Zattere sciolte

di Yunomi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 2: *** Ambasciatori di pace ***
Capitolo 3: *** A corpse named Gustavo ***
Capitolo 4: *** Contro la paura ***
Capitolo 5: *** Ungarischen Tänze nr. 2 D-moll ***
Capitolo 6: *** The Kulešov effect ***
Capitolo 7: *** Tremare sì, ma come la California ***



Capitolo 1
*** L'inizio della fine ***


1

L'inizio della fine

 

Una macchina sfrecciava lungo l'Ocean Lane, in fuga da una piccola cappella sul mare che ricordava vagamente la Two Pines Church di Kill Bill.
Dentro la vettura, due individui evidentemente affetti da una pletora di disturbi psichiatrici comportamentali fumavano di eccitazione adolescenziale e Marlboro rosse.
La radio trasmetteva Don't go breaking my heart di Elton John.
Il sole cuoceva a fuoco lento i loro scalpi, spettinati dall'aria calda e salmastra di fine maggio.
Mi odia. E mi odierà il triplo, quando se ne accorgerà.” , disse la donna,
Aveva solo paura che le rubassi l'uomo.”
Ops.”
Dai, c'era da aspettarselo. Come Starsky e Hutch, ricordi?”
Non credo che alla fine della serie Starsky e Hutch scappino insieme dal matrimonio di uno dei due con la macchina del testimone alto due metri col
cuore difettato.”

Okay, sì, forse un pochino ti odierà.”
E invece tu ne saresti esente?”
Beh... Direi proprio di no. Però mi inventerò qualcosa, quando torneremo.”
Se torneremo...”
Ehi, ehi, piano, bambina, io ho una carriera da chitarrista da continuare. Sono troppo giovane per andare in pensione a soli 25 anni.”
29...”
Ti lascio qui in autostrada, giuro.”
Non ne avresti davvero il coraggio, Bry.”
Lui rise, appoggiando una mano al cambio, che venne prontamente raggiunta da quella di lei. Guardò la strada, l'orizzonte che si apriva davanti a loro
come se il rombo del motore di quella Mustang rubata aprisse uno squarcio verso il futuro, uno possibilmente privo di complicazioni di qualsiasi tipo.

La ragazza lanciò un veloce sguardo verso quella parodia di sposo al volante, coi capelli in aria spettinati ancora più del solito per colpa del vento che avvolgeva la vettura. Lo stava facendo. Stava rubando il marito a un'altra donna. Il giorno del suo matrimonio. Scostò la mano, come se le avesse dato la scossa, da quella di lui. Forse si stavano ficcando solo in un casino di dimensioni pantagrueliche. Era sicura che quella povera crista di Michelle l'avrebbe aspettata con un ascia bifronte davanti al cancello di casa sua. E ne aveva ben donde.
Chiuse gli occhi e li strinse, come se avesse voluto infossarli nel cranio e non vedere più quello che sarebbe potuto accadere.
Lui se ne accorse, e le accarezzò un ginocchio. “Stai bene?”, chiese, rabbuiandosi leggermente dietro gli occhiali da sole.

 

“Non ci posso credere... Non ci voglio credere!”
La situazione era molto più che critica: Michelle se ne stava orrendamente riversa sull'altare, come se l'avessero appena pugnalata 50 fottutissime volte nel petto. Il make-up, opera di uno dei migliori truccatori di Los Angeles, le colava sul volto, creando una lugubre maschera di lacrime nere di Dior sulle guance. Sua sorella le accarezzava la schiena, il bel viso corrugato in una espressione di puro odio nel confronti di quella sottospecie di chitarrista fedifrago e traditore.
“Lascia che mi capiti per le mani, quello... ”
Gli altri, dal canto loro, avevano sprecato abbastanza tempo a cercare di giustificare quell'idiota con i neuroni ipertrofici, e avevano gettato la spugna: dall'altro lato, tutto il resto della band – perché gli invitati, annusando puzza di tragedia, avevano battuto la ritirata – e rispettive consorti avevano convenuto silenziosamente di non avvicinarsi troppo alle due sorelle DiBenedetto, per paura che potessero riversare la loro vendetta su di loro.
E quindi cosa si poteva fare, se non intasare di chiamate e messaggi minatori l'esimio Synyster Gates e attendere in sagrestia una provvidenziale svolta degli eventi?
Matt Shadows, splendente nel suo completo Armani e nei suoi Rayban dalle lenti specchiate, trascinò Jimmy per la manica della camicia e rinchiuse lui e se stesso in un confessionale lì vicino.
“Dio perdonami, perché ho molto peccato.” , disse Jimmy, che nonostante l'incidente cardiaco di qualche mese prima non aveva perso la sua verve da buontempone.
“Taci, bestia.” , ringhiò Shadows, abbassando gli occhiali da sole. “E usa la capoccia per trovare una soluzione.”
“Io? E perché io?”
“Perché abbiamo fatto la conta e tu hai vinto il premio.”
“Vai a fare in culo.”
“Perché sei il migliore amico di quel dannatissimo figlio di buona donna, e confidavo che tu potessi saperne qualcosa.”
Jimmy sospirò. “Perché pensate sempre tutti che Brian mi venga a riferire ogni cosa che passa per quella sua testa di merda? Sono sorpreso quanto voi!”
Shadows si sfilò gli occhiali per trafiggerlo con uno sguardo laser da Superman.
“Non starai mica pesando che io abbia intuito le intenzioni di quel deficiente galattico e non abbia fatto nulla per fermarlo!”
“Ti dirò, il dubbio mi aveva colpito.”
“Ti dirò, a me invece vien voglia di colpirti ripetutamente con quell'ostensorio che vedi laggiù.” , disse Jimmy, acido.
Matt lo squadrò attraverso la grata del confessionale, pensando che forse non stesse raccontando balle.
“Mh.” , rispose solamente.
Jimmy sbuffò, spiaccicandosi una mano in fronte.
“Quindi?” , disse Matt.
“Quindi cosa?” , disse Jimmy.
“Come cosa.” , disse Matt.
“Cosa?” , disse Jimmy.
“TROVA UNA SOLUZIONE!” , urlò Matt, esasperato.
“CHE SOLUZIONE VUOI CHE TI TROVI, PER IL CRISTO REDENTORE!” , urlò di rimando Jimmy.
“SSHHHHHHHT!!!” , urlò la sagrestana, sputacchiando di qua e di là a causa della dentiera difettosa. “Maleducati! Questa è la casa del Signore!”
“Allora ci faccia il piacere di andarcelo a chiamare, perché per uscire vivi da questa merda avremo bisogno di un sacco di aiuto dai piani alti.” , rispose Jimmy, rischiando una violenta tirata d'orecchi da parte della donna.

 

Arrivarono in un motel sull'autostrada che erano quasi le due del pomeriggio. Il sole picchiava indecentemente forte, e se avessero voluto avrebbero potuto benissimo friggere un uovo sul cofano della Mustang di Jimmy.
La ragazza, che si chiamava Beth, aveva deciso di non lasciarsi divorare dai sensi di colpa, quindi si era schiaffeggiata mentalmente un paio di volte e si era concentrata solo ed unicamente su Brian davanti a lei, intento a liberarsi dalla camicia.
Fa un caldo del diavolo.” , esclamò. Lei annuì, accennando un sorriso appena percettibile. Brian si avvicinò a lei e le prese dolcemente il viso tra le dita, baciandola come se fosse stato troppo tempo che non lo faceva. E i dubbi di Beth svanirono all'improvviso, svanirono di colpo i sensi di colpa che le stavano facendo a brandelli la coscienza come un gatto stronzo che graffia le tende di broccato della sua padrona: si aggrappò alla vita di quell'uomo come se stesse per cadere in una voragine senza fondo, e, ridendo, si lasciarono cadere sul letto.

 

Trascinati a forza fuori dal confessionale da una sagrestana ottantenne e profondamente offesa dall'aspetto e dal comportamento di quei giovani adoratori di Satana, Matt e Jimmy vennero riportati dagli altri, al cospetto di Michelle – che non dava segno di voler smettere di piangere – e Valary, la quale si era presa la responsabilità di scotennare personalmente il suo cognato-per-un-pelo qualora avesse trovato le palle di tornare da sua moglie-per-un-pelo.
Zacky chiamava incessantemente, ma sia il cellulare di Brian che quello di Beth risultavano spenti. “Rispondi, lurido pezzo di-”
“Un momento di attenzione, prego.” , fece Matt, piantandosi al centro della navata e con le braccia aperte come un predicatore.
L'officiante lo guardò male.
Tutti gli occhi, compresi quelli gocciolanti di disperazione di Michelle, gli si appiccicarono addosso. “Jimmy qui ha qualcosa da dire.”
Jimmy qui lo guardò come se avesse voluto scuoiarlo e fare paralumi da soggiorno con la sua pelle. Matt, sconvenientemente solenne, gli fece spazio, e si piazzò di fianco a lui con le mani giunte all'altezza della cintura: sembrava un bodyguard di Madonna.
“Ehm...” , iniziò Jimmy, schiarendosi la voce, trovandosi a cercare le parole per la prima volta in vita sua. “Dunque... praticamente, in sostanza, essenzialmente, in concreto, alla luce dei fatti, effettivamente, realment-”
“JAMES OWEN PARLA, per cortesia.” , ululò Valary.
“L'unica cosa di cui siamo certi al centodieci per cento è che Brian ha abbandonato la cappella e mi ha fottuto la macchina.”
Silenzio.
Perfino le zanzare si fermarono a mezz'aria, per paura di fare rumore.
Il labbro inferiore di Michelle prese a tremare, e riprese a riversare tutto il suo sconforto sulle ginocchia della sorella, macchiandole il preziosissimo
tubino Prada di una soluzione assassina di muco e rossetto Mac.
“Complimenti vivissimi, Cicerone Tu sì che sai tranquillizzare una donna afflitta.” , chiosò Johnny, alzando un sopracciglio.
Una giovane donna, fasciata in un lungo abito color vino, conquistò il centro del presbiterio, parallela a Jimmy. Gli sorrise con gli occhi.
“Non ha senso incazzarsi, ora come ora, come non ha senso inviargli odio per via telepatica. Lo sappiamo tutti com'è fatto Brian: fa cazzate una dietro l'altra perché pensa di avere ancora diciassette anni, quando invece si sta avvicinando a grandi passi ai trenta. Posso dirvi solamente di portare pazienza, ancora una volta, di tornare alla nostra normale vita quotidiana, e aspettare, semplicemente, che torni. Perché lo fa sempre. Michelle, quante volte sei stata su fino alle cinque ad aspettarlo? Ed è sempre tornato.”
“E' facile parlare, Celeste.” , sbottò Valary, velenosa, guardando con un sopracciglio alzato la ragazza col vestito color vino – che, appunto, si chiamava Celeste. “Non sei tu quella che deve aspettarlo in piedi fino alle cinque.”

 

 

Passarono buona parte del pomeriggio nel letto sfatto, rincorrendosi le mani e le risate a vicenda, scopando, bevendo scotch scadente dal mini bar.
Ora si fissavano, le dita tatuate di Brian si perdevano nei folti capelli castani di Beth, come quando, l'anno prima, avevano fatto sesso per la prima volta.
Una dolcezza infinita aveva sempre guidato i suoi movimenti, anche quando si era ritrovato ad armeggiare con la cerniera del vestito color corallo di Beth, anche quando la guardava inginocchiata ai suoi piedi e le stringeva i capelli, spingendole il capo: in qualunque caso la dolcezza che riservava per la sua storica migliore amica non l'aveva mostrata a nessun altro essere umano. Nemmeno a Michelle.
Le baciò le palpebre, il naso, le labbra, sempre con le dita incastrate nei suoi capelli. A differenza di quanto aveva detto a Michelle quando erano tornati insieme, l'anno precedente, quando Beth era scappata da Huntington Beach per tornare dal suo amato fidanzato a San Francisco e lui pensava di averla persa per sempre, se avesse potuto tornare indietro nel tempo non avrebbe cambiato una virgola di ciò che era successo tra di loro. Nè la sua proposta di avviare un rapporto di scopamicizia, né tantomeno di aver tradito Michelle, la sua compagna di una vita, con lei.
Beth non era Michelle, e questo era evidente, ma era soprattutto la causa scatenante di tutto quello che aveva sempre fatto in vita sua. Compreso il piantare quella povera Crista all'altare, e anche se sapeva che non era giusto, se fosse tornato indietro nel tempo lo avrebbe fatto altre diecimila volte. Semplicemente perché Michelle si era macchiata dell'imperdonabile colpa di non essere Beth.
Si era chiesto, durante una delle sue consuete veglie dovute all'insonnia, perché il far soffrire Michelle così tante volte non lo scalfisse minimamente. Glielo aveva chiesto anche Jimmy, qualche volta.
Non diede mai una risposta a nessuno dei due.
Ma ora, con Beth che gli accarezzava il petto, e con i graffi di lei che gli bruciavano ancora un poco sulla schiena, e con la luce arancione del sole tramontante che si proiettava su di loro, infilandosi nei buchi delle tapparelle di quella squallida camera d'albergo, e con quel profumo paradisiaco della ragazza su di sé, Brian la trovò la risposta a tutto quel casino emotivo che stava provocando alla sua vera fidanzata senza rendersene conto: non si accorgeva di far soffrire Michelle perché era troppo preso a non far soffrire Beth.
Brian, abbiamo fatto una cazzata grande come una casa...” , sussurrò Beth.
Lo so.” , disse lui, guardandola con tenerezza.
Si guardarono intensamente, poi si liberarono l'uno dalle braccia dell'altra e, mentre Beth recuperava il suo vestito, Brian accese il telefono, che aveva abbandonato, spento ed indesiderato, sul fondo di una tasca interna dello smoking. Si accese una sigaretta, mentre lo schermo si riempiva di una fila infinita di chiamate senza risposta da parte di Zacky.
Compose il numero, aspettando la tempesta.

 

“E invece, Valary, l'ho fatto. Tutte le volte che Brian scompariva misteriosamente ero io che lo aspettavo con tua sorella.”
La calma con cui Celeste parlò innervosì Valary ancora di più.
“Io ho un figlio.” , rispose indispettita quella. Il figlio, sentendosi chiamato in questione, emise un versetto allegro dalle braccia di Johnny, allungando le mani grassocce verso il padre. Matt, colto contro piede, prese in braccio l'infante.
“Non mi sembra di averti accusata di niente, Valary.” , rispose Celeste, alzando lievemente le spalle.
Matt sussurrò un “She's got a point...” sperando con tutto se stesso che la moglie non l'avesse sentito.
Valary aprì la bocca per controbattere, ma la richiuse subito quando la suoneria di un cellulare rimbombò per la cappella come un tuono che si schianta a terra.
Jimmy strinse i pugni fino a far schioccare le falangi, lo sguardo sempre fisso su Celeste.
Zacky sussultò, e per poco non fece cadere il telefono a terra.
Gli occhi di Michelle diventarono grandi come due piattini da dolce, e la bocca prese la forma di uno zero.
Celeste rilassò le spalle e lo stomaco.
Matt e il bambino si guardarono, deglutendo.
La sagrestana si fece il segno della croce.
“Brian-”
“Passami Jimmy.”

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti.

Come state? Spero bene.

Sebbene possa sembrare una pretesa egoista, ho bisogno della vostra lucidità e attenzione per spiegare un paio di cosette.

Mi sono rimessa a scrivere.

Anche se ho abbandonato Acquiesce, che aveva appena visto la luce. Mi dispiace, ho passato un periodo di buio totale in cui non riuscivo a scrivere due parole senza eliminare il documento e cercare di sfracellarmi il lobo frontale contro lo spigolo più vicino. Capita.

E quando questo periodo è passato, è sopraggiunto quello in cui ho dovuto dedicare anima e corpo allo studio, con risultati più o meno soddisfacenti.
Ma comunque
Non so se qualcuno se le ricorda, ma avete presente “...and we ended up fucking” e “Con la testa nel forno”?
Ebbene, io sono quella pseudo scrittrice scapestrata che si è eliminata da efp in un impeto di ascetismo e odio profondo nei miei propri confronti.
MENO MALE, direte voi, PERCHE' NON SEI RIMASTA FUORI DA EFP??
Perché mi piace dare fastidio alle persone sfornando delle storie disturbate con personaggi disturbati partorite dalla mia mente disturbata.
E perché un po' mi mancava.
Ma, orsù, basta parlare di me.
Questa storia è nata perché avevo voglia di scrivere una specie di sequel di ...and we ended up fucking. Se non l'avete mai letta, meglio per voi, niente paura, seminerò qua e là, in questa storia, dei riferimenti che vi facciano capire la trama di quella cagata madornale ciò che scrissi.
Mi farebbe tanto piacere se sprecaste due minuti del vostro preziosissimo tempo per dirmi cosa ne pensate con una recensione, se è il caso che continui a scrivere perché siete curiosi, o se è meglio se mi trovi un altro hobby, tipo il lavoro a maglia o la lotta greco romana.
Confido in voi perché mi facciate questo regalo.

Bene, vi lascio liberi ora.

Tornate a fare quello che stavate facendo.

 

Con Affetto,

Yunomi. 

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Capitolo 2
*** Ambasciatori di pace ***


2

Ambasciatori di Pace

 

 

Non cercare in un viso la ragione,
in un nome la passione
che lontano ora mi fa.”

(Vedi Cara, Guccini)

 

“Ma guarda tu cosa mi tocca fare per quel cazzone...” , sussurrò Jimmy al cruscotto di un'auto non sua. Guidava con una mano sola e la camicia aperta per far prendere aria ai tatuaggi. L'altra mano schiaffeggiava l'aria fuori dal finestrino aperto. Aveva rinunciato agli occhiali, quella mattina, perché il caldo gli faceva sudare la radice del naso, e non c'era niente, diceva, che gli desse più fastidio della radice del naso tutta sudaticcia.

“Benvenuto nel club.” , rispose il cruscotto.
No beh, non il cruscotto, bensì la proprietaria dei piedi che vi stavano mollemente appoggiati sopra. Il vestito color vino se ne stava rimboccato sulle cosce, e le gambe lunghe e rosee srotolate, sudate, rimpiangenti il freddo pungente del loro paese d'origine.

Celeste Doherty era mezza irlandese e mezza italiana, capitata in California in seguito ad una serie di sfortunati eventi che chiunque la conoscesse si era perso per strada. E nonostante vivesse a San Francisco da più di due anni per via dell'università, ancora non era riuscita ad abituarsi alle giornate calde ed appiccicose che caratterizzavano la West Coast. Le mancavano costantemente le piogge torrenziali e impietose di Milano e le alte scogliere scure che si affacciavano sulle onde roboanti e salate che schiaffeggiavano il mare di Dublino. Ma non lo dava mai a vedere. E comunque, quando le sfuggiva qualche affermazione melanconica sulle uniche due città che avrebbe sempre portato nel cuore, erano sempre rivolte ad un pubblico ristretto di persone accuratamente selezionate nella sua cerchia di conoscenze.

“Benvenuto nel club?”

“Esatto.”

Jimmy la guardò, enigmatico.

Celeste inspirò un boccata di aria: le sembrò di stare respirando vapore sopra una pentola d'acqua in ebollizione. “E' la nostra missione, tirare fuori i nostri migliori amici fuori dalla merda praticamente sempre. Io me ne sono fatta una ragione, ormai.”

“Quindi tu e Beth siete migliori amiche.” , replicò Jimmy. “Beth non ci ha mai parlato molto di te.”

Celeste sorrise in un modo così amaro da far pentire Jimmy di aver parlato. “Possiamo essere considerate tali, diciamo.”

Stettero zitti per una manciata di minuti che, dilatati dal caldo come cemento al sole, sembrarono durare anni. Celeste allungò una mano inanellata e accese la radio. Le note di Hammer to Fall dei Queen rimbombavano nell'abitacolo di quel 4x4 che Jimmy aveva sequestrato con la discrezione di un Grizzly in livrea, di Matt, forse. O forse era di Zacky? Boh. Non ne era certo.

D'altronde, prendersi le auto a vicenda era diventata parte della routine, in quello sfortunato drappello di disadattati satanisti.

Every night and every day, a little piece of you is coming away” , cantava Freddie Mercury, insieme alla voce di Celeste, che aveva preso a canticchiare con lui. Imboccarono un'uscita senza mettere la freccia, difatti un orripilante ibrido della Toyota li sorpassò strombazzando a più non posso. Jimmy si sporse dal finestrino: “TI SI E' PER CASO ATTACCATA QUELLA TUA FACCIA DI CAZZO AL CLACSON?”

Celeste rise, continuando a cantare. Jimmy rientrò nell'abitacolo masticando un figlio di troia e un sorriso strafottente.

A lato della strada male lastricata si stagliava il profilo tremolante di un motel che recava, sull'insegna smangiata dal tempo, il nome Deceiver's Inn, scritto in caratteri gotici. Jimmy pensò ad alta voce quanto fosse perfetto per la situazione di merda in cui si trovavano.

Scese dalla macchina, puntandosi le mani sui fianchi mentre Celeste si infilava i sandali. “Si è scelto proprio un ottimo rifugio, il disertore.” , disse, sorridendo alla ragazza.

