Story of Ice-skating and Ice-cream di MaryTheFangirl01 (/viewuser.php?uid=560204)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
Elsa
si ritrovò, non sapeva come, a canticchiare una vecchia
canzone, nella sua camera. Era davvero strano: lei non
canticchiava mai.
"Tutta colpa di quel Jack", si disse. E aveva perfettamente ragione.
-
A quest'ora non c'è nessuno, di solito. Come mai sei qui? -
Gli chiese con cortesia e un pizzico di sincera curiosità.
-
Avevo bisogno di schiarirmi le idee. E tu? - La guardò
fissa. Ora era certa che avesse gli occhi azzurro ghiaccio. Indossava
una felpa blu con il cappuccio calato, quindi non capiva di che colore
fossero i capelli, ma sembravano molto chiari.
Riflettendo,
non c'era un motivo preciso. Voleva solo prendere un po' d'aria andando
in uno dei posti che preferiva in città.
-
Idem. - Rispose infine.
-
Mi chiamo Jack. - Si tolse il cappuccio e le tese una mano. I capelli
erano di un biondo chiarissimo, quasi bianco. Perfino più
chiaro del suo biondo platino. Quel ragazzo le ispirava fiducia, in
qualche modo, ma visto che lui non l'aveva fatto non voleva rivelargli
il cognome. Probabilmente avrebbe cominciato a balbettare e a chiedere
autografi a destra e a manca, altrimenti. Le era già
successo diverse volte.
-
Elsa, piacere. - Strinse la mano che il ragazzo le porgeva. Aveva una
bella stretta, ma non fu questo che la colpì. La mano era
freddissima, ma era un freddo che sapeva di casa, anche se non capiva
come fosse possibile.
-
Che bel nome! - Lui sorrise... E lei si sciolse. Era così
luminoso e contagioso, che non poté fare a meno di accennare
un sorriso anche lei. Era la prima volta che succedeva da diversi anni
a quella parte.
-
Grazie. Anche il tuo. - Lo pensava davvero. Lo trovava proprio adatto a
lui, anche se lo conosceva da soli due minuti.
-
Allora, Elsa, ti va se ci prendiamo un gelato? - Non poteva crederci.
Aveva trovato l'unica persona oltre lei che avesse voglia di un gelato
a dicembre. Questa volta sorrise sul serio, divertita e curiosa.
-
Non farà troppo freddo per te? - Scherzò,
tranquilla.
-
Figurati, il freddo non mi ha mai dato nessun fastidio. - La
guardò con aria di sfida, come se volesse vedere se aveva il
coraggio di comprare un gelato la sera del diciannove dicembre, e di
mangiarlo senza finire col cervello ghiacciato. Non sapeva con chi
aveva a che fare.
-
Nemmeno a me. Allora, andiamo? - Fu sorpreso, per un attimo, ma poi
sorrise di nuovo e così fece lei.
Si
avviarono verso il bar più vicino chiacchierando del
più e del meno, e ridacchiando quando videro la faccia del
barista alla loro richiesta. Erano decisamente le
uniche due persone sulla faccia della terra in grado di mangiare un
gelato a dicembre.
Poche
ore prima, infatti, aveva fatto una passeggiata fino al vecchio parco
cittadino, che all'ora del tramonto doveva essere deserto. Tuttavia, fu
sorpresa: aveva visto, tutto solo sull'altalena cigolante, un ragazzo
dall'aria pensierosa. Sembrava perfino un po' triste. Vinta dalla
curiosità, aveva attaccato bottone. E si era ritrovata, in
poco tempo, a ridere come non faceva da dieci anni e a mangiare un
gelato, quella sera del diciannove dicembre, davanti a un barista che
li guardava stranito. Poi Jack, "Che carino che è stato", le
aveva proposto di rivedersi uno di quei giorni. Ed Elsa?
Pff,
lei aveva accettato, ovviamente. Anche se non capiva perché.
E non ci teneva nemmeno a scoprirlo, se poteva evitarlo.
A
dire il vero, si era divertita molto con quello strano ragazzo. Non
c'era più abituata, ma si sentiva in grado di rifarlo,
insieme a lui.
Guardò
il suo riflesso nello specchio. Niente di strano, apparentemente: i
soliti due occhi azzurro ghiaccio, il naso leggermente
all'insù, i capelli biondo platino raccolti in una treccia a
spighe, le labbra carnose incurvate in un... Ecco cosa c'era di
diverso. Avevano preso una piega strana, che lasciava intravedere i
denti bianchi. Non vedeva quella piega da molto tempo, ma decise che le
piaceva. Però, non le andava di sorridere senza motivo,
perciò pensò che fosse meglio farlo solo se
strettamente necessario, almeno per il momento.
Sentì
bussare. A quell'ora poteva essere solo una persona.
-
Permesso, posso entrare? - Come volevasi dimostrare, Anna
aprì la porta e, senza aspettare la risposta della sorella,
si sedette sul suo letto. L'altra cercò subito di darsi un
contegno, ma il movimento delle labbra non sfuggì agli occhi
attenti della rossa.
-
Ehm, Elsa, non vorrei allarmarti, ma credo che tu stessi sorridendo! -
Le si illuminarono gli occhi e la sua bocca si aprì in
un'espressione di felicità pura. Era fatta così:
gioiva delle cose belle, specialmente se accadevano alla sua adorata
sorella. Ogni tanto la bionda aveva paura che dipendesse troppo da lei,
perché quando l'una era triste lo era anche l'altra,
così come quando erano felici o arrabbiate. Anna, fin da
quando era piccola, aveva sempre saputo tutto di Elsa e viceversa. Ma
quella volta, preferì mantenere il segreto.
-
Ti sbagli, stavo solo controllando se avevo qualcosa tra i denti. - La
prima scusa che le venne in mente non era proprio il massimo della
classe, ma va be'.
-
Certo, e tu hai appena vinto l'Oscar come peggior attrice protagonista.
So riconoscere un sorriso quando lo vedo, non credi? - Era vero che
Anna era spesso un'inguaribile credulona, infatti era terrorizzata dai
fantasmi e dalle storie dell'orrore che le amiche le raccontavano, ma
in qualche modo capiva sempre quando sua sorella mentiva.
-
Ok, è vero. Ma non dirlo a nessuno o ti faccio un video
mentre pattini e ti rompi il didietro! - Scherzò la bionda,
anche se sapevano entrambe che avrebbe potuto farlo davvero.
-
Va bene, va bene. Sarò muta come un pesce. Ora
però racconta! - E fu così che si ritrovarono a
parlare del pomeriggio di Elsa. La rossa era così sorpresa
che pensò di essere finita in una Candid Camera. Elsa,
invece, si rese conto di non sapere quasi nulla del ragazzo che le
aveva trasformato l'espressione, tranne che il suo nome e i suoi gusti
in diversi argomenti. Avevano in effetti discorso di molte cose, dal
tempo alla cioccolata, e avevano scoperto di preferire entrambi
l'inverno alle altre stagioni, ma nessuno dei due sapeva nulla della
famiglia o della professione dell'altro. Quando Anna terminò
le sue congetture sulla possibile vita del famoso Jack (tra le quali
figuravano il mafioso sotto copertura, il ballerino di tip tap e
l'agente segreto), si disse entusiasta della nuova emozione a cui Elsa
era andata incontro, ma quella sembrò non capire.
-
Come, non te ne sei accorta? Sei bella cotta, sorella! - Fu guardata
come se le fosse spuntato un terzo occhio sul naso.
-
Ma quale cotta e cotta, ho solo trovato un amico! Tu vedi romanzi rosa
ovunque, dovresti iniziare a cambiare genere! -
-
Veramente leggo anche i fantasy, per non parlare degli shounen! Ecco,
non sono io che vedo cose che non esistono, sei tu che non te ne rendi
conto! - Rise, mentre l'altra sorrise appena. Fu qualcosa di
leggermente accennato, ma seppero entrambe che era l'inizio di qualcosa
di nuovo, una nuova era per la fredda Elsa che dava confidenza solo a
sua sorella e alle sue principali rivali nel pattinaggio.
