Broken Soul(s)

di Roscoe24
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Quando Sam aveva bussato alla loro porta, Nat e Bobby erano rimasti impietriti a fissarlo. L’avevano visto gettarsi dentro alla gabbia con Lucifero in persona, destinato a rimanerci chissà per quanto, e invece se l’erano ritrovato davanti, in salute e tutto intero. Bobby, paranoico com’è, aveva fatto tutte le prove possibili e immaginabili per accertarsi che fosse realmente Sam e quando poi l’aveva appurato, Nat gli era corsa in contro e l’aveva abbracciato stringendolo forte, felice di averlo di nuovo con loro. Il ragazzo aveva detto che aveva iniziato a cacciare con suo nonno, Samuel Campbell, che non si sa come era resuscitato nello stesso momento in cui Sam era uscito dall’Inferno. Il grande mistero era proprio quello, in effetti: come avesse fatto Sam ad uscire indenne dagli inferi, ma, all’inizio, poco importava. All’inizio, la cosa importante era che lui fosse lì, che fosse vivo e che fosse tornato da loro perché sentiva nostalgia di casa.
Casa.

Ecco loro cos’erano per lui.
Nat, in quel periodo, era particolarmente emotiva. Vorrebbe dire di non sapere bene il perché, ma la verità era che ammettere a se stessa ciò che la dilaniava dentro, faceva un male cane.
Il problema, ovviamente, era Dean.
Tutto gira intorno a Dean da quando l’ha incontrato. Forse sarebbe stato molto meglio se non avesse incrociato il suo cammino, forse era meglio  limitarsi all’episodio delle caramelle, quando lei e Sam, che avranno avuto più o meno quattro anni, se ne stavano nascosti dentro all’armadio di Bobby a mangiare gli orsetti di gomma che avevano rubato a Dean che, invece, li chiamava a squarciagola, furioso di essere stato fregato. Erano ancora solo dei bambini e i sentimenti non erano così complicati come lo sono quando sei adulto.
Dean se n’era andato. Dopo aver guardato suo fratello saltare nella Gabbia, si era allontanato senza dire né dove andasse, né cosa avesse intenzione di fare.
Ovviamente Natalie l’aveva cercato e quando l’aveva trovato, avrebbe preferito di gran lunga non averlo cercato affatto.
Dean si era rifugiato tra le braccia di un’altra e lei aveva provato un dolore tale che sembrava che il cuore le fosse stato cavato dal petto, lanciato in terra e calpestato da un esercito.
Egoisticamente parlando, non sopportava di vederlo felice con una donna che non fosse lei.
Ne avevano passate così tante insieme, Nat c’era sempre stata per lui e viceversa. Negli anni, si erano sempre supportati a vicenda e rifugiati l’uno nelle braccia dell’altra quando il mondo sembrava più intenzionato del solito a complicare le loro vite e a ferirli nel profondo. E sapere che in un momento così difficile, aveva scelto l’affetto di qualcun’altra, l’aveva lacerata dentro.
Non aveva mai sperato nell’amore, visto la vita che aveva scelto, eppure in lui l’aveva trovato.
Ama Dean con ogni fibra del suo corpo e della sua anima. Le è entrato nella stanza più profonda del cuore, sfondando la porta come un uragano e posizionandosi al suo interno.
Ricorda ancora il loro primo caso insieme. L’ha scolpito nella mente in maniera ferrea. Erano così ingenui, allora. Non sapevano cosa il destino avrebbe riservato loro, non sapevano che da li a poco si sarebbero trovati a combattere una guerra celeste che andava al di là delle capacità umane. Quella volta, si erano limitati alla solita prassi fatta di distintivi, identità false e la camera di un motel scalcinato in periferia.
Quella è stata la prima volta che aveva fatto l’amore con lui. Anche se all’epoca non era ancora amore, solo attrazione dovuta alla complicità che era subito nata tra di loro.
Ce ne sono state tante altre, di volte.
E più succedeva, più lei si perdeva in lui.
Più gli stava accanto, più sentiva che ogni parte di se stessa sarebbe appartenuta a quell’uomo per sempre, perché nessuno la faceva sentire come la faceva sentire lui: speciale. Sembra una cosa così banale da dire, ma era così. Ogni volta che Dean posava il suo sguardo su di lei, Nat si sentiva la cosa più preziosa di questo mondo. Ogni volta che la guardava con quegli occhi grandi e verdi che brillavano di luce propria, lei sentiva il cuore battere nel petto così veloce da sentirlo risuonare forte nelle orecchie come una tamburo. Poi le sorrideva e Natalie non poteva fare altro che ricambiare. Perché in quello sguardo e in quel sorriso, lei ci leggeva tutta la dolcezza che la vita non le ha mai riservato, ci leggeva ammirazione, ci leggeva amore. È sicura che la ami, a modo suo. Più volte gliel’ha dimostrato, anche se non l’ha mai detto apertamente. Dean ha dei modi tutti suoi per dimostrarti quanto sei importante per lui e nessuno di questi comporta il dirtelo a voce.  Nonostante questo, però, se n’è andato. Non è tornato da lei, questa volta. Ha preso una strada diversa, ha scelto una realtà dove loro non sono insieme, dove le sue braccia non l’avvolgono nel più caloroso degli abbracci, facendola sentire al sicuro; dove lei non gli bacia le labbra appena sveglio per poi appoggiare la testa sul suo petto per ascoltargli il cuore che batte; dove non stanno ore a parlare di tutto – dalle cose più assurde, alle cose più concrete – per poi addormentarsi incrociati l’uno nell’altra. Semplicemente, non l’ha scelta. E questo la uccide. Le stringe il cuore in una morsa dolorosa che la riempie di rabbia nei confronti dell’uomo che ama, ma che l’ha messa da parte, come qualcosa di vecchio, come qualcosa che non va più bene. Lo detesta perché l’ha ferita profondamente, nonostante avesse promesso che non avrebbe mai permesso a nessuno di farle del male, anche a costo di uccidere chiunque.
Lo detesta perché lo ama, nonostante tutto. E detesta se stessa per questo. Perché continuerà ad amarlo nonostante la sofferenza, nonostante la porta in faccia.

Quando era tornato, Sam aveva notato che c’era qualcosa che non andava. C’è sempre stata complicità, tra loro. Erano sempre sulla stessa lunghezza d’onda e la maggior parte delle volte si capivano con un solo sguardo. Si faceva un sacco di risate con lui, con quel ragazzone che la metteva di buon umore e le impiastricciava i capelli di farina tutte le volte che poteva concedersi del tempo per preparare una crostata di quelle che piacciono tanto a Dean.
Sam è sempre stato gentile con lei.
Lo è stato anche quella volta.
Dimmi cosa c’è.
Si era avvicinato a lei con passo deciso e aveva inchiodato i suoi occhi in quelli di Natalie. C’era qualcosa di diverso, nel suo sguardo. In qualche modo sembrava avesse perso la dolcezza che lo caratterizzava. Nat aveva pensato che dipendesse dal “soggiorno” all’inferno e, di sicuro, le cose che aveva visto e vissuto laggiù lo avevano cambiato.
Per questo, non voleva parlargli dei suoi problemi, perché a confronto a ciò che aveva passato lui, erano delle frivolezze.
Dimmi tu piuttosto come stai. Come hai fatto a tornare?
A quella domanda, Sam aveva interrotto il contatto visivo tra di loro e aveva guardato altrove, confessandole poi che non ne aveva la minima idea, che poco dopo che si era gettato, era tornato nuovamente a camminare su questa Terra e che, stranamente, si sentiva bene.  
Scommetto che Dean è stato felice di rivederti.
Vedi Nat, lui non lo sa.

Quelle parole le erano sembrate così strane che aveva aggrottato le sopracciglia in un’espressione interrogativa.
So che vita fa, adesso. Ne è uscito, finalmente, e non voglio che si ributti a capofitto in questa vita. Voglio lasciargli un po’ di felicità.
Ricorda come a quelle parole, si fosse rabbuiata. Il pensiero che con lei Dean non fosse mai stato veramente felice l’aveva colpita come un pugno allo stomaco.
Sam, ovviamente, aveva notato la reazione che quelle parole avevano provocato in Nat, arrivando alla conclusione che la sua tristezza dipendesse dal fatto che lei sapesse che vita conducesse Dean.
Tu lo sai.
Nat aveva annuito, lentamente. Non lo guardava negli occhi, si era concentrata  sulla punta delle proprie scarpe dove c’era una macchia di fango che attirava particolarmente la sua attenzione.
Sam le aveva alzato il viso per fare in modo che i loro occhi si incrociassero, con i pollici le accarezzava le guance. Quel contatto era così delicato, caldo e rassicurante. Così in contrasto con la scintilla che ardeva nei suoi occhi. La guardava come non aveva mai fatto, prima di allora, quasi come se la desiderasse. Quello non era lo sguardo di Sam. Tutto avvertiva Natalie che c’era qualcosa di diverso in lui, la sua testa le gridava di approfondire la questione tornato dall’inferno senza la minima conseguenza apparente, ma non aveva avuto nemmeno il tempo di ascoltare i segnali perché Sam si era avvicinato a lei e le aveva sfiorato le labbra con le sue. E in quel momento lei era così fragile, così intenta a raccogliere i pezzi del suo cuore frantumato che quel gesto le aveva alleviato un po’ il dolore. Senza nessuna logica, si era trovata a baciare Sam che le stringeva il viso tra le sue mani calde, mani che piano, piano avevano iniziato a vagare per tutto il suo corpo, percorrendolo lentamente in tutta la sua lunghezza e fermandosi sui fianchi per tirarla meglio a se e sentirla più vicina. Più tempo stavano in quella situazione, più i loro baci diventavano sempre più urgenti, sempre più appassionati, abbandonando la delicatezza e l’insicurezza dei primi. Era una cosa così sbagliata, si ripeteva Nat in testa. Ma lei si sentiva così debole, in quel periodo, e Sam le sembrava così forte, così saldo, solido – l’unica colonna portante del tempio in rovina che era diventata – che aveva sentito la necessità di aggrapparsi a lui. E l’aveva fatto. Letteralmente. Aveva circondato il suo collo con le braccia, alzandosi sulle punte per arrivare meglio alla sua bocca con un’urgenza a lei estranea. Non aveva mai messo Sam sotto quell’ottica. Ma lui era li con lei e la faceva sentire meno in bilico, meno persa. Nat ricorda che quando Sam le aveva stretto il sedere tra le mani per caricarsela in braccio,  aveva intrecciato le gambe alla sua vita con naturalezza, senza porsi troppe domande perché ormai sapevano entrambi come sarebbe andata a finire e la coscienza, arrivati a questo punto, altro non poteva che starsene zitta. Era sbagliato perché lui era il fratello di Dean. Perché non potevano fare a Dean una cosa del genere.
Ma Dean aveva scelto un’altra.
Dean era con un’altra, amava un’altra.
Dean non c’era. Non più.
E Natalie aveva solo bisogno di qualcosa che la distraesse dai suoi pensieri, dai suoi tormenti – e dalle scie di baci infuocati che Sam le lasciava, percorrendo tutto il suo corpo ormai nudo, aveva capito che anche lui voleva la stessa cosa. Entrambi volevano un attimo di paradiso in mezzo all’inferno che stavano vivendo.

Il senso di colpa si era fatto strada dentro di lei  prepotentemente, la mattina seguente. Si era alzata da quel letto sfatto che sapeva di sesso e rimorso, guardando Sam addormentato e apparentemente tranquillo. Era coperto solo dalla vita in giù, lasciando scoperto il busto. Doveva aver fatto esercizio, o qualcosa di simile, perché non era mai stato così ben fatto. O forse era lei che non ci aveva mai prestato attenzione. Non fino a quando si era trovata sotto di lui e aveva visto i suoi muscoli contrarsi ad ogni movimento, ingrossandosi e mostrandosi in tutta la loro potenza.
Aveva scosso la testa ed era uscita da quella stanza.
La fregatura, in queste bravate dettate dalla passione, è proprio il mattino seguente. Quando uno dei due se ne va, lasciando l’altro a se stesso. Non che pensasse che Sam si sarebbe fatto tante paranoie, alla fine erano adulti consenzienti e ciò che avevano fatto – e come l’avevano fatto – faceva pensare solo ad un bisogno fisico impellente, quasi animalesco. Niente di sentimentale. Avevano soddisfatto un istinto che partiva dai reconditi più bassi del loro essere. Alla fine, gli esseri umani sono solo scimmie con la capacità di parlare. Il fatto che il loro cervello sia più sviluppato di quello di un animale non vuol dire che siano immuni agli istinti primitivi. E quando Natura chiama, devi rispondere. O almeno, era quello che si ripeteva per sentirsi meno in colpa.  
Era uscita di casa che era ancora mattina presto, non ricorda bene che ore fossero, ricorda solo che il sole aveva appena iniziato a fare capolino sul mondo, scandendo così l’inizio di una nuova giornata. Era saltata in sella alla sua moto ed era partita a tutta velocità, diretta non sapeva nemmeno lei dove.
Quando era tornata a casa, il sole era ormai alto. Aveva trovato Bobby e Sam intenti a leggere qualcosa su qualche caso. I due avevano portato l’attenzione su di lei, ma non avevano detto niente.
Vuoi mangiare? Era stata l’unica cosa che aveva chiesto Bobby, ma l’aveva guardata in un modo che le aveva fatto capire che lui sapeva tutto. Sapeva cosa stava passando per via di Dean, sapeva cosa aveva fatto con Sam la notte precedente. Non la giudicava, ma non la capiva nemmeno.
Non per questo, però, si sentiva in diritto di urlarle contro. Le lasciava i suoi spazi e questo Natalie l’ha sempre apprezzato.
No, grazie. Non ho fame.
Si era seduta al tavolo insieme a loro per sapere di cosa si trattasse. A quanto pare, c’erano delle creature fuori controllo. Di ogni specie e dimensione, più incattivite del solito. Quel caso specifico, era testimone di un carneficina: dodici persone a Toledo erano state trovate sbranate e private del cuore in vicoletti anonimi. Lupi mannari, fantastico. Odia quelle bestiacce. Sono infimi e bastardi e sembra che ti diano la caccia non appena fiutano il tuo odore. E il loro olfatto è fenomenale. Ha imparato a cavarsela, con il tempo. Ma quando era alle prime armi, una bestia del genere era quasi riuscita a strapparle via il cuore dal petto. Fortuna che era riuscita a raggiungere il coltellino d’argento che teneva in tasca. Non l’aveva fermato, ovviamente, ma le aveva permesso di avere un vantaggio e avere la possibilità così di recuperare la pistola e conficcargli una pallottola d’argento nel petto. Era tornata a casa piena di sangue, ferita e dolorante. Bobby l’aveva medicata e l’aveva insultata, dicendole che non era ancora abbastanza esperta per vedersela da sola con esseri del genere. La verità era che Bobby era terrorizzato dall’idea di perderla, per questo la sgridava quando faceva errori simili.
Quell’episodio le ha lasciato il segno dei cinque artigli intorno al cuore, cinque cicatrici tondeggianti che circondano il muscolo più importante per la vita umana.
Adesso, tutto ciò non è più un problema. Adesso riesce ad avere la meglio su qualsiasi cosa.
Lo sistemate voi? Aveva chiesto Bobby, guardandoli con uno sguardo fermo.
Nat e Sam si erano scambiati un’occhiata ed avevano annuito.
Avevano preso la jeep di Natalie ed erano partiti per raggiungere l’Ohio il prima possibile. Avevano controllato e la fase lunare stava per finire, se volevano prenderlo in tempo, dovevano darsi una mossa.

Una volta arrivati a Toledo, avevano seguito la solita prassi: avevano affittato una stanza di un motel – con la muffa ai muri e l’odore più nauseante del solito – e si erano messi a fare ricerche.
Alla fine avevano scoperto chi fosse il mannaro: Louis Baster, un ragazzo sui trenta che si era trasferito in città proprio quando erano iniziati gli omicidi. Lavorava in un ristorante e guarda caso, si era assentato dal suo turno notturno sempre nelle ore che coincidevano con gli omicidi.
L’avevano stanato e l’avevano ucciso. Non senza riportare delle ferite, ovviamente. Erano tornati nella loro stanza che ormai era notte fonda, con i vestiti impregnati di sangue – non sapendo bene dove finisse quello di Louis e iniziasse il proprio – le gambe e le braccia doloranti, sporchi e sudati. Nonostante fossero in due, quello stronzo aveva dato loro del filo da torcere.  Bobby aveva ragione: i mostri stavano diventando più forti. E questo non era di certo un bene. Forse c’era qualcos’altro sotto, qualcosa di molto più pericoloso di un lupo mannaro incazzato.
Avevano deciso di farsi una doccia, per togliere via l’odore di morte e terra umida che si portavano appresso. Nat era andata per prima, aveva fatto più in fretta possibile perché l’unica cosa che voleva fare era infilarsi sotto le coperte e riposare. Non sarebbe finita così. La nottata avrebbe preso una piega completamente diversa e lei l’aveva capito quando Sam era uscito dal bagno con i capelli lunghi tirati indietro, ancora bagnati, e solo un asciugamano legato in vita. Aveva piantato i suoi occhi in quelli di lei con lo stesso sguardo famelico della notte precedente. Con lo stesso desiderio. Con lo stesso bisogno impellente di averla sua. Nat aveva passato lo sguardo sulle sue spalle ampie, sul suo fisico scolpito, sulle braccia definite e sulle vene in rilievo sugli avambracci, per finire poi a guardare quella V che caratterizzava il ventre di Sam ed indicava, come una freccia, un punto specifico. Si era morsa il labbro inferiore, scossa da un brivido di desiderio che la eccitava e allo stesso tempo la terrorizzava. Voleva Sam tanto quanto Sam voleva lei. E quella volta, era stata Natalie a fare il primo passo: l’aveva raggiunto e lui l’aveva agguantata nello stesso modo in cui aveva fatto la sera prima, caricandosela addosso e iniziando a baciarla. Lei gli aveva afferrato con decisione i capelli dietro alla nuca e l’aveva avvicinato più a se, prendendogli il labbro inferiore tra i denti e tirandolo leggermente. A quel gesto, Sam aveva reagito con un profondo ringhio gutturale e l’aveva trasportata fino al letto più vicino. Non c’era niente di dolce, di delicato. C’era solo urgenza, una disperata urgenza. C’era un fuoco che ardeva intorno a loro ogni volta che si sdraiavano su un letto e davano il via a quella danza in cui erano complici in maniera tutt’altro che innocente.
E andava bene così. Ad entrambi.
Con il tempo, quello era diventato una specie di rito.
Sfogavano i loro bisogni e mettevano da parte il loro tormento per qualche istante, poi lei aspettava che lui si addormentasse per sgusciare fuori da quel letto e andare a dormire nel proprio. Non riusciva a dormire con lui. Sembra una cosa così irrazionale, visto che ormai, il danno era fatto, ma finché si trattava di sesso poteva anche accettarlo – anche se i suoi sensi di colpa, ormai la stavano divorando – ma dormire con Sam avrebbe assunto tutto un altro significato. Lei aveva dormito solo con Dean. E farlo con qualcun altro le dava l’impressione di inquinare ciò che di bello era rimasto della loro relazione.
Natalie e Sam non parlavano mai di quello che succedeva tra di loro, quando la notte calava e rimanevano soli. C’era questo accordo tacito che implicava il non farne parola, il non fare domande. Sembrava che con l’arrivo del giorno, arrivasse anche il tabù. Ma una volta Sam aveva lanciato la bomba e aveva fatto più danni di una centrale nucleare che esplode all’improvviso.
Perché ti trovo sempre in un altro letto, la mattina?
Natalie non voleva affrontare quell’argomento. Non voleva che ciò che c’era tra loro venisse allo scoperto. Non voleva dare un nome a quello che succedeva, voleva che continuasse a succedere senza che venisse identificato. Anche perché egoisticamente parlando, a lei andava benissimo così. Non voleva amore da Sam e sapeva che nemmeno lui lo voleva da lei. Non pretendevano altro di diverso da ciò che già si davano. E allora perché se n’era uscito con quella domanda che aveva qualcosa di così fatale?
Perché dormo meglio sola.
O perché temi che dormendo insieme e me tu possa fare un torto a Dean?

Chiaro, diretto. A quella domanda non aveva mostrato il minimo imbarazzo, o la minima emozione. Come se parlare di quello che facevano alle spalle di Dean per lui fosse normale, come se andare a letto con la storica donna di suo fratello non gli facesse minimamente provare alcun tipo di rimorso. Il vecchio Sam non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Il vecchio Sam l’avrebbe aiutata a placare il suo dolore in un altro modo, parlando, lasciando che lei si sfogasse. Il vecchio Sam non l’avrebbe mai nemmeno sfiorata con malizia, figuriamoci percorrerle tutto il corpo con le labbra lasciandole i marchi decisi che si ritrovava sulla pelle ogni mattina. Ma lei continuava a pensare che questo cambiamento fosse dovuto alle cose che aveva visto e vissuto all’Inferno. Anche Dean era cambiato quando era tornato, non vedeva perché la stessa cosa non potesse valere per Sam. Ed erano sempre stati così diversi, Dean e Sam, che Natalie pensava fosse persino ragionevole che avessero avuto due modi completamente diversi di reagire al ritorno in terra dopo aver visto il fuoco infernale e ciò che riesce a farti.
Gli ho fatto un torto nel momento esatto in cui ho deciso di venire a letto con te. Più e più volte.
E ti sei pentita?

Non aveva risposto a quella domanda, semplicemente perché non sapeva cosa rispondere. Sentiva il senso di colpa, ma forse era dovuto al fatto che Sam fosse il fratello di Dean. Se fosse stato qualcun altro, forse non si sarebbe sentita così uno schifo, perché avrebbe pensato che come Dean si stava rifacendo una vita con un’altra, lei aveva tutto il diritto di fare lo stesso con un altro uomo. Se l’altro uomo però era Sam le cose si complicavano.
Sam si era alzato dal letto del motel in cui si trovavano quella volta, aveva raccolto i pantaloni dal pavimento e li aveva indossati con un movimento fluido. Si era avvicinato al letto di Natalie e si era sdraiato sopra alle coperte vicino a lei. Nat era ancora sotto al piumone rovinato. I loro corpi non si toccavano. Erano in costa, tutti e due appoggiati su un gomito, e si guardavano negli occhi.
Lui va avanti, cerca di farlo anche te –  Le aveva sistemato una ciocca di capelli dietro all’orecchio – Dean non tornerà. Tutto ciò non gli appartiene più, tu non gli appartieni più.
Ma Sam aveva torto.
Perché Dean stava per tornare.
 

Ed è qui che questo racconto ci porta.
Al momento esatto in cui Dean torna a cacciare con Sam, dopo aver avuto un brutto incontro con dei Djinn particolarmente furiosi e violenti.
Al momento in cui si è allontanato da Lisa con la promessa che si sarebbero rivisti. Non sapeva ancora che quella sarebbe stata la bugia più grossa che avrebbe mai potuto dirle. Dopo tutti questi anni, sembra che Dean non abbia ancora imparato che quando c’è di mezzo suo fratello, indipendentemente dalla situazione, lui sceglierà sempre Sam.

                                                                                   ***

“Sicché hai passato l’anno a cacciare con nostro nonno?”
“Si. Abbiamo scoperto delle cose alquanto inquietanti. A quanto pare, i mostri sono più feroci del solito.”
Dean annuisce come per registrare l’informazione. Gli fa uno strano effetto essere tornato in azione dopo dodici mesi di niente, ma sa che quella è la sua vita e gli ci vorrà meno di quanto pensa per tornare attivo. Si guarda intorno. Si trovano in un vecchio magazzino abbandonato, dentro ad una stanza spoglia, grigia e umida che altro non è che lo studio di Samuel Campbell. Una grossa scrivania piena di plichi di fogli infiniti troneggia al centro di quella stanza e Dean si domanda cosa mai potrebbe esserci scritto sopra.
La porta che si apre alle loro spalle, però, lo desta dai suoi pensieri e lo fa voltare d’istinto.
Quando entra, suo nonno Samuel saluta Sam con un caloroso abbraccio, mentre a lui riserva una stretta di mano formale e cordiale. La sua stretta è salda e sicura. Quella di Dean, ovviamente, non è da meno. Samuel lo guarda negli occhi, senza abbassare lo sguardo. Ha gli occhi di un nero profondo e quell’atteggiamento tipico di chi è abituato ad essere rispettato e ammirato.
“Dean, è un piacere incontrarti.”
“Il piacere è mio, Samuel.”
Entrambi non lo pensano davvero. Sanno che è una formalità, sanno che va detto perché condividono lo stesso sangue, ma nessuno dei due si fida veramente dell’altro.
“Venite di là, dobbiamo parlare della prossima caccia.”
I due fratelli seguono il vecchio cacciatore fino a raggiungere una stanza grande, con un grosso tavolo di metallo al centro pieno zeppo di armi e circondato da tre cacciatori che si stanno occupando di renderle il più funzionanti possibili.
“Dean, loro sono i tuoi cugini: Gwen, Christian e Mark.”
I tre si voltano verso di lui, degnandolo appena di un cenno che dovrebbe essere un saluto.
“È tutto pronto per la caccia di questa sera?”
“Quale caccia?” domanda Dean, ignorando un piano che a quanto pare tutti – suo fratello compreso – conoscono.
“Te lo spiegheremo lungo la strada.”
“Preferirei saperlo adesso.”
“Perché?” domanda uno dei cacciatori, quello con i capelli corti e l’aria strafottente “Tanto starai solo di guardia.”
“Christian!” lo rimprovera Samuel. Ma poi si volta verso Dean, con un finto dispiacere dipinto sul viso: “Mi dispiace, ragazzo, però ha ragione.”
“Certo, capisco. Non ti fidi di me e quindi non vuoi che qualcuno che non conosci ti copra le spalle.”
“No, non è che non mi fido è che..”
“..Che non ti fidi di me. Lo capisco.”
Il vecchio Campbell non aggiunge altro. Lancia un’occhiata al resto del gruppo che lo guarda come se attendesse gli ordini di un generale e appena lui fa un cenno con la testa, si avviano all’uscita.

È quasi l’alba quando Sam e Dean entrano nuovamente nel magazzino dove i Campbell hanno allestito la loro fortezza.
I loro cugini sistemano le armi ai rispettivi posti e si curano le ferite senza lamentarsi troppo. Dean riconosce in quel gesto quell’atteggiamento tipico di chi, fin da ragazzino, è stato addestrato a non lamentarsi e ad essere semplicemente grato del fatto che nessuno ti abbia fatto fuori.
Per il maggiore dei Winchester tornare attivo non è stato semplice come credeva. Anzi, se deve essere sincero è stato piuttosto frustrante: lo hanno fatto stare nelle retrovie a fare la guardia insieme a Gwen, come se fossero due novellini.
La cosa che l’ha turbato di più, però, è stato vedere Samuel che scorta un vampiro dentro ad un furgone blindato e Sam che si guarda intorno, assicurandosi che nessuno li veda. C’era qualcosa di così diverso nel suo sguardo. E quel modo di agire sembrava gli fosse anche troppo familiare, come se lui sapesse che cosa trama nonno Campbell alle spalle di tutta la sua combriccola che gli ubbidisce senza fare domande. Il che porta Dean a ragionare su un altro punto sospetto: Sam non ha mai eseguito gli ordini di nessuno, ne quelli che gli dava lui quando erano ragazzini e doveva badare al suo fratellino rompi scatole che aveva sempre da ridire su tutto, ne quando da grande era papà ad ordinargli qualcosa. Sam ha sempre fatto  di testa sua e ha sempre, sempre, obiettato quando qualcuno gli ordinava qualcosa. Perché con Samuel è diverso? Perché con lui è così accondiscendente? Sicuramente il suo fratellino sa qualcosa che lui ancora non sa e che vuole scoprire. E sicuramente quel qualcosa si trova nello studio di nonno Campbell, tra quei fogli infiniti che ha ordinato con tanta premura, prima di uscire per cacciare.
Non si fida di Samuel Campbell. Generalmente, lui non si fida mai di nessuno – conseguenza, questa, di una vita passata a cacciare, a scovare esseri umani che potrebbero essere dei demoni, o dei vampiri, o dei lupi mannari, o dei mutaforma, o dei rugaru – ma quando suo nonno è nei paraggi il suo istinto gli urla a squarciagola di non fidarsi. E quando il suo istinto è così forte, generalmente non sbaglia mai. Per questo, notando che la sua famiglia è intenta a discutere su altri possibili casi, lui  si allontana per cercare di entrare nella stanza di Samuel.
Percorre  tutto il corridoio fino a raggiungerla.
Quando trova la porta chiusa a chiave, i suoi sospetti non fanno altro che aumentare. Perché deve chiudere una porta a chiave, se non ha niente da nascondere? Se ci tiene così tanto a tenerla serrata, significa che dentro c’è qualcosa a cui solo lui vuole avere accesso.
Forza la serratura e apre la porta il più silenziosamente possibile, ma quando sta per entrare, una voce fastidiosa, irritante e pungente attira la sua attenzione e lo distoglie dalle sue intenzioni.
“Che ci fai qui?”
Quando si volta non è per niente sorpreso di vedere Christian e il suo brutto muso. È in loro compagnia da pochissimo, ma ha già imparato a riconoscere la voce di quello sbruffone. E ha già deciso che non lo può sopportare. Ne lui, ne il suo atteggiamento da prima donna, come se l’unico in grado di cacciare fosse lui.
Imbecille.
“Cercavo il bagno.” Si affretta a rispondere, facendo un passo indietro per allontanarsi dall’uscio della porta.
“Quello non è il bagno.”
“Oh, ma dai? Me ne sono accorto.”
Christian fa schioccare la lingua. Si avvicina sempre di più a Dean, inchiodando i propri occhi ai suoi. In quello sguardo, Dean ci legge tutto il disprezzo possibile. A quanto pare, l’antipatia è reciproca.
“Quella è la stanza di Samuel e sai che abitudine ha? Di chiuderla a chiave.”
Dean si avvicina a quell’idiota che sembra proprio voglia mettergli i bastoni tra le ruote e ricambia l’occhiata turpe.
“Non sapevo fossi il suo cane da guardia. Cos’è, se fai bene il tuo compito a fine giornata ti da un biscottino?”
Christian serra la mascella e, afferrando Dean per le spalle, lo attacca al muro senza pensarci due volte. Gli pianta un gomito sotto alla gola, i loro visi vicinissimi, tanto che Dean riesce a sentire il suo respiro affannato addosso. L’ha fatto innervosire e non poco a quanto pare.
“Perché non chiudi quella bocca? Sei solo un arrogante pallone gonfiato. Vieni qui e ti atteggi come se fossi il migliore cacciatore di tutti i tempi, quando l’unica cosa che hai fatto in questo anno è stato stare tra le gambe della tua ragazza!”
 Non doveva dirlo. Non doveva proprio. Quella frase è stata un grave, gravissimo errore. Dean stringe i denti, per cercare di trattenere un po’ il nervosismo, prima di dare una testata sul setto nasale di quel coglione che sembra non sappia fare altro che dare fiato a quella bocca per sparare merda.
Christian lascia la presa e si porta le mani sul naso sanguinante.
Dean lo afferra per il colletto della maglia e lo tira a se. Lo sguardo truce che non lascia un attimo Christian il quale continua a lamentarsi sommessamente del dolore al naso.
“Non devi dirle certe cose, intesi?” ringhia.
Christian sputa per terra il sangue che gli è colato in bocca e torna a guardare Dean con quell’aria di sfida che inizia a dare sui nervi al maggiore dei Winchester.
“Sai, se avevi così voglia di farti una scopata, potevi prendere esempio da Sam: Natalie non era per niente male ed era un cacciatrice in gamba. Tuo fratello ha unito l’utile al dilettevole senza finire a incrociare cestini per il pane e diventare un pappamolle.” Ringhia tra i denti. Dean fatica moltissimo a tenere a freno le mani che hanno iniziato a prudergli, ma resiste all’impulso di spaccargli la faccia solo perché sa che prendendo a pugni questo coglione si mangerebbe definitivamente anche la minuscola possibilità che ha di entrare nelle grazie di Samuel e fare in modo di venire a conoscenza dei suoi segreti – che suo fratello sembra conoscere. C’è qualcosa in ballo molto più grande e importante di Christian che da fiato alla bocca solo perché ne ha una. Deve ammettere, però, che ciò che ha detto gli ha dato parecchio fastidio. E non solo perché ha tirato in ballo Lisa, ma perché ha insinuato che Sam e Natalie avessero una specie di storia. Natalie, la sua Natalie. Anche se forse, viste le circostanze non dovrebbe più definirla così. Ha fatto le sue scelte che hanno portato delle conseguenze, tra cui, appunto, perdere Nat, ma pensare che tra tutti gli uomini presenti al mondo lei sia finita con Sam e che Sam, tra tutte le donne presenti al mondo sia proprio finito con Natalie, lo turba profondamente. Sammy, il suo caro fratellino, non gli farebbe mai una cosa del genere. Reagirebbe in modo totalmente diverso: gli griderebbe contro che è stato un coglione ad andarsene, ad allontanarsi da Natalie senza nemmeno spiegarle il perché e probabilmente gli direbbe che se lei volesse fargli la pelle, farebbe anche bene. Suo fratello non andrebbe mai con la donna che lui ha sempre amato. Seguendo questa logica, suo fratello non lascerebbe nemmeno che un vampiro lo trasformasse. Già, perché ancora non gli è chiaro come mai Sam sia stato a guardare mentre quel vampiro lo trasformava. Se sono riusciti a trovare il covo del vampiro alfa, è proprio perché Dean è diventato uno di loro per qualche ora e ha il sospetto che suo fratello abbia lasciato che la sanguisuga facesse il suo “dovere” proprio per arrivare prima all’alfa.
Sam non è Sam. Di questo ne è sicuro, ma deve ancora capire cosa sia successo esattamente al suo Sam.
Lascia andare la maglietta di Christian e se ne va, avviandosi alla stanza dove erano tutti riuniti poco prima. Ci trova solo Sam e Samuel che parlano per poi smettere appena Samuel vede Dean. Ovvio.
“Sam, credo sia ora di andare.”
Suo fratello si volta e annuisce. Entrambi salutano Campbell e si avviano verso l’uscita.

                                                                                                              ***

El Paso, Texas.
Natalie Duvall varca la porta della stanza del motel che ha affittato per qualche giorno. Ha risolto il caso per cui ha trascinato le sue chiappe fino in Texas: uno spirito vendicativo stava sterminando tutte le donne della sua famiglia per fare in modo che non ci fossero più eredi. Una storia triste, quella del signor Robert Keller, un uomo vissuto più di sessant’anni fa che aveva vissuto la tragica esperienza di vedere la moglie assassinata dal proprio fratello, Jim Keller, suo rivale in affari.
Secondo la storia, Jeremy Keller, imprenditore, aveva due figli: Robert, suo primogenito, e Jim. Robert era destinato ad essere l’erede dell’azienda di famiglia al cento per cento, dal momento che aveva dimostrato di avere tutti i requisiti per poterlo fare. Ma questa cosa non andava bene al piccolo Jim che, nel momento esatto in cui la moglie di suo fratello aveva scoperto di essere incinta, si era visto sfuggire l’occasione di diventare proprietario nel caso suo fratello fosse venuto a mancare: se Robert avesse avuto un figlio, sarebbe stato quest’ultimo l’erede. Così Jim decise di uccidere la povera signora Keller davanti agli occhi del marito. Robert fu preso da un dolore così profondo e da una rabbia così cieca, che pugnalò Jim al cuore. Ma il minore dei Keller giurò che sarebbe tornato. Ed è questo giuramento che ha portato Natalie fino ad El Paso: ha dovuto sbarazzarsi una volta per tutte di Jim Keller, l’uomo ossessionato dalla vendetta e dal potere.
Si lancia letteralmente sul letto, senza nemmeno togliersi i vestiti. Getta gli anfibi da qualche parte ai piedi del letto e affonda la faccia nel cuscino: ha un bisogno estremo di dormire. Non chiude occhio da diciotto ore e ora che il caso è risolto, vorrebbe riuscire a dormirne almeno cinque.
Ma quando il telefono squilla, ovviamente si rende conto che chiedere almeno qualche ora per dedicarsi ad attività fisiologiche – quali il dormire – è troppo.
Sbuffa con ancora la faccia nel cuscino ed estrae dalla tasca dei jeans quell’aggeggio infernale che squilla e vibra nemmeno fosse posseduto. È fortemente tentata di recitare un esorcismo, magari così facendo, smetterebbe di suonare e lei potrebbe tornare al suo sonno.
“Pronto.” Biascica, stanca.
“Bimba, ho bisogno di te. I ragazzi stanno tornando e hanno scoperto qualcosa di grosso.”
Bimba.
Sorride a quel nomignolo: Bobby la chiama così da quando lei ha memoria. Il vecchio cacciatore non la chiama mai in quel modo, in pubblico. È una cosa che sanno solo loro, una cosa tutta loro. Più e più volte è stata tentata di dirgli che  visto che ormai ha quasi trent’anni, chiamarla così non è più molto appropriato, ma non ha mai avuto il cuore per farlo. È una delle poche smancerie che Bobby si concede e se a lui fa piacere farlo, non vede perché lei debba dirgli di smettere. Alla fine, lui la vedrà sempre come quella bambina che ha cresciuto e alla quale ha insegnato a camminare, o a tenere il cucchiaio nel verso giusto, o ad andare in bici.
“Nat, ci sei?”
Quella domanda la desta dai suoi pensieri.
“Si, ci sono.” Risponde, massaggiandosi le tempie.
“Allora, sei dei nostri?”
“Si, sono dei vostri.”
“Dove sei?” la voce di Bobby sembra piuttosto preoccupata. In effetti, non si sentono da giorni, da quando lei ha deciso di fuggire di volata appena ha sentito il motore dell’Impala parcheggiare davanti a casa Singer.
“El Paso.”
“Dovevi andare così lontano?”
“Avevo un caso.”
“Pure qui ne avevi uno e bello grosso, anche.”
“Lo so, lo so. Dammi qualche ora, ok?”
“D’accordo.”
Natalie attacca il telefono e si immerge nuovamente nel cuscino non più con l’intenzione di dormire, ma con l’intenzione di soffocare un grido di frustrazione.
Non vuole tornare a casa, dove vedrà Sam e Dean. Non vuole tornare in quelle quattro mura piene di imbarazzo, cose non dette e ricordi ormai troppo lontani. Non vuole tornare e rischiare di vedere nuovamente lei.
Lisa.
Giorni fa, Natalie si trovava in un motel esattamente come in questo momento: sola, stanca e con un caso da risolvere. Si trattava di un wendigo a Bossier City, Louisiana. Le ci erano voluti due giorni interi per stanarlo e più fuoco di quanto lei riuscisse a maneggiare senza rischiare di finire ustionata, per ucciderlo. Il mostro, come tutti i mostri nell’ultimo periodo, era stato più spietato di quanto potrebbe esserlo stato in condizioni normali. Le aveva persino lasciato un taglio sul braccio che Nat si era preoccupata di disinfettare, cucire e fasciare con una garza. Un’altra cicatrice da aggiungere alla sua collezione.
Anche quella sera, stava per mettersi a letto quando Bobby l’aveva chiamata.
Ho bisogno di te, Nat.
Lei aveva sospirato. Ultimamente, sospira moltissimo. Come se ogni sospiro potessero aiutarla ad alleggerire il cuore.
Sono tutta orecchie, Bobby.
Bobby era rimasto qualche istante in silenzio, probabilmente per cercare le parole giuste da usare, per cercare di metterla davanti al fatto senza farla rimanere troppo male.
Lisa e Ben sono qui. Dean mi ha chiesto di tenerli al sicuro mentre lui si occupa di una questione con Sam. Pensi di poter venire a darmi una mano? So che ti chiedo tanto, bimba, ma non so come comportarmi.
Il suo tentativo di ammortizzarle la cosa, non era andato a buon fine: Bobby non sa rigirare tanto la frittata, in occasioni come queste. Di fronte ad un caso, pur di risolverlo, riuscirebbe a far credere a chiunque di essere il presidente degli Stati Uniti, ma davanti a cose come la normalità non sa usare molto le parole, quindi l’unica cosa che gli rimane è essere diretto. E quella volta lo era stato fin troppo.
Parto tra cinque minuti. Sarò lì domani mattina.
Aveva guidato tutta la notte per raggiungere il South Dakota il prima possibile ed era arrivata verso le sei del mattino, con il sole che stava sorgendo e colorava di rosa e rosso il cielo. Era entrata piano, cercando di fare il meno rumore possibile. Quando aveva notato che tutti stavano ancora dormendo, si era sdraiata sul divano e aveva chiuso gli occhi, giusto per riposarsi almeno mezz’oretta. Ma un rumore di passi l’aveva destata e con gli occhi chiusi, si era messa ad ascoltare con attenzione. Quando aveva sentito qualcuno cercare di infilare una mano nel borsone che aveva lasciato alla testa del divano, si era messa seduta e aveva bloccato la mano dell’estraneo. Solo quando la sua stretta era ben salda, si era accorta che era una mano troppo piccola per appartenere ad un adulto, così si era ritratta con uno scatto fulmineo.
Scusa, pensavo fossi qualcun altro.
Il ragazzino che la stava fissando con curiosità, aveva alzato le spalle.
Non preoccuparti. Lo faceva anche Dean, i primi mesi che è venuto a stare da noi.
Sarà una cosa tipica di noi cacciatori, allora.

Il ragazzino, che aveva dedotto fosse Ben, la guardava con gli occhi grandi. Fissava lei e poi la sua borsa e la sua fasciatura.
Chi te l’ha fatta?
Un wendigo, stanotte.
Ti ha fatto male?
Un po’, ma io gliene ho fatto di più.

Ben le aveva sorriso con ammirazione. Nat aveva istintivamente cercato un segno di somiglianza con Dean. Sapeva benissimo che prima di lei, Dean era stato con Lisa e che più o meno Ben potrebbe essere stato suo, anche se Lisa ha sempre negato. Comunque, nel sorriso di Ben, Natalie non aveva visto nessuna somiglianza. E forse, di questo, era più felice del dovuto.
Sono Natalie.  Aveva allungato una mano e Ben aveva fatto lo stesso, aggiungendo: Ben.
Hai fame, Ben?

Il ragazzino aveva annuito con decisione a quella domanda e Natalie, alzandosi dal divano, istintivamente gli aveva scompigliato i capelli. Si era resa conto di ciò che aveva fatto solo dopo averlo fatto e aveva guardato Ben per capire se poteva avergli dato fastidio o meno, ma lui non sembrava per nulla seccato da quel gesto, quindi aveva proseguito in cucina tranquillamente.
Ti piacciono i pancakes?
Molto!
Ti va di aiutarmi a prepararli?

Si erano messi insieme a mischiare tutti gli ingredienti necessari per la pastella: latte, uova, lievito, zucchero e burro. Aveva scoperto che Ben era un ottimo aiutante in cucina e che si divertiva un sacco a fare intrugli commestibili.
Natalie aveva sorriso guardandolo, vedendo in lui quella spensieratezza tipica dei ragazzi della sua età. Forse era stato anche merito di Dean, che sicuramente l’aveva protetto dal sovrannaturale, mettendolo in guardia su quanto possa essere pericoloso, ma non inculcandogli l’ossessione di combatterlo. Di questo ne è certa. Dean non farebbe mai ciò che John ha fatto con lui.
Tu sei un’amica di Dean?
Un’amica. Lei era davvero questo per Dean? Erano mai stati effettivamente amici? Istintivamente direbbe di no: si è sempre sentita attratta da Dean, come una calamita. Quando lui era in una stanza, lei sentiva la necessità di stargli intorno, solo per guardarlo mentre si concentrava su un caso, osservando quella piccola ruga che gli si formava tra gli occhi quando aggrottava leggermente le sopracciglia. Gli stava il più vicina possibile per sentire il suo profumo che sapeva di polvere da sparo, pelle e dopo barba: lo stesso odore dell’impala. Come se ciò stesse a significare che Baby faccia davvero parte di Dean, che siano un tutt’uno. Non ne aveva mai abbastanza di lui, della sua presenza. Ogni scusa era buona per sfiorarlo, ogni scusa era buona per averlo vicino. Lei non è mai stata sua amica, lei l’ha sempre amato anche quando non aveva ancora capito che ciò che provava per lui era effettivamente amore. C’era sempre per lui perché voleva fargli sentire la sua presenza, voleva che non si sentisse mai solo, anche in quei momenti dove capitava che lui e Sam litigassero pesantemente e lui tendeva a chiudersi in se stesso, convinto di non meritare altro se non la solitudine. Questo è sempre stato il problema di Dean: non ha mai pensato di essere degno. A volte, lo diceva anche a lei. Diceva che non la meritava, che non capiva cosa avesse fatto lui di tanto speciale da meritarsi l’amore e l’attenzione di una donna come lei, di una donna straordinaria. Nat gli diceva che lei di straordinario non aveva proprio niente e che non è necessario fare qualcosa di eclatante per essere amato, lei lo amava semplicemente per come era, per l’uomo che era: buono, gentile, altruista, premuroso, amorevole, protettivo, leale. Dean in quei momenti abbassava lo sguardo, incapace di reggere il suo: forse perché non era abituato a sentirsi descrivere così. Poi si avvicinava a lei e quando i loro visi erano a pochi centimetri le sussurrava un flebile non sopporterei mai tutto questo senza te e la baciava. Non le diceva mai ti amo forse perché non ne era capace, ma le diceva frasi del genere e a lei bastava, o meglio, aveva imparato a farsele bastare, consapevole del fatto che Dean non sarebbe mai andato oltre. Ma le andava bene, le dimostrava di tenere a lei nei modi più vari e quando hai i gesti che parlano, delle parole poco ti importa.
Si, ci conosciamo da quando eravamo piccoli.  Aveva risposto, concentrandosi nuovamente su Ben.
E sai sparare?
Certo, che razza di cacciatrice sarei se non lo sapessi fare?
Mi insegneresti?
Dean te l’ha mai insegnato?

Ben non la guardava, teneva gli occhi bassi sulla ciotola piena di pastella che stava mescolando con un cucchiaio di legno. Dopo qualche istante aveva fatto ‘no’ con la testa.
E ti ha mai detto perché non vuole insegnarti a farlo?
Dice che i ragazzini della mia età devono imparare a giocare a baseball, non a imbracciare un fucile.
Dean è molto saggio, dovresti ascoltarlo.
Ma io voglio imparare!
Perché?
Perché da grande voglio essere come lui, voglio che sia fiero di me! Alla mia età lui già sapeva sparare!

Natalie si era voltata completamente verso di lui, mettendogli le mani sopra le sue per impedirgli di continuare a girare la pastella e fare in modo che alzasse i suoi occhi su di lei.
Ben, diventare un cacciatore non è bello come sembra. La vita del cacciatore comporta sacrifici e dolori – e spesso quelli fisici sono niente in confronto a quelli emotivi. Perciò da retta a Dean: impara anzi giocare a baseball. Per quanto riguarda il renderlo fiero di te, non serve che diventi un cacciatore, sono sicura che sia già fiero di te, esattamente per quello che sei.
Ben aveva annuito in silenzio, anche se Nat non era molto convinta fosse d’accordo con lei.
Che ne dici di andare a svegliare la mamma? La colazione è quasi tutta pronta.
Il ragazzino si era avviato al piano di sopra e lei aveva finito di preparare la colazione. Mentre guardava i pancake cuocersi nella padella, desiderava solo di essere pronta abbastanza all’incontro che stava per fare. Ovviamente non lo era. Sentiva lo stomaco stringersi e il panico in circolo. Avrebbe di gran lunga preferito tornare a fronteggiare il wendigo che trovarsi faccia a faccia con Lisa.
Ricorda che quando Lisa era entrata in cucina, seguita da Ben, Nat non era riuscita a non guardarla: era indubbiamente bella, con i capelli lunghi, neri e mossi, gli occhi dello stesso colore e un portamento così aggraziato da sembrare una fata che fluttua nelle foreste incantate.
Istintivamente si era paragonata  a lei, notando che nella sua vita non era mai sembrata una fatina, ma piuttosto un’amazzone. Aggraziata tanto quanto una guerriera senza un seno che lancia frecce in sella ad un cavallo al galoppo. Si sentiva così diversa da lei, ma non per questo si sentiva in soggezione. Guardandola, altro non vedeva che una donna spaventata, una madre preoccupata e ciò le era bastato per accantonare il fatto che Dean se ne fosse andato per stare con lei, e vederla come qualcuno da proteggere. Una vittima come tutte le altre. Una persona normale che viene a contatto con il loro mondo e teme non solo per la sua vita, ma anche per quella di suo figlio.
Lisa aveva ricambiato lo sguardo, quasi come se volesse studiarla, quasi come se sapesse lei chi fosse e si aspettasse da un momento all’altro una scenata, ma quando aveva visto che Natalie le aveva sorriso cordiale, si era rilassata. Poco dopo Bobby li aveva raggiunti e si erano messi a fare colazione. L’imbarazzo era talmente palpabile che si sarebbe potuto tagliare con un coltello, ma tutto sommato erano riusciti a scambiare qualche parola. Quello che parlava di più era Ben, che faceva domande a raffica a Natalie sul suo lavoro e Lisa più di una volta l’aveva rimproverato, intimandogli di smettere. Poco più tardi, Bobby aveva proposto a Ben di andare a fare qualche tiro con la palla e il guantone da baseball. Il ragazzino, pensando alla conversazione che avevano avuto qualche istante prima, aveva tirato un’occhiata furtiva a Natalie la quale aveva annuito con convinzione, spronandolo ad accettare.
Nat era rimasta a pulire la cucina. Lisa le si era timidamente avvicinata chiedendole cosa potesse fare per aiutarla.
Non devi fare niente, tranquilla.
Hai preparato tantissima roba da mangiare, fatti almeno aiutare a pulire.

Era una richiesta così discreta e sincera che Natalie aveva accettato. Aveva così paura di confrontarsi con lei, che non aveva minimamente pensato al fatto che anche Lisa potesse sentirsi in soggezione in sua presenza. Anche se dubitava che Dean le avesse raccontato tutto. Forse, l’imbarazzo di Lisa era più dovuto al fatto che si sentisse un’estranea nei loro confronti, qualcuno che irrompe nella quotidianità di qualcun altro senza averne il diritto.
Io lavo e tu asciughi, ok?
Perfetto.

Non si erano parlate granché. Anzi, non si erano parlate per niente. C’era tensione tra loro, nonostante tutto. Erano due donne adulte, intelligenti abbastanza da capire l’importanza l’una dell’altra nella vita di Dean, per questo cercavano una convivenza cordiale ai limiti dell’educazione e della formalità. Nessuna delle due voleva conversare con l’altra più del dovuto. Nessuna delle due guardava l’altra negli occhi più del necessario. Forse perché guardandosi, avrebbero reso concreti i loro dubbi. Guardandosi era come dare un volto, una forma, ai pensieri – tessuti dal dubbio con la stessa precisione maniacale con cui un ragno tesse le proprie tele – legati a Dean insieme all’altra.
Quella che delle due sentiva questa sensazione in maniera più profonda era Lisa, anche se questo Natalie non poteva saperlo.
Perché, a differenza della cacciatrice, che aveva la certezza che Dean fosse stato con Lisa, quest’ultima non ne era certa. Era divorata dal dubbio, dall’incertezza. Asciugava i piatti e guardava il profilo di Natalie, quel nasino piccolo e tondeggiante, coperto di lentiggini, le labbra piene. Senza rendersene conto, Lisa si era trovata a chiedersi se le labbra di Dean si fossero mai posate su quelle di Natalie. D’un tratto, l’immagine di quella foto che aveva trovato per caso in uno dei cassetti mentre sistemava i suoi vestiti, qualche mese fa, le era piombata nella mente: Dean e Natalie – non aveva mai dato un nome alla donna nella foto prima di quella mattina – che ridevano insieme, guardandosi negli occhi. Dietro di loro c’era il mare che brillava sotto la luce intensa del sole. E Dean aveva uno sguardo così sereno, così spensierato. I suoi occhi brillavano esattamente come faceva il mare sotto ai raggi incandescenti del sole. Guardava Natalie come se fosse il regalo più prezioso che la vita gli avesse mai fatto. Guardando quel pezzo di carta, Lisa aveva sentito un tuffo al cuore, chiedendosi chi mai potesse essere la donna di cui Dean sembrava essere innamorato. Anzi, era certa che lo fosse. Lo era talmente tanto che non aveva mai avuto il coraggio di dirgli che aveva trovato quella foto e di chiedergli chi fosse quella donna perché temeva la risposta. Era terrorizzata dalla risposta. Aveva preferito riporre la foto nel cassetto e fingere di non averla mai trovata.
Abbiamo finito.
Era stata Natalie a rompere quel silenzio che sembrava durasse ormai da ore. Lisa aveva sorriso debolmente e a Nat era sembrato anche che stesse per aggiungere qualcosa, ma il motore dell’Impala aveva riempito le sue orecchie e una morsa ferrea le aveva stretto lo stomaco così forte che pensava potesse vomitare da un momento all’altro.
Sono arrivati. Aveva detto, cercando di mascherare il più possibile il panico. Io devo andare.. ho un caso.. è stato un piacere conoscerti. Salutami Ben. È un ragazzino simpatico!
Era stata goffa, impacciata e .. codarda. Aveva preferito fuggire piuttosto che affrontare la realtà: Dean insieme a Lisa e Ben che si riuniscono come una di quelle famigliole felici nelle pubblicità delle merendine. Ma era troppo per lei, in quel momento. Non era pronta. Non ancora. Aveva bisogno di più tempo. Così aveva afferrato velocemente il borsone delle armi che era ancora vicino al divano ed era uscita dalla porta sul retro, salendo in macchina e partendo a tutta velocità.

È questo l’episodio che rivive mentre raccoglie le sue cose in giro per tutta la stanza del motel. Afferra i vestiti sparsi sul letto e, dopo averli piegati, li sistema in una delle borse. Afferra il computer sul tavolino accanto alla finestra e lo infila dentro alla sua borsa a tracolla, infilandoci dentro anche tutte le mappe e i fogli su cui ha tracciato gli schemi per risolvere il caso. Già che c’è ci infila anche la storia dei Keller, giusto per avere del materiale in più nel caso si verifichi una situazione simile alla loro, in futuro.
Controlla di aver preso tutto e quando ne è certa, afferra le chiavi da sopra al tavolino e si dirige alla macchina. Mette tutte le sue borse in bauliera e poi si dirige al posto di guida.
Sono le tre del mattino quando parte da El Paso, facendo un conto approssimativo raggiungerà il South Dakota in quindici ore, il che le fa pensare che molto probabilmente quando lei arriverà a casa di Bobby stanca, sudata e puzzolente, dovrà fare i conti con la situazione imbarazzante che sta evitando da troppo ormai e che sembra non la voglia mollare, come se il karma volesse punirla per ciò che ha fatto, come se volesse ricordarle che ad un’azione corrisponde una reazione e quindi, se fai una determinata cosa, poi, devi essere anche in grado di affrontare le conseguenze. In poche parole, il karma vuole ricordarle che dove prendi il sole, prendi anche la pioggia. Il karma è uno stronzo spocchioso. Come se non lo sapesse anche da sola che in ogni situazione c’è sempre il rovescio della medaglia e non è mai positivo. Sbuffa frustrata. Sa che deve affrontare Dean e sa che c’è anche un conto in sospeso con Sam che va chiarito al più presto. All’improvviso, è fortemente tentata di non lasciare quella città, di trovarsi un lavoro in un negozio di dischi e cambiare nome, fuggendo dal suo passato da assassina di creature sovrannaturali e diventare una normalissima commessa che si innamora del proprietario del suddetto negozio. Un po’ come ha fatto Beatrix Kiddo in Kill Bill (*). Poi però pensa alla fine che quella donna ha fatto per quattro anni e decide anzi di mettere in moto e partire. Con la fortuna che ha lei, cambiare vita non le servirebbe proprio a niente. Verrebbero a cercarla. Bobby per primo e probabilmente la prenderebbe per un orecchio, sgridandola come se fosse una bambina di cinque anni, per essere sparita senza dirgli niente, e i mostri per secondi. Non sa come, ma più di una volta le è capitato che fossero le creature a trovare lei e non il contrario. Le piace pensare che lo facciano perché sono spaventati da lei, che conoscono la sua fama e la sua bravura e che quindi preferiscono cacciarla subito anzi che aspettare di essere cacciati, ma la verità è che spesso la rintracciavano per cercare di catturarla e arrivare a Dean e Sam, un po’ come se volessero usarla come esca. Il fatto è che lei è piuttosto brava nel suo lavoro e quindi li ammazzava ancora prima che riuscissero a finire di dire Winchester.
Sospira.
Gira che rigira, il discorso va sempre a finire lì: Dean e Sam Winchester. La situazione sta diventando veramente pesante: deve risolverla al più presto, prenderla di petto e affrontarla apertamente. Togliere il cerotto dalla ferita con uno strattone forte, secco e improvviso fa male all’inizio, ma poi il bruciore sciama, toglierlo pezzo alla volta, fa meno male li per li, ma il dolore è prolungato. Lei ha prolungato lo strappo del cerotto anche troppo, è arrivato il momento di strapparlo definitivamente.

                                                                        ***

Arriva a Sioux Falls verso le sei del pomeriggio, come aveva previsto. Imbocca il vialetto, passando sotto all’arco con l’insegna Singer Auto e si inoltra nella proprietà di Bobby. Guarda le macchine ad una ad una per distinguere tra quei rottami la fin anche troppo familiare Impala nera del ’67 che trova proprio davanti alla casa di Bobby, pulita e tirata a lucido. Così in contrasto con i cadaveri delle altre auto che sembra possa prendere vita da un momento all’altro. Quella macchina può ritenersi più fortunata di molte donne con cui Dean è stato: ha ricevuto – e riceve tutt’ora – una cura e delle attenzioni tali che Dean non ha mai riservato a nessuna se non a Baby.
Dean, è solo una macchina.
Non lo dire mai più! Soprattutto non davanti a lei. Non ascoltarla, Baby. È solo gelosa!

Lei e Dean avranno fatto discorsi come questo almeno un migliaio di volte. Più il tempo passava, più Natalie lo diceva solo per vedere Dean che la guardava come se gli avesse fatto l’affronto più grosso di questo mondo.
Tu non hai un cuore. Come fai a parlarle così? Le aveva detto una delle tante volte. E aveva messo su un broncio così serio che lei si era messa a ridere, perché era troppo buffo: Dean Winchester, uno dei cacciatori più cazzuti esistenti, un uomo grande e grosso, forgiato dalle intemperie della vita, metteva il broncio se parlavi male della sua macchina, proprio come potrebbe fare un bambino di sei anni sentendo qualcuno che insulta il suo giocattolo preferito.
Scuote la testa, mentre parcheggia la macchina dentro al garage dietro alla casa di Bobby. Scende e recupera tutte le sue cose, poi si dirige verso casa Singer. Quando infila le chiavi nella serratura, e la sente scattare, una fitta provocata dal panico le percorre le viscere facendole contorcere. Il primo istinto, quasi come se si sentisse una gazzella che sta per entrare nella gabbia di un leone affamato, sarebbe quello di scappare a gambe levate. Ma non può più scappare. Lei non è una preda. Non lo è mai stata in vita sua, non inizierà  certo ad esserlo adesso. Gira con decisione la chiave e la serratura scatta del tutto, apre la porta ed entra in casa. Come varca la soglia, tre paia di occhi si mettono a fissarla: Dean, Sam e Bobby sono nello studio. Bobby alla scrivania con un tomo tra le mani, Dean seduto su una sedia – che tiene al contrario, appoggiando i gomiti allo schienale – di fronte al vecchio cacciatore e Sam in piedi appoggiato allo stipite della porta scorrevole. Sono tutti voltati verso di lei, intenti a fissarla. Il che la fa sentire estremamente a disagio. Insomma, la guardano come se non l’avessero mai vista, o come se fosse un fantasma. Ha davvero un aspetto così orrendo?
“Ciao a tutti.” Dice, senza aspettarsi una risposta. Appoggia tutte le borse sopra al divano e si dirige in cucina per bere un po’ d’acqua. Si sente la gola estremamente secca. Afferra dal frigo una bottiglietta da mezzo litro e la tracanna tutto d’un fiato. Forse le ci vorrebbe anzi una birra, così per distendere un po’ quel fascio di nervi che solo in questo istante si è resa conto di essere. O magari può bastare anche una doccia. Si, vada per quella. Quando torna verso lo studio nota che i tre hanno ricominciato a parlare. Quando Bobby la vede tornare tace, per portare la sua attenzione totalmente su di lei.
“C’è del lavoro da fare, Nat.”
“Lo so, sono tornata per questo, no? Ma prima ho bisogno di una doccia: ho guidato quindici ore e non dormo da trentatre. Posso avere mezz’oretta?”
“Certo. Ti aspettiamo.”
Nat lancia un’occhiata furtiva ad entrambi i fratelli, non sapendo bene come comportarsi. Deve chiarire un sacco di cose, ma non vuole farlo in presenza di Bobby. Mentre si incammina su per le scale, pensa a quanto questa situazione le faccia schifo: si è a mala pena scambiata uno sguardo con due delle persone che per lei sono la sua famiglia. È stato un gesto così freddo. Se non avesse combinato quello che ha combinato, è sicura che li avrebbe abbracciati forte, stringendoli a se in una morsa ferrea e loro, uno alla volta, l’avrebbero stretta a loro volta, inglobandola in uno di quegli abbracci tipici dei Winchester. E invece, niente. Sono cresciuti insieme, hanno vissuto le esperienze atroci fianco a fianco, sempre loro tre contro il mondo. Li ha sempre considerati come fratelli, prima di capire effettivamente cosa provasse per uno di loro.
E adesso, sono passati dall’essere un tutt’uno all’essere niente.
Entra in camera sua, dove, dopo essersi chiusa la porta alle spalle, inizia a spogliarsi per poi dirigersi nel piccolo bagno dentro alla sua stanza.
Sospira, lasciandosi andare alla tristezza.
Accantona quel pensiero che le porta a terra il morale – calpestandolo maleducatamente – e si butta sotto la doccia, lasciando che l’acqua calda le scivoli sulla pelle e le scacci via i pensieri. A volte, vorrebbe riuscire a zittire quella vocina bastarda nel suo cervello che altro non fa che ricordarle cose che vorrebbe dimenticare almeno per cinque minuti. La coscienza è una stronzetta. Pinocchio ha fatto bene ad uccidere la sua. Se anche quella di Natalie assumesse la forma di un grillo, in questo periodo, probabilmente la schiaccerebbe anche lei.
Si lava i capelli, con cura, passandoci le dita per districare i nodi. Passa qualche minuto sotto il getto dell’acqua per assicurarsi che si sciacquino bene e poi esce dalla doccia, afferrando l’accappatoio e infilandoselo per non patire il freddo. Esce dal bagno e rientra nella sua stanza con tutta l’intenzione di vestirsi, ma i suoi piani sono costretti ad un cambiamento quando vede Dean seduto sul suo letto, i gomiti appoggiati alle ginocchia e il mento appoggiato alle mani. Fissa un punto indefinito nella stanza, come se stesse intensamente pensando a qualcosa. Natalie nota che tutte le sue borse sono sistemate con cura in un angolino della stanza. Probabilmente ce le ha portate lui.
“Grazie.” Sussurra, distraendo Dean dalla sua trance. L’uomo alza lo sguardo su di lei.
“Non c’è di che. Sembravi così stanca che ho pensato ti avrebbe fatto piacere.”
“È così, infatti. Lo apprezzo molto.” Accenna una sorriso, cercando di sembrare tranquilla. In realtà il cuore le batte talmente forte e veloce che teme possa vederlo uscire dal petto e farsi un giro per la stanza da un momento all’altro. Sentire di nuovo la sua voce, averlo di nuovo così vicino e nella stessa stanza le risveglia solo i ricordi piacevoli dei momenti passati insieme, quando tutto non era ancora precipitato nel baratro. O meglio, nella Gabbia. Perché è inutile negarlo, tutto è cambiato quando Sam si è gettato con  Lucifero e Michele nella voragine infernale. Da quel momento, Sam non è più lo stesso, Dean se n’è andato, Natalie è stata distrutta in tanti piccoli frammenti.
Tutti e tre rotti in maniera irreparabile.
Segnati da quell’esperienza nel profondo, come se si fosse conficcata nelle loro menti come un chiodo che spinge la sua punta sempre più in profondità, come se volesse ricordare loro che non li lascerà mai, che l’angoscia di quei giorni graverà su di loro per il resto delle loro vite.
La loro armonia si è rotta.
È come se in quel buco ci fossero finiti tutti e tre per riemergere come delle persone totalmente nuove. È come se ciò che erano fosse stato resettato e ora si trovassero a ricominciare tutto d’accapo.
“Bobby mi ha detto che stavi risolvendo un caso.”
Natalie annuisce. C’è qualcosa di strano in Dean. Una calma così esagerata da sembrare forzata, come se si stesse trattenendo, come se stesse cercando di non esplodere.
“E di cosa si trattava?”
Rimane seduto, non si muove. L’unico movimento che fa il suo corpo è quello delle labbra che si aprono e si chiudono per formulare parole.
“Uno spirito vendicativo.”
Dean annuisce, impassibile.
Natalie lo osserva: sta fissando il vuoto, i suoi occhi sono inchiodati sul nulla; ha uno zigomo viola e il labbro inferiore rotto. Probabilmente sono conseguenze della questione di cui si è occupato con Sam, come le aveva detto Bobby.
C’è silenzio.
Un silenzio così profondo da risultare assordante.
Loro non sono mai stati in silenzio per più di due minuti. Avevano sempre qualcosa di cui parlare, sempre qualcosa da dirsi, sempre qualche osservazione da scambiarsi e sempre qualche domanda da porsi.
“Dean..”
L’uomo si volta di scatto verso di lei. Natalie è sicura che non l’abbia fatto perché ha pronunciato il suo nome, anche perché l’ha chiamato così debolmente che il suono uscito dalla sua bocca era poco più di un sussurro.
“Ci sei andata a letto?”
Quella domanda la colpisce come un pugno in pieno stomaco. Diretto. Spietato. Letale. Niente giri di parole, niente discorsi preparatori, niente di niente. Solo ed esclusivamente una cannonata in pieno petto.
Tiene i suoi occhi inchiodati in quelli di lei. Non la lascia nemmeno un attimo. La scruta attento per non perdere nemmeno una minima reazione della donna.
“Si.”
Non gli chiede con chi, sa benissimo che la domanda è riferita a lei e Sam. Se n’è accorta dal tono che ha usato, quasi accusatorio. La fissa con rimprovero e .. sembra delusione quella sul suo viso?
Dean si alza di scatto dal letto, come se il suo corpo fosse stato percorso da una forte scossa elettrica.
“Perché?”
Si passa la mano sulla faccia. In quel momento le sembra così sciupato, consumato. Nota le occhiaie bluastre che contornano i suoi occhi, le rughe intorno ad essi leggermente accentuate e la pelle del viso tirata. Dean è così stanco.
“Perché te ne sei andato?”
A quella domanda, l’uomo abbassa lo sguardo. Mette una mano su un fianco e con l’altra si massaggia le palpebre degli occhi chiusi.
“È complicato.”
Complicato? Poteva usare moltissime parole per spiegarle il perché l’avesse trattata come se fosse qualcosa di cui si era stufato, un bambola che con il tempo perde la sua bellezza e viene sostituita da una più nuova, ma complicato non è la parola giusta. La loro intera esistenza è complicata. Hanno vissuto una miriade di situazioni complicate e sono sempre stati insieme, le hanno sempre affrontate insieme.
Hanno corso verso le braccia della Morte più di una volta, ma l’hanno sempre fatto insieme.
E adesso le viene a dire che darle almeno una spiegazione del perché volesse andarsene è complicato?
Natalie sente la rabbia repressa in questo anno salirle su per lo stomaco e arrivare fino alla gola, come se fosse un vulcano pronto ad eruttare. Esplode senza nemmeno rendersi conto della potenza con cui inizia a inveire contro di lui.
“Sei un fottuto pezzo di merda, Dean. Complicato, dici? Con tutto quello che abbiamo passato, con tutte le volte che ho rischiato il culo perché avevo deciso di stare dalla tua parte, almeno una spiegazione del perché avevi deciso di andartene me la dovevi! Me la dovevi! E non venirmi a fare la predica del perché sono stata con Sam, perché nemmeno tu sei un santo! Che mi dici di Lisa? Porca vacca, ti sei fatto una nuova vita con un’altra donna e io dovrei sentirmi in colpa? Mi stai accusando della stessa cosa che hai fatto tu. Hai preso e te sei andato per giocare all’allegra famigliola. Mi hai sostituita come se niente fosse. Come se non avessimo passato una vita insieme! Quindi non usare quel tono accusatorio con me, quando mi chiedi se sono stata con tuo fratello.”
Di tutto il discorso, Dean rimane momentaneamente concentrato su ho rischiato il culo perché avevo deciso di stare dalla tua parte. Quella frase lo investe con una potenza tale che gli sembra veramente di essere stato colpito da un tir. Quella frase, gli ricorda la cicatrice perlacea e sottile che Natalie ha sulla pancia. Un taglio che parte dalle costole di destra e arriva fino all’osso del bacino di sinistra. Quella volta, aveva veramente rischiato di perderla: Zaccaria aveva capito che era uno dei suoi punti deboli e l’aveva catturata per costringerlo a fargli dire di si. L’aveva torturata con una ferocia disumana, crudele, spietata. Natalie non aveva ceduto nemmeno un attimo. Ricorda che, coperta di sangue, mentre lui la stava fissando, tremante di rabbia nei confronti del figlio di puttana che l’aveva ridotta così, continuava a ripetergli di non cedere, di non assecondarlo. Era stato in quel momento che Zaccaria, preso dall’ira, l’aveva tagliata da parte e parte facendole uscire dalla gola un grido così doloroso da non sembrare nemmeno umano. Per un attimo, Dean aveva pensato che si fosse distrutta le corde vocali. Era stato in quel momento che, preso dall’odio cieco che provava per quell’angelo, gli aveva trafitto la gola con una spada angelica.
Per riprendersi da quell’incidente, Natalie ci aveva impiegato settimane.
Ma dopo questo ricordo, il resto del discorso risuona nella sua testa. Il tono furente di Natalie gli riempie le orecchie e lo risveglia dalla sua momentanea trance. Si rende conto di essere arrabbiato. Si sente la voce che monta in gola con prepotenza ed esce fragorosa come un tuono.
“Credi che per me sia stato facile? Porca troia, avevo appena visto mio fratello saltare dentro ad un fottuto buco per l’inferno, cosa avrei dovuto fare??”
“Tornare da me!” grida lei, frustrata, arrabbiata, fuori di se. Le lacrime le riempiono gli occhi e glieli fanno pizzicare, ma le ricaccia indietro. Un dolore lancinante le squarcia il petto e si propaga per tutto il suo corpo.
“Dovevi tornare da me, come hai sempre fatto.”
“Questa volta non potevo.”
Si guardano per un attimo che sembra destinato a non finire mai. Sono così frantumati dentro che questa volta nemmeno rifugiarsi l’uno nell’altra potrebbe aggiustarli. O forse, questa volta non possono aggiustarsi proprio perché rifugiarsi l’uno nell’altra non è la soluzione. Non è quello che vogliono. Sarebbe troppo diverso, adesso. Si è creata una crepa tra di loro che è così profonda da sembrare irreparabile. Sono vicini, ma così distanti l’uno dall’altra, come se fossero su due pianeti diversi.
“Perché?”
“Come ho detto: è complicato.”
Dean si incammina verso la porta, senza aggiungere altro. Le da le spalle, segno che quella conversazione, per ora, è finita lì. Natalie non ribatte, perché sa che se Dean non vuole parlare, non parlerà più. E, ad essere onesti, lei è troppo stanca per continuare una conversazione che le ha già consumato le poche energie che le erano rimaste. Lo guarda chiudersi la porta alle spalle. Quando rimane sola in quella stanza dove risuona ancora l’eco delle loro grida, inizia a piangere. Le lacrime scendono senza sosta, silenziose e calde. Non sa per quanto rimane lì, impalata al centro della stanza, con il viso solcato dalle lacrime, ma sa che si muove solo quando sente il corpo scosso dai brividi di freddo e gli occhi che bruciano. In quel momento, inizia a vestirsi, cercando di non crollare, anche se si sente così debole che è l’unica cosa che vorrebbe fare. Ma non può, non deve. L’unica cosa che deve fare, adesso, è risalire dal buco nero in cui lei e la sua vita sono finite.
Deve riuscire a salvare se stessa, ora più che mai







(*) Kill Bill, Quentin Tarantino - Vol. I (2003) & Vol. 2 (2004)

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Capitolo 2
*** 2. ***


Scende le scale verso le sette di sera. Si è vestita il più velocemente possibile, indossando un paio di jeans e una felpa nera lunga, di quelle che sul davanti hanno una tasca unica. Ha legato i capelli ramati in una treccia morbida che tiene di lato, dalla quale escono delle ciocche di capelli. Infila le mani nella tasca grossa della felpa e si incammina verso lo studio. Ci trova solo Bobby. Questa cosa, in qualche modo, la rincuora. Non gli chiede dove sono i ragazzi, non vuole saperlo. In questo momento, vorrebbe solo corrergli tra le braccia e farsi abbracciare, come quando da bambina correva da lui dopo aver avuto un brutto incubo. Il vecchio cacciatore la osserva, scrutandola intensamente e le fa cenno di sedersi sul divanetto vicino alla sua scrivania.
“Hai un aspetto tremendo.”
“Dimmi qualcosa che non so.”
Bobby sospira, visibilmente preoccupato. Guarda il viso di Natalie pallido quasi da sembrare grigio, gli occhi stanchi, circondati da profonde occhiaie, il viso scavato, tirato. Vederla ridotta in quel modo gli spezza il cuore.
“Natalie, ti ho lasciato tutto lo spazio di cui pensavo avessi bisogno, ma adesso non posso più stare zitto a guardare. Cosa ti sta succedendo?”
Bella domanda.
Cosa le sta succedendo?
È come se avesse perso se stessa, come se stesse cadendo giù da un aereo senza paracadute e avesse la consapevolezza che lo schianto è sempre più vicino.
È sempre stata una donna forte, oserebbe definirsi anche indipendente, combattiva. Ha sempre cercato di trovare le energie per riuscire a combattere ogni sfida che le capitava davanti. Sempre con grinta. Se la vita colpisce, devi colpire più forte – era quello che si diceva. L’ha sempre presa a pugni, quella spocchiosa. Sempre. Anche quando le faceva gli occhi neri, anche quando la metteva a dura prova. Lei si rialzava, combatteva e usciva vincitrice. Fino alla sfida successiva. Fino al round successivo. Non mollava mai.
Ma poi la Vita ha deciso di mostrarle chi è che comandava, che per quanto Natalie reagisse, rimaneva lei quella più forte.
Le ha fatto vivere l’esperienza di Dean all’Inferno, la (quasi) Apocalisse, la risurrezione di Lucifero, la Guerra Celeste, Angeli contro Demoni che si uccidono e coinvolgono l’umanità come se altro non fosse che un insieme di pupazzetti sacrificabili, inferiori a tal punto che se muoiono  è anche meglio. Sono usciti vincitori da questa guerra, ma a quale prezzo? Hanno perso membri importanti della loro famiglia e quelli che sono ancora in vita sono danneggiati a tal punto da essersi persi in loro stessi. Nessuno dei vivi si riconosce più in quello che era prima che questa battaglia incombesse.
“Non lo so.”
Bobby continua a guardarla, in attesa che lei vada avanti, che almeno provi a dire qualcos’altro. Ma Natalie tace, non sapendo cosa aggiungere.
“Nat, ascolta. So che è stato un periodo tosto: le nostre battaglie, aver visto morire persone a cui volevamo bene, Sam che va all’Inferno, Dean che sparisce senza dire niente e ora questo casino dei mostri che decidono che è arrivato il momento di diventare più feroci. Le cose che abbiamo vissuto, farebbero andare fuori di testa chiunque, ok? Ma siamo sempre riusciti a uscire da qualunque situazione incasinata. Ci riusciremo anche questa volta. Ci riuscirai anche questa volta. Sei più forte di quanto credi.”
Si alza dalla scrivania per dirigersi verso di lei. Si china su Nat e le da un bacio sulla fronte.
“Sta’ tranquilla, bimba.”
Nat annuisce, poco convinta.
“Per quanto riguarda quei due zucconi, so che sono state fatte determinate cose e non voglio entrarci. Ma cercate di risolvere la cosa, va bene?”
Natalie annuisce di nuovo, come se improvvisamente non fosse capace di articolare alcun suono. Guarda Bobby uscire dalla stanza.
“Ti ho lasciato tutta la documentazione sulla scrivania. Dacci una letta, almeno ti aggiorni sul caso.”
Il vecchio cacciatore si chiude la porta alle spalle, lasciandola sola nello studio.
Natalie inizia nuovamente a piangere.
Non si è mai sentita così persa in vita sua.
Si asciuga le lacrime con rabbia, provando quel familiare senso di debolezza che inizia a stancarla, e comincia a leggere ciò che le ha lasciato Bobby.
Legge del Purgatorio e di qualcuno chiamata “la madre di tutte le cose” senza che si specifichi bene a chi è riferito. Vede un’annotazione al lato della pagina e riconosce la scrittura di Bobby: Vampiro Alfa.
Chissà che vuol dire.
Si appunta mentalmente di ricordarsi di chiedere spiegazioni per quella nota.
Va avanti: continua a leggere in quel libro di creature mostruose e letali, del risveglio della loro ferocia latente, rinforzata solo dalla presenza di questa Madre che, a quanto pare, è una creatura antica, potente, malvagia e, per loro sfortuna, immortale. Niente  può ucciderla. O scalfirla. Sembra che sia destinata ad essere liberata, ma non spiega né come, né chi può farlo.
Le informazioni che seguono in quella pagina, non sono per niente rassicuranti. Le storie che parlano di questa Madre sono confuse e non la descrivono mai, non danno informazioni su come possa essere fisicamente, o che caratteristiche abbia, dicono solo che ha un potere immenso e che è destinata a tornare.
Perfetto.
Questa Madre è destinata a tornare dal Purgatorio.
Chi la vuole fuori, probabilmente, sono i mostri. Sapranno sicuramente che la loro potenza aumenta con la Madre nelle vicinanze, dunque vogliono farla uscire. Ma come?
Cerca nel libro per vedere se c’è un rito o un incantesimo da seguire, ma lo stomaco che brontola la distrae dai suoi ragionamenti. Guarda l’orologio appeso al muro e nota che sono quasi le otto. Ora che ci pensa, è da stamattina che non mangia. Decide di andare a preparare qualcosa da mangiare: si lavora meglio con lo stomaco pieno.
Esce dallo studio e si dirige in cucina. La trova vuota. Chissà dove sono andati tutti. Apre il frigo e lo trova quasi completamente vuoto. Se Bobby fosse nelle vicinanze, gliene direbbe quattro: possibile che se lei non c’è, la spesa non viene fatta?
Scuote la testa.
Osserva cosa offre il frigorifero.
C’è del prosciutto e della mozzarella, una cipolla – che emana un odore terribile – una scatola di formaggio spalmabile che ha iniziato a fare la muffa e tanta, tantissima birra.
Sospira, rassegnata.
Afferra prosciutto cotto e mozzarella e si mette a cercare delle patate. Magari ce ne sono rimaste alcune e può farci una tortina salata.
Guardando nella dispensa, con sua grande sorpresa, ne trova alcune in ottime condizioni, così si mette all’opera. Prende una pentola e la riempie d’acqua, poi la mette sul fuoco. Mentre aspetta che l’acqua bolle, inizia a sbucciare le patate. Taglia la buccia con precisione e riflette su ciò che ha letto riguardo alla Madre e a quell’annotazione sul Vampiro Alfa che non le è molto chiara. È così immersa nei suoi pensieri che quando qualcuno si appoggia al piano cottura, vicino a lei, sussulta.
“Sei così tesa?” domanda Sam al suo fianco. Ha le braccia incrociate al petto, fasciate dentro ad una delle sue solite camice a quadri, aperta sopra ad una maglietta grigia. Il suo viso porta delle ferite qua e là, sulle guance e sulla fronte, che stanno guarendo. Come quelle che aveva Dean.
“No. Pensavo di essere sola, tutto qui.” Alza le spalle e torna a concentrarsi sulla buccia delle patate. Sam non perde un minimo movimento. Natalie sente i suoi occhi addosso e quella sensazione le fa mancare il respiro. La soffoca. Teme che la vicinanza di Sam possa essere fraintesa, ora che tutti sanno cosa è successo tra di loro. Porta gli occhi su di lui che la sta guardando come ha sempre fatto da quando è tornato, carico di quel desiderio bruciante e impellente. Sam allunga una mano verso di lei per spostarle dietro l’orecchio una ciocca di capelli, uscita dalla treccia. Natalie rimane immobile. Quando la mano di Sam scende fino alla guancia di Nat, però, la donna si sottrae a quel contatto. Sam assottiglia gli occhi e curva la testa di lato, perplesso da quella reazione.
“Perché?”
Stessa domanda, fratello diverso.
Si sente come in uno di quegli squallidi romanzetti rosa dove la protagonista femminile, per le più disparate cause, salta da un fratello all’altro senza la minima dignità. Improvvisamente, si sente disgustata da se stessa.
Nonostante tutto, però, quella domanda la spiazza: le pare piuttosto ovvio il perché non vuole essere toccata da Sam in quel modo, ma la cosa che la sorprende di più è il fatto che lui si comporti come se non fosse cambiato niente rispetto a mesi fa, quando senza che venisse detta una parola, avevano smesso di passare la notte insieme. Dopo che Sam aveva fatto quella domanda fatidica, infatti, come se avesse reso concreta la cosa anche alla luce del giorno, Natalie non era più riuscita ad andare avanti. Era come se fosse arrivata al limite. Aveva capito che non riusciva più a stare con lui in quel modo ed erano tornati a cacciare insieme e basta, come se tra di loro non fosse mai successo niente. Sembrava che a Sam andasse bene. Perché adesso si comporta così?
“Non vuoi più perché lui è tornato? Appena questa storia sarà finita, Dean tornerà da Lisa e ti lascerà sola di nuovo. Cosa farai, allora, tornerai da me?” Il suo tono è così sprezzante che Natalie fatica a collegarlo a Sam, come se non lo vedesse capace di usare un tono simile con lei. Ma poi, riflette su cosa ha fatto Sam nell’ultimo anno e allora non si stupisce nemmeno più di tanto. È così diverso da fare paura. Come se non avesse dei sentimenti, come se non provasse nulla se non gli impulsi dettati dall’istinto. Il vecchio Sam non avrebbe mai parlato di suo fratello in questo modo, così come non si sarebbe rivolto a lei con quel tono. Ma il vecchio Sam è andato. Perso.
“Chiudi quella bocca, Sam. Tra di noi c’è stato qualcosa che non si ripeterà più. Tutta questa faccenda è andata anche troppo oltre e io sono stanca di cercare di evitarla. L’unica da cui tornerò quando tutto questo sarà finito, sarà me stessa.”
Sam alza gli occhi al cielo, come se quella conversazione non gli importasse veramente. Si china su di lei, all’altezza del suo orecchio per sussurrarle: “Quando sarai con te stessa, e sarai stanca di stare sola, e magari avrai voglia di fare tutte quelle cose in cui sei tanto brava, chiamami.”
Si rimette in posizione eretta, le fa l’occhiolino e si allontana ancora prima che lei possa rispondere.
Sam è definitivamente andato.
Sam non è più Sam, deve approfondire questa questione. Si preoccupano tanto di riuscire a capire chi sia la Madre, ma hanno un caso molto più grosso da risolvere all’interno di quelle quattro mura.
Sospira.
Deve parlarne con Dean.
Con la testa così piena di pensieri che teme possa esploderle, torna a preparare la cena.

