The awakening of the soul lost

di adelhait13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentimento ***
Capitolo 2: *** Old Wound ***
Capitolo 3: *** The fear of loss ***
Capitolo 4: *** Oblivion ***
Capitolo 5: *** Empty ***
Capitolo 6: *** Obscurities ***
Capitolo 7: *** 7 Lie ***



Capitolo 1
*** Presentimento ***



Anche se in ritardo, rieccomi!
Come promesso riposto una vecchia storia mai completata, seguito di un’altra.
L’altra in questione è “Presenze” che troverete nel nickname di Adelhait, bloccato per un errore (mio). Per comprendere questa dovete leggere appunto la prima parte che, troverete qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=334995
Che dire? Ah! Buona Lettura.








The awakening of the soul lost





Presentiment







“Trecento. Trecentouno. Trecentodue”.
Contavo, mentre cercavo di assopirmi, ma non ci riuscivo. Vana illusione.
Erano giorni che andava così. Chiudevo gli occhi, ma dopo qualche secondo li riaprivo. Forse ancora ripensavo al passato?
Suppongo di sì. Eppure erano trascorsi tre anni d’allora, quando abbandonai quel luogo.
Il duplex di Kagura.
“No, basta! Non devo più pensare a lei…e al mio vecchio appartamento. Basta ricordare il passato!”.
Già, dovevo smetterla…ma ahimè, il passato torna sempre sull’uscio della tua vita e prima o poi devi di nuovo affrontare i tuoi vecchi nemici.
Socchiusi gli occhi e sospirai, cercando di addormentarmi. Una piccola brezza che spirava dal balcone, dischiuso, mi cullava. Sorrisi, mentre il venticello mi accarezzava il viso e le braccia scoperte. Riaprii gli occhi e guardai verso il balcone. La candida tenda ballava dolcemente. La stanza lentamente si illuminava…era l’alba.
Voltai il capo verso il comodino e guardai la sveglia.
“Sono le sei e dieci minuti, è ancora presto…ma non posso più stare coricata”.
Feci leva con i gomiti e mi misi seduta. Feci piano non volevo svegliarlo, non ancora.
Poggiai le punta dei piedi sul soffice tappeto, intanto delle ciocche di capelli caddero davanti al mio viso. Con la mano destra le feci scivolare indietro.
“Sveglia”.
Sobbalzai lievemente, piegai il capo verso destra e sbuffai.
“Diciamo di sì”.
Sentii un fruscio di lenzuola che si muovevano, il letto traballò un po’.
“Non hai dormito”.
La sua voce calda soffiò al mio orecchio sinistro. Sentii una scossa salire lungo la schiena, mi faceva sempre questo effetto ogni volta che mi parlava così. Beh, ancora tutt’ora mi succede.
Annuii, sorridendo lievemente.
D’un tratto sentii il letto traballare di più. Voltai il capo e lo vidi in piedi di spalle, i suoi lunghi capelli d’argento scivolarono sulla nuda schiena. Arrossii lievemente, mentre l’osservavo. Quella visione mi fece battere veloce il cuore. Quante volte l’avevo vista? Tante, ma ancora mi faceva quell’effetto.
“Scusa, ma non riesco…”.
“Ancora pensi al passato?”.
Una domanda netta. Fredda, ma infondo veritiera. Sì, inconsciamente pensavo a quei giorni bui.
Sospirai.
“No”.
Mentii. Lui lo capii, ma non disse nulla si limitò ad entrare in bagno. Scesi dal letto e mi diressi verso lo specchio lungo, posto accanto al balcone. Mi specchiai.
Ero cambiata. I lunghi capelli d’ebano erano molto più corti, il mio corpo era mutato. Feci scivolare la mano destra sul ventre e sorrisi.
“Ancora tre mesi e ti vedrò”.
Mi dissi, mentre le dita picchiettavano sulla pancia gonfia. Fissavo il dolce frutto, quando scostai lo sguardo su un’altra immagine. Su di lui che mi fissava sull’uscio del bagno. Ridacchiai, mentre dicevo.
“Tuo fratello dice che sembro una mongolfiera”.
Storsi un po’ il naso, mentre pensavo alle parole di Inu Yasha, dette con dolce scherno. Poi ripensai ai pugni in testa di sua moglie, Kagome, mentre lo riprendeva.
Due bambini. Questi momenti felici illuminavano la mia vita e mi facevano dimenticare, quel triste periodo.
Però di quel periodo era rimasto qualcosa d’indelebile.
Spostai di nuovo lo sguardo e fissai la fronte. Scostai con le dita alcune ciocche e svelai una vecchia cicatrice.
Feci scorre il dito indice sulla striscia rosa scuro. Un lampo. Uno squarcio nell’anima.
Una donna nera.
Occhi rubino.
Dolore antico.
Mi morsi le labbra, mentre un brivido freddo mi percorse lungo la schiena.
“No, il passato non si dimentica mai”.
Mi dissi mentalmente. D’un tratto sobbalzai. Sentii delle mani sulle spalle. Aprii gli occhi di scatto, e vidi lui.
Sesshoumaru, dietro di me. Mi fissava, aveva capivo ciò che pensavo. Infatti, mi guardava severo.
“Non temere, sto bene...è stato un attimo…uno stupido attimo, ti prometto che non penserò più a lei”.
Sospirai, mentre mi giravo e lo abbracciavo. Lui si limitò ad accarezzarmi il capo.
Un gesto che mi rassicurava. Si staccò da me, era tempo di prepararsi per il lavoro. Io uscii dalla stanza e mi diressi verso la cucina.
“Un buon caffè aiuta sempre”.
Mi dissi, mentre versavo il liquido nero fumante nella candida tazzina. Poggiai le labbra e lo feci scivolare in gola.
“Dovresti evitare di bere il caffè, sai a cosa mi riferisco”.
Sesshoumaru mi riprese. Sì, non era buono per me e la piccola…ma senza quel liquido nero non riuscivo a vivere.
“Lo so, cercherò di limitarlo solo al mattino e al dopo pranzo”.
“Speriamo”.
Disse, mentre osservava alcune carte nella ventiquattrore. Mi poggiai alla mensola e restai a fissarlo, quando gli chiesi.
“C’è tanto lavoro in ufficio?”.
Lui non disse nulla, ma capii che il lavoro in quel periodo era tanto. Mi voltai e poggiai la tazzina sulla mensola e con sfrontatezza dissi.
“Oggi vengo e riprendo il mio posto in ufficio”.
Mi voltai sorridendo. Volevo ritornare in ufficio, erano mesi che stavo a casa…da quando avevo scoperto di essere incinta.
Già, la mia non era di certo una gravidanza facile, ma rimanere chiusa in quattro mura non era bello. Mi annoiavo.
“Allora che ne pensi?”.
Lui assottigliò lo sguardo. Quella frase non gli piacque.
“No, discorso chiuso”.
Soffiò. Si voltò e uscì dalla cucina. Io gli andai dietro, come una bimba capricciosa.
“Dai che ti costa, non darò fastidio. Faccio qualche ora e poi ritorno a casa…ti prometto che non mi strapazzerò, lo giuro”.
Lui si fermò sull’uscio, si voltò verso di me.
“No, e sai bene che non adoro ripetermi. Quindi il discorso è chiuso”.
Ed uscì, lasciandomi insoddisfatta. Sbuffai e tornai in camera da letto. Mi vestii e mi preparai ad uscire.
No, non volevo rimanere a casa. Mi truccai, ma la cicatrice non voleva nascondersi quel giorno sotto il fondotinta.
Era forse un presagio?
Sbuffai, e aggiustai ben, bene la frangia affinché la nascondesse…ma niente.
Sbuffai ancora più irritata.
“Va bene! Ti lascio così!”.
Afferrai la borsa, le chiavi della macchina e uscii di casa, ma mai avrei creduto che quel giorno le ombre del passato sarebbero riapparse.
Che tutto sarebbe precipitato…



Continua…

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Capitolo 2
*** Old Wound ***


 





