Somebody That I Used To Know

di blackmiranda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memories ***
Capitolo 2: *** Old Friends ***
Capitolo 3: *** Onee-sama ***
Capitolo 4: *** Then and Again ***
Capitolo 5: *** Suika ***
Capitolo 6: *** Ichigo ***
Capitolo 7: *** Companions ***
Capitolo 8: *** Responsibility ***
Capitolo 9: *** Optimism ***
Capitolo 10: *** Under attack ***
Capitolo 11: *** We'll be watching ***
Capitolo 12: *** Mew who? ***
Capitolo 13: *** The reason we fight - part one ***
Capitolo 14: *** The reason we fight - part two ***
Capitolo 15: *** Reunion ***
Capitolo 16: *** Visitors ***
Capitolo 17: *** Friend or foe? ***
Capitolo 18: *** Good actions, bad actions ***
Capitolo 19: *** Fever ***
Capitolo 20: *** One bad day ***
Capitolo 21: *** On the battlefield ***
Capitolo 22: *** Mend my wounds ***
Capitolo 23: *** People die, feelings don't ***
Capitolo 24: *** Think of me ***
Capitolo 25: *** Christmas in Japan ***
Capitolo 26: *** The awful truth ***
Capitolo 27: *** Daisuki ***
Capitolo 28: *** Hopes and dreams ***
Capitolo 29: *** Far apart ***
Capitolo 30: *** Confrontation ***
Capitolo 31: *** Shimmering ice ***



Capitolo 1
*** Memories ***



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1. Memories 1. Memories



Seduta alla propria scrivania, Retasu sorbiva piccoli sorsi di caffè bollente, godendosi la fragranza e il calore della bevanda. Fuori nevicava; i vetri della biblioteca erano tutti appannati, e ai margini inferiori delle finestre si erano formate delle scintillanti incrostazioni di ghiaccio.


Un ragazzo le si avvicinò, chiedendo di poter prendere in prestito una pila di libri. Retasu gli sorrise, poggiando la tazza di caffè sulla scrivania. Quando la riprese in mano, si rese conto di aver lasciato un alone di caffè sul legno marrone chiaro. Imbarazzata, prese un fazzolettino di carta dalla borsa ed asciugò il caffè alla bell'e meglio.

Sempre la solita imbranata, pensò aggiustandosi gli occhiali sul naso. Aveva cambiato montatura, finalmente: non indossava più quella vecchia, dalle grandi lenti rotonde; aveva scelto un modello un po' più moderno, con lenti rettangolari. Inoltre, da qualche anno portava i capelli corti, sulle spalle. Nel complesso, nonostante il vestiario piuttosto spartano, aveva un aspetto più giovanile rispetto a quando era una ragazzina.

Chiuse gli occhi per un attimo. Il silenzio che regnava in biblioteca era davvero meraviglioso.

Lavorava lì part-time per pagare, almeno in parte, gli studi di medicina all'università. Una volta finito di lavorare, tornava a casa a studiare. Abitava ancora con i suoi genitori, nella piccola casa in cui aveva sempre vissuto.

Si stiracchiò sulla sedia. Si era rivelata essere una giornata piuttosto fiacca; evidentemente molti utenti si erano fatti scoraggiare dalla neve e avevano deciso di restare a casa.

Con un rapido clic, Retasu aprì la propria casella di posta elettronica per controllare se fossero arrivate nuove mail. Non c'era nulla di nuovo. Stava quasi per chiudere la pagina, quando la sua attenzione fu attirata da un video di un noto telegiornale americano. Cliccò su play, assicurandosi che il volume fosse al minimo.

Ciò che vide le fece gelare il sangue nelle vene. La reporter, una giovane donna dai lunghi capelli biondi e il trucco impeccabile, parlava concitatamente mentre alle sue spalle si vedeva un gruppo di soldati americani sparare a quello che sembrava...

Non è possibile.

Ma era lì, di fronte ai suoi occhi. In mezzo ad una delle strade più trafficate di New York, accerchiato da soldati armati di mitra, c'era un Chimero.

Una specie di gigantesco puma, con zampe in grado di fracassare la carrozzeria di un'auto.

Si disse che non poteva essere un Chimero. Non dopo tutto quel tempo. Eppure, nonostante fossero passati quasi sette anni dall'ultima volta che ne aveva visto uno, Retasu sapeva ancora che aspetto avessero quei mostri. Ne aveva combattuti troppi per dimenticarli così facilmente.

Il cuore le batteva all'impazzata, mentre cercava di capire cosa stesse dicendo la reporter.

... All of this is real. The giant feline was killed approximately two hours ago. Since then, the police has closed the streets sorrounding the animal and it hasn't been possible to get a closer look at the scene, but...

Hem hem!” fece improvvisamente il suo capo, un attempato cinquantacinquenne dall'aspetto perennemente corrucciato, arrivatole silenziosamente alle spalle.

Retasu si girò di scatto, incontrando lo sguardo poco amichevole del suo superiore.

“Midorikawa, non ti pago per guardare i video in internet.”

“S-sono desolata, Yamashita-san.” balbettò la ragazza arrossendo da capo a piedi. Si affrettò a chiudere la pagina. “La prego di perdonarmi.” aggiunse alzandosi in piedi e facendo un piccolo inchino.

Yamashita sembrò soddisfatto delle scuse e se ne andò.

Retasu non riuscì a trovare il coraggio di dare un'altra occhiata al video.

Vedere quel mostro le aveva riportato in mente pensieri e sensazioni che non ricordava più di aver provato, un passato che aveva creduto di essersi lasciata alle spalle per sempre.

Non era sicura di volersi abbandonare ai ricordi.

Guardò fuori dalla finestra, malinconica. La neve cadeva a pesanti fiocchi. Sembrava voler ricoprire tutto.



***


Tornò a casa che era quasi buio. Uscita dal lavoro si era fermata a fare un po' di spesa.  

Quando mise piede in casa, carica di borse della spesa, le si appannarono le lenti degli occhiali e per poco non andò a sbattere contro uno scaffale pieno di ninnoli in ceramica.

Sua madre arrivò in tempo a prestarle soccorso. “Dov'è papà?” chiese Retasu dopo averle dato un bacio sulla guancia, essersi tolta i pesanti scarponi marrone chiaro e aver appeso il lungo cappotto blu scuro all'appendiabiti.

“Oh, stasera lavora fino a tardi.” rispose sua madre. “Tra poco è pronta la cena.” aggiunse poi calorosamente, sparendo in cucina.

Retasu salì di corsa al piano di sopra. Entrata nella sua camera, si stese sul letto, sospirando.

Non era riuscita a togliersi dalla testa il video che aveva visto quella mattina. Guardò il suo portatile sulla scrivania. Pensò di accenderlo, ma poi cambiò idea. Aveva le braccia molli e le gambe non la reggevano.

Chiuse gli occhi, respirando lentamente. Poi tirò fuori il cellulare dalla tasca della gonna di lana che indossava, scorrendo febbrilmente la rubrica. Era un modello un po' vecchio, ma funzionava ancora bene.

Si fermò al nome di Keiichirou. Fissò lo schermo del cellulare per qualche minuto, incerta sul da farsi.

Infine premette il tasto verde di chiamata. Il telefono squillava: Keiichirou non aveva cambiato numero, neanche dopo tutti quegli anni.

Dopo molti squilli, finalmente rispose una voce maschile. Era piuttosto profonda, e tradiva un velo di stanchezza.

“Pronto?”

Retasu deglutì, mentre il cuore le batteva forte. “Akasaka-san?” chiese con un filo di voce. “S-sono Retasu. Spero di non disturbare...”

La voce maschile esitò, prima di rispondere. “Retasu-san, sei davvero tu?” chiese acquisendo un tono caloroso e gentile. Il tono di voce di Keiichirou.

“Sì, sono io. Ciao!” disse Retasu ridendo nervosamente.

“Da quanto tempo non ci sentiamo!” fece Keiichirou. “Come stai? Tutto bene?” chiese poi.

“Oh, sì, tutto bene. E tu – voi?” fece lei schiarendosi la voce.

“Tutto benissimo.” rispose lui allegramente.

“Bene, mi fa piacere.” fece lei. Seguì un momento di silenzio imbarazzato. Retasu si fece coraggio, mordendosi il labbro.

“Io ho chiamato per sapere... ecco... oggi ero in internet, e... ho visto un video della CNN, e mi è sembrato...”

“Oh.” la interruppe lui, laconico.

Retasu trattenne il respiro. “Allora, è quello che credevo? Un Chimero?” lo incalzò.

Keiichirou sospirò. “Credo che faremmo meglio a parlarne a quattr'occhi.” L'allegria nella sua voce era sparita. “Ma, Retasu... Sappi che non sei costretta a fare nulla.”

Retasu corrugò la fronte, confusa. “In che senso..?”

“Ascoltami bene. Tu sei stata una Mew Mew, e hai salvato il mondo insieme alle altre. Ma la mutazione è svanita anni fa, e non c'è modo di riaverla indietro, perciò...”

Retasu capì, e uno strano senso di delusione si fece strada nel suo petto.

“Cioè mi stai dicendo che, anche se quello fosse davvero un Chimero, io non potrei fare niente? Che non potrò più essere una Mew Mew?”

“Purtroppo è così. Perciò, non devi sentirti in obbligo di...”

“Ma io voglio sapere!” esclamò lei. “Voglio potervi aiutare, anche se significherà solo portarvi una tazza di tè alla scrivania, mentre ve ne state davanti al computer tutto il giorno.” Sentì il pizzicore delle lacrime che minacciavano di uscire.

“Perché è questo che fate, no? Come sempre.” aggiunse, mentre le parole le si strozzavano in gola. “Come sta lui?” chiese poi, e in quel lui erano condensate una miriade di parole ed emozioni non dette.

Sentì che Keiichirou sorrideva, dall'altro capo del telefono. Un sorriso triste. “Se la cava. Ci sono io con lui, non preoccuparti.”

Retasu tirò su col naso. “Grazie.” disse asciugandosi gli occhi.

Dopo un'altra pausa, Keiichirou disse: “Sei libera domani pomeriggio? Possiamo prendere un caffè.”

Retasu annuì, poi, rendendosi conto che non poteva vederla, disse: “Sì. Dopo le due sono libera.”

Una volta terminata la chiamata, Retasu si sedette sulla sponda del letto, portandosi una mano al petto, il punto in cui un tempo era comparsa la voglia che la sanciva come membro ufficiale delle Mew Mew.

Da anni ormai non c'era più nulla, e se all'epoca la scomparsa dei poteri l'aveva rattristata, ci aveva messo poco ad apprezzare la sua ritrovata normalità. Del resto, non amava combattere.

Non era quel tipo di persona.

Tuttavia, risentire la voce di Keiichirou le aveva fatto tornare alla mente moltissimi ricordi.

Il lavoro quotidiano al Cafè Mew Mew. Le divise da cameriera. Il delizioso profumo dei dolci appena sfornati. Il brusio dei clienti. Le risate di Purin, le lamentele di Ichigo, le risposte acide di Minto, i silenzi assorti di Zakuro. Il sorriso gentile di Keiichirou.
 
E poi Ryou.

Sua madre la chiamò dal piano di sotto. La cena era pronta.

Retasu scese le scale, svogliata. Non era per nulla affamata.



***


L'indomani, alle due e un quarto del pomeriggio, una Retasu piuttosto nervosa entrò in un elegante Cafè non troppo distante dalla biblioteca. Si tolse cappello, guanti e sciarpa, guardandosi intorno furtivamente.

Il posto era alquanto affollato.

Comode poltroncine in velluto rosso scuro erano disposte lungo i muri dorati cosparsi di specchi. C'erano soprattutto coppiette innamorate che si scaldavano a vicenda attorno a fumanti tazze di cioccolata calda.

Retasu arrossì. D'un tratto, il suo sguardo incrociò un paio di occhi castano scuro, che la fissavano da sopra un menù.

Keiichirou. Non era cambiato affatto, si disse mentre gli si avvicinava, imbarazzata.

“Retasu-san. Grazie per essere venuta.” la salutò alzandosi in piedi.

Indossava un maglione blu scuro, da cui spuntava il colletto immacolato di una camicia, e un paio di pantaloni grigi. I capelli, come sempre raccolti in una coda, erano però più corti di come li ricordava.

“Ciao.” gli fece lei abbozzando un sorriso.

Dopo un attimo di esitazione, Retasu fece un piccolo inchino. “E' bello rivederti.” disse.

Keiichirou rimase in silenzio per un attimo. Poi la sorprese, attirandola a sé in un caloroso abbraccio.

Retasu ricambiò goffamente il gesto.

“Ma guardati! Stai molto bene. Hai cambiato montatura?” le disse lui una volta sciolto l'abbraccio.

“Ehm, sì. Un anno fa, più o meno.” balbettò Retasu aggiustandosi gli occhiali sul naso. “Posso sedermi?” aggiunse poi indicando la poltroncina di velluto rosso.

Keiichirou annuì. “Ma certo. Vuoi qualcosa da bere? Io ho ordinato un espresso.”

Retasu si tolse il cappotto, rivelando un completo che consisteva in una camicetta bianca dalle ampie maniche abbottonata fin sotto il mento e un'ampia gonna di tweed. “Oh, per ora niente. Anzi no, una cioccolata calda. Se si può.”

Keiichirou rise. “Certo che sì! Cameriere, una cioccolata calda per la signorina, per favore.” disse girandosi verso il bancone. Rivoltosi nuovamente verso di lei, le sorrise, evidentemente cercando di metterla a proprio agio.

“Mi fa molto piacere che tu sia venuta.” le confessò guardandola negli occhi.

Retasu sorrise timidamente. “Anche a me fa piacere essere qui.” Poi abbassò lo sguardo.

“Allora... era davvero quello che sembrava?” chiese sottovoce.

Lui esitò per un attimo, poi annuì. “Sì, era un Chimero. Non ci è ancora chiaro come sia possibile. I nostri radar non hanno individuato alcuna presenza aliena.”

“... Ne siete sicuri?”

“Al cento per cento.”

“E quindi?”

Keiichirou si strinse nelle spalle. “Per ora aspettiamo. Non possiamo fare nient'altro.”

Retasu corrugò la fronte. “Ma se dovessero tornare, come faremmo? Se noi abbiamo perso i poteri...” Si interruppe mentre venivano loro serviti il caffè e la cioccolata.

“Per ora è presto per fare congetture. Stiamo all'erta, ovviamente, ma non ha senso farsi prendere dal panico. Per cui, stai tranquilla.” disse lui mentre girava lo zucchero nella tazzina del caffè.

Retasu si morse il labbro. “Avete già pensato di reclutare altre Mew Mew?”

Keiichirou si portò la tazzina alle labbra. “Sei ancora in contatto con le altre?” chiese evitando la sua domanda.

“Beh, io... A volte sento Purin. Ci scriviamo.”

“Capisco. E' ancora in Cina?”

“Sì. E' sempre tanto indaffarata...”

“E le altre?”

“... Ci siamo perse di vista. Ichigo-san è in Inghilterra, Minto-san credo in Francia. E Zakuro-san...”

“Ah, certo. Hollywood. Chi avrebbe mai detto che sarebbe arrivata così in alto...”

Retasu sorrise amaramente. “E' che non ci vediamo da una vita. Non vorrei disturbarle. Saranno tutte molto impegnate...”

Keiichirou la fissò. “E tu?”

“Io studio. E lavoro.” rispose lei semplicemente.

Lui posò la tazzina sul tavolo. “Dimmi la verità, Retasu. Come ti senti, in questo momento della tua vita?”

La giovane donna sospirò. “Mi mancate. Tutti voi. Mi mancano quei giorni. E' assurdo, eravamo costantemente in pericolo, costrette a combattere ogni giorno... Ma adesso che ci ripenso, che guardo indietro e vedo cosa mi sono lasciata alle spalle, provo una profonda nostalgia. Come se avessi qualcosa piantato nel cuore. E mi rende molto triste pensare a come ci siamo fatte separare dai nostri rispettivi impegni, senza che neanche ce ne accorgessimo. Ci eravamo ripromesse di restare sempre amiche, sempre in contatto, e invece...”

Keiichirou le prese la mano. “E' così anche per me.” le confessò.

Retasu sgranò gli occhi. “Davvero?”

Lui annuì stancamente. “Non so di preciso che cosa è andato storto. Eravamo tutti così uniti. Immagino che il tempo abbia fatto la sua parte. A volte la vita allontana anche gli amici più cari. Ma devo chiederti, ancora una volta: sei sicura di voler far parte di tutto questo? Perché tu hai una scelta. Adesso ce l'hai. Pensaci bene.”

Lei gli strinse la mano. “Ci ho già pensato. Voi siete miei amici. Non voglio abbandonarvi di nuovo.” Gli sorrise, risoluta. Sentiva di non poter rispondere altrimenti; se davvero una nuova minaccia si stava avvicinando, voleva combatterla con tutte le sue forze, poteri magici o meno.

Keiichirou sembrava imbarazzato. “I-io non so cosa dire. Ti ringrazio, Retasu.”

Passarono il resto del pomeriggio a chiacchierare del più e del meno. Due vecchi amici ritrovatisi dopo tanto tempo: ecco cos'erano. Lasciarono che tutto il resto svanisse momentaneamente – i sospetti, le incertezze, le paure, tutto sparì. Rimasero solo i dolci ricordi di caldi pomeriggi estivi e del fragrante profumo di squisite torte.






Salve a tutti! :D Ebbene sì, dopo mesi e mesi di lavoro, ecco a voi (rullo di tamburi)... la mia prima long-fic su Tokyo Mew Mew! E ragazzi, vi prometto che sarà long. xD

Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto! Se sì, fatemelo sapere! Se no, idem! Sono una sostenitrice accanita delle recensioni critiche, perché possono fare davvero tanto per un autore. :3

Posso anticiparvi questo: tutti i personaggi di TMM appariranno, prima o poi (si spera più prima che poi), affiancati da nuovi personaggi, che mi auguro riescano a guadagnarsi la vostra stima e il vostro amore.

Al prossimo capitolo, e grazie per aver letto! ;)

(Ringrazio Astrid Romanova e Pinoolast's Grapich - Video per il bellissimo banner. Link alla pagina facebook: https://www.facebook.com/PinoolastsGraphicVideo?fref=ts)



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Capitolo 2
*** Old Friends ***


Old friends 2.Old Friends




Il giorno seguente, di prima mattina, Keiichirou passò a prendere Retasu sotto casa sua. Era domenica, e la ragazza non doveva lavorare.

Retasu gli sorrise mentre saliva sul sedile del passeggero. “Che bella macchina. E' nuova?” chiese indossando la cintura di sicurezza.

“Sì, l'ho comprata giusto qualche mese fa.” rispose Keiichirou ricambiando il sorriso.

Partirono. Era una bella mattina; l'aria era frizzante, il cielo sgombro da nuvole.

“Dove andiamo?” domandò lei, incapace di nascondere l'eccitazione. L'essere di nuovo coinvolta in una missione più grande di lei le dava una strana sensazione, quasi di vertigine. Si sentiva la testa leggera, e il cuore le batteva forte.

“Siamo diretti alla nostra base segreta. A dire il vero è casa di Ryou – ma non escludo che si possa riaprire il Caffé, se le cose dovessero farsi più serie.” rispose lui.

“Oh, sarebbe bello riaprirlo!” esclamò lei. “E dimmi, hai cucinato in questi ultimi anni?”

“Non di recente, ma ho lavorato in due o tre ristoranti. E ovviamente cucino per passione, ma a volte è difficile smaltire tutti i dolci che faccio...”

“Sì, ci vorrebbe Ichigo-san..!” disse Retasu allegramente. “Sai, ci ho pensato un po' su, e... Mi piacerebbe ricontattarle. O almeno, provarci.” aggiunse, tornata seria.

“Ma certo, perché no?” disse lui senza staccare gli occhi dalla strada.

Retasu abbassò lo sguardo. “Mi sono chiesta se in realtà il nostro rapporto non fosse solo dato dal fatto che eravamo in certo senso costrette a lavorare in squadra. Insomma, sono bastati due anni per far sì che non ci vedessimo né sentissimo più. Avevamo personalità molto diverse, addirittura contrastanti, e ci capitava di litigare piuttosto spesso. Tuttavia, sono convinta che, anche se è iniziato come una cooperazione, il nostro rapporto sia senza dubbio finito con un'amicizia.”

Keiichirou la guardò di sfuggita. “Sai, anche io ci ho riflettuto molto, e penso che il problema sia anche dovuto al fatto che il vostro sacrificio è stato immenso. Avete dato tutto ciò che avevate per salvare la Terra, ed è perfettamente comprensibile che abbiate voluto dimenticare quel periodo della vostra vita e, con esso, le persone che vi erano coinvolte.”

Retasu pareva assorta nei suoi pensieri. “Quando i miei poteri sono scomparsi definitivamente, ricordo di aver provato un'enorme sollievo. Eppure, adesso mi guardo allo specchio e rimpiango di essere solo Retasu.”

Keiichirou annuì. “E' normale. Il ricordo rende tutto più dolce, anche le esperienze dolorose.”

Viaggiarono per una mezz'ora buona. Infine, Keiichirou entrò in un vialetto circondato da arbusti e parcheggiò di fronte ad un'enorme villa a due piani.

Scesero dall'auto. “Wow, è grandissima!” esclamò Retasu, rimasta a bocca aperta. “Chissà che splendore dev'essere il giardino in primavera.”

Keiichirou le fece strada fino all'entrata della villa. All'interno c'era un piacevole tepore.

Dopo aver appeso i cappotti in un armadio a muro vicino all'ingresso, i due presero a camminare lungo i luminosi corridoi della casa, finché non arrivarono a quella che sembrava una lavanderia.

Keiichirou si frugò le tasche dei pantaloni finché non trovò una chiave magnetica. La inserì in una fessura a lato di una porta metallica dall'aria alquanto robusta. Una luce verde si illuminò e la porta si aprì, scivolando senza rumore sui cardini.

“Attenta ai gradini.” la avvertì lui.

Scesero le scale che portavano al seminterrato. Ad ogni gradino, il cuore della ragazza batteva sempre più forte.

“Ryou, siamo arrivati.” esclamò Keiichirou premendo un interruttore. La lampadina che pendeva dal soffitto ronzò, accendendosi.

Retasu trattenne il fiato mentre l'uomo seduto di fronte al computer si alzava e si voltava verso di loro.

Ryou sembrava imbarazzato nel vederla. Tossicchiò, distogliendo lo sguardo. Aveva un filo di barba sul volto. Indossava una maglia nera a maniche corte e un paio di jeans.

“Ciao, Retasu. Bentornata.”

La ragazza fece un piccolo inchino, augurandosi che non si fosse accorto del rossore che le era salito in volto. “G-grazie. Spero di non disturbare.” balbettò.

“Ma no, figurati. Prego, accomodati.” le disse accennandole una sedia di fianco a quella dov'era seduto lui.

“Hai... cambiato montatura.” osservò mentre lei si sedeva.

“Oh, sì.” rispose lei abbozzando un sorriso.

“Stai bene.” fece Ryou prendendo in mano dei fogli dalla scrivania.

“Vado a preparare del tè.” disse Keiichirou, avvertendo l'imbarazzo che si era creato nella stanza.

“Vengo con te!” esclamò Retasu, ansiosa di rendersi utile in qualche modo. Keiichirou scosse la testa. “No, no, sei nostra ospite. Stai tranquilla, non ci metterò molto.” disse scomparendo su per le scale.

Retasu abbassò lo sguardo. Ryou era ancora in piedi. Rimasero in silenzio per qualche momento.

La ragazza guardò di sfuggita il monitor al quale Ryou stava lavorando. “Ah! E' il video della CNN?” chiese riconoscendo il puma gigante.

Il ragazzo riprese posto davanti al computer. “Sì, e temo che sia genuino al 100%.”

Retasu rimase imbambolata a fissare lo schermo, sforzandosi di non pensare al fatto che Ryou era seduto a non meno di venti centimetri da lei.

“Ma come è possibile?” domandò infine, confusa.

“E' quello che mi chiedo anche io. Certo, era un Chimero molto debole, dato che sono bastati delle semplici armi da fuoco per metterlo al tappeto, ma era comunque un Chimero. E ti posso assicurare che non abbiamo rilevato alcuna presenza aliena.”

“Potrebbe essere un Para-Para superstite?”

Ryou si dondolò sulla sedia. “E' quello che ho pensato anche io, ma perché dopo sette anni? Perché avrebbe dovuto aspettare così tanto per manifestarsi? Non ha senso.”

Retasu annuì. “Hai ragione.”

“E' un bel rompicapo.” constatò Ryou. “E l'esercito americano ne sa meno di noi, dato che l'animale è morto e non hanno trovato traccia del parassita che l'aveva infettato.”

“Il puma è morto?” chiese la ragazza portandosi una mano alla bocca. “Poverino...”

“Sì, purtroppo i proiettili hanno l'effetto opposto alle armi delle Mew Mew: colpiscono la vittima e non l'aggressore.” rispose lui amaramente. “Il problema è che non so quale dovrebbe essere la mia prossima mossa. Voglio dire, se davvero ci si presentasse una nuova minaccia aliena, saremmo totalmente impreparati ad affrontarla senza una squadra Mew Mew. D'altra parte, se ne creassi un'altra in questo momento e poi si scoprisse che ciò che ci minacciava erano solo una manciata di Para-Para superstiti...”

“Capisco quello che vuoi dire.” disse Retasu trovando finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi. “Non vuoi coinvolgere altre persone senza avere una buona ragione per farlo.”

Ryou ricambiò il suo sguardo. “Esatto.”

“Ma siamo sicuri che la nostra mutazione sia ormai irrecuperabile?” protestò lei.

Ryou chiuse gli occhi, sospirando. “I vostri corpi sono ormai incompatibili con i geni degli animali con cui eravate state infuse. Se doveste essere colpite da un altro raggio mutageno, ci sarebbero solo degli effetti collaterali. Come è successo a me, quando ho sperimentato la mutazione su me stesso. O anche peggio. In ogni caso, è fuori discussione.” disse incrociando le braccia.

Keiichirou tornò con un vassoio su cui erano poggiate tre tazze di tè e una dozzina di grandi biscotti rotondi. “Grazie, Kei.” fece Ryou alzandosi di nuovo in piedi.

Retasu prese un biscotto dal vassoio. “Grazie.”

Keiichirou le sorrise. “Come vedi, siamo ancora in alto mare, purtroppo. Ma restiamo vigili. Se un altro Chimero dovesse riapparire, in qualsiasi parte del mondo, stai pur certa che lo sapremmo all'istante.”

Ryou sospirò. “Spero davvero che non ne compaiano altri.”

Retasu bevve un sorso di tè, senza staccare gli occhi da lui. Solo adesso si rendeva conto di quanto fosse sciupato. Era evidente che era rimasto costantemente di fronte al computer, magari senza nemmeno prendersi una pausa per riposare.

Poteva sembrare freddo e distaccato, ma lei sapeva che in realtà Ryou era quello che si preoccupava più di tutti.

Non era mai riuscita a confessargli i suoi veri sentimenti, purtroppo. Qualcosa l'aveva sempre bloccata; forse la sua innata timidezza, forse il fatto che lui avesse sempre dimostrato un interesse particolare nei confronti di Ichigo.

D'altra parte, lui si era limitato ad agire come un amico o un fratello maggiore nei suoi confronti, soprattutto nell'ultimo periodo della loro avventura. Era stata proprio la sua gentilezza a farla innamorare di lui.

Ora che erano così vicini, dopo tanto tempo, Retasu si chiese come fosse riuscita a sopportarne la lontananza. Eppure, per qualche strano scherzo della sua mente, sembrava che non fosse trascorso nemmeno un giorno da quando l'aveva visto per l'ultima volta.

Ryou si girò a guardarla. Retasu distolse lo sguardo, imbarazzata.

“Mi stavo chiedendo...” esordì il ragazzo, pensieroso.

“Sì?”

“... Se fossimo costretti a reclutare un'altra squadra, saresti disposta ad aiutarci?”

Retasu sbatté le palpebre, confusa da quella domanda. “Ma certo. Ne sarei felice.” rispose.

Ryou le sorrise. La ragazza arrossì per l'ennesima volta.

“Abbiamo pensato che sarebbe più facile stabilire un rapporto di fiducia reciproca con la nuova squadra Mew Mew se ci fossi anche tu, che hai vissuto la stessa esperienza.” spiegò Keiichirou.

“Certo, capisco. Può essere una cosa piuttosto scioccante da vivere, soprattutto all'inizio.” replicò lei, ricordando il modo in cui aveva reagito quando si era resa conto di possedere poteri sovrannaturali. “Certo che è strano.” disse poi, poggiando la tazza in ceramica sulla scrivania.

“Cosa?” domandò Ryou.

Retasu scosse la testa, quasi per sminuire la serietà delle proprie riflessioni. “Nulla, solo che... non avevo mai capito come fosse lavorare dietro le quinte. E' una sensazione strana. Lavorare con uno scopo preciso, ben sapendo che non si sarà mai sotto i riflettori. Dev'essere frustrante.”

“Un po'. Ma se si lavora per uno scopo così importante, ne vale la pena. Giusto, Ryou?” fece Keiichirou.

Ryou rimase in silenzio per qualche istante. “Ma certo.” rispose infine. Il suo tono di voce tradiva un'immensa stanchezza.

“Kei, pensaci tu per un po'. Vado di sopra a riposare.” disse poi, congedandosi senza tante cerimonie.



***


“Dovrei tornare a casa, adesso.” disse Retasu nel tardo pomeriggio. Erano appena passate le quattro e mezza; il sole stava tramontando, tingendo tutto di una nostalgica luce aranciata.

“Ma certo.” fece Keiichirou, chiudendo un paio di finestre lampeggianti sul monitor del computer. “Qui è tutto tranquillo.” aggiunse in tono soddisfatto. “Speriamo resti così.”

“Speriamo.” convenne lei. Ryou non si era più fatto vedere; non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che se ne fosse andato per colpa sua.

Attraversarono i corridoi in silenzio. D'un tratto, Ryou spuntò dalla porta della cucina. “Te ne vai?” chiese, apparentemente sorpreso.

“Sì.” rispose lei, fermandosi di fronte a lui.

Ryou le si avvicinò. “Scusa se...” le disse a voce bassa. Keiichirou li fissava in silenzio a un paio di metri di distanza.

“Cosa?” chiese Retasu, confusa.

“... Non importa. E' che sono un po'... stanco, ultimamente.” si giustificò, portandosi una mano alla fronte.

Retasu gli sorrise dolcemente. “Non importa.” sussurrò. Poi raggiunse Keiichirou e lo superò, diretta verso la porta principale. “Ci vediamo domani!” esclamò senza voltarsi indietro.







Ciao a tutti! ;) Ho pensato di pubblicare il secondo capitolo a pochi giorni di distanza dal primo, dato che l'avevo già scritto tempo fa. I prossimi aggiornamenti non saranno così rapidi, temo, ma ho pensato che sarebbe stato utile pubblicare anche il secondo capitolo, per darvi un'idea migliore di quello che sarà la storia.
Spero di avervi incuriositi. Sappiate che una recensione fa sempre piacere (wink wink). xD

Alla prossima, e grazie per aver letto! ;)

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Capitolo 3
*** Onee-sama ***


3. Onee-sama
3. Onee-sama



Retasu sedeva di fronte al portatile, incerta sul da farsi. Aveva aperto la propria casella di posta elettronica, intenzionata a scrivere a Purin, ma non sapeva proprio come esordire.

Di tutte le ex Mew Mew, Purin era stata l'unica con cui era riuscita a mantenere i contatti anche dopo tutto quel tempo.

Si era trasferita in Cina cinque anni prima, quando suo padre aveva espresso il desiderio di riavere con sé lei e i suoi fratelli e sorelle.

Nonostante fosse cresciuta, aveva mantenuto il suo carattere solare e allegro. Anche per questo motivo, Retasu desiderava metterla al corrente di quello che era successo. Sapeva che sarebbe riuscita a vedere il lato positivo della situazione, e chissà che non decidesse di tornare in Giappone a salutare i vecchi amici.

Infine, iniziò a scrivere, le dita che ticchettavano piano sulla tastiera:


Cara Purin,


Non indovinerai mai cosa mi è successo: ho ripreso a vedere Shirogane-san e Akasaka-san! A quanto sembra, è comparso un Chimero a New York, un paio di giorni fa. La situazione non è ancora molto chiara... Pensa che si è addirittura parlato di creare una nuova squadra Mew Mew! A quanto pare, le nostre mutazioni sono scomparse definitivamente, e il processo non è più reversibile.

Ti confesso che sono un po' stranita. Mi sono tornati in mente un sacco di ricordi che credevo di aver dimenticato, ormai. Dimmi la verità, a te non mancano un po' i vecchi tempi? A me manca essere una Mew Mew. Ho un senso di nostalgia da quando ho ripreso a lavorare con Shirogane-san e Akasaka-san... Non credo riuscirò a liberarmene molto presto.

Ti prego, scrivimi non appena riceverai questa e-mail. Ho bisogno di sapere cosa ne pensi.
Mi manchi. Mi mancate tutte voi.

Un abbraccio,
Retasu.

P.s.: Akasaka-san è sempre lo stesso, non è cambiato affatto. Shirogane-san sembra stanco; credo che questa situazione lo preoccupi molto. Vorrei tanto stargli vicino, ma mi sento sempre inopportuna.

P.p.s.: Non è che per caso hai il numero o l'indirizzo e-mail di Ichigo-san, Minto-san e Zakuro-san? Vorrei provare a ricontattare anche loro. Non sarebbe bello ritrovarsi tutte e cinque?

Trattenendo il respiro, Retasu cliccò sul pulsante “Invio”. In un attimo, era fatta.

Sospirò, abbozzando un sorriso. Immaginò l'amica, i suoi grandi occhi castani pieni d'energia, i capelli biondi come il grano.

Le sembrava quasi di sentire la sua vocina squillante echeggiare nella stanza. Eeh?! Retasu, questa è la tua occasione! Vai e conquistalo! Non fartelo scappare!

Improvvisamente, il suo cellulare squillò, strappandola alle sue fantasie. Guardò lo schermo.

Era Keiichirou.

“Pronto?” rispose.

“Retasu, abbiamo un problema.” disse lui, evidentemente alterato.

La ragazza deglutì a fatica. “Che è successo?”



***


Ryou arrestò l'auto piuttosto bruscamente, nel bel mezzo di un incrocio, mentre Keiichirou, ancora al telefono con Retasu, gli passava una specie di pistola dalla sezione quadrangolare. I due scesero velocemente dall'auto.

Keiichirou interruppe la chiamata, congedandosi con un frettoloso “Ti richiamo dopo.”

Dopodiché, prese dal bagagliaio un borsone nero, da cui estrasse un fucile di grandi dimensioni, anch'esso dalla sezione quadrangolare.

Ryou si era già messo a correre in direzione delle urla. Keiichirou lo seguì, imbracciando il fucile.

Era come temevano: un altro Chimero si era materializzato sulla Terra, e questa volta l'aveva fatto nel bel mezzo della loro città. Il traffico era completamente bloccato e fiumi di persone stavano fuggendo, terrorizzate dal mostro, che si rivelò avere le sembianze di un lucertolone gigante.

“Merda!” sentì imprecare Ryou. Faticavano ad avanzare, arrancando in mezzo alla folla.

“Keiichirou! Qui!” esclamò Ryou, riparandosi dietro un'auto rovesciata sul fianco.

Il Chimero era poco distante. Si muoveva convulsamente, come confuso da tutta quella agitazione, tastando l'aria con la lunga lingua biforcuta.

Un paio di poliziotti gli spararono, ma i proiettili non sembravano avere il benché minimo effetto su di esso.

Nella confusione generale, i due ragazzi si scambiarono uno sguardo d'intesa. Perfettamente sincronizzati, attivarono le strane armi che avevano in mano, puntandole in direzione del Chimero.

Due sottili raggi di luce colpirono la creatura, che si girò immediatamente verso di loro, uno sguardo di puro odio nelle inquietanti pupille da rettile.

Cercò di avvicinarsi, muovendo furiosamente la testa triangolare, ma era evidente che faticava a resistere ai fasci di luce proiettati dalle loro armi.

“Maledetto! Muori!” gridò Ryou, esponendosi di più per colpirlo con maggiore efficacia.

Il Chimero si contorse, emise un urlo agghiacciante, ma infine cedette, dissolvendosi.

Il parassita cercò di fuggire, fluttuando in alto, ma Keiichirou era pronto. In un attimo, R2000, alias Masha, era di nuovo in azione. Il robottino peloso non si fece scappare la sua preda: inghiottì il parassita  in un sol boccone, come era programmato a fare, nel modo più veloce ed efficiente possibile.

In un attimo, era tutto finito, svanito nel nulla.

Ryou si passò una mano tra i capelli, esausto. “C'è mancato davvero poco, questa volta.” sospirò stancamente.

Keiichirou annuì. “Ottimo lavoro, Masha.” disse al piccolo robot, che era tornato da loro, soddisfatto.

Ryou si guardò attorno, furtivo. “Faremmo meglio a toglierci di mezzo, Kei.” disse, nascondendo la pistola sotto la giacca nera. Keiichirou ripose il fucile nel borsone.

I due si allontanarono in fretta, cercando di non attirare troppo l'attenzione.

“Questo è troppo, Kei. Non abbiamo altra scelta: dobbiamo creare un'altra squadra. Questi prototipi di armi sono appena sufficienti a fermare i Chimeri più deboli e primitivi...” Ryou si interruppe di colpo alla vista della giovane donna che li aspettava seduta sul cofano della loro auto, le gambe accavallate e le braccia conserte.

La donna fece un mezzo sorriso. “Sempre in mezzo ai guai, voi due?”

“... Zakuro Fujiwara. E noi che non volevamo attirare l'attenzione.” commentò Ryou, sarcastico.

“Non preoccuparti, quando voglio so passare inosservata.” rispose lei, calando sugli occhi blu un paio di occhiali da sole dalle grandi lenti rotonde.

Il cellulare di Keiichirou squillò. “Pronto?” rispose lui.

“Akasaka-san? Ti prego, dimmi che va tutto bene. Cos'è successo?” chiese una preoccupatissima Retasu all'altro capo del telefono.  

Keiichirou sorrise. “Va tutto bene, Retasu. Tra un'ora vengo a prenderti. Ho una sorpresa per te.”



***


Non era da Retasu essere così esuberante, ma quando rivide la sua ex compagna di squadra, così elegante e perfettamente misurata in ogni gesto ed espressione, non seppe resistere: le corse incontro e la abbracciò, senza curarsi di nulla, senza chiedersi quali fossero i sentimenti di Zakuro nei suoi confronti, dopo tutti quegli anni di silenzio.

La giovane donna ricambiò il suo abbraccio, leggermente sorpresa da quel gesto così spontaneo e improvviso, che si sarebbe aspettata di ricevere da Minto o da Ichigo, ma non certo da Retasu.

“Oh, Zakuro-san! Che bello rivederti!” singhiozzò Retasu, versando lacrime di pura felicità.

Zakuro sorrise, materna. “Anche per me è bello rivederti, Retasu. Ti prego, non piangere.” disse posandole le mani sulle spalle.

Retasu si asciugò gli occhi con la manica del maglione che indossava, imbarazzata. “Scusami.” Tirò su col naso. “Sei sempre bellissima.” esclamò ammirata.

Era vero: non l'aveva mai vista così bella. La pelle chiara e vellutata, gli occhi di un blu intenso, i capelli corvini lisci e lucenti, i lineamenti perfetti... Minto sarebbe rimasta di sasso, pensò scioccamente Retasu.

“Anche tu sei molto carina.” replicò Zakuro porgendole un fazzoletto.

Retasu rise, nervosa. “Macché, sono un disastro, come al solito.” disse soffiandosi il naso.

Keiichirou entrò con il vassoio del tè. “Averti qui illumina la stanza, Zakuro.” disse, cortese e affascinante come al solito.

“Ti ringrazio.” rispose lei, prendendo una tazza di tè dal vassoio d'argento.

Ryou osservava la scena in silenzio, appoggiato al muro spoglio della stanza sotterranea. “Non ci hai ancora detto cosa ci fai qui in Giappone.” disse infine.

Zakuro sorbì un sorso con studiata nonchalanche. “Ero a New York.” disse semplicemente, poggiando la tazzina sulla scrivania dei computer. “Non ho visto il Chimero con i miei occhi, ma ero sicura che non si trattasse di un falso. Credo che un po' di istinto da Mew Mew mi sia rimasto.”

Retasu ricordò il brivido che le aveva attraversato la schiena quando aveva visto il puma gigante nel video della CNN. Possibile che si trattasse di istinto? In effetti, loro erano state programmate per combattere i Chimeri...

“Ad ogni modo, dato che, almeno per ora, non sono impegnata con le riprese, ho deciso di fare un salto a vedere come ve la stavate cavando.” continuò Zakuro, facendo vagare lo sguardo per la stanza. “Vedo che vi siete riorganizzati. Il Caffé è chiuso?”

Ryou annuì. “Sì, ma a questo punto credo ci convenga riaprirlo.”

“E quelle armi?” chiese in tono inquisitorio.

“Prototipi. Emettono una radiazione simile a quella prodotta dalle armi Mew. Ovviamente non sono molto potenti... E' stato un miracolo riuscire a sconfiggere quel Chimero, oggi.”

“Quindi, se la situazione dovesse peggiorare...”

“La situazione è già peggiorata.” la interruppe Ryou, spostandosi di fronte al computer. Aprì un paio di finestre con grafici e strane sigle in una lingua che sembrava greco antico. “Non possiamo rischiare. Dobbiamo creare una nuova squadra Mew Mew.”

Zakuro rimase in silenzio per qualche momento. “Dobbiamo aspettarci una nuova minaccia aliena?” domandò infine, e persino a lei la voce tremava un po'.

Ryou non sapeva che rispondere.

Retasu fece un passo avanti. “Ma perché dovrebbero attaccarci di nuovo? Ci siamo lasciati in pace. Loro hanno l'acqua cristallo...” Ripensò a quei momenti terribili, quando Pai si era sacrificato per salvare tutte loro. Perché avrebbero dovuto tornare ad attaccare la Terra? Non lo credeva possibile.

“Non è detto che l'Acqua Mew sia riuscita a risolvere tutti i loro problemi. E non è detto che Kisshu, Pai e Taruto siano gli unici guerrieri sul loro pianeta.” intervenne Zakuro.

Ryou sospirò. “Non abbiamo abbastanza informazioni al riguardo. Le distanze sono troppo grandi per i nostri satelliti: non c'è alcun modo per sapere in quali condizioni sia il loro pianeta. E i nostri sensori non hanno captato alcuna presenza aliena nei dintorni della Terra.”

Keiichirou si avvicinò all'amico, posandogli una mano sulla spalla. “E' un bel rompicapo.”

Ryou raddrizzò la schiena, risoluto. “Comunque, non abbiamo tempo per perderci in congetture. Abbiamo del lavoro da sbrigare.” Si voltò verso le due ragazze. Retasu abbassò lo sguardo, colpita dall'energia e dalla forza di volontà che Ryou sapeva dimostrare.

“Zakuro, il tuo aiuto ci sarebbe prezioso. Ti andrebbe di darci una mano?” fece Ryou.

La giovane donna parve rifletterci su. “Va bene.” disse infine.

Retasu sorrise, al settimo cielo. “Sarà fantastico averti di nuovo in squadra, Zakuro.” esclamò entusiasta.

“Bene. Allora mettiamoci al lavoro, non c'è un minuto da perdere.” disse Ryou. “Kei, procurati un camion per traslochi. Retasu, nella stanza accanto ci sono degli scatoloni e carta da imballaggio, portali qui, per favore. Zakuro, aiutami con questi cavi.”

Retasu trattenne il fiato. “Vuoi dire che..?”

Ryou le sorrise. “Esatto. Ci trasferiamo.”







Salve a tutti! :D Stamattina mi andava di pubblicare e ho ceduto alla tentazione. xD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. ^^ Piano piano tutti i pezzi tornano al loro posto. Adesso anche Zakuro è tornata, e Ryou è determinato a rimettersi in gioco. Spero di avere stuzzicato la vostra curiosità. :)

Dedico questo capitolo a Salice_, con la preghiera di farmi sapere se ho reso bene Zakuro. :3

Ricordate: non c'è niente come una recensione per motivare una scrittrice-wannabe.
Alla prossima, e grazie per aver letto! :*

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Capitolo 4
*** Then and Again ***


4. Then and again 4.Then and Again



Retasu si buttò sul proprio letto, esausta. Aveva lavorato tutto il giorno, e le facevano male tutti i muscoli del corpo.

Tuttavia, era incredibilmente felice. Finalmente si era sentita utile: non c'era nulla che la facesse sentire più appagata. Prese il libro di anatomia dal comodino e lo aprì al capitolo che stava studiando, ma non riuscì a concentrarsi. La sua mente continuava ad andare a quel pomeriggio, in cui avevano finalmente riaperto il Caffé.

Rivedere quel luogo, in cui aveva passato così tanti pomeriggi della propria adolescenza, le aveva provocato un'emozione incredibile. Certo, andava rimesso in sesto: tutte le finestre erano sporche, i muri esterni erano scrostati e l'interno era completamente ricoperto di polvere. Il giardino andava potato e il vialetto spazzato con cura.

Mentre lei e Zakuro facevano le pulizie, Ryou e Keiichirou si davano da fare per rimettere in funzione il laboratorio sotterraneo.

C'era voluto un pomeriggio intero e buona parte della sera, e il lavoro non era ancora finito, ma il Caffé aveva riacquisito un po' del suo antico splendore.

Il laboratorio era già pienamente funzionante, ma i piani superiori avevano ancora bisogno di manutenzione, prima di essere presentabili ai clienti.

Ryou aveva addirittura parlato di ampliare l'area per le sale da tè al primo piano, una volta adibito a quartiere residenziale per lui e Keiichirou.

Zakuro era fantastica. Era sempre stata come una sorella maggiore per lei e le altre, e si comportava come tale anche adesso. Le aveva raccontato dei suoi viaggi e del suo lavoro, dei posti che aveva visitato, delle persone che aveva incontrato.

“Minto-san sarebbe estasiata.” aveva commentato Retasu.

“A volte la sento ancora.” le aveva detto Zakuro, intenta a togliere le ragnatele dal soffitto.

“Davvero? Allora possiamo contattarla!” aveva esclamato Retasu. “Io sento ancora Purin-chan. Le ho mandato un'e-mail giusto stamattina.”

L'unica che mancava all'appello era Ichigo.

Tutto ciò che si sapeva era che si era trasferita in Inghilterra, a Londra, per seguire Aoyama nei suoi studi sulla salvaguardia dell'ambiente. I suoi genitori, però, abitavano ancora in Giappone, nella loro vecchia casa.

Retasu si chiese se fosse il caso di andare a far loro visita per sapere qualcosa di più sulla sua ex campagna di squadra.



***


Keiichirou e Ryou ricontrollarono per l'ennesima volta i dati a loro disposizione. Il sole era tramontato da un pezzo. Erano entrambi esausti dopo la giornata di trasloco, ma si rifiutavano di cedere. Era in gioco qualcosa di troppo importante.

“Ci siamo.” disse infine Ryou. Keiichirou annuì.

Ryou azionò il conto alla rovescia.

“Si ricomincia da capo, dunque.” disse Keiichirou mentre i secondi passavano, lenti e inesorabili.

Ryou chiuse gli occhi. “No, non da capo. Si ricomincia e basta.”

Il conto alla rovescia finì. In quel preciso istante, una luce rossastra si propagò dalla cupola del Caffé, inondando l'ambiente circostante di radiazioni mutagene, che si diffusero in un raggio di svariati chilometri.

Quella notte, cinque ragazzine furono scelte per essere le nuove protettrici della Terra.

Cinque volti sconosciuti, cinque nuovi nomi, cinque paia di occhi che fissavano Ryou dallo schermo del computer. Per un istante, al ragazzo sembrò che lo guardassero con un'espressione di rimprovero.

Cacciò quel pensiero dalla propria mente: era la cosa giusta da fare, l'unica cosa da fare; la loro unica opzione.

“E' fatta.” sussurrò infine, sfregandosi gli occhi arrossati. “Panthera tigris sumatrae, Grus leocogeranus, Chelonia Mydas, Chinchilla brevicaudata, Ursus arctos syriacus.” disse solennemente. “Il nostro futuro è nelle vostre mani.”



***


Minto aprì gli occhi di colpo. L'aveva svegliata il fastidioso suono del cellulare che squillava.

Lanciò un'occhiata distratta alla sveglia: le sei e mezza del mattino.

Profondamente infastidita, afferrò il telefono, preparata a mandare al diavolo chiunque avesse avuto la brillante idea di chiamarla a quell'ora indecente.

“Pronto?!” rispose acidamente.

“Minto? Sono Zakuro. Spero di non disturbare...”

Minto sussultò. “Z-Zakuro-oneechan!” esclamò, imbarazzata. “Scusa se ho risposto così, credevo fosse qualcun altro...” si affrettò ad aggiungere, desolata.

“Tranquilla, capisco benissimo.” la sentì sorridere all'altro capo del telefono. “Senti, al momento sono in Giappone, con Retasu, Ryou e Keiichirou. Abbiamo fatto una specie di riunione tra vecchi amici. Ti andrebbe di venire?”

Minto sgranò gli occhi. Una riunione tra amici? Dopo tutto quel tempo?

“M-ma... Ti fermi lì?” chiese, stupita. “Non hai impegni ad Hollywood?”

“No, in questi mesi sono libera. O meglio, mi sono liberata. Mi farebbe piacere rivederti.”

Minto avvertì un groppo in gola. Il suo idolo che la invitava in Giappone per vederla! Come avrebbe potuto dire di no?

“Certo, anche a me farebbe piacere vederti!” esclamò, sveglia come un grillo. “Faccio subito i bagagli!”

Zakuro rise. “Fai pure con calma. Fammi sapere quando arrivi, così vengo a prenderti all'aeroporto.”

“Va bene!” rispose Minto, entusiasta.

Terminata la chiamata, la ragazza balzò giù dal letto, eccitata come non mai. Erano anni che non vedeva il suo idolo! Almeno, non dal vivo. Aveva visto una dozzina di volte Call me Destiny, il primo film americano in cui Zakuro aveva recitato, e sapeva praticamente a memoria Neverending Sadness, in cui Zakuro aveva una parte da protagonista.

Scostò le pesanti tende blu scuro dalla finestra che dava sul terrazzino. Fuori era ancora buio.

Parigi era un trionfo di luci colorate.

Le sarebbe mancata, quella città. In essa aveva trovato il luogo ideale per vivere, ma non aveva mai dimenticato le proprie origini giapponesi.

D'un tratto, si chiese se tornare a Tokyo fosse davvero una buona idea.

Rabbrividì, pensando ai tempi in cui la notte non era un manto confortante di stelle, ma una dimensione aliena in cui ogni ombra poteva nascondere una minaccia, una trappola, un agguato.

Eppure, qualcosa le diceva che doveva tornare, che la sua presenza era necessaria.

Lasciando che le luci della città entrassero nella sua stanza, Minto iniziò a tirare fuori i vestiti dall'armadio. Non sarebbe più riuscita a chiudere occhio, lo sapeva.



***


Finito di lavare le stoviglie, Purin salì in camera e accese il computer, intenzionata a fare un veloce giro in internet prima di mettersi a studiare.

Il suo computer era un modello un po' vecchiotto, che ci metteva più di qualche minuto ad accendersi e a connettersi al web. Mentre aspettava, Purin prese un foglio di carta e una matita ben appuntita dalla scrivania e buttò giù un veloce schizzo di un paesaggio che l'aveva colpita quella mattina, mentre camminava per andare a scuola.

Finalmente, riuscì ad aprire il browser. Per prima cosa, decise di controllare la sua casella di posta.

Sorpresa, vide di aver ricevuto una mail da Retasu. Con una punta di rimorso, la aprì. Retasu le aveva scritto qualche mese prima, ma non era ancora riuscita a risponderle.

Lesse la lettera, aspettandosi che l'amica le chiedesse come mai non le aveva ancora risposto.

Rimase a bocca aperta alla notizia che era apparso un nuovo Chimero e che Retasu aveva ripreso a frequentare Ryou e Keiichirou.

“CavoliCavoliCavoli!” non poté fare a meno di esclamare. Rilesse velocemente la lettera, poi scrisse freneticamente:

Cavoli, Retasu!!! Stai scherzando?? E' una notizia bomba!! Sono scioccata!! :D

Ma davvero Ryou vuole formare una nuova squadra? Noi non andiamo più bene? :(

Comunque, secondo me non devi sentirti in imbarazzo. Vai e conquistalo! Secondo me gli piacevi, quando lavoravamo tutti insieme!

Purtroppo non ho più contatti con le altre da anni... Però sì, sarebbe bello rivederci tutte! E anche Ryou e Kei, mi mancano un sacco!

Ti prego, tienimi informata!! Soprattutto per quanto riguarda gli alieni. Dimmi se c'è qualche segnale strano. Fatti dire tutto da Ryou! E non essere timida!

Un abbraccio forte forte,
Purin :)

Inviò la mail, con una strana sensazione allo stomaco. Era come se qualcuno glielo avesse annodato.

Si mordicchiò un'unghia, pensierosa. Alzatasi dalla sedia, andò alla finestra e la aprì, senza curarsi della gelida aria invernale che le sferzava il viso. Guardò in alto, verso il cielo coperto da nuvole bianche.

Erano davvero tornati? Stavano per farlo? E che intenzioni avevano?

Ma soprattutto, si sarebbe ricordato di lei? L'avrebbe riconosciuta?

Chiuse gli occhi, cercando di focalizzare la sua immagine di fronte a sé, cercando di richiamare alla mente la sua voce. Non fu per niente facile.

Riaprì gli occhi. Si sentiva improvvisamente triste.



***


Retasu si incamminò di buona lena verso il Café Mew Mew. Era pomeriggio inoltrato: aveva appena finito il suo turno in biblioteca, dove si era portata il libro di anatomia per prendersi avanti con lo studio.

L'aria era davvero fredda, quel giorno. Arrivò al Caffé con le guance arrossate. Era stanca ma felice: rivedere il Caffé illuminato la riempiva di gioia.

Appena entrata, il calore all'interno dell'edificio le fece appannare gli occhiali. “Salve a tutti!” si annunciò chiudendosi la porta alle spalle.

“Ben arrivata!” la salutò Keiichirou spuntando dalla cucina. Indossava un completo bianco e il cappello da cuoco.

Retasu appoggiò cappotto, cappello e sciarpa su una sedia. “Grazie. Stai cucinando?” chiese allegramente.

Keiichirou annuì. “E ho bisogno del tuo aiuto come assaggiatrice. Prego, accomodati.” le disse facendole segno di entrare in cucina.

Retasu lo seguì. In cucina trovò Zakuro, intenta a godersi una fetta di meringata e una tazza di tè. “Oh, ciao!” la salutò sedendosi di fronte a lei.

Zakuro le sorrise. “Tutto bene?” le fece.

“Tutto bene. Sono appena uscita dal lavoro...”

“Ah, sei arrivata. Ottimo.” osservò Ryou, facendo il suo ingresso in cucina.

Retasu arrossì un pochino. “Ehm, sì. Scusa se non sono arrivata prima, ma...”

“Non fa niente, figurati.” tagliò corto lui. “Dunque, dato che siamo tutti qui, ho un paio di notizie da darvi. A proposito, qualcuno è riuscito a contattare Ichigo?”

Retasu abbassò lo sguardo. Suo malgrado, era delusa. Ovviamente Ryou pensava ad Ichigo...

Zakuro scosse la testa in segno di diniego. Retasu fece lo stesso. “Ah! Però stavo pensando che si potrebbe chiedere ai suoi genitori. Se non sbaglio, dovrebbero abitare ancora qui.” esclamò, volendo rendersi utile nonostante tutto.

Ryou ci pensò su. “In effetti, non è una cattiva idea.” Le concesse un sorriso. Lei sorrise a sua volta, impacciata.

“Bene, e questo problema è risolto. Ora, dovreste sapere che, ieri sera, Kei ed io abbiamo dato vita al Progetto μ-2.” disse il ragazzo.

Zakuro annuì. “Quindi è fatta.” commentò serafica.

“Sì. Adesso non ci resta che rintracciare le cinque ragazze.”

Retasu si tormentò le mani, nervosa. “Sappiamo già chi sono?”

“Sì. Questa è la prima.” disse Ryou poggiando sul tavolo la foto di una ragazzina dai capelli corti, castano scuro, e dai grandi occhi nocciola. Zakuro lesse ad alta voce la didascalia. “Suika Nakano, quindici anni, Panthera tigris sumatrae”.

“Ovvero, tigre di Sumatra.” precisò Ryou. “Pensavo di contattarla domani pomeriggio, all'uscita da scuola. Frequenta l'istituto in cui andavi tu, Retasu.”

Zakuro stava fissando la ragazza della foto. “In questo caso” esordì all'improvviso, “tu e Retasu potreste andare a cercarla, mentre Keiichirou ed io potremmo andare a casa di Ichigo e parlare ai suoi genitori. Così risparmieremmo tempo.”

“Per me va bene.” assentì Keiichirou.

Ryou alzò un sopracciglio. “A te va bene, Retasu?”

La ragazza rimase imbambolata a guardarlo per un istante. “Uh? Oh, certo, va benissimo.” balbettò.

“Ottimo, allora.” disse Keiichirou. “Ed ora, Ryou, se non ti dispiace, le ragazze stavano facendo da assaggiatrici per i miei dolci.”

Ryou sorrise, sarcastico. “Ok, ho capito. Sono di troppo. Me ne torno giù di sotto.” disse in tono melodrammatico.

Retasu sorrise, felice di vedere che era ancora in vena di scherzare, qualche volta.

Zakuro le si avvicinò. “Buona fortuna per domani.” le disse sottovoce, con sguardo complice.

Retasu avvampò, realizzando che l'amica aveva fatto apposta a proporre che lei e Ryou andassero insieme. “Grazie.” le bisbigliò, sinceramente riconoscente.







Buongiorno a tutti! ;) Sono tornata presto per portarvi l'ultimo capitolo introduttivo: da qui in poi si inizia a fare sul serio! xD
Qualche veloce info: come avete potuto constatare, habemus animali a codice rosso. Dopo molte ricerche, ho scelto la Tigre di Sumatra, la Gru siberiana, la Tartaruga verde, il Cincillà coda corta e l'Orso bruno siriano (immagini e info disponibili su Wikipedia). :3
Ho cercato, inoltre, di dare alle ragazze dei nomi di cibo, per rimanere in tema. Suika, ad esempio, significa anguria. ^o^
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Lo so, è di passaggio... Dovrete avere un po' di pazienza, ma prometto che l'azione arriverà presto.

Un bacio, e grazie alle fantastiche persone che hanno recensito, che leggeranno e che recensiranno!

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Capitolo 5
*** Suika ***


5. Suika 5. Suika




Suika Nakano si stava dirigendo a casa, dopo una faticosa giornata di scuola. Il tempo non era dei migliori: grandi nuvole grigie coprivano il cielo e l'aria era freddissima.

Suika non aveva passato una buona giornata. Tanto per cominciare, erano due notti che non chiudeva occhio. Strani sogni che non riusciva a ricordare appieno avevano disturbato il suo sonno, e quando si era svegliata aveva trovato... Quella cosa.

Sul polso destro.

Non aveva idea di come ci fosse finita.

Una specie di simbolo a forma di stella, circondato da quattro piccoli graffi rossi. Anche la stella era rossa. Sembrava un tatuaggio. O una voglia.

Forse è un'allergia... Qualcosa che ho mangiato o toccato..., pensò sfiorandosi il polso. L'aveva bendato, prima di andare a scuola. Fortunatamente, sua madre era già uscita per andare al lavoro. Non voleva che si preoccupasse.

Ai compagni e ai professori aveva detto che uno dei suoi gatti l'aveva graffiata. Si augurava che ci fossero cascati.

Le sue riflessioni furono interrotte da due persone che le si affiancarono.

“Scusa, sei tu Suika Nakano?” le chiese una ragazza alta, dai capelli lunghi fino alle spalle e un paio di occhiali da vista. Vicino a lei camminava un ragazzo molto bello, dai capelli biondi e gli occhi azzurro cielo. Entrambi la stavano fissando in un modo che non le piacque per niente.

“Ehm... Sì, sono io. Posso aiutarvi?” rispose, mettendosi istintivamente sulla difensiva.

“Vorremmo fare quattro chiacchiere. Ti andrebbe di fermarti a prendere qualcosa da bere? Qui vicino c'è un bar carinissimo.” disse la ragazza con voce gentile. “Io mi chiamo Retasu Midorikawa e questo è Ryou Shirogane.” aggiunse indicando il ragazzo al suo fianco, che non aveva ancora aperto bocca.

Suika accelerò il passo. “Oh, mi dispiace, ma non posso. Vado di fretta, mi aspettano a casa.” replicò in tono fintamente dispiaciuto.

I due si scambiarono un'occhiata veloce. “Non ci vorrà molto...” tentò la ragazza, Retasu.

“Non posso proprio, scusate. Magari un'altra volta...”

“Come mai hai il polso bendato?” le chiese seccamente il ragazzo, Ryou.

Suika lo fulminò con lo sguardo. “Non sono affari tuoi.” replicò acidamente.

“Fammi indovinare: stamattina ti sei svegliata con una strana voglia sul polso. Una voglia a forma di stella.” disse lui in tono altezzoso. “Ho fatto centro?”

Suika si fermò, scioccata. “Come fai a saperlo?”

Retasu le si avvicinò. “Non devi preoccuparti. Siamo amici, vogliamo aiutarti. Però devi ascoltare quello che abbiamo da dirti.” disse in tono rassicurante. “Possiamo rispondere a tutte le tue domande, se solo ce ne darai la possibilità.”

Suika rimase in silenzio, squadrandoli entrambi. Non sembravano cattive persone, ma il ragazzo non le ispirava molta fiducia. La ragazza, d'altro canto...

“... D'accordo. Però devo comunque andare a casa. Devo dare da mangiare ai miei gatti.”

Retasu sorrise. “Beh, possiamo venire anche noi. Non è una cosa di cui parlare per strada.”

Suika riprese a camminare. “Va bene.” disse riluttante. Non sapeva se fidarsi, ma d'altra parte era curiosa di sapere come era possibile che il ragazzo fosse al corrente della voglia che le era comparsa sul polso.

Camminarono in silenzio per dieci minuti buoni. Arrivati al suo condominio, Suika tirò fuori dalla tasca della giacca un mazzo di chiavi piuttosto voluminoso e aprì la porta. “Abito al settimo piano.” disse distrattamente.

I due la seguirono. Presero l'ascensore e, finalmente, entrarono in casa.

Furono accolti da tre gatti affamati, appostati dietro la porta d'ingresso. Uno era tigrato, piuttosto grande, con una macchietta di pelo bianco sotto il mento. La seconda era chiaramente femmina: il manto variopinto era suddiviso in grandi macchie bianche, arancioni e nere. Il terzo, un cucciolo di pochi mesi, era completamente nero.

I gatti presero a miagolare insistentemente. Retasu per poco non incespicò sul gatto soriano, che le si stava strusciando sulle gambe.

“Che bei mici!” esclamò Retasu, accarezzando il gatto che l'aveva quasi fatta cadere.

“Grazie.” rispose Suika appendendo la giacca marrone all'appendiabiti. Poi scavalcò i tre gatti, dirigendosi in cucina. Gli animali la seguirono zampettando.

“Potete sedervi in salotto, se volete. Io arrivo subito.” la sentirono dire dalla cucina.



***


“La ringrazio infinitamente, Momomiya-san.” disse Keiichirou facendo il baciamano alla madre di Ichigo.

La donna arrossì, suo malgrado. “Oh, ma si figuri! Sono certa che a Ichigo farà piacere avere vostre notizie, dopotutto eravate molto vicini.”

Keiichirou sorrise. “A presto allora. Le auguro una buona giornata.”

Zakuro lo aspettava al cancello. La visita si era dimostrata fruttuosa. Si augurava che Ryou e Retasu avessero avuto la loro stessa fortuna.

Si diressero verso la sua macchina. Con la coda dell'occhio, Keiichirou vide che la ragazza sorrideva.

“Sei di buon umore?” le chiese gentilmente.

Si scambiarono un'occhiata veloce. “Sei sempre così cortese e affascinante. Mi metti di buon umore.” gli confessò Zakuro.

Lui le aprì la portiera dell'auto. “Non potrei comportarmi altrimenti. Specie con un'ospite così illustre.”

Zakuro si accomodò sul sedile del passeggero. “In quanto ex combattente o in quanto attrice famosa?” chiese. La sua domanda suonava quasi come una provocazione.

Keiichirou prese posto di fianco a lei. “In quanto donna incantevole, acuta e intelligente... La più incantevole, acuta e intelligente che io conosca.” rispose mettendo in moto l'auto.



***


L'appartamento di Suika era piccolo, ma accogliente. Un corto e stretto corridoio portava dall'ingresso al salotto, il cui pavimento era ricoperto da un grande tappeto bianco. Di fronte al televisore, un modello un po' vecchio, troneggiava il divano blu scuro su cui erano seduti Retasu e Ryou. Da dove era seduta, la ragazza poteva vedere l'ingresso della cucina in cui era sparita Suika. Dietro di lei, tre porte chiuse nascondevano altre tre stanze, che suppose fossero il bagno e due camere da letto.

Ryou sbuffò. “Mi sono riempito di peli di gatto, accidenti.” disse cercando di spazzolare con le mani i peli bianchi dai pantaloni neri che indossava.

Retasu gli si avvicinò un po'; cosa non difficile da fare, dato che erano seduti ai due lati opposti del divano. “Come ti sembra?” gli chiese sottovoce, indicando la cucina.

Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Testarda. Il che è un bene, ai fini della missione... ma è anche estremamente irritante.”

In quel momento, Suika uscì dalla cucina trasportando una sedia. Dopo averla posizionata accanto al televisore, di fronte a loro, si sedette, incrociando le braccia. Per un attimo sembrò voler dire qualcosa, ma poi parve rinunciare.

Il gatto soriano, il più grande dei tre, spuntò dalla cucina, zampettò in salotto e balzò sulle ginocchia della padrona, iniziando immediatamente a fare le fusa.

Suika prese ad accarezzarlo amorevolmente.

Ryou si schiarì la voce. “Dunque.”

La ragazza lo fissò, un'espressione vigile in volto.

“Tu... sai cosa sono le Mew Mew?” esordì lui.

Lei corrugò la fronte. “Beh... Mi pare di averne sentito parlare. Non sono quelle ragazze con i vestiti strani che giravano per Tokyo... Una decina di anni fa?” azzardò.

Retasu sorrise, suo malgrado. Quelle ragazze con i vestiti strani... Chissà se le altre avrebbero avuto qualcosa da ridire su quella definizione.

Ryou sospirò. “Sì, più o meno. Comunque, per farla breve, tu fai parte della nuova generazione di Mew Mew. Congratulazioni.”

Suika sollevò un sopracciglio. “Scusa?”

“Quello che voleva dire, Suika, è che...” intervenne Retasu tutto d'un fiato, “... ecco, le Mew Mew erano esseri speciali: i loro corpi avevano accettato il DNA di animali in via d'estinzione ed esse erano in grado di trasformarsi ed usare armi magiche per combattere i nemici della Terra e dell'umanità. Io ero una di loro, una delle cinque Mew Mew.”

Suika era rimasta a bocca aperta. “Cosa..?” balbettò, interdetta.

“So che sembra pazzesco, ma è così. E tu sei stata scelta, esattamente come è successo a noi otto anni fa. Insieme ad altre quattro ragazze, sei stata scelta per difendere il futuro della Terra.” continuò Retasu.

“La voglia che hai sul polso è il simbolo che ti sancisce come membro ufficiale delle Mew Mew.” aggiunse Ryou.

Suika scoppiò a ridere. Il gatto sulle sue ginocchia smise di fare le fusa. “Ma dai, e vi aspettate che vi creda?” esclamò. “Cos'è, avete una telecamera nascosta da qualche parte?”

Ryou sbuffò, lanciandole un'occhiataccia che le fece morire il sorriso sulle labbra. “Forse questa ti farà cambiare idea.” le disse, tirando fuori uno strano oggetto dorato dalla tasca dei pantaloni e lanciandoglielo.

La ragazza lo afferrò al volo. Lo esaminò in silenzio: una spilla ovale, con impresso, sulla parte anteriore, lo stesso simbolo che le era comparso sulla parte interna del polso destro.

Li guardò entrambi con fare interrogativo e un po' spaventato. Retasu le sorrise, incoraggiante. “Prova a pronunciare le parole che senti nel profondo del cuore.” le suggerì.

Suika guardò la spilla con più attenzione. Se è uno scherzo giuro che non escono vivi da questa casa, pensò, ma altre parole le affioravano alla mente...

Si alzò in piedi di scatto, facendo sobbalzare il gatto, che saltò via, offeso.

“MEW MEW SUIKA... METAMORPHOSE!”

Di colpo, accadde qualcosa. Sentì che il proprio corpo si riempiva di luce, di calore e di benessere.

Era come se ogni muscolo del suo corpo si stesse allungando, stiracchiando.

La sua pelle acquisiva nuova sensibilità; e non solo la pelle: si sentiva più reattiva, più veloce e scattante.

Era come avere un fuoco dentro, un fuoco che bruciava, sì, ma non feriva.

Aprì gli occhi, che non si era resa conto di aver chiuso.
Si guardò le mani. Erano ancora le sue mani, per fortuna.
Non aveva idea di cosa fosse successo, né di quanto tempo fosse passato.

Retasu la guardava, ammirata. Ryou sembrava soddisfatto.

Con la coda dell'occhio, vide il proprio riflesso nello schermo lucido del televisore.

Non era uno scherzo.

Aprì la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non uscì alcun suono.

Intanto, il suo riflesso le mandava indietro un'immagine che non era la sua.

Indossava un vestitino rosso fuoco, corredato da stivali al ginocchio, giarrettiera e spalline dello stesso colore. Il vestito vero e proprio era costituito da un corpetto aderente e una gonnellina composta da lembi di stoffa a forma di petalo disposti intorno alla vita, come a formare la corolla di un fiore.  

La spilla dorata che poco prima teneva in mano era diventata un ciondolo.

Si guardò le braccia: erano nude. Indossava, al polso sinistro, un bracciale a forma di fiocco, anch'esso rosso. Persino i capelli le erano diventati rossi!

Ma la cosa più scioccante erano le orecchie. Ai lati della testa le erano spuntate due orecchie pelose, morbide, arancioni e nere. Le toccò, incredula.

“Ora il tuo DNA è fuso con quello della Tigre di Sumatra. Hai anche la coda.” le fece presente Ryou.

Si girò di lato, incapace di distogliere lo sguardo dalla propria immagine riflessa. Era vero: una coda di tigre, arancione con striature nere e una spennellata di pelo bianco sulla punta.

“So che può essere un po' scioccante, all'inizio”, disse Retasu, alzandosi in piedi, “ma non devi avere paura. Non sarai da sola, ci saremo noi a guidarti.”

“Io... i-io non so davvero cosa dire.” mormorò Suika. “Non sto sognando. Sono davvero io?”

“Credici, è la verità.” disse Ryou, alzandosi in piedi a sua volta. “MewSuika.”

Suika si voltò verso di lui. “E adesso come faccio a tornare normale?!” chiese, in un tono di voce che tradiva la sua ansia.

“Basta che tu lo voglia.” rispose semplicemente Retasu.

La ragazza serrò gli occhi, desiderando con tutte le proprie forze che tutto svanisse. In un flash, tornò ad essere una normale studentessa quindicenne, con tanto di uniforme scolastica.

Tirò un sospirone di sollievo. Stringeva di nuovo in mano la spilla dorata.

“Portala sempre con te, e assicurati di non perderla. Ti serve per trasformarti.” la ammonì Ryou. “Bene, adesso dobbiamo tornare al Caffé. Coraggio, muoviti.” aggiunse, dirigendosi verso la porta.

“Cosa? Che Caffé?”

Retasu le posò una mano sulla spalla. “E' la nostra base segreta. Ci sono molte cose che devi sapere. Sarai a casa prima di cena, te lo prometto.”

Suika la guardò. Quella ragazza, così dolce e composta, le ispirava fiducia. Aveva detto di essere stata una Mew Mew, una volta.

Sapeva come si sentiva in quel momento? Aveva provato anche lei la stessa angoscia, mescolata all'esaltazione della trasformazione?

Ma soprattutto, cosa si aspettavano che facesse? Qual era il suo compito, e per quanto avrebbe dovuto svolgerlo?

Suika uscì da casa con la testa piena di domande. Si augurava che, una volta tornata, avrebbe ottenuto almeno qualche risposta.
 







Salve! Scusate il ritardo, mi rendo conto che è passato quasi un mese dall'ultimo aggiornamento. :( Purtroppo l'università è agli sgoccioli e l'ultima sessione di esami si avvicina a grandi passi. xD
Ma bando alle ciance: ecco a voi la prima delle nuove Mew Mew! ;) Inutile dire che mi farebbe molto piacere ricevere un vostro parere sincero. Lo so, la storia è un po' lenta, ma voglio davvero assicurarmi di non lasciare indietro nessuno e soprattutto di raccontare tutto ciò che mi sono prefissata (che è parecchia roba, sfortunatamente). Spero che non vi farete scoraggiare e che continuerete a leggere. :3
Un bacio. ;)   


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Capitolo 6
*** Ichigo ***


6. Ichigo
6. Ichigo




In un grazioso appartamento alla periferia di Londra, un telefono squillava insistentemente.


L'appartamento pareva deserto. D'un tratto, la porta d'ingresso si spalancò e una ragazza dai lunghi capelli rossi si precipitò a rispondere, senza neanche togliersi il soprabito color caramello che indossava.

Fuori pioveva. La ragazza diede un'occhiata distratta al numero che era comparso sul cordless: il prefisso era quello di Tokyo.

“Pronto, mamma? Hai cambiato numero?” rispose, aspettandosi di sentire la voce della madre all'altro capo del telefono.

“Parlo con Ichigo Momomiya?” fece una voce femminile. Le sembrava familiare, ma non riusciva a ricordare a chi appartenesse.

“Uh! Sì, sono io. Chi parla?” chiese, incuriosita.

“Sono Zakuro.” fu la semplice risposta.

Ichigo sgranò gli occhi, sorpresa. “Zakuro? Fujiwara?”

Zakuro ridacchiò. “Ne conosci altre?”

“Ma come..? Come mai sei in Giappone?” balbettò Ichigo.

“Sono successe un po' di cose.” rispose Zakuro, vaga. “Stai bene, Ichigo? Mi sembri un po' giù.”

La ragazza scosse la testa, imbarazzata. “No, no, sto benissimo! E' solo che mi hai colta di sorpresa, non ci sentiamo più da anni...”

Tra le due calò un silenzio colpevole. “Come vanno le cose con Aoyama?” chiese infine Zakuro.

Ichigo sorrise. Le si illuminarono gli occhi. “A gonfie vele, come sempre. Studiamo entrambi all'Università e viviamo insieme. E' tutto ciò che ho sempre sognato.” confessò, felice.

“Mi fa piacere.” commentò Zakuro. “Senti, ti ho chiamata per dirti che, a quanto pare, siamo di nuovo in guerra.”

Ichigo tornò seria. “In guerra?” Un paio di occhi freddi e duri come il ghiaccio le si materializzarono di fronte, facendola rabbrividire.

Si sedette sul divano. “Vuoi dire... Che sono tornati?” mormorò.

“Per ora non lo sappiamo, ma quel che è certo è che qualcuno sta creando nuovi Chimeri. Ryou ha reclutato una nuova squadra Mew Mew per contrastarli.”

A quelle parole, Ichigo si sentì incredibilmente sollevata. Per un attimo aveva creduto di dover combattere nuovamente.

“Capisco.” disse, portandosi una mano alla fronte. Le girava la testa.

“Ti ho anche chiamata per dirti che, se volessi venire a trovarci, ci faresti molto piacere. Retasu è già qui, Minto dovrebbe arrivare domani e Purin ha detto che forse riesce a tornare entro la prossima settimana. Sarebbe una piccola riunione tra vecchi amici. Abbiamo anche riaperto il Caffé.”

Ichigo rimase in silenzio per qualche momento. Tutte quelle informazioni l'avevano confusa e disorientata. “Ti farò sapere.” disse infine con voce flebile.

“D'accordo. Stammi bene.”

“Sì, anche voi.”

Ichigo rimase seduta sul divano, con il telefono in mano, a fissare un punto imprecisato del pavimento.

Nuovi Chimeri e una nuova squadra Mew Mew. Shirogane si era dato da fare.

Si sforzò di non ripensare a quei momenti. Cacciò dalla mente l'immagine sinistra di Deep Blue. Non voleva pensarci; non doveva pensarci. Ormai era tutto passato. Era in Inghilterra, a Londra, insieme a Masaya, il suo adorato Masaya.

Tutto il resto non contava.



***


Ryou camminava verso il Caffé, pensieroso. Retasu e Suika lo seguivano, poco distanti. Il mutismo della ragazzina si era ben presto trasformato in una sciolta parlantina, e la sua iniziale diffidenza era mutata in ardente curiosità e desiderio di conoscenza.

Retasu le aveva raccontato un bel po' di cose riguardo la sua avventura da Mew Mew.

Non sapeva come avrebbe fatto senza di lei. Interagire con altre persone era una cosa che gli era sempre risultata difficile. Gli tornò in mente come aveva reclutato Ichigo, la prima volta che si erano incontrati.

Sei più pesante di quanto pensassi, le aveva detto.

Sorrise, nostalgico. Quelli erano altri tempi. Allora era tutto nuovo, tutto fresco.

Improvvisamente, a qualche centinaio di metri dal Caffé, il radar che teneva in tasca iniziò a suonare.

Si arrestò, vigile. Stavano camminando lungo un sentiero lastricato che tagliava per il parco, subito dietro al Caffé.

Improvvisamente, li abbagliò una strana luce, proveniente dalla boscaglia di fianco al sentiero.

Le due ragazze si lasciarono sfuggire un'esclamazione.

“Guai in vista. Ti conviene trasformarti.” disse Ryou rivolto a Suika. La ragazza annuì, cercando di restare calma.

Il ragazzo si avvicinò a Retasu, prendendola per mano. “Stammi vicino.” le intimò, mentre il suo sguardo saettava da destra a sinistra, cercando di prevedere l'attacco del Chimero che si celava tra gli alberi.

In un attimo, Suika si trasformò, spingendo il nemico ad attaccare.

Ciò che le si parò di fronte le fece tremare le gambe. Era alto più di quattro metri; sembrava un lupo gigante, completamente nero tranne che per gli occhi gialli e per le lunghe zanne bianche. Dalla bocca spalancata dell'animale colava a profusione della bava biancastra.

La ragazza fece appena in tempo a rendersi conto di ciò che stava guardando che il mostro la attaccò, tentando di dilaniarla con gli artigli affilati. Senza bene sapere come, riuscì a schivare la zampata, rotolando verso destra.

Non aveva tempo per stupirsi delle sue nuove capacità: il Chimero le si lanciò addosso, furente.

L'unico modo per schivarlo era saltare. Suika lo capì e in un attimo spiccò un balzo che la portò ad una decina di metri dal suolo.

Devo riuscire ad attaccarlo!, si disse mentre ricadeva a terra, atterrando a quattro zampe.

Chiuse gli occhi, evocando la propria arma, come le aveva detto di fare Retasu poco prima.

Tra le mani le comparve dal nulla uno scettro bianco e rosso, la cui sommità terminava con una stella a cinque punte di un giallo brillante, montata su un paio di ali rosa chiaro. Altre parole le affiorarono alla mente, mentre osservava, stupita, la sua nuova e scintillante arma.

Il Chimero le tirò un'altra zampata, e questa volta non riuscì a schivarla del tutto: il colpo ricevuto la fece volare contro un albero. Sbatté violentemente la schiena e la testa, ma riuscì a non farsi sfuggire di mano lo scettro.

Un dolore acuto le percorse la spina dorsale, facendo montare in lei una violenta rabbia, che non ricordava di aver mai provato prima. Era come se il fuoco che sentiva dentro fosse avvampato all'improvviso.

Si rialzò in piedi, appoggiandosi all'albero contro cui era andata a sbattere.

Il mostro le si scagliò nuovamente contro, spalancando le fauci.

Balzò via appena in tempo: il Chimero addentò l'albero, sradicandolo e gettandolo lontano, furioso.

Avrei potuto essere io, pensò lei, mentre la rabbia si trasformava in odio.

“Adesso basta!” gridò rivolta al bestione. Strinse la sua arma con entrambe le mani.

“RIBBON... STAR LIGHT!” urlò con tutte le forze, mentre con rapidi e precisi movimenti disegnava una grande stella luminosa di fronte a sé.

Un potente fascio di luce investì il Chimero, che in un attimo si dissolse.

Al suo posto, Suika vide un grosso cane dal pelo lungo e nero, che guaì penosamente, le orecchie schiacciate sulla testa.

La rabbia che aveva provato svanì, lasciando il posto ad un'immensa tristezza. Dolorante, si avvicinò lentamente al cane e lo accarezzò piano, come per scusarsi.

“Non preoccuparti, non gli hai fatto male.” disse Ryou, spuntato da dietro l'albero dove si erano nascosti lui e Retasu. La ragazza pareva alquanto scossa. “Stai bene?” le chiese, preoccupata.

Suika annuì. Il cane, rassicurato dalle sue carezze, le leccò le mani, fiducioso.

“Ryou! Retasu!” esclamò Keiichirou, correndo verso di loro. “Tutto ok?” chiese mentre Masha, uscito dalla tasca della sua giacca, inghiottiva il parassita.

“Tutto ok.” rispose Ryou. “Siamo stati trattenuti.”

“Ho visto.” disse Keiichirou. “Tu devi essere Suika, non è così?” si informò poi.

Suika si alzò in piedi. “Sì, sono io.”

Keiichirou sorrise. “Felice di conoscerti. Io sono Keiichirou Akasaka.”

Il cane drizzò le orecchie. Qualcuno lo chiamava a gran voce, in lontananza. Scodinzolando, abbaiò, felice, per poi mettersi a correre in direzione del proprio padrone.

“Sarà meglio che ti trasformi. Non è il caso di farsi vedere dalla gente, a meno che non sia strettamente necessario.” disse Ryou.

Suika ubbidì. In un attimo, era tornata di nuovo normale.

“Hai preso una bella botta.” osservò Retasu. “Sei sicura di star bene?”

“Sono un po' indolenzita, ma credo che me la caverò.” rispose lei, sfregandosi il punto in cui aveva battuto la testa.

“Beh, torniamo al Caffé. Vi meritate tutti un po' di tè caldo e una fetta di torta.” concluse Keiichirou, recuperando Masha.

Suika seguì Keiichirou, Retasu e Ryou. Si stupì dell'apparente tranquillità con cui avevano accettato il fatto che un cane affettuoso e giocherellone si fosse trasformato in un mostro feroce capace di sradicare gli alberi con la sola forza delle mandibole.

Dal canto suo, non vedeva l'ora di tornare a casa, farsi una doccia e poi stendersi sul letto a riposare. Quella giornata era stata a dir poco surreale. Le mani le tremavano e aveva un gran mal di testa.



***


“Sono a casa!” esclamò Masaya quella sera, appoggiando la borsa in ingresso.

Ichigo corse a salutarlo, il volto illuminato da un dolce sorriso. “Ciao, amore.” disse gettandogli le braccia al collo.

Il ragazzo ricambiò l'abbraccio. “Ho fatto il pesce con le patatine fritte, stasera. Contento?” lo informò Ichigo, soddisfatta di se stessa.