-
Aspetta Anna, ma tu cos'eri venuta a dirmi? - Si ricordò in
quel momento che l'altra era entrata per un motivo che era poi passato
in secondo piano.
-
Oh, giusto. Mentre eri via ha chiamato Merida, ha detto che la sua
allenatrice, Astrid, le ha parlato di una competizione molto importante
che si terrà a Chicago dopo la pausa natalizia, mi pare a
febbraio. Ha pensato che potesse interessare anche a te e mi ha chiesto
se ti andava di partecipare. Io le ho detto che l'avresti chiamata,
perché non eri in casa. - Caspita, febbraio era
più vicino di quanto sembrasse. Non c'era molto tempo per
prepararsi, ma Elsa amava le sfide. E le vinceva sempre.
-
Va bene, la richiamo e le dico che accetto. Mi farò dire i
dettagli. - Accennò un sorriso: ormai si era abituata.
Dopo
un veloce abbraccio Anna uscì, lasciando la bionda di nuovo
sola con i suoi pensieri e il suo cellulare, mentre cercava in rubrica
il numero della rossa. Lo trovò e premette il tasto verde.
-
Pronto? - Sentì rispondere dall'altra parte.
-
Mer, sono Elsa. Anna mia ha detto della gara. -
-
Oh, bene. Allora, ci stai? L'ho detto anche a Punzie, sai che
è una vita che vuole andare a Chicago. -
-
Verrò. -
-
Fantastico! Allora, c'è qui Astrid, ti faccio spiegare tutto
da lei. A dopo! - Le fu passata l'allenatrice, che dopo i saluti
cominciò a parlare. Quella gara era una prima selezione per
una competizione che avrebbe coinvolto tutti gli Stati Uniti e che si
sarebbe tenuta a New York. Avrebbero partecipato tutti i migliori,
comprese le oche invidiose del talento del Grande Trio. Era
così che Elsa, Merida e Rapunzel si facevano chiamare dai
colleghi. Del resto, potevano permetterselo, visto che erano le
pattinatrici più talentuose d'America. O, almeno,
così si diceva.
Una
volta terminata la spiegazione, Merida tornò ad impugnare il
telefono.
-
Tutto chiaro? Perfetto! Ci vediamo domani all'Università,
ciao! - Il Grande Trio non era unito solo sul ghiaccio, ma anche a
scuola. Avevano scelto la stessa facoltà, Letteratura
Straniera, nello stesso istituto. All'inizio erano seccate per la
presenza delle rivali, ma poi si erano avvicinate tantissimo ed erano
diventate migliori amiche.
-
Ciao Mer! - Riattaccò e si sdraiò sul letto,
sospirando. Era stanca: la mattina allenamento pre-gara, pranzo veloce
e poi allo stadio del ghiaccio, fino alle cinque. E poi, c'era stato
l'incontro con Jack. Era quasi spaventata dalle nuove sensazioni che
aveva provato con lui, ma non voleva affrettare le cose. Si erano
scambiati i numeri, però decise che non l'avrebbe chiamato
prima della sera seguente, o addirittura di quella dopo ancora.
Infondo, era ancora uno sconosciuto, sebbene avesse scoperto molte cose
in comune con lui. Non si erano dati appuntamento ma avevano promesso
di rivedersi, ed Elsa ebbe la sensazione che sarebbe accaduto molto
presto.
Persa
nei suoi pensieri, si addormentò, per poi risvegliarsi
qualche ora dopo, a notte fonda. Che genio, si disse, dormi la sera che
poi di notte stai sveglia, pensò con auto disapprovazione.
Sentì
un brontolio allo stomaco, perciò si alzò e si
diresse in cucina. Si chiese il motivo, ma poi ricordò di
non aver cenato e di essersi addormentata vestita. Ancora
più geniale, si rimproverò.
Accese
la luce e aprì la dispensa. Guardò attentamente,
ma non c'era traccia di cioccolato da nessuna parte. Fece per tornare
in camera, visto che non c'era nulla che l' ispirasse particolarmente,
tuttavia fu colta da un pensiero improvviso. Infondo, non c'era nessuno
che poteva vederla, Anna, la mamma e le domestiche erano a letto. Prese
la sua decisione: si voltò verso il congelatore e, dopo
averlo aperto, tirò fuori una confezione che teneva da parte
per le emergenze. Perché quella era un'emergenza, no? Una
fame da lupi alle due di notte e niente cioccolata in dispensa.
Sì, era decisamente una situazione che richiedeva un
intervento drastico come quello. La scatola riluceva di ghiaccio, il
suo elemento preferito, ed era molto fredda al tatto. La
posò sul tavolo e prese una tazza e un cucchiaio. In quel
momento, c'erano solo Elsa e il gelato al cioccolato.
Note
di Mary: Ciao
cari lettori e benvenuti in questa nuova avventura! Come alcuni di voi
sapranno, questa long è il seguito della mia one-shot,
Ice-skating and Ice-cream, ed è in programma da diverso
tempo ma non mi ero mai decisa a scriverla. Poi, però,
grazie alle meravigliose recensioni di kokka1110, Addy6702 (la mia
gemellina <3) e mya95 mi sono finalmente convinta ed ora eccoci
qui, io a blaterare e voi, probabilmente, ad annoiarvi
perché come primo capitolo non è un
granché e non ve ne frega niente di queste note, ma sono
contenta lo stesso :-)
Spero
che, anche se non è una bellezza, vi sia piaciuto e
continuerete a seguire questa storia.
Bacioni
Mary
<3
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
Quella
mattina, Anna si accorse che mancava una vaschetta di gelato dal
congelatore, ma non disse nulla. Preferì piuttosto svegliare
sua sorella molto prima dell'alba, esattamente alle sei e otto minuti,
pur sapendo che i corsi non sarebbero iniziati prima delle otto in
punto. Anzi, nel periodo antecedente alle vacanze di Natale, alcuni
cominciavano addirittura alle otto e trenta.
-
Ehi, Elsa, svegliati! - Nessuna risposta. Continuò a
chiamarla per altri tre minuti, finché non riuscì
ad ottenere un debole mugugno che aveva tutta l'aria di essere un
"Vattene via". La bionda, prevedibilmente, non fu dell'umore migliore
al sentire le parole della rossa.
-
Dai, si è svegliato il cielo, perciò io sono
sveglia!*-
-
Sei troppo grande per dire certe cose, e poi non è nemmeno
l'alba! Fammi un favore, va' a dormire e non presentarti qui prima
delle undici. -
-
Che ti succede? Di solito non fai tante storie! -
-
Ho dormito poco stanotte. Senti, ti prometto che alle sette
sarò in piedi, ma per ora lasciami riposare ok? - L'altra
acconsentì ed uscì dalla camera, consentendo ad
Elsa di godersi il poco tempo disponibile per restare a letto.
Come promesso, alle sette era, anche se barcollante e assonnata, fuori
dal letto. Alle otto meno dieci era già in cammino, con
Anna, per l'Università. Quando arrivò,
trovò Rapunzel e Merida che l'aspettavano, sbadigliando.
Salutata Anna, che raggiunse le sue compagne di corso, cominciarono i
commenti.
- Guarda, anche tu le ore piccole Elsa? - Fece Merida.
- Di certo non sono stata l'unica: vi siete viste allo specchio
stamattina? - Fu la sua replica.
- Purtroppo sì, ma avrei preferito non farlo. Il fatto
è che ieri ho comprato un libro nuovo e lo sapete come sono
fatta, non ho resistito! Alla fine, sono andata a dormire alle due e
mezza - Disse un po' sconsolata Rapunzel. Le altre due la capivano,
eccome!
- Ok, tu sei giustificata, ma tu Mer? Che hai fatto? - Immediatamente,
il colorito della rossa s'intensificò, tanto che quasi non
si capiva dove finivano i capelli e iniziava il viso.
- Non dirmelo: sei uscita con un ragazzo! - Fu costretta ad annuire
all'affermazione della bionda dai capelli lunghissimi. Così,
dopo varie insistenze, dovette raccontare per filo e per segno quanto
accaduto la sera prima, mentre si avviavano nell'aula. A quanto pareva,
era uscita con un certo Hans. Era molto carino, le piaceva, ma non era
proprio il suo tipo. Avevano deciso di non riprovarci.
