On The Run

di Arkytior
(/viewuser.php?uid=913464)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Personaggi ed eventi raccontati in questa storia sono totalmente inventati dall'autrice. Qualsiasi somiglianza con persone o eventi reali è puramente casuale, o dovuta al fatto che spesso mi ispiro a persone realmente esistenti quando creo i personaggi delle mie storie.
Detto questo, buona lettura.









On The Run







Capitolo 1

    I raggi del sole entravano dalla grande finestra e illuminavano la piccola sala d’attesa. Era piuttosto strano vedere Londra illuminata dal sole. Non capitava da settimane di vedere il cielo quasi completamente sgombro da nuvole.
    Se fuori c’era il sole, dentro c’era la tempesta. James McDowell non era mai stato così teso in vita sua; forse soltanto il giorno del suo primo colloquio di lavoro. Quel giorno, invece, la sua vita sarebbe cambiata per sempre: se in bene o in male, non lo sapeva, ma ormai non aveva più niente da perdere. Non si ricordava nemmeno più da quanto tempo era lì, in attesa: forse qualche minuto, forse più di un’ora. Fece scorrere le dita tra i suoi folti capelli castani, cercando di rilassarsi, cercando di pensare che tutto sarebbe andato bene, ma non ci riuscì.
    La porta dell’ufficio si aprì, e uscì una donna. Portava un vestito corto e sobrio, dello stesso colore del cielo di quel giorno, tacchi alti e i lunghi capelli rossi raccolti elegantemente. Si trattava di Catherine Smith, la moglie del politico per cui James avrebbe dovuto iniziare a lavorare, a partire da quel giorno.
    «Signor McDowell, Arthur Smith è pronto a riceverla!» annunciò la donna.
    Immediatamente, James si alzò, sorrise goffamente a Catherine Smith, e si diresse verso la porta dell’ufficio. Cercò di asciugarsi sui pantaloni i palmi delle mani, che avevano cominciato a sudare abbondantemente a causa della tensione del momento.
    L’ufficio di Arthur Smith era più o meno come James l’aveva immaginato. Era sicuramente delle proporzioni giuste, per la villa in cui Arthur Smith viveva, ed era pieno di libri e documenti indispensabili per un uomo politico come lui. Dietro una scrivania letteralmente ricoperta di fogli, ma ordinata, in un certo senso, sedeva Arthur Smith in persona. James lo aveva visto molte volte in televisione, ed era più o meno come si aspettava che fosse: un uomo sulla cinquantina, alto e robusto, con i capelli neri che stavano via via diventando grigi. Arthur accolse James nel suo ufficio con un gran sorriso, e lo invitò a sedersi di fronte a lui.
    «So quanto sei preoccupato per quello che stiamo facendo,» esordì Arthur. «Mi dispiace veramente tanto per la tua famiglia, lo sai bene, ma ora è arrivato il momento di sistemare le cose: ho trovato una soluzione a tutti i nostri problemi!»
    James non riuscì a dire niente. In parte era nervoso a causa della situazione in cui si trovava in quel momento, e in parte aveva paura di quello che avrebbe detto Arthur di lì a qualche minuto.
    «So che molto probabilmente non ti piacerà, ma dovrai continuare a lavorare per Harold Storm,» continuò Arthur. «Lui ha usato te per arrivare a me, ed è il caso che io ricambi il favore. Come secondo punto, poi, vorrei che tu iniziassi a lavorare davvero per me. Fino ad ora tutto quello che hai fatto per me era solo una copertura, dato che in realtà stavi lavorando per il mio avversario, ma adesso vorrei che tu fossi un mio dipendente a tutti gli effetti. Che ne dici?»
    «Non posso fare a meno di accettare, signor Smith,» rispose James.
    «Ah, e penso anche che dovresti smetterla con tutte queste formalità! Anche se sono ricco e potente, voglio che i miei dipendenti mi chiamino per nome, quindi non farti problemi a chiamarmi Arthur!»
    «D’accordo… Arthur…»
    «E, cosa non meno importante, dobbiamo decidere cosa farti fare! Lavorerai per me, ma come? Fino a questo momento sei stato un addetto alla sicurezza, ma, diciamolo… non hai per niente il fisico da bodyguard! Non sei mai stato molto credibile… Che ne dici se, invece, tu fossi il mio segretario personale? Così rimarresti sempre dove posso tenerti d’occhio, non correresti pericoli di nessun tipo e la tua copertura sarebbe perfetta!»
    «Ottimo!»
   All’improvviso la porta dell’ufficio si aprì. James si aspettò di veder entrare la moglie di Arthur, ma la persona che invece entrò restò ben ancorata alla sua mente per molto tempo.
    Era una ragazza: la più bella ragazza che James avesse mai visto. Non aveva un fisico da top-model, ma non sembrava nemmeno una ragazza comune. I suoi lunghi capelli castani erano legati in una coda, e aveva gli occhi scuri; indossava una maglietta nera, con sopra uno scaldacuore, una gonna corta a pieghe grigia, con una fantasia scozzese, degli stivali neri e lunghi fino al ginocchio, e dei grandi orecchini a cerchio. Doveva avere circa diciott’anni. In mano aveva un fascicolo formato da diversi fogli, forse documenti appartenenti ad Arthur.
    «Papà, ti ho portato i documenti che mi avevi chiesto…» disse la ragazza, interrompendosi bruscamente non appena ebbe notato la presenza di James nell’ufficio.
    James guardò incantato la ragazza posare i documenti sulla scrivania di Arthur, poi voltarsi verso di lui.
    «Theodora Catherine Smith,» si presentò la ragazza, porgendogli la mano. «Lei sicuramente lavorerà per mio padre. Molto lieta di conoscerla.»
    James strinse la mano di Theodora. La ragazza gli sorrise, poi si voltò ed uscì dalla stanza. Per James era come aver visto un fata, o un essere mitologico: non solo quella ragazza era bellissima ai suoi occhi, ma gli era parso che si muovesse in modo lento, elegante, aggraziato, come solo una fata sarebbe capace di muoversi. Era senza dubbio una ragazza speciale.
    «Mia figlia, Theodora…» spiegò Arthur. «Ha compiuto diciott’anni lo scorso marzo, e adesso si è iscritta a Scienze Politiche, all’università. Ha detto che vorrebbe tanto entrare in politica, una volta finiti i suoi studi, e magari diventare Primo Ministro, o qualcosa del genere…»
    Una ragazza che sembrava con i piedi per terra, decisa a fare qualcosa di concreto, dunque. James non aveva incontrato nessuna ragazza come quella, prima di quel momento. Ma una ragazza del genere aveva sicuramente un sacco di amici e un sacco di ragazzi che le stavano costantemente intorno, pensò James. Non doveva passargli nemmeno per l’anticamera del cervello il remoto pensiero di innamorarsi di lei. Era pur vero che Theodora sembrava diversissima dalle altre ragazze della sua età, ma di solito nessuno si innamora di qualcuno che ha avuto modo di conoscere soltanto per dieci secondi o poco più, a meno che non si tratti di un film.
    «Sarà meglio che metta questi nell’altra stanza,» disse Arthur, parlando dei documenti che gli aveva portato sua figlia. Si alzò, subito imitato da James, e, insieme a lui, si diresse verso la stanza in cui teneva tutti gli altri documenti importanti.
    Era una stanza abbastanza grande, le cui quattro pareti, esclusa una finestra su di un lato, erano interamente occupate da scaffali immensi, pieni di libri. Soltanto tre scaffali sembravano contenere documenti simili a quelli che Arthur doveva sistemare. Il resto era occupato da libri di moltissimi autori, alcuni dei quali erano conosciuti anche da James: Tolstoj, Wilde, Solženicyn, Shakespeare, Dreiser, Dostoevskij, Zola, Follett, Dickens, Stendhal…
    «Di chi sono tutti questi libri?» chiese James.
    «Oh, questi sono tutti libri di Theodora!» rispose Arthur. «Io ne ho letto qualcuno, ma lei legge veramente tanto… Questi sono tutti i libri che ha letto fino ad ora, e forse ce n’è ancora qualcuno che non ha mai aperto…»
    Dai grandi classici alla letteratura contemporanea, Theodora aveva letto veramente tantissimi libri, e fu proprio in quel momento che James si rese conto che Theodora era la ragazza giusta per lui, anche se, forse, lui non era proprio la persona adatta a lei. Dieci anni di differenza sarebbero sembrati un abisso a Theodora, e forse là fuori c’era già qualcun altro perfetto per lei. James non avrebbe avuto speranze con lei, eppure continuava a pensare a Theodora, e a quanto avrebbe fatto male essere costretto a vederla ogni giorno, sapendo di non poterla avere.
    «Arthur, avrei una richiesta riguardo il mio lavoro,» disse James. «Se fosse possibile, vorrei evitare assolutamente di incontrare Theodora.»
   «È una ragazza particolare, lo so…» rispose Arthur. «Le persone sono sempre sorprese quando scoprono certi aspetti di Theodora, ma so benissimo cosa stai pensando. D’accordo, James, se è questo quello che vuoi, farò in modo che tu non sia costretto a vederla e stare male per lei mentre starai qui.»
















L'angolo dell'autrice:
Questa è una delle storie che ho scritto che mi piace di più. L'ho scritta mentre seguivo un corso all'università tenuto da uno scrittore italiano che ogni tanto ci dava utili consigli sulla scrittura.
Anche se in questo primo capitolo si capisce molto poco dei personaggi, spero vi abbia interessato comunque. Se volete, ci terrei molto se voleste lasciare una recensione, o magari un messaggio, per farmi sapere se vi piace la storia, o se semplicemente volete darmi qualche consiglio!
A presto!
Arkytior

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

    Dieci anni dopo, James lavorava ancora come spia, sia per Arthur Smith, sia per Harold Storm, e, per sua fortuna, era riuscito a incrociare Theodora per i corridoi al massimo un paio di volte. Arthur Smith, nel frattempo, era stato eletto Primo Ministro, quindi si era dovuto trasferire con tutta la famiglia e alcuni dei suoi collaboratori (questo includeva anche James) a Downing Street.

    Quel giorno era un giorno speciale: l’incarico di Arthur come Primo Ministro era stato confermato per un altro mandato, perciò Arthur avrebbe dovuto tenere un discorso per celebrare l’occasione. Arthur era felicissimo di essere stato tanto utile al suo Paese da essere riconfermato nella sua posizione, ma sapeva anche che, per alcuni (come Harold Storm), questo sarebbe stato un evento terribile. Ma Arthur non si scoraggiò: sapeva di star facendo la cosa giusta, e che non doveva aver paura delle possibili reazioni negative che avrebbe suscitato. E poi, era preparato a tutto: conosceva fin troppo bene Storm, il suo avversario, aveva intuito quali sarebbero state le sue prossime mosse e aveva progettato fin nei minimi dettagli le sue contromosse. Tutto sarebbe andato bene, non doveva preoccuparsi di nulla.
    Theodora era nella sua stanza, a prepararsi per il grande discorso di suo padre. Aveva indossato un tailleur blu elettrico, che le avevano regalato i suoi genitori, delle scarpe con i tacchi dello stesso colore e aveva sistemato i suoi lunghi capelli castani con un cerchietto, per tenerli in ordine. Aveva abbinato anche l’ombretto al colore dei suoi vestiti, e si era messa un rossetto rosso acceso, che si notava immediatamente. Stava ancora finendo di sistemarsi, mettendosi degli enormi orecchini dorati a cerchio, i suoi preferiti, quando sua madre bussò alla sua porta:
    «Teddy, sei pronta? Quelli della televisione sono già qui!»
    La ragazza mise tutto in ordine il più veloce possibile, poi aprì la porta della stanza ed uscì.
    «Mamma, quante volte ti ho detto di non chiamarmi più Teddy?» si lamentò. «Ho ventott’anni ormai, non più cinque!»
    Theodora e sua madre Catherine arrivarono nella sala in cui si sarebbe tenuto il discorso di Arthur. C’era già moltissima gente, tra cui vari cameramen e tantissimi colleghi di Arthur. Theodora ne conosceva la maggior parte, dato che, dopo la sua laurea, era riuscita ad entrare in politica e seguire le orme di suo padre. Era sempre stato il suo sogno, e la ragazza era felice che si fosse finalmente realizzato.
    Theodora incrociò lo sguardo di suo padre, che le fece cenno di raggiungerlo. Stava parlando con altri due politici molto importanti, e, con ogni probabilità, voleva presentare loro Theodora.
    «Allora…» disse la ragazza a suo padre, quando i due uomini furono andati via. «È un giorno importante, per te…»
    «Sì, importantissimo…» le rispose Arthur. «Ed è importante anche per te!»
    «Perché oggi vuoi presentarmi ufficialmente come tua vice? O qualcosa del genere?»
    «Esatto! Da oggi sarà ufficiale: se avrò qualche problema, sarà tutto nelle tue mani!»
    «Davvero? Ti fidi così tanto di me?»
    «Mi fido tantissimo di te… Sei una ragazza molto responsabile, con la testa sulle spalle, pienamente consapevole di quello che fa… Sarai perfettamente in grado di continuare quello che io ho iniziato… Anche se per me sarai sempre la mia Teddy… Oh, scusa… volevo dire Dora…»
    Theodora sorrise. In realtà le piaceva quando suo padre la chiamava con quel nomignolo: le ricordava quanto volesse bene a suo padre, e quanto suo padre volesse bene a lei.

    Anche per James era un giorno importante. Sarebbe dovuto essere presente durante il discorso di Arthur, come guardia del corpo, per svolgere il suo compito di spia. Arthur aveva provveduto a tutto, gli aveva persino comprato uno smoking per l’occasione. James si vestì, mise tre grosse borse nel portabagagli della sua macchina e guidò fino alla residenza di Arthur. Parcheggiò davanti ad un’uscita secondaria, dato che era impossibile anche solo transitare davanti all’entrata principale, e poi entrò nell’edificio.
    Theodora era seduta in prima fila, accanto a sua madre, davanti ad una giornalista bionda e con le labbra enormi, durante il discorso di suo padre. Arthur aveva appena iniziato a parlare, quando si sentirono forti rumori di colpi provenire da dietro la porta principale della sala. La porta si aprì improvvisamente, ed entrò una decina di uomini armati, seguiti da Harold Storm, che si fermò appena varcata la porta da cui era entrato, con il solito sguardo maligno che a Theodora ricordava tanto i personaggi cattivi delle favole, o dei cartoni animati. Uno di quegli uomini, armato di pistola, su ordine di Storm, sparò ad Arthur. Tutti si alzarono in piedi urlando, spaventati, e la sala sprofondò nel caos, quando tutti tentarono di fuggire da lì, in preda al terrore. Theodora si allontanò da quella confusione, dirigendosi verso l’uscita più vicina, quando si voltò e vide un altro uomo armato che aveva catturato sua madre, e le aveva puntato una pistola alla testa.
    «Teddy, scappa!» fece in tempo a dirle sua madre.
    La ragazza obbedì: si voltò e riuscì ad uscire dalla stanza, ma non appena ebbe chiuso la porta dietro di sé riuscì a distinguere chiaramente un colpo di pistola molto più forte degli altri e più vicino a lei. Theodora corse per vari corridoi, in cerca di un’uscita, senza mai voltarsi indietro. Voltarsi avrebbe significato rendersi conto di quello che era appena successo, e Theodora non aveva il coraggio di farlo, in quel momento. Continuò a correre per qualche minuto, prima di fermarsi per rendersi conto di dove si trovava. All’improvviso, si trovò di fronte un uomo armato, uno di quelli che erano al servizio di Storm, ma, prima che potesse reagire, in qualche modo, fu presa alle spalle, immobilizzata, e perse coscienza.















L'angolo dell'autrice:

In questo secondo capitolo conosciamo meglio la protagonista della storia, e i suoi rapporti con la sua famiglia... Mi dispiace di aver ucciso i genitori della povera Theodora così presto, ma la situazione idilliaca iniziale doveva pur essere sconvolta, in qualche modo, per far andare avanti la storia...
Spero che questa storia vi stia piacendo, e spero di avervi invogliati a leggere il seguito. Ci terrei molto se voleste farmelo sapere con una recensione, o anche un messaggio privato: ne sarei davvero molto felice!
A presto!
Arkytior

