E il Sole sorgerà ad Occidente

di aturiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il volo ***
Capitolo 2: *** Viserys ***
Capitolo 3: *** Ser Jorah ***
Capitolo 4: *** Drogo ***



Capitolo 1
*** Il volo ***


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Il volo
 
 Daenerys volava.
Mai, in tutta la sua vita e in altre mille, avrebbe immaginato che una sensazione simile potesse esistere. Inconsciamente l’aveva bramata sin dall’istante in cui si erano schiuse le uova, quando per la prima volta aveva toccato i suoi figli. Li aveva visti crescere, fin troppo velocemente, e aveva iniziato a intuire quali fossero le loro potenzialità.
Drogon era sempre stato il primo. Il più maestoso, il più forte, il più fiero, il più pericoloso; esattamente come l’uomo da cui prendeva il nome. Era quello più temuto da tutti.
Daenerys volava e sapeva che non avrebbe mai potuto cavalcare nessun altro.
Inizialmente aveva tenuto gli occhi serrati, aggrappandosi disperatamente alle squame e cercando di contrastare quella forza che la spingeva indietro, mentre Drogon saliva in picchiata.
Poi però li aveva aperti, gli occhi.
C’era il vento che le sferzava il colpo, che trovava riparo solo in parte dietro al collo del drago.
C’era l’enorme ombra cha lasciavano sul verde mare dothraki.
C’era, ovunque, il cielo.
 
Essere il sangue del Drago aveva appena assunto un significato completamente diverso.
 
 
Drogon sapeva dove stava andando. Sordo ai comandi della regina, volava sicuro sopra alle immense praterie, seguendo il richiamo di casa. Casa. La casa di Daenerys era Meereen. Erano Missandei e Daario Naharis, Verme Grigio e ser Barristan, le sue ancelle e i cavalieri di sangue. Hizdar. I liberti che vedevano in lei la loro Mhysa.
Daenerys aveva avuto un figlio vero, una volta. Quando era una bambina che faceva l’amore sotto le stelle, condividendo i respiri con il resto del khalasar.
Daenerys aveva dei figli veri. Tre, per la precisione, e non erano liberti ma mostri. Lei lo sapeva, era come loro.
Non sarebbe più tornata a casa.
 
 
Si fermarono solo al tramonto, in una collina rocciosa in mezzo al mare verde erba. O meglio, si fermarono davanti alla bocca della caverna scavata ai suoi piedi. Drogon aspettò pazientemente che lei si lasciasse scivolare lungo il suo fianco fino a terra, poi entrò. Le stava mostrando la sua casa? Oppure aveva semplicemente perso ogni interesse per lei? Siccome non aveva altre alternative, Dany lo seguì. Scoprì che l’interno era molto più grande di quanto non sembrasse da fuori; era difficile fare una stima delle esatte dimensioni per via dell’oscurità che regnava nella caverna, ma era grande abbastanza da diventare la tana di un drago. Inciampò nelle carcasse degli animali che Drogon aveva divorato, si strappò il tokar contro le rocce, si fece dilaniare dai morsi della fame.
«Drogon?» chiamò, titubante.
Non percepì alcun suono.
«Drogon» ripeté. Stavolta gli occhi del drago si accesero nell’oscurità, fissandosi in quelli di Daenerys Targaryen la Non Bruciata per la prima volta dopo tanto tempo. Rimasero così a lungo, scrutandosi, attaccandosi a vicenda con quegli occhi pieni di rabbia e biasimo e dolore. Sicuramente era tutto nella sua testa, un drago non poteva essere così espressivo. O sì?
Aveva perso il controllo, non era stata in grado di capire la vera natura di un drago, aveva lasciato che scappasse, aveva incatenato i suoi fratelli.
«Hai ucciso quella bambina» gli disse. «Mi hai forzato la mano, per colpa tua ho perso i miei draghi! Perché nessuna regina permette che i figli dei suoi sudditi vengano divorati da mostri. Cos’avrei dovuto fare?»
Drogon la guardava come un cacciatore guarda la sua preda. Una ragazzina indifesa davanti a un mostro. Non mi riconosce? Mi odia? Non mi ritiene degna?
Non puoi essere la Madre dei Draghi senza draghi” aveva detto Daario Naharis. 
Daario che era a Meereen, ostaggio degli yunkai, che non avrebbe più rivisto.
In quel momento Daenerys realizzò di stringere ancora la frusta tra le mani. la scagliò contro Drogon con tutta la forza che aveva e colpì il bersaglio. Drogon emise un suono gutturale, infastidito e carico di rabbia.
«Dracarys» ringhiò lei, colpendolo ancora.
Un altro verso. Un altro colpo di frusta.
L’aveva montato come Aaegon il Conquistatore aveva montato Balerion il Terrore Nero. Daenerys poteva volare.
Risveglierai il drago” diceva sempre suo fratello Viserys.
La frusta saettò una terza volta nell’oscurità. Drogon ringhiò ancora.
Non ne aveva il diritto.
«Dracarys!»
Rhaegar ha combattuto con valore, Rhaegar ha combattuto con nobiltà, Rhaegar è morto” ser Jorah.
«Dracarys!»
Salvata? Dimmi esattamente in che modo mi avresti salvata!”
«DRACARYS!»
Le fiamme illuminarono a giorno la caverna.
 