 

Sotto il portico di legno, all'ombra, se ne stava Brian, appoggiato a una colonna, con una sigaretta che pendeva storta e spenta dalle labbra. Scrutava l'orizzonte. Di fianco a lui, una ragazza con i lunghi capelli castani raccolti in una coda storta e un vestito color corallo guardava per terra. Celeste le si avvicinò.

“Guardi le formiche?” , chiese, dolcemente, quando la ragazza alzò lo sguardo su di lei. “O cerchi quel poco di credibilità che ti era rimasta?”

Beth la osservò altrettanto teneramente. “In altri casi ti avrei più o meno gentilmente esortato ad andartene a fare in culo.”

Celeste le prese una mano, stringendola. “Lo so. Ciao, Brian.”

Il ragazzo le concesse un istantaneo cenno col capo.

Il sole iniziava a tramontare.

“Ciao, cazzone.” , fece Jimmy, materializzandosi di fianco a Celeste. “Sappi che se adesso non ti ritrovi agonizzante in una pozza di sangue come Beatrix Kiddo all'inizio di Kill Bill Vol. 1 è solo grazie a questa fanciulla qui.” , disse, indicando Celeste.

“Grazie?” , rispose Brian, poco convinto. “Cosa avete intenzione di fare adesso, Poliziotto Buono e Poliziotto Cattivo? Riportarci a casa cosicché quelle due ci diano le mazzate che Jimmy ci ha risparmiato?”

“Non proprio.” , disse Celeste, accendendogli la sigaretta. “Io e Jimmy abbiamo affittato una stanza.”

 

Vedi cara, è difficile spiegare
è difficile capire
se non hai capito già.”
(Guccini, Vedi cara)

 

 

“Fantastico. Un matrimoniale.” , si lasciò sfuggire Jimmy, piazzato come un bronzo di Riace davanti al letto a una piazza e mezza che occupava i tre quarti della stanza. Rigorosamente scelta perché di fianco a quella di Brian e Beth.

Celeste sorrise: “Come mai così preoccupato? Hai paura che ti salti addosso nel bel mezzo della notte?”

Lui la guardò, cercando nei suoi occhi cangianti la malizia che quella frase palesemente esplicitava. Non la trovò.

Semplicemente perché in lei non c'era malizia percepibile ad occhio nudo. E mannaggia a lui, che si era dimenticato gli occhiali da vista a casa.

Jimmy non se ne capacitava: non capiva come quella ragazza riuscisse a risultare naive e pura come una rosa appena sbocciata e allo stesso tempo uscirsene con certe esclamazioni che tradivano tutta questa sua aura da Madre Celeste. In effetti capiva perché i suoi genitori l'avessero chiamata così.

Gli piaceva perché era così piena di sfaccettature e ramificazioni tipo foce a delta che gli costavano un profluvio di notti insonni, gonfie di algoritmi e congetture per cercare di inquadrarla. Al contrario del nome che portava con così tanta grazia e pudicizia, Celeste era opaca e complicata, e non trasparente come ci si sarebbe aspettato.

Ma che poi, alla fine, chi se ne fotteva dei nomi? Lui si chiamava James, e James vuol dire “colui che soppianta”. Quando mai aveva soppiantato qualcosa, in vita sua?

“...avo scherzando, Jimmy.”

La sua voce gli arrivò all'orecchio gradualmente, come quando si passa dalla fase REM alla veglia, e il buio si dirada, e si riprende progressivamente coscienza del proprio corpo.

“Avrei sperato di no.” , rispose, sorridendole. Voleva vagliare le sue reazioni.

Celeste scostò lo sguardo, ma lui capì comunque che stava sorridendo.

“Avremmo potuto fare un salto a casa a prendere un paio di vestiti un po' meno appariscenti.” , aggiunse, accaldata, mentre trafficava nella pochette alla ricerca delle sigarette.

“No. Sei bellissima.”

 

I ain't eez-eh
I'll make you mad.”
(Kasabian)

 

 

“Come sta Michelle?”

“Certo che hai proprio una bella faccia tosta, Bry.”

Un batterista, un chitarrista, una laureanda in legge e una semi anatomopatologa vestiti da cerimonia, seduti all'indiana sulla moquette di uno squallido motel che dava sull'autostrada, muniti di tequila e sigarette invece che di voglia di vivere. Un quadretto da appendere al Wall of Shame, insomma.

“Sentimi bene, James.”

Quando Brian chiamava Jimmy col suo nome per intero si poteva intuire di quanto avesse le balle piene di qualcosa. E sì che Jimmy aveva passato tutta la prima serata a ripetere a disco rotto la suddetta frase.

“Sentimi bene perché non lo ripeterò più: mi hai davvero rotto il cazzo. Lo so cosa ho fatto, lo so quanto mi odia Valary-”

“Credimi, non lo sai.” , interruppe Beth, nascondendosi subito dopo dietro il bicchiere, pieno a metà di liquore. Brian la guardò in cagnesco.

“Dicevo... Lo sappiamo entrambi che abbiamo fatto un grande sbaglio, un grandissimo sbaglio che probabilmente ci costerà ciò che ci resta da vivere. Ma non mi aiuti se continui a comportarti da stronzo e a sbroccarmi contro ogni tre per due. Come se tu fossi il Padreterno, peraltro.

Giust'appunto, spiegami un po' secondo qualche criterio hai scelto proprio Celeste come ambasciatrice di pace? Ti ha fatto qualche memorabile lavoretto di mano in sagrestia?”

“Ragazzi non mi sembra davvero il caso-”

“E' già tanto se non sono entrato qui dentro di retro con il suv di Zachary e non sia andato avanti e indietro sulla tua insensibile salma finché nemmeno tua madre ti avrebbe riconosciuto, in obitorio.” , rispose Jimmy, calmo come un Buddha, abituato ormai alle frecciatine a sfondo sessuale di Brian, accendendo una delle sigarette bianche di Celeste. “E comunque la cosa grave è che tu pensi che la cazzata apocalittica che ha mandato tutto non ti dico dove sia stata fuggire dal matrimonio, dal tuo matrimonio, con la mia Mustang e la tua scopamica.

Brian lo guardò, accigliato, mentre Jimmy passava la sigaretta a Celeste.

“La cazzata apocalittica di cui ti si incolpa, Brian, è che sei tornato insieme a Michelle e, come se non bastasse, ti ci sei pure fidanzato.”

“E l'hai illusa.” , aggiunse Celeste, che fino a quel momento si era tenuta esente insieme a Beth.

“La pensi come lui?” , chiese Brian.

Celeste annuì.

“E certo, dopo che te le porti a letto ce le hai tutte al guinzaglio.” , sbottò, guardando Jimmy con aria cattiva da sopra il bicchiere.

Fu davvero veloce.

Nessuno dei presenti la vide.

Una delle delicatissime e leggiadre mani di Celeste sbatté sulla faccia di Brian a mo' di racchetta da tennis. Jimmy, Beth e lo stesso Brian la guardarono basiti. Celeste, con tutta la sua solita imperturbabile calma, si raddrizzò un anello, che nell'impeto dello schiaffo stava per scivolare dal dito, e si accese un'altra sigaretta. “Come ho detto, non mi sembra davvero il caso.”

“Sei bellissima.” , ripeté Jimmy, suscitando la risata di Beth e della stessa Celeste. “E tu,” disse, indicando Brian, “alla fine la mazzata te la sei presa.”

“Signori, sono dell'idea che nessuno dei due qui sia ancora pronto a tornare a casa, e consequenzialmente affrontare l'ira funesta delle sorelle Di Benedetto. Quindi penso che sia più saggio prenderci qualche giorno per pensare al modo di reagire alla situazione che attenti alla persona di Brian il meno possibile. Anche se, a conti fatti, in tal modo gli si farebbe un enorme favore.” Si alzò, e il vestito le ricadde lungo le gambe come un sipario. “Vogliate scusarmi, credo che andrò a fare una doccia. Mi dispiace che abbiate dovuto assistere a un tale impeto da parte mia, ma d'altronde sono poche le ammirevoli teste di cazzo che riescono a urtare così sensibilmente i miei nervi.”

La guardarono uscire dalla stanza e raggiungere quella a fianco, poi Beth si strinse nelle spalle e si versò un'altro bicchiere di tequila. “Sapete, quando è incazzata sfodera il suo lato più aulico. Lo fa per dare conferma di essere superiore a certe minchiate.”

Scoccò un'occhiata a Brian, come a dirgli te la potevi evitare perfettamente, e uscì sul terrazzo a fumare.

 

Niente paura,

ci pensa la vita,

mi han detto così.”

(Ligabue, Niente paura)




 

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Capitolo 3
*** A corpse named Gustavo ***


 3
A corpse named Gustavo
 
 
 Svariati mesi prima…

 
 
“Merda. Ho perso di nuovo i riassunti di diritto costituzionale.”
“Un giorno di questi in obitorio troverò la tua testa, invece di quella di Gustavo.”
Beth alzò lo sguardo dalle cartelle che aveva sventrato sul pavimento. “Gustavo? Chi diamine è Gustavo?”
“Il cadavere che stiamo studiando in università”, rispose Celeste, senza distogliere gli occhi dal libro, come se la sua migliore amica le avesse appena chiesto scusa, dove teniamo lo zucchero di canna?
“Ovviamente. Gustavo.” , disse Beth tra i denti. Sbuffò, e pensò che effettivamente avrebbe preferito prendere il posto di Gustavo piuttosto che rifare quei riassunti. Le venne un’idea.
“Tu hai finito gli esami, giusto, Celi?”
“Per un po’ tutta la mia attenzione sarà concentrata su una graziosa metastasi nel pancreas di Gustavo.”
Celeste sollevò lo sguardo verso Beth, e alzò un sopracciglio: “Non ci pensare nemmeno. Ti ho già fatto quelli di diritto penale minorile, e non hai neanche dato quell’esame, ancora. Sono là sulla mensola a prendere polvere.”
Beth sbuffò, lievemente infantile. “Sei sempre stata una secchiona. Che ti costa?”
“Cosa credi di imparare se i riassunti te li faccio io? E poi, perché non chiedi a un compagno di corso? Sono certa che Berkley gorgoglia di giovanotti prestanti che non aspettano altro che tu gli chieda un favore”, la prese in giro, e per poco Beth non le tirò una ciabatta.
“Poi dovrei andarci a letto.”, rispose l’altra, accasciandosi stanca sul divano accanto a lei.
“Ah giusto,” , disse Celeste, leccandosi un dito per girare la pagina, “e tu invece sei consacrata all’altare di coso, come si chiama, Synyster Gates.”
“Non incominciare.”
“Beth. È tutta l’estate che non ti chiama. E l’ultima volta che ti ha chiamato, non si faceva sentire da quattro mesi. Forse è il caso di andare avanti?”
Beth sospirò, distogliendo lo sguardo, e Celeste allungò una mano sul braccio dell’amica. Anche se era troppo orgogliosa per ammetterlo, sapeva quanto ci stesse male. Un giorno erano in chiamata Skype SanFran-Dublino, e Beth diceva di star vivendo i mesi migliori della sua vita, e il successivo Brian era partito per la tournée senza neanche avvisare, senza rispondere ai messaggi né alle chiamate.
E Celeste si ritrovava a gestire quel casino che Beth diventava dopo ogni delusione d’amore, ovvero una palla di pile che infestava il loro divano, e che non guardava niente che non fosse stato girato da Nora Ephron; e ogni tanto, se si era fortunati e abbastanza cauti, dall’unico spiraglio della coperta emetteva un lugubre lamento, che tradotto avrebbe dovuto significare ha chiamato?, ma che a un orecchio inesperto non mostrava alcuna differenza da certi versi che fanno i trichechi quando devono accoppiarsi. O quando muoiono trafitti da una fiocina. Questo la dice lunga sulla qualità di vita dei trichechi.
“A proposito, stasera viene il clan al gran completo. Cosa abbiamo da offrire?”, chiese Beth, giocherellando con un lembo del maglione, dopo aver passato lunghi attimi di parco silenzio.
“Mmh… Credo ci sia del bourbon avanzato dal compleanno di Matt, tequila, forse vodka…”
“Intendevo per la cena…”
“Da quando vengono qui per la cena?”
Calò, di nuovo, un lungo silenzio; non di quelli imbarazzanti o tesi, ma del tipo talmente dilatato che va riempito con qualcosa, qualsiasi cosa, un tè o uno slancio di irrazionale fregola sessuale.
Ma siccome né l’una né l’altra erano interessate alle sperimentazioni saffiche, Beth si alzò e mise su il bollitore.
Mentre aspettava, estrasse una sigaretta dal pacchetto di Celeste, accendendola. Sul bancone della cucina, un’edizione di Pathologic Basis of Disease, e di fianco, una pila di vecchie riviste. Beth le sfogliò, per vedere se ci fosse qualcosa da buttare, quando scoprì, alla base della torre, un numero di Kerrang!, vecchio di qualche mese.
Una delle pagine era stata piegata, a mo’ di orecchia, all’altezza di un articolo sugli Avenged Sevenfold. 
“Questo cos’è?”, chiese Beth, monocorde, alzando la rivista. Il gruppo ghignava strafottente dal paginone centrale, compatto e inossidabile come sempre, ma agli occhi di Beth era come se in quella pagina ci fosse una gigantografia di Brian.
Celeste si mosse inquieta, ma in una maniera talmente impercettibile che nessuno avrebbe notato, a colpo d’occhio: ma Beth la conosceva fin troppo bene, e aveva imparato a riconoscere i suoi automatismi, le sue lievi smorfie di disappunto e il modo peculiare in cui manifestava disagio. Un vago piegare la testa da un lato, un lento sollevamento del petto di pochi, trascurabilissimi millimetri, come per nascondere il suo umano bisogno di inspirare e diffondere ossigeno nei propri tessuti.
Poi, come se fosse stata improvvisamente svegliata da una trance, guardò negli occhi l’amica, e dopo un cruciale secondo, le sorrise. “Una rivista.”
Beth aprì il frigorifero bruscamente. Tirò fuori il cartone del latte e lo piantò sul bancone con veemenza tale da imperlare il manuale e le riviste di minuscole gocce bianche. Milky way.
Il bollitore emise un fischio isterico, ma venne prontamente ignorato.
“Esattamente,” , iniziò Beth, senza curarsi di suonare posata, “quanto pensi che io sia cretina?”
L’amica la guardò attraverso il soggiorno. Il temperamento burrascoso di Beth esplodeva sempre nei momenti meno adatti, ma di solito il suo arrivo si faceva sentire con un certo anticipo. L’ultima tromba squillerà, e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo trasformati. Davvero incoraggiante.
“Ti piace Brian, non è così?”
Celeste chiuse il libro. “Sai cosa? Parliamo quando ti sei data una calmata.”
Beth non riuscì a trattenere un ringhio di frustrazione. “Perché scappi sempre dalle discussioni? Perché non mi dici la verità? Cazzo, sono la tua migliore amica!”
Celeste, che aveva già un piede sul gradino per ritirarsi al piano di sopra, fece dietrofront e andò in cucina. “Il problema non sono io, e lo sai bene. Sei frustrata.”
“Non dirmi quello che pensi che io senta! E non sono frustrata, voglio solo che tu mi dica la verità per una volta.”
Il bollitore continuava a gridare.
“Vorrei ricordarti che non gira tutto intorno a Brian, anche se potresti non essertene resa conto, dato che quell’uomo è il centro del tuo universo.”
“Potevi startene all’UCLA. Non ti ho chiesto di seguirmi. Sarebbe stato tutto più facile.”
Celeste sorvolò saggiamente le frecciatine di Beth. “Cosa sarebbe stato più facile?”
Beth sospirò irritata, prese le riviste e le scaraventò nell’immondizia. Scrollò la sigaretta, mancando il posacenere, e poi, avvilita, la schiacciò sul povero, innocente Pathologic Basis of Disease.
Sbuffò, posando lo sguardo in qualsiasi angolo dell’appartamento che non fosse la figura dell’amica, glaciale ed indifferente.
Quanto la detestava quando assumeva quell’atteggiamento di superiorità, e quanto si detestava per non essere mai in grado di trattenersi dallo scoppiare. Ma Beth era costantemente un fascio di nervi che si contorceva sotto la pelle; sempre pronta a saltare, una freccia incoccata nell’arco, tesa e dritta, appuntita, pronta a colpire chiunque fosse a tiro.
Si sentiva una bambina capricciosa, e all’improvviso, di fronte all’imperturbabilità regale dell’amica, dovette trattenersi dal mettersi a piangere.
Così inesperta di tutto, così accoccolata nel suo caldo giaciglio di bambagia, ogni volta che discuteva con Celeste si sentiva nuda e vulnerabile, senza la possibilità di rannicchiarsi e proteggersi – e quel che è peggio, senza la capacità di contrattaccare.
Poteva dunque biasimare Brian per averla lentamente dimenticata? O forse per preferire Celeste a lei?
Dopotutto, lui era un uomo adulto, con  una carriera, una fidanzata che gli avrebbe dato dei figli: la sua vita, come un masso staccatosi dalla montagna, puntava inesorabilmente verso un’unica direzione. Lei non era nemmeno così vicina al laurearsi, aveva appena compiuto ventidue anni e l’idea di una gravidanza le provocava dei cupi tremiti lungo la colonna vertebrale. 
“Avrei solo preferito che fossi stata più sincera con me.”, sputò, velenosa.
Salì in camera sua, sbattendo la porta.
 
 
 
And I can easily understand
How you could easily take my man
But you don't know what he means to me, Jolene
 

 
 
Celeste stava affettando finocchi per la cena.
Era nervosa, irritata e stanca di finire sempre a litigare con Beth, sempre per gli stessi motivi; considerò un miracolo non essersi amputata neanche un dito.
Li scaraventò nella teglia e poi scaraventò la teglia nel forno.
“Tutto ok?” , chiese Zacky, facendo capolino dal soggiorno. Aveva le gote rosse perché James aveva avuto la brillante idea di preparare margarita per tutti, prima di cenare; e questo significava solamente che St. James, protettore dei fegati e della sbronza infrasettimanale, voleva farli ubriacare prima ancora che si sedessero a tavola.
Celeste sorrise. “Sì, grazie. Sono solo un po’ stanca.”
Appoggiò il coltello sul tagliere con la mano che tremava leggermente: “Ecco che se ne a ramengo la mia nomea di migliore tirocinante del corso.” Mostrò la mano a Zacky.
Lui, che di tirocini ne sapeva poco, e di migliore del corso in vita sua ne aveva sentiti ancora meno, le sorrise, affettuoso come un fratello maggiore: “Sicuramente Gustavo non avrà niente da dire se sbagli a guardargli nelle budella.”
Celeste lo guardò colma di gratitudine. Prese il bicchiere e ne svuotò il contenuto, strizzando gli occhi. Era certa che, approfondendo tali frequentazioni, il suo futuro, di lì ai prossimi mesi, si sarebbe potuto riassumere con due parole: cirrosi epatica.
“Ti sei ricordato che lo chiamiamo Gustavo…”, disse teneramente.
“Ma ovvio! È difficile dimenticarsi qualsiasi cosa dica!”, sbottò Johnny, spuntando come un fungo allegro in cucina.
Qualcuno, in soggiorno, aveva acceso lo stereo, e ora che Super Freak di Rick James veniva sparato fuori dalle casse l’atmosfera di quell’uggioso pomeriggio iniziò a intiepidirsi.
“Dove li tieni i lime, cara?”, chiese Matt, ancheggiando a ritmo in cucina.
“Non abbiamo lime, temo. Ma dovrebbe esserci un limone incartapecorito in fondo al cassetto della verdura.”
“Non lo vendi bene, lascia che te lo dica.”, esclamò Brian, allegro come un corvo su una lapide, sorseggiando il terzo margarita. A lui, di solito, prendeva la sbronza nichilista.
James, seduto sulla poltrona a gambe larghe, beveva alternando tra la bottiglia di tequila e quella di Cointreau; Celeste lo guardò dal bancone della cucina su cui si era appollaiata. Sembrava nervoso, come se gli formicolassero le mani dal bisogno che aveva di prendere a ceffoni qualcuno. Celeste saltò giù dal suo trono e si diresse verso di lui. Ora Matt aveva messo Blondie.
“Come va?” chiese languidamente. Si sentiva comunque molto a disagio in mezzo alla cricca, soprattutto se non c’era Beth a darle appoggio; ma era da quel pomeriggio che Beth aveva chiuso i porti con tutti e si rifiutava di spicciare parola. E con il livello etilico nel sangue che non faceva che alzarsi, Celeste non si sentiva certo nella sua forma migliore.
Jimmy le rivolse uno sguardo gentile, e le sembrò che per un attimo smettesse di vibrare. Anche il ronzio nella sua testa cessò per una frazione di secondo, ma di questo ovviamente se ne accorse solo James.
“Splendidamente, angelo.”, rispose, buttando giù un altro sorso di tequila. “Tu, piuttosto, mi sembri tesa come una corda di violino.” Si fermò di colpo e la guardò fisso, quasi spiritato. “Vuoi un altro margarita?”
“Sono a posto.”, sorrise lei. Percepiva con una precisione inquietane il movimento del sangue scorrere giù, fino alle gambe, e ritornare su, in particolare sulle guance, scaldandole. La sua dannata carnagione gaelica, quando arrossiva era davvero difficile mantenere il suo aplombe.
James, dal canto suo, faceva fatica a staccarle gli occhi di dosso; non riusciva a smettere di pensare alle sue gambe, sotto il vestito sottile che portava. Ebbe un fremito.  
“E’ il suo modo di flirtare, lascialo stare.” , sopraggiunse Brian, “Quando capisce che da sobrio non riesce ad abbordare cerca di blandire le sue prede con i distillati.”
“Brian: sei un deficiente. Celeste: dov’è Beth?”, disse James, tergiversando.
“Su. Abbiamo litigato, oggi. A proposito, Brian,”, asserì Celeste, prendendolo con malagrazia per un braccio, “due parole? Grazie. Qualcuno controlli i finocchi!”, urlò.
Si avviarono, entrambi barcollanti, lungo il corridoio, e si chiusero in bagno.
Quando sentì la chiave scattare nella serratura, Jimmy scattò in piedi, creando un piccolo tsunami di tequila nella bottiglia. Matt, che da quando era diventato padre aveva acuito i suoi sensi da capobranco, si avvicinò alla poltrona. Poteva quasi vedere il fumo che usciva dalle narici di James.
“Stavolta lo ammazzo.”
“Jimmy, il cuore.”
“E’ la volta buona che lo scotenno. Lo faccio a pezzi e lo seppellisco nel giardino di Johnny Christ.”
“Hey!”
“Jimmy?”
“Sì.”
“Caro Jimmy.”
“Sì.”
“Non mi piace quando rispondi a monosillabi.”
“Sì.”
“Non pensare subito male.”
“Sì.”
“Magari vogliono solo organizzarti una festa a sorpresa.”
“A chi?”
“A te, Jimmy.”
“Synyster Gates mi organizza una festa a sorpresa? Gliela faccio io la festa.”
“Calmo.”
“Un ricco cazzo. Io entro.”
“Non fare cagate, non sta proprio a te.”
“Vogliamo vedere come stai tu con quel diffusore su per il-”
“IL FORNO! I finocchi!”
 