La giornata a scuola trascorse tranquilla, senza particolari eventi
né incontri degni di nota. Una giornata tipo, insomma.
Elsa stava ripetendo mentalmente la vita di Dickens mentre tornava a
casa da sola quando, inaspettatamente, si ritrovò nei pressi
del parco dove il giorno prima aveva incontrato Jack. Era l'una, quindi
non c'era nessuno: tutti probabilmente erano a casa o in qualche altro
posto a mangiare. Si rese conto di essere affamata, quindi
affrettò il passo senza rivolgere uno sguardo di
più ai giardinetti con l'altalena.
Si fermò solo sentendo un suono insistente, come il miagolio
di un gattino. Si girò verso la direzione da cui proveniva e
quello che vide la sorprese alquanto.
Un ragazzo dai capelli chiarissimi stava accarezzando un micetto dal
pelo nero come la pece. Quando, però, capì
l'identità della persona, rimase esterrefatta.
- Jack? - Il ragazzo si voltò sentendo pronunciare il suo
nome.
- Ehi, Elsa! Come va? - Le sorrise, quel sorriso stupendo che solo lui
sapeva fare. Ma lei non ricambiò, perché era solo
il giorno prima che aveva ricominciato e non se la sentiva di esagerare.
- A me bene, ma... Che cosa stai facendo? -
- Ho trovato questo piccolino affamato poco fa. Sembrava sperduto,
così gli ho comprato un cartone di latte e ho pensato di
portarlo a casa mia. - La bionda notò solo in quel momento
la busta di plastica ai piedi del giovane.
- Mi sembra che tu gli piaccia. -
- Vero! Prova ad accarezzarlo anche tu! - Per qualche motivo si
aspettava una simile richiesta. Forse perché le sembrava un
cliché degno di uno shoujo, ma il musetto del gattino era
talmente dolce che non se la sentì di rifiutare.
Così si avvicinò e, piano piano, con una certa
cautela, avvicinò la mano alla testa dell'animale. Certo,
non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi con un dito tra le sue
piccole zanne. Con un urletto che più che di dolore era di
sorpresa, lo ritirò frettolosamente, mentre Jack rideva di
gusto.
- Non ridere così tu, vorrei vedere te al mio posto! - Si
alterò, recuperando poi il suo solito contegno.
- Scusa, solo che è stato divertente! E poi voleva solo
giocare, non c'è bisogno di arrabbiarsi. -
- Beh, fallo giocare con le tue dita. Io mi tengo a distanza di
sicurezza. - Detto ciò, si allontanò di un passo,
facendo ridere di nuovo il ragazzo. Stavolta, non poté
trattenersi dall'accennare un debole sorriso, un lieve movimento delle
labbra, che non sfuggì agli occhi dell'attento osservatore
accanto a lei.
- Perché non vuoi sorridere? - Tutto si aspettava, meno che
quella domanda. Non era preparata a dare una risposta, così
stette in silenzio.
- Non vuoi dirmelo, eh? Vorrà dire che aspetterò
finché non deciderai che sono degno di conoscere un tuo
segreto. - Non voleva che pensasse che fosse colpa sua, ma non
riuscì a ribattere. Tutto quello che disse fu un leggero
"Grazie", seguito poi da un "Devo andare, è tardi".
Si salutarono, Jack con un sorriso sghembo, Elsa con uno sguardo
dispiaciuto. Il micio intanto, continuava a miagolare in direzione del
ragazzo.
In quel momento, però, lei fu colta da un pensiero
improvviso.
- Jack, aspetta! Come lo hai chiamato? - Non che fosse
un'informazione di vitale importanza però quel gattino,
così tenero e dispettoso, la incuriosiva.
- Non lo so, non ci ho ancora pensato. Tu come lo chiameresti? - Le
domandò, guardandola negli occhi. Elsa si sentì
come un libro sfogliato pagina per pagina, ma non lo diede a vedere.
- Non saprei... vediamo un po': è tutto nero, quindi...
Nerino? - Non sembrava molto convinta, infatti anche l'animale parve
lanciarle un'occhiata di fuoco.
- Mi sembra che non gli piaccia. Riprova! - La incoraggiò.
Non le veniva in mente nulla. Lo fissò, sperando che il
gatto le suggerisse un nome carino o almeno decente. Poi, dopo un
minuto buono di dialogo interiore con il micetto, ebbe l'illuminazione.
- Pitch. Allora, ti piace piccoletto? - Questi parve studiarla un
attimo, poi emise un verso che doveva essere di soddisfazione.
- Come mai questo nome? -
- Non so, è che guardandolo mi è venuto in mente
quando la tata mi raccontava la storia dell'Uomo Nero e ho pensato:
"Perché no?". Mi sembra contento, giusto? - Jack le sorrise
e poi si rivolse al piccolo Pitch.
- Benvenuto nella mia famiglia, Pitch. Ti troverai bene! -Il gatto
miagolò un'ultima volta, prima di sparire dietro l'angolo
con il nuovo padrone.
Elsa pensò tanto, quella sera: al piccolo Pitch, a Jack, a
lei. Si chiese se fosse davvero la morte di suo padre la causa della
sua eccessiva serietà. Forse, si era solo abituata a non
sorridere più e bastava una piccola spinta per ricominciare.
O forse era proprio di quel ragazzo in particolare il merito della sua
ritrovata allegria, magari un altro non sarebbe riuscito a farle
piegare le labbra come invece faceva lui senza troppe
difficoltà.
Il gattino le rimase in testa per molto tempo: l'unico animale che
aveva avuto era un cane di nome Olaf, scappato tempo prima. Le sarebbe
piaciuto poterlo riabbracciare, perché le mancava
terribilmente. Era stato un ottimo compagno di giochi per lei ed Anna,
quando erano più piccole; le aveva consolate quando il loro
padre aveva avuto l'incidente; amava essere abbracciato da loro due e
non disdegnava le carezze della madre delle ragazze. Nessuna di loro
aveva mai capito il motivo della sua scomparsa, lo avevano cercato per
anni, senza risultati. Probabilmente era morto. Elsa sentì
una fitta al cuore a quel pensiero, ma poi si risollevò con
l'immagine di Jack che si allontanava con il suo nuovo micino, Pitch.
Decise che quello che ci voleva era proprio un altro gelato, ma poi si
ricordò di averlo finito la notte prima. Sconsolata, si
sdraiò sul letto e si addormentò, sognando
cioccolata, cani e gatti. E, per quache motivo, un pupazzo di neve che
la abbracciava**.
La mattina dopo, ventuno dicembre, non c'era scuola perché
era sabato. Tuttavia, Elsa si alzò di buon ora, scendendo in
cucina per mangiare qualcosa. Trovò sua madre intenta ad
addentare un toast al burro di arachidi mentre studiava un progetto.
- Buongiorno - La solita freddezza, a cui la bionda rispose senza
difficoltà con un altro "Buongiorno" di ghiaccio.
- Oggi devo andare fuori città per vedere un cliente nel
luogo in cui costruiremo la sua casa. Ricordati che stasera alle sei in
punto cominciamo l'allenamento per la tua gara di febbraio. Salutami
Anna, parto subito. -
- Va bene mamma. A dopo. -
- A stasera. - Dopo quelle parole, la donna
finì di masticare la sua colazione e andò a
lavarsi i denti, per poi uscire due minuti dopo, elegante come solo lei
sapeva essere. Elsa sospirò e si preparò una
tazza di latte al cioccolato fumante, si sedette e pensò che
le dispiaceva molto essere in quella situazione con sua madre. Non era
sempre stata così, quando suo marito era vivo era una donna
dolce e comprensiva, che non aveva nulla della rigidità
attuale. Ormai, constatò, era troppo tardi per rimuginarci
su.
- Ehi Elsa! Sei già sveglia, vedo! - La
salutò Anna, con la sua solita allegria.
- Buongiorno Anna. Oggi è sabato, come mai sei in piedi? -
- Così, senza nessun motivo preciso. Mi hai fatto venire
voglia di latte al cioccolato! - Ridacchiò e anche lei fece
colazione.
