Beautiful novel

di Primb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** la storia iniziò così... ***
Capitolo 2: *** piacere, sono io ***
Capitolo 3: *** e accadde che... ***
Capitolo 4: *** quando la tempesta ti si abbatte sulla testa ***
Capitolo 5: *** stupida, stupida Lily! ***
Capitolo 6: *** mi sono persa? ***
Capitolo 7: *** ti racconto una storia (la mia) ***
Capitolo 8: *** panico! ***
Capitolo 9: *** l'evoluzione ***
Capitolo 10: *** divini incontri. ***
Capitolo 11: *** de sublime. ***
Capitolo 12: *** regina di mezogne ***
Capitolo 13: *** il risveglio del caduceo/divinità sotto processo ***
Capitolo 14: *** in caduta libera ***
Capitolo 15: *** finalmente un po' d'aria ***



Capitolo 1
*** la storia iniziò così... ***


‡ Beautiful novel ‡

 

Correvo.

Semplicemente, correvo, il bianco vestito da sposa pieno di macchie e strappi, lo strascico ormai ridotto a brandelli. I rami e gli arbusti della macchia mediterranea mi graffiavano il viso e le porzioni di pelle lasciate scoperte dalla veste nuziale.

Mentre inciampavo nell’ennesima radice, sentii uno schiocco e un improvviso bruciore alla guancia. Me la sfiorai con le dita ricoperte dai guanti candidi, e questi si tinsero di rosso. Sangue.

Più rosso del sole che moriva alle mie spalle e dell’alba che, forse, non avrei mai visto.

Sentii delle grida, e ne fui atterrita. Ripresi a correre ansimando, inciampando sempre di più, anche a causa dei tacchi alti a cui non ero abituata. Uscii dal piccolo boschetto in cui mi trovavo e notai a sinistra, con la coda dell’occhio, un piccolo sentiero che puntava in alto, verso l’acropoli di Atene.

Senza pensarci troppo, mi affrettai a percorrerlo il più silenziosamente possibile; cosa non facile,dato che il mio ansimare si faceva più rumoroso ad ogni falcata , e i battiti del mio cuore erano talmente violenti da poter essere scambiati con quelli di un tamburo. Mentre mi voltavo per vedere se i miei aguzzini si erano accorti della deviazione, andai a sbattere contro qualcosa di molto solido, e rovinai a terra; caddi in malo modo sulla caviglia, ma, per quanto il dolore fu davvero lancinante,riuscii a non gridare. Solo, strinsi gli occhi e morsi convulsamente le labbra, cercando di concentrarmi su un altro tipo di male.

-Scusami, non volevo farti cadere. Stai bene?-

Alzai il capo per vedere a chi apparteneva la voce che mi si rivolgeva in tono tanto gentile. Era un ragazzo alto, a occhio e croce sulla ventina, con occhi azzurri e lunghi capelli scuri.

Vederlo per me fu come riemergere dall’acqua dopo due minuti di apnea.

Incurante del dolore, mi attaccai alla sua tunica e gli affondai il viso nel petto, implorandolo tra le lacrime di aiutarmi e di portarmi via da lì. Non so cosa mi prese in quel momento, ma, sebbene per me quel ragazzo fosse un perfetto sconosciuto, la mia disperazione era tale che non esitai a chiedere, anzi, ad implorare, il suo aiuto.

E non so nemmeno cosa mi sussurrò nell’orecchio quando le sue braccia si strinsero attorno alla mia vita, avevo l’animo troppo devastato per pensare lucidamente. Ricordo soltanto di aver aumentato la stretta su di lui fino quasi a fargli male; ricordo una folata di vento e un freddo improvviso; ricordo il vociare dei miei inseguitori farsi via via più lontano, fino a svanire; ricordo, infine, un odore piacevole, che sapeva di mare e di bouganvilles.

Poi, più nulla.

 

 

 

Il mio corner…

Premetto col dire che questa fic mi sta particolarmente a cuore, molto più di “oltre”, per vari motivi.

Primo, perché la protagonista si chiama Lily, che, secondo me, è il nome più bello del mondo.

Secondo, perché le vicende che coinvolgono la protagonista sono in parte ispirate ad una storia vera, che ha visto coinvolta una persona a me molto cara.

Terzo, perché vorrei che avesse il sapore delle cose semplici.

Quarto, perché a scriverla ci ho messo davvero tutto il mio affetto.

Spero vi piaccia, fatemi sapere.

 

P.s:Scusate se il primo capitolo è tanto breve, ma non è altro che un incipit.

Enjoy !!!

*1bacio*

stantuffo

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Capitolo 2
*** piacere, sono io ***


‡ Beautiful novel ‡

 

 

-Ma perché è vestita da sposa?-

-Non ne so niente, Aiolia. Ti dico che ero sul sentiero dell’acropoli per recarmi ad Atene quando all’improvviso, bum!, me la sono ritrovata praticamente addosso!-

-Tze. Milo, sei sicuro di non esagerare anche stavolta?-

- Ti ricordo che non è la prima donna che si butta tra le mie braccia, caro Camus.-

-Zitto, scemo! Si sta svegliando!-

Un po’ disturbata da quel chiacchiericcio, aprii lentamente gli occhi, ma me ne pentii subito: la luce del sole era intensa e accecante, e ci misi qualche secondo ad abituarmici; sbattei le palpebre più volte, e finalmente riuscii a scorgere le figure che mi stavano dinanzi.

Dodici ragazzi, a occhio e croce miei coetanei, mi fissavano incuriositi, mentre io me ne stavo lì, supina, ad osservare con occhi spalancati per lo stupore le armature d’oro che indossavano e che mandavano bagliori inquietanti.

 Armature? No, decisamente in quei ragazzi c’era qualcosa che non andava…

-Ciao. Sono felice che tu ti sia svegliata. Come ti senti?- mi chiese uno dei ragazzi, avvicinandosi in modo sospettoso.

Subito, mi rannicchiai in posizione fetale e racchiusi la testa fra le ginocchia con un mugolio. Stavo facendo la figura della bambina piccola, ma in quel momento non  mi importò. Mi aveva spaventata. La colpa era sua.

-Ecco. Le hai fatto paura, figurarsi.- commentò una voce in tono aspro.