Riuniti intorno al tavolo della cucina, Bobby e i tre ragazzi mangiano in silenzio. Il vecchio cacciatore osserva la scena che ha davanti. È capitato moltissime volte, negli anni, di trovarsi tutti e quattro insieme, ma non è mai capitato che ci fosse un silenzio tale da riuscire a sentire le forchette che urtano contro i piatti. Sono cambiate così tante cose, pensa, che non sembra nemmeno siano più gli stessi ragazzi che, anni fa, si tiravano le molliche del pane per farsi dispetto. Nessuno dei tre alza lo sguardo dal proprio piatto, come se ciò che stanno mangiando sia la cosa che più interessa loro. C’è una tensione così palpabile che sembra aleggi densa come la nebbia. Nonostante si sia promesso di non intervenire, non può più rimanere a guardare quei tre idioti che si distruggono con le loro mani.
“Ok, questa storia deve finire.” Posa la forchetta a lato del piatto e, appoggiandosi sullo schienale della sedia, passa lo sguardo deciso su tutti e tre, che hanno iniziato a guardarlo dopo che ha pronunciato quella frase.
“So benissimo cosa è successo, ok? E capisco come vi sentite, ma c’è una faccenda grossa, enorme, in ballo e ho bisogno che voi tre siate concentrati. Siete dei cacciatori eccezionali e insieme siete i migliori, voglio che siate lucidi, focalizzati su questo caso senza avere altri grilli per la testa.”
“Sissignore.” Si trovano a dire Dean e Natalie, all’unisono.
Bobby annuisce e porta lo sguardo su Sam, in attesa.
“Che c’è?” dice il minore dei Winchester, allargando le braccia e appoggiandosi allo schienale della sedia. “Non sono io quello che ha bisogno di ricordarsi che abbiamo un casino in ballo. Dillo a questi due. Da quando Dean è tornato sembra siano finiti in una depressione immensa. Se questo è lo spirito, tanto vale che ritorni da Lisa, almeno Natalie, non avendolo intorno, sarebbe utile a qualcosa.”
Dean serra la mascella e sbatte un pugno sul tavolo, facendo tremare e tintinnare tutto ciò che è poggiato su di esso, producendo un suono metallico che riecheggia per qualche secondo nella stanza. Quelle parole non appartengono a Sam. Quell’arroganza sfrontata non è tipica di suo fratello, così come non lo è quel tono sprezzante che usa nei confronti suoi e di Natalie. Più passa del tempo con questa specie di nuova versione di Sam, più si rende conto che c’è qualcosa che non va in lui.
“Utile a cosa? Al tuo diletto?”
Sam gli rivolge un sorriso sarcastico.
“Ti brucia, non è vero? Nessuno l’ha obbligata a fare niente, sai?”
“Smettetela, tutti e due. Se non ve ne foste accorti io sono qui, e mi sarei anche rotta le palle di essere vista solo come il giocattolo che vi siete scambiati. Piantatela, o vi prendo a schiaffi.”
Sam porta gli occhi su di lei, arriccia le labbra e poi le distende nuovamente per darsi un leggerlo morso sul labbro inferiore.
“Non sa quanto mi piace quando diventi aggressiva.”
Sembra quasi che si diverta, che la faccia apposta, che voglia provocare delle reazioni nei presenti, come se il suo unico scopo fosse farli andare fuori di testa. O magari qualcuno in particolare: Dean. Ed è proprio quello che ottiene. Il maggiore si alza dalla sedia con una velocità tale che Natalie e Bobby si rendono conto di quello che ha fatto solo quando lo vedono prendere Sam per la camicia, obbligarlo ad alzarsi e attaccarlo al muro, sbattendolo contro ad esso con impeto.
“Cosa c’è che non va in te, eh? Non venirmi a dire la cazzata che sei a posto perché non ci credo. Non più.”
Sam fa schioccare la lingua e alza gli occhi al cielo, ostentando quell’arroganza che sembra diventata così tipica di questo nuovo se.
“Niente, mammina, sto bene.” È così sarcastico che la voce che esce dalla sua bocca, non sembra nemmeno la sua.
Quel comportamento fa uscire Dean di testa. È sicuro che ci sia qualcosa che non va in suo fratello, ha avuto parecchi indizi che glielo dimostrano, nonostante Sam continui a negare.
“Smettila di fare il coglione. So che c’è qualcosa che non va: non dormi, sei freddo come il ghiaccio, distaccato, distante. Mi usi come esca per riuscire a prendere il vampiro e ti fai la mia ragazza. Vuoi dirmi che non c’è niente che non va in te??” grida, fuori di se. Il respiro così affannoso che porta il suo petto a muoversi su e giù con una velocità tale che sembra abbia appena corso una maratona.
Ha i pugni talmente stretti intorno alla stoffa della camicia di Sam che le sue nocche sono diventate bianche, schiuma talmente di rabbia e frustrazione che a tratti il suo corpo è attraversato da un brivido violento, la sua mascella è così serrata che potrebbe dare l’impressione che i suoi denti possano spezzarsi da un momento all’altro, e i suoi occhi sono attraversati da saette che sembrano possano fulminare Sam da un momento all’altro.
“Dimmi la verità o giuro che ti spacco il setto nasale con una testata.”
Occhi negli occhi.
Nessuno dei due teme l’altro.
Sono consapevoli delle loro capacità di combattenti e sanno benissimo quanto siano in grado di infliggere del dolore, se solo vogliono.
Sembra di guardare due leoni che si preparano ad un combattimento che ha tutte le premesse per diventare uno spargimento di sangue.
Non fanno in tempo ad aggiungere altro, perché entrambi vengono distratti dalle mani di Natalie che si infilano in mezzo a loro due e li separano, dirigendoli in parti opposte.
“Adesso basta, voi due.” È Bobby a parlare. “Siete usciti di testa, per caso?” Il suo tono severo riempie la stanza. “Hai davvero usato tuo fratello come esca?” chiede, rivolto direttamente a Sam.
Il cacciatore più giovane annuisce. Impassibile. Nessun segno di rimorso, di pentimento. Nessun segno di niente.
“Sapevo che Samuel aveva una cura.”
“L’avevi vista, prima di vederla usata direttamente su di me una volta che il danno era fatto?” si intromette Dean. Bobby fa cenno a Sam di rispondere a quella dannata domanda.
“No.”
“E se avesse mentito? Ti è mai passata quest’idea nella testa?” grida Dean, puntando un dito contro suo fratello. Se dovesse dare retta al suo istinto, si lancerebbe di nuovo su lui e lo prenderebbe a pugni. Come ha potuto fargli una cosa del genere?
“Perché avrebbe dovuto? Ascolta, forse è vero che c’è qualcosa che non va in me, ok? Mi sento strano anche io, a volte. Ma non avrei mai fatto qualcosa di irrimediabile!”
Dean scuote la testa, fissando suo fratello negli occhi. Sam è diventato una specie di robot, senza nessun sentimento. Tutto logica e azione. Se poi qualcuno rischia di rimetterci la pelle, poco importa, l’unica cosa che sembra contare, per lui, è il raggiungimento dell’obiettivo che si era prefissato. Tutto ciò è troppo. Sente crescere un moto di rabbia dentro di se sempre di più, fino a che la necessità di prendere a pugni qualcosa diventa sempre più impellente.
“Ho bisogno d’aria.”
Non aspetta che qualcuno gli risponda. Non sta chiedendo il permesso. Afferra le chiavi dell’Impala dal tavolino dell’entrata ed esce. I presenti lo sentono  partire a tutta velocità.
Natalie rimane ad ascoltare quel rombo come se fosse il suono del suo rimorso, della sua colpa.
Non può credere di essere una delle cause del litigio di Dean e Sam.
Sa benissimo di non essere l’unico motivo perché Dean è principalmente deluso dal comportamento strambo di Sam nei suoi confronti – così gelido e impassibile da accettare persino l’idea di usare Dean come esca – ma sa che l’idea di lei insieme a Sam gli da fastidio. Sa che è andata ad aggiungersi alla loro lista di problemi. E non potrebbe odiarsi di più per questo. Dean e Sam sono sempre stati inseparabili, sempre uno di fianco all’altro. Hanno avuto le loro liti, ma hanno sempre trovato un modo per tornare l’uno dall’altro. Hanno sempre risolto tutto perché sapevano di poter contare sul loro legame indissolubile, sulla fiducia cieca che hanno l’uno nell’altro. E adesso? Adesso si sono quasi presi a pugni anche per causa sua. Nonostante sia consapevole di non essere l’unico motivo di quello scatto d’ira di Dean, il rimorso le divora comunque le budella a tal punto che sente lo stomaco che inizia a bruciare.
“Io e te dobbiamo parlare, ragazzo.” Afferma severo Bobby, l’indice puntato su Sam. Il cacciatore annuisce senza mostrare nemmeno un segno di preoccupazione, quasi come se Bobby gli avesse proposto di fare i biscotti.
I due escono dalla cucina per dirigersi nello studio di Bobby.
Rimasta sola, Natalie inizia a sistemare la cucina e a lavare i piatti.
Si sente una voragine nel petto che diventa più grande ogni giorno che passa, ogni minuto che passa. Sente il peso di quella situazione soffocante sulle spalle che la schiaccia a terra come se dovesse sostenere tutto il peso del globo, proprio come Atlante.
Sospira.
Ancora.
Non fa altro che sospirare.
Continua a lavare meccanicamente i piatti, ad asciugarli e a sistemarli nella credenza. Ci mette circa venti minuti a sistemare l’intera cucina, poi si dirige in camera sua, in silenzio, con tutta l’intenzione di provare a dormire. Anche se sa già che sarà tutto inutile.


Sapeva benissimo che avrebbe passato la notte in bianco, e così è stato. Mentre si prepara, Natalie pensa che forse dovrebbe iniziare a prendere dei tranquillanti, o dei sonniferi, giusto per recuperare un po’ il sonno perduto. Si guarda allo specchio: il suo viso è così sciupato che sembra invecchiata di almeno cinque anni. Distoglie lo sguardo dal suo riflesso e si incammina verso il suo armadio, dove estrae un paio di jeans chiari che indossa subito e una canottiera bianca, lunga, larga e aperta ai lati. Le piacciono fatte così, sono comode e lei può muoversi in tutta libertà. Si dirige in bagno, dove torna a guardarsi allo specchio: si sciacqua il viso, si lava i denti e decide di curarsi un po’. Si da la crema sulle guance, sul naso, intorno agli occhi, massaggiando bene fino a che non è assorbita del tutto. Prende dalla trousse l’eyeliner e si traccia una riga sottile sopra agli occhi e conclude dandosi un po’ di mascara. Almeno adesso non sembra più una morta che cammina.
Esce dalla stanza dopo aver afferrato uno spolverino nero di lana ed averlo indossato. Scende le scale in silenzio, per non disturbare nessuno. Il fatto che siano le cinque e mezza della mattina e lei sia sveglia, non vuol dire che deve fare rumore. Infila le scarpe – un paio di converse nere, basse – e dopo aver preso la borsa accuratamente riempita di portafoglio, chiavi della macchina, documenti e qualche arma contro i mostri (il suo coltellino d’argento e l’acqua santa) esce di casa, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.
Quando sale in macchina, non sa bene dove sia diretta, l’unica cosa che sa è che ha bisogno di stare un po’ tranquilla, provare a scacciare per un attimo quella sensazione di pesantezza e angoscia che le circonda il cuore. Magari potrebbe girare in auto fino a che non trova un posto che le trasmette un senso di pace. Anche se non sa dove potrebbe trovare un posto simile, a Sioux Falls. Forse l’idea migliore è andare in biblioteca a vedere se hanno qualcosa sulla Madre. Soddisfatta di quella trovata, inizia a guidare in direzione della biblioteca, anche se ha la certezza che dovrà aspettare un bel po’ prima che apra. Ma troverà sicuramente un modo per ingannare il tempo.

Alla fine, in biblioteca c’è entrata, ma non nel più legale dei modi: diciamo proprio che è entrata dalla finestra sul retro, quella bassa che altro non è che la finestra dello scantinato dell’edificio. È una cosa che ha imparato da Bobby. Anche lui è entrato così, parecchie volte. Una volta dentro, dopo aver cercato di fare meno rumore possibile, si addentra per i corridoi. Quando arriva al piano terra, inizia a muoversi silenziosa per gli scaffali, cercando qualche libro sul folklore, la religione e le leggende antiche. Afferra cinque tomi delle dimensioni di un mattone e si mette a sfogliarli in un angolo dell’immenso salone pieno di tavoli della biblioteca. C’è talmente silenzio che riesce persino a sentire il rumore del proprio respiro con le orecchie. Cerca tra quelle pagine qualcosa di nuovo, qualcosa che non sia scritto sui libri di Bobby. Non trova granché, se deve essere onesta. E rimanendo sempre sull’onestà, ci rimane anche un po’ male. Pensava di riuscire a trovare almeno qualcosa di nuovo, di utile, qualcosa con cui riuscire a definire questa Madre. Delusa, chiude l’ultimo libro e cerca il cellulare per guardare che ore sono: le otto. Tra meno di mezz’ora la biblioteca aprirà ufficialmente al pubblico. Si alza dalla sua postazione nascosta e sistema tutti i libri al loro posto, poi si dirige verso il seminterrato ed esce dalla finestra, incamminandosi in un secondo momento alla macchina.
Quando si mette al posto di guida, le torna in mente, come un flashback, il frigo vuoto. Con il trambusto che c’è stato la sera scorsa, se l’era dimenticato, così mette in moto e si dirige verso il supermercato.

                                                                                                             ***

Dean guarda fuori dalla finestra della cucina, il sole gli accarezza il viso e gli fa stringere leggermente gli occhi, ma nonostante questo, non li copre. Gli piace sentire il calore dei raggi sulla pelle. Porta alla bocca la tazza piena di caffè che tiene in mano e ne beve un sorso.
Sono le nove e mezza della mattina e il caffè è l’unica cosa che è rimasta in casa.
Riflette.
Continua a tenere lo sguardo fisso fuori dalla finestra, concentrandosi sulle macchine che riesce a vedere da quell’angolazione.
Ripensa alla sera precedente. Quando è tornato dal suo giro serale, era notte fonda e tutti erano nelle loro stanze. In un certo senso, il fatto che non ci fosse nessuno ad aspettarlo, l’ha fatto sentire più sollevato: non avrebbe avuto la forza di discutere con nessuno della sua fuga.
C’è questo pensiero fisso nella sua mente, questa sensazione che Sam sia cambiato, che non sia lui. Ma sa benissimo che apparentemente quello è Sam: Bobby ha fatto tutti i controlli. Deve esserci qualcosa che gli sfugge, però, ne è certo. Altrimenti non si spiega questo radicale cambiamento in suo fratello.
Beve un altro sorso di caffè.
Forse, ciò che non va in Sam non può essere percepito dagli umani, forse ha bisogno di un aiuto angelico per capire cosa c’è di sbagliato in Sam.
Sospira.
Si massaggia le tempie e poi le palpebre. Quanto avrà dormito, stanotte, due ore? Sente tutto il peso della stanchezza sugli occhi. Lava la tazza e la mette al suo posto.
L’idea di chiedere aiuto a Cas diventa sempre più concreta nella sua mente, ma vuole prima parlarne con Bobby e .. si, con Natalie. Hanno i loro problemi, ma lei gli ha sempre consigliato per il meglio. L’unica cosa che deve sperare è che scelga di stare al suo fianco anche in questa occasione, anche se non si meriterebbe proprio di averla dalla sua parte.
Il suono di un clacson lo scuote dai suoi pensieri. Guarda fuori dalla finestra e riconosce la jeep azzurra di Natalie.
Esce di casa e le corre in contro. Nat ha parcheggiato vicino all’Impala e Dean rimane per un attimo a osservare le due auto, così in contrasto tra di loro che quasi le trova buffe, accostate così. Anche se non è la prima volta che quelle due auto sono parcheggiate in quel modo.
“Ehi, hai intenzione di fissare il nulla o sei venuto a darmi una mano?”
La guarda.
Natalie, i capelli  lisci slegati, mossi dal vento leggero e colpiti dai raggi del sole che accende quel rosso già di per se intenso come le fiamme del fuoco, gli occhi puntati su di lui, in attesa di una risposta. Ha sempre amato i suoi occhi, come il resto del suo viso, come ha sempre amato lei. Grigi come la più apocalittica delle tempeste, intensi, profondi. Occhi che gli hanno sempre letto l’anima. Si sentiva disarmato, sotto al suo sguardo. Come se lei gli leggesse dentro, come se lo capisse meglio di quanto lui riuscisse a capire se stesso.
“Dean?”
Scuote la testa e si incammina verso di lei, a passo svelto.
“Si, da’ qua.” Afferra le due borse della spesa, colme fino all’orlo, che lei gli passa. Quando le loro mani si sfiorano involontariamente, i loro cuori iniziano ad accelerare in maniera innaturale ed entrambi, mentalmente, si danno degli imbecilli: nemmeno avessero dodici anni e fossero alle prese con la loro cotta.
Dean si incammina il più in fretta possibile verso casa. È ancora arrabbiato, è ancora spaesato dalla situazione che sta vivendo – sia con Sam, sia con Nat, e la consapevolezza che sia stata con suo fratello quasi lo ossessiona – ma nel tragitto tra la macchina e la casa, non può trattenersi dal pensare a come sarebbe la loro vita se non fossero cacciatori. Probabilmente, portare le borse della spesa in casa avrebbe tutto un altro significato. Probabilmente sarebbero piene di tutte quelle cose necessarie a Natalie per fare i dolci: lei ha sempre sognato di fare la pasticcera, di fare quelle torte a tre piani, o le crostatine con la crema e la frutta a pezzi sopra, che lui adora – ha tradito la sua adorata crostata di mele con quelle parecchie volte, se deve essere sincero. Natalie ha sempre amato cucinare dolci, ne faceva di tutti i tipi, appena aveva tempo, e usava sempre lui come cavia.
Dean, ho trovato una nuova ricetta: è una specie di plumcake con la farina di castagne e il cioccolato!
Era sempre così euforica che lui non poteva fare a meno si lasciarsi contagiare dal suo entusiasmo.
Potrei aggiungerci un tocco mio, tipo, che so, metterci la glassa sopra o tritarci dentro pezzi di castagne!
Potresti, si.

Batteva le mani, come una bambina che ha appena ricevuto una caramella e iniziava a parlare di come avrebbe potuto strutturarla, se farla tonda, o quadrata, o come una ciambella, o direttamente lunga come un vero plumcake.
E poi ovviamente, dovrai assaggiarla!
Mi farai diventare duecento chili a forza di mangiare i tuoi dolci!
Però mentre ti strafoghi non ti lamenti mai!

Incrociava le braccia al petto e alzava un sopracciglio. Lui rideva, si avvicinava a lei e le metteva le mani sui fianchi.
Hai ragione.
Lei sorrideva e lui le baciava la fronte.
Adorava quei momenti, dove potevano parlare di cose normali senza dover tirare fuori mostri, leggende, demoni, dove potevano essere normali.
“Dean, in macchina ce ne sono altre due.” La voce di Natalie lo distrae dai suoi pensieri. È entrato in casa e ha appoggiato le borse sul tavolo senza nemmeno rendersene conto.
“Certo, vado io. Tu sistema, se devi mettere la roba al suo posto.”

Dean, con le borse della spesa in mano, è sulla soglia della cucina e guarda Natalie intenta a sistemare il cibo, dentro alle altre borse, al suo posto. Osserva ogni suo movimento, la vede muoversi esperta in quella stanza, sapendo perfettamente “cosa” va “dove”. L’ha sempre fatto. La cucina è sempre stato il suo regno, un po’ perché c’è naturalmente portata, un po’ perché essendo cresciuta con un uomo – e poi successivamente anche con lui e Sam – ha dovuto imparare in fretta a cucinare, dal momento che loro sono completamente negati.
Una volta, aveva deciso di farle una sorpresa: farle trovare la cena in tavola. Lei era impegnata in un caso e Dean sapeva per certo che sarebbe tornata a casa troppo stanca per fare qualsiasi cosa. Voleva sorprenderla. Voleva prendersi cura di lei con quel piccolo gesto, così come Nat faceva con loro. Voleva farla sentire coccolata. Ma nonostante tutte le sue buone intenzioni, aveva finito per bruciare tutto e ordinare una pizza. La cosa bella è che Nat aveva apprezzato lo stesso. A lei bastavano le piccole cose per essere felice.
Questo ultimo pensiero lo colpisce profondamente insieme alla consapevolezza che, andandosene, deve averle provocato una sofferenza tremenda. Quando era con Lisa, cercava di pensare a Natalie il meno possibile, invano. Ogni attimo, Nat era nei suoi pensieri e la sua mente andava in direzioni in cui lui non voleva che andasse: cosa starà facendo? Mi perdonerà mai per quello che ho fatto? Dovrei chiamarla? Dovrei darle almeno una spiegazione?
Certo che avrebbe dovuto.
Ma come ha detto a Nat, è complicato.
C’è un motivo per cui se n’è andato. E all’inizio, gli sembrava un motivo più che valido. Adesso, vedendo come sono andate le cose, sentendo che tra di loro sono cambiate così tante cose in così poco tempo, non ne è più tanto convinto.
Il solo pensiero che lei sia lì, a pochi passi di distanza da lui, ma non sia effettivamente con lui, lo divora dentro. La sente distante, come se l’avesse lasciata su un’isola che non riesce a raggiungere, ma che può solo limitarsi a guardare da lontano.
La vede, ma non la sente, non la percepisce. Come se fosse intrappolata dentro ad una campana di vetro. E la cosa peggiore è che dentro quella campana ce l’ha messa lui.
La catastrofe l’ha iniziata lui, andandosene.
“Quelle puoi appoggiarle sul tavolo, non serve che le tieni in mano.”
Scosso dalla sua voce, Dean si avvicina al tavolo e ci appoggia le borse. Natalie inizia a guardarci dentro, i capelli che sfiorano il bordo del sacchetto e le mani che pescano il contenuto una cosa alla volta. Fluttua in quella stanza quasi come se stesse danzando, da destra a sinistra senza fermarsi mai.
“Vuoi che ti aiuti?”
Lo facevano, a volte.
Mettevano a posto la spesa insieme ed ogni scusa era buona per fare in modo di sfiorarsi, per rubarsi baci appena si trovavano vicini, per ridere insieme di battute pessime, – ma chi se ne importa se una battuta è pessima, quando l’unica cosa che ti interessa è veder spuntare un sorriso sul viso della persona che ami? – per iniziare discorsi senza ne capo ne coda.
“Se vuoi.”  Nat non lo guarda neppure, si limita solamente a fare spallucce.
È così diverso, adesso.
In questo momento, si muovono in cucina senza toccarsi, nemmeno per sbaglio. Lei sistema le cose nella dispensa, Dean nel frigo. Non si guardano. Camminano meccanicamente, sistemando tutto al proprio posto. C’è silenzio. Un dannato, insopportabile silenzio. Dean non lo regge. Forse il silenzio è una delle cose che più gli fa male. Non sentire la sua voce, sapere che lei non ha il desiderio di parlare con lui, di condividere con lui ciò che pensa.
Ha sempre amato la sua voce, il suo modo di parlare, di ragionare. L’ascolterebbe per ore parlare di qualsiasi cosa ed è una cosa che faceva spesso. Ascoltarla. Sentire il suono della sua voce che, come la più melodiosa della musiche, riempiva l’aria dei suoi pensieri, delle sue osservazioni.
Ora, l’unica cosa che c’è è un assordante, pesante, soffocante silenzio. Giusto per evidenziare quanto lei sia lontana.
Odia tutto questo.
Vorrebbe tornare indietro e cambiare tutto.
Ma non può.
Il danno è stato fatto.
“Dobbiamo parlare di una cosa.” Dice lei, rompendo quel mutismo nato tra loro. Non ha parlato forte, anzi, la sua voce era poco più di un sussurro, ma sono stati talmente tanto in silenzio che quel suono ha spezzato l’aria come un grido, come se avesse conficcato una lama dentro ad una lastra di ghiaccio.
Dean la guarda, attendendo che prosegua. Non vuole farle domande di cui poi potrebbe pentirsi.
“Sam.” Continua lei.
E in quel momento, Dean deve mordersi la lingua per non esplodere in un urlo dettato da una gelosia bruciante che solo in quel momento si rende conto di provare.
Solo quando quel nome esce dalle labbra della ragazza si rende conto di essere divorato da quel sentimento che è così acuto da essergli estraneo. Non l’ha mai provato in maniera così esagerata. È sempre stato possessivo nei confronti di Nat, ma mai in maniera invasiva, anzi cercava sempre di trattenersi per non farla sentire soffocata da questo lato del suo carattere, ma adesso ciò che prova è una cosa nuova, che quasi non gli appartiene. Una gelosia che parte dalle sue viscere e cammina prepotente, dando fuoco a tutto il suo corpo. Improvvisamente, immagini di lei e Sam insieme gli attraversano la mente. Suo fratello che la bacia, che la stringe, e lei che invoca il suo nome. Tutto ciò altro non fa che alimentare quel fuoco morboso dentro allo stomaco, che lo brucia e lo consuma. L’idea che Nat possa amare qualcun altro, desiderare qualcun altro, lo tormenta a tal punto che sente quasi di essere divorato da questa sensazione, alimentata dall’ossessione fissa di Nat insieme ad un altro uomo, insieme a Sam.
Ma poi, si rende conto che tutto ciò non sarebbe successo se lui non se ne fosse andato e allora, quella bestia che lo consuma, che sembra altro non brami che divorarlo, che lo corrode, si attenua, la gelosia morbosa e bruciante inizia a spegnersi e la razionalità prende il controllo, ricordandogli che tutto ciò è la conseguenza di una sua azione.
“C’è qualcosa che non va in lui.”
“E l’hai notato prima o dopo esserci andata a letto?”
Pessima uscita.
Tremenda.
È come se il suo istinto, il suo cuore ferito e sanguinante, avessero preso il sopravvento sulla quella parte razionale di se che gli aveva impedito di fare domande del genere fin’ora e che aveva preso il controllo poco prima, evitando di farlo esplodere. Ma Dean non è razionale, Dean è impulsivo. Prima fa e poi pensa. E in questo caso, prima spara domande e poi se ne pente.
Quell’uscita ha l’effetto che potrebbe avere la benzina gettata sul fuoco. Gli occhi di Natalie si illuminano di un bagliore freddo, astioso.
“Hai intenzione di tirare fuori l’argomento ogni volta che pronuncerò il nome di Sam? Te l’ho già detto: non sei nella posizione di giudicare. Ho fatto le mie scelte e tu hai fatto le tue.”
“Lo so. Non vuol dire, però, che sia disposto a fingere che non sia mai successo.”
Nat incrocia le braccia al petto e alza gli occhi al cielo, visibilmente irritata da quella frase.
“Nemmeno io ero disposta a prendermi cura di Lisa e Ben, quando li hai portati qui, ma l’ho fatto. Trovarmi faccia a faccia con lei era l’ultima cosa che volevo, ma indovina un po’? L’ho fatto. Quindi vedi di sforzarti, almeno per ora. Quando questa questione sarà risolta, risolveremo la situazione tra di noi.”
“Perché non la risolviamo subito? Così possiamo essere concentrati sul caso. Perché non inizi a dirmi il motivo per cui sei stata con lui?”
Si avvicina, fa un passo verso di lei, deciso. Inchioda i propri occhi nei suoi, con tutta la speranza di poter capire qualcosa attraverso le sue espressioni, di poter captare un indizio minimo che lo porti a comprendere perché ha voluto andare con Sam.
Ma l’unica cosa che vede nel suo viso, sono gli occhi ridotti a due fessure per un breve attimo, quasi come se con quel gesto avesse potuto far partire dalle iridi delle piccole saette, destinate a fulminarlo.
“Perché non mi dici il motivo per cui te ne sei andato?”
Dean vorrebbe gridare, urlare fino a squarciarsi le corde vocali. Quella situazione non ha una via d’uscita: lui non vuole parlare di ciò che l’ha portato a fare la scelta che ha fatto e sembra che Natalie non voglia parlare a meno che non sia lui il primo a cedere. Abbassa lo sguardo, incapace di reggere ancora quello di Natalie, così freddo, distaccato.
“Lo sospettavo. Pretendi una spiegazione, ma non me ne vuoi dare una. Siamo ad un punto morto, Dean. Mettiamoci l’anima in pace: per adesso possiamo solo risolvere ciò che ci circonda.”
“Hai ragione.”
La lingua secca, improvvisamente arsa, come se avesse un pezzo di radice coperto di sabbia in bocca. L’ansia che monta percorrendolo in tutto il corpo, stringendogli lo stomaco, la sensazione di vuoto, quell’assenza palpabile di qualcosa che sembra necessario per la sua sopravvivenza, come se qualcuno gli avesse appena strappato il cuore, lo stesso che sente pompare più velocemente del dovuto e che sembra stia per scoppiare. Non sa perché provi queste sensazioni, sa solo che l’ultima cosa che avrebbe voluto al mondo era sentire Natalie lontana, l’ultima cosa che voleva era perderla, ma, in realtà, è proprio quello che è accaduto. Si è spezzato qualcosa tra di loro in maniera così profonda che non ha proprio idea di come fare per ripararlo.
Guarda altrove. Guarderebbe anche dentro al buco del culo di Satana, pur di non incrociare nuovamente lo sguardo gelido di Natalie. Perché non sopporta di essere guardato così da lei.
Lei, che l’ha sempre guardato come se fosse l’uomo migliore del pianeta. Lei, che gli riservava sempre sguardi pieni d’amore e di dolcezza.
Guarda fuori dalla finestra, dove il sole continua a splendere e riflette sulle macchine, come potrebbe fare su un mare d’acqua.
Tira un profondo sospiro e si passa una mano sulla faccia.
Il silenzio è tornato a tormentarlo.
“Che volevi dirmi di Sam?”
Improvvisamente, il bagliore negli occhi di Natalie sparisce, lasciando il posto ad uno sguardo piuttosto neutro, come se avesse la capacità di estraniarsi dalle emozioni che la inondavano fino a qualche istante prima e tornare concentrata su altre questioni.
“Dobbiamo capire cosa c’è di sbagliato in lui.”
Ancora una volta, Dean prova la sensazione che ha sempre provato da quando la conosce: essere capito. Anche se adesso il contesto è estremamente diverso dalle volte precedenti.
“Stavo aspettando che tornassi per parlartene. Ormai l’abbiamo appurato tutti che è diverso, ma Bobby ha fatto ogni genere di test, quindi pensavo che forse ciò che ha non è percepibile dagli esseri umani. Pensavo di chiedere aiuto a Cas. E pensavo anche di chiedere il tuo parere e quello di Bobby.”
Nat ci pensa su, mordicchiandosi il labbro inferiore, tirando una pellicina fino a staccarla.
“Si, mi sembra ragionevole. Sempre che Cas risponda.”
“Che vuoi dire?”
“Le volte che abbiamo provato a chiamarlo, non ha mai risposto. Magari ci sono problemi in Paradiso. Non so.”
“Riproveremo.”
“Già, magari a te da ascolto. Ho pregato per lui così tante volte, in questo anno, che dovrebbero essergli scoppiate le orecchie. Non ha mai risposto.” La sua voce è rassegnata, come se essere ignorata da Cas fosse un’altra delusione da aggiungere alla sua lista. Dean sa quanto lei abbia fede anche se non l’ha mai capita, se deve essere onesto. Nat ha sempre pensato ci fosse un Dio, un Paradiso, degli angeli – è una cosa logica, se ci pensi: se è vero che esistono i demoni, esistono anche gli angeli e magari Dio stesso. Sono come le due facce della stessa medaglia, diceva sempre – e ricorda benissimo come ha reagito quando ha visto Castiel la prima volta: gli è corsa incontro, abbracciandolo e ringraziandolo per aver salvato Dean dall’Inferno. La faccia di Cas era scioccata. Lui, un soldato delle schiere celesti, un servitore di Dio, veniva stritolato da una mortale, un’umana, un essere così insignificante, in confronto alla magnificenza eterna della sua natura angelica. Era una cosa così nuova per lui, ma Dean ricorda anche che dato che Nat aveva manifestato la sua gratitudine, l’angelo l’aveva immediatamente presa in simpatia, era nato un legame tra loro e forse è grazie a Natalie che Castiel ha sviluppato un’idea propria di umanità, non vedendola come il mucchio di scimmie vestite che Uriel vedeva, ma uomini, esseri in grado di amare, odiare, arrabbiarsi, gioire, piangere, scegliere. Gli uomini hanno un’esistenza breve, sono una minuscola, microscopica presenza nella vastità dell’universo, eppure hanno qualcosa che un angelo non potrà mai avere: il libero arbitrio. E Cas ha sempre combattuto per questo. Si è ribellato per avere la sua libertà di scelta.
“C’è sicuramente un motivo per cui non ti ha risposto.”
“Si, sicuramente. Quando hai intenzione di provare a chiamarlo?”
“Ora?”
Nat annuisce.
“Castiel? Sono Dean, ci servirebbe il tuo aiuto.” Mentre parla, tiene gli occhi chiusi, come se quello fosse il suo modo di pregare. Rimane in ascolto senza aprirli per qualche istante, ma quando non sente alcun tipo di reazione decide di aprirli uno alla volta. L’unica cosa che vede è Natalie davanti a lui, con le braccia incrociate al petto che lo fissa, in attesa di qualcosa.
“Qui non c’è nessuno.”
Ma quando fa un giro su se stessa per dare enfasi alla sua frase, nota che alle sue spalle qualcuno c’è ed è proprio Castiel.
L’angelo, vestito del suo solito completo elegante e l’immancabile impermeabile, li fissa con un’espressione concentrata, facendo passare i suoi profondi occhi blu prima su Natalie e poi su Dean. Dopo un’attenta analisi, stringe le labbra, aggrotta le sopracciglia e, dopo aver inclinato la testa da un lato, si trova a dire: “C’è qualcosa di diverso, in voi due. Tra voi due.”
Natalie non crede alle sue orecchie. Guarda l’angelo sorpresa – e forse anche un po’ risentita.
“È la prima cosa che ti viene da dire? Ti ho chiamato tante di quelle volte che ho perso il conto. Dean chiama una volta, una dannatissima volta e tu salti fuori e dici che c’è qualcosa di diverso in noi?” si rende conto solo dopo che ha finito di parlare che la sua voce è più alterata di quanto in realtà avrebbe voluto.
Cas la guarda confuso: “Io volo.”
Natalie rimane spiazzata un attimo da quella risposta, non capendone il significato: “Che cosa?”
“Io non salto fuori, io volo. Raggiungo i posti volando.”
Nat alza gli occhi al cielo, tirando un sospiro: “Cas, era un modo di dire. So che raggiungi i posti volando!”
“E allora perché..?”
“Basta, vi prego. Non è questo il punto!” interviene Dean, trovando quel teatrino decisamente inopportuno, vista la situazione. “Cas, se Natalie chiama, tu rispondi, ok? Adesso, dovremmo parlarti di una cosa, hai tempo?”
L’angelo annuisce.
“Bene, sarà un discorso lungo.”
 
“Sam è tornato? Quando?” Castiel in piedi, al centro della stanza con le braccia lungo il corpo, guarda Dean con espressione confusa.
“Da un anno.”
“E tu non lo sapevi?”
“Certo che no, se avessi saputo..” si blocca di colpo. Se avesse saputo cosa avrebbe fatto? La risposta è piuttosto ovvia: se avesse saputo, sarebbe tornato da lui, l’avrebbe raggiunto immediatamente, allontanandosi da Lisa e Ben. Sembra una cosa così egoistica da dire, soprattutto perché considera Lisa e Ben come la sua famiglia, ma Sam.. Sam è la sua famiglia. Il suo fratellino. La parte bella della vita. Ciò che c’è di buono al mondo.
“Non lo sapevo e basta, ok? Ma è diverso. Così diverso da far venire i brividi. Bobby ha provato qualsiasi cosa, ma non ha reagito a niente. Apparentemente è normale, ma temo che ci sia qualcosa di sbagliato, in lui.”
“Dov’è? Ho bisogno di vederlo.”
Nat, fino a quel momento rimasta in silenzio ad ascoltare Dean che raccontava a Cas gli avvenimenti dell’ultimo periodo, interviene: “Non credo lui debba sapere della tua presenza.”
Cas sposta i suoi occhi color del cielo su di lei. Natalie ha sempre trovato intimidatorio il colore di quegli occhi, così blu da poterci annegare dentro, così profondi da rischiare di perderti dentro la loro vastità. A volte, guardando dentro a quel blu così denso, le sembra di guardare dentro ad un buco nero, come se stesse guardando qualcosa che ha un inizio, ma non si sa se ha una fine, vista la sua immensa intensità.
“Perché?”
“Perché non credo si sottoporrà di sua spontanea volontà a nessun tipo di trattamento.”
“Ha ragione.” Interviene Dean. “Se vuoi vederlo e fare qualsiasi cosa tu debba fare, credo che lui debba essere immobilizzato, o qualcosa del genere.”
Castiel guarda entrambi per un attimo che sembra durare un’eternità. Osserva le due persone davanti a lui, e più li osserva più sente quanto siano diversi, quanto le loro anime siano diverse – sprigionano un’energia diversa: luminosa, ma non abbastanza. Accesa, ma ad intermittenza. Come se ci fosse qualcosa, un evento forse, che le impedisce di brillare come ha sempre fatto.
È come se le loro anime fossero.. scheggiate.
Tutto ciò lo confonde e lo spiazza per un momento. Come hanno fatto a danneggiarsi così tanto? La vita che conducono sicuramente ha contribuito a questo cambiamento, ma c’è qualcosa.. un qualcosa che li turba molto più di aver passato la vita a combattere mostri, ed è quello che ha fatto si che venissero danneggiati.
“Immobilizzatelo, poi chiamatemi di nuovo, tornerò e cercherò di capire cosa c’è che non va.”
Senza lasciare loro nemmeno il tempo per rispondere, l’angelo con un battito d’ali è già svanito nel nulla, lasciando dietro di se il fruscio tipico delle piume che sferzano l’aria.
“Vedo che certe abitudini non le perdi!” brontola Dean, al vento, convinto però che l’angelo riesca comunque a sentirlo.
“Che facciamo?” domanda Nat.
“Troviamo un modo per immobilizzarlo.”
“Sai che quando fai sembrare le cose facili poi non lo sono mai?”
“Generalmente, è vero. Ma ho un piano. Fidati.”
“Quando mai non l’ho fatto?”
Quella frase le esce spontanea. Senza accusa, senza rimprovero. Ma per Dean è come una sassata. Lei si è sempre fidata di lui, anche quando non aveva nessun motivo per farlo. E lui ha sempre vissuto con il terrore di poterla deludere. Cosa che ha fatto, poco più di un anno fa.
Scaccia quel pensiero, deciso a non farsi prendere nuovamente dalla tristezza e si avvia verso lo studio dove si trovano Bobby e Sam, ma una presa stretta sul polso destro lo distrae dalle sue intenzioni. Le dita di Natalie sono intrecciate al suo polso e la donna lo guarda fisso negli occhi. Lui ricambia lo sguardo in maniera interrogativa, aggrottando le sopracciglia e facendo correre i suoi occhi prima sul polso e poi su Nat: “Che stai facendo?” chiede confuso.
“Ho detto che mi fido di te, ma voglio prima sapere cosa hai in mente.”
“Gli dirò che voglio chiarire la situazione di ieri sera.”
“Certo, così rischiamo di ripetere la scena: lui che ti provoca e te che lo attacchi al muro. Non voglio vedervi di nuovo sul punto di prendervi a pugni.”
E in particolare, non vuole rivedere l’espressione ferita di Dean, solcata dalla consapevolezza, ormai priva di ogni dubbio, che suo fratello non è suo fratello. Non vuole vedere la rabbia attraversargli il viso, l’espressione piena d’ira rivolta a Sam, segno palese che qualcosa tra di loro non va – perché in occasioni normali, Dean non guarda mai Sam in cagnesco.
Non sopporta di vederlo così. Non sopporta l’idea che lui soffra, perché sa quanto in realtà questa situazione gli faccia male. Dean vuole suo fratello indietro, ma non sa ancora come fare per farlo tornare. E tutto ciò lo tormenta. Se potesse, Natalie prenderebbe tutto il suo dolore e se ne farebbe carico.  
Dean non dice niente, si limita a guardarla in attesa che lei tiri fuori una soluzione.
“Cos’hai intenzione di fare?”
“Dirò loro che è pronta la colazione, si alzeranno, verranno qui e tu colpirai Sam, poi insieme lo legheremo alla sedia. A quel punto chiameremo Castiel.”
“Semplice e coinciso.”
“E speriamo anche che funzioni.”
“Di solito i tuoi piani funzionano sempre.” Sorride mentre lo dice, ripensando a tutti i piani che Nat negli anni ha tirato fuori al momento giusto, andando sempre a colpire nel segno e salvando la situazione – e le loro chiappe – il più delle volte.
“Ci sono delle corde in garage, andiamo a prenderle.”
Si avviano in silenzio fuori dalla porta, diretti al garage dietro casa.

Camminano in silenzio, fianco a fianco senza nemmeno toccarsi. Il sole della tarda mattina è alle loro spalle e riscalda le loro schiene con un tepore piacevole che si irradia in tutto il corpo, facendo sentire loro una sensazione quasi beata.
Si stanno dirigendo verso il garage e Natalie, mentre è intenta a fissare le loro ombre – la sua decisamente più bassa di quella di Dean – viene colpita da un ricordo che le sembra estremamente lontano, nonostante risalga a malapena alla sera precedente: l’annotazione di Bobby. Sono stati così presi dalla lite tra Sam e Dean, che si sono completamente dimenticati di parlare del caso. Forse Dean sa qualcosa.
“Dean”
Il cacciatore si volta verso di lei, incastrando i propri occhi nei suoi.
Smettono di camminare. Fermi, uno di fronte all’altra con il sole che illumina i loro visi per metà. I raggi incontrano gli occhi di Dean, rendendoli luminosi come due specchi d’acqua, un mare verde baciato dal sole che sembra brillare di luce propria, come una stella.
“Devo chiederti una cosa su un’annotazione di Bobby: ieri mi ha lasciato un libro che parlava di una certa Madre di tutte le cose e a fianco c’era scritto Vampiro Alfa. Sai cosa significa?”
L’uomo distoglie lo sguardo da lei, guardando oltre le sue spalle. Per un attimo, ha sperato che forse, visto che sono soli, avrebbero potuto parlare effettivamente di ciò che accade tra loro. Ma sa che non è così. E odia tutto questo. Odia trovarsi con lei e dover parlare solo di lavoro e non di altro senza finire a guardarsi male, rimproverandosi reciprocamente le scelte fatte in passato. Non ha bisogno di parole, quando sono gli occhi a parlare.
Non ha bisogno di sentirsi dire che l’ha ferita a morte, andandosene, basta che il suo sguardo incontri quello di Nat. Ogni volta che lei alza gli occhi su di lui, ci legge dentro tutta la sofferenza, la rabbia, la frustrazione che prova, ma che tiene ben nascoste dietro ad un muro di mattoni, spesso e alto, eretto per proteggerla, per fare in modo che queste emozioni vengano controllate, vengano tenute a bada. È come se la razionalità avesse tirato su una diga per impedire alle emozioni di venire fuori e inondare tutto. Fiumi di parole legate al guinzaglio dal lume della ragione.
 “Si. Abbiamo scoperto, in un viaggetto in famiglia, che nonno Campbell cattura i mostri alfa di ogni specie. Li interroga.”
“Perché?”
A quella domanda, una ruga si forma decisa tra le sopracciglia di Dean. Un’espressione dura si forma sul suo viso, delineandone ancora di più i tratti marcati. Stringe la mascella e poi le labbra, mostrando le fossette ai lati della bocca, evidenti e profonde.  
“Cosa c’è che ti fa arrabbiare tanto?”
Il suo tono sembra.. preoccupato. È una cosa così strana, viste le circostanze. Ma sarebbe normale in una qualsiasi altra situazione: Natalie si è sempre preoccupata per lui e ha sempre capito cosa provava solo guardandolo.
“Vedi.. Campbell.. lui..” sospira, cercando di mettere da parte la rabbia “..lui prende i mostri e li interroga perché vuole scoprire dove si trova esattamente il Purgatorio, loro vengono da li. La Madre li ha creati e dunque tecnicamente sanno da dove vengono.”
“E perché lo fa?”
“Perché Crowley lo vuole sapere.”
“Tuo nonno lavora con Crowley??”
“A quanto pare, si.  Crowley vuole il Purgatorio perché tecnicamente è vicino all’Inferno: amplierebbe il suo territorio.”
“Ma perché Campbell dovrebbe accettare?”
L’espressione dura formatasi poco prima sul suo viso si scioglie, lasciando spazio ad una tristezza profonda.
“Gli ha promesso che come ha fatto tornare lui e Sam, farà tornare anche mia mamma.”
Il tremolio nella sua voce quando pronuncia la parola mamma fa stringere il cuore di Natalie. D’istinto lo prende per mano, facendo incrociare le proprie dita con le sue per dargli conforto. In quel momento, non le interessa ciò che è successo tra loro perché sa che Dean ha bisogno di lei. Nat sa quanto la sua mamma gli manchi. Sa quanto è dura per lui ogni volta che qualcuno la nomina, o la usa a suo favore contro di loro, come se fosse merce di scambio.
Dean non si tira indietro, anzi. Stringe quella piccola mano, così calda, morbida e delicata. È quasi assurdo pensare che sia la mano di una delle cacciatrici più letali che esistano perché sembra quasi la mano di una creatura celestiale, come se fosse l’angelo custode di cui sua madre gli parlava sempre. Gli angeli buoni che Mary pensava esistessero, non quei cazzoni che in realtà esistono.
“Crowley ha anche aggiunto di darci da fare a scoprire dove sia il Purgatorio, o rispedirà Sam all’Inferno.”
“Quindi è stato lui a tirarlo fuori.”
Dean annuisce: “Anche se deve aver sbagliato qualcosa nel processo di estrazione.” Conclude, con un’amara nota sarcastica.
Natalie gli accarezza con il pollice il dorso della mano.
“Pensiamo prima a Sam, ok? Poi penseremo a Crowley e a tutta questa faccenda della Madre. Un problema alla volta, intesi?”
Dean annuisce, di nuovo. Si limita a questo. Perché sa che non è il momento giusto. Ma se lo fosse, si chinerebbe su di lei e la stringerebbe forte a se, la bacerebbe così intensamente da toglierle il fiato e le direbbe, guardandola dritta negli occhi, che non riuscirebbe mai a sopportare tutto questo senza di lei.
Ma non è il momento giusto.
C’è ancora un muro tra di loro.
Alto. Ma non insormontabile, ne indistruttibile. E forse una piccola crepa inizia già a farsi vedere.


Entrano dentro al garage di Bobby e afferrano le corde più spesse che riescono a trovare dentro ad una scatola per gli attrezzi. Si incamminano nuovamente verso casa senza dire una parola. Sono tornati al silenzio e alla distanza, come se quel piccolo attimo verificatosi tra di loro pochi istanti prima fosse solo un ricordo lontano, qualcosa di estraneo. Quasi come se i due che tenevano per mano non fossero loro, ma una proiezione di loro stessi, prima che tutta questa situazione si verificasse.
Entrano in casa senza fare troppo rumore.
C’è silenzio il che significa che molto probabilmente Sam e Bobby sono ancora nello studio.
Natalie e Dean si scambiano un’occhiata piuttosto eloquente e fanno un cenno d’assenso con la testa.
Natalie si avvia allo studio, mentre Dean rimane in cucina, in attesa.
I passi della ragazza, adesso si fanno più pesanti, come se volesse far avvertire la propria presenza in quella casa a tutti quelli che ci sono dentro. Bussa alla porta dello studio e la apre non appena sente Bobby che le urla: “Avanti!”
Il vecchio cacciatore quando vede il viso della ragazza che fa capolino sulla porta, sorride. Nota che è diversa dalla sera precedente: il suo viso è più colorito, come se una linfa vitale avesse ricominciato a scorrere dentro di lei, ma nota ancora un bagliore opaco nei suoi occhi, come se la luce che li ha sempre caratterizzati fosse ancora spenta, ingoiata completamente dal buio e consumata dalla tristezza intrinseca che ormai sembra vivere dentro di lei da un anno a questa parte.
“Ho fatto la spesa e preparato da mangiare, venite?”
“Certo. Abbiamo bisogno di una pausa.”
Sono entrambi seduti alla scrivania, Bobby con il viso rivolto verso la porta, Sam di spalle. Si alzano dalle loro postazioni per dirigersi verso la porta.
“Cos’hai preparato?” domanda Bobby.
I tre si incamminano, uscendo dallo studio. Il cuore di Natalie accelera non appena Sam mette un piede in cucina, aspettando una mossa di Dean. Poco dopo, infatti, il rumore di qualcosa di metallico che batte contro la testa di Sam, risuona in tutta la stanza, riempiendo l’aria di vibrazioni che rimbombano tra i muri, e il tonfo sordo di Sam che cade sul pavimento fa tremare i piatti dentro alla credenza.
“Che diavolo succede??” grida Bobby, portando lo sguardo su Dean che era rimasto nascosto vicino alla porta della cucina, aspettando il momento giusto per colpire.
Ma il vecchio cacciatore non ottiene risposta perché non appena Sam cade a terra, Dean e Natalie sono su di lui. Dean gli punta un ginocchio sulla schiena, mentre gli tiene le mani bloccate dietro di essa, le braccia di Sam piegate in un modo quasi innaturale per impedirgli di reagire. Il minore dei Winchester sente tutto il peso di suo fratello sul corpo e si sente schiacciato a terra con forza, le braccia iniziano a formicolargli per la scorretta circolazione del sangue. Gli si stanno quasi addormentando. Lancia un grido frustrato: in quella posizione non riesce a muoversi. 
Natalie afferra una sedia e aiuta Dean a far alzare Sam che, nonostante il colpo forte alla testa e lo stordimento provocato da esso, si dimena come un matto con movimento scoordinati e privi di senso. Il minore dei Winchester ha la vista annebbiata a causa della forza del colpo alla testa.
“Mi volete dire cosa cacchio state facendo?” la voce di Bobby è un grido imperioso e furioso, ma che viene nuovamente ignorato dai due cacciatori che continuano a legare Sam ad una sedia. Mentre Dean tiene fermo Sam, Natalie gli gira intorno facendo cinque giri con la corda intorno al torace e bloccandogli poi le mani sui braccioli della sedia. Fa la stessa cosa con le caviglie. Dean e Natalie si allontanano da lui solo quando si sono assicurati di averlo legato saldamente.
“Dovevi colpirlo con una padella?” dice lei, ansimando.
“Non ho trovato niente di meglio!” si giustifica lui.
“Mi volete dire cosa sta succedendo??”
Bobby li guarda in attesa di risposta. Nel suo sguardo non c’è niente che faccia intuire nemmeno una possibilità remota di contraddizione alla sua richiesta.
Nat si trova a deglutire a vuoto: conosce quello sguardo. Di solito la guardava così quando ne combinava una grossa e si metteva nei guai – guai seri, quel genere di guai dai quali solo Bobby riusciva a tirarla fuori.
“Bobby, so che avremo dovuto parlartene..” inizia “..ma è stata una decisione presa in fretta e non c’era tempo di avvertirti..”
Bobby continua a fissarla, ma il suo sguardo si ammorbidisce un po’.
“D’accordo. Ma perché l’avete legato?”
“C’è qualcosa di diverso, in lui.” È Dean a parlare “Lo sai bene anche te, nonostante tu non sappia di cosa si tratti. Ma non posso continuare a guardarlo e vedere una specie di automa privo di sentimenti. Quindi ho chiesto aiuto a Castiel, ha detto che lo vuole vedere. Così per sicurezza, abbiamo deciso di legarlo in modo che non si opponga all’ispezione angelica.”
Bobby sospira. È sollevato, se deve essere sincero. Se Castiel ha risposto forse può aiutarli a risolvere tutta questa situazione di merda in cui si trovano.
“Ha senso.”
“Ha senso???” dice Sam. Il dolore dietro alla nuca gli fa pulsare tutta la testa. “Legarmi e colpirmi con una padella dovrebbe avere senso?”
“Sta’ zitto, Sam.” Di nuovo Dean.
“Chiamalo.” Dice Natalie, guardando verso l’alto.
Dean annuisce, chiude gli occhi e inizia la sua strana preghiera: “Cas, ci siamo. Porta qui le tue chiappe!”
Silenzio. Poi un fruscio e un battito d’ali riempie la stanza, alzando un leggero vento innaturale, vista l’assenza di spifferi, e Castiel compare al centro della stanza, proprio davanti a Sam.
“Cominciamo.” Afferma con una solennità che fa scorrere un brivido lungo la schiena dei presenti. Castiel si avvicina a Sam, guardandolo fisso negli occhi. La determinazione negli occhi dell’angelo così in contrasto con il lampo di terrore negli occhi di Sam, che quasi lo implorano di risparmiarlo a quella procedura: “Cas. Non lo fare, ti prego.”
Quella sua reazione è così diversa dalle ultime avute, pensa Natalie. Quasi come se l’umanità che pensavano Sam avesse perso, fosse riemersa facendosi strada prepotentemente in mezzo alla neutralità glaciale che caratterizzava Sam nell’ultimo periodo. Come se il cacciatore avesse perso la sua freddezza e recuperato un po’ della sua vecchia natura sensibile.
“Natalie, prendigli la cintura dai pantaloni e mettigliela fra i denti.” Ordina Castiel. La sua voce è così perentoria che Natalie si trova ad ubbidire senza farsi troppe domande. Si posiziona davanti a Sam e inizia ad armeggiare con la sua cintura.
Quel gesto turba Dean, che inizia ad avere la mente inondata da immagini che si insinuano nella sua mente, subdole come un virus. Inizia ad immaginare Nat in quella stessa situazione, che armeggia con la cintura dei pantaloni di Sam prima di sedersi a cavalcioni su di lui e fiondarsi sulla sua bocca con urgenza e smania, quasi come se fosse l’unica cosa di cui ha bisogno per vivere e Sam che la stringe a se, abbracciandola e facendo vagare le sue mani sulla schiena della donna, fino ad arrivare alle natiche che stringe con forza.
All’improvviso, sente quella gelosia bruciante che gli monta dentro, salendo sempre più rabbiosa, come un fuoco in una foresta che divampa sempre più violento e si ingrandisce ad ogni metro di terreno che mangia. Quell’immagine, così fervida da sembrare più un ricordo che una paranoia, gli occupa la mente a tal punto che non sente nemmeno Castiel che lo chiama.
Solo quando l’angelo grida il suo nome, allora viene riportato alla realtà.
“Cosa?”
È scosso. La sua voce è disorientata, come se fosse stato catapultato nella realtà dopo aver vissuto un incubo.
“Sei pronto? Sentirà dolore.”
Dean guarda Sam legato alla sedia, la cintura tra i denti, la fronte imperlata dal sudore e gli occhi imploranti. Per un attimo, crede che tutto ciò sia sbagliato, guarda quegli occhi e non riesce a credere che chi adesso lo sta silenziosamente supplicando di liberarlo, di risparmiarlo da quella procedura, sia lo stesso che la scorsa sera l’ha provocato con tanta arroganza, o che l’ha usato come esca con un vampiro. Ma ormai sono arrivati fino a quel punto e devono andare fino in fondo. Abbassa lo sguardo, smettendo di incrociare gli occhi di Sam e poi si rivolge all’angelo.
“Fallo.”
Castiel annuisce e, dopo aver tirato su la manica dell’impermeabile, infila con decisione l’avambraccio dentro al petto di Sam.
Le grida soffocate del minore dei Winchester riempiono la stanza, un lamento profondo tenuto a bada solo dalla cintura stretta tra i denti. Gli occhi di Sam che si riempiono di lacrime, prima di chiudersi forte fino a essere strizzati. Sam tira indietro la testa, poi la porta in avanti di scatto e inizia a scuoterla come se ripetesse un frenetico segno di negazione. I suoi mugolii continuano, mentre Castiel continua a rovistare dentro al suo petto, il suo braccio circondato da una luce rossastra e incandescente.
Per Dean tutto ciò è un’agonia. Per un attimo, si dimentica che c’è qualcosa che non va in Sam e l’unica cosa che vede è il suo fratellino che soffre e per giunta per colpa sua.
Castiel affonda più profondamente il braccio e Sam porta di nuovo la testa indietro, le lacrime scappano dagli angoli degli occhi e gli rigano i lati del viso, scivolando silenziose fino a raggiungere le orecchie.
Dean continua a guardare la scena, con il cuore stretto in una morsa d’acciaio. Gli sembra quasi di sentire i rivoli di sangue che escono dal suo cuore e scendono lenti e caldi, percorrendolo fino alla piccola punta.
Poi tutto finisce.
Castiel ritrae piano l’avambraccio facendolo uscire da Sam con delicatezza.
Il minore dei Winchester rimane seduto sulla sedia ansimando, gli occhi arrossati, il viso coperto di sudore e i capelli attaccati alle guance.
Castiel rimane in silenzio per qualche istante prima di portare i suoi occhi su Dean. Nel suo sguardo c’è qualcosa di così catastrofico che Dean teme il verdetto.
“Parla.” Lo sprona. Sapere è sempre meglio di brancolare nel buio. Qualsiasi cosa sia, troveranno una soluzione. La trovano sempre.
Castiel passa lo sguardo su tutti i presenti, prima di riposarlo su Dean.
“La sua anima. Non c’è più.”  

 

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Capitolo 3
*** 3. ***


È come se fosse diventato sordo. Non sente più niente, solo un fischio lontano. Intorno a lui tutto diventa improvvisamente bianco e sfuocato, come se fosse circondato solo da nebbia spessa. Non reagisce subito, prima passa del tempo a metabolizzare le parole di Castiel.
La sua anima. Non c’è più.
Il panico gli attanaglia le viscere, la preoccupazione che questa volta si trovino davanti a qualcosa di irrimediabile lo assale e improvvisamente è come se avesse dei blocchi di ghiaccio che gli scorrono a fatica nelle vene.
Si guarda intorno e tutto d’un tratto, la stanza torna a prendere colore, forma, mette di nuovo a fuoco le facce dei presenti. Natalie è il primo viso che vede, poi guarda Bobby, Castiel e infine Sam che lo guarda di nuovo con quegli occhi supplicanti e confusi.
“Cosa vuol dire che la sua anima non c’è più, dov’è?”
Si stupisce di quanto la sua voce esca ferma e decisa, senza la minima traccia di ansia, così in contrasto con le reali emozioni che sta provando.
Castiel non risponde subito. Guarda prima Sam poi di nuovo Dean.
“All’Inferno.”
Quella risposta è come una sentenza di morte. Dean si sente soffocare. Gli fa male il petto e una nuova ondata di panico lo assale accompagnata da un crescente moto d’ansia, che sembra infinito. Deve calmarsi. Assolutamente. O non caverà un ragno dal buco. Fa un profondo sospiro, resistendo all’impulso di andare ad attaccarsi alla prima bottiglia di whiskey che trova per tracannarne almeno la metà tutto d’un fiato. Non lo fa, perché sa che ubriacarsi non servirebbe a niente, non risolverebbe la soluzione.
“Bene, vai a prenderla.”
È la prima cosa che gli viene da dire, la più plausibile. Partire con la soluzione più semplice, per vedere cosa succede.
“Non posso.”
“Cosa vuol dire non puoi? Hai tirato me fuori dall’Inferno, ricordi? Puoi farlo anche con l’anima di Sam!”
Castiel fa un cenno di negazione con la testa.
“È diverso. Tu eri all’Inferno, la sua anima è nella Gabbia con Lucifero e Michele. Se entrassi per prenderla, non riuscirei a impedire anche a loro di uscire. Non sono abbastanza potente. E poi, sei sicuro di volerla prelevare? È più di un anno che Michele e Lucifero la stanno usando come valvola di sfogo, hai almeno una vaga idea di come potrebbe essere ridotta?”
“Si, ma non mi importa. Sam ha bisogno della sua anima!”
“Ha davvero bisogno di qualcosa fatto a brandelli?”
Dean fissa l’angelo con decisione: “Si.”
“Ci saranno delle conseguenze tremende per lui, lo sottoporrai ad una sofferenza disumana, se non alla morte. Vuoi davvero farlo?”
Dean rimane in silenzio, pensando alla peggiore delle ipotesi: la morte. Vuole davvero questo per suo fratello, la morte? È disposto a rischiare che arrivi nell’aldilà solo per averlo indietro? Ma la morte non è l’unica soluzione, Sam potrebbe anche riuscire a superare tutto questo e tornare quello che era prima..
“Quante possibilità ci sono che invece possa tornare come prima?”
“Non lo so. È difficile dirlo.”
“Dobbiamo almeno tentare.”
Castiel sospira, le braccia lungo il corpo, le spalle leggermente ricurve, segno che si è arreso alla volontà di Dean. Come sempre. La fedeltà che sente nei confronti di quell’uomo lo spinge a fare cose che non si sarebbe mai immaginato di fare, come per esempio approvare un piano del genere senza battere ciglio più di tanto, o come ribellarsi al Paradiso, rifiutare di scegliere di allearsi con le forze celesti di Michele, o Zaccaria, o Uriel ogni volta che invece, poteva mettersi dalla parte di Dean. Castiel è consapevole che sceglierà sempre Dean, nel bene e nel male. E che si fiderà sempre di lui, che asseconderà sempre le sue decisioni. Anche se non le condividerà sempre, come in questo caso. L’angelo non è sicuro che questa sia la soluzione appropriata. Il rischio di danneggiamento permanente, nel caso in cui Sam non muoia, è altissimo. Ma se Dean ha deciso, lui lo asseconderà. Nel caso dovesse succedere qualcosa, troveranno una soluzione ad un ulteriore problema quando esso si presenterà. Castiel questo ormai l’ha imparato: gli umani, e in particolare i Winchester, cercano soluzioni ai problemi quando si presentano. Inizialmente sono angosciati dall’idea del problema, dalle possibili conseguenze, ma poi scelgono lo stesso di fare quella cosa e, se ci saranno delle conseguenze, le risolveranno quando esse si presenteranno. Non gli sembra un modo saggio di affrontare le cose, sarebbe molto più semplice pensare alle conseguenze prima che esse accadano ed evitare di farle accadere. Ma forse, non ha ancora capito fino in fondo come funziona la logica umana.
“C’è un’unica persona in grado di entrare e uscire dalla Gabbia senza che ci siano conseguenze catastrofiche.”
“Chi?”
“Morte.”  
Il silenzio cala come una scure sulla testa dei presenti.
Nessuno ha il coraggio di parlare per un bel po’, fino a quando Castiel alza gli occhi al cielo, come se avesse sentito una chiamata che solo lui è in grado di sentire. Dean, notando quel particolare, ha portato la sua attenzione su di lui, aspettando che Castiel proferisca parola.
Lo sguardo dispiaciuto dell’angelo fa intuire al cacciatore la sua necessità di dover andare.
“In Paradiso mi stanno chiamando, necessitano la mia presenza.”
“Certo, vai.”
L’angelo lancia un’ultima occhiata a Dean. Se potesse, rimarrebbe con lui e Dean lo sa.
“Informatemi sui vostri piani.” Dice Castiel, prima di sparire lasciando dietro di se solo il rumore delle piume che si alzano in volo.

                                                                                                              ***

La situazione rimane pietrificata per un po’. Natalie sente un nodo allo stomaco, la sensazione di avere qualcosa di pesante su di esso, come un grosso macigno che non riesce a scendere giù e le rimane bloccato lì, impedendole persino di respirare.
Questa situazione è piuttosto grave, forse più di quanto si aspettassero, ma almeno adesso sanno con cosa hanno a che fare.
Ignora momentaneamente la sensazione di oppressione che prova per concentrarsi su Dean. Lo vede guardare Sam, lo osserva dirigersi verso di lui, togliergli la cintura dalla bocca e slegarlo lentamente. Lo fa così lentamente che sembra in trance. Quando ha liberato suo fratello del tutto, si alza in posizione eretta, fa per allungare una mano verso Sam, ma la ritrae quasi subito. Natalie non sa come interpretare quel gesto, visto che Dean non ha mai accarezzato suo fratello, o almeno lei non gliel’ha mai visto fare. Rimane lì, davanti a Sam. Il minore rimane seduto, guardando verso l’alto in direzione di Dean. Sembra che la sua arroganza sia svanita del tutto, lasciando spazio ad un profondo disorientamento. Natalie non sa come interpretare nemmeno questo. Se deve essere sincera, questo cambiamento improvviso di Sam la spaventa.
Dean sposta lo sguardo fuori dalla finestra. Sta pensando.
Si massaggia le tempie e poi preme le dita sulle palpebre. Le spalle tese, il respiro regolare ma non rilassato, quasi come se si stesse sforzando di respirare normalmente. Probabilmente, pensa Natalie, se Dean non si sforzasse di respirare in quel modo, sarebbe in iperventilazione.   
Probabilmente, Dean sta annegando. Probabilmente, vorrebbe riempire i suoi polmoni di una salubre boccata d’aria, ma ogni volta che ci prova, l’unica cosa che entra nella sua bocca, nel suo naso, è acqua. Acqua fredda, gelida, potente, crudele, prepotente, invasiva, letale. Non gli lascia scampo. Lo riempie sempre di più fino a farlo cedere, fino a che non sarà costretto a lasciarsi trascinare giù, nei fondali neri e gelati, dove vivono le carcasse delle navi. Dean è schiacciato dai suoi pensieri come una nave lo è dall’acqua che entra nella stiva e la fa affondare. È un processo lento, ma sai già come andrà a finire non appena inizia: non c’è via d’uscita quando situazioni del genere prendono il sopravvento, si può solo accettare di finire a fondo.
Ma Dean non è una nave. E non è solo.
Gli si avvicina, appoggiandogli delicatamente una mano tra le scapole.
“Dean.” Sussurra così piano che teme possa non averla sentita. Ma quando lo vede aprire gli occhi e voltarsi verso di lei, si rende conto che l’ha sentita, l’ha percepita.
“Sto bene.”
Bugiardo.
I suoi occhi sono lucidi, come se si stesse sforzando di non piangere. Passa i denti sul labbro inferiore, facendolo entrare all’interno della bocca per un secondo e facendolo riemergere subito dopo.
“Hai davvero intenzione di riprendere la mia anima e rimettermela dentro come se niente fosse?” domanda Sam, recuperando un po’ dell’arroganza che nell’ultimo periodo è stata così tipica del suo essere. Si alza dalla sedia, ergendosi in tutta la sua altezza e mettendosi di fronte a Dean. Occhi negli occhi, di nuovo. Come la sera precedente. Natalie istintivamente si posiziona tra i due, senza toccarli. Pronta ad intervenire nel caso arrivino nuovamente alle mani.
“Si.”
Sam si volta verso Bobby, sconvolto: “Diglielo anche tu che è una stronzata, ti prego!”
Bobby, con le braccia incrociate al petto, il cappello pigiato in testa con così tanta decisione che quasi gli nasconde le sopracciglia, si stacca dal muro dove era stato appoggiato fin’ora.
“Non possiamo lasciarti così.” Comincia il vecchio cacciatore.
“Siete pazzi! Siete tutti pazzi!” sbotta Sam, alzando le braccia e iniziando a girare in tondo come un animale selvatico dentro ad una gabbia troppo piccola.
“No. Non se ne parla. Non metterete qualcosa che può uccidermi dentro di me!”
“Rifletti, Sam! Tornerai te stesso. Ricomincerai a dormire, a provare emozioni, a ridere, a fare qualsiasi cacchio di cosa facessi prima!”
Alle parole di Dean, Sam si ferma, smettendo di girare per la stanza con fare irrequieto. Non ha nessuna intenzione di farsi mettere l’anima dentro di se, ma sa benissimo che continuare a porre resistenza non lo porterà da nessuna parte. Deve far credere di volere la sua anima indietro, solo così, quando tutti saranno impegnati a fare in modo che la riceva, potrà trovare un modo affinché, invece, la sua anima rimanga esattamente dov’è.
“Proverò di nuovo emozioni..” sussurra, impegnandosi affinché il suo tono risulti sincero.
Rimane in silenzio e con lui tutti gli altri.
Fa passare qualche minuto, prima di guardare di nuovo Dean con occhi bisognosi d’aiuto, supplicanti.
“Mi manca provare emozioni.” Confessa, cercando di risultare credibile. Fa una piccola pausa, guardando Dean dritto negli occhi: “Facciamolo. Voglio la mia anima indietro.”

                                                                                                              ***

Dean è uscito da quella casa non appena ne ha avuto l’occasione, con la scusa di dover sistemare Baby.
Nat sa benissimo che quella macchina è a posto, e probabilmente lo sanno anche tutti gli altri. Dean voleva solo un momento per riflettere. Il che è strano per Natalie, conoscendo l’impulsività di Dean. A meno che lui non abbia già qualcosa in mente e stia solo metabolizzando la cosa, accettando l’idea che ciò che si è prefissato di fare sia la cosa giusta.
Sarà sicuramente qualcosa di folle.
Nat sospira.
Alza gli occhi dal tomo che sta leggendo, in sala, seduta sul divano con le gambe incrociate. Lei, Bobby e Sam hanno momentaneamente lasciato le ricerche sulla Madre per concentrarsi a trovare un modo per evocare Morte e scendere a patti con lui. Purtroppo, le cose che fin’ora hanno trovato non erano per niente rassicuranti. Cerca di concentrarsi sul libro sulle sue gambe, ma il pensiero torna su Dean.
Lui ha già deciso cosa fare, ne è sicura. E questo la spaventa.
Ricorda benissimo cosa è successo anni fa, quando Sam era stato pugnalato a morte e Dean aveva venduto l’anima. Era stato silenzioso, taciturno, aveva già deciso cosa fare e stava solo aspettando il momento giusto per farlo.
Si passa una mano tra i capelli. Stare qui a rimuginare su Dean e le sue possibili intenzioni non la porterà da nessuna parte. Deve affrontarlo. Chiude il libro e si incammina di buon passo verso l’uscita. Una volta fuori casa, si dirige verso il garage dove entra piano, per non disturbarlo. Appena mette piede dentro al garage, trova Dean sotto l’Impala, sdraiato sopra ad un carrello, di quelli che vanno sotto le auto. Le gambe che sbucano, una tesa, l’altra piegata con il ginocchio rivolto in alto. Si avvicina ancora un po’, piano. Le piace guardarlo lavorare, o almeno sapere che sta lavorando, anche se per metà non lo vede.
Quando è abbastanza vicina, nota che ha la maglietta un po’ rialzata – probabilmente conseguenza dei movimenti con le braccia che sta facendo sotto l’auto – e il suo sguardo ricade involontariamente sulla pancia, dove fanno mostra gli addominali più bassi e la V non troppo marcata che caratterizza il suo ventre.
Scuote la testa, ricomponendosi.
“Dean.” Lo chiama, non a voce troppo alta, per non spaventarlo.
Il cacciatore esce da sotto la macchina facendo scorrere il carrello con le gambe. Ne emerge sudato, macchie d’olio gli colorano di nero il viso in modo disordinato e la maglietta è chiazzata da macchie di sudore e sbavature scure – olio anche quello.
Si alza, facendo mostra della sua altezza. Improvvisamente, Nat si sente più bassa del solito. Indugia sui tratti del suo volto, sulle labbra piene e sugli occhi resi ancora più brillanti dalle macchie scure che sporcano il suo viso. D’istinto, alza una mano per pulirgli una guancia, ma si blocca a metà lasciandola sospesa in aria.
“Che c’è?” chiede lui, strizzando gli occhi con fare interrogativo.
“Niente.” Nat ritira bruscamente la mano. “Sono venuta per chiederti una cosa..”
“Chiedi.” Alza le spalle e afferra un asciugamano, appoggiato sopra al frigo portatile – situato proprio vicino all’Impala –, che usa per strofinarsi le mani sporche.
Nat si passa le mani sui jeans, per asciugare i palmi improvvisamente umidi. Quel gesto non sfugge a Dean che si sofferma sulle sue cosce un po’ troppo, prima di tornare a guardarla in viso.
“Quanto è suicida il tuo piano da uno a dieci?”
Dean non le risponde subito, il che le conferma i suoi dubbi. Lo osserva chinarsi sul frigo, aprirlo ed estrarne una birra. La stappa con fare esperto e se la porta alle labbra. Ne beve un lungo sorso prima di rivolgersi nuovamente a lei.
“Abbastanza suicida.”
Nat lo guarda male, incrociando le braccia al petto.
“Cosa hai intenzione di fare? Intrappolare Morte? Sai che l’unico che ci è riuscito – senza poter subire l’ira funesta e devastante di uno dei Cavalieri dell’Apocalisse – è stato Lucifero, vero?”
“Certo che lo so!”
“Bene!” afferma, agitandosi. Senza rendersene conto, Nat ha iniziato a camminare avanti e indietro, tracciando un solco immaginario: “Perché, non vorrei fare la guastafeste, ma tu non sei Lucifero e non hai la sua potenza! Come credi di poter fare, eh?”
“Ti vuoi dare una calmata?”
Nat si blocca e alza le sopracciglia, guardandolo sorpresa.
Dean porta di nuovo la bottiglia alle labbra, bevendo un sorso di birra con una calma quasi esasperante, prima di risponderle.
“Non ho intenzione di intrappolare Morte. Credi che sia stupido? Il mio piano è un altro.”
“Ah si, e quale sarebbe?”
Dean alza gli occhi al cielo: “Vuoi smetterla di interrompermi?”
Nat si morde l’angolo sinistro del labbro inferiore. Dean prende quel gesto come segno di poter continuare a spiegare.
“Conosco un uomo, il dottor Roberts, che mi può aiutare. Ha curato mio padre un sacco di volte e diciamo che è esperto anche in cose meno.. naturali. Andrò da lui e gli chiederò di uccidermi per cinque minuti, evocherò Tessa, le chiederò di chiamare Morte e, quando lui comparirà, gli chiederò l’anima di Sam in cambio del suo anello.”
Nat rimane momentaneamente in silenzio.
“È effettivamente un piano suicida.” Esordisce, poi.
“Già, ma solo per cinque minuti.”
“E se Morte non volesse ascoltarti?”
“Ho il suo anello, lo userò come merce di scambio. Mi ascolterà.”
Nat arriccia le labbra, riflettendo. Vale la pena tentare. Odia l’idea che Dean rimarrà morto per qualche minuto, anzi, è terrorizzata da questa idea, ma sa che non lo può fermare. Quando si tratta di Sam, nessuno può persuadere Dean dalle sue intenzioni. Però può aiutarlo.
“Bene, verrò con te. E il dottor Roberts farà ciò che deve fare ad entrambi.”
A Dean sfugge una risata sarcastica: “Non pensarci nemmeno.”
“Perché no?”
“Perché non voglio che tu venga nello stesso luogo dove ci sarà Morte! E soprattutto, non voglio tu muoia!”
 Nat abbassa lo sguardo per un momento e poi torna a guardare Dean.
“Nemmeno io voglio che tu muoia. Ti ho già visto morire, ricordi? Non voglio ripetere l’esperienza.” la voce si incrina, l’immagine di Dean dilaniato dal segugio infernale allo scadere del suo anno è ancora troppo vivida nella sua mente, le sue grida le risuonano nelle orecchie, la sensazione di impotenza, la consapevolezza che se ne stesse andando per sempre. Deglutisce per ingoiare la biglia enorme che le si è formata in gola.
“Verrò con te e faremo questa cosa insieme.” Afferma, questa volta con voce più perentoria.
Dean la guarda dritta negli occhi. Quello sguardo le fa sentire le gambe molli e per un momento, si dimentica di tutto. Della Madre, del Purgatorio, di Sam senz’anima, di Crowley che li tiene per la gola, dell’ultimo anno e delle loro scelte che li hanno portati a separarsi. Lui si avvicina, riducendo notevolmente la distanza tra loro e lei non riesce a muoversi, come se fosse incantata, come se le avesse fatto una magia da cui le è impossibile sottrarsi. Le posa una mano sulla guancia, poi scende fino a prenderle il mento con le dita, tra l’indice e il pollice. È un contatto delicato, ma Natalie sente i brividi che le percorrono la schiena e le coprono le braccia. Ringrazia il cielo di avere ancora lo spolverino addosso.
“D’accordo, signorina. Come desideri.”
Gli occhi di Dean percorrono ogni centimetro del viso di Natalie. Il cacciatore resiste al tremendo impulso di accarezzarle il labbro inferiore con il pollice e, invece, dopo aver lasciato la presa sul mento, le scosta una ciocca di capelli dal viso. La vede arrossire lievemente, dopo quel gesto.
“Sai, se non sapessi come stanno le cose, direi che, in fondo, ti importa ancora di me.”
“Indipendentemente da come andranno le cose, mi importerà sempre di te. I miei sentimenti non cambiano.”
“Allora perché sei stata con lui?”
Quella frase spezza la magia, catapultando Nat rovinosamente nella realtà, vomitandole addosso tutti i loro veri problemi. Come ha potuto anche solo pensare che sarebbe stato così semplice? Che bastasse solo uno sguardo per riempire il vuoto cosmico tra di loro?
“Ne parleremo a tempo debito, Dean. Quando anche tu sarai disposto a dirmi perché te ne sei andato.”
Fa un passo indietro, creando nuova distanza tra loro. Ma quel gesto, le strappa il cuore, come se per un attimo avesse di nuovo assaporato cosa vuol dire averlo vicino, sentirlo vicino. Per un attimo, è stato come se i loro cuori non si fossero mai allontanati, come se il loro rapporto non fosse stato squarciato dalle loro scelte. Per un attimo, tutto le è sembrato come sempre. Ma non è così. E adesso, è come se avesse gettato sale su una ferita troppo profonda, troppo aperta, provocando un dolore fin troppo intenso, quasi vivo.
“Fammi sapere quando vuoi partire, ok?”
Si incammina verso l’uscita senza aspettare una risposta, lasciando Dean in mezzo al garage.
“Ok.” Sussurra lui, guardandola dirigersi verso la porta.
Una domanda lo colpisce all’improvviso, anche se è tanto che gli frulla in testa, ma l’ha sempre accantonata.
“Nat.” La chiama. Lei si blocca sulla soglia, una mano sopra alla maniglia della porta. Non si volta.
“Me l’avresti mai detto?” la domanda rimane sospesa nell’aria, echeggiando tra quelle mura, “Almeno questo dimmelo.” Continua, ed è quasi una supplica.
Vede le spalle di Nat incurvarsi, lascia la maniglia e si volta, incrociando i suoi occhi: “Certo, avrei trovato il modo. L’ultima cosa che volevo era nascondertelo. Ma non avrei nemmeno voluto che Sam te lo dicesse in modo, come posso definirlo.. schietto?.. brutale? Sai, ho l’impressione che non abbia cercato di addolcirti la pillola.”
“Ad essere sinceri, è stato Christian Campbell a dirmelo. Poi ho chiesto a Sam se fosse vero e come se niente fosse ha confermato, con tanto di alzata di spalle.”
La mente di Dean viene momentaneamente invasa dal ricordo di lui e Sam vicini all’Impala, proprio la sera in cui Christian aveva sputato il rospo: Dean che domanda a Sam se ciò che gli ha detto Campbell sia vero, l’espressione indifferente di Sam, il suo modo menefreghista di alzare le spalle, come se niente fosse. Come se non avesse appena confessato un torto. Ricorda come si era fiondato su di lui senza pensarci due volte. Se n’erano date di santa ragione. Dio solo sa quante se n’erano date. Avevano ancora i segni sul viso, quando Natalie aveva varcato la soglia di casa. I loro visi colorati da lividi violacei e segnati da ferite che iniziavano a rimarginare. Probabilmente, se dovesse descrivere il colore della discordia sarebbe il viola, come quello dei lividi – gli unici inconfondibili segni che se hai fatto del male, è perché volevi farlo, perché c’erano delle circostanze che ti hanno portato a voler colpire quella persona. Non sa a che colore potrebbe associare il perdono, invece. Non sa bene nemmeno se è capace di perdonare. Forse si, se si tratta degli altri, o meglio di chi reputa la sua famiglia. Di certo, non è mai stato in grado di perdonare se stesso, in nessuna occasione.
“Campbell..” riflette Natalie. “Non mi stupisco. Non mi sono mai piaciuti i suoi modi. Comunque, non stava a lui dirlo. Stava a me, e io un modo più gentile l’avrei trovato.”
“Come?”
“Non lo so, Dean. Ma stavo pensando di farlo non appena ho messo piede in casa, proprio il giorno che sei salito in camera mia per chiedermelo. Magari non l’avrei fatto quello stesso giorno, ma quello dopo.” La sua voce si altera un poco, come se non riuscisse più a controllare le emozioni, come se tenerle pacate risulti sempre più difficile. “Mi chiedo, invece, se tu mi avresti mai detto dov’eri finito. Sei fuggito..” Portando con te tutto ciò che rimaneva di me, vorrebbe aggiungere, ma non lo fa.
Dean abbassa lo sguardo, colpevole.
“Mi dispiace.”
Rialza lo sguardo su di lei ancora in piedi in quel garage, vicino alla porta, gli occhi lucidi che cercano di trattenere un pianto. E ancora una volta, Dean vorrebbe prendersi a pugni anzi che sapere di essere la causa della sua sofferenza. Quando se n’è andato, pensava che fosse la cosa migliore per tutti. Escludeva categoricamente un ritorno di Sam – un po’ per le circostanze che si erano presentate, un po’ perché Morte era stato piuttosto chiaro riguardo al non provare a portare indietro suo fratello – quindi, ridotto a pezzi com’era, con quel profondo desiderio di morire che provava, pensava che allontanarsi da lei fosse la cosa migliore. Allontanandosi, avrebbe evitato di trascinarla a fondo con se – perché l’avrebbe fatto, ne è sicuro. E non avrebbe sopportato l’idea di farle del male, di trascinarla nei luoghi più dannati della propria anima. Natalie l’ha sempre capito, sempre supportato, e l’avrebbe fatto anche quella volta. Si sarebbe messa da parte, avrebbe messo da parte il suo dolore, per aiutarlo a superare la morte di Sam, ma così facendo, lui si sarebbe lasciato andare nel modo più malsano possibile, trascinandola in un cerchio senza fine dove lei avrebbe solo finito per soffrire, schiacciata dal peso dell’oscurità che Dean si portava dentro. Il dolore della sua perdita avrebbe soffocato tutto ciò che c’era di buono tra di loro, consumando i loro bei ricordi, facendo marcire il loro futuro sul nascere. Non puoi costruire qualcosa su una piattaforma instabile e sperare che regga. E Dean era così instabile che lui e Natalie sarebbero finiti sotto alle macerie della sua lacerante agonia, schiacciati da notti insonni plasmate dai ricordi in cui avrebbe rivisto Sam gettarsi nella Gabbia, affogati dai fiumi di alcol in cui Dean si sarebbe tuffato per annebbiare la mente e alleviare almeno per un po’ la fitta al cuore, che lo trafiggeva con così tanta violenza che gli sembrava di sentirlo sanguinare. E Natalie questo non lo meritava. Non lo merita. Natalie doveva essere libera, riprendersi dalla perdita e continuare a vivere.
Andare avanti.
Stare senza Dean e la sua parte corrotta dalla perdita.
Stare senza Dean e quella parte di lui che senza Sam non ci sa stare. Non sa vivere senza Sam e questo Natalie lo sapeva. E avrebbe fatto di tutto per aiutarlo. Lui non voleva farsi vedere in quelle condizioni da lei. Il fondo doveva toccarlo da solo, raschiarlo con le proprie mani, escludendo Natalie da tutto ciò. È convinto che se fosse rimasto, l’avrebbe avvelenata. Anche se, forse, andandosene, ha fatto la stessa cosa.
Con Lisa sarebbe stato completamente diverso, questo lui lo sapeva. Con lei non si sarebbe mai lasciato andare perché sapeva benissimo che non avrebbe capito. Quindi, quando è andato da lei desiderava solo che quella parte che dentro di se stava marcendo non venisse fuori, lasciando emergere quella che invece, all’apparenza, era più sana. È stato un comportamento così egoista,  il suo, e di questo non si perdonerà mai. Ha fatto male a delle persone a cui vuole bene, perché indipendentemente da tutto, a Lisa e Ben vuole bene. Anche se loro ormai non ricordano più chi è, non ricordano che ha fatto parte della loro vita, ma forse è meglio così, almeno adesso sono al sicuro. E ha fatto male a Natalie.
Ora, con il senno di poi, si rende conto che non avrebbe dovuto scappare, che avrebbe dovuto affrontare le conseguenze della sofferenza.
“Anche a me.” risponde Natalie, la voce ridotta ad un sussurro, strangolata dal groppo in gola. Smette di guardarlo e si volta di nuovo verso la porta, prima di uscire, però, si gira per guardarlo un’altra volta.
“Tornerai da lei? Almeno questo dimmelo.” Fa eco, usando le stesse parole di Dean.
L’uomo fa un cenno di negazione con la testa.
Le parole di Sam le risuonano nelle orecchie: Quando tutto questo sarà finito, Dean tornerà da Lisa. Probabilmente, Sam mentiva.
“Perché?”
Dean stringe le labbra, evidenziando le fossette ai loro lati: “Perché la mia vita non è quella. È questa. Lisa e Ben sono importanti per me, ma non posso coinvolgerli in tutto questo. Sai, quando Sam è tornato e Lisa ha evidenziato quanto morboso sia il nostro rapporto, ho capito che non potevo stare da tutte e due le parti, non potevo essere Dean Winchester il cacciatore e Dean Winchester l’uomo di casa. La mia vita è cacciare. E non voglio che ci vadano di mezzo loro o che soffrano per colpa mia. Quindi ho chiesto a Castiel di cancellare il ricordo che hanno di me dalla loro memoria.” La voce si incrina, tradendo l’emozione. Non è stata una scelta facile, per niente. Ma è meglio così. Lo deve a Lisa e a Ben, che l’hanno accolto nelle loro vite a braccia aperte, quando ha bussato alla loro porta. L’hanno protetto quando lui si sentiva perso, adesso è quello che deve fare lui: proteggerli dal suo mondo.
“Capisco. Mi dispiace, dico davvero.”
E, a quel punto, Natalie esce definitivamente dal garage. Questa volta, senza guardarsi indietro.

                                                                                                                  ***

“Tu hai sempre avuto idee stupide,” sbotta Bobby, guardando Dean, “ma tu!” indica Natalie “Con te pensavo ci fossero delle speranze!”
Natalie lo guarda, offesa: “Che intendi dire? Ho sempre avuto idee brillanti!” O quasi, vorrebbe aggiungere, ma non le sembra il caso. Vista l’espressione furiosa di Bobby, è meglio ricordare solo le idee che hanno avuto successo.
“Già, finché non hai deciso di dare retta a questo qui!”
“Ora sono diventato questo qui?” si lamenta Dean, “Bobby, è l’unica opzione ragionevole!”
“Ti è andato di volta il cervello, ragazzo?”
 È sera. Dopo una giornata passata a cercare informazioni di qualsiasi tipo su come portare indietro l’anima di Sam, Natalie e Dean hanno deciso di parlare con Bobby. Anche se Nat, in piedi nello studio del vecchio cacciatore, si sta pentendo amaramente di aver insistito tanto per renderlo partecipe del loro piano.
“Ha ragione.” Dice.
Bobby la guarda con le sopracciglia aggrottate: “Sei impazzita? Ti prego, dimmi che in questi giorni ti è andato di volta il cervello e questo è la conseguenza della tua improvvisa uscita di senno!”
Natalie sbuffa.
Il suo sguardo cade su Sam immobile in un angolo della stanza. Non muove un muscolo, non alza un fiato. Semplicemente ascolta. È tutto così strano che le da i brividi.
Torna a rivolgersi a Bobby: “Rifletti. Cosa abbiamo trovato fin’ora, mh? Solo modi crudeli per venire a contatto con Morte. E, a meno che tu non sia disposto a sacrificare una vergine o fare riti magici che non rientrano nelle tue competenze, io dico che questo è il piano migliore che abbiamo.”
“Pensa un po’ come siamo messi male, se la cosa migliore che elaboriamo comporta la vostra morte!”  
“Sarà solo per cinque minuti.” Si intromette Dean. È appoggiato alla scrivania, le braccia – fasciate dentro ad una camicia rosso mattone –  incrociate al petto e il piede destro sovrapposto a quello sinistro.
Bobby lo fissa, sgomento. Conosce la cocciutaggine di entrambi. Sa benissimo che se hanno deciso di imbarcarsi in questa impresa, niente potrà fermarli e la cosa lo spaventa tremendamente.
“Morirete. E subito dopo verrete a contatto con Morte. Se a Mr. Volendo Posso Uccidere Anche Dio viene voglia di lasciarvi stecchiti, voi rimarrete stecchiti. Una morte stupida, dettata dalla fretta! Io dico di aspettare e di cercare una soluzione nei volumi!”
“E intanto l’anima di Sam continua a stare all’Inferno insieme a quei gran simpaticoni di Lucifero e Michele che tanto amano usarla come punch ball!” Sbotta Dean, staccandosi dalla scrivania e avanzando verso Bobby.
“Ascolta,” continua il maggiore dei Winchester con tono più calmo,dopo aver notato l’occhiataccia di Bobby. Sa bene che non gli piace quando gli si parla in quel modo, “so che questa idea ti preoccupa, ok? Ma è l’unica soluzione. Lasciaci tentare.”
Il vecchio cacciatore chiude gli occhi e fa un profondo respiro prima di riaprirli e rivolgersi a Dean: “D’accordo. Provate. Ma vi prego, tornate.”
“Certo, torneremo.” Afferma Natalie, avvicinandosi per abbracciarlo. “Sta’ tranquillo.” Gli sussurra all’orecchio.
Bobby la stringe.
Vorrebbe dirle che non potrà mai stare tranquillo, quando si tratta di lei che va a caccia.
Vorrebbe dirle che lei, Dean e Sam, sono i suoi ragazzi e che tutta questa situazione lo terrorizza così tanto che crede di non aver mai provato una paura simile in vita sua.
Vorrebbe dirle moltissime cose, ma lui non è il tipo che esterna troppo i suoi sentimenti, quindi la stringe ancora più forte a se.
“Mi raccomando.” È l’unica cosa che riesce ad aggiungere. E spera davvero che questo piano stupido, non risulti poi una catastrofe.