 
Ci fu un secondo volo e poi un terzo.
Nel cielo Daenerys Targaryen si sentiva completa. Si sentiva viva, fiera e potente come un drago. Nel cielo non esisteva Mereen e nemmeno Westeros, la sua città non era stata assediata e lei non aveva sposato un uomo che non avrebbe mai amato. Nel cielo non esistevano nemmeno un alto e un basso.
Però a un certo punto dovevano toccare terra. Nonostante Drogon sapesse atterrare con una delicatezza sorprendente, per Dany quel momento era sempre troppo brutale: avrebbe voluto restare in volo per sempre, libera di vivere come un drago.
Daenerys Targaryen non era mai stata veramente sola in tutta la sua vita. Anche nei momenti peggiori, come gli anni dell’esilio o la traversata della Desolazione Rossa, aveva sempre avuto accanto qualcuno di cui si fidava. Le piaceva pensare di essere indipendente, in grado di prendere decisioni in autonomia, senza sentire il bisogno delle sagge parole di ser Barristar o ser Jorah. Era la khaleesi, lei.
Adesso però le era rimasto solo Drogon, un figlio che a malapena accettava la sua presenza. Non poteva tornare a Meereen, non poteva volare fino a Westeros come Aegon il Conquistatore, non poteva stare lì. Non sapeva cosa fare e nemmeno a chi chiedere aiuto. Non era regina senza Meereen, non era una khaleesi senza khalasar, non era più nessuno. I giorni passavano e Dany sentiva ogni contatto con la realtà affievolirsi, sbiadire fino a dissolversi nel vento durante uno dei suoi voli. A che scopo tornare a Meereen? Che senso avevano i complotti, le guerre, le malattie, i tradimenti, le profezie, il sangue versato ingiustamente? Il mondo non aveva bisogno di Daenerys Targaryen, era lei ad avere bisogno del mondo. Di qualcuno che le ricordasse chi fosse o che semplicemente la prendesse tra le braccia. Aveva bisogno di sapere che sarebbe andato tutto bene.
Non era abbastanza forte per sopravvivere così, cibandosi di bacche e degli avanzi del drago, parlando al vento e dormendo sulla roccia; avrebbe perso la ragione e dimenticato chi fosse. Sarebbe diventata una creatura del mare dothraki senza passato e senza nome.
 
Capì di essere perduta il quindicesimo o sedicesimo giorno. O forse era già il ventesimo? Ormai tenere il conto era diventato difficile. Capì di avere definitivamente perso il senno quando, mentre si rinfrescava al ruscello, video una bambina con le caviglie immerse nell’acqua.
Per alcuni lunghissimi istanti si limitò a fissarla, chiedendosi se si ricordasse ancora come si facesse a parlare. Provò allora ad aprire la bocca, ma ne uscì solamente un suono rauco e animalesco, molto diverso dalla sua vecchia voce.
Chi sei?, avrebbe voluto chiedere, Dimmi il tuo nome!
Non sembrava una dothraki, i lineamenti si avvicinavano di più alla gente della Baia degli Schiavisti.
«Chi sei?» articolò, con la gola in fiamme.
Per tutta risposta, la bambina si mise a correre.
Daenerys la inseguì senza nemmeno pensarci, correndo in modo scoordinato, disperato, animalesco. Non era più un drago, solo l’ombra di una ragazzina che un tempo era stata regina.
La bambina si inoltrò nella caverna. Scendeva sempre più in profondità, inghiottita dal buio, senza accennare a fermarsi. E Daenerys dietro di lei.
«Parlami» la supplicava. «Dimmi da dove provieni!»
L’altra però pareva non sentirla. Il terreno era ripido e Daenerys scendeva alla cieca, ferendosi i piedi e distruggendo i sandali che ancora indossava. I polmoni minacciavano di esplodere nella sua gabbia toracica, la milza le mandava fitte lancinanti, ma le gambe continuavano a correre. Finalmente la bambina rallentò. Irradiava una luce biancastra, l’unico bagliore nell’oscurità della caverna. Si voltò a fronteggiare Daenerys e iniziò a camminare all’indietro. Gli occhi trasparenti si fissarono in quelli viola della Madre dei Draghi, incatenandola a sé.
Si fermò.
«Chi sono, mia regina?»
Daenerys fece un passo in avanti e precipitò nel vuoto.
 
