We're what we choose to be

di Pinta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alone in the world ***
Capitolo 2: *** A new business ***



Capitolo 1
*** Alone in the world ***


 

"Nobody said it was easy,
oh it's such a shame for us to part

nobody said it was easy,
no one ever said it would be so hard"



Emma Swan aveva capito troppo presto che, nella vita, devi imparare a cavartela da sola, perché non puoi contare su niente e, soprattutto, su nessuno. Se ne era resa conto a poche ore dalla sua nascita, quando i suoi genitori l’avevano abbandonata senza pietà sul ciglio della strada, in una sera di ottobre in cui si gelava, senza nemmeno prendersi la briga di lasciarla in un istituto, di gran lunga più caldo e sicuro della Route 93.
Era cresciuta passando di casa-famiglia in casa-famiglia, ma nessuno di quei posti aveva mai avuto il sapore di casa né, tantomeno, di famiglia.
Era stata costretta ad arrangiarsi e, crescendo, aveva preferito vivere di espedienti: furti più o meno grandi, fughe qua e là, mai un lavoro. Perché a diciotto anni guadagnare soldi facili è decisamente più allettate dell’andare a scuola ogni mattina, con vestiti di seconda mano, i libri in comodato d’uso e l’etichetta di orfana perennemente cucita addosso.
Era durante un furto che aveva conosciuto Neal, di poco più grande di lei, senza una lira come lei e, soprattutto, solo al mondo, esattamente come lei. Si era innamorata di lui, dei suoi modi di fare, delle sue promesse. Si era illusa. Per la prima volta nella sua vita Emma Swan aveva deciso di fidarsi di qualcuno, aveva creduto a tutto: alle belle parole, al viaggio a Tallahassee, al cambiare vita insieme.
E poi si era ritrovata sola, di nuovo, come sempre.
Abbandonata dall’uomo che amava –e che credeva l’amasse- davanti a due linee rosa di un test di gravidanza da dieci dollari.
Suo figlio Henry era nato il giorno di ferragosto nell’infermeria di un carcere femminile del Massachussets, mentre fuori le strade pullulavano di turisti e la giornata era una delle più afose di sempre. Lei era una ladra, suo figlio sarebbe sempre stato il figlio di una ladra. Eppure, quando le avevano messo tra le braccia quel bambino, chiedendole quale fosse la sua decisione definitiva –tenerlo o darlo in adozione- lei aveva ripensato alla sua infanzia, al fatto che avrebbe preferito una madre giovane e scapestrata come lei, piuttosto che l’essere abbandonata e aveva deciso di tenere con sé quella creaturina che lo fissava con occhi curiosi.
Quel giorno Emma Swan aveva realizzato che non sarebbe più stata sola, da quel momento avrebbe avuto un bambino di cui prendersi cura e promise che, non appena fosse uscita dal carcere, avrebbe cambiato vita. E tenne fede a quella promessa. Quando tre mesi dopo venne rilasciata aveva con sé un neonato, pochi spiccioli e il suo maggiolino giallo: la sola cosa che Neal le avesse lasciato. Oltre a metà del corredo genetico di Henry, ovviamente. Grazie ad alcuni sussidi statali era riuscita ad affittare un monolocale in periferia, si era iscritta ai corsi serali e aveva trovato lavoro presso una tavola calda, dove l’ormai anziana proprietaria si era offerta di tenerle Henry, mentre lei lavorava. Nel giro di pochi anni aveva racimolato abbastanza soldi da potersi permettere un appartamento più grande, in centro. Sul giornale aveva letto di un lavoro come cacciatrice di taglie e aveva subito capito che quella poteva essere la strada giusta per lei.

Casa Swan, Boston, oggi.
Emma's POV


Henry, sbrigati!” Ecco, l’ennesima mattina in cui la maestra mi sgriderà per averlo portato a scuola in ritardo. Come se quella zitella potesse minimamente immaginare cosa voglia dire svegliare un ragazzino di dieci anni e convincerlo a prepararsi.
“Eccomi, mamma, eccomi”
“Ti sei lavato i denti?”
“Ops!”
Ogni giorno la stessa storia, l’igiene dentale sembra essere qualcosa di assolutamente trascurabile. A nulla è servito ripetergli centinaia di volte che i bambini che non si lavano i denti poi si ritrovano pieni di carie e devono andare da un cattivissimo dentista, sembra non esserne turbato affatto.
“Fila a lavarli!”
L’orologio segna le otto esatte. Forse, infrangendo una dozzina di regole del codice stradale, potrei riuscire ad arrivare puntuale almeno a lavoro.