           
Want me to love you in moderation?
Do I look moderate to you?
(Florence + the Machines)
 
 

“Bastava dirlo, bambina.”, ridacchiò Synyster – che da sbronzo era ancora più importuno, se possibile – premuto contro la porta del bagno.
Celeste lo squadrò con un velo di compassione. “Sei un uomo pietoso, Brian. Nel senso che mi susciti solo che pensieri compassionevoli.”
“Meglio che non suscitare nulla.”
“Beth e io abbiamo litigato.”
“Ebbene?”
“Per colpa tua. Non so come si è messa in testa che mi piaci.”
“Non è così incomprensibile, bamb- AHIO!”, strillò, tenendosi lo stomaco che Celeste aveva appena perforato con una gomitata. “Sei manesca.”
“Cristo!”, esclamò lei, esasperata, “Si può sapere che intenzioni hai?”
“Ma cosa vuoi dire?”
“Cosa voglio dire… Dio santo, a volte mi sembri un bambino speciale. Hai passato tutta l’estate scorsa a illudere Beth di essere la donna della tua vita, poi appena se ne torna a San Francisco basta, amici come prima? Ma sei capace di scegliere una direzione nella tua vita e seguirla coerentemente?”
Brian rimase zitto, osservando le piastrelle.
“Se non sei innamorato di Beth, o se lo eri ma non lo sei più, o se volevi solo un passatempo per l’estate, devi dirglielo. Devi dirglielo, perché mi sta facendo uscire di testa, e io ho bisogno, della testa. Devo laurearmi.”
“Cosa ti fa credere che io non sia innamorato di Beth?”
Celeste lo guardò, basita, esasperata. “Stai scherzando? No… sei serio. Oddio, sei serio. Brian. Ascoltami, ma davvero: se sei innamorato di Beth, perché sei scomparso senza dirle niente? Dio, se solo accettassero volontari da esaminare all’obitorio, vorrei vedere esattamente quante volte tua madre ti ha fatto cadere da piccolo. Dev’esserci una qualche lesione, un’abrasione del lobo front-”
“Sono tornato con Michelle…”
“Ah.”
“Più o meno.”
“Sei senza speranza.”
“L’ho sentito spesso.”
“Cristo. Cristo. Okay. Devi dirglielo. No, ascolta, non fare quella faccia da totano bollito. Devi dirle che sei innamorato di lei, ma che ti sei messo con Michelle. Oppure lascia Michelle.”
“La ucciderò.”
“Lo stai già facendo, e stai trascinando anche me nel mentre.”
“Dille che ti piace Jimmy, così si leva ogni dubbio su di me.”
“Non mi piace Jimmy.”
“No, certo, e io in realtà sono Lady Diana, Johnny Christ è un leprecano, e questo spazzolino qui cura il cancro.”
“Non sono affari tuoi chi mi piace. Il punto, qui,”, continuò Celeste, sentendo la pazienza venirle meno, “il punto è che devi capire che cazzo vuoi, Brian.”
Lui scivolò con la schiena fino ad accasciarsi per terra, come una bambola di pezza. Si strofinò gli occhi e sospirò. “Non so neanche io cosa voglio. Insomma, Michelle è la mia ragazza dai tempi del liceo, ci tengo a lei… Ma Beth… è un’altra cosa.”
Celeste si sedette di fianco a lui, sospirando. “Io voglio solamente che tu prenda le tue scelte senza falcidiare chiunque si trovi nel raggio di un chilometro da te. La peste del ‘48 è un colpo d’aria in confronto a te.”
Brian ridacchiò sommessamente. “Mi piaci, Celeste. Mi piaci perché hai due tette da paura e riesci a tenere tutti a bada.”
Celeste alzò gli occhi al cielo, ma in realtà sorrideva. “Promettimi solamente che sarai sincero, qualunque sia ciò che deciderai.”
“Mh.”
“Non fare nulla perché credi di dovere.”
“Mh. Okay. Grazie, credo.”
Celeste sorrise, gli diede una pacca sul ginocchio e si alzò. “Jimmy fa davvero dei margarita micidiali.”, disse, appigliandosi ad un accappatoio per non cadere rovinosamente a terra.
Altrimenti sarebbe stata lei a trovarsi sdraiata sul tavolo autoptico, l’indomani.
 
 
I've never made it with moderation
No, I've never understood
All the feeling was all or nothing
And I took everything I could
Can't hold it back, I can't take the tension
Oh, I'm trying to be good
Want me to love you in moderation
Well don't you know, I wish I could.
(Sempre Florence, Florence la saggia, l'immensa.)



Ebbene,
riapprodo anche in questa storia, che avevo lasciato in un angolo della mia mente come un orfano dickensiano, lasciata a macerare nei suoi umori per quattro anni.
Riapprodo non completamente certa che a qualcuno importi ancora qualcosa di questa manica di derebrati; tant'è, che se non li lascio uscire a prendere un po' d'aria e a sgranchirsi le gambe mi revocano l'affido. E io ho bisogno di loro.
Sono passati quattro anni, e io resuscito con un mese di ritardo dalla festa dei morti perché questo qui è un periodo proprio strano, in cui penso decisamente troppo, rimugino, piango, leggo gialli dozzinali e cucino. 
e questi qui - gli A7X, dico - questi qui sono sempre stati un'insostitubile copertina di Linus, come anche la scrittura lo è sempre stato. E devo dire che stanno aiutando.
Come sempre.
Di cosa mi sorprendo? Dannati.
Oh beh, sapete come funziona: se vi è piaciuta, fatemelo sapere. se non vi è piaciuta... meglio di no, che sono anche io avvolta in pile a piangere e guardare i film della cara Nora.
Baci stellari,
Valeria Marini
y.

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Capitolo 4
*** Contro la paura ***


 


 
Contro la paura
 
 
 
 


 
“Devi andare a chiederle scusa.”
“Non ritengo che sia necessario.”
“Non è una proposta. È una cordiale imposizione.”
Synyster Gates sbuffò il fumo di una sigaretta leggera verso il soffitto. Beth gliela tolse dalle dita. “Dai.”
“Veramente è lei che mi ha tirato un ceffone, dunque dovrebbe essere lei a scusarsi. Gioco di mano, gioco di villano, ne hai mai sentito parlare?”
Beth gli dedicò un’alzata di sopracciglio che diceva tutto e niente.
“E’ una ragazza manesca! Che modi hanno di comunicare, in Italia?”
“Lei ha vissuto in Italia sì e no i primi tre anni della sua vita.”
“Guarda che è quell’età in cui si forma il carattere.”
“Synyster Gates, eminente pedagogo.”
Synyster Gates, eminente pedagogo, scoccò un’occhiata pietosa verso il Cielo, aprendo i palmi: il Cielo gli riversò il suo disinteresse attraverso lo sfarfallio del lampadario della stanza. Rinunciando al suo ingombrante alter-ego per qualche secondo, Brian si stropicciò un occhio e si concesse un sospiro stanco.
“Ti assicuro che ti saresti meritato di peggio.”, esalò Jimmy, le dita incrociate sul petto e gli occhi chiusi per ragioni note solo a lui.
Brian si alzò con riluttanza, riappropriandosi della sigaretta dalle dita di Beth.
Beth aveva la testa appoggiata sullo stomaco di Jimmy, e si osservava la manicure sbeccata, stanca di tutto. Jimmy, dal canto suo, teneva gli occhi chiusi: che si fosse improvvisamente dato alla meditazione, questo nessuno avrebbe potuto stabilirlo con certezza.
Fatto sta che Brian non lo aveva mai visto così immobile per così tanto tempo: non poté negarsi di provare una lieve inquietudine, che si tradusse in un lieve tic nervoso alla palpebra sinistra.
“E voi restate qui? Così?”, fece Brian, gesticolando scompostamente verso di loro.
“Già.”, ribatté Beth, giocherellando con l’orlo del vestito.
“Per l’appunto.”, le fece eco Jimmy, sempre con gli occhi chiusi.
Brian coprì la distanza fra il letto e la porta. Si girò di centottanta gradi. “Niente sostegno morale?”
“E’ una ragazza, non Yog-Sothoth.”, ribatté la ragazza, chiudendo a sua volta gli occhi.
 
 
 
 
 
It's a machine's world
Don't tell me I ain't got no soul

 
 
 
 
Brian entrò nella camera adiacente senza bussare; di fatto, la trovò vuota di qualsiasi presenza umana, eccezion fatta per una scia di vestiti che dal letto portavano al bagno.  
Entrò, abbassò il coperchio della tazza e si sedette, marziale.
“Sei Norman Bates?”, chiese una voce da dietro la tenda tirata.
“Sono Brian.”
“Sono in doccia.”
“Lo vedo.”
La faccia di Celeste, imperlata di goccioline, sbucò per un secondo da dietro la tenda e fissò quella di Brian. “Ti dispiacerebbe andartene?”
Lui la ignorò e si grattò il palmo della mano.
“Volevo chiederti scusa per il mio comportamento infantile.”, ripeté Brian, a macchinetta. A Celeste colpì il dubbio che qualcuno glielo avesse scritto sulla mano e che lo stesse leggendo.
La ragazza si ritirò dietro la tenda. “Okay. Perdonato. Ora te ne puoi andare?”
Ma Brian non se ne andò: incrociò le braccia sul petto e si sedette più comodamente sul water. “Celeste.”
Non rispose. Il getto dell’acqua copriva ogni cosa.
“CELESTE.”, ripeté lui, alzando il tono di un paio di ottave sopra il consueto.
“Per il cielo, gli angeli e i santi…”, fece lei, chiudendo il rubinetto. Venne immediatamente investita da un freddo improvviso. Dense coltri di vapore esalarono come fantasmi dalla sua pelle.
“Mi sembri una ragazza sveglia.”, incominciò Brian. Aveva iniziato a fissare con insistenza una piastrella, come se quella frase fosse piuttosto diretta a quella, invece che alla ragazza nella doccia.
Sentendolo ammutolirsi all’improvviso, Celeste sporse di nuovo il viso fuori dalla doccia.
“Sei spaventevole.”, gli disse, osservandolo con un sopracciglio alzato.
Lui si mise una sigaretta tra i denti, senza distogliere lo sguardo da terra.
“Hai da accendere?”, chiese.
La ragazza tacque, sospirando. “Sì, Brian. Come di consueto, mi porto sempre un accendino sotto la doccia.”
“Ah, già, sei ancora sotto la doccia.”
Ora Celeste iniziava davvero a preoccuparsi. Un paio di gocce precipitarono per terra, dal suo mento. “Non dirmi che è del rimpianto quello che vedo.”
Brian le rivolse uno sguardo glaciale, la sigaretta ancora spenta e penzolante dalle sue labbra.
Si alzò come un automa, e uscì dal bagno, lasciando dietro di sé una scia di gelo e dubbio più densa del vapore della doccia.
 
 
Brian si era seduto sul letto, e fumava, assorto, fissando la luna come un gatto solitario.
Celeste si palesò, lasciando una scia di rugiada dietro di sé; si strinse l’accappatoio intorno al petto. I capelli bagnati le incorniciavano un viso arrossato e tranquillo. Senza dire una parola, sfilò il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni di Brian, e se ne accese una con l’accendino di Jimmy.
Rimase ad osservarlo con il capo piegato. Lui fissava la luna, e sui suoi occhi scuri era calata la patina lattiginosa della stanchezza, oppure quella di una riflessione particolarmente profonda che lo aveva gentilmente ritirato dall’esistenza fenomenica.
Ebbe l’istinto irrefrenabile di dargli un bacio su una guancia.
Lo fece.
Brian si riscosse leggermente, e si voltò a guardarla: aveva negli occhi lo sgomento di chi non ne aveva ricevuti abbastanza, di baci sulle guance.
“Ma che cazzo fai?”, le chiese, e le saracinesche della meditazione si alzarono con un rumore secco e brusco.
Celeste sorrise. “Tenerone.”
Brian storse un labbro, disgustato, e si pulì la guancia con il palmo ben aperto. Celeste lo guardò con ancora più tenerezza, se possibile.
“Che giornatina.”, disse, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Da incorniciare.”
“Non si possono incorniciare le giornate, Brian.”
“Questo è quello che dici tu, piccola.”
“Sei un poeta e nemmeno te ne rendi conto.”
Ma Brian aveva smesso di ascoltarla, di nuovo. I suoi occhi erano nuovamente incatenati ai crateri lunari, e probabilmente il suo cervello stava elaborando un piano per atterrarci sopra che non richiedesse troppa matematica. Era stanco di divisioni e logaritmi.
D’altra parte, l’odore dei capelli di Celeste inviava impulsi violenti in una particolare zona del suo cervello; li sentiva quasi pulsare, i dendriti, mentre rispondevano a quel profumo. Un profumo di bagnato, di tavole imbandite sotto ad alberi mediterranei coi rami carichi di frutti, in un viavai di vespe e mosche, di fumi isterici sprigionati dalle salamelle premute sulla griglia. Lenzuola al vento, bianche di ammorbidente e sapone di Marsiglia, e risate di bambini che erano finalmente riuscite a superare la barriera delle bocche adulte.
“Perché non dici a Jimmy che ti piace da morire?”, chiese, ad un certo punto, sulla scia di quel profumo.
“Pensavo volessi parlare di Michelle.”
“Dopo. Ora rispondi.”
“Perché sono una ragazza spaventata. Ho paura di tutto; ho paura del rifiuto, dei pensieri delle altre persone, delle aspettative che mi sono imposta e che mi pesano sopra la testa come la lama di una ghigliottina; e guarda caso ci sono io, con un cappuccio in testa e la leva tra le dita. Ho paura di quello che potrebbe dire se non gli piacessi, e ancora di più di quello che potrebbe dire se gli piacessi. Perché lui è un bicchiere di acqua fresca e io sono una tazza di tè in cui qualcuno ha messo troppo zucchero.”
Brian assunse un’espressione colpita, senza smettere di guardare la luna. “Sei molto brava a dissimulare.”
“Lo so.”
“Ti abbiamo sempre presa per la stronza con la figa di legno e il cuore di ghiaccio.”
Il pugno di Celeste si scontrò pigramente contro il braccio di Brian, producendo un rumore piuttosto stupido. “Visto? Un poeta.”
“Facciamo una cosa.”, disse Brian, posizionando meglio la propria guancia contro il capo della ragazza.
“Dai.”
“Scappiamo.”
“Oh, ma sei fissato, allora.”
“Scappiamo io e te. E lasciamoli qui.”
“Loro chi? Jimmy e Beth?”
“Sì.”
“Mh.”
“Lo so che lo stai seriamente considerando.”
Celeste gli rivolse uno sguardo dolce. Brian le ricambiò lo stesso sguardo. Non si può, dicevano i loro occhi. Non si deve.
“Jimmy non ci può stare, senza di te.”, rispose Celeste, che fu improvvisamente colpita da un freddo che non veniva da fuori. “Non se la riesce a immaginare una vita senza di te. Lui, che immagina l’inimmaginabile. Sei la cosa di cui davvero non può fare a meno. Ti ama immensamente. Puoi andartene da Michelle, da Beth, da tua madre. Ma se te ne vai via da Jimmy chissà cosa può succedere. Un’improvvisa inversione entropica dell’universo, forse. L’esplosione di tutte le stelle. La ricostituzione della Pangea, perché persino i continenti annullerebbero gli Oceani pur di farvi stare vicini. Ti sei scelto un migliore amico in un uomo come lui; avete fatto un patto di sangue, vi siete legati consapevolmente i mignoli con un filo di seta rossa, vi siete vicendevolmente tagliati e scambiati le rispettive metà. Non puoi pensare di scappare via da lui. Non essere ridicolo. Se vuoi scappa da te stesso, piuttosto. Fai un giro nelle cosce di qualche altra donna che ti rimetta a nuovo, fai in modo di sentirti ancora come se avessi sedici anni e suonassi su un palco con la faccia impiastricciata di cerone e sudore. Ma non provarci nemmeno a scappare da Jimmy.”
Attimi di imperturbabile silenzio.
Così perfetti, piccole gemme una in fila all’altra a formare una collana che riverberava i raggi freddi della luna tutto intorno.
“Mi sembrava di ricordare che provassi un odio viscerale verso Platone.”
Celeste lo guardò con una certa soddisfazione.
“Ti ricordi bene.”
La Luna, intanto, sorrideva compiaciuta: loro non potevano vederla, però, perché dava loro le spalle.
 
 
 
 
Le mie canzoni poco intelligenti
Che ti ci svegli la mattina e ti ci lavi i denti
Canzoni per chi non ha voglia di pensare o di ascoltare
Canzoni per dimenticare

 
 
 
 
 
“Un giorno di questi, Celeste, verrai a letto con me. Te lo giuro, bambina, succederà: e sarà la notte migliore della tua vita. A parte il fatto che probabilmente non riuscirai a camminare dritta per una settimana o due...”
“Addirittura.”
“…a parte quello, tutto il sesso che hai fatto fino a quel momento ti sembrerà una partita a briscola, in confronto.
Della serie che dopo il tuo cervello dovrà stracciare intere pagine dalla sezione in cui tieni catalogati gli orgasmi in ordine alfabetico, e dovrà scrivere a caratteri cubitali: Synyster Gates mi ha fatto venire come nessun altro prima d’ora.”
“Non sapevo che il cervello stilasse liste di orgasmi.”
“Te lo giuro, bambina. Se quando apri il prossimo cranio ci stai più attenta lo vedi.”

“Ah, capisco. E quindi, se ho capito bene, un giorno di questi semplicemente mi sveglierò con la scimmia che devo venire a letto con te.”
“No, no, no, non mi ascolti. La scimmia ce l’hai già, è che non l’hai ancora accettata. La combatti, pensi
no, non può essere!, ma prima o poi la dovrai accettare, e allora verrai a casa mia in una notte di pioggia, mi suonerai il citofono, ti avvicinerai a me e mi sussurrerai all’orecchio: Brian.
“Chiaro.”
“Non ho finito.”
“Ah, scusa.”
“Mi sussurrerai: Brian. Sono nuda sotto la gonna. Prendimi qui, sulla batteria di Jimmy.
“E che cazzo!”
“Non interrompere, James.”
“Scusa, ma cosa ci fa la batteria di James nell’ingresso di casa tua?”
“Boh, Jimmy si lascia sempre roba dietro. Le sigarette, le chiavi, le fidanzate.”
“La batteria.”

“Sei davvero incommentabile, Brian.”
“Stai zitto, Zacky. State tutti zitti. Non c’entrate, voialtri. È una questione tra Celeste e me.”
“Apriti cielo.”
 