                                                                                                           ***

Partire con lei in auto aveva tutto un altro significato, all’inizio.
Guardarla mentre, seduta al posto del passeggero, non stava ferma un attimo gli faceva più compagnia di quanto già la sua semplice presenza non facesse. Era capitato più di una volta che partissero per un caso senza Sam e quando lui non c’era il posto davanti lo occupava Natalie.
Sorride.
Natalie che si accovacciava con i piedi sopra al sedile e che tirava immediatamente giù quando lui le lanciava un’occhiata omicida perché nessuno calpesta la mia bambina, abbassa quei piedi.
Lei li abbassava, senza prendersela troppo per l’occhiataccia. Con gli anni si era abituata. Dean pensa che forse lo facesse semplicemente per gioco, dopo un po’, solo per vedere la sua reazione.
Scuote la testa, pensando a quando l’abitacolo – ora estremamente silenzioso – era riempito dalle sue risate, o dalla sua voce che cantava le canzoni alla radio, sbagliando le parole ogni tre per due.
Perché canti le canzoni, se non le sai?
Io so le canzoni, sono gli artisti che sbagliano le parole!
Rideva, con la sua risata cristallina, tirando leggermente la testa all’indietro. In quei momenti, era così raggiante che avrebbe potuto benissimo essere il sole.
Certo, è ovvio che chi ha scritto le canzoni non sappia le parole! Scherzava, lui.
Quanto sei petulante! E puntualmente alzava il volume della radio, riempiendo di musica l’ambiente intorno a loro. Poi si metteva a muovere la testa a ritmo e a mimare le parole.
Parlavano dei casi, lei prendeva il computer e se lo metteva sulle gambe, cercando già informazioni per farsi un’idea di cosa dovevano cacciare, e cercava ogni modo per toccarlo: il ginocchio troppo vicino al cambio, di modo che ogni volta che lui cambiava marcia la sfiorava; la mano appoggiata vicino alle gambe di Dean, in modo che quando la strada era rettilinea, lui potesse tenere il volante con una sola mano mentre con l’altra teneva la sua.
Gli mancano queste cose: tenersi per mano, sfiorarsi. Il contatto per loro è sempre stato importante e mai sprecato. C’era sempre una necessità profonda di percepire l’altro che sfociava in un contatto fisico di qualsiasi tipo, che fosse più diretto o solo accennato. Era un modo per far sentire all’altro la propria presenza. Era un modo per dirsi Sono qui per te. Sarò sempre qui per te.
Si rende conto di quanto lei gli manchi e gli manca il fiato.
Non è mai stato smielato con lei, crede anche di non averle mai detto esplicitamente che la ama, e di questo si pente. Come si pente di essersene andato.
Ci sono momenti, come nel garage, dove si sente invadere dalla voglia di spiegarle tutto, di renderla partecipe del perché se n’è andato. Questi momenti capitano ogni volta che incrocia i suoi occhi e ci legge uno sguardo diverso, ferito, arrabbiato. L’ha delusa. Le ha fatto del male nonostante avesse promesso che non avrebbe permesso a nessuno di ferirla.
È lui l’unico che ha infranto quella promessa e questo lo consuma.
Forse lo consuma più dell’idea che sia stata con un altro uomo, che sia stata con Sam.
Non nega la gelosia cieca che prova ogni volta che ci pensa, ma ultimamente, quella rabbia sciama per lasciare il posto ad una sensazione di.. comprensione.
Se lei è stata con Sam è solo perché lui se n’è andato.
Le azioni di Natalie sono una conseguenza di una sua scelta.
Sospira. Ancora.
Si volta verso destra per osservarla. Guarda il suo profilo, il naso piccolo che si arriccia quando lei ride, le labbra soffici, le lentiggini sulle guance.
Nat guarda fuori dal finestrino, adesso. È silenziosa e sta tutta composta. È così diversa.
L’ha persa e adesso se ne rende conto più che mai.
L’ha persa e adesso si rende conto di quanto disperatamente la rivoglia indietro. Sa che lei è lì da qualche parte, in mezzo alle macerie del suo cuore infranto, che sta solo cercando di risalire dal pozzo in cui è finita. Vorrebbe che gli permettesse di risalire insieme. Vorrebbe dirle che ciò che fa soffrire lei, uccide lui. Vorrebbe dirle di parlare, chiarire, cercare di capirsi, e finire per ritrovarsi. Non pretende certo che ripartano da dove erano, perché hanno rotto qualcosa tra di loro e questo li seguirà sempre: l’unico fantasma che non saranno mai in grado di eliminare, le cui ossa non potranno mai essere coperte di sale e bruciate. Ma possono avere un nuovo inizio. Ritrovarsi per cominciare qualcosa di nuovo.
Qualsiasi cosa purché lei voglia tornare a stare al suo fianco, purché voglia stare di nuovo con lui, purché lo guardi di nuovo come se fosse una persona che vale.
L’ha sempre fatto sentire così: un uomo con cui vale la pena stare. E Dio solo sa quanto lui abbia bisogno di provare quel sentimento.
Non si è mai sentito alla sua altezza, in questo caso. Ha sempre temuto che lei non si sentisse abbastanza apprezzata, o ammirata, o amata. Per questo si impegnava per farle sentire la sua presenza: c’era sempre per lei perché voleva che lei lo percepisse, che capisse quanto lei contasse per lui e quanto era – è –  disposto a fare per lei. Aveva bisogno che capisse. Perché lui non è bravo a parole, per niente. Ama prendersi cura di chi ama, ma con i gesti. E questo, Natalie, l’ha capito e rispettato. Ha preso Dean con i suoi pregi e i suoi difetti e l’ha amato con tutta se stessa. Dean questo lo sa.
Un groppo improvviso gli si forma in gola ed è così difficile da mandare giù che sembra si sia pietrificato nella sua trachea. L’idea di perderla lo terrorizza. Non vuole vivere una vita senza di lei. Non l’ha mai voluto, anche se il fatto che se ne sia andato potrebbe indurre a pensare il contrario.
Nat che si stiracchia lo porta a smettere di pensare e rivolgere la sua attenzione tutta su di lei.
“Dovresti dormire.”
“Anche tu. Non puoi guidare tutta la notte.”
“Come se non l’avessi mai fatto.”
“Questo non vuol dire che ti faccia bene.”
“Sai cosa potresti fare, allora? Dormire. Dormire così tanto da farlo anche per me!”
Nat accenna una sorriso, alzando solo un angolo della bocca.
“Mi riposo solo un’oretta. Svegliami, ok?”
“Ok.”
Ma non lo farà. Sa che Natalie non ha dormito molto negli ultimi giorni. Anzi, probabilmente ha passato molte notti in bianco e riposare è quello di cui ha maggiormente bisogno. Per cui, quando la vede stringersi in se stessa, appoggiare la testa al finestrino e chiudere gli occhi, con un movimento tutt’altro che fluido – perché spogliarsi mentre si guida è complicato (e chi dice il contrario, mente) –  si toglie il giubbotto e la copre. Perché non smetterà mai di provare a prendersi cura di lei, della sua Natalie. Non smetterà mai di cercare di dimostrarle quanto lei per lui sia importante.


                                                                                                          ***

La prima cosa che sente appena si sveglia è l’odore di Dean. Improvvisamente, una sensazione di sicurezza si diffonde dentro di lei e una calma la pervade. Le ha sempre fatto questo effetto. L’ha sempre fatta sentire al sicuro, anche nelle situazioni più pericolose. Apre piano gli occhi, capendo che il suo profumo proviene dal giubbotto che ha addosso. Si rende conto in quel momento, che i dolori che sente al collo sono provocati da più di un’ora di sonno e visto il sole che entra dal finestrino e le inonda gli occhi, Dean l’ha lasciata dormire un bel po’.
Tipico suo.
Sorride.
Si guarda intorno: la macchina è parcheggiata in una zona di sosta e Dean non è seduto al posto del guidatore. Lo sguardo vaga fuori dal finestrino, fino a trovare il cacciatore dentro ad una tavola calda, dall’altra parte della strada. Probabilmente, dopo aver guidato tutta la notte ha bisogno di barili di caffeina per stare sveglio. Se non fosse così perentorio sul fatto che nessuno guida la sua bambina, tranne lui avrebbe potuto dargli il cambio, almeno adesso sarebbe riposato.
Quella frase le ricorda un episodio specifico, dove circostanze simili si erano verificate. Stavano lavorando ad un caso, uno dei primi in cui erano insieme, uno di quelli che poteva essere risolto semplicemente con identità false e qualche ricerca sulla storia locale. Si stavano dirigendo a Portland per dare la caccia ad un vampiro e Dean aveva guidato tutta la notte, nonostante sia lei che Sam si fossero offerti di dargli il cambio. Ovviamente, lui aveva risposto che nessuno guida la sua macchina, al di fuori di lui.
Dean, devi rallentare. Aveva annunciato Natalie dal sedile posteriore dell’Impala.
Dean, salterai anche questo motel se non ti decidi a rallentare! Devi curvare adesso!
La sua voce era uscita più alterata di quanto in realtà avrebbe voluto, ma ricorda che erano più di dieci ore che si trovavano chiusi in quella macchina e la stanchezza iniziava a farsi sentire.
Smettila di dirmi quello che devo fare!
Aveva gridato Dean, reso nervoso dalla troppa caffeina ingurgitata nelle ultime ore.
Se non sai da solo quello che devi fare, qualcuno te lo deve dire!  
Dean, a quel punto, aveva fatto una manovra suicida, curvando all’ultimo minuto – per di più in quarta – e scatenando un concerto di clacson che celavano insulti da parte degli automobilisti dietro di loro.
Fottetevi!  Aveva urlato in risposta Dean fuori dal finestrino.
Senza perdere il controllo dell’auto, era entrato nel parcheggio del Blue Steel Motel e aveva parcheggiato nel primo posto disponibile.
Eccoci. – Aveva affermato, trionfante
Certo, tra un po’ ci fai ammazzare, ma eccoci qui. È il quarto motel da quando siamo entrati a Portland, ma eccoci qui! Hai esagerato con la caffeina, Dean. Eri così iperattivo che non ti sei nemmeno accorto di dover rallentare quando eravamo in prossimità di qualche motel!! – Aveva sputato lei, nervosa, uscendo dalla macchina e dirigendosi verso la bauliera per prendere la borsa con le armi e gli strumenti necessari.
Dean e Sam avevano fatto lo stesso.
Senti un po’, signorina, abbiamo o no raggiunto Portland in dieci ore, come avevi chiesto? – Aveva detto Dean, mentre afferrava la sua borsa.
Certo, – aveva risposto lei, fulminandolo,  dopo aver notato il tono tutt’altro che disponibile con cui Dean le si era rivolto – e suppongo anche dovremmo ringraziarti per non esserci schiantati contro quel camion, o non aver investito quei due pedoni, o aver rischiato di finire, due volte, contro il guardrail in autostrada!
Ragazzi.. –
Si era intromesso Sam, il suo tono era estremamente stanco, Natalie lo ricorda bene. Quelle dieci ore erano state una tortura per lui, soprattutto perché lei e Dean avevano cominciato a punzecchiarsi con commenti sarcastici per due ore di fila, concludendo il tutto con una bella litigata. Nat, ancora oggi, si sorprende che non si siano scannati.
‘Nessuno guida la mia Piccola, tranne me!’ Ti ricorda qualcosa? Cristo Santo, Dean. Se non fossi stato così cocciuto avremmo potuto fare turni di guida, ma tu no, non hai voluto!
Non mi fido degli altri! –
Aveva esclamato, allargando le braccia.
Nemmeno io mi fido di qualcuno che ha i colpi di sonno mentre è al volante!
Oddio come la fai lunga,
– Dean aveva alzato gli occhi al cielo – sono state delle sviste, mi sono ripreso subito! Quanto sei pesante!
Io pesante? Sei tu che ragioni come un bimbo di cinque anni!

Erano andati avanti per un bel po’. Sam si era incamminato verso la reception, dopo aver deciso di ignorarli. Dean continuava a sostenere il suo punto di vista, mentre lei lo accusava che non permettere a nessuno di guidare una macchina è stupido.
Rimangiatelo. – aveva detto, affilando lo sguardo e puntandole l’indice contro – Rimangiatelo, o ti do in pasto al nido del vampiro che stiamo per andare ad uccidere.
Non puoi negare che non abbia senso, andiamo! È solo una macchina!

Dean aveva cominciato a boccheggiare, si era messo una mano sul petto e aveva chiuso gli occhi, come se volesse cercare di calmarsi.
Non è solo una macchina, intesi? – Aveva detto, riaprendoli – Lei è la mia Piccola. Portale rispetto.
Natalie aveva sbuffato e concluso lì la discussione. Era troppo stanca per continuare.
Scuote la testa, tornando alla realtà.
Lo osserva.
Lo guarda indicare qualcosa esposto in una vetrinetta, sorridere cordiale alla cameriera – che probabilmente gli lascerà il suo numero – allungarsi per prendere il sacchetto che lei gli porge e due caffè.
Due caffè.
Ne ha preso uno anche per lei, pensa Natalie.
Era solito farlo, quando lui si svegliava prima di lei: usciva e tornava con la colazione. Lei si svegliava sempre con l’aroma di caffè che riempiva la stanza del motel pulcioso di turno. Si sentiva coccolata, forse anche un po’ viziata.
Lo guarda attraversare la strada. La camicia grigia, aperta sopra ad una maglietta nera, i jeans chiari che evidenziano le sue gambe ad arco – che a lei sono sempre piaciute in maniera particolare – la camminata sicura, decisa. Il fatto che trasudi mascolinità anche quando semplicemente porta dei caffè la destabilizza. Percepisce la sua forza in ogni movimento che fa. Percepisce la sensazione di sicurezza in ogni cosa che fa. Dean riesce a farla tremare, ma allo stesso tempo a farla sentire salda. E anche se ha passato tutta la vita a bastarsi, a sentirsi forte anche da sola, avere qualcuno vicino con un’aura del genere, le può fare solo del bene. Avere vicino Dean è come avere della benzina vicino ad un fuoco, che già di per se è potente: lo alimenterà a tal punto da farlo diventare così alto da sembrare indistruttibile. La sua forza, ha sempre avuto questo effetto su quella di Natalie.
Dean entra in macchina e si siede al sedile del guidatore, con il busto rivolto verso di lei.
“Buongiorno.” La saluta con un enorme sorriso luminoso. I suoi occhi, però, non sono tranquilli. Vorrebbe provare a rassicurarlo, dirgli che andrà tutto bene, ma la verità è che anche lei non è molto tranquilla, quindi non solo mentirebbe a lui, ma mentirebbe anche a se stessa.
“Buongiorno. Perché non mi hai svegliata?”
“Perché avevi bisogno di dormire!”
“Anche tu. Avremmo potuto fermarci da qualche parte almeno per un’oretta o due.”
“Nah. Ho preferito fare una tirata e arrivare prima.” Porta la sua attenzione sui bicchieri che tiene in mano: “Ho preso il caffè. Il tuo è nero, appena macchiato di latte e con una puntina di zucchero.”
“Come piace a me..” un sorriso spontaneo si apre sul suo viso. Si sente così sciocca, nemmeno avesse quindici anni da emozionarsi per queste piccolezze. Eppure.. eppure si emoziona lo stesso. La cura dei dettagli di Dean è una delle tante cose che ama di lui. Non ti dirà mai parole smielate, ma si ricorderà come prendi il caffè e appena ne avrà l’occasione te ne porterà uno. È un modo per dire che sei importante a tal punto che si ricorda i tuoi gusti, che pensava a te quando è entrato nella caffetteria e ha voluto dimostrartelo.
“Come piace a te.” ripete lui, porgendoglielo. “Ho preso anche le ciambelline, quelle con la glassa. Ti ricordi che le facevi anche te? Dio, quanto mi piacevano!”
Natalie arrossisce. È vero, era solita fare delle ciambelline glassate, quando aveva tempo. Le piaceva ricoprirle con la glassa di vari gusti: vaniglia, cioccolato, fragola, banana – che a Dean non piaceva molto. Una volta ha persino provato con la pera.
“Grazie.” Prende il sacchetto e lo mette in mezzo a loro due, con i bordi arrotolati fino a formare un’apertura abbastanza larga e riuscire a scegliere la ciambellina senza infilare la mano troppo in profondità.
Nat ne prende una alla vaniglia.
Dean nota quel gesto e sorride, ma non dice niente. Sapeva che lei avrebbe preso quella, visto che ama la vaniglia.
“Quanto manca?” chiede Nat, addentando il dolcetto.
“Poco, due chilometri al massimo.” Beve un sorso di caffè.
Natalie annuisce: “Sei preoccupato?”
Dean sorride con ancora il bicchiere tra le labbra: “Nah, ho visto di peggio.”
“Peggio di Morte?”
“Ho già avuto a che fare con Morte!”
“Mi ricordo, avete mangiato una pizza. Ma quella volta era lui disposto a parlare con te. Questa volta non sai quanto sarà disposto a farlo.”
Dean stringe le labbra, facendole momentaneamente sparire all’interno della bocca.
“Sai, una delle tante cose che mi sono sempre piaciute di te, è la tua capacità di evidenziare sempre tutto, soprattutto le cose che potrebbero andare storte!”
“Non puoi negare di averci pensato anche tu!” da un altro morso alla ciambella.
“Vero, ma penso anche che funzionerà. Voglio essere positivo!” pesca un dolcetto dal sacchetto e lo infila tutto in bocca. gli si gonfiano le guance così tanto che sembra uno scoiattolo. Natalie scoppia a ridere e Dean, dopo aver ingoiato, la segue a ruota. Gli è mancata così tanto la sua risata, che quando la sente esplodere così spontanea, non può fare a meno di lasciarsi contagiare.


Quando arrivano a destinazione, il sole ha già fatto capolino sul mondo. I suoi raggi riempiono le strade e accendono i colori di qualsiasi cosa venga accarezzata dal calore salubre della stella più importante per la terra.
Dean parcheggia davanti ad una bottega con delle strane scritte cinesi – o sono giapponesi? – e scende dalla macchina. Natalie fa lo stesso. Intorno a loro, la strada brulica di gente indaffarata, impegnata nelle attività della routine quotidiana. Si scambiano un’occhiata e, uno vicino all’altra, entrano dentro alla bottega.
Un uomo asiatico rivolge loro un sorriso e poi, come se li riconoscesse, indica loro una porta in fondo al corridoio. Dean e Natalie lo ringraziano con un cenno del capo e si incamminano nella direzione indicata.
La porta che Dean apre si affaccia su una rampa di scale, la ringhiera polverosa e piena di ragnatele, come se non venisse pulita da.. sempre, in pratica. Inizia a salire, seguito da Natalie – la quale bada bene a non toccare nulla abbia a che fare con ragnatele, ragni e aracnidi in generale. Detesta quelle bestie, con le loro otto terribili zampe che li rendono estremamente veloci e bravissimi a sparire quando decidi che è arrivata l’ora di farli fuori. Rabbrividisce. Trova assurdo che riesca ad ammazzare esseri che sono tre, se non quattro, volte più forti di lei senza batter ciglio, ma si paralizzi davanti ad un minuscolo esserino. Le fobie sono strane, bizzarre e insensate. Ma altrimenti non sarebbero fobie.
Guarda di fronte a se, focalizzandosi sulle spalle di Dean per non concentrarsi sulle matasse di ragnatele, grigie e deformate, che pendono dal soffitto. Deglutisce, cercando di non dare retta all’orribile sensazione di avere un ragno tra i capelli, sotto la maglietta, dentro ai pantaloni. È solo una tua impressione, continua a ripetersi mentre uno strano formicolio le riempie tutto il corpo. Si strofina le braccia per mandarlo via.
Arrivano alla fine delle scale e si trovano davanti ad un bivio. Rimangono momentaneamente immobili, fino a quando il dottor Roberts non esce dal corridoio di destra.
“Dean!” lo chiama, andandogli in contro con le braccia spalancate, per poi stringerlo quando è abbastanza vicino. Il dottor Roberts è un uomo che ha superato la mezza età, ha i capelli bianchi ed è abbastanza alto.
“Tuo padre è venuto qui Dio solo sa quante volte! Allora, sei sicuro di volerlo fare?”
“Sicurissimo.”
Solo in quel momento sembra che il dottor Roberts noti Natalie. Le sorride, cordiale.
“Non pensavo saresti venuto in compagnia.”
“Mi sottoporrò anche io al trattamento, dottore.” Spiega Nat, “Sono Natalie, una sua amica.” Gli porge la mano e il dottor Roberts gliela stringe.
“Piacere di conoscerti, cara. Forza, venite.”

Lo studio del dottor Roberts è nettamente in contrasto con il corridoio in cui si trovavano prima. Le pareti bianche, l’odore di pulito e di disinfettante, gli strumenti ordinati sopra ad un tavolo di metallo talmente splendente da sembrare uno specchio, i due lettini coperti da un sottile lenzuolo anch’esso bianco. Tutto quel bianco, per un momento destabilizza Natalie, facendole provare una strana morsa allo stomaco. Qualcosa di simile al panico inizia a farsi strada dentro di lei, e forse, inizia a pensare che non è il bianco che la agita, ma quello che sta per fare. Sta per morire. L’idea, ora che si trova in questo studio, assume una concretezza che prima non aveva, prima di mettere piede qui dentro era come se ciò di cui stesse parlando fosse una cosa lontana, quasi a lei estranea, ma adesso, con l’odore di alcol etilico che le riempie le narici e le fa bruciare un poco il naso, la sua morte è così concreta che la morsa allo stomaco si è fatta più stretta, così stretta da non far passare nemmeno una briciola.
Chiude le mani a pugno stese lungo i fianchi per non far vedere che hanno iniziato a tremare e si avvicina al lettino.
Deve farlo. È venuta fin qui per un motivo ben preciso e non può lasciare che la paura, proprio adesso, prenda il sopravvento. Deve essere coraggiosa e aiutare Dean.
Si sdraia su uno dei lettini. Dean è al suo fianco. Sembra teso, ma quando si volta verso di lei le fa un cenno con la testa e un sorriso che dovrebbe essere rassicurante. Ma non lo è. Sono entrambi spaventati. Questo perché nessuno dei due è stupido a tal punto da non avere paura di morire, o di Morte, anche se forse sono abbastanza stupidi da elaborare un piano del genere e portarlo addirittura a termine.
Espira, cercando di rilassarsi. Chiude gli occhi e li riapre.
“Rilassati, Natalie. Non te ne accorgerai nemmeno.” La voce del dottor Roberts è dolce e un po’ la tranquillizza.
Sente l’ago affondare nel suo braccio, ma non dice niente. È solo un pizzico che può sopportare. Ha sopportato cose peggiori di un ago in vena.
Mano a mano che il liquido entra in circolo, gli occhi di Natalie diventano sempre più pesanti, sente il suo corpo che si abbandona sempre di più a quel torpore tipico del sonno. È come dormire, pensa. Bastano pochi minuti per lasciarsi andare del tutto. Il mondo diventa nero e Natalie non sente più nulla.

Non ha mai vissuto un’esperienza extracorporea, quindi non sapeva bene cosa aspettarsi. Ma quando i suoi occhi hanno percepito di nuovo la luce e ha iniziato a sbatterli per farli abituare nuovamente a quel bianco accecante, Nat si è resa conto che la sua non è stata un’esperienza extracorporea, ma piuttosto una dormita. Lei non è morta. Ciò vuol dire che Dean l’ha ingannata. Stupido idiota. Non appena mette a fuoco la stanza intorno a se, si siede sul lettino, con le gambe a penzoloni, strappando la carta che lo ricopre.
“Piano, cara.”
Per un momento vorrebbe prendersela anche con il dottor Roberts che l’ha bellamente presa in giro, su questo non ha dubbi: probabilmente sapeva già che lei sarebbe arrivata insieme a Dean e lui aveva già informato il dottore di fare due trattamenti diversi.
“Ce la faccio.” Dice, poi. Alla fine, non ha senso prendersela con il dottor Roberts, ha fatto solo quello che Dean gli aveva chiesto. Ciò non vuol dire che non possa prendere Dean a pugni fino a che non si pente di aver agito alle sue spalle.
Imbecille.
“Dov’è Dean?” chiede, notando l’altro lettino vuoto.
“Ti aspetta in corridoio.”
Natalie scende dal suo lettino e saluta il dottore con una stretta di mano. Non appena i suoi piedi toccano terra e si sente di nuovo stabile l’unica cosa che le viene voglia di fare è inveire contro Dean. Dean che l’ha presa in giro, le ha fatto credere che avevano un accordo e poi ha fatto come diavolo gli pareva. Tipico.
Si incammina verso la porta dello studio e la apre con troppa veemenza, ma è così arrabbiata che non se ne rende nemmeno conto. Varca l’uscio e trova Dean ad aspettarla. È appoggiato al muro, le braccia incrociate, la testa bassa. È pallido e sicuramente l’incontro con Morte non è stato poi così rose e fiori come si aspettava, ma l’unica cosa che Nat vuole adesso è una spiegazione. Più tardi potrà pensare a cosa ha detto Morte.
“Winchester!” pronuncia quel nome come se fosse un cane rabbioso. Il sangue le bolle nelle vene e le affluisce alle guance. Quando Dean alza lo sguardo, non sembra tanto stupito di vederla andare verso di lui come un ciclone.
“Nat, senti...” comincia, ma prima che possa proferire altra parola, la cacciatrice gli molla un destro dritto sulla mascella. Il viso di Dean segue la traiettoria del pugno e la sua testa si sporge verso destra. È sicuro che se non fosse appoggiato al muro avrebbe persino barcollato all’indietro. Non ricordava quanto facessero male i pugni di Natalie, anche perché sono rare le volte che sono destinati a lui. Ciò vuol dire solo una cosa: Natalie è furiosa. Non che non se lo aspettasse, anzi, era sicuro che si sarebbe arrabbiata, ma preferisce di gran lunga un pugno che vederla alla mercé di Morte.
Il dolore alla mascella inizia a farsi sentire, così si massaggia la parte lesa per cercare di alleviarlo un po’.
“Mi hai fatto male!”
Nat lo fissa con gli occhi sgranati. Il dolore alle nocche che pulsa, vivo.
“Te lo sei meritato. Ti meriteresti anche di peggio!” ringhia a denti stretti. È così furiosa con lui in questo momento che vorrebbe urlargli contro, ma non le sono mai piaciute le scenate in un luogo pubblico. Anche se quel corridoio è vuoto, il dottor Roberts, o i clienti nella bottega, potrebbero sentire.
“Mi hai preso in giro per tutto il tempo!” sibila, tagliente “Scommetto che mi hai fatta dormire solo per poter chiamare il dottor Roberts e spiegargli cosa avrebbe dovuto fare!”
Dean si stacca dal muro e si avvicina di più a Natalie, sovrastandola. Il punto della mascella che è stato leso inizia già ad arrossarsi. Probabilmente gli verrà anche un livido. Bene, pensa Nat, se lo merita.
“Non solo puoi scommetterci, puoi proprio giurarci!” lo dice con una naturalezza tale, senza tentare minimamente di nascondere ciò che ha fatto, che a Nat viene voglia di tirargli un altro pugno, magari sul suo bel nasino dritto o su quei denti perfettamente bianchi e allineati. Lo detesta. Detesta questo suo modo di fare, prendere decisioni senza interpellare l’interessato, fare di testa propria senza ascoltare le opinioni altrui.  
“Sei un egoista. Un fottuto egoista, Dean! Avevamo un accordo!” presa dalla frustrazione gli colpisce il petto con una mano chiusa a pugno.
“Ho fatto quello che dovevo fare. E smettila di picchiarmi!”
Nat serra la mascella e lo fulmina, accigliata.
“Tu non cambierai mai, non è vero? Sarai sempre lì, in prima fila, a sacrificarti per gli altri ogni volta che se presenta l’occasione!”
A quelle parole, Dean scatta in avanti, riduce così tanto la distanza tra loro che Nat deve alzare la testa per riuscire a guardarlo in viso. Dean le punta l’indice contro, i suoi occhi saettano di rabbia.
“Stammi bene a sentire. Tu non capisci: non permetterò mai a nessuno di uccidere la mia famiglia, e non mi importa se per impedirlo debba essere io a morire! E che ti piaccia o no, tu sei parte della mia famiglia! Prima che Morte ti prenda, o si avvicini a te, dovrà passare sul mio cadavere!”
Gli occhi di Dean guizzano a destra e a sinistra, nonostante l’unica cosa che stiano guardando è il viso di Natalie.
Nat incrocia le braccia al petto, arrabbiata.  
“Non ci vorrà molto, allora. Visto che basta una minima cosa e tu sei pronto a morire. Potrebbe essere un atteggiamento nobile, per te, ma io lo vedo solo come qualcosa di estremamente egoistico. Non permetti agli altri di lasciarti, di morire, perché non lo sopporteresti, ma non pensi mai come si sentirebbero gli altri, la tua famiglia, se fossi tu quello ad andartene per sempre.” E nessuno più di lei sa quanto sia distruttiva l’assenza di Dean, quanto la sua assenza sia una presenza anche troppo evidente, dolorosa, lacerante. Oserebbe definirla assordante, un grido acuto che squarcia l’aria e disintegra tutto ciò che trova con la sua potenza, che rimbomba nel petto dove si incastra nel cuore e lo consuma sempre di più, una nota stridula che riecheggia nelle mura di qualsiasi luogo riempiendo quel vuoto da lui lasciato con la consapevolezza che non tornerà. Nessuno lo sa meglio di lei, che prima sapeva che stava bruciando nelle fiamme dell’Inferno, e dopo, beh, dopo se n’era andato senza dire niente. Tutte e due le volte pensava che non l’avrebbe rivisto. Si ricompone e continua: “Credi che non avessi paura? A Morte non piaci. Hai sconvolto l’ordine naturale, quante volte, Dean? Troppe. Arriverà il giorno che deciderà di lasciarti nell’aldilà..”
“Se quel giorno sarete tutti vivi, potrò definirmi in pace con me stesso.” La interrompe Dean.
“E che ne sarà di noi, mh?”
“Vivrete la vostra di vita. Ecco cosa sarà.”
Nat scuote la testa, rassegnata.
“Non mi scuserò per quello che ho fatto, Nat. Non volevo che Morte ti vedesse, che rischiasse di portarti via solo perché non gli sto simpatico. Sarebbe stata una mossa stupida e troppo rischiosa.”
“Non stava a te decidere. Non avevi il diritto di decidere al posto mio. Ma è inutile dirlo, no? Tu fai così da sempre, scegli e agisci. Non pensi alle conseguenze, non rifletti su cosa potrebbero portare le tue azioni avventate. Lo fai e basta. Poi se dovessi morire, tanto ci sarà qualcuno che raccoglie i cocci, giusto?”
Le si spezza la voce. La rabbia che prima la infuocava, lascia posto ad una tristezza profonda, ad una consapevolezza fin troppo limpida: sa che Dean è disposto a tutto pur di salvare chi ama, sa che non la vedrà mai una cosa egoistica salvare gli altri sacrificando se stesso, perché non pensa a cosa potrebbe portare il suo sacrificio nelle vite degli altri, pensa solo che il suo sacrificio renderà possibile per gli altri continuare a vivere. Ma è vivere, quando qualcuno che ami se n’è andato per sempre? Quando ogni angolo della tua vita ti ricorderà la sua assenza?
“Sei sempre stato convinto di non essere degno di essere salvato. Pensavo che con gli anni, che con ciò che ha fatto Castiel portandoti fuori dall’Inferno, avessi anche solo un minimo iniziato a pensarla diversamente. Ovviamente, mi sbagliavo.”
“Castiel mi ha tirato fuori dall’Inferno solo perché dovevo combattere una guerra. Non scordarti cosa ho fatto mentre ero laggiù.”
“Non scordarti che hai fatto anche cose buone, nella vita, Dean.”
Dean abbassa gli occhi e si allontana da lei di qualche passo.
“È tardi,” dice “dobbiamo andare.” 
“Certo.” Sussurra Nat.
Si incamminano per le scale in silenzio, senza dire una parola. Entrano ed escono dalla bottega velocemente e salgono in macchina. Dean mette in moto e poco dopo, sono nuovamente diretti a Sioux Falls.


Sono in viaggio da mezz’ora. Nessuno dei due ha proferito ancora una sola parola, troppo preso dal suo punto di vista in disaccordo con quello dell’altro. Natalie seduta al fianco di Dean osserva il viso del cacciatore pallido e preoccupato. Sicuramente Morte non è stato poi così accondiscendente come Dean credeva, anzi. Probabilmente gli ha fatto vedere i sorci verdi. Si passa una mano tra i capelli e appoggia il gomito al finestrino. Anche se la rabbia non è ancora sbollita del tutto, non vuol dire che non possano parlare del motivo per cui sono venuti qui. Alla fine, semplificando al massimo la situazione in cui si trovano, è il loro caso. E i casi vanno risolti a prescindere dalle condizioni emotive in cui ti trovi.
“Si può sapere che ti ha detto Morte?”
Dean non toglie gli occhi dalla strada, ma alza un angolo della bocca. Un mezzo sorriso vittorioso. Probabilmente crede di averla avuta vinta, visto che è stata lei la prima a parlare. Natalie alza gli occhi al cielo. Pallone gonfiato.
“Non eri arrabbiata con me?”
“Non usare quel tono canzonatorio, sono ancora arrabbiata con te. Furiosa, adirata, direi più appropriatamente. Ma hai una aspetto così orribile che non posso non pensare a quanto possa essere stato pessimo l’incontro con Morte.”
“Grazie per avermi fatto notare che ho un aspetto orribile, sei sempre così carina e gentile.”
“Non fare l’offeso. Allora, che ti ha detto?”
Dean stringe le mani sul volante, chiude per una frazione di secondo gli occhi e sospira.
Dev’essere qualcosa di terribile, pensa Natalie. Qualcosa di così grave che Dean ne è tremendamente spaventato, tanto da non riuscire a dirlo apertamente.
Vorrebbe toccarlo, per provare a dargli conforto, ma non crede sia una buona idea. In un momento simile, potrebbe solo irritare Dean più di quanto non lo sia già, quindi rimane in silenzio, lasciandogli tutto il tempo necessario affinché decida di parlare.
Fa un altro sospiro, prima di prendere parola.
“La formula ha funzionato, Tessa è comparsa e poco dopo anche Morte. Gli ho detto che avevo il suo anello e che se lo rivoleva indietro doveva fare una cosa per me. Ovviamente, non ha gradito il mio tono. Mi ha guardato in un modo che per un momento ho seriamente temuto mi incenerisse. Comunque, gli ho detto che se lo rivoleva indietro doveva far uscire dalla Gabbia l’anima di Sam e Adam.”
Adam.
Il fratello minore di Dean e Sam, il piccolo Winchester.
Pensare alla fine che ha fatto, fa nascere in Natalie un profondo senso di disagio: Adam, una vittima degli Angeli. È così assurdo anche solo pensare una frase del genere perché quegli stronzi alati dovrebbero essere i buoni, eppure è quella la verità. Lei ha sempre avuto fede, ha sempre creduto nell’esistenza degli Angeli come vengono dipinti nelle storie, custodi fedeli che si prendono cura dell’umanità, vestiti di bianco con soffici ali bianche che ti aiutano a non avere paura, si occupano del tuo bene e fanno in modo che ti senta al sicuro. Non avrebbe mai immaginato che esseri celestiali che dovrebbero essere la rappresentazione del bene superiore, il bene puro, possano essere così spietati, così meschini e arroganti, assetati e ossessionati dal potere, vili e altezzosi. Non avrebbe mai immaginato che gli Angeli assomigliassero così tanto all’essere umano, che molti di loro disprezzano.
Adam  è stato raggirato da Zaccaria – solo pensare quel nome le fa sentire un bruciore su tutto il ventre, la cicatrice biancastra, che si porta dietro ormai da tempo, le pizzica sotto la maglietta, anche se sa che è solo un’impressione. Rivive persino nella sua mente l’esperienza di essere quasi vicina alla morte – manipolato dall’angelo solo perché accettasse di essere il nuovo tramite di Michele, promettendogli che avrebbe rivisto sua madre, la sua defunta madre. E Adam aveva detto si. Quando ti portano via l’unica cosa a cui tieni e ti promettono che facendo una determinata cosa potrai riaverla indietro, per quanto questa cosa sia pazza e folle, vuoi farla lo stesso, vuoi comunque rischiare pur di poter avere chi ami indietro. E così Adam, posseduto da Michele, era saltato dentro alla Gabbia, insieme a Sam, posseduto da Lucifero. Due forze opposte chiuse dentro ad uno spazio che sarà sempre troppo piccolo per contenere la loro apocalittica potenza, la loro celestiale forza, la loro ira incandescente, esplosiva. E Adam è chiuso lì dentro con loro. Vittima di un bene superiore che non ha avuto pietà di lui.
È un Winchester, è già maledetto.
Sam aveva ragione. Tremendamente ragione. Ad Adam è toccato un destino crudele, vittima delle circostanze. L’innocente agnello che viene sacrificato sull’altare di un Dio troppo impegnato ad ignorare il suo creato per rendersi conto che tutti i suoi figli – angeli e uomini – si stanno uccidendo tra di loro. Un Padre assente troppo preso dal suo disegno della Vita per assicurarsi che chi merita effettivamente di viverla, la viva.
Forse sta diventando troppo cinica, troppo scettica.
Forse le cose che ha visto e vissuto le hanno indebolito la fede che si portava dentro.
Forse è anche lei caduta in quella visione tipica dell’uomo secondo cui se esistesse davvero un Dio, in certe occasioni interverrebbe. Avrebbe voluto evitare questa parte. Ha sempre pensato che Dio fornisca ogni essere umano di una buona dose di bontà, di razionalità, di buon senso affinché capisca da solo ciò che è giusto e ciò che non lo è – ma chi è che stabilisce questi concetti, di per se troppo soggettivi? – e che agisca di conseguenza. I genitori educano i figli e i figli si comportano di conseguenza, ma crescendo la loro indole si sviluppa e hanno comportamenti che possono non coincidere con l’educazione inculcatagli dai genitori stessi. Di chi è la colpa o il merito, quindi? Dei genitori? Nat non crede. La colpa o il merito o qualsiasi altra cosa, rimane dei figli. I genitori crescono i figli che diventano individui a se e come tali, agiscono secondo la loro natura.
Ha sempre esteso questo concetto anche a Dio, il Padre per eccellenza. Ma adesso è così arrabbiata con Lui, che le risulta difficile credere che non abbia avuto tempo anche solo per tentare di venire in loro aiuto. Per tentare di aiutare Adam.
“Il tuo silenzio mi preoccupa.” Esordisce Dean, guardandola con un sopracciglio alzato.
Natalie si scuote dal torpore dei suoi pensieri.
“Stavo solo aspettando che continuassi.”
Dean annuisce e torna a guardare la strada: “Mi ha fatto scegliere. Mi ha detto che avrei potuto salvarne uno solo. Uno solo. E io ho scelto Sam.” Chiude di nuovo gli occhi solo per un attimo. Quando li riapre, Nat nota un luccichio, ma non glielo fa notare. La sua espressione sofferente dice anche troppo. Si sente in colpa per aver lasciato Adam insieme a Lucifero e Michele, ma non si sarebbe mai perdonato, se avesse lasciato l’anima di Sam dentro alla Gabbia. Alla fine, è cresciuto con Sam, si è occupato di Sam, è stato sia suo fratello che suo padre che sua madre. Dean, per Sam, è stato sempre molto più che un fratello, è stato qualcuno che si è sempre preso cura di lui, e l’ha aiutato a crescere. Dean non avrebbe mai lasciato che la sua anima marcisse all’Inferno.
Natalie lo comprende in pieno, anche se capisce la sua sofferenza nell’aver lasciato Adam nella Gabbia.
“Dopo che ho espresso la mia decisione, ha detto che l’avrebbe fatto ad una condizione.”
“Quale?”
Dean deglutisce e risponde: “Devo indossare il suo anello per ventiquattro ore e sostituirlo.”
“Sostituirlo nel senso che diventerai tu Morte?”
“Si,  devo eseguire il suo compito, senza ribattere. Eseguire i suoi ordini e basta.”
È una cosa piuttosto dura da digerire, Nat non sa nemmeno esattamente che parole usare per provare a rassicurarlo, perché non crede nemmeno che ne esistano di parole in grado di rassicurare qualcuno su una cosa simile.
“Hai intenzione di farlo?”
Lo chiede, nonostante sappia già la risposta.
Quando Dean annuisce, infatti, non si sorprende per niente.  

                                                                                                              ***

Sono i cambiamenti che spaventano di più le persone. Sam lo sa bene. Lui stesso è stato spaventato dai cambiamenti così tante volte che ha perso il conto, ma mai lo è stato tanto quanto è tornato dalla Gabbia. Ricorda che la sensazione di spaesamento e diversità navigava dentro di lui, conquistando e divorando ogni fibra del suo corpo. Aveva paura di ciò che sentiva dentro, o meglio che non sentiva dentro. Era come se fosse vuoto. E quel vuoto, all’inizio, lo terrorizzava. È bastato veramente poco affinché, invece, lo apprezzasse. Si era reso conto di quanto stesse bene, in realtà. Non aveva più sensi di colpa, non aveva più rimorsi, nessun ricordo che gli provocasse dolore, nessuna necessità di mantenere almeno un briciolo di onestà per sentirsi almeno per una minima parte una persona migliore. Era riuscito a stare con la ragazza di suo fratello traendone solo piacere, se avesse avuto l’anima non ci sarebbe riuscito. Se avesse avuto l’anima era sicuro che non l’avrebbe nemmeno pensata una cosa del genere. Natalie è sempre stata una sorella, per lui. Ma senz’anima.. beh senz’anima era tutta un’altra cosa e quel corpicino atletico veniva messo sotto un’altra ottica. Era riuscito a dare in pasto ad un vampiro suo fratello solo per risolvere un caso, con l’anima non l’avrebbe mai fatto. Ma queste azioni non gli provocavano il minimo disagio. Niente di niente. La sua testa era così leggera, il suo cervello aveva smesso di arrovellarsi in pensieri contorti che gli avvelenavano il cuore con la loro verità crudele. Non pensava più alla sua dipendenza dal sangue demoniaco, provando disgusto per se stesso; non vedeva più il drogato che era diventato, così annebbiato da quella sensazione di potere che provava, che aveva preferito un demone a suo fratello. Aveva preferito un demone al sangue del suo sangue, alla famiglia.  Era stato all’inferno ancora prima che si gettasse nella Gabbia. Potrebbe dire di averlo biblicamente vissuto nel momento in cui aveva ceduto alla tentazione, alla lussuria, alla sete di potere, prima di saltarci letteralmente dentro. Non pensava più a tutto questo, o meglio, ci pensava ma la sensazione di rimorso non affiorava più. La sua coscienza non esisteva più e lui stava bene. Ed erano anni che lui non stava così bene. Per questo non ha la minima intenzione di rifarsi mettere dentro l’anima. Ha la sensazione che ritornerebbe a soffrire, a pensare, a provare rimorso. E lui non vuole.
L’assenza dell’anima, fin’ora, ha portato solo vantaggi, per lui. È un cacciatore migliore, riesce a fare cose che prima non si sarebbe mai nemmeno sognato e trarne solo benefici, senza provare sensi di colpa. Non vuole rinunciare a tutto questo.
Per questo ha deciso che, se Dean non vuole sentire ragioni sull’andare a recuperare la sua anima dannata e lacerata, lui rimarrà della sua idea di lasciare quella specie di palla luminosa di energia, ormai mezza scarica, esattamente dov’è. Che Lucifero e Michele la usino pure, tanto a lui non serve più. Lui non la vuole più.
Così,  dopo aver ascoltato il resoconto della lite tra Dean e Nat, e mentre osserva suo fratello che racconta il suo incontro con Morte, lui ripensa al proprio incontro clandestino con Balthazar, che ha deciso di aiutarlo in questa sua impresa.
Ripensa a tutti gli elementi necessari affinché il suo rito per lasciare l’anima all’inferno si compia alla perfezione. Può procurarsi tutto con estrema facilità, tranne un’unica cosa, ma può riuscirci benissimo.
“..A patto che faccia una cosa per lui.”
Ha gli occhi fissi su Dean e cerca di essere il più convincente possibile, anche senza parlare. Non vuole che sospetti niente del suo piano. E per fare in modo che tutto fili liscio, deve abbandonare il sarcasmo e la sfrontatezza che ultimamente gli vengono fuori dalla bocca in modo fin troppo naturale. Deve comportarsi come qualcuno che, al contrario dei suoi veri desideri, sente la mancanza di un’anima e vuole riaverla con se.
Se ci pensa, gli sembra una cosa stupida.
Desiderare di avere l’anima indietro, dopo aver assaggiato i vantaggi che porta invece il non averla, è un po’ come desiderare di andare al patibolo e legarsi il cappio intorno al collo da soli.
Chi mai vorrebbe tornare a soffrire? O ad angosciarsi? O ad essere consumato dai sensi di colpa, dal rimorso, dal ricordo delle atroci azioni commesse?
Solo uno stupido.
“Hai intenzione di parlare o dobbiamo indovinarlo?” lo sprona Bobby, le braccia incrociate al petto e l’espressione concentrata.
Dean si passa una mano sul viso e getta un’occhiata a Natalie, come se volesse avere la conferma che quello che sta per dire sia la cosa giusta.
Sam trattiene l’impulso di alzare gli occhi al cielo. Il loro rapporto è così morboso, dipendono in modo viscerale l’uno dall’altra. Distoglie lo sguardo per non essere tentato di sputare un commento poco appropriato. Ma prima, vede Natalie fare un cenno d’assenso con la testa, così Dean torna a parlare.
Il minore dei Winchester si concentra di nuovo solo su suo fratello.
“Devo indossare il suo anello per ventiquattro ore. Fondamentalmente, Morte vuole che lo sostituisca e che obbedisca ai suoi ordini senza battere ciglio. Se supero la prova, avremo indietro l’anima di Sam.”
“E tu che gli hai risposto?” chiede Bobby.
“Che lo farò.”
“Quando hai intenzione di andare?”
“Subito. Prima comincio, prima finisco. Ci pensi tu a lui?”
Sam vorrebbe intromettersi e dire che non è un bambino e tanto meno che non è sordo ed essere trattato come se fosse qualcuno di fragile che ha bisogno di protezione o di qualcuno che si occupi di lui, lo irrita terribilmente, ma tace.
“Certo. Natalie, tu cosa fai?”
“Lei rimane qui.” È Dean a rispondere, perentorio, e a Natalie quel tono non piace. Sam lo nota dal modo in cui i suoi occhi lo inceneriscono. Dean interrompe il contatto visivo non appena nota quel particolare nello sguardo di Natalie.
“Posso ancora parlare, sai?” sibila. Poi si rivolge a Bobby: “Rimarrò qui, comunque. Sono sicuramente più utile.”
Per un attimo, Bobby si trova a riflettere sulla piega che ha subito il rapporto tra Nat e Dean. È come se fossero in contatto solo quando devono lavorare, come se loro due ormai avessero accantonato le loro identità di esseri umani per far affiorare solo quelle da cacciatori. Se cacciano, o si occupano di un caso, come in questa occasione, sono tranquilli, riescono addirittura a scambiarsi occhiate d’assenso e conversazioni fatte di sguardi complici, ma se devono mettere da parte la loro natura da cacciatori e far emergere quella di individui, allora le cose si complicano: il loro umore cambia, bisticciano, i loro occhi si riempiono di tutte le cose che non si sono detti, tenute nascoste dietro ad una tenda che sembra impenetrabile. Una teca di vetro che permette di vedere il disagio, ma che non permette di percepirlo perché nessuno dei due vuole farlo uscire.
“D’accordo. Allora, bene così. Dean, sta’ attento e cerca di tornare intero, intesi?”
“Intesi.”
Adesso, Sam deve trovare un modo per procurarsi l’ultimo ingrediente.


Sam sa che non sarà facile fare quello che deve fare, non con Natalie nelle vicinanze. La osserva: si è seduta sul divano a gambe incrociate con un libro in grembo. Chissà cosa sta leggendo, si domanda, ma poi si risponde che non gli interessa.
Lui è in cucina, appoggiato al piano cottura, a bere una birra e riflettere su come poter mettere in atto il suo piano. Non sarà per nulla semplice. Deve prima di tutto trovare un modo per togliersi Natalie dalle scatole.
Continua a guardarla, bevendo la birra. La guarda leggere con l’unghia del pollice tra i denti, i capelli lunghi che ricadono sul libro sfiorando le pagine con le punte, l’espressione concentrata. Poco dopo, la vede alzare lo sguardo e lanciare un’occhiata nervosa all’orologio. Allora, capisce che la sua espressione concentrata e pensierosa non era rivolta a quello che stava leggendo. Leggere è solo una distrazione per non pensare a Dean e a quello che sta per fare. Peccato che non riesca a rimanere concentrata, peccato che il suo pensiero vada sempre a Dean.
Alza gli occhi al cielo.
È così tipico di Natalie che potrebbe risultare quasi scontato.
“Sei preoccupata?”
Natalie si volta a guardarlo, sorpresa.
“Tu no?” assottiglia lo sguardo, studiandolo. “Non mi stupirei se non lo fossi, sai?”
Sam si stacca dal piano cottura per andarle in contro. Natalie, istintivamente si irrigidisce e scioglie le gambe per portare i piedi per terra, pronta ad alzarsi nel caso la situazione prenda una piega che non le piace. È come se fosse sulla difensiva.
“Per carità Natalie, rilassati. Non ti mangio mica! Non che mi dispiacerebbe, chiariamo, ma non c’è gusto se non ti diverti anche te!” È una mossa azzardata, questa, visto che si era promesso di non comportarsi più così per essere convincente, ma tanto ormai Dean se n’è andato, quindi, visto che la recita andava avanti esclusivamente per lui, non ci sono più problemi, non è più necessario trattenersi.
Natalie abbassa lo sguardo, si mette i capelli dietro alle orecchie e deglutisce, a disagio. Sente i muscoli della schiena e delle gambe irrigidirsi. La vicinanza di Sam la rende nervosa, ma non in modo piacevole. La fa sentire in trappola. Un animale braccato, un cervo ferito che altro non aspetta che il colpo in fronte del cacciatore perché sa che è arrivata la sua ora.
Improvvisamente, le sudano le mani.
Le passa sui jeans.
Sam sbuffa.
“Se ti rendo così nervosa, me ne vado.” Afferma, scocciato. Così, si volta e si dirige verso la porta.
In quell’istante, qualcosa scatta in lei. Il nervosismo che le dava la sua vicinanza sparisce per lasciare il posto ad una necessità febbrile di tenerlo sotto controllo. C’è qualcosa che non la convince nel suo comportamento, che definirebbe bipolare. Ha già accantonato quella sensazione strana che gridava nella sua testa di approfondire, e non le ha portato molto bene. Questa volta deve darle ascolto.
“Dove hai intenzione di andare??” La sua voce esce ferma e decisa. Si dirige verso di lui e Sam si volta per guardarla, leggendo dentro ai suoi tutta la determinazione a non perderlo di vista che è esplosa dentro di lei.
“Non posso fare due passi?”
“No.”
“Perché? Perché Dean ha detto che dovete tenermi d’occhio? E siccome tu fai sempre ciò che ti dice, vuoi obbedire da brava bambina fedele?” la deride, allargando le braccia e senza interrompere il contatto visivo.
Vuole solo provocarti, pensa Natalie cercando di mantenere la calma. Fa un respiro profondo per ingoiare quel rospo amaro che le si è formato in gola, la rabbia le monta dentro e l’unica cosa che vorrebbe è tirargli un pugno, ma sa che non porterebbe a niente di buono, quindi si prende qualche istante per calmarsi e ribattere, con il tono più morbido che riesca ad usare:  “Non hai bisogno di qualcuno che ti tenga d’occhio, Sam. Sei un adulto. Preferirei solo che rimanessi qui.”
“Perché?” le chiede, diffidente.
“Deve esserci per forza un motivo?”
Sam non fa in tempo a rispondere che Bobby irrompe nella stanza.
“Eccovi.” Ha un libro in mano e sta sfogliando delle pagine, “Nat, mi ha chiamato la signora Elwood, la bibliotecaria, e ha detto che ha trovato un libro che le avevo chiesto. Potresti andare tu a prenderlo?”
A Natalie quella richiesta non piace, proprio per niente. C’è qualcosa in tutta questa situazione che non la convince, il suo istinto le urla di non uscire da quella casa, di tenere d’occhio Sam e i suoi comportamenti alla Dottor Jekyll e Mr. Hyde.
Sam, invece, non potrebbe essere più felice di questa cosa: è l’occasione che aspettava e gli è stata servita su un piatto d’argento. Sicuramente, persino il destino è convinto che non debba riavere con se la sua anima.
“Non posso andarci domani?” chiede Natalie, manifestando la sua contrarietà a quella richiesta.
“No, mi serve urgentemente. Quindi, vai. Ci vediamo più tardi.”
“Bobby, posso parlarti un attimo?”
Il vecchio cacciatore osserva la donna, pensieroso. C’è qualcosa nel suo tono di voce che lo spiazza: sembra agitata.
“Di cosa si tratta?”
“Dean.” Mente Natalie. Sa che facendo la misteriosa, Sam potrebbe insospettirsi, mentre è del tutto normale che lei sia preoccupata per il maggiore dei Winchester. Lo è sempre stata. E non è mai stato un segreto.
Bobby fa un cenno con la testa e Nat si avvicina a lui. I due si allontanano un poco da Sam, che comunque, non è interessato a sentire le preoccupazioni di Natalie riguardo a Dean.
“Credo che non sia una buona idea che ti lasci solo con lui.” Inizia Natalie, bisbigliando. “Ha un comportamento così strano: prima è un automa senza sentimenti, poi quando arriva Castiel sembra un cucciolo ferito, poi ancora davanti a Dean si comporta come se fosse un bambino spaesato e adesso, che Dean non c’è, è tornato una specie di robot. Non mi convince.”
Bobby aggrotta le sopracciglia e sembra.. offeso? Forse risentito sarebbe più appropriato: “Dimmi, Nat. Pensi sia stupido?”
Nat alza le sopracciglia, sorpresa: “N-no, certo che no. Che domande sono?”
“Credi davvero non me ne sia accorto? Certo che l’ho notato e credo anche che stia tramando qualcosa, ma fidati, lo so gestire. Quindi, va’ dalla signora Elwood, ho davvero bisogno di quel libro.”
“Bobby, io non cred..”
Il vecchio cacciatore alza l’indice, interrompendola: “Non mi piace ripetermi. Per favore, vai.”
Natalie, rassegnata, obbedisce ed esce di casa. La prossima volta che Bobby l’accuserà di essere cocciuta, gli ricorderà questo momento, e probabilmente gli rinfaccerà che è tutta colpa sua, che se è testarda è perché ha preso da lui!
La cacciatrice, mentre rimugina su questo pensiero, sale in macchina, mette in moto e parte.  
Sam, in casa, rimane ad ascoltare il rombo del motore e poi si incammina verso lo studio di Bobby dove il vecchio cacciatore si è rintanato.
È il momento d’agire.

Si sono spostati in cucina con la scusa di aver bisogno di una pausa, dopo così tanto tempo passato sui libri.
Bobby e Sam, seduti al tavolo, stanno giocando a poker e uno studia l’altro.
Sam, aspetta il momento giusto per agire.
Bobby, cerca di interpretare quello sguardo indagatore negli occhi del ragazzo che ha di fronte, che non riesce a nascondere fino in fondo di avere un piano in mente.
Il vecchio cacciatore non sa cosa aspettarsi. È teso e preoccupato, ma pronto a reagire, qualsiasi siano le intenzioni di Sam.
“Ehi, la birra è finita. Ne vuoi un’altra?” chiede, sollevando la bottiglia di fronte a se, ormai vuota.
“Certo, perché no.”
Bobby si alza e si dirige verso il frigo, con le orecchie tese pronte a cogliere il minimo movimento. È proprio quando si china all’altezza delle birre, riposte sull’ultimo scaffale del frigo, che percepisce la presenza di Sam in piedi dietro di se. Anni di esperienza come cacciatore, hanno sviluppato in lui istinti che i normali esseri umani non hanno. E sentirsi preda di un agguato è tra questi. Afferra prontamente un bastone di legno, situato ai piedi del frigo – non sa nemmeno il motivo per cui lo tiene lì – e voltandosi velocemente, colpisce Sam in faccia. Il ragazzo, colto di sorpresa, barcolla e cade all’indietro, perdendo i sensi.
“Sarai anche furbo, ragazzo, ma non sono nato ieri.”
Bobby si volta, lasciando Sam sdraiato a terra, e cerca in una piccola montagna di cose accumulate sopra ad una panca, proprio lì in cucina, una corda abbastanza spessa e lunga per legare Sam.
Ma quando si volta, il giovane cacciatore è sparito.
“Dannazione!” sbotta Bobby. Inizia a camminare per casa – questa volta armato del suo fucile – e tiene le orecchie tese. Si incammina verso l’ingresso e chiude a chiave la porta, poi si intrufola dentro al ripostiglio in attesa.
Ci vogliono pochi istanti, prima che Sam lo raggiunga e inizi a sfondare la porta dello sgabuzzino, chiusa a chiave, con un’ascia.
Per qualche secondo, Bobby altro non vede che la lama dell’ascia che si conficca nel legno, spargendo schegge dappertutto, ma poi, dopo qualche altro colpo, il viso di Sam compare nella fessura scavata nel legno. I suoi occhi determinati, bruciano di una follia estranea al vecchio Sam, la forza con cui colpisce quella porta fa intuire solo ed esclusivamente una cosa: Sam vuole ucciderlo. E lo farà, se nessuno lo fermerà.
“Non dire Sono il lupo cattivo!
“Mi dispiace, Bobby. Devo farlo!” La voce affannata per lo sforzo, gli occhi arrossati.
“Sono piuttosto sicuro che non te lo lascerò fare!” Ribatte il vecchio cacciatore, spingendo una leva al lato della porta. Sotto ai piedi di Sam si apre una botola e il giovane finisce nel sotterraneo della casa. Assi di legno lo circondano e un dolore bruciante alla gamba gli fa notare che si è tagliato e perde sangue. Poco importa. Deve portare a termine il suo piano. Si alza velocemente e sale le scale dello scantinato, ma trova la porta chiusa. Le scende nuovamente afferrando una lunga asta di ferro che inizia a battere contro la serratura della porta.
“Anima d’acciaio rinforzato, telaio ricoperto di titanio. Mettiti comodo.”  La voce di Bobby proviene dall’altro lato della porta.
Sam, per la frustrazione, picchia un pugno contro la porta, ma poi si accascia appoggiando la schiena ad essa.
“In cosa ti sei cacciato, Sam? Un patto demoniaco?”
“Un incantesimo. Ho bisogno di alcuni ingredienti e il tuo sangue è uno di questi. Devo eliminarti. Non vorrei farlo, ma devo.”
La sua voce è così glaciale che, anche se percepita ovattata attraverso la porta, Bobby si sente percorrere da un brivido freddo. Una fitta al cuore lo invade, facendogli pensare che ha perso il suo ragazzo. Sam non avrebbe mai nemmeno pensato di schiacciargli un dito, e adesso, l’ha inseguito in casa sua con un’ascia. Accantona quella sensazione per tornare concentrato.
“Dean non capisce. Io non la rivoglio l’anima. Hai sentito quali potrebbero essere le conseguenze, perché dovrei accettarle, eh? Solo perché Dean vuole indietro il suo fratellino, il suo Sammy? No, non ci sto.”
“Sam, ascolta..” comincia Bobby, ma l’assenza di risposta gli fa sospettare che Sam non sia più presente. Quando apre la porta, infatti, trova la stanza vuota. Si incammina giù per le scale lentamente con il fucile carico, pronto a sparare.
“Non esiste che qualcuno mi uccida in casa mia.” Afferma, più a se stesso che a qualcuno in particolare.
Prosegue fino ad arrivare alla panic room: trova del sangue sulla maniglia e al suo interno una scala al centro del pavimento, situata proprio sotto la grata con la trappola del diavolo. Sam ha scardinato la grata ed è uscito da lì.
“Che palle!” impreca, frustrato.
Procede a ritroso, guardandosi le spalle di tanto in tanto. Esce di casa e segue le tracce di sangue fino al garage che è chiuso. Ma quando nota una macchia di sangue sulla porta, decide di aprirla con una spinta. Purtroppo però non trova niente. Un attimo dopo, un dolore acuto alla base della nuca gli annebbia la vista e lo catapulta nel nero più totale. Bobby ha perso i sensi.

                                                                                                      ***

Guidare verso la biblioteca in un momento del genere le sembra alquanto ridicolo. È vero che Bobby sa gestire qualsiasi cosa, ma la sensazione strana che la divora dentro non è diminuita nemmeno un po’ da quando è partita e inizia a pensare che debba darle ascolto.
Già una volta non l’hai fatto e ti sei pentita, pensa, immagina se adesso succedesse qualcosa di grave e avresti potuto fare qualcosa per impedirlo, ma non l’hai fatto perché la signora Elwood ti stava aspettando.
La voce nella sua testa ha ragione. È impossibile che questa sensazione impellente di aver sbagliato a lasciare casa sia solo una semplice sensazione e non una specie di avvertimento dall’alto. Perché deve essere restia a credere a queste cose, quando passa la vita ad uccidere creature che dovrebbero esistere solo nelle leggende narrate nel folklore?
Al diavolo la signora Elwood e il suo dannatissimo libro!
Frena bruscamente e fa inversione di marcia.
Non lascerà che succeda qualcosa a Bobby solo perché ha voluto obbedirgli anzi che ascoltare una sua sensazione. Non è mancanza di fiducia verso il cacciatore, è voler essere sicuri che vada tutto bene. E se quando arriverà a casa Singer, troverà Bobby e Sam che sorseggiano the e discutono del tempo, allora sarà felice di tornare verso la biblioteca. Ma finché avrà questa sensazione di pericolo che alberga dentro di lei, la cosa migliore che può fare è andare a controllare.  


È sera quando imbocca il vialetto passando sotto l’insegna Singer Auto, i rottami ammassati nello spiazzo polveroso della proprietà di Bobby sembrano delle carcasse di grossi animali rimasti al sole per troppo tempo, essiccati e con le ossa sporgenti. Trova l’immagine un po’ inquietante. O forse, è l’inquietudine che sente dentro che le fa vedere inquietante ciò che la circonda.
Parcheggia e, dopo aver preso la pistola dal vano portaoggetti, scende dall’auto, ma nota che la porta del garage è aperta. È strano, visto che a quest’ora Bobby la tiene chiusa. Quando si avvicina, nota che la porta è macchiata di sangue.
In quell’istante il suo, di sangue, è diventato così gelido che sentirlo nelle vene le provoca quasi dolore. È pesante e sembra che scorra male, come se incontrasse degli ostacoli nelle vene che gli impediscono di scorrere correttamente. Impugna la pistola con fermezza e si dirige a passo svelto verso la casa. Entra facendo il minor rumore possibile, facendo attenzione che i suoi passi siano felpati e leggeri. Perlustra tutte le stanze e le trova vuote. L’ansia continua a salire, potente come un’onda, ma cerca di tenerla a bada. Se lasciasse scatenare il maremoto dentro di se, non caverebbe un ragno da buco.
Inspira.
Espira.
Continua la perlustrazione, fino a quando non nota la porta dello sgabuzzino spaccata e la botola davanti ad essa aperta.
Non è un buon segno. Per niente.
Si dirige verso l’unica parte della casa che non ha ancora controllato: il seminterrato.
Mentre scende le scale, sente il sudore colarle lungo la schiena, i capelli le si appiccicano sulle guance, le braccia tese che terminano con la pistola serrata nelle mani, come se l’arma fosse un prolungamento naturale di se stessa.
Striscia vicino ai muri per non farsi vedere e rimanere il più nascosta possibile da eventuali attacchi. Il cuore le batte all’impazzata, il panico l’assale, la paura che sia successo qualcosa di irrimediabile a Bobby le annebbia la mente e le paralizza le gambe.
Deve assolutamente calmarsi.
Inspira.
Espira.
Riprende a camminare, il tamburellare del cuore, adesso, suona meno invasivo.
Quando arriva alla fine del corridoio, proprio davanti alla panic room, sente delle voci.
“Perché lo fai? Sono stato come un padre per te!”
La voce di Bobby è come un sorso d’acqua dopo aver passato settimane nel deserto: è ancora vivo. Si sporge per vedere la situazione: Bobby è legato ad una sedia dentro ad un cerchio con dei simboli, simili a quelli che si usano per intrappolare i demoni, ma più complicati. Nat non li riconosce.
La voce di Bobby è amara, ma spaesata. Non comprende come Sam possa essere capace di tanto e rimanere indifferente davanti ad un’esecuzione. Perché è di questo che si tratta: Sam sta per ammazzare la sua figura paterna con un coltello, come se stesse sacrificando un animale.
Una rabbia cieca monta dentro Natalie, che si sente come se le avessero toccato un nervo scoperto.
Esce dal suo nascondiglio proprio quando Sam solleva il coltello che ha in mano.
“Fermo. O giuro che ti sparo.” Lo tiene sotto tiro. E sanno tutti che lei non sbaglia mai.
“Non lo farai.”
“Non provocarmi, Sam.” Afferma decisa. “Perché lo fai?” Continua, “Quando sei tornato hai detto che avevi nostalgia di casa! Se siamo come casa per te, perché lo vuoi uccidere??”
“Tu non capisci!”
“Spiegami.” Dichiara glaciale, le braccia tese e gli occhi puntati su Sam, pronta a sparare.
“Dean. Lui vuole indietro il suo Sammy, ma indovina un po’? Il suo fratellino sta bruciando all’inferno! Io non la voglio quella cosa dentro di me. E mi dispiace per tutto questo, ma devo farlo!”
“No, non lo farai.” Per un attimo, le trema la voce. Osserva Sam: un rivolo di sangue secco gli parte dalla fronte e segna il suo viso fino alla guancia, la camicia scomposta, strappata su un braccio, la gamba scoperta che sanguina. La follia nel suo sguardo, la determinazione nel voler uccidere l’uomo che è come un padre per entrambi. Quello non è Sam. O almeno, non è il Sam che conosceva lei.
Il suo Sam, il vero Sam, sta bruciando all’inferno da più di un anno. Quello che ha davanti è solo un involucro di carne con l’aspetto del ragazzo che è cresciuto con lei, con il quale rideva, parlava di libri e scambiava aneddoti imbarazzanti sulle figuracce che faceva Dean da ragazzino, credendosi un grande uomo.
L’uomo che ha davanti, è un mostro che è disposto ad uccidere l’uomo che lei considera suo padre. Bobby l’ha cresciuta, l’ha educata, si è occupato di lei. Bobby non è suo zio.
Bobby è suo padre, e non importa se non lo è biologicamente.
E lei non è disposta a perderlo. Non vuole perderlo.
Non quando ha già perso  (il vero) Sam.
Non quando ha già perso Dean.
Non quando la guerra che hanno combattuto le ha portato via molte delle persone che amava.
“Mi dispiace, Sam.” Deglutisce. Le lacrime le solcano il viso, calde e silenziose: “Vorrei andasse diversamente.”
A questo punto, fa ciò che ritiene giusto: prende la mira e spara.





(*) L'episodio preso in considerazione è l'undicesimo della sesta stagione "Appuntamento a Samarra" di cui l'ultimo dialogo tra Sam e Bobby è ripreso letteralmente, così come la descrizione della scena. 
Sicuramente l'avrete notato, ma mi sembrava giusto comunque specificarlo, visto che non è farina del mio sacco! 
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto! (: 



 

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Capitolo 4
*** 4. ***


Ferita per colpo d’arma da fuoco.
È una frase che tutti hanno sentito nella loro vita, o almeno chiunque guardi un poliziesco. Ed è una frase piuttosto ad effetto, se percepita attraverso uno schermo della televisione. L’effetto che fa quando, invece, risuona nelle orecchie non appena si sente davvero un colpo d’arma da fuoco non è per niente inebriante. Anzi, è terrificante. Gli spari sono inconfondibili. Non possono essere scambiati con qualche altro rumore, come capita quando, invece, si sente per caso un tonfo proveniente dalla stanza accanto a quella in cui ci si può trovare e si ipotizza quale oggetto possa essere caduto: il libro lasciato in bilico sopra ad una pila di altri libri, il telecomando lasciato troppo vicino al bordo del divano, il cellulare sbadatamente abbandonato sul bordo della scrivania. Questi oggetti fanno tutti lo stesso rumore, che porta a chiedere quale sia quello vittima della cronica sbadataggine e avversione all’ordine tipica di alcuni individui. Un colpo d’arma da fuoco dubbi del genere non li fa venire. Dal momento che si sente l’esplosione seguita dal fischio del proiettile che si conficca contro il bersaglio, si è consapevoli che si tratta di un colpo d’arma da fuoco.
Se si passa la vita a cacciare, poi, si riconosce anche qual è l’arma che ha sparato.
E se c’è qualcuno che sa riconoscere le armi, quello è Dean Winchester, che ha costruito il suo primo fucile a tredici anni.
Per questo, quando entra in casa e sente lo sparo, si fionda nel seminterrato. La casa, a cui da un occhiata veloce, giusto il tempo di notare la porta dello sgabuzzino sfondata, è vuota e sembra che l’eco del colpo rimbombi ovunque, riempiendo ogni stanza con la sua voce stridula e acuta.
Scende le scale a due a due, in preda al panico.
Ha riconosciuto l’arma di Natalie, il che lo porta a pensare a scenari poco piacevoli. Perché Nat dovrebbe sparare a qualcuno, quando gli unici con cui si trova sono Bobby e Sam?
Percorre le scale così velocemente che quando arriva all’ultimo gradino gli sembra di aver volato. Corre nel corridoio, ma prima di arrivare alla panic room, si blocca di colpo. Il sangue gelato, il formicolio tipico del panico che gli sale fino alla nuca e si conficca prepotente e invasivo come un chiodo in una parete. Gli sudano le mani e gli si secca la gola. Il cuore batte così forte che lo sente nelle orecchie, nel cervello e nei polpastrelli. Un tamburo così nitido, preciso e martellante che lo rende sordo a qualsiasi altro rumore.
In terra c’è del sangue.
E sopra al sangue c’è Sam.
Si lancia verso di lui: “Sam!” urla, così forte che gli fa male la gola.
Ma Bobby e Nat stanno già sollevando suo fratello per portarlo dentro alla panic room. Quando entrano lo piazzano sopra al lettino, Bobby gli lega polsi e caviglie con le cinghie, mentre Nat cerca dentro ad un mobiletto metallico la cassetta del pronto soccorso.
“Che cosa è successo?” sbraita Dean, in preda al panico.
“Datti una calmata. È vivo. Ha solo perso molto sangue!” grida Bobby di rimando.
“Perché?”
“Gli ho dovuto sparare.” Spiega Natalie, dopo aver trovato finalmente la cassetta del pronto soccorso.
Che cosa vuole dire dovuto? La testa di Dean vortica velocemente, il respiro corto. Sembra l’inizio di un attacco di panico.
“Perché?” esala, anche se quello che esce dalla sua bocca sembra più un rantolo.
“Perché Sam ha tentato di uccidere Bobby. Ha fatto un accordo con non sappiamo chi che gli ha detto che uccidendolo avrebbe completato l’incantesimo necessario affinché la sua anima rimanesse esattamente dov’è. Quando sono rientrata ho trovato Bobby legato ad una sedia e Sam con un coltello in mano, pronto a compiere il sacrificio.” La voce di Natalie è ferma, ma quando Dean la vede avvicinarsi con la cassetta del pronto soccorso al tavolo dove Sam è sdraiato, quando la apre per estrarne un ago sterile, nel momento esatto in cui il filo dovrebbe entrare nella cruna, le mani della ragazza tremano, mancando il bersaglio. Natalie emette un grido frustrato. Mette il filo tra le labbra per umidificarlo e fare in modo che assuma la forma più sottile possibile e ritenta: questa volta, riesce nella sua impresa.
Deve metabolizzare quelle parole, assimilarle, lasciare che entrino dentro di se perché all’inizio gli sembrano fin troppo assurde. Non è possibile. Sam vuole la sua anima, gliel’ha detto. Non può credere che mentisse, non può credere di non essersi accorto che mentisse.
Non può credere che questo Sam senz’anima sia disposto ad uccidere Bobby. Non vuole credere che suo fratello sia capace di cose simili.
Tentare di uccidere Bobby. Sam non avrebbe mai nemmeno accarezzato l’idea di fare una cosa simile perché vuole bene a Bobby. La svolta che ha preso questa situazione lo paralizza e il panico entra in circolo percorrendo tutto il suo corpo come se il cuore avesse iniziato a pomparlo al posto del sangue. I sudori freddi sono così intensi che è scosso da un brivido glaciale e violento che si propaga per tutto il corpo.
“N-non è possibile.”
Nat alza lo sguardo dall’ago per portarlo su Dean: “Lo è. Altrimenti non gli avrei sparato.”
Riporta lo sguardo su Sam, e Dean rimane a guardarla mentre lo medica. La vede passare una garza – che puzza di alcol etilico a tal punto che i suoi peli del naso rischiano di andare a fuoco – sopra alla ferita, mettere l’ago nella cassetta del pronto soccorso e prendere da essa delle lunghe pinze di metallo, che infila nella spalla di Sam, proprio in mezzo a tutto quel sangue.
Il minore dei Winchester si desta dal suo stato di incoscienza urlando.
Bobby prontamente afferra le spalle del ragazzo e lo tiene fermo, in modo che la visuale di Nat non sia distorta da Sam che si contorce.
“Farò presto,” sussurra la cacciatrice, “farò presto.”
Ha la fronte imperlata di sudore, i capelli raccolti disordinatamente in una coda storta e si tiene il labbro inferiore tra i denti – molto probabilmente per impedire che tremi.
Dean osserva la scena in silenzio, concentrandosi su Natalie per non guardare Sam che geme di dolore ogni volta che quelle pinze affondano sempre di più nella sua carne. Deve estrarre il proiettile. E sembra che trovarlo non sia facile. Chissà a che profondità si è conficcato.
Cerca di ragionare sull’accaduto per non pensare al sangue che esce dalla spalla di suo fratello.
Pensa a Sam che ha architettato tutto, fingendo di rivoler indietro l’anima solo per fare in modo che lui fosse lontano da casa ad impedire tutto questo; pensa a Bobby che combatte, ma qualcosa deve essere andato storto perché Sam è riuscito a legarlo; pensa a Natalie che.. già, dov’era Natalie? Ha detto che quando è rientrata ha trovato la situazione già in un punto critico – così critico da sentirsi costretta a sparare – ma dov’era finita? Lui l’aveva lasciata in casa. Probabilmente Bobby le ha chiesto di fare una commissione per lui. È sicuro che di sua spontanea volontà non sarebbe uscita. Non in una situazione del genere.
Torna di nuovo a guardarla, con le pinze è riuscita ad estrarre il proiettile e ora le sue mani non tremano più. Afferra una garza immacolata, la bagna con del disinfettante e pulisce il sangue fino a quando la pelle intorno al foro non è completamente pulita, solo allora inizia a cucire la ferita.
La osserva: guarda le mani di Natalie che, con fare esperto, fanno passare l’ago da un lembo all’altro della pelle, tirano il filo per fare in modo che i bordi si uniscano ma senza provocare dolore a Sam, che ha perso nuovamente i sensi.
Osserva l’espressione concentrata di Natalie, la fronte ancora lucida e gli occhi fissi su ciò che sta facendo. Il tremito delle sue mani è sparito, ma ha le braccia coperte di brividi, come se la situazione l’agitasse, come se fin’ora avesse mantenuto i nervi tesi e adesso, che il peggio sembra passato, si siano sciolti liberando una moltitudine di brividi per tutto il suo corpo. Senza accorgersene, si trova a seguire quei piccoli puntini ravvicinati che riempiono la pelle della ragazza lasciata scoperta dalla canottiera bianca che indossa: le braccia, il collo, scende alle clavicole, dove si sofferma sulla piccola piuma che ha tatuata proprio su quella destra, osserva i piccoli uccelli che si formano sull’estremità della piuma e si sganciano da essa, volando liberi verso la spalla. Il nero del tatuaggio è reso lucido dal sudore e la sua superficie non è più liscia: i brividi hanno invaso anche quella.
“Ho finito.”
Dean osserva suo fratello, sdraiato sopra al lettino con le mani e le caviglie legate, la ferita cucita e coperta con una fascia. Osserva Bobby che si affianca a lui, gli passa una mano sul collo per controllare il battito: sembra regolare. Sam ha gli occhi chiusi e il suo petto si abbassa e si alza con fare rilassato, come se dormisse.
“Nat, dobbiamo parlare.”
Natalie porta la sua attenzione su Dean. Solo ora nota quanto la sua espressione sia sconvolta, quanto il suo viso sia pallido e quanta preoccupazione trasudi da quelle semplici parole.
“Certo, andiamo di sopra.”

                                                                                                           ***

Il viso di Dean è così pallido da sembrare trasparente, i suoi occhi, cerchiati da occhiaie grigie, sono consumati dalla preoccupazione e si guardano intorno bramosi di qualcosa che possa anche lontanamente assomigliare alla serenità. È tremendamente scosso.
“Dean, ascolta..”
Lui si passa una mano sulla faccia e, interrompendo l’attenta ricerca di qualcosa che possa almeno provare a calmarlo, porta la sua attenzione su Natalie.
Lei lo calma.
Il suo viso, anche se in questo momento è toccato dall’ansia quasi quanto il proprio, lo tranquillizza.
“Non l’avrei fatto se non ne fossi stata costretta.”
E Dean sa che è vero. Natalie non sparerebbe mai a Sam, è come suo fratello. Hanno la stessa età, sono cresciuti insieme. Spesso, quando Sam era troppo piccolo per andare a caccia, lui e John lo lasciavano da Bobby e Sam e Natalie giocavano insieme, vivendo quella che è stata la cosa più vicina all’infanzia, per chi ha genitori cacciatori. Con loro ci hanno provato, si sono impegnati affinché Sam e Nat rimanessero il più all’oscuro possibile del mondo in cui erano destinati a vivere.
Perché mi lasciate sempre qui? Sto bene con Bobby, mi diverto con Nat, ma mi mancate. Tu e papà state via settimane.
Non posso spiegartelo, Sammy. Ma non preoccuparti, torneremo presto questa volta.

Non tornavano mai presto. Ma Dean era tranquillo, perché Sammy era nelle mani di Bobby, perché Sammy avrebbe giocato con Natalie. Si sarebbero tirati la palla in casa e Bobby avrebbe fatto la voce grossa perché quella palla farà dei danni, lo so! ma poi li lasciava giocare; avrebbero giocato a nascondino, finendo con l’arrampicarsi sui rottami delle auto – scatenando le urla di Bobby che temeva potessero farsi del male; avrebbero mangiato biscotti guardando la tv, distraendosi dal film ogni tre per due per farsi i dispetti, o per finire a giocare a “facciamo finta che..” ignorando il film, che era sicuramente meno interessante di fare finta di essere cavalieri che cavalcano draghi, o poliziotti, o scimmie – avevano passato quel periodo dopo aver visto Tarzan un po’ troppe volte.
No, Natalie non avrebbe mai sparato a Sam, a meno che le circostanze non l’avessero obbligata a farlo.
E comunque, non l’avrebbe mai ucciso.
Se l’ha preso alla spalla è perché voleva colpirlo alla spalla. Natalie non sbaglia mai. È la Deadshot dei cacciatori.
“Lo so. Ed è qui che si pone il problema.”
Nat aggrotta le sopracciglia: “Che vuoi dire?”
Dean inizia a camminare in cerchio nella sala di Bobby. Ci sono solo loro due, il silenzio è rotto solo dai passi frenetici di Dean che solcano sempre lo stesso pezzo di pavimento e scandiscono il tempo come fanno le lancette dell’orologio. Puntuali e costanti.
È in ansia. Nat si avvicina e gli afferra il viso tra le mani, costringendolo a fermarsi e a guardarla.
Lui, d’istinto, porta le proprie mani sopra alle sue. Ora si che si sente più calmo. È strano – stranissimo – perché con quello che è successo in questa notte, dovrebbe farsi prendere dal panico, ma la sensazione di ansia attanagliante si allevia notevolmente quando la tocca.
“Ho fallito.” Chiude gli occhi e sospira, esala quella frase come se fosse l’ultimo respiro di un condannato a morte, l’ultima cosa da dire prima di lasciare questo mondo. Pronuncia quella frase come se fosse il suo peccato più grave, quello imperdonabile. Quello per cui anche i peggiori criminali del pianeta sarebbero disgustati.
“Non sono riuscito a tenere l’anello per ventiquattro ore e quindi non avrò indietro l’anima di Sam, ma devo avere indietro l’anima di Sam, altrimenti questo nuovo lui proverà ad uccidere Bobby di nuovo, o magari ucciderà anche te, o forse diventerà…” Si blocca di colpo, incapace di proseguire. La voce rotta dal pianto formatosi in gola, ma tenuto al guinzaglio. Le lacrime pungono dietro gli occhi come spilli conficcati direttamente nel cervello, ma le caccia indietro prima che diventino troppo potenti per essere fermate. Alza la diga per evitare l’inondazione.
“Un mostro...”  sussurra Natalie. Abbassa le mani lungo i fianchi e rimane ad ascoltare quella parola pronunciata dalla sua bocca che ora le risuona nelle orecchie.
Mostro.
È così che ha definito Sam nella sua mente per convincersi a sparare. Ma il solo pensiero di associare una parola così pensante a Sam, la fa rabbrividire. Quasi si disgusta di se stessa per averla associata a lui.
Sono abituati a vedere come mostri ciò che vive nella notte e che hanno imparato a cacciare. I mostri sono cattivi, sono spietati, sono crudeli, fanno del male perché la loro natura malvagia porta loro a voler infliggere dolore, o a voler uccidere solo per il gusto di farlo, solo perché a loro piace sentire la vita che viene succhiata via dalle loro vittime, i loro occhi che si spengono per sempre e loro anime che volano via, chissà dove.
Vanno eliminati. Tutti. Nessuno escluso. È così che hanno imparato a fare.
Se è un mostro, va ucciso.
O bianco, o nero.
Nessuno pensa mai al grigio, quando insegna a dei ragazzini a diventare delle spietate macchine da guerra stermina mostri.
Nessuno insegna che, un giorno, questi ragazzini diventati adulti potrebbero associare quella parola ad un membro della loro famiglia e si sentano costretti a sparargli, sentendosi a loro volta mostruosi per aver effettivamente premuto il grilletto.
Nessuno insegna che il grigio capita più spesso di quanto possano capitare il bianco o il nero. E quando situazioni del genere capitano si è costretti a fare i conti con i sentimenti: avrebbe dovuto uccidere Sam? Avrebbe dovuto porre fine al mostro che vive dentro di lui e consuma ciò che c’era di buono in quel ragazzo? No che non avrebbe dovuto ucciderlo. La natura di Sam è buona, gentile.. ciò a cui lei ha sparato non era Sam, era qualcuno con le sue sembianze. Questo rende Sam grigio. Non è ne buono, ne cattivo. Cosa si deve fare in situazioni simili? Non ci sono insegnamenti che spiegano come reagire in situazioni come questa. In questi casi, è solo l’istinto che comanda.
“Si. Ho paura di non avere una vita d’uscita, questa volta.” La voce di Dean si incrina e si passa una mano sulla faccia per fare in modo che Natalie non veda le lacrime che sono scappate, subdole e silenziose, dai suoi occhi. La diga non ha retto.

“Ce l’hai, invece.” Ma la voce che pronuncia questa frase non è quella di Natalie.

