccontato di chi aveva incontrato…
 
“Elise cosa non mi stai dicendo?” domandò intanto James visto che la ragazza si ostinava a rimanere in silenzio.
“Hai ricordato qualcosa? Aspetta… hai visto qualcuno?”
All’ultima domanda la ragazza sussultò: si poteva dire tutto tranne che James fosse stupido.
“Qualcuno ti ha seguita sul serio allora…” fu il commento arrabbiato di James.
“Smettila di essere arrabbiato per qualcosa che non sai James” esclamò di punto in bianco Elise, stufa di essere trattata a quel modo. “Se ci tieni tanto a saperlo non c’è stato bisogno di seguirmi da nessuna parte perché tanto erano già lì! Ma tu non sai com’è rendersi conto che qualcuno ti ha cancellato la memoria, per di più qualcuno di cui ti fidavi… non hai idea di come io mi senta in questo momento!”
“Hai scoperto chi è stato?” domandò pacatamente il signor Potter dopo un lungo attimo di silenzio. “James mi ha raccontato qualcosa ieri sera…” rispose all’occhiata interrogativa che Elise gli aveva rivolto.
 
“Ho sempre avuto l’impressione che la donna che ci ha attaccati l’altro giorno avesse qualcosa di familiare…” cominciò la ragazza. “Ieri sera quando sono tornata all’orfanotrofio ho incontrato una delle mie vecchie educatrici, la mia preferita in realtà… la signorina Clark. Abbiamo… parlato. È stata lei”
“Ne sei sicura Elise?” domandò il signor Potter entrando in ‘modalità Auror’.
La ragazza annuì: “Ormai ho ricordato tutto, e poi vi ho detto che abbiamo parlato, no? non ha nemmeno provato a negare, anzi…”
“Sarà meglio mandare qualcuno allora” decise il signor Potter. “Potresti farmi una descrizione?” chiese poi.
“Posso fare di meglio…” e prima che il mago potesse capire cosa stava succedendo l’immagine di una signora con capelli e occhi neri e un’espressione seria gli comparve chiaramente nella mente.
“Wow” fu il suo unico commento quando la ragazza uscì dalla sua testa lasciandoci però il ricordo del viso della signorina Clark. “Vedrò di organizzare un squadra per stanotte stessa…”
“Fate anche due…” commentò Elise ironicamente.
Tutti la guardarono interrogativi.
“Mica c’era solo lei quel pomeriggio al parco…” aggiunse in spiegazione mostrando allo stesso tempo il ricordo della faccia di quello che avrebbe dovuto chiamarsi Jack.
 
“Stai dicendo che tu ieri sera sei andata dritta dai due pazzi che hanno cercato di farci fuori?” James era tornato alla carica.
“Come potevo sapere che erano loro, eh?”
“Non capisco come tu sia potuta rimanere dopo averlo capito!”
Sul viso di Elise si dipinse un’espressione colpevole.
“Tu non sei andata lì solo per i ricordi, vero?” disse il ragazzo recuperando un tono di voce normale, sembrava deluso. “Sei andata lì perché sapevi già che era stata lei…”
“Non ne ero sicura… ma sì”
 
James sospirò scuotendo la testa. La guardò un’ultima volta e poi le voltò le spalle dirigendosi verso i confini dell’area, deciso ad andarsene.
“Dove… dove vai?” la domanda di Elise gli arrivò da dietro.
“A casa” rispose semplicemente lui senza nemmeno girarsi.
“Senti, lo so, ho sbagliato, avrei dovuto dirtelo…”
“Sì hai sbagliato” la riprese lui continuando a rivolgerle le spalle. Se non altro almeno si era fermato.
“Ma non mi avresti lasciato andare…”
“Sarei venuto con te!” la interruppe di nuovo voltandosi finalmente a guardarla negli occhi.
 “È una questione di fiducia Elise. È vero, forse avrei cercato di fermarti, ma di certo non perché non mi fidi di te. Io non mi fido di loro! Diamine mi hai salvato la vita… come potrei non fidarmi? Quello che però fa male è sapere che invece tu non ti fidi abbastanza di me per dirmi tutto” e senza aggiungere altro girò sui tacchi e uscì dalla barriera per poi scomparire con un *crack*.
“Io… forse è meglio se vado con lui, magari riesco a farlo ragionare…” mormorò Dan che come Julia era rimasto a guardare in silenzio e a bocca aperta fino a quel momento.
Baciò galantemente la mano alla mora per poi andare dietro al suo amico.
 
“Elise, forse è meglio se andiamo anche noi…” propose Julia.
“Volete che vi accompagni?” propose il signor Potter.
“No, grazie. Non ce n’è bisogno”
“Va bene. A domani allora” le salutò cominciando ad incamminarsi parlando con la cognata.
“Aspetti!” lo richiamò Elise andandogli dietro.
Quella cosa che James aveva detto sulla fiducia continuava a ronzarle in testa.
Il signor Potter si fermò a guardarla sorpreso mentre la ragazza aveva recuperato la sua borsa cominciando a frugarci dentro.
Dopo qualche secondo di ricerca tirò fuori quello che sembrava essere un foglio di carta piegato più volte.
Lo porse al signor Potter che la stava osservando sempre più incuriosito.
Il mago prese il foglio, lo spiegò e cominciò a leggere.
 
Già dopo la prima riga aveva aggrottato le sopracciglia e quando arrivò alla fine il suo sguardo si era decisamente incupito.
Anche Hermione, che aveva letto insieme a lui, sembrava preoccupata.
“Elise, dove l’hai presa questa?” domandò alla fine.
“La signorina Clark l’ha recitata prima che me ne andassi” rispose la ragazza.
Quando la sera prima era rientrata all’appartamento si era subito fiondata in camera per trascrivere quegli strani versi prima che se li dimenticasse.
Hermione tirò fuori la bacchetta e duplicò il foglio, restituendo poi l’originale.
“Sarà il caso di farla leggere a Kingsley: magari riesce a trovare l’originale”
“Aspettate, voi sapete che cos’è questa cosa?” chiese in fretta Elise notando che i due maghi sembravano aver capito molto meglio di lei quello che c’era scritto sul foglio.
“Questa è una profezia, Elise. Nel mondo magico ci sono persone che possiedono la cosiddetta vista, e ogni tanto questo è il risultato” spiegò il signor Potter.
“Non pensarci però: per quanto brutta possa sembrare non bisogna dimenticarsi che le profezie vanno sempre interpretate…”
“Non credo che qui ci sia molto da interpretare: il messaggio sembra molto chiaro” commentò Elise.
Il mago non rispose: se il suo intento era quello di cercare di rincuorare la ragazza non poteva di certo dirle che lui aveva pensato esattamente la stessa cosa.
 
“Adesso vai a casa e fatti una bella dormita. Domani pomeriggio ne riparliamo, ok?” disse infine il signor Potter cercando di mantenere un tono rassicurante spezzando il silenzio.
“E in ogni caso stai tranquilla che James non è in grado di tenere il broncio troppo a lungo: per domani gli sarà già passata e te lo troverai davanti in ginocchio a chiederti scusa…” continuò poi sorprendendo non poco Elise.
“È davvero sicuro che sia lui a doversi scusare?”
“Conosco mio figlio e so come si comporta… soprattutto con le persone a cui tiene particolarmente” disse il signor Potter senza rispondere alla domanda, seguendo poi Hermione e smaterializzandosi.
Elise rimase per un po’ a fissare il punto in cui l’uomo era sparito finchè Julia non intervenne: “Sarà meglio andare. La cena non si prepara da sola, ricordi?”
 
 
 
///
 
 
 
Alla fine avevano seguito il consiglio del signor Potter: non avevano più parlato della profezia o di qualsiasi cosa avesse a che fare con il mondo magico, ed Elise si era fatta raccontare per filo e per segno da Julia come era andato il pomeriggio con Dan per darle soddisfazione.
Avevano guardato un po’ di tv dopo aver sparecchiato e poi si erano date la buona notte andando ognuna nella propria camera.
Elise si addormentò a tempo di record poco dopo aver appoggiato la testa sul cuscino: alla fine dei conti quel pomeriggio era stato davvero impegnativo.
 
 
 
Un rumore forte e ripetitivo cominciò a farsi strada ai limiti della coscienza di Elise.
I suoi tentativi di ignoralo fallirono miseramente e la ragazza si trovò a stropicciarsi gli occhi svegliandosi del tutto.
Uno sguardo all’ora proiettata sul soffitto dalla sveglia la informò che era da poco passata l’una.
Il rumore intanto continuava a farsi sentire: sembrava che qualcuno stesse disperatamente bussando alla porta dell’appartamento.
Si trattenne dal cacciare un urlo quando si scontrò con Julia nel buio del corridoio per poi accendere finalmente la luce.
Adesso che era arrivata davanti alla porta in questione dovette correggersi: chiunque ci fosse la fuori non stava semplicemente bussando, sembrava che volesse buttarla giù, la porta.
Elise fece un attimo mente locale: “Ju, tu apri la porta e poi ti ci nascondi dietro, ok?”
“E tu?” chiese la mora con tono dubbioso mettendosi comunque in posizione.
Elise rispose tirandosi su le maniche del pigiama: “Io blocco chiunque ci sia dietro”
Julia tolse la catenella di sicurezza pensando che il giorno dopo, come prima cosa, sarebbe andata ad informarsi se fosse stato possibile installare uno spioncino su quella maledetta porta.
 
“Uno… due… tre!”
 
Julia spalancò la porta.













Oggi sono un po' di fretta, comunque non credo ci sia molto da dire sul capitolo.
Chissà chi è che ci sarà dietro la porta a l'una di notte... si accettano scommesse! ;)

E adesso ecco lo spoiler del prossimo capitolo: Una lunga notte

A quelle parole James sembrò riscuotersi cominciando a scrutare la stanza.
Elise fece un passo avanti facendosi vedere visto che fino a quel momento era rimasta praticamente nascosta dietro alla figura del signor Weasley.
I Potter la guardarono come se fosse la loro unica speranza tirando un sospiro di sollievo.
Il resto dei presenti la guardarono dubbiosi cercando di capire chi fosse e cosa centrasse in tutto quello.
James le andò incontro prendendola per la maglietta e facendola sbattere contro il muro più vicino.
“È tutta colpa tua!” le urlò a pochi centimetri dal viso.


Spero che vi abbia incuriosito, fatemi sapere!
Alla prossima settimana
E.


 

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Capitolo 20
*** 19. A long night ***


19 – Una lunga notte
 
 
 
Julia spalancò la porta di colpo e l’uomo che ci stava dietro, colto alla sprovvista, si sbilanciò in avanti finendo quasi per terra.
Come aveva fatto con James Elise lo bloccò prima che potesse toccare il pavimento riportandolo in posizione eretta, continuando però a impedirgli di muoversi.
“Però, certo che sei proprio brava” esclamò Julia uscendo da dietro la porta osservando il lavoro che aveva fatto l’amica.
L’uomo sembrava avere la stessa età del signor Potter, era però più alto, aveva i capelli rossi e gli occhi azzurri. Elise non potè fare a meno di notare che i vestiti che indossava sembravano molto simili alla divisa da Auror che aveva visto indosso al padre di James la prima volta che l’aveva incontrato, anche se in questo caso era molto più rovinata e strappata in qualche punto. Anche il viso dell’uomo, impolverato e con qualche graffio, sembrava suggerire che di sicuro non era lì per una visita di cortesia.
Le ragazza potevano giurare di avergli sentito sussurrare un “Miseriaccia!” nel momento in cui aveva realizzato di essere completamente incapace di muoversi.
 
“Ci dice chi è e cosa ci fa qui?” domandò Elise piazzandoglisi davanti con le mani sui fianchi. “Sembrava volesse buttar giù la porta lì fuori…”
“Tu sei Elise?” chiese di rimando l’uomo ignorando la domanda della ragazza.
“Lei invece sarebbe…?” gli fece il verso Elise.
“Ron Weasley, sono un collega di Harry Potter…” prima che potesse finire Elise entrò velocemente nella sua mente: non aveva tempo di mettersi a fare domande e quello era sicuramente il metodo più veloce per scoprire se l’uomo stava dicendo la verità.
Le ci vollero pochi secondi, dopodichè si ritrasse e sciolse anche l’incantesimo che tratteneva l’uomo.
“Scusi, ma era il modo più veloce per vedere se stava dicendo la verità… ho avuto un’esperienza che farei volentieri a meno di ripetere” si scusò Elise notando che il signor Weasley si era portato una mano alla testa guardandola male.
“Io sono Elise, cosa le serve?”
“Il tuo aiuto”
 
 
 
///
 
 
 
Elise non poteva certo dire di essere entusiasta di ritornare al San Mungo, ma dopo che il signor Weasley le aveva sommariamente spiegato la situazione aveva intimato a Julia di tornare a dormire, si era messa i primi vestiti che le erano capitati sotto mano e aveva seguito l’Auror senza pensarci due volte.
Le due squadre che il signor Potter aveva radunato avevano alla fine agito nella notte, sfruttando il fatto che all’orfanotrofio stessero tutti dormendo.
Lui stesso si era aggiunto in quanto capo del dipartimento e anche Hermione, nonostante non fosse un Auror, aveva insistito per esserci.
Peccato che poi l’intera operazione fosse stata un completo disastro.
C’erano stati tre morti, una decina di feriti e la signorina Clark e il suo compare erano riusciti comunque a scappare.
La cosa non sarebbe stata così grave se il signor Potter non fosse stato ferito con lo stesso incantesimo che era stato usato su suo figlio.
 
“Ron, dannazione, dove ti eri cacciato? Ti ho cercato dappertutto!” Hermione andò loro incontro lungo il corridoio.
Elise notò che si stava tenendo al petto il braccio destro che era avvolto in una benda sporca di sangue, il viso che cercava di trattenere l’espressione sofferente.
Elise ignorò l’espressione confusa e sorpresa della donna nel vederla lì, e senza quasi pensarci le afferrò il braccio poco sotto il gomito alla fine della fasciatura, stringendo la presa.
Fece finta di non sentire il gemito di dolore di Hermione e l’esclamazione indignata del signor Weasley, e dopo qualche istante il braccio della donna era come nuovo.
Hermione si tolse la fasciatura guardandosi il braccio come se non fosse suo.
“Ci sono altri che hanno ferite di questo genere, che non riuscite a guarire?” domandò la ragazza.
“No, solo Harry” rispose Hermione.
“Allora andiamo?” disse Elise invitando il signor Weasley a continuare a farle strada.
“Vi porto io…” rispose Hermione. “L’hanno portato in sala, stava perdendo troppo sangue…”
 
I tre ripresero a correre lungo il corridoio, più andavano avanti più l’ambiente diventava affollato.
Arrivati in fondo superarono una doppia porta per poi trovarsi in quella che sembrava una sala d’aspetto in cui erano riunite diverse persone.
Si accorse subito di James, seduto in disparte con Dan accanto, aveva la testa buttata all’indietro appoggiata al muro, gli occhi chiusi: non si era nemmeno accorto dei nuovi arrivati.
C’era poi una ragazza dai capelli ricci dello stesso colore del signor Weasley e riconobbe Lily vicino ad un ragazzo che era probabilmente il fratello dell’altra rossa, vista la somiglianza, mentre la signora Potter –adesso sì che la riconosceva sul serio- era seduta alquanto rigidamente al fianco di Albus.
Entrando gli sguardi dei presenti, James a parte, si rivolsero verso di loro.
La ragazza con i capelli rossi, in particolare, stava guardando il braccio scoperto di Hermione con tanto d’occhi.
“Mamma!” esclamò andandole incontro senza distogliere lo sguardo dal punto in cui prima c’era la ferita. “Come hai fatto? Nemmeno i Medimaghi sapevano come fare per farlo rimarginare!”.
A quelle parole James sembrò riscuotersi cominciando a scrutare la stanza.
Elise fece un passo avanti facendosi vedere visto che fino a quel momento era rimasta praticamente nascosta dietro alla figura del signor Weasley.
 
I Potter la guardarono come se fosse la loro unica speranza tirando un sospiro di sollievo.
Il resto dei presenti la guardarono dubbiosi cercando di capire chi fosse e cosa centrasse in tutto quello.
 
James le andò incontro prendendola per la maglietta e facendola sbattere contro il muro più vicino.
 
 
“È tutta colpa tua!” le urlò a pochi centimetri dal viso.
“James, per una volta cerca di non essere te stesso e non fare l’idiota!” esclamò Albus correndo a staccare il fratello dalla ragazza.
Questo le lanciò un’ultima occhiata prima di lasciarla finalmente andare mentre il signor Weasley le domandò preoccupato: “Tutto bene?”
“Una meraviglia” rispose freddamente Elise massaggiandosi distrattamente la testa dove aveva sbattuto sul muro, guardando ovunque tranne che in direzione di James.
“Andiamo allora” proseguì l’uomo spingendola in avanti verso un’altra porta.
 
Un lungo corridoio e un altro paio di doppie porte dopo Elise si ritrovò in quella che aveva tutta l’aria di essere una sala operatoria nel bel mezzo di un intervento.
“Ehi! Non vi è permesso stare qui” esclamò una donna, visibilmente indignata dalla loro presenza.
“Mi dispiace signor Weasley, ma ha ragione la mia collega” intervenne una voce profonda che Elise aveva già sentito. “Lo so che è il suo migliore amico, ma non vi è consentito rimanere… guarda un po’ chi si rivede!”
Nonostante avesse il viso mezzo nascosto da una mascherina Elise riconobbe subito il Medimago Robbins e gli sorrise in risposta.
“Sarei felice di fare una bella chiacchierata con te mia cara, ma temo che questo non sia esattamente il momento più adatto” commentò cercando di stemperare la tensione.
 
In effetti la situazione non sembrava delle migliori: nella stanza c’erano altri cinque Medimaghi, tutti intorno al lettino operatorio. Chi con la bacchetta in mano chi intento a tamponare con numerose garze il sangue che continuava ad uscire dal petto del signor Potter mentre qualcun altro cercava di somministrare al paziente quelle che erano probabilmente pozioni curative.
Elise osservò come quegli interventi non sortissero alcun effetto: non erano neanche riusciti a fermare l’emorragia.
Inconsciamente aveva cominciato ad avanzare verso il lettino, accorgendosene solo quando il Medimago le mise una mano sulla spalla tirandola indietro: “Non è posto per te Elise, adesso esci per favore”
“Posso aiutare” rispose lei di rimando, evidentemente a voce più alta di quanto avesse pensato visto che tutti i Medimaghi si girarono a guardarla con aria scettica.
“Non è questo il tuo posto ragazzina, dovresti andare ad aspettare fuori insieme a tutti gli altri”
“Non riusciamo noi a capire cosa fare e pensi che ci possa riuscire tu?” aggiunse un altro mettendosi a ridere.
A quel punto Elise cominciava ad arrabbiarsi: era evidente che la ferita che il signor Potter aveva riportato era nettamente più grave rispetto a quella che aveva avuto James, ed era altrettanto sicura che l’uomo avesse già perso troppo sangue per rimandare ancora.
Si scrollò di dosso la mano del Medimago avvicinandosi al lettino e riuscendo a stringere un braccio del signor Potter per qualche secondo prima che qualcuno la facesse riallontanare.
“Non so chi ti credi di essere ragazzina” sbraitò il Medimago che aveva riso di lei un attimo prima. “Ma sappi che non intendo…”
“Chiudi il becco Wilby e vieni qui a vedere” lo interruppe Robbins che stava guardando il paziente sul lettino.
Wilby obbedì trascinandosi dietro anche Elise dal momento che la stava ancora trattenendo per il collo della maglia.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo nel constatare che, nonostante il poco tempo, era riuscita almeno a far smettere di sanguinare lo squarcio che il signor Potter aveva sul petto.
Nonostante quello però aveva ragione quando aveva supposto che la ferita fosse più grave della sorella che aveva visto qualche giorno prima, e doveva finire il processo di guarigione al più presto altrimenti la situazione si sarebbe sicuramente aggravata ulteriormente.
 
“Sei stata tu?” le domandò Robbins, e qualcosa nella sua voce le fece capire che stava seriamente considerando la sua affermazione quando aveva detto ‘posso aiutare’.
“Robbins, andiamo, è solo una ragazza, come pensi che possa…”
“Wilby sai che odio ripetermi: chiudi il becco!” sbottò il Medimago. “Sei stata tu?” ripetè rivolgendosi di nuovo ad Elise.
La ragazza annuì: “Posso guarirlo” confermò. “L’ho già fatto…” aggiunse poi visto che lo sguardo del Medimago non sembrava ancora del tutto convinto.
L’ultima affermazione sembrò illuminarlo: “Sei stata tu a guarire James, vero?”
“Sì”
“Bene allora… signori: fate spazio alla ragazzina!” annunciò il Medimago facendo sorridere Elise mentre i colleghi la lasciavano finalmente avvicinare al lettino operatorio, pur continuando a guardare Robbins come se fosse diventato matto.
 
Si sentiva lo sguardo di tutti puntato addosso.
 
“Ehm… sarebbe possibile pulire un po’ da tutto questo sangue?” domandò incerta visto che nessuno diceva niente.
Uno dei Medimaghi fece scorrere la bacchetta sopra il petto di Potter che dopo qualche istante tornò ad essere perfettamente pulito, eccetto che per la ferita principale.
“Ok…” disse Elise parlando più con se stessa e sfregandosi le mani per scaldarle.
Si concentrò su quello che stava per fare e subito arrivò la sensazione di formicolio.
La assecondò appoggiando le mani sul petto del signor Potter ai lati della ferita, proprio come aveva fatto con James, e lasciò che la sua energia fluisse da lei all’uomo dando inizio al processo di guarigione sotto lo sguardo incredulo di tutti i presenti.
 
Fu più lento e graduale rispetto alla volta precedente e, cosa a cui Elise non aveva pensato, molto più stancante.
Evidentemente non era come per gli incantesimi normali per i quali non faceva praticamente nessuno sforzo: più grave la ferita da guarire, più alta la quantità di magia ed energia da usare.
E se guarendo James stava quasi per svenire, non voleva pensare a come sarebbe stata dopo aver finito con il padre.
Nonostante tutto strinse i denti e continuò a forzare i suoi poteri finchè la ferita non fu guarita del tutto.
Fu sicura di essere riuscita nel suo intento quando vide il signor Potter sbattere più volte le palpebre mentre pian piano riprendeva conoscenza, mentre tutti i Medimaghi si stringevano attorno al lettino per accertarsi delle sue condizioni.
 
Qualcuno esultò addirittura battendo le mani, mentre il Medimago Robbins fece apertamente i suoi complimenti alla ragazza: “Devo ammetterlo, Elise. Hai fatto né più né meno di un miracolo questa notte” disse. “Noi due dovremo proprio farla quella chiacchierata, così mi spieghi bene come hai fatto, eh?” le domandò, salvo poi girarsi, non avendo ricevuto risposta, e accorgersi che la ragazza era svenuta sul pavimento.
 
 
 
///
 
 
 
Quando i Medimaghi avevano ampiamente manifestato il loro disaccordo nel vedere due persone non autorizzate entrare nella sala operatoria, Ron non se l’era fatto ripetere due volte e si era defilato premurandosi però di fare in modo che la ragazza rimanesse dentro.
Harry aveva avuto il tempo di parlargli di lei in termini davvero entusiastici, senza dimenticarsi di ricordargli che era stata lei a guarire James.
Per quel motivo quando quella notte erano cominciate a volare le maledizioni ed Harry era stato colpito in pieno nel cercare di coprire un collega, sentendolo sussurrare il nome della ragazza Ron si era subito smaterializzato all’indirizzo che l’Auror aveva fatto in tempo a rivelargli prima di perdere conoscenza.
Vedere poi la facilità con cui la ragazza aveva guarito il braccio della moglie, colpita di striscio dalla stessa maledizione, l’aveva definitivamente convinto.
 
Quando era tornato nella sala d’aspetto si erano tutti voltati nella sua direzione sperando che avesse qualche novità da riferire, ma lui si era limitato a scuotere la testa per poi sedersi accanto alla sorella e stingerla in un abbraccio.
Alla fine erano tutti tornati nelle loro posizioni, eccetto James che continuava ad osservare insistentemente la porta.
Probabilmente in quel momento non l’avrebbe ammesso a nessuno, ma non poteva fare a meno di chiedersi come mai Elise non fosse tornata indietro insieme a suo zio.
 
 
///
 
 
“Glielo ripeto Robbins, sto benissimo”
“E io le ripeto, signor Potter, che sarebbe meglio che rimanesse disteso ancora un po’”
“Non se ne parla, è più di un quarto d’ora che mi sono svegliato” replicò l’Auror. “Voglio andare a vedere la mia famiglia, adesso. E voglio farlo camminando sulle mie gambe” disse alzandosi in piedi.
“Le gira la testa? Qualche capogiro, vista annebbiata?” domandò il Medimago senza spostarsi.
“Sto benissimo” rispose pazientemente Potter. “Non è che potrei avere qualcosa da mettermi?” chiese poi.
In effetti non indossava altro che i pantaloni della divisa visto che il pezzo sopra era stato rimosso senza troppe cerimonie con un incantesimo tagliuzzante non appena aveva messo piede in ospedale.
Il Medimago gli porse una giacca evocata al momento: “Per il momento tempo che si dovrà accontentare” commentò mentre l’altro si apprestava ad indossarla.
“Andiamo allora”
 
 
Era passata almeno mezz’ora da quando il signor Weasley era tornato indietro dalla sala e ancora non si erano avute notizie.
I presenti stavano cominciando ad inquietarsi.
Quando la porta finalmente si riaprì lasciando passare il Medimago Robbins si alzarono tutti in piedi.
“Allora?” domandò Ginny, la voce rotta. “Come sta?”
“Perché non lo chiede direttamente a lui?” rispose sibillino il Medimago facendosi da parte.
La signora Potter si fiondò addosso al marito non appena finì di realizzare che quello che si trovava davanti era proprio lui, seguita a ruota dai figli mentre il resto dei presenti si lasciava andare ad un grande sospiro di sollievo collettivo.
“A questo punto io vi devo lasciare… se volete scusarmi ho un’altra paziente a cui devo dare un’occhiata” e così dicendo il Medimago lasciò la stanza.
 
“Dov’è Elise?” la voce di James risuonò alta sovrastando il vociare dei presenti che avevano cominciato a parlare tutti insieme.
“Dov’è Elise?” ripetè nuovamente rivolgendosi però direttamente a suo padre.
“In che senso Jamie? Sarà a casa sua a dormire, saranno quasi le due di notte…” rispose l’uomo confuso.
James si passò una mano tra i capelli: “Papà, zio Ron è andato a prenderla a casa e l’ha portata qui. Sono venuti in sala e poi è tornato indietro da solo. La ferita che avevi era come la mia, chi pensi che sia riuscito a guarirti se non lei?” domandò retoricamente.
“Non so cosa dirti James, ma quando mi sono svegliato in sala c’erano solo i Medimaghi, mi sarei accorto se ci fosse stata anche lei”
James accolse la spiegazione del padre in silenzio.
Ad un certo punto gli tornarono in mente le parole del Medimago Robbins: aveva detto che aveva un’altra paziente a cui doveva dare un’occhiata…
 
Sbarrò gli occhi improvvisamente spaventato per poi scattare verso la porta e cominciare a correre lungo il corridoio chiamando a gran voce il Medimago.
Dopo un paio di svolte finalmente lo raggiunse.
“James, posso fare qualcosa per te?” domandò Robbins che nel frattempo si era fermato.
“Dov’è lei?” chiese il ragazzo cercando di recuperare il fiato dopo la corsa.
Il Medimago alzò un sopracciglio: “Di chi stai parlando James?”
“Elise, voglio sapere dov’è! Voglio… devo vederla” esclamò.
“Non credo che sia possibile al momento…”
“Cosa…?”
“La signorina Starlet ha compiuto uno sforzo incredibile per salvare tuo padre. Il processo di guarigione le è costato molta energia, e non penso di esagerare se dico che per poco la cosa non le è stata fatele” spiegò severamente il Medimago.
A quelle parole James ammutolì.
 
Elise era verosimilmente stata svegliata nel cuore della notte ed era stata trascinata al San Mungo quasi senza sapere cosa stava succedendo e l’unica cose che lui era stato in grado di fare era stato insultarla dandole la colpa per quello che era accaduto a suo padre.
E nonostante tutto lei non l’aveva soltanto guarito, ma aveva anche rischiato la vita, tutto solo per salvarlo.
 
Probabilmente James non si era mai sentito così in colpa in tutta la sua vita.
 
“Se vuoi ti posso lasciare nella sua stanza per cinque minuti, non di più” disse alla fine Robbins intuendo lo stato d’animo del ragazzo. “Ti chiedo per favore di non cercare di svegliarla perché è ancora molto debole e ha decisamente bisogno di riposare” specificò.
James sussurrò un “Grazie” per poi seguire il Medimago fino ad un reparto per poi fermarsi davanti alla porta di una camera.
Solo in quel momento si rese conto che era la stessa in cui Elise era rimasta l’ultima volta.
“Cinque minuti e poi vengo a chiamarti” avvisò un’ultima volta il Medimago aprendo la porta della stanza.
Entrambi però si trovarono a fissarne l’interno senza muovere un passo.
 
Il letto su cui sarebbe dovuta essere Elise era vuoto.













Chiedo perdono per il ritardo, ma è stata una settimana davvero da schifo e tra turni e altre cose proprio non sono riuscita ad aggiornare prima.
E per di più, come ciliegina sulla torta, adesso sono pure a casa con la febbre...
Parlando del capitolo: secondo voi dove sarà finita Elise?
Vediamo se la piccola anticipazione del capitolo 20 vi fa venire qualche idea...

[...]

Elise sbuffò rigirandosi nel letto e sistemandosi meglio sotto le coperte.
Solo che quello non era il suo letto.
Se avesse fatto una cosa del genere a casa sarebbe finita per terra visto che il suo letto da una piazza e mezza scarsa di certo non consentiva così tanta libertà di manovra.
Allungando le mani e tastando il materasso ai suoi fianchi la ragazza si rese conto che quello su cui era distesa doveva essere un letto matrimoniale.
E anche piuttosto comodo se doveva dirla tutta…

Poteva quindi escludere di essere ancora al San Mungo: di sicuro in ospedale non c’erano letti del genere.
Ma allora dove diavolo era?
[...]

Spero di avervi incuriositi almeno un pochino :)
Alla prossima settimana
E.

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Capitolo 21
*** 20. Home ***


Consiglio una rilettura veloce veloce dei capitoli 5 e 6...



20 - Casa
 
 
 
Il primo pensiero coerente che riuscì a formulare mentre cominciava a riprendere conoscenza fu che doveva assolutamente smetterla di svenire ogni volta.
In primo luogo perché non era per nulla divertente avere incontri ravvicinati con il pavimento, secondariamente perché le dava fastidio sembrare una che perdeva i sensi per ogni cosa: la faceva apparire debole, e lei non lo era! O almeno, non voleva esserlo. Insomma, non era nemmeno svenuta quella volta che era andata a vedere l’autopsia…
Elise si concesse un attimo per ripensare agli avvenimenti della notte e del pomeriggio precedente, e fu stupita da se stessa nell’accorgersi che quello che provava era prevalentemente rabbia.
 
Rabbia verso James Sirius Potter.
 
Rabbia verso James che non aveva capito che se non gli aveva detto tutto subito era solo perché non voleva coinvolgerlo più di quanto già non fosse e perché, con tutto il rispetto, aveva ancora bisogno di capire cosa provava sul serio nei confronti della donna che sarebbe dovuta essere sua madre.
 
Rabbia verso James che quando era arrivata in ospedale era stato solo capace di darle la colpa per qualcosa che andava ben oltre il suo controllo. E lei nonostante tutto era andata fino in fondo con il processo di guarigione anche quando aveva capito che forse sarebbe stato il caso di fermarsi prima di spingersi troppo oltre.
 
Una cosa era certa: quella volta James non se la sarebbe cavata con un semplice “scusa”.
 
 
Elise sbuffò rigirandosi nel letto e sistemandosi meglio sotto le coperte.
Solo che quello non era il suo letto.
Se avesse fatto una cosa del genere a casa sarebbe finita per terra visto che il suo letto da una piazza e mezza scarsa di certo non consentiva così tanta libertà di manovra.
Allungando le mani e tastando il materasso ai suoi fianchi la ragazza si rese conto che quello su cui era distesa doveva essere un letto matrimoniale.
E anche piuttosto comodo se doveva dirla tutta…
Poteva quindi escludere di essere ancora al San Mungo: di sicuro in ospedale non c’erano letti del genere.
Ma allora dove diavolo era?
Si accorse di avere ancora gli occhi chiusi, aprendoli non ottenne subito alcuna differenza sostanziale: l’ambiente intorno a lei continuava ad essere avvolto nell’oscurità.
Lasciò che la sua vista si abituasse un po’ alla volta finchè alla fine delle strisce di luce non si definirono nel suo campo visivo permettendole di riconoscere, seppur in modo vago, che quella in cui si trovava doveva essere una camera da letto piuttosto grande.
L’istante successivo era già in piedi, pensando solo in un secondo momento che forse avrebbe dovuto alzarsi più lentamente in caso avesse avuto ancora qualche strascico di debolezza, solo per accorgersi con stupore che in realtà si sentiva perfettamente bene.
I suoi piedi nudi percepirono la differenza quando passò dalla superficie soffice del tappeto a quella più fredda e dura del nudo pavimento di legno.
Avanzando cautamente si fece strada fino alla fonte di luce che era ovviamente una finestra.
Una volta aperti i vetri non le rimase altro da fare se non spingere con forza gli scuri impedivano alla luce di entrare.
 
In effetti sarebbe stato più sensato se lo avesse fatto gradualmente visto che con quel gesto la luce del sole ben alto nel cielo invase con prepotenza il suo campo visivo accecandola momentaneamente e facendola lacrimare.
Quando finalmente si fu abituata alla nuova luminosità si accorse che in realtà la finestra che aveva aperto faceva parte di un trittico: ce n’erano due ai lati mentre quella al centro era una vera e propria porta a vetri che dava su un terrazzo di discrete dimensioni.
Dopo aver aperto anche i loro scuri Elise non perse tempo a guardare fuori preferendo concentrarsi prima sulla stanza in cui si trovava.
 
Era enorme, addirittura più grande di quella che aveva all’attico degli Starlet, e quello era tutto dire.
Volgendo le spalle alle finestre la prima cosa che catturava lo sguardo era il letto: un imponente letto matrimoniale a baldacchino, la testiera appoggiata alla parete di sinistra, con tanto di tende, comodino a ciascun lato e un baule ai piedi del letto.
Senza dimenticare il tappeto dall’aria antica o quantomeno costosa che faceva da scendiletto.
Esattamente di fronte, appoggiato sulla parete di destra, c’era invece uno di quei caratteristici tavoli da toeletta: grande quanto una scrivania munito di numerosi cassetti e specchio ovale in cima, insieme ad una sedia accostata al tavolo stesso.
Di fianco sulla sinistra c’era un ulteriore specchio, questa volta a figura intera, mentre sulla destra c’era quello che sembrava a tutti gli effetti un paravento.
Per finire sulla parete di fronte, a parte la porta d’ingresso della stanza, faceva la sua bella figura un grande armadio in legno massiccio.
Elise si ritrovò a pensare che sarebbe stata proprio una bella camera, se solo non fosse stata così austera e cupa.
In effetti tutte le componenti in legno, dall’armadio al baldacchino del letto, dal tavolo da toeletta al parquet, erano di legno molto scuro, quasi nero, mentre per il resto dominava un intenso colore verde muschio: le lenzuola, le tende del letto, le tende delle finestre –che in quel momento erano tirate- i tappeti il paravento e persino la carta da parati. Almeno quella era di una tonalità più chiara ed era alleggerita da un motivo di fiori argentati.
 
Si perse qualche altro istante a osservare la camera per poi spostare l’attenzione su se stessa.
I vestiti che aveva indossato in fretta e furia per seguire il signor Weasley erano spariti, sostituiti da una candida camicia da notte di seta con le maniche lunghe. Se non altro indossava ancora la sua biancheria… o almeno sperava fosse la sua.
Non resistendo alla tentazione Elise si ritrovò a guardare la sua figura allo specchio che le restituì l’immagine di una ragazza un po’ pallida, con i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e lo sguardo un po’ spaesato.
Tra il suo abbigliamento inusuale e la stanza in cui si era svegliata le sembrava di essere finita in un’altra epoca.
Tornò indietro verso la porta-finestra spalancandola e muovendo qualche passo lungo il terrazzo.
 
Il paesaggio esterno non le diede nessun indizio.
La stanza dava su quello che sembrava essere, più che un cortile, un parco interno: un grande spiazzo erboso si estendeva davanti ai suoi occhi al centro del quale gorgogliava allegra una fontana.
Verso il fondo del prato poteva vedere alcune siepi che sembravano unirsi e intrecciarsi a formare un vero e proprio labirinto.
In lontananza poteva forse scorgere un muro: che fosse quello che delimitava la proprietà?
Rientrò in camera, salvo poi trattenere un urlo nel momento in cui si accorse che non era sola.
 
Davanti alla porta c’era una donna dall’aspetto giovanile, i capelli castani tagliati a caschetto, gli occhi dello stesso colore dei capelli e le labbra incurvate in un sorriso che alla ragazza sembrò maledettamente falso.
Forse non sarebbe stata così sorpresa se non fosse che Elise quella donna la conosceva già.
Era…
 
“Nancy?” domandò la ragazza senza staccare lo sguardo dalla donna.
“Sono contenta di vedere che ti sei svegliata Elise, come ti senti?” chiese a sua volta la Guaritrice.
“Bene… credo”
“Perfetto allora! Hai dormito quasi tredici ore… preparati pure, non vede l’ora di poterti finalmente conoscere…” trillò allegra aprendo la porta per uscire.
“Aspetta… di chi stai parlando? Dove sono?”
Nancy si girò a guardarla.
“Benvenuta a casa, Elizabeth” fu la sua risposta. “Ti aspettiamo nel salone al piano terra” aggiunse infine per poi chiudersi la porta alle spalle.
Elise rimase bloccata qualche istante, ancora scombussolata.
In un primo momento la risposta della Guaritrice sarebbe potuta sembrare alquanto sibillina, ma il suo subconscio aveva già provveduto a fornirle l’unica spiegazione logica possibile nonostante la ragazza stesse pregando di essersi sbagliata con tutta se stessa.
Se però voleva andarsene non poteva certo rimanere rinchiusa in quella camera, come non poteva continuare a indossare solo quella camicia da notte.
 
Decidendo di affrontare quindi un problema alla volta Elise si diresse verso l’armadio, aprì le due ante rimanendo ancora una volta stupita da quello che le si presentò davanti.
In effetti più che l’interno di un armadio quella sembrava una vera e propria stanza: una parete era occupata da cassettiere appoggiate al pavimento mentre al di sopra scorrevano dei sostegni che reggevano un gran numero di vestiti appesi a delle grucce.
La parete opposta era invece completamente occupata da una scarpiera gigante, mentre il muro di fronte all’entrata era un unico, enorme specchio.
Al centro della stanza c’era addirittura un divanetto.
Ignorò la morsa allo stomaco che le era venuta pensando a come avrebbe reagito Julia nel vedere un guardaroba del genere e sospirando cominciò ad esplorare.
 
Scoprì così che una cassettiera era interamente dedicata alla biancheria, una alle magliette estive e un’altra ancora a quelle invernali.
Un mobiletto esponeva invece un’ampia scelta di maglioni, mentre appesi ai sostegni, divisi per categoria, c’erano pantaloni, gonne, vestiti, felpe e giacche.
Con un vago senso di imbarazzo Elise si liberò della camicia da notte per poi recuperare un reggiseno e un paio di calzini dalla prima cassettiera.
La ricerca degli altri vestiti fu invece un po’ più laboriosa: quegli indumenti non erano proprio nel suo stile. Cercava sempre di comprare cose colorate che le mettessero allegria, mentre invece, da quello che poteva vedere, in quel guardaroba i colori predominanti erano il nero e il verde, oltre al fatto che di solito lei preferiva pantaloni un po’ più larghi rispetto agli skinny e di certo non aveva mai indossato una giacca di pelle in vita sua.
Frugò nella seconda cassettiera finchè non riuscì a trovare una maglietta che non fosse verde scuro o nera scegliendo alla fine quella che probabilmente era l’unica di colore rosso.
Scorse velocemente i pantaloni per poi scegliere un paio di jeans neri che erano comunque troppo aderenti per i suoi gusti, e concluse aggiungendo una giacca nera in pelle visto che sembrava l’unica cosa che si abbinasse al rosso della maglietta che aveva scelto.
 
Osservandosi allo specchio non potè fare a meno di rimanere stupita per il fatto che i vestiti le andavano perfetti: sembrava che fossero stati fatti su misura…
Una volta risolto il problema dei vestiti la ragazza si preparò a fronteggiare la scarpiera.
La prima cosa che le venne in mente fu che sicuramente non avrebbe vissuto abbastanza per trovare un’occasione per indossarle tutte, per poi riflettere che alcune non le avrebbe mai indossate comunque: c’erano certi trampoli che sembravano trappole mortali…
E ovviamente le solite comode  e pratiche scarpe da ginnastica sembravano non esistere.
Alla fine lo sguardo le cadde su un paio di stivaletti neri, alti fino alla caviglia con un paio di centimetri di tacco e un cinturino decorato da una fibbia argentata.
Si impossessò di quelli: se non altro erano davvero belli.
Come nel caso dei vestiti anche quelli le andavano a pennello.
Dopo essersi guardata un’ultima volta allo specchio uscì dall’armadio.
 
Ora l’unica cosa che le serviva era… un bagno!
Possibile che una stanza del genere non avesse un bagno personale?
Del tutto casualmente lo sguardo le cadde sul separè nell’angolo in fondo alla stanza. Lo raggiunse sbirciandoci dietro e… bingo!
Aprì la porta di legno scuro che aveva scovato per trovarsi all’interno di una vera e propria sala da bagno.
Come per la camera da letto un’intera parete era occupata da ampie finestre coperte da tende in questo caso bianche.
Appena entrata sulla sinistra c’era un paravento nei toni del bianco e azzurro –in tinta con le piastrelle con cui era tappezzato il locale- dietro al quale si trovava la vasca da bagno più grande che Elise avesse mai visto.
Attaccata al muro su due lati poteva benissimo passare per una piccola piscina. La cosa più curiosa erano i numerosi rubinetti decorati con quelle che sembravano pietre preziose che sporgevano dai bordi adiacenti al muro: sarebbe stata curiosa di vedere a cosa servivano, ma non era di certo quello il momento.
Nell’angolo a sinistra della parete di fronte c’erano i sanitari, mentre più sulla destra trovava il suo posto un ampio lavandino incastrato in un altrettanto grande mobile bianco con tanto di ante laterali e specchio centrale.
Quando ebbe finito, e non prima di essersi data una sistemata ai capelli con una spazzola che aveva trovato all’interno di una delle ante del mobile del lavandino, la ragazza lasciò il bagno ritornando nella camera da letto.
Per quanto grande e luminosa potesse essere grazie ai raggi del sole che entravano dalle ampie finestre la stanza non aveva smesso di apparirle cupa in confronto all’ambiente chiaro del bagno.
 
Il corridoio al di fuori della camera, però, lo era ancora di più.
Tutto sembrava così rigido e austero: le tonalità scure dei legni di mobili e pavimento, i tappeti dalla trama spessa e le pareti rivestite da carta da parati verde scuro prive di qualsiasi altro ornamento se non qualche lampada che emanava una luce abbastanza fioca.
Elise proseguì lungo il corridoio finchè, quasi nascoste, non incontrò finalmente delle scale. Quelle sembravano essere molto più semplici e spoglie, stonavano quasi con il resto della casa.
Una volta raggiunto il piano terra potè concludere che la sua stanza si trovava al secondo piano mentre la casa in tutto doveva averne almeno tre, visto che nel punto in cui aveva cominciato a scendere le scale continuavano anche a salire.
Se pensava che da quel punto in poi trovare il salone principale sarebbe stato facile si sbagliava di grosso.
Da dave si trovava partiva un corridoio molto più angusto sul quale si affacciavano diverse porte. Come se non bastasse andando avanti anche altri corridoi di immettevano in quello che stava percorrendo.
Provò a procedere per un po’ solo per fermarsi rendendosi conto che se avesse continuato così probabilmente si sarebbe persa.
Se non lo era già…
 
“Vorrei proprio sapere come ci arrivo, a quel maledetto salone!” sbottò ad un certo punto arrabbiata, alzando la voce.
Era in quella casa da poco –senza contare il tempo che aveva trascorso dormendo, ovviamente- e già non vedeva l’ora di uscirne.
Ci fu un sonoro *crack* seguito da una esclamazione pronunciata da una vocetta squillante e leggermente stridula: “Silly porta la padroncina al salone principale! La padrona si stava chiedendo dove fosse e ha mandato Silly a cercarla!” enunciò per poi inchinarsi profondamente.
La piccola creatura che le era apparsa davanti le arrivava alla vita, aveva enormi orecchie da pipistrello, due occhi azzurri grandi e sporgenti e un naso lungo e sottile.
Indossava quella che sembrava una tenuta da cameriera in miniatura.
“Cosa… chi sei tu?” domandò Elise
“Silly è un’elfa domestica, padroncina” rispose compita la creatura. “Se la padroncina ha bisogno di qualcosa lei chiama e Silly arriva” spiegò.
“Silly porta la padroncina al salone principale” disse infine cominciando a camminare, Elise si affrettò a seguirla in silenzio, domandandosi come mai l’elfa si rivolgesse a lei chiamandola padroncina.
Diversi corridoi dopo, superata l’ennesima porta in legno scuro, Elise si ritrovò in un ampio ingresso che aveva riacquistato lo stile austero ed elegante che invece era mancato nell’ultima zona che aveva attraversato.
Che la casa fosse così grande da avere addirittura una parte più spartana dedicata alla servitù?
La parete di fronte a lei era occupata da una fila di finestre interrotta al centro da un maestoso portone.
Sulla sua destra terminavano invece due ampie scalinate in marmo, degne di quelle che si vedevano nei palazzi dei film.
Silly la condusse presso l’unica porta presente sulla parete alla sua sinistra.
“Benvenuta a casa padroncina Elizabeth” disse inchinandosi un’ultima volta per poi sparire con un altro *crack*.
Elise rabbrividì a quelle parole: era già la seconda volta che qualcuno le dava il benvenuto in quella casa.
Bussò alla porta, aprendola ed entrando nella stanza senza aspettare una risposta.
 
La sua attenzione si focalizzò all’istante sulle persone che la stavano aspettando in piedi al centro della stanza.
Nancy stava ancora esibendo il suo sorriso falso, sembrava estremamente compiaciuta e soddisfatta di se stessa. In parte c’erano Jack, rigido e impassibile, e la signorina Clark che al contrario sembrava quasi… arrabbiata?
 
E poi c’era lei
 
La donna sembrava la sua versione a quarant’anni.
I capelli erano biondi e lisci proprio come i suoi, la corporatura snella e all’apparenza ancora agile e scattante. Il taglio del viso era però più duro e affilato mentre quello di Elise era decisamente più dolce, e ovviamente gli occhi di ghiaccio non avevano nulla a che vedere con quelli verdi con la sfumatura dorata intorno alla pupilla della ragazza.
Nonostante quello la somiglianza era innegabile.
Quella che le stava davanti andandole inesorabilmente incontro era senza dubbio Shayleen Skelton.
 
Quella era sua madre.
 
 
 
 
Elise rimase ferma sul posto, come paralizzata, mentre la donna le si era avvicinata allargando le braccia e stingendola in un abbraccio.
“Finalmente, dopo vent’anni… la mia bambina!” esclamò commossa Shayleen sciogliendo l’abbraccio e facendo un passo indietro guardandola dalla testa ai piedi come se stesse ammirando un oggetto molto prezioso.
“Guarda quanto sei cresciuta, sei stupenda!” aggiunse accarezzandole una guancia per poi spostarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Sembrava sinceramente felice di avere la figlia davanti a sé: il sorriso pareva genuino ed era esteso anche agli occhi che brillavano di contentezza.
Da parte sua Elise sembrava aver perso del tutto la capacità di muoversi e di proferir parola.
 
Nel momento in cui aveva definitivamente realizzato che quella donna era sul serio sua madre, la sua vera madre, si era bloccata.
 
Alla fine, nonostante tutto, Shayleen era riuscita ad incontrarla.
 
La cosa che però l’aveva più destabilizzata era che, per qualche strano motivo, anche lei in fondo in fondo si sentiva felice di essere lì.
E questo non poteva essere, non dopo tutto quello che il signor Potter, Kingsley e la professoressa McGranitt le avevano detto sul suo conto.
 
“Dove mi trovo?” fu l’unica domanda che riuscì a formulare.
Shayleen la guardò quasi spaesata, per poi riacquistare subito la sua sicurezza: “Che domande fai tesoro? Questa è Skelton House… Sei a casa, dove altro potresti essere?”













