Paranoia

di xbondola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Paranoia ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Paranoia ***


Paranoia
 
« Oh, avanti! » Le dita di Thomas tremavano.
Compose il numero di Newt per la terza volta consecutiva. Pochi squilli, poi la segreteria.

« Newt, mi dispiace », disse Thomas. Aveva perso il conto delle volte in cui gli aveva ripetuto quella frase, tre parole che gli apparivano ormai prive di significato.
Strinse le labbra.
« Richiamami », mormorò. « Ti prego ». Non riuscì a trattenere le lacrime, ma staccò la chiamata prima che la sua voce si spezzasse. Gettò il telefono in un angolo della stanza immersa nella penombra e si portò le ginocchia al petto, affondandovi il viso. « Mi dispiace », ripeté ancora, la voce rotta dai singhiozzi.

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Capitolo 2
*** I ***


I


Thomas sbuffò, allungando le gambe sul divano di Minho. L'aria nel suo soggiorno era densa, satura di fumo e dell'odore pungente degli alcolici. La stanza era immersa nella penombra: l'unica debole luce proveniva dallo schermo piatto della TV, in cui si susseguivano scene di un film che nessuno stava guardando.
Thomas tamburellò con le dita sul bracciolo del divano. Sentiva un formicolio familiare percorrergli gambe e braccia, quello stesso formicolio che lo avvolgeva come una seconda pelle nei tediosi pomeriggi domenicali.
Uno scroscio di risa riecheggiò dal corridoio: i suoi amici, così ubriachi che se si fossero guardati allo specchio non sarebbero riusciti a riconoscersi, si erano chiusi nella camera dei genitori di Minho per sperimentare alcuni giochi con l'alcool a cui Thomas, da astemio, non avrebbe potuto partecipare neanche se avesse voluto.
Le risate divennero più forti, seguite da una serie di tonfi. Thomas alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia sul petto: sarebbe già tornato a casa, se non avesse promesso a Minho di restare lì per la notte.
Solo il giorno prima, Thomas aveva pensato a quella serata con grande aspettativa.
« Sarà una festa fantastica! », gli aveva detto Minho al telefono. « Musica da paura, gente ovunque e fiumi di alcolici! Ah », Minho si era fatto improvvisamente serio, « tu non berrai, ovviamente ».
« No, esatto, ma chi ha lasciato scritto che per divertirsi bisogna scolarsi litri di alcolici? »
Ripensandoci, Thomas si chiese se non ci fosse scritto qualcosa in proposito nelle Sacre Scritture.
Con un moto di frustrazione, scattò in piedi e afferrò una scodella: al suo interno c'erano i rimasugli del party, briciole di patatine e qualche popcorn. Thomas sbuffò e si gettò nuovamente sul divano. Infilò le mani tra i cuscini, alla ricerca del telecomando, ma non trovò che un orecchino e alcuni salatini. Aggrottò le sopracciglia e si guardò intorno. Nulla.
Il rumore di una porta che si apriva catturò la sua attenzione e Thomas si voltò verso il corridoio, dove apparve Minho, il volto arrossato e un sorriso disegnato sul volto.
« Thomas, vieni di là! », disse, avvicinandosi al frigorifero. « Non ti annoi a startene qui per conto tuo? »
« Mi annoierei in ogni caso », gli rispose Thomas, alzando gli occhi al cielo.
« Che caspio stai dicendo ». Minho rise. Estrasse dal frigo due bottiglie di birra e tornò a guardare l'amico. Il sorriso gli morì in volto. « L'avevo dimenticato », mormorò. Lasciò le birre sul ripiano della cucina, che affacciava direttamente sul soggiorno, e affondò tra i cuscini del divano, accanto a Thomas. Gli passò un braccio attorno alle spalle e sospirò, scuotendo la testa. « Facciamo così », gli disse dopo qualche secondo di riflessione, « dato che non vuoi toccare alcolici, noi finiamo questo turno di gioco, poi troviamo qualcos'altro da fare, che ne dici? ».
« Lascia perdere », disse Thomas, cercando di divincolarsi dall'abbraccio di Minho. « È tardi e comincio ad avere sonno ».
« Cooosa? » Minho si alzò in piedi e rivolse a Thomas uno sguardo indignato. « Quanti anni hai, venti o cinquanta? »
« Nessuno dei due, in realtà ».
Minho non diede segno di averlo sentito. « Non ti vergogni neanche un po'? Hai vent'anni ».
« Diciassette », lo corresse Thomas, ma Minho gli scoccò un'occhiataccia e riprese: « Hai vent'anni e vai a dormire come le galline? » Scosse la testa e afferrò le birre che aveva poggiato sul ripiano. « Non sotto il mio tetto, pive! », sentenziò, per poi sollevare Thomas per un braccio, grugnendo per lo sforzo.
Thomas si lasciò trascinare lungo il corridoio e poi attraverso la porta scura che conduceva nella camera dei genitori di Minho. Quando la spinse, le risa e i mormorii si zittirono. Delle cinquanta persone che avevano invaso la casa di Minho al tramonto, ne erano rimaste in poche. Tutti, Thomas e Minho esclusi, erano in quella camera, seduti in cerchio attorno a un immaginario falò, con un bicchiere di plastica poggiato accanto, sul pavimento. Thomas scorse Teresa, i lunghi capelli neri legati in una coda disordinata, e, dopo averlo cercato con lo sguardo, Newt, senza maglietta, abbandonato lungo la parete, le gambe incrociate. Thomas sentì un brivido percorrergli il basso ventre e guardò altrove. Si rese conto che Newt non era il solo ad essersi spogliato, lì dentro: perfino Brenda se ne stava con la camicetta azzurra sbottonata fino all'ombelico, senza mostrare il minimo imbarazzo.
« Ultimo giro di giostra! », gridò Minho, facendo tintinnare le due bottiglie di birra. Un coro di dissenso esplose nella camera. Minho scoppiò in una fragorosa risata e si mise a sedere sul pavimento, accanto a Teresa. « Non avete sonno, eh? » A rispondergli fu un altro coro: no! « Bene così! Finiamo questo turno e ci troviamo qualcos'altro da fare. Ho in mente alcune idee niente male ». 
Newt ululò in segno di approvazione, le braccia sollevate. Thomas gli scoccò un'occhiata rovente e il ragazzo, in tutta risposta, gli sorrise, rosso in volto. Thomas non riuscì a frenarsi dal ricambiare e si sedette sul bordo del letto dei genitori di Minho: da lì poteva tenere d'occhio entrambi i suoi migliori amici.
« A chi tocca, ora? », gridò Minho, stappando la prima bottiglia.
« Ricominciamo il giro! », propose Teresa. I capelli le si erano appiccicati sulla fronte madida.
Thomas si sporse in avanti, i gomiti poggiati sulle ginocchia. « Di cosa si tratta? », chiese.
Newt alzò una mano, come se stesse chiedendo a un insegnante il permesso per rispondere. « È un gioco », biascicò, la voce impastata dall'alcool. « Uno di noi deve dire qualcosa ».
« A turno », precisò Teresa.
« Qualcosa che ha fatto, tipo », aggiunse Newt. « E chiunque di noi che l'ha fatta deve bere », concluse, soddisfatto.
Thomas inarcò un sopracciglio, sorridendo di fronte al tentativo dell'amico di articolare una serie di frasi coerenti e che avessero un senso. « Non ho capito un accidenti », disse poi.
Minho fece un verso d'impazienza. « Neanche giochi, che ti frega? », sbuffò. « Comunque è una figata: ognuno di noi, a turno, dice qualcosa di strano, qualche strana azione che fa parte del passato ».
« Meglio ancora se si tratta di qualcosa di imbarazzante », aggiunse Brenda, scoccando un'intensa occhiata al ragazzo che le stava accanto. Thomas non ricordava quale fosse il suo nome: Wilbur, forse, o Wilson. Qualcosa del genere.
« Ovviamente », le diede corda Minho, sorridendo. « Se condividi questa esperienza con la persona che l'ha detta per prima - Minho afferrò il suo bicchiere e lo mostrò a Thomas - allora mandi giù in un sorso ». Si scolò il liquido scuro senza fiatare e tossì una risata. Teresa gli diede qualche pacca sulle spalle, piegata in due dalle risate, le lacrime agli occhi.
Thomas scosse la testa.
Breda accartocciò il bicchiere che teneva in mano e lo lanciò sulla testa di Minho. « Cominciamo a giocare o no? Si fa l'alba ».
« Comincio io », disse Teresa, alzando le braccia per intimare agli altri di stare in silenzio. « Allora... okay, okay. Vi siete mai fatti una canna? Io sì, una volta ».
« Che razza di domanda è?! », si lamentò Brenda. Mandò giù un sorso di birra fredda e si ripulì il mento con un braccio. « Non è affatto imbarazzante ».
« Non mi è venuto nient'altro da raccontare », si giustificò Teresa.
« Non hai bevuto abbastanza! » Minho rise e afferrò la bottiglia di birra. Ne bevve un sorso. « Ora tocca a me », disse. « Avete bevuto tutti, drogati di sploff? »
« Sì, muoviti, ora », lo apostrofò Brenda, impaziente.
« Avete mai... ehm... e che caspio! Le migliori le ho già sfruttate tutte! » Minho batté un pugno sul pavimento. « Avete mai fatto pensieri sconci su una professoressa? O un professore, s'intende ».
Brenda sbuffò. Thomas inarcò le sopracciglia: Newt si era portato il bicchiere alle labbra, un sorriso malizioso dipinto sul volto. Lo stesso aveva fatto Teresa, che si era poi ritrovata a sputare l'alcool per non soffocare a causa delle crisi di risa incontrollate.
Brenda zittì tutti con un gesto delle mani. « Questa è grossa », disse, gli occhi lucidi ridotti a due fessure. « Giurate solennemente di tenere in questa stanza ciò che viene detto in questa stanza ».
« Giuro! » Minho si portò una mano sul cuore. Teresa annuì e lo stesso fecero anche gli altri. Thomas si sistemò meglio nella sua postazione. Brenda si schiarì la voce e, dopo un istante di esitazione, disse: « Avete mai avuto esperienze omosessuali? »
Il piccolo gruppo esplose in grida e schiamazzi entusiastici. Minho attirò l'attenzione di Brenda. « Un bacio senza la lingua vale come esperienza omosessuale? »
« Non è neanche un'esperienza vera e propria », lo apostrofò Thomas. « Avanti, Minho, racconta a tutti cos'è che succede negli spogliatoi durante gli allenamenti di atletica! » Risero, Minho più di tutti.
« Nessuno? », chiese Brenda, mordendosi un labbro.
Si udì un sospiro rassegnato: Newt si portò la bottiglia di birra alle labbra e mandò giù uno, due, tre sorsi senza riprendere fiato. Thomas aggrottò la fronte, a disagio: conosceva Newt da più di un anno, ma non gli aveva mai accennato nulla del genere.
Brenda si allungò attraverso il cerchio e batté la mano contro quella di Newt con fare complice.
Il gioco andò avanti fino a quando ognuno dei ragazzi seduti in cerchio non ebbero fatto la propria domanda. Alla fine si venne a sapere che Minho era stato beccato da sua madre mentre guardava un porno, e lo stesso era avvenuto a Teresa, che aveva precisato, tra un accesso di risa e l'altro: « Non lo stavo guardando! Ero su Tumblr, quel social è il male, ci sono più GIF sconce che altro! »
« Sì, dicono tutte così », aveva commentato Newt, e si era acceso un dibattito sul rapporto tra genere femminile e pornografia che era andato avanti per alcuni minuti.
Alla fine, Minho strappò la bottiglia di birra dalle mani di Wilson (o Wilbur? Forse Walter) e gridò: « Adesso diamo il benvenuto ufficiale a Thomas nel nostro circolo dell'amore! »
Thomas rise. Si alzò dal letto e si sedette tra Minho e Teresa. Quest'ultima si sporse e gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia. Thomas arrossì. Il suo sguardo si mosse in direzione di Newt: incrociò i suoi occhi scuri per un istante, prima che il ragazzo interrompesse il contatto visivo e dicesse: « Cosa proponi, Minho? » Il suo tono di voce s'era fatto serio, quasi impaziente. Thomas si morse un labbro e tornò a guardare Minho, che si era alzato in piedi e li sovrastava. « Allora », disse il ragazzo, la fronte imperlata di sudore. « Dato che quel pive di Thomas non tocca neanche un goccio, gioco il mio asso nella manica: paranoia o, come lo chiamo io, risposte senza domanda ». Fece una pausa, aspettandosi una reazione che non arrivò. « Belli carichi », mormorò. « È un gioco che mi hanno insegnato in campeggio: restiamo così, in cerchio, e a turno ognuno di noi sussurra una domanda all'orecchio della persona che sta alla sua destra. La persona in questione deve rispondere ad alta voce, in modo che tutti noi possiamo conoscere la risposta e non la domanda. Le domande più divertenti sono quelle che riguardano le persone presenti nel cerchio », ridacchiò. « Si lancia una moneta: se esce testa, la persona che l'ha fatta deve rivelare a tutti la domanda; se esce croce, le persone coinvolte nel turno di gioco porteranno il segreto nella tomba ». La sua voce divenne un lugubre rantolo che scatenò il solito scroscio di risa. « Che ve ne pare? »
« Sento che mi pentirò di aver accettato questo invito », disse Thomas. Teresa gli diede una piccola spinta. « Nah, vedrai, sarà divertente! »
« Che ore sono? », chiese Will (Thomas aveva rinunciato a ricercare il suo nome nei meandri della memoria).
« Non so neanche dove ho lasciato il cellulare », gli rispose Newt. « Né la maglietta ».
Thomas alzò gli occhi al cielo e diede uno sguardo al suo orologio da polso. « Cazzo, sono quasi le quattro. Qualcuno di voi ha il coprifuoco? »
Will alzò una mano. « Se mia madre non mi vede tornare subito chiamerà la polizia », bofonchiò. « Solo che non credo di ricordare dove abito ».
« Chiama tua madre e dille che resti da me », fece Minho. Will annuì e si tirò in piedi a fatica. Sparì oltre la porta che dava sul corridoio e il cerchio si restrinse: erano rimasti Minho, Thomas, Teresa, Brenda e Newt.
« Comincio io », disse Teresa. Si sporse verso Brenda e le sussurrò qualcosa all'orecchio. Entrambe scoppiarono a ridere, poi Brenda assunse un'espressione pensierosa: « Difficile », mormorò, le labbra distese in un sorriso storto. « Devo scegliere tra le persone del cerchio, vero? »
« Sì ».
« Minho », disse Brenda.
Teresa si allungò un braccio fino a sfiorare il ginocchio del diretto interessato. « Non credo che gli dispiacerebbe! »
« Okay, datemi la moneta! » Brenda afferrò il piccolo oggetto metallico e lo lanciò in aria. Tentò di afferrarlo al volo, ma questa cadde sul pavimento e rotolò fino a fermarsi.
« Testa! », esultò Minho.
« Rullo di tamburi! », fece Newt, poi lui, Thomas e Minho cominciarono a scuotere le mani, in un coro di "oooh". Brenda si nascose il viso tra le dita e Teresa gridò: « La domanda era: a chi chiederesti di essere il tuo scopamico? »
Minho si alzò in piedi e si esibì in un inchino un po' storto e traballante. « Signore e signori, il mio sex-appeal non si smentisce mai! Spero solo di ricordarmi di questa cosa, domani ». Fece l'occhiolino a Brenda, che ricambiò con un sorriso incerto, e tornò a sedersi.
Brenda si schiarì la voce, a disagio. « Tocca a me », disse. Avvicinò le labbra all'orecchio di Newt e gli sibilò una frase. Newt sgranò gli occhi e stirò le labbra in un sorriso carico di malizia. « Questa donna è un fottuto pozzo di perversione senza fondo! »
« Sta' zitto! », lo apostrofò lei, ridendo. « Pensa a riflettere sulla mia domanda, piuttosto. Immagina la scena... ».
« Meglio di no ». Newt arrossì e si portò le mani alle tempie, gli occhi fissi sulle sue scarpe. Accennò un sorriso e « Thomas », disse, forse incoraggiato dall'alcool, scatenando le grida entusiastiche di Brenda.
Thomas sgranò gli occhi. Newt guardava ovunque tranne che nella sua direzione, il viso ridotto a una maschera rossa, mentre cercava la moneta e la lanciava in aria, senza neanche tentare poi di riafferrarla. Thomas si rese conto di star trattenendo il respiro. Il suo stomaco sembrava essersi accartocciato su sé stesso e Thomas lo sentiva tremare, scosso da piccoli brividi. La moneta roteò nell'aria e cadde. Newt allungò una mano e la coprì con le dita affusolate. Sbirciò.
« Testa o croce? », gli chiese Thomas, senza riuscire a trattenersi. Aveva la gola secca.
Newt sospirò e il suo volto si distese. « Croce », disse. I suoi occhi scuri incontrarono quelli di Thomas, che sostenne il suo sguardo per qualche secondo e scese poi a guardargli le labbra. Newt stava sorridendo nel modo enigmatico che riservava solo a lui, quando decideva di prenderlo in giro o rifiutava di dirgli ciò a cui stava pensando. Thomas si sentì avvampare e Newt si strinse nelle spalle, guardando altrove. « Non pensarci troppo », gli disse. « Non credo ti avrebbe fatto piacere conoscere la domanda ».
« Che caspio sta succedendo? » Minho guardò prima Thomas, poi Newt, poi ancora Thomas, che scrollò le spalle.
« È un solo gioco » disse Brenda, un sorriso a trentadue denti sul viso.
« Esatto », concordò Newt. « Placati, tigre della Malesia! »
« Non c'è alcuna possibilità che Brenda possa rivelarmi la domanda, vero? », chiese Thomas.
Minho scosse la testa. Newt si rilassò e si appoggiò alla parete dietro di lui, poi fu costretto a rialzarsi: era il suo turno di chiedere. Avvicinò le labbra all'orecchio di Minho, che non riuscì a trattenersi dal ridere. « Porca puttana », disse. « Credo di doverci pensare un attimo ».
« Tutto il dannato tempo che vuoi ». Newt tornò ad accasciarsi contro la parete. Thomas gli lanciò un'occhiata di sottecchi: il ragazzo si sfiorava la pancia con le dita, seguendo una linea immaginaria, quella che portava dallo sterno all'ombelico. Thomas deglutì e si costrinse a tenere gli occhi fissi su Minho, che aveva appena lanciato la sua moneta. Non aveva neanche sentito la sua risposta.
« Croce, che fortuna ». Minho sorrise e fece l'occhiolino a Newt, poi si sporse verso Thomas e gli sussurrò all'orecchio: « Sei sul tuo letto, nudo, e accanto a te c'è la persona con cui hai trascorso la notte più bella della tua vita ». Thomas sentiva l'alito di Minho sulla faccia. Avrebbe voluto allontanarsi e assestargli un pugno sul naso, perché l'odore dell'alcool gli era insopportabile, ma fu distratto dall'immagine che stava via via prendendo forma nella sua mente: lui, sdraiato sul suo letto, nella penombra. Si voltava verso destra: capelli biondi sul cuscino bianco, la pelle diafana di un volto familiare, le sue labbra dischiuse... « Chi è la prima persona a cui hai pensato? »
Newt. 
Thomas passò in rassegna i volti che lo circondavano: tutti avevano gli occhi lucidi, tutti erano inebriati dalle sostanze che erano entrate in circolo. Lui era fin troppo sobrio per dar voce ai suoi pensieri. « Wilbur? », chiese a nessuno in particolare. Minho aggrottò le sopracciglia in una smorfia confusa e Newt si puntellò sui gomiti. « Chi caspio è Wilbur, Tommy? »
« È andato a chiamare sua madre e non è ancora tornato ». Thomas scattò in piedi. « Vado a vedere che fine ha fatto ». Uscì dalla stanza prima che chiunque potesse fermarlo e percorse lo stretto corridoio che portava al soggiorno. Sentì a malapena Minho gridargli "Si chiama Winston!", ma non gli prestò alcuna attenzione. Il cuore gli martellava nel petto, si sentiva il viso e le orecchie in fiamme. Si sbottonò la camicia in fretta e scosse la stoffa leggera per rinfrescarsi.
Raggiunse il soggiorno e si appoggiò alla parete. Winston era sdraiato scompostamente sul divano, il petto che si alzava e abbassava a intervalli regolari. Aveva ancora il telefono accanto all'orecchio, ma il display non era illuminato.
« Dorme? »
Thomas sobbalzò quando la voce di Newt gli giunse all'orecchio. Annuì senza guardarlo. « Non sono sicuro che abbia chiamato sua madre, alla fine ».
« Se ci ritroviamo la fottuta polizia fuori la porta, sappiamo a chi dare la colpa ». Newt sorrise e superò Thomas, avvicinandosi al divano. Thomas percorse la sua schiena nuda con lo sguardo e, ancora una volta, si costrinse a guardare altrove, con lo stomaco che gli si contorceva. « Torniamo di là », disse alla fine e si avviò lungo il corridoio buio. Newt non lo seguì e quando si voltò per vedere cosa stesse facendo il suo amico, lo trovò chinato su Winston, le dita strette attorno a un pennarello.
« Non posso farmi sfuggire un'occasione del genere », disse Newt, gli occhi lucidi ridotti a due fessure. Thomas gli si avvicinò e osservò il volto di Winston, alzando un sopracciglio: aveva cerchi scuri attorno agli occhi, baffi d'inchiostro e un pizzetto fuori moda, un pene stilizzato sulla fronte. Thomas si colpì il viso con una mano e non riuscì a trattenersi dal ridere. Newt si unì a lui e tutti e due risero fino a non avere più fiato. Winston continuò a dormire, ignaro di ciò che stava succedendo.
« Adesso possiamo andare », fece Newt, asciugandosi le lacrime col dorso di una mano. « Hai ancora una domanda a cui rispondere ».
Thomas sentì un brivido lungo la schiena, ma non disse niente.

