Heliophilia di SpicyTuna (/viewuser.php?uid=27332)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Looks breed love. ***
Capitolo 2: *** The longest day has an end. ***
Capitolo 3: *** A man who lies about beer makes enemies. ***
Capitolo 4: *** I don't want to be alone, I want to be left alone. ***
Capitolo 1 *** Looks breed love. ***
Heliophilia
(n.) desire to stay in the sun;
love of sunlight
12 Ottobre, Venerdì - Sheffield (Inghilterra)
Evangeline rimase immobile fra le coperte, incapace di lasciare il loro tepore per affrontare il mondo esterno.
Dalla finestra vedeva la pioggia incessante infrangersi sui vetri, deformando il paesaggio grigio di Sheffield come attraverso una lente appannata.
In quel momento nulla l'avrebbe resa più felice di un raggio di sole sul viso.
La sveglia sul cellulare di Joel suonò a tutto volume, con una vibrazione talmente forte da far tremare il comò, e lei si sorprese nello scoprire
che fossero già le sei del mattino. L'uomo mise un palmo aperto sull'apparecchio per spegnerlo, ma con scarso successo.
Quando cadde a terra con un tonfo, Joel biascicò la prima imprecazione del giorno.
« Per fortuna c'è la moquette sul pavimento » disse Evangeline, ridacchiando.
« Eri già sveglia? ». Gli occhi scuri dell'uomo, ancora offuscati dal sonno, la squadrarono mentre se ne stava seduta con la schiena contro la testiera del letto, immobile e serafica come suo solito. La ragazza accennò un sorriso, e con molta fatica abbandonò il caldo giaciglio per iniziare a rivestirsi.
La divisa scolastica giaceva sparpagliata per la stanza, e dovette fare una piccola caccia al tesoro per ritrovare tutti i componenti.
Intimo, camicia immacolata, gonna al ginocchio, cravatta. Per ultimi indossò i collant coprenti che l'istituto femminile Ellsworth aveva dichiarato obbligatori da quell'anno, non potendo più tollerare le calze di mille fantasie che le studentesse adoravano sfoggiare.
Trattandosi di una scuola privata e facoltosa, era chiaro che tenesse a dare una bella immagine di sè.
Joel la seguì in tutti i suoi movimenti, beandosi della pelle candida e le forme aggraziate che man mano nascondeva sotto formali abiti scuri.
Nessuno avrebbe mai sospettato che dietro a quell'apparente coltre di serietà si nascondesse una seducente giovane donna, ed era un bene che rimanesse segreto.
« Facciamo una doccia? » chiese, speranzoso. Lei dissentì, e andò a cercare la spazzola nello zaino di scuola. « Non posso, rischio di perdere l'autobus ».
« Ti posso accompagnare in macchina, se vuoi ».
Evangeline sollevò i profondi occhi grigi, e l'uomo fu trafitto dall'autorevolezza di quello sguardo.
« Meglio di no, Mr. Darren » rispose seccamente, pettinando con vigore i lunghi capelli biondi davanti allo specchio del bagno.
Finite le sue abluzioni mattutine, la ragazza indossò il cardigan recante lo stemma dell'Istituto, che coprì saggiamente con una lunga sciarpa.
Non era consigliabile uscire da un hotel a ore e far sapere a tutti dove si studiava, specie se si aveva solo diciotto anni.
Evangeline salutò l'uomo con un casto bacio sulla fronte, netto contrasto con le follie della notte precedente, e raccolse la busta che lui aveva lasciato sul tavolino accanto all'uscita. Con duecento sterline avrebbe potuto estinguere i suoi debiti senza doversi preoccupare di rimanere a stomaco vuoto, e il pensiero la fece sorridere. L'affitto attendeva di essere pagato da ben due mesi.
« Evie, aspetta ». Joel si era alzato, vestito solo di un paio di boxer e la sua virilità. Aveva un'espressione strana, combattuta.
« Domani sarò a cena con i colleghi a Whitwell. Possiamo vederci, dopo? Pensavo di passare a bere qualcosa ».
Whitwell, vicino al locale dove lei lavorava tre volte a settimana. Si trattava di un pub sconosciuto ai più, frequentato solo da gente del posto e cultori della birra artigianale. Non avrebbero destato sospetti comportandosi come cameriera e cliente.
« Perchè no. Scrivimi quando sei in zona » rispose, facendo un cenno di congedo mentre controllava l'ora sul piccolo orologio da polso.
« Ci vediamo, Joel. Non fare tardi ». Gli dedicò un ultimo sorriso fugace prima di precipitarsi giù per le scale e fuori dall'hotel,
il tutto sotto lo sguardo indifferente della receptionist, che probabilmente aveva visto la stessa scena un centinaio di volte.
Il centro di Sheffield, con i suoi contrasti tra abitazioni moderne e antichi edifici vittoriani, era ancora immerso nel silenzio.
La gente che camminava per strada era assonnata, già stanca ancora prima di iniziare il lavoro, ma Evangeline non potè far altro che condividere il loro stato d'animo. Il giorno prima aveva frequentato le lezioni integrative di storia dell'arte per guadagnare qualche credito, poi c'era stata la riunione con i mebri dell'associazione studentesca per il famoso ballo di fine anno e la raccolta fondi. All'ora di cena Joel l'aveva contattata per invitarla in un nuovo ristorante dalle parti di Park Square, ma era talmente esausta da aver perso l'appetito. Così, in mancanza di altre idee, avevano occupato una stanza d'albergo e ordinato il servizio in camera. L'uomo si era dimostrato insaziabile sotto molti punti di vista, e lei non potè far altro che adempiere ai suoi doveri prima di crollare in un lungo sonno senza sogni. Sapeva che se avesse confessato a Joel quanto stanca fosse, lui si sarebbe preso cura di lei in quel modo esageratamente compassionevole, e non voleva la sua pietà. Si sedette su una panca e attese l'arrivo dell'autobus, coperta da una tettoia in alluminio dall'aspetto poco stabile.
Accanto a lei, una signora vestita di tutto punto telefonava al marito, o presunto tale, tempestandolo di domande.
- Ecco perchè Joel è divorziato - pensò, tendendo l'orecchio e guardando dalla parte opposta.
Il consorte si chiamava Charles, nome che assumeva diverse sfumature a seconda del contesto: un attimo prima era Charles, dove cazzo eri finito,
l'attimo dopo era Charles, non dimenticare la recita di nostra figlia, e infine Charles, mi manchi tanto.
La vita da sposati doveva essere davvero uno strazio. Quando Joel parlava della sua ex moglie non era mai per tessere le sue lodi, ma nemmeno per infamarla.
"Una donna con hobby costosi e occhi perfino nel sedere. Vedeva tutto, anche quello che non c'era", diceva, senza mai sbilanciarsi. Non vi era fiducia tra loro, e il matrimonio era durato giusto il tempo di qualche lite domestica. Dopo due anni si erano lasciati, ma il fatto che lavorassero per la stessa azienda non facilitava la separazione. Spesso Joel si lamentava con lei di quanto difficile fosse parlarle normalmente, dato che era il tipo di donna che poteva serbare rancore per secoli.
All'arrivo del mezzo, la signora bisbigliò un saluto e rimise il cellulare nella borsa in pelle, con un sorriso soddisfatto ad illuminarle il viso.
Evidentemente Charles sarebbe andato alla recita della figlia, alla fine. Evangeline la osservò di nascosto per buona parte del viaggio, non trovando niente di più interessante da fare. Pensò a sua madre, e a quello che avrebbe detto sapendo che si svendeva per condurre una vita agiata.
Lei, una delle studentesse più promettenti e discrete. Mai una parola scurrile, mai una nota di demerito.
A poche fermate di distanza dall'istituto, prese un elastico nello zaino e legò i capelli in una treccia ordinata,
controllando con la fotocamera interna del cellulare di non avere segni della notte precedente sulla pelle candida del collo.
Joel non era stato particolarmente rude, ma meglio evitare pettegolezzi, che erano il nutrimento delle ragazze.
Alle sette e mezzo in punto, Evangeline oltrepassò i cancelli dell'Istituto Ellsworth, ringraziando che nel frattempo la pioggia fosse cessata.
Scivolò tra gli sguardi indagatori delle compagne, che come ogni mattina la esaminavano da capo a piedi per trovarle qualche difetto, e giunse alla sua aula incolume. L'edificio era stato costruito sulle antiche spoglie di una chiesa gotica, la cui campana segnava l'inizio delle lezioni con i suoi lugubri rintocchi.
Cominciò a suonare nel momento esatto in cui mise piede nella stanza, e ancora una volta la ragazza si congratulò con sè stessa per il tempismo perfetto.
Prima di spegnere il telefono lesse un messaggio appena arrivato.
- C'è una cosa di cui vorrei parlarti, ma aspetterò domani per farlo. Buona giornata -.
Premette il tasto a lato del cellulare e lo schermo si oscurò. In cuor suo sapeva di cosa voleva parlare, e non era pronta.
• • •
« Non posso credere che tu mi abbia trascinato qui anche stamattina, Luke » disse Marshall, appostato dietro alla siepe nel parcheggio dell'Istituto Ellsworth.
In quel mare di auto lussuose si sentiva ancora più a disagio, e la sua uniforme scolorita sembrava attirare l'attenzione come un'insegna al neon in piena notte.
Gli autisti che passavano di lì per recuperare i loro mezzi lanciavano occhiate sdegnose ai due ragazzi, evidentemente impegnati in un'opera di spionaggio.
« Dammi un attimo, fratello. Passerà tra poco ». Luke, che dal suo metro e ottantasette era tutt'altro che invisibile, si accucciò fino ad arrivare a un'apertura fra i rami, facendosi spazio per vedere meglio l'entrata dell'Istituto. Ragazzine agghindate a festa camminavano in gruppi di tre o sei, con le loro risatine composte e i capelli in perfetto stile Jane Austen. Sembravano uscite da un'altra epoca.
« Le persone ricche mi fanno incazzare ».