Eccomi! Questa volta più puntuale di un orologio svizzero.
E così alla fine Shayleen è riuscita a incontrare Elise, con un piccolo aiuto da parte di un personaggio che più insignificante di così non sarebbe potuto sembrare: Nancy.
Questa scommetto che non ve la aspettavate, eh?
Vi lascio come sempre il piccolo spoiler dal prossimo capitolo:

Elise chiuse gli occhi: c’era qualcosa che non andava.
Perché stava pensando alla bellezza del posto quando il suo primo pensiero quando si era svegliata era stato: come faccio ad andarmene da qui?
Come poteva sentirsi felice di trovarsi insieme a Shayleen quando aveva passato l’ultima settimana ad evitare qualsiasi situazione –o quasi- che avrebbe potuto portarla dov’era in quel momento.
Cercò di riordinare le idee e riaprì gli occhi.
“Credo che sia meglio che torni a casa…” cominciò marcando l’ultima parola. “Potrebbero cominciare a chiedersi dove sia finita…”
“Elizabeth…
questa è casa tua” ribattè Shayleen.

Come sempre grazie a chi continua a leggere la storia, e ancora di più a chi trova due minuti per farmi sapere cosa ne pensa.

Alla prossima settimana!
E.

 

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Capitolo 22
*** 21. The other version of the story ***


“Sei a casa, dove altro potresti essere?”



21 – L’altra versione della storia
 
 
  
“Quindi questa è casa tua?” chiese nuovamente Elise.
Nostra, tesoro. Questa è casa nostra” rispose pazientemente Shayleen.
La ragazza si concesse di distogliere lo sguardo dalla donna –proprio non ce la faceva a chiamarla madre- per farlo scorrere sull’ambiente circostante.
 
L’arredamento del salone era perfettamente in linea con quello della camera da letto in cui si era svegliata, evidentemente la sua?, e con quel poco che aveva potuto vedere del resto della casa.
Era tutto molto lussuoso e raffinato.
Verso il fondo del salone c’erano due divani in pelle disposti a elle che contornavano un tavolino di legno scuro posato su un tappeto a pianta quadrata. Poco più in parte una piccola libreria faceva la sua bella figura.
La parete a destra era dotata di quattro grandi finestre mentre al centro di quella a sinistra trovava posto un maestoso camino in pietra: era talmente grande che Elise ci sarebbe potuta entrare comodamente stando in piedi.
Di fronte al camino un altro tappeto attorno al quale erano disposte tre poltroncine coordinate ai divani.
Di fronte alla porta c’era una lunga tavola in legno scuro con tanto di sedie intorno e infine, appena entrati sulla sinistra, un pianoforte a coda che fece fremere la ragazza dalla voglia di suonare. Le sembravano secoli che non posava le mani sulla tastiera.
Appesi ai muri c’erano degli arazzi riccamente ricamati con scene di natura mentre il pavimento era sempre in parquet.
 
Elise chiuse gli occhi: c’era qualcosa che non andava.
 
Perché stava pensando alla bellezza del posto quando il suo primo pensiero quando si era svegliata era stato: come faccio ad andarmene da qui?
Come poteva sentirsi felice di trovarsi insieme a Shayleen quando aveva passato l’ultima settimana ad evitare qualsiasi situazione –o quasi- che avrebbe potuto portarla dov’era in quel momento.
 
Cercò di riordinare le idee e riaprì gli occhi.
“Credo che sia meglio che torni a casa…” cominciò marcando l’ultima parola. “Potrebbero cominciare a chiedersi dove sia finita…”
“Elizabeth… questa è casa tua” ribattè Shayleen.
 
“Innanzitutto, Shayleen, è Elise” replicò la ragazza.
“Non tesoro, non Elizabeth, ma Elise” disse dura. “Secondo: questa non è casa mia. Casa è quella di Diana e Rupert. Casa è l’appartamento che divido con la mia migliore amica. Persino l’orfanotrofio dove ho passato otto anni della mia vita è più casa di questo posto” concluse.
Shayleen la guardò delusa.
“Lasciateci” ordinò alla fine rivolgendosi agli altri presenti che si affrettarono ad eseguire.
 
 
“Mi hanno detto che sei una ragazza intelligente, Elise” disse Shayleen calcando il nome della ragazza quando la porta si fu richiusa alle spalle di Nancy.
“Mi hanno detto che sei una ragazza determinata e sicura di sé, che sa quello che vuole…” continuò.
Elise intanto la stava guardando dubbiosa cercando di capire dove volesse andare a parare.
“Ma soprattutto mi hanno detto che sei una ragazza dolce e gentile, che sa perdonare e dare una seconda possibilità a chi se la merita… e io penso di meritarmela quella seconda possibilità, soprattutto se consideriamo che in realtà non ho avuto neanche la prima…”
Elise sussultò inconsapevolmente ma continuò a non dire nulla.
 
“Senti, lo so che non ti fidi di me…”
“Esatto, non mi fido”
“…ma io non posso credere che tu voglia buttare così la possibilità di conoscere la tua vera madre solo per degli sciocchi pregiudizi che qualche estraneo che non sa niente di me ti ha riferito” continuò Shayleen senza far caso all’interruzione.
“Quindi quello che è successo a mio… padre sarebbe un pregiudizio?” domandò Elise spietata.
“Quello che è successo a Evan è stato un tragico inciden…”
“Incidente? Incidente?! L’hai ucciso!” urlò lei interrompendola di nuovo.
“Non era mia intenzione, ho agito d’istinto, non sapevo quello che stavo facendo. Non avevo idea di quali sarebbero state le conseguenze… l’unica cosa che mi interessava in quel momento era sapere dove fosse mia figlia”
“I tuoi amici però sapevano bene quali sarebbero state le conseguenze quando hanno colpito James e il signor Potter”
“Non avrebbero dovuto usare quella maledizione…”
“Oh… e scommetto che tu hai fatto di tutto per impedirglielo…”
L’ultima provocazione rimase senza risposta mentre un pesante silenzio riempiva la stanza.
 
“Perché cercarmi adesso? Perché non prima?”
“Sai quando ti ho persa era distrutta… pian piano ho cominciato a riprendermi e ho cominciato a viaggiare: ho conosciuto nuove persone, imparato nuove cose… Se ti ho trovata solo adesso è stato solo perché uno dei miei ha notato una certa somiglianza con la sottoscritta e ha pensato che fossi proprio tu la figlia che avevo perso”
“Davvero pensi che io ti creda?” domandò Elise, notando che la donna non aveva risposto alla sua domanda, non del tutto. Erano passati vent’anni, mica un paio!
“Che motivo avrei per mentirti?” ribattè l’altra.
“Ecco… per farmi venire dalla tua parte?” rispose Elise in difficoltà.
Shayleen sembrò stupita dalla risposta.
“Elise, esattamente cosa ti hanno raccontato?” chiese a mezza voce guardando la ragazza.
“Hanno detto che… volevi usarmi per i miei poteri… che hai provato a prendere possesso del Ministero della Magia perché secondo la tua opinione le persone come te sono migliori e hanno più diritto a comandare… hai ucciso Evan perché ha rovinato i tuoi piani e non voleva dirti dov’ero…” rispose Elise, la voce che si abbassava mano a mano che andava avanti con il discorso. “… e che adesso sei tornata per finire quello che avevi iniziato” concluse.
 
Shayleen sembrava semplicemente sbalordita, stava scuotendo la testa massaggiandosi le tempie con la punta delle dita.
 
“Voglio che ora mi ascolti attentamente, Elise” cominciò seria la donna. “È proprio vero il detto la storia è scritta dai vincitori… non ho parole… Adesso ascolterai anche la mia versione: come ho detto prima so che sei una ragazza intelligente, confido che sarai in grado di renderti conto chi ha ragione”
Prima di iniziare però indicò la tavola alla ragazza: solo in quel momento Elise si accorse che era stata in parte apparecchiata: sopra una candida tovaglia si trovavano diversi piatti salati e dolci.
La sua pancia brontolò reclamando la colazione e il pranzo che aveva saltato e Shayleen doveva averlo previsto visto che incitò la ragazza a sedersi e servirsi di ciò che più le andava.
“Dicono che si ascolti meglio con la pancia piena…” commentò sorridendo, per poi aggiungere: “Guarda che non è mica avvelenato” visto che Elise ancora non si decideva a toccare nulla.
Quando finalmente la ragazza si fu seduta ed ebbe messo in bocca il primo boccone (un bel morso di un tramezzino al tonno e maionese) Shayleen cominciò a raccontare.
 
 
“È vero, forse all’epoca le mie idee erano un tantino radicali, ma ero giovane, avevo poco più di vent’anni: avevo tante proposte e volevo essere ascoltata.
Volevo che anche i Puri potessero avere il loro posto ed essere riconosciuti ufficialmente all’interno del mondo magico. Certo, sempre maghi siamo, ma non possono negare che siamo diversi dagli altri: la nostra magia è molto più istintiva, non usiamo la bacchetta… come possiamo essere considerati allo stesso modo?
Con il gruppo di persone che avevo creato non volevo prendere il possesso di un bel niente, erano semplicemente altri Puri che la pensavano come me: insieme speravamo di poter apportare qualche cambiamento, nulla più.
Per quanto riguarda te… non pensare mai, neanche per un momento, che io possa aver voluto un bambino per la ragione che ti hanno detto: è ridicolo oltre che scandaloso, non avrei mai potuto fare una cosa del genere. Io amavo Evan e per questo ho voluto un figlio da lui, fine della storia.
Quando quella mattina mi sono svegliata e tu non eri nel lettino di fianco al mio letto ho subito capito che c’era qualcosa che non andava…”
 
Era una lacrima quella che le era scivolata lungo la guancia?
 
“Quando finalmente ho trovato Evan e gli ho chiesto dove fossi sembrava quasi impazzito: ha detto che eri andata, che eri in un posto migliore, al sicuro da me… ero disperata, non mi sono neanche resa conto di quello che stavo facendo! E prima che potessi avvicinarmi a lui per cercare di porre rimedio a quello che avevo fatto lui si è smaterializzato sotto i miei occhi per andare chissà dove.
Solo il giorno dopo ho saputo della sua morte”
 
Elise accolse in silenzio quella lunga spiegazione.
Evidentemente le due versioni erano completamente diverse tra loro.
Si era aspettata che Shayleen avrebbe cercato di giustificare quello che aveva fatto, ma di certo non che lo avrebbe fatto in quel modo.
E il problema era che era sembrata assolutamente sincera durante tutto il racconto: aveva persino pianto…
O era un’attrice dannatamente brava oppure… stava dicendo la verità.
Era davvero possibile che la versione del Ministro della Magia non fosse quella giusta? Che fosse stata in qualche modo travisata?
Ma allora perché cercare di arrivare a lei in modi così aggressivi?
 
Alla fine dei conti Shayleen era pur sempre una madre, e non c’è cosa che una madre non sia disposta a fare per i propri figli, soprattutto se lei aveva pensato per tutto quel tempo che Elise fosse morta.
 
La ragazza rabbrividì: in effetti se quelle erano state le parole di Evan anche lei avrebbe pensato al peggio…
 
“So che non sei ancora convinta, ma ti pregherei di riflettere su una cosa. Io sarò quella che sono, ma alla fine dei conti non ho mai fatto nulla per nuocerti, né lo farò mai in futuro. Evan invece? Ti ha portata via da me, lasciandoti in un posto dove nessuno sapeva chi eri e quali erano le tue capacità. So che non hai frequentato Hogwarts e so anche quali sono state le conseguenze per non aver usato i tuoi poteri per tutto questo tempo.
Non so quale sia stata la motivazione che ha spinto Evan a fare quello che ha fatto, e a te è stato detto che era solo per il tuo bene: sei proprio sicura che sia stato così?”
 
Se la metteva in quei termini…
 
 
“Credo che adesso dovrei proprio andare”
Shayleen la guardò sbalordita: di tutte le cose che Elise avrebbe potuto dire, quella proprio non se la aspettava.
“Ho bisogno di tempo per pensare a tutto quello che mi hai detto e non posso farlo qui. Ci sono persone che si staranno chiedendo dove sono finita e sarà meglio che io mi faccia viva prima che passi troppo tempo per trovare una scusa convincente per la mia assenza” spiegò la ragazza all’espressione interrogativa della donna, scostando la sedia dal tavolo e alzandosi.
Alla fine aveva preso la sua decisione: avrebbe riflettuto su quello che Shayleen aveva detto e magari avrebbe fatto qualche altra domanda al signor Potter e a Kingsley, se fosse stato possibile.
Tutto quello che voleva era essere lasciata in pace per poter riorganizzare i suoi pensieri.
 
Nel frattempo Shayleen le si era avvicinata porgendole il braccio: “Dove ti porto, Elise?”
 
 
 
///
 
 
 
Elise suonò più volte il campanello dell’attico sperando che qualcuno fosse ancora in casa.
Sentire dei passi che si affrettavano all’interno la fece sospirare dal sollievo.
Dopo qualche istante la posta si aprì lasciando spazio alla figura di Diana: a giudicare da come era vestita sembrava stesse per uscire, l’aveva beccata giusto in tempo.
“Elise che sorpresa! Da quanto che non fai un salto da queste parti” la salutò calorosamente la donna stringendola in un abbraccio… nulla di più diverso da quello che aveva ricevuto da Shayleen…
“Qual buon vento ti porta qui?” domandò poi staccandosi e chiudendo la porta.
“Ecco… per caso stamattina ti ha chiamato qualcuno? Per esempio Julia… chiedendo dove fossi?” chiese cautamente la ragazza.
Diana guardò la figlia alzando un sopracciglio con aria inquisitoria: “No, non ha chiamato nessuno. Perché Elise? Cos’è successo?”
“È che… avevo bisogno di stare un po’ per conto mio… ho anche saltato le lezioni…”
La signora Starlet fronteggiò la figlia con le mani sui fianchi e l’espressione contrariata, Elise conosceva bene quella posa: Diana stava attivando la modalità ‘avvocato dell’accusa pronto a fare le domante al testimone’.
“Il punto è che…” continuò in fretta Elise prima che potesse essere interrotta “… che ho staccato il telefono e non ho detto niente a nessuno. Quindi: se per caso qualcuno dovesse chiederti qualcosa potresti dire che sono venuta qui a dormire… diciamo verso le due di notte… e che sono rimasta qui tutto il giorno?”
“Le due di notte Elise?” ripetè Diana con una buona dose di incredulità nella voce.
 
La diretta interessata abbassò lo sguardo, colpevole.
Si era fatta smaterializzare da Shayleen vicino all’orfanotrofio, e dopo essersi fatta promettere di non essere più cercata perché sarebbe stata lei a rifarsi viva era subito corsa verso il palazzo dove abitavano gli Starlet.
Sperava che a nessuno fosse venuto in mente di cercarla lì: dire che ci era rimasta tutto il giorno sarebbe stata la scusa perfetta.
Il punto era che non voleva comunque coinvolgere i suoi genitori più dello stretto necessario.
“Tutto questo ha a che fare con quella faccenda della magia, vero?” chiese Diana interrompendo i suoi pensieri.
 
Elise annuì piano grata che la donna avesse capito senza il bisogno di tante spiegazioni.
Diana sospirò: “Non ti chiederò cos’è successo, se avessi voluto dirmelo l’avresti già fatto. Ma qualsiasi cosa sia ti chiedo di fare attenzione e di ricordarti che io e Rupert ci siamo sempre per qualsiasi cosa, d’accordo stellina?” continuò la donna utilizzando quel nomignolo che usava sempre quando Elise era più piccola, abbracciando di nuovo la ragazza.
“Grazie mamma” sussurrò Elise ricambiando la stretta.
 
“Io adesso devo andare in ufficio, sentiti libera di restare tutto il tempo che vuoi”
“Certo, grazie. E per favore non dimenticare che…”
“… che se qualcuno dovesse chiedermi di te devo dire che sei piombata in casa nel cuore della notte e che non ti sei mossa di qui per tutto il tempo, lo so” completò Diana facendole l’occhiolino mentre si metteva la giacca.
“Ti voglio bene tesoro, a presto!” la salutò uscendo.
“Ti voglio bene anch’io”
 
 
 
Rimasta sola Elise si diresse in camera sua.
Appena entrata il suo sguardo si soffermò sul pianoforte a muro che era accostato alla parete di fronte al letto.
Senza pensarci due volte si sedette sul seggiolino accarezzando la tastiera con affetto dopo averla scoperta. Di certo non era il pianoforte a coda che aveva visto a Skelton House, ma quello era il suo pianoforte e ci era affezionata.
Le sue dita cominciarono a scorrere precise sui tasti suonando una delle sue melodie preferite mentre allo stesso tempo la sua mente cercava di fare il punto della situazione facendosi trasportare dalla musica.
 
Era sparita da circa tredici ore, ormai quattordici, era senza telefono e chiavi di casa visto che non aveva neanche pensato di prenderli quella notte prima di andare al San Mungo.
 
Shayleen le era sembrata sincera, ma forse lei era troppo coinvolta per riuscire a dare un giudizio imparziale.
Nel caso in cui invece stesse mentendo voleva capire perché.
Davvero l’avrebbe usata per attingere ai suoi poteri? Per farci cosa poi?
Se ripensava alle parole della profezia il suo giudizio non migliorava di certo: parlava di una luce  che si sarebbe spenta…
Per non parlare della parte in cui veniva citato l’imparare ciò che non è mai stato imparato: cosa voleva dire?
Una cosa era certa: se la profezia era autentica non c’erano dubbi sul fatto che il buio fosse Shayleen… o no?
Il signor Potter aveva detto che le profezie andavano interpretate, magari anche quella non faceva eccezione nonostante tutto.
Era possibile che la profezia non si riferisse nemmeno a lei?
 
Svuotò la mente per poter decidere quali erano i principali problemi a cui avrebbe dovuto dare priorità.
Innanzitutto doveva trovare un modo per parlare di nuovo con il Ministro della Magia per fare chiarezza su quello che era successo prima della sua nascita quando avevano cercato di arrestare Shayleen la prima volta. Quando glielo aveva raccontato era rimasto abbastanza sul generale: lei voleva i dettagli.
Secondo doveva chiedere al signor Potter o ad Hermione di insegnarle come smaterializzarsi: da quanto aveva capito quello per lei era l’unico modo per raggiungere Skelton House e di certo non sarebbe andata a chiedere a James di accompagnarla.
 
James… volente o meno doveva affrontare anche lui.
Le avrebbe chiesto scusa? Probabile.
Lo avrebbe perdonato? Forse.
Se fosse stato solo per la discussione che avevano avuto alla fine della lezione-allenamento probabilmente non ci avrebbe pensato due volte prima di perdonarlo: verosimilmente sarebbe andata lei stessa a chiedere scusa per prima.
Quello che era successo all’ospedale l’aveva però punta sul vivo e le aveva decisamente fatto rivalutare l’eventualità di un perdono così rapido.
Poteva capire che in quel momento fosse sconvolto, ma quello non giustificava in alcun modo il suo comportamento nei suoi confronti. Diamine, lei era l’unica possibilità che avevano di salvare il signor Potter e lui pensava bene di aggredirla!
 
Concluse la canzone che stava suonando con un accordo piuttosto brusco e il silenzio tornò a regnare.
Rimise tutto a posto decidendo che ormai era davvero arrivato il momento di affrontare le conseguenze della sua sparizione.
 
Alla fine scarabocchiò un biglietto che lasciò in vista sulla tavola della cucina in cui ringraziava Diana per tutto e salutava Rupert.
Si assicurò di aver chiuso bene la porta procedendo poi con calma per tornare al suo appartamento.
 
 
///
 
 
Già solo stando fuori dalla porta poteva sentire più voci che parlavano concitate.
Le avrebbe sentite, soprattutto da Julia, poco ma sicuro.
 
Non si era mai reputata particolarmente brava a fingere e mentire: solitamente quando cercava di farlo tutti si accorgevano in tempo zero del fatto che stesse recitando.
Questa volta però avrebbe dovuto fare uno sforzo per riuscire ad essere il più convincente possibile.
 
Fece un respiro profondo indossando l’espressione più serena e tranquilla del suo repertorio, immaginando già la faccia stupita che i presenti avrebbero fatto nel vederla.
 
Fece sparire il sorrisetto che le era uscito spontaneo a quel pensiero posando il dito sul campanello dando due suonate decise.
 
All’interno dell’appartamento fu silenzio all’istante ed Elise fece in tempo a sospirare un’ultima volta prima che la porta si aprisse.
 
Si va in scena













Sorpresa sorpresa :)
Siccome ho il presentimento che domani non sarei riuscita ad aggiornare (in realtà so benissimo che domani sono via...) ho deciso di anticipare di un giorno, contenti?
Allora, anche Shayleen ha dato la sua versione: sarà quella vera o è solo per tenersi buona Elise? (Fate un po' voi...)
Vi lascio lo spoiler per il prossimo capitolo:

Concentrandosi sull’interno del cerchio Elise ruotò su se stessa… inciampò nei suoi piedi e quasi finì addosso al signor Potter che era vicino a lei.
Era sicura di avere il viso in fiamme.
“Non ti preoccupare Elise. Anch’io al primo tentativo sono quasi caduto” la rassicurò il signor Potter notando il suo imbarazzo.
“Nemmeno io sono riuscita a fare progressi prima della seconda lezione” aggiunse Hermione.
Elise si sentì rincuorata almeno un pochino.

Chi indovina in che cosa si sta cimentando Elise? Come sempre si accettano scommesse!
Al prossimo capitolo
E.

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Capitolo 23
*** 22. One... two... three ***


22 – Uno… due… tre
 
 
 
Elise fece il suo ingresso nell’appartamento sfoggiando una faccia a metà tra lo stupito e il perplesso, con tanto di sopracciglio alzato, mentre prendeva silenziosamente atto dei presenti.
C’era ovviamente Julia, che era quella che era andata ad aprirle, Daniel, Hermione, il signor Potter e  James.
Notò che tutti nel vederla avevano assunto un’espressione sollevata e, nel caso di Julia e James, anche arrabbiata.
 
“Si può sapere dov’eri finita? Sei sparita per mezza giornata senza dire niente a nessuno!” inveì la mora non appena Elise si fu richiusa la porta d’ingresso alle spalle.
“Hai una vaga idea di come mi sia sentita quando loro - proseguì la ragazza indicando i Potter - sono tornati a bussare alle tre di notte perché tu eri scappata dall’ospedale?! Non sono più riuscita a chiudere occhio e a lezione mi sembrava di impazzire… Dove.Cavolo.Eri.Finita?!?”
“Avevo bisogno di stare un po’ per conto mio” sussurrò in risposta Elise, colpita dall’impeto di rabbia dell’amica. Non pensava che si sarebbe potuta preoccupare così tanto, ma alla fine dei conti non avrebbe potuto avvertirla comunque.
Alla sua risposta tutt’altro che esaustiva Julia fece per ribattere nuovamente, ma James la precedette: era da quando Elise era entrata che fremeva per dire la sua.
“Là fuori c’è una pazza assassina che ti sta cercando e tu sparisci senza dire niente a nessuno perché avevi bisogno di stare per conto tuo?!” esclamò incedendo minaccioso verso di lei.
“Esatto, vedo che per una volta hai capito benissimo la situazione” replicò freddamente Elise senza battere ciglio, stupendo tutti con la sua reazione.
Anche James sembrò colpito tanto che la sua espressione passò da arrabbiata a perplessa.
“Avevo bisogno di stare per conto mio senza avere intorno gente apprensiva o pronta a insultarmi qualsiasi cosa faccia…” continuò lei visto che nessuno aveva più aperto bocca. “È tanto chiedere di essere lasciata un po’ in pace?”
 
“Quindi dov’eri? Ti abbiamo cercata ovunque” chiese alla fine Julia cambiando tono.
“Ero dai miei” rispose semplicemente Elise scrollando le spalle.
Julia aprì la bocca per dire qualcosa e la richiuse subito dopo, arrossendo: “In effetti non avevo pensato di controllare dagli Starlet…” confessò guadagnandosi diversi sguardi di rimprovero.
“Quello che non capisco” intervenne il signor Potter “è come tu abbia fatto a lasciare l’ospedale visto che, a quanto mi ha riferito il Medimago, sei svenuta non appena hai finito di guarirmi”
“In realtà mi sono risvegliata quasi subito” spiegò in fretta Elise. Forse troppo in fretta vista l’occhiata sospettosa dei presenti per la rapidità della risposta.
“Dev’essere stato qualcosa di passeggero” continuò rallentando. “Mi sono svegliata e visto che non c’era nessuno e io mi sentivo bene ho pensato che non ci fosse motivo di restare ancora… e poi volevo stare per conto mio” ribadì per l’ennesima volta.
“Avresti potuto fare un salto da noi… saremmo stati contenti di vedere che stavi bene” disse ancora il signor Potter.
“Non volevo disturbare…”
“Non avresti disturbato, Elise” si inserì James.
La ragazza lo guardò infastidita per poi costringersi a rispondere: “Strano, non so perché ma non penso proprio che questa notte tu fossi dello stesso parere… e poi non sto parlando con te” disse duramente.
“Ora se non vi dispiace dovrei andare a sistemare gli appunti per le lezioni di domani” continuò Elise invitando implicitamente i presenti ad andarsene.
Hermione parve capire al volo visto che commentò: “Adesso che sappiamo che è al sicuro possiamo andare”.
 
I presenti annuirono e cominciarono ad avviarsi verso la porta, James non prima di aver lanciato un’occhiata ad Elise la quale la ignorò platealmente.
L’ultimo ad uscire fu il signor Potter.
“Domani pomeriggio potremo incontrarci di nuovo al parco?” domandò Elise prima che il mago si chiudesse la porta alle spalle.
Quest’ultimo sembrò inizialmente sorpreso dalla richiesta della ragazza, ma assentì ugualmente.
“Certo, solito posto, solita ora” confermò congedandosi.
“Perfetto, grazie”
 
 
 
 
 
Era ora di cena e le due ragazze erano sedute una di fronte all’altra al tavolo della cucina mangiando senza proferire una parole.
 
“Proprio non me lo vuoi dire cos’hai fatto durante la tua assenza, eh?” domandò Julia di punto in bianco rompendo il silenzio.
“Te l’ho già detto: mi sono svegliata e sono andata all’attico dei miei. Volevo stare per conto mio e sapevo che loro non avrebbero fatto domande” rispose Elise per l’ennesima volta.
Quel pomeriggio quando erano rimaste sole Julia aveva cominciato ad assillarla rimproverandola su quanto fosse stato irresponsabile da parte sua sparire a quel modo, insistendo poi per sapere dalla bionda cosa avesse fatto tutto il giorno.
A ogni tentativo la risposta di Elise era sempre la stessa e alla fine Julia aveva lasciato perdere facendo cadere il discorso.
Questo però non voleva dire che non ci avrebbe riprovato.
 
“E quindi sei stata lì tutto il tempo?” domandò ancora insistendo.
“Sì, tutto il tempo” confermo Elise.
“E che mi dici dei vestiti?”
“Quali vestiti?” a quella domanda non aveva potuto fare a meno di trasalire.
“Quelli con cui sei tornata a casa” proseguì Julia soddisfatta di aver provocato una reazione nell’amica.
“Ero inguardabile come mi ero vestita per andare in ospedale, nella fretta non ci avevo neanche fatto caso, così mi sono cambiata” rispose la bionda recuperando il tono piatto che aveva usato fino a quel momento.
“Elise, sono anni che ti conosco e ti assicuro che non ti ho mai visto indossare niente del genere” la riprese la mora.
“Infatti erano gli unici che avevo lasciato all’attico. Non mi ricordo nemmeno quando li ho comprati o per quale occasione. Non sono nel mio stile ma erano le uniche cose che avevo a disposizione”
“Comunque ti stavano bene, sai?” commentò Julia dopo un po’ mentre si alzava a sparecchiare. “Certo, sembravi quasi diversa, però stavi bene. Dovresti vestirti così più spesso… James non riusciva a staccarti gli occhi di dosso…”
Al nome del ragazzo Elise fece una smorfia che non passò inosservata.
“Senti, mi ha detto cos’è successo all’ospedale, era davvero dispiaciuto, dovresti perdonarlo…”
Elise le scoccò uno sguardo di fuoco: “Mi viene un po’ difficile visto che ogni volta che mi rivolge la parola lo fa solo per aggredirmi… ti assicuro che se non mi toglieva gli occhi di dosso era solo perché voleva strozzarmi…”
“Guarda che quello volevo farlo anch’io” commentò Julia ridacchiando per poi tornare subito seria. “Ciò non toglie che fosse preoccupato per te! Lo eravamo tutti ma lui… era sconvolto quando gli ho detto che non eri qui e non sapevo dove fossi” proseguì. “Lui ci tiene davvero a te” concluse.
“Beh, questo è un problema suo”
 
L’ultima affermazione lasciò stupite entrambe le ragazze, Elise stessa non capiva da dove le fosse uscita tanta cattiveria.
Da parte sua Julia la stava guardando a bocca aperta. Scosse la testa: “Davvero non ti riconosco Elise” disse alla fine dandole le spalle per cominciare a lavare i piatti: facevano a giorni alterni e quella sera toccava a lei.
“Nemmeno io mi riconosco più Julia, nemmeno io” sussurrò la bionda dirigendosi verso la sua stanza senza sapere che, nonostante il tono di voce basso e l’acqua del lavello che scorreva, la sua coinquilina l’aveva sentita.
 
Quello di cui entrambe erano ignare era però che qualcuno, fuori dalla porta dell’appartamento, aveva seguito tutto il loro discorso.
 
 
 
///
 
 
 
“Allora… pensavo che oggi avremo potuto continuare con qualche incantesimo di attacco e difesa, visto che l’ultima volta mi sei sembrata particolarmente portata” propose il signor Potter mentre Hermione annuiva.
Quel pomeriggio c’erano solo loro due: il signor Potter aveva detto che quel giorno il figlio non l’aveva neanche visto, non sapeva dove fosse visto che comunque per quell’ora anche lui aveva terminato le lezioni e ad Elise non sarebbe potuto importare di meno.
Non sapeva grazie a quali santi ma era più che contenta che il ragazzo avesse deciso di non partecipare quel pomeriggio, o avrebbe rischiato di essere lui il bersaglio degli incantesimi che avrebbe provato.
Inoltre la sua assenza aveva reso la ragazza più decisa per quello che doveva chiedere, riuscendo persino a ignorare il senso di colpa.
 
“In realtà prima di continuare con gli incantesimi volevo chiedere se potevate insegnarmi un’altra cosa…” disse infatti.
I due maghi la guardarono incuriositi spingendola a proseguire.
“Ecco, ho notato che per spostarvi usate spesso la smaterializzazione, e già un po’ di tempo fa James mi aveva spiegato più o meno come funziona… volevo chiedervi se potevate insegnare anche a me” spiegò la ragazza. Dalle espressioni dei due si capiva benissimo che non si aspettavano una richiesta del genere.
“E poi penso che sarebbe più sicuro per me spostarmi in questo modo, così avrebbero meno possibilità di riuscire ad avvicinarmi, no?” argomentò Elise cercando di non pensare che in realtà lei voleva imparare esattamente per il motivo contrario.
Evidentemente però quell’affermazione li convinse perché entrambi annuirono.
“Hai proprio ragione Elise. Non capisco come mai non sia venuto in mente a me” rispose Hermione facendola sospirare di sollievo.
Le avevano davvero creduto.
Intanto il signor Potter aveva fatto apparire un cerchio che posò per terra: “Quello ci servirà fra un po’ ” spiegò con un sorriso all’occhiata curiosa di Elise.
 
“Allora, ci sono tre punti fondamentali da ricordare per la materializzazione: si chiamando le tre D. Ovvero: Destinazione, Determinazione e Decisione” cominciò a spiegare Hermione già presa dall’argomento.
“Per prima cosa bisogna fissare con forza la propria mente sulla destinazione desiderata. Qui entra in gioco il cerchio: il suo interno sarà la tua destinazione Elise, prova a concentrarti su quello”.
La ragazza fece come le era stato detto concentrandosi sulla zona erbosa delimitata.
“Successivamente devi essere determinata ad occupare lo spazio che hai visualizzato, come se la cosa che tu voglia di più al mondo sia entrare all’interno di quel cerchio…”
Elise pensò che quello fosse molto simile a quando usava i suoi poteri: si basava tutto sulla sua forza di volontà, non sarebbe dovuto essere troppo difficile…
“Ultimo punto: muovendoti con decisione devi compiere un giro su te stessa cercando di entrare nel nulla…”
Ok, fino al giro poteva arrivarci, ma cosa voleva dire entrare nel nulla?
Hermione sembrò comprendere la sua perplessità: “Beh, devi scomparire per riapparire in un altro posto, quindi il tuo corpo dovrà pur andare da qualche parte durante lo spostamento… è come quando fai evanescere un oggetto per poi rievocarlo in un secondo momento” disse infatti.
La ragazza annuì: “Forse ho capito cosa intendi”
 

 
“Te la senti di provare?”
“Certo!”
“Allora facciamo al mio tre, d’accordo? Concentrati bene sul significato delle tre D e non pensare a nient’altro” disse Hermione.
“Uno… due… tre!”
Concentrandosi sull’interno del cerchio Elise ruotò su se stessa… inciampò nei suoi piedi e quasi finì addosso al signor Potter che era vicino a lei.
Era sicura di avere il viso in fiamme.
“Non ti preoccupare Elise. Anch’io al primo tentativo sono quasi caduto” la rassicurò il signor Potter notando il suo imbarazzo.
“Nemmeno io sono riuscita a fare progressi prima della seconda lezione” aggiunse Hermione.
Elise si sentì rincuorata almeno un pochino.
 
Riprovò più volte senza che accadesse nulla.
Non riusciva a capire se fosse perché non era abbastanza decisa, determinata o concentrata sulla destinazione.
Eppure non le sembrava di stare sbagliando qualcosa.
“Farei un attimo di pausa” annunciò allontanandosi dal cerchio e sedendosi su una panchina.
I due maghi annuirono per poi tornare a parlare tra loro come stavano facendo già da un po’.
 
Forse era la determinazione… in effetti quando James si era smaterializzato portandola con sé l’esperienza non era stata delle migliori: forse era quello che la frenava.
Non doveva pensare a quella fastidiosa sensazione di essere come risucchiata in un tubo molto stretto che le faceva quasi mancare l’aria… ecco, come non detto.
Però nella sua situazione non poteva permettersi di non imparare.
Altrimenti cosa avrebbe fatto? Sarebbe andata dal signor Potter chiedendo: “Scusi? Non è che mi potrebbe accompagnare da mia madre?”
 
Si mosse più fluidamente di quanto avesse mai fatto fino a quel momento.
Di colpo si alzò in piedi, tanto che entrambi i maghi si girarono a guardarla vagamente preoccupati per il suo scatto improvviso, e chiuse gli occhi.
Fece due passi in avanti, il terzo girando leggermente su se stessa, mentre mentalmente scandiva il ritmo come aveva fatto Hermione la prima volta: “Uno… due… tre”
E accadde.
La tipica sensazione sparì di colpo così come era arrivata ed Elise sorrise nel ritrovarsi, in ginocchio, certo, ma perfettamente al centro del cerchio.
Ce l’aveva fatta.
“Visto? Te l’avevo detto che ci sarebbe riuscita entro oggi” commentò Hermione sorridendo alla ragazza mentre il signor Potter si complimentava a sua volta.
Dopo quello fu tutto più semplice.
Elise si allenò a materializzarsi dentro il cerchio partendo da ogni punto dell’area, per poi farsi spostare il cerchio stesso da Hermione in modo da poter provare con destinazioni differenti.
 
“Non è che adesso potrei provare con qualche altro posto?” chiese Elise dopo l’ennesima materializzazione riuscita alla perfezione.
“Non so se sia il caso…” rispose titubante Hermione. “Finchè sei qui dentro è un conto, ma all’esterno…”
“Non ho paura di spaccarmi se è questo che vi preoccupa” ribattè allora la ragazza. “So che può succedere, ma so anche che è assolutamente reversibile, quindi che problema c’è?”
“E poi dovrò pur cominciare a esercitarmi su distanze più lunghe, altrimenti abbiamo fatto tutto questo lavoro per niente” aggiunse infine visto che i due maghi sembravano ancora dubbiosi.
“Immagino che tu abbia ragione” concesse il signor Potter. “E alla fine dei conti hai ampiamente dimostrato di essere sempre all’altezza della situazione, quindi perché no?” disse sorridendo e facendo sorridere Elise a sua volta.
“A che posto pensavi Harry?” domandò a quel punto Hermione.
“Elise, ti ricordi il salotto di casa mia? Quella sarà la tua destinazione” cominciò il signor Potter rivolgendosi alla ragazza e rispondendo allo stesso tempo alla cognata.
“Io ed Hermione resteremo indietro per controllare che non ci siano problemi e poi ti raggiungeremo subito dopo, d’accordo?”
Elise rispose con un sorriso che le andava da un orecchio all’altro: “Sono pronta”
 
 
 
In realtà aveva una fifa blu, ma visto che era stata lei a proporre la cosa adesso non poteva mica tirarsi indietro.
“Quando te la senti Elise” la rassicurò Hermione mentre la ragazza faceva avanti e indietro concentrandosi.
Annuì distrattamente alle parole della strega visualizzando nella sua mente la destinazione: i divani, il mobile con la televisione, la vetrinetta con le foto, il tavolo e il vaso di fiori…
“Ok, ci sono…” disse ad alta voce nonostante stesse parlando a se stessa, facendo un lungo sospiro e fermandosi momentaneamente.
Alla fine fece i suoi soliti tre passi, ormai era diventato un rito, uno… due… tre: girò su se stessa e sparì.
 
“Perché proprio casa tua? Non poteva allenarsi direttamente ad arrivare al suo appartamento?” domandò Hermione dopo qualche attimo di silenzio in cui i due si assicurarono che nessun pezzo di Elise fosse rimasto indietro.
“Prima di venire via ho incrociato James che rincasava e mi ha detto che non aveva intenzione di uscire questo pomeriggio perché aveva da studiare. Spero non abbia cambiato programma e che riesca a parlare con Elise: da quando hanno litigato è diventato intrattabile…”
Hermione approvò con un cenno: “Ti offro qualcosa al Paiolo Magico… almeno una decina di minuti a quelle due teste dure dobbiamo lasciargliela…”
E si smaterializzarono a loro volta.
 
 
***
 
 
Essendo il tragitto più lungo la sensazione di essere risucchiata era ovviamente destinata ad essere più prolungata, e anche se ormai si era abituata non è che la ritenesse comunque piacevole.
Nonostante quello Elise continuò a rimanere concentrata sulla sua destinazione, ben determinata a raggiungerla senza fare danni.
Allenandosi al parco era anche riuscita a perfezionare l’atterraggio, ma di certo non era preparata a quello.
 
I colori intorno a lei cominciarono a farsi più nitidi mentre cominciava a rallentare: ormai l’arrivo era vicino e la ragazza si preparò mentalmente per resistere al contraccolpo che avrebbe subito quando i suoi piedi avrebbero toccato il pavimento.
Peccato che però non atterrò sul pavimento, bensì addosso a qualcosa… ancora meglio: qualcuno.
Prendendo rapidamente possesso dei suoi sensi constatò infatti che la cosa in questione era calda e morbida, e respirava.
Ma non solo: indossava dei semplici pantaloni di una tuta abbinati ad una canottiera che lasciava davvero poco spazio all’immaginazione, aveva gli occhi color nocciola e i capelli scuri spettinati.
La cosa era James Sirius Potter ed Elise gli era letteralmente sdraiata sopra in una posizione che aveva buone probabilità di farla morire di vergogna.
Recitando una scusa dietro l’altra si rialzò il più in fretta possibile senza mai incrociare gli occhi del ragazzo e stando molto attenta a dove metteva le mani, per poi voltargli le spalle in modo da essere esattamente all’altezza dell’uscita del salotto per poter avere una buona visuale dell’ingresso, pregando mentalmente che il signor Potter ed Hermione si dessero una mossa a raggiungerla.
Ma ovviamente nessuno ascoltava mai le sue preghiere…
 
In tutto quello James era ancora per terra mentre osservava stupito la ragazza chiedendosi cosa fosse successo, completamente dimentico di qualsiasi altra cosa.
Visto che Elise per qualche motivo non sembrava intenzionata ad andarsene alla fine non riuscì a trattenersi: “Come mai sei qui?” le domandò alzandosi finalmente dal pavimento.
“Sto aspettando tuo padre e tua zia” rispose brevemente lei.
Era la prima volta che si parlavano in tono civile da quando avevano litigato.
“Ah… e tu come ci sei arrivata qui?” domandò ancora James.
Da come era apparsa all’improvviso avrebbe detto che la ragazza si fosse materializzata, ma non era possibile visto che lei non…
“Mi sono materializzata” rispose Elise interrompendo i suoi ragionamenti. “Ho chiesto se mi potevano insegnare e quando ho chiesto di provare su un tragitto più lungo tuo padre ha detto che il salotto di casa vostra andava più che bene”
Il ragazzo spalancò gli occhi sbalordito: Elise era riuscita a imparare a smaterializzarsi e materializzarsi in un solo pomeriggio? Lui, come d’altronde tutti i suoi amici e compagni di scuola, avevano sostenuto un corso di qualche settimana per imparare a padroneggiare perfettamente il meccanismo.
Scosse la testa: i complimenti glieli avrebbe fatti un’altra volta, prima c’era un’altra questione che gli premeva affrontare…
“Elise, senti… mi dispiace, per tutto” cominciò.
La ragazza si girò a guardarlo sorpresa, continuando però a non dire nulla.
“Non avrei dovuto reagire a quel modo, in nessun caso. Sono stato imperdonabile. Però non hai idea di quanto fossi preoccupato…” continuò James, sentendosi forse un po’ più sollevato nel notare che lo sguardo di Elise si era leggermente raddolcito.
“E quando sei sparita… pensavo di impazzire, non sapevo dove cercarti. E se ti fosse successo qualcosa io…” si interruppe abbassando lo sguardo: non era abituato ad esporsi così tanto.
“In realtà ho pensato anch’io a quello che è successo, in particolare a quel tuo discorso sulla fiducia” disse lei prendendo finalmente parola. “Io… penso di poter perdonare te se tu perdoni me… ma prima di dire sì dovresti anche sentire cos’ho fatto ieri, perché secondo me alla fine sarai più arrabbiato di prima…”
Le parole di James sul fatto che non gli importava, che qualsiasi cosa fosse successa non si sarebbe mai più permesso di urlarle contro e che avrebbe cercato di lasciarle il suo spazio, se era quello che lei voleva, si affievolirono mano a mano che i loro visi si avvicinavano.
All’ultimo momento fu però bloccato da un movimento al limite del suo campo visivo, sbiancando subito dopo.
Era proprio vero che l’arrivo di Elise gli aveva fatto dimenticare qualsiasi altra cosa.
 
Anche Elise si accorse subito che qualcosa non andava.
Rispetto a James al momento lei dava le spalle all’ingresso, per cui si girò all’istante e seguendo lo sguardo del ragazzo fino a soffermarsi sulle scale che portavano al piano di sopra capì subito perché si era fermato.
 
“Jamie? Che fine ha fatto il mio bicchiere d’acqua?”
La voce di Calliope risuonò più fastidiosa che mai nell’ingresso di casa Potter.
Elise osservò senza scomporsi la ragazza mentre scendeva le scale.
La sua presenza lì non l’avrebbe poi disturbata così tanto se non fosse stato che la ragazza indossava solamente una delle magliette di James che arrivava a mala pena a coprirla fino a metà coscia.
Quando fu quasi arrivata in fondo anche Calliope parve accorgersi della situazione: “Che cosa ci fa lei qui?” domandò infatti con astio non appena registrò la presenza di Elise.
A quelle parole la ragazza chiamata in questione si riscosse, scrollando le spalle.
“Niente, Calliope. Stavo andando via. Ero qui per il signor Potter ma evidentemente non è in casa” rispose al posto di James cercando di controllare il tremito della voce. Che poi fosse per la rabbia o perché le veniva da piangere non lo sapeva neanche lei.
“Elise, aspe…”
“Senti James, sei perdonato. Davvero. Ma rivolgimi ancora la parola e la prossima volta che dovrò esercitarmi con l’incantesimo Incendio userò te come cavia…” disse mantenendo lo stesso tono di voce e facendo apparire una piccola sfera di fuoco nella sua mano per sottolineare il concetto.
Ok, era decisamente per la rabbia…
Il fatto che persino Calliope sembrava impressionata dal suo gesto non le diede la soddisfazione che avrebbe dovuto.
“Quando arrivano digli pure che sono tornata all’appartamento” disse infine.
 
Uno… due… tre…
 
E sparì













Buon lunedì e buon ferragosto a tutti!
No, non mi sono dimenticata di aggiornare, spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Nella prima parte vediamo una Elise un po' diversa dal solito, diciamo che l'influenza di Shayleen ha ancora qualche strascico...
Chi indovina chi è che stava ascoltando Elise e Julia da fuori dall'appartamento?
La seconda parte, come 
_purcit_ e Anto94_tbbt_hp_tw (che hanno recensito lo scorso capitolo, grazie ancora!!) hanno indovinato ha visto Elise alle prese con la smaterializzazione e... che dire, sappiamo che è un piccolo prodigio quindi non poteva fare altro se non riuscire subito anche in quello. Forse però ha calcolato male l'atterraggio...
A questo proposito: ve l'avevo detto che Calliope sarebbe saltata di nuovo fuori per creare qualche piccolo problemuccio, no? Promessa mantenuta.
A posteriori avrei potuto intitolare il capitolo "Problemi in paradiso" XD
Direi che ho scritto già abbastanza, alla prossima settimana, vi lascio con lo spoiler del capitolo 23!
 

Improvvisamente l’ambiente intorno ad Elise tremò, e solo dopo qualche istante l’ufficio del Primo Ministro tornò a fuoco.
 
Era vuoto, e quando sentì la porta aprirsi non fece in tempo a spostarsi che Shacklebolt le passò attraverso senza tanti complimenti per andare a prendere posto dietro la scrivania per poi prendersi la testa tra le mani sospirando.
Il rumore di qualcuno che bussava alla porta lo fece riscuotere e fece sussultare anche la ragazza.
Il Ministro invitò l’ospite ad entrare ed Elise rimase incantata ad osservare i due nuovi arrivati, uno in particolare.
La sua attenzione passò rapidamente da Shayleen, non doveva essere passato troppo tempo dal ricordo precedente in cui l’aveva vista, al ragazzo dai capelli corvini e dai particolari occhi verdi al suo fianco: suo padre.

Chi mi sa dire dove si trova Elise? (Dieci punti a Grifondoro per chi indovina XD )
E.



 

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Capitolo 24
*** 23. A jump into the past ***


23 – Un tuffo nel passato
 
 
 
“Sono davvero colpito, non c’è che dire” si complimentò il signor Potter con Elise dopo averla raggiunta nel suo appartamento.
La ragazza accolse distrattamente il commento, divisa tra il pensiero di Calliope vestita, anzi, svestita con una maglietta di James, la faccia tosta del suddetto ragazzo e quello che invece voleva chiedere al signor Potter.
“Elise, c’è qualcosa che non va?” domandò il mago capendo che evidentemente c’era qualcosa che gli sfuggiva.
Quando era arrivato a casa James gli aveva riferito che Elise lo stava aspettando al suo appartamento ed era sparito in camera sua prima che potesse chiedere ulteriori spiegazioni.
Le aveva chieste poi alla ragazza che aveva confermato che aveva lasciato casa Potter non appena si era accorta della presenza di James perché proprio non le andava ancora di parlargli.
La ragazza sospirò prima di rispondere all’uomo: “In effetti volevo chiederle un favore…” cominciò incerta.
Il signor Potter annuì: “Se è fattibile non c’è problema, dimmi”
“Ecco, volevo sapere se fosse possibile poter parlare di nuovo con il Ministro della Magia… lo so che di sicuro è molto impegnato e ha questioni più importanti a cui pensare, ma…”
Il mago non si stupì più di tanto a quella richiesta, in effetti si era chiesto più di una volta quando Elise avrebbe cominciato a fare domande: era una ragazza intelligente, di sicuro non si sarebbe accontentata della spiegazione sbrigativa che le era stata velocemente fornita.
Se non altro avrebbe avuto la soddisfazione di poter dire “Te l’avevo detto” a Kingsley, che al contrario sembrava convinto di aver già archiviato la pratica.
“Ti sembrerà strano ma in realtà mi stavo proprio chiedendo quando me lo avresti chiesto” disse il signor Potter dando voce ai suoi pensieri.
Elise gli sorrise di rimando: “Quindi pensa che possa essere fattibile?”
“Come hai detto tu il Ministro è sempre molto impegnato, ma non ti preoccupare che riuscirà sicuramente a trovare un attimo per parlarti meglio. Glielo farò presente il prima possibile e appena c’è qualche novità ti faccio sapere, ok?”
“Grazie davvero” disse la ragazza sentendosi sollevata.
Il signor Potter annuì dirigendosi verso la porta: dopotutto era lì solo per controllare che la ragazza fosse ancora tutta intera dopo la smaterializzazione.
“Sicura che vada tutto bene?” domandò un’ultima volta, la mano già sulla maniglia della porta.
La ragazza annuì, per niente convinta e il mago non potè fare altro che salutare e uscire: ovviamente non avrebbe parlato con lui, ma James l’avrebbe sentito di certo non appena fosse tornato a casa.
 