 

 

Killian Jones era nato in una famiglia perfetta. Una di quelle che si vedono solo nelle pubblicità, in cui tutti fanno colazione insieme e si augurano “buona giornata” con un bacio sulla guancia. Padre imprenditore, madre casalinga e un fratello, Liam, di tre anni più grande di lui. Aveva tutto o, almeno, lo aveva avuto. All’età di dodici anni, infatti, l’auto in corsa di un uomo ubriaco era piombato su quella in cui viaggiavano lui e la sua famiglia. In una frazione di secondo aveva perso tutto e si era ritrovato solo al mondo. Non c’era giorno –o notte- in cui l’incubo di quella serata non lo tormentasse, a nulla erano servite le sedute dallo psicologo, avrebbe sempre portato con sé il peso dell’essere sopravvissuto. Se solo si fosse seduto lui sul sedile di destra, invece di Liam, suo fratello non sarebbe morto; se solo non fosse andato in bagno nel ristorante dove avevano cenato, sarebbero ripartiti cinque minuti prima e non avrebbero trovato quel pazzo sulla strada. La sua famiglia era morta e lui se l’era cavata rimettendoci solo una mano –la sinistra- la prova materiale che tutto quello fosse accaduto davvero e non fosse solo un brutto sogno.


Casa Jones, New York City, oggi.
Killian's POV


La sveglia alle otto del mattino dovrebbe essere illegale, l’ho sempre sostenuto. L a spengo con tutto il palmo della mano e mi giro dall’altro lato del letto, senza la minima intenzione di dargliela vita.
“Forse dovresti svegliarti, tesoro”
Cazzo. Mi ero completamente dimenticato della ragazza che avevo invitato a casa mia la notte scorsa. Com’è che si chiamava? Darcy? Darla? Dolly?
“Buongiorno…”
“Daisy, mi chiamo Daisy”
Colgo tutta la sua delusione in quelle parole, ma mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro: se ti va, vieni a casa mi e scopiamo. Sano sesso. Ottimo sesso. Poi tu torni alla tua vita ed io alla mia. Non capisco perché siano tutte uguali, la sera, complice qualche drink, accettano le proposte più indecenti, al mattino si aspettano la colazione a letto e una dichiarazione d’amore.
Ho trent’anni e nessuna intenzione di impegnarmi sul serio. Affezionarsi a qualcuno vorrebbe dire vivere ogni giorno con la paura di perderlo. E non ho alcuna intenzione di sprecare la mia vita così.


Salve a tutti,
è la prima volta che scrivo in questa categoria e spero che in qualche modo la storia possa essere apprezzata. Aspetto commenti sia positivi che negativi, però mi piacerebbe che scriveste la vostra.
Un bacio:)

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Capitolo 2
*** A new business ***


Se qualcuno avesse detto a Emma Swan che quella mattina la sua vita sarebbe cambiata radicalmente, probabilmente si sarebbe vestita un po’ meglio, si sarebbe sciolta e lisciata i capelli e messa un filo di trucco. Ma nessuno le aveva anticipato nulla e, quindi, lei si era presentata a lavoro con un banale paio di jeans, un maglione sciatto, i capelli raccolti alla bene e meglio in una coda e con la solita aria trafelata di chi a malapena fa in tempo a lavarsi il viso, figuriamoci a truccarsi. Anzi, in macchina aveva anche notato una macchia verdognola di dentifricio all’angolo della bocca e non aveva perso tempo a pulirsi leccandosi il dito.
Chiunque l’avesse vista in quelle condizioni avrebbe pensato che fosse una ragazza sbadata e disorganizzata, per nulla affidabile. E, invece, in quell’anno di lavoro, lei era riuscita a dimostrare quanto in realtà valesse, quanto professionale e impeccabile riuscisse ad essere. Non aveva mai fallito un colpo, era sempre riuscita a riscuotere i soldi che singoli o imprese dovevano all’agenzia assicurativa per la quale lavorava. Il suo capo aveva imparato a conoscerla bene e a riporre in lei tutta la sua fiducia, affidandole quelli che erano considerati i casi più difficili.
Quella mattina, ancor prima che potesse sedersi dietro la propria scrivania per esaminare la documentazione del prossimo lavoro, Mr. Johnson l’aveva mandata a chiamare. Le era sembrata piuttosto strana come cosa, visto che avevano parlato fino a venerdì poco prima che staccasse e che poi c’era stato solo il weekend di mezzo. Cosa poteva volere il suo capo? Aveva già una fitta lista di impegni, non poteva di certo affidarle qualche altro caso!