 
«Riceverai delle visite».
Buio. Una pietra fredda e liscia sotto al corpo.
«Li conosci. Senti la loro mancanza».
Una colonna e frammenti di statue antiche.
«Ascoltali, mia regina».
«Ti prego» rantolò un’ultima volta, «dimmi il tuo nome».
«Mi chiamavano Hazzea».
Hazzea. La bambina che Drogon aveva ucciso.
«Non temere i fantasmi, mia regina».
 
 
Daenerys aspettò. I suoi sensi si adattarono lentamente alla nuova realtà, una dimensione in cui tutto sembrava ovattato. Non provava più alcun dolore.
Si trovava in quello che doveva essere stato un tempio. C’erano sagome di draghi sul pavimento e statue dell’antica Valyria ormai distrutte. Daenerys era a casa. Lo esaminò, quando riuscì di nuovo a camminare, facendo scorrere i polpastrelli su ogni superficie che trovava. Le sue dita danzavano sulle ali dei draghi, seguendone forma e spessore, si perdevano sugli affreschi e indugiavano sui bassorilievi ormai rovinati.
Stava dimenticato Hazzea e la ragione per cui si trovava lì, quando percepì un brivido.
Daenerys seppe di non essere più sola.




 
Note autrici:
Questo capitolo è stato scritto da idkrugens/
madelifje.

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Capitolo 2
*** Viserys ***


Viserys

 
Mia madre è morta nel darmi alla luce, e prima di lei anche mio padre Aerys e mio fratello Rhaegar.
Io non avrei mai neppure saputo i loro nomi se Viserys non fosse stato con me a dirmeli, a parlarmi di loro.
Lui è il solo che mi resta. Il solo... È tutto quello che ho.


Daenerys fece qualche passo e vide una sagoma conosciuta di fronte a lei, una sagoma il cui ricordo era sfumato, sì, ma mai dimenticato. I capelli erano sparsi dal vento attorno al suo capo in una nube bianca con riflessi argentati, così familiari e lontani nella sua memoria che aveva pensato, a un certo punto, di averli scordati.
E tornò bambina, poco più che ragazzina, quando era stata vestita di impalpabile seta e data in dono al Khal Drogo, quando il suo unico punto di riferimento era quella schiena leggermente arcuata, quella sagoma troppo longilinea per appartenere a un guerriero, eppure dai tatti così simili ai suoi da sembrarle l'unica cosa certa in quelle terre a cui non apparteneva.
Viserys si voltò e sorrise. Daenerys non si ricordava di averlo mai visto sorridere in modo così dolce nei suoi confronti: l'aveva sempre vista come una semplice merce di scambio, non come sua sorella, non come una regina.
Non risvegliare il drago, le diceva, incutendole paura di qualcosa che anch'ella possedeva dentro di sé. Se solo, a quel tempo, avesse saputo che non avrebbe dovuto temere il drago, se solo avesse immaginato quanto il sangue dei Targaryen fosse annacquato nelle vene di quel fratello eccessivamente ambizioso... ma era solo una ragazzina, come avrebbe potuto capirlo.