« È la sesta volta che te lo sento dire ».
« Perchè è la sesta volta in un mese che mi costringi a seguirti! » rispose stizzito Marshall, tirandogli un calcio alla gamba.
L'omone non lo sentì nemmeno, facendogli segno di abbassare la voce.
« Oggi è diverso. Pensavo di parlarle. Sai, cose tipo come ti chiami, quanti anni hai... ».
« Bleah. Ma ti prego ».
Lui sospirò, dandogli una pacca sulla schiena in segno di conforto.
« So che sei un bastardo senza cuore, ma sei anche il mio migliore amico. Non potevo chiedere a nessun altro. Giuro che stasera ti offro una birra ».
Marshall sembrò rabbonirsi all'idea, e si scansò dalla mano gigante del ragazzo prima che diventassero troppo intimi. Luke era il tipo da storie sdolcinate, fiori, cioccolatini e passeggiate al parco. Il suo carattere docile e accondiscendente l'aveva messo spesso nei guai con le femmine della loro scuola, che lo usavano come copertura o come spalla su cui piangere. Di recente aveva puntato questa sorta di Madonna Vergine dell'Ellsworth, dicendo che credeva nel colpo di fulmine e cazzate simili. Gli era bastata un'occhiata per abboccare all'amo della riccastra snob, e da lì era iniziato il piano di stalkeraggio.
Come sempre, la biondina comparve ai cancelli alle sette e mezzo in punto, tutta candore e santità nella sua divisa scura da suora.
I lunghi capelli erano acconciati in una treccia anonima, non era truccata e non indossava nessun accessorio, ad eccezione della sciarpa bianca e voluminosa. Quando la vide, Luke si mise a scodinzolare e indicarla, squittendo come una teenager davanti al suo idolo.
« Eccola, te l'avevo detto! Che faccio, vado? Potrei farla sembrare una coincidenza ».
« Ti scambierà per un maniaco ».
L'espressione gioiosa di Luke si sgretolò in un istante. « Oh no, non ci avevo pensato... Sarebbe un bel casino. Sai cosa? Mi invento che sono amico di una sua amica ».
Marshall guardò alle sue spalle, poi riportò gli occhi burrascosi su di lui. « Magari un'altra volta. Se n'è appena andata ».
L'imprecazione del giovane fece voltare un paio di chaperon, e la Vergine scomparve nell'immenso giardino interno, mescolandosi tra le compagne.
Il ritorno a scuola fu molto silenzioso. Luke camminava a testa bassa, guardandosi le punte delle scarpe come un condannato a morte sul patibolo.
Era chiaramente troppo timido per avvicinare una sconosciuta, ma nella sua mente aveva già prefissato la data del matrimonio.
« Domani ci torniamo, vero? ».
Marshall decise che era il momento di mettere le cose in chiaro. Lo precedette e piantò i piedi a terra, bloccandogli il passaggio. Era più basso di qualche centimetro, ma di gran lunga più spaventoso. « Domani dormirò fino a mezzogiorno, e lo farai anche tu. Stai sprecando il tuo tempo con quella. Viene da un altro pianeta, dove tutto è bello e firmato ». I grandi occhi da orsacchiotto di Luke si inumidirono, così il ragazzo moderò il tono per non far accadere l'irreparabile.
« Sai che ho ragione. Levatela dalla testa e concentrati su qualcosa alla tua portata. Amanda Newport stravede per te, ricordi? ».
« Già, come amico ». Disse quella parola a mo' di bestemmia, poi, colto da un'intuizione geniale, afferrò l'altro per entrambe le braccia e lo scosse con forza.
« Ma come ho fatto a non pensarci prima! ».
Stava diventando una scenetta troppo patetica per Marshall, che si dibattè nella sua stretta micidiale per liberarsi.
Quando fu chiaro che non l'avrebbe mollato, rimase ad ascoltare con l'espressione di un gatto indignato.
« Amanda ha un'amica all'Ellsworth! Chiederò se la conosce, che posti frequenta e dove abita ».
Marshall era così contrariato che temette di farsi venire un crampo alle sopracciglia, tanto erano aggrottate. « E poi che farai? Ti presenterai sotto casa sua con un anello di Tiffany in mano e i preservativi in tasca? ». Luke parve inorridire solo all'idea. « Non mi chiamo Marshall Hawkings ».
« Già, altrimenti non saremmo qui. E io non ho bisogno dell'anello per farmi aprire la porta ».
La discussione proseguì fino all'ingresso dell'Istituto Wetherby, edificio risalente ai primi anni settanta malamente restaurato.
I cancelli non esistevano più da tempo, ma non vi era il pericolo che qualche malintenzionato andasse a compiere furti o atti vandalici: la scuola era sprovvista di qualsiasi tecnologia avanzata, distributori automatici a parte, e perfino un barbone avrebbe preferito un riparo sotto una tettoia, piuttosto che cercare asilo lì dentro. Le lezioni erano iniziate da almeno venti minuti, eppure metà degli studenti girovagavano ancora per il cortile, sigarette in bocca e divise sbottonate.
Il Wetherby era famoso per accogliere le famiglie più povere di Sheffield, con una retta irrisoria e la promessa di tenere i giovani lontani da droga e alcool per sei ore al giorno, il resto non era affar suo. Per entrambi i ragazzi la scelta vi era ricaduta a causa del misero stipendio percepito dai genitori, tutti impegnati come commessi nel grande Marks & Spencer della città. Mentre saliva i gradini crepati dal tempo, Marshall ripensò allo sfarzo del solo giardino dell'Ellsworth, verde e brillante in ogni stagione dell'anno e ricco di piante di cui non conosceva nemmeno il nome. Sul suo terrazzo crescevano spontaneamente delle erbacce tra le piastrelle, la cosa più simile ad un prato che potesse avere, altroché rose selvatiche. Un profumo dolciastro gli riempì le narici, e seppe che Amanda era nei paraggi senza nemmeno alzare gli occhi. « Luke! » cinguettò da in cima alle scale, ricevendo in risposta un entusiasta buongiorno dal gigante, che già progettava di usarla per i suoi scopi. Era sempre gentile con le ragazze, quindi Amanda non si insospettì quando si propose di portarle la cartella e tenerle aperta la porta dell'aula. Marshall simulò un conato di vomito nel sentirlo tessere le lodi della compagna, in particolare alla parte che elogiava le sue mani di fata e i fianchi più sexy d'Inghilterra. « Sei in vena di complimenti, oggi » constatò lei, sedendosi sulle sue gambe prima dell'arrivo del professore. L'amico seguì la scena dal banco alle loro spalle, spalmandosi sul legno bucherellato del tavolo che odorava ancora di Coca Cola, quella spanta durante l'ora di educazione civica in un momento di distrazione. Il quaderno e il libro di testo erano da buttare, una magnifica scusa per saltare tutte le interrogazioni da lì fino a novembre.
« Ma senti, è vero che una tua amica va alla Ellsworth? Interessa a Marshall ». L'altro gli trapassò la schiena con un'occhiataccia, e Luke lo ignorò, fin troppo concentrato. Amanda era il tipo di persona che pur di circondarsi di amicizie vantaggiose avrebbe venduto anche l'anima, in modo da attirare le attenzioni su di sé e conoscere buoni partiti. Nonostante vivesse in uno degli appartamenti più datati di Bailey Street insieme a quattro fratelli e due sole stanze da condividere, con i suoi trucchi da discount e i vestiti dismessi di qualche parente riusciva a cammuffare bene la situazione familiare disastrosa. Alla domanda di Luke annuì con vigore. « Aubrey Leighton, ultimo anno. I suoi genitori sono i proprietari di tutti i cinema Odeon della zona. Ieri notte ha riservato una sala solo per noi! ».
La moretta si sporse per guardare l'espressione nauseata di Marshall. Tra i due non correva buon sangue.
« Cosa c'entri tu con quella? Non potresti fargli nemmeno da lavacessi ».
« Ha già scoperto che sei povera in canna? ». Il ragazzone si mise tra i due prima di vederli coinvolti in una rissa.
« Fagli un piacere, dai. Magari ce la presenti e vediamo come va ».
Amanda parve indifferente alle suppliche, ma un cenno del capo diede a Luke la conferma che aspettava. Era abbastanza ottimista (ed ostinato), da raggiungere un obiettivo ambizioso come quello che si era prefissato, in fondo. L'unico problema sarebbe stato spiegare alla ragazza comodamente seduta su di lui che era servita per un bene superiore, nient'altro. All'arrivo del professore, un uomo attempato e privo di vita, ognuno tornò al proprio posto, chi con il cellulare sotto mano, chi con del cibo infilato in bocca di fretta, e chi, come Luke, con lo sguardo trasognato di un bambino che aspetta la mattina di Natale.
- Io lo so già che ci resterà male - pensò Marshall, anticipando il lungo periodo di depressione che avrebbe colto l'amico fino alla comparsa di una nuova fiamma.
Sperò che stavolta avesse la compiacenza di cercare qualcuna della sua cerchia, senza doversi infiltrare in territorio nemico ogni mattina.
Odiava quella gente dal profondo del cuore.
{ Author's Note }
Heliophilia è una storia che ho in cantiere da un po'. Un esperimento, diciamo. Scrivere di cose frivole e love triangle mi rilassa, quindi non prendete la fic troppo sul serio.
Mi aspetto di arrivare ad un rating arancione in futuro, quindi l'ho messo come precauzione, but who knows.
Intanto grazie a chi avrà voglia di passare a dare un'occhiata (e magari lasciare un commento per farmi sapere cosa va e cosa non va).
Much love, people ♡ |
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Capitolo 2 *** The longest day has an end. ***
12 Ottobre, Venerdì - Sheffield (York St.)
La sede dello Sheffield Telegraph, quotidiano locale, accolse l'arrivo di Joel con il suo classico odore di carta stampata e caffé,
due cose che andavano a braccetto alle sette e mezza del mattino.