 
***
 
 
Un’esclamazione indignata e incredula invase il salotto di casa Potter.
“Tu hai fatto cosa?!”
Daniel era a dir poco scandalizzato: lo sapeva che il suo migliore amico era un idiota, meglio, il re degli idioti, ma con quella le aveva davvero superate tutte, come anche aveva scongiurato il pericolo che qualcuno gli rubasse l’altisonante titolo.
“Ti prego dimmi che ho capito male, che me lo sono sognato… che stai scherzando…” continuò ancora. “E non fare così!” lo ammonì quando il moro alzò gli occhi al cielo palesemente stufo della paternale dell’amico.
“Nel migliore dei casi non ti rivolgerà mai più la parola…”
“Perché, nel peggiore?” domandò ironicamente l’altro.
“Beh, nel peggiore ti incenerisce… non dubito che possa riuscirci… o in alternativa qualcos’altro di altrettanto doloroso…”
“Ok, adesso stai esagerando”
“No, James. Tu hai esagerato! Invitare Calliope, sul serio?”
“Non potevo mica sapere che poi mi sarei ritrovato Elise in casa…”
“Ah, e quindi il fatto che lei non sarebbe mai dovuta venirlo a sapere dovrebbe giustificarti? Non per dire, ma se fossi una ragazza neanche io ti vorrei come fidanzato…” esclamò Daniel al limite dell’esasperazione.
“Noi non siamo fidanzati” disse James a bassa voce dopo un lungo attimo di silenzio.
“Dopo questo no di certo…”
“E poi mi spieghi cosa avrei dovuto fare, eh?” proseguì il moro alzando di nuovo il tono. “E non dire chiedere scusa, perché ieri sera ero tornato indietro per farlo, ma indovina un po’? A quanto pare il fatto che io tenga a lei è un problema mio…”
“Sicuramente hai frainteso e hai rovinato tutto come tuo solito” lo rimproverò Dan.
“Fidati, sarebbe stato molto difficile fraintendere visto che il discorso l’ho seguito tutto” replicò l’altro vagamente sconsolato.
“Penso che comunque la tua reazione sia stata esagerata. E poi… Calliope? Ti prego…!”
“Ehi! Guarda che non ci ho fatto niente. Volevo solo parlare per chiarire che fra noi era finito tutto per poter sistemare finalmente le cose con Elise, ma non ho neanche iniziato il discorso che mi ha chiesto un bicchiere d’acqua. Evidentemente le serviva come diversivo per prepararsi… se penso a com’era conciata quando è scesa dalla scale…”
Un *crack* risuonò nell’aria accompagnando l’arrivo del signor Potter e i due ragazzi si affrettarono ad interrompere il discorso: nonostante tutto James era riuscito a farsi promettere da Dan che non avrebbe detto niente a nessuno di quanto gli aveva raccontato.
 
A quanto pare però suo padre aveva idee diverse.
 
“Potrei sapere cos’è successo, di nuovo, con Elise?” chiese infatti il signor Potter con un tono che non ammetteva repliche facendo andare di traverso la saliva che James stava deglutendo mentre Dan cercava senza troppo successo di trattenersi dallo scoppiare a ridere in faccia all’amico.
Harry guardò rassegnato le reazioni dei due ragazzi soffermandosi in particolare sul figlio che al momento sfoggiava un’espressione imbarazzata, mortificata e pentita allo stesso tempo.
“Sentiamo… cos’hai combinato stavolta?”
 
 
 
///
 
 
 
Erano passate tre settimane da quando Elise aveva posto la richiesta al signor Potter, ma ancora non aveva ricevuto novità, e lei non aveva più chiesto: al momento giusto, con un po’ di fortuna, avrebbe avuto la sua occasione.
Ormai quasi tutti gli spostamenti li faceva smaterializzandosi, a meno che non ci fosse anche Julia, e aveva continuato regolarmente la sua istruzione in campo magico finchè non ebbe completato, apprendendo alla perfezione, il programma di incantesimi e di difesa contro le arti oscure di tutti e sette gli anni.
Recentemente aveva iniziato con la più impegnativa trasfigurazione, cercando di incastrare gli incontri con Hermione, che aveva continuato da sola a farle da insegnante, tra gli impegni della strega stessa e i suoi turni del tirocinio cominciato con l’inizio del nuovo mese.
Per un motivo o per l’altro, quando la sera ritornava a casa (a meno che non avesse un turno di notte) Elise era sempre distrutta ma in egual modo soddisfatta per i suoi progressi.
Aveva accantonato ogni problema in un angolo della sua mente, ben decisa a non affrontarli a meno che non fosse stata costretta.
In primis aveva deciso di dimenticarsi di sua madre finchè non fosse riuscita a fare quella famosa chiacchierata con il Primo Ministro, restando comunque grata che Shayleen stesse rispettando la sua promessa di non cercarla più finchè non fosse stata la ragazza a tornare da lei.
Il problema James invece non si era affatto presentato visto che il ragazzo aveva evidentemente preso sul serio il suo avvertimento e non si era più fatto vedere.
Al contrario aveva spesso occasione di intrattenersi con Dan visto che era finito, non sapeva bene come, a fare coppia fissa con Julia. E siccome alla fine dei conti non aveva mai visto la sua migliore amica così felice, ad Elise andava più che bene.
 
Quando quel pomeriggio arrivò al solito posto al parco fu alquanto sorpresa di rilevare la presenza del signor Potter, in divisa da Auror, accanto a quella ormai più familiare della strega.
“Temo che dovremo rimandare la lezione di oggi Elise” annunciò Hermione notando la presenza della ragazza smettendo di parlare con il suo interlocutore.
“Se per te va bene Kingsley si è tenuto il pomeriggio libero per parlare con te” disse il mago confermando le idee della ragazza. “Non ti ho voluto anticipare nulla nel caso in cui ci fosse stato qualche imprevisto, ma a quanto pare sei fortunata. Dobbiamo andare al Ministero, e siccome immagino tu non ci sia mai stata faremo una materializzazione congiunta” continuò a spiegare. “Ma non preoccuparti, l’unica cosa che cambia è che non ti devi concentrare su nessuna destinazione, ci penserò io a quello, per il resto non c’è nulla di diverso dalla materializzazione normale” aggiunse poi in risposta allo sguardo dubbioso della diretta interessata.
“Andiamo?” la esortò porgendole il braccio.
 
 
Non troppo tempo dopo i due erano arrivati a destinazione.
Il signor Potter l’aveva rapidamente condotta fino all’ufficio del Primo Ministro e lei non si era nemmeno guardata tanto intorno, più impegnata a guardare dove metteva i piedi e a schivare tutte le persone che andavano di fretta da una parte all’altra del Ministero.
Alla fine il signor Potter l’aveva lasciata da sola salutando rapidamente il Ministro Shacklebolt per poter tornare al lavoro.
 
L’ufficio era abbastanza ampio, ma Elise si riservò di concentrare la sua attenzione solo sulle cose fondamentali: un grande tappeto persiano ricopriva il pavimento di marmo lucido subito dopo la porta e due poltroncine in pelle precedevano un’ampia scrivania in legno massiccio dietro alla quale era seduto il mago dalla carnagione scura che dopo averla salutata la invitò ad accomodarsi.
Elise si sedette come le era stato detto.
Ci fu un lungo istante di silenzio durante il quale la ragazza e il Primo Ministro si scrutarono a vicenda senza dire nulla.
“Harry mi ha detto che ne volevi sapere di più sulla storia di tua madre” esordì Kingsley. “Da dove vuoi cominciare?”
“Lei ha detto che Shayleen voleva in un certo senso prendere il controllo del Ministero, e che per quello aveva dato ordine di farla arrestare. Volevo sapere in che modo aveva capito le sue intenzioni: se Shayleen l’aveva fatto capire esplicitamente o se lo ha dedotto lei da qualcosa che ha detto o fatto…”
Kingsley annuì: “Immaginavo… credo che questo sia un po’ difficile da spiegare a parole, per questo pensavo fosse utile fartelo vedere” disse.
Si alzò dal suo posto per raggiungere un armadietto alle sue spalle e aprirlo.
Pochi secondi dopo uno strano bacile in pietra era stato appoggiato al centro della scrivania.
La cosa particolare però non era tanto il contenitore quanto il contenuto: all’interno c’era una strana sostanza argentea e cangiante che aveva un aspetto fluido e impalpabile allo stesso tempo.
“Questo è un pensatoio” spiegò Kingsley rispondendo alla muta domanda di Elise. “Quelli che vedi sono ricordi, miei ricordi” proseguì mentre faceva passare la bacchetta sopra la superficie.
Richiamato da quel movimento un filamento argenteo, un ricordo, emerse tra gli altri, aprendosi a rivelare delle immagini.
“Ti basterà avvicinarti” furono le ultime direttive.
Titubante Elise si accostò al bacile, appoggiando le mani sul legno della scrivania ai lati del pensatoio e avvicinando la testa quasi fino a sfiorare la superficie argentea con la punta del naso.
Si sporse ancora un po’ e l’attimo successivo le sembrò di essere risucchiata all’interno del pensatoio, in caduta libera all’interno di un pozzo senza fondo.
Chiuse gli occhi trovando il coraggio di riaprirli solo quando sentì i suoi piedi poggiarsi nuovamente su una superficie solida.
Era sempre nello studio del Ministro della Magia, che era perfettamente identico a quello dov’era fino ad un attimo prima eccetto che per qualche soprammobile e il pensatoio che non era più sulla scrivania.
 
Un Kingsley Shacklebolt di vent’anni più giovane era seduto al solito posto mentre dall’altro lato del mobile Shayleen stava andando avanti e indietro con aria concitata. All’epoca doveva avere la sua stessa età: erano davvero simili come le era stato detto.
Un’osservazione più accurata rivelava però che qualche dettaglio era comunque diverso.
Gli occhi verdi sfumati sull’arancione intorno alla pupilla e la dolcezza dei lineamenti non li aveva presi da lei.
“Ha idea di cosa questo potrebbe significare? Perché no?”
“Shayleen, pensavo che avessimo concordato sul fatto che è stato solo un caso. Probabilmente quell’uomo era un… Puro, come li chiami tu, già da prima, non è possibile che sia come dici tu” rispose pazientemente il Ministro.
Era almeno la decima volta che la ragazza cercava di convincerlo della sua idea, ma lui aveva già preso la sua decisione in merito: quello che Shayleen voleva fare era troppo pericoloso, non glielo avrebbe lasciato fare.
“E se non fosse così?” tornò alla carica l’Indicibile fermandosi di fronte alla scrivania guardando il mago negli occhi. “Se fosse veramente possibile fare in modo che anche le persone che normalmente usano la bacchetta possano farne a meno? Se solo mi lasciasse…”
“Non posso lasciarti usare le persone come cavie, Shayleen!” esclamò Kingsley interrompendola alzandosi con uno scatto dalla poltrona.
La ragazza indietreggiò di un passo.
“Lo so che vuoi capire meglio come funziona la tua magia e che ti piacerebbe che ci fossero più persone come te, ma non è questo il modo per farlo. Non puoi chiedermi l’autorizzazione per bloccare i poteri delle persone solo per fare una prova: sai bene quali potrebbero essere le conseguenze di un blocco così improvviso su un mago che usa la magia da tanto” continuò l’uomo smorzando appena i toni.
“Non penso che ci sia seriamente il rischio di una crisi da sovraccarico fulminante, e comunque nessuno ha mai provato, quindi come fanno ad esserne così sicuri?” ribattè lei.
“Questo non cambia il fatto che non posso lasciarti usare le persone come esperimenti!”
 
I due si guardarono per qualche istante.
 
“Quindi non ho il suo permesso” riassunse Shayleen.
“No, non ce l’hai” confermò Shacklebolt serio.
“Nemmeno sulle persone che sono già al San Mungo e che potrebbero…”
“No, nemmeno su quelle”
“Scusi il disturbo allora. Adesso sarà meglio che torni al lavoro” si congedò la ragazza.
“Buon lavoro Shayleen” rispose di rimando il Ministro, e l’attimo dopo era di nuovo solo nell’ufficio.
 
 
Improvvisamente l’ambiente intorno ad Elise tremò, e solo dopo qualche istante l’ufficio del Primo Ministro tornò a fuoco.
 
Era vuoto, e quando sentì la porta aprirsi non fece in tempo a spostarsi che Shacklebolt le passò attraverso senza tanti complimenti per andare a prendere posto dietro la scrivania per poi prendersi la testa tra le mani sospirando.
Il rumore di qualcuno che bussava alla porta lo fece riscuotere e fece sussultare anche la ragazza.
Il Ministro invitò l’ospite ad entrare ed Elise rimase incantata ad osservare i due nuovi arrivati, uno in particolare.
La sua attenzione passò rapidamente da Shayleen, non doveva essere passato troppo tempo dal ricordo precedente in cui l’aveva vista, al ragazzo dai capelli corvini e dai particolari occhi verdi al suo fianco: suo padre.
“Shayleen, Evan. Prego, accomodatevi” li accolse Kingsley indicando le due poltroncine davanti alla scrivania. Elise notò che Shayleen aveva scelto la stessa poltrona su cui si era seduta lei.
I due si guardarono prima che Shayleen prendesse parola: “A cosa dobbiamo questo incontro, Ministro? Se non sbaglio la scadenza per il prossimo rapporto non è prevista prima di dopodomani” disse la ragazza con tono deciso, l’espressione del viso impassibile.
Forse Kingsley non si aspettava un tale controllo, visto che assottigliò gli occhi quasi volesse studiare Shayleen ancora meglio.
“Penso che anche voi siate al corrente delle strane sparizioni che si stanno verificando in questo periodo” cominciò. “Persone che svaniscono nel nulla senza lasciare tracce se non la loro bacchetta spezzata rinvenuta nel presunto luogo del rapimento…”
I due ragazzi annuirono continuando a mantenere la loro espressione composta.
 
“Kludd è stato arrestato” disse alla fine Kingsley.
Con un moto di soddisfazione potè riconoscere un lampo di paura attraversare rapidamente gli occhi verdi di Evan, ma quello che vide negli occhi di Shayleen al contrario lo fece preoccupare: quella non era paura ma provocazione.
Kludd era un Indicibile che faceva parte del gruppo che lavorava con Shayleen, un omone grande e grosso anche lui capace di usare la magia senza bacchetta.
Di certo non era la mente del gruppo, ma a quanto gli avevano detto era un valido elemento e in effetti non era stato per niente facile fermarlo.
“C’è stata una soffiata in seguito alla quale è stata fatta una perquisizione della sua abitazione. Indovinate cosa, anzi, chi abbiamo trovato nel suo scantinato?” domandò il Ministro, ma i presenti sapevano che era una domanda retorica.
“Barran è scomparso poco più di una settimana fa, l’ultimo ad averlo visto è stato un suo collega prima che lasciasse l’ufficio per tornare a casa, dove non è mai arrivato. Le due parti della sua bacchetta spezzata sono state rinvenute vicino all’ingresso del Ministero a Londra, mentre lui è stato ritrovato poco fa nello scantinato di Kludd, morto” proseguì il ministro.
“Adesso voglio sapere cosa sapete voi di questa faccenda”
Il silenzio tornò ad avvolgere i presenti.
“Conoscevo Barran di nome e di fama, sapevo che era bravo in quello che faceva” commentò Shayleen senza tradire alcuna emozione. “Ma non capisco perché dovrei sapere qualcosa riguardo a quello che gli è successo. Il fatto che io lavori insieme Kludd non significa niente, di certo non so quali siano i suoi… hobby una volta fuori dall’Ufficio Misteri”
“Forse perché è risaputo che le persone del vostro gruppo non lavorano con te, quanto per te, Shayleen” ribattè Kingsley. Non si aspettava certo che la ragazza confessasse, ma il fatto che si dimostrasse così poco disponibile di certo non deponeva a suo favore.
“I Medimaghi hanno svolto l’autopsia sul corpo di Barran, ma nonostante tutto non sono riusciti a capire cosa gli sia stato fatto, né la causa della morte, voi avete qualche idea?” continuò il Ministro.
“Glielo chiedo di nuovo: perché mai io dovrei essere al corrente di quello che Kludd stava facendo?” rispose di nuovo Shayleen imperturbabile, anche se dal tono di voce iniziava ad essere percepita una certa nota di fastidio.
“Kludd è sempre stato un tipo solitario, pur lavorando insieme non abbiamo mai avuto abbondanti occasioni per parlare di qualcosa che non fosse strettamente legato al lavoro. Temo che non potremo essere di aiuto” commentò pacatamente Evan, parlando per la prima volta, stringendo leggermente un braccio a Shayleen quasi invitandola a calmarsi.
Kingsley sospirò scuotendo la testa: “Va bene, se questa è la vostra versione mi fido. Potete andare e scusate il disturbo”
 
 
Ancora una volta l’ambiente sembrò tremare e diventare sfocato prima di tornare normale.
 
Il Primo ministro era sempre al suo posto, seduto dietro la scrivania, mentre dall’altro lato c’era Evan, questa volta da solo.
“C’è lei dietro tutto questo, non è vero? Le sparizioni, le bacchette spezzate…” esordì Kingsley.
Lo sguardo di Evan si incupì impercettibilmente, ma il ragazzo non disse nulla.
“Non sembra che però le cose stiano andando molto bene” continuò il Ministro. “Immagino che se l’idea di Shayleen avesse funzionato le persone che sono scomparse ad un certo punto sarebbero spuntate di nuovo fuori, ma così non è stato. E questo mi fa arrivare alla conclusione che quelle persone ormai non siano più solo scomparse ma anche morte, soprattutto dopo che abbiamo ritrovato Barran… dico bene?”
“Lei è consapevole che non basta un semplice divieto per impedire a Shayleen di fare qualcosa, vero? Come quando era a scuola, pensa ancora che le regole siano fatte per essere infrante. E intendo qualsiasi regola…” disse semplicemente Evan misurando le parole, senza rispondere veramente alle domande che gli erano state poste.
“Poniamo che Shayleen non sia del tutto estranea a questi avvenimenti: cosa ne penserebbero gli altri? Le altre persone come voi che avete rintracciato cosa direbbero di questa cosa?” domandò il Ministro vagamente intimidito dalla risposta che avrebbe ricevuto.
“Loro… sarebbero con lei. Temo che, ipoteticamente parlando, potrebbero essere particolarmente allettati all’idea di un’intera… razza” storse la bocca pronunciando l’ultima parola “composta solo da Puri. Penso che sarebbero disposti ad appoggiarla qualsiasi cosa vorrà fare, sempre ipoteticamente parlando” concluse Evan, sembrava quasi sconsolato.
“E tu, Evan?” chiese infine Kingsley alzandosi e aggirando la scrivania fino a fermarsi a fianco del giovane.
Questo sembrò rifletterci per un attimo prima di alzarsi a sua volta a guardare il mago negli occhi.
“Io la amo. Farò il possibile per cercare di distoglierla dal suo proposito, ma sarò sempre dalla sua parte” rispose alla fine.
“Molto bene Evan” replicò Kingsley. “Grazie per essere venuto, puoi andare adesso”.
Il ragazzo annuì e lasciò l’ufficio.
 
 
Il Primo Ministro fece avanti e indietro per la stanza per qualche minuto.
Quando alla fine si fermò tirò fuori la bacchetta dalla veste, evocò un Patronus (Hermione aveva spiegato ad Elise tutto al riguardo) e lo mandò a cercare il capo del Dipartimento Auror affinchè si recasse subito nel suo ufficio.
Dopo un po’ un mago che Elise non aveva mai visto ma che indossava la stessa divisa che la ragazza aveva visto indosso al signor Potter fece il suo ingresso.
Non ci furono saluti o convenevoli.
“Raduna le tue squadre migliori” disse semplicemente Kingsley. “Voglio che Shayleen, Evan e tutto il loro gruppo di Indicibili vengano arrestati e portati ad Azkaban entro stasera, compresi coloro che cercheranno di aiutarli. Mi raccomando prestate la massima attenzione”
L’uomo annuì serio e dopo aver risposto con un duro “Sì signore” girò sui tacchi e lasciò la stanza.
 
 
L’ambiente intorno ad Elise riprese nuovamente a girare, e quella volta la ragazza si ritrovò proiettata sulla poltrona su cui si era accomodata all’inizio del colloquio con il Primo Ministro: era tornata al presente.
Kingsley la osservò per qualche istante mentre lei cercava di mettere insieme i vari pezzi prima di commentare con un cupo: “Adesso sai”.













Aggiornamento anticipato anche questa volta (lo so che queste note saranno lunghe ma vi prego di leggere fino alla fine, soprattutto la parte centrale).
Il punto è che mi sono appena ricordata (alle ore 22.15) che domani mattina vado via e non tornerò a casa fino alla prossima settimana, lasciando peraltro il mio computer abbandonato a se stesso sulla scrivania, quindi eccomi qua!
Piuttosto che in ritardo preferisco aggironare in anticipo :)
Capitolo un po' così, me ne rendo conto.
Esclusa la prima parte, che mi sono divertita un mondo a scrivere!, il resto è stato un vero e proprio parto (e nel caso non si capisse non mi convince ancora adesso).
Una cosa che mi sento di precisare, perchè mi rendo conto che giustamente i lettori non possono leggermi nel pensiero, è che in questo capitolo abbiamo una Shayleen di vent'anni prima, con motivazioni ben diverse rispetto a quelle che la spingono ad agire nell'attuale presente della storia.
Poi: nel capitolo 4 (quando James viene messo in punizione) faccio riferimento a misteriose sparizioni e a bacchette spezzate -adesso avete avuto la conferma di chi c'era dietro- e sono consapevole di aver quasi trascurato questo aspetto, ma vi assicuro che non me ne sono dimenticata!
Diciamo che c'è un perchè se le sparizioni sono finite quasi contemporanemente a quando Shayleen ha ritrovato Elise, e vi prometto che la cosa sarà spiegata.
Bene, della parte che mi premeva di più ho detto tutto, vi lascio lo spoiler del prossimo capitolo:

Ancora una volta fu Elise a riprendere la parola.
“Senti, Shayleen ha il suo bel da fare a dire che sono sua figlia e cavolate varie sulla fiducia… e poi non si fida di me per una cosa come questa? Non posso letteralmente dire una parola a nessuno su questa faccenda, cos’è che vi preoccupa, eh? Dille che per le cinque e mezza, sei al massimo, sarò da lei a quella stupida villa, promesso. E mi dispiace, ma la mia parola è l’unica cosa che sono disposta a darti in garanzia perché sai, anch’io mantengo sempre le mie promesse. E se non ti va bene… beh, è un problema tuo”
E prima di dare il tempo alla donna di ribattere in qualsiasi modo si era già smaterializzata.


Grazie come sempre per continuare a seguire/preferire/ricordare la storia, e un ringraziamento particolare a chi recensisce, i pareri dei lettori sono sempre preziosi!
Spero di non avervi confuso troppo le idee con la mia spiegazione di prima e in ogni caso sono sempre aperta a dubbi/domande/critiche.
Buona notte a tutti e alla prossima settimana
E.



 

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Capitolo 25
*** 24. Speechless ***


24 – Senza parole
 
 
 
Elise mangiava in silenzio masticando lentamente ogni boccone.
Peccato che quella del silenzio non fosse stata propriamente una sua scelta.
 
Quello che aveva appreso dai ricordi del Ministro della Magia era stato abbastanza per farle decidere che con sua madre non voleva più averci niente a che fare.
Raccontare tutta la storia su come si era ritrovata a casa di Shayleen dopo quella notte al San Mungo e tutto quello che ne era seguito le era sembrata la cosa più sensata da fare.
 
La prima a cui avrebbe raccontato tutto sarebbe però stata Julia: era sicura che l’amica avrebbe capito perché aveva taciuto la cosa fino a quel momento, e avrebbe potuto contare sul suo supporto quando sarebbe arrivata l’ora di confessarlo agli altri.
Aveva così deciso di affrontare l’argomento a cena, non aveva previsto che però si sarebbe letteralmente ritrovata a corto di parole.
 
 
Arrivata a metà dell’insalata che avevano preparato come secondo aveva infatti esordito con un: “Julia, devo confessarti una cosa” salvo poi trovarsi a boccheggiare aprendo e chiudendo la bocca senza che ne uscisse una parola.
La mora l’aveva guardata alzando un sopracciglio e lei si era affrettata a scuotere la testa scusandosi, dicendole che aveva cambiato idea e glielo avrebbe detto dopo: prima voleva finire di mangiare con calma.
 
Un unico pensiero le aveva occupato la mente per tutto il resto della cena: cosa diamine le era successo?
Perché non riusciva a raccontare nulla di quello che le era successo e che aveva a che fare con Shayleen?
 
Senza farsi notare aveva provato a iniziare il discorso un altro paio di volte ma niente, ogni volta la voce le si bloccava in gola e lei non riusciva ad emettere un suono.
 
L’illuminazione le arrivò mentre terminava di asciugare il lavello dopo aver finito di lavare i piatti.
Buttò in parte il canovaccio correndo in camera sua: prese il primo pezzo di carta utilizzabile che trovò sottomano sulla scrivania, appoggiò la punta della penna al foglio e… niente, non riusciva nemmeno a scrivere!
La sua mano sembrava come paralizzata, incapace di eseguire i suoi comandi.
Mollò bruscamente la penna inspirando profondamente.
Shayleen doveva averle fatto qualcosa, era l’unica spiegazione.
 
“Allora, di cosa volevi parlarmi?” le domandò Julia, appoggiata allo stipite della porta, facendola sobbalzare.
“Ecco, io…” provò di nuovo Elise, ma il risultato era sempre lo stesso.
La ragazza gemette frustrata mettendosi le mani nei capelli.
“Volevo dirti una cosa… mi credi se ti dico che non riesco a farlo? Ogni volta che provo a toccare l’argomento è come se la voce mi si bloccasse. Non riesco nemmeno a scriverlo…” spiegò, sperando che Julia avrebbe accettato anche quella sua ultima stramberia con il suo solito atteggiamento ottimista.
Quella sembrò soppesare per qualche istante la strana spiegazione che le era stata fornita per poi alzare le spalle.
“Suppongo che allora aspetterò finchè non troverai un modo per… sbloccarti” commentò alla fine.
“Grazie” sussurrò Elise mentre la coinquilina usciva dalla stanza.
 
Quella cosa doveva essere assolutamente risolta al più presto.
 
 
 
***
 
 
 
Si materializzò esattamente davanti alla porta d’ingresso di casa Potter.
Sarebbe potuta comparire direttamente nel salotto, ma aveva pensato che sarebbe stato più educato bussare e soprattutto non voleva rischiare di finire addosso a qualcuno come era successo l’ultima volta…
Suonò il campanello e qualche istante dopo dall’ingresso si sentirono i passi di qualcuno che arrivava ad aprire.
La porta venne spalancata ed Elise si ritrovò davanti la faccia stupita di Albus.
 
“Elise, ciao! Cosa fai di bello da queste parti? Vieni dentro, abbiamo appena finito di cenare”.
La ragazza entrò balbettando scuse riguardo al fatto che non voleva disturbare e che ci avrebbe messo solo pochi minuti alle quali Albus non prestò la minima attenzione occupato com’era ad urlare a squarciagola la notizia del suo arrivo al restante degli abitanti della casa.
“Volevo chiedere una cosa a tuo padre” spiegò intanto Elise facendo finta di non aver notato che mentre Albus richiudeva la porta alle loro spalle James si era affacciato nel corridoio per poi smaterializzarsi all’istante per andare chissà dove.
Il ragazzo annuì facendole poi segno di seguirlo.
 
 
La condusse in cucina: il tavolo era già stato sparecchiato e preparato per la colazione, mentre le stoviglie nel lavello erano state incantate dalla signora Potter in modo che si lavassero, asciugassero e si rimettessero a posto da sole.
Elise prese mentalmente nota che avrebbe dovuto provare anche lei a farlo: molto meglio che lavare i piatti a mano.
 
“Elise, a cosa dobbiamo questa visita?” la salutò il signor Potter distogliendola dai suoi pensieri.
L’uomo era ancora seduto al tavolo, era così strano vederlo senza la divisa da Auror, sgranocchiando alcuni biscotti sotto lo sguardo di disapprovazione della moglie.
Le fece cenno di prendere una sedia e sedersi a sua volta.
 
“Ero venuta per chiederle una cosa. Lo so che è tardi, ma volevo togliermi il dubbio il prima possibile”
Nel frattempo la signora Potter e Albus avevano silenziosamente lasciato la stanza.
Harry la invitò a continuare.
“Volevo sapere se esiste un incantesimo in grado di impedire di dire determinate cose…” spiegò. “Nel senso… voler dire una certa cosa e non riuscirci perché la voce ti rimane come bloccata in gola…” proseguì cercando di spiegarsi meglio, non era sicura di essere riuscita a far capire quello che intendeva.
 
Il signor Potter invece annuì sorprendendola.
“Sì, è lo stesso incantesimo che è alla base dell’Incanto Fidelius, quello che abbiamo fatto sul tuo appartamento e per il quale solo tu e io, che siamo i Custodi, possiamo rivelare l’indirizzo a qualcuno che non lo conosce. Se ci provasse James, o Julia, si ritroverebbero proprio come hai detto tu: la lingua paralizzata, le parole che non escono… ovviamente l’incantesimo può essere usato per gli scopi più disparati: appunto, nascondere un’abitazione, un oggetto, una persona… perché ti interessa?”
 
A quel punto Elise avrebbe volentieri preso a sbattere la testa sul tavolo della cucina per non esserci arrivata subito da sola.
Era così ovvio!
E adesso invece doveva anche dare una spiegazione.
 
“Ecco…”
Lo squillo del cellulare la salvò all’ultimo proprio come succedeva a scuola con la campanella che segnava la fine dell’ora e delle sofferenze del povero interrogato di turno.
Elise si scusò con il signor Potter prima di rispondere.
 
“Sì?”
“Elise si può sapere dove cavolo sei finita?” la voce di Julia le arrivò dall’altra parte della cornetta rischiando di farle saltare il timpano.
Probabilmente persino il signor Potter era riuscito a sentirla senza problemi.
“Non avevi il turno di notte oggi? E non dirmi che sei già andata perché hai lasciato tutte le tue cose qui a casa…” continuò imperterrita la sua coinquilina senza lasciarle il tempo di dire nulla.
A quelle parole Elise si ritrovò a fare mente locale: il pomeriggio precedente non era andata in reparto perché l’infermiera che le faceva da tutor aveva chiesto la giornata libera, ma quel giorno avrebbe avuto turno regolare, ovvero notte.
Si scostò il cellulare dall’orecchio per controllare l’ora scoprendo con orrore che mancava poco più di mezz’ora all’inizio del turno.
“Grazie Julia, arrivo”
Chiuse la chiamata alzandosi in piedi e dirigendosi verso l’uscita seguita a ruota dal signor Potter.
“Le spiegherò tutto la prossima volta, promesso” si scusò mentre apriva la porta.
Che poi, non avrebbe potuto smaterializzarsi direttamente dall’ingresso?
“Adesso devo proprio andare. Mi ero completamente dimenticata di avere il turno di notte…” concluse.
E dopo aver notato distrattamente il signor Potter che la salutava si smaterializzò.
 
 
 
***
 
 
 
Le quasi dieci ore di turno passarono troppo lentamente per i gusti di Elise, che aveva passato la maggior parte del tempo a pensare ad un modo per risolvere quella situazione senza dover coinvolgere Shayleen.
Ovviamente senza risultato.
 
 
Ormai era rimasta l’ultima in spogliatoio, si affrettò quindi a finire di cambiarsi per poi assicurarsi che il suo armadietto fosse chiuso a dovere: non vedeva l’ora di arrivare a casa e sprofondare nel letto.
 
Aveva finito di chiudere la porta dello spogliatoio quando, nel girarsi, andò a sbattere addosso a qualcuno.
Una collega in ritardo, molto probabilmente.
“Scusi” disse in fretta senza neanche alzare lo sguardo e senza fermarsi, la sua mente impegnata a visualizzare un’immagine piuttosto accurata del suo cuscino.
Le bastava girare l’angolo del corridoio, assicurarsi che non ci fosse nessuno e si sarebbe potuto materializzare direttamente in camera sua.
 
“Non così in fretta, tesoro” una voce beffarda la fece bloccare sul posto.
Una voce che, purtroppo, non ebbe alcuna difficoltà a riconoscere.
 
“Nancy” Elise salutò la Guaritrice del San Mungo con finta allegria voltandosi a fronteggiarla.
“Ti avviso che non sono dell’umore adatto, lasciami andare. Shayleen non aveva detto che mi avreste lasciata in pace finchè non sarei stata io a tornare da lei?” le ricordò.
Il sorriso sul volto di Nancy si allargò ulteriormente.
“Certo, Shayleen mantiene sempre le sue promesse, ma quello che hai appena detto è stato valido finchè qualcuno non ha provato a spifferare tutto quanto. Un uccellino mi ha detto che hai provato a parlarne con quella tua amica babbana, e anche con il capo degli Auror… bel modo di ricambiare la fiducia di tua madre” le rispose a tono godendosi l’espressione a metà tra lo stupito e lo spaventato di Elise.
“Davvero pensavi che non ti avremo tenuto d’occhio in qualche modo? Che ti avremo lasciata la possibilità di raccontare tutto e rovinare di nuovo i suoi piani…?”
 
“Adesso basta” la fermò Elise facendo rimbombare la voce nel corridoio e cercando di mantenere la calma: i palmi delle mani avevano cominciato a pruderle.
“Cosa vuoi Nancy?” domandò poi.
La donna sembrò felice di essere arrivata direttamente al punto.
“Beh, è ovvio: voglio che tu venga con me. Shayleen è del parere che sia passato un periodo di tempo ragionevolmente lungo dall’ultima volta che vi siete incontrate. Vuole sapere cos’hai deciso, e vuole saperlo ora”.
 
“Non verrò con te” rispose subito Elise.
“Ragazzina, non costringermi a usare le maniere forti…” finalmente quell’odioso sorriso cominciava a scemare.
“No, tu non costringere me. Sai di cosa sono capace” ribattè prontamente. “Non verrò con te perché non riuscirei mai a trovare una scusa convincente per la mia assenza dopo un turno di notte, sono distrutta e voglio solo andare a dormire”
Ed era la pura verità.
 
Di certo non era nelle condizioni di affrontare Shayleen.
Era anche vero che aveva rimandato quell’incontro per quanto aveva potuto e ormai non le era più concesso di tirarsi indietro, di sicuro loro non glielo avrebbero permesso.
In più c’era anche il problema di quel dannato incantesimo che le impediva di parlare di Shayleen a chiunque, e le era chiaro che l’unico modo per avere una minima possibilità di scioglierlo era andare a parlare con la diretta interessata.
 
 
“Ti propongo una cosa” disse alla fine tirando un sospiro di sollievo nel notare che Nancy sembrava disposta ad ascoltarla.
“Io adesso vado a casa, prima di addormentarmi qui in piedi, e quando reputerò di aver dormito abbastanza penserò ad una scusa da rifilare a Julia e verrò da voi. Da lei. Ormai mi so smaterializzare, non sarà necessario che qualcuno venga a prendermi. Ok?”
“E io come posso essere sicura che verrai?” la provocò subito la guaritrice.
Elise sorrise: “Temo che ti dovrai far bastare la mia parola…”
“E io temo che nella posizione in cui ti trovi la tua parola non sia sufficiente…”
 
Elise sbuffò sonoramente alzando gli occhi al cielo.
 
L’avrebbe schiantata.
L’avrebbe schiantata così forse sarebbe potuta finalmente andare a dormire.
 
“Facciamo così: di solito mi sveglio verso le quattro del pomeriggio. Se per le sei non sono ancora arrivata avete il permesso di venirmi a prendere, va bene così?”
 
Fa che dica di sì, fa che dica di sì…
 
“Molto astuta, davvero. Ma sappiamo che hai nascosto l’appartamento dove abiti, non ci sarebbe possibile avvicinarci neanche se volessimo”
 
Come non detto
 
 
Le due continuarono a guardarsi in cagnesco: era ovvio che nessuna aveva intenzione di cedere per prima.
 
Ancora una volta fu Elise a riprendere la parola.
“Senti, Shayleen ha il suo bel da fare a dire che sono sua figlia e cavolate varie sulla fiducia… e poi non si fida di me per una cosa come questa? Non posso letteralmente dire una parola a nessuno su questa faccenda, cos’è che vi preoccupa, eh? Dille che per le cinque e mezza, sei al massimo, sarò da lei a quella stupida villa, promesso. E mi dispiace, ma la mia parola è l’unica cosa che sono disposta a darti in garanzia perché sai, anch’io mantengo sempre le mie promesse. E se non ti va bene… beh, è un problema tuo”
E prima di dare il tempo alla donna di ribattere in qualsiasi modo si era già smaterializzata.
 
 
 
Apparve pochi secondi dopo in camera sua, tra il viaggio turbolento e la stanchezza dovette sorreggersi al muro per non cadere.
Ebbe giusto il tempo di mettersi in pigiama che Julia aveva già fatto capolino dalla porta.
“Finalmente, stavo cominciando a preoccuparmi, non arrivavi più” la salutò la mora.
“Consegne* lunghe, nulla di nuovo” si giustificò Elise soffocando uno sbadiglio sedendosi finalmente sul tanto agognato letto.
Julia annuì comprensiva apparentemente ignara della bugia.
“Ti lascio dormire” disse alla fine. “Io oggi ho pomeriggio, quindi non credo che mi troverai al tuo risveglio” la informò.
Elise accolse di buon grado la notizia: almeno così non avrebbe dovuto inventarsi una scusa per l’uscita che aveva in programma e mentire di nuovo.
 
Evidentemente l’amica doveva aver capito che stava pensando a qualcosa perché: “Va tutto bene?” le domandò subito.
La ragazza si affrettò ad annuire rispondendo affermativamente.
“Ah, quasi dimenticavo” aggiunse Julia già mezza fuori dalla porta. “Prima è passato il signor Potter, ti cercava. Ha detto qualcosa riguardo un discorso che avete iniziato ieri sera… se riesce ripasserà nel pomeriggio”
“Ok, va bene”
 
 
No, non va bene per niente pensò Elise quando rimase finalmente sola.
Pazienza, sarebbe andata da Shayleen comunque, e se il signor Potter avesse avuto qualcosa da ridire riguardo la sua assenza avrebbe sempre potuto dire che era uscita un attimo a fare una passeggiata o a fare la spesa.
 
In quel momento però l’unica cosa che avrebbe fatto sarebbe stata una lunga dormita.
 
 
 
 
 
 
*Le consegne, per chi non è del mestiere, sono le informazioni su ogni paziente che gli infermieri che smontano dal turno passano a quelli del turno successivo.
(E sì, fidatevi, a volte possono essere davvero mooolto lunghe…)













Sono tornata!
Ormai anche agosto sta finendo e l'idea che tra qualche giorno sarà di nuovo settembre mi mette i brividi.
Comunque... in questa settimana in cui sono stata via ho avuto modo di rilassarmi un po' e di pensare alla storia: ormai la trama dovrebbe essere sufficientemente definita e l'unica cosa che mi manca è l'idea per l'epilogo.
A questo proposito volevo chiedere a voi se vi piacerebbe l'epilogo in stile "19 anni dopo", o anche meno (devo solo fare i calcoli delle varie età) o se preferireste qualcosa di diverso.
Fatemi sapere che ci tengo a sapere cosa ne pensate!

Anche questo capitolo è un po' di passaggio, ma vediamo che pian piano le cose cominciano a sbloccarsi a partire da Elise che decide finalmente di parlare di tutto quello che ha taciuto fino a questo momento.
Chissà se ce la farà...
Vi lascio lo spoiler del prossimo capitolo:

“In effetti hai ragione, volevo proprio chiederti una cosa” cominciò.
Shayleen la guardò sempre sorridendo invitandola ad andare avanti.
“Volevo chiederti di rimuovere l’incantesimo che mi impedisce di parlare di te, qualunque esso sia” concluse.
 
La reazione della donna non fu quella che si aspettava.

Pensava che si sarebbe arrabbiata, che magari avrebbe dovuto persino fare ricorso ai suoi poteri per difendersi, e invece…
 
“Oh, Elise, sono così contenta che tu me l’abbia chiesto!” esclamò la donna.
La ragazza la guardò incredula: “Davvero? Quindi toglierai l’incantesimo?” domandò chiedendosi allo stesso tempo come mai fosse stato così facile convincerla.
“Davvero” confermò Shayleen nel frattempo. 

Che dite? Shayleen toglierà davvero l'incantesimo ad Elise (che abbia preso una botta in testa?) o è tutto solo un trucco?
Alla prossima settimana!
E.

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Capitolo 26
*** 25. Time's up (bis) ***


Piccola nota: nell'avviso apparso su EFP c'era scritto che si sarebbe trattato di un problema di pochi giorni, ma a quanto pare è già passata una settimana e la cosa ancora non è stata risolta.
Come avrete notato ho aggiunto la postilla "bis" al titolo del capitolo, perchè effettivamente questo è il capitolo che avevo già caricato lunedì scorso e che per gentile concessione del server è sparito nel nulla.
Non so quanti di voi siano riusciti a leggerlo prima che non potesse più essere visualizzato, ringrazio comunque chi l'ha fatto ed eventualmente chi avesse lasciato una recensione (perchè ovviamente non si vedono nemmeno quelle).
Se qualcuno volesse lasciare un commento su questo capitolo sappia che non lo cancellerò: se quando il problema sarà risolto mi ritroverò con due capitoli 25 i futuri lettori saranno liberi di saltare quello dei due che preferiscono, tanto sono uguali.
Concludo rassicurandovi che nonostante questo "contrattempo" avrete lo stesso il nuovo capitolo, lo posterò più tardi nel pomeriggio, o stasera, così che tutti abbiano intanto modo di mettersi in pari con questo.
Mi scuso per avervi annoiato con questa nota che alla fine tanto piccola non è stata.
Buona lettura!
E.





25 – tempo scaduto
 
 
 
Come aveva previsto si svegliò che mancavano pochi minuti alle quattro.
Con la vitalità e l’entusiasmo degni di un Infero (che a quanto le aveva spiegato Hermione poteva essere considerato più o meno come un parente del più babbano zombie) si diresse in cucina per fare la colazione che, come ogni volta che aveva turno di notte, non aveva fatto di mattina.
Si concesse di continuare a non pensare nulla finchè non ebbe finito di farsi la doccia, ma quando arrivò il momento di scegliere i vestiti non potè più fare finta di niente.
 
Il tempo per rimandare era finito.
 
Si conosceva abbastanza bene da sapere che fare piani in anticipo non le si addiceva: per quanto fossero ben pensati avrebbe comunque trovato il modo di far andare storto qualcosa e rovinare tutto di conseguenza.
Tanto valeva andare avanti improvvisando prendendo le cose come venivano.
 
Dopo essersi assicurata di avere il cellulare –rigorosamente spento- in tasca insieme alle chiavi di casa decise che era pronta.
 
Fece un respiro profondo, e visualizzando nella sua testa l’immagine di una maestosa villa circondata da un grande parco si smaterializzò.
 
 
 
 
Evidentemente durante il viaggio i suoi pensieri si erano soffermati un po’ troppo sul ricordo della fontana al centro del giardino: questione di centimetri e ci sarebbe finita dentro in pieno.
Riprese l’equilibrio aiutandosi con il bordo della vasca e si fermò ad osservare la villa che sorgeva davanti ai suoi occhi.
Da dov’era poteva persino indovinare quale fosse la finestra, con annesso terrazzo, della sua camera.
 
Cominciò a procedere a passo incerto: se da una parte non vedeva l’ora di riuscire a liberarsi di quell’incantesimo che le teneva letteralmente legata la lingua quando si arrivava ad un certo argomento, l’altra la parte più fifona e forse razionale di lei le intimava di fregarsene e di fare dietro front seduta stante.
 
Si ritrovò davanti al massiccio portone d’ingresso prima di quanto pensasse e, ancora decisa a non voler far piani ma ad improvvisare, bussò sonoramente con il pesante batacchio prima che potesse cambiare idea.
 
 
Si aspettava di trovare Nancy dietro la porta, Jack o la signorina Clark al massimo.
Di certo non avrebbe mai pensato che sua madre si sarebbe scomodata a fare una cosa come aprire la porta, eppure fu proprio lei che si trovò davanti non appena l’uscio si fu aperto.
 
“Lo sapevo che saresti venuta” la accolse Shayleen abbracciandola prima che Elise riuscisse a scansarsi.
“Vieni dentro, sei arrivata giusta in tempo: Silly ha appena servito il tè” continuò entusiasta sciogliendo l’abbraccio.
Elise fece per annuire automaticamente, ma la sua testa si bloccò di scatto non appena un pensiero le passò per la mente: tè?
E magari ci sarebbero stati anche i biscotti, oppure i tramezzini che aveva mangiato l’ultima volta…
Non ebbe bisogno di pesarci sopra ulteriormente per decidere che quella volta non avrebbe mandato giù una singola briciola.
 
Seguì comunque Shayleen all’interno fino al salone dove avevano parlato la volta precedente, di nuovo il tavolo era riccamente apparecchiato.
 
 
Una volta che si furono accomodate, una di fronte all’altra, Shayleen le fece segno di servirsi.
 
“No, grazie. Stavolta sono a posto, ho fatto merenda da poco” rifiutò cortesemente Elise, dicendo tra l’altro la verità.
La donna sembrò presa in contropiede dalla sua risposta, segno che forse alla fine dei conti qualcosa doveva esserci in quel cibo, ma si riscosse quasi subito.
“Magari più tardi ti verrà voglia di mangiare qualcosa” disse semplicemente, ed Elise dovette mordersi la lingua per non dire ad alta voce il ne dubito fortemente che aveva pensato.
 
“Dunque” riprese la parola Shayleen “Visto che sei tornata immagino che tu abbia qualcosa da chiedermi…”
Elise alzò gli occhi al cielo: come se fosse lì di sua spontanea volontà…
Però, visto che glielo stava chiedendo così esplicitamente…
 
“In effetti hai ragione, volevo proprio chiederti una cosa” cominciò.
Shayleen la guardò sempre sorridendo invitandola ad andare avanti.
“Volevo chiederti di rimuovere l’incantesimo che mi impedisce di parlare di te, qualunque esso sia” concluse.
 
La reazione della donna non fu quella che si aspettava.
Pensava che si sarebbe arrabbiata, che magari avrebbe dovuto persino fare ricorso ai suoi poteri per difendersi, e invece…
 
“Oh, Elise, sono così contenta che tu me l’abbia chiesto!” esclamò la donna.
La ragazza la guardò incredula: “Davvero? Quindi toglierai l’incantesimo?” domandò chiedendosi allo stesso tempo come mai fosse stato così facile convincerla.
“Davvero” confermò Shayleen nel frattempo. “Perché se me lo stai chiedendo vuol dire che hai finalmente deciso da che parte stare”
 
Ecco perché…
 
Elise scosse la testa bloccando la donna prima che potesse aggiungere altro.
 
Si cominciava ad improvvisare sul serio.
 
“Già, ma la parte che ho scelto temo non sia la tua” affermò sicura. “Il Primo Ministro mi ha fatto vedere i suoi ricordi, quello che volevi fare vent’anni fa e che evidentemente stai provando a rifare adesso. Se pensi che io possa appoggiare una cosa del genere sei pazza sul serio”
“Tu fai un grosso errore, Elise, a non voler far parte di tutto questo. Hai idea di quello che potrebbe portarti in futuro? Rispetto, potere…”
 
Ormai era chiaro che entrambe avevano smesso di recitare e avevano cominciato a parlare a carte scoperte rivelando quello che davvero pensavano.
 
“Non mi interessa il potere, voglio solo essere lasciata in pace! Io e le persone a cui tengo. Quindi ora tu mi fai il piacere e annulli l’incantesimo che mi hai fatto e mi lasci andare, dimostrandomi che forse un pochino, in fondo in fondo, ci tieni a me, oppure me ne vado subito e troverò il modo di sciogliere questo maledetto incantesimo da sola in un modo o nell’altro” ribattè alzandosi con talmente tanta foga che per poco non buttava la sedia a gambe all’aria.
 
Shayleen la guardò, sembrava divertita.
“Temo che nessuna delle due opzioni sia percorribile, mia cara. Vedi, non posso certo permetterti che tu vada in giro a rivelare i miei piani, speravo che metterti al corrente ti avrebbe convinta a stare dalla parte a cui appartieni, ma così non è stato, peccato… motivo per cui non posso annullare l’incantesimo” disse pacatamente.
“Allo stesso tempo però non posso comunque lasciarti andare” continuò poi. “Vedi, la cosa interessante è che, con il tuo consenso o meno, posso comunque usarti per il mio scopo… e non fare quella faccia!” aggiunse notando l’espressione sconcertata di Elise: e meno male che aveva detto che le voleva bene incondizionatamente…
“Sei mia figlia e ti voglio bene. Ma tu ancora non conosci le tue vere potenzialità, e io non posso permettere che per una banale divergenza di opinioni queste vengano sprecate, spero tu possa comprendermi”.
 