Morte entra lentamente in sala, avvicinandosi pericolosamente a loro. Il suo passo è elegante e deciso, ma non per questo rumoroso. Leggero come una piuma, antico come il tempo.
Quando è a pochi passi da loro, Dean, istintivamente, si pone davanti a Natalie per impedire che Morte la sfiori.
Al Cavaliere sfugge una risata derisoria, che però viene immediatamente controllata: “Non fare lo stupido. Non puoi proteggerla da me.”
Si pone davanti al cacciatore e, con una sola occhiata, lo invita a farsi da parte.
Dean non si muove.
Il cuore di Natalie batte così forte che sembra un cavallo imbizzarrito, e lei è la cavallerizza che non riesce a tenerlo a bada. Le briglie sono sciolte e presto l’animale disarcionerà il fantino che ha tentato di domarlo quando invece l’unica cosa che voleva fare era correre libero. Il suo cuore è impazzito proprio come quel cavallo che voleva la libertà e invece è stato costretto a vivere in un recinto. La sua gabbia toracica, improvvisamente, sembra troppo piccola per contenere quel muscolo che continua a pompare sangue al doppio della velocità normale. Non hai mai avuto contatti con Morte e averlo davanti, adesso, la terrorizza. Ha paura di quell’uomo dalla pelle perlacea e incartapecorita, dagli occhi neri e profondi quanto un pozzo oscuro senza fondo, dal naso ricurvo e dalle labbra sottili e serrate. È vestito di nero, come un corvo. La sua voce, tuttavia, non esce fastidiosa come il gracchiare incessante e caotico degli uccelli neri, ma è calma e soffice.
Rabbrividisce.
Quando Morte porta i suoi occhi su di lei, le manca il respiro. Non sa come comportarsi, non sa come agire, non sa cosa pensare. Sa solo che il suo corpo è dominato dalla paura.
Dalla paura di morire.
Ogni essere umano sa che nascendo, automaticamente la sua vita andrà incontro alla morte, ma ora è tutto così concreto che si sente così piccola e insignificante, una presenza fin troppo passeggera in confronto alla natura eterna di Morte.
Morte, che esiste ancora prima che l’uomo iniziasse a credere in Dio, o nell’Inferno, o in Lucifero. L’uomo ha creato la religione e chiunque tema le punizioni divine o il diavolo, teme solo qualcosa che ha creato e in cui ha scelto di credere. La morte, invece, è così concreta che non si può scegliere di credere in essa o meno, ci si crede perché ogni essere vivente sa a cosa è destinato.
“Natalie, avvicinati.”
“No Nat, non lo fare.” gli occhi di Dean non lasciano quelli di Morte. Inchioda i suoi smeraldi nelle onici del Cavaliere, che sembra possa inghiottirlo da un momento all’altro. Una brillante fogliolina verde inghiottita dalla potenza distruttiva di un uragano scuro e letale. Una pozza di petrolio in cui qualsiasi cosa annega, soffoca, e poi sparisce.
“Dean smettila di fare così.” Le trema la voce così tanto che stenta a riconoscerla persino lei stessa. Afferra il braccio di Dean e lo tira indietro, allontanandolo da Morte. Lei invece, si avvicina al Cavaliere.
“Tu mi temi?”
“Tutti ti temono.”
Dean si è messo al suo fianco e le stringe la mano.
“Sai, Natalie...” comincia Morte, sciogliendo le proprie mani congiunte e sfiorandole una guancia.
Le sue mani sono così fredde che il corpo di Natalie viene percorso da un brivido. E un pensiero le invade la mente, ricordandole una canzone che conosceva.
What is this that I can’t see, with ice cold hands taking hold of me.
Solo che riesce a vederlo e le sue mani sono così fredde che teme possa arrivare a congelarle il sangue per sempre.
When God is gone and the Devil takes hold,
Who’ll have mercy on your soul?
No wealth, no ruin, no silver, no gold,
Nothing satisfies me but your soul,
Oh Death…
(1)
Morte è incorruttibile. Non vuole oro, argento, niente di prezioso. L’unica cosa che brama è l’anima del condannato a morte perché è ciò che gli spetta, è ciò che gli appartiene nel momento stesso in cui un essere umano viene dato alla luce. Perché Morte sa che, anche se dovrà aspettare molti anni, tutti gli uomini finiranno tra le sue braccia. Una collezione immensa, infinita, e lui è il collezionista più antico e paziente che esista. Morte esiste dall’alba dei tempi, vecchio come l’esistenza stessa. Più vecchio di Dio. Più potente di Dio. Più distruttivo dell’ira divina.
Ogni cosa porta a Morte: la rabbia, l’invidia, la follia, i tradimenti, l’orgoglio, gli incidenti, la vita stessa. Tutto nasce per morire. Tutto nasce per finire nelle fredde, glaciali, affusolate mani perlacee di Morte. Un Cavaliere senza tempo a cui il tempo appartiene. A cui tutto appartiene.
“Cosa?” gli chiede, irrigidendosi per quel contatto. Teme da un momento all’altro che possa scegliere di bloccarle il cuore per sempre e guardarla mentre si accascia, ormai priva di vita, sul pavimento.
“Tu sei un piccolo miracolo. Uno di quelli per cui vado fiero.”
“Che vuoi dire?” La voce esce roca, la gola è così secca che le sembra di avere della ghiaia in bocca. Deglutisce, ma a vuoto.
“Sono stato io a prendere i tuoi genitori, tanti anni fa. Anche se non era la loro ora..”
“Perché??”chiede, scossa da un improvviso moto di rabbia. Odia Morte, in questo momento, odia l’idea che possa aver preso i suoi genitori solo per un suo capriccio da bambino viziato e annoiato che decide di staccare le teste delle bambole della sorella solo per farle dispetto e sentire il brivido di eccitazione tipico di quando si fa qualcosa che non andrebbe fatta. Le lacrime le pizzicano dietro agli occhi e le fanno dolere le pupille.
“Era previsto morisse il pirata della strada ubriaco che li ha investiti, ma non era previsto che ci fossero loro in quella strada. Era previsto che si schiantasse contro il guardrail curvando, non contro un’altra macchina.”
“Basta!” la voce di Dean le arriva ovattata alle orecchie. Riesce solo a sentire Morte. È ipnotizzata dalla sua voce come lo può essere un serpente di fronte ad un incantatore.
“Quando ti ho trovata in quella macchina accartocciata eri così piccola, innocente. Piangevi con tutto il fiato che avevi in gola, disperata per qualcosa di cui non riuscivi ancora a capire la portata, come potevi, a soli cinque mesi? Per loro era troppo tardi, ma non per te.”
“Mi stai dicendo che mi hai salvata?” la sua rabbia sciama, lentamente. Morte non ha preso i suoi genitori perché gli andava, l’ha fatto perché ne è stato costretto. Doveva farlo. È stato un incidente che li ha portati via da questo mondo, Morte ha solo fatto in modo che arrivassero dall’altra parte il più in fretta possibile, e nel modo più indolore. Ha agito secondo le circostanze che gli si presentavano.
“Certo. Non sono un assassino. Rispetto un programma, un ordine. Non era la tua ora, quindi ti ho salvata.”
“Come?”
“Non ho intenzione di dirtelo.”
Abbracciata da Morte per continuare la Vita, un custode insolito per andare avanti nel cammino.
Morte che dona la Vita, come una mamma che tragicamente muore partorendo il bambino che portava in grembo.
“Perché mi dici tutto questo?”
“Perché voglio che tu sappia che non devi temermi più di qualsiasi altro essere umano. Non devi avere paura di me perché hai a che fare con il sovrannaturale, non devi temermi perché pensi che possa portarti via solo per un mio capriccio, o solo perché Dean Winchester non mi sta simpatico. Sono preciso. Arriverò da te solo quando sarà la tua ora.”
“Perché sei qui?” si intromette Dean. Non capisce perché debba dire una cosa del genere a Natalie, che senso abbia farle sapere che si ricorda i suoi genitori e il momento in cui li ha presi con se. A cosa può servirle? A rinnovare quella sensazione di smarrimento che provava da bambina?
Per un periodo a scuola, ero quella strana. Sai, non avevo una mamma a cui scrivere una letterina per la festa della mamma o un papà a cui portare un biscotto per la festa del papà. Avevo Bobby, lo zio Bobby, che per me era mamma, papà e tutta la mia famiglia. A me andava bene, finché gli altri bambini non hanno cominciato a inferire sul fatto che fossi orfana facendomi domande di ogni tipo.
Era un argomento delicato, perché nonostante Bobby l’avesse messa al corrente di tutto quello che lei voleva sapere, avrebbe comunque voluto conoscerli, avrebbe voluto assaporare la sensazione di essere abbracciata dalle braccia di una mamma, o essere viziata da un papà.
Bobby non poteva viziarla perché non ne era capace.
Bobby ti abbraccia quando è necessario e ti coccola quando nessuno vede. Si prende cura di te in maniera implicita, mettendoti sempre al primo posto, assicurandoti che non ti manchi niente e che tu sia felice. Non dice ti voglio bene, ma te lo dimostra. E sai benissimo che per te ci sarà sempre.
Forse, sotto questo aspetto, lui e Bobby si assomigliano più di quanto entrambi vogliano ammettere.
“Perché devo darti l’anima di Sam.”
Dean fissa Morte con un’espressione confusa e stupita: “Ho fallito il tuo test, ricordi?”
“Vero, ma hai imparato così tanto che per me è come se l’avessi passato.”
“Di cosa parla?”
“Sono sicuro, Natalie, che Dean ti spiegherà tutto a tempo debito. Ora, ho con me l’anima, ma devi fare attenzione a ciò che sto per dirti: quando la rimetterò dentro a Sam, insieme ad essa ergerò anche un muro che cancellerà i ricordi dell’Inferno. Fai in modo che quel muro non venga demolito, o ci saranno conseguenze poco piacevoli. Mi hai capito, Dean?”
“Certo. Ma non capisco perché tu voglia aiutarmi.” Il suo tono è sospettoso e i suoi occhi, ridotti a due fessure, studiano Morte con fare attento.
Il Cavaliere si schiarisce la gola e dopo aver congiunto le mani davanti a se, afferma: “Non vorrei. Tu distruggi l’ordine naturale, mandi a monte la mia intera esistenza, il mio intero lavoro. Tutto ciò che faccio è stato manipolato da te e da tuo fratello troppe volte e, francamente, questo mi disturba. Ma ho bisogno di voi... Non provare a chiedere perché,” dice, alzando un indice con fare fin troppo perentorio, dopo aver notato l’espressione di Dean, pronto a chiedere spiegazioni, “Ho bisogno di voi qui e dovete essere completi affinché riusciate a svolgere il vostro lavoro. Quindi ecco perché avrai l’anima di Sam.”
“Fa tutto parte di un tuo grande piano?”
“Più o meno. Ma sappi che non è tanto più diverso dal tuo. Ora, tornando a noi: non toccare quel muro. Non devi nemmeno sfiorarlo, intesi?”
“Intesi.”
Morte solleva una valigetta nera, che solo adesso notano ai suoi piedi.
“Bene.” dice, prima di schioccare le dita e sparire. Al piano di sotto, iniziano a sentirsi le grida di Sam. Natalie e Dean si scambiano un’occhiata d’intesa e si catapultano nel seminterrato.
“È Morte!” grida Dean a Bobby, che ha già aperto la porta della panic room per scoprire perché Sam gridi come un animale sgozzato.
I tre cacciatori rimangono ad osservare la scena sull’uscio della porta aperta: vedono una palla di luce azzurra e incandescente, come fuoco freddo, che viene spinta dentro Sam. Di Morte non c’è traccia, probabilmente perché ha rimesso l’anello al dito e ora è invisibile, ma percepiscono la sua presenza. La stanza è fredda e riempita solo dalle grida di Sam che si contorce, stringe le mani e divincola polsi e caviglie nel tentativo di liberarsi dalle cinghie, i capelli zuppi di sudore e le lacrime che sgorgano copiose dagli occhi.
“Ti prego, fallo smettere. Impedisciglielo, Dean. Fermalo, non la voglio. Non la voglio, mi hai sentito??” grida Sam, guardando Dean dritto negli occhi. Il panico ha preso il sopravvento e lo sta di nuovo supplicando con quell’aria da bambino sperduto. Ha gli occhi arrossati dal pianto e la voce resa roca dalle grida che squarciano le sue corde vocali. Grida così forte che sembra abbia un cane sullo stomaco intento a mangiargli le budella. Tira indietro la testa, colpendo ripetutamente con la nuca il metallo freddo del lettino su cui si trova per concentrarsi su un altro tipo di dolore, su un dolore che non sia quella palla fredda e allo stesso tempo ardente che sta entrando nel suo corpo. È come quando si gioca con la neve e dopo un po’ che viene maneggiata, il freddo fa bruciare la pelle. Ogni zona del suo petto toccata da quella palla luminosa, prima è congelata e poi lascia spazio ad un bruciore profondo, come se fosse sopra ad un fuoco che diventa sempre più grande ad ogni secondo che passa.
Dean, all’ennesimo grido, distoglie lo sguardo per un attimo. Solo quando sente le dita di Natalie intrecciate alle sue, torna a guardare la scena, sentendo il cuore che va in frantumi ad ogni grido di Sam.
E poi, il lampo di luce sparisce e la presenza di Morte non si avverte più. Il silenzio cala e la temperatura si alza di nuovo.
I presenti hanno un ronzio acuto e penetrante nelle orecchie, come quando si torna al silenzio dopo che si è stati troppo a lungo vicino ad un cassa che trasmette musica ad un volume troppo elevato.
Quando si avvicinano al lettino, notano che Sam è privo di sensi.


                                                                                                              ***
              


C’era una canzone che una volta recitava: passano gli anni, i mesi e se li conti anche i minuti. (2)
E Dean giura di averli contati tutti. Da quando Morte se ne è andato, dopo aver lasciato Sam senza sensi nel lettino, sono trascorsi millenovecentoventi minuti. Trentadue ore passate a camminare in casa ascoltando l’eco dei propri passi e ad evitare gli sguardi preoccupati e ansiosi che vivono nei visi di Natalie e Bobby. Crede di impazzire. In testa gli risuonano le parole di Castiel: il rischio di un danno permanente è altissimo. Cosa voleva dire, che Sam sarebbe caduto in un coma da cui non si sarebbe risvegliato mai più? Non poteva essere più chiaro? Non poteva dirgli esplicitamente che riportare indietro la sua anima significava ridurlo ad un vegetale?
Avrebbe reagito diversamente. Forse avrebbe imparato a convivere con la versione di Sam senz’anima e si sarebbe fatto una ragione della sua nuova – spietata – natura. Anzi averlo così, che non averlo affatto. Ne è davvero sicuro? Dopo ciò che ha appurato di cosa è capace questo nuovo Sam? È così confuso che non sa cosa pensare. Cosa preferisce: suo fratello ridotto ad un vegetale o suo fratello che cammina, parla, vive normalmente, ma ha il cuore congelato dentro ad un cofanetto chiuso a chiave e capace di atti orribili?
Sospira.
Cosa è andato storto?
Morte non ha mai parlato di coma. Forse era solo un trucco del Cavaliere per fare in modo che Dean si affidasse a lui: gli ha fatto credere di essere dalla stessa parte e poi, quando ne ha avuto l’occasione, ha tolto di mezzo uno dei Winchester, coloro che sono sfuggiti al riposo eterno troppe volte.
Alla Morte non piace essere ingannata, recitava la frase di un pessimo film (3)  – che definire tale è un insulto ai film veri, quelli che fanno la storia – ma ha un fondo di verità: perché mai Morte, colui che esiste da sempre, colui che c’è sempre stato e sempre ci sarà, l’essere più potente e temuto sulla terra, dovrebbe abbassarsi ad aiutare degli insignificanti esseri umani, se non per vendicarsi dei suddetti, facendo credere loro di volerli aiutare, quando in realtà l’unica cosa che vuole fare è prendersi gioco di loro esattamente come loro hanno fatto con lui, sfuggendo al suo letale abbraccio?
Inganna Morte e lui ingannerà te.
Si sente così stupido, in questo momento. È stato impulsivo e frettoloso, come sempre. Questo suo modo di fare lo ucciderà un giorno, o peggio, si ripercuoterà su quelli che ama, com’è successo a Sammy.
Perché non ha aspettato? Perché ha deciso che provare a fidarsi di Morte fosse una buona idea? Già il fatto che qualcuno arrivi a pensare di associare il verbo fidarsi a Morte è di per se strano, da li doveva capire che avrebbe dovuto cercare un’altra strada, un’altra via d’uscita.
La luce in fondo al tunnel doveva essere luminosa e splendente, non nera e fredda.
Si passa una mano sulla faccia: millenovecentotrenta minuti.
Sospira. Di nuovo.
È così angosciato che si sente schiacciato a terra dalle sue preoccupazioni, dai suoi sensi di colpa che iniziano a farsi sentire sempre di più e crescono come un bambino nel ventre della madre: lentamente, ma diventando sempre più forti.
È tutta colpa sua. Solo ed esclusivamente colpa sua.
Cas l’aveva avvisato: il rischio di danno permanente è altissimo, potrebbe addirittura morire.
Sam l’aveva supplicato: ti prego Dean, impedisciglielo. Non la voglio. Ti prego, Dean!
Chiude gli occhi. Risentire l’eco delle grida di suo fratello, che rimbombano nella sua testa aggressive come il ringhio di un cane rimasto a digiuno per troppo tempo, non fa altro che alimentare il suo disagio. Sente una morsa alla bocca dello stomaco che si stringe sempre di più, gli stringe l’intestino, gli fa seccare la gola, la testa vortica e la pelle dietro alla nuca inizia a formicolare, come se tante formichine la stessero percorrendo ad una velocità frenetica: il panico lo sta divorando e non gli fa nemmeno la cortesia di manifestarsi implicitamente, cercando almeno di consumarlo con calma. Al contrario, si manifesta in tutta la sua potenza distruttrice: gli manca il fiato e inizia a boccheggiare. Sta annegando senza che sia in acqua. Vorrebbe delle branchie, in questo momento. Dio, un pensiero così irrazionale può venire solo dall’assenza di ossigeno.
Deve. Calmarsi.
In piedi, davanti al tavolo della cucina, si aggrappa ai bordi di esso come se ne andasse della sua vita. Stringe così forte che le nocche diventano bianche e delle piccole schegge sporgenti gli bucano la carne dei palmi. Il dolore fisico lo distrae da quello emotivo. Sembra funzionare. Il respiro inizia a regolarizzarsi.
“Che stai facendo??”
Natalie entra in cucina.
Automaticamente porta i suoi occhi su di lei. È bella, come sempre. Ha addosso una maglietta rossa a maniche corte che le sta troppo grande e i pantaloni di una tuta, grigi. È il suo pigiama, anche se non chiude occhio da quando Sam è finito in quel lettino. Lo sa perché hanno passato tutto il tempo seduti sul divano insieme.
I suoi capelli sono sciolti. Dean nota che le punte sono ondulate, il che significa che, dopo la doccia, non li ha asciugati con il phon perché quando invece lo fa, diventano lisci come degli spaghetti.
Vuole concentrarsi su più dettagli possibili perché si rende conto che farlo lo calma.
Lei lo calma, lo tranquillizza.
Lascia il tavolo per avvicinarsi a lei. Senza dirle niente, la tira a se, stringendola in un abbraccio così forte che per un attimo sembra voglia infilarsela nella gabbia toracica e non farla più uscire. Affonda il viso nel suo collo e annusa il suo profumo, quello dei suoi capelli: limone.
Nat ama i limoni, il loro colore giallo brillante, che le trasmette allegria, il loro profumo intenso e fresco. Le piace persino il loro sapore agre e il fatto che quando porta alle labbra uno spicchio, la bocca le bruci.
Sente le braccia di Natalie intorno al suo corpo. Lo sta stringendo forte e lui si sente meglio, si sente a casa. Non è più perso. Non gli manca più l’aria, non si sente più come se stesse ingoiando acqua a forza, annegando. No, sta tornando a galla e lei è il suo salvagente.
Tutto ciò gli ricorda un episodio specifico: erano a casa di Bobby, ma Dean quella notte non riusciva a dormire, troppo preso dal dubbio – ormai pericolosamente vicino a diventare certezza – che suo padre fosse morto per salvargli la vita. Era sceso in cucina e aveva iniziato a tracannare più whiskey di quanto mai avesse fatto in vita sua. Natalie l’aveva visto e, con dolcezza e senza il minimo giudizio, aveva tolto con calma la bottiglia dal tavolo e l’aveva riaccompagnato a letto.
Domani andrà meglio, i giorni brutti passano esattamente come quelli belli, aveva detto Nat uscendo dalla sua camera.
Ricorda che la mattina, quando si era alzato con il mal di testa, era sceso in cucina dove l’aveva trovata ai fornelli con Sam, che aveva fatto un macello con la pastella dei pancake – ce l’aveva persino nei capelli – e appena lui era stato abbastanza vicino, Nat gli aveva passato una tazza di caffè nero caldo. Era stato una manna per il mal di testa post sbornia. Sam dopo essersi asciugato le lacrime agli angoli degli occhi per le risate – la sua incapacità ai fornelli, evidentemente, era estremamente ilare per lui – era sparito al piano di sopra per cambiarsi la maglietta, sporca in ogni angolo di stoffa.
Rimasti soli, si erano trovati fianco a fianco, Natalie era alle prese con pastella e padella, mentre Dean era intento a strofinare il lavandino – non si sa come, ma la pastella era finita anche li – con uno straccio.
Grazie per ieri sera.
Entrambi avevano smesso momentaneamente di fare quello che stavano facendo. Natalie aveva spento il fuoco dopo aver messo il pancake che stava cuocendo in un piatto vuoto, destinato ad accoglierne molti altri. Aveva alzato lo sguardo su di lui. In un primo momento, sembrava che Dean trovasse molto più interessante lo straccio verde e umidiccio che stringeva in mano, ma poi si era deciso a guardarla, come se fosse stato preso da un coraggio che solo guardando intensamente lo straccio potesse trovare.
Natalie si era voltata e aveva appoggiato la schiena contro il piano cottura, Dean si era messo in costa appoggiandosi con il fianco.
Ascolta, non mi devi niente, d’accordo? Ho visto Bobby farlo tantissime volte, negli ultimi anni. Lui ha così tanti demoni che lo perseguitano che l’unico modo per farli tacere è annegarli nel whiskey, suppongo tu abbia problemi simili. Ho semplicemente pensato che avessi bisogno di qualcuno che non facesse annegare anche te insieme ai tuoi demoni.
Annego ogni giorno, le aveva risposto anche se non sapeva perché le stava rispondendo in quel modo, visto che di solito non era – e non è tutt’ora –  un tipo che esterna sentimenti, ma anzi, tende a reprimerli.
So cosa provi. Ti senti morire dentro, sembra che il tuo cuore sia diventato di pietra e ogni battito è talmente pesante che ti fa male il petto, senti un dolore tale che pensi ci sia un buco nero che succhia la tua energia, che ti trasmette paure e angosce, ma c’è una luce in fondo a quel tunnel che sembra infinito. E non deve per forza essere l’alcol.
E cosa dovrei fare?
Andare avanti. Vivere la tua vita.
È questo il punto, io non avevo più una vita da vivere.

Nat l’aveva guardato con un’espressione confusa: In che senso?
Tu non lo sai?
Natalie aveva fatto un cenno di negazione con la testa.
Era stato un periodo molto particolare, quello. Dean e Sam tendevano a fare le ricerche riguardo a Occhi Gialli da soli, prima che John morisse, dunque non passavano molto a casa Singer, quindi.. beh.. quindi Nat non poteva sapere, anche perché probabilmente, Bobby non le aveva parlato di quella storia per non farla preoccupare. Sapeva che se le avesse detto che Dean stava per morire sarebbe saltata in macchina e l’avrebbe raggiunto, per stargli vicino. Era anche il periodo, quello, in cui non avevano ancora messo in chiaro i loro sentimenti, nonostante avessero capito entrambi da un pezzo cosa provavano l’uno per l’altra. Forse, pensandoci bene, è stato meglio che lei non assistesse a quell’episodio. Si è risparmiata un bel po’ di sofferenza.
Dean si era passato una mano sul viso e poi aveva incrociato le braccia, deciso a raccontarle tutto. E lo aveva fatto. Nei minimi dettagli. Le aveva raccontato la storia della Colt, la caccia al demone, il viaggio in macchina, l’incidente. Le aveva raccontato persino di Tessa, la mietitrice. E poi era arrivato al punto cruciale, il punto che faceva un male tremendo: la morte di suo padre e la sua certezza che avesse fatto un patto con Occhi Gialli per salvargli la vita.
Quando aveva finito il racconto, Nat si era voltata verso di lui e gli si era avvicinata ancora di più. Aveva cercato i suoi occhi e lui per un momento si era perso in quel grigio colore della tempesta, che aveva persino qualcosa di apocalittico, come quei cieli grigi scuri che fanno vedere nei film prima dell’armageddon. Ma nel suo sguardo altro non c’era che comprensione. Nessuna compassione. Nessuna pietà. Come la sera prima, come se lo capisse perfettamente.
Sai cosa devi fare?, gli aveva chiesto, prendendogli il viso tra le mani, delicata come una piuma, Devi smettere di pensare che sia colpa tua, prima di tutto, perché non lo è. Nessun genitore vorrebbe vedere suo figlio morire e se tutti avessero le conoscenze che aveva tuo padre, avrebbero fatto lo stesso.
E non lo trovi un po’ egoista? Io dovevo morire, il corso naturale della vita voleva me morto.
Nat aveva abbassato le mani dal suo viso.
Il corso naturale della vita è una fregatura, Dean. Ma pensa a come sarebbe stato se tu non l’avessi nemmeno conosciuto. Almeno puoi dire di avere dei ricordi di lui.
Certo. E soprattutto ogni volta che mi guardo allo specchio posso sentire il senso di colpa che mi divora perché lui non cammina più su questa terra per colpa mia. Mio padre brucia nelle fiamme dell’Inferno per colpa mia. La sua voce si era rotta e gli occhi erano diventati lucidi. Si sentiva triste, arrabbiato e frustrato.
Lo so. Ma lo rifarebbe altre cento volte. Faremmo di tutto per salvare chi amiamo. Non lo puoi biasimare per questo.
È stato egoista. Aveva ribadito, quasi come se quella fosse la cosa che lo ferisse di più.
Perché? Perché non ti ha lasciato morire? Perché ha preferito non guardare suo figlio che a 27 anni lasciava questo mondo per sempre e privare l’altro suo figlio del proprio fratello? Credi avrebbe potuto vivere con questa consapevolezza? Credi avrebbe potuto riguardarsi allo specchio, o guardare Sam nuovamente in viso, sapendo che poteva fare qualcosa, ma non l’ha fatto? Pensi di non essere degno di essere salvato? Ti sbagli, Dean. E tuo padre lo sapeva. Ha dato la sua vita per te, non passare la tua seconda occasione pensando di non valere abbastanza o guardandoti solo come se fossi una delusione perché non lo sei, né per John né tanto meno per Sam. Usa questa tua seconda opportunità per fare del bene, per vivere. Vivi, Dean. È il regalo più grande che tu possa fare a tuo padre.
Dean non aveva risposto. Si era limitato a guardarla con gli occhi ormai pieni di lacrime che cercava di ricacciare indietro. Le era così grato, in quel momento, che l’unica cosa che gli era venuta da fare è stato abbracciarla, stringendola forte a se. L’aveva stretta come se lei fosse un’ancora e lui una barchetta in preda alla furia devastante dell’oceano. Un appiglio verso la salvezza. L’aveva aiutato a riemergere dai fondali tenebrosi in cui la potenza distruttiva dell’oceano – o meglio, del suo dolore – lo avevano portato. Natalie era – ed è tutt’ora – la luce della sua vita.
“Che cosa stavi facendo, Dean?” chiede, ancora stretta a lui.
Dean la stringe più forte.
“Pensavo.”
“Sembrava più un attacco di panico.”
“Forse lo era.”
Natalie alza la testa e cerca i suoi occhi: “Si sveglierà.”
“Come fai a saperlo? Come fai a sapere che questo non è il più grande casino che ho combinato? Che è la cosa peggiore che gli ho fatto solo perché sono stato egoista? Volevo averlo indietro a tutti i costi e guarda che gli ho fatto!” Ha sciolto l’abbraccio e ha iniziato ad agitare le braccia in modo frenetico, “...Sono come mio padre...” aggiunge, con un filo di voce.
“Calmati, adesso. Dici così perché ti sei comportato come lui quando se n’è andato? L’hai fatto così tante volte, Dean, te ne accorgi ora?” sebbene fosse stato motivo della loro ultima litigata, nel suo tono non c’è astio, ne alcun tipo di accusa, “Voi Winchester siete così, vi sacrificate per la famiglia senza pensare alle conseguenze che può comportare su chi rimane nella parte dei vivi. Bisogna accettarlo. Non si può cambiare questo lato della vostra natura. Forse siete egoisti, forse no. Dipende chi guarda la cosa. Per me sei stato egoista quando qualche giorno fa hai preso la decisione di non farmi partecipare al tuo piano senza dirmi niente, ma per te, non lo sei stato. Hai fatto quello che dovevi fare. Così come tuo padre: per te è stato egoista perché ha deciso di salvarti senza dirti niente, ma per lui non è stato così. Così come hai fatto te: quando hai..” le trema la voce, da un colpo di tosse e prosegue: “Quando hai venduto l’anima perché Sam era morto,” dilaniato da un segugio infernale, ecco cosa ha comportato quel patto. Dean steso a terra che grida, i vestiti che vengono strappati via, la carne che viene morsa e tagliata dai lunghi, affilati artigli di un cane invisibile la cui mole è perfettamente intuibile dai danni che provoca. Lacerato, coperto di sangue. Il suo corpo che giaceva a terra, immobile. Nei suoi occhi ancora una scintilla dell’ultima traccia di vita, prima di abbandonarli definitivamente e lasciare spazio al vuoto. Luccicanti occhi smeraldo che, spegnendosi, erano diventati vitrei come l’opaco verde delle bottiglie, abbandonati dalla linfa vitale e lasciati all’eterna dannazione. Scaccia quel ricordo fin troppo vivo: “Tu hai ritenuto che fosse giusto, la cosa appropriata da fare, ma Sam no. Lui l’ha trovato estremamente egoista perché si è visto portare via la persona che ama di più al mondo. Come vedi, è tutta una questione di prospettiva.”
Rimangono in silenzio per un po’, Dean elabora le sue parole. Non sa cosa pensare. È tutto così confuso.
Natalie gli afferra il viso tra le mani e si alza sulle punte per dargli un bacio sulla fronte. Dean si china leggermente per fare in modo che ciò avvenga e, quando le labbra di Nat toccano la sua pelle, chiude gli occhi, lasciando che quella sensazione di tranquillità che quel contatto gli ha sempre provocato, lo pervada. Funziona anche questa volta. Si sente meglio.
Natalie è come del balsamo gettato su nodi troppo difficili da districare. Lui è un nodo così aggrovigliato, complicato e intrecciato, che non può essere sciolto, almeno lui non è in grado di sciogliersi – anzi, sembra più vada avanti con gli anni e più i suoi pensieri trovino nuovi modi per andare ad ingrandire il groviglio – ma Natalie si. Natalie sa come scioglierlo, come farlo sembrare meno complicato. Meno incasinato.
“Per quanto riguarda Sam. So che le cose non stanno andando come avremmo voluto, ma stavo pensando a delle possibili soluzioni, nel caso... sai... non dovesse svegliarsi.”
“Quali?”
“Potremmo andare da May, a New Orleans. Lei potrebbe sapere qualcosa che noi non sappiamo e aiutarci.”
May Connors, nata in Louisiana da genitori africani, importati in America ai tempi della schiavitù. Suo padre, Solomon Connors, era stato dichiarato uomo libero dopo dodici anni di schiavitù. May ha sempre raccontato delle frustate che Solomon prendeva solo perché, i primi tempi, non accettava che un altro essere umano lo trattasse come se fosse un oggetto solo perché era nero e non bianco.
Alla fine, però, dopo la milionesima frustata, anche l’animo ribelle del signor Solomon era stato sbeccato. Senza mai piegarsi. Di questo bisogna rendergliene atto.
Natalie conosceva May da quando era una ragazzina. Aveva dodici anni la prima volta che Bobby l’aveva portata da lei.
Se vuoi fare questo mestiere, anche se tengo a precisare che non approvo la tua decisione, devi sapere più cose possibili.
Ma tu hai un sacco di libri!
Certo, che potrai leggere quando vorrai. May sa un sacco di cose che nei libri non troverai mai.

Era il 1995 quando Natalie aveva messo piede per la prima volta in casa di May: era piccola, ma accogliente, su un piano solo e profumava di legno, incenso – non quel tipo di incenso fastidioso, che ti entra nelle narici e fa venire mal di testa, quello buono, con un profumo delicato e piacevole – e torta di lamponi.
May non era una cacciatrice, ma una sacerdotessa voodoo – mi raccomando, sacerdotessa non strega, altrimenti si arrabbia. Praticava quest’arte da quando era piccola: gliel’aveva insegnata sua nonna materna, Shailene Brown, una donna che credeva nelle presenze ultraterrene, nel soprannaturale e negli spiriti. Ai suoi tempi, era vista come una vecchia pazza e superstiziosa. Non sapevano quanto in realtà Shailene avesse ragione.
May ha imparato tutto quello che sua nonna le ha insegnato ed è diventata la migliore sacerdotessa voodoo di tutta la Louisiana. Le sue pratiche non sono malvagie, non usa bambole che infilza con degli spilli per vendicarsi della vicina solo perché le ha rubato il rosmarino selvatico che cresce nel giardino, la sua è magia bianca. Usa i suoi poteri per fare del bene, per curare i malesseri delle persone e per parlare con gli spiriti.
Più volte gli spiriti la contattano senza che sia lei a farlo. Usano May come tramite per comunicare con i vivi e lo fanno perché sanno che lei riferirà le loro parole senza modificarle, o interpretarle a suo piacimento. May è onesta, non una truffatrice. Non fa quello che fa per soldi. Per guadagnarsi da vivere, costruisce collane e gioielli con perline, aghi, fili e stoffe e li vende in un negozietto nel quartiere francese di New Orleans. È un brava persona e una donna eccezionale. Natalie le vuole molto bene.
“May? Dici che May sa come svegliare Sam da questo coma?”
Nat solleva una spalla: “Lo escluderesti a priori? Con quello che fa? Con le conoscenze che ha?”
“No, non lo escluderei. Potrebbe essere una pista, in effetti.”
“Se non si sveglia, potremmo tentare. Anche se non è detto non lo faccia da solo.”
“A meno che Morte non mi abbia ingannato.”
“Perché avrebbe dovuto farlo?”
“Perché, come tu stessa hai evidenziato e lui non ha evitato di specificare, ho travolto l’ordine naturale troppe volte. E non che Sam sia da meno. Pensaci: se tu fossi un essere eterno che viene raggirato da degli insulsi esseri umani che si prendono gioco di te, cosa faresti? Non li uccideresti appena ne avresti l’occasione, dimostrando loro chi è che comanda?”
“Lui non è un assassino, Dean. Te lo sei dimenticato? Non uccide perché gli va di farlo, lo fa quando arriva il momento.”
“Ti fidi di lui, quindi?”
“Visto che sono a parlare qui con te, grazie a lui, direi di si.”
Natalie distoglie lo sguardo, si guarda intorno per qualche istante e poi lo riporta su Dean.
“Come stai?” le chiede, notando gli occhi lucidi.
“Bene, come dovrei stare??”
“Non lo so.. scossa?.. disorientata?.. Morte ha detto delle cose che peserebbero a chiunque. E tu non ne hai parlato minimamente.”
“Non è il momento per farlo.” Si passa una mano tra i capelli e abbassa lo sguardo sui suoi piedi per un attimo, prima di tornare a guardare Dean.
“Si che lo è.” Dice lui, avvicinandosi di nuovo a lei. “Parla con me.” Le sfiora un braccio con la mano, accarezzandolo lievemente. Non vuole che si senta invasa dalla sua presenza, vuole che sia lei a scegliere di avere un contatto fisico. Tra loro è sempre stato così: non hanno mai subito abbracciato l’altro in momenti delicati perché sono capitate delle occasioni dove, al contrario di altre, il contatto fisico anzi che rassicurarli li agitava, o li innervosiva. Sono quei momenti dove quando capita qualcosa, prima di ricevere conforto da chi amiamo abbiamo bisogno di riflettere un attimo da soli. Dean vuole assicurarsi che tipo di momento sia questo: se un momento da “abbracciami, ne ho bisogno” o un momento da “fammi riflettere, poi abbracciami”.
Natalie si avvicina lentamente a lui e poi appoggia la testa sul suo petto. A questo punto, Dean l’abbraccia forte. Nat è rannicchiata in se stessa, tiene le mani tra lei e Dean, ma non per tenere le distanze, semplicemente perché si è chiusa come un piccolo riccio. Vuole sentirsi protetta da Dean, ma cerca di proteggersi anche da sola. Come se, così facendo, avesse una doppia corazza. Sembra così piccola, in questo momento, come se fosse una bambina che per troppo tempo ha dovuto fare la donna. E in effetti, un po’ è così: Natalie ha iniziato a cacciare effettivamente a tredici anni, – dopo anni di teoria e studi –  anche se Bobby non approvava. Gli ha raccontato più di una volta le liti che lei e Bobby facevano e la convinzione del vecchio cacciatore a impedire che Nat imboccasse questa strada, ma dal momento che sono due teste dure, e Natalie era molto più giovane e testarda di Bobby, l’aveva avuta vinta.
Ci sono cacciatori che scelgono di intraprendere questa strada per vendetta, come John; altri che la intraprendono perché, venuti a contatto con il sovrannaturale, sono rimasti talmente scossi dalla scoperta che qualcosa vive nel buio da volersi documentare di più, trasformando questa cosa in una specie di ossessione; altri ancora vogliono semplicemente evitare di ripetere errori commessi che hanno portato conseguenze irrimediabili: se Bobby avesse saputo quello che sa adesso, sua moglie sarebbe ancora viva. Non si perdonerà mai, per questo.
Per Natalie era stato diverso: lei aveva scelto questa vita solo per aiutare gli altri. La prima volta che aveva visto un fantasma aveva undici anni. Era andata a casa di una sua amichetta e sarebbe rimasta a dormire da lei. I Donnell si erano trasferiti a Sioux Falls da poco e Nat aveva subito legato con Nancy, quella ragazzina dalle trecce e la erre moscia che era tanto dolce. L’incontro con il fantasma era avvenuto un sabato intorno a mezzanotte. Nat e Nancy erano rimaste sveglie di nascosto per continuare a giocare anche dopo il coprifuoco (dovevano essere a letto prima delle undici), quando la stanza aveva iniziato a diventare fredda e un’ombra aveva iniziato a prendere forma nell’oscurità della stanza illuminata solo da una piccola  abatjour – la cui luce aveva iniziato a tremolare e poi si era spenta. Il fantasma aveva fatto la sua apparizione poco dopo: Nat e Nancy avevano strillato così forte che i Donnell si erano precipitati da loro, trovando però la stanza serrata. Il signor Donnell aveva iniziato a prendere la porta a spallate, ma era tutto inutile.
Il fantasma, che era la cosa più terrificante che Natalie avesse visto, era grigio e fluttuava nell’aria gelida e scura, il suo viso era consumato e mangiato, come se fosse la proiezione del suo cadavere che si stava putrefacendo da qualche parte chissà dove, le sue mani erano piene di tagli e per un attimo Nat aveva creduto di aver sentito l’odore della carne che marcisce. Si era avvicinato a loro velocemente, afferrandole per la gola e trascinandole al muro. I suoi occhi erano vitrei, ma estremamente vigili e trasmettevano tutta la malvagità, l’odio e il rancore che dominavano quello spirito. Le sue dite, fredde di morte, stringevano le bambine che non riuscivano più a gridare. Sentivano gli occhi venire fuori dalle orbite e il respiro mancare. Il signor Donnell era entrato proprio in quel momento, brandendo un attizzatoio che aveva usato per forzare la porta. Lo aveva agitato contro l’essere che aveva in pugno le due bambine e il fantasma si era dissolto nell’aria. Natalie e Nancy si erano accasciate a terra, ansimanti e tremanti di paura. I signori Donnell le avevano abbracciate e le avevano portate al piano di sotto, dove poi Natalie aveva chiamato Bobby.
Bobby.. c’è u-un f-f-fantasma, o-o q-qualcosa d-di s-s-simile.
Non aveva temuto che Bobby potesse darle della bugiarda perché sapeva benissimo che lui le avrebbe creduto in qualsiasi occasione. Bobby era stato chiaro su questo fin dall’inizio: Qualsiasi cosa di strano tu veda, bimba, qualsiasi cosa, chiamami e verrò a risolvere il problema,  le diceva sempre. Il fatto che non volesse coinvolgerla in quella vita, non significava che non avrebbe dovuto garantirle che, comunque, se avesse visto cose strane, o innaturali, lui sarebbe arrivato a proteggerla. E così fece anche quella volta.
D’accordo. Ascoltami, bimba, prendi del sale in cucina e traccia un cerchio abbastanza grosso e entrateci tutti. Rimanete li finché non arrivo.
E così avevano fatto.
Bobby aveva risolto la situazione prima che il fantasma potesse attaccare di nuovo: aveva scoperto che nella casa dei Donnell c’era stato un omicidio. La famiglia Clarence viveva in quella casa nella seconda metà degli anni settanta. Duke Clarence era un uomo di grande successo e molto rispettato nel suo ambiente, che lo riteneva un uomo per bene, dai modi garbati e dall’intelligenza brillante. La cosa che nessuno sapeva è che, tra le mura di casa, Duke Clarence abbandonava le vesti di rispettabile uomo d’affari e dava alla moglie più botte che pane. Un giorno, le sue due figlie, stanche di vedere la loro mamma perdere i sensi per l’inaudita violenza con cui papà la colpiva, lo avevano ucciso, sparando un colpo con la pistola che il signor Clarence teneva nel suo cassetto segreto – non più tanto segreto, ormai – della scrivania.
Lo spirito di Duke Clarence si era risvegliato per la presenza di Natalie e Nancy, che aveva scambiato per le sue figlie e voleva vendicarsi del loro comportamento. Il suo cadavere, che si trovava nella cantina di casa, era stato coperto di sale e bruciato.
Da quel giorno, dopo quell’esperienza, Natalie aveva tempestato Bobby con ogni tipo di domanda, dicendogli poi che voleva diventare una cacciatrice perché voleva aiutare le persone proprio come aveva fatto Bobby con i Donnell.
Per tutto l’anno che va dal 1994 al 1995 la cosa che più si sentiva in casa Singer era:
Bobby, permettimi di diventare come te, per favore!
Non se ne parla, ci sono troppi rischi e tu sei una bambina! Dovresti farmi la lista dei giocattoli che desideri per il tuo compleanno, o Natale, non chiedermi di insegnarti tutto ciò che so su questo mondo!
Ma voglio aiutare le persone, come fai tu!
No. Ci sono già moltissimi cacciatori, al mondo. Aiuteranno loro le persone, mentre tu potrai vivere la tua vita in modo normale!

Sono andati avanti così fino a quando Natalie non si è imbattuta in un caso da sola: se Bobby non aveva intenzione di aiutarla, avrebbe imparato da sola. Così, dopo aver trovato un possibile caso a Pierre, aveva tentato di uscire di casa di nascosto, ma Bobby l’aveva beccata chiedendole spiegazioni. Aveva capito che se non l’avesse aiutata lui, Nat avrebbe fatto comunque di testa sua, così, a malincuore, aveva accettato di aiutarla e di insegnarle tutto quello che sapeva. Da quel momento, Natalie aveva smesso di essere una bambina e aveva cominciato il suo cammino verso l’età adulta. È tipico dei cacciatori: diventi adulto quando dovresti ancora essere un bambino e, per la maggior parte delle volte, muori prima ancora di aver raggiunto un’età decente per essere effettivamente catalogato sotto la categoria “adulti maturi”.
È una grandissima fregatura.  
“Bobby non mi ha mai fatto mancare niente. Quando ho iniziato a fare domande su.. su di loro.. nonostante a lui facesse un male cane, me ne ha parlato perché lo riteneva giusto. Diceva che erano i miei genitori e che, visto che non avevo avuto la possibilità di conoscerli, spettava a lui fare in modo che li conoscessi. Non li ho mai visti, non ho mai parlato con loro, non li ho mai toccati. So come erano Susan Singer e Elijah Duvall solo perché Bobby mi ha mostrato delle foto e raccontato degli aneddoti. Mi dispiace non averli conosciuti, a sentire ciò che dice erano davvero delle persone speciali.” Natalie parla contro il petto di Dean, la voce ovattata e tremolante. “Ma sentire Morte che ne parlava, sentire che loro non dovevano morire, che non era la loro ora, che ciò che è successo è stato tutto un incidente e che loro potevano essere qui se non fosse stato per quel pirata ubriaco, mi ha fatto stare male. Sono morti perché qualcuno quella sera aveva deciso di bere troppo e ha fatto qualcosa che nemmeno Morte era in grado di riparare. Se nemmeno lui ha potuto salvarli, posso solo immaginare come fossero ridotti.” Le lacrime le scendono silenziose e calde sul viso, arrivano fino a sotto al mento e cadono nella sua maglietta rossa dove vengono assorbite dalla stoffa. Dean se ne accorge, ma lascia che lei si sfoghi senza dire niente. La stringe e sente il corpo di Natalie scosso dai singhiozzi silenziosi e dai brividi che solo un pianto lungo provoca. Le accarezza i capelli e la schiena, passando la mano su e giù lentamente, cullandola dolcemente per fare in modo che lei si tranquillizzi.
“Poteva evitare di dirtelo, lo so. E non ci sono parole per descrivere ciò che stai vivendo adesso, ma di una cosa sono certo: ovunque loro si trovino, in questo momento, sono più che felici di vedere che sei salva. E sono sicuro che sono orgogliosi della donna che sei.”
In altri momenti, in altre circostanze e rivolto ad altre persone, questa sarebbe quella che viene definita da ogni tipo di cultura una frase fatta. Una di quelle frasi che vengono dette solo per far stare meglio chi l’ascolta. Ma per Natalie non è così. Non è una frase fatta semplicemente perché con quello che conoscono loro, con quello che hanno visto loro, non esclude che i suoi genitori siano davvero in qualche posto, che lei spera vivamente sia un angolo di Paradiso, magari uno di quegli angoli lontani dalle feroci battaglie che si sono verificate in questi anni, e che la stiano davvero guardando. E in fondo al cuore, spera davvero che siano orgogliosi di quello che lei è diventata.



                                                                                                          ***

Cinquemilasettecentosessanta minuti.
Novantasei ore.
Quattro giorni.
È il lasso di tempo che Dean ha passato in attesa del risveglio di Sam. Sta vicino al suo lettino ogni ora, andando a controllare come sta. Non dorme e quando si appisola, dorme male e i suoi pensieri – che in quella specie di dormiveglia assumono le forme degli incubi – lo fanno svegliare con il cuore in gola e la fronte imperlata di sudore. L’attesa lo uccide più di qualsiasi altra cosa abbia mai tentato di fargli la pelle durante tutta la sua onorevole carriera di cacciatore professionista.
Date a Dean un pericolo mortale, di qualsiasi genere, e ne uscirà vincitore.
Date a Dean del tempo per aspettare e uscirà di testa.
Troppo lavoro e niente divertimento rendono Jack un ragazzo noioso. (4)
 Magari non è proprio la stessa situazione, ma Dean sta lentamente scivolando nella pazzia proprio come Jack Torrence. La panic room sta facendo lo stesso effetto dell’hotel.
Vorrebbe improvvisamente prendere una pallina e lanciarla contro le pareti per vedere se il rumore insistente di qualcosa che batte contro i muri riuscirebbe a svegliare Sam. Magari il continuo battito ripetuto farebbe lo stesso effetto di un’insistente bussata ad una porta. Magari Sam non si sveglia perché non c’è nessuno che lo chiama, nessuno che suona al campanello della sua mente, nessuno che lo invita a svegliarsi, o che gli urli, o che gli tiri una secchiata d’acqua in faccia.
Magari Sam non si sveglierà più e questa è tutta colpa sua.
Deve uscire da quella stanza, o i sensi di colpa e la sua coscienza lo faranno impazzire una volta per tutte.
Virus della follia.
Ecco a cosa pensa, mentre sale le scale del seminterrato per raggiungere il primo piano.
La follia si insinua subdola nelle menti degli esseri umani e da i suoi primi indizi quando ormai è troppo tardi. Se ti chiedi se sei pazzo, probabilmente lo sei già da un pezzo.
“Tu non sei pazzo.” Dice a se stesso, mentre sale l’ultimo gradino, scuotendo la testa.
Chi è davvero pazzo, non sta a chiedersi se è pazzo, (5) diceva Anthony Hopkins in un film e probabilmente aveva ragione. Chi è pazzo non si chiede se lo è perché è troppo intento a fare il pazzo per accorgersi di essere pazzo. Quindi, può ancora affermare di avere il lume della ragione, anche se tutta questa situazione lo sta consumando. Forse ha bisogno di tornare attivo, di zittire la sua coscienza che getta benzina sul fuoco dei sensi di colpa facendolo diventare sempre più indomabile ogni giorno che passa. Forse ha bisogno di un caso. Qualcosa di semplice e nei dintorni, in modo che possa tornare da Sam il prima possibile.
Entra in cucina e prende una birra dal frigo.
Bobby entra poco dopo.
“Come stai, ragazzo?”
Dean sospira e alza le spalle. Si attacca alla bottiglia e beve un lungo sorso.
“Non è una risposta.”
“Cosa vuoi sentirmi dire? Che mi sento in colpa? Lo sai già, ne ho parlato con Nat e sono abbastanza sicuro ti abbia riferito tutto.”
“Siamo solo preoccupati.”
Dean chiude gli occhi e sospira, lasciando cadere le spalle e incurvandosi come una specie di vite a cui hanno rimosso il sostegno di legno su cui arrampicarsi.
“Lo so, Bobby.” Si massaggia le tempie e poi le palpebre. Gli sta venendo mal di testa, uno di quelli che hanno tutte le premesse per diventare così intensi da farti sentire ogni minimo rumore, anche un respiro, come se fosse un’esplosione atomica fatta proprio vicino ai tuoi timpani. “È solo che è tutto così complicato e non... non so dove battere la testa, tutto qui.”
“Si risveglierà.”
“Continuate a ripeterlo, ma sono passati quattro giorni e lui è ancora in quello stato. E di chi è la colpa? Mia!
“Non iniziare a piagnucolare come una mammoletta! Eravamo tutti d’accordo con il tuo piano! Se Sam si trova in quelle condizioni è perché tutti i presenti in questa casa ti hanno aiutato a fare in modo che riavesse la sua anima indietro. Quindi non fare la vittima, non lamentarti e smettila di piagnucolare, per Dio! È tuo fratello, ma non scordarti che lui è di famiglia anche per noi. Non sei l’unico a soffrire.”
Bobby ha ragione, deve riconoscerglielo. E i suoi modi riescono sempre a scuoterlo da quel torpore tipico delle situazioni preoccupanti che si accavallano sulle spalle e li rimangono, appollaiate come un avvoltoio su un ramo, in attesa che il corpo ceda, cada e loro possano finalmente punzecchiarlo per godere di un lauto banchetto a base di essere umano reso amaro dall’angoscia e dalle ansie.
“Si, scusa. Hai ragione.. è solo che... non lo so nemmeno io, mi sembra di star uscendo di testa.”
“Forse dovete veramente andare a fare un salto da May. Sai almeno ti distrai, hai qualcosa da fare e se poi scoprite davvero qualcosa tanto meglio. E poi, sono sicuro che le farebbe piacere rivedervi.”
Già, forse non è poi così una cattiva idea. Se Jack Torrence fosse uscito dall’hotel appena ha avvertito i primi sintomi della follia, forse non sarebbe sprofondato in essa in modo irreparabile.
Forse Dean deve zittire le voci nella sua testa che lo accusano, senza la minima pietà, di essere la causa costante di ogni problema di Sammy.
“D’accordo. Chiedo a Nat quando vuole partire.”


                                                                                                          ***

Un altro viaggio in macchina.
Diciotto ore chiusi dentro ad una scatola di metallo che diventa sempre più calda ogni volta che viene toccata dal sole. Per di più non c’è nemmeno l’aria condizionata.
Natalie ha insistito perché prendessero la sua macchina e alla fine l’ha avuta vinta, nonostante Dean avesse supplicato di prendere anzi Baby. Se deve essere onesto, la jeep di Nat non lo fa impazzire. Proprio perché, appunto, gli ricorda una scatoletta di tonno e ogni volta che ci entra dopo che è stata tanto al sole gli sembra di entrare in un forno crematorio.
Sono arrivati in Louisiana nel tardo pomeriggio, il loro viaggio è stato tranquillo e silenzioso. Si sono scambiati solo qualche parola. Più che altro perché sono presi da altro e, soprattutto, perché sono troppo stanchi per intavolare conversazioni lunghe. Le ore di sonno che hanno perso da quando Sam è ridotto in quello stato iniziano ad infierire sulla capacità di comprensione, di attività motoria e di lucidità mentale.
Ottomilaseicentoquaranta minuti.
Centoquarantaquattro ore.
Sei giorni.
Senza sonno, è un lasso di tempo che raggiunge i limiti dell’umano persino per i cacciatori, che sono abituati a dormire veramente, ma veramente poco. 
Nat ha voluto prendere la sua macchina proprio per questo: Se prendiamo la tua, poi ti tocca fare diciotto ore di guida tutte filate perché non permetterai cambi. Così poi impazzisci e diventi scemo una volta per tutte. No, prendiamo la mia, così facciamo a cambio e dormiamo a turno, cercando di salvaguardare i tuoi due ultimi neuroni rimasti.
La stanchezza la rende così dolce.
Comunque, hanno fatto cambio e hanno dormito a turno, come Nat aveva deciso.
Una volta entrati a New Orleans, raggiungono la zona dove vive May, abbastanza lontana dal centro, ma in una posizione abbastanza comoda affinché riesca a raggiungerlo nel caso avesse bisogno di qualcosa.
Natalie parcheggia a fianco del marciapiede davanti a casa di May. Si guarda intorno: il quartiere è sempre uguale alla prima volta che l’ha visto, nonostante siano passati anni. Le casette modeste una vicina all’altra, i tricicli dei bambini nei vialetti – alcuni ribaltati – i palloni incastrati sugli alberi che sono stati lanciati con un po’ troppa foga, le macchine ordinatamente parcheggiate vicino al marciapiede e la musica. Tanta musica che esce dalle finestre e si disperde nell’aria contagiando con la sua allegria ogni passante. C’è un atmosfera che le mette sempre il sorriso.
Si incamminano fianco a fianco percorrendo il vialetto. Notano le piante che lo delimitano e poi notano che i vasi in cui le suddette piante sono infilate hanno dei simboli voodoo di protezione. Creano un perimetro ben preciso, nota Natalie e sicuramente serve per creare una barriera di protezione che se non sei umano non riesci a superare. May crede nei demoni  e negli spiriti maligni e sa come proteggersi.
D’istinto, Nat pensa al suo tatuaggio anti possessione sulle costole di sinistra. Lei, Dean e Sam se lo sono fatto insieme.
Salgono le scale che portano al portico e poi bussano alla porta. Rimangono in attesa per qualche minuto prima che qualcuno apra loro la porta: Jacob McAdams.
Jacob, o Jake, come l’ha sempre chiamato Nat, è il nipote di May, figlio di sua figlia Lori e Alex McAdams, proprietario del locale in cui Lori, da giovane, lavorava come cameriera e cantante, quando il sabato non serviva ai tavoli. La voce più bella di tutta la città, ecco cosa diceva Alex.
May ha sempre detto che se suo nipote fosse nato ai tempi in cui la parità razziale non esisteva, sarebbe stato definito uno sporco meticcio e sarebbe stato vittima di soprusi che definire crudeli sarebbe stato un eufemismo. Inutile dire che ringrazia il cielo ogni giorno del fatto che il suo adorato nipote sia nato in un periodo in cui nessuno da importanza al fatto che tua madre è nera e tuo padre è bianco. Se sei un bravo ragazzo, non importa di che colore sia la tua pelle, o quella dei tuoi genitori.
“Nat? Sei tu?” Il ragazzo si sporge verso di lei stringendola in un abbraccio.
“Si Jake, sono io! May non ti ha detto che arrivavamo?”
“No, deve esserle passato di mente!”
Sciolgono l’abbraccio. Jacob porge la mano a Dean, in segno di saluto. Il cacciatore la stringe, solo per cortesia. Jake non gli sta particolarmente simpatico. Non che sia un cattivo ragazzo, al contrario, ma ancora non riesce a digerire che sia stato il primo di ogni cosa di Natalie: il primo bacio a quattordici anni, il primo a cogliere il suo prezioso fiore a quindici, e così via..
Jacob è più grande di Natalie di due anni. La prima volta che si erano incontrati, lui aveva quindici anni ed era – citando le testuali parole di una Natalie tredicenne, che bazzicava da May già da un anno – il ragazzo più bello che avesse mai visto. Jacob, con la pelle colore della sabbia bagnata e gli occhi azzurri come un cielo terso, era il ragazzo più dolce che Nat avesse incontrato. Parlava di lui in continuazione – con Sam, perché parlarne con Bobby la imbarazzava e con Dean.. beh con Dean una volta ci aveva provato, ma a lui dava così fastidio che l’aveva presa in giro per tutto il tempo. Non aveva ancora capito che la sua gelosia era dettata da altro, all’inizio pensava che fosse dettata dal fatto che non sopportava l’idea che Nat, che lui aveva sempre visto come una specie di sorellina, stesse diventando grande e iniziasse a provare interesse per certe cose. Comunque, la loro amicizia è andata avanti un bel po’ e poi è sfociata in altro. Si sono dati il loro primo bacio dietro a casa di May, una sera, mentre guardavano il sole che tramontava. Il cliché più cliché che possa esistere, ma Natalie l’aveva trovato così romantico che ogni volta che ne parlava, si alzava un palmo da terra per la felicità. Era così cotta di lui. La cosa è andata avanti per un bel po’. Nonostante la distanza, in quel periodo Bobby acconsentiva ad accompagnare Natalie da May molto spesso – perché, diceva la ragazza, doveva imparare ancora molte cose che sui libri di Bobby non c’erano.. si, certo – tanto che May e la sua famiglia si erano affezionate a lei tanto da vederla, ormai, come una specie di nipote acquisita. Natalie voleva bene a quelle persone e loro volevano bene a lei.
Si era innamorata di Jacob e sempre più spesso, quando Dean e Sam facevano un salto a casa di Bobby per salutarlo, capitava che Natalie non fosse in casa perché era rimasta a dormire da May. A Dean aveva iniziato a dare più fastidio di quanto credesse. Quel bell’imbusto gli portava via Nat e lui, che sperava di vederla ogni volta che varcava la soglia di casa Singer, doveva rinunciare alla sua compagnia. Forse è stato in quel momento che si è reso conto che Nat gli piaceva. Forse. Perché pensava al fatto che lei avesse quattordici anni e lui diciotto, John lo trattava già come se fosse un uomo adulto da un pezzo, mentre Natalie stava ancora sbocciando, nonostante fosse già più adulta delle ragazze della sua età. Come abbiamo già detto, la vita del cacciatore ti fa crescere in fretta, ma comunque, quattro anni in quella fascia specifica di età si sentono un po’ troppo. Comunque, la storia Tra Natalie e Jacob è durata poco più di due anni. Natalie aveva imparato da May un bel po’ di cose e nonostante ne avesse ancora molte da imparare, iniziava a sentire che fare avanti e indietro tra il South Dakota e la Louisiana, rimanendo spesso a dormire da May, era una vita che iniziava a starle stretta perché così facendo non avrebbe aiutato le persone come avrebbe voluto, come faceva Bobby. Sentiva di essersi inoltrata un po’ troppo nel campo teorico ed aver abbandonato quello pratico. Le piaceva stare con May, imparando tutte le cose che le insegnava; le piaceva da morire stare con Jacob, ma non si sentiva a posto con se stessa. Aveva capito che se voleva aiutare le persone, era giunto il momento di imparare sul campo. E questo solo Bobby poteva insegnarglielo. Così, dopo aver salutato May – che l’aveva stretta a se, facendole promettere di tornare a trovarla (e così è stato, Natalie torna da lei ogni mese) – e aver parlato con Jacob delle sue scelte di vita, era tornata nel South Dakota lasciandosi la Louisiana alle spalle.
Dean non può essere più felice della scelta che Natalie quindicenne ha fatto. Ma questo è il suo ego che parla.
“Ciao Dean, è un piacere vederti.”
“Anche per me.”
Certo, come no. Allunga di nuovo le mani e te le poto.
Ok, forse sta esagerando. È colpa del flashback, ok? Ha ricordato cose che accendono la sua gelosia. Tipo baci al tramonto e, proprio adesso, abbracci di ben tornata in Louisiana primo amore della mia vita.
Lo sanno tutti che il primo amore non si scorda mai, no? E da come Jake guarda Natalie, Dean è convinto che ci siano ancora dei rimasugli di un fuoco che potrebbe essere acceso molto facilmente. Il così detto improvviso ritorno di fiamma.
Anche no, intesi? Giù le mani, molla l’osso, distogli lo sguardo. È mia.
Deve darsi una calmata o esploderà come una mina antiuomo.
“Venite, May è in salotto.”
Si incamminano in casa, percorrendo il corridoio dove notano sulla destra un mobiletto in legno dove May tiene il telefono di casa, situato sopra ad un grazioso centrino ricamato con il pizzo, e delle statuette dipinte a mano – sicuramente da May – che ritraggono dei piccoli putti che suonano l’arpa.
Quando arrivano in salotto, trovano May seduta sulla poltrona alle prese con perline, ago e filo. Sembra stia creando una collana, o meglio un girocollo molto aderente, alto più o meno tre centimetri, in cui sta infilando perline che variano dal blu notte, al verde acqua, al celeste brillante. Chissà come sarà una volta finita.
“Nonna, Nat e Dean sono arrivati.” Le dice Jake.
May porta lo sguardo su di loro e non appena incrocia gli occhi di Natalie si allarga in un enorme sorriso che mostra due file di denti bianchi. May, nota Natalie, è invecchiata dall’ultima volta che è stata qui – un mese fa – le rughe intorno agli occhi si sono fatte più evidenti e la pelle sul collo inizia a cedere sempre di più. Ma i suoi occhi scuri sono ancora vispi e la rendono più giovane. La donna si alza e si dirige verso di loro, abbracciando prima Natalie e poi Dean – il quale deve chinarsi un bel po’ per fare in modo che May non si sforzi troppo. Non se la ricordava così piccolina.
“Accomodatevi, cari. Jake, tesoro, metti su un po’ di the.”
“Certo, vado subito.” il ragazzo sparisce in cucina, lasciandoli soli.
Natalie e Dean si accomodano, uno di fianco all’altra, sul divanetto vicino alla poltrona di May.
“Ditemi, cosa c’è che vi preoccupa?”
Nat e Dean si scambiano un’occhiata, poi Dean prende parola: “Si tratta di Sam. Vedi è successa una cosa...”
“So cos’è successo, arriva pure al punto, caro.”
“Si.. ehm, dunque... abbiamo... noi abbiamo fatto un accordo con Morte affinché gli ridesse la sua anima, ma adesso Sam è caduto in profondo coma ed è in quello stato da sei giorni. Non so cosa pensare. Probabilmente Morte mi ha ingannato. Non so come aggiustare la cosa e vorrei... vorrei... sapere se tu puoi fare qualcosa...”
“Tesoro..” May allunga le mani per stringere quella di Dean. Il cacciatore si stupisce della forza di quella stretta, così in contrasto con l’aspetto fragile della donna. “.. Non c’è niente che io possa fare, in occasioni come queste.”
“Perché no?”
“Perché quando si tratta di anime, gli uomini non posso interferire. Ma ciò non vuol dire che non abbia delle conoscenze a riguardo: tuo fratello si sveglierà e di questo ne sono certa. Le anime sono una fonte di energia inestimabile, sono potenti, ma allo stesso tempo sono molto fragili. Quando, in casi rari come questo, un essere umano viene prima privato della sua anima e poi essa viene inserita nuovamente nel corpo, sia il corpo che l’anima devono abituarsi nuovamente l’uno alla presenza dell’altra. È questo che sta succedendo a Sam: la sua anima si sta aggiustando all’interno nel suo corpo nel modo corretto e per farlo ci vogliono giorni interi. Questo coma non è un inganno di Morte, lui è l’entità più onesta che possa esistere...” May si ferma, notando l’espressione contrariata di Dean a questa sua ultima affermazione: “Non sei d’accordo, caro?”
“No, May. Per niente.”
May accenna una sorriso: “Sai, Dean, c’è un detto che afferma che siamo tutti uguali di fronte alla Morte. Ed è vero. Indipendentemente da quanto qualcuno possa essere stato ricco o agiato nella sua vita, una volta morto sarà identico a colui che, invece, per tutta la sua vita è stato povero. Morte è giusto, è incorruttibile, a differenza dell’essere umano a cui bastano dei soldi per farsi corrompere. Pensa agli avvocati: la loro professione dovrebbe basarsi sull’esercizio della giustizia, e invece cosa fanno? Imparano a mentire, a contorcere la dea con la bilancia, per fare in modo che il riccone che li ha pagati vinca la causa. Non interessa a nessuno se sia innocente o colpevole, basta che abbia pagato. È giustizia? No. Quella di Morte si che può ritenersi giustizia. Siamo tutti uguali di fronte a lui proprio come dovremmo esserlo davanti alla Giustizia. Non trovi?”
“Non lo so, May. È un discorso troppo complicato e non credo di essere in grado di affrontarlo nel modo giusto, in questo momento.” Si passa la mano libera sul viso.
“Ma certo. Sarai a pezzi. Scommetto che non dormi da quando Sam è in quello stato. Vi preparo la camera degli ospiti, così potete dormire un po’.”
“Oh no, non ce n’è bisogno May, davvero.”
“Smettila di fare i complimenti. Voglio che rimaniate, avete bisogno di riposare.”
Dean si limita a fare un cenno con la testa e a ringraziarla.
“Bene. Tornando al nostro discorso, dovete solo avere pazienza. Morte non vi ha ingannati, il suo non è un piano contorto per lasciare Sam in quello stato. Bisogna solo aspettare che corpo e anima si riconoscano interamente, solo allora Sam si risveglierà perché sarà tornato indietro al cento per cento.”
“Grazie May,” Dean si alza e si china su di lei per abbracciarla forte, “davvero, grazie.”
E come un bambino che dopo aver fatto un brutto sogno viene consolato dalle parole gentili della mamma, Dean versa due lacrime – giusto due – con cui lascia andare tutto il masso di ansie e angosce che si era formato sul suo petto e lo schiacciava fino a fargli mancare il respiro. Quel nodo viene sciolto dalle braccia forti – ancora una volta Dean trova a stupirsi della forza della donna – di May che lo stringono come se volessero impedirgli di affondare del tutto. Le è veramente grato in questo momento e capisce che, in fondo, anche lui le vuole molto bene, nonostante non la conosca tanto quanto la conosce Natalie.



                                                                                                          ***


Dean, in pigiama (maglietta grigia a maniche corte e pantaloni celesti di un vecchio pigiama), è sdraiato sul letto con la schiena appoggiata alla testata, tiene in piedi sovrapposti uno sull’altro e le braccia incrociate al petto.
Sono le undici di sera. May ha preparato per loro quella che era la stanza di Nat quando, da ragazzina, si fermava a dormire li. Non è enorme, ma non è nemmeno un buco: è confortevole, accogliente, le pareti sono bianche e decorate da alcuni disegni astratti neri e viola che colorano gli angoli – opera di May. Ci sono due comodini ai bordi del letto a due piazze che troneggia in quella stanza e sopra ad ogni comodino c’è un’abatjour che a sua volta sta sopra ad un centrino ricamato con cura. A quanto pare, a May piacciono molto i centrini.
Guardandosi intorno, Dean nota anche una piccola libreria attaccata al muro, sulla sinistra, proprio dietro alla porta. Chissà quante volte Nat ha preso uno di quei libri e si è messa a leggerlo per conciliare il sonno. Dean si trova a pensare che questa stanza rappresenta una tappa importante della vita di Natalie, così come è importante May, che oltre ad aver offerto loro il the – aggiungendo uno spicchio di limone nella tazza di Nat – ha preparato loro anche la cena perché era tanto che voi due non tornavate qui insieme e le faceva piacere rimanessero con lei un po’, prima di andare a riposare. May è proprio una cara signora, dolce e buona con tutti. O almeno, tutti quelli a cui vuole bene.
Vede la porta aprirsi e Natalie entrare: ha indosso un paio di leggins neri, lunghi fino al ginocchio e una canottiera aderente dello stesso colore. Molto aderente. Troppo aderente. Così aderente da non lasciare spazio all’immaginazione; così aderente che Dean non riesce a non notare che Nat non porta il reggiseno. Non l’ha mai fatto, ora che ci pensa, perché ha sempre detto che, almeno per dormire, vuole sbarazzarsi di quell’affare infernale e sentirsi libera.
Dovresti provare a stare un giorno intero con le spalline che ti premono sulle spalle. Per non parlare di quando il ferretto buca la stoffa e ti si conficca nella carne. È una tortura! Diceva sempre.
Lui non potrebbe essere più d’accordo sulla sua scelta di non indossarlo di notte.
Smettila di fissarle le tette, si rimprovera, ma è più forte di lui.
Nat, però, sembra non accorgersene: “Guarda che potevi andare sotto alle coperte, non era necessario che mi aspettassi.” Afferma, mentre sale sul letto e inizia ad accomodarsi sotto al piumone.
Dean, in imbarazzo, inizia a balbettare come un ragazzino che non ha mai dormito in compagnia di una donna: “S-si lo so, ma preferivo aspettare qui.”
Nat gli lancia un’occhiata, ma poi alza le spalle e si sistema meglio.
Il cacciatore ha ancora il pensiero fisso sul seno della ragazza: non troppo grosso, ma non per questo piccolo, sodo e della misura giusta, così giusta che ogni volta che lo toccava riempiva i palmi delle sue mani alla perfezione, combaciando esattamente e ... Dio, deve darsi una calmata. O i suoi ormoni cominceranno a smuoversi, balleranno la conga e non riuscirà più a imbrigliargli, non riuscendo, in questo modo, nemmeno ad impedire che certi pensieri poco razionali e molto.. come dire.. nostalgici del tempo che fu – dove lui e Nat in un letto avrebbero fatto tutt’altro che dormire a distanza perché, non avendo ancora chiarito la situazione, non si sentono di fare ciò che facevano quando, invece, tra di loro filava tutto liscio – vadano a formarsi nella sua mente.
Così, cerca qualcosa che lo ammosc.. lo distragga: “Non sapevo che Jake vivesse con May.” Afferma, tirando le coperte fino a coprirsi il petto.
“Non vive con lei, infatti. Viene ogni giorno a vedere come sta, si assicura che non le manchi niente e torna a casa. Vive in fondo alla strada con i suoi genitori.”
“Vive ancora con i suoi?” Si posiziona su un fianco, voltandosi verso di lei. La testa appoggiata al palmo aperto della mano sinistra.
“Si, aveva deciso di trovarsi una casa dopo la laurea, ma a quanto pare è più difficile del previsto.”
“Laurea?”
“Si, è medico, adesso. Chirurgo, se vogliamo essere pignoli.. ha preso la specializzazione.”
“Che cosa carina. È davvero il ragazzo perfetto: chirurgo, di bell’aspetto, legato alla famiglia, si occupa della sua cara nonnina..” si sdraia a pancia in su, distogliendo lo sguardo da Natalie e portandolo sul soffitto. Una mano sotto la testa, l’altra sulla pancia.
“Piantala.” Afferma Nat, roteando gli occhi. Rimane seduta con la schiena appoggiata alla testiera, osservando Dean che però non ricambia lo sguardo, ancora troppo intento a osservare il soffitto: una piccola onda viola che si arriccia su stessa nell’angolo dove inizia a formarsi una piccola ragnatela, infatti, lo fa ragionare che queste informazioni sono un po’ troppo dettagliate per i suoi gusti.
“Si può sapere come fai a sapere tutte queste cose su di lui?”
Nat alza gli occhi al cielo: “C’è una fantastica invenzione chiamata telefono. È grazie a quella che so queste cose.”
A quel punto, torna a sedere come se avesse preso la scossa: “Voi vi sentite ancora???”
“Certo.” Risponde con convinzione, poi, strizzando gli occhi con fare indagatore, aggiunge: “Perché sembra ti dia fastidio?”
Dean alza le sopracciglia: “Perché mi da fastidio!” afferma come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“E perché dovrebbe??”
Al cacciatore sfugge una risata sarcastica: “Stai scherzando, vero??”
Il tono di Natalie, invece, risulta innervosito e poco disposto alla comprensione: “No. Non sto scherzando. Ti prego, non dirmi perché sei ancora geloso di lui, Dean. Sono passati quattordici anni, non mi sembra il caso..”
“E invece a me pare proprio il caso. Non voglio che continui a sentirti con lui!”
“E dimmi, cosa ti da il diritto di avanzare una pretesa del genere??”
“Il fatto che tu sia la mia ragazza, ad esempio!”
Nel momento esatto in cui quella frase esce dalla sua bocca, si rende conto di quanto, in realtà, sia errata: Nat non è più la sua ragazza. Ma lo è sempre stata, lui l’ha sempre amata e la ama tutt’ora, e il pensiero che Jake e Natalie si sentano ancora lo infastidisce così tanto da aver perso la razionalità – che altrimenti gli avrebbe ricordato il piccolo particolare che non stanno più insieme perché lui ha deciso di andarsene – e aver lasciato uscire l’istinto. E l’istinto ha detto ciò che è situato nelle profondità del suo cuore: Nat sarà sempre la sua ragazza. O almeno, lui la vedrà sempre così.
“Ed è qui che ti sbagli: io non sono più la tua ragazza. Hai fatto la tua scelta, o sbaglio? Non puoi giocare all’allegra famiglia e poi tornare da me fingendo che vada tutto a posto. Non dopo esserti rifiutato di parlarne! E poi, anche se stessimo ancora insieme, non ti permetterei di dirmi quello che devo o non devo fare, o chi devo o non devo frequentare!”
Si è alzata da letto, incapace di rimanere seduta e così vicina a lui. Il cuore le pompa così forte che lo sente rimbombare in ogni parte del suo corpo. Il nervosismo pompa nelle sue vene come se fosse il carburante che accende un motore rimasto spento per troppo tempo.
Dean fa lo stesso. I suoi occhi sono accesi di rabbia e il suo corpo trema, scosso da quella violenza tipica dell’ira: “Hai scopato anche con lui mentre ero via? Te le ha dette mentre rotolavate nel suo letto, in casa dei suoi, tutte queste belle cose sulla sua vita?”
Sono uno di fronte all’altra, le emozioni ormai hanno preso il sopravvento e non sanno nemmeno come sono arrivati a questo punto. Il cadavere sotterrato della loro questione in sospeso è stato riesumato senza che loro lo volessero. Gli eventi fino ad ora capitati, li avevano spinti a comportarsi come dei cacciatori che risolvono un caso, mettendo da parte le questioni personali. Ma adesso, sembra che le questioni personali, rimaste troppo tempo sotto terra, abbiano deciso, di loro spontanea volontà, di risorgere di creare un boato inarrestabile. Un’esplosione indomabile.
Probabilmente, è tutta colpa della stanchezza, dello stress e di troppi eventi accumulati uno sull’altro. Tutto ciò ha fatto si che gli scheletri, uscissero dall’armadio e scatenassero il panico.
“Quanto sei stronzo.” Il suo tono, che esce come un sibilo furioso, è colmo d’astio. Afferra il cuscino con decisione e si avvia verso la porta.
“Dove vai??” chiede, duro, chiudendo la porta con impeto. Sono così vicini che possono sentire i rispettivi respiri – fin troppo affannati – sulla pelle. I loro occhi hanno imprigionato l’uno quelli dell’altra come se volessero dare inizio ad una battaglia fatta di sguardi da cui escono fulmini e saette.
“Dove vado? Hai anche il coraggio di chiederlo? Il più lontano possibile da te! È stato tutto uno sbaglio. Innamorarmi di te è stato lo sbaglio più grande che potessi fare! Ogni volta che stavo con te perdevo un pezzo di me! E sai perché? Perché più tempo passava e più quel pezzo di me apparteneva a te, perché ti ho sempre amato con ogni fibra del mio corpo! E a te non è bastato! Non è bastato che ti dessi sempre tutta me stessa, che fossi al tuo fianco in ogni occasione! Hai visto una difficoltà e te ne sei andato! Dio, non sai quanto ti odio per avermi ridotta in questo stato!” le lacrime scendono copiose sul viso di Natalie, il respiro è affannoso e le sue guance sono calde e arrossate per via del sangue che è affluito ad esse mentre inveiva contro Dean. Si sente svuotata. Ridotta ad un involucro di carne privato di energia.
“C’è un motivo per cui me ne sono andato,” comincia Dean, la voce roca, rotta per lo sforzo di trattenersi. Trattenere le lacrime, trattenere la voglia di urlare, trattenere il dolore che prova nel sentire Natalie che dice che lo odia, il dolore che prova nel vederla così, a pezzi, “te ne parlerò Nat, lo giuro. Ma...”
“...Ma ora non è il momento. Perché Sam è in quello stato e tu non sei in grado di pensare, se non sei certo che Sam sta bene. Lo so. Credi non abbia imparato a conoscerti, dopo tutti questi anni?”
“Mi dispiace. Non avrei mai voluto farti del male.”
“Hai già detto che ti dispiace. Nel garage, ricordi?”
Smette di guardarlo, perché continuare a fissare quegli occhi le fa un male tremendo. Un dolore che va a infettare quella ferita aperta su cui ha costruito l’illusione che tra di loro potesse tornare a funzionare. Non poteva pensare ad una cosa più sciocca. Non si può costruire niente, se la base non è solida. Una pozzanghera melmosa non reggerà mai un castello dorato, ma lo farà affondare. Non hanno ancora raschiato via la melma dalle loro vite. Solo dopo che si saranno decisi a farlo, potranno permettersi di costruire qualcosa di nuovo.
“Ci vediamo domani mattina, Dean.”
Senza aggiungere altro, esce da quella stanza chiudendosi la porta alle spalle, lasciando Dean solo con se stesso e con l’eco funerea delle parole di Natalie: Non sai quanto ti odio per avermi ridotta in questo stato.
Se ne sono dette così tante negli anni, hanno litigato così tante di quelle volte che ha perso il conto, ma non erano mai arrivati a pronunciare quella parola: odio.
Lei lo odia perché per colpa sua ha perso se stessa.
Lui si odia per aver fatto in modo che accadesse una delle cose che sapeva benissimo Natalie temesse di più al mondo.
Improvvisamente, è come se annegasse. Di nuovo.
Nei suoi polmoni c’è acqua. Di nuovo.
E questa volta, Nat non lo salverà.
Devono salvarsi da soli.

                                                                                                     ***

L’alba arriva senza che Natalie si sia resa effettivamente conto di quanto tempo sia passato. È sul divano in salotto, la testa appoggiata sul cuscino, un plaid tirato fino al petto. Non è riuscita a chiudere occhio. Quando, ieri notte, si è sdraiata con tutta l’intenzione di provare a dormire, ha iniziato a piangere a dirotto, il cuore le batteva così forte per il nervosismo e l’agitazione dopo la litigata che non è riuscita a calmarlo. Batteva così forte da fare male; così forte da farle mancare il respiro.
Tachicardia.
Gli ha detto che lo odia. Non può credere di averlo fatto. Forse un po’ lo pensa, ma solo perché l’ha ferita, perché l’ha resa vulnerabile, perché così facendo si è sentita persa. E tutto ciò l’ha disorientata: se è bastato che lui se ne andasse per perdersi, quanto può ritenersi forte abbastanza? Può ritenersi effettivamente forte, se non sa nemmeno stare da sola?
Lui se n’è andato e lei si è sentita persa.
Sam è tornato e nonostante avesse notato ci fosse qualcosa di sbagliato, in lui, ha preferito aggrapparsi a lui, piuttosto che affrontare i problemi.
Si rannicchia su se stessa. Sente le lacrime scendere di nuovo, percorrendo il solco che hanno seguito per tutta la durata della notte.
Cosa è diventata? Non si riconosce più.
Si rannicchia ancora di più: vorrebbe diventare così piccola da scomparire.
Ha sbagliato tutto. Non doveva reagire così, non doveva abbandonarsi al dolore, doveva combatterlo. Accettare che Dean se ne fosse andato e affrontare la perdita, discutere con Sam dei suoi problemi e affrontare tutto con la spada sguainata.
Il fatto è che queste cose sono più facili da dire che da fare.
Il fatto è che è facile dire come sarebbe dovuta andare dopo che ormai si è fatto tutto il contrario. Ha incasinato tutto fondamentalmente perché in quel periodo lei stessa era un casino.
C’era Dean che se n’era andato e Sam che era saltato dentro alla Gabbia e questo la faceva morire dentro, ma c’era dell’altro: c’era l’assenza di Jo e di Ellen. Si sentiva così in colpa per la loro morte. Un sacrificio per la squadra, per il bene superiore.
Per il bene superiore lei ha perso una sorella e una madre. Parte della sua famiglia persa perché il Cielo e gli Inferi avevano deciso che era giunto il momento di scatenare l’Apocalisse e coinvolgere tutta l’umanità, coinvolgere i Winchester, Dean l’uomo giusto e Sam il prescelto, il ragazzo prodigio.
Se angeli e demoni avevano così voglia di uccidersi tra loro, potevano farlo benissimo senza coinvolgere l’umanità. Michele e Lucifero potevano trasferirsi chissà dove e uccidersi a vicenda da soli.
Invece no.
La Terra è stato il campo di battaglia e come succede in ogni battaglia che si rispetti, ci sono stati dei caduti. Jo ed Ellen tra questi.
Castiel l’accuserebbe di non essere l’unica ad aver perso dei familiari.
Sono caduti anche i miei fratelli, Natalie. Non dimenticarlo.
L’aveva detto una volta.
Ma lei sente solo il suo di dolore. Lei e Jo erano amiche prima ancora di essere compagne di caccia. Ed Ellen, beh, lei era la donna più dolce del mondo e la trattava come se fosse figlia sua.
Le mancano così tanto che la loro assenza le blocca il respiro, la schiaccia al divano e le fa venire voglia di urlare.
Loro non avrebbero dovuto fare quella fine. Lei avrebbe dovuto salvarle.
Un rumore di passi attira la sua attenzione: si asciuga gli occhi e si sistema a sedere con le gambe incrociate. May compare qualche istante dopo, con il grembiule legato in grembo e un cucchiaio di legno in mano.
“Stavo per preparare la colazione, vuoi venire a darmi una mano, piccola?”
Nat annuisce e si alza dal divano, incamminandosi verso May. Insieme si dirigono in cucina.
“Vuoi preparare le uova strapazzate?”
“Certo May, come preferisci.”
“Almeno finisco la torta ai lamponi, quella che ti piace tanto. È un toccasana per un cuore in subbuglio.” Le sorride.
Nat ricambia, ma il suo sorriso è molto più stretto di quello di May: “Mi dispiace per ieri sera, è stato... inappropriato.”
“No, tesoro, non lo è stato. Discutere per non perdere chi amiamo è il miglior modo per lottare per loro. Chi non litiga non ha interesse a continuare a stare con l’altro, chi litiga, invece, vuole superare gli ostacoli che si sono formati per poter continuare a stare insieme. Le liti servono per abbattere i muri e calpestare le macerie per arrivare a raggiungere chi amiamo. Voler stare con qualcuno dopo che abbiamo scoperto tutti i suoi lati e tutti i suoi scheletri ci fa capire che siamo davvero innamorati.”
Natalie la stringe in un forte abbraccio: “Grazie, May.”
“Non ringraziarmi, piccola. Non sono parole soltanto mie, sai?”
Nat scioglie l’abbraccio per guardare May in viso: “Che vuoi dire?”
“Diciamo che sono più l’elaborazione di May, digli che se non chiariscono torno indietro e li prendo a calci nel sedere, o a schiaffi a due a due fino a che non diventano dispari, a loro la scelta.
Jo.
“Si è messa in contatto con te?” La voce spezzata, le lacrime che hanno ripreso a scendere silenziose sulle guance.
“Si. Sa che ti manca e le manchi molto anche tu. Mi ha detto di dirti che ti vuole bene.”
“Le voglio bene anche io..”
May l’abbraccia forte e Nat si lascia cullare dalla donna: “Lo so, tesoro, e lo sa anche lei.” Inizia ad accarezzarle i capelli e la schiena.
“Sei più forte di quanto credi, Natalie. Non farti sopraffare dai tuoi pensieri che dicono il contrario, pensa invece alle azioni che hai fatto, a quanto hai combattuto nella tua vita. Sei una guerriera. Ciò, però, non vuole dire che non avrai mai attimi di debolezza, o smarrimento. La forza sta nel saperci rialzare dopo essere caduti, non nel non cadere mai.”
Natalie, senza alzare la testa dal petto di May, annuisce contro la sua camicetta, stringendola più forte per trasmetterle la sua gratitudine.
Rimangono strette una all’altra per un po’, fino a che le lacrime di Natalie non si asciugano del tutto. Poi, come se la nuvola di tristezza avesse deciso di concedere un po’ di spazio al sole, Natalie e May continuano a preparare la colazione.
Nel momento esatto in cui May estrae la torta di lamponi da forno, ormai cotta e pronta per essere ricoperta di zucchero a velo, Dean entra in cucina come un uragano: “Sam,” esala, con il fiato corto, “Sam si è svegliato.”













(1) La canzone di cui parla è “Oh Death – Jen Titus” che sicuramente avete riconosciuto, ma volevo specificare lo stesso xD
(2) La canzone in questione è “Un Giudice – Fabrizio De Andrè”
(3) I vari Final Destination. Chiedo scusa a chiunque trovi belli questi film, ma a me proprio non sono piaciuti.
(4) La famosa citazione di Jack Torrence in Shining. Quel film è uno dei miei preferiti e visto che nello show, almeno nelle prime stagioni, era citato un sacco (soprattutto “La casa delle bambole” – 2x11 dove i parallelismi sono evidenti)  volevo inserire un richiamo anche io.
(5) Il film in questione è “The Proof”. Il trio Hopkins – Paltrow- Gyllenhaal mi è piaciuto da morire.