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

    Quando Theodora si risvegliò, non sapeva bene quanto tempo era passato da quando aveva tentato di scappare. Sapeva solo che era stata immobilizzata di nuovo. Aprì gli occhi e si guardò intorno: era seduta sul sedile anteriore di una macchina, ed era tenuta ferma dalla cintura di sicurezza. Alla guida c’era un uomo che non aveva mai visto prima, e che la stava portando sicuramente molto lontano da casa. Doveva avere circa una decina d’anni più di lei, era abbastanza alto, magrissimo, e aveva i capelli castani, lisci e spettinati. Indossava una camicia bianca e i pantaloni di uno smoking: molto probabilmente c’era anche lui al discorso di suo padre. Theodora pensò immediatamente che quell’uomo lavorasse per Storm, e che la stesse portando da qualche parte per ucciderla.
    «Cos’è successo?» farfugliò. «Dove sono?»
    «Nella mia macchina,» rispose l’uomo.
    «Mi riporti indietro!» ordinò Theodora, cercando di scappare. «LE ORDINO DI RIPORTARMI INDIETRO!»
    L’uomo misterioso non rispose. Si limitò, con un gesto, a chiudere ermeticamente lo sportello di Theodora, in modo da impedirle di aprirlo. La ragazza, infatti, si arrese.
    «Lei chi è?» chiese Theodora all’uomo.
    «Uno che ti sta aiutando,» rispose l’autista.
    Dal tono non sembrava uno degli uomini di Storm. Forse quel tipo la stava aiutando veramente.
    «Lei chi è?» ripeté Theodora, pretendendo una risposta diversa.
    «James McDowell, e sono stato incaricato di portarti in salvo, Miss Theodora Catherine Smith.»
    Theodora non si domandò perché quel James conoscesse il suo nome completo: ormai tantissime persone sapevano benissimo chi fosse.
    «Posso chiamarti Teddy?» le chiese James. «Il tuo nome è troppo lungo…»
    «Non osi nemmeno pensarci!»
    «Non hai un soprannome, allora? Un nome con cui ti chiamano gli amici…»
    «Sì. Ma per lei e per il resto del mondo sono Theodora, chiaro?»
    «Come vuoi… Theodora… Ma puoi evitare di darmi del lei, almeno? Mi fa sentire vecchio…»
    Theodora tentò di ricordare perché il volto del suo ‘rapitore’ le sembrava tanto familiare.
    «Ti ho già visto da qualche parte?» chiese Theodora.
    «Ne dubito.»
    «No, sono sicura di averti già visto… Forse in televisione… sai… in qualche film, o serie tv…»
    «Ho un tipo di viso molto comune…»
    Improvvisamente, Theodora si ricordò di averlo notato durante il discorso di suo padre.
    «Tu eri là, vero?» chiese. «Mi sembra di averti visto in giro, prima del discorso di mio padre…»
    «Sì, lavoro per lui…» rispose James. «Faccio un sacco di cose diverse, ma oggi gli serviva un bodyguard…»
    «Non sembri per niente un bodyguard!»
    «E tu non sembri per niente la figlia di un Primo Ministro!»
    «Sei pagato anche per fare battute?»
    James non rispose.
    «Dove mi stai portando, comunque?» chiese Theodora.
    «Il più lontano possibile. Devi nasconderti, e io devo assicurarmi che tu sia al sicuro.»
    «Te l’ha ordinato mio padre, vero? Perché sapeva quello che sarebbe successo oggi?»
    «Arthur sapeva che prima o poi sarebbe successo… Sapeva anche che Storm avrebbe scelto un’occasione del genere per colpire…»
    «Ha ucciso i miei genitori… Ed il suo prossimo obiettivo sono io…»
    «Mi dispiace…»
    I due rimasero in silenzio, finché James non guidò verso un’area parcheggio, dove si fermò.
    «Ti prego, dimmi che adesso scendiamo da questa macchina stravecchia e che mi porterai via da qui con una limousine…» disse Theodora.
    «Mi dispiace deluderla, milady, ma dovremo passare inosservati,» le rispose James. «Quindi no, niente limousine…»
    «Ma lavoravi per mio padre! Non ti ha mai regalato una macchina decente?»
    James non rispose. Parcheggiò, scese dalla macchina e andò ad aprire il portabagagli per prendere alcune cose. Aprì lo sportello di Theodora e le diede dei vestiti di ricambio e un altro paio di scarpe.
    «Cos’è questa roba?» chiese la ragazza, quasi inorridita.
    «Mettiteli,» le ordinò James. «Dobbiamo scappare, e tu sei ancora troppo riconoscibile… Non ti preoccupare, non ti guarderò, mentre ti cambi…»
    Qualche minuto dopo, Theodora ebbe finito di cambiarsi i vestiti, e James andò a guardarla per vedere quanto fosse diversa.
    «Devo proprio indossare questa roba?» chiese la ragazza.
    James non trovava niente di strano nel fatto che Theodora indossasse una normalissima maglietta a maniche corte, dei jeans scuri e degli anfibi neri. Ma c’era ancora qualcosa che bisognava cambiare…
    «Non preoccuparti, stai benissimo…» disse James. «Ma manca ancora qualcosa…»
    James tirò fuori delle forbici da una borsa che aveva poggiato sul sedile posteriore.
    «Che hai intenzione di fare con quelle?» chiese Theodora, non appena vide le forbici.
    «Devi essere irriconoscibile…» le rispose James. «Dobbiamo completare l’opera!»
    James iniziò a tagliare i lunghi capelli di Theodora, che prima le arrivavano fino a metà schiena, accorciandoli in modo che arrivassero a malapena fino alle spalle. Poi, ci spruzzò sopra una qualche sostanza che Theodora non riconobbe, per schiarirne il colore. Quando ebbe finito, la ragazza si guardò nello specchietto retrovisore.
    «Sono orrenda!» esclamò. «Ma dato che stai facendo tutto questo per proteggermi, direi che hai fatto un ottimo lavoro… Per fortuna non rimarrò così per sempre… Almeno spero…»
    «E non abbiamo ancora finito…»
    James rimise in moto la macchina e guidò fino ad una piccola città nelle vicinanze. Parcheggiò proprio davanti ad un edificio spoglio e triste, che sembrava proprio il luogo verso cui erano diretti. Theodora e James scesero dalla macchina e si avvicinarono al portone chiuso. Sul citofono c’erano un paio di nomi e un sacco di spazi vuoti: evidentemente nessuno aveva molta voglia di abitare o lavorare lì. James suonò il citofono vicino ad uno dei cartellini con scritto un nome.
    «"Frederick Stray, fotografo”» lesse Theodora. «Perché stiamo andando da un fotografo?»
    «Lo scoprirai tra qualche minuto…» le rispose James.
    «Ho come l’impressione che questo qui non sia un vero fotografo…»
    I due entrarono nello studio di Frederick Stray, e vennero accolti dal “fotografo” in persona. Sembrava avere la stessa età di James, e aveva i capelli castani e gli occhi azzurri. A Theodora non sembrava molto un fotografo, ma forse si sbagliava…
    «Ehi, James!» salutò Frederick. «Sapevo che saresti arrivato! Ho quasi finito quello che mi avevi chiesto!»
    Theodora cercò di capire a cosa si riferisse, ma non ci riuscì.
    «Prego, accomodatevi!» continuò Frederick. «E scusate il disordine!»
    La stanza in cui si trovavano doveva essere usata sia come casa che come ufficio. Da quello che sembrava, Frederick non doveva avere molti clienti, dato che era tutto completamente in disordine. Quella casa, a occhio e croce, avrà avuto due o tre camere, non di più.
    «Allora, hai fatto tutto esattamente come ti ho chiesto?» chiese James.
    «Sì, devo soltanto stampare…» rispose Frederick. «E mi manca soltanto una foto… La tua già ce l’ho, devo solo avere una foto dell’incantevole signorina qui…»
    Theodora era sempre più confusa. Non sapeva veramente cosa stesse succedendo, quando Frederick la prese per mano e la portò in una delle altre stanze della casa, quella con una parete completamente bianca e quella che assomigliava all’attrezzatura di un fotografo professionista. Allora era veramente un fotografo, pensò Theodora.
    Frederick scattò una foto a Theodora, dopodiché la ragazza tornò da James, mentre il fotografo (o quello che era in realtà) stampava quello che aveva ordinato James.
    «Ma che sta succedendo?» chiese Theodora a James, decisa a capirci qualcosa. «Perché mi hai portata qui? E perché a quel tipo serviva la mia foto?»
    Prima che James potesse rispondere, Frederick tornò nella stanza, con in mano quelli che sembravano documenti falsi.
    «Stiamo scappando e nessuno dovrà riconoscerci…» spiegò James. «Ci mancavano solo i documenti falsi!»
    Ma certo, ora tutto aveva più senso! Per non essere riconosciuta, Theodora non avrebbe soltanto dovuto cambiare aspetto, ma avrebbe dovuto anche avere una falsa identità! Theodora e James diedero un’occhiata ai loro documenti falsi, per controllare quanto fosse stato credibile il lavoro di Frederick.
    «"Hannah Collins”…» lesse Theodora.
    «"Jason Collins”…» lesse James.
    «Aspetta… cosa?» chiese Theodora, confusa e spaventata allo stesso tempo.
    James e Theodora si guardarono, con la stessa espressione confusa.
    «Oh, no, non vi preoccupate!» li rassicurò Frederick. «Non dovrete mica fingere di essere sposati! Siete solo fratello e sorella! Vi somigliate anche, se posso permettermi di dirlo…»
















L'angolo dell'autrice:

Insomma, non è proprio giornata per la nostra protagonista, che prima rimane orfana nel giro di poche righe, e poi si ritrova intrappolata in una macchina insieme ad un tizio che non aveva mai visto prima (ma i lettori sì)... In questo capitolo inizia la tanto attesa fuga, che durarà per un bel po'... Ovviamente non userò i nomi scritti sui documenti falsi, tranne in uno o due dialoghi, per evitare che qualche lettore meno allenato si confonda...
Come al solito vi invito a recensire, o a mandarmi un messaggio, se volete farmi sapere se vi piace (o non vi piace) la storia, o se semplicemente volete darmi qualche consiglio per migliorare. Mi farebbe davvero molto felice!
A presto!
Arkytior

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


    James e Theodora ripresero il loro viaggio. Ora avevano anche i documenti falsi, perciò la loro sarebbe stata una fuga in piena regola. James aveva perfino dato a Theodora un nuovo numero di telefono, dato che c’era la possibilità che venisse rintracciata da Storm semplicemente intercettando una sua telefonata. Il telefono, inoltre, avrebbe dovuto essere utilizzato soltanto in casi di estrema emergenza.
    La prima cosa che fece Theodora fu rendersi conto del tempo passato in fuga: era rimasta priva di coscienza per diverse ore, prima di risvegliarsi in macchina con James, e questo significava che suo padre era stato assassinato soltanto il giorno prima. Era in fuga già da un giorno, e già non poteva fare a meno di pensare a quanto sarebbe durata. Forse qualche settimana, qualche mese, o addirittura qualche anno! E, nel frattempo, cosa sarebbe successo all’organizzazione politica del Paese? Storm aveva ucciso Arthur Smith, il suo principale oppositore, e quindi, con ogni probabilità, aveva preso il suo posto e aveva cominciato a fare il bello e il cattivo tempo. A Theodora serviva assolutamente un modo per tenersi informata su quello che succedeva intorno a lei, dato che non poteva proprio vivere totalmente isolata dal mondo. Certo, ogni tanto, forse, lei e James si sarebbero trovati nei paraggi di una televisione che trasmetteva un qualche notiziario, o avrebbero comprato un giornale, ma forse non sarebbe stato abbastanza. Theodora aveva bisogno di un occhio sempre aperto sulle notizie che interessavano a lei, e immediatamente la soluzione le venne in mente, come se il suo cervello fosse stato colpito da un fulmine. C’era una vecchia amica di Theodora che era sempre aggiornata sulle ultime notizie di qualsiasi argomento: Theodora avrebbe potuto usarla come fonte di notizie, e anche come computer… C’erano un paio di cosette che avrebbe tanto voluto approfondire, se solo avesse avuto una connessione ad Internet a portata di mano…
    I pensieri di Theodora furono interrotti dal tintinnio delle chiavi della macchina di James. Solo allora la ragazza si accorse del portachiavi che vi era appeso: era piccolo e blu, e aveva la forma di una cabina telefonica della polizia, molto comune negli anni Sessanta…
    «Ti prego, dimmi che questa macchina te l’hanno prestata e che mio padre ti ha regalato una Ferrari che non puoi usare per portarmi via…» disse Theodora.
    «Perché?» chiese James. «Cos’ha questa macchina che non va? È una Volkswagen Golf, e non è né troppo grande, né troppo piccola: è perfetta! A te non piace?»
    «Quel portachiavi… Spero vivamente che non sia tuo…»
    «Perché? Che c’è di male?»
    «Guardi Doctor Who? Davvero?»
    «Continuo a non capire cosa ci sia di male… Tu non guardi mai la televisione?»
    «Sì, ma io guardo i notiziari! Quelli sì che sono utili! Non quei telefilm idioti che piacciono ad un sacco di persone…»
    «Se piacciono ad un sacco di persone, forse non sono così idioti… Non trovi?»
    «No, sono solo la dimostrazione che sono le persone ad essere stupide…»
    «Se ne sei convinta…»
    Qualche secondo dopo, una strana musica riempì il silenzio: si trattava della suoneria del cellulare di James, e Theodora la riconobbe immediatamente, anche se l’aveva sentita per caso, un paio di volte, in televisione.
    «Ti sei fatto prestare un cellulare da qualcuno per questa fuga e ti sei ritrovato con questa suoneria assurda o quello è veramente il tuo telefono e la tua suoneria è il tema di Harry Potter?» chiese Theodora, sperando vivamente che James si fosse fatto veramente prestare il cellulare da qualcuno.
    «Oh, ma perché mi chiama sempre?» si lamentò invece James, dando solo un’occhiata al display del suo cellulare.
    «Oh mio Dio, ci avrei scommesso che avevi una suoneria assurda!»
    «Non è assurda! E vuoi smetterla di criticare i miei gusti personali?»
    «Sono stata rapita da un nerd idiota in una scatola di sardine! Non sarebbe potuta andare peggio!»
    «Certo che sarebbe potuta andare peggio: avresti potuto avere gente che ti telefona ad orari improponibili per chissà quale motivo!»
    «Chi ti stava chiamando, piuttosto? Qualche parente?»
    «No, soltanto una che ha una cotta per me…»
    «C’è gente che ha una cotta per te? Dev’essere gente molto stupida… o molto disperata…»
    «Non sapevo che le figlie dei politici fossero abituate ad insultare altri esseri umani…»
    «Non ti sto insultando: sto solo esponendo il mio punto di vista…»
    «Certo, certo…»

    Più tardi, quella sera, i due si fermarono ad un distributore di benzina nella città che stavano attraversando, per fare rifornimento. James scese dalla macchina, mentre Theodora rimase all’interno, per fare una telefonata.
    Prima di fare il numero, però, la sua attenzione venne catturata da quello che stava accadendo dall’altra parte della strada. Una ragazza di un’età indefinita, molto probabilmente poco più piccola di Theodora, spingeva un passeggino sporco e vuoto. Vicino a lei camminava un bambino piccolo, che avrà avuto tre o quattro anni. Ad un certo punto, la ragazza si fermò vicino ad un cassonetto, e iniziò a rovistarci dentro, mentre il bambino la guardava speranzoso. Dopo aver rovistato per qualche minuto, la ragazza riprese a spingere il passeggino, guardando il bambino come per dire “Fa niente, troveremo qualcosa altrove!”, cercando di impedire che lo sguardo deluso del bambino le spezzasse il cuore. Theodora continuò a guardare quella scena finché la ragazza e il bambino non svoltarono l’angolo, e scomparvero dalla sua vista. Theodora aveva letto di scene del genere nei suoi romanzi, ma non avrebbe mai immaginato che un giorno ne avrebbe vista una con i suoi occhi. Vedere quella scena le aveva messo dentro una grande tristezza: in quel momento decise che la prima cosa che avrebbe fatto, quando sarebbe tornata a casa e fosse stata eletta Primo Ministro, sarebbe stata dare una casa, cibo e lavoro a tutti i poveri del Paese.
    Dato che non sapeva quanto tempo avesse ancora, prima che James tornasse in macchina, Theodora cercò di pensare immediatamente ad altro, quindi riprese il cellulare e digitò un numero telefonico. Era quasi sicura che la ragazza che stava chiamando avrebbe risposto, ma sperava soltanto che l’avrebbe fatto il più presto possibile.
    «Pronto?» sentì rispondere Theodora.
    Jo Rayne si poteva considerare l’unica amica di Theodora. Il carattere particolare di Theodora e il suo sentirsi in qualche modo ‘superiore’ agli altri non l’avevano mai resa molto simpatica ai suoi coetanei, ma Jo si considerava comunque sua amica, forse perché aveva un paio di anni più di lei. Jo era sempre informata su qualsiasi cosa, ed era sempre nelle vicinanze di un computer con una connessione ad Internet o di un telefono. Anche se Jo era spesso associata a Theodora, perché spesso passavano molto tempo insieme, era giudicata molto più simpatica, socievole e attraente di lei. Molti ragazzi, in particolare, erano attratti dai suoi lunghi capelli color rame.
    «Jo! Per fortuna hai risposto!» esclamò Theodora.
    «Dora! Allora sei viva! Mi hai fatto prendere un colpo! Credevo che ti avessero uccisa quando Storm ha interrotto il discorso di tuo padre! C’è stato un vero casino quel giorno!»
    «Perché? Cos’è successo esattamente?»
    «Ovviamente tu hai visto Storm che entrava, con tutti quei tipi armati… Ho letto che quel giorno sono state uccise quattro persone, e ne sono state ferite sei. Adesso Storm si è autoproclamato a capo del governo, e non ho la minima idea di quello che ha intenzione di fare… Avevo paura che anche tu fossi morta, come i tuoi genitori… Oh mio Dio, mi dispiace…» Jo si rese conto solo in quel momento che forse Theodora poteva ancora non essere a conoscenza della morte dei suoi genitori.
    «No, no, è tutto a posto, non ti preoccupare…»
    «Ma tu dove sei in questo momento? Sei riuscita a scappare, vero?»
    «In realtà stavo scappando perché avevo fatto appena in tempo a vedere mia madre che mi ordinava di andare via da lì, prima che quel tipo le sparasse… Poi sono stata presa alle spalle da qualcuno, ho perso coscienza e mi sono ritrovata in una Volkswagen Golf con un tipo strano…»
    «Cioè, sei stata rapita? E da chi?»
    «Non lo so… Questo qui dice di lavorare per mio padre, ma io non l’ho mai visto… Non sono sicura di chi sia, ma è strano… A volte non risponde alle mie domande, o forse non mi dice tutta la verità… Ti ho chiamata perché tu hai la possibilità di fare una piccola ricerca per me e dirmi da chi sono stata rapita in realtà!»
    «Certo che posso! Basta che tu mi dica qualche dato specifico… Che ne so… nome, età, aspetto fisico…»
    «Mi ha detto di chiamarsi James McDowell, avrà una decina d’anni più di me, è scozzese, non parla mai della sua famiglia, è abbastanza alto, ed è così magro che, se si mettesse di profilo con la lingua di fuori, sembrerebbe una cerniera lampo…»
    «James McDowell, hai detto? Ho già sentito questo nome… Spero solo che non sia la persona che conosco io…»
    «Potrebbe essere un caso di omonimia… Spero solo che tu trovi qualcosa che non mi faccia più sentire come se fossi stata rapita da un nerd idiota e sconosciuto con una macchina vecchissima…»
    «Ehi, ti avevo detto di smettere di insultare la mia macchina!» la interruppe James, tornando in macchina.
    «Scusa, ma adesso devo andare! Ci risentiamo!» salutò Theodora, chiudendo la telefonata.
    «Chi hai chiamato?»
    «Niente, solo una mia amica… Volevo sapere cos’era successo per tutto questo tempo…»
    I due ripartirono, ma non parlarono per quasi tutto il viaggio. C’era solamente la musica della radio a riempire il silenzio.
    «Se hai fame, c’è una busta con dei panini, nel vano portaoggetti,» disse James, dopo qualche ora.
    A quanto pare, James aveva pensato ad ogni dettaglio di quella fuga improvvisa. I due si divisero i panini, e, dopo aver mangiato, percorsero l’autostrada per qualche chilometro, fino a fermarsi in un’area parcheggio quasi vuota.
    «Perché ci fermiamo?» chiese Theodora.
    «Beh, perché sono le undici e mezza di notte, e gli esseri umani hanno bisogno di dormire, ogni tanto… A meno che tu non sia un vampiro, o un animale notturno, o un alieno che non dorme mai…»
    «Ma come? Qui? In macchina?»
    «A meno che tu non abbia una soluzione alternativa…»
    «Ma io pensavo che saremmo andati in qualche hotel, o anche un Bed&Breakfast…»
    «Non oggi, milady…»
    I due sistemarono i sedili e si prepararono per dormire. Theodora si voltò, dando le spalle a James: non si fidava di lui, e non sapeva se sarebbe mai riuscita a fidarsi. Si addormentò dopo pochissimi minuti, per quanto era stanca, ma riuscì a sognare qualcosa. Sognò che in realtà non era successo niente, che suo padre non era stato ucciso durante il suo discorso, e che lei si trovava a casa, nel suo letto, con i suoi genitori ancora vivi, e non nel bel mezzo del nulla, in una macchina, con uno sconosciuto.
    Quando si svegliò, la ragazza ricordava così bene il sogno che fu tristissimo per lei aprire gli occhi e accorgersi che quello non era altro che un sogno, e che la realtà era molto diversa. La seconda cosa di cui si accorse fu la coperta con cui non ricordava di essersi addormentata, la sera prima: forse l’obiettivo di James non era quello di farla morire di freddo?
    Theodora si mise a sedere, e notò che la macchina non si era mossa dal luogo in cui si trovava la sera prima. Guardò accanto a lei, e notò che James non era lì. Sicuramente non l’aveva abbandonata, pensò la ragazza, appena prima di vederlo tornare alla macchina.
    «Buongiorno, milady!» la salutò James.
    «Dove sei stato?» chiese Theodora. Poi ci ripensò. «No, aspetta! Non dirmelo: non sono sicura di volerlo sapere…»