Sembrava che fossero senza pensieri, leggere come piume, mentre
discorrevano di vari argomenti (tra cui il misterioso Jack e il suo
nuovo gatto).
I guai dovevano ancora arrivare.
Note di quella che
dovrebbe essere un'autrice ma che non è degna di tale titolo
per colpa di questa schifezza:
Buonasera (o buonanotte, o buongiorno, come volete voi)! In questo
momento sto morendo di sonno, non capisco proprio perché mi
viene voglia di scrivere solo di notte!!
Comunque, stranezze a parte, lo so che non succede un tubo in questo
capitolo: mi serviva solo per introdurre Pitch (micio, che tenero *-*)
e Hans e per iniziare con la VERA storia, che comincerà dal
prossimo capitolo.
*Ok, lo so che Anna ha vent'anni, ma questa frase era troppo puccia per
non metterla!!
**Già, nella mia storia Olaf è un cane,
però Elsa lo sogna come pupazzo di neve. Sono proprio strana
XD
Grazie
mille a mya95, Addy6702 e kokka1110 per aver recensito lo scorso
capitolo, è sempre un piacere sentirvi!!
Mi racomando, aspetto i vostri commenti se vi andrà di farmi
sapere che ne pensate!! Oh, dimenticavo: anche se sono le dieci e
mezza, buon (fine) San Valentino a tutti gli innamorati e buona Festa
della Cioccolata per i single (loro hanno i cuoricini e i cioccolatini
pucci pucci, noi ci sbafiamo pacchi di cioccolata perché
è deliziosa e perché non siamo costretti a
condividerla XD)
Un bacione grande grande e tanta Jelsa a tutti
Mary <3
|
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
-
Scusi, è lei la signorina Elsa Arendelle? - La voce
dall'altro capo del telefono tradiva insicurezza.
-
Sì, sono io. Qual è il problema? - In
realtà, Elsa era molto più preoccupata di quanto
facesse notare. Non era da tutti i giorni ricevere una chiamata di quel
tipo, proprio da lì.
-
Mi duole informarla, signorina, che sua madre... Ha avuto un incidente.
- E in quel momento il mondo crollò. No no no no no no no no
no! Tutto ma non quello!
-
Signorina Arendelle, si sente bene? - Silenzio. Non riusciva a parlare.
Quando, dopo un minuto abbondante, si decise ad aprire la bocca, la sua
voce era roca come se non proverbisse parola da anni.
-
In che stanza si trova? -
-
Stanza 129, al secondo piano dell'edificio. Ha subito un intervento
d'urgenza, se la caverà. - Quella frase parve rincuorarla un
minimo, ma non voleva lasciarsi prendere dal sollievo.
-
Avete già avvertito mia sorella? - Quello che più
le premeva, era che Anna doveva sapere.
-
In realtà no, pensavamo che dovesse farlo lei. - In pratica,
le lanciavano la patata bollente. Come dirglielo, adesso?
-
Va bene, lo farò. Mia madre... Può ricevere
visite? -
-
Al momento è addormentata, ma non dovrebbero esserci
problemi. -
-
Grazie. Arrivederci. - Chiuse la chiamata. Le lacrime premevano per
uscire.
Elsa
stava mangiando una tavoletta di cioccolata quando aveva ricevuto una
telefonata dall'ospedale. In un primo momento aveva pensato che fosse
successo qualcosa ad Anna, e invece sua madre aveva avuto un incidente.
Il dolce, per un momento, aveva perso il suo sapore. Anche lei, dopo
suo padre. Starà bene, avevano detto. Lei non voleva
fidarsi, dopo l'accaduto di dieci anni fa.
-
Anna, c'è qualcosa che devi sapere. - Si era infine decisa a
chiamare. Sua sorella, in quel momento, passeggiava con le amiche. Non
voleva proprio rovinarle il pomeriggio, ma qualcuno doveva pur
avvertirla. E chi meglio di lei, quando meglio di allora?
-
Dimmi Elsa. - Sembrava tranquilla, ma la bionda conosceva la rossa
abbastanza bene da sapere che era allarmata.
-
Si tratta della mamma. Ora è in ospedale. -
-
Cosa? Ma sta bene, vero? Elsa, ti prego, dimmi che sta bene!! -
-
Ha avuto un incidente, ma... I medici dicono che si
riprenderà. -
-
Grazie a Dio! Ragazze, scusatemi, devo scappare. Ci vediamo! Elsa,
raccontami di più - La sentiva camminare velocemente
attraverso l'apparecchio.
-
Purtroppo, per il momento è tutto ciò che so.
Pensavo di aspettare te, per andare. -
-
Sto arrivando a casa, sono a due isolati. - Neanche un ciao, entrambe
premettero il pulsante rosso nello stesso istante. Non c'era bisogno di
altre parole.
Quando
arrivò, una quindicina di minuti dopo, presero la macchina
della maggiore e puntarono verso l'ospedale. Odiavano come non mai quel
posto, e ora erano costrette a tornare.
Entrarono
e subito si formò una piccola calca attorno a loro, formata
da gente che aveva riconosciuto la pattinatrice. Ma le due avevano
altro da fare.
Stanza
129, secondo piano. Quelle parole rimbombavano nella testa di Elsa, che
doleva insopportabilmente.
- Mamma! Come stai? - Disse Anna, avvicinandosi al letto della madre.
La bionda rimase in silenzio.
- Ci... Ci vuole... Ben altro per... Fermarmi. - Parlava a fatica, ma
conservava la sua solita severità e determinazione. Era un
ottimo segno.
- Cosa dicono i medici? - Si decise a chiedere Elsa.
- Che... La regina è... A-ancora in... Ancora in pista. - I
dottori dovevano essere suoi fan, se le avevano detto quelle parole. Ma
infondo, gli ammiratori di sua madre non erano diminuiti neanche dopo
che aveva lasciato la sua carriera.
- Elsa... Ascoltami. - Riprese dopo un attimo infinito di
silenzio. La ragazza si avvicinò un poco e si fece
più attenta.
- Dimmi. -
- Stasera... Dovevi a-allenarti. - Le due sorelle si stupirono che
anche in una situazione del genere, la donna pensasse al pattinaggio.
- Mamma, posso farlo da sola. -
- No... Non ottieni... Gli-gli stessi... Risultati. Devi... essere
seguita. -
- Ma da chi? - Sua madre, che faceva fatica a parlare, prese un
foglietto e una penna e scrisse qualcosa. Lo porse poi alla figlia.
- Nicholas Nord? E chi... Oh. Lui è stato il tuo allenatore
quando avevi la mia età, vero mamma? - La donna
annuì.
- Ma non sarà troppo vecchio adesso? - Domandò
Anna, ragionevolmente. Sua madre negò con la testa. Sul
foglietto aveva scritto anche l'indirizzo e siccome non era tardi, Elsa
sarebbe dovuta andare quella sera stessa a parlare con lui.
Le due salutarono la donna, che sorrise in direzione delle ragazze, e
queste si separarono all'uscita dell'ospedale.
- Devo andare da sola, Anna. Ci vediamo dopo a casa. -
- Fa' attenzione, Elsa. - Si abbracciarono e ognuna andò per
la propria strada, Anna con la macchina di Elsa.
La casa di Nicholas Nord era abbastanza distante dalla struttura,
quindi la bionda decise di prendere un taxi. Comunicò
l'indirizzo al tassista e in venticinque minuti, con un po' di
traffico, arrivarono a destinazione. La ragazza pagò e si
diresse verso l'entrata della grande villa davanti a lei. Rimase
meravigliata dal cancello, che non presentava neanche una minima
traccia di ruggine. Era come se fosse stato appena riverniciato. Il
giardino, che era grande ma non esagerato, conteneva diverse siepi e
fiori di ogni specie, dimensione e colore. La casa in sé,
invece, sembrava una normale villa di campagna, che aveva alle spalle
un boschetto di pini. Era infatti leggermente dislocata dal centro
della città, proprio come casa sua. Per arrivarci, il taxi
aveva attraversato la strada adiacente al parco dove aveva incontrato
Jack per la prima volta, qualche giorno prima. Chissà che
stava facendo in quel momento, pensò.