Quando tornarono in camera, Teresa era sdraiata sul letto, un braccio a coprirle il viso. Accanto a lei c'erano Brenda e Minho, gli occhi semi-chiusi, il respiro pesante di chi sta finalmente per cedere a Morfeo.
« Abbiamo smesso di giocare? », chiese Newt.
Brenda grugnì qualcosa di incomprensibile e Minho annuì, sbadigliando. Newt si passò una mano tra i capelli e lanciò un'occhiata a Thomas, che si strinse nelle spalle. « Cosa dobbiamo fare? »
« Dormiamo », borbottò Minho. « È tardi. Andate in camera mia ». Si tirò su a fatica, sbuffando. « Io devo andare al cesso. Nel frattempo voi organizzatevi ».
Thomas e Newt diedero la buonanotte alle ragazze, attraversarono il corridoio e raggiunsero la camera di Minho. Era una stanza piccola, tappezzata di poster e calendari che ritraevano ragazze in topless ed eventi sportivi. C'era una scrivania, di fronte al letto, ingombra di libri scolastici e quaderni aperti a casaccio. Sul letto erano ammucchiati alcuni abiti, le scarpe erano gettate alla rinfusa sul pavimento di moquette grigia.
« Diamine », mormorò Thomas. « Minho dovrebbe chiamare una donna delle pulizie ».
« Fuggirebbe via urlando », gli rispose Newt, la voce distorta da uno sbadiglio. Si gettò a peso morto sul letto e chiuse gli occhi. Passarono pochi minuti prima che il respiro gli si facesse pesante.
Thomas gli si avvicinò. « Newt? »
Nessuna risposta.
Sospirò e aprì alcuni armadi, alla ricerca di qualche coperta su cui sistemarsi. « Sai », disse, la voce ridotta a un mormorio sommesso, « sarei proprio curioso di conoscere la domanda che ti ha fatto Brenda, ma immagino che domani non ricorderete neanche il vostro nome. Dannati alcolici ». Scosse la testa e adagiò la coperta sul pavimento. « Io sono stato salvato in corner ». Si sdraiò a pancia in su, osservando il soffitto bianco. « "Hai appena passato la notte più bella della tua vita con una persona del cerchio. Chi?"... è la domanda che mi ha fatto Minho, prima. Io... non so spiegarmi come e perché, ma ho pensato che accanto a me ci fossi tu ».
Silenzio.
« È ridicolo, vero? » Thomas osservò il profilo di Newt, riverso sul letto, gli occhi chiusi, il petto nudo che si alzava e si abbassava seguendo il ritmo del suo respiro. Sorrise e tornò a guardare il soffitto. « Ho una confusione in testa, che... ah, è ridicolo ». Thomas si girò su di un fianco, dando le spalle all'amico. La voce di Newt gli giunse alle orecchie, dolce e assonnata. « Non è ridicolo », sussurrò. Il cuore di Thomas sembrò sprofondargli al centro del petto. Restò fermo, immobile, incapace di respirare, mentre i pensieri gli si affollavano nella testa e il sangue gli affluiva al viso. « Spero di ricordarmi di questa conversazione, domani ».

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Capitolo 3
*** II ***


II


Thomas si rigirò sulla coperta, gli occhi aperti fissi sulla parete che aveva di fronte. Minho, sdraiato accanto a lui, gli diede un calcio sul fianco, strappandogli un gemito di dolore. « Porca troia », rantolò Thomas, rotolando di lato. Si ritrovò con la faccia appiccicata alla moquette. La polvere gli solleticò le narici, Thomas chiuse gli occhi e si concentrò per evitare di starnutire; non voleva svegliare Newt e Minho, ancora addormentati, le bocche socchiuse e il respiro pesante.
Thomas si alzò in piedi a fatica. Tutto davanti a lui si fece bianco per un attimo e dovette appoggiarsi alla scrivania ingombra di Minho per non cadere.
Non aveva chiuso occhio. Sentiva la stanchezza come un peso sul cuore: gli schiacciava i polmoni, gli impediva di respirare. Deglutì e si passò una mano sul viso. Lanciò un'occhiata a Minho, sdraiato scompostamente, gambe e braccia divaricate; poi osservò Newt, prono, le braccia infilate sotto il cuscino. Era voltato nella sua direzione, la nuca illuminata da un timido fascio di luce proveniente dalla finestra alle sue spalle. Thomas distolse lo sguardo, a disagio, e uscì dalla stanza.
La casa di Minho sembrava deserta. Erano ancora - Thomas controllò il suo cellulare - le otto del mattino. La pallida luce del sole illuminava l'ampio salotto, definendone a malapena i colori. Winston russava sommessamente, riverso sul divano, un braccio che pendeva fino a sfiorare il pavimento. 
Thomas si diresse verso la zona cucina e aprì la dispensa: al suo interno, disposti senza un preciso ordine, c'erano snack pronti, merendine e una busta di patatine al formaggio. Thomas sentì lo stomaco stringersi in una morsa, richiuse lo sportello e si allontanò. Sbuffando, si gettò sul divano accanto a Winston, e si massaggiò le tempie. L'immagine di Newt che con un dito si accarezzava la pelle nuda, adagiato contro il muro della stanza dei genitori di Minho, gli si era attaccata sotto le palpebre: Thomas chiudeva gli occhi e lui era lì, languido, gli occhi lucidi, non consapevole dell'effetto che aveva sul suo migliore amico.
Thomas batté un piede sul pavimento e si lasciò sfuggire un gemito di frustrazione.
Non poteva restare lì.
Quella consapevolezza lo colpì all'improvviso, come un pugno, e lo costrinse ad alzarsi. Si diresse verso la stanza di Minho, raccolse le sue scarpe dal pavimento, se le infilò ai piedi e uscì di casa senza avvertire nessuno.
L'aria fresca del mattino gli solleticò le guance e gli attraversò la stoffa leggera della camicia, facendolo rabbrividire. Thomas si strinse le braccia al petto e continuò a camminare spedito. Le strade erano quasi deserte e Thomas ne fu grato: era in condizioni pietose, si sentiva sporco e confuso, non ci teneva a restare impresso nella memoria di qualche passante come "lo strano tipo con le occhiaie e gli abiti sgualciti incontrato oggi".
Inciampò in una crepa e cadde in avanti, appesantito dal sonno e dalla stanchezza. Si ferì i palmi delle mani e le ginocchia, ma saltò subito in piedi e si guardò intorno: non c'era anima viva. Sospirò e soffiò delicatamente sulla ferita aperta. Bruciava.
« Dannazione! », sbottò. Aumentò l'andatura. Il dolore gli aveva schiarito la mente: non la sentiva più così ovattata, distante da tutto il resto, ma il peso al centro del suo petto non accennava a diminuire, così come la confusione che gli montava dentro come una tempesta.
Thomas si concentrò sul dolore fisico. Diamine, voleva farsi una doccia e chiudere gli occhi per il resto della settimana.

Tre ore dopo, Thomas si gettò sul suo letto, esausto. Era tornato a casa, aveva evitato le domande di sua madre, si era fatto una doccia veloce. Ora voleva solo dormire.
Chiuse gli occhi. Aveva la testa pesante. 
Il suo cellulare vibrò. Thomas si sporse per raggiungere il comodino e lesse:

1 NUOVO MESSAGGIO

Da: Newt

Thomas ebbe un tuffo al cuore, ma si limitò a bloccare il cellulare e ad accasciarsi sul cuscino. Si addormentò subito.

Thomas ansima. I brividi lo avvolgono come una seconda pelle, lo accarezzano, lo mordono. Sono sussurri sulle sue braccia, sulla sua schiena e dentro di lui: gli annodano lo stomaco, i polmoni, il basso ventre. Farfalle sottopelle battono le ali a un ritmo frenetico.
Newt non lo guarda. È seduto, il corpo premuto contro il suo petto, le labbra contro il suo collo. Gli lascia baci umidi sulla pelle calda, bollente. Thomas lo sente tremare e vorrebbe stringerlo a sé, ma ha le mani bloccate lungo i fianchi, non riesce a muoversi, non riesce a respirare.
Newt è ovunque, dentro di lui, fuori di lui, sulle pareti della sua stanza, sui vestiti sparsi sul pavimento. Il suo profumo satura l'aria.
Dita, mani, anime che s'intrecciano. I loro corpi sono screziati di sole; ferite di luce si aprono sulla pelle, bruciano, e fa sempre più caldo, il mondo è sempre più confuso, le immagini sempre più sfocate. C'è solo Newt e ci sono le sue mani, c'è il suo tocco e c'è il suo respiro.
Il cuore di Thomas accelera.

Thomas aprì gli occhi. Aveva i capelli appiccicati alla fronte madida, gli abiti impregnati di sudore. Restò immobile per qualche secondo, tentò di rallentare il proprio respiro, di regolarizzare il battito del suo cuore. Si passò una mano sul viso e allungò un braccio verso il comodino. Sbloccò il cellulare e osservò lo schermo: sotto l'orologio, che segnava le 18:27, campeggiava la scritta:

NUOVI MESSAGGI

Thomas aprì la cartella dei messaggi in arrivo: uno dei tre era semplice spam, gli altri due erano di Newt.

Dove cacchio sei finito, pive?

E poi, molte ore dopo:

Tommy, stai bene? :(
Dobbiamo parlare.

Thomas bloccò il cellulare senza rispondere. Tornò a sdraiarsi sul letto, gli occhi chiusi rivolti al soffitto.
"Dobbiamo parlare", gli aveva scritto Newt. Thomas sentì le viscere contorcersi e si coprì il viso con le braccia. Non osava pensare a ciò che il ragazzo avrebbe potuto dirgli non appena si fossero visti.
Si alzò a sedere e sbloccò il telefono. Decise che non poteva far finta di nulla.

Stavo dormendo, scusa... di che dobbiamo parlare?

Digitò e inviò il messaggio con mani tremanti, lasciò il telefono sul letto e uscì dalla stanza.
Tornò mezz'ora dopo. Il led del cellulare lampeggiava.

1 NUOVO MESSAGGIO

Da: Newt

Di ieri sera.
Posso passare a casa?

Thomas strinse i denti. Cominciava a sudare freddo. Scrisse e inviò un nuovo messaggio con mani tremanti:

Non mi sento molto bene. Ci vediamo domani a scuola, okay? A domani.

Lasciò il cellulare in carica per tutta la serata. Non controllò messaggi e notifiche neanche prima di dormire, disattivò vibrazione e suoneria.
Andò a letto presto, ma riuscì ad addormentarsi solo qualche ora prima dell'alba.

L'indomani, Thomas era già in piedi prima del suono della sveglia. Si sentiva lo stomaco in subbuglio, come gli succedeva nelle notti che precedevano un avvenimento importante, una gita con gli amici o un concerto dei suoi gruppi preferiti.
Si lavò e si vestì. Passò un'eternità a osservare la sua immagine allo specchio: aveva gli occhi infossati, contornati di scuro, le labbra screpolate, i capelli appena asciugati sparati in tutte le direzioni.
Sbuffò e si massaggiò la nuca. « Se il buon giorno si vede dal mattino... farei meglio a chiudermi in camera », borbottò.

Thomas avanzò lungo il corridoio gremito di studenti, lo sguardo basso. Avrebbe preferito di gran lunga restare a letto, quel giorno, fingersi malato, rifilare a sua madre una scusa qualunque. Lasciare il proprio letto caldo significava abbandonare il suo unico rifugio, affrontare i problemi. 
Significava affrontare Newt.
Thomas entrò in classe prima del suono della campanella. Occupò l'ultimo banco in fondo all'aula quasi deserta, accanto alla finestra. Il cielo all'esterno era limpido. Un brusio leggero aleggiava nella stanza.
« Thomas! » Minho si avvicinò al ragazzo, un sorriso stampato sul volto. « Sei ancora vivo! »
« Già, mi spiace deluderti », replicò Thomas, scrollando le spalle.
Minho ridacchiò e gettò lo zaino sul banco accanto a quello dell'amico. « Te la sei data a gambe, ieri mattina, eh, pive? »
« Una casa piena di adolescenti pronti a svegliarsi con i postumi di una sbornia. Che peccato essermela persa! »
« A maggior ragione, saresti dovuto restare per aiutarci a rimettere in ordine ».
Thomas gli mostrò il dito medio. Quando sentì Minho ridere, aggiunse: « Prendila come una vendetta per esserti dimenticato di me, sabato ».
« Mi dispiace, amico ». Minho si stiracchiò, allungando le braccia verso l'alto. « Avrei dovuto immaginare che sarebbe andata a finire così ».
« Non è un problema ». Era la verità. A Thomas non poteva fregare di meno: la sua mente viaggiava su di un binario del tutto diverso, quello che conduceva alla camera di Minho, illuminata a malapena, e al corpo di Newt disteso sul suo letto, gli occhi chiusi, il respiro regolare, come se dormisse...
« Ehi, Tommy! », disse qualcuno. Thomas sentì lo stomaco chiudersi e si raddrizzò sulla sedia. Newt gli si avvicinò, facendosi scivolare la borsa a tracolla via dalla spalla. La poggiò sul banco davanti al suo, ma si sedette in modo da non dargli le spalle. « Tutto a posto? »
Thomas alzò lo sguardo dal suo zaino e annuì. « Tutto a posto ». Newt sorrideva, ma i suoi occhi scuri erano velati da un filo di preoccupazione. Thomas tornò a guardare altrove e si sistemò meglio sulla sedia, a disagio.
Minho scoppiò a ridere. Rideva così forte che dovette piegarsi sulla superficie del banco, ansimando per riprendere fiato tra un accesso di risa e l'altro. 
Il sorriso sul volto di Newt si allargò, i suoi occhi ridotti a due fessure erano puntati su Minho, ora. « Che cacchio ti prende? »
« No, è che... » rise ancora. « Sto pensando a Winston... quando si è svegliato e si è guardato allo specchio e ha visto la sua faccia conciata in quel modo! » Thomas e Newt risero e Minho, una volta che si fu calmato, continuò: « Io credevo che ci sarebbero state delle vittime. Era una furia, cacchio ».
Newt scosse la testa. « Ho temuto per la mia incolumità », disse. « Ricordavo vagamente di aver fatto quello che ho fatto ». Thomas gli lanciò un'occhiata di sottecchi, ma tornò a osservare fuori dalla finestra quando si rese conto che gli occhi di Newt erano fissi su di lui.
La professoressa di chimica fece il suo ingresso, salvandolo, almeno per il momento, da quella spinosa situazione.