Rifiutò cortesemente quello offerto dalla segretaria, avendone già preso uno da Sarnis, al piano di sotto, e puntò al suo ufficio prima che qualche collega potesse placcarlo. Il giorno prima aveva dato buca ad una cena di lavoro con i pezzi grossi dell'editoria a causa di un "impegno con una parente".
La verità era che non vedeva Evangeline da una settimana e mezzo, e i suoi ultimi messaggi mancavano di punteggiatura, segno che era di fretta e non le andava di parlare. Doveva assicurarsi che stesse bene. Nell'ultimo periodo si era fatta più sfuggente del solito, evitando le domande come lui cercava ora di evitare Sophia,
che aveva appena visto girare l'angolo. La donna non parve notarlo, troppo intenta a picchiettare lo schermo del tablet con le unghie finte laccate di blu.
Un tempo lo trovava un suono rilassante, quel perpetuo ticchettio, all'epoca in cui i due vivevano nello stesso appartamento di fronte a Devonshire Green.
Adesso lo innervosiva come poche cose al mondo. Purtroppo lo scontro fu inevitabile, dato che la donna aveva l'oscuro potere di fiutarlo da chilometri di distanza. Alzò lo sguardo nel momento esatto in cui le loro strade si incrociarono, proprio quando lui pensava di passare inosservato.
Forse doveva fingersi morto, tipo turista incauto davanti ad un orso.
« Buongiorno, Joel. Come mai così in ritardo? ».
« Traffico » rispose, evasivo. Doveva fare attenzione al contatto visivo, o lei avrebbe letto la menzogna nei suoi occhi. Se le cose fossero andate male al Telegraph, Sophia avrebbe potuto optare tranquillamente per la carriera di detective privato, lo stesso che gli aveva sguinzagliato contro a otto mesi dal matrimonio.
No, non la tradiva, e no, non passava le nottate a fare il tour dei night club, ma quando la bionda si metteva in testa una cosa era impossibile farle cambiare idea.
« Facciamo la stessa strada, e io non ho trovato chissà quale ingorgo » lo rimbeccò, un sopracciglio alzato con fare scettico. Joel liberò un lungo sospiro, già stufo del dibattito ancora prima di averlo perso. Ormai era scritto nelle stelle che i due non potessero rimanere nella stessa stanza per più di dieci secondi senza abbaiarsi contro. « Mi scuso per il tremendo ritardo. Posso andare, agente? ».
Sophia acconsentì alla richiesta e si fece da parte, specie dopo aver interecettato il capo redattore alle sue spalle. Di bene in meglio, insomma.
Quando raggiunse l'ufficio in fondo al corridoio, Joel era già saturo di rimproveri, e un bicchiere di Scotch sembrava l'unica cosa in grado di rimettere i nervi al loro posto. La stanza in stile loft newyorkese, tra pareti in finto mattone ed arredamento essenziale, lo aiutò a ritrovare la pace interiore, insieme al sorriso sfavillante della sua collega, Doreen. In quanto madre di tre figli, era una veterana nel rabbonire gli animi inquieti. Notò subito l'espressione sofferente dell'uomo, a cui rispose mostrando una scatola di biscotti al burro. « Tieni, caro. Mi sa che ne hai bisogno ».
Joel non faceva mai colazione, eppure gli si aprì una voragine nello stomaco alla vista della confezione di latta. Fece rifornimento prima di mettersi alla scrivania di fronte, un caos di appunti, libri aperti e pennarelli senza tappo. C'era anche una foglia secca, primo segnale che il bonsai regalatogli da Doreen avesse le ore contate.
Non era bravo quanto Evangeline a badare alle piante. Beh, agli esseri viventi in genere.
« Che si dice, stamattina? ».
« Niente di nuovo sul fronte occidentale » commentò la donnetta dalla ribelle chioma riccia, passandogli il foglio stampato di una mail.
« Dobbiamo solo rivedere per intero l'articolo di Willis su quella scuola a Nether Edge.
Sembra che un gruppo di giovani spacciatori abbia la sede ufficiale tra le mura dell'Istituto Wetherby ».
« La cosa non mi sorprende ». Ne avevano parlato più volte di quel covo di teppisti. Per fortuna Evangeline frequentava una scuola d'elite, sotto stretta sorveglianza, o non ci avrebbe dormito la notte. A volte si chiedeva che ruolo svolgesse nella vita della studentessa, troppo anziano per essere il suo amante e troppo giovane per fargi da padre. Di questo non parlavano mai. I loro incontri si riducevano a frasi di circostanza e sesso fine a sé stesso, senza troppe pretese. Un tacito accordo che avevano stipulato la notte in cui si erano conosciuti, entrambi costretti sotto la teottia di un bar da un tifone impietoso. Ancora ricordava lo sguardo da predatrice di lei, cammuffato sotto una coltre di finta innocenza, mentre gli chiedeva che cosa ci facesse per strada a quell'ora tarda. Il fatto che la ragazza gli avesse chiesto del denaro, la prima volta, l'aveva lasciato senza praole, poi Joel si era reso conto che sarebbe andato in rosso pur di rivederla, che il sentimento fosse reciproco o meno. Certo, era sbagliato trattenere una persona contro la sua volontà con la sola promessa di un centinaio di sterline a notte, ma finchè le cose funzionavano...
Prese dalla tasca dei pantaloni il duplicato della chiave del suo appartamento e lo soppesò sul palmo della mano, nemmeno fosse l'anello di fidanzamento.
Aveva deciso di invitare Evangeline a stare da lui, conscio che la fanciulla faticasse a pagare l'affitto dello squallido bilocale dove viveva.
Un'idea bizzarra, folle, con meno del venti per cento di possibilità di riuscire, ma doveva provare. Le scrisse un messaggio come imput e mise il cellulare accanto al bonsai, in attesa della fatidica risposta, finché leggeva il papiro di informazioni stillate da Willis su questi fantomatici spacciatori con aria perplessa.
« Potrebbero chiuderlo, il Wetherby. Ha pochissimi studenti e cade a pezzi » commentò, passando al quinto di dodici fogli.
Doreen annuì dall'altra parte della scrivania, i capelli che ondeggiavano da sopra lo schermo. « Ormai è più un riformatorio che una scuola.
Hanno chiuso anche i negozi in zona, una strana coincidenza ».
« Perchè a Willis interessa tanto, comunque? E' già il terzo articolo che scrive su quest'impronta ».
La donna ci pensò su, masticando con calma un biscotto. « La frequentava un suo nipote, credo, ma adesso è stato espulso. Non per spaccio, quello mai, però ha minacciato un compagno con un coltello, quindi immagina ». Molto rassicurante. L'uomo scosse il capo per esprimere il disappunto, grattandosi la barba incolta sul mento. Lo faceva invecchiare, urgeva una visita al barber shop prima del fatidico incontro a Withwell, nel locale dove lavorava la biondina.
Mascherare i suoi ventotto anni era impossibile, eppure anche solo dimostrarne due in meno non gli sarebbe dispiaciuto.
- A volte dimentico che abbiamo dieci anni di differenza - rifletté, sentendo il peso dell'età sulle spalle. Guardò la figura slanciata ed altezzosa di Sophia passare davanti ai pannelli in vetro che si affacciavano sul corridoio, una sorta di reminder a ricordargli che quello era il genere di donna per lui.
Gli occhi tornarono in fretta all'articolo chilometrico, mentre la testa vagava altrove, lontano, verso l'unico oggetto del suo interesse,
ed un sorriso ebete gli illuminò il volto all'instante.
• • •
12 Ottobre, Venerdì - Sheffield (Ellsworth Institute)
Per Evangeline la giornata era un grande déjà vu. Lezioni passate in silenzio ad ascoltare l'insegnante, prendere appunti e rispondere correttamente ad ogni domanda, pranzo in totale solitudine, ancora lezioni, incontri con l'associazione studentesca e un'attesa interminabile alla fermata dell'autobus,
spesso e volentieri con la pioggia a fare da cornice. Eppure in quell'immobilità stava bene, aveva raggiunto un equilibrio. Non pretendeva uscite con le amiche, shopping o cose tipiche per una ragazza della sua età, figurarsi. La rubrica del suo cellulare contava appena dieci numeri, cinque dei quali preimpostati dalla compagnia telefonica, e i restanti usati di rado. Scese i gradini ed arrivò al piano terra, una specie di hall con tavolini, divanetti, distributori automatici e una moltitudine di studentesse esagitate. Era lì che attendevano gli autisti al termine della scuola, senza essere costrette a bagnarsi le scarpe nuove per raggiungere la macchina. Evangeline era l'unica armata di ombrello, al momento.
Scivolò oltre gli sguardi di compassione delle compagne con nonchalance, affrontando il maltempo a testa alta e saltando ogni pozzanghera sul suo cammino.
Con le strade così malridotte ed il traffico tipico delle cinque e mezza, l'autobus si sarebbe fatto aspettare anche quel giorno, poco ma sicuro.
La ragazza guardò in su, oltre la plastica trasparente dell'ombrello, dove nubi plumbee si incontravano nel cielo fino a ricoprirlo interamente.
Sapeva che ad ottobre era impossibile incappare in un raggio di sole, ma un po' ci sperava. Aveva il timore di essere metereopatica, un bello svantaggio per chi abitava a Sheffield. - Forse dovrei migrare a sud, come gli uccelli - pensò, prima di andare a sbattere contro un passeggino.
La donna alla guida le lanciò un'occhiataccia, ragion per cui non chiese scusa. Quel tempo metteva di malumore chiunque.
Quando vide l'autobus sguazzare nel mare d'acqua piovana verso la sua direzione, quasi non ci credette. Era in anticipo?
Controllò le fermate sul grande display frontale, ed era effettivamente il suo. Poco male, il karma doveva aver avuto pietà di lei.
Mostrò l'abbonamento all'autista ed imboccò subito gli stretti scalini per il piano di sopra, rischiando di scivolarvi per il bagnato.