Quando Viserys era ancora vivo, Daenerys si era chiesta molte volte se lo odiasse, se avesse desiderato la sua morte, e spesso la risposta era stata molto vicina a un sì, ma ora quella figura lontana e circondata da un'onda d'argento, così familiare perché simile a lei stessa com'era riflessa negli occhi delle persone che la guardavano, gli sembrava così malinconica e serena che, n'era certa, non l'avrebbe più minacciata o fatto del male, non avrebbe mai più invocato quel poco di fuoco e quell'enorme rabbia che c'era nelle sue vene con il solo scopo di intimorirla. Viserys sembrava come ripulito della vena folle che aveva segnato lui e altri componenti della sua stirpe, come se la morte e il sogno glielo stessero restituendo purificato.
Ora aveva una risposta sicura a quella domanda che, anni prima, si era posta in continuazione, ogni volta che vedeva i suoi guizzanti occhi viola puntarsi su di lei: no, non odiava Viserys, non l'aveva odiato e, probabilmente, non lo avrebbe mai fatto. Gli aveva voluto bene, un tempo, era stata felice di avere qualcuno di conosciuto accanto a lei, qualcuno che la nutrisse e crescesse, che le raccontasse di quel regno lontano che la sua mente non ricordava ma che il suo sangue, palpitante e fiammeggiante nelle sue vene, reclamava come propria dimora.

Viserys era stato solo un giovane ambizioso, e già anni prima aveva visto il suo nome schiacciarli e tarpargli le ali che, invece, avrebbe dovuto spalancare.
Daenerys era stata convinta che dicesse di volere un trono solo perché il suo aspetto ogni giorno gli ricordava i suoi doveri verso la sua famiglia, verso quel 'Targaryen' che gli pesava addosso più di un masso. Sarebbe stato più felice – Daenerys n'era certa – se avesse vissuto ciò che restava della sua esistenza nella residenza di Illiryo, circondato dai lussi e da tutto ciò che un re poteva desiderare ad eccezione di una corona.
Daenerys sorrise amara dopo quel pensiero, perché ora invece sapeva come si era sentito suo fratello, sapeva che lui non avrebbe mai accettato di continuare ad essere il re mendicante, come anche lei si era rifiutata di essere: come non era stata solo la sposa di Khal Drogo, ma era diventata la regina del loro khalasar – una khaleesi –, ora era la Mhysa dei liberti, regina di Meereen.

Il fratello continuava a guardarla con occhi malinconici, senza sbattere le palpebre nemmeno una volta, come se si trattasse di una statua. I suoi lineamenti le parevano più delicati e rilassati, la sua bocca più dolce in quel sorriso che le rivolgeva. In quel momento vide ancora di più la somiglianza con lei stessa, come specchiandosi in quel viso giovane che mai sarebbe invecchiato.
Ora le veniva difficile pensare che ciò che suo fratello continuava a dire riguardo alla purezza di sangue fosse giusto, ma capiva il motivo per cui la Dany di suo fratello fosse convinta che il suo destino fosse diventare la sua sposa: in quelle terre lontane, così distanti dalla 'porta rossa' della sua infanzia perduta, lui era la cosa più simile a sé che avrebbe mai potuto trovare. E non importava se sapeva, anche allora, che il suo desiderio di riconquistare il trono di spade era avventato e poco più che un sogno irrealizzabile, l'importante era che sarebbe stata al suo fianco, perché non sarebbe stata sola.

Ma Viserys si era, in un certo senso, rovinato con le sue mani, e Daenerys poteva leggere questa consapevolezza nei suoi occhi violetti: aveva pensato che, vendendola a Drogo, avrebbe ottenuto la corona tanto attesa, aveva pensato che sarebbe riuscito ugualmente a renderla un giorno la sua sposa, e aveva atteso... ma in realtà l'aveva soltanto liberata dalle catene invisibili che il sangue comune creava fra loro. E se lei si era abituata a cavalcare al fianco del suo sole-e-stelle, se lei si era guadagnata il rispetto del khalasar ed era riuscita a risorgere dalle fiamme, lui era rimasto ancorato al suo desiderio smanioso di quella corona d'oro che aveva dovuto vendere per poter sfamare lei e se stesso anni prima, ed era stato proprio l'oro di quella corona a pesargli sul capo al momento della morte.

All'improvviso il volto del fratello si ricoprì di uno spesso strato d'oro, le sue guance si incavarono, i capelli caddero a terra come quelli di un giovane invecchiato troppo in fretta, e di lui non rimase nient'altro che il Viserys ucciso da Drogo, il Viserys folle e sciocco anche se pensava di non esserlo, e Daenerys non poté non indietreggiare, impaurita: anche se la sua mente le ripeteva che il fratello ora era morto, che non poteva più ferirla né doveva temere la sua rabbia, il suo cuore tutto d'un tratto era tornato quello di una bambina che, in un angolo buio, piangeva in silenzio mentre lui, con il suo fiato caldo, le sussurrava: Non risvegliare il drago. Ma la paura durò poco: si era liberata da tempo del fratello, era trascorsa tutta una vita in mezzo, era riuscita a opporsi a lui, a ribellarsi. Perché, quindi, aveva paura?
Alzò gli occhi e vide che il viso familiare di Viserys era tornato quello giovane e bello di un tempo, i suoi capelli erano ritornati fluenti e argentati, i suoi occhi viola rassicuranti e malinconici.