« Tommy! » La voce di Newt lo raggiunse dal fondo del corridoio. Thomas finse di non averla sentita e continuò a camminare a passo spedito verso il suo armadietto, ma una mano lo afferrò per un braccio. « Dannazione, Tommy! Cosa caspio ti prende, all'improvviso? »
« Eh? Niente », mentì. « Stavo andando all'armadietto ».
Newt fece una smorfia, ma lasciò la presa e scosse la testa. « Ti accompagno ».
Thomas si trattenne dal dirgli che non era necessario e insieme si mossero lungo il corridoio affollato.
« Ti stai comportando in modo strano, pive ». Newt incrociò le braccia al petto. Quando Thomas si fermò accanto al suo armadietto, Newt fece altrettanto, appoggiandosi con un fianco agli sportelli metallici rimasti chiusi. « È da domenica che non ti fai sentire », aggiunse. « È successo qualcosa? »
Thomas infilò alcuni libri nello zaino e scosse la testa. « Non è successo niente ».
Newt lo squadrò per un attimo, accigliato. « Sabato abbiamo detto o fatto qualcosa di male? »
Thomas chiuse l'armadietto. « No, niente del genere », rispose.
« Se ho fatto o detto qualcosa di stupido, Tommy, ti do il permesso di sbattermi la testa contro questi fottuti armadietti fino a quando riterrai necessario ».
Thomas sorrise, poi tornò serio e si strinse nelle spalle. « Davvero, non hai fatto niente di stupido... a parte attentare alla tua vita con lo scherzo del pennarello, ovviamente ».
Newt rise e si passò una mano sul viso e tra i capelli biondi. « Bene così », disse. « Ne sarebbe valsa la pena, comunque ».
« Oh, certo. Una morte onorevole, senza dubbio ».
« Degna di un samurai ». Newt si leccò le labbra. Il suo volto tornò serio. « A proposito di sabato », cominciò, scatenando in Thomas una forte sensazione di disagio, « è da domenica che ho come la sensazione di doverti parlare, ma non ricordo perché ».
Thomas inarcò le sopracciglia. « Non ricordi », disse. Non era una domanda.
« Non proprio. Non ho bevuto come una dannata spugna fino a dimenticare il mio nome - scrollò le spalle - solo che ho difficoltà a riportare alla mente alcune cose. Tu eri sobrio, pensavo che potessi aiutarmi ».
Thomas sospirò. Si sentiva molto più leggero, ora che Newt aveva ammesso di non ricordare nulla del loro discorso. Sorrise e si strinse nelle spalle. « Mi dispiace, ma non mi pare sia successo niente di straordinario, sabato », disse. « Avete fatto qualche gioco per ubriaconi, poi abbiamo giocato tutti insieme a qualcos'altro e siamo andati a dormire. Dopo lo scherzo che hai fatto a Winston ».
Newt sembrò deluso per un attimo, poi la sua espressione tornò neutrale. Annuì e si grattò la nuca. « Bene così, immagino ».
« Bene così », sospirò Thomas. « Ora, se vuoi scusarmi... tu avrai anche un'ora di buco, ma io devo correre a lezione ».
« A dopo, Tommy! »
Thomas gli rispose con un cenno della mano e si allontanò.

Thomas entrò nell'aula di inglese e si guardò intorno: la sua postazione preferita, in fondo alla stanza, era stata occupata da una figura familiare. Thomas le si avvicinò. « Ehi, Brenda! », la salutò. La ragazza alzò gli occhi dal suo libro di letteratura e gli sorrise. « Ciao », disse.
Thomas si sedette al banco libero davanti a quello dell'amica e si voltò verso di lei. « Come va? »
« Va. Non ho studiato un cazzo, per la lezione di oggi. Tentavo di rimediare ». Indicò con un cenno del capo il libro che teneva tra le mani. « A te? Domenica sei sparito nel nulla. Minho cominciava a pensare al peggio ».
Thomas fece una smorfia divertita. « Sono tornato a casa presto. Ero stanco. Non sono riuscito a chiudere occhio ».
« Scomodo? »
« Qualcosa del genere ». Thomas si massaggiò il fianco: gli si era formato un piccolo livido, lì dove Minho lo aveva colpito.
Brenda si passò una mano tra i capelli scuri e tornò a leggere. « È assolutamente impossibile che io riesca a studiare questa roba in dieci minuti ».
« Pensi che la professoressa abbia intenzione di fare qualche domanda alla classe? » Thomas non era in una situazione migliore della sua.
« Non lo so. Nel caso dovesse farlo, corro in bagno, tu dille che ho avuto forti conati di vomito o roba del genere ».
La professoressa di letteratura inglese fece il suo ingresso, mettendo fine al mormorio che animava l'aula con un semplice: « Buongiorno, ragazzi ».
Thomas aprì il suo quaderno di appunti, determinato a seguire la spiegazione del giorno.
Ben presto, la sua mano cominciò a tracciare disegni astratti ai margini del foglio, poi negli angoli, infine tra gli appunti stessi, che occupavano a malapena un quarto di pagina.
La voce dell'insegnante si spense. La triste aula scolastica sparì. C'era solo il suo quaderno, la penna che tracciava ghirigori d'inchiostro, il dolore che sentiva alle dita a causa della pressione che esercitavano sullo stilo.
Newt non ricordava nulla di ciò che era successo. Non ricordava la sua imbarazzante dichiarazione, non sapeva nulla della confusione che gli tormentava il sonno e la veglia.
Thomas, però, ricordava ogni cosa: l'imbarazzo, lo stupore; e ricordava Newt, a torso nudo, che con un dito si accarezzava la pelle nuda, lo sterno e poi giù, fino all'orlo dei pantaloni...
Thomas si riscosse e si raddrizzò sulla sedia. Si guardò intorno, animato dalla paura irrazionale che qualcuno potesse aver capito ciò a cui stava pensando. Nessuno sembrava prestargli attenzione e lui si voltò verso Brenda. « Tu ricordi qualcosa di sabato sera? », le chiese sottovoce.
Lei annuì. « Più o meno tutto », disse in un sussurro. « Anche se ho dei ricordi piuttosto confusi ».
« Del tipo? »
Brenda scrollò le spalle. « Ci divertivamo. Abbiamo bevuto, giocato... e a un certo punto devo aver detto qualcosa di molto imbarazzante riguardo Minho, ma ho rimosso completamente ».
« Ricordi anche la domanda che avevi fatto a Newt? »
Brenda aggrottò le sopracciglia. « Se anche fosse, non te la direi, Thomas. Sono le regole del gioco, smettila di pensarci ».
« Volevo solo... ah, lascia stare ». Le diede le spalle e tornò a scarabocchiare distrattamente sul quaderno. Era chiaro: Brenda non aveva intenzione di rivelargli nulla. Thomas pensò che avrebbe dovuto escogitare qualcosa per farle cambiare idea. Poi si chiese perché si sentisse tanto in dovere di scoprire la verità a proposito di quella maledetta domanda.
Semplice curiosità, rispose a sé stesso. Chiunque, nei miei panni, vorrebbe fare lo stesso.
Ma non ne era più tanto sicuro.

« Allora? Usciamo insieme? »
Thomas sgranò gli occhi e li fissò su Newt, che lo osservava da pochi centimetri di distanza, appoggiato come suo solito agli sportelli metallici degli armadietti, le braccia conserte.
« Cosa? », gli chiese Thomas.
Newt sorrise. « Dobbiamo andare da Minho per il progetto di storia », disse. « Ci andiamo insieme o devi prima passare da casa? »
Thomas si rilassò e scrollò le spalle. « No, andiamo insieme », rispose, sfilando il suo quaderno di storia dall'armadietto. 
Newt annuì. « Bene così ».
Si avviarono verso l'uscita. Minho era andato via un'ora prima, quel giorno, e nel parcheggio scolastico non c'era traccia della sua auto sgangherata, sempre pronta a offrire loro un passaggio. In ogni caso, non ci sarebbero voluti più di venti minuti a piedi.
« Come ti è andata oggi? », chiese Newt, spezzando il silenzio che aleggiava tra loro.
« Al solito. Sono un po' stressato per tutti i progetti da consegnare e i compiti da fare e tutto il resto ». Thomas si passò una mano tra i capelli scuri. « Te? »
« Sì, anch'io, e sono piuttosto distratto ». Sorrise e Thomas lo guardò con la coda dell'occhio: aveva abbassato lo sguardo. Gli si potevano vedere le ciglia: gli incorniciavano le palpebre e scendevano a sfiorargli gli zigomi.
« Cos'hai da pensare? »
« Un po' di cose ». Si grattò la nuca e si affrettò a cambiare argomento: « Mi fido di te, per oggi. Qualunque cosa Minho dica per convincerti, non farti trascinare a giocare ai videogames come l'ultima volta, ché poi mi tocca fare tutto il dannato lavoro da solo ».
Thomas rise. « È successo una volta ».
« L'unica volta in cui abbiamo collaborato per un progetto ».
« Vedrò di resistere alle mie tentazioni nel deserto ».
« Farai meglio a stampartelo in quel cervello rincaspiato che ti ritrovi, altrimenti ci spedirò te e Minho, nel dannato deserto ».
Thomas scoppiò a ridere. « No, ti prego, sono abbastanza sicuro che a un certo punto tenterebbe di mangiarmi ».
« Bene così! » Newt rise. « Però davvero, non ho intenzione di farmi il culo mentre voi ve la spassate. Chiaro? »
Thomas annuì. « Chiaro ».
Continuarono a camminare in silenzio. Thomas lo sentiva pesare tra loro come una coltre pronta a soffocarli: non era una semplice assenza di parole, come quelle che avevano condiviso milioni di volte. Adesso c'erano i segreti, le cose non dette, i ricordi offuscati dai fumi dell'alcool. Era tutto lì, compresso nello spazio che li separava, un'energia magnetica confusa e irrazionale, che generava attrazione e repulsione senza alcun criterio.
Thomas sbirciò verso Newt, poi tornò a guardare davanti a sé. Quando erano cambiate le cose, tra loro due? I silenzi si erano fatti pesanti, gli sguardi rapidi e colpevoli, i sorrisi enigmatici. Thomas si chiese per un istante se le cose non fossero andate sempre in questo modo, tra loro, senza che lui ne fosse pienamente consapevole.

« Prima di fare qualunque cosa », disse Minho ai due ragazzi, facendoli entrare in casa, « credo sia meglio mettere qualcosa sotto ai denti ».
« Tu cucini? », gli chiese Thomas. Lanciò un'occhiata a Newt, che scrollò le spalle e sorrise.
Tanto per cambiare, i genitori di Minho non erano a casa. Sarebbero tornati quella sera.
Minho si avvicinò al frigorifero e lo aprì. « So fare i sandwich », disse.
« Tutti sanno preparare i sandwich, Minho », lo apostrofò Newt, i gomiti appoggiati su un ripiano della cucina. 
« Alcuni meglio di altri ».
Newt scosse la testa e si allontanò, gettandosi sul divano, accanto a Thomas. Lo osservò per un istante, poi appoggiò la testa ai cuscini imbottiti dello schienale e cominciò a fissare il soffitto.
Mangiarono lì, nel salotto, guardando vecchi episodi dei Simpson in TV. Quando arrivò il momento di mettersi al lavoro, si spostarono in camera di Minho, accesero il suo portatile e cominciarono la loro ricerca di storia. Terminarono prima del tramonto, poi sentirono un'auto parcheggiare nel vialetto e il rumore delle chiavi che giravano nella serratura farsi strada nell'ingresso. 
« Sono tornati i miei », sbuffò Minho, alzandosi dal letto. « È finita la pacchia ».
Thomas afferrò il cellulare per vedere l'ora. Non erano ancora le sette e sullo sfondo campeggiava la scritta:

1 NUOVO MESSAGGIO 
Da: Brenda

Thomas sbloccò il cellulare.

Se ti interessa ancora della domanda, chiamami.

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Capitolo 4
*** III ***


III


« Hai cambiato idea? » Thomas poggiò lo zaino sul letto sfatto. Ancora prima di mettere piede nella sua stanza, aveva afferrato il cellulare e composto il numero di Brenda, la curiosità strisciante che gli annebbiava il cervello. 
« Ciao anche a te ». La ragazza all'altro capo del telefono sembrava annoiata.
« Cos'è che ti ha fatto cambiare idea? », insistette Thomas, ignorando il sarcasmo nella voce di Brenda.
« A me tutto bene, grazie per averlo chiesto ».
« Brenda », ringhiò Thomas.
« Scusa », si arrese lei. « Tentavo solo di riportarti alla mente le regole basilari di una buona educazione ».
« Sono stanco e sudato e ho soltanto voglia di fare una cacchio di doccia, non di assistere a un seminario sulla buona educazione. Grazie del pensiero, comunque ».
« Va bene, va bene ». Brenda sospirò. Le ci volle qualche secondo, prima che riprendesse a parlare: « Ci ho riflettuto molto, oggi », disse. « Non capisco perché tu ti stia ostinando a voler scoprire quella domanda. Era un gioco, Thomas, ed eravamo tutti ubriachi. Potrebbe voler dire tutto o niente ».
« Sono curioso ». Lo era davvero. La reazione che Newt aveva avuto quella sera aveva scatenato in Thomas emozioni contrastanti e domande a cui voleva trovare risposta. Brenda aveva ragione: si era trattato di un gioco, un gioco tra ubriachi; ma non erano gli ubriachi a dire sempre la verità?
« Come ti pare. La questione è un'altra: io cosa ci guadagno? »
Thomas si sedette sul bordo del letto, le sopracciglia aggrottate. « Cosa? Vuoi che ti dia dei soldi? »
« Tu prendi le cose troppo alla lettera ». Brenda si lasciò sfuggire una risata incerta, nervosa, ma la sua voce ritornò ferma quando aggiunse: « Mi serve un favore ».
« Spara ».
« Non dovrai farne parola con nessuno ».
« Non ti fidi di me? »
Brenda sospirò. « Fidarsi è bene. Tenersi i cazzi propri per sé è meglio ».
« D'accordo ». Thomas sorrise e roteò gli occhi, rassegnato. « Cosa caspio ti serve? »
« Un appuntamento ».
Thomas tossì. Sembrava che nella sua stanza la temperatura fosse aumentata di colpo: sentiva il corpo, il volto e le orecchie in fiamme. « Brenda », bofonchiò, a disagio, « io non credo che sia il caso di - ».
« Non con te! », si affrettò a precisare lei, stizzita. « Con Minho », disse quasi in un soffio.
« Perché non glielo chiedi e basta? Non ti sei mai fatta tanti problemi, mi pare ».
« Con Minho è diverso. Non che ne sia innamorata o roba del genere, ma è così sicuro di sé. Non vorrei fomentare il suo ego e finire come una delle tante ragazzine che fanno il tifo per lui alle gare di atletica ».
« Tu fai il tifo per lui alle gare di atletica », precisò Thomas e, prima che lei potesse protestare, continuò: « E in ogni caso, cosa posso farci io se lui non ti chiede di uscire? »
« Lo hai sentito, alla festa! Quando ho risposto alla domanda di Teresa lui non sembrava infastidito, no? Quindi magari non mi chiede di uscire perché mi vede come un'amica o che so io. Fagli cambiare idea ».
« Chi caspio sei tu? Che fine ha fatto la vera Brenda? », la prese in giro Thomas. « Era solo un gioco tra ubriachi, no? Non significa assolutamente niente », le fece il verso lui con un ghigno sul volto.
« Molto divertente. Vuoi il mio aiuto o no? »
« Sento che me ne pentirò ».
« Meglio un rimorso che un rimpianto, Thomas ».
Il ragazzo roteò gli occhi e scosse la testa. « Parlerò a Minho. Sonderò questo caspio di terreno, ma non aspettarti niente, okay? »
« Se quel coglione ci mette troppo ci penso io a ricordargli della sua eterosessualità ».
Thomas rise, passandosi una mano tra i capelli scuri. « Allora, la domanda? »
« Un semplice quesito a sfondo sessuale », gli rispose Brenda con nonchalance. Thomas trattenne il fiato. « Vuoi che scenda nei dettagli? », chiese lei. 
Thomas non aveva mai dubitato della natura di quella domanda: si trattava di Brenda e Brenda non aveva peli sulla lingua, perfino da sobria, ma era stata la reazione di Newt a dissipare ogni dubbio: il rossore sulle sue guance, l'imbarazzo che si faceva strada sul suo viso. Non era riuscito a guardarlo negli occhi, dopo la sua risposta; Newt aveva fatto di tutto per evitare il suo sguardo.
« Voglio i dettagli ». Nel momento in cui pronunciò quelle tre parole, Thomas si pentì di averlo fatto. Ascoltare qualunque cosa Brenda avesse da dire significava abbandonare le sue certezze su Newt e la loro amicizia. Thomas non era sicuro che ne valesse la pena.
« Era più facile formularla con l'alcol in circolo », borbottò la ragazza all'altro capo del cellulare. « Gli ho chiesto di dirmi il nome della persona che avrebbe voluto vedere ricoperta di panna montata. Be'... solo di panna montata ».
Thomas tacque. 
« Panna montata da leccare ».
Thomas strinse più forte il cellulare tra le dita.
« Fino a far gridare a quella persona il suo nome ».
Thomas sentì i suoi organi interni liquefarsi. Non era sicuro di ricordare come articolare una frase di senso compiuto.
« Sei morto? »
« Quasi », riuscì a rispondere.
Brenda rise. « Non ci starai mica pensando adesso, eh, Thomas? L'idea ti stuzzica? »
« Cosa?! » La voce di Thomas era più acuta di quanto lui avrebbe voluto. Si schiarì la gola, tentando di dissimulare il disagio. « Non do un gran peso alla faccenda », mentì. « Ero solo curioso, nient'altro ».
« La curiosità uccide », mormorò Brenda. Thomas non sapeva dire come facesse a saperlo, ma era sicuro che stesse sorridendo.
Brenda aggiunse qualcos'altro, prima di salutarlo.
« Hai proprio ragione », le rispose Thomas in tono poco convinto. Non le stava prestando attenzione. Non prestava attenzione a nulla, se non all'immagine che aveva preso ad aleggiargli davanti agli occhi, così nitida, quasi tangibile: Newt, la schiena inarcata e gli occhi chiusi, gridava il suo nome, vestito di sola morbida schiuma bianca.