 
 
 
Sono canzoni poco consistenti
Insomma canzoni come me,

che non faccio più ragionamenti
Che voglio solo sensazioni,

solo sentimenti
E una tazzina di caffè
 
 
 
 
Brian crollò sul letto, facendo saltare Jimmy e Beth di qualche centimetro.
“Gesummaria.”, disse la ragazza, che si era appisolata sul torace di Jimmy. Il torace di Jimmy era un ottimo posto su cui appisolarsi.
Jimmy aprì un occhio per controllare: dall’impeto con cui si era sbattuto sul materasso, potevano benissimo essere due persone.
“No, solo Brian.”, rispose, dopo essersi sincerato che, nemmeno quella sera, nessuno dai Piani Alti si era scomodato per un pigiama party. Richiuse gli occhi, mentre Beth si alzava dal suo giaciglio.
Indossava la camicia di Brian, e aveva i capelli legati in quel modo inspiegabile con cui riescono a legarsi i capelli le ragazze, senza forcine né elastici, solo con la forza di volontà. Brian le osservò i capelli con insistenza mentre era voltata.
“Come sta la Duchessa?”, chiese la ragazza, accendendo la televisione.
Brian espirò profondamente. “Jimmy.”, disse invece, deviando la sua presenza come faceva sempre quando in una stanza si trovava una terza persona.
“Eh.”
“Ti giuro.”
“Cosa.”
“Ti giuro, che se non va di là-“
“Eh.”
“Se non vai di là e te la scopi fino a farle perdere conoscenza per qualche ora-“
“…”
“Io ti tolgo la parola.”
 
 
 
 
Canzoni
che parlano d'amore
Perché alla fine,

dai,
di che altro vuoi parlare?
 
 
 
Jimmy comparve sulla porta come in un film: dentro era buio perché a Celeste era venuto il mal di testa, e quando aveva aperto la porta con la solita malagrazia di un Unno la ragazza aveva sussultato: la figura di Jimmy era una silhouette scura immersa nello sfondo giallo della luce del corridoio. Celeste dovette convincersi che non si trattava di un film.
Si tirò a sedere sul letto: il mal di testa che le affilava il cervello era decisamente degenerato a furia di respirare col naso nel copriletto gonfi di polvere e naftalina. Il cervello barcollava come un marinaio ubriaco tra le pareti della sua testa.
“Brian si è dichiarato al posto tuo.”, disse Jimmy, travisando il convenzionale concetto di privacy e preparandosi ad affrontare il discorso con la porta spalancata sul corridoio. “In qualche modo.”
“Che pezzo di merda.”, disse Celeste, atona, cercando di mitigare il tumulto che aveva tra le costole con un tono indifferente. Scogli d’Irlanda sotto un cielo pugliese.
“Molto vero.”, fece lui.
“Puoi entrare?”
“Perché?”
“Entrano i fantasmi, e vorrei che fossimo solo noi due, stasera.”
Jimmy sorrise. “Non eri una donna di scienza?”
“Sono una donna di scienza con una madre che faceva la cartomante e si dilettava di spiritismo. Entra, ti scongiuro.”
 
 
 
 
Canzoni che ti salvano la vita
Che ti fanno dire "no, cazzo, non è ancora finita!"
Che ti danno la forza di ricominciare
Che ti tengono in piedi quando senti di crollare
Ma non ti sembra un miracolo
Che in mezzo a questo dolore
E tutto questo rumore


 
 
 
“Quando la Situazione qui è risolta, io vado a Sligo.”
“Puoi non parlare mentre ti bacio?”
Celeste assentì, saggiamente.
Sligo poteva aspettare.
Dal momento in cui il piercing di James si era scontrato con il suo mento, liscio e vergine, il suo sangue aveva raggiunto temperature vulcaniche, e si era pericolosamente addensato nelle sue vene.
Percepiva tutto al rallentatore.
Celeste non si era mai goduta appieno il sesso: era sempre stata troppo distratta da spiacevoli esperienze extracorporee che la obbligavano a pensare a qualche linea bianca in rilievo sul fianco, o a quel buchetto di cellulite che si creava quando piegava la gamba in un certo modo.
Ma dal momento in cui Jimmy le aveva avvicinato il viso al proprio, bam. Il suo corpo e la sua mente avevano firmato una tregua momentanea per permetterle di restare lucida in quel momento; perché se Jimmy aveva scelto di baciare quel punto particolare in cui il fianco era un po’ più morbido, allora era perché Jimmy lo riteneva degno di essere baciato. E chi erano Celeste, o la sua vaghissima dismorfofobia, o persino Dio per contraddire ciò che Jimmy riteneva degno di essere baciato?
Che comunque, lucida era un parolone.
Jimmy l’aveva spogliata dell’accappatoio, e nel momento in cui le sue labbra avevano sfiorato la sua pelle, Celeste si era sentita fiorire un desiderio incontrollabile in mezzo al petto. Una sorta di sorpresa che sorpresa non era, ad essere proprio sinceri, perché a livello mentale non pensava ad altro che fare sesso con Jimmy. Una sorpresa di cuore e di pelle, di organi interni sulle montagne russe, una sorpresa di realtà che si intromette violentemente nei sogni, come a voler avvisare che sì, sta succedendo per davvero, puoi concentrarti un attimo? Grazie.
Fatto sta che Jimmy l’aveva presa, forte.
Come se volesse rimarcare un concetto che andava enfatizzato in qualche modo; visto che non riesci a capirlo, te lo spiego per bene.
All’inizio era stato contro il muro; poi sul tavolo, dove Jimmy aveva rispolverato un paio di questioni che Celeste proprio non riusciva a tenere a mente. E infine sul letto, dove Jimmy si era lasciato sovrastare quel tanto che bastava a controllare che Celeste davvero avesse afferrato. Poi l’aveva di nuovo ribaltata sotto di sé e aveva chiuso l’argomento, una volta per tutte.
Forse un altro paio, per sicurezza.
 
 
 
A volte basta una canzone
Anche una stupida canzone
Solo una stupida canzone
A ricordarti chi sei

 
 
 
“Sligo.”, fece Jimmy, stringendo leggermente la presa sul suo braccio, come se volesse trattenerla dallo sgusciare via. Come un salmone.
Celeste tracciava con la punta del dito le vie infinite dei suoi tatuaggi; sembravano tutte portare al centro, verso le sette lettere che componevano verticalmente la parola che meglio descriveva quello a cui stavano pensando entrambi.
“Sì.”, rispose lei, premendo forse un po’ troppo l’indice nella carne.
“Ci sono più cadaveri da aprire, in Irlanda?”
“Ci sono i bog bodies, anche se in realtà io devo aprire quelli morti da massimo qualche ora, non vecchi di qualche centinaio di anni.”
Jimmy annuì al buio, perché lui e il buio se la intendevano molto bene.
“Quindi, te ne andrai.”
“Sì.”
“E tornerai?”
“Non credo, Jimmy.”
“E chi pronuncerà il mio nome con quel tono da vedova, quando te ne andrai?”
Celeste lo baciò forte, inspirando a pieno la sua persona; un piccolo lembo di California da portarsi dietro per sempre. Si staccò da lui e lo guardò dritto negli occhi, intensamente come poche altre volte aveva fatto in vita sua.
Gli occhi cilestrini di Jimmy le restituirono tutta la calma e la sicurezza di questo mondo e il successivo, oberati com’erano della conoscenza del Tutto; lei si accoccolò contro il suo collo, cercando di gestire quell’inusuale senso di pace che mai aveva provato, prima d’ora.
 
“E quindi Brian mi ha reso onore, con la sua dichiarazione? Quell’adorabile piccione viaggiatore.”
“Ha sparato una serie di puttanate sull’acqua e zucchero, sulle lenzuola stese ad asciugare al sole.”, fece Jimmy, facendola sorridere. “In effetti, ti ho sempre immaginata in piedi a stendere il bucato in un giardino di fiori selvatici, dentro una sottoveste azzurro cielo; magari con due o tre bambini che ti giocano in mezzo ai piedi.”
Celeste sorrise di nuovo – non avrebbe più smesso, in realtà. Anche quando sarebbe stata triste o sconsolata, o così agitata da aver bisogno di reggersi a qualcosa per combattere contro la forza centripeta del gorgo che si apriva ogni tanto nelle profondità di se stessa: l’anima di Celeste avrebbe sorriso per sempre, da quel momento in poi.
“Non smetterò mai di sorridere, grazie a te.”, disse semplicemente, affondandogli il naso nel collo.
Jimmy prese a tracciare cerchi misteriosi sulla sua pelle, fissando le strisce che la luce di fuori disegnava sul soffitto. Un pianoforte nel cielo.
“E comunque a Sligo non si stende il bucato fuori; piove troppo.”, disse Celeste. 
“E allora stendilo nel mio, di giardino. A Huntington Beach. Ho già un cadavere pronto e facile da aprire. Fresco fresco e a chilometro zero.”
“Ah sì?”
“Sì, si chiama Brian Haner Jr. Senti?”
Tesero le orecchie, in silenzio e con le bocche semi aperte.
Il letto della camera a fianco si era improvvisato percussionista, e riverberava contro il muro le spinte di qualcuno, sopra di esso, che si dava da fare almeno quanto Jimmy poco prima.
Celeste si coprì la bocca con le dita, sconcertata e divertita. Jimmy alzò il pugno in aria, stringendo un labbro tra i denti, in segno di rispetto.
“Ha mollato la moglie all’altare giusto stamattina. Mi sconvolge la sua totale assenza di rimorso.”, disse Celeste scuotendo lievemente il capo.
“E’ tutto l’opposto.”, rispose Jimmy.
“Dobbiamo proprio parcheggiare qualche virgola in questa Situazione, Jimmy.”, disse Celeste, lasciandogli un bacio sul petto.
Di fatto, si girò dall’altro lato, e cadde nel sonno migliore della sua vita.
 
 
 
 
Back to humans.
 



 
 
 
Questo capitolo è interamente dedicato a Crisantemy.
Solo ed esclusivamente a lei.
Perché sa usare le giuste citazioni contro di me,
perché mi ha tolto il bloccasterzo dal cuore e dalle dita,
perché riesce a parlare di teologia, iguane e carte da parati inserendo tutto nello stesso discorso.
Grazie, Crisantemy.
Non so se sai cos’hai fatto; nel caso, questo è uno dei tanti modi con cui d’ora in poi cercherò di dirtelo.
(io ho lasciato andare il volante, e questo è ciò che uscito)

Le citazioni sono tratte da "Canzone contro la paura" di Brunori Sas, e da "Machines" dei Queen.

 

 

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Capitolo 5
*** Ungarischen Tänze nr. 2 D-moll ***


Ungarischen Tänze nr. 2 D-moll
Allegro non assai

 
 
 
 
Un caffè, una sigaretta, una colazione continentale dopo, erano di nuovo tutti sdraiati sul tappeto della stanza di Brian e Beth.
I vestiti da cerimonia erano appesi alle finestre; le ragazze erano in canottiera e mutande. Non c’era malizia, provocazione, o sesso. Era stato cordialmente bandito dalla stanza, non voleva giocarci più nessuno, con lui.
Le ragazze erano bambine con lunghe sigarette tra le dita, e i ragazzi erano seduti a gambe larghe agli angoli opposti della stanza, improvvisamente piegati dal peso degli anni, dei concerti e dei pensieri. Vecchi, si sentivano vecchi.
“Che poi, è proprio una pessima idea se vi sposate.”, disse Celeste.
Celeste adorava esordire dopo lunghi silenzi con che poi. Una dolce sgrammaticatura del nesso relativo che si adattava perfettamente a qualsiasi situazione.
Beth ruotò il collo verso di lei, puntandole gli occhi azzurri addosso. Le bucò un pochino l’epidermide. “Come, scusa?”
Celeste alzò lievemente le spalle; era il tappeto a pungerla. Ormai, gli occhi di Beth le facevano ben poco effetto. “Cioè, cosa scrivete sugli inviti? B&B sono onorati di accogliervi nel giorno più felice della loro vita? Per cosa sta, Bed & Breakfast?”
“Anche Breaking Bad, volendo.”, aggiunse Jimmy, sapientemente.
“Adoro quella serie.”
“Anche io.”
Beth fu tradita da un silenzio un po’ troppo dilatato, che denotò che ci aveva pensato, anche se solo per un istante. Brian, che fino a quel momento era stato seduto sul davanzale della finestra e aveva tentato di eludere qualsiasi contatto umano con agilità circense, sgranò gli occhi verso di lei. “Ma ti prego.”
“No, ma infatti. Chi ha mai parlato di matrimoni?”, disse velocemente Beth, guardando ovunque che non fosse la porzione di stanza occupata dalla presenza di Brian.
Celeste rise, perfida.
“Non pensi che si stiano torturando abbastanza da soli, Sligo?”, chiese Jimmy.
Sligo.”, scandì Celeste, incollando gli occhi al soffitto. Cosa ci avevano, i Sevenfold, che facevano scappare gli sguardi delle ragazze come topi da una nave?
“Sligo?”, chiese Brian.
“Sligo è in Irlanda.”, Beth, enciclopedica.
“E buongiornissimo.”, Celeste, caustica.
“Che cazzo c’entra Sligo?”, Brian, di nuovo.
Jimmy tacque.
Celeste pure. Poi si mise a cantare. “Lo sposo è impazzito, oppure ha bevuto.
Nessuno dei presenti colse, perché nessuno parlava italiano. Celeste sorrise. Ma la sposa aspetta un figlio e lui lo sa.
“Cosa stai dicendo?”, chiese Brian.
Già, si disse Celeste, cosa stai dicendo? Chissà.
Si accese una sigaretta, e rischiò di strozzarsi con il fumo che risaliva dalla gola.
“Io sono irlandese.”, esordì Jimmy, chissà per quale ragione.
Celeste sorrise.
“Non siamo qui per parlare di Sligo. Ma di Synyster.”, disse.
Beth strizzò forte gli occhi, forse guidata dalla speranza che le schizzassero fuori dalle orecchie.
Brian glissò lo sguardo su Celeste. “Non mi chiami mai Synyster.”
“Lo faccio solo alle tue spalle.”
“Devo dedurre che abbiate intenzione di parlare alle mie spalle?”
“Deduzione corretta, Sherlock.”
Celeste si girò verso Beth, sempre senza interrompere il contatto tra il proprio corpo e il tappeto, che sì, pungeva, ma almeno la faceva sentire ancorata a qualcosa. Da quando aveva fatto sesso con Jimmy si sentiva come un palloncino in procinto di volare via.
“Quanto sei innamorata di Synyster da uno a dieci?”, chiese.
Beth alzò gli occhi al cielo. “Non risponderò a questa domanda con quei due presenti.”
“Facciamo finta che siano futuri, allora. Immaginateli tatuati, grinzosi e con l’artrite: hanno vissuto la loro vita, sono ottuagenari sgalluzzati, Brian probabilmente avrà sviluppato un’assuefazione da Viagra per mantenere inalterate le sue acrobatiche abitudini sessuali.”
Brian le tirò un pacchetto di sigarette semivuoto in testa: stava sorridendo.
Jimmy si passava una mano sulle labbra, pensoso. Ottant’anni.
Celeste percepiva il movimento incessante delle sue sinapsi, che avevano iniziato ad avvilupparsi come un cesto di serpenti a sonagli: scosse la testa e si concentrò sugli occhi chiari e diffidenti della sua migliore amica.
“Quindi?”, la incoraggiò – ma il rumore strisciante dei pensieri di Jimmy le faceva venire i brividi.
“Mh… direi sette.”, replicò l’altra, sforzandosi di non contraccambiare lo sguardo obliquo che Brian le rivolse. “Sette su dieci.”
Brian dovette contenere la delusione che non avesse risposto undici.
“Buono. Più che sufficiente. Non abbastanza per distruggere un matrimonio; tuttavia, abbastanza per fare l’amante.”
Si girò verso Brian. “Ti va bene?”
“Non dovremmo includere anche Michelle in questo sodalizio immorale?”, chiese Brian, improvvisamente galantuomo.
“Le vuoi parlare tu?”, replicò Jimmy, saggiamente. “No perché, ora come ora non lo suggerirei. Magari tra un po’, dopo che te la sei spupazzata un po’, sai, come piace a lei.”
Brian annuì, prendendo appunti mentalmente.
“Bene. Beth? Tu sei d’accordo?”, chiese Celeste. Le accarezzò una guancia con la mano.
La ragazza saettò uno sguardo verso Brian, colpendolo come un’onda gentile sulla spiaggia. Gli sorrise. “Magari i dettagli li discutiamo man mano.”
 
 
 
 
 
 
 
 
‘Ma io non ci sto più!’, gridò lo sposo e poi
Tutti pensarono dietro ai cappelli,
Lo sposo è impazzito oppure ha bevuto;
Ma la sposa aspetta un figlio e lui lo sa:
Non è così che se ne andrà.

(Francesco De Gregori)


 
 
 
 
 
“Veniamo a te, Sligo.”, fece Jimmy, dopo che Beth e Brian si assentarono per suggellare l’accordo in maniera decisamente ufficiosa.
Sligo, all’anagrafe Celeste Doherty, sorrise. “Veniamoci.”
“Perché te ne vai?”
“E’ una bella pretesa, la tua.”
“Cosa, sapere perché scappi?”
Celeste lo squadrò: appoggiato al muro, la luce della tarda mattinata gli illuminava il viso e disegnava arabeschi indecifrabili nelle sue iridi cristalline. Le vennero in mente esotiche spiagge lambite da un’acqua vergine, purificatrice, trasparente come l’aria. Una ventata di caldo equatoriale che contravveniva le leggi del cosmo le mosse i capelli, e prima che Jimmy potesse dire qualsiasi cosa a riguardo, Celeste rispose:
“Sì.”
“Perché?”
“Perché tu non dici mai dove vai agli altri. Né perché. Lo fai e basta, e se quelli ti conoscono abbastanza bene, o ti amano abbastanza, prima o poi lo scoprono, e ti raggiungono, mollando tutto. Quindi.”
“Tu non sei come me.”
“E’ perché ho troppa paura. Ma appena me ne libero, di questa ingombrante e inutile paura, sarò come te, e allora suonerà la settima tromba.”
Jimmy sorrise. Gli entrò nell’occhio un po’ di nostalgia del passato. Ma durò solo un istante.
“E quindi?”, rincarò lui.
Celeste valutò di dirgli una grande bugia. Poi però cambiò idea, perché Jimmy era un uomo troppo intelligente.
“Scappo via da te, da Brian e Beth, dal caldo, dai cadaveri americani.”
Dalla tua fidanzata, pensò lei, ma Jimmy, che aveva un diploma di lettura del pensiero negli occhi degli altri, la capì comunque. E le sorrise con tenerezza. Non disse nulla; trasse un lungo, lunghissimo sospiro con cui rispose a tutte le domande che Celeste si sarebbe mai posta in vita sua.
“Che cos’hanno che non va i cadaveri americani?”, chiese poi.
Celeste ci pensò su, e intanto si alzò dal pavimento su cui era stata seduta fino a quel momento. Una goccia di sudore le scivolò in mezzo ai seni. “Non sono i cadaveri in sé, il problema, quanto i fantasmi. Così banali. Così pedestri. Vogliono solo spaventare, non si fermano mai per fare due parole.”
Jimmy sorrise.
“Come fa una che parla coi fantasmi ad avere paura?”, le chiese, osservando la sua figura che si stirava, facendo scricchiolare le articolazioni. “Che poi,”, e qui Celeste sorrise ancora di più se possibile,  “paura di cosa?”
Di cosa, chiedeva lui.
Celeste ebbe come l’impressione che lui non la concepisse proprio ontologicamente, la paura. E infatti, Jimmy aveva pronunciato quella parola con un certo disprezzo. Come se avesse mangiato una fettina di limone.
A Celeste non andava di rispondere: era troppo abituata a vivisezionare i cuori per non rendersi conto quando qualcuno cercava di farlo con lei. E le sembrava già abbastanza stare in mutande a pochi metri di distanza da Jimmy, senza che ci fosse il bisogno di eruttare tutte le sue insicurezze come un geyser islandese. Era comunque certa che lui ne avesse una vaga idea, senza che lei gliene parlasse. Sua madre, se fosse stata viva, le avrebbe certamente accarezzato i capelli e le avrebbe detto che una volta, nelle nebbie delle vite passate, lei e Jimmy erano stati molto felici. E in fondo a lei bastava quella consapevolezza.
Si ravvivò i capelli e si accese una sigaretta.
Jimmy aveva fatto un passo indietro, forse percependo che Celeste non gli avrebbe parlato. Probabilmente, aveva subodorato in quel cambiamento d’aria che si era verificato, veloce come un colpo d’ali, di essere entrato in una riserva protetta, una zona circoscritta, rigogliosa e vergine come uno scampolo di foresta amazzonica. Celeste gli aveva aperto una strada a colpi di machete, ma si era fermata lì. Non gli avrebbe spiegato nulla.
“Chissà cosa dirà, eh, Michelle?”, fece lei, tanto per cambiare discorso.
“Probabilmente dirà: Brian, microcefalo demente, togliti le scarpe prima di entrare in casa. Cosa vuoi per cena?”, rispose, incrociando le braccia sul petto nudo. Le sorrise.
Celeste rise di gusto, gettando la testa indietro.
“Michelle è una donna che ho sempre sottovalutato. E invece forse è l’unica in grado di tenere Brian.”
Jimmy alzò un sopracciglio. Celeste sorrise forte. “Dopo di te.”
Si avvicinò a lui e intrecciò le dita dietro al suo collo, proprio sopra le manette tatuate, come a volersi incatenare lì per sempre, carceriere, butti via la chiave, tante grazie.
Una parte di lei certamente si era già legata a lui. I suoi occhi cilestrini la guardavano, guardavano proprio lei, e disgregavano la realtà circostante: sarebbe bastato un soffio di vento per spazzare via tutto, lasciandola a torreggiare nel nulla cosmico, abbarbicata a quella sequoia come un’edera. Grazie a dio, o comunque a qualcuno che era particolarmente interessato all’evolversi degli eventi, quella mattina c’era un’afa incredibile. Niente vento.
“Credo che tu sia stata fatta per stare nei miei occhi, Celeste. Il tuo nome si sposa perfettamente col modo che ho io di vedere il mondo.”
Celeste lo baciò perché dopo una cosa del genere, pronunciata da un uomo del genere, come se fosse una verità incontrovertibile, che altro poteva fare?
Un bacio umido e intenso, di quelli che ti fanno provare una fitta di dolore quando ti stacchi. E infatti Celeste la provò; la sentì forte, come un’ulcera, perché il pensiero di stargli lontana anche di pochi centimetri le faceva sentire i polmoni al posto dell’intestino e l’intestino al posto dei polmoni, e pensò che sua madre, se li avesse visti (o se li stesse guardando, in quel momento) avrebbe detto che non tutti sono così fortunati da ritrovarsi nella vita successiva, dopo essere stati così felici nella precedente; e avrebbe anche aggiunto che la separazione che il destino imponeva loro era il pagamento necessario all’equilibrio karmico dell’universo. Se nella vita precedente si erano scontrati e mischiati in una miscela indissolubile, in questa dovevano accontentarsi di essersi incontrati di striscio, di essersi un po’ macchiati l’uno dell’altra, e andare avanti, superando quelle poche ore di felicità che erano state loro concesse.
E mentre lo baciava e ragionava sulla reincarnazione e sulle anime gemelle – un caro saluto all’amico Platone –, Celeste si chiese come poteva anche solo sperare di sopravvivere standogli ottomila cento quarantaquattro chilometri più a destra, se staccarglisi di dosso per un paio di secondi risultava così insopportabile.
“Ora mi devi proprio scopare.”, gli disse, a fior di labbra. “E’ proprio necessario…”
“Ah, proprio necessario.”
“Proprio.”
“Beh, se è proprio proprio proprio necessario.”
“Lo è.”
 