Mentre parlava aveva fatto il giro del tavolo fino ad arrivare al fianco di Elise, afferrandola saldamente per il braccio.
Elise provò a dimenarsi ottenendo solo che la donna stringesse ulteriormente la presa.
Quasi non stesse neanche facendo fatica Shayleen le appoggiò il palmo della mano sul petto, all’altezza del cuore, e mormorò qualcosa a voce troppo bassa perché Elise potesse capire.
Non che alla ragazza interessasse poi così tanto visto che nel momento in cui la donna aveva finito di pronunciare quella strana formula aveva cominciato a sentire qualcosa.
 
Era iniziato come un leggero fastidio, come qualcosa che stesse grattando contro la pelle, per poi aumentare progressivamente fino ad avere la sensazione che qualcuno la stesse letteralmente pugnalando al cuore con uno stiletto sottile e affilato.
 
Le ginocchia le cedettero mentre boccheggiava per il dolore nel momento in cui una scossa le partì dal centro del petto per diffondersi in tutto il corpo, simile a quelle che aveva quando le venivano le crisi – sembravano passati secoli dall’ultima -  ma prima che potesse toccare il pavimento la terra le mancò da sotto i piedi.
 
Prima che potesse rendersene conto non erano più nel salone ma nella sua camera.
 
Non appena Shayleen lasciò la presa Elise, nonostante fosse crollata sul parquet con la vista ancora annebbiata dal dolore, provò a smaterializzarsi per lasciare la villa, ma rimase inesorabilmente incollata al pavimento.
La donna sorrise freddamente: “Temo che sia impossibile smaterializzarsi e materializzarsi all’interno dell’edificio, tesoro. Regola appena inaugurata appositamente per te” disse rispondendo alla domanda che Elise si era silenziosamente chiesta tra sé e sé.
 
“Ti lascio sola a riflettere. Se solo volessi potrebbe andare tutto molto diversamente, potresti addirittura divertirti, sai? Pensaci” e così dicendo uscì dalla camera lasciandola da sola come promesso.
 
 
 
Le ci vollero almeno venti minuti per riprendersi.
Suo malgrado si era trascinata fino al letto per poi ricaderci pesantemente sopra cercando di calmare il respiro affannato con la speranza che il dolore al petto si affievolisse.
Alla fine, poco per volta, la sensazione dolorosa aveva cominciato a regredire finchè tutto tornò come se non fosse mai successo nulla.
La ragazza andò persino allo specchio ad osservare la parte offesa, ma non c’era nulla che potesse suggerire che fosse successo qualcosa.
 
Dopo essersi assicurata che fosse tutto apposto, almeno apparentemente, decise che era arrivato il momento di uscire da quella camera.
 
 
A nulla valsero i tentativi di Elise di forzare la porta e le finestre.
Qualunque fosse l’incantesimo che le bloccava lei non era –ancora- in grado di superarlo.
Aveva persino provato a rompere il vetro della porta finestra con la sedia del tavolo da toeletta, ma ovviamente anche quello si era rivelato del tutto inutile: il vetro non si era neanche incrinato, la sedia in compenso… meno male che aveva imparato a riparare gli oggetti.
Chiamare Julia con il cellulare, ammesso che funzionasse, era fuori discussione: i soccorsi sarebbero stati del tutto inutili visto che non avrebbe neanche saputo dirgli dove si trovava.
 
Era chiaro che non sarebbe uscita di lì finchè non l’avesse voluto Shayleen.
 
Giurò a se stessa che, incantesimo o meno, alla prima occasione avrebbe raccontato tutto al signor Potter e al Primo Ministro, in un modo o nell’altro.
Solo in quel momento sembrava rendersi conto che grande errore fosse stato non essere del tutto sincera con loro fin dall’inizio.
Forse dopotutto James non aveva tutti i torti ad averla trattata come aveva fatto…
 
 
Senza neanche rendersene conto si ritrovò a prendere a pugni il vetro della finestra, quasi che scaricare a quel modo la sua rabbia e la sua frustrazione potesse servire a qualcosa.
 
E in effetti…
 
Dopo un colpo più forte degli altri non furono solo le sue nocche a scricchiolare in modo poco rassicurante: là dove l’aveva appena colpito sul vetro era indubbiamente comparsa una crepa, un leggero alone rossastro intorno al margine frastagliato.
Elise si osservò stranita la mano prendendo atto solo in quel momento che stava sanguinando.
 
Che fosse quella la chiava per poter uscire?
 
Ignorando il dolore, avrebbe pensato a guarirsi in un secondo momento, tirò un altro pugno alla finestra: la ferita sulla mano si allargò e così la crepa sul vetro.
Respirò profondamente e chiuse gli occhi.
Li riaprì soltanto nel momento in cui il tintinnio di alcuni frammenti di vetro che cadevano per terra raggiunse le sue orecchie.
Le sue mani erano in condizioni pietose, ma non importava.
Intanto aveva raggiunto il suo obiettivo: la barriera che prima c’era sulla finestra era scomparsa, riusciva a percepirlo.
 
Con la mano tremante abbassò la maniglia e la porta finestra di aprì ubbidiente lasciandola libera di uscire nel terrazzo.
 
Lo percorse tutto fino ad affacciarsi al balcone.
Dal secondo piano era un bel salto, decisamente ben più alto che dall’altalena, ma evidentemente l’adrenalina che le scorreva in circolo aveva finalmente cominciato a fare il suo effetto visto che non ci pensò su due volte prima di scavalcare il parapetto e saltare di sotto.
 
Atterrò in piedi piegando le ginocchia il più possibile per assorbire l’atterraggio che era stato più brusco del previsto.
Il tempo di raddrizzarsi e già stava correndo cercando di lasciarsi la villa alle spalle nel minor tempo possibile.
Shayleen aveva detto che non le sarebbe stato possibile smaterializzarsi all’interno della casa, non sapeva se la cosa valeva anche per il giardino e voleva quindi raggiungere il limite della proprietà il prima possibile.
 
Non andò purtroppo molto lontano che qualcosa la colpì alla spalla facendole perdere l’equilibrio nella corsa e cadere sull’erba soffocando un gemito di dolore.
Si portò una mano alla parte lesa e il sangue delle mani che stava iniziando a seccarsi si mescolò a quello fresco della nuova ferita.
 
“Dove vai così di corsa?” la voce bassa e roca di Jack le arrivò alle spalle mentre si rialzava lentamente in piedi: era stato lui a colpirla.
“Shayleen non pensava che saresti arrivata a capire come superare le barriere della stanza, pensava che te ne saresti stata buona, ma per sicurezza ci ha comunque ordinato di tenere gli occhi aperti, e infatti…”
Non finì la frase che Elise, seppur stringendo i denti, era passata al contrattacco.
Che senso aveva avuto fare tutte quelle lezioni con il signor Potter ed Hermione se poi non le metteva in atto?
 
Anche Jack non rimase con le mani in mano, ed Elise si rese ben presto conto di essere pesantemente in svantaggio, non avrebbe resistito ancora a lungo.
Non le sfuggì comunque il fatto che Jack stesse cercando di stancarla, non di bloccarla, quindi forse…
 
Pagò caro l’attimo di distrazione visto che Jack riuscì ad eludere la sua guardia e a colpirla di nuovo, sempre sulla spalla.
L’incantesimo che però aveva usato quella seconda volta non era come il precedente.
Era quell’incantesimo.
La ragazza poteva sentire la differenza visto che sangue ed energia sembravano fluire di pari passo fuori dalla ferita.
 
Crollò in ginocchio sul prato, la mano a tenersi il braccio della spalla colpita che stava lentamente iniziando a perdere sensibilità.
 
In un ultimo disperato tentativo si concentrò sul suo appartamento, quasi ridendo tra le lacrime quando si rese conto che stava funzionando: riusciva a smaterializzarsi!
 
La seconda maledizione di Jack colpì l’erba bruciacchiandola là dove fino ad una manciata di secondi prima c’era lei.
 
 
 
***
 
 
 
Arrivò sul ballatoio del piano del suo appartamento collassando praticamente addosso al muro, troppo sfinita anche solo per tentare un atterraggio decente.
Quando fu sicura che non sarebbe svenuta al primo passo cominciò lentamente ad avvicinarsi alla porta, fino ad appoggiarvisi sopra di peso.
Con l’orecchio appoggiato sopra la superficie fredda poteva sentire le voci delle persone che stavano parlando all’interno.
 
“Sei sicura di averlo messo bene?” stava chiedendo il signor Potter.
“Certo che sono sicura. Gliel’ho messo tra la cover e il cellulare, che non è qui in casa, quindi deve averlo per forza con lei. Ora mi vorrebbe spiegare cosa c’è che non va?” rispose Julia piccata.
“È andato tutto bene fino ad un’oretta e mezza fa” spiegò il signor Potter serio. “Il localizzatore segnava che Elise era sempre qui a casa. Poi, di colpo, è come impazzito. Ma l’unica spiegazione per un comportamento del genere è che Elise sia andata in un posto particolarmente protetto da diverse barriere magiche, più di quelle che proteggono il posto in cui ci alleniamo al parco: non avrebbe avuto problemi se fosse andata là…”
 
Elise cercò di elaborare quello che aveva appena sentito: le avevano messo una specie di localizzatore magico nel telefono?
Avrebbe sbuffato se il torace non le avesse fatto un male cane per colpa di qualche costola che era come minimo incrinata a causa dello scontro con Jack.
 
Ormai era giunta al limite.
 
Senza sapere come riuscì a sfilarsi le chiavi di casa dalla tasca dei jeans e a infilarle nella toppa.
Spalancò la porta con una spinta cercando di non finire lunga distesa per terra nel compiere il gesto.
 
Le esclamazioni di spavento che le giunsero erano sicuramente pienamente giustificate: era certa di avere un aspetto orribile.
 
I tagli sulle mani erano i meno gravi, ma erano tutti gonfi e arrossati, e non poteva escludere che non ci fosse qualche scheggia di vetro rimasta incastrata.
Le costole le facevano male ad ogni respiro che le usciva affannato e superficiale.
A giudicare dal sangue che le colava lungo la guancia doveva anche avere un taglio da qualche parte sul viso, probabilmente in fronte, e non era neanche sicura di ricordarsi quando Jack era riuscito a farglielo.
A causa delle diverse cadute persino i pantaloni si erano strappati lasciando scoperte le ginocchia sbucciate.
Il pezzo forte era però senza alcun dubbio la sua spalla sinistra.
La macchia di sangue sulla maglia stava continuando ad espandersi, poteva dirlo dal bagnato che sentiva, ed era certa di non voler sapere quale fosse l’aspetto della ferita sottostante ben visibile grazie allo squarcio nella stoffa dell’indumento.
Ah, e non dimentichiamoci della scia di sangue che aveva lasciato sul pavimento dal punto dove si era materializzata sul pianerottolo a dove si era fermata in quel momento.
 
 
Tutto diventò nero all’improvviso e lei smise di preoccuparsi di qualsiasi cosa.













Mi ricordo di aver aggiunto le mie solite note in fondo al capitolo che avevo già pubblicato, ma al momento sono di fretta e sinceramente non mi ricorderei nemmeno cosa avevo scritto.
Vi aspetto più tardi per il capitolo 26!
Grazie ancora per la pazienza e la comprensione
E.

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Capitolo 27
*** 26. Miracle ***


26 – Miracolo
 
 
 
Era un pomeriggio come un altro a casa Potter o almeno, questo era quello che stava pensando James, seduto in cucina a fare merenda in compagnia di suo padre che stranamente non era in ufficio, prima che qualcosa iniziasse a fare un insopportabile rumore.
 
Il sopracitato genitore, preso anche lui inizialmente alla sprovvista, ebbe il suo bel da fare per recuperare dalle sue tasche un oggettino grande più o meno quanto una noce che di punto in bianco sembrava aver preso vita propria illuminandosi di rosso ed emettendo fastidiosi suoni ad intermittenza.
Il signor Potter si ritrovò quindi ad aggrottare le sopracciglia mentre passava la bacchetta sopra la piccola sfera per silenziarla per poi scusarsi con il figlio dicendo che avrebbero finito il discorso un’altra volta e lasciare la stanza a passo svelto.
 
Non aveva neanche finito la sua fetta di torta che ormai giaceva abbandonata nel piatto rimasto sulla tavola.
 
“È successo qualcosa al lavoro?” domandò James al padre quando lo rivide passare in corridoio.
Per qualche ragione alla risposta negativa che gli venne data il suo pensiero andò subito ad Elise: se non era per il lavoro doveva per forza essere qualcosa che centrava con lei, no?
 
Non poteva immaginare quanto ci avesse visto giusto.
 
Ma d’altronde non poteva aspettarsi nemmeno di veder ricomparire il padre un’oretta e mezza più tardi con la suddetta ragazza tra le braccia.
Ragazza che per poco non riconosceva.
 
 
Non appena il signor Potter posò Elise sul letto in camera di Lily (lei era ancora a Hogwarts e non sarebbe tornata prima della fine della scuola, non le sarebbe servito) James potè finalmente osservarla meglio.
Non voleva neanche pensare a come aveva fatto a ridursi in quello stato.
 
 
Il viso era contratto in una smorfia di sofferenza e pallido, se non si contava il taglio che le attraversava la fronte colorandogli la guancia di rosso là dove il sangue era colato.
La maglietta era praticamente inesistente in corrispondenza della sua spalla sinistra e tinta di rosso per buona parte di quello che rimaneva.
 
Sperava vivamente che quella ferita fosse meno grave di quello che sembrava anche se il fatto che continuasse a sanguinare non era esattamente di buon auspicio.
 
Il dorso e le nocche delle mani erano percorsi da numerosi tagli –era una scheggia di vetro quella?- come se avesse ripetutamente preso a pugni qualcosa e i pantaloni strappati in corrispondenza delle ginocchia rivelavano che anche lì la pelle sottostante era abrasa.
Persino gli avambracci erano graffiati in più punti e quello che restava della maglia sembrava essere in parte bruciacchiato come se diverse maledizioni l’avessero presa di striscio.
 
In due anni di tirocinio al San Mungo non si ricordava di aver ancora mai visto nessuno conciato a quel modo.
 
 
“Chiama il Medimago Robbins” gli ordinò suo padre di punto in bianco facendolo trasalire.
Aveva finito di sistemare al meglio la ragazza sul letto e aveva cominciato a cercare di guarire le ferite più superficiali.
James fece per ribattere dicendo che poteva pensare lui alle ferite, ma una severa occhiata da parte di Harry gli fece capire che decisamente non era il caso di mettersi a discutere.
“Perché non la portiamo direttamente al San Mungo?” domandò a bruciapelo prima di smaterializzarsi.
“Fai venire qui il Medimago Robbins, James. Ora” fu la risposta, e lui non chiese altro.
 
 
 
I dieci minuti che impiegò per trovare il Medimago erano stati decisamente troppi per i suoi gusti, e da parte sua nemmeno il mago sembrava troppo contento di essere stato interrotto durante la sua spiegazione a quelli che avevano tutta l’aria di essere specializzandi.
 
“Potter, direi che non è il momento” lo rimproverò l’uomo dopo l’ennesimo tentativo di James di attirare l’attenzione.
“Ma mio padre…” provò a spiegare il ragazzo venendo subito interrotto.
Decise quindi di arrivare subito al punto.
“Si tratta di Elise” disse infatti, e ala nome della ragazza il Medimago interruppe di nuovo il discorso che aveva ripreso nel frattempo.
“Mio padre vuole che venga subito…”
“Cos’è successo stavolta? Perché non l’avete portata direttamente qui?”
“Potrà domandarglielo di persona”
Il tempo di congedare gli specializzandi e i due erano di ritorno a casa Potter.
 
 
 
Il fatto che persino Robbins era rimasto alquanto sconcertato dalle condizioni di Elise non era esattamente rassicurante, ma James accettò di buon grado di aiutare il Medimago a curare le ferite alla sua portata mentre il signor Potter andava a chiamare il Primo Ministro: doveva assolutamente metterlo al corrente di quello che era successo.
 
I due non incontrarono particolari problemi, almeno finchè non fu il momento di occuparsi della spalla.
Tralasciando il fatto che James si ritrovò nonostante tutto ad arrossire nel vedere la ragazza senza maglietta, fu ben presto chiaro che quella ferita non era come le altre che bene o male erano riusciti a trattare.
Era esattamente la stessa che James prima e il signor Potter poi avevano avuto il piacere di provare.
 
Peccato che l’unica in grado di curare quel genere di ferite fosse attualmente distesa davanti a loro sul letto priva di coscienza.
 
James sentì l’aria mancare nei polmoni nel momento in cui realizzò che non avrebbero potuto fare niente per salvarla.
 
 
 
***
 
 
 
Elise stava volando.
No, volare non era l’espressione più corretta, stava più… galleggiando.
Ecco, sì, stava galleggiando in mezzo al nulla senza riuscire a distinguere niente intorno a sé a causa della luce bianca e accecante che pervadeva ogni angolo di qualunque fosse il posto in cui si trovava.
 
Ma di certo quello di non riuscire a vedere era l’ultimo dei suoi problemi dal momento che riusciva a sentire benissimo.
 
Non sapeva dov’era, non sapeva come ci era arrivata né per quale motivo, e aveva anche diversi dubbi riguardo a cosa fosse successo prima.
Ma come già detto quello non le importava poi più di tanto visto che sentiva con esasperante chiarezza ogni singola ferita che le era stata inferta, ogni goccia di sangue stillata.
Ma, ancora peggio, percepiva chiaramente la sua energia, le sue forze, abbandonarla progressivamente uscendo dalla ferita della spalla a fiotti che andavano via via affievolendosi insieme con i battiti del suo cuore.
 
All’improvviso le sembrò di scorgere qualcosa di diverso.
In mezzo a tutta quella luce era appena apparso un puntino nero.
 
Senza neanche sapere come Elise si ritrovò ad avvicinarvisi in modo da poterlo guardare meglio, e quello che scoprì la sconvolse.
 
Nel momento in cui guardò all’interno di quel punto nero, che nel frattempo aveva cominciato ad aumentare considerevolmente di dimensioni, di colpo aveva smesso di sentire.
Era come se le sue ferite fossero state guarite tutte in una volta.
Non si era mai sentita così bene.
 
Allungò una mano per raggiungere quell’area scura, per immergersi completamente, quando una voce fuori campo risuonò nell’aria.
 
“Mi dispiace. Mi dispiace così tanto…” diceva.
 
Elise si bloccò, il braccio a mezz’aria, cercando di dare un significato a quello che aveva appena sentito, rendendosi poi conto che quell’attimo di esitazione l’aveva fatta allontanare da quella macchia scura portandola di nuovo a sentire la sofferenza provocata dalle sue ferite.
Al diavolo la voce, lei voleva solo smettere di provare tutto quel dolore.
 
Eppure…
 
“Perdonami…” risuonò un’ultima volta nell’ambiente circostante e a quella parola qualcosa scattò nella sua mente: i suoi genitori, Julia, il Medimago Robbins, i Potter, Dan, Hermione… James…
Quella era la voce di James e lei non avrebbe sopportato di sentirla una volta di più, non se appariva così addolorata e quasi priva di speranza.
Era sicura che qualsiasi cosa fosse successa per far parlare il ragazzo a quel modo dovesse essere stata colpa sua, e quindi suo era il compito di fargli cambiare tono.
 
La macchia di buio era ormai ben lontana da lei, non avrebbe più potuto raggiungerla.
Era riuscita a resistere al richiamo di quel buio, per quanto allettante fosse sembrata la prospettiva di sprofondarci all’interno, ed era estremamente soddisfatta di se stessa.
 
Con quella consapevolezza chiuse gli occhi continuando a lasciarsi trasportare d’ovunque quella luce abbagliante avrebbe deciso di portarla: lasciarsi andare non era mai stato così piacevole, piacevole quanto un bacio a fior di labbra.
 
 
 
***
 
 
 
Rimasto solo nella stanza James smise di trattenere le lacrime lasciandole libere di scendere lungo le guance.
Probabilmente non piangeva così da quando aveva dieci anni.
Eppure vedere Elise distesa su quel letto l’aveva distrutto.
 
Erano alla fine riusciti a guarire completamente tutte le ferite, tranne quella alla spalla che aveva continuato a sanguinare imperterrita.
Dopo la quarta volta avevano addirittura deciso si smettere di cambiare la fasciatura, tanto era inutile, e il ragazzo stava cercando di evitare con tutte le sue forze di pensare quanto sangue ancora la ragazza avrebbe potuto perdere.
 
Aveva perso il conto delle volte che aveva ripetuto “Mi dispiace” incurante di stare parlando da solo in una stanza in cui nessuno avrebbe potuto sentirlo.
Sapeva che così non stava assolutamente dimostrando il famoso coraggio Grifondoro, ma non ce la faceva più a vedere Elise così immobile su quel letto, sempre più pallida ogni minuto che passava.
 
“Perdonami” disse alla fine imponendosi di smettere di piangere.
Si avvicinò al letto guardandola un’ultima volta.
Non riuscì a resistere dal chinarsi su di lei fino ad appoggiare le labbra sulle sue in un bacio dolce e leggero.
Probabilmente l’ultimo che gli sarebbe stato concesso darle.
 
Raddrizzò la schiena e lasciò la stanza chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle, non notando che l’espressione fino a quel momento contratta della ragazza si era inspiegabilmente distesa in un mezzo sorriso.
 
 
 
In salotto la situazione non sembrava delle migliori.
Suo padre stava animatamente parlando con Robbins e Shacklebolt in un angolo della stanza mentre sul divano Dan, che probabilmente era stato chiamato da Julia a sua volta portata a casa da suo padre, stava abbracciando la ragazza cercando in qualche modo di consolarla: anche la ragazza sembrava devastata tanto quanto lui all’idea di aver perso la sua migliore amica.
 
Abbassò la testa per cercare di rimandare indietro le lacrime che minacciavano di riprendere a scendere e prima che potesse rendersene conto si ritrovò stretto nell’abbraccio dei due ragazzi che non appena lo avevano notato fermo sulla porta si erano alzati e gli erano andati incontro.
Se loro si sentivano così non osava pensare cosa sarebbe successo quando sarebbe arrivato il momento di dirlo agli Starlet.
 
 
 
***
 
 
 
Elise aprì gli occhi di colpo.
Ormai la stanza era in penombra e non le ci volle molto per riuscire a mettere a fuoco.
Era di nuovo nella stanza di Lily, però era sola. Al massimo avrebbe potuto dire di sentire qualcuno discutere animatamente dal piano di sotto.
 
Si alzò cautamente dal letto dirigendosi verso lo specchio attaccato alla parete che per fortuna ebbe il buon senso di non fare commenti poco carini come era successo l’ultima volta.
In effetti pesava di essere messa peggio: poteva considerarsi praticamente illesa se non contava la sua spalla che comunque… aveva smesso di sanguinare.
Si avvicinò ulteriormente alla superficie riflettente per esaminarla meglio: l’aspetto non era dei migliori, lo squarcio che aveva sembrava tutto tranne che in via di guarigione, però il fatto che l’emorragia si fosse fermata doveva pur significare qualcosa.
 
Un’idea le attraversò la mente e non senza qualche incertezza portò la sua mano a coprire la ferita.
Chiuse gli occhi per concentrarsi meglio cercando allo stesso tempo di riprodurre il processo curativo che aveva già avuto occasione di usare, purtroppo, diverse volte.
Un’esclamazione di sorpresa le sfuggì dalle labbra non appena si rese conto che qualcosa stava succedendo, e a giudicare da quello che sentiva stava anche funzionando.
 
Riaprì gli occhi sbattendo più volte le palpebre, incredula davanti allo specchio che le restituiva il riflesso di lei completamente guarita.
L’unico indizio sulle sue precedenti condizioni erano i pantaloni strappati e il sangue presente sul reggiseno e su quello che restava della sua maglietta che era stata appoggiata alla sedia della scrivania.
 
Ancora troppo intenta a tastarsi la spalla come per accertarsi che fosse sul serio riuscita a guarirsi da sola, non si accorse dei passi che si avvicinavano da fuori lungo il corridoio.
Quando la porta della stanza si spalancò venne presa alla sprovvista rimanendo per altro incastrata tra l’infisso e la superficie fredda dello specchio.
 
Diverse esclamazioni si levarono prima che avesse il tempo di fare qualsiasi cosa.
 
“Non è possibile…”
“Non di nuovo!”
Le voci di James e del Medimago esprimevano bene il loro stupore nel ritrovarsi davanti alla stessa situazione che avevano vissuto al San Mungo quando non avevano trovato Elise nella sua stanza dopo che lei era svenuta per aver guarito il padre del ragazzo.
“Non è possibile che qualcuno sia entrato, la casa è protetta” sentì rispondere il signor Potter ad una domanda che non aveva sentito.
“Beh, converrà con me che non è possibile che abbia deciso di andare a farsi un giro, no?” ribattè Robbins.
 
Elise scrollò la testa, sarebbe stato divertente de la situazione non fosse stata così seria, apprestandosi a spingere la porta facendo spostare chiunque la stesse tenendo bloccata e parlando per segnalare la sua presenza.
“Ecco, veramente sarei qui dietro…” commentò uscendo finalmente allo scoperto sotto gli sguardi a dir poco sbalorditi di tutti i presenti: che nel processo di guarigione le fosse spuntato qualche occhio di troppo che lei non aveva notato?
“Mi stavo guardando allo specchio” spiegò indicandolo. “è proprio lì dietro e quando siete entrati mi avete davvero preso alla sprovvista e…”
 
Non le fu possibile finire la frase perché James, incurante di tutti i presenti - poteva giurare che qualcuno si fosse lasciato sfuggire la parola miracolo - l’aveva raggiunta con due falcate, le aveva preso la testa tra le mani e dopo averla guardata con gli occhi lucidi e arrossati per un lungo istante l’aveva baciata.
 
La ragazza si ritrovò a sorridere e a ricambiare il bacio a sua volta stringendo forte James.
Spiegare tutto quello che era successo non sarebbe stato affatto facile, soprattutto visto che ovviamente Shayleen non aveva annullato l’incantesimo, ma non aveva nessuna intenzione di far allontanare di nuovo James, avrebbe trovato una soluzione.
 
Si sorrisero arrossendo quando, dopo essersi separati, si resero conto di essere rimasti da soli nella stanza: gli altri nel frattempo erano tornati al piano di sotto in modo da lasciare loro un po’ di privacy.
 
 
“Grazie” disse infine Elise rompendo il silenzio dopo lunghi istanti durante i quali lei e James avevano continuato a guardarsi negli occhi.
Il ragazzo la guardò interrogativo: “Per cosa?” le domandò. “Io non ho fatto niente, non potevo fare niente…” sussurrò.
Elise scosse la testa sorridendogli incoraggiante.
“Mentre ero incosciente sono finita… non saprei dire dov’ero, ma sta di fatto che tutto quello che volevo era che tutto finisse. Tutto il dolore, tutto quello che sentivo… volevo che smettesse e ci sarei anche riuscita” disse amaramente accarezzando la mano di James che era subito andata a stringerle saldamente il braccio non appena l’aveva sentita pronunciare quelle parole.
“Ma poi ho sentito una voce, la tua voce. E a quel punto credo di aver deciso più o meno inconsciamente di dover tornare indietro…” concluse alzando le spalle.
James la abbracciò di nuovo.
 
“Per quello che vale dispiace anche a me” disse Elise sulla sua spalla, e per un po’ nessuno dei due aggiunse altro.
 
 
“Sarà meglio andare di sotto prima che qualcuno venga su a controllare…” esordì James dopo un po’ sciogliendo l’abbraccio.
Condusse Elise in camera sua per poi mettersi a frugare dentro l’armadio.
Ne uscì stringendo tra le mani una sua maglietta, porgendola poi ad Elise in modo che potesse mettersi qualcosa addosso.
Alla fine scesero al piano di sotto entrando nel salotto che ancora si tenevano per mano.
Elise sperò che non si notasse troppo il fatto che si fosse irrigidita: era arrivato il momento delle spiegazioni, e per quanto questa volta lei stessa avrebbe voluto raccontare tutto sapeva che non sarebbe stato possibile.
Sospirò, cercando di pensare ad un modo per incominciare il discorso, ma prima che potesse aprire bocca si ritrovò soffocata tra le braccia di Julia e Daniel che sembravano quasi intenzionati a non lasciarla più andare.
In particolare avrebbe potuto giurare di sentire Julia bofonchiare qualcosa che era suonato come: “Dopo questa col cavolo che ti lascio di nuovo a casa da sola”.
 
Alla fine Robbins si schiarì la voce attirando l’attenzione su di sé.
“Per quanto io sia interessato all’intera faccenda temo di essere rimasto abbastanza fuori dal mio reparto” cominciò per congedarsi.
“Magari lascio detto a Nancy di passare più tardi a dare una controllata alla nostra sopravvissuta…” propose.
 
A quel nome Elise sbarrò gli occhi.
 
No! Nancy no!
 
Le occhiate curiose e preoccupate dei presenti la lasciarono perplessa.
“Perché non Nancy?” le domandò alla fine James. “Mi sembrava che voi due andaste d’accordo”
A quella domanda Elise realizzò che c’era un’unica spiegazione a tutto quello: l’esclamazione di prima non l’aveva solo pensata, in qualche modo doveva averla detta ad alta voce…
 
“L’ho detto ad alta voce..:”
A quel punto i presenti sarebbero stati autorizzati a pensare che avesse battuto la testa con conseguenti danni.
 
“Non Nancy perché ha lavorato per Shayleen per tutto il tempo…?” disse incerta, non ancora sicura che le parole sarebbero veramente uscite.
Gli sguardi sconcertati che le persone nella stanza si scambiarono furono una conferma sufficiente.
 
La ragazza invitò tutti a prendere posto, solo James rimase in piedi al centro della stanza accanto a lei.
Fece un respiro profondo e cominciò a raccontare.
Tutto.
Senza omettere niente.
 
James aveva continuato a tenerle la mano per tutto il tempo, la ragazza poteva sentire la stretta farsi più forte e salda soprattutto quando parlava direttamente di Shayleen e del loro incontro.
Dovette fermarsi un attimo prima di proseguire con il racconto di quello che era successo quel pomeriggio.
Spiegò di come aveva deciso di raccontare tutto ritrovandosi però bloccata e di come fosse tornata di sua volontà a Skelton House per affrontare Shayleen e farsi togliere l’incantesimo che le impediva di parlare.
Quello che era successo in seguito potevano benissimo intuirlo dalle condizioni in cui era quando era riuscita a scappare.
 
Quando ebbe finito continuò a tenere lo sguardo puntato sulle sue scarpe: dopo tutto quello che aveva più o meno volontariamente combinato non sapeva se sarebbe riuscita a guardare in faccia i presenti.
In particolare le sembrava strano che James non avesse ancora detto niente dopo come aveva reagito l’ultima volta che gli aveva tenuto nascosto qualcosa.
 
Fu proprio il ragazzo alla fine a riprendere la parola mentre gli altri sembravano ancora intenti a riflettere.
“Bene, credo che ormai sia abbastanza tardi” esordì, gli sguardi di tutti puntati su di lui.
“Riaccompagno Elise al suo appartamento” concluse semplicemente rinforzando la stretta sulla mano della ragazza e incamminandosi verso l’ingresso tirandosela dietro.
Prima che qualcuno avesse il tempo di dire qualcosa si erano già chiusi la porta alle spalle.













Come promesso stamattina eccomi puntuale con il capitolo 26!
Vi è andata bene che alla fine non avete dovuto aspettare una settimana intera per vedere cosa sarebbe successo ad Elise, ammettetelo...
Che dire: chissà cosa succederà tra James ed Elise lungo la strada del ritorno, mah...
Come sempre lo spoiler del prossimo capitolo:

Le loro risate vennero bruscamente interrotte quando qualcosa andò ad abbattersi contro la barriera con un sonoro schianto che fece tremare il terreno.
Il tempo che impiegarono per riunirsi al centro dell’area e altri tre colpi avevano percosso la barriera.
Al quarto ci fu uno scricchiolio sinistro.
Al quinto si udì un forte schiocco ed Elise potè vedere la barriera infrangersi e dissolversi sotto i suoi occhi.
Intorno a loro erano intanto apparse alcune figure vestite di nero.

Ovviamente ci si annoia se non succede qualcosa, no?
Chissà questa volta la nostra cara Shayleen (spero che nessuno abbia dubbi sul fatto che sia lei...) cosa avrà in serbo per Elise...
A lunedì prossimo! (e scusare ancora per il disguido del
capitolo fantasma della settimana scorsa!)
E.

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Capitolo 28
*** 27. Don't ***


 27 – Non lo fare
 
 
 
“Quindi sta bene, è guarita?” domandò Shayleen camminando avanti e indietro per la sala.
Nancy annuì nervosamente: “E non solo: l’incantesimo che le impediva di parlare deve essersi in qualche modo spezzato. Quando Robbins è tornato al San Mungo era accompagnato da Potter e non è stato difficile capire quali fossero le loro intenzioni nei miei confronti. Ho a mala pena avuto il tempo di smaterializzarmi” spiegò diligentemente.
Jack al suo fianco sbuffò alzando gli occhi al cielo mentre Cheryl continuò a tacere rimanendo impassibile.
Shayleen stava ancora riflettendo.
Alla fine, contrariamente a quanto i tre si sarebbero aspettati, la sua espressione si distese in un sorriso.
Alquanto sinistro, ma pur sempre un sorriso.
“Molto bene allora. Adesso non resta altro che metterla alla prova, ma non c’è fretta…” commentò congedando poi i presenti con un cenno svogliato della mano.
Dopotutto le cose stavano ancora andando secondo i suoi piani.
 
 
 
***
 
 
 
Elise aveva capito che James non la stava riportando all’appartamento –non ancora almeno- praticamente appena ebbero lasciato la proprietà dei Potter.
Nonostante tutto continuò a seguire il ragazzo, non che avesse potuto fare altrimenti visto che lui ancora la teneva per mano, senza però avere il coraggio di aprire bocca per dire qualcosa o chiedere dove stessero andando.
 
Diversi minuti più tardi James aprì la porta del Paiolo Magico per far entrare nel locale una Elise piuttosto sorpresa e perplessa: cosa dovevano andare a fare a Diagon Alley a quell’ora di sera?
Se possibile il suo stupore crebbe ulteriormente quando James, invece di fare strada fino al retro del pub, la accompagnò ad un tavolo abbastanza appartato spostando la sedia in modo da farla accomodare.
Con un po’ di fortuna l’ambiente ombroso del locale sarebbe stato sufficiente per coprire il rossore che aveva colorato le guance della ragazza a quel gesto.
 
Non era la prima volta che andava ad un appuntamento con un ragazzo, se così si poteva definire anche quell’occasione, ma pensandoci bene nessuno si era mai comportato così con lei.
 
Si rincuorò pensando che se James si stava comportando a quel modo forse non l’aveva invitata ad uscire solo per dirle di stargli lontano perché con lei non voleva avere più niente a che fare.
 
La cena andò più che bene, persino il cibo aveva superato le sue aspettative, e lei e James avevano parlato del più e del meno per tutto il tempo: non una volta l’argomento Shayleen era stato tirato in ballo.
 
Quando ebbero finito era davvero ora di rientrare, ma nessuno dei due sembrava avere fretta visto che entrambi si trovarono d’accordo sul raggiungere l’appartamento di Elise a piedi.
 
 
Una volta arrivati a destinazione, ancora sul pianerottolo, la ragazza si trovò non poco in difficoltà: avrebbe voluto ringraziare James per il tempo trascorso, per essere stato in grado di distrarla e di non farle pensare a tutto quello che stava succedendo, ma non riusciva a trovare le parole.
Il ragazzo sembrò intuirlo tanto che sorrise scuotendo la testa facendole capire che non era necessario che dicesse nulla.
Poi la sua espressione tornò seria e prese lui la parola.
“Quel pomeriggio… con Calliope…” cominciò, e quelle parole furono sufficienti per far scendere un peso sul cuore alla ragazza che aveva subito capito a quale pomeriggio si stava facendo riferimento.
“Sono stata io a invitarla” continuò.
Elise sospirò piano abbassando la testa.
“Volevo che avesse ben chiaro che qualunque cosa ci possa mai essere stata tra noi due era definitivamente chiusa. E da un bel po’, a dirla tutta. Quando ci siamo scontrati nel corridoio… ero sceso perché mi aveva chiesto un bicchiere d’acqua, non avevo idea che avesse intenzione di conciarsi a quel modo…” spiegò velocemente quasi avesse paura di veder scappare Elise da un momento all’altro prima che potesse finire di spiegarsi.
 
Elise che nel mentre si stava chiedendo se quello che aveva appena sentito fosse vero.
 
“Ti giuro che l’ho mandata via appena ti sei smaterializzata, non è successo niente” concluse.
“Mi credi?” domandò alla fine dopo una pausa, la voce quasi supplicante e gli occhi spalancati pronti a cogliere qualsiasi movimento da parte della ragazza.
 
D’altro canto nella testa di Elise c’erano i fuochi d’artificio.
Sapeva che si stava comportando peggio di una ragazzina alla prima cotta seria, ma aveva appena ammesso a se stessa che James le piaceva davvero, e il discorso del ragazzo non dimostrava forse che il sentimento era reciproco?
 
Prima di lasciare a James il tempo di cominciare a pensare il peggio Elise gli aveva già buttato le braccia al collo facendo incontrare le loro labbra: era sicura che quella sarebbe stata una risposta più che convincente.
 
 
 
ↄↄↄ
 
 
 
Dopo le informazioni che Elise aveva fornito l’interno dipartimento Auror era stato allertato per quanto riguardava Shayleen e le tre persone note che rispondevano a lei.
Ovviamente nessuna ricerca ebbe successo, nemmeno con Nancy che dopo quel giorno non si era più presentata al lavoro, e sfortunatamente Elise non era riuscita a dare una localizzazione a Skelton House: le uniche due volte che ci era stata era sempre stato tramite smaterializzazione, non aveva idea di quale potesse essere la reale posizione geografica del maniero e non aveva nessuna intenzione di provare a portare qualcuno con sé tramite smaterializzazione congiunta per provare a scoprirlo.
Se da un lato aveva seri dubbi che qualcuno di esterno sarebbe riuscito ad entrare anche se accompagnato, dall’altro aveva paura di quelle che sarebbero potute essere le conseguenze se effettivamente fosse riuscita nell’intento di introdurre qualcuno nella proprietà: dubitava che l’avrebbero accolta a braccia aperte.
 
Era passato però ormai un mese, giugno aveva lasciato il suo posto a luglio e Shayleen non aveva ancora fatto la mossa che tutti si erano aspettati in seguito alla fuga di Elise dalla villa.
 
In parte alla ragazza andava benissimo così: aveva avuto tutto il tempo per concentrarsi sugli esami che le mancavano e sul tirocinio che aveva finalmente concluso, e adesso davanti a sé aveva due interi mesi di vacanza prima di ricominciare con le lezioni dell’università a settembre.
Allo stesso tempo però non poteva fare a meno di pensare che più tempo passava più Shayleen avrebbe avuto l’occasione di organizzarsi meglio e di fare maggiori danni quando avrebbe finalmente deciso di agire di nuovo.
 
Aveva parallelamente continuato gli allenamenti al parco, e ormai poteva dire di aver raggiunto un discreto livello di bravura nel padroneggiare i vari incantesimi e sortilegi.
Già da un pezzo aveva cominciato a fare pratica inscenando dei veri e propri duelli combattendo direttamente contro il signor Potter, Hermione, occasionalmente Ron e, molto più spesso, James.
Nell’ultimo periodo anche Dan si era aggiunto a loro.
L’inconveniente dell’incantesimo respingi-babbani che impediva a Julia di entrare nell’area a meno che non venisse trascinata di peso era stato sistemato e lei e Daniel passavano spesso e volentieri il pomeriggio lì a chiacchierare indisturbati, fermandosi di tanto in tanto a guardare gli altri due piccioncini che si allenavano senza quasi considerare la loro presenza.
 
Si poteva dire che quella zona di parco, praticamente inesistente per tutti tranne che per loro, fosse ormai diventato il loro punto di ritrovo.
 
 
Si poteva dire altresì che le cose tra i due  stessero andando a gonfie vele.
 
Dopo essersi finalmente chiariti Elise aveva insistito per raccontare da capo al ragazzo tutto quello che era successo e che lei aveva inizialmente deciso di tacere, compreso l’episodio della sua visita all’orfanotrofio quando aveva recuperato i suoi ricordi, del quale non avevano poi più parlato.
Aveva avuto un attimo di esitazione quando aveva realizzato che il signor Potter non aveva parlato a James della presunta profezia, ma alla fine gli aveva detto tutto anche di quella.
Il ragazzo l’aveva sorpresa l’ennesima volta non arrabbiandosi minimamente e stringendola in un abbraccio per diversi minuti per poi chiederle diverse volte se si sentiva bene al riguardo prima di lasciarla andare e riprendere il discorso dove lo avevano interrotto.
Avevano cominciato a riflettere cercando di dare un significato a quelle parole.
Elise era convinta che il buio fosse senza alcun dubbio Shayleen, che fin dal primo momento aveva cercato di riportarla a casa.
Per quanto riguardava l’usare il potere come non dovrebbe mai essere usato invece non avevano proprio nessuna idea, e di certo la ragazza non aveva intenzione di usare la sua magia per fare del male o in modo non consentito.
Alla fine avevano concluso che l’unica cosa che potevano fare era aspettare e vedere cosa sarebbe successo.
 
 
 
ↄↄↄ
 
 
 
Quel pomeriggio erano di nuovo tutti e quattro nell’area di allenamento.
Avevano appena concluso un duello amichevole, Dan e Julia stavano tranquillamente chiacchierando seduti sul tetto del vecchio scivolo, opportunamente rimesso a nuovo, mentre James ed Elise avevano come sempre occupato le altalene e stavano facendo a gara a chi arrivava più in alto, quasi fossero tornati di nuovo bambini.
 
Le loro risate vennero bruscamente interrotte quando qualcosa andò ad abbattersi contro la barriera con un sonoro schianto che fece tremare il terreno.
Il tempo che impiegarono per riunirsi al centro dell’area e altri tre colpi avevano percosso la barriera.
 
Al quarto ci fu uno scricchiolio sinistro.
 
Al quinto si udì un forte schiocco ed Elise potè vedere la barriera infrangersi e dissolversi sotto i suoi occhi.
 
Intorno a loro erano intanto apparse alcune figure vestite di nero.
La ragazza riconobbe Cheryl, Jack e Nancy, l’ultima era invece incappucciata, il viso non visibile; tutti e quattro in un punto diverso del perimetro dell’area, in posizioni diametralmente opposte.
 
Non potevano andare via smaterializzandosi perché non potevano portare Julia con loro*, ed essendo circondati si misero schiena contro schiena: la mora al centro, James e Dan con le bacchette sfoderate, Elise le mani tese davanti a sé in una posizione a metà tra attacco e difesa.
 
Jack e Nancy avevano un ghigno poco rassicurante in viso, mentre la signorina Clark aveva le labbra strette e sembrava stranamente preoccupata dalla situazione.
Elise proprio non ne capiva il motivo visto che erano loro ad essere nettamente in svantaggio.
 
Superato l’attimo che le due parti passarono a squadrarsi a vicenda i colpi cominciarono a piovere da ogni direzione.
Tutti e tre si diedero da fare per respingerli, ma gli fu ben presto chiaro che se non avessero subito trovato un modo per chiedere aiuto a qualcuno le cose non si sarebbero messe molto bene per loro.
 
Di colpo così come erano cominciati gli incantesimi cessarono lasciando i ragazzi momentaneamente disorientati: a che gioco stavano giocando?
 
L’incappucciato si fece avanti scoprendo il viso, rivelando lunghi capelli biondo cenere e i tratti spigolosi del volto stirati in un sorriso che non prometteva nulla di buono.
 
I presenti ebbero appena il tempo di registrare l’incredibile somiglianza della donna con Elise che quella aveva alzato una mano lanciando come se nulla fosse la ormai conosciuta maledizione.
 
Puntava a Julia.
 
Il sorriso di Shayleen si allargò ulteriormente quando Dan si frappose tra la mora e il raggio di luce finendo sbalzato indietro di un paio di metri per poi rimanere fermo disteso a terra, sanguinante.
Ottenuto quello che voleva Shayleen fece un cenno e i loro assalitori si smaterializzarono lasciandoli soli.
 
I ragazzi, seppur un po’ ammaccati, si affrettarono ad accorrere da Dan.
James rivolse un’occhiata preoccupata unita ad una muta richiesta ad Elise che annuì piano, Julia invece non riusciva a distogliere lo sguardo dal petto sanguinante del ragazzo, sotto shock: era presente quanto era stato James ad essere colpito, ma vedere le conseguenze della maledizione su Dan faceva tutto un altro effetto.
 
Con l’aiuto di James Elise tolse la maglia al ragazzo per avere maggiore visibilità sulla ferita.
Stava per appoggiare le mani ai lati del taglio come ormai aveva imparato a fare, ma una voce la bloccò.
 
“Non lo fare”
 
 
I tre si girarono di scatto: la signorina Clark era ancora lì e osservava la scena con espressione grave.
“Non lo fare, Elise” sembrava la stesse quasi supplicando.
La ragazza chiamata in questione non ci vide più: “Non lo fare?! Tutto qui quello che hai da dire?” le urlò contro. “Secondo te lascerei morire un amico solo perché tu mi dici di farlo?”
La donna scosse la testa: “Se lo guarisci faresti solo il suo gioco. Perché pensi che se ne sia già andata via? Era sicura che lo avresti curato senza pensarci due volte” ribattè.
“E tu? Perché tu invece sei rimasta?” domandò Elise in tono di sfida.
Cheryl abbassò la testa, colpevole.
“Sono rimasta perché Shayleen voleva comunque avere conferma che saresti andata fino in fondo” rispose. "Ed è per questo che non devi farlo
 
Elise guardò la donna negli occhi: non si fidava nemmeno un po’ anche se allo stesso tempo sembrava sincera… però non poteva lasciare che Dan morisse così come se niente fosse.
 
“Se io non posso guarirlo… fallo tu” affermò alla fine decisa.
La Clark sembrò presa in contropiede da quella proposta.
Sembrava di colpo combattuta sul dire o meno qualcosa.
 
“Io… non posso” sussurrò.
Elise saltò in piedi andandole incontro con un cipiglio minaccioso.
“Cosa vuol dire che non puoi? Hai paura che Shayleen lo venga a sapere? Perché in tal caso sono sicura che troverai il modo per tenerglielo nascosto… proprio come hai fatto per l’avermi cancellato la memoria. Perché lei non lo sa, vero?” la accusò e l’espressione della donna le disse che aveva fatto centro: Shayleen non sapeva nulla di quella faccenda.
 
“Perché?” domandò la ragazza abbassando i toni.
Scoprire quello che la sua educatrice le aveva fatto l’aveva lasciata sconvolta.
Con lei aveva instaurato un profondo rapporto negli anni trascorsi all’orfanotrofio, era stata come una madre considerato che era stata lei ad occuparsi principalmente della bambina da quando era in fasce fino a quando gli Starlet l’avevano adottata.
Una spiegazione per il suo gesto gliela doveva, era il minimo.
 
“Non posso farlo perché non ne sono capace” confessò dal nulla Cheryl lasciando Elise stupefatta.
La stava prendendo in giro?
Fece per aprire bocca ma la donna la precedette: “Nessuno di noi ne è capace…”
 
“… nemmeno  Shayleen” ammise dopo un lungo attimo di esitazione.
Si vedeva che rivelare quell’informazione le era costato molto.
 
Elise intanto la stava guardando sconcertata: com’era possibile che neanche Shayleen fosse in grado di guarire una maledizione che con tutte le probabilità aveva inventato lei?
 
“Perché mi stai dicendo queste cose? Stai dalla sua parte, perché hai cercato di fermarmi? Qual è il tuo ruolo in tutto questo?” sapeva che non era esattamente il momento ideale per mettersi a fare domande, ma lei doveva sapere.
 
Alla sua ultima richiesta il volto della donna si era intristito di colpo, e la ragazza, che ancora non le aveva levato gli occhi di dosso, non potè fare a meno di pensare che per qualche strano e inspiegabile motivo quel viso le era familiare… e non per il fatto che l’aveva sempre visto come un riferimento da quando era nata, c’era qualcos’altro
 
Le sue riflessioni vennero interrotte da James che l’aveva raggiunta richiamando poi la sua attenzione mettendole una mano sulla spalla.
“Elise…” la chiamò indicando in modo eloquente Dan ancora esanime sul prato, la testa appoggiata sulle gambe di Julia che gli stava accarezzando il viso senza preoccuparsi di cercare di trattenere le lacrime.
 
Sospirò.
 
“Temo che allora, nonostante tutto, potrai andare a riferire a Shayleen che qualunque fosse il suo piano, beh… ha funzionato” commentò voltando le spalle alla Clark e accovacciandosi di nuovo accanto al riccio.
Orami l’erba sotto di lui stava cominciando a colorarsi di rosso.
 