Faceva caldo.
Thomas si rigirò nel letto. Ribaltò il cuscino per poggiare il viso sul suo lato più fresco, poi si sdraiò sulla schiena, gli occhi ancora chiusi appesantiti dal sonno. Sbuffò e si passò una mano sul viso: era bollente.
Si rigirò una, due, tre volte ancora, fino a trovare una posizione comoda in cui riaddormentarsi. 
Thomas aprì gli occhi, ritrovandosi di fronte il soffitto bianco, attraversato da crepe quasi impercettibili. Sospirò e allungò una mano verso il suo cellulare, in carica sul piccolo comodino accanto al letto. Sbloccò lo schermo e osservò i numeri e le lettere che scintillavano sul display: 3:37 AM.
Thomas gemette. Si sentiva come in attesa di un evento importante: era come se avesse dimenticato di dover fare qualcosa che non poteva essere rimandato. Era qualcosa d'importante, ma cosa?
« Cacchio, cacchio, cacchio », biascicò a voce bassa, il volto seppellito per metà nel cuscino. Chiuse gli occhi e si concentrò sul suo respiro. Il cuore aveva preso a battergli nel petto a un ritmo irregolare e frenetico, come se si fosse scolato due litri di caffè. Non riusciva a calmarlo. Non riusciva a calmarsi.
Provò a contare le pecore.
Una pecora.
Due pecore.
Tre pecore.
Chissà se Newt sta dormendo
Quattro pecore.
Cinque pecore.
Forse è sveglio?
Sei pecore.
Sette pecore.
Newt.
Newt.
Newt.
Thomas sbuffò e scosse la testa, come per scacciare quei pensieri molesti, ma questi tornarono, abbattendo ogni sua difesa.
Si concentrò sulle crepe sottili che attraversvano il soffitto, le percorse con lo sguardo, le accarezzò con gli occhi. Si diramavano in tutte le direzioni come arterie povere e inerti, sentieri scavati nella pallida roccia.
Pallida come la pelle di Newt, lì dove il sole non l'aveva ancora baciato, sotto la stoffa sottile delle sue t-shirt.
Thomas chiuse gli occhi. Dietro le sue palpebre c'era lui, sempre lui; la sua silhouette slanciata, esile, all'apparenza così fragile. Thomas sospirò, la mente annebbiata, gli occhi stanchi. Newt era lì, accanto a lui, sdraiato sul letto, e giocherellava con i suoi capelli. Rise e gli lasciò sulla fronte una scia di piccoli baci, casti e umidi. Thomas rabbrividì. Si sollevò sui gomiti quanto bastava per arrivare a sfiorare le sue labbra con le proprie. Newt sorrise contro la sua bocca e gli accarezzò il volto con una mano, che poi scese a sfiorargli il collo, le clavicole, lo sterno, il ventre. Thomas si inarcò contro il suo tocco, desiderando la sua pelle contro la propria. Quando sentì il tessuto dei boxer sollevarsi appena, quel tanto che bastava a lasciar passare una mano calda, non riuscì a trattenere il gemito che gli salì alle labbra con prepotenza, rabbia, disperazione, desiderio.
Aprì gli occhi e si trovò solo, sudato e tremante al centro del suo letto singolo, con una mano infilata nei pantaloni.
« Cosa caspio - », disse, ritirando la mano e mettendosi a sedere, la schiena contro la testiera del letto. Scattò in piedi, uscì dalla stanza, raggiunse il piccolo bagno e si chiuse la porta alle spalle.

Quando sentì il suo cellulare vibrare, il mattino dopo, Thomas imprecò. Aveva sperato di dormire un po' di più: giusto una o due decadi.
Si trascinò fuori dal letto a fatica. Attraversò la stanza trascinando i piedi, aprì un cassetto e ne estrasse un paio di jeans e una maglietta bianca. Si vestì in silenzio e preparò lo zaino. Sua madre lo chiamò per la colazione, ma lui non rispose. Si sedette sul bordo del letto sfatto.
C'era qualcosa di strano, di sbagliato. Thomas non riusciva ad afferrare cosa fosse e cosa riguardasse, ma sapeva che era lì, fuori posto, qualcosa a cui avrebbe dovuto rimediare. 
Sospirò e, zaino in spalla, si diresse al piano di sotto.
« Thomas », lo chiamò sua madre, « non mangi? »
« No, io - Thomas si schiarì la voce - non ho molta fame ».
Sua madre lo squadrò per un istante, le sopracciglia aggrottate. « Ti senti bene? Hai dormito male, stanotte? »
« Sono solo stressato per gli esami », mentì Thomas. « Compro qualcosa alle macchinette, promesso! Ci vediamo dopo, ma' ». Prima che sua madre potesse protestare, uscì di casa e si diresse verso la fermata dell'autobus.

« Hai la faccia di uno che vorrebbe essere ovunque tranne che a scuola ». Teresa gli lanciò un'occhiata penetrante, poi tornò a guardare nel suo armadietto, accanto a quello di Thomas.
« Grazie per averlo notato ».
« Non hai dormito? »
« Non molto ».
Teresa sospirò. I suoi occhi azzurri, incorniciati dalle folte ciglia scure, si posarono su Thomas. « Avresti potuto almeno pettinarti, stamattina ».
Thomas si strinse nelle spalle, chiuse lo sportello metallico e si allontanò, salutando Teresa con un gesto della mano e un verso a metà tra un ringhio e un grugnito.
Quando arrivò in classe, osservò per alcuni istanti la fila di banchi ordinatamente disposti: quello in fondo, accanto alla finestra, era libero, ma due dei banchi adiacenti erano occupati da Minho e - Thomas trattenne il fiato - da Newt.
Un flash gli annebbiò la vista. C'era Newt e c'era la panna... sarebbe mai riuscito a togliersi dalla testa quella immagine? Thomas sentì il cuore accelerare in una frenetica corsa - ne era sempre più convinto a ogni secondo trascorso in quelle condizioni - verso la morte.
O forse la pazzia.
Roteò gli occhi e si avvicinò al banco situato sul lato opposto della classe, accanto alla parete che dava sul corridoio. Sentì gli sguardi dei suoi migliori amici trapassarlo come lance, ma non si voltò per accertarsene e loro non poterono chiedere spiegazioni: la lezione era cominciata.

Al suono della campanella, Thomas aveva pianificato di scattare verso la porta con tutta la grinta del Velocista che era e recarsi alla lezione successiva senza curarsi di prendere i libri dall'armadietto.
Lo avrebbe fatto davvero, se solo non si fosse addormentato tanto profondamente da non sentire il suono acuto e squillante che pervadeva aule e corridoi.
« Cosa caspio gli prende? », disse Minho. Picchiettò con un dito sulla testa di Thomas, appoggiata al banco, sul quaderno di appunti ancora chiuso. Minho rise e si voltò verso Newt, che osservava Thomas con un ghigno divertito sul volto. « Questa sarebbe l'occasione perfetta per uno scherzo, cacchio ».
« Non pensarci neanche, pive ». Newt avvicinò il volto a quello di Thomas e inarcò un sopracciglio. « È proprio crollato ».
Minho si strinse nelle spalle. « Io devo correre a lezione, ho già collezionato dodici ritardi ». Si avviò verso la porta, poi si voltò verso Newt, l'espressione allegra deformata in un ghigno. « Prova a svegliare la tua principessa con un bacio, principe Newt ». Gli fece l'occhiolino e scattò verso l'uscita, giusto in tempo per evitare la penna che Newt gli aveva lanciato contro.
« Coglione », borbottò quest'ultimo, arrossendo. Scosse Thomas per una spalla, sussurrando il suo nome. « Apri gli occhi, Tommy. Faremo tardi entrambi, se non ti svegli ».
Thomas gemette e si voltò verso l'amico senza aprire gli occhi. Sospirò. « Newt... ».
Il ghigno sul volto di Newt si distese fino a diventare un vero sorriso. « Sì, pive? », mormorò.
Thomas aprì gli occhi e incontrò quelli di Newt, che lo osservavano a distanza troppo ravvicinata. Scattò all'indietro. I piedi metallici della sedia stridettero contro il pavimento.
Newt si coprì le orecchie con le mani. « Puoi avvertire prima di fare 'ste cose, pive del caspio? Mi è partito l'orecchio sinistro! » Tentò di assumere un'espressione stizzita, ma il suo sguardo tradiva un certo divertimento. 
« Scusa ». Thomas si alzò in piedi e raccattò le sue cose dal banco ancora ingombro. Fu più difficile del normale, gli tremavano le dita.
« Ti stai rincaspiando di brutto ». Newt scosse la testa e si chinò per raccogliere alcune penne che il suo amico aveva lasciato cadere.
« Ho dormito poco ».
« Non l'avrei mai detto ». Newt sorrise, poi si fece serio. « È successo qualcosa, Tommy? »
Thomas deglutì e fece spallucce. « Sono solo un po' stressato. Non è successo niente ».
« Tu ti fidi di me, sì? » Newt gli strinse le spalle, costringendo l'amico a guardarlo negli occhi. Thomas resistette per pochi istanti, poi distolse lo sguardo, arrossendo, pregando chiunque lo stesse osservando dall'alto che Newt non se ne accorgesse. Lui non fece alcun commento, ma aumentò la pressione del suo tocco. « Tommy », disse, « se c'è qualcosa che non va, non c'è bisogno che giochi al gatto e al topo, cacchio. Puoi parlarmene ». Newt lo lasciò andare e si passò una mano tra i capelli biondi. « Se continui a evitarmi comincerò a pensare che sia colpa mia ».
« Non dire stronzate », biascicò Thomas, scuotendo la testa. Infilò le sue cose nello zaino e si avviò verso la porta, seguito da Newt.
« Sicuro di farcela a reggere per altre cinque ore? », gli chiese quest'ultimo. « Se vuoi, ti accompagno a casa. Rubo la macchina di Minho ».
« Che gentile ». Thomas sorrise appena. « Per questa volta passo. Ruberai la macchina di Minho un'altra volta, Newtie ». Caricò quelle poche sillabe di tutto il sarcasmo di cui fu capace e sbirciò con la coda dell'occhio l'espressione di Newt, che arricciò il labbro in una smorfia di fastidio. « Che caspio di nomignolo è questo?! Fa schifo, cacchio! »
« Perché Tommy è meglio ». Thomas s'immobilizzò. Non capiva perché l'avesse detto, non lo pensava davvero. Tommy era okay. Newt era l'unico a chiamarlo in quel modo. Era una cosa che - Thomas sentì un tuffo al cuore quando formulò quel pensiero - apparteneva a loro.
« Se ti dà fastidio, posso chiamarti Thomas. Forse preferisci Signor Edison? » Newt sorrideva nel suo solito modo enigmatico, come se lo stesse prendendo in giro, ma i suoi occhi erano freddi, seri, distanti. Delusi, tristi, forse.
Thomas scrollò le spalle e guardò altrove. « Non sono un caspio di avvocato ultra quarantenne », borbottò. Il sangue gli affluì al viso e alle orecchie. Sperò che Newt non lo avesse notato e aggiunse: « Tommy è okay ».
« Sicuro? »
« Sicuro ».
« Bene così ». Newt si rilassò al suo fianco. « Ora ho motoria, devo correre in palestra », disse, senza accennare a muoversi.
« Va bene », sospirò Thomas. Si erano fermati al centro del corridoio quasi deserto. Nessuno dei due sembrava voler muovere un passo. Non si guardavano. Thomas si rese conto di star trattenendo il fiato: quella situazione rasentava il ridicolo. Perché non potevano parlarsi come le persone normali? Se Newt aveva qualcosa da dire, perché se ne stava lì, muto e immobile come un statua di sale?
« Io vado a prendere i libri », cedette Thomas. « Ci vediamo ».
« Va bene. A dopo, Tommy ».
Thomas si voltò. L'enfasi che Newt aveva posto nel pronunciare il suo nome lo fece sorridere.
Forse, si disse, devo solo lasciare che le cose restino così. In bilico.
Un pensiero più cupo gli attraversò la mente: stare in bilico per sempre non è possibile. Presto o tardi si cade.

Thomas non poteva saperlo, ma la sua caduta ebbe inizio poco prima che la terza ora di lezione della giornata cominciasse, quando Teresa lo raggiunse sulla soglia dell'aula.
« Ehi, Tom! » Gli sorrise lei e con un gesto gli intimò di fermarsi per un attimo. « Hai da fare, domani sera? », gli chiese.
Thomas sbuffò. « Non lo so. Non credo, perché? »
« Fammi sapere, okay? Sto cercando qualcuno che mi accompagni alla festa di Claudia, non so se la conosci. È nel mio corso di matematica ».
Thomas annuì. « Di vista. Ti mando un SMS entro stasera », le disse. Lei si allontanò, le labbra sottili distese in un sorriso soddisfatto.
Il cellulare di Thomas vibrò.

1 NUOVI MESSAGGI 
Da: Brenda 
Allora? Glielo hai chiesto? -.-

Thomas alzò gli occhi al cielo. Aveva completamente dimenticato il patto stretto con Brenda la sera prima.

Alla prossima campanella.

All'intervallo, Thomas raggiunse Minho in cortile, accanto ai distributori automatici. Stava sferrando una serie di violenti calci alle apparecchiature, imprecando a mezza voce. « Brutto bastardo del cacchio », disse, un cipiglio aggressivo sul volto. Lanciò una rapida occhiata a Thomas e sferrò un altro calcio alla macchinetta. « Mi ha fregato dieci dollari! » 
« Vai a reclamare dal preside », gli suggerì Thomas.
« Mi è già successo due volte nell'ultima settimana », ringhiò Minho. « Questi così mi odiano ».
Thomas strinse le labbra per impedirsi di scoppiare a ridere. Quando si fu calmato, si allontanò verso la parte più esterna del cortile, verso una panchina rimasta vuota, e fece cenno a Minho di seguirlo. « Conosci Claudia Bennet? », gli chiese.
Minho assottigliò lo sguardo. « Più o meno », rispose, dopo qualche secondo di riflessione. « Non siamo amici ».
« Fa una festa, domani sera ».
« Sì, l'ho sentito ». Minho incrociò le braccia sul petto. « Non sono stato invitato ». Il fastidio che gli causò il dover pronunciare quelle parole a voce alta era ben visibile sul suo volto.
« Io conosco qualcuno che può farci ottenere un invito. Nel caso, pensi di invitare qualcuno? »
« Tipo? »
Thomas roteò gli occhi. « Tipo tua madre! » Si sentiva molto stupido nelle vesti di Cupido, ma un patto era un patto e doveva rispettarlo. Sbuffò. « Una ragazza, Minho ».
« Non saprei ». Minho si guardò intorno, scandagliando con lo sguardo le studentesse in cortile. « Ci sono tante ragazze carine ».
« Che ne dici di Brenda? »
Minho distolse lo sguardo, sorridendo. « Brenda è molto più che carina, caspio ».
« Perfetto, allora! Invita lei ».
Minho si morse l'interno della guancia e assunse un'espressione contrita. « Non lo so, amico, a me sembra sempre di starle sul cazzo. Non so se mi spiego ».
« Brenda dà quell'impressione a chiunque. Sono sicuro che accetterà l'invito. Non fare il pive e chiediglielo ».
Minho si strinse nelle spalle, poi tornò a fissarlo, gli occhi ridotti a due fessure. « Tu con chi ci vai? »
« Teresa mi ha chiesto di accompagnarla », rispose. 
Minho sembrò deluso. « Ovviamente », sbuffò, un sorriso amaro stampato in faccia.
« Che c'è? »
« Non ne faccio un mistero, Thomas: a me quella ragazza non è mai andata tanto a genio ».
Thomas si lasciò sfuggire un verso di frustrazione. « Oh, andiamo! Ancora? »
Minho alzò le mani, come per frenare la sua reazione. « Ehi, pive, placa i bollenti spiriti e non farne una questione di Stato! Non dico di odiarla o sploff del genere, ma non mi sta molto simpatica ». Si strinse nelle spalle. « Vossignoria mi permette di avere delle simpatie, eh? »
« Non fare il coglione, Minho ». Thomas aggrottò le sopracciglia. « E comunque puoi risparmiarti i giudizi. Teresa lo ha chiesto a me, non a te ».
« Bene così, amico. Pensavo solo che... » Minho scosse la testa. « Niente, tanto mi sbagliavo ».
« Cosa, cacchio, cosa? », sbottò Thomas, alzando la voce più di quanto avrebbe voluto. Scosse la testa e sbuffò, arrossendo per l'imbarazzo. « Scusa. Ho dormito poco, sono irritabile ».
« Rincaspiato del cacchio ». Minho lo colpì con un pugno sul braccio e scosse la testa. « Devi fare qualcosa per la tua insonnia, amico, o ci resterai secco. Di questo passo non supererai neanche gli esami ».
« Dove ti hanno concepito i tuoi genitori, Minho? Alla fiera dell'ottimismo? »
« Esatto, proprio accanto al padiglione della tensione sessuale irrisolta, dove i tuoi ci davano dentro! »
Thomas stava per chiedergli a cosa alludesse, ma Minho si allontanò verso l'edificio scolastico senza voltarsi indietro.

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Capitolo 5
*** IV ***


IV


« È qui la festa? », Teresa gridò per sovrastare il rumore, il ritmico tunz, tunz, tunz! proveniente da casa Bennet. Sulla soglia, Claudia, fasciata in un sexy abito verde smeraldo, si accigliò, sfoggiando una smorfia di finta confusione. « Di che festa parli? », le urlò di rimando, per poi scoppiare in una fragorosa risata. Si sporse in avanti e cinse Teresa in un fugace abbraccio. Lei le scoccò due rumorosi baci sulle guance. « Auguri, tesoro! » Le sorrise, per poi voltarsi verso Thomas, fermo ad un passo da lei, e indicarlo con un cenno della mano. « Lui è Thomas ».
« Oh, è il tuo ragazzo? » Senza dare a Thomas o a Teresa il tempo di replicare, Claudia tese una mano verso di lui. « Io sono Claudia, piacere! »
Thomas arrossì e la strinse con un sorriso. « Piacere mio e buon compleanno ».
« Grazie! » Claudia si ravviò i capelli biondi con un gesto.
Teresa tese all'amica la busta decorata che stringeva tra le mani. La scritta glitterata Happy Birthday! campeggiava su uno sfondo di piccoli fiori neri, scintillando appena sotto le luci al neon. « Un piccolo pensiero! »
« Oh, non dovevi », trillò Claudia. Scosse appena la busta, poi la riconsegnò a Teresa. « Potresti portarla di sopra? Anzi, salite entrambi e posate borse e qualunque cosa non vogliate scarrozzarvi in giro. Vi consiglio di non lasciare oggetti di valore, soldi o cellulari. C'è così tanta gente! » Indirizzò ai due ragazzi un altro ampio sorriso, chiuse la porta alle loro spalle e indicò una rampa di scale. « Prima porta sulla destra », spiegò, poi sparì tra la folla. Teresa prese Thomas per mano e insieme salirono al piano superiore. Entrarono nella stanza che era stata indicata loro: si trattava di un anonima camera degli ospiti, provvista di un armadio, due comodini e un letto matrimoniale ingombro di scatole e pacchi regalo non ancora scartati.
« Minho e Brenda? », chiese Teresa, sfilandosi il leggero copri-spalle azzurro e semitrasparente. Sotto la luce bianca proveniente dal lampadario sul soffitto, la sua pelle appariva più pallida del solito.
Thomas fece spallucce. « Non lo so. Penso siano già qui ».
Teresa annuì, lo sguardo basso. Si passò una mano tra i capelli scuri. « È strano vederli insieme ».
« In che senso? »
Teresa si strinse nelle spalle. « Non lo so. Un giorno prima erano amici, quello dopo lui le ha chiesto di uscire ».
« Non penso che sia strano », le rispose Thomas. « Secondo me formano una bella coppia ».
« Oh, sicuro ». Teresa gli lanciò un'occhiata di sottecchi. « Non intendevo dire il contrario, solo... non so, erano amici e di solito gli amici restano amici e nulla più ». Terminò la sua frase in un sussurro a malapena udibile, quasi sovrastato dal rumore proveniente dalle casse al piano inferiore, dalle quali la musica si diffondeva in ogni parte della casa e del giardino sul retro. Teresa abbassò lo sguardo e Thomas aggrottò le sopracciglia. Non era sicuro che stesse parlando di Minho e Brenda; non più, almeno. « Non erano proprio amici intimi », disse, titubante. « Nessuno dei due era stato relegato in friendzone ».
Teresa inarcò le sopracciglia sottili e le sue labbra si distesero in un sorriso amaro. « Beati loro, davvero », borbottò, alzando gli occhi al soffitto.
Thomas sorrise. « C'è qualcosa che non so? », le chiese e lei arricciò il naso e si sistemò il vestito già perfetto. Il sangue le era affluito al viso, arrossando le sue guance pallide. « Andiamo a cercare quei due ». Senza aspettare una risposta, Teresa uscì dalla stanza e scese al piano inferiore. Thomas la seguì. Si infilarono nel soggiorno gremito di loro coetanei.
« Vuoi qualcosa da bere? », chiese Teresa all'orecchio di Thomas. Lui annuì e lei gli fece cenno di aspettarla, per poi allontanarsi verso la cucina strapiena.