Suonò il campanello e la porta venne aperta da un uomo
anziano, che le tolse il cappotto e la borsa e l'accompagnò
nel salone. La villa, per quanto grande, era arredata in modo semplice
e accogliente, ma con molti soprammobili che sembravano giocattoli.
Forse lo erano davvero.
- Signor Nord, una visita per lei. -
Un uomo con una pancia prorompente e una lunga barba stava guardando la
televisione mentre mangiava un biscotto.
- Salve, mi chiamo Elsa Arendelle. Ho bisogno di discutere con lei
riguardo una questione importante. - Seria, fredda, sembrava un
ghiacciolo. Tuttavia, bastò incrociare lo sguardo gentile
dell'uomo davanti a lei per farla ammorbidire.
- Oh, che piacere rivederti, cara. prego, accomodati. - La ragazza,
confusa, fece come richiesto.
- Ci... Ci siamo già incontrati, per caso? -
- Non mi sorprende che non te lo ricordi, ragazza mia. Ero presente al
funerale di tuo padre, sì, quella fu l'ultima volta in cui
c'incontrammo. -
- L'ultima? -
- Esatto. La prima fu quando, pochi giorni dopo la tua nascita, venni a
trovare i tuoi genitori. Che care persone, mi dispiace tanto per tuo
padre. -
- La ringrazio, signor Nord. -
- Dammi del tu e chiamami solo Nord, per favore. -
- Va bene, Nord. Comunque, riguardo la ragione per cui mi trovo qui...
Mia madre, che è anche la mia allenatrice, ha avuto un
incidente. - Poté leggere l'incredulità e poi la
tristezza sul volto di Nord. Doveva tenere davvero molto a lei.
- La mamma mi ha chiesto di continuare ad allenarmi per la gara che
dovrò affrontare a febbraio, e vorrebbe che fosse lei... Che
fossi tu a seguirmi durante questo percorso. -
- Prima di ogni cosa, mia cara, tua madre sta bene? - Lei
annuì e l'uomo si rilassò. Poi chiamò
l'anziano che le aveva aperto la porta e gli chiese di servire un
tè. Quando questi si fu allontanato, Nord le rivolse uno
sguardo serio.
- Elsa, mi dispiace, ma non posso farlo. Non ho più
l'età per queste cose. - Ti pareva, pensò lei.
- Capisco. Riferirò a mia madre, e le dirò che la
saluti. -
- Non così in fretta. Anche se io non posso aiutarti,
c'è qualcun altro che può farlo. - Si sorprese,
non se l'aspettava proprio. Forse non avrebbe dovuto arrangiarsi da
sola, quindi.
- Davvero? E chi? -
- Mio nipote. Anche lui è un pattinatore professionista, ma
sono in pochi a conoscere la nostra parentela. Non voleva essere
paragonato a me in continuazione. -
- Beh, è stato fortunato. - Si coprì la bocca
appena si rese conto di averlo detto ad alta voce, ma era la
verità. Tutti sapevano che era sua madre, e tutti la
confrontavano con lei. Come se non sapesse camminare sulle sue gambe.
Era frustrante. L'uomo le sorrise, capendo come si sentiva.
- Dovrebbe essere qui tra poco... Oh, grazie, Carl. - L'anziano di
prima aveva portato un vassoio con tre tazze di tè e una
zuccheriera. Poi sorrise in direzione dei due e si dileguò.
Nessuno toccò il vassoio, perché non era carino
cominciare prima che ci fossero tutti.
- Ehi nonno! Il veterinario ha detto che... Oh. - Il ragazzo che era
entrato nel salone si fermò di colpo. Elsa, che si era
girata sentendo la sua voce, si bloccò sul posto.
Impossibile.
- TU? - Chiesero all'unisono, guardandosi negli occhi. Come poteva
essere?
- Ma... Vi conoscete? - Domandò confuso Nord. Certo, lui non
poteva immaginare.
- Tu sei suo... lui è... Perché non me l'hai
detto? -
- Ma tu... Cosa ci fai qui? Perché tu...? - Si fissavano
interrogativamente.
- Ok, ho capito, vi conoscete. Non badate a un povero vecchio, eh! -
- Elsa, cosa ci fai a casa di mio nonno? -
- Io? Anche tu mi devi spiegare un po' di cose, Jack. -
Note della sadica che
interrompe nel momento clou:
Et voila! Rieccomi , gente! Allora, che ne dite??? Vi piace?? Ve
l'avevo detto che saremmo passati all'azione (?) in questo capitolo!!
Abbiamo una Elsa e un Jack abbastanza confusi e sorpresi, che non si
aspettavano di rincontrarsi in questo modo. La mamma (se qualcuno sa
come si chiama, è gentilmente pregato di dirmelo) ha avuto
un incidente e, puntigliosa com'è, non vuole che Elsuccia
rimanga senza allenatrice. Quindi la manda a casa di Nord e -sorpresa
sorpresa- si scopre che è il caro nonnino di Jack!! Ah, non
ve l'aspettavate, eh? No, ok, forse sì. Ma ormai
è fatta XD!!
Dunque dunque, ditemi, cosa ne pensate? Aspetto le vostre recensioni!!!
Un bacione a tutti
Mary <3
|
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
-
Elsa, cosa ci fai a casa di mio nonno? -
-
Io? Anche tu mi devi spiegare un po' di cose, Jack. -
-
Fammi capire, quindi tu sei QUELLA Elsa Arendelle? La stessa che ha
vinto tutte le competizioni regionali e sta scalando la vetta delle
nazionali? - Jack era sorpreso e anche un po' arrabbiato. Non capiva
perché non gliel'avesse detto, anche se proprio lui non
poteva permettersi di giudicarla male.
-
Sì, sono io. E tu sei il Jack Frost che era arrivato primo a
tutte le gare nazionali e poi si è ritirato per motivi
ignoti ai media? - Anche lei era irritata, ma aveva il suo solito tono
di voce freddo, quasi come se fosse annoiata.
-
Già. Perché non mi hai detto chi eri? -
-
Senti senti da che pulpito viene la predica. -
-
Touche. - Le lasciò un allegro sorriso, che
contagiò anche lei.
Stavano
finendo il tè che il vecchio Carl aveva portato, insieme ai
biscotti fatti in casa. Elsa non ne aveva mai mangiati di
così buoni, sebbene vivesse nel lusso da tutta la vita.
C'erano le gocce di cioccolato, non erano troppo duri né
troppo friabili e avevano una dolcezza assolutamente perfetta.
Tuttavia, la ragazza lo sapeva, il suo amore per il cioccolato la
portava a idolatrare qualunque cosa lo contenesse.
-
Jack, Elsa è venuta qui perché ha bisogno del
nostro aiuto. - Il giovane la guardò, lei abbassò
gli occhi.
-
Qual è il problema? - Domandò, preoccupato.
-
Mi serve un allenatore per la gara di febbraio a Chicago. -
-
Ma non era tua madre che ti allenava? -
-
Già, è proprio questo il punto. Lei... Non
è più nella condizione adatta a seguirmi. - Il
ragazzo sembrò capire, poi fece un largo sorriso in
direzione di Elsa.
-
Non c'è problema! Qualunque cosa ti serva, puoi chiedere a
me! - La bionda era intenerita da tanta disponibilità, le
faceva molto piacere poter contare su Jack in un momento
così difficile per lei.
-
Jack, io sono vecchio ormai, non alleno più. Tu,
però, puoi prendere il mio posto. - Disse Nord, un po'
malinconico. Era felice che Jack offrisse il suo aiuto a una ragazza
tanto cara, ma gli sarebbe piaciuto poter contribuire di più.
-Penso...
Penso che sia possibile. Sì, ci sto. Allora, quando
cominciamo? E dove ci alleniamo? Quando uscirà la
modalità di competizione della prima fase? - Era abbastanza
eccitato da tutta la situazione. Anche se aveva lasciato la sua
carriera da qualche anno, ormai, continuava ad avere una passione per
tutto ciò che riguardasse il ghiaccio.