Vi erano poche facce note, tutte in religioso silenzio, a parte un gruppo di ragazzi che affollavano i sedili più in fondo, marcando il territorio con cartacce e residui di patatine. Evitò i loro sguardi per sua buona pace, sedendosi accanto ad una donna sulla trentina presa a riempire un criciverba chilometrico.
Da bambina anche Evangeline trascorreva così i lunghi viaggi da Royan a Calais, dove la madre la attendeva per tornare in Inghilterra.
Riempiva i quadratini, colorava, leggeva, l'importante era distrarsi e non pensare alla bella città che si lasciava alle spalle. I genitori erano separati, e suo padre, Lazarre, aveva una deliziosa villetta in prossimità del porto, dove la bambina trascorreva le estati insieme ai nonni. Lì c'era sempre il sole, un caldo afoso ed il profumo di salsedine. Dio, quanto le mancava. Avrebbe venduto un organo pur di teletrasportarvisi all'istante.
Visti i minuti che la separavano da casa, riaccese il cellulare per pura noia, incappando in due messaggi di Joel, uno inviato a pranzo e l'altro mezz'ora prima.
A parte le raccomandazioni di rito sul chiudere bene la porta di casa a chiave, guardarsi attorno mentre camminava per strada e simili, nel secondo le diceva che un articolo piuttosto allarmante nominava un Istituto accanto al suo per la presunta presenza di spacciatori. Era preoccupato per lei, ovviamente.
- Terrò gli occhi aperti, grazie - scrisse pian piano, non ancora abituata alla tastiera sullo schermo.
Stava bene con la sua vecchia cabina telefonica portatile, un gingillo di sei anni fa, ma l'uomo aveva insistito per comprarle a tutti i costi uno smartphone, e lei ci battagliava ogni santo giorno. Joel era una sorta di fratello maggiore/fidanzato/tutore, qualcuno che la supportava economicamente in cambio di appassionati incontri notturni senza pretendere un coinvolgimento emotivo. Poteva dirsi prostituzione? Forse, eppure Evangeline non credeva di svendersi per una cattiva causa.
Dopo un tremendo litigio con la madre, proprietaria di una casa di moda in collaborazione con Parigi, la biondina aveva lasciato le opprimenti mura domestiche per prendere in mano la sua vita, rinunciando agli agi che una famiglia benestante offriva. Niente più restrizioni, niente più ordini. Solo lei ed un futuro incerto, da costruire da zero con le proprie mani. All'inizio era stato difficile, certo. Gli alimenti di Lazarre bastavano a malapena per pagare l'affitto del bilocale nei quartieri bassi di Sheffield, e anche se la retta della Ellsworth era sempre a carico dei genitori, restavano tante piccole spese personali da sostenere, come il cibo, ad esempio. La notte in cui si era proposta come cameriera in un bar poco raccomandabile, conscia che le avrebbero chiesto molto più di una pinta di birra, Evangeline e Joel si erano riparati sotto la stessa tettoia, fradici dalla testa ai piedi. Lui era un uomo raffinato, vestito di tutto punto, lei una ragazzina intrappolata nel corpo di un'adulta, disposta a fare qualsiasi cosa, morale o meno, pur di raggiungere il suo obiettivo. Le chiacchiere erano sfociate in sguardi languidi, avvicinandoli uno all'altra fino a far sfiorare le loro mani. Vista dall'esterno doveva sembrare una scena romantica, ma l'atto che si era consumato nella camera da letto aveva ben poco di affettuoso, in realtà. Si era così instaurata una sorta di routine, un tacito accordo a vedersi purché Joel la pagasse per il disturbo. Le mandava un messaggio, decidevano luogo e ora dell'appuntamento, e la fine era analoga in ogni contesto, che fossero in un hotel, nella macchina dell'uomo o nel bagno di un pub.
Dalla sua, Evangeline poteva vantare un aspetto serafico ed innocente che sventava ogni dubbio sulla doppia vita condotta, oltre a doti di attrice invidiabili.
Nessuno avrebbe mai potuto sospettare che fosse abile sotto le coperte quanto fra i banchi di scuola.
Alla fermata di Nether Edge si sparse per l'abitacolo un soffocante odore dolciastro, che a contatto con l'aria umida e pesante divenne ancora più stomachevole. Sebbene Evangeline non fosse una fumatrice accanita, era abbastanza sicura che si trattasse di qualche spinello appena spento. Ne ebbe la conferma quando sentì l'autista rispedire sul marciapiede i malcapitati. Ne sopravvisse solo uno, che prese posto nella fila alla sua sinistra con l'espressione pacata di uno zombie.
Un po' lo capiva, visto com'era ridotto. La divisa scolastica era passata da un bluette ad un nero profondo a causa della doccia d'acqua piovana, ed i capelli gli stavano incollati alla fronte e le tempie, gocciolando sul sedile. Decise che ignorarlo era la cosa migliore da fare. Le parole crociate l'attiravano molto più di un ragazzino fradicio e scontroso, e le parve che la signora seduta lì accanto avesse bisogno di una mano.
« La seconda verticale è Impero » bisbigliò, e l'altra si diede della stupida per non esserci arrivata prima. A quell'ora tarda doveva essere difficile concentrarsi, poverina. Il suggerimento parve incoraggiarla a terminare le ultime caselle, lasciando Evangeline ad i suoi pensieri sconlusionati, mentre osservava il paesaggio scorrere fuori dal finestrino. Andavano piano, imbottigliati nel traffico, e imparò a memoria lo slogan pubblicitario di un cartellone appeso a lato della strada.
- Magari devo comprare degli stivali nuovi anche io - si disse, ipnotizzata dalla fanciulla di una nota marca di scarpe che li esibiva con orgoglio.
Fu allora che al cartellone si sovrappose il riflesso dei sedili, insieme al volto dello sconosciuto che la stava esaminando nemmeno avesse la vista a raggi x.
Alle molestie era abituata, ma non significava che dovesse subire in silenzio. La biondina fece per mettere una ciocca dietro l'orecchio, e nel farlo sollevò unicamente il dito medio. Piccoli messaggi subliminali per il seccatore in questione. Con sua sorpresa, anzichè scattare in piedi e tentare di picchiarla a sangue, il moccioso soffocò una risata, tornando a guardare davanti a sè. Cosa c'era di tanto divertente?
Evangeline archiviò il caso non appena la sua fermata fu in vista, e scese al piano inferiore dell'autobus ben attenta ad evitare qualsiasi contatto visivo con il pervertito. Doveva riconoscere che era una persona tenace, a cui non piaceva perdere. Le rimandò il gestaccio attraverso il finestrino con un ghigno vittorioso sulle labbra, e lei fu costretta ad ingoiare il rospo per la mancanza di mani libere.
Peccato non avere la stazza di Joel, l'avrebbe volentieri atterrato alla maniera dei wrestler.
Grazie a Dio la schiera di appartamenti di Fentonville Street non distava molto, con il rosso brillante dei mattoni sulle pareti a mo' di faro per i dispersi nell'alluvione. Gli inquilini erano studenti fuori sede o artisti falliti (il chitarrista del secondo piano era rimasto senza band dopo aver fregato le fidanzate di tutti), ognuno indaffarato a farsi gli affari proprio, quindi la privacy non era mai stata un problema. Evangeline conosceva a malapena il vicinato, passando solo poche ore della giornata a casa. In realtà si riteneva fortunata ad aver trovato un bilocale dall'affitto basso come quello, nonostante l'assenza di ascensore e quattro piani di scale da battere ogni volta. Le stanze si adattavano allo stile di vita della ragazza, offrendo grandi vetrate e una vista a trecentosessanta gradi della cupa Sheffield, insieme ad un balcone grande abbastanza da accogliere la giungla di piante che coltivava con maniacale attenzione. Gettò l'ombrello davanti alla porta e corse subito in loro soccorso, assalita dal vento e la pioggia insistente. I vasi strabordavano d'acqua, e i tre bonsai si facevano forza tra loro finché Evangeline li trascinava in un angolo più riparato. - Se abitassi a Royan queste cose non succederebbero -.
Notò le margherite troppo tardi, quando ormai giacevano sparpagliate a terra, e le venne quasi da piangere.
La città stessa sembrava ripudiarla, mettendole i bastoni tra le ruote in ogni modo possibile.
E mentre affrontava la tempesta per salvare le sue uniche amiche, il cellulare nello zaino suonava senza sosta, il nome di Joel a lampeggiare invano sul display.
Non lo richiamò, almeno, non subito, fradicia e vicina al tracollo. Non c'era spazio per lui nei residui di giornata che restavano, aveva bisogno di un po' di solitudine.
Ammirò la prepotenza del temporale abbattersi su Sheffield dal divano-letto dove si era sdraiata, i capelli ancora umidi per la doccia e le braccia strette intorno allo stomaco, punto che le doleva in risposta all'ammontare di stress appena affrontato. Prima o poi se ne sarebbe andata da quel buco d'inferno, a costo di vivere per sempre sotto un ponte. Tutto ciò che le serviva era il sole sulla pelle e l'erba sotto ai piedi, nient'altro.
« E vaffanculo anche a quel cretino » borbottò, ricordando la sfacciataggine del tipo sull'autobus.
Avrebbe avuto la sua vendetta, poco ma sicuro.
{ Author's Note }
Il personaggio di Evangeline è difficile da inquadrare, ma penso si sia capito che è una regina di ghiaccio, as I like it.
Capitolo un po' spoglio, lo ammetto... Spero di riuscire a scrivere decentemente in futuro ._.
Ci vediamo nel prossimo, dove si ritroverranno tutti nel fatidico pub!
Colgo l'occasione per ringraziare herflowers del gentilissimo commento, e allemari per aver aggiunto la storia tra le "ricordate".
PS: la storia contiene riferimenti reali (nome delle vie, dei negozi ecc), insieme a modifiche da me apportate per far funzionare il tutto. Di seguito vi elenco un po' di link illuminanti.
- Ellsworth Institute: di mia invenzione. Per l'aspetto mi sono ispirata alla Cattedrale di Norwich.