Diede inizio al processo di guarigione appoggiando le mani sul petto del ragazzo senza permettere a nessuno di aggiungere altro.







*Per motivi di trama ho deciso che i babbani non possono essere smaterializzati per materializzazione congiunta con un mago.



 
 
 
 
 


Eccomi con il nuovo capitolo!
Un po' tardino, ma sono stata fuori tutto il giorno e non sono riuscita a raggiungere prima il computer.
Allora... chi mi dice perchè la signorina Clark non vuole che Elise guarisca Dan? (In palio i soliti dieci punti :P)
Vi lascio lo spoiler del prossimo capitolo:

[Elise] Era comunque riuscita a mettere momentaneamente da parte il senso di colpa per concentrarsi sul fatto che in tutta la faccenda c’era qualcosa che non le tornava.
E quel qualcosa rispondeva al nome di Cheryl Clark.
Dopo il loro ultimo incontro era ormai evidente ad Elise che la sua vecchia educatrice stava nascondendo qualcosa, ma non solo a lei, anche a Shayleen.
L’unica cosa che le restava da fare era parlare con lei, cosa che ovviamente era più facile a dirsi che a farsi.
Skelton House era sicuramente abbastanza enorme da poter contare un paio di stanze per gli ospiti e visto che gli Auror non erano riusciti a rintracciare in alcun modo né lei né gli altri due Elise aveva i suoi buoni motivi per pensare che ormai vivessero tutti lì.
Quindi alla fine dei conti il problema non era poi così grande, visto che dopotutto la parte del dove cercare era stata risolta.
Il punto era che era sicura che non avrebbe più rimesso piede alla villa.
 Non da sola.

O per lo meno non senza un buon piano.
Chissà per cosa si sente in colpa Elise... lo scoprirete presto, promesso.
Buona serata a tutti, alla prossima settimana!
E.

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Capitolo 29
*** 28. Go ***


28 - Vai
 
 
 
Forse dopotutto avrebbe dovuto fermarsi un attimo a pensare alle parole che la Clark le aveva rivolto.
Qualcosa non andava, Elise lo aveva capito quasi immediatamente dopo aver appoggiato la mani su Daniel.
Sentiva che la ferita provocata dalla maledizione stava guarendo, ma allo stesso tempo c’era anche qualcosa di diverso dal solito: non sentiva le forze abbandonarla, anzi.
Quando ebbe finito poteva dire di sentirsi ricaricata.
Nonostante tutto il brutto presentimento non ne voleva sapere di andarsene, era ancora lì, come un peso spiacevole al centro del petto.
 
C’era decisamente qualcosa che non andava.
 
Nessuno a parte lei sembrava però averci fatto caso: sia James che Julia erano infatti più impegnati ad aiutare Dan a tirarsi su, squadrandolo con occhio critico per assicurarsi che stesse davvero bene.
Ed effettivamente guardandolo Elise non avrebbe potuto dire altrimenti, eppure…
 
Persa com’era nei suoi pensieri quasi trasalì quando il riccio le battè una mano sulla schiena abbracciandola subito dopo sussurrandole un “Grazie” all’orecchio.
La ragazza strinse le labbra ricambiando incerta il sorriso pensando che forse non si meritava i suoi ringraziamenti, anche se ancora non sapeva perché.
Intanto James si stava adoperando per mandare un Patronus ad avvisare suo padre di quello che era appena successo in modo che venisse a ripristinare il prima possibile la barriera che era stata distrutta.
 
“Penso sia meglio che vada a casa: non vorrei che i miei scoprissero quello che è successo da qualcuno che non sono io… potrei seriamente rischiare di rimanere chiuso in casa a vita” commentò Dan dopo aver salutato in modo piuttosto appassionato Julia (Elise si era girata un attimo dall’altra parte).
Aveva già la bacchetta in mano, pronto a smaterializzarsi.
I tre lo salutarono comprensivi, rimanendo però piuttosto confusi quando, dopo qualche momento, notarono che il riccio ancora non si era mosso dalla sua posizione.
Anche lui sembrava piuttosto perplesso.
 
“Amico, tutto bene?” domandò James tornando verso di lui appoggiandogli una mano sulla spalla.
Dan ricambiò il suo sguardo: adesso sembrava davvero spaventato.
“Io… non capisco…” sussurrò mentre ancora si rigirava la bacchetta tra le mani.
Il brutto presentimento che aveva avuto Elise si fece ancora più insistente finchè Dan non parlò di nuovo e la ragazza seppe di aver avuto ragione dall’inizio.
“Non riesco a smaterializzarmi” concluse il ragazzo incredulo.
 
Julia sembrava non aver capito fino in fondo la situazione, James guardò l’amico con la fronte aggrottata non capendo se faceva sul serio o se lo stava prendendo in giro.
 
Elise si sentì sprofondare: era colpa sua.
 
Di nuovo.
Possibile che non riuscisse a combinare altro che guai?
 
“Ti dico che è così” stava intanto insistendo Dan piccato.
“Prova un altro incantesimo, uno qualsiasi” si inserì Elise interrompendo James che stava per ribattere qualcosa.
Il riccio sembrò pensarci un po’ su, poi puntò la bacchetta verso un pezzo di scivolo che si era rotto durante lo scontro con l’evidente intenzione di ripararlo.
 
Non successe nulla.
Provò a recitare la formula a voce alta, cambiò incantesimo in uno semplice di levitazione, ma niente.
 
Julia corse ad abbracciare il ragazzo che sentiva gli occhi cominciare a pizzicare mentre James era ancora imbambolato a fissare il pezzo di scivolo che non aveva minimamente reagito ai tentativi di incantesimo dell’amico.
“Non so cosa dire” commentò alla fine quando sembrò aver recuperato l’uso della parola. “Non capisco cosa possa essere successo”
 
“Io sì”
 
Tutti si girarono a guardare Elise.
 
La ragazza aveva osservato i vari tentativi di Dan di usare la magia scurendosi sempre di più in volto ad ogni fallimento.
Non era tanto ingenua da pensare che il fatto che Dan non riuscisse più a fare incantesimi mentre lei dopo la sua guarigione si sentiva carica come non mai fosse una coincidenza.
Anzi, la cosa era talmente chiara che solo uno stupido avrebbe potuto dubitarne.
Adesso il problema era spiegarlo agli altri, e soprattutto trovare un modo per far tornare le cose com’erano prima.
Insomma, proprio una cosa da niente.
 
“Adesso penso di capire come mai Cheryl non voleva che usassi i miei poteri di guarigione” cominciò guardando un punto indistinto di una siepe alle spalle dei tre ragazzi che aveva davanti.
Non riusciva a guardarli in faccia, di sicuro non Dan.
“Nessuno ha notato che non ho avuto nessun mancamento questa volta? Nessuna vertigine, niente di niente…?” domandò poi visto che gli altri la stavano ancora guardando come se avesse parlato in arabo.
Inaspettatamente furono gli occhi di Julia ad accendersi di comprensione per primi: “Tu…”
“Io… io credo di aver assorbito la magia di Dan durante la guarigione” disse tutto d’un fiato.
I due ragazzi sembravano in stato di shock e prima che potessero riprendersi dei sonori *crack* risuonarono intorno a loro.
 
Il signor Potter, Ron e un altro paio di Auror che Elise non aveva mai visto erano appena arrivati nello spiazzo.
“Stai bene?” domandò subito il primo rivolto al figlio che si affrettò ad assentire.
Intanto i colleghi stavano controllando il perimetro cercando qualsiasi cosa sarebbe potuta tornare utile.
Ovviamente non trovarono nulla.
 
L’attenzione del signor Potter era comunque completamente concentrata su quello che i ragazzi avevano appena finito di raccontargli.
L’ultima parte in particolare l’aveva lasciato alquanto sbalordito: e sì che, purtroppo, lui ne aveva viste di cose strane.
“Forse sarebbe opportuno accompagnare Daniel al San Mungo: magari potrebbero dirci con un po’ più di precisione quello che è successo” propose alla fine offrendosi implicitamente come accompagnatore.
Il diretto interessato annuì stancamente per poi incamminarsi al fianco dell’Auror: sembrava così diverso dal ragazzo sempre allegro e sorridente che erano abituati a vedere.
Julia si scambiò un cenno veloce con l’amica per poi corrergli dietro.
Dan fu l’ultimo ad attraversare la barriera: prima di farlo si rigirò un’ultima volta la bacchetta tra le mani, provando un incantesimo che evidentemente non ebbe successo, per poi lasciarla cadere sull’erba alle sue spalle.
 
Ancora ferma a fissare il bastoncino di legno lasciato lì per terra Elise impiegò qualche istante a rendersi conto che lei e James erano rimasti soli: gli altri Auror avevano ristabilito la barriera (la ragazza sperava vivamente che fosse più resistente della precedente) e avevano silenziosamente lasciato l’area dopo aver finito il loro lavoro.
A passo incerto la ragazza andò a recuperare la bacchetta, prendendola in mano come se fosse qualcosa di estremamente fragile e delicato.
Si ricordava bene come si era sentita quando Olivander le aveva detto che non ci sarebbe mai stata una bacchetta per lei, non voleva neanche immaginare cosa stava invece provando Dan, che con quella bacchetta ci era cresciuto.
 
“Farò in modo che possa tornare ad usarla” esclamò alla fine stringendo il pugno attorno alla superficie di legno facendo sussultare James che nel frattempo si era avvicinato.
“Fosse l’ultima cosa che faccio, ma Dan tornerà ad usare questa cavolo di bacchetta” concluse, la voce percorsa da un tremito involontario.
“Sono sicuro che ci riuscirai. Anzi, ci riusciremo. Insieme” concordò James abbracciandola.
In un primo momento la ragazza cercò di sottrarsi a quel contatto (e se per sbaglio avesse assorbito anche la magia di James?) per poi finire per stringerlo forte.
Non ne poteva più di quella storia, voleva solo che tutto finisse.
 
 
 
ↄↄↄ
 
 
 
Alla fine la cosa era stata confermata.
Erano stati fatti tutti i test possibili ritenuti appropriati per quella strana situazione mai verificatosi prima e il responso era sempre stato lo stesso: Dan non era più in grado di usare la magia.
Inutile dire che a quella notizia l’umore di Elise era ulteriormente peggiorato, e a nulla erano serviti gli interventi di James e Julia che insistevano nel dire che quella non era stata colpa sua.
 
Era comunque riuscita a mettere momentaneamente da parte il senso di colpa per concentrarsi sul fatto che in tutta la faccenda c’era qualcosa che non le tornava.
E quel qualcosa rispondeva al nome di Cheryl Clark.
 
Dopo il loro ultimo incontro era ormai evidente ad Elise che la sua vecchia educatrice stava nascondendo qualcosa, ma non solo a lei, anche a Shayleen.
L’unica cosa che le restava da fare era parlare con lei, cosa che ovviamente era più facile a dirsi che a farsi.
Skelton House era sicuramente abbastanza enorme da poter contare un paio di stanze per gli ospiti e visto che gli Auror non erano riusciti a rintracciare in alcun modo né lei né gli altri due Elise aveva i suoi buoni motivi per pensare che ormai vivessero tutti lì.
Quindi alla fine dei conti il problema non era poi così grande, visto che dopotutto la parte del dove cercare era stata risolta.
Il punto era che era sicura che non avrebbe più rimesso piede alla villa.
 
Non da sola.
O per lo meno non senza un buon piano.
 
 
 
***
 
 
 
“James?” domandò Elise rivolta al ragazzo che camminava al suo fianco.
Erano le tre del pomeriggio e avevano appena finito un pranzo con i fiocchi a casa Starlet.
 
Dopo tutto quel tempo Elise aveva reputato fosse opportuno presentare ufficialmente ai suoi genitori James in quanto fidanzato e lui ne era stato davvero contento.
Certo, forse il terzo grado a cui Diana lo aveva sottoposto non appena si erano accomodati sul divano del salotto lo aveva preso un po’ alla sprovvista, ma tutto sommato alla fine l’incontro era andato più che bene.
 
“Mmm?” mugugnò James in risposta, perso nel ricordo della sua ragazza (quanto gli piaceva ripeterlo) seduta al pianoforte che suonava.
Non ne avevano mai parlato ed era stata proprio una sorpresa.
La ragazza alzò gli occhi al cielo senza trattenere un sorrisetto: poteva immaginare a cosa stesse pensando James…
“Stavo pensando che non ho intenzione di rimanere di nuovo ad aspettare che sia Shayleen a fare la prossima mossa” proseguì Elise.
Gli occhi del ragazzo si fecero più presenti, l’espressione attenta.
“E quindi cosa proporresti di fare?” le domandò.
Era d’accordo con lei sotto quel punto di vista, ma non potevano fare nulla.
“Capisco quello che intendi, ma non possiamo certo materializzarci lì come se nulla fosse, ammesso che sia possibile…”
 
Gli occhi di Elise brillarono furbi e per niente rassicuranti.
 
“Oh no…” cominciò lui.
“Oh sì, invece!” lo bloccò lei. “Pensaci: continuiamo a non fare nulla perché nessuno vuole provare ad andare in quella maledetta villa…”
“Chissà perché, eh…”
“E se invece ci fosse un modo per far sì che anche altri oltre a me riescano ad entrare?”
Ormai si erano fermati in mezzo al marciapiede, fortuna che a quell’ora non c’era molta gente in giro.
“Cosa intendi?” le domandò dubbioso.
“Ecco… io volevo parlare di nuovo con la signorina Clark” confessò Elise. “Dopo l’altro giorno… lei sapeva cosa sarebbe successo, voleva aiutare. Secondo me potrebbe farlo di nuovo”
“Se anche fosse? Questa volta non basterà andare all’orfanotrofio per scambiarci due parole”
“Lo so”
“No, è fuori discussione!” esclamò James guadagnandosi un’occhiata curiosa da parte di un passante solitario.
“Non ti lascerò tornare in quel posto da sola, levatelo dalla testa!”
“Ma è l’unico modo!”
“No che non lo è. Aspetteremo che facciano loro la prossima mossa: non piace a te e nemmeno a me, ma è l’unica cosa che possiamo fare”
Elise scosse la testa: era stufa di aspettare.
 
 
 
Qualche minuto più tardi erano già al parco, in modo da poter parlare liberamente senza preoccuparsi che qualcuno potesse sentirli.
 
“Non si accorgeranno neanche della mia presenza: starò lì solo il tempo di parlare con Cheryl e poi me ne andrò via subito”
“Elise, da come l’hai descritto quel posto sarà pieno di Incantesimi Rilevatori: si accorgeranno di te non appena metterai i piedi sul prato!”
“Allora vorrà dire che troverò il modo di eluderli: posso volare, ricordi? James, io devo andare…”
“No! No che non devi. Mi pare che nessuno ti stia costringendo, dannazione!”
Quella volta aveva proprio urlato, gli occhi che sembravano lanciare saette.
La ragazza arretrò di un passo: non l’aveva mai visto così.
 
A quel punto James sospirò pesantemente mettendosi le mani nei capelli.
Quando i loro occhi si incontrarono di nuovo quelli del ragazzo sembravano profondamente tristi.
 
“Quando mio padre ti ha portata a casa quel pomeriggio ho pensato di morire. Non hai idea di come mi sono sentito… E quando poi abbiamo capito che eri stata colpita dalla Maledizione avrei dato qualsiasi cosa per poter fare cambio, perché non fossi tu quella distesa sul letto in fin di vita…” disse James parlando lentamente, come se gli costasse molta fatica.
“Non posso permettere che una cosa del genere possa ripetersi”
 
Elise annuì seria: “Posso capirlo. Non è stato bello neanche per me quando eri tu ad essere stato ferito. E quella volta non sapevo neanche se avessi potuto fare qualcosa…”
“Allora perché insisti a voler tornare là?”
La ragazza scrollò le spalle: “Penso solo che finchè saranno loro a fare sempre la prima mossa non avremo la minima possibilità di uscire da questa situazione. Dobbiamo trovare qualcosa che ci permetta un vantaggio su Shayleen, e credo che l’unico modo per ottenerlo sia fare come dico io” rispose semplicemente.
 
“Promettimelo” disse subito James non appena Elise concluse la frase. “Promettimi che non tornerai alla villa, Elise. Ti prego”.
 
Ci furono alcuni istanti di silenzio carichi di tensione durante i quali i due continuarono a guardarsi negli occhi.
Elise capiva le ragioni di James, probabilmente se le posizioni fossero state invertite anche lei si sarebbe comportata nello stesso modo, ma questo non le impediva di continuare a pensarla diversamente.
Tornare alla villa era l’unico modo per sbloccare la situazione, e anche se era convinta che Shayleen non aspettasse altro la cosa non era sufficiente per costringerla ad un ripensamento.
 
Era anche vero che però non voleva neanche perdere James e non voleva pensare a quello che sarebbe potuto succedere tra loro se lei avesse fatto di testa sua nonostante la sua supplica.
 
 
“Va bene” disse infine.
James sembrava essere stato sinceramente preso in contropiede dalla sua risposta. Forse non si aspettava che avesse ceduto così in fretta.
“Non tornerò a Skelton House, promesso. Hai la mia parola” e diceva sul serio.
“Veramente?” le domandò il ragazzo come per avere un’ulteriore conferma.
“Veramente” ribadì lei altrettanto seriamente.
 
James prese le mani della ragazza tra le sue senza spostare lo sguardo.
Chiuse gli occhi per qualche secondo e sospirò di nuovo prima di riaprirli.
 
Aumentò per un attimo la stretta alla mani per poi lasciargliele annuendo.
 
 
“Vai”.













Buon giorno a tutti!
Scusate per il mancato aggiornamento di ieri, ma sono uscita di casa di mattina e sono rientrata solo verso mezzanotte, giusto per rispondere alle recensioni dello scorso capitolo (scusate il ritardo anche per la risposta a quelle).
E a proposito di recensioni.... GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!!! 
Davvero di cuore!
La storia è arrivata a quota 51 e quasi non ci credevo quando ho visto quel numeretto in parte al titolo.
Non sapete quanto significhi per me: conoscere il parere dei lettori, sapere che quello che scrivi non solo è leggibile, ma pure piacevole da leggere (almeno spero!) e che la storia appassiona almeno un pochino... beh, davvero è il miglior regalo che si può fare a qualcuno che scrive. 
Ora, passiamo alle comunicazioni di servizio.
La prossima settimana (e sappiate che ancora non so la data, quindi sono proprio messa bene...) ho un esame. Importante.
Talmente importante che se non lo passo mi salta la sessione di laurea e direi che non ci tengo proprio a dover aspettare fino ad aprile...
Quindi...
Se riesco con i tempi, la revisione del capitolo, lo studio, ecc, ecc, pubblicherò il prossimo capitolo domenica (e non credo che avere il capitolo anticipato di un giorno vi dia problemi...).
In caso contrario, beh, mi spiace ma la pubblicazione salterà una settimana, e quindi ci risentiamo lunedì 10 ottobre.
Io cercherò di fare del mio meglio (soprattutto perchè immagino che, tanto per cambiare, da come ho concluso questo capitolo mi odierete), ma in caso vi autorizzo a prepararvi i pomodori da lanciarmi per la prossima volta che mi rifarò viva.
Vi lascio come sempre lo spoiler del prossimo capitolo:

Fu uscendo dalla sala da bagno che lo notò.
Il suo sguardo si era perso nei ghirigori argentati che abbellivano il tessuto da cui era costituito il paravento che anche in quella stanza copriva l’ingresso del bagno.
Nell’angolo in alto a sinistra, quello rivolto verso la finestra, c’era qualcosa, l’angolo di un foglio, che sporgeva appena dall’interno della fodera.
Esaminandolo più da vicino Elise constatò che effettivamente in quel punto lì un lembo di tessuto era stato scucito in modo da ricavare una specie di tasca all’interno del separè.
E all’interno c’era effettivamente un foglio.
Tirandolo fuori dovette correggersi, quello non era solo un foglio: era una foto, di quelle magiche per giunta.
Apriamo le scommesse: fuori le vostre ipotesi su qual è il soggetto della foto!

A presto!
E.

 

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Capitolo 30
*** 29. Discoveries and photos ***


29 – Scoperte e foto
 
 
 
I piedi di Elise toccarono il terreno e la ragazza si affrettò ad appiattirsi contro il muro dell’edificio.
Aveva reputato opportuno non materializzarsi in mezzo al prato come l’ultima volta, dove sarebbe per altro stata in bella vista.
Mentre raggiungeva il portone d’ingresso sentiva le parole che le aveva detto James rimbombarle nella testa.
 
 
“Vai”
Ci fu un lungo istante di silenzio e poi: “Cosa?!” domandò Elise sgranando gli occhi, sicura di aver capito male.
Il ragazzo abbozzò un sorriso a quella reazione pur mantenendo un’espressione seria.
“Mi fido di te, Elise. Quindi vai” spiegò pazientemente.
“Ma… mi hai appena chiesto…”
“Volevo vedere come avresti risposto. E so che eri sincera, so che sei convinta che tornare a Skelton House sia l’unico modo per cercare di sbloccare la situazione…”
“Ma…”
“Solo promettimi, e questa volta dico sul serio, che tornerai indietro. Da me. E possibilmente sulle tue gambe e non ridotta com’eri l’ultima volta” la interruppe reprimendo un brivido al pensiero.
“Sarò di ritorno prima che tu possa sentire la mia mancanza” stabilì la ragazza un attimo dopo per poi lasciare un bacio veloce sulle labbra di James, concentrarsi e sparendo dal parco.
Il ragazzo sorrise tristemente: lui già la sentiva la sua mancanza…
 
 
Raggiunto il portone Elise esitò per un attimo prima di posare la mano sul grande pomello per aprirlo.
Una volta dentro avrebbe dovuto stare molto attenta.
Stranamente al suo arrivo non era scattato nessun allarme, non voleva rischiare di innescarne uno andando a zonzo per la casa.
Soprattutto considerato il fatto che una volta dentro, in caso di pericolo, non avrebbe più potuto smaterializzarsi.
Quasi trattenendo il respiro ruotò il pomello e la porta si aprì.
 
Entrò nell’ampio ingresso in punta di piedi, si sentiva una ladra, richiudendosi il più silenziosamente possibile il portone alle spalle.
Ora non le restava che scoprire dove fosse la Clark, o almeno la sua stanza.
Contrariamente all’ultima volta aveva già una mezza idea di cosa fare.
 
“Silly?” chiamò a mezza voce.
Si era fatta spiegare da James come funzionava la cosa.
Un elfo domestico è tenuto ad apparire quando il padrone lo chiama, e la prima volta l’elfa si era sempre riferita a lei chiamandola padroncina, quindi…
Trattenne un’esclamazione di sorpresa quando con un sonoro schiocco la creatura apparve davanti a lei, gli occhi a palla spalancati in un’espressione di stupore quando si rese conto di chi era stato a chiamarla.
“La padroncina è tornata…” cominciò con la sua vocetta stridula, ma la ragazza le fece cenno di smettere prima che attirasse troppo l’attenzione.
L’elfa ubbidì all’istante.
“Silly, Shayleen è qui?” le domandò come prima cosa.
“La padrona non è in casa” rispose diligentemente Silly che sembrava anche aver capito di dover tenere la voce bassa.
Sua madre non era in casa, non poteva sapere se ci fosse qualcun altro, ma almeno avrebbe potuto fare le cose con più calma: era lei quella che la preoccupava di più.
“Molto bene allora. Mi serve che mi porti alla stanza di Cheryl Clark per favore. Vive qui, vero?”
L’elfa annuì e le tese una mano facendole intendere che la doveva stringere.
Seppur perplessa Elise lo fece, e un attimo dopo non era più nell’ingresso ma nel corridoio di uno dei piani della villa, esattamente di fronte ad una porta chiusa.
“È questa” commentò Silly lasciandole la mano mentre la ragazza la stava ancora guardando confusa: Shayleen era stata chiara sul fatto che lei non potesse smaterializzarsi all’interno della casa.
 
“Silly… io non posso smaterializzarmi qui dentro. Come hai fatto?” domandò esponendo ad alta voce i suoi pensieri.
Le orecchie dell’elfa tremarono mentre quella le rivolgeva un sorriso furbo e timido allo stesso tempo: “Silly è un elfo domestico, per lei non valgono certe regole…” confessò.
Elise esultò internamente: forse allora poteva avere non solo una via di fuga ma anche un modo per far entrare altra gente dall’esterno…
“Ottimo lavoro, grazie davvero Silly” disse poi rivolta all’elfa che si piegò in un profondo inchino, le grandi orecchie a punta che quasi sfiorarono il pavimento.
“Se dovessi avere di nuovo avere bisogno di te verrai?”
“Tutto quello che la padroncina vuole” confermò l’elfa.
Un altro schiocco ed era di nuovo sparita.
 
Elise portò la sua attenzione alla porta.
Concentrandosi un attimo riuscì a sentire che non era protetta in nessun modo: non avrebbe avuto problemi ad entrare.
 
 
La stanza era vuota.
Per un istante Elise aveva quasi sperato di trovarci la proprietaria all’interno, ma almeno così avrebbe avuto il tempo di dare tranquillamente un’occhiata in giro.
Magari avrebbe persino potuto trovare qualcosa che l’aiutasse a far luce sul ruolo di Cheryl all’interno della situazione.
 
La camera era arredata in modo molto simile alla sua, forse era giusto un po’ più piccola e non aveva il terrazzo.
Non mancavano il letto a baldacchino, l’armadio in legno massiccio, il tavolo da toeletta: tutto nei toni del verde e marrone scuro, quasi nero, del legno.
Si posizionò al centro della stanza allargando le braccia e ruotando lentamente su se stessa.
Era un incantesimo molto utile che il signor Potter le aveva insegnato, e che lei aveva riadattato in base alle sua capacità, che serviva ad individuare una qualsiasi fonte di magia in un determinato luogo.
Se in quella stanza qualcosa era stato nascosto da un incantesimo lei l’avrebbe trovata.
 
Peccato che però non ebbe i risultati sperati: in quella stanza sembrava essere tutto assolutamente normale.
Elise alzò le spalle: poco male, avrebbe fatto con il buon vecchio metodo babbano.
 
I primi furono i comodini ai lati del letto: i cassetti vennero esaminati da cima a fondo come anche quelli del tavolo da toeletta.
In uno aveva trovato un doppio fondo che però, con suo gran disappunto, non nascondeva nulla.
La cassapanca ai piedi del letto non conteneva nulla e dubitava fortemente che avrebbe trovato qualcosa nella stanza armadio.
Andò a controllare persino i mobiletti del bagno, ma il risultato era sempre lo stesso.
 
Eppure Elise non capiva: Cheryl doveva avere qualcosa da nascondere.
Pensare che era arrivata fino a lì per niente non era neanche da prendere in considerazione.
Non sarebbe andata via a mani vuote a costo di rimanere lì finchè qualcuno non si fosse accorto della sua presenza.
 
Fu uscendo dalla sala da bagno che lo notò.
Il suo sguardo si era perso nei ghirigori argentati che abbellivano il tessuto da cui era costituito il paravento che anche in quella stanza copriva l’ingresso del bagno.
Nell’angolo in alto a sinistra, quello rivolto verso la finestra, c’era qualcosa, l’angolo di un foglio, che sporgeva appena dall’interno della fodera.
Esaminandolo più da vicino Elise constatò che effettivamente in quel punto lì un lembo di tessuto era stato scucito in modo da ricavare una specie di tasca all’interno del separè.
E all’interno c’era effettivamente un foglio.
 
Tirandolo fuori dovette correggersi, quello non era solo un foglio: era una foto, di quelle magiche per giunta.
 
Dalla superficie liscia un ragazzo e una ragazza le sorridevano mentre salutavano agitando le mani.
Si guardarono negli occhi, scoppiando a ridere per qualcosa che verosimilmente sapevano solo loro per poi girarsi di nuovo di fronte, lui con un braccio sopra le spalle di lei, e salutare ancora.
Avranno avuto sì e no quindici anni, la ragazza sembrava essere più piccola.
Entrambi con una divisa pressochè identica se non per i colori dello stemma che entrambi esibivano cucito all’altezza del cuore.
Un grifone rampante su sfondo rosso e oro lui, un’aquila con le ali spiegate su fondo blu e nero lei.
Quello che la colpì di più fu però il fatto che lei quei due ragazzini li conosceva entrambi.
Suo padre non era poi così diverso da come lo aveva visto anni dopo nei ricordi del Primo Ministro: i capelli neri e lisci, i lineamenti dolci e sereni e gli occhi che lei stessa aveva ereditato.
Ed era un Grifondoro.
 
Venirlo a sapere le aveva dato un immediato senso di sollievo.
James le aveva ben raccontato le varie caratteristiche delle case della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, e nonostante tutto era riuscito a rimanere piuttosto imparziale dicendo che, in linea di massima, non c’era una Casa migliore dell’altra: ognuna ha i suoi elementi buoni e quelli meno (suo fratello Albus dopotutto era un Serpeverde…).
Sapendo però che sua madre era stata una Serpeverde lei aveva segretamente sperato, in un eventuale Smistamento che per lei non sarebbe comunque mai avvenuto, di essere in una casa diversa.
Non voleva aggiungere anche quello alla già lunga lista di cose in cui assomigliava a Shayleen.
 
Tornò ad osservare la foto cercando di dare una spiegazione a quello che vedeva.
 
Capelli neri, tanto quanto quelli del ragazzo al suo fianco, legati indietro in una lunga coda che le ricadeva sulla spalla, occhi scuri tanto che la pupilla quasi si confondeva nell’iride, labbra sottili però piegate in un sorriso che trasmetteva felicità e spensieratezza.
Non c’era alcun dubbio: quella era la versione quattordicenne della signorina Clark.
 
Vederli così vicini, uno di fianco all’altra, le fece finalmente capire come mai l’altro giorno al parco l’espressione seria ma allo stesso tempo quasi rassegnata della donna le era sembrata tanto familiare.
Era la stessa che aveva suo padre nel ricordo del Primo Ministro quando aveva avvisato Shacklebolt che Shayleen non si sarebbe fermata davanti a nulla.
 
 
Quando era nata Evan l’aveva portata via da sua madre lasciandola all’orfanotrofio.
E se lasciarla lì non fosse stata una scelta casuale?
Se l’avesse portata proprio lì non per l’orfanotrofio in sé per sé ma per una certa persona che ci lavorava?
Perché più guardava la foto più Elise se ne convinceva: ci avrebbe scommesso i suoi poteri, quei due erano…
 
“Allora sei davvero qui, pensavo che quell’elfa stesse cominciando ad immaginarsi le cose…”
Una voce la fece sobbalzare ed Elise si girò di scatto verso l’ingresso della camera, le mani dietro la schiena per nascondere la sua scoperta.
La Clark entrò nella stanza chiudendosi la porta alle spalle accennando un sorriso all’espressione sconcertata che la ragazza aveva fatto nel sentire che era stata Silly a dirle della sua presenza.
“Non ti preoccupare, credo sia stata una cosa involontaria. Stava parlando tra sé e sé di quanto fosse contenta che la padroncina fosse tornata a fare visita e non si è accorta della mia presenza. Sarei venuta prima se non avessi perso tempo a cercare di trattenerla dal punirsi… le ho assicurato che la padroncina sarebbe stata alquanto contrariata se si fosse chiusa le dita nello sportello del forno… ho fatto bene?” sembrava quasi la stesse prendendo in giro.
 
Elise continuò a guardarla, sospettosa e indecisa.
Fra le varie cose c’era anche quella di parlare con la donna, ma ora che se la trovava davanti non sapeva come incominciare.
Inoltre il suo atteggiamento così diverso da quello che aveva tenuto al parco quel pomeriggio l’aveva lasciata perplessa: era cambiato qualcosa?
 
“Certo che hai fatto bene” disse infine decidendo di rispondere alla sua provocazione. “In effetti venendo qui speravo proprio di parlare con te” aggiunse cercando di mostrarsi più sicura di quanto non fosse in realtà.
“Ah sì? E sentiamo, di cosa volevi…”
“Tu lo sapevi. Sapevi cosa sarebbe successo se avessi guarito Dan, perché non me lo hai detto?” la interruppe subito.
Ne aveva abbastanza di essere presa in giro.
L’espressione canzonatoria abbandonò il visto della donna che si fece di colpo più serio: “Non credo che avrebbe fatto molta differenza visto che alla fine hai comunque deciso di fare di testa tua” rispose piccata.
“Avrei potuto trovare un’altra soluzione, avrei…”
“No che non avresti potuto. Mettiti il cuore in pace ragazzina, non puoi salvare tutti… almeno non più, a meno che tu non sia disposta ad accettarne le conseguenze” ribattè.
Elise richiuse la bocca che aveva aperto per risponderle per le rime: alla fine dei conti aveva ragione.
“E non c’è un modo per far sì che le cose tornino come prima?” domandò quasi senza rendersene conto.
Cheryl la guardò attentamente: che fosse riuscita a capire dal tono di voce che lei non intendeva solo la faccenda della guarigione ma anche tutto il resto.
 
“Temo di no” fu la sua risposta dopo un lungo attimo di riflessione.
“Dovresti andare prima che Shayleen ritorni” le consigliò poi. “Adesso che ha visto che l’incantesimo che ha posto su di te l’ultima volta che sei stata qui ha funzionato non credo che ti lascerebbe andare tanto facilmente se riuscisse ad avvicinarti di nuovo”
“Perché io riesco a guarire le persone e voi no?” domandò Elise ignorando completamente le ultime cose che Cheryl aveva detto.
La donna si era intanto seduta sul letto mentre lei era ancora in piedi con la foto nascosta dietro la schiena.
Non se ne sarebbe andata finchè non avesse fatto luce su quella faccenda.
“Tu sei nata da due puri, Elise” cominciò intanto a spiegare la Clark. “Due puri piuttosto potenti, aggiungerei. È evidente che questo abbia in qualche modo influito sulla portata dei tuoi poteri… tutti noi siamo nati da genitori maghi, abbiamo tutti iniziato usando la bacchetta, Shayleen compresa. Abbiamo smesso di usarla solo col tempo, imparando a conoscere i nostri poteri. A quanto mi risulta tu invece non hai mai avuto bisogno di una bacchetta, non hai idea di quanto potresti essere potente se lo volessi”
“Ma io non voglio!” si affrettò a precisare la ragazza.
 
“Sai invece cosa vorrei?” aggiunse poi. “Vorrei che qualcuno mi spiegasse come stanno davvero le cose, una volta per tutte”
“Credo che in questo caso tu ti stia rivolgendo alla persona sbagliata, Elise. Stavolta non posso aiutarti” la blandì la donna con sarcasmo.
“Non puoi o non vuoi?” rilanciò svelta la ragazza. “Perché altrimenti non mi spiegherei come mai hai cercato di fermarmi dal guarire Dan, o come mai mi sei sempre sembrata la meno entusiasta quando si arrivava allo scontro… come mai mi hai tenuta nascosta in orfanotrofio per tutti quegli anni” concluse soddisfatta notando che nonostante l’espressione apparentemente impassibile della donna nei suoi occhi era passato un lampo di preoccupazione e forse anche… paura?
 
“Ho una teoria” riprese Elise dopo aver lasciato il tempo alla Clark di metabolizzare quello che aveva detto.
“Ma davvero?” le domandò l’altra con tono divertito per cercare di mascherare il crescente disagio.
“Oh sì” assicurò la ragazza. “Io penso che ci sia un motivo preciso per cui mi hai tenuta nascosta per tutto quel tempo. Perché te l’ha chiesto una persona…” disse sicura.
La Clark alzò gli occhi al cielo.
Quando parlò cercò di tenere salda la voce nonostante fosse ormai evidente che quello a cui erano alla fine arrivate dovesse essere un argomento tabù per lei.
“E di grazia chi mai avrebbe dovuto chiedermi di tenere una neonata nascosta in un orfanotrofio per…”
“Lui” disse semplicemente Elise interrompendo la donna e tirando fuori la foto da dietro la schiena.
 
Cheryl sgranò gli occhi di colpo, sgomenta: quello non se lo aspettava.
Non avrebbe dovuto venirlo a sapere, non così.
 
 
“La padrona è tornata a casa!”
Silly si era appena materializzata al centro della stanza facendo prendere un colpo ad entrambe.
 
“Non riuscirai ad uscire dalla casa senza che lei non se ne accorga” fu il commento della Clark.
Elise si sforzò di sorridere nonostante avesse il cuore che le batteva ad un ritmo spropositato.
“Non sarà necessario uscire dalla casa”
“Ti sei già dimenticata che tu non ti puoi smaterializzare finchè sei dentro?”
“Io no, ma lei sì” concordò la ragazza indicando Silly.
 
Si chinò avvicinandosi all’orecchio dell’elfa per spiegarle dove avrebbe dovuto portarla.
Non le piaceva quello che stava per dire ma doveva farlo.
“Ti ordino di non raccontare niente di tutto questo a Shayleen, specialmente del fatto che con te mi posso smaterializzare liberamente” cominciò. “E ti proibisco di punirti se Shayleen dovesse essere scontenta di te perché non rispondi alle sue domande. Capito?”
Silly annuì timidamente: avrebbe ubbidito.
“Grazie” sospirò Elise lasciandole una carezza gentile sulla testolina calva, gesto che lasciò l’elfa alquanto sorpresa: Shayleen non la trattava troppo male, ma di sicuro non con tutto quel rispetto.
 
“Finiremo questo discorso” disse alla fine Elise guardando negli occhi la Clark.
Duplicò la foto, nella sua i due ragazzi erano immobili come nelle foto babbane ma andava benissimo così, per poi appoggiare l’originale sul ripiano del tavolo.
 
“Silly, andiamo per favore…”













Ma salvee...!
Per vostra fortuna (o sfortuna, questo dovete dirmelo voi) non mi sono dimenticata di questa storia.
E vorrei ricordarvi che maledizioni potenzialmente letali, nel caso in cui dovessero avere effetto, mi impedirebbero di pubblicare i prossimi capitoli, quindi attenti... :)
I pomodori penso siano più innoqui o sopportabili.
Comunque...
Teoricamente si dovrebbe capire qual è la "scoperta" che fa Elise in questo capitolo, ma nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi la cosa verrà definitivamente chiarita la prossima volta.
A questo proposito stavo pensando: un capitolo infrasettimanale potrebbe bastare per farmi perdonare per queste due settimane di silenzio?
Ormai che l'esame è andato (come ancora non si sa visto che come al solito avremo i risultati tra millemila anni) non dovrei avere problemi ad aggiornare puntualmente la storia come ho sempre fatto.
Vi lascio l'anticipo del prossimo capitolo!

La donna rispose stringendola ancora di più.
Elise non poteva vederlo ma sul suo visto era appena spuntato un sorriso come non ne faceva da anni.
Un sorriso che sapeva di sollievo e felicità.
Un sorriso che sapeva di famiglia.

Chi è che sta abbracciando Elise? (Dai che è facile!)
A mercoledì/giovedì :)
E.


 

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Capitolo 31
*** 30. Tears of Jade ***


30 – Lacrime di Giada
 
 
 
Elise e Silly apparvero nell’area, accanto alle altalene che la ragazza aveva descritto come punto di riferimento.
L’elfa sparì nel giro di pochi secondi: Shayleen non doveva accorgersi della sua trasferta.
Il tempo di guardarsi intorno e James la stava già stringendo in un abbraccio soffocante.
 
“Stai bene?” le domandò dopo averla liberata scrutandola da capo a piedi in cerca di qualsiasi cosa che potesse essere fuori posto.
“Sto bene” confermò lei sorridendo teneramente alla preoccupazione del ragazzo.
“E quello era…?”
Quella era Silly, l’elfa domestica di Skelton House”
“Ah… quindi… hai scoperto qualcosa? Non tornavi più…”
“Ecco, qualcosa sì, ma devo finire il discorso…”
James strabuzzò gli occhi: “Devi finire… hai incontrato qualcuno?”
Elise annuì: “Sì, la signorina Clark. Non fare quella faccia, abbiamo solo parlato, come vedi sono ancora tutta intera. E poi ho trovato questa…”
Porse a James la foto di Evan e Cheryl che ancora teneva in mano.
Il ragazzo la guardò concentrato per qualche istante.
 
“Quella è la Clark, non c’è dubbio. Il ragazzo invece sembra proprio suo fratello” commentò alla fine facendo per ridare la foto ad Elise. “Come mai è così importante?”
La ragazza si ricordò in quel momento che effettivamente James non aveva mai avuto l’occasione di vedere suo padre.
“Guarda bene il ragazzo, soprattutto gli occhi: non ti sembrano familiari?” lo esortò.
James tornò a concentrarsi sul dettaglio della foto finchè Elise non lo vide esibire un’espressione di pura sorpresa.
“Sono…” cominciò alzando la testa a guardare Elise. “… come i tuoi”
“Quel ragazzo è mio padre” confermò lei.
 
“Dobbiamo dirlo subito a…”
“No”
James fronteggiò la ragazza stranito: “Cosa? Perché no?” domandò alzando un sopracciglio.
“Beh, come ho detto dobbiamo ancora finire il discorso e voglio che lei sappia di potersi fidare di me. Non voglio esprimere un giudizio prima di aver sentito tutta la storia. Quando saprò come sono andate davvero le cose sarò la prima a far vedere i miei ricordi a tuo padre e a chiunque abbia bisogno”
James non ribattè.
Dopo qualche istante un sorrisetto si fece strada sul suo volto.
“Cosa c’è?”
“È che… stavo pensando: se lei e tuo padre erano fratelli allora vuol dire che Clark è anche il tuo cognome. Cioè, il tuo vero cognome…”
“Oh, taci!”
 
 
 
ↄↄↄ
 
 
 
la mattina dopo Elise era di nuovo diretta verso l’appartamento di Diana e Rupert.
Si era accorta che il giorno prima, complice il caldo pomeridiano, si era completamente dimenticata del golfino che aveva indosso quando lei e James erano arrivati in mattinata e che si era tolta durante il pranzo.
Poco male.
Julia ormai passava quasi tutto il suo tempo da Daniel, il quale aveva ancora il morale sotto le suole delle scarpe, e lei non voleva monopolizzare James perché passasse tutto il suo tempo con lei.
Il ragazzo non si era mai lamentato ma lei stessa poteva capire che ogni tanto non gli sarebbe dispiaciuto passare un po’ di tempo con la sua famiglia al completo, adesso che c’erano le vacanze.
 
Arrivata a destinazione un Rupert in tenuta da casa le aprì la porta piacevolmente sorpreso accompagnando con un sorriso scherzoso l’esclamazione: “Già di ritorno?”
Risolta la questione della felpa dimenticata l’uomo aveva invitato Elise a fermarsi un attimo, facendole segno di sedersi sul divano accanto a lui.
 
“Allora…” cominciò.
“Allora?” ripetè lei, abbastanza curiosa di sentire quello che suo padre aveva da dirle.
“Devo dire che James mi è sembrato proprio un bravo ragazzo” continuò.
Elise arrossì di botto.
Si sarebbe aspettata una conversazione del genere con Diana, con tanto di tavolo da interrogatorio e lampada puntata in viso, non con lui.
“E mi è anche sembrato che foste abbastanza, ecco… affiatati” aveva intanto proseguito lui.
A quel punto sarebbe potuta benissimo andare a fuoco.
“Papà, ti prego! Arriva al punto, cosa vuoi sapere?” ripensandoci forse avrebbe fatto meglio a non chiederlo.
“Beh, è solo che mi è sembrato che la cosa fosse piuttosto seria, e tu hai solo vent’anni…”
“Ok, ok. Papà, non è il primo ragazzo con cui esco: dovresti saperlo visto che tu e mamma avete sempre insistito perché io ve li presentassi sempre”
“Vero, ma come ho detto mi sembra che questa volta sia diverso, o sbaglio?”
 
“E quindi?” domandò Elise rompendo alla fine il silenzio imbarazzato che si era creato.
Rupert le sorrise apertamente: “E quindi niente, a mio parere state proprio bene insieme. Credo di non averti mai visto sorridere così come quando sei con lui. Se davvero quel ragazzo è quello giusto e ti rende felice… non fartelo scappare”
La ragazza si ritrovò suo malgrado a ricambiare il sorriso alla parole del genitore.
“Solo non fatemi sorprese, eh!” concluse Rupert rovinando l’atmosfera e facendo di nuovo arrossire Elise che si astenne dal commentare.
 
“Quasi dimenticavo” riprese l’uomo cambiando discorso: lui la sua approvazione e i suoi avvertimenti li aveva dati, se Diana avesse voluto aggiungere qualcosa l’avrebbe fatto di persona.
“Stamattina insieme alla posta è arrivata questa” la sua voce arrivava leggermente attutita dalla cucina dove si era appena diretto.
“Non c’è francobollo né mittente, però c’è il tuo nome scritto sopra. L’hanno lasciata al portiere questa mattina. Charlie ha detto che era una signora sull’età di Diana: occhi e capelli scuri, chignon… dalla descrizione che ha fatto credo sia la tua vecchia educatrice dell’orfanotrofio. Com’è che si chiamava? È un po’ che non la vai a trovare o sbaglio?”
Intanto era tornato in sala e aveva allungato alla ragazza una busta in pergamena, non molto grande.
 
“Clark, è la signorina Clark” rispose Elise mentre constatava con sollievo che la calligrafia con cui il suo nome era scritto sulla busta non era quella sottile e spigolosa di Shayleen ma una più piena e tondeggiante, quasi simile alla sua.
La aprì cautamente, quasi si aspettasse che ne saltasse fuori qualcosa, per poi alla fine sfilare un semplice biglietto vergato con la stessa scrittura.
 
Stamattina alle 11 dove ti ho trovata.
 
La ragazza guardò l’ora: era ancora in tempo.
 
“Spero non sia una cosa troppo importante, non ti ho fatto fare tardi, vero? Dovevo chiamarti ma so che ti piace dormire fino a tardi, non volevo disturbare” si scusò Rupert che aveva seguito i movimenti della figlia.
“No, sono in tempo” rispose lei.
 
Meno male che quella mattina Julia l’aveva svegliata prima di uscire.
E meno male che il giorno prima aveva dimenticato il golfino lì perché altrimenti avrebbe aperto la busta quando ormai sarebbe stato troppo tardi.
 
“Ci vediamo” Elise salutò l’uomo con un abbraccio. “Adesso devo proprio andare”
“Salutami mamma!” aggiunse che era già fuori dalla porta.
 
 
 
 
Dovette trattenersi dal fare la strada di corsa, sperando al contempo di non stare per finire dritta in una trappola.
 
Vieni da sola
 
Diceva il biglietto sotto l’orario indicatole per l’incontro.
 
Alla fine non dovette neanche aspettare: come arrivò in vista dell’edificio notò che fuori dal cancello c’era già la signorina Clark intenta ad osservare i bambini dell’orfanotrofio che erano ancora fuori in giardino a giocare più scalmanati che mai.
Stava sorridendo.
Elise rallentò il passo fino a fermarsi al suo fianco ad guardare a sua volta la scena: anni fa anche lei faceva parte di quel branco di terremoti urlanti.
 
“Può capitare che tra tutti i bambini ogni tanto ci sia qualcuno che manifesta doti magiche, per questo motivo c’è sempre qualche mago tra i dipendenti, per questo lavoravo qui. È bene che la loro magia involontaria venga tenuta sotto controllo finchè non raggiungono l’età per frequentare Hogwarts” la signorina Clark cominciò a parlare di punto in bianco senza ancora voltarsi a guardare la ragazza.
“Poi quando è il momento la bambina o il bambino riceve una visita da parte di uno degli insegnanti della scuola, di solito è la professoressa McGranitt ad occuparsene, che spiega loro tutto quello che gli occorre sapere. Noi invece ci occupiamo di accompagnarli a Diagon Alley a prendere il materiale, ci assicuriamo che i compagni non si insospettiscano vedendo partire un loro amico per mesi alla volta di una misteriosa scuola, che i compiti delle vacanze vengano fatti, cose così…”
 
Intanto aveva cominciato a camminare seguendo il muro che delimitava il perimetro dell’edificio finchè non arrivarono dalla parte del retro, molto più isolata e silenziosa.
Gli schiamazzi dei bambini sembravano così lontani.
Presero posto su una panchina.
 
“Tuo padre ti ha portata qui che eri appena nata” continuò guardando finalmente Elise negli occhi.
“Da quando ha iniziato a frequentare Shayleen prima, e a lavorare presso l’Ufficio Misteri poi ci siamo sempre più allontanati, lo sentivo molto di rado. Quella mattina è venuto qui e mi ha supplicato di tenerti nascosta a qualsiasi costo, nessuno doveva sapere chi eri o da dove venivi. Non l’ho più visto da allora se non nella sua bara il giorno del funerale. Non mi aveva lasciato nessuna spiegazione, ma non mi ci è voluto molto per capire quello che era successo” una lacrima le era scesa lungo la guancia lasciando una scia lucida.
 