 
 
 
Je te laisserai des mots
En-dessous de ta porte
En-dessous de la lune qui chante
Tout près de la place où tes pieds passent
Cachés dans les trous d'un temps d'hiver
Et quand tu es seule pendant un instant...
 
 
Embrasse-moi
Quand tu voudras
Embrasse-moi
Quand tu voudras
Embrasse-moi
Quand tu voudras
 
 

 
 
“Lo sai che Celeste si è lasciata col suo Fidanzato nel momento stesso in cui le ho fatto vedere una tua foto?
Ti giuro. Una sera stavamo al bar, a San Francisco, e Brian mi ha inviato una vecchia foto per messaggio. Dio, sarà stata risalente al Pleistocene.
Eravate in cinque in una vasca da bagno; Valary aveva un taglio di capelli alla maschietta e un paio di occhiali da segretaria, e ti stava seduta addosso, e già a quell’età aveva la pazienza della Madonna negli occhi. Tu eri pallido e magro, e avevi i capelli scuri e tinti, e brindavi alla fotocamera con una bottiglia mezza vuota. Brian, invece, aveva gli occhi di chi sta per mettersi in contatto con le schiere demoniache della terza Bolgia. In realtà, ha sempre quello sguardo, ultimamente… Vabbè, il punto è che io ho dato una gomitata a Celeste, le ho quasi benedetto il vestito con il margarita che stava bevendo, e le ho detto guarda, guarda i miei amici di Huntington Beach quando erano ragazzetti. Ora sono rockstar.
E ho preso a raccontarle di Matt, di Zacky e Johnny, ma io lo vedevo che lei stava fissando solo te. Le si sono riempiti gli occhi di lacrime, come se ti avesse riconosciuto all’improvviso. Hai presente nei film sulla guerra quando il soldato torna a casa da sua moglie e a lei si riempiono gli occhi di lacrime e gli corre incontro? Ecco.
Comunque, mi ha detto scusa, devo andare a fare una telefonata, è scomparsa al bagno e ne è uscita dopo due minuti e mezzo, lo so perché li ho contati. Non ci sono stati urla né schiamazzi, e io le ho voluto lasciare i suoi spazi, non le ho chiesto subito chi avesse chiamato, anche se un’idea me l’ero fatta. Aveva lasciato il Fidanzato in tronco. In due minuti e mezzo.
Si è trasferita da me qualche tempo dopo perché all’epoca viveva con il Fidanzato, e quindi quando si sono lasciati aveva bisogno di un posto in cui stare. Lui era un ragazzo alto e pallido, intelligente ma non abbastanza da ascoltare davvero quello che Celeste gli raccontava. Sospetto che la prendesse vagamente in giro.
Aveva gli occhi azzurri. Non azzurri come i tuoi. Più torbidi.
Beh, insomma, si è presentata nel mio appartamento a San Francisco con un camion pieno di scatoloni pieni di jeans e libri e fotografie di sua mamma, e aveva l’aspetto di uno spettro ma gli occhi così vivi che mi si è ricoperta la pelle di brividi. Le hai riacceso qualcosa dentro che non pensavo avrei mai potuto vedere di persona, nella vita vera; come quando i pittori aggiungono una puntina di colore bianco negli occhi delle persone nei dipinti, tac, proprio un puntino di bianco, e se prima sembravano occhi dipinti subito dopo diventano occhi veri, lucidi di vita e di tutte le lacrime che ci si prepara a versare quando si inizia a vivere davvero. Le hai fatto questo.
Celeste ha sempre amato guardare nelle persone, per questo vuole diventare anatomopatologa. Lei dice sempre che l’unico modo per vedere davvero dentro la gente è incidere una Y sul petto, proprio dove sta il cuore, perché i morti sono abbastanza remissivi e al massimo devi imparare a ignorare le bestemmie dei fantasmi. Sua madre la chiamava la mia aruspica dolce.
Non ti so spiegare a parole cosa sia successo dentro di lei. Non so dirti se è stato quello il momento in cui si è innamorata di te… più che iniziare ad amarti, penso che piuttosto i suoi sentimenti hanno smesso di farle un baccano del diavolo nel petto, hanno cessato la ressa e hanno capito dove dovevano andare. Sembra che lei sia stata fatta appositamente per amare te, Jimmy, da quando è nata. È servito solo che ti vedesse in foto perché tutto acquisisse senso dentro di lei.  
Poi, un po’ di tempo fa, stavo piangendo seduta per terra; lei è entrata e mi ha stretto forte al petto, le ho detto tra i singhiozzi che Brian e Michelle si sposavano, e lei mi ha detto che Brian non è anaffettivo o stronzo, è solo che è poco pratico di multitasking. Poi mi ha letto le foglie di tè, mi ha dato un bacio sulla fronte e mi ha detto che in fondo le piaceva Huntington Beach, ma qualcuno aveva iniziato ad affondare un po’ troppo il bisturi nel suo petto, appena sotto la clavicola, e che non si sentiva più tanto bene.
Io, che sono una grande filosofa, le ho citato Captain America fra i singhiozzi e le ho detto che chi inizia a scappare non si ferma più, ma non mi ha preso molto sul serio perché comunque ero una pozzanghere di lacrime seduta per terra che si disperava dietro un chitarrista metal di cui si è innamorata quando aveva dodici anni e lui diciotto, e quindi non facevo molto testo. Lei mi ha guardato con uno sguardo da cervo che vede in lontananza i fari di un tir nella notte e comunque decide all’ultimo di spostarsi per far prendere un coccolone all’autista, mi ha guardato con questi occhi e poi si è messa il giacchetto di jeans, ed è andata a fare due passi al mare.
Io me la sono sempre idealizzata, Jimmy, perché non sarei stata in grado di uscire viva da questa situazione con Brian se lei fosse stata vagamente umana, ai miei occhi. È stato puro egoismo. Me la sono dipinta come questa magnifica stronza, una donna di ghiaccio che ha tutto sotto controllo nella vita; e questo mi ha fatto sentire così piccola e inutile che in certi momenti sono arrivata a odiarla e a vederla come una minaccia. Ero certa che me lo avrebbe portato via. Brian dico. Ma la verità è che lei è forse la persona più incasinata sulla faccia della terra, così insicura, così fragile, e tanto è gentile con gli altri tanto è crudele con se stessa, e ha la pessima abitudine di decidere in anticipo come affrontare le situazioni, mettendo incognite anche dove non servono; non lascia il tempo agli altri di dire cosa ne pensano. Prende e fa. Quindi non prendertela se ti ha scartato fuori dall’equazione e se ne scappa in Europa. Non vuol dire che non ti ama abbastanza, vuol dire che ha troppa paura che vada tutto a puttane, e quindi ci va prima lei.
E io sono stata un’amica da gettare nell’indifferenziato, perché mi sono accorta di tutto questo solo quando era troppo tardi, quando ormai era innamorata persa, persa davvero, quando una sera sono tornata a casa e sul bancone della cucina c’era un biglietto di sola andata per l’Irlanda, e lei era seduta sul pavimento con una sigaretta tra le labbra: aveva fatto cadere un contenitore pieno di anguria per terra, e l’anguria era finita dappertutto, sui vestiti, sui fornelli, sullo sportello del frigo, nei ripiani del frigo, sul pavimento; e lei piangeva, piangeva come Alice e non si fermava, e aveva le guance sporche di anguria, e io ho avuto un secondo di timore perché pensavo che mi avrebbe allagato la cucina.
E poi ha alzato gli occhi su di me, atterrita e agghiacciata nel vederla così scomposta, così tragicamente umana, e io l’ho vista per la prima volta per quello che era. Una incasinata come chiunque altro. Coperta di anguria spappolata.
Ho fatto cadere a terra le borse della spesa e ho rotto un paio di uova e un intero fustino di detersivo, e non sono riuscita a muovermi di un centimetro.
Mi ha guardato, ha tirato su col naso, e ha detto: l’anguria col salato non ci sta poi così male, sai?”





 
la persona a cui è dedicato lo sa.
come al solito.

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Capitolo 6
*** The Kulešov effect ***


The Kulešov effect
 
L’effetto percettivo prodotto dalla successione di immagini è rapido, inconscio e quasi automatico: 
ordinando le inquadrature di una scena in una particolare sequenza, la pellicola induce aspettative negli spettatori
.
La giustapposizione consecutiva di immagini tende a suggerire, alla grande maggioranza delle persone, che esse siano in relazione. Vedendo le immagini, vengono formulate ipotesi immediate sul significato narrativo degli eventi e inconsciamente li si mette in connessione. In altre parole, collocando un’immagine o sequenza prima di un’altra si costruisce tra esse un’unione semantica.
 
 
 
 
 
“Mamma mi diceva sempre che bisogna fidarsi solo degli uomini che ti parlano d’amore con la voce dei cantautori, di poeti, scrittori, artisti; quando iniziano a usare le loro, di parole, è meglio se levi le tende e scappi, diceva, perché vuol dire che sei diventata un blocco di argilla tra le loro mani; sei una musa, ormai, un’idea, non più una persona, e quindi puoi essere lanciata contro un muro senza alcun rimorso, calpestata, masticata a piacimento, succhiata come una buccia di anguria finché non c’è più polpa e poi lasciata sul ciglio di un marciapiede bollente.”
“Celeste.”
“Sì?”
“Ti ho solo chiesto com’è andato il viaggio.”
I sospiri detti per telefono hanno lo straordinario potere di risultare notevolmente amplificati, all’orecchio di chi li riceve.
Quello che le labbra di Celeste si sono fatte sfuggire è già di per se un grosso sospiro. Beth, dall’altro lato, discosta il cellulare dall’orecchio, perché le sembra di essere al telefono con una divinità ellenica dei venti.
Deglutisce.
Sono le tre del mattino, in California, e lei è sdraiata a stella marina sul letto che una volta era di Celeste, e indossa una delle magliette che Celeste ha lasciato lì, nel loro vecchio appartamento – non si sa se per sbaglio o per preciso volere.
Fatto sta che c’è il silenzio proprio della notte fonda; un qualche uccello notturno plana sul sicomoro fuori dalla finestra e sbircia dentro la casa coi suoi occhi d’ambra. Beth alza la testa di scatto, e per un attimo un caschetto di capelli castani le incorona i pensieri. Si è tagliata i capelli di netto appena Celeste le ha mandato un SMS dicendole che traslocava a Galway, con un movimento preciso e rabbioso, e i suoi lunghi capelli si sono divisi a metà nel momento in cui le due parti delle forbici si sono riabbracciate; sono caduti a terra come un sipario e Beth ha riso fortissimo.
L’uccello notturno – un assiolo forse? – si volta imbarazzato, colto in fragrante. Beth riabbassa la testa sul cuscino.
“Quindi?”, chiede di nuovo, sentendo un silenzio inquietante e lungo come un velo dall’altro capo.
Una lenta partita a scacchi con l’Oceano Atlantico come scacchiera: la Regina inizia a muoversi di qualche casella più a sinistra.
La Regina è una nostalgica del cazzo, pensa fugacemente Beth.
Celeste sospira di nuovo.
“Turbolenze. Tantissime turbolenze.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
To be twisted by something
A shame without a sin
Like how she twisted the bog man
After she married him
(Hozier, Run)
 
 
 
 
 
 
 
Michelle aveva riaccolto Brian esattamente come Jimmy aveva pronosticato; dopo che aveva aperto la porta, si era lasciata cadere le braccia lungo i fianchi e aveva piegato il capo di poco. Brian aveva cercato di mantenere intatta la sua maschera di indifferenza, ma si sa che le crepe con l’età diventano faglie di San Andreas. E comunque i suoi occhi lo avevano sempre tradito; occhi di bambino che non vuole scendere dall’altalena.
Lei gli aveva teso una mano, lui si era fatto guidare in casa, docile, lasciando sullo zerbino le scarpe impolverate e una matassina di nebbioso disorientamento, una cupezza di cui non voleva più avere bisogno. Michelle gli aveva messo davanti un piatto di minestra, quando si era seduto al tavolo, e gli aveva dato un bacio dolce su una guancia, lasciandogli anche un sono incinta vicino all’orecchio, sullo zigomo appuntino.
 
Fuori, la Mustang stava pazientemente parcheggiata nel vialetto, col motore acceso, putacaso che la Sorte non avesse avuto lo stesso ottimismo di Jimmy. Ma la Sorte aveva dovuto dargli ragione ancora una volta, seppur controvoglia, perché è risaputo e noto che la Sorte è un po’ una primadonna.
Le luci di casa Haner si spensero al piano di sotto, e la casa rimase immersa nel buio per qualche interminabile istante. Celeste, seduta davanti, appoggiò una mano sul ginocchio di Jimmy, e Jimmy interpretò correttamente quel gesto come un gesto di assoluto, evangelico sollievo. Le scoccò un sorriso che voleva dire è finita, piccina.  
Beth, seduta sul sedile posteriore, si morse forte un labbro e strinse uno scampolo di tulle color corallo nel pugno.
Disse solo Parti, Jimmy, parti, e non parlò più con nessuno, nemmeno con Celeste, finché casa sua non sostituì quella di Brian nella cornice del finestrino.
Scese dalla macchina, aprì la porta di casa facendo cadere le chiavi almeno venticinque volte, e crollò a dormire sul divano.
 
 
 
 
 
 
Ade personale
ma il luogo
o
la persona?

 
 
 
 
 
 
“Quindi ora si vede con coso, Finnegan-qualcosa?”
“Si chiama Hades.”
“Ma non ci credo.”
“Te lo giuro. Si chiama proprio Hades.”
“Beth.”
“Jimmy.”
“Non dirmi puttanate. Brian, questa ragazzina mi dice puttanate.”
Brian alza la bottiglia di birra verso Beth, sussurrando benvenuta nel club.
Beth lo omaggia di un’asettica sbattuta di palpebre. Si volta verso Jimmy. “Non te le dico.”
“Mh.” Jimmy si accende una sigaretta. “E che fa, Hades, nella vita, oltre che regnare gli Inferi?”
“E’ un musicista. Si sono conosciuti a Galway.”, continua Beth. Inizia a grattare con l’indice l’etichetta della bottiglia di birra. Celi, celi, celi. Sempre Celi. Prende un grosso sorso.
Jimmy prende un tiro dalla sigaretta. “Sei mesi.”, dice solamente. Scuote lievemente la testa, lieve come un tic nervoso, ma Brian fa in tempo a notarlo.
“Cosa ti aspettavi, Jimbo? Che ti rimanesse devota e fedele fino alla fine dei suoi giorni? Che non si guardasse intorno e si consumasse d’amore per te? Ha ventitré anni, per Dio.”, dice Brian.
“L’uomo che, anni fa, aveva fatto la sua missione di far piangere Dio, e si misurava con assoli che sentivano solo i cani e le foche, ora chiede a Dio un’opinione.”, dice Jimmy. “Sei invecchiato.”
Brian sorride, distratto da un ricordo che indossa una cuffia coi teschi.
“Siete vecchi. Tutti e due.”, asserisce Beth.
“Vai a giocare con gli altri bambini, se il tavolo dei grandi ti è noioso.”, dice Brian, passandosi assorto una mano sul mento.
Beth gli fa la linguaccia. “Comunque sembra simpatico.”
“Chi, Dio?”
“No, Hades.”
Hades.”, rincara Jimmy, ancora incredulo. Beth lo ignora.
“Lei lo chiama il Diavolo. Sapete com’è fissata con certe cose. L’altra sera ci siamo sentite su Skype e Celi indossava un vestito lilla con dei fiori, e lui si è avvicinato da dietro, tutto vestito di nero. Ha questo viso affilato e questi occhi strafottenti e neri, proprio neri. Le ha dato un bacio sul collo.”
Beth non sa bene perché abbia detto questa cosa. Sente l’aria farsi ghiacciata intorno a sé.
Jimmy fissa l’alone che la sua bottiglia ha lasciato sul tavolo del Johnny’s Saloon. La fissa e la realtà si fa all’improvviso sfocata e distante, un vociare che quasi disturba lo sbobinare dei suoi pensieri. Arriccia le labbra. “Betty?”
“Sì?”
“Una cortesia.”
“Tutto, per te.”
“Parliamo d’altro. Non mi è mai piaciuto granché, il ratto di Proserpina.”
 
 
 
 
 
 
 
 
Se io capissi
quel che vuol dire
– non vederti più –
credo che la mia vita
qui – finirebbe.
 
Ma per me la terra
è soltanto la zolla che calpesto
e l’altra
che calpesti tu:
il resto
è aria
in cui – zattere sciolte – navighiamo
a incontrarci.
(Antonia Pozzi)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Non vuoi che ti accompagniamo in aeroporto, Celi?”
Beth stava appoggiata allo stipite della porta e osservava Celeste fare le valigie da almeno due ore.
Ma Celeste la ignorava; canticchiava in italiano, momentaneamente persa nel suo noumeno personale, e non avrebbe risposto nemmeno a Dio, se si fosse degnato di scendere gli scalini.
Beth scosse la testa, e incrociò le braccia al petto. Le uniche parole che riusciva a carpire, di tanto in tanto, erano Peter Pan, juke-box, rock’n’roll: per il resto, buio linguistico.
Stava iniziando a scocciarsi.
Celeste, invece, sembrava spensierata come una bollicina in un bicchiere di spumante: aveva una maglietta bianca che continuava a scivolarle dalla spalla e i capelli scuri legati con uno di quegli elastici di stoffa, leopardato. Canticchiava, piegava spessi maglioni e li depositava con cura sul fondo della valigia aperta. Poi li tirava fuori, cambiava la disposizione dei suoi effetti nel trolley, e si fermava a contemplare l’incastro. E così via, all’infinito.
Faccio il pirata ma non mi va…
 Insopportabile. Era insopportabile.
Beth era quasi sollevata che Sua Maestosità avesse deciso di levare le tende per uno po’. Si sentì in colpa per due secondi esatti per aver pensato quella cosa, poi ritornò in sé.
Tanto sarebbe tornata, si disse. Come sempre, le decisioni che prendeva Celeste duravano giusto il tempo di una canzone di Bennato.
Poi rinsaviva, rifletteva, ritornava sui suoi passi.
E quando le avrebbe telefonato per dirle che aveva bisogno di un posto dove vivere per un po’ lei sarebbe stata lì, ormai quasi certamente fuoricorso, nella casa sulla spiaggia a pochi isolati da casa di Brian; avrebbe aperto le finestre della camera di Celeste, che sarebbe rimasta sempre impressa nella memoria collettiva come la camera azzurra, avrebbe rifatto il letto e preparato i posacenere sui comodini.
“Non torno più.”
Beth pensò che la porta le avesse fatto il brutto scherzo di spostarsi di colpo, negandole supporto all’improvviso: invece era stata la voce di Celeste che, abbandonate le canzoni, aveva iniziato a parlare, e lei era trasalita in maniera assolutamente ingiustificata.
La ragazza aveva smesso di giocare a Tetris con la valigia e aveva fatto cadere le braccia lungo i fianchi: la maglietta scese ancora di più lungo la spalla, lenta come una valanga alpina.
Celeste le aveva puntato gli occhi addosso, ed era seria come una vestale. Beth fece un passo indietro, per procura.
“Non torno, B. Stavolta per davvero. Tutto questo sole finirà per cuocermi a puntino.”
Fuori, in realtà, pioveva ininterrottamente da giorni. Ma Beth non disse nulla.
“E poi, è tutto troppo.”
Celeste guardò la valigia con un sospiro; la chiuse, facendo squittire le cerniere. La tolse dal letto e la appoggiò per terra.
Muovendosi sul pavimento a piedi scalzi come Cristo sulle acque, si avvicinò a Beth e si incastrò tra le sue braccia, stretta. Beth si irrigidì qualche istante, perché l’effetto di stare così vicina a Celeste le faceva sempre venire i brividi, come se una farfalla disinteressata si fosse appena posata su di lei. Le posò una mano delicata sulla nuca, quasi timorosa che si frantumasse sotto il suo tocco.
Inspirò il profumo di cedro del suo shampoo, la consistenza della sua pelle, fresca e liscia come il marmo, e si lasciò abbracciare, troppo invidiosa di tutto per ricambiare, e decisamente incredula che quello sarebbe stato l’ultimo abbraccio che Celeste le avrebbe mai dato. Eppure.
Celeste si staccò. Le rivolse uno sguardo dolce, e Beth si odiò profondamente perché le voleva così bene.
“Mi fai un favore?”, chiese Celeste, aprendosi in un sorriso da persona che Sta Facendo le Cose nel Modo Giusto O Almeno Così Crede.
Beth annuì.
“Ricorda a Brian di ascoltare Dopo il liceo che potevo far almeno due volte al giorno. Ti raccomando, è importante.”
 