Ufficio di Mr. Johnson, Boston, lunedì mattina.
POV. Emma

 “Buongiorno, voleva vedermi?” domando subito dopo aver bussato alla sua porta.
“Signorina Swan, buongiorno. Prego, si accomodi”
Mi fa sedere su una delle due poltroncine di pelle che si trovano davanti alla sua scrivania. Chissà quanto costerà una di queste… Probabilmente sto posando il culo su qualcosa che vale più di quanto riesca a guadagnare in sei mesi.
“L’ho fatta chiamare, Miss. Swan, perché c’è un caso molto delicato al quale vorrei che lei si dedicasse”
Faccio per dire qualcosa, qualcosa come “Ehi bello, guarda che mi hai caricato già di una montagna di lavoro, cos’altro vuoi? Un rene?”, ma lui mi ferma prima che io possa proferire anche una sola parola.
“Faccia prima parlare me, è un lavoro diverso dal solito, vorrei farle capire di cosa si tratta. Poi, ovviamente, la scelta starà a lei”
“Va bene, mi dica tutto” Sono davvero curiosa, non ha mai usato un tono così solenne.
“Allora, anni fa, quando io avevo appena ereditato quest’assicurazione da mio padre, uno dei miei primi clienti fu un tale Robert Jones. Era un imprenditore di New York, un uomo che si era praticamente fatto da solo ed era riuscito a costruire un proprio impero industriale. Quando venne da me per la prima volta mi disse che aveva sentito parlare molto bene della compagnia di mio padre e che aveva deciso di affidarsi a noi. All’epoca la sua scelta mi sembro strana, perché sappiamo benissimo che New York è piena di ottime compagnie assicurative, ma ne fui anche molto lusingato.
Col passare degli anni io e Robert divenimmo praticamente amici, almeno una volta al mese veniva qui a Boston per discutere con me di affari e non solo. Lo ammiravo come imprenditore e come uomo in generale, sapeva bene ciò che voleva, sapeva come prenderselo, ma non aveva mai perso il senso dell’umiltà. Mi raccontava spesso della sua famiglia, aveva una moglie e due figli maschi; nonostante fosse sempre molto impegnato con il lavoro, cercava di ritagliarsi periodicamente momenti da trascorrere con loro.
Purtroppo Robert morì diciotto anni fa. Tu non lo ricorderai, perché eri solo una bambina, ma di quell’incidente stradale si parlò molto, anche in tv, per giorni. Solo il figlio minore, Killian, di appena dodici anni, fu estratto vivo dalle lamiere dell’auto. Quel giorno persi un grande amico. Andai a New York per il suo funerale e parlai con suo fratello, mi disse che l’erede dell’intero impero di Robert era quel ragazzino di dodici anni, ma che fino a che non avesse compiuto diciotto anni, se ne sarebbe occupato lui. Gli assicurai tutto il mio aiuto e appoggio.
Per sei anni le cose continuarono ad andare bene, certo, con Robert le industrie erano in continua crescita ed espansione, mentre dopo la sua morte tutto sembro fermarsi, ma almeno non vi furono segni di recessione. Dodici anni fa tutto è finito nelle mani di Killian e da allora c’è stato un lento ed inesorabile calo. Ormai sono anni che non ci paga nemmeno un centesimo, inizialmente ho fatto di tutto per temporeggiare, non volevo offendere la memoria del mio vecchio amico, ma ormai la situazione è ingestibile. Ci deve soldi, davvero tanti soldi, per questo ho bisogno di lei, Swan. Voglio che lei vada a New York, che lo stani che me lo porti qui. Non riesco più a rintracciarlo da almeno due anni, sembra essere sparito del nulla. Voglio la massina discrezione per questo lavoro, è pur sempre il figlio dell’uomo che più ho stimato in vita mia, non voglio scandali. Desidero che lei lo trovi, che lo avvicini, deve scoprire perché non paga, deve scoprire come diavolo è riuscito a sperperare tutto quel denaro, deve avvicinarsi a lui con qualche scusa, frequentarlo e, solo al momento giusto, ammanettarlo e portarlo qui. Lei è la persona perfetta per questo lavoro.
Mi rendo conto che questo comporterebbe non pochi sacrifici, da parte sua, per questo voglio offrirle tanto. Per tutto il tempo che starà nella Grande Mela avrà  a disposizione un appartamento in centro, non dovrà preoccuparsi di affitto e bollette, avrà carte di credito per tutte le spese che farà, un’auto nuova, suo figlio frequenterà un’ottima scuola e, beh, il suo compenso, una volta che avrà portato a termine il lavoro sarà questo”
E mentre lo dice tira fuori dal cassetto un assegno e me lo mette davanti.
Mi gira la testa. Non ho mai visto così tanti zeri in vita mia. Se sono pronti ad offrirmi tutto questo denaro. Quanto accidenti ne deve questo Jones all’assicurazione?
“Io… Io… davvero non so che dire, cioè… wow… ma…”
“Non risponda subito, le do ventiquattro ore di tempo per pensarci. Domani, a quest’ora, la voglio nel mio ufficio per sapere quale sia la sua decisione definitiva. Ovviamente, qualora accettasse, tutti gli altri impegni che aveva sono cancellati. Oggi si prenda una giornata di pausa per meditare”
Bene, solo ventiquattro ore per decidere una cosa così importante, ma come si fa?
“Va bene, Mr. Johnson, sono onorata che lei abbia deciso di affidare a me questo caso. Ci penserò bene, ma non le prometto nulla. A domani”
“A domani”
Sono in mezzo alla porta, quando lo sento sussurrare. “Scelga bene, Miss. Swan”
Ma qual è davvero la cosa giusta?