Masaya corrugò la fronte. “Pensavo che avremmo ordinato thailandese.” osservò, stupito. Di solito Ichigo non era mai molto entusiasta di mettersi ai fornelli: ciò che ne derivava risultava non commestibile due volte su tre.

“Ho deciso di rompere la routine!” esclamò lei, gesticolando animatamente.

Masaya sorrise. “Per me va bene tutto, mi basta vederti felice.”

Ichigo arrossì. Si scambiarono un bacio.

“Vado ad apparecchiare la tavola.” disse lei. L'inquietudine che aveva provato poche ore prima stava scemando.

Una volta accomodatisi a tavola, Masaya prese a raccontarle dei progressi che avevano fatto quella mattina nello studio degli ecosistemi nelle zone umide e paludose dei bacini fluviali.

Ichigo lo ascoltò a tratti. Non riusciva a rilassarsi del tutto. L'invito di Zakuro a tornare a Tokyo e rivedere tutti quanti l'aveva scossa non poco.

Aveva dovuto ammettere a se stessa che il pensiero di tornare ad essere una Mew Mew l'aveva terrorizzata. Non credeva che sarebbe riuscita a ricominciare da capo: i combattimenti, le notti passate a dormire male, quel senso di oppressione che percepiva allo stomaco ogni volta che una nuova minaccia si profilava all'orizzonte.

Aveva dato la propria vita per salvare il pianeta. Per salvare colui che amava.

Aveva sacrificato tutto e non era disposta a ripetere l'esperienza.

Tuttavia, il pensiero di rivedere le sue vecchie amiche le riempiva il cuore di gioia. Chissà com'erano cambiate, dopo tutti quegli anni. Purin non era più una bambina; chissà quant'era cresciuta!

“Ichigo?” la chiamò Masaya, distogliendola dai propri pensieri.

“Uh?” fece lei, distratta.

“C'è qualcosa che non va?”

“No, io... Pensavo.”

Masaya le sorrise, scompigliandole i capelli. “E a cosa pensavi?”

Ichigo sospirò. “Oggi mi ha chiamata Zakuro.” disse, malinconica. Lui le strinse la mano, invitandola a parlare.

Gli raccontò tutto: quello che le aveva detto Zakuro, le sue emozioni e le sue reazioni al riguardo.

“Capisco.” commentò lui. “Pensi di andare?” le chiese tranquillamente.

Lei sospirò di nuovo. “Non lo so. Tu che ne dici? Mi mancano tanto, e mi piacerebbe rivederle. Però non sono sicura di voler rimanere invischiata di nuovo nel Progetto.”

“E se ci andassimo insieme?” propose lui. “Anche a me farebbe piacere tornare in Giappone per un po'.”

Ichigo sgranò gli occhi. “Ma come fai? E il progetto su cui stai lavorando da mesi?”

“Vedrò se riesco a convincere i miei superiori a darmi un po' di ferie.”

Le si inumidirono gli occhi. “Oh, amore.” Lo abbracciò. “Grazie.”



***


Si era fatto tardi. Tra poco sua madre sarebbe tornata a casa, e lei non aveva neanche avuto il tempo di cucinare qualcosa per cena... Né tantomeno di studiare. E l'indomani aveva un compito in classe di matematica.

Fantastico, pensò amareggiata mentre usciva dal Caffé. Retasu la salutò allegramente.

Suika ricambiò il saluto, sforzandosi di sorridere.

Si sentiva ancora parecchio ammaccata. Per di più, in poche ore la sua vita era stata completamente stravolta.

Sospirò. Le avevano detto un sacco di cose, e non poteva certo lamentarsi di non conoscere le risposte alla domande che le frullavano in testa da quel pomeriggio. Perlomeno sapeva quale fosse il suo scopo.

“Spero che tu ti renda conto della gravità della situazione in cui ci troviamo.” le fece Ryou, uscito a sua volta dalla porta principale.

Suika si voltò verso di lui. “Certo che me ne rendo conto.” brontolò, piccata. Quel ragazzo aveva un modo odiosissimo di parlarle, e in più continuava a darle ordini.

“Se non ci fossi stata tu, oggi, Retasu ed io saremmo morti.” continuò lui, serissimo. “Spero che tu capisca che il compito che ti è stato affidato è di cruciale importanza.”

Suika non sapeva che dire. La serietà di quelle rivelazioni l'aveva spiazzata.

Iniziava davvero a rendersi conto dell'enorme responsabilità che, volente o nolente, si era assunta. Infine annuì. “Me ne rendo conto, Shirogane.” ripeté, questa volta con più convinzione.

Ryou sembrava soddisfatto. “Bene. Ti aspetto domani pomeriggio, allora.”









Chi ha due pollici e aggiorna il giorno prima di un esame? Bob Kels... Volevo dire, io! xD
Ok, ok, sono fuori. Ma che ci volete fare, amo troppo questa storia, non riesco a trattenermi. :P
E sì, continuerò ad aggiornare, anche se so che probabilmente non avete gradito che Ichigo sia ancora insieme a Masaya e che non ve ne frega niente di Suika... Ma lasciate che faccia un appello: commentate, se potete! Se siete arrivate in fondo al capitolo, se sono riuscita a mantenere viva la vostra attenzione fino a qui, fatemelo sapere! Vi riempirò di benedizioni. Una benedizione non si rifiuta mai, no? :D
Ah, e un biscottino a chi ha riconosciuto la citazione di cui sopra. :3
    
 

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Capitolo 7
*** Companions ***


Companions
7. Companions




Quando Suika arrivò al Caffé, quel pomeriggio, capì subito che qualcosa bolliva in pentola. Non avevano ancora aperto il Caffé al pubblico, ma era comunque piuttosto affollato.

Appena entrata, sei paia di occhi la squadrarono, facendola sentire improvvisamente nervosa.

Retasu le sorrise, gentile come sempre.
“Ben arrivata.” la salutò Keiichirou, facendo del suo meglio per metterla a proprio agio.

“E così è lei la nuova leader delle Mew Mew?” chiese una ragazza minuta, dagli occhi nocciola e i capelli corvini raccolti in un elegante chignon.

La ragazza le andò incontro, porgendole una mano perfettamente curata. “Io sono Minto Aizawa, ex membro delle Mew Mew.” si presentò.

Suika le strinse la mano. “Piacere di conoscerti.”

Minto abbozzò un sorriso. “Allora, come ti senti? Sei pronta a difendere la Terra?” chiese, inquisitoria.

Suika deglutì. “Farò del mio meglio.” rispose, titubante. Ecco di nuovo la sensazione di oppressione allo stomaco, come se avesse appena inghiottito un macigno.

Keiichirou si schiarì la voce. “Suika, c'è qualcun altro che vorremmo presentarti.” disse mentre una ragazzina si faceva avanti, accompagnata da Ryou.

Suika pensò che doveva essere imparentata con il ragazzo, perché a prima vista sembravano identici: entrambi avevano i capelli biondo oro e due grandi occhi azzurro cielo.

“Questa è Sumomo Ishikawa, la tua prima compagna di squadra.” fece Ryou, diretto come il suo solito.

La ragazza ammiccò. “Ciao!” esclamò con voce squillante. Le corse incontro e la abbracciò, entusiasta.

Suika fu investita da una nuvola di profumo dolciastro. “Piacere di conoscerti!” continuò Sumomo. “Io ho i geni della Gru siberiana. Non è incredibile? Quasi non ci credevo, quando me l'hanno detto! Tu sei la Tigre di Sumatra, giusto?”

Suika annuì, stordita dall'incontrollabile entusiasmo manifestato dalla sua nuova compagna di squadra.

“Aah, devi essere carinissima, trasformata!” commentò Sumomo, prendendole le mani. “Ma anche io non sono male. Ho le ali! Ti rendi conto? E posso volare!”

Minto ridacchiò. “Vedo che hai preso bene la notizia, Sumomo.” disse, congiungendo le punte delle dita.

Sumomo le sorrise. “Certo che sì! Ho sempre saputo di essere speciale, e questa ne è la prova lampante!” esclamò, convinta.

Ryou scosse la testa, portandosi una mano alla fronte. “L'importante è che cerchiate di fare amicizia. Il lavoro di squadra è essenziale.”

“A questo proposito,” intervenne Keiichirou, porgendo loro una spilla dorata e un foglio, “questa è la terza ragazza che farà parte della vostra squadra. Abbiamo pensato che sarebbe stata un'esperienza costruttiva se foste andate voi due a reclutarla.”

Suika guardò la foto che Keiichirou le aveva dato: una ragazzina pallida, dai lunghi capelli neri e la fronte alta. A quanto sembrava, si chiamava Ichijiku Chen e abitava a qualche chilometro di distanza da lì.

“Ci mettiamo subito al lavoro! Giusto, Suika-oneesan?” disse Sumomo, prendendola per mano.

“... Certo.” rispose Suika, incapace di condividere l'entusiasmo della bionda.

“Ottimo. Se dovesse succedere qualcosa, le vostre spille fungono anche da comunicatori.” le congedò Keiichirou.   

Uscirono. Ryou sospirò. “Speriamo in bene.” commentò.

“Non mi sembrava che Suika-chan fosse molto convinta.” osservò Minto, posando sul tavolo una tazza di tè fumante. “Tra parentesi, Keiichirou, mi è mancato il tuo tè verde.” aggiunse, serafica.

“Dalle un po' di tempo. Sono sicura che presto si abituerà.” disse Retasu, fiduciosa.

“Sarà. Mi auguro che Sumomo-chan riesca a trasmetterle un po' di grinta.” replicò Minto.

“Non è che ti senti in sintonia con Sumomo perché è un volatile anche lei?” scherzò Retasu.

Minto rise. “Può essere. In questo caso, Retasu, la terza ragazza ad entrare in squadra dovrebbe essere la tua pupilla, no? Che geni ha, Ryou?”

Chelonia Mydas.” rispose il ragazzo.

“Ecco, una tartaruga marina. Più o meno ci siamo.”

Retasu abbassò lo sguardo. “Certo che sembrano proprio piccole. Eravamo così anche noi?” chiese, malinconica.

Zakuro annuì. “Sembra impossibile.”

“Purtroppo la mutazione è possibile solo in ragazze in un range d'età compreso tra i dieci e i diciotto anni, più o meno. Se così non fosse, non mi sognerei mai di mandare ragazze così giovani a combattere.” intervenne Ryou, un'ombra di rimorso nella voce.

Retasu si alzò in piedi di scatto. “Non devi giustificarti, Ryou. Credo di parlare per tutte quando dico che non ho rimpianti e che sono fiera di aver difeso il nostro pianeta.”

Minto alzò un sopracciglio, colpita dalla combattività che Retasu aveva appena dimostrato. Qualcosa le diceva che l'amica provava ancora del tenero per il ragazzo...

Ryou le lanciò un'occhiata sorpresa. “... Grazie, Retasu.”

La ragazza tornò a sedersi. Il cuore le batteva all'impazzata.

Non sapeva che cosa le fosse preso, tutto d'un tratto. Non era da lei esplodere in quel modo, ma non era riuscita a resistere. Non sopportava di vedere Ryou schiacciato dal rimorso.

Il giorno prima, quando l'aveva presa per mano e trascinata in mezzo agli arbusti, aveva creduto di svenire dall'emozione. Erano vicinissimi, tanto che Retasu era riuscita a cogliere il profumo della sua pelle, impregnatosi naturalmente nei suoi abiti... In quei momenti, il mondo non esisteva più. Si era accorta a malapena del Chimero e del combattimento che si era svolto a pochi metri da dove si trovavano.

Per lei, esisteva solo Ryou.



***


“... Quindi, quando ti hanno detto che eri una Mew Mew, li hai seguiti senza fare storie?” chiese Suika.

“Certo!” rispose semplicemente Sumomo. “Tu no?”

Suika fece una smorfia. “All'inizio pensavo che scherzassero, o che fossero matti. E poi, Shirogane non mi ispirava molta fiducia. Ha un modo di fare davvero odioso.”

“Hmm. In effetti è un po' scontroso.” assentì Sumomo. “Però è così carino... Anzi, è bellissimo!” aggiunse languidamente. “Cioè, lo so che è troppo grande per me, però... Accidenti, fossi nata qualche anno prima!” cinguettò.

Continuarono a camminare. “Dovremmo esserci, ormai. Se non sbaglio, è la prossima strada a destra.” disse Suika, controllando l'indirizzo che le aveva dato Keiichirou.

Sumomo rimase in silenzio per qualche momento. “Credi che lui e la ragazza con gli occhiali stiano insieme?” fece poi, tutto d'un fiato.

“Cosa? No... Boh... Non credo...” rispose Suika, aggiustandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro. Non sapeva perché, ma quel genere di discorsi la metteva sempre a disagio.

Sumomo sbuffò. “Tutti quelli carini sono o impegnati o troppo grandi! Non è giusto!”

Svoltarono in una strada secondaria. Suika controllò i numeri civici.

“Allora... Com'è combattere contro... Come si chiamano...”  

“I Chimeri?”

“Sì. Com'è?” chiese Sumomo. Aveva sensibilmente abbassato il tono di voce.

Suika aggrottò le sopracciglia. “Quello che ho affrontato io era molto forte. E piuttosto spaventoso.” Le tornò alla mente l'albero sradicato. “Ti confesso che, quando me lo sono trovato di fronte, per poco non cadevo per terra, da quanto mi tremavano le gambe.”

Sumomo sgranò gli occhi. L'entusiasmo di poco prima era rapidamente scemato. Suika se ne accorse, e le dispiacque. Certo, era un po' fastidiosa, con quella sua parlantina non-stop, ma non voleva spaventarla. In fondo, erano entrambe nella stessa barca, ed era lei la leader, o almeno così le avevano detto.

“Però, alla fine, basta che tu segua il tuo istinto. E poi, adesso che siamo in due, sarà un gioco da ragazzi sconfiggerli.” disse, sforzandosi di suonare il più sicura e convincente possibile.

Sumomo sorrise debolmente.

Si fermarono di fronte ad una graziosa villetta, circondata da alte siepi verde scuro.

Le due ragazze si scambiarono un'occhiata dubbiosa. “Cosa facciamo? Suoniamo?” chiese Sumomo.

Suika si strinse nelle spalle. “Credo che sia l'unica alternativa.” Suonò il campanello.

Dal citofono uscì una voce femminile. “Sì?”

“Salve, siamo Suika Nakano e Sumomo Ishikawa. Vorremmo parlare con Ichijiku, se è possibile. E' in casa?” disse Suika tutto d'un fiato.

“Oh, ma certo! Ve la mando subito! Siete delle compagne di scuola?” fece la voce femminile in tono amichevole.

“Ehm... Sì...” mentì Suika, colta alla sprovvista.

Il cancello in ferro battuto si aprì con un clunck, quasi sussultando sui propri cardini.

Sumomo entrò, di nuovo baldanzosa. “Mica male, come posto dove vivere.” osservò guardandosi intorno.

Improvvisamente, la porta di casa si aprì. Ne uscì una ragazzina dai lunghi capelli neri, trattenuti, sulla fronte, da un paio di forcine viola. Indossava un grazioso vestitino nero a maniche lunghe.

Si fermò, squadrandole per bene. “Voi non siete della mia scuola.” commentò infine con voce atona.

Suika arrossì, dandosi della stupida per essersi inventata una bugia così scontata. “Ehm... No, non lo siamo. Scusa.”

Sumomo le si avvicinò. “Ciao! Io sono Sumomo, e lei è Suika. Siamo le tue nuove compagne di squadra.”

Ichijiku non pareva particolarmente interessata alla faccenda. “Avete sbagliato persona, io non faccio sport.”

Sumomo scoppiò a ridere. “Ma no, non hai capito. Noi...” Suika le fece segno di tacere.

“Hai per caso notato una strana voglia, sul tuo corpo? Una specie di simbolo?” intervenne Suika.

Sumomo annuì. “Giusto! Tipo questo, guarda!” esclamò girandosi di spalle e scoprendo la nuca. “Si vede?” bisbigliò a Suika. La ragazza si sporse in avanti. Sulla nuca dell'amica, subito sotto l'attaccatura dei capelli, c'era una piccola voglia azzurra.

“Sì, si vede.” disse Suika. Sumomo sorrise, soddisfatta.

“Dovresti avere una voglia simile, da qualche parte sul corpo. Ecco, la mia è qui.” continuò Suika scoprendosi il polso destro.

Ichijiku la osservò in silenzio. “Che cosa sono?” chiese infine, socchiudendo gli occhi.

“E' una storia un po' lunga.” disse Suika, sospirando. “Dobbiamo parlarne con calma.”

“Sì, magari sedute da qualche parte...” aggiunse Sumomo, sbirciando oltre la porta socchiusa.

Ichijiku diede loro le spalle, entrò in casa e ne riemerse con un lungo cappotto nero. Si chiuse la porta alle spalle.

“Venite con me. Non voglio che i miei ci sentano.”



***


Il parco giochi  era deserto, quel pomeriggio. Un sole pallido, a stento visibile sotto la cappa di nuvole bianche, illuminava le tre ragazze che si dondolavano pigramente sulle altalene cigolanti.

Suika aveva appena finito di illustrare ad Ichijiku il Progetto in cui erano state coinvolte.

Sumomo l'aveva interrotta in parecchi punti, in genere per cercare di sdrammatizzare le rivelazioni.

Ichijiku abbassò la calza a strisce bianche e nere che indossava, fino a scoprire la caviglia sinistra, dove spiccava una voglia verde scuro. “Me ne sono accorta un paio di giorni fa.” spiegò semplicemente.

Suika annuì, pensierosa. “Allora, sei dei nostri?” chiese poi, guardandola dritta negli occhi.

Ichijiku si risistemò la calza. “Devo pensarci.” rispose.

Sumomo la guardò a bocca aperta. “Come sarebbe, devi pensarci? Siamo una squadra!” esclamò, una punta di indignazione nella voce.

Ichijiku si alzò in piedi. “Devo pensarci.” ripeté, rivolta a Sumomo.

Suika osservava il terreno, incerta sul da farsi. Da una parte capiva lo sconcerto di Ichijiku; dall'altra era consapevole del fatto che non si trattasse di una libera scelta.

Sumomo si alzò in piedi a sua volta. “Guarda che non è una scelta. Sei già una Mew Mew.” disse in tono brusco, dando voce ad una parte dei pensieri di Suika.

Ichijiku incrociò le braccia. “Mi sembrava che mi fosse stato chiesto se ero dei vostri o meno.”

Sumomo sbuffò. “Era una domanda retorica.”

“Non mi piace essere costretta a fare una cosa che non voglio fare.”

“Come sarebbe? Non vuoi salvare il mondo? Bella egoista...”

“... Non ho detto questo.”

“A me pare di sì!”

Improvvisamente, Suika avvertì un brivido lungo la schiena. Si guardò intorno, nervosa. Qualcosa le diceva che non erano più sole.

“Ragazze...” disse a bassa voce.

Le due non le diedero retta, troppo impegnate a litigare.

Suika mise la mano nella tasca della giacca, stringendo forte il proprio medaglione. Nel farlo, si ricordò di avere anche quello di Ichijiku.

Li tirò fuori entrambi, alzandosi lentamente in piedi.

“Sei tu quella antipatica! Io mi sono pure sforzata di essere gentile!”

“Come no! Sei solo un'esibizionista!”

“Ragazze!” si intromise Suika. “Stai attenta, credo di aver sentito qualcosa.” sussurrò a Sumomo, zittendola.

“Tieni, questo è tuo.” disse ad Ichijiku, mettendole in mano la spilla dorata. “Credimi, ti servirà.”

“Ma io...” cercò di protestare la ragazza, interrotta da un improvviso boato alle sue spalle.

Sumomo trattenne il fiato. “Un Chimero.” disse con un filo di voce.

Suika le posò una mano sulla spalla. “Dobbiamo trasformarci!” esclamò, decisa.

Sumomo annuì, cercando di calmare i battiti impazziti del proprio cuore.

Ichijiku, alla vista del mostro, era rimasta pietrificata. Si trattava di una specie di farfalla gigante. Gli occhi vuoti, da insetto, e la lunga proboscide erano sufficienti a terrorizzarla come niente era riuscito prima di allora.

“Mew Mew Suika...”

“Mew Mew Sumomo...”

“METAMORPHOSE!”

In un lampo di luce, le due ragazze si trasformarono.






Oggi ho ufficialmente finito gli esami, per cui festeggio pubblicando un nuovo capitolo! ;) D'ora in poi avrò molto più tempo libero a disposizione... Tremate, tremate! xD
Coomunquee, due nuovi personaggi sono stati introdotti: Sumomo ed Ichijiku, i cui nomi significano rispettivamente pesca e fico. xD La fiera dei nomi strambi... E aspettate di vedere i nomi dei nuovi nemici. :P
Qui sotto abbiamo un esemplare di MewSuika, per chi fosse interessato.
Grazie di aver letto. ;)

http://imageshack.us/a/img18/9134/img461q.jpg (Copiaincollate, dovrebbe funzionare... -.-)

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Capitolo 8
*** Responsibility ***


Cap. 8
8. Responsibility




Sumomo si guardò le braccia, ora fasciate da guanti blu scuro che le arrivavano ai gomiti, e sorrise.


La paura era scomparsa, lasciando posto ad una grande euforia.

Suika le lanciò un'occhiata preoccupata. “Dobbiamo assolutamente impedire che faccia del male ad Ichijiku. Sumomo, hai detto di poter volare?”

Il Chimero emise un urlo acuto, che le fece sobbalzare.

Sumomo sbatté le ali bianche che le erano comparse sulla schiena. In un attimo, senza nessuna difficoltà, si trovò sospesa a qualche metro da terra. “Sì, posso volare!” esclamò gioiosamente.

Il Chimero prese a sua volta ad agitare le ali colorate, alzando un grande polverone.

“Ah, è così?” disse Sumomo in tono di sfida. “Beh, prendimi se ci riesci!” gridò, spiccando il volo ancora più in alto.

Il mostro non se lo fece ripetere due volte e si lanciò all'inseguimento. Approfittando della distrazione messa in atto dalla compagna, Suika si avvicinò ad Ichijiku, che era rimasta come pietrificata all'apparizione della creatura.

“E'... tutto vero...” balbettò la ragazza, pallida come un fantasma.

Suika le posò entrambe le mani sulle spalle. “Devi trasformarti! Oppure devi scappare, è pericoloso!” la incitò subito prima che il Chimero-farfalla scendesse in picchiata su di loro.

Le ragazze si abbassarono appena in tempo.

“Brutto mostro! Come osi cercare di fare del male a Suika-oneechan? Te la faccio vedere io!” esclamò Sumomo evocando la propria arma, che si rivelò avere la forma di un boomerang.

“RIBBON AIR BLAST!” scandì la Mew Mew, scagliando la propria arma in direzione del Chimero. Dal boomerang si sprigionarono una decina di schegge di luce azzurrina. Il mostro, colpito, si dimenò convulsamente, crollando a terra a pochi metri da Suika e Ichijiku.

“Ha! Uno a zero per me!” esultò Sumomo, volteggiando graziosamente su se stessa. “E' stato piuttosto facile!”

“Bene, ora tocca a me!” mormorò Suika, impugnando il proprio scettro.

In quel momento, la creatura parve riprendersi all'improvviso. Spiegando le grandi ali per tutto il loro volume, spiccò nuovamente il volo.

“Che cosa..?” fece Sumomo, interdetta. Il Chimero le passò accanto, apparentemente ignorandola.

“Dove credi di andare? Non mi sfuggirai!” esclamò la ragazza inseguendolo.

Suika osservava la scena da terra, indecisa sul da farsi. Si girò verso Ichijiku. “Ti prego, è pericoloso! Se non vuoi aiutarci, almeno vattene via!” le gridò, cercando di riscuoterla dallo stato di apatia in cui era caduta.

Sentì un tonfo alle proprie spalle. Voltatasi di scatto, vide che Sumomo era caduta a terra.

Si precipitò dall'amica, il respiro serrato da un'improvviso terrore. “Sumomo, che cos'hai?! Sumomo!” la chiamò, chinandosi su di lei.
La ragazza si teneva la gola, in preda ad una dolorosa tosse.

“Oddio, che ti è successo? Che cosa ti ha fatto?” balbettò, scostandole i capelli azzurro cielo dalla fronte.

Ritirò le mani, spaventata. Una strana polverina dorata le si era depositata sulle dita.  

Sgranò gli occhi. La polvere doveva essere velenosa. E Sumomo ne era ricoperta.

“Non... non preoccuparti, io... Ci penso io! Ti prego, resisti!” la supplicò.

Cercando di non farsi prendere dal panico, si alzò in piedi, puntando verso il Chimero la propria arma.

Prese la rincorsa e saltò più in alto che poteva.

“RIBBON... STAR LIGHT!” urlò attaccando con tutte le sue forze.

Purtroppo, il mostro si spostò all'ultimo momento, riuscendo a neutralizzare quasi completamente l'attacco della Mew Mew.

Suika imprecò sottovoce, atterrando a quattro zampe.

Prese un paio di respiri profondi. La gola le bruciava.

Il Chimero continuava a svolazzare parecchi metri sopra di lei, quasi a volerla burlare.

Prese di nuovo la rincorsa, cercando di avvicinarsi di più al proprio obiettivo, e attaccò di nuovo.

L'aveva colpito. Questa volta ce l'aveva fatta, ma il mostro resisteva tenacemente.

Realizzò che si trattava di un Chimero molto più forte di quello che aveva affrontato la volta precedente.

Tossì, sentendo in bocca uno sgradevole sapore di ferro.

Le sembrava di avere migliaia di spilli conficcati nei polmoni. Non aveva mai provato un dolore simile.

Dolorante, posò il proprio sguardo su Sumomo. La ragazza era immobile, pareva non respirare più.

Una fitta improvvisa le percorse il petto, facendola ripiegare su se stessa.

Ichijiku le si avvicinò, tremante. La vide con la coda dell'occhio, mentre i colpi di tosse si facevano più forti e il respiro più corto.

Avrebbe voluto dirle tante cose. Scusarsi, per non essere riuscita a proteggerla.

Intimarle nuovamente di fuggire, prima che fosse troppo tardi.

Insultarla per non aver voluto accettare il proprio compito e per non averle aiutate.

Non disse nulla. Non riusciva a parlare. La fissò per qualche istante, prima che la vista le si appannasse del tutto.



***


Quando Ichijiku vide Suika perdere i sensi, non poté trattenere un singhiozzo.

Si toccò la guancia. Era bagnata.

Stava piangendo. Non ricordava l'ultima volta che aveva pianto.

E quelle ragazze... Erano morte? Non riusciva a concepire un'eventualità simile.

Il mostro la stava osservando con i suoi occhi da insetto, grandi, neri e vuoti.

Fece un passo indietro. Sarebbe morta anche lei? Non voleva morire.

Si guardò intorno. Non c'era anima viva.

Qualcosa attirò la sua attenzione, nell'erba gelata.

Il medaglione. Il suo medaglione.

Senza pensare, si tuffò a prenderlo, mentre il mostro scendeva in picchiata verso di lei. Un gesto fulmineo, semplice e istintivo.

Troppo tardi. Sarebbe morta, lo sapeva...

“MEW MEW ICHIJIKU, METAMORPHOSE!”

… Cos'era successo?

Si toccò di nuovo la guancia. La sua pelle... la sua pelle era diversa.

Il Chimero sembrava improvvisamente confuso, come se fosse stato accecato.

Era strano. Di colpo, qualcosa, nel profondo del suo essere, le diceva che non era tutto perduto.

Qualcosa le diceva che poteva farcela. Che avrebbe potuto salvare se stessa e le sue compagne di squadra.

Lanciò un'occhiata torva in direzione del mostro. Improvvisamente, tutto le sembrava così facile.

“RIBBON... WATER SHIELD!” esclamò, stringendo forte il piccolo scudo verde che le era comparso tra le mani come per magia.

Un verde muro d'acqua le si formò di fronte, abbattendosi subito dopo sul Chimero con la furia del mare in tempesta.

Il mostro emise un ultimo, terribile grido prima di dissolversi nel nulla.



***


Quando Suika riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il sorriso sollevato di Keiichirou.

“Meno male, ti sei svegliata.” le disse, passandole una mano sulla fronte bagnata.

“Che è successo?” chiese lei a fatica, cercando di alzarsi a sedere.

Keiichirou le posò le mani sulle spalle. “Cerca di stare sdraiata ancora un po'.”

Suika si portò istintivamente le mani alle orecchie. Era ancora trasformata, nonostante tutto.

“Sumomo sta bene? E Ichijiku?” chiese poi, guardandosi attorno. Con la coda dell'occhio, vide l'amica distesa a pochi metri di distanza. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma respirava normalmente. Ryou e Retasu le erano inginocchiati accanto.

Tirò un sospiro di sollievo. Riuscire a respirare a pieni polmoni non le era mai parso così bello.

“Siete stati voi ad eliminare il Chimero?” chiese massaggiandosi il collo.

Keiichirou scosse la testa. “MewIchijiku. Se n'è andata appena ci ha visti arrivare.”

“Oh.” fece lei, gettando un altro sguardo verso Sumomo. “Mi dispiace, Akasaka-san.” sussurrò poi, avvertendo un doloroso groppo alla gola.

Lui corrugò la fronte, confuso.

“Non... non sono stata capace di affrontarlo. Ho messo a rischio la mia vita e la loro. E' stato un disastro...” disse mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

Keiichirou le prese la mano. “Non devi sentirti in colpa. Il vostro è un compito difficile. E, soprattutto, è un lavoro di squadra.”

“M-ma... Io sono la leader...” protestò debolmente lei.

“Essere un leader non vuol dire dover fare tutto da soli. Anzi, vuol dire collaborare con tutti gli elementi del gruppo, favorire l'interazione reciproca per raggiungere un risultato ottimale. E anche imparare dai propri errori, Suika.” disse Keiichirou sorridendole.

Lei abbassò lo sguardo, imbarazzata. Si asciugò gli occhi con il dorso della mano.

“Ah! Shirogane-san!” udì esclamare Sumomo.

“Per fortuna stai bene!” fece Retasu.

“Che è successo?” borbottò Sumomo.

Suika si alzò in piedi, aiutata da Keiichirou. “Grazie.” gli sussurrò subito prima di correre ad abbracciare l'amica.



***


Il giorno dopo, un sabato, Suika e Sumomo arrivarono di buon mattino al Caffé, pronte ad iniziare la loro prima giornata di lavoro.

Il Caffé non era ancora aperto. L'atmosfera che si respirava all'interno era molto rilassante; rumori attutiti provenivano dalla cucina e c'era un dolce profumo nell'aria.

Sumomo cercò di trattenere uno sbadiglio. “Per fortuna tra poco ci sono le vacanze di Natale...” disse, più a se stessa che a Suika.

“... Durante le quali saremo aperti.” fece Ryou, uscito dalla cucina con un paio di scatole in mano.

“Oh!” commentò Sumomo, arrossendo un po'. “Beh, non vediamo l'ora di metterci all'opera, Shirogane-san!”

Ryou abbozzò un sorriso. “Mi fa piacere sentirlo. Ora, queste sono le vostre divise.” disse porgendo loro una scatola a testa. “Il camerino è da quella parte, prima porta a sinistra.” aggiunse indicando il corridoio vicino alle scale.  

Le ragazze ubbidirono in silenzio. Il camerino era piuttosto ampio e ben illuminato. Una fila di armadietti in metallo correva lungo il muro di fronte all'entrata. Parevano tanti soldatini di stagno, schierati uno di fianco all'altro.

Suika si sedette su una delle tante panchine di legno, sospirando.

“Che c'è? Sei silenziosa, stamattina.” le chiese Sumomo mentre, impaziente, tirava fuori dalla scatola il vestitino da cameriera. “Kawaii!” trillò subito dopo, ammirando la gonnellina azzurro polvere a balze e il grembiulino bianco.

“E' solo... Beh, stavo pensando a ieri.” ammise lei, fissando il pavimento. “... Pensi che Ichijiku si unirà a noi?” chiese dopo un attimo di silenzio.

“Se non lo fa, è un'egoista.” liquidò la domanda Sumomo.

“Ci ha salvato la vita, ieri.” le ricordò Suika, corrugando la fronte a mo' di rimprovero.

“Se si fosse decisa a trasformarsi prima e a collaborare, non ce ne sarebbe stato bisogno.”

Suika non rispose. In cuor suo, non se la sentiva di condannare Ichijiku per come si era comportata. Nonostante questo, si rendeva perfettamente conto della gravità della situazione in cui erano. Temeva che non sarebbero riuscite a resistere al prossimo attacco.

“Onee-chan, non ti cambi?” le fece Sumomo, osservandola con fare interrogativo.

“Sì, adesso mi cambio. Ero persa nei miei pensieri, scusa.” rispose Suika, aprendo a sua volta la scatola che le aveva dato Ryou.

Sumomo le sorrise. “So a cosa stai pensando. Ma vedrai, andrà meglio la prossima volta.”

“Come fai ad esserne sicura?”

La ragazza si strinse nelle spalle. “Me lo sento. E poi, non hai voglia di prenderti una bella rivincita?” le fece assumendo un'aria battagliera.

Suika fece un mezzo sorriso. Una cosa era certa: si stava affezionando a Sumomo, e le sembrava che l'affetto fosse ricambiato.

Annuì, alzandosi in piedi.

“Allora, vediamo questa divisa!” esclamò, cercando di alleggerire l'atmosfera che si era creata.

Prese in mano il vestitino, di uno squillante rosso scarlatto.

“Wow.” mormorò Sumomo.

“Wow?” chiese Suika, alzando un sopracciglio.

“Beh, è un po'... Appariscente, ecco. Un po'... come dire... roar.” disse Sumomo, mimando una zampata di tigre.

Le due ragazze si fissarono per qualche istante, cercando di rimanere serie.

Sumomo fu la prima a scoppiare in una fragorosa risata.



***


Ryou bussò alla porta del camerino, infastidito dagli schiamazzi delle due ragazzine. “Che state combinando, là dentro?”

“Niente, niente!”

“Arriviamo subito!”

Il ragazzo scosse la testa, esasperato. Dal canto suo, non capiva cosa ci fosse da ridere. Il giorno prima aveva rischiato l'infarto, trovando le Mew Mew prive di sensi e gravemente avvelenate. Non osava immaginare cosa sarebbe potuto accadere, se non avesse avuto sottomano l'antidoto.

Il suo stomaco si contrasse. Non aveva mangiato nulla, quella mattina. Inoltre, aveva fatto le ore piccole anche quella notte, cercando invano sui radar anche solo l'ombra di una presenza extraterrestre. Temeva che la tecnologia a loro disposizione fosse ormai troppo datata; forse gli alieni avevano sviluppato un qualche sistema di occultamento in grado di neutralizzare i loro sensori...

La porta del camerino si aprì, distogliendolo dai suoi cupi pensieri.

Le due ragazze, con le divise da cameriera addosso, gli sorrisero, colpevoli. “Scusaci, Shirogane-san.” disse Suika, abbassando lo sguardo.

Ryou rimase a fissarle in silenzio. Avrebbe voluto rimproverarle, ricordare loro l'importanza della loro missione, ma non riuscì a farlo. Qualcosa lo bloccava.

“... Keiichirou vi spiegherà i vostri compiti.” disse soltanto, prima di dirigersi di nuovo nel seminterrato.

Suika e Sumomo lo osservarono senza dire nulla, colpite dalla freddezza che il ragazzo aveva appena dimostrato.

“Mi sa che l'abbiamo fatto arrabbiare...” sussurrò Sumomo, mortificata.

“Non preoccupatevi, ragazze.” intervenne Keiichirou, uscendo dalla cucina. “E' un po' nervoso, stanotte non ha dormito molto bene. Gli passerà.”

Lo scampanellio della porta attirò la loro attenzione. “Mi dispiace, siamo ancora chiusi...” esordì Keiichirou, ma si arrestò quando vide Ichijiku.

“... Ciao.” fece lei, ferma sull'uscio.

“Buongiorno.” la salutò cortesemente Keiichirou.

“Ichijiku-chan!” si fece sfuggire Suika, andandole incontro. “Che ci fai qui?” le chiese, sorridendole nervosamente.

“Ecco... Questo coso mi ha svegliata, stamattina, e non mi lasciava in pace, perciò ho deciso di seguirlo fin qui.” rispose le ragazza, indicando il robottino rosa che svolazzava a pochi centimetri dalla sua testa.

“Ah, ecco dove ti eri cacciato, Masha!” esclamò Keiichirou.

“Ichijiku è nostra amica! E' nostra amica!” cinguettò soddisfatto Masha.

Sumomo si avvicinò a Suika, fissando torva Ichijiku.

“Io... ci ho riflettuto, e ho deciso che voglio essere dei vostri.” ammise quest'ultima, distogliendo lo sguardo. “Se mi volete.”

“Questo è un grande se.” borbottò Sumomo.

“Sumomo!” la rimproverò Suika. “Certo che ti vogliamo.” disse calorosamente alla ragazza, prendendole la mano. “E grazie per averci salvate.” Gettò uno sguardo obliquo in direzione di Sumomo. “Giusto?”

La ragazza fece una smorfia di disappunto. “Grazie, sì. Però potevi anche svegliarti prima, eh. Magari evitavamo tutto quel casino.”

Ichijiku parve colpita da quelle parole. “Lo so. Mi dispiace.” disse tristemente. “Avevo paura.” ammise.

Le tre ragazze rimasero in silenzio, a disagio.

“... Oh, insomma, vuoi chiudere quella porta? Stai facendo entrare tutto il freddo!” esclamò improvvisamente Sumomo.

Ichijiku parve volerle rispondere per le rime, ma non disse nulla. Diede una spallata alla porta, che si chiuse dietro di lei.

Keiichirou sorrise. “Benvenuta al Caffé Mew Mew.”      

 






Eccomi qui, con un nuovo capitolo! :) Ragazze, ho un favore da chiedervi. Mi è stato fatto notare che il personaggio di Suika appare troppo simile ad Ichigo (nella personalità, suppongo) e un po' troppo "eroina stereotipata". Siccome non voglio in nessun caso creare una Mary Sue, chiedo la vostra opinione e il vostro aiuto. Come vi sembra Suika? Credete ci siano parti troppo "da cliché" nel suo comportamento? Il feedback sarebbe davvero apprezzato. ^^ Intanto vi lascio un disegno di Sumomo trasformata. Fatemi sapere se si vede. :P Grazie per aver letto!



http://imageshack.us/photo/my-images/19/2fs4.jpg/

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Capitolo 9
*** Optimism ***


9. Optimism 9. Optimism    





Minto osservava il paesaggio cittadino scorrere sotto i suoi occhi, mentre Zakuro, alla sua sinistra, guidava con sicurezza in direzione dell'aeroporto.

Le lanciò un'occhiata fugace: la modella aveva indossato una parrucca bionda e un paio di costosi occhiali da sole, per evitare di farsi riconoscere dalla gente, cosa che avrebbe provocato non pochi inconvenienti.

Minto sorrise tra sé e sé. Non rimpiangeva per nulla di essere tornata a Tokyo. Certo, all'inizio era stato un po' strano rivedere tutti, specialmente dopo anni che non si sentivano, ma l'imbarazzo era passato presto.

Era stato bello tornare a vivere nella propria casa. A Parigi aveva sempre vissuto in albergo e, anche se la suite dove alloggiava era rigorosamente a cinque stelle, non avrebbe mai potuto sostituire la casa dove era nata e cresciuta.

Ma la cosa più bella era l'ospitalità che aveva potuto offrire a Zakuro. Convivere con il suo idolo era una cosa che sognava da anni.

Appoggiò la testa allo schienale del sedile, raddrizzando la postura, come le avevano insegnato a fare fin da piccola.  

Si augurava che sarebbe rimasta, almeno per un po'.

Aveva detto di non avere impegni, per il momento, ma Minto sapeva che la sua carriera era molto importante e veniva prima di tutto.

Si illudeva, pensando a quella riunione tra amici come ad una specie di nostalgica vacanza, ma in realtà sapeva che sotto c'era qualcosa di più profondo.

Corrugò la fronte. Non poteva mentire a se stessa: quella situazione la metteva a disagio. Non era sensibile quanto Retasu riguardo all'argomento Ryou Shirogane, ma persino lei si era accorta dei suoi modi di fare nervosi, del suo sguardo preoccupato.

E se Ryou era preoccupato, nessuna di loro si sarebbe mai potuta sentire tranquilla.

E poi, c'erano loro.

Era così... strano. Come guardare il proprio riflesso in uno specchio deformato. Erano così simili a loro, eppure così diverse.

Chiuse gli occhi, cercando di ricordare com'era, essere così.

La splendida sensazione di completezza che la permeava ogni volta che si trasformava, quella libertà assoluta, quella chiarezza di spirito.

Per un attimo le parve di sentire in mano il proprio arco azzurro.

Un po' le mancava, essere una Mew Mew. Riaprì gli occhi, un'espressione malinconica dipinta sul volto.

Entrarono nello sterminato parcheggio dell'aeroporto internazionale di Narita.

“Non vedo l'ora di rivedere Purin.” disse Retasu, sporgendosi dal sedile posteriore.

Minto la guardò dallo specchietto retrovisore. “Già, chissà com'è cresciuta.” assentì calorosamente.

Zakuro parcheggiò l'auto con un unico, fluido movimento.

Scesero. La frizzante aria invernale le fece stringere nei propri cappotti. Retasu infilò le mani in tasca, al sicuro dal freddo pungente.

“Tra poco è Natale. Sarebbe bello passarlo tutti assieme, come un tempo.” continuò la ragazza mentre si incamminavano verso l'ingresso dell'affollato aeroporto.

“Sarebbe una bella idea.” convenne Zakuro, aggiustandosi gli occhiali da sole sul naso.

Minto si illuminò. “Potremmo passarlo a casa mia! Lo spazio non manca.” propose cercando istintivamente l'approvazione di Zakuro con lo sguardo.

Lei le sorrise in silenzio.

Entrate in aeroporto, si addossarono ad una parete, tentando di evitare il caos per quanto potevano e, allo stesso tempo, di aguzzare la vista in cerca di una ragazza bionda con valigia al seguito.

Per quanto cercasse di immaginare l'aspetto dell'amica, Minto non aveva davvero idea di come fosse diventata. Nella sua mente, Purin era sempre rimasta quella bambina vivace e allegra che sembrava non esaurire mai la sua carica di energia e ottimismo.

Dopo parecchi minuti, si era già stancata della folla di persone che andavano e venivano, trascinando con sé valigie rumorose e ingombranti.

Avrebbe tanto voluto sedersi da qualche parte. Si appoggiò stancamente al muro, incrociando le braccia dietro la schiena.

“Ah!” udì esclamare Retasu. “Forse l'ho vista!”

“Dove?” le chiese facendo scorrere lo sguardo sulla gente di fronte a loro.

Improvvisamente, dalla calca di fronte a loro emerse una ragazza esile, dai lunghi capelli biondo grano raccolti in due trecce sottili. Le fissò per qualche istante, una curiosa espressione dipinta sul volto.

Minto si staccò dal muro, sgranando gli occhi.

La ragazza di fronte a loro sorrise. Senza dire nulla, corse loro incontro.

“Purin-chan!” la chiamò Retasu. Purin la abbracciò, soffocando un gridolino di felicità.

“Che bello rivedervi, ragazze!” esclamò, sciogliendo l'abbraccio per poi gettarsi al collo di Minto.

“Come sei cresciuta!” balbettò lei, come sempre restia all'eccessivo contatto fisico.

“Anche voi siete molto cambiate!” commentò Purin, sprizzando gioia da tutti i pori. “Ehi, adesso sono persino più alta di te!” aggiunse in tono scherzoso.

“... Già.” sibilò Minto, sforzandosi di non suonare troppo acida.

“Oh, non te la prenderai mica!” la canzonò Purin, rivolgendo la sua attenzione a Zakuro.

“Zakuro?” chiese perplessa, adocchiando la parrucca che indossava.

La modella si sfilò gli occhiali da sole, sorridendo enigmatica. “Sì, sono io.”

Purin le lanciò un'occhiata complice. “E' bello essere di nuovo qui.” ammise poi, guardandosi attorno con curiosità.

“Vogliamo andare?” propose Minto, desiderosa di allontanarsi al più presto da quell'ambiente così caotico.

Le quattro ragazze si incamminarono verso l'uscita, chiacchierando animatamente.

“Mio padre non ha fatto storie, ma anche se le avesse fatte sarei venuta lo stesso. Può cavarsela anche senza di me.” spiegò Purin con una nota di soddisfazione nella voce.

Retasu sorrise. Sapeva quanto l'amica avesse lottato, in quegli ultimi anni, per sottrarsi alla potestà paterna. Era felice di sapere che alla fine Purin era riuscita a far valere le proprie ragioni.

Sentì il cellulare vibrare in tasca. Si fermò a rispondere: era il numero di Keiichirou.

“Pronto?” chiese tappandosi l'orecchia nel tentativo di isolarsi dai rumori dell'aeroporto.

“Retasu, mi senti?”

“Sì, ti sento. Che succede?”

“Non ne siamo sicuri, ma crediamo di essere riusciti ad individuare la presenza di alieni nell'area di Narita. Voi dove siete?” chiese preoccupato lui.

Retasu avvertì una stretta allo stomaco. “Siamo all'aeroporto.”

“Accidenti!” esclamò Keiichirou. “Va bene, ascoltami. Le ragazze stanno arrivando. Voi andate all'aperto, lontane da strutture che potrebbero crollare. Mi hai capito?”

Minto, Zakuro e Purin la guardavano con apprensione. Retasu si morse un labbro. “Ho capito. Grazie, Kei.”

“Non abbiate paura, le ragazze stanno arrivando.” ripeté lui prima di riagganciare.

“Che cosa succede?” si informò Zakuro con voce ferma.

Retasu prese a camminare velocemente verso l'uscita. “Kei dice di aver captato la presenza di alieni nei paraggi. Dobbiamo andare fuori di qui.”

Purin sgranò gli occhi. “Taruto..?” la sentirono sussurrare.

Zakuro si mise in testa al gruppo. “Niente panico. Le Mew Mew?”

“Stanno arrivando.” rispose Retasu. Era straniante parlare delle Mew Mew come un qualcosa di esterno a loro. Un tempo sarebbero state pronte a combattere; un tempo non avrebbero avuto paura, non si sarebbero sentite così indifese di fronte ad una minaccia incombente.

Guadagnata l'uscita, si avviarono in direzione del parcheggio, cercando di mantenere la calma.

Il luogo era stranamente deserto. Minto rabbrividì. “Non credo sia stata una buona idea venire qui...” mormorò.

Zakuro le fece segno di stare zitta. Le quattro ragazze si guardarono intorno, sulla difensiva.

D'un tratto, ciò che temevano si materializzò di fronte ai loro occhi: un parassita era comparso nel cielo, attirando la loro più completa attenzione.

“Oh, Dio...” si lasciò sfuggire Retasu mentre il cuore prendeva a batterle all'impazzata.

“Giù!” urlò all'improvviso Zakuro, facendole cadere a terra con uno spintone.

Sopra le loro teste sfrecciò quello che aveva tutta l'aria di essere un dardo luminoso. Un attimo dopo, si udì una fragorosa esplosione.

Le ragazze urlarono per il dolore e la paura. Il rumore dell'esplosione era stato così forte che  Retasu temeva le avesse perforato i timpani.

Sentì Zakuro che imprecava.

“Siete ferite?” chiese all'improvviso una figura vestita di verde scuro. “Ce la fai a resistere?” aggiunse poi rivolta a Zakuro, che sanguinava copiosamente dal braccio sinistro.

La ragazza annuì, gemendo mentre stringeva forte la ferita.

“Cosa accidenti è stato?” boccheggiò Minto, cercando di alzarsi a sedere.

“Voi restate qui, ci pensiamo noi.” disse la figura in verde. Retasu riuscì faticosamente a metterla a fuoco: era l'ultima Mew Mew arrivata, Ichijiku. Era la prima volta che la vedeva trasformata: indossava un lungo vestito dalla foggia cinese, con ampi spacchi nella gonna, indispensabili per lasciare liberi i movimenti.

La cosa che colpiva di più, tuttavia, erano le squame grigioverdi che le erano comparse sulle guance e sulle braccia.

“Ribbon water shield!” gridò la Mew Mew. Un muro d'acqua si formò attorno a loro, proteggendole dagli attacchi nemici.

“Com'è la situazione?” chiese Zakuro, vigile nonostante la ferita.

MewIchijiku le lanciò un'occhiata sorpresa. “Beh... Ci sono almeno una cinquantina di Chimeri. Sono piccoli ma molto veloci.”

“Una cinquantina?!” esclamò Minto, incredula. Aveva fasciato alla bell'e meglio il braccio dell'amica  con un fazzoletto di seta bianco.

“Forse sarebbe meglio se andassi ad aiutare le altre.” fece Zakuro, alzandosi in piedi.

MewIchijiku aggrottò la fronte. “Ma...”

“Ora che siete arrivate, i Chimeri attaccheranno voi. Siete voi il loro obiettivo.” spiegò la giovane donna.

Purin aiutò Retasu a rimettersi in piedi. “Zakuro ha ragione. Va' ad aiutare le altre, noi ce la caveremo!”

La ragazza le guardò una ad una, non sapendo che fare. Infine, sospirò. “Va bene. State attente.”

Detto ciò, spiccò un salto, mettendosi a correre sui tetti delle auto parcheggiate.

Ora che lo scudo d'acqua si era dissolto, le ragazze potevano vedere senza difficoltà il combattimento che si stava svolgendo ad un centinaio di metri da dove si trovavano.

I Chimeri avevano l'aspetto di rapaci dalle piume scarlatte. Erano effettivamente piccoli, per gli standard a cui erano state abituate, e sembravano prediligere un attacco simultaneo. A Retasu tornarono in mente i Chimeri-corvo che avevano affrontato nella Chiesa in cui Zakuro andava spesso a pregare. D'istinto le venne da pensare al potente attacco dell'amica, che con la sua frusta di luce aveva spazzato via il nemico in un attimo.

Rimase ferma ad osservare le nuove Mew Mew, i pugni serrati per l'apprensione.

Ichijiku era in assetto difensivo e cercava di parare gli assalti dei mostri, mentre Sumomo volteggiava a mezz'aria, lanciandosi con spavalderia in mezzo allo stormo.
Suika usava la propria arma come un bastone, colpendo con forza i Chimeri che le si avvicinavano. Dietro di lei stava una bambina vestita con un costume da Mew Mew arancione.

“Aspettate un attimo...” fece Purin, aguzzando la vista. “Quella sarebbe... Sì, insomma... La mia controparte?” chiese, sbalordita.

“Sembrerebbe di sì...” rispose Minto. “Devono averla reclutata oggi.”

Proprio in quel momento, la bambina si fece avanti e attaccò, sferrando un colpo a terra con quella che aveva tutta l'aria di essere una piccola mazza da baseball.

I Chimeri sembravano improvvisamente disorientati: alcuni caddero addirittura a terra, incapaci di volare. Le ragazze non persero tempo: sferrarono i loro attacchi in successione, lasciando istintivamente il colpo di grazia a Suika.

I mostri non ebbero scampo. Le Mew Mew esultarono e si scambiarono un abbraccio di gruppo, come se avessero appena vinto una partita di pallavolo.

“Sembrano piuttosto affiatate, non credete?” commentò Retasu, sollevata.

Le ragazze, ancora trasformate, corsero verso di loro. “Tutto ok? Vi siete fatte male?” chiese Suika adocchiando la ferita di Zakuro.

“E' solo un graffio.” tagliò corto lei. “Torniamo dagli altri.”

Minto le scoccò un'occhiata preoccupata. “Sei sicura? Forse sarebbe meglio se andassi all'ospedale...” le sussurrò sfiorandole la spalla con la punta delle dita.

Zakuro annuì. “Sono sicura. Prendi la mia auto.” disse consegnandole le chiavi.

“Voi tornate da sole?” domandò Retasu alle Mew Mew.

Le ragazze si guardarono per un momento. Suika annuì. “Siamo arrivate correndo, possiamo tornare correndo.”

“Oh, fantastico. Beh, per lo meno posso volare...” mormorò Sumomo stringendosi nelle spalle.

“Odio correre.” borbottò Ichijiku tra sé e sé.

Suika sorrise, scuotendo la testa.

Purin fece un passo avanti. “Ciao a tutte, io sono Purin.” fece, gli occhi che scintillavano per la curiosità. “Voi dovete essere Suika, Sumomo e Ichijiku. Mi hanno parlato di voi.”

“Ehm, sì, siamo noi.” disse Suika, facendo un piccolo inchino. “Piacere di conoscerti.”

Purin si sporse a guardare la quarta Mew Mew, la bambina con il costume arancione, che si stava nascondendo dietro a Suika. “Ehi, non essere timida.” la blandì dolcemente.

“Oh, lei è Ninjin. Ninjin Fukuda.” interloquì Suika. La bambina, sentitasi chiamata in causa, avanzò di un passo, lo sguardo piantato al suolo. Aveva i capelli lunghi, raccolti in due codini bassi, di un arancione squillante, una spruzzata di lentiggini sul viso e due grandi occhi grigi. Sul capo, grazie alla metamorfosi, le erano spuntate due tonde orecchie dal morbido pelo grigio, da topolino.

“Ciao, Ninjin.” la salutò allegramente Purin. “Sai, avevo la tua età quando sono diventata una Mew Mew, proprio come te. Io ero una scimmietta, e avevo due orecchie marroni e una lunga coda arrotolata in punta. Potevo arrampicarmi sugli alberi e saltellavo dappertutto, facendo venire un gran mal di testa a tutti!”

Ninjin la osservò, confusa. Purin le scompigliò i capelli con fare materno. “Sai, mi ricordi tanto la mia sorellina. Hai una sorellina piccola anche tu?”

Ninjin abbozzò un sorriso. “Un fratellino. E' appena nato.” rispose a bassa voce.

“Oh, che bello! E come si chiama?”

“Akira.” disse Ninjin arrossendo.

Purin sorrise, mentre gli occhi le diventavano lucidi. “E' un nome bellissimo.”



***


Dopo aver fatto ritorno al Caffé, le ragazze si sedettero attorno ai tavolini bianchi e rossi nuovi di zecca, comprati appositamente per la grande riapertura del locale.

Keiichirou aveva accuratamente disinfettato e fasciato la ferita di Zakuro, che aveva insistito nuovamente per evitare di andare all'ospedale, dove avrebbe rischiato di essere riconosciuta.

Purin si era aggrappata al collo di Kei, rischiando di far capitombolare entrambi per terra, per poi salutare Ryou in modo più blando, ma comunque espansivo. Ryou non poté fare a meno di sorridere e di meravigliarsi di quanto la bambina di un tempo fosse cresciuta: Purin era diventata una giovane donna a tutti gli effetti, con un'incredibile consapevolezza e maturità nello sguardo, nonostante la personalità giocosa e infantile.

Anche le Mew Mew sembravano particolarmente su di giri: erano evidentemente soddisfatte dell'esito dell'ultimo scontro con i Chimeri. Nemmeno lui, del resto, poteva nascondere il suo sollievo: aveva sinceramente temuto che non fossero all'altezza del proprio compito, dopo l'incidente con il Chimero che le aveva avvelenate.

Batté le mani per attirare l'attenzione delle otto ragazze. “Silenzio, per favore. Dunque, innanzitutto vorrei dare il benvenuto a Ninjin Fukuda, che solo poche ore fa si è unita alla squadra.”

“Speriamo che ti possa trovare bene, qui con noi.” aggiunse Keiichirou.

La bambina ringraziò timidamente, rossa come un peperone, mentre Sumomo le dava una pacca sulle spalle. “Benvenuta nelle Mew Mew!” fecero in coro Suika, Sumomo e Ichijiku.

Ryou annuì, soddisfatto. “Bene, formalità a parte, sono lieto di informarvi che siamo finalmente riusciti a triangolare il segnale alieno.”

Nella stanza calò un silenzio improvviso. “Quindi, questo vuol dire che..?” disse Minto in tono inquisitorio.

“Beh, vuol dire che, d'ora in poi, potremo riuscire ad anticipare i loro attacchi e ad intervenire prima che creino i Chimeri.”

“Ma... Non è quello che abbiamo sempre fatto?” chiese Purin, dubbiosa.

Ryou sospirò, apprestandosi a spiegare: “Il segnale alieno a cui eravamo abituati – per intenderci, quello emesso da Kisshu, Pai e Taruto e dalla loro tecnologia – è radicalmente diverso da quello di questi “nuovi” alieni. Mi ci sono volute settimane per rintracciarlo e decodificarlo, e non è ancora del tutto chiaro. Sospetto che utilizzino un qualche sistema di occultamento che rende estremamente difficile, ai nostri sensori, localizzare il segnale, la “traccia” di presenza aliena sulla Terra.”

“In altre parole, sanno che siamo in ascolto e fanno del loro meglio per nascondersi.” osservò Zakuro.

“Esatto. Il che ci porta a questa domanda: avete visto qualcosa di strano, oltre ai Chimeri, durante la battaglia?” chiese Ryou, rivolto alle Mew Mew.

Le ragazze parvero rifletterci su. “Mmh, no, non mi pare...” rispose Suika.

“Per “qualcosa di strano” intendi quei tizi con le orecchie lunghe che ci hai mostrato l'altro giorno?” domandò Sumomo, pensierosa.

“Intendo qualsiasi cosa fuori dall'ordinario.”

“A me non pare, no.” disse Ichijiku, mentre Ninjin scuoteva la testa in segno di diniego.

“... Io ho visto qualcosa di strano.” intervenne Zakuro, e immediatamente tutti gli occhi furono puntati su di lei.

“Continua, ti prego.” la esortò Keiichirou.

La donna si riavviò con calma i lunghi capelli corvini, senza tradire alcuna emozione. “C'era un'ombra, qualcosa che si muoveva al limite del mio campo visivo. Istintivamente ho fatto abbassare le altre, e subito dopo un dardo luminoso mi ha colpito il braccio. Non so di preciso cosa fosse, e quando ho guardato di nuovo era ovviamente scomparso. Ma qualunque cosa fosse, era grande, viva e... malevola.”

Ryou la fissò senza battere ciglio. “... Prima o poi usciranno allo scoperto.” Il suo sguardo si posò su ognuno dei presenti, per poi soffermarsi su Suika. “State attente.”



***


“... E' evidente che le informazioni forniteci sono obsolete.”

“Diamine, sembrano tutti uguali. Maledetti umani. Come facevo a sapere che non erano loro il bersaglio?”

“Piantala, Kuchen. Nasconderci non è mai stato un buon piano. Io dico di attaccare senza pietà. Sono stufo di mandare i Chimeri a farsi massacrare e di restare nell'ombra.”

“E' quello che farete d'ora in poi, Kue. Non appena Mu sarà completato.”

“Ha! Non vedo l'ora di schiacciare quelle loro testoline e frantumare le loro ossa!”

“Pazienza, ragazzi. Senza Mu non possiamo rischiare di esporci. Specialmente con gli inviati della regina alle calcagna.”

“Traditori del popolo! La pagheranno cara... per tutto.”








Capitolo denso, questo qua. Ci ho messo un bel po' a scriverlo... Spero non sia venuta fuori una schifezza. XD
Dovrei riuscire a postare un altro capitolo prima di partire per il mare, a metà luglio. Dopo, non ho idea di quando riuscirò ad aggiornare... Farò del mio meglio (maledetti posti senza internet in cui sembra vada in vacanza solo io).

Non preoccupatevi per Ninjin (il cui nome significa "carota"), verrà approfondita anche lei nel corso della storia. ^^ Mi fa troppa tenerezza. :3

Un bacione a tutte voi, e grazie per aver letto!



 

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Capitolo 10
*** Under attack ***


10. Under attack 10. Under attack



Suika accavallò le gambe sotto il banco, impaziente. Il tempo sembrava non passare mai, mentre il professore di fisica scriveva formule incomprensibili alla lavagna.

La ragazza faceva del suo meglio per prendere appunti, anche se non era molto sicura di ciò che stava scrivendo. Stare attenta in classe le risultava estremamente difficile, da quando era diventata una Mew Mew. Per di più, quella mattina avrebbe dovuto cercare la quinta ragazza che avrebbe fatto parte della loro squadra: una certa Nasubi Nakajima, di un anno più piccola di lei.

Per quanto si sforzasse, non riusciva a farsi venire in mente un discorso da recitare che non l'avrebbe fatta passare per matta. Anche con Ninjin non aveva saputo bene cosa dire, nonostante avesse a che fare con una bambina di dieci anni. Fortunatamente, Sumomo le aveva dato una mano.

Sospirò, poggiando la testa sulla mano sinistra. Tutta quella situazione era surreale. Da una parte era confortante poter parlare con Retasu e Purin delle loro esperienze passate: davano loro l'opportunità di confrontarsi e rendevano le battaglie contro i Chimeri meno spaventose. D'altro canto, le sembrava di essere nient'altro che il braccio armato in un gioco molto più grande di lei, di cui non comprendeva le regole. Vedere Zakuro Fujiwara e Minto Aizawa sedute ai tavoli la metteva a disagio. Si sentiva osservata, costantemente messa alla prova, cosa che la innervosiva parecchio. Anche Shirogane, nonostante dicesse di avere fiducia nelle loro capacità, non le sembrava totalmente sincero.

Il suono della campanella la fece trasalire. Chiuse il libro e il quaderno degli appunti. Era arrivata l'ora della ricreazione: scattò in piedi e uscì dall'aula in fretta e furia. Percorse il corridoio facendosi strada tra gruppetti di studenti chiassosi e si arrestò di fronte alla classe che le aveva indicato Keiichirou.

Prese un bel respiro ed entrò. L'aula era semivuota: un paio di ragazzi scherzavano tra di loro a voce alta, una coppietta in un angolo chiacchierava allegramente e una ragazza con i capelli ricci e neri era seduta al proprio banco, impegnata a leggere un libro o forse a ripassare per un'interrogazione.

Suika le si avvicinò, titubante. La ragazza alzò lo sguardo dal libro. Aveva gli occhi marrone scuro, parzialmente nascosti da un paio di occhiali dalla montatura nera e spessa.

“Ehm... Ciao. Sei Nasubi Nakajima, per caso?” esordì Suika, portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro.

“Oh, sì, sono io. E tu sei..?” rispose la ragazza, aggiustandosi gli occhiali sul naso.

“Suika Nakano. Ti dispiace se... Insomma, avrei bisogno di parlarti.” disse Suika indicando la porta. “Puoi uscire un attimo?”

Nasubi parve pensarci su. “Va bene.” disse infine, alzandosi in piedi.

“Grazie. Non ci vorrà molto.”


***



Il cellulare di Ryou squillò, distraendo per un momento il ragazzo dai suoi calcoli. Sbatté le palpebre: gli occhi gli bruciavano.

Sul display del telefono era comparsa la scritta numero privato. Corrugando la fronte, accettò la chiamata. “Pronto?”

“Ryou Shirogane?” fece una voce femminile dall'altro capo del telefono.

“Sì. Chi parla?”

“NPA.” La voce parve esitare. “Hatoyama Nobu è morto.”

Ryou sgranò gli occhi. “Come sarebbe? Con chi sto parlando?”

Udì dei rumori indistinti, poi più nulla. “Pronto? Pronto?!” Osservò lo schermo del cellulare. “Maledizione!” esclamò. Si alzò in piedi e risalì in fretta le scale che portavano al piano terra del Caffé.

Il locale era ancora chiuso: avrebbe aperto quel pomeriggio, quando le Mew Mew sarebbero uscite da scuola. Retasu era all'Università, Minto stava probabilmente dormendo e Purin era uscita a fare compere.

Entrò in cucina. “Kei, abbiamo un problema.” esordì facendo un cenno di saluto a Zakuro.

Keiichirou aveva già indosso la divisa da pasticcere. “Che succede?” chiese asciugandosi le mani con il grembiule.

Ryou assottigliò lo sguardo. “Ho appena ricevuto una chiamata da qualcuno all'NPA. Hatoyama-san è morto.”

Keiichirou sollevò un sopracciglio. “Morto?” chiese, incredulo.
 
“Chi è Hatoyama-san?” domandò Zakuro.

“Il capo della National Police Agency.” spiegò il ragazzo. “Kei, ho bisogno di te di sotto. Trovami quante più informazioni puoi su Hatoyama e sulla sua morte, e soprattutto scopri chi gli succederà a capo dell'NPA.”

Keiichirou annuì prontamente e seguì l'amico nella stanza dei computer.


***


Dopo che Suika ebbe finito di spiegare a Nasubi come stavano le cose, quest'ultima sorrise. “Sapevo di avere qualcosa di strano, ultimamente.” ammise, appoggiandosi ad uno dei termosifoni nel corridoio.

“Davvero?” chiese Suika, rilassandosi.

Nasubi annuì. “Che geni hai detto che possiedo?”

Suika lesse il bigliettino che le aveva dato Keiichirou la sera prima. “Orso bruno siriano.”

“Hmm. Interessante. Che tu sappia, è uno di quegli orsi che va in letargo?”

La domanda lasciò Suika leggermente spiazzata. “Ehm... Credo di sì...” rispose, dubbiosa.

“...perché ho parecchio sonno, ultimamente. E dato che è inverno, mi chiedevo... d'altra parte, potrebbe benissimo essere colpa dei professori incredibilmente noiosi.” pontificò Nasubi incrociando le braccia.

Suika la fissò per una manciata di secondi, poi ridacchiò. “Se è per questo, anche la Tigre di Sumatra dovrebbe andare in letargo..!”

Nasubi rise a sua volta. “Già, ammetto che non è un grande indizio dei miei geni di orso nuovi di zecca...”

“Però, ora che ci penso, ho una voglia matta di carne al sangue.” disse Suika all'improvviso.

“In effetti, non mi dispiacerebbe...” osservò Nasubi, facendo una smorfia.

La campanella suonò, ad indicare la fine della ricreazione. “Oh accidenti, altre tre ore di letargo!” esclamò Suika, incapace di nascondere il proprio disappunto.

Nasubi ridacchiò. “Ti aspetto all'uscita, così mi mostri la strada per il Caffé!” disse congedandosi con un cenno della mano.

“Va bene! A dopo!” la salutò Suika. Tornata in classe, si sedette al proprio posto, sorridente. Nasubi le era sembrata una ragazza in gamba e molto simpatica: era certa che si sarebbe dimostrata una valida aggiunta alla squadra.

Sgranò gli occhi: si era ricordata all'improvviso che avrebbe dovuto consegnarle il ciondolo per la trasformazione, cosa che ovviamente si era dimenticata di fare.

Ma dove ho la testa?, pensò, dandosi mentalmente dell'imbecille. Si abbassò a frugare nella cartella, mentre il professore di storia chiamava un suo compagno di classe alla lavagna. Eccoli lì, entrambi i ciondoli dorati, in fondo alla tasca interna della cartella in finta pelle. Si morse il labbro inferiore: si augurava che non accadesse nulla di male, almeno fino alla fine delle lezioni.

Le tre ore che la separavano dalla libertà passarono lentamente, anche se non quanto l'ora di fisica precedente. Al suono della campanella aveva già sgombrato il banco di libri e quaderni: fu la prima ad uscire dall'aula, guadagnandosi pure un'occhiataccia di disappunto da parte della professoressa di inglese.

Incontrò Nasubi a metà strada. “Ehi.” la salutò lei. “Guarda, sta cominciando a piovere.” disse indicando una delle ampie finestre nel corridoio.

“Aah, che sfortuna, non ho neanche l'ombrello!” esclamò Suika con disappunto. “Oh, prima che mi dimentichi di nuovo... ecco, tieni, questo è per te.” aggiunse porgendo alla compagna il medaglione dorato. “Ti servirà per trasformarti, quindi stai attenta a non perderlo.”

Nasubi lo esaminò in silenzio, curiosa. Le due ragazze scesero le scale insieme alla folla di studenti in divisa e si diressero verso l'uscita. La pioggia cadeva in gocce pesanti sull'asfalto del cortile; gli altri studenti senza ombrello si misero a correre non appena usciti dall'edificio scolastico, riparandosi alla bell'e meglio dall'acquazzone con le rispettive cartelle.

“Che sfortuna...” ripeté Suika a bassa voce. Odiava la pioggia.

“Quando è distante il Caffé?” chiese Nasubi.

“Una ventina di minuti a piedi.” rispose Suika, cercando di suonare allegra.

Non fecero in tempo a mettere piede in cortile che entrambe le spille si illuminarono. Nasubi fu la prima ad accorgersene. “Cosa...”

“Uh-oh.” Suika aprì la cartella e vi frugò freneticamente. “Accidenti!” esclamò stringendo forte la propria spilla nella mano destra.

“Che cosa sta succedendo?” domandò Nasubi, nervosa.

Suika si guardò attorno, sospettosa. “Dev'esserci un Chimero nei paraggi. Dobbiamo trasformarci. Vieni!” la esortò prendendola per mano. Corsero dietro al capanno dove erano riposti gli attrezzi da giardinaggio, cercando di non farsi notare da nessuno. Fortunatamente per loro, gli altri studenti si erano dileguati a causa della pioggia battente.

Suika si trasformò per prima. Il calore della trasformazione che la ragazza era abituata ad avvertire nelle ossa si dissolse quasi istantaneamente per lasciare il posto al freddo della pioggia gelida.

Nasubi imitò prontamente la compagna di squadra. “Wow!” si lasciò sfuggire mentre si tastava le orecchie pelose, di colore beige, che le erano appena spuntate. “Non posso crederci!” aggiunse portandosi entrambe le mani al viso.

“Sta' attenta.” la ammonì Suika. Dovevano quasi gridare per riuscire a sovrastare il rumore della pioggia sul tetto di lamiera del capanno degli attrezzi.

Nasubi annuì, un'espressione risoluta sul viso. Le due ragazze presero a scrutare il cielo sopra di loro, i sensi all'erta.

Sembrava tutto tranquillo. Suika si trovò a sperare che si trattasse di un falso allarme; all'improvviso, quasi a volerla contraddire, l'aria di fronte a loro sembrò incresparsi, nello stesso modo in cui si increspano le acque placide di un lago quando vi si getta un sasso.


Un secondo dopo, due figure comparvero dal nulla.

Il cuore di Suika accelerò i battiti. Non avrebbe saputo dire quale dei due esseri la spaventasse di più.

Uno era senza dubbio un alieno, di quelli contro cui Ryou le aveva messe in guardia: incredibilmente pallido e dalle lunghe orecchie, fluttuava a più di cinque metri da terra senza alcun apparente sforzo.
Di fianco all'alieno c'era una figura dalla vaga forma umanoide. Sembrava fatta di vetro liquido: a malapena si riuscivano a distinguere un paio di sottili gambe e due gracili braccia. La testa, alquanto sproporzionata rispetto al corpo, era liscia e uniforme, senza volto.

Nasubi si avvicinò alla compagna, tremante. “Cosa... cosa facciamo?” chiese con un filo di voce, toccandole istintivamente la spalla destra.

Prima che Suika potesse rispondere, l'alieno parlò. “Finalmente ci incontriamo, umane.”

Nasubi le strinse forte l'avambraccio. Suika fece del suo meglio per non lasciarsi prendere dal panico. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato: Ryou l'aveva avvertita. Prendendo coraggio, avanzò di un passo. “Chi sei?” chiese. Le sembrava l'unica cosa sensata da dire in quel momento.

L'alieno si abbassò fino a sfiorare il terreno con la punta dei piedi. Indossava un abito di colore scuro, simile a quello che avrebbe indossato un ninja. Portava i sottili capelli neri raccolti in una treccia. Una lunga cicatrice rossastra si snodava lungo tutta la parte destra del suo viso, dalla tempia al limite del labbro inferiore.

Le due ragazze indietreggiarono. L'alieno emanava un'aura di pericolo non indifferente, tale da far venir loro la pelle d'oca.

“Il mio nome è Kue.” rispose lui. La sua voce era strana, distorta, quasi sibilante, e traboccava d'odio. “Umane... Preparatevi a servire il mio popolo. La vostra patetica specie non merita altro!” Detto questo, fece comparire dal nulla una lunga falce argentata e si scagliò contro di loro ad una velocità che lasciò entrambe senza fiato. Fecero appena in tempo a scansarsi e ad evitare il colpo; il capanno degli attrezzi non fu così fortunato.

“Attenta!” gridò nuovamente Suika, vedendo la compagna in difficoltà. Pregò che Shirogane avesse individuato la presenza del nemico e che le altre arrivassero presto per aiutarle.

Kue si girò verso di lei, scoccandole un'occhiata minacciosa. Aveva gli occhi viola, dalla pupilla verticale tipica della loro specie. “Tu sarai la prima a cadere!” esclamò. La ragazza indietreggiò ancora una volta, mentre la paura le serrava lo stomaco.

L'alieno prese a menare colpi con la falce, tagliando l'aria con ferocia. Suika era terrorizzata: non poteva fare altro che schivare i colpi, cosa che comunque le risultava molto difficile. La falce si muoveva in un modo che le risultava arduo da prevedere: proprio quando era sicura di aver evitato la lama curva e tagliente, questa le si abbatteva nuovamente addosso. Sapeva che la minima distrazione le sarebbe risultata fatale.

D'un tratto, udì Nasubi gridare a squarciagola la formula del proprio attacco. Una lama di luce violacea si abbatté sull'alieno che, colpito alla schiena, urlò di dolore, crollando in ginocchio.

Suika ne approfittò per scappare e avvicinarsi alla compagna, la quale stringeva al petto la propria arma, che aveva la forma di un piccolo stocco. “L'ho... l'ho colpito!” esclamò Nasubi, euforica.

“Grazie.” le fece Suika, cercando di riprendere fiato. Kue si girò a guardarle. Un rivolo di sangue gli usciva dalla bocca. Sputò per terra. “Un... attacco alle spalle?” rantolò, un macabro sorriso dipinto in volto.

Suika fece per richiamare la sua arma, quando avvertì distintamente una presenza dietro di sé.

Una frazione di secondo dopo, qualcosa colpì violentemente Nasubi, facendola volare a parecchi metri di distanza. Con la coda dell'occhio, Suika vide che un altro alieno era comparso alle sue spalle: era molto più massiccio rispetto a Kue e sembrava possedere una forza fisica spaventosa.

L'alieno ghignò, scoprendo i lunghi canini appuntiti. “Tu sei la prossima.” grugnì mentre  scrocchiava le giunture delle dita, avvolte in un paio di tirapugni in ferro.

Ribbon air blast!” esclamò allora Sumomo, spuntata da chissà dove. Alla vista delle amiche, Suika quasi si mise a piangere dalla felicità. “Ragazze!” gridò correndo loro incontro.

Ninjin si inginocchiò di fianco a Nasubi, che aveva perso conoscenza. “Che cosa è successo?!” chiese Ichijiku, preoccupata.

“A dopo le spiegazioni! Dobbiamo sconfiggerli!” fece Suika richiamando la propria arma. Tremava, e le sembrava di avere gelatina al posto delle gambe, ma era decisa a non cedere.

“MewSuika ha ragione!” esclamò Sumomo. “Il gigante è mio!” aggiunse, facendo nuovamente comparire il suo boomerang. “Ribbon air blast!

Ribbon water shield!” fece Ichijiku a sua volta, attaccando il bestione. L'alieno barcollò, colpito in pieno dai due attacchi, ma resistette.

“Duro a morire, eh?” osservò Sumomo.

In quel momento, mentre Ichijiku e Sumomo erano alle prese con il secondo alieno, Ninjin lanciò un grido acuto. Suika si girò a guardarla, allarmata, e vide che l'essere filiforme che sembrava fatto di vetro si era pericolosamente avvicinato al corpo esanime di Nasubi.

“Lasciala stare!” ruggì, le lacrime agli occhi dallo sfinimento. “RIBBON... STAR LIGHT!

In un primo momento, l'attacco sembrò andare a segno; tuttavia, dopo qualche istante, la ragazza si rese conto che Kue aveva salvato l'essere misterioso all'ultimo momento. L'alieno fluttuava a pochi metri d'altezza, il respiro affannoso, stringendo la creatura tra le braccia. “Kuchen!” chiamò imperiosamente. “Ce ne andiamo!” disse, dopodiché, senza aggiungere altro, scomparve nel nulla.

L'altro alieno le guardò con rabbia, tendendo i muscoli, poi parve rassegnarsi. “Alla prossima.” ghignò subito prima di sparire.

Le Mew Mew rimasero in silenzio per qualche momento, stringendosi istintivamente le une alle altre. Nasubi riprese conoscenza, muovendosi a fatica. “Come stai?” le chiese Ninjin, impaurita.

La voce di Ryou uscì dal medaglione di Suika. “Ragazze, ci siete? State tutte bene?”

La ragazza prese un paio di respiri profondi prima di rispondere. “Nasubi è stata colpita, le altre stanno bene. Torniamo al Caffé il più presto possibile.” Si sorprese del distacco con cui aveva pronunciato quelle parole. Le sembrava davvero di starsi trasformando in un soldato.

“Ce la fai a camminare?” chiese Sumomo rivolta a Nasubi, che si era alzata a sedere. La ragazza annuì lentamente. “Credo di sì. Che male, accidenti...” mormorò passandosi una mano sulla fronte.

La aiutarono in quattro a rimettersi in piedi. Mentre si avviavano verso il Caffé, Suika si accorse che aveva smesso di piovere.


***


Girò la chiave nella toppa e aprì piano la porta. La televisione era accesa e proiettava una luce bluastra nel salotto semibuio.

“Uh... tesoro, sei tu?” fece sua madre alzandosi dal divano e spegnendo la televisione.

“Sì, sono io.” rispose Suika accendendo la luce in corridoio. Si avvicinò al divano, dove sonnecchiavano la sua gatta e il gattino nero adottato un mese prima. “Ciao, piccolini.” sussurrò accarezzandoli piano.

Sua madre la guardò in silenzio per qualche momento, puntando le mani sui fianchi. “Come mai hai fatto così tardi? Sono quasi le sette.”

Suika ricambiò il suo sguardo. “Ho lavorato al Caffé fino alle sei... sai, tra una cosa e l'altra...” si giustificò.

La donna sospirò. “Non voglio che trascuri lo studio. Te l'ho detto, soldi ne abbiamo a sufficienza, non c'è bisogno che tu...”

“Mamma, non sto trascurando lo studio, davvero. Mi piace lavorare lì, lo stipendio è buono, non vedo dove sia il problema.” Abbassò lo sguardo, augurandosi che sua madre non sospettasse nulla delle reali motivazioni che le facevano passare tutto quel tempo fuori di casa.

“Dove ti sei fatta quel livido?” le chiese sua madre, prendendole gentilmente il braccio destro, su cui era comparso un brutto livido viola scuro.

La ragazza aggrottò le sopracciglia. “Devo aver preso una botta mentre servivo ai tavoli.” Non ricordava di essere stata colpita, durante la lotta di quel pomeriggio.

Sua madre sospirò. “Hai sempre la testa tra le nuvole.” disse scuotendo la testa. “Ho fatto un po' di tempura, la mangi?” aggiunse mentre si riavviava i lunghi capelli castani.

Suika fece una smorfia. “Non ho fame. Magari dopo, ok?” disse scoccandole un bacio veloce e correndo nella propria stanza. Si chiuse la porta alle spalle e si buttò di peso sul letto, sbadigliando.

“Metti un po' di crema sul braccio!” le urlò sua madre dal salotto.

“Va bene!” gridò in risposta, girandosi pigramente su un fianco. Sospirando, chiuse gli occhi.

Niente studio, stasera. Troppo stanca., pensò cercando di scacciare dalla mente l'immagine dell'alieno con la cicatrice sul volto e dell'essere di vetro soffiato.

Troppo stanca.

         
               

 



Salve, gente! :D Finalmente le cose iniziano a movimentarsi un po', non siete d'accordo? ;) Ebbene, prima dei ringraziamenti, un po' di precisazioni:
- Nasubi = Melanzana in giapponese;
- Kue e Kuchen sono nomi di dolci. Kuchen è un sostantivo tedesco, mentre Kue è indonesiano (grazie, Google translator xD);
- Hatoyama-san l'ho ripreso dalla mia one-shot How Shirogane-san spends his money. Poveretto, nato in una one-shot e morto in una long... xD

Bene, ora vorrei prendermi un momento per ringraziarvi e dirvi che, purtroppo, il prossimo capitolo tarderà ad arrivare. :( Andrò in vacanza fino ai primi di agosto, almeno, poi non so, non sono sicura di quando riuscirò ad aggiornare. Insomma, ci sarà di sicuro uno iato. Spero che, nonostante ciò, continuerete a seguire la storia. Intanto vi ringrazio per aver letto, e in particolare mando tanti abbracci ad Astrid Romanova, Elyis, mintheart, Mizuiro_Chan, m_j e Salice_, che seguono la storia (o hanno premuto il pulsante sbagliato xD), a RLandH, che l'ha messa tra le ricordate, a Kelly Neidhart e a MoonBlack, che l'hanno messa tra le preferite.
Infine, un grazie particolarmente sentito a tibby92, Salice_, Astrid Romanova, Fujiko_Matsui97, Kelly Neidhart, Hypnotic Poison e MoonBlack per aver recensito e avermi fatta molto felice. ;)

Grazie a tutte voi, e buone vacanze!

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Capitolo 11
*** We'll be watching ***


Cap 11
11. We'll be watching




Kuchen fluttuava a mezz'aria con le braccia muscolose dietro alla testa. Nuvole blu scuro gli si stavano addensando attorno, benché non ci fosse un alito di vento. La dimensione parallela nella quale alloggiavano da più di un mese aveva assunto una tinta più cupa, quasi a voler riflettere lo stato d'animo dei suoi tre abitanti.


Sbuffò, scostando nervosamente una ciocca di capelli rosso fuoco dal volto.

Si stava annoiando. Quel pianeta aveva perso in fretta le sue già scarse attrattive; del resto, lui non era un tipo molto curioso. Kue si era dileguato da qualche parte, in un angolo nascosto di quella sconfinata zona buia al limite dell'universo. Non credeva ne sarebbe uscito molto presto e, qualora l'avesse fatto, sarebbe di certo stato di pessimo umore.

Si voltò a guardare il terzo componente della loro squadra: femmina, sottile come una scheggia di ghiaccio e altrettanto fredda, era intenta ad esaminare lo strano Chimero che si erano portati dietro durante l'attacco. Kuchen sapeva che quello non era un Chimero qualunque, ma le sue conoscenze si fermavano lì: Pastel non spiegava niente, né lui chiedeva nulla.

“Sono certamente molto forti.” fece all'improvviso Pastel, intenta a punzecchiare il Chimero trasparente con degli aghi lunghi quanto un avambraccio. “I campioni raccolti, tuttavia, sono insufficienti.” aggiunse, evidentemente contrariata.

Kuchen le si avvicinò cautamente. “Ehi, è stato Kue a dirmi di stare nascosto. Fosse stato per me...”

“Ti saresti lanciato in avanti senza pensare, rischiando di farti ammazzare.” lo interruppe Pastel senza degnarlo di uno sguardo. Con lentezza, passò una mano pallida sulla testa del Chimero, il quale si sciolse in una poltiglia argentea. “Kue!” chiamò l'aliena imperiosamente.

Pochi istanti dopo, l'alieno dai capelli neri si materializzò dietro di lei.

“Quali sono le tue condizioni?” chiese Pastel in tono neutro, girandosi a guardarlo.

Kue sbuffò. “Mi ha colpito alle spalle, quella p'shem*. Non vedo l'ora di ricambiare il favore.” mormorò rabbiosamente.

L'aliena sbatté le palpebre. “Quali sono le tue condizioni?” ripeté.

Kue le lanciò un'occhiata infastidita. “Sto bene.”

“Bene.” disse lei, tornando a dedicare le proprie attenzioni al Chimero. “Anche Mu è illeso.”