 
 
 
 
Forse per colpa del rock

Forse per colpa del rock, rock

Forse per colpa del

Forse per colpa del rock.
(Edoardo Bennato)
 
 
 
 
Prima di partire dal motel, Brian si era seduto nel piatto della doccia e aveva fatto una lunga telefonata.
Dall’altro lato della porta chiusa, seduta per terra, Beth si mordeva una pellicina.
Celeste cercava un modo per entrare permanentemente negli occhi di Jimmy, stampandosi nella sua retina come il flash di una fotografia, e Jimmy guardava la carta da parati con aria di sfida.
Brian era uscito dal bagno due ore e trentaquattro minuti dopo, ­
- Beth li aveva contati - massaggiandosi la parte bassa della schiena. Troppo vecchio, pensò.
Tre paia di occhi si alzarono verso di lui. Brian si sentì osservato.
Sbuffò; le spalle rimbalzarono un paio di volte verso il basso, mentre lui guardava quella stanza di motel come se volesse fare una fotografia mentale di quelle quattro mura ricoperte di carta da parati oggettivamente oscena – giallo piscio di cane con minuscoli fiorellini lillà. Oscar Wilde l’avrebbe detestata fino a morirne.
“Beh.”, disse solamente.
Perché a volte è l’unica cosa che ti viene da dire: beh.
Un monosillabo che ha un che di sconfitta, di rassegnazione, e che tuttavia racchiude un certo sollievo, nella sua pronuncia a sbuffo. Sarà forse l’acca che finalmente conquista il suo posto nella realtà fonica, e che rivendica un minimo di dignità spingendo su per il canale faringeo un po’ più di aria?
Comunque stessero le cose per l’acca, Celeste, invece, stava seduta sul tappeto con le ginocchia al petto per cercare di arginare qualcosa che le graffiava lo sterno da dentro, e che tratteneva forte per paura che si rovesciasse di fuori. Il vestito da cerimonia color vino era sgualcito come un tovagliolo a fine pasto.
Saettò lo sguardo verso Beth, che si torturava incessantemente la pelle intorno all’unghia del pollice. La ragazza le ricambiò lo sguardo, decretando silenziosamente la fine di qualcosa.
Uno sguardo di commiato, gentile e beneducato. Fu come un colpo su un diapason nervoso.
Si alzarono insieme, Celeste e lei; si presero per mano, raccolsero i sandali.  Jimmy non disse nulla, né con le parole né con gli occhi né coi gesti. Si alzò dal letto e si batté i palmi sulle cosce; poi diede una pacca amichevole sul pettorale di Synyster, il quale aveva le occhiaie di chi non si abituerà mai a sostenere certe conversazioni, e tuttavia gli occhi sereni.
Cancellarono il segno del loro passaggio in quelle camere gonfie di polvere – le ragazze lisciarono le lenzuola, i ragazzi vuotarono i posacenere nel gabinetto.
Poi, come fantasmi, se ne andarono lasciando porte e finestre aperte; pensavano finalmente di aver tracciato una parentesi che avrebbe racchiuso quei giorni in una bolla imperitura nelle loro memorie.
Madame Sally, in arte Ofelia Crespi, in arte mamma di Celeste, seduta sul televisore fino a quel momento, scosse la testa.
Si chiuse meglio lo scialle sul petto; accese una sigaretta, perché certe abitudini trapassano insieme a te, e saltò giù dal suo trono. Gentile e impercettibile com’era stata anche in vita, accostò le finestre.
Riaprì la parentesi con una grande pazienza da mamma.
Se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé, perché lei, al contrario degli altri, era un fantasma beneducato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Forse è stata una pazzia
Però è l'unica maniera
Di dire sempre quello che mi va


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Tutto questo è per Edoardo Bennato, il primo che mi ha insegnato a sognare di essere un pirata - prima ancora che arrivasse Johnny Depp.
 
 
 
 
E anche per te.
Non penserai mica che mi dimentichi di te, fiorellino?
 
 

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Capitolo 7
*** Tremare sì, ma come la California ***






a E.,
Jimmy d'ufficio.
(grazie per tante cose)









Tremare sì, ma come la California
 







 
Always look on the bright side of life.”
“Smettila.”
Always look on the right side of life.”
“Ti giuro che stavolta ti arriva un pugno, Jimmy.”
C’mon, Brian, cheer up!
“Dannato te, dannti Monty Python.”
In genere, Jimmy tamburellava su qualsiasi cosa. Con le dita, con le bacchette del sushi, con le penne; lo faceva perché sentiva il bisogno di farlo. C’era questo tam-tam continuo nel suo cervello che lo avrebbe mandato al creatore, se non proseguiva ad esorcizzarlo sulla prima superficie che gli capitava a tiro.
Questa volta, la vittima designata fu la spalla destra di Synyster Gates.
Brian si lasciò tamburellare per un po’, mansueto come una mucca irlandese, gli occhi fissi nel vuoto cosmico: ma la canzoncina finale di Life of Brian fu l’ultima goccia. Scoccò un’occhiata a Jimmy per cercare di inquietarlo al punto di farlo smettere, ma non ottenne risultati apprezzabili. Jimmy arricciò le labbra e disse semplicemente: “Sembri Micheal Palin nei panni di Ponzio Pilato.”
Il sole era in spiacevole ritardo, quella mattina.
Gli aerei si alzavano in volo pigramente, e sembravano quasi volersi dire a vicenda oh-issa! mentre staccavano le ruote dal cemento della pista.
La sala d’aspetto intorno al gate era particolarmente gremita, quel mercoledì mattina. Brian e Jimmy erano seduti da un’oretta in quelle sedie che sono state appositamente progettate per far venire il culo piatto e i prodromi di una lordosi epocale a chiunque vi si sieda. Infatti, Brian si mosse sulla sedia, e sentendo scricchiolare le vertebre spalancò gli occhi. Jimmy lo guardò stranito e smise di tamburellare.
“Sei vecchio, Gates. Un rottame coi capelli da stronzo.”
Brian alzò gli occhi in modo eloquente, chiedendo al Signore la forza per ragguagliare il suo amico di quello che in molti avevano definito l’incubo di ogni parrucchiere perbene. Ma poi lasciò perdere, pensando che forse era un po’ troppo presto persino per Dio.
Chiuse gli occhi; Jimmy riprese a picchiettargli sulla spalla.
Poco dopo, una nuvoletta tiepida e zuccherata gli solleticò le narici: a pochi centimetri dal suo viso, un bicchierino di caffè iniziò ad esalare fumi danzanti davanti ai suoi occhi aperti.
“Dio, sì.”, disse, atono, agguantando la pozione magica.
“Mi chiamo Elizabeth, tanto per cominciare.”, replicò Beth, sospirando. Aveva due occhiaie profonde e viola e le scarpe da tennis macchiate di caffè. “E poi, si dice grazie.”
Allungò anche a Jimmy un bicchiere, e lui la ringraziò con una strizzata d’occhio che gli spostò gli occhiali di poco.
Beth crollò a sedere in mezzo a loro. “E comunque lo vedete che io ho sempre, puntualmente ragione? Ho ragione. Ho sempre ragione e nessuno mi dà retta. Che ti dicevo, Jimmy, quella sera lì che stavamo cercando di montare quello stronzo di uno scaffale svedese? Ti dicevo che lei fa sempre così, prende e parte, dà una piega ineffabile ai suoi sentimenti e dice che è così che deve andare. Fa la risoluta ed è così brava che si autoconvince, ma poi disfa i ragionamenti con lena e determinazione, e ritorna. Ci rimane sì e no qualche settimana a Sligo, il tempo di capire che non ci fa un cazzo, a Sligo, e poi si trasferisce a Galway, e poi si innamora pazzamente di un musicista che ha un nome del cazzo che la invita a stare nel suo monolocale a Dublino, e poi si taglia i capelli cortissimi-“
“Ma…”
“Che cosa c’è, Brian.”
“Celeste si è tagliata i capelli?”
Beth vide il filo della pazienza scivolarle definitivamente dalle mani. Gli scoccò uno sguardo incandescente. “Sì. Non è questo il punto.”
“Sta molto bene.”, aggiunse Jimmy, distrattamente. “Si è anche fatta i colpi di sole.”
“Ma pensa.”, rispose Brian, seriamente interessato.
Beth si sgonfiò come un palloncino. Si grattò la fronte, si passò una mano sul viso, stanca morta. Stanca, stanca, stanca. “Non è questo il punto.”
Certe persone riescono a rassegnarsi; altre proprio no. Sono assolutamente, fisiologicamente incompatibili con la rassegnazione. La rigettano come un organo trapiantato.
Beth saltò in piedi, elettrificata da una rabbia talmente infantile che si sentì retrocedere in età di un paio di lustri.  “Vado a prendere un caffè.”, disse a denti stretti.
“Vengo anche io.”, ribattè Brian.
Jimmy lo guardò di sottecchi. “Come mai questa botta di vita?”
“Per fare due passi.”, borbottò quello.
 
 
 
“Me lo so ordinare da sola un caffè, grazie tante.”, disse Beth, con le braccia incrociate al petto.
L’aria condizionata era forte; Beth si accorse di stare tremando, e si maledisse per aver lasciato la felpa in macchina. Si sfregò una mano sul braccio con una tale veemenza che provò un lieve bruciore. Brian cercò di guardarla teneramente, ma ci riuscì solo in parte. Le circondò le spalle esili con un braccio, portandosela contro.
Beth trasalì; non disse nulla.
“Cosa dicevi?”, chiese Brian, vago, mentre aguzzava la vista verso il cartellone che riportava la lista delle bevande.
“Devi proprio farti gli occhiali.”
“Tu devi proprio farti i cazzi tuoi. Cosa diamine è un flat white? Una specie aliena recentemente scoperta?”
Beth pensò ad una sera in cui Brian era rimasto a dormire a casa sua: Michelle alla sesta telefonata senza risposta aveva fatto due più due, lanciato una delle sue Schecter in piscina ed era andata a letto.
Lo avrebbero scoperto solo la mattina dopo; Brian, per l’appunto, era rimasto a dormire da Beth. Prima però avevano parlato delle cospirazioni sull’allunaggio, sugli alieni, e sul fluoro che il governo metterebbe nell’acqua della Florida. Poi Beth lo aveva ascoltato parlare della gravidanza di Michelle, dell’ansia della paternità, e gli aveva detto che lo avrebbe personalmente denunciato alle autorità competenti se avesse davvero chiamato suo figlio Nicolangelo.
Beth sorrise, e strusciò lievemente la guancia contro il tessuto morbido della maglietta di Brian: un forte odore di vaniglia e tabacco, un po’ nauseabondo all’inizio, ma una volta che ci facevi l’abitudine qualcosa che avresti voluto annusare continuamente. Chiuse leggermente gli occhi mentre sentiva le dita di Brian che tracciavano dei cerchi distratti sulla propria pelle: stava ancora cercando di capire che differenza ci fosse tra un marocchino e un latte macchiato.
“Vabbè, facciamo due americani.”, concluse Brian alzando le spalle. Non si staccò da Beth. Ordinò, pagò, porse il caffè alla ragazza.
“Sei arrabbiata?”, chiese. La guardò per qualche secondo, poi si sentì in dovere di precisare. “Con Celeste.”
Sempre. Sempre, sempre, sempre, disse una vocina ammutinatrice nel suo cervello. Beth la scacciò arricciando il naso. Sospirò. “No. E’ solo che sono stanca.”
Stanca di cosa? Di essere amica di una ragazza per cui la gente si sbranda alle quattro del mattino in modo da andare a prendere all’aeroporto alle cinque ?
“No, non… Non ho dormito.”, aggiunse velocemente. “Non dormo molto, ultimamente.”
Brian la osservò poco convinto.
“Pensavo all’allunaggio.”, fece Beth all’improvviso, per cambiare discorso. Le piacque pensare che anche a Brian fosse venuto in mente quello stesso ricordo, perché sorrise: due stupidi idioti attorcigliati nelle lenzuola a parlare di teorie cospirative alle tre del mattino. Non si stimava abbastanza per ritenersi in grado di leggere le persone, però Brian lo conosceva da quando aveva tre peli sul mento e i capelli illibati dalla violenza chimica delle tinte: dunque lui sorrise solo da un lato della bocca, e Beth ebbe la certezza che anche lui stesse pensando a quella sera. Infatti poi si rabbuiò.
Jimmy scattò in piedi così velocemente che la Terra cambiò asse di rotazione per un secondo: il gate si riempiva di passeggeri appena scesi dall’aereo.
“Sarà arrivata.”, disse Beth, e non riuscì proprio a trattenere i propri occhi dal fare una piccola giravolta.
Non si sente all’improvviso un aroma di bucato pulito e fiori recisi? La Terra non ha per caso smesso di girare per un secondo? Il sole non si è appena sbrigato a mettersi più in alto per dare ai suoi capelli una sfumatura rossa, che le illumini l’incarnato e le cancelli ogni segno di stanchezza dal viso?
“Eccola.”, disse Brian, indicandola.
 
 
 
 
Era stato un viaggio terribile.
L’aria condizionata soffiava spifferi ghiacciati, e il maglioncino di cotone bianco che Celeste aveva indossato in previdenza alle temperature californiane era praticamente una barzelletta rispetto al clima con cui era partita, e che aveva deciso di accompagnarla per tutto il viaggio.
Sentiva l’aria penetrarle sottopelle e irrigidirle i muscoli, tenerli in una morsa dolorosa che, già sapeva, l’avrebbe tenuta in ostaggio per diversi giorni.
Era caduta quasi subito in un sonno ovattato e poco profondo, dal momento del decollo, ma aveva sognato molto.
Si trovava in un campo di fiori selvatici, in piedi a stendere un bucato sempre bagnato che, mosso da un vento aggressivo, le si appiccicava addosso, la avvolgeva come una seconda pelle e le riverberava un freddo glaciale che aveva intenzione di restarle nel cuore per sempre. Più si dimenava, più i lenzuoli bagnati le si avvinghiavano addosso, stringendo e frustando, e il sole, seppur alto e ben piazzato allo zenit, non emetteva che raggi bianchi e gelidi.
Si svegliò poco dopo con la fronte imperlata di sudore, e si sentì scottare di febbre.
Chiese alla hostess un po’ d’acqua e lesse per tutto il resto del tempo.
Il sole che l’accolse appena scesa dalla scaletta le asciugò ogni pensiero di dosso; avrebbe corso, se solo non fosse stata così anchilosata dal lungo stare seduta in quelle macchinazioni del demonio che avevano il coraggio di chiamare sedili.
Percorse il corridoio che conduceva al gate come se potesse vedere la natura fiorirle intorno, come se dal linoleum, dalle luci al led, dalle orecchie degli altri passeggeri si dimenassero grosse foglie di edera, di rampicanti verdi e teneri e boccioli rosati che si scuotevano di dosso le ultime gocce di rugiada. Sorrise come un’idiota e si sciolse la coda, si scompigliò i capelli che ormai le sfioravano le clavicole per dargli un po’ di volume.
 
Poi lo vide.
Seduto, spettinato e con una faccia stravolta. Appena i loro occhi collisero, Jimmy scattò in piedi e si aprì in un sorriso ironico e tuttavia contenuto.
Corri, le suggerì una voce all’orecchio, fai come nei film, molla il trolley e saltagli in braccio.
Non lo fece.
Si piazzò davanti a lui, tenendo una qualche decina di centimetri da lui, che aveva le mani sprofondate nei pantaloni e gli occhiali che continuavano a scivolare sul naso.
Si avvicinò lui ad abbracciarla. Le affondò il naso nei capelli.
Celeste gli strinse le braccia intorno alle manette: in mano teneva ancora Il Maestro e Margherita, con il dito medio infilato tra le pagine per tenere il segno.
 
Beth guardò quella scena in una sorta di trance mistica: c’era del sacro, del divino dell’aria, e non sapeva bene come reagirvi. Si lasciò sfuggire un gemito strozzato, e con lei una buona porzione della popolazione dell’aeroporto.
Abbassò gli occhi sulle proprie sneakers e si sentì improvvisamente inadeguata. Si passò una mano tra i capelli.
“Cazzo, non si direbbe abbia fatto una tratta transoceanica.”, fischiò Brian, incrociando le braccia al petto. Beth torturava il bordo del bicchiere di carta, e sentì l’effetto martellante del caffè scatenarsi improvvisamente dietro lo sterno.
Convennero tacitamente di lasciare ai due qualche minuto di privacy.
“Mi sa che stanno parlando del libro che ha letto.”, fece Brian, consapevole, additandoli. “Jimmy mi ha fatto una testa tanta. Siamo stati quarantacinque minuti in libreria, il mese scorso, perché non trovava la stessa traduzione che stava leggendo Celeste.”
“Tu non li leggi mai, i libri che ti do.”
Brian si voltò al rallentatore verso Beth. Aveva uno sguardo perso, come se i pensieri li vedesse proiettati nell’aria di fronte a sé.
“E’ che non li capisco.”
“Non è vero.”
“Okay.”
Tacquero.
“Beth, tu sei una ragazzina confusa.”
“Tu un testa di cazzo.”
“Sono contento che almeno su certe cose la pensiamo allo stesso modo, ma vorrei che mi contestualizzassi un po’. A grandi linee, eh.”
Beth sbuffò, ormai a corto di pazienza e sul punto di lasciarlo lì, davanti allo stand delle riviste scandalistiche, con tanti saluti dalla direzione. Eppure, qualcosa la costrinse a stornare lo sguardo sull’uomo, in particolare sugli occhi gentili che l’avevano sempre tradito e che cozzavano paurosamente con tutto l’ensemble.
Siccome spesso anche lei cozzava con sé stessa si arrese, e sorrise. “Il punto è questo. Tu non leggi i libri che ti do. Mai. Li lascio lì apposta, sul bracciolo del divano o sul mobiletto vicino al giradischi, e tu me li riporti il giorno dopo senza neanche averci dato una sbirciatina.”
Brian la guardò interrogativo, e vedendo che la ragazza non continuava alzò leggermente un sopracciglio. “Che ne sai tu che non li sbircio?”
Beth lo guardò in tralice. “Jimmy li legge, i libri di Celi.”
A Brian si svitarono le braccia dalle spalle e caddero a terra con un vuoto toc. “Oh, per il Signore, quell’uomo sarebbe capace di fare innamorare anche una cappasanta.”
“Non sono innamorata di Jimmy, imbecille. Sono…” Sospirò. “Vabbè.”
Ma tanto Brian aveva capito.
Beth si strinse nelle spalle. “E’ solo che ogni tanto vorrei una cosa così.”, disse la ragazza, voltandosi verso Jimmy e Celeste, che si osservavano con una serenità faticosamente conquistata, quanto meno per il momento. Lei reggeva Il Maestro e Margherita nella mano destra, e aveva il medio inserito tra le pagine per tenere il segno; gli sorrideva con gli occhi mentre con la bocca rispondeva alle domande che lui le faceva riguardo il volo. E purché parlasse di turbolenze e hostess apatiche, la sua persona diceva tutt’altro. Urlava tutt’altro.
Jimmy capiva, ovviamente; rispondeva che sui voli intercontinentali ci assumono solo stronzi, e  aggiunse anche che avrebbero dato pioggia tutto il weekend; e intanto anche lui, ovviamente, stava dicendo tutt’altro.
Brian li osservò per qualche istante, poi ritornò a guardare Beth, che aveva la faccia delle sedicenni che leggono Jane Austen per la prima volta.
“Intendi quei due lì? Quei due stupidi che giocano a ce l’hai da quando si sono conosciuti? Che non sanno fare altro che struggersi e osservarsi con languore e sosp-”
Brian fu colpito da uno dei suoi rari sprazzi di buonsenso, e si tacque.
Jimmy aveva sollevato una mano e aveva sistemato una ciocca di capelli dietro l’orecchio di Celeste, mentre lei parlava.
Beth scoccò a Brian uno sguardo druido e consapevole. Brian arricciò le labbra ed emise solo un mh constatativo. Beth sospirò, gli girò il mento verso il proprio viso e lo baciò a labbra chiuse, affettuosamente. Si soffermò a sfiorare gli zigomi appuntiti con la consapevolezza delle lanciatrici di coltelli.
Si staccò dopo un po’ e gli lasciò un’occhiata dolce, ritenendo che non ci fosse altro da aggiungere.
“Ah.”, disse Brian. Perché a volte è l’unica cosa da dire.
“C’è un bagno, lì.”, disse Beth, con dolcezza. Gli tese una mano e se lo trascinò dietro le porte.
“Ho bisogno che tu faccia l’amore con me. Fammi sentire che vale ancora qualcosa.”
 