Killian Jones sapeva di essere indebitato fino al collo, tuttavia continuava a spendere e ad impelagarsi ancora di più. Era stato chiamato in tribunale per decine di cause, accusato di aver firmato assegni scoperti e di pagamenti arretrati. Senza contare i milioni di dollari che doveva alla sua assicurazione, dalla quale scappava ormai da anni.
Cosa avrebbe detto suo padre di lui? Di quel figlio che aveva mandato in fumo i sacrifici di una vita? Che cosa avrebbe detto della sua vita da latitante? E cosa del suo aver lasciato migliaia di padri di famiglia senza paga? Probabilmente, Robert, buon com’era, quel figlio lo avrebbe abbracciato e aiutato a tirarsi su, cercando di risolvere tutti i quei problemi. Ma suo padre era morto e l’ultimo ricordo che Killian aveva di lui era la sua mano insanguinata che sporgeva fuori da un telo bianco, mentre giaceva allungato sull’asfalto della Statale.
Aveva trent’anni, per quanto tempo ancora sarebbe potuto scappare da tutti i suoi doveri? Quanto tempo ancora ci avrebbe messo prima di assumersi le sue responsabilità?
Quello responsabile era Liam, non lui. Lui aveva sempre fatto dannare sua madre con i compiti, mentre non c’era giorno in cui suo fratello non si anticipasse tutti quelli che gli insegnanti gli assegnavano. Si era spesso ritrovato a pensare che, se a sopravvivere fosse stato quest’ultimo, le imprese di suo padre non avrebbero mai perso il loro antico splendore, la casa dei suoi genitori non sarebbe finita disabitata e sommersa dall’erbacce e il conto in banca sarebbe costantemente cresciuto, invece di prosciugarsi. Ma lui non era Liam. E il bambino che non faceva i compiti si era trasformato nell’uomo che dilapidava il patrimonio.

Casa Jones, New York City, lunedì mattina.
POV. Killian

Certo che ce ne è voluto di tempo per mandare via quella sanguisuga. Ho bisogno di un’aspirina, tutte quelle lagne mi hanno fatto scoppiare un’emicrania, assurdo. Eppure sembrava la solita puttanella, mai avrei potuto immaginare che dopo una sola notte di sesso sfrenato si sarebbe appesa alle palle così tanto, devo essere davvero bravo, non c’è altra spiegazione.
Scalzo mi avvio verso la cucina e butto giù la pasticca. Ho bisogno anche di un caffè, bello forte. Nemmeno ricordo in quale sportello ho messo le cialde, nell’altro appartamento erano in quello sopra al forno, magari ho fatto la stessa cosa anche qui. Apro lo sportello, ma nulla. Vorrà dire che scenderò a prenderlo al bar.
Questa è la terza casa che cambio in meno di due mesi, sempre nel tentativo di fuggire dai creditori e da quanti vorrebbero la mia testa, oltre a tutti i soldi che gli devo. Tutto sommato mi piace questa vita, è un continuo spostarsi da un posto all’altro, mi sento un po’ come un pirata, solo che sulla terra ferma. Anche perché soffro il mal di mare. Probabilmente non ricordo dove siano le cialde per il caffè, ma so bene dove ho lasciato la mia bottiglia di rum e, dopo essermi vestito, riempio la mia fedele fiaschetta. Non sono un alcolizzato, anzi, odio perdere il controllo, però un goccino ogni tanto, durante la giornata, me lo concedo sempre.







Buonasera a tutti,
eccomi qui con questo secondo capitolo. Come prima cosa, chiedo scusa per eventuali errori, ma davvero non ho avuto il tempo di rileggere la storia. Come ho già detto, mi farebbe davvero piacere sentire il parere di chi legge, per cui sia recensioni positive che negative sono ben accette.
Inoltre, voglio ringraziare di cuore coloro che hanno recensito il capitolo e coloro che hanno messo la soria tra le preferite/seguite/ricordate.
Un bacio e a presto!
F.

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