-Ma no, dai, non devi avere paura. Sono io, il ragazzo che ti ha aiutata ieri sera. Sono Milo, piacere di conoscerti.-

Dal mio groviglio di gambe e braccia borbottai qualcosa di incomprensibile in risposta, mentre nella mia mente riaffioravano, luminosi e taglienti come una lama, i ricordi del giorno precedente. Rabbrividii.

-Come dici? Se parli così non capisco… Dai, fammi vedere il tuo musino!-

Il tono di voce di Milo era così dolce e persuasivo che decisi di obbedire quasi subito; così, alzai la testa e lo osservai per qualche secondo. Era proprio il ragazzo di ieri sera, non avevo dubbi; nel terrore della fuga non avevo notato quanto fosse bello. Come se non bastasse, l’armatura che indossava gli dava l’aria di un antico eroe.

-Sono Lily- mormorai a bassa voce, come se il mio nome fosse la soluzione di tutti gli indicibili misteri dell’Universo.

-Ah, allora ce l’hai la lingua!- Milo mi sorrise, mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi.

-Ciao, Lily. Il mio nome è Mur. Ieri sera, quando Milo ti ha trovata, eri ferita. Mi sono preso la libertà di medicarti. Avevi molti ematomi sparsi sulle braccia e sulle gambe, e una caviglia slogata; il tendine del tuo piede destro era gravemente danneggiato. Oltre a questo, avevi anche un brutto taglio sul viso.-

La diagnosi medica veniva da un ragazzo con grandi occhi verdi e capelli inspiegabilmente lilla. D’istinto, mi portai una mano al volto per controllare l’entità del danno, ma la mia pelle era liscia, come lo era sempre stata, e non c’era nessun’irregolarità che tradisse la presenza di una ferita. Stesi le braccia e mi accorsi che nemmeno su quelle c’era la benché minima traccia dei graffi e dei lividi di cui Mur parlava. In compenso, il mio polpaccio destro era avvolto da una fasciatura piuttosto rigida.

Mi voltai verso Mur, incredula; il sorriso enigmatico che il ragazzo mi rivolse non riuscì a celare completamente la sua soddisfazione.

-Sono riuscito a guarire le ferite più piccole abbastanza velocemente, ma per la gamba ci vorrà un po’ più di tempo.-

Ma allora era vero. Mi aveva guarita sul serio. Chi erano quei ragazzi con l’armatura? Maghi medievali? Supereroi?

 Un terrore –ahimè- ben conosciuto mi attanagliò il cuore e lo stomaco, e presi a tremare convulsamente. Quando mi spaventavo così tanto, l’asma, disturbo di cui soffrivo fin da bambina, non tardava mai ad arrivare. Infatti, poco dopo mi ritrovai ad ansimare, in preda ad una crisi, una mano stretta al petto come a trattenere un cuore che voleva scappare, l’altra a frugare febbrilmente intorno a me, alla disperata ricerca dell’inalatore che non avevo.

-Chi…Chi siete?- riuscii a balbettare tra un respiro e l’altro.

-Hey, ma tu stai male!- il ragazzo che mi aveva aiutata ieri sera, Milo, tese le braccia verso di me con aria ansiosa, probabilmente per aiutarmi, ma io non mi lasciai toccare.

-Chi siete?- ripetei, stavolta con tono di voce più fermo.

-Se ti dicessimo che siamo Cavalieri d’Oro al servizio della Dea Athena, per proteggere la pace e la giustizia dell’Universo,ti tranquillizzeresti?-

Feci cenno di no con la testa al ragazzo biondo che mi tese la mano. Nonostante l’asma, lo scrutai attentamente: teneva gli occhi chiusi e un bindi sulla fronte tradiva le sue origini indiane, altrimenti celate dai colori tipicamente nordici dei capelli e della carnagione.

-Lo immaginavo. In ogni caso, io sono Shaka, Cavaliere della Vergine. Lieto di fare la tua conoscenza, Lily.-

Non saprei spiegarne la ragione, ma attorno alla sua figura veleggiava un sentore di lieta serenità, così decisi anch’io di porgergli la mano come aveva fatto lui, senza smettere però di ansimare e di singhiozzare. Shaka mi sfiorò la punta delle dita con la sua mano e posò un bacio delicato sul dorso della mia. Immediatamente sentii i battiti del cuore rallentare, il respiro farsi più regolare e i singhiozzi cessare. Sorrisi: stavo meglio.

-Come?!? Da me, che ti ho salvata, non ti fai neppure toccare, mentre da Shaka ti fai addirittura fare il baciamano? E gli sorridi, pure?!? Sono sdegnato!- Milo mise su un falso broncio e io mi affrettai a balbettare parole di scusa, condite con la giustificazione dell’asma.

-Oh, non preoccuparti, fa sempre così quando gli viene tolto il centro della scena. Comunque io sono Camus, Cavaliere di Aquarius. Piacere di conoscerti.- anche lui fece per farmi il baciamano, ma Milo glielo impedì.

-Prima mi sono presentato male. Sono Milo, Santo di Scorpio, e in questo momento ti trovi all’interno della mia Casa.-

Piegai leggermente la testa di lato e sbattei più volte le palpebre, cercando di capire: orgoglio, gelosia, mania di protagonismo, quale poteva essere il sentimento che infiammava gli occhi di questo ragazzo? La sola cosa che mi pareva certa era che Milo era fuori come un balcone, e decisi che mi stava simpatico, simpatico davvero. Il suo carattere mi ricordava in maniera incredibile quello di mio fratello Jude.

-Ti ringrazio per avermi salvata, Milo. Sei stato davvero un angelo.-

Lo vidi arrossire al mio complimento, ma non me ne stupii: ero abituata a trattare con delle teste calde come lui, e sapevo quanto fossero sensibili sotto la loro corazza.

-Prima di raccontarci la tua storia, Lily, è giusto che finiamo di presentarci tutti. Io sono Aphrodite dei Pesci, molto lieto.- disse un ragazzo dai lunghi capelli celeste e occhi dello stesso colore. Il modo di porsi e l’aspetto eccessivamente curato lo rendevano simile ad una donna, ma i muscoli che si intravedevano sotto l’armatura lasciavano ben intendere quanto fosse uomo in realtà. Dopo Aphrodite fu Aldebaran del Toro a presentarsi, un omone grande e grosso dalla pelle scura, che con una sola, fragorosa risata e una strizzatina d’occhio si era guadagnato, ai miei occhi, il titolo di “migliore”.