Bando alle ciance, spero il capitolo sia piaciuto e se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.
Ringrazio chiunque legga e chi dedica del tempo a recensire, grazie davvero!
Alla prossima (:

 

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Capitolo 5
*** 5. ***


Diciotto ore di silenzio. Nemmeno un cambio di guida.
Diciotto ore di assordante niente, interrotto solo dai rumori provenienti fuori dal finestrino. Un cane che abbaia, un uomo che grida, un bambino che ride inseguendo un pallone, il clacson delle altre macchine, gli insulti degli automobilisti rivolti ad altri automobilisti, dita medie che sbucano dai finestrini accompagnati da imprecazioni poco piacevoli che spesso e volentieri riguardano le mamme e il loro presunto mestiere – lo stesso che, secondo la leggenda, è il più antico del mondo.
Non si sono nemmeno guardati in viso. Sono incapaci di farlo per più di due secondi, dopo la sera precedente. Le parole, le grida, sono ancora troppo impresse nella loro mente, risuonano ancora nelle loro orecchie rimbombando come lo scoccare delle campane che scandiscono le ore, picchiettando frenetiche come la pioggia che si scaglia sui vetri delle finestre.
Incapaci anche solo di pensare di guardarsi.
Figuriamoci di sfiorarsi.
Si tengono a debita distanza l’uno dall’altra.
Natalie stringe il volante saldamente, Dean rimane il più possibile attaccato al finestrino.
Dobbiamo partire, Natalie.
È l’ultima cosa che si sono detti.
Hanno salutato May in fretta – che ha tanto insistito affinché si portassero via la crostata ai lamponi – e sono rimontati in macchina diretti a Sioux Falls.
Sammy è sveglio, la sua anima ha smesso di assestarsi dentro al suo corpo e quest’ultimo l’ha riconosciuta. Si sono incontrati di nuovo, dopo del tempo, e hanno trovato il modo di riuscire a combaciare di nuovo, tornando com’erano prima. O quasi, se si esclude il muro che rimuove i ricordi dell’Inferno.
Chissà che anche Dean e Natalie, esattamente come il corpo e l’anima di Sam, potranno mai combaciare di nuovo, tornare i due pezzi di puzzle che si completano a vicenda che erano prima.
Ad essere onesti, ad entrambi in questo momento, sembra del tutto impossibile.
Non si può aggiustare la ceramica rotta con dello scotch.
Dean al finestrino, la barba incolta, lasciata crescere in questi giorni – così tanto che ha iniziato a prendere una sfumatura rossastra vicino al mento – gli occhi stanchi, arrossati, e il cuore ridotto ad un cumulo di ceneri pesanti come il piombo, scocca una veloce occhiata a Natalie, che altro non fa che guardare la strada senza proferire parola. Continua a fissare quella distesa grigia di catrame davanti a se come se fosse l’unica cosa che vede, come se fosse sola in macchina. Questo lo fa letteralmente impazzire. Il caldo, la sensazione claustrofobica che gli ha sempre trasmesso l’abitacolo di quella jeep – è sempre stato il difetto di quell’auto, stretta davanti e larga nel bagagliaio per lasciare spazio alle armi – Natalie che lo odia, la sensazione che quell’odio aleggi solido in quello spazio angusto, tremolante e ululante come un fantasma fin troppo reale; le troppe ore di viaggio, l’impazienza di vedere Sam – di vedere se l’intervento di Morte ha funzionato, l’assenza delle ore di sonno... tutto ciò lo fa innervosire, gli manda i nervi a fior di pelle e l’unica cosa che vorrebbe fare è uccidere qualcosa, o bere whiskey fino a svenire, o mettersi al volante di Baby e spingere l’acceleratore al massimo, sentire il rombo della sua piccola che cresce sempre di più ad ogni metro di strada mangiato. Invece... invece è chiuso dentro ad una specie di cella con un secondino che non ha pietà di lui.
Hanno scelto il momento meno opportuno per accendere quella discussione. Avrebbero dovuto rimandare tutto dopo il risveglio di Sam.
Invece sono esplosi come due centrali nucleari e hanno fatto così tanti danni che le conseguenze si ripercuoteranno anche sugli anni a venire. Anche se, a dire tutta la verità, non hanno veramente chiarito la situazione. È come se avessero tirato fuori solo metà della melma in cui stanno nuotando. Inutile negarlo, adesso sta a lui tirare fuori la sua, di melma, visto che Natalie l’ha già fatto. Visto che gli ha gridato contro che lo odia, che innamorarsi di lui è stato un errore.
E lui che l’ha sempre definita come la cosa più bella che gli sia mai capitata in tutta la sua fottuta, merdosa esistenza. Pensa un po’ come è stronzo l’universo.
Si trova a guardarla. Il naso fine, le labbra torturate dai denti che staccano le piccole pellicine da cui escono minuscole gocce di sangue, i capelli lasciati cadere liberi sulle spalle.
Vorrebbe gridarle contro che è una bugiarda del cazzo, che non è vero che pensa che amarlo sia un errore, che sa benissimo che l’ha detto perché lui l’ha ferita.
Be’ indovina un po’, Natalie, mi odio anche io, con tutto me stesso, per averti ferita, ma ciò non vuol dire che rinchiudersi in un mutismo assoluto sia la soluzione. Urlami contro, lo preferisco sicuramente a questo muro di mattoni innalzato per tenermi fuori dalla tua sfera vitale – è questo che pensa, e lo pensa davvero.
Osserva il cartello con la scritta “Benvenuti a Sioux Falls”. Sono arrivati a casa. Natalie percorre la strada che ormai conosce da quando era una bambina e dopo venti minuti stanno passando sotto l’arco “Singer Auto”.
Avanzano fino a che non arrivano davanti al garage. La porta è chiusa così Natalie parcheggia l’auto davanti ad essa. Quando il motore è spento, Dean e Natalie scendono, afferrano le loro borse e in silenzio, si incamminano verso casa.
“Non una parola di quello che è successo.”
Dean si stupisce di sentire la voce di Natalie, dopo che è stato circondato solo da silenzio per così tanto tempo.
“Come preferisci.”
“Non vuol dire che non ne riparleremo tra di noi.”
“Come vuoi.”
Nat ha lo sguardo fisso davanti a se. Durante questa brevissima conversazione non l’ha nemmeno sfiorato con lo sguardo, mentre lui l’ha osservata. Ha visto il suo sguardo preoccupato, ha notato il tono glaciale della sua voce che celava, nemmeno poi così bene, un tremolio insicuro. Natalie lo ignora per non esplodere.
Ha trattenuto le sue emozioni per troppo tempo, le ha accantonate, lasciando emergere solo la cacciatrice che è in lei da quando hanno ripreso contatto, e il muro che ha erto per ripararsi è così crepato che basterebbe un soffio di vento più forte del previsto per farlo crollare; il guinzaglio a cui il lume della ragione ha legato le emozioni è così liso che basterebbe uno strattone in più per lasciare che scappino libere e difficilmente imbrigliabili una seconda volta. È in arrivo un maremoto e Nat sta cercando di trattenerlo con una vaschetta per i pesci.
Intono a loro, solo oscurità. Sono partiti dalla Louisiana che era mattina molto presto e sono arrivati che la notte inizia a coprire il giorno con la sua buia coperta blu scuro. Il sole lascia spazio alla luna, tramontando per fare in modo che sua sorella – o la sua amata, in base a quale storia si sceglie di credere – quel cerchio bianco, brillante e pieno di crateri,  regni in cielo – così in contrasto con l’oscurità che la circonda che non puoi fare a meno di guardarla, così splendida in tutto il suo candore che osservarla arriva a dare quella sensazione di pace, portando a pensare a come debba essere guardare il mondo da lassù, vedere gli uomini così piccoli ed essere testimone di piccoli sprazzi di vita.
Natalie inserisce la chiave nella serratura e la fa scattare. La porta si apre e loro entrano, annunciando la loro presenza.
“Siamo arrivati.” Le parole di Natalie risuonano nella casa. Si chiude la porta alle spalle e, dallo studio, sbucano Bobby e Sam.
Sam, con la camicia (pulita e tutta intera) a quadri bianchi e neri, i jeans aggiustati e gli occhi addolciti dalla presenza della sua anima dentro di se, corre incontro ai due cacciatori fiondandosi su Dean, stringendolo in un abbraccio ferreo, così stretto da far mancare il respiro al maggiore dei Winchester. Dean ricambia l’abbraccio, stringendo più forte che può: suo fratello è tornato.
“È bello averti di nuovo tra noi.” Gli sussurra, poco prima che Sam sciolga l’abbraccio e si chini verso Natalie, con l’intenzione di abbracciare anche lei.
Nat, in un primo momento rigida come una statua di marmo, ricambia la stretta, ma senza quell’entusiasmo che ha Sam. È imbarazzata e non sa esattamente come comportarsi. Ma poi, viene invasa dal pensiero che Sam è tornato, Sam è di nuovo Sammy e allora, accantona quella sensazione di disagio che i loro corpi a contatto le provoca, e lo stringe più forte che può. Sente le sue braccia intono al corpo e capisce che Sam adesso è affettivamente Sam. Non sa come spiegarlo, ma il modo in cui adesso la stringe è lo stesso che aveva prima che saltasse nella Gabbia, è lo stesso rassicurante abbraccio che sa di casa, di famiglia, di fratellanza e che non ha niente di malizioso. Non sa come fa a capirlo, lo capisce e basta.
“Bentornato, Sam.”

“Cosa è successo, esattamente?” chiede il minore dei Winchester, separandosi da Natalie.
Bobby e Dean si scambiano un’occhiata eloquente, che non sfugge a Natalie, e poi il giovane cacciatore prende parola: “Tu cosa ricordi?” indaga, cauto.
Sam si sistema i capelli dietro alla orecchie: “Ricordo di aver sentito Lucifero dentro di me, ricordo anche che avevo questa sensazione di controllo su di lui e poi... e poi ricordo che ho saltato.”
“Tutto qui?”
“Si, tutto qui. Poi mi sono svegliato nella panic room.” Sam aggrotta le sopracciglia, improvvisamente colpito da un dubbio: l’ultima volta che si è svegliato dopo essere morto, suo fratello aveva venduto l’anima per riportarlo indietro. Una sensazione attanagliante di paura lo invade: “Che hai fatto Dean, si può sapere??”
“Niente!”
“Niente?”
“Non proprio niente .. io e Morte..”
Morte?? Il Cavaliere? Sei serio?” sbotta, innervosito.
“Abbiamo fatto un accordo, ok? Era vantaggioso e l’ho accettato. È tutto finito.”
“Be’.. tutto finito....” inizia Bobby, ma Dean gli lancia un’occhiata che parla più di quanto potrebbero fare mille parole.
“Tutto finito. Un colpo di spugna. Perché non possiamo gioire di qualcosa che va per il verso giusto, una volta tanto??”
Un colpo di spugna. È così che la pensa Dean. È tutto ridotto a qualcosa di così facilmente cancellabile che basta una spugna bagnata per ripulire tutti i peccati, per porre fine alla sensazione di inquietudine che ha provocato il tentato omicidio di Bobby, l’utilizzo dello stesso Dean come esca e la tensione che ha provocato il fatto che Nat e Sam fossero stati insieme.
Tutto cancellato.
Sam non era Sam e quindi è scusato, perdonato, tutto buttato nel cesso e tiriamo lo sciacquone, che ormai è tutta acqua passata.
Natalie, per un attimo, prova quasi invidia nei confronti di Sam perché viene perdonato con così tanta facilità, quando invece lei deve farsi il sangue marcio, ingoiare bile e pagare tutte le conseguenze che sue scelte hanno portato. Si sente come il bambino che viene paragonato al fratello perfetto da un genitore un po’ troppo di parte. Perché non prendi spunto da tuo fratello? O meglio: Sam, hai fatto delle porcate, ma sei scusato. Natalie, hai fatto le porcate con Sam, e per questo ti guarderò come se fossi la peggiore delle sgualdrine.
Dio, quanto si vergogna per aver pensato una cosa simile.
Porca vacca, Sam era all’Inferno, stava bruciando nelle fiamme, non stava facendo una passeggiata in mezzo ai fiori.
Non si stava rotolando nelle lenzuola pulite insieme ad una bella donna della quale aveva adottato il figlio.
“Come ti senti, Sam?” domanda Dean.
“Bene, a dirla tutta.”
Anche quando era tornato dall’Inferno l’aveva detto.
Aveva detto che stava bene e la luce nei suoi occhi era completamente diversa, era assente quella scintilla di gentilezza che adesso brilla come una stella nei suoi occhi. Gli occhi di Sam sono tornati gli stessi e adesso potrebbe anche essere vero che sta effettivamente bene. Se si esclude il muro.
“Sono affamato.” Confessa, leggermente a disagio.
A Nat sfugge un sorriso, riconoscendo finalmente Sam dopo tanto tempo. E improvvisamente, quell’invidia che provava, la stessa che l’ha fatta sentire viscida, sparisce, lasciando il posto solo alla felicità di averlo di nuovo. Un po’ è grata a Morte per quello che ha fatto, ma non lo dirà mai ad alta voce perché risulta strano anche solo pensarlo.
“Ti preparo qualcosa, ok?” Nat si incammina in cucina senza aspettare una risposta. Passa vicina a Sam e gli stringe il braccio, sorridendogli. Lui ricambia e la guarda inoltrarsi in cucina.
Dean si trova a osservare il modo in cui Sam segue Natalie con lo sguardo. Vuole capire se ciò che è successo tra di loro era dettato dall’assenza di anima o se ci fosse un sentimento di fondo da parte di Sam anche prima che perdesse l’anima e che con l’assenza di quest’ultima si sia manifestato. Ma sembra che tutto sia come è sempre stato. Sam non la guarda con malizia, o con fare languido, come se fosse segretamente innamorato di lei, la guarda come l’ha sempre guardata: una persona a cui tiene, a cui vuole bene. La guarda come guardava la bambina con cui giocava; come guardava la ragazzina con cui si confidava, o con cui parlava di libri – i fantasy erano i loro preferiti. Dio solo sa quanto hanno parlato di Harry Potter, quando è uscito. Lo leggevano insieme e quando uno dei due era più avanti dell’altro, il “ritardatario” supplicava l’altro di evitare spoiler o la nostra amicizia è finita!
E sono andati avanti per un bel po’. Diciamo che quando l’ultimo libro è uscito, loro non erano più dei ragazzini, ma se si trattava della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, retrocedevano all’adolescenza in trenta secondi.
Ora che ci pensa, è quasi sicuro che Natalie sapesse ancora prima di lui che Sam aveva intenzione di andare a Stanford. Se li immagina seduti in uno dei rottami sgangherati nel cimitero per auto, Sam seduto al volante privo di clacson, Natalie al sedile del passeggero con le gambe distese sul cruscotto, i pantaloncini corti che mostrano la pelle abbronzata e l’ultima ferita di caccia. Se li immagina così, uno a fianco all’altra a bere coca cola – perché la birra non era ancora un’abitudine – Sam che cerca il coraggio di dire per la prima volta ad alta voce ciò che gli frulla in testa da settimane, se non mesi. E chi meglio di Natalie avrebbe saputo ascoltarlo? Chi meglio di quella ragazza che è cresciuta con lui, con cui ha sempre parlato e dalla quale non ha mai ricevuto urli e grida in risposta ad una osservazione o ad una specifica volontà?
Voglio andare a Stanford.
Si immagina Natalie voltarsi a quelle parole per verificare se Sam stia facendo sul serio o sia solo uno scherzo. Quando poi ha appurato che il ragazzo seduto vicino a lei, diventato improvvisamente alto nell’ultimo anno, è tremendamente serio, si sistema meglio sul sedile, abbassa le gambe e si volta completamente verso di lui, busto compreso; le gambe incrociate e la lattina di coca cola appoggiata al sedile, nello spazio lasciato vuoto dalle sue gambe.
Un sospiro, uno sguardo triste e poi: Quando l’hai deciso?
Non un tentativo di persuasione, non un urlo di rimprovero, non una supplica che dice ti prego, resta con noi.
Solo accettazione.
Probabilmente perché aveva già capito che Sam voleva altro dalla vita e che costringerlo a rimanere non l’avrebbe fatto felice. E Nat ha sempre voluto che la sua famiglia fosse felice.
Anche se questo significava che lei soffrisse.
Ci sto pensando da un po’. Vorrei... vorrei sperimentare altro, nella vita. Capisci? Non... non so... ho paura di perdermi le cose normali. Voglio... io voglio studiare, Nat.
Lo sguardo basso sulle mani, le pellicine intorno alle dita mangiate fino a far uscire il sangue, l’ansia di sentire uscire dalla bocca di Natalie qualcosa che l’avrebbe ferito.
Ne hai parlato con Dean, almeno? So che con John sarà più difficile, ma almeno cerca di preparare tuo fratello.
N-non so cosa dire. Come dovrei esordire? Vado in California, arrivederci e grazie! Non è proprio un bel modo.

Lei che gli prende la mani nelle sue, Sam che alza lo sguardo per incrociare gli occhi di Nat che sono privi di qualsiasi accenno di rimprovero.
No, così no. Però potresti provare a dire che... che questa vita inizia a starti stretta. Perché è così, non è vero Sam?
Un po’.

Lei accenna un sorriso, toccato da quel velo di amarezza, levigato dalla tristezza.
Potresti dire che cercare di costruirti un futuro diverso da quello del cacciatore non vuol dire escludere la tua famiglia dalla tua vita.
E magari, immagina Dean, questo l’ha detto includendo anche se stessa, spaventata dall’idea che Sam – che era sempre stato al suo fianco, fino ad ora – volesse escluderla dalla nuova vita che voleva vivere.
Non sarà facile. Lo sai. Non con mio padre e la sua ossessiva ricerca di vendetta. Non accetterà una cosa del genere.
Prova a farlo ragionare. Se hai già scelto e sei sicuro della tua scelta, allora devi farglielo capire.

Ma John Winchester non era come Natalie e quindi tutto era crollato come un castello di carte colpito da una raffica di vento. C’erano state porte sbattute e grida che suonavano come il più radicale degli addii. Il fatidico e fatale se esci da quella porta, non prenderti il disturbo di tornare che usciva dalla bocca di John, mentre Sam, con uno zaino in spalla, lanciava un’ultima occhiata a Dean e si sbatteva la porta alle spalle, lasciando che l’eco di quell’urto violento rimbombasse nella stanza del motel in cui si trovavano quella volta e si conficcasse nel cuore di Dean, marchiando a caldo l’assenza di Sam. Sam che aveva scelto un’altra vita e non l’aveva nemmeno preparato alla cosa. Ma Dean è sicuro che Natalie ne fosse al corrente.
Anche se, nonostante siano passati anni, non ha mai ricevuto la conferma di questa sua ipotesi. Può solo immaginare che sia andata così.
Di certo, sa com’è andata dopo. Sa che appena poteva, andava da Natalie e con lei, parlava di tutto fuor che dell’assenza di Sam, che era così pesante da risultare insopportabile. Non voleva parlare del fatto che il suo fratellino se ne fosse andato e che lui soffriva da morire, voleva solo trovare pace. Quella pace che suo padre, che diventava sempre più silenzioso e distante, sempre più accecato dalla sua vendetta, non riusciva a dargli.
Natalie era la sua pace, la sua luce; era una boccata d’aria dopo ore di apnea, era il sole che illuminava il grigiore della sua esistenza, segnata da troppa sofferenza.
Natalie era il suo balsamo, la sua gioia.
Natalie è ancora tutto questo, nonostante ciò che è successo.
Ha confessato di amarlo con ogni fibra del suo corpo, di amarlo così tanto da arrivare ad odiarlo perché si è persa in lui. Nat non sa che la cosa è reciproca, solo che lui non ha il fegato di ammetterlo. Solo che lui non la odia, per questo. Non la odia per essersi perso in lei perché, con tutte le occasioni che ha avuto di perdersi, questo è stato il modo migliore in cui poteva farlo. Amalgamarsi in lei; sentirsi suo, sentirla sua. Appartenersi.
Tu sei il mio cuore. Potrei vivere senza il mio cuore? (1) Pensa spesso a questa frase e ogni volta si risponde che no, non potrebbe vivere senza Natalie. Nemmeno se volesse. E ci ha provato. Lo sappiamo tutti che ci ha provato. L’averci provato è ciò che ha portato la rottura tra di loro, la causa dell’esplosione a base di odio che Natalie gli ha riversato contro.
Si passa una mano sulla faccia. Improvvisamente, la stanchezza gli pesa sulle spalle come un macigno enorme.
Si lascia sfuggire uno sbadiglio.
“Quant’è che non dormi, Dean?” gli chiede Sam, studiandolo.
“Qualche ora.” Mente.
“Cosa siete andati a fare da May?” continua Sam, incamminandosi verso la cucina, seguito da Dean e da Bobby. Natalie ha finito di preparare i sandwich, niente di troppo elaborato, ma più che appropriato visto che ormai l’ora di cena è passata da un pezzo.
Dean le lancia un’occhiata. Lei finisce di apparecchiare e mette le birre in tavola, poi, visto che Dean non risponde, prende parola: “Aveva solo voglia di rivederci. È tanto che non andiamo a trovarla, così ci ha chiamato lei. Siamo andati là e ci ha persino fatto una crostata, pensa!” afferma affabile, impilando i sandwich in un piatto di portata al centro del tavolo e sistemando la crostata vicino ad esso.
“La crostata ai lamponi di May!” Sam sorride, nostalgico.
“Proprio quella!” Continua Nat, facendogli l’occhiolino. “Mangia, adesso. Anzi, mangiate. Ne ho fatti tanti di proposito!”
Si siedono al tavolo e cominciano a mangiare. È tutto così diverso dall’ultima volta che hanno mangiato tutti insieme, quella volta che per un pelo Dean e Sam si prendono a pugni.
L’atmosfera è tesa, ma sembra che Sam non se ne accorga. Per lui, potrebbe essere una normalissima cena in famiglia, per gli altri, invece, la consapevolezza che gli stanno mentendo è densa come nebbia. Così fitta che si stupiscono Sam non percepisca il loro disagio. Nat lancia occhiate sporadiche a Dean, ma l’uomo non ricambia, di proposito. Sa benissimo cosa leggerebbe nel suo sguardo: stai mentendo a tuo fratello. Non hai ancora imparato che le bugie tra di voi non portano mai a buon fine?
Lo sa benissimo che mentirgli è sbagliato, ma perché rischiare di andare a grattare il muro con i ricordi che Morte si è tanto preso la briga di sigillare dietro la Grande Muraglia di Sam?
No, non parlerà. Non adesso, almeno. Prima Sam deve riprendersi del tutto.
Incrocia per un momento gli occhi di Bobby, che ha lo stesso sguardo di Natalie. Sangue dello stesso sangue e si vede. Sembra di guardare due versioni della stessa persona. Hanno entrambi quello sguardo da: questo tuo piano non mi piace per niente, e nel caso di Bobby c’è l’aggiunta extra di brutto idiota. Glielo legge in faccia che questa sua idea di tenere all’oscuro Sam riguardo alla verità sull’ultimo anno non gli piace per niente, ma rimane della sua decisione. Fermo come un albero che ha messo le radici in profondità: Sam non saprà niente fino a tempo debito.
E quando sarà tempo debito? Chiede una vocina nella sua testa. È un caso che la sua coscienza abbia la voce di Nat? Non crede.
Non risponde, piuttosto la zittisce e addenta il suo panino. Da un morso così grande che fa fatica persino a masticarlo. Quando ingoia gli sembra di aver mandato giù un sasso.
Tossisce e si attacca alla birra per mandare giù il boccone rimasto incastrato nella trachea.
“Dean? Stai bene?”
“Si, sto bene, tranquillo Sam. Mi sono strozzato.”
Stavi soffocando. Come quando affoghi. Affogherai anche nel mare di bugie che hai intenzione di raccontargli fino a che non scoprirà la verità da solo e allora aggiungerete una lite alla vostra lista, che già vanta un discreto numero?
Ancora la voce di Natalie. Perché la sua coscienza deve parlare come lei? Perché probabilmente è quello che sta pensando. Lui sa che lei lo sta pensando.
E sicuramente ha ragione. Nat finisce sempre per avere ragione, in un modo o nell’altro. Anche questo, l’ha preso da Bobby.
Si schiarisce la gola, mandando definitivamente giù il boccone. Afferra il tovagliolo e si pulisce la bocca.
“Credo che andrò a dormire.”
No, stai scappando. C’è una gran bella differenza, Dean.
La cosa sta prendendo una piega inquietante. Deve necessariamente chiudere occhio e rimandare tutto questo a domani mattina. È stato veramente troppe ore senza dormire e l’assenza di sonno inizia a dare voce a pensieri che non vorrebbe sentire, almeno non adesso.
“Sono ore che non dormo e visto che... va tutto bene..” si affretta a dire “...posso concedermi un po’ di riposo, no?”
“Certo” risponde Bobby, appoggiato allo schienale della sedia, le braccia incrociate al petto “Va tutto bene.”
L’occhiata che il vecchio cacciatore gli lancia è più che eloquente, ma Dean decide di ignorarla. Si alza, prende il suo piatto, lo lava e lo sistema nella credenza.
“Buonanotte, ragazzi.”
“Dean,” lo chiama Sam, studiandolo “va tutto bene? Sei... strano.”
Credevi fosse stupido? Se ti comporti come se avessi ucciso qualcuno e nascondessi il cadavere sotto al tuo letto, è logico che crei sospetti. Andiamo, Dean, con chi credi avere a che fare? Sam ti conosce meglio di chiunque altro!
“Tutto bene, sono solo stanco.”
Sa che menti. Te lo legge in faccia. Indagherà. Lo sai, vero?
Qualcuno può ancora biasimare Pinocchio per aver spiaccicato il Grillo Parlante? Odiosa, saccente creatura. Taci e lasciami in pace, pensa Dean, mentre sale a passi pesanti le scale per raggiungere il piano di sopra.
Entra in camera sua e, senza nemmeno togliersi i vestiti, si getta sul letto e affonda la faccia nel cuscino.
I problemi saranno meno grossi, dopo aver riposato.
O forse no.
Sicuramente no.
Ma tanto vale tentare. Non sia mai che questa risulti la volta buona che spariscano.




Natalie e Sam sono rimasti in cucina. Dopo che Dean è salito al piano di sopra, Bobby si è ritirato per andare a dormire anche lui.
I due cacciatori rimasti hanno sistemato la cucina, pulendola, e poi si sono seduti al tavolo, dove la crostata di May giaceva immacolata. L’hanno guardata e hanno iniziato a mangiarne un po’, tornando indietro di anni, quando May li rimpinzava di torte alla prima occasione.
Dopo aver mangiato una fetta decisamente fuori dalla categoria “giusto un assaggio”, Nat ha iniziato a piluccare il dolce direttamente dalla teglia.
“Sai se ci fosse May cosa direbbe, adesso?” inizia Sam, imitandola.
Nat sorride: “Che non si pilucca il cibo! E sai perché?”
“Perché solo le scimmie piluccano! Siete delle scimmie che mangiano pidocchi dalla schiena di altre scimmie? Non credo proprio!”
“Prendete piatti e posate!”
Scoppiano a ridere.
Dio, quanto le è mancato.
Questo è il Sam che meritava di essere salvato, questo è ciò che lo rendeva grigio, quando la parte gentile era andata persa. Questo lato di Sam farà si che il colpo di spugna avvenga davvero, che le cose orribili che l’assenza di anima gli ha fatto fare vengano cancellate.
Lo guarda e vede l’uomo che, con un coltello in mano, era disposto ad uccidere Bobby e le si stringe il cuore, un brivido di terrore la percorre; ma se lo osserva meglio, vede l’uomo che si è gettato nella Gabbia, senza pensarci troppo, per salvare l’umanità, l’uomo che nel momento peggiore della sua esistenza, quando era posseduto da Lucifero e stava per dire addio a questo mondo, si è preoccupato di rassicurare suo fratello.
Sto bene, Dean. Ho il pieno controllo. Aveva detto, prima di saltare.
Sente le lacrime pungere dietro agli occhi, ma le scaccia.
“Nat, posso farti una domanda?” chiede senza guardarla, continuando a piluccare il dolce.
“Certo.” Cerca di risultare tranquilla, ma se deve essere onesta quella domanda un po’ la agita.
“Quanto sono stato via?” si porta un pezzo di dolce alla bocca e inizia a masticare lentamente. I suoi occhi incrociano quelli di Nat e lei si trova a pensare che anche se Dean vuole che mentano su tutto il resto, su questo può essere sincera.
“Un anno e mezzo.”
Sam rimane in silenzio, pensieroso. Ha così tante domande da fare, così tante cose da chiedere, ma una in particolare gli esce dalla bocca senza che abbia effettivamente deciso di pronunciarla; gli esce d’istinto: “Dean come l’ha presa?”
Nat rimane spiazzata da quella domanda perché non sa come rispondere: Dean non vuole che Sam sappia la verità però rispondere a questa domanda comporterebbe fare altre domande che comporterebbero risposte legate all’ultimo anno quando Sam se andava in giro senz’anima.
“Ha voluto un po’ di spazio per se.” Comincia. Non vuole dirgli che se n’è andato senza dire niente e che la sua assenza ha provocato una serie di eventi che coinvolgono lei e Sam in determinate circostanze. “Così si è allontanato. Ha insistito affinché non lo cercassimo perché desiderava davvero rimanere solo. È stato via un anno. Poi è tornato.”
“E tu non sei andata con lui?”
“No..” si apre in un sorriso tirato, quasi forzato. Vuole risultare tranquilla, ma non ci riesce. Dovrebbe saper mentire, Cristo, è il suo lavoro. Lei sa mentire. Sa rigirare ogni situazione a suo vantaggio, quando si tratta di lavoro. Ma mentire spudoratamente in faccia a Sam che sembra così assetato di aggiornamenti, la fa stare male. E le manda a quel paese la sua impenetrabile faccia da bugiarda. “..No. Aveva bisogno del suo spazio e gliel’ho dato.”
“Non temevi facesse qualche sciocchezza?”
“Certo, ma c’era qualcosa che mi diceva che non avrebbe fatto niente di stupido questa volta.”
Sam abbassa gli occhi, accennando un sorriso flebile. Sembra disorientato.
“Quando..” comincia, giocando con l’elastico che ha al polso. Lo contorce e rigira su se stesso, “..Quando avevo Lucifero dentro di me, ho sentito che spezzava il collo a Bobby..” la voce si incrina. Il flash di Sam che tenta di accoltellare Bobby torna nelle mente di Natalie, facendole pensare, un’altra volta, che l’uomo che adesso ha di fronte, che ha gli occhi lucidi per il ricordo della morte di Bobby, è lo stesso che una settimana fa ha provato ad ucciderlo. Eppure, nonostante siano la stessa persona, sono estremamente diversi. Chiunque non creda nell’esistenza dell’anima, non ha mai vissuto un’esperienza simile. Dobbiamo avere dell’altro, oltre alla fisicità del nostro corpo. Deve essere riempito con qualcosa di spirituale, altrimenti non si spiegano molti comportamenti umani: la gentilezza, ad esempio. O la premura, l’altruismo, la sincerità. I sentimenti devono nascere da qualcosa che va al di là dell’organismo in senso scientifico, che va al di là della composizione e posizione degli organi e del numero di ossa presenti nel nostro scheletro. I sentimenti nascono dall’anima. Natalie ne è sicura, soprattutto dopo questa esperienza.
“Castiel si è occupato di lui. L’ha riportato in vita.”
“Castiel è vivo??” Domanda sollevato, ricordando Lucifero che, con uno schiocco di dita, lo fa esplodere dopo che l’angelo ha lanciato una molotov di olio santo contro Michele.
“Si, Cas è vivo. Siamo tutti vivi, Sam. E stiamo bene.” allunga una mano per stringergli la sua, “Dovresti riposare, adesso.”
“Anche tu.” Le risponde, notando le occhiaie grigie intorno agli occhi della ragazza.
Nat sorride, un sorriso stanco, affaticato: “Non posso darti torto. Vado in branda, ci vediamo domani mattina.” Si alza dalla sedia e, prima di lasciare la stanza, si posiziona dietro a Sam, ancora seduto, e lo abbraccia appoggiando il mento sulla sua testa. Lo faceva spesso, quando lui era seduto perché, una volta ogni tanto, voleva vedere cosa si provava, visto che è sempre stata la più bassa.
“Buonanotte.”
Sam appoggia le sue mani su quelle di Nat, augurandole la buonanotte. È una cosa normale, tra di loro, allora perché quando Nat esce dalla stanza, uno strano ricordo affiora nella sua mente? Un ricordo che è così surreale, che fatica a credere gli appartenga? Il contatto tra le loro mani ha scatenato immagini nella sua testa che vedono Nat protagonista: lui che le stringe il viso tra le mani e si fionda sulla sua bocca, con fare tutt’altro che delicato, Nat che lo afferra per la maglietta e gliela toglie con impeto, le sue mani percorrono il corpo della ragazza e la afferrano, salda, con l’intenzione di caricarsela addosso, attaccarla al muro di una stanza che non conosce e baciarle ogni lembo di pelle che trova scoperto. Deve essere confuso. Ha sicuramente ripensato involontariamente a una delle tante, imbarazzanti, volte in cui ha sorpreso Dean e Nat in atteggiamenti piuttosto intimi.
Ma perché allora ha visto se stesso?
Non può essere un ricordo, perché con Nat non ha mai fatto niente del genere; e nemmeno una fantasia perché non ha mai messo Natalie sotto quell’ottica.
Be’, se deve parlare a cuore aperto, una volta l’ha fatto, ma per sbaglio.
Erano in un bar, festeggiavano chissà che cosa, forse il fatto di essere ancora vivi dopo una giornata di caccia, non ricorda – colpa del troppo alcol. Alcol che ha influito parecchio sui pensieri poco puri riguardanti le natiche di una ragazza china sul jukebox. Stava giusto pensando a come sarebbe stato dare un morso a quel culetto, quando la ragazza era tornata in posizione eretta e lui aveva riconosciuto Natalie.
Si era sentito così in imbarazzo e così in colpa per ciò che aveva pensato – e che per un momento, l’oggetto delle sue fantasie sessuali fosse proprio Natalie – che aveva tracannato quattro bicchieri di whiskey tutti d’un fiato, nella speranza di cancellare dalla mente quel momento. Chiedendosi, inoltre, da quando in qua fantasie del genere lo eccitavano. Di solito quello eccentrico in quell’ambito era Dean. Aveva attribuito la colpa al troppo alcol e archiviato la questione in un angolo remoto del suo cervello. Chiuso per sempre nel cassetto “momenti imbarazzanti di cui nessuno verrà mai a conoscenza”.
Ma al di là di questo, non è mai successo altro. In realtà non ha mai provato quel tipo di attrazione verso Natalie.
Quindi non riesce proprio a spiegarsi il perché del suo ricordo slash visione slash quello che è.
Forse è arrivato il momento di andare a riposare e rimandare tutto a domani mattina, pensa. E crede proprio sia la cosa migliore da fare.


                                                                                                      ***


“Vuoi davvero sapere cosa penso di questo stupido piano??” dichiara Bobby con una nota furiosa nella voce, agitando una chiave inglese.
“Che è stupido?”
“Esatto!” allarga le braccia. Il berretto malconcio schiacciato sulla testa, le maniche della camicia a quadri arrotolate fino ai gomiti e la maglietta grigia chiazzata da macchie di sudore.
Il vecchio cacciatore si china sul motore di una Cadillac rossa del ’72.  Il cofano è aperto e mostra l’intreccio dei tubi meccanici che lo compongono. Bobby la sta aggiustando per un vecchio amico, un uomo d’affari che era di passaggio in città e voleva che qualcuno di fidato controllasse la sua adorata macchina.
“Come se non l’avessi capito. L’hai chiamato stupido piano da quando stiamo parlando!”
Bobby si sistema in posizione eretta e inizia a sventolare la chiave inglese sotto al naso di Dean: “Non usare quel tono sarcastico con me, ragazzo!”
Dean alza i palmi all’altezza delle spalle, allontanando il viso dalla pericolosa chiave di Bobby: “D’accordo, d’accordo. Vengo in pace. Ma cosa dovrei fare? Dirgli tutta la verità e rischiare che il muro venga intaccato?”
“Capisci che non possiamo fare finta di niente? Quel ragazzo appena una settimana fa ha cercato di uccidermi..” un lampo di dolore attraversa i suoi occhi al ricordo che proprio uno dei suoi ragazzi stava per ucciderlo.
I suoi ragazzi... se lo sentisse Rufus probabilmente gli ricorderebbe, senza prendersi la briga di essere delicato, che loro non sono i suoi ragazzi. Non sono figli suoi. Rufus, per come la vede Bobby, può andare anche a farsi fottere.
La famiglia non finisce con il sangue. Lui considera Sam e Dean come figli suoi. Ricorda benissimo il periodo in cui, il piccolo Dean a soli cinque anni, lo fissava con i grandi occhi verdi senza dire una parola. John li lasciava da lui per andare a cercare Occhi Gialli – che ancora non si sapeva fosse effettivamente lui l’assassino di Mary – così i piccoli Winchester popolavano casa Singer. Sam iniziava a muovere i primi passi, ma solo se Bobby lo teneva. Da solo aveva ancora troppa paura e finiva sempre per riappoggiare il sederino a terra e continuare gattonando. Di solito, Nat e Sam si scambiavano i giocattoli, strappandoseli dalle mani e mettendoseli in bocca. Ora che ci pensa, c’era uno scambio di saliva tremendo, tra quei due. La sua preoccupazione più grande, però, era Dean. Quel fagottino che stava in silenzio, seduto in un angolo della stanza a guardare i due bimbi più piccoli giocare. Non perdeva mai, mai, d’occhio Sam. Come poteva? John aveva già cominciato a inculcargli quel mantra che gli ha ripetuto fino alla fine dei tuoi giorni Tieni d’occhio Sam, come se Dean non avesse avuto bisogno di qualcuno che lo tenesse d’occhio o che si occupasse di lui, o che lo trattasse come un bambino, maledizione.
Ho un pallone, di là. Vuoi giocarci? Gli aveva chiesto, avvicinandosi a lui e chinandosi alla sua altezza. Il piccolo Dean aveva distolto lo sguardo da Sam e aveva portato la sua attenzione su di lui. Aveva solo annuito. Un gesto timido – e forse anche timoroso.
Bobby aveva cercato di sorridergli nel modo più rassicurante possibile e, offrendogli la mano, che Dean aveva timidamente stretto, si erano avviati a prendere quell’unico pallone che Bobby possedeva, consumato, malconcio e con il cuoio che cedeva da qualche parte, dando l’impressione che stesse facendo la linguaccia. Ma Dean lo amava. Adorava giocarci. Passava ore intere a correre dietro a quel pallone in mezzo alle auto. E Bobby, passava le ore a tenerlo d’occhio. Nella bella stagione, quando il sole era alto e l’aria primaverile iniziava a scaldarsi, portava Nat e Sam fuori – aveva addirittura comprato uno di quei tappeti appositi, con dell’isolante alla base in modo che non venissero a contatto con la terra polverosa – e giocava con Dean a pallone, lanciando un’occhiata ai più piccoli ogni tre per due.
Era stato in uno di quei giorni che Dean aveva ricominciato a parlare. E per Bobby è stato uno dei giorni più belli della sua vita.
Bobby –  l’aveva chiamato con il fiatone, la fronte era sudata e i capelli erano appiccicati al viso – quando Sam e Natalie cresceranno giocheranno con noi?
Aveva trattenuto le lacrime – si, anche gli uomini duri piangono e si emozionano, ok? – e accarezzandogli la testa, aveva risposto: Certo, Dean.
Rufus può dire o pensare quello che gli pare e piace, per come la vede lui, Dean e Sam sono i suoi ragazzi. Figli suoi esattamente come sente Natalie figlia sua.
“Credi non lo sappia? Ma non era Sam!”
“Lo so, ma ha il diritto di sapere. Se ci fossi tu al suo posto non vorresti essere messo al corrente di ciò che hai fatto?”
Dean abbassa gli occhi sulle sua scarpe, pensieroso. Certo che vorrebbe sapere.
“Si, vorrei. Ma si tratta di Sam. Ho paura possa succedergli qualcosa...”
“Procederemo per gradi. Dean... stare all’oscuro di tutto non lo proteggerà, lo capirà da solo che qualcosa non quadra. Non è uno stupido.”
Anche la sua coscienza con la voce di Natalie, la sera precedente, gli ha suggerito la stessa cosa. A quanto pare, è giunta la fine del silenzio. Deve parlare con Sam.
“Gli parlerò, d’accordo? Non subito, però.”
“Vedi di non far passare troppo tempo, testone!”
Detto questo, Bobby si china sull’auto e continua a lavorarci, mentre Dean lo osserva.
Se fossero in una situazione normale, se avessero una vita normale, probabilmente sistemerebbero auto insieme. Avrebbero una loro officina vera, con un ufficio, le loro mani sarebbero sporche di olio e grasso dalla mattina alla sera, indosserebbero quelle tute blu tipiche dei meccanici e negozierebbero con i fornitori per avere risorse di qualità al minor prezzo che riescono ad ottenere. Ci sarebbe meno whiskey in circolazione, perché le esperienze vissute non riguarderebbero mostri, o cose terribili che i normali esseri umani non riescono minimamente ad immaginare, ma riguarderebbero cose come hai visto la partita, ieri sera? e altre cose che normalmente dicono gli uomini con un lavoro normale. Avrebbe fatto anche le cose per bene con Natalie, sarebbe stato galante e prima di chiederle di sposarlo avrebbe chiesto la sua mano a Bobby, magari lontano da attrezzi contundenti.
Ok che è sempre stato favorevole alla loro relazione, ma quando capitava che li beccasse in effusioni amorose, borbottava qualcosa e guardava Dean nel modo tipico in cui i padri gelosi guardano i fidanzati delle figlie.
Ma questa, è un’altra delle cose che va aggiunta alla lista “esperienze che Dean Winchester non vivrà mai”. Ancora si stupisce della fitta dolorosa al cuore che prova ogni volta che si ricorda quanto sia sempre stata lontana dalla normalità la sua vita. Dovrebbe esserci abituato, ormai.
“Ho trovato un caso, ieri sera, prima di andare a dormire. A Rochester, nel Minnesota, sono stati trovati dei cadaveri vicino a dei cassonetti.”
“E ci interessa perché....?”
“Perché sono stati trovati senza fegato. Aperti e ricuciti con precisione maniacale e, una volta morti, abbandonati come spazzatura.”
“Cacchio. Roba pesante. Però potrebbe essere un serial killer. Quale creatura si prende la briga di ricucire un corpo, dopo essersi nutrito – per di più solo del fegato?”
“Direi che vale la pena andare a controllare, non credi?”
Bobby gli lancia quello sguardo tipico di quando non ha intenzione di ricevere un rifiuto come risposta.
“Certo. Vado.”
“Non da solo. Porta Sam con te.”

                                                                                                      ***

Alla fine, Dean ha dato retta a Bobby – non che avesse scelta, in realtà. Quelli di Bobby, di solito, sono ordini mascherati da consigli.
Sarebbe meglio tu facessi questo in realtà significa Fallo, e vedi di non girarti troppo i pollici.
Ormai l’ha imparato. Per questo, dopo la chiaccherata in garage, quando sia Dean che Bobby sono tornati in casa, il giovane cacciatore è andato a chiamare Sam, informandolo del nuovo caso trovato da Bobby.
Sam, com’era naturale fare, ha chiesto a Nat di unirsi a loro, ma Bobby è intervenuto, dicendo che aveva necessariamente bisogno che le rimanesse con lui.
Strano, aveva detto Sam, cosa gli prende?
Un quarto d’età e tre quarti d’alcol, ecco che gli prende
(2) aveva risposto Dean, salendo in auto e cercando di evitare lo sguardo si suo fratello.

Sono in viaggio da due ore, ne mancano ancora cinque per arrivare nel Minnesota, e sembra che il caro Sammy sia in vena di chiacchere. E di risposte. Se non fosse così, beh.. non sarebbe Sam. E visto l’ultimo anno, Dean è contento che Sam abbia recuperato tutta la sua curiosità e loquacità.
Loquacità che non apprezza, però, quando Sam sgancia bombe come: “Mi ha detto Nat che sei stato via un anno. Cosa hai fatto?”
Mi sono assicurato di distruggere l’unico rapporto sano e solido che ho avuto con una donna.
“Sono stato in giro.”
“A fare cosa?” domanda, quasi distrattamente il minore, digitando, sul portatile che tiene sulle gambe, parole come fegato, Minnesota, morti, spazzatura. Si sta documentando sul caso e vuole avere un quadro ben specifico degli avvenimenti successi, quando arriveranno a Rochester.
Dean alza le spalle con noncuranza e, continuando a fissare la strada, afferma: “Cacciare.”
“E non potevi farlo con Nat?” gli occhi che scorrono da sinistra a destra, mentre leggono articoli trovati su internet ed estrapolano da essi informazioni che possono essere utili per il loro caso.
“Volevo stare solo, ok? Eri appena finito in un buco con il Diavolo e un Arcangelo, e non uno a caso, ma l’arma prediletta del Paradiso. Ero rassegnato all’idea di averti perso e...” si blocca di colpo, temendo di andare troppo oltre. Vuole davvero confessare che per un attimo – durato molto più di quello che normalmente si definisce tale – ha pensato di suicidarsi?
Vuole davvero ammettere che dal momento esatto in cui Sam è caduto in quel buco, ogni cellula del suo corpo desiderava la morte?
Non esisto, se non esisti tu. Questa è la sua consapevolezza più grande. Lui non esiste, se non esiste anche suo fratello; non vive, se non vive anche Sam.
Sam che è diventato adulto, ma che per lui resterà sempre Sammy, il bambino che, quando durante un temporale tuonava forte,  lo guardava con gli occhi grandi spaventati e correva da lui per essere rassicurato. E non è nemmeno sicuro di voler ammettere che ciò che temeva di più, non allontanandosi, era infettare tutti con il suo profondo desiderio di morte. Trascinare a fondo tutti. Trascinare Nat in un pozzo senza fondo. 
L’interruzione della frase, però, non sfugge a Sam che si volta a guardarlo, chiudendo lo schermo del portatile sulla tastiera.
“Che c’è, Dean?”
“Non è stato facile per me.”
“Lo so. Ma proprio perché non era facile non capisco perché tu abbia scelto di andartene anzi che stare con Nat. Lei... lei ti è sempre stata vicina. E scommetto aveva bisogno di te. Avevate entrambi bisogno l’uno dell’altra.”
Avevo appena visto mio fratello saltare dentro ad un fottuto buco per l’inferno, cosa avrei dovuto fare??
Tornare da me! –
Il grido isterico che risuona nelle orecchie – Dovevi tornare da me, come hai sempre fatto.
Quella conversazione gli sembra così lontana, se ci pensa. Ma hanno ragione entrambi. Nat aveva ragione, Sam ha ragione. Doveva tornare da lei come ha sempre fatto, affrontare il dolore insieme, vincere la perdita supportandosi l’un l’altro.
Ripensa alla fantasia che ha avuto riguardo l’officina e il voler fare le cose per bene riguardo al chiedere in sposa Natalie.
Essere sposati significa stare insieme “in ricchezza e povertà, in salute e in malattia”, stare insieme indipendentemente da quali circostanze si presentano – e  può affermare con certezza che lui e Nat l’hanno sempre fatto. Da questo punto di vista, è come se fossero già sposati (è davvero necessario un pezzo di carta per affermare che la persona con cui stai è quella con cui vuoi passare tutta la tua vita e condividere ogni cosa, disgrazie comprese? Non crede.) –  Stare insieme perché in due si è più forti e i problemi diventano automaticamente più piccoli.
E Dio solo sa quanto Natalie sappia trasmettergli forza.
Ma che ne sarebbe stato di Nat? Se avesse trasmesso la sua forza a lui, che in quel momento era solo capace di affondare, chi avrebbe dato forza a Natalie?
Se fosse stata prosciugata di tutta l’energia che riesce a trasmettere e che ogni giorno alimenta con il suo coraggio, chi si sarebbe preso cura di lei, assicurandosi di darle forza?
Lui l’avrebbe solo ricevuta e in cambio non le avrebbe dato niente. Non in quel periodo. Non quando riusciva solo a sentire il bisogno estremo di un appiglio al quale appoggiarsi e affidarsi totalmente.
Non poteva farle una cosa del genere. Non poteva prosciugarla di tutta la sua energia, consumando ogni risorsa in suo possesso. Poteva lasciarla libera, però.
Poteva fare in modo che la forza che vive in lei venisse riservata solo ed esclusivamente a se stessa. Andandosene l’ha salvata. O almeno, era quello che credeva.
Adesso non è più molto sicuro.
Adesso, crede che invece avrebbe dovuto comportarsi come ci si comporta “in salute e in malattia”, rimanere con lei, sforzandosi di reagire per non fagocitarla nella sua oscurità.
Natalie è sempre stata la sua luce, perché non avrebbe potuto esserlo anche quella volta?
Perché lui non avrebbe dovuto sforzarsi di non cedere alle tenebre per fare in modo che Nat non soffrisse? Perché è scappato anzi che combattere al fianco della donna che ama?
Troppe domande, nessuna risposta.
Solo la traccia di una piccola consapevolezza che inizia a farsi strada. Timida in un primo momento, invasiva mano a mano che avanza, come il cucciolo più debole della cucciolata, che spinto dall’istinto di sopravvivenza, cerca di arrivare alla madre per nutrirsi.
Se fosse rimasto, avrebbero toccato il fondo, è molto probabile, ma ne sarebbero usciti. Ne sono sempre usciti, fin tanto che rimanevano insieme.
Ha superato l’Inferno, grazie a lei.
L’Inferno.
Gli incubi di anime scuoiate, di persone sulla ruota, ridotte a brandelli dalla sua mano che impugnava gli strumenti di tortura più sofisticati che siano mai stati inventati, le lame che si conficcavano e strappavano lembi di pelle, le grida, lui che provava quel perverso piacere nel sentire soffrire qualcuno che non fosse lui, dopo essere stato per trent’anni, trent’anni, torturato nel peggiore dei modi –  i polsi e le caviglie legate dal cuoio che gli segava la pelle, sistemato in modo che non potesse muoversi e la lama che si conficcava in ogni punto diverso ogni volta, ogni dannata volta, e gli faceva scoprire punti del suo stesso corpo che non pensava esistessero. Aveva raggiunto soglie di dolore che pensava non potessero essere raggiunte dall’essere umano, eppure lui l’aveva provato. Il bruciore che provocavano le lame contro la pelle, strappandola, facendola a brandelli. Gli uncini che si conficcavano nel suo ventre e che venivano tolti solo per essere conficcati da altre parti: nelle spalle, nei palmi delle mani, nei polpacci. C’era stata una volta, dove Alastair era stato particolarmente fantasioso, in cui aveva conficcato spilli intorno ai suoi occhi.
Ogni volta, era un dolore nuovo, un dolore più acuto, un dolore disumano.
Un dolore disumano, per una ferocia disumana.
E quando si è toccati da un dolore simile e hai la possibilità di riscattarti, lo fai.
Dean Winchester l’uomo giusto una bella ceppa.
Se fosse stato l’uomo giusto che Castiel pensava che fosse, non avrebbe mai accettato di scuoiare anime, di torturare persone fino a far raggiungere loro quella soglia di dolore che lui stesso aveva reputato disumano solo perché ehi, la ruota gira – letteralmente – e visto che hanno fatto del male a me, adesso è il mio turno.
La cosa che più lo tormentava era la sensazione di piacere che aveva provato. La cosa che più lo disgustava era il ricordo della voce di Alastair che, con orgoglio, gli ripeteva che era davvero dotato, così portato alla tortura che sarebbe stato un suo degno erede. Il discepolo perfetto.
E ogni notte, quando si svegliava urlando, così forte che gli bruciava la gola, in preda ai suoi incubi che lo facevano sudare, gli acceleravano il battito cardiaco e lo consumavano fino a ridurlo ad un ammasso di sensi di colpa (non solo aveva torturato anime, aveva anche spezzato il primo sigillo per liberare Lucifero), disgusto per se stesso e rimorsi, Natalie era lì. Lo stringeva a se, dicendogli che andava tutto bene, che non era più all’Inferno e che era stato tutto un tremendo incubo. Lo accarezzava come può fare una mamma amorevole con un bambino terrorizzato dal mostro nell’armadio. E lui, puntualmente, lasciava che il ritmo tranquillo delle sue mani, lo calmassero e andassero a ricordare al cervello che ora si trovava in un posto sicuro e che non stava più ne infliggendo, ne subendo dolore.
Lei era lì, al suo fianco.
Ha sopportato per mesi e mesi notti insonni al fianco di un uomo irrequieto che si svegliava urlando e giornate al fianco di un uomo che cercava di redimersi per tutti i peccati commessi nel luogo che esiste proprio perché la natura umana è peccatrice.
Ha superato tutto questo grazie a lei, avrebbe superato anche il suo desiderio di morte. È tutta solo ed esclusivamente colpa sua, se adesso si trovano in una situazione del genere, se lei gli ha urlato che lo odia, se non riesce più a guardarlo in faccia senza ricordarsi il tremendo male che le ha fatto.
Le rinfaccia di essere stata con Sam, ma quello che ha inflitto più dolore, quello che ha fatto il torto più grande è stato proprio lui.
Deve parlarle. Ha bisogno di parlarle. Sarà la prima cosa che farà quando torneranno a casa. È pronto a tirare fuori la sua melma e cancellarla una volta per tutte. È pronto a spiegare e a chiedere scusa, sperando che Nat lo perdoni.
Magari le ci vorrà del tempo.
Magari non ricominceranno da dove erano rimasti, ma avranno un nuovo inizio.
“Dean? Sei diventato muto?”
“Cosa? No! Cosa vai blaterando?”
“Stavamo parlando di Nat e ti sei ammutolito. Sei strano. Sei sicuro vada tutto bene?”
“Di’ un po’, Samantha. Hai intenzione di psicanalizzarmi, o vuoi usare il tuo grazioso cervellino da nerd per trovare informazioni sul caso?”
Sam, visibilmente offeso e leggermente irritato, gli lancia un’occhiataccia seguita da un pugno ben assestato sulla spalla destra.
“Sei proprio un idiota. E un po’ coglione, se dobbiamo dirla tutta.”
“E tu sei una puttana. Lamentosa, se dobbiamo dirla tutta!”
Deve confessarlo: gli è mancato da morire questo aspetto della sua vita, i battibecchi con Sam e la sua faccia offesa ogni volta che lo chiama Samantha.
Deve metterlo al corrente di tutto ciò che Sam-Terminator ha fatto durante questo anno? Assolutamente.
Deve farlo ora rovinando questo bel momento fraterno? Assolutamente no.
Un passo alla volta. Roma non è stata costruita in un giorno.


Rochester, Minnesota.
Il motel in cui i Winchester mettono piede non ha niente di speciale, se non la tremenda puzza. L’odore di chiuso è così impregnato in quelle mura che sembra la stanza non venga arieggiata dal ’48, quando il motel è stato costruito.
Sam e Dean si inoltrano nella stanza, scegliendo un letto a testa e gettando sopra la loro roba. Dean sceglie quello vicino alla porta, lasciando a Sam quello vicino alla finestra. Come facevano da ragazzini: se si fosse presentato un pericolo dalla porta, il primo ad affrontarlo sarebbe stato proprio Dean. È incredibile come il suo istinto di protezione continui a venire fuori nonostante Sam sia diventato un uomo già da un pezzo e che sia capace di difendersi già dal tempo in cui uomo non era.
La stanza, che potrebbe fare benissimo invidia alla definizione di buco per la sua grandezza, è tappezzata da carta da parati giallo crema, le tende alla finestra – l’unica che c’è e che è a fianco al letto di Sam – sono bianche, ma la stoffa ha iniziato a diventare giallastra, come patina sui denti. L’ambiente è estremamente semplice: vicino ai letti un comodino per ciascuno e davanti ad essi un tavolo tondo che traballa per via di una gamba più corta. Sam se ne accorge non appena ci appoggia il portatile e cerca di fare qualche ricerca.
Dean, invece, è troppo preso dall’incredibile enormità della macchia di muffa che vive nell’angolo destro del soffitto di quella stanza per accorgersi del tavolo. La sua espressione disgustata provoca una risata divertita da parte di Sam.
“Sono felice che la cosa ti diverta!”
“Rimarremo qui solo per qualche giorno, non mi sembra il caso di fare lo schizzinoso.”
“Quella roba fa schifo. È così grande che potrebbe esserci un universo dentro. O potrebbe essere un portale per un universo parallelo. Lungi da me avvicinarmi a quella schifezza per scoprirlo.”
“Siamo stati in posti peggiori.”
“Già, ma almeno la puzza era sopportabile.”
“Ti abituerai, principessa.”
“Ehi!” Dean, in posizione eretta ai piedi del suo letto, le mani dentro il suo borsone delle armi, si volta verso suo fratello con uno sguardo truce: “Che hai detto?”
Sam si deve mordere il labbro per non scoppiare a ridere: “Niente, Rapunzel.
Dean gli si avvicina e gli punta l’indice contro, minaccioso: “Chiamami così un’altra volta e ti prendo a calci nel culo.”
Sam si appoggia allo schienale della sedia e allarga la braccia, le mani, all’altezza delle spalle, con i palmi rivolti verso Dean: “Ho capito. Non sei in vena.”
“Bravo. E ora fai qualche tua solita ricerca, geniaccio.”
“E tu che farai? Un giro di perlustrazione che di solito comprende sempre un bar?”
“Quanto sei spiritoso!” gli fa una boccaccia, “No, vado all’obitorio.”
Cerca in un’altra borsa il completo da agente dell’FBI e dopo aver preso il suo si dirige in bagno per cambiarsi.



Sam, rimasto solo con l’enorme macchia di muffa come unica compagna e il rumore delle sue dita che digitano i tasti del suo portatile come unico suono, continua a rimuginare sul suo ritorno in terra dopo il salto negli inferi. È stato via un anno e mezzo e poi, perché Morte è stato tanto magnanimo, è tornato in vita, come se non fosse mai saltato. Tutto è a posto, tutti stanno bene e le cose vanno per il verso giusto.
Sarebbe tutto assolutamente perfetto, se non si stesse parlando della sua vita.
Se non si stesse parlando del fatto che a lui le cose vanno piuttosto male da quando era in fasce e che il patto reputato vantaggioso da Dean è stato fatto con Morte.
Morte.
Chi mai fa un patto con Morte e non gli da niente in cambio? Già il significato stesso di patto implica che ci sia uno scambio di interessi tra i due contraenti.
Il vecchio, ma sempre attuale: io faccio qualcosa per te a patto che tu ne faccia una per me.
La magnanimità e la bontà d’animo sono morte da un pezzo. Soprattutto se uno dei contraenti è uno dei Cavalieri dell’Apocalisse.
E Dean... Dean è così strano che non può non nascondergli qualcosa, evita di approfondire le questioni e si dilegua senza nemmeno aver finito di mangiare. Senza nemmeno aver mangiato la torta.
Non esiste al mondo che Dean Winchester in condizioni normali eviti di mangiare una torta. Fatta in casa. Fatta da May.
C’è qualcosa che puzza in tutta questa storia, e non è la gigantesca macchia di muffa.
Parlarne con Dean sarebbe inutile, eviterebbe la questione e imporrebbe la sua opinione perché sono il più grande, Sam.
Come se questo gli desse il diritto di dettare legge. Ci sono solo quattro anni tra di loro e questa scusa poteva valere da bambini. Ora puzza di stantio come la stanza in cui si trova. Sono due uomini, ormai. Alla pari, per giunta. Ma sembra che a Dean questo non entri in quella zucca dura che lui chiama testa.
Sospira.
Forse... forse se Dean non vuole dargli le risposte che cerca può farlo qualcun altro...
Si guarda alle spalle, lancia un’occhiata alla porta e poi una veloce alla finestra: sembra che Dean non sia sulla via del ritorno. A questo punto, seduto sulla sedia, ancora davanti al suo pc, chiude gli occhi e si concentra più che può.
“Castiel..” inizia, stupendosi di sentire la sua voce ridotta ad un sussurro quasi timoroso,“Castiel.. sono Sam. I-io sono tornato e vorrei...”
Non fa in tempo a finire la sua preghiera che un fruscio di ali riempie la stanza e l’aria mossa da quel movimento leggiadro e delicato gli sferza la faccia come una carezza invisibile.
Cas appare davanti a lui con il suo solito completo elegante e l’impermeabile, le braccia lasciate cadere lungo i fianchi e gli occhi blu concentrati su di lui, come se fosse in attesa di una domanda a cui solo lui stesso può dare risposta.
Appena lo vede, Sam si alza dalla sua sedia, così Castiel si avvicina con la braccia aperte, come se volesse abbracciarlo, e d’istinto il cacciatore si rimette a sedere, imbarazzato.
L’angelo, a disagio, abbassa le braccia lungo il corpo e si guarda intorno per un attimo prima di riguardare Sam.
“È bello che tu sia qui, Sam.”
“Si, me la sono vista brutta.”
“Mi stupisco tu sia vivo, in realtà.”
“Beh.. si anche io... è stata dura..”
“Come ti senti, adesso??”
“Bene, i-io... io sto bene...”
“Che effetto fa?.”
“Cosa?”
“Riavere l’anima, ovviamente.”
“Giusto. Giusto.. perché sono andato in giro senz’anima e... sto bene, io mi sento bene.. sono solo un po’ confuso su alcuni particolari, pensi che potresti aiutarmi a capirli?”
L’idea che sia stato privato di una cosa così importante e che nessuno gliene abbia parlato lo sconvolge. Si sente smarrito e confuso, in preda a quel panico tipico che ti assale quando ti rendi conto di essere in una situazione troppo grande per te e di non sapere da dove cominciare per provare a risolverla.
Perché lo hanno tenuto all’oscuro?
Nat gli ha preparato da mangiare, Bobby era lì quando lui si è svegliato e Dean... Dean gli ha detto che era bello riaverlo con loro mentre si abbracciavano. Si sono comportati come se niente fosse, come se veramente fosse rimasto sotto terra un anno e mezzo e fosse tornato indietro miracolosamente.
Perché non gli hanno detto le cose come stavano? Perché non gli hanno detto della mancanza dell’anima? Ha fatto cose così orribili che non riescono nemmeno a pronunciarle?
La sensazione di disagio che prova sale sempre di più fino a formare un nodo alla gola. È spaesato, disorientato e sente che le lacrime iniziano a pungere dietro agli occhi, così per evitare di iniziare a piangere, torna a guardare Castiel che non si è mosso di un centimetro.
Torna a guardare l’uomo che gli sta davanti, così consumato dalle battaglie. Una cosa così difficile da credere, se si pensa che Castiel è un angelo, un essere celestiale, un servitore di Dio, e in quanto tale, intaccabile, impossibile da ferire. Ma Castiel è l’angelo più umano che possa esserci, è capace di distruggere un’intera orda demoniaca con un solo gesto della mano, ma è capace di soffrire, di farsi segnare dalla perdita come qualsiasi essere umano. Si riconosce nei suoi occhi colore del cielo, toccati da quel velo scuro provocato dalla morte. Indipendentemente da chi tu sia, da cosa tu sia, la morte lascia sempre il segno su di te, dentro di te.
E continua a osservarlo, continua a guardarlo mentre gli parla delle cose successe nell’ultimo anno, si concentra sulle sua labbra che si muovono e per un attimo sembra che le parole che escono dalla sua bocca siano così lontane che impiegano interi minuti – se non ore – ad arrivare alle sue orecchie, che stentano a credere tutto quello che sentono. Stentano a credere della sua collaborazione con Samuel Campbell; del suo piano studiato per usare Dean come esca, trasformandolo in un vampiro solo prendere l’alfa (a quanto pare, nell’ultimo anno, prima ha lavorato con suo nonno per riuscire a scovare gli alfa di ogni specie mostruosa e dopo lui e Dean li hanno catturati per consegnarli a Sua Maestà Crowley, Re dell’Inferno. Tutto questo per trovare il Purgatorio. Quando parlerà con Dean dovrà chiedere informazioni più dettagliate); del suo tentato omicidio di Bobby.
Stenta a credere che è stato capace di fare cose così atroci e altre cose delle quali Castiel sembra non conosca i dettagli; stenta a credere che nessuno, nessuno, gli abbia detto di essersi trasformato in un mostro e che tutti abbiano anzi fatto finta di niente.
Un colpo di spugna, ha detto Dean. Come può pensarlo davvero? Come può passare sopra alle atrocità commesse?
Di nuovo, la sensazione di sentirsi un mostro riaffiora. Sembra che sia destinato a scappare da qualcosa che non può evitare: una metamorfosi kafkiana che ha a che fare con Frankenstein.
L’uomo che da vita al mostro.
La differenza è che sembra, che per quanto riguarda se stesso, il mostro viva latente dentro di lui e altro non aspetti, paziente, l’occasione migliore per venire fuori. Striscia nei meandri oscuri del suo essere e viene fuori appena può, appena riesce ad emergere, soffocando ciò che c’è di buono in lui. Prima il sangue demoniaco e adesso l’anima all’inferno. E la metamorfosi avviene alla luce del sole. Il mostro esce dall’ombra e si manifesta sotto gli occhi di tutti nella sua intera malvagità.
Si sente a pezzi. Tanti minuscoli pezzetti che sono legati insieme solo dalla consapevolezza che crollare adesso non servirebbe a niente.
“Mi dispiace, Sam.”
Sam torna alla realtà, vede Castiel ancora in piedi davanti a se, gli occhi tristi e lo sguardo combattuto.
“Vorrei restare,” e Sam sa che è vero, glielo legge in viso, “ma in Paradiso necessitano la mia presenza. Siamo nel pieno di una guerra civile...”
Sam vorrebbe chiedergli perché in Paradiso angeli combattono contro altri angeli.
Vorrebbe chiedergli perché Dio l’ha infettato con il seme della crudeltà.
Vorrebbe chiedergli perché Dean non gli ha raccontato la verità.
Vorrebbe chiedergli perché deve sempre esserci qualcosa che non va nella sua vita.
Vorrebbe chiedergli cosa c’è di sbagliato in lui. Anche se un’idea se l’è fatta, su questo punto.
Vorrebbe chiedergli tante cose, ma non può perché Castiel è già volato via, lasciando dietro di se l’eco flebile delle sue ali che si agitano per librarlo in aria.
E così, l’unica cosa che gli rimane da fare è fare ricerche. Capire contro chi stanno combattendo e salvare delle vite.
Il mostro potrà essere venuto fuori e potrà anche essere forte, ma lui lo è di più. E non ha intenzione di farsi sopraffare dalla sua oscurità. Non più.



Dean rientra nella loro stanza verso sera, in mano ha un sacchetto con due hamburger e due birre. Appena è abbastanza vicino al tavolo, posa le cibarie e si allenta la cravatta del completo con un’espressione infastidita, come se quella cravatta, in realtà, fosse un cappio stretto intorno al suo collo.
“Trovato niente??” domanda a Sam, togliendosi la giacca e arrotolandosi le maniche della camicia bianca fino ai gomiti.
Sam per un attimo rimane solo ad osservarlo per cercare di capire dai suoi movimenti cosa prova: se è agitato, se è a disagio, se è tranquillo, se ha anche solo la minima intenzione di vuotare il sacco e dirgli tutta la verità e nient’altro che la verità. Ma non sembra che il suo corpo riveli anche solo una minima intenzione di dare vita all’ultimo punto, quindi, Sam decide di rimandare la chiaccherata una volta risolto il caso.
“Qualcosa si, in realtà. Ho scoperto, navigando nel database della polizia, che tutte le vittime erano uomini giovani che nella loro vita avevano commesso dei furti.”
“Che genere di furti?” domanda Dean, sedendosi di fronte a lui al tavolo ed estraendo il suo hamburger dal sacchetto.
“Roba di poco conto, in realtà. Cose risalenti più che altro alla loro infanzia.” Sam fa una pausa per voltare il computer verso Dean che, dopo aver tolto accuratamente la carta dal suo pasto, con la stessa premura con cui potrebbe sfilare le mutandine ad una donna, ha iniziato a mangiare con gusto.
“Prendi la prima vittima, per esempio, Dominic Lawrence, è stato arrestato a diciassette anni perché aveva rubato in un supermarket del petto di pollo,” continua Sam, “e ancora: abbiamo Jason Koyle, che a quindici anni è stato arrestato per aver rubato delle merendine da una macchinetta dopo che era riuscito a sfondare il vetro. Posso continuare, ma il genere è il solito: uomini che da ragazzini hanno rubato cose da mangiare.”
Dean ingoia il suo boccone e beve un sorso della sua birra. Sam, invece, inizia a scartare il suo hamburger.
“Sappiamo che ha uno schema.”
“E che marchia le sue vittime.”
“Che vuoi dire? Hai trovato qualcosa sui cadaveri?”
Dean appoggia il suo panino sopra al sacchetto – facendo particolarmente attenzione a non far entrare in contatto il suo cibo con la superficie legnosa e appiccicosa del tavolo – si strofina le mani e comincia a parlare: “Credo di si. Chiunque li uccida prende solo il fegato. E una volta finito, li ricuce con attenzione e dedizione. La cosa strana è che la cucitura è sempre uguale, come un marchio.” Si alza dalla sua sedia per dirigersi verso il letto dove ha lasciato la giacca poco prima e inizia a cercare nella tasca il cellulare. Quando lo trova, torna a sedersi. Per un attimo, il viso di Dean viene illuminato dalla luce del display e i suoi occhi rimangono bassi sullo schermo mentre le sue dita selezionano opzioni specifiche.
“Ecco,” continua, mostrando una foto a Sam, “vedi?”
Sam afferra il cellulare e inizia a studiare l’immagine che gli si presenta sotto gli occhi. All’altezza del fegato la cucitura forma due piccole gobbe unite da un vertice, come se l’intenzione fosse quella di disegnare le gobbe di un cammello stilizzate. 
“È strano.” Afferma, corrugando le fronte e restituendo il cellulare a Dean per poi dare un altro morso al suo panino.
“Puoi dirlo forte.”
“Hai scoperto altro?”
Dean fa un cenno di negazione con la testa e riprende a mangiare.
Rimangono in silenzio per un po’ e più di una volta Sam è tentato di chiedere spiegazioni, di sentire la verità che esce dalla bocca di suo fratello. Ma non lo fa. Prima devono risolvere un caso.



La mattina seguente, quando si svegliano, il sole ha appena fatto capolino e inizia a colorare il cielo con una sottile striscia rosea, macchiata di un delicato azzurro.
Hanno dormito veramente poco, come è normale che sia, in realtà. Quattro ore e via, di nuovo in azione.
Dopo cena, hanno continuato a fare ricerche, sia sulle vittime sia su quello strano simbolo. Sulle prime sono stati più fortunati, sul secondo un po’ meno. Infatti, se il simbolo rimane ancora un mistero, per quanto riguarda le vittime hanno scoperto che lavoravano tutte nello stesso posto. È incredibile dove riesca ad arrivare Sam, quando vuole ricevere informazioni.
I malcapitati uomini, ritrovati tutti vicino a dei cassonetti come spazzatura immonda, lavoravano  in un’acciaieria ai confini di Rochester da ormai quasi dieci anni.
“Pensi che troveremo qualcosa, in quel posto?” chiede Dean, infilando il giubbotto.
“Non lo so. Ma è un altro punto che hanno in comune, tanto vale andare a dare una controllata.” Il minore afferra dal letto la borsa con le armi e si avvia alla porta seguito da Dean. Si incamminano alla macchina fianco a fianco per poi separarsi per raggiungere i rispettivi posti: Dean alla guida, Sam nel sedile del passeggero.

Fanno il viaggio in silenzio, scambiandosi qualche osservazione sul caso di tanto in tanto. Sam è assalito sempre di più dalla voglia di fare domande a Dean, di scoprire la verità, di sentirla uscire dalla sua bocca nei minimi dettagli – perché se c’è una cosa di cui è sicuro è che Dean sappia tutto – ma ancora una volta si morde la lingua e rimanda la conversazione a dopo la risoluzione del caso.
Dean, dal canto suo, si sente come se fosse sopra ad un letto di spine. Sam gli sembra irrequieto da ieri sera e inizia a farsi l’idea che stia sospettando qualcosa. Forse non avrebbe dovuto essere così evasivo, l’altra sera, quando si è risvegliato. Avrebbe dovuto cercare di comportarsi normalmente e non comportarsi come se nascondesse il più atroce dei segreti.
Avrebbe dovuto fare una miriade di cose, quest’anno, ed è finito sempre con il fare la cosa sbagliata. Porca vacca.
Proseguono fino ad arrivare ai confini di Rochester, dove le case diventano sempre più rade per lasciare spazio alle fabbriche. Imboccano una piccola strada sterrata dove si trova il cartello “L’acciaieria di Buddy” – un nome più stupido non poteva essere scelto, pensa Dean – e continuano fino a che non arrivano davanti al grosso edificio. Ebbene si, il presunto teatro degli orrori è un’acciaieria che porta un nome estremamente ridicolo. La costruzione è piuttosto grossa, ma anonima. Grigia e a tratti lugubre, tenuta in disparte rispetto alle altre fabbriche lì vicino. Diciamo che se non fosse il presunto luogo di diversi omicidi, Dean e Sam non si stupirebbero fosse infestata. Sembra quasi che l’abbia disegnata Tim Burton. Le lunghe, scure, canne fumarie che esalano nuvole di fumo che si disperdono nell’aria e vanno a macchiare, con il loro nero, il celeste del cielo; la porta d’ingresso, spalancata come la bocca di una balena senza denti, trasmette un senso di piccolezza, come se varcando l’uscio, si venisse ingoiati da un buco nero.
Intorno a loro, nessun rumore, nemmeno un grillo che prova a cantare timido, solo il leggero fruscio del vento. I due cacciatori si scambiano un’occhiata d’intesa e si avviano verso la porta. Più si avvicinano e più la fabbrica sembri diventare inquietante e assume, sempre di più, la grandezza della balena. Quando varcano la soglia della porta, la sensazione di essere divorati si fa strada dentro di loro, svegliando tutti i loro sensi e i loro istinti. I nervi iniziano a tendersi e mano a mano che proseguono dentro la pancia della balena, la consapevolezza di non essere soli e di essere osservati diventa sempre più concreta. Fino a quando qualcosa plana giù dalle travi del soffitto e si para davanti a loro. I due cacciatori indietreggiano e alzano le pistole, puntandole sull’essere che ha forme estremamente umane, se si esclude la membrana che parte dalle braccia e si attacca al busto. Come ali di pipistrello.
“Vi stavo aspettando.”
La sua voce esce serpentina, un sibilo acuto e inquietante. I suoi occhi, totalmente arancioni, sono privi di pupille. Le sua labbra, sottili e serrate, sono così screpolate che sembra abbia provato a strapparsi il filo che teneva le labbra cucite insieme, e il suo naso oblungo e adunco sporge in avanti come un becco appuntito.
“Cosa sei esattamente?” domanda Sam, cauto.
“Ha importanza?”
“No, tanto sarai morto prima che possa rendertene conto!” sputa Dean, dimostrando tutto il suo disprezzo verso quell’essere.
La creatura lo schernisce con una risata roca e arrogante: “Non puoi uccidermi, se non sai cosa sono. O sbaglio, cacciatore?”
Dean serra la mascella e seguendo il moto d’ira che sente crescere dentro di se, mira alla testa dell’essere e spara.
La testa della creatura viene spinta all’indietro, l’essere barcolla, ma non perde l’equilibrio. Risolleva il capo e lancia a Dean uno sguardo derisorio. Il foro nella fronte sanguina, ma non ha fatto danno alcuno.
“Vedi? Non sai come muoverti.”
“Perché ci stavi aspettando??” Sam prende parola. Studia l’essere e inizia a pensare di cosa potrebbe trattarsi. Non hanno mai visto niente del genere nella loro vita, quindi deve essere qualcosa di nuovo. Ma cosa?
Le sue sembianze sono umane, ma ha le ali di un pipistrello e il suo viso di umano non ha niente.
Nel diario di suo padre non ha mai letto di una creatura simile, quindi... per un attimo ripensa a quello che gli ha detto Castiel sul Purgatorio e sull’esistenza di mostri alfa che creano altri mostri della sua specie... forse quello che hanno davanti è l’alfa di qualunque razza sia la cosa che sta parlando con loro in questo momento.
“La Madre. È risorta. È sulla Terra, finalmente, e voi non potete ucciderla.”
“Ti ha creato lei?”
“Ma certo, stupido.”
“Perché?”
“Perché voleva altri figli. Ci state uccidendo tutti.”
La creatura si avvicina cauta a loro. I cacciatori retrocedono di un passo.
“Dov’è lei adesso?” Domanda Dean.
Il mostro porta i suoi grossi occhi arancioni su di lui: “Oh, non temere. Sarà lei a trovare voi. È per questo che sono qui. Per dirvi che vi troverà e vi ucciderà. Vuole la sua vendetta.”
Allarga le sue grandi ali e si scaglia contro Dean, afferrandolo con i suoi piedi dai quali escono dei disgustosi artigli affilati. Si spostano nella parte opposta della stanza e con il suo lungo naso inizia a pungere il corpo di Dean, picchiettando il suo ventre e tentando di strappare la sua carne.
Dean grida e colpisce il mostro con il calcio della pistola. Il mostro geme, ma la reazione di Dean più che ferirlo, l’ha infastidito.
“Stupida insignificante creatura.” Sibila il mostro. “Non hai speranze contro di me, ti mangerò il fegato e ti guarderò morire dissanguato e poi farò la stessa cosa con il tuo adorato fratellino. Alla Madre non dispiacerà di certo.”
Sam, correndo verso Dean e il mostro, si infila la pistola nei pantaloni e estrae da una tasca interna del giubbotto lo stesso coltello che usano per tagliare la testa ai vampiri, lungo, affilato e infallibile. Non ha tempo di capire cosa sia quell’essere, quindi tanto vale provare a mozzargli la sua orripilante testa. Di solito, funziona sempre. Si avvicina sempre di più, correndo così forte da sentire le gambe bruciare, guardando suo fratello che si dimena sotto quell’essere che lo tiene intrappolato nelle sue grinfie, come un’aquila con un topolino. Per quanto il topo potrà combattere, l’aquila sa che prima o poi finirà nel suo stomaco.
Un’idea lo colpisce improvvisamente dopo quell’associazione, ma non ha tempo ne per dimostrarla, ne per accertarsi che possa essere vero. Accelera la corsa, la gambe dolenti, il fiato corto e il sudore che ormai sta bagnando ogni angolo del suo corpo. La paura che possa arrivare tardi, che il mostro possa ferire Dean in modo mortale e che lui debba dirgli di nuovo addio si fa strada in lui e quella stanza sembra sempre più lunga ad ogni metro percorso. Gli sembra di essere in uno di quei sogni dove più corri più la distanza si allunga.
Quando finalmente arriva, però, con una mossa decisa e precisa taglia la testa del mostro. La testa rotola via, mentre il corpo cade, senza vita, sopra a Dean. Il sangue gli sta inzuppando il viso e i vestiti, ma lo preferisce di gran lungo all’essere trucidato da morsi e artigli. Sam lo aiuta a sollevare il corpo del mostro e ad alzarsi. Entrambi si guardano, ansimanti e si fanno un cenno d’assenso con la testa.
“Quanto è grave?”
Dean si tocca la pancia attraverso i lembi della maglietta strappata, dei piccoli rivoli di sangue escono dal suo ventre, ma tutto sommato sono ferite superficiali: “Guarirò in fretta.”
Sam tira un sospiro di sollievo: “Penso di aver capito cosa fosse.”
“Ah si?”
“Un’aquila.” Ripensa alle strane gobbe di cammello, che in realtà potrebbero benissimo essere un uccello stilizzato, come quelli che si disegnano all’asilo in cielo.
Dean lo guarda aggrottando le sopracciglia con fare perplesso: “Un’aquila?”
“Si, sai come il mito di Prometeo e dell’aquila che ogni giorno gli divorava il fegato.”
“Wow. Affascinante.”
“Se ci pensi, potrebbe avere senso. Le vittime erano ladri, come Prometeo, e rubavano cose che servivano loro per migliorare la propria vita. O magari quella di chi gli stava vicino. Come ha fatto Prometeo quando ha rubato il fuoco per gli uomini.”
Dean fa una smorfia di dolore, mentre si incammina con Sam verso l’uscita e si porta le mani sulla pancia.
“Quindi mi ha aggredito perché sono un ladro? Perché non ha aggredito anche te?”
“Forse perché ho rubato meno cose di te, non lo so.” alza le spalle, “Hai bisogno d’aiuto?”
“No, ce la faccio. Usciamo di qui. Ho bisogno di una doccia.”


                                                                                                         ***


In macchina, Dean continua ad osservare la strada dritta davanti a se. Dopo essere tornati al motel ed essersi lavato da cima a fondo, hanno fatto i bagagli e sono partiti per tornare a Sioux Falls.
La Madre è uscita dal Purgatorio e li vuole morti. Strano. Mai nessun mostro ha preteso le loro teste su un palo.
Scuote la testa.
In realtà, c’è un’altra cosa che riempie i suoi pensieri: Sam non ha fatto domande su chi sia la Madre. Tecnicamente non dovrebbe saperlo perché come le altre cose non dovrebbe ricordarlo, eppure, mentre il mostro parlava, sembrava che Sam ascoltasse qualcosa che conoscesse già. Così come gli sembra strano il fatto che abbia dedotto cosa fosse il mostro. Come se avesse capito che esistono degli alfa che vengono creati dalla Madre e mandati nel mondo per riprodursi.
Non può averlo dedotto. Qualcuno ha cantato.
“Sam.” Lo chiama.
Il minore sposta lo sguardo dal finestrino a Dean: “Che c’è?”
“Con chi hai parlato?”
Sam corruga la fronte: “Riguardo a...?”
“Alla Madre.”
Sam sospira: “Con Castiel.”
Dean chiude gli occhi per un momento e si da dello stupido per non essersi ricordato di includere Castiel nella lista di persone che avrebbero dovuto aspettare almeno un pochino prima di informare Sam su tutto l’accaduto.
“Castiel..” sospira,  “..e ti ha detto altro?”
“Mi ha detto tutto, Dean. Tutto.
“Anche cosa è successo nell’ultimo anno?”
“Si, Dean. Come hai potuto non dirmelo??” la voce si incrina e il tremolio che esce dalla sua gola è più marcato di quanto Sam vorrebbe, “Ho fatto cose mostruose e tu non mi hai detto niente. Avevo il diritto di saperle e stava a te dirmelo!”
Dean stacca una mano dal volante per passarla sul viso, per pochi secondi, poi riporta lo sguardo sulla strada ed entrambe le mani sul volante.
“Te l’avrei detto, ok? Ma non potevo farlo adesso. Morte ha eretto un muro tra te e i tuoi ricordi dell’Inferno e ha detto che andare intorno a quel muro è estremamente pericoloso. E poi quello non eri tu, Sam.”
“Non ero io, dici. Tu non sei oggettivo quando si tratta di me. Ero io, quello. È come se avessi dato fuoco ad una città da ubriaco e mi fossi svegliato tra le fiamme e l’accendino in mano. Lo capisci, vero?”
“Certo, certo che lo capisco, porca merda, lo capisco in pieno. Ma capisci anche che informarti di tutto ciò che è successo in una volta sola e appena svegliato poteva essere troppo?”
Sam chiude gli occhi e si massaggia la parte superiore del naso: “D’accordo. L’hai fatto in buona fede e comprendo. Ma adesso devi dirmi tutto, Dean. E non tralasciare niente, per favore.”
Dean porta i suoi grandi occhi su Sam, incrocia il suo sguardo e dentro ci legge tutta la volontà di essere messo al corrente di tutti i dettagli, anche minimi. Ci legge una richiesta d’aiuto.
Aiutami a capire. A ricordare. A rimediare. Aiutami a fare ammenda.
E lo farà. Lo aiuterà. Lo aiuterà perché glielo sta chiedendo, lo sta supplicando con quello sguardo colpevole e smarrito. Lo sguardo di un cucciolo che è rimasto ferito dalle sue stesse azioni, un uomo che, come attraverso uno specchio, ha visto ciò che ha commesso quando non era in se e vuole rimediare.
Non è poi così tanto diverso da quando all’inferno c’era stato lui ed era tornato.
E poi, è di Sammy che stiamo parlando. E se Sammy ha bisogno d’aiuto, lui lo aiuterà.
Hanno sette ore di viaggio davanti. In sette ore, possono essere narrati tutti i dettagli possibili e immaginabili.


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È la famosa citazione di “Blow  (1)
Dialogo tratto dall’episodio 6x12 “La Madre di tutte le cose” (2)

Ok, ho impiegato un’infinità per scrivere questo capito è che, non so, c’era sempre qualcosa che non mi convinceva e volevo modificare!
Avevo detto che in questo capitolo il chiarimento tra Dean e Nat sarebbe venuto fuori e invece la cosa ha preso una piega totalmente diversa, questo perché volevo focalizzare più l’attenzione su Sam, il suo effettivo ritorno e le sue emozioni. Per questo, anche qui, Nat e Dean evitano di parlare (ma succederà, promesso!).
Spero che il capitolo via sia piaciuto e ringrazio di cuore chi legge, chi recensisce, chi segue la storia e chi l’ha messa tra i preferiti!
Alla prossima! :D


 

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Capitolo 6
*** 6. ***


Dicono che le persone si fanno sempre un’idea specifica delle altre persone, e quando vengono delusi dalla persona che avevano idealizzato, e se ne escono con un “da te questo non me l’aspettavo”, in realtà non ce l’hanno effettivamente con quella persona, ma stanno parlando dell’idea  che si erano fatti di quella persona. Può capitare. Anzi, capita più spesso di quanto crediamo. Non è colpa di chi viene idealizzato, in realtà. È colpa di chi idealizza, di chi non si prende la briga di imparare a conoscere meglio chi ha davanti perché idealizzare quel determinato individuo è molto più facile. Bisogna andare molto oltre la superficie per poter dire di conoscere qualcuno e grattare, scavare (forse è più appropriato) diventa sempre più faticoso e sempre più difficile. E a nessuno piace faticare. Molto meglio cogliere qualche sprazzo della personalità qua e là e costruire un’identità a proprio piacimento. È così che funziona, quando si tratta degli altri.
Ma quando si tratta di noi stessi?
Quando siamo noi che rivolgiamo la fatidica frase “da te questo non me lo aspettavo” e guardiamo dentro ad uno specchio? La cosa allora si complica. Perché tecnicamente, nessuno ci conosce meglio di quanto ci conosciamo noi stessi.
Ci conosciamo bene e lo sappiamo. Ognuno di noi conosce le proprie paure, le proprie debolezze, i propri timori, le proprie ossessioni, i sogni, le speranze, le proprie capacità. Anche Sam.
Anche Sam si conosce bene. Anche Sam sa di cosa è capace il mostro quando viene fuori.
Ed è venuto fuori in grande stile. Porca vacca, se si è impegnato a fare in modo che le persone intorno a lui dicessero “da te questo non me l’aspettavo”. Ma Sam forse si. Sam si conosce e sa benissimo che le cose che ha sentito può aspettarsele dal mostro che vive in lui. E questo è ciò che lo spaventa di più. È sempre stato terrorizzato da quello che sarebbe potuto diventare e che poi è effettivamente diventato. Una macchina esorcizza demoni che per funzionare doveva bere litri di sangue demoniaco, un drogato, un mostro assetato di sangue che di sangue si nutriva. Una sanguisuga soprannaturale che ha commesso cose oscene solo perché amava sentire quella sensazione di potere che gli davano le sue capacità. Porca miseria, esorcizzava demoni con la mente. Con la mente!!
Ma a cosa ha portato, tutto questo potere? Alla distruzione. Solo ed esclusivamente distruzione.
Il potere può provocare danni immensi. Adesso lo capisce. Adesso capisce quanto sia stato presuntuoso credere che le sue capacità non l’avrebbero mai corrotto. Si è fatto sopraffare dalle sue doti ed è finito con l’esserne consumato, con il fidarsi di un demone, con il preferire il suddetto demone a suo fratello.
Una scarica di potere gli ha fritto il cervello e lui ha scelto una creatura infernale anzi che il sangue del suo sangue.
E la storia si è ripetuta. È stato trascinato all’inferno ed è riemerso il mostro, che era ben contento che l’anima non fosse più tra i piedi a ricordargli che esiste una cosa chiamata “etica” e un’altra chiamata “morale” e che spesso e volentieri si fondono insieme per creare concetti “moralmente etici” che, in quanto tali, vanno rispettati.
Ma se non hai l’anima e sei destinato ad avere una bestia scalpitante dentro di te che altro non aspetta che i cancelli della sua gabbia vengano abbattuti per essere nuovamente libera, allora te ne sbatti altamente dei concetti moralmente etici e arrivi addirittura a sacrificare tuo fratello per risolvere un caso, perché devi trovare l’alfa, e lasciare che il sangue del tuo sangue venga trasformato in una vampiro va più che bene, se serve per trovare Papà Vampiro.
Dean ha mantenuto la sua promessa. Gli ha raccontato tutto. Tutto per filo e per segno. È partito dal salto nella Gabbia e, passando per la sua fuga da Lisa, la storia tra Nat e Sam (ora si spiega il ricordo avuto in cucina), la caccia ai mostri, le minacce di Crowley, il tradimento di Samuel Campbell, è arrivato al patto con Morte e al risveglio di Sam mentre loro erano in Louisiana.
Un colpo di spugna.
Quelle parole lo ossessionano. Perché non può passare tutto così in fretta. Non si può cancellare il comportamento spregevole che ha avuto. Mettere in pericolo la sua famiglia per cosa? Per risolvere dei casi?
Non può credere di aver quasi ucciso Bobby solo perché non voleva l’anima indietro. Avrebbe dovuto parlane con Dean, invece non l’ha fatto. Ha mentito, raggirato e manipolato la situazione a suo piacimento per trarre tutti in inganno. Si sente uno schifo.
E Natalie.
Natalie…
Se guardarle il culo l’aveva fatto sentire in colpa, adesso si sente un verme. Una specie di traditore. Dean non si è mai legato a nessuna, non come ha fatto con Natalie, e lui che ha fatto? È stato con lei. Una cosa del genere tra di loro non è mai successa, non hanno mai avuto a che fare con la stessa donna perché dal momento che uno dei due capiva l’interesse dell’altro nei confronti di una ragazza, l’altro lasciava automaticamente perdere.
“Non mi odi per quello che ho fatto?” lo sguardo basso, fisso sulle mani incrociate sulle gambe, i pollici che premono con così tanta forza uno contro l’altro da diventare bianchi.
“No. Non eri tu.”
“Ti ho dato in pasto ad un vampiro.”
“Sapevi che c’era una cura.”
“Che non avevo mai visto.”
“Ma sapevi che c’era.” Dean continua a guardare la strada davanti a se, concentrato su quella lunga distesa grigia scura.
Grigia come gli occhi di Natalie – si trova a pensare Sam. 
“Sono stato con Natalie, l’amore della tua vita.”
“Ti ho già dato un pugno, per questo. Non te lo ricordi? Una bella azzuffata in stile Winchester. E poi, ripeto, non eri tu. Sinceramente, non provo rancore nei tuoi confronti e nemmeno nei suoi. Sai, non hai mancato di informarmi, quando eri senz’anima, che lei era più che felice di venire a letto con te, ma... ma se io non me ne fossi andato tutta la storia tra di voi non sarebbe avvenuta. Almeno credo... io e Nat dobbiamo ancora chiarire.”
“Ho tentato di uccidere Bobby.”
A questo punto, Dean ferma la macchina, inchioda con un impeto tale che le ruote stridono sull’asfalto lanciando un grido acuto e perforante. Sam è sicuro che le gomme abbiano lasciato il segno sul catrame.
“Perché vuoi essere odiato, Sam?” il tono di Dean esce duro, quasi brusco, come se fosse irritato, gli occhi severi fissi su di lui e la mascella contratta.
“Perché me lo merito, Dean.”
Dean stringe le labbra facendole sparire all’interno della bocca: “No. No, non è vero. Non ti meriti di essere odiato. Non eri tu, intesi? Avevi l’accendino in mano, ma non ne eri consapevole. C’era qualcun altro che muoveva i fili dentro di te e ti ha fatto fare cose che non avresti mai fatto, se fossi stato te stesso.”
Il mostro. Era lui che mi manovrava.
“Ragiona, Sam. Sei stato all’inferno, sei stato posseduto da Lucifero e sei sopravvissuto. Sei stato grandioso, ma non potevi certo pretendere di venire a contatto con una potenza simile ed uscirne indenne. Chiunque avrebbe fatto la tua fine, se non peggio. Quindi, ti prego, smettila di incolparti.”
Per lui è stato diverso, pensa Sam. Dean, una volta fuori dall’inferno, non ha fatto cose orribili. Si sentiva in colpa per quelle fatte all’inferno, è vero, ma chi mai potrebbe comportarsi secondo i principi moralmente etici, in quel luogo di perdizione, peccato, crudeltà e malvagità? Nessuno. L’inferno corrompe. Tutti. Anche gli uomini giusti. La differenza si nota una volta usciti. Ma forse, Dean ha ragione. Quello non era lui, quello era il mostro. E adesso, lui è tornato e la bestia sta di nuovo scalpitando dentro alla cella, chiusa e imprigionata per sempre, almeno spera. Adesso, ha l’occasione per redimersi. Per fare del bene. Per tornare ad essere solo Sam Winchester. Niente Occhi Gialli, niente ragazzo prodigio, niente “the chosen one”, niente esercito demoniaco, niente sangue di demone. Niente di niente. Solo e soltanto Sam.
“Voglio parlare con Nat e con Bobby.”
“Certo, lo capisco. Ma ti diranno cose che hai già sentito da me.”
E forse Dean ha ragione, ma lui ha comunque bisogno di parlare con loro.