Questa volta fu Daenerys ad avvicinarsi al fratello, anche se non sapeva con certezza cosa domandargli: forse com'era il mondo, dopo la morte? Forse se provava rancore nei suoi confronti? Il motivo della sua malinconia? Non lo sapeva.
Posò una mano sulla spalla del suo corpo impalpabile, saggiando per qualche secondo la consistenza delle sue vesti d'aria sotto le dita, ma nel momento stesso in cui stava per aprire bocca, Viserys la guardò intensamente negli occhi e si dissolse in una nuvola di cenere grigia. Daenerys, quindi, arretrò di qualche passo.
Non aveva mai pianto per Viserys, le lacrime non avevano rigato il suo volto né durante la sua morte né successivamente, durante le notti solitarie. Ma ora, improvvisamente sola in quel luogo senza di macerie, sentì il suo cuore catturato dalla morsa del dolore e della mancanza di quel fratello che, nonostante tutto ciò che le aveva fatto subire nei suoi scatti d'ira irrazionali e violenti, l'aveva tenuta in vita come sangue del suo sangue e l'aveva condotta là dove aveva trovato i suoi figli, dove ora l'attendeva un presente da regina.
Pianse anche per quei rari momenti di dolcezza, quando le braccia di Viserys erano state tutto ciò che i suoi occhi da bambina avevano conosciuto, quando le teneva ancora la mano e la conduceva, come mendico, in questa o quella dimora.

Daenerys si asciugò le lacrime, sentendosi finalmente libera del peso che fino a pochi istanti prima l'aveva gravata, improvviso. E con le lacrime si era liberata anche dell'ultima catena che Viserys le aveva stretto attorno ai polsi: ora lei aveva saldato il suo debito, ora avrebbe potuto continuare per la sua strada, fare le sue scelte seguendo solamente ciò che la sua mente e il suo cuore le dicevano.
D'altronde ora non aveva più paura di risvegliare il drago: l'ultima volta in cui avrebbe potuto farlo, quando il sangue di Viserys avrebbe dovuto salvarlo, quando la sua pelle sarebbe dovuta essere impenetrabile come le squame, Viserys era morto, bruciato fino alla morte dal fuoco che non avrebbe dovuto temere.
Viserys non era mai stato un drago, non c'era mai stato nessun drago da risvegliare, ma solo la folle ira di un giovane privato di tutto ciò che aveva e di un re costretto a mendicare per sopravvivere e a vendere la sua corona in cambio di un pasto caldo.

Daenerys fece alcuni passi in avanti, lasciando dietro di sé il mucchietto di cenere che rimaneva di suo fratello e, con esso, anche il peso che il loro mancato addio le aveva gravato il cuore fino ad allora. Era stata perdonata – lo sentiva, in cuor suo – e lei aveva perdonato lui. Ora poteva proseguire.







 
Questo capitolo invece è stato scritto da me.

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Capitolo 3
*** Ser Jorah ***


Ser Jorah

 
Cerca la sua argentea regina.
Cerca Daenerys e vorrebbe che la nave andasse più veloce.


Il terreno sotto i suoi piedi aveva iniziato a franare, rendendo mano a mano il suo cammino più difficoltoso e i suoi passi più incerti. Daenerys non sapeva chi avrebbe incontrato ora, ma si sentiva sempre improvvisamente stanca: aver visto davanti ai suoi occhi l'uomo che, sia da vivo sia da morto, l'aveva inevitabilmente segnata, l'aveva lasciata spossata.
Bramava la luce come aveva bramato l'acqua durante il suo viaggio attraverso la Desolazione Rossa. Voleva che quel peso di ricordi sepolti da tempo nella sua memoria finisse presto e desiderava uscire dal tempio. Ma lo sapeva: non era ancora giunto il momento.