 

 
 
So tuck my hair behind my ears and touch my soul again.
 
 
 


 
La prima cosa che Celeste pensò, appena vide Jimmy, fu: ho bisogno di togliermi i jeans e infilarmi in un letto a fare un riposino.
La seconda, non per importanza, fu: ho bisogno che mi scopi sul pavimento di questo maledetto aeroporto.
Alla fine decise di dirne solo una delle due.
Jimmy si allargò in uno dei suoi sorrisi da pacato Stregatto, e si passò una mano sulla bocca.
“Non ci vediamo da parecchi mesi.”, rispose lui mentre Celeste abbassava lo sguardo sulle scarpe. “Non ti pare di correre troppo?”
“C0s’è, improvvisamente ti preoccupi dell’umana decenza?”
“Non ti nego che è un’idea allettante. E non ti nego che non ho pensato ad altro, per tutto questo tempo.”
“Nemmeno io.”
“Bene.”
“Bene. Quindi?”, ripeté Celeste, melliflua.
Jimmy sospirò con condiscendenza, poi le scoccò uno sguardo complice: aveva due occhiaie da far spavento a Tim Burton, e uno squisito incarnato da rosa moschata che iniziava a tingerle le guance. “Quindi cosa?”
“Da me o da te?”
Jimmy scoppiò a ridere, profondo ed eterno, e a qualcuno dei passanti venne voglia di accendere un cero e appoggiarglielo vicino alle scarpe. “E cosa ne facciamo di quei due?” Jimmy si bloccò e gettò lo sguardo verso lo stand delle riviste. Vuoto. “Avrei giurato…”
Sbucarono poco dopo dai bagni; Synyster Gates si aggiustò i pantaloni senza preoccuparsi di scatenare ambiguità, e Beth lo seguì a ruota, infilandosi la maglietta nei pantaloni.
Jimmy incrociò le braccia al petto e scosse poco la testa. “Ma guardali, ‘sti cretini.”
“Sono adorabili. Si sono comportati bene?”, rispose Celeste, che ormai si sentiva fatta di zucchero.
“Ovviamente no.”
“Grazie al cielo.”
Beth le si avvicinò con un sorriso stanco e le gettò le braccia al collo. “Ciao, brutta strega dell’est.”, fece Brian, evitando gli sguardi sarcastici della sua coscienza che al momento albergava nella testa di Jimmy. Le depose (a Celeste, non alla coscienza) un bacio leggero sulla guancia, e nel farlo mangiò un paio di capelli di Beth. Sputacchiò.
“La dentiera dà fastidio, eh?”, fece Jimmy, che non voleva togliersi quello sguardo di consapevole sardonia dalla faccia.
“Ma lo possiamo fare un abbraccio di gruppo?”, chiese Beth, emergendo quel poco che bastava dalla spalla di Celeste.
“Sì, dai! Jimmy e Brian fanno le fette di pane.”, le diede corda l’altra. Brian e Jimmy si guardarono come se a entrambi fossero improvvisamente calate le braghe.
“Sono le sei meno dieci del mattino.”, replicò Brian, senza neanche sapere come potesse essere una giustificazione. Fu il primo a circondarle con le braccia.
Jimmy si premurò, nel ginepraio di mani, braccia, orecchie, di abbassarsi sulla base del collo di Celeste, lasciato scoperto dal nuovo taglio di capelli, e deporvi con cura un bacio piccolo e umido, veloce, che le facesse tremare un pochino la pelle. Se ne dimenticò lì un paio, ma non si preoccupò: li avrebbe recuperato più tardi.
 
 
 
 
I viaggi nella macchina di Synyster avevano sempre un che di mistico e, al contempo, demistificante.
Beth contravveniva le norme di sicurezza e stava sdraiata sui sedili posteriori, con la testa in grembo a Celeste.
“Ti vedo proprio bene.”, disse Brian, girandosi all’indietro per parlare a Celeste.
“Per l’amor del cielo, guarda davanti.”, rispose Beth, ricordandosi poco dopo che non è che le calasse granché dei sentimenti delle nuvole.
“Grazie, Brian.”, rispose Celeste, dolce.
“Prego.”
“Sei inquietante.”, fece Jimmy.
“Chi, io?”
“No, non tu, Celeste. Syn.”
“Sono gentile.”
“Appunto. Siilo di meno, che mi fai impressione.”
“A me non dispiace.”, intervenne Beth. “Qualcuno ha una sigaretta?”
Synyster frugò nel cruscotto davanti a Jimmy, dimenticando di essere in autostrada e non sulla pista dei go-kart, e ne estrasse poco dopo un pacchetto semivuoto. Lo lanciò alle spalle come una monetina in una fontana.
“Lo sai che mi fanno schifo, le Marlboro.”, replicò Beth con uno sbuffo dopo averlo preso al volo.
“Questo è, bambina.”
Beth la accese comunque. Fece una faccia disgustata e la passò a Celeste. Beth pensò improvvisamente che, se mai avesse scritto un romanzo d’amore su loro due, quello sarebbe stato il titolo: Questo è, bambina. Aveva un che di pirandelliano.
Celeste sembrò leggerle nel pensiero.
“Sei caduta così in basso da farti sbattere da Synyster Gates nei bagni di un aeroporto?”, chiese Celeste, sbuffando fumo con aria disgustata. Non riscuotevano granché di consenso, le sigarette di Brian.
Ripassò la sigaretta a Beth. Lei scrollò le spalle. Le mani di Brian si strinsero sul volante e Jimmy sorrise alla linea di mezzeria.
“Mi hanno sempre insegnato che quando tocchi il fondo almeno ti puoi dare la spinta per risalire.”
“Potrei vagamente ritenermi offeso.”, s’intromise Brian.
“Potresti anche ritenerti Luigi XIV, ma non interesserebbe a nessuno. Ora non si sta parlando di te.”, rispose Celeste, litigando con la leva del finestrino. “Come si apre questo stupido coso?”
“A bestemmie.”, rispose Brian. “Dopo ti faccio vedere.”
“Comunque,”, riprese Celeste, “mi è sembrato molto carino e molto patetico.”
“Come qualsiasi cosa io faccia, nella mia giusta vita. Alla fine uno cerca di non cadere sempre nel banale, e invece è tutto quello che riesce a fare.”, rispose Beth, ostentando noncuranza. Lei i coltelli li lanciava ma non li sapeva schivare.
“E’ che ci provi troppo.”
“Probabilmente hai ragione.”
“Come sempre.”
“Ci facciamo un hamburger?”
“I tuoi tentativi di tergiversare sono tanto teneri quanto inutili, Brian.”
Brian sbuffò.
Celeste prese una ciocca dei capelli di Beth e iniziò ad intrecciarla, sovrappensiero. “Io ho toccato il fondo dell’inferno. E non è stato esattamente pensato per poter rimbalzare in superficie. Ti ricordo Lucifero.”
“Stai parlando di Hades?”, chiese Beth, scenerandosi sui jeans.
“Sì.”
“Hai semplicemente cercato un escamotage, come una persona normale. Per una buona volta.”
“Che parola orrenda, escamotage.”
“Questo è, però.”
“Potevi usare ripiego.”
“Mi sentivo francese. E comunque ‘ripiego’ sottintende che tu ti sia piegata, cosa che non mi pare sia avvenuta.”
“Mi sento di dissentire.”, esclamò Jimmy, allungandosi poi indietro per sfiorare il braccio a Celeste.
“Che meravigliosa espressione, Jimmy.”
“Smettila di fare la gatta morta, tra poco vi lascio a casa di Jimmy e te lo puoi cavalcare quanto vuoi.”
“Grazie, Brian.”
Beth sbuffò ad alta voce. “Comunque.”
“Eh.”
“Sei stata stupida. E hai perso tempo.”
“Il tempo serve ma non esiste.”
“Non fare la filosofica con me, sai che li odio, i filosofi. Lo sai che potevi evitarti tutta questa manfrina se solo fossi stata un po’ più coraggiosa. Niente Sligo, niente Hades, niente mucche irlandesi a cui leggere Vittorio Sereni. Bastava semplicemente essere un po’ onesta con te stessa e mostrare il fianco a una cosa bella.”
“Le cose belle sono quelle che hanno i denti più affilati.”, ribatté Celeste, ma non aveva granché voglia di giustificarsi. Prese atto silenziosamente.
Jimmy non diceva niente; il venticello che avvolgeva la macchina gli scompigliava i capelli. Il cielo aveva un colore stupido e per niente poetico.
“Come l’ha presa Michelle, la Situazione?”, glissò Celeste, fumando con disgusto la Marlboro e osservando la treccina scura che reggeva ancora tra le dita.
“E come vuoi che l’abbia presa? Con sporadiche e rassegnate sfuriate.”, rispose Brian, alzando le spalle. “Ci sposiamo tra un paio di mesi.”
“Ma per davvero, stavolta.”, replicò Beth.
“Non prenderla sul personale, Brian. E’ l’unico modo con cui è possibile avere a che fare con te.”
“Cosa, sposarmi?”
Celeste spalancò gli occhi. “Per carità del signore, no. Dico arrabbiarsi. Almeno siete attenti ad essere sobri e riservati?”
Non fece a tempo a finire la frase che scoppiarono tutti e quattro a ridere.
“Quanto mi siete mancati.”, sospirò Celeste. “Comunque hai ragione, Betty, su tutta la linea.”
La ragazza si odiò profondamente per il senso di approvazione che le intiepidì il petto e le guance. “Così impari una cosa fondamentale per la prossima volta.”
“Cioè?”
“Che l’inferno può essere piovoso e umido e il paradiso una spiaggia di sole bollente. Che i santi non sono tutti irlandesi e che spesso è probabile che sarà un satanista sbattipentole quello che ti riporterà alla fede.”
Rimasero tutti in silenzio, ognuno meditando su un tipo di fede diverso.
Osservarono il sole sollevarsi a fatica. Il cielo rimaneva brutto e stupido, ma l’aria profumava di estate, di giubbotti di pelle e di grandi speranze. Una volta che il sole fu sorto inequivocabilmente, ripresero a sparare cazzate.
“Hai davvero letto Vittorio Sereni alle mucche irlandesi?”, chiese Jimmy voltandosi verso le ragazze con un sorriso.
Celeste perse lo sguardo oltre il finestrino e scrollò le spalle. “Ho provato con Pascoli ma mi hanno guardata male.”
 
 
 
 
 
 
 
Voglio solamente diventare deficiente e farmi male,
Citofonare e poi scappare.
 
 
 
 
 
 
 
 
Celeste non aveva mai riposato così bene come in quelle tre ore di pisolino nel letto di Jimmy.
Mosse le gambe per godersi il fresco delle lenzuola, finalmente libera dalla costrizione dei jeans, e indugiò ancora qualche istante prima di aprire gli occhi. Sentiva la sua presenza a fianco, e cercò di capire dal ritmo del suo respiro se stesse dormendo o no.
Socchiuse un occhio.
Stava leggendo.
Jimmy abbassò il libro come se qualcosa nell’aria, una fatina del lieto fine, forse, gli avesse suggerito che la ragazza si era svegliata.
“Che ore sono?”, chiese Celeste, intontita dal sonno.
“Le quindici e trentaquattro.”, rispose Jimmy mentre si allungava a posare il libro sul comodino. “Va meglio?”
“Sono rimbambita. Non dovevo dormire.”, replicò Celeste, allungandosi come un gatto. “Non dovevi farmi dormire.”
“Lo dici come se ti avessi messo qualcosa nel bicchiere.”
Celeste rise sommessamente.
C’era poca luce, in camera; quell’unica fonte che aveva permesso alla miopia di Jimmy di leggere senza recarle troppo fastidio proveniva dall’abat-jour: creava un contrasto da film dell’orrore che le fece venire i brividi.
“Ora ti dico la seconda cosa che mi è venuta in mente quando ti ho visto.”
“Spara.”
Celeste lo osservò con gli occhi socchiusi, cercando le parole. Decise che non ce n’erano, o comunque che lei ancora non le aveva imparate. Gli salì a cavalcioni e lo fissò intensamente. Si abbassò a baciarlo, piano, innocentemente, appoggiando i palmi sul suo petto. Le mani di Jimmy scesero dalla parte bassa della schiena verso il sedere, e Celeste sentì esplodere una febbre incurabile nei dintorni dell’ombelico.
Si staccò. “Ti ascolto.”, disse Jimmy, cercando di dissimulare un’improvvisa secchezza di gola.
“Mi fai sentire così bene.”
“Non ti sentivi mica rimbambita?”, chiese lui.
“Esatto. E’ così bello, essere liberi di sentirsi scemi con qualcuno. E mi capita solo con te.”
“Tu sei troppo affezionata alle opinioni degli altri.”, rispose lui, sollevandole la maglietta e armeggiando con il reggiseno.
“Non sono affezionata.”
“Oh, sì, invece. Ti dà un conforto incredibile, forse addirittura ti piace, sapere che gli altri si fanno un’opinione su di te al posto tuo. Al limite del masochismo.”
“Ma ti pare che devi farmi la psicanalisi mentre stiamo per scopare?”, rise lei, toccata solo in parte da quelle parole. Era un’ottima schivatrice di coltelli, Celeste, e quando non ci riusciva era dotta nell’arte di afferrarli dal lato della lama.
Jimmy rise e decise che a conti fatti non era niente di particolarmente urgente.
“Dopo ti spiego perché con te non faccio l’amore, Jimmy.”, sussurrò lei, mentre gli stava sopra, e lui le stava dentro e si muoveva con lentezza, come se avesse a disposizione tutto il tempo del mondo – cosa effettivamente vera.
“Ripetilo.”
“Dopo ti spieg-”
“No, non quello.”
“Non faccio l’amore con te?”
“Dopo.”
“Jimmy…”
“Brava.”
Celeste si disse che era definitivamente uscita di testa. Alla buon’ora.
Le ci erano voluti anni di Bagatti e di Diavoli, di scrittrici uterine e molto incazzate che dessero forma alle sue frustrazioni quando a lei mancavano le parole, di monologhi sul valore dell’individualismo da parte di quel santo di suo padre, una quantità esagerata di tè Earl Grey, un chitarrista che si dilettava a marciare sui coglioni altrui e un batterista impossibile e tatuato fin nell’ombelico per ottenere quel risultato; ma finalmente ce l’aveva fatta. Si era chiusa il portone alle spalle e aveva anche gettato la chiave.
Un tale senso di libertà dovrebbe essere catalogato come dannoso per la salute, e al contempo era la cura ad ogni male. Un farmacon, il veleno e l’antidoto, dolce come ambrosia e pericoloso come acido muriatico.
Non sarebbe più tornata indietro.
Jimmy le baciava il collo senza foga, e le dava l’impressione di aver capito che quello era molto di più che semplice sesso, per lei: forse era molto di più che semplice amore. Si sarebbe chiesta, più tardi, se non fosse piuttosto che era lei ad averlo idealizzato al punto da crederlo in grado di simili capacità maieutiche nei propri confronti. In seguito si sarebbe risposta che, finché lui avesse continuato a tirare fuori il meglio di lei, avrebbe fatto bene a farsi poche domande. O al limite, cercare di farsi quelle giuste.
Jimmy la rovesciò sul letto con delicatezza e rientrò in lei, seguendo il ritmo delle onde del mare che accarezzavano la spiaggia fuori della finestra.
“Ma tu hai una vaga idea di quello che mi stai facendo?”, chiese Celeste con gli occhi lucidi e socchiusi per il piacere. Jimmy le baciò la fronte, poi la bocca, e infine il collo.
“Sarebbe preoccupante se ti dicessi di no, vero?”
Celeste scoppiò a ridere, e una lacrima spuntata dal nulla le solcò una guancia. “Oh, Jimmy…”
“Se lo dici così…”
“Cosa.”
Lui le asciugò la lacrima con il dorso della mano e le prese il viso tra le dita. La baciò ancora, ancora, e ancora e Celeste si sentì un gioiello prezioso. “Se lo dici così dovrò sposarti, prima o poi.”
 
 
 
 
 
 
 
Even the darkness has arms,
But it ain’t got you.
Baby, I have it,
And I have you too.
 
 
 
 
 

 
“Mi prendi per stucchevole se inizio a cantare At last di Etta James?”
“Piccola, potresti anche cantarmi la Marsigliese imitando il suono di una cornamusa e ti troverei il più dolce uccello del paradiso.”
Celeste lo osservava svestita e appagata, così serena che le parve quasi innaturale. Gli baciò tutto il viso, senza lasciargli possibilità né di ridere né di respirare.
“Svergognati.”, fece Brian, comparendo come il Tristo Mietitore sulla porta.
“Tu, invece, sei sempre una cornacchia.”, ribatté Jimmy, tirandosi a sedere. “Sei nato cornacchia e cornacchia morirai.”
“Ha parlato l’oca selvatica.”, fece Beth, spuntando di tre quarti da dietro Brian. “Fatemi posto.”
“Fammi rivestire.”, ribatté Celeste mentre Beth si sbatteva nel letto.
“Brian, voltati per cortesia.”, fece Jimmy accendendo due sigarette e distribuendole tra le ragazze.
“Ma come voltati? E tu allora? E Beth?”
“Noi abbiamo già visto tutto; tu invece sei un uomo impegnato.”, spiegò paziente Beth, aspirando dalla sigaretta. Aveva la stessa faccia scazzata dei santi martiri nei dipinti medievali.
Il chitarrista sbuffò sonoramente, ripensando ai tempi in cui le ragazze lo pregavano di guardarle spogliarsi. Doveva ancora avere da qualche parte un baule di reggiseni raccolti durante i concerti; questo sortì l’effetto di ripristinare il corretto bilanciamento dei livelli di testosterone nel suo sistema, e sorrise sornione mentre si voltava dall’altra parte, incrociando le braccia al petto.
“Bene, puoi voltarti.”, esclamò Celeste dopo essersi infilata una maglietta, prendendo la sigaretta che Jimmy le porgeva. Si sedette all’indiana sul materasso, baciando Jimmy con lo sguardo.
“Bene, quindi non ci racconti?”, fece Brian, calciando le scarpe. Si sistemò con la testa in grembo a Beth, non prima di essersi appurato di essere a debita distanza da quello di Jimmy, il quale non vedeva la necessità di rivestirsi, essendo lui nel proprio letto nella propria camera nella propria casa.
“Vi ho raccontato.”, replicò Celeste.
“Ci hai raccontato delle mucche irlandesi e del loro odio per i poeti decadenti italiani.”
Celeste scoccò a Jimmy uno sguardo incerto. Aspirò una grossa boccata di fumo e decise in quel preciso momento che avrebbe smesso.
Cosa avrebbe potuto dire? Che aveva sofferto, come da previsione, nel momento stesso in cui l’aereo aveva decollato? Che la pioggia non le aveva lavato di dosso un bel niente, ma semmai le aveva riempito l’anima di una tale umidità che pensava di essere diventata la fonte di un fiume, impetuoso e dalle correnti subacquee insidiose, in cui nemmeno i salmoni volevano nuotare?
Si era sentita spenta. Non vedeva null’altro che buio, intorno a sé e dentro di sé.
Poteva dirgli che niente le mancava come le sue mani addosso, anche se c’erano state solo una volta?
Lo aveva cercato pazzamente nelle folle dei pub, nel mare, dentro i pacati cadaveri irlandesi, nei libri che lui per messaggio le comunicava di aver iniziato a leggere, nelle canzoni che componeva e nelle macchie di muffa sul soffitto che osservava di notte, fattasi improvvisamente inguaribile insonne, cantandosi Nothing Else Matter dei Metallica per cercare di addormentarsi. Lo cercava e non lo trovava mai: era sfuggevole come un salmone.
Come poteva descrivere un rimorso che le aveva fatto più volte cadere il telefono dalle mani quando parlava con Beth o con suo padre, ed era tentata di dire adesso prenoto un volo e torno, perché era assurdo e stupido tenersi volutamente lontana da una persona del genere?
Eppure qualcosa glielo impediva. Una sorta di arbitro interiore che le impediva di essere impulsiva, una sorta di mantra che si era sempre ripetuta per contenersi, per non esondare sempre sopra chiunque e qualunque cosa. Un sardonico e rammaricato hai voluto la bicicletta, e ora pedala, un senso di orgoglio così ridicolo che più volte si era messa a ridere dal nulla, in obitorio, sotto la doccia, contro la spalla di Hades mentre faceva sesso con lui. Una risata di quelle che si forzano per non scoppiare a piangere all’improvviso.
Orgoglio per cosa, poi? Non era mai riuscita sentirsi orgogliosa di sé stessa neanche provandoci.
Celeste sentì improvvisamente il peso degli sguardi di quel gomitolo di destini intrecciati che per caso aveva la forma di tre persone umane. Un brivido le fece tremare il petto.
Jimmy la baciò sulla spalla e le sorrise. Celeste abbassò gli occhi e si sentì davvero felice. Si appuntò mentalmente che avrebbe dovuto chiamare suo padre.
Brian la guardava come se fosse un bambino che aspettava di sentire il seguito di una fiaba. Beth aveva lo sconforto dell’inferiorità che le sfigurava il volto nello sforzo di ignorare un groppo in gola.
Celeste si passò una mano tra i capelli e disse semplicemente: “Perché non chiamiamo anche gli altri e facciamo una grigliata, stasera?”
 