Riflettendoci,
forse, ciò che per primo l'aveva colpito di quella ragazza
era proprio il suo modo di essere, così simile all'elemento
che tanto amava. Pensò che era un bene che il ghiaccio si
potesse sciogliere.
-
Calmati, che a guardarti mi gira la testa! Comunque, mia madre ha detto
di iniziare stasera, ma siccome si sta facendo tardi propongo domani.
Ci alleneremo dietro casa mia, ho una piccola pista al coperto nel
cortile posteriore. La modalità di competizione
uscirà domani sera, verso le otto, credo. Spero che ci
troveremo bene a lavorare insieme. - Sorrise lievemente, dicendo
l'ultima frase. Lo pensava davvero, ma in realtà un po'
sperava che non si limitassero solo a quello. Prima di tutto erano
amici, poi colleghi.
-
Grande! Sul serio, sarà divertente! - Gli luccicavano gli
occhi, tanto era contento. Non toccava i pattini da un anno intero, e
ora finalmente poteva far parte di nuovo del mondo che tanto aveva
amato, anche se in un modo un po' di verso da quello a cui era
abituato.
Intanto, una ragazza dai capelli rossi guidava l'auto di sua sorella,
diretta verso casa. Tra sé e sé, pensava a quanto
la vita fosse strana: dieci anni prima un incidente stradale le aveva
portato via suo padre. Quel giorno, invece, la vittima era stata sua
madre. Certo, si poteva ben sperare che si riprendesse in fretta. Era
ancora ridotta piuttosto male, ma, come diceva sempre lei, ci voleva
molto di più per sconfiggere la regina del ghiaccio. Le
piaceva ancora sentirsi chiamare in quel modo, dopo anni da quando si
era ritirata. Una brillante carriera, che aveva deciso di interrompere
per la famiglia, che ancora doveva nascere. Qualche tempo dopo era
arrivata Elsa, che da Idun aveva ereditato la passione per il ghiaccio
e la capacità di mangiare chili di gelato anche in pieno
inverno. Da lei aveva preso anche il carattere freddo come il polo sud,
ma proprio come lei aveva la capacità di diventare dolce e
comprensiva. Tre anni a seguire, era stato il turno di Anna, la piccola
peste combina guai, iperattiva e appiccicosa. Tutti in casa volevano un
gran bene alle due bambine, che giocavano sempre insieme, sebbene
avessero modi di fare molto diversi. I loro genitori, quando non
lavoravano, dimostravano di avere molta cura di loro: gli leggevano le
favole, le portavano al parco, giocavano con loro in giardino, le
accompagnavano a scuola.
E poi, un brutto giorno, l'incidente. L'uomo che gli era andato addosso
era morto sul colpo, il loro padre no. Lui era rimasto in ospedale per
una settimana, sofferente. Infine, spegnendo le speranze di tutti,
aveva lasciato la sua famiglia.
Una lacrima sfuggì dagli occhi di Anna, che si era persa nei
suoi ricordi.
Proprio per questo, triste e distratta, non si accorse che il semaforo
era rosso. E che un uomo stava attraversando.
Fu un flash, si risvegliò improvvisamente dai suoi pensieri
e riuscì a frenare in tempo, sfiorando la persona davanti a
lei. Accostò in fretta e furia e si avvicinò a
quello che doveva essere un ragazzo poco più grande di lei,
con i capelli biondi e scompigliati.
- Ti prego scusami, non ti avevo proprio visto! - Esclamò,
quasi piangendo. Il ragazzo la guardò storto.
- Scherzi, vero? Non mi hai visto, grande come sono? - Anna si
sentì molto in colpa, ma anche un po' arrabbiata.
C'è modo e modo di dire le cose!
- Ti ho già chiesto scusa, quante volte dovrò
farlo ancora? E comunque sono disposta a pagare qualunque danno fisico
o emotivo che hai ricevuto, però tu potresti anche
dimostrarti più cortese! -
- Chi se ne importa della cortesia, stavi per investirmi! Ringraziando
il cielo sono ancora vivo! - Ora cominciava ad arrabbiarsi sul serio.
Ma che razza di maniere aveva quel tipo?
- Senti, mi dispiace tantissimo. D'ora in poi starò
più attenta, va bene? E ti ripagherò, giuro,
qualsiasi risarcimento. Ti offro anche un caffè, sei
d'accordo? Tu però non esagerare! - Il ragazzo la
guardò male per un altro minuto, poi sospirò e
infine rispose con un tono rassegnato.
- Accetto la tua offerta, ma sappi che non sto esagerando. Non
è carino vedersi comparire davanti una macchina guidata da
una con la testa fra le nuvole. Comunque, entriamo in un bar: pretendo
il mio caffè. - Alla fine accennò un sorriso. La
ragazza fece lo stesso e si avviarono verso il bar più
vicino, che era proprio dal lato opposto della strada a pochi metri di
distanza. Era un posto accogliente, un po' rustico, frequentato sempre
dalle stesse persone. Anna ed Elsa non ci andavano quasi mai,
preferivano il bar vicino al parco o quello sotto casa, tuttavia era
capitato qualche volta che con gli amici si trovassero a prendere
lì un aperitivo.
- Come prendi il caffè? - Gli domandò, una volta
entrati.
- Lungo, senza latte e amaro. - Si sorprese, ma non
commentò. Un tipo dai gusti molto diversi dai suoi.
- Bene, allora. Vado a ordinare per tutti e due. - Così,
mentre lei chiedeva al barman, il ragazzo si sedette ad uno dei tavoli,
aspettandola.
- Ecco fatto! Arrivano subito! - Anna accomodò su una sedia
di fronte a lui, tutta sorridente.
- Tu sei una che sorride molto spesso, ho indovinato? - La sua domanda
la sorprese alquanto. Non se l'aspettava, ma cercò di
rispondere comunque.
- Esatto. Non mi piace buttarmi giù, quindi cerco di vedere
sempre il lato positivo delle cose. -
- Non mi piacciono i tipi come te. - L'espressione sulla
faccia della rossa era impagabile, un misto di costernazione e rabbia.
Stava gonfiando le guance, diventate tutte rosse.
- Beh, a me non piacciono quelli sempre imbronciati! -
- Ehi, i gusti sono gusti. Non criticarmi. - Ci fu silenzio per qualche
minuto, poi il ragazzo dai capelli biondi, di cui ancora non conosceva
il nome, parlò di nuovo.
- Le persone troppo ottimiste tendono a farsi raggirare molto in
fretta. Almeno, penso che sia così. -
- Non credo che sia così. Basta solo avere giudizio,
l'ottimismo non c'entra nulla. - Lui la guardò dubbioso, ma
non disse nulla. Bevvero il caffè in silenzio, poi Anna
pagò e uscirono dal locale.
- Beh, ciao, allora. E cerca di non investire nessuno mentre torni a
casa. - Il biondo alzò una mano, in segno di saluto, e si
voltò.
- E tu cerca di essere un po' più allegro! - Rispose la
rossa. Quando lui era ormai una figura in lontananza, si rese conto di
una cosa.
- Ehi, aspetta! Non so come ti chiami! - Gridò per farsi
sentire. Lui si fermò, senza voltarsi. Dopo qualche secondo,
finalmente, rispose.
- Kristoff! -
- Il mio nome è Anna! - Dopo aver udito queste parole,
Kristoff sorrise tra sé e tornò a camminare
lentamente. Anna, invece, rimase per un po' a osservare il punto in cui
quella persona misteriosa era sparita, chiedendosi se la sua famiglia
non avesse una maledizione che li legava indissolubilmente alla strada.
- Pronto? - La bionda premette il tasto verde del suo cellulare,
interrompendo a malincuore la sua lettura.
- Ciao, sono Mer. Che ne dici se ci vediamo per uscire domani, tu, io
ed Elsa? - La sua voce era alquanto eccitata, segno che le era successo
qualcosa di bello.
- Mmh... Fammi pensare... Ok, va bene. A che ora? - Rapunzel
giocherellava distrattamente con una lunghissima ciocca di capelli,
lasciata libera dalla sua solita treccia.