L'angolo dell'autrice:

In questo capitolo si passa da scene quasi divertenti a scene tristissime, e anche se questo non mi convince molto, spero che a qualcuno di voi sia piaciuto...
Qui conosciamo Jo, la terza protagonista di questa storia, che forse starà un po' antipatica a qualcuno, nei prossimi capitoli, ma non sottovalutatela...
Come sempre, aggiornerò nel giro di qualche giorno, ma nel frattempo mi piacerebbe tanto sapere le vostre opinioni sulla storia, con commenti, recensioni, o messaggi! Ne sarei davvero molto felice!
A presto!
Arkytior

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


    I due ripresero il loro viaggio. La destinazione praticamente non esisteva, quindi il viaggio sarebbe potuto durare fino all’infinito. Per strada non c’era quasi nessuno, e, dopo un po’, la strada cominciava a diventare noiosa. Anche le canzoni cominciavano ad annoiare, ad un certo punto, perciò Theodora cercò di fare un po’ di conversazione.
    «Allora…» iniziò la ragazza. «Visto che, a quanto pare, dovremo stare insieme per un bel po’ di tempo, pensavo che sarebbe opportuno… conoscerci meglio, non trovi? O, in ogni caso, trovare qualcosa di cui parlare… È abbastanza noioso essere praticamente intrappolata qui…»
    «Va bene! Allora, di cosa vuoi parlare? Del tempo?»
    «Ma no, di qualsiasi altra cosa… Che ne so… Dei nostri interessi?»
    «Ok! Cosa ti piace fare nel tempo libero?»
    «Leggere! A casa avevo un’intera stanza piena di libri…»
    «Lo so, l’ho vista… E cosa ti piace leggere?»
    «Un po’ di tutto… Ma tutti mi prendono per pazza, quando rispondo che adoro i romanzi realisti! Di solito la gente li odia, sai?»
    «Sì, ma ho visto che ne hai un sacco… E quali autori ti piacciono?»
    «Un po’ tutti, ma ultimamente mi sono appassionata ai romanzi di Ken Follett… Li hai mai letti?»
    «No, ma vorrei tanto leggerne qualcuno… Tutti ne parlano benissimo!»
    «Già, lui scrive davvero bene… E a te, invece, che libri piacciono? Roba di fantascienza, fantasy… cose così?»
   «Non solo… Ma adesso non ho più tanto tempo per leggere, sai… Dovevo essere a disposizione di tuo padre praticamente ventiquattr’ore su ventiquattro, e adesso stiamo scappando…»
    «Forse, quando tutto questo sarà finito, troverai un po’ di tempo per leggere…»
    «Lo spero…»

    Verso l’ora di pranzo, James parcheggiò davanti ad un supermercato e scese dalla macchina, per comprare qualcosa da mangiare, mentre Theodora rimase in macchina. La ragazza chiamò la sua amica Jo per sapere se la piccola ricerca che le aveva chiesto di fare aveva dato qualche frutto.
    «Dora! Dove sei oggi?» le chiese Jo.
    «Su Gallifrey…» rispose la ragazza. «O da qualche parte in Galles… Oh mio Dio, scusa, sto iniziando a parlare come lui…»
    «Non importa… L’importante è che stai bene, e sei ancora viva…»
    «Già, non sono ancora stata uccisa… Allora, hai trovato qualcosa di interessante?»
    «Potrebbe interessarti il fatto che stiamo nella…»
    «L’avevo intuito, grazie, Jo…» la interruppe Theodora. «Ma quanto è critica la situazione?»
    «Storm è un pazzo, e nessuno sembra volerlo fermare… E no, la regina non sta facendo niente perché anche lei è terrorizzata da cosa potrebbe fare Storm… Per ora, spera di tenerlo buono lasciandogli fare quello che vuole, ma, secondo me, questo sistema non ha mai funzionato… Anzi, ha portato solo guai peggiori!»
    «Bene, quindi il mio periodo di prigionia sarà molto più lungo di quanto pensi… A proposito della prigionia, hai trovato qualcosa sul tipo strano che mi ha rapita?»
    «Quello che ho trovato, molto probabilmente non ti piacerà… A meno che il tuo rapitore non sia un vecchietto che vive in Texas con il suo cane…»
    «No, decisamente no…»
    «Peccato… Ci ho sperato fino all’ultimo che fosse quel tizio…»
    «Allora, che hai trovato su di lui?»
   «Dunque, si chiama James Anthony McDowell, è scozzese senza dubbio, ma non so da dove venga esattamente… Attualmente vive a Londra, da solo, è single, ha una collezione di scarpe da fare invidia a qualsiasi ragazza e una collezione di magliette orribili, è un fan delle Converse e dei film fantasy e di fantascienza, e adora leggere fumetti… In pratica è un nerd…»
    «Interessante… Nient’altro?»
    «Sì, un sacco di cose che probabilmente non ti piaceranno…»
    «Dimmele lo stesso!»
    «Tanto per cominciare ha due profili su Facebook…»
    «Chiunque ha un profilo falso! O qualcuno a cui piace rubare identità che si diverte…»
    «Già, ma ho controllato, e non è un profilo falso! Sono attivi entrambi i profili, e sono assolutamente identici: stesse foto, stessi dati, stessi aggiornamenti… tranne per un minuscolo ma non trascurabile dettaglio…»
    «Sarebbe?»
    «Il datore di lavoro: in un profilo c’è scritto che il nostro amico lavora per tuo padre, mentre nell’altro… c’è scritto che lavora per Harold Storm! Sai cosa significa, Dora? James McDowell è una spia!»
   «E allora? Avrebbe potuto essere fedele a mio padre e lavorare anche per Storm solo per conoscere in anticipo tutte le sue mosse, per poi riferire tutto a mio padre…»
    «E se invece fosse il contrario? Del resto, non hai le prove…»
    «Ci starò attenta… Nient’altro?»
    «Oh, sì, un simpatico blog su di lui… Ma lui non ne è l’autore…»
    «Spiegati!»
   «È un blog formato da tutte le ragazze che ha lasciato, o che lo hanno lasciato, che usano questo sito per sfogarsi, per insultarlo, per minacciarlo di morte, per inventarsi metodi per ucciderlo, e per fare un sacco di altre cose di cui non voglio parlarti… Dev’essere un posto molto divertente…»
    «Un blog formato da tutte le sue ex ragazze? E quante saranno? Una decina?»
    «Cinquantasette.»
   «Cinquantasette ex ragazze? Neanche un essere umano normale arriverebbe a quella cifra! A meno che non abbia davvero novecento anni e passa… Oddio, scusami ancora… Questa fuga mi sta facendo più male del previsto…»
    «Non ti preoccupare… Resta il fatto che il tuo misterioso rapitore è una spia, potenziale omicida, con una lunga schiera di cuori infranti alle spalle… Ricorda, Dora: anche se James si rivelasse assolutamente innocente, se ti stesse veramente salvando la vita, non provare assolutamente, in nessun modo, ad innamorarti di lui. Sai che può succedere, e potrebbe essere inevitabile! Sei in fuga, e lui sembra essere la tua unica sicurezza; i tuoi genitori sono morti, ormai, e non hai più nessuno: non passerà molto tempo prima che tu cominci a fidarti di lui, perché non hai alternative, e il passo successivo sarà innamorarti di lui. Tu non meriti di soffrire ancora, Dora, perciò non farlo! Non pensarci nemmeno! Resta con la testa sulle spalle, e controlla i tuoi sentimenti! Non innamorarti di lui, non lasciare che usi il suo fascino magnetico per attirarti, non pensarci nemmeno! Non farlo!»
    «Non intendo farlo neanche sotto tortura, Jo…»

   Il giorno successivo toccò a Theodora scendere dalla macchina e andare a comprare il pranzo, mentre James rimase in macchina. Mentre aspettava che la ragazza tornasse, James pensava. Aveva un sacco di cose per la mente, in quel periodo. Innanzitutto, non sapeva cosa gli sarebbe capitato, ora che Arthur era morto: avrebbe dovuto lavorare per Storm a tempo pieno? Forse no, se fosse riuscito a tenersi lontano da lui abbastanza a lungo, insieme a Theodora. Certo, soltanto qualche mese prima non avrebbe mai immaginato di trovarsi costretto a fuggire da tutto e da tutti, per proteggere la figlia del suo capo, la ragazza di cui si era innamorato quasi dal primo momento in cui l’aveva vista. Ora si trovava in una situazione complicata, che non sapeva bene come avrebbe potuto gestire. Aveva espressamente chiesto ad Arthur Smith di essere il più lontano possibile da Theodora, e ora, proprio Arthur gli aveva chiesto di proteggerla da Storm, anche a costo della vita. James aveva accettato, perché non avrebbe sopportato l’idea che fosse qualcun altro a proteggere quella ragazza, ma non sapeva se sarebbe riuscito a non rivelare i suoi veri sentimenti verso Theodora. Era ancora una ragazza abbastanza giovane, e, sicuramente, là fuori ci sarebbe stato qualcuno che, per Theodora, sarebbe stato una scelta migliore di James.
    James era immerso nei suoi pensieri, quando, improvvisamente, Theodora rientrò in macchina di corsa, spaventata, come se stesse scappando da qualcuno.
    «Svelto! Parti!» ordinò la ragazza, mentre si allacciava la cintura di sicurezza il più velocemente possibile.
    James obbedì immediatamente.
    «Ma che è successo?» chiese.
    Theodora riprese fiato per qualche secondo, poi rispose.
   «Ho fatto appena in tempo a prendere un paio di panini, come al solito,» cominciò. «Quando vedo due energumeni che non hanno intenzione di togliermi gli occhi di dosso… Era come se mi stessero aspettando, hai presente? E il problema era che si erano messi proprio tra me e l’uscita… Non sapevo che fare, così ho fatto la prima cosa che mi è venuta in mente, che mi ha fatto guadagnare un po’ di tempo per scappare!»
    «Ma come hai fatto? Tu eri disarmata, e forse quei due energumeni avrebbero potuto ucciderti tranquillamente…»
  «Beh, non ero proprio disarmata… Sono una persona abbastanza conosciuta, quindi qualche anno fa ho preso lezioni di autodifesa… Non si sa mai quando potrebbero servire… Stavolta avevo le mani impegnate, ma non sempre si usano le mani per difendersi…»
    «Ok, ora ho paura di te…»
    I due continuarono a guidare ancora per qualche minuto, dopodiché James, dopo essersi assicurato che nessuno li seguisse, si fermò in un parcheggio. Tirò fuori una pistola da sotto il suo sedile, e la diede a Theodora.
    «Oggi sei stata fortunata, ma la prossima volta la situazione potrebbe essere peggiore…» le disse. «Tienila: ti sarà utile!»
    Theodora prese la pistola con mano incerta. Non ne aveva mai usata una, ma sentiva che era arrivato il momento di imparare a difendersi da sola.
    James si voltò, e allungò la mano per far ripartire il motore della macchina, ma non fece in tempo a raggiungere le chiavi che sentì un oggetto duro e metallico puntato contro la sua tempia. Lentamente, si voltò verso la sua sinistra e vide Theodora che gli puntava la sua pistola contro, come se volesse ucciderlo.
    «Che hai intenzione di fare?» chiese James.
   «Legittima difesa!» rispose Theodora. «Devo difendermi da chi cerca di farmi del male, giusto? Le mie basi di autodifesa non sono abbastanza, ma ora tu mi hai dato una pistola, che sicuramente metterà fuori gioco i miei nemici per molto più tempo…»
    «Ma io non sono un tuo nemico!»
    «E chi lo dice? Io non so niente di te… Ho perfino fatto fare una piccola ‘ricerca’ su di te ad una mia amica, e non ha portato a buoni risultati… Per quanto mi riguarda, potresti benissimo essere una spia di Storm che mi sta portando in qualche posto sperduto per poi uccidermi, fare a pezzi il mio corpo e divertirsi guardando la polizia che cerca di capire tutti i dettagli dell’assassinio! Saresti capace di uccidermi da un momento all’altro, quindi meglio che lo faccia prima io!»
    «Se tu mi lasciassi spiegare…»
    «Beh, mi sembra un po’ tardi per quello, non trovi? Hai una pistola puntata contro, e io sto per premere il grilletto!»
    «È stato tuo padre a chiedermi di portarti in salvo!»
    Theodora non premette il grilletto, ma non abbassò la pistola. James aveva attirato l’attenzione della ragazza.
    «Come faccio a sapere che davvero lavoravi per mio padre, se io non ti ho mai visto?» chiese Theodora.
    «Sai che sono una spia di Storm… Questo implica che sicuramente lavoravo anche per tuo padre!»
   «Lavoravi per due persone diverse… Ma nessuno può servire due padroni: la tua lealtà dovrebbe andare soltanto ad uno dei due…»
    «Soltanto un pazzo lavorerebbe per Storm! Un pazzo o un disperato… Io ero fedele a tuo padre, te lo giuro…»
  Theodora abbassò la pistola, finalmente. James non pensava di essere stato tanto convincente, ma Theodora sembrava soddisfatta delle sue risposte. In realtà, Theodora era solo più confusa di prima: dopo aver passato un sacco di tempo circondata da persone false, che le mentivano continuamente, aveva imparato a riconoscere quando una persona mente; James, invece, non sembrava mentire, quando le aveva detto di essere fedele a suo padre.
















L'angolo dell'autrice:

Le cose si complicano: Theodora comincia a sospettare seriamente che James abbia intenzione di ucciderla (spinta dalla sua amica Jo), ma, anche se James tenta di dimostrarle il contrario, rimane sempre abbastanza scettica su questa cosa... E poi cominciamo ad avere più informazioni su Jo e su quello che pensa... avrà ragione?
Come sempre, vi invito a farmi sapere cosa ne pensate della storia: ci terrei molto se voleste mandarmi un messaggio o una recensione in cui commentate le mie storie, o, se volete, mi date qualche consiglio per migliorare sempre di più!
A presto!
Arkytior

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6


    Theodora si annoiava. Non voleva pensare a quanto tempo avrebbe dovuto passare in quella macchina, ma si annoiava terribilmente, senza niente da fare. I suoi tentativi di dialogare con James si erano rivelati quasi tutti dei fallimenti, dato che James non parlava molto di sé, oppure, quando Theodora gli faceva domande su cose che gli piacevano, finiva per parlare di cose che Theodora non capiva assolutamente, o che riteneva stupide e inutili. La ragazza, perciò, decise di accendere la radio, per rompere il silenzio che c’era nel veicolo.

I like you the way you are,
when we're drivin' in your car,
and you're talking to me, one on one
but you've become
somebody else round everyone else…
(Mi piaci come sei, / quando andiamo in giro con la tua macchina, / e tu parli con me, siamo soli / ma sei diventato / qualcun altro, quando sei con altre persone...)

    Era una canzone uscita un bel po’ di anni prima, che Theodora aveva sentito più di una volta. Le sembrava che fosse di Avril Lavigne, ma non ne era sicura. Tuttavia, parlava di una macchina, perciò la ragazza decise di cambiare stazione.

Baby you can drive my car,
yes I'm gonna be a star.
Baby you can drive my car,
and maybe I'll love you!
(Tesoro puoi guidare la mia macchina, / sì diventerò una star. / Tesoro puoi guidare la mia macchina, / e forse ti amerò!)

    Anche se a Theodora piacevano I Beatles, quella non era proprio una canzone adatta a quel momento: si parlava sempre di macchine…

I was riding shotgun, with my hair undone,
in the front seat of his car.
He's got a one-hand feel on the steering wheel,
the other on my heart…
(Stavo andando velocissima, con i capelli spettinati / nel sedile anteriore della sua macchina. / Aveva una mano sola sul volante, / l'altra sul mio cuore...)

    E questa cos’era? Taylor Swift? Peggio che mai! Una canzone che parlava di macchine e fidanzati! Theodora, rassegnata, decise di spegnere la radio.
    «Ehi, perché hai spento?» protestò James. «Era una bella canzone…»
    «Non è proprio il genere musicale che preferisco…» replicò la ragazza.
    «Ah, e che musica ti piace, allora? Punk rock? Metal?»
    Theodora non rispose. Per trovare un nuovo modo di combattere la noia, decise di curiosare nel vano portaoggetti che aveva davanti, sperando di trovare qualcosa di interessante. C’erano soprattutto documenti vari, tra cui patente di guida e libretto di circolazione, ma anche altre cose che attirarono immediatamente l’attenzione della ragazza.
    «Wow! Fumetti…» esclamò Theodora, estraendo un giornale a fumetti di almeno una decina di anni prima. «Cioè… Sul serio?»
    «Non tutti possono vantarsi di aver letto ogni libro esistente sulla terra, ancor prima di arrivare a trent’anni!» replicò James.
    La ragazza continuò la sua esplorazione, dopo aver rimesso il fumetto al suo posto, e sembrò trovare qualcosa di suo gradimento: degli occhiali da sole Ray-Ban a goccia, con la montatura dorata e le lenti verde scuro.
    «Questi sì che sono forti!» disse, indossandoli. «Spero tu non li abbia rubati a Elvis Presley…»
    «Veramente li ho trovati per caso…»
    «Non ci credo!»
    «Sì, li ho pescati una volta, al mare… Stavo nuotando e li ho visti sul fondo…»
    «Che fortuna!»
    Theodora ripose gli occhiali, e continuò a cercare altri oggetti interessanti.
    «E questa?» chiese. «Cosa ci fai con una bottiglietta di succo di frutta vuota?»
    «Io non la toccherei, se fossi in te…»
    Con un gridolino di spavento, la ragazza fece cadere la bottiglia.
    «Scherzavo!» la rassicurò James.