I due alieni si guardarono di sfuggita senza aprire bocca. Kuchen aprì e chiuse le mani un paio di volte, poi cercò di distendere le spalle. Anche lui aveva sperimentato la potenza degli attacchi nemici sulla propria pelle, pur non avendone risentito quanto il proprio compagno.

“Sto già lavorando ad un altro Chimero. Dovrebbe essere sufficientemente forte e in grado di distrarle abbastanza a lungo.” Pastel si levò in aria, i lunghi capelli bianchi che fluttuavano pigramente, come se fossero immersi nell'acqua. “Voi tenetele d'occhio. Osservate qualsiasi movimento sospetto, cercate di capire chi sono, dove abitano. Ogni minimo dettaglio è importante. Tutto chiaro?”

I due annuirono.


***


“Wow, questi cupcake sono bellissimi!” esclamò Sumomo con gli occhi che brillavano.

Keiichirou sorrise. “Se vuoi puoi assaggiarne uno. Questi sono alla crema di pistacchio, mentre quelli sono alla vaniglia e ai frutti di bosco.” disse indicando i dolci ordinatamente esposti sul vassoio d'argento.

“Posso averne uno anche io?” chiese Nasubi, appoggiando sul ripiano del lavandino i piatti da lavare.

“Anche io, anche io!” esclamò Ninjin, tutta contenta.

Il pasticcere rise, un po' imbarazzato. “Va bene, uno a testa, poi basta, altrimenti non ce ne saranno più per i clienti!” le ammonì con gentilezza.

Sumomo non se lo fece ripetere due volte. “Grazie mille, Akasaka-san!” canticchiò saltellando.

Ninjin agguantò un cupcake alla crema di pistacchio, facendolo sparire in due bocconi. Keiichirou la osservò con fare paterno, notando con sollievo che sembrava aver superato la timidezza che le aveva reso molto difficili i primi giorni da Mew Mew.

Nasubi si abbassò a guardarla. “Ti sei sporcata il naso!” esclamò allegramente, per poi porgerle un tovagliolo.

Keiichirou avvertì il ben conosciuto senso di colpa che lo aveva accompagnato sin dall'inizio del primo Progetto μ. Già allora si era sentito un vigliacco, a far combattere cinque ragazzine il cui destino era stato deciso senza che loro avessero la minima voce in capitolo. Purin non era nemmeno uscita dall'infanzia, quando l'avevano reclutata. Gli era sembrato un gesto spregevole, paragonabile allo sfruttamento minorile.

Distolse lo sguardo, puntandolo in direzione del paesaggio fuori dalla finestra a forma di cuore. Il locale era ben riscaldato, tanto da permettergli di restare in maniche di camicia, ma era ben conscio del freddo pungente che c'era all'esterno. Il cielo era grigio: il meteo alla televisione aveva annunciato una possibile nevicata nel tardo pomeriggio.

“Grazie, Akasaka-san.” gli fece d'un tratto la piccola Ninjin, mentre il rossore le tingeva il volto pallido, spruzzato da una manciata di lentiggini.

Le accarezzò i capelli color carota, raccolti in due lunghi codini bassi. “Non c'è di che, Nin-chan.” rispose calorosamente.

La bambina trotterellò allegramente fuori dalla cucina. Keiichirou abbassò lo sguardo, sospirando. Si sentiva pesante e vecchio, molto vecchio, e sapeva che Ryou, costantemente occupato ad analizzare dati nel seminterrato semibuio, provava sensazioni molto simili alle sue.

Mi ci vuole un po' di tè, pensò spalancando l'anta dell'armadietto dove teneva il bollitore, un amaro sorriso sulle labbra.


***


“Guarda, ti ho portato un cupcake.” disse Sumomo ad Ichijiku, porgendole il dolcetto.

Ichijiku distolse per un attimo gli occhi dalle ordinazioni. “A che gusto è?” chiese aggrottando le sopracciglia scure.

“Hmm, crema di pistacchio e... cioccolato, mi pare.” rispose la ragazza, dubbiosa. “Io ho mangiato quello alla vaniglia.”

“Non mi piace il pistacchio.” tagliò corto Ichijiku, dirigendosi verso la cucina.

Sumomo la seguì, leggermente piccata. “Come sarebbe 'non mi piace il pistacchio'? Guardalo, la crema è verde!”

“E con questo?”


“Beh, pensavo che fosse adatto a te, ecco. Sai, sei una tartaruga verde, con le squame e tutto il resto...”

“...questa è la cosa più stupida che abbia mai sentito.” mormorò Ichijiku, portandosi una mano alla fronte.

Sumomo incrociò le braccia. “Beh, scusa tanto! Il mio voleva essere un gesto gentile!” esclamò facendole una linguaccia. “Poco male, vorrà dire che me lo mangerò io.”


“Perché invece non mi dai una mano a portare le ordinazioni ai tavoli cinque e sette?” le fece l'altra, esasperata dal comportamento infantile della compagna.

“Oh, no, non vorrei intralciarti con la mia stupidità!” rispose Sumomo, voltandole le spalle di scatto e marciando fino all'altra parte del locale.

Nel vedere la scena, Nasubi alzò un sopracciglio. “Accidenti. Fanno sempre così?” sussurrò a Suika, che stava riordinando un tavolo poco distante.

“Più o meno... non credo abbiano personalità molto compatibili.” le confessò lei, sorridendo imbarazzata.

La ragazza fece una smorfia. “Non credi che questo influenzerà negativamente la nostra squadra?”

Suika parve rifletterci su. “Non lo so. Potrebbe anche darsi che la rivalità dia loro una spinta in più per dare del proprio meglio in combattimento. L'ultima volta mi sono sembrate parecchio affiatate.”

Nasubi annuì. “Sì, forse hai ragione.” Si guardò intorno, aggiustandosi gli occhiali sul naso. “E' sempre così affollato il locale?”

“Abbastanza, sì. Credo sia anche perché fuori fa freddo e la gente cerca un posto caldo dove passare un po' di tempo in compagnia.”

In quel momento, la porta rosa del Caffè si aprì, facendo entrare una ventata d'aria gelida e una Retasu molto infreddolita.

Suika le sorrise, facendole un cenno di saluto con la mano.

Retasu ricambiò il saluto. “Vi serve una mano, ragazze?” chiese dopo essersi tolta cappotto e sciarpa.

Le due si scambiarono un'occhiata eloquente. “Se sapessi dirci come fare a far smettere di litigare Sumomo e Ichijiku...” rispose Suika con un mezzo sorriso.

Retasu aggrottò la fronte. “Perché, c'è qualche problema?”

“Non proprio... continuano a battibeccare, ecco.” disse Nasubi afferrando una ciocca di capelli tra le dita.

“Aah.” fece Retasu, comprensiva. “Non preoccupatevi, ragazze. Anche Minto-san e Ichigo-san litigavano sempre, ma in fondo si volevano bene.”

“Ichigo? La quinta Mew Mew, vero?” chiese Suika, curiosa.

“Proprio lei. Diciamo che i loro caratteri non erano molto compatibili.” disse la ragazza con fare nostalgico.

“E' quello che ho detto anche io.” disse Suika ridacchiando.


“Ah, Retasu, ben arrivata!” fece all'improvviso Keiichirou, spuntato dalla cucina con un vassoio su cui erano appoggiate due fette di torta. “Ragazze, queste vanno al tavolo dieci, per favore.”

“Sissignore!” esclamarono all'unisono Suika e Nasubi.

“Retasu, mi faresti il favore di portare una tazza di tè a Ryou, giù di sotto? Non esce di lì da stamattina, penso gli farebbe bene qualcosa di caldo.”

“Oh, certo, mi farebbe piace... voglio dire, nessun problema!” balbettò la ragazza.


***


Purin si strinse nel giaccone quando una ventata di aria fredda la investì in pieno. Era seduta su una panchina di legno riverniciata da poco, nel bel mezzo del parco che usava frequentare da bambina. Quello era il parco in cui preferiva esibirsi nei suoi numeri acrobatici, lo stesso parco dove, tanti anni prima, aveva incontrato Ichigo e aveva scoperto di essere una Mew Mew.

Era strano, ma in realtà ricordava pochissimo del tempo in cui era stata una Mew Mew. Si trattava, per lo più, di frammenti di ricordi.

Della battaglia finale, poi, rammentava davvero pochissimo. Tutto era sfuocato, indecifrabile, tranne una cosa... Quella cosa. Quella la ricordava alla perfezione, in ogni singolo particolare, e la cosa buffa era che avrebbe fatto qualsiasi cosa per dimenticarsela.

L'unico pezzo mancante era il suo volto. Ci provava con tutte le sue forze, a ricordare il volto di Taruto, ma non le sembrava mai di riuscire a vederlo tutto intero: quando credeva di riuscire a focalizzare i suoi occhi, non vedeva il suo naso, né il profilo del mento; quando ricordava la forma delle sue labbra, i suoi occhi le sfuggivano come sabbia dalle dita.

Non voleva dimenticarlo. Ma, in fondo, che legame avevano mai avuto, loro due? Ricordava la sensazione di irrefrenabile curiosità che provava ogni volta che lo vedeva fluttuare in alto, sopra di sé. Era strano, diverso, eppure così simile a lei nella battaglia. Era bello, avere a che fare con qualcuno come lei, un bambino come lei, nella situazione assurda in cui si trovavano.

Aveva paura di illudersi, paura che non sarebbe più tornato, neanche come nemico.      

Le sarebbe tanto piaciuto rivederlo. Chissà cosa gli era successo, chissà quali storie avrebbe avuto da raccontare...

Si alzò dalla panchina e si diresse a passo svelto verso la sua vecchia casa.

Gli alberi rinsecchiti alzavano i rami nudi al cielo plumbeo. Per un attimo, le parve di vedere un'ombra muoversi da un ramo all'altro. Si girò: non c'era nulla di strano.

Scosse la testa e, dopo un momento di incertezza, riprese a camminare.


***


“E' permesso?” chiese timidamente Retasu, ferma all'ingresso della stanza dei computer.

Ryou si girò a guardarla. “Oh, certo. Va tutto bene? Quando sei arrivata?” le fece con voce roca.

La ragazza si fece avanti e appoggiò il vassoio del tè su un angolo della scrivania metallica, scostando con la mano destre una manciata di fogli e confezioni di patatine. “Ti ho portato del tè.” disse semplicemente.

“Grazie. Come vanno le cose di sopra?” le domandò lui, prendendo la tazzina fumante. Aveva gli occhi stanchi e la barba mal rasata. Retasu dovette trattenere l'impulso di prenderlo per mano e cercare di confortarlo come meglio poteva.

“Tutto bene. Mi sembra che le ragazze stiano imparando in fretta.” rispose sedendosi di fianco a lui.

“Me lo auguro.” fece lui, fissando un punto imprecisato di fronte a sé.

“Cosa stai facendo?” gli chiese lei dopo qualche momento di silenzio imbarazzato.

Ryou prese un sorso di tè. “Per lo più, giro in tondo senza combinare nulla.” confessò amaramente, tornando a dedicare le sue attenzioni allo schermo del computer. “In particolare, questo mi lascia perplesso...” aggiunse, zoomando sulle figure di MewNasubi e MewNinjin. “E' il filmato ripreso da Masha.” spiegò mentre faceva ripartire il video.

MewNasubi era a terra, apparentemente svenuta, e MewNinjin le stava accanto, in ginocchio. Ad un tratto, Retasu vide un essere perlaceo, dalla vaga forma umanoide, avvicinarsi alle due Mew Mew. “Che cos'è?” chiese sgranando gli occhi.

“Secondo quello che sono riuscito a dedurre, dovrebbe essere un Chimero. La cosa strana, però, è questa...” disse Ryou, indicando il monitor.

Retasu osservò la figura dell'alieno sconosciuto prendere in braccio il Chimero, schivare per un pelo l'attacco di MewSuika e fuggire attraverso uno dei loro portali. “... Ma perché..?” mormorò, confusa.

“Hai capito, vero? I Chimeri sono carne da cannone, per gli alieni: nient'altro che armi. Tuttavia, questo Chimero è completamente diverso. Nessun alieno è mai intervenuto per salvare un Chimero, rischiando oltretutto di venire colpito in pieno da un attacco del genere. La domanda è: cos'ha di diverso questo essere? A cosa serve, e perché è così importante per loro?”

La ragazza non sapeva cosa rispondere. Ryou bevve un altro sorso di tè caldo. “Non ci resta che aspettare e vedere, anche se questa situazione non mi piace per niente.”

In quel momento, due puntini rossi comparvero sul radar, accompagnati da un segnale d'allarme.

“Maledizione!” esclamò Ryou, alzandosi di scatto dalla sedia. Retasu fece lo stesso, rischiando di far cadere per terra il vassoio del tè. I due salirono di corsa le scale, precipitandosi ad avvertire gli altri.

Retasu chiamò in cucina le ragazze il più discretamente possibile.

“Dovremo chiudere il Caffè, per oggi.” sentì Ryou dire a Keiichirou. “Voi ragazze fareste meglio a trasformarvi. Gli alieni si trovano nel quartiere di Shibuya.”

Le cinque Mew Mew non se lo fecero ripetere due volte e uscirono di soppiatto dalla porta sul retro.

“Aspetta, Ryou, non chiudere il locale. Ci penso io a servire ai tavoli.” intervenne Retasu.

“... Sei sicura?” fece lui, perplesso.

La ragazza annuì. “Certo. Non preoccupatevi.” disse sorridendo. “Prometto che farò attenzione a non rompere i piatti!”  


***


“Si fanno rivedere così presto? Speravo che avremmo avuto almeno un paio di giorni di pausa...” disse Nasubi correndo lungo il viale alberato dietro il Caffè.  

“La vita di una super eroina è piena di imprevisti!” esclamò Sumomo col fiatone. “Suika-oneesan, è meglio se ci trasformiamo adesso, arriveremo più velocemente!” aggiunse rallentando la corsa.

Suika si fermò. “Hai ragione.” Si guardò intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno nei paraggi. “Tutte pronte, ragazze?”

“Pronte!” dissero le altre quattro all'unisono.

“Mew Mew Suika...”
“Mew Mew Sumomo...”
“Mew Mew Ichijiku...”
“Mew Mew Ninjin...”
“Mew Mew Nasubi...”
“METAMORPHOSE!”

In un attimo, si erano trasformate. Ripresero subito a correre in direzione di Shibuya, i respiri affannosi che si addensavano nell'aria fredda di quel pomeriggio di Dicembre.

Nel frattempo, nel bel mezzo dell'affollato quartiere, comparvero Kue e Kuchen.

“Ho rilevato cinque segnali nemici a pochi chilometri da qui.” annunciò Kuchen in tono compiaciuto. “In rapido avvicinamento.”

Kue evocò un parassita. “Non c'è tempo da perdere, dunque.” sibilò dando vita ad un enorme Chimero-camaleonte che precipitò a terra schiacciando un paio di automobili sotto il proprio peso.

Le urla terrorizzate di centinaia di persone fecero sorridere i due alieni, che fluttuavano pigramente sopra gli alti e luminosi edifici.

“Staremo a vedere come se la cavano.” disse Kue incrociando le braccia al petto.

Kuchen fece scrocchiare le dita. “Che dici, se ce n'è l'occasione posso strappare le alucce di quella azzurra?” ridacchiò malevolo.

“Vedremo. La viola lasciala a me, però.”

L'alieno sogghignò. “Affare fatto.”  








*Insulto in "alienese".


Eccomi, sono tornata! ;) E' stata una vera sofferenza stare due settimane senza internet, lasciatemelo dire. xD Ho scritto questo capitolo in due giorni scarsi, il che, conoscendo le mie tempistiche, è praticamente un mezzo miracolo. E' di passaggio, me ne rendo conto, ma spero non vi siate annoiate! Ho cercato di seguire il consiglio datomi da Kelly Neidhart e di focalizzarmi un po' di più sugli altri personaggi: spero di non aver fatto un pasticcio. :3

Grazie mille per aver letto. Qui sotto vi ho fatto un rapido schemino per inquadrare meglio le cinque ragazze e fare un po' di chiarezza in più. Nel prossimo capitolo riuscirò sicuramente a postare anche la fan art di Ichijiku. :3

Alla prossima!




Suika Nakano

Età: 15 anni.
DNA: Tigre di Sumatra (Panthera tigris sumatrae).
Aspetto fisico: Capelli corti (appena sotto le orecchie), castani con riflessi rossi. Occhi castani.
Arma: Uno scettro bianco e rosso con una stella gialla sulla punta.

Sumomo Ishikawa

Età: 14 anni.
DNA: Gru siberiana (Grus leucogeranus).
Aspetto fisico: Capelli biondo chiaro, lunghi fino a metà schiena, frangetta. Capelli spesso raccolti in una coda alta. Occhi azzurri.
Arma: Un piccolo boomerang azzurro con delle ali disegnate sopra.


Ichijiku Chen

Età: 13 anni.
DNA: Tartaruga verde (Chelonia Mydas).
Aspetto fisico: Capelli neri, lunghi e lisci, senza frangetta. Usa spesso forcine e mollette. Occhi neri.
Arma: Un piccolo scudo verde scuro a forma di goccia.


Ninjin Fukuda

Età: 10 anni.
DNA: Cincillà coda corta (Chinchilla brevicaudata).
Aspetto fisico: Capelli arancioni, raccolti in due codini bassi, occhi verdi. Lentiggini.
Arma: Una piccola clava arancione e grigia.


Nasubi Nakajima

Età: 14 anni.
DNA: Orso bruno siriano (Ursus arctos syriacus).
Aspetto fisico: Capelli neri, ricci, lunghi fino alle spalle. Occhi marroni. Occhiali dalla montatura spessa, di colore nero.
Arma: Un sottile stocco viola e nero.
   

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Capitolo 12
*** Mew who? ***


12
12. Mew Who?




Quando le ragazze arrivarono nei pressi di Shibuya, il quartiere era nel caos più completo. Si fecero strada a fatica tra la folla di persone terrorizzate, guadagnandosi più di qualche occhiata confusa da parte dei loro concittadini.

“Ehi, ma sono le Mew Mew!” esclamò qualcuno all'improvviso.

“Sono tornate!” rincarò la dose qualcun altro. “Non ci credo!”

Con la coda dell'occhio, Suika vide che un paio di persone si erano fermate e avevano estratto i cellulari.

“Non è il momento di fare video! Scappate!” sbottò, forse un po' troppo bruscamente, fermandosi giusto un attimo per fare cenno loro di andarsene.

Sumomo era davanti a loro, ad una decina di metri d'altezza. Girato l'angolo, le cinque ragazze si arrestarono bruscamente: un Chimero a forma di camaleonte, alto almeno sette metri, faceva bella mostra di sé di fronte a loro. Era coloratissimo, quasi fosforescente, come se fosse stato dipinto con gli evidenziatori. Tutto intorno al mostro c'erano rottami di auto e pezzi di nero asfalto frantumato.

“Eccolo lì!” esclamò Sumomo. “E non è da solo!” aggiunse, indicando le due figure fluttuanti nei pressi di uno dei tanti grattacieli.

“E' enorme!” squittì Ninjin, facendo un passo indietro. Nasubi le poggiò una mano sulla spalla. “Sta' tranquilla.” le disse, cercando di rincuorarla.

Le ragazze si misero in posizione d'attacco, brandendo le armi.

Whoohoo! Forza, Mew Mew!” le incitò un ragazzo che le osservava a debita distanza.

“... Idiota.” mormorò Ichijiku lanciando un'occhiataccia alla folla che si era fermata a guardare. La maggior parte degli spettatori erano uomini, ma c'era anche qualche ragazza che allungava il collo per vedere meglio.

Sumomo, d'altra parte, sembrava apprezzare le attenzioni della folla. “Coraggio, brutto mostro! Ti serviremo come si deve!” esclamò, sprezzante.

Il Chimero teneva un occhio puntato su di lei e l'altro fisso sulle altre. Sembrava indeciso sul da farsi; mosse un paio di passi a sinistra, poi allungò il collo in avanti.

“Fate attenzione a quei due, non credo che siano qui solo per osservarci da lontano.” disse Suika, corrugando la fronte.

Un istante dopo, talmente veloce che quasi non lo videro, il Chimero estrasse la lunga lingua appiccicosa e in una frazione di secondo afferrò Sumomo come se si trattasse di un insetto.

Le ragazze urlarono per lo stupore nel vedere l'amica sparire dentro la bocca del mostro. Era successo tutto così velocemente da lasciarle tutte a bocca aperta.

“O mio dio!” gridò Nasubi, orripilata.

“No!” esclamò Suika, partendo alla carica, seguita a ruota dalle altre.

“Lasciala andare!”

“Maledetto!”

“Ribbon... Star Light!”

“Ribbon Earth Club!”

Il Chimero, colpito in pieno dagli attacchi combinati di Suika e Ninjin, barcollò e sputò la Mew Mew alata senza tante cerimonie. Coperte dall'attacco di Nasubi, le due ragazze riuscirono a trascinare via la compagna, completamente ricoperta di bava dall'odore nauseante. Sumomo tossiva, in preda a conati di vomito. “Toglietemela di dosso! Toglietemela di dosso!” gracchiò con le lacrime agli occhi.

“Aspettate, ci penso io.” disse Ichijiku. Puntando la propria arma contro la compagna, evocò un'onda d'acqua che lavò via gran parte della bava, oltre ovviamente a infradiciare Sumomo da capo a piedi.

“Dio mio...” mormorò Suika, inginocchiandosi di fianco all'amica. “Stai bene?”

“Oddio... Che schifo, oddio, no, che schifo...” ripeteva Sumomo sfregandosi freneticamente il viso e le braccia. Sembrava sull'orlo della crisi isterica.

“Ragazze, vi dispiacerebbe darmi una mano?” fece ad un tratto Nasubi, intenta a schivare i colpi di lingua del camaleonte gigante.

“Che schifo...” borbottò Ichijiku, avvicinandosi in un balzo al mostro nel tentativo di distrarlo.

“A me lo dici?!” piagnucolò Sumomo, a metà tra il terrorizzato e il furente. “Quel mostro schifoso stava per ingoiarmi! E' stato orribile!”

“Su, su...” le fece Ninjin un po' impacciata, scostandole dalla fronte la frangetta azzurra.

Suika impugnò saldamente il proprio scettro. “Tu sta' qui, ci pensiamo noi al Chimero.” disse rivolta a Ninjin. La bambina annuì, assottigliando le labbra.

La ragazza volse uno sguardo al cielo grigio e si irrigidì quando si accorse che i due alieni erano scomparsi. Si guardò freneticamente attorno mentre una familiare sensazione di paura le attanagliava lo stomaco.

Nel frattempo, Nasubi e Ichijiku facevano del loro meglio per sconfiggere il mostro e schivare i suoi attacchi, che, a onor del vero, consistevano semplicemente in tentativi di avvilupparle nella propria lingua e ingoiarle. Ichijiku, più agile rispetto alla compagna, non sembrava avere troppi problemi a neutralizzare l'offensiva nemica, mentre Nasubi tentava di contrattaccare.

Finalmente, in un colpo di fortuna misto ad eccellenti riflessi, Nasubi riuscì a tagliare la lunga lingua in un unico, preciso fendente infuocato.

La folla di spettatori esultò quando il Chimero si disintegrò e scomparve come polvere portata via dal vento. Ichijiku e Nasubi si scambiarono un'occhiata trionfante. “Bella mossa.” si complimentò la Mew verde, abbozzando un sorriso.

“Attenta!” esclamò improvvisamente Suika. Le due ragazze non fecero neanche in tempo a voltarsi che Nasubi fu violentemente colpita alla schiena da Kue, materializzatosi silenziosamente alle sue spalle. La ragazza cadde in ginocchio, gemendo.

“Questo è per ieri, p'shem.” la canzonò l'alieno, sorridendo malignamente. Nello stesso istante, Suika schivò a malapena l'attacco di Kuchen, che aveva tentato di colpirla con uno dei suoi pugni micidiali. “Argh, siete proprio fastidiose! Statevene buone e lasciatevi colpire!” sbottò l'alieno dai capelli rossi, tornando alla carica.

Kue respinse l'attacco di Ichijiku con apparente facilità, facendo volare la ragazza di parecchi metri prima di farla cadere scompostamente a terra. Afferrò Nasubi per i capelli, costringendola a piegarsi all'indietro. “Sentimi bene, umana.” le sussurrò guardandola negli occhi. “Noi vi annienteremo, conquisteremo questo pianeta ed eradicheremo la vostra patetica specie in un'unica... grandiosa... ondata di distruzione – ma prima ci assicureremo che voi cinque soffriate indicibili torture, per aver osato opporvi a noi.” Con uno strattone la fece cadere a terra, evocando la propria falce argentata. “Cominciando da te.”

Nasubi, che fino ad allora non era riuscita ad emettere alcun suono, gridò con tutto il fiato che aveva in gola, coprendosi il viso con le braccia in un istintivo gesto di difesa. In quel momento, Kue fu travolto in pieno da Suika, la quale, agendo totalmente d'istinto, gli si era buttata addosso con tutto il proprio peso. I due capitombolarono a terra a qualche metro di distanza, attirando su di sé l'attenzione di tutti i presenti.

“Kue!” lo chiamò Kuchen, incerto sul da farsi.

Suika intanto, senza nemmeno sapere come avesse fatto, si era ritrovata a cavalcioni sopra l'alieno, il quale, preso totalmente alla sprovvista, aveva perso la presa sulla propria arma. Tremante, la ragazza premette con entrambe le mani il proprio scettro sulla gola del nemico, che la fissava livido di rabbia, le pupille ridotte ad una fessura sottilissima.

“V-vattene.” gli intimò con voce flebile.

“Altrimenti?” la schernì lui, ringhiando.

Suika premette con più forza. “Ho detto vattene!” ripeté con voce più sicura.

L'alieno si produsse in una risata gorgogliante. “Hai ancora molto da imparare, ragazzina.” disse, dopodiché scomparve, seguito a ruota dal compagno.

La ragazza tirò un sospiro di sollievo. Si alzò in piedi a fatica: le ginocchia e le mani le bruciavano a causa dell'attrito con l'asfalto. Nasubi le si avvicinò, ingobbita. Avevano entrambe il fiatone; nessuna delle due disse nulla, ma bastò uno sguardo ad esprimere la riconoscenza che Nasubi provava nei confronti dell'amica. Di nuovo, tutte e cinque si avvicinarono le une alle altre, mentre la folla le acclamava, entusiasta. Lontano si sentiva il suono delle ambulanze in avvicinamento.


***


Il giorno dopo, un sabato, Suika si presentò al Caffé con un leggero ritardo. Quella mattina, appena sveglia, si era accorta che le sbucciature alle ginocchia e alle mani erano già praticamente guarite, il che doveva senz'altro essere uno dei vantaggi del suo DNA modificato.

Entrò nel locale, trovando Ryou e Keiichirou intenti a guardare un video su internet da un portatile bianco di ultima generazione. “Buongiorno.” disse timidamente. “Scusate il ritardo. Le altre sono già qui?”

“Solo io.” fece Ichijiku, sbucando dagli spogliatoi in completo da cameriera.

“Oh, allora non sono così in ritardo.” osservò Suika, sorridendo.

“Già, tutto è relativo.”

La ragazza annuì. “Quindi... Stai bene? La caviglia?” chiese alla compagna avvicinandosi di un passo.

Ichijiku incrociò le braccia. “Sono stata meglio, ma non mi lamento.” La squadrò, seria. “Tu, invece? Ho visto che ieri perdevi sangue dalle ginocchia...”

“Tutto bene, sono già guarite.” rispose lei, mostrando i palmi delle mani.

Ryou sospirò pesantemente, attirando la loro attenzione. “Che succede?” chiesero le ragazze all'unisono, avvicinandosi ai due uomini.

“Guardate qui.” disse Ryou aprendo una pagina web. “Ha fatto il giro del mondo.”

Le ragazze sgranarono gli occhi. “Ma... siamo noi!” esclamò Suika a bocca aperta.

“E' lo scontro di ieri pomeriggio... Maledetti, ci hanno filmate davvero!” disse Ichijiku, contrariata. “Ma la gente non ha niente di meglio da fare?!”

“... Non sanno chi siamo realmente, vero?” domandò Suika, preoccupata.

Keiichirou scosse la testa. “No, per fortuna. Ma questa è pubblicità che preferiremmo di gran lunga evitare, se possibile.” confessò in tono grave.

Suika arrossì nel vedere se stessa scagliarsi addosso a Kue. “L'hai proprio placcato, Suika-chan.” mormorò Ichijiku con un sorriso divertito stampato in faccia.

La ragazza si nascose il viso nelle mani. “Che vergogna...”

“E perché?” intervenne Keiichirou. “Hai attaccato come una vera e propria tigre. L'istinto animale è una qualità molto importante, è saggio da parte vostra sfruttarla.”

“E questi?” chiese Ichijiku, puntando un dito su una lista di siti internet.

“Questi sono... Fan club, in poche parole.” spiegò Keiichirou, portandosi una mano dietro la testa.

Suika alzò un sopracciglio, stupita. Titoli come IL SENSAZIONALE RITORNO DELLE MEW MEW, ISCRIVITI AL FAN CLUB UFFICIALE DELLE TOKYO MEW MEW e VOTA LA TUA MEW MEW PREFERITA le facevano girare la testa. C'erano anche delle foto, scattate nel bel mezzo dello scontro del giorno prima. Si consolò quando si accorse che in foto sembrava davvero tutt'altra persona rispetto a chi era realmente.

Vota la tua Mew Mew preferita?” Ichijiku sbuffò. “Oh, bene, siamo ufficialmente diventate un fenomeno da baraccone.”

“In effetti...” mormorò Suika, abbassando lo sguardo. Non sapeva bene come sentirsi: da un lato capiva benissimo come tutta quell'attenzione non fosse favorevole alla loro missione; dall'altro un po' la lusingava avere più di un sito internet dedicato alla propria persona, anche se si trattava di un alter-ego. “Almeno la gente si accorge di quello che facciamo per loro.” disse facendo una piccola smorfia.

“Hmm.” fu la laconica risposta di Ryou, che, lanciata un'occhiata all'orologio, chiese con impazienza: “Ma dove sono finite le altre? Hanno un quarto d'ora di ritardo!”

“Ho il numero di Sumomo e di Nasubi, adesso le chiamo.” disse Suika estraendo il cellulare dalla tasca dei jeans. Si allontanò, quasi a volersi appartare, e portò il cellulare all'orecchio. Dopo parecchi squilli, Sumomo le rispose. “Prondo?

“Ehi, ciao! Sono Suika, volevo sapere dove fossi, ti stiamo aspettando per aprire il Caffé!”

Sniff... Sodo a leddo, cod il raffreddore e la febbre...

“Oh! Oddio, mi dispiace! E' per la doccia fredda di ieri, immagino...”

Etciù!

“Ehm... Beh, riposati, mi raccomando! Magari più tardi veniamo a trovarti, che ne dici?”

Sniff... Sì, benite, sodo dando sola e driste...

“O-ok... Riposati, mi raccomando!” Si girò verso gli altri. “Sumomo è malata, adesso provo a sentire Nasubi...”

Anche quest'ultima si fece pregare prima di rispondere al telefono.

“Ehi, ciao, sono Suika...”

Ah, sì... Immagino ti starai chiedendo come mai non sono al Caffé.” rispose Nasubi con voce spenta.

“Già... E' successo qualcosa, stai male?”

No, io... E' che non avevo voglia, dopo ieri...

“Intendi dopo quello che è successo con Kue?” sussurrò Suika, mordendosi il labbro.

Sì.” confessò l'amica, sospirando. “Volevo... stare un po' in pace, da sola, a riflettere. Voglio dire, io ho accettato questo ruolo senza davvero capire cosa potesse significare essere prese di mira... in questo modo. E... continuo a pensarci, al modo in cui mi guardava, al pericolo che ho corso, alle cose che mi ha detto...” Si interruppe, soffocando un singhiozzo. “Io ho paura, Suika. Non credo di farcela.

“Aspettami, arrivo.” disse la ragazza in tono deciso.

Cosa? Vuoi venire a casa mia?

“Sì.”

Ma... il locale?

“Ci siamo solo io e Ichijiku, Sumomo è malata e Ninjin...”

... Non è venuta nemmeno lei, vero? Poverina, mi sembrava tanto scossa, ieri sera...

Suika rimase in silenzio per qualche secondo. “Sono sicura che a Shirogane non dispiacerà tenere chiuso, oggi.” disse, rivolgendosi al proprietario del locale con sguardo interrogativo.

Ryou corrugò la fronte, poi annuì piano. Suika gli sorrise, grata. “Arriviamo.” disse all'amica dall'altro capo del telefono.

Va bene.

Terminata la telefonata, Suika si avvicinò a Ichijiku. “Ti va di venire a risollevare il morale alle altre?”

Ichijiku annuì. “Ma certo. In realtà immaginavo fosse successo qualcosa del genere... Ho avuto paura anche io, sai.”

“Anche io. Penso sia normale...” confessò Suika, lanciando un'occhiata obliqua a Ryou e Keiichirou. Il pasticcere sembrò adombrarsi. “Ci dispiace tanto, ragazze. Ma siete state davvero brave, migliorate di giorno in giorno.”

Un silenzio imbarazzante scese tra i quattro, rotto infine da Ichijiku che annunciò che sarebbe andata a cambiarsi d'abito.


***


“Uff, finalmente arrivati!” esclamò Ichigo non appena l'aereo atterrò all'aeroporto di Narita. “Non ne potevo più!”

Masaya rise. “Ma se hai dormito tutto il tempo..!”

Ichigo arrossì lievemente. “Beh, sì, ma ti assicuro che è stato un sonno davvero stressante!”

Il ragazzo le strinse la mano tra le sue. “Sei contenta di essere qui?” le chiese dolcemente.

Lei annuì, guardando fuori dal piccolo oblò. “Sì, lo sono. Mi mancava, il Giappone.”

Uscirono dall'aereo insieme al resto dei passeggeri, respirando a pieni polmoni l'aria fredda di Dicembre. Tenendosi per mano, si fecero strada fino al nastro trasportatore dove scorrevano i bagagli da recuperare. Lì, in mezzo al frastuono provocato da centinaia di persone in arrivo e in partenza, un piccolo televisore a schermo piatto trasmetteva un telegiornale muto. Ichigo alzò lo sguardo e il suo sorriso scomparve quando vide le immagini di uno scontro con quello che riconobbe subito come un Chimero.

“E così sono loro.” mormorò mentre davanti ai suoi occhi passavano le figure, sfuocate ma inconfondibili, di cinque Mew Mew.

 
 






Eccomi, gente! :D Mi dispiace davvero per il ritardo, purtroppo ho avuto un po' di casini in questi giorni. Vi ringrazio davvero tanto per le splendide recensioni che avete lasciato al capitolo precedente, significano davvero molto per me. ^^
In questo capitolo mi sono sentita un po' cattiva... Sumomo e Nasubi non sono state molto contente. xD
Come avete potuto constatare, Ichigo è finalmente tornata! Finalmente, scommetto che non ci speravate più. xD
Qui sotto, come promesso, vi lascio uno schemino degli alieni e il link alla fan-art di Ichijiku.
Mi raccomando, fatemi sapere tutto quello che vi è passato per la testa mentre leggevate il capitolo, critiche incluse!
Un bacione. :3



Kue

Età: 17 anni.
Aspetto fisico: Occhi viola, capelli neri, lunghi, raccolti in una treccia, cicatrice sulla parte destra del volto.
Arma: Una lunga falce argentata.


Kuchen

Età: 16 anni.
Aspetto fisico: Occhi verdi, capelli rossi e lunghi, molto muscoloso.
Arma: Tirapugni in metallo.


Pastel

Età: 18 anni.
Aspetto fisico: Occhi azzurri, capelli bianchi, lunghi fino a metà coscia.
Arma: Sorpresa! ;)



http://imageshack.us/a/img845/9014/cmru.jpg

 

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Capitolo 13
*** The reason we fight - part one ***


 

13. The reason we fight – part one

 

 

 



Suika e Ichijiku giunsero di fronte alla porta dell'appartamento di Sumomo dopo aver salito due rampe di scale in marmo bianco. L'amica abitava al primo piano di un condominio in un quartiere immerso nel verde, ideale per famiglie con figli piccoli.

 

Suika suonò il campanello e si sistemò la sciarpa di lana sul collo, accaldata. Ichijiku, al suo fianco, aspettava a braccia conserte.

 

Da dentro l'appartamento, le ragazze poterono facilmente udire uno scambio di battute ad alta voce: riconobbero subito la voce della compagna, nonostante la raucedine causata dalla malattia, che duettava, infastidita, con un'altra voce, più bassa e decisamente maschile.

 

Dopo qualche momento, la porta si spalancò e ne emerse un ragazzo piuttosto alto, dagli occhi azzurri e i capelli castano chiaro. Indossava una maglietta a maniche corte bianca e un paio di pantaloni grigi. “Siete le amiche di Sumomo?” chiese con voce strascicata.

 

Le due ragazze annuirono.

 

"Falle endrare, Seiji! E sii carino!” sentirono biascicare Sumomo dal salotto.

 

Il ragazzo si spostò quel tanto che bastava per farle passare. “Fossi in voi non rischierei di ammalarmi per venire a trovare questa testa di rapa.” mormorò chiudendo la porta dietro di loro.

 

Suika sorrise, imbarazzata, mentre Ichijiku sembrava improvvisamente trovare molto interessante il parquet in legno chiaro del pavimento. Si tolsero entrambe le scarpe e i cappotti sotto lo sguardo vigile di Seiji. Il ragazzo rimase impalato a fissarle per un po', poi parve riscuotersi e, con andatura un po' goffa, tornò a sedersi alla scrivania in ingresso, su cui troneggiava un computer di ultima generazione.

 

Suika e Ichijiku, dopo essersi scambiate un'occhiata dubbiosa, si diressero in salotto, stanza in cui il verde chiaro delle pareti comunicava un piacevole senso di freschezza. Sumomo era stesa sul divano grigio perla, con una coperta di lana sulle gambe e una pezza bagnata sulla fronte.

 

Ciao, Suika-chan. Che bello che sei venuda.” disse tirando su col naso.

 

C'è anche Ichijiku, hai visto?” le fece notare Suika, sorridendo calorosamente mentre si inginocchiava vicino al divano, imitata dall'amica.

 

Ah, già.” fece Sumomo, accigliandosi. “Di' un po', la prossima volda podresdi evidare di addegarmi soddo uda cascada di acqua gelida in piedo idverdo?” chiese mentre Suika le passava un fazzoletto pulito. “Grazie.

 

Mi augurerei che non ci fosse, una prossima volta.” rispose stizzita Ichijiku. “E comunque stavo solo cercando di aiutarti.”

 

Sumomo sbuffò. “Aiudarmi a prendere un raffreddore, senza dubbio.” Si soffiò il naso per l'ennesima volta. “Oddio, sdo malissimo...” mormorò socchiudendo gli occhi. “Dove sodo le aldre?” chiese dopo qualche momento.

 

Suika e Ichijiku si scambiarono un'occhiata preoccupata. “A casa, crediamo. Nasubi non se la sentiva di venire, oggi...” rispose Suika a bassa voce.

 

Come mai? Sda bale adche lei?

 

Non proprio.” disse Ichijiku stringendo le mani a pugno.

 

E'... scossa, per quello che è successo ieri con Kue. Forse tu non hai visto bene la scena...” fece Suika, sollevando un sopracciglio.

 

Do, ero troppo occupada a sgappare da quello grosso.

 

La ragazza fece una smorfia. “Immaginavo. Beh, c'è mancato poco che non la colpisse allo stomaco con la falce e... credo che le abbia detto delle cose che l'hanno spaventata.” Fece una pausa. “Infatti poi volevamo passare a trovarla, sentire come sta, insomma.”

 

Sumomo annuì ad occhi chiusi. “Gapisco.

 

E tu?” chiese Ichijiku di punto in bianco.

 

Io gosa?

 

Come stai? Hai avuto paura, quando il Chimero...”

 

Dod voglio parlarde.” disse bruscamente la ragazza.

 

Ichijiku parve prenderla piuttosto male. Assottigliò le labbra e abbassò ancora di più lo sguardo, lasciando che i fluenti capelli neri le coprissero gran parte del volto.

 

Mi dispiace per quello che è successo, Sumomo-chan.” fece Suika abbassando lo sguardo a sua volta.

 

Sumomo non rispose. Aveva ancora gli occhi chiusi e respirava a fatica, con la bocca semiaperta.

 

Suika si sporse verso l'amica, passandole una mano sulla fronte. “Ti cambio la pezza, vuoi?” le chiese. Sumomo annuì, deglutendo rumorosamente.

 

La ragazza si alzò in piedi, prese la pezza bagnata in mano e si diresse nella piccola cucina blu adiacente al salotto. Aprì il rubinetto dell'acqua fredda, ci passò la pezza sotto e la strizzò, dopodiché tornò in salotto.

 

Grazie.” fece Sumomo con un filo di voce. “Dovrebbe farlo Seiji, ba se de frega, cod la scusa dell'Unibersidà... Sdasera lo dico alla babba...”

 

Suika le prese una mano tra le sue. “Ti lasciamo in pace, adesso. Cerca di riposare, ok?”

 

Sumomo annuì. “Dide a Dasubi e a Didjid che dod si facciado abbaddere. Siabo speciali, è la dosdra missiode gombaddere, adche se è difficile.” Tirò su col naso. “Sbero di ribrenderbi presdo.

 

Ne sono sicura. Riposati e prendi le medicine, mi raccomando.” si congedò Suika. Ichijiku la seguì in silenzio nel corridoio di ingresso. Seiji non si alzò dalla sedia, ma si girò a guardarle mentre indossavano i cappotti e le scarpe.

 

Andate già via?” chiese, aggrottando la fronte. Suika annuì timidamente: sebbene fosse evidentemente pigro e indisponente, era senza dubbio un bel ragazzo, e rivolgersi ad un bel ragazzo la metteva sempre in imbarazzo.

 

Fate bene, è già insopportabile quando sta bene...” mormorò lui, facendo una smorfia. “Ehi, aspetta, ti è caduto il cappello!” esclamò all'improvviso, alzandosi rapidamente in piedi e porgendo il berretto di lana a Ichijiku, che aveva già inforcato la porta.

 

Oh.” Suika vide l'amica arrossire violentemente. “Grazie.” Ichijiku voltò le spalle al fratello di Sumomo e uscì a passo marziale dall'appartamento, seguita a ruota da Suika.

 

Le due scesero in fretta le scale senza dirsi nulla. Non appena uscirono in strada, però, Suika chiese: “Tutto bene?”

 

Ichijiku le lanciò un'occhiata di sfuggita. “Perché me lo chiedi?” domandò con le guance arrossate.

 

Mi dispiace che Sumomo ti abbia trattata in quel modo.” confessò la ragazza, iniziando a camminare.

 

Non importa. Mi sta solo ripagando con la stessa moneta.” disse Ichijiku con una punta di amarezza nella voce.

 

Suika mise le mani nelle tasche del cappotto bianco che indossava. “Carino, il fratello di Sumomo.” buttò lì, sorridendo furbescamente.

 

Ichijiku non parve cogliere la provocazione. “Mmh.”

 

Insomma, un po' brusco, ma credo che si possa trovare qualcosa di buono anche in caratteri all'apparenza difficili...”

 

Mmh.” ripeté Ichijiku, ostentando indifferenza.

 

Suika smise di insistere: era evidente che la ragazza non voleva aprirsi con lei, almeno non in quel momento. Camminarono in silenzio per un po' di tempo, costeggiando un grande parco dove un paio di anziane donne stavano sbriciolando del pane da dare ai pochi uccellini affamati e stremati dal freddo.

 

Penso che le persone non siano veramente buone se non lo sono nei confronti degli animali.” fece all'improvviso Suika, osservando con dolcezza le vecchiette.

 

Lo credo anche io.” fu la laconica risposta di Ichijiku.

 

Hai animali in casa?” chiese Suika, decisa a fare conversazione.

 

No, la compagna di mio padre è allergica.”

 

Oh.”

 

Ichijiku si riavviò i capelli. “Mia madre è morta quando avevo sei anni, sai. Mio padre è rimasto solo per un bel po', poi ha incontrato Reiko, ma è solo da un paio d'anni che lei è venuta a vivere con noi.”

 

Suika sgranò gli occhi. Non sapeva davvero come interpretare quell'improvvisa quanto inaspettata confessione da parte della compagna di squadra. “Mi... mi dispiace tantissimo.” mormorò mentre lo stomaco le si stringeva. “Dev'essere stato tremendo.”

 

Sì, lo è stato. La solitudine è brutta, in situazioni del genere. Mi sarebbe tanto piaciuto avere un fratello o una sorella con cui condividere... beh, il peso.”

 

Suika annuì. “Credo di capirti, in un certo senso. Mio padre... Beh, non l'ho mai conosciuto, in realtà. Non so nemmeno dove sia, mamma non ne parla mai e io ho paura di chiedere. Mia sorella qualcosa si ricorda, io proprio zero.” Si stupì della facilità e della naturalezza con cui le erano uscite quelle parole. Forse le era venuto spontaneo condividere una cosa così intima perché Ichijiku l'aveva fatto a sua volta, o forse, semplicemente, le ispirava fiducia. Sembrava una di quelle persone estremamente serie e leali nel confronti degli amici, che mai e poi mai si sognerebbero di tradire un segreto o la parola data.

 

Hai una sorella?” le domandò Ichijiku, camminandole più vicino.

 

Sì, si chiama Sakura. Ha cinque anni più di me e studia economia negli Stati Uniti. Non torna spesso a casa, ma forse per le vacanze di Natale la rivedrò, chissà.”

 

Quindi a casa tua siete tu e tua madre?”

 

E i miei tre gatti. Fanno parte della famiglia anche loro.” rispose Suika mentre giravano l'angolo e si immettevano in una strada più trafficata. Dovettero alzare la voce a causa del rumore delle auto e della gente che camminava frettolosa sul marciapiede di fianco alle vetrine dei negozi.

 

Come si chiamano?” chiese Ichijiku, schivando prontamente una donna di mezza età oberata da una decina di borse.

 

Ichiro, Sora e Nao. Ichiro è il più vecchio, Sora è quella di mezzo e Nao è un cucciolo di quattro mesi.”

 

Li ami molto, vero?”

 

Suika sorrise. “Si vede?”

 

Ti si illuminano gli occhi, quando ne parli.” osservò Ichijiku.

 

Sono i miei bambini.” disse semplicemente Suika. “Adottati tutti e tre dai rifugi per i gatti randagi o abbandonati. Ichiro è stato il mio primo amore, ovviamente: è con me da quando avevo nove anni. Poi c'è stata Sora, era in condizioni pietose quando l'abbiamo presa, mentre adesso è la più ciccia di tutti.” Ridacchiò. “E Nao è il piccolino della famiglia, non è passato neanche un mese da quando l'abbiamo preso, ma si comporta già come se fosse lui, il padrone.” Scosse la testa. “Scusa, mi rendo conto di suonare come una specie di gattara pazza...”

 

No, è bello invece. Si vede che ti stanno a cuore.” disse Ichijiku. “Da piccola avevo una tartaruga d'acqua. Ironico, no?”

 

Suika rise. “Dovremmo esserci, tra poco.” fece d'un tratto. “Superato quel bar, a destra... Almeno, così mi sembra di ricordare.”

 

Ichijiku annuì. “Cosa pensi di dirle, a Nasubi?” le chiese in tono grave.

 

La ragazza sospirò. “A dire il vero, non lo so. Dipende anche da cosa dirà lei, immagino.”

 

Sumomo sembra crederci davvero, a questa cosa del destino e dell'essere speciali.”

 

Suika corrugò la fronte. “Tu non ci credi?”

 

Ichijiku si strinse nelle spalle. “Non lo so. Non mi hanno mai convinta, queste storie. Cioè, va bene combattere, ma sono stati Shirogane e Akasaka a trasformarci, giusto? Lo hanno scelto loro.”

 

Perché il nostro DNA era compatibile con quello degli animali codice rosso.”

 

Lo so. Ma siamo davvero solo noi cinque? Su sette miliardi di esseri umani? Non credo proprio. Sarà stata anche convenienza geografica, immagino, ma comunque sia, ci sono le nostre vite in gioco...”

 

Ma se noi falliamo, l'intero pianeta, l'intera umanità correrà il pericolo di venire distrutta.” intervenne Suika. “Non è forse un buon motivo per combattere e sacrificarsi?”

 

Certo che lo è. Ma è una ragione abbastanza forte? Per Ninjin, ad esempio. La filosofia e i grandi ideali ti portano fino ad un certo punto, ma non ti fanno andare avanti nonostante tutto. Per fare questo, per lottare al meglio dobbiamo avere una ragione forte, profonda e radicata, altrimenti prima o poi temo che non riusciremo più a combattere.” La ragazza si mangiucchiò un'unghia. “E' un po' che ci penso, sai? Penso che ognuna di noi dovrebbe riflettere e trovare in se stessa un perché. Perché lottare? E dev'essere qualcosa di buono, una di quelle cose che ti fanno battere il cuore e cercare l'aria quando non riesci a respirare, con tutte le tue forze.”

 

Suika rimase ammutolita per un po'. Sentiva che l'amica aveva perfettamente ragione. Il cuore prese a batterle forte. “E tu, l'hai trovata questa ragione?” chiese timidamente, sentendosi improvvisamente minuscola.

 

No, non ancora.” ammise Ichijiku mestamente. “Per ora mi sono occupata di combattere la paura che ho ogni volta che devo affrontare i Chimeri e gli alieni. Non è facile, per niente.”

 

Suika sospirò. “Già.”

 

Si fermarono di fronte alla casa di Nasubi, una villetta a due piani dai muri di una pallida tonalità di giallo. “Eccoci qui.” disse Suika. “Grazie per... beh, avermi detto queste cose. Mi hai fatta riflettere.”

 

Figurati. Dobbiamo restare unite, noi cinque. E poi, non troverei per niente giusto che la responsabilità di questa cosa sia solamente tua, solo perché tu sei la leader.”

 

Suika sospirò. “In tutta onestà, non credo di essere fatta per guidare gli altri.”

 

Ichijiku la guardò, sorpresa. “A me invece sembra che ti venga naturale.”

 

Suika scosse la testa. “Sono sempre timorosa e piena di incertezza. Sumomo invece, lei sì che...”

 

Oh, per favore.” sbottò l'altra. “Sumomo è avventata, si lancia in battaglia senza riflettere. Certo, per alcuni versi è una qualità ammirevole, ma non la rende di sicuro migliore di te a guidarci.”

 

La ragazza si morse il labbro. “Non lo so. Non mi sembra di stare facendo niente di che. L'unica cosa di cui vado fiera è stato quel gesto impulsivo di ieri, ma io non sono così, mi faccio frenare troppo spesso da riflessioni e paure. Non sono una leader.”

 

Allora vuol dire che imparerai ad esserlo. Akasaka ha elogiato l'istinto animale che possediamo, forse dovremmo davvero seguirlo più spesso.” disse Ichijiku posando una mano sulla spalla della compagna.

 

Suika le sorrise. In quel momento, sottili fiocchi di neve iniziarono a scendere dal cielo.

 

"Coraggio, andiamo a parlare a Nasubi.” disse infine Suika.











Buongiorno, gente! ;) Spero che questo capitolo non vi abbia annoiate. Lo so, non succede praticamente niente, ma sono del parere che un po' di introspezione ci volesse. Spero che la pensiate allo stesso modo!


Al momento sono super incasinata con gli esami e l'inizio imminente dell'Università, ragion per cui non so quando riuscirò ad aggiornare. Se il capitolo vi è sembrato atipico, probabilmente è anche per questo, stress ecc. ecc. La fan art di Ninjin è quasi pronta, dovrei riuscire a postarla nel prossimo capitolo.


Ah, sto usando un nuovo computer e un nuovo editor per scrivere questo capitolo, per cui vi prego di farmi notare eventuali casini con l'html (e magari se qualcuno riuscisse a spiegarmi come mai le virgolette dei dialoghi vengono fuori spaiate...).


Vorrei riuscire a trovare un ritmo di aggiornamento stabile, alternandomi con le altre due long che sto scrivendo, ma sono cosciente del fatto che non è altro che un'utopia. xD Vabbe', la smetto di blaterare. Un bacione a tutte voi! :* 

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Capitolo 14
*** The reason we fight - part two ***


14. The reason we fight – part two


 

Retasu fissò perplessa il cartello appeso alla porta del Café Mew Mew. Doveva essere successo qualcosa, pensò, se il locale era chiuso a quell'ora del mattino. Forse un nuovo attacco alieno? Temendo il peggio, aprì la porta e chiamò Keiichirou a gran voce.

Questi le venne incontro di corsa, preoccupato dal suo tono di voce.

“Tutto bene, Retasu? È successo qualcosa?”

“No, io sto bene... Ho notato che il Café è chiuso e ho pensato che...” si affrettò a giustificarsi la ragazza.

Keiichirou annuì, comprensivo. “...ti sei preoccupata. Sta' tranquilla, non è successo nulla. Le ragazze avevano solo bisogno di una pausa e Ryou ha pensato di dare loro la giornata libera.”

“Oh.” fece lei, dandosi della scema per essere saltata a conclusioni affrettate. “Certo, capisco.”

Keiichirou sorrise. “Ne stavo approfittando per leggere un po'.” Andò in cucina e ne riemerse qualche secondo dopo con un libro in mano.

“È un libro di ricette?” scherzò la ragazza.

“No, in realtà è un romanzo. Dumas, Il conte di Montecristo. Lo conosci?” disse lui, sfogliando le pagine del libro. “L'ho appena cominciato. Erano anni che volevo leggerlo, ma non ne ho mai avuto il tempo. Anzi, a onor del vero tempo ne avevo, di tanto in tanto, ma mi mancava la voglia. Forse non avevo abbastanza pazienza.”

“Tu che non hai abbastanza pazienza?” intervenne Ryou alle sue spalle. “Raccontane un'altra, questa non è verosimile.”

Keiichirou rise piano. “Eppure è così.”

“Si vede che tutta la pazienza che avevi la dedicavi a me.”

“Probabile.”

Retasu sorrise. Il rapporto fraterno tra i due ragazzi le aveva sempre scaldato il cuore, soprattutto perché Keiichirou era la persona con cui Ryou si apriva di più e a cui faceva vedere le numerose sfaccettature della sua personalità.

Ryou la guardò negli occhi per una frazione di secondo e tanto bastò per mandarla in confusione.

“Retasu, posso parlarti?” le chiese, avanzando di un passo nella sua direzione.

La ragazza sgranò gli occhi. “Oh... Ehm... Certo! Dimmi pure!” balbettò abbassando lo sguardo.

Ryou si mise le mani in tasca. “Ti andrebbe di fare una passeggiata?”

La ragazza annuì di getto. “Certo!” esclamò con una voce troppo stridula, che pregò lui non avesse notato.

Il ragazzo si diresse a grandi falcate verso la porta, facendole cenno di precederlo. Lei si affrettò a raggiungerlo. “Non metti un giubbotto addosso?”

Lui scrollò le spalle. Uscirono in silenzio, camminando a passo lento lungo il vialetto.

Retasu si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. C'era un silenzio quasi innaturale lì fuori, come se tutto si fosse improvvisamente congelato.

Come fa a non avere freddo?, pensò scoccandogli un'occhiata fugace.

“Kei ti ha detto delle ragazze?” le fece lui in tono quasi noncurante.

Lei annuì. “Mi ha detto che avevano bisogno di una pausa.”

Ryou sbuffò. “Già... Una pausa. Immagino dovremmo approfittarne, finché possiamo.” disse amaramente.

“C'è qualche problema?” chiese Retasu corrugando la fronte.

Lui scosse la testa. “Non lo so, io...” Si interruppe, cercando le parole giuste. “È solo che non mi sembra che siano convinte, o dedicate alla... causa, o come vuoi chiamarla.” Svoltarono a destra, lungo il marciapiede.

“Nemmeno Zakuro era convinta, all'inizio. Anzi, mi pare di ricordare che sia stata un vero osso duro, all'epoca.” fece lei, cercando di mantenere un tono spensierato.

Ryou fece un mezzo sorriso. “Il cobra gigante, me lo ricordo. E poi Ichigo ha fatto l'annuncio in diretta nazionale... Quella stupida...”

Retasu sorrise a sua volta. “Già. Quella volta, ricordo, ce la siamo passata davvero brutta, prigioniere in quella specie di dimensione parallela. Anche se io non ho visto molto, ero senza occhiali...”

“Dio, come avete fatto a resistere in quell'inferno?”

La ragazza lo guardò, stupita dalla domanda, così diretta, e dalla frustrazione nella sua voce. “Beh...”

Ryou scosse la testa, sospirando. “E poi c'è la questione dei social, e di internet. Prima o poi qualcosa verrà alla luce, ne sono certo, e allora inizieranno i guai, anche con il governo. Forse dovremmo chiudere il Café, cambiare di nuovo sede.”

Retasu esitò. “Hai paura per la loro incolumità?” chiese sottovoce.

“Ho paura di molte cose. Troppe cose, a dire il vero.” confessò lui gravemente. “E non posso permettermelo.”

La ragazza abbassò lo sguardo. “Anche io avevo paura. Sempre. Ogni volta che dovevamo affrontare il nemico mi sentivo morire di paura.” Si interruppe mentre un'auto nera le passava di fianco. “E credo che anche loro ne abbiano.”

Ryou si fermò e la guardò, serissimo. “Io ho bisogno che tu dica queste cose anche a loro. Puoi farlo?”

Retasu lo fissò. Anche se avesse voluto, non avrebbe mai potuto rifiutargli nulla. “Certo, ma...”

“Ho bisogno che tu comunichi loro un po' della tua esperienza, e della tua forza. Penso sarebbe più facile, per loro.”

Lei si morse il labbro inferiore. “Farò del mio meglio.” Esperienza era sicura di averne, da vendere. Forza, un po' meno...

Ryou si fermò e le posò le mani sulle spalle. “Tu sei forte, Retasu. Lo vedranno anche loro, come lo vediamo noi. Come lo vedo io.”

La ragazza sgranò gli occhi, interdetta dalle parole dello scienziato, che sembrava averle letto nel pensiero.

Ryou rise. “Vedi, con te i discorsi d'incoraggiamento mi riescono. Mi chiedo come mai con loro non mi vengano.”

Lei sorrise, imbarazzata. “Sono felice di poterti essere d'aiuto, a mio modo.”

“Sei molto d'aiuto, Retasu. Ti ringrazio.” le fece, improvvisamente impacciato. “Beh, sarà meglio rientrare...”

Una passeggiata molto breve..., pensò la ragazza mentre si incamminavano nuovamente verso il Café. Ecco come mai non si è portato via la giacca.

“Come... vanno gli studi?” le domandò, cogliendola piacevolmente di sorpresa.

“Oh, bene, grazie... Tra poco dovrei iniziare a fare un po' di tirocinio in ospedale, sai... Certo lo studio è impegnativo, però me la cavo.”

“Se restare al Café ti porta via tempo, non sentirti costretta a venire.”

“Ma no, anzi, mi fa piacere! Ecco, magari durante le sessioni d'esame sarà più difficile ritagliarmi del tempo libero, però...” Non finì la frase. Davanti a loro, a qualche decina di metri, un ragazzo e una ragazza avanzavano chiacchierando allegramente, tenendosi per mano. Lui era un po' più alto di come lo ricordava, ma il taglio di capelli era lo stesso, mentre quelli di lei erano cresciuti parecchio dall'ultima volta che l'aveva vista.

Erano ancora dello stesso delizioso rosso magenta di un tempo. In mezzo a tutto quel grigiore, sembravano ancora più rossi.

“Ichigo-san?” si lasciò sfuggire.

La ragazza le lanciò un'occhiata sorpresa. “O mio dio, Retasu-chan!” esclamò schizzando in avanti e travolgendola con il suo abbraccio.

“Ichigo-san, bentornata...” le disse ricambiando l'abbraccio.

Ichigo si produsse in un urletto di felicità. “Sei diventata ancora più alta! Hai cambiato taglio! E gli occhiali... Stai benissimo!” esclamò squadrandola da capo a piedi. “Non ci posso credere, è passato tanto di quel tempo...” Il suo sguardo si spostò su Ryou. “Tu sei rimasto uguale, invece.” gli disse sorridendo.

Ryou fece una smorfia. “Dovrei prenderlo come un complimento..?”

Ichigo ridacchiò. “Non era nelle mie intenzioni, Shirogane.” disse in tono scherzoso.

Il ragazzo sbuffò. “Sempre la solita cafona.” commentò stiracchiandosi pigramente.

“How dare you!” esclamò la ragazza, fingendosi offesa.

“Oh, I see you finally learned English...” replicò Ryou, scoccandole un'occhiata divertita.

“I had a good teacher.” disse la ragazza trascinando in avanti Aoyama, che sorrideva educatamente. “Vi ricordate di Masaya, vero?”

“Certo. Bentornato in Giappone.” gli fece Ryou.

Aoyama gli porse la mano. “È bello rivederti, Shirogane.”

Si scambiarono una veloce stretta di mano. “Retasu-san, è un piacere rivederti.” la salutò poi Aoyama, facendo un cortese inchino.

Retasu chinò il capo a sua volta. “Anche per me. Avete fatto un buon viaggio?”

“Lungo, ma senza incidenti.” rispose Masaya mentre Ichigo lo prendeva a braccetto. “Stavamo venendo a dare un'occhiata al Café.” intervenne la ragazza con gli occhi che brillavano. “Volevamo farvi un'improvvisata, ma ci avete beccati.” ammise con finto rammarico.

“Oh, allora prego, entrate. Il Café è chiuso al momento, ma...” disse Retasu indicando alla sua sinistra.

“Come sarebbe 'chiuso'? È sabato mattina! Shirogane, hai cambiato i turni? Non è giusto, ci facevi sempre lavorare al sabato mattina...” protestò Ichigo mentre i quattro si incamminavano lungo il vialetto in pietre rosa e gialle.

“In realtà, ho concesso una pausa alle ragazze.” disse Ryou, e a Retasu parve che la cosa iniziasse a dargli fastidio.

“A me non davi mai la possibilità di fare pause.” osservò la ragazza mettendo su il broncio.

“Io e te ricordiamo le cose in modo diverso, evidentemente.”

Ichigo soffocò una risposta piccata alla vista dell'edificio. “Mio dio, è pazzesco. È esattamente come lo ricordavo.” disse, commossa.

“Avete fatto davvero un bel lavoro.” aggiunse Masaya sorridendo.

“Grazie.” fece Retasu. “Anche Zakuro-san ci ha aiutati molto.”

“Zakuro è qui?” chiese Ichigo.

“No, al momento c'è solo Kei. Forse nel pomeriggio arriveranno le altre.” rispose Ryou aprendo la porta del Café.

Keiichirou era seduto ad un tavolino con il libro in una mano e una tazza di tè nell'altra.

“Guarda un po' chi ti ho portato, Kei.” fece Ryou mettendosi da una parte.

L'uomo alzò lo sguardo e posò tazza e libro di colpo. “Momomiya-san, Aoyama-san. Che bello rivedervi.” disse alzandosi in piedi.

“Akasaka-san!” esclamò Ichigo andando ad abbracciarlo senza troppe cerimonie. “Non posso ancora credere che tutto sia rimasto lo stesso, e di essere di nuovo qui.” mormorò con gli occhi lucidi. “Come stai?” gli chiese una volta sciolto l'abbraccio.

Lui le sorrise. “Sei sempre più bella, principessa.”

La ragazza rise, un po' imbarazzata. “E tu sempre più gentleman.”

Masaya si fece avanti e i due si scambiarono un cortese saluto. Intanto Ichigo si era avvicinata a Retasu. “Dobbiamo chiamare le altre! Non vedo l'ora di vederle.”

La ragazza annuì. “Potremmo organizzare una piccola festa, che ne dici?” chiese allegramente.

“Ottima idea!” disse Ichigo togliendosi il cappotto rosa confetto. “Oggi il Café sarà chiuso per private party.” annunciò risoluta. Lanciò un'occhiata a Ryou, che se ne stava in silenzio appoggiato al muro. “A lei va bene, Mr. Shirogane?”

“Mmh? Oh, certo. Sono sicuro che anche Kei ne sarà felice.” rispose questi distrattamente.

Ichigo gli si piantò di fronte. “Lo so che muori dalla voglia di tornare in seminterrato a fissare i tuoi amati computer, ma oggi si festeggia. Niente scuse.”

Ryou alzò gli occhi al cielo. “Sai, non per essere scortese, ma si stava molto più tranquilli prima che arrivassi tu.”

Lei sbuffò. “Piantala con questa messinscena del ragazzo freddo e scostante, nessuno ci crede più. Giusto, Retasu?”

“Ehm...”

“Giusto.” concluse la ragazza, lapidaria. “Allora, abbiamo un po' di champagne..? Oh, ha iniziato a nevicare!”

 

***

 

“Hanno suonato!”

“È per me, papà!” gridò Nasubi aprendo la porta. “Entrate pure...” disse scostandosi dall'uscio.

“Grazie.”

“Permesso...”

La ragazza era ancora in pigiama. “Andiamo in camera mia.” propose facendo strada alle compagne di squadra. Attraversarono un salotto molto ampio, illuminato dalla luce bianca che entrava dalle grandi finestre. I muri erano tappezzati di quadri e librerie ricolme di volumi che avevano tutta l'aria di essere antichi.

Entrarono nella stanza di Nasubi, anch'essa piena zeppa di libri, la maggior parte dei quali dedicati a matematica e fisica. La ragazza le invitò ad appoggiare i cappotti su un paio di sedie di plastica bianche di fronte alla scrivania.

“Che stai facendo?” chiese Suika vedendo un computer portatile nero appoggiato sul letto disfatto.

Nasubi si sedette di fronte al computer a gambe incrociate, aggiustandosi gli occhiali sul naso. “Guardavo questo.” disse facendo partire un video che aveva fermato a metà.

Suika e Ichijiku si avvicinarono. “Oh, è quello che abbiamo visto stamattina.” commentò Ichijiku incrociando le braccia.

Rimasero a guardare in silenzio le proprie immagini sfocate nel video. Il Chimero sembrava ancora più enorme dalla prospettiva del cameraman, e gli alieni ancora più minacciosi.

“Ha fatto il giro del mondo in meno di ventiquattr'ore.” le informò Nasubi non appena il video finì. “E guardate cos'altro ho trovato.” aggiunse cliccando su un link. Un altro video partì, di quello che sembrava un telegiornale. Una giornalista stava parlando di fronte ad un gigantesco albero di Natale, quando all'improvviso la telecamera si era spostata verso l'alto...

“Ma quelli...” fece Suika sporgendosi in avanti.

“Sono alieni, sì.” disse Nasubi. “È un video di otto anni fa.”

“Così loro erano i nemici, la prima volta.” osservò Ichijiku.

“Guardate questo.” proseguì Nasubi facendo partire un altro video. Le cinque Mew Mew erano in posa, riunite di fronte alla telecamera. Quella rosa in centro aveva appena annunciato la loro missione a tutto il Giappone, presentando se stessa e le sue compagne come le “Tokyo Mew Mew.”

“Quella verde è... Retasu-san?”

“Fujiwara-san non è cambiata per niente...”

“E quella rosa con le orecchie nere è Ichigo, giusto?”

“Penso di sì. Non l'ho mai conosciuta di persona...” disse Suika mordendosi il labbro. “Erano come noi.” aggiunse dopo una breve pausa.

“Già.” mormorò Nasubi. Ichijiku non rispose.

“Beh, questo è confortante, no?” tentò Suika. “Voglio dire, se ci sono riuscite loro, perché non dovremmo riuscirci anche noi?”

“Giusto.” disse Ichijiku. “Anzi, direi che tutto sommato siamo facilitate, rispetto a loro. Le informazioni che Shirogane e Akasaka hanno a disposizione sono molte di più rispetto a quelle che avevano sette anni fa.”

“Sì, hai ragione.” disse Suika sorridendo fiduciosa. “Non lo pensi anche tu?” chiese rivolta a Nasubi.

La ragazza si mise a giocherellare con un filo che spuntava dai pantaloni del pigiama. “Sì...”

Suika e Ichijiku si scambiarono un'occhiata preoccupata.

“È solo che... Beh, mi sono spaventata. E lo so che ormai ci sono dentro, però... Non ho scelto io di infilarmi in questa situazione.”

“Nessuna di noi ha avuto scelta.” osservò Ichijiku mestamente.

“E quindi, cosa facciamo?” domandò Suika. “Cosa possiamo fare?”

Ichijiku sospirò, distogliendo lo sguardo. “L'unica cosa che possiamo fare è combattere, e cercare di farla finita al più presto.”

Le ragazze rimasero in silenzio, ponderando le sue parole.

Nasubi strappò il filo dal pigiama con uno strattone improvviso. “Hai ragione. Non c'è altro da fare.” disse rassegnata.

Suika le mise una mano sulla spalla. “Ti prometto che farò tutto il possibile perché quello che è successo ieri non si ripeta più.”

La ragazza annuì, gli occhi lucidi. “Grazie.”

“Ci difenderemo con le unghie e con i denti, se necessario.” affermò fieramente Suika. “Non gliela daremo vinta. Loro ci credono deboli, ma dimostreremo loro che non lo siamo.” Sentiva il fuoco della rabbia avvamparle dentro. Rabbia per la loro impotenza, rabbia per le gravose responsabilità che erano state loro affidate, ma soprattutto rabbia per come Kue aveva trattato la sua amica. All'improvviso avvertiva il bisogno insistente di prendere a calci qualcuno, ed era certa che presto gliene avrebbero dato la possibilità. “D'ora in poi si fa sul serio.” dichiarò cupamente.

 

***

 

“Come andiamo?” chiese Kuchen, mantenendosi a debita distanza dal Chimero.

Pastel fece un mezzo sorriso. Doveva essere molto soddisfatta, pensò l'alieno, per concedersi una simile manifestazione emotiva. “Molto bene, oserei dire. Manca davvero poco, ormai.” rispose con voce roca.

“Ottimo!” commentò lui, sfregandosi le mani. “Quindi... esattamente, cosa fa questo Chimero?”

Pastel sollevò un sopracciglio. “Come mai questa improvvisa curiosità?” chiese, gelida.

“Ah, beh, sai, ho visto che ci hai lavorato molto, e mi chiedevo cos'abbia di speciale.”

Si sentì la risatina divertita di Kue. “Lo sai che Pastel non ama i ficcanaso.” disse comparendo un paio di metri più in alto. “Anche se, vedendolo per la prima volta, direi che è una specie di involucro. Ho indovinato?”

L'aliena socchiuse gli occhi. “Si può dire che tu ci sia andato vicino.”

Kuchen fece una smorfia. “E a cosa ci serve un involucro?”

Pastel posò una mano sull'informe e perlacea massa liquida che fluttuava a pochi centimetri dalla sua schiena, facendola contorcere finché non acquisì nuovamente quella strana forma umanoide che Kuchen trovava a dir poco inquietante.

“Non serve a noi, ma ad esso.”

 








Ciao a tutte. ;) Il tanto sospirato capitolo è arrivato. Spero vi sia piaciuto. Io sono al settimo cielo solo perché sono riuscita a scrivere dopo mesi di blocco. ^^ Un bacione a tutte le lettrici della storia. =>

 

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Capitolo 15
*** Reunion ***


15. Reunion

 


“Ragazze.” Il tintinnio della forchetta da dolci contro il bicchiere di vetro zittì quasi istantaneamente le cinque giovani donne. Keiichirou sorrise. “Vorrei proporre un brindisi per festeggiare questa riunione. Sono passati sette anni da quando la nostra avventura è finita e ognuno di noi ha ripreso a vivere la propria vita, eppure adesso siamo di nuovo tutti qui, come se nulla fosse cambiato. E tutto questo lo dobbiamo a voi, ragazze, perché senza di voi nessuno di noi oggi sarebbe qui. Ancora una volta, grazie. Grazie a tutte voi. Non esistono stelle più brillanti di voi cinque.” Sollevò il bicchiere pieno di champagne. “Alle Mew Mew!”

“Alle Mew Mew!” fecero tutti in coro. Ichigo batté le mani. “E un applauso anche ai nostri due cervelloni, perché senza di loro Mew Mew non lo saremmo mai diventate!” esclamò, le guance rosse per la gioia, il caldo e l'alcol.

Un lungo applauso si levò nel Café. Purin si mise a urlare: “Evviva! Evviva!”

“Purin-chan, credo che tu abbia bevuto abbastanza, per oggi!” disse Retasu ridacchiando.

“Sciocchezze! Anzi, bisogna stappare un'altra bottiglia!” disse la ragazza mettendosi a girare su se stessa.

“Attenta a dove metti i piedi!” si lamentò Minto scostandosi.

“Oh, non essere sempre così rigida, Minto!” la rimbeccò Purin. “Ti ricordi degli spettacoli che facevo per i clienti? Adesso so far roteare venti piatti contemporaneamente, lo sapevi?” aggiunse ridacchiando.

Minto alzò gli occhi al cielo, sorridendo suo malgrado.

In quel momento gli altoparlanti del locale, che solitamente diffondevano musica classica e rilassante, presero vita e iniziarono a sputare una serie di note acute e velocissime.

“Oh, Ryou ha fatto funzionare il mio iPod!” esclamò Ichigo posando su un tavolino il bicchiere vuoto.

“Sì, e me ne sto già pentendo...” disse lui facendo una smorfia. “Ma che razza di musica ascolti di solito?”

“Come, non ti piace?” scherzò lei facendogli la linguaccia.

“Oh, io la conosco!” intervenne Purin prendendo a saltellare a ritmo. “Mangiamo un po' di fragole...” intonò con voce squillante.

Con parfait, torte, riso soffiato, sarai felice se li mangerai tutti!” si aggiunse Ichigo, prendendola per mano e iniziando a saltellare con lei.

O una manciata di altri frutti...

Kiwi, dolcetti e pesche, mi piace davvero la frutta!

Minto e Retasu si scambiarono un'occhiata perplessa, mentre Zakuro se la rideva sotto i baffi e Ichigo e Purin continuavano a cantare, imperterrite. Ryou si portò una mano alla fronte.

Anche solo essere molto dolce lascerà qualcosa da desiderare...” cantò Ichigo con gli occhi che brillavano.

Mettici sopra il tuo topping preferito, se non ce l'hai vai a fare shopping! Dai ragazze, anche voi!” aggiunse Purin, le trecce bionde che schizzavano a destra e a sinistra.

È à la mode?

Oh, grazie!” fece Purin inchinandosi.

Zakuro si fece avanti all'improvviso, lasciando Minto e Ryou a bocca aperta. “Voglio qualcosa di croccante, qualcosa dolce e acerbo andrebbe bene lo stesso. Ho sempre voglia di dessert, mangiamo quanto vogliamo!” cantarono tutte e tre assieme. Zakuro era perfettamente intonata, la voce dolce e soave.

Minto diventò rossa come un peperone, ma dopo un paio di respiri profondi intonò anche lei: “Voglio provare tutto!

“Ah, ma allora le conosci anche tu, le parole!” la stuzzicò Ichigo prendendola per mano. “Dai Retasu, anche tu!”

La ragazza si mise a ridere. “L'emozione sale...

A volte...

Il cuore batte forte...

Voglio sperimentare molti tipi di amore!” finirono tutte insieme, scoppiando in una fragorosa risata. Ichigo si asciugò una lacrima che le era spuntata senza alcun preavviso. “Oh, ragazze.” disse con il fiatone. “...vi voglio bene.” aggiunse andando loro incontro a braccia aperte.

Fu l'abbraccio di gruppo più lungo ed emozionante che fecero dopo il giorno in cui tutto era finito e Ichigo era tornata in vita tra le braccia di Masaya.

“Non so come ho fatto a stare senza di voi in tutti questi anni.” confessò la ragazza con voce soffocata.

“Ichigo, non starai mica piangendo?” borbottò Minto cercando di nascondere che anche i suoi occhi erano lucidi.

In sottofondo era partita una nuova canzone, un po' più tranquilla della precedente, ma nessuna delle ragazze aveva più voglia di cantare. Rimasero abbracciate in silenzio, a versare qualche lacrima con il groppo in gola e il naso che colava, come delle bambine.

Tutte, a loro modo, avevano temuto che le cose non sarebbero più state le stesse, che qualcosa si fosse spezzato per sempre, e forse in realtà era così. Tuttavia, quel magico momento non era stata un'illusione. Erano tornate indietro nel tempo, si erano immerse nei ricordi delle loro vite passate, forse più facili di quelle attuali, forse no: era difficile dirlo.

Non era uno di quei concetti che necessitano di lunghi e complessi ragionamenti: era una cosa semplice, immediata, spontanea, come tutti i sentimenti più forti della vita.

Era un'emozione di gioia un po' pazza e un po' senza senso, come la canzone che avevano cantato tutte insieme. E non c'era proprio altro da aggiungere.

 

***

 

Masaya rimase in disparte per tutta la durata della festa: non voleva rovinare quel momento di felicità mettendosi in mezzo. Sapeva benissimo quanto fosse importante per Ichigo riabbracciare le sue vecchie amiche. Gli aveva confidato i suoi dubbi e le sue preoccupazioni durante il viaggio, come faceva sempre, e lui aveva cercato di rassicurarla come meglio poteva.

Era certo che in qualche modo le cose sarebbero andate per il meglio, ed eccola lì, davanti ai suoi occhi, la conferma di tutto ciò: cinque ragazze che non si vedevano da sette anni ma che avrebbero potuto essere sorelle da quanto si volevano bene. Era incredibile come un sentimento che si crede sopito da tempo possa ripresentarsi prepotentemente da un momento all'altro, rifletté tra sé e sé sorridendo.

“Allora, come te la passi?” gli chiese di punto in bianco Shirogane. Reggeva nella mano destra il bicchiere semivuoto.

Masaya sorrise, sorpreso. Non aveva mai avuto un gran rapporto con il ragazzo a capo del Progetto μ e il fatto che fosse venuto a parlargli non poté che fargli piacere. “Io sto bene, ti ringrazio. Tu piuttosto, come va con questi nuovi attacchi alieni? E con le nuove Mew Mew?”

“Per ora la situazione è sotto controllo.” rispose Shirogane, laconico. Masaya notò come il suo sguardo restasse fisso sulle cinque ragazze nonostante stesse parlando con lui. “È incredibile essere di nuovo tutti qui.” disse, cercando di interpretare i pensieri del biondo.

“Già.” fece lui finendo lo champagne in un unico sorso. “Senti, so che questo probabilmente non è né il luogo né il tempo ideale per chiedertelo, ma...hai avuto delle visioni, ultimamente? Hai fatto sogni strani?” Si girò a fissarlo con quei suoi occhi azzurro cielo, un'espressione grave dipinta sul volto.

Masaya rimase di sasso. Non si sarebbe mai aspettato una domanda del genere. Cercò di ricomporsi: il sorriso gli era morto sulle labbra. “Io...” Tentò di ricordare, ma non gli vennero in mente nessun sogno premonitore, nessuna voce che lo chiamava nel buio, dicendogli di svegliarsi. “...no, non ho fatto nessun sogno del genere.” disse sforzandosi di suonare convinto.

Shirogane non distolse lo sguardo. “Non dobbiamo scartare nessuna ipotesi, nemmeno la più remota. Spero che tu capisca.”

Masaya annuì. “Ma certo. Se la situazione dovesse cambiare, io...ti avvertirò subito, Shirogane. Hai la mia parola.”

Il ragazzo fece un cenno d'assenso. “Grazie, Aoyama.” disse congedandosi.

Ichigo gli si avvicinò subito dopo, raggiante. “Assaggia uno di questi, sono ottimi!” esclamò cacciandogli in mano un pasticcino.

Il ragazzo gli diede un morso, sovrappensiero. “È...davvero ottimo.” disse, anche se si era già scordato che sapore avesse.

A Ichigo non sfuggì il suo improvviso malumore. “Amore, che succede?” gli chiese, toccandogli un braccio.

Masaya sospirò. “Non è niente, davvero. Vai dalle tue amiche, ne parliamo dopo.”

Lei corrugò la fronte. “Sei così pallido...ti senti male? Vuoi un po' d'acqua?” chiese preoccupata. “Se vuoi andiamo a casa.”

Lui scosse la testa, sorridendo. “Non pensarci neanche. Sto bene, ho solo avuto un capogiro. Sai che non reggo bene l'alcol. Ma adesso sto benissimo.” insistette. Non voleva farla preoccupare, non voleva rovinare quei bei momenti per un fantasma che aveva cessato di esistere da anni.

Ichigo sembrava incerta. “Sei sicuro?”

“Al 100%.” disse dandole un lieve bacio sulle labbra. Lei sorrise. Masaya amava il suo sorriso, più di qualsiasi altra cosa al mondo. Giurò a se stesso per l'ennesima volta che non avrebbe permesso che quel sorriso si spegnesse.

Non di nuovo.

Keiichirou entrò in sala spingendo un carrello su cui troneggiava una torta alla panna da cui spuntavano almeno una decina di frutti diversi, a colori alterni, che richiamavano quelli delle ragazze.

Ichigo lanciò un gridolino di gioia, ammirando la torta estasiata.

“Un'altra delle tue splendide creazioni!” si complimentò Zakuro, di ottimo umore.

Minto si passò una mano sullo stomaco. “Se avessi saputo che c'era anche la torta non mi sarei rimpinzata di pasticcini...” gemette.

“Non preoccuparti, se non riesci a finire la tua fetta la finisco io!” disse Purin sfregandosi le mani.

Kei iniziò a tagliare la torta, mentre la porta del locale si apriva tintinnando.

Tutti si girarono a guardare chi fosse, quando una ragazza dai capelli corti spuntò sull'uscio, impacciata e infreddolita. “Ehm...scusate, non volevo interrompere. Ripasso domani.” disse vedendoli tutti lì.

“Suika-chan!” la salutò Keiichirou. “Vieni, prendi una fetta di torta, ce n'è abbastanza anche per te!”

La ragazza non sembrava molto convinta. “Coraggio, entra!” la invitò Retasu, facendole segno di venire avanti.

Suika obbedì, chiudendosi la porta alle spalle. Kei le sorrise. “C'è una persona che voglio presentarti. Le ragazze le conosci già,” disse indicando Retasu, Purin, Minto e Zakuro, “ma Ichigo è la prima volta che la vedi, dico bene?”

Ichigo si fece avanti. “Piacere di conoscerti, Suika. Ho sentito molto parlare di te.”

Suika fece un piccolo inchino. “È un piacere anche per me, Ichigo-san.” disse arrossendo un pochino.

“E questo è Masaya Aoyama, il mio ragazzo.” aggiunse la ragazza, prendendolo sottobraccio. Masaya e Suika si scambiarono un saluto. La ragazza non avrebbe potuto avere più di quindici anni, considerò lui, e quel taglio di capelli molto corto la faceva sembrare ancora più giovane. Aveva gli occhi allungati e l'aria intelligente.

“Suika? Che ci fai qui?” fece d'un tratto Ryou, che si era assentato per qualche minuto.

“Ho pensato di tornare qui dopo essere stata dalle altre.” rispose lei mentre Kei le passava un piatto con una grossa fetta di torta sopra. “Sai, a fare rapporto.”

“Ah, bene. E come stanno?”

Suika punzecchiò la torta con la forchetta. “Meglio, credo. Sumomo però ha la febbre alta, non credo ce la farà a lavorare domani.”

Ryou annuì. “Non c'è problema, basta che si riprenda al più presto.” Le rivolse un sorrisetto di incoraggiamento. “Tu stai bene?”

La ragazza parve rilassarsi un po'. “Sì, me la cavo. Grazie per l'interessamento, Shirogane.”

Ryou la oltrepassò senza dire altro. Masaya prese Ichigo da una parte. “Credo sarebbe una buona cosa se le parlassi un po'. Potrebbe imparare molto da te.” le disse a bassa voce.

Ichigo annuì. “Lo credo anche io.”