Poi, fu il turno di Kanon e di Shura, Santi dei Gemelli e del Capricorno, due personaggi molto silenziosi. Però, se devo essere sincera, a differenza di Kanon, Shura nel suo silenzio mi sembrò molto più sereno. Quando toccò al Cavaliere del Cancro, feci quasi fatica a trattenere le risate: aveva un broncio buffissimo, e cercava di fare lo spaccone in tutti i modi.

 Anziché presentarsi, mi snocciolò contro ogni tipo di insulto, senza un’apparente ragione, con il solo risultato di farmi ridere ancora di più; e poi, si presentò con un nome talmente sciocco! Mi pare fosse DeathMask, o qualcosa di simile…

Gli altri ragazzi rimasero più spiazzati dal mio comportamento che da quello del loro compagno; forse, mi pensarono matta e anche un po’ lunatica, ma come potevo dar loro torto?

Mentre mi asciugavo gli occhi dalle lacrime, feci la conoscenza di Aiolia, Santo di Leo, e di suo fratello, Aiolos di Sagitter. Entrambi con i ricci biondi, il sorriso d’atleta e lo sguardo fiero; furono molto cordiali. Per ultimo, toccò ad un ragazzo più basso degli altri, con gli occhi chiari e una fossetta sul mento. Disse di chiamarsi Doko e di essere il Cavaliere di Libra. Non so perché, ma i suoi occhi erano così profondi, che dentro di me sentivo che in realtà era molto di più…Oh, no, non divagare, Lily!

Mi accorsi che tutti si aspettavano che parlassi, magari che dessi loro anche qualche spiegazione, ma ero così nervosa… Mi morsi il labbro e mi costrinsi ad alzare lo sguardo, cercando, però, di non incrociare i loro.

-So-Sono Lily…- ripetei – ho 19 anni e non sono un Cavaliere.-

Deglutii. Fine. Che altro si aspettavano che dicessi? Essere al centro dell’attenzione era una cosa che odiavo!

-E come mai sei vestita da sposa?- mi domandò Mur con tono pacato.

-Beh, perché volevano che mi sposassi…Ma sono riuscita a scappare… -

-Chi? Chi voleva farti sposare contro la tua volontà?- gli occhi verdi di Aiolia si erano messi a brillare, avvertendo una possibile ingiustizia che andava punita. Risposi –delle persone-, ma in realtà il mio pensiero fu:

“Pensi davvero che abbia voglia di ricordare tutto e di raccontartelo?” Inspiegabilmente, Mur annuì in maniera appena percettibile, però fu di nuovo Shaka a prendere la parola:

-Sarai stanca. Adesso riposati un po’. Noi saremo in riunione poco lontano da qui. Quando avremo finito, decideremo dove ospitarti.-

Alzò la mano in segno di saluto, e, prima ancora che io potessi replicare, prima che riuscissi a dirgli di non preoccuparsi, che avevo dormito per quasi dodici ore e che no, non avevo davvero bisogno di altro sonno, sparì, e con lui anche gli altri ragazzi.

Al loro posto, sotto il cocente sole di Grecia, una nuvola di polvere si sollevò da terra, danzando.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mio corner

Pensavo che, questa volta, sarei riuscita a far cominciare la storia vera. E invece no, si è scoperto necessario un altro capitolo di transizione, che non è nemmeno venuto benissimo. Mi scuso per la brevità e la scarsa qualità di questo scritto, ma tutti questi convenevoli sono, purtroppo, necessari. La vera vicenda, che poi è la parte un po’ più interessante, comincerà a breve, abbiate fede! ;-)

Ora, passiamo ai ringraziamenti:

Ti con zero: ti ringrazio infinitamente, mi ha fatto davvero piacere vedere che avevi lasciato una recensione! Questo capitolo tende ancora ad essere noioso, ma vedrai che, se riuscirò a scriverli come si deve, gli altri saranno più interessante! Grazie ancora! *1bacio*

Snow Fox: lo so, me ne rendo conto, è stato un po’ antipatico da parte mia inserire un capitolo così breve. Nemmeno questo è molto lungo, ma ti assicuro che gli altri lo saranno molto, molto di più ;-). È stato un piacere ricevere una recensione da te! Grazie mille, un bacione!

Ai91: commossissima, e felice di aver punzecchiato la tua attenzione *fa un inchino, ammiccando felice e contenta*. Grazie davvero per la recensione, il seguito non si farà attendere troppo, vedrai. Sei stata troppo gentile! Un bacissimo!

Roxrox: ooops! Accidenti, non volevo farti imprecare! ^-^ scherzavo….

Così, sono riuscita ad incuriosirti? Davvero? Mitico!

Grazie per la tua recensione e per il tuo modo speciale di lasciare una traccia ovunque vai! Sei stata carinissima! Spero che anche questo capitolo ti piaccia! Un bacio e un abbraccio…;-)

 

Infine, grazie anche a tutti coloro che leggono in silenzio, siete magici anche voi!!

 

Enjoy!!!!!!

*1bacio*

stantuffo

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Capitolo 3
*** e accadde che... ***


‡ Beautiful novel ‡

 

 

-Ti prego, ripetimi di nuovo i motivi per cui devo restare qui!- implorai esasperata, mentre con un pugno convinto colpivo una colonna di marmo bianco, tanto per fare un po’ di scena.

-Mh…vediamo un po’…- Milo fece finta di pensarci su. Un’ottima recita, con tanto di indice sulla bocca e sguardo perso nel vuoto, la classica posa del pensatore. Sbuffai.

-Principalmente, perché eravamo tutti dell’idea che la tua gamba andasse sforzata il meno possibile…- se in quel momento avessi prestato un briciolo di attenzione in più al naso di Milo, sono sicura che l’avrei visto allungarsi.

-…e poi- continuò con aria innocente – Ho insistito per averti qui. Pensavo ne saresti stata felice.-

-Non ti rispondo per non sembrare cattiva-. Roteai gli occhi infastidita, quando lui mi sorrise con fare ammiccante.