    Finalmente, dopo varie notti passate scomodamente in macchina, James decise di passare la notte in un Bed&Breakfast in un paese che stavano attraversando. Fortunatamente c’erano ancora stanze libere, e James decise di prenderne una sola, per una sola notte.
    Theodora scese dalla macchina per dare un’occhiata all’edificio. Non era un palazzo vecchio, né nuovo, e non sembrava cadere a pezzi. Theodora sapeva bene che non bisogna giudicare un libro dalla copertina, perciò non cercò di esprimere giudizi sull’albergo, prima di esserci effettivamente entrata.
    Prima di entrare, la ragazza andò ad aiutare James a scaricare le valigie dal bagagliaio dell’auto. Nel bagagliaio c’erano due grosse borse da palestra (o almeno sembravano borse da palestra, dato che Theodora non ne aveva mai vista una, se non in qualche film) e un enorme zaino da campeggio. James prese lo zaino e una delle due borse, poi chiuse il portabagagli.
    «E l’altra borsa?» domandò Theodora. «Non la prendi?»
    «No, non ne abbiamo bisogno…»
    «Cosa c’è dentro?»
    «Altri vestiti… Medicine… Roba che non ci serve ora…»
    «Oh… E allora nelle due borse che hai preso c’è tutta roba che ci servirà stanotte, giusto?»
    «Forse non tutta… Ma non si sa mai…»
    I due salirono fino al primo piano dell’albergo, e trovarono la loro stanza. Entrarono, e James appoggiò le borse sul letto. Theodora, invece, fu felicissima di notare che la camera disponeva di un bagno privato: aveva assolutamente bisogno di farsi una doccia!
    Dopo qualche istante, però, la ragazza fece caso a una cosa che le era sfuggita, non appena aveva  varcato la soglia della stanza: c’era un letto solo, al centro della stanza, e, per di più, si trattava di un letto matrimoniale!
    «Oh… Ma c’è un letto solo…» disse Theodora.
    «Lo vedo… E allora?» chiese James, non sapendo cosa intendesse dire la ragazza con quella frase.
    «Beh, suppongo che sarai costretto a dormire per terra… Sicuramente in quello zaino da campeggio ci sarà un sacco a pelo…»
    «Cosa? Chi ti ha detto che uno di noi due dovrà dormire per terra?»
    «C’è un solo letto, qui dentro, e io per terra non ci dormo…»
    «Ma c’è spazio per tutti e due, in quel letto!»
    «Oh, non credo proprio, signor Bellicapelli! Ho chiuso un occhio sulle dormite in macchina, ma adesso che finalmente ho a disposizione un vero letto e un po’ di privacy, non ho nessuna intenzione di dividerli con un sedicente bodyguard che si passa continuamente le dita tra i capelli, che sembrano usciti da una pubblicità di uno shampoo…»
    James ci mise qualche secondo, prima di rispondere.
    «Scusa, puoi ripetere? Non ho capito bene quali siano le tue intenzioni…» disse.
    Theodora ripensò a quello che aveva appena detto.
    «Scusa, lascia stare…» disse, sedendosi sul letto. «È che sono un po’ stressata… Tra Storm, la fuga e tutto il resto, sto diventando insopportabile… Meglio che vada sotto la doccia…»
    James aiutò la ragazza a prendere dalle borse tutto l’occorrente per farsi la doccia, dopodiché Theodora si avviò verso il bagno.
    «Ah, possiamo dividere il letto, comunque…» disse Theodora, prima di chiudersi la porta del bagno alle spalle.
    Quando Theodora uscì dal bagno, con indosso i vestiti che indossava prima, e che avrebbe indossato per dormire, fu il turno di James. La ragazza rimase ad aspettarlo distesa sotto le coperte, immersa nei suoi pensieri. Aveva ancora troppa confusione in testa, ma sapeva che la troppa confusione l’avrebbe stancata a tal punto che si sarebbe addormentata in pochissimi secondi.
    Pochi minuti dopo, anche James uscì dal bagno, indossando solo una maglietta a maniche corte e i boxer, e si infilò sotto le coperte, dall’altra parte del letto. Allungò una mano verso l’interruttore e spense la luce.
    «Distanza di sicurezza!» gli disse Theodora, distesa su un fianco ad un’estremità del letto.
    James obbedì immediatamente, dopodiché chiuse gli occhi, sperando di addormentarsi presto. Sorrise, immaginando i lati del carattere di Theodora che ancora non conosceva, ma che presto avrebbe sicuramente avuto modo di vedere.

    La mattina seguente, i due ricominciarono il loro viaggio. Per Theodora era già terribile passare giornate intere chiusa in una macchina, con uno sconosciuto, diretta chissà dove, e senza niente da fare, ma, dopo tutto quello che era successo la sera precedente, per lei la situazione era diventata insopportabile. Non aveva più rivolto la parola a James dalla sera precedente, e aveva l’impressione che tra loro due si fosse creato un clima quasi glaciale.
    «Scusa ancora per ieri sera…» provò a dire la ragazza. «È che sono stressata, questa è una situazione complicata, e in quel momento penso di aver parlato senza collegare la bocca al cervello…»
    «Va tutto bene, non ti preoccupare…» la interruppe James.
    «No, invece dovrei preoccuparmi eccome! È stata una reazione incontrollata, e io non posso permettere che succeda ancora! Quando finalmente prenderò il posto di mio padre, le telecamere e i giornalisti mi staranno addosso molto più di quanto non facciano ora! E se dovessi dire qualcosa che potrebbe essere frainteso? E se dovessi dire quello che penso, senza rendermene conto? Potrei rovinare sia il mio nome, che quello di mio padre!»
    «Ti stai preoccupando di quello che la gente pensa di te?»
    «Esatto! La mia posizione mi obbliga ad essere un esempio per gli altri!»
    «Come? Ti ‘obbliga’?»
    «Se devi governare un Paese, è ovvio che tutti ti vedano come un modello da imitare…»
    «Oppure la fanno semplice e votano il pagliaccio più simile a loro…»
    «Oh, no, non succederà mai… Se mio padre è riuscito a conquistare così tante persone, sicuramente ci riuscirò anch’io!»
    «L’importante è crederci…»
    «Dubiti di me?»
    «No, assolutamente!»
    James lottò con tutte le sue forze per evitare di ridere, ma Theodora lo notò.
    «Che c’è? Pensi che io non sia all’altezza di mio padre?» chiese la ragazza.
    «No, è solo che… non sembri per niente un futuro Primo Ministro!»
    «Perché sono una ragazza, e quindi secondo te sono meno intelligente, o perché pensi che il mio posto sia in cucina o in qualche concorso di bellezza?»
    «Non dico questo… È solo che tu non hai la minima idea di come sia il mondo reale! Voglio dire… è che tu sei ricca, sei cresciuta in mezzo a persone con un sacco di soldi, e forse non sai come vanno le cose per quelli che di soldi non ne hanno molti…»
    «Beh, posso capirlo… Ho un sacco di libri…»
    «Forse quei libri non basteranno… Per quanto si possano avvicinare alla realtà, la vita vera è diversissima da quello che c’è scritto nei libri! So che hai studiato, e che ti sei preparata al meglio per la vita che hai sempre sognato, ma forse dovresti ripensarci, prenderti un po’ di tempo per riflettere, e chiederti se sei davvero pronta per raggiungere i tuoi sogni…»
    Theodora non seppe cosa rispondere. James, pensando di aver turbato eccessivamente la ragazza, accostò la macchina al marciapiede e spense il motore, per avere la possibilità di parlare a Theodora guardandola negli occhi.
    «Ascolta…» le disse. «Non era mia intenzione offenderti in qualche modo, ma, se ci pensi, capirai che ho ragione! Pensi di essere in grado di fare un sacco di cose, ma so che, in fondo, ti senti insicura, proprio come chiunque altro, al tuo posto! Va tutto bene, non c’è niente di sbagliato in questo… È sbagliato soltanto considerarsi superiori agli altri, proprio come fa Storm! E tu sei diversa, Theodora, sei migliore di lui! E proprio perché sei migliore di lui, dovrai impegnarti ancora di più, per dimostrare a tutti di esserlo! Io credo in te, e, se vuoi, ti aiuterò, per quanto mi sarà possibile. Sarò una specie di Angelo Custode, per te: tuo padre mi ha ordinato di proteggerti, ma, se vuoi, farò molto di più!»
    Theodora rimase per qualche secondo in silenzio, senza distogliere lo sguardo dagli occhi di James. Voleva capire se mentiva, ma, ancora una volta, il suo ‘sesto senso’ le diceva il contrario. James non le stava mentendo, anzi, sembrava veramente interessato a lei, a differenza di tante altre persone che Theodora aveva conosciuto.
    «Perché ti importa così tanto di me?» chiese la ragazza.
    James non voleva dire la verità a Theodora. Non era il momento adatto, non era la situazione più appropriata, e non sarebbe stata decisamente la cosa più giusta da fare.
    «Sei la figlia di Arthur,» disse. «Arthur mi ha aiutato in più di un’occasione, ed è il momento che io ricambi il favore.»
    Sembrava sincero. Theodora continuava a guardarlo negli occhi, nella speranza di cogliere qualche dettaglio impercettibile prova che lui stesse mentendo, ma niente. Theodora era sempre incerta se fidarsi o meno, ma mentre il suo istinto e la sua amica Jo le dicevano di non fidarsi assolutamente, il suo ‘potere’ di scoprire se qualcuno mente le aveva dimostrato il contrario.
    «Già…» disse Theodora. «Mi sembra giusto…»
    Theodora continuava a non distogliere lo sguardo, in attesa della conferma che il suo interlocutore la stesse prendendo in giro. Inaspettatamente, però, un pensiero attraversò la mente di Theodora: e se James le avesse raccontato solo parte della verità? E se ci fosse stato un altro motivo, che James non aveva voluto rivelarle? E se — Theodora sperò che fosse soltanto la sua immaginazione — James fosse stato innamorato di lei?
    «E poi,» continuò James. «devo dire che non mi dispiacerebbe averti come amica, sai? A quanto pare, passeremo un sacco di tempo insieme, e sarebbe terribile doverlo passare litigando continuamente!»
    Va bene, forse si sbagliava riguardo a James innamorato di lei, ma Theodora non poteva dire la stessa cosa anche di sé stessa. A forza di guardare James negli occhi, si era accorta di trovare addirittura carino il fatto che il suo occhio sinistro fosse leggermente storto… Ma che le stava succedendo? Forse era proprio come le aveva predetto Jo: prima o poi si sarebbe innamorata di James, in un modo o nell’altro, e lui, alla fine, le avrebbe spezzato il cuore, proprio come aveva fatto per tutte le sue altre ex-fidanzate! Theodora non poteva permetterlo: decise di cancellare dalla sua mente quel pensiero, ed evitare di innamorarsi di chiunque. Aveva sofferto troppe volte, per colpa di ragazzi più interessati ai suoi soldi, che a lei, e Theodora non voleva che la storia si ripetesse ancora una volta, in nessun modo!
    Theodora cercò di scacciare tutti quei pensieri dalla sua mente concentrandosi sui nuovi vestiti che indossava quel giorno: una camicetta viola, dei jeans chiari e un paio di scarpe da ginnastica bianche.
    «Di chi sono questi vestiti?» chiese Theodora, trovando molto improbabile che un uomo possedesse così tanti vestiti da donna.
    «Te l’ho detto, erano di mia sorella…»
    «Tu non hai una sorella… Questi jeans avevano ancora l’etichetta del negozio!»
    James non rispose. Continuò a guidare guardando dritto davanti a sé, e Theodora pensò immediatamente di aver detto qualcosa di sbagliato.
    «Oh mio Dio…» disse Theodora, rendendosi conto di qualcosa. «Tu avevi una sorella, vero? Che le è successo?»
    «Storm…» rispose James. «Non voleva che smettessi di lavorare per lui, così ha ucciso tutta la mia famiglia… È stato orribile, quel giorno, tornare a casa e vedere quello che mi aspettava… Non lo dimenticherò mai…»
    «Mi dispiace… Non lo sapevo…»
    «Non preoccuparti, è tutto a posto… Non potevi saperlo…»
    «No, mi dispiace sul serio… Dovrei avere più tatto…»
    Era la seconda figuraccia che aveva fatto Theodora durante quella fuga. Doveva cercare di controllarsi meglio: quando sarebbe stata eletta Primo Ministro — perché sapeva che prima o poi sarebbe stata eletta — non avrebbe più potuto permettersi di dire certe cose. Tutto quello che diceva sarebbe stato trasmesso in televisione, alla radio, o sarebbe stato riportato su un sacco di giornali diversi: non poteva proprio permettersi di parlare a sproposito, fare conclusioni affrettate o dire tutto quello che le passava per la testa! Con questo pensiero in testa, Theodora rimase in silenzio per tutto il resto della giornata.

















L'angolo dell'autrice:
Questo capitolo inizia ridendo e finisce piangendo... Ma non vi preoccupate, la storia non continuerà con solo momenti tristi, ma ci saranno anche momenti felici, momenti tranquilli, momenti terribili, e tante altre cose...
La maggior parte di questo capitolo si concentra sul lato ansioso e rompiscatole di Theodora, ovviamente amplificato dalla situazione in cui si trova, e nel finale vediamo un importante cambiamento nella sua relazione con James: d'ora in poi i due proveranno seriamente ad andare d'accordo... Ma come andrà a finire?
Come al solito, vi invito a farmi sapere se vi piace (o non vi piace) la storia, mandandomi una recensione o anche un messaggio privato. Mi farebbe davvero molto piacere sapere cosa ne pensate, o se anche semplicemente volete darmi qualche consiglio per migliorare sempre più.
A presto!
Arkytior

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


    Dopo quasi una settimana passata in giro per le strade del Galles, James e Theodora decisero di ritornare verso l’Inghilterra. Non potevano tornare a Londra, altrimenti Storm avrebbe trovato più facilmente Theodora, perciò i due decisero di dirigersi verso Brighton, sperando di non incappare in qualche brutta avventura. Lungo la strada, si fermarono vicino ad un bosco, dove James insegnò a Theodora a sparare, usando gli alberi come bersaglio. Erano in un punto dove nessuno poteva vederli o sentirli, e Theodora imparò veramente in fretta a prendere la mira prima di sparare. Si sentiva ancora un po’ a disagio, con una pistola in mano, ma sapeva che prima o poi le sarebbe servita per difendersi, e quindi era meglio per lei imparare ad usarla il prima possibile.
    Dopo qualche ora passata nei boschi a fare pratica con la pistola, i due tornarono in macchina e ripresero il loro viaggio. Non ci furono molti scambi di parole, durante il tragitto, dato che entrambi erano presi dai loro pensieri, ma una canzone trasmessa dalla radio riuscì a catturare la loro attenzione:

Face to face, and heart to heart,
we're so close, yet so far apart.
I close my eyes, I look away:
that's just because I'm not okay.
But I hold on, I stay strong,
wondering if we still belong…

Will we ever say the words we're feeling,
reach out underneath, and tear down all the walls?
Will we ever have our happy ending?
Or will we forever only be pretending?
Will we always, always, always be pretending?

Keeping secrets safe,
every move we make:
seems like no one’s letting go.
And it's such a shame,
cause if you feel the same,
how am I supposed to know?
(Faccia a faccia, e cuore a cuore, / siamo così vicini, eppure così lontani. / Chiudo gli occhi, guardo altrove: / è solo perché non sto bene. / Ma io resisto, resto forte, / chiedendomi se ci apparteniamo ancora... / Diremo mai le parole che sentiamo, / raggiungeremo le profondità, abbatteremo tutti i muri? / Avremo mai il nostro lieto fine? / O fingeremo e basta, per sempre? / Fingeremo per sempre? / Manteniamo i segreti al sicuro, / ogni nostra mossa: / sembra che nessuno stia lasciando andare. / Ed è proprio una vergogna, / perché se senti la stessa cosa, / come faccio a saperlo?)