- Wetherby Institute: idem come sopra. Me lo immagino più o meno come il Leeds City Museum.
- Sheffield Telegraph: esiste davvero, ed è stato fondato nel 1855. L'edificio, dall'esterno, appare così.
- Fentonville Street: una zona abbastanza scialba di Sheffield. Dall'esterno, immagino il complesso di appartamenti così,
mentre queste sono le immagini da cui ho preso spunto per la casa di Evangeline: 1 2 3
Much love as always, people ♡ |
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Capitolo 3 *** A man who lies about beer makes enemies. ***
13
Ottobre, sabato - Sheffield (Milton St.)
Marshall
osservò il fumo della sigaretta risalire in lente spire
verso il soffitto, perdendosi tra le figure che disegnava come stesse
giocando ad indovinare le forme nelle nuvole. Niente pecore o orsetti,
per lui erano tutti serpenti, indifferentemente dalla lunghezza e la
larghezza.
Il
telefono lì accanto fece vibrare l'intero
materasso un paio di volte prima che si decidesse a rispondere.
«
No » disse, senza nemmeno dover sentire la
domanda. La voce lamentosa di Luke dall'altro capo gli
strappò un sorrisetto.
Era
un piacere sentirlo andare nel panico, per quanto sadico. «
Ti prego, non darmi buca anche tu! ».
«
Anche? A quanta gente hai chiesto? ».
«
Tre persone, ma chi se ne frega. Ascolta, mi hanno parlato di questo
pub dove non chiedono la carta d'identità, volevo andarci
stasera ».
Il
ragazzo sbuffò sonoramente, guardando la pioggia cadere a
secchiate oltre la finestra.
Aveva
bocciato tutte le proposte, quel pomeriggio, di uomini o donne che
fossero.
La
pioggia lo deprimeva in ogni periodo dell'anno, ma ad ottobre era
più insopportabile, dato che la ricollegava al giorno in cui
il funerale del padre era stato sospeso a causa di un forte temporale.
Lui era rimasto a prendersi tutta l'acqua che, impietosa, si abbatteva
dal cielo, mentre la madre recitava le ultime preghiere nella piccola
cappella del quartiere. I giorni passati in ospedale per una
broncopolmonite non erano bastati a tenerlo lontano dal cimitero.
«
Dov'è? » chiese, senza un briciolo di entusiasmo.
Quando
Luke gli comunicò che sarebbero dovuti andare fino a
Withwell gli salì la nausea. « Mezz'ora di strada
non me la faccio. Ho la birra in frigo ».
«
Sì, quella da due sterline del tizio che ti abita sotto, ed
è pure in lattina. Un affare ».
Okay,
l'amico lo avrebbe tartassato fino ad un responso positivo, e Dio solo
sapeva quanto fosse testardo. Mosso da compassione, Marshall
accettò solo dopo avergli fatto promettere che non ci
avrebbe messo un centesimo, anche considerando il biglietto dei due
autobus che dovevano prendere per arrivare al quartiere fuori
Sheffield. La sua paghetta, al momento, era dell'irrisoria cifra di
venti sterline al mese, che la madre si sudava con un sacco di ore
filate da Marks&Spencer. La
situazione economica dei due l'aveva reso più tirchio di
quanto già non fosse. I
compari si accordarono sul punto d'incontro e l'orario, che secondo i
calcoli del moro prevedeva l'arrivo attorno alle nove e trenta di sera,
poi Luke elencò tutte le birre nella sua wishlist e Marshall
mise il pilota automatico, posando il cellulare accanto all'orecchio
senza ascoltare davvero. Era proprio il ritratto della
vitalità, nulla da dire. A
diciotto anni i giovani si svagavano in ogni modo possibile (legale e
non), affollando locali notturni, pub, ristoranti, e lui se ne stava
sdraiato a fissare il vuoto con una sigaretta che andava consumandosi
pian piano, il posacenere sul torace a raccoglierne i residui. Aveva
sempre sostenuto di essere vecchio nell’animo, lo confermava
il mal di schiena e la memoria corta. « Allora ci vediamo
alle otto ». Colse solo l’ultima parte di un
lunghissimo discorso, quella fondamentale, e chiuse la chiamata con un
sospiro di sollievo. Luke rappresentava l’ideale di amico
perfetto, ma ogni tanto sapeva essere pesante come un macigno. Quando
si perdeva nelle sue fantasie, poi, non vi era scampo.
-
E andiamo a prendere ‘sta birra -.
Guardare
la pioggia attraverso un vetro e beccarsela dritta in testa erano due
cose ben diverse. Al posto di un cappuccio, riflettè
Marshall, sarebbe stato utile un elmetto, e del compare nessuna
traccia. L’autobus per Withwell attraversava la
città per il lungo, quindi fra traffico e maltempo raramente
rispettava gli orari, ma questo non era un motivo valido per tardare di
dieci minuti. La sagoma imponente di Luke si stagliò
all’orizzonte dopo diverse imprecazioni da parte del ragazzo,
che ripetè ad alta voce non appena vide il visetto
impertinente di Amanda fare capolino da un ombrello color arcobaleno al
suo fianco. « Una cagna ti sta seguendo, te ne sei accorto?
» sibilò, prima di scansare uno schiaffo diretto
alla guancia.
La
tenera fanciulla elencò una serie di
aggettivi per descrivelo, tra cui “merdaccia”
e “bastardo
schifoso”,
mentre Luke ancora si domandava dove avesse sbagliato. « Ti
avevo detto che sarebbe venuta anche lei ».
Ah,
si era perso un pezzo importante della storia, alla fine.
Finché il ragazzone fungeva da divisorio, Marshall poteva
tollerare la sua presenza per qualche minuto in più, forse
addirittura un’ora, ma promise a sé stesso di
dileguarsi non appena le cose si fossero fatte insostenibili. Amanda
reagiva all’alcool come un ninfomane rispondeva agli
afrodisiaci. In pratica sembrava sempre
ubriaca. I tre aspettarono l’autobus in silenzio, lanciandosi
occhiataccie di traverso e tenendosi il muso, e una volta saliti a
bordo presero direzioni diverse. Marshall puntò al piano di
sopra, quello che preferiva, e l’improvvisata coppietta
scelse il posto più discreto dove poter pomiciare in pace.
Luke
aveva la testa altrove, inutile negarlo, ma il modo migliore per
dimenticare una sbandata era tenere i pensieri occupati con altre
distrazioni.
Che
fosse il caso di dirgli che la biondina aveva un
pessimo carattere? L’ingiustificato dito medio ancora
bruciava, nonostante fosse riuscito a vendicarsi. Gli dava i nervi, non
poteva farci niente. L’aria da santarellina e lo sprezzo nei
confronti degli stolti popolani che la circondavano la rendeva lo
stereotipo perfetto di bambina viziata. Chissà come mai si
era disonorata prendendo un mezzo pubblico. Poco importava. Se mai
l’amico fosse riuscito a frequentarla, in un futuro
ipotetico, si sarebbe accorto da solo del tempo buttato nel correre
dietro ad una regina dei ghiacci. Nella zona di Withwell la pioggia era
meno fitta che in città, quasi sopportabile, e rese la
passeggiata fino al bar vagamente sopportabile.
«
Boot & Shoe? » domandò Marshall una volta
arrivati davanti al locale in pieno stile scozzese, con botti scure
ricolme di fiori ad adornare l’esterno ed
un’insegna dorata su sfondo verde comune a tante altre. Luke
annuì, gonfio di orgoglio, e indicò il listino
appeso fuori per fargli leggere tutte le varietà di birre
che offriva. Su una lavagnetta accanto alla porta sponsorizzavano una
degustazione di vini francesi, ma grazie a Dio si sarebbe tenuta il
giorno dopo. « Se guardi dentro ci trovi tutta gente della
nostra età » continuò il gigante buono,
scandagliando la sala con meno interesse di Amanda, che prediligeva
solo gli individui di una certa levatura e di sesso maschile.
« Ah, c’è un bel gruppo di uomini in
giacca e cravatta, laggiù ». Luke
spostò lo sguardo verso la coppia di divani che ospitava dei
personaggi abbastanza distinti, presi a chiacchierare e ridere mentre
facevano ondeggiare ciascuno la propria sigaretta, poi
l’attenzione ricadde sulla cameriera che posò sul
loro tavolo quattro boccali, e rimase completamente paralizzato. Fu
come osservare una pentola a pressione: un fischio assordante ed
un’esplosione di vapore. « Marsh, è lei!
Oddio, non ci credo! L’hai vista? Ma che fortuna sfacciata!
». Marshall sperò che non lo facesse, e invece gli
saltò al collo nemmeno pesasse venti chili, stringendolo in
una morsa soffocante. Purtroppo per tutti non si era sbagliato, la
biondina corrispondeva ai ricordi della giornata
sull’autobus, solo che da così distante era
impossibile dire se ci avessero azzeccato o meno, e per di
più il contesto suonava sbagliato. Una riccastra che faceva
la cameriera in un pub?
«
Quando avete finito entriamo, magari » sbottò la
ragazza, ormai ridotta a terzo incomodo. Trascinare Luke nel locale fu
anche più difficile che metterlo a tacere, purtroppo.
Vennero accolti dalla seconda cameriera, un tipetto pieno di lentiggini
ed il rossetto di uno stravagante color vinaccia, che li
deviò verso la sala di destra, un tripudio di schiamazzi,
parole volgari e visi accaldati. La voce che non chiedessero la carta
d’identità doveva essersi sparsa per tutta
Sheffield, dato che Amanda riconobbe e salutò calorosamente
diversi ragazzi che non potevano avere più di
vent’anni.
Marshall
spinse il compare verso un tavolo libero a due passi dal bancone,
esperienza molto simile al far rotolare un masso in salita, dato che
non smetteva per un secondo di lanciare occhiate ovunque, tranne
davanti a sé. « Sei imbarazzante »
disse, una volta seduti, « ti scambierà per il
solito maniaco che ci prova ». «
Ma di chi parlate? ». Amanda, ovviamente, non poteva non
avere voce in capitolo. Intercettò la figura minuta della
vittima e le fece un check completo, accompagnata dalle accurate
descrizioni di Luke, tipo speaker di un documentario.