Old Wound










Uscii da casa, m’infilai in macchina e mi diressi in centro.
“Basta restare a casa a fare la muffa”.
Mi dissi, mentre mi fermavo nel parcheggio del centro commerciale. Sì, passai una mattinata di shopping.
Per me. Per la casa e per lei, per la piccola che portavo in grembo.
Girovagai per i vari negozi.  Guardavo le vetrine che brillavano di vita, e come d’incanto ogni cosa svaniva.
Mi sentivo bene, ma mai avrei sospettato di incontrare qualcuno che mi avrebbe riportato nel labirinto dell’angoscia.
Tutto avvenne velocemente. Ero appena uscita da un negozio di articoli per la casa, quando qualcuno mi chiamò.
“Rin”.
Di scatto mi voltai verso la voce che mi chiamava, e la vidi. Era lei, Elisa, carica di buste che mi guardava sorridendo.
Era cambiata. Era invecchiata. I capelli castani erano attraversati tra striature grigie, e sul viso vi erano le prime rughe.
“Elisa”.
Sussurrai incredula. Erano tre anni che non la vedevo. Era dal giorno del mio trasloco.
Un flash.
Io ero accanto al furgoncino e guardavo gli addetti caricare la mia roba, mentre Elisa mi osservava dalla finestra della cucina.
Ricordo la giornata. Era grigia e carica di pioggia. La vidi guardarmi tristemente, era conscia del fatto che in quel luogo non ero ben accetta.
Chinai il capo ed entrai nella macchina di Sesshoumaru. Mi allontanai da quel luogo. Mi allontanai dal dolore…ma non fu così.
Lei ora era lì e mi osservava felice. Ero incredula.
“Elisa, sei tu?”.
Lei sorrise e annuì. Poggiò le buste a terra e si avvicinò a me.
“Oh, Rin da quanto tempo”.
Mi disse, la vidi muovere le braccia. Tremava, mi voleva abbracciare, ma era bloccata…aveva paura.
Aveva il timore di un mio rifiuto.
Io lo capii. Compresi la sua paura e veloce la abbracciai. Lei era l’unica ad avermi aiutata in quel palazzo.
“Vero”.
Le dissi, mentre la stringevo. Lei ricambiò il mio abbraccio, quando d’un tratto si staccò da me e mi guardò ben bene.
“Rin ti vedo bene”.
Mi disse, mentre mi ammirava. Allungò la mano in direzione del mio ventre, ma la ritirò…ancora provava quel timore del mio rifiuto. Io veloce gliela afferrai e la poggiai sulla mia pancia. Sorrise felice.
Io ricambiai. Restammo così per svariati secondi, ma d’un tratto lei allontanò la mano dal mio ventre.
Guardò l’orologio sul polso e disse un po’ allarmata.
“Oh mamma com’è tardi! Sarà meglio che vada se no, rischio di perdere il bus”.
Si piegò, raccolse le buste e mi salutò. Io rimasi lì ferma a guardarla andare via, quando le urlai.
“Elisa non temere ti accompagno io a casa!”.
Pazzia!
Lei si voltò e mi guardò incredula. Io mi avvicinai e le proposi di nuovo di accompagnarla, ma lei gentilmente rifiutò…sapeva bene del dolore che avevo vissuto in quel posto.
Io insistetti, anche se una voce mi urlava di lasciar stare, ma la zittii.
“Lei è sempre stata gentile con me, le devo molto”.
Pensai.
“Grazie Rin”.
Mi disse, mentre si accomodava accanto a me in macchina. Le sorrisi e accesi il motore. Dopo tanti anni ritornavo nel luogo del dolore.
Arrivai nel cortile di quel “posto”. Spensi il motore e restai a fissare quel luogo, così arido e freddo. Elisa scese e m’invitò, un po’ titubante, a bere qualcosa da lei.
Io accettai come un automa. Scesi dalla macchina e la seguii.
Ricordo il rumore dei ciottoli sotto le suole delle scarpe. Un rumore doloroso, come lo spettro dell’angoscia che tornò prepotente nella mia vita.
Camminai ritta verso il portone, ma evitai di guardare il piano dove anni addietro avevo abitato. D’un tratto sentii una fitta allo stomaco. Un atroce fastidio.
Poggiai la mano destra sul ventre, un gesto che non sfuggì a Elisa che un po’allarmata mi chiese.
“Rin, non ti senti bene?”.
Io le sorrisi e la rassicurai con un.
“Non ti preoccupare la piccola scalcia un po’”.
Lei ricambiò il mio sorriso. Un caldo e materno sorriso.
Entrammo nell’ascensore, ma quella sensazione non mi lasciò. Sospirai, quando le porte si aprirono.
Elisa mise la chiave nella toppa, aprì e mi disse un po’ ridendo.
“Rin non temere, lei oggi non c’è”.
Non capii subito a chi si riferisse, ma poi lo compresi.
“Mia nonna, Kaede, è fuori a fare delle commissioni con una persona”.
Finì la frase con amarezza. Rammento il viso di Elisa mutare…a chi si riferiva? Il tempo avrebbe colmato il mio dubbio.
Entrammo e lei mi fece accomodare in salotto. Mi sedetti sul divano di velluto bordeaux, mentre lei spariva di là in cucina. La stanza era in arte povera, la definirei in stile anni cinquanta…era identica a quella della nonnina che abitava accanto a casa dei miei genitori.
Restai in quella stanza seduta. Era zeppa di quadri e piante, però una cosa attirò la mia attenzione. Un comodino all’angolo accanto alla finestra.
Mi alzai curiosa. Quel comodino di legno scuro lucido, era come una calamita. Su di esso vi erano un sacco di foto con sopra dei rosari. Pensai.
“Parenti defunti”.