    Theodora non sapeva chi fosse l’autore di quella canzone, ma sembrava che quel testo rappresentasse perfettamente i suoi pensieri in quel momento; James pensò la stessa identica cosa: stavano entrambi nascondendo qualcosa, ma quel continuo nascondere e negare la verità non avrebbe mai portato da nessuna parte.
    Quando arrivarono in città, si era già fatto buio. Avevano già mangiato dei panini poco prima, perciò non avevano bisogno di cenare, eppure James parcheggiò la macchina in una strada che sembrava conoscere.
    «Che ci facciamo qui?» chiese Theodora.
    «Beh, siamo amici, ora, no? E gli amici escono insieme e vanno in discoteca!»
    «Vuoi portarmi in discoteca?»
    «Che c’è? Non ci sei mai stata?»
    Theodora non rispose, dato che la risposta sembrava ovvia.
    «Ah, già…» disse James. «Abbiamo concetti di amicizia totalmente diversi…»
    James scese dalla macchina, e Theodora lo seguì, indossando una giacca di pelle nera. Nascose una pistola in una tasca interna della giacca, sperando di non averne bisogno. Poi, i due si incamminarono verso un locale chiamato The Wild Jackal.
    «Il barista è un mio vecchio amico, non preoccuparti,» disse James, notando l’espressione dubbiosa di Theodora.
    I due entrarono nel locale. Theodora non aveva mai visto niente di simile, se non in qualche scena di film che aveva visto facendo zapping in televisione. C’era una grande pista da ballo, da un lato del locale, piena di ragazzi e ragazze (coppiette, soprattutto) che ballavano e si baciavano; l’altro lato somigliava più ad un bar, con un sacco di tavoli, sedie e divanetti, occupati da ragazzi e ragazze (e anche altre coppiette) che ridevano, bevevano e si baciavano. All’inizio, a Theodora davano un po’ fastidio le luci colorate del locale, ma, dopo qualche minuto, ci si abituò. La ragazza seguì James attraverso il locale, fino ad arrivare al bancone del bar.
    Dietro al bancone c’era una persona sola. Strano, date le dimensioni del locale e la quantità di persone presenti: ce la faceva a prestare attenzione a tutti?
    «Ehi, Scott, come va?» lo salutò James.
   Il barista si voltò. Sembrava avere più o meno la stessa età di James, era abbastanza alto, aveva i capelli corti e neri e gli occhi chiari. Non appena vide James e Theodora, sorrise: era un sorriso strano, che lo faceva sembrare più attraente di quanto sembrasse. Non era esattamente l’ideale di bellezza di Theodora, ma la ragazza non poté negare il fatto che il sorriso del barista aveva un qualche potere magnetico. Sicuramente, un sacco di ragazze perderanno la testa per lui, pensò Theodora.
    «Ehi, bello! È da un sacco che non ci vediamo!» salutò il barista.
   A quanto pare, Scott era a conoscenza del lavoro da spia di James, dato che faceva molta attenzione a non chiamarlo per nome. Evidentemente, James era abituato a presentarsi con un nome falso.
    «Allora, che fai da queste parti?» continuò Scott.
    «Sono in viaggio…» rispose James. «Sono con mia sorella, Hannah… Non te l’ho mai presentata, vero?»
    Scott sapeva benissimo chi fosse la ragazza che gli aveva appena presentato James, ma, per non tradire la copertura del suo amico, stette al gioco.
    «No, non l’ho mai incontrata…» disse Scott, fissando Theodora. «Incantato di conoscerti, Hannah…»
    Theodora pensò immediatamente che ci fosse qualcosa di strano nel sorriso magnetico ma enigmatico di quell’uomo. Forse ci stava provando con lei?
    «Bene…» disse James, distogliendo i pensieri di Theodora da Scott. «Noi andiamo a cercare un tavolo… Ci porti il solito?»
    «Ovviamente!» rispose Scott.
    James e Theodora si allontanarono dal bancone e andarono a sedersi ad un tavolo lì vicino.
    «Quel tipo mi spaventa…» disse Theodora.
    «Perché?» le chiese James. «Scott non ha mai fatto male ad una mosca… Lo conosco da anni!»
    «Non lo so… È che appena l’ho visto, mi ha fatto pensare subito ad una specie di piovra…»
    «Non preoccuparti, fa così con tutti…»
    «Beh, è comunque piuttosto inquietante… Voglio dire, nemmeno lo conosco!»
    In quel momento, arrivò Scott, con in mano un vassoio, che appoggiò sul tavolo le due bibite che aveva portato. Sorrise a Theodora — un altro dei suoi sorrisi magnetici ed enigmatici al tempo stesso —, ammiccò, e poi tornò al bancone.
    «Non ti preoccupare, non ti farà niente…» disse James, che sembrava parlare di Scott come se fosse un cane particolarmente vivace. «E poi, in ogni caso, hai la tua guardia del corpo personale!»
   Theodora sorrise, un po’ sollevata, e cominciò a bere la sua bibita. Sapeva di un misto tra frutta e alcool: non aveva mai bevuto niente del genere, prima di quel momento, ma, in qualche modo, le piaceva. Mentre beveva, guardava le altre persone che c’erano nel locale: c’erano un sacco di giovani, ma anche qualche adulto, ma il suo sguardo fu attirato da due persone sedute a circa quattro tavoli di distanza da lei e James.
    «Chi sono quelli?» chiese la ragazza a James, facendo in modo che i due uomini in questione non la notassero.
    James si voltò, per sapere di chi stesse parlando Theodora, poi si voltò di nuovo verso la ragazza, ma non rispose alla sua domanda.
    «Ti fidi di me?» le chiese, invece.
    «Credo di sì…» rispose incerta Theodora.
    «Allora vieni!» le ordinò James.
    James prese per mano Theodora, e si avviò verso l’uscita secondaria del locale, che lui conosceva molto bene. La ragazza lo seguì in silenzio, senza voltarsi, spaventata dai due uomini che aveva notato qualche secondo prima, che sicuramente la stavano spiando, e che in quel momento, forse, la stavano seguendo. Theodora e James uscirono in strada, e si diressero velocemente verso la macchina, per scappare da lì il più velocemente possibile. La strada era deserta: Theodora pensò che forse si trovavano in un quartiere poco frequentato, a quell’ora. Improvvisamente, udirono dei passi veloci, in lontananza, e furono costretti a camminare velocemente, quasi a correre.
    Un colpo di pistola che non li colpì per un soffio li costrinse a fermarsi e a voltarsi. Theodora li vide, e rimase paralizzata dalla paura: due uomini enormi, vestiti quasi completamente di nero, armati di pistola, erano sempre più vicini. Sicuramente erano stati mandati da Storm, per trovare la ragazza e ucciderla.
    Sia James che Theodora non reagivano in nessun modo, per evitare una qualche azione improvvisa da parte dei due uomini. Li dividevano soltanto pochi passi, ormai, quando James tirò fuori la sua pistola dalla cintura e sparò ad uno dei due. L’altro, per tutta risposta, si avvicinò pericolosamente a James con l’intenzione di vendicarsi. Aveva già afferrato James per un braccio, e alzato l’altra mano come per prenderlo a pugni, quando un colpo di pistola lo distrasse da quello che stava per fare. James si voltò verso la sua sinistra, e vide Theodora, con gli occhi sbarrati e il respiro irregolare, le braccia protese in avanti che reggevano la pistola, ancora calda per il proiettile appena sparato: sembrava terrorizzata.
    L’uomo che stava per picchiare James lasciò lentamente la presa, e, dopo averci messo qualche secondo per rendersi conto della situazione, fece qualche passo all’indietro, anche lui spaventato, e si accasciò a terra, vicino al suo collega.
   James si avvicinò a Theodora, così ancora spaventata da quello che aveva fatto, che era come paralizzata. La ragazza non muoveva un muscolo, e i suoi occhi erano spalancati, fissi sui due uomini a terra. James prese gentilmente per mano Theodora, le tolse la pistola dalle mani e, insieme, tornarono alla macchina. James guidò per qualche chilometro, poi si fermò in un parcheggio deserto. In lontananza, si sentì un tuono: molto probabilmente, stava per iniziare a piovere.
    Si voltò verso Theodora, ancora scossa per l’accaduto. Fissava ancora il vuoto, forse perché l’immagine dei due uomini a terra, feriti, era ancora vivida nella sua mente. Il suo cuore batteva all’impazzata, e i suoi respiri erano tutt’altro che calmi e regolari.
  «Non posso credere di averlo fatto!» disse Theodora. «Ho appena ucciso una persona… Ora sono un’assassina! No… Non posso essere un’assassina! Che cosa direbbe mio padre di me?»
    Al pensiero di suo padre, i suoi occhi cominciarono a farsi lucidi.
    «Non sono più adatta a prendere il posto di mio padre, ora…» continuò. «Nessuno mi voterà più, sapendo che sono un’assassina… Non posso permettere che la gente pensi questo di me… Non posso…»
   «Va tutto bene, non ti preoccupare…» cercò di rassicurarla James. «L’hai fatto solo per difenderti, e per salvare me… Non c’è niente di sbagliato, in questo… Va tutto bene…»
   James non sopportava di vedere Theodora in quello stato. Aveva promesso di proteggerla, di tenerla al sicuro, di farla stare bene, ma era evidente che in quel momento Theodora non stava affatto bene.
    «No, non va tutto bene!» disse Theodora, con le lacrime che ormai avevano iniziato a rigarle le guance. «Ho appena ucciso una persona! E anche se l’ho fatto per legittima difesa, l’aver privato una persona della sua vita mi resterà sulla coscienza per sempre! Non si può cambiare o ignorare il passato: ormai sono segnata a vita…»
   Theodora continuava a piangere, mentre James tentava inutilmente di consolarla. Era insopportabile, per lui, non essere in grado di fare qualcosa per far stare meglio Theodora. Lentamente, si avvicinò a lei, per abbracciarla e per offrirle una spalla su cui piangere. Così facendo, gli sembrò di essere utile, in qualche modo.
    James ricordò di essere stato così vicino a Theodora solamente quando, il giorno del discorso di Arthur, aveva immobilizzato la ragazza, le aveva fatto perdere coscienza, e l’aveva portata in braccio fino all’uscita, per poi sistemarla sul sedile della sua macchina. James accarezzò la schiena di Theodora, in modo da farla sentire al sicuro, poi fece scorrere le dita tra i suoi capelli biondi. Li preferiva quando erano lunghi, morbidi e castani, ma le circostanze lo avevano costretto a tagliare e tingere i capelli della ragazza, per evitare che venisse riconosciuta.
    I due rimasero abbracciati e in silenzio per un tempo indefinito, forse qualche minuto, o forse qualche ora. Durante questo tempo, ognuno dei due era immerso nei propri pensieri. James pensava a Theodora, a quanto sembrasse fragile in quel momento, e a quanto volesse che fosse felice. Non poté fare a meno di pensare che forse era proprio lui la causa del dolore di Theodora. La ragazza, invece, rifletteva su quello che era appena successo. Sì, aveva ucciso una persona, ma l’aveva fatto soltanto per difendersi, e per salvare James. Oppure si era sbagliata, e aveva soltanto ferito quell’uomo. Aveva comunque commesso un’azione gravissima, ma si convinse di quello che le aveva detto James: forse non sarebbe stata considerata un’azione tanto grave, dato che aveva ucciso una spia di Storm per difendersi…
    Dopo un tempo che sembrava interminabile, Theodora sembrava calmarsi, anche se non del tutto. La pioggia, intanto, aveva cominciato a bagnare il parabrezza. James iniziò a baciare dolcemente i capelli di Theodora. Lentamente, la ragazza si allontanò da lui, ma James si avvicinò a lei e la baciò sulle labbra. Dopo qualche secondo, si allontanò da lei, e l’espressione confusa e sorpresa di Theodora gli fece capire quello che aveva appena fatto.
    «Oh, mio Dio… Scusa…» disse James. «Mi dispiace tantissimo… Io non…»
    «Non scusarti…» lo interruppe Theodora, apparentemente calma. «Dimmi solo perché l’hai fatto.»
    «Non posso… È troppo complicato…»
    «Abbiamo tutto il tempo che vuoi, se è questo che ti preoccupa…»
    James si voltò verso il parabrezza e fece un respiro profondo. Era il caso di rivelare a Theodora quello che provava per lei? Si voltò di nuovo verso la ragazza, e la guardò per pochi interminabili secondi. Era evidente che Theodora voleva assolutamente capire cosa provasse James per lei.
    «Ti amo, Theodora,» le disse James, guardandola negli occhi.
   Quelle parole arrivarono al cuore di Theodora come una coltellata. Certo, un po’ si aspettava che James le dicesse quelle parole, dato che l’aveva appena baciata, ma ora non sapeva proprio come reagire. Jo le aveva detto di stare attenta, di non innamorarsi di James, ma non aveva preso in considerazione la possibilità che fosse James ad essere innamorato di lei! O forse James le stava solo mentendo, e lei ci stava cascando come un pollo?
    «Che cosa?» chiese Theodora, confusa.
    James sapeva che Theodora avrebbe reagito così. Aveva intenzione di lasciarla libera, inconsapevole del fatto che lui era innamorato di lei dalla prima volta che l’aveva vista, perché una come Theodora meritava di più, ma ora i suoi piani erano andati a farsi friggere…
    «Ti amo,» ripeté James. «Dalla prima volta che ci siamo incontrati.»
    E, ora che l’aveva detto, cosa avrebbe pensato Theodora di lui? Forse che era una specie di stalker inquietante, o qualcosa del genere…
    «Cioè, dal discorso di mio padre?» chiese Theodora, cercando di capire a cosa si riferisse James.
    «No, da quando ho iniziato a lavorare per Arthur… Forse non te lo ricordi, ma ci eravamo già incontrati, una decina di anni fa, nell’ufficio di tuo padre…»
    Theodora ricordava vagamente l’evento, così’ James glielo descrisse. Theodora fu molto sorpresa dal fatto che James ricordasse ogni singolo dettaglio di quell’incontro, dai vestiti che indossava alle frasi che si erano scambiati.
    «Quindi ti sei innamorato di me perché ero la ragazza più bella che tu avessi mai visto?» chiese Theodora.
    «Non esattamente… Cioè, sì, sei carina, ma non è un requisito indispensabile, per me…»
    «E allora, cosa ti è piaciuto di me?»
    «Il tuo cervello!»
    Quella risposta lasciò Theodora quasi senza parole. Forse era una risposta che avrebbe avuto senso se fosse stata detta da uno zombie, ma, in bocca ad un essere umano, le suonava parecchio strana.
    «In che senso, scusa?» chiese la ragazza. «Ci siamo visti solo per pochi secondi…»
    «I tuoi libri!» spiegò James.
    Theodora non era sicura di aver capito bene.
    «I miei libri…» ripeté. «Quelli che si leggono… Con tante pagine…»
    «Esatto! Perché? Che c’è di strano?»
    «No, niente, è solo che… Non mi è mai capitato che a qualcuno piacesse il fatto che ho un sacco di libri!»
    James sorrise.
    «Non avrai mai avuto intorno gente molto intelligente, allora!» le disse.
    «Già…» confermò Theodora. «Ho sempre avuto intorno gente falsa, strapiena di soldi, che per la maggior parte del tempo tentava di mettere le mani sul mio portafogli…»
    «O anche su qualcos’altro…»
    Theodora rise.
   «È sempre stato questo il mio problema:» disse poi, ritornando seria. «Sono costantemente circondata da persone che mentono, a cui non importa niente di me, e sono stata delusa un’infinità di volte…»
    «E hai paura che possa succedere ancora?»
    «Non è solo questo… È che ora tu mi hai detto questa cosa… e io non so assolutamente che fare! Lo ammetto, ho chiesto ad una mia amica di fare una piccola ricerca su di te, per capire chi eri, dato che non mi hai mai detto molto di te, e i risultati non sono stati molto rassicuranti…»
    «Che hai trovato?»
   «I due profili Facebook che confermano il fatto che sei una spia… Ma riesco a capire quando una persona mente, e tu non mentivi quando mi hai detto che sei sempre stato fedele a mio padre…»
    «E basta?»
    «No, c’era anche un blog gestito da tutte le tue ex-ragazze…»
    «E ti ha spaventato il fatto che fossero così tante e che dicessero così tante cose cattive su di me?»
    «Beh, non si può dire che sia un sito molto rassicurante…»
    «Però su alcune cose hanno ragione: sono state tutte lasciate da me… O almeno, la maggior parte…»
    «Così tante?»
    «Beh, alcune erano mie amiche, come Maria Johnson, che avrebbe tanto voluto essere qualcosa di più, ma se n’è andata, non appena ha capito che non mi interessava… Poi ci sono state anche storie importanti, come quella con Dawn Novel, o Rosie Skyler, che mi chiama almeno una volta al giorno, sperando che io torni con lei…»
    «E perché hai lasciato così tante ragazze? Nessuna di loro era quella giusta per te?»
    «No… Nessuna di loro era te!»
    «E allora perché non sei venuto direttamente da me?»
   «Non potevo… Ti avrei sicuramente rovinato la vita… Voglio dire… Ho dieci anni più di te, e tu sicuramente ti saresti trovata meglio con un ragazzo più vicino alla tua età…»
   «Oh, sì, sicuramente… Se escludiamo il fatto che — odio ammetterlo — sono sempre stata un po’ più ‘matura’ per la mia età… I miei coetanei mi sono sempre sembrati dei perfetti idioti, che, tra l’altro, mi deridevano perché preferivo stare a casa a leggere, piuttosto che andare in discoteca a drogarmi e rimorchiare come facevano loro… E dopo un sacco di ragazzi che si sono dimostrati più interessati ai miei soldi che a me, mi sono arresa alla realtà…»
    «Che intendi dire?»
   «Che forse, se non mi sono mai trovata bene con i miei coetanei, dovrei puntare più in alto… Ma non voglio saltare a conclusioni troppo affrettate… C’è troppa gente falsa che mi gira intorno, e mi sono fidata di troppe persone sbagliate… E se anche la prossima volta facessi un buco nell’acqua?»
   «Tu non meriti di soffrire così tanto… Io non ti tratterei mai come ti hanno trattato quei deficienti: a me non interessa se sei ricca, o se sei bellissima… a me interessa quello che hai dentro!»
    «Mi stai chiedendo di darti una possibilità? Te l’ho appena detto, sono stanca di fidarmi delle persone sbagliate…»
    Theodora rifletté per qualche secondo. James non le aveva mai mentito, nemmeno quando le aveva fatto capire che Jo si sbagliava riguardo a lui. Era sincero, quando le aveva detto che il vero motivo per cui lei gli piaceva erano i suoi libri. O James era un attore particolarmente bravo a non far capire quando mentiva, oppure, semplicemente, era diversissimo da tutti gli altri ragazzi che Theodora aveva frequentato. Quindi, perché non rischiare, e dargli una possibilità?
    «D’accordo…» disse la ragazza. «Dato che sembri diverso da tutti i cretini con cui sono uscita fino a poco tempo fa, ho deciso che, siccome passeremo ancora un bel po’ di tempo insieme, non mi farà male provare ad avere un fidanzato diverso dagli altri…»
    James si illuminò.
    «Quindi…» provò a dire. «Questo significa che adesso stiamo insieme?»
    «Direi di sì…»
    James baciò di nuovo la ragazza. Theodora rispose al bacio, sentendosi sempre più convinta di aver fatto la scelta giusta. Continuava a piovere sempre più forte, ma a loro non importava.
    «Allora posso chiamarti Teddy, adesso?» le chiese James.
    «Non pensarci nemmeno! Preferisco essere chiamata Dora…»
   Anche se ora Theodora aveva cominciato a vedere James in modo diverso, quel soprannome ancora le ricordava troppo i suoi genitori… E pensava che gliel’avrebbe sempre ricordati, perciò pensò che non l’avrebbe mai più usato.
    «Va bene…» disse James. «Dora… Come Dora l’Esploratrice
    «Sapevo che avresti detto una cosa del genere, per rovinare questo momento…»
















L'angolo dell'autrice:

Anche qui si ride e si piange (almeno spero!), e la verità viene a galla... E adesso? Sembra che andrà tutto liscio come l'olio d'ora in poi, per i nostri protagonisti, ma cosa ne penserà Jo, l'amica di Theodora?
Come sempre, vi invito a recensire o a lasciarmi un messaggio, se vi piace questa storia e volete farmelo sapere! O anche se non vi piace e volete darmi qualche consiglio per migliorare! Mi farebbe davvero molto piacere!
A presto!
Arkytior

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8


    James e Theodora avevano deciso di proseguire il loro viaggio andando verso nord, verso la Scozia. Lungo la strada, si fermarono a fare benzina, e, mentre James era fuori dalla macchina, Theodora colse l’occasione per fare una telefonata a Jo, per aggiornarsi sull’andamento della situazione politica.
    «Allora, cosa mi sto perdendo?» chiese Theodora.
    «Sei fortunata, in questo momento Storm non sta facendo niente di assurdamente assurdo…» rispose Jo. «Oh, Dio, non so più nemmeno cosa dico… Sono preoccupatissima per te! Tu stai bene?»
    «Beh, sì, se escludiamo il fatto che non vedo una doccia e un letto vero da una settimana, più o meno…»
    «E com’è la situazione con… Hai capito, no?»
    Theodora non sapeva cosa rispondere. Se avesse detto una bugia, avrebbe dovuto convivere con il pensiero di aver mentito a Jo, la sua unica amica; se invece avesse detto la verità, sicuramente Jo avrebbe iniziato a farle la predica.
    «Beh, diciamo che non sembra tanto lo ‘spezzacuori’ che credevamo…» scelse di dire Theodora, cercando di evitare che Jo si arrabbiasse con lei.
    «Che intendi dire?» Jo sembrava leggermente alterata, dalla voce.
   «Sembra gentile, sincero… Voglio dire, ho usato il mio ‘potere’ per capire se mentiva, quando mi ha detto quello che mi ha detto, e… non mentiva! Cioè, credo che sia veramente innamorato di me! È un tantino inquietante, perché ha detto di aver pensato solo ed esclusivamente a me per dieci anni, ma almeno non è un vampiro che entra tutte le notti in camera mia per guardarmi dormire!»
   «Dora, Dora, Dora… È esattamente la stessa cosa! E aggiungi anche tutte le ragazze che ha lasciato! Andiamo, non vale la pena di perdere tempo con quello lì! La mia amica Sophie è stata lasciata dopo neanche una settimana, e pensa che sia veramente irritante il fatto che il suo viso sia leggermente asimmetrico… Comunque, dettagli a parte, sei più in pericolo di quanto pensi! Quello lì è malato, non farti ingannare!»
    «Va bene, cercherò di stare attenta…»
    «Tieni gli occhi aperti… Non fidarti di lui…»
    Theodora riagganciò proprio mentre James stava tornando in macchina.
    «Chi era, una tua amica?» chiese James.
    «Sì, mi stava aggiornando su quello che sta facendo Storm…»

    Jo non poteva credere alle parole della sua amica. Posò il telefono, e rifletté per qualche secondo su quello che Theodora le aveva detto. “Non sembra tanto lo ‘spezzacuori’ che credevamo”? Quell’uomo era un mostro, e Jo lo sapeva bene. Theodora stava cadendo nella sua trappola, e molto presto sarebbe stato troppo tardi: Theodora sarebbe finita come tutte le sue altre vittime, completamente sola, assetata di vendetta, e con un vuoto nel cuore che nessuno sarebbe mai più riuscito a colmare. In più, i suoi genitori erano morti, e quindi non avrebbe mai trovato nemmeno un’ancora di salvezza. In quel momento, Jo era la sua ultima speranza: Jo avrebbe fatto di tutto per salvare la sua amica da quell’orribile destino che la aspettava. Se solo Theodora la ascoltasse! Theodora era sempre stata un po’ testarda, forse perché la sua intelligenza molto sopra la media l’aveva sempre fatta sentire superiore agli altri, l’unica a sapere come stanno veramente le cose. Per questo, difficilmente ammetteva di essere in torto, e che qualcun altro avesse ragione. Jo sperava tanto che prima o poi Theodora capisse la gravità della sua situazione: era convinta che suo padre l’avesse affidata a qualcuno che l’avrebbe protetta, ma, in realtà, la ragazza era tutt’altro che in buone mani.