«
Complimenti, bei gusti del cazzo » commentò alla
fine dell’esame, irritata per essersi fatta rubare la scena
da una persona tanto insignificante. « Pensavo ti piacessero
le tette grandi. Quella è piatta come questo tavolo
». Poteva infamarla all’infinito, ormai il
ragazzone aveva già l’anello di fidanzamento in
mano. La cameriera si presentò con il nome di Wellsie, ed
elencò loro le birre più economiche del
menù per risparmiare ai tre la fatica di leggere ogni
singola pagina. La clientela media del sabato sera non arrivava mai
fino in fondo, probabilmente, ed il tasso alcolemico assicurava
comunque un po’ di sballo. « Scusa, potresti farci
servire dall’altra ragazza? Al mio amico piace un sacco
» esordì Luke, prendendo sotto braccio
l’innocente capro espiatorio che per la seconda volta veniva
chiamato in causa. Wellsie trovò la cosa abbastanza
divertente da acconsentire, provocando così un secondo
effetto “pentola a pressione” che fece perdere le
staffe all’unica star della serata. Amanda fu abbastanza
furba da liquidare i compagni di classe per aggregarsi al tavolo
accanto, dove la accolsero fischi e apprezzamenti circa
l’orlo del reggiseno in vista e le calze a rete bucate.
«
Dio, ti ringrazio ». Marshall non pregava spesso, ma
l’occasione lo richiedeva. Ora che il chihuahua si era levato
di mezzo poteva concentrarsi sulle cose importanti. «
Buonasera » disse la cameriera bionda, nonché
apparizione di Luke. Il suo sorriso aveva davvero un che di angelico,
insieme a un paio di occhi chiari ed il viso pulito di chi non badava
troppo alle apparenze. Portava i capelli legati in una coda alta,
nessuna collana o bracciale ad arricchire la divisa del locale (un
semplice grembiule verde). Aveva il block notes pronto in mano, in
attesa del loro ordine. Il gigante fece la sua magra figura,
osservandola a bocca spalancata per un attimo abbastanza lungo da
potersi definire imbarazzante, e si riprese solo grazie ad un calcio di
Marshall.
«
Ah, uhm... buonasera! Io prendo una bionda da litro »
balbettò, con una frase a doppio senso che non fece
scomporre minimamente la cameriera. Si apprestò ad appuntare
l’ordine e rivolgere a Marshall uno sguardo privo di
qualsiasi emozione, quel maledetto sorriso a prenderlo per i fondelli.
«
Una rossa. Le bionde non fanno per me ». Credeva che quella
provocazione l’avrebbe quantomeno offesa, e invece la
santarellina non cambiò espressione. « Oggi
offriamo un assaggio della nuova Red
Erik
». Aprì il listino sulla pagina delle birre e lo
voltò nella direzione di lui, usando il solo dito medio per
indicargli le due varietà a disposizione.
«
Questa e questa qui, leggermente più amara. Vuoi provarle?
».
Era
brava a giocare sporco, altroché suora di campagna. Marshall
le rivolse un’occhiata poco amichevole e rispose per le rime,
puntando allo stesso modo quella che aveva scelto. « Amara va
benissimo ». Luke seguì lo scambio di battute e
attese che la ragazza se ne andasse per bisbigliare all’amico
che da vicino era ancora più bella, facendosi aria con la
mano e sbottonando il colletto della camicia. Aveva una strana
concezione della parola “finzione”, tonto
com’era. Meglio aprirgli gli occhi prima che accadesse
l’irreparabile. « Non ci arrivi, vero? Sta
prendendo tutti per il culo, te incluso ».
«
Ehi, ha fatto il suo lavoro e basta, non ci ha minacciati con un
coltello ».
«
Lo so, lo so, ma ti sono sfuggiti dei particolari che... ».
Il
vassoio atterrò sul tavolo con un tonfo, facendo tintinnare
i due bicchieri che la cameriera spostò davanti ai clienti,
lasciando anche una ciotola di arachidi e qualche oliva. Serafica come
al solito, augurò una buona serata ad entrambi e
tornò in cucina, con Luke che ne seguiva i movimenti tipo
cobra al suono del flauto. «
Io lo so che c’è del veleno nel mio bicchiere
» accusò Marshall, rigirando il liquido scuro che
si intravedeva attraverso la coltre di schiuma. Di donne ne conosceva
di tutti i tipi, e lei sembrava quella che si vendicava nei modi
più subdoli pur di averla vinta. Magari aveva sputato nella
birra. La saliva si cammuffava bene lì in mezzo.
«
Stai diventando paranoico ». Nulla avrebbe potuto distruggere
il buonumore di Luke, inutile parlarci. Era rinchiuso nella sua bolla
di sogni astratti e lì sarebbe rimasto, fino alla chiusura
del locale. « A me piace. Dammi un po’ di supporto
».
Gli
stava chiedendo di gettarlo nella tana della tigre con una bistecca
legata in cintura, praticamente. « Come ti pare. Non voglio
essere complice di un suicidio ». Marshall
abbassò lo sguardo sulla ciotolina delle olive per
disperazione (difficile sostituirle con qualche strana bacca
verdognola), e rimase di sasso nel vedere la piccola composizione a lui
riservata: cinque stuzzicadenti infilzati in fila indiana, di cui solo
il terzo stava perfettamente eretto. In bilico tra
l’incazzatura ed una sonora risata, il moro optò
per mangiare quell’unico bastoncino che saltava subito
all’occhio, intercettando la figura minuta della cameriera
mentre passava nell’altra sala.
Aveva
un paio d’ore per elaborare un’umiliazione degna di
tale nome, e non se ne sarebbe andato finché la biondina non
avesse imparato la lezione.
Ogni
tanto era bello potersi sfogare sui clienti. Evangeline
guardò dall’oblò della cucina la
reazione estremamente soddisfacente del teppista alla sua opera
d’arte, intitolata “Vaffanculo
in salamoia”. Non
le piaceva perdere, in fondo. Il cuoco le passò delle
profumatissime fette di garlic
bread,
il bigliettino sul vassoio che recava il numero due. Joel e i suoi
colleghi stavano mangiando e bevendo senza freni, forse per festeggiare
qualcosa.
Non
aveva avuto tempo di leggere gli ultimi messaggi
dell’uomo, assorbita com’era dal lavoro.
« Ecco qui, ragazzi » disse, una volta arrivata al
tavolo. Passò davanti a Joel di proposito, i loro visi
così vicini che voltandosi appena avrebbe potuto sfiorare
con le labbra la barba incolta sulla sua guancia. I colleghi si
avventarono sul cibo come digiunassero da giorni, approfittando della
sua presenza per chiedere il secondo (o terzo), giro di birra della
serata. Lei annuì con il solito sorriso impostato,
raccattando i bicchieri vuoti per far posto a quelli nuovi, e
l’uomo glieli passò uno ad uno, non mancando di
sfiorarle le dita ogni volta. Era estremamente affettuoso per essere
già sulla trentina e con un matrimonio alle spalle.
Evangeline credeva che dopo tante delusioni si sarebbe stancato di
dispensare amore e attenzioni verso il prossimo, ma purtroppo non era
così. A volte un abbraccio le faceva comodo, il sesso con
lui era più che soddisfacente, ma lei stava bene da sola. Si
erano conosciuti nell’unico periodo in cui sentiva di aver
bisogno di qualcuno, ed era durato poco più di un mese.
Il
turno della cameriera trascorse a rilento, con occhiate da parte del
compagno di letto, di quella coppia bizzarra di teppisti e di una
ragazza che non mancava di far cadere cose dal tavolo al suo passaggio.
Sembrava una congiura ordita alle sue spalle.
Il
locale iniziò a svuotarsi solo a mezzanotte inoltrata,
quando ormai Evangeline aveva i nervi a pezzi e le dolevano gli angoli
della bocca per i troppi sorrisi forzati. Passò in modo
metodico le superfici dei tavoli sgombri, gli occhi fissi
sull’alone umido lasciato dalla spugna che talvolta correvano
all’orologio appeso accanto all’ingresso. Joel
aveva detto che l’avrebbe aspettata fuori, anche se dalle
finestre non gli sembrava di scorgere la sua sagoma. -
Avrei preferito andare da sola .- Era
tardi per montare su un autobus e sperare di arrivare illesa, senza
nemmeno una palpatina al didietro o qualche commento sconcio, ma in
quel momento desiderava solo buttarsi a letto e dormire fino a sembrare
morta. « Evie, il secchio! » gridò
Wellsie dalla cucina, indicandole il ragazzone che barcollava fuori con
il sostegno dell’amico teppista. Okay, una nuova sfida per il
suo stomaco di ferro. Quante birre si era fatto portare? Quattro?
Cinque?
Ed
ecco tutti i suoi soldi che finivano sul bel praticello
all’inglese fuori dal pub. Non fu abbastanza svelta, il tipo
riversò ventidue sterline di alcolici pregiati proprio sopra
al cespuglio di rose. Guardò la scena da un metro di
distanza, il secchio abbandonato mollemente nella mano ed un
sopracciglio inarcato. Magari sarebbe nata una nuova varietà
di rosa, una “Rosaceae
Vomitum”
unica
nel suo genere, ma ne dubitava. Il teppista si accorse di lei con
qualche minuto di ritardo, squadrandola da sotto in su come a voler
dire “che
hai da guardare?”
finché l’altro sputava gli ultimi residui con un
colpo di tosse. La presenza di Evangeline sembrò fungere da
anti-sbronza istantaneo, il gigante si risollevò
immediatamente sfregando la bocca contro la manica. « Oddio,
scusa tanto. Di solito resisto fino a casa... ». Aveva un
atteggiamento troppo tenero per essere frainteso, nonostante la bocca
impastata dalla bile e le gote arrossate. Che fosse una marionetta
nelle mani del moro vicino a lui? La ragazza sospirò e gli
porse il secchio, incapace di guardare in che stato fosse ridotto il
cespuglio cresciuto con amore fino a quel giorno.