 
 
 
 
 
Torna il tuo cielo d’un tempo
sulle altane lombarde,
 in nuvole d’afa s’addensa
e nei tuoi occhi esula ogni azzurro
si raccoglie e riposa.
 
Anche l’ora verrà della frescura
col vento che si leva sulle darsene
dei Navigli e il cielo
che per le rive si allontana.
 
Torni anche tu, Diana,
tra i tavoli schierati all’aperto
e la gente intenta alle bevande
sotto la luna distante?

 
 
 
 
 
 
 
Era felice.
Si aggirava nel giardino con un vestito a fiori lilla che le volteggiava intorno, un grosso anello di pietra di luna al dito anulare e un bicchiere di vino bianco che Matt si premurava di riempire con una certa regolarità. La sera profumava di gelsomini e di carbonella, e nonostante fosse spaventosamente stanca, era felice.
Non era così felice da una vita, pensò.
Si erano preparate, Beth e lei, ascoltando i Fall Out Boy e cantando come quando erano adolescenti, sedute per terra davanti allo specchio e scambiandosi i lucidalabbra.
Agli occhi di Brian e Jimmy questo li fece sentire ancora più vecchi; due coppie ben assortite di Lolite e Humbert Humbert, con meno pare mentali e più consensualità, senza dubbio. Ma con tutta la poesia.
“Ferma!”
Celeste fu costretta a fermare il proprio ondeggiare perché altrimenti avrebbe fatto un frontale con i pettorali di Matthew. La prese per le braccia, sorridendo. “Sei già ubriaca?”
Celeste sorrise, raggiante. “Calamene un altro, signor Ombre.”
“Agli ordini.”
E una volta riempito nuovamente il calice, continuò il suo periplo danzante del giardino. Planò vicino a Beth, che aveva la pelle lucida di lozione idratante e un vestito giallo canarino.
“Bel colore di merda, questo vestito.”, la salutò. Le schioccò un bacio sullo zigomo.
“Non lo reggi, l’alcool.”, sbuffò lei; però sorrideva. Aveva le guance arrossate e Brian continuava a cercarla con lo sguardo. Il tramonto era arancione, così come la brace che Zacky curava con dedizione, una bottiglia di Heineken e una sigaretta in mano. Per un attimo all’immagine dell’uomo si sovrappose quella di un ragazzino dai capelli tinti e snake bites, e Beth si lasciò andare ad un sospiro pieno di tenerezza.
“Sei troppo pallida.”, fece Johnny, pungolando un braccio di Celeste con l’indice.
“Sono stata in Irlanda.”, informò lei, come se non ne fosse già a conoscenza. “Ma ora sono qui. Sono tornata. Jimmy?”, chiamò, persa per un istante.
Una presenza da colonna di marmo comparve alle sue spalle e lei sorrise: la colonna le depositò un bacio sulla testa e poi uno sulla nuca.
“Sono qui. Non me ne vado. Non sono mica te.”
Celeste ruotò sui tacchi di centottanta gradi, accompagnata dalle falde dell’abito, e si ritrovò ad un palmo di naso dalla faccia di Jimmy.
Beth scosse la testa e raggiunse Brian, che criticava con fare esperto le capacità griglistiche del collega. Lo abbracciò da dietro e lo fece leggermente sussultare; ridacchiò, pensando che i metallari hanno i nervi sensibili.
“Ti ricordi quando ci è entrata una cavalletta in camera, al motel?”, chiese.
Brian alzò un braccio per cercare di guardarla, ma lei aveva il volto schiacciato contro la sua schiena, e inspirava a fondo il suo profumo di vaniglia e tabacco, a cui ora si aggiungeva anche un ché di torbato. Si rassegnò a sentirla borbottare da dietro.
“Esseri spaventevoli.”, commentò lui, cercando di mantenere sotto controllo un brivido di terrore che non stava per niente bene coi suoi tatuaggi.
“Jimmy ha fatto un quadruplo salto mortale, il che è ammirevole, tenendo conto che è alto sei metri.”
“Perché me lo dici?”
“Perché eravate molto buffi.”
“Non mi sembra che tu abbia ben accolto la sua venuta.”
“No, infatti. Però voi avevate le lacrime agli occhi. Meno male che c’era Celeste che l’ha gentilmente scortata sul patio.”
Brian non riuscì a trattenere un tremore di spina dorsale, al pensiero di quegli occhi vacui che lo fissavano dritto nell’anima e gli dicevano pentiti. Pentiti, disgraziato. Questo non lo disse, perché Zacky stava ascoltando.
“Cosa diamine c’entrano le cavallette?”, chiese, abbassando il tono di voce di qualche ottava.
“Nulla. Sei nervoso?”, chiese la ragazza, tirando su col naso. Si sentiva già piuttosto ubriaca e ancora non avevano messo sul fuoco mezza costina.
Brian aprì la bocca per rispondere, ma lei lo interruppe. “Io ti amo, Brian. Lo sai?”
Zacky glissò lo sguardo sul prato e si voltò, cercando una scusa sul fondo della Heineken.
“Sì che lo so.”
“Okay.”
“Okay.”
Beth gli piantò un bacio sulle scapole e si voltò per trottare verso Matt, custode del Merlot e dunque ancora più allettante del solito. Brian la afferrò per un braccio e se la tirò addosso. “Vieni qui.”
Beth diventò improvvisamente claustrofobica e si divincolò come una seppia per liberarsi dalla stretta, ma poi si calmò e si lasciò abbracciare un po’.
Si staccò poco prima che Valary e Michelle facessero il loro ingresso trionfale nel giardino. Guardò Brian con tenerezza e gli fece l’occhiolino.
Non aveva fatto due passi che si sentì richiamare indietro.
“Oh, ma sei ossessionato.”, scherzò lei.
Brian le sorrise come quando aveva diciotto anni. “Scema. Hai la lampo abbassata, girati.”
Beth si girò e si fece chiudere il vestito.
Brian si complimentò per l’incredibile forza d’animo che gli impedì di chinarsi e baciarle il pezzettino di schiena che la cerniera non copriva.
Beth, che non era così dotta, arrossì; galoppò verso Celeste senza voltarsi, con la sensazione di quelle dita ancora sulla pelle.
 
Qualcuno accese l’impianto e partirono i Pantera.
Celeste sbraitò che non era il caso (di cosa, lo sapeva solo lei), e pretese l’assoluta e indiscussa gestione della colonna sonora. Mise The heart is a muscle e chiuse gli occhi per qualche istante.
“Bella canzone, Sligo.”, disse Jimmy, baciandole il naso. Celeste aprì gli occhi.
“Mi hai sempre chiamato con il nome della cosa che ci ha separato.”
“Ma per un po’ basta Irlanda, giusto?”
“In realtà le mucche volevano istruirsi anche su Luzi e Pagliarani, quindi non posso promettere.”
Jimmy scosse lievemente la testa. “Va bene. Almeno prenota per due, però.”
Celeste lo baciò, di slancio, facendosi prendere il viso tra le mani. Si staccò giusto un secondo per sussurrare, seguendo la canzone: “I will look at love as more than just an instrument of pain, and will give myself completely to the moving and the strange.”
“Era ora, bambina.”, sussurrò lui di rimando, strabuzzando gli occhi in un’espressione che la fece ridere, buttando la testa all’indietro.
“E’ PRONTO!”, ululò Valary.
 
La sera calava, si depositava sui fili dell’erba e delle risate; la griglia si affievoliva e i bicchieri si svuotavano e si riempivano. Gli ultimi raggi del sole filtravano attraverso i boccali di birra, e si posavano sui capelli di tutti, troppo occupati nelle loro disquisizioni ubriache sul rock degli anni ’80 e su vecchie foto in vasche da bagno decisamente piccole.
Celeste lanciò uno sguardo dall’altro lato del tavolo, dove Jimmy rideva come un rubicondo dio delle feste e accecava Brian con il fumo del sigaro.
Fumava una sigaretta leggera con la testa di Beth appoggiata sulla spalla, e solo di tanto in tanto rispondeva ai commenti di Michelle sul fatto che Brian sarebbe dovuto dimagrire di qualche chilo – e solo per dirle che aveva assolutamente ragione.
“Sono felice, Celi.”, disse improvvisamente Beth, devastata dall’alcool e dal cibo. “Sono così fottutamente felice che potrei ribaltare questo tavolo.”
Celeste rise. Jimmy stava discutendo animatamente chissà di cosa, forse di acciughe, forse di Chick Corea: si interruppe solo un attimo, il sigaro tra i denti, per farle un occhiolino fugace.
“Anche io, tesoro. Cazzo, anche io.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Baby,

you're

like

lightning in a bottle.



 
 
 
 
 
 
Ascoltare il rumore della ghiaia sotto i piedi era il modo tramite cui Celeste pregava. Si perdeva in quello scricchiolio confortante e respirava profondamente da un mazzo di camelie e crisantemi, che per inciso sono i fiori dei morti, ma anche quelli dell’amore.
Il cielo si era rannuvolato nel momento in cui la portiera della macchina aveva sbattuto e Celeste si era avviata verso i cancelli del cimitero.
Si diresse lungo i sentieri in maniera automatica e naturale, e una gonna decisamente troppo leggera per quella giornata di inizio primavera le avvolgeva le gambe ad ogni passo.
Tremava dal freddo.
Arrivò di fronte ad una lapide di marmo scuro, su cui erano incisi a caratteri dorati i grafemi di quell’epiclesi che Celeste si ripeteva con concentrazione quasi sacerdotale, quando l’aria intorno a lei si faceva irrespirabile e la vita si riempiva di nebbia.
Sedette per terra a gambe incrociate e appoggiò i fiori davanti a sé, per terra. Sbuffò con sonorità.
“Sei proprio insopportabile.”, disse scuotendo lievemente la testa. “Non mi hai reso le cose facili. Tutt’altro. Ma immagino che sia per questo che ti diverti così tanto.”
Appoggiò la testa sul pugno chiuso e sorrise teneramente. “Dicevi sempre che quando saresti morta ti saresti molto divertita a perseguitare la signora Molteni, che ti faceva sempre dei prezzi esorbitanti quando andavi a comprare il prosciutto cotto da lei. E invece alla fine sei uno spettro prevedibile e vagamente pedissequo, e mi segui come un’ombra.”
Ci fu un cambio di aria; una folata tiepida le carezzò i capelli.
La signora Ofelia Crespi si stirò come un gatto e si sedette meglio sulla lapide: la sigaretta che non si consumava mai tra le dita inanellate di alessandrite e pietra di luna. La osservò con il solito distacco mistico con cui l’aveva sempre guardata: lo sguardo di chi sa Tutto.
Bene, bambina. Una volta che abbiamo stabilito che hai visto troppi film sui fantasmi, ti decidi a parlare?
Celeste accese una sigaretta e si osservò le dita intorpidite dal freddo. Alla signora Crespi venne voglia di levarsi lo scialle e appoggiarlo sulle spalle della ragazza: non aveva mai saputo leggere il cielo, e infatti era diventata aruspice. L’impiego di augure non l’avrebbe mai portata da nessuna parte, era troppo distratta e teneva lo sguardo troppo basso.
Ti verranno un sacco di reumatismi, temo.
Celeste sbuffò, come se avesse sentito un rimprovero: era solo il vento tra i fili d’erba.
“Sono felice, mamma. Nel senso che per una buona volta non ho paura.”
Tesoro…
“Sono crollati i veli e le maschere, ho aperto le finestre, come facevi tu quando eri arrabbiata o triste. E ora c’è quasi sempre il sole. Anche quando non c’è. È tutto merito di una persona che vorrei farti conoscere. Vieni, Jimmy.”, disse Celeste, voltandosi indietro verso l’uomo che stava a pochi passi da lei. Si avvicinò e sedette.
Sorrisero alle lettere dorate.
Un vero piacere. Ti ho osservato spesso, James, figlio del tuono. Sei uno strano tipo. Proprio quello che ci voleva per la mia piccola. Papà non vede l’ora di conoscerti.
Celeste si rivolse verso Jimmy e lo baciò intensamente.
“La mamma era una cartomante; leggeva i Tarocchi in Via dei Fiori Chiari. Lì, dopo le sei del pomeriggio, ci sono un sacco di veggenti che aprono i tavolini da campo e leggono le carte ai passanti. La mamma era una delle più richieste perché aveva gli occhi delle civette, e anche perché aveva un accordo con alcuni bar del centro: mandava i suoi clienti lì a prendere il caffè, e questi poi tornavano da lei con le tazzine per farsi leggere i fondi. Aveva una vista particolare, inspiegabile a parole: i Tarocchi che leggeva erano in realtà dentro di te, non sul tavolino. Lei semplicemente usava le raffigurazioni degli Arcani per spiegarti cose che lei vedeva come macchie di colore dentro i tuoi occhi. Per lei era tutto chiaro. Le bastava uno sguardo.”
Oh, no, tesoro. Proprio no. Sono stata la più grande improvvisatrice, in fatto di vivere. Ma è tenero che tu lo pensi.
“Il papà l’ha conosciuta perché era bigliettaio alla Brera: scappava dall’Irlanda e dall’umidità, ignorando, a quel tempo, che a Milano ne avrebbe trovato un’altra. La mamma gli ha letto le carte in pausa pranzo, gli ha fatto capire che erano destinati a stare insieme, a sposarsi, e mio padre era così confuso, così affascinato che le ha creduto. Ci ha creduto fino alla fine, e con la stessa dedizione di chi testimonia le apparizioni mariane.”
La signora Crespi tacque, la sigaretta imperitura tra le dita; sospirò, pensando al viso di suo marito premuto sul suo petto, l’ultima notte che passarono insieme. Si fa quel che si può, scricciolo, disse, più a sé stessa che alla figlia.
Jimmy sorrise tra sé, incantato e leggermente intimidito dall’atmosfera sacra di quel momento. “Allora è di famiglia, la fuga.”
“Ovviamente.”, ribattè Celeste, scrollando le spalle. Tremò forte; Jimmy le appoggiò la giacca di pelle sulle spalle. “Non sai mai portarti dietro una giacca, quando scappi.”
La signora Ofelia si commosse, ed ebbe la prova inconfutabile di tutti i segni che aveva sempre visto nella sua bambina, quelli che Celeste non aveva mai voluto inseguire come conigli, per paura di cadere nel buco. Aveva dovuto incontrare un’Alice alta un metro e novantatré a forma di batterista per capire che quello che uccide non è mai la caduta, bensì l’atterraggio. E che molto spesso nemmeno quello ci riesce.
Si asciugò una lacrima sulla guancia prima che qualcuno potesse notarla – soprattutto il signor Marcello, che stava due lapidi più in là; non aveva ancora capito che era morto e che non aveva davvero più niente di cui lamentarsi, ma odiava i sentimentalismi e sbraitava addosso a tutti i malinconici frequentatori del cimitero.
Voi ragazzini…, si disse solamente, accavallando le gambe. La sigaretta fumava ancora tra le sue dita, imperturbabile agli spifferi che stavano iniziando a scuotere i cipressi intorno al campo santo.
“Ti ho preso una cosa.”, disse Jimmy, frugando nella tasca della giacca che aveva ancora indosso Celeste. Estrasse una scatolina di velluto scuro e la porse a Celeste, che lo guardò con uno sguardo ironico e bellissimo.
“Davvero? Al cimitero?”
“Mi dici sempre che le proposte sfarzose e pubbliche ti danno ai nervi. Qui non può applaudire nessuno.”
Beh, nessuno che voi possiate sentire.
Celeste lo guardò con tenerezza.
“Non è necessario che sia tra poco, tra un mese o sedici anni. Vorrei solo che ricordassi che ormai non è che ci siano molte altre alternative. Voglio dire, la maggior parte dei tuoi libri e stupidi maglioncini sono già a casa mia.”
“Ah, quindi è una questione di mera praticità.”, ribatté Celeste.
“Vedila come una conseguenza naturale degli eventi.”
Gli eventi sarebbero Brian e la sua allergia congenita alle responsabilità?”
“E anche Beth.”, aggiunse Jimmy, consapevolmente. “Non dimenticare Beth. Devi lasciarla respirare un po’, bambina, altrimenti si strangola. Su, aprilo.”, disse poi, indicando la scatolina con il mento.
Un anellino dorato con un rombo di alessandrite che catturava la luce biancastra di quella giornata. Cangiante e mai uguale a sé stesso: un po’ come lui vedeva lei.
Tieniti stretto l’uomo che conosce la tua pietra natale.
Lui la baciò sui capelli, stringendola più a sé.
Ora andate, bambini, prima che mi metta a piangere.
Celeste si alzò, lasciando un ultimo sguardo alla lapide scura; si avvicinò e posò un bacio sulle lettere dorate, vicino alla fotografia di una donna che rideva, una sigaretta in mano e una massa di capelli scuri screziati di bianco. “Ciao, mamma. Torno presto.”
Ciao, scricciolo. Fa’ un po’ meno la brava, mi raccomando, disse la signora Crespi, aspirando brevemente dalla sigaretta e stringendosi nello scialle, sentendo il freddo che doveva sentire sua figlia, vestita come se dovesse andare ad un falò in spiaggia. Cosa non troppo distante dalla realtà, peraltro.
Li osservò camminare lungo i sentieri di ghiaia, lui con il braccio intorno alle spalle di lei, e lei stretta attorno alla sua vita, la testa mora appoggiata sulla spalla. Il sole era bianco e accecante; l’aria fresca e carica del profumo del marmo bagnato.
Aiutala, James Boanerghes. Stalle tanto vicino.
La signora Crespi dovette presto distogliere lo sguardo dai ragazzi, perché il signor Marcello si era svegliato.
“Cos’ha da brontolare, signor Marcello?”, chiese la donna, scendendo dalla lapide con un saltello aggraziato. L’uomo sbuffò, scrollandosi dalla giacca una polvere che non poteva essere.
“Guardi che tempo! Che umidità! Come faranno, i miei reumatismi? E la mia sciatica? Robe da matti!”, borbottò lui, alzandosi in piedi. Non guardò nemmeno la lapide che recava il suo nome e una bella fotografia in bianco e nero.
Non la guardava mai. Si alzava come se fosse stato troppo tempo seduto in poltrona, e si aggirava per le tombe come se cercasse gli occhiali da vista.
La signora Crespi si avvicinò e gli  sorrise. “Ma non deve più preoccuparsi, signor Marcello. Adesso davvero è tutto a posto.”
“Lo dice lei, perché è giovane. Ma quando arriverà alla mia età…”, continuò lui, borbottando. Tuttavia le offrì il braccio, a cui la donna si aggrappò, sorridendo e scuotendo il capo.
Si incamminarono per i cipressi, serenamente, chiacchierando del grigiore che avvolgeva il cielo di Milano quel mattino, dei crisantemi pallidi che la figlia di Ofelia aveva lasciato, dei tulipani che il figlio del signor Marcello soleva portargli.
Di fiumi alpini, di mari del Nord, dei terremoti della California.
Di quando il signor Marcello, meneghino di sangue, faceva il fioraio a Venezia; di quando suonava la fisarmonica per sua moglie nelle sere d’estate, dopo aver bevuto un goccetto di troppo.
“Bei tempi, bei tempi, quelli… eh, sì.”
“Anche ora non ce la caviamo male, no?”, ribatté la signora Crespi, indicando con la sigaretta il panorama quieto del camposanto.
Il signor Marcello scrollò le spalle, aggrottando le sopracciglia.
“Lei mi ricorda proprio una persona.”
“Ah sì?”
“Sì. Un amico di mia figlia Celeste.”
“Ma pensa. Faceva anche lui il fioraio?”
“In un certo senso. Fa il chitarrista. Si fa chiamare Synyster Gates.”
“Te pensa…”
 
 
 
 
Baby, you're like lightning in a bottle
I can't let you go now that I got it
And all I need is to be struck
By your electric love.

 
 
 
 






 
 
Fine.
Le parole che ho preso in prestito sono, in ordine di apparizione, di:
Gang of Youths, the deepest sighs, the frankest shadows
Fulminacci, Santa Marinella
Barr Brothers, Even the Darkness has arms
Electric love, Borns.
Diana, Vittorio Sereni.
 
Ora le restituisco.
Tante grazie.
 

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