    Nel frattempo, la fuga di Theodora e James continuava. L’evoluzione del loro rapporto aveva fatto sì che Theodora non si annoiasse più così tanto durante quella fuga. Viaggiare con un completo estraneo che un po’ spaventava era ben diverso dal viaggiare con una persona con cui si ha più confidenza, come un amico, o addirittura un fidanzato. Ora che i due si erano aperti l’una all’altro, avevano abbattuto le barriere che li dividevano. Theodora sorrideva di più, e aveva iniziato a considerare quel viaggio con James una splendida occasione per imparare qualcosa di nuovo. A questo proposito, colse l’occasione per imparare finalmente a guidare. Certo, era comodo avere sempre a disposizione un autista privato che la portasse dovunque desiderasse andare, ma Theodora preferiva essere più indipendente. James si mostrò subito disponibile ad insegnarle a guidare, infatti le lezioni cominciarono immediatamente.
   In quel momento, James stava facendo esercitare la ragazza con le curve, approfittando di un parcheggio quasi vuoto. Theodora imparava veramente in fretta, dato che era molto determinata ad imparare. Se la cavava benissimo, e James era veramente orgoglioso di lei.
    Fu soltanto dopo una mezz’ora che James si accorse dei due uomini dall’aria sospetta che li stavano spiando, da dentro una macchina nera parcheggiata. Sicuramente erano uomini di Storm che cercavano Theodora.
    «Non agitarti, Dora, ma penso che quei due stiano cercando noi,» disse James.
    Theodora si sforzò di restare il più calma possibile, anche se le risultava difficile dopo quello che era successo a Brighton. Continuò a guidare come se niente fosse, concentrandosi su come impostare le curve.
    «Perfetto…» disse Theodora, continuando a guardare dritto davanti a lei. «Mi fermo, ci scambiamo di posto, e tu cerchi di seminarli?»
    «No, non abbiamo tempo di fermarci: dovrai guidare tu!»
   Theodora cercò di restare concentrata sulla guida. Uscì dal parcheggio, come se niente fosse, e tentò di seminare i suoi inseguitori percorrendo le stradine della città, svoltando di continuo per confondere i due emissari di Storm. Dopo un po’, le venne un’idea geniale per far perdere definitivamente le loro tracce, un’idea a cui non avrebbe mai pensato, soltanto un paio di settimane prima: prendere l’autostrada. James rimase molto sorpreso dalla decisione di Theodora, ma in fondo sapeva che la ragazza sarebbe stata in grado di guidare perfettamente anche in autostrada, nonostante fosse ancora una principiante. E fu così: Theodora era concentrata al massimo sulla guida, cercando di rispettare al massimo le regole della strada, ma allo stesso tempo tentando di far perdere le sue tracce agli emissari di Storm. Aveva imparato a guidare soltanto da un giorno o due, ma era perfettamente in grado di farlo in autostrada, anche andando più veloce di quanto non avesse mai fatto, e questo la sorprese parecchio.
    «Li abbiamo seminati, ormai?» chiese Theodora, dopo un po’, dando una rapida occhiata allo specchietto retrovisore, per assicurarsi che non ci fosse nessun altro che li stesse seguendo.
    «Ci hanno persi, non ti preoccupare… Posso continuare io a guidare, adesso, comunque…»
    «Certamente! Appena trovo un posto per fermarmi…»

    Un paio di sere dopo, con grande gioia di Theodora, i due si fermarono di nuovo in un motel. Era la terza volta, in tutto il viaggio, che i due avrebbero dormito in un vero letto. Theodora considerava veramente scomodo dormire in macchina, e le dava molto fastidio non avere sempre la possibilità di farsi una doccia.
    Come le volte precedenti, Theodora si appropriò immediatamente del bagno, dato che aveva assolutamente bisogno di farsi una doccia, ma, a differenza delle altre volte, non sembrò darle tanto fastidio il fatto che, come al solito, nella stanza c’era un solo letto matrimoniale. Forse questo era dovuto ai cambiamenti nel loro rapporto, pensò James.
  Dopo che entrambi ebbero fatto la doccia, si misero a letto. Theodora si sistemò all’estremità del letto, abbastanza lontana da James: considerava ancora parecchio imbarazzante il fatto di dormire nel suo stesso letto. Non appena Theodora ebbe spento la luce, James si avvicinò silenziosamente a lei e iniziò a baciarle lentamente la pelle della schiena lasciata scoperta dalla canottierina con cui dormiva. Alla ragazza piaceva quella sensazione, ma si voltò comunque verso di lui.
    «Ma che stai…» iniziò a chiedergli.
    James interruppe la domanda di Theodora, iniziando a baciarla sulle labbra. Theodora rispose al bacio, abbracciando James.
    In quel momento, Theodora si ricordò dell’avvertimento di Jo: era proprio da questo che la sua amica la stava mettendo in guardia! Una parte di lei aveva paura di quello che stava succedendo, e voleva smettere immediatamente, mentre all’altra parte non importava minimamente di quello che aveva detto Jo. Ancora una volta, Theodora non sapeva che fare, se dare ascolto alla sua amica, oppure pensare con la propria testa, convinta di avere ragione. La ragazza scelse quest’ultima opzione: dopotutto, per quanto fosse più esperta e informata di Theodora, Jo poteva sempre sbagliare!

    La mattina seguente, quando Theodora si svegliò, la prima cosa che vide era la luce del sole che filtrava dalle persiane chiuse della finestra sulla parete di fronte a lei. Doveva essere mezzogiorno, o comunque molto tardi. La seconda cosa di cui prese coscienza fu il battito del cuore di James, un suono a cui si era abituata, avendolo avuto vicino tutta la notte. Theodora pensò che fosse il caso di alzarsi, perciò si allontanò da James il più silenziosamente possibile, prese i suoi vestiti e, sempre cercando di non fare il minimo rumore, si chiuse in bagno per farsi la doccia. Con sua grande sorpresa, si ritrovò a cantare sotto la doccia.

And in this crazy life, and through these crazy times,
It's you, it's you, you make me sing.
You're every line, you're every word, you're everything.
You're every song, and I sing along.
Cause you're my everything.”
(E in questa folle vita, e attraverso questi tempi folli, / sei tu, sei tu che mi fai cantare. / Sei ogni verso, sei ogni parola, sei tutto. / Sei ogni canzone, e io canto. / Perché sei il mio tutto.)

    Quella era una canzone che non si sarebbe mai aspettata di cantare. Le era capitato varie volte di sentire qualche canzone alla radio, ma non immaginava che un giorno si sarebbe ritrovata a cantare una di quelle canzoni sentite per caso…


You’re so beautiful,
But that’s not why I love you.
I’m not sure you know
That the reason I love you is you,
Being you,
Just you.
Yeah, the reason I love you
Is all that we’ve been through,
And that’s why I love you…
(Sei così bello, / ma non ti amo per questo. / Non sono sicura che tu sappia / che la ragione per cui ti amo sei tu, / l'essere te stesso, / semplicemente te stesso. / Sì, la ragione per cui ti amo / è tutto quello che abbiamo passato, / ed ecco perché ti amo...)

    Aveva sentito poche volte anche quest’altra canzone, e si sorprese molto del fatto che ne ricordasse le parole. Era sicura che fosse una canzone di Avril Lavigne abbastanza recente, di cui non aveva mai capito veramente il significato del testo.

Oh, I just can't get enough,
I'm a stoup, I need to fill me up.
It feels so good it must be love,
It's everything that I've been dreaming of.
I give up. I give in. I let go. Let's begin.
Cause no matter what I do,
Oh, my heart is filled with you.
(Oh, non riesco proprio ad averne abbastanza, / sono come un'acquasantiera, ho bisogno di essere riempita. / È così bello che dev'essere amore, / è tutto quello che ho sempre sognato. / Mi arrendo. Cedo. Lascio andare. Iniziamo. / Perché non importa quello che faccio, / oh, il mio cuore è riempito di te.)

    Anche questa canzone, secondo Theodora, aveva un bel testo. L’aveva sentita alla radio qualche mese prima, ma non ricordava cosa stesse facendo in quel momento, e poi ricordò di averla sentita di nuovo soltanto qualche giorno prima, in un momento in cui era sola in macchina e si era messa a cantare la canzone che stava sentendo alla radio. James l’aveva colta di sorpresa, quando aveva aperto lo sportello della macchina e aveva detto alla ragazza che l’aveva sentita cantare: secondo Theodora, quello era stato uno dei momenti più imbarazzanti di quella fuga.
    Uscita dalla doccia, la ragazza si asciugò, si vestì e si guardò allo specchio, prima di asciugarsi i capelli. Non aveva avuto molte occasioni di guardarsi allo specchio, da quando quella fuga era iniziata, ma ogni volta che le capitava di guardare il suo riflesso, era sempre più irriconoscibile. E non era solo perché aveva i capelli più corti e chiari, ma perché sentiva che qualcosa in lei stava cambiando, e qualcos’altro era già cambiato, forse. Mentre si pettinava, decise di cambiare leggermente la sua acconciatura: aveva sempre portato la riga dei capelli a sinistra, perciò decise di spostarla a destra, per vedere che effetto avrebbe fatto.
    Dopo essersi pettinata, Theodora tornò in camera, e si diresse immediatamente verso la finestra, per aprirla e per svegliare James.
    «Sorgi e splendi, dolcezza!» disse la ragazza. «È una bella giornata di sole, ci sono un sacco di cose da fare, e sarebbe un peccato starsene a letto tutto il giorno, non trovi? Specialmente perché siamo in fuga e non dovremmo fermarci tanto a lungo nello stesso posto…»
    «Ancora cinque minuti… È ancora presto…»
    «Macché! È mezzogiorno passato, e noi dovremmo già essere in viaggio per… non so esattamente dove, ma sicuramente dovremmo andare da qualche parte, e non stare qui a poltrire…»
    «Ma com’è che sei così attiva, stamattina?»
    «Non lo so… Forse questa fuga mi sta facendo più bene del previsto… Comunque, dai, è ora di alzarsi! E, per favore, mettiti qualcosa addosso: non mi piace invadere la privacy degli altri…»
    «Non sapevo che ti desse tanto fastidio…»
    «Sicuramente darà fastidio alla tizia della reception, quando usciremo…»

    A pranzo, andarono in un McDonald’s Theodora si ricordò della prima volta che aveva mangiato in un fast food: James l’aveva portata lì, ma lei era abituata a tutt’altro tipo di cibo, e non aveva mai mangiato hamburger e patatine in vita sua.
    «Sembri diversa, oggi…» le disse James, cercando di capire cosa ci fosse di diverso in Theodora.
    «Davvero? Ho solo spostato la riga dei capelli dall’altra parte…»
    «Ah, sì? Ti stanno bene, lo sai?»
    «Grazie… Mi andava di provare qualcosa di nuovo… Forse dovrei provare a legarmeli, anche se sono piuttosto corti…»
    «Saresti carina comunque… Avevi i capelli legati la prima volta che ci siamo incontrati, sai?»
    «Davvero? Non me lo ricordo… Avevo anche i capelli molto più lunghi, però…»
















L'angolo dell'autrice:

In questo capitolo ci concentriamo principalmente sulla storia d'amore, ma non vi preoccupate: questa storia non prenderà definitivamente questa piega...
Nel capitolo ho citato i testi di tre canzoni, che sono rispettivamente "Everything" di Michael Bublé, "I Love You" di Avril Lavigne e "You Got Me" di Colbie Caillat. A questo proposito, ho dimenticato di citare i testi che appaiono nel capitolo 6, che sono rispettivamente: "Complicated" di Avril Lavigne, "Drive My Car" dei Beatles e "Our Song" di Taylor Swift.
Come al solito, vi invito a recensire, o a lasciarmi un messaggio, se volete farmi sapere cosa ne pensate della storia, o anche solo se volete darmi qualche consiglio per migliorare sempre di più!
A presto!
Arkytior

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9


    Era notte, e Theodora e James dormivano in macchina. Si erano sistemati, abbracciati, sul sedile posteriore. Theodora dormiva già da un pezzo, mentre James non riusciva a chiudere occhio. Guardava Theodora, addormentata tra le sue braccia, le accarezzava i capelli, e intanto pensava. Si chiedeva se stesse facendo la scelta giusta. Aveva rivelato i suoi sentimenti alla ragazza, che ora era diventata la sua fidanzata, e solamente qualche giorno prima la loro relazione aveva fatto un enorme passo avanti. Da quel punto non si poteva più tornare indietro: era impossibile ignorare il passato, ma James continuava a pensare che forse lui non era decisamente la migliore scelta che Theodora avesse. Quella ragazza meritava di meglio: era ricca, poteva avere qualsiasi cosa volesse, e poteva far cadere ai suoi piedi ogni uomo del pianeta, quindi che motivo aveva di perdere tempo con uno come James? Probabilmente si era affezionata a lui soltanto perché era in una situazione complicata, i suoi genitori erano morti, e lei non aveva più niente e nessuno a cui aggrapparsi. No, non andava per niente bene così. Una parte di lui voleva che Theodora vivesse la vita che aveva sempre meritato, magari con qualcun altro al suo fianco, ma un’altra parte sosteneva che Theodora avrebbe ancora avuto bisogno della sua protezione, anche dopo la fine di quella fuga. James non sapeva a quale parte dare ascolto, ma sapeva che avrebbe dovuto scegliere, prima o poi. E la scelta non sarebbe stata affatto facile.

    A chilometri di distanza, nemmeno Jo riusciva a dormire. Pensava a Theodora, al pericolo che stava correndo, forse proprio in quel preciso istante. James era un mostro, e lei lo sapeva bene. Theodora invece non ne sapeva niente, ed era più in pericolo di quanto credesse.
    Jo non l’aveva sempre pensata in questo modo. Ripensò a quello che era successo anni prima, quando aveva circa venticinque anni. James era il ragazzo della sua amica Sophie, una ragazza con lunghi boccoli biondi e tutte le forme giuste al posto giusto, che Jo aveva sempre invidiato un po’. James e Sophie si conoscevano da tanto, ma ufficialmente stavano insieme da circa una settimana. A Jo piaceva James, ma voleva bene alla sua amica Sophie, e non avrebbe mai e poi mai desiderato che James la lasciasse per una come lei. Jo non si reputava una ragazza bellissima: a volte si vedeva carina, ma altre volte no, e non le piacevano quasi per niente i suoi lunghi capelli rossi. Nonostante tutto, però, James lasciò Sophie per mettersi con Jo. Contrariamente a quello che Jo si aspettava, Sophie non andò su tutte le furie: semplicemente, reagì come la volpe che, non arrivando all’uva, dice che è acerba; affrontò la fine di quella relazione convincendosi del fatto che James non fosse altro che un tipo immaturo con i lineamenti del viso leggermente asimmetrici, che non era in grado di riuscire ad avere una relazione seria con qualcuno. All’inizio, Jo non le credette, perché sembrava andare tutto bene, ma dopo alcuni mesi tutto cambiò.
    Jo stava insieme a James da quasi un anno, e la ragazza stava già cominciando a pensare ad un possibile matrimonio, dato che nella loro relazione non c’era assolutamente niente che non andasse. Aveva passato intere settimane a pensare a come organizzare tutto, anche se, in realtà, non c’era nessun matrimonio in programma. Jo aveva deciso di prendere l’iniziativa e di chiederlo lei stessa a James, durante la cena romantica che aveva organizzato apposta per l’occasione, in uno dei ristoranti più eleganti della città. Jo era emozionatissima, ma anche un po’ imbarazzata dalla situazione. Stava per proporre a James di compiere un passo importantissimo nella loro relazione, e sperava che tutto andasse nel migliore dei modi. Alla fine, riuscì a fare quella fatidica domanda a James, ma la risposta dell’uomo non fu esattamente quella che Jo si aspettava.
    «Mi dispiace,» le rispose James. «Mi dispiace veramente tanto, Josephine…»
    Di solito, Jo non si faceva mai chiamare con il suo nome completo, perché non le piaceva molto, ma le piaceva invece quando era James a chiamarla così. In quel momento, però, essere chiamata in quel modo era l’ultima cosa che voleva.
    «Non so come dirtelo senza ferirti, Josephine,» continuò James. «Ma io non ti amo. Il mio cuore appartiene ad un’altra ragazza. Speravo che almeno tu mi facessi dimenticare quello che provo per lei, ma non è successo. Non puoi capire quanto mi dispiaccia dirti questo, proprio in questo momento…»
    Quello fu l’esatto momento in cui il cuore innocente di Jo si spezzò irrimediabilmente. Non aveva mai sofferto così tanto, e giurò a sé stessa che non avrebbe mai più sofferto in questo modo per un altro ragazzo, chiunque egli fosse stato. Da quel momento iniziò ad odiare James McDowell come non mai, e sperò di non doverlo incontrare mai più… Almeno, fino a quel momento, fino a quando non aveva scoperto che la sua amica Theodora era stata rapita proprio da lui… O meglio, gli era stata affidata dal padre di Theodora, ma in realtà era come se la ragazza fosse stata rapita. Forse non avrebbe mai più rivisto Theodora, o forse l’avrebbe incontrata di nuovo, magari distrutta psicologicamente a causa di James, o chissà in quali condizioni… Forse non sembrava, ma Jo teneva veramente tanto alla sua amica, e ogni giorno pregava che stesse bene, che non le succedesse niente di brutto. Sperava che prima o poi sarebbe tornata a casa, sana e salva, e che quell’assurda fuga sarebbe finita; sperava che Theodora avrebbe tolto Harold Storm da quella posizione di potere, e che lei avrebbe preso il suo posto, come avrebbe voluto Arthur Smith. Jo sperava che quel giorno fosse più vicino di quanto pensasse: voleva solo che finisse tutto quanto, e che tornassero la pace e la tranquillità.