Mi avvicinai di più e vidi qualcosa che mi fece sgranare gli occhi. Tra di esse vi era una foto di Kagura. D’un tratto la mia mano era come attratta da quell’immagine, un po’ ingiallita dal tempo, volevo prenderla... quando una voce mi fece sobbalzare.
“E’ scortese toccare la roba altrui”.
Una voce maschile che mi fece gelare il sangue. Mi voltai e lo vidi. Rimasi stupefatta nel vederlo, era l’uomo del cimitero. Era lì, in piedi accanto alla porta e mi fissava sorridendo. Io arrossii leggermente, come una bimba sorpresa a fare una marachella.
“Mi… mi dispiace…”.
Biascicai, mentre mi allontanavo dal comodino, ma urtai contro una mensola facendo traballare un ninnolo. Mi girai veloce e lo afferrai.
“Pfiu! Meno male non è caduto”.
Rimisi a posto il ninnolo, quando il mio sguardo cadde sullo specchio posto di fronte a me. Sbiancai.
Quell’uomo era dietro di me e mi fissava. Occhi rubino che mi scrutavano dentro l’anima.
Sentii un brivido freddo lungo la schiena, una sensazione sgradevole. Mi voltai lentamente e lo vidi a pochi centimetri dal mio naso.
Era un bell’uomo. Lunghi capelli corvini legati in una coda bassa, labbra rosee sottili che sorridevano beffardi. Era più grande di me, ma era molto affascinante.
Ricordo ancora il suo profumo, così penetrante e ammaliante.
Lo vidi alzare la mano destra verso il mio viso, quando una voce lo fermò.
“Naraku!”.
Lui si voltò veloce verso quella voce…era Elisa. Lei era lì, sulla porta del salotto con in mano un vassoio. Era pallida e tremava. Lui si spostò da me e lentamente si avvicinò a lei, che continuava a tremare.
Si accostò a lei, le toccò il viso con la mano. Elisa chiuse gli occhi rabbrividendo, io rimasi impietrita di fronte a quella scena. Rammento che le disse qualcosa…qualcosa che la fece tremare di più. Lui si voltò di nuovo verso di me.
“Spero di rivederti senza nessuna interruzione”.
Mi disse prima di sparire nell’altra stanza. D’un tratto mi risvegliai da quello stato di torpore e veloce mi congedai da Elisa, che si scusò, mortificata, della scena di prima.
“Non ti preoccupare…non fa nulla…”.
Farfugliai, mentre m’infilavo nell’ascensore e pigiavo il pulsante del piano terra.
“Perdonami Rin!”.
Gridò Elisa, mentre le porte dell’ascensore si chiudevano. Non era colpa sua.
Le porte si chiusero ed io tirai un sospiro di sollievo, mentre attendevo che l’ascensore mi portasse al piano di sotto, ma avvenne qualcosa che mai mi sarei aspettata.
D’un tratto non scesi più al pian terreno, ma cominciai a salire. Spaventata, cominciai a pigiare il pulsante del piano di sotto, ma nulla…come impazzito continuava a salire fino all’ultimo piano. Fino al piano dove vi era il duplex.
Si fermò e lentamente le porte si aprirono. Io ero pietrificata dal terrore. Che cosa stava accadendo?
Fissai infondo e vidi qualcosa che mi lasciò senza fiato.
La porta si apriva lentamente.
Un lamento di donna.
Una pallida mano che scivolava sul lato destro della porta.
Io mi poggiai alla parete metallica dell’ascensore in preda al terrore. Ero consapevole chi fosse. Era lei, Kagura.
Lentamente uscì dall’appartamento e cominciò a camminare carponi. Io sgranai gli occhi ancora di più, mentre cercavo di urlare, ma la voce era come sparita. Le mie corde vocali erano come paralizzate.
Lei camminava verso di me. I lunghi capelli corvini le coprivano il viso e toccavano terra. Le pallide mani grattavano il marmo del pavimento, mentre avanzava verso di me.
Io mi poggiai ancora di più nella parete, mentre la fissavo avanzare. Mi voleva.
Si avvicinò alla porta dell’ascensore, poggiò la mano sinistra e si tirò su. Era davanti a me, alzò il viso, prima piegato in basso, e mi mostrò il suo pallido volto.
Le sue labbra rosse era piegate in un sorriso malefico. I suoi occhi…oddio, i suoi occhi erano rossi come le fiamme dell’inferno.
Tremai ancora di più. Lei alzò la mano destra verso di me, ma le porte si chiusero salvandomi.
Scesi al piano di sotto e come una pazza corsi verso la macchina. La aprii e mi chiusi dentro.
“No! No, di nuovo!”.
Strinsi il volante, mentre il cuore correva veloce nella cassa toracica.
Tremante avviai il motore e fuggii da quel luogo. Da quell’inferno. Non so ancora come sia riuscita a tornare a casa illesa, senza fare alcun incidente…il mio stato psichico in quell’istante era davvero spaventoso.
Aprii la porta di casa e corsi verso il salone. Mi poggiai sulla spalliera del divano, quando una fitta al ventre mi fece scivolare a terra.
Strinsi gli occhi. Era un dolore lancinante.
“No…devo…stare calma…”.
Mi dissi, mentre cercavo di coricarmi sul divano. Ci riuscii, intanto respiravo affondo, come mi avevano insegnato al corso pre- parto…è una vera sciocchezza in quell’istante, ma riuscii a trovare un po’ di sollievo.
Lentamente la fitta si placò, ma non la mia ansia.
Quel giorno provai di nuovo la paura di morire…ma è solo colpa mia, come anche ciò che accadde inseguito…