Erano passati diversi minuti e di Teresa si era persa ogni traccia. Thomas aveva cercato di mettersi a proprio agio e di mescolarsi alla folla, spostando il peso da un piede all'altro, seguendo il ritmo della musica house. Intorno a lui, corpi si agitavano e si contorcevano: era un continuo e frenetico intrecciarsi di braccia, gambe e fianchi ondeggianti. La moltitudine compressa in quello spazio era una creatura viva e selvaggia, che ruggiva note profonde e sudava e rideva. Thomas cominciava a sentirsi un po' fuori posto, senza nessuno con cui parlare o fingere di ballare, muovendosi un po' a caso seguendo la corrente.
« Thomas! » Qualcuno lo afferrò per una spalla. Thomas trasalì. Si voltò e incontrò il volto di Minho, arrossato e imperlato di sudore. « Ti ho inviato più o meno millemila SMS ».
« Quando? » Thomas aggrottò le sopracciglia e si sfilò il cellulare dalla tasca. In effetti, sul display campeggiava la scritta:

7 NUOVI MESSAGGI

Minho scrollò le spalle. « Prima, non lo so », gridò ancora.
Thomas scosse la testa e indicò con l'indice il suo cellulare, prima di riporlo nella tasca anteriore dei jeans. « Scusa, non ho controllato il telefono. Brenda? »
« Mi aspetta in giardino, devo prenderle qualcosa da bere ». Minho gettò una rapida occhiata alla porta che dava sulla piccola cucina, così affollata che i ragazzi erano costretti a mettersi in fila per entrare e prendere un drink. « Se non torno indietro, dille che mi sarebbe piaciuto arrivare in seconda base, stasera ». Thomas rise e gli mostrò il pollice. Minho gli fece l'occhiolino e si voltò, per poi tornare a guardare l'amico con un espressione interrogativa sul volto. « Dov'è Teresa? »
Thomas scrollò le spalle. « Comincio a chiedermelo anch'io e più osservo quella cucina, più mi sembra pericolosa ». Rise, poi si rese conto della confusione da cui il viso del suo amico era animato. « È andata a prendermi da bere e non l'ho più vista », spiegò.
Minho alzò gli occhi al cielo. « Sul serio, pive? Siete ad un appuntamento e mandi lei a prenderti da bere? »
Thomas per poco non si strozzò con la saliva. « Quale appuntamento? », gracchiò e poi tossì. Minho gli fece segno di non aver capito e Thomas si schiarì la voce. « Non è un appuntamento, questo », disse al suo orecchio, il volto arrossato dall'imbarazzo, le corde vocali che sembravano sul punto di lacerarsi, tanto erano state sfruttate. 
« O mio dio ». Minho scoppiò a ridere nella sua solita maniera sguaiata. Era piegato in due e dovette appoggiarsi al braccio di Thomas per non cadere. « Non ci posso credere », urlò a fatica, con il fiato corto. « Sei serio? »
« A cosa caspio ti riferisci? » Thomas strinse i pugni lungo i fianchi e strinse la mascella. Un moto di irritazione lo attraversò come un'onda, facendolo arrossire. Si sentiva ribollire il sangue, le guance e le orecchie. Gli tornò alla mente lo strano comportamento di Teresa, il modo in cui aveva chiuso la conversazione cominciata solo poco prima nella camera degli ospiti. Si chiese se non avesse frainteso l'intera situazione e lo stomaco gli si contrasse di colpo.
Minho si fece serio e scosse la testa con aria di disapprovazione. « Senza offesa, pive, ma sei un idiota ».
« Perché non la smetti di parlare dando per scontato che io capisca quello che vuoi dirmi? Non sono nella tua fottuta testa! »
Minho strinse gli occhi e si colpì l'orecchio con l'indice. « Non sento un caspio di niente e a urlare così sembriamo due deficienti », gridò. « Andiamo un attimo di sopra ».
Quando furono al riparo dal rumore, nella piccola camera degli ospiti ingombra di regali che attendevano di essere scartati, Minho si gettò sul letto. Se ne stette seduto per qualche secondo, le gambe divaricate e i gomiti poggiati sulle ginocchia, poi prese un profondo respiro e disse: « Sei un coglione e non meriti ciò che hai tra le gambe, se credi che Teresa ti abbia invitato solo perché gli stai simpatico ».
Thomas roteò gli occhi. « È una mia amica, Minho ».
Minho ghignò. « Resteresti stupito se conoscessi i pensieri che alcune persone possono fare sui propri amici, pive ».
Thomas abbassò lo sguardo sul pavimento. « Non esserne così sicuro », disse. Pensò a Newt e in un angolo della sua mente un'idea cominciò a farsi spazio con prepotenza: forse doveva smetterla di appiccicare etichette a qualunque cosa. Newt era un amico, Teresa era un'amica: e allora perché lui non pensava a loro due nella stessa maniera?
La sua testa era una bacheca ingombra di etichette, di adesivi sbiaditi e umidi pronti a staccarsi, lasciando dietro di loro fastidiosi aloni appiccicaticci.
« Teresa ti sbava dietro da secoli, Thomas ». Minho lo riportò alla realtà con uno strappo deciso che ebbe il suono della sua voce.
« Secondo te le interesso in quel senso? »
« Non posso credere che tu sia serio, caspio! Ora capisco perché tra voi non è ancora successo nulla! » Minho sbuffò. « Newt aveva ragione ».
« Che cacchio c'entra Newt? » Thomas incrociò le braccia al petto e lanciò a Minho uno sguardo seccato. Cominciava a non poterne più di frasi criptiche e comportamenti inspiegabili.
« Lascia perdere ». Minho si alzò in piedi. « Pensa a chiarire con Teresa, pive ». Si esibì in un sospiro teatrale. « Povera figlia dell'estate... ha messo gli occhi su di un prodotto già acquistato! »
« Cosa vuoi dire? Porca troia, Minho, se non parli subito ti spacco quella faccia di caspio che sfortunatamente ti ritrovi! »
Minho scoppiò a ridere e corse verso le scale. « Mi dispiace, amico, ma la mia quasi-ragazza aspetta il suo principe asiatico ».
« Ti rigo la macchina! »
« No, non lo farai », gridò Minho in risposta. Il volume della musica si era fatto di nuovo assordante. Il ragazzo si allontanò verso la cucina. Prima di voltarsi definitivamente, lanciò un bacio a Thomas. « Lo sai che ti voglio bene, pive! »

Thomas si infilò tra la folla, spingendo e spintonando chiunque gli capitasse a tiro. Si alzò sulle punte dei piedi per cercare tra la moltitudine di teste quella di Teresa, ma non vide che volti sconosciuti. Sbuffò e si fece strada verso la grande porta-finestra che si apriva sul giardino affollato. L'aria fresca della sera gli solleticò il viso e Thomas la respirò a pieni polmoni. Si guardò intorno. Raggiunse un muretto poco lontano e ci si sedette, sbuffando. Sfilò il cellulare dalla tasca dei pantaloni e lo sbloccò.

8 NUOVI MESSAGGI

I primi sette erano di Minho, li aveva mandati poco prima che la festa avesse inizio. L'ultimo gli era stato inviato da Brenda solo pochi minuti prima. Thomas aggrottò le sopracciglia.

Io e Newt siamo fuori, oltre il cancello sul retro. Raggiungici.

Thomas scattò in piedi. Non riusciva a capire: Newt non era neanche stato invitato, per quel che ne sapeva. Lanciò un'occhiata all'interno della casa e poi intorno a sé, ma, ancora una volta, gli unici sguardi che incontrò appartenevano ad estranei. Si morse l'interno della guancia e si allontanò, seguendo il cortile in pietra che conduceva al piccolo cancello di legno sul retro. Questo si affacciava su un vicolo stretto e poco illuminato. Mentre Thomas si muoveva lungo il sentiero di pietra grigia, i rumori della festa che si lasciava alle spalle si affievolirono, lasciando il posto ad altri suoni.
La voce concitata di Newt gli giunse all'orecchio prima che potesse vedere l'amico. Thomas si fermò accanto alla massiccia porta di legno del cancelletto e tese le orecchie, concentrandosi per isolare da sé qualunque altra vibrazione. Sentì Brenda pronunciare il suo nome, anche se non riuscì ad afferrare alcuna frase. Chiuse gli occhi e si avvicinò ancora al cancello.
« Cosa dovrei fare, secondo te? », sbottò Newt. « Non posso mica legarlo a una dannata sedia e costringerlo ad ammettere che prova qualcosa per me! Non so nemmeno se prova qualcosa, cacchio! Vorrei che questa fottutissima storia non fosse mai cominciata ». 
Thomas deglutì e fece un passo verso lo stipite del cancelletto aperto. Si sentiva sporco a compiere un'azione così meschina, ma relegò quella parte della sua coscienza in un angolo e si sporse quanto bastava per avere una visuale di ciò che stava accadendo al di là della siepe. Brenda era seduta su di un muretto, le gambe che oscillavano appena. Newt, di fronte a lei, se ne stava in piedi, la schiena appoggiata alla parete alle sue spalle. In quel vicolo stretto l'illuminazione era quasi del tutto assente: Thomas riusciva a distinguere i volti dei suoi amici a malapena. O meglio, riusciva a distinguere quello di lui, mentre della ragazza poteva tracciare a stento il profilo.
« Vuoi lasciar perdere? », chiese Brenda, esitante.
« No, dannazione, no! » Newt tese il suo corpo all'indietro, poggiando la testa al muro grigio. Si passò una mano sul viso, stropicciandosi gli occhi. « È da mesi che lascio perdere. Io mi sono rotto i coglioni di lasciar perdere, cazzo! »
« Perché non gli parli e basta? »
Silenzio.
Newt tornò a fissare Brenda. Restò immobile per un istante, stringendo le labbra fino a ridurle a una linea sottile. « Ha fatto finta di niente », biascicò. Gli tremava la voce. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime e Thomas si sentì stringere il cuore in una morsa. Gli occhi cominciarono a bruciargli e a pizzicargli, come torturati da minuscoli aghi.
Ci fu un fruscio, poi ancora la voce di Newt: « Il mattino dopo la festa. Ha fatto finta di niente. Gli ho detto che non ricordavo, ma come cacchio facevo a dimenticare una cosa del genere? Non avrei potuto neanche se avessi voluto ». La sua voce divenne un sussurro e si spense. Sbuffò e si allontanò dalla parete alle sue spalle con una spinta, imprecando. « Dannazione! »
Brenda lasciò il muretto su cui si era seduta con un piccolo salto e mosse qualche passo verso il ragazzo. « Newt... », mormorò.
« Si è tirato indietro ». Newt abbassò lo sguardo. Si lasciò stringere da Brenda senza opporre alcuna resistenza, le braccia rigide lungo i fianchi, i pugni serrati. « Ha negato a sé stesso ogni dannata cosa ».
« A me ha continuato a chiedere, lo sai ».
« Questo non vuol dire un caspio di niente! » Newt abbandonò la testa sulla spalla dell'amica. Anche se non riusciva a vederlo in volto, Thomas capì che stava piangendo e si sentì colpevole, meschino, stupido e inutile, perché mai fino a quel momento aveva creduto che il suo migliore amico potesse essere fragile e spezzato come gli appariva in quel momento. Strinse gli occhi con così tanta forza da temere che non sarebbe più riuscito ad aprirli e gli andava bene, perché ciò che vedeva gli faceva così male. Era un dolore sordo, al centro del petto e dietro le palpebre, dove le lacrime premevano per lasciarsi cadere e scorrergli lungo le guance.
« Forse. Forse no, chi può dirlo? »
« Non lo so ». Un sospiro. Newt si allontanò dalla stretta di Brenda e si asciugò gli occhi con il dorso delle mani. « Sai una cosa? Dimentica quello che ti ho detto. Io credo di doverci rinunciare ».
« Senza averci provato? »
« Ci ho provato, Brenda! », sbottò lui. Scosse la testa. « E sono stato un coglione del caspio, perché ci ho creduto davvero e non avrei dovuto ».
« E quindi? Che hai intenzione di fare, scappare e trasferirti dall'altra parte del mondo per non incontrarlo ancora? Frequentate la stessa scuola, avete un casino di corsi in comune, mi spieghi qual è il tuo brillante piano per dimenticarti di lui? » Brenda indicò con un ampio gesto della mano il cancelletto alle sue spalle e Thomas si tirò indietro, il cuore a mille. « È anche qui, adesso! », disse la ragazza e Thomas sussultò, per poi rendersi conto che Brenda si riferiva alla festa, non alla sua posizione. Dalla posizione in cui lei si trovava non poteva averlo visto. Ciononostante, si appiattì contro la siepe e trattenne il respiro. Il cuore gli batteva nel petto come se avesse deciso di portarsi avanti col lavoro e pompare in pochi minuti il sangue necessario al suo organismo per tirare avanti nei successivi dodici anni.
Newt sospirò. « Manca solo un anno alla fine della scuola. Farò finta che non sia successo niente. Mi godrò gli ultimi mesi come ho fatto fino ad ora, poi partiremo entrambi per il college e non sarò più costretto a pensare alla sua dannatissima faccia ogni secondo della mia dannatissima vita. Non posso continuare a rovinarmi per Tommy. Sono innamorato di lui, ma non è l'unico ragazzo sul nostro fottuto pianeta ».
Thomas deglutì. Non era sicuro che tutto questo fosse reale. Si strinse le dita delle mani fino a farsi male e serrò la mascella per impedirsi di dire qualsiasi cosa. Avrebbe voluto urlare, abbracciare Newt e poi tirargli un pugno, perché era tutta colpa sua se lui si sentiva così confuso, se sognava le sue mani e la sua bocca e il suo respiro e i suoi capelli biondi e se si sentiva così male, così stupido e spaventato, perché ora sapeva, cacchio, e non avrebbe potuto fare finta di nulla come si era prefissato dalla domenica successiva alla festa. La realtà delle sue sensazioni lo aveva tramortito con prepotenza, obbligandolo ad aprire gli occhi, a conoscere ciò che in un modo o nell'altro avrebbe cambiato tutto.
Thomas ne era terrorizzato.
« Secondo me stai dicendo un mucchio di stronzate », sbottò Brenda. Poi chiese: « Dove cazzo è finito Minho? »
« Io cosa caspio ne so? È il tuo ragazzo, non il mio ».
« Gli ho mandato un messaggio e non si è ancora - ». Brenda s'interruppe. « Cazzo, l'ho mandato a Thomas! »
Thomas trasalì.
« Cosa? Che gli hai scritto? »
« Di venire qui. È meglio che ci spostiamo. Torniamo dentro ».
Thomas ebbe un tuffo al cuore e fece per spostarsi e allontanarsi dal piccolo cancello, ma Brenda doveva essersi avvicinata mentre non guardava, perché lui non ebbe il tempo di fare un passo che lei era già lì, gli occhi sbarrati, le labbra dischiuse. S'immobilizzò non appena lo vide. Il colore abbandonò il suo volto, trasformandolo in una maschera pallida dall'espressione confusa. « Thomas », sussurrò.
Newt apparve dietro di lei, gli occhi scuri, gonfi e arrossati dal pianto sgranati in un'espressione di puro terrore.
Thomas sentì l'impulso di gettarsi tra le siepi e sparire, inghiottito dal verde, ma non si mosse. Si sentiva paralizzato, incapace di fare qualunque cosa. Il suo sguardo era fisso negli occhi di quello che fino a poco tempo prima aveva considerato il suo migliore amico. Ora cos'era? Non lo sapeva, non lo capiva. Cominciava a fargli male la testa: sentiva il cervello cigolare nel tentativo di rielaborare la conversazione che aveva appena origliato, ma non giungeva ad alcuna conclusione. La sua mente era un dedalo infinito di immagini sfocate, un labirinto di parole distorte e prive di senso.
Newt gli aveva mentito, lui ricordava ogni cosa. Ricordava la sua imbarazzante dichiarazione e sapeva della confessione di Brenda.
Thomas tentò di concentrarsi su quel particolare della storia, su quel dettaglio, ma la verità era che stava tentando di ignorare il fatto che Newt aveva ammesso di essere innamorato di lui e questo cambiava ogni cosa, gettava alle ortiche ogni tentativo di Thomas di lasciarsi le sue emozioni alle spalle. Avrebbe potuto ignorare i suoi sentimenti per Newt, se non avesse saputo che erano ricambiati. Avrebbe potuto fingere di non esserne attratto quanto sentiva di essere, continuare a camminare in bilico, soltanto vagamente consapevole del pericolo che ciò comportava, e poi rifugiarsi nel suo letto, di notte, quando nessuno poteva vederlo e giudicarlo e fargli domande, stringere a sé il cuscino e immaginare le sue mani, le mani di Newt, e le sue dita tra i capelli. E si sarebbe svegliato ogni giorno fingendo di non averlo fatto e avrebbe continuato a guardare quegli occhi scuri con mal celato interesse e poi avrebbe osservato quel volto tanto familiare fingendo di non volerne sfiorare e baciare ogni centimetro.
« Tommy ». Newt fece un passo verso di lui, una mano tesa in avanti, quasi avesse voluto sfiorarlo e fargli capire che andava tutto bene, che non voleva fargli del male.
Ma non andava tutto bene e Thomas lo sapeva. Si sentiva vulnerabile, ora che era stato spogliato di qualunque difesa e messo di fronte alla realtà dei fatti. Arretrò di un passo.
« Tommy, io... mi dispiace ».
Thomas scosse la testa e si voltò in direzione della casa. Cominciò a camminare a passo svelto, seguendo la musica e le luci che fendevano il buio, oscurando le stelle. I rumori della festa sovrastavano quelli dei suoi passi e di quelli più rapidi e leggeri di Newt, che lo seguì e lo obbligò a fermarsi prima di entrare nel salone gremito di gente.
« Tommy », gli disse, la voce tremante quasi ridotta a un sussurro rauco. « Hai sentito quello che ci siamo detti, vero? »
Thomas guardò il suo amico senza vederlo. Per la prima volta nella sua vita si sentì cieco e sordo e muto, perché non si era mai accorto di niente e ora non aveva parole da dire.
« Sei arrabbiato con me? »
No, cavolo, no, non lo sono, anche se mi hai mentito, anche se ho fatto la figura del deficiente, credendo di essermela cavata senza che tu ricordassi un cazzo, non sono arrabbiato con te, o forse sì, o forse no, non lo so, non so niente, lasciami respirare, Newt, lasciami respirare... e mentre nella sua testa i pensieri si rincorrevano senza raggiungersi, Thomas disse solo: « Devo andare in bagno » e si sentì stupido come mai prima d'allora. Si liberò dalla stretta di Newt con uno scossone ed entrò nel salone di casa Bennet. Newt gli tenne dietro, continuando a chiamarlo. « Cacchio, aspetta! Lasciami parlare. Fammi spiegare tutto. Per favore, Tommy. Per favore! »
Thomas raggiunse la rampa di scale nell'ingresso e cominciò a salire i gradini, due alla volta.
« Lasciami stare, Newt », lo implorò, ma l'altro ragazzo non si arrese. Lo bloccò prima che potesse raggiungere il pianerottolo e lo costrinse a voltarsi. « Tommy », mormorò, gli occhi scuri lucidi, le guance arrossate dal caldo o forse dall'imbarazzo o forse da entrambi.
Thomas si divincolò e tentò di muovere un altro passo, ma la mano di Newt teneva fermo il suo polso e non sembrava intenzionata a lasciarlo andare.
« Lasciami stare! », si lamentò Thomas. Scrollò il braccio imprigionato con tale violenza che Newt fu costretto ad arretrare.
Thomas capì ciò che stava succedendo quando era troppo tardi per impedirlo. Newt impallidì, gli occhi sbarrati. I suoi piedi cercarono un appiglio, una base su cui scaricare il peso del suo corpo, ma trovarono il vuoto. Newt perse l'equilibrio. Gridò qualcosa, tentò di afferrare il corrimano in legno, allungò una mano per stringere quella tesa di Thomas, ma non ci riuscì e cadde. Ruzzolò per l'intera rampa di scale e batté la testa contro il parquet.
Thomas si lanciò lungo i gradini con un grido. « Newt! »
Il suo migliore amico era immobile, lungo disteso sul pavimento lucido. La sua gamba era piegata in un angolazione innaturale.
A Thomas si fermò il respiro.
« Oddio! » Brenda si precipitò sul corpo di Newt non appena lo vide. « Cosa cazzo è successo? Newt! Newt, apri gli occhi, Newt! Chiamate un ambulanza! »
Thomas prese il cellulare con un movimento rapido. Le mani gli tremavano così tanto che rischiò di farlo cadere. Brenda scattò in piedi e glielo strappò dalle dita. « Faccio io! », disse, digitando in fretta, la fronte aggrottata.
Thomas si avvicinò a Newt e gli sfiorò una guancia. « Newt! », gridò. « Newt, mi senti? »
Attorno a loro la gente cominciò a radunarsi. Thomas avrebbe voluto mandarli via: erano uno sciame di moscerini fastidiosi, attirati dalle luci di una lanterna. Fissavano il corpo di Newt con gli occhi sgranati, mormorando concitati. Qualcuno gridò.
« Porca troia, andatevene! Lasciatelo respirare! Standogli così appiccicati non lo aiuterete a sentirsi meglio! »
Newt aprì gli occhi: in un primo momento, Thomas lesse nel suo sguardo la confusione, mille punti interrogativi intrecciati a formare una fitta rete di domande inespresse. Fu questione di pochi attimi, prima che il caos lasciasse il posto al dolore. Il volto di Newt si contrasse in una smorfia. « Cosa cacchio è successo? », rantolò.
« Newt! » Thomas sospirò di sollievo. Era sveglio. « Abbiamo chiamato un'ambulanza. Andrà tutto bene, okay? »
« La mia gamba ».
Thomas lanciò un'occhiata alla metà inferiore del suo corpo. « Non pensarci, ora. Andrà tutto bene, Newt, andrà tutto bene ».
Thomas non poteva sapere quanto si stesse sbagliando in quel momento.