                                                                                                        ***

Dean imbocca il vialetto polveroso, passando sotto l’insegna “Singer Auto”, verso le sette di sera. Il sole inizia ad abbassarsi e lo scintillio dei suoi raggi sulle macchine è più debole, quasi come se le facesse luccicare ad intermittenza. Il cielo inizia a colorarsi di arancione, macchiato dal rosso, abbandonando sempre di più il celeste. Quando si inoltra nella proprietà di Bobby per andare a parcheggiare la macchina davanti a casa Singer, nota Nat seduta su un pick-up. Forse questa è l’occasione buona per parlarle.
Parcheggia l’auto e dopo aver lanciato un’occhiata a Sam, si avvia da lei. Cammina per un po’, inoltrandosi in mezzo ai rottami, fino a quando non raggiunge il pick-up. Natalie è seduta sopra al cofano del veicolo con la schiena appoggiata al parabrezza, la vernice verde militare dell’auto è stata mangiata dalla ruggine e l’odore ferroso che emana quel rottame gli entra nelle narici e gli pizzica in naso. Natalie ha lo sguardo fisso davanti a se, come se stesse studiando quel mare di veicoli accatastati uno sull’altro che sono stati dichiarati morti da anni; le gambe, fasciate dentro ad un paio di pantaloni neri, sono distese lungo il cofano; tiene il braccio sinistro al ventre e il braccio destro sollevato: Natalie sta fumando una sigaretta. Tiene quella sottile asticella bianca piena di tabacco tra il medio e l’indice e disegna dei cerchi di fumo con la bocca che si disperdono in aria.
“Pensavo avessi smesso.”
Lei non lo guarda nemmeno.
“Ognuno ha i suoi vizi. Tu l’alcol, io la nicotina. Non te ne liberi mai del tutto.”
I raggi del sole che le accarezzano il viso modificano il colore dei suoi occhi a tal punto che sembra che al posto della tempesta grigia pre-armageddon ci sia acciaio liquido. Porta di nuovo la sigaretta alle labbra.
“Allora,” inizia, espirando fumo “avete parlato?” incrocia le gambe e si aggiusta la maglietta, facendo in modo che entrambe le spalle siano coperte. È una delle sue preferite, nota Dean. Quella porpora, con lo scollo a barca, che spesso e volentieri scivolava scoprendole una spalla.
“Si, ma non sono qui per parlare di questo.” Comincia, iniziando anche a sentire il nervosismo che cresce dentro di se. Quel tipo di nervosismo che ti fa sudare le mani e balbettare in preda al panico, non quel nervosismo che ti fa dare pugni al muro e digrignare i denti. Si sta agitando. Sente le pulsazioni del cuore accelerare, lo stomaco si chiude e gli formicolano le mani.
Finalmente Natalie lo degna di uno sguardo. I suoi occhi, non più nella traiettoria dei raggi del sole, tornano colore della tempesta.
“Ah si, e di cosa vuoi parlare?”
“Non giocare con me, Nat. Ti prego.”
Una pausa. Una lunghissima pausa.
“Sei andato via perché non potevo darti quello che desideravi?.” Dà un altro tiro alla sigaretta, finendola del tutto. Spegne il mozzicone contro il cofano del pick-up e lo getta a terra.
C’è rabbia, nella voce di Natalie, ma anche tristezza. Quella domanda esce con la stessa potenza di un’esplosione. Non gli lascia il tempo di trovare un modo per iniziare nella maniera giusta il suo discorso – la sua confessione – ma, al contrario, lo mette davanti ad una situazione fin troppo confusa: nonostante Dean sappia benissimo a cosa si riferisca Natalie, la cosa che lo confonde, o meglio lo disorienta, è il modo in cui questa domanda è venuta fuori – fin troppo schietta, fin troppo precisa. Una freccia lanciata alla perfezione che si va a conficcare nella carne di Dean sempre di più ad ogni minuto passato in silenzio. Natalie ha scoccato la freccia con determinazione, come se quella fosse una cosa di vitale importanza, per lei. E allora, Dean si domanda quante volte, durante la sua assenza, Natalie si sia posta quell’interrogativo spietato, e quante volte la risposta sia stata affermativa: Si, se n’è andato proprio per quello.
Questo pensiero, che lo colpisce come un’epifania, fa si che si detesti ancora di più per quello che ha fatto. Per quello che le ha fatto.
“Rispondimi. Volevi un modello nuovo? Qualcuna che non fosse danneggiata?” le trema la voce e poi quel brivido si disperde per tutto il corpo, facendola fremere. Sembra una bomba. Una pentola a pressione pronta ad esplodere, a lasciare che il coperchio venga lanciato in aria con violenza per riversare tutto il suo contenuto nel perimetro circostante.
Natalie si tocca la pancia e a Dean non serve chiedere a cosa si riferisce, lo sa benissimo. L’ha saputo non appena gli ha fatto quella domanda: l’incidente.
Quel dannato incidente con Zaccaria. Il taglio era andato abbastanza in profondità da colpire l’utero, rendendo Natalie sterile. Zaccaria le ha portato via la possibilità di avere un figlio.
Era una cosa a cui pensavano, a volte. Ma erano abbastanza intelligenti da capire che un bambino non sarebbe mai stato al sicuro, con due genitori cacciatori. E per di più del loro calibro, con nemici ovunque e mostri che pretendevano la loro testa infilata in una picca. Il piccolo avrebbe corso dei rischi tremendi e loro non avrebbero mai permesso che venisse usato come esca, come strumento di vendetta nei loro confronti. Ma scegliere di non avere figli è un conto, sapere di non poterne avere è un altro. Sapere che qualcuno ti ha tolto la possibilità di averli solo per tentare di vincere una guerra, solo perché aveva deciso di torturarti, per usarti come uno strumento di persuasione, è un altro conto ancora.
Quando si era risvegliata in ospedale, il medico le aveva dato l’orrenda notizia e Nat aveva iniziato a piangere. Non gridava, non urlava, non aveva avuto una crisi isterica. Si era rannicchiata su se stessa e aveva iniziato a versare lacrime silenziose. Quelle lacrime stavano portando via anche la minima speranza di avere un bambino, un giorno. Il loro sapore salato era il sapore della consapevolezza che nessuna creaturina sarebbe cresciuta dentro di lei, un giorno.
E Dean in quel momento si era odiato più di quanto non avesse fatto in tutta la sua vita. Era colpa sua, se Zaccaria l’aveva catturata. Era colpa sua, se Natalie stava versando tutte le sue lacrime in quel letto d’ospedale. Era colpa sua, se l’aveva privata della possibilità di diventare mamma, un giorno.
È sempre stata un’ipotesi, una fantasia, un sogno, ma nessuno aveva il diritto di portarglielo via. Stava a Natalie scegliere. Non a qualcun altro.
Le settimane successive, che erano diventati mesi, per Nat erano state dure. Lei non lo diceva apertamente, ma lui lo sapeva. Se n’era accorto. Era come se si fosse guastata, era come guardare lo spettro delle sue recondite speranze, quelle che non sai di avere fino a quando non le vedi ridotte in frantumi. L’episodio l’aveva segnata così in profondità che non ne ha più parlato. È stato rinchiuso dentro a quel cassetto della memoria che solo lei può toccare e fa molta attenzione a fare in modo che ciò non avvenga: non lo vuole nemmeno sfiorare, non vuole nemmeno spolverarlo, quel cassetto, per paura che si apra senza il suo permesso e le riversi addosso tutto il dolore di quel periodo. Quel dolore che l’ha segnata profondamente. Quel dolore che con il tempo è diventato perlaceo e oblungo e che la segna da parte a parte, ricordandole cosa ha perso e come l’ha perso.
Quello era stato il suo inferno. Per lei Alastair altro non era che quel taglio sulla pancia che le ricordava ogni giorno che vita avesse scelto e con che moneta veniva ripagata per la sua scelta. Fare del bene, salvare vite, uccidere il male ti porta a sacrificare te stesso. E non c’è nemmeno un po’ di gloria per i cacciatori. Soldati dimenticati da quel Dio che li ha voluti mettere al corrente di ciò che vive nel buio. Non ci sono medaglie al valore, per chi combatte le loro guerre. Ci sono cicatrici. Perdite. Vuoti incolmabili. Dolori insanabili. Incubi incancellabili.
“È un colpo basso, Nat. Sai quanto sia stato devastante per me vederti in quello stato.”
“Anche la tua fuga è stata un colpo basso.”
“E non potrei essere più dispiaciuto per come mi sono comportato, Nat, davvero. Ma..” fa una pausa. Si avvicina al pick-up con l’intento di salirci sopra, ma Nat lo precede e scende, posizionandosi di fronte a lui; la schiena appoggiata al veicolo, le braccia incrociate al petto e gli occhi puntati su di lui. Il suo sguardo è duro, ma Nat non dice niente, rimane solo ad aspettare, in silenzio, che lui prosegua.
Ed è quello che fa: “Ma c’è una ragione per cui l’ho fatto.” Si passa una mano sulla bocca, come se quel gesto avesse la capacità di riordinargli le idee. Da dove cominciare? Come cominciare? Forse sarebbe bene cominciare dall'inizio.
“Quando ho visto Sam saltare dentro alla Gabbia, ogni parte di me desiderava morire. Ho pensato al suicidio non so quante volte, davvero. Mio fratello, il mio fratellino, era rinchiuso dentro ad un fottuto buco infernale con Michele e Lucifero e io camminavo su questa terra. Che diritto avevo di farlo? Che diritto avevo di continuare a vivere mentre lui marciva all'Inferno? Nessuno. Ma gli avevo promesso che non avrei fatto niente di stupido o di avventato, così ho deciso di resistere...”
“Scappare è stato avventato. E stupido.” lo interrompe glaciale.
Dean incassa senza dire niente. Un po’ se lo merita.
“Lo so. Ed è qui che arriva la spiegazione. Il mio desiderio di morte avrebbe trascinato a fondo anche te, Nat. Voglio che tu lo capisca, anche se adesso vedo che ciò che ho fatto è stato sbagliato. E voglio che tu sappia che le conseguenze dell’incidente non c’entrano assolutamente nulla. All’inizio pensavo che ti avrei salvata. Pensavo che con quel desiderio di autodistruzione che albergava in me, ti avrei trascinata a fondo. Saremmo finiti a raschiare da un buco nero ciò che eravamo e avrei rovinato tutta la nostra vita. Tu ti saresti occupata di un ubriacone con tendenze suicide, perché so che l’avresti fatto, mi sei sempre stata vicina e l’avresti fatto anche quella volta, ma cosa ne sarebbe stato di te? Saresti finita in un baratro oscuro che avrebbe ucciso tutta la luce che vive in te. E non potevo permetterlo. Sapevo che andandomene, quella parte oscura che viveva in me non si sarebbe manifestata, perché sarebbe stata tenuta a bada dalla consapevolezza che nessuno avrebbe capito, che Lisa non avrebbe capito...”
“E quindi hai deciso di andare da lei per pararti il culo. Come se fosse la tua isola felice e fantasiosa. Hai evitato il problema costruendoti un’altra realtà. Sei scappato non solo da me, ma anche dai tuoi problemi.”
“Lo so, non vado fiero di quello che ho fatto.”
“Fai bene. Almeno capisci di esserti comportato da vigliacco. Non lo sei mai stato, dovevi iniziare a farlo adesso?”
“Nat..” comincia, ma lei lo interrompe. Si stacca dal pick-up e si avvicina a lui; le braccia, adesso, distese lungo i fianchi, gli occhi ancora puntati su di lui. Lo sguardo che gli rivolge, gli fa un male cane. Sembra stia guardando la personificazione della delusione più grande che Nat avesse mai potuto provare. E lui non è mai stato guardato così, non da lei. Lei l’ha sempre guardato come un uomo degno. Degno di essere amato, degno di vivere, degno di essere felice (almeno in qualche occasione, almeno con lei).
“Vuoi sapere come l’ha presa Bobby?”
A proposito di colpi bassi. Ma Dean non dice niente e la lascia parlare.
“Ha visto Sam gettarsi nella Gabbia, proprio come hai fatto tu. Proprio come ho fatto io. Hai perso un fratello, ma lui ha perso un figlio. Pochi istanti dopo, ti guarda montare in macchina senza dire una parola e andartene. Ed ecco che rimane a fissare un altro dei suoi figli che se ne va senza dire niente. Senza dargli nemmeno una fottuta spiegazione. Siamo tornati a casa, in silenzio. Vivevamo in silenzio aspettando che tu tornassi, ma niente, non tornavi. Sam non c’era, tu non c’eri. Ha iniziato a bere. Finiva non so quante bottiglie di whiskey al giorno, dopo la prima settimana ho perso il conto. Lo trovavo ogni mattina svenuto sulla scrivania. Puzzava di alcol e tutto ciò che usciva dalla sua bocca erano grugniti burberi, soprattutto quando lo supplicavo di smettere di bere così tanto. Mangiava poco, beveva troppo. Non so per quanto tempo è andata avanti. Non so per quanto tempo l’ho guardato distruggersi, cercando di intervenire, e ogni volta ricevevo una porta in faccia. So solo che ad un certo punto l’ho messo davanti ad una scelta: o l’alcol, o me. Come vedi, è stata dura. Sia per lui che per me. Mi ha trascinata in fondali oscuri di cui nessuno dei due sapeva l’esistenza, ho dovuto convivere con il mio dolore e occuparmi del suo, che era piuttosto distruttivo. Ma quando ha dovuto scegliere, ha scelto me. Si è reso conto di quello che si – e mi – stava facendo e ha avuto le forze per tirarsi su. Si è appoggiato a me perché volevo che si appoggiasse a me, e allo stesso tempo io mi appoggiavo a lui. Quando siamo tornati non abbiamo parlato dell'accaduto perché faceva troppo male ad entrambi. Ma il silenzio ha portato solo distruzione. Quando, invece, dopo aver toccato il fondo, ci siamo impegnati per risolvere la cosa, siamo riusciti a risalire e a trovare un po’ di pace. Lui ha salvato me, io ho salvato lui. Si sforzava di non dare retta a quella vocina che lo supplicava di annegare i suoi tormenti nell’alcol perché sapeva che avevo bisogno di lui tanto quanto lui aveva bisogno di me. Anche la sua parte oscura stava venendo fuori, ma è riuscito a combatterla.”
“Credi che non sappia che ho sbagliato? Cristo, lo so. Ho combinato un casino, come faccio sempre..”
“Non fare la vittima, adesso.”
“Sarebbe più facile chiederti scusa se la smettessi di essere così fredda. Ti ho spiegato le mie ragioni, potresti almeno provare a capirle??”
“Io le capisco, Dean. Ma capisco anche che scappare è stata una tua scelta. La scelta più facile, ad essere onesti. Potevi rimanere con noi e affrontare tutte le conseguenze che ciò che avevamo appena vissuto comportava, e potevi fuggire creando una realtà alternativa in cui tutti i tuoi problemi non esistevano. Hai scelto la seconda. Hai scelto la più facile.”
“Ho scelto pensando di fare il tuo bene.”
“Il mio bene era averti al mio fianco, indipendentemente da tutto.” gli occhi le diventano lucidi, uno specchio di lacrime che iniziano a formarsi destinate a scappare e scivolare lungo il suo viso. Ma Nat le trattiene. È diventata parecchio brava a farlo, nell’ultimo periodo.
“M-mi dispiace, Nat.” allunga una mano per toccarla, ma lei si ritrae. Se gli avessero dato un pugno allo stomaco sarebbe stato meglio. Non vuole essere toccata da lui. Non è mai successo.
“Anche a me, Dean.”
Lo guarda con sincero dispiacere. Non lo dice tanto per dire, lo prova davvero. E le dispiace anche essersi ritratta al contatto, ma se si fosse lasciata anche solo sfiorare da lui, sa come sarebbe finita: si sarebbero nuovamente rifugiati l’uno nell’altra, accantonando i loro problemi come hanno fatto fino ad ora. E non è quello che vuole.
“Potrai mai perdonarmi?” Dean le rivolge uno sguardo carico di dolore, la sua voce trema leggermente, ma quel tremolio si nota appena. La sua mascella è contratta: è teso, preoccupato per la risposta che Natalie potrebbe dargli.
Nat accenna una sorriso triste, tirato; un tentativo di rassicurarlo: “Ho bisogno di tempo, Dean.”
“Certo, lo capisco.”
Rimangono in silenzio uno di fronte all’altra senza dirsi una parola. Si guardano senza parlare. Guardano ciò che sono diventati: lo spettro di una felicità che sembra lontana; il fantasma di una complicità rara da trovare, tra due esseri umani; il poltergeist di tutto ciò che erano grida dentro di loro e scalcia prepotente, violento come solo uno spirito irrequieto riesce ad essere, e vorrebbe gridare ad entrambi che lui è ancora lì, sepolto sotto alle macerie delle loro decisioni. È lì che aspetta che si corrano incontro capendo che, nonostante gli errori, sono destinati a perdonarsi, a tornare insieme, a vivere insieme tutti i giorni che rimangono delle loro vite perché loro sono stati creati appositamente per stare insieme. Dean e Natalie sono la metà di quella mela perfetta che gli dei hanno invidiato a tal punto da spezzare in due e mandare le parti in direzioni opposte per fare in modo che non si incontrino mai. Ma loro sono più forti. Il loro amore è così forte e radicato che anche se spezzato a metà, troverà sempre un modo per ricomporsi, per aggiustarsi. Perché loro si appartengono. Si appartengono in modo viscerale, in una maniera estranea alla maggior parte degli esseri umani: sono anime gemelle, anime complementari.
Ma sono ancora troppo sordi per riuscire a capire cosa stia gridando il poltergeist, troppo concentrati a non ascoltarlo come si deve per accorgersi di cosa sta urlando nelle loro orecchie.
“Devo andare. Ho un caso.”
E per via della loro sordità, è così che Nat spezza il silenzio e pone fine alla loro discussione.
“S-si, certo, d’accordo.”  
Natalie si volta e si incammina verso casa Singer. Dean rimane a guardarla. La osserva con il sole alle spalle che le illumina i capelli legati in una treccia tenuta di lato, gli anfibi che alzano piccole nuvole di polvere. La maglietta è ricaduta di lato, lasciando scoperta la spalla e lasciando intravedere il tatuaggio che Natalie ha alla base del collo: la fenice. Non si vede tutta, solo la testa e una parte dell'ala, ma Dean lo conosce bene.
La fenice con le ali aperte, le zampe rannicchiate al corpo, la coda formata da lingue di fuoco che si arricciano all'estremità. Natalie l’ha scelta perché pensava che la fenice avesse un significato profondo: se qualcuno ha così tanta forza da riuscire a riemergere dalle sue ceneri dopo essere morto, gli esseri umani sono in grado di percorrere e sconfiggere le avversità che la vita gli pone davanti.
Natalie è così. Natalie riemerge sempre dalle proprie ceneri. Natalie è andata a fuoco chissà quante volte ed è sempre riemersa, con le sue cicatrici, con i suoi tatuaggi che scrivono sul suo corpo la sua storia. Una guerriera segnata dal tempo e dalla vita, dalle battaglie e dalle perdite.
Nat che è riemersa anche quando tutto stava affondando.
Nat che sarebbe riuscita a salvarlo anche quando lui pensava non ci fosse più niente da salvare.
Natalie che ha bisogno di tempo. Glielo deve. Deve lasciarle tempo. Deve solo sperare che scelga di stare ancora con lui, dopo tutto questo. Vuole sperare che riesca a superare questo ostacolo e che lo perdoni. Dio solo sa quanto sente la sua mancanza, ma deve fare ciò che è meglio per lei: aspettare.

                                                                                                           ***

Una spiegazione l’ha avuta.
A quanto pare, l’impossibilità di avere figli non c’entra niente. La cosa un po’ la solleva. Mentirebbe se negasse che durante l’assenza di Dean quel pensiero la tormentava. Pensava che magari, visto che andare a salvare Sam era escluso (Morte era stato tremendamente chiaro), Dean avrebbe potuto vivere la vita normale che tanto bramava. Vivere con una bellissima donna, il suo adorabile bambino e, perché no, procrearne altri insieme. Invece no, non l’ha abbandonata perché voleva stare con qualcuno in grado di dargli un figlio; se n’è andato per salvarla. Per evitare che lui toccasse il fondo e che trascinasse anche lei, con lui. Ma se lei avesse voluto toccarlo, il fondo? Se avesse preferito vivere cento, mille, giorni al buio piuttosto che passarne uno soltanto a lasciare che il pensiero di non essere abbastanza la tormentasse?
Dean ha preso la decisione per entrambi. Come fa sempre. Come ha fatto con Sam quando ha venduto l’anima. Come ha fatto con lei quando l’ha esonerata dal piano di morte momentanea. Dean pensa sempre che le persone che ama stiano meglio senza di lui. Deve ancora imparare che non è affatto così, che chi lo ama lo vuole avere intorno, con i suoi pregi e con i suoi difetti, con la sua luce e la sua profonda oscurità. Nessuno è solo bianco o nero, nessuno è solo luminoso o oscuro. C’è sempre una via di mezzo. Sempre.
Scuote la testa.
In camera sua, Natalie sistema dei vestiti dentro ad un borsone aperto sul suo letto.
Guarda il completo da agente dell’FBI accuratamente piegato all’interno della borsa e tira un profondo sospiro. Forse non dovrebbe andarsene. Non dovrebbe scappare. Anche lei, adesso, sta scegliendo la strada più facile: fuggire a risolvere un caso anzi che rimanere per risolvere fino in fondo la cosa, ora che Dean sembra così disposto a farlo. Ma ha dei doveri. Della gente è morta e lei deve sbarazzarsi del mostro, un mannaro, tanto per cambiare.
Sospira.
Porta la mani sul ventre, le infila sotto la maglietta e passa il dito su quella parte di cicatrice che sta sopra all’utero. Sente la riga spessa e indurita dal tempo e lascia che una lacrima fugga, incapace di trattenersi ancora per molto. Senza che se ne accorga, ha iniziato a piangere. Lascia che le lacrime le bagnino il viso e che il dolore rimasto chiuso in un cassetto per troppo tempo venga lasciato libero. Ogni tanto ha bisogno di lasciarlo uscire per evitare che la sua presenza le avveleni l’esistenza piano piano, come una goccia costante di cianuro dentro al cibo. In questi momenti, nei quali lascia che le lacrime sgorghino libere e che la consapevolezza della perdita – di quella perdita –  le trafigga il cuore e le comprima lo stomaco, asseconda il dolore; si fa sopraffare da esso lasciando che esca completamente. Lo fa per sfogarsi, come una sorta di purificazione. E ogni volta, quando si asciuga il viso bagnato da lacrime amare, sente che quel fantasma che si porta dietro da anni, un po’ si alleggerisce e torna, un po’ più docile, dentro al cassetto. Non si illude che si placherà del tutto, un giorno. Sinceramente, trova impossibile che una ferita del genere si rimarginerà mai, ma fino a quando il dolore è chiuso dentro a quel cassetto della sua mente e del suo cuore, sente che può gestirlo e che può evitare di farsi sopraffare. Almeno, fino a che non torna nuovamente insopportabile. Allora si rinchiude in camera sua e piange. È una sorta di rito. Sa bene come gestirlo, ormai.
E lo fa anche questa volta. Toglie le mani da sotto la maglietta e si asciuga le guance. Tira su con il naso e si dirige verso il piccolo bagno per sciacquarsi il viso. L’acqua fredda a contatto con la pelle la rinvigorisce. Si da un’occhiata allo specchio: il suo viso è tirato, la pelle bianca, eccezion fatta per le lentiggini, gli occhi sono stanchi, arrossati per il pianto – così come la punta del suo naso – e circondati da occhiaie bluastre. Nemmeno se la ricorda la volta in cui ha dormito per più di qualche ora. Anzi, può dire, essendo convinta di non esagerare, che quando è riuscita a dormire per quattro ore in una notte è stata fortunata. Quando ha iniziato a cacciare, credeva che ciò che stava facendo fosse la cosa più emozionante del mondo: combattere, salvare vite, essere un’eroina. Con il tempo, si è resa conto che cacciare ti toglie la vita. Non esiste “vita” dal momento in cui diventi un “cacciatore”. E tutto ciò lascia l’amaro in bocca. Vivere per non lasciare niente su questa terra che ricordi anche solo lontanamente il suo passaggio. Non ci saranno figli che racconteranno storie che hanno sentito da lei, non ci saranno nipoti che la chiameranno “nonna”, non ci sarà un bel niente. Quando Morte la prenderà con se, lei non lascerà un bel niente su questo mondo. Un fantasma che cammina, ecco cos’è. Una presenza assente. Qualcuno che esiste, ma che non vive.
Qualche anno fa non avrebbe mai pensato una cosa del genere. Qualche anno fa, l’entusiasmo per la vita che conduceva le usciva da ogni poro. Era sicura della sua scelta, soddisfatta anche, ma è bastata la prima battaglia a far vacillare ogni sua sicurezza. È bastato conoscere a cosa tecnicamente era destinato Sam per capire che inoltrarsi in questa vita porta solo ad una montagna di guai, dolori, sacrifici e perdite. Aveva visto questo cambiamento anche in Dean, a pensarci bene. Dean, che qualche anno fa venerava suo padre e lo vedeva come un eroe invincibile, un uomo che aveva sempre ragione, la cui parola era legge e la cui esperienza era oro colato sotto forma di parole e insegnamenti. Dean, che con il tempo ha imparato a vedere nelle parole di suo padre solo ordini e pretese, spesso troppo esagerate per l’età che aveva quando gliele imponeva. Occuparsi di un bambino quando anche Dean era ancora solo un bambino, per dirne una. Insegnargli a sparare ancora prima che potesse effettivamente conoscere la potenza di un’arma e arrivare effettivamente a comprendere che danni può comportare, per dirne un’altra. Trattarlo come un soldato e non come un figlio, per dirne un’altra ancora. Portargli via l’infanzia per inseguire un desiderio di vendetta, per aggiungere un altro punto ad una lista che potrebbe vantarne molti altri. Dean non è mai stato un bambino, mai. Questo è ciò che comporta essere cacciatori, avere dei genitori cacciatori e vivere nel loro mondo. Le età si sfasano: un giorno ti trovi sulle ginocchia della mamma che ti canta una canzone per aiutarti a conciliare il sonno, il giorno dopo la mamma non c’è più, un mostro cattivo l’ha portata via e papà – distrutto dal dolore – decide che bisogna dare la caccia alla creatura malvagia che ha fatto bruciare mamma al soffitto. Ed ecco che ti trovi a passare dall’essere un innocente bambino di quattro anni a diventare un soldatino in miniatura, pronto ad occuparsi di Sammy perché papà è troppo impegnato a inseguire i fantasmi per occuparsi dei suoi figli, che nel giro di pochissimo tempo hanno perso sia la mamma che il papà. Perché è inutile negarlo, con la morte di Mary, Dean e Sam hanno perso anche John che altro non viveva se non per la vendetta.
Non si trova mai un cacciatore che ha avuto una vita tranquilla. Non si trova mai un cacciatore che ha avuto molte gioie, durante il suo percorso.
Lei qualche gioia l’ha avuta, però.
E tutte riguardano Dean. C’erano anche Sam e Bobby, ovviamente. E May. E Jo ed Ellen. E Cas. Tutto sommato, può dire che anche se la vita le ha tolto tanto, ha ricevuto lo stesso qualcosa per cui vale la pena vivere. E, tutto sommato, anche se non lascerà un’impronta ai posteri, una specie di eredità, può dire di aver lasciato qualcosa nei presenti, o almeno lo spera. Di sicuro le persone che ama – e che ha amato e poi, purtroppo, perso – hanno lasciato qualcosa in lei.
Non c’è gloria per i cacciatori. Ma può esserci amore, speranza, voglia di lottare, combattere con le unghie e con i denti per salvaguardare quelle gioie che la vita ogni tanto concede loro. Non c’è nulla di sbagliato, in questo. Dopotutto, ha scelto questa vita e continuerà a viverla, cercando di salvaguardare ciò che le ha donato. Cercando di continuare a combattere i momenti di tristezza e di non farsi sopraffare da loro. May l’ha definita una guerriera, e forse, se lo dice May, un po’ è vero. E i guerrieri lottano con tutte le loro forze. Sempre.


Esce dal bagno emotivamente più stabile di quando ci è entrata, con meno tristezza addosso e meno pensieri tristi nella testa. Si avvicina al letto con l’intenzione di finire di sistemare il suo borsone con l’occorrente per il viaggio: nel Connecticut, a New Haven, sono stati trovati dieci cadaveri solo nelle ultime due settimane. Le vittime erano senza cuore e ridotte a brandelli, o almeno questo è quello che diceva il giornale locale. Solo un mannaro può comportarsi in questo modo e, anche se la fase lunare non coincide, non esclude che possa effettivamente essere un lupo mannaro, visto che con la presenza della Madre ogni regola che riguarda i mostri non viene rispettata. Così, se ai vecchi tempi per fronteggiare un licantropo era necessario trovarsi in quella fase lunare dove il satellite della Terra mostrava tutta la sua faccia bianca, splendente e completamente tonda, adesso basta che al lupo venga voglia di trasformarsi per dare via ad un massacro. Devono assolutamente trovarla, questa Madre, altrimenti con tutti i mostri che girano per il mondo senza controllo alcuno, rischiano di impazzire.
Un passo alla volta.
Quando avrà sistemato la bestia e sarà tornata dal Connecticut riprenderà le ricerche sulla Madre.
Si massaggia le palpebre, stanca. Inizia a farle male la testa, sente quel pulsare subdolo tipico di un’emicrania in piena regola, di quelle talmente forti che il pulsare del cuore arriva a rimbombare fino al cervello e persino respirare diventa un rumore fastidioso. Prenderà un antinfiammatorio prima di partire.
Chiude il borsone dopo aver inserito al suo interno gli ultimi vestiti. Si preoccupa di prendere la borsa del portatile, controlla che dentro ci siano sia il computer che il carica batterie – non si sa mai – e quando ha appurato che tutto il necessario è pronto, rimane ad osservare momentaneamente le due borse sul letto. Quella con le armi è già in macchina, pensa, ma ci ridarà comunque una controllata prima di partire.
Ok, tutto sembra pronto, adesso può andare a mettere qualcosa sotto i denti – visto che il suo stomaco inizia a reclamare cibo. Si dirige verso la porta per aprirla e scendere. Quando la apre, ciò che vede la lascia perplessa: sulla soglia della sua stanza trova Sam con il pugno alzato in aria – probabilmente aveva l’intenzione di bussare – e un’espressione imbarazzata sul viso; i capelli tirati dietro le orecchie.
“Ciao.” La saluta, a disagio, abbassando la mano. 
“Ciao, cosa.. cosa stavi facendo, Sam?”
“Aspettavo il momento giusto per bussare, ma poi hai aperto senza che fosse necessario lo facessi.”
Nat alza un sopracciglio, studiandolo: “Ok, d’accordo… hai bisogno di qualcosa?”
“Di parlarti. Posso?” indica la stanza alle spalle di Natalie.
“Certo, entra pure.” Si mette da una parte per farlo entrare.
Non appena mette piede nella stanza, Sam nota i bagagli sul letto: “Parti?” chiede, indicandoli.
Nat fa un cenno d’assenso con la testa: “Parto dopo aver mangiato qualcosa. C’è un mannaro a New Haven.”
“Capisco.. vuoi che veniamo con te?”
Natalie sorride: “No, Sam, tranquillo. So gestire un lupo mannaro.”
“Certo, si, lo so..” la guarda di sottecchi, lanciandole occhiate nervose per poi riabbassare lo sguardo su i suoi piedi. Si strofina le mani e le passa sui pantaloni con fare agitato. Nat non si stupirebbe se l’uomo davanti a lei iniziasse a balbettare da un momento all’altro.
“Sam, ti prego, smettila. So perché sei qui e dal tuo comportamento sembra tu ti sia arrovellando il cervello per cercare di iniziare il discorso. Ti evito la cosa e comincio io: non eri tu, intesi? Non devi sentirti in colpa di niente.”
Sam sbuffa dal naso, lasciandosi sfuggire un sorriso amaro: “Anche Dean l’ha detto, anche Bobby l’ha detto quando mi sono andato a scusare per averlo quasi ucciso, ma rimane il fatto che quelle azioni sono state fatte da me, che fossi cosciente o meno.”
Natalie si avvicina e gli afferra le mani per impedire che continui a strofinarle una contro l’altra. Se continuasse a farlo, potrebbe consumarsi i palmi.
“La differenza sta proprio lì, invece. Se tu fossi stato cosciente non avresti mai fatto quello che hai fatto. Noi lo sappiamo. Tutti noi. Lo so io, lo sa Dean e lo sa anche Bobby.”
“Rimane il fatto che voglio chiederti scusa per quello che ho fatto. Non avrei dovuto.”
“Eravamo in due, Sam. Non sentire la colpa solo sulle tue spalle. Tu, almeno, puoi dire che non eri in te. Io ero in me.” Abbassa gli occhi, distogliendo lo sguardo da quello di Sam, sentendosi profondamente in imbarazzo. È vero quello che ha detto, lei era in se e quello che ha fatto, l’ha fatto perché in quel momento voleva farlo. Quando era a pezzi e voleva cercare un attimo di pace, desiderava Sam tanto quanto lui desiderava lei. E di questo si vergogna. Si sono usati a vicenda per soddisfare i loro istinti. La differenza, era che Sam non aveva altro se non gli istinti, in quel periodo; lei, invece, ha scelto di farli uscire al posto della ragione.
“Io credo che nemmeno tu fossi in te, in realtà.”
Natalie riporta lo sguardo su di lui, incrociando i suoi occhi. Sono così diversi da quelli di Dean, si trova a pensare. Più piccoli, ma ugualmente belli, di quel colore indefinito tra il verde e l’azzurro, con qualche pagliuzza gialla. Ha sempre trovato conforto, in quegli occhi, anche quando tutto sembrava andare in pezzi. Erano gli occhi che aveva bisogno di incrociare subito dopo quelli di Dean, quando voleva assicurarsi che tutto andasse bene, che loro stessero bene. Fino a quando incrociava i loro occhi, sapeva che c’erano, che erano vivi e che erano ancora al suo fianco. Non sopporta l’idea di perderli. Nessun paio di quegli occhi. Ha bisogno, nella sua vita, di guardarsi intorno e incrociare sia lo sguardo brillante di Dean, sia quello morbido di Sam. Ha bisogno di percepirli, entrambi. E Sam ha ragione. Con la loro assenza, in quel periodo lei non era in se.
“Nel giro di pochissimo tempo avevi perso sia me che Dean. Eri scossa, a pezzi..”
“..E quando sei tornato, non ho minimamente pensato a cosa potesse essere la vera causa della tua… diversità. Pensavo fosse una conseguenza dell’Inferno e lo trovavo possibile, sai? Pensavo che anche Dean era cambiato, non vedevo perché la cosa non potesse valere anche per te.” Le trema la voce. È la prima volta che si trova a parlare ad alta voce delle ragioni per cui ha fatto ciò che ha fatto, e se deve essere sincera, pensava che davanti a lei ci sarebbe stato un altro Winchester.
“Non devo cercare scuse per quello che ho fatto. So solo che ero davvero a pezzi, mi sentivo ridotta in rovine, spezzata a tal punto da non riconoscermi nemmeno. E quando tu sei tornato, ho visto un appoggio. Certo, c’era anche Bobby e mi sono appoggiata tanto a lui, quando ha smesso di bere, ma tu… tu mi sembravi così forte. Eri tornato dall’Inferno, cacchio, e apparentemente senza nessuna conseguenza. Capisci che ai miei occhi eri la roccia più solida che esistesse e io avevo così bisogno di un appiglio a cui aggrapparmi che l’ho fatto. Nel modo sbagliato, ma l’ho fatto. Non mi perdonerò mai per come mi sono comportata, per quello che ho fatto a te e quello che ho fatto a Dean. È come se avessi inquinato il rapporto con entrambi. Ho rovinato la storia con Dean e ho rovinato la nostra amicizia. Non avrei mai voluto questo.”
Sam, d’istinto, la tira a se, abbracciandola. Nat ricambia la stretta.
“Non hai rovinato la nostra amicizia, Nat. Abbiamo fatto entrambi uno sbaglio, è vero, ma tra tutti gli sbagli che potevamo fare, questo è quello meno irrimediabile che esista. Stai parlando con me, ricorda cos’ho fatto io quando ero senz’anima.”
“Smettila di incolparti.”
“Smettila anche tu. Non hai rovinato niente. E sono sicuro che anche Dean abbia la sua buona dose di colpa, in questa situazione. Ma la risolverete. Lo so che lo farete perché voi lo fate sempre.” Le bacia la testa e Nat lo stringe più forte.
“Grazie, Sam.”
“Non ringraziarmi.”
Sciolgono l’abbraccio e rimangono in silenzio per un po’, lasciando che le loro parole volino nell’aria libere, lasciando che questa loro chiacchierata vada a ripristinare il loro rapporto, quello che c’era prima di ciò che c’è stato tra loro nell’ultimo anno, cancellando, così, effettivamente e categoricamente tutto ciò che hanno fatto insieme quando Sam era senz’anima e Nat ce l’aveva fatta a pezzi, l’anima. Perché entrambi hanno bisogno di percepire la presenza l’uno dell’altra nella propria vita, esattamente come fanno da quando erano bambini. Sam cerca Natalie intorno a se, esattamente come Natalie cerca Sam intorno a se. Senza altro coinvolgimento se non il bene puro che un fratello può provare verso una sorella e viceversa.

“Ti voglio bene, Sam.”
Il ragazzo si allarga in un sorriso sincero: “Te ne voglio anche io.”

                                                                                                  ***


New Haven, Connecticut.
Natalie entra nella camera di motel che ha affittato per qualche giorno. È arrivata dopo ventiquattro ore di viaggio. Un giorno intero chiusa in macchina inizia a farsi sentire. Quando varca la soglia, infatti, la prima cosa che fa è buttarsi sul letto – che non è per niente comodo, anzi, sembra che abbiano riempito il materasso con dei sassi e il cuscino con della ghiaia, ma per riposare qualche istante va più che bene. Rimane a guardare il soffitto, pensierosa.
E senza grande sorpresa, il suo cervello viaggia fino a Rhode Island, dove sa che i ragazzi si sono recati dopo che Sam ha ricevuto sul cellulare delle coordinate anonime. Nat si trova a sperare che non sia una strana trappola architettata per catturarli.
Chissà se sono arrivati, si domanda.
Chissà cosa stanno facendo.
Perché ti interessa? Sei qui per risolvere un caso, non per pensare a cosa stanno facendo Dean e Sam Winchester.

La voce della sua ragione sa essere estremamente brutale, quando ci si mette, ma Nat sa che deve darle ascolto. Dean e Sam se la caveranno, come sempre. Saranno perfettamente in grado di affrontare qualsiasi cosa ci sia nel Rhode Island e torneranno nel South Dakota sani e salvi ancora prima di riuscire a dire Son of a bitch – è sicura al cento per cento che questa frase uscirà dalla bocca di Dean mentre lui e Sam sono impegnati a combattere la creatura.
Non deve preoccuparsi per loro.
Forse deve preoccuparsi per come ha lasciato Dean. Si sono solo guardati senza dire una parola, lui le ha fatto un cenno con la testa che dovrebbe essere una specie di incoraggiamento, un muto e silenzioso: mi raccomando, fai attenzione.
Avrebbe di sicuro preferito un saluto come ai vecchi tempi, quando, se lei partiva per andare a risolvere un caso da sola, lui la baciava stringendola forte a se e, dopo averla lasciata senza fiato, le sorrideva e le diceva di tornare sana e salva.
Fai il culo a qualsiasi cosa ci sia laggiù e torna da me, intesi?
Era sicuramente un saluto migliore di quello che si sono scambiati prima che lei partisse.
Sospira.
Si mette a sedere sul letto, si passa una mano sulla faccia e afferra la borsa con il computer che ha lasciato ai piedi del letto appena entrata in quella stanza puzzolente e cigolante – la porta è così malandata che entrano spifferi da ogni parte e i vetri delle finestre sono così sporchi che sembrano oscurati e ogni volta che  lei cammina in quella stanza, tremano come se stesse per arrivare un terremoto.
Non poteva scegliere posto più malandato di quello in cui si trova adesso, ma poco le importa: è il primo che ha trovato e se lo farà andare bene. Prima uccide il lupo, prima torna nel South Dakota ad occuparsi della Madre.
Accende il portatile e lo tiene sulle gambe incrociate.
Osserva lo schermo invadersi di luce e poi mostrarle lo sfondo. In questo modo, si trova a guardare una foto risalente a quattro anni fa, Bobby l’aveva fatta di nascosto: aveva fotografato lei, Sam e Dean sul divano. Dean l’aveva agguantata a aveva fatto in modo che si sedesse sopra di lui, il braccio destro era intorno alla sua vita, la mano sinistra stringeva una bottiglia di birra; Sam era seduto al loro fianco, intento a raccontare qualcosa, una storia riguardante quella volta in cui lui e Nat avevano deciso di fare una scommessa contro Dean: se fosse riuscito a mangiarsi cinque hot dog di fila senza dare di stomaco, avrebbe ricevuto venti dollari. Dean, nonostante fosse riuscito a mangiarseli tutti uno dietro l’altro, non era riuscito a non vomitare, perdendo la scommessa.
Nat, ti ricordi com’era verde?
Era sudatissimo e cercava di tenere a bada i conati!

Erano scoppiati a ridere sotto lo sguardo truce di Dean, che ricordava benissimo quanto lo stomaco gli dolesse, dopo quella bravata.
Sono stato male per due giorni e voi ridete??
Dai Dean, non te la prendere! Ci siamo divertiti.
Voi vi siete divertiti, Sam.
Non fare lo scorfano brontolone,
gli aveva detto Nat, stringendogli le guance con una mano; la bocca di Dean era diventata tonda come il bocciolo di una rosa e lei gli aveva stampato un bacio sonoro, non riuscendo a resistere.
Non te la cavi con così poco.
Invece si, e lo sai.
Si è vero, lo so.

E non si sa come, non si sa perché, ma avevano cominciato a ridere tutti e tre, in preda ad un’ilarità che sarebbe stata rara nella loro vita a seguire. Ed è quel momento che Bobby ha immortalato. Quel momento di normale felicità in cui si sono trovati a ridere fino  a sentire male alle guance e alla mandibola.
È diventata una delle sue foto preferite, questa.
Si lascia sfuggire un sorriso. Le mancano così tanto. Non fisicamente, perché sotto quel punto di vista li ha lasciati solo da un giorno, ma le mancano spiritualmente. Le manca guardarli e sentirsi a casa; le manca guardare Dean e sentire quella sensazione di calore intorno al cuore; le manca guardare Sam e sapere di trovare un complice per realizzare idee stupide quali far mangiare a Dean cinque hot dog. Le manca dormire con Dean, sentire il suo corpo contro il proprio mentre l’abbraccia; le mancano le loro chiacchierate notturne dove si sentiva a suo agio anche a dirgli la cosa più stupida che le passasse per la testa, perché tanto Dean non l’avrebbe giudicata.  
Le mancano perché le manca ciò che avevano prima.
Le mancano e vorrebbe riaverli con se, come una volta.
Scaccia possibili pensieri che potrebbero trasformarsi in idee ben poco rassicuranti e clicca sull’icona di Google per cercare informazioni sul caso, ma purtroppo, al di là di ciò che ha già trovato su vecchi articoli non c’è molto altro. Probabilmente la cosa migliore che può fare adesso è cercare di riposare un po’ per riprendere energie e svegliarsi presto domani mattina, andare all’obitorio, osservare le vittime e cercare informazioni su di loro. Magari chiedere in giro informazioni anche sulla comunità, sui nuovi arrivati – di solito quando si ha a che fare con un lupo mannaro è sempre un nuovo abitante della cittadina, quello strano e introverso.
Deve sperare solo di essere così fortunata e che il caso sia effettivamente così semplice.


La mattina seguente, dopo essersi vestita con il suo completo da agente dell’FBI, essersi munita del suo distintivo e della sua pistola preferita – quella che le ha regalato Bobby a diciott’anni, con il manico nero e dei disegni astratti bianchi – Natalie sale in macchina diretta all’obitorio della città. Arriva intorno alle nove e dopo aver mostrato il suo distintivo al dottor Patrick, le viene concesso di dare un’occhiata ai cadaveri.
Sono sia uomini che donne, hanno tutti la pelle che inizia a ingrigirsi, privata dalla linfa vitale. Le loro labbra violacee sono chiuse, serrate per sempre, e i loro occhi, con le palpebre abbassate, sono circondati da aloni bluastri. Scende a guardare il petto di ogni vittima, da cui, senza che si sorprenda, il cuore è stato asportato. La cosa che le sembra strana è che l’operazione non sembra opera della furia omicida di un lupo. Al contrario, sembra un’operazione effettuata con precisione e minuzia, come se chi stesse eseguendo l’asportazione sapesse esattamente dove tagliare per estrarre il cuore al meglio, senza danneggiarlo. Non si è mai visto un lupo mannaro che esporta cuori con così tanta attenzione. Loro strappano l’organo dal petto con la furia animalesca che caratterizza la loro indole, quell’istinto lunatico che scorre nelle loro vene e fa uscire la bestia. Bestia che necessita di essere nutrita, che è così affamata che non ha il tempo di calcolare come estrarre il cuore per tirarlo fuori al meglio, l’importante è che esca dal petto e finisca nelle loro fauci – in quali condizioni, non è un problema che si pongono.
Quindi, a chi va attribuita questa carneficina?
Deve cercare indizi.
Natalie inizia a camminare tra i cadaveri, sistemati sopra ai lettini. La stanza in cui si trova è così fredda che riesce a vedere il suo respiro che esce condensato dalla sua bocca e c’è così tanto silenzio che, se non fosse per il rumore dei suoi passi, potrebbe sentire le rotelle del suo cervello che ingranano.
Osserva l’uomo alla sua destra: ha i capelli scuri, dovrebbe avere più o meno cinquant’anni, la sua corporatura è robusta. Osserva la ferita al petto: uguale a tutte quelle viste fino ad ora. C’è un modus operandi specifico nell’estrazione che fa si che essa sia uguale ogni volta che si compie l’operazione. Continua a osservare la vittima, percorre ogni parte del corpo scoperta, sposta leggermente le braccia per avere una migliore visuale del busto e non appena alza le braccia, nota ulteriori segni: ci sono dei semicerchi su entrambe le parti del busto. Sulle costole di ogni vittima ci sono due simboli che si guardano, come se fossero due c rivolte una verso l’altra che rimangono divise dallo spazio occupato dalla pancia.
Questo non è certo il comportamento di un lupo mannaro.
Fotografa le sue nuove scoperte e si incammina verso l’uscita dell’obitorio: deve fare un salto in biblioteca.



Non ha trovato un bel niente. Nada, nisba. Zero come la farina.
Ha cercato in ogni dannatissimo libro esistente nella biblioteca locale e nessuno di questi ha saputo dirle niente su quegli strani simboli. È sicura che si tratti di un rito, come se fosse una specie di rito sacrificale. Ma per chi? E perché adesso? Che schema segue? Come sceglie le sue vittime??
Nella sua testa vorticano un milione di domande a cui non sa dare risposta, e il suo istinto di cacciatrice inizia a scalpitare frustrato. Odia quando non ha la situazione sotto controllo.
Mentre si avvia alla macchina compone il numero di Bobby sul cellulare e fa partire la chiamata. Nemmeno due squilli e la voce del cacciatore le invade l’orecchio.
“Bimba.”
“Non è un lupo mannaro.”
“Come no?”
“No. Ci sono dei segni sulle costole e il cuore è stato esportato con troppa calma. È un’operazione minuziosa e scrupolosa, estranea alla natura dei lupi.”
Bobby rimane un attimo in silenzio ad elaborare le informazioni ricevute: “E quindi cosa pensi che sia?” chiede, pochi istanti dopo.
“Non ne ho idea. Ho cercato quei simboli in ogni libro esistente nella biblioteca locale, ma non ho trovato un fico secco. Potresti darmi una mano?”
“Certo, descrivimi i simboli, magari nei miei libri trovo qualcosa.”
“Ho fatto delle foto, ti mando quelle. Accendi il tuo catorcio.”
“Non parlare in questo modo del mio computer, signorinella!”
Nat ridacchia: “Dobbiamo metterci in mente di andare a comprarti un computer più tecnologico. Un portatile, magari.”
“Non se ne parla! Mi trovo benissimo con questo!”
“D’accordo, d’accordo. Non ti scaldare. È acceso?”
“Si, mandami tutto.”
Nat mette in pausa la chiamata per aprire la galleria della foto sul cellulare e quando arriva a quelle che le interessano le invia a Bobby tramite email.
“Inviate.”
“D’accordo. Ci lavoro su. Ti chiamo appena trovo qualcosa.”
“Grazie Bobby.”
“Fai attenzione, intesi?”
Fai il culo a qualsiasi cosa ci sia laggiù e torna da me, intesi?
Bobby e Dean sono più simili di quanto si possa ammettere. Si dice che ogni ragazza si innamora di un uomo molto simile al padre, per via del fatto che il papà è il primo uomo con cui hanno a che fare, una sorta di modello che plasma nella testa delle ragazze un’idea ben specifica di come devono essere gli uomini. E con lei, beh, con lei è andata così. Si è innamorata di uomo che assomiglia tremendamente alla sua figura paterna.
“Intesi.”
Bobby chiude la chiamata e lei sale in macchina, diretta verso il suo motel.


Natalie parcheggia l’auto che ormai è sera. Il suo motel è molto fuori città e quindi per raggiungerlo ci vuole un’ora buona, quindi dopo aver finito le sue ricerche, ha deciso che era meglio mangiare, prima di tornare nella sua stanza.
Si era fermata in un pub pieno di gente che trasmetteva musica rock anni ’80, profumava di legno e nell’aria iniziava ad aleggiare l’odore di fritto e carne alla griglia. Il suo stomaco aveva reagito a quell’odore brontolando sonoramente. Natalie aveva una fame terribile.
Si era seduta in un tavolo a parte, aveva ordinato hamburger e patatine fritte. Aveva mangiato tutto con calma, guardandosi intorno, per studiare l’ambiente. Quando aveva notato che dietro al bancone del bar erano appese le foto delle vittime, si era avvicinata e, con la scusa di ordinare una birra, aveva fatto domande su di loro.
La barista, una ragazza assai avvenente, alta, bionda e con due strepitosi occhi azzurri – e un altro tipo di occhi altrettanto evidenti, quelli che, se ci fosse stato, avrebbero spinto Dean a fare il cascamorto – l’aveva accolta con un sorriso ed era stata più che felice di darle una mano.
Erano nostri clienti, sai? Tutti loro. Mi sono affezionata tantissimo e perderli è stato come perdere un po’ di questa comunità.
Posso immaginare. Mi dispiace davvero tanto. Sai se avevano dei nemici, o dei conti in sospeso con qualcuno?

Le domande erano state parecchie, ma a quanto pare, nessuna delle vittime aveva dei nemici che avrebbero potuto spingerli ad ucciderli e non avevano nulla in comune, se si toglie il fatto che vivevano nella stessa città e frequentavano lo stesso bar. Che non è nemmeno una cosa così strana, visto che quel pub è l’unico presente nel centro città.
Natalie sbuffa, frustrata, scendendo dalla macchina e avviandosi alla sua stanza. Intorno a lei l’oscurità è calata, il sole se n’è andato e con lui sembra anche tutti i rumori: Nat è circondata da un silenzio tombale.
I suoi pensieri le arrovellano il cervello e si maledice mentalmente per aver sottovalutato il caso: se l’è tirata, ecco cos’ha fatto. Si è portata sfiga da sola. Ha pensato che sarebbe stato un caso semplice da risolvere e invece, nonostante sia qui da quasi un giorno intero, non ha la minima idea di che cosa potrebbe essere la cosa che uccide le persone. Per di più Bobby non ha ancora chiamato.
Tira un lungo sospiro.
Continua a camminare – perché il parcheggio le sembra infinito? – quando alle sue spalle sente dei rumori. Inizialmente non ci fa caso, pensando che molto probabilmente è normale che in un parcheggio di un motel ci siano altre persone, oltre a lei. La preoccupazione inizia a farsi strada quando si rende conto che quei rumori sono dei passi e che quei passi sono proprio dietro di lei: qualcuno la sta seguendo.
Accelera il passo cercando di entrare il prima possibile nella sua stanza, ma una voce la chiama.
“Aspetta! Ti prego, aspetta!”
Nat si ferma e si volta verso la voce. È un uomo. Avrà più o meno trent’anni, è alto, ben piazzato, con un fisico atletico. Si avvicina a lei a passo svelto per raggiungerla. Natalie lo osserva e nota che i suoi occhi sono neri come la pece e sul sopracciglio sinistro ha una cicatrice che si allunga fino alla guancia, evitando l’estremità dell’occhio per un soffio.
“Ferita di guerra. Combattimento corpo a corpo. Sono stato fortunato.” Dice l’estraneo, notando l’interesse della cacciatrice per quella ferita ormai rimarginata.
“Scusi, io non volevo.. m-mi dispiace.”
“Non preoccuparti. Dammi del tu, ti prego.”
“D’accordo, come devo chiamarti? E perché mi stavi seguendo in un parcheggio?”
“Sono Liam. Ero al pub e ho sentito che parlavi con Mandy delle vittime. Sei un’agente, non è vero? Avrei delle informazioni da darti.”
“Si, sono un’agente federale. Ottimo, più informazioni ho più riesco a capirci qualcosa.” Natalie estrae dalla tasca della sua giacca una penna e un taccuino con i fogli gialli.
“Avanti, dimmi pure.”
Liam inizia a guardarsi intorno con fare circospetto, come se fosse nervoso riguardo a qualcosa, come se ci fosse qualcosa che non va.
“Va tutto bene?”
Rimane in silenzio per qualche istante e ciò fa si che in Natalie si svegli il suo istinto di cacciatrice. Improvvisamente si sente una preda. Improvvisamente ha l’impressione che questo ragazzo non sia qui per darle delle informazioni, ma per trarla in inganno. Deve fuggire immediatamente.
Non fa in tempo ad indietreggiare, però, che lo sconosciuto le sferra un pugno. Nat riesce ad evitarlo, abbassandosi velocemente, ma Liam è addestrato – probabilmente l’unica cosa vera che le ha raccontato è come si è fatto quella cicatrice – e le sta già sferrando un altro pugno che la colpisce in pieno viso facendola barcollare.
“Chi sei??” gli grida contro, mentre tenta di ripristinare il suo equilibrio.
“Qualcuno che non apprezza la tua presenza qui, cacciatrice.” L’uomo si apre in un sorriso famelico che le fa venire i brividi. Nat scaccia via quella sensazione di inquietudine e corre incontro all’uomo che, vedendola arrivare nella sua direzione, l’afferra al volo e la fa ruotare sopra la sua testa lanciandola nella direzione opposta a quella in cui la cacciatrice proveniva. La botta alla schiena è così forte che le mozza il respiro. La vista le si annebbia e per un attimo rimane sorda.
“Non ci piacciono quelli come te, cacciatrice.” Dice l’uomo, piegandosi sulle ginocchia e guardandola dall’alto con fare derisorio.
“E a me non piacciono quelli come voi!” ringhia Nat in preda alla frustrazione e alla rabbia. Stava barcollando nel buio, non sapeva contro chi stava combattendo, non sapeva niente riguardo a chi stesse cacciando e adesso, il figlio di puttana si è materializzato alla sua porta e la prende pure per il culo. No, non ci sta.
Con uno scatto veloce, afferra la testa del suo avversario e gli piazza una testata ben assestata sul naso. Liam – sempre se quello sia il suo effettivo nome – preso alla sprovvista, si porta le mani al naso e cade all’indietro. A quel punto Nat, con uno scatto felino, lo raggiunge e si mette a cavalcioni su di lui, tenendo la gola dell’uomo fra le sue cosce.
“Dimmi chi sei e cosa sei.”
Osserva il viso dell’uomo che tiene stretto fra le sue gambe diventare sempre più viola mano a mano che lei stringe la presa. Le viene da pensare che così facendo morirà soffocato ancora prima che sappia tutta la verità sulla carneficina, ma poi, un pensiero razionale si fa strada in lei: è una creatura, l’ha ammesso lui stesso, e non esiste al mondo che sia così facile farlo fuori.
“Parla!!!” grida, piena d’ira.
Ma Liam anzi che proferire parola comincia a ridere, facendosi ancora più beffe di lei.
“È troppo tardi, cacciatrice. Ormai sei sua.”
Natalie non fa in tempo a chiedere nulla riguardo a quell’ultima frase perché un colpo secco dietro alla nuca le fa perdere i sensi e nel giro di poco tempo, il mondo diventa buio.



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Salve gente! Sono in un ritardo pauroso, lo so e per questo chiedo venia! Sono stata senza computer e quando l'ho riavuto l'ispirazione mi aveva abbandonata e tutto ciò che scrivevo non mi piaceva un granché, quindi anche se avevo la storia in testa non mi piaceva come veniva fuori! 
Comunque, venendo al capitolo.. è molto incentrato su Nat, e spero che questo non vi dispiaccia o vi abbia deluso (soprattutto in cui la parte lei e Dean parlano - fatemi sapere cosa ne pensate!)
In teoria, questo doveva essere l'ultimo - quando ho iniziato a scrivere la storia, avevo in mente di svilupparla in quattro capitoli, ma poi mi sono allungata senza che me ne rendessi effettivamente conto, quindi ho pensato di estenderla a sei, ma.. a quanto pare mi sono allungata di nuovo un po' troppo e quindi ho pensato di dividere l'ultimo capitolo in due parti, quindi ce ne sarà un settimo che non ho idea se sarà lungo come i precedenti o un pochino più corto,vedrò mentre lo scriverò! 
Mi sono dilungata tantissimo e spero di non avervi annoiati! 
RIngrazio chi legge, chi recensisce, chi segue e chi mette la storia tra i preferiti. Significa molto sapere che c'è qualcuno che apprezza questa storia! 
A presto (spero), <3 

Ps: "Non fare lo scorfano brontolone" va attribuita a Dory, di "Alla ricerca di Nemo" :) 

 

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Capitolo 7
*** 7. ***


Bristol, Rhode Island.
Dean grida il nome di Sam che è sdraiato sul pavimento in preda a degli spasmi violenti. Rimane a guardare suo fratello sentendosi impotente, sentendosi incapace di poter fare qualcosa per aiutarlo. L’unica cosa che può fare è chiamarlo, afferrarlo per le spalle e sperare che questa crisi di convulsioni – è giusto chiamarle così? Potrebbe essere persino un attacco epilettico, per quello che ne sa lui – finisca. Lo sapeva che andare a grattare il muro non avrebbe portato nulla di buono. Lo sapeva che rimanere in un posto dove era già stato avrebbe portato solo guai.
Un cacciatore non usa mai lo stesso cesso due volte.
Suo padre aveva dannatamente ragione.
Lo scopo del muro era evitare che Sam rivivesse l’inferno, e adesso – Dean ne è certo al cento per cento – suo fratello è tornato laggiù.
Negli spasmi del suo corpo, Dean ci legge tutte le atrocità che Sam ha vissuto, tutte le torture che ha subito, tutta la furia distruttrice di Lucifero e Michele. E la sua impotenza gli fa salire un nervoso tale che lo sente in bocca, amaro come il veleno, che gli stringe la gola e si fa beffa di lui. Lui che dovrebbe proteggere suo fratello e non è nemmeno riuscito ad impedire che avesse una crisi, che stesse lontano da quel dannato muro su cui Sam è andato a grattarsi per bene per cercare di soddisfare quell’odioso prurito, dettato dalla voglia di ricordare, di scoprire tutti i dettagli vissuti in prima persona.  
Stupido muro.
Stupido Sam, doveva dargli retta.
Doveva ascoltarlo, ma ovviamente non l’ha fatto. Non lo faceva nemmeno quando era un mocciosetto perché dovrebbe farlo ora che è un adulto di un metro e novanta?
“Andiamo, Sam. Andiamo, andiamo, andiamo..” Continua a ripetere come un mantra, in preda al panico. Ma Sam non ha ancora finito, Sam non è ancora tornato da lui. Sam sta ancora lottando contro l’inferno e contro ciò che ha vissuto laggiù. E i suoi spasmi diventano sempre più violenti, un crescendo di tremiti che sembra non abbiano alcuna intenzione di cessare.
Dean sente le lacrime pungergli gli occhi mentre è obbligato ad assistere a quello spettacolo che gli frantuma il cuore e gli fa montare la rabbia. Si arrabbia perché si sente inutile, si arrabbia perché si incolpa, perché se avesse insistito di più sarebbero tornati nel South Dakota lasciando che qualcun altro si occupasse del caso – qualsiasi cacciatore avrebbe capito, perché ogni cacciatore sa che non bisogna mai, mai, tornare nello stesso posto due volte, per di più per occuparsi dello stesso mostro.
Fottuti ragni giganti.
L’Aracne che Sam era venuto a uccidere l’anno scorso insieme al caro e premuroso nonnino Samuel Campbell, aveva intrappolato le vittime e Sam, pensando non ci fosse più scampo per loro, aveva deciso di forare le loro teste con una pallottola ciascuno, ma così facendo aveva solo velocizzato il processo di trasformazione, e Roy, lo sceriffo che aveva dato loro una mano e che Sam aveva proposto di usare come esca, che successivamente era stato catturato e trasformato, voleva la sua vendetta.
Se se ne fossero andati quando lui aveva deciso che era giunto il momento di levare le tende, tutto questo non sarebbe successo. Sam adesso non starebbe soffrendo e lui non sarebbe costretto a guardarlo soffrire.
“Sam, ti prego. Ti prego, Sam…”
Lo osserva tirare indietro la testa, che va a picchiare contro il pavimento di legno di quella stupida catapecchia polverosa e puzzolente in cui si sono nascosti abusivamente; guarda la sua schiena inarcarsi e le gambe contorcersi per poi stendersi di nuovo, senza una minima coordinazione. Gli tremano i muscoli, tutti. Ogni singolo muscolo del suo corpo trema come se fosse in preda ad una scossa elettrica, come se sotto la sua pelle ci fossero tanti insetti che corrono frenetici diretti chissà dove senza la minima intenzione di rallentare.
È una tortura.
Una spietata tortura.
Gli prende il viso tra le mani per fare in modo che almeno le sue guance smettano di tremare e, come se quel contatto fosse stato una parola magica, improvvisamente Sam si ferma. Il suo corpo viene scosso da un ultimo spasmo e poi si ferma totalmente. Dean, istintivamente, gli mette due dita sul collo per sentire se ci sono pulsazioni: ci sono. Accelerate in maniera tremenda, ma ci sono. Sam è vivo e l’inferno l’ha lasciato. È tornato da lui, probabilmente senza sensi, ma è di nuovo con lui. Niente inferno, niente Gabbia, niente ricordi di Lucifero e Michele che lo torturano.
Tira un sospiro di sollievo e si siede sui talloni, passandosi entrambe le mani sulla faccia.
“Dean..?” la voce di Sam è roca, così flebile da sembrare un sussurro appena accennato.
“Sono qui, Sammy.”
Dean si sporge verso di lui, aiutandolo a mettersi seduto.
“Che è successo?”
“Hai grattato il muro, ecco che è successo. Te l’avevo detto che rimanere qui a risolvere questo caso era una cazzata, ma tu non mi hai voluto dare retta. Hai voluto fare di testa tua e per un pelo non ci rimetti la pelle!”
Sam si alza in piedi a fatica, aiutato da Dean.
“Smettila di urlare così, ti prego. Mi fa male la testa.”
Dean sospira di nuovo: “Ti rendi conto di quanto sia stato pericoloso, vero?”
“Se ti dico che avevi ragione ti senti meglio??”
“No, porca puttana, non me ne frega niente di avere ragione. Voglio che ti ficchi in quella testa dura che non. Devi. Andare. A. Grattare. Il. Muro!”
Scandisce le parole una ad una, come a volerle imprimere nel cervello di Sam.
“Va bene, come ti pare. Basta che smetti di urlare!”
Il minore si siede sul divano presente in quella stanza. Appena il suo peso tocca i cuscini del divano, una nuvola di polvere lo circonda, facendolo tossire. Dean continua a guardarlo, rimanendo in piedi davanti a lui.
“Come ti senti??”
“Bene, adesso. Un po’ stordito, forse.”
“Cosa hai visto?” gli chiede preoccupato, passandosi una mano sulla faccia.
Sam strizza gli occhi e si massaggia la parte alta del naso: “Non lo so, è tutto piuttosto confuso. È come se avessi visto tutto e non avessi visto niente allo stesso tempo.”
“Capisco. Motivo in più per non avvicinarti più a quel fottuto muro.”
“D’accordo, ho afferrato!” Sam si lascia cadere all’indietro, appoggiando la schiena allo schienale del divano da cui si alzano nuove nuvolette di polvere.
Dean si è allontanato solo di qualche passo, quando il suo cellulare inizia a squillare. Il maggiore dei Winchester risponde senza nemmeno guardare lo schermo.
“Dean, dovete andare nel Connecticut. Immediatamente!
La voce di Bobby è così agitata che Dean sente il sangue gelarsi nelle vene ancora prima di sapere di cosa sta parlando il vecchio cacciatore.
“Hanno preso Natalie. Ne sono certo.”
Un bagno di sudore freddo gli zuppa tutto il corpo. Natalie è in pericolo. Deve muoversi, deve fare qualcosa, deve salvarla, portarla al sicuro, lontano da ogni male. Il cuore accelera pericolosamente, pulsa in maniera frenetica; la sua mente elabora scenari che definire poco piacevoli è un eufemismo. Cosa stava cacciando? Un mannaro. Perché un licantropo dovrebbe darle problemi? Sa uccidere quelle bestie senza difficoltà, gliel’ha visto fare un milione di volte. Cosa le è successo?
“Cosa è successo?”
“Mi ha chiamato, voleva delle informazioni sulla cosa che stava cacciando, ma quando ho provato a richiamarla, non mi ha risposto. Non la sento da tre ore.”
“N-non.. non stava cacciando un licantropo? Magari è in un luogo dove non c’è campo!” ipotizza, scoprendosi a sperare ardentemente che Bobby gli dia ragione.
Sente il vecchio cacciatore dall’altro capo del telefono che sbotta qualcosa in un tono piuttosto burbero, un’imprecazione nemmeno tanto delicata, ecco cosa esce dalla sua bocca.
“Non era un mannaro. Aveva scoperto che la cosa, qualunque cosa fosse, eseguiva una specie di rito.”
“I lupi non fanno riti.”
“Capisci perché penso sia in pericolo, adesso?”
“Certo. Partiamo.”
“Sto andando all’aeroporto, ci sentiamo quando scendo.”
Bobby attacca.
Dean rimane a guardare il vuoto davanti a se, con ancora il cellulare muto tenuto all’orecchio. L’ultima volta che Nat era sparita per così tanto tempo era nelle grinfie di Zaccaria, quindi capisce benissimo perché Bobby sia così agitato. Lui, dal canto suo, è terrorizzato che possa accaderle qualcosa di irrimediabile, che possa perderla per sempre. Il solo pensiero lo fa impazzire. L’idea di vivere senza di lei lo stringe in una morsa ferrea che lo schiaccia a terra, regalandogli un attacco di panico con i fiocchi. La fin troppo familiare sensazione di annegare torna più viva che mai, violenta come un maremoto, spietata come un lupo affamato che banchetta di qualsiasi vittima innocente gli capiti tra le zanne. Sente l’acqua in bocca che gli tappa ogni via respiratoria. Si sente piccolo e impotente, incapace di riuscire a fare qualcosa di utile. È paralizzato. Il panico lo rende sordo, insensibile al mondo esterno a tal punto che quando Sam lo afferra per una spalla lui non si volta nemmeno a guardarlo. È troppo intento a cercare di riemergere dalle acque nere in cui quel pensiero funesto l’ha gettato.
“Dean!” grida Sam, scuotendolo per le spalle. Il maggiore dei Winchester segue la voce di Sam fino a che i suoi grandi occhi verdi non incrociano quelli azzurri del fratello. La fronte di Sam è corrugata in una smorfia preoccupata e apprensiva.
“Si può sapere che ti è preso?”
Dean apre la bocca, ma non gli esce alcun suono. La cosa positiva è che non esce nemmeno dell’acqua. Quella sensazione di annegamento sta sciamando piano piano. Ancora non capisce perché si stupisce di non vedere rivoli d’acqua trasparente mischiata alla sua saliva uscirgli dalla bocca, ogni volta che si sente così. Non dovrebbe stupirsi, tecnicamente, perché ciò che prova è solo una sensazione, qualcosa che nasce dalla sua testa.
“DEAN!”
“Hanno preso Natalie.” Boccheggia.
Un lampo di terrore attraversa il viso di Sam, che stringe la mascella e si passa entrambe le mani tra i capelli: “Dove e chi?”
“Connecticut. Dobbiamo partire. Bobby ci raggiungerà in aereo. Riguardo al chi non ne ho idea, non me l’ha detto.”
Dean, tornato di nuovo in se, inizia a raccogliere tutte le loro cose sparse per quella catapecchia cigolante, puzzolente e piena di polvere. Afferra tutte le armi che hanno lasciato su un letto sgangherato e le ripone dentro al borsone; Sam fa lo stesso, sistemando tutta la sua roba.
Cinque minuti dopo, chiudono la porta alle loro spalle, entrano in macchina e partono a tutta velocità.
                                                                                            
                                                                                            ***


New Haven, Connecticut.
Natalie sta piano piano riacquistando i suoi sensi. Avverte polsi e caviglie legati e del metallo freddo che le sfiora la pelle della schiena lasciata scoperta dalla camicia. È ancora vestita da agente federale. Rimane con gli occhi chiusi, in ascolto. Percepisce dei suoni indistinti, parole, probabilmente, ma è ancora stordita per riuscire a capire effettivamente cosa stiano dicendo. Una cosa chiara è il rumore del mare, sente le onde infrangersi violente contro gli scogli, e l’odore salato dell’acqua arriva forte e chiaro alle sue narici.
Si muove appena, riscontrando, con suo disappunto, che il cuoio che la tiene legata le sta così stretto che, oltre a impedirle movimenti fluidi, impedisce al suo sangue di fluire correttamente. La testa le pulsa così forte che sembra ci sia qualcosa di vivo nel suo cervello. Sicuramente, lo stronzo che l’ha colpita, l’ha fatto con qualcosa di estremamente pesante. Appena riuscirà a liberarsi, lo farà a fettine, quel bastardo.
“È sveglia.” La voce che sente è femminile.
Apre gli occhi per mettere a fuoco la figura a cui quella voce appartiene e, con sua grande sorpresa, scopre che si tratta di Mandy, l’avvenente barista.
La vede avvicinarsi al tavolo con passo deciso. I suoi occhi, azzurri come il cielo, la guardano famelici.
“Sai, inizialmente dovevo ucciderti solo per fare in modo che ti togliessi di mezzo, ma poi ho dato una sbirciatina qui dentro.” Comincia, con voce suadente. Le passa un dito prima sul viso, scendendo lungo il collo e fermandosi all’altezza del cuore, che picchietta con l’indice.  
“E ci ho trovato cose così interessanti che non nutrirmene sarebbe un peccato.” Sorride, passando la lingua sui denti perfettamente dritti e splendenti.
La sua bellezza, si trova a pensare Natalie, è accecante. È un pensiero tremendamente fuori luogo, visto che la tizia con tutta probabilità vuole estrarle il cuore, ma non può fare a meno di non guardare il viso della donna che ha vicino: la pelle liscia e luminosa; i suoi lunghi capelli dorati, che cadono in onde perfette fino al suo seno, gli occhi brillanti, grandi e dalla forma allungata, di un azzurro quasi surreale, tanto che è immacolato, le folte ciglia che contornano gli occhi come la più perfetta delle cornici; le labbra rosee e piene che formano un cuore perfetto, come quelli che si disegnano sui fogli, quelli con le due gobbe perfettamente identiche. Tutto, in lei, è perfetto. Non riesce a trovare altro aggettivo per descriverla, se non questo. Non ha mai avuto a che fare con una cosa del genere.
“Cosa sei?” le domanda, curiosa. Improvvisamente, la rabbia che provava nei suoi confronti, sciama, lasciando spazio solo a quella voglia di sapere, di scoprire, di imparare – venire a conoscenza della natura della creatura che ha davanti per riuscire a riconoscerla in un futuro.
Futuro, pensandoci bene, che forse non avrà.
“Voi non credete più in me, ufficialmente. Sui libri c’è scritto che un tempo venivo venerata, ma ne parlate come se fossi estinta.”
“Sei una divinità?”
La donna si apre in un sorriso compiaciuto: “Esatto.”
“Quale?”
“Perché non provi ad indovinare?”
“Perché vuoi giocare con me, quando l’unica cosa che vuoi veramente è farmi fuori?”
L’avvenente Mandy incrocia le braccia al petto e sbuffa sonoramente, facendo alzare un ciuffo che le era caduto davanti al viso. Un filo dorato che va a riunirsi insieme agli altri.
“Perché a lui piaci,” si volta, indicando la figura alle sue spalle, e Nat riconosce Liam, “dice che sei una combattente e a lui piace chi combatte.”
“Mi ha seguita in un parcheggio e aggredita, combattere è ciò che mi hanno insegnato a fare in questi casi.”
Natalie porta la sua attenzione sull’uomo, che ha fatto qualche passo verso la bionda. Sono uno l’opposto dell’altra. Lui ha una stazza imponente, una presenza che definirebbe massiccia, anche se sicuramente ci sono altri millemila aggettivi da usare, ma – vista la situazione di imminente pericolo di morte – non le viene niente di meglio. Liam, o qualsiasi sia il suo vero nome, sembra una quercia secolare, saldo e robusto, forte e imbattibile. I suoi occhi scuri sembra abbiano visto tutti gli orrori che questo mondo ha da offrire e, ora che la luce artificiale che illumina la stanza le permette di osservarlo meglio, sembra che questi orrori abbiano lasciato su di lui il segno. Infatti, l’uomo, ha delle evidenti cicatrici sulle braccia, di vario taglio e dimensione.
Lei, invece, è totalmente diversa. La sua fisicità comunica altro, mostrando solo la bellezza di un fiore immacolato, che ha guardato solo cose belle, nella vita. È abbastanza alta, slanciata, bella da sembrare irreale. Nessun difetto vive nel suo viso, o nel suo corpo. Nessuna cicatrice ha sfiorato quella pelle candida, segno che nemmeno nessuna lama l’ha mai accarezzata. Lei, a differenza di Liam, non ha mai vissuto nessun tipo di incubo. Lei non ha mai visto gli orrori del mondo, ma, al contrario, ne è stata protetta. Esonerata dalla guerra. Una creatura delicata, nata solo ed esclusivamente per essere ammirata e tenuta al sicuro sotto ad una campana di vetro.
Le ricordano tanto…
“Ares e Afrodite.” Sussurra, piano. Potrebbe avere senso. Già una volta pensavano che Gabriele in realtà fosse Loki, perché non potrebbe valere la stessa cosa per alcune divinità greche?
La donna inizia a battere le mani, euforica: “Sei in gamba, cacciatrice.”
La dea si avvicina ancora di più a lei e Natalie, d’istinto, scalcia. La sua azione, però, viene interrotta dalle cinghie alle caviglie. Si sente come un animale in trappola, una preda in balia di un predatore a cui piace giocare con il cibo, prima di divorarlo.
“Piano, cacciatrice. È inutile agitarti. Ormai sei mia.”
“Perché lo fai??” ringhia, frustrata e spaventata. Comincia seriamente a pensare che per lei non ci sarà via d’uscita. Non fino a che rimarrà legata a questo dannatissimo tavolo. Inizia a muovere impercettibilmente i polsi per fare in modo che il cuoio ceda quel tanto che basta per far sgusciare fuori le mani
“Perché ho bisogno di rafforzarmi. Vedi, quando credevano in noi, ci offrivano sacrifici di continuo, che io apprezzavo molto. Ma poi è arrivato il cristianesimo e tutte e nuove religioni, e la gente si è dimenticata di noi. Ma siamo dei e in quanto tali, immortali. L’unica cosa che facciamo, però, è indebolirci. E un dio debole non può essere definito dio, non trovi? Così, ho deciso che mi sarei offerta dei sacrifici da sola.”
“Sei un mostro.”
“Non tanto diversa da chi mi offriva vergini, no?”
“È per questo che li hai uccisi? Perché erano vergini??”
Natalie si trova a pensare che non aveva trovato niente che accomunasse le vittime, questa potrebbe essere una ragione.
La dea, però, scoppia in una risata derisoria e irriverente: “Assolutamente no. Le vergini sono sorpassate, ormai.” Afrodite inizia a girare intorno al tavolo, così Nat smette di muovere i polsi per non essere vista. La dea, estrae da una cassetta situata vicino al tavolo un coltello dalla lama lunga e affilata. Il cuore di Natalie sale alla sua gola e il respiro accelera, frenetico.
“Devi rilassarti, altrimenti sarà peggio.”
“Cosa avevano in comune, allora??” domanda, sia perché vuole saperlo, sia per provare a guadagnare tempo.
La dea sembra meditare sul darle una risposta o meno, e poi si decide a parlare: “Erano tutti innamorati alla follia, coloro che vengono definiti pazzi d’amore. Quell’amore radicato nel cuore che li rimane fino alla fine dei giorni. Sai, la gente, in Grecia, credeva erroneamente che preferissi le vergini perché erano pure, ma cosa può sapere dell’amore, qualcuno che l’amore non l’ha mai fatto?
Hai idea di quanto sia potente il sentimento, se scegli di concederti a qualcuno non solo spiritualmente, ma anche carnalmente? Devi scegliere di donarti a qualcuno, di diventare tutt’uno con lui o con lei, e solo l’amore più puro e radicato ti spinge ad un gesto simile. Ma tu lo sai bene, non è vero? Il tuo cuore trabocca d’amore. Tu sei perfetta, per me. Dentro di te vivono così tanti sentimenti, che rendono il tuo cuore così forte, che potresti essere il mio ultimo sacrificio, per questo periodo, e riuscirei a raggiungere il pieno delle mie forze.”
“Ne sono lusingata!” il sarcasmo nella voce di Natalie non piace per niente alla dea, che si avvicina pericolosamente brandendo la lama del lucido coltello affilato.
“Non usare questo tono con me, non mi piace.”
“Afrodite..” interviene Ares, la voce esce roca, probabilmente per aver passato troppo tempo in silenzio. I suoi occhi neri incrociano quelli della dea e, ancora una volta, Natalie si trova a pensare che nel loro essere l’uno l’opposto dell’altra, vadano a completarsi, “..basta giocare con lei, falla finita una volta per tutte.”
Afrodite si volta verso il dio della guerra: “Lei ti piace sul serio.” Deduce, riducendo gli occhi a due fessure. “Non vuoi vederla soffrire.”
Ares non abbassa gli occhi, ma il suo sguardo viene attraversato da un lampo di colpevolezza, come un bambino che viene rimproverato dopo essere stato colto in flagrante dalla mamma.
“Non posso crederci!” sbotta isterica, “devo essere gelosa di una misera mortale?”
“Smettila di fare così, voglio solo che tu la smetta di torturarla. È tua. Poni fine alla sua agonia.”
“No. Devo eseguire il rito. E il rito richiede tempo.” La dea si avvicina a Natalie, aprendole la camicia con un gesto secco e deciso. I bottoni saltano per tutta la stanza e Nat si ritrova mezza nuda, con la pelle coperta di brividi.
Afrodite rimane a guardare il corpo scoperto di Natalie, passando i suoi meravigliosi e scintillanti occhi sopra la lunga cicatrice che percorre la cacciatrice. Poi, fa una smorfia che Nat non riesce ad interpretare.
“È per questo che ti piace, non è vero? Riesci a percepire tutto ciò che ha vissuto e pensi che sia come te?”
Ares, al fianco della dea, passa l’indice sulla superficie della cicatrice. Natalie inarca la schiena, cercando di ribellarsi a quella carezza, ma il dio non si cura della sua reazione e continua a toccarla, continua a guardare i segni sul corpo di Natalie come se fossero dei trofei.
“Lei è come me. Ha visto cose che gli altri non riescono nemmeno ad immaginare, ma nonostante tutto, è ancora al mondo. Fiera e senza paura.” Afferma, passando il dito sui segni dei cinque artigli che circondano il cuore della cacciatrice.
Natalie vorrebbe sottolineare che quel senza paura è piuttosto discutibile. Soprattutto adesso, che vede la morte più imminente che mai. Soprattutto adesso, che non è riuscita ad estrarre nemmeno una delle mani dalla cinghia di cuoio.
“Rimarrà al mondo ancora per poco.”
Afrodite inizia a tracciare i segni sul costato della ragazza e, non appena la lama entra in contatto con la pelle di Natalie, la ragazza si trova ad urlare. Sente la pelle bruciare e il sangue colare. Tutto ciò la riporta indietro di anni, a quando al posto di Afrodite c’era Zaccaria. Una lacrima scappa silenziosa e calda dal suo occhio destro. Ares la raccoglie, passandole la mano calda e callosa sul viso. Non sa perché, ma Nat si trova a cercare gli occhi di quell’uomo che ha contribuito alla sua cattura e quando i loro sguardi si intrecciano, sembra che il dio sia davvero dispiaciuto per la sua morte imminente.
“Silenzio, silenzio. Abbiamo finito.” Sorride Afrodite, famelica. Afferra dalla cassettina degli attrezzi un bisturi e lo alza, mostrandolo a Nat.
La cacciatrice, vede la sua fine più vicina che mai. La paura inizia a impossessarsi di lei in maniera violenta; la consapevolezza che il suo tempo sta per finire è così concreta che le fa mancare il respiro. Ha paura di morire. Una paura così tangibile che riuscirebbe persino a darle una forma, se il suo cervello riuscisse a lavorare normalmente.
C’è chi dice che quando stiamo per morire, vediamo tutta la nostra vita che ci passa davanti. Nat, in questo momento, vede solo dei visi. I visi di chi ama e di chi ha amato e adesso non c’è più, e si trova a pensare che se davvero dovesse lasciare questo mondo, andrebbe in un posto dove ci sono i suoi genitori, e finalmente potrebbe conoscerli; andrebbe a stare con Jo ed Ellen e Ash.
Forse, la morte non è che l’inizio di una nuova vita. E allora, con questo pensiero in testa, la sua paura sciama, lasciando posto ad una tranquillità quasi irreale, ad un’accettazione pacifica. La sua ora è giunta. Probabilmente, appena la lama le trapasserà il petto e la dea estrarrà il suo cuore, vedrà Morte apparire nel suo completo nero che, solenne come solo un’entità del suo calibro sa essere, l’accompagnerà dall’altra parte.
È pronta.
Chiude gli occhi.
Torna a sentire le onde infrangersi sugli scogli e nella sua testa compare la Nascita di Venere di Botticelli, dove la dea, nuda e con un senso di pudore che la porta a coprirsi con un braccio e con i lunghi capelli, viene spinta su una conchiglia dal mare verso la terra, spinta da Zefiro, vento fecondatore, e accolta da una donna – di cui non ricorda l’identità – che ha tutta l’intenzione di coprire la dea con un panno rosso.
Non è poi così strano che si trovino vicino al mare, dopotutto.
“Guardami.” Intima Afrodite, e Nat obbedisce.
Obbedisce perché deve farlo, perché vuole farlo. Vuole affrontare l’ultima prova della sua vita a testa alta: guardare la morte in faccia senza avere paura, senza temerla, senza nascondersi. Non se ne andrà da questo mondo con gli occhi chiusi, se ne andrà guardando in faccia chi è stato abbastanza furbo e forte da sconfiggerla – lei, che nella sua vita può contare innumerevoli vittorie. E può dire di essere anche abbastanza orgogliosa del modo in cui sta lasciando questo mondo: l’unica che sia mai riuscita a batterla è una divinità, non qualcuno di comune.
“Fallo.” Ringhia, con voce ferma e priva di paura.
I suoi occhi fissi su quelli della dea. Non abbassa lo sguardo perché non ha paura. Ne di lei, ne di quello che l’aspetta. Non più.
“Fallo.” Ripete, decisa, e Afrodite la asseconda, incide il suo petto con un movimento deciso e minuzioso che fa si che nella gola di Natalie si formi un lamento che, però, lì rimane intrappolato.
Sente la ama che affonda nella sua carne e va a formare una riga che si allunga sempre di più. Il bruciore è così forte che a Natalie tornano le lacrime agli occhi. Le caccia indietro, evitando che scendano di nuovo sul suo viso. Osserva il viso concentrato della dea e si morde il labbro per controllare il dolore e la voglia di urlare.
Presto sarà tutto finito, si trova a pensare.
Sarà come addormentarsi, non te ne accorgerai neanche.
Si aspetta di percepire le mani della dea dentro il suo petto da un momento all’altro, quando, invece, con sua grande sorpresa, la cosa che percepisce è una voce, una terza, diversa da quella di Afrodite e Ares, ma così familiare che non ha bisogno di guardare per sapere a chi appartiene.
“Toglile le mani di dosso, o giuro che ti ammazzo.”
Dean.
Dean, che tiene la sua pistola puntata su Afrodite.
Dean, che sta in mezzo a Sam e a Bobby, entrambi armati.
Dean, che ha un fuoco tale nello sguardo che sembra possa uccidere due divinità solo con il pensiero.
Dean, che è lì per lei, per salvarla.
Dean, che le fa tornare la voglia di vivere, che fa si che quella sensazione di accettazione sparisca e risvegli, invece, quella di lottare per la propria vita.
Dean, che non ha contato Ares.
Ares, dio inarrestabile noto per la sua furia in battaglia, che si scaglia proprio su Dean come un toro alla carica. L’unica cosa che riesce ad elaborare, per un lasso di tempo che non riesce a calcolare, è il colpo sordo dei pugni di Ares che si scagliano contro Dean, che reagisce come un leone che cerca di lottare contro un titano.
“Ares, smettila. Subito.” L’ordine di Afrodite è così perentorio che il dio della guerra obbedisce senza battere ciglio. A Natalie sembra di guardare il soldato perfetto, dotato di straordinarie capacità in battaglia e una spiccata capacità di eseguire ordini.
“Vuoi lei, non è vero?” Afrodite si rivolge direttamente a Dean. Non presta più attenzione a Natalie, non degna Sam o Bobby di uno sguardo, come se la loro presenza non la preoccupasse minimamente.
Si dirige verso il cacciatore con passo sicuro e deciso. Incatena i suoi occhi in quelli di Dean, prima di parlare: “Sei disposto a fare qualsiasi cosa per la donna legata a quel tavolo, non è vero?”
Dean lancia un’occhiata a Natalie, soffermandosi troppo a lungo sul sangue che le vede colare dal petto.
“Si.”
“Fammi un esempio.”
Gli occhi di Dean, saettanti di rabbia e odio, tornano sulla dea, colmi di disprezzo nei suoi confronti.
“Morirei, per lei. Ucciderei, per lei. Rovescerei il mondo intero, per lei. Abbatterei il Paradiso, L’Inferno, qualsiasi cosa, per lei. Bombarderei l’universo, per lei. Ti è abbastanza chiaro il concetto, o devo andare avanti?”
Afrodite sorride, di nuovo con quel suo sorriso da predatore famelico a cui piace giocare.
“No, non è necessario.”
Si avvicina a Dean così tanto che l’uomo riesce a percepire il respiro della donna su di se.
“La parte che mi è piaciuta di più è quella in cui dici che moriresti per lei. Dimostramelo,” gli passa il coltello con cui poco prima aveva inciso Natalie, “ucciditi. Poni fine alla tua vita e io la lascerò libera.”
Natalie inizia ad agitarsi legata al tavolo. Sam e Bobby fanno per avvicinarsi, ma Ares sbarra loro il passaggio.
“Dean!” grida la ragazza, ancora legata al tavolo, “Dean non lo fare, ti prego!”
“Va tutto bene, Nat.” La rassicura il cacciatore, “questo sarà un vero sacrificio e lei smetterà di uccidere per un bel po’. E tu sarai salva.”
Natalie inizia a scalciare, con ancora quelle dannate cinghie che le impediscono i movimenti. I suoi talloni picchiano contro il metallo, tutto il suo corpo in preda al panico, si muove come se stesse avendo un attacco epilettico. La paura che Dean possa effettivamente uccidersi per salvarla si fa strada dentro di lei, così violenta da non riuscire nemmeno a gestirla, da non riuscire a tenerla a bada. Non sopporta l’idea di perderlo, non di nuovo, non probabilmente per sempre – perché sa che se Dean questa volta dovesse morire, non ci sarà nessuno a riportarlo indietro e lei dovrà continuare a vivere senza di lui, senza la sua presenza, senza la metà del suo essere, senza il suo cuore. Perché è questo che rappresenta Dean, per lei.
No, non può accettare che muoia per salvarla.
“Prendi me! PRENDI ME!” urla, disperata; la gola che le brucia: “Prendi me, hai già cominciato il rito.”
La dea sorride compiaciuta.
“È questo il tipo di amore che preferisco. Morireste uno per l’altra senza pensarci due volte. È una cosa così rara da trovare oggigiorno. Vi ammiro, ragazzi. Ma cuori come i vostri mi servono, capite? Sono preziosi e carichi di energia, quindi.. vi ucciderò entrambi.” A quelle parole, Afrodite scatta in avanti verso Dean, afferrandolo per la gola e sollevandolo. L’uomo reagisce calciando la dea dritta in petto. Afrodite barcolla all’indietro.
Dean, con la coda dell’occhio, guarda Sam mentre tiene occupato Ares. Il dio sta usando suo fratello come sacco da boxe. Mentre Bobby, fuori dall’attenzione delle divinità, prepara l’arma necessaria ad uccidere la dea.
Afrodite riprende l’equilibrio e si getta su di lui, ma questa volta Dean è preparato rispetto alla prima volta, quindi la schiva, facendola finire contro il muro dietro di lui. Con un movimento rapido, Dean costringe la dea al muro, tenendola bloccata per le braccia. Il viso della donna schiacciato alla parete con forza. Se non fosse una divinità, probabilmente Dean avrebbe già dato sfogo alla sua voglia di fracassarle la testa al muro, solo perché ha ferito Natalie di proposito, solo perché voleva usarla come vittima sacrificale.
“Per quanto questo possa farmi male, non mi ucciderà cacciatore, lo sai, vero?”
“Certo che lo so, stronza!” le ringhia Dean all’orecchio prima di farla girare verso Bobby che, con un movimento deciso, le conficca un palo di legno proprio dentro al cuore.
Afrodite lancia un grido talmente acuto che sembra che le pareti tremino; le acque del mare, già agitate, infuriano sempre di più, andandosi ad innalzare spropositamente e picchiando contro gli scogli con una violenza inaudita. La violenza della Natura, che si arrabbia per aver perso qualcosa di prezioso e perfetto come solo la dea dell’amore può essere.
La dea si accascia, rannicchiandosi su se stessa.
In quell’esatto momento, Ares lascia perdere Sam e corre da lei, dalla sua amata.
La guarda mentre la vita si spegne in lei, rimane impotente a guardare l’amore della sua vita che lo abbandona per sempre e, quando Afrodite chiude gli occhi per l’eternità, il dio della guerra sente tutta la potenza della sua indole salirgli alla gola e andare a formare un groppo violento alimentato da un profondo desiderio di vendetta. E, se prima che tutto questo accadesse, poteva provare anche un briciolo di simpatia – addirittura compassione – per Natalie e la sua sorte, adesso l’unica cosa che vuole è fare in modo che la donna muoia per mano sua, affinché il misero essere umano che ha osato privare lui, un dio, dell’amore della sua intera esistenza, soffra le pene che adesso stanno tormentando il cuore di Ares.
Osserva Dean, già pronto al combattimento, e osserva Sam e Bobby che si sono già diretti verso Natalie per liberarla.
Lascia stare il cacciatore e si dirige verso il tavolo, scagliando entrambi i cacciatori ai lati opposti della stanza; la sua furia e forza sono libere e quei miseri mortali non possono competere con lui, non ora che la sua indole non viene tenuta a freno, ma che, al contrario, viene privata delle redini – redini che solo Afrodite sapeva tenere a bada.
Afferra Natalie per la gola e la solleva con una violenza tale che le cinghie che le tenevano legati polsi e caviglie si spezzano come se fossero fuscelli.
“No, non farle del male!” Grida Dean, avvicinandosi al dio.
Ma Ares non prova pietà; Ares è vendicativo, violento e malvagio; Ares è sanguinolento, spietato e crudele. Lo sanno tutti. L’hanno sempre visto tutti così. L’unica che vedeva del bene in lui, l’unica che riusciva a vedere altro in lui, era la donna che adesso giace priva di vita sul pavimento. E se lei non c’è, non ha più senso cercare di essere migliore.
“Tu hai ucciso l’amore della mia vita. Io ucciderò il tuo.” Non ci pensa due volte, stringe il collo di Natalie e, mentre Dean corre verso di lui di lui per impedire che possa portare a termine la sua opera, estrae dalla sua tasca una pistola e spara contro l’addome della cacciatrice, con tutta l’intenzione di provocarle una morte lenta, dolorosa e terribilmente certa: non c’è niente che possa salvare un essere umano da un foro allo stomaco.
Quando Dean riesce finalmente a braccarlo e a scaraventarlo a terra, il danno ormai è fatto. Lo sparo rimbomba tra le pareti ed esce dalle finestre per andare a disperdersi nel mare. Dean si alza da terra, abbandonando il dio alla sorte che gli riserveranno Sam e Bobby, che dopo lo schianto provocato da Ares hanno riacquistato le forze, e si fionda su Natalie, che è a terra e si preme le mani sullo stomaco; il sangue esce dalla sua pancia, le sporca le mani e arriva fino al pavimento.
“No, no, no, no.”
Dean l’afferra e la tira a se.
“Non te ne devi andare. Non puoi lasciarmi in questo mondo da solo. Non posso farcela senza di te, ricordi?” le passa una mano tra i capelli per liberarle il viso dalle ciocche che le si sono appiccicate alle guance.
Natalie gli sorride, debolmente, cercando di rassicurarlo.
“Va bene così, Dean. Ce la farai anche senza di me.” Sussurra debolmente.
Gli occhi del cacciatore si riempiono di lacrime: “Non voglio farcela senza di te, voglio averti qui. Averti con me, per sempre.”
La guarda mentre percepisce la vita che l’abbandona, osserva i suoi grandi occhi spegnersi e il suo sorriso morire con lei. E l’unica cosa che riesce a pensare è che se lei muore, muore anche lui.
L’unica cosa che gli passa per la mente è che vivere senza di lei, non è vivere. È esistere passivamente in attesa che la sua vita giunga al termine, e allora tanto vale suicidarsi e porre fine alla triste esistenza che gli spetta senza di lei.
“Non mi lasciare, Nat.” Sussurra, mentre si china su di lei per sentila più vicina. “Ti prego.”  La stringe forte a se, il viso nascosto nell’incavo del suo collo e le lacrime che scendono senza sosta, copiose e incontrollabili.
Ma la sua preghiera è inutile, perché Natalie ha già chiuso gli occhi; Nat non lo sente più e se ne sta andando, per sempre.