Suika stava mangiando la torta in piedi, da sola. Ichigo la raggiunse. “Vedo che Ryou è sempre molto espansivo.” esordì.

La ragazza fece un mezzo sorriso. “Era così anche con voi?”

“Molto peggio. Io non facevo che litigarci.” confessò lei, agguantando una fetta di torta. “Ma sotto sotto ha un cuore d'oro. Ci mette solo un po' di tempo a manifestarlo.” aggiunse addolcendosi.

Suika osservò il ragazzo in silenzio.

“Allora,” fece Ichigo dopo qualche momento, “come ti trovi ad essere una Mew Mew?”

 

***

 

Erano le sei di sera quando la festa finì. Il cielo si era tinto di blu e nel locale i dolci erano stati tutti mangiati, neanche fosse passato uno sciame di locuste.

“Voi andate a casa, ci pensiamo Ryou ed io a pulire.” li aveva congedati Keiichirou.

Suika era talmente piena che non sarebbe riuscita a mangiare neanche un boccone, quella sera a cena. Uscita dal Café, l'aria pungente le bruciò le guance, facendola lacrimare.

“Fa freddo, eh?” disse Ichigo indossando i guanti. Suika annuì, rabbrividendo. “Non vedo l'ora di tornare a casa.” confessò.

Masaya le raggiunse. “Da che parte vai? Possiamo accompagnarti.” propose. Era un ragazzo estremamente gentile, pensò Suika. Non c'era da stupirsi che lui e Ichigo stessero insieme da così tanto tempo.

“Di là.” rispose lei. “Devo costeggiare il parco.”

“Andiamo, allora.” fece allegramente Ichigo prendendo per mano Masaya.

Si incamminarono, salutando Purin e Retasu che andavano dalla parte opposta, un po' barcollanti. “Spero che arrivino a casa sane e salve.” ridacchiò Ichigo scuotendo la testa.

Suika sorrise. Le piaceva quella ragazza. Era espansiva ma anche molto dolce, e non l'aveva fatta sentire a disagio nel corso del pomeriggio, nonostante tutte le domande che le aveva fatto. C'erano molte domande che avrebbe voluto farle a sua volta, e quello le parve un buon momento. “Ichigo-san?” la chiamò, girandosi a guardarla.

“Dimmi, Suika-chan.”

“Oggi Ichijiku e io abbiamo parlato di cosa vogliono dire per noi queste battaglie. Ichijiku crede che ognuna di noi dovrebbe trovare una ragione profonda per cui voler combattere. Se posso chiedere...qual era la tua, di ragione? Per cosa combattevi, nel profondo?”

La ragazza parve colpita da quel quesito. “Wow, questa...è una bella domanda.” Sembrò rifletterci per qualche istante. “Penso che ognuna di noi abbia una risposta diversa, e credo sarebbe bello se lo chiedessi anche alle altre. Per quanto mi riguarda, la risposta è semplice.” disse appoggiandosi a Masaya. “Era l'amore a farmi andare avanti, giorno per giorno.”

Il ragazzo le passò una mano dietro le spalle, sorridendo. “Anche per me è stato così.”

Suika arrossì, chiedendosi se non stesse facendo da terzo incomodo. D'altronde, si erano offerti loro di accompagnarla...

“E tu, Suika? Qual è la tua ragione profonda?” le chiese Masaya dopo un po'.

La ragazza abbassò lo sguardo. “Ancora non ne sono sicura.” ammise facendo una smorfia.

“Qual è la cosa che ami di più al mondo?” chiese Ichigo guardandola in volto.

Suika ci pensò su. “La mia famiglia, direi. I miei gatti. A loro voglio un mondo di bene.” disse infine. “Ma non so se sia abbastanza.”

Ichigo sorrise. “Lo sarà, vedrai. Non esiste motivazione migliore dell'amore, quando si tratta di difendere la Terra. Perché non siamo mai così forti quanto lo siamo avendo qualcuno che amiamo da proteggere.”

La ragazza annuì, sospirando. Si sentiva un po' più leggera. Promise a se stessa che non avrebbe mai dimenticato quelle parole, e che l'indomani le avrebbe ripetute alle altre, per infondere loro un po' di coraggio in più.

Mentre circumnavigavano il parco, si alzò un venticello gelido. Per strada non c'era nessuno, a parte loro tre. I lampioni si accesero con un ronzio, spandendo la loro luce gialla sul marciapiede.

“Mi è davvero mancata, questa città.” disse Ichigo in tono malinconico.

“Londra però dev'essere bella, no?” chiese Suika. “Io non ci sono mai stata.”

“Allora prima o poi dovrai visitarla.” fece Masaya. “Ti ospitiamo noi se vieni.”

Suika stava per ringraziarlo dell'offerta, quando un insistente bip proveniente dalla sua borsa la fece sobbalzare.

Masaya e Ichigo la guardarono perplessi scavare nella borsa in fretta e furia. “Che succede?” chiese lui, ammutolendosi quando lei estrasse la spilla per la trasformazione: era quella a fare rumore, e tutti e tre sapevano bene cosa significasse.

“Credo sia meglio che ve ne andiate da qui.” disse Suika guardandosi nervosamente attorno.

Non fecero in tempo a muoversi che una figura uscì dagli alberi al di là della strada. Sembrava una grossa conchiglia viola, alta sì e no due metri, con delle protuberanze mollicce che spuntavano a tratti dalla fessura centrale.

Suika si trasformò non appena la vide. Il Chimero parve accorgersi della sua presenza, nonostante non avesse occhi di alcun tipo da nessuna parte. Fece per scagliarsi addosso alla ragazza, che però lo scansò senza troppa fatica.

“Troppo lento, temo!” esclamò mentre il suo cuore accelerava i battiti. Improvvisamente si sentiva euforica. Si chiese se non fosse il suo istinto animale che prendeva sempre più il sopravvento ogni volta che si trasformava...

Il Chimero girò su se stesso, fluttuando a qualche metro d'altezza, e tornò alla carica.

Suika richiamò la propria arma. “Ribbon star light!” scandì sicura di sé, mentre il mostro veniva investito da un'ondata di luce. La Mew Mew esultò tra sé e sé, salvo poi accorgersi che il nemico non sembrava per nulla ferito.

Non è possibile, l'ho colpito in pieno!, pensò incredula schivando il contrattacco all'ultimo secondo.

“È la sua corazza, Suika!” gridò Ichigo da dietro un lampione. “Non gli farai niente finché rimarrà chiuso dentro la conchiglia!”

Suika rotolò su un fianco, rialzandosi prontamente in piedi. “Ma come faccio a farlo uscire?” si domandò cercando di non perdere la calma.

Il Chimero non la perdeva di vista. Sembrava che il suo unico attacco consistesse nell'andarle addosso, ma non era mai abbastanza veloce per riuscire a prenderla. Andarono avanti così per un po', e Suika iniziò a perdere la pazienza. “Si può sapere cosa vuoi?” sbottò stringendo lo scettro bianco e rosso in mano. “Non ho tutta la sera a disposizione!”

Come in risposta al suo appello, il mostro iniziò a far uscire le sue protuberanze rosee dal guscio.

“Colpisci adesso!” la esortò Masaya. Non se lo fece ripetere due volte.

Ribbon...star light!

Il Chimero emise un grido acutissimo, segno che doveva avergli fatto male. Suika si dovette tappare le orecchie con le mani per paura che quel grido le bucasse i timpani.

Il mostro prese a tremare, sbatacchiando di qua e di là. “Un altro colpo e dovrei farcela.” disse tra sé e sé la ragazza, più determinata che mai.

Improvvisamente, il Chimero si mise in verticale e iniziò a rotolare su se stesso nella sua direzione. Suika lo schivò per l'ennesima volta...per poi accorgersi che non era lei che voleva.

“Ichigo! No!!” gridò Masaya con tutto il fiato che aveva in gola.

La ragazza urlò mentre il Chimero-mollusco la avviluppava, immobilizzandola.

“No!” esclamò Suika, sentendosi mancare. “No, lasciala stare, lei non c'entra niente!” Corse in avanti, ma il mostro si levò in aria prima che riuscisse a raggiungerlo.

Ichigo gridò e scalciò mentre il Chimero continuava a salire, portandola con sé. Suika non poté far altro che corrergli dietro a perdifiato, il cuore che le stava per scoppiare nel petto. “Ichigo-saaan!”

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutte! Ebbene sì, sono finalmente riuscita ad aggiornare. *Si levano cori angelici*

Cosa posso dire, a parte che non ho intenzione di lasciar perdere questa storia? Ah, che la prima parte mi ha fatta piangere. Ho tanta nostalgia dei tempi in cui guardavo l'anime in tv...mi sento così vecchia... T.T Ci ho messo davvero il cuore in questo capitolo, e spero che si senta.

La canzone che cantano le ragazze all'inizio l'avete riconosciuta? Sarebbe la traduzione italiana (non so quanto accurata, non conosco il giapponese) della sigla finale dell'anime di TMM, Koi wa à la mode. :3

Al prossimo capitolo, dunque. Un abbraccio a chi ha letto. ^^

 

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Capitolo 16
*** Visitors ***


16. Visitors

 

 

“Ichigo-saaan!” gridò a squarciagola Suika, odiandosi per la sua stupidità. Come aveva potuto lasciare che succedesse una cosa del genere? L'ansia che provava rischiava seriamente di chiuderle la gola, ma non poteva permetterlo perché doveva stare dietro al Chimero e l'unico modo era correre a più non posso. Ancora una volta si ritrovò a invidiare le ali di MewSumomo. Se avesse potuto volare sarebbe stato tutto più facile, invece era costretta a monitorare la situazione da terra finché il Chimero si fosse fermato. Non c'erano appigli da cui darsi lo slancio necessario per saltare così in alto.

Entrarono nel quartiere dove abitava. Di fronte a lei si ergevano una serie di condomini illuminati da trenta piani l'uno, il che corrispondeva ad un'altezza di circa novanta metri.

Suika imprecò quando vide che il Chimero stava virando in verticale, andando a nascondersi sul tetto piatto di un condominio. Dovette riconoscere che era una creatura intelligente: aveva scelto il posto in cui le sarebbe risultato più difficile raggiungerlo.

Entrò a capofitto nell'edificio, guadagnandosi un'occhiata sorpresa da un condomino che stava uscendo dalla porta. “Mi scusi!” borbottò la ragazza, schivandolo e pigiando insistentemente il bottone dell'ascensore. Quello arrivò quasi istantaneamente e Suika ci si tuffò dentro. Per quanto veloce si sforzasse di essere, sentiva di stare perdendo troppo tempo. Quel mostro aveva preso Ichigo e lei era senza difese, incapace di trasformarsi...non voleva neanche immaginare cosa avrebbe potuto farle.

Cerco di calmarsi, prendendo dei respiri profondi mentre l'ascensore saliva. Il sangue le rombava nelle orecchie talmente forte da assordarla.

Sta' calma, sta' calma..., pensò disperatamente. Non capiva perché il Chimero se la fosse presa con Ichigo. Provò a ragionarci su, ma la sua mente era come inceppata. Un solo pensiero le girava costantemente per la testa: Cosa farò se resta ferita o peggio..?

Non sarebbe mai riuscita a perdonarselo.

 

***

 

Ichigo cercò in ogni modo di liberarsi dalla stretta del mostro, ma quest'ultimo era troppo forte e la teneva avviluppata nei suoi tentacoli mollicci e umidi, che le si erano attaccati alla pelle come colla.

Represse un moto di disgusto. Erano atterrati sul tetto di un condominio, illuminato a stento da quattro faretti posti agli angoli della struttura. Il tetto era uno spiazzo vuoto, fatta eccezione per un cassone in lamiera che la ragazza suppose fosse una specie di centralina.

La creatura aprì lentamente le due parti della conchiglia e da esse emersero altre appendici appiccicose. Ichigo si lasciò sfuggire un singhiozzo. Non si era mai sentita così indifesa in tutta la sua vita. Era appena tornata a Tokyo e un Chimero l'aveva già puntata: quali erano le probabilità che una cosa del genere accadesse?

Sotto i suoi occhi terrorizzati, una figura vagamente umanoide emerse dalla carne rosea del Chimero. Non poteva esserne sicura, con il buio della notte, ma le era sembrato che non avesse alcun lineamento sul volto.

“Che...che cosa vuoi da me?” chiese reprimendo altri singhiozzi. Doveva essere forte; era sicura che MewSuika fosse poco distante e che sarebbe arrivata a momenti.

L'essere senza volto non rispose. Ichigo avvertì il suo braccio destro muoversi: il Chimero lo stava facendo emergere dall'ammasso gelatinoso in cui l'aveva intrappolata. In pochi secondi il suo avambraccio fu esposto, mentre il resto del suo corpo, testa a parte, restava coperto dalle appendici bavose.

“Lasciami andare! Lasciami subito andare, hai capito?” sbraitò cercando di strapparsi i tentacoli di dosso con il braccio libero.

La creatura la immobilizzò con il proprio braccio, a cui era collegata una specie di mano dalle dita non del tutto formate. Il suo tocco la fece rabbrividire, anche perché era gelido. Alzò il braccio sinistro, che scintillò alla luce dei faretti, cambiando forma sotto gli occhi della ragazza: si appuntì progressivamente, fino ad assumere la forma di un lungo ago ipodermico.

A quel punto Ichigo capì quali erano le intenzioni della creatura. Ricominciò ad urlare, in preda al panico. Aveva il terrore degli aghi.

Quando l'essere le perforò la delicata pelle del braccio e iniziò a sottrarle il sangue, seppe che sarebbe svenuta.

 

***

 

Suika uscì dall'ascensore e puntò immediatamente la porta che dava sull'esterno, scoprendo che era chiusa a chiave.

Imprecò sottovoce, iniziando a spingere più forte che poteva nel tentativo di far cedere la serratura. La prese a spallate, cosa che ebbe come unico risultato quello di ammaccarle la spalla destra.

Sentì l'ira montarle dentro. Era esausta per la corsa, sentiva la gola riarsa e la spalla le pulsava dolorosamente. Non avrebbe permesso a una porta di sbarrarle la strada, non dopo tutta la fatica che aveva fatto.

Con tutte le forze che aveva, sferrò un calcio poderoso alla maniglia e quella finalmente cedette, portandosi dietro un pezzo di muro.

Spalancò la porta con un gesto secco e si trovò a guardare giù. Le auto sembravano giocattoli per bambini da quell'altezza. Alla sua destra individuò una scala a pioli che certamente doveva portare al tetto. Iniziò a salire, imponendosi di non guardare in basso.

 

***

 

Ichigo avvertì l'urlo disumano del mostro come se questi fosse a metri e metri di distanza e non di fronte a lei. Tutto era ovattato e sfocato, i sensi la stavano abbandonando e quasi non si accorse di essere caduta per terra, a pancia in su. Il braccio le bruciava terribilmente.

“Ichigo?” la chiamò qualcuno, passandole una mano dietro alla schiena. “Ichigo, perché non sei trasformata?” proseguì la voce mentre qualcuno la scuoteva rudemente per le spalle.

Non sono trasformata perché non posso più, non lo sai?, avrebbe voluto dire, ma aveva la bocca impastata. Sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco il mondo intorno a sé, ma era maledettamente difficile ed essere scossa in quel modo non la aiutava per niente.

Si sentì prendere in braccio. La testa le ricadde mollemente all'indietro, ma sentì di stare respirando meglio. Prese un paio di respiri profondi e la vista le si schiarì.

“Dov'è il Chimero?” mormorò sfregandosi debolmente gli occhi.

“Non preoccuparti, l'ho fatto fuori.” rispose la voce, sicura di sé.

La ragazza sbatté di nuovo le palpebre, osservando perplessa il volto che si ritrovava a pochi centimetri di distanza. Occhi alieni, pensò mentre sentiva il cuore accelerare i battiti. Occhi dorati che la scrutavano pieni di curiosità mista a dolcezza.

Non è possibile. “Kisshu?” sussurrò a bocca aperta.

Lui sorrise amaramente. “È un po' che non ci si vede, eh?”

La voce ringhiante di MewSuika li interruppe: “Lasciala subito andare, mostro!”

Si girarono entrambi a guardarla. La ragazza aveva il fiatone, i capelli rossi scompigliati e uno sguardo di fuoco. Kisshu sembrava perplesso. “Chi è, una tua nuova amichetta?” chiese ignorando l'ordine che gli aveva appena impartito.

“Suika, aspe...” fece Ichigo debolmente.

Ribbon...star light!

L'alieno imprecò, mollando Ichigo senza tante cerimonie e schivando l'attacco per un pelo. La ragazza cadde sul fondoschiena, ammaccandoselo dolorosamente.

“Ma che ti prende, razza di mocciosa?” inveì Kisshu estraendo i suoi sai.

“Suika, aspetta! Lui non è...” Ichigo fece una pausa, incerta su cosa dire. Non è cattivo? Non è nostro nemico? “...non è come gli altri.” finì dubbiosa.

“Come sarebbe?” protestò Suika senza riporre l'arma.

“Significa che le ho appena salvato la vita.” rispose Kisshu piccato.

Ichigo cercò di alzarsi in piedi. Sia Kisshu che Suika le si avvicinarono, sostenendola. “Stai bene?” le chiese la Mew Mew, che sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. “Ho fatto più in fretta che potevo, lo giuro...”

Ichigo le accarezzò la testa. “Non è colpa tua, Suika-chan.” la rassicurò, sforzandosi di rimanere lucida.

“Lo sapevo che sareste arrivati, prima o poi.” fece all'improvviso una voce alle loro spalle. Si voltarono tutti e tre: a qualche metro di distanza, di fronte a loro, fluttuava un alieno vestito di nero, dai lunghi capelli legati in una treccia.

“Kue.” lo riconobbe Suika, assumendo una posizione difensiva.

“Lo conosci?” le domandò Kisshu avvicinandolesi.

La ragazza annuì. “Lui e un altro alieno di nome Kuchen sono i responsabili degli attacchi che stiamo subendo.”

Kue ridacchiò. “Questo perché noi non siamo traditori della nostra specie come lui.” disse indicando Kisshu con disprezzo.

L'alieno sbuffò. “I terroristi sul nostro pianeta siete voi, non noi.”

“Quando il governo è ingiusto, coloro che si ribellano sono i veri eroi.” sentenziò Kue evocando la propria falce argentea. “Vediamo di che pasta sei fatto, cane dell'usurpatrice.”

Kisshu sorrise, gli occhi che brillavano. “Con molto piacere.” Schizzò in avanti, attaccando senza pietà, mentre Kue un po' parava e un po' schivava i suoi assalti.

Suika sembrava indecisa sul da farsi. “È vero che ti ha salvata, Ichigo-oneesama?” le chiese corrugando la fronte.

“Sì, per quanto strano possa sembrare...” ammise lei seguendo preoccupata lo scontro. I due alieni sembravano danzare in mezzo a sprazzi di luce argentea, da quanto fulminei erano i loro attacchi. Non riusciva a capire chi dei due stesse avendo la meglio, e la cosa la preoccupava. Il ricordo della morte di Kisshu si fece strada nella sua testa e i suoi tentativi di ricacciarlo indietro furono inutili.

“Suika-chan, vai ad aiutarlo, per favore!” gemette.

La ragazza sembrò sorpresa. “Io sono qui per proteggere te, oneesama. Ho già permesso che il Chimero ti portasse via...”

“Io sto bene, non è me che vuole Kue.”

“Non possiamo saperlo con certezza!” protestò lei, ma si zittì quando vide lo sguardo supplicante di Ichigo. Annuì lentamente, stringendo lo scettro tra le mani. “Va bene. Mi è rimasta la forza per un altro attacco, credo.” Sospirò. “Allontanati, per favore.” le intimò prendendo la rincorsa e saltando.

 

***

 

I due alieni stavano combattendo furiosamente, fluttuando in aria a pochi metri da dove si trovava. Kue mulinava pericolosamente la falce mentre Kisshu, più insidioso, cercava dei buchi nella sua difesa.

Suika prese la rincorsa e saltò, pregando che Kisshu si togliesse di mezzo per non venire colpito dal suo attacco. E dire che poco prima aveva quasi rischiato di farlo secco...

Ribbon...” iniziò, attirando immediatamente l'attenzione dei due.

“Kisshu, scappa!” esclamò Ichigo dietro di loro. L'alieno non se lo fece ripetere due volte, teletrasportandosi fuori dal raggio d'azione dell'attacco della Mew Mew.

...star light!” fece Suika per l'ennesima volta, avvertendo le sue forze che si prosciugavano.

Kue fu colpito di striscio, ma comunque parve accusare il colpo, facendosi sfuggire un gemito.

Suika atterrò poco distante, vicino al bordo del tetto. Ansimava per lo sforzo. Appoggiò le mani sulle ginocchia, chiudendo gli occhi per una frazione di secondo.

Improvvisamente l'alieno, spuntato da chissà dove, le fu addosso, furente. “Maledetta..!” sbraitò colpendola con un manrovescio.

Suika barcollò, la guancia che bruciava, e fu in quel momento che avvertì il terreno mancarle sotto i piedi.

Si rese conto di stare cadendo che era già a metà strada tra il tetto e il terreno.

Un grido terrorizzato le uscì dalla bocca, mentre tentava disperatamente di aggrapparsi a qualcosa, ma non c'era nulla a cui aggrapparsi... Si chiese se sarebbe morta o se semplicemente si sarebbe rotta la schiena, rimanendo paralizzata a vita.

Le lacrime le ostruirono la gola. Chiuse gli occhi, preparandosi al dolore tremendo che, era certa, avrebbe avvertito non appena avesse toccato terra.

Atterrò pesantemente su qualcosa, esclamando per il dolore, ma con estrema sorpresa si rese conto di non essersi sfracellata.

Aprì gli occhi, incredula, e si rese conto di trovarsi in braccio all'alieno chiamato Kisshu. Risalirono in un attimo i novanta metri del condominio e si ritrovarono nuovamente sul tetto, dove Ichigo li stava aspettando, pallida come un cencio. Di Kue non c'era traccia.

Kisshu sbuffò. “Fare l'eroe è stancante, chi l'avrebbe mai detto.” commentò posandola gentilmente a terra.

Suika tremava come un coniglio e sentiva di stare per vomitare.

“Stai bene?” chiese Ichigo inginocchiandosi di fronte a lei. La guardò con attenzione. “Ti si sta gonfiando la guancia...” disse con rammarico.

“Sarà meglio andarsene di qui.” fece Kisshu asciugandosi un taglio sanguinante sullo zigomo sinistro.

“Riesci ad alzarti?” le chiese Ichigo porgendole una mano. Sembrava sconvolta quasi quanto lei, aveva i capelli arruffati e la manica destra della camicia completamente strappata.

Suika cercò di fare forza sulle gambe, ma i suoi muscoli non sembravano avere intenzione di collaborare. Si sentiva molle come un budino. Solo allora si accorse di essere tornata umana, non ricordava quando, forse mentre cadeva...

“Venite qui, tutte e due.” intervenne Kisshu spazientito. Le prese per mano entrambe e in un attimo svanirono dal tetto, smaterializzandosi.

 

***

 

Ryou terminò spazzare il pavimento del Café proprio quando Ichigo entrò a capofitto nel locale, ridotta a uno straccio.

Il ragazzo si sentì gelare il sangue nelle vene. Mollò la scopa, che cadde per terra con un sonoro tonk.

“Ryou...” esordì lei, ma lui non le lasciò il tempo di finire. “Ichigo, cosa ti è successo?!” esclamò, prendendole il viso tra le mani senza riflettere. “Kei, ci serve il kit di pronto soccorso!” urlò.

Keiichirou emerse dalla cucina con le maniche della camicia arrotolate e schiuma bianca sulle mani. Sgranò gli occhi quando vide la ragazza, ma ebbe la prontezza di spirito di fare come gli aveva detto Ryou senza chiedere nulla.

Il ragazzo la costrinse a sedersi. “Ryou, ascoltami. Siamo stati attaccati da un Chimero.”

“Un Chimero..? Ma i nostri sensori non hanno rilevato niente...” protestò lui mentre il suo sguardo cadeva sull'avambraccio nudo di lei, dove si stava formando un livido scuro.

“Ascoltami e sta' zitto, per favore.” Ichigo si passò una mano sulla fronte. “Kisshu è tornato. È qui fuori, con Suika. Ci ha aiutate quando è comparso l'altro alieno, quello con la falce.” spiegò con un filo di voce.

In quel momento Kisshu apparve sulla porta, con la ragazzina in braccio, rannicchiata contro il suo petto. Era proprio lui, dovette riconoscere Ryou: un po' più alto, un po' meno magro, con i capelli più lunghi lasciati liberi di cadere appena sopra le spalle. Indossava un vestito bianco e blu, vagamente simile a una divisa.

“Credo che si sia addormentata...” disse l'alieno indicando Suika con un cenno del capo. Era pallidissima, quasi quanto lui, e aveva il respiro pesante e una guancia gonfia, arrossata.

Kei tornò con il kit del pronto soccorso, si accorse dell'alieno e si bloccò all'istante, guardandolo malissimo.

“Lo so cosa stai pensando, damerino, ma io non c'entro niente con tutto questo.” si difese Kisshu.

Ichigo annuì stancamente. “Ha ragione, Kei. Ti prego, occupati di Suika...credo che abbia esaurito le energie a causa del combattimento.”

Ryou sospirò. “Non ho idea di cosa stia succedendo, quindi ora ci sediamo e me lo spiegate, ok?” disse spazientito. “Kei, porta Suika a letto. Probabilmente ha solo bisogno di dormire, ma falle un controllo per sicurezza, e mettile del ghiaccio sulla guancia.”

Kisshu passò a Kei la ragazza, che parve non accorgersi di nulla tanto il suo sonno era profondo.

Ryou intanto aveva aperto la scatola del pronto soccorso e ne aveva estratto del disinfettante e dei cerotti. “Per il tuo zigomo.” disse all'alieno con fredda cortesia. Kisshu lo ignorò, sedendosi vicino a Ichigo.

Ryou sentì il sangue ribollirgli nelle vene, ma cercò di controllarsi. Aprì la bocca per parlare, ma fu interrotto dall'ingresso di un trafelato Aoyama.

“Masaya!” esclamò Ichigo schizzando in piedi e abbracciandolo.

Aoyama la strinse a sé, chiudendo gli occhi e tirando un sospiro di sollievo. “Ichigo, meno male che sei salva...” mormorò riaprendo gli occhi.

“Cosa ci fa lui qui?” chiese non appena si rese conto della peculiare compagnia in cui erano.

Ichigo si staccò quel tanto che bastava per girarsi a guardare l'alieno, che li stava fissando con uno sguardo che a Ryou non piacque per nulla. “Adesso vi spiegherò tutto.” promise la ragazza. “Ma prima ho bisogno di un bagno e di un caffè.”

 

***

 

Restarono ad aspettarla in silenzio, Kisshu seduto ad uno dei tavoli, Aoyama in piedi di fronte alla porta e Ryou appoggiato ad una colonna, a braccia conserte.

Aveva sperato di andare a dormire relativamente presto, quella sera, ma a quanto sembrava avrebbero fatto le ore piccole, cercando di chiarire quel casino.

Lanciò un'occhiata gelida all'alieno, che a sua volta non staccava gli occhi da Aoyama. Se gli sguardi potessero uccidere..., pensò infastidito. Aoyama non gli era mai piaciuto, ma si era ormai rassegnato al fatto che Ichigo avesse occhi solo per lui, e non vedeva perché Kisshu non riuscisse a fare altrettanto. D'altra parte, lui poteva avere tanti difetti, ma di sicuro non era fuori di testa come Kisshu: Ichigo era la sua ossessione, lo sapevano tutti, e non c'era da meravigliarsi se ancora non gli era passata, dopo tutti quegli anni. Non sapeva se fidarsi di lui fosse saggio, tuttavia non li aveva attaccati dopo che Suika era svenuta, e quello si sarebbe potuto interpretare come un buon segno...

Scosse la testa. Non avevano individuato l'attacco alieno, il che significava che il nemico era riuscito nuovamente a schermare il segnale. Avrebbe dovuto ricalibrare i sensori un'altra volta.

La ragazza fece la sua comparsa mezz'ora dopo, con i capelli rossi ancora umidi e una tazza di caffè bollente in mano.

Si sedette, bevendone un sorso, e poi li guardò tutti e tre, uno dopo l'altro. “Da dove volete che cominci?”

Ryou fece un passo avanti. “Hai detto che un Chimero vi ha attaccati.”

“Sì, stavamo accompagnando a casa Suika-chan...” rispose Ichigo.

“Era una specie di bivalve.” continuò Aoyama. “Viola, alto circa due metri. Per un po' ha attaccato MewSuika, poi si è rivolto verso Ichigo e l'ha catturata.”

“Mi ha avviluppata in delle specie di tentacoli appiccicosi ed è volato via, finendo per atterrare sul tetto di un condominio.”

“Ma...perché?” domandò Ryou, interdetto. “Cosa voleva da te?”

Ichigo trattenne un brivido, allungando il braccio per far vedere il livido. “Il mio sangue, a quanto pare.” disse mestamente.

“Perché Ichigo non può più trasformarsi?” chiese di punto in bianco Kisshu. Sembrava arrabbiato.

“La mutazione non funziona più con l'avanzare dell'età.” rispose Ryou. “Per questo abbiamo creato nuove Mew Mew.”

Kisshu parve sorpreso. “Quindi adesso siete delle umane come tutte le altre?” chiese alla ragazza, una nota di delusione nella voce.

Ichigo annuì. “Con una sfortuna pazzesca, ma per il resto...”

“Non è stata sfortuna.” la contraddisse Ryou sovrappensiero. “Quel Chimero deve aver visto qualcosa in te che l'ha distratto dal suo obiettivo principale, ovvero Suika.”

“Quando sono arrivato le stava ancora prelevando il sangue. Significa che stavano cercando di avere un campione del suo DNA.” osservò Kisshu freddamente. “Ma se ora non sei più una Mew Mew, non se ne farebbero nulla, giusto?”

Un silenzio di tomba calò sul gruppetto. Kisshu sollevò un sopracciglio. “...giusto?”

 

 

 


 



Buongiorno a tutte! :) Allora, che dire... Beh, innanzitutto, per chi non conosce i miei gusti, ci tengo a rimarcare una cosa... Io AMO Kisshu. *.* E quindi sono estremamente contenta che sia finalmente comparso (alla buon'ora, ci sono voluti solo 16 capitoli! xD). Non temete, Pai e Taruto non mancheranno ancora per molto! :) Ci sarà da divertirsi. *sogghigna*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia continui a interessarvi; se vi va di farmelo sapere, i commenti sono come sempre bene accetti. Intanto ringrazio tantissimo Hypnotic Poison che non tralascia mai di lasciare una recensione. :3
Arrivederci al prossimo capitolo! ;)

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Capitolo 17
*** Friend or foe? ***


17. Friend or foe?

 

 

Quella mattina, tutte le ragazze ricevettero un sms da parte di Ryou, che ordinava loro in modo piuttosto perentorio di recarsi al Café per le otto in punto. Nonostante fosse domenica, nessuna di loro osò presentarsi in ritardo, nemmeno Sumomo che si fece accompagnare in automobile dopo aver rifilato chissà che scusa ai genitori.

Nasubi aveva incontrato Ninjin a metà strada. La bambina aveva gli occhi gonfi di sonno e i codini storti. Nasubi glieli sistemò e le diede un buffetto sulla guancia. Si sentiva responsabile del suo benessere, come se si trattasse della sorellina che non aveva mai avuto.

Trovarono Ichijiku appollaiata sul muretto che circondava il Café e Sumomo accanto a lei, infagottata in un'enorme sciarpa azzurra che le copriva metà della faccia. Poco distante, le ex-Mew Mew si erano riunite a capannello, confabulando tra loro.

“Ehi, come va?” le salutò Nasubi fissando Sumomo. “Hai ancora la febbre?” chiese preoccupata.

Sumomo annuì. “Spero che si tratti di una cosa importante, perché ho dovuto litigare con mia mamma per venire qui.” disse tirando su col naso.

La porta del Café si aprì con il familiare scampanellio. Keiichirou fece loro segno di entrare. “Vi ringrazio per essere venute. Abbiamo molto di cui parlare.”

Purin fu la prima ad entrare. “Che succede, Kei? Problemi con gli alieni?”

Minto si guardò attorno. “Ichigo è in ritardo come sempre. Vedo che in questo non è cambiata per niente...” osservò sbuffando.

“A dire il vero, Ichigo e Suika sono già qui.” disse l'uomo facendole entrare tutte quante. “Sumomo-chan, come ti senti?”

La ragazza scosse la testa. “Non molto bene...” rispose, la voce attenuata dalla sciarpa.

Kei le posò una mano sulla spalla. “Sei stata molto gentile a venire. Ce la fai a scendere le scale? Dobbiamo andare nel seminterrato.”

Zakuro si voltò verso di lui. “Nel seminterrato? Cosa sta succedendo, Kei?” chiese corrugando la fronte.

Keiichirou fece loro segno di andare avanti. “Lo vedrete molto presto.” Poi, senza alcun sforzo apparente, prese in braccio Sumomo e si avviò verso le scale.

“Akasaka-san, ti attaccherò il raffreddore!” protestò debolmente lei, arrossendo.

“Correrò il rischio.”

Le altre si scambiarono un'occhiata divertita e li seguirono.

La stanza sotterranea era sorprendentemente grande, pensò Nasubi non appena entrarono. Shirogane le stava aspettando, in piedi di fronte ad uno schermo gigantesco, e aveva un'aria cupa che non poteva far presagire nulla di buono. Vicino a lui c'erano Suika – che sorrise debolmente quando vide le proprie compagne – e una giovane donna dai capelli lunghi e rossi, che Nasubi dedusse essere Ichigo, la quinta componente della prima squadra Mew Mew, accompagnata da un uomo dagli occhi castani e i capelli neri.

Keiichirou fece sedere Sumomo su una sedia e Nasubi, Ichijiku e Ninjin le si raccolsero istintivamente attorno. Retasu, Minto, Purin e Zakuro si distribuirono dalla parte opposta rispetto allo schermo. L'aspettativa e la curiosità erano evidenti su ogni volto e la tensione era palpabile.

Ryou le guardò una per una prima di parlare: “Quello che stiamo per dirvi riguarda tutte voi, per questo vi ho convocate tutte e dieci. Finalmente abbiamo delle informazioni in più sul nemico e sul suo obiettivo, informazioni che ci sono state fornite da una fonte quantomai insolita...” Sentendosi evidentemente chiamate in causa, tre figure emersero dall'ombra e si affiancarono a Shirogane. Immediatamente si levò un'ondata di mormorii da entrambe le parti: le vecchie Mew Mew sembravano sconvolte, attonite e a tratti emozionate, le nuove erano per lo più confuse.

“Taruto!” esclamò Purin a voce alta, aprendosi in un sorriso pieno di speranza.

Uno dei tre alieni, quello più basso, con i capelli castani raccolti in una coda di cavallo, ammiccò, e a Nasubi parve che fosse pure un po' arrossito.

Ichijiku aggrottò la fronte. “Cosa diamine sta succedendo?” chiese, dando voce alla domanda che frullava in testa a tutte loro.

Shirogane si schiarì la voce. “Ragazze,” intervenne rivolgendosi alle nuove Mew Mew, “questi sono Pai, Kisshu e Taruto. È contro di loro che ci siamo scontrati sette anni fa.”

Questo spiega come mai le ragazze sembrano conoscerli, pensò Nasubi aggiustandosi gli occhiali sul naso, ma non perché Purin-san è improvvisamente così felice. Anche Retasu sembrava contenta di vederli, mentre Zakuro e Minto erano accigliate.

“Alla fine della guerra, hanno accettato di cessare le ostilità tra i nostri due pianeti e sono tornati a casa, portando con sé un cristallo di Mew Aqua, l'unica cosa in grado di risanare il loro pianeta.” continuò Ryou mentre alle sue spalle compariva l'immagine di una sfera di luce incredibilmente brillante. “Lascio la parola a Pai, che vi spiegherà meglio cos'è successo sul loro pianeta in questi sette anni.”

L'alieno di nome Pai era il più alto e muscoloso dei tre. Aveva i capelli corti, di un viola bluastro, gli occhi del medesimo colore, e indossava degli abiti dalla foggia simile a quelli che avevano visto addosso a Kue e Kuchen, bianchi dagli orli azzurri. Tutti e tre gli alieni di fronte a loro erano vestiti a quel modo.

La voce di Pai era profonda e il suo volto impassibile. “Con la caduta di Deep Blue e dei suoi sostenitori, sul nostro pianeta si è installato un nuovo governo composto dalle fasce più moderate della popolazione.” iniziò a spiegare senza perdere tempo. “Con l'aiuto della Mew Aqua siamo riusciti a porre fine all'Era Glaciale che devastava il nostro pianeta da tempo immemorabile e le nostre condizioni di vita sono sensibilmente migliorate.” Sotto i loro occhi scorsero delle immagini di un pianeta completamente ricoperto di ghiaccio, accompagnate da grafici in una lingua a loro sconosciuta. “Tuttavia, non tutti hanno accettato di rinunciare alla Terra e di accontentarsi della vita che stavamo cercando di costruire, così quattro anni fa è scoppiata la rivoluzione.” Lo disse in tono neutro, come se la cosa non lo toccasse minimamente. “I clan del nord si sono ribellati in massa e hanno combattuto per rovesciare il governo, riuscendoci a costo di morire in migliaia.” Immagini di battaglie, profughi e città in fiamme accompagnarono le sue parole. “L'esercito è riuscito infine a placare le ribellioni e un nuovo governo è risorto dalle ceneri di quello vecchio: la monarchia che ci governa tutt'ora.” Sullo schermo apparve la figura di un'aliena dai lunghi capelli neri e gli occhi verde prato, riccamente abbigliata in abiti color porpora e veli azzurri, seduta su un trono di cristallo. “La nostra regina, Reygan Maharis Dovelky I. È a lei che dobbiamo obbedienza, a lei e al nostro popolo. La nostra regina non desidera un'altra guerra tra le nostre due specie: non vuole che altre vittime si aggiungano a quelle della rivoluzione, tuttavia i ribelli del nord rifiutano di sottomettersi, compiendo atti di guerriglia e terrorismo. Di recente sono riusciti a rubare un'ingente quantità di tecnologia dai nostri laboratori e a far decollare una navicella senza che noi ce ne accorgessimo. Utilizzano un sistema di occultamento molto raffinato, che io stesso ho avuto difficoltà a decodificare. Non appena abbiamo saputo delle loro intenzioni siamo partiti a nostra volta per la Terra. Vi preghiamo di considerare questo: sono i ribelli a volere la guerra, non noi. I nostri ordini sono di aiutarvi a respingere questa minaccia al meglio delle nostre capacità, per il bene di entrambi i nostri popoli.”

L'alieno con i capelli verde scuro fece una smorfia. “In altre parole, veniamo in pace.”

“Ma c'è di più.” continuò Pai ignorando la battuta, “Crediamo che l'obiettivo immediato dei ribelli non sia quello di conquistare la Terra ed eliminare la sua popolazione, bensì quello di raccogliere dati su di voi, in particolar modo sul vostro DNA.”

“Ed è per questo che ieri sera un Chimero creato appositamente per raccogliere campioni di DNA ha attaccato Suika.” intervenne Shirogane. “Tuttavia, non sappiamo bene come mai, dopo un po' ha lasciato perdere lei e si è avventato su Ichigo.” Un coro di gemiti si levò dal lato delle ex-Mew Mew.

Ichigo annuì mestamente. “Mi ha prelevato del sangue, e non so cos'altro avrebbe fatto se...se Kisshu non fosse intervenuto.”

“Kisshu?” fece Minto, incredula. L'alieno sorrise, sornione.

Nasubi vide Suika abbassare lo sguardo, come se si sentisse improvvisamente a disagio.

Zakuro incrociò le braccia. “Fatemi capire. Un Chimero programmato per prelevare campioni di DNA umano fuso con quello dei Red Data Animal ha preso del sangue a Ichigo?” chiese freddamente.

“È così.” disse Pai.

“Quindi significa che deve aver individuato qualcosa anche nei geni di Ichigo.” continuò la modella, e un silenzio di tomba calò improvvisamente nella stanza.

“Sì, esatto.” ammise Ryou, passandosi una mano tra i capelli con un'espressione colpevole dipinta sul volto.

“Tu hai detto che la nostra mutazione era scomparsa.” disse Zakuro con sguardo accusatorio. “Ma non è così, vero? Il nostro DNA è ancora in parte modificato. È per questo che il Chimero ha puntato Ichigo, così come punterà ognuna di noi, con la differenza che loro sanno difendersi, mentre noi no.” Con quel loro si riferiva a Suika e alle sue compagne, che stavano seguendo la conversazione in silenzio.

Il gelo nella voce di Zakuro li paralizzò tutti.

Ryou sembrava incerto su cosa dire. “Zakuro, ascolta...la mutazione è instabile, ormai. Non riuscireste mai a controllarla se doveste riprendere a trasformarvi...il risultato sarebbe identico a quello che subirebbe una persona non compatibile.”

“Ovvero?” domandò la ragazza in tono sgarbato.

“Ovvero, vi trasformereste negli animali il cui codice genetico è fuso con il vostro. Come è successo a me. Lo so di avervi mentito, ma...”

“Ma cosa, Shirogane? Ma non ti fidavi abbastanza di noi per dirci la verità? Ma volevi fingere di non aver combinato l'ennesimo casino, di non averci usate fino alla fine come esperimenti da laboratorio?” La modella lo fulminò con lo sguardo, il bel volto arrossato dalla rabbia, poi gli voltò le spalle, in un fruscio di gonne, e se ne andò senza dire un'altra parola.

Minto aveva gli occhi lucidi. “Onee-sama, aspetta..!” esclamò, ma non ricevette risposta. Si girò verso il ragazzo. “Come hai potuto...come hai potuto mentirci? Adesso saremo braccate a vita per il DNA che portiamo in corpo, senza poterci minimamente difendere da sole!” scattò a sua volta, le mani strette a pugno.

“Sarete scortate dovunque andiate. Ci sarà sempre qualcuno a difendervi, non sarete sole...” replicò Ryou, quasi supplicandola.

La ragazza si asciugò gli occhi con la mano destra. “Io credo...credo di aver bisogno di tempo per pensare.” mormorò, avviandosi verso le scale. “Scusate.”

“Minto...” la chiamò Ichigo.

“No, Ichigo. Lasciami stare.” fece la ragazza senza nemmeno guardare indietro.

Il rumore dei suoi passi si fece sempre meno distinguibile, fino a svanire.

Restarono tutti immobili: nessuno aveva il coraggio di aprire bocca. Sumomo soffocò un paio di starnuti nella sciarpa. Ninjin pareva aver voglia di piangere: Nasubi le accarezzò piano i capelli, tentando di tranquillizzarla.

Shirogane era rimasto di sasso, il volto inespressivo tanto quanto quello dell'alieno di fianco a lui. Retasu si guardava i piedi, Purin si tormentava una treccia bionda tra le dita e Ichigo aveva appoggiato la testa sulla spalla del suo fidanzato, chiudendo gli occhi.

“...come stavo dicendo,” proseguì di punto in bianco Ryou, “sarete scortate dovunque voi andiate. Credo che per ora sarebbe più prudente che dormiste qui, in modo da non doverci dividere ogni volta che...”

“Questa volta l'hai fatta davvero grossa, Ryou.” lo interruppe Ichigo. “Dovresti almeno chiedere scusa.”

Lui la guardò freddamente. “Non ho fatto niente che non andasse fatto.”

La ragazza reagì come se l'avesse schiaffeggiata. “Tutto qui quello che hai da dire?! Guarda che la situazione è grave!” lo aggredì facendo un passo avanti.

“Lo so perfettamente, ecco perché vi ho convocate qui d'urgenza, per discutere il da farsi!”

“Beh, non discuteremo un bel niente se Minto e Zakuro non tornano!” replicò lei. “Non posso credere che non ti fidassi di noi abbastanza da dirci la verità.” aggiunse, evidentemente ferita.

Ryou sospirò. “L'ho fatto solo per proteggervi.” disse, e la maschera di indifferenza si sgretolò, rivelando la profonda tristezza che provava in quel momento.

Si fissarono in silenzio per qualche istante, finché lei distolse lo sguardo. “Anche io credo di aver bisogno di un po' d'aria.” mormorò lasciando la stanza insieme al compagno.

Ryou si passò una mano sugli occhi. “Direi che per ora abbiamo finito.” le congedò d'un tratto.

Pai gli si avvicinò. “Propongo innanzitutto di ricalibrare i vostri sensori, così da riuscire a individuare i loro segnali in anticipo.” disse in tono professionale.

Shirogane annuì. “Fammi solo prendere un'aspirina e sono da te.”

 

***

 

Le Mew Mew si erano raccolte attorno a Suika a confabulare, tutte tranne Sumomo, che Keiichirou si era prontamente offerto di riportare a casa in auto.

Retasu era sparita dietro a Ryou, Pai pareva estremamente interessato al computer che si ritrovava di fronte e Kisshu...beh, era scomparso pure lui, ma Taruto era ancora lì, e Purin non poté fare a meno di andargli incontro, le mani dietro la schiena.

Lui la vide e distolse subito lo sguardo, imbarazzato.

“Ciao.” gli disse semplicemente, fermandosi a mezzo metro di distanza. Si rese conto di essere nervosa, ma cercò di non darlo a vedere.

“Ciao.” rispose lui. Gli si era abbassata la voce, notò lei, ma non in modo drammatico come era successo ad alcuni dei suoi compagni di scuola.

Gli andò più vicino, cosa che parve metterlo a disagio. “Taru-Taru.” sussurrò sorridendo.

L'alieno avvampò. “Piantala di chiamarmi così!” protestò scostandosi. “Sei sempre la solita mocciosa, incredibile...” aggiunse sogghignando suo malgrado.

Purin lo imitò. “Sarà, ma sono ancora più alta di te.” disse posandogli una mano sulla testa. “Visto?”

Taruto sbuffò. “Non quando faccio così.” disse alzandosi in aria. Non portava più i piedi nudi, notò la ragazza, e nemmeno i codini, ma gli occhi erano sempre quelli, grandi e arancioni. Il cuore le batteva talmente forte da farle male. Non riusciva ancora a credere che fosse davvero tornato.

“Comunque non preoccuparti, ti proteggerò io ora che sei tornata ad essere un'umana qualsiasi.” si vantò lui guardandola dall'alto in basso.

Purin scoppiò a ridere. “Io non sono mai stata un'umana qualsiasi. E non ho bisogno che tu mi protegga.” disse spiccando un salto e aggrappandosi saldamente al suo collo.

Taruto si lasciò sfuggire un'esclamazione sorpresa. “E lasciami, scimmietta!” protestò, non del tutto convinto.

La ragazza lo strinse più forte. “Mi sei mancato, testone che non sei altro.” confessò chiudendo gli occhi e appoggiando la testa sulla sua spalla.

L'alieno, dopo un attimo di esitazione, le cinse la vita con le braccia magre. “A-anche tu.”

 

***

 

Retasu entrò in cucina e trovò Ryou seduto al bancone con un bicchiere d'acqua di fronte a sé. L'aspirina frizzava nell'acqua, consumandosi pian piano.

“Se stai per dirmi che sono un idiota senza cuore lascia perdere, me lo sono già ripetuto almeno un centinaio di volte.” la interruppe il ragazzo con voce lugubre.

Retasu gli si avvicinò lentamente. “Non sono qui per questo.” disse dolcemente.

Ryou la guardò negli occhi. “Non sei arrabbiata?” chiese, e sembrava quasi un bambino da quanto era sconsolato.

Lei gli sorrise. “No. Non è colpa tua se ci stanno attaccando di nuovo.” disse con decisione.

Lui scosse la testa, osservando l'aspirina nel bicchiere. “Vi ho messe in pericolo. Vi ho mentito. È solo colpa mia.”

“Non c'era altra scelta. Sì, ci hai mentito, e non avresti dovuto,” ammise lei, e lui tornò a guardarla, “ma, nonostante ciò, non riesco ad avercela con te.”

Rimasero in silenzio per qualche istante. Retasu abbassò lo sguardo. “Io sarò sempre dalla tua parte.” disse con un filo di voce, mentre sentiva le guance tingersi di rosso. “Volevo che tu lo sapessi.”

Ryou sorrise, suo malgrado. “Perché sei sempre così paziente con me?”

Retasu alzò un poco la testa. “Io sono paziente con tutti.” replicò in tono spensierato.

Il ragazzo annuì lentamente. “Hai ragione. Sei...una ragazza davvero speciale, Retasu. Dovrebbero essercene di più, di ragazze come te.”

Il volto le si illuminò, mentre una calda sensazione le si diffondeva nel petto. Senza dire altro, gli si avvicinò e gli posò un veloce bacio sulla guancia. “Non arrenderti, Ryou. Il mondo ha bisogno di te.” si congedò sorridendo beatamente.

L'aspirina finì di sciogliersi nell'acqua, ma Ryou non vi prestò la benché minima attenzione.

 

***

 

Kisshu si era smaterializzato fuori dal seminterrato non appena gli era stato possibile farlo, riapparendo a mezz'aria fuori dal locale. Quel posto non era minimamente cambiato: era ancora incredibilmente lezioso e frivolo nell'aspetto, ma per chissà quale ragione non poteva fare a meno di pensare che fosse carino.

Lasciò che l'aria fredda gli scompigliasse i capelli. L'atmosfera di quel pianeta, invece, era cambiata eccome: in peggio naturalmente. Soppresse un moto di disgusto nei confronti degli esseri umani: questa volta erano lì per aiutarli a sopravvivere, non per massacrarli, e quello era sicuramente un cambiamento bello grosso, rifletté appollaiandosi sul ramo di un albero spoglio. A circa trenta metri da dove si trovava, lo sapeva, c'era Ichigo, nascosta dietro al muro curvo del Café, ma perfettamente udibile alle sue orecchie.

“Lo sapevo che non sarei dovuta tornare.” disse la ragazza, e dal tono di voce che aveva capì che era sul punto di scoppiare in lacrime.

“Non avere paura.” fece l'umano di nome Aoyama, quello che non sarebbe dovuto sopravvivere alla guerra ma che l'aveva fatto.

“Come faccio a non averne?” protestò lei. “Siamo entrambi senza poteri, questa volta. Né tu né io possiamo difenderci.”

Kisshu pensò che lui l'avrebbe volentieri difesa, se lei glielo avesse chiesto. L'avrebbe difesa fino alla fine. L'aveva già fatto. Non era poi stato così difficile.

“Ci sono le ragazze, e adesso anche Pai e gli altri.” L'alieno sorrise tra sé e sé, notando come l'umano avesse accuratamente evitato di chiamarlo per nome.

“...non so se possiamo fidarci di loro. Di Pai e degli altri, intendo.” replicò lei, e il sorriso gli morì sulle labbra.

Una familiare sensazione di dolore al petto lo raggiunse e quasi istintivamente si portò una mano alla base del collo, dove iniziava una delle due cicatrici che si portava dietro da sette anni.

Come poteva non fidarsi di lui? La sera prima l'aveva salvata dal Chimero, l'aveva stretta tra le braccia, l'aveva riportata indietro sana e salva...come poteva dubitare ancora di lui?

Si alzò di scatto dal ramo su cui si era seduto.

Ichigo sobbalzò quando le comparve davanti. Era ancora dannatamente bella, forse addirittura più bella di com'era un tempo.

“Ko-neko-chan.” la salutò sorridendo mestamente. “Possiamo parlare?”










Waaaah Kisshu! ç.ç
A-hem. Recuperiamo la nostra (poca) dignità. 
Sì, sono tornata! E sono molto fiera di questo capitolo. :D Finalmente succede qualcosa! Conflitto! Dramma! Era ora! *o*
Beh, spero che stiate bene e che il capitolo vi sia piaciuto. Cosa ne pensate della backstory dei nostri cari alieni? E della reazione di Zakuro? E di Taruto e Kisshu? (Non preoccupatevi che arriverà anche Pai :P) Fatemelo sapere! Sono davvero curiosa di conoscere le vostre opinioni! 
Un bacione a tutte voi! ^3^

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Capitolo 18
*** Good actions, bad actions ***


18. Good actions, bad actions

 

 

 

Ichigo lanciò un'occhiata incerta a Masaya, poi a Kisshu, poi ancora a Masaya. Non sapeva cosa dire. L'alieno la guardava con aria ferita, Masaya con un'espressione guardinga. Alla fine riuscì a mormorare un “sì” poco convinto, abbassando lo sguardo.

Masaya era serissimo. “Vado a sedermi sulla panchina qui dietro.” disse prima di allontanarsi.

Ichigo annuì, costringendosi a non indietreggiare. Non poteva farci nulla, Kisshu le aveva fatto male tante di quelle volte che le veniva d'istinto. Si consolò pensando che non sembrava avere intenzioni bellicose, anche se con lui non si poteva mai sapere.

L'alieno aspettò che Masaya voltasse l'angolo prima di parlare. Non distolse mai lo sguardo dal suo viso, e questo la fece innervosire parecchio. Aveva sempre trovato inquietanti i suoi occhi gialli e quel pallore mortale che condivideva con il resto della sua specie.

“Ko-neko-chan.” ripeté lui. “Perché non ti fidi di me?”

La ragazza rimase interdetta per qualche secondo. “Perché..?” Poi capì. “Tu...stavi origliando?” Sentì la rabbia montarle dentro.

Kisshu scrollò le spalle. “Non esattamente. Ero a portata d'orecchio, tutto qui.”

“E mi chiedi perché non mi fido?” scattò lei. “Tanto per cominciare, se fossi una persona di cui ci si può fidare non origlieresti le conversazioni private della gente.”

Kisshu non batté ciglio.

“E poi, ho perso il conto di quante volte hai provato ad uccidermi. E a fare del male alle persone a cui voglio bene.”

“Eravamo in guerra.”

“E a rapirmi...”

“Perché ti amavo.”

Ichigo scosse la testa vigorosamente. “No, Kisshu. Amare una persona non significa costringerla a fare quello che vuoi tu.”

“Non puoi sapere cosa provassi per te. Cosa provo per te anche adesso...” insistette lui, testardo come sempre.

Eccola lì, la confessione che mai avrebbe voluto che le facesse. Si pietrificò, il fiato corto, e un brivido le percorse la schiena.

Non voleva ricominciare daccapo con quella storia. Non aveva mai desiderato le sue attenzioni, mai e poi mai, e aveva cercato di farglielo capire in tutti i modi, eppure a quanto sembrava nemmeno tutti quegli anni erano serviti a fargli cambiare idea su di lei.

Si fece forza. “Non so cosa provassi, è vero, ma se era veramente amore era un amore sbagliato.”

“Non usare il passato. Io ti...”

No!” esclamò lei, interrompendolo. “Non osare. Non di nuovo.” Sentiva gli occhi e il naso pizzicarle, ma si impose di ricacciare indietro le lacrime. Prese un respiro profondo. “Kisshu, io...”

“Io sono morto per te.” disse lui, la voce quasi robotica, che non tradiva la benché minima emozione.

Ichigo distolse lo sguardo. “Lo so.” sussurrò mentre una lacrima solitaria le scendeva giù per le guance.

“Mi sono fatto impalare da una spada, per te. Ne porto ancora il segno, lo sai?” La voce gli si era abbassata, tanto da sembrare un ringhio. “Ho combattuto la mia gente, per te. Ho tradito la mia causa, per te. Lo sai?!” ruggì all'improvviso, tanto da farla sobbalzare. La ragazza indietreggiò fino ad appoggiare la schiena alla ringhiera di ferro del terrazzo.

“E tu mi vieni a dire che quello non era amore? Perché credi che sia tornato su questo dannato pianeta, se non per vedere te?” Gli sfuggì una risata al limite dell'isteria.

È esattamente come prima, pensò Ichigo terrorizzata. Non è cambiato per niente. È ancora matto da legare, ed è tornato di nuovo a tormentarmi.

La sera prima, quando l'aveva salvata dal Chimero, aveva sperato...si era illusa che fosse cambiato, che l'avesse dimenticata, che avesse ritrovato un minimo di equilibrio nella sua vita. Evidentemente non era così, gliel'aveva dimostrato con neanche due minuti di conversazione.

Kisshu parve ricomporsi. “E adesso perché piangi?” le chiese, con una voce così dolce, radicalmente diversa dall'aspro tono di qualche istante prima...

Perché, nonostante tutto, mi sento in colpa. Perché mi sento uno schifo, perché lo so che ci soffri.

Ichigo si asciugò le guance, cercando disperatamente di calmarsi. Almeno uno dei due doveva restare lucido, si disse. “Io non volevo che morissi, Kisshu. Non voglio che tu muoia. Non voglio che ti succeda niente di male.” disse con voce tremante. “Ma tutto quello che conosco di te sono azioni malvagie o impulsive, e non posso fidarmi di te, non ancora, non finché mi dimostrerai il contrario.”

“Ieri sera non ti ho dimostrato niente?” le domandò, con un'aria talmente afflitta da spezzarle il cuore.

“Una buona azione non ne cancella una cattiva, così come una cattiva azione non ne cancella una buona.(*)” intervenne Masaya sbucando da dietro il muro e portandosi al fianco di Ichigo.

Kisshu lo guardò in cagnesco, serrando le mani a pugno. “A lui è permesso origliare, vedo.” osservò in tono tagliente.

“Ti ho sentito alzare la voce e sono tornato indietro.” si giustificò il ragazzo, estraendo dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto e porgendolo gentilmente a Ichigo. “Smettila di perseguitare Ichigo, e forse potremmo iniziare a fidarci di te.” disse in tono duro, guardandolo negli occhi senza alcuna paura.

L'alieno si portò una mano al collo, l'immagine stessa della sofferenza, e poi svanì, senza aggiungere altro.

Ichigo scoppiò a piangere senza ritegno, tuffando il viso nel fazzoletto di stoffa. Sentì Masaya che la abbracciava e le accarezzava i capelli. “Va tutto bene. Va tutto bene.”

Solo che non era vero. Non andava affatto tutto bene, perché Kisshu era morto per lei e lei non era ancora riuscita a dirgli grazie.

Perché l'avrebbe ferito ancora e ancora e non voleva fargli del male, ma era inevitabile, perché non avrebbe mai cambiato idea, perché lui era fatto così. Non l'avrebbe mai lasciata in pace.

 

***

 

Quando Zakuro entrò in Chiesa non la trovò vuota come le sarebbe piaciuto che fosse. D'altronde era domenica mattina, per cui era ovvio che ci fosse gente.

Si sedette in fondo, nella parte più lontana dalla navata. Il prete stava celebrando la messa e Zakuro si lasciò cullare dalle parole dell'uomo e dalla musica dell'organo fino a che l'edificio si svuotò. Solo allora, alzatasi in piedi e avvicinatasi all'altare e alle vetrate colorate, si mise a pregare.

Si era calmata, come le succedeva sempre quando andava in quella Chiesa a pregare in solitudine. Non aveva paura per sé - era raro che ne avesse – ma per le sue compagne. Per le sue amiche. Si sentiva talmente impotente al pensiero di non poter fare nulla per proteggerle... E poi c'era quel pensiero fisso che non aveva mai smesso di tormentarla in tutti quegli anni e che le aveva dato fastidio fin dall'inizio: Shirogane e Akasaka avevano usato i loro corpi come se fossero state cavie da laboratorio, e adesso tutte loro ne stavano pagando le conseguenze, così come le avrebbero pagate le nuove Mew Mew in futuro.

La prospettiva che fossero quelle ragazzine inesperte a difenderle le faceva attorcigliare lo stomaco. Non l'avrebbe tollerato, si disse, ma poi si rese conto di essere ingiusta nei loro confronti: loro erano innocenti, in tutta quella storia, erano vittime esattamente come loro.

Rischiò di nuovo di infuriarsi e si impose di stare calma: non era quello il luogo in cui lasciarsi prendere da tali sentimenti. Quello era il suo posto speciale, dove poteva lasciar cadere la maschera e tornare ad essere vulnerabile, almeno per un po'.

Sentì il portone aprirsi e qualcuno percorrere la navata centrale a passi lenti e misurati. Non si mosse, chiudendo gli occhi, finendo di pregare con calma. Pregò per i morti e per i vivi, pregò per avere la forza di combattere ancora una volta e soprattutto per avere la forza di perdonare. E quando finì, girandosi verso l'uscita, vide che Minto era seduta in prima fila e che la stava aspettando pazientemente. “Sapevo che ti avrei trovata qui, onee-sama.” disse la ragazza a bassa voce, per non disturbare la quiete della Chiesa.

Zakuro scese i gradini con lentezza, il rumore dei tacchi che echeggiava nella Chiesa vuota.

Si abbracciarono.

 

***

 

Suika, Nasubi, Ichijiku e Ninjin uscirono dal Café chiacchierando animatamente. Shirogane e Akasaka avevano dato loro la giornata libera e data l'atmosfera pesante che aleggiava sul Café quel giorno le ragazze erano uscite ben volentieri.

“Quindi hai passato la notte qui?” chiese Nasubi a Suika, curiosa.

“Già. Akasaka-san ha chiamato mia madre e le ha rifilato una bugia clamorosa, che dubito abbia bevuto, per cui adesso mi tocca andare a casa e subirmi chissà quale filippica.” rispose Suika sbuffando. “Ieri sera ero proprio esausta, non ricordo nemmeno di essermi addormentata...” Però ricordava benissimo di essersi svegliata nel letto di Shirogane, quella mattina, con una gran confusione in testa e un profumo strano in mente...

“Certo che quei tizi sono strani. Onestamente mi mettono un po' di inquietudine.” continuò Nasubi. Ninjin annuì vigorosamente. “Anche a me mettono paura. Però Purin-oneechan sembrava felice di vederli.”

“Altro che felice, si è praticamente gettata addosso a quello più giovane...” commentò Ichijiku, perplessa.

“È...così strano.” disse Nasubi. “Dovrò impararmi bene le loro facce, non vorrei mai colpire uno dei nostri per sbaglio. Che poi, ci sarà da fidarsi sul serio?”

“Shirogane e Akasaka sembravano propensi a fidarsi...” osservò Ichijiku infilando le mani nella tasca del giaccone nero che indossava.

Suika si bloccò, aguzzando la vista: le sembrava di aver scorto una figura su un albero poco distante...

“Scusate, torno subito!” fece mettendosi a correre. Le altre la guardarono come se fosse impazzita.

Più si avvicinava all'albero più era certa che fosse lui. Si fermò poco distante, il cuore che le batteva a mille. “Ehm... Kisshu-san?” lo chiamò titubante. Forse era davvero ammattita, pensò nervosamente.

L'alieno guardò svogliatamente in giù. Non sembrava per niente di buon umore.

Suika deglutì, cercando di trovare le parole. “Ecco, io...volevo solo ringraziarti, ecco.” balbettò guardando da tutt'altra parte.

“Per cosa?” chiese lui in tono infastidito.

La ragazza iniziò a darsi della stupida. “Per ieri sera. Quando sono caduta e tu mi hai...salvata.” rispose con un filo di voce. Fece un piccolo inchino. “Ti ringrazio molto.” Si girò e fece per correre via.

“Non dovresti attaccare il nemico se poi non hai più le forze per difenderti.” le disse in tono noncurante. “Rischi di farti ammazzare. Credimi, ci sono passato.” aggiunse cupamente.

Lei si fermò, girandosi di nuovo verso di lui. “Ne terrò conto, d'ora in poi.” gli fece sorridendo timidamente. “Ma Ichigo-san mi aveva chiesto di aiutarti, e quindi...”

Lui si riscosse, prestandole improvvisamente attenzione. “È stata Ichigo a dirti di intervenire?” chiese sollevando un sopracciglio.

Suika annuì, il suo sorriso che si allargava. Stavano avendo una conversazione! Era più di quanto avesse osato sperare. Le era sembrato così distaccato, ma ora le stava prestando attenzione...aveva una gamba penzolante dal ramo e un'espressione concentrata sul volto. La scrutò da capo a piedi in silenzio, con quei suoi splendidi occhi gialli con pagliuzze dorate, poi le domandò: “Com'è che ti chiami?”

La ragazza si sentì sprofondare all'istante. Non ricordava neanche il suo nome! Quella era stata una brutta idea, anzi, un'idea decisamente pessima. “Suika Nakano.” biascicò, sentendosi arrossire fino alla radice dei capelli. Poi scappò.

Quando tornò dalle sue compagne, Nasubi la squadrò con occhio critico. “Cosa vi siete detti?” le chiese a bruciapelo.

Suika arrossì di nuovo. Si sentiva la faccia in fiamme. “Niente, l'ho solo ringraziato per ieri sera. Mi ha salvato la vita, probabilmente.”

“Perché sei così rossa?” domandò Ichijiku ghignando.

“Ho corso.” la liquidò lei, riprendendo a camminare.

Ninjin ridacchiò. “A Suika-oneechan gli alieni non fanno paura, mi sa.”

Suika sgranò gli occhi. “Ehi, le bambine come te non dovrebbero avere una lingua così lunga!”

Ninjin le saltellò accanto. “Ti ha tenuta in braccio, oneechan? Com'è stato?” chiese con gli occhi verdi che brillavano.

“Basta così, Nin-chan. Suika scherzava, vero Suika?” la incalzò Nasubi prendendola sottobraccio.

La ragazza non rispose. Certo, era grata all'alieno per averla salvata, ma c'era anche qualcos'altro sotto. Quella mattina si era svegliata con il suo profumo addosso; non ne era sicura ma credeva di essersi addormentata vicino a lui, la sera prima, e adesso non riusciva più a toglierselo dalla testa.

Nasubi corrugò la fronte. “Suika-chan?” Era quasi delusa, si rese conto lei.

“Cosa?”

“...non ti sei veramente presa una cotta per quello lì, vero?”

La ragazza si morse il labbro. “No, certo che no, io...”

“Bugiarda.” osservò Ichijiku seccamente.

“Devo andare, mia mamma mi ucciderà se non torno presto. Ci vediamo domani al Café! Baci baci!” disse frettolosamente lei, scomparendo dietro l'angolo a tutta velocità.

Le veniva da piangere. Nasubi aveva ragione a preoccuparsi, era una follia. Non avrebbe mai dovuto farne parola con nessuno. Immaginò la lavata di capo che le avrebbe fatto Shirogane...

Basta, non ci pensare. L'hai ringraziato, sei stata gentile, adesso basta, la cosa muore qui.

Era successo talmente di colpo da essere quasi ridicolo. Non era la prima volta che un ragazzo attirava la sua attenzione, ma si era sempre trattato di un sentimento che iniziava lentamente, per poi crescere col passare del tempo. Non era da lei, innamorarsi così di colpo, a prima vista.

Ma io non sono innamorata., si disse odiandosi per averlo anche solo pensato. Sono solo molto grata di non essermi spiaccicata a terra come un insetto sul finestrino di un'auto. Mi ha salvata, è normale che provi affetto per lui. Ci dev'essere un nome specifico per questa cosa, tipo la Sindrome di Stoccolma o una cosa del genere...

Continuò a ripeterselo fino a che non aprì la porta di casa, dopodiché sua madre le fornì ben altro di cui preoccuparsi.

 

***

 

Pastel terminò di analizzare i dati raccolti dal Chimero, sorridendo tra sé e sé. “Questa volta abbiamo fatto centro.” mormorò soddisfatta.

Prese in mano una piccola fiala con il campione di sangue raccolto, scuotendola delicatamente tra le dita pallide, mentre Mu riprendeva la forma umanoide.

“Allora, ho fatto un buon lavoro?” chiese Kue emergendo dalla foschia.

Pastel annuì. “Siamo un passo più vicini a comprendere il segreto del potere Mew.” disse trionfante. “Boundless Green-sama sarà felice di saperlo.”

In quel momento, Mu emise un gemito preoccupante, tremando da capo a piedi, per poi contrarsi e allungarsi in tutte le direzioni.

“Che ha quel coso?” sbottò Kue, evocando la falce.

Pastel sgranò gli occhi, arretrando di un passo. “Cosa..?” L'essere di fronte a sé stava riplasmando il proprio corpo, assumendo forme decisamente più femminili. Per ultimo fu il suo capo a cambiare: sulla superficie liscia e perlacea si formarono una bocca, un naso, delle cavità orbitali...e un paio di orecchie triangolari.

Kue gli si avvicinò, curioso. “Quella è una coda..?” disse divertito, allungando una mano per afferrarla.

“Aspetta!” lo fermò Pastel volandogli di fronte. “Il campione di DNA modificato deve essersi in qualche modo ricombinato nel corpo del Chimero...” borbottò incredula, girandogli attorno. Mu seguiva i suoi movimenti con la testa, come se quelle rudimentali e vuote cavità orbitali potessero vederla. “Incredibile...ti rendi conto di quello che è appena successo?” chiese al compagno, facendo comparire dal nulla un sensore per analizzare la creatura di fronte a sé.

Kue sorrise. “No, ma sono pronto a scommettere che è una cosa molto interessante.”

 

***

 

“Ciao, Pai.” fece una voce alle sue spalle.

Pai si girò lentamente, trovandosi di fronte la ragazza dai capelli verdi e dagli occhi grandi e blu. Era più alta di come la ricordava, notò mantenendo un'espressione neutra.

“MewRetasu.” la salutò chinando leggermente il capo.

Lei sorrise, quasi apologetica. “Solo Retasu, temo.” disse con una punta di rimpianto nella voce.

“Hmm.” commentò laconico, studiando i lineamenti del suo volto nella penombra del seminterrato. Erano in qualche modo meno infantili, ma gli occhi, che fossero blu come il mare o di un verde brillante, erano rimasti gli stessi.

Non aveva mai visto degli occhi più dolci in vita sua.

Retasu abbassò lo sguardo, sempre sorridendo. “Sono felice che siate tornati. È bello sapere che ci proteggerete di nuovo.”

Pai corrugò la fronte. “Noi non vi abbiamo protette...” Si interruppe, realizzando che la ragazza si stava riferendo a quando tutti loro avevano tradito la causa di Deep Blue e si erano sacrificati.

Provava ancora vergogna per quella sua azione sconsiderata, anche se non riusciva a capirne la ragione. Non aveva pensato, in quel momento, e non era da lui. Sapeva benissimo perché l'aveva fatto, o forse sarebbe stato più corretto dire per chi.

Retasu si portò le mani dietro la schiena. “Non ti ho mai ringraziato per avermi salvato la vita.” ammise assottigliando le labbra in una specie di smorfia.

“Non serve.” la interruppe lui, forse un po' troppo bruscamente.

La ragazza sbatté le palpebre, presa in contropiede. “Certo che serve. Ti sei sacrificato per salvarmi...”

Pai scosse la testa. Quella ragazza non era per niente cambiata, nella sua ostinazione a voler sempre vedere il lato buono delle persone, anche quando questo non esisteva. Era così...frustrante.

La verità era che era rimasto abbagliato da lei, dalla sua sfolgorante bellezza, e aveva perso la capacità di ragionare freddamente. Aveva agito come uno stupido, esattamente come avevano agito i suoi fratelli. E aveva pagato un prezzo salatissimo, che non si poteva più permettere di pagare.

Per la mia gente, pensò. Per Kyrie e Shazan. Per tutti noi.

Lei non faceva parte della sua vita. Era solo un pallido ricordo di un sogno lontano.

“Pai? Ho detto qualcosa che non va?” lo chiamò lei, improvvisamente preoccupata.

“Siamo qui per il bene della nostra gente.” fece lui in tono deciso. “Se i ribelli dovessero impossessarsi della chiave del potere Mew, il nostro pianeta sarebbe in pericolo. Tutti noi saremmo in pericolo.”

Retasu parve turbata. “Credi che sia questo il loro obiettivo?”

Pai strinse le mani a pugno. “Non ne sono sicuro, ma penso sia molto probabile. Una guerra con i Chimeri non porterebbe a risultati efficaci. Le nostre forze superano di gran lunga le loro. Tuttavia, se ci trovassimo a combattere contro il vostro potere...la situazione volgerebbe di certo a loro favore.”

Retasu sembrava allarmata. “Ne hai parlato con Ryou?”

L'alieno annuì. Provò l'insano impulso di andarle più vicino, di confortarla al meglio delle sue capacità. Respinse il pensiero con vigore, ma non poté fare a meno di provare una sensazione di amara nostalgia.

Un pallido ricordo di un sogno lontano. E lei era così vulnerabile, così...umana.

“In un'altra vita, in un altro mondo...” mormorò cupamente.

Lei gli si avvicinò. “Cosa?” chiese, confusa.

Pai si alzò in volo. “Perdonami.” disse congedandosi e smaterializzandosi senza aggiungere altro.

 

 

 

 

 

 

(*) Questa è una citazione da A song of Ice and Fire di G.R.R. Martin. Sto leggendo i libri e non sono riuscita a resistere. Ora ho in mente uno strano ibrido tra Masaya Aoyama e Stannis Baratheon, ma vabbé... xD 

Carissime lettrici, buondì. Come potete vedere, in questo periodo sto facendo una scorpacciata di Kisshu dopo mesi e mesi di astinenza. ;) Spero che la mia personale interpretazione del suo personaggio vi sia piaciuta e che la storia continui a interessarvi. 
Arrivederci al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 19
*** Fever ***


19. Fever




 

Non capisci, mi ha salvato la vita!” insisteva Suika, lo sguardo perso tra gli alberi del parco.

Nasubi scosse la testa. “Suika, è un alieno! Come puoi anche solo pensare una cosa del genere? E poi, è troppo grande per te!”

La ragazza non la stava ascoltando, l'aria sognante e languida. Improvvisamente, Kisshu comparve di fronte a loro, sorridendo, gli occhi gialli che brillavano.

Suika si alzò di scatto dalla panchina su cui erano sedute e gli corse incontro, tuffandosi tra le sue braccia.

L'alieno le accarezzò i corti capelli castani, gli occhi puntati su Nasubi. “Perché non ti fidi?” le chiese in tono beffardo, circondando la vita della sua amica con il braccio destro.

Nasubi stava per rispondere, quando si accorse che gli occhi dell'alieno avevano cambiato colore: da gialli erano diventati viola, e le sue zanne si erano allungate, mentre il volto si era distorto in un sorriso sadico.

Prima che riuscisse ad aprire bocca, la lunga falce argentea di Kue le fece entrambe a pezzi.

 

Nasubi si svegliò di soprassalto, sbattendo dolorosamente la testa contro lo spigolo del comodino.

Gemette, inforcando gli occhiali, e diede un'occhiata alla sveglia a forma di gufo di fronte a sé. Mancavano dieci minuti alle sette. Si rotolò nel letto, cercando di districarsi dalle pesanti coperte di lana. Troppo presto per alzarsi, troppo tardi per riaddormentarsi, pensò sfregandosi gli occhi sotto le lenti.

L'incubo l'aveva lasciata spossata, e si sentiva più stanca di quando era andata a dormire la sera prima.

Si ripromise che avrebbe parlato a Suika, quella mattina. Poi si chiese se non stesse esagerando. Forse si trattava di una cosa passeggera, forse Suika si sarebbe messa a ridere e le avrebbe detto che si era sbagliata, che non si era presa una cotta per quel tizio...oppure si sarebbe arrabbiata, dicendole che non erano fatti suoi? Che poi, lo erano davvero?

Si massaggiò delicatamente la fronte.

La verità era che stava iniziando a provare affetto per Suika e le altre, in particolare per Ninjin, e non voleva che si facessero del male, in alcun modo. E qualcosa le diceva che quel Kisshu e gli altri due alieni che erano con lui non avrebbero portato a nulla di buono.

E poi c'era Kue...che aveva preso a tormentarla anche nei sogni, a quanto sembrava.

Si rigirò nervosamente nel letto. Non voleva che quella sua paura diventasse una fobia, e non voleva nemmeno essere l'unica della sua squadra a temere così tanto gli alieni. Cosa avrebbe fatto se si fosse fatta prendere dal panico nel bel mezzo di una battaglia? Avrebbe rischiato di mettere in pericolo se stessa e le sue compagne a causa del terrore che Kue le ispirava..?

Si alzò dal letto, barcollando. Una bella doccia l'avrebbe calmata, si disse cercando di pensare positivo.

Si fermò davanti allo specchio, raddrizzandosi gli occhiali sul naso. Non era mai stata il tipo di ragazza che si preoccupava eccessivamente del proprio aspetto fisico, ma quella mattina le occhiaie violacee sotto gli occhi e i capelli sfibrati non le sfuggirono.

Aveva la bruttissima sensazione di stare osservando una sconosciuta allo specchio.

 

***

 

“Oggi niente servizio, il Café resta chiuso.” annunciò Shirogane incrociando le braccia.

Ichijiku gli lanciò un'occhiata torva. “E allora perché ci avete fatto venire qui a quest'ora?”

Ninjin sbadigliò fragorosamente. “È vero, potevamo restare a letto! Mio fratello ha pianto tutta la notte e non ha fatto dormire nessuno...”

Il ragazzo sospirò. “Mi dispiace avervi buttate giù dal letto, ma il tempo a nostra disposizione è poco ed è essenziale che siate pronte ad affrontare il nemico quando attaccherà di nuovo. Inoltre abbiamo l'opportunità di farvi allenare con l'aiuto dei nostri nuovi alleati.” Pronunciò quell'ultima parola con una punta di sarcasmo nella voce.

Suika fece un passo avanti. “Ma Sumomo ancora non si è ripresa, perderà la sessione di allenamento...” protestò debolmente. Nasubi annuì per darle manforte.

“Recupererà quando ne sarà in grado. Non è comunque una ragione sufficiente per saltare questa giornata.” la interruppe seccamente il ragazzo. “Prima le signore.” disse poi, gesticolando in direzione delle scale che portavano al seminterrato.

Le quattro ragazze ubbidirono di malavoglia. “Sapete, è ironico che Sumomo manchi: penso che sarebbe stata l'unica entusiasta di questa sessione di allenamento.” rifletté Nasubi ad alta voce mentre scendevano le scale in fila indiana.

Ichijiku si lasciò sfuggire un risolino. “Quando c'è da menare le mani è sempre in prima fila...”

“Non è una cosa negativa.” osservò Ninjin sbadigliando nuovamente. “Uffaaaa, odio i bambini piccoli...” aggiunse in tono piagnucoloso.

“Non dire così, Nin-chan...” fece Nasubi sbucando nel seminterrato. Era esattamente come lo avevano lasciato il giorno prima, solo meno affollato: c'erano solo Keiichirou e due dei tre alieni ad aspettarle, quello con i capelli castani e...quell'altro.

Nasubi lanciò un'occhiata preoccupata a Suika, che alla luce dei computer sembrava particolarmente pallida.

Keiichirou non perse tempo con i convenevoli: “Abbiamo pensato che potesse essere utile un po' di allenamento. Kisshu e Taruto sono dei nostri, ma questo non li rende meno alieni, quindi fate attenzione a non colpirli con i vostri attacchi: potreste ferirli molto gravemente.” disse con la fronte leggermente corrugata.

“Non ho capito, quindi come facciamo a difenderci?” chiese Ichijiku incrociando le braccia, facendo tintinnare i bracciali d'argento che portava ai polsi.

“Potete colpirli corpo a corpo – nemmeno a loro è concesso usare armi -, ma la cosa essenziale sarebbe riuscire a schivare i loro attacchi. Avrete già capito che il loro punto di forza è la velocità.”

Ninjin fremette. “Non...non ci faranno male, vero?” balbettò cercando istintivamente la mano di Nasubi, che gliela strinse forte.

“Avete la mia parola che non vi succederà niente di male.” rispose l'alieno più giovane. “Siamo dalla vostra parte in questa guerra.” aggiunse con un debole sorriso.

Le quattro ragazze guardarono prima lui, poi Keiichirou, poi Ryou, che gli si era affiancato, a cercare un'ulteriore conferma e una rassicurazione. I due scienziati annuirono all'unisono. “Coraggio.” le spronò Ryou, raccogliendo un oggetto simile ad un tablet dalla scrivania. “Noi monitoreremo la situazione. Se sentite di non farcela ditelo pure, ma vi chiedo la massima serietà: questo non è un gioco.”

Nasubi strinse di nuovo la mano di Ninjin, sorridendole per tranquillizzarla. In realtà era molto preoccupata a sua volta: non riusciva davvero a fidarsi di quei tre alieni e la fiducia che Shirogane e Akasaka sembravano riporre in essi le sembrava eccessiva a dir poco.

“Ninjin, tu stai con Nasubi. Suika e Ichijiku formeranno l'altra coppia. Vediamo come ve la cavate.” ordinò Ryou, gli occhi azzurri puntati sul monitor del tablet.

“Alla fine della mattinata vi aspettano dei tortini di miele appena sfornati.” annunciò allegramente Kei, riuscendo a strappare un sorriso alla piccola Mew-cincillà.

Le ragazze indugiarono per un attimo, poi si trasformarono, dividendosi in due gruppi secondo le istruzioni di Shirogane.

Nasubi si mise istintivamente davanti alla giovane compagna, ma senza la sua arma stretta in pugno si sentiva nuda. Lanciò una fugace occhiata a Suika, che sembrava tesa quanto lei, e ad un'accigliata Ichijiku, mentre i due alieni si avvicinavano, fluttuando a qualche centimetro da terra.

A loro due era toccato quello con i capelli castani, che in tutta onestà le sembrava quello più gentile dei tre. Che si trattasse di una recita?, si domandò corrugando la fronte.

L'alieno sembrava soppesarla, gli occhi arancioni socchiusi. “È un bene che tu sia protettiva nei suoi confronti,” esordì indicando Ninjin, “ma devi stare attenta a non scoprirti troppo.” Nasubi fece appena in tempo a vederlo muoversi che le fu a due centimetri di distanza e la colpì in pieno petto con il palmo della mano, facendole mancare il respiro. Ninjin urlò.

“Visto?” le fece l'alieno alzandosi in aria, un sorrisetto compiaciuto sulle labbra diafane.

Nasubi tossì, cercando di raddrizzarsi. Un odio bruciante la percorse come una scarica elettrica, facendole digrignare i denti.

L'alieno aveva posato lo sguardo su Ninjin, che lo fissava a bocca aperta. Quando si mosse per colpirla, la bambina riuscì a scansarsi all'ultimo momento con un gridolino, e Nasubi ne approfittò per piazzargli un pugno in mezzo alle scapole. Era la seconda volta che riusciva a colpire un nemico alle spalle, pensò distrattamente mentre schivava per un pelo un contrattacco. Notò con soddisfazione che adesso l'alieno non sorrideva più.

 

I minuti passarono e, mentre le ragazze e gli alieni combattevano senza l'ausilio delle armi, i due scienziati raccoglievano più dati possibili, aiutati anche da Masha, che svolazzava a distanza di sicurezza da Mew Mew e extraterrestri.

“Ninjin e Nasubi sembrano aver acquisito un certo ritmo.” osservò Kei compiaciuto, seguendo con lo sguardo i balzi e le giravolte delle due ragazze, che tutto sommato sembravano dare del filo da torcere a Taruto.

Ryan alzò per un attimo gli occhi dallo schermo. “Sì, Ninjin è brava a schivare i colpi...”

Ichijiku gridò mentre Kisshu le assestava una gomitata nel fianco senza tante cerimonie. “Credi che siano davvero dalla nostra parte, Ryou?” chiese Kei a bassa voce.

“Quello che importa è che non siano dalla parte di Kue e Kuchen.” rispose il ragazzo. “Credimi, Kei, non sono uno sprovveduto. Ho già preso in considerazione le alternative.”

Videro Suika inciampare goffamente su Ichijiku nel tentativo di schivare un attacco. La Mew verde si lasciò sfuggire un'imprecazione non del tutto femminile. Kisshu ridacchiò.

“Non ti sembra che Suika sia...un po' distratta?” sussurrò Kei dopo qualche minuto di silenzio.