Continua…


 

 

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Capitolo 3
*** The fear of loss ***








The fear of loss








Mi calmai, ma con fatica.
Rimasi sdraiata per molto tempo, mentre cercavo di scacciare dalla mente quell’immagine orribile di quello spettro. Di quella donna. Kagura.
Era tornata nella mia vita, ma la colpa era mia…solo mia.
Mi morsi le labbra, mentre mi maledivo per ciò che era accaduto.
“E’ solo colpa mia! Per via della mia incoscienza ho rischiato di far del male alla piccola”.
Lo feci per molto tempo, fino a che non sentii la porta aprirsi e chiudersi.
Lui era tornato.
Mi spaventai. No, non doveva vedermi in quelle condizioni. Veloce mi misi seduta e guardai in direzione del corridoio. Lo vidi.
“Sei rincasato presto”.
Dissi sorridendo. Un sorriso falso per mascherare quello che mi era accaduto.
Sesshoumaru, poggiò la ventiquattrore sulla poltrona e mi guardò interrogativo. Non rispose. Mi trovai a tremare. Quel suo modo di guardarmi mi faceva paura. Aveva forse capito tutto?
“Che…che…che c’è?”.
Balbettai, mentre lui si avvicinava. Indietreggiai, mentre tremavo.
“Sei uscita?”.
Mi domandò, intanto il suo viso era pochi centimetri dal mio.
“Beh, io…io…sarei…sono…no, sono…restata a casa”.
Stentai una risposta che non lo convinse, anzi assottigliò lo sguardo. Due lame lucenti dorate che mi perforavano l’animo.
“Non ti credo”.
Sibilò. Io mi mostrai offesa.
“Ma…ma che dici?!”.
Alzai il tono di voce, continuavo a mascherare la mia menzogna.
“Sono restata a casa. Qui, seduta sul divano a guardare la tivù”.
Lui mi afferrò con due dita il mento e mi guardò negli occhi.
“I tuoi occhi dicono il contrario”.
Sgranai gli occhi.
“Ha capito tutto!”.
Pensai preoccupata, quando lui mi disse.
“L’ho capito anche da come hai parcheggiato la macchina nel vialetto”.
Trattenni il respiro, mentre lui si allontanava da me e si allentava la cravatta. Abbassai il viso.
“Scusami…sì, sono uscita a fare delle compere e poi sono tornata a casa”.
Sussurrai.
Bugiarda!
Mi sentivo in colpa, avevo rotto una nostra promessa. Un giuramento stipulato tre anni fa. Mai più gli avrei nascosto qualcosa, ma ora ero stata costretta.
Che cosa potevo fare? Se gli avessi detto tutto di sicuro, mi avrebbe uccisa. Beh, sono un po’ catastrofica…non mi avrebbe più rivolto la parola. Mi avrebbe scacciata da casa. Lui non sopportava e non sopporta tuttora un tradimento del genere.
D’un tratto sentii le sue labbra sul mio orecchio destro.
“Ti perdono, ma non farlo mai più”.
Soffiò. Il mio cuore batté forte. Quel suo modo di fare mi faceva impazzire.
Annuii, mentre sentivo il mio viso avvampare.
Si allontanò da me e si diresse di là, nella stanza da letto a cambiarsi.
Afferrai un cuscino sul divano e lo strinsi forte al petto, mentre cercavo di trattenere le lacrime.
“Perdonami Sesshoumaru”.
Sussurrai, mentre una lacrima rigava il mio volto. Lo avevo tradito. Asciugai veloce la lacrima e mi rialzai, anche se l’impresa riuscì un po’ faticosa. Infatti, le gambe erano un po’ indolenzite per via della corsa di qualche ora prima. Mi alzai e mi diressi verso la cucina. Dovevo preparare la cena, anche se non avevo molta fame.
Cucinai e cenammo. Evitammo di parlare della scena di prima. Parlammo del più del meno, anche se ero molto tesa…troppo tesa. Finimmo e rassettai la cucina, però quella sensazione non sparì. Mi sentivo sempre in colpa.
“Ora basta Rin! E’ successo e indietro non si può tornare. Quindi è meglio metterci una pietra sopra e far finta che non sia successo”.
Mi dissi, mentre rimettevo dei piatti nella mensola. Finii e andai da lui, che era nello studio a leggere alcuni documenti.
“Lavoro, sempre lavoro”.
Pensai, un po’ scocciata nel vederlo sempre dietro una scrivania. Mi poggiai alla porta e restai a guardarlo qualche minuto, ma poi decisi di andare a letto. Non volevo disturbarlo, anche se volevo che mi abbracciasse. Che mi consolasse.
Sospirai un.
“Buonanotte”.
Lui mi rispose, senza alzare il capo dai fogli.
“’Notte”.
Mi voltai e mi diressi in camera. Mi sentivo stanca. Entrai nella camera e mi cambiai. Mi coricai e chiusi gli occhi, ma non riuscivo a prendere sonno. Ancora sentivo quel malessere opprimente. Quella paura.
Mi rialzai ed entrai in bagno. Sapevo cosa volevo, ma ero anche consapevole che era pericoloso.
Aprii l’armadietto dei medicinali e afferrai un flaconcino.
Lo guardai ben, bene. Fissai il liquido trasparente dentro il vetro.
Sì, sono folle a farlo ma ne ho bisogno”.
Presi il piccolo bicchierino di plastica e lo riempii con il medicinale. Ne versai solo dieci gocce, la metà di quelle che mi erano state prescritte.
Era un tranquillante. Guardai quel liquido, mentre mi dicevo che era una follia quell’azione. Strinsi gli occhi e lo bevvi tutto d’un fiato. Un sapore aspro e mi fece stringere i denti.
Riaprii gli occhi e ritornai a letto. Mi buttai a peso morto e chiusi gli occhi, sperando che la medicina mi aiutasse a dimenticare…a cadere nell’oblio. Ma non fu così.
Mi addormentai.
D’un tratto qualcosa mi svegliò…il pianto di neonato.
Mi alzai indolenzita. Mi sentivo come ubriaca. Poggiai la mano sulla fronte, ero intrisa di sudore. Scrollai il capo e mi diressi verso quel pianto.
“Dove sei?”.
Mi domandai, mentre camminavo nel corridoio. Ma in quell’istante mi sembrò diverso. Era lungo, stretto e decadente.
L’intonaco era scrostato in parecchi punti, vi erano anche tante macchie di umido. Non ero a casa mia, ma in quell’istante non m’importava…mi premeva sapere dove fosse quel neonato.
Camminai per quel corridoio, quando arrivai di fronte a una porta. Dietro ad essa sentii di nuovo quel pianto. Poggiai la mano sul pomello e lo girai. La porta cigolò. Un orribile rumore.
Si aprì e mi mostrò l’interno della stanza. Un’immensa stanza, ma priva di mobili vi era solo una sedia a dondolo al centro.
Sì, una sedia a dondolo e su di essa vi era seduta una persona. Una donna che cullava un neonato che piangeva.
Lo stringeva a sé, mentre canticchiava.
Era vestita di nero, i capelli erano legati, ma alcune ciocche scure mi evitavano di vederne il volto.
Ero curiosa, e poi il pianto di quel bambino era opprimente. Perciò le chiesi.
“Tutto bene?”.
Non rispose. Io le domandai di nuovo se era tutto apposto. Nessuna risposta, continuò a canticchiare quella snervante nenia. D’un tratto si fermò.
Smise di cantare e cullare il piccolo, che ora dormiva.
Sospirai un po’ sollevata, ma restai sempre ferma sull’uscio.
“Voglio vedere il bambino”.
Mi dissi. L’istinto di madre si faceva sentire prepotente. Volevo vederlo, ma qualcosa m’impedì di farlo. Infatti, non riuscivo a muovermi…ero come immobilizzata. Cercai in tutti i modi, ma ci riuscii, quando sentii una risata…una risata beffarda.
“Non riesci a muoverti…mia cara Rin?”.
Sibilò, mentre io la guardavo stranita. Conosceva il mio nome.
“Chi sei?”.
Domandai, con una punta di paura.
Lei rise, mentre stringeva a sé il piccolo. D'un tratto smise di ridere e cominciò a lamentarsi.  Scuoteva il capo. I suoi capelli si slegarono e caddero scomposti sulle spalle.
Rabbrividii.
“La tua mamma è una sciocca”.
Piagnucolava, mentre io cominciavo a tremare.
“Oh, povera creatura…la tua mamma si è scordata di me...si è scordata di te…”.
Sgranai gli occhi, mentre diceva queste parole, che mi trafiggevano l’animo come la lama di una spada.
“Chi…chi...sei?”.
Balbettai in preda al terrore. Lei rise.
“Colei che ti voleva, che agognava una vita umana…ma grazie a questa creatura la mia sete è stata appagata”.
Un dubbio mi sorse, infatti, le domandai con voce roca e carica di paura.
“A…cosa…ti…riferisci?”.
Lei lentamente voltò il capo verso di me. Io sbiancai.
“Ka…Ka…gura…”.
Balbettai, mentre sentivo le gambe molli.
Lei rise di gusto nel vedermi in quello stato.
“Sì, mia cara”.
Io scuotevo il capo, mentre mi dicevo che non era vero, quando lei mi disse.
“Mia cara, è dolce tenere tra le braccia la tua bambina”.
La guardai stupita e poi le urlai.
“Tu menti!”.
Lei rise di più. Il mio modo di fare la divertiva.
“No”.
“Non ti credo, lei è qui dentro di me!”.
Le urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. Kagura scosse il capo e con l’indice della mano destra, m’indicò.
“Guarda attentamente il tuo ventre”.
Io abbassai lo sguardo e urlai dall’orrore. La mia camicia da notte era macchiata di sangue. Sangue che colava veloce a terra.
Quel liquido rossastro mi teneva inchiodata al pavimento.
Poggiai le mani sul ventre, ormai vuoto del suo frutto. Urlai come una pazza.
“RIDAMMI MIA FIGLIA!”.
Lei rideva felice di avermi distrutto.
Di avermi tolto mia figlia…