«
Non preoccuparti. Pensi che ti servirà ancora? ».
«
No no, sono a secco ormai! ». Pareva quasi vantarsene, un
bambino che esibisce la pagella perfetta ai genitori. « Ah,
pulisco io. C’è dell’acqua? ».
La
cameriera gli indicò la pompa nascosta dietro ad una
piramide di barili, la stessa che usava per innaffiare le piante e
lavare l’ingresso, ma non appena il gigante buono fece per
raggiungerla si piegò in due e vomitò il resto.
Il compare imprecò così sonoramente da far uscire
anche Wellsie, che forse temeva per l’incolumità
della collega.
«
Dammi, faccio io » borbottò, allungando la mano
verso il secchio. Non capiva se fosse una persona gentile nascosta
dietro ad una maschera da stronzo, oppure se fosse nel suo carattere
regalare occhiatacce a destra e manca. « Piaciuto il finger
food? » gli chiese, un sorriso angelico progettato
appositamente per irritarlo, e l’altro le strappò
via il secchio senza aggiungere nulla. Lo sguardo assassino parlava da
sé.
{
Author's Note }
Mi rendo conto che è
passato un sacco di tempo, chiedo immensamente scusa. (dopo tutta
l'attesa non è nemmeno un granché).
Grazie a chi, come herflowers
, ha sempre la pazienza di recensire, e grazie anche a Giu_LS
per aver aggiunto la storia tra i seguiti.
A presto (si spera), much love!
|
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Capitolo 4 *** I don't want to be alone, I want to be left alone. ***
C’era
qualcosa di incredibilmente soddisfacente nel lavarsi via il vomito
dalle scarpe.
Il
modo in cui l’acqua della pompa ripuliva tutto in un attimo
faceva sentire Marshall una persona migliore,
sebbene
non potesse salvare anche i pantaloni.
«
Scusa, fratello » mormorò il tristissimo Luke
accanto a lui, mentre entrambi attendevano l’arrivo
dell’ultimo autobus.
La
cameriera aveva dato loro un sacchetto di plastica per le emergenze ed
una bottiglietta di acqua tonica, con quel maledetto sorriso da santa
che mandava in bestia il moro. Lo faceva apposta a tormentarlo,
l’unico che non si accorgeva di nulla era l’ignara
vittima di un metro e ottantacinque seduta lì vicino, che
rigirava la bottiglia tra le mani come fosse un diamante inestimabile.
« La terrò come ricordo del nostro primo incontro.
Magari potrei farne un vaso per i fiori! ».
«
Quelli che hai ricoperto di vomito? ». La sua espressione la
diceva lunga sul senso di colpa che provava, al contrario di Marshall.
Amanda Newport sbucò dal nulla proprio quando i fari
dell’autobus illuminarono la strada, arricciando il naso nel
sentire la puzza di alcool stantio sui due. « Fate proprio
schifo » commentò, le mani affondate nella
borsetta alla ricerca di una spazzola. Sembrava appena tornata da un
rave party, con il mascara che colava dagli angoli degli occhi, il
rossetto sbavato e i capelli che da mossi e vaporosi si erano ridotti
ad una zazzera indefinita.
Prese
posto un sedile avanti a loro ed iniziò la fase di restauro,
guardando Marshall attraverso lo specchietto che reggeva.
«
Era a te che piaceva la bionda insulsa? »
«
No. »
«
Sì! » lo corresse Luke, dandogli di gomito.
«
Vi interesserà sapere che stava limonando con un tipo tutto
in ghingheri. »
C’erano
volte in cui Marshall contemplava l'idea di far sparire il suo cadavere
sul fondo di qualche canale di scolo, altre in cui una pedata nel
sedere poteva soddisfarlo. Bene, quella era la volta da canale di scolo.
Il
gigante strinse la bottiglietta fino ad accartocciarla, forse senza
rendersene conto, e lui gliela sfilò di mano prima che
spargesse acqua tonica ovunque.
«
Sicura che fosse lei? »
La
rossa chiuse lo specchietto con un secco
click
e annuì, per poi passare al fard.
«
Boh, credo. Le luci in macchina si sono spente quasi subito. »
Aveva
dato a Luke informazioni sufficienti per tormentarsi da lì
fino al mese successivo, e il verdognolo della sua carnagione
sfumò verso un bordeaux scuro quando prese a pugni il palo
dell’autobus. Difficile dire se fosse frustrato o deluso. Il
viaggio proseguì in assoluto silenzio, tranne quando Amanda
telefonò ad un tipo conosciuto la sera stessa per invitarlo
a fare un giro al Ponderosa,
un parco noto per le fughe amorose degli adolescenti.
«
Potevo chiederle il numero » disse Luke
all’improvviso, strappando uno sbuffo esausto
all’amico.
«
Ormai mi conosce. Se la aspetto fuori da scuola... »
«
Ti snobberà, come ha sempre fatto. »
«
Non puoi saperlo. Hai visto com’è stata gentile
questa sera. »
«
Ovvio, deve tenersi buoni i clienti. » Luke gettò
bottiglia e sacchetto sul sedile e andò a parlare con
l’autista, improvvisando un malore perchè lo
facesse scendere venti minuti prima dell’effettiva fermata.
Beh,
ormai si era liberato di tutto l’alcool che aveva in corpo -
o almeno sperava - non correva rischi e sapeva la strada di casa.
L’unico rimpianto di Marshall fu quello di non averlo seguito
a ruota, perchè Amanda aveva appena spruzzato sul collo una
quantità illegale di profumo alla vaniglia.
Affondò il naso nel colletto della felpa per non dare di
stomaco, e la ragazza sghignazzò. « Preferivi l’eau
de vomitou?
Senza offesa, perdente, ma le tipe che frequenti tu ne usano di
peggiori. »
«
Ma che ne sai » ringhiò, contando con ansia
crescente le fermate che lo separavano da casa. Lei si voltò
nella sua direzione con un sorriso furbesco sulle labbra lucide di
glitter. « Le voci girano. Myriam usa quello da nove sterline
del supermercato. Oh, e giusto perchè tu lo sappia, i bagni
non sono insonorizzati ».
Diamine,
peggio che avere una spia constantemente attaccata al posteriore, e il
nome Myriam non gli ricordava niente.
In
generale le ragazze profumavano sempre, non faceva differenza il sapore
che sentiva in bocca quando baciava loro il collo, ma la vaniglia non
riusciva ad affrontarla. Un po’ come non poteva affrontare
Amanda all’una di notte, con la birra che vorticava nello
stomaco tipo centrifuga e un gran fastidio alle tempie.
Riuscì a sfuggire alle sue indagini poco dopo, schizzando
via dal mezzo prima che lo placcasse con altri discorsi a vuoto.
Mentre
si chiudeva il penoso teatrino fuori dal pub, Joel consumava la
sigaretta da dentro l’auto parcheggiata.
Aveva
reclinato entrambi i sedili sul retro, e la radio mandava una canzone
degli Oasis che lui odiava, ma piacevano ad Evangeline, quindi
alzò il volume a mo’ di richiamo. Accolse
l’arrivo della bionda con un sorriso sinceramente sollevato.
«
Hai fatto tardi » disse, soffiando fuori il fumo dal
finestrino abbassato, « altri problemi con gli ubriachi?
».
La
ragazza annuì, con le mani appiccicate alle bocchette
dell’aria in cerca di calore e la testa a seguire il ritmo di
Wonderwall.
Joel accese la macchina e l’aria tiepida uscì con
uno sbuffo, portando con sé il profumo fresco
dell’arbre magique e quello tipico delle auto nuove, pelle e
plastica insieme. L’aveva acquistata di recente, subito dopo
la promozione sul lavoro, e somigliava a quei suburban americani su cui
le donne dicevano di sentirsi più sicure. Non gli aveva mai
chiesto se la scelta dei vetri oscurati fosse stata casuale o ben
mirata, viste le volte in cui consumavano qualche minuto insieme
lì dentro su sua richiesta. Evangeline continuò a
canticchiare finché frugava nel borsone con il cambio di
vestiti, estraendo una bottiglietta d’acqua in cui aveva
spinto una fetta di limone per esorcizzare la pessima Coca-Cola sgasata
che offriva il pub. « Hai bevuto. Non dovresti guidare.
»
Joel
fece spallucce. « Meno di quello che pensi. E poi non volevo
partire subito. »
La
mano dell’uomo le avvolse completamente il ginocchio, e solo
allora Evangeline notò i sedili sdraiati dietro di loro,
già pronti ad accoglierli.
«
Vuoi... adesso? »
«
Adesso. »
Il
mozzicone di sigaretta scivolò fuori dal finestrino, un
piccolo bagliore che si spense a contatto con lo sterrato, e Joel aveva
ancora un rivolo di fumo in bocca quando la baciò. Sapeva di
nicotina e birra, ciò che si sarebbe aspettata da un
qualsiasi esemplare di sesso maschile della sua età, con la
barba che le pungeva gli angoli della bocca e la stessa mano
incriminata a vagare più su, sulla coscia, sul bottone dei
jeans, sulla pelle bollente che trovò infilandosi sotto al
pullover.
Il
freno a mano li divideva come un muro invisibile, ma molto, molto
fastidioso, ed entrambi sgusciarono sul giaciglio posteriore, la luce
che da fioca si spegneva del tutto, gettandoli nel buio intimo e
segreto del suv.
Forse
era stato l’alcool a mettere fretta a Joel. Forse
quell’unico giorno di astinenza l’aveva rovinato al
punto da saltare la maggior parte dei preliminari. Evangeline
poté riprendere fiato solo quando l’uomo si
concentrò sulla cintura dei suoi pantaloni, che
calò insieme ai boxer in un gesto spazientito prima di
dedicarsi agli slip di lei.