Ryou sollevò un sopracciglio. “Di sicuro Suika e Ichijiku sono più disarmoniche rispetto a Ninjin e Nasubi.” disse mentre Suika cadeva di nuovo e si rialzava in piedi, rossa come il proprio costume da Mew Mew, scusandosi a profusione con la compagna.

“Masha, controlla i valori di MewSuika.” ordinò Kei parlando in un piccolo microfono posizionato vicino a uno dei monitor. Il robottino ubbidì, avvicinandosi alla ragazza, che cercava disperatamente di schivare gli attacchi dell'alieno. “Non è normale che sia così goffa...” rifletté lo scienziato, concentrato.

Ryou serrò la mascella. “Dovete collaborare, ragazze! MewIchijiku, devi aiutarla se vedi che è in difficoltà!” abbaiò d'un tratto, spazientito.

“Ci sto provando!” ribatté la Mew verde, furibonda.

MewSuika sembrava in preda al panico più totale, mentre Kisshu sembrava divertirsi un mondo mentre la spingeva lentamente ma inesorabilmente in un angolo della stanza, tagliandole ogni possibile via di fuga.

“Ok, cinque minuti di pausa!” esclamò infine Ryou, passandosi una mano tra i capelli. Mew Mew e alieni si girarono a guardarlo, le prime ansimanti e rosse in volto. Ichijiku era livida.

“Qui c'è dell'acqua, se ne avete bisogno.” disse Kei indicando due casse ai lati delle scrivanie.

“Oh, volentieri!” esclamò Taruto afferrando una bottiglia. Dopo aver bevuto un sorso, fece una smorfia. “Ugh, che saporaccio.”

“E io che pensavo che l'acqua fosse insapore.” fece MewNasubi sardonica, chinandosi a prendere una bottiglia.

Taruto sembrava disgustato. “Anche la vostra acqua è inquinata...certo, finché la tenete nella plastica...” borbottò scuotendo la bottiglia in malo modo.

Ichijiku quasi strappò via il tappo dal collo. “Nessuno ti obbliga a berla.” ringhiò.

“Che è successo, Ichijiku?” si informò Kei con fare paterno.

La ragazza lanciò un'occhiata a MewSuika, che se ne stava in disparte poco lontano, con Masha che le svolazzava intorno. “Niente.” rispose attaccandosi alla bottiglia.

L'uomo corrugò la fronte. “Ragazzi, potreste concederci un paio di minuti?” chiese cortesemente ai due alieni.

Taruto annuì. “Va bene. Già che ci sono vado a recuperare un po' d'acqua dalla navetta.” disse smaterializzandosi. Kisshu lo imitò in silenzio, un inquietante sorrisetto sulle labbra.

Nasubi si fece avanti per prima. “Akasaka-san, non mi fido di loro. Specialmente di quel Kisshu, mi mette i brividi.”

L'uomo annuì, pensoso. “Credo sinceramente che quello sia semplicemente il suo modo di essere, Nasubi. Ma ti ringrazio per essere stata sincera. Voi altre cosa ne pensate?” chiese scrutandole una ad una, mentre Ryou si avvicinava a MewSuika e le tastava la fronte.

“È troppo forte, e senza pietà.” commentò Ichijiku. “Ma credo che se avesse voluto avrebbe potuto picchiare molto più forte.” ammise dopo un altro sorso.

“Sei bollente, penso sia il caso di misurarti la febbre.” fece intanto Ryou agguantando una sedia e facendo sedere Suika. “Aspetta qui e bevi un po' d'acqua.” aggiunse, per poi andare a recuperare un termometro.

Masha si avvicinò al computer principale, emettendo una serie di lievi bip: “Dati raccolti – valori in corso di analisi”.

“Grazie, Masha.” fece Kei prendendo in mano il tablet.

MewNasubi posò una mano sulla spalla di MewSuika. “Accidenti, sei davvero bollente! Ti senti male?! Prendo un panno bagnato?”

La ragazza scosse la testa, le guance arrossate.

“Beh, ma come ti senti? Hai bisogno di qualcosa? Cos'è successo?” insistette MewNasubi in tono stridulo.

“N-niente, non è successo niente.” rispose Suika, lo sguardo fisso nel vuoto.

“Strano...” si sentì mormorare Keiichirou al pc. Le ragazze si girarono a guardarlo. “Cosa?” chiesero contemporaneamente Ichijiku e Nasubi.

Keiichirou inforcò gli occhiali da vista dalla montatura nera e squadrata, scorrendo rapidamente i dati che erano comparsi sul monitor. In quel momento, Ryou fece la sua comparsa con un termometro in mano. “Ecco, tieni.” disse porgendolo a MewSuika, che lo prese in mano distrattamente.

“Si può sapere cosa sta succedendo?” fece MewNasubi, impaziente.

Keiichirou si girò a guardarle. “Non ne sono sicuro.” Dopodiché lanciò un'occhiata eloquente al collega.

Ryou corrugò la fronte. “Ragazze, dateci cinque minuti.” Un coro di proteste si levò e le ragazze, riluttanti, si diressero alle scale. Nasubi cercò di attirare l'attenzione di Suika, ma quest'ultima aveva ripreso a fissare un punto imprecisato del pavimento.

“Che succede, Kei?” chiese Ryou una volta che Nasubi, Ichijiku e Ninjin se ne furono andate.

“Guarda qui.” rispose semplicemente lo scienziato, mentre il termometro bippava. Suika lo prese in mano lentamente. “Sono 39,7 gradi.” mormorò in tono piatto.

Kei le si avvicinò, inginocchiandosi di fronte a lei. “Cosa senti?” le chiese il più delicatamente possibile, mentre Ryou se ne stava impalato davanti al computer.

“Non lo so...mi sento strana...ho tanto caldo e mi sento la testa leggera...e le farfalle nello stomaco.” borbottò la ragazza, passandosi una mano sulla fronte sudata, dove i capelli rosso fuoco le si erano incollati alla pelle. La coda striata dondolava piano, con un ritmo ipnotico, sfiorando il pavimento con la punta bianca.

“Vuoi sdraiarti un po'?”

La ragazza si strinse nelle spalle.

Ryou scosse la testa. “Non capisco. Sembra che abbia la febbre, ma non riconosco sintomi di un'infezione. E guarda qui...” disse attirando l'attenzione di Kei. I due si scambiarono un'occhiata fugace. “Feromoni. L'ho notato anche io.” mormorò Kei annuendo.

Ryou sembrava improvvisamente nervoso. “Cosa diamine vuol dire?” chiese, sempre a bassa voce.

Kei sollevò un sopracciglio. “Battito accelerato...massiccia produzione di feromoni...elevata temperatura corporea.” elencò, come se la risposta fosse ovvia. Ryou rimase in silenzio, rigido come un manico di scopa.

“È...un effetto della mutazione, secondo te?” chiese infine il ragazzo, con tutta l'aria di non sapere che pesci pigliare.

Kei annuì lentamente. “Non è da escludere. Anzi, quasi sicuramente. Potrebbe essere un problema simile a quello sperimentato da Ichigo anni fa.”

Ryou sospirò. “Speravo di essere riuscito a eliminare questo tipo di inconvenienti, questa volta.” Si sporse a guardare MewSuika con un'espressione rammaricata in volto. “Maledizione.”

 

 

 







Ciao a tutte! :) Eh sì, ce l'ho fatta finalmente. Sembrano passati secoli dall'ultima volta che sono stata su EFP, ma finalmente sono in vacanza e ho ripreso subito a scrivere, per cui mi sento positiva. 
Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mi diverto troppo a complicare la vita ai miei personaggi. ;D
Un abbraccio a chi ancora segue questa storia. Alla prossima e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. :)


 

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Capitolo 20
*** One bad day ***


20. One bad day
 

 

 

Le cinque ragazze si raccolsero attorno al tavolino del bar; Masaya dovette prendere una sedia da un altro tavolo per sedersi di fianco ad Ichigo.

L'ambiente nel locale era caldo, tanto da far completamente appannare gli occhiali a Retasu, che li tolse e, dopo averli attentamente ripiegati, li appoggiò sul tavolino.

Purin le sorrise, mentre l'amica sbatteva le palpebre, cercando di mettere a fuoco i volti delle compagne.

Quella mattina Zakuro indossava una corta parrucca bionda, sotto la quale erano abilmente nascosti i suoi lunghi capelli corvini, e un lungo soprabito beige, in finta pelle, che Minto non aveva potuto fare a meno di ammirare (e, manco a dirlo, effettivamente le calzava a pennello).

Ichigo lanciò un'occhiata nervosa alle compagne. “Allora...” esordì, un lieve imbarazzo nella voce. Fece una pausa, come aspettandosi che qualcuno prendesse la parola al posto suo.

Purin alzò prontamente la mano. “Io avrei un'idea!” esclamò con voce squillante.

Cinque paia di occhi la fissarono, pieni di aspettativa. La giovane si godette quel momento con un sorriso sornione. “Dunque, immagino che la preoccupazione di tutti i presenti sia come difendersi da eventuali attacchi nemici, visto e considerato quello che abbiamo scoperto di recente...”

“Parla piano.” la ammonì Minto, dando una rapida occhiata agli altri clienti che facevano colazione.

Purin prese un respiro profondo. “Ecco, non so se tutti lo sanno, ma in questi anni di assenza dal Giappone mi sono allenata senza sosta con mio padre, in Cina, e con altri grandi maestri del KouEnJi Kenpou...” disse, abbassando leggermente il tono della voce.

“Compreso quel tizio, come si chiamava...Yuebin?” la interruppe Minto, mentre un sorrisetto malizioso le si dipingeva sulle labbra lucide di gloss.

Purin fece una smorfia. “Ovvio. E no, non siamo sposati, e nemmeno siamo più fidanzati, se è questo che volevi sapere.” disse, liquidando frettolosamente l'argomento. “Comunque, condividere con voi l'antichissima arte di combattimento che è stata gelosamente custodita dalla mia famiglia per generazioni e generazioni...penso che sia un ottimo inizio per potersi difendere dai nostri avversari.” Terminò la sua proposta e fece scorrere lo sguardo su ognuno dei partecipanti a quella riunione di emergenza. “Allora? Che ne pensate?”

Le ragazze si scambiarono un'occhiata incerta, tutte tranne Zakuro, che pareva stare riflettendo intensamente.

Ichigo prese la parola: “Non lo so, Purin-chan...è un'offerta molto generosa, ma credi davvero che potremmo imparare in tempo utile una tecnica che richiede anni, a volte decenni, di duro allenamento?”

Retasu annuì lentamente. “Non credo di esserne in grado. Ero un disastro a educazione fisica...”

“Anche io, almeno fino a quando non ho ricevuto i geni del gatto Iriomote.” ammise la rossa.

Purin scosse la testa. “È ovvio che non potreste mai arrivare al livello dei maestri. Senza offesa.” Si mise a giocherellare con una bustina di zucchero. “Ma potrei insegnarvi alcune tecniche di base. Insomma, sarebbe senz'altro meglio di niente.”

“Inoltre,” interloquì Masaya, “se davvero il vostro DNA è ancora in parte modificato, potreste comunque ricavarne dei benefici a livello fisico.”

“Credo che sia un'ottima idea.” disse infine Zakuro. “È senz'altro meglio che starcene qui con le mani in mano. Dovremmo parlarne con Shirogane e Akasaka, per vedere se riescono a fornirci altri modi di difenderci. Non molto tempo fa, li ho visti usare delle specie di fucili per sconfiggere un Chimero. Potrebbero essere una specie di prototipi delle armi che usavamo quando eravamo Mew Mew.”

“Non ne avevo mai sentito parlare!” esclamò Minto. “Quante altre cose ci avranno nascosto..?” aggiunse, con una sensibilissima nota di risentimento nella voce.

Abbassarono tutte lo sguardo, in silenzio. Retasu si mordicchiò il labbro.

“Non so voi, ma io sono stanca di essere tenuta all'oscuro. Non siamo più ragazzine, e in ogni caso nemmeno all'epoca mi sarebbe sembrato giusto.” disse Minto, incrociando le braccia al petto. “È ora che ci dicano tutto quello che c'è da sapere.”

“Sono d'accordo.” fece Zakuro. “Non ci sono più scusanti.”

Ichigo fece un debole sorriso. “Quindi, adesso che si fa? Marciamo fino al Café e rifiutiamo di andarcene finché non ci dicono tutto per filo e per segno?”

“L'idea sarebbe questa, sì.” rispose la modella. “Sempre che siamo tutti d'accordo.” aggiunse, rivolgendosi in particolar modo a Retasu, che intanto aveva di nuovo indossato gli occhiali. La ragazza annuì. “Sono d'accordo, ragazze. Posso capire che siate arrabbiate.” disse in tono dolente.

“Tu non lo sei?” la incalzò Minto, spazientita.

Retasu si morse di nuovo il labbro. “Onestamente, no. Penso che abbiano sbagliato a non concederci la loro fiducia? Sì. Ma più che arrabbiata sono...delusa. Io ho concesso loro la mia, e mi aspettavo facessero altrettanto.” spiegò. “Ecco tutto.” Parve riflettere un attimo, poi aggiunse: “E che facciamo con le nuove Mew Mew? Anche loro hanno il diritto di sapere.”

“Se lo vorranno, diremo loro tutto quello che abbiamo scoperto.” disse Zakuro, determinata. “Saremmo delle ipocrite a non farlo.”

 

***

 

“Dove si è cacciato Pai?” chiese Taruto una volta che si furono smaterializzati fuori dal locale.

Kisshu si strinse nelle spalle. “Vai a saperlo.” fu la sua laconica risposta.

“Hm.” fece Taruto, andando pigramente a sedersi sul tetto a cupola del Café, di fianco alla statuetta dorata del gatto posta alla sommità. La doratura si era un po' rovinata, specialmente sulle orecchie e sul muso.

“Allora, che ne pensi di...beh...tutta questa situazione?” chiese Taruto dopo un attimo di silenzio, in cui lo sguardo di entrambi aveva vagato sulla città poco distante, sui suoi grattacieli e le automobili che si muovevano in fila indiana come tante formiche.

“Penso che sia un peccato.” rispose l'alieno con finto rammarico. “Voglio dire, che senso ha essere un ibrido se poi non si ha nessuno dei vantaggi nell'esserlo?” Gettò un'occhiata obliqua al fratello. “Ho sempre detto la verità, e non mi ha mai voluto ascoltare.”

Taruto corrugò la fronte. “A cosa ti riferisci?”

Kisshu si portò le mani dietro alla testa, socchiudendo gli occhi. “Non sono umane. Non lo saranno mai più, e forse non lo sono mai state realmente.” rispose semplicemente. “E, forse, ora lo hanno finalmente capito.”

L'alieno più giovane gli lanciò un'occhiata dubbiosa, ma non commentò. “E invece, delle nuove che mi dici? A me onestamente sembrano abbastanza patetiche.” disse poi con un sorrisetto di scherno.

“È quello che vogliono che tu pensi.” ridacchiò Kisshu. “Ho già commesso l'errore di sottovalutare le Mew Mew in passato...non lo farò di nuovo.”

Taruto parve colpito da quelle parole. “Credi che fingano?”

“No. Credo che nemmeno loro conoscano il proprio potenziale.” Fece un sorriso sornione. “E credo anche che potrebbero rivelarsi molto utili.”

 

***

 

Prima, tutto era buio: uno sconfinato, indistinto nulla. Non sapeva esattamente di quanto prima si trattasse, in realtà.

L'unica cosa che sapeva era che prima era buio, e dopo -adesso- non lo era più.

C'era una femmina, di fronte a sé. C'era sempre stata, ma non l'aveva mai vista prima, solo percepita. Ora poteva vederla, udirla...toccarla?

Era così...bella? Amava guardarla. Lei la osservava di rimando, un'espressione indecifrabile negli occhi dalle sottili pupille verticali.

Avrebbe voluto accarezzarle il volto scavato, passare le sue...

(...dita. Sapeva che quelle strane protuberanze argentee si chiamavano dita).

...passare le sue dita sui suoi zigomi sporgenti, tra i suoi lunghi capelli bianchi.

Amore, quella sensazione si chiamava amore. Lo sapeva.

(Quello che non sapeva era: CHI SONO IO?)

(Ma non le importava più di tanto)

La femmina, la dolce, amata femmina la osservava, e lei la vedeva. La riconosceva.

(So chi sei)

(MADRE.)

 

***

 

“Non siamo ancora certi che sia duraturo...”

“...probabilmente dovuto al DNA della Tigre di Sumatra...”

“...essenziale che tu stia calma, non è nulla di grave...”

Suika guardava alternativamente Shirogane e Akasaka, che avevano preso a parlarle con voci concitate, a malapena udibili oltre il rombo del suo sangue nelle orecchie. Dovette fare uno sforzo enorme per concentrarsi e provare a capire quello che le stavano dicendo.

“Sei sicura di non volerti stendere?” le chiese Akasaka, una ruga in fronte che tradiva la sua preoccupazione.

La ragazza annuì. Ryou sospirò, in preda alla frustrazione. “Quello che stiamo cercando di dirti, Suika, è che...”

Il rumore della smaterializzazione, che la ragazza aveva imparato a riconoscere e temere in brevissimo tempo, li fece sobbalzare. L'alieno dai capelli scuri, il più alto dei tre, fece la sua comparsa una frazione di secondo dopo. “Ho fatto il primo giro di ricognizione”, esordì senza preamboli, “e sono riuscito a restringere il campo in cui è probabile si trovi l'entrata alla loro dimensione. Si tratta di un'approssimazione all'84,7%.”

Ryou fece un cenno d'assenso con la testa. “Molto bene. Ti ringrazio per la collaborazione, Pai.”

“Aggiungerò i dati al database.” L'alieno non aggiunse altro, rivolgendo la propria attenzione ad uno dei computer sulle scrivanie.

Dopo un attimo di silenzio, Ryou tornò a rivolgersi a Suika. “Ecco, in breve, quello che-”

Un altro suono di smaterializzazione lo interruppe. Suika scorse Kisshu e Taruto oltre le spalle di Kei e si sentì nuovamente il viso in fiamme.

Ryou li fulminò con lo sguardo. “Non siamo ancora pronti.” disse, seccato.

“Siamo nervosetti, eh?” fece Kisshu, per nulla turbato dall'accoglienza poco amichevole. Suika riprese a fissare il pavimento. Devo andarmene da qui!, pensò freneticamente, ancorando le mani al bordo della sedia. Il suo stomaco aveva ripreso a fare le capriole...

“Ciao, Pai.” fece intanto Taruto, avvicinandosi al compagno. “Che fai?”

In quel momento, Zakuro entrò a grandi falcate nel seminterrato, seguita dalle altre ragazze, da Aoyama e dalle compagne di squadra di Suika, che, come lei, erano ancora trasformate. “Shirogane, dobbiamo parlare.” esordì la donna, un'espressione risoluta in volto.

“Woah, si sta facendo affollato qui...” si sentì esclamare Ichijiku dall'entrata. Una serie di voci indistinte si accavallarono, echeggiando nell'ambiente dai freddi muri in cemento armato.

“Ok, adesso BASTA!” esclamò infine Ryou, esasperato. “Zakuro, cos'è successo?” chiese dopo essersi sfregato gli occhi con una mano.

Suika si alzò lentamente dalla sedia, approfittando della confusione per fare una serie di passi in direzione dell'uscita. Non ne poteva più di restare lì, le sembrava di stare soffocando, e doveva allontanarsi il più possibile da lui.

Nasubi la occhieggiò. “Stai meglio?” chiese premurosa, ma Suika la ignorò e si precipitò su per le scale. Non ho tempo, devo uscire da qui!, si ripeté mentre le orecchie le ronzavano insistentemente. Salita al piano terra, le luci del locale le ferirono gli occhi, che si erano abituati alla penombra del seminterrato. Senza neanche rendersene conto, spalancò la porta ed uscì in cortile.

Il freddo la colpì come uno schiaffo, e fu come essersi svegliati da un incubo. Prese dei grandi respiri, ingoiando boccate di aria gelida ed esalando nuvole di vapore bianco. Si rese conto di stare ansimando, quasi come in preda ad un attacco di panico, ma la mente le si stava schiarendo a poco a poco, ed era questo l'importante.

Si passò una mano sul cuore, cercando di regolare il proprio respiro. Era paura quella che sentiva serpeggiarle nello stomaco? Cosa avevano cercato di dirle, pochi minuti prima? Qualcosa che c'entrava con la sua mutazione, un'anomalia di qualche genere...

Le avevano detto che non era niente di grave...ma l'imbarazzo estremo che aveva provato, in quei momenti in cui cercava di tenergli testa, e più si sforzava più i suoi movimenti erano lenti, goffi, e il cuore minacciava di esploderle...era davvero tutto causa di un'anomalia nel suo DNA? Non era stata piuttosto...colpa sua?

Chiuse gli occhi, cercando di non pensare a niente, ma continuava a vedere il suo viso, come se fosse marchiato a fuoco sulle sue retine.

Aprì di scatto gli occhi, furiosamente imbarazzata – perché non doveva succedere, non le era mai successo, e la faceva sentire male, e se ne vergognava – solo per trovarsi di fronte una bambina, che la osservava a bocca aperta, i fori dei dentini da latte ben evidenti nell'arcata inferiore.

Le due si fissarono per qualche secondo, sbigottite, poi la bambina parve riscuotersi e, con tutto il fiato che aveva in gola, urlò: “MAAAMMAAA! CI SONO LE TOKYO MEW MEW!!”

Senza pensare, Suika spiccò un balzo fulmineo, come un animale braccato, corse sul retro dell'edificio e andò a nascondersi, istintivamente, dietro alla siepe che costeggiava il parco. “Dio!” non poté fare a meno di ringhiare, mentre la bambina continuava a urlare a squarciagola. “Odio la mia vita! Ci mancava solo la bambina!” Decise di annullare la trasformazione, e in un attimo era tornata umana. Shirogane mi ucciderà..., pensò, pregando che la mocciosa se ne andasse, che si convincesse di aver avuto un'allucinazione o qualcosa di simile.

Cercando di fare meno rumore possibile, addirittura trattenendo il respiro, lasciò scorrere i minuti, mentre il freddo le penetrava nelle ossa, finché non le parve abbastanza sicuro uscire allo scoperto. Ormai non era più trasformata, si disse per farsi coraggio, e comunque lei stessa faticava a riconoscersi quando lo era. Non era possibile che la sua identità venisse scoperta.

Dopo essersi guardata sospettosamente intorno, si incamminò lentamente verso l'entrata del Café, riluttante a tornare dentro. Prese seriamente in considerazione di andarsene semplicemente a casa, farsi una cioccolata calda, avvolgersi in una coperta con i suoi gatti a farle compagnia e guardare la tv fino a che sua madre non fosse rientrata. La prospettiva era talmente invitante...

Starnutì un paio di volte. Aveva lasciato il cappotto dentro, comunque, e senza quello non sarebbe potuta andare da nessuna parte, a meno di non volersi prendere una bella polmonite.

Con la fortuna che ho, non è da escludere che mi sia già ammalata., pensò facendo una smorfia. Già Sumomo è k.o., se ora mi ci metto pure io...le temibili guerriere Mew Mew, sconfitte dal virus dell'influenza..!

“Che stai facendo, ragazzina?” le chiese improvvisamente Kisshu, comparendole di fronte. Aveva le braccia incrociate sul petto e la fissava, un ghigno divertito dipinto sul volto dai lineamenti perfetti, e quegli occhi incredibili puntati su di lei, con uno sguardo così intenso...

Le saltò il cuore in gola, e dalla gola le uscì una risatina isterica. Oddio, sto impazzendo.

L'alieno la guardò come se avesse pensato la stessa cosa.

Suika distolse rapidamente lo sguardo. Le faceva male guardarlo, era come cercare di osservare direttamente il sole. “Niente.” rispose, improvvisamente seria. Con gli occhi rigorosamente puntati al suolo, lo oltrepassò – le sembrò di poter sentire il suo profumo anche a metri di distanza, e le gambe le tremarono – e marciò in direzione della porta, solo per incontrare le sue compagne di squadra, schierate una di fianco all'altra. “Ehi, eccoti qui!” esclamò Ichijiku, insolitamente gioviale. “Non so voi, ma io non ci sto capendo proprio niente, oggi.”

Ninjin sbuffò. “Voglio andare a casa!”

Nasubi sembrava improvvisamente di cattivo umore. Suika si rese conto di essere stata maleducata con lei, poco prima. “Nasubi-chan, mi dispiace...non stavo bene e avevo davvero bisogno di uscire da lì...” si scusò in tono supplichevole.

La ragazza si rifiutò di incrociare il suo sguardo. “Non importa.”

Suika si immusonì a sua volta. Erano anni che non passava una giornataccia simile. Con la coda dell'occhio, si assicurò che Kisshu non fosse dietro di lei.

“Comunque, Shirogane è impegnato giù di sotto, e Akasaka-san ha detto che a questo punto conviene che apriamo il Café, dato che per oggi gli allenamenti sono annullati.” la informò Ichijiku, nel tentativo di rompere il ghiaccio.

Una serie di grugniti fu l'unica risposta che ricevette.   










Buonasera mie care! No, non è un miraggio, ho davvero aggiornato. ;)
Sono davvero felice che la storia interessi ancora, e volevo ringraziare chi ha recensito lo scorso capitolo e anche chi ha messo la ff tra le seguite di recente (il numero è aumentato di tre in pochissimi giorni e per poco non cadevo in deliquio xD).

Alcune piccole note al capitolo: 
1. Purin è un concentrato infinito di awesomeness e questo è solo l'inizio;
2. La parte centrale forse è un tantino oscura...se avete le idee confuse vi chiedo di pazientare ancora un po': presto tutto sarà chiarito (o quasi); mi piacerebbe tuttavia sapere cosa ne pensate e se avete delle teorie in proposito (non dovrebbe essere difficile capire chi parla, ma nel dubbio io chiedo);
3. Se ho insistito tanto, nella parte di Suika, è perché ci tenevo a rendere bene l'infatuazione che ha nei confronti di Kisshu. Spero di esserci riuscita..! (La me stessa quindicenne esulta)

Al prossimo capitolo, che arriverà presto presto perché finché ho l'ispirazione non voglio sprecarla. :3
Baciotti e, come sempre, se vi va recensite! Le critiche sono sempre ben accette. ^^ (Ma i complimenti anche, eh xD).

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Capitolo 21
*** On the battlefield ***


21. On the battlefield




 

Retasu corrugò la fronte, cercando per l'ennesima volta di ricordare a memoria il codice cifrato che Ryou, dopo le iniziali esitazioni, aveva consegnato a tutte loro. “Il diario di lavoro che io e Kei abbiamo scritto e aggiornato durante tutti questi anni”, aveva spiegato loro dopo che gli alieni, le Mew Mew e perfino Aoyama erano usciti dal laboratorio, “è cifrato. Il che significa che non è possibile leggerlo a meno di non essere in possesso della chiave.” Dopodiché aveva consegnato a ciascuna di loro un'usb argentea. “Qui dentro troverete tutto quello che c'è da sapere. Vi conviene impararlo a memoria, onde evitare di consultare chiave e diario allo stesso momento. Non si è mai abbastanza prudenti.” aveva concluso guardandole negli occhi una ad una.

Non avrebbero potuto parlarne a nessuno, si era deciso – alieni in particolare -, né diffondere il codice, né stamparlo, né tanto meno estrarlo dalla usb per salvarlo sul computer.

“Crediamo che le nuove Mew Mew abbiano il diritto di sapere a loro volta.” era intervenuta Zakuro ad un certo punto. “Non è giusto che restino all'oscuro di tutto. Si tratta anche delle loro vite.”

“Ne parlerò anche con loro, lo prometto.” le aveva rassicurate il ragazzo. “Nel frattempo, se volete davvero sapere per filo e per segno la verità, imparate a memoria la chiave.”

Le ragazze si erano ritirate, momentaneamente soddisfatte. Ryou si era raccomandato di tenere sempre il cellulare acceso e a portata di mano, in caso di pericolo, e le aveva informate del fatto che, se lo avessero voluto, avrebbero potuto dormire al primo piano del Café. “Inoltre, se siete d'accordo, Kei ed io abbiamo pensato che Pai, Kisshu e Taruto potrebbero fare delle specie di ronde, sorvegliare le vostre case, dato che tra un combattimento e l'altro non hanno molto di cui occuparsi.”

Ichigo si era subito rabbuiata. “Senza offesa, ma non ho proprio voglia di trovarmi Kisshu in camera da letto. Senza contare che a mio padre verrebbe un colpo se lo vedesse.”

“L'idea non sarebbe quella di farli entrare in casa.” aveva puntualizzato Ryou. “Ma posso capire che non ti vada.”

“Farebbero questo per noi?” aveva chiesto Retasu, piacevolmente sorpresa.

“Per me non c'è problema, anche se credo di potermela cavare benissimo anche da sola.” aveva dichiarato Purin, anche se Retasu era pronta a scommettere che moriva dalla voglia di rivedere Taruto. Lei stessa, doveva ammetterlo, era felice al pensiero che Pai avrebbe cercato, a suo modo, di proteggerla.

“Zakuro ed io viviamo insieme, per cui non mi sembra necessario.” aveva concluso Minto. “Inoltre, casa mia è a prova di furto e di violazione di domicilio: ho appena fatto rinnovare gli allarmi.”

E così si erano congedate, dandosi appuntamento al giorno seguente, quando avrebbero iniziato il “corso di autodifesa” di Purin.

Retasu era tornata a casa, aveva studiato per un paio d'ore e, dopo pranzo, aveva acceso il portatile e aveva inserito la misteriosa usb nella porta. Il file, la chiave che le avrebbe finalmente condotte alla verità, si era dimostrato più ostico di quanto avesse inizialmente pensato. Ichigo le aveva mandato un sms poco dopo: Non ci sto capendo niente! Tu??

Retasu aveva sorriso: il messaggio le aveva fatto tornare in mente tutte le volte che l'amica l'aveva presa da parte, al Café, con il quaderno di matematica tra le mani e un'espressione supplichevole in volto.

Si sfregò gli occhi, che iniziavano a bruciarle. Il codice era complesso e leggerlo dallo schermo del computer certo non le faceva bene alla vista. Ogni tanto il suo sguardo correva alla finestra, speranzoso, per poi tornare a concentrarsi sulla chiave di codifica.

 

***

 

“Oh, uffa, mi sono persa tutto il divertimento!” esclamò Sumomo, posando una guancia sul palmo della mano.

Suika sorrise. “Sapevo che l'avresti detto.” commentò sistemandosi le cuffie nelle orecchie.

“Tutta colpa di Ichijiku. Non sai quante maledizioni le ho lanciato in queste ore.” si lamentò la ragazza tirando su col naso. Era sera, Suika era tornata a casa da nemmeno dieci minuti che la compagna di squadra l'aveva contattata in videochat, pretendendo di venire aggiornata in tutto e per tutto.

“Lascia stare Ichijiku, oggi le sono finita addosso più di qualche volta...oh, e Nasubi mi odia.” si lasciò sfuggire Suika, rendendosi conto di avere l'impellente bisogno di sfogarsi con qualcuno.

Sumomo corrugò la fronte. “Come sarebbe che Nasubi ti odia?”

Suika fece una smorfia. “È una lunga storia...in breve, l'ho trattata male. Il punto è che ero in preda al panico...” Si assicurò che la porta della sua stanza fosse chiusa e abbassò la voce, parlando direttamente nel microfono. “Shirogane e Akasaka hanno detto che è un problema con la mia mutazione.”

Sumomo si avvicinò istintivamente allo schermo del computer. “Cioè, vai in panico a causa della mutazione?” chiese sgranando gli occhi.

“Non esattamente.” La ragazza sentì il suo stomaco contrarsi. Forse, se l'avesse confessato a qualcuno, non le sarebbe più sembrata una cosa così grave...

“È...questo tizio...e...ehm...” balbettò, cercando di fare ordine nella sua testa.

“Cosa? Non ho capito niente. Puoi parlare un po' più forte?”

“Non voglio che mia madre mi senta.” bisbigliò nel microfono. “Insomma, vuoi la verità? Mi piace uno. E per qualche strano motivo, ogni volta che sono in un raggio di dieci metri da lui, non capisco più niente, mi gira la testa, mi viene la febbre e a quanto pare libero una grande quantità di ferormoni, o qualcosa di simile.” Si sentiva le guance imporporate.

Sumomo alzò un sopracciglio biondo. “TI PIACE UNO?!” scandì a voce alta, trapanandole i timpani. “Oddio, ma chi è?! Non sarà mica Shirogane, eh!” fece, allarmata.

Suika sospirò. “No, non è lui...” Improvvisamente avvertì un groppo in gola, e si nascose la faccia tra le mani.

“Suika-neechan, non devi vergognarti! Giuro che manterrò il segreto! Ma adesso me lo devi dire!” esclamò la bionda, perentoria.

La ragazza emise un suono simile ad un singulto. “Hai presente...quello alto, con i capelli verdi..?”

Sumomo rimase come pietrificata. “Scusa, ma stai parlando degli alieni?! Oddio, ti piace un alieno? Ma...ma...”

“Ti prego, non reagire così, è la stessa cosa che mi ha detto Nasubi..!”

Sumomo cercò di ricomporsi, anche se il suo stupore era evidente. “Scusa, è che...sono così pallidi, e quelle orecchie...”

“Lo so, hai ragione, sono ammattita.”

“No, no!” si affrettò a ritrattare la ragazza. “Non sto dicendo questo...io non li ho neanche visti da vicino, oltretutto, e avevo la febbre. Sono sicura che sia molto carino.”

Suika corrugò la fronte. “Non è questo il punto! Il punto è che è un tizio che neanche conosco, e per di più un alieno, appartenente alla stessa specie di quelli che vogliono annientarci.”

“Ma loro tre non sono cattivi, ci stanno aiutando. Quindi è uno dei buoni, il che è ok!”

Suika prese a mangiucchiarsi un'unghia. “Non lo so...è vero che mi ha salvato la vita...però...a volte ha uno sguardo che mi mette i brividi...”

“Ma in senso buono o..?”

“Piantala!” abbaiò Suika, arrossendo di nuovo. Poi sbuffò. “Oddio, non so davvero cosa fare. Come faccio ad allenarmi con lui attorno? E se mi viene un febbrone da cavallo mentre stiamo combattendo Kue e Kuchen? E, oddio, dovevi vedere Shirogane oggi, non sapeva come dirmelo, era così imbarazzato...e anche io, mi vergogno da morire.”

“Su, su. È solo una cotta, vedrai che col tempo passerà.” cercò di consolarla Sumomo, soffiandosi il naso.

Suika scosse la testa. “Non è una semplice cotta!”

Sumomo le lanciò uno sguardo di compatimento. “Giramento di testa, farfalle nello stomaco, battito accelerato...è una cotta, neechan. Con la C maiuscola, ma pur sempre una cotta.” Tossì. “Ne uscirai, stai tranquilla.”

Suika abbassò lo sguardo, per nulla convinta. “Se lo dici tu...”

“Lui lo sa?” chiese l'amica, sorridendole.

Suika fece una finta risata. “Mi sarei già suicidata se l'avesse saputo.”

“Hmm.”

“E tu non azzardarti a dire niente a nessuno, chiaro?”

“Non lo sa nessun altro?”

Suika si mordicchiò l'interno della guancia. “Nasubi. E Ichijiku. E forse Ninjin. E credo che Shirogane e Akasaka lo sospettino.”

“Quindi praticamente lo sanno...tutti?”

“Noo: non lo sa lui, non lo sanno i suoi compagni, e non lo sanno le altre ragazze. Un sacco di gente.”

Sumomo annuì. “Ok capo. Manterrò il segreto.”

Suika sospirò pesantemente. “Grazie.”

 

***

 

Nei giorni successivi, Sumomo ebbe l'occasione di recuperare il tempo perso, tornando a lavorare al Café insieme alle altre al mattino e allenandosi nel pomeriggio. Quando le ragazze scendevano nel seminterrato, Kisshu e Taruto erano sempre lì ad aspettarle, e siccome in cinque era impossibile dividersi in gruppi uguali, Suika finiva sempre per andare nel gruppo di Taruto, mentre le altre si alternavano liberamente. Shirogane non aveva commentato, lasciandole distribuirsi come volevano.

Mentre le nuove Mew Mew si allenavano con i due alieni, Ichigo, Minto, Retasu e Zakuro facevano del loro meglio per seguire gli insegnamenti di Purin, la quale sorprese tutti quanti (specialmente Taruto) quando diede dimostrazione delle sue capacità in combattimento: quella ragazza era una furia inarrestabile, anche se non poteva più trasformarsi, e atterrò il povero alieno più di qualche volta, tanto che questi faticò a trattenersi dal richiamare le sue bolas elettrificate per darle una bella lezione. Tutte e nove le ragazze non poterono fare a meno di applaudire, mentre Purin si inchinava teatralmente, le lunghe trecce bionde oscillanti sulle spalle ossute.

“Ti ha dato una bella lezione, fratellino.” gli aveva sussurrato Kisshu divertito, mentre Taruto arrossiva. “Provaci tu, visto che sei così in gamba!” aveva sbottato, distogliendo con rabbia lo sguardo dalla ragazza. Solo lei era in grado di fargli perdere le staffe in quel modo e allo stesso tempo di lasciarlo completamente stupefatto. Con il cuore in gola, dovette ammettere a sé stesso che Purin era una creatura incredibile. Definirla una semplice umana era un insulto.

Le ragazze, rinfrancate dallo spettacolo, si rimisero al lavoro più entusiaste di prima. Persino Retasu sembrava più determinata del solito.

Taruto squadrò le tre Mew Mew che si trovava di fronte. MewNasubi, quella viola, ghignava apertamente, con l'aria di essersi estremamente goduta la scena. L'alieno corrugò la fronte: aveva la netta sensazione di non starle per nulla simpatico, anche se non ricordava di essere mai stato scortese nei suoi confronti.

“Ricominciamo.” ordinò seccamente, dopo aver lanciato un'ultima occhiata sfuggente a Purin.

“Aspetta, Taruto!” gli fece Kisshu, fluttuandogli vicino. “Facciamo uno scambio. La mia verde per la tua rossa.”

“Ehi!” protestò la suddetta Mew verde, di cui Taruto non ricordava ancora il nome. “Non siamo mica carte da gioco!”

Taruto lanciò uno sguardo dubbioso a MewSuika. Era la prima volta che lo notava, ma effettivamente gli sembrava di avercela sempre avuta lui, in quei giorni. La ragazza, gli occhi sgranati, aveva tutta l'aria di essere stata colta in flagrante.

“Per me va bene.” acconsentì lui stringendosi nelle spalle, ma non poté fare a meno di chiedersi come mai la ragazza lo stesse fissando con una sfumatura di terrore dipinta sul volto.

“Ottimo!” esclamò Kisshu, con un sorriso che gli ricordò quello di un bambino che avesse appena ricevuto un giocattolo nuovo. “Coraggio, verde.”

“Mi chiamo Ichijiku.” ringhiò la ragazza.

“Quello che è.”

“Io...ehm...sto meglio insieme a Nasubi.” balbettò Suika, mentre la compagna annuiva rapidamente: “È vero. E poi abbiamo iniziato con questi gruppi, non ha senso cambiare a metà...”

“Ragazze, ragazze...” le blandì Kisshu, sorridendo malignamente. “Decidiamo noi cosa ha senso. Comunque, se preferite, potete passare da me entrambe. C'è posto per tutte.”

“Credo che dovrebbe essere Shirogane a decidere...” protestò debolmente Suika, ma proprio in quel momento un allarme risuonò in tutto il laboratorio, distraendoli dalla discussione in atto.

“Ragazze, è appena comparso un segnale nemico al porto, a est della zona di scarico dei container!” esclamò Keiichirou mentre pigiava freneticamente i tasti sulla tastiera del computer.

“Io non ci sono mai stata, come facciamo a raggiungerla? E non dite 'a piedi', perché saranno minimo quaranta minuti-” protestò Sumomo, ma la sua voce scomparve insieme alle altre Mew Mew e ai due alieni quando questi ultimi si smaterializzarono.

 

Qualche secondo dopo, ricomparvero tutti e sette sul molo frustato dal vento gelido dell'inverno. Il mare era scuro e agitato, con alte onde gorgoglianti coronate da schiuma bianca che sembrava ribollire.

Sumomo emise un grido strozzato. “Woah, che cavolo è successo?” esclamò guardandosi intorno a bocca aperta.

“Beh, ti lamentavi...” le fece Taruto sorridendo furbescamente.

“Guardate lassù!” gridò Suika puntando l'indice verso il cielo: a circa una ventina di metri sopra le loro teste, stagliati contro il grigio delle nubi, Kuchen e Pai si stavano fronteggiando ad armi sguainate.

“Vado io!” esclamò Kisshu, richiamando le sue armi in un bagliore dorato. “Signorine, è arrivato il momento di mostrarci cosa sapete fare...tu con le ali, con me!” aggiunse e, senza preoccuparsi di essere seguito, si alzò in volo.

Sumomo sbuffò. “Seriamente, dobbiamo scrivergli i nomi su un foglio.”

“Stai attenta!” si raccomandarono all'unisono Suika e Ninjin. Sumomo sorrise e, senza aggiungere altro, spiccò a sua volta il volo.

“Siete davvero ridicole!” udirono qualcuno gridare subito dopo. Preannunciati dalla solita increspatura nell'aria, i nemici fecero la loro comparsa: Kue prima di tutti, seguito da una femmina sconosciuta dai lunghi capelli bianchi e dallo strano essere argenteo che avevano già visto in precedenza.

“Sperate che con l'aiuto di questi traditori riuscirete a salvarvi?!” proseguì Kue, infervorato. “Non avete scampo!”

“Taci, feccia!” gli urlò in risposta Taruto, armandosi. Lo sguardo pieno d'odio che rivolse all'alieno di fronte a lui non sfuggì alle ragazze, che a loro volta evocarono le proprie armi. “Non abbiamo paura di voi, Kue!” esclamò Suika, pregando di suonare convincente. Era successo tutto così in fretta: un minuto prima si stavano allenando, al sicuro nel seminterrato, e un minuto dopo si trovavano al porto, esposte alla furia degli elementi...e adesso dovevano combattere. “Coraggio, ragazze!” gridò, sentendosi come un generale al fronte.

“Stolta ragazzina...” ghignò l'alieno sfregiato, impugnando la falce. “Oggi finirà tutto.”

Come in risposta a un segnale, l'aliena dai capelli bianchi levò le braccia al cielo e alle sue spalle, dal portale ancora aperto, comparvero una miriade di esserini dalla pelle verde, i denti affilati come rasoi e un grande, bitorzoluto testone incavato tra le spalle.

“Waah, cosa sono quelli?!” gemette Ninjin. Ichijiku non perse tempo in chiacchiere: “Ribbon...water shield!” esclamò, i lunghi capelli verdi che le frustavano il viso, e un muro d'acqua si schiantò con vigore sugli esseri, spazzandoli via. “Bel colpo!” si complimentò Taruto. “A lui ci penso io!” fece poi, ingaggiando battaglia con Kue.

L'aliena intanto non si era mossa né aveva aperto bocca. Continuava a tenere le braccia alzate, e dopo appena una manciata di secondi gli esseri verdi che erano periti grazie all'attacco di Ichijiku furono sostituiti, anzi sembrarono addirittura raddoppiati.

“Ma quanti ce ne sono?!” esclamò Nasubi, attaccando e facendone fuori una decina. Ninjin era al suo fianco, rincuorata dalla sua presenza.

“Bisogna mirare alla femmina!” fece Suika, impugnando lo scettro con entrambe le mani. “Altrimenti continueranno ad arrivare.” Si preparò a saltare. “Voi copritemi, intesi?”

Ichijiku le si affiancò, la mascella contratta. “Vai!”

“Ribbon earth club!”

“Ribbon fire blade!”

“Ribbon water shield!”

Suika attese che le ragazze attaccassero, liberandole in questo modo la strada, e scattò in avanti, correndo il più velocemente possibile. “Ribbon-” scandì, mirando all'aliena.

“NOOO!” urlò una voce di donna alla sua destra, e prima che potesse reagire si ritrovò addosso l'essere argenteo, che prese a stringerle la gola con entrambe le mani. “TU NON LE FARAI DEL MALE!” gridò la creatura, spalancando orribilmente la bocca priva di labbra e denti e scuotendola avanti e indietro come una bambola di pezza. Suika iniziò a scalciare e tentò con tutte le sue forze di allontanare le mani della creatura dal suo collo, ma quella non dava segno di cedere. La atterrò, tenendola ferma con le gambe, e staccò una mano dal suo collo, facendo prendere al dito indice la forma di una siringa. “STAI... FERMA.” le intimò l'essere, fissandola con le orbite vuote.

Suika, di nuovo libera di respirare, urlò.

 

 

 

 



Sto recuperando in due settimane quello che non ho aggiornato in sei mesi. xD
Alt: cosa molto molto importante...sul mio profilo Facebook trovate, FINALMENTE, i disegni fatti BENE (e dico proprio bene!) delle cinque ragazze come Mew Mew. Nei prossimi giorni li colorerò anche! 
In caso non conosceste il mio profilo, questo è il link:
 https://www.facebook.com/blackmiranda.efp/media_set?set=a.403856156473990.1073741832.100005488265773&type=3&pnref=story
Se ci sono problemi ditemelo, perché vale davvero la pena di vedere i disegni. Li ha fatti una mia carissima amica che vuole rimanere anonima (anche se secondo me meriterebbe di essere glorificata nei secoli dei secoli).

Bene, come al solito spero che il cap vi sia piaciuto! Grazie a tutte coloro che leggono! Alla prossima! :*

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Capitolo 22
*** Mend my wounds ***


22. Mend my wounds





 

Orripilata, Nasubi vide l'amica sovrastata dal Chimero umanoide, ma non poté fare altro che urlare il suo nome, mentre cercava inutilmente di farsi strada tra i mostriciattoli che continuavano ad arrivare a frotte, minacciando di travolgerle tutte.

Suika intanto, digrignando i denti per lo sforzo, cercò con tutte le sue forze di scansarsi, mentre l'ago ipodermico le si avvicinava sempre di più. Improvvisamente, ricordando una delle mosse che Taruto aveva usato contro di lei durante gli allenamenti, le venne in mente di colpire il nemico al naso con il palmo della mano destra. Quasi inconsciamente, si rese conto che era la prima volta che lo notava, quel naso sporgente dalla superficie liscia del volto della creatura. Era come se l'essere stesse acquisendo caratteristiche più...umane?

Il colpo andò a segno, distogliendo momentaneamente lo strano Chimero dai suoi propositi. Suika ne approfittò per sollevare da terra il torace e tirargli una testata, furente. In pochi secondi fu di nuovo libera, in piedi, mentre la creatura si reggeva la testa tra le mani, gemente. “Così impari, mostro!” esclamò senza neanche rendersene conto.

Il cielo fu illuminato da un fulmine mentre Pai scagliava un potente attacco contro Kuchen. Suika vide, con la coda dell'occhio, che le sue compagne venivano sempre più accerchiate dai Chimeri dalla pelle verde, e si mosse per andare in loro aiuto, sennonché la creatura le afferrò il braccio sinistro, conficcandole gli artigli nella carne. La ragazza gridò per il dolore, ma non si dette per vinta, rifilandole un pugno con la mano libera. L'essere mollò la presa, gli artigli intrisi di sangue, e arretrò.

La Mew Mew fece del suo meglio per ignorare il pulsante dolore al braccio, con la carne viva che bruciava al contatto con l'aria e il sangue appiccicoso che le colava copiosamente lungo il gomito, fino ad arrivare al polso e alle dita.

“Maledetto schifoso!” urlò a squarciagola, la familiare sensazione di rabbia che la pervadeva completamente. Gli si lanciò addosso, cedendo all'istinto primordiale dell'animale ferito e dimenticando del tutto i suoi propositi di aiutare le compagne di squadra. La creatura non sembrava aver alcuna intenzione di combattere: aveva ottenuto quello che voleva, realizzò la ragazza, e adesso stava scappando, correndo scompostamente tra i container. Suika, decisa a non perderlo di vista, si lanciò all'inseguimento.

Improvvisamente, l'aliena che la creatura aveva inizialmente protetto le si parò davanti, sbarrandole la strada. Richiamando un grosso ventaglio blu, le scagliò addosso una serie di lame metalliche e affilatissime, costringendola a nascondersi dietro ad uno dei container per evitare di essere fatta a fettine.

La ragazza fece pressione sulla ferita, cercando di arrestare il sangue: iniziava a sentire la testa leggera e aveva il respiro pesante. Gattonò verso la parte più interna del gruppo di container, tendendo le orecchie, incerta sul da farsi. Se l'avessero attaccata in quel momento, realizzò mentre la rabbia cedeva il posto alla paura, non era certa che sarebbe riuscita a difendersi.

 

Nel frattempo, l'attacco congiunto di Pai, Kisshu e Sumomo stava mettendo in seria difficoltà Kuchen, nonostante l'alieno riuscisse ad incassare i colpi straordinariamente bene.

Sumomo guardò verso il basso quando udì le urla delle sue compagne. Realizzò con terrore che erano completamente accerchiate dagli esserini con la pelle verde e che faticavano a respingerli. Spostò lo sguardo sul portale, che continuava a rigurgitare Chimeri. Suika mancava all'appello, così come la strana aliena albina che non aveva mai visto prima. Se riuscissi a chiudere il portale..., rifletté la ragazza, richiamando il suo boomerang azzurro. “Ribbon...air blast!” esclamò, puntando al portale. Il suo colpo andò a segno: non c'era nessuno a guardia dell'ingresso alla dimensione aliena in grado di respingerlo. Soddisfatta, vide i Chimeri diminuire. Senza curarsi degli alieni che combattevano alle sue spalle, si precipitò ad aiutare le compagne di squadra. I Chimeri non si aspettavano un attacco dall'alto: riuscì a farne fuori più di qualche decina, ma si rese conto ben presto che non sarebbe stato sufficiente.

“Dov'è MewSuika?” chiese affiancandosi ad Ichijiku. La ragazza sembrava allo stremo delle forze, e si limitò a un cenno negativo con la testa.

“Non ce la faccio più! Sono troppi!” esclamò Ninjin, respirando affannosamente.

Sumomo e Nasubi si guardarono negli occhi. “Ho un'idea, ma non so se è una buona idea.” spiegò in fretta Sumomo, indicando il portale. “Se distruggessimo la fonte dei Chimeri...”

“L'ho pensato anche io!” fece Nasubi, gli occhi viola che saettavano da una parte all'altra del molo. “Tu puoi volare, puoi farcela a oltrepassare l'orda!”

Sumomo annuì. “Resistete!” Il suo sguardo volò a Ninjin. “Vieni con me!” ordinò, e detto questo la prese sotto le ascelle e la sollevò. Era leggera come una piuma. “Quando entreremo nel portale, tieniti pronta per un ultimo attacco, ok?” la esortò mentre volavano rapidamente sopra il mare di Chimeri.

“O-ok..!” soffiò la bambina, tremante.

“Non preoccuparti, andrà tutto bene!” cercò di rassicurarla Sumomo, abbassandosi di scatto mentre un fascio di luce viola a forma di falce per poco non le staccava di netto la testa dal collo. Vide Taruto approfittare della distrazione di Kue e attaccarlo con ferocia. Il suo cuore sembrava impazzito: l'aveva scampata per un pelo. Per poco non si sentì mancare.

Senza pensare, si lanciò a capofitto nel portale, pregando che quello che avrebbero trovato al di là non fosse altrettanto pericoloso.

 

Ichijiku e Nasubi erano rimaste da sole: Taruto, Pai e Kisshu erano troppo impegnati per venire in loro soccorso. “Non so se ho le forze per un altro attacco.” confessò la Mew viola con voce roca. Ichijiku annuì. “Lo so. Scappa.” disse bruscamente, parandosi di fronte a lei.

Nasubi sgranò gli occhi. “No!”

“Fidati di me!” sbottò la Mew verde, spazientita. “Vai verso l'entroterra. Non guardarti indietro!”

La ragazza le lanciò un'occhiata terrorizzata, gli occhi umidi, poi ubbidì. Una parte dei Chimeri deviò per inseguirla.

Ichijiku portò il suo scudo a forma di goccia davanti al petto, indietreggiando fino al limite del molo. Dopodiché, chiudendo gli occhi, si tuffò.

 

Ninjin sgranò gli occhi quando si rese conto di quello che avevano di fronte: un enorme ammasso di putrida carne verde scuro, solcata da vene nere in rilievo, che vomitava ogni tre secondi quegli schifosi esserini tutti denti e ferocia. Tutto intorno a loro c'era una strana nebbia di colore blu scuro, così come lo era il cielo in quella strana dimensione aliena. Tutto sembrava immobile, laggiù, e sparute colonne in pietra usurata dal tempo galleggiavano nel vuoto, come esenti dalla gravità.

Sentì Sumomo stringere la presa sotto le sue ascelle. “Ora!” ordinò la ragazza, lanciandola in aria. Ninjin disconnesse il cervello, facendo quello che le veniva più naturale e, dopo una serie di capriole in aria, attaccò la creatura all'unisono con Sumomo.

Il Chimero cedette con facilità: non era evidentemente progettato per combattere. Gli ultimi piccoli Chimeri attraversarono di corsa il portale, poi più nulla.

Un silenzio di tomba le avvolse. Atterrarono, stremate, abbracciandosi a vicenda. “Ce l'abbiamo fatta! Ce l'abbiamo fatta!” gridò Ninjin a squarciagola, lasciandosi andare ad un pianto liberatorio. Sumomo notò che la bambina aveva le braccia e le gambe piene di graffi e morsi, e la strinse a sé con tutte le forze che le restavano. “Ce l'abbiamo fatta, grazie a Dio.” sussurrò socchiudendo gli occhi.

 

Pai aveva un braccio rotto e la parte destra del volto tumefatta, eppure continuava a non mostrare una singola emozione mentre, insieme a Kisshu, respingeva i poderosi attacchi ravvicinati del nemico. L'alieno dai capelli rosso fuoco e dalla muscolatura decisamente anormale per la loro specie attaccava con cieca furia, ma i suoi movimenti, inizialmente rapidi e precisi, stavano diventando sempre più goffi con il passare dei minuti, cosa di cui Kisshu sapeva approfittare facilmente. Con una manovra da manuale, riuscì infine a piantargli uno dei suoi sai nel fianco sinistro, facendolo penetrare quasi fino all'impugnatura, cosa che gli costò tuttavia una profonda ferita al collo, dove il nemico lo colpì con il tirapugni uncinato, ululando di dolore.

Kuchen si allontanò rapidamente, estraendo con non poca fatica l'arma di Kisshu dal suo fianco, dopodiché fuggì prima che Pai riuscisse a colpirlo nuovamente. “Maledizione!” imprecò quest'ultimo mentre Kisshu si tuffava a recuperare la sua arma, che Kuchen aveva rabbiosamente gettato in mare.

Pai lasciò vagare lo sguardo sul molo, eliminando prontamente i Chimeri superstiti con uno sdegnoso colpo di ventaglio. Il movimento gli procurò una smorfia di dolore, e il suo braccio sano corse a sostenere quello rotto, che giaceva inerte lungo il suo fianco.

Kisshu risalì in superficie, bagnato fradicio. Si teneva premuto il collo con una mano. “Aah, il sale sulle ferite...” sibilò affiancandosi al fratello.

“Dove sono le Mew Mew?” chiese Pai, cercando di ricomporsi. Kisshu corrugò la fronte: il molo era effettivamente vuoto, salvo per Taruto, che, piegato in due per lo sforzo, era tuttavia riuscito a far fuggire anche Kue.

Kisshu e Pai lo raggiunsero, e in quel momento MewSumomo e MewNinjin sbucarono fuori dal portale, che si richiuse prontamente alle loro spalle. “Fiuu, che battaglia!” esclamò Sumomo con un filo di voce. “Ho sete.”

I tre alieni si guardarono a vicenda. “Dove sono le altre?” ripeté Pai. La ragazza corrugò la fronte. “Non lo so...” disse, preoccupata. “Erano lì quando le ho lasciate...” proseguì indicando l'altra parte del molo.

Pai annuì. “Dobbiamo trovarle.” Detto questo, i tre fratelli si dispersero, lasciando Ninjin e Sumomo nei pressi dell'ex-portale. Le due si guardarono attorno, preoccupate: era ancora presto per cantare vittoria, realizzarono iniziando a chiamare le compagne a gran voce.

 

Ichijiku non era riuscita a trattenere la gioia che l'aveva pervasa quando si era accorta di poter respirare sott'acqua, lasciando uscire un'esclamazione soffocata a cui erano prontamente seguite una manciata di bolle.

La corrente era davvero forte, ma scoprì di non averne paura. Era nel suo elemento e si sentiva cullata dalle correnti con la stessa beatitudine con cui un bambino sarebbe stato cullato dalla propria madre.

Come aveva sperato, i mostri si erano tuffati per seguirla, ma erano stati facilmente eliminati dalla furia del mare, mentre lei ne era uscita illesa. Accarezzò le squame di tartaruga che le spuntavano sul volto quando era trasformata e, per la prima volta dopo tantissimo tempo, si sentì completa.

 

Nasubi si era allontanata più che poteva, ma era sfinita e quei maledetti Chimeri non davano segno di cedere: uno addirittura arrivò ad artigliarle il polpaccio, facendola gemere dal dolore. Spiccò un salto, distanziandoli un minimo, e si arrampicò faticosamente su di una scala a pioli che portava al tetto di un edificio adibito ad ufficio portuale. Brandì il proprio stocco, rifiutandosi di cedere fino alla fine. Era così che sarebbe finita?, si chiese fugacemente, gli occhi che suo malgrado si riempivano di lacrime, mentre i Chimeri si davano alla scalata dell'edificio.

“MewNasubi, qui!” la chiamò all'improvviso Taruto, scendendo in picchiata con la mano tesa verso di lei. Senza pensare, la ragazza gliela prese, stringendola con tutte le sue forze. L'alieno la sollevò, e con la mano libera scagliò le sue bolas contro i Chimeri, friggendoli a puntino. “G-grazie...” balbettò Nasubi mentre Taruto la trasportava di nuovo al molo. “Non c'è problema.” rispose lui, sorridendo debolmente.

 

Kisshu stava sorvolando rapidamente il porto, quando una macchia rossa attraversò il suo campo visivo. Si girò, tornando un po' indietro, e la vide: se ne stava rannicchiata nello spazio esiguo tra due container e sanguinava copiosamente da un braccio. L'alieno le atterrò vicino. “Non riesci proprio a restare fuori dai guai, eh ragazzina?” disse in tono scherzoso, mentre lei lo fissava come se avesse visto un fantasma. Lui le lanciò un'occhiata interrogativa: non capiva cosa avesse che non andava, ma non gli era certo sfuggito il comportamento insolito che adottava ogni volta che interagivano. A dire il vero un sospetto gli era venuto, ma non ne era ancora sicuro al 100%...

Ad ogni modo, quello non era il momento adatto per certe elucubrazioni: la ferita sul braccio della Mew Mew era bella profonda, e chissà quanto sangue aveva perso da quando gliel'avevano fatta.

Sbuffando, si levò di dosso la maglia della divisa, tagliata dove l'aveva colpito Kuchen e diventata appiccicosa dopo che si era tuffato a recuperare il sai.

La ragazzina sgranò debolmente gli occhi. “Cosa stai facendo?!” esclamò con voce stridula. Kisshu si inginocchiò vicino a lei, strizzando e strappando alla bell'e meglio la maglia bianca dagli orli azzurri, che qua e là presentava delle macchioline del suo stesso sangue. “Su, alza il braccio.” le ordinò, e la ragazza ubbidì prontamente, anche se a fatica.

L'alieno fasciò la ferita meglio che poté, stringendo forte per non far uscire altro sangue. “Sarà meglio rientrare alla base.” disse poi, guardandola in faccia. La ragazza lo stava osservando rapita, uno sguardo languido negli occhi rossi semichiusi. Kisshu notò che la sua pelle era bollente e sembrava quasi sprigionare una fragranza piacevolmente dolce, come di fiori, o di miele. Corrugò la fronte, confuso. “Cosa diamine ti succede?” non poté trattenersi dal chiederle, e si rese conto di stare osservandola sul serio per la prima volta: il viso sottile, gli occhi allungati, i corti capelli rossi scarmigliati, le morbide orecchie circolari, arancioni e nere...improvvisamente provò un moto di affetto nei suoi confronti, come uno strano istinto di protezione.

Si riscosse, allontanandosi di qualche centimetro. La ragazza continuava a fissarlo, imbambolata, e lui non sapeva come reagire alla cosa. Le tese la mano, distogliendo lo sguardo; lei gliela afferrò con il braccio indenne e Kisshu la tirò bruscamente verso di sé, facendola alzare in piedi. Con una mossa fulminea, la prese in braccio e si alzò in volo. Lei, come in procinto di addormentarsi, posò la testa sulla sua spalla, la guancia premuta sul suo petto, e sospirò pesantemente.

Accidenti, era davvero bollente! Non ne era sicuro, ma gli sembrava di ricordare che per gli esseri umani non fosse propriamente salutare una tale temperatura corporea. D'altra parte, come aveva continuato a ripetere per tutti quegli anni, loro non erano semplici umane...

In un attimo tornarono sul molo, dove li aspettavano Taruto, Pai e altre tre Mew Mew: solo quella verde mancava all'appello.

Kisshu depositò Suika a terra, assicurandosi che fosse in grado di reggersi sulle sue gambe, dopodiché le si allontanò, a disagio. La Mew Mew viola era in lacrime e stava spiegando a Pai come quella verde le avesse intimato di scappare, quando udirono una voce lontana chiedere aiuto, il suono quasi completamente sovrastato dal roboante frastuono del mare.

Sumomo si alzò subito in volo, imitata da Taruto. “La vedo!” esclamò la Mew Mew, incredibilmente sollevata. “È laggiù!”

Anche l'ultima ragazza fu così recuperata, grondante di acqua gelata. “Scusate, non riuscivo a darmi la spinta necessaria per risalire sul molo.” disse battendo i denti per il freddo.

“Meno male, siamo tutte vive!” esclamò Ninjin con le lacrime agli occhi. Le altre non aggiunsero altro, limitandosi ad abbracciarsi, e fu così che, dopo essersi smaterializzate, comparvero agli occhi dei due scienziati e delle ex-Mew Mew.

 

***

 

Quando Keiichirou, aiutato da Retasu, finì di medicare le ferite delle ragazze, il laboratorio era impregnato di un odore molto simile a quello di un ospedale. Il bilancio, tutto sommato, era buono: la ferita più grave era senza dubbio quella di Suika, che era stata accuratamente disinfettata e fasciata con garze sterili da Retasu, la quale era rimasta perplessa nel constatare che la fascia bianca attorno al braccio di Suika era in realtà costituita da brandelli della maglietta di Kisshu: quest'ultimo si era dileguato dopo pochi minuti, rifiutando ogni tipo di aiuto per la ferita al collo.

Retasu era riuscita a convincere Pai a mettere del ghiaccio sulla parte gonfia del viso, dove Kuchen l'aveva colpito, ma l'alieno si era rifiutato di farsi steccare il braccio. “La nostra tecnologia ci permette di curare le ossa rotte molto più velocemente rispetto alla vostra”, le aveva spiegato con fredda cortesia, subito prima di congedarsi a sua volta.

Oltre al braccio di Suika, anche il polpaccio di Nasubi era stato ferito, e le altre Mew Mew avevano riportato tagli e morsi su varie parti del corpo. “Nulla di irreparabile”, le aveva rassicurate Keiichirou con un caldo sorriso.

Ryou era rimasto in silenzio per tutto il tempo, a braccia conserte. Quando le ragazze furono sistemate al meglio, si avvicinò a Suika e, indicando il braccio ferito, disse: “Da quello che ci hai raccontato, dobbiamo concludere che gli alieni abbiano anche il tuo DNA...”

La ragazza annuì mestamente. “Mi dispiace, Shirogane. Ho cercato di resistere...ci ero quasi riuscita.”

“È inevitabile che venga versato un po' di sangue durante le battaglie.” intervenne Retasu. “Basta solo una goccia, o anche un singolo capello...non è una cosa facilmente evitabile.”

Ryou sospirò. “Quel Chimero dev'essere una sorta di ricettacolo per il vostro DNA. Bisogna assolutamente distruggerlo, prima che acquisisca anche quello delle altre.” Le fissò una ad una, un'espressione grave sul volto. “Eliminarlo deve essere la vostra assoluta priorità.”

 

***

 

I lamenti di Kuchen risuonavano in tutta la navicella, mentre Pastel faceva del suo meglio per medicare la ferita inflittagli da Kisshu. La loro dimensione era stata individuata e non era più sicuro, per loro, usarla come nascondiglio: finché non fossero riusciti ad aprirne un'altra, la navicella era l'unico posto in cui il nemico non poteva rintracciarli.

L'aliena corrugò la fronte imperlata di sudore: la ferita era davvero profonda, e aveva leso gli organi interni. Se fossero stati in possesso di una capsula rigenerativa, Kuchen si sarebbe ripreso presto, ma sfortunatamente non disponevano di tecnologia simile. In quelle condizioni, coi pochi strumenti in loro possesso, Kuchen rischiava seriamente di morire.

“Maledetto...bastardo...” biascicò l'alieno digrignando i denti. “Io lo...ammazzo...”

“Non parlare. Conserva le forze.” ordinò seccamente Pastel, senza staccare gli occhi dalla ferita. La strumentazione di fronte a sé bippava con un ritmo forsennato. Kue camminava avanti e indietro, lo sguardo fisso sul pavimento. La navicella era piccola e l'ambiente stava diventando soffocante.

All'improvviso, dal corridoio che portava in sala macchine, spuntò un essere umano, femmina, completamente nuda. Kue, preso totalmente in contropiede, lanciò un urlo di stupore: “C-cosa..!”

La femmina umana sorrise, esibendo un paio di canini a punta. “Forse così è meglio?” chiese con voce squillante, mentre il colore dei suoi lunghi capelli da castano diventava rosso fuoco e un paio di orecchie nere e pelose le spuntavano in testa.

Kue rilassò i muscoli, ma la sua espressione rimase vigile. “Così è questo che fa.” commentò cupamente, distogliendo lo sguardo dal Chimero.

“Fa molto più di questo.” rispose Pastel, con una punta di orgoglio nella voce.

“Non parlate di me come se non ci fossi.” disse Mu, cambiando di nuovo aspetto: capelli rosa e coda di tigre. “Sta morendo?” chiese poi, avvicinandosi a Kuchen con curiosità.

“Mettiti dei vestiti addosso.” borbottò Kue, infastidito.

Mu si guardò attorno. “Non ci sono vestiti qui.”

Kue sospirò, poi un lieve sorriso increspò le sue labbra. “Non c'è problema, ti accompagno io a prenderli.”

Pastel si girò a guardarlo. “Non dire sciocchezze, non ce la faresti mai da solo contro di loro.”

“Non ho intenzione di combattere.” ghignò l'alieno. “Voglio solo far saltare in aria un po' di edifici.”

“E io prenderò dei vestiti!” cinguettò Mu, felice come una Pasqua.









Bentrovate, mie care lettrici. ;)
Lo so, sono insopportabile ultimamente, con questi aggiornamenti continui. Non vi libererete di me facilmente, temo (risata malefica).
Come sempre, grazie a tutte coloro che leggono e che recensiscono.
Ci tenevo a dire che se per caso ci sono lettrici che seguivano la storia tempo fa e che poi hanno smesso a causa delle continue interruzioni negli aggiornamenti, rinnovo le mie scuse più sentite. 
Al prossimo capitolo! Aspetto le vostre considerazioni, negative o positive che siano! :)

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Capitolo 23
*** People die, feelings don't ***


23. People die, feelings don't
 




 


Ichigo, Minto, Purin e Zakuro erano sedute ad uno dei tavolini del Café, in attesa che giù di sotto terminassero di medicare le Mew Mew, reduci dall'ultima battaglia.

Purin incrociò le braccia al petto, soddisfatta. “Oggi siete state brave. Con Retasu dobbiamo ancora lavorare sui calci. Dovrebbe prendere esempio da te, Minto...sarebbe bello se riuscissimo a procurarci dei manichini per l'allenamento.” Sorrise furbescamente. “Dopo chiedo a Ryou, sono sicura che non avrà problemi a sganciare un po' di denaro.”

“Se è per questo non c'è problema: offro io.” fece Minto, sistemando una ciocca ribelle con l'ausilio di una forcina.

“Da quando sei diventata così generosa?” si lasciò sfuggire Ichigo, non riuscendo a trattenere una risatina.

Minto la guardò male. “Io sono sempre generosa, con chi se lo merita...”

Purin fece un commento sarcastico, ma Ichigo non la ascoltò: Kisshu era appena uscito dal seminterrato, e sul suo petto nudo erano nettamente distinguibili due cicatrici di cui lei conosceva bene l'origine: una gliel'aveva procurata Ao no Kishi e l'altra Deep Blue. A quelle due vecchie ferite, una terza si era aggiunta da poco, simile all'impronta di un'artigliata alla base del collo.

L'alieno cercò istintivamente il suo sguardo, e sembrò sorpreso quando si accorse che lei lo stava già fissando. Le si strinse lo stomaco e avvertì un nodo alla gola quando si rese conto che la ferita stava sanguinando. Il sangue di Kisshu era rosso, esattamente come quello di un qualunque essere umano, rifletté, e non era la prima volta che lo notava.

Kisshu la fissò intensamente per qualche secondo, fermandosi nel bel mezzo del locale, mentre le altre assistevano in silenzio alla scena.

L'alieno incurvò le labbra pallide in un sorriso sghembo. “Che succede, ko-neko-chan?” le chiese con voce suadente.

Ichigo distolse lo sguardo, infastidita dal nomignolo che si ostinava ad affibbiarle. “Sei ferito.” rispose seccamente. “Non ti hanno curato, di sotto?”

Kisshu ridacchiò. “Questo?” le fece indicandosi il collo. “Non è niente, solo un graffio.” disse senza staccare gli occhi da lei. “Sei dolce a preoccupartene.” aggiunse dopo una breve pausa, muovendosi per andarle più vicino.

“Dovresti comunque curartela, la ferita.” intervenne Zakuro, in un tono apparentemente neutro che però nascondeva una durezza di fondo.

“Più aspetti più c'è il rischio di infezione.” continuò Minto, seria e rigida sulla sedia.

Il sorriso di Kisshu si aprì a nascondere una smorfia di disappunto. “Siete troppo gentili, signore. A cosa devo tanta premura?” domandò, sarcastico, accennando un inchino.

Ichigo tornò a guardarlo negli occhi, incerta su cosa dirgli. Come schiacciato dal peso del suo sguardo, Kisshu tornò serio e uscì dal locale senza aggiungere altro, lanciandole un'ultima occhiata prima di chiudersi la porta alle spalle.

Non appena se ne fu andato, Minto sbottò: “Ma che diamine ti è preso, si può sapere?!”

Ichigo sobbalzò sulla sedia, presa in contropiede dalla furia dell'amica.

“È ovvio che non ti lascerà mai in pace se lo illudi in questo modo!” continuò la ballerina in duro tono di rimprovero.

La rossa si sentì di nuovo stringere lo stomaco. “Io...mi sono solo preoccupata per lui!” si giustificò debolmente.

“Perché?” le chiese Zakuro, lo sguardo penetrante.

Ichigo sbatté più volte le palpebre prima di rispondere. “Credo...di sentirmi in colpa.” confessò, mogia.

“Non ne hai motivo.” disse la modella. “Che colpe ti senti di avere nei suoi confronti?”

Ichigo si dimenò sulla sedia. “Non lo so...di averlo fatto soffrire.”

Minto sbuffò. “Non avresti potuto fare altro, Ichigo. Eravate nemici. E poi...” disse, e improvvisamente assunse un'aria triste, “così facendo lo farai soffrire ancora di più.”

 

***

 

Kue e Mu comparvero nei pressi della Shinjuku Park Tower, il vento che frustava i loro volti. Mu rabbrividì, raggomitolandosi su sé stessa. “Ho davvero bisogno di vestiti adesso.”

Kue annuì, noncurante. “Va bene, ma fai in fretta. Tra poco questa zona sarà il pandemonio.”, disse evocando un parassita.

Mu non se lo fece ripetere due volte: scese in picchiata tra la folla pomeridiana e si infilò nel primo negozio di vestiti che vide, mentre la gente tutt'attorno la osservava a bocca aperta e le mamme portavano via i bambini, scandalizzate.

Aveva appena fatto in tempo ad afferrare una gonnellina rosa, un top nero e un paio di ballerine argentate, quando il commesso del negozio le si parò di fronte: “Signorina, le chiedo di posare quei vestiti, o chiamo la polizia...”

Mu gli lanciò un'occhiata infastidita, e con uno spintone ben assestato lo fece capitombolare in un espositore di cappotti. “Ne ho bisogno, fuori fa freddo.” si giustificò allegramente, calzando le ballerine e indossando gonna e top. Le stavano a pennello, constatò ammirandosi fugacemente allo specchio. Si guardò intorno: i clienti se l'erano data a gambe e due giovani commesse la fissavano terrorizzate, rannicchiate dietro la cassa. “Uhm, anche questo...” mormorò tra sé e sé, afferrando un giubbotto imbottito dalla fantasia leopardata. “Ehi, voi.” apostrofò poi le commesse, che si strinsero l'una con l'altra, “Dove le trovo calze come le vostre?” chiese indicando i collant variopinti che indossavano sotto la gonna.

“Non muoverti! Mani in alto!” gridò all'improvviso un poliziotto, la pistola puntata su di lei. In quel momento, una fragorosa esplosione poco lontano fece tremare tutto il negozio. Mu approfittò della distrazione del poliziotto per sgattaiolare via.

 

***

 

Quando l'allarme suonò di nuovo, Ryou si sentì sprofondare. Le ragazze erano stanche e ferite, ma anche il nemico doveva esserlo: com'era possibile che decidesse di attaccare due volte nello stesso giorno?

“È nella zona di Shinjuku!” esclamò Kei, preoccupato quanto lui.

Taruto era l'unico alieno ad essere rimasto in laboratorio, e anche l'unico dei tre a non aver riportato ferite: Ryou incrociò il suo sguardo e non ci fu bisogno di parole.

“Ragazze, non è ancora finita, a quanto pare.” fece lo scienziato, e le Mew Mew gli lanciarono delle occhiate incredule. “Ma siamo esauste!” si lamentò Nasubi. “Io non riesco nemmeno a camminare bene!”

“Lo so, ma dovete fare ancora uno sforzo.” insistette Ryou, sentendosi un verme. D'altronde, cos'altro avrebbe potuto fare? Non c'era nessun'altra alternativa.

“Io posso ancora combattere.” disse Ichijiku, alzandosi dalla sedia.

“Anche io!” esclamò Sumomo, imitandola. “Possiamo andare noi due...”

Ninjin, Nasubi e Suika si guardarono in silenzio, indecise sul da farsi. Taruto prese in mano la situazione: “Andremo noi tre. Anche loro sono feriti, dubito che opporranno una gran resistenza.” Detto questo, dato che nessuno obiettava, si smaterializzò insieme a Sumomo e Ichijiku.

Le altre tre Mew Mew abbassarono il capo contemporaneamente. Era chiaro che si sentivano in colpa, specialmente Ninjin, che si tormentava le mani in grembo.

Retasu le si avvicinò, inginocchiandosi in modo da guardarla negli occhi grigi. “Non dovete preoccuparvi...in queste condizioni, sarebbe stato pericoloso per voi. Se la caveranno senz'altro.” disse, cercando di confortarle.

“Non dovremmo attaccare il nemico se poi non abbiamo più le forze per difenderci.” fece all'improvviso Suika, come se stesse ripetendo un proverbio.

Tutti la guardarono, colpiti. Retasu annuì lentamente. “Hai ragione, Suika-chan...”

Ryou corrugò la fronte, inquieto.

 

***

 

Arrivati sul luogo, Taruto, MewSumomo e MewIchijiku si lasciarono sfuggire un'esclamazione angosciata: il Chimero-ragno che si trovavano di fronte, di un putrido verde palude e con strani ghirigori rossi sul dorso, aveva delle zampe estremamente massicce, terminanti a punta, che usava per distruggere tutto ciò che gli capitava sotto tiro. La città era nel caos, gli edifici erano distrutti, la gente scappava in preda al panico e un paio di treni erano deragliati.

“Maledetti..!” imprecò Ichijiku, evocando la propria arma. Sumomo la imitò, colpendo il Chimero per prima, nel tentativo di catturare la sua attenzione. La creatura non parve neanche accorgersene, in preda ad una furia cieca. Nemmeno l'asfalto delle strade era in grado di resistere ai suoi colpi.

“Aspettate!” ordinò Taruto, facendo segno a Ichijiku di non attaccare. Detto questo, evocò due paia di parassiti per mano e li indirizzò verso una voragine nel terreno che lo stesso Chimero aveva creato. In pochi secondi, da sottoterra spuntarono una serie di enormi piante rampicanti, che si attorcigliarono sulle zampe del mostro, facendolo cadere su un fianco.

“Ora!” gridò Taruto, e le due Mew Mew agirono nello stesso istante.

“Ribbon Water Shield!”

“Ribbon...Air Blast!”

Il Chimero, colpito in pieno, si contorse e svanì in un lampo di luce bianca.

Sumomo atterrò vicino ad Ichijiku, Taruto un paio di metri indietro. Tutti e tre rimasero in silenzio a contemplare la devastazione del quartiere, che si era compiuta in appena una manciata di minuti. Quando il polverone causato dal Chimero si diradò, le ragazze poterono chiaramente vedere gli alberi sradicati, le vetrine dei negozi in mille pezzi, e i tanti, troppi corpi delle persone esanimi a terra.

“Oh, no...” gemette Sumomo, schizzando in avanti. Si inginocchiò di fianco alla persona più vicina, un uomo di circa quarant'anni in giacca e cravatta, che giaceva a pancia in giù, una mano sotto la testa, come se stesse dormendo.

“Signore! Signore, mi sente?!” la sentirono esclamare, tremante. “Signore..?” ripeté, la voce stridula, mentre in lontananza si udivano le urla perentorie degli agenti di polizia.

Taruto le volò a fianco, passando due dita sul collo dell'uomo. “Dobbiamo rientrare.” disse dopo alcuni secondi, ritraendo la mano pallida.

Sumomo stava piangendo. “Vuoi...vuoi dire che è..?” singhiozzò, le piccole ali bianche che si aprivano e si chiudevano lentamente.

Ichijiku rimase dov'era, perfettamente immobile, le lacrime che le scivolavano lentamente giù per le guance.

 

***

 

Purin stava guardando il telegiornale in tv, le gambe strette al petto e le braccia attorno alle ginocchia.

Le prime stime parlavano di una trentina di vittime e centinaia di feriti. Era incredibile: Shinjuku pareva essere stato sventrato. Una delle arterie più importanti di Tokyo, ed erano bastati pochi minuti per far finire tutto nel caos più totale.

Era furente. Si sentiva così impotente, così inutile. Se solo avesse avuto ancora i suoi poteri...

Taruto le si sedette di fianco, appollaiandosi sullo schienale del divano. “Posso? La finestra era aperta.”

Purin annuì, senza staccare lo sguardo dalla tv. L'alieno la imitò, e rimasero in silenzio per un po' a contemplare le immagini del quartiere sullo schermo.

Quando il notiziario finì, Purin premette un tasto sul telecomando e la pubblicità venne silenziata.

“Tieni.” le fece Taruto, un po' impacciato, porgendole una borraccia panciuta, di un materiale che sembrava alluminio, finemente decorata con ghirigori rossi e viola. “Ho pensato che dovevi provarla.”

La ragazza la prese, rigirandosela tra le mani. “Cos'è?”

Lui le sorrise. “Acqua.” rispose. “Dal nostro pianeta.” Purin notò come gli occhi gli si fossero illuminati.

Gli sorrise di rimando. Era davvero felice che avesse deciso di passare a trovarla. Senza i suoi fratelli, in quella casa piena di ricordi d'infanzia, si sentiva sola. Svitò il tappo della borraccia e bevve un sorso, sgranando gli occhi: era l'acqua più buona che avesse mai assaggiato, inclusa quella delle fonti di montagna. Si sentì quasi rinascere mentre deglutiva, meravigliata. “È...straordinaria!” esclamò, guardandolo negli occhi.

Taruto sembrava deliziato dalla sua reazione. “Sapevo ti sarebbe piaciuta. L'acqua di qui è-” Si zittì di colpo quando Purin lo baciò. Non fu un bacio lungo né particolarmente intenso, ma alla ragazza parve di stare per sciogliersi. Era da tanto che voleva farlo, realizzò indietreggiando, un sorriso serafico sulle labbra.

Taruto era più rigido di un manico di scopa. “Come...perché...” balbettò, e le venne da ridere a vedere l'espressione di puro shock dipinta sul suo viso.

“Per ringraziarti.” rispose lei semplicemente, mentre il suo cuore sfarfallava.

L'alieno non disse niente, imbarazzatissimo.

Purin continuò a fissarlo, sorridente, cercando di imprimersi per bene nella mente ogni singolo lineamento del suo volto. “Ti va di restare a cena?” gli chiese. Improvvisamente le era venuta una gran fame.

“Ehm...ok...” rispose lui, incerto.

Lei inclinò la testa a sinistra. “C'è qualche problema?”

Taruto distolse lo sguardo. “È che di solito non mangio, alla sera.” confessò. “Sai, vecchia abitudine di razionare il cibo...”

Purin annuì. “Capisco. Hai mai provato del cibo umano?” gli chiese. “Caramelle a parte?” aggiunse in tono scherzoso.

Taruto le sorrise, finalmente. “Solo una volta. Era una pietanza strana, fredda, dai colori brillanti. Credo si chiamasse...gelato.”

La ragazza sgranò gli occhi. “Il gelato?! Avete mangiato gelato?”

“Sì, era estate e faceva un caldo pazzesco, e Kisshu ha avuto la brillante idea di rubare un carretto di gelati...” ricordò lui, ridacchiando. “Pai all'inizio era contrario, ma poi si è ricreduto.”

“Pazzesco.” commentò Purin, incredula. “Beh, ora è pieno inverno e dubito di riuscire a trovare del gelato, a meno di non andare al supermercato...” Lanciò un'occhiata fugace fuori dalla finestra. “Sai una cosa? Resta qui. Torno subito!” disse, correndo a prendere cappotto e berretto.

“Aspetta...” cercò di fermarla lui, ma l'idea di vedere un alieno mangiare un gelato le piaceva troppo per desistere.

“Vado e torno!” cinguettò Purin, uscendo di casa come una furia.

 

***

 

Quando Suika rientrò a casa, quella sera, le sembrò di essersi di colpo tolta di dosso il peso di una giornata che le era parsa interminabile. Sora e Nao presero a strusciarlesi tra le gambe, mentre Ichiro, il più vecchio, la aspettava, come ogni sera, addormentato ai piedi del suo letto.

Si chinò ad accarezzare i due gatti, incurante del dolore pungente al braccio.

“Suika?” la chiamò sua madre dal salotto.

“Sì!” rispose lei, beandosi della morbidezza di quei corpicini caldi sotto le sue mani.

Sua madre comparve sulla soglia del soggiorno, preoccupata come il suo solito. “Hai sentito cos'è successo a Shinjuku? Io non riesco ancora a crederci! Dicono che ci sono stati almeno trentadue morti...e tua sorella deve arrivare domani con l'aereo...”

La ragazza si concentrò sul manto variopinto della gatta, che faceva le fusa incurante dello stato d'animo della padrona.

“Suika, mi stai ascoltando?!” la riprese sua madre, infastidita.

“Sì, mamma, sì!” sbottò lei, aggressiva. “Non è colpa mia se le persone sono morte!” aggiunse, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Lei aveva fatto tutto il possibile, aveva dato tutta sé stessa in quella battaglia, e quando sembrava che tutto fosse finito ecco che succedeva il casino. Non era giusto.