Continua…


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Capitolo 4
*** Oblivion ***



Oblivion





Gridavo.
Urlavo il mio dolore, mentre una risata orrenda e beffarda mi circondava.
Mi aveva annientato.
Sentivo il cuore battere veloce. La testa scoppiarmi.
Chiusi gli occhi, intanto un orrendo oblio mi abbracciava. Mi stringeva a sé. Tra le sue fredde e grandi braccia, intanto piagnucolavo un.
“La mia bambina…restituiscimi…la mia piccola…”.
Sentivo un gran vuoto nell’anima. Un pezzo di me era stato strappato via con violenza. Il mio corpo era un involucro vuoto, intanto sentivo le mie tempie pulsare frenetiche.
Un dolore insostenibile.
Il mio corpo ondeggiava tra due forte tenaglia. Sentivo in lontananza una voce che mi chiamava.
“Rin! Svegliati!”.
Una voce ovattata che mi destò da questo orrendo incubo.
Aprii gli occhi, pieni di lacrime, e mi misi seduta. Ansimavo, mentre farfugliavo parole senza senso.
D’un tratto sentii due braccia che mi stringevano a sé. Era Sesshoumaru.
“Rin!?”.
Lo guardai in viso e con gli occhi pieni di lacrime farfugliai.
“La bambina…lei…lei…l’ha presa…l’ha presa…non c’è più…l’ha presa…ah!”.
Strinsi gli occhi. Sentivo la testa scoppiare. Il ventre pulsare. Mi strinsi di più a Sesshoumaru, mentre cercavo di respirare.
Il dolore era insostenibile.
D’un tratto Sesshoumaru mi adagiò sul letto.
“Calmati”.
Mi disse, ma io non riuscivo a calmarmi. Continuavo a ripetere parole senza alcun senso. Senza alcuna logica.
Ero sconvolta. Annichilita da quell’orrendo incubo.
Kagura mi aveva tolto il frutto del mio ventre.
“Calmati lei, sta arrivando”.
No, non ci riuscivo. Continuavo a piangere e parlare senza senso. Intanto il dolore aumentava. La testa stava per esplodere.
Misi le mani sulle tempie cercando un po’ di sollievo, ma non ci riuscivo. D’un tratto sentii qualcosa di fresco bagnarmi la fronte, aprii gli occhi e vidi una persona. Una donna.
“Izayoi”.
Dissi con voce roca, mentre lei mi bagnava il viso.
“Su, su è tutto a posto. Calmati bambina”.
Mi fermai sentendo la sua voce, così dolce e materna.
“La…la…mia…bamb…”.
Bloccò le mie labbra con un dito e dolcemente mi disse.
“Lei sta bene, ma se non ti calmi, nascerà prima e allora sì, che sarà un problema. Ora calmati”.
Io rimasi imbambolata, mentre mi parlava. La mia piccola era viva ed era dentro di me. Veloce feci scivolare lo sguardo sul mio ventre.
Era gonfio e pieno di vita. Sorrisi tra le lacrime.
“Sta bene”.
Dissi, mentre socchiudevo gli occhi e abbracciavo il mio ventre. Era stato tutto un incubo. Un tremendo e angoscioso incubo.
Mi sentii debole, priva di forze. Caddi in un profondo sonno senza sogni. Inghiottita dall’oblio del dolore e della stanchezza. Non so per quanto tempo rimasi in quelle tenebre.
Ricordo che  mi destai lentamente. Avvertivo il mio corpo intorpidito. Pesante. Arricciai il naso, sentivo un forte odore di disinfettante.
Aprii gli occhi, ma fui costretta a chiuderli. La luce era troppo forte. Feci fatica, ma ci riuscii.
“Do…dove mi trovo?”.
Biascicai, mentre mettevo a fuoco il luogo dove mi trovavo. Era tutto bianco, asettico.
“Sei in ospedale”.
Una voce a me vicina mi fece voltare il capo verso destra.
“Izayoi”.
Sussurrai, mentre la vedevo armeggiare con un aggeggio strano che emetteva un suono simile al battito cardiaco. La guardai curiosa, quando lei mi disse, sempre con il viso rivolto a quella macchina.
“È un monitor cardiotocografico, controlla le pulsazioni del cuore della piccola e delle contrazioni uterine”.
Io la guardai stranita. Non comprendevo cosa dicesse. La vidi voltarsi verso me, e con dolcezza mi spiegò che controllava se tutto andasse bene.
“Rin hai avuto la pressione alta è questo ha provocato delle contrazioni”.
Io voltai il capo e guardai i fili di quell’aggeggio finire sotto la coperta. Ricordo che sentivo intorno al mio ventre una fascia fredda e dura.
“Hai rischiato un parto prematuro”.
Una frustata. Sgranai gli occhi, mentre le mie labbra tremavano.
“No! È troppo presto che tu veda la luce!”.
Pensai, mentre tremavo.
“Calmati Rin, ora è tutto apposto non temere. Ho frenato le doglie, ma devi stare calma e buona per tutta la gravidanza”.
“Okey”.
Sospirai. Sarei stata calma per i tre mesi restanti. Ma non fu così…un barato presto si sarebbe aperto, facendomi cadere nell’oblio delle tenebre dell’inferno.
Socchiusi gli occhi, ripensando alla sera prima e quelle dannate gocce. Loro erano la causa del mio malessere…no, che dico? La colpa era della mia incoscienza.
Di quell’incontro con il passato.
Riaprii gli occhi e guardai dritta negli occhi Izayoi chiedendo di lui. Di Sesshoumaru.
Lei mi accarezzò il capo.
“L’ho mandato a prendersi un caffè, ti è stato accanto tutta la notte. Ne aveva bisogno”.
Arrossii leggermente, mentre abbassavo lo sguardo. Mi sentivo in colpa. Lui si era preoccupato.
“Sono la solita stupida”.
Sussurrai, sposando lo sguardo verso il pavimento.
“Non sarei dovuta uscire. Non avrei dovuto prendere quelle gocce…quelle maledette gocce”.
Ringhiai, mentre stringevo nelle mani l’orlo della coperta. Diedi la colpa a loro, non alla paura di quel maledetto spirito.
D’un tratto sentii Izayoi sospirare avvilita.
“Lo avevo capito. Rin sei sempre la solita incosciente. Ti avevo ammonito su quel medicinale, ti avevo prescritto delle tisane…grazie al cielo tutto si è risolto, ma non farlo mai più”.
Annuii. Aveva ragione. Tremendamente ragione.
“Bene, qui è tutto apposto. Vado avvertire Sesshoumaru e gli altri che ti sei svegliata”.
Continuai ad annuire come un automa. Troppe persone avevo fatto preoccupare. Socchiusi gli occhi e mi lasciai cullare dal rumore del battito di mia figlia. Così vivace. Così vivo.
D’un tratto ritornai a ripensare a quel maledetto incubo. Così reale. Così crudele.
Veloce mi misi le mani sul volto. No! Non dovevo pensare a lei. A Kagura. Dovevo proteggere mia figlia.
Dovevo calmarmi, quando d’un tratto sentii una voce.
“Rin”.
Feci scivolare la mani dal volto e aprii gli occhi.
“Se…Se…Sesshoumaru”.
Balbettai, mentre lo vedevo lì sulla porta della camera. Cominciai a tremare, mentre le lacrime correvano veloci sulle mie guance.
Lui si avvicinò.
“Scu…scu…scusami…ti…prego”.
Lui non disse nulla, mi fulminò con lo sguardo. Era furioso. Lo avevo tradito. Avevo infranto il patto.
Abbassai lo sguardo. No, non riuscivo a reggere quel tagliente sguardo d’ambra.
“Ti prego perdonami. Sono stata una stupi…”.
“È stata lei?”.
Mi bloccò, mentre sgranai gli occhi. Come aveva capito?
“Co…come…hai…”.
Balbettai.
“Gridavi nel sonno”.
Disse con calma, mentre si avvicinava alla finestra.
“Già”.
Sussurrai, storcendo le labbra in sorriso beffardo. In fin dei conti avevo parlato nel sonno, era logico che lui sapesse, anche se quella domanda mi fece tremare. No, non dovevo dirgli che avevo rivisto Kagura. Che ero stata nel vecchio palazzo dove avevo abitato tre anni prima. Mi limitai a dire.
“Sesshoumaru io…vedi…io…ieri…ho incontrato Elisa la nipote di Kaede”.
Finii la frase tutto d’un fiato, mentre alzavo il viso e lo guardavo. Lui si voltò e s’incamminò verso la porta.
“Non farlo mai più, pensa a nostra figlia”.
Disse calmo e piatto, mentre usciva dalla stanza. A modo suo mi aveva perdonata, anche se io avrei voluto un bacio. Un abbraccio.
Mi abbracciai, mentre nuove lacrime caddero. Lo avevo ferito e questo mi lacerava.
Quel giorno rischiai di perdere le due persone più importanti della mia vita. L’uomo che amavo, che amo, e mia figlia…