- Facciamo verso le quattro? -
- Perfetto, chiamo Elsa e glielo dico. Comunque, Mer... Hai fatto
qualcosa di interessante, ultimamente? - Si sentì una
risatina dall'altro capo del telefono.
- Te lo dico domani, va bene? Ciao Punzie! -
- Ciao Merida. - Sorridente, la ragazza posò il telefono e
riprese in mano il suo amato librone, decisa a non lasciarlo fino a
tarda nottata.
Angolo della ritardataria
pentita: C'è nessuno???? *Si sentono i grilli
e il soffio del vento*
Chiedo umilmente scusa per il ritardo nell'aggiornare. Non ho
giustificazioni valide, quindi siete liberissimi di uccidermi come
più vi aggrada. Vi avevo promesso due settimane e ne sono
passate più di tre, vi prego di perdonare questa piccola e
sciocca autrice che non mantiene le promesse.
Torniamo alle cose allegre... Che ne dite, vi piace questo capitolo?
Non vedevo l'ora di inserire Kristoff, in qualche modo. Ero indecisa,
ma alla fine ho optato per il quasi incidente, l'ennesimo della
famgilia Arendelle. Poverine, le lascerò mai in pace??
...
...
...
Nah!
Comunque, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate!!! Ringrazio
tantissimo per aver recensito lo scorso capitolo mya95, che poverella
la sto facendo penare (scusa cara!!!!) con i miei aggiornamenti
irregolari, Marziani che spero continuerà a seguire questa
storiella e la mia gemellina Addy, cara, dolce, sadica gemellina, che
aveva promesso di fare BRUTTE cose se avessi usato il nome Idun, cosa
che alla fine ho fatto. Beh, non sarà troppo cattiva (spero)
XD
Un bacione grande grande
Mary <3
|
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
- Elsa, ti va di uscire oggi? - La voce di Merida risuonò
attraverso l'altoparlante del cellulare della bionda, che in quel
momento stava uscendo dalla doccia. Rispose mentre si metteva
l'accappatoio e prendeva il pettine.
- Ecco, non saprei Mer. Sai, per tutta la situazione di mia madre non
me la sento di scorrazzare in giro come se niente fosse. Oh, mi sono
appena ricordata che oggi sono impegnata con l'allenamento! - disse,
cercando con fatica di districare un nodo particolarmente intricato.
Esultò mentalmente quando ci riuscì senza essere
costretta a tagliare metà ciocca.
- Oh Elsa, mi dispiace tanto per tua madre, l'ho scoperto solo poco fa
al Telegiornale ma ho pensato di chiamare lo stesso, così
magari ti saresti distratta. Comunque, se sei impegnata non fa niente,
ci vedremo un altro giorno - Elsa s'intenerì al il pensiero
della sua migliore amica, che si preoccupava sempre per lei e Rapunzel.
- Va bene Mer, grazie mille lo stesso. Ehi, cosa fai per la vigilia? -
Si ricordò improvvisamente che il Natale bussava alle porte.
Mancavano pochissimi giorni.
- Ancora non lo so, tu invece? -
- Nemmeno io ho programmato qualcosa. Che ne dici se ci organizziamo
io, tu, Punzie e Anna per una serata tra noi, con tanto di cenone e
scambio dei regali? - A dire il vero non era affatto un bel periodo per
festeggiare, ma con tutti i guai di questo mondo il Natale è
sempre il Natale e, in un modo o nell'altro, c'è sempre un
motivo per celebrarlo.
- Grande, allora siamo d'accordo! Dai, ci sentiamo un'altra volta,
richiamami! - Merida riattaccò senza aspettare risposta, si
poteva sentire il suo sorriso attraverso il telefono. Ci teneva
veramente a passare del tempo con le sue migliori amiche e quale
momento migliore della vigilia?
Elsa intanto, dopo aver poggiato il cellulare, aveva terminato di
pettinarsi e di vestirsi. Indossava la sua tuta preferita, i capelli
raccolti in una coda di cavallo.
Si sentì inspiegabilmente agitata al pensiero di cominciare
l'allenamento con Jack invece che con sua madre. Da quando aveva
iniziato, c'era sempre stata lei a rimproverarla, aiutarla a rialzarsi
quando cadeva e incitarla a migliorare, a non arrendersi mai. Si chiese
se con lui sarebbe stato lo stesso. Sperava sinceramente che fosse un
po' meno rigido, ma ciò non la preoccupava affatto. Dopo
tutto, era la persona più allegra che conoscesse dopo sua
sorella e Merida, non poteva assolutamente essere troppo severo.
Giusto?
L'incontro doveva essere a casa della ragazza, si sarebbero poi diretti
nella pista nel cortile posteriore. Ora stabilita, quattro in punto.
Erano le quattro meno due e Jack Frost non era ancora arrivato.
Elsa aspettava seduta al tavolo della cucina, mangiando una tavoletta
di cioccolata intera e chiacchierando con una domestica. Probabilmente
quella donna si stava chiedendo quanto cacao potesse ingerire ogni
giorno. La risposta? Tanto. Davvero, davvero tanto.
Meno un minuto.
- E così gli ho detto: "Attento, non vorrai far cadere il
preziosissimo vaso della signora!" e lui mi ha guardata sorpreso un
attimo, poi ha... - La bionda aveva smesso di ascoltare quelle
chiacchiere, completamente concentrata nell'osservare le lancette
dell'orologio appeso al muro.
Tic
Un altro morso alla tavoletta e quella era bella che
andata.
Tac
Picchiettava le dita sul tavolo e il piede sinistro sul pavimento,
così per altri quarantacinque secondi.
Poi, finalmente, udì il suono di un campanello. Non
aspettò nemmeno che la domestica finisse di parlare, si
precipitò direttamente a rotta di collo verso la porta,
aprendola e trovandosi davanti un sorridente e puntualissimo Jack
Frost.
- Eccoti! Forza, andiamo! - Riconosceva di starsi comportando in modo
molto insolito per i suoi standard, mentre lo prendeva per il polso e
lo trascinava attraverso vari corridoi, fino ad oltrepassare una grande
porta di legno intarsiata.
- Ehi, sei più energica del solito o sbaglio? -
- Non sbagli. Ho mangiato tre tavolette di cioccolata oggi e ho bevuto
quattro caffè e mezzo. - Jack rise, fermandosi subito dopo
di lei. Un edifico circolare di medie dimensioni gli si parava davanti,
circondato da aiuole fiorite e con accanto un tavolino da
thé, con tanto di due sedie e ombrello per il sole.
- Però, è molto carino qui - affermò
sinceramente, osservando i dintorni interessato.
- Già, sono ricca. Anche tu lo sei, quindi immagino che non
sia una cosa straordinaria per te - ribatté lei,
accompagnandolo all'entrata della costruzione.
Dentro, c'era l'enorme pista, circondata da un corridoio circolare con
vari posti a sedere e separata da esso da una ringhiera. In fondo,
c'erano due stanze: una con la porta chiusa, probabilmente gli
spogliatoi, e una con la porta aperta. da quella posizione, si vedeva
il bancone di un bar.
- Hai un bar personale? -
- Sì, anche se è più una grossa
dispensa con frigorifero e bancone. Non c'è il barista -
- Grande -
Elsa lo accompagnò poi verso la stanza con la porta chiusa.
Quando venne aperta, si trovò davanti un piccolo salottino
dal quale si ripartivano altre quattro stanze, due spogliatoi e due
bagni.
- Puoi cambiarti lì - Indicò una delle porte.
- Non serve, non sono io quello che dovrà spaccarsi la
schiena oggi - Jack ghignò ed Elsa sentì un
brivido percorrerle la spina dorsale. Non era sicura che fosse un buon
segno. Il ragazzo, vedendo la sua espressione quasi spaventata, si mise
a ridere, tranquillizzandola immediatamente.
- Allora, iniziamo? -
Rapunzel stava, come al solito, leggendo assorta uno dei suoi libri
preferiti, quando sentì il campanello suonare. Di malavoglia
inserì il segnalibro nel volume e lo richiuse, poggiandolo
sul comodino. Si alzò sbuffando e, borbottando su quanto le
desse fastidio interrompere la sua lettura, andò ad aprire.