Si alzò in piedi, nascondendo il viso tra le mani. Sentì sua madre avvicinarsi e stringerla forte tra le braccia. “Oh, tesoro...” le sussurrò, mentre Suika ricambiava l'abbraccio.

“Non è giusto...non è giusto...” singhiozzò la ragazza, i gemiti soffocati dal maglione della madre.

“Lo so, lo so...la vita non è mai giusta.” le fece amaramente la donna, accarezzandole i capelli. “Devi farti forza e andare avanti.”

Sora si sedette ad osservarle, miagolando appena, mentre Nao giocherellava con la sua coda.

 

***

 

Kisshu si appollaiò sul tetto di un grattacielo, come aveva preso l'abitudine di fare durante quelle lunghe notti insonni passate sulla Terra ad escogitare piani per combattere le Mew Mew prima, e per smascherare Deep Blue poi.

Nulla sembrava cambiato, da lassù. Per un attimo si illuse che nulla fosse cambiato, anzi, che il tempo non fosse proprio trascorso, e che quei sette anni terrestri non fossero mai passati.

Chiuse gli occhi, tirando la testa all'indietro. Se si fosse magicamente trovato a rivivere quei momenti di tanto tempo prima, pensò, ne avrebbe approfittato per non commettere gli stessi errori, il primo dei quali era stato proprio innamorarsi di Ichigo.

Ichigo.

Aveva analizzato quei primi, adrenalinici momenti fino alla nausea, ed era riuscito a capire, infine, che era stata solo colpa sua. Era stato lui ad avvicinarsi, a rompere la barriera che esisteva tra nemici, solo per una malsana curiosità che si era tramutata in ossessione a mano a mano che lei faceva di tutto per stargli lontana.

Non aveva voluto cedere, fino alla fine. Aveva detto che l'avrebbe fatto, si era ripromesso che l'avrebbe fatto, ma tutte le sue risoluzioni erano state inutili.

Anche in quel preciso momento, realizzò, si stava prendendo in giro: non desiderava poter tornare indietro per non innamorarsi, ma per rubarle un altro bacio, per avvolgerle la vita con le braccia, per sentire un'altra volta il suo profumo...

Un tempo avrebbe potuto farlo. Avrebbe potuto fare tutto quello che voleva, perché era il cattivo. Quando voleva qualcosa, se lo prendeva e basta.

Ora non poteva più permettersi di fare certe cose.

Un'altra maledetta barriera era sorta tra di loro: quella del rispetto. Ora erano alleati, e avrebbe dovuto guadagnarsi la sua fiducia, un passo alla volta.

Ripensò allo scambio di sguardi di quel pomeriggio. Non si era illuso, Ichigo si era preoccupata per lui, per la sua salute. Era stato un momento importantissimo, che gli aveva fatto battere il cuore come mai in tutti quegli anni passati sul suo pianeta...ma sentiva di volere di più. Aveva bisogno di ottenere di più da lei: quel suo sguardo preoccupato non gli bastava.

Avrebbe voluto...

...avrebbe voluto che Ichigo lo guardasse come l'aveva guardato Suika, quando l'aveva recuperata tra i container del porto.

Riaprì gli occhi, sorridendo mestamente. Non gli sfuggiva di certo l'ironia della cosa: una leader delle Tokyo Mew Mew si era presa una cotta per lui, ma era la leader sbagliata.

A volte aveva la dannata impressione che l'universo avesse un pessimo senso dell'umorismo.

 

 

 

 

 

 

 

Un salve a tutte le lettrici che sono arrivate fin qui. :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Il punto di vista salta un po' di qua e là, ma è inevitabile con tutti questi personaggi. Come non amare le seghe mentali di Ichigo e Kisshu, Purin e Taruto insieme e le allegre scorribande di Mu e Kue? XD

Oggi mi preme fare una piccola considerazione, che non c'entra con il capitolo in sé.
Non voglio spammare la mia storia a destra e a manca perché non mi piace come metodo per raggranellare recensioni. Penso che, se una persona è interessata, la storia la trova senza problemi nella pagina di EFP.
Questo però non significa che non ci tenga a ricevere recensioni.

Non mi era mai capitato di non avere recensioni ad un capitolo, prima d'ora. Posso capire che aggiornare nella settimana di Ferragosto non sia vantaggioso dal punto di vista delle recensioni...ma comunque ci sono rimasta abbastanza male.
Vedo il contatore delle visualizzazioni salire giorno dopo giorno, per cui penso che qualcuno che legge ci sia, anche se magari la maggior parte di quei clic sono di gente che non si interessa alla storia ma ha solo aperto per curiosità...insomma, tutto questo per dire che io la storia la continuo, perché mi piace e mi diverto a scriverla, ma se per caso è piaciuta anche a voi...una recensione, anche piccola, può fare tanto (che detta così sembra una pubblicità di Save the Children, ma vabbé xD).

Mi chiedo poi se ho scritto qualcosa nel capitolo 22 che ha fatto arrabbiare qualcuno o che ha dato fastidio...ma anche in questo caso, se non me lo fate sapere posso solo tormentarmi nei dubbi. ^^

Detto questo, vi ringrazio e vi saluto, ricordandovi di passare dalla mia pagina Facebook, dove ho caricato altri disegni, e anche scritto un paio di considerazioni ulteriori (ma quelle potete risparmiarvele).

Alla prossima!  

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Capitolo 24
*** Think of me ***


24. Think of me



 

Quella mattina, giunte al Café, le ragazze dovettero fare molta attenzione a non trascinare all'interno cumuli di neve fresca, che si era depositata a terra durante le prime ore dell'alba.

Si erano appena cambiate, indossando le divise variopinte, quando Ryou fece il suo ingresso, corrucciato come il suo solito, e chiese loro di prestargli attenzione. “Riguardo a quanto è successo a Shinjuku...” esordì, e subito le ragazze si rabbuiarono. Sumomo cercò istintivamente la mano di Ichijiku, che, anche se un po' stranita, gliela strinse.

“...per nessun motivo dovete sentirvi in colpa.” continuò lo scienziato, parlando lentamente come per rendere il messaggio più chiaro. “Avete fatto tutte del vostro meglio, e se non foste intervenute il danno sarebbe stato incommensurabilmente più grande.” Incrociò le braccia al petto. “Non pensate alle vittime dell'attacco, pensate a tutti coloro che avete salvato.”

Suika scosse la testa. “Io non ho salvato proprio nessuno.” commentò, sconsolata.

“Eravate ferite ed esauste a causa dello scontro precedente.” ribatté il ragazzo. “Ogni volta che combattete, ogni volta che vi trasformate, ricordate che lo state facendo per la salvezza della Terra. Questo non è per nulla un compito facile, e voi lo state facendo al meglio.” La sua voce parve addolcirsi un po'. “Kei ed io siamo fieri di voi. Non fatevi abbattere.” Detto questo, si allontanò, diretto al laboratorio.

Mentre le altre soppesavano in silenzio le parole del ragazzo, Suika prese coraggio e gli andò incontro. “Shirogane-san...” lo chiamò, titubante.

Lui si girò. “Hm?”

La ragazza abbozzò un sorriso. “Mi chiedevo se fosse possibile per me lasciare il Café in anticipo, oggi. Mia sorella torna dall'America per le vacanze di Natale e...”

Il ragazzo la fissò, lo sguardo penetrante. “Ma certo. Riprenderemo gli allenamenti tra qualche giorno.”

Suika avvertì una stretta al cuore al pensiero che non avrebbe visto Kisshu per giorni, ma allo stesso tempo si sentì estremamente sollevata. “Grazie mille!” esclamò, accennando un inchino.

“Non c'è problema.” fece lui, prendendola improvvisamente da parte. “Ah, Suika...” disse, abbassando il tono di voce.

Lei gli lanciò un'occhiata sorpresa. “Sì?”

L'espressione di Ryou si fece grave. “Sarò breve. Non so in che genere di rapporti siate tu e Kisshu, ma penso che dovresti stargli il più lontana possibile.”

La ragazza avvampò, portandosi le braccia al petto. Il modo diretto con cui Shirogane aveva deciso di affrontare l'argomento l'aveva spiazzata. “Cosa...perché...” balbettò, a disagio. Con la coda dell'occhio si accorse che le altre la stavano osservando, al di là delle colonne rosa.

“Ti chiedo scusa. Non avrei voluto essere così esplicito, ma l'anomalia nella tua mutazione mi ci ha costretto. Qualunque cosa sia quella che credi di provare, ricorda che è solo un effetto dovuto al tuo DNA modificato.” disse Ryou, posandole delicatamente le mani sulle spalle. “Forse non te ne sarai accorta, data l'alleanza che intercorre tra noi e loro, ma Kisshu e i suoi fratelli hanno dimostrato più volte di saper essere spietati e molto, molto pericolosi. Non voglio che una di voi si faccia l'idea sbagliata...”

Per qualche strana ragione, gli occhi le si inumidirono. “Magari...sono cambiati.” tentò con voce soffocata.

“Non ci conterei.” ribatté lui amaramente, cercando il suo sguardo. “Lo so che è difficile, ma devi combattere questa...cosa. Lui non va bene per te.”

Improvvisamente, la ragazza sentì una gran rabbia nascerle in petto. Come si permetteva, lui, di fare supposizioni su cosa andasse o non andasse bene per lei? Non la conosceva neanche!

Tremò, e Ryou tolse le mani dalle sue spalle. Senza dire niente, Suika si allontanò, afferrò uno straccio pulito e si mise a strofinare energicamente un tavolo, le lacrime che le appannavano la vista.

Era furente. Shirogane pretendeva di darle ordini anche su quel frangente della sua vita? Già le aveva sconvolto l'esistenza...ed era colpa sua se ora sentiva quella inspiegabile attrazione per Kisshu, e dopo tutto questo le chiedeva pure di fare finta di niente?

Fece un movimento brusco col braccio e il dolore per la ferita le strappò un gemito.

“Suika-oneechan, tutto bene?” le chiese Ninjin, andandole vicino. Le altre la imitarono, preoccupate. Nasubi le prese delicatamente lo straccio dalle mani. “Non sforzarti, la ferita non è ancora rimarginata...”

Suika scosse la testa con veemenza, asciugandosi gli occhi. Era stanca di piangere. “Sto bene. Forza, è ora di aprire il locale.” disse, indurendo i lineamenti del volto.

 

***

 

La berlina nera si fermò di fronte all'edificio dai muri rosati, che ricoperto di neve com'era sembrava un grosso dolce glassato. L'uomo e la donna che scesero dall'auto si scambiarono un'occhiata perplessa. “Il posto è questo.” esordì la donna, i capelli neri strettamente legati in una coda bassa e appena un accenno di trucco sul volto dalle sopracciglia scure, perennemente corrucciate.

“Già.” rispose l'uomo, le spalle larghe leggermente incurvate in avanti. “Sembra più piccolo, in foto...”

“Entriamo, sto morendo di freddo.” tagliò corto lei, cercando di mantenere una camminata sicura sui tacchi nonostante il terreno scivoloso.

L'interno del locale era riscaldato a puntino e pieno zeppo di persone, specialmente ragazzine. Giovani cameriere dalle divise tutte merletti si muovevano tra i tavoli, raccogliendo le ordinazioni.

“Cerchiamo di non dare troppo nell'occhio...” bisbigliò la donna al suo compagno, proprio mentre una ragazzina bionda e con gli occhi azzurri che si intonavano alla sua uniforme si parava loro davanti. “Buongiorno, benvenuti al Café Mew Mew!” li salutò con un largo sorriso di circostanza. “Prego, da questa parte!” fece poi indicando un tavolino libero. I due si sedettero senza dire una parola mentre la ragazza lasciava loro i menu.

“Rilassati, Amane, sembri un manico di scopa.” le bisbigliò l'uomo aprendo il menu.

L'agente Amane lo fulminò con lo sguardo. “Non ti sembra strano che si chiami 'Café Mew Mew'?” mormorò, guardandosi intorno sospettosamente.

“Ordina qualcosa, invece di fare domande.” la rimbrottò il compagno, toccandole la mano. “Tesoro.” aggiunse, sorridendo languidamente, mentre una cameriera con la divisa verde passava di fianco al loro tavolo, reggendo un vassoio con entrambe le mani.

La donna stiracchiò le labbra in un sorriso falso. “Dico solo che è strano.”

“Potrebbero essere dei fan. Inoltre, a quanto mi risulta, il locale ha aperto nel 2002...”

“Già, e poco dopo sono spuntate queste fantomatiche Mew Mew!”

L'uomo sembrava sentirla appena, concentrato sui nomi delle pietanze scritti in una grafia elegante.

La ragazzina bionda tornò, un vassoio vuoto stretto al petto. “Siete pronti per ordinare?” chiese, lanciando un'occhiata alle loro mani intrecciate sul tavolo.

“Io sì, e tu?” rispose l'uomo, sorridendo amabilmente. Amane aprì di scatto il menu. “Uhm, solo un secondo...” borbottò.

“Il locale è sempre così pieno?” chiese intanto lui, posando una guancia sul palmo della mano aperta.

La ragazza annuì. “Oh, certo! Specialmente in questo periodo!” rispose. “Ah, ho scordato di dirvi che oggi abbiamo lo special due per uno sulle torte al cioccolato.”

“Molto romantico.” sogghignò l'agente. “Che ne dici, Amane-san?”

La donna chiuse il menu. “Per me va bene.”

La ragazza sorrise. “È appunto pensato per le coppie.” spiegò, prendendo le ordinazioni. “Torno subito!” aggiunse poi, dileguandosi tra i tavoli.

“Cerca di non approfittarne troppo, Watanabe.” ringhiò l'agente Amane, ritraendo la mano da sotto quella di lui.

Watanabe ridacchiò. “Stavo solo cercando di rendere la copertura credibile. Devi ammettere che passare il Natale senza un appuntamento è molto triste...”

“Ecco, guarda quello lì!” sibilò Amane, che aveva già smesso di ascoltarlo. Entrambi gli agenti si sporsero ad osservare un giovane uomo dai capelli biondi, che stava conversando con quello che sembrava a tutti gli effetti il pasticcere del locale.

“Scommetto che quello è il capo.” Gli occhi neri della donna saettarono dal biondo alle cameriere, mentre un sorriso compiaciuto le si dipingeva sulle labbra. “E ci sono cinque di loro. Il numero corrisponde!”

Watanabe sollevò un sopracciglio. “Ma nessuna di loro corrisponde a quella avvistata a Shinjuku.” replicò, recuperando il tablet dalla valigetta in cuoio che giaceva appoggiata ad una gamba della sedia. Le foto che erano state inviate al Dipartimento erano sfocate, ma si distinguevano chiaramente i lunghi capelli rosa acceso e le orecchie nere da gatto. “Non ne vedo nessuna con capelli così lunghi, e comunque queste ragazze sono troppo piccole.” Scorse velocemente le foto con l'indice. “Lei avrà come minimo vent'anni.”

Amane incrociò le braccia e lui spense il tablet proprio mentre una diversa cameriera, con la divisa viola scuro e un paio di occhiali neri, li serviva. “Ecco a voi, buon appetito.” disse sorridendo appena.

Mangiarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Watanabe era dubbioso: quel posto aveva effettivamente qualcosa di sospetto, ma da lì a credere che fosse la base segreta di quelle strane ragazze Mew Mew ce ne voleva, di fantasia. Inoltre, la torta era deliziosa, segno che quello era un locale di tutto rispetto...oppure una copertura particolarmente curata.

“Voglio comunque sorvegliare questo posto e la gente che lo frequenta.” dichiarò l'agente Amane una volta ripulito il piatto.

“Immagino che scriverai tu il rapporto...” sospirò Watanabe.

Amane si alzò in piedi, imitata dal compagno. Pagarono – alla cassa c'era un'altra cameriera, vestita di rosso, con cui Watanabe si complimentò per l'ottima torta – e uscirono, incrociando un gruppetto di studentesse che chiacchieravano animatamente e una coppia di giovani donne lungo il vialetto. “Con questo freddo, una tazza del tè di Akasaka-san è quello che ci vuole.”, non poté fare a meno di udire Watanabe, incrociando lo sguardo di quella che gli sembrò la donna più bella che avesse mai visto in vita sua. Si fermò per qualche istante a contemplarla, imbambolato: i capelli neri dai riflessi blu lasciati sciolti sulle spalle, la pelle bianca come porcellana, la statura e la corporatura minute che le conferivano una grazia pari a quella di una qualche fantastica creatura eterea...

“Watanabe, muoviti o ti lascio qui!” abbaiò Amane, facendolo riscuotere, mentre l'oggetto della sua improvvisa ammirazione gli lanciava un'occhiataccia ed entrava nel locale.

L'agente di polizia riprese a camminare, mettendo le mani in tasca. Passare il Natale senza un appuntamento era senza dubbio molto triste, rifletté alzando gli occhi al cielo.

 

***

 

“Come sarebbe 'oggi niente allenamento'?” chiese Kisshu in tono seccato. Taruto lanciò un'occhiata dubbiosa a Shirogane, il quale sembrava altrettanto infastidito.

“Sarebbe esattamente quello che ho detto.” rispose l'umano. “Le ragazze devono riprendersi dalla battaglia di ieri e domani è Natale. Riprenderemo il ventisei o il ventisette.” Detto questo, Shirogane tornò a concentrarsi sul monitor del computer.

I due alieni si scambiarono un'occhiata piccata. “E noi cosa facciamo nel mentre?” chiese Taruto, anche se un'idea gli stava già venendo in mente.

Lo scienziato corrugò la fronte. “E io che ne so? Basta che non vi facciate vedere da nessuno e che non facciate danni.” rispose. “A questo proposito, il locale è aperto, quindi fate attenzione.”

Kisshu si posò le mani sui fianchi. “Senti, biondino, non siamo mica i tuoi servi. Vedi di moderare i toni.” ringhiò in tono poco amichevole.

Shirogane lo guardò in cagnesco. Taruto si intromise prima che potessero scambiarsi altre parole. “Dai Kisshu, andiamo.” disse posandogli una mano sull'avambraccio.

Pai comparve proprio in quell'istante, il braccio rotto appeso al collo. “Se non avete niente da fare, potreste darmi una mano con le mie ricerche.”

Entrambi fecero una smorfia di disappunto. “Ehm...io sono occupato.” disse Taruto frettolosamente, facendo un passo indietro.

Pai non commentò, spostando lo sguardo su Kisshu, che sospirò pesantemente. “E va bene, che seccatura che sei. Che cosa vuoi? Sei fortunato che su questo pianeta non c'è niente di divertente da fare.” fece in tono insofferente, mettendosi a fluttuare a venti centimetri da terra, la braccia dietro la testa.

Taruto sparì con un mezzo sorriso stampato in faccia.

 

***

 

Dopo una lunghissima giornata di lavoro, Nasubi, Ninjin, Ichijiku e Sumomo uscirono dal Café, esauste. Suika se n'era andata dopo pranzo, e la sua assenza si era fatta sentire parecchio, dato che la clientela non era diminuita nel pomeriggio.

Nasubi prese per mano Ninjin. “Allora noi andiamo. Ci si vede domani!” si congedò mentre la bambina le salutava con la mano libera.

“Stesso posto, stessa ora!” fece Sumomo, salutandole a sua volta.

Ichijiku guardò l'orologio a forma di pipistrello che portava al polso. “È tardi...” mormorò tra sé e sé.

Sumomo le si avvicinò. “Devi andare da qualche parte?”

Ichijiku si strinse nelle spalle. “Stavo pensando di iscrivermi in piscina.”

“Ah!” esclamò la bionda, “Mio fratello ci va spesso, se vuoi ti ci accompagno. Hanno una piscina olimpionica e un'ottima attrezzatura.”

Ichijiku le lanciò uno sguardo dubbioso. “Quanto è lontana da qui?”

“Non molto, circa venti minuti a piedi.” rispose Sumomo. “Il cielo non è ancora così scuro...poi se vuoi chiedo a mio papà di darti un passaggio a casa.”

La mora parve rifletterci su un momento. “D'accordo, andiamo...”

Sumomo la prese allegramente sottobraccio, iniziando a camminare. “Andiamo, Ichi-chan!”

“Chiamami di nuovo così e me ne vado a casa.”

Sumomo alzò gli occhi al cielo. “Suvvia, è carino!”

“No.”

La ragazza sbuffò. “Sei davvero noiosa.”

“E tu sei una pagliaccia.”

Sumomo le fece la linguaccia. “Dirò a Seiji di affogarti quando ti vedrà in piscina.”

Ichijiku sorrise malignamente. “Può provarci, se crede, ma posso tranquillamente respirare sott'acqua, quindi...”

“Ooh, è impossibile averla vinta con te!”

Ichijiku ridacchiò. Camminarono in silenzio per un po', i loro respiri che formavano delle nuvolette bianche di fronte a loro.

All'improvviso, Sumomo abbassò lo sguardo a terra. “Tutte quelle persone...” mormorò, abbandonandosi per un momento alla tristezza.

“Lo so.” rispose semplicemente Ichijiku, lo sguardo fisso di fronte a sé. Le strinse impercettibilmente il braccio. “Lo so.”

 

***

 

Suika e sua madre andarono a prendere Sakura all'aeroporto e, tornate tutte e tre a casa, cenarono fino a scoppiare.

La presenza della sorella di Suika illuminava il loro piccolo appartamento ed era il regalo più bello che la ragazza potesse desiderare. Voleva davvero bene alla sorella maggiore, ma l'aveva scoperto veramente solo quando quest'ultima era andata a studiare all'estero. Tornava raramente a casa, e ogni volta che lo faceva le due sorelle si davano da fare per impiegare al massimo il tempo che avevano a disposizione.

“Non posso credere che domani mattina tu debba andare a lavorare! Speravo che potessimo uscire a fare shopping!” esclamò Sakura mentre sparecchiavano la tavola. I capelli, castani come i suoi, le erano cresciuti tantissimo dall'ultima volta che l'aveva vista, notò Suika con un moto d'affetto.

“Lo so, non è pazzesco? Io continuo a insistere nel dire che secondo me non dovrebbe lavorarci, lì.” intervenne sua madre mentre ripiegava la tovaglia rossa con le renne ricamate sopra.

“Mamma!” protestò Suika.

“Dico sul serio! Il tuo lavoro è studiare e andare bene a scuola.”

Suika fece una smorfia. Non è così semplice, purtroppo, pensò con amarezza. Sospirò. “Mi piace lavorare al Café. Ho conosciuto delle ragazze molto simpatiche e la paga è buona.”

“Ma sono ore che porti via allo studio!” la rimbrottò la donna. “Sakura, diglielo anche tu...”

Le due sorelle si guardarono in silenzio. “Sai cosa, mamma? Domani la accompagno al locale, così vedo come la trattano.” disse Sakura, facendole l'occhiolino.

Suika la fulminò con lo sguardo, ma non disse nulla.

“Hmm.” borbottò la madre, per niente soddisfatta.

Sakura si sfregò le mani. “Ok, Suika-chan, è ora.” disse ghignando. La sorella annuì, entusiasta. Se n'era ricordata!

“Ora di cosa?” chiese sua madre mentre Sakura frugava nella valigia che aveva abbandonato in corridoio. Estrasse un dvd, tornando in cucina saltellando. “Come on, che fai lì impalata?” la esortò sventolandole il dvd de Il Fantasma dell'Opera sotto il naso.

Suika ubbidì e si dileguarono in salotto. “Di nuovo quel film? Ma lo guardate tutti gli anni!” gridò la signora Nakano dalla cucina.

“È questo il bello!” rispose Sakura mentre inseriva il dvd nel lettore. Suika aveva già preso posto sul divano, un cuscino stretto al petto e Ichiro accoccolato di fianco.

“E non è un film, tecnicamente è il musical fatto a teatro!” puntualizzò la ragazza mentre la sorella maggiore le si sedeva di fianco e schiacciava play sul telecomando.

Mentre la musica pervadeva il salotto, Suika avvertì il suo cuore accelerare i battiti. Era una tradizione tutta loro, quella di vedere insieme Il Fantasma ogni anno alla Vigilia di Natale. Non che quel musical avesse qualcosa a che fare con il Natale, di per sé; ma ormai per Suika le due cose erano collegate.

Furono delle ore stupende, in cui la ragazza dimenticò tutte le sue preoccupazioni e si immerse completamente nella vicenda del Fantasma e di Christine, cullata da quelle musiche che le sembravano troppo belle per essere vere.

Avrebbe voluto avere una voce come quella della giovane soprano, per poter cantare a squarciagola Angel of Music e tutte le altre canzoni del musical. Si limitò a mimare sottovoce le parole, con il suo inglese stentato, mentre Ichiro ronfava beatamente a pancia in su, indisturbato dal baccano della televisione.

Quando Meg prese in mano la maschera bianca del Fantasma e il sipario calò, era ormai passata la mezzanotte. “Merry Christmas, Suika-chan.” le fece Sakura scompigliandole i capelli.

Suika rise. “Buon Natale, onee-chan.”

Si abbracciarono. “E comunque Raoul è meglio.” le bisbigliò Sakura all'orecchio dopo qualche momento.

Suika la spinse via. “Ma smettila! Non è vero! Il Fantasma è mille volte meglio.” esclamò facendole la linguaccia.

“Il Fantasma è uno psicopatico che vive in un seminterrato!” la prese in giro la sorella maggiore.

“Raoul è un principino buono a nulla e noioso da morire!” replicò Suika, tirandole addosso il cuscino del divano. Ichiro si svegliò di soprassalto, le orecchie dritte e gli occhi verdi spalancati, ma dopo qualche secondo si riappallottolò, serafico.

“Raoul è un visconte, prego.”

“E il Fantasma è un genio, un compositore, un architetto...”

“...e un maniaco omicida, non dimenticarlo!”

“Smettila! Giuro che ti riempio di cuscinate!” strillò Suika brandendo un altro cuscino.

Dal braccio le partì una fitta improvvisa che le tolse il fiato, costringendola a fermarsi di colpo.

Sakura sgranò gli occhi grigi. “Che succede?!” esclamò, una nota ansiosa nella voce.

Suika si piegò in due. “Ah, un mal di pancia improvviso...scusa, torno subito!” disse frettolosamente, correndo a chiudersi in bagno.

La sorella le bussò alla porta. “Vuoi che ti faccia qualcosa...una camomilla calda, magari?”

Suika si sedette sul bordo della vasca. “Ok, grazie! Esco subito, promesso!” fece, accorgendosi che la voce le tremava.

Fissò una fessura tra le mattonelle del pavimento. Durante la visione del musical era riuscita a dimenticare tutta la faccenda Mew Mew, tanto da scordarsi addirittura la ferita al braccio, ma ci aveva pensato proprio quest'ultima a riportarla coi piedi per terra.

Tutte le cose successe in quei giorni le ricaddero addosso come pioggia scrosciante. Si concesse di abbandonarsi per una manciata di minuti al ricordo di come Kisshu le aveva fasciato il braccio, lacerando la maglietta che indossava. L'aveva presa in braccio e lei si era appoggiata al suo petto nudo, così fresco contro il bollore delle sue guance. Le sembrò di poter respirare ancora il suo profumo, una fragranza che non aveva mai sentito da nessun'altra parte, e il suo cuore parve accartocciarsi su sé stesso.

Era messa davvero male, realizzò con un sorriso amaro mentre si sfiorava il braccio fasciato, coperto dalla manica del maglione giallo che indossava. Non aveva mai provato un'attrazione simile nei confronti di qualcuno: era dolorosa, in modo quasi fisico. Non aveva idea di come sarebbe riuscita a resisterle. Aveva davvero paura, specialmente dopo quello che le aveva detto Shirogane quella mattina.

Kisshu era un mistero, per lei. Non sapeva come comportarsi con lui, e l'imbarazzo che provava non faceva che complicare le cose.

Non riesci proprio a restare fuori dai guai, eh ragazzina?

Scosse lentamente la testa. A quanto sembra, no.

Si alzò in piedi e scostò le tendine della finestra, osservando il cielo buio oltre il vetro freddo. “Buon Natale, Kisshu-kun.” sussurrò, e le sembrò che quelle parole echeggiassero fin nei luoghi più remoti del proprio cuore.

 

 

 

 

 

 

E rieccoci qui. ;)

Volevo aggiornare prima che agosto finisse, perché con settembre arrivano gli esami, e poi ricominciano i corsi, e la pace di cui ho goduto in questo mesetto finirà...e di conseguenza prevedo che gli aggiornamenti caleranno di numero. :/

Ho però già pronti altri tre capitoli, per cui, almeno per il momento, non dovrete aspettare mesi per il prossimo aggiornamento! (della serie, cerchiamo il lato positivo) ;) Ah, una precisazione che mi sembra necessaria: in Giappone il Natale è visto come una festa simile a San Valentino, da passare con il fidanzato/fidanzata piuttosto che con i parenti; ma nel caso di Suika, dato che Sakura torna a casa durante le vacanze di Natale, ho pensato di farlo festeggiare in modo un po' più tradizionale. :)

 

Un paio di considerazioni finali:

  • Ho capito che il mio pool di recensioni è della serie poche ma buone, con enfasi sulle buone! Mi state lasciando delle recensioni lunghissime e pregnanti di significato e non potrò mai ringraziarvi abbastanza per questo;

  • Sì, ho messo una breve digressione sul Fantasma dell'Opera – uno dei miei musical preferiti - perché credo che Raoul ed Erik siano una perfetta metafora di Aoyama e Kisshu: il primo il classico “principe azzurro”, perdutamente innamorato della protagonista ma anche abbastanza noiosetto, il secondo un personaggio passionale ma anche pericoloso e tragico, con un'idea dell'amore piuttosto...particolare. Mi piaceva l'idea che Suika fosse una fan sfegatata del Fantasma, mentre Sakura, con la sua visione più “saggia”, più “adulta”, diciamo, preferisce Raoul (io stessa sono istintivamente attratta da personaggi quali il Fantasma e Kisshu, ma allo stesso tempo riconosco che Christine non sarebbe mai felice insieme a Erik, né lo sarebbe l'Ichigo dell'anime insieme al Kisshu dell'anime). Le somiglianze sono davvero tante. Basti pensare che entrambi pensano che il modo migliore per stare insieme alla donna che amano è il rapimento. :D

    Entrambi i personaggi hanno i loro meriti e demeriti. Personalmente credo che dal punto di vista dell'intrattenimento personaggi come Kisshu, Erik, o anche Spike (Buffy, anyone?) siano quelli più belli da seguire (infatti li adoro)...ma nella vita reale, ecco, le cose sono molto diverse.

  • A questo proposito, per chi è interessato e discretamente anglofono, sulla mia pagina Facebook ho messo qualche giorno fa un video secondo me fatto molto bene sulla questione Aoyama e Kisshu. :)

  • Non avete mai visto Il Fantasma dell'Opera? Neanche mai letto il libro? Cosa fate ancora qui, correte a vederlo! SUBITO! XP   

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Capitolo 25
*** Christmas in Japan ***


25. Christmas in Japan



 

“Aspetta qui, vedo se è tutto a posto.” disse Suika lasciando la sorella appena fuori dall'entrata del locale. Era presto e il Café non aveva ancora aperto ai clienti.

Sakura annuì, ficcandosi in tasca le mani guantate. Quella mattina aveva raccolto un paio di ciocche brune dietro la testa, fermandole con un elastico blu scuro, mentre il resto della chioma era libera di fluire sulle spalle.

Suika entrò, sbottonandosi il giaccone. “C'è nessuno? Shirogane?” chiamò, guardandosi attorno nervosamente. Voleva assicurarsi che non ci fossero alieni nei paraggi prima di far entrare Sakura.

“Suika-chan, sei mattiniera oggi!” la accolse Akasaka con un sorriso.

“Ah, sì, è perché mia sorella voleva vedere dove lavoro, e così...va bene se la faccio entrare? Sennò mi invento una scusa...” balbettò la ragazza facendo un cenno in direzione della porta.

“Non c'è problema.” rispose l'uomo, amabile come il suo solito. Suika gli fece un sorrisone. Dei due scienziati, Akasaka era senza dubbio quello che le piaceva di più.

Andò ad aprire la porta e si ritrovò di fronte la sorella insieme a Nasubi e Ninjin, anche loro mattiniere. “Buongiorno!” le salutò facendosi da parte per farle entrare.

“Buongiorno!” fecero le due compagne all'unisono. Sakura entrò per ultima, guardandosi attorno con gli occhi sgranati. “Wow...questo è il locale più carino che abbia mai visto!” esclamò entusiasta.

Akasaka ridacchiò. “Sono felice che Le piaccia. Mi presento, io sono Keiichiro Akasaka. Gestisco il locale insieme al mio partner Ryou Shirogane.” disse con un inchino.

Sakura arrossì lievemente. “Piacere, io sono Sakura Nakano.” disse inchinandosi a sua volta.

Keiichiro le prese la mano e la baciò delicatamente. “Sono onorato di fare la Sua conoscenza, Nakano-san. Prego, da questa parte...il locale aprirà tra poco, ma se vuole già ordinare qualcosa non faccia complimenti.”

Le due sorelle arrossirono contemporaneamente, una per l'imbarazzo e l'altra per le lusinghe di Keiichiro. Sakura balbettò un grazie molto poco intelligibile, un sorriso ebete stampato in faccia; Nasubi e Ninjin risero sotto i baffi, godendosi la scena, mentre Suika si nascose il viso tra le mani, chiedendosi se di fronte a Kisshu anche lei assumesse quell'aria da perfetta imbecille.

“Mi ero dimenticata quanto potesse essere cortese la gente qui in Giappone!” esclamò Sakura mentre Keiichiro la faceva sedere ad un tavolo. “In America sono tutti maleducati...”

“Lei studia in America, Nakano-san?” le chiese cortesemente lo scienziato, porgendole il menu. I due iniziarono a chiacchierare amabilmente, mentre Nasubi prendeva Suika sottobraccio. “Vi assomigliate parecchio, tu e lei.” le disse sorridendo. “Colore degli occhi a parte...”

“Già, è come guardarsi allo specchio.” replicò la ragazza mestamente, cercando di scacciare l'imbarazzo che provava nel vedere sua sorella sciogliersi come un budino di fronte al suo capo.

“Akasaka-san è un vero gentiluomo!” interloquì Ninjin battendo le mani.

Suika sospirò. “Sarà meglio andare a cambiarci.”

 

***

 

Un'ora dopo, il locale era già pieno zeppo di gente. Per l'occasione, Akasaka aveva fornito alle cinque Mew Mew dei nastrini natalizi da mettere tra i capelli, ma, dato che quelli di Suika erano troppo corti per essere legati, la ragazza aveva indossato il nastrino rosso attorno al polso sinistro.

“Sorellina, sei troppo carina!” esclamò Sakura, alle prese con una fetta di torta e una tazza di té. “È da quando avevi cinque anni che non ti vedevo così!” ridacchiò alludendo alla sua divisa da cameriera.

Suika finse di non aver sentito, digrignando i denti.

“Sakura-oneesan, mi dai il permesso di rifare il guardaroba a Suika?” cinguettò Sumomo volteggiando fino al suo tavolo. “Non ne posso più di vederla in jeans e t-shirt! Le gonne le stanno così bene! Non credi anche tu?” chiese, ammiccando.

Sakura ridacchiò. “Assolutamente! Hai il mio permesso, Sumomo-chan.”

“Ehi! Guai a te se ti allei con quella matta di mia sorella!” sbottò Suika rivolta a Sumomo, la quale sogghignò malignamente: “Troppo tardi.”

D'un tratto la porta del locale si aprì ed entrarono Minto e Retasu. Quest'ultima salutò tutte e cinque con un sorriso, mentre Minto augurava loro buon Natale. “Dov'è Akasaka-san?” chiese la mora a Ichijiku, che le stava passando vicino in quel momento.

La ragazza si guardò intorno. “Probabilmente in cucina.”

“Grazie.” le fece Minto, avviandosi verso la cucina. Retasu rimase indietro, sorridendo graziosamente a Ichijiku. “Allora, come va?” le chiese incrociando le mani in grembo.

“Uhm...” fece Ichijiku, sorridendo debolmente. “Bene, credo. Il locale è sempre affollato e il lavoro impegnativo, ma...”

“Cameriera, il mio parfait al cioccolato?” le interruppe una cliente seduta a non più di un metro di distanza.

Ichijiku le lanciò uno sguardo infastidito. “Ha ragione, scusa, questo non è il momento adatto per chiacchierare.” si affrettò a dire Retasu, conciliante. “Parleremo un'altra volta.”

La ragazza annuì, andando a recuperare l'ordinazione.

Nel frattempo, in cucina, Minto consegnò un cartoncino color crema dalle scritte dorate a Keiichiro. “Stasera alle otto e mezza. Ci sarà un albero di Natale di tre metri, me lo sono fatta consegnare ieri...”

“Minto-san, non c'era bisogno di tutta questa formalità...” fece Keiichiro rigirandosi l'invito tra le mani.

“Senza la formalità, che divertimento c'è?” replicò lei, ammiccando. “Inoltre, senza invito il mio maggiordomo non vi farà entrare.” aggiunse in tono scherzoso.

“Lo terrò a mente.” replicò Keiichiro prendendo in mano un vassoio di pasticcini. Ninjin, entrata in quel momento in cucina, se lo fece passare. “Tavolo quindici.” le disse il pasticcere, e la bambina annuì, ben attenta a non rovesciare niente.

“Ah, è proprio un amore di bimba.” osservò Minto. “Quasi non ci credo che Purin aveva la sua stessa età...”

Retasu si affacciò all'entrata della cucina. “È appena arrivata Ichigo!” esclamò.

“Oh, che fortuna! Così mi risparmio di andare a casa sua a consegnare l'invito.” disse Minto.

“Tanto sei in limousine...” mormorò Retasu, guadagnandosi un'occhiataccia da parte dell'amica.

Nel frattempo, Ichigo e Masaya erano effettivamente entrati nel locale, insieme ad un'altra giovane coppia. “Non posso crederci, è uguale a com'era una volta!” esclamò una giovane donna dai capelli castani, lunghi appena sopra le spalle, e gli occhi scuri.

“Te l'avevo detto!” esclamò Ichigo, stringendo forte il braccio di Masaya.

“Quanti ricordi!” le fece l'amica, mentre Suika le si avvicinava. “Buongiorno, Ichigo-san, Aoyama-san. Volete un tavolo?” chiese con un sorriso un po' impacciato.

“Buongiorno, Suika-chan. Sì, se non ti dispiace, un tavolo per quattro!” rispose Ichigo, mentre Minto la chiamava. “Minto, anche tu qui? E c'è anche Retasu!” aggiunse la ragazza, sprizzando felicità da tutti i pori. “Minto, Retasu, ricordate la mia cara amica Miwa Honjo? Eravamo nella stessa classe alle medie.”

“Ah, sì, mi ricordo!” esclamò Retasu, facendo un inchino. Ichigo presentò loro anche il ragazzo di Miwa, un giovanotto dinoccolato con gli occhiali e i capelli biondo cenere.

Esauriti i convenevoli, Minto consegnò l'invito all'amica. “Stasera alle otto e mezza. Ovviamente, Aoyama-san, anche tu sei invitato.” disse sorridendo ad entrambi. “Ora, se volete scusarmi, ho molte cose da fare...ci vediamo stasera!” si congedò, e Retasu fece altrettanto.

“A stasera!” ripeté Ichigo, voltandosi poi verso Suika, che era rimasta per tutto il tempo impalata di fronte al tavolo libero. “Ah, scusaci, Suika-chan!” esclamò, andando a sedersi in fretta e furia. “Troppi ricordi in questo locale.” si giustificò, raggiante.

Suika le sorrise: era impossibile non farsi contagiare dall'entusiasmo di quella ragazza. “Non c'è problema. Cosa vi porto?”

 

***

 

La casa di Minto, quella sera, aveva un'aria luminosa e accogliente che in qualche modo temperava il suo profilo austero. Il grande albero di Natale nel salone era, come promesso, alto più di tre metri e rifulgente di luci colorate, palline, campanelle, angeli dalle vesti bianche e le ali dorate, fiocchi, rametti di vischio, festoni e candeline.

Minto e Zakuro erano vestite elegantemente, la prima con un vestito in seta blu notte senza maniche, che lasciava scoperte le spalle bianche e ossute, la seconda con un tubino rosso fuoco intonato al rossetto, che la faceva sembrare pronta per sfilare in passerella.

Ichigo fece una smorfia quando le vide. “Oddio, mi sento una sfigata con questi vestiti addosso...” bisbigliò al fidanzato con una punta di disagio nella voce. Entrambi infatti indossavano abiti semplici, caldi e comodi, che non avevano nulla a che fare con il vestiario di alta classe di Minto e Zakuro.

Masaya sorrise, passandole un braccio attorno alle spalle e accarezzando la morbida lana bordeaux del suo maglione. “Tu sei bellissima qualsiasi cosa indossi.” la blandì dolcemente.

“Anche loro.” sospirò la ragazza, sconsolata. “Ma ti ringrazio.” fece appoggiando la testa alla sua spalla.

In quel momento fecero la loro comparsa Ryou e Keiichiro, entrambi in lucidi smoking neri che sembravano appena usciti dalla boutique di uno stilista, e Ichigo si lasciò andare ad un grugnito di protesta. Masaya ridacchiò.

Fortunatamente per loro, anche Retasu e Purin non erano rigidamente eleganti: Retasu indossava una lunga gonna grigia e una giacca nera con cinturino all'altezza della vita che metteva in risalto le sue curve, mentre Purin, che Ichigo andò a stritolare in un abbraccio, esibiva uno sgargiante maglione variopinto con tanto di Babbo Natale sulla slitta ricamato sopra. “Ahahah Purin, ti adoro!” esclamò Ichigo sbellicandosi dalle risate.

“Ma che diamine...cosa accidenti ti sei messa addosso?!” berciò Minto quando se la ritrovò davanti.

“Daaaii, è Natale!” fu l'allegra risposta della bionda, che stava già occhieggiando il buffet che faceva bella mostra di sé sui lunghi tavoli in mogano.

Le guance di Minto si tinsero di rosso. “Avrei dovuto dire al maggiordomo di non farti entrare.” borbottò, ma un insistente bussare al vetro della finestra la distrasse.

“Ehi, ma quello è-” sbottò Ichigo a bocca aperta.

Minto sgranò gli occhi marroni e si girò di scatto verso Purin, puntando l'indice verso la finestra. “Cosa diamine ci fa lui qui?!”

La ragazza la ignorò, facendo ciao con la mano in direzione della vetrata. “Taru-Taru!”

Minto si lasciò andare ad una serie di esclamazioni molto poco signorili. “Ti avevo detto NIENTE ALIENI! Mi pareva di essere stata chiara, o sbaglio?!”

Purin le rivolse un'occhiata mortificata. “Eddai, Minto...siamo a Natale, e Taru-Taru è tutto solo, lontano da casa...” disse in tono lacrimevole. “Sii gentile...in fondo adesso è nostro amico!”

“Gli alieni festeggiano il Natale?” si sentì Retasu chiedere a nessuno in particolare.

“Questa è una festa privata e per tua informazione è molto maleducato portare ospiti non invitati ad una festa privata!” continuò Minto, le mani puntate sui fianchi.

“Su, Minto, non vorrai privare Purin di Taruto proprio a Natale?” intervenne Ichigo in tono ilare, mentre l'alieno in questione le squadrava una ad una al di là del vetro.

La padrona di casa emise un singulto strozzato, lanciando un'occhiata esasperata a Zakuro, la quale si coprì le labbra rosse con la mano destra, a nascondere un sorriso divertito. “E va bene! Siete tutti contro di me, a quanto pare!” sbottò Minto, andando ad aprire la finestra. “Giuro che è l'ultima volta che-”

“Evviva, grazieeee!” esclamò Purin correndo ad abbracciarla.

Taruto entrò, cauto, appoggiandosi all'intelaiatura della finestra. “Salve a tutti.” fece un po' impacciato, mentre Purin scioglieva l'abbraccio e gli faceva un sorriso raggiante.

“Ehi, togliti da lì, devo chiudere la finestra!” lo rimbrottò Minto, scacciandolo come se fosse un insetto fastidioso.

“Scusa!” si affrettò a rispondere lui, arrossendo e mettendosi a fluttuare ad un paio di metri di altezza.

Minto richiuse la finestra con un colpo secco. “Incredibile. Non so neanche se a voi alieni piace, il cibo umano...” disse aggiustandosi il vestito.

“Oh, abbiamo scoperto che le nostre diete sono più simili di quanto non credessimo!” rispose Purin facendo cenno a Taruto di scendere. Lui ubbidì, atterrandole vicino. Ichigo sogghignò. “Fallo mangiare Purin, deve crescere ancora tanto...”

Taruto le lanciò uno sguardo divertito. “Tu invece diventi più vecchia ogni giorno che passa, gattaccia.”

L'intera sala parve trattenere il fiato, mentre Ichigo socchiudeva gli occhi. “Minto, ho cambiato idea: sbattilo fuori di nuovo.” disse, inacidita. Masaya sembrava essersi comicamente congelato sul posto, un bicchiere di acqua tonica in mano.

Minto sorrise malignamente. “L'hai voluto, adesso te lo tieni.” replicò, divertita suo malgrado.

“Vieni Taru-Taru, ti faccio assaggiare la zuppa di funghi.” disse Purin tirandolo per un braccio. Ichigo intanto borbottò: “Incredibile, tutti questi anni non gli sono certo serviti ad imparare un po' di educazione..!”

Keiichiro intanto si era avvicinato all'alieno, aspettando che Purin gli passasse un piatto in finissima porcellana, un cucchiaio d'argento e un mestolo di zuppa. “Davvero riesci a mangiare il nostro cibo senza star male?” gli chiese, sinceramente interessato.

Taruto, preso alla sprovvista, inghiottì il cucchiaio di minestra calda tutto d'un fiato. “Uhm, a quanto pare.” rispose tossicchiando.

Keiichiro gli sorrise. “Perdonami se te lo chiedo, ma di solito cosa mangiate, sul vostro pianeta?”

“Ehm...vediamo...” balbettò l'alieno, mentre Purin sorbiva in silenzio la sua zuppa di fianco a lui. “È un po' difficile da spiegare, Pai sicuramente saprebbe farlo meglio di me. Fino a qualche anno fa mangiavamo quasi esclusivamente ndgatr. È una specie di...pastella che si può cuocere oppure bere liquida. Il sapore non è male. La ricaviamo da un fungo che cresce sottoterra.” Purin gli scoccò un'occhiata sorpresa. “E mangiavate solo quello?” chiese, sgranando gli occhi.

Taruto si strinse nelle spalle. “Non c'era molto altro. L'agricoltura era scarsa e difficile da praticare...ma in questi ultimi anni le cose sono molto migliorate, nonostante la guerra.” Fece una pausa per ingollare un'altra cucchiaiata. “Questa non sa di ndgatr, proprio per niente.” fece in tono riconoscente. “Comunque, ora la superficie è abitabile e i nostri scienziati sono riusciti a clonare il DNA di alcuni semi che i nostri antenati si erano portati dietro dalla Terra...”

Senza che se ne rendesse conto, anche gli altri invitati gli si erano avvicinati per sentire quello che aveva da dire. Si guardò attorno di sfuggita, sentendosi vagamente a disagio.

“Quanti siete, sul vostro pianeta?” chiese Ryou in tono noncurante, ma Taruto era pronto a scommettere che fosse più interessato alla risposta di quanto non lasciasse trasparire.

“Di preciso non lo so.” rispose scrutandolo attentamente. “L'ultimo censimento è stato fatto dopo l'insediamento della regina, e mi pare che la cifra si aggirasse attorno al miliardo.”

“Vuoi dire un miliardo di persone?” intervenne Retasu. “Noi qui sulla Terra siamo sette miliardi...”

Taruto fece un sorriso amaro. “Sì, siamo pochi, e per lo più concentrati nell'emisfero sud. Gran parte del pianeta è disabitato, ma ci stiamo organizzando per colonizzarlo. Il governo ha approvato una politica di incremento demografico...”

“Un miliardo di soldati sono comunque una cifra impressionante.” osservò Ryou incrociando le braccia. Non si fidava, realizzò Taruto rifiutandosi di distogliere lo sguardo da quelle iridi color ghiaccio. “Sul vostro pianeta ogni persona vivente è un soldato?” replicò in tono di sfida. Non si sarebbe fatto mettere all'angolo: lui e i suoi fratelli erano tornati sulla Terra per aiutarli, non per fare loro la guerra!

Ryou non rispose, limitandosi a guardarlo. Taruto scosse la testa. “Non crediate che tutta la mia specie sia in grado di volare, o di creare Chimeri, esattamente come non tutti gli esseri umani sanno usare le vostre armi o pilotare le vostre macchine volanti.”

Lo scienziato parve momentaneamente soddisfatto di quella risposta. Keiichiro si fece avanti. “Prima parlavi di politiche di incremento demografico?” chiese, mostrando abbastanza cortesia per tutti e due.

Taruto sollevò un sopracciglio. “Perché ti interessa tanto?”

L'uomo sorrise. “Chiamalo 'interesse antropologico', sebbene il termine non sia completamente adeguato.”

“Hmm.” fece l'alieno, finendo la zuppa. Un piacevole senso di calore gli si era diffuso in tutto il corpo, fino alla punta delle orecchie. “Beh, sì, dato che ora possiamo permettercelo, la regina ha ritenuto opportuno cercare di aumentare le nascite. Questo significa matrimoni più frequenti e ad un'età più bassa rispetto a una volta. Cose del tipo 'mostra di amare la tua patria sposandoti e facendo figli'.” spiegò sghignazzando.

Purin sobbalzò. “Vuol dire che...anche tu..?” domandò, un'espressione ferita dipinta sul volto.

Taruto si sentì sprofondare. “No, no! Cioè, non è che ti costringono, ecco. È, diciamo, una cosa fortemente incoraggiata, ma non è...insomma...Kisshu è più vecchio di me e non ne vuole sapere, figurati!”

Ichigo sorrise amaramente. “Immaginavo che non fosse il tipo.” si lasciò sfuggire, e Taruto dovette reprimere un moto di rabbia improvvisa nei suoi confronti. Se solo sapesse..., pensò stringendo le mani a pugno. “Da noi, una volta sposati lo si è per sempre.” mormorò osservandola attentamente.

“Avete considerato la poligamia? Certo sarebbe la cosa più conveniente da fare, se l'obbiettivo è la ripopolazione con un pool genetico il più ampio possibile-” intervenne Keiichiro, ma Taruto lo interruppe bruscamente: “No, la poligamia è fuori discussione.” Senza staccare gli occhi da Ichigo, sperando che il messaggio le arrivasse forte e chiaro, aggiunse: “Non so se si tratti di una cosa genetica o culturale, ma per noi amare più persone alla volta è...inconcepibile. Esiste solo un'unica persona, punto.”

Retasu si fece avanti timidamente. “Anche per noi è così, o almeno per la maggior parte di noi...”

Calò un silenzio imbarazzato. Ichigo sembrava come pietrificata. Taruto, soddisfatto di quella reazione, distolse finalmente lo sguardo, andando a posarlo nel piatto vuoto che ancora teneva in mano.

Ryou spezzò il silenzio dicendo: “Sembra che sul vostro pianeta abbiate delle regole piuttosto rigide.”

Taruto non rispose. Purin gli posò una mano sulla spalla, sorridendogli incoraggiante, gli occhi castani pieni di affetto. “Tutto ok?” gli sussurrò, e il suo stomaco prese a fargli le capriole. Realizzò solo allora il guaio in cui si era cacciato. Fino ad allora avevano scherzato, capì, ma non potevano più permettersi di fare i bambini. Era giunto il momento di tornare seri. La sua mente volò istintivamente a Pai, che la sua scelta l'aveva fatta già da un po', e mentre si sforzava di rassicurare Purin una domanda pulsante gli premeva dolorosamente sul cuore: cosa ne sarà di noi due?

 

***

 

La festa proseguì in modo più rilassato dopo che Keiichiro si scusò con Taruto se per caso l'aveva offeso con le sue domande. L'alieno e Purin passarono parecchio tempo insieme, dato che la ragazza sembrava essersi messa in testa di fargli assaggiare tutte le pietanze e le bibite presenti nel buffet.

Zakuro raggiunse Ryou mentre quest'ultimo se ne stava in disparte, lo sguardo perso oltre il vetro di una finestra, un bicchiere di champagne mezzo vuoto nella mano destra.

“Serata interessante.” esordì la donna, affiancandoglisi senza però avvicinarsi troppo.

Ryou ridacchiò. “Già, chi l'avrebbe mai detto che avere un alieno ad una festa potesse rivelarsi così interessante...” disse voltandosi verso di lei. “Sei...splendida, stasera.” aggiunse. Lei sorrise. “Anche tu non sei male.”

In tutta risposta, Ryou sollevò in aria il bicchiere, portandolo poi alle labbra.

“Ho letto il diario.” fece Zakuro dopo qualche momento.

“Hmm.” fece Ryou, deglutendo. “Come ti è sembrato?”

“Interessante.” fu la laconica risposta di lei.

Lui corrugò la fronte. “Solo interessante? Mi aspettavo un commento più articolato. In fondo, è il lavoro di una vita.”

Zakuro sollevò un sopracciglio. “Molto interessante.”

Ryou fece una smorfia. “Già meglio.”

“La parte dedicata alla Mew Aqua ha degli spunti intriganti.”

“Sì, sarebbe bello poterla studiare in modo più approfondito, se l'avessimo ancora a disposizione.”

“Il fatto che Ichigo potesse usare il Mew Aqua Rod...” continuò Zakuro con voce pacata.

Ryou annuì. “Sì, quell'oggetto fu ritrovato da mio padre nelle rovine della città aliena. Ancora non sono certo del motivo per cui MewIchigo è stata in grado di utilizzarlo. Onestamente, non ho idea del perché gli antichi alieni abbiano creato la Mew Aqua, né come siano riusciti a farlo...”

Ci fu un momento di silenzio. “Ho letto anche un'altra cosa che mi ha colpita.” confessò la donna, fissandolo con i suoi occhi blu come zaffiri.

Ryou le lanciò un'occhiata interrogativa.

“Quello che succede a chi non è in grado di fondersi con il DNA degli animali a codice rosso.”

Ryou non disse nulla, perfettamente immobile, il volto una maschera indecifrabile.

“Nessuna di loro ne è al corrente, per ora.” continuò Zakuro, “ma se leggeranno il diario...”

“Solo Kei lo sa, e se fosse stato per me non l'avrei detto nemmeno a lui.” replicò freddamente lo scienziato.

“Non hai paura?” gli chiese Zakuro, seria quanto lui.

“No.”

“Nemmeno di far soffrire le persone che ti amano?”

Ryou sorrise amaramente. “Non ho persone del genere nella mia vita.”

“Questa è una convinzione molto egoistica. E una bugia bella e buona.”

Rimasero in silenzio a guardarsi per un tempo che sembrò infinito. Alla fine, fu Ryou a prendere la parola: “Non dirlo a nessuno, ti prego.”

Zakuro annuì. “Hai la mia parola.”

Lo sguardo di Ryou la oltrepassò, andando a posarsi su Retasu.

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutte! :) Ecco, stavolta ci ho messo di più ad aggiornare perché ho avuto gli esami, e poi mi sto preparando per il tirocinio. Comunque, eccomi di nuovo qui. ;) Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ho cercato di approfondire un po' il mondo e il background dei nostri alieni, per come me li immagino io. Il fatto che sia Kisshu che Taruto nell'anime siano piuttosto bassi (sì, Kisshu è bassino, credo sia poco più alto di Ichigo...nel manga si vede meglio xD) l'ho voluto collegare alla malnutrizione che hanno subito durante gli anni dell'infanzia: se un bambino è malnutrito è anche più gracile e più basso rispetto ad uno nutrito come si deve (sapevatelo!).

Spero che le ragazze siano sempre IC. Vi lascio con il cliffhanger di Ryou (cosa avrà voluto dire Zakuro?) e con la speranza che recensirete! Intanto voglio ringraziare di nuovo la gentile lettrice che mi ha contattata su Facebook per farmi sapere che apprezza la mia storia. :) Baci! 

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Capitolo 26
*** The awful truth ***


Prima di lasciarvi al capitolo, ci tenevo a dire due cose:

  • Da qui inizia la parte “drammatica” della storia. Non voletemi male!

  • Questo capitolo, che ci ho messo un bel po' a scrivere e che è uno dei miei preferiti fin'ora, lo voglio dedicare a Tifa27, che mi lascia sempre delle recensioni chilometriche e ragionatissime e mi sprona ad andare avanti. Un grazie di cuore! :)

 

 

 

 

26. The awful truth

 


 

Vedeva sé stessa com'era anni prima, con i capelli corti, più bassa e più magra di com'era adesso.

Vedeva sé stessa da Mew Mew: quel vestitino rosa così lezioso, la coda nera che spuntava da sotto la gonna, le orecchie a punta che facevano capolino tra i capelli sciolti.

Vedeva sé stessa avanzare nel buio, un passo alla volta, il suono del campanellino che le picchiettava insistentemente i timpani.

E poi vedeva lui. E non poteva muoversi, né urlare alla sé stessa più giovane di spostarsi da lì, di correre via.

Lui non era Masaya, lui era la morte in persona, per lei e per tutto il mondo. Avrebbe voluto gridarlo ai quattro venti, avvertire MewIchigo di non fare un altro passo, ma la voce non le usciva.

La sé stessa più giovane continuava ad avvicinarsi, e lei non poteva fare niente per impedirlo, e il panico la avvolse, minacciando di soffocarla, proprio come le dita diafane di Deep Blue attorno al collo di MewIchigo.

La spada, scintillante e affilatissima, quella che per mesi l'aveva protetta, era adesso l'arma che l'avrebbe uccisa. Senza appello, senza pietà.

Conosceva bene quella sensazione: la cristallina realizzazione di stare per morire.

La spada si mosse, fulminea, e lei avvertì un dolore lancinante all'altezza dell'addome. Le gambe le diventarono insensibili, mentre continuava inesorabilmente a soffocare.

Di fronte a lei, senza vita, c'era Kisshu, il corpo spezzato dal colpo di Deep Blue.

E lei continuava a soffocare.

 

Ichigo fu svegliata dal rumore delle sue stesse urla, con Masaya che la stringeva tra le braccia mentre lei scalciava e si dimenava con tutte le sue forze.

“Ichigo!” la chiamò, con voce bassa ma imperiosa. Lei si immobilizzò all'istante, spalancando gli occhi. Nella penombra distinse il familiare profilo della scrivania di Masaya, della pianta in vaso, della porta dal lato opposto della stanza.

“Va tutto bene.” le disse lui accarezzandole piano i capelli. “Era solo un sogno.”

Ichigo prese una serie di respiri profondi. Si accorse di aver sudato freddo, e un brivido la scosse.

“Devo...devo andare un attimo in bagno.” mormorò con voce roca, sgusciando via dall'abbraccio di lui. Masaya si alzò sui gomiti ma non disse nulla, limitandosi a seguire i suoi movimenti con lo sguardo.

Ichigo barcollò verso la porta, la aprì cercando di non fare rumore – i genitori del suo ragazzo dormivano in fondo al corridoio - e si diresse verso il bagno.

Accese la luce e tutto le sembrò acquisire un'apparenza diversa, minacciosa. Gli oggetti intorno a lei sembravano troppo definiti, rigidi, come se – si ritrovò a pensare confusamente – volessero imprimersi forzosamente sulla realtà.

Scosse la testa, cercando di schiarirsi la mente, ancora intontita dal sonno e dall'incubo. A volte, pensò mentre si sciacquava la faccia con l'acqua fredda, gli incubi sono delle gabbie da cui non riesci a uscire, non importa quante volte ci provi.

Si guardò allo specchio. I capelli erano un disastro, la pelle le sembrava cerea e – se ne accorse solo allora – i crampi che avvertiva alla pancia erano un probabile segno del ciclo. Nel sogno doveva averli interpretati come la spada di Deep Blue nelle sue viscere.

Tornò in camera cercando di non pensare a niente, giocherellando con il ciondolo d'oro a forma di gatto che Minto le aveva regalato quella sera. Chissà quanto le sarà costato, era stato il suo primo pensiero quando la ragazza aveva consegnato a tutte loro una scatolina in velluto grigio perla.

Per ricordare i vecchi tempi, aveva detto Minto con un sorriso.

E chi se li dimentica, i vecchi tempi.

 

***

 

Quando Minto si svegliò, in tarda mattinata, venne informata del fatto che Zakuro era già scesa a fare colazione. Dopo una veloce toeletta, si infilò la vestaglia e scese le scale, diretta in sala da pranzo. Sfiorando sovrappensiero il ciondolo a forma di uccellino che portava al collo, realizzò che non ricordava esattamente quando aveva smesso di curarsi di scendere a fare colazione già vestita e truccata e aveva imparato ad essere più spontanea. Probabilmente a Parigi, pensò mentre si abbassava ad accarezzare Mickey, che era corso su per le scale a salutarla, scodinzolante.

Di sicuro non sarebbe mai riuscita a farsi vedere in pigiama da Zakuro sette anni prima.

Sapeva che la cosa era reciproca: Zakuro passava la maggior parte del suo tempo in mezzo a gente il cui mondo girava intorno all'aspetto fisico e non poteva permettersi di essere vista se non come la diva che tutti ammiravano e invidiavano. Eppure eccola lì, in pigiama e vestaglia come lei, seduta al tavolo della colazione con il giornale in mano: poteva sembrare una cosa da niente, ma Minto sapeva che una cosa semplice come fare colazione insieme in pigiama in realtà nascondeva una serie di pensieri e sensazioni non espressi, e sapeva anche di essere una delle pochissime persone con cui Zakuro si concedeva di abbassare la guardia in quel modo. Una persona cara, un'amica, una sorella: una sensazione di familiarità che era mancata ad entrambe per molto, troppo tempo.

“Buongiorno, Zakuro-oneesama.” la salutò sorridente. Mickey la seguì, la lingua di fuori, puntando gli occhietti neri su Zakuro.

“Buongiorno.” rispose la donna, ripiegando il giornale: lo sguardo di Minto volò al suo collo, dove faceva bella mostra di sé il ciondolo del lupo dorato con gli occhi in ametista. Il suo sorriso si intensificò. “È stata una bella festa ieri sera, non credi?” chiese sedendosi.

Zakuro sorbì un sorso di caffé. “Sono d'accordo.”

Minto prese un cornetto e lo tagliò a metà con un coltello. “Sta' giù, Mickey.” ammonì il cagnolino, che per quanto beneducato fosse cercava sempre di ricevere qualche bocconcino prelibato. “Ho visto i fiori in ingresso...qualche ammiratore ha scoperto dove vivi?”

Zakuro sorrise, enigmatica. “Non sono per me.”

Minto si arrestò, il pezzo di brioche a mezz'aria. “Cosa vuoi dire? E per chi sarebbero?”

La modella inclinò leggermente la testa verso sinistra. “Perché non vai a vedere?” Sembrava estremamente divertita, si accorse Minto con una punta di fastidio: la faceva innervosire non essere a conoscenza di cosa le succedeva intorno.

Ostentando indifferenza, si alzò graziosamente dalla sedia e, seguita a ruota dal cagnolino, si diresse all'ingresso della villa. I fiori erano ammassati a mazzi sul mobile in legno all'entrata e ce n'erano di tutti i tipi: rose, gigli, tulipani, orchidee, narcisi, iris, margherite...Minto si sentì la testa leggera. Non era certo la prima volta che riceveva dei fiori – suo fratello le portava sempre un mazzetto di gelsomini ai suoi spettacoli, e a Parigi quando si era esibita aveva ricevuto mazzi enormi di rose rosse – ma mai le ne avevano dedicato una tale quantità tutta insieme. Se da un lato la trovava una cosa di pessimo gusto, dall'altro non poteva fare a meno di sentirsi vagamente lusingata.

Prese il biglietto tra le mani, certa che si trattasse di un errore, ma eccole lì, le parole scritte a mano, con una calligrafia pulita e ordinata: “Per Aizawa Minto-san, da Watanabe Daisuke”. Corrugò la fronte: non aveva idea di chi fosse quel Watanabe. Forse un amico di suo fratello, o un collega di suo padre?

“Signorina, non sapevamo dove metterli...” le fece una cameriera alle sue spalle.

Minto si girò a guardarla, il bigliettino ancora in mano. “Immagino in vasi pieni d'acqua.” rispose distrattamente, oltrepassandola e tornando da Zakuro, che non si era mossa dalla sedia.

Le due si guardarono in silenzio per qualche istante. “Non so chi sia questo tizio, ma gli manca completamente il senso poetico.” commentò Minto d'un tratto, posando il biglietto sul tavolo.

Zakuro sorrise, complice.

 

***

 

Retasu chiuse il librone di anatomia su cui era rimasta china tutto il giorno, sottolineandolo fino a scaricare l'evidenziatore.

L'esame si avvicinava sempre di più, ma per quanto si sforzasse non riusciva a preoccuparsene...e la cosa, paradossalmente, la preoccupava: tipico labirinto logico in cui le capitava spesso di cadere, durante i lunghi pomeriggi solitari passati a riflettere in silenzio.

Si sfregò gli occhi, sospirando. La verità era che aveva troppi pensieri per la testa, in quelle settimane. La sua vita monotona le sembrava ancora più noiosa da quando era tornata ad interessarsi al Progetto. Come poteva trovare minimamente interessante l'università quando aveva ogni giorno a che fare con creature sovrannaturali che minacciavano di conquistare la Terra?

Il suo pensiero volò istintivamente a Pai e il cuore le si strinse. Perché avvertiva tutta quella malinconia pensando a lui?

A quanto sembrava, si era fatta delle illusioni recondite su loro due, che dovevano essere rimaste intrappolate nel suo inconscio durante tutto quel tempo.

Che cosa poteva pretendere da lui, in fondo? Praticamente non si conoscevano neanche. Non si può mica stabilire una relazione solo sui non detti e sugli sguardi rubati, si disse, cercando di appellarsi al proprio buonsenso.

Eppure, quando la sera prima aveva preso il coraggio a quattro mani e aveva chiesto a Taruto di Pai, si era sentita sprofondare alla sua risposta.

“Certo che è sposato.” le aveva detto Taruto candidamente. “Lui e Kyrie hanno avuto un bambino circa tre anni fa.” Le aveva lanciato uno sguardo stranito. “Perché ti interessa?”

Già, perché le interessava? Perché le erano tremate le ginocchia alla notizia che Pai fosse sposato?

Forse perché si illudeva che lui l'avesse aspettata, per tutti quegli anni? Che lui pensasse a lei nello stesso modo in cui Kisshu pensava ancora a Ichigo?

Ridicolo. Lei non era nessuno per Pai, nemmeno più una spia luminosa sul suo radar. Non era mai stata importante, per lui, e si era inventata tutto per...cosa? Egoismo? Arroganza?

Pai era sempre stato un mistero, per lei; un mistero che aveva avuto la presunzione di credere di aver risolto, quando in realtà non aveva mai capito niente di lui.

Sospirò, posando una mano sul ciondolo a forma di neofocena che Minto le aveva regalato la sera prima. In tutti quegli anni, Retasu non era mai riuscita a trovare un ciondolo che riproducesse così bene l'animale il cui DNA era fuso col suo: nei negozi al massimo trovava piccole riproduzioni di delfini o di pesci. Minto, invece, si era fatta fare apposta un ciondolo con le fattezze della neofocena, come se non bastassero già l'oro e i piccoli smeraldi incastonati a renderlo un regalo in sé preziosissimo.

Stringere il ciondolo tra le mani le infuse un nuovo senso di chiarezza mentale. La sera prima le erano state date tre cose: una notizia che l'aveva sconvolta, un regalo da parte di una cara amica e la chiave a tutte le loro domande, ovvero il diario di lavoro di Kei e Ryou. Zakuro gliel'aveva consegnato poco prima che si salutassero, a serata conclusa.

Ricacciando indietro la malinconia per Pai, la ragazza estrasse il diario cifrato dal cassetto della scrivania. La copertina era consunta ai bordi, di un semplice nero un po' sbiadito dagli anni. Lo aprì delicatamente, come se potesse sgretolarsi al primo tocco, e iniziò a leggerlo sotto la luce della lampada alogena.

Questo è il risultato delle ricerche su cui mio padre ha lavorato per buona parte della propria vita, esordivano le prime righe, e Retasu sorrise debolmente: era la voce di Ryou, quella che stava leggendo. Le sue parole, i suoi pensieri.

Il μ-Project.

Seguivano una serie di formule matematiche, che solo in parte riuscì a comprendere, ed un dettagliato resoconto di quali dei loro geni fossero stati modificati dal DNA animale.

Ovviamente, Retasu era a conoscenza di essere una delle pochissime persone sul Pianeta ad avere geni compatibili con quelli degli animali in via di estinzione.

Nelle specie animali in via d'estinzione l'istinto di sopravvivenza è tale da fornire loro una particolare forza contro l'annientamento. Questa forza è la chiave del potere mew. Iniettando il DNA delle specie in via d'estinzione negli animali infettati dal parassita alieno, questo viene distrutto. Le armi mew agiscono precisamente in questo modo, traendo la loro forza dal DNA mew: perciò, esse sono utilizzabili solo da individui il cui DNA sia stato modificato.

Retasu sgranò gli occhi. Non aveva idea che le loro armi funzionassero in quel modo! Lei si limitava a evocare le sue nacchere e attaccare, senza farsi troppe domande. Chissà se le altre lo sapevano, si chiese distrattamente, afferrando un angolo della pagina tra pollice e indice.

Il diario proseguì nelle sue spiegazioni, sempre più specifiche a mano a mano che Retasu voltava pagina. Le spille dorate attivavano la mutazione, che altrimenti restava latente e non si manifestava, per tutte tranne che per Ichigo: la sua mutazione era la più instabile di tutte e, in conseguenza di ciò, talvolta si manifestava anche quando non doveva. Le spille venivano attivate dal contatto con il loro DNA - ecco perché dovevano baciarle per potersi trasformare – e inviavano un segnale costante al computer principale, in modo che la loro posizione fosse sempre rintracciabile.

Impressionante, pensò Retasu ammirata.

In individui non compatibili con i geni degli animali a codice rosso la mutazione comportava un doppio aspetto fisico, quello umano e quello animale, senza che ci fosse lo sviluppo di alcun potere. La mutazione era rischiosa, perché restare per troppo tempo in forma animale avrebbe significato non poter più tornare umani.

Questo è ciò che è successo a Ryou, pensò la ragazza corrugando la fronte. E quello che succederà anche a noi, se dovessimo cercare di trasformarci di nuovo, rifletté ricordando quello che lo scienziato aveva detto loro non molto tempo prima.

Ma all'epoca non lo sapevano, osservò girando pagina. Sennò qui ci sarebbe stato scritto.

Il capitolo sulla Mew Aqua mostrava quanto poco Ryou e Keiichiro fossero riusciti a capire di quell'energia misteriosa alla quale i loro corpi reagivano se spinti da forti emozioni. La Mew Aqua è un prodotto dell'antica civiltà aliena. Essa non è una fonte di energia, ma un semplice contenitore. Da dove venga questa energia e per quale proposito originale sia stata creata ci è a tutt'oggi ignoto.

L'artefatto recuperato durante gli scavi archeologici in Anatolia è stato da noi chiamato Mew Aqua Rod. Superando le nostre più grandi aspettative, MewIchigo è stata in grado di utilizzarlo per raccogliere e successivamente sprigionare l'energia contenuta nei frammenti di Mew Aqua trovati nel suolo di Tokyo. In fondo al paragrafo c'era un asterisco con un appunto a fianco: vedi risveglio di Deep Blue.

Il capitolo successivo parlava degli alieni e di quello che Ryou e Kei erano riusciti a imparare sulla loro cultura e sulle loro origini grazie a Masha, che si era infiltrato nel loro computer principale quando era finito per sbaglio nella loro dimensione. La loro specie, indigena del pianeta Terra, era molto più antica rispetto ad Homo sapiens: avevano abbandonato la Terra circa tre milioni di anni prima, mentre i primi esseri umani moderni erano venuti al mondo da appena 200.000 anni. Chissà cosa devono aver pensato, una volta tornati qui, si chiese Retasu distogliendo un attimo lo sguardo dalla pagina. Come dobbiamo sembrare primitivi ai loro occhi...!

Seguiva un paragrafo di speculazioni che attirarono il suo interesse in modo particolare: dai dati che Masha aveva raccolto durante il breve ma intenso combattimento tra MewMinto e MewZakuro, quando sembrava che quest'ultima avesse tradito la causa, una cosa era inequivocabile: le armi mew erano in grado di ferire le Mew Mew. Da questo punto di vista, le Mew Mew sono simili agli alieni, tanto che le armi non riconoscono la differenza. Se a questo si somma il fatto che MewIchigo è in grado di utilizzare artefatti alieni e che tutte e cinque reagiscono alla Mew Aqua, si ottiene un interessante quanto evidente paradosso: le ragazze sono più simili agli alieni che agli esseri umani che tanto si sforzano di proteggere.

Retasu fece una breve pausa, incrociando le dita sotto il mento. Non l'aveva mai pensata a quel modo, ma il ragionamento non faceva una piega. Forse era per quello che aveva sempre avvertito una strana affinità con Pai...

Sospirò. La sua mente alle volte era la sua peggiore nemica.

Interessante ipotesi genetica: è possibile che in realtà la specie aliena e quella umana siano in qualche modo imparentate? Solo lo studio del DNA alieno potrebbe sciogliere questo quesito.

Il resoconto delle battaglie proseguiva in ordine cronologico. La parte su Deep Blue, Ao no Kishi e Aoyama era lunga, ma almeno di quella Retasu era discretamente ben informata.

Con la fine della loro missione, il diario presentava uno iato simboleggiato da una pagina lasciata in bianco. Retasu considerò di fare una pausa, magari bere una camomilla o una tisana, ma la curiosità era troppo forte e non riuscì a staccarsi dalla scrivania.

Fissò la pagina bianca per qualche istante. Eccolo lì, lo spartiacque tra la loro generazione e quella nuova. Condensate in quella pagina vuota erano mille emozioni, mille cose non dette, le promesse di restare in contatto, gli auguri di buon proseguimento e buona fortuna: sette anni della sua vita, della loro vita, e le sembrava che fossero volati via in un soffio.

Sfiorò di nuovo il ciondolo, voltando pagina.

Decadimento cellulare: sto invecchiando precocemente. Ci ho messo qualche anno ad accorgermene: all'inizio non era per nulla evidente, ma adesso i segni sono inequivocabili. Mi chiedo se la causa sia il DNA incompatibile. In fondo, la speranza di vita di un gatto oscilla tra gli undici e i vent'anni.

La ragazza sbatté le palpebre più volte, rileggendo le parole che si trovava di fronte. Doveva per forza aver letto male.

Rilesse un'altra volta, e poi un'altra ancora. Era come se il cervello le si fosse inceppato.

Non capiva quello che stava leggendo. Perché c'erano scritte quelle cose? Chi le aveva scritte? Perché le aveva scritte? Non potevano essere vere...

In fondo, la speranza di vita di un gatto oscilla tra gli undici e i vent'anni.

Era uno scherzo. Doveva essere uno scherzo.

Voltò pagina. Il μ-Project sta per essere nuovamente attivato, recitavano le righe successive. Scorse velocemente i paragrafi successivi: nessun'altra menzione di precoce decadimento cellulare. Era come se quelle righe fossero state scritte per caso, come se non fossero altro che un appunto preso distrattamente.

Tornò indietro e rilesse per l'ennesima volta. La gola le si strinse mentre una subdola sensazione di panico le gelava le vene.

Ryou.

Fu l'unica cosa che le riuscì di pensare. Si alzò in piedi lentamente, allontanandosi dal diario come se fosse un serpente velenoso in procinto di morderla.

Ryou, dimmi che è uno scherzo.

Dimmi che non è vero.

Uscì di corsa dalla camera, scese a capofitto le scale e indossò le prime scarpe che trovò in ingresso.

“Retasu, stai uscendo?” La voce di sua madre dalla cucina le arrivò ovattata. Non rispose. Afferrò il cappotto e uscì di casa prima ancora di averlo indossato.

E si mise a correre.

L'aria della sera le graffiava i polmoni, la frangetta continuava a finirle negli occhi e le lacrime le offuscavano la vista.

Correva. Se avesse riflettuto con più calma avrebbe preso la bicicletta, o avrebbe chiesto a suo padre di prestarle l'auto, ma non riusciva a pensare. Era come se non le arrivasse più ossigeno al cervello.

Correva per le strade illuminate dalla fredda luce dei lampioni, il cappotto male abbottonato che le frustava le gambe.

Le faceva male la milza. I singhiozzi si mescolarono al fiatone e ai gemiti, ma non si fermò.

Doveva sapere, andare da lui, ora.

Ryou, ti prego, dimmi che non è vero.

Dimmi che non stai morendo.

Ti prego.

Io ti amo.

Ryou.

Ti prego.

Accecata dai fari delle auto e dalle proprie lacrime, Retasu correva a perdifiato in direzione del Café. Aveva percorso quella strada centinaia di volte, ma mai con una tale urgenza ed una tale disperazione nel cuore.

I suoi muscoli, no, tutto il suo corpo urlava per la fatica e il dolore, ma la ragazza lo ignorò. Un'auto le suonò il clacson – probabilmente aveva attraversato senza guardare – e lei la ignorò. Non esisteva più niente, il mondo non aveva più senso, era tutto sbagliato, tutto storto.

“Ryou...ti prego...Ryou...ti prego...” gemette, come se si trattasse di un mantra.

Non poteva essere vero, non era giusto...non aveva alcun senso...

Ad un tratto, una figura le si parò di fronte, sul marciapiedi deserto. Non riuscì a vederla chiaramente, non le importava. Deviò per aggirarla, ma quando le passò accanto la figura esclamò: “Ehi, non è carino ignorare la gente!”. Detto ciò, le finì goffamente addosso, facendola rimbalzare indietro. Retasu inciampò sui propri piedi e cadde a terra.

“Ho bisogno di una cosa, da te.” le fece la donna in tono risoluto, le mani sui fianchi.

Retasu sbatté le palpebre freneticamente, nel tentativo di metterla a fuoco, ed ebbe un'altra prova che il mondo era impazzito...o forse era impazzita lei.

Di fronte a lei c'era Ichigo, in minigonna e top senza maniche, ballerine argentate e giubbotto leopardato. La osservava con un'espressione che le diede i brividi, gli occhi castani fissi su di lei e un sorriso che non le aveva mai visto in volto in tutta la sua vita.

“I-Ichigo?” singhiozzò, le lacrime che non volevano saperne di smettere.

La ragazza annuì, senza cambiare espressione. “Sì, sono io.” disse tendendole una mano. “Che succede, perché piangi?” chiese addolcendo il tono della voce.

Retasu si asciugò gli occhi con il dorso della mano. “Cosa...ci fai qui?” chiese tirando su col naso.

“Passeggiavo.” rispose Ichigo, facendo un passo avanti, sempre con la mano tesa nella sua direzione.

Retasu le porse la sua, e Ichigo strinse, facendola rialzare in piedi. “Come ti sei vestita?” balbettò Retasu timidamente, e in quel momento qualcosa le punse il braccio. Sobbalzò, cercando di ritrarre la mano, che era ancora stretta a quella di Ichigo, e si accorse con orrore che la mano della sua amica si era come sciolta, deformata, e le era strisciata lungo l'avambraccio, conficcandosi nella sua carne.

Retasu si sentì mancare e lanciò un urlo, in preda al terrore. “Cosa...cosa sei?!” gridò orripilata, ma l'essere non fece in tempo a rispondere, perché una bianca scarica di elettricità lo colpì con violenza alla schiena.

Dietro di esso, in perfetto equilibrio su un lampione, si stagliava la figura di Pai, il ventaglio rosso ancora fumante per il fulmine che aveva appena scagliato.

 

 

 

 

 

 

 

 

Eeee quindi, sì.

Non voletemi male.

Ci vediamo al prossimo aggiornamento. Non vorrei rallentare gli aggiornamenti più di tanto ma ho una storia da scrivere per il contest di Merion Selene. ;)

Ci tenevo a precisare che la cosa dell'invecchiamento cellulare precoce non è un'idea mia, ma un head-canon che gira molto sui forum anglofoni.

Ancora, non uccidetemi... ^^''' (Retasu nel frattempo mi chiede perché le voglio così male- Pai sposato e Ryou morente, e fortuna che vado a dire in giro che è la mia Mew Mew preferita! xD)

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Capitolo 27
*** Daisuki ***


27. Daisuki



 

La falsa Ichigo emise un grido di dolore, crollando al suolo e mollando la presa dall'avambraccio di Retasu, la quale indietreggiò il più velocemente possibile. Cos'è quel coso? Perché assomiglia ad Ichigo?!, pensò freneticamente la ragazza mentre Pai le si parava di fronte, voltandole le spalle.

Retasu notò di sfuggita che il braccio sinistro dell'alieno era fasciato e appeso al collo. È ancora ferito, ma è corso lo stesso ad aiutarmi, osservò mentre la gola le si chiudeva nuovamente.

La creatura si rialzò, le gambe nude che le tremavano. Sembrava davvero Ichigo: gli occhi erano della medesima forma e colore, i capelli erano i suoi, il viso era identico, per non parlare della sua voce. Era una copia perfetta: solo i vestiti avevano qualcosa di strano, nel senso che non erano appropriati per le temperature invernali e che la vera Ichigo non si sarebbe mai vestita in quel modo.

Retasu si diede dell'idiota per non aver capito che si trattava di una trappola.

La finta Ichigo squadrò Pai con odio. “Non avresti dovuto metterti in mezzo.” sibilò alzandosi in aria, i lunghi capelli rossi fluttuanti, come se fossero mossi da una qualche energia misteriosa.

“Che cosa sei?” le chiese Pai, freddo, il ventaglio stretto nella mano destra.

L'essere sorrise. “La domanda giusta è chi.” La sua figura tremolò, come se si trattasse di un miraggio, e per un momento Retasu credette che fosse in procinto di smaterializzarsi. Invece, con sua somma sorpresa, i suoi capelli cambiarono colore, accorciandosi; il suo corpo si rimodellò, diventando un po' più alto e un po' meno snello, e in un attimo Retasu si ritrovò riflessa in quella creatura, che aveva assunto le sue sembianze con una velocità tale da farle tremare le ginocchia.

“Già, chi è la domanda giusta.” ripeté l'essere, questa volta con la sua voce.

Retasu si toccò il braccio in cui poco prima la creatura aveva conficcato le dita, e capì. “Sei il Chimero che assorbe il nostro DNA, vero? Hai rubato quello di Ichigo, e adesso il mio...e riesci ad assumere il nostro aspetto fisico!” esclamò, fissando il clone di sé stessa che, occhiali a parte, le assomigliava in tutto e per tutto.

“Stai indietro.” la ammonì Pai senza distogliere lo sguardo dalla creatura.

La falsa Retasu sorrise. “Sei una ragazza intelligente, ma non troppo furba, credo. Sì, sono io.” Fece una smorfia. “Accidenti, questi vestiti mi stanno stretti in questa forma.” La sua figura si increspò di nuovo, ed ecco che sotto i loro occhi Retasu si trasformava in MewSuika, con tanto di capelli scarlatti, orecchie e coda di tigre.

Per quanto tutta quella situazione fosse assurda ed estremamente preoccupante, Retasu non poté fare a meno di sentirsi leggermente offesa dal commento sui vestiti stretti.

“Allora, cosa vuoi, carino?” fece intanto il clone di Suika a Pai, posando le mani sui fianchi. “Io ho quello che volevo, potrei lasciarvi andare pacificamente.”

Pai socchiuse gli occhi. “Temo di non poter lasciartelo fare.”