Sorpassò una colonna, un tempo sicuramente decorata da preziosi rilievi, ora completamente distrutti, e, come si aspettava, invece che scorgere finalmente l'uscita, un'altra figura familiare e amata le si parò davanti. A differenza di Viserys, però, non la guardava in viso, anzi, le mostrava le spalle, leggermente curvate in avanti da un peso che Daenerys non sapeva se si trattasse di quello degli anni o di una misteriosa pena che lei non conosceva.
Ed ecco che il suo fido cavaliere si volse e la guardò, finalmente. Lei sorrise incontrando gli occhi color del cielo di ser Jorah, ma egli non sembrava altrettanto felice, invece, di essere sotto il suo sguardo violetto: portò verso terra il suo viso e pareva temesse sollevarlo.
Daenerys non capiva: gli si avvicinò lentamente, quasi timorosa di poterlo veder sfuggire dalle sue dita, cenere al vento com'era diventato poco prima il fratello...
Ma che sciocchezza!, si rimproverò mentalmente: quell'uomo era ser Jorah Mormont, l'uomo che da sempre l'aveva accompagnata in ogni impresa, l'uomo che le aveva donato preziosi libri alle sue nozze con Khal Drogo; egli era il capo della Guardia della Regina, il suo Cavaliere di Sangue, nonché compagno e consigliere. Era l'uomo che l'aveva strappata dalle grinfie venefiche del re occidentale e che l'aveva sollevata dopo la morte del suo sole-e-stelle e del bambino che il suo grembo aveva ospitato. Si era battuto con coraggio più di una volta in difesa sua e del suo khalasar, mostrando ai fieri Dothraki che anche un uomo dell'ovest poteva essere un abile guerriero.
Non la temeva di certo, Jorah Mormont!
Eppure il suo sguardo continuava ad evitarla, come se la lieve luce che i suoi capelli argentei rifletteva avesse potuto ferire i suoi occhi chiari. Ma Daenerys si convinse che si trattava solo di una sua impressione, non certo della verità, e quindi si avvicinò ugualmente.

Mosse un passo incerto, poi un secondo più deciso e infine un terzo lungo e regale, com'era solita fare davanti ai suoi uomini.
«Ser Jorah» chiamò, aspettandosi che la figura di fronte a lei alzasse il capo e la salutasse, ma l'uomo non si mosse e, anzi, sembrò ancor più affondare lo sguardo in qualcosa di imprecisato e lontano ai suoi piedi. Rimase interdetta, quindi pronunciò nuovamente il suo nome, questa volta con una certa impazienza, ma nemmeno allora lui le mostrò lo sguardo.
Quindi lei allungò una mano e la portò sotto il suo mento, alzandolo con fare perentorio e deciso, costringendo ser Jorah a guardarla negli occhi. Ciò che vide, però, la lasciò sconvolta: i suoi occhi cerulei erano bagnati di lacrime di sangue che scendevano copiose lungo le sue guance segnate dagli anni e dalle intemperie. Si allontanò nuovamente, questa volta impaurita e inorridita da ciò che stava vedendo.
Superato il momento di sorpresa e spavento, si accorse che il suo Cavaliere di Sangue stava mormorando qualcosa di incomprensibile. Quindi gli si avvicinò ancora una volta, cercando di capire che cosa provocasse quelle lacrime, sperando che magari quelle parole appena biascicate potessero darle la risposta che cercava, ma prima che potesse anche solo sbilanciarsi in avanti per compiere un passo, la figura curva di ser Jorah scattò improvvisamente, andandosi a rifugiare in un angolo lontano da lei, come un topo che scappa dalla vampata di fuoco di un drago.

Danerys si avvicinò caparbia, osservando da lontano ciò che accadeva al suo uomo fidato: ser Jorah era diventato l'ombra di se stesso, non pareva nemmeno più lui con il viso cosparso di sangue e distorto da un'espressione che somigliava tanto alla paura e alla vergogna. Si era rannicchiato in un angolo del tempio, evitando i resti delle volte del soffitto che, già da qualche tempo, avevano iniziato a rovinare a terra. Daenerys allungò il passo per raggiungerlo più velocemente, sperando che l'altro non fuggisse di nuovo al suo tocco o ai suoi occhi, ma poco prima che lo raggiungesse, anche lui scomparve in una nuvola, il cui odore ricordava molto quello della pietra scaldata dal sole.

Daenerys, quindi, sparse per la seconda volta calde lacrime, questa volta prendendole come un maligno presagio: non avrebbe dimenticato facilmente il sangue vermiglio sulle guance del suo Cavaliere, e l'odore secco della pietra ancora restava, caparbio, all'interno delle sue narici.
Si asciugò ancora le lacrime, e questa volta si diresse con passi più incerti verso la porta che vedeva davanti a sé, troppo ampia e alta per poter nascondere qualcosa per cui non avrebbe ulteriormente sofferto.