Poi, un pensiero mi attraversò la mente, e il mio sguardo dovette divenire triste, perché l’espressione di Milo si fece subito grave.

-Milo…perché non mi lasciate tornare a casa?-

Poco prima, quando Shaka, Milo e Mur erano venuti a informarmi dell’esito della riunione, avevano parlato di una cosa chiamata Cosmo.

Mi dissero che, per quanto piccola, anzi, minuscola (Shaka aveva detto quasi infinitesimale, ma non mi era mai piaciuto come aggettivo), possedevo anch’io una luce che, in qualche modo, mi rendeva diversa dagli altri uomini. Mi spiegarono anche che di solito il Cosmo derivava dalle costellazioni, e forse mi raccontarono anche qualcos’altro, ma non li ascoltai.

Ero troppo persa a fantasticare sugli astri, ad immaginarmi a galleggiare nel cielo,  pensando, poi, a quanto fosse assurda l’idea che la forza di alcuni esseri umani derivasse direttamente dalle stelle. Non tanto per l’assurdità della cosa in sé, ma perché trovavo inconcepibile l’idea che gli astri del Cielo, tanto belli, tanto lontani, tanto immobili, decidessero di regalarsi gratuitamente a dei comuni mortali. Un po’ come se l’eternità fosse in mano all’uomo. Che idea buffa, buffa davvero.

Comunque, il fatto di avere anch’io un Cosmo mi aveva lasciata alquanto indifferente, e, nella mia scala dei valori, l’informazione non aveva occupato un gradino poi molto alto. C’erano cose che ritenevo più importanti.

-Hai una casa in cui tornare, Lily?-

Dirette e dolorose come una freccia, le parole di Milo mi distolsero dai miei pensieri. Non sapevo se il mio cuore fosse o no il suo bersaglio, ma aveva fatto centro, senza alcun dubbio.

Però, riuscii a rispondere senza che la mia voce s’incrinasse.

-Una casa dove tornare non ce l’ho- ammisi –Ma ho ancora una famiglia di cui prendermi cura.-

Lui mi sorrise, con un misto di tenerezza, dolcezza e malinconia dipinte sul volto. Non avevo mai visto qualcuno sorridere in modo così amaro e affettuoso allo stesso tempo. Era disarmante.

-Fortunata te. Ti va di parlarmi di loro?-

Annuii. Avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno. Gli feci cenno di sedersi accanto a me, facendogli spazio sulla panchina in pietra su cui sedevo. Ci trovavamo in un piccolo giardinetto interno all’Ottava Casa. In realtà, non era altro che un cortile lastricato, con un ciliegio e uno scorcio di natura sul fondo, ma aveva il fascio delle cose antiche e quotidiane.

-Ho tre fratelli. Uno è più grande di me; si chiama Albert ed è bellissimo. È un genio, davvero, e da qualche mese è andato a Londra a lavorare come ricercatore. È da un po’ che non ho sue notizie…

Poi, c’è Andrea. Ha quattordici anni, ed è fantastica. Ha i capelli lunghi e neri, e grandi occhi grigi; scrive poesie, e dalle sue mani escono solo cose belle. Infine, c’è Jude. Lui ha solo dieci anni, ed è quello con cui vado più d’accordo. È anche quello che più mi somiglia: abbiamo entrambi gli occhi scuri, scuri davvero, la pelle diafana e i capelli chiari. Con l’unica differenza che i miei sono castano tendente al rame, i suoi sono quasi biondi-

Solo quando ebbi finito di parlare mi accorsi di quanto avevo gesticolato, ma non me ne curai. Guardai Milo con soddisfazione , conscia dell’affetto con cui caricavo le parole tutte le volte che parlavo della mia famiglia.

-E i tuoi genitori?-

-Sono morti-  risposi automaticamente, con un tono di voce talmente piatto da lasciar intendere la mia voglia di troncare la conversazione. Milo capì al volo e annuì. Poi, inaspettatamente, mi prese in braccio e si diresse a passi lenti verso le stanze interne.

-Questa mattina ti ho comprato dei vestiti, sono in questa stanza. Spero di averci azzeccato con i gusti e con la taglia. Quando ti sarai cambiata, andremo ad Atene a mangiare qualcosa. Sempre se ti va, ovvio.-

Sinceramente, l’idea di pranzare con Milo non mi tranquillizzava molto, ma non mettevo qualcosa sotto i denti da almeno un giorno, e i morsi della fame cominciavano a farsi sentire. Così, accettai l’invito di quel Cavaliere frivolo che mi sorrideva con aria sorniona. Dopo pochi passi, Scorpio mi appoggiò con delicatezza sul letto di una stanza ampia e ombrosa, e, dopo aver fatto un commento che non ascoltai, uscì dalla stanza lanciandomi un bacio prima di chiudere la porta.

Con gesto infantile, schivai il cuoricino invisibile e lo immaginai mentre andava a stamparsi sulle “eroiche nudità” di una statua ornamentale del peristilio. Soffocai una risatina e mi accinsi ad indossare i vestiti che erano sul letto: un paio di jeans e una maglia blu con scollo a barca. Bene, non erano nulla di troppo appariscente; da Milo, mi sarei aspettata qualcosa di molto peggio.

Mi sfilai il corto chitone che mi aveva dato Aphrodite al posto della veste nuziale, e indossai il tutto il più velocemente possibile, per quanto la rigida fasciatura al polpaccio me lo consentisse. Con la maglia andò tutto bene, ma i jeans erano strettissimi! E poi, essendo a sigaretta, premevano in maniera fastidiosa sulla gamba offesa.

Cercando di ignorare il malumore crescente, abbottonai quei benedetti pantaloni con un piccolo sforzo delle dita, ma il mio disappunto crebbe a dismisura quando mi accorsi che le scarpe che aveva comprato Milo altro non erano che delle decolleté di vernice con un tacco non inferiore ai nove centimetri.

Se era uno scherzo, non faceva ridere.

Saltellando sulla gamba sinistra, uscii dalla stanza e trovai Milo, anche lui cambiato di fresco, che mi aspettava sorridente sotto il porticato.