L'essere fece un sorriso smagliante. “Speravo lo dicessi! Mi annoio così tanto sull'astronave...”

Con un movimento fulmineo, Pai attaccò: “Fuu rai sen!”

Il Chimero portò le mani di fronte a sé, bloccando l'attacco dell'alieno con una specie di barriera. “Ora tocca a me!” esclamò, ridendo e iniziando a volteggiare su sé stessa. “Ribbon...Strawberry...surprise!” gridò, e a Retasu si mozzò il fiato in gola.

Furono travolti in pieno dalla luce arcobaleno che contraddistingueva l'attacco più potente della sua ex-compagna di squadra. Retasu udì a malapena il gemito di Pai, sovrastato dalle sue stesse urla di dolore.

Non aveva mai provato una sensazione simile in tutta la sua vita. Il Ribbon Strawberry surprise, a dispetto del suo aspetto meraviglioso, bruciava come l'inferno: era come se tutte le sue terminazioni nervose fossero impazzite in un sol colpo.

Cadde a terra e si contorse, gli occhi serrati. Non poteva essere vero...come poteva un mostro del genere usare i loro attacchi, le loro armi...era tutto così sbagliato...

“Retasu, scappa!” udì Pai ringhiare. Spalancò gli occhi: era la prima volta che la chiamava Retasu, senza il prefisso Mew davanti. Vide che si era alzato in piedi, a fatica, pronto ad affrontare di nuovo il clone di MewSuika.

Il suo cuore stava per esplodere, lo sentiva. Stava per impazzire dal dolore, sia fisico che mentale. Pai non doveva sacrificarsi per lei. Non di nuovo.

E Ryou...Ryou che stava morendo...

“Ne vuoi ancora? Ti accontento subito!” esclamò intanto la creatura, deliziata.

“Pai, no!” gridò Retasu a squarciagola, chiudendo di nuovo gli occhi. “Ti prego, va' via!”

“Ma che...” sentì esclamare il clone, e dopo un attimo riaprì gli occhi, che le si erano riempiti di nuovo di lacrime. Entrambi la stavano fissando, ammutoliti. Pai aveva un'espressione sorpresa che raramente gli aveva visto in volto, le pupille ridotte ad una sottile linea verticale.

Retasu si guardò, chiedendosi cosa mai ci fosse di strano in lei...e si accorse di essere completamente illuminata da una soffice luce azzurra. La stessa luce che significava Mew Aqua nei paraggi.

“Ehi, che ti succede?” la apostrofò il Chimero, perplesso.

Retasu si mise in ginocchio, tremante, i rimasugli dell'attacco nemico che le mandavano fitte di dolore lungo i muscoli delle braccia e delle gambe. La luce azzurra non sembrava volersi spegnere. “Pai, non pensare a me...sei ferito...” biascicò, deglutendo dolorosamente.

L'alieno la fissò in silenzio per qualche istante. “...non dire sciocchezze.” disse poi in tono grave, girandosi di nuovo in direzione della creatura. “Fuu rai sen!”

Il Chimero, colto di sorpresa, si difese all'ultimo istante, ma fu sbalzato via dall'attacco di Pai.

“Retasu-san!” la chiamò una voce di ragazzina. Retasu si girò verso la voce, e vide MewIchijiku e MewNasubi correre verso di lei. “Stai bene?!” esclamò la Mew viola, chiaramente allarmata dal suo aspetto a dir poco luminoso.

Retasu annuì, incredibilmente sollevata. “Aiutate Pai!” le supplicò, proprio mentre il Chimero gli lanciava un Ribbon Lettuce rush.

MewIchijiku sgranò gli occhi, e MewNasubi rimase a bocca aperta. “Cosa sta succedendo?! Suika..!” gemette la viola.

“Quella non è Suika, è la creatura argentea che preleva campioni di DNA!” spiegò loro Retasu. “Vi prego, aiutate Pai! Quell'essere ha copiato i nostri attacchi...”

Le due ragazzine si guardarono, annuendo, dopodiché andarono all'attacco.

Ribbon...fire blade!

Ribbon water shield!

Il Chimero, accerchiato, non poté fare altro che schivare gli attacchi meglio che poté, ma quello di Nasubi andò a segno, facendolo gemere. “Credo che per oggi possa bastare!” si congedò, voltando loro le spalle e dandosi alla fuga.

“Non mi sfuggirai!” esclamò Pai, lanciandosi all'inseguimento.

“Io resto con Retasu-san, tu vai con lui!” disse MewIchijiku alla compagna. Le due si separarono.

Retasu, intanto, era riuscita ad alzarsi in piedi. Si sistemò gli occhiali sul naso, respirando affannosamente.

“Ehi, non brilli più!” le fece notare Ichijiku, andandole vicino. “Ma quella tizia era identica a Suika...com'è possibile?”

“A quanto pare, riesce ad assumere le sembianze di coloro a cui ruba il DNA.” rispose Retasu, lapidaria. Stava trascorrendo una delle notti più brutte della sua vita. Le girava la testa e aveva la nausea.

Ichijiku annuì, pensierosa. “Posso fare qualcosa?” chiese.

Retasu prese un respiro profondo, facendo segno di no con la testa.

Attesero in silenzio il ritorno di Pai e Nasubi, lo sguardo di Retasu fisso in avanti, quello di Ichijiku a terra.

L'alieno e la Mew Mew ricomparvero pochi minuti dopo. Dall'espressione cupa di Pai, Retasu dedusse che non era riuscito a eliminare il Chimero.

Nasubi parlò per entrambi. “L'abbiamo inseguita, ma...era velocissima, come un gatto.” Si interruppe per riprendere fiato. “Perché assomigliava così tanto a Suika?” chiese, e Ichijiku ripeté quello che le aveva detto Retasu.

“Pazzesco...” mormorò Nasubi, mentre Retasu si avvicinava a Pai. “Ancora una volta devo ringraziarti per avermi salvata.” gli disse, provando l'impellente desiderio di posargli una mano sul braccio. Non lo fece.

Pai serrò la mascella. “Non devi fare proprio niente.” replicò evitando il suo sguardo.

Retasu si sentì ferita. “Voglio ringraziarti.” insistette in tono risentito.

L'alieno sospirò pesantemente. “Non c'è di che.”

“Nasubi ed io dobbiamo andare, prima che i nostri genitori scoprano che siamo scappate di casa.” interloquì Ichijiku. Retasu distolse lo sguardo da Pai. “Certo. Grazie per essere intervenute.”

“Di niente!” fece Nasubi, facendo ciao con la mano. Detto questo, si congedarono.

Retasu si schiarì la voce. “Io devo andare al Café.” disse a Pai, cercando nuovamente il suo sguardo.

Lui ricambiò, finalmente. “Ti accompagno.”

Si smaterializzarono quasi istantaneamente, e un secondo dopo erano di fronte al Café. Le luci erano tutte spente ad eccezione di un paio al piano superiore, dove c'erano le camere di Ryou e Keiichiro.

Retasu si sentì il cuore in gola. Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare. Forse, se fosse arrivata al Café di corsa, nello stato in cui era quando era uscita di casa, avrebbe saputo cosa dire a Ryou. Ma in quel momento era talmente esaurita da avere il cervello completamente annebbiato.

Si girò verso Pai, il desiderio inespresso di parlargli, di chiedergli...cosa? È vero che sei sposato? E che hai un figlio?

No. Non aveva alcun diritto di chiedergli quelle cose. Abbassò lo sguardo.

“Immagino che tu voglia informare Shirogane di quello che è successo.” fece lui, spezzando il silenzio.

Retasu annuì lentamente. “Vieni anche tu?” chiese con un filo di voce.

“Non credo sia necessario.” rispose Pai, alzando gli occhi al cielo. Retasu lo imitò. La luna era quasi piena e luminosissima.

“È meglio se poi ti fai riaccompagnare a casa. Mi sembri scossa.” aggiunse l'alieno, e le sembrò che il suo tono si fosse un po' ammorbidito.

La malinconia la avvolse come una pesante coperta di lana. “Grazie, Pai.” mormorò chinandosi in avanti.

Solo quando ebbe percorso il vialetto ed ebbe salito i gradini udì il rumore della smaterializzazione alle sue spalle.

 

***

 

Quando Keiichiro lo informò del fatto che Retasu era arrivata senza preavviso e a quell'ora tarda, Ryou seppe che Zakuro aveva ragione: doveva aver letto il diario e aver capito tutto. Il ragazzo si infilò velocemente una vestaglia grigio perla, maledicendosi per aver ceduto all'impulso di scrivere una cosa così personale sul diario di lavoro. D'altronde, se mai qualcun altro avesse dovuto continuare il Progetto al posto suo, era giusto che sapesse come realmente stavano le cose.

Scese le scale e fece il suo ingresso nella sala principale del Café. Le sedie erano capovolte sui rispettivi tavoli, tutte tranne una, sulla quale era seduta Retasu. Era spettinata e aveva una bruttissima cera. Kei era al suo fianco, in piedi e in vestaglia a sua volta.

“Retasu è stata attaccata.” disse senza preamboli Keiichiro. Ryou fu preso in contropiede da quella notizia. “Da chi?! Stai bene?” le chiese inginocchiandosi di fronte a lei. La ragazza lo guardò, un'espressione di infinita tristezza negli occhi blu, e il suo stomaco si contrasse dolorosamente.

“Mi ha...prelevato del sangue.” mormorò Retasu dopo qualche istante, scoprendo il braccio ferito, sul quale erano ben visibili almeno tre fori rossastri, attorno ai quali c'era del sangue incrostato.

“Prendo il disinfettante.” disse Kei, dirigendosi a grandi falcate in bagno.

Ryou, quasi inconsciamente, le sfiorò l'avambraccio con le dita. Gli sembrava di stare rivivendo la stessa scena di quando Ichigo era entrata al Café, sconvolta quanto lo era Retasu in quel momento.

Quando sarebbe finita quella persecuzione? Il pensiero che le ragazze venissero attaccate in quel modo vigliacco lo riempiva di rabbia.

Retasu si irrigidì al suo tocco. “Quel Chimero...è in grado di assumere le sembianze di quelli a cui ruba il DNA. Quando mi ha attaccata era identico a Ichigo, poi si è trasformato in un clone di me stessa. E poi di Suika.” raccontò la ragazza in tono distaccato. “E sapeva anche usare i nostri attacchi.”

A quel punto, toccò a Ryou irrigidirsi. “Cosa?” chiese, i capelli che gli si rizzavano sulla nuca.

Kei tornò con il disinfettante e i cerotti e Ryou gli cedette il posto, alzandosi in piedi, senza però distogliere lo sguardo da Retasu. La ragazza continuò: “Ha usato il Ribbon Strawberry surprise e il Ribbon Lettuce rush.” I due scienziati si scambiarono un'occhiata cupa. Retasu deglutì. “Ma non è tutto...improvvisamente ho iniziato a brillare. Come...come se ci fosse della Mew Aqua nei paraggi.”

Ryou non sapeva cosa dire. Sembrava che l'universo, Dio o chi per loro avesse deciso di far succedere tutto quella notte.

“L'importante è che tu sia sana e salva.” fece Kei applicandole i cerotti sulle ferite. “Vuoi qualcosa da bere? Qualcosa con molto zucchero?” aggiunse, sorridendo. Ryou invidiava la calma che l'amico sapeva dimostrare in quei momenti. Lui si sentiva come se gli stesse mancando la terra sotto i piedi...i poteri delle Mew Mew nelle mani del nemico: quella era una delle notizie peggiori che avrebbe mai potuto ricevere.

Retasu annuì debolmente. Kei raccolse le cartacce dei cerotti e il disinfettante e si dileguò in cucina.

Ryou scrutò il volto della ragazza. Sembrava in stato di shock. “Ti ha...fatto del male?” Che domanda idiota, pensò subito dopo.

Retasu abbassò lo sguardo, le mani strette a pugno posate sulle ginocchia, e iniziò improvvisamente a singhiozzare, le spalle che si alzavano e abbassavano a scatti.

Il ragazzo si paralizzò sul posto, incapace di pensare alla cosa giusta da dire o da fare. Retasu si sfilò gli occhiali e nascose il volto tra le mani, scoppiando a piangere in modo incontrollato.

Ryou le si avvicinò, titubante. “Retasu...” la chiamò piano, posandole una mano sulla spalla.

“Ryou...tu...tu stai...” balbettò la ragazza tra i singhiozzi, la voce distorta dal pianto e dalla disperazione. Lui sospirò, sorridendo amaramente. Tipico: invece di pensare a sé stessa, anche in una situazione critica come quella, Retasu pensava a lui. “Vieni qui.” disse in tono rassegnato, facendola alzare in piedi e circondandole la schiena con le braccia.

Retasu appoggiò la testa e le mani sul suo petto, continuando a piangere come una bambina. Era la prima volta che qualcuno piangeva così tanto per lui, realizzò Ryou socchiudendo gli occhi. Non aveva mai visto le lacrime di sua madre e di suo padre quando erano ancora vivi, né quelle di Kei, sebbene fosse cosciente del fatto che anche lui soffrisse molto per quella situazione. Era certo che Zakuro non avesse versato nemmeno una lacrima: non era da lei.

Retasu continuava a sussurrare il suo nome tra le lacrime, e lui continuò a tenerla stretta. “Retasu, ascoltami. Non devi essere triste per me.” esordì d'un tratto in tono deciso. “Sono pronto a morire per il Progetto, e per voi, da molto tempo ormai. E quando ho scoperto le vere conseguenze di quello che avevo fatto a me stesso...non ho avuto paura.” Era una bugia, lo sapeva. Sapeva di stare mentendo a sé stesso, ma era convinto che, continuando a ripetersi quella menzogna, sarebbe diventata realtà.

“Tutti dobbiamo morire, in fondo, no? E comunque, mi restano ancora un bel po' di anni. Sempre che gli alieni non ci facciano tutti fuori prima.” ironizzò cupamente. I singhiozzi della ragazza si erano un po' smorzati, notò sollevato.

“Quanto...ti resta?” gli domandò Retasu, sollevando il volto dal suo petto per guardarlo negli occhi. La tristezza che leggeva in quel viso così dolce lo fece sentire uno schifo. Non era giusto che lei si riducesse in quel modo a causa sua.

Distolse lo sguardo, ravviandole delicatamente i capelli sottili. “Non preoccuparti di questo.”

“Voglio sapere.” replicò lei, la voce stridula. “Ti prego...”

Gli si formò un groppo in gola. “Kei ed io crediamo...una ventina d'anni, circa.” Il peso di quella constatazione minacciò seriamente di trascinare entrambi nella disperazione più totale.

Morirò a quarant'anni.

Ryou aveva accettato quella verità da anni, ormai. Eppure, trovarsi di fronte Retasu ridotta in quello stato...era come rivivere lo sgomento iniziale tutto daccapo.

La ragazza si stava asciugando gli occhi alla bell'e meglio, ancora scossa dai singhiozzi. “Mi dispiace, Retasu. Avrei preferito che non lo sapessi mai.” disse lui tristemente.

Lo guardò di nuovo negli occhi, respirando profondamente, come se dovesse tuffarsi in acqua da un momento all'altro. “Io ti amo.” gli confessò di punto in bianco, arrossendo suo malgrado, gli occhi ancora lucidi.

Fu come se il tempo si fosse fermato.

“Voglio stare con te. Voglio vivere la mia vita insieme a te.” proseguì la ragazza, aggrappandosi al tessuto della sua vestaglia.

Ryou allentò la stretta dell'abbraccio. L'aveva ammutolito, con quella confessione. Nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere, prima...una vita da recluso e il suo pessimo carattere avevano fatto sì che nessuna donna gli si fosse mai avvicinata abbastanza da innamorarsi di lui.

Retasu, poi, con la timidezza che la contraddistingueva...non si sarebbe mai aspettato che proprio lei...

“Lo dici solo perché hai scoperto questa cosa...” osservò, mentre le sue braccia scivolavano attorno alla sua vita.

“No!” replicò lei con un cenno di diniego. “Ti ho sempre amato. Da quando ero una Mew Mew...per tutti questi anni...ma ero troppo codarda per dirtelo.” Gli occhi le si inumidirono di nuovo. “Ma ora basta nascondersi nell'ombra. Non posso più permettermi di temporeggiare. Ti amo e voglio stare insieme a te. Sempre.”

Gli stava offrendo il suo cuore, realizzò Ryou, e una calda sensazione di gratitudine mista a tenerezza gli si diffuse nel petto. “Retasu, io...io non posso lasciartelo fare.” sussurrò appoggiando la fronte sulla sua.

La ragazza si pietrificò. “Perché...perché no..?” chiese con voce strozzata.

“Perché non voglio che tu diventi una martire. Perché più ti avvicinerai a me più ne soffrirai. Perché ti lascerei da sola, e non potrei mai...perdonarmelo.”

Retasu abbassò lo sguardo, mortificata. Ryou la imitò, sorridendo amaramente. “Ho sempre cercato di tenere tutti a distanza, in questi anni. Ora sai perché-” Si interruppe, la mano di lei posata sulla sua guancia in una lieve carezza. La vide chiudere gli occhi e sporgersi in avanti.

Era alta, Retasu. Non dovette alzarsi troppo sulle punte per arrivare a baciarlo.

Non riuscì a spingerla via. La sensazione delle labbra della ragazza sulle sue era familiare, anzi, era incredibilmente giusta. Era come se il suo corpo avesse sempre voluto una cosa soltanto, e finalmente l'avesse trovata.

Retasu gli passò le braccia attorno al collo e lui le strinse la vita, per poi risalire ad accarezzarle piano la schiena.

Ricordò quella volta in cui era caduto in mare e lei l'aveva salvato. Aveva premuto le labbra contro le sue, proprio come in quel momento, e l'aveva fatto respirare di nuovo. In quel momento, invece, sentì l'aria mancargli, ma nonostante ciò fu lei a staccarsi per prima.

Il suo cuore aveva accelerato i battiti e pompava sangue come se fosse impazzito. Poteva avvertirlo distintamente, in tutte le estremità del proprio corpo.

“Ryou...” disse Retasu, sorridendo e appoggiando di nuovo la testa contro il suo petto. “È ora che io impari ad essere forte. Non scapperò. Non allontanarmi da te, ti prego. Io voglio restare al tuo fianco, da qui in avanti.” La voce le tremava, ma anche lui stava tremando. Ed era felice.

Il nemico era in grado di imitare gli attacchi delle sue guerriere, eppure Ryou era felice. Veramente, puramente felice. Com'era possibile una cosa del genere? Com'era possibile che Retasu riuscisse a renderlo così felice?

E, soprattutto, com'era possibile che tutto il suo essere lo stesse spingendo così tanto verso la scelta egoistica? Lui, che aveva sempre sacrificato tutto sé stesso. Lui, che non si era mai concesso niente in tutti quegli anni...e adesso non riusciva a costringersi a lasciarla andare.

Le baciò delicatamente i capelli. “Io...non so cosa dire.” ammise con un filo di voce, incapace tuttavia di levarsi il sorriso dalla faccia. Si odiava in quel momento. Sapeva di stare propendendo verso la scelta che li avrebbe portati a soffrire, in futuro.

Si chiese se la felicità nel presente valesse quanto la tristezza futura.

Retasu lo strinse più forte, emettendo un singulto. “Ti prego.

Ryou non rispose, limitandosi a stringerla tra le braccia. La sua confessione di poco prima gli risuonava ancora nelle orecchie.

Ti amo.

E lui lo sapeva, sapeva di stare provando qualcosa nei suoi confronti. Chiuse gli occhi, abbandonandosi alla piacevole sensazione di calore che avvertiva tenendola stretta a sé...

Keiichiro emerse dalla cucina con un vassoio di tè fumante in mano. “Il tè è pronto.” annunciò, e Retasu sobbalzò come un coniglio, cercando di allontanarsi da Ryou in preda all'imbarazzo. Lui la lasciò fare, seppur a malincuore. Avrebbe voluto avere più tempo, più quiete a disposizione, per poterci riflettere su. Eppure il suo corpo sembrava aver già deciso tutto, e la sua mente era come bloccata in una fastidiosissima impasse.

“Extra zucchero per voi due, immagino.” fece Keiichiro di ottimo umore, posando il vassoio sul tavolino bianco.

Retasu lo guardò di sottecchi, e Ryou le sorrise, facendole cenno di sedersi.

“Tieni.” le fece Kei porgendole un fazzoletto di stoffa. “G-grazie...” disse la ragazza prendendolo in mano.

Ryou si prese una sedia, posizionandola di fianco a quella di Retasu, e si sedette, mentre Kei gli offriva una tazza di tè nero. “Ottimo, tanto chi ha voglia di dormire, stanotte?” sdrammatizzò il ragazzo portandosela alle labbra. Allungò l'altra mano ad afferrare gli occhiali di Retasu, che giacevano abbandonati sul tavolino. Glieli ripiegò con cura e glieli restituì. Una lacrima solitaria aveva bagnato una delle lenti, notò mentre lo stomaco gli si stringeva.

“Grazie.” ripeté lei timidamente, sedendosi di fianco a lui. Nonostante tutto, vide che era felice: gli occhi le brillavano e il colore le era tornato nelle guance e sulle labbra.

Non avrebbe mai voluto vederla in nessun altro modo. Si guardarono negli occhi, comunicando silenziosamente sentimenti a cui Ryou faticava ad assegnare un nome, e Keiichiro sospirò. “Mi duole davvero tanto essere il terzo incomodo, ma temo sia necessario parlare di quanto è successo stasera...”

Ryou distolse a fatica lo sguardo da Retasu. “Hai ragione, Kei. Scusa.” convenne, cercando di assumere un'espressione concentrata. Coraggio cervello, non abbandonarmi proprio ora. C'è del lavoro da fare.

Kei si rivolse a Retasu: “Potresti per cortesia ripetere quello che è successo stanotte? Ogni dettaglio è fondamentale.”

La ragazza inforcò lentamente gli occhiali e, lasciandosi sfuggire un sospiro a metà tra l'impacciato e l'esausto, raccontò tutto: di come il Chimero fosse in grado di cambiare aspetto a proprio piacimento, di come Pai fosse venuto in suo soccorso, di come Ichijiku e Nasubi fosse intervenute poco dopo. “Non mi sarei mai aspettata che sapesse usare il Ribbon Strawberry surprise e gli altri attacchi. E poi mi sono... illuminata...” disse Retasu girando lentamente il cucchiaino nel tè.

“Se c'è ancora della Mew Aqua in giro, sarà meglio trovarla prima che lo faccia il nemico.” osservò Ryou, il cervello che gli si rimetteva finalmente in moto. “Dobbiamo elaborare una strategia, non possiamo concedere loro il lusso di attaccare ancora.”

Kei lo fissò con sguardo penetrante. “Cosa hai in mente?”

Il ragazzo socchiuse gli occhi. “Ho bisogno di Pai.” Il resto poteva aspettare, si disse lanciando un'altra occhiata a Retasu. C'era ancora tempo.

Abbassò lo sguardo. A volte aveva la sensazione di trascorrere la propria esistenza mentendo costantemente a sé stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ragazze, che dire. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Penso che sia uno dei capitoli più densi che io abbia mai scritto...

Retasu e Ryou mi piacciono davvero tanto insieme e le storie su di loro sono veramente pochine. Spero di aver fatto un buon lavoro! ^3^

Come avrete forse letto dal post sulla mia pagina Facebook, domani parto per il tirocinio, quindi temo che il prossimo aggiornamento arriverà tardi questa volta. Sappiate che le recensioni sono sempre ben accette. Non fatevi scrupoli che non mi offendo. :P Un bacione a tutte!

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Capitolo 28
*** Hopes and dreams ***


28. Hopes and dreams 


 

“Qualcuno ha per caso l'impressione di stare avendo un déjà-vu?” fece Minto sarcastica, incrociando le braccia al petto.

Purin si produsse in un verso di assenso. “Altroché. Questa era la parte del lavoro che apprezzavo di meno...” disse piegandosi in avanti per sbirciare sotto l'orlo del marciapiedi, dove defluiva l'acqua piovana. “Mew Aaaaquaaa, dove sei?” canticchiò a bassa voce, rivolta verso l'oscurità della fessura. Un passante le lanciò un'occhiata incuriosita, fermandosi un attimo, per poi proseguire per la sua strada come se nulla fosse.

Retasu cercò di concentrarsi al massimo delle proprie forze, ma il suo corpo rimase perfettamente normale. Erano all'incrocio dove la sera prima si era improvvisamente illuminata di azzurro, impegnate nel futile tentativo di replicare l'esperienza, ma sapevano perfettamente che la Mew Aqua era elusiva, tanto che nemmeno i sofisticati sensori alieni riuscivano più a captarla.

Eppure, dovevano tentare: il Cristallo era troppo pericoloso per lasciarlo in mani nemiche, e avrebbe potuto dimostrarsi vantaggioso poter nuovamente disporre del suo incredibile potere. Tanto potente da risanare un intero pianeta. Tanto potente da resuscitare i morti, pensò Retasu percorrendo per l'ennesima volta la curva a gomito del marciapiede.

Se avessimo ancora un po' di Mew Aqua, forse...forse..., pensò senza avere il coraggio di completare la frase. Ryou...    

“Non posso credere che Ichigo sia riuscita a schivare anche questa incombenza!” protestò Minto, distogliendola dai suoi cupi pensieri. “A lei va sempre liscia...”

“Aoyama-san aveva un incontro di kendo...” replicò debolmente Retasu, abbassandosi a sua volta e fissando insistentemente il terreno. Al 99% la Mew Aqua si sarebbe dovuta trovare sottoterra...

Ti prego, Mew Aqua...voglio solo salvare Ryou...aiutami...

“Hmpf. Anche questo suona familiare, Aoyama che ha un incontro di kendo.”, borbottò Minto rivolta a nessuno in particolare.

“Reta-chan, che hai?” la chiamò Purin, una nota di preoccupazione nella voce. La ragazza alzò gli occhi da terra, cercando di non lasciar trasparire la tristezza e la disperazione che stava provando in quel momento. Si era ripromessa che sarebbe stata forte, in fondo. “Niente, è solo che...è frustrante, è come essere punto a capo.” mentì. Nessuna di loro sapeva niente a parte Zakuro, e non voleva certo andare a spiattellare a destra e a manca gli affari privati di Ryou.

Lo avrebbero capito da sole, una volta letto il diario.

Trascorsero un’altra manciata di minuti in silenzio, senza sapere bene che pesci pigliare. Retasu considerò seriamente l’idea di mettersi a pregare.

Zakuro, allontanatasi un poco, le raggiunse. “Trovato niente, onee-sama?” le chiese Minto, in un tono che lasciava trasparire un estremo scetticismo. La donna fece cenno di no con il capo. “Non c’è niente qui.” disse in tono neutro, lanciando un’occhiata penetrante a Retasu.

Sono così trasparente, che ogni mio stato d’animo si legge così facilmente? si domandò la ragazza aggrottando la fronte.

Zakuro distolse lo sguardo. “Non la troveremo mai così, è inutile girarci intorno.”

Minto alzò gli occhi al cielo. “Finalmente qualcuno con un po’ di buonsenso.”

“Valeva la pena tentare.” intervenne Purin, mettendosi le mani in tasca. “Coraggio, rientriamo. Magari riusciamo ad allenarci un po’.”

Si incamminarono, Purin davanti a tutte, fischiettante. Minto si mise a parlare con Zakuro di quale kimono avrebbe indossato nella notte di Capodanno, per Hatsumoude(*). Retasu si augurò che quello dell’anno precedente le andasse ancora bene, perché non aveva alcuna intenzione di spendere tempo e denaro per acquistarne uno nuovo.

“Non devi essere così abbattuta, Retasu.” le fece all’improvviso Zakuro a bassa voce, lo sguardo puntato di fronte a sé, come se in realtà non si stesse rivolgendo a lei. Aveva un profumo buonissimo, che in qualche modo trasmise subito a Retasu una sensazione di placida calma. “Verrai con noi a celebrare l’anno nuovo?” le chiese poi la modella, in un tono dolce che le aveva sentito usare rarissime volte.

Retasu la guardò, intimidita. Zakuro sapeva, ma quanto sapeva? Ryou le aveva raccontato della sera prima? Del momento in cui lei gli aveva confessato di amarlo? Di quando si erano baciati?

“Certo, perché non dovrei.” rispose, puntando gli occhi sull’asfalto nero del marciapiedi.

“Immagina di avere un solo giorno a disposizione da vivere.” le fece Zakuro all’improvviso, cogliendola totalmente di sorpresa. “A cosa non potresti rinunciare, in questo tuo unico giorno? Cosa vorresti fare più di ogni altra cosa?”

Retasu sentì gli occhi pizzicarle dietro le lenti degli occhiali. “Non…non lo so.” borbottò serrando le mani a pugno, la testa un vortice di pensieri e immagini confuse.

Zakuro si girò a guardarla. “Allora forse dovresti chiedertelo più spesso.” disse sorridendole, ed era un sorriso pieno di affetto, che quasi le fece bloccare il fiato in gola. “È nobile da parte tua scegliere la via più impervia, ma devi assicurarti di saper reggere la fatica della scalata.”

Retasu deglutì, ricacciando indietro le lacrime. Annuì in silenzio, un muto ringraziamento nello sguardo, e prese un respiro profondo, lasciando che l’aria fredda di fine dicembre le rischiarasse le idee.
 

 
***
 

Pastel osservava sovrappensiero il Chimero addormentato, rannicchiato sul pavimento in lamiera della navicella, il petto e le spalle che si alzavano e abbassavano ritmicamente, la bocca leggermente aperta.

Aveva ancora le sembianze della prima umana a cui aveva sottratto il DNA. Pastel si chiese quali altre sorprese le avrebbe rivelato a mano a mano che la sua potenza cresceva. Non poté fare a meno di provare un moto d’orgoglio: quella era la sua creazione, la sua creatura, il loro asso nella manica. E li avrebbe condotti alla vittoria, ne era certa.

Le lunghe ciglia di Mu tremarono e un lamento le uscì dalle labbra. Pastel non si mosse di un millimetro, scrutando, analizzando, elaborando ogni singolo centimetro della creatura che si trovava di fronte. La sua stessa esistenza era un mezzo miracolo, in realtà. Non era certa che avrebbe saputo riprodurre l’esperimento, anche fosse stata in possesso di tutti gli ingredienti necessari…e non lo era.

Mu aprì gli occhi di colpo, tirandosi su a sedere e stiracchiandosi flessuosa. “Mamma, ho fatto un sogno strano...” le disse grattandosi la testa, i lunghi capelli rossi arruffati.

Pastel represse la smorfia che sentiva affiorarle sul viso ogni volta che l’ibrido la chiamava mamma. “Che cosa hai sognato, Mu?” le chiese in tono neutro, mentre con la coda dell’occhio vedeva Kue emergere dalla sala comandi.

Il Chimero strizzò gli occhi, come a voler ricordare. “C’era un ragazzo…con i capelli scuri…” mormorò trasognato.

Pastel corrugò la fronte. “Che genere di ragazzo?” Kue le si posizionò accanto, incrociando le braccia al petto.

Mu si alzò in piedi con una grazia che, nonostante il suo aspetto umano, non aveva nulla di terrestre. “Un ragazzo umano, credo…o forse no?” rispose con una mezza risatina.

“Hai sognato un essere umano?” intervenne Kue, senza preoccuparsi minimamente di nascondere il disgusto.

Mu si portò le mani sui fianchi. “Era un bel sogno.” protestò con voce acuta, una voce che, come il suo aspetto, era presa in prestito, non sua. Perché il Chimero non aveva una sua voce, o un suo corpo, o una sua mente. Era solo un involucro…

“Gli umani sono feccia.” commentò Kue digrignando i denti. “Anche questa tua mania di assumere un aspetto umano mi fa rivoltare lo stomaco. Ogni volta che ti vedo devo reprimere la voglia di sgozzarti.”

Mu arricciò il labbro, indispettita. “Uuh, dovrei avere paura?” lo punzecchiò facendo un passo avanti. “Io mi piaccio così. Ma forse preferiresti che fossi così?” aggiunse mentre la sua pelle si increspava, i suoi capelli si accorciavano e da rossi diventavano castani e il suo volto assumeva tratti più giovanili.

Kue assottigliò lo sguardo. “Non permetterti di fare insinuazioni simili.” ringhiò, e Pastel iniziò a infastidirsi. Sembravano due bambini quando facevano così…

Mu sogghignò. “Non preoccuparti, tra poco mi assicurerò di procurarmi il DNA della ragazzina in viola che ti piace tanto…”

Fu un attimo: Kue le finì addosso con tutto il suo peso, spingendola violentemente contro la parete iridescente dell’astronave, un braccio schiacciato sul suo collo. “Ripetilo, se ne hai il coraggio!” sibilò, e Pastel dovette alzare la voce, suo malgrado. “Adesso BASTA!” li freddò, piazzandosi di fianco a Kue, uno sguardo che non ammetteva repliche. Quello mollò la presa e Mu si mise istantaneamente a tossire.
“Siete degli idioti, tutti e due. Invece di litigare come due bambini, dovreste pensare a come sconfiggere i nostri nemici!” tuonò la donna in tono autoritario. “Mu, va’ a vedere quali sono le condizioni di Kuchen.” ordinò, congedandola bruscamente.

Il Chimero abbassò la testa, mortificato. “Scusa, mamma.” fece con un filo di voce. Pastel non la degnò di uno sguardo e lei, delusa, si dileguò in fretta e furia.

“Pastel, non mi piace per niente il modo in cui…” iniziò a dire Kue, ma lei non gli permise di terminare la frase. “Taci, Kue. Non hai nulla di cui preoccuparti. Di Mu mi occupo io, e solo io. Voi dovete solo assicurarvi che non le venga fatto del male. Se dovessi sfiorarla di nuovo, te la vedrai con Boundless Green-sama.” disse tutto d’un fiato, sforzandosi di tenere sotto controllo la rabbia. Gli lanciò un’occhiata gelida. “Piuttosto, non ti avevo detto di creare un’altra dimensione in cui trasferirci?!” lo incalzò poi, in tono di superbo rimprovero.

Kue chinò la testa a fatica. Il suo odio era quasi percepibile, come se si trattasse di un’entità a sé stante nella stanza angusta, ma ottenne solo il risultato di farla infuriare ancora di più: Kue non le avrebbe mai fatto paura, non le importava quanto mentalmente instabile potesse essere. Lei era superiore a lui, a tutti loro.

“Ho quasi portato a termine i preparativi.” la informò il compagno cupamente. “Tra poco potremo trasferirci.”

“Sarà meglio. E ora lasciami.” ordinò lei voltandogli le spalle.

Lui ubbidì senza fiatare. Pastel si passò una mano sulla fronte, scostando una lunga ciocca di capelli bianchi dalla tempia, nel tentativo di riprendere il controllo di sé.

Si girò in direzione del punto in cui Mu era sparita, corrugando appena la fronte: quel sogno…ci sarebbe stato da preoccuparsi? Non voleva allarmarsi per qualcosa di insignificante, ma non c’erano dubbi che, qualunque cosa fosse quella in cui il Chimero si stava trasformando, la componente umana era un fattore chiave. Se Mu stava diventando sempre più umana, rifletté, il loro piano avrebbe rischiato di subire dei rallentamenti, o peggio un arresto…no, non avrebbe potuto permettere una cosa del genere.

Pastel puntò gli occhi vitrei sullo scorcio di paesaggio terrestre al di fuori dell’oblò, nient’altro che fronde di alberi che precludevano la vista del cielo. Tutto quel verde, tutta quella vita…tutto quello sarebbe stato loro. Per lei era una certezza, un dogma di fede. Non avrebbero fallito come gli incapaci mandati sulla Terra prima di loro. Deep Blue-sama era stato sconfitto, ma dalla sua sconfitta loro avevano imparato, elaborando nuove strategie, ed erano tornati all’attacco più forti di prima.

Sì, Pastel ne era sicura. Avrebbero vinto, alla fine.
 

 
***
 

Pai terminò di tradurre le stringhe di codice dalla propria lingua a quella terrestre, scostandosi poi per condividere con l’umano biondo il risultato delle ricerche che aveva portato avanti in quei giorni. “Ho forti sospetti che si nascondano da qualche parte in questa zona,” lo informò evidenziando una porzione dell’area di Tokyo sul computer di forma globulare, “ma non riesco a localizzare il punto preciso. Penso che non abbiano ancora creato una nuova dimensione in cui nascondersi.”

“Quindi si stanno nascondendo nella navetta con cui sono arrivati sulla Terra.” concluse il ragazzo, lo sguardo perso nei grafici che si ritrovava di fronte.

Pai annuì. “Come vedi, finché non si faranno vivi loro non è possibile rintracciarli né attaccarli. Inoltre, se mi concedi di essere franco,” soggiunse lanciandogli un’occhiata obliqua, “non credo sarebbe saggio attaccarli nel loro territorio. Avrebbero senza dubbio un vantaggio su di noi, specialmente sulle vostre guerriere. Le dimensioni parallele create dalla mia gente non rispondono necessariamente alle leggi fisiche terrestri e possono essere manipolate in qualsiasi momento.”

Shirogane gli fece un mezzo sorriso che non gli piacque per niente. “È vero, ma li coglieremmo impreparati. Non credo si aspetterebbero mai di venire attaccati nella loro base operativa.”

Pai corrugò la fronte. “Proprio perché non sarebbe consigliabile da parte vostra fare una cosa del genere.”

“Da parte nostra, intendi.” lo corresse freddamente l’umano, senza abbandonare quel sorrisetto palesemente falso. Pai serrò la mascella. “Naturalmente.” concesse, fissandolo negli occhi senza remore. Quell’umano era indubbiamente un genio e, come tale, lo percepiva affine a sé, ma aveva anche un’aria di fastidiosissima superiorità che gli ricordava Kisshu e glielo rendeva istintivamente antipatico. Inoltre, era palese che non si fidava di loro, e questo contribuiva a complicare l’atmosfera generale.

“Saresti in grado di stabilizzare la dimensione aliena, se ce ne fosse la necessità?” gli chiese Shirogane dopo qualche momento, distogliendo lo sguardo e incrociando le braccia al petto.

Fu allora che Pai si rese conto che, nonostante gliel’avesse sconsigliato, aveva tutta l’intenzione di proseguire con quella strategia. La cosa lo indispettì non poco. “Kisshu è l’esperto di dimensioni parallele, sarebbe meglio se questo compito lo affidassi a lui.” rispose in tono cupo.

Fu allora che la porta del laboratorio sotterraneo si aprì con un lieve cigolio e Retasu entrò in punta di piedi nella stanza, reggendo in mano un vassoio. Si scambiarono un’occhiata che durò meno di un secondo, eppure l’alieno avvertì un fastidioso pizzicore alla base del collo, mentre la ragazza arrossì lievemente. Shirogane, che dava le spalle alla porta, si girò a guardarla. “Retasu.” la salutò, una familiarità nella voce che Pai non gli aveva mai sentito usare prima e che faticò ad ignorare. “Che ci fai qui?” continuò mentre la ragazza posava il vassoio sulla parte libera della scrivania.

“È quasi mezzogiorno, e ho pensato che avessi…che aveste fame.” si corresse lei, un sorriso speranzoso dipinto sulle labbra, gli occhi blu che brillavano.

Dannazione, com’era bella. Era come un fiore sbocciato dopo un lungo inverno, il capo ancora un po’ chino, lo stelo tenero e sottile.

Pai non pensava avrebbe mai più potuto posare lo sguardo su di lei. Erano partiti così in fretta, dopo la battaglia. Non c’era stato tempo per gli addii, né forse lui avrebbe voluto dirle nulla. Se n’erano semplicemente andati, e lui aveva imparato a convivere con la mancanza, con la nostalgia, con quel soffocante senso di vergogna che provava ogni volta che si ricordava la forza di quel sentimento appena sbocciato che lo aveva spinto a sacrificarsi in quel modo, per lei. Solo per lei.

Sul loro pianeta, le cose da fare erano tante, e Pai ci si era letteralmente aggrappato, dando tutto sé stesso e impegnandosi a fondo in ogni cosa che faceva, finché piano piano il ricordo di lei aveva smesso di mordergli il cuore, ritirandosi in un angolo remoto della sua mente. L’aveva schiacciato, soffocato, abbandonato a morire.

Quando, infine, la loro regina gli aveva presentato la sua futura moglie, una muta richiesta negli occhi verdi e nello sguardo imperioso, Pai aveva fatto la scelta più giusta, ancora una volta. Da bravo soldato, aveva ubbidito. E ci aveva anche creduto, in quel matrimonio. Aveva sinceramente creduto di amare Kyrie, quando avevano sussurrato l’uno all’altra la loro reciproca appartenenza. Lei era sua, l’unica che avrebbe dovuto amare. Lei, che gli aveva donato un figlio, una famiglia. Eppure, pensò amaramente mentre osservava in silenzio Retasu e Shirogane chiacchierare di fronte al vassoio del pranzo, quando era tornato sulla Terra tutte le sue convinzioni erano crollate in un baleno.

Non era la prima volta che succedeva.

Non aveva mai voluto nulla di tutto quello, ma gli era successo. Era incredibile come nessuno di loro tre fosse riuscito ad essere immune al fascino di quelle umane ibridate. Cosa avevano mai di così speciale, da farli cadere ai loro piedi in quel modo vergognoso? Che diamine di sortilegio avevano gettato su di loro? Gli venne addirittura il dubbio che Shirogane avesse previsto anche quello. Quell’umano era pieno di risorse e Pai era pronto a scommettere che non si sarebbe tirato indietro se ci fosse stata l’occasione di far capitolare il nemico sfruttandone le debolezze carnali. Con Kisshu aveva funzionato clamorosamente…e anche Taruto; Pai sapeva benissimo con chi stesse passando quelle ore buche tra una battaglia e l’altra.

Fece un passo indietro, Retasu che gli lanciava di tanto in tanto occhiate perplesse. No, non voleva ridursi in quello stato. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non ridursi come Kisshu.

Senza dire nulla, si congedò, mentre l’umano si faceva offrire un tramezzino e lei gli sorrideva così apertamente da fargli male al cuore.
 

“Uh?” fece Retasu quando Pai sparì dalla sua vista.

“Che c’è?” le chiese Ryou, voltandosi nella direzione in cui la ragazza stava guardando.

“Pai, se n’è…andato.” mormorò lei, improvvisamente triste. Era come se non volesse più avere niente a che fare con lei, realizzò con amarezza. Che cosa gli aveva fatto di così brutto? Si era forse offeso perché non gli aveva offerto da mangiare?

“Avrà avuto da fare.” liquidò la cosa Ryou, addentando il tramezzino che lei gli aveva preparato con le sue mani dopo essere tornata al Cafè. “Wow, c’è un sacco di roba qui dentro…” commentò a bocca piena.

Retasu sorrise, impacciata. “Ti piace? Ho usato il pane integrale, e poi ho pensato che un po’ di verdura non guastasse, e avrei messo anche del pesce però non ne avevo e non ho fatto in tempo ad andare al supermercato, perché lo volevo fresco, e poi ho messo la maionese light…”

Ryou le scoccò un sorriso che le fece bloccare le parole in gola. “Sei dolce a preoccuparti per me, Retasu.” le disse in tono confidenziale.

La ragazza tossicchiò. “Ho solo pensato che ti avrebbe fatto bene mangiare sano.” ammise, indicando il vassoio. “Infatti ho messo anche la frutta. Ti piacciono i mandarini? Sennò chiedo a Keiichiro-san di darmi…”

“Mi piacciono, mi piacciono!” rise lui, fermandola. “Va tutto bene, Retasu. Sto bene.” fece poi, allungando una mano per scostarle una ciocca dal viso. “Tu piuttosto, come va il braccio?”

La ragazza socchiuse gli occhi, godendosi quel breve contatto, il cuore che le si stringeva. “Non sento niente, è come se non mi fossi mai ferita.” disse toccandosi distrattamente l’avambraccio in cui il Chimero mutaforma aveva conficcato i suoi artigli la sera precedente. Non era certo il braccio a farle male…

Dio, quanto ti amo, avrebbe voluto dirgli, e forse lui lo capì, in qualche modo. Le toccò la punta del naso con l’indice, come per sdrammatizzare. “Non riesco a mangiarli tutti, prendine uno anche tu.” suggerì poi, e mentre lei allungava la mano a prendere quello più piccolo lui le scostò la sedia dalla scrivania, per farla sedere.

Al piano superiore, Zakuro, non vedendo tornare l’amica, accennò un sorriso soddisfatto.
 

 
***
 

Era il tramonto quando Kisshu comparve al di sopra del Café, attento come sempre a non farsi vedere da nessuno – non che gli umani si preoccupassero mai di alzare lo sguardo da terra, o almeno la sua esperienza era sempre stata quella. Sbuffò, sedendosi a gambe incrociate sulla cupola rosa. Aveva trascorso tutto il giorno a cercare di triangolare la posizione dell’entrata alla dimensione nemica, ma il segnale era troppo debole per i sensori…così aveva cercato di percepirla grazie al suo istinto, entrando e uscendo da portali creati sul momento, ma non era riuscito a cavarne un ragno dal buco.

Era stanco e frustrato. Sbadigliò, tenendo d’occhio il vialetto del Café, sperando vagamente di scorgere una chioma rossa sotto di sé, ma rimase deluso. Notò invece tre delle nuove Mew Mew uscire poco dopo, chiacchierando animatamente.

“Giuro che non ne posso più!” udì esclamare quella bionda in tono melodrammatico. “Insomma, continua a starmi addosso! Gli ho detto ‘Senti Koichi, ti ho già detto che non mi interessi’ e lui continua. Stamattina mi ha dato le risposte di inglese, e non gliele avevo nemmeno chieste!”

Suika rise, un po’ impacciata. “Poverino, vuole solo essere carino con te! Perché non gli dai una possibilità?”

La bionda – ancora non si ricordava il suo nome – sbuffò sonoramente. “Se volesse davvero essere carino, potrebbe innanzitutto levarsi quelle lenti da fondo di bottiglia dalla faccia, e magari anche un po’ di brufoli…”

Suika sembrava scioccata. “Sei crudele! Non è mica colpa sua se non è poi così di bell’aspetto…”

“È un cesso, Suika. Diciamo le cose come stanno.” replicò l’amica, lapidaria. Kisshu sorrise, suo malgrado.

“Sumomo-chan, davvero, sei cattiva! Dovresti essere più carina, chissà quanto ci sta male lui.” la rimbeccò la ragazza più grande, la sua
 voce che si affievoliva a mano a mano che le tre si allontanavano dall’edificio.

“E a me, nessuno ci pensa? Che mi perseguita, non posso nemmeno andare al bagno che mi aspetta fuori dalla porta!”

“Sì, sei proprio da compatire.” fece la ragazza coi lunghi capelli neri in tono sarcastico.

“Povero Koichi-kun…” commentò Suika, facendosi però sfuggire una risatina.

Stavano per svoltare l’angolo, quando una macchina nera dai vetri oscurati, che era rimasta parcheggiata davanti al Café, si mise in moto. “Obiettivo individuato. Procedo in direzione nord-est.” fece una voce appena percepibile dall’interno dell’abitacolo.

Kisshu corrugò la fronte, raddrizzando la schiena. L’auto svoltò l’angolo, e lui si alzò in piedi, per tenerla d’occhio. Quanto odiava quelle macchine tutte lamiera che sputavano quel gas di scarico repellente e velenoso, il cui odore gli faceva rivoltare lo stomaco! Se avesse potuto, le avrebbe fatte saltare in aria una ad una.

L’auto nera si fermò circa a metà strada, superando le tre ragazzine, e per un momento Kisshu si diede dello stupido. Era solo un’auto, una delle tante, in fondo. Tuttavia, la frase che aveva udito appena lo rendeva sospettoso.

Le Mew Mew risero a voce alta, ma ormai erano troppo lontane perché lui riuscisse a distinguere i loro discorsi. Decise comunque di tenerle d’occhio, del resto cos’altro aveva da fare? Si mosse, andando ad appollaiarsi sul ramo di un albero sempreverde, ben attento ai movimenti dell’automobile scura.

Dopo una decina di minuti di silenziosa sorveglianza, non ebbe più dubbi: quella macchina le stava seguendo.
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Hatsumoude, ovvero la prima visita ai templi nell’anno nuovo.

Che bello tornare dopo tanto(?) tempo! Almeno, a me è parso tanto. ;)
Sono felice perché ho un sacco di idee che mi frullano in testa per questa storia. Spero che per ora le mie idee vi siano piaciute. xP Dopo tutti gli sconvolgimenti emotivi dei capitoli precedenti, questo è un po’ più tranquillo, ma le cose ben presto prenderanno una piega inaspettata… *muahahahah*
Mi dispiace che Kisshu sia un po’ schiacciato alla fine in questo capitolo, Pai ha preso il sopravvento. Nel prossimo capitolo Taruto e Kisshu si vedranno molto di più, promesso! Un abbraccio a tutte quelle che seguono e recensiscono. ;)
 

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Capitolo 29
*** Far apart ***


29. Far apart






Purin incrociò le braccia dietro la testa, saggiando con le nocche la consistenza spugnosa dell’asciugamano rosso sotto di sé. Taruto non aveva voluto teli o asciugamani che fossero, preferendo stendersi direttamente sull’erba ghiacciata. “Sono abituato a ben altro.” aveva scherzato, lanciandole un’occhiata complice, dopodiché aveva preso a fissare la volta celeste sopra di loro.

Si erano dovuti allontanare parecchio dalla città per poter ammirare le stelle, ma grazie al teletrasporto di Taruto il viaggio non era durato che un istante. Purin non avrebbe saputo dire da quanto tempo erano sdraiati uno di fianco all’altra, muti, ad osservare il cielo.

Tutto quello che sapeva era che non avrebbe desiderato essere da nessun’altra parte.

Sbatté le palpebre, cercando di godersi lo spettacolo della volta celeste meglio che poteva. Si chiese quanto aliene potessero sembrare le stelle terrestri a Taruto. “Anche voi avete le costellazioni?” gli chiese all’improvviso, girando leggermente la testa verso di lui.

“Hm.” rispose lui, annuendo appena. “La prima volta che le ho viste è stata quando sono partito per la Terra.” Fece una pausa, corrugando la fronte. “Quella è Orione, vero?” chiese poi, indicando una sequenza di tre stelle luminose alla loro sinistra.

Purin esitò un attimo prima di rispondere. “Credo di sì. È quella che assomiglia ad una caffettiera, vero?”

L’alieno abbassò il braccio. “Ehm…cos’è una caffettiera?” chiese, una punta di imbarazzo nella voce.

Purin ridacchiò. “Altra cosa da aggiungere alla mia lista: farti provare il caffè.”

“Mi sa che prima o poi troverai qualcosa a cui sono allergico, e allora ci lascerò le penne…” fece lui in tono esasperato, girandosi di nuovo a guardarla.

Lei si mise su un fianco, le ginocchia leggermente piegate, la guancia destra appoggiata al palmo della mano. “Beh, finora è andata bene. E poi, non è meglio che mangiare le porzioni liofilizzate che vi siete portati dietro dal vostro pianeta?” chiese, sogghignando, gli occhi nocciola fissi in quelli di lui.

Taruto fece una smorfia, incrociando le braccia al petto. “Devo ammettere che su questo hai ragione. Il cibo non è per niente male, qui da voi.”

Purin ammiccò. “Abbiamo un sacco di belle cose, qui.” E vorrei mostrartele tutte quante, pensò, evitando però di dirlo ad alta voce.

“Anche da noi ci sono un sacco di belle cose.” ribatté lui, ignaro di ciò che le passava per la testa. “Una volta finita la guerra, tornerà tutto come dovrebbe essere.” aggiunse in tono determinato.

La ragazza si sistemò il berretto di lana sulla fronte. “È stata dura, in questi anni?” chiese, augurandosi di non essere troppo invadente.

Taruto corrugò la fronte, incerto su cosa dire. “Sai…” esordì dopo un attimo di silenzio, “la cosa che mi fa veramente arrabbiare è che andava tutto bene…stava andando tutto bene. E poi sono arrivati loro a rovinare tutto. Per cui…sì, è stata dura.” Il ragazzo chiuse le mani a pugno. “Non hai idea di quanto li detesti. Vorrei vederli tutti…” Si interruppe, lanciandole un’occhiata dispiaciuta. “Scusa. Lascia stare.” borbottò, ritraendosi impercettibilmente.

Purin distolse lo sguardo, mortificata. Non sapeva bene cosa dire…forse avrebbe fatto meglio a non sollevare la questione. In fondo, cosa poteva saperne lei? Cosa avrebbe dovuto dirgli? Che l’odio che provava non gli sarebbe servito a nulla? Eppure, anche lei aveva odiato, e per certi versi poteva capire come si sentiva.

“È comprensibile, quello che provi.” si lasciò sfuggire, forse un po’ troppo cupamente. “Voglio dire, io detesto mio padre, quindi…” aggiunse con un mezzo sorriso, cercando di sdrammatizzare.

Taruto sollevò un sopracciglio. “Davvero? Come mai?”

Lei continuò a sorridergli, sforzandosi di mascherare i sentimenti negativi che la figura di suo padre le trasmetteva ogni volta che ci pensava. “Ci ho messo davvero tanto a rendermi conto di quanto ci abbia trattati male, a me e ai miei fratelli. Ci ha abbandonati qui, se ne è lavato le mani e non si è interessato a noi per anni. Io ho dovuto prendermi cura da sola di Heicha e degli altri, e la cosa bella è che all’epoca non mi pesava affatto, perché non mi ero mai soffermata a pensarci su. Me ne sono resa conto solo dopo, sai…crescendo.”

Buttò fuori quella specie di confessione tutto d’un fiato, senza quasi rendersene conto, e fu come liberarsi di qualcosa di viscido e gelido che – sentiva – le strisciava dentro da molto tempo. In tutta onestà, non avrebbe saputo dire se detestasse di più l’uomo che era suo padre o il modo in cui la faceva sentire pensare e ripensare a lui e a come aveva finito per comportarsi da quando sua madre era morta.  

Taruto la osservò con quello che le sembrò rispetto misto a dispiacere, ma non commentò, e quasi gli fu grata per questo. Nessuno dei due aggiunse altro, e per un po’ tornarono semplicemente a fissare il cielo, lui supino, lei in posizione fetale sul fianco destro, il viso appoggiato sulle mani, impegnata nel cercare di scacciare i brutti pensieri. Decise di focalizzarsi su altro. Il suo sguardo vagò pigramente sul paesaggio rurale attorno a loro, ma ben presto si posò di nuovo su Taruto, sui suoi lineamenti appena percepibili nella penombra e su quegli occhi straordinari, che brillavano nel buio come quelli dei gatti. Si ritrovò a trattenere il fiato, inconsciamente, per evitare che le nuvolette di vapore acqueo la tradissero.

Erano vicini, ma comunque a distanza di sicurezza, in un precario equilibrio che nessuno dei due sembrava avere il coraggio di spezzare.  
Non riusciva a dare un nome a quello che provava, realizzò d’un tratto. Si era sempre sentita incuriosita da lui, quasi attirata come un pezzo di ferro ad un magnete. Da bambina, aveva provato un sentimento fortissimo, per lui. Profondo affetto, senza dubbio…e anche in quel momento, dopo tanti anni di silenzio, provava affetto nei suoi confronti, e fiducia – altrimenti non gli avrebbe confessato la terribile verità su suo padre: solo Retasu, oltre ai suoi fratelli, sapeva quanto lo detestasse.

Le era venuto così naturale, dirglielo. Semplicemente, dirglielo.

Aveva le farfalle nello stomaco. Avrebbe tanto voluto baciarlo di nuovo…era la sensazione più bella che avesse mai provato…

…ma era amore, quello? Purin non lo sapeva proprio. Se quella fosse stata una domanda in un’interrogazione, era certa che avrebbe fatto scena muta. Era innamorata di quello strano ragazzo volante, tornato sulla Terra dopo tanti anni per mera necessità..?  

“Purin, stai bene?” le fece lui d’un tratto, guardandola con la coda dell’occhio.

La ragazza si riscosse, sorridendo appena. “Sì…ho solo un po’ freddo.” ammise, alitandosi sulle mani. Le punte delle dita le si stavano congelando, in effetti, così come l’estremità del naso.

Taruto fece una smorfia. “Forse non è stata una buona idea, stare all’aperto di sera…”

Purin scosse la testa. “No, è stata un’ottima idea, invece. È…bellissimo qui.” Gli sorrise apertamente e lui parve convinto delle sue parole. Ricambiò il sorriso, un po’ impacciato, e tornò a fissare il cielo.

Chissà se lui provava la stessa cosa nei suoi confronti, si chiese con un mezzo sorriso. Avanzò di qualche centimetro, finendo al limite del telo. “Ti do fastidio?” gli chiese, cercando un contatto visivo. Lui le lanciò un’occhiata imbarazzata, ma scosse la testa.

Il cuore prese a batterle più forte, mentre, improvvisamente decisa a rischiare, gli si avvicinava ancora un po’, fino ad arrivare a sfiorare i fili d’erba con la spalla. Sì, voleva stargli vicino, voleva condividere con lui tutto quello che conosceva, tutto quello che rendeva piena e felice la sua esistenza, e anche quello che la rendeva triste, o che la faceva arrabbiare. Stava così bene, insieme a lui…

Eppure, nel profondo, era come se ci fosse qualcosa che stonava, con cui Purin sentiva di essere in muto conflitto: la sensazione di stare giocando con il fuoco, forse, o di stare facendo il passo più lungo della gamba..?

Ancora una volta, scacciò il pensiero fastidioso.

Socchiuse gli occhi e gli scoccò un bacio sulla guancia, accoccolandosi al suo fianco.

“Purin…” mormorò Taruto, quasi sospirando nel mentre.

La ragazza sollevò appena la testa da terra. “Sì?”

Taruto si girò verso di lei con tutto il corpo, un’espressione grave dipinta in viso. Erano uno di fronte all’altra, talmente vicini che i loro respiri si mescolavano…“Ti ricordi il discorso che ho fatto la sera di Natale? Sul fatto che per noi…l’amore è una cosa molto seria?” le soffiò il ragazzo sulle labbra, gli occhi socchiusi.

Purin avvertì una piacevolissima stretta allo stomaco, le guance che friggevano. Annuì, il sangue che le rombava nelle orecchie, in trepidante attesa di quello che stava per dirle…o per farle

L’alieno parve esitare, poi si scostò, alzandosi improvvisamente a sedere.

Dopo un attimo di perplessità, Purin lo imitò. Non capiva dove volesse andare a parare, ma aveva sperato in un bacio, e il fatto di non averlo ricevuto la intristì.

Taruto allungò la mano destra a stringere la sua, guantata. “Credo di essere sul punto…” esordì, ma si bloccò, quasi indispettito, umettandosi le labbra. “Io…io credo di stare per innamorarmi di te.” confessò alla fine, guardandola di sottecchi.

Purin lo fissò con gli occhi sgranati, ammutolita. Una serie di emozioni la attraversarono in meno di un secondo: sorpresa, gioia, stupore, incredulità…panico.

Sussultò quasi impercettibilmente. Perché aveva improvvisamente paura?, si chiese, mentre le si chiudeva la gola. Aveva appena detto di essere innamorato di lei…quasi faticava a crederci…

Taruto incrociò le gambe, intrecciando le dita della mano a quelle di lei. “Ecco, io…pensavo…quando tutto sarà finito, cosa faremo? Perché anche volendo, non credo che potremmo sposarci. E dove vivremmo? Io dovrei tornare a casa, e tu…”

Purin ritrasse la mano lentamente, sgomenta. “Cosa? Sposarci..?” balbettò, incredula.

Lui annuì, confutando la possibilità che la ragazza avesse sentito male. La fissava, improvvisamente adombrato, come se si aspettasse qualcosa. Una risposta, probabilmente, ma Purin non aveva risposte da offrirgli, solo domande che oscillavano tra l’incredulo e lo sconvolto.

In un flash, la figura alta e imponente di Yuebin le attraversò la mente, e fece del suo meglio per ricacciarla nell’angolo da cui era uscita.

Taruto corrugò la fronte, manifestatamente deluso dalla sua reazione. “Non vuoi sposarmi, vero?” mormorò, abbassando lo sguardo. “Avrei dovuto immaginarlo…”

Purin dovette sforzarsi per far uscire la voce. “Ta…taru-taru, aspetta un attimo! Che discorsi fai? Mi parli di matrimonio, così di punto in bianco…insomma, io…come ti aspetti che dovrei reagire?” esclamò con voce tremante, un sorrisetto nervoso dipinto sulle labbra. Si augurò con tutta sé stessa che si trattasse di uno scherzo. Doveva essere uno scherzo…era troppo ridicola, come cosa…

L’alieno scosse la testa. Aveva le orecchie abbassate, notò lei, come un cane bastonato. Le si strinse il cuore. “Sto solo cercando di capire come conciliare tutto questo!” replicò lui. “Non siamo più bambini, Purin. Io devo sapere come finirà questa storia, perché altrimenti…” si interruppe di nuovo, in preda ad un evidente nervosismo, e scivolò in piedi, fluttuando a qualche centimetro da terra.

“Altrimenti cosa?” replicò lei, alzandosi in piedi a sua volta, le lunghe trecce bionde oscillanti sulle spalle.

Si osservarono in silenzio per qualche istante, lei incredula, lui improvvisamente sulla difensiva.

“Altrimenti cosa?!” ripeté Purin, alzando la voce. Le sue parole parvero echeggiare nel vuoto della notte. Il sorriso sulle sue labbra era scomparso.

Ti ricordi il discorso che ho fatto la sera di Natale? Sul fatto che per noi…l’amore è una cosa molto seria?
 
“Ascoltami, io…” esordì Taruto, dopo aver preso un paio di respiri profondi. “Devi capire che per noi è diverso. Per me è una cosa tremendamente seria, questa.”

“E per me, credi che non lo sia?” replicò lei, i pugni serrati lungo i fianchi.

Il ragazzo sospirò tristemente. “Non allo stesso modo.”

Fu come ricevere una stilettata in pieno petto. L’aria fuggì dai suoi polmoni; si sentiva soffocare.

Ma la cosa peggiore, molto più che sentirsi improvvisamente così vulnerabile, e messa alle strette, e sotto accusa…era che non se la sentiva di dargli completamente torto. Distolse lo sguardo, gli occhi che le si inumidivano. “Io ho solo diciassette anni. Non ero pronta a sposarmi quando ne avevo dieci e - sai che c’è - non lo sono nemmeno ora!” fece, la voce che le si riempiva di livore. “E non credo ci sia niente di strano in questo!”

Improvvisamente era furente. Cosa diamine pretendeva, da lei? Le sembrava di essere destinata a combattere tutta la vita contro la nozione stessa del matrimonio.

Non erano molte le cose capaci di spaventarla, doveva ammetterlo, ma l’idea di sposarsi era tra queste. Era una prospettiva che la atterriva. Aveva lottato anima e corpo per impedire il matrimonio combinato con Yuebin, ed esserci riuscita l’aveva riempita di orgoglio e gioia. Il matrimonio è la tomba dell’amore, pensò, e non sapeva bene da dove provenissero quelle parole, né da chi le avesse sentite.

D’un tratto, tutto le sembrò incredibilmente pesante. Fissò il ragazzo, l’alieno, che si trovava di fronte. Non riusciva a credere che l’avesse messa con le spalle al muro a quel modo.

Tirando rabbiosamente su col naso, puntò lo sguardo a terra.

“Mi dispiace…” fece lui con un filo di voce.

Nessuno dei due si mosse. Purin si lasciò sfuggire un verso a metà tra uno sbuffo e una risata. “Tutto questo è ridicolo.” sbottò, lo sguardo vacuo ancora fisso sull’erba.

E rimasero così, sgomenti, le spalle curve, separati da appena pochi metri di brina e un asciugamano rosso stropicciato.
 

***

 
Suika emerse dalla doccia in una nuvola di vapore profumato, si asciugò e si vestì già con il pigiama, dato che da lì a poco sarebbe dovuta andare a dormire. Era un pigiama di quelli di flanella, pesante, l’immagine di un orsetto rosa che occupava gran parte della maglia.

La ragazza afferrò un asciugamano e prese a frizionarsi vigorosamente i capelli, dopodiché acconciò l’asciugamano a mo’ di turbante sulla testa e uscì dal bagno, in cui l’umidità e la temperatura avevano raggiunto un livello a dir poco soffocante.

Attraversando il salotto, diede la buonanotte a sua madre e a sua sorella, che stavano guardando uno show alla televisione.

Si chiuse la porta della camera da letto alle spalle e riprese a frizionarsi i capelli. La cosa che amava dei capelli corti, rifletté con una punta di soddisfazione, era che non c’era davvero mai bisogno di asciugarli con il phon, ed erano estremamente pratici da portare.

Una serie di pigolii misti a rumori elettronici attirò la sua attenzione, e d’un tratto si accorse che Nao, sdraiato nel bel mezzo delle coperte disfatte del suo letto, stava giocando con una pallina di pelo rosa che riconobbe essere Masha, il robottino di Shirogane.

“Nao-chan, cosa combini? Lascialo stare!” esclamò Suika in tono bonario, ridendo sotto i baffi. Il gattino nero teneva saldamente Masha con le zampe anteriori, mentre con le posteriori lo graffiava; inoltre, alternativamente mordicchiava e leccava una delle orecchie rosa del piccolo robot. Masha si lamentava, cercando di divincolarsi come poteva, ma il gatto non sembrava intenzionato a mollare la presa. Vicino a lui, il vecchietto della casa, Ichiro, osservava la scena con un occhio semichiuso.

“Uuuhh…lasciamiiii…” protestava il robottino con la sua vocina acuta, sbattendo le ali a vuoto.

Suika si avvicinò, allungando la mano. “Adesso basta, Nao-chan, su!” ordinò, afferrando delicatamente Masha nel tentativo di sottrarglielo. Il gattino però non fece altro che affondare ancora di più gli artigli nel pelo rosa confetto, guardandola male con gli occhioni blu.

La ragazza sospirò, afferrando una delle sue felpe preferite, che giaceva sullo schienale della sedia di fronte alla scrivania, e fece oscillare uno dei laccetti di fronte al muso del gatto. La strategia funzionò e Masha riuscì a liberarsi, mentre l’attenzione di Nao veniva catalizzata dal laccio. Il robottino svolazzò per la camera, emettendo dei pigolii che Suika interpretò come versi stizziti. “Scusalo, Masha…non lo fa apposta. Spero che non ci sia niente di rotto…” disse, posando l’asciugamano bagnato sulla scrivania.

Il piccolo robot scese ad appollaiarsi sulla sua spalla. “Nao-chan è cattivo! È cattivo!” esclamò Masha, risentito.

Suika gli sorrise, dispiaciuta. “No, Masha, davvero: Nao non lo fa apposta, è semplicemente nella sua natura. Comunque, per il futuro, cerca di evitare di svolazzare in giro quando uno dei miei gatti è presente. Forse dovrebbe tenerti una delle altre…così non rischieresti di-”  

Il robot, tuttavia, la interruppe gridando: “Alieni! Alieni!”

Suika sgranò gli occhi, improvvisamente spaventata. “Oddio, dove?!” chiese freneticamente al robot, stringendolo tra le dita.

Poi sentì una breve risata alla sua destra, e il suo cuore fece un tuffo. Si girò, il fiato corto, e si ritrovò faccia a faccia con Kisshu, che fluttuava a sette piani di altezza fuori dalla finestra di camera sua.

L’alieno sembrava sinceramente divertito. “Ciao bambolina, mi fai entrare?” le fece, le braccia incrociate al petto.

Suika era come paralizzata. Il cervello le si era inceppato. Masha prese a svolazzarle intorno, picchiettandole la testa: “Suika-chan? Suika-chan!” la chiamò, e lei cercò pure di rispondergli, ma non aveva più voce, o meglio non riusciva ad articolare una risposta coerente.
Tutto quello che riusciva a pensare era: c’è Kisshu alla mia finestra e io sono in pigiama, con i capelli arruffati e la pelle lucida da doccia. Oddio, ho il pigiama di una taglia più grande, con gli orsetti stampati sopra…e Kisshu mi sta fissando…

Le girava la testa. Sentì le ginocchia tremare e poi piegarsi come se fossero fatte di burro; la visuale le si riempì di puntini neri…e in un attimo era crollata a terra.
 

“Suika-chan! Suika-chan!” pigolava il robot peloso, svolazzandogli freneticamente intorno. Kisshu lo scacciò con una mano, infastidito. Quel coso gli stava bucando i timpani…

La situazione era talmente comica che, nonostante tutto, non riusciva proprio a levarsi il ghigno dalla faccia. Sapeva di suscitare un certo effetto su una discreta quantità di femmine della sua specie, ma non gli era mai capitato, a onor del vero, che qualcuna svenisse per l’emozione di trovarselo di fronte. E una terrestre, per giunta!

Era una cosa lusinghiera, senza dubbio. Peccato che a lui, di lei, non importasse assolutamente nulla.

…se solo ad Ichigo fosse mai successa una cosa del genere! Ne avrebbe approfittato al volo, letteralmente. Gli tornò alla mente quella calda giornata di primavera in cui l’aveva sorpresa in pigiama, fiaccata dalla malattia…digrignò i denti al pensiero di come, quella come tante altre volte, se l’era lasciata sfuggire all’ultimo momento come sabbia tra le dita.

Alle volte avrebbe voluto sbattere la testa talmente forte da dimenticare, semplicemente. Non che non ci avesse provato, a strapparsela via dal cuore…

La ragazzina mosse lentamente la testa, distraendolo momentaneamente dal circolo vizioso di pensieri che aveva nidificato nella sua mente ormai da anni.

Era finita lunga distesa per terra, le braccia spalancate perpendicolari al busto, e Kisshu le aveva sistemato le gambe in modo che rimanessero sollevate, appoggiandole alla sedia della scrivania. Inclinando la testa verso destra, rimpianse vagamente che non indossasse una gonna, al posto di quei pantaloni larghi e pelosi…almeno avrebbe avuto qualcosa da fissare mentre lei riprendeva lentamente conoscenza.

Il robottino continuava a chiamarla, evidentemente preoccupato, mentre i due felini domestici sul letto lo fissavano con ostilità. Kisshu ricambiò lo sguardo, per nulla intimidito.

La ragazzina si portò una mano alla fronte, aprendo piano gli occhi marrone scuro. “Sei sveglia! Sei sveglia!” constatò il peluche volante, ma lei parve non sentirlo neanche. “Ouch.”, mormorò cercando di sollevare il busto.

“Ferma lì.” la ammonì prontamente Kisshu, chinandosi a guardarla. “O mi svieni di nuovo.” aggiunse, ridacchiando.

Suika gli lanciò un’occhiata smarrita, poi distolse lo sguardo, le guance e le orecchie imporporate.

Kisshu ghignò. “Bene, vedo che il sangue ti sta tornando alla testa.” commentò. Tutto sommato, si stava divertendo. Punzecchiare la gente, specie se così suscettibile, era uno dei suoi passatempi preferiti.

Lei chiuse gli occhi e si nascose il viso tra le mani. “Oddio, scusami…” biascicò. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.

Il ragazzo sollevò un sopracciglio. “E di cosa?” chiese, incurante.

Lei non rispose, apparentemente troppo imbarazzata per spiccicare parola. Kisshu scosse la testa, gettando un’occhiata al paesaggio cittadino fuori dalla finestra. “Comunque, giusto perché tu lo sappia,” fece, adocchiando il riflesso della ragazza nel vetro, “c’è qualcuno che vi tiene sott’occhio.”

Suika sollevò piano la testa, tornando a guardarlo. “C-cosa?” balbettò, visibilmente a disagio.

Kisshu si girò a fissarla. “Un uomo in una macchina nera. Vi ha seguite quando siete uscite dal Café, oggi pomeriggio, e quando vi siete separate ha seguito te. E io ho seguito lui.” spiegò semplicemente. “Credo che abbia intenzione di restare parcheggiato qui sotto stanotte, e ho come l’impressione che domattina ti terrà d’occhio quando uscirai di casa.”

La ragazza, con molta fatica, si alzò in piedi, lasciandosi quasi cadere sulla sedia. Sudava freddo, si accorse Kisshu, e improvvisamente avvertì una punta di fastidio. Accantonato per un attimo il lato comico della faccenda, gli sembrava quasi una reazione esagerata, quella della ragazza, e non riusciva a capacitarsi del perché le facesse quell’effetto semplicemente vederselo di fronte. O era emotiva a livelli patologici, o…boh, non sapeva che altra spiegazione darsi. Se dovessi baciarla, collasserebbe?, si chiese, e quasi era tentato di scoprirlo…

“Una macchina nera?” ripeté lei, le mani saldamente ancorate ai bordi della sedia, come se temesse di vedersela sottrarre da un momento all’altro. Il rosso era svanito dalle sue guance, lasciando il posto a un pallore sudaticcio. “Vuol dire che…mi sospettano di qualcosa?”

Kisshu si strinse nelle spalle. “Probabilmente di essere una Mew Mew. A meno che tu non abbia un trascorso criminale alle spalle.” fece, la voce che grondava sarcasmo.

Suika deglutì rumorosamente. “Che cosa devo fare?” chiese, tremante. Notò che cercava di guardarlo negli occhi, per poi distogliere lo sguardo subito dopo. “Devo avvertire le altre?! E Shirogane? Devo chiamare Shirogane…e domani cosa faccio, non posso restare chiusa in casa..!”

Kisshu alzò gli occhi al cielo. “Cerca di calmarti. Se vuoi avvisare il biondino, fa’ pure, ma non usare i telefoni, potrebbero intercettarli. Domani mattina esci come sempre, fai la solita strada come sempre, non dai loro modo di sospettare ulteriormente di te…”

La ragazza parve non sentirlo. “Oddio, se viene fuori che sono una Mew Mew, cosa faccio?!” Si portò una mano alla fronte, gli occhi serrati. Il piccolo robot riprese a svolazzarle attorno: “Suika sta male! Sta male!” pigolò.

Kisshu sospirò pesantemente. “Ehi, ragazzina, la vuoi piantare di andare nel panico per ogni minima cazzata?” la rimbrottò andandole vicino.

Lei parve riscuotersi alle sue parole. Lo osservò dal basso in alto, gli occhi lucidi, le labbra pallide e tirate.

Lui la prese per le spalle e la tirò su di colpo, facendole sfuggire un’esclamazione di sorpresa. “Si può sapere che ti prende?! Reagisci, insomma!” sbottò. Iniziava veramente a infastidirlo. Quella avrebbe dovuto essere la nuova leader delle Mew Mew? Shirogane questa volta aveva davvero toppato...

Fu come se le avesse dato una scossa. Il suo volto avvampò di nuovo, il suo respiro accelerò. Si fissarono in silenzio per alcuni istanti, e di nuovo gli parve di percepire un calore bollente provenire dalla pelle della ragazza.

Strinse più forte le sue spalle. Le stava succedendo di nuovo quella cosa strana, e se una volta poteva essere stato un caso, due volte erano un pattern.

La studiò in silenzio. Di nuovo, lo sguardo le era diventato vacuo, come se fosse quasi in trance. Sentirsi fissato da uno sguardo del genere, non sapeva bene per quale ragione, lo metteva estremamente a disagio.

Stava per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ripromettendosi che sarebbe andato a fondo a quella storia, perché era una cosa strana, e doveva capire – quando lei si sporse in avanti, gli si appese al collo con le braccia e lo baciò.  
 
 
  
 
 
     
 







...se dovessi descrivere questo capitolo con una parola, userei l’aggettivo sofferto.
Ho faticato un sacco per scriverlo, l’ho letto e riletto non so quante volte, ho tagliato frasi, riformulato e riscritto un bel po’ di pezzi, modificato la coerenza interna delle scene…
Poi, finalmente mi decido a pubblicarlo e l’editor di EFP mi va in malora. -____-‘’
Ovviamente la scena tra Suika e Kisshu non doveva finire così, nella mia testa…ma come al solito, i personaggi sembrano avere un volere indipendente dal mio…e io mi limito ad adeguarmi. XD So che la scena tra Purin e Taruto vi avrà ispirato istinti omicidi nei miei confronti. C’è da dire che almeno è qualcosa che non si vede spesso qui nel fandom, neh? :P
Beh, che dire, attendo i vostri commenti. Fatemi sapere cosa ne pensate, per favore: ne ho davvero bisogno! -.-‘’
 

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Capitolo 30
*** Confrontation ***


30. Confrontation





Suika entrò nella stanza a passo di marcia, le braccia rigide lungo i fianchi. “Shirogane, devo parlarti.” esordì, e già si poteva intuire che avesse qualcosa che non andava.

Ryou sollevò un sopracciglio, scostandosi dalla scrivania del computer con una lieve spinta dei piedi. “Certo, dimmi pure.” le fece, squadrandola per bene. Sembrava in preda ad un nervosismo estremo, tanto che tremava leggermente. Il ragazzo socchiuse gli occhi. “Che è successo?” chiese, iniziando a preoccuparsi.

Suika prese un paio di respiri profondi, guardandosi intorno come se volesse assicurarsi che non ci fosse nessun altro, a parte loro, nella stanza. Dopodiché lo guardò di sfuggita e si decise a rispondere: “Ho bisogno che mi togliate la mutazione.”

Lui aggrottò la fronte, sorpreso da quella astrusa richiesta. “Lo sai che non è possibile…”

“Allora fate qualcosa per impedire che..!” sbottò lei all’istante, inviperita. “Io…non ce la faccio più a…stare così ogni volta che lo vedo.” aggiunse, incrociando le braccia al petto e abbassando lo sguardo. “Non ce la faccio più, o fate qualcosa o…”

“Aspetta, aspetta un secondo.” la interruppe lui, alzandosi dalla sedia. “Cos’è successo? Ti avevo detto di stargli lontana…” fece, intuendo subito, suo malgrado, di chi la ragazza stesse parlando.

“Beh, non è esattamente una cosa facile, sai!” esclamò lei, con voce stridula, mentre le si inumidivano gli occhi.

Ryou le andò vicino, prendendola delicatamente per le spalle. “Suika, che cosa è successo?” chiese, scandendo bene le parole.

Lei rifiutò di incrociare il suo sguardo, gli occhi lucidi a causa delle lacrime che si rifiutavano di scendere. Tirò su col naso, scuotendo la testa. “Niente, non è successo niente…” sussurrò, soffocando un singhiozzo.

“Suika, guardami e dimmi cos’è successo.” ordinò lui allora, mentre sentiva la rabbia montargli dentro. Cosa le aveva fatto, quel maledetto porco? Non gli bastava aver tormentato Ichigo a suo tempo, doveva pure perseguitare quella ragazzina, che già aveva ben altri pesi sulle spalle? Lo sapeva che non c’era da fidarsi…ma se fosse venuto a sapere che l’aveva sfiorata, anche solo con un dito…

La ragazza, intanto, lo guardava con un’espressione a metà tra l’avvilito e il colpevole. “Ecco, io…si è presentato alla mia finestra, e…” mormorò, e Ryou era certo che senza i sensi sviluppati dovuti al DNA per metà felino non l’avrebbe sentita.

“…cosa ti ha fatto?” ringhiò, ripromettendosi di rifilargli un cazzotto non appena se lo fosse ritrovato di fronte.

Suika tremò, sospirando pesantemente. “Niente, non mi ha fatto niente. È stata colpa mia, sono io che…ecco…che…” Arrossì come un peperone, abbassando la testa di nuovo, come una bambina colta in flagrante con le dita nella marmellata.

“Che?” la incalzò lui, che di pazienza ne aveva ben poca già in partenza.

Suika deglutì. “…l’ho baciato…” confessò infine con un filo di voce, nascondendo il viso tra le mani.

Ryou si immobilizzò, fulminato dalla rivelazione e, francamente, un tantino in imbarazzo. Quella ragazzina era sotto la sua responsabilità - era stato lui a coinvolgere lei e le sue compagne di squadra in quella situazione al limite della follia – e di conseguenza si sentiva in obbligo di aiutare tutte loro come meglio poteva, ma…insomma, che accidenti ne poteva sapere, lui, dei problemi di cuore di una quindicenne? Se c’era una cosa che, nonostante il suo Q.I. di tutto rispetto, non aveva mai capito, erano proprio le donne...

L’immagine fugace di Suika che baciava Kisshu gli passò nella mente e fece di tutto per scacciarla. Ma cosa diamine le era preso? Non la faceva così intraprendente…possibile che fosse tutta colpa della mutazione…? Abbassò le braccia lungo i fianchi, senza sapere bene cosa dire. Si ritrovò a desiderare che in quel momento ci fosse Retasu, lì con lui, a consolare Suika. Avrebbe di sicuro fatto un lavoro migliore.

E poi gli salì un’altra ondata di rabbia, perché, nonostante la confessione di Suika, era certo che Kisshu avesse fatto qualcosa per spingerla a baciarlo. Non poteva essere stato semplicemente uno spettatore innocente di tutto quanto. Tanto per cominciare…

“Cosa ci faceva Kisshu alla tua finestra?” le fece, dando voce ai suoi pensieri.

Suika tirò nuovamente su col naso. “Uh, ecco…” fece, dopo qualche secondo di silenzio, “voleva dirmi che un’auto nera mi aveva seguito dal Café fino a casa, ieri sera…e anche stamattina, l’ho vista, era parcheggiata proprio sotto il mio condominio…ma ho…ho cercato di fare finta di niente, e comportarmi normalmente, anche se non so se ci sono riuscita…” balbettò, facendogli andare di traverso la bile.

A quel punto, facendo del suo meglio per non sbraitarle addosso, Ryou chiese: “C’era qualcuno che ti seguiva e…non hai pensato di comunicarmelo subito..?” Ecco cosa succedeva ad affidare il destino del mondo a delle ragazzine in preda alle turbe ormonali, si disse maledicendo tra sé e sé quella giornata, che era evidentemente iniziata molto male.

Suika sgranò gli occhi, mordendosi il labbro. “Oh…ecco, io…” rispose, l’imbarazzo che traspariva dalla sua voce. “Ops.” aggiunse, e Ryou si passò una mano sulla fronte, stancamente. “Ma no, aspetta! Non sapevo se potevo usare il cellulare, Kisshu mi ha detto che avrebbero potuto intercettarlo…” si affrettò a giustificarsi lei.

“Potevi usare il ciondolo. È su una frequenza criptata.” le ricordò il ragazzo.

Suika arrossì di nuovo, distogliendo lo sguardo. “…non ci avevo pensato.” ammise, mortificata. “Dio, non ne combino una giusta…” gemette poi, soffocando l’ennesimo singhiozzo.

Ryou scosse la testa, mentre la rabbia cedeva il posto al famigliare senso di colpa che provava a cadenza regolare da quando aveva avviato il primo µ-Project. “Capisco che la cosa non sia facile, Suika, e ti prometto che cercherò di trovare una soluzione. Però tu devi cercare di mantenere il sangue freddo.” La ragazza annuì, una mano sulla bocca come a volersi zittire da sola, lo sguardo fisso al pavimento.

Lui sospirò. “Non è che ti sei segnata la targa dell’auto, vero?” chiese, giusto per essere sicuro, anche se non si aspettava certo che ci avesse pensato, presa com’era dall’alieno…

“Detto fatto.” rispose per lei la voce del suddetto alieno, che si materializzò nella stanza appena un secondo dopo. Suika sobbalzò, arretrando fulminea fino a quasi toccare il muro del sotterraneo con la schiena.

Ryou gli lanciò un’occhiata furibonda. Kisshu aveva un sorrisetto strafottente dipinto sul volto e gli occhi gialli che parevano brillare dalla soddisfazione. Gli porse una piccola sfera semitrasparente in cui galleggiava l’immagine a colori dell’automobile, una Mercedes nera dalla targa distintamente leggibile, ma lo sguardo di Ryou non rimase a lungo sulla macchina, tornando a focalizzarsi, glaciale, sull’alieno di fronte a lui.