Continua…



_________________________
Per ora vi lascio così. Ma non temete aggiornerò presto. Un bacio miei cari lettori ;)

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Capitolo 5
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Avevo rischiato troppo quel giorno. Rimasi sola per qualche minuto a pensare al grave errore che feci.
M’imposi di non piangere, anche se era difficile.
“Sono stata una stupida!”.
Mi dissi in preda alla rabbia, mentre stringevo i pugni. D’un tratto sentii il vociare fuori dalla porta, alzai il viso e vidi i miei. Mio padre, mia madre, mio fratello e la sua compagna, e infine i miei amici. Erano tutti lì.
Abbozzai un sorriso, mentre mia madre si avvicinava a me. Ricominciò le sue infinite ammonizioni, sulla mia stupidità. Sulla mia immaturità.
Io sospirai, mentre lei a ruota libera parlava. Ciarlava.
“Hai ragione”.
Biascicai, mentre guardavo Inu Yasha. Cercavo in lui gli occhi d’ambra di Sesshoumaru. Ma ciò che vidi era altro. Lui aveva capito cosa era successo. Abbassai il viso mortificata.
“Glielo avrà detto di sicuro”.
Pensai, mentre intorno a me le loro voci non avevano alcun senso.
Sospirai sconfitta, mentre mi lasciavo cadere sul cuscino.
“Rin, tesoro sei stanca?”.
Era mia madre preoccupata. Annuii, mentre socchiudevo gli occhi. Ero stanca. Sfinita.
“Su, ora uscite lasciamo riposare Rin. Ne ha bisogno dopo quello che le è accaduto”.
Era Inu Yasha che esortava gli ospiti a lasciarmi a riposare. Come al solito mia madre pretese che lei rimanesse a dormire con me, ma io la obbligai a uscire e a non preoccuparsi.
“Mamma non sono sola c’è Izayoi e gli infermieri”.
“Ma…”.
“Niente ma…non temere starò bene”.
Cercai di rassicurarla.
“Tesoro non temere la nostra Rin è in buone mani”.
Di nuovo mio padre mi salvò. Ricordai quella scena di tre anni fa. Rammentai il suo aiuto.
“Grazie papà”.
Dissi con un sorriso, lui mi baciò sulla fronte e portò fuori mia madre che singhiozzava. Provai pena per lei. Capii la sua sofferenza di essere madre.
“Perdonami mamma, ma devo. Voglio restare sola…voglio solo una persona qui”.
Pensai, mentre li vedevo uscire.
“Inu Yasha! Puoi fermarti un minuto per favore?”.
Lo chiamai. Volevo parlare solo con lui. Lui capì . Chiese a Kagome di aspettarlo fuori  e che non ci avrebbe messo molto. Kagome mi salutò con un sorriso e uscì.
Lui lentamente si avvicinò a me.
“Dimmi Rin?”.
“Sesshoumaru è furioso?”.
Fui diretta. Volevo. Dovevo sapere.
Lo vidi sospirare e ammettere che lui era alterato nei miei confronti. Io abbassai il viso e mi morsi le labbra.
“Dannazione! Sono la solita stupida!”.
Mi dissi in preda alla rabbia, mentre stringevo con forza la coperta. D’un tratto la mano di Inu Yasha mi calmò. Io alzai il viso e lo guardai dritto negli occhi. In quelle calde pozze dorate.
“Calmati, non temere gli passerà. Lui tiene a te. Ora lascialo sbollire”.
Io annuivo, mentre lo ascoltavo. Doveva far passare la rabbia.
“Okey…anche se…vorrei parlargli. Vorrei spiegarmi”.
“No, Rin io lo conosco bene. Lascialo stare. Ti ho già detto di non temere, lui tornerà”.
Mi lasciò la mano e la posò sul mio ventre.
“Ora riposa, anche la mia nipotina è stanca. Ora dormi”.
Io sorrisi, mentre lo vedevo far così. Era diverso dal solito Inu Yasha. Era più maturo di quando pensassi.
Annuii, mentre mi accomodavo meglio nel letto.
Lui si allontanò da me, ma prima di uscire mi disse.
“Non ti preoccupare gli parlo io e vedrai che tutto si risolverà. A domani Rin e buon riposo”.
Mi fece l’occhiolino e uscì dalla stanza. Sorrisi sollevata. Inu Yasha gli avrebbe parlato.
Chiusi gli occhi e sospirai stanca.
“Sesshoumaru perdonami”.
Lentamente caddi in un sonno senza sogni. Ero davvero stanca. Sfinita nel corpo e nell’anima.
Quel giorno fu denso di emozioni e di tristezza, come anche i due giorni che seguirono. Lui non venne, forse fu un bene per entrambi…anche se io ero distrutta.
Non rimasi mai sola, anche se lui mi aveva lasciato un gran vuoto. Sorridevo, anche se era una maschera. Una pesante maschera.
“Non fare così!  Anche se lui non viene , non significa che non gli importi di te…anzi chiama sempre per sapere come stai. Come state”.
Era Izayoi che mi destava dai miei pensieri tormentati. Io la guardai con una punta di curiosità, mentre lei continuò.
“Visto ormai sei fuori pericolo, domani ti dimettiamo. Non temere vedrai che lui verrà a prenderti”.
“Lo spero con tutto il cuore, Izayoi”.
Dissi tristemente. Avevo il timore di illudermi. Abbassai il viso, mentre Izayoi amorevolmente mi riprese.
“Smettila Rin! Lui arriverà, mi ha già detto che verrà lui a prenderti e nessun altro. Quindi su con il morale”.
Si avvicinò e mi tolse la fascia intorno al mio ventre, mentre sorrideva. Ormai quell’arnese rumoroso non serviva più…per adesso.
Mi accarezzò il viso e mi salutò. Mi sentivo sollevata, il giorno dopo l’avrei rivisto. Avrei rincontrato Sesshoumaru. Chiusi gli occhi e cercai di dormire, ma non ci riuscii ero troppo emozionata. Ero felice, anche se il dubbio mi martellava nel cervello.
“Se lui non venisse?”.
Mi domandavo, ma ogni volta mi rispondevo che ero una stupida. Lui sarebbe venuto. Era, e lo è tutt’ora, un uomo di parola.
Le ore passavano, ma il sonno non arrivava. Sbuffai irritata, mentre alzavo la coperta e scendevo dal letto.
Ricordo ancora il freddo delle mattonelle di ceramica sotto i miei piedi. Traballai. Le gambe erano ancora intorpidite per via del riposo forzato.
Feci un profondo respiro e mi avviai verso la porta. La aprii e guardai il fuori. La silenziosa penombra del corridoio. Mi guardai intorno, ma non vidi nulla. Solo la desolazione. Sospirai, mentre mi incamminavo nel lungo corridoio.
Vidi molte porte, alcune socchiuse con dentro altre ammalate. Sentii anche il pianto di un neonato. Mi fermai di botto. Uno squarcio. Un ricordo di un incubo. Mi poggiai alla parete, intanto il mio cuore accelerava.
“Rin è stato solo un incubo”.
Sussurrai, per rincuorarmi. Ma non ci riuscii, solo il canto di una dolce nenia fu in grado di calmarmi. Mi affacciai al piccolo spiraglio della porta e vidi una puerpera che cullava il suo dolce cucciolo.
Sorrisi, intanto toccavo il mio ventre pensando a lei. A mia figlia.
Mi spostai e ripresi il mio cammino. Dovevo uscire da quel mondo così asettico. Uscire da quel odore fastidioso.
Arrivai nella saletta di attesa dei parenti dei pazienti. Era così vuota. Sospirai e mi guardai intorno e vidi un balcone. Sorrisi, mentre camminavo verso di esso.
“Ho bisogno di una boccata d’aria”.
Pensai, mentre aprivo il balcone e uscivo fuori. Un dolce e tiepido vento accarezzò il mio viso. Sorrisi soddisfatta, intanto mi dirigevo verso la balaustra. Poggiai i gomiti sul freddo marmo e ammirai il panorama.
Ricordo ancora l’eco delle sirene delle ambulanze, il loro luccichio, le luci della vita notturna…il grande oblio.
Non ricordo quando tempo rimasi lì, ma qualcosa mi destò…un odore nauseabondo…



Continua…

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Capitolo 6
*** Obscurities ***



Eccomi con il sesto capitolo, da qui entrerà in scena Naraku. Personaggio, a dire il vero, davvero complesso (sempre dopo Sesshoumaru).
Ho cercato di renderlo più soft, rispetto a quello creato dalla Takahashi, cadendo appunto nell’ OOC.
Chiedo venia, ma in questa storia mi serviva questo suo lato, meno subdolo.
Ma non temete la sua “bastardaggine” tornerà.
Ora vi lascio con il capitolo dove, appunto, la nostra Rin scoprirà qualcosina del suo uomo. Non vi svelo nulla leggete ;).