    Su una spiaggia scozzese, Theodora e James passeggiavano scalzi sul bagnasciuga, tenendosi per mano, mentre il vento scompigliava i loro capelli. Anche se Theodora aveva legato i capelli, il vento riusciva a scompigliarle alcune ciocche più corte sulla fronte.
    Theodora non aveva mai visto il mare. O meglio, non aveva mai visto quel mare. Era abituata all’oceano, al mare caldo e azzurro delle località turistiche per ricconi dove era stata in vacanza per anni, insieme alla sua famiglia, non certo al mare che circondava il suo Paese. Era una sensazione diversa, e a Theodora questo mare grigiazzurro sotto un cielo nuvoloso piaceva molto di più dell’oceano limpido sotto un cielo azzurro e un sole caldissimo.
    «Sai, stavo pensando una cosa…» disse James.
    «Che cosa?»
    «No, niente, pensavo solo… E se il nostro incontro non fosse una coincidenza?»
    «Che vuoi dire? Che siamo tipo predestinati, o roba del genere?»
    «Beh, hai presente quando i fan danno un nome alle coppie famose di libri, film, telefilm, o anche alle celebrità, e uniscono tra loro i nomi dei membri della coppia?»
    «Intendi qualcosa tipo… i “Brangelina”? Brad Pitt e Angelina Jolie?»
    «Sì, esatto!»
    «Quindi noi saremmo…»
    «Theodora e James… “Thames”!»
    «“Thames”… Come, il fiume, il Tamigi?»
    «Già… E non ti sembra una cosa curiosa? È come se i nostri nomi fossero fatti apposta per stare insieme…»
    I due smisero di camminare e si sedettero sulla sabbia, l’uno accanto all’altra, rivolti verso il mare.
    «Io stavo pensando ad un’altra cosa, invece…» disse Theodora. «E se mio padre avesse scelto proprio te per portarmi in salvo, proprio perché sapeva che tu eri innamorato di me?»
    «In che senso?»
    «Beh, forse, dato che ci conosceva bene entrambi, ha pensato che avremmo formato una bella coppia, e allora mi ha affidata a te…»
    «No, impossibile!»
    «E invece no, credo proprio che sarebbe stato benissimo in grado di fare una cosa del genere! Pensaci: non gli è mai piaciuto molto nessuno dei miei ex-fidanzati, mentre tu gli eri simpatico. Avrà pensato anche lui che forse era meglio per me avere qualcuno di più ‘maturo’ al mio fianco…»
    «Davvero?»
    «Beh, questa frase può essere interpretata in vari modi, ma il succo della cosa è che forse mio padre ti ha visto come l’unica persona in grado di rendermi felice… Che ne pensi?»
    «Se lo dici tu…»
    James si avvicinò a Theodora e la baciò. La ragazza rispose al bacio, e per qualche secondo si dimenticò completamente del mondo che la circondava, e dei suoi problemi. Fu riportata alla realtà dal suo cellulare che vibrava, nella sua tasca. Soltanto una persona poteva chiamare quel numero, perciò si alzò e si allontanò di qualche passo per rispondere alla chiamata.
    «Dora! Sei ancora viva!» disse la voce squillante di Jo, non appena Theodora accettò la chiamata.
    «Sì… Certo che sono ancora viva… Qual è il problema?»
    «Beh, per me il problema principale è la situazione in cui ti trovi, e ovviamente saprai anche tu che la tua situazione non è proprio drammatica ma poco ci manca…»
    «Oh, andiamo! Sto benissimo, non c’è niente che non va!»
    «Lo dici tu! Per quanto mi riguarda, la tua situazione è così critica che difficilmente potrebbe andarti peggio di così…»
    Theodora guardò James, che, ancora seduto sulla sabbia, la fissava con uno sguardo preoccupato. Theodora si chiese cosa stesse pensando in quel momento.
    «Comunque, cosa volevi dirmi?» chiese Theodora.
    «La situazione sta precipitando, Dora,» le rispose Jo. «Devi tornare subito qui: Storm ha in mente di fare un discorso, domani, e si pensa che abbia intenzione di dichiarare il suo vero intento, cioè trasformare il Regno Unito in una dittatura, con lui a capo! Devi fermarlo, Dora!»
    «Quell’uomo è un pazzo! Non sarebbe dovuto nemmeno essere al potere in questo momento! Ma perché nessuno sta facendo niente?»
    «Te l’ho detto, hanno tutti paura di lui! Tu sei l’unica che può fare qualcosa per fermarlo… Ma purtroppo sei anche l’unica persona che Storm vuole eliminare, perché gli è d’intralcio!»
    «Capito… La mia situazione peggiora ogni secondo che passa…»
    «Oh, non sai quant’è vero! E poi, una volta liberata di Storm, dovrai liberarti anche di James… Te l’ho detto, non c’è da fidarsi di quello lì!»
    «Non ne sarei così sicura…»
    «Io sì, invece: fidati di me, e stai lontana da lui! Non si sa mai cosa potrebbe farti…»
    «Beh, in realtà…»
    «Oh, mio Dio! Non dirmi che… Va bene, Dora. Ne parleremo in un altro momento. Ora dobbiamo pensare a come fermare Storm. Tu mettiti in viaggio il prima possibile, così arriverai qui in tempo per il discorso.»
    «D’accordo. Fermerò Storm.»
    «Sei la nostra unica speranza, Dora.»
    Jo chiuse la chiamata. Theodora si rimise il telefono in tasca e tornò da James.
    «Problemi?» chiese James.
    «Storm vuole diventare dittatore, e a quanto pare io sono l’unica che possa fermarlo… Dobbiamo tornare a Londra!»
    «Ottimo!»
    «Dobbiamo partire adesso, se vogliamo arrivare in tempo!»
    «Andiamo, allora!»
    Theodora aiutò James ad alzarsi, dopodiché i due si rimisero le scarpe e si incamminarono insieme verso la macchina.
    «Ma chi è la ragazza a cui telefoni sempre?» chiese James.
    «Oh, è una mia amica… Che non dice mai un gran bene di te…»
    «Ah, sì? La conosco?»
    «Non lo so… Conosci per caso una certa Jo Rayne?»
    «Oh, mio Dio… Sei amica di Jo?»
    «Quindi la conosci?»
    «Purtroppo sì…»
    «Perché ‘purtroppo’?»
    «Beh, perché non è stata proprio una bella storia…»
    «Che è successo?»
    «Uscivamo insieme… Lei era giovane, entusiasta, e già pensava al matrimonio…»
    «Non mi dirai che l’hai mollata sull’altare!»
    «Beh, in realtà le ho solo detto di no quando mi ha fatto la proposta…»
    «Difficile immaginare Jo in questa situazione… Ma si è arrabbiata così tanto per un ‘no’?»
    «No, credo di averle detto anche che ero innamorato di un’altra… Sicuramente avrà pensato che la stavo tradendo con un’altra ragazza…»
    «Complimenti! Proprio un bel modo di lasciare una ragazza! Conoscendo Jo, dovresti ringraziare di essere ancora vivo!»
    «Eh già… Un po’ ha ragione ad odiarmi…»
    «Mi dice sempre che sei un tipo pericoloso, che non devo fidarmi di te…»
    «No, io non ti farei mai niente di male, Dora… Te lo prometto!»
    «Davvero? Posso fidarmi di te?»
    «Croce sui cuori!»
    «Guarda che hai un cuore solo…»
    «Chi l’ha detto?»
    «Le tue idiozie da nerd dopo un po’ diventano veramente irritanti, sai?»














L'angolo dell'autrice:

Capitolo pieno di pensieri... Abbiamo visto le insicurezze di James e i motivi che spingono Jo a odiare James così tanto... E, come se non bastasse, la situazione precipita per Theodora, che si ritrova ad essere l'unica speranza del suo Paese. Ce la farà a fermare tutto? Inoltre, presto dovrà prendere una decisione importante: di chi sceglierà di fidarsi, della sua amica o del suo fidanzato? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
Come sempre, vi invito a recensire, o a mandarmi un messaggio, se volete farmi sapere se vi piace la storia, o se semplicemente volete darmi qualche consiglio per migliorare sempre di più! Mi farebbe davvero molto piacere!
A presto!
Arkytior

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10


    I due partirono immediatamente. Durante il viaggio fecero il minor numero di soste possibili e si alternarono alla guida, in modo da poter essere di ritorno a Londra nel preciso momento in cui Harold Storm aveva intenzione di pronunciare il discorso che avrebbe cambiato tutto per sempre. Theodora era agitatissima: sapeva che, una volta là, avrebbe dovuto fare il possibile per impedire a Storm di instaurare una dittatura e, soprattutto, di uccidere altre persone innocenti, ma aveva paura di non riuscirci. Era cambiata moltissimo durante quel viaggio, e pensava che forse sarebbe cambiata anche l’opinione che le persone avevano di lei. E se la gente avesse preferito Storm? E se Theodora non fosse stata all’altezza di suo padre? Per tranquillizzarla, James le tenne la mano durante tutto il viaggio.
    Arrivarono a Downing Street in perfetto orario. Secondo quello che Jo aveva detto, Storm non aveva ancora iniziato il suo discorso, che sarebbe stato trasmesso in diretta sulle più importanti reti televisive del Paese, ma mancava ancora qualche minuto. James parcheggiò vicino ad un’entrata secondaria dell’edificio, proprio come aveva fatto il giorno dell’ultimo discorso di Arthur Smith. D’altronde, James e Theodora non potevano mica entrare dalla porta principale!
    «Bene…» disse Theodora, più tesa che mai. «Ci siamo! Non posso credere che il futuro del mondo dipenda da quello che sarò in grado di fare…»
    «Puoi farlo, Dora! Sei la figlia di Arthur Smith!»
    «Già, ma io non sono lui! E se per caso non ci riuscissi?»
    «Ci sono io che ti copro le spalle! Ho lavorato per Arthur per un sacco di anni, e conosco altre persone che lavoravano per lui, ma che gli sono rimaste fedeli, nonostante l’arrivo di Storm. Tu fai quello che puoi, ma ricordati che, in ogni caso, io e altri bodyguard siamo pronti ad intervenire!»
    «Grazie, James!»
    Entrambi indossarono dei giubbotti di pelle, con delle tasche interne in cui nascosero delle pistole, da usare in casi estremi. Theodora sapeva che avrebbe dovuto fermare Storm davanti a un sacco di telecamere, e sperava di non aver bisogno della pistola.
    Theodora baciò James sulle labbra, sperando che non fosse la sua ultima occasione per farlo.
    «Allora…» disse Theodora. «Andiamo a prendere a calci qualche bel fondoschiena!»
    «Andiamo!»
    «Allons-y
    Theodora scese dalla macchina, diretta verso l’entrata dell’edificio.
    «Aspetta… che hai detto?» chiese James, e poi seguì la ragazza.
    I due entrarono correndo nell’edificio, un po’ perché avevano paura di non arrivare in tempo, un po’ per allentare la tensione. Arrivarono davanti all’entrata della sala in cui Storm stava per tenere il suo discorso, la stessa in cui quasi due mesi prima era stato ucciso Arthur Smith, e Theodora esitò, prima di entrare.
    «Tutto bene?» le chiese James.
    Theodora cercò di calmarsi, respirando lentamente. Tentò di ordinare le sue idee.
    «Sto bene, sto bene…» disse Theodora. «Ce la farò… Andrà tutto bene…»
    «Ne sono sicuro. Fermerai Storm e tutto andrà bene, non preoccuparti. E, nel caso avessi bisogno, io sono pronto ad aiutarti!»
    «Cosa farei senza di te?»
    «Andrà tutto bene, Dora!»
    James si allontanò da lei, e Theodora rimase sola, di fronte all’enorme porta della sala.
    «Si va in scena!» si disse Theodora.
    La ragazza aprì la porta ed entrò correndo nella sala.
    «Fermate tutto!» gridò.
    Theodora si fermò solo dopo pochi passi. Appena dietro di lei c’erano alcune telecamere, e proprio di fronte a lei, nell’esatto punto in cui suo padre era stato ucciso, c’era Harold Storm, che non sembrava quasi minimamente sconvolto dall’improvviso arrivo di Theodora, al contrario di tutte le persone presenti nella sala. Storm era là che la guardava, con il suo solito sguardo che aveva sempre ricordato a Theodora una qualche specie di rettile o di serpente viscido e schifoso, e il suo solito sorrisetto beffardo che aveva sempre, ogni volta che otteneva qualcosa, o credeva di averla ottenuta. Theodora si ricordò di averlo visto con proprio quell’espressione, il giorno della morte di suo padre.
    Improvvisamente, Theodora si rese conto di trovarsi in una sala piena di gente e di telecamere, e che forse la sua irruzione nella stanza era appena stata trasmessa in diretta nazionale, e si sentì molto più che semplicemente imbarazzata.
    «Ehm… Ehilà…» provò a dire Theodora, mentre era certa di star arrossendo dall’imbarazzo.
    «Bene, bene, bene… Theodora Catherine Smith…» disse Storm. «A quanto pare, sei ancora viva…»
    «Già, ma non certo grazie a te!»
    Theodora stava lentamente riprendendo coraggio. Nel frattempo, James aveva radunato un piccolo gruppo di addetti alla sicurezza, che sarebbero stati pronti ad intervenire in caso di emergenza. James entrò silenziosamente nella sala, ma nessuno lo notò, dato che erano tutti concentrati su Theodora e Harold Storm.
   «Signori,» cominciò Theodora, dando l’impressione di star per iniziare un discorso importante. «Vorrei attirare per qualche secondo la vostra attenzione, per illuminarvi su ciò che è successo nell’ultimo paio di mesi. Il qui presente Harold Storm, di cui tutti voi avete paura, perché sapete che è un pazzo furioso, ha dato l’ordine di uccidere i miei genitori e un sacco di altri civili innocenti, soltanto per prendere il potere con la forza, e questo lo rende l’assassino dell’ex-Primo Ministro, Arthur Smith.»
    «Ma cosa stai dicendo, Theodora?» la interruppe Storm, con il suo solito tono mellifluo. «Queste sono solo calunnie, non hai le prove…»
   «Fortunatamente,» riprese Theodora, ignorando Storm. «Mio padre è stato in grado di intuire che il suo più grande oppositore, Harold Storm, sarebbe stato in grado di ucciderlo, perciò ha organizzato la mia fuga. Mi ha affidata ad un uomo di cui si fidava ciecamente, con cui lavorava da molti anni, e che, guarda caso, lavorava per lui come spia, per informarlo in anticipo di tutte le mosse di Storm!»
    «Sentito, gente?» la interruppe di nuovo Storm. «Arthur Smith aveva una spia!»
    «Non ho ancora finito! La spia di mio padre lavorava come spia anche per Harold Storm, miei cari signori e giornalisti, e soltanto perché Storm, per costringerlo a lavorare per lui, aveva fatto fuori la sua intera famiglia, un gruppo di persone innocenti che non avevano niente a che fare con tutto questo!»
    «È una bugia!» gridò Storm. «Sono tutte bugie! Sta inventando tutto!»
    «Sono stata per oltre un mese in giro per la Gran Bretagna, signor Storm, accompagnata dal signor James McDowell, una spia che lavorava sia per lei, sia per mio padre, ma che è sempre stato fedele a mio padre, dopo aver capito che aveva sbagliato a fidarsi di lei, e che continuare a lavorare per lei avrebbe significato solo probabilità che succedesse qualcosa di grave alle persone che amava, come la sua famiglia, uccisa su suo ordine!»
    «Suvvia… Io non farei mai una cosa del genere…»
    Storm tentava di convincere pubblico e giornalisti di essere innocente, ma Theodora continuava a cercare argomenti per farlo sembrare ancora più crudele agli occhi di tutti.
    «Oh, sì, che lo farebbe, signor Storm!» rispose Theodora. «La famiglia di James McDowell non è stata l’unica famiglia ad essere sterminata… Vi ho appena detto che anche la mia famiglia è stata uccisa da Storm, insieme ad altre persone innocenti!»
   Storm tentò di avvicinarsi a Theodora, ma sapeva di non poterle fare niente, dato che il tutto stava venendo ripreso dalle telecamere. Theodora, per tutta risposta, tirò fuori la pistola dalla tasca interna della giacca e la puntò verso Storm, ma non sparò. Alcuni dei presenti gridarono dallo spavento e dalla sorpresa.
    «Non credeva che ne fossi capace, signor Harold Storm?» disse Theodora, in modo provocatorio. «Molte cose sono cambiate, da quando sono scappata da qui. Sono scappata per causa sua. Lei mi ha resa quello che sono adesso, e ora lei ne pagherà le conseguenze, signor Storm. Penso che ora lei dovrebbe avere paura di me.»
    Theodora cercò James con gli occhi, e quando lo trovò, con un cenno della testa gli fece capire che era il momento di intervenire. In pochi secondi, una decina di uomini armati si avvicinarono a Storm e lo immobilizzarono. Nonostante le sue proteste, Harold Storm venne portato via dalla sala, e arrestato da un poliziotto presente all’evento. James non seguì Storm, perché preferiva restare vicino a Theodora.
    Quando gli uomini che avevano portato via Storm chiusero la porta della sala dietro di loro, Theodora salì sul pulpito da cui suo padre avrebbe pronunciato il suo ultimo discorso, e da cui Storm aveva terrorizzato l’intera Nazione. Un po’ insicura, nonostante l’aver finalmente mandato via Harold Storm da lì, Theodora cercò lo sguardo fiducioso di James, per acquisire maggior sicurezza prima di iniziare a parlare.
    «Signore e signori, e giornalisti qui presenti,» iniziò. «Di certo voi vi aspettate che io faccia un discorso su quanto io brami occupare il posto che occupava mio padre, perché penso di essere l’unica persona in tutto il mondo adatta a ricoprire quel ruolo. Ebbene, vi sbagliate. Forse avrei fatto un discorso del genere mesi fa, ma io ritengo di essere molto cambiata durante questo tempo. Mesi fa vi avrei chiesto di eleggermi Primo Ministro perché pensavo di essere la degna erede di mio padre, ma ora non vi chiedo assolutamente niente, anche se probabilmente voi pensate che io possa essere molto più adatta a quel ruolo, in questo momento. Durante questo tempo ho visto la vita vera, ho vissuto fuori dal mondo di bambagia a cui ero tanto abituata. Ho visto di cosa ha veramente bisogno la gente, e ho capito di non essere affatto adatta a ricoprire il ruolo di mio padre.
   «So quello che farete dopo questo mio discorso: mi voterete comunque, perché vi ho emozionato a tal punto che riterrete sbagliato fare altrimenti. Perciò io vi invito a non farlo, almeno finché non sceglierete autonomamente di votarmi perché vi sembro la persona di cui questo Paese ha bisogno, non la persona a cui quel posto spetta di diritto. Grazie per la vostra attenzione.»
   Detto questo, Theodora scese, e si mescolò alla folla che la acclamava, e che cercava disperatamente di avvicinarsi a lei per farle i complimenti. James intanto la guardava, orgoglioso, senza avvicinarsi a lei più di tanto. Improvvisamente, il cellulare di Theodora squillò, e la ragazza fu costretta ad allontanarsi dalla folla.
    «Dora!» la salutò la voce squillante di Jo. «Ti ho appena vista in televisione! Sei stata grande!»
    «Wow, davvero?» chiese Theodora, ancora scossa dall’emozione.
    «Sì, te lo giuro! Non sentivo un discorso così da mesi, ormai! E comunque, questa era la prova definitiva: tu sei la degna erede di tuo padre! Hai la sua stessa capacità di attirare l’attenzione delle persone attraverso le parole, e questo è un grosso punto a tuo favore…»
    «Lo credi veramente?»
    «Ma certo! E spero vivamente che sia tu il prossimo Primo Ministro: te lo meriti!»
    «Ne sei proprio sicura, Jo?»
    «Sicurissima! Io non sbaglio mai… A proposito, l’hai mollato James, vero?»
    Theodora non sapeva esattamente cosa rispondere a questa domanda.
    «Beh, te l’ho detto, in realtà non è poi così male…» cercò di dire Theodora.
    Jo non sapeva più come reagire. Ora le aveva proprio provate tutte…
    «Dora, tu non sai a che pericolo vai incontro!» ripeté Jo per l’ennesima volta. «Quell’uomo è un mostro: ti lascerà sola prima che tu te ne accorga, e a maggior ragione ora che non hai veramente nessuno, a parte me! E chissà in che condizioni ti lascerà, poi!»
    Theodora non ne poteva più: Jo pensava sempre al peggio, e soprattutto, Jo non perdeva mai un’occasione per farle la predica, ultimamente. Certo, l’aveva sempre fatto molto spesso, dato che era poco più grande di lei, ma questo non giustificava totalmente l’atteggiamento di Jo.
    «Ti diverti proprio a comandarmi a bacchetta, non è vero, Jo?» disse Theodora, stufa di essere trattata in quel modo. «A dire la verità, non mi è mai piaciuto il tuo atteggiamento troppo protettivo nei miei confronti. È vero, sei più grande di me, ma penso di essere arrivata ad un’età tale da permettermi di prendere le mie decisioni autonomamente. Posso decidere da sola della mia vita, senza il tuo aiuto. Grazie mille.»
    «Dora, Dora, Dora, ma che stai dicendo? Quella fuga ti ha fatto più male di quanto pensassi…»
    «No, invece mi ha fatto benissimo: ho aperto gli occhi su tante cose, sai? Prima tra tutte, la nostra amicizia: sai, sto cominciando a chiedermi se fosse amicizia vera o solo un semplice rapporto di convenienza tra persone che si conoscono… Pensaci: a te piace comandare la gente a bacchetta e io non mi sono mai fatta problemi, quando si trattava di darti retta… Ora che ci penso, sono stata proprio stupida! Ma tu, che continuavi a cercare di comandarmi, dandomi consigli sbagliati, quando io avevo la prova vivente che ti stavi sbagliando… quello sì che era una cosa stupida! Molto più stupida di quanto sembri! E sai… tu dovresti essere la Regina della stupidità, dato quello che hai fatto, dato il tuo insistere su cose non vere: io ho conosciuto James McDowell, mentre tu ti sei basata soltanto sui tuoi ricordi distorti! E… E sai una cosa? La nostra amicizia, se mai sia stata veramente amicizia, finisce qui! Ora non puoi più dirmi cosa fare, perché questo è il momento in cui prendo in mano la mia vita!»
    James continuava a guardare Theodora, orgoglioso dei passi avanti che la ragazza aveva fatto, e sorrise nel ricordare la vecchia Theodora, paragonandola alla nuova e indipendente Theodora, che ora aveva proprio davanti a lui, a qualche passo di distanza.
    «Theodora Smith, non puoi liquidarmi così!» continuò a replicare Jo.
   «Pensavo di averti detto che devi smetterla di comandarmi!» la zittì immediatamente Theodora. «Tu vuoi che io torni indietro da te, perché ti sentivi speciale, quando mi avevi come amica, ma ti dico una cosa: non posso più tornare indietro. Sono cambiata, e questo cambiamento è per sempre. Ormai ho fatto la mia scelta. Non si torna indietro da questo punto: ormai è troppo tardi.»
    «Theodora, che intendi?»
    «Esattamente questo: è finita, Jo. È troppo tardi.»
    Theodora chiuse la telefonata, mentre Jo continuava a chiamarla, sperando che non avesse riagganciato veramente. Quando Jo si rese conto che Theodora l’aveva liquidata così, con così poche parole, cominciò a riflettere sulle ultime parole dell’amica: che aveva voluto dire Theodora con “È troppo tardi”? Jo pensò a tutte le possibili interpretazioni di quella frase, ma cercò di escludere le ipotesi peggiori: Theodora era una ragazza intelligente, non avrebbe mica…