Alzai le scarpe all’altezza del volto con fare interrogativo e il suo sorriso si fece più ampio. Non so come fece, ma, nel tempo di un battito di ciglia, mi ritrovai nuovamente in braccio a lui, con entrambe le scarpe ai piedi.

-Ma cos…?- borbottai, ma Milo fu più veloce di me perfino nel rispondere.

-Pronta a testare l’alta velocità?- mi domandò, con un luccichio birichino negli occhi che mi preoccupò subito tantissimo.

-Uh?- fu l’unica cosa che riuscii a rispondere, prima  di trovarmi davanti ad un grazioso ristorantino che dava sul mare.

-Ma dove, hic!, siamo?- domandai intelligentemente.

-Ah ah! Non posso crederci! La velocità della luce ti ha fatto venire il singhiozzo! Oddio, sei uno spasso! Aspetta, aspetta…bu! Passato?-

Totalmente senza parole, e alquanto divertita dall’espressione scema che aveva Milo nel cercare di spaventarmi, mi avviai verso il ristorante con il naso per aria, fingendo superiorità, cercando di appoggiare il meno possibile la gamba già dolorante. Lui, però, ancora sghignazzante, mi raggiunse subito e mi prese a braccetto,  sostenendo miracolosamente quasi tutto il mio peso e alleviando non di poco il dolore del mio arto sfortunato.

Prendemmo posto sulla terrazza che dava sulla spiaggia, in un tavolino ornato con delle giunchiglie, e ordinammo il pranzo.

Durante il pasto, Milo mi parlò di sé.

Mi raccontò dell’addestramento sull’isola che portava il suo nome, mi parlò di tutte le sue figuracce e dell’amicizia quasi fraterna che lo legava a Camus, Santo di Acquario.

Non una parola sulla famiglia.

Scoprii soltanto che anche lui era orfano, come tutti i Cavalieri del Santuario, e che considerava gli altri Gold Saints, chi più chi meno, alla stregua di fratelli.

Nel corso della conversazione notai che su di me si erano posati gli sguardi ostili di tutta la fauna femminile del locale. Sorrisi, compiaciuta, e tornai a guardare Milo negli occhi, lasciandolo interdetto e facendogli interrompere a metà il discorso che aveva appena iniziato.

-Che succede?- domandò.

-Nulla. È solo che tutte le ragazze del locale mi stanno guardando con odio. Credo che venderebbero la propria madre per essere al mio posto.-

E non a torto. Milo sembrava un modello con quella maglietta nera leggermente aderente. Non solo, però. Aveva, nei gesti e nel modo di parlare, un qualcosa di sensuale e di protettivo allo stesso tempo, che mi faceva sentire orgogliosa di essere lì con lui. Se quelle ragazze avessero saputo quanto riusciva ad essere irritante certe volte, però, forse mi avrebbero invidiato un po’ meno.

- A-ha! Che ne dici, allora, di un bacetto, giusto per farle schiattare un po’ dall’invidia?-

Appunto.

Senza dire nulla,gli rifilai un calcio da sotto il tavolo con la gamba buona.

In quel momento si avvicinò una ragazza bionda, con gli occhi grandi e verdi e un seno enorme. Deglutii. Era talmente bella che no potevo nemmeno reggerle le scarpe. Abbassai lo sguardo infastidita, quando parlò con voce sensuale.

-Mi chiamo Ylenia, e ho un appartamento qui vicino. Mi chiedevo se avevi voglia di…-

-Mi dispiace- la interruppe Milo –ma, come vedi, ho già compagnia.-

-Capisco- sentii la bionda rispondere –ma io parlavo con te, piccolina- disse mentre con due dita mi sollevava il mento, puntando le sue iridi smeraldine nelle mie.

Deglutii a fatica, mentre cominciai ad avvampare e a sudare.

-Mi-Milo?- invocai il suo aiuto, vedendo con la coda dell’occhio che il Cavaliere di Scorpio si stava letteralmente sbellicando dalle risate. Il mio imbarazzo era arrivato alle stelle, e con lui anche l’asma, quando, in un attimo, fummo fuori dal ristorante grazie alla velocità della luce. Mi ritrovai accovacciata al petto di Milo, scosso dalle risate, mentre io diventavo blu per via del singhiozzo e dell’assenza di respiro.

Quando si accorse del mio colorito, Milo si allarmò e domandò intelligentemente se stessi bene. Feci cenno di no con la testa, mentre gli occhi mi uscivano dalle orbite.

-Oddio, ma tu non respiri!- avvertii che attorno a lui veleggiava un non so chè di ansioso. Doveva essere quello che Shaka e Doko avevano chiamato Cosmo. Fu buffo percepire il Cosmo di Milo per la prima volta proprio mentre ero in preda alla peggiore crisi asmatica di tutta la mia vita, con lui che mi correva intorno starnazzando come un pollo, completamente incapace di gestire una situazione del genere.

Dio, che brutto quarto d’ora! Dannata bionda!

Fu in quel momento che una mano mi toccò la spalla e sentii un Cosmo nuovo, fresco, profumato oserei dire, che riuscì in qualche modo a fermare la mia asma, lasciandomi sulla spiaggia ansimante e sudata.

-Tutto bene, Lily?- mi sorrise Aphrodite dei Pesci, mentre io annuivo, realizzando che ero sfuggita per la seconda volta da morte sicura grazie ad uno dei Santi di Athena.

 

 

 

…………………………………………………………………………………………

 

 

 

 

-Ah ah! Non può essere vero! E tu ti saresti fatta venire un attacco d’asma solo per una proposta un po’…ehm…bollente? Ma non farmi ridere, Lily!-

La risata di Aphrodite era così argentina che non trovai nemmeno la forza di offendermi, rapita com’ero dalla musicalità di quel timbro vocale.

-Di solito non sono così delicata, però, vedi, sono successe tante cose… Il mio sistema nervoso è a pezzi, e emotiva come sono,. È ovvio che l’asma mi venga così di frequente…-

Camminavamo lentamente lungo le strette viuzze di Atene, un po’ per gustarci l’aria di mare, un po’ perché quella era la massima velocità che la mia gamba consentiva.

-Capisco… Immagino che per te sia stato un bel colpo apprendere, nella stessa mattinata, dell’esistenza di Athena e dei suoi protettori… per non parlare del fatto di avere un Cosmo! Le convinzione di chiunque sarebbero crollate a partire dalle fondamenta.-

Scossi lentamente la testa, negando parte del discorso che Aphrodite aveva appena proferito.