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Capitolo 6
*** V ***


V


Thomas percorse il corridoio che gli era stato indicato dall'infermiera e si fermò di fronte alla porta recante il numero 55. Era in quella stanza che avevano spostato Newt dopo l'intervento alla gamba, che lo aveva visto costretto sotto ai ferri per diverse ore. Thomas fece per bussare, la mano stretta a pugno a pochi centimetri dalla superficie di legno, ma si trattenne. Non vedeva il suo migliore amico dal momento in cui era stato caricato in ambulanza e trasportato in ospedale, sotto gli occhi di decine di ragazzi curiosi. Minho si era occupato di avvisare i suoi genitori, poi aveva preso l'auto e se n'era andato da casa Bennet, trascinandosi dietro Thomas, Brenda e una Teresa piuttosto confusa, che non riusciva a impedirsi di fare domande. Erano arrivati in ospedale e si erano fermati lì per parecchie ore. Brenda si era accasciata su una sedia in sala d'attesa, la testa appoggiata alla spalla di Minho, e aveva finito per addormentarsi lì. Thomas aveva continuato a camminare in cerchio, torturandosi le dita delle mani. L'immagine di Newt che cadeva nel vuoto, i suoi occhi scuri spalancati dalla paura, le labbra dischiuse in un respiro smorzato... tutto continuava a ripetersi nella sua testa in un loop infinito, mentre il senso di colpa che gli attanagliava gola e stomaco si faceva più pesante a ogni suo passo.
« È tutto a posto, ragazzi », aveva detto un medico, tentando di tranquillizzarli. « Il vostro amico sta bene. Non c'è alcun bisogno di restare qui. Andate a casa ».
Thomas avrebbe preferito accamparsi in quella sala d'attesa e non andarsene finché non avesse sentito Newt pronunciare quelle stesse parole, ma Minho l'aveva convinto a lasciar perdere, « ché hai delle caspio di occhiaie così profonde da far invidia a L di Death Note! »
Così se n'erano andati e Thomas si era ripromesso che sarebbe tornato presto in ospedale, magari il giorno stesso, gli serviva giusto il tempo di una dormita; ma già lungo la strada verso casa il suo coraggio era venuto meno, rimpiazzato dell'incertezza, dal senso di colpa, dalla paura di ciò che avrebbe visto negli occhi di Newt (accusa, collera, odio, delusione?) e il solo pensiero era così difficile da affrontare, così doloroso, che credeva non ci sarebbe mai riuscito davvero. Lo aveva ferito in così tanti modi e senza neanche rendersene conto...
Erano passati due giorni. Alla fine, Thomas non aveva trovato più motivi per rimandare ed eccolo lì, davanti alla stanza numero 55, le nocche a poca distanza dalla porta, il corpo rigido, la mente focalizzata sugli scenari peggiori che si potessero concepire.
Dall'interno non proveniva alcun rumore. Thomas non ne era sorpreso, aveva incrociato la madre di Newt al piano inferiore, accanto ai distributori automatici, e ciò significava che Newt era solo. Thomas inspirò a pieni polmoni un paio di volte, nel vano tentativo di mettere un freno al battito del suo cuore, prima di trovare il coraggio e dare qualche colpo esitante alla porta. L'aprì prima che chiunque potesse dargli il permesso e sbirciò all'interno.
La stanza era luminosa. La finestra aperta lasciava passare l'aria fresca del tardo mattino e i raggi del sole, che si riflettevano sulle pareti dipinte di un bianco sporco. Newt era sdraiato in un lettino singolo. La sua gamba era imprigionata in un gesso che già recava i segni di svariate visite: schizzi fatti a penna, firme, messaggi e auguri di pronta guarigione. Il ragazzo si voltò verso la porta. Confusione, sorpresa e irritazione si susseguirono sul suo volto nel tempo di un secondo.
Thomas si schiarì la voce. « Ehi, Newt », lo salutò, mostrandogli una mano tremante.
Newt tornò a rivolgere la sua attenzione alla finestra. Sembrava annoiato. « Tommy », disse solo.
Thomas si guardò intorno, a disagio. « Come stai? », si sforzò di chiedere, sentendosi molto stupido un attimo dopo. Gli occhi di Newt incontrarono i suoi e Thomas si pentì di aver desiderato che lo facessero: nel suo sguardo era visibile l'astio che ne consumava le iridi scure. « Oh, tutto bene, come puoi vedere ». Il sarcasmo nella sua voce costrinse Thomas a distogliere lo sguardo. Il ragazzo si morse l'interno della guancia e annuì. « Per quello che è successo... », mormorò. Newt inarcò un sopracciglio. « Ricordi quello che è successo, vero? »
La risata amara di Newt si diffuse nella stanza. Lui scosse la testa e si passò una mano tra i capelli biondi. « Forse sarebbe meglio per te se non lo facessi », disse, « ma, mi dispiace deluderti, non ho ancora cominciato a soffrire di Alzheimer ». Il suo tono era tagliente, la voce brusca. Thomas non ricordava di averlo mai sentito parlare in questo modo. Non a lui, almeno. La cosa gli faceva più male di quanto avesse immaginato. Thomas dischiuse appena le labbra per replicare e cancellare ogni traccia di quel silenzio insopportabile, ma non riuscì a trovare niente da dire e tacque. Newt gli indirizzò un'occhiata che gli bruciò la pelle come fuoco vivo, poi distolse lo sguardo e lo puntò sulla sua gamba, nascosta sotto strati di gesso e messaggi scritti di fretta. « Senti, vattene da qui, Tommy », disse alla fine e la rabbia nella sua voce aveva ceduto il posto all'esasperazione. « Vattene. Non riesco nemmeno a guardare la tua brutta faccia di caspio ».
Thomas spostò il peso da un piede all'altro, torturandosi le dita delle mani. La pelle gli bruciava, lì dove le unghie avevano scavato solchi rossastri. « Io - ».
Newt gli impedì di continuare la frase. « Perché sei venuto qui? », sbottò. La vergogna divorò Thomas dall'interno, come un tarlo, impedendogli di articolare alcun pensiero coerente. Newt si lasciò sfuggire un'altra risata priva di allegria. « Ti aspettavi un cacchio di abbraccio, eh? »
Thomas tentò di ritrovare la voce. « Mi dispiace », gracchiò. Avrebbe voluto dire di più, ma la sua gola si era stretta nello sforzo di trattenere le lacrime, e il dolore si irradiava come veleno giù nel suo petto, impedendogli di respirare.
Newt non lo guardava. « Questo non rimette a posto la mia gamba, Tommy ». Fece per aggiungere qualcosa, ma si trattenne, mordendosi l'interno della guancia. « Senti, vattene. Davvero. Va' via, adesso ».
Thomas deglutì e annuì appena. Raggiunse la porta della stanza e uscì, combattendo contro le lacrime.
Non ebbe neanche la forza di dirgli ciao.

« Oh, avanti! » Le dita di Thomas tremavano. Compose il numero di Newt per la terza volta consecutiva. Pochi squilli, poi la segreteria.
« Newt, mi dispiace », disse Thomas. Aveva perso il conto delle volte in cui gli aveva ripetuto quella frase, tre parole che gli apparivano ormai prive di significato.
Strinse le labbra. « Richiamami », mormorò. « Ti prego ». Non riuscì a trattenere le lacrime, ma staccò la chiamata prima che la sua voce si spezzasse. Gettò il telefono in un angolo della stanza immersa nella penombra e si portò le ginocchia al petto, affondandovi il viso. « Mi dispiace », ripeté ancora, la voce rotta dai singhiozzi. Si lasciò scivolare su un fianco, la guancia umida appiccicata al pavimento. Chiuse gli occhi.
Ho rovinato tutto.