Obscurities






Un forte odore mi fece arricciare il naso. Era nauseabondo. Orribile.
Misi la mano destra davanti la bocca, e con il dito indice e il pollice chiusi il naso.
“Che puzza!”.
Dissi disgustata, quando una risata mi fece trasalire. Qualcuno era dietro di me.
“Non credevo che il mio sigaro puzzasse così tanto. Chiedo venia”.
Mi voltai di colpo e vidi un uomo dietro di me. Non capii chi fosse in quel momento. Era avvolto dalle tenebre. I contorni del suo viso erano illuminati dal tenue bagliore del sigaro.
Cercai in ogni modo di capire chi fosse. La sua voce aveva qualcosa di familiare.  Di sensuale. Lentamente mi allontani dalla balaustra e mi diressi verso l’entrata, quando una mano bloccò il mio braccio. Ricordo che era gelida. Ancora tutt’ora sento quel freddo sulla mia pelle.
Mi voltai e lo vidi. Impallidii.
No, potevo crederci! Era lui. Naraku.
Lui era lì, in ospedale e ora era con me su quel balcone.
“È un vero piacere rivederla”.
Mi disse, mentre buttava via il sigaro. Io non dissi nulla, rimasi imbambolata. Allontanò la sua mano dal mio braccio, intanto una leggera brezza giocava con i suoi lunghi capelli corvini.
“Lei…qui…”.
Sussurrai. D’istinto indietreggiai. Quell’uomo mi metteva in soggezione.
“Non abbia timore. Non le faccio nulla”.
Disse la verità. Lui non voleva nuocermi, ma io continuai a indietreggiare fino a toccare con la schiena il muro.
Lo sentii sospirare, intanto si avvicinava a me.
“Le chiedo scusa se l’ho spaventata con il mio atteggiamento, non era nelle mie intenzioni. Lo giuro”.
Era sincero. Io abbozzai un sorriso.
“Perdoni me,  per il mio atteggiamento infantile…ma…ma…sentire una persona dietro le spalle in piena notte mi ha…come dire? Spaventata”.
Ridacchiai nervosamente, mentre Naraku si avvicinava di più a me. Il pallido bagliore delle luci delle città lo rendevano affascinante. Etereo.
Lo guardai rapita, mentre lo vedevo chinarsi verso di me.
“Sono un vero cafone. Quel giorno non mi sono presentato, anzi una persona mi ha fermato nel farlo…”.
Si riferiva ad Elisa.
“Sono Naraku Marwoleath”.
Prese la mia mano destra e con le sue labbra sfiorò il dorso. Un baciamano. Una vecchia consuetudine ormai persa.
Quel gesto mi provocò una scarica su tutto il corpo. Ricordo le gambe tremare, fui costretta a poggiarmi di più al muro per non cadere.
“Pia…pia…cere…io…sono…Rin Riversi…”.
Farfugliai imbarazzata. Lui sorrise divertito, mentre lasciava la mia mano e terminava la frase con un.
“In Belleville, giusto?”.
“Beh…veramente ancora no. Io e lui, non siamo sposati…conviviamo”.
Inclinai le labbra in un sorriso nervoso.
“Ma vi sposerete un giorno, giusto?”.
Domandò incuriosito.
“Certo dopo la nascita di nostra figlia”.
Posi una mano sul ventre, mentre abbassavo lo sguardo.
“Ottimo! I figli devono crescere in un’unione sacra”.
Sorrisi di fronte a quell’affermazione, ma poi un dubbio mi assalì. Rialzai il viso. Come sapeva il cognome del mio compagno? Come?
La mia domanda trovò presto una risposta.
“Ora si chiederà come io sappia il cognome del suo compagno, giusto?”.
Annuii, mentre lui ridacchiò.
“Non era difficile capirlo. Tutto l’ospedale sa chi è lei. La moglie…ops, mi scusi! La compagna del figlio del fondatore dell’ospedale. Il dottor Taisho Belleville”.
Sgranai gli occhi. All’epoca non sapevo che l’intero ospedale era stato fondato dal defunto padre di Sesshoumaru. Quante verità mia aveva taciuto Sesshoumaru. Chinai il capo, mentre pensavo a questa rivelazione sull’uomo che amavo, che amo.
“Mfh! Denoto che lei non sapesse nulla”.
“Già”.
Sospirai, ma poi continuai.
“Lui è restio a parlarmi del suo passato. Di suo padre”.
Ero delusa. D’un tratto sentii la sua gelida mano sfiorarmi il viso. Rabbrividii. Alzai il viso di colpo e vidi Naraku accarezzarmi.
“Mi dispiace. Alcune volte noi uomini sappiamo essere così egoisti. Non sia triste”.
Mi voleva rincuorare. Rimasi rapita. Quell’uomo era il demonio che aveva portato alla morte Kagura?
No, in quel momento non lo era…era un angelo dalle ali nere come l’oblio.
Socchiusi gli occhi e mi lasciai cullare dalla fredda carezza.
“È così bella”.
Sussurrò sensuale, mentre avvicinava il suo viso al mio. Io continuavo a tenere gli occhi chiusi, cullata dal dolce gelido.
Fu rapido. Le sue sottili labbra si posarono sulle mie. Aprii gli occhi e lo vidi che mi baciava.
Un bacio rubato.
Le sue labbra erano morbide. Meravigliose. Rimasi imbambolata, mentre mi baciava. Un bacio leggero.
Si staccò da me, intanto io ero impietrita. Lo vidi sorridere.
“Bonne nuit princesse”.
Si allontanò da me, mentre io fissavo il vuoto. Il mio cuore batteva forte. Perché? Che cosa era accaduto?
Veloce mi toccai le labbra. Sentivo ancora il suo calore. Il suo sapore. D’un tratto mi sentii in colpa…avevo tradito Sesshoumaru. Lentamente mi lasciai scivolare a terra, mentre le lacrime veloci percorrevano il mio viso.
“Che cosa è successo?”.
Pensai, mentre cercavo di riprendermi. Troppo veloce. Tutto era accaduto troppo rapidamente. Poggiai le dita sulle mie labbra violate, mentre cercavo di trovare una risposta logica a quella scena ma, ahimè, non c’era. Sentivo la testa pesante e confusa.
Pian piano mi rialzai. Ricordo che faticai molto per via del ventre gonfio di vita.
Sospirai e mi incamminai verso la mia camera. Ripensai a ciò che mi aveva detto su Sesshoumaru.
Mi fermai e mi guardai intorno, mentre mi dicevo mentalmente.
“Questo luogo l’ha creato tuo padre, Sesshoumaru? Perché me l’hai taciuto? Perché?”.
Socchiusi gli occhi, scossi il capo. Basta!
Riaprii gli occhi e mi recai in camera mia, mi sentivo stanca. Stremata.
Entrai e richiusi dietro di me la porta, mentre cercavo di scacciar via dalla mente il bacio di Naraku.
Sospirai e mi coricai.
“Basta Rin! È stato un errore che mai si ripeterà! Tu ami Sesshoumaru. Ora basta! Domani lui tornerà e tutto finirà!”.
Chiusi gli occhi, ma un’ultima lacrima cadde.
“Sesshoumaru perdonami. Non è colpa mia…”.
Sussurrai prima di cadere nell’oblio del sonno. Nelle tenebre.
Dormii per svariate ore, quando un timido raggio di sole sfiorò i miei occhi. Li strinsi. Quella luce mi dava fastidio.
Mugugnai infastidita, mentre li aprivo piano. Era giorno e presto sarei ritornata a casa.
Feci leva con i gomiti e mi misi a sedere. Mi sentivo un po’ stordita, quando istintivamente posai le mani sulle labbra.
Un lampo. Ricordai la scena della notte precedente. Il bacio rubato di Naraku. Freneticamente sfregai il dorso della mano destra sulle labbra.
No, non volevo di nuovo sentire il suo sapore. Provai disgusto verso me stessa. Verso la mia debolezza.
“Maledizione”.
Sibilai, ma il rumore della porta che si apriva mi fece sobbalzare. Istintivamente pensai a Sesshoumaru, ma non era lui. Era Izayoi. Sospirai sollevata.
“Buongiorno”.
Mi disse sorridendo. Ho sempre adorato quella donna. Beh, la adoro ancora oggi. Così dolce. Così materna.
“Buondì”.
Le risposi, mentre la vedevo avanzare verso di me.
“Pronta a tornare a casa?”.
Mi domandò continuando a sorridere.
“Sì, Izayoi…ma lui è…”.
“Lui è qui”.
Terminò lei la mia frase. Sesshoumaru era venuto. Sentii un tuffo al cuore. Un brivido percorse la mia schiena.
“È fuori in corridoio che ti aspetta”.
Mi aspettava. D’un tratto ripensai a Naraku. Mi morsi le labbra, mentre abbassavo il viso. Gesto che non sfuggì a Izayoi.
“Rin, che cos’hai? Non ti senti bene?”.
Sobbalzai di nuovo. Scossi il capo e mentii.
“No, no…tutto bene…beh, ho avuto il timore che lui…non venisse”.
Alzai il viso e la guardai dritta negli occhi, intanto avevo abbozzato un sorriso. Lei mi accarezzò il capo in modo materno.
“Sei la solita pessimista. Lui non ti avrebbe mai abbandonato. Tu…”.
Abbassò lo sguardo sul mio ventre e continuò.
“Voi siete il suo mondo. Tu non puoi neanche immaginare quanto ti ama. Quindi smettila di dire sciocchezze simili”.
Rise, mentre mi toglieva di dosso la coperta.
“Su, pelandrona corri a cambiarti…mentre io ti firmo il foglio di via!”.
Mi trovai a ridere, mentre la vedevo fare così. Annuii e corsi...beh, non proprio correre in bagno. Movimento difficile per il peso del mio corpo.
Mi preparai ben bene per lui. Ma prima di sparire, mi dissi nel riflesso dello specchio.
“Rin non è colpa tua! Tieni celato quell’errore! Lui ti ama, non ferirlo! Ora esci e mostrati felice. Bacialo e togli dalle tue labbra quell’odioso sapore…”.
Aprii la porta e uscii. Era tempo di ritornare a casa. Di voltare pagina. Di dimenticare quel gesto di tradimento…



Continua…


_____________
So di essere un po’ “stronza” (pardon per il termine), ma adoro fermarmi qui. Lasciare i lettori con il fiato sospeso e con mille domande, ma non temete aggiornerò presto…sempre se il mio lavoro me lo permette…
PS: un mega grazie al mio fedele e amico Dioni, che purtroppo trascuro tanto, ma lui sa il motivo…è un vero miracolo se trovo il tempo per scrivere e rispondere ai messaggi :P
Un bacione a chi legge e segue questa storia, non sapete la gioia che provo nel sapere che leggete.