-No, sono stati gli avvenimenti antecedenti al Santuario a distruggermi. Sai, il matrimonio e tutto il resto… Per quanto riguarda Athena, non è un problema. Finora ho sempre vissuto senza credere in nulla, senza preoccuparmi di difendere o di negare l’esistenza di alcuna divinità-

Aphrodite alzò un sopracciglio, perplesso forse di sentire tali parole uscire dalla bocca di una fanciulla. Però, non mi interruppe, e nemmeno lo fece Milo, così mi sentii autorizzata a continuare.

-Per quanto riguarda voi Cavalieri, beh, sono liete che esistiate, mi avete aperto la porta di un nuovo mondo. Se poi il Cosmo è il requisito per potervi permanere, allora ben venga. Mi lascio alle spalle una strada così piena di angosce e dubbi, che qualsiasi altra opportunità è ben accetta. Non fraintendetemi, non sto scappando dai miei guai. Tornerò ad affrontarli, quando sarò pronta, e se la mia vita tornerà ad essere dolorosa, almeno sarà per scelta mia e non di altri.-

Al mio discorso seguirono alcuni minuti di silenzio, durante i quali non smisi di domandarmi se avevo esagerato o no con le parole e con la confidenza. Fu Milo ad interrompere il flusso dei miei pensieri:

-Siamo uomini, in fondo, nient’altro che uomini. Non ti giudico, Lily, perché nel tuo dolore ritrovo anche il mio che era sepolto. Viaggiamo nella stessa direzione, oramai:promettimi che dividerai con me il peso del tuo bagaglio, quando sarà diventato troppo pesante-

Forse fu in quel momento che mi innamorai davvero di Milo, forse no. Forse ero nata già innamorata di lui, senza saperlo, o forse me ne innamorai solo più tardi.

Solo di una cosa ero sicura in quel momento: la mia vita, il sapore dell’acqua, la fine del mondo erano tutte banalità, se messe a confronto con quei frammenti di cielo che adesso non aspettavano altro che un sì…

-Promesso.-

Sì, promesso. Vidi l’aere sorridermi attraverso gli occhi di Milo, ma non fui più in grado di udirne le parole, e nemmeno sentii quelle di Aphrodite. Le mie orecchie erano assordate dal battito di un cuore prepotente, che non la smetteva di gridare la sua gioia.

Mi stupii non poco quando, più tardi, realizzai che quel suono veniva da me.

 

 

……………………………………………………………………………………….

 

 

 

-Ricapitolando: io, adesso, dovrei recarmi da una ragazzina che voi chiamate “Lady” , per farmi conoscere giusto? Però, sarà un incontro parecchio formale, in cui verranno fatte domande sulla mia identità e sul mio passato, non è così?-

Vidi Milo e Aphrodite annuire, all’interno del giardino fiorito della Casa dei Pesci.

-Oh, e Shaka si è raccomandato di non essere maleducata con la Dea. Rispondi solo se interpellata e dalle del “voi”- aggiunse Aphrodite.

-Certamente- risposi con ironia – poi, mi metterò in posizione “sacco da boxe” pronta a farmi menare, per testare la mia pericolosità in quanto possibile nemico. Dico bene?-

-A grandi linee- annuì Milo, serio.

-Scordatelo- feci per tornare sui miei passi, ma i due Cavalieri mi trattennero per le spalle, e, incuranti delle mie proteste, mi portarono in quella scomoda posizione fino all’ingresso del Tredicesimo Tempio.

Li fulminai con uno sguardo truce, quindi, fatto un bel respiro, spinsi i pesanti battenti di legno ed entrai in un salone ampio e sfarzoso.

-Benarrivata. Accomodati, entra pure.- mi accolse la voce armoniosa di una ragazzina dagli occhi azzurri e dai lunghi capelli viola.

Non mi suonò come un ordine, e, anzi, il suo tono di voce fu particolarmente gentile; così, sopprimendo quella vocina interiore che mi ordinava di non farlo, sorrisi a mia volta ed entrai.

 

 

 

 

Il mio corner

Finalmente sono riuscita a trascrivere il nuovo capitolo. Sono sempre in ritardo, che frana! Chiedo scusa! Allora, che dire… in alcune parti la narrazione è noiosa e tende al frivolo, ma non è che una sfumatura, non la vera essenza della storia. In alcuni punti, il personaggio di Milo potrà sembrare originariamente OOC. In realtà, penso che anche lui possa avere, in certi momenti, un lato serio e dolcissimo che nell’originale emerge poco. Non so, io nell’intimità me l’immagino un inguaribile romantico. Infine, non credo che nell’Ottava Casa ci sia un peristilio come quello descritto qui. Solo, mi piaceva pensare che ci fosse.

Mi rendo conto di stare trascurando un po’ “oltre”, l’altra mia fanfic, ma di questa sono letteralmente innamorata, mi è inevitabile privilegiarla. Passiamo a ringraziare individualmente, ora:

ti con zero: capitoli che preludono qualcos’altro, dici? Non mi è chiarissimo come concetto,ma vedrò di fare del mio meglio!^_^ grazie per aver lasciato una recensione! *si inchina di 90 gradi rischiando il colpo della strega* *1bacio*

Ai91:hai fatto arrossire Shaka, poverino! ^_^ gli altri Cavalieri, invece, sono tutti contenti! Vedessi com’è pompato Milo! (parla per te! N.d.Milo ehm…ndme) scherzi a parte, grazie davvero per i complimenti, sei stata gentilissima *arrossisce fino a diventare blu*. Spero che anche questo capitolo ti piaccia! *1bacio*

Snow Fox: va bene, così, la lunghezza? No, non è la prima fic che scrivo. Cioè, in realtà sarebbe la seconda. La prima, però, è formata da 4 miseri capitolini tutti sguinci sguinci, quindi sono comunque agli inizi. (discorso in un italiano scorrettissimo, spero che tu ne abbia afferrato il senso lo stesso!^_^) Acc! Mi hai beccata! Eh, sì, il personaggio di Shaka è un po’ OOc, o forse no. In fondo , le persone possono sempre stupire. Comunque, sì, la cavalleria in lui è forse un po’ forzata, però ammetto che uno Shaka gentile non mi dispiace. Per quanto riguarda la storia di Lily, si dovranno aspettare un paio di capitoli: la ragazza è molto riservata! Grazie per la recensione, spero che continuerai a leggere! *1bacio*