Kisshu lo fissò di rimando, il ghigno che si allargava. “Hai qualcosa da dirmi, Shirogane?” gli fece, la provocazione nella sua voce chiara come il sole.

Ryou calcolò rapidamente le opzioni che aveva a disposizione. Dirgli chiaramente di non avvicinarsi più a Suika, lo sapeva, non sarebbe servito, o avrebbe addirittura peggiorato le cose. Con tipi come Kisshu quelle tattiche non funzionavano: avrebbe anzi rischiato di renderla ancora più appetibile ai suoi occhi. Allo scontro fisico avrebbe preferito non arrivare, dato che, per quanto gli costasse ammetterlo, l’aiuto che quei tre potevano dare loro era preziosissimo…e comunque, nonostante fosse in ottima forma, non credeva che sarebbe uscito vincente da un’eventuale scazzottata.

“Come va la ricerca dell’entrata alla dimensione nemica?” optò per chiedergli, nel tono più autoritario che gli riusciva di fare. Con la coda dell’occhio, vide Suika dileguarsi rapidamente lungo le scale che portavano al piano terra, e la cosa lo rincuorò giusto un po’: poteva vedere che almeno si stava sforzando di non complicare le cose più del necessario.

Kisshu si strinse nelle spalle. “Ci sto lavorando.” rispose in tono noncurante.

“Bene. Hai la giornata libera, così potrai dedicarti al tuo lavoro senza altre preoccupazioni.” decretò spiccio, tornando a focalizzare tutta la sua attenzione su di lui.

L’alieno non batté ciglio. “Le tue ragazze non dovrebbero allenarsi? Mi sembrava di aver capito che il tuo piano fosse di mandarle dritte tra le braccia del nemico…” fece, sottolineando volutamente con la voce l’ultima parte della frase.

Gli faceva ribollire il sangue nelle vene, non c’era niente da fare. Forse si trattava di puro e semplice razzismo – o meglio, specismo -, ma non c’era dubbio che Kisshu si conquistasse facilmente il primo posto nella lista di alieni che non sopportava. Tutto in lui evocava strafottenza: le labbra sottili tirate a scoprire i canini bianchi e affilati, i capelli spettinati che arrivavano appena a sfiorargli le spalle, quegli occhi così ultraterreni, così inquietanti, che non potevano che appartenere ad un essere extraterrestre. Vestito di bianco com’era, con quella specie di divisa militare che anche gli altri suoi fratelli indossavano, poteva sembrare quasi un individuo rispettabile – era certo che Suika si fosse fatta abbindolare in un battito di ciglia – ma lui sapeva benissimo di che pasta era fatto.

Lo detestava.

“Taruto sarà perfettamente in grado di gestirle per il momento.” replicò lapidario. Kisshu scosse la testa, ridendo. “Non lo invidio. Le ragazze come loro possono essere difficili da gestire…”

Ryou serrò le mani a pugno. “E questo cosa vorrebbe dire?”

Il sorriso di Kisshu si allargò. “Credo che tu lo sappia già.” Detto questo, gli voltò pigramente le spalle. “Vado. Ci si vede.” si congedò in tono scanzonato, teletrasportandosi fuori dalla stanza.

Ryou aspettò un paio di secondi prima di prendere un respiro profondo. “Promemoria per me: progettare un campo di forza in grado di impedire la smaterializzazione all’interno di questa stanza.” disse tra sé e sé, mentre ripeteva mentalmente la targa dell’auto sospetta che aveva letto poco prima.


 
***

 
Il portale si aprì alle spalle di Pai con un rumore secco, facendolo girare appena. Taruto ne emerse subito dopo, lo sguardo fisso sul pavimento viola immerso in una fredda nebbiolina biancastra.

“Ciao.” mormorò l’alieno più giovane, andando ad appoggiarsi con la schiena ad una colonna. Sembrava di malumore. Pai risolse di non indagare. Ricambiato il saluto, tornò a dedicare la sua più completa attenzione al messaggio appena ricevuto dalla madrepatria. Era bello, finalmente, poter leggere di nuovo qualcosa scritto nella sua lingua natia. I segni che gli umani usavano per scrivere i loro innumerevoli linguaggi erano estremamente inefficaci e ineleganti ai suoi occhi: un’altra riprova del fatto che, in moltissimi campi, la loro specie era ancora alquanto arretrata. Certo, cose come il µ-Project erano effettivamente brillanti, questo doveva ammetterlo…

…estremamente brillanti quanto rare

Facendo del suo meglio per ignorare l’immagine di MewRetasu che gli era appena comparsa in mente, Pai allungò un dito per far scorrere il messaggio a mano a mano che lo leggeva. Quelle lunghe stringhe di codice proiettate sullo schermo tondo dell’interfaccia rappresentavano il primo contatto che avevano avuto in settimane di assenza da K’mat. Come di consueto, la prima parte consisteva di ordini ufficiali dalla capitale, mentre la seconda era dedicata ai messaggi personali di amici e parenti. Dopo un attimo di esitazione, Pai represse il desiderio di leggere per primi i messaggi personali e selezionò il rapporto sulla missione.

In risposta alla sua richiesta di informazioni, era stata inviata tutta la documentazione riguardante i tre terroristi con cui si erano ritrovati ad avere a che fare. Sfortunatamente, i dati in loro possesso erano scarni, a dir poco: si trattava per lo più di censimenti quinquennali in cui figuravano i nomi e le date di nascita dei traditori. La femmina, Pastel Tatenen, era apparentemente più vecchia di quanto gli era sembrata durante lo scontro al molo, e risultava fosse madre di una bambina. Aveva una formazione scientifica di alto livello, almeno a giudicare dalla sua istruzione.

Taruto gli si avvicinò, apparentemente incuriosito. “Cosa leggi?” gli chiese, mentre Pai apriva una foto che ritraeva Pastel con l’uniforme ufficiale della divisione di ricerca e sviluppo del settore nord. “Hanno inviato i dati che avevo chiesto.” rispose, serrando poi la mascella. “Settore nord, come volevasi dimostrare…”

“Si sa che vengono tutti da lì, i traditori.” mugugnò Taruto.

Pai gli lanciò un’occhiata obliqua. “A questo devo il braccio rotto…” fece poi aprendo il file relativo al tizio coi capelli rossi che Kisshu aveva colpito al fianco durante l’ultimo scontro. Kuchen, si chiamava. “Uso massiccio di steroidi e probabile sperimentazione genetica.” lesse Taruto sporgendosi in avanti. “Mica male.”

Pai annuì. “Secondo la mia esperienza, è eccezionalmente forte.”

“E guarda qui…soldato, terza divisione, T’challa. Settore nord.” continuò Taruto, incrociando le braccia al petto come a voler dire te l’avevo detto

“Hmm.” Pai scorse in fretta il resto delle informazioni alla ricerca della cosa che più di tutte gli interessava, ovvero il Chimero mutaforma, ma ovviamente di quello non si sapeva assolutamente nulla.

“Ehi, aspetta, non ho mica finito di leggere!” fece Taruto, seccato. “Kue Min…wow.” mormorò, recuperando in silenzio il pezzo che aveva saltato. “Evaso dalla prigione di Synth tre cicli fa…arrestato per aver ucciso il vicino di casa…”

“Originario di Synth. La tua teoria è inesatta.” osservò Pai con una punta di sarcasmo aprendo un altro file, questa volta contenente una foto di Kue. Taruto sbuffò. “Beh, i pazzi ci sono anche da noi, non dico mica di no.”

“Non aveva la cicatrice, quando l’hanno arrestato.” notò il fratello maggiore.

Rimasero in silenzio a leggere le ultime righe del rapporto, che non aggiungevano molto a parte l’ordine perentorio di fare il possibile per acquisire dati sul Chimero…e sulle Mew Mew. I due fratelli corrugarono la fronte nello stesso momento. “…vogliono che raccogliamo dati sul loro DNA? Ma è quello che stiamo cercando di impedire!” esclamò Taruto, incredulo.

“Non è esatto. Stiamo cercando di impedire che la fazione nemica li raccolga.” replicò Pai, mentre il suo cervello si metteva in moto. Si era aspettato una richiesta del genere; in tutta onestà, negli ultimi tempi aveva pensato di chiedere lui stesso l’autorizzazione a procedere in tal senso. Si trattava di un compito senza dubbio difficile, ma non impossibile da mettere in pratica. L’essenziale era fare il tutto con discrezione. Era certo che Shirogane non glielo avrebbe mai lasciato fare, dunque era necessario evitare che lo scoprisse…

Taruto, nel frattempo, lo guardava a bocca aperta. “Stai pensando di farlo di nascosto, non è vero?” chiese d’un tratto, la voce un po’ più acuta del solito. “Pai, sarebbe tradire la loro fiducia!” protestò.

Pai lo squadrò dall’alto in basso. “Sai benissimo che Shirogane non ce lo farebbe mai fare, se ne venisse al corrente.”

“Certo, e posso capire le sue ragioni!” esclamò Taruto avanzando di un passo.

Pai annuì. “Lui ha le sue ragioni, noi abbiamo le nostre.” dichiarò con semplicità.

Il fratello minore fece una smorfia di disappunto. “Potremmo almeno provare a chiedere, prima.”

Pai scosse la testa lentamente. “Troppo rischioso.”

“Rischieremmo di mandare a monte la missione, se ci scoprissero!”

“Non ci scopriranno. Me ne occuperò io.” tagliò corto Pai, iniziando a innervosirsi. “Farò finta di non aver capito dove vorresti arrivare, Taruto.” aggiunse poi, tornando a guardare il computer.

“Ah sì? E dove vorrei arrivare?” lo incalzò l’altro, andandogli di fronte. Era evidente che era arrabbiato. Pai sostenne il suo sguardo senza battere ciglio. “Stai contestando gli ordini della regina. Lo sai cosa significa, questo. Tuttavia, dato che sei mio fratello, e che la tua mente è annebbiata dalla rabbia e dalla vicinanza di quell’umana, chiuderò un occhio.”

Taruto arrossì, colto in flagrante. “C-ci puoi giurare, che sto contestando gli ordini! Ho una mente indipendente, io!” esclamò in tono accorato.

Pai lo fulminò con lo sguardo. “Smettila.” lo avvertì abbassando il tono di voce. Lo stava davvero indisponendo, adesso.

“Pai, ascoltami…” iniziò Taruto, ma non lo lasciò finire: “No, adesso tu ascolterai me!” sbottò, glaciale. Prese un breve respiro, poi continuò, recuperando un tono di voce controllato: “Ricorda a chi devi obbedienza. Il nostro popolo è spaccato in due dalla guerra civile, e tu hai scelto di stare dalla parte del legittimo governo di Synth, il che significa che, se la regina ordina, noi ubbidiamo. Altrimenti non sei migliore di questi traditori.” fece, indicando l’immagine di Kue ancora presente sullo schermo.

Le guance di Taruto si arrossarono ancora di più, e le sue pupille si assottigliarono. “Come ti permetti di darmi del traditore?! Io non uccido la mia stessa gente! Io non porto sangue e disperazione dove c’è la speranza per un futuro migliore!”

“Il tradimento nasce nelle idee, prima che nei fatti.” sentenziò lapidario Pai. “Potrai anche non essere d’accordo con gli ordini che ricevi, ma se sei un soldato fedele li esegui. Fino alla fine.” Detto questo, chiuse con un gesto brusco il file che aveva di fronte, aprendo il resto del messaggio. “Queste sono le persone che ti amano, Taruto. Nostra madre e nostro padre, nostra sorella, i nostri nipoti. Anche Kyrie e Shazan. E i figli che avrai in futuro, e la persona che deciderai di sposare. Queste sono le cose che restano quando tutto passa.” Gli scoccò un’occhiata severa. “Non buttare via tutto questo per un’umana.”

Taruto reagì come se l’avesse schiaffeggiato. Sembrava in procinto di dire qualcosa, ma dalle labbra non gli uscì alcun suono; invece, abbassò il capo, irrigidendo la schiena.

Pai avvertì una punta di rimorso. A differenza di Kisshu, non era per nulla incline agli scoppi d’ira, né traeva da essi particolare soddisfazione. Amava suo fratello e non voleva certo vederlo stare male per colpa sua…ma Taruto aveva già dimostrato in passato una preoccupante tendenza a contestare gli ordini sotto la spinta della sua emotività. E, se era vero che con Deep Blue quel modo di fare si era dimostrato giusto, si era certo trattato di un’eccezione, non della regola, ragion per cui nessuno di loro avrebbe dovuto prenderlo ad esempio.

L’unica ragione per cui erano tornati sulla Terra era impedire che i terroristi avessero la meglio. Tuttavia, se per qualche disgraziato motivo non fossero riusciti a fermarli, era essenziale assicurarsi che almeno avrebbero combattuto ad armi pari. E se questo voleva dire combattere con l’ausilio del potere Mew, così sarebbe stato.

“Non dovrai preoccuparti di nulla. Come ho già detto, penserò io a questa incombenza. Sono certo che prima o poi si presenterà l’occasione adatta.” disse, cercando di tranquillizzarlo.

Taruto gli scoccò un’occhiata gonfia di risentimento, ma non disse nulla.  


 
***

 
La bicicletta frenò con uno stridio di fronte al cancello di casa Momomiya e Masaya scese di sella in un unico, fluido movimento, la sacca di Kendo oscillante sulla schiena.

Dopo aver appoggiato la bicicletta al muretto che circondava l’abitazione, il ragazzo suonò il campanello per farsi aprire. Era strano, rifletté fissando il numero civico scolpito in un unico pezzo di ottone, dover fare la spola tra la casa dei suoi genitori e quella dei genitori di Ichigo, abituato com’era, ormai, ad anni di convivenza con la ragazza nel loro piccolo appartamento in Inghilterra. Era come essere tornati indietro nel tempo, in un certo qual modo. Del resto, anche aver ripreso ad allenarsi con il suo vecchio maestro di Kendo era strano...gli tornò alla mente quando, giusto qualche giorno prima, erano andati insieme a dare un’occhiata al dojo della scuola in cui aveva passato tante sudate ore da ragazzino. Gli era sembrato più piccolo, quasi come la stanza in miniatura di una casa delle bambole, ma l’odore era lo stesso di tanti anni prima, inconfondibile, un odore che rievocava immagini di fatica, disciplina e rigoroso impegno, mescolato al profumo del legno altrettanto rigorosamente tirato a lucido. La palestra era vuota, ma al ragazzo era quasi parso di vedere, al di là della porta a pannelli scorrevoli in carta di riso, una familiare figura minuta dai capelli rossi raccolti in un paio di codini.

Erano anni ormai che Ichigo non portava più i capelli legati. Sua madre Sakura, d’altronde, per tutto quel tempo aveva sempre mantenuto quello sbarazzino caschetto cremisi con cui gli si presentò di fronte quella sera, aprendogli la porta per farlo entrare in casa. “Bentornato, Aoyama-kun!” lo salutò, sorridente. “Ichigo è di sopra, credo stia studiando. La cena è quasi pronta!” lo informò con voce squillante. Masaya ricambiò il sorriso, ringraziandola. Che la signora Momomiya lo adorasse era risaputo, a differenza del marito Shintaro, che, nonostante non lo trattasse più ormai come il disgraziato che osava uscire con sua figlia, pareva comunque non aver digerito del tutto il fatto che “se la fosse portata dietro” a Londra, come lo aveva sentito sbottare al telefono più di una volta.

Ovviamente, pensò Masaya con un mezzo sorriso accondiscendente mentre si toglieva giacca e scarpe, non aveva certo costretto Ichigo a seguirlo. Lasciare il Giappone era stata una scelta sofferta quanto sentita; ne avevano parlato per mesi e, alla fine, era stata lei a voler andare a vivere in Inghilterra insieme a lui. Era stato così fiero di lei, quando si era messa in testa di passare l’esame di ammissione e vincere la borsa di studio. Non era mai stata più motivata in vita sua a studiare, glielo aveva detto chiaro e tondo, ridendo, le guance tinte di un rosa imbarazzato. Ichigo Momomiya poteva certo essere pigra di natura, ma era anche una ragazza estremamente testarda, e quando si metteva in testa qualcosa non c’era nulla che non potesse fare, come in effetti aveva dimostrato, infine, alla sua famiglia e a tutti gli altri. E lui si sentiva l’uomo più fortunato del mondo, ad averla con sé. 

Salì le scale portando con sé la sacca in cui teneva l’armatura e la katana. Era davvero felice di aver ricominciato ad allenarsi. Da quando era arrivato in Inghilterra aveva abbandonato molte cose che amava per dedicarsi quasi esclusivamente al suo sogno di lavorare per la causa ambientalista, ma forse, si era reso conto da poco, il suo era stato un abbandono troppo improvviso. Tornare alle sue vecchie abitudini era come fermarsi ad ammirare il paesaggio attorno a sé dopo una lunga corsa. E poi, rispolverare le sue abilità come spadaccino non era una così brutta idea, visto e considerato che erano di nuovo sotto attacco da parte di invasori alieni. I suoi poteri come Ao no Kishi erano spariti - per sempre, si augurava - ma questo non voleva per forza dire che lui non potesse a suo modo contribuire a difendere le ragazze dagli attacchi nemici…

Bussò piano alla porta della camera di Ichigo, che gli aprì subito dopo, scostandosi una ciocca di capelli dal viso. “Buonasera.” le fece con un sorriso complice, appoggiando la sacca ai piedi del letto.

Ichigo gli sorrise di rimando, le mani strette al livello dello stomaco. Indossava un maglione bianco a collo alto, su cui spiccava il ciondolo a forma di gatto regalatole da Minto, e una gonna beige che le arrivava alle ginocchia. “Com’è andata oggi?” gli chiese, mentre lo sguardo di lui cadeva sulla scrivania ingombra di libri, fogli di block-notes, matite colorate ed evidenziatori, oltre che di un portatile fucsia.

“Bene. Mi sono rilassato.” rispose Masaya serafico, tornando a guardarla. “Tu, che hai fatto? Sei andata al Café?” si informò, posandole un bacio sulla fronte.

Ichigo ridacchiò, poi fece una smorfia. “No, ho preferito restare a casa, oggi.” rispose, appoggiando la testa sul petto di lui e circondandogli il busto con le braccia.

“Oh.” Masaya corrugò la fronte. Erano due…no, tre giorni, almeno così gli sembrava, che Ichigo non si faceva viva al Café. “C’è qualcosa che non va?” domandò, abbracciandola di rimando. Aveva un profumo dolce, di vaniglia, sui capelli, che le sfiorò appena con il mento.

La ragazza si strinse nelle spalle. “Ma no…sono solo un po’ stanca, e fuori fa freddo. Non ho proprio voglia di uscire.” si giustificò, sciogliendo l’abbraccio. Gli fece un sorriso imbarazzato e tornò a sedersi alla scrivania, agguantando una penna dal tavolo. “E poi, Shirogane mica mi paga più, per presentarmi lì tutte le mattine…” aggiunse con una sfumatura polemica nella voce, giocherellando con la penna.

Masaya ridacchiò. “Sei proprio una gattina…” osservò, accennando al modo in cui la ragazza tormentava la biro blu.

Lei si arrestò di colpo, lanciandogli una strana occhiata, dopodiché posò la penna sul libro aperto che aveva di fronte. “Hai ragione, dovrei smetterla.” borbottò distogliendo lo sguardo.

Masaya si stupì di quella reazione improvvisa. “Ma no, non stavo mica dicendo questo…” si affrettò a dire, osservandola con più attenzione. Aveva la pungente sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto. Si sedette sul letto di fronte a lei, cercando di catturare il suo sguardo. “Sicura di stare bene?” le chiese con voce pacata.

La ragazza annuì. “Ma sì, tutto ok. Non preoccuparti.”

Non era per niente convincente. Se c’era una cosa in cui Ichigo non era per niente brava, al contrario di lui, era mentire. Non per niente ci aveva messo poco a capire chi si celasse dietro quella spavalda Mew Mew in rosa, sette anni prima…

Lanciò una seconda occhiata ai libri sparpagliati sulla scrivania: non riusciva a leggere tutti i titoli, ma un volume sui disturbi della personalità attirò subito la sua attenzione. Vicino ad esso, un altro sullo stesso argomento, mentre un terzo, aperto sopra i primi due, sembrava trattare del disturbo post traumatico da stress.

Ichigo seguì il suo sguardo e arrossì lievemente. “Scusa, è che sono un po’ preoccupata per l’esame, tutto qui. Come puoi vedere.” fece, gesticolando in direzione dei libri. “Ehm…forse è meglio che riordini un po’.” aggiunse poi, chiudendo frettolosamente con una mano un tomo di almeno cinquecento pagine piene di orecchie. Al margine della scrivania color crema giaceva un piatto pieno di briciole, evidenti resti di quello che sembrava essere stato un panino. Masaya lo prese in mano prima che cadesse, mentre Ichigo impilava alla bell’e meglio libri, quaderni e fogli di appunti scritti in inglese e cacciava matite ed evidenziatori nell’astuccio a forma di coniglio nero. “Se mamma mi vede adesso, come minimo mi fa saltare la cena…” scherzò la ragazza. Masaya le sorrise, comprensivo. “Se sei preoccupata per lo studio, sai che puoi sempre contare su di me. Posso aiutarti a ripassare, se vuoi.”

Lei lo guardò con affetto, intenta a riempire l’astuccio fino al limite. “Lo so, amore. Grazie.” fece dopo qualche secondo, mentre tirava con forza la cerniera nel tentativo di chiudere l’astuccio, che aveva ormai assunto l’aspetto di un coniglio obeso. Il ragazzo assistette in silenzio alla scena, sforzandosi di non ridere ai sonori e poco eleganti sbuffi della propria fidanzata alle prese con la cerniera. Alla fine, come sempre, Ichigo ebbe la meglio. “Ecco fatto.” constatò con una punta di soddisfazione nella voce, soppesando l’astuccio con la mano destra. “Ehi, al prossimo Chimero che mi attacca potrei lanciarlo in faccia! Sarebbe letale.” scherzò, e Masaya si rasserenò giusto un po’ nel vederle tornare il buonumore. “Non devi preoccuparti di questo, ci penso io a difenderti.” disse dolcemente, raccogliendo la sacca da terra. “Vogliamo scendere?”

Ichigo annuì, posando l’astuccio sulla scrivania. Gli passò davanti, prendendogli il piatto dalle mani, e si avviò verso le scale, sorridendo appena, con uno strano luccichio negli occhi. Masaya corrugò la fronte, ma si astenne dal commentare. Non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che qualcosa non andasse...e qualcosa gli diceva che non si trattava dell’ansia pre-esame. Anche perché, rifletté aggiustandosi la sacca sulla spalla destra, normalmente si sarebbe aspettato di vederla più iperattiva e nervosa, mentre invece quella sera l’aveva trovata quasi…spenta. Non poteva fare a meno di pensare che c’entrasse qualcosa legato al Progetto. Forse era per quello che non si era più presentata al Café?

Si girò verso la scrivania per un momento, quasi istintivamente, controllando che fosse tutto in ordine, per poi chiudersi la porta della camera alle spalle.

Non voleva forzarla a dirgli nulla contro la sua volontà, decise iniziando a sua volta a scendere le scale. Si augurava solo che, qualsiasi cosa fosse, si decidesse a parlargliene da sola.


 
***

 
Era giunta la fine di un’altra lunga giornata di lavoro e allenamento. L’umore generale era abbastanza cupo, dato che alla stanchezza si sommava la preoccupazione dovuta all’interferenza dei servizi segreti o chi per loro nelle vite delle cinque ragazze – Ryou aveva provveduto ad avvertire tutti della misteriosa auto nera che aveva preso a pedinare Suika.

Persino Taruto, il più giovane dei tre alieni loro alleati, era sembrato incupito, quel pomeriggio. Anche le ragazze più grandi si erano trovate un paio d’ore ad allenarsi, ma tra Purin che sembrava voler prendere a calci tutto quello che le capitava a tiro, Retasu pensosa e Minto innervosita dall’ennesima assenza di Ichigo, il clima non era per nulla migliorato.

Tuttavia, mentre si cambiava d’abito negli spogliatoi sul retro del Café, Suika non poté fare a meno di darsi una immaginaria pacca sulla spalla. Ce l’aveva fatta, a superare quel giorno con discreta dignità, cosa che non credeva le sarebbe riuscita, data la figuraccia epocale che aveva fatto con Kisshu appena la sera prima e la conseguente isteria che quasi non le aveva fatto chiudere occhio. Tirò un sospirone di sollievo che non passò inosservato alle compagne di squadra: Sumomo le fece un sorriso sornione, mentre Nasubi si produceva in un’espressione a metà tra la preoccupazione e il disappunto, voltandole le spalle subito dopo.

“Chissà la nostra cara Suika-oneechan a chi sta pensando…” canticchiò Sumomo, andandole vicino mentre raccoglieva i capelli biondi in una coda alta.

Suika le scoccò una fugace occhiata imbarazzata, dandosi attentamente da fare per appendere la divisa da cameriera alla gruccia. Non era riuscita a tenersi quella cosa per sé, aveva dovuto per forza confidarsi con qualcuno che non fosse Shirogane…e comunque quella mattina l’avevano capito subito, le altre, che qualcosa le frullava in testa. La cosa frustrante era che Sumomo era anche fin troppo entusiasta (Suika si aspettava quasi che si vestisse da cheerleader per fare il tifo, con tanto di pon pon) mentre Nasubi non riusciva proprio a nascondere lo scetticismo e la disapprovazione, col risultato che Suika si sentiva in perenne tensione tra due poli opposti, quasi che Sumomo e Nasubi fossero le personificazioni, rispettivamente, del suo cuore e della sua mente.

In tutto questo, Ichijiku se ne stava zitta e impassibile, mentre Ninjin oscillava tra l’entusiasmo del vedere la sua oneechan innamorata e il rispetto che provava per Nasubi in particolare, con tutte le conseguenze del caso.

Suika si schiarì la voce. “Beh, è stata una giornata…faticosa.” fece, cercando di cambiare argomento.

“Già. Ma devo ammettere che mi sento molto più forte rispetto a una settimana fa.” disse Ichijiku, incrociando le braccia. Le altre concordarono.

Uscite in fila indiana dallo spogliatoio, salutarono Akasaka che stava spazzando i pavimenti. “Buon rientro a casa, ragazze. State attente.” si raccomandò lui in tono eloquente.

Le Mew Mew annuirono all’unisono. “Mi raccomando, ragazze. Se avete bisogno usate i ciondoli.” ribadì Suika una volta che furono uscite dal locale. Era essenziale non perdere di vista la missione, problemi di cuore o meno, si disse cercando di rimettersi in riga, e istintivamente il suo sguardo incrociò quello di Nasubi. Le sorrise, impacciata, e dopo un attimo di esitazione l’amica ricambiò, abbassando un po’ il capo, quasi a volerle chiedere scusa.

“Va bene, rompiamo le righe, soldati!” scherzò Sumomo stemperando un po’ la tensione. Le altre annuirono, augurandosi a vicenda una buona serata.

Si separarono, guardandosi le spalle di tanto in tanto alla ricerca della macchina nera, che tutte e cinque immaginavano in agguato nell’oscurità della sera.

Erano passati a malapena un paio di minuti che a Suika parve come di percepire una presenza nei paraggi. Rallentò il passo, rigirandosi nervosamente il ciondolo della trasformazione tra le dita. Poteva avvertire i propri sensi di tigre affinarsi, eppure, allo stesso tempo, la sensazione che provava in quel momento le sembrava andare al di là della sfera fisica. Col cuore in gola, si guardò attorno. Stava percorrendo la solita strada attorno al parco, e qualcosa le diceva che, chiunque fosse quel qualcuno di cui percepiva la presenza, l’avrebbe trovato tra gli alberi.

Continuò a camminare, la mano destra serrata attorno al ciondolo. Gli unici rumori che udiva erano quelli delle auto poco distanti e dei suoi stessi passi nella ghiaia del sentiero…  

Improvvisamente, il baluginio di un paio di occhi alla sua destra le mozzò il respiro. Subito portò il ciondolo al petto, allarmata, senonché la figura si portò alla luce – era su uno degli alberi del parco, aveva indovinato! – e la paura per la minaccia incombente si tramutò in istantaneo imbarazzo quando realizzò a chi appartenevano quegli occhi che aveva intravisto nell’oscurità.

“Sicura che non abbiano fuso i tuoi geni con quelli di un coniglio, invece che con quelli di una tigre?” le fece Kisshu con il suo solito tono irriverente, che stava iniziando a conoscere piuttosto bene.

Suika inspirò rumorosamente. Aveva trattenuto il fiato per la tensione. “Mi-mi hai spaventata. Hai gli occhi come quelli dei gatti anche al buio…” cercò di giustificarsi lei, riponendo il ciondolo dorato nella tasca del giaccone. Ed ecco le guance che vanno a fuoco…maledizione…oh, e potevi dirlo con un po’ più di venerazione nella voce, già che c’eri…pensò, distogliendo automaticamente lo sguardo dal suo interlocutore. Ma tanto chi se ne importa, l’ho baciato…se non era già palese prima di ieri sera, lo è diventato…

Ripensò all’occhiata stranita che le aveva rivolto Kisshu quando le loro labbra si erano staccate. Se n’era andato subito dopo, senza dire una parola, e lei aveva dovuto soffocare la crisi di nervi nel cuscino per non rischiare di farsi mandare al reparto psichiatrico.

O Dio, salvami. Manda un fulmine, un uragano, qualcosa!, pregò, silenziosamente quanto disperatamente, mentre l’alieno scendeva dal ramo dell’albero su cui si era seduto. “Sono desolato di averti spaventata,” disse, anche se non sembrava per niente dispiaciuto, anzi, “ma al tuo boss è quasi venuto un infarto, stamattina, e volevo risparmiargli il dispiacere.” spiegò, facendo un cenno in direzione del Café.

Suika ci mise qualche secondo per capire a cosa si stesse riferendo. “Oh.” commentò semplicemente, il cuore che batteva all’impazzata. “Volevi…cioè, intendo…hai bisogno di me?” gli chiese, mentre la temperatura sotto il giaccone invernale iniziava a salire.

“Hm. A dire il vero, sì.” rispose lui, avvicinandosi. Suika, allarmata, fece un passo indietro. “O-ok. Se posso aiutarti, dimmi pure.” balbettò, guardando ovunque tranne che nella sua direzione.

Kisshu avanzò di un altro metro e Suika arretrò nuovamente. L’alieno rise. “Perché scappi? Hai paura di baciarmi di nuovo?”

Fu come ricevere un pugno nello stomaco. Suika si sentì svuotata, tutto d’un tratto. Nonostante la cotta, una vocina nella sua testa si indignò per il modo in cui la stava prendendo in giro. Non aveva la minima idea di quanto mortificata si sentisse, in quel momento? Forse che si divertiva a vederla così in panico? Le tornarono alla mente le parole che Shirogane le aveva detto prima di Natale. Forse, dopotutto, aveva ragione lui…e anche Nasubi…ma chi prendeva in giro, l’aveva sempre saputo che avevano ragione, in fondo.

Prese un respiro profondo, mordendosi l’interno della guancia sinistra. “A-a proposito di quello…” esordì, riuscendo a trovare la forza d’animo necessaria a guardarlo in faccia per un fugace istante. Era come guardare il sole a occhio nudo; si ricordò di averlo già pensato.
Chinò il capo, poggiando le mani sulle ginocchia. “Ti chiedo immensamente scusa, è stato un gesto che non è dipeso da me.” continuò, gli occhi socchiusi. Le veniva da piangere. E le girava la testa. Di nuovo.

Sbuffò, raddrizzandosi e sbattendo le palpebre. “E…non succederà mai più, lo giuro.” aggiunse con un groppo in gola.

“…quindi è questo il problema che stai avendo con la mutazione.” commentò lui, lasciandola senza parole. Come faceva a sapere del difetto nella sua mutazione? Qualcuno gliel’aveva detto? Oppure l’aveva sentita lamentarsi con Shirogane, quella mattina?

Suika cercò di ricomporsi, facendo cenno di sì con la testa. Kisshu la fissava con l’aria di chi aveva appena risolto un rompicapo. D’un tratto le sorrise, e il suo stomaco prese a fare le capriole, di nuovo. “Immagino che sia una cosa plausibile. L’istinto animale prende il sopravvento.” Riprese ad avvicinarsi. “Così come voi umani discendete dai primati, così noi siamo, tecnicamente, felini…” mormorò, come se non stesse realmente parlando con lei, ma con sé stesso.

La ragazza indietreggiò per la terza volta, andando a sbattere contro il tronco di un albero. Kisshu si fermò a poca distanza da lei. Sembrava perso in un qualche ragionamento, una mano alle labbra, lo sguardo fisso nel vuoto.

“Sono felice che tu, ecco, capisca. Che la cosa non dipende da me, ecco. Lo so, voglio dire, sono perfettamente consapevole del fatto che…tu e io…” Oddio Suika, che cavolo stai blaterando?! Stai zitta!, si rimproverò la ragazza mordendosi la lingua. Il cellulare che teneva nella tasca dei jeans vibrò, e improvvisamente si rese conto che era in ritardo per la cena, e che probabilmente sua madre stava iniziando a preoccuparsi.

“Ok, beh, sono contenta che questa cosa è sistemata.” disse frettolosamente, accennando un debole sorriso. “Ora devo andare.” aggiunse, e suo malgrado gli voltò le spalle, soltanto per sentirsi afferrare il polso un secondo dopo. Chiuse gli occhi, rabbrividendo dalla testa ai piedi a quel semplice contatto. La mano di lui era fredda, ma allo stesso tempo sembrava bruciarle la carne; era la stessa, curiosa sensazione che provava quando si trasformava, come di un fuoco che le avvampasse dentro…

Kisshu la fece voltare, non con violenza ma con decisione, anche se sarebbe bastata la più lieve spinta a farla muovere. Lo fissò, si rese conto, come un assetato che si trovasse davanti una caraffa d’acqua fresca.

Si sentiva come creta in attesa di essere plasmata.

E, improvvisamente, un’ondata di panico le risalì lo stomaco. Aveva paura di svenire di nuovo, o di perdere un’altra volta il controllo di sé stessa. Ormai conosceva quelle sensazioni: il turbinio del sangue nelle orecchie, la carenza di ossigeno al cervello… “Ti prego, lasciami!” esclamò, divincolandosi. L’alieno la guardò con le sopracciglia corrucciate. “Ti faccio così tanto effetto?” le chiese, incredulo.

Suika si allontanò, respirando affannosamente mentre si massaggiava il polso che lui le aveva stretto, lo stesso in cui era comparsa la voglia che la contrassegnava come Mew Mew. Il cellulare vibrò ancora. “Sì.” rispose semplicemente. “Sì.” ripeté.

E corse via.
 
 
 
 









Finalmente, dico io, FINALMENTE anche questo capitolo è concluso. *-* Quanto ho faticato per scriverlo. Non voglio commentare niente perché l’ho riletto ormai tante di quelle volte da avere le traveggole. -.-“ Spero solo che vi sia piaciuto. Grazie a tutte per le splendide recensioni. Un baciotto.
P.s.: Nel prossimo capitolo, botte. Botte a non finire. >:3

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Capitolo 31
*** Shimmering ice ***


31. Shimmering ice





Quando, quella mattina, Suika la prese da parte, Nasubi le scoccò subito un’occhiata colpevole. Sapeva di avere oltrepassato il limite. Chi era lei per contestare le scelte della sua compagna di squadra, che era anche la leader del gruppo? Poteva avere tutte le ragioni del mondo, ma non erano comunque cose che la riguardavano, pensò aggiustandosi gli occhiali sul naso. Fissò imbarazzata il pavimento in parquet del locale, preparandosi a sentirsi dire di farsi gli affaracci suoi, mentre Suika le prendeva una mano tra le sue. “Nasubi-chan, devo chiederti un favore.” esordì la ragazza, imbarazzata. “Lo so che è chiedere tanto, ma ho bisogno del tuo aiuto per una cosa…”

Si guardarono negli occhi. “Dimmi pure.” disse Nasubi, confusa dal tono titubante dell’amica. Non le sembrava arrabbiata, o infastidita, o in procinto di mandarla a quel paese…

Suika fece una smorfia. “Ho bisogno che quando c’è lui nei paraggi tu mi stia vicina. Per distrarmi, in modo che non…ecco…in modo da…” prese a balbettare, arrossendo e distogliendo lo sguardo.

Nasubi sorrise appena, sollevata. Si sentì improvvisamente apprezzata e degna di fiducia, e una calda sensazione le si diffuse nel petto. “Ma certo, Suika…con molto piacere.” accettò, sorridendo in modo più convinto. “Sono felice che ti fidi di me.”

La compagna sorrise a sua volta. “L’avrei chiesto a qualcun altro, ma ho notato che ti importa in modo particolare, e…”

“No, è che…non voglio farmi gli affari tuoi, è solo che…” cercò di spiegarsi Nasubi.

“…lo so, davvero. Non c’è bisogno di aggiungere altro.” la rassicurò Suika. “Mi aiuterai? Ho davvero bisogno di aiuto…” aggiunse, una punta di sofferenza nella voce.

Nasubi sentì il cuore accelerarle i battiti. “Assolutamente.”
 

***
 

Quella sera avevano chiuso il locale un’ora prima del solito, per dare modo a tutti di festeggiare il Capodanno. Le ragazze si erano congedate, dandosi appuntamento da lì a poco, quando tutte e cinque, con familiari al seguito, sarebbero andate a fare visita al tempio Meiji, nella zona di Shibuya.

Ninjin era al settimo cielo. Da circa un’ora stava passeggiando in mezzo alla folla con sua madre, suo padre e il fratellino Akira nel passeggino, che le avevano anche lasciato spingere per un tratto. Aveva raccolto i capelli con un paio di fiocchi a forma di fiori gialli e rosa e si stava godendo un leccalecca che suo padre le aveva comprato ad un banchetto. Akira era tranquillo, e una volta tanto non stava piangendo: era quasi carino, così, con quel ciuffo rado di capelli rossi che gli solcava la fronte e gli occhi azzurri sgranati ad osservare la gente attorno a lui.

Ninjin aguzzò la vista, togliendosi il leccalecca di bocca, e allungò una mano a salutare la sua oneechan preferita, Nasubi, la quale si avvicinò accompagnata da un uomo sulla cinquantina con gli occhiali, che doveva essere suo padre. “Buonasera.” li salutò, abbassandosi a fare le feste al neonato.

“Nasubi-chan, come sei carina!” la saluto la madre di Ninjin, calorosa. “E lei deve essere Nakajima-san.” continuò rivolgendosi al padre della sua amica. “Sua figlia è un tesoro, davvero. Ninjin è migliorata moltissimo in matematica, da quando le dà ripetizioni!”

Mentre i genitori di entrambe si scambiavano i convenevoli, Ninjin si avvicinò alla compagna, sorridendole. Nasubi le lanciò un’occhiata serena. “Sei carinissima con questi elastici.” le fece, e Ninjin ridacchiò, felice. “Anche tu sei carina, oneechan. E le altre, dove sono?” chiese, tornando a guardarsi attorno nella speranza di vederle. Erano tutte così belle, e Ninjin era felicissima di trovarsi in mezzo a loro: le ammirava tantissimo, tutte quante. Quanto avrebbe voluto essere come loro…

Improvvisamente, una figura catturò la sua attenzione, nella folla: se ne stava in piedi vicino ad un vecchio pozzo in disuso, e sembrava fissare proprio lei. Era una donna smunta, magrissima, dalle labbra blu, con una lunga veste bianca simile ad un kimono e i capelli lunghi e scarmigliati ai lati del volto. Ninjin si inquietò profondamente a quella visione. Cercò di distogliere lo sguardo, ma un secondo dopo tornò a fissarla, incapace di muovere un muscolo. La donna la fissò di rimando, senza tradire alcuna emozione.

“Nin-chan, che hai?” le chiese Nasubi, colpita dal suo improvviso mutismo.

La bambina si limitò a indicare la figura spettrale tra la folla. In quel momento, Masha comparve con un discreto pop a fianco della Mew viola. “Chimeri, chimeri!” esclamò il robottino, mentre Nasubi stringeva forte la spalla di Ninjin. “Visti. Vai a chiamare le altre, Masha!” fece prontamente sottovoce.

Ninjin la guardò, tremante. “S-sembra un f-fantasma. Io ho…ho paura dei fantasmi…” balbettò, le gambe molli e lo stomaco chiuso.

Nasubi le sorrise. “Sono solo Chimeri, Ninjin. E noi li faremo sparire!” la esortò con voce dolce, raddrizzando la schiena. “Io e Nin-chan vorremmo andare a cercare le altre…vi dispiace?” fece in tono fintamente allegro, prendendola per mano.

I tre adulti corrugarono la fronte, ma non protestarono. “Basta che restiate in zona!” si raccomandò il papà di Ninjin. Il padre di Nasubi annuì. “Va bene, ma tornate presto! Intanto vado a recuperare tua madre…” disse, congedandosi educatamente.

Le due si allontanarono in direzione del Chimero, il quale si mosse non appena vide che gli stavano andando incontro, facendo venire a Ninjin un’altra serie di brividi lungo la schiena. La bambina strinse forte la mano della compagna mentre Sumomo, Ichijiku e Suika le raggiungevano, guidate da Masha. “Che succede? Dove sono?” chiese Suika guardandosi nervosamente attorno.

Nasubi corrugò la fronte. “Da quella parte…ma state attente, potrebbe essere una trappola.” rispose in tono guardingo.

Ichijiku le si affiancò mentre iniziavano a farsi lentamente strada tra la folla.  “Perché lo dici?” chiese, seguita a ruota da Sumomo, che le si era aggrappata al polso destro.

“Non stanno attaccando. È come se volessero condurci da qualche parte.” spiegò Nasubi. Sumomo aggrottò la fronte. “Questa sì che è nuova.”

“È come se…non volessero fare del male alle altre persone!” tentò Ninjin. Non sapeva da dove le fosse uscita una frase del genere…ma le sarebbe piaciuto credere che fosse vera.

Le altre le scoccarono delle occhiate poco convinte. “Non lo so, Nin-chan…” esordì Suika, dubbiosa.

Ichijiku scosse la testa. “È probabile che, semplicemente, non interessi loro combattere in mezzo alla calca.”

“Beh, aspettate un attimo! Se è davvero una trappola, non sarebbe meglio evitare di finirci dentro?” protestò Sumomo. Ninjin scoccò un’occhiata a Suika e le altre la imitarono, fermandosi vicino ad uno dei tanti banchetti che vendevano amuleti di buona fortuna per l’anno nuovo. La leader ebbe un attimo di esitazione, poi sentenziò: “Non possiamo semplicemente ignorarli…cerchiamo di stare attente, e muoviamoci in modo compatto, così nessuna resterà da sola.” Si presero tutte quante per mano. “Ninjin, tu stai in mezzo.” aggiunse Suika scoccandole un sorriso di incoraggiamento.

Ripresero a camminare. La bambina si sentiva improvvisamente più fiduciosa. Non doveva avere paura, si ripeté. Aveva tutte quelle sorelle maggiori che si preoccupavano per lei; era al sicuro. Avrebbero risolto questa cosa in un battibaleno, lo sentiva.

La folla sembrava non finire mai. Andavano in senso contrario alla calca, facendosi strada a suon di “permesso” e “mi scusi”. Dopo parecchi minuti di cammino, immerse in un teso silenzio nel bel mezzo della folla chiassosa, riuscirono finalmente a dirigersi verso uno spiraglio, Suika in testa.

Bastò uno sguardo per capirsi: mollata la stretta, le cinque ragazze recuperarono i ciondoli per la trasformazione dalle rispettive borse. Suika sembrava tesa, e con lei anche Nasubi, mentre Ichijiku e Sumomo parevano più accigliate che altro. Ninjin si guardò attorno nervosamente: erano sbucate in una via secondaria, non eccessivamente larga, che il passaggio della folla aveva lasciato piena di cartacce. Lungo il lato destro, vicino al marciapiedi, erano stati piantati dei piccoli alberi di ciliegio, tristemente spogli in quella stagione; dal lato opposto della strada, al di là di un basso muretto in pietra, scorreva un piccolo torrente.

Il fantasma della donna che aveva visto poco prima ricomparve, facendola rabbrividire senza che potesse farci niente. Aveva qualcosa di estremamente spaventoso: gli occhi dalla sclera gialla e le iridi rosse, forse, o le zanne che si intravedevano tra le labbra blu, o le braccia pallide dalle lunghe dita abbandonate lungo i fianchi…fluttuava a pochi metri da terra, vicino ad un’auto rosso brillante parcheggiata davanti ad un negozio. La bambina afferrò la gonna di Sumomo, che al momento era quella più vicina a lei, e tirò con urgenza, mentre con la mano libera indicava il fantasma. Era traslucido, come se fosse fatto d’acqua…come se l’avessero appena recuperato dall’acqua gelida del fiume, pensò col cuore in gola. Sentiva già che avrebbe fatto degli incubi in proposito.

Nel frattempo, le sue compagne di squadra si erano schierate una a fianco dell’altra, fronteggiando il Chimero in un silenzio carico di aspettative. Ninjin si augurò che gli alieni buoni loro alleati comparissero presto ad aiutarle.

“Via libera per la trasformazione.” le informò Ichijiku in un soffio, il che, immaginò Ninjin, voleva dire che non c’era nessuno in giro che potesse vederle. Oltre ai negozi dalle serrande abbassate, sulla strada si affacciava una lunga fila di condominii dalle mura esterne verniciate di beige e celeste.

Improvvisamente, il fantasma-Chimero si ripiegò violentemente su sé stesso, quasi accartocciandosi, strappando alla bambina un gridolino di sorpresa. Ci fu un flash improvviso, che rischiò di accecarle tutte, e quando riaprirono gli occhi si ritrovarono davanti due fantasmi fluttuanti, che si lasciarono andare a delle grida acutissime, che non preannunciavano certo nulla di buono…

“Direi che è ora di trasformarsi, ragazze!” esclamò Sumomo prontamente, impugnando il ciondolo; Ninjin non avrebbe potuto essere più d’accordo. Voleva solo sconfiggere quei Chimeri orridi e tornare a passeggiare tranquillamente con la sua mamma e il suo papà.

“Mew Mew Suika…”

“Mew Mew Sumomo…”

“Mew Mew Ichijiku…”

“Mew Mew Nasubi…”

Ninjin strinse tra le mani il suo ciondolo come se stesse pregando. Le tornarono in mente le parole che Nasubi le aveva rivolto poco prima: sono solo Chimeri. E noi li faremo sparire.   

“Mew Mew Ninjin…”

“METAMORPHOSE!” urlarono in coro, e una volta ancora si ripeté quello straordinario miracolo che permetteva loro di usare poteri che andavano ben al di là delle normali capacità di un qualsiasi essere umano. Il cuore le fece un tuffo quando, riaperti gli occhi che aveva chiuso giusto per un attimo, si ritrovò vestita con quel buffo abito arancione acceso, dalle braghe a pagliaccetto. Doveva ancora abituarsi a quella sua nuova forma, in tutta onestà. Ogni volta le sembrava di stare sognando. Era come quando Cenerentola veniva trasformata dalla fata madrina per andare al ballo col principe…

“Umpf. Ce ne avete messo di tempo…” sbottò una figura vestita in modo anche più bizzarro del loro, facendo la sua comparsa tramite un portale dimensionale. Ninjin non aveva mai visto per bene in faccia la ragazza grande chiamata Ichigo, ma aveva sentito le proprie compagne parlare di quanto quello strano Chimero fosse identico a lei. Nasubi glielo aveva spiegato come meglio poteva, dicendole che l’aveva clonata, cioè imitata come una fotocopia. Shirogane aveva detto loro che era una cosa molto pericolosa, quella che si trovavano di fronte, e che dovevano cercare di eliminarla a tutti i costi. La bambina evocò la propria arma, giusto per essere preparata, osservando con la coda dell’occhio Nasubi fare lo stesso.

Il Chimero-clone, intanto, sorrise apertamente, mentre i due Chimeri-fantasma gli si affiancavano. Ninjin tremò una volta di più, disgustata.

“Allora, come vogliamo fare questa cosa? Con le buone o con le cattive?” chiese il clone coi capelli rossi, stiracchiando le braccia e socchiudendo gli occhi, come se la cosa non gli importasse più di tanto.

Sumomo non attese oltre: “Ribbon air blast!” esclamò, scagliando il suo boomerang azzurro. La traiettoria curva dell’arma luminosa travolse in pieno uno dei due Chimeri-fantasma, che esplose in una pozza d’acqua, mentre il Chimero-clone riuscì ad evitare il colpo, e così anche l’altro mostro.

“Bel colpo!” esclamò Suika, ammirata, mentre Nasubi balzava davanti a Ninjin per difenderla, come sempre. Un secondo dopo, il Chimero-clone, abbandonata la facciata di imperturbabilità, ricambiò l’attacco: “Ribbon Strawberry surprise!”

Ninjin schizzò istintivamente da un lato, evitando l’attacco, dopodiché si assicurò che le altre, specialmente Nasubi, avessero fatto lo stesso. Raddrizzando la postura, si disse che era ora che provasse ad attaccare anche lei. Il suo Ribbon earth club andò ad unirsi agli attacchi di Ichijiku e Suika, schiantandosi con violenza addosso a entrambi i mostri, in una combinazione brillante di colori vivaci. “Sì!” si lasciò sfuggire, emozionata, cercando automaticamente la Mew viola con lo sguardo. Impiegò qualche secondo per accorgersi con sgomento che non solo era appena comparso, poco distante, l’alieno cattivo con la cicatrice in faccia, ma che i Chimeri-fantasma erano tre invece che uno. Come era possibile?

Le ragazze non fecero in tempo a capire da dove fossero sbucati che questi ultimi lanciarono i loro attacchi. “Attente!” gridò MewSuika, ma la sua voce risultò appena udibile al di là del rumore assordante di centinaia di proiettili di ghiaccio che si infrangevano sull’asfalto nero e sui muri dei negozi alle loro spalle. Ninjin spiccò un salto e corse veloce come il vento dietro ad un’auto parcheggiata poco distante. Quando si trattava di schivare, nessuno la batteva: glielo aveva detto anche Taruto, un paio di giorni prima. Prendendo un paio di respiri profondi, il cuore che aveva preso a batterle in modo forsennato, vide che Ichijiku si era riparata dietro l’auto adiacente alla sua. “Ninjin,” la chiamò sottovoce la ragazza più grande, “resta qui, ci penso io.” continuò, lo scudo verde a forma di goccia stretto al petto.

Ninjin annuì prontamente, rincuorata, e osservò in silenzio la Mew verde uscire allo scoperto e lanciare di nuovo il proprio attacco: “Ribbon water shield!”

Rimase ad osservare lo scontro da dietro la macchina per qualche secondo, senonché un improvviso lamento alla sua destra la fece girare di scatto. Boccheggiò, nel vedere MewNasubi bloccata contro uno dei ciliegi poco distanti: era come incollata al tronco da qualcosa di bianco e traslucido…ghiaccio, realizzò la bambina correndo subito ad aiutarla. “Nin-chan…” la chiamò piano la ragazza, il respiro mozzato dai brividi.

Ninjin sgranò gli occhi grigi: la compagna era per gran parte avvolta in un blocco di ghiaccio che aveva tutta l’aria di starsi lentamente espandendo, in microscopiche schegge, lungo le sue gambe, le braccia e il collo. “Aspetta, oneechan! Ti aiuto io!” esclamò la bambina in fretta e furia, evocando la propria arma e iniziando a dare dei colpi di punta al ghiaccio con tutta la forza che aveva nelle braccia. Nasubi, intanto, cercava disperatamente di liberarsi dalla morsa gelida. Il dimenarsi della Mew orso ed i colpi di MewNinjin provocarono, dopo qualche secondo, delle sottili crepe nel ghiaccio, ma sfortunatamente la bambina non riuscì a portare a termine l’impresa: un Chimero le si avventò addosso all’improvviso.

Ninjin gridò, proteggendosi appena in tempo con la clava da un’unghiata di uno dei Chimeri-fantasma. Visti da vicino sembravano molto più solidi rispetto a prima, realizzò mentre il mostro ululante le sparava addosso un’altra serie di proiettili di ghiaccio. La bambina cercò di schivarli come meglio poteva, abbassandosi e scartando a destra in una mossa fulminea, il suo istinto che le intimava di scappare a gambe levate…ma non poteva lasciare lì la sua oneechan! Non poteva semplicemente fuggire

In quel momento, un’ondata si levò alla sua sinistra, colpendo in pieno il Chimero e spruzzandola appena di bruciante acqua salata. Il mostro fu sbalzato a metri e metri di distanza, finendo sonoramente contro il muretto che separava la strada dal fiumiciattolo. Solido era solido, constatò la piccola Mew Mew mentre riprendeva fiato e abbandonava ogni tipo di timore soprannaturale. Nasubi-oneechan aveva ragione, come sempre del resto!, pensò sorridendo appena. Ichijiku le si affiancò e insieme si precipitarono ad aiutare Nasubi, senza che ci fosse bisogno di dire una parola.

“G-grazie…” mormorò la ragazza, battendo i denti per il freddo. Sotto i colpi di entrambe le Mew Mew, il ghiaccio si spaccò con un crack e MewNasubi fu finalmente libera. Aveva la pelle del busto e delle braccia piena di puntini rossi e la mano sinistra gocciolante di sangue. “Mi sono tagliata, maledizione!” esclamò con astio, portandosi la mano alla bocca.

“Ottimo! Spero tu non me ne voglia, ma ne approfitterei…” commentò il Chimero-clone, facendole sobbalzare tutte e tre. Fluttuava a pochi metri di distanza, le braccia incrociate sotto il seno fasciato dal top nero. Sembrava del tutto illeso…e, cosa anche peggiore, il Chimero che MewIchijiku aveva atterrato si accartocciò su sé stesso, come era accaduto prima…ma questa volta, invece di sdoppiarsi, si quadruplicò. “No!” esclamò Ninjin, avvertendo come un macigno nello stomaco. Improvvisamente, erano otto contro tre…
 

Dopo aver fatto esplodere un Chimero con il suo attacco luminoso, MewSuika si guardò attorno freneticamente. Ce n’erano altri due da fare fuori, se aveva fatto i conti giusti, e Sumomo si stava già occupando di uno dei due. A una ventina di metri da lei, vide Ichijiku insieme a Ninjin, e fece per andare loro incontro, ma avvertì uno strattone deciso ad una gamba. Si girò per vedere quale fosse il problema, perplessa, e si rese conto che il suo stivale destro era rimasto inglobato in un blocco di ghiaccio saldamente fissato al terreno. La ragazza tirò, sbilanciandosi con il busto, ma il piede non si mosse di un millimetro, anzi: il ghiaccio pareva starle lentamente risalendo la gamba…

Suika si inginocchiò e, impugnato il proprio scettro, prese a picchettare il ghiaccio con forza, augurandosi di non rompere l’arma. Alle proprie spalle poteva udire distintamente Sumomo combattere contro il Chimero…quando d’un tratto, preceduto dal rumore della smaterializzazione, davanti a lei comparve Kue, sogghignante, la lunga cicatrice orribilmente tirata sul volto cereo. “Bene bene, chi abbiamo qui?” chiese l’alieno, evocando la falce dal nulla.

La ragazza sgranò gli occhi, in preda al panico. La falce era davvero grossa e, sapeva, estremamente affilata. Nonostante impugnasse a sua volta la propria arma, in quel momento era completamente indifesa. Scattò in piedi, tirando con tutte le sue forze, ma il piede restò incollato all’asfalto. Poteva avvertire in modo doloroso il gelo farsi strada nella sua carne, mentre l’arto iniziava ad addormentarsi…

“Mu ha già il tuo DNA, ergo posso ucciderti senza problemi.” continuò l’alieno, avvicinandosi di un passo. “Aspettavo da tempo questo momento!” esclamò deliziato, sollevando la falce…

…che venne deviata all’ultimo da un colpo di Sumomo, mentre Suika, gemendo terrorizzata, indietreggiava quel tanto che poteva, proteggendosi istintivamente la testa con lo scettro rosso e bianco. Il cuore le batteva all’impazzata. Deglutendo, ringraziò mentalmente la compagna, la quale, sorvolandola, aveva attirato momentaneamente l’attenzione di Kue. Cercò di approfittare del tempo guadagnato per tentare disperatamente di liberarsi. Le mani le tremavano; il ghiaccio le spruzzava schegge su braccia e volto ogni volta che lo colpiva ed era maledettamente scivoloso, per cui almeno un colpo su tre andava a vuoto. “Shirogane, se ci senti…qui si sta mettendo male!” implorò, spaventata a morte, pregando che Kisshu e gli altri arrivassero presto.
 

MewSumomo, dall’alto, aveva una visuale quasi completa dello scontro. Non si capacitava di come, all’improvviso, i Chimeri fossero raddoppiati in numero; aveva perfettamente chiara la situazione di svantaggio in cui erano Ichijiku, Nasubi e Ninjin, ma in quel momento non avrebbe potuto fare niente per aiutarle, perché, lo sapeva, si era appena scelta un avversario molto pericoloso. Ed era da sola.

Kue la fissava con malevolenza, fronteggiandola, la falce stretta tra le mani. Sumomo ricordò di come avesse cercato di decapitarla, durante lo scontro al molo, e si concentrò sull’odio che quel ricordo le ispirava, sperando di scacciare la paura che le serrava lo stomaco. Con la coda dell’occhio, controllò la posizione di Suika, cercando di allontanarsi ancora un po’ ma senza osare troppo, per paura che l’alieno tornasse ad attaccare la compagna di squadra.

“Tu manchi alla collezione.” le fece lui. “Ma non credere che ti risparmierò il dolore.”

“Ribbon air blast!” gridò la ragazza in tutta risposta, improvvisamente infervorata. Collezione, l’aveva definita! Non doveva lasciarlo parlare, l’avrebbe solo distratta, pensò mentre sentiva il sangue andarle alla testa.

L’alieno ruggì, mulinando la falce, e l’attacco della ragazza venne respinto, andando a cozzare sonoramente col lucido metallo nero della lama ricurva. Sumomo sobbalzò al suono, mentre la propria arma le passava a pochi centimetri dall’orecchio destro, fendendo l’aria con un fischio. Non fece minimamente in tempo ad andare a recuperarla: Kue le si slanciò contro e lei riuscì a malapena ad evitare il suo attacco. Si ritrovò a ringraziare gli allenamenti dei giorni precedenti, che l’avevano aiutata a migliorare i propri riflessi.

Coraggio, Sumomo, puoi farcela! si disse, volando più in alto per evitarlo. Posso farmi rincorrere per un po’…posso farcela…devo solo recuperare…eccolo! Si lanciò in picchiata, pregando di arrivare prima al suo boomerang di quanto l’alieno arrivasse a lei…
 

Ichijiku sapeva che il clone avrebbe puntato Nasubi, dato che era ferita. Ninjin era solo una bambina, quindi non poteva essere granché di aiuto, e Sumomo e Suika erano impegnate a una ventina di metri di distanza…

Tocca a me, risolse, maledicendo i loro alleati alieni, che sembravano non avere alcuna intenzione di farsi vivi. Stringendo saldamente il proprio scudo, si preparò ad attaccare. Non sapeva come, ma si era ritrovata a dover fronteggiare una decina di Chimeri, compreso quello speciale, che in teoria avrebbe dovuto essere il primo da eliminare, ma che era anche diventato dannatamente forte.     

“Ribbon Strawberry surprise!” esclamò il suddetto Chimero, mentre la schiera di mostri alle sue spalle lanciava all’unisono il proprio attacco di ghiaccio.

“Ribbon water shield!” urlò la Mew verde, imprimendo quanta più forza di volontà possibile al suo colpo.

“Ribbon…” esordì Ninjin per darle manforte, ma Nasubi la bloccò con un’urgenza estrema nella voce, intimandole di aspettare. Un secondo dopo, il muro d’acqua andò a scontrarsi con l’attacco multicolore del clone, riparandole allo stesso tempo dalla maggior parte delle schegge di ghiaccio.

Questa volta devo averli colpiti per forza!, pensò Ichijiku con soddisfazione, il cuore che le batteva a mille. Le sue aspettative, tuttavia, furono deluse appena una manciata di secondi dopo, quando, passata la foschia, si rese conto che non solo nessuno dei Chimeri si era dissolto, ma che, anzi, si stavano tutti ripiegando di nuovo su sé stessi…

“N-non è possibile!” esclamò, la paura che le attanagliava le viscere. Ma cosa diamine mi succede?!

“È l’acqua!” le gridò allora MewNasubi, evocando la propria arma. “Si moltiplicano con l’acqua!”

Fu come se un fulmine l’avesse colpita in pieno. All’improvviso le fu tutto chiaro: la trappola a cui aveva accennato Nasubi poco prima, il fatto che i Chimeri le avessero condotte lì, il fiumiciattolo che scorreva proprio lì vicino: la sua compagna aveva ragione. I suoi attacchi venivano assorbiti e i Chimeri li usavano per moltiplicarsi…

E adesso cosa faccio?!, pensò in preda all’orrore, schiacciata dalla rivelazione e dall’improvvisa realizzazione di non avere alcun potere offensivo a disposizione.
 

MewNasubi si slanciò in avanti ad arma sguainata, seguita a ruota da MewNinjin. “Tu pensa a loro, io penso a lei!”, ebbe giusto il tempo di dire prima di gridare: “Ribbon fire blade!”

Il Chimero di fronte a lei non riuscì a parare il colpo e urlò di rabbia e dolore. Brucia, eh, maledetta?, pensò la ragazza, il sangue che le rombava nelle orecchie. Adesso facciamo i conti io e te!

In un’intuizione improvvisa le era stato finalmente chiaro il perché i Chimeri-fantasma le avessero condotte in quel posto invece di attaccarle in mezzo alla folla dove le avevano trovate. Avevano evidentemente bisogno dell’acqua, per funzionare. Non a caso attaccavano col ghiaccio…e Ichijiku aveva involontariamente contribuito a renderli un piccolo esercito, da due che erano all’inizio…

Il clone scartò a sinistra, ma Nasubi non aveva intenzione di lasciarselo scappare. “Ribbon fire blade!” ripeté rabbiosamente, disegnando un arco di fiamme viola di fronte a sé. La colpì di striscio, ma non fece in tempo ad esultare perché i proiettili di ghiaccio scagliati dagli altri Chimeri la travolsero, in una gragnuola di colpi, facendola cadere rovinosamente a terra. L’asfalto ruvido le spellò un gomito e buona parte della spalla, il ghiaccio che l’aveva avvolta poco prima le si incollò nuovamente addosso…e dov’era Ninjin? Era stata colpita anche lei? La ragazza cercò disperatamente di guardarsi attorno, sollevando con fatica il busto da terra, e si accorse di avere le gambe bloccate. “Maledizione…” gemette, conficcando la punta del suo stocco nel ghiaccio inamovibile. Si sentiva le braccia pesanti e le girava la testa...un attacco dopo l’altro, un colpo dopo l’altro, le forze la abbandonavano…

“Nasubi-oneechan!” si sentì chiamare, scorgendo la figurina arancione di MewNinjin con la coda dell’occhio. Subito si sentì sollevata. La bambina le corse incontro e prese nuovamente a tirare colpi al ghiaccio, zelante, senza accorgersi minimamente che il clone le era arrivato silenziosamente alle spalle. “Attenta!” gridò Nasubi, allarmata, ma il Chimero fu più veloce e afferrò Ninjin per uno dei lunghi codini, strattonandola brutalmente.

La bambina urlò di dolore, portandosi entrambe le mani alla testa e lasciando cadere la propria arma al suolo. “Zitta!” sbraitò il clone, un’espressione di puro odio che deformava il suo bel volto di donna umana. “Mi avete proprio stancato! Credete che per me faccia differenza quale di voi assorbo per prima?!” Sollevò la piccola Mew Mew da terra, preparandosi a mettere in atto le sue minacce; Nasubi, disperata, tirò e spinse con tutte le sue forze per liberarsi… “Ichijiku! Suika! Sumomo!” chiamò, incapace di arrendersi, la gola che bruciava per le lacrime e lo sforzo…

Oneechaaan!!” gridava intanto Ninjin, spaventatissima, scalciando l’aria nel vano tentativo di liberarsi…

E dal nulla spuntò Kisshu, così, come se in qualche modo l’avessero evocato magicamente con le loro suppliche. Nasubi fu incredibilmente felice di vederlo, nonostante tutto. L’alieno rifilò un cazzotto ben assestato allo stomaco del Chimero, facendolo piegare in due. Ninjin, libera, cadde a terra con un tonfo, tremante da capo a piedi.

 
Sumomo si ripromise che avrebbe abbracciato Taruto non appena ne avesse avuto l’occasione. Accasciata a terra, la mano destra premuta sul fianco sinistro, cercò di pensare positivo: in fondo, si disse, sarebbe potuta andarle molto peggio. Aveva il fiatone, si accorse in quel momento. Cercò di regolarizzare il respiro, alzando gli occhi al cielo stellato per distrarsi.

Al di sopra di lei, Kue e Taruto avevano ingaggiato battaglia. Era la seconda volta, a pensarci bene, che l’alieno le salvava la pelle, spuntando sempre nei momenti giusti. Non si sarebbe stupita, in tutta onestà, se fosse venuto fuori che se ne stava nascosto da qualche parte, durante gli scontri, giusto per entrare in scena nei momenti più drammatici…

Il suo sangue era appiccicoso e caldo, disgustoso da sentire sulle dita, al di là del tessuto leggero dei guanti…e le stava imbrattando la gonna, la sua bella gonnellina azzurra. Quanto amava il suo vestito da Mew Mew…si augurò che non restassero le macchie…

“Sumomo, oddio, Sumomo..!” sentì esclamare all’improvviso Suika. Girato appena il capo nella sua direzione, se la vide correre incontro, in lacrime.

“Ehi, Suika…” la salutò, sorridendo debolmente. “Sei fortunata, su di te scommetto che le macchie di sangue non si vedono…” biascicò, la testa pulsante.  

La compagna si inginocchiò accanto a lei, singhiozzante. “È tutta colpa mia…oddio…è tutta colpa mia…” farfugliò, il respiro affannoso. Sumomo la vide guardarsi attorno, poi addosso, come se stesse cercando qualcosa. Avrebbe voluto chiederle cosa, ma aveva la bocca impastata…

“Ecco, ecco…” fece intanto Suika, slegandosi il fiocco rosso dal polso e ripiegandolo su se stesso con mani tremanti. Lo avvicinò alla ferita, aiutandola a premere. “…grazie…” soffiò Sumomo. Faceva davvero male, ma davvero davvero. Peggio dell’appendicite che aveva avuto due anni prima.  

“Shhh.” mormorò l’altra, tirando su col naso. “Non preoccuparti, ci sono io qui…e ti giuro che lo ammazzo, quel maledetto, se prova ad avvicinarsi…te lo giuro, lo ammazzo!”

Sumomo sorrise. “Ci pensa Taruto-oniichan…sta’ tranquilla…” Poi le uscì una risata nasale. Ehi Suika, sei rimasta bloccata da un pezzo di ghiaccio come una scema! Ti rendi conto?! Ma si può?! Ti sei quasi fatta ammazzare da…da…da un pezzo di ghiaccio! Ridacchiò ad occhi chiusi, posando la testa sul marciapiedi, mentre Suika piangeva, la mano poggiata sulla sua, a premere forte sulla ferita.
 

Il Chimero barcollò, portandosi le mani allo stomaco, piegato in due dal dolore. Sembrava davvero lei…in ogni dettaglio, era identico a Ichigo. Avrebbe potuto fregare persino lui, considerò Kisshu guardandolo fisso, se non fosse stato per quei vestiti…che comunque sarebbe stato più che felice di vedere addosso alla vera Ichigo…

L’odio con cui il clone lo guardò lo fece sorridere amaramente. Non gli era nuovo, quello sguardo…

“Togliti di mezzo!” ringhiò il Chimero. Anche la sua voce era quella di Ichigo – l’avrebbe riconosciuta tra mille – ma, notò, l’inflessione era diversa e il tono era più basso.

“Spiacente di deluderti.” replicò Kisshu allegramente, stringendosi nelle spalle. Avrebbe potuto evocare i propri sai, ma preferì aspettare e concedersi di studiare la creatura ancora per un po’, inclinando leggermente la testa verso sinistra.

Che assurda ironia, che il Chimero assumesse proprio l’aspetto della ragazza di cui era ancora ostinatamente e dolorosamente innamorato. Quei lunghi capelli rossi come il sangue…i suoi begli occhi scuri, dal taglio dolce e vivace al tempo stesso…il volto a cuore, le labbra rosee…eppure, allo stesso tempo, più la guardava più iniziava a notare, a dispetto delle somiglianze iniziali, alcune sbavature…la voce, la postura, o anche – soprattutto – il profumo…

No, quella non era Ichigo, pensò nel momento esatto in cui il Chimero si mosse per aggirarlo…

…ma, anche se ne era perfettamente conscio, quasi quasi avrebbe voluto illudersi ancora per un po’…

Bloccò il suo tentativo di fuga afferrandola saldamente per la vita e sbattendola con violenza al suolo. La creatura gridò di rabbia e frustrazione, graffiandogli la faccia con le unghie affilate, nel tentativo di cavargli gli occhi.

Kisshu scoppiò a ridere, godendosi immensamente la colluttazione. “Un’imitazione niente male!” esclamò, sedendosi a cavalcioni sopra di lei e serrandole le mani attorno ai polsi sottili.

Sì, forse avrebbe potuto fingere ancora un po’…

“Lasciami!!” sbraitò la ragazza, cercando di divincolarsi con tutte le proprie forze. Ed era parecchio forte: Kisshu dovette impegnarsi seriamente per tenerla bloccata a terra. Le fece alzare le braccia sopra la testa, schiacciandole al suolo, contro l’asfalto ruvido e freddo. “Che c’è, non ti stai più divertendo?!” inveì, avvertendo un improvviso pizzicore agli occhi. Il sorriso gli morì sulle labbra, mentre aumentava la stretta sui polsi della creatura sotto di sé, pervaso da una rabbia lacerante e improvvisa.

Si chiese cosa diamine stesse facendo…si chiese cosa fosse venuto di nuovo a fare, su quello schifoso pianeta, in quella schifosa città, che era arrivato a detestare con tutto il suo essere…

Si chiese cosa mai avesse sperato di ottenere, in fondo, tornando lì…e come si fosse ritrovato a cavalcioni sopra una cosa che sembrava messa lì apposta per torturarlo, che lo provocava impunemente con il suo aspetto, che poteva toccare e stringere e, perché no, anche punire, ma che non era lei…era solo un miraggio, sebbene così tangibile e concreto…

Applicò altra pressione sulle braccia della creatura, pervaso da un piacere sadico nell’udire le urla di dolore del Chimero…come si permetteva, di rubare l’aspetto di Ichigo, di sporcarlo con la sua arrogante imitazione? Come osava fargli vedere e toccare quello che, lo sapeva, non avrebbe mai potuto avere?!

Improvvisamente, sentì i polsi della ragazza scivolargli via dalle mani, e, sgomento, osservò Ichigo svanire sotto i suoi occhi, ridotta ad un essere gelatinoso e traslucido dalle forme solo vagamente umane…un essere che aveva già visto, quella notte in cui era arrivato sulla Terra ed era subito corso a salvare Ichigo, gettandosi nella mischia senza pensare. Per lei, solo per lei…sempre per lei.
 

Nasubi si allungò in avanti, sfiorando con la punta delle dita il dorso della piccola mano di Ninjin. La bambina sobbalzò, mettendola a fuoco al di là delle lacrime, e dopo un attimo di esitazione le strinse la mano fredda e sudata, aggrappandosi ad essa come un naufrago ad un salvagente, illuminandosi di azzurro…

Nasubi sgranò gli occhi, incredula, mentre la luce che stava illuminando Ninjin le risaliva il braccio e tingeva anche il suo corpo di un morbido celeste, che rischiarò il buio della notte attorno a loro. Le due si guardarono, l’espressione sbigottita di una perfettamente riflessa sul viso dell’altra, dopodiché si girarono all’unisono in direzione del Chimero mutaforma, e di Kisshu…e di qualcos’altro…qualcosa di vivo, di palpabile, come una sorta di vibrazione che impregnava tutto, cielo e terra, e che, per quanto impossibile potesse sembrare, sembrava chiamarle a sé…come se, pensò Nasubi a bocca aperta, come se quel qualcosa avesse una coscienza, e volesse che loro lo vedessero e lo ascoltassero.

Un grido di atroce sofferenza si levò all’improvviso, mentre il Chimero si sollevava in aria, ridotto ad una massa di carne argentea, e iniziava anch’esso ad emettere luce: pura, chiara, bellissima, divina. Era quella luce a chiamarle, capì Nasubi, ipnotizzata dal calore e dal suono cristallino che emetteva…
 

Ichijiku aprì gli occhi e sollevò il capo, dolorante. Aveva le braccia spalancate e bloccate da due lastre di ghiaccio contro il muro di un negozio, e il cuore gonfio di sconforto e risentimento. Aveva fallito, aveva mandato tutto a rotoli…come volevasi dimostrare, non era fatta per essere un’eroina…non era capace di fare nulla di buono…

Le braccia le dolevano terribilmente, imprigionate in quei blocchi di gelide schegge…

…ma cos’era quella luce? Sbatté le palpebre più e più volte, cercando debolmente di mettere a fuoco. Tutto era offuscato, non vedeva nulla, a parte quella strana luce bianca…pensò che forse stava morendo, e che tutte quelle cose sul non seguire la luce dovevano essere vere…

…ma per quanto si sforzasse, non poté fare a meno di tendersi con tutta sé stessa in quella direzione…perché la luce la stava chiamando…e le veniva da piangere, perché era bella, così bella…e forse, lei l’avrebbe perdonata, le avrebbe fatto scivolare le sue colpe e le sue debolezze di dosso…

“…mamma..?” sussurrò fra le lacrime, mentre la luce si faceva accecante.
 

Suika sobbalzò al rumore di una frenata stridente seguita dal rombo rabbioso della moto che aveva appena girato l’angolo e si avvicinava ad una velocità da togliere il fiato. Inebetita dalla stanchezza, la paura e il dolore, senza pensare lasciò la presa sulla stoffa ripiegata del suo bracciale e si alzò in piedi, a braccia aperte, di fronte alla compagna ferita.

La moto frenò, mettendosi di traverso, e un uomo smontò di sella ancora prima di spegnere il motore. Non appena si tolse il casco, Suika lo fece passare, incredibilmente sollevata: Shirogane, con la valigetta del pronto soccorso al seguito. Le aveva sentite, aveva capito che erano in pericolo e si era precipitato ad aiutarle…la ragazza si sentì scaldare dentro, riconoscente, mentre l’uomo si inginocchiava a fianco di Sumomo, dal lato della ferita…

E improvvisamente si levò un grido atroce, lungo e rauco, che le fece accapponare la pelle, e non fece nemmeno in tempo a girarsi che la strada fu rischiarata da una luce bianca che, notò con orrore, sembrava provenire dal Chimero-mutaforma…

“Non è possibile!” esclamò dopo qualche attimo Shirogane, con un tono di voce che non gli aveva mai sentito usare.

“Che cosa sta succedendo?!” chiese la ragazza, mentre una strana, calda vibrazione le accarezzava la pelle come una lieve onda sul bagnasciuga, e il suo sguardo vagava poco distante dal Chimero, posandosi sulla figura di Kisshu, rischiarata a giorno dalla luce che diventava sempre più intensa…lo vide schermarsi gli occhi, abbacinato...

Mew Aqua…” sillabò intanto Shirogane alle sue spalle, in preda ad un’emozione che Suika non capì fino in fondo.

Poi, un’altra figura si avvicinò alla luce, fulminea, scura, armata di falce…e Suika scattò immediatamente in avanti, allarmata, decisa a fermare qualsiasi cosa quel maledetto di Kue avesse in mente di fare. Percorse i metri che la separavano dalla fonte di luce in un lampo, allungando una mano, una forza misteriosa che la spingeva indietro, come un vento che soffiasse forte contro di lei…non vedeva più niente, tanto la luce era intensa…

E poi, in una frazione di secondo, tutto svanì.

Suika udì a stento il rumore del teletrasporto alieno alla sua destra. La forza che le remava contro cessò, e con essa anche la luce, la vibrazione, il rumore cristallino che le pulsava nelle orecchie di tigre, il calore…tutto sparì all’improvviso, e lei si ritrovò ad avanzare nel nulla di un paio di passi, sbilanciata in avanti, la mano tesa ad afferrare il vuoto. Sbigottita, si guardò intorno freneticamente. Kue era scomparso, e dedusse che si fosse portato via anche il Chimero-mutaforma. Gli altri Chimeri erano spariti anch’essi, lasciandosi dietro solo tante piccole pozzanghere luccicanti sul manto stradale.

Evitando accuratamente Kisshu, il suo sguardo si posò su MewNinjin e MewNasubi, strette l’una all’altra a pochi metri da dove si trovava lei. Le due la guardarono di rimando, smunte. MewIchijiku era poco distante, affissa al muro come una farfalla sotto vetro, il capo chino in avanti.

Suika andò loro incontro, sollevata: almeno non sembravano ferite. Era finita, realizzò mentre aiutava Ninjin ad alzarsi da terra, abbracciandola forte. Non sapeva come, né capiva cosa fosse successo, ma l’importante era che fosse finita. Socchiuse gli occhi, sospirando stancamente. Le sembrava di essere invecchiata di cent’anni tutti insieme...

Spostò la sua attenzione su Nasubi, intrappolata dalla vita in giù da un blocco unico di ghiaccio, il quale tuttavia si stava rapidamente sciogliendo. La ragazza si dimenò, facendo crepare il blocco in più punti. “Stai bene?” le chiese Suika, abbassandosi a darle una mano.

“Ce la faccio…tranquilla.” la rassicurò la compagna, liberando la gamba destra con un sonoro crack.

Suika annuì, volgendo lo sguardo su Ichijiku. Anche il ghiaccio che teneva bloccata lei sembrava starsi sciogliendo, ma corse lo stesso ad aiutarla. “Stai bene?” ripeté, cercando di guardarla in faccia al di là dei lunghi capelli scuri. Ichijiku annuì in silenzio. Sembrava esausta, notò Suika: a differenza di Nasubi, non stava facendo il minimo sforzo per liberarsi. Quando il ghiaccio si spaccò, per poco non cadde a terra: Suika la sostenne prendendola sotto le ascelle. “Vuoi sederti? Ce la fai a camminare?” domandò, preoccupata, ma la ragazza non fece in tempo a rispondere che la voce di Shirogane le interruppe: “Suika, prendi la Mew Aqua!” gridò in tono urgente.

La ragazza si girò verso di lui, perplessa. Quale Mew Aqua? La luce non c’è più…, pensò subito, ma poi notò la presenza, per terra, di un piccolo oggetto rotondo e baluginante, fatto di quello che sembrava vetro. Mosse un passo in avanti, sempre sostenendo la compagna, ma Kisshu la anticipò, raccogliendo l’oggetto da terra e studiandolo da vicino, le sopracciglia sottili aggrottate. Le si contorse dolorosamente lo stomaco e maledisse ogni secondo in cui era costretta a posare gli occhi su di lui.

Nasubi si alzò in piedi, traballante, con Ninjin a fianco, e tutte e quattro si avvicinarono all’alieno, mentre un Taruto ansimante gli atterrava alle spalle. I due osservarono il globo luminoso con un’espressione corrucciata che non prometteva nulla di buono, scambiandosi un paio di parole che Suika non capì. Quando lei e le altre arrivarono a un passo da Kisshu, la ragazza deglutì, il cuore in gola, incerta sul da farsi.

L’alieno prese ad osservarla, distogliendo lo sguardo dalla Mew Aqua che teneva in mano. Sembrava attendere la sua prossima mossa, realizzò la Mew Mew mentre, suo malgrado, il sangue le fluiva alle guance. Distese il braccio in avanti senza dire nulla – non aveva la forza per parlare con lui in quel momento -, il palmo della mano aperto e rivolto verso l’alto.

Lui parve rifletterci su, prima di consegnarle l’oggetto. Era serio, serissimo, notò la ragazza: il peso del suo sguardo era troppo per lei.
Lasciò scivolare la Mew Aqua sulla sua mano e Suika la ritirò subito, per evitare anche il minimo contatto con le dita affusolate dell’alieno.

Era tiepida, al tatto, notò mentre mormorava un grazie appena percepibile.

Shirogane le chiamò tutte a raccolta. Non si era mosso di un centimetro, occupandosi di tamponare la ferita di Sumomo al meglio delle sue capacità. “Cos’è successo?!” esclamò Nasubi una volta che si furono avvicinate; Ninjin gemette e Ichijiku si staccò da Suika, reggendosi sulle proprie gambe, come se la visione della compagna ferita e svenuta le avesse ridato un po’ di forza.

Suika si sentì pizzicare di nuovo gli occhi alla vista di tutto quel sangue. Kue l’aveva colpita al fianco sinistro in profondità, facendola schiantare al suolo. Se Taruto non fosse intervenuto al momento opportuno…Suika si sentì girare la testa.

Shirogane le fece cenno di avanzare. “Avvicinala.” la invitò, il volto tirato. Aveva le mani sporche di sangue, come lei del resto…la ragazza ubbidì, reggendo lo strano oggetto con entrambe le mani. Ninjin si sporse in avanti per vedere meglio.

Bastarono un paio di secondi a far aumentare il brillio della sfera. La vibrazione che aveva percepito prima tornò, e con essa anche lo strano suono, mentre le loro figure venivano rischiarate dalla luce bianca…e per poco la ragazza non lasciò la presa per l’immenso stupore, nel vedere la ferita sul fianco di Sumomo illuminarsi di azzurro e rimarginarsi ad una velocità che aveva dell’incredibile.

Questa è…magia! Dev’essere magia!, pensò strabiliata, trattenendo il respiro per l’emozione. Le altre erano altrettanto sorprese, a giudicare dalle esclamazioni alle sue spalle.

Quando la ferita si rimarginò completamente, la Mew Aqua smise di brillare, opacizzandosi. Sembrava davvero che fosse appena accaduto un miracolo.

Vide Shirogane rilassare i muscoli delle spalle e prendere un respiro profondo. “È andata. Starà benissimo.” fece, restando tuttavia rigidamente serio. Le ragazze si guardarono tra loro, poi Ninjin urlò, correndo ad abbracciare Sumomo, che aveva appena aperto gli occhi. “Sumomo-chan!” esclamò Suika, il cuore che faceva un tuffo. “Sumomo! Grazie al cielo!” fece Nasubi, imitata da Ichijiku e Ninjin, mentre la Mew azzurra si alzava sui gomiti, poggiando le mani sul gradino del marciapiedi. Dopo un attimo di smarrimento, ricambiato l’abbraccio di Ninjin, la ragazza sbottò: “Sapete una cosa, sono stufa di dover sempre ripetere la solita battuta, ma…Che è successo?”

Suika rise. Era incredibilmente felice, si sentiva leggera, quasi esaltata. “Te lo spiegherei, ma non l’ho capito nemmeno io!” scherzò, mentre Nasubi le si attaccava al braccio, gli occhi lucidi.    
 
 
  
 
 
 
       
 
 



Ehilà! Sono riuscita ad aggiornare. ^3^ Spero che vi sia piaciuto! In tutta onestà, questo capitolo...mah, non lo so, non è uno dei miei preferiti...ma serviva per mettere un altro po' di carne al fuoco. Sono curiosa: l'inghippo dell'acqua l'avevate capito prima che Nasubi ci arrivasse? Sono curiosa di capire quanto sono prevedibile. :P
Ecco che è rispuntata la Mew Aqua...nel prossimo capitolo se ne discuterà abbondantemente. Sono sotto esami, quindi spero perdoniate eventuali ritardi. Questi esami sono i più importanti della mia carriera universitaria e voglio farli bene. ^^

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate. Ne ho bisogno. <3 

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