La suoneria di un cellulare si infilò tra i sogni di Thomas, creando un ponte con il mondo reale che lui percorse a fatica, fino a raggiungere la sua camera. Si stropicciò gli occhi con le mani e cercò nell'oscurità la fonte del suono. Il led del telefonino lampeggiava in un angolo. Thomas si precipitò a rispondere e la voce di Minho risuonò al suo orecchio. « Ehi, pive! È da dieci minuti che tento di rintracciarti, dove caspio eri finito? »
« Scusa ». Thomas sbadigliò e allungò il braccio libero per stiracchiarsi. « Dormivo ».
« Si sente », ridacchiò Minho. « E stamattina? Non ti sei fatto vivo a scuola ».
Il ricordo della mattinata passata in ospedale ricadde sulle spalle di Thomas con prepotenza, mozzandogli il fiato. Per lui fu come cadere da un precipizio che non si era reso conto di costeggiare. « Sono andato a trovare Newt », riuscì a mormorare, la voce impastata dal sonno e dalla tristezza. 
« Era ora! Hai visto quello che gli ho scritto sul gesso? » Minho rise.
« No », mormorò Thomas. Tirò su col naso e strinse le labbra. Non si fidava più della sua voce: se avesse provato a pronunciare una frase più lunga, sarebbe stato scosso dai singhiozzi, lo sapeva.
« Oh, caspio ». Minho sospirò: aveva abbandonato ogni parvenza di allegria. « Cos'è successo? »
Thomas scrollò le spalle. La parte razionale del suo cervello gli gridò che Minho non poteva vederlo, ma lui tenne le labbra serrate per impedirsi di dire qualunque cosa. Chiuse gli occhi, sentendosi scivolare una calda lacrima lungo la guancia.
« Thomas? »
« Hm », mugolò l'altro, maledicendosi per la sua debolezza.
« Che non si dica in giro che Minho non aiuta gli amici in difficoltà. Aspettami, arrivo ».
Thomas avrebbe voluto fermarlo, dirgli che andava tutto bene e che non c'era bisogno che lui lo raggiungesse, ma Minho staccò senza dargliene la possibilità. Passarono circa venti minuti prima che si presentasse a casa dell'amico. Aprì la porta della sua camera senza esitazione e si fermò sulla soglia, le mani piantate sui fianchi, il viso distorto in un'espressione di biasimo. « Sapevo che aspettandomi il peggio non sarei rimasto deluso », borbottò. Si mosse verso Thomas, ancora riverso sul pavimento, e gli si sedette accanto. « Cosa caspio vi è successo, a te e quell'altro rincaspiato di Newt? »
Thomas gli lanciò un'occhiata, ma non disse nulla. Il silenzio si protrasse per alcuni minuti, poi Minho sbuffò. « Brenda mi ha raccontato tutto. La conversazione, tu che ti nascondevi dietro le siepi e tutta quella sploff lì ».
Thomas scosse la testa, come per cercare di allontanare dalla sua mente la patetica immagine di lui che si nascondeva dietro al cancelletto sul retro per origliare. « Quindi sai anche che Newt... ».
« Ti muore dietro da mesi? » Minho rise. « Penso che tu sia l'unico a non essertene accorto e questo, non so perché, non mi stupisce più di tanto ». 
« D'aiuto come al solito, eh? » Thomas alzò gli occhi al cielo e si strinse le ginocchia al petto.
« Qual è il problema? » Minho si agitò sul posto e strinse la spalla dell'amico con una mano, costringendolo a voltarsi per farsi guardare in faccia. « Lui ti piace, no? », gli chiese.
Thomas emise un verso strozzato e distolse lo sguardo, gli occhi sgranati che cercavano in vano un appiglio nella stanza buia. 
« Cosa? Perché? »
Minho roteò gli occhi. « Perché è bello e biondo e sexy », disse, poi sbottò: « Cosa cacchio ne so, io!? Non è il mio tipo, davvero. Troppo magro ».
Thomas ridacchiò e gli diede una spinta con una mano. « Lo sai cosa intendevo. Perché pensi che mi piaccia? »
Minho scosse la testa, le labbra distese in un sorriso triste. « Non lo so, pive. È il modo in cui vi guardate, in cui scherzate... be', non sono nella tua fottuta testa. La mia era una domanda ».
Thomas sospirò. « Non lo so. E questo mi ha causato più problemi di quanto sia disposto ad ammettere. Ne ha causati tanti anche a Newt. Quello che è successo... ». Thomas strinse i denti e chiuse gli occhi, cercando dentro di sé il coraggio di ammettere ad alta voce ciò che lo divorava dall'interno. « È colpa mia ». Fu un sospiro a malapena udibile. « È caduto da quelle scale per colpa mia ».
« È stato un incidente, Thomas ».
Thomas scosse la testa. « Vorrei poterti dare ragione ». Si voltò verso la parete. Sentiva lo sguardo di Minho bruciargli sulla nuca, ma non poteva sopportare l'idea di leggervi dentro l'accusa e la collera che aveva percepito in quello di Newt. « È stata colpa mia. Non mi perdonerà mai ».
« Non conosciamo lo stesso Newt, mi sa ». Minho gli circondò le spalle con un braccio. « Non riuscirebbe a starti lontano neanche se fosse costretto ».
« Avresti dovuto esserci, all'ospedale. Non sai come mi ha guardato, quasi fossi la causa di tutto ciò che di male c'è nella sua vita. Forse è così ».
« O. Mio. Dio ». Minho si allontanò dall'amico e si rimise in piedi con uno scatto. « La smetti con questi piagnistei? » Tenne lo sguardo fisso sull'amico, che non si mosse né disse qualcosa. Minho si lasciò sfuggire un verso esasperato. « Ho avuto pazienza, okay? Mi sono precipitato qui e ho assistito al pietoso spettacolo di te che ti rotolavi nelle tue cacchio di lacrime come una cacchio di sedicenne tumblr-dipendente, ma ora basta ». Si sporse verso la parete e spinse l'interruttore della luce. Thomas batté le palpebre un paio di volte, disturbato dalla luminosità improvvisa che gli ferì gli occhi. Minho scosse la testa. « Non è morto nessuno, Thomas ».
« Sarebbe potuto succedere ».
« Sei serio? Non voglio crederci, amico. Dammi il numero del tuo spacciatore ché lo gonfio di botte, cacchio! » Il silenzio di Thomas lo spinse a continuare: « Certo, sarebbe potuto succedere », ammise infine. « E il corso dell'evoluzione avrebbe potuto prendere una piega diversa, consentendo all'essere umano di sviluppare le branchie, ma sai una cosa? Non è successo! E tutto ciò è orribile, non credi? Perché se fosse successo ora me ne starei ancorato al mio fottutissimo scoglio, ascoltando i fottutissimi pesci e non le tue stupide lamentele su quanto il mondo faccia schifo perché il ragazzo che ti piace ha smesso di rivolgerti la parola! » Minho si fermò per respirare e lui e Thomas restarono così, fermi a fissarsi negli occhi per un lungo istante. Alla fine, Thomas scoppiò in una risata isterica che poco aveva di allegro. Avrebbe voluto trattenersi, ma rise così tanto che le lacrime cominciarono presto a bagnargli gli occhi. « Davvero, Minho? Le branchie? », riuscì a chiedere a fatica, la voce scossa. Minho cedette e tornò a sedersi accanto all'amico. « Mi sto rincaspiando appresso a voi deficienti, cacchio », disse con un sorriso. « Ricordami perché continuo a frequentarti ».
Thomas si asciugò gli occhi con il dorso della mano. « Perché senza di me saresti perso ». Indirizzò all'amico un sorriso storto e si lasciò scivolare contro il letto alle sue spalle. L'allegria, la finta allegria che gli aveva fatto dimenticare la sua tristezza per un attimo si era dissolta nel nulla. Thomas fece un respiro profondo. « Forse hai ragione », disse. « È stato un incidente, ma ho la mia dose di colpe ».
« Sei un disco rotto, pive ».
« Fammi spiegare. C'ero io su quelle scale: non tu, non Brenda. C'eravamo io e Newt ».
« Ti ascolto, ma sappi che mi riservo il diritto di rifilarti un calcio rotante in faccia nel caso sentissi altre stronzate uscire dalla tua caspio di bocca ».
Thomas annuì. « Io l'ho spinto. Lui voleva parlare, ma ero così confuso, volevo che mi lasciasse in pace ». Il respiro gli si bloccò in gola e Thomas dovette fermarsi per riprendere il controllo. « Mi ha afferrato un braccio, non ricordo bene, so solo che me lo sono scrollato di dosso e all'improvviso lui era... ».
Minho gli poggiò una mano sulla spalla. « Non è stata colpa tua. Non m'interessano i tuoi tentativi di convincerti del contrario ».
« Ma Newt - ».
« Newt è arrabbiato. E ferito. È - be', è qualunque cosa si diventi dopo una delusione d'amore ». Minho si strinse nelle spalle.
« Non voglio che lui diventi un estraneo ».
« Gli passerà. Piuttosto », Minho si alzò in piedi e lo indicò con un cenno del capo, « tu dovresti fare un po' di chiarezza nella tua testa, pive ».
« Non ci riesco », sbottò Thomas, frustrato. « Un minuto prima sono lì che penso a Newt in modo strano, ma l'attimo dopo penso che non dovrei! »
« Allora è questo il problema? Pensi che ciò che provi sia sbagliato? » Minho si strinse nelle spalle. « Non lo è. Gay, etero o uno qualunque degli strani orientamenti sessuali che vanno di moda oggi, chi se ne frega? »
Thomas gli fece segno di no con la testa. « Non è questo », mormorò e nel momento in cui lo disse si rese conto che era la verità. Ciò che Newt aveva tra le gambe non era un problema, non lo sarebbe mai stato. Non gli importava. C'era qualcosa di più profondo dietro a tutto questo, un sentimento venefico, tossico, radicato nel suo cervello. Thomas sbarrò gli occhi. « Io ho paura di mandare tutto a puttane », sussurrò, quasi senza rendersene conto.
« Io ho paura di perdere i capelli com'è successo a mio padre, ma vado avanti e continuo a mostrare la mia chioma al mondo, giorno dopo giorno ». Thomas inarcò un sopracciglio e Minho ghignò. « Sto cercando di dirti che tutti hanno paura. Se non hai paura non sei umano, ma non puoi fuggire da te stesso ».
« Questa l'hai rubata da una scatola di cioccolatini ».
« La tua mancanza di fiducia in me è snervante, amico, sul serio ».
Thomas sbuffò. « Cosa dovrei fare? »
« Non lo so, pive. Parlagli ».
« Che gli dico? »
« Digli quello che ti passa per la testa. Quello che provi. Quello che vuoi ».
« Non sono sicuro di ciò che voglio, ma so cosa non voglio: non voglio perderlo ».
« Voi due mi farete venire il diabete, cacchio ».

Newt era stato dimesso dall'ospedale e Minho aveva detto a Thomas che sarebbe tornato a scuola subito dopo il weekend.
Fu il weekend peggiore della storia, per Thomas. Lo passò trascinandosi da uno stato emotivo all'altro in un vortice di aspettativa e smarrimento, paura ed eccitazione. Il nervosismo gli chiuse lo stomaco e cancellò i suoi buoni propositi di studiare. Fissava le pagine colme di caratteri e immaginava ciò che avrebbe detto a Newt non appena si fossero rivisti. Faceva lo stesso anche prima di addormentarsi.
La notte che separava la domenica dal lunedì fu la più terribile: Thomas non fece altro che fissare il soffitto della sua stanza, attanagliato dall'ansia e dal terrore. Quando per miracolo cedeva a Morfeo, erano i suoi stessi sogni a riscuoterlo.
L'alba del lunedì lo trovò sveglio, seduto al centro del letto, la schiena adagiata contro la testiera e gli occhi stanchi fissi sulla parete. Thomas neanche si rese conto della luce che piano s'insinuava oltre la finestra, gli accarezzava i piedi e poi le gambe, le braccia, il torace, il collo e infine il volto, costringendolo a chiudere gli occhi. La sveglia trillò il suo buongiorno e Thomas la spense con un gesto rapido, il fastidio che gli si accendeva dentro come fuoco. Si trascinò in bagno e si preparò ad affrontare la giornata con i crampi che lo torturavano.
Arrivò a scuola in anticipo e attese di scorgere l'auto di Minho oltrepassare il cancello. Quando la vide, quando vide la sagoma di Newt seduto al posto del passeggero, il suo cuore accelerò i battiti e le gambe gli tremarono appena. Thomas si avvicinò all'auto a passo spedito, cercando di ignorare l'ammasso di nodi in cui si erano trasformate le sue interiora. A ogni passo il suo coraggio veniva meno, sostituito dalla voglia impellente di fuggire e non farsi più vedere. Forse era ancora in tempo, poteva trasferirsi dall'altra parte del mondo, farsi crescere i baffi e i capelli e cambiare nome e...
La voce di Newt lo riscosse dai suoi pensieri. « Hai intenzione di lasciarmi passare? »
Thomas sbatté le palpebre: Newt era appena sceso dall'auto di Minho e lo osservava in cagnesco. La sua gamba era ancora imprigionata in un gesso, ricoperto da una rete di messaggi ancor più fitta dell'ultima volta. Thomas strinse la mascella e focalizzò la sua attenzione sulla stampella a cui Newt si aggrappava per camminare. Un'ondata di senso di colpa gli attraversò le viscere, ma tentò di reprimerla.
« Mi fai passare o no? », sbottò Newt, il volto arrossato e l'espressione scocciata.
« Oh ». Thomas si spostò, lasciando all'altro ragazzo lo spazio necessario. « Sì, scusa ».
Minho li osservò per un istante, poi salutò Thomas con un cenno della mano. Non disse niente, lanciò un'occhiata fugace all'amico che claudicava ancorato alla sua gruccia e si allontanò a passo svelto. Newt gli mostrò il dito medio e gli rivolse uno sguardo torvo, poi si avviò verso l'ingresso, zoppicando.
Thomas lo raggiunse con due falcate. « Possiamo parlare? »
« Ora ho lezione, Tommy, e anche tu, nel caso te ne fossi scordato ».
« Non ti ruberò molto tempo ».
« Lo hai già fatto ». Gli lanciò un'occhiata di sottecchi. « Mi hai già rubato troppo tempo », aggiunse, leggendo la confusione sul suo volto.
« Senti, mi dispiace per quello che è successo alla festa, io - ».
« Me lo hai già detto », lo fermò Newt, l'esasperazione che s'intrecciava alle sue parole. 
« Quante volte ancora hai intenzione di ripetermelo? Giusto per farmi un'idea di quanto dovrò sopportarti prima che tu chiuda quella bocca ».
Thomas emise un verso carico di frustrazione e batté i piedi sull'asfalto. Erano quasi arrivati all'ingresso della scuola. « Lo so che sei arrabbiato con me e non hai idea di quanto io mi senta in colpa per quello che è successo, Newt, ma cosa posso fare? Mi sono scusato con te, ti ho intasato il cellulare di chiamate e messaggi, ho passato gli ultimi giorni senza chiudere occhio, ho delle occhiaie che mi fanno sembrare un tossicodipendente! » Disse queste parole senza fermarsi a riprendere fiato, mentre il sangue gli affluiva al viso, imporporandolo. « Cosa caspio devo fare ancora? Dimmelo e lo farò, ma smettila di trattarmi come se fossi la causa di tutti i tuoi problemi, smettila di guardarmi come se mi odiassi, perché non lo sopporto ».
« Odiarti? Odiarti? » Newt rise senza allegria. « Mio Dio, Thomas, sei stupido di natura o ti ci metti d'impegno? Io vorrei odiarti, cacchio, ma non ci riesco e questo mi fa odiare me stesso più di quanto potrei odiare chiunque altro nella mia vita! »
« Non dirlo ».
« È la verità. Se ti dà fastidio, lasciami in pace e fa' finire questa dannata conversazione ».
Quasi come a voler esaudire la sua richiesta, la campanella annunciò l'inizio delle lezioni. Newt e Thomas raggiunsero l'aula di chimica in silenzio. Minho aveva riservato loro due posti in fondo, ma Newt gli lanciò un'occhiataccia e occupò uno dei banchi in prima fila, chiedendo a un loro compagno di corso di passargli una sedia su cui poggiare la gamba ingessata. Thomas lo superò a testa bassa e si sedette accanto a Minho, che inarcò le sopracciglia e gli indirizzò uno sguardo interrogativo. Thomas si limitò a scuotere la testa e affondò il viso nell'incavo del gomito.

« Newt è in cortile », gli disse Minho. Era da poco cominciato l'intervallo e Thomas non aveva ancora avuto l'occasione di chiarire con Newt.
« Se provo a rovinargli anche la pausa mi ammazza », borbottò. 
« Non dire stronzate e va' immediatamente a rovinargli la pausa! », gli intimò Minho. « Quel rincaspiato di Newt se lo merita, dopo tutta la sploff che ti ha fatto passare! »
Thomas roteò gli occhi, ma si ritrovò ad annuire. Raggiunse il cortile di corsa e si guardò intorno, finché non vide l'oggetto delle sue attenzioni: era seduto su di una panchina. Teneva un astuccio in grembo e un quaderno aperto sulle gambe. Stava scrivendo qualcosa e quasi non si accorse della presenza di Thomas accanto a lui finché quest'ultimo non si schiarì la voce, costringendolo ad alzare lo sguardo.
« Ancora tu », biascicò Newt, esasperato. Le sue guance si tinsero di rosa e lui abbassò la testa, tornando a concentrarsi sugli appunti che aveva di fronte.
Thomas gli si sedette accanto. Dato che quasi l'intera panchina era impegnata dal gesso di Newt, dovette accontentarsi di occuparne il bordo. Newt lo guardò di sottecchi e distolse lo sguardo un attimo dopo.
« Sei ancora arrabbiato? » Thomas si diede del deficiente, ma tentò di non darlo a vedere. Se fosse stato in Newt, si sarebbe colpito con la gruccia più e più volte, fino a che non fosse stramazzato al suolo.
« Tu che dici? »
« Dico che stai evitando di rispondere alla mia domanda ».
Newt si immobilizzò per un attimo e scosse la testa. « Certo, tutto quello che vuoi. Ora mi lasci stare o ti serve un invito scritto? Forse preferisci un'ordinanza restrittiva ».
Thomas alzò gli occhi al cielo. 
« Non ho intenzione di lasciar perdere, se è questo che speri di ottenere comportandoti così ».
« Così come? »
« Non vuoi che te lo dica ».
« Adesso decidi anche cosa voglio e cosa non voglio, Tommy? » Thomas sentì il cuore accelerare quando notò le labbra di Newt prendere una piega che somigliava molto ad un sorriso. Durò solo un istante, ma fu sufficiente per infondergli un po' del coraggio che aveva perso.
« Cosa vuoi che faccia per aggiustare le cose? Qualunque cosa, ma dimmelo ».
Newt trattenne il respiro. Alzò lo sguardo e i suoi occhi scuri, così profondi, così belli, pensava Thomas, incontrarono quelli dell'altro ragazzo. Thomas si sentì sollevato quando non vi trovò alcuna traccia di collera, ma il sollievo si tramutò in un dolore sordo, non appena ebbe letto quello sguardo con maggiore attenzione. C'era tristezza, lì, e c'erano rassegnazione e paura. C'era la promessa che nulla sarebbe mai stato come prima.
Forse non doveva esserlo. Forse era ora che le cose cambiassero, era ora di saltare giù dal filo su cui Thomas si ostinava a rimanere in bilico.
Newt sospirò. « Non si possono aggiustare le cose, Tommy », mormorò. « Non quando si sono rotte in miriadi di frammenti tanto piccoli da sembrare polvere ». Tornò a guardare il quaderno di appunti e lo strinse così forte da stropicciarne le pagine. « Non sono più arrabbiato con te. Forse non lo sono mai stato, non lo so. Forse proiettavo su di te la rabbia che mi provocava tutto il resto. Tu, la tua dannata amicizia e la tua dannatissima, bellissima faccia ». Arrossì. « Io non so neanche cosa cacchio sto dicendo. So solo che non ho intenzione di fingere che non sia successo niente e non voglio starti vicino sapendo che tu - ». Si fermò senza completare la frase quando si rese conto della pericolosa vicinanza di Thomas: si era alzato in piedi e poi si era inginocchiato sull'erba, in modo che i loro volti si trovassero alla stessa altezza. Gli si era avvicinato senza dire niente, senza far rumore. La distanza tra le loro labbra era quasi inesistente e continuò a diminuire, fino a che divenne un nonnulla, lo spazio di un sospiro, di un sussurro...
« Tommy, non è divertente », mormorò Newt, ma non si mosse.
« Io non sto ridendo ».
Un millimetro più vicini.
« Cosa cacchio stai facendo? »
Due millimetri. 
« Tentavo di capire una cosa ».
Tre millimetri.
Newt chiuse gli occhi, il corpo scosso da brividi leggeri. Il mondo perdeva i propri contorni e Thomas diventava l'unica cosa vivida, l'unica cosa vera in un mare di sfocate illusioni. « E ci sei riuscito? », gli chiese Newt, il fiato corto, il cuore che accelerava al centro del suo petto. 
Thomas annuì e la distanza che li separava si dissolse in un bacio.

Fu la campanella a riportarli alla realtà. Quella e i commenti degli studenti che passavano da quelle parti (Trovatevi una stanza, ci sono dei bambini qui!).
Thomas si allontanò da Newt, gli occhi ancora chiusi.
Non era stato un vero bacio: niente scontri di lingua, nessuna violazione di confine. Era stato un contatto leggero, labbra contro labbra, uno sfiorarsi appena, ma Thomas lo sentiva ancora bruciare sulla pelle come fuoco e sfrigolare sulla bocca come elettricità. Il suo intero corpo era stato attraversato da una scarica elettrica: riusciva a sentirne gli effetti lungo la spina dorsale e gli arti, fino alla punta delle dita, aggrappate al braccio di Newt, quasi questo fosse il suo unico sostegno.
Newt aprì gli occhi e incontrò quelli dell'altro ragazzo. « Io non so cosa mi hai fatto », borbottò Thomas, distogliendo lo sguardo, le guance in fiamme. « Non lo so e ho una paura che non t'immagini neanche, ma... ». Allungò una mano verso l'astuccio che Newt teneva in grembo. Vi rovistò all'interno e ne estrasse un pennarello nero. Si avvicinò alla gamba tesa di Newt e cercò uno spazio in cui scrivere, le labbra increspate in un sorriso malizioso. Non poteva davvero affrontare il discorso in modo serio. Quando ebbe finito, gli fece cenno di leggere e Newt si sporse in avanti, per poi rivolgere a Thomas uno sguardo confuso. Gli ci volle qualche secondo prima che nei suoi occhi si accendesse una scintilla di comprensione. Newt rise e si coprì il viso con una mano per nascondere l'imbarazzo. Thomas pensò che fosse la cosa più bella del mondo e non riuscì a impedirsi di ridere a sua volta, ma non disse niente. Continuò a fissare Newt, il suo volto e poi la sua mano, quando questa scese a sfilargli il pennarello dalle dita per tracciare, tremante, la sua risposta.




 

La proposta della panna 
è ancora valida?

Quando vuoi, Tommy.