Se mi guardo indietro, sarò perduta.

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Capitolo 4
*** Drogo ***


Drogo
 
Il mio sole-e-stelle mi rese una regina, ma se lui fosse stato un altro tipo d'uomo,
tutto sarebbe stato molto diverso
 
 
Daenerys seppe molto prima di vederlo.
Il suo corpo rifiutava di voltarsi a fronteggiarlo, sicuro di non poter reggere un simile dolore. Era già successo una volta, perché doveva riviverlo di nuovo?
Mancava solo lui.
Forse, se l’avesse ignorato, sarebbe andato via. Era tutto nella sua testa, aveva lei il potere di comandarlo. Quindi perché il tempo passava e Khal Drogo era ancora alle sue spalle?
Lo sentiva avanzare verso di lei. Riusciva a immaginare il rumore del suo respiro, l’odore del suo corpo, la forza della sua stretta. Il desiderio di toccarlo ancora una volta era così forte che faticava a respirare. Voleva correre via. Fuggire lontano da lui, dal senso di colpa, dall’amore, dai ricordi. Dai momenti più belli della sua vita.
«Tu piangi».
Era una constatazione. La voce profonda e calda non era diversa da quella che risuonava nei sogni di Daenerys e nemmeno lo era l’asprezza della lingua dothraki.
«Perché piangi?»
Perché faceva male, tanto male, malissimo. Perché era l’unica felicità che avesse mai conosciuto e gliel’avevano strappata via.
«So che altri sono stati qui. So che adesso sai cosa devi fare».
Il cervello di Daenerys lo sapeva, il cuore sanguinava. Ghiaccio e Fuoco.
«Non mi importa se le tenebre vincono» furono le sue prime parole. «Ho perso troppe cose. Ho commesso troppi errori. Ho lasciato che troppe persone morissero. Non sono all’altezza».
«Il tuo sangue è all’altezza, luna-della-mia-vita. Tuo figlio sarà lo Stallone che cavalcherà il mondo».
«Nostro figlio».
«No. Non più».
 
No”.
Conosci la lingua comune?”
No”.
“’No’ è l’unica parola che conosci?”
 
«Il drago deve avere tre teste» mormorò Daenerys.
«Sì».
«Lo amerò mai?»
«Solo tu puoi dirlo».
Finalmente Daenerys si voltò a guardarlo.
 
Questa notte, mio signore, dobbiamo essere all’aperto”
 
Gli occhi del suo sole-e-stelle erano anche più scuri di quanto ricordasse. Daenerys li guardava, li guardò a lungo, e in un attimo non si trovavano più nel tempio sotterraneo.
I fili d’erba accarezzavano i loro piedi, il vento le faceva bruciare gli occhi e l’odore della terra le impregnava le narici.
Sopra di loro si estendeva la volta celeste, nelle sue migliaia di costellazioni lontane. Non erano le stelle che splendevano sopra Westeros, quelle. Erano le stelle che avevano assistito alla prima notte di nozze di Daenerys Targaryen e a tutte quelle che erano seguite.
L’usanza dothraki diceva che le cose importanti possono avere luogo solo sotto le stelle.
In quel momento brillavano, tante come non se n’erano mai viste, luminose come torce nelle notti senza luna, galoppando senza sosta nel cielo.
«Non ho mai amato come…»
«Lo so. Ho visto quel Daario Naharis».
Daario l’aveva resa felice. Le aveva ricordato cosa si provasse a essere una donna.
Drogo aveva fatto di lei una khaleesi.
«Devi scegliere».
«Non voglio» protestò lei. Una lacrima traditrice si fece strada lungo il suo viso.
Drogo fece un passo avanti, poi un altro. Non cercò nemmeno di toccarla, ma Daenerys percepì chiaramente il suo corpo immateriale che entrava in contatto con quello caldo di lei. Chiuse gli occhi e si lasciò investire da quell’abbraccio invisibile.
«Khal Drogo non si è mai tagliato i capelli. Non è mai stato battuto. È morto imbattuto, per mano della sua khaleesi».
«Io… Io non avrei mai voluto».
 
Quando il sole sorgerà a occidente e tramonterà ad oriente. Quando i mari si seccheranno e le montagne voleranno via nel vento come foglie morte. Quando il tuo grembo sarà di nuovo fecondo e tu darai vita a un figlio vivo”.
 