Si trovò davanti una rossa dai capelli molto, molto ricci e
lunghi (non quanto i suoi, ovviamente), tutta sorridente. Gli occhi
azzurri brillavano di allegria ed eccitazione, le lentiggini spiccavano
sulla carnagione pallida che contrastava con le guance arrossate.
- Merida? -
- Sì, sono io Punzie, non sono un clone. Allora, sei pronta?
- In un primo momento, si sentì spaesata. Non aveva idea del
perché la sua cara amica si trovasse davanti alla sua porta.
Poi, facendo per un attimo mente locale, si ricordò della
telefonata del giorno prima e del fatto che Merida dovesse parlarle.
- Oh. No, non ancora, dammi cinque minuti. Entra, intanto. Posso
offrirti qualcosa? - propose sorridendo delicatamente, mentre si
allontanava per prepararsi.
- No, grazie Punzie. Piuttosto, fai in fretta - La bionda
annuì, mentre si dirigeva in bagno per lavarsi i denti.
- A proposito, hai chiamato Elsa? - domandò con lo
spazzolino in bocca.
- Sì, ma ha detto che doveva allenarsi e che non se la
sentiva di uscire, sai è comprensibile -
- Mmh? Come mai? -
- Non lo sai? Idun ha avuto un incidente proprio ieri, l'hanno detto
anche al TG. - Lo spazzolino cadde nel lavandino.
- Cosa??? Non... Non ne sapevo niente, non ho neanche acceso la TV
oggi! Passami il cellulare Mer! - La rossa fece come ordinato.
Rapunzel compose velocemente il numero dell'altra sua migliore amica,
portando il telefonino all'orecchio.
Dopo qualche squillo, rispose la voce di Elsa che chiedeva di lasciare
un messaggio dopo il segnale acustico.
- Ehi, Elsa, come va? No, ok, domanda stupida, scusami. Solo che non so
cosa dirti, insomma, ho scoperto adesso quello che è
successo. Tua madre come... oh, scusa, aspetta un attimo -
sputò il dentifricio nel lavandino - Ecco, ora va meglio.
Comunque, tua mamma come sta? E tu e Anna? Fammi sapere, ok? E sappi
che per qualunque cosa ci siamo io e Mer! - Riattaccò,
sciacquandosi bocca e spazzolino.
Quando uscì dal bagno, trovò la rossa che mandava
messaggi.
- Con chi stai chattando? - Chiese distrattamente mentre infilava le
scarpe e la giacca, prendendo subito dopo la borsa.
- Con il motivo per cui ti ho chiamata ieri - disse Merida con un
sorriso che le arrivava fino alle orecchie. Rapunzel le
fregò il cellulare di mano, con un urletto di gioia.
- Oddio, chi è??? - In quei momenti semravano ragazzine
immature, non le donne di oltre vent'anni che erano in
realtà, ma non gli importava.
- Si chiama Hiccup. - Affermò Merida, con un lieve rossore
sulle guance.
- Raccontami tutto, dai! -
Le due uscirono parlando e ogni tanto ridacchiando.
Merida e Hiccup si erano conosciuti un paio di giorni prima, al
supermercato. Lei non arrivava allo scaffale della marmellata e gli
aveva chiesto gentilmente di prenderla, cosa che lui, gentile com'era,
non aveva potuto rifiutare. Si erano poi ritrovati a chiacchierare del
più e del meno, scoprendo di essere entrambi pattinatori
professionisti e stupendosi di non essersi riconosciuti subito. Si
erano poi scambiati i numeri di telefono, quindi avevano iniziato a
sentirsi.
- Ecco, la storia è più o meno questa. Tu cosa ne
dici? -
- Ho sentito parlare di lui, dicono che sia molto bravo. Comunque non
lo conosco di persona, non posso giudicarlo, ma mi sembra molto carino!
-
- Lo so, è fantastico! Pensa che abbiamo un sacco di cose in
comune, amiamo entrambi "The Big Bang Theory", i Beatles e i film di
Johnny Depp! - Le due risero allegre, continuando a passeggiare per le
strade e fermandosi in un bar per una cioccolata calda.
- Più veloce, Elsa! La musica di certo non aspetta te! - Con
grande disappunto della ragazza, Jack si era rivelato veramente molto
severo e rigido. Sembrava sul serio un'altra persona nelle vesti di
allenatore, qualcosa che lei non si sarebbe mai aspettata. Comunque, lo
rispettava per la cura e l'attenzione con cui svolgeva il suo compito.
La canzone finì - per la ventiduesima volta, quel giorno -
ed Elsa, stremata, si appoggiò alla ringhiera.
- Possiamo... Fare... Una pausa? Ti prego?? - Lo guardò con
occhi così imploranti che il ragazzo non riuscì a
resistere e le concesse il tanto agognato riposo.
Lei, per la prima volta da quando aveva iniziato ad allenarsi, sorrise
veramente. Attraversò il cancello della ringhiera e si
avviò con lui verso il piccolo bar, in cui teneva una scorta
di cioccolata, patatine, Coca-Cola e schifezze varie.
- Non dovresti prendere quella roba, ti fa male e non giova
all'allenamente che stai facendo! -
- Non fare il guastafeste. Se voglio le palline al formaggio e i
cioccolatini al rum, me li prendo senza problemi. Dovresti farlo anche
tu - disse seria, ma con l'umorismo negli occhi. Lui le sorrise e
cedette alla tentazione che quel cioccolatino stava esercitando su di
lui, bevendo poi un sorso di aranciata.
- Ti facevo un tipo da cioccolato bianco - affermò ad un
certo punto lei. Lui la guardò divertito, prima di
rispondere.
- Non faccio preferenze per quanto rigarda il cioccolato. Tu? -
- Idem. - Si sorrisero. Rimasero a scherzare e fare spuntini per la
mezz'ora seguente, senza rendersi realmente conto del tempo che passava
finché Jack non guardò l'orologio appeso alla
parete.
- Cavolo, sono le otto! A quest'ora annunciano le modalità
di gara per febbraio! - Elsa prese un telecomando e accese il grande
televisore, anch'esso attaccato al muro. Dopo aver cambiato qualche
canale, trovarono quello che cercavano. Mentre il commentatore parlava,
loro due lo ascoltavano attentamente, mangiando ogni tanto qualche
pallina al formaggio.
Praticamente, quella di febbraio sarebbe stata la prima di tre gare: le
altre due si sarebbero svolte una ad aprile a Washington e l'altra a
giugno a New York. La prima era una competizione singola, per le altre
non era stato comunicato.
Giorno quindici febbraio alle ore diciotto in punto.
Quando l'annuncio terminò, spensero la televisione.
- Beh, direi che possiamo anche tornare di là, giusto Jack?
-
Note di quella che non
merita perdono: Ehm... Salve!
Sì, lo so, ancora una volta vi ho fatto aspettare un sacco
di tempo. Chiedo venia ai vostri animi misericordiosi!!!
Ok, ora che sono stata perdonata (non è vero, ma lasciatemi
illudere, please), vi confesso che mi siete mancati :-)! Ormai
è passato più di un mese dall'ultimo
aggiornamento e, sotto insistenza leggera (ricatto) della mia dolce
gemellina, rieccomi qui con i nostri amatissimi personaggi.
Vi piace il capitlo? No? Nemmeno a me, ma purtroppo non sono riuscita a
fare di meglio. Non mi sentivo quasi per niente ispirata, avevo solo un
paio di scene in testa e neanche mi convincevano. In più, il
tempo e soprattutto la voglia di scrivere cose che non fossero
stupidaggini scarseggiavano. Però ho aggiornato, alla fine,
dopo un'attesa interminabile (?).
Vi voglio tanto bene e se ho scritto questa cosa non ringraziate me,
ringraziate Addy, la mia amatissima gemellina che mi ha fatto
promettere solennemente di impegnarmi a scriverlo. Ok, è
tardi, vi saluto.
Un bacione graaaaaaaaaaaaaaaaaaaandissimo!!!
Mary <3
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