Faceva
freddo. I vestiti diminuivano, il calore febbrile del momento era
illusorio. Bruciava, ma non scaldava.
Evangeline
trattenne un gemito nel sentire due dita scivolare nella sua
intimità, esperte, bramose, impazienti.
«
Evie » sussurrò l’amante, la voce
arrocchita dal desiderio. Ora era in bilico su di lei, solo un gomito a
sostenerlo, mentre l’altro braccio teneva i fianchi della
ragazza sollevati contro il membro eretto.
Avrebbe
voluto dirgli di fermarsi, di lasciar perdere, di riportarla a casa e
magari scambiare qualche parola lungo il tragitto. Non agognava a quei
momenti con la stessa foga, i versi che soffocava contro la sua spalla
nuda nascondevano una sofferenza che sul momento si mescolava ad ansiti
di piacere, di comune accordo con le spinte invasive e crescenti.
Non
provava nulla. L’apice del piacere pareva distante come un
sogno.
Dalla
radio Noel Gallagher cantava di strade perdute e luci accecanti, di
un’unica persona che poteva salvarlo.
Le
ultime parole si persero in un’imprecazione a denti stretti
mentre Joel usciva da lei, liberandosi sul ventre piatto e su buona
parte del pullover. « Oh, merda... scusa »
farfugliò senza fiato, baciandola con trasporto nella
speranza che quell’unico gesto bastasse a scagionarlo.
Evangeline
scosse appena il capo, poiché davvero non le importava.
Voleva
togliere in fretta tutti i vestiti impregnati di fumo ed umore,
indossare qualcosa che sapesse solo di lei, entrare in una casa dove
regnava sovrana, dove il cuscino aveva il profumo del suo shampoo e
nient’altro.
Voleva
stare da sola.
Si
ripulì con un fazzoletto mentre il suv attraversava le
strade deserte, una mano a tamponare il maglione e l’altra
intrecciata a quella di Joel, sul cambio. A lui gli Oasis non
piacevano, eppure cantava ugualmente quando era di buonumore. Non si
era accorto dello sguardo spento della ragazza, della fatica con cui
gli sorrideva.
Era
accecato da un amore stupido, infantile, e non gli importava.
Di
quella fatidica cosa importante di cui voleva parlare non se ne fece
menzione, quando Evangeline si aspettava che il loro incontro vertesse
unicamente su quello, anziché su del sesso frettoloso.
Meglio così, non era in vena di dichiarazioni o scene
drammatiche dopo la mezzanotte.
Evangeline
gli chiese di lasciarla in una traversa di Fentonville Street per
evitare pettegolezzi da parte dei vicini, sebbene fossero per la
maggior parte giovani e menefreghisti. Le serviva un pretesto per
uscire da quella macchina e sgranchirsi le gambe. Prese le cinquanta
sterline che Joel le allungò, accartocciandole nella tasca
posteriore dei jeans, e posò un bacio frettoloso sulla
guancia dell’uomo.
«
Sei una benedizione, sul serio » mormorò tra i
suoi capelli spettinati, sfuggiti alla presa dell’elastico, e
lei concentrò le ultime energie rimaste per sorridere di
nuovo. Una volta rimasta sola sul marciapiede riprese a respirare
veramente, a pieni polmoni, nonostante l’aria puzzasse di
fogna e terra umida.
Ci
avrebbe dato un taglio molto presto, giusto il tempo di racimolare
altri soldi extra e terminare gli studi, poi sarebbe stata libera.
Richiuse il cappotto per nascondere la macchia rappresa,
caricò il borsone su una spalla e prese a camminare piano
verso casa, con la sgradevole sensazione di bagnato tra le gambe che
non se ne andava.
Prima
di lasciarla, Joel si era assicurato che non vi fossero brutti ceffi
nei paraggi, ma non poteva mettersi ad ispezionare ogni angolo di
Sheffield. Gli era sfuggito un vicoletto adibito a deposito di rifiuti,
proprio dietro al negozio di frutta e verdura, dove qualcuno rigettava
i resti di una cena finita in tragedia. Niente di nuovo, i ragazzi
della zona facevano spesso pub
crawl*
e non si aspettavano di tornare a casa sulle loro gambe, con le
interiora al posto giusto, ma l’imprecazione che
seguì le sembrò stranamente familiare.
Evangeline
si tenne a debita distanza, usando la torcia del cellulare per far luce
sul povero disgraziato che al momento era impegnato a prendere a
testate il muro. Si sentiva un po’ come quelle protagoniste
dei film horror - era anche bionda -
che
sapeva dove risiedeva il pericolo e avanzava comunque per il bene
dell’intera trama.
Doveva
decidere se fosse un caso da ambulanza o da polizia, o se battere in
ritirata e fingere di non aver visto nulla.
Era
già pronta a fare dietro front quando il ragazzone si
voltò verso di lei, gli occhi stretti per la luce diretta, e
riconobbe i ricci fitti del tipo del pub. Era una persecuzione, insomma.
«
Tutto bene? » chiese, intuendo la risposta.
L’ubriaco elaborò la situazione in dieci
espressioni diverse, fino a culminare con una faccia da miracolato a
cui era apparsa la Madonna in persona.
«
Io... sì, bene. Benissimo. »
Se
quello era il suo benissimo
non poteva immaginare in che stato si riducesse quando stava male.
«
Vuoi che chiami qualcuno? »
«
No no, ora mi passa! » si affrettò a dire,
raddrizzando la schiena e sguasciando fuori dalle ombre del vicolo.
Beh,
era oggettivamente un disastro. Ebbe giusto la decenza di non
avvicinarsi troppo.
Sbronza
storica a parte, sembrava raggiante come un bimbo la notte di Natale,
comunque.
«
Stavo venendo a cercarti. Volevo chiederti... oh no, non guardarmi
così! Non sono uno stalker! »
Difficile
credergli sulla parola. Evangeline aveva la chiamata pronta sul numero
della polizia.
Il
ragazzo sibilò una parolaccia rivolta a chissà
chi, intento a stropicciarsi il viso, e più che uno stalker
ricordava un serial killer psicotico indeciso sulla prossima mossa.
«
Ti volevo chiedere se stavi con qualcuno, sempre per quel mio
amico...»
Era
sbronzo, era giovane, ed era un pessimo bugiardo. L’amico in
questione l’aveva trattata da stupida per tutta la sera, non
aveva letto chissà quali sentimenti tra le righe.
La
bionda sospirò, mani sui fianchi e borsone a pochi
centimetri da terra, dissentendo.
«
No. Al momento non vorrei impegnarmi con nessuno. »
Pessimo
bugiardo e pessimo attore. Gli si leggeva lo sconforto a chilometri di
distanza.
Niente
a che vedere con i sorrisi falsi di Evangeline, che erano roba da oscar.
«
Posso... vorrei almeno sapere come ti chiami. Per il mio amico.
»
«
Evangeline » replicò in un respiro, «
Evie va bene. So che è difficile da pronunciare. »
«
Io sono Luke. Vado al
Wetherby
» Le porse la mano di getto, per poi ritrarla immediatamente
e pulirla sulla maglietta. Non che facesse questa gran differenza, ma
apprezzava il tentativo.
Era
proprio vero che il Wetherby
sfornava casi umani, ne aveva una prova vivente davanti, sebbene Luke
paresse inoffensivo e quasi dolce nella sua insicurezza. Qualcosa le
diceva che non avrebbe allungato le mani, soddisfatto di conoscere il
suo nome ed averle parlato per una manciata di minuti.
«
Luke, meglio se torni a casa. Io devo andare. »
L’altro
annuì, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni
macchiati dalla cosce in giù, il viso stravolto.
Somigliava
in tutto e per tutto ad un gigante delle favole, alto, robusto, con un
accenno di pancia e gli occhi tondi e lucidi come biglie. Non portava i
ricci alla maniera di Joel, curati e rasati sulla nuca, sempre sotto
controllo, bensì liberi di andare dove volevano, dei
serpenti dotati di vita propria che con l’umidità
gli grondavano sulla fronte.
Era
il ritratto dell’innocenza.
Impiegò
troppo tempo a rispondere al saluto che lei gli rivolse, perso fra
chissà quali pensieri finché Evangeline tornava
sulla strada principale e gettava occhiate nervose alle spalle. Non la
stava seguendo, bene. Un punto per l’educazione. Preferiva
che non si sapesse in che squallido appartamento abitava. La scuola
stessa recapitava ancora la posta al collegio dell’Ellsworth,
e la segretaria si premurava di tenerle il materiale da parte.
Come
le diceva spesso sua madre, era stata una scelta stupida: le camere del
collegio erano singole, con bagni privati e cabine armadio, un giardino
dotato di piscina per il periodo estivo, un terrazzo su cui si tenevano
le feste più lussuose che degli adolescenti potessero
meritare, il tutto a due passi dall’istituto.
La
sua vita sarebbe stata diversa, lì dentro.
Non
avrebbe incontrato Joel, né lavorato nel pub per pagarsi
l’affitto, ma questa era la vita che aveva scelto per lei
Nessuno poteva metterci becco, e stava bene così.
*Pub crawl: passare da un pub
all'altro fino a trascinarsi in giro sbronzi.
{
Author's Note }
Mi mancava tutto di questa
fanfiction. Vorrei uccidermi per averla lasciata in un angolo a fare la
polvere.
Ho alzato il rating da
arancione a rosso per una scelta nata così sul momento,
anche se non ci sarà nulla di eccessivamente volgare o
esplicito alla "50 Sfumature".
(Spero di non scadere
nell'orrido com'è successo a quella serie, in
realtà).
Grazie a chi si è
preso il disturbo di leggerla comunque. Siete da premio oscar.
Un sentito ed immenso grazie ad
herflowers
che ha sempre la pazienza di recensire , e a RobertaTienee
che ha aggiunto la storia tra i seguiti.
A
presto, many hugs !
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