Roxrox: hai ragionissima, sono convinta che i Gold di buon senso ne abbiano sempre meno! Milo è sempre il migliore, non c’è niente da fare! *tira fuori la maglietta con l’immagine di del fan club di Milo*. Sì, i rischi che si corrono nei capitoli di transizione è sempre quello. La storia completa di Lily si saprà solo un po’ più avanti, quando lei deciderà di aprirsi un po’ di più con qualcuno…ma non ti dico altro! Grazie davvero per tutti i complimenti *me rossa*. Vola ad aggiornare “tra i petali del tempo”, adesso! Marsch! Scherzavo…eh eh… tankS! *1bacione*

Ribrib20: mi hai fatto diventare rossa! Grazie! Sai che ti dico?Se non mi avessi lasciato questa bella recensione, in questo momento non sarei così felice! Perciò, grazie a te! Spero che continuerai a leggere! ^_^ *1bacio*

Infine, vorrei ringraziare leyda per aver inserito “beautiful novel” tra i preferiti, e anemone333, Roxrox e ancora leyda  per aver inserito questa storia tra le seguite. Mi avete fatto un piacere immenso!^_^

P.s: un’ultima cosa. Poi non rompo più, sul serio. Qualcuno sa dirmi cosa sono, di preciso, le Mary Sue? Lily è una Mary Sue? Spero di no, Lily è una Lily…vabbè, grazie a chiunque mi darà chiarimenti su questo arcano!

 

Enjoy!!!!!!!!

*1bacio*

stantuffo

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Capitolo 4
*** quando la tempesta ti si abbatte sulla testa ***


‡ Beautiful novel ‡

 

 

Caddi sulle ginocchia cercando di respirare bene, ma una scarica di dolore mi attraversò la schiena, costringendomi a contorcermi.

Ma cosa mi stava succedendo?

Ero entrata nel salone grandissimo, come mi avevano detto di fare i ragazzi e la bambina dai capelli viola; poi mi ero presentata, avevo detto il mio nome e la mia età, ero stata gentile.

Di punto in bianco, però, avevo sentito una forte pressione schiacciarmi a terra, e, mentre cercavo di resistere a quella spinta, mi ero sentita come avvolta da una coperta che mi procurava incessanti scariche di dolore. È un paragone insolito, ma rende bene l’idea.

Imprecai mentalmente contro il mondo e strinsi i denti, cercando di sopportare il male; udii una voce maschile chiedere a Milady di smetterla. Milady? Doveva essere la ragazzina…

Allora, i miei sospetti non erano sbagliati: il dolore che provavo era opera del suo Cosmo, il cosiddetto Cosmo di Athena. Pensai con amarezza che di Athena si poteva dire tutto, ma che certamente non rappresentava la giustizia.

Serrai la bocca e i pugni quando una nuova scarica di dolore mi costrinse a contorcermi di nuovo.

Ero stesa a terra, ansimante, forse avevo anche la bava alla bocca e non riuscivo a smettere di dimenarmi come un verme, nel disperato tentativo di scampare a quella sofferenza. Athena mi stava piegando, e non capivo perché.

Però, decisi che non mi avrebbe umiliata.

Era stato per me inevitabile cadere a terra e divincolarmi in preda agli spasmi, perché il mio fisico da comune mortale non poteva certo resistere alla forza di un attacco divino; però, il mio spirito era forte, sapevo che lo era,  e non avrei mai mollato: non mi avrebbe tolto la dignità, anche a costo di morire.

Non chiesi pietà quel giorno.

Non urlai quando la mia spina dorsale parve sul punto di spezzarsi, e non chiusi gli occhi mentre ero in preda alle convulsioni, benché la mia vista fosse appannata e ogni tentativo di scorgere delle figure si rivelasse vano e inutile.

Riuscii solo a percepire la presenza di alcune sagome colorate attorno a me, ma non mi curai di approfondire la cosa, perché le fitte che mi percorrevano il corpo mi impedivano di concentrarmi su qualcosa di concreto per più di qualche secondo.

Ero ormai certa che, se anche fossi riuscita ad uscire viva da quella prova, la mia salute fisica, o, perchè no, anche quella mentale, sarebbe rimasta irrimediabilmente compromessa. Nonostante tutto, incitai mentalmente Athena a non smettere di torturarmi, sicura che, se davvero aveva poteri divini, sarebbe stata capace di leggermi nella mente.

“Sono indifesa, continua.” Pensai con tutte le mie forze “impegnati un po’ di più, e uccidimi. Non deve essere troppo difficile per te, Giustizia. Non ho difese.”

Dovette sentirmi, perché il dolore cominciò a poco a poco a scemare, e potei nuovamente distinguere delle voci che si erano aggiunte alla prima per chiedere alla Dea di smetterla.

No, non glielo stavano chiedendo. La stavano implorando.

Tsk. Assurdo.

Il Cosmo di Athena abbandonò finalmente il mio corpo, ed io cominciai a respirare normalmente, supina, godendo della frescura piacevole che sentivo sulla pelle al contatto con il marmo del pavimento. Mi rialzai sulle ginocchia dopo pochi secondi, e subito sentii delle braccia cercare di sorreggermi, ma mi ribellai.

-Non…toccatemi…- biascicai.

Riuscii ad appoggiarmi malamente sulle gambe molli, e, in precario equilibrio su me stessa, mi volsi a guardare la ragazzina.

Era seduta sul trono in modo scomposto, ansimante, con gli occhi chiusi e una mano a reggersi la fronte imperlata di sudore. Sembrava…stanca.

Il ragazzo biondo, Shaka, e quello che mi aveva detto di chiamarsi Doko di Libra le stavano accanto, ai lati del trono, e tendevano le braccia verso di lei con aria ansiosa.

Gli altri Cavalieri erano tutti dietro di me, eccetto Kanon,  Shura e Camus, che, invece, non si erano mossi di un centimetro, apparentemente estranei a tutto quel che stava accadendo.