    Non appena Theodora chiuse la chiamata, cancellò il numero di Jo dal telefono da cui aveva ricevuto la chiamata, quello che le aveva dato James, e si promise di cancellarlo anche dal suo vero telefono. Alzò gli occhi, e per una frazione di secondo incontrò lo sguardo orgoglioso di James, che era fiero di quello che Theodora era diventata, ma fu distratta quasi subito da quattro o cinque persone che cercavano di parlarle nello stesso momento. James restò a guardare quella scena per qualche secondo: vide Theodora, molto migliorata rispetto alla bambola perfetta che aveva dovuto salvare, finalmente tornata a casa, nel suo mondo. Ma era un mondo di cui James non faceva parte, e non ne avrebbe mai fatto parte. Col sorriso sulle labbra, felice per la sua Theodora, James si voltò ed uscì dall’edificio. Salì in macchina, mise in moto e partì, senza una destinazione precisa. Ora Theodora era felice, era nel luogo in cui sarebbe dovuta essere fin dall’inizio, e in cui sarebbe rimasta da quel momento in poi, ma senza James. James era ancora convinto che Theodora meritasse di meglio, perciò non aveva altra scelta che lasciarla andare, nella speranza che lei incontrasse, prima o poi, qualcuno che l’avrebbe fatta stare davvero bene, e che l’avrebbe resa molto più felice di quanto avrebbe mai potuto essere con James al suo fianco. Sì, era la cosa giusta da fare. James avrebbe sofferto da morire, perché sapeva che il suo amore per Theodora non sarebbe mai svanito, ma si consolò, pensando che almeno la sua Theodora sarebbe stata felice. Questo pensiero gli riempì gli occhi di lacrime, ma James lottò con tutte le sue forze per rimandarle indietro, e per non fare caso al suo cuore che andava in mille pezzi. Cercò di pensare, invece, alla felicità della sua Theodora: in quel momento, non aveva bisogno di nient’altro.
















L'angolo dell'autrice:

Finalmente Theodora ha deciso di ignorare definitivamente quello che pensa Jo, e aveva scelto di fidarsi di James... e sul più bello, James prende e se ne va! Ma non è finita qui! Ho ancora un epilogo in serbo per voi!
Nel frattempo, come al solito, vi invito a recensire questa storia o a mandarmi un messaggio, per farmi sapere cosa ne pensate, o se semplicemente volete darmi qualche consiglio per migliorare sempre di più!
A presto!
Arkytior

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Epilogo ***


Epilogo


    Erano passati circa due mesi da quando Theodora era tornata a casa dopo quella lunga fuga e, contrariamente a quello che aveva detto di volere, era stata eletta Primo Ministro, con la quasi totalità dei voti a suo favore. Quel giorno stava camminando per un corridoio della sua residenza, insieme a due dei suoi assistenti: Louise, una donna di mezza età, leggeva ad alta voce gli impegni di Theodora per quel giorno, e Robert, un ragazzo di circa venticinque anni, parlava al telefono, attraverso l'auricolare che indossava sempre, al lavoro. Non appena finì la telefonata, si rivolse direttamente al suo capo:
    «Signorina Smith, è arrivato.»
    Theodora si voltò verso di lui, e lo fissò per qualche secondo, come se fosse ancora stordita da un brusco risveglio dopo un bel sogno. Le sembrava ancora strano avere persone che lavoravano per lei, anche se Louise e Robert erano molto gentili ed efficienti. In quell'istante, però, la sua attenzione venne catturata dal volto di Robert, dal suo sguardo magnetico, ma gentile e disponibile allo stesso tempo, e dalle sue sopracciglia quasi inesistenti, che avevano sempre attirato molti sguardi sul viso del ragazzo, nel corso degli anni.
    «Benissimo,» rispose Theodora, dopo qualche istante. «Fallo entrare!»
    Robert andò ad accogliere l'ospite, mentre Theodora si congedò da Louise ed entrò in una sala in cui di solito riceveva le visite. La giovane donna chiuse la porta, si tolse gli occhiali da vista che portava quando non doveva apparire in pubblico, li appoggiò sul tavolo, e si avvicinò alla finestra.
    Era impossibile che tutto questo fosse reale. Ricordava di essere vissuta lì per molti anni, ed ora le sembrava impossibile che ci fosse davvero tornata. Le sembrava lontanissimo il tempo in cui suo padre era stato Primo Ministro e l'aveva avviata alla carriera politica, anche se in realtà erano passati sì e no tre mesi, o poco più.
    Theodora ripensò a tutto quello che le era successo negli ultimi mesi, e aveva paura che fosse soltanto un sogno, dal quale si sarebbe risvegliata molto presto, ritrovandosi intrappolata, in fuga, per salvarsi da un uomo malvagio che tentava di ucciderla, ma in compagnia di un altro uomo malvagio a cui non importava quasi niente di lei. Ripensando alla sua fuga, Theodora si mise a giocherellare con la catenina argentata che portava al collo. Era un regalo che le aveva fatto James, durante quel periodo: si trattava di una collanina argentata con un piccolo ciondolo a forma di J, che sembrava composto da tanti piccoli diamanti. In realtà, come poi le aveva spiegato James, si trattava semplicemente di pezzi di vetro e plastica, non di un vero gioiello costosissimo. Ma a Theodora non importava: in passato avrebbe dato eccessiva importanza al materiale con cui erano fatti i gioielli che indossava, ma in quel momento era più legata ai ricordi che le tornavano in mente ogni volta che guardava o toccava quella collanina.
    Una voce la distolse dai suoi pensieri; Theodora smise di giocherellare con la sua collana e la rimise a posto, nascosta, dietro la cravatta scura che stava indossando:
    «Theodora Catherine Smith.»
    Anche se molte persone la conoscevano con il suo nome completo, e la chiamavano anche in quel modo, Theodora riconobbe subito a chi apparteneva la voce, perché le piaceva il suono del suo nome, pronunciato proprio da quella persona: sembrava diverso dal solito.
    «James Anthony McDowell,» disse Theodora, voltandosi.
    Proprio di fronte a lei, infatti, c'era James. Non lo vedeva da circa due mesi, ma non era affatto cambiato dall'ultima volta che l'aveva visto, se non per i vestiti che indossava. Quel giorno indossava un completo elegante, dato che avrebbe dovuto incontrare il nuovo Primo Ministro, ma il sorriso che si dipinse sul suo volto non appena sentì Theodora pronunciare il suo nome, era sempre lo stesso sorriso magnetico che a Theodora piaceva da impazzire.
    «Credevo che te ne fossi andato,» continuò Theodora. «Non ti ho visto per un bel po'...»
    «Ero solo in giro...» rispose James, vago. Non voleva rivelare a Theodora il vero motivo della sua fuga.
    «Avresti sempre potuto avvertirmi... Ora possiamo usare i telefoni normalmente, non c'è più il pericolo di venire rintracciati, in qualche modo...»
    James si concentrò sull'aspetto di Theodora. Anche se erano passati quasi tre mesi, non aveva più davanti la bambola perfetta che aveva il compito di proteggere, anche a costo della vita: ora si trovava di fronte ad una bellissima giovane donna forte, matura e sicura di sé. Il lungo viaggio l'aveva cambiata, non solo interiormente, ma anche esteriormente: ora i capelli di Theodora erano tornati castani, del loro colore naturale, ma erano sempre più corti di com'erano prima della fuga; inoltre, la ragazza sembrava aver scoperto quanto fosse comodo indossare i pantaloni, dato che in quel momento indossava un completo gessato marrone scuro, giacca, cravatta e pantaloni, abbinato a delle scarpe basse nere.
    «Hai notato quanto sono cambiata, vero?» chiese Theodora, notando che James stava studiando i suoi cambiamenti fisici. «È solo grazie a te che ora sono così. Se non ti avessi conosciuto, adesso sarei ancora una specie di bambola di porcellana più adatta ad essere esposta in una vetrina, che a governare un Paese!»
    Aveva ragione: chi avrebbe mai immaginato che una ragazza perfetta come Theodora sarebbe stata in grado di adattarsi a tutte le varie situazioni causate da una fuga come quella, o che avrebbe guidato in autostrada durante un inseguimento, o che avrebbe saputo mettere al tappeto due energumeni che cercavano di ucciderla, senza nemmeno avere una pistola a disposizione?
    «Se non ci fossi stato tu, a quest'ora non sarei qui, e in questo momento ci sarebbe una dittatura orribile... Grazie di avermi salvata!»
    «Ho fatto solamente quello che tuo padre mi aveva chiesto: che ti avrei protetta sempre, anche a costo della vita,» rispose James. «Forse lui sapeva che saresti stata in grado di fermare tutto...»
    «Non lo sapremo mai...»
    I due rimasero a guardarsi negli occhi per qualche secondo.
    «Quindi... hai intenzione di rimanere qui?» chiese Theodora, vaga.
    «Beh, non ho molti posto dove andare...» disse James.
    Una cosa che accomunava i due in quel momento era che erano completamente soli. Nessuna famiglia alle loro spalle, nessun amore ad aspettarli da qualche parte... Ovviamente, se si escludeva l'attrazione reciproca di cui entrambi erano a conoscenza, e che James continuava a negare.
    «Non ti ho visto più in giro,» disse Theodora. «Te n'eri andato, quindi pensavo che a questo punto ci fosse una qualche Signora McDowell da qualche parte...»
    «No, non c'è,» disse James. «O non ancora, almeno...» aggiunse poi, ripensandoci.
    James stava iniziando a pensare che forse aveva fatto una cretinata, andandosene e abbandonando Theodora, tentando di negare il suo amore per lei. Decise di accettare finalmente quel sentimento e per la prima volta ammise qualcosa che aveva sempre tenuto nascosto:
    «Non potevo sopportare di stare troppo tempo lontano da te, Dora, magari accanto a qualcun'altra, che non avrei mai amato quanto amo te...»
    «E allora perché te ne sei andato?»
    «Volevo darti la possibilità di costruirti una vita migliore, senza di me... Ti ho sempre amata, ma ho sempre pensato che forse tu meriti di stare con qualcuno migliore di me... E poi, tutti continuavano a dirti di stare lontana da me...»
    Theodora era combattuta, ancora una volta. Praticamente tutti quelli che la conoscevano le avevano sconsigliato di frequentare James, ma qualcosa dentro di lei le suggeriva il contrario. Aveva preso la sua decisione: non le importava più cosa pensava la gente, perché la decisione era solo sua, e non doveva dipendere da nessun altro. Ormai aveva imparato a fare le sue scelte e ad accettarne le conseguenze, anche se in quel momento sapeva esattamente a cosa andava incontro, avendo avuto molto tempo a disposizione per conoscere bene la persona con cui aveva a che fare.
    «Sai quanto me ne importa di quello che pensa la gente!» disse Theodora. «E soprattutto quella cretina di Jo! Solo perché vi siete lasciati, lei si è convinta che tu sia una specie di mostro che va a caccia di ragazzine innocenti solamente per il gusto di far loro del male... Ma io ti conosco, James, e so che non è vero niente di quello che Jo mi ha detto di te.»
    «Ma mi conosci da pochissimo! Voglio dire, anche se siamo stati insieme per oltre un mese, ventiquattr'ore su ventiquattro...»
    «Ti conosco abbastanza per essere in grado di affermare che tu non hai niente da invidiare ai tanti stupidi con cui sono uscita prima di conoscere te... Tu sei stato in grado di migliorarmi, di rendermi felice anche dopo la morte dei miei genitori, di farmi sentire protetta, e non c'è nient'altro di cui ho bisogno, in questo momento. Ti prego, resta con me...»
    James non poteva fuggire ancora una volta, ma, soprattutto, non ne aveva nessuna intenzione. Theodora, la ragazza di cui era innamorato dalla prima volta che l'aveva incontrata, la sua anima gemella, gli stava esplicitamente chiedendo di restare per sempre con lei, dato che James era l'unica persona che Theodora avrebbe voluto accanto, per il resto della sua vita.
    «Non desidero altro, Dora,» disse James.
    «Beh, allora, dato che resterai qui con me, voglio che tu mi faccia un favore.»
    «Quale?»
    «Voglio che tu ci sia sempre, per me, e che tu sia pronto ad affrontare qualsiasi rischio pur di proteggermi.»
    Istintivamente, la ragazza allungò una mano per andare a stringere quella di James. Abbassò lo sguardo, un po' imbarazzata, ma lui le strinse la mano a sua volta.
    «Ti proteggerò a costo della vita, Dora,» le disse James.
    Theodora non aveva mai amato molto i soprannomi, ma le piaceva qualsiasi modo in cui James la chiamava. Le ricordava i suoi genitori, che avevano l'abitudine di chiamarla affettuosamente "Teddy".
    James baciò la ragazza, e, in quel momento, Theodora si convinse che niente sarebbe più crollato, nella sua vita. In quell'attimo, tutto le sembrava perfetto, e avrebbe tanto voluto che quel momento perfetto non finisse mai. Quando era piccola, le avevano tanto parlato degli Angeli Custodi, di come stiano sempre accanto alle persone per proteggerle: in quel momento, Theodora era sicurissima di aver trovato il suo.


















L'angolo dell'autrice:

Ed eccoci qui, con il capitolo conclusivo della storia! Spero che vi sia piaciuta, che vi siano piaciuti i personaggi, e che continuerete a leggere quello che scrivo... Ho tante altre cose in lavorazione, se può interessarvi, quindi... stay tuned!
Vi invito anche stavolta a recensire o a mandarmi un messaggio, se volete farmi sapere cosa ne pensate della storia, oppure se volete darmi qualche consiglio per migliorare sempre di più!
A presto!
Arkytior

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3459374