 

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


EPILOGO


Thomas osservò la sua immagine riflessa e si lasciò sfuggire un gemito. « Sembro un deficiente », si lamentò, percorrendo con lo sguardo il suo corpo fasciato nell'elegante stoffa blu notte.
« Niente di nuovo », commentò Minho, un ghigno stampato in faccia. Thomas gli avrebbe rifilato una gomitata sui denti, se solo avesse potuto, ma il suo migliore amico lo osservava con espressione sardonica dallo schermo del computer, collegato via web-cam, e Thomas dovette accontentarsi di lanciargli uno sguardo torvo.
« Che gentile », borbottò, sistemandosi la cravatta.
« Quello è un nodo Windsor o un cappio per l'impiccagione? » Minho rise e si portò una mano al collo, mimando la morte per soffocamento. Thomas roteò gli occhi e si avvicinò al portatile con poche e ampie falcate, tentando di mantenere uno sguardo fermo e minaccioso. Non dovette funzionare, perché Minho cominciò a ridere. Thomas sbuffò. « Non ho aperto questa videochiamata per farmi torturare psicologicamente », disse. « Giuro che stacco e non ti rivolgo più la parola ».
« Era ora! Il mio piano è riuscito alla perfezione ».
« Bastardo del caspio ».
« Frena la lingua, pive ». Minho scosse la testa, ostentando un'espressione ferita. « Quindi è così che mi vedi, huh? »
« Meno chiacchiere, più pareri ».
« Sei meno brutto del solito », commentò Minho, squadrandolo con attenzione. « Ecco, sì, arretra di un altro passo, così ti vedo meglio. Niente male ». Annuì alla sua stessa affermazione e inarcò le sopracciglia. « Credi che Newt smetterebbe di parlarmi se ti dessi una botta pure io? »
Thomas rise. « Io smetterei di parlarti se tu ci provassi, Minho ».
Il ragazzo alzò le mani in segno di resa. « Valeva la pena tentare », sospirò, poi tornò serio. « Scherzi a parte, non sembri un deficiente, stai bene ».
« Grazie ». Thomas forzò un sorriso e si strinse nelle spalle, a disagio. « Ricordami perché ho deciso di invitare Newt a questo cacchio di evento ».
« È il ballo di fine anno, amico, non puoi perdertelo. Il primo evento mondano della tua nuova vita omosessuale! » Thomas aggrottò le sopracciglia e aprì la bocca per replicare, ma l'amico non gliene diede possibilità. « Poi mi fai sapere come sono le decorazioni viste attraverso le tue lenti arcobaleno ».
« Ah-ah-ah, molto divertente ». Thomas si sedette sul bordo del letto e afferrò le scarpe lucide dal pavimento. Se ne infilò una e tornò a guardare Minho attraverso lo schermo. « Per ora posso farti sapere come appare la tua faccia di caspio attraverso la mia supervista gay ». Strinse le palpebre e finse di concentrarsi, poi sospirò. « È ancora una faccia di caspio. Almeno sei coerente ».

Il cellulare squillò e Thomas scattò in piedi, il cuore che cominciava ad accelerare al centro del suo petto. Era Newt.
« Ehi », lo salutò Thomas.
« Tommy! Stiamo arrivando, trascina il tuo bel culo fuori casa e non farmi aspettare, intesi? »
Thomas ridacchiò. « Niente foto ricordo nel mio salotto? »
« Non mi costringerai a fare una cosa del genere, pive ».
« Meglio, perché così conciato mi sento un idiota ».
Fu la voce di Minho a rispondergli dall'altro capo del telefono: « Ancora con questa storia? Sei un idiota, di che ti preoccupi? »
« Non mi dire! » Thomas sospirò. « Sono in viva voce ».
Newt ridacchiò. « Ovviamente sì. In ogni caso, non credo tu abbia il diritto di lamentarti, perché, uno, sei stato tu a costringermi ad accompagnarti a questo stupido ballo e, due, l'unico idiota, qui, sono io, con questo dannato vestito elegante e una cacchio di gamba ingessata ».
« Sappi che questa non è una scusa valida per rifiutarti di ballare con me ».
Newt sbuffò. « Immaginavo. Ehi, siamo fuori e tu non ci sei, non ti avevo detto di - ».
« Trascinare il mio bel culo fuori di casa? Sì, sto uscendo ». Staccò il cellulare e diede un'ultima occhiata al suo riflesso. Si ravviò i capelli scuri con una mano e abbozzò un sorriso, che però si spense subito. Roteò gli occhi, afferrò chiavi e cellulare e uscì dalla stanza. Prima che potesse attraversare la porta d'ingresso, sua madre gli si parò davanti, sorridendogli dolcemente. « Sei così elegante! », gli disse. « Newt non entra? Niente foto ricordo? »
« Per favore », borbottò Thomas, lo sguardo basso e il volto rosso dall'imbarazzo. Indicò la porta con un cenno della mano. « Mi sta aspettando in macchina ».
« In macchina? »
« Quella di Minho. Passiamo da Brenda e poi andiamo a scuola ». Fece un profondo respiro e si sistemò il vestito. « Pronto ».
La donna ridacchiò e annuì. « Lo sei. Divertiti, huh? »
« Assolutamente! » Così dicendo, aprì la porta di casa e uscì. Il sole stava tramontando e l'intera strada era inondata di una luce aranciata in cui i dettagli delle cose cominciavano a sfumare. Thomas coprì la breve distanza che lo separava dall'auto di Minho con poche falcate. Newt lo osservava dai sedili posteriori, le labbra distese in un sorriso sornione, gli occhi ridotti a due fessure. Thomas si ritrovò a sorridere a sua volta, un po' imbarazzato, e distolse lo sguardo, per poi incrociare ancora una volta le iridi nocciola del suo ragazzo.
Minho diede qualche colpo di clacson e si sporse dal finestrino. « Ti muovi? »
« Ciao anche a te! », lo salutò Thomas. Sorrise a Newt, aprì la portiera posteriore dell'auto e si infilò al suo interno. Il suo ragazzo aveva disteso la gamba ingessata sui sedili, quindi dovette fare attenzione a non fargli male. Si sporse in avanti e lo baciò sulle labbra. « Ho trascinato il mio bel culo nell'auto, come promesso », mormorò contro la sua bocca.
« Lo vedo ». Le labbra di Newt si distesero in un ghigno e la sua mano strinse il fondoschiena di Thomas per un secondo, facendolo sussultare. « Proprio un bel culo ».
« O mio Dio, che schifo ». Minho accese la radio e alzò il volume, i lineamenti distorti in una smorfia. « Fingerò di non aver sentito quello che ho sentito ».
Newt scoppiò a ridere e Thomas si sedette in maniera composta, tentando di nascondere il rossore che gli si era fatto strada sulle guance. Si passò una mano tra i capelli scuri, facendo il possibile per allontanare dalla sua mente il fatto che Newt era lì, a pochi centimetri da lui, il corpo esile stretto in un completo nero che metteva in risalto il suo colorito e i suoi grandi occhi scuri. Thomas si chiese perché si fosse preoccupato del gesso, un dettaglio tanto futile, dato che il resto era così perfetto.
« Posso assicurarti, Tommy », disse Newt interrompendo il flusso dei suoi pensieri, « che non sembri affatto un idiota ».
Thomas vide Minho alzare gli occhi al cielo attraverso lo specchietto retrovisore e ridacchiò. « Grazie. Neanche tu e il gesso è un tocco di classe ».
Newt gli fece l'occhiolino. « L'ho messo per questo ».
Minho si schiarì la voce. « Mi dispiace interrompervi, e con mi dispiace intendo dire che non vedevo l'ora di zittire le vostre chiacchiere da innamorati, ma dovete fare uno squillo a Brenda e dirle che stiamo arrivando ».
Thomas afferrò il cellulare. « Me ne occupo io ».
Brenda rispose subito. « State arrivando? »
« Sì, Minho dice che - ».
« Cambio di programma: mia madre vuole una foto ricordo ».
Minho andò quasi fuori strada. Nonostante Thomas non avesse messo Brenda in vivavoce, il volume del suo cellulare era così alto che anche il ragazzo al posto del guidatore era riuscito a sentire le sue parole.
« Cosa? », chiese con la voce strozzata, riprendendo il controllo dell'auto.
« Ha sentito bene », sospirò Brenda. « Digli di alzare il culo da quell'auto e trascinarlo in casa mia, niente scuse. È fotogenico, di che si preoccupa? »
Brenda staccò la chiamata senza dar loro il tempo di replicare. Quando si fermarono, Minho rivolse ai suoi migliori amici un'occhiata inequivocabile e Newt sgranò gli occhi. « Non ci pensare neanche, brutta testa di cacchio ».
« Oh, no, voi due venite con me! »
Thomas rise. « Non credo che alla madre di Brenda interessi fotografare gli amici gay del fidanzato di sua figlia ».
« Ho bisogno di supporto morale. Avete intenzione di abbandonarmi al mio destino? »
Newt roteò gli occhi. « È una foto. Pensavo che avessi superato quella fase della tua vita in cui credevi che una foto potesse rubare l'anima alle persone ».
« Ah-ah-ah ». Minho si slacciò la cintura di sicurezza. « Avevo sei anni e quella storia me l'aveva raccontata mio padre ».
Thomas sbuffò. « Va bene, ma che sia una cosa veloce ».
Newt si colpì il volto con una mano e scosse la testa. « Non ci credo che hai appena detto una cosa del genere, Tommy. Questo è alto tradimento, cacchio ».
« Questa è lealtà! », lo difese Minho con un ampio sorriso. « Lui sa cosa significa questa parola, al contrario di te ».
« A questo punto poteva trascinarmi in casa sua e fare contenta sua madre. Sono sicuro che l'ha chiesto anche lei ».
Thomas aprì la portiera, scese dall'auto e raggiunse Newt dall'altro lato, aiutandolo a scendere. Arrivarono all'ingresso della casa di Brenda e Minho suonò il campanello, spostando il peso da un piede all'altro. Quando Brenda aprì la porta, lui non ebbe neanche il tempo di farle i complimenti per lo splendido abito rosso che indossava, perché lei gridò: « Cosa diavolo ci fanno qui questi due? »
Newt e Thomas si scambiarono uno sguardo fugace. « Sostegno morale », risposero all'unisono e a Brenda non restò che alzare gli occhi al cielo e lasciarli entrare.

La musica si diffondeva dalle casse poste in un angolo dell'enorme palestra addobbata. Newt e Thomas si erano conquistati due posti a sedere accanto al tavolo delle bevande e se ne stavano lì, osservando le centinaia di studenti che si scatenavano in pista, seguendo il ritmo. Minho e Brenda erano stati risucchiati dalla folla e Thomas cominciava a temere che non sarebbero tornati indietro sani e salvi.
« Tommy », lo chiamò Newt, la voce ridotta a un lamento. « Per favore, andiamo via da questo cacchio di inferno e portami a mangiare in un fast food ».
Thomas scosse la testa. « No », rispose in tono risoluto. « Non abbiamo ancora ballato ».
« Allora andiamo a ballare! » Newt fece per alzarsi, afferrando la sua gruccia, ma Thomas gli indirizzò un'occhiata rovente che lo costrinse ad accasciarsi contro lo schienale, sbuffando. « Cosa diamine stiamo aspettando? »
« Non voglio ballare con questa musica del caspio in sottofondo. Aspettiamo che Sonya metta qualcosa di meglio ».
« O mio Dio ». Newt chinò la testa all'indietro, oltre al bordo dello schienale, esasperato. « Non ci credo che mi sono fatto trascinare in questa cacchio di situazione ».
Thomas roteò gli occhi. Okay, forse non si stavano divertendo come lui aveva programmato, ma erano ad un ballo, perciò avrebbero ballato. Caso chiuso.
Allungò una mano e la posò sul ginocchio del suo ragazzo, che la sfiorò con la propria, guardandolo negli occhi. Newt rise e distolse lo sguardo, arrossendo. « Ecco, è tutta colpa di quegli occhi! »
Thomas aggrottò le sopracciglia. « Quali occhi? Io ho un solo paio di occhi », protestò.
Newt scosse la testa senza smettere di sorridere e avvicinò il volto a quello del suo ragazzo. Si scambiarono un bacio rapido, a fior di labbra, e Thomas sorrise contro la sua bocca. « Qualunque sia questo sguardo di cui parli, se è a questo che mi porta non ho niente di cui lamentarmi ».
« Così sleale... », borbottò Newt, allontanandosi. Thomas ridacchiò e tornò a guardare davanti a sé, verso la folla che si agitava e contorceva in pista, ma qualcuno gli si era parato davanti e lo osservava con gli occhi sgranati e la bocca dischiusa in un'espressione di pura sorpresa.
« Teresa! » Thomas salutò la ragazza con un mezzo sorriso. Vide con la coda dell'occhio Newt che si agitava sulla sedia.
« Non esiste che sia successo ancora una volta! » Teresa si inginocchiò accanto a Thomas e lui si irrigidì, a disagio, indietreggiando il più possibile sulla sedia, fino a che le sue spalle furono appiccicate allo schienale di plastica. L'alito della ragazza sapeva di alcool e Thomas non ci mise molto a capire che era ubriaca. Teresa gli strinse una mano tra le proprie e Thomas si voltò verso Newt, che osservava la scena con le sopracciglia aggrottate e le labbra arricciate in una smorfia di fastidio. Thomas si strinse nelle spalle, gli occhi sbarrati dalla confusione, e tornò a guardare la ragazza. « Teresa, cosa stai facendo? »
« Oddio, Tom! », piagnucolò lei. « Ti prego, ti prego! Dimmi che non sono stata io! Dimmelo! »
Newt si alzò in piedi e poggiò la mano libera su un fianco, ma non disse niente. Restò a osservare la scena con gli occhi socchiusi e la mascella serrata. Teresa gli lanciò una rapida occhiata e tornò a fissare Thomas, davanti lei. « A farti diventare gay! », sibilò.
Thomas rise. « Cosa caspio stai dicendo? », le rispose, con un sorriso che lei non ricambiò. Era una questione piuttosto seria, a giudicare dalla sua espressione. Thomas sospirò. « No, Teresa, non sei stata tu. Sono abbastanza sicuro che sia stato Newt a farmi diventare gay ». Indicò con un gesto della mano il suo ragazzo, che non riuscì a trattenersi dal ridere e si nascose il viso con una mano. Teresa lo osservò per un attimo, poi tornò a guardare Thomas. Annuì, l'espressione pensosa, poi distese le labbra in un sorriso distratto. « Oh, allora va bene », mormorò, rialzandosi dal pavimento. Si allontanò dai due ragazzi e scomparve tra la folla, ondeggiando. Newt tornò a sedersi e Thomas avvicinò le loro sedie. « Ho sentito male o ha proprio detto che le era già successo una volta? »

Newt strinse a sé il corpo di Thomas con maggior vigore. « Mi dispiace », borbottò per giustificarsi, evitando il suo sguardo. « Non posso forzare molto questa gamba del cacchio ».
Thomas sorrise. « A me non dispiace affatto », mormorò imbarazzato al suo orecchio e Newt rabbrividì.
Dopo aver atteso per quella che era sembrata loro un'eternità, i due ragazzi si erano trascinati sulla pista da ballo. Sonya aveva deciso che era arrivato il momento di lasciare alle coppiette della scuola un momento romantico. Nell'aria aleggiavano le note morbide e malinconiche di Photograph.
« Detesto Ed Sheeran », borbottò Newt contro il collo di Thomas. Lui sorrise. « Lo so », disse.
« Ci sono tanti altri artisti capaci di scrivere canzoni d'amore », continuò Newt, le sopracciglia aggrottate. Thomas sentiva il suo respiro sulla pelle e la sua voce roca era così vicina al suo orecchio da provocargli brividi leggeri lungo la schiena. « Sonya avrebbe dovuto farsi una cultura musicale, prima di decidere di diventare DJ al ballo scolastico ».
« Oh, andiamo! » Thomas ridacchiò. « Ed Sheeran non è poi così male ».
Newt alzò gli occhi al cielo. « La sua voce mi dà sui nervi ».
« Che canzone avresti scelto, tu, al posto di Sonya? » Thomas lo allontanò da sé quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi. Newt ci pensò su per un attimo, poi si strinse nelle spalle. « Non saprei », disse infine. Le ultime note di Photograph si dissolsero attorno a loro. « Qualcosa di meno scontato? Forse... ». Si fermò. Delle note familiari gli erano giunte all'orecchio.
Thomas ghignò e gli passò una mano tra i capelli per liberargli la fronte. « Qualcosa di meno scontato come Iris dei Goo Goo Dolls? »
« Non ci credo! » Newt si voltò verso le casse. Sonya armeggiava con alcuni CD, muovendosi a ritmo di musica. Newt tornò a guardare Thomas: il sorriso sul volto del suo ragazzo era ancora lì, lo sguardo sfacciato posato su di lui. « C'entri qualcosa? »
Thomas si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo. « Potrei o non potrei aver chiesto a Sonya di far partire una delle tue canzoni preferite ». Arrossì e Newt rise. Si strinse a lui più di prima e poggiò la testa sulla sua spalla. La musica li cullava e attorno a loro non c'era altro che quella: solo note, nient'altro. Le decorazioni pacchiane della sala erano sparite, trascinandosi dietro gli studenti e le loro voci e anche l'imbarazzo di Newt nello starsene lì, abbarbicato al corpo di Thomas, incapace di fare qualunque movimento che non comprendesse l'oscillare standosene in bilico su una gamba sola a causa del gesso.
« And all I can taste is this moment, and all I can breathe is your life », mormorò Newt e Thomas sorrise. Lasciò andare un sospiro tremante, chiuse gli occhi. Sentiva i capelli del suo ragazzo contro la guancia, il suo cuore contro il petto. « When sooner or later it's over, I just don't wanna miss you tonight ».
« Va meglio, ora? »
Newt ridacchiò. « Diciamo solo che non sento più la necessità di farmi trascinare in un fast food ».
Thomas sorrise e chiuse gli occhi. Non riusciva a capire come fosse possibile che una persona potesse farlo sentire in quel modo, quasi avesse passato la sua vita ad aspettare quel momento, arrancando lungo una strada in salita, a piedi nudi sull'asfalto rovente, per poi ritrovarsi in cima, con la città ai suoi piedi, scintillante come un miraggio e altrettanto carica di promesse; e non gli interessava della discesa ineluttabile che lo attendeva, perché in quel momento, tra le braccia di Newt, con i loro sguardi intrecciati, con i loro volti persi tra altri volti, familiari ed estranei allo stesso tempo, lui era felice e sentiva che lo sarebbe stato per sempre. La canzone sarebbe finita, le sue note si sarebbero dissolte nel brusio di una palestra gremita di gente, ma quel momento sarebbe durato in eterno. 
Quel momento era infinito, era l'immortalità costretta nel tempo di un minuto, e Thomas non se lo sarebbe lasciato scappare.
Non di nuovo.

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