Mi girai e lanciai uno sguardo deluso a Milo e Aphrodite. Il primo chinò la testa, come i bambini quando vengono sgridati dopo una marachella; il secondo, invece, assunse un’espressione di sincera costernazione, con tanto di occhi lucidi.

Patetico e inutile, inutile davvero.

Mossi qualche passo incerto e barcollante verso la Dea, che intanto aveva aperto gli occhi e mi fissava spaesata e incuriosita.

Indossavo ancora i tacchi, e per tutto il tempo la mia gamba non aveva smesso di dolere; io, però, ero troppo concentrata a non urlare per rendermene davvero conto. Furono, comunque, i tre passi più dolorosi di tutta la mia vita.

Mi fermai e alzai la testa , raddrizzando la schiena il più possibile, il mento alto e il volto immobile, in un chiaro atteggiamento di sfida. Puntai con decisione i miei occhi sui suoi, che in quel momento mi parvero fragili; nero e azzurro, notte e giorno, perforai le sue iridi chiare con le mie color ebano, ma non vi lessi rimorso, né senso di colpa.

-Mi disgusti- pronunciai con immenso disprezzo quella coppia di parole, e la mia voce era ferma, e il timbro forte.

Fui orgogliosa di me, di non essermi mostrata debole, ma poi focalizzai la mia attenzione su Athena, ancora una volta.

 Decisi che due parole per lei erano anche troppe, e, fermamente convinta a non spenderne altre, mi girai, mi tolsi i tacchi, e, a testa alta, uscii da quella stanza maledetta senza degnare di uno sguardo i ragazzi, che per tutto quel tempo non avevano fiatato.

Non appena cominciai a scendere i gradini, tra le proteste della mia gamba, sentii qualcuno afferrarmi il polso e costringermi a voltarmi.

-Dove vai?- la domanda veniva dal Cavaliere dei Gemelli.

-Lasciami andare, Kanon. Me ne vado di qua. Torno a casa.- dissi, mentre cercavo di liberarmi dalla sua presa salda.

-Saga. Non Kanon, Saga. Sono suo fratello-

-Affascinante, Saga. Due gemelli per l’armatura dei Gemelli. Originali, non c’è che dire.-

Non ero mai stata una persona sarcastica, ma ero nervosa, delusa, frustrata, e avevo solo una gran voglia di piangere.

-Perdonami, ma non puoi lasciare il Santuario. Vieni con me, ti ospiterò nella Terza Casa. Ti va un caffè?-

Feci cenno di no con la testa, in preda al nervoso. Non volevo un caffè, no.

-Lo vuoi un amico?-

Questa volta feci cenno di sì. Sì, non avevo mai avuto bisogno di un amico come in quel momento. Ma i miei amici ora erano tutti via, tutti lontani, ognuno perso nei casini della propria vita.

E poi, dove l’avrei trovato, al Santuario, un amico? Mica crescevano sugli alberi! E non esistevano nemmeno i distributori. Distributori di amici, che idea…

-Sfogati con me, se serve-

Lo guardai meglio. Alto, capelli scuri, occhi azzurri ed espressione forzatamente gentile. Quando mi aveva chiesto se volevo un amico, la sua voce profonda si era tinta di una nota d’imbarazzo.

Di certo, non doveva essere un comportamento a lui consono.

-Mi hai letto nel pensiero, vero?- provai. Milo mi aveva detto che alcuni di loro avevano questa capacità.

Lui annuì.

-Così, hai capito che mi sentivo tradita e avevo bisogno di qualcuno che mi stesse vicino.-

Annuì di nuovo.

-Se non fosse stato così, non mi avresti mai chiesto “lo vuoi un amico?” con un tono così gentile. Non è da te, giusto?-

Annuì una terza volta.

-Ultima domanda: avresti preferito che la Dea Athena  non ti avesse affidato l’incombenza di prenderti cura di me, vero? Se non ti fosse stato ordinato, di me te ne saresti fregato bellamente.-

Saga annuì un’ultima volta, ed io sorrisi, nonostante tutto. Almeno era sincero.

-Andiamo alla terza Casa, allora.- così dicendo, gli piombai in braccio con poca grazia.

Quest’improvvisa confidenza lo lasciò un po’ spiazzato, ma il secondo dopo fummo comunque all’interno di quella che doveva essere la cucina della Casa dei Gemelli.

Ignorai l’arredamento moderno, e, senza aspettare il permesso del padrone di casa, mi buttai su una sedia e appoggiai la fronte al tavolo. Sentii Saga muoversi lentamente dietro di me, poi il rumore del caffè quando viene macinato e dell’acqua che scorre. Non alzai il capo quando lui mi posò la tazzina vicino alla testa, e restai in quella posizione per qualche minuto. Quando non fui più in grado di sopportare il silenzio, alzai lo sguardo con uno scatto irritato ed esclamai:

-Siete solo dei gran vigliacchi!-

Saga continuò a sorseggiare il suo caffè, che ormai era finito, senza guardarmi.

-E Athena? Cosa credeva di fare? Non doveva farmi solo delle domande? E quando ha visto che il suo pericolosissimo e panoplitico nemico- e qui mimai le virgolette con due dita – non reagiva, e, anzi, stava quasi morendo torturato, perché non si è fermata?  E nessuno di voi che si sia mosso! È dunque questa la Giustizia che difendete con tanto ardore? Siete…siete solo degli ipocriti, mi fate schifo!-

Ormai stavo urlando. Avevo perso il controllo.

-Le tue mani- fece Saga –stanno sanguinando.-

Mi osservai i palmi. Era vero.

Mentre la Dea “testava la mia pericolosità”, mi ero piantata le unghie nelle mani con tanta forza da penetrare nel vivo. E adesso, quattro piccole mezzelune per mano mi sorridevano, macabre, con la loro bocca insanguinata. Sospirai.

-Tanto non m’importa. Non m’importa quasi più di nulla. Non sono nemmeno più capace di piangere.- alle mie parole, Saga aprì un po’ di più gli occhi.

-Parli così- mi disse – solo perché hai subito un’ingiustizia? Dici di non avere più interesse per nulla solo perché ti senti sola? E non hai nemmeno lottato. Dai, lo sappiamo tutti e due che le tue