«Non sono tanti i khal che muoiono imbattuti».
«No, infatti». Daenerys rise e alcune lacrime salate le bagnarono le labbra.
«Non hai bisogno di nessuno».
Sei il sangue del drago sei il sangue del drago sei il sangue del drago
I draghi non piangono.
«Non hai bisogno di me».
Invece sì, avrebbe voluto gridare Daenerys. Non lasciarmi sola un’altra volta.
«Non sarai sola, luna della mia vita. Sai cosa fare».
Fece un respiro profondo. Era la fine di tutto. In quel preciso momento tutta la sua vita prendeva una piega diversa. Sì, Daenerys Targaryen sapeva cosa fare.
«Cavalcherai nelle praterie del Grande Stallone».
«Insieme a Rhaego».
«Insieme a Rhaego».
Daenerys piangeva.
 
Allora, e solo allora, lui farà ritorno”.
 
«Tu cavalchi i draghi. Tu non cadi».
Un istante, un singolo secondo in cui le sembrò di percepire le labbra di lui sulla sua pelle, poi più nulla.
Il vento soffiò più forte.
Sopra di lei splendevano ancora le stelle. Tra di loro, da qualche parte, cavalcava Khal Drogo, imbattuto.
 
 
Daenerys aprì gli occhi.
 
 
 
***
 
 
  
Daenerys vola.
La sua vita è questa, il vento.
Il vento che soffia implacabile frustandole la pelle, che cerca di costringerla a lasciare andare il corpo di Drogon. Lei però è più forte. È la Madre dei Draghi.
Ha cercato più volte di descrivere questa sensazione a Jon, perché lui gliel’ha chiesto spesso. È una conversazioni che di solito hanno al calare della notte, quando chiudono la porta della loro camera da letto e rimangono soli. Si è sforzata in tutti i modi di spiegargli cosa significhi volare, ma lui non l’ha ancora capito. Sono tante le cose che Jon Snow non ha capito fino in fondo.
C’era una donna dei bruti, le racconta, che non la smetteva di fargli notare quanto poco sapesse. Ti sarebbe piaciuta, aggiunge sempre, era stata baciata dal fuoco.
Daenerys vola.
Sua figlia Ygritte sogna di cavalcare un drago, un giorno, e spesso lei si chiede se sarà mai possibile.
La sua vita è il vento.
Le piace sorvolare Approdo del Re all’alba, quando i nobili dormono e il popolino si risveglia. Le piace volare a un pelo dal mare al tramonto, aspettando che le stelle inizino la loro corsa nel cielo. Non sono le stesse stelle che brillano sul mare dothraki, queste, ma le piace pensare che Khal Drogo cavalchi anche qui. Le piace pensare che Viserys sarebbe orgoglioso di lei. Riesce a immaginare l’espressione divertita di ser Jorah che la guarda volare, perché “il tuo destino è questo, cosa ti aspettavi?”.
Passa sopra alla Fortezza Rossa. Il piccolo Rhaegar si sta allenando in cortile, sotto lo sguardo attento di Verme Grigio. C’è chi paragona la sua abilità con la spada a quella dello Sterminatore di Re, prima che questi perdesse la mano. È un degno erede del Trono di Spade, dicono, figlio del Ghiaccio e del Fuoco.
Il cielo è ovunque.
Giorno dopo giorno, Daenerys Targaryen ha imparato ad amare. Forse è affetto, quello che la lega a Jon Snow, ma va bene così. Ci sono decisioni che una regina deve saper prendere, non per se stessa ma per il suo popolo. Dopotutto, il drago deve avere tre teste.
 
Daenerys vola.
 
Arriverà il momento in cui dovrà tornare a terra.
 
Lo sa.
 
Però non è ancora ora.



 
Note autrice:
Questo capitolo finale è invece stato scritto da
madelifje/idkrugens.
Siamo arrivate alla conclusione della storia, sperando che vi sia piaciuta! Penso di star parlando a nome di entrambe dicendo che a noi è piaciuto molto scriverla, anche se con un po' di fretta xD.

Questa storia si è inoltre classificata seconda nel contest per cui è stata scritta, e io sono davvero felicissima del risultato!
E niente, vi ringraziamo per essere giunti fin qui con la lettura, sperando che sia stata piacevole.
Alla prossima,
Aturiel e madelifje

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