“Ero tranquilla: la lettera per Hogwarts arriva l’anno in cui il bambino deve compiere undici anni e generalmente i poteri non iniziano a manifestarsi che un paio di anni prima. Ovviamente con te le cose sono state molto diverse, in tutti i sensi.
Come ormai ricordi la prima volta che hai manifestato i tuoi poteri avevi solo cinque anni. Non potevo lasciare che cominciassi ad usarli così presto: Shayleen avrebbe potuto rintracciarti.
Ho dovuto cancellarti la memoria”.
 
Elise ascoltava in silenzio senza perdersi una parola.
Che fosse la volta buona che le sue domande avrebbero ricevuto risposta?
 
“Poi c’è stata quella volta in cui ti ho vista saltare dall’altalena, avevi solo sei anni e mezzo e già eri consapevole di quello che eri in grado di fare… Non ho avuto il coraggio di farlo di nuovo. Era sicuramente ancora presto per la lettera ma in qualche modo ho cercato di schermare il fatto che fossi tu a usare i poteri: immagino ti ricorderai di tutte le volte in cui ti ho ripetuto di non fare magie tanto per fare.
Non avevo però messo in conto gli Starlet. Avevi ormai l’età in cui un bambino comincia ad essere considerato troppo grande per essere adottato, e a me andava benissimo così visto che saresti potuta rimanere con me. Un’altra cosa su cui mi sbagliavo…”
 
“Continui a parlare della lettera per Hogwarts, ma a me non è mai arrivata” si inserì Elise.
La donna annuì facendole capire che sarebbe arrivata a spiegare anche quello.
 
“Ti ho cancellato la memoria un’ultima volta quando sei stata adottata per lo stesso motivo per cui l’ho fatto la prima. Non avrei potuto continuare a mascherare i tuoi poteri una volta che tu fossi uscita dall’orfanotrofio. Con un po’ di fortuna i tuoi poteri avrebbero cominciato a manifestarsi di nuovo in corrispondenza con l’arrivo della lettera e a quel punto non ci sarebbero più stati problemi”
Fece una breve pausa per riorganizzare i pensieri.
“Ogni mago o strega è iscritto di diritto a Hogwarts fin dalla nascita, questa è la regola generale. In realtà però la cosa è un po’ più sottile.
Vedi, con il termine mago si intende una persona dotata di poteri magici destinata ad essere scelta da una bacchetta per essere in grado di utilizzarli.
Ora, all’epoca non ne avevo idea, ma tu non sei mai stata destinata ad usare una bacchetta, Elise, questo mi sembra chiaro. E allo stesso modo non credo che i registri della scuola fossero (o lo siano anche adesso) incantati in modo da prevedere che forse qualcuno non abbia bisogno di usarla, la bacchetta.
Sappi comunque che non avrei mai voluto… le crisi… mi dispiace davvero” concluse abbassando lo sguardo.
“Avevo promesso a Evan che ti avrei protetta, era l’unica cosa che mi aveva chiesto, e temo di non aver fatto esattamente un buon lavoro”
 
Forse era un po’ presto per parlare già di perdono e cose simili, ma Elise si ritrovò comunque a pensare che a parere suo non era vero che la donna non aveva fatto un buon lavoro.
“Quindi… Clark, eh?” disse alla fine cercando di spezzare un po’ la tensione e abbozzando un sorriso.
Cheryl la guardò stranita per un attimo, poi scoppiò a ridere.
“Clark? Oh no, no… per Merlino, no…”
A quel punto Elise era certa di essersi persa qualcosa: “Ah no?”
L’altra scosse ancora la testa per poi far apparire la foto, quella originale, e porgerla alla ragazza tenendola girata dalla parte del retro.
Elise potè così notare un dettaglio a cui non aveva fatto caso quando il pomeriggio precedente l’aveva sfilata dalla fodera del paravento.
Nell’angolo in basso a sinistra c’era infatti scritto qualcosa.
 
Evan e Jade Shivell
 
Elise rimase un attimo perplessa.
Rilesse i nomi più volte girando anche la foto per riguardare i due ragazzi.
La signorina Clark, o doveva dire Shivell?, sorrise alla sua espressione: “Evan e Jade Shivell, hai letto bene” confermò.
“Shayleen non ha mai badato più di tanto alla sorella minore di Evan, lui le parlava spesso di me ma di persona non ci siamo mai incontrate, non in quel periodo, e a scuola essendo di una anno più piccola non abbiamo mai avuto occasione di passare del tempo insieme. Ho ritenuto comunque più prudente cambiare nome quando le rare volte che ci sentivamo Evan ha cominciato a mostrarsi preoccupato per la situazione che si stava venendo a creare. Quando poi sei entrata in gioco tu la mia decisione si è dimostrata particolarmente azzeccata, non potevo rischiare che Shayleen mi riconoscesse” i suoi occhi sembravano persi in un ricordo.
 
Da parte sua anche Elise aveva il suo bel da fare a cercare di dare un contegno ai pensieri che le affollavano la mente.
 
In meno di ventiquattr’ore aveva scoperto che quella che aveva sempre considerato la sua educatrice preferita era in realtà sua zia e che il suo nome non era Cheryl Clark ma Jade Shivell.
 
“Perché stai ancora con Shayleen?” domandò alla fine per cercare di trovare risposta agli ultimi interrogativi che le rimanevano. “Perché non raccontarmi tutto subito: chi eri tu, chi ero io…”
“Eri solo una bambina Elise. Non volevo che venissi coinvolta, non ancora. La tua adozione ha scombinato i piani, ma non ho avuto cuore di manipolare la memoria anche agli Starlet per far sì che si dimenticassero di te, eri così felice quando hanno iniziato a venire a farti visita per l’adozione… alla fine ho pensato che, visto che ormai saresti stata al sicuro per un buon periodo di tempo, sarebbe potuta essere una buona idea provare ad entrare a far parte del gruppo di seguaci di Shayleen per tenere la situazione più sotto controllo”
Elise fece per ribattere.
“Chi pensi che abbia sempre messo in dubbio il fatto che tu fossi davvero tu quando Shayleen ha ordinato a me e a Jack di cominciare a seguirti? Pesi che tua madre non mi abbia mai fatto domande sul periodo che hai trascorso in orfanotrofio? Ho sempre mentito dicendo che non avevo mai notato nessuna traccia di magia in te… Chi pensi che abbia bloccato l’incantesimo di allarme che avvisa quando qualcuno entra nella proprietà quando ieri hai deciso di venire a farti un giro?”
 
Oh, in effetti le sue ragioni sembravano convincenti.
 
“Tutto quello che ho fatto è stato per proteggerti”
“E per mantenere la promessa che hai fatto a Evan”
“… e per mantenere la promessa che ho fatto a mio fratello, sì” confermò.
 
“Sappi comunque che promessa o meno ti ho sempre voluto bene. Lo so che pensi di non poterti fidare e che ti sarà difficile da credere ma è la verità”.
 
Sembrava sinceramente convinta di quello che stava dicendo: o era un’attrice dannatamente brava oppure le lacrime che in quel momento avevano ripreso a rigarle le guance erano autentiche.
 
Senza sorprendersi più di tanto anche Elise si rese conto di avere gli occhi che le pizzicavano.
Non permettendo a se stessa di pensarci più di tanto si spostò lungo la panchina in modo da avvicinarsi a sua zia –anche solo pensarlo le faceva uno strano effetto– per poi sporgersi verso di lei e abbracciarla.
 
La donna reagì irrigidendosi in un primo momento, stupita dal gesto della nipote, finendo poi con il lasciarsi andare e abbracciarla a sua volta.
 
Per anni aveva immaginato il momento in cui avrebbe detto ad Elise chi lei fosse in realtà: non si sarebbe mai immaginata, almeno non all’inizio, che sarebbe avvenuto in tali circostanze, ma il fatto che la ragazza non avesse reagito allontanandola le aveva fatto tornare la speranza che forse non tutto era perduto.
Forse era ancora in tempo per recuperare quel rapporto che avrebbe voluto e avrebbe dovuto avere con lei fin da subito.
 
“Non so se te l’ho mai detto –anche se penso che tu l’avessi capito– ma sei sempre stata la mia preferita” confessò Elise ancora stretta dalle braccia della donna.
“…quindi da adesso posso chiamarti zia Jade?” domandò poi timidamente.
La donna rispose stringendola ancora di più.
 
Elise non poteva vederlo ma sul suo visto era appena spuntato un sorriso come non se ne vedevano da anni.
Un sorriso che sapeva di sollievo e felicità.
 
Un sorriso che sapeva di famiglia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“… ma che scena commovente…”













Eccomi qui come promesso!
Finalmente abbiamo chiarito anche gli utlimi interrogativi rimasti: come mai ad Elise non è mai arrivata la lettera, come mai la signorina Clark (che da questo momento è diventata zia Jade :P) le ha cancellato la memoria quando era all'orfanotrofio...
Adesso l'unica cosa che rimane da capire è quali sono le intenzioni di Shayleen, ma per quelle c'è tempo: mancano ancora diversi capitoli prima che la storia finisca.
Cosa posso dire: voglio davvero sapere i vostri pareri su questo capitolo, ricordo nuovamente che non mordo se lasciate una recensione!
... E poi vogliamo mettere Rupert che dà la sua benedizione alla nostra coppietta preferita?
Ecco lo spoiler del prossimo capitolo:

Dalla porta del salotto – che fino a quel momento era rimasto sigillato e insonorizzato – fecero capolino Albus e Lily.
“Finalmente! Cominciavamo a pensare che non aveste più finito” esclamò il primo.
“Proprio non capisco tutta questa segretezza… siamo tutti maggiorenni qui!” commentò l’altra.
“Vogliamo andare?” aggiunse poi. “Sapete che la nonna si agita sempre quando qualcuno è in ritardo…”
Elise guardò James: “Io… tolgo il disturbo. Non sapevo doveste uscire…”
Il ragazzo scoppiò a riderle in faccia: “Elise, guarda che tu vieni con noi. Sarei passato io a prenderti ma mi hai risparmiato il viaggio”
La ragazza alzò un sopracciglio.
“Ecco… tu mi hai fatto conoscere la tua famiglia, adesso è il tuo turno a conoscere la mia” si spiegò meglio. “Vedrai che ti piacerà, i pranzi di nonna Molly sono epici, e sono sicuro che le sarai subito simpatica anche se forse avrà qualcosa da ridire sul fatto che sei troppo magra… oh, e a questo punto anche tua zia è invitata se vuole…”

A lunedì! (Sarò puntuale, giuro!) Grazie come sempre per aver letto
E.

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Capitolo 32
*** 31. Interrogation ***


31 - Interrogatorio
 
 
 
“… ma che scena commovente…”
 
Zia e nipote si girarono contemporaneamente di scatto, prima che potesse reagire in qualsiasi modo Jade era stata sbalzata all’indietro finendo a sbattere contro il muro.
Elise rimase da sola a fronteggiare Jack che pareva più minaccioso che mai.
Nel giro di poco gli incantesimi cominciarono a volare tra loro, ma questa volta Elise era ben pronta a rispondere.
 
Uno dei suoi ultimi incantesimi era riuscito addirittura a colpire l’uomo al braccio, lacerando la camicia che indossava e la pelle sottostante.
La ragazza cercò di approfittare di quell’attimo per raggiungere la zia, che per fortuna non sembrava aver riportato danni, ma Jack glielo impedì buttandosi letteralmente addosso a lei per bloccarla forse pensando che, se non poteva batterla sul piano degli incantesimi avrebbe potuto farlo su quello fisico.
 
Mossa sbagliata.
 
Dimenandosi nella sua stretta Elise toccò per sbaglio la pelle lasciata scoperta dalla stoffa là dove il suo stesso incantesimo aveva colpito Jack, e nel giro di pochi secondi quello stesso meccanismo che si era verificato quando aveva guarito Dan si era innescato automaticamente.
Capendo che qualcosa non andava fu l’uomo a cominciare a dibattersi per cercare di farle mollare la presa, cercando addirittura di usare i suoi poteri.
Ebbe giusto il tempo di lanciare una Maledizione – che Elise scansò per un pelo – prima di crollare a terra, completamente svuotato.
 
“Cosa mi hai fatto?” sibilò ad Elise ancora inginocchiato sull’asfalto.
“Dovresti andare a ringraziare Shayleen per questo: se non fosse stato per lei non sarei mai stata in grado di fare una cosa del genere” rispose lei tranquillamente.
Dopodichè lo schiantò senza troppi problemi: almeno avrebbe potuto consegnarlo al signor Potter senza doversi preoccupare di un suo eventuale tentativo di fuga.
Fece anche apparire delle corde con cui lo legò, giusto per precauzione.
 
“Elise…” la voce di Jade le giunse inaspettatamente flebile.
La ragazza la raggiunse in fretta per poi constatare con orrore che era ferita: la Maledizione che Jack aveva lanciato e che lei era riuscita ad evitare aveva colpito la donna.
Esitò, sapeva cosa sarebbe successo se l’avesse guarita, ma allo stesso tempo non poteva stare lì a guardare senza fare niente.
Non poteva perderla adesso che si erano appena ritrovate.
“Va bene così” la rassicurò la donna intuendo i pensieri della nipote.
“Fallo”.
 
 
Mezz’ora più tardi Elise era a suonare il campanello di casa Potter.
Aveva momentaneamente lasciato indietro Jade e Jack – quest’ultimo ancora privo di sensi, legato e opportunamente disilluso per non dare nell’occhio – per andare ad annunciarsi: finchè il signor Potter non avesse detto altrimenti nessuno dei due sarebbe stato in grado di entrare nella proprietà.
 
James sembrò subito entusiasta di vederla quando ebbe aperto la porta, ma il suo sguardo si rabbuiò all’istante non appena si accorse di chi stava aspettando fuori dal cancello.
“Ti ha seguita” constatò.
“In realtà… è con me” si affrettò a spiegare Elise prima che il ragazzo potesse giungere a conclusioni affrettate.
James la guardò con tanto d’occhi nel momento in cui lei concluse dicendo: “… e mi servirebbe il permesso di tuo padre per farla entrare, non è al sicuro là fuori”
 
L’Auror scelse proprio quel momento per arrivare.
Salutò cortesemente la ragazza ma anche lui si fece subito serio quando si rese conto da chi era accompagnata.
“Cosa sta succedendo Elise?” le domandò.
“Le consiglierei di chiamare qualcuno che venga a prendere Jack. L’ho disilluso, per questo fa fatica ad individuarlo. E c’è stato un incidente, quindi al momento non può usare i suoi poteri proprio come è successo con Dan…” raccontò velocemente.
“E anche zia Jade era ferita, ho dovuto guarirla, quindi non dovete preoccuparvi neanche dei suoi, di poteri. Non può più usarli. Ma lei è dalla nostra parte, quindi se a lei va bene volevo chiederle il permesso di farla entrare per parlare, altrimenti posso portarla al mio appartamento…”
Il signor Potter la guardò confuso: “Zia Jade?” domandò.
“Sì, ecco, questa è una delle cose che sono da spiegare”
Il mago scosse la testa: “Ok, una cosa per volta. Vado a chiamare qualcuno che venga a prendere quell’altro – bel lavoro con lo Schiantesimo – sei sicura che non possa più usare la magia?”
“Dan ha mostrato qualche segno di recupero?”
“No…”
“Allora sì, sono sicura”
 
“Perché l’hai portata qui? Sei impazzita?” esclamò James non appena suo padre si fu allontanato.
“Stamattina mi sono incontrata di nuovo con lei – non fare quella faccia, non era una cosa programmata! – abbiamo parlato e mi ha spiegato un po’ di cose. Anzi, no. in realtà mi ha spiegato tutto… Solo che a quanto pare Jack l’ha seguita, e se lo ha fatto potrebbe voler dire che magari aveva dei sospetti già da tempo e potrebbe averlo detto anche a Shayleen e…”
“Ok, ok, ho capito. Sei convinta che anche lei sia dalla parte dei buoni
“Lei è dalla nostra parte, James”
“Però… zia Jade? Sei seria?”
“Molto spiritoso. È mia zia e quello è il suo nome, non vedo cosa ci sia di male”
“Ma non si chiamava Cheryl?”
“Nome falso”
“Ah, e quindi allora come faresti di cognome alla fine?”
“Shivell…”
 
Dei rumori provenienti dalla strada richiamarono la loro attenzione.
Cinque Auror tra cui il signor Potter e il signor Weasley si erano materializzati nella strada per fortuna deserta e si stavano accertando delle condizioni di Jack.
 
“No, lei è con me!” accorse Elise praticamente urlando nel momento in cui uno degli Auror manifestò la volontà di voler portare via anche Jade.
Il signor Potter si rivolse a lei: “Elise, è la procedura. Dobbiamo portarla al Dipartimento per interrogarla…”
“Può rispondere alla vostre domande anche qui. Collaborerà, avete la mia parola” lo interruppe lei. “Vero?” chiese poi conferma alla donna.
“Certo. Ma se vogliono portarmi al Ministero non è un problema, davvero”
“Non sappiamo se Shayleen ha altre spie in giro, se scopre di te che collabori come la mettiamo?”
L’espressione di Jade si rabbuiò all’istante: Elise non aveva tutti i torti, anzi.
“Ci sono spie al Ministero?” si inserì il signor Potter.
La donna si rianimò: “Sì, di sicuro. Non così tante come vent’anni fa, ma almeno un paio di persone in qualche dipartimento strategicamente importante ci sono. Però non chiedetemi chi: a parte me, Jack e Nancy, Shayleen ha sempre fatto in modo che le identità rimanessero segrete” rispose pacatamente.
Il signor Potter sembrò piacevolmente colpito dal fatto che la donna non era stata riluttante a rispondere.
Era invece un po’ meno contento per il fatto che la risposta alla sua domanda fosse stata positiva.
Doveva subito avvisare Kingsley.
 
“In effetti avrei anch’io qualcosa da dire al Primo Ministro, se è possibile” disse Elise intuendo quali fossero i pensieri dell’Auror.
“Credo di aver trovato un modo per far entrare persone esterne a Skelton House”.
 
 
 
 
Alla fine solo Jack era stato portato via e aspettando l’arrivo del ministro Shacklebolt si erano riuniti nel salotto che la signora Potter aveva (di nuovo) messo a disposizione.
Nell’incrociarla Jade le aveva riservato un’occhiata attenta e prolungata, per poi rivolgere il suo sguardo a James.
Alla fine sorrise.
“Era lui vero?” domandò alla nipote. “Il bambino con cui hai giocato al parco il giorno che gli Starlet sono venuti a prenderti” specificò ampliando poi il sorriso all’occhiata meravigliata che Elise le aveva rivolto.
“Appena siamo rimaste da sole non ha smesso un attimo di parlare di te, lo sai?” disse rivolgendosi direttamente al ragazzo facendo arrossire Elise all’istante.
Anche James sembrava essere stato preso in contropiede da tutta quella confidenza e si stava grattando nervosamente la nuca.
 
Dopo un altro paio di minuti il Primo Ministro fece finalmente il suo ingresso.
Entrò nella stanza salutando i presenti bloccandosi nel rilevare la presenza di Jade.
Con un gesto involontario la sua mano raggiunse automaticamente la tasca della veste dove teneva la bacchetta.
“Non ce ne sarà bisogno, Ministro. In questo momento temo di avere i poteri magici di un qualsiasi babbano” commentò la donna sentendosi chiamata in causa.
Il mago aggrottò la fronte: “Qualcuno potrebbe farmi la cortesia di spiegarmi cosa sta succedendo qui? Weasley è venuto a fare rapporto dicendo che avevano uno degli assalitori della famosa imboscata al parco e che tu – si rivolse al signor Potter – volevi vedermi al più presto. E adesso questo?” tornò ad indicare Jade.
“Lavora anche lei per Shayleen, come mai non è insieme al suo collega?”
Jade fece per spiegare lei stessa, ma venne fermata da un brusco: “Non l’ho chiesto a te, Shivell”.
A quel punto aveva gli sguardi interrogativi di tutti i presenti puntati addosso.
Elise in particolar modo.
 
“Come fa a…?”
“A sapere il suo nome?” completò l’uomo abbassando i toni.
“Come forse ricorderai quando ci hai fatto vedere il suo viso la prima volta ero piuttosto perplesso: ero sicuro di averla già vista però non con il nome con cui l’avevi presentata tu. È il Ministero che assegna gli incarichi al personale scelto per vigilare sui giovani maghi e streghe che possono esserci negli orfanotrofi. Facendo un paio di ricerche e ricollegando tutto a Shayleen e a Evan ho tratto le mie conclusioni. Capirete quindi come mai sono più che curioso di sapere come mai questa donna sta collaborando a chissà quale piano con colei che le ha ucciso il fratello”.
 
 
 
 
Ci volle un’altra ora abbondante prima di concludere l’interrogatorio a Jade.
Visto che né il signor Potter né il Ministro sembravano mai convinti fino in fondo della veridicità delle risposte che la donna dava alle loro domante era stata lei stessa a proporre che le venisse somministrato del Veritaserum, così magari avrebbero smesso di perdere tempo.
 
Alla fine quella si era rivelata una mossa vincente visto che ora Elise non era più l’unica a fidarsi di lei.
Ormai non restava che un’unica cosa da appurare.
 
“Ancora non capisco cosa voglia ottenere Shayleen. Rendendo Elise in grado di fare quella cosa poi…” commentò Kingsley massaggiandosi le tempie con la punta delle dita.
“Shayleen non ha mai detto apertamente quali fossero i suoi piani” rispose Jade. “Da quello che mi raccontava Evan all’inizio sembrava stesse cercando di trovare il modo per trasformare i Rigidi in Puri. Credo volesse sfruttare la cosa per essere riconosciuta come il capo o qualcosa del genere. Ma adesso… non vorrei che avesse deciso che la cosa non le interessa più. Trovare Puri che la seguano non è mai stato un problema per lei, probabilmente il suo intento è quello di rendere inoffensivo chiunque non la pensi come lei e possa potenzialmente intralciarla. E lo fa attraverso Elise”
 
“Hai detto che quando assorbi la magia da qualcuno poi ti senti come rinvigorita, dico bene?” chiese il Ministro rivolgendosi alla ragazza, che annuì.
“È una cosa temporanea o permanente?” domandò ancora interessato.
Elise riflettè un attimo: “No, non è temporaneo. Anche adesso credo di sentirmi… più forte” rispose infine.
Il mago annuì a quella risposta come se le parole di Elise avessero appena dato conferma ad una sua teoria.
“Mettiamo che Elise conservi sul serio la magia che assorbe, che questa la faccia diventare di volta in volta più forte…” cominciò ad esporre.
“Così Shayleen rischia di rendere Elise più potente di quanto già non sia, più potente di lei, magari…” completò il signor Potter.
“Ma questo non ha senso” si inserì James. “Poniamo che davvero le serva tutto quel potere per fare qualsiasi cosa voglia fare: non poteva raccoglierlo direttamente lei, qualsiasi cosa abbia intenzione di fare? Perché farlo fare a qualcuno per poi correre il rischio che non collabori?”
“Perché lei non può”
I presenti guardarono Elise invitandola a spiegarsi.
 
“L’hai detto tu, no, che nessuno di voi e neanche Shayleen è in grado di guarire le persone come faccio io” disse inizialmente rivolta a Jade che confermò annuendo.
“Quando io… assorbo la magia, beh, di mezzo c’è sempre un processo di guarigione. Anche con Jack è successo perché per sbaglio l’ho toccato quando era ferito, e nonostante io non avessi intenzione di farlo il processo si è innescato automaticamente” spiegò.
“Shayleen non può farlo perché non ne è in grado, le manca il passaggio fondamentale” concluse.
 
Seguì un lungo momento di silenzio durante il quale tutti cercarono di trarre le loro conclusioni.
“Bene” prese alla fine la parola il Primo Ministro. “Finchè non capiamo quale sia il vero obiettivo di Shayleen penso che sarebbe opportuno evitare situazioni che possano richiedere un intervento di guarigione da parte di Elise, credo che siamo tutti d’accordo su questo”
 
“Ora, mi sembrava di aver capito che tu avessi trovato un modo per entrare a Skelton House dall’esterno senza permesso. Di cosa si tratta?” domandò poi ad Elise cambiando discorso.
La ragazza annuì.
Era ormai quasi ora di pranzo e di certo non voleva metterla nei guai, ma chi meglio della diretta interessata avrebbe potuto confermare la sua ipotesi?
 
“Silly!” chiamò ad alta voce sotto lo sguardo confuso (il signor Potter e Kingsley), interrogativo (James) e sorpreso (Jade) dei presenti.
Un paio di secondi e *crack*, l’elfa si materializzò al centro del salotto.
 
“La padroncina ha chiamato?” domandò con la sua vocetta rivolgendosi ad Elise dopo essersi inchinata profondamente.
I presenti non si perdevano un suo movimento.
Il signor Potter in particolare non sembrava molto entusiasta che qualcuno – non che avesse qualcosa contro gli elfi domestici, eh! – fosse riuscito ad eludere gli incantesimo che proteggevano la casa.
 
“Sì, Silly, grazie per essere venuta così presto. Non sarai nei guai con Shayleen, vero?” si assicurò subito.
“Oh, no. La padrona non è in casa”
Dopo che i presenti si furono scambiati degli sguardi preoccupati – meglio non pensare a dove potesse essere Shayleen in quel momento – Elise continuò.
“Ti ho chiamata perché volevo chiederti una cosa. Ieri mi hai detto che alcune regole non valgono per voi elfi domestici, e infatti con te sono riuscita a smaterializzarmi da dentro la casa nonostante l’incantesimo di Shayleen”
L’elfa annuì per dimostrare che la stava seguendo.
“Mi stavo quindi chiedendo se a questo punto, visto che poi sei arrivata qui senza problemi, non potessi portare qualcuno con te a Skelton House. Qualcuno che non è stato invitato…”
 
Prima che potesse fare qualcosa l’elfa aveva cominciato a dare testate contro il muro più vicino dicendo, tra un colpo e l’altro, qualcosa come : “Silly cattiva. Silly molto cattiva”.
Il signor Potter si era subito alzato dal divano per cercare di trattenerla ma l’elfa si calmò solo dopo che Elise le ebbe ordinato di smetterla.
 
“Silly, lo so che Shayleen ti avrà ordinato di non dirlo, ma è importante” la implorò Elise. “A me puoi dirlo, per favore”.
L’elfa sussurrò un “Sì” per poi essere nuovamente trattenuta dal signor Potter prima che potesse si nuovo raggiungere la parete.
“Basta Silly, basta. Sei stata molto brava, non devi punirti per questo” si affrettò a tranquillizzarla Elise. “Se vuoi adesso puoi andare, grazie per il tuo aiuto” la congedò.
Non c’era motivo di trattenerla oltre e rischiare che Shayleen si accorgesse che per qualche momento aveva lasciato la casa senza il suo permesso.
 
“Ottimo lavoro, Elise” si complimentò Kingsley non appena l’elfa fu sparita. “Questa è stata senza dubbio una buona idea, potremo elaborare un buon piano”
 
“Direi che per oggi può bastare. Meglio che vada a sentire a che punto sono con l’altro prigioniero, anche se non nutro grandi speranze”
Il Primo Ministro salutò tutti per poi lasciare la stanza per raggiungere il camino in cucina e usare la Metropolvere per tornare al suo ufficio.
 
Dalla porta del salotto – che fino a quel momento era rimasto sigillato e insonorizzato – fecero capolino Albus e Lily.
“Finalmente! Cominciavamo a pensare che non aveste più finito” esclamò il primo.
“Proprio non capisco tutta questa segretezza… siamo tutti maggiorenni qui!” commentò l’altra.
“Vogliamo andare?” aggiunse poi. “Sapete che la nonna si agita sempre quando qualcuno è in ritardo…”
 
Elise guardò James: “Io… tolgo il disturbo. Non sapevo doveste uscire…”
Il ragazzo scoppiò a riderle in faccia: “Elise, guarda che tu vieni con noi. Sarei passato io a prenderti ma mi hai risparmiato il viaggio”
La ragazza alzò un sopracciglio.
“Ecco… tu mi hai fatto conoscere la tua famiglia, adesso è il tuo turno a conoscere la mia” si spiegò meglio. “Vedrai che ti piacerà, i pranzi di nonna Molly sono epici, e sono sicuro che le sarai subito simpatica anche se forse avrà qualcosa da ridire sul fatto che sei troppo magra… oh, e a questo punto anche tua zia è invitata se vuole…”
 
Inutile dire che a nessuno venne data la possibilità di rifiutarsi.













Buon lunedì a tutti!
Capitolo un po' di passaggio, ma sapete come si dice: la quiete prima della tempesta...
Con il prossimo capitolo inizierà l'ultima "parte" della storia: i vari fili della trama verranno tirati e pian piano si comincerà a capire qual è il vero piano di Sahyleen.
Non vi lascio il solito spoiler perchè il capitolo è ancora in fase di revisione, e non vorrei lasciarvi qualcosa che poi potrei rischiare di cambiare...
Grazie come sempre a chi legge la storia, la mette tra le preferite/seguite/ricordate e chi mi lascia una recensione facendomi sapere cosa ne pensa! I vostri pareri sono sempre preziosi e ben accetti :)
Alla prossima settimana
E.

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Capitolo 33
*** 32. Point of no return ***


32 – Punto di non ritorno
 
 
 
Elise era sicura di non aver mai partecipato ad un pranzo del genere.
Forse la cosa che gli si avvicinava di più era il momento dei pasti all’orfanotrofio, quando la grande sala adibita a mensa si riempiva e le voci dei bambini rimbombavano tra le pareti, le loro risate e gli schiamazzi che si confondevano con i richiami delle educatrici.
L’impressione che aveva era pressappoco quella.
 
 
James aveva fatto apposta ad arrivare ad una certa distanza dalla loro destinazione in modo che Elise potesse avere un quadro generale.
 
La costruzione contava numerosi piani su vari livelli ed era talmente contorta che la ragazza si domandò come facesse a stare in piedi se non per magia. Il tetto era rosso e da esso spuntavano diversi comignoli.
Vicino all’entrata, su un’insegna sbilenca fissata a terra si poteva leggere: La Tana.
 
Sarebbe stata molto curiosa di vedere come fosse l’abitazione all’interno, ma al momento sembrava proprio che le attività principali si stessero svolgendo tutte fuori.
 
Da quella che aveva tutta l’aria di essere la cucina, tramite un ampio portone sul retro, fuoriusciva una lunga tavola al di sopra della quale, galleggiante un paio di metri al di sopra, si estendeva un altrettanto grande gazebo per consentire ai commensali di mangiare all’ombra.
Dall’interno piatti, posate, bicchieri e pure qualche vassoio con già qualche pietanza pronta volavano autonomamente fino a posarsi ordinatamente al loro posto sul tavolo.
 
Una volta che ebbe finito di meravigliarsi degli oggetti Elise potè concentrarsi sulle persone.
I signori Potter insieme a Lily e Albus li avevano preceduti e stavano già salutando gli altri presenti.
 
Così le vennero presentati Rose, che aveva la stessa età di Albus, e Hugo, coetaneo di Lily, i quali erano i figli di Ron ed Hermione che lei aveva già avuto occasione di vedere di sfuggita quella notte al San Mungo quando aveva guarito il signor Potter.
C’erano poi Molly e Lucy, le due figlie di Percy e Audrey Weasley; e Fred e Roxanne, gli unici Weasley a non avere come marchio di fabbrica i caratteristici capelli rossi in quanto avevano preso i colori dalla mamma Angelina, moglie di George.
Le venne spiegato che all’appello mancavano Bill e sua moglie Fleur che con i figli Louis e Dominique erano andati a trascorrere le vacanze in Francia dai genitori di lei mentre la figlia maggiore, Victoire, era in vacanza per conto suo con Teddy Lupin, figlioccio del signor Potter.
Charlie, il secondo genito di Molly e Arthur Weasley, i nonni materni di James, era l’unico che non si era mai sposato, e il ragazzo aveva anche informato Elise del fatto che George una volta aveva un gemello che era però morto durante la guerra.
 
 
Quando James le aveva parlato di un pranzo di famiglia si era immaginata una cosa tranquilla, ma ormai dopo aver fatto la conoscenza di tutti le era evidente che non lo sarebbe stato neanche un po’.
La sua previsione si rivelò esatta: era impossibile anche solo cercare di rimanere seri in mezzo a tutta quella compagnia.
 
Aveva più volte rischiato di strozzarsi con il boccone che stava ingoiando o di sputare di colpo l’acqua o il succo di zucca che stava bevendo a causa delle battute di Fred il quale, seduto al suo fianco, sembrava facesse apposta ad aspettare che la ragazza avesse la bocca piena prima di sparare una delle sue cavolate.
 
Albus era quello da cui era rimasta più sorpresa: le poche volte che lo aveva incrociato l’impressione che le aveva dato era stata quella di un ragazzo pacato e preciso, magari uno di quelli che a scuola veniva considerato un secchione (un po’ come lei insomma) ma a vederlo adesso le sembrava completamente un’altra persona.
Era seduto di fianco a Rose, le loro teste spesso avvicinate a confabulare tra loro; i suoi occhi che brillavano furbi.
Il sorriso non aveva mai abbandonato le sue labbra ed era quello che rideva più forte alle battute.
 
L’unico momento serio lo ebbe quando fu ufficialmente presentata a nonna Molly: la donna l’aveva guardata scrutandola profondamente come se la stesse soppesando, concludendo con un: “Per te doppia porzione di tutto, Elise cara” prima di regalarle un ampio sorriso.
Dopodichè lei era tornata a controllare i fornelli mentre James cercava di metterla in salvo da nonno Arthur che, dopo aver orecchiato il fatto che lei avesse sempre vissuto tra i babbani, stava già per partire alla carica bombardandola di domande sul loro mondo.
 
Alla fine del pranzo aveva la pancia che le scoppiava – Molly aveva mantenuto la sua promessa di farle fare il bis di tutto, dolce compreso – e le guance che le facevano male per il troppo ridere.
E Fred era riuscito nel suo intento cogliendola di sorpresa con una barzelletta su uno gnomo e un ippogrifo (che lei non sapeva neanche cosa fosse) facendole sputare il sorso d’acqua che stava provando a mandare giù dritto nel piatto di James che sedeva di fronte a lei.
Dopo un istante in cui si erano guardati a vicenda erano scoppiati a ridere ancora più forte.
 
Dopo quel pranzo sarebbe stata proprio curiosa di vedere cosa sarebbe successo se i Potter – Weasley avessero incontrato gli Starlet, che al loro confronto erano molto più… tranquilli.
 
 
In tutto quello anche Jade sembrava essersi inserita bene.
Non erano mancati gli sguardi sospettosi all’inizio, soprattutto da parte di Ron ed Hermione, ma quando Harry ebbe spiegato loro la situazione e come stavano davvero le cose neanche loro ebbero più nulla da ridire.
Hermione in particolare sembrava molto interessata al fatto che Jade fosse stata una Corvonero – visto che lei stessa aveva rischiato di esserci smistata – e aveva subito coinvolto la donna nel discorso che stava intrattenendo con Percy mentre Ginny e Angelina parlavano di Quiddich peggio dei loro mariti.
 
Tornò a casa quella sera che era quasi mezzanotte.
Avevano insistito affinchè rimanesse anche per la merenda e da quella si era arrivati alla cena.
Julia era già a dormire, conoscendola avrebbe detto fosse per essere ben riposata per la sua corsa mattutina l’indomani, e lei dopo una doccia seguì il suo esempio buttandosi sul letto e affondando la testa nel cuscino.
Anche lei doveva essere riposata per il giorno dopo: a metà mattina si sarebbero incontrati tutti al Ministero della Magia per cominciare ad elaborare un piano per penetrare a villa Skelton.
 
 
 
***
***
 
 
 
Elise riprese di colpo i sensi con un sussulto.
Gli occhi spalancati nel buio, la testa che girava per guardarsi intorno e cercare di capire dove fosse.
Si sentiva tutta indolenzita, la testa le doleva e qualcosa di appiccicoso le era colato lungo la guancia e si era seccato.
Dal sapore ferruginoso che sentiva in bocca non aveva dubbi nell’affermare che fosse sangue.
 
Allungò le gambe per sgranchirle dalla posizione seduta in cui si trovava, ma quando cercò di toccarsi la fronte con le mani per verificare i danni si accorse che non le era possibile: i suoi polsi erano trattenuti da catene ancorate al terreno, abbastanza lunghe da non immobilizzarla del tutto, troppo corte per permetterle di raggiungere il suo capo con le mani.
 
 
Nel frattempo i suoi occhi sembravano essersi abituati alla scarsa illuminazione del posto, dandole modo di poter distinguere almeno in parte quello che la circondava.
 
A giudicare dal soffitto la stanza doveva essere di forma rettangolare, non ne vedeva però l’ingresso in quanto lei sembrava essere sul fondo di una conca rocciosa profonda almeno sei metri.
Attorno a lei, ripide come i gradini di un anfiteatro, una serie di panche correvano lungo le pareti scendendo fino in fondo alla cavità.
Lei si trovava al centro, sopra una piattaforma di roccia dalla superficie alquanto accidentata.
A pochi metri da lei – Elise si stupì di non averlo notato subito – sorgeva un imponente arco di pietra così antico, rovinato e pieno di crepe che la ragazza si meravigliò che fosse ancora in piedi.
Non c’erano pareti che lo sostenessero, era semplicemente chiuso da una logora tenda nera, una specie di velo che, nonostante l’assoluta immobilità dell’aria fredda tutt’attorno, fluttuava come se qualcuno l’avesse appena toccato. *
Non sapeva perché ma si sentiva quasi attratta da quell’arco, manco la struttura la stesse richiamando a sé invitandola ad avvicinarsi.
 
In quel momento però era più impegnata a cercare di capire che posto potesse mai essere quello e, soprattutto, come avesse fatto ad arrivarci… in quelle condizioni poi!
 
 
 
 
ↄ ↄ ↄ 24 ore prima ↄ ↄ ↄ
 
“Quindi Elise andrà per prima e disattiverà l’Incantesimo Rilevatore come Jade le ha spiegato. Poi tornerà indietro con Silly e a quel punto l’elfa potrà cominciare a portarci alla villa due per volta…”
“Voglio accompagnare Elise”
“James, sii ragionevole: l’allarme scatterà già per me, farlo attivare per due persone renderebbe le cose ancora più sospette” lo bloccò subito Elise nonostante dovesse ammettere che non le sarebbe dispiaciuto che qualcuno fosse andato con lei.
 
Il piano non era complicato: una volta che Elise avesse disattivato l’allarme e fosse tornata indietro con l’elfa, Silly avrebbe potuto portare gli Auror all’interno della villa dove si sarebbero messi in posizione.
Jade aveva avuto modo di girare abbastanza per la grande casa e aveva così potuto dare consigli preziosi sulla disposizione degli ambienti interni e, cosa ancora più importante, una localizzazione.
Ovviamente non avrebbe mai potuto dirne l’ubicazione esatta in quanto era Shayleen il custode segreto della casa, ma almeno adesso sapevano che la villa sorgeva nella contea dello Staffordshire, e quello era un grande passo avanti se si contava che fino a quel momento avevano dovuto tenere in considerazione tutta la Gran Bretagna.
 
Gli Auror che avrebbero partecipato alla missione erano stati scelti e preparati personalmente dal signor Potter e dal Primo Ministro.
Chi voleva tirarsi indietro aveva avuto la sua occasione per farlo, da quel momento in poi non ci sarebbero potuti essere ripensamenti.
 
Non ci sarebbe neanche stato bisogno di ingaggiare uno scontro: il fattore sorpresa era fondamentale.
Uno schiantesimo ben piazzato e il gioco era fatto.
Forse il piano era fin troppo semplice, forse potevano esserci un centinaio di cose che potevano andare storte, ma non si poteva più rimandare, ora o mai più.
Non restava altro che cominciare.
 
 
 
 
ↄ ↄ ↄ Adesso ↄ ↄ ↄ
 
Elise strizzò gli occhi cercando di richiamare alla mente quanti più dettagli riuscisse a ricordare.
Il piano.
Per quanto lineare tutto era stato studiato nei minimi dettagli, era evidente che però, se lei in quel momento si trovava in quelle condizioni, qualcosa fosse per forza andato storto.
Ma cosa?
Erano riusciti a ottenere qualcosa o tutto era andato a rotoli ancora prima di cominciare?
E quella stanza in cui si trovava: che significato aveva in tutto quello?
 
 
 
 
ↄ ↄ ↄ 16 ore prima ↄ ↄ ↄ
 
Tutto era pronto, era arrivato il momento.
I volti di tutti i presenti erano seri e concentrati, non ci si poteva permettere di sbagliare.
Elise si sentiva al centro dell’attenzione, cosa legittima visto che la prima parte dell’operazione dipendeva da lei.
Dopo aver ripassato un’ultima volta i punti salienti del piano era pronta.
 
Si concesse un ultimo, lungo abbraccio con James prima di posizionarsi al centro della sala di allenamento del Dipartimento degli Auror – che era stata scelta come base per la missione – e sospirare profondamente.
Chiuse gli occhi liberando la mente e concentrandosi esclusivamente su quello che avrebbe dovuto fare: Silly l’avrebbe portata direttamente davanti alla porta dello studio di sua madre, visto che all’interno di quella stanza neanche lei riusciva a materializzarsi.
Disattivare l’Incantesimo Rilevatore per Elise sarebbe stato facile: sarebbe bastato un po’ del suo sangue, niente incantesimi o formule complicate come invece aveva dovuto fare Jade per mascherare la sua ultima visita.
Poi sarebbe tornata indietro e il piano sarebbe potuto cominciare davvero.
 
Silly apparve nella sala richiamata dalla ragazza.
Offrì una mano alla padroncina e dopo un istante erano entrambe sparite.
 
 
Appena i piedi di Elise toccarono il pavimento la ragazza non perse tempo: spalancò la porta davanti alla quale era arrivata – Silly aveva controllato che Shayleen non fosse dentro prima di rispondere alla sua chiamata – e si diresse a passo deciso verso la scrivania.
Con un coltellino che si era portata dietro, non poteva arrischiarsi a fare magie finchè non avesse disattivato l’allarme, si provocò un taglio sul palmo della mano.
Strinse il pugno e fece in modo che alcune gocce di sangue gocciolassero sopra la pietra color verde muschio che faceva la sua bella vista al centro del ripiano del mobile.
 
Jade le aveva spiegato che l’incantesimo di protezione partiva da lì, Shayleen aveva una pietra gemella a quella sempre con sé che si riscaldava e cambiava colore se qualche intruso fosse entrato nella proprietà senza il suo permesso.
 
Gioì tra sé e sé quando la pietra da verde diventò color grigio fumo, segno che il suo sangue aveva fatto il suo lavoro; doveva solo sperare che lo avesse fatto abbastanza in fretta da far sì che Shayleen non si fosse accorta di nulla.
 
“Molto bene, davvero molto brava” una voce si complimentò in modo ironico con lei ed Elise si girò di scatto.
“Nancy?” chiamò. Ormai aveva imparato bene a riconoscere la sua voce fastidiosa. E pensare che all’inizio la Guaritrice le stava persino simpatica…
Quella che però era davanti a lei non era Nancy, benchè la sua voce fosse senza alcun dubbio la sua.
No, davanti a lei c’era… se stessa.
“Qui qualcuno non ha pulito bene la spazzola la prima volta che è stato qui… hai idea di chi sia stato?” la prese in giro la sua copia.
Elise si morse la lingua: aveva ragione, si ricordava distintamente di essersi pettinata con la spazzola che aveva trovato in bagno quando si era svegliata la prima volta che aveva messo piede in quella maledetta casa.
“È incredibile cosa si riesca a fare con un sorso di Pozione Polisucco, eh?” aveva continuato intanto l’altra attorcigliandosi una ciocca di capelli biondi non suoi attorno al dito.
Elise non riuscì a risponderle per le rime come avrebbe voluto: Nancy aveva puntato di colpo la mano contro di lei e le aveva lanciato uno schiantesimo facendole perdere conoscenza.
 
 
Quando Elise fece finalmente ritorno alla base nessuno sembrò far caso più di tanto al fatto che sembrasse più tesa e nervosa di quando fosse partita e il piano andò avanti come era stato deciso.
Peccato che quando tutti i partecipanti furono finalmente arrivati all’interno di Villa Skelton tutto cominciò ad andare storto.
 
 
 
 
ↄ ↄ ↄ Adesso ↄ ↄ ↄ
 
Adesso ricordava: Nancy aveva trasfigurato i suoi vestiti in modo che fossero uguali a quelli che lei aveva indosso ed era tornata indietro al posto suo.
Lei era rimasta nientemeno che nelle mani di Shayleen che l’aveva portata in quello strano posto.
Quella però non era la prima volta che riprendeva i sensi su quella piattaforma dopo essere svenuta.
Era successo qualcos’altro in mezzo.
 
 
 
 
ↄ ↄ ↄ 8 ore prima ↄ ↄ ↄ
 
Elise aprì gli occhi confusa trovandosi distesa su una specie di piattaforma in pietra.
Non aveva idea di dove fosse e quel posto aveva un’aria per niente rassicurante.
Quella sottospecie di arco che sembrava stare in piedi da solo per miracolo assieme al suo velo nero le mettevano i brividi.
 
“Bene, sei sveglia” la voce di Shayleen la fece trasalire.
La ragazza si alzò in piedi per poi ritrovarsi la donna di fronte.
Non sorrideva più come aveva fatto le altre volte che si erano incontrate, la sua espressione era terribilmente seria.
La cosa che però la spaventò di più furono i suoi occhi: seppur sempre freddi e calcolatori sembravano riflettere una luce diversa da quella che si era abituata a vedere, una luce quasi di… follia.
Distolse lo sguardo tornando a fissare l’arco e il velo che sembrava fosse mosso da una brezza invisibile.
La donna seguì il suo sguardo e annuì: “Non sei ancora forte abbastanza, ma non preoccuparti: adesso rimedieremo subito a questo insignificante problema” disse con un tono che doveva essere rassicurante ma che ebbe il potere di farla solo preoccupare di più.
Cosa aveva in mente di farle?
 
“Nancy? Per favore porta dentro il ragazzo” esclamò Shayleen.
Sopra di loro qualcosa si mosse e dopo qualche istante una figura cominciò a scendere lungo le panche che contornavano la cavità rocciosa trascinandone un’altra che sembrava stesse cercando di opporre resistenza.
“Grazie cara” Shayleen ringraziò l’ex Guaritrice che adesso era al suo fianco tenendo saldamente James davanti a sé, un coltello puntato alla sua gola.
Con un rapido movimento la lama si spostò dal collo del ragazzo il tempo necessario a lasciare un taglio sulla sua guancia.
Shayleen lo guardò assorta per qualche secondo per poi tornare a rivolgersi alla figlia: “Tesoro, se fossi così brava da guarire quel taglietto… sarebbe un peccato che un così bel faccino venga rovinato, non trovi?”
 
Elise fece passare il suo sguardo dalla donna a James – che stava facendo segno di no con la testa nonostante il coltello puntato di nuovo alla sua gola – spalancando gli occhi.
“Cosa? No!” esclamò.
Shayleen scosse la testa guardandola come si guarda un bambino che sta facendo i capricci.
“Elise, non mi sembra sia il caso di mettersi a discutere” la ammonì.
“In fatti non si discute proprio un bel niente: io non lo faccio!”
“Come vuoi tu allora”
 
Shayleen si avvicinò a James facendo scorrere una mano sul suo torace.
Al suo tocco un familiare squarcio si aprì sulla maglietta che indossava, imbrattandola di sangue e facendo vedere quello che era successo al di sotto.
Colpito nuovamente dalla Maledizione il ragazzo barcollò cadendo poi in ginocchio, e da lì su un fianco.
Elise era paralizzata.
“Cosa ne dici, adesso merita di essere guarito?” sibilò la donna mentre Nancy ridacchiava.
Questa volta Elise non se lo fece ripetere due volte e si affrettò ad accucciarsi al fianco del ragazzo: se non avesse fatto niente James sarebbe morto.
Completò la guarigione con le lacrime agli occhi, abbracciando il ragazzo che ricambiò debolmente la sua stretta mentre dentro di lei sentiva scorrere il nuovo potere e le nuove energie che aveva acquisito.
 
Shayleen interruppe bruscamente il momento afferrando James per un braccio e scostandolo in malo modo da Elise in modo che Nancy potesse tornare ad occuparsi di lui.
“Bene. E adesso vedi di non fare storie, non è necessario che tutti soffrano inutilmente, penso tu sia d’accordo, no?” disse rivolta alla figlia.
“Nancy, porta dentro la ragazzina” ordinò poi.
James venne incatenato alla piattaforma al di là dell’arco e Nancy si riarrampicò sulle gradinate.
 
Pochi istanti dopo, con grande orrore di Elise, la donna tornò da loro trascinandosi dietro una Lily Potter con i capelli tutti scompigliati, un labbro spaccato e l’espressione terrorizzata.
 
 
 
 
ↄ ↄ ↄ Adesso ↄ ↄ ↄ
 
Elise si ritrovò a piangere senza neanche rendersene conto al ricordo di quello che Shayleen l’aveva costretta a fare.
In alto sopra di lei si sentì il rumore di una porta che si apriva e richiudeva, seguito subito dopo da quello di passi che scendevano lungo le panche.
La ragazza tirò su col naso cercando di darsi un contegno riservando poi lo sguardo più disgustato e colmo di rabbia che le riuscì a Shayleen e Nancy che nel frattempo avevano terminato la loro discesa.