“Castiel.” Dean sente la voce di Sam in lontananza. “Chiama Castiel!” gli grida, e adesso lo percepisce forte e chiaro.
Ma non serve che Dean pronunci il nome dell’amico, perché l’angelo appare nel momento esatto in cui Natalie sente le forze abbandonarla definitivamente.


                                                                                                   ***

Natalie non ha mai riflettuto su come potesse essere il Paradiso, anche perché non si è mai posta la domanda fatidica: Dove finirò quando morirò?
Ma quando vede la casa di Bobby, capisce che molto probabilmente, alla fine, il Paradiso se l’è meritato.
Involontariamente, pensa alla conversazione che ha avuto con Castiel qualche anno fa, appena dopo l’incidente. L’angelo era andata a trovarla in ospedale – era così impacciato, ma manteneva ancora la sua andatura dal soldato – e non appena entrato nella sua stanza, Natalie l’aveva invitato ad avvicinarsi a lei. Cas era rimasto ai piedi del letto, con le braccia lungo i fianchi, rigido come una statua di gesso. Era in evidente imbarazzo, ma la voglia di starle vicino in un momento simile, aveva fatto si che si sforzasse a fare qualcosa che per gli umani è tremendamente normale, ma per gli angeli è tremendamente strano: andare a trovare qualcuno di caro all’ospedale.  
Cas, non devi stare lì impalato, avvicinati.
Castiel aveva ubbidito e si era messo al fianco del suo letto, sempre in piedi con la sua postura rigida. Nat aveva accennato un sorriso sincero.
Siediti, rilassati, non.. non sentirti a disagio.
L’angelo aveva corrugato la fronte e l’aveva guardata con espressione interrogatoria: Come fai a sapere che sono a disagio?
La tua postura, Cas. Sei rigido come una statua.

Castiel aveva abbassato i suoi profondi occhi blu sulle sue mani: Scusa. Non… non so come ci si comporta, in queste occasioni.
Natalie si era messa a sedere, aveva appoggiato la schiena all’enorme guanciale che le era stato dato per dormire, e aveva fatto spazio a Castiel in fondo al letto, incrociando le gambe per fare in modo che l’angelo avesse spazio a sufficienza per sedersi comodamente.
Cas, senza abbandonare il suo imbarazzo, si era seduto esattamente dove Nat gli aveva indicato.
Mi dispiace per quello che è successo, Natalie. Potrei.. potrei sistemare la ferita, se tu volessi.
A Natalie erano venute le lacrime agli occhi, ma aveva scosso la testa.
No.. non- non ti preoccupare, Cas. Qualcuno ha tentato di uccidermi e sono sopravvissuta, è questo che rappresenta, questa ferita, e voglio che rimanga esattamente dov’è, va bene così – Castiel aveva nuovamente abbassato lo sguardo, sapendo benissimo che niente andava bene, e Nat si era sporta verso di lui, mettendogli una mano sotto al mento per far incrociare i loro sguardi: Va tutto bene, intesi?
Tu e Dean dite sempre che va tutto bene quando invece siete a pezzi. Perché lo fate?
 La guardava con intensità, con una sincera curiosità. Castiel voleva capire come mai gli esseri umani ragionano in questo modo, come mai dicono che tutto va bene anche quando non è vero.
Nat aveva abbassato lo sguardo, incapace di reggere ancora quello dell’angelo e aveva cambiato discorso.
Raccontami qualcosa. – Gli aveva chiesto, con un groppo alla gola e gli occhi lucidi, forzando un sorriso. Si era appoggiata nuovamente al cuscino e, in quel gesto, Castiel aveva riconosciuto lo stesso comportamento di Dean quando vuole evitare un argomento che lo fa particolarmente soffrire, quindi aveva deciso di assecondarla: Ad esempio?
Non lo so, quello che vuoi… Parlami… parlami del Paradiso. Com’è per gli umani?

Castiel si era sistemato meglio sul letto, tanto che sembrava – sembrava – quasi rilassato.
Non esiste un Paradiso solo, per gli umani. Ogni umano ha il suo Paradiso e spesso e volentieri è rappresentato da un luogo in cui in vita sono stati bene, si sono sentiti a casa, felici e sereni. Esistono tanti Paradisi fatti su misura per tutti gli umani che salgono in Cielo.

Per questo, quando si trova in casa Singer, pensa di trovarsi in Paradiso, perché è in quella casa, in quelle quattro mura, che lei ha trovato la felicità, il più delle volte nella sua vita.
Cammina per le stanze che conosce meglio delle sue tasche, fino a quando non arriva in cucina e rimane perplessa da ciò che le si para davanti agli occhi:
Natalie sta guardando se stessa a cinque anni, seduta al tavolo con le gambe a penzoloni e i piedi nudi. Ha addosso un vestitino azzurro, decorato con delle piccole margherite. Bobby, dietro di lei, è ai fornelli e sta preparando da mangiare. Sente nell’aria il profumo del ragù improvvisato e leggermente bruciacchiato.

“Zio Bobby, di che colore sono le zampe delle galline: gialle o arancioni?”
Bobby si volta verso di lei e la raggiunge. Tiene gli occhi bassi sull’album da colorare con cui Natalie sta occupando il suo tempo.
“Penso siano gialle, tesoro. Ma se preferisci farle arancioni, nessuno troverà nulla da dire!”
“Nemmeno le galline?”
Bobby ride e le liscia i capelli: “No, bimba, nemmeno le galline!”
L’uomo torna ai fornelli e Natalie continua a colorare le zampe della gallina – di arancione, ovviamente. I suoi capelli sono tirati indietro da un fermaglio rosa, la sua mano destra intenta a colorare perfettamente dentro ai bordi e gli occhi fissi e concentrati sul disegno.
“Zio Bobby,” Natalie chiama nuovamente il cacciatore, “che ore sono?”


Natalie ricorda quel giorno.
15 Aprile 1988, il suo compleanno. Il suo quinto compleanno.
Ricorda che Bobby le aveva comprato quel vestitino in una bancarella in città perché le era piaciuto tantissimo. Avevano invitato Dean e Sam perché trascorressero la giornata tutti insieme.

“L’una e mezza, cara.”
“Sono in ritardo.”
“Hanno avuto un contrattempo, ma arriveranno.” L’uomo continua a mescolare il sugo con un mestolo di legno, cercando di evitare in tutti i modi che non si bruci irreparabilmente.
“Sei sicuro?”


Bobby non fa in tempo a rispondere a quella domanda che la porta d’ingresso si apre. Natalie va a controllare, trovandosi faccia a faccia con Dean, che ha nove anni e Sam che ne ha cinque – o quasi, visto che compie gli anni a maggio e in questo ricordo siamo ad aprile.

Alle loro spalle, John sale in macchina e lascia la proprietà di Bobby.
Natalie corre verso Sam e Dean. I suoi piedi scalzi zampettano per tutto il tragitto dalla cucina all’entrata e poi abbraccia Sam, che ricambia.
Dean, invece,  le mette una mano sulla testa e le scompiglia tutti i capelli, spettinandola e facendo scivolare il fermaglio che poco prima era sistemato perfettamente.
“Buon compleanno, nanetta!”
Natalie si apre in un sorriso sdentato: “Grazie, Dean.”
Sam, al fianco di suo fratello, le porge un piccolo pacchettino, fatto con la carta di giornale, ornato da un nastro rosso che va a formare un fiocco storto.
“Non era necessario, ragazzi.” La voce di Bobby attira l’attenzione dei bambini, che si voltano a guardarlo.
“Si, invece” dice Sam, con ancora le braccia tese verso Natalie. Bobby fa cenno alla bimba di prendere il regalo.
“Grazie” dice la piccola, rivolto ad entrambi i fratelli.
“Dai, aprilo,” dice Dean, “guarda se ti piace. In quel caso l’ho scelto io. Se ti fa schifo, l’ha scelto Sammy e quindi è tutta colpa sua!”
Natalie ridacchia mentre le sue mani sono intente ad aprire il pacchettino. Bobby, notando che la cosa le causa qualche difficoltà, si china alla sua altezza e l’aiuta nella piccola impresa.
Quando anche l’ultimo pezzo di carta è stato tolto di mezzo, Natalie lancia un gridolino euforico alla vista di quel piccolo peluche contenuto nel pacchetto: un panda, morbido e soffice. Il suo animale preferito.
“È bellissimissimo!”
Saltella per la stanza stringendo il panda al petto, euforica. Al terzo giro, si avvicina ad entrambi i fratelli e li abbraccia uno alla volta.
“Adesso, è arrivata l’ora di mangiare.”

Natalie guarda se stessa e i fratelli seguire Bobby e sparire in cucina.

Poi, lo scenario cambia:

Natalie si trova in una stanza di un motel, non diversa da quelle in cui ha passato tutta la sua esistenza. È piccola, con le pareti coperte da carta da parati piena di strappi, il letto ha una coperta blu scura alquanto sporca e le federe dei cuscini sono così sudice che hanno i bordi grigiastri.
Ricorda quel motel e involontariamente, sorride.
Cammina per la stanza, facendo attenzione a non fare rumore, come se potesse davvero farlo. Lei sta vivendo cose che ha già vissuto, non può essere percepita.
Passa lo sguardo sul portatile acceso sul tavolo, la batteria quasi scarica. Osserva il borsone pieno di vestiti aperto e abbandonato ai piedi del letto.
30 Aprile 2001.
Natalie era uscita di fretta, aveva scoperto come risolvere il caso e, afferrata la borsa con le armi, si era precipitata fuori dalla porta per salire in macchina e andare a fronteggiare un mutaforma. Ricorda benissimo come fosse riuscita a scovarlo e come era riuscita a fronteggiarlo. Era la prima volta in assoluto che Bobby la lasciava cacciare da sola, dopo l’incidente con il lupo mannaro avvenuto l’anno prima.
Era riuscita a sconfiggere la creatura con le sue forze – non senza riportare delle ferite piuttosto toste, ma niente di irrimediabile, per fortuna.
Ricorda come, nel tragitto per tornare al pulcioso motel, una macchina l’avesse pedinata. Superato lo spavento iniziale, le ci era voluto pochissimo per riconoscere l’auto: un’impala nera del ’67.
In quel preciso momento, ancora assolta nei suoi pensieri, Natalie viene destata da una porta che sbatte abbastanza violentemente.

“Non posso crederci! Bobby ti ha mandata a pedinarmi!”
Natalie osserva una se stessa diciottenne entrare nella stanza furiosa come un uragano, seguita da Dean, allora ventiduenne.
“No, Nat. Non mi ha mandata a pedinarti!”
“Allora che ci fai qui? Mi credi stupida??”
Dean si passa una mano tra i capelli corti: “No, non ti credo una stupida.”
Natalie incrocia le braccia al petto e guarda Dean con un’espressione severa in viso: “Spiegami la tua presenza qui.”

La cacciatrice si trova a sorridere, perché ricorda benissimo cos’è successo, quella sera, che rientra sicuramente tra le sue serate preferite in compagnia di Dean.
Dean fa avanti e indietro, percorrendo lo stesso tratto di stanza, nervoso. Continua a passarsi la mano tra i capelli, cercando di riordinare le idee: “È possibile che fossi passato da casa Singer per venirti a trovare e, quando Bobby mi ha detto che eri a caccia, io abbia provato l’impulso di venire a controllare se stessi bene.” 
La guarda con un sorrisetto stampato in viso, quello tipico di chi sa di aver fatto qualcosa che fa innervosire l’altro, ma che cerca comunque di addolcire la pillola e moderare i danni.
“Quindi non mi credi stupida, ma mi credi un’incapace? Pensi che, perché sono una ragazza, io abbia bisogno di un babysitter? Cristo santissimo, sono un’adulta, ormai!”
“Andiamo, Nat. Non è necessario far uscire la femminista che è in te, non volevo trasformare la cosa in una delle tue battaglie per la parità sessuale!”
Natalie assottiglia lo sguardo e in quel preciso istante, Dean si rende conto di aver peggiorato la situazione, così si affretta a rimediare – almeno ci prova.
Il giovane cacciatore alza le mani in segno di resa: “Non guardarmi  così, non prenderla male, dai. Intendevo solo che ero preoccupato.”
Dean si avvicina a lei, con quel sorrisetto furbo e vispo stampato in viso, quello che Nat gli aveva sempre visto rivolgere alle altre ragazze quando voleva fare colpo –  e che le aveva sempre fatto provare una punta di gelosia, se deve essere onesta.
Le è così vicino che riesce a sentire il suo respiro; è così vicino che Natalie deve tenere il viso sollevato per riuscire a guardarlo negli occhi.
“Da quando ti preoccupi per me?”
Dean le scosta una ciocca di capelli dal viso, sistemandogliela dietro all’orecchio, e il cuore della ragazza prende ad accelerare come impazzito. È la prima volta che fa una cosa simile, è la prima volta che la guarda in quel modo così… tenero. Lo stomaco di Natalie si riempie di così tante farfalle che la rabbia svanisce del tutto.
“Da sempre, nanetta.”
Ancora quel sorriso.
Natalie si trova a deglutire, mentre Dean continua a guardarla negli occhi.

Da quando era cotta di lui, dobbiamo chiederci?
Da parecchio.
Da quando, dopo la Louisiana, lui si era avvicinato molto di più a lei e cercava di passare sempre più tempo a casa Singer – talvolta arrivando anche da solo – e aiutandoli con i casi.
Lei, lavorando a stretto contatto con lui, si era resa conto che non lo vedeva più come Dean il suo fratello maggiore, ma come Dean la possibile cotta storica.
Chi l’avrebbe mai detto che aveva dannatamente ragione e si sarebbe perdutamente innamorata di lui?
“Cosa eri venuto a fare a casa?”
Natalie si trova a complimentarsi mentalmente con la se diciottenne per la capacità di mantenere il controllo.
Dean aggrotta le sopracciglia, come colto da un ricordo improvviso: “Giusto, si,” sembra che anche lui debba concentrarsi per mantenere una sorta di controllo, “ero venuto a portarti una cosa!”
Il giovane inizia a frugare dentro ad una tasca interna del suo giubbotto di pelle, fino a quando non estrae un piccolo pacchettino e glielo porge.
“Mi sono perso il compleanno ufficiale, ma non vuol dire che mi sono dimenticato che avessi compiuto gli anni.”

Era vero, Dean non aveva potuto essere presente alla festa dei suoi diciotto anni perché John aveva bisogno di lui. 
Quell’anno, Sam era andato a Stanford e John chiedeva a Dean di rimanere accanto a lui più di quanto facesse di solito. Così, aveva festeggiato con Bobby, Ellen, Jo e May – che era venuta dalla Louisiana perché non si sarebbe mai persa il compleanno della sua piccola. Era stata bene, ma aveva sentito terribilmente la mancanza di entrambi.
Ricorda che Sam l’aveva chiamata la sera verso le undici e avevano parlato fino all’una passata. Era stato un bel momento, perché la sua lontananza la faceva stare più male di quanto ammettesse ad alta voce e sentirlo l’aveva resa felice.
“Non avresti dovuto.”
“Si invece. Mi è dispiaciuto terribilmente non esserci.” Ammette, sinceramente dispiaciuto.
Natalie gli sorride: “Rimedierai l’anno prossimo.”
Dean ricambia, allargandosi a sua volta in un sorriso luminoso: “Puoi contarci. Ora, aprilo.”

Quell’anno non c’era Sam, insieme a loro, per poter fare la solita battuta che piaceva fare a Dean, e che era diventata una specie di rito; quella secondo cui, se il regalo le piaceva, era merito di Dean perché l’aveva scelto lui, altrimenti, era tutta colpa di Sam.
Entrambi avevano sentito la mancanza di quella frase, ma nessuno dei due aveva proferito parola a riguardo, perché sarebbe stato come rivangare l’assenza di Sam e a nessuno dei due andava di farlo.
Natalie si concentra sul suo pacchettino, accuratamente avvolto in una carta argentata e ornato di un fiocco blu. Lo apre interamente, trovando al suo interno un ciondolo: un pentacolo argentato con al centro della stella una piccola ambra.
Se lo rigira tra le mani, osservandolo e sorridendo.
“Ti piace?” la voce di Dean è insicura, ma colma di speranza.
“Scherzi? Lo adoro!” Natalie passa il ciondolo a Dean, si volta, dandogli la schiena, e solleva i lunghi capelli. Dean fa passare la collana davanti al suo viso e chiude il gancetto dietro al collo.
“Mi ha aiutato May a farlo. Volevo qualcosa di speciale, ma non ho la manualità, come ben sai. May era felicissima di darmi una mano! Ha fuso l’argento e fatto la stella dentro al cerchio, io ho comprato la catenella e le ho chiesto se aveva dell’ambra da aggiungerci, perché so che ti piace.”
Natalie passa la mano sopra alla pietra e alza gli occhi su Dean
– Natalie adulta nota solo adesso quanto il suo sguardo fosse languido, mentre guardava Dean. Era davvero così palese che le piacesse?
“Ah si? Sai che mi piace?”
“Certo. So più cose di te di quanto tu possa immaginare, Natalie Duvall.” I suoi occhi tornano a cercare quelli di Nat e li rimangono, inchiodati dentro al grigio della ragazza.
Si avvicina di nuovo a lei, come un attimo prima, facendo in modo che i loro visi siano terribilmente vicini. Inizia a giocare con una ciocca dei suoi capelli lasciati sciolti sulle spalle.
“So che ti piacciono i panda, adori i cani e ne vorresti uno. Ami la musica, di ogni genere, ma prediligi il rock e, se dobbiamo approfondire questo argomento, apprezzi i Metallica, ma preferisci gli AC/DC. Il tuo colore preferito è il rosso, ma apprezzi molto il nero – che abbini ad ogni cosa possibile ed immaginabile – il blu e il viola che, però, indossi raramente. Ami il mare, ma hai paura di spingerti troppo al largo perché temi che un Kraken possa decidere che, essendosi stufato delle navi, gli umani possano essere meglio. Odi con tutta te stessa i ragni, detesti quelle bestie e ti terrorizzano – anche se non capisco il perché. Non ti piace passare sopra ai ponti perché 1) li trovi pericolanti; 2) l’altezza in generale ti spaventa. Ti piace mangiare gli spicchi di limone, il giallo della buccia e il loro profumo ti mettono allegria; odi i kiwi perché dici che la loro peluria ti fa senso e il loro sapore ti fa addormentare la lingua; so che canti sotto alla doccia, sbagliando le parole, ma è così che ti piace cantare.” Dean non lascia mai il suo viso, mentre parla, continuando a giocare con i suoi capelli. Poi accenna un sorriso: “Posso continuare all’infinito, Nat.”
La giovane non sa come reagire, essendo troppo intenta a tenere a bada il suo cuore che ha iniziato a battere così forte che adesso riesce a sentirlo in tutto il corpo. Batte forte e violento contro la cassa toracica per far sentire la sua presenza, o semplicemente per farle capire, senza ombra di dubbio, l’effetto che Dean ha su di lei.
“N-non serve.” Sorride, timida. “N-non pensavo prestassi così tanta attenzione a me.” Abbassa gli occhi, mordendosi il labbro, imbarazzata.
Dean porta una mano sotto al suo mento e fa in modo che i loro sguardi si incrocino di nuovo: “Ho sempre prestato tanta attenzione a te, solo che negli ultimi tempi il mio modo di guardarti è cambiato.”
“Da quando?” Natalie si trova a guardare intensamente gli occhi di Dean, di quel verde così brillante che anche provando a descriverlo nel modo più attento possibile, il risultato sarebbe comunque banale, rispetto alla loro essenza perfetta. Gli occhi di Dean non sono fatti per essere descritti, sono fatti per essere guardati e per perdercisi dentro.
“Da quando Jacob McAdams ti ha portata via da me. Ogni volta che entravo a casa tua e tu non c’eri, sentivo la tua mancanza in un modo che mi ha fatto riflettere, e sono arrivato alla conclusione che forse non ti vedo più come la mia sorellina.”
Nat sfiora la mano con cui Dean sta giocando con i suoi capelli, così il ragazzo fa intrecciare le loro dita. La giovane cacciatrice sorride, timida.
“Per questo trovavi ogni scusa per venire a casa nostra?”
“Si, volevo assicurarmi non ci fossero altri Jacob che ti ronzassero intorno. Monitoravo la situazione.” Dean alza un angolo della bocca.
“E perché me lo dici adesso?”
“Perché mi hai sempre dato l’impressione di non mettermi sotto a quella luce e non volevo espormi.” Confessa, alzando una spalla.
“Quindi mentre ti assicuravi che non ci fossero altri Jacob, tu andavi con ogni ragazza che incrociava il tuo cammino solo perché non eri sicuro che ricambiassi?”
“Non ti ho mai impedito di avere altre relazioni.” Dean le accarezza il dorso della mano con il pollice.
“Hai ragione. Ero io che non le volevo.”
“E non volevi perché….?” Le sorride, furbo.
“Lo sai perché!” Natalie gli punta l’indice della mano libera al petto.
“Voglio sentirtelo dire.” 
Dean scioglie la stretta e le afferra il viso tra le mani, sfiorando con i pollici le sue labbra. Natalie sente le guance andare in fiamme e il suo cuore impazzire definitivamente.
“Perché mi piaci, Dean.”
Il giovane sorride, prima di chinarsi su di lei e stamparle un bacio sulle labbra, in attesa che Nat schiuda le sue. E quando lei lo fa, le loro lingue iniziano a giocare in sintonia, muovendosi insieme come se l’avessero sempre fatto. È un bacio timido solo all’inizio, poi diventa sempre più naturale, come se quel momento fosse stato scritto per finire esattamente in quel modo, con le mani di Dean sul viso di Natalie, le mani di lei allacciate dietro al collo di lui e le loro bocche unite
.

Natalie vorrebbe rimanere ancora un po’ a rivivere quel ricordo, ma lo scenario cambia nuovamente:

Si trova di nuovo a casa Singer, nella sua stanza. Il buio la circonda, fatta eccezione per la televisione davanti al letto tenuta accesa, che trasmette un alone di luce biancastra che illumina, a cono, lo spazio davanti a se.
Natalie ricorda anche quel giorno.
25 Ottobre 2006.
Natalie, con un’influenza terribile, è nel suo letto, sotto al piumone per rimanere al caldo; indossa un pigiama di pile blu e dei calzini di lana gialli. I brividi febbrili le percorrono tutto il corpo, segno che la temperatura sta aumentando.
“Fantastico,” borbotta, tra se e se, “come se averla avuta fino ad ora a trentotto non fosse abbastanza!”
Si sistema meglio, tirando il piumone fin sotto al mento e continua a guardare la tivù: ha messo dentro al lettore DVD uno dei suoi film preferiti, Gli Intoccabili.
Tira su con il naso, mentre Eliott Ness si reca all’accademia di polizia per scegliere il  tiratore perfetto, che risulterà poi essere George Stone. È intenta a seguire lo sviluppo della trama, quando sente bussare alla porta.
“Avanti” mugola.
Dalla porta entra Dean, con una delle sue camicie a quadri, i jeans chiari, un sorriso incoraggiante stampato in viso e un vassoio con un piatto pieno di zuppa fumante in mano.
“Ti ho portato da mangiare!”
“Non dirlo con così tanto entusiasmo, altrimenti crederò che sia qualcosa di buono, tipo la pizza. E non un brodino puzzolente.”
Dean corruga la fronte: “I miei brodini non sono puzzolenti!”
Natalie ridacchia: “Si, lo sono.”
Dean le fa una pernacchia, mentre si avvicina a lei con cautela, facendo attenzione a non rovesciare  per terra il liquido bollente all’interno del piatto. Natalie, mentre si sistema a sedere, preme l’interruttore sopra alla testata del letto per accendere la luce. Strizza leggermente gli occhi, quando la stanza viene inondata dalla luce elettrica – conseguenza, quella, di essere stata troppo al buio.
Il vassoio che Dean ha in mano è uno di quelli che può essere adibito anche a tavolino, quelli che si usano per fare la colazione a letto quando si è troppo pigri per camminare fino alla cucina e – soprattutto – quando si ha qualcuno disposto ad alzarsi al posto tuo per prepararti qualcosa di buono da mangiare come primo pasto della giornata.
Quando il ragazzo le mette sotto al naso quell’intruglio puzzolente di pollo mischiato con qualche verdura di cui Nat non vuole conoscere la natura – meglio non rischiare di venire a sapere che dentro al brodo stiano facendo il bagno dei broccoli tritati. Lei odia i broccoli – non riesce a trattenere una smorfia schifata.
“Puzza. Non lo voglio.”
“Devi mangiarlo.” Dean afferra il cucchiaio, lo riempie del liquido caldo e glielo porta alla bocca. Nat si gira di lato, così Dean insiste: “Non costringermi a tapparti il naso. Guarda che lo faccio!”
La ragazza scoppia a ridere, divertita: “D’accordo, lo mangerò. Dammi quel dannato cucchiaio!”
Dean le porge il cucchiaio e Natalie, dopo averlo preso, comincia a mangiare, gettando di tanto in tanto occhiate alla tivù. Il ragazzo segue il suo sguardo, portando a sua volta i suoi occhi alla televisione: “L’hai cominciato senza di me? Avevi detto che mi avresti aspettato!” si toglie le scarpe e poi si arrampica sul materasso fino a raggiungere il posto del letto vuoto, vicino a Nat, dove si sistema, mettendosi a suo agio.
“Ci mettevi troppo a preparare l’intruglio, quindi ho cominciato!”
“Ingrata.”
Natalie gli fa una linguaccia e continua a mangiare. Nonostante quel brodo puzzi, alla fine deve ammettere che non è così male. Finisce tutto, come una brava bambina che sa di essere tenuta sotto osservazione da un padre fin troppo apprensivo, e quando il suo piatto è finalmente vuoto, appoggia il cucchiaio sopra al vassoio.
“Visto? Non era poi così terribile!” Dean si alza dal suo posto, fa il giro del letto e afferra il vassoio che mette sopra alla scrivania: “Lo porto giù dopo, altrimenti mi perdo altri pezzi di film!”
Natalie gli fa cenno di sedersi nuovamente accanto a lei picchiettando la superficie del materasso con il palmo della mano aperto. Dean non se lo fa ripetere e si sistema come un attimo prima, ma più vicino alla ragazza.
È così vicino che Natalie può sentire il suo profumo – che riconoscerebbe in mezzo ad altri milioni.
È così vicino che impiega una frazione di secondo a prenderla per mano.
Natalie porta lo sguardo sulle loro dita incrociate: “Che stai facendo??” domanda, prima di spostare lo sguardo su di lui.
“Mi sembra una cosa piuttosto ovvia.”
“No, non lo è. Vorrei ricordarti com’è andata l’ultima volta.”

L’ultima volta risaliva a due anni prima quando, dopo aver passato tre anni insieme come una coppia, Dean aveva dovuto andarsene con John, che aveva chiesto la sua presenza accanto a lui in modo categorico. Dean, che all’epoca vedeva suo padre come una specie di eroe, aveva deciso di seguirlo senza battere ciglio. Gli ordini sono ordini e i bravi soldati obbediscono senza obiettare.
“L’ultima volta non è stata una mia scelta.”
“Ma ci hai tagliati fuori. Mi hai tagliata fuori.”
Natalie ripensa a qualche giorno prima, quando lei e Dean avevano avuto una dettagliata chiacchierata in cucina e lui aveva parlato di tutto ciò che era successo da quando si erano separati. La storia della caccia al demone che aveva ucciso Mary; dell’incidente; di Tessa la mietitrice; della sua quasi morte e di quella certa di John, che gli aveva fatto sospettare avesse fatto un patto con Occhi Gialli per salvare Dean, condannando se stesso all’Inferno. Quella, seppur tragica, era stata la prova che, per quanto si potesse pensare il contrario, John Winchester era profondamente legato ai suoi ragazzi, anche se non era mai riuscito a dimostrarlo.
“Era complicato. Erano gli affari di famiglia e non volevo che tu venissi coinvolta nel pericolo.”
“Caccio, Dean. La mia vita è sempre in pericolo.”
“Non sto dicendo di non aver sbagliato, ok? Dovevamo coinvolgervi di più, sia te che Bobby.”
Dean tira un profondo sospiro, senza mai allentare la presa sulla mano della ragazza: “Ascolta, Nat, so che questo..” abbassa gli occhi sulle loro mani incrociate, poi torna a guardarla, “..può sembrarti strano, ma standoti lontano ho capito che non potrei mai sopravvivere a tutto questo, se non sapessi che, dopo tutta la merda che vedo ogni giorno, ci sei tu che mi aspetti da qualche parte – che sia questa casa o qualche motel. Andiamo, anche quelle bettole in cui passiamo i nostri giorni diventano meno schifose, quando con me ci sei tu.”
 Natalie lo guarda, senza sapere esattamente cosa dire. Sente le guance diventare rosse – e di sicuro non è la febbre – e il cuore accelerare, come se fosse di nuovo una ragazzina. Probabilmente, si trova a pensare, anche quando avrà sessant’anni – se ci arriverà – ogni volta che Dean la guarderà, o le dirà cose del genere, reagirà nello stesso modo. Perché lei, nel bene e nel male, ama l’uomo che ha vicino, che è capace di uccidere chiunque a mani nude solo perché ha
pensato di trattarla male, ma è anche capace di premure gentili, come quel puzzolente brodo di pollo. Dean, che non è bravo a parole, ma che si è sforzato di essere il più sincero possibile. Dean, che la guarda come si guardano le cose belle, le cose preziose, le cose che ami.
Dean che la ama, anche se non riesce ancora a dirlo.
“Sai una cosa, Winchester? Io ti amo, e sono piuttosto sicura lo farò per il resto della mia vita. Se è questo..” con un cenno indica le loro mani, “..che vuoi, devi sapere che è esattamente la stessa cosa che voglio anche io da quando, cinque anni fa, mi hai baciata per la prima volta.” 
Dean sorride, prima di prenderle il viso tra le mani e stamparle un bacio sulle labbra, beffandosi della febbre e dei germi. Chissene frega dell’influenza, Nat gli ha appena detto che lo ama e che lo vuole al suo fianco esattamente come lui vuole lei. Tutto il resto è secondario. 


Dopo ciò, lo scenario cambia di nuovo.
Natalie si trova ancora a casa Singer, ancora nella sua stanza, e sta guardando se stessa distesa sul proprio letto, priva di sensi. Questo è piuttosto sicura non sia un ricordo, ma il presente. Di colpo, si rende conto di non essere morta, ma di vivere una specie di esperienza extracorporea. La cosa non le piace per niente, se deve essere onesta. L’ultima volta che ha sentito di un’esperienza simile, stava ascoltando Dean che le raccontava di Tessa, che fingendosi inizialmente sua amica, voleva solo convincerlo a lasciare questo mondo.
Sente la porta aprirsi e, d’istinto, si volta a guardare. Vede Dean entrare facendo meno rumore possibile; indossa una maglietta a maniche corte grigia scura e i jeans. Si avvicina al suo letto, sedendosi su una sedia lasciata accanto a lei.
“Ehi,” le sussurra, accarezzandole una guancia con delicatezza, “come ti senti oggi?”  Le chiede, dolcemente, poi si passa una mano sulla faccia, stanco. Natalie nota che Dean non si è ancora tagliato la barba, ma piuttosto l’ha fatta crescere folta e rossa.
Vorrebbe trovare un modo per comunicare con lui, per dirgli che lei sta bene che non si deve preoccupare, ma non sa come fare. Vederlo in quello stato, con il viso così tirato e gli occhi lucidi e privati delle necessarie ore di sonno, le fa stringere il cuore.
“Cas dice che questo tuo stato comatoso è normale, ma sto letteralmente impazzendo.” Appoggia i gomiti alle gambe e si prende la testa tra le mani. Sembra perso. Spaventato. Angosciato.
“Devi tornare da me, Nat.” Sussurra, con il viso rivolto verso il pavimento, “Devi farlo.” Alza la testa e si sporge verso di lei, stringendole entrambe le mani, “Devi.” Ripete un’altra volta, con gli occhi che iniziano a riempirsi di lacrime. Si morde il labbro inferiore per evitare di cominciare a piangere.
Natalie vorrebbe gridargli che lei è proprio lì, in quella stanza; vorrebbe gridargli che lo sente e che non vuole vederlo ridotto in quello stato, ma sa che sarebbe tutto inutile. Sono in due dimensioni diverse, adesso. Dean è nel mondo dei vivi, lei è in quel limbo tra la vita e la morte. È diventata ciò che ha sempre cacciato: un fantasma.
Si avvicina a Dean, che stringe ancora le mani della Natalie sdraiata sul letto, e gli appoggia una mano sulla spalla. Provare non le costa nulla. Alla fine, non è ancora morta del tutto.

“Non può sentirti, tesoro.”
Una voce che conosce fin troppo bene giunge dalle sue spalle, così Nat si gira, trovandosi faccia a faccia con May.
“May? Che ci fai qui?”
“Ti sto vicino, bambina mia.” la donna si avvicina a lei e la abbraccia. Natalie si stupisce della fisicità di quel gesto, di quanto riesca a percepirlo su di se, di quanto riesca a sentire la pelle delle braccia nude di May sopra alla sua. Tutto ciò la confonde.
“N-non capisco,” poi un pensiero devastante la colpisce all’improvviso, “Non ti è accaduto niente di grave, vero??” chiede, temendo che la donna le dica che sì, ha rischiato la vita anche lei negli ultimi giorni ed è finita in uno strano coma causato da un angelo.
May si allarga in un sorriso rassicurante: “No, piccola, io sto benissimo. Sono nella tua testa da quando Dean mi ha chiamato in preda al panico, quattro giorni fa, chiedendomi di fare qualcosa per svegliarti.”
“Eri tu che mi hai fatto vedere quei ricordi?”
May annuisce.
“Perché?”
“Perché so che quei momenti li hai impressi nel cuore a caldo. E so che volevi tenere Dean sulle spine. Volevo ricordarti come sei felice quando sei con lui; volevo che il tuo cuore, reso amaro dalle battaglie e dalle atrocità che hai vissuto, ricordasse l’amore. Guarda cosa è successo ad Ares, quando ha perso la sua Afrodite. Guarda come si riducono gli esseri viventi, quando perdono l’amore: lasciano che la loro esistenza venga corrotta e avvelenata dalla violenza, dalla tristezza, dalla crudeltà. Non fare la fine di Ares. Perdona Dean, per quello che ha fatto. Lui stesso si odia per ciò che ha fatto, ma le sue azioni erano tutte in buona fede.”
Natalie sente una lacrima cadere silenziosa sul suo viso. May la raccoglie con dolcezza.
“Sapevo che l’avrei perdonato dal primo istante che è tornato. E ciò mi metteva a disagio, perché pensavo che avrebbe potuto farmi qualsiasi torto volesse e io l’avrei comunque perdonato, ma non voglio che sia così. Non voglio dipendere così tanto da lui da permettergli di farmi qualsiasi cosa, purché torni da me. Lo amo, May, Cristo, se lo amo. Ogni centimetro di me lo ama. Ma devo amare anche me stessa.” Le si spezza la voce e le lacrime iniziano a scendere silenziose.
“Tesoro,” May la stringe forte a se, “ciò di cui parli è estraneo alla situazione in cui vi siete trovati. Ciò che dici varrebbe se Dean ti ferisse per il gusto di farlo, o perché è talmente concentrato a soddisfare se stesso che continua a fare determinate azioni, anche se sa che queste sue azioni ti fanno male. In quel caso, se lui fosse un uomo del genere, sarei la prima a dirti di dargli un calcio nel sedere e allontanarti da lui. Ma Dean non è quel tipo d’uomo. Dean ti ama più di qualsiasi cosa al mondo. La sua intera esistenza gira intorno a te. Dean farebbe di tutto per te, per renderti felice. Ciò che ha fatto l’ha fatto perché all’inizio pensava di salvarti. Solo dopo si è reso conto che così era peggio.”
“È troppo impulsivo.” Dice, tra i singhiozzi, tirando su con il naso.
“Lo è.” May le accarezza il braccio,  “Ma voi siete anime gemelle, tesoro mio. Non ti sei persa in lui, semplicemente vicino a lui nasce una nuova te, una te più felice. E nessuno vuole rinunciare alla felicità, quando sa di avere trovato quella vera. Perciò, quando dici che dipendi da lui, dico che dipendi dalla felicità. E, piccola, è una cosa così rara da toccare che mi sento obbligata a dirti di non lasciarla scappare.”   
Natalie ci pensa su, in silenzio. Riflette su ciò che ha detto May e si trova a concordare.
“Devo dirglielo. Devo dirgli che l’ho perdonato. Ma non so come, non se sono intrappolata in questa dimensione.”
May sorride, tenendole il viso tra le mani.
“Per questo non sono venuta sola.”
Al fianco di May, in quel preciso istante, compare Morte, vestito di nero e con il suo profondo sguardo che, nonostante Nat si sforzi, continua a metterla in soggezione.
“Tu s-sei qui per uccidermi?”
Morte, impassibile, si avvicina ancora di più a lei, facendo in modo che May, invece, si allontani. Improvvisamente, Natalie si sente più vulnerabile, più in pericolo, come se la vicinanza di May limitasse in qualche modo i poteri di Morte. Che cosa sciocca, pensa. Nemmeno May, per quanto dotata e in gamba sia, è in grado di tenere a bada Morte.
“No. La tua ora non è ancora arrivata.”
“Ma Ares..”
Morte alza l’indice ossuto e perlaceo con un movimento perentorio che Nat interpreta nell’unico modo possibile e inequivocabile: vedi di tacere.
D’istinto, ritira le labbra all’interno della bocca – come se, così facendo, si cucissero – e porta le mani dietro alla schiena. Rimane rigida, come un soldato in attesa di ordini.
“Non sono qui perché tu possa stare con Dean Winchester, sono qui perché la tua presenza sulla Terra, in questo momento, è importante. Non mi piace, chiariamoci. Se Castiel non fosse intervenuto saresti morta e quindi questo, per me, è sconvolgere l’ordine naturale delle cose – che i tuoi compagni di caccia hanno scombinato un po’ troppo. Ma mi sento obbligato a dire che in questi tempi, c’è qualcuno che mette a soqquadro l’ordine molto più di quanto abbiano mai fatto i Winchester: la Madre. È risorta e sta creando figli suoi che popolano la terra…”
“Ma i mostri ci sono sempre stati..”
Morte, vista l’interruzione non richiesta di Natalie, porta i suoi neri e freddi occhi su di lei – un muto rimprovero così severo che le fa partire un brivido di terrore dalle budella e si disperde per tutto il corpo.
Tacere, Natalie. Devi. Tacere. – pensa la cacciatrice.
“Non posso darti torto, i mostri ci sono sempre stati e hanno sempre popolato la terra, ma.. ci sono sempre stati abbastanza cacciatori che provvedevano ad ucciderli e a creare un equilibrio bilanciato. Adesso, visto che la Madre ne crea di nuovi e sempre più feroci, ci sono sempre più vittime umane. Questo significa che, se dovesse continuare così, ben presto i mostri saranno più degli umani e non ci sarà più un equilibrio, non ci sarà più l’ordine naturale delle cose che faccio funzionare. Quindi, ho bisogno di voi tre e della vostra esperienza. Uccidete la Madre, ripristinate l’ordine e vedete di non morire nell’impresa, perché questa volta farò in modo che nessuno vi riporti indietro. Intesi?”
Natalie, con la gola secca e incapace di pronunciare anche solo una sillaba, si trova ad annuire il più vigorosamente possibile.
“Bene. Una piccola dritta: ciò che vi serve è nella libreria segreta dei Campbell.”
“Cosa ci serv-”
Morte alza di nuovo l’indice, ma questa volta per toccarle la fronte. Natalie si sente risucchiare, come se qualcuno le avesse messo un’aspirapolvere gigante dietro alla schiena. Improvvisamente, vede le figure di May e Morte scomparire, lasciando posto al buio totale.
Qualche istante dopo, l’unica cosa che sente, sono le mani calde di Dean che tengono strette le sue.
È di nuovo a casa.  


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Ciao a tutti :) 
So che avevo detto che questo sarebbe stato l'ultimo capitolo, ma stava diventando davvero lungo, quindi ho deciso di continuare in un altro - complimenti a me e alla mia disorganizzazione! (Spero abbiate ancora un po' di pazienza) 
Il capitolo... pareri? Vi è piaciuto, vi fa schifo, non mi sopportate più? 
Siete stufi di leggere mitologia greca quando si tratta di mostri? La fantasia non è il mio forte, in quel caso, e se devo essere sincera, i miti greci mi piacciono tantissimo - anche se, molto probabilmente, Ares e Afrodite non erano proprio così, ma spero comunque che non vi abbiano delusi. 
Ho citato Gli Intoccabili, finendo per fare quella cosa che gli scrittori veri non fanno perché, si sa, non è proprio professionale: inserirmi nella storia. Amo quel film e soprattutto, dopo l'episodio della settima stagione, mi piacerebbe tantissimo vedere un remake con Jensen nei panni di Eliott Ness. 
Comunque, niente.. vorrei sapere cosa pensate di questo capitolo, se vi va. 
Ringrazio come sempre chi legge, chi recencisce, chi segue o mette fra i preferiti la storia - non smetterò mai di dirlo, ma sapere che c'è qualcuno che l'apprezza è davvero importante, per me. 
Alla prossima, che spero non sia troppo tardi! <3



 







 

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Capitolo 8
*** 8. ***


La sensazione di dormiveglia la conosciamo tutti. È quella soglia in cui sappiamo che stiamo per svegliarci, ma siamo ancora abbastanza immersi nel mondo dei sogni per svegliarci completamente, un po’ come se il nostro corpo capisse più tardi del nostro cervello che è ora di svegliarsi. È così che Natalie si sente. Sente le mani di Dean intrecciate alle sue, riesce a sentire la sua voce – sta parlando con Sam, ma non riesce a capire cosa stanno dicendo – ma il suo corpo non vuole saperne di svegliarsi totalmente.
Rimane in quello stato per qualche istante. Sente nuovamente silenzio, intorno a se, segno che in quella stanza, a parte Dean che non si è mosso di un millimetro, non c’è più nessuno. Prova a sollevare le palpebre e ci riesce. Piano piano i suoi occhi si aprono, abituandosi lentamente alla luce del giorno che filtra dalla finestra. È stata troppo tempo con gli occhi chiusi.
“Dean..” sussurra, roca – così tanto che sembra abbia gracchiato il nome dell’uomo al suo fianco. Il cacciatore porta i suoi occhi su di lei. È stanco, proprio come l’aveva visto qualche attimo prima nella sua esperienza extracorporea;  i suoi occhi sono cerchiati da occhiaie e contornati da rughe, che la preoccupazione ha reso più marcate. Ma non appena la vede sveglia, Natalie osserva quegli stessi occhi stanchi illuminarsi, come se stessero riacquistando linfa vitale.
Dean si lancia su di lei, inglobandola in una abbraccio e stringendola così forte che sembra non voglia lasciarla andare mai più.
“Sei qui.” Sussurra.
Lei ricambia l’abbraccio, stringendo più forte che può, nonostante si senta un po’ debole.
“Sono qui, Dean.” E forse per l’emozione, o forse semplicemente perché è grata di poterlo toccare di nuovo, Nat inizia a versare lacrime silenziose.
“Pensavo ti avrei persa per sempre.” Si allontana da lei, solo per guardarla un attimo in viso e poi baciarla. Le stringe il viso tra le mani e la bacia con l’urgenza tipica degli amanti che hanno rischiato di perdersi, una foga bisognosa, quasi feroce. Un desiderio che parte dallo stomaco e esige di essere soddisfatto.
La necessità di riprendere fiato, obbliga i due ragazzi a staccarsi, ma Dean non le lascia il viso e appoggia la sua fronte a quella di Natalie.
“Non farmi mai più una cosa del genere, intesi?”
Nat appoggia le sue mani sopra a quelle di Dean: “Non ti farò mai più una cosa del genere.”
Sanno che è una promessa vana, lo sanno entrambi e lo sanno fin troppo bene, ma in momenti come questi, forse, una promessa che non si può mantenere, ma fatta a fin di bene, vale lo stesso.
“Brava.” Le bacia la fronte e Natalie, d’istinto, chiude gli occhi, assaporando ogni secondo di quell’attimo.
“Come ti senti?” continua Dean.
“Un po’ debole, ma sono viva, quindi.. va tutto bene. Perché non mi racconti com’è andata?” Natalie si sistema a sedere sul letto, appoggiando la schiena alla testiera. Dean si alza dalla sedia e l’aiuta nell’impresa, sistemandole meglio i cuscini per fare in modo che sia il più comoda possibile.
“Dopo che Ares…” i suoi occhi diventano lucidi, ma la sua voce anzi che spezzarsi, si riempie di rabbia, ricordando l’episodio, “..ti ha sparato, abbiamo chiamato Castiel. La ferita era profonda e sarebbe stata mortale se lui non fosse intervenuto. Ha detto che comunque per riprenderti ci avresti messo un po’.. confesso che più i giorni passavano più pensavo saresti rimasta in quello stato comatoso.”
Le accarezza il viso: “Ho temuto davvero il peggio, Nat.”
“Ma sono qui, no? Quindi, grazie a Cas, il peggio è passato… devo ringraziarlo.”
“È di sotto, insieme agli altri. Vado a dirgli che sei sveglia, almeno vengono, ok?”
“Aspetta, ancora un minuto…”
Natalie si sdraia di nuovo e, mettendosi in costa, fa cenno a Dean di mettersi vicino a lei. Il cacciatore fa il giro del letto e si sistema al suo fianco.
“Come avete fatto a trovarmi?” domanda, ripensando all’improvvisa entrata dei suoi salvatori nel momento giusto.
Dean le passa una mano sul collo e afferra la catenina, estraendo il pentacolo: “Non te l’ho mai detto in questi anni perché pensavo mi prendessi per un pazzo, o per uno stalker, ma quando io e May l’abbiamo fatto, le ho chiesto se la pietra poteva essere magica. Se pronuncio determinate parole davanti ad uno specchietto apposito, l’ambra mi mostra il posto dove ti trovi, riflettendo l’immagine dentro allo specchio. È una sorta di incantesimo di localizzazione.”
Natalie sorride: “Hai ragione, ti fa sembrare un po’ uno stalker, ma non potrei essere più felice che tu abbia questa mania di tenermi d’occhio, in questo momento.” Si avvicina a lui, rannicchiandosi contro il suo petto. Dean le appoggia il mento sopra alla testa e la stringe forte a se.
“Non voglio passare altro tempo senza di te, nella mia vita.” Dice poi, contro al petto del cacciatore. “Ti ho chiesto tempo, ma non ho bisogno di altro tempo per capire che ti amo. Magari non ti sei comportato nel migliore dei modi, è vero, ma come mi ha fatto notare May nella mia esperienza extracorporea, i tuoi errori sono stati fatti in buona fede e credo tu abbia pagato anche troppo. So che ti eri affezionato a Ben e hai dovuto lasciarlo andare, e so che volevi bene anche a Lisa.” Nat si trova improvvisamente a pensare a quella donna che, al suo fianco, l’aiutava a sistemare la cucina. Ricorda il suo sguardo addosso, probabilmente per studiarla, per capire chi fosse veramente, o forse per cercare di capire fino in fondo che importanza avesse nella vita di Dean, probabilmente conoscendo già la risposta, probabilmente sapendo già che per quanto potesse essere affezionato a lei, per Natalie provava qualcosa di molto più forte, molto più radicato, e se pensa a tutto questo, Natalie si trova a pensare che la perdita di memoria è la cosa migliore che Dean potesse fare per lei, rimuoverle il ricordo di qualcosa che in un certo senso lei stessa sentiva non le sarebbe mai appartenuto totalmente. Lisa è una brava persona e non merita di essere la seconda scelta di nessuno.  “Commettiamo errori, Dean, ma tu hai cercato di rimediare e quindi in cuor mio so di averti perdonato. Spero tu possa perdonare anche me per come mi sono comportata.”
Dean, con le lacrime agli occhi – ultimamente ha la lacrima facile, nemmeno fosse una donna incinta in piena tempesta ormonale – le bacia nuovamente la fronte: “L’ho già fatto. L’ho fatto nel momento esatto in cui mi sono reso conto che, se non me ne fossi andato, tu non ti saresti sentita a pezzi, o un giocattolo usato e dimenticato. Perché tu sei tutto, tranne che questo, per me. Sei.. tu sei la persona più importante della mia vita.”
Natalie gli passa un braccio intorno al busto e lo stringe: “Anche tu lo sei. Ma penso che se ti sentisse Sam avrebbe da ridire.”
Dean ridacchia: “Lui è importante in un altro modo.”
“Lo so.” Alza il viso e gli stampa un bacio sul mento. Dean abbassa il volto, facendo in modo che i loro sguardi si incastrino l’uno nell’altro.
“Davvero bombarderesti l’universo, per me?”
“Se fosse possibile e avessi l’assoluta certezza che così facendo ti salverei, si, lo farei senza ombra di dubbio.”
Natalie sorride e torna con la testa contro il suo petto, trovandosi ad ascoltare il cuore di Dean. E all’improvviso, si trova a pensare che ciò che batte nella casa toracica dell’uomo vicino a lei le appartiene nello stesso modo in cui ciò che batte nella sua cassa toracica appartiene a Dean. È così e sempre sarà. Fino a che i loro cuori batteranno, apparterranno sempre l’uno all’altra.

                                                                                                     ***


Bobby è stato il primo a salire. Dean, dopo essere stato ancora un po’ con Natalie era sceso per andare ad informare gli uomini di sotto del fatto che fosse sveglia, e il vecchio cacciatore si era incamminato su per le scale senza nemmeno chiedere a Sam o a Castiel – che era rimasto con loro da quando aveva curato Nat – se volessero seguirlo.

Nat, ancora a letto, osserva la porta della sua camera aprirsi con impeto. Bobby rimane momentaneamente impietrito sull’uscio a guardarla; gli occhi lucidi, pieni di lacrime che ricaccia indietro.
“Oh, la mia piccola.” Sussurra, prima di andare da lei e abbracciarla. Natalie, seduta, si allunga più che può verso Bobby per fare in modo che lui non si chini troppo.
“Che spavento mi hai fatto prendere, tesoro. Non farlo mai più.”
Bobby non è un tipo che regala facilmente smancerie e nomignoli, lo fa solo quando si sente sollevato dopo una situazione che gli ha causato troppa apprensione. O almeno, con lei ha sempre fatto così.
“Non lo farò più.”
È già la seconda promessa che fa e che sa che non riuscirà a mantenere. La vita del cacciatore è tutto, fuor che priva di pericoli. Ma pensa che anche Bobby lo sappia, e adesso abbia solo bisogno di una frase del genere per tranquillizzarsi.
“Tu.. Dio mio, perdevi così tanto sangue.. e io… io ero lì impotente. Ho perso di lucidità.” Nella sua voce c’è una nota di rammarico, come se si incolpasse di qualcosa.
“Ma sono qui, Bobby..”
Il cacciatore la stringe così forte che a Natalie manca il respiro. D’istinto, con la mente va a pensare a sua zia Karen, la moglie di Bobby, morta a causa di una possessione demoniaca che il cacciatore non sapeva ancora gestire. Pensa a come un giovane Robert Singer quel giorno avesse stretto al petto il corpo privo di vita della moglie, la stessa moglie che si era trovato costretto a pugnalare nel tentativo di liberarla da quel demone che aveva scelto di usarla come contenitore. La scena della quasi morte di Natalie, deve averlo riportato indietro di anni, a quell’esperienza traumatica dove non solo Bobby era stato costretto a vedere la donna che amava morire, ma sapere anche di essere lui la causa della sua morte.
Il sangue che usciva dal ventre di Natalie, per un attimo, era il sangue che usciva da Karen.
Bobby ha rivissuto la morte della sua adorata moglie e il suo cervello ha perso lucidità.
“Sei qui.” Ripete l’uomo, come se dovesse convincersi.
“Sarò sempre qui.”
E sa che promettere una cosa del genere è sbagliata, lo sa benissimo, ma sa anche che in questo momento Bobby ha bisogno di sentirselo dire.
Lo sente tirare su con il naso, prima di allentare la presa e rimettersi in posizione eretta.
“Hai bisogno di qualcosa?” le chiede, con gli occhi arrossati e la voce roca.
Natalie gli sorride, cercando di tranquillizzarlo il più possibile, cercando di fargli percepire che adesso sta bene, che si riprenderà e che lui non deve temere assolutamente nulla.
“No, stai tranquillo, sto bene così.”
“Ci hai fatto spaventare, sai?” tira su con il naso, come se avesse pianto, anche se in realtà non l’ha fatto. “Pensavo che questa volta la magia di Castiel non avesse fatto effetto, anche se lui continuava ad insistere che era normale stessi in quel coma.”
Bobby si accomoda sulla sedia della scrivania, rivolgendola verso il letto di modo da poter stare accanto alla ragazza.
“Dean me l’ha detto. Devo ringraziare Cas.”
Bobby annuisce: “Penso di non aver riposto così tanta fede in Dio come in questi quattro giorni.”
“Forse ti ha ascoltato, forse no..” e Natalie, visto lo scetticismo che l’ha colta negli ultimi anni, è più propensa a pensare che Dio non l’abbia ascoltato e che se lei è ancora su questo mondo è solo perché Castiel è intervenuto al momento giusto e perché Morte ha scelto di riportarla indietro, perché ha un compito per lei, una missione.
Forse, Dio è Morte e Morte è Dio.
Potrebbe essere plausibile, se solo non fosse che Morte esisteva ancora prima che esistesse Dio stesso e lo stesso Cavaliere avesse detto che, se volesse, potrebbe uccidere Dio, facendo intuire che sono due entità separate.
Scaccia quei pensieri estremamente poco consoni alla situazione attuale e decide di informare Bobby di ciò che è accaduto nella sua esperienza extracorporea.
“Ho visto Morte, mentre ero dall’altra parte.”
Il cacciatore porta i suoi occhi scuri su di lei, assottigliando lo sguardo, lo stesso che usa quando studia un caso – anche se, questa volta, quello stesso sguardo è toccato da un velo di preoccupazione che è sceso come a chiudere il sipario a fine spettacolo.
“Cosa ha detto?” c’è un leggero tremito, nella sua voce, come se da un momento all’altro temesse di sentirsi dire che Natalie è stata riportata in vita solo per poi essergli portata via di nuovo. La sua bambina, persa per una seconda volta e, a questo giro, per sempre.
“Che mi ha riportata indietro per uno scopo, che suppongo sia lo stesso per cui ha acconsentito di riportare indietro l’anima di Sam: dobbiamo uccidere la Madre.”
Bobby nasconde un sospiro di sollievo –  ma viene comunque tradito dalla sua espressione che si rilassa un poco – a quelle parole. Morte non vuole portargli via la sua bambina, tutto il resto è secondario. Anche se si parla di un essere supremo immortale e capace di creare mostriciattoli a suo piacimento.
“Beh, avrebbe dovuto dirci qualcosa di nuovo, no? Non avevamo bisogno di Morte per sapere che dobbiamo fare fuori quella stronza!”
Natalie si lascia sfuggire una risata e Bobby accenna un lieve sorriso, poi la cacciatrice dice: “Mi ha dato un indizio. Ha detto che ciò che ci serve è nella biblioteca dei Campbell.”
“Tutto qui? E come facciamo a sapere dov-” Bobby si ferma di colpo, come colpito da un’illuminazione: “Sam. Lui sa sicuramente dov’è quella biblioteca.”
Natalie annuisce: “Penso proprio di si.”
Il cacciatore si alza dalla sedia e sporgendosi verso Nat le passa una mano tra i capelli: “Bene, per oggi abbiamo scoperto abbastanza, torna a dormire. Devi riposare.”
“Ho dormito quattro giorni. Non voglio riposare, voglio tornare in azione. Abbiamo un indizio, sfruttiamolo!”
Bobby la guarda con il suo solito sguardo severo e perentorio: “No. È troppo presto. Ti hanno ferita gravemente, devi riposare!”
“Un angelo mi ha curata, Bobby, non devo riprendermi, o aspettare che i punti alla ferita facciano il loro dovere, vogl-”
“No,” la interrompe, “aspetteremo ancora un giorno e poi ci metteremo all’opera. Tutti. D’accordo?”
Natalie sospira: “D’accordo. Ancora un giorno.”
Si sistema a letto, sdraiandosi con la testa sopra al cuscino e, come se una stanchezza che non sapeva di provare le fosse piombata addosso all’improvviso, chiude gli occhi e, senza nemmeno accorgersene, s’addormenta.

Ciò che la spinge ad aprire gli occhi è la sensazione di fame. Lo stomaco che brontola desideroso di cibo. Natalie pensa all’ultima volta che si ricorda di aver mangiato e nella sua mente si forma l’immagine del pub dove lavorava Mandy/Afrodite. Pensa che, se le circostanze fossero state diverse, a Dean sarebbe piaciuto un sacco quel pub. E la sua cucina.
Si stiracchia e poi si mette a sedere. La porta della sua camera è chiusa, probabilmente perché Bobby se l’è tirata dietro dopo che è uscito per farla risposare in pace. Sorride. Nessuno può immaginare quanto amorevole sia Bobby Singer, dietro a quel muro di cinismo burbero e sarcasmo che erge davanti a se.
Sistema le coperte di lato e mette i piedi nudi a terra. Nota di indossare una maglietta lunga che la copre fino a metà coscia. Cosa che al suo primo risveglio non aveva notato. Probabilmente è una vecchia maglietta di Dean. Chissà chi l’ha vestita, si trova a pensare. Fa spallucce, arrivando alla conclusione che, chiunque l’abbia fatto, l’ha fatto per farla sentire più comoda mentre dormiva – o meglio, mentre era intrappolata nel coma.
Si alza, facendo attenzione a non fare movimenti troppo bruschi – si sente ancora un po’ debole – e si dirige verso il bagno, dove apre l’acqua calda della doccia. Non appena il vapore riempie la stanza, Natalie si toglie la maglietta ed entra nella cabina, dove si lascia inondare dal calore dell’acqua. È piacevole, sulla pelle, e sembra riesca a lavare via la sensazione di intorpidimento che sentiva, come se così facendo tutto ciò che è accaduto qualche giorno fa, venisse lavato via dall’acqua.
Dopo essersi lavata corpo e capelli, chiude l’acqua ed esce, avvolgendosi il corpo in un asciugamano e i capelli in un altro. Si asciuga per bene, fino a che non rimane nemmeno una goccia su di se e si rimette la maglietta. Le piace e sapere che è di Dean gliela fa piacere ancora di più. Si guarda allo specchio, con il turbante in testa e la maglietta addosso: è blu scuro, così tanto da sembrare nera, e sopra c’è stampato – ormai consumato e sbiadito – il logo dei Rolling Stones. Sicuramente è una maglietta che Dean non mette da anni e che risale alla sua adolescenza.
Si toglie l’asciugamano dai capelli e inizia a pettinarli. Poco dopo, si mette ad asciugarli con il phon.

Scende al piano di sotto mezz’ora dopo, asciugata e vestita – ha messo un paio di leggins sotto alla maglietta. Dalla cucina, sente provenire le voci di Sam e Bobby che parlottano sottovoce della biblioteca dei Campbell e su dove è situata.
Arriva sulla soglia della porta silenziosamente, così nessuno si accorge della sua presenza.
Osserva Bobby, con tanto di grembiule, ai fornelli mentre fa saltare della carne in padella; Sam, al suo fianco, è intento a tagliare delle verdure, mentre descrive la biblioteca.
“So dov’è, ci siamo andati. È in un sotterraneo e non è molto grande, a dire la verità, ma dovrebbero esserci cose alquanto interessanti – per non dire preziose – se Samuel si prende la briga di nasconderle così bene.”
Dean è appoggiato al piano cottura e, mentre sorseggia una birra, osserva con un’espressione disgustata il cibo – da coniglio – che suo fratello sta accuratamente facendo a fettine.
Nat nota l’assenza di Castiel e un po’ ci rimane male, perché ci teneva a ringraziarlo e a rivederlo, visto che nell’ultimo periodo hanno avuto ben pochi contatti.
Tutto sommato, però, nonostante l’assenza di Castiel non le faccia per niente piacere, si trova a pensare, con una punta di tenerezza, che quelli davanti a lei sono e saranno per sempre i suoi uomini. Le persone che più contano nella sua vita, il suo nucleo familiare.
“Quindi ci sapresti arrivare?” Bobby gira la carne dentro alla padella per far cuocere il lato che ancora è crudo.
“Certo!” Sam sistema le sue verdure tagliate dentro ad un’insalatiera di vetro. Dean, allunga una mano e afferra quello che sembra un pezzo di cetriolo e lo spreme tra indice e pollice, divertito e disgustato allo stesso tempo.
Sam fa un’espressione a dir poco omicida e schiaffeggia la mano di suo fratello: “Togli quelle luride zampe dalla mia cena!”
“Tu chiami cena questo schifo?” Dean si pulisce le dita sotto l’acqua della fontana.
“Si, è salutare e mi fa bene.”
“A cosa, alla linea? Devi mantenere i fianchi stretti, Miss America?” Dean lo guarda con un sorrisetto sghembo, gongolando per la sua battuta, che lo rende estremamente fiero di se, prima di portare la birra alle labbra.
Natalie, dalla sua postazione, si trova a ridacchiare in silenzio. Ha sempre trovato i loro battibecchi divertenti.
“No, al mio organismo. Sempre meglio del genere di cibo che ingurgiti tu!”
“Ma piantala. Non posso mangiare fogliette e carotine, ho bisogno di proteine! Sono un guerriero!” Dean si batte un pugno chiuso sul petto.
“Vallo a dire al colesterolo, che sei un guerriero!” Sam inizia a condire la sua insalata con cura e minuzia. Dean alza gli occhi al cielo, come se fosse consapevole che per suo fratello, ormai, non c’è più speranza e finisce la sua birra. 
“Non cambierete proprio mai, voi due, non è vero?” Afferma Natalie, dopo essersi goduta quella scenetta di normalità. Era così tanto che non succedeva qualcosa di ordinario, che non voleva assolutamente interromperli.
I ragazzi e Bobby si voltano verso l’ingresso della cucina, così Nat sorride.
“No. Non cambieranno mai.” Le risponde Bobby,  prima di tornare a occuparsi della cena.
Sam e Dean si avvicinano a lei, ma Sam è il primo ad abbracciarla – perché non l’aveva ancora vista sveglia. Dopo che Bobby era sceso, lui si era precipitato sulle scale, ma il vecchio cacciatore gli aveva detto che lei si stava addormentando, quindi aveva rinunciato. Ma non vedeva l’ora di vederla di nuovo in salute.
“Stai bene?” le sussurra, sempre tenendola stretta.
“Si, sto bene..” Nat ricambia l’abbraccio.
Sam le accarezza la testa, prima di lasciarla andare: “Sono felice che tu sia qui. Ci hai fatti preoccupare.”
“Mi dispiace, davvero.”
“L’importante è che sei di nuovo con noi.” Le sorride, prima di lanciare un’occhiata a suo fratello e tornare alla sua insalata.
Dean, dopo aver notato la maglietta e aver sorriso compiaciuto, le sistema i capelli dietro alle orecchie e, tenendole il viso tra le mani, si china su di lei per baciarla. Natalie sente il netto contrasto tra la sensazione di morbidezza che hanno le sue labbra e quella pungente della barba, ma non le dispiace, tutto sommato.
“Hai fame?”
Nat annuisce, così si incamminano da Bobby, sistemandosi uno alla sua sinistra e l’altra alla sua destra.
“Mi sembrate due avvoltoi,” commenta il cacciatore, girando ancora un po’ la carne, “lo facevate anche da bambini. Sarebbe ora di crescere, non pensate?”
Dean e Natalie si scambiano una divertita occhiata d’intesa, prima di scoppiare a ridere.
“Andate a sedervi, idioti, la cena è pronta!”

                                                                                                              ***


La sera, nel suo letto, Natalie si trova a guardare il soffitto in preda all’insonnia. Non è abituata a dormire tanto, quindi il riposino fatto prima di cena l’ha ricaricata anche troppo.
Si trova a pensare che si sente felice, nonostante tutto.
Sente che le cose con Sam si sono sistemate e anche con Dean, anche se entrambi sono consapevoli dei loro errori, si stanno riaggiustando. Si sono perdonati e, adesso, sono liberi di poter ricostruire la loro vita insieme. La melma è stata tolta e il palazzo del loro futuro può essere eretto senza rischiare di affondare nel passato e nelle cose non dette, o non chiarite. Ci vorrà del tempo, ma adesso sono insieme e si prenderanno tutto il tempo di cui hanno bisogno.
Si trova a pensare a ciò che ha detto May riguardo alla felicità e, ancora una volta, si trova a concordare con quell’adorabile donna saggia che ha il privilegio di conoscere. È vero che la felicità è effimera e va colta, bisogna aggrapparsi a quei momenti dove ci fa dono di mostrarsi e renderci consapevoli che essa esiste e che può farci sentire cose che pensavamo di non poter provare, ci scalda e riempie il cuore di gioia e ci fa stare bene. Con Dean, lei è sempre stata felice. Lo ama. E ciò che lui ha fatto, l’ha fatto perché pensava davvero di farle del bene, di salvarla. E sotto questo punto di vista, forse, perdersi in lui non è stato poi così male. E poi, May ha ragione un’altra volta: lei non perde se stessa quando è con lui, ma tira fuori una nuova se, una se più felice, una se che può concedersi effusioni tenere, o risate così sentite da far venire le lacrime agli occhi. Non c’è niente di brutto, in tutto questo.
Si, la situazione può ripartire. Se lo sente. Sente dentro di se una positività che non sentiva da un bel pezzo. I suoi ragazzi sono di nuovo insieme e sono con lei, come sempre. Come quando erano bambini, come quando erano ragazzini, come prima che tutto precipitasse nella Gabbia insieme a Sam. È come se, dopo esserci finiti tutti dentro al buco infernale, stiano piano piano riemergendo, aggrappandosi con le unghie e con i denti a ciò che avevano per riuscire a salvarlo, o per usare le sue basi per costruire qualcosa di nuovo. Si sono persi, è vero, le loro anime, seppur in modo diverso – e nel caso di Sam, in maniera molto più concreta – si sono perse, ma sanno anche come trovare la via di ritorno. Perché Sam, Dean e Natalie insieme sono molto più forti di qualsiasi prova la vita voglia metterli davanti. Insieme troveranno sempre un modo per ritrovarsi, per tornare insieme, per convergere nonostante le divergenze, perché sono legati da un elastico che può essere tirato fino al punto massimo di estensione, ma che non si spezzerà mai. Sono loro che scelgono di non farlo spezzare, perché non permetteranno mai che qualcuno li divida. Sono tre anime nate per vivere insieme. Diversi, ma complementari, come le tre parti che vanno a formare un intero perfetto. Non si può distruggere una cosa tanto forte.
Si sistema in costa, abbracciando il cuscino della parte vuota del letto. Dean non dorme con lei per il semplice fatto che lei non ha voluto dormissero nella stessa stanza.
È assurdo, aveva detto dopo cena non appena lei gli aveva comunicato la sua decisione, voglio stare con te.
Non questa sera, Dean
, gli aveva accarezzato una guancia ispida di barba rossiccia – le piace tantissimo con la barba lunga – e aveva sorriso teneramente, hai bisogno di dormire e se acconsentissi a dormire con te, finiresti con non dormire per tenermi d’occhio tutta la notte. E non voglio.
Ma Nat..
Domani, d’accordo? Va’ in camera tua e dormi.

Era stata dura convincerlo, ma alla fine c’era riuscita. Dean le aveva dato un lungo, lunghissimo, interminabile bacio della buonanotte e si era diretto in camera sua, mentre lei si dirigeva nella propria.
Nel buio, con il cuscino stretto in petto, si trova a pensare ad un’altra cosa, la cosa che le preme da quando si è risvegliata: Castiel.
L’ha salvata e non l’ha nemmeno ringraziato.
“Cas,” sussurra, rimanendo in attesa di sentire il solito fruscio d’ali, “avrei bisogno di parlarti.”
Qualche istante più tardi, Natalie riesce a vedere la sagoma di Castiel ai piedi del letto, così accende la luce, mettendo a fuoco l’angelo.
“Mi hai chiamato?”
Lei gli sorride, felice, alzandosi dal letto e dirigendosi verso di lui. Castiel rimane a fissarla, immobile. Natalie, quando è abbastanza vicina, lo abbraccia forte. Castiel non è un tipo abituato al contatto fisico così esplicito – sta imparando, però, e da quando lo conosce può dire di avergli visto fare enormi progressi – quindi impiega un po’ a ricambiare l’abbraccio.
“Grazie.” Afferma, con il viso appoggiato al suo petto. Castiel, anche se vicino a Dean e, soprattutto, a Sam può sembrare di bassa statura, non lo è affatto.
Natalie sente la mano timida di Castiel accarezzarle delicatamente la testa, prima di dire: “Non devi ringraziarmi. Non volevo morissi. E nemmeno i ragazzi lo volevano.”
Natalie scioglie l’abbraccio: “Non sarei qui se non fosse per te, Cas. Voglio che tu sappia che d’ora in avanti di qualsiasi cosa tu abbia bisogno non devi esitare a chiedere.”
“Non l’ho fatto per ricevere qualcosa in cambio,” Castiel la guarda aggrottando le sopracciglia, confuso “l’ho fatto perché non volevo che ti succedesse niente di male. Non l’avrei permesso.”
“Ma.. se fosse stata la mia ora? Se fosse stato scritto nel grande disegno celeste che era destino morissi in quel momento?”
Castiel sospira. Ha il viso stanco – non quella stanchezza provocata dall’assenza di sonno, perché lui non ha bisogno di dormire, ma quella stanchezza provocata da un’eccessiva preoccupazione, come se i milioni di pensieri che angosciano la sua mente, fossero in grado di prosciugare la sua linfa vitale, portandolo allo stremo delle sue forze.
“Il grande disegno celeste è.. è..” Cas si interrompe e poi riprende: “Lasciamo perdere. Non era arrivato il momento.”
Natalie lo guarda, leggendo dentro la sua espressione non solo stanchezza e preoccupazione, ma anche una sorta di confusione, come se Castiel fosse smarrito e non sapesse come ritornare sulla via di casa.
“Cas, cosa c’è che non va?”
L’angelo distoglie lo sguardo, facendolo vagare per la stanza: “Niente di cui tu debba preoccuparti.”
Natalie gli afferra le mani, un contatto così saldo che Castiel si trova a riportare i suoi occhi su di lei.
“Certo che mi preoccupo, sei mio amico.”
Castiel la guarda con i grandi occhi blu, la studia come se dovesse capire fino a che punto è giusto riversarle addosso i suoi problemi solo perché sono amici: è giusto che si preoccupi per me, nonostante tutti i problemi che deve affrontare? – si trova a pensare.
“Tu hai… voi avete anche troppi problemi a cui pensare, tra la Madre e tutto il resto. Non mi sembra giusto aggiungerci anche i miei. Sono affari che devo sbrigare da solo e che non c’entrano con voi.”
“La vuoi sapere una cosa? Dean ha detto la stessa cosa, quando doveva affrontare Lilith con Sam. Sai come sono i ragazzi, sono saltati sull’Impala con tutta l’intenzione di fare a fette quella stronza. Io e Bobby ci siamo piazzati davanti alla macchina e allora Dean è uscito dicendo che non c’entrate niente, dobbiamo sbrigare gli affari di famiglia ed è meglio che ne restiate fuori, almeno sapremo che, se dovesse andare storto qualcosa, voi starete bene. Puoi immaginare la faccia di Bobby, era così serio e lapidario che pensavo lo incenerisse. Gli si è avvicinato e gli ha detto che erano anche affari nostri, eccome se lo sono! La famiglia non finisce con il sangue, ragazzo!  - Gli ha risposto così, che la famiglia non finisce con il sangue. Tu sei parte di questa famiglia, Cas. I tuoi problemi, sono i nostri problemi.”
Natalie tiene ancora le mani dell’angelo strette tra le sue, così Castiel si trova ad osservare quell’intreccio di dita, quel contatto che gli infonde una strana sicurezza. Natalie è stata la prima umana che gli ha fatto capire di cosa sono capaci gli esseri umani. Certo, il rapporto più stretto – il rapporto speciale, come lo chiama lui – ce l’ha con Dean, una sorta di connessione spirituale che li lega l’uno all’altro in maniera profonda, ma Natalie… Natalie gli ha mostrato che gli esseri umani sono capaci di provare gratitudine – la prima volta che l’ha vista, lei lo ha abbracciato per aver salvato Dean dalla perdizione e non finiva più di ringraziarlo; gli ha mostrato quanta forza possa esserci dietro la loro fragilità, la loro esistenza così passeggera, così effimera in confronto all’eternità. Gli umani lo sanno, eppure non ci pensano un attimo a combattere per ciò che ritengono giusto, anche se questo implica la possibilità di poter morire – in questo modo, Natalie e i Winchester, gli hanno mostrato quanto possano essere altruisti e coraggiosi, gli umani.
Natalie, sostanzialmente, è stata il primo essere umano a mostrargli quanto Uriel avesse torto, quanto gli angeli avessero torto riguardo a quella natura che caratterizza gli uomini e che loro, dall’alto della loro celestiale arroganza, hanno sempre reputato sciocca, stupida e persino incompleta. Ciò che gli altri angeli non sanno e non hanno mai voluto vedere è la perfezione che vive dentro la natura imperfetta dell’essere umano. Sono capaci tutti a fare grandi cose quando si è consapevoli di non perdere niente, anzi, di non poter perdere – perché se si agisce consapevoli della propria immortalità, tutto diventa più facile, ma se si agisce nonostante ci sia la consapevolezza di poter perdere qualcosa di importante, beh, è lì che sta la vera grandezza.
Combattere, nonostante i rischi.
Creare, inventare, nonostante ci siano dei limiti. Gli uomini non sono stati creati per volare, eppure hanno trovato il modo di poterlo fare, creando gli aerei, così come hanno creato navi per poter stare a lungo in mare. Dio li ha dotati di qualcosa che gli angeli non hanno: inventiva, apertura mentale, curiosità, libero arbitrio. Gli uomini scelgono liberamente come usare la loro vita. Ed è il dono più prezioso che qualcuno possa fare, più prezioso dell’eternità, più prezioso dell’onnipotenza.
Cosa te ne fai dell’immortalità, se devi passarla ad obbedire ad ordini che non condividi?
Forse, è per Natalie e i Winchester che Castiel ha intrapreso questa guerra civile, perché è stanco di ubbidire, e vuole cambiare le cose, scegliere liberamente e insegnare agli altri angeli che possono avere le proprie idee, senza che ci sia qualcun altro che pensi al posto loro, così come i ragazzi l’hanno insegnato a lui.
“C’è una guerra civile, in atto..” comincia, “..Raffaele..” fa una pausa, angosciato, “..lui vuole che l’Apocalisse venga portata a termine. Brama la distruzione perché crede sia la cosa giusta. Ma non è giusto. Voi avete sacrificato cose fin troppo importanti per scongiurare la Fine e non voglio che tutto ciò che è stato fatto risulti vano.” Castiel fa un’altra pausa: “Ho.. ho parlato con altri angeli e molti di loro sono dalla mia parte, ma le truppe di Raffaele sono ovunque e ci stanno distruggendo. Sono caduti molti dei miei compagni, nonché fratelli. Lassù,” alza gli occhi al Cielo, “ci sono fratelli che non esitano un attimo a conficcare una spada angelica nel petto di altri fratelli.” L’angelo abbassa lo sguardo, prima di dire sottovoce: “Non volevo che finisse così.”
Natalie tira un profondo sospiro, vedendo in Castiel un’umanità che non dovrebbe esserci, nella sua natura. Cas è molto più umano di quanto lui stesso possa capire. La sua sensibilità, la sua paura di perdere chi ama, la sua volontà di cambiare le cose, lo rendono uomo. E lo capisce in pieno quando dice che non voleva che tutto ciò finisse in quel modo, perché nemmeno lei voleva che finisse con la morte dei suoi cari, quella guerra che hanno combattuto per salvare il mondo.
“Cas.. so cosa provi, credimi. E.. non voglio darti lezioni di vita perché non ne sono in grado e anche se lo fossi, non hai certo bisogno che qualcuno che è al mondo da ventisette anni ti dica come comportarti, voglio dire tu… tu sei come minimo un essere millenario, saprai molto meglio di me come si sta al mondo.. ma se permetti, una cosa vorrei dirla: ciò che stai facendo è giusto. Combattere per cambiare il mondo, per cercare di migliorarlo, è giusto.. l’unica cosa..” Natalie sente un improvviso groppo in gola, ricordando quando a combattere una guerra c’erano loro e si sentivano costantemente in balia di qualcosa più grande di loro, qualcosa di così distruttivo che, alla fine, li ha toccati nel profondo, facendoli venire a contatto con dolori nuovi e perdite che li perseguiteranno per sempre, “..l’unica cosa che posso dire è che ogni battaglia vuole le sue vittime, ogni battaglia è assetata di sangue e non puoi evitarlo.. quello che puoi fare è cercare di ridurre lo spargimento di quel sangue, quindi cerca di trovare altri modi, magari..” si blocca di colpo, portando lo sguardo sulle loro mani ancora unite: “Sto dicendo un sacco di cose che sicuramente avrai già pensato, insomma non sei mica stupido! N-non ti sto aiutando, mi dispiace..”
Castiel a quel punto stringe più forte le mani di Natalie, osservandola con quel suo sguardo profondo e denso: “Mi stai aiutando, invece. Solo il fatto che tu abbia insistito tanto perché ti parlassi dei miei problemi mi aiuta. Sei una brava persona, Natalie Duvall.”
“Anche tu lo sei, Castiel. Questo non devi dimenticarlo mai. E sei buono, anche questo non devi dimenticarlo.”
Castiel vorrebbe dirle che forse non è buono come lei dice, che se lo fosse eviterebbe guerre ed eviterebbe di fare alleanze che sa benissimo non lo porteranno a niente di buono. Vorrebbe ringraziarla per l’enorme fiducia che ripone sempre in lui, facendolo sentire meno sporco, meno smarrito, ancora capace di azioni buone, giuste. Ma non lo fa. Non lo fa perché non saprebbe da dove cominciare, non lo fa perché dovrebbe spiegarle troppe cose, e lei deve concentrarsi su come fare per uccidere la Madre. Così, anzi che andare fino in fondo a quella conversazione e tentare almeno di dirle tutta la verità, dice anzi: “Dovresti riposare, adesso.” E lascia le sue mani.
Natalie abbozza un sorriso: “S-si, d’accordo.” Si dirige verso il suo letto, mentre Castiel la segue con lo sguardo. Si sistema sotto alle coperte sotto l’occhio vigile dell’angelo, che, spinto da un moto d’affetto verso quella ragazza che cerca in tutti i modi di stargli vicino e aiutarlo da quando l’ha conosciuto, si avvicina al letto e le rimbocca le coperte.
Natalie lo guarda stupita: “E questo a cosa lo devo?” domanda, intenerita da quel gesto così spontaneo.
“L’ho visto fare a Dean, una volta. Ti ha rimboccato le coperte e quando gli ho chiesto perché l’avesse fatto, lui ha risposto che è un modo per prendersi cura delle persone a cui vogliamo bene.”
Natalie sorride: “Grazie, Cas. E… ti voglio bene anche io.”
L’angelo, con una punta di imbarazzo nella voce, risponde: “Riposati, Natalie. E chiamami, se hai bisogno.” Le tocca la fronte e, dopo quel contatto, la ragazza sente il sonno impossessarsi di lei, crollando così addormentata poco dopo.
Castiel, dopo aver appurato che Natalie si è addormentata, vola via lasciandosi dietro il suo solito fruscio.