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Capitolo 7
*** 7 Lie ***



Lie






Aprii la porta, mentre il mio cuore batteva forte. Lo avrei rivisto dopo due giorni di lontananza.
Uscii e voltai il capo verso destra. Lo vidi. Era voltato di spalle e parlava con Izayoi.
Restai qualche secondo a fissare le sue grandi spalle, mentre sentivo un nodo alla gola.
“Sesshoumaru”.
Sussurrai. Lui si voltò e mi guardò. Una fitta. I suoi occhi ambrati mi scrutavano nell’anima. Cominciai a tremare leggermente, mentre lui si avvicinava.
Avevo paura. Timore di una sua reazione.
M’irrigidii nel vederlo avvicinarsi a me. Trattenni il respiro, mentre lui mi osservava interrogativo.
Abbozzai un timido sorriso, mentre lo guardavo negli occhi.
“Come ti senti?”.
Mi domandò.
“Ora bene”.
Risposi. Istintivamente abbassai il viso, intanto sentivo gli occhi pizzicare. Stavo per piangere di gioia, oppure di paura?
Non seppi mai capire ciò che provai in quel momento. Troppe emozioni mescolate insieme.
Ricordo solo che gli chiesi scusa per ciò che feci. Lo sentii sospirare, mentre mi diceva.
“Non farlo mai più”.
Annuii, mentre tirai su con il naso. Rialzai il viso e gli sorrisi.
“Portami a casa”.
Lui annuì. Era tempo di tornare nella nostra dimora, anche se, dentro di me mi sentivo sudicia. Sentivo lo sporco del tradimento.
Un tradimento rubato.
Uscimmo dall’ospedale, quando d’un tratto sentii una strana sensazione, come di qualcuno che mi osservava.
Mi voltai di colpo e vidi sul balcone, della sera prima, lui. Naraku. Che mi osservava.
Sorrideva.
Un brivido mi percorse lungo la schiena. Quell’uomo mi metteva in soggezione.
“Qualcosa non va?”.
Sobbalzai. Era Sesshoumaru. Mi voltai e scossi il capo.
“No, nulla. Non ti preoccupare”.
No, non volevo farlo preoccupare.
“Andiamo”.
Dissi mentre mi avvicinavo a lui che, intanto mi guardava interrogativo. Che cosa pensava? Forse aveva intuito il mio tradimento? No, non era un tradimento, ma un furto.
Entrai in macchina seguita da Sesshoumaru e partimmo. Ricordo ancora il silenzio che aleggiava nell’abitacolo.
Opprimente.
Voltai il capo e guardai fuori. Mi sentivo a disaggio. Lo sentivo freddo e distaccato. Oh beh, in fin dei conti lo è sempre stato, ma in quel frangente mi faceva male.
Arrivammo a casa. Parcheggiò nel vialetto e scese, mentre io lo guardavo, ma poi mi decisi a seguirlo.
Sospirai, mentre lo vedevo aprire la porta.
“Sesshoumaru…”.
Lo chiamai. Lui si fermò di botto e mi guardò.
“…sei ancora arrabbiato con me?”.
Lui si avvicinò a me, mentre le lacrime rigavano il mio viso. Era furioso. Deluso. Ma d’un tratto poggiò le sue labbra sulle mie. Chiusi gli occhi e mi lanciai su quel bacio che desideravo.
Mi sentivo leggera. Rinata.
Si staccò da me.
“Ero deluso. Arrabbiato, non devi più fare una sciocchezza del genere…ho temuto di perderti. Di perdere entrambe”.
Mi abbracciò con forza. Sentire quella frase mi fece comprendere la forza del suo amore. Lui teneva a me più di quanto potessi immaginare.
Sorrisi tra le lacrime e annuii. No, non avrei mai più trasgredito…ma questo fu solo una promessa nel vento.
Ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco fu causato del mio atteggiamento infantile…e immaturo.
Non pensai mai che le mie azioni avrebbero ferito ciò che amavo.
Ci staccammo e ci dirigemmo in casa dove, qualcuno già ci aspettava. Infatti, quando entrai, trovai mia madre che con il suo fare iper-protettivo mi obbligò a coricarmi a letto.
In fin dei conti non sbagliava, dovevo stare in riposo se no la piccola sarebbe nata prematura.
Sospirai e sottostai alle premure di mia madre. Ricordo che dissi un po’ sibilando a Sesshoumaru.
“Questa è la mia punizione vero? Me la paghi”.
Lo vidi sorridere e vicinarsi al mio orecchio.
“Sì, lo è…così sono sicuro che non ti muova più”.
Aveva ragione ma mia madre non avrebbe potuto fermare il mio fiume in piena.
Mi coricai e mi lasciai accudire da mia madre, che da brava chioccia opprimente mi accudì in tutto e per tutto.
A dire il vero la cosa non mi dispiaceva per niente, anzi un po’ essere servita e riverita mi piaceva…ma alcune volte s’intrometteva nei momenti un po’ intimi tra me e Sesshoumaru. In quei momenti avrei voluto ucciderla, ma pazienza, alla fine tutto sarebbe finito.
I giorni passavano tra la noia e il continuo opprimente non devi fare o toccare nulla, perché ci sono io. Ma un giorno qualcuno venne a trovarmi. Fu un lampo a ciel sereno. Rimasi senza parole, quando lo vidi sulla soglia della mia camera.
“Rin il dottor Naraku Marwoleath è venuto per visitarti al posto di Izayoi, lei purtroppo non poteva per impegni urgenti all’ospedale”.
Guardai stranita mia madre mi diceva queste parole, mentre Naraku mi guardava sorridendo.
Ricordo il brivido lungo la schiena. Quell’uomo mi faceva paura.
Strinsi il libro tra le mani, mentre lo guardavo.
“Perché lui è qui? Che cosa vuole da me?”.
Pensai, mentre stringevo di più il libro.
“Naraku…”.
Sussurrai, mentre lui si avvicinava a me.
“Sì, signora Rin. Sono venuto per visitarla”.
Quel visitarla lo marcò. Il suo sorriso era beffardo, quando si avvicinò. Godeva nel vedermi nel panico.
Poggiò a terra la sua borsa e chiese gentilmente a mia madre di uscire. Doveva visitarmi…ma non era così, ahimè.
Mia madre ci lasciò soli e chiuse la porta.
Ricordo ancora la sua frase.
“Denoto che il mio bacio ha avuto un bel effetto su lei”.
“Che…che cosa è venuto a fare? Che cosa vuole da me?”.
Domandai con voce tremula. Lui sedette accanto a me sul letto. Rammento il suo profumo dolce, la sua voce sensuale, mentre mi diceva.
“Nulla mia cara…solo vedere come sta”.
Ma non era così. Lui voleva qualcosa da me.
Che cosa?
Presto lo avrei scoperto…


Continua…


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Ops! Dopo mesi sono tornata. Beh, ho avuto problemi tecnici, di salute e per finire lavorativi.
Il lavoro mi assorbe come una spugna, ma in fin dei conti lo amo.
Il capitolo è un po’ corto, ma c’è un piccolo perché. Perché mi piace lasciare a metà il mio lettore.
Pazza masochista. Un bacio e non temete tornerò ad aggiornare…sempre se non picchio qualche cliente, oppure distruggo un terminale lotto XD.

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