Chiedo davvero scusa,
ho passato tutti ieri a ricordarmi che dovevo postare il capitolo, poi nel pomeriggio ho avuto altre cose per la testa e mi sono accorta che non l'avevo fatto solo quando sono andata a dormire e avevo già chiuso tutto.
Comunque...
Entriamo finalmente nell'ultima parte della storia, finalmente tra poco conosceremo i veri piani di Shayleen.
Ma soprattutto... chi ha riconosciuto la sala dove si trova Elise? :)
La parte iniziale è più tranquilla (un pranzo dai Weasley ci stava tutto visto che James aveva già conosciuto gli Starlet), e spero che nell'ultima parte con "prima" e "dopo" e i salti temporali non si sia creata confusione, in caso fatemi sapere.
Ovviamente le descrizioni della Tana e della sala con l'arco dell'ufficio misteri sono presi rispettivamente da HP e la Camera dei Segreti ed HP e l'Ordine della Fenice, diciamo in coro "Grazie!" a zia Row.
Grazie a chi continua a seguire questa storia, come sempre sarei molto contenta se mi fate sapere quello che pensate lasciando un commento.
Alla prossima settimana!
E.

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Capitolo 34
*** 33. Beyond the veil ***


Prima del capitolo un minuto di silenzio per ricordare l'anniversario della morte di Lily e James Potter.





33 – Oltre il velo
 
 
 
Insieme alle due donne, poco più indietro, c’era anche Jack: evidentemente Shayleen si era servita di una delle sue spie all’interno del Ministero per farlo liberare, teoria che ebbe la sua conferma non appena Elise si rese conto che la quarta e ultima figura che faceva parte del gruppetto era senza ombra di dubbio uno degli Auror che aveva partecipato all’operazione a Skelton House.
Ecco come Shayleen aveva fatto a sapere tutto in anticipo.
 
Jack si fece avanti, un ghigno sul volto e uno sguardo pieno di odio negli occhi.
Fece per aprire bocca, molto probabilmente per dire qualcosa di cattivo – e stupido – ma Elise gli impedì di emettere anche solo una sillaba compiendo un gesto di cui non avrebbe mai pensato di essere capace: gli sputò.
Essendo che l’uomo torreggiava su di lei a un paio di passi di distanza mentre lei era ancora incatenata al suolo, seduta, non avrebbe mai potuto sperare di raggiungere la faccia del Puro, ma fu molto soddisfatta quando si rese conto che almeno era riuscita ad arrivare alle scarpe.
Il ghigno si spense all’istante per trasformarsi in una maschera di rabbia; Shayleen intervenne stroncando sul nascere la reazione facendo segno all’uomo di tornare al suo posto.
 
Elise sospirò di sollievo quando Jack, seppur malvolentieri, ubbidì: qualunque cosa avesse voluto farle, lei non avrebbe neanche potuto difendersi visto che, non ci aveva messo molto a rendersene conto, le catene che aveva ai polsi le impedivano di usare i suoi poteri.
Shayleen sembrava aver pensato proprio a tutto.
 
Persa nei suoi pensieri si accorse solo in un secondo momento che la donna stava parlando e aveva appena fatto il suo nome.
“Se pensi che davvero farò qualcosa per te ti sbagli di grosso!” esclamò la ragazza strattonando le catene.
“E poi cosa pensi di ottenere, eh? Continuerai ad andartene in giro a cercare di trasformare tutti i Rigidi in Puri e ucciderai chi non sarà all’altezza? E fammi indovinare: io sono quella che dovrà fare il lavoro sporco…”
Shayleen le si avvicinò abbassandosi appena in modo da avere il viso alla stessa altezza del suo: “Forse non ti ho ancora detto che per il momento non mi interessa più trasformare i maghi in Puri. Da quando sono tornata il mio obiettivo è stato un altro, e quando poi ho scoperto quello che sei in grado di fare… beh, il mio nuovo bersaglio sei diventata tu” disse la donna che venne però presa in contropiede dalla figlia che alzò gli occhi al cielo.
“Ma va’? Guarda, non l’avevo proprio capito che ero io il tuo bersaglio. Pensavo che avessi cominciato a perseguitarmi solo perché ti annoiavi…” esclamò Elise stupendosi di se stessa e della sua sfacciataggine.
Shayleen diventò livida.
Fece un ampio gesto con la mano e intorno a lei, anche loro incatenati al pavimento, apparvero tutti: James e la sua famiglia, Harry e Ginny compresi; Hermione con il marito, Hugo e Rose e perfino Daniel, che fino a quel momento erano rimasti nascosti da un incantesimo di disillusione.
Elise chiuse la bocca all’istante, una lacrima le solcò una guancia: Shayleen l’aveva costretta a prendere i poteri a tutti loro, eccetto Dan che invece era stato portato lì per godersi lo spettacolo.
Come ciliegina sulla torta anche sua zia era presente all’appello e di certo in quel momento Elise non aveva il coraggio di guardarla in faccia nonostante sentisse lo sguardo della donna puntato su di sé.
 
Shayleen le si avvicinò ulteriormente afferrandola poi per i vestiti: “Adesso ti libero dalle catene ma vedi di non fare scherzi altrimenti ti assicuro che stavolta non avrai neanche il tempo per provare a salvarlo” ordinò seria facendo poi cenno a Jack che andò a posizionarsi alle spalle di James prendendolo per i capelli, un coltello – lo stesso usato prima da Nancy – stretto nell’altra mano.
Elise annuì: di colpo le sembrava di avere la bocca troppo secca per rispondere anche solo con un semplice sì.
 
Sua madre armeggiò per un attimo con le manette finchè la ragazza non sentì uno scatto e i suoi polsi furono liberi.
Fino a quel momento si era sentita stanca, quasi spossata, ma senza quelle restrizioni una volta che si fu alzata in piedi si trovò quasi a barcollare a causa di tutto il potere che sentiva avere dentro di sé.
I poteri che aveva acquisito le avevano dato una carica che non avrebbe mai immaginato: altro che curare ferite da Maledizione, con tutta quell’energia avrebbe potuto resuscitare un morto!
Aveva paura di scoprire per cosa voleva usarla Shayleen.
 
La donna le arpionò la spalla con la mano guidandola poi finchè entrambe non si trovarono davanti al velo dell’arco.
Ora che ci era così vicina le sembrava quasi che da là dietro provenissero dei sussurri, delle voci, che la chiamavano.
Ma quello era semplicemente impossibile visto che dietro non c’era assolutamente nulla!
Shayleen mollò la presa spingendola in avanti restando alle sue spalle.
“Adesso entri lì e lo riporti indietro” disse semplicemente sottolineando il concetto dando un’altra leggera spintarella alla ragazza.
Elise non mosse un passo e si girò a guardarla, interrogativa, mentre nello stesso momento un forte “No!” risuonava nella sala.
 
Ad urlare era stato il signor Potter, Elise non lo aveva mai visto così sconvolto.
 
“Sai che non tornerà…”
“Ma infatti non è lei che deve ritornare” per Elise fu come essere colpita da un pugno allo stomaco.
Nessuno torna indietro da lì, e tu lo sai!”
Shayleen alzò gli occhi al cielo scocciata: “Io so che ho passato gli ultimi quindici anni a studiare questo maledetto arco: lei può farlo! Adesso, grazie al potere che ha raccolto, può farlo tornare indietro” l’ultima parte della frase l’aveva pronunciata quasi urlando.
 
Elise era parecchio confusa, e come lei tutti gli altri ragazzi. A quanto pareva solo gli adulti sapevano di cosa si stava parlando.
“Cosa vuol dire che nessuno può tornare da lì? È solo uno stupido arco con un velo attaccato, dove mai potrei andare passandoci sotto?” domandò la ragazza dando voce ai suoi dubbi, nonostante fosse consapevole che chiaramente la struttura non era la cosa banale che aveva appena detto essere.
“E poi chi mai dovrei riportare indietro? Da dove?”
Il signor Potter scosse la testa cercando le parole per rispondere; James si mosse a disagio sul posto, ancora stretto nella presa di Jack, il coltello in posizione.
 
Ci fu un lungo istante di silenzio durante il quale i sussurri provenienti dall’arco erano l’unico suono che Elise sentiva.
 
Fu un attimo.
 
Elise, che per distrarsi dall’arco aveva deciso di concentrarsi su James, vide l’espressione del ragazzo cambiare in una spaventata e raggelata allo stesso tempo, e prima che potesse chiedersi il motivo di tale cambiamento sentì due mani spingerla con forza.
Presa alla sprovvista non riuscì a mantenere l’equilibrio finendo con lo sbilanciarsi in avanti.
 
Solo che la sua caduta non venne fermata dal pavimento ma da qualcosa di decisamente meno duro: le sembrava di essere passata attraverso qualcosa dalla consistenza fluida e gelatinosa allo stesso tempo che l’aveva rallentata permettendole di ritrovare l’equilibrio senza finire per terra.
 
Con orrore si rese conto che quando Shayleen l’aveva spinta lei era finita dritta addosso al velo, passando sotto l’arco.
E adesso, inspiegabilmente, non si trovava più nella sala dove erano tutti gli altri.
 
L’ambiente intorno a lei era ancora più buio di quello che aveva lasciato.
L’unica luce, che però non si diffondeva come sarebbe dovuto succedere in condizioni normali, proveniva da una specie di finestra a pochi passi da lei.
Guardarci attraverso era stranissimo, sembrava di guardare una fotografia con il filtro negativo: le cose scure erano chiare e le cose che sarebbero dovute essere chiare erano scure.
Il suo stupore si spense all’istante come se qualcuno le avesse appena rovesciato addosso un secchio di acqua gelida non appena realizzò pienamente quello che stava realmente osservando.
 
Dall’altra parte dell’arco Shayleen ghignava soddisfatta mentre James, stranamente senza manette, si era liberato dalla presa si Jack ed era in ginocchio davanti all’arco con le lacrime agli occhi.
Erano uno di fronte all’altra, ma lui sembrava non essere in grado di vederla.
Elise allungò una mano verso il confine che divideva in qualche modo i due luoghi, ma si trovò costretta a ritirarla velocemente quando, dopo averlo toccato, il suo braccio fu percorso da una scossa tutt’altro che piacevole.
Era evidente che non poteva tornare indietro, non da lì.
 
Si costrinse a distogliere lo sguardo dalle facce dei presenti che l’avevano vista sparire sotto i loro occhi voltando le spalle alla finestra creata dall’arco.
Davanti a lei c’era solo il buio e non riuscì a trattenere un sospiro quando le tornarono in mente le parole della profezia che sua zia le aveva recitato mesi addietro.
Alla fine non ci aveva più pensato, convinta che quella volta Jade l’avesse usata solo per spaventarla, ma era ormai evidente che invece la profezia era vera e che si era pure avverata.
 
Ecco la luce che come una stella dal buio nasce
Crescendo con l’ombra amica che sa e ricorda.
 
La luce era lei, l’ombra amica era ovviamente Jade che l’aveva cresciuta.
 
Cose taciute e mezze verità faranno parte del suo cammino
Finchè contro il suo volere imparerà ciò che non è mai stato imparato.
 
Non aveva saputo di essere una strega fino all’ultimo e le verità che le erano state raccontate erano sempre a metà: solo negli ultimi giorni aveva scoperto come stavano davvero le cose e solo pochi minuti prima aveva capito che i piani si Shayleen erano cambiati rispetto a quello che avevano pensato tutti.
Immaginava che ciò che non è mai stato imparato si riferisse al fatto di saper guarire le persone come faceva lei in primis e all’assorbire l’energia degli altri in secondo luogo.
 
Il buio cercherà insistentemente di farla tornare a lui
E con altrettanta insistenza sarà rifiutato
 
Shayleen aveva cercato di farla schierare dalla sua parte con le buone e con le cattive e lei aveva sempre rifiutato…
 
Ma il buon cuore prevale anche quando tutto sembrerà perduto
E la luce si spegne senza poter fare ritorno nonostante l’aiuto.
 
Nonostante sapesse che stava facendo il suo gioco aveva guarito prima Daniel, poi tutti gli altri: il suo buon cuore non avrebbe mai lasciato che morissero.
 
E il risultato?
Adesso era lì, spenta e immersa nel buio, conscia che non sarebbe potuta più tornare indietro.
Scrollò la testa per scacciare le lacrime che minacciavano di scendere e cominciò ad incamminarsi senza nemmeno sapere dove stava andando.
La luce proveniente dall’arco fu ben presto un ricordo lontano.
 
 
 
***
 
 
 
Nella sala regnava il silenzio più assoluto.
Nel momento in cui Elise aveva oltrepassato il velo James aveva cominciato a dimenarsi e Shayleen aveva pensato che sarebbe stato divertente liberarlo dalle manette per vedere cosa avrebbe fatto, se avesse avuto il coraggio di seguirla.
Una volta libero il ragazzo si era precipitato verso l’arco senza pensarci due volte ma, con grande sollievo di tutti, ci si era fermato davanti.
 
Quando il signor Potter aveva detto che nessuno, quindi nemmeno Elise, poteva entrare lì e poi tornare indietro James aveva capito.
Seppure non fosse l’argomento di conversazione preferito tutti in famiglia sapevano che Sirius Black, il padrino di Harry di cui aveva preso il nome, era morto quando suo padre era al quinto anno a Hogwarts per mano della Mangiamorte Bellatrix Lestrange, durante uno scontro nell’Ufficio Misteri.
E James si era appena ricordato che ciò era avvenuto perché Sirius era passato oltre il velo di un arco che si trovava nella sala dove lo scontro stava avvenendo.
Non ci aveva messo molto a fare due più due e a trarre le sue conclusioni: Elise era passata oltre il velo proprio come Sirius.
La profezia alle fine si era avverata: la luce si era spenta, Elise era morta.
 
 
 
***
 
 
 
Non sapeva da quanto tempo stava camminando.
Immersa in quel buio aveva perso la concezione dello spazio e del tempo.
 
Certo che se quella era la morte allora era proprio noiosa: insomma, aveva almeno sperato di poter diventare una fantasma per tormentare Shayleen per tutto quello che le aveva fatto…
Pensare alla donna la fece ribollire di rabbia: era evidente che fosse impazzita, il potere che aveva e la determinazione a portare a termine i suoi assurdi piani –qualsiasi essi fossero – doveva aver dato il colpo di grazia alla sua mente instabile, ma Elise non riusciva proprio a vedere la cosa come una giustificazione o come un fattore che potesse in qualche modo indebolire la donna.
Anzi, proprio per questo secondo lei era ancora più pericolosa e imprevedibile.
 
Nonostante avesse sempre riposto grande fiducia in loro, dubitava che le persone che si era lasciata alle spalle nella sala con l’arco, soprattutto nella loro attuale situazione, potessero fare granchè per fermare Shayleen.
La loro unica speranza era lei.
Ed era morta.
 
Avrebbe almeno voluto sapere chi era che Shayleen voleva riportare indietro dalla morte con così tanta tenacia da far passare addirittura in secondo piano il suo proposito di trasformare in Puri il maggior numero di maghi possibile.
 
 
Si fermò di colpo nel bel mezzo del nulla che la circondava.
Avrebbe tanto voluto prendere a pugni qualcosa per sfogarsi.
Non era da lei arrendersi a quel modo eppure tutto – attorno e dentro di lei – le diceva che ormai non c’era più niente da fare.
 
Era morta, e tra le varie cose le sembrava anche che tutta la sua felicità e la sua voglia di vivere le fosse stata risucchiata via.
 
In quel momento un ricordo le attraversò la mente come un lampo.
Era quella volta che Hermione le aveva spiegato i Patronus.
Tralasciando il fatto che non era mai riuscita a vedere che forma avesse il suo in quanto aveva prodotto solo una luce fortissima che aveva abbagliato tutti per qualche minuto, la strega in quell’occasione le aveva recitato una frase molto singolare, dicendole che era stato il vecchio preside di Hogwarts, Albus Silente, a dirla ai suoi studenti quando un anno i dissennatori erano stati messi a guardia della scuola con il rischio di fare incontri poco graditi.
 
La felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce.
 
Il detto l’aveva colpita particolarmente e le era piaciuto per il ragionamento che vi era sottointeso.
Le situazioni difficili possono capitare, a tutti, ma la differenza sta in come si reagisce a esse.
È facile rimanere fermi a piangersi addosso senza fare niente, lamentandosi che le cose non migliorano mai.
 
Vuoi che le cose cambino?
Cambiale.
Sei al buio?
Accendi la luce.
 
Ecco, in quel momento lei di sicuro non aveva a disposizione lampadine, interruttori o legna per accendere un fuoco, ma aveva di meglio.
Lei era una strega.
E che senso aveva avere tutto il potere che Shayleen le aveva fatto guadagnare se poi non ne approfittava quando ne aveva bisogno?
 
Sorrise per la prima volta da quando il piano disastroso – così l’aveva ribattezzato lei per cercare di sdrammatizzare – aveva avuto inizio.
 
Nel giro di pochi secondi una luce si era formata tra i palmi delle sue mani, avvicinate tra loro davanti al cuore.
Dopotutto nella profezia la paragonavano a una stella, e cosa fanno le stelle se non brillare?
 
Allontanando le mani la luce crebbe di intensità finchè non raggiunse una luminosità tale da costringere la ragazza a chiudere gli occhi per non restare abbagliata, una sensazione di pace che aveva cominciato pian piano a pervaderla.
 
 
Ad un certo punto la sensazione cominciò a scemare e quando cautamente riaprì gli occhi Elise scoprì con sua grande sorpresa che l’ambiente non era più immerso nel buio: adesso era chiaro e luminoso, innaturalmente bianco.
 
La cosa però più strana era che però lei sapeva benissimo dove si trovava.
Quello davanti a lei era senz’ombra di dubbio l’orfanotrofio Wool, e lei stava osservando l’edificio dal marciapiede dall’altra parte della strada.
 
Tutto era calmo e silenzioso.
Non c’era traccia di pedoni o automobili.
Persino le fronde degli alberi che bordavano la strada attorno a lei erano ferme e non emettevano il minimo fruscio.
 
In tutto quel silenzio Elise ebbe il suo bel daffare a capire come avesse fatto a non sentire il suo arrivo.
Questo ovviamente dopo essersi ripresa dal colpo che le aveva fatto prendere.
 
 
 
“Ti stavo aspettando”













Buona sera a tutti!
Oggi fortunatamente non mi sono dimenticata di aggiornare e quindi eccovi puntuale il nuovo capitolo.
E così Elise è stata letteralmente spinta sotto l'arco, la Profezia si è avverata e la storia sembrerebbe finita.
... E invece no!
Come sempre sono aperte le scommesse per vedere chi riesce ad indovinare chi è che stava aspettando Elise dall'altra parte del velo. In palio 50 punti per la coppa delle case :)
Grazie a chi continua a seguire la storia e, lo so che ormai l'avrò detto fino alla nausea, mi fareste davvero felice se lasciaste un commentino (anche piccino picciò) per farmi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima settimana!
E.

 

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Capitolo 35
*** 34. Nice to meet you ***


34 – Piacere di conoscerti
 
 
 
L’uomo avanzò lungo il marciapiede finchè non gli fu di fronte.
Elise lo guardava a bocca aperta.
 
Aveva accettato il fatto di essere morta.
Aveva accettato di essere in qualche modo finita nella riproduzione fedele del quartiere dove sorgeva l’orfanotrofio Wool.
Ma quello… forse quello era un po’ troppo da accettare in una sola giornata.
 
Evan era giusto un paio di anni più vecchio rispetto a come l’aveva visto l’ultima volta, gli anni che erano passati tra il suo ultimo colloqui con il Ministro della Magia che la ragazza aveva visto attraverso i ricordi di Shacklebolt e la sua nascita.
A occhio e croce non doveva avere più di qualche anno più di quanti ne avesse lei.
 
Era comunque certo che avercelo davanti così in carne e ossa faceva tutto un altro effetto.
 
 
Elise mosse timidamente un passo verso l’uomo, poi un altro.
Prima che potesse rendersene conto era tra le braccia di Evan che la stringevano forte mentre lei era scoppiata a piangere permettendo alle lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento di uscire.
Suo padre continuò a tenerla senza dire niente, accarezzandole la schiena e aspettando pazientemente che la ragazza si calmasse.
 
Alla fine i due si staccarono rimanendo però a fissarsi negli occhi, verde nel verde, quelli della ragazza erano più lucidi, ma non per questo quelli di Evan sembravano meno emozionati.
 
“Sei tu che Shayleen vuole che io riporti indietro, vero?” chiese Elise quando fu sicura che la sua voce non si sarebbe rotta se avesse parlato.
L’uomo annuì serio.
“Non riesco davvero a spiegarmi come abbia fatto a ridursi così, quando l’ho conosciuta a scuola era così diversa…”
Si vedeva da come ne parlava che un tempo doveva essere davvero stato innamorato di lei.
“Bene o male quando ero con lei riuscivo a farla ragionare, o almeno ci provavo. Le sono precipitate quando sono morto…”
“Credi che si sia mai sentita in colpa per averti ucciso?” domandò la ragazza calcando la voce sull’ultima parola.
“Suppongo che voglia riportarmi indietro proprio per questo. Mi ha colpito, però effettivamente quando ci ha provato non è riuscita a guarirmi, anche se non credo di non averle lasciato abbastanza tempo per provarci sul serio visto che sono subito scappato per avvisare Shacklebolt”
“Non ci sarebbe comunque riuscita visto che a quanto pare solo io ho la singolare capacità di guarire le persone…”
“Vero anche questo” concesse lui.
“E adesso siamo bloccati qui tutti e due…”
A quello non ci fu risposta.
 
Negli attimi di silenzio che seguirono i due, come se si fossero messi d’accordo, cominciarono ad incamminarsi verso l’ingresso dell’orfanotrofio.
Il cancello e il portone erano aperti, non ebbero nessun problema ad entrare, l’edificio era deserto.
 
“Shayleen si era messa in testa di voler trasformare i maghi, i Rigidi, in Puri. Era convinta che così sarebbe stato meglio per tutti: non dover più dipendere dalla bacchetta ma essere liberi di poter usare la magia quando lo si ritiene più opportuno e quando realmente serve.
Contrariamente a quanto tutti potrebbero pensare lei non era la persona solitaria e fredda che voleva far credere a tutti.
E non è vero che la guerra contro Voldemort l’ha lasciata indifferente.
Come penso tu sappia lei è una nata babbana, e nonostante fosse una Serpeverde aveva anche lei delle amiche con il suo stesso status di sangue.
Se ti hanno raccontato un po’ la storia credo tu possa immaginare cos’è successo loro durante la guerra, quello che Voldemort faceva alle famiglie dei nati babbani.
E devi anche sapere che i suoi genitori hanno praticamente disconosciuto Shayleen quando le è arrivata la lettera per Hogwarts.
Quelle ragazze e io, beh, eravamo noi la sua famiglia, passava sempre a turno le vacanze estive da noi quando la scuola chiudeva, e metà di quella famiglia l’ha persa durante la guerra.
Loro sono state uccise perché disarmate non potevano nulla contro i Mangiamorte che si sono trovate davanti, e da qui Shayleen ha avuto l’idea…”
 
Intanto stavano camminando per i corridoio dell’orfanotrofio.
Elise ascoltava in silenzio senza perdersi una parola di quello che Evan diceva.
Effettivamente tutti i retroscena di cui stava venendo a conoscenza aiutavano molto a fare luce sui comportamenti tenuti da Shayleen, e suo malgrado la ragazza si ritrovò a provare pena e dispiacere per la donna.
Forse aveva avuto la sua idea con tutte le migliori intenzioni, ma col passare del tempo era diventata una vera e propria ossessione che l’aveva portata sulla strada della pazzia.
 
“Quando siamo sfuggiti al mandato di cattura del Primo Ministro ho portato Shayleen lontano da qui” riprese Evan che aveva lasciato qualche istante ad Elise per assimilare tutto quello che le aveva appena detto.
“Ho cercato di farla ragionare e ci ero riuscito: mi sono fatto promettere che si sarebbe lasciata alle spalle tutta la faccenda dei Puri.
Ci amavamo, non l’avevo mai vista così felice come quando ha scoperto che stava aspettando te: era raggiante, lo eravamo entrambi.
Ad una settimana dalla data prevista per la tua nascita però è cambiato qualcosa.
Sono tornato a casa e c’era qualcosa di diverso: per quanto si sforzasse di nascondermelo la conoscevo troppo bene.
Pochi giorni dopo, mentre lei era dal medico per uno degli ultimi controlli, ho trovato la causa di quel cambiamento.
Mi sono sentito come un ladro a frugare di nascosto tra le sue cose, ma ho dovuto farlo.
Ho trovato una lettera.
Non aveva interrotto tutti i contatti con Londra, c’era ancora qualcuno che lavorava all’Ufficio Misteri che le faceva regolarmente rapporto.
Io non mi sono mai accorto di nulla perché evidentemente non c’erano mai state grandi notizie prima di quel momento: nella lettera era riportato il testo di una profezia, penso tu sappia di cosa sto parlando.
Leggendola Shayleen deve averla interpretata come un segno premonitore che le diceva che il suo piano avrebbe avuto successo, che qualcuno sarebbe riuscito a imparare ciò che non è mai stato imparato…”
“Ma non è vero” lo interruppe Elise senza riuscire a trattenersi. “Io non ho imparato a trasformare i maghi in Puri… tutt’altro!”
“Lo so, ma questo all’epoca Shayleen non poteva saperlo. E se poi ti dicessi che nel giro di pochi giorni per Shayleen quella frase ha assunto un altro significato ancora?”
Elise lo guardò confusa ed Evan le sorrise mestamente.
“A prescindere dal significato che Shayleen aveva attribuito alla profezia sapevo che per lei la persona che sarebbe stata in grado di compierla saresti stata tu, e davvero non sarei mai riuscito a farle usare nostra figlia per una battaglia che era persa in partenza” continuò.
“Così quando alla fine sei nata ti ho portata via da lei.
Mia sorella mi è sembrata la soluzione migliore: pur in un orfanotrofio saresti comunque rimasta con qualcuno di famiglia, anche se tu non l’avresti saputo. Ho lasciato a Jade una lettera in cui spiegavo chi eri e quanto fosse importante che nessuno sapesse della faccenda. Dopo essermi assicurato che tu saresti stata al sicuro, almeno finchè non ti fosse arrivata la lettera – anche se sappiamo bene entrambi che non ti è mai arrivata – sono tornato indietro ad affrontare Shayleen.
Credo di non averla mai vista così fuori di sé.
A posteriori mi sono spesso chiesto se portarti via da lei sia stata effettivamente la scelta giusta, ma all’epoca davvero non avrei saputo cos’altro fare.
Da lì in poi sai com’è andata” concluse.
 
I due si fermarono: erano arrivati davanti alla porta della vecchia camera di Elise.
La ragazza entrò per prima sorprendendosi che tutto fosse esattamente come se lo ricordava.
Si sedette sul letto lisciando le pieghe del copriletto che si erano formate attorno a lei.
 
“Hai detto che da quel giorno Shayleen ha dato una nuova interpretazione alla profezia. Fammi indovinare: era convinta che sarei riuscita a riportarti indietro dai morti, non è così?”
Evan annuì.
“Però nessuno può fare una cosa del genere”
Altro cenno d’assenso.
“E adesso siamo belli che morti tutti e due…”
 
Gli occhi di Evan brillarono, esattamente uguali a quelli di Elise quando le veniva qualche idea.
La cosa non sfuggì alla ragazza che aggrottò le sopracciglia non sapendo cosa aspettarsi dal padre.
 
“Tecnicamente tu non sei morta, Elise”
Sganciata la bomba la ragazza rimase letteralmente a bocca aperta.
 
Cosa?
Era passata sotto l’arco, oltre il velo: lei era morta.
Punto.
Fine del discorso.
Non poteva essere altrimenti.
 
“Non… non è possibile!” balbettò. “Anche il signor Potter ha detto che…”
“Non centra. La tua è una situazione completamente diversa, Elise. Sei troppo piena di vita per poter essere morta”
“E questo cosa vorrebbe dire? Ero viva e sono morta, che essenzialmente è quello che succede a tutte le persone, prima o poi…”
Il sorriso di Evan si accentuò ulteriormente.
 
Ma vita e morte hanno il loro equilibrio:
Troppa vita oltre il velo non sta
E spesso uno scambio è la soluzione.
Per tornare indietro una perdita sarà necessaria
Anche se la luce spenta resta” recitò l’uomo con tono solenne.
 
“E… e questa cosa dovrebbe essere…?”
Sembrava terribilmente simile allo stile con cui era composta la sua profezia, e di certo l’ultima cosa di cui aveva bisogno era averne un’altra di cui preoccuparsi.
“So cosa stai pensando” la precedette Evan prima che potesse aprire di nuovo bocca.
“E la risposta è no: non è un’altra profezia. Questa è semplicemente la conclusione di quella che ti è già nota”
 
… E meno male che Elise pensava che arrivata a quel punto niente avrebbe potuto stupirla.
 
“Vedi, le profezie sono tutte contenute all’interno di una sezione specifica dell’Ufficio Misteri e possono essere ascoltate dalle persone che ne sono oggetto.
Una persona che non centra nulla può ascoltare una profezia che non lo riguarda solo se il diretto interessato è presente”
“E allora il contatto di Shayleen come ha fatto a riferirgliela?”
“Jack deve essere riuscito ad ascoltarla quando la veggente l’ha recitata per depositarla. Sfortunatamente per lui, però, si è perso la parte finale”
“E Shayleen lo sa?” domandò Elise incredula, facendo passare in secondo piano il fatto che fosse stato proprio Jack la causa di tutto.
“Dubito che sarebbe ancora vivo se Shayleen ne fosse venuta a conoscenza..”
“E tu la sai tutta perché…?”
“Diciamo che nella mia attuale condizione mi sono concessi privilegi di cui prima non potevo godere”
 
La ragazza si rialzò dal letto cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza.
Spesso uno scambio è la soluzione .…” ragionò ad alta voce. “Quindi potrei tornare indietro se un altro prendesse il mio posto?”
Evan le sorrise incoraggiante.
“Quindi secondo quello che dice la profezia per poter tornare indietro è necessaria una perditaAnche se la luce spenta resta… ma non ha senso!” esclamò.
“Io sono morta e la profezia dice che potrei tornare indietro scambiando la mia vita con quella di qualcun altro, ma alla fine resterei sempre morta? Non capisco a cosa si riferisca quando dice che bisogna perdere qualcosa…”
“A volte capiamo le cose solo dopo averle fatte, altre volte invece non capiamo affatto… sono quelle volte in cui dobbiamo compiere un atto di fede, di fiducia” la riprese calmo Evan.
“E quindi io in chi dovrei avere fiducia in questo momento, eh?”
“Senza offesa, ovviamente” aggiunse quando l’uomo alzò un sopracciglio.
L’espressione seria durò però un battito di ciglia, l’istante successivo stava di nuovo sorridendo ampiamente.
“Mi sembra ovvio” rispose pacatamente. “Devi avere fiducia in te stessa, Elise”
 
Quell’ultima affermazione la investì come un carro armato, facendole tra l’altro tornare di nuovo in mente la famosa frase di Silente a cui aveva pensato quando era ancora nel buio.
 
…Se solo uno si ricorda di accendere la luce.
 
Guardò Evan negli occhi: “Tornerò indietro. Cosa devo fare?” chiese decisa.
“Penso che tu lo sappia già… eri sulla buona strada prima, ma non ho resistito a parlarti, l’occasione era troppo buona e non volevo sprecarla visto che sospetto sia la prima e ultima. Volevo che alla fine di tutto tu sapessi quale fosse sul serio la verità”
La ragazza annuì, facendosi scappare un sorriso e avvicinandosi di nuovo  a Evan per abbracciarlo.
“Allora sono contenta che tu mi abbia fermata. Mi ha fatto davvero molto piacere conoscerti” la voce tremò verso la fine della frase.
L’uomo ricambiò la stretta: “Tu non hai idea di quanto abbia fatto piacere a me conoscere te, Elise”
 
“Allora, sei pronta?” le domandò quando si furono separati.
“Pronta” confermò lei, cominciando gradualmente a far comparire di nuovo la luce tra le sue mani come aveva già fatto prima.
“Sei proprio una stella, Elise!” sentì Evan esclamare mentre la luce aumentava d’intensità.
 
Ad un certo punto sentì il pavimento mancarle da sotto i piedi: la camera, l’orfanotrofio, tutto intorno a lei era sparito lasciandola a galleggiare nel vuoto, immersa nella luce che lei stessa stava creando.
 
Portala da me, per favore
 
Una voce risuonò nella sua testa, la voce di Evan, e la ragazza non ci mise molto a capire quello che le era appena stato chiesto.
 
Chiuse gli occhi, abbagliata dalla sua stessa luce, lasciandosi andare nel momento in cui sentì che le forze cominciavano ad abbandonarla.
 
 
 
***
 
 
 
Ormai doveva essere trascorsa almeno un’ora da quando Elise era passato sotto il velo, e tutti erano rimasti fermi nelle loro posizioni.
Shayleen era l’unica che si muoveva inquieta, camminando su e giù, passando più volte davanti all’arco, alle spalle di James.
Si stava innervosendo perché ormai lui sarebbe dovuto essere lì con lei già da un pezzo.
 
“Non tornerà” disse il signor Potter rompendo il silenzio, manco le avesse letto ne pensiero.
Shayleen gli riservò un’occhiata di fuoco che però non fu abbastanza per metterlo a tacere.
“Non torneranno, nessuno dei due. Nessuno può essere riportato indietro dalla morte, e tu hai deliberatamente mandato tua figlia a morire, vergognati” continuò infatti l’Auror.
Evidentemente aveva toccato i tasti giusti perché Shayleen lo raggiunse con tre rapide falcate, prendendolo poi per il bavero della maglia che indossava e tirando in modo da sollevarlo appena per trovarsi faccia a faccia con lui.
“Senti tu, quello che ho deciso di fare con mia figlia è affar mio, e lei è solo un piccolo prezzo da pagare se è quello che serve per poter avere Evan indietro. Vedi quindi di non mettere più il becco in affari che non ti riguardano, altrimenti io ti…”
Nessuno però seppe mai quello che Shayleen avrebbe fatto al signor Potter, come l’esclamazione dell’uomo “Ma tu sei pazza!” andò persa in mezzo a quelle di sorpresa degli altri presenti.
In quel momento infatti una luce cominciò a illuminare l’arco finchè non divenne talmente forte da costringere tutti a chiudere gli occhi, lasciandoli con la spiacevole sensazione di essere diventati di colpo ciechi. 













Buona sera a tutti!
Come potete vedere anche stavolta mi sono ricordata che (purtroppo) è lunedì, quindi eccovi il capitolo :)
Complimenti a chi ha indovinato chi fosse la persona misteriosa che avrebbe incontrato Elise (Meg76 10 punti alla tua Casa come promesso).
Per la prossima volta vi lascio invece la sfida di interpretare l'ultima parte della profezia (ammettetelo che ancora un po' vi eravate anche dimenticati che ce ne fosse una, eh!).
Colgo l'occasione per farvi sapere che ormai siamo davvero arrivati agli sgoccioli: mancano tre capitoli più l'epilogo (mi sembra, poi vado a controllare)... quasi non ci credo neanche io che tra poco sarà tutto finito!
Alla prossima, grazie come sempre a tutti i lettori

E.

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Capitolo 36
*** 35. Sparkles ***


Piccolo pensierino di metà settimana...



35 – Scintille
 
 
 
Di colpo il pavimento si rimaterializzò sotto i suoi piedi e per poco le ginocchia di Elise non cedettero per il contraccolpo.
Era ancora circondata dalla luce accecante, lo sentiva, ma allo stesso tempo c’era qualcosa che le diceva che doveva aprire gli occhi.
E così fece.
Vedeva le figure di tutti gli altri intorno in bianco e nero, come se fossero state ombre, mentre lei si trovava esattamente sotto la volta dell’arco.
 
Individuò Shayleen vicino al signor Potter: sapeva cosa doveva fare.
 
A passi rapidi si spostò dalla sua posizione e la raggiunse.
Le afferrò il braccio, quello che la donna stava tendendo davanti al visto per proteggersi dalla luce, spostandoglielo.
Da riflesso, sentendosi toccare, Shayleen aprì di scatto gli occhi tenendoli poi sbarrati per lo stupore.
Il contatto con la ragazza permetteva anche a lei di vedere nonostante la luce, ed Elise era di certo l’ultima persona che si aspettava di trovarsi davanti.
L’espressione della ragazza però non era arrabbiata, dura o minacciosa come si sarebbe aspettata.
Al contrario, il suo viso era sereno e disteso: le stava addirittura sorridendo.
Elise lasciò la presa sul braccio di Shayleen per prenderla per mano, cominciando poi a camminare portandosi la donna appresso.
Quella la seguì senza opporre resistenza.
Elise continuò a guidarla finchè entrambe non furono davanti all’arco.
 
Shayleen la guardò: adesso era lei che aveva un’espressione spaventata in viso.
“Mi hai chiesto di riportarti Evan…” disse semplicemente la ragazza indicando con la mano libera la superficie al di sotto dell’arco lasciata scoperta dal velo che era tirato in parte da un vento invisibile.
Ed Evan era lì, al di là della superficie che Elise stessa aveva attraversato poco tempo prima.
 
L’uomo tese una mano in avanti: un chiaro invito a prenderla per Shayleen.
La donna la guardò come ipnotizzata.
Per un attimo Elise, che ancora la teneva per mano, ebbe paura che Shayleen si sarebbe svegliata da quello strano stato di trance e avrebbe mandato tutto all’aria.
Con suo grande sollievo dopo qualche istante la donna cominciò a sollevare il braccio protendendosi verso Evan.
Nel momento in cui l’avambraccio della donna affondò al di là dell’arco, accettando la mano che Evan le aveva teso, Elise la lasciò andare.
Un ultimo ti vogli bene, detto dall’inconfondibile voce di suo padre, le risuonò nella testa prima che le due figure sparissero definitivamente dal suo campo visivo inoltrandosi nel buio che c’era oltre.
 
Elise si rese conto che la luce si stava pian piano affievolendo mentre le forze sembravano tornarle: però non erano quelli i patti.
Infatti più si sentiva in forze e più le sembrava di essere attirata come una calamita verso l’arco.
Si riconcentrò per rinforzare la luce e in quel momento realizzò come mai quella sensazione che sentiva quando la emetteva le era così familiare: era la stessa che provava quando doveva guarire qualcuno.
Si concentrò ulteriormente per assicurarsi che non cambiasse: adesso poteva non solo guarire le persone che erano lì, poteva fare molto di più…
Prima però doveva sistemare tre piccoli particolari.
 
Sfruttando il fatto di essere l’unica che riusciva a muoversi in tutta quella luminosità si avvicinò furtivamente a Jack, Nancy e all’Auror che aveva fatto la spia che avevano a mala pena fatto in tempo a raggrupparsi quando la forte luce aveva cominciato a diffondersi.
Schiantarli e legarli insieme in modo che una volta svegli non creassero problemi le riuscì incredibilmente facile, e quando ebbe finito si sentì straordinariamente soddisfatta.
 
Ora doveva solo andare fino in fondo con quello che aveva cominciato.
 
Sempre rimanendo vicino all’arco – in qualche modo sembrava che non potesse starci lontana per troppo tempo – riprese a fare quello che stava facendo prima.
Si portò le mani al petto, all’altezza del cuore, per poi allontanarle fino a distendere del tutto le braccia, lasciando che la sua energia, i suoi poteri, vi fluissero attraverso aumentando ulteriormente l’intensità della luce.
Fu quando sentì che le forze cominciavano nuovamente a mancarle che capì che quello che stava facendo stava funzionando.
Poteva percepire che le ferite provocate dai maltrattamenti subiti stavano via via scomparendo da tutti i presenti, nessuno escluso, e più andava avanti più sentiva quello strano legame che la teneva vicina all’arco – alla morte – affievolirsi.
 
Andò avanti fino all’ultimo finchè di colpo non finì.
 
Elise si sentì completamente svuotata, la luce si spense nel giro di una frazione di secondo e nell’istante in cui la sala ripiombava nel buio la ragazza era già crollata per terra priva di sensi.
 
 
 
***
 
 
 
Pian piano le persone cominciarono a riprendersi.
Erano stati colti di sorpresa da quella luce così forte e quando quella era arrivata a illuminare a giorno la sala, rimanendo però ben più intensa della luce del solito sole, non avevano potuto fare altro se non schermarsi gli occhi come potevano e rimanere fermi sul posto.
Era stato come essere sottoposti all’incantesimo delle pastoie total-body, anche se leggermente meno sgradevole e fastidioso.
Gli attimi che avevano passato fermi e in silenzio erano sembrati comunque interminabili, soprattutto considerato che nessuno aveva la minima idea di quello che stava succedendo.
 
Poi qualcosa aveva cominciato a cambiare.
Chi prima chi dopo tutti avevano cominciato a sentirsi rinvigoriti.
Chi l’aveva già provato avrebbe potuto dire che quella sensazione era tremendamente simile a quella che si sentiva quando Elise si metteva all’opera con la sua guarigione.
Ma non era finita lì.
Quella sensazione aveva continuato a persistere finchè qualcosa di molto più profondo era scattato in ognuno di loro.
In quell’attimo anche le manette che avevano attorno ai polsi si erano dissolte nel nulla e dopo pochi istanti la luminosità che tutti riuscivano a percepire anche con gli occhi chiusi attraverso le palpebre aveva cominciato a diminuire per poi scomparire del tutto.
 
Qualsiasi cosa fosse successa era finita.
 
Ci volle più di qualche minuto prima che tutti recuperassero l’uso della vista, gli occhi che dovevano riabituarsi al buio appena rischiarato dal tremulo bagliore che proveniva dall’arco al centro della piattaforma di pietra.
 
Quando accadde la prima cosa che videro li lasciò increduli.
Shayleen era sparita mentre Jack, Nancy e la talpa degli Auror erano a terra, palesemente schiantati e legati come salami con delle corde che erano sicuramente state evocate con la magia.
 
James fu il primo ad accorgersene trattenendo a mala pena un gemito strozzato.
Era il più vicino all’arco vista la sua scenata quando Shayleen ci aveva spinto dentro la figlia, per cui gli era bastato girarsi appena per accorgersi della figura con la coda dell’occhio.
 
Elise era lì, distesa su un fianco esattamente sotto l’arco, gli occhi chiusi e l’espressione di chi è in pace con il mondo.
 
Il ragazzo raggelò e subito corse al suo fianco spostandola lontana da quel maledetto affare.
Si accovacciò vicino a lei e la girò in modo che fosse in posizione supina, riprendendo a respirare solo quando si fu assicurato che anche la ragazza lo faceva e che il suo cuore batteva ancora.
 
Era viva.
 
Non sapeva per quale magia, per quale miracolo, ma Elise era viva!
 
Sorrise tra le lacrime mentre stringeva a sé la ragazza addormentata, le altre persone attorno a lui che tiravano a loro volta un grande sospiro di sollievo.
 
 
Nel giro di un quarto d’ora erano fuori da lì, James che portava Elise in braccio e guardava malissimo chiunque gli proponesse di portarla per un attimo al posto suo così che lui potesse riposarsi.
L’ultima volta aveva quasi ringhiato a uno degli Auror che erano venuti a recuperarli che glielo aveva suggerito e da quel momento nessuno aveva più osato dirgli nulla.
Alla fine si ritrovarono nella sala di allenamento degli Auror che avevano scelto come base di partenza per l’operazione, accolti da un Primo Ministro Kingsley Shacklebolt che aveva un’aria distrutta.
Il suo sguardo si illuminò letteralmente quando se li vide arrivare davanti.
 
Aveva passato le ultime ore a cercare di recuperare gli Auror che erano coinvolti nella missione e che erano rimasti intrappolati a Skelton House.
Aveva pensato che sarebbe presto diventato matto quando gli avevano riferito che non solo il signor Potter, ma anche i coniugi Weasley e le rispettive famiglie erano sparite e impossibili da rintracciare.
Dopo ore di ragionamenti e deduzioni, e dopo che ebbe trovato la porta della sala con l’arco sigillata dall’interno e impossibile da forzare non aveva potuto fare altro se non lasciare degli Auror davanti alla porta con l’ordine di fare qualsiasi cosa avrebbero dovuto fare quando quella si fosse finalmente riaperta.
Inutile dire che vedere quegli stessi Auror scortare i Potter e i Weasley vivi e illesi aveva superato le sue più rosee aspettative.
Per non parlare di quando gli avevano riferito che Nancy, Jack e l’Auror traditore erano stati portati direttamente ad Azkaban.
Un po’ meno contento era per le condizioni in cui versava Elise che sembrava essere estremamente debole.
La ragazza era stata subito portata al San Mungo, ancora tra le braccia di James che sembrava sordo alla richiesta di riposo dei suoi arti pur di continuare a tenere la ragazza stretta a sé.
Anche gli altri ragazzi erano stati accompagnati al San Mungo per verificare che effettivamente stessero bene.
 
 
Alla fine solo il signor Potter rimase con il Primo Ministro.
 
“Shayleen è scappata” disse l’Auror senza cercare di mascherare la preoccupazione che traspariva dal suo tono di voce.
Con sua grande sorpresa Shacklebolt scosse la testa lasciandosi addirittura scappare un mezzo sorriso soddisfatto.
“Siamo riusciti a localizzare Villa Skelton, Harry” lo mise al corrente. “E sai questo cosa vuol dire, visto che stiamo parlando di una proprietà protetta da Incanto Fidelius…”
“Vuol dire che il Custode Segreto ha confessato”
“Ma Shayleen era il Custode Segreto…”
Gli occhi del signor Potter si spalancarono quando realizzò le implicazioni di quello che il Ministro aveva detto.
Se Shayleen era il Custode Segreto e la villa era localizzabile c’era una sola spiegazione, visto che dubitava fortemente che la donna avesse deciso di punto in bianco di denunciare la sua posizione.
“Non è possibile..!” esclamò incredulo.
“È l’unica spiegazione possibile” rispose Kingsley. “Immagino però che per sapere com’è andata davvero dovremo aspettare che la ragazza si svegli” aggiunse con tono più cupo.
“A proposito: si può sapere cosa diavolo è successo?”
 
 
Quando il signor Potter ebbe finito di raccontare decise che forse era il caso che anche lui raggiungesse la sua famiglia in ospedale.
Chiese al Ministro di allestire una passaporta, evitando abilmente la domanda sul perché non volesse usare la smaterializzazione, e nel giro di pochi minuti stava già camminando lungo il corridoio che lo avrebbe portato dai suoi cari.
 
Giunto a destinazione scoprì che Rose e Hugo erano già tornati a casa con Hermione, Lily e Ginny.
Nella stanza erano rimasti Ron, Albus, Jade, Dan e James.
L’ultimo era seduto sul letto nel quale riposava Elise stringendo la mano della ragazza senza mai staccarle gli occhi di dosso.
Albus corse subito ad abbracciare il padre mentre Ron usciva un attimo per chiamare un Guaritore che venisse a dare un occhiata all’ultimo arrivato.
Quando rientrò il Guaritore non era l’unica persona che lo accompagnava: insieme a loro c’era un Auror della squadra di Harry che senza troppe cerimonie porse al suo capo un sacchetto di velluto abbastanza voluminoso dicendo che il contenuto era stato recuperato e doveva essere restituito ai legittimi proprietari.
Si congedò prima che il signor Potter potesse chiedere qualcosa.
 
Dopo che il Guaritore ebbe finito con lui l’Auror rovesciò il contenuto della borsa sul tavolo presente nella stanza e non potè impedirsi di rimanere a bocca aperta: davanti a lui c’erano le loro bacchette.
Dopo diversi istanti di teso silenzio il primo a farsi avanti fu Dan.
Riconobbe la sua nel mucchio e la impugnò deciso.
Nel momento in cui lo fece un calore improvviso si propagò lungo tutto il suo braccio, una scia di scintille blu e argento si sprigionò dall’estremità della bacchetta come un fuoco d’artificio quando la abbassò sferzando l’aria.
Era esattamente quello che era successo nel negozio di Olivander quando era stato scelto la prima volta.
In quella gli sguardi di tutti i presenti si rivolsero a di lui, persino James per qualche istante aveva distolto il suo da Elise.
 
Ron e Albus si avvicinarono al tavolo cercando e riconoscendo la propria bacchetta per poi stringerla in mano come aveva fatto Daniel poco prima.
Una fontana di scintille arancioni e un’altra di scintille verdi invasero la stanza lasciando spazio subito dopo ai volti sorridenti e soddisfatti dei proprietari che avevano appena ritrovato la loro bacchetta con l’aggiunta della sorpresa di poterla usare di nuovo.
Jade si guardava stranita le mani dopo aver realizzato che anche lei riusciva di nuovo a usare i suoi poteri.
Dopo che le scintille rosse e oro ebbero finito di fuoriuscire dalla bacchetta del signor Potter questo ne individuò una tra le restanti e la portò al figlio.
 