                                                                                                    ***


La mattina seguente, quando Natalie apre gli occhi, il sole inizia a sorgere e filtra timido dalla sua finestra. Natalie presume sia l’alba.
Si stiracchia un po’, prima di alzarsi dal letto e andare in bagno per lavarsi il viso e i denti.
Poco dopo, scende in cucina per preparare caffè e colazione.
È intenta ad armeggiare con la moca quando sente dei passi alle sue spalle. Voltandosi, si trova a guardare un Dean tutto assonnato che si stropiccia gli occhi e si apre in uno sbadiglio gigante.
“Buongiorno.”
“Mh-mh” grugna, poco convinto. Dean è di pochissime parole, appena sveglio. Lei lo sa, quindi non dice altro e aspetta che sia lui a proferire parola, una volta ritenuto che sia il momento giusto per farlo .
Nat, intanto, mette la moca sul fuoco in attesa che l’acqua bolla e il caffè salga. Nel frattempo, si avvicina al frigo, dove estrae la scatola delle uova e dove Dean ingombra il passaggio, con la sua corporatura alta e massiccia, per bere del latte freddo direttamente dal cartone.
“Lo sai che se ti vede Sam ti rimprovera, vero?”
Il cacciatore finisce il suo lungo sorso di latte e poi: “Ma Sam non è qui. Sarà il nostro piccolo segreto.”
Natalie scuote la testa, sorridendo, e si dirige verso il piano cottura con le uova in mano. Dopo aver sistemato la padella sul fuoco, aspetta che l’olio si scaldi.
“Nat.” Dean la chiama, così lei si volta, ma il cacciatore si è già avvicinato e la guarda intensamente, come se stesse pensando al modo giusto per iniziare una conversazione importante. Il fatto che spenga il fuoco sotto la padella, conferma l’ipotesi e Nat capisce che sarà una cosa seria e magari anche lunga. “Volevo parlarti.”
“Dimmi..” quando dicono che la frase volevo parlarti/dobbiamo parlare/ho bisogno di dirti una cosa mette ansia, hanno ragione.
Dean si passa una mano sulla faccia: “Io.. i-io..” si blocca, sospira e ricomincia: “Mi dispiace. Per tutto. Per tutto ciò che è successo in questo anno; per essermene andato senza dire niente, per la storia di Lisa, di Ben, di tutto quello che ho fatto.”
“Dean..”
“Aspetta, fammelo dire, ne ho bisogno. Ho.. io ho pensato a come mi sono comportato e, se prima pensavo di fare del bene, adesso mi rendo conto di quanto ho incasinato le cose. Insomma, prima lascio te e Bobby senza una spiegazione, poi scappo da una donna con cui creo una vita che so che non mi appartiene. Ho fatto soffrire te, Bobby, Lisa e Ben. Ed era l’ultima cosa che volevo.” Fa una pausa, ma Natalie ha la sensazione che non abbia finito, quindi non interviene.
Dean per un momento si trova a rivivere la conversazione che ha avuto con Lisa prima che Castiel rimuovesse dalla sua memoria il ricordo del tempo passato insieme.
Si rivede in piedi, davanti a lei, nella cucina della donna. Lisa l’aveva guardato con i grandi occhi scuri, già consapevole che le parole che sarebbero uscite dalla bocca di Dean non sarebbero state di certo piacevoli.
Sei qui per dirmi che non tornerai da noi, non è vero?
Dean, con lo sguardo fisso negli occhi della donna, aveva fatto un cenno di negazione con la testa.
Me lo sentivo, sai? Sentivo che tutto sarebbe cambiato quando l’ho incontrata. Lei era la donna della foto, la donna che amavi e di cui non avevo il coraggio di chiederti niente perché sapevo quale sarebbe stata la risposta.
Lisa si era passata una mano tra i capelli, aveva fatto vagare lo sguardo per la stanza, cercando di trattenere le lacrime. Lacrime che non avevano solcato il suo viso. Lisa era estremamente orgogliosa, non si sarebbe mai fatta vedere piangere.
La chiamavi nel sonno, sai? Le tremava la voce e gli occhi erano lucidi come due specchi d’acqua, resi improvvisamente liquidi dalle lacrime che venivano tenute a bada.
Pronunciavi il suo nome, e non c’è stata una volta che non ti ho sentito. Non chiedermi come, ma avevo capito che se non stavi più con lei, era perché circostanze più grandi di voi vi avevano separati, non certo perché non vi amavate più. Mi sentivo come se tua moglie fosse morta improvvisamente e tu, nonostante fossi ancora innamorato di lei, avessi accettato di imparare ad amare un’altra. Io ero l’altra. La seconda donna che impari ad amare, consapevole del fatto che non sarà mai come la prima. Tu le appartieni. E le apparterrai sempre.
Lisa, io…
Dean si era avvicinato, ma Lisa aveva fatto un passo indietro, voglio bene a te, voglio bene a Ben. Ho sbagliato ad entrare nelle vostre vite e di questo vi chiedo scusa. Non mi perdonerò mai per avervi coinvolti in tutto questo. Ma voglio rimediare.. e in quel momento era apparso Castiel, che aveva toccato la fronte di Lisa e poi quella di Ben – che si trovava nella stanza accanto, fingendo di seguire un programma in televisione, quando invece la sua attenzione era rivolta tutta ai due adulti in cucina – e si erano dileguati, lui e l’angelo. Senza voltarsi. Era giusto così. Per loro era giusto che si dimenticassero dell’esistenza di Dean Winchester e si costruissero una vita normale, la vita che entrambi meritano.
“E poi tu hai pensato che l’avessi fatto per l’incidente.” Continua Dean, tornando al presente. “Non avevo mai pensato che potesse venirti in mente, e quando me l’hai fatto notare, mi sono sentito ancora più verme di quanto non mi sentissi già. Sono stato impulsivo e irrazionale. Mi dispiace, Nat.”
Lei gli afferra il viso tra le mani, sentendo la soffice peluria della barba sotto ai palmi: “Lo so. So che ti dispiace, so che hai agito in buona fede e so che non volevi ferire ne me, ne Bobby, ne Lisa e Ben. Non mentirò dicendo che non mi hai fatta soffrire, perché l’hai fatto. Te ne sei andato da un’altra donna senza dirmi niente, ma sei tornato. Mi hai spiegato le tue motivazioni, stai rimediando. Entrambi abbiamo commesso errori, non dimenticartelo, Dean. L’abbiamo sempre saputo, solo che adesso siamo disposti a vedere che la colpa è da entrambe le parti e a  cercare di ripartire. Le liti, i momenti no, capitano. Dobbiamo solo capire se siamo disposti ad affrontarli per ricominciare. Vuoi ricominciare, Dean?”
Dean le stringe i polsi: “Si, voglio ricominciare.”
“Allora ricominciamo. Che questo anno ci serva per imparare, per ricordarci che prima di fare dei casini, dando retta agli istinti, è meglio pensare e parlare tra di noi.”
L’uomo, tenendole i polsi tra le mani, le porta le braccia intorno al proprio busto, così Nat stringe la presa, mentre Dean a sua volta la ingloba in un abbraccio.
“Dispiace anche me,” sussurra poi Nat, “se penso a ciò che ho fatto mi sento in colpa. Avrei dovuto reagire in maniera diversa,” si blocca, ripensando alle parole che ha detto a Sam quando hanno chiarito tra di loro, “avrei dovuto cercare di rimanere solida, ferma, ma in quel periodo mi sentivo così fragile e Sam sembrava così saldo che mi ci sono aggrappata nel peggiore dei modi..” sente una lacrime solitaria solcarle il viso, “mi dispiace, Dean. Tornassi indietro non lo rifarei.”
“Tornassi indietro, nemmeno io mi comporterei come mi sono comportato.”
Le persone commettono errori. Ogni giorno.
Chiunque compie delle scelte che inizialmente sembrano giuste, e poi se ne pente.
Chiunque in un momento di debolezza, assume comportamenti che non avrebbe mai immaginato di assumere.
Le situazioni, le circostanze, ci cambiano. Tirano fuori lati dell’uomo che l’individuo stesso non sapeva di avere. Forse, in ognuno di noi vive un mostro, una parte oscura, che fa si che la nostra solita natura venga accantonata e abbandonata fino a che l’oscurità rimane al comando.
I così detti momenti bui, i momenti di smarrimento, di perdizione.
L’uomo si perde, ma sa anche come ritrovarsi.
Sa come tornare sulla retta via, sa come debellare l’oscurità rinchiudendola in un angolo remoto del suo essere per lasciare poi che la sua luce brilli di nuovo, più luminosa di prima, più forte di prima.
I periodi neri rafforzano gli uomini molto più di quanto si possa pensare.
E questo anno, ha fatto si che Natalie e Dean si rafforzassero, che capissero che, se stanno insieme, è perché vogliono stare insieme; ha fatto si che capissero quanto sono importanti l’uno per l’altra e quanto sia fondamentale la presenza dell’uno nella vita dell’altra e viceversa. Questo periodo oscuro ha fatto si che capissero quanto sono forti insieme, che per quanto possano ergersi delle difficoltà davanti a loro, niente è in grado si separarli perché troveranno sempre il modo di tornare l’uno dall’altra.
Perché si amano.
Perché si appartengono, ora e sempre.
Dean le appoggia il mento sulla fronte e le accarezza la schiena: “Ti amo, Nat.”
Il cuore di Natalie si blocca per un attimo, prima di ripartire all’impazzata. Nove anni insieme e mai una volta quelle parole sono uscite dalla bocca di Dean. Mai. Come è già stato detto, Dean aveva modi diversi per dimostrare quanto teneva a lei e cosa provasse per lei. Nat ha sempre saputo che l’ama, ma sentirselo dire è tutta un’altra cosa.
Si allontana per guardarlo in viso, per avere l’assoluta certezza che le parole che sente risuonare nelle orecchie siano effettivamente uscite dalla bocca dell’uomo che ha davanti.
“Ridillo.”
Dean sorride, intenerito dal tono emozionato di Natalie: “Ti amo.” La bacia sulle labbra. “Ti amo.” Un altro bacio. “Ti amo-Ti amo-Ti amo-Ti amo-Ti amo.” E tra un ti amo e l’altro la riempie di baci su tutto il viso, facendo schioccare le labbra sulle guance di Nat, sulla fronte, sulle tempie e di nuovo sulla bocca – scatenando una risata cristallina da parte della ragazza che lo lascia fare, ben felice di quel momento affettuoso.
“Ti ho convinta?” chiede, tenendola tra le braccia.
Natalie, con le guance arrossate, annuisce, mordicchiandosi il labbro inferiore: “Convintissima.”
“Posso ritenermi soddisfatto, allora.”
Nat si alza sulle punte per dargli un bacio che Dean fa in modo di approfondire.
“Mi aiuti a preparare la colazione?”
“Certo.”

“Sei sempre stato più bravo a mangiare che a cucinare!” la risata di Natalie riempie la cucina, mentre Dean, alle prese con un pancake bruciato tenta di staccarlo dalla padella, dove è rimasto incollato. Frittella infame.
Nat osserva il cacciatore alle prese con una spatola mentre scrosta la frittella carbonizzata dalla superficie della padella, impegnandosi a tal punto che sulla sua fronte compare una ruga di concentrazione.
“Perché invece di offendermi non provi ad aiutarmi?”
“Perché è più divertente guardarti!”
Dean tenta ancora un po’ di pulire il suo macello, fino a quando non si arrende. Date a quest’uomo un wendigo e lui gli darà fuoco senza la minima difficoltà, date a quest’uomo una padella e lui brucerà ogni frittella.
“Non ci riesco!”
Nat, sempre ridacchiando, si avvicina a lui, posizionandosi al suo fianco. Mette la piccola mano sopra quella di Dean e lo aiuta a scrostare il pancake, con fare delicato ed esperto.
“Ci hai messo poco olio e quindi l’impasto si è tutto attaccato e bruciacchiato.”
“Ho notato!”
“Non è la fine del mondo. Adesso laviamo tutto e il problema è risolto!” Natalie apre l’acqua della fontana, insaponando la padella dopo aver tolto il pasticcio di Dean.
Dean la osserva mentre strofina la padella insaponata e poi la mette sotto l’acqua. Mentre è intenta nel risciacquo, l’uomo si mette dietro di lei e l’abbraccia, cingendole la vita e appoggiando il mento ad una sua spalla. Natalie sorride.
Dean avvicina le labbra al suo collo, lasciandole piccoli baci delicati. Si trova a pensare a quanto sia bello poterla ritoccare, poter sentire di nuovo la sensazione di calore nel petto ogni volta che lei gli permette di stringerla tra le braccia. È come se quel muro tra di loro fosse stato abbattuto e le macerie scavalcate. Si sono ritrovati e adesso non hanno intenzione di separarsi di nuovo. È come se il suo essere altro non volesse che tornare a percepirla al suo fianco, fisicamente e spiritualmente, come se non solo i loro corpi fossero tornati in sintonia, ma anche le loro anime. Soprattutto le loro anime. Quelle stesse anime scheggiate, andante in frantumi, rovinate, che adesso si stanno ricostruendo, si stanno aggiustando grazie alla vicinanza dell’uno nella sfera vitale dell’altra. Non sono più soltanto due cacciatori che cercano di risolvere un caso, sono di nuovo due persone – che si muovono e vivono in armonia, come un organismo perfetto, tornato funzionante dopo essere stato danneggiato, come una macchina a cui è stato dato l’olio per fare in modo che i suoi circuiti tornassero a muoversi perfettamente.
Ora che si sono ritrovati, Dean ha solo voglia di toccarla, di percepirla, come se non volesse fare altro che ricordare a se stesso e alla sua mente che lei è di nuovo lì al suo fianco e non è un sogno, o un ricordo, no – tutto sta piano piano riprendendo la strada del ritorno e loro potranno nuovamente stare insieme, come una volta.
“Mi distrai.”
“Era il mio scopo.” Sorride soddisfatto, notando , sulla pelle di Natalie, i piccoli brividi che i suoi baci hanno provocato.
Nat sorride e gira su se stessa per incrociare il viso di Dean – che la guarda in quel modo languido che le fa tremare le ginocchia e attorcigliare le budella. Le è mancato tutto questo. Lui le è mancato.
“Scopo raggiunto.”
Dean ride, mentre Nat gli stampa un bacio leggero prima di scivolare fuori dalla sua presa e preparare la tavola per la colazione. Il cacciatore inizia ad aiutarla e insieme sistemano i piatti, le tazze e tutto l’occorrente, poi Natalie torna ai fornelli per finire i pancake.

“Cucini sempre troppa roba, te l’hanno mai detto?”
Quando si volta, Natalie incrocia lo sguardo di Sam, che sorride. È già cambiato – a differenza sua e di Dean che indossano ancora ciò che usano per dormire – e indossa una camicia a quadri beige e neri e un paio di jeans.
Dean fa una smorfia di disgusto e poi: “Quella camicia è orrenda!”
“Un po’ come la tua faccia!”
Natalie, nonostante sia fortemente tentata di dissentire, ridacchia – più per la naturalezza con cui si offendono, che per quello che si dicono. Quello tra Sam e Dean è un rapporto che difficilmente si trova tra due esseri umani. Sono due corpi e un’anima. Si vogliono un bene profondo, complice anche il fatto che fin da piccoli non avevano nessuno, se non l’un l’altro.
“Perché cucini sempre come se a mangiare dovesse venire un esercito?” domanda Sam, passando lo sguardo sulle uova, il bacon, i pancake e la frutta tagliata a pezzettini che sono ordinatamente sistemati in vari piatti diversi sul tavolo della cucina.
“Perché voi mangiate quanto un plotone!” afferma, andando ad alzare la colonna di pancake con altre frittelle. “Ecco, adesso è tutto pronto. Sedetevi, vado a chiamare Bobby.”

Bobby Singer, seduto alla scrivania del suo studio, sente fuori dalla porta scorrevole i passi di Natalie che si avvicina. Rimane in attesa di vederla sbucare e, quando lo fa, nota sul suo viso una luce che non le vedeva da un bel po’. È come se la sua bambina stesse tornando in contatto con la felicità, come se stesse riemergendo dal quel luogo oscuro dove era finita nell’ultimo anno e da cui, stava tentando di riemergere con le sue sole forze. Il fatto è che per quanto qualcuno possa essere forte e in grado di sollevarsi da solo, tutti hanno bisogno di qualcuno al proprio fianco che sia lì accanto a noi, mentre ci salviamo da soli.
Natalie non ha bisogno di un cavaliere dalla brillante armatura che la salvi dalla torre più alta del castello tenuto sotto osservazione dal drago; Natalie il drago lo uccide da sola, ma ha bisogno, come tutti noi, di sapere che tornando a casa ci sarà qualcuno ad aspettarla, a fare in modo che non si senta sola.
E con l’assenza di Dean, Natalie ha sentito la solitudine piombarle addosso come un macigno ingestibile. Per questo si è persa. Ma adesso, sta ritrovando la via di casa.
“Buongiorno! La colazione è pronta, vieni?”
Il suo sorriso è solare, i capelli ramati e lunghi le incorniciano il viso dalla pelle perlacea, ma luminosa – perdendo così, quel colorito quasi grigiastro che ha avuto nell’ultimo periodo – e i suoi occhi… i suoi occhi sono di nuovo due stelle, così brillanti e pieni di vita, di entusiasmo. Come quelli della sua mamma. Susan aveva gli stessi occhi della sua bambina, medesimo colore, medesima intensità. Dio, quanto gli manca sua sorella.
“Certo.” Sorride anche lui, cercando di tenere a bada la tristezza provocata dal ricordo di Susan – una ferita fin troppo aperta, nonostante siano passati moltissimi anni. “Sto morendo di fame!”

“Dobbiamo parlare di come agiremo, ragazzi.” Afferma Bobby, seduto al tavolo insieme ai suoi. Guarda le facce di tutti e tre, intenti a masticare la loro colazione. Gli fanno persino tenerezza, con le guance piene come dei piccoli scoiattoli.
“Affolutamente!” concorda Dean, con la bocca piena. Non ha ancora finito di ingoiare il boccone che si infila in bocca un’altra forchettata di uova.
“Dean, devo davvero rimproverarti di non parlare con la bocca piena?”
Dean guarda Bobby e fa un cenno di negazione con la testa. Nat e Sam ridacchiano sotto i baffi. La ragazza addenta un pancake, mentre Sam da un morso ad una striscia di bacon.
“Allora, sappiamo che nella biblioteca dei Campbell c’è qualcosa che può tornarci utile, ma non sappiamo cosa..”
“Ficuramente un libro!” lo interrompe Dean.
Bobby gli lancia un’occhiataccia truce: “Grazie, genio. Pensavo che nelle biblioteche ci fossero dei dolcetti. Se devi aprire bocca per sparare stronzate e sputacchiare la tua colazione, vedi di tacere.”
Dean fa per ribattere, ma un’ulteriore occhiata perentoria di Bobby fa si che il giovane torni a capo chino sulla sua colazione.
Natalie e Sam devono fare uno sforzo mortale per non scoppiare a ridere.
“Oggi stesso andremo a curiosare in quella biblioteca, così vedremo se Morte aveva ragione o gli piace solo prenderci per il culo. Siete d’accordo?”
I tre annuiscono.
“Sam ci farà da guida. E speriamo davvero di trovare qualcosa.”

                                                                                                         ***

È tardo pomeriggio quando i quattro cacciatori si calano nella botola dell’edificio apparentemente abbandonato per entrare nella biblioteca dei Campbell. La stanza è piccola, ma estremamente pulita e piena, zeppa di libri. L’unico spazio lasciato libero è quello assegnato al tavolo. A parte quello – e i libri, ovviamente – in quella stanza non c’è altro.
“Occupatevi di un settore a testa.” Ordina Bobby e subito i ragazzi obbediscono.
Natalie si trova a pensare, scorrendo i titoli dei libri presenti nello scaffale che ha di fronte, che non pensava ci fosse qualcun altro, al mondo, con la stessa mania di Bobby Singer per quanto riguarda tenere in ordine libri sulle leggende sovrannaturali – o libri in generale.  
Ogni tomo, infatti, è in ordine non solo alfabetico, ma anche cronologico. Ci sono volumi appartenenti a secoli fa che hanno le pagine talmente ingiallite che Nat ha persino paura di sgretolarli, toccandoli.
“Ho trovato qualcosa!” afferma Sam, con una nota quasi vittoriosa nella voce. “Venite a vedere!” Il minore dei Winchester, seduto al tavolo, sta leggendo un vecchio libro che dovrebbe appartenere più o meno al secolo scorso. I presenti, Dean escluso che rimane vicino al suo scaffale, si avvicinano al tavolo: Bobby si siede a capotavola, mentre Nat rimane in piedi alla sinistra di Sam, con gli occhi bassi sul tomo aperto che il ragazzo ha di fronte.
“La Madre può essere uccisa dalle ceneri di una fenice.” Legge Sam, indicando il punto preciso così Nat può leggere a sua volta. “Per quanto ne sappiamo, però,” continua il minore dei Winchester con una punta di delusione, “le fenici sono uccelli leggendari.”
“L’unico che ho visto è sulla schiena di Natalie,” commenta Dean, ancora scrutando lo scaffale del settore preso da lui in esaminazione, “quindi si, siamo fottuti. A meno che scuoiare Nat non sia la soluzione, in quel caso potremmo vedere come va.” Solo in quel momento smette di concentrarsi momentaneamente sui libri per voltarsi verso l’interessata e farle una boccaccia.
“Sei divertente quanto un gatto attaccato alle pal-”
“Natalie!!” la interrompe Bobby prima che finisca la frase. Il cacciatore ha sempre avuto questa abitudine fin da quando lei era bambina – di solito, fino a che Nat non ha raggiunto i sedici anni, la rimproverava dicendo Natalie, linguaggio! poi quando ha cominciato ad essere più grandicella, la rimproverava pronunciando solo il suo nome.
“Non è un linguaggio da signorina!” la prende in giro Dean, così lei gli mostra il dito medio senza nemmeno troppi rimorsi. Tecnicamente, non è un linguaggio verbale. Bobby non l’ha mai rimproverata per quello corporeo, quindi non sta facendo un torto a nessuno, no? E Dean si meriterebbe quel dito infilato su per il- avete capito.
“Ragazzi!” li chiama Bobby, con un tono quasi supplicante, che sta a dire vi prego, siete adulti. Comportatevi come tali, brutti idioti.
“Cos’altro dice sulla Madre?” Bobby si massaggia le tempie. Dean torna a prestare attenzione al suo scaffale. Sam fa scorrere gli occhi sul libro, così come fa Natalie, ma sembra che le informazioni utili siano finite. Le fenici, uccelli mitologici che risorgono dalle proprie ceneri, non sono mai state concretamente avvistate.
“Questo è il grande aiuto di Morte?” sbotta Sam. “Sapere che l’unica cosa che uccide la Madre in realtà non esiste?”
“No.” Risponde Dean, che sembra quasi sovrappensiero. Al tavolo, Sam, Bobby e Natalie portano lo sguardo su di lui nello stesso momento e lo trovano intento a leggere un libro, più piccolo rispetto agli altri e meno malconcio. “Sentite qua: 5 Marzo 1861, Sunrise, Wyoming – la pistola oggi ha ucciso una fenice ed è rimasto solo un cumulo di ceneri fumanti.”
“Cosa stai leggendo, Dean?” gli domanda Natalie, mentre lui si avvicina al tavolo e si mette a sedere. Il cacciatore tiene il segno sulla pagina con l’indice e, chiudendolo, mostra la copertina ai presenti.
“Il diario di Colt.”
“È il suo??” domanda Sam, “Fammelo vedere!” il minore si allunga sul tavolo per cercare di raggiungere suo fratello, ma Dean si scansa, tirando il diario a se.
“L’ho trovato io!” esclama, con un tono quasi infantile, tenendolo stretto in petto e mettendo i piedi sopra al tavolo, incrociandoli l’uno sull’altro.
Bobby fa roteare gli occhi al cielo, ormai privato di ogni minima speranza che un giorno quei due – e a tratti si sente di includere anche Natalie – diventino adulti al cento per cento. “Non dice altro?” domanda, poi.
Dean fa scorrere le pagine, lasciando che il loro cartaceo fruscio riempia la stanza: “No. Nient’altro.”
“Bene,” Sam si passa una mano tra i capelli, “dobbiamo trovarcene un’altra.”
“Certo, perché si sente tutti i giorni di qualcuno che avvista fenici, no?”
Sam si volta verso Natalie, lanciandole un’occhiataccia: “Non c’è bisogno di essere sarcastici!”
“La soluzione, in realtà,” comincia Dean, quasi gonfiando il petto, “è proprio sotto ai nostri occhi!”
“Ah, si? Illuminaci.” Bobby incrocia le braccia, in attesa.
“Sappiamo che a Sunrise, nel Wyoming, il 5 Marzo 1861 una è stata uccisa. Andremo indietro nel tempo e aiuteremo Colt a farla fuori. Friggiamo l’uccellaccio e ci becchiamo le ceneri.”
“Tecnicamente, friggerla non è proprio la cosa adatta da far-”
“Sta’ zitto, Sam. Hai capito cosa intendevo!” Dean fa un gesto con la mano, come se dovesse scacciare una mosca.
“Questo è il tuo grande piano?” Bobby lo guarda scettico.
“Conosciamo qualcuno che può aiutarci, quindi perché no?”
“Ma come la riconosceremo? Pensi davvero che un uccello fiammeggiante si materializzerà davanti ai nostri occhi? Non sappiamo che forma può assumere.” obietta Natalie.
“Non abbiamo altra scelta se non tornare nel 1861. O la fenice di Colt, o aspettiamo che la Madre tramuti questo mondo in un parco giochi per i suoi figlioletti mostruosi.”
Nat si fa pensosa. Ha senso. Per quanto possa sembrare assurdamente folle – ma del resto, cosa nella loro vita non è folle? – il piano di Dean potrebbe funzionare.
“D’accordo.” afferma, “Quindi chiami Castiel, gli chiedi di spedirci nel 1861 e ci mettiamo a cercare la fenice. Avremo bisogno di tempo, però. Non possiamo farci spedire direttamente al cinque marzo, sarebbe troppo rischioso.”
“Facciamo il quattro, allora.” Interviene Sam. “Avremo più tempo.”
“Giusto.”
Mentre i due discutono sulla tempistica, Dean se ne esce con un lapidario: “Tu non verrai.”
Natalie sposta la sua attenzione da Sam per portarla su di lui: “Come, scusa?” chiede, aggrottando le sopracciglia.
Dean incrocia le braccia e allarga le gambe, quasi come se dovesse mettersi sulla difensiva, come se dovesse prepararsi a parare un’esplosione –l’esplosione dell’ira di Natalie nei confronti di quell’affermazione. Ma non ha intenzione di demordere: “Mi hai sentito. Non fare quella faccia, Nat.”
Il suo tono non ammette repliche e questo la fa terribilmente innervosire. Siamo alle solite. Cosa hanno parlato a fare, se devono sempre commettere gli stessi errori?
La ragazza fa schioccare la lingua sul palato: “Alle solite, no? Scordatelo. Io vengo con voi. Questione chiusa. Apri di nuovo la bocca per obiettare e ti prendo a calci nel culo.”
“Tu non andrai.” Questa volta, però, è Bobby a parlare. La ragazza si volta verso di lui, incredula, come se si sentisse tradita dalla sua spalla portante. Bobby, di solito, ha sempre cercato di fare ragionare Dean quando si metteva in testa cose come queste, ovvero impedire a Nat di fare qualcosa perché lui la riteneva una cosa pericolosa, nonostante la cacciatrice avesse tutte le capacità per riuscire nell’impresa, ma adesso.. adesso sulla sua faccia è stampata un’espressione così seria e decisa che Natalie non riesce a vedere l’uomo che più volte la spronava a partecipare, o spalleggiava il suo punto di vista, ma è come se vedesse una versione anziana di Dean – Dean, che a sessant’anni le dirà che non deve fare cose pericolose perché lui ha deciso che non è opportuno rischiare.
“Non ti ci mettere anche tu, adesso! Perché non vuoi che vada?”
“Perché devi riprenderti da quello che hai passato e un viaggio indietro nel tempo non ti fa bene. Rimarrai a casa con me.”
“No.”
“Si. Caso chiuso. Disobbedisci e ti prendo a calci nel culo.”
Natalie sente la rabbia montarle dentro. Come si permettono di dirle quello che deve o non deve fare? Capisce benissimo che hanno avuto paura, negli ultimi giorni, che diavolo, lei stessa sa cosa significa sentire lo stomaco arrotolato su se stesso dal terrore di perdere qualcuno, ma non ha mai impedito che questo qualcuno non facesse una cosa che voleva fare. Piuttosto ha fatto in modo di proteggere questo qualcuno nella sua impresa, affiancandolo e abbracciando la causa. Ricorda quando Ellen aveva vietato a Jo di cacciare e la ragazza era scappata dal Road House per seguire le orme del padre.
Non sotto il mio tetto, signorina! Aveva detto Ellen, quando la figlia le aveva comunicato come avesse intenzione di spendere la sua vita e al rifiuto della donna, la giovane era fuggita.
Nat, per quanto detestasse fare una cosa che Ellen non approvava e, soprattutto, capisse quanto poi le conseguenze sarebbero state dure per entrambe – Ellen arrabbiata faceva più paura di qualsiasi mostro – aveva aiutato Jo, erano diventate compagne di caccia e l’aveva poi convinta a riappacificarsi con sua madre. Perché va bene abbracciare la causa di un’amica, ma era assolutamente necessario che madre e figlia tornassero a convergere, che capissero una il punto di vista dell’altra e trovassero un punto di incontro per riuscire a convivere senza necessariamente scontrarsi.
Era, quella di Jo, una decisione che approvava? No! Ma cosa ha fatto? L’ha rispettata! Perché quei due zucconi non possono rispettare anche la sua decisione?
“Non potete scegliere per me. Non avete il diritto di scegliere per me! Non ho tre anni, decido da sola cosa fare o non fare!”
“No.” Affermano con tono perentorio e solenne i due cacciatori – nemmeno a farlo apposta, hanno parlato in sincronia.
Natalie, momentaneamente spaesata, cerca lo sguardo di Sam per ricevere appoggio, ma il più giovane dei Winchester la guarda come se volesse chiederle scusa – segno, quello, che per quanto possa capire la visione di Natalie, è d’accordo con suo fratello e Bobby. Nessuno, in quella stanza, vuole rischiare che a Natalie succeda qualcosa, non dopo l’ultima volta.
A quel punto, però, Nat sbotta: “Quindi è così che stanno le cose? Siccome ho rischiato di morire adesso mi terrete sotto ad una campana di vetro? Perché? Perché sono fragile? Non sono mai stata fragile, ho sempre combattuto con la stessa grinta di voi ragazzi,” guarda prima Dean e poi Sam, “e mi hai insegnato a pensare in modo da trovare una soluzione ad ogni problema!” il suo sguardo si posa su Bobby, “Non mi avete mai fatta sentire una principessina in pericolo, perché volete farlo adesso?”
“Nat, non devi viverla così…” comincia Bobby.
“È solo che ciò che hai vissuto negli ultimi giorni è stato una batosta.” Continua Dean, “Cerca di capire, Nat. Nessuno qui pensa tu sia da tenere sotto ad una campana di vetro. Non vogliamo rischiare.”
“Conosciamo tutti il tuo valore,” aggiunge Sam, “non abbiamo certo bisogno di conferme. Vogliamo solo stare tranquilli.” 
“È frustrante.” Dice Nat, passandosi una mano tra i capelli sciolti. Dean le si avvicina, lentamente, e le appoggia una mano sulla spalla. Quando lei non si ritrae, sistema le proprie mani sul suo viso.
“Se ci fossi io al tuo posto, che faresti?”
Natalie si trova a pensarci su. Se fosse Dean quello che è rimasto in coma per quattro giorni dopo aver rischiato di morire, cosa farebbe? Lo sottoporrebbe ad un trattamento che potrebbe indebolirlo? No. Lo salvaguarderebbe. Farebbe in modo e maniera da evitare di coinvolgerlo nell’impresa finché non è assolutamente certa che abbia riacquistato in pieno le sue forze.
Non si tratta di sottovalutazione, o di sminuire le sue capacità, si tratta di prevenzione. E come dice un vecchio detto, è meglio prevenire che curare.
Natalie sospira: “Ho afferrato. D’accordo, non verrò.”
Dean sorride, più rilassato: “Grazie.”
“Ma fate attenzione.”
                                                                                                    ***

La chiamata a Castiel era stata rapida, ma non così tanto tranquilla come si aspettavano. Infatti, prima che comparisse l’angelo, aveva fatto apparizione un altro angelo, Rachel, luogotenente delle truppe di Castiel, così devota alla causa che aveva preferito abbassarsi a rispondere ad una preghiera pronunciata da degli insulsi mortali piuttosto che disturbare Castiel. A Natalie il suo modo di fare non era piaciuto per niente. Soprattutto quando li aveva definiti dei miseri esseri inferiori. La cacciatrice era esplosa intimando alla bionda Rachel di togliersi la scopa dal culo e trattarli con un po’ più di rispetto. E Bobby, questa volta, non aveva avuto niente da ridire sul linguaggio usato dalla cacciatrice.
Castiel era apparso prima che la lite tra le due donne sfociasse in un vero e proprio combattimento. Dean, in realtà, avrebbe voluto vedere come finiva – aveva già sussurrato all’orecchio di Sam che scommetteva cinquanta dollari che Natalie avrebbe fatto a pezzi la bionda. Sam, aveva alzato gli occhi al cielo e gli aveva detto che non era ne il momento ne il luogo adatto per fare l’imbecille.
Guastafeste, aveva commentato il maggiore a denti stretti.
Dopo che Rachel era stata liquidata da Castiel – con grande soddisfazione da parte di Natalie – i ragazzi avevano spiegato il loro piano all’amico, che si era trovato d’accordo sulla scelta della tempistica.
Potrete rimanere nel 1861 solo per ventiquattro ore, se non tornate entro lo scadere del tempo, rimarrete bloccati là.
Ce la faremo,
era stata la risposta di Dean, che sentiva già lo sguardo angosciato di Natalie addosso.

“Ce la faranno, non è vero?” domanda Natalie, fissando l’orologio attaccato alla parete dello studio di Bobby, dove la donna si trova insieme al vecchio cacciatore. Lei seduta sul piccolo divano, lui alla scrivania.
L’uomo alza gli occhi dal tomo che sta leggendo per portarli sulla ragazza: “Certo, ce la faranno. Sono in gamba, lo sappiamo entrambi.”
Nat annuisce, ma il suo nervosismo e la sua angoscia sono percepibili anche solo guardandola negli occhi. Si passa entrambe le mani tra i capelli, lanciando un’altra occhiata all’orologio.  
Castiel li ha catapultati nel 1861 due ore fa, ciò significa che mancano ancora ventidue ore. Hanno tempo, possono farcela.
Natalie sospira, mentre si passa i palmi sulle cosce, come se esalando aria alleggerisse il peso della sua ansia.
“Nat, se devi stare qui in queste condizioni, ti prego, vatti a fare un giro. Mi innervosisci.”
 Bobby tiene gli occhi fissi sul libro sotto al suo naso e Natalie riesce a vedere le pupille dell’uomo che scorrono da sinistra a destra, concentrati sull’argomento scritto in quelle pagine.
“Scusa.” mormora Natalie, lanciando un’ulteriore occhiata all’orologio. Fanno tre occhiate in quaranta secondi. “Che leggi?”
“La storia della creazione del Purgatorio.”
“Oh.” commenta Nat, alzandosi dal divano e avvicinandosi all’uomo, incuriosita. Si sistema alla scrivania, sedendosi sul tavolo e lasciando le gambe a penzoloni. Allunga il collo per riuscire a leggere senza infastidire Bobby. “Interessante.”
Natalie ha letto soltanto tre righe della pagina quando i fogli sparsi in quella stanza iniziano ad alzarsi, librando in aria come tanti bianchi coriandoli troppo grossi, e un tonfo sordo riecheggia in quelle mura: Castiel, a terra davanti alla scrivania, si tiene la pancia sanguinante.
“Cas, o mio Dio!” Nat scende con un balzo dal tavolo e si precipita ad aiutare l’angelo ad alzarsi. Lo accompagna sul divano mentre lui si appoggia a lei, privato delle proprie forze.
“Dio lascialo dov’è.” biascica Castiel, lasciando che Natalie lo aiuti a sdraiarsi sul divano. Non aveva mai notato quanto fosse soffice e morbido. In realtà, si trova a pensare Cas, non si è mai seduto sul quel mobile prima di adesso. Di solito, lo usano i ragazzi per schiacciare pisolini tra un caso e l’altro, mentre lui non ha bisogno di dormire, quindi non gli era mai capitata l’occasione.
“Si può sapere che è successo?” domanda la donna, visibilmente preoccupata, passando lo sguardo sulla ferita ancora sanguinante dell’angelo.
“Rachel. Mi ha teso una trappola.”
“Quella stronza altezzosa e malefica!” impreca Nat, dando un pugno al bracciolo del divano. “Dovevo sistemarla quando si è mostrata al tuo posto!” la cacciatrice apre la camicia di Castiel – facendo saltare gran parte dei bottoni –  per dare un’occhiata alla profondità della ferita. Sa che normalmente può guarirsi da solo, ma quando i danni sono fatti dalle spade angeliche la rimarginazione delle ferite sembra più difficile da compiere. E Castiel ha una faccia così bianca, grigiastra quasi, che Nat ha la sensazione non riuscirebbe a sistemare nemmeno un taglietto superficiale.
“Ci ho pensato io. È morta.” Esala prima di appoggiare la testa allo stesso bracciolo che prima era stato vittima dello scatto d’ira di Natalie.
La donna alza i suoi occhi sul viso dell’angelo, cercando di intuire cosa possa provare. E quando anche gli occhi blu di Castiel si allacciano a quelli della cacciatrice, Nat trova nello sguardo dell’amico ciò che si aspettava di trovare: tristezza, angoscia, sofferenza.
Anche se Rachel ha tentato di ucciderlo e l’ha tradito, era pur sempre una sorella e Castiel è stato costretto, ancora una volta, a togliere la vita ad un membro della sua famiglia per riuscire a sopravvivere. Tutto perché lassù, tra le nubi celesti, Raffaele vuole imporre la sua supremazia e annientare Castiel e la sua causa.
“Mi dispiace, Cas.” Nat gli stringe le mani e Castiel accenna una debole sorriso, alzando solo un angolo della bocca.
“Tieni,” dice Bobby, arrivando alle spalle della ragazza e passandole una cassetta del pronto soccorso, “ti servirà per ricucirgli la ferita. Mi sembra abbastanza seria.”  
Natalie annuisce e, dopo aver tirato fuori l’occorrente, inizia a medicare Castiel, che rimane in silenzio a guardare quel piccolo gesto premuroso, un gesto così raro da vedere, ultimamente – visto che tutto ciò su cui i suoi occhi si sono posati nell’ultimo periodo sono solo violenza, sangue e crudeltà – che non vuole perdersi nemmeno un minimo dettaglio.
Castiel si trova ad osservare le mani di Natalie, così piccole e morbide, che si muovono esperte per cucire i punti. Lo fa da quando era poco più di una bambina, è logico che abbia sviluppato una certa maestria nel curare, cucire, fasciare e disinfettare. Potrebbe fare l’infermiera, o la dottoressa, se il destino non avesse avuto già un piano dal principio, per lei. Il grande disegno divino voleva che Natalie Duvall diventasse una cacciatrice, una di quelle così brave da aiutare i Winchester nel loro cammino, preparandoli al momento in cui avrebbero detto si ai loro rispettivi arcangeli e avrebbero iniziato l’Apocalisse. Era convinto, quello sciocco del Destino, che Natalie avrebbe accettato di buon grado la battaglia tra Sam e Dean, perché dal momento in cui loro avessero iniziato a combattere, almeno non ci sarebbero state più perdite umane. Come se una guerra sovrannaturale potesse davvero risparmiare vittime. Come se davvero Natalie fosse stata disposta a perdere uno dei suoi due fratelli.
Il disegno divino, il destino, il fato, o chi per esso, non sapeva che ne Natalie Duvall ne i Winchester credono in qualcosa che possa distruggere l’umanità. O la loro famiglia. O il loro rapporto.
Hanno lottato per crearsi il loro destino e hanno vinto. C’è più forza nei suoi amici che in tutti gli angeli del Paradiso.
“Cosa sognavi di fare da bambina?”
Natalie si blocca di colpo, spiazzata da quell’improvvisa domanda, rimanendo con una mano ferma sul ventre di Castiel e con l’altra – che tiene un ago – a mezz’aria. Persino Bobby, rimasto fino ad ora a osservare i due in silenzio, si sente toccato da quel quesito.
“Che vuoi dire?”
“Prima di intraprendere questa strada, qual era il tuo sogno?”
Natalie torna ad occuparsi della ferita, con le guance inspiegabilmente rosse. “N-non lo so, io.. io sognavo di fare tante cose. Come tutte le bambine, credo.”
“La ballerina? Molte bambine sognano di danzare..”
“No.. i tutù mi mettevano a disagio.. io.. i-io fantasticavo su cose come diventare una cuoca professionista o un’allevatrice di cavalli.”
Bobby sorride, nostalgico. Ricorda benissimo quando la piccola Natalie, a sette anni, lo implorava di regalarle un pony per Natale.
Ti prego, zio Bobby. Devo imparare a occuparmi di un cavallo se voglio avere un maneggio tutto mio, da grande!
Mentre Castiel, dal canto suo, si trova a immaginare una giovane Natalie che a dodici anni, anzi che andare in Louisiana per imparare i segreti di una sacerdotessa voodoo, viene portata ad un corso di equitazione. I capelli raccolti in due trecce rosse fiammeggianti, rese ancora più accese al sole, così tanto da poter pensare che la stessa stella abbia deciso di propria spontanea volontà di andare ad intrecciare i capelli della ragazzina con il calore luminoso e il fuoco incandescente dei suoi raggi; il sorriso timido di fronte a quel cavallo – magari nero, o magari chiazzato – che le avrebbe insegnato come ci si occupa di quei mammiferi. E da lì, da quel giorno che Natalie avrebbe potuto vivere, sarebbero nate le basi per fare si che diventasse un’allevatrice con un maneggio tutto suo.
Ma Dio aveva un altro piano.
Dio non le ha dato un maneggio, Dio le ha dato un machete e ha fatto in modo che imparasse a decapitare vampiri, per essere in grado, un giorno, di affrontare una battaglia che avrebbe portato solo distruzione e sofferenza. Per fare in modo, un giorno, che fronteggiasse il Diavolo in persona, che combattesse contro di lui faccia a faccia, che lanciasse un grido di battaglia contro l’arcangelo, caduto dal Paradiso perché troppo presuntuoso, prima di infilzarlo con una spada angelica nel tentativo disperato di infliggerli almeno un minimo di dolore. Per fare in modo che quello stesso angelo ormai caduto, simbolo di ribellione, considerato dagli altri angeli quasi un abominio, l’afferrasse per il collo e lanciasse ad almeno tre metri da lui e da quel tentativo impossibile di ferirlo.
“I cavalli sono creature meravigliose.”
“Mi trovi d’accordo.” Natalie sorride, mentre finisce di cucire l’ultimo punto e tagliare il filo. Castiel la osserva mettergli una garza sterile sopra alla cucitura. Le vorrebbe far notare che non ha bisogno che sia sterile, a lui non possono venire le infezioni, ma tace – perché probabilmente Natalie lo sa benissimo da sola, ma vuole fare in modo che Cas non si senta solo, che capisca che c’è – e sempre ci sarà – qualcuno che sarà felice di occuparsi di lui ogni volta che ne avrà bisogno.
“Sai, per quanto mi riguarda, puoi ritenerti a tutti gli effetti una cuoca professionista..”
“Il tuo giudizio non è così valido, in realtà. Per te il cibo sa di molecole!”
Castiel accenna una debole risata – il dolore all’addome gli impedisce di farne una vera – e afferma: “Ciò non vuol dire che non abbia la capacità di percepire il sapore delle cose come lo percepite voi. Una volta l’ho fatto. E la tua torta di mele era squisita.”
Natalie sorride: “Allora, quando ti sarai ripreso del tutto, te ne preparerò una tutta per te. Adesso riposati, ne hai bisogno.”
La cacciatrice lo copre con un plaid e sistema meglio i cuscini per fare in modo che l’angelo sia comodo. A quel punto, contro ogni logica, Castiel si addormenta.



La prima cosa che Castiel sente, mentre i suoi occhi si aprono, è l’odore di olio, ma non quello per cucinare, quello che viene usato per pulire le armi e fare in modo che gli ingranaggi al loro interno scorrano perfettamente, evitando così che i meccanismi si inceppino nei momenti meno opportuni.
Lo riconosce perché è una cosa che ha imparato da Dean.
Secondo te perché la mia pistola non si inceppa mai?
Diceva sempre, ogni volta che lo guardava occuparsi con cura non solo della sua pistola prediletta – quella dal manico bianco – ma di tutte le armi.
Così, quando riesce finalmente ad aprire completamente gli occhi – strizzando più volte le palpebre per abituarsi alla luce – Castiel trova Natalie seduta alla scrivania – che ha ricoperto di pistole, fucili e armi che non sa riconoscere – intenta a pulire una pistola.
“Quanto ho dormito?” domanda con voce arrocchita. Si sente la gola secca e le labbra screpolate. Per non parlare di quell’improvvisa debolezza che l’ha colto non appena ha ripreso conoscenza. Lo sconto con Rachel deve averlo indebolito più di quanto pensasse. Deglutisce e nel farlo ha l’impressione di ingoiare ghiaia.
Natalie, alzando gli occhi su di lui, posa la pistola: “Quattro ore.” La donna lancia un’occhiata furtiva all’orologio.
“Fanno sei ore. Hanno ancora tempo, ma c’è un problema..”
A quelle parole, Natalie si irrigidisce, la schiena eretta in una posizione quasi innaturale, come se le stessero puntando un fucile sulla colonna vertebrale, il viso teso e improvvisamente grigiastro, gli occhi colmi di panico. Castiel ha addirittura l’impressione di riuscire a sentire le budella della donna attorcigliarsi su se stesse.
“Che problema?” la sua voce, nonostante lei si sforzi, trema.
“Sono troppo debole per riuscire a riportarli indietro. E temo non avrò recuperato abbastanza forze nemmeno tra diciotto ore.”
Natalie si passa una mano tra i capelli e si morde il labbro inferiore, facendolo sparire all’interno della bocca per qualche istante. In un primo momento, lascia che il panico si impossessi di lei e che la sua ondata la invada come il più violento dei maremoti (Se Cas non ha abbastanza forze, i ragazzi sono bloccati nel 1861 per sempre, senza una misera via d’uscita e ancora come cacchio faccio a tirarli fuori dal passato, se nemmeno un angelo è in grado di farlo?), tanto che sente il respiro accelerare e l’aria mancare, come se un grosso, enorme, infinitamente grande macigno abbia deciso di prendere la residenza dentro alla sua gola e posizionarsi sul suo petto, impedendole di respirare.
Ma poi, una parte di se trova la forza di scuoterla da quell’attacco di panico (Spiegami che aiuto potrai mai dare se ti fai prendere dal panico. Avanti, vedi di riprenderti e metti in moto il cervello. O li salvi te o non li salverà nessuno, perciò vedi di darti una mossa, signorinella!) e farla tornare in se.
Respira.
Inspira.
Espira.
Con calma.
Il cuore torna a battere regolare e il respiro smette di accelerare. Il macigno sembra si sia traferito da qualche altra parte, lontano da lei.
“D’accordo, vediamo di pensare ad un’alternativa. Ci dev’essere un altro modo, no?”
“Un altro modo c’è,  in effetti. Ma potrebbe essere pericoloso.”
“Cosa ti serve?”
Castiel sembra esitare un attimo, come se dovesse pensare a fondo se informarla o no sull’alternativa. Poi, lo sguardo speranzoso formatosi sul viso di Natalie fa si che l’angelo decida di parlare: “Ho bisogno che tu mi faccia toccare la tua anima. In quel modo, sarà come ricaricarmi e avrò abbastanza forze per riportarli qui.”
La notizia le provoca un immenso senso di sollievo che si irradia per tutto il corpo di Natalie, come balsamo caldo.
“Ci sto.”
Sul viso di Castiel si dipinge un’espressione preoccupata: “Sai a cosa andrai in contro?”
Natalie, per un attimo, rivede Castiel infilare il braccio dentro al petto di Sam; il viso del cacciatore, contratto in una smorfia sofferente, rigato dalle lacrime; la voce supplicante di Sam che implora l’angelo di farla finita le riempie le orecchie. Il minore dei Winchester deve aver sofferto moltissimo.
“Potrebbe farti davvero, davvero molto male.”
Potrebbe ucciderti – è ciò che Nat legge nell’espressione di Castiel.
“Lo so. Ma si tratta di Dean e Sam. Non li lascerò laggiù. Se c’è anche solo una possibilità di riportarli indietro, voglio sfruttarla.”
Castiel annuisce, così Natalie si avvicina a lui.
La donna si sistema al suo fianco, sul divano, mentre Castiel si mette seduto. Si alza la manica destra dell’impermeabile e della camicia, ormai priva di bottoni, e portando la mano sinistra sulla spalla di Nat, le domanda: “Sei sicura?” la guarda dritta negli occhi, per avere l’assoluta certezza che quella a cui stanno andando in contro sia la vera volontà di Natalie.
“Sicurissima. Comincia.”
Castiel avvicina lentamente il suo braccio all’altezza del ventre di Natalie e, prima di cominciare, le lancia un’ultima occhiata a cui la cacciatrice risponde con un cenno d’assenso con la testa. A quel punto, l’angelo inizia a far avanzare il proprio braccio all’interno del ventre di Natalie. All’inizio, il dolore le sembra quasi sopportabile, come un pizzico costante, un lieve bruciore, come quando una piccola goccia d’olio schizza dalla padella e finisce sopra alla mano – brucia, e continua a farlo, ma è del tutto sopportabile. Piano piano che Castiel avanza, però, il dolore aumenta sempre di più, trasformandosi in qualcosa di sempre più acuto e pungente, come una lama, fredda e bollente allo stesso tempo, che viene conficcata sempre più in profondità, desiderosa di strappare i lembi della pelle in cui viene fatta sprofondare. L’impressione che ha Natalie è che il braccio di Castiel abbia i denti e la stia prendendo a morsi, lacerandole la pelle e mangiando tutto ciò che trova nel suo cammino. È diventato un dolore così forte, intenso e crescente, che non può fare a meno di piangere – anche l’urlo che lei si era formato in gola non appena aveva sentito il dolore aumentare, e che fino ad ora aveva trattenuto mordendosi con forza l’interno di entrambe le guance fino a farle sanguinare, esce libero, riecheggiando in quella stanza.
“Resisti Nat, ho quasi finito.”
La voce di Castiel le arriva confusa alle orecchie, come se fosse lontana chilometri. L’unica cosa che riesce a percepire, oltre al dolore che sembra sia destinato a crescere in maniera spropositata e insopportabile, è il sapore ferroso del sangue che ha in bocca – il suo sangue, quello che si è fatta uscire per evitare di lanciare quell’urlo straziante che le ha lacerato la gola.
Adesso, riesce benissimo a comprendere perché Sam fosse in quelle condizioni, quando c’era lui al suo posto.
“Che state facendo?”
Bobby.
Bobby, con voce allarmata e gli occhi spalancati; con un vassoio contenente tre tazzine e una caraffa piena di caffè tra le mani.
Bobby, con espressione furiosa e contrariata.
Bobby, che esplode come un tuono iracondo, quasi come se Zeus stesso gli avesse dato il permesso di usare quel tono di voce così esplosivo, così elettrico, così devastante: “Stai lontano da lei, che cosa stai facendo???”
Il cacciatore si avvicina a loro con due falcate, appoggiando ciò che aveva in mano sulla prima sedia libera che trova, rischiando di fare cadere tutto per terra, e cerca di toccare Natalie, ma Castiel gli rivolge un’occhiata perentoria, una di quelle severe, una di quelle che lo caratterizzavano così tanto, all’inizio, quando pensava di essere solo un soldato al servizio di Dio. Una di quelle occhiate che farebbe torcere le budella anche al più coraggioso e determinato degli uomini.
“Toccala e potrebbe morire. So quello che sto facendo e lei è forte abbastanza da reggerlo, ma devo dosare io la forza, altrimenti c’è il rischio che ci rimetta la pelle.”
“La stai già uccidendo!” ruggisce Bobby, furioso come un leone a cui è stato appena ferito il cucciolo. “Finiscila.”
“Non ancora. Ho bisogno di ancora un po’ di energia.”
“Morirà!”
“N-non m-morirò,” balbetta Natalie, a denti stretti, cercando di non urlare in preda al dolore, “p-posso farcela,” parlare è estremamente faticoso, tanto che sente il sudore imperlarle la fronte, “l-lascia che Cas f-f-finisca il suo l-lavoro, p-p-per favore.”
Bobby, con il cuore stretto in una morsa di preoccupazione, lascia che Castiel finisca ciò che ha cominciato – e che lui non è riuscito ad impedire. A che cosa serve tutto questo, poi?
Il cacciatore decide di rimandare le domande a quando sarà tutto finito. A quando Natalie smetterà di urlare come un animale sgozzato; a quando la mano di Castiel sarà completamente uscita dal suo ventre e quella palla azzurra che adesso le illumina la pancia sarà svanita del tutto.
Non gli bastava aver visto Sam in quelle condizioni, doveva vederci anche Natalie.
Bobby osserva Castiel chiudere gli occhi e iniziare lentamente a ritirare il braccio, facendolo fuoriuscire da Natalie, le cui urla cessano lentamente.
“Ho finito.” Sussurra l’angelo, abbassandosi la manica della camicia e poi dell’impermeabile. Natalie si lascia cadere sul divano, appoggiando la schiena ai morbidi cuscini. Chiude gli occhi e si massaggia le tempie. Sente la gola estremamente secca.
“Siete impazziti??” sbotta Bobby, furioso come un toro fuori controllo, “No, ditemi, brutti idioti, che cosa passa in quelle teste piene di segatura! Qual era il vostro piano, mh?”
“Bobby..” comincia Nat, con la voce resa roca dalle costanti e continue urla.
“Bobby una ceppa. Con quello che hai passato negli ultimi giorni ti sembra appropriato farti infilare la mano di un angelo fino al gomito per farti toccare l’anima?” il cacciatore cammina avanti e indietro, nervoso e inviperito. Solca lo stesso pezzo di pavimento come se fosse in grado di camminare solo in quel piccolo perimetro.
Natalie si mette nuovamente seduta sul divano, troppo debole per potersi alzare. Il processo l’ha stancata parecchio.
“Bobby, vuoi ascoltarmi??”
Il cacciatore si ferma e rimane immobile a fissarla. Gli occhi severi che nascondono una preoccupazione profonda.
“Spero ci sia una buona ragione per tutto ciò.” Commenta, guardando il viso sciupato di Nat. Le sue guance sudate e pallide, gli occhi arrossati dalle lacrime, il respiro affannato, come se fosse incapace di regolarizzarlo, il corpo tremante e la voce arrocchita. Natalie è ridotta ad uno straccio.
“C’è. Altrimenti perché pensi mi sia sottoposta ad un trattamento simile??”
“Illuminami.”
Natalie, continuando a sentire la gola secca, deglutisce prima di parlare: “Cas non aveva abbastanza forze per riuscire a riportare Dean e Sam da noi. L’unico modo era fargli toccare la mia anima affinché recuperasse le forze necessarie a ricaricarsi.”
Bobby si fa cupo in viso – più di quanto non lo fosse già.
“Dovevo rischiare. Non potevo abbandonarli.”
“Dovevi venire da me. Mi sarei sottoposto io a questa tortura. E lo sai.” Farei qualsiasi cosa per voi ragazzi, vorrebbe aggiungere, ma non lo fa. Si limita a concludere con quel lo sai perché sa che Natalie capisce fino in fondo cosa significa.
Robert Singer morirebbe per i suoi ragazzi senza pensarci due volte. Sacrificherebbe se stesso per aiutarli senza la minima titubanza.
“Dovevo farlo io. Per…”
“..Per dimostrare che sei in grado di sopportare uno sforzo simile? Pensavo fossimo stati chiari sul fatto che nessuno dubita di te e delle tue capacità!”
“No,” risponde Nat, ferita dal tono severo e beffardo di Bobby, “l’ho fatto semplicemente perché sentivo la necessità di fare qualcosa di utile per portarli a casa. Non sei l’unico che farebbe qualsiasi cosa per loro.”
Bobby incassa quello sguardo di rimprovero lanciatogli da Natalie, percependo tutto il suo rammarico per il tono di voce usato precedentemente dall’uomo e si avvicina a lei.
“Lo so. Credimi, lo so.”
Ma ho una costante paura di perderti, di perdervi, e vedervi in pericolo mi paralizza più di qualsiasi altra cosa. Non sopporto l’idea di stare senza di voi e preferirei morire cento volte, piuttosto che sapervi in balia di qualcosa che possa farvi del male.  
“Ma è stato rischioso, e mi sono spaventato.”
Non aggiunge altro perché Robert Singer è un uomo di poche parole, soprattutto quando si tratta di esternare emozioni.
Si siede sul divano e stringe Natalie a se.
“Si rimetterà.” Dice Castiel, fino ad ora rimasto in silenzio. “Qualche ora di sonno e sarà come nuova.” E senza lasciare tempo a Natalie per protestare, le tocca la fronte per farla dormire. Natalie si abbandona immediatamente all’abbraccio Morfeo.
Bobby si limita a rimboccarle le coperte ed aspettare. Ventiquattro ore non sono mai state così lunghe.

                                                                                                        ***

L’attesa uccide gli uomini.
Lo fanno anche le armi, è vero, ma niente consuma quanto una lunga attesa.
Natalie, Bobby e Castiel lo sanno fin troppo bene.
Dopo che Nat ha dormito per due ore, i tre sono rimasti in attesa di mezzogiorno con le dita incrociate e l’ansia come unica compagna.
E se qualcosa andasse storto?
Era il pensiero che aleggiava nell’aria e nella testa di tutti e tre. Se davvero Dean e Sam non ce l’avessero fatta, cosa sarebbe successo? Come avrebbero agito? Quale sarebbe stata l’alternativa per uccidere la Madre? E, cosa importante, esisteva davvero un’alternativa? Un piano B?
Dovevano riporre tutto sui ragazzi e sulle loro capacità.
E quando Castiel li aveva riportati indietro, alzando fogli e foglietti, riproducendo di nuovo una specie di carnevale monocolore, avevano ringraziato la sorte del fatto che avesse permesso che i ragazzi tornassero sani e salvi. Il problema, a quel punto, era la faccia sgomenta di Dean.
Perché era così preoccupato, se tutto era andato bene?
Facile rispondere, la sua faccia era contratta in una smorfia di angoscia perché non era andata bene.
Aveva raccontato che, dopo che era uscito vittorioso dallo scontro a fuoco con la Fenice – che aveva sembianze umane – grazie all’uso della Colt, era arrivato alle ceneri proprio mentre le campane scandivano l’ultimo tocco di mezzogiorno e Castiel li aveva riportati indietro.
Tutta fatica sprecata.
Erano nuovamente punto e a capo.
Non avevano niente in mano. Erano esattamente dove erano rimasti: in balia di una Madre uscita di testa che creava piccoli raccapriccianti mostriciattoli che adoravano nutrirsi di esseri umani – la maggior parte ignari di ciò che esiste al mondo.
Fortuna vuole che Sam Winchester sia dotato di una capacità di persuasione fuori da comune – sarà la sua testardaggine, saranno gli occhi da cucciolo, ma riesce sempre, sempre, a farsi ascoltare e a convincere i suoi interlocutori a fare ciò che gli sta chiedendo. Nel caso specifico, farsi aiutare da Samuel Colt, il quale aveva spedito, insieme al cellulare di Sam, anche le ceneri della Fenice uccisa da Dean il 5 Marzo del 1861.
La ruota gira, il gioco ricomincia. E questa volta, ognuna della parti ha armi mortali da usare.
Volgarmente parlando, zero a zero e palla al centro.

Grants Pass, Oregon.
Dean, Sam, Natalie, Bobby e Castiel sono seduti al tavolo di una tavola calda. Davanti a loro, quattro caffè e un portatile.
Hanno scoperto, grazie ad una vampira – la ragazza che Sam e Dean qualche hanno fa avevano lasciato libera perché non si nutriva di sangue umano, ma che Castiel si è trovato ad uccidere dal momento che la stessa ragazza supplicava di essere uccisa per paura di fare del male – che comunicava con la Madre – la quale riesce a comunicare con tutti i suoi figli – che Eva (la Madre, appunto) si trovava a Grants Pass.
Così i cinque si sono recati nell’Oregon per cercarla e ucciderla.
Il piano sembra semplice e fattibile. Per questo sanno benissimo che qualcosa andrà storto. Suvvia, quando mai qualcosa che hanno reputato semplice poi si è rivelato davvero semplice? Mai. Appunto.
“Ricordate, ognuno di noi ha una pallottola piena di ceneri di fenice. Una sola. Fanno quattro tentativi. Non sprechiamoli. Vediamo di ucciderla, intesi?” si raccomanda Bobby.
“Lo sai che lo fai sembrare un gioco da ragazzi, non è vero? Perché ho l’impressione che non lo sarà?”
“Perché devi essere sempre così negativa, Nat?”
“Perché forse, e dico forse, nella nostra vita quando pensavamo che qualcosa sarebbe stato semplice si è sempre trasformato in una catastrofe!” risponde alla domanda di Dean, sarcastica.
Il maggiore dei Winchester fa roteare gli occhi al cielo e si rivolge a Castiel, seduto alla finestra, alla destra di Natalie, che si trova proprio tra lui e l’angelo.
“Cas, perché non fai un giro di ricognizione e la trovi?”
“Subito.” Castiel chiude gli occhi, come se volesse mettersi in moto, ma qualche istante dopo li riapre, sorpreso.
“Che c’è?” chiede Dean, allarmato.
“I miei poteri non funzionano. Dev’essere un effetto della presenza di Eva. È più antica, più forte e quindi in grado di privarmi del mio potere.”
“Cosa vuol dire che i tuoi poteri non funzionano??” incalza Natalie, con una nota isterica nella voce.
“Che sono umano!”
“Fantastico! Senza i tuoi poteri sei come un bambino con un impermeabile!” sbotta Dean, frustrato.
Castiel a quel punto si sporge per guardarlo con le sopracciglia aggrottate in un’espressione offesa. Poi si volta verso la finestra, senza dire una parola.
“Penso tu abbia ferito i suoi sentimenti!” commenta Sam, guardando prima il fratello e poi l’amico.
Dean si limita ad alzare gli occhi al cielo scuotendo la testa.
“Potete concentrarvi?” Bobby tira le redini per riportare l’ordine ed evitare che si perda l’obiettivo di quella missione. “La cercheremo alla vecchia maniera, intesi? Ci divideremo.”
“E se sapesse già del nostro arrivo?” domanda Sam.
“Sa sicuramente del nostro arrivo. L’ha saputo nel momento esatto in cui quella ragazza ha vuotato il sacco. Vuole la nostra testa tanto quanto noi vogliamo la sua. Non se ne andrà.”
“La stronza ci sta aspettando e crede anche di avere la meglio.” È Dean a parlare.
Bobby fa un cenno d’assenso con la testa.
“Vediamo di darci una mossa. Prima la facciamo fuori, meglio è.”


È sera quando Natalie e Bobby raggiungono il punto di incontro stabilito con Dean, Sam e Castiel. La loro giornata è stata a dir poco assurda. Hanno girato tutta la città per scoprire, quasi con orrore, che Eva aveva creato dei nuovi mostri, capaci di mutare forma , e altri ancora che erano un incrocio tra un vampiro e uno spettro, che Dean aveva battezzato Jefferson Starship perché erano orribili e difficili da uccidere.
Questi ultimi avevano l’ingrato compito di ripulire la città dai cadaveri degli esperimenti falliti di Eva.
Castiel aveva scoperto, tramite una solitaria seduta con un esemplare di Jefferson Starship che avevano deciso di risparmiare – ma che l’angelo, a quanto pare, era stato piuttosto bravo a torturare –  che Eva si trovava da Ervin’s Diner, la stessa tavola calda dove si trovavano quella mattina.
Ed è proprio lì che si trovano, davanti a quel locale, armati e con il cuore che batte potente nelle loro gole, ansioso quanto loro di vedere come tutta questa faccenda andrà a terminare. Se si salveranno, o se, invece, qualcosa andrà storto e finiranno tra le grinfie di Eva e dei suoi adorabili figlioletti, squilibrati almeno quanto lei.
“Si comincia, ragazzi.” Inizia Dean, serrando le dita intorno al suo borsone pieno di armi, tra cui il fucile caricato con la pallottola alla cenere di fenice. “Io e Sam entriamo per primi. Se vedete del casino, entrate in azione.”
“I tuoi piani fanno sempre schifo.” Ribatte Natalie, preoccupata di mandare Sam e Dean in avanti come delle esce succulente, mentre carica la sua pistola con la pallottola speciale e infilandola nel retro dei jeans.
“Sto andando a rischiare il culo, potresti essere un tantino più incoraggiante?”
“Vedi, anzi vedete, di tornare e basta, ok?”
Entrambi fanno un cenno d’assenso con il capo. Scambiano un’occhiata con il resto del gruppo e si avviano.
“Che i giochi comincino.” Sussurra Dean a denti stretti, mentre lui e Sam si avviano verso l’entrata.
Camminano a passo calmo e deciso, intenti a non destare il minimo sospetto. Varcano la porta, che al loro ingresso fa tintinnare una piccola campanella che avrebbe persino un suono allegro, se le circostante fossero diverse. Ma dato che non lo sono, alle orecchie dei due cacciatori, sembra più il rintocco di una probabile morte, lenta e piena di sofferenze. Come se quello strumento, di norma gioioso, fosse stato sfiorato da un mietitore macabro e impaziente di ricevere la sua ricompensa in anime.
“Siediti e fai finta di niente.” Dice Sam, a voce così bassa che solo Dean al suo fianco è in grado di sentirlo. Il locale è piccolo, con i muri gialli e divanetti rossi; il pavimento, a mattonelle nere e bianche, sembra una scacchiera. Nell’aria l’odore di fritto si mischia a quello delle ciambelle e all’aroma del caffè. Quel posto, per accostamento dei colori, sembra un pugno in un occhio. Ma questo, viste le circostanze, risulta estremamente secondario.
I due cacciatori si avvicinano al bancone e si siedono uno accanto all’altro; le borse delle armi ai loro piedi.
“Secondo te sono tutti Jefferson Starship?”
“Da come ci guardano direi di si.” Sam si passa i palmi delle mani sui jeans e, come se quelle parole fossero state un richiamo magico, come quello del pifferaio per i topolini, i mostri presenti in quella tavola calda, si alzano dai propri posti e si avvicinano a loro, impossessandosi dei loro borsoni e intrappolandoli in un cerchio minaccioso e senza via d’uscita. I fratelli hanno quelle creature così vicine che possono sentire i loro ringhi intrappolati nella gola e possono vedere le loro labbra tremare, come quelle di un cane rabbioso, desiderose di mostrare le zanne che affonderebbero volentieri nelle teneri carni dei Winchester.
“Mangiate.” La voce di una cameriera, che porge loro due piatti pieni di cibo, li distrae da quella situazione e li costringe a portare la loro attenzione su di lei: Eva.
Entrambi la guardano: è giovane, molto giovane, con lunghi capelli castani e due grandi occhi azzurri; la pelle candida e luminosa. Eva è bella e pericolosa come il fuoco che da bambini proviamo a toccare perché ne siamo attratti, ma che presto impariamo a conoscere come qualcosa di altamente distruttivo. Eva è come il fuoco. Brucia e distrugge tutto ciò che tocca, ma non si può fare a meno di ammirarne la bellezza e la potenza.
“Ho detto: mangiate.”
I suoi occhi, si trovano a pensare i ragazzi, trasmettono un’antichità impercepibile, come se loro, due miseri umani, non riuscissero a comprendere il tempo, come se il loro cervello non fosse in grado di elaborare un concetto elaborato come la l’età della Terra o la lunghezza delle ere precedenti a quella umana. Gli occhi di Eva, evidenziano quanto loro siano limitati nella loro gioventù, incapaci di comprendere tutto ciò che è estraneo alla natura umana, mentre Eva… Eva è antica come il Purgatorio stesso; antica come il peccato originale, commesso da lei stessa.
Senza logica alcuna, Sam in particolare, si trova a pensare se l’essere finita in Purgatorio non sia stata la punizione infieritole da Dio per avergli disubbidito. Si trova poi a pensare, che quella che ha davanti potrebbe non essere la stessa Eva dell’Eden, ma una sua omonima.
Anche se la prima ipotesi gli sembra più plausibile.
Quante Eva esistono, nella Bibbia, se non quella che ha condannato tutte le donne a partorire con dolore?
“Non abbiamo fame, grazie.” Dean lancia il piatto indietro, rischiando di farlo cadere a terra. Ma Eva lo ferma prima che questo accada.
“Sei maleducato, Dean. La mamma non ti ha insegnato l’educazione?”
Dean sta per risponderle, quando Eva, all’improvviso, muta forma. La sua statura si eleva, i suoi capelli diventano biondo miele e il suo viso diventa fin troppo familiare: Mary Winchester.
Sam e Dean si trovano a guardare la loro mamma, sentendo nel petto quella sensazione di vuoto e di sofferenza. Quel buco enorme che si apre sempre di più ogni volta che qualcuno usa Mary per indebolirli.
“Sei una puttana!” ringhia Dean, con così tanta rabbia che può sovrastare i ringhi gutturali dei mostri intorno a loro. Fa per alzarsi dalla sedia, con l’intenzione di buttarsi su Eva, ma un mostro accanto a lui lo afferra per le spalle e lo costringe a rimettersi dov’era.
La Madre si apre in un sorriso vittorioso e canzonatorio.
“Non hai ancora vinto.” Sibila Sam, con gli occhi fissi sulle mani del mostro che stringono le spalle di suo fratello. Guardare il viso di sua madre e associarlo ad una creatura antica, crudele, sanguinaria ed immortale, gli fa provare un profondo senso di disagio e tristezza. Ha pochissimi ricordi legati alla sua mamma e non vuole associare alla sua figura questo momento.
“Certo, dimenticavo i vostri rinforzi!” una risata roca esce dalla gola di Eva, che guarda la porta di servizio nel momento esatto in cui essa si apre e altri Jefferson Starship entrano tenendo Castiel e Bobby per le braccia, mentre un altro tiene Natalie per le braccia e un altro ancora le tiene le gambe.
All’espressione confusa di Eva per quel trattamento rivolto alla cacciatrice, i mostri si giustificano dicendo che non smetteva di scalciare.
La Madre alza gli occhi al cielo e porta nuovamente la sua attenzione sui Winchester.
“Parliamo, vi va?”
Eva costeggia il bancone ed esce da dietro di esso per avvicinarsi ai ragazzi. Si posiziona proprio dietro di loro e si china all’altezza delle loro orecchie.
“Vediamo di farvi ragionare, ok?”
“Vedi di andare a farti fottere!” L’ira di Dean non è sciamata nemmeno un po’. Ogni volta che apre bocca le sue parole escono come dei ringhi bassi, gutturali, rabbiosi e quasi animaleschi. Poche cose lo destabilizzano e mandano fuori di testa come l’immagine di Mary usata solo per manipolarli.
“Non mi piace il tuo tono. Continua così e ti trasformerò. Anzi, trasformerò il tuo adorato fratellino, poi la rossa. E se ancora non ti mostrerai più docile, passerò agli altri due.”
Dean serra la bocca e riserva alla donna un’occhiata di fuoco, colma d’odio e risentimento.
“Bravo bambino. Adesso, l’unica cosa che voglio da voi è che mi portiate Crowley. Vivo.”
“No.”
“Dean, devo attuare le mie minacce?”
“L’hai sentito,” si intromette Sam, riuscendo finalmente ad alzare lo sguardo sulla figura di Eva, “la risposta è no.”
“Abbiamo già fatto gli schiavetti per Crowley. Non faremo la stessa cosa per te, stronza.”
Eva si china su Dean con uno scatto quasi fulmineo. I suoi lunghi capelli biondi cadono sulle spalle dell’uomo e il suo respiro solletica il collo del cacciatore. Gli respira addosso e in quel momento è come se la lucidità di Dean si stabilizzasse un poco, non riconoscendo, nell’’odore di sangue e morte trasmesso da Eva, il vero odore fresco e delicato della sua mamma. Mary, che profumava di fiori e vaniglia; Mary che gli tagliava i bordi del pane per fargli i sandwich perché sapeva che non gli piacevano; Mary, che per farlo addormentare gli cantava Hey Jude.
Mary, che non c’è più da ventisette anni.
Quella non è la sua mamma, non deve farsi condizionare da qualcuno che vuole solo confonderlo per avere la meglio su di lui.
“Mordimi.”
Eva si avvicina al suo collo e si lecca le labbra, come se pregustasse già il sapore di quella carne sotto i suoi denti, come se assaporasse già la vittoria schiacciante.
“Dean, no!” nella voce di Sam risuona una nota di panico.
Quelle parole, nota Dean con la coda dell’occhio, fanno agitare i suoi compagni, tenuti prigionieri. Castiel e Bobby si sono protesi in avanti, mentre Natalie ha ricominciato a scalciare e ad agitare le braccia. Tutti e tre, però, si muovono inutilmente.
“Mordimi!” insiste con impeto il maggiore dei Winchester, sentendo il respiro di Eva sempre più vicino.
La Madre si apre in un sorriso quasi famelico: “Deduco che questa tua insistenza confermi il rifiuto di aiutarmi.”
“Non sei così stupida come pensavo. Avanti, mordimi.”
Eva si passa nuovamente la lingua sulle labbra, prima di affondare i denti nella carne morbida del collo di Dean. E mentre il cacciatore emette un grido soffocato, dalla gola della Madre ne esce uno acuto e penetrante come una sirena. La creatura si accartoccia su se stessa, tenendo le mani premute allo stomaco. Le sue sembianze tornano normali, abbandonando quelle di Mary. I suoi occhi, saettanti di rabbia e frustrazione per essere stata fregata da un misero mortale, si posano su Dean, che non aspettava altro che la creatura lo guardasse, che vedesse in lui il volto di colui che le ha fatto incontrare la morte.
“Cenere di fenice dentro ad un bicchierino di whisky. È stato come mandare giù un mattone. Ma direi che come piano B non è male, non trovi?”
Eva non risponde, ormai non più in grado di formulare una frase. Continua a rannicchiarsi su stessa, mentre la sua faccia inizia a deformarsi. Piano piano, in mezzo alle urla strazianti di dolore, Eva diventa sempre più piccina, trasformandosi in cenere.
Quando della Madre rimane solo un mucchio di polvere fine e grigia, la voce di Castiel – che ha recuperato a pieno i suoi poteri – rimbomba come un tuono, potente ed esplosivo: “Chinatevi e copritevi gli occhi!”
L’angelo libera un fascio di energia bianca e luminosa che uccide tutti i mostri all’istante, ricoprendo di cadaveri il pavimento del diner.
“Cas, dovresti intervenire, credo mi stia trasformando.” afferma Dean, toccandosi la parte lesa da Eva. L’angelo si avvicina immediatamente all’amico e sfiora la ferita con le dita, rimediando al danno provocato dalla Madre.
Solo in quell’istante, Natalie si fionda su Dean, buttandogli le braccia al collo.
“Sei uno stupido. Uno stupido idiota! Potevi dirlo che avevi un piano B. Mi hai fatta morire di paura!”
Dean le accarezza la testa con una mano, mentre con l’altra la stringe a se.
“Devi ammettere, però, che sono stato geniale. Pensi ancora che i miei piani facciano schifo?”
Natalie, con gli occhi lucidi, si trova a ridacchiare contro al collo di Dean: “No. Posso dire che non tutti i tuoi piani fanno schifo.”
I due sciolgono l’abbraccio e si trovano, insieme ai loro tre compagni, a guardare il mare di cadaveri in cui si trovano.
“Avviatevi.” Ordina solennemente Castiel. “Qui ci penso io.”
“Sei sicuro?” domanda Sam.
L’angelo annuisce: “Andate, prima che arrivi la polizia e faccia domande!”
I quattro cacciatori si avviano verso l’uscita, pensando momentaneamente solo alla loro vittoria.
Ce l’hanno fatta.
Hanno vinto. E, questa volta, sono usciti tutti vivi da questa battaglia che sembrava persa in partenza.
Forse, ogni tanto, la loro vita non finisce sempre in una catastrofe.

                                                                                           ***

Sioux Falls, South Dakota.
Dean e Natalie sono sdraiati sul letto, uno accanto all’altra, in camera della ragazza. Hanno fatto la doccia a turno e adesso, con i vestiti puliti e senza sentire più l’odore di sudore e sangue addosso, si trovano a parlare con una tranquillità che è stata a loro estranea, negli ultimi dodici mesi. È come se fossero sopra ad una nuvola, su un altro pianeta, in una bolla dove ci sono solo loro due e il resto del mondo, momentaneamente, non esistesse; lontani anni luce dai problemi – anche perché, adesso, hanno l’impressione di averne di meno, vista l’uccisione della Madre.
E, a proposito di questo..
“Dean..” comincia Nat. Il cacciatore, al suo fianco, si sistema in costa per riuscire a guardarla meglio; il braccio sinistro piegato per fare in modo di appoggiarci il viso e la mano destra impegnata a tracciare piccoli cerchi sulla pancia scoperta della donna. Dean, con grande piacere, ha notato che la maglietta blu a maniche corte che indossa Nat si è alzata e ne approfitta immediatamente per creare un contatto. Natalie rabbrividisce.
“Dimmi.” La sua voce esce bassa e roca, andando ad aumentare l’ondata di brividi che già stava attraversando il corpo di Natalie. L’uomo inizialmente non la guarda, troppo intento a seguire i movimenti della sua mano sopra al ventre della donna, così Nat si trova ad osservarlo, perdendo di concentrazione. Si trova a guardare le lentiggini sul naso, la curva delle narici, la perfezione delle labbra, l’angolatura decisa e marcata della mascella – ormai non più ricoperta di quella barba rossastra, visto che Dean ha deciso di rasarsi, prima di farsi la doccia.
E mentre guarda quel viso, e ne associa tutti i momenti della sua vita che hanno vissuto insieme, sente il cuore sussultare, come se tremasse, e poi accelerare. Da quando ha capito cosa prova per Dean, si trova a pensare, quel sentimento non si è affievolito nemmeno un po’, dal momento che le provoca ancora le stesse reazioni. Da quando ha conosciuto Dean, ha capito che non potrebbe fare a meno di lui nemmeno se lo volesse.
Quando Dean poi, visto il suo silenzio, alza gli occhi su di lei, e quel verde intenso e brillante le fa mancare il respiro, capisce proprio di essere fregata da un pezzo. Innamorata senza via d’uscita. E se deve essere sincera, non le dispiace per niente.
“Perché non ci hai detto niente del tuo piano?”
Dean fa spallucce: “Volevo che la vostra reazione fosse credibile.”
“Quindi hai taciuto per fare in modo che la nostra preoccupazione fosse reale?”
Dean annuisce, tornando a concentrarsi sulla pancia di Natalie. Inizia a tracciare piccoli cerchi intorno all’ombelico, disegnando una specie di atomo immaginario, con l’ombelico come nucleo.
“Mi hai fatto venire un infarto. È abbastanza reale?”
“Mi dispiace, Nat.” Abbassa la mano e avvicina la bocca dove prima stava tracciando quei piccoli disegni – Nat percepisce ancora il tocco di Dean su di se – e le stampa un bacio delicato sotto all’ombelico, vicino alla cicatrice.
Natalie gli passa una mano tra i capelli, morbidi e corti: “La prossima volta, trova un modo per avvertirci. Reciteremo la parte dei compagni terrorizzati al meglio, ok?”
Il cacciatore sorride sulla sua pelle: “D’accordo, capo, come desideri.”  Le da un altro bacio, prima di allungarsi per arrivare all’altezza del viso di Nat. Una volta vicini, le bacia le labbra.
Natalie, d’istinto, gli fa spazio tra le proprie gambe, dove Dean si sistema facendo si che si incastrino come due pezzi perfetti di un puzzle.
Continua a baciarla, quasi con devozione, come se la sua vita altro non dipendesse che da questo. Natalie, gli allaccia le braccia dietro al collo e, anche se sente ormai il respiro mancare, non lascia quelle labbra che le sono mancate fin troppo e la fanno sentire a casa, la fanno sentire serena.
“Mi è mancato tutto questo. Mi sei mancata tu.” Sussurra Dean, con le labbra gonfie e il respiro affannoso. Gli occhi languidi e lucidi, accarezzati da una scintilla di desiderio.
Natalie sorride, facendo scorrere le mani dal collo di Dean fino al bordo della sua maglietta nera: “Anche tu. Mi sei mancato terribilmente anche tu.”
Quando lei  inizia a sfilarla, Dean si mette in ginocchio per togliersela completamente. Nat rimane a guardarlo, in contemplazione. Il suo fisico le è sempre piaciuto tantissimo e ogni volta lo studia per non perdersi nemmeno un centimetro del suo corpo, come se volesse trovare punti nuovi da scoprire. Parte sempre dal tatuaggio, situato a sinistra del petto, e fa scivolare lo sguardo verso il basso, fino ad arrivare al bacino.
“Mi fai sentire in imbarazzo.”
Natalie, a quel punto, scoppia in una risata fragorosa e cristallina: “Sei un bugiardo! Non ti sentiresti in imbarazzo nemmeno se fossi completamente nudo in una sala piena zeppa di gente!”
Dean si abbassa di nuovo su di lei, facendo aderire i loro corpi: “Non posso darti torto.”
Natalie sorride e si morde il labbro, prima di baciarlo e lasciare che le mani di Dean vaghino sul corpo di lei con la sola intenzione di togliere ciò che ormai entrambi ritengono superfluo.
Ed è così che va a finire.
Con Dean e Natalie spogliati quell’involucro che conteneva tutto ciò che c’è stato tra di loro nell’ultimo anno, privati delle negatività, delle brutte esperienze, delle incomprensioni, delle sofferenze.
Nudi come se stessero andando in contro ad una seconda nascita, a qualcosa che ha insegnato loro che possono esserci momenti estremamente oscuri nella vita, che possono portare addirittura a separarsi da chi si ama, ma fin tanto che quell’amore è forte, si può superare qualsiasi cosa.
E questo, si può dire che sia proprio il loro caso. 


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Salve gente e ben ritrovati! Mi scuso enormemente per il ritardo, ma luglio è stato un mese un po' impegnativo, la sessione estiva aleggiava ancora malefica sopra alla mia testa come la spada di Damocle e il tempo per completare questo capitolo era davvero poco. 
Quindi, spero possiate scusarmi.
Venendo al capitolo, spero di non avervi deluso, quindi se vi va fatemi sapere cosa ne pensate!
Le puntate che vengono prese in considerazione sono "Terra di Frontiera - 6x18" e "Mammina Cara - 6x19" // "Frontierland" e "Mommy Dearest" per chi preferisce i titoli in lingua originale :)
Come avrete notato in questa storia, e in questo capitolo in maniera più evidente, la storia di Castiel è solo accennata e non approfondita, questo perché non ho pensato ad una storia diversa per il nostro angioletto e quindi, se dovevo scrivere la stessa storia della serie, tanto vale guardare lo show xD 
Per questo, forse, Castiel è il più OOC di tutti i personaggi, ma spero comunque che un po' vi sia piaciuto. 
Come, del resto, spero vi sia piaciuta la storia in se, perché ad essere onesta, a me è piaciuta scriverla e alla fine mi sono anche affezionata a Natalie (è una cosa possibile, affezionarsi a qualcuno che non esiste? Spero non sembri troppo un discorso da squilibrata mentale!) 
Per questo capitolo è tutto! 
Come sempre ringrazio chiunque legga, recensisca, metta la storia tra le seguite/preferite perché per me è davvero, davvero, davvero importante! Grazie, grazie, grazie e ancora grazie! (se potessi scrivelo all'infinito, lo farei!)
A presto, un abbraccio a tutti! <3 

 

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