James guardò dubbioso lo strumento che il padre gli stava porgendo, ma alla fine neanche lui potè resistere dal prendere la sua fidata bacchetta in mano e lasciarsi andare alla sensazione di calore che l’aveva invaso mentre quella sparava in aria scintille scarlatte come se stesse festeggiando il ricongiungimento con il suo padrone.
La sua felicità ebbe però vita breve: gli bastò tornare ad osservare la ragazza che dormiva davanti a lui per incupirsi nuovamente.
 
Non era passato poi molto tempo, ma Elise ancora non dava segno di volersi riprendere, e il Medimago che l’aveva visitata aveva detto che non si poteva fare altro che aspettare che si svegliasse da sola.
Era semplicemente lì, distesa sul letto, pallida ancora più del solito, il suo petto che si alzava e abbassava così lentamente che in certi momenti il ragazzo temeva avesse smesso di respirare.
 
“James” il signor Potter lo chiamò piano cercando di attirare la sua attenzione.
Aveva strette in mano le bacchette della moglie e di Lily, Ron al suo fianco teneva quelle di Hermione e dei figli.
Il fatto che stessero per tornare a casa per restituirle ai legittimi proprietari era sottointeso.
“Io da qui non mi muovo” lo anticipò il ragazzo prima che suo padre potesse proseguire.
“James, per favore, sii ragionevole: hai bisogno di riposarti anche tu…”
“Posso riposare benissimo anche restando qui”
“Non voglio che resti qui da solo
C’è Elise
“Ma…”
 
“Resto io con loro” a sorpresa Jade si inserì nel discorso. “Non avrei comunque lasciato mia nipote da sola, posso tenere d’occhio anche James, non è un problema” propose.
Il signor Potter fece passare più volte il suo sguardo dal figlio alla donna.
“Mi assicurerò che si riposi anche lui, non preoccuparti” lo rassicurò ancora.
L’uomo annuì sospirando: “Va bene, grazie” e dopo aver salutato il figlio con uno sguardo ammonitore si smaterializzò, Albus e Ron al seguito.
Dan si guardò intorno quasi spaesato, sentendosi fuori posto, prima di affermare: “Sarà meglio che vada ad avvertire Julia che stiamo tutti bene” e smaterializzarsi a sua volta.
 
Con un cenno della mano Jade fece spostare l’altro letto presente nella stanza in modo che si avvicinasse a quello già occupato da Elise riservando poi un’occhiata significativa a James.
“Hai sentito tuo padre: hai bisogno di riposare, forza” lo incitò indicando il letto.
“Se cambia qualcosa sarai il primo a saperlo, promesso” insistette visto che il ragazzo non sembrava molto convinto.
 
La donna sorrise quando James si addormentò neanche dieci secondi dopo aver appoggiato la testa sul cuscino, la mano che nonostante stesse dormendo stringeva ancora quella della ragazza nel letto in parte.













Siccome finalmente la tesi è in tipografia a stampare ho pensato di festeggiare facendo un aggiornamento infrasettimanale a sorpresa, spero che vi abbia fatto piacere.
E adesso che ci penso mi va anche bene perchè so già che lunedì sarò impegnata più o meno tutta la giornata, quindi il prossimo capitolo arrivera lunedì sera tardi o addirittura martedì (ma spero di riuscire a rispettare il giorno).
Siamo sempre più vicini alla fine...
Alla prossima
E.

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Capitolo 37
*** 36. The moment of truth ***


36 – Il momento della verità
 
 
 
James si svegliò di colpo senza un motivo ben preciso.
Aveva dormito senza sognare nulla, cosa di cui era abbastanza stupito.
Guardando fuori dalla finestra si rese conto che era già buio, doveva essere notte inoltrata.
 
“Hai dormito quasi dodici ore” una voce lo fece sobbalzare: Jade era seduta su una sedia di fronte al suo letto, esattamente dove l’aveva lasciata prima che si addormentasse.
Aveva dormito dodici ore…
Si girò di scatto verso Elise: la ragazza era ancora addormentata nel letto accanto al suo e sembrava non essersi minimamente mossa.
“Mi dispiace ma non è successo niente mentre dormivi” gli confermò la donna dispiaciuta.
Era evidente che anche lei sarebbe stata contenta se la nipote avesse dato segni di miglioramento.
Il ragazzo si lasciò ricadere sul letto con un sospiro.
Adesso che pensava che tutta la faccenda con Shayleen fosse finalmente finita ecco che gli restava qualcosa di cui preoccuparsi.
Richiuse gli occhi andando a cercare con la mano quella di Elise per poterla stringere di nuovo.
Quanto avrebbe voluto che la ragazza ricambiasse la sua stretta.
 
Ancora non sapeva che purtroppo avrebbe dovuto aspettare più di qualche giorno prima di poter tirare definitivamente un sospiro di sollievo.
 
 
 
***
 
 
 
Aprire gli occhi le sembrava impossibile.
Aveva le palpebre così pesanti che in quel momento le era inconcepibile anche solo pensare di provare ad alzarle.
Si sentiva stanca, esausta come non era mai stata.
 
Svuotata da ogni energia.
 
Sapeva però di non essere morta grazie alle voci che sentiva vagamente durante i rari attimi in cui poteva dire di essere in una specie di stato di veglia, durante i quali emergeva dalle tenebre che sembravano avvolgerla.
Quello che le parlava più spesso era James, seguito da Julia e Dan.
Avrebbe potuto giurare di aver sentito anche Albus e Lily insieme a Rose e Hugo che la ringraziavano per averli salvati – loro e i genitori – e per avergli restituito i poteri.
A quella notizia Elise si sarebbe messa a saltare dalla gioia, se solo avesse potuto.
Era proprio quello a cui aveva puntato e sapere di esserci riuscita le aveva tolto un peso dal petto.
Se solo fosse riuscita a far sparire anche la stanchezza che le impediva di muoversi e aprire gli occhi sarebbe stato perfetto.
 
Provò a concentrarsi per fare il punto della situazione.
Intanto era viva, e questa era già una gran cosa.
Verosimilmente era in una specie di coma per permettere al suo organismo di recuperare dopo l’enorme sforzo che aveva fatto.
E le andava anche bene, ma adesso per quanto la riguardava poteva anche bastare.
Tanto sapeva già cosa aspettarsi quando si sarebbe svegliata.
 
Perché lei si sarebbe svegliata, su quello non si discuteva.
 
 
 
La conclusione a cui era arrivata era che avevano sbagliato l’interpretazione della profezia.
Lei, il signor Potter, il Primo Ministro Shacklebolt e ovviamente anche Shayleen.
 
La luce che nasceva dal buio non era lei, ma i suoi poteri.
Poteri talmente forti, luminosi, da essere paragonati alla luce di una stella.
La luce si era spenta insieme a lei quando era passata oltre il velo e anche se alla fine lei era tornata indietro la luce era rimasta spenta lo stesso.
 
Ed ecco spiegato quel senso di spossatezza che si sentiva addosso: i suoi poteri non c’erano più, e quella era una grande differenza.
La cosa comunque non la preoccupava più di tanto: aveva vissuto più di metà della sua vita senza i suoi poteri.
Certo, magari all’inizio avrebbe fatto un po’ di fatica a riabituarsi alla normalità, ma non aveva rimpianti.
Stavano tutti bene, lei compresa quando si sarebbe decisa a risvegliarsi, e quello era tutto quello che contava.
 
Probabilmente la parte più difficile sarebbe stata dire la novità a James…
 
 
 
***
 
 
 
Aprì gli occhi con una facilità disarmante mettendo subito a fuoco il soffitto della stanza del San Mungo dove era stata ricoverata.
Non era quella della prima volta, però, poteva dirlo perché la cornice del quadro appeso al muro davanti al letto era diversa: chissà qual era il personaggio che la occupava.
La finestra della camera era chiusa e le tende erano tirate, ma si poteva ugualmente intuire la bella giornata di sole che c’era al di fuori.
 
Si mosse piano verificando di avere il controllo di tutte le sue parti del corpo.
Sorrise mentre sfilava le braccia dal leggero lenzuolo bianco con cui era stata coperta.
Appoggiando il destro al suo fianco realizzò che nella stanza non era sola.
 
James era seduto su una sedia accanto al letto, le braccia incrociate appoggiate sul materasso e la testa posata sopra girata di lato: era così che si era addormentato.
Stava dormendo ma la sua espressione non era rilassata, il cipiglio che assumeva quando era particolarmente preoccupato per qualcosa era ben visibile.
 
 
 
Era passata una settimana da quel fatidico giorno, una settimana durante la quale Elise non aveva dato il minimo segno di miglioramento.
In realtà non aveva dato segno proprio di niente: aveva continuato a dormire e basta, e Guaritori e Medimaghi si erano limitati a fare il minimo indispensabile insistendo nel dire che non avrebbe avuto senso per loro fare di più perché tanto la ragazza si sarebbe svegliata da sola quando sarebbe stata pronta.
 
Questo comunque non aveva impedito a James e a tutti gli altri di continuare ad essere divorati dalla preoccupazione.
La prima volta che Dan aveva portato Julia in ospedale per poter vedere l’amica la ragazza era rimasta bloccata sulla porta per qualche istante prima di scoppiare a piangere e catapultarsi su di lei cominciando a minacciarla che come minimo l’avrebbe uccisa se non si fosse decisa a darsi una mossa a svegliarsi.
Quando alla fine aveva recuperato la sua lucidità era stata lei a suggerire di non dire nulla, almeno per il momento, agli Starlet: si sarebbero preoccupati per nulla e non avrebbero comunque potuto fare nulla.
Quando Elise si sarebbe svegliata avrebbero pensato a cosa raccontare a loro.
 
In quella settimana James era come diventato un accessorio fisso della stanza, alternando sedia e letto a seconda che fosse giorno o notte.
L’unica volta che erano riusciti a portarlo a casa era stato mentre stava dormendo.
Solo che quando si era svegliato nel suo letto e non in ospedale aveva dato di matto e i signori Potter si erano rassegnati a dovergli portare i cambi al San Mungo e promettergli che non l’avrebbero più portato via senza il suo consenso per scongiurare il rischio che il figlio si autoimponesse un incantesimo di adesione permanente alla sedia (o al letto) che era stata strategicamente posizionata affianco al letto di Elise.
 
 
 
Elise non resistette alla tentazione, si raddrizzò sul letto e posò la mano tra i capelli ribelli di James accarezzandogli piano la testa.
Conoscendolo, testardo com’era, da lui non si sarebbe aspettata né più né meno di vederlo addormentato in una posizione così scomoda solo per restare vicino a lei.
Probabilmente si sarebbe arrabbiato con se stesso per il fatto di essersi addormentato.
 
Merlino, quanta voglia di abbracciarlo che aveva!
 
Il viso del ragazzo si rilassò appena in risposta alle leggere carezze che Elise stava continuando a fargli.
Dopo un po’ però tornò ad aggrottarsi finchè James non si svegliò sbattendo più volte le palpebre e alzando la testa guardandosi intorno quasi confuso.
Elise ridacchiò piano alla sua espressione quando il ragazzo si rese conto che non era l’unico sveglio nella stanza.
Smise praticamente subito e tese le braccia verso di lui nel momento in cui si accorse che quelle che avevano cominciato a scendere lungo le sue guance erano lacrime.
L’aveva già visto piangere quando lei era passata dall’altra parte dell’arco, ma anche in quella occasione non le era sembrato così sconvolto.
 
James non si fece ripetere l’invito due volte e l’attimo successivo erano abbracciati, lui praticamente disteso sopra la ragazza, entrambi che sorridevano tra le lacrime.
“Stai bene…”
“Sto bene”
 
 
 
 
Il Guaritore che passò più tardi per dare un’occhiata alla paziente inizialmente sorrise entrando nella camera notando che il giovane Potter non era più sulla sua sedia: finalmente doveva aver ascoltato tutti quelli che continuavano a ripetergli di concedersi un attimo di pausa e andare a casa per riposarsi come si deve.
Dovette però ammettere di essersi sbagliato alla grande quando si accorse che sì, effettivamente James non era più sulla sedia, ma sul letto, abbracciato ad Elise che dormiva con la testa appoggiata al suo petto.
Tutti e due sembravano estremamente rilassati, l’ombra di un sorriso ancora sulle loro labbra.
 
Anche quando era arrivato l’orario di visita i Potter, Dan e Julia avevano convenuto che sarebbe stato un peccato svegliarli, soprattutto James che non riposava decentemente da un pezzo, anche se Albus non aveva resistito alla tentazione ed era andato e tornato da casa nel giro di due minuti portandosi dietro una macchina fotografica per fare una foto ai due perché: “Insomma, sono troppo teneri così per farsi scappare l’occasione!”.
Neanche il rumore del flash aveva disturbato il sonno dei due ragazzi.
 
 
 
ↄ ↄ ↄ
 
 
 
“Pausa. Adesso” stabilì Julia chiudendo con un tonfo uno dei manuali di infermieristica da cui lei e la coinquilina stavano studiando.
Elise accolse la proposta, o meglio, l’ordine, con un sospiro di assenso, riponendo a sua volta il libro che anche lei aveva in mano, non prima di averci lasciato il segno.
 
L’arrivo di settembre non avrebbe portato con sé solo l’autunno ma anche l’esame finale di tirocinio tanto temuto dagli studenti della facoltà di infermieristica.
Elise spesso si chiedeva come mai i docenti dovessero divertirsi a torturarli così: non lo facevano già abbastanza durante l’anno accademico con gli altri esami?
(Evidentemente la risposta era no)
 
E così come avevano fatto già l’anno prima le due ragazze, libri e manuali alla mano, si erano date al ripasso seguendo scrupolosamente l’elenco degli argomenti illustrato nella guida che era stata data loro.
Il fatto che l’elenco comprendesse ogni singolo argomento affrontato in quei due anni era un altro discorso…
 
Anche James e Daniel, dal canto loro, non erano però messi tanto meglio, considerato che anche loro prima dell’inizio dell’anno accademico avrebbero dovuto affrontare un esame simile, solo con modalità diverse.
 
Si erano così ritrovati a vedersi meno di quanto avrebbero voluto, decidendo che era meglio studiare ognuno per conto proprio dopo un tentativo di un pomeriggio di studio tutti insieme che aveva avuto esiti disastrosi.
Disastrosi per lo studio, ovviamente; loro si erano divertiti un sacco.
Sotto sotto però ad Elise andava bene così: meno vedeva James meno avrebbe dovuto continuare a mentirgli.
 
 
Dopo il suo risveglio il ragazzo si era comportato in modo impeccabile, tanto che più volte Elise si era ritrovata a chiedersi come avesse fatto a meritarsi una persona così.
Era stato paziente e non le aveva mai messo fretta.
Anche adesso, a distanza di settimane, annuiva accondiscendente quando Elise gli diceva di non sentirsi ancora pronta per riprendere a usare i suoi poteri dopo l’esperienza traumatica che aveva vissuto al di là dell’arco.
 
Ovviamente aveva dovuto raccontare per filo e per segno quello che era successo, anche per dare la conferma definitiva che Shayleen fosse andata, ma era riuscita a sorvolare magistralmente sui dettagli che voleva lei.
L’ultima parte della profezia e la definitiva scomparsa dei suoi poteri erano tra quelli.
Peccato che quel giorno avrebbe finalmente capito come mai Daniel continuasse a dire che Julia sarebbe stata benissimo tra i Corvonero se avesse mai potuto frequentare Hogwarts…
 
 
 
“Potremo invitare i ragazzi a fare merenda qui, che ne dici?” propose Julia distogliendo Elise dalla (lunga) lista di argomenti che dovevano ancora ripassare strappandole i fogli dalle mani.
La bionda alzò un sopracciglio.
“E dai! Un po’ di distrazione può farci solo bene: stiamo studiando da stamattina e ci siamo a mala pena fermate per pranzo…” argomentò ancora la prima.
“Non vorrei disturbarli, sai che stanno studiando anche loro…” provò ad opporsi debolmente Elise.
“Oh, non credo che James avrebbe nulla in contrario ad essere disturbato da te…”
“Ma piantala!”
“Solo quando andrai a chiamarli. Dan stamattina mi ha detto che sarebbero stati tutti e due dai Potter a esercitarsi… finalmente ha imparato a usare decentemente il cellulare…”
“Perché allora non lo chiami?” tentò ancora Elise.
“Potrebbe averlo spento, come facciamo noi, per non avere distrazioni. Eddai! Ti smaterializzi e in due secondi abbiamo fatto, cosa ti costa?”
Al riferimento alla smaterializzazione Elise trasalì, notando solo in quel momento che il tono che Julia aveva tenuto durante tutta la conversazione era semplicemente troppo casuale per esserlo davvero.
Probabilmente aveva deciso di arrivare a parlare di quello prima ancora di proporre la pausa.
Accidenti a lei che la conosceva così bene e al suo intuito da Corvonero mancata.
 
Dopo quella provocazione Julia non si era persa nemmeno mezza delle emozioni che erano passate per la faccia dell’amica.
Sorpresa e stupore, rabbia, rifiuto, tristezza e, in ultimo, sconforto.
 
“Non posso smaterializzarmi, Ju” disse Elise in un sussurro.
“Solo perché continui a rimandare. Vedrai che prima ricomincerai ad esercitarti e prima le cose torneranno come prima” cercò di motivarla lei, lieta che l’amica avesse finalmente deciso di aprirsi su quello che nell’ultimo periodo per lei era diventato un argomento tabù.
A quanto pareva affrontare la cosa in modo diretto era l’unica tattica che riusciva a far parlare Elise.
 
“No Julia, non hai capito” aveva ripreso la bionda nel frattempo. “Io non posso più smaterializzarmi né… fare altro
Fu il turno di Julia a sfoggiare un’espressione sorpresa e confusa allo stesso tempo.
“Io… non ho più i miei poteri. Era il prezzo da pagare per poter tornare indietro e restituire la magia agli altri…”
Julia si alzò di scatto in piedi dal pavimento del salotto dov’erano rimaste sedute fino a quel momento.
Si era immaginata che dietro ci fosse qualcosa di serio, ma non così tanto!
 
Corse in camera a recuperare il cellulare da dove l’aveva lasciato e quando ritornò in sala aveva già fatto partire la chiamata, l’orecchio incollato al dispositivo.
Pur di non doverla guardare in faccia Elise aveva riaperto un libro ad una pagina a caso e si era rimessa a leggere.
Nonostante tutto non potè impedirsi di guardare la sua coinquilina in un leggero stato di panico quando la persona che quest’ultima stava chiamando aveva risposto al telefono.
 
“Dan? Dì a James di venire subito qui da noi… certo che centra Elise, perché avrei chiamato sennò? …ok, muovetevi”
La ragazza chiuse la chiamata voltandosi e scoprendo che Elise non era più nella stanza con lei.
 
 
Dopo neanche cinque minuti il campanello dell’appartamento trillò allegramente e Julia andò ad aprire la porta trovandosi davanti Dan con un punto interrogativo stampato in faccia e James con un’espressione palesemente preoccupata.
“Cos’è successo?” domandò brevemente quest’ultimo.
Julia provò a pensare ad un modo delicato per rispondere, salvo poi rassegnarsi e decidere di andare direttamente al nocciolo della questione.
“Elise mi ha detto che non può più usare i suoi poteri, non li ha più” spiegò rapidamente.
 
Visti i precedenti si sarebbe aspettata di dover aiutare Dan a trattenere un James almeno un pochino arrabbiato, ma contrariamente alle sue previsioni un lampo di comprensione attraversò gli occhi del moro che irrigidì appena la sua postura.
“Dov’è adesso?” domandò.
“Credo si sia barricata in camera…”
James annuì e senza aggiungere una parola imboccò il piccolo corridoio che portava alle camere.
 
In tutto quello Dan sembrava non aver capito fino in fondo cosa stesse succedendo: i problemi e i guai non sarebbero dovuti essere finiti da un pezzo?
“Vieni con me che poi ti spiego” disse affettuosamente Julia arpionando il braccio del ragazzo e trascinandolo fuori dall’appartamento.
“Lasciamo a quei due un po’ di privacy, non voglio essere qui quando il palazzo crollerà perché si sono messi a litigare di nuovo…”













Sono tornata a casa prima del previsto, perciò ecco il capitolo!
Spiegata finalmente la profezia: Elise per tornare indietro e per restituire la magia ai legittimi proprietari ha dovuto fare a meno dei suoi poteri, e doverlo confessare a James la spaventa.
Ma come dice anche il titolo del capitolo: il momento della verità è arrivato.
Prima Julia, che da brava Corvonero mancata capisce subito che la sua amica sta nascondendo qualcosa, e poi James: chissà come reagirà lui alla novità...
La storia ha raggiunto le 60 recensioni (super wow!!), perciò grazie a chi continua a seguirla, a chi trova il tempo per farmi sapere cosa ne pensa, e in particolare grazie a 
meg76 che mi lascia un parere ad ogni capitolo (per la fine della storia dovrò farti un monumento!).
Alla prossima settimana con il prossimo capitolo!
Buona serata
E.


 

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Capitolo 38
*** 37. Pure magic ***


37 – Pura magia
 
 
“Elise?” James bussando piano alla porta della camera della ragazza.
Non ricevette risposta e dopo qualche istante entrò lentamente richiudendo poi la porta dietro di lui.
La ragazza era girata di spalle che guardava fuori dalla finestra.
La raggiunse fermandosi al suo fianco.
“Lo sai che prima o poi la cosa sarebbe venuta fuori comunque, vero?” le domandò, ma non c’era traccia di rimprovero nella sua voce.
Elise annuì impercettibilmente.
“Sono passate settimane…”
“Lo so James, lo so” lo interruppe lei spostandosi dalla finestra andandosi a sedere su letto, la testa bassa, come se non sopportasse la sua vicinanza.
 
 
“Perché non sei arrabbiato?”
“Lo sapevo già…”
 
Avevano parlato tutti e due insieme, Elise non era sicura di aver capito sul serio quello che il ragazzo aveva detto.
 
“Tu… cosa?” domandò alzando la voce e perforandolo con lo sguardo.
James si mosse a disagio sul posto.
“Hai dormito per una settimana, Elise. I Medimaghi ti hanno fatto praticamente ogni tipo di analisi prima di decidere che stavi solo dormendo e avevi solo bisogno di tempo per svegliarti. Ad un certo punto ti hanno fatto anche il test che hanno fatto a Dan quando è rimasto senza poteri e… beh, era positivo”
“Chi altro lo sa?” domandò Elise. Era senza parole.
“Solo io, mio padre e il Primo Ministro” rispose svelto lui. “Volevamo che fossi tu a dirlo quando fossi stata pronta”
 
“Quindi… non ti importa? Che io non possa più usare la magia intendo”
James scosse la testa mentre un sorrisetto divertito gli curvava le labbra: “Pensi davvero che basterebbe così poco per farmi stancare di te?” domandò di rimando fingendosi offeso.
“Spero di no…”
 
“Elise” ripetè il ragazzo avvicinandosi e inginocchiandosi davanti a lei prendendole le mani, di colpo tornato serio.
“Pensavi davvero che un dettaglio come quello sarebbe bastato per farmi allontanare da te?” domandò ancora.
“Io…”
“Pensi davvero che dopo essere rimasto al tuo fianco per tutto questo tempo, dopo tutto quello che abbiamo passato, me ne sarei andato così solo perché tu non hai più i tuoi poteri?” proseguì interrompendola.
La ragazza fece per rispondere ma lui la fermò di nuovo.
“La risposta è no, Elise. No, non ti avrei mai potuta lasciare. Perché indipendentemente dal fatto che tu sia una strega o meno, sei tu e io non potrei mai lasciarti dopo averti conosciuta. Perché sono innamorato di te, e forse lo sono da quando una bambina di otto anni con i capelli biondi spettinati quasi più dei miei mi ha chiesto se volevo giocare con lei al parco, prima ancora di sapere che anche lei poteva usare la magia come me, quello è venuto dopo”
 
Elise era ammutolita, incapace di proferire parola, gli occhi lucidi mentre guardava James senza sbattere le palpebre come se avesse paura di non trovarselo più davanti se avesse chiuso gli occhi anche solo per una frazione di secondo.
 
“E ti prego non pensare mai più, neanche per un attimo, di non essere all’altezza, alla mia altezza, perché ti giuro che lo sei, e forse sono io quello che non ti merita. E forse non ti vedrai mai come ti vedo io: come illumini la stanza quando sorridi, come mi basta guardarti per sentirmi meglio; e ti prego di credermi, non sono pazzo – o forse sì – ma penso che tu sia assolutamente perfetta per me e non vorrei nessun’altra che non sia tu al mio fianco…”
 
Alla fine James aveva quasi il fiatone mentre Elise era ancora a bocca aperta.
Se non era una dichiarazione quella…
 
“James?” chiamò timidamente la ragazza dopo un istante di silenzio che ad entrami sembrò interminabile.
Il ragazzo alzò il capo che aveva momentaneamente abbassato per incrociare il suo sguardo con quello di Elise.
 
E poi non ci furono altre parole oltre al “Ti amo anch’io” sussurrato da Elise dal momento che la ragazza si abbassò verso di lui fino a far incontrare le loro labbra per poi afferrare subito dopo James per la maglia tirandolo verso di sé in modo da ricadere entrambi sul letto.
Tutti e due speravano che Julia e Dan avessero il buon senso di prolungare la loro uscita almeno fino a dopo cena.
 
 
 
Quando più tardi – l’ora di cena era passata da un pezzo – i due tornarono all’appartamento furono felici di constatare che il palazzo era ancora in piedi.
E come se non bastasse Elise sembrava tranquilla come non era da mesi, accoccolata sul divano insieme a James mentre parlavano del più e del meno.
Il sorriso che entrambi avevano sulle labbra la diceva lunga, ma forse per quella volta Julia si sarebbe trattenuta e non avrebbe infierito sull’amica dandole tempo… fino al giorno dopo.
 
 
 
ↄ ↄ ↄ
 
 
 
Era il venti settembre e finalmente poteva dire di essersi lasciata alle spalle il famigerato esame di tirocinio.
Per affrontare la prova gli studenti venivano chiamati a caso: Elise era stata fortunata perché era stata pescata quasi subito, purtroppo aveva visto Julia alzarsi dal suo posto per cominciare il percorso solo quando lei firmava per uscire perché aveva finito.
Avevano comunque precedentemente deciso che chi delle due avrebbe finito prima avrebbe aspettato l’altra al parco.
E così Elise si stava incamminando verso la sua meta.
 
James e Dan avevano sostenuto il loro esame un paio di giorni prima – ovviamente entrambi l’avevano superato brillantemente – di lì a qualche giorno anche loro avrebbero ricevuto i loro risultati: se erano fortunate il prossimo fine settimana sarebbero usciti tutti e quattro per festeggiare la loro definitiva ammissione al terzo anno di corso.
 
 
Forse prima doveva fare un salto a farsi vedere da un medico – o Medimago - pensava Elise mentre oltrepassava il cancello d’entrata del parco.
Era da qualche giorno che accusava un senso di malessere generale, una spossatezza che la mattina le faceva sembrare l’alzarsi dal letto come la più ardua delle imprese e un mal di testa costante che la sera raggiungeva il suo picco massimo facendole vedere le stelle. E non dimentichiamoci delle scariche di brividi – non per il freddo, sembravano quasi scariche elettriche… - che sembravano coglierla quando meno se lo aspettava.
Ora che l’aveva fatto non poteva più dare la colpa nemmeno all’ansia per l’esame.
 
 
 
Era quasi ora di pranzo e il parco era praticamente deserto.
Nell’area giochi c’era solo un bambino che dimostrava a mala pena sei anni e che in quel momento era intento a scalare lo scivolo al contrario mentre quella che verosimilmente era sua madre lo teneva sott’occhio da una panchina poco distante.
Guardare quel bambino mentre giocava la fece sorridere.
Prese posto a sua volta su una panchina all’ombra e appoggiò la borsa con i libri al suo fianco, buttando poi indietro la testa a guardare le parti di cielo visibili tra le fronde degli alberi.
 
Aveva perso la concezione del tempo, Julia ancora non si era fatta vedere, quando la voce della signora che richiamava il figlio perché era ora di andare la distolse dai suoi pensieri.
 
“Sammy, andiamo, è ora di pranzo: non hai fame tesoro?” chiamò la donna.
Sammy non sembrava molto contento.
“Ancora cinque minuti mamma!” protestò infatti.
La signora scosse la testa divertita alzandosi dalla panchina e mettendosi la borsetta a tracolla.
“Guarda che sto andando…” lo avvertì scherzosamente mentre cominciava ad allontanarsi.
Elise sorrise al ricordo di quando Diana lo faceva con lei: si incamminava in modo da sparire dal suo campo visivo, di solito arrivava fino al cancello, e quando non la vedeva più per Elise non c’era gioco che teneva e le correva subito dietro per non essere lasciata da sola.
A quanto pareva la strategia non era cambiata durante gli anni.
 
Sammy, che in quel momento si stava dando da fare per arrampicarsi sulla fiancata della struttura in legno che sosteneva lo scivolo vero e proprio girò appena la testa.
Evidentemente non si aspettava di non vedere già più la madre, e quell’attimo di sorpresa gli fece perdere la concentrazione su quello che stava facendo.
Il piede su cui aveva il peso scivolò dallo scanso su cui era appoggiato, complici anche le suole di gomma delle scarpe da ginnastica tutte consumate, e le manine non riuscirono a mantenere la presa quando si trovarono a dover sostenere tutto il peso del suo corpo chiudendosi intorno all’aria invece che intorno all’asse di legno dove erano appoggiate poco prima.
 
Elise registrò che il bambino stava cadendo in una frazione di secondo, di sicuro due metri e mezzo non era un’altezza da cui si atterrava incolumi, e l’attimo successivo era già scattata in piedi con il braccio sinistro teso davanti a sé, il palmo della mano aperto in direzione di Sammy.
Quello interruppe il piccolo urlo che si era lasciato sfuggire quando era scivolato nel momento in cui realizzò che non si sarebbe schiantato al suolo perché qualcosa lo stava trattenendo.
Quando finalmente i suoi piedi toccarono di nuovo terra si girò svelto notando che la ragazza bionda che prima era seduta sulla panchina vicino alle altalene adesso era in piedi e lo stava guardando con un’espressione più che stupita, la mano ancora tesa verso di lui.
 
“Sammy?” la signora era intanto tornata indietro chiedendosi come mai il figlio ci stesse mettendo così tanto a seguirla.
Elise abbassò il braccio e si risedette di scatto.
“Arrivo mamma” trillò allegro il bambino andandole incontro.
Nel farlo passò vicino alla panchina su cui era seduta la ragazza la quale sussultò appena quando il bambino le sussurrò un “Grazie” che solo loro due avevano sentito.
 
 
Quando finalmente rimase da sola Elise si rialzò dalla panchina compiendo un giro su se stessa con le mani tra i capelli sospirando pesantemente.
 
Quello che era appena successo… era semplicemente impossibile!
Si riguardò stranita la mano rendendosi conto solo in quel momento che tutti i disturbi che aveva accusato negli ultimi giorni erano magicamente spariti.
No, non poteva essere.
Cercò di rallentare il respiro e mise le mani nelle tasche dei jeans per smettere di continuare a guardarsele.
 
Quelli erano i suoi jeans portafortuna, e adesso che ci pensava erano gli stessi che aveva indosso quando avevano fatto la missione a Skelton House.
Dopo quello gli aveva fatto fare almeno tre lavaggi in lavatrice, quasi a voler cancellare anche il ricordo di quello che era successo, ma a quanto pareva qualcos’altro era sopravvissuto all’acqua.
 
Un foglietto di pergamena nella sua tasca destra di cui lei non si era mai accorta e che sembrava miracolosamente intatto.
 
Era piegato in più parti, le uniche cose che indicavano che fosse effettivamente rimasto lì tutto quel tempo erano la consistenza un po’ molliccia della carta e l’inchiostro con cui erano scritte le parole al suo interno che era sbavato, seppure il messaggio rimanesse comunque leggibile.
 
E quello che lesse le fece saltare un battito: erano solo due righe ma ebbero il potere di farle venire le lacrime agli occhi.
 
Ma nascosta e sopita la scintilla resta
Finchè di nuovo divampa quando uno meno se lo aspetta.
 
Suo padre le aveva detto che nemmeno Shayleen conosceva la profezia per intero, ma lui sì.
Solo che al pezzo in più che le aveva detto mancavano ancora le ultime due righe, la vera conclusione: adesso la profezia era completa.
 
 
“Elise, tutto bene?”
Era così persa nei suoi ragionamenti che non si era accorta che alla fine Julia l’aveva raggiunta.
“Ti prego dimmi che non stai pensando all’esame: lo sai che odio tornarci sopra una volta che sono finiti, quello che è fatto è fatto” rincarò la dose la mora vedendo che l’amica aveva ancora un’espressione pensierosa in viso.
In effetti in quel momento Elise stava pensando se dire o meno della sua scoperta a Julia, e se sì come farlo.
Julia sembrò decidere per lei dandole uno spunto perfetto per affrontare il discorso.
“Non chiedermi come ho fatto ma sono modestamente riuscita a tagliarmi con la fialetta del ferro* che era da preparare per la flebo. E meno male che non ho schizzato in giro, altrimenti mi avrebbero messo zero di sicuro…” commentò la ragazza sventolando in aria la mano incriminata.
“È come quando ti tagli con la carta: il taglio è piccolo ma brucia da morire e dà un fastidio…” si lamentò guardando male il dito come se fosse stata colpa sua.
“Dai lagna, fammi vedere” la prese in giro Elise bloccandole la mano esaminandola per trovare il taglio in questione.
Le era appena venuta un’idea…
“È qui, vedi?” Julia le indicò un taglietto, che in realtà tanto piccolo poi non era, che risaltava arrossato sulla pelle dell’indice.
“Mmm…” fu il commento di Elise mentre lo osservava.
Aveva ovviamente avuto modo di guarire ben di peggio, ma questo non toglieva che fossero passate settimane dall’ultima vola che aveva usato la magia, escluso il salvataggio di Sammy di poco prima.
E poi si parlava di guarigione, non di un semplice incantesimo: e se non ne fosse stata più in grado?
Cercando di tenere a bada i dubbi Elise strinse ulteriormente il dito di Julia tra pollice e indice, come a farle credere che volesse semplicemente guardare la piccola ferita più da vicino, e richiamò alla mente la sensazione che provava quando doveva usare i poteri per guarire.
Una manciata di secondi più tardi Julia faceva passare lo sguardo sbalordito dalla sua migliore amica al suo dito che era miracolosamente guarito.
“Elise? Come… come hai fatto?!”
La diretta interessata si concesse finalmente di sorridere lasciando perdere qualsiasi preoccupazione.
I suoi poteri erano tornati, erano tornati sul serio!
 
“Magia” rispose semplicemente mentre Julia l’abbracciava quasi più su di giri di lei.
 
Pura magia…”
 
 
 
ↄ ↄ ↄ
 
 
 
Julia, Elise, Dan e James erano all’appartamento delle prime due, seduti a tavola, e avevano appena finito di mangiare il dolce che James aveva commissionato a nonna Molly per festeggiare il buon esito dell’esame.
Il fatto che in realtà la signora Weasley si fosse lasciata prendere la mano e avesse preparato per loro tutta la cena era un altro discorso.
Avrebbero avuto avanzi per almeno quattro giorni…
 
Elise, in accordo con la coinquilina, aveva alla fine deciso di non dire nulla ai ragazzi fino a quella sera: sarebbe stata una sorpresa.
Era rimasta un po’ indecisa sul modo in cui glielo avrebbe detto, ma Julia aveva preso in mano la situazione con un “Lascia fare a me, fidati” non del tutto rassicurante, e circa a metà della cena aveva cominciato ad insistere affinchè tutti raccontassero a turno com’era andata la loro prova: ormai sapevano di essere stati promossi quindi, secondo una assurda regola che probabilmente si era inventata al momento, potevano parlarne.
Lei sarebbe stata l’ultima.
 
Mentre Elise cominciava a riporre i primi piatti nel lavello la mora aveva continuato il suo racconto, sottolineando più volte il fatto di essersi tagliata il dito, ed Elise cominciò a capire dove l’amica stesse andando a parare quando Julia invece di fermarsi continuò a parlare anche dopo aver riferito di come una delle tutor l’aveva guardata male quando aveva per sbaglio sporcato di sangue il foglio firme.
A quel punto era palese che l’interesse di Dan e soprattutto di James era leggermente sfumato, ma Elise sapeva che le cose sarebbero presto cambiate.
La ragazza si lasciò scappare una lieve risatina quando Julia raccontò di come, una volta arrivata al parco, aveva trovato Elise in piedi e ferma come una statua di sale come se in quel momento stesse ricevendo un’illuminazione divina, parole testuali.
 
“E poi come se nulla fosse mi ha guarito il taglio che avevo sul dito” concluse finalmente Julia con tono quasi noncurante.
Passarono due secondi netti dopodichè i due ragazzi sembrarono realizzare quello che avevano appena sentito: Daniel cominciò a tossire perché l’acqua che stava bevendo gli era andata di traverso mentre James fece direttamente cadere per terra il bicchiere che stava per portarsi alle labbra, schizzando acqua e facendo disperdere per il pavimento frammenti di vetro.
“Tu cosa?” domandò in stato quasi di shock fissando allibito la sua ragazza.
Elise scrollò appena le spalle, fece un ampio gesto con la mano verso il pavimento come a voler richiamare a sé tutte le schegge di vetro che vi erano disseminate: pochi istanti dopo il bicchiere che James aveva fatto cadere era nella sua mano, di nuovo intatto e senza l’ombra di una crepa; il pavimento asciutto.
James continuò a fissarla sbalordito finchè Elise non si mosse tirando fuori un foglio e porgendolo poi ai due ragazzi in modo che potessero leggerlo.
 
Aveva riscritto la profezia, tutta la profezia.
“Non era completa, non lo è mai stata” spiegò.
Proseguì poi dicendo di come aveva trovato gli ultimi versi scritti nel foglietto nella tasca dei suoi jeans che evidentemente era stato messo lì da Evan.
Probabilmente non le aveva detto subito anche la parte finale perché doveva essere convinta del fatto di dover perdere – anche se momentaneamente – i suoi poteri per poter tornare indietro e restituire la magia agli altri.
Finirono di festeggiare con un abbraccio di gruppo, decidendo poi che il giorno dopo sarebbero andati a dare a tutti la bella notizia.
 
 
Julia la salutò poco dopo: i genitori di Dan quella sera non erano a casa e lei sarebbe ovviamente andata a dormire da lui, come era ovvio che James si sarebbe fermato all’appartamento per la notte.
Quando la porta d’ingresso si fu chiusa lasciando James e la ragazza da soli, Elise, le sue labbra già incollate a quelle del ragazzo, non potè fare a meno di pensare che di sicuro non c’era modo migliore di concludere la serata e, pensandoci bene, non le sarebbe dispiaciuto per niente concludere così anche tutte quelle future.













*le fialette del ferro per preparare le flebo sono in vetro, e per esperienza personale vi posso assicurare che sono davvero bastarde...







Buonasera a tutti.
Ammetto che per un attimo ho pensato di "dimenticarmi" che oggi fosse lunedì e che avrei dovuto aggiornare.
Il motivo è molto semplice... questo è l'ultimo capitolo della storia.
Ebbene sì, siamo arrivati alla fine: le cose si sono finalmente sistemate, l'ultimo colpo di scena è stato svelato e direi che a questo punto Elise e James un po' di tranquillità se la meritano tutta.
Ma non disperate, manca ancora l'epilogo, che però NON verrà caricato lunedì prossimo: stavolta vi farò aspettare solo fino a venerdì (e  se leggerete le note che ci saranno in fondo all'epilogo capirete anche il perchè di questo anticipo).
Immagino comunque che non vi dispiaccia aspettare di meno, no?
Dunque...
I ringraziamenti "lunghi" me li lascio per la prossima volta, per adesso mi limito come sempre a ringraziare chi ha seguito la storia fino a qui e chi mi lascia il suo parere attraverso una recensione (riusciamo ad averne una in più visto che è l'ultimo capitolo?)
A venerdì!
E.

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Capitolo 39
*** Epilogue ***


Epilogo
 
 
Una bella e soleggiata giornata di fine agosto.
Un’area giochi in un parco che però non è come tutte le altre.
Se si guarda bene infatti lungo il perimetro si può vedere una specie di scintillio che si innalza fino a formare una specie di cupola.
 
Sul prato, seduti sopra una coperta con libri e fogli di pergamena sparsi intorno, ci sono due ragazzini.
Il primo ha dodici anni, i capelli ricci castano scuro, gli occhi marroni color cioccolato e sembra che in quel momento preferirebbe essere in un altro posto.
L’altra, della sua stessa età, è una ragazzina con gli occhi verdi, sfumati d’oro intorno alla pupilla, e i lunghi capelli corvini tenuti raccolti con quello che sembra essere un bastoncino di legno dall’aspetto particolarmente liscio e levigato.
 
 
 
“Andiamo Diana! Sono gli ultimi giorni di vacanza, dobbiamo davvero ripassare?” si lamentò il ragazzino stendendosi sulla coperta.
“Certo che sì!” rispose lei alla domanda con tono ovvio. “Quest’anno poi si scelgono le materie supplementari, Andy: dobbiamo essere preparati!”
“Parla per te, Potter. Per fortuna io non sono un Corvonero e non ho una reputazione da secchione da difendere”
“Ah, ah. Molto spiritoso Williams, davvero. E io che pensavo che in quanto Grifondoro avessi almeno un po’ di orgoglio… chissà cosa direbbe tua madre se ti sentisse parlare così dopo che tuo fratello si è diplomato con il massimo dei voti in tutto…” lo rimbeccò lei.
Andy fece una smorfia: “Ti prego non nominare Caleb. È da quando ha ricevuto la lettera di ammissione per l’Accademia di Pozioni che in casa non si parla d’altro. Dovresti sentire mia madre: il mio piccolo Corvonero che lascia il nido… - si ritirò su a sedere mettendosi tragicamente una mano sul petto in un’imitazione abbastanza ridicola della signora Williams – Non ti farebbe male assomigliargli un po’, Andrew…” concluse alzando gli occhi al cielo.
Diana ridacchiò: “Beh, non ha tutti i torti…” commentò guadagnandosi un’occhiataccia.
Andy sospirò: “Allora sentiamo secondo te quali sono le materie che dovremo seguire? E sappi che se sceglierò le stesse sarà solo perché così ho qualcuno che mi aiuta con i compiti… ehi!”
Diana l’aveva ammonito con un pugno scherzoso sulla spalla, ma recuperò subito l’entusiasmo pronta a iniziare il suo discorso sull’importanza delle Rune Antiche e su quanto invece Divinazione fosse una materia inutile.
Non fece però tempo ad aprire bocca che un grido risuonò nell’aria facendoli voltare contemporaneamente.
Erano così presi dalla discussione che si erano dimenticati di non essere soli.
 
“Evan! Attento su quell’altalena, vai più piano!” urlò Diana.
Il bambino, uno scricciolo di sette anni con i capelli biondi tutti arruffati e gli occhi color nocciola, sembrò non badare affatto al richiamo della sorella maggiore continuando a dondolarsi sempre più in alto mentre continuava a ridere spensierato.
“Guardatemi! Volooo!!” esclamò ad un certo punto - l’altalena che aveva raggiunto l’altezza massima consentita - lanciandosi in avanti, il sellino destinato a tornare indietro senza di lui seduto sopra.
Diana si alzò in piedi di scatto, i capelli le ricaddero sciolti sulle spalle quando impugnò la bacchetta per puntarla verso il fratello, ma nessuno incantesimo lasciò le sue labbra, per due semplici motivi.
 
Il primo era che avendo frequentato solo i primi due anni di scuola ad Hogwarts – e nonostante fosse vero che un po’ era secchiona – di certo non aveva ancora la prontezza necessaria per impedire ad un bambino di schiantarsi al suolo dopo essere saltato da un’altalena.
Il secondo motivo era che se anche fosse riuscita a lanciare il suddetto incantesimo non ce ne sarebbe stato bisogno.
Evan infatti era rimasto a levitare a mezz’aria per diversi secondi prima di riavvicinarsi lentamente al suolo e riappoggiare i piedi per terra.
Sembrava euforico.
“Lo sapevo!” esclamò esultando con un sorriso soddisfatto che gli andava da un orecchio all’altro.
Diana alzò un sopracciglio: “Cos’è che sapevi, esattamente, terremoto che non sei altro? Mi hai fatto prendere un colpo!”
Evan sorrise furbo: “Che saltare dall’altalena invece che dal letto sarebbe stato più divertente” rispose candidamente decidendo poi di dedicare la sua attenzione allo scivolo.
 
“Dovresti vedere la tua faccia…” Andy interruppe il momento scoppiando a ridere.
La ragazzina sbuffò, lasciando poi che un mezzo sorriso curvasse anche le sue labbra.
“Forza andiamo” esortò l’altro mentre cominciava a riporre i libri.
“Davvero andiamo già via?” domandò l’altro prima stupito poi sollevato che lo studio fosse già finito.
Diana annuì: “Dobbiamo andare subito a casa a dirlo a tutti. Mamma e papà saranno felicissimi…”
 
E non aveva tutti i torti.
Perché volare dopo aver saltato da un’altalena nella loro famiglia poteva essere non solo una manifestazione di magia involontaria.
Poteva essere qualcosa di diverso, qualcosa di ancora più speciale.
 
Speciale come solo la pura magia può essere.
 
 
 
 
 
 
 
 





E anche per questa storia è arrivato il momento di barrare la casellina che c’è davanti all’opzione “completa”.
Inutile dire che sono felice e triste allo stesso tempo: mi sono affezionata ai personaggi di questa storia, ad Elise in particolar modo, come non era mai successo prima.
Ho iniziato questa fan fiction durante una noiosa lezione di infettivologia (vi ricorda forse qualcosa…?) e dopo averla trascurata per quasi un anno ho deciso di iniziare a pubblicarla nonostante una certa cosa chiamata
tesi di laurea avrebbe forse dovuto avere la precedenza.
Ora la tesi è stampata e finita, e se tutto va bene (ovvero se supero l’esame di abilitazione che ho lunedì) mercoledì mi laureo :)
 
Sono rimasta a tormentarmi fino all’ultimo se far comparire i nostri protagonisti nell’epilogo o meno, alla fine il risultato è stato questo.
So che probabilmente vorrete uccidermi per questo epilogo così breve, ma spero che nonostante tutto non vi abbia delusi perché anche se scriverlo è stato una tragedia alla fine non mi dispiace come è venuto.
Lo so che magari non vi interessa, ma ci tengo comunque a lasciarvi per interno i nomi dei giovani personaggi che hanno avuto la loro breve comparsa:
Diana Potter (Corvonero), Andrew Williams (Grifondoro), Caleb Williams (lui solo nominato, Corvonero) ed Evan Rupert Potter (chissà lui dove finirà…).
Ci tenevo a far sapere che in qualche modo Julia ha avuto modo di trasmettere i suoi geni da “Corvonero mancata”, come anche zia Jade.
Andy seguendo le orme di Dan non poteva che essere che un Grifondoro e per Evan potrei sbilanciarmi dicendo che sia io che il Cappello Parlante lo vedremo bene nella stessa Casa in cui era stato smistato il suo Omonimo…
 
E ora il momento dei ringraziamenti!
Grazie a tutti coloro che hanno preferito/seguito/ricordato la storia.
Grazie a (vi metto in ordine alfabetico così non si offende nessuno):

Amy_demigod, Angelstorm, Anna in Black, Anto94_tbbt_hp_tw, Avada Kedavra21, BeautyFly89, bibhippie, bluecoffee, BridgetV, C h i a, Chiara_01, Chrona00, cris325, Dargento, Delta_97, ElettraCalliope_Black, _earlygreytea__, Esmeralda2096, FredeGeorgeWeasley, Gilraen12, Hazza69_1D, Helena Lily, jess chan, JessyBree, lalad5, larisfangirl, MalfoyXX, Marty Evans, max85, meg76, mikymusic, molly95, moony_1906, Moony16, Nhirn9001, _purcit_, Slytherin_02, strawberryeryanlove99, thetwinsareback, VeryBaby88 , WikiJoe.
Un grazie ancora più sentito a chi mi ha lasciato i suoi pareri e suoi commenti sulla storia capitolo dopo capitolo.
_purcit_, Anto94_tbbt_hp_tw, Fenicebook, Gilraen12, Helena Lily, JessyBree, lumamo64, meg76, _purcit_, riccardoIII : mi riferisco a voi.
meg76, il monumento di cui ti avevo accennato per aver recensito ogni singolo capitolo (!!!) di questa storia credo sia più che meritato: grazie davvero.
Concludo questa nota che sarà sicuramente più lunga dell'epilogo stesso.
Grazie di cuore da parte di Elise, Julia, James, Dan e tutti i personaggi di questa storia per averli seguiti nelle loro avventure (se così si possono chiamare), e grazie da parte mia per avermi sopportato e supportato in tutti questi mesi.
Se qualcuno volesse fare un salto a dare un'occhiata alle altre mie storie è sempre il benvenuto.
A presto (e lo spero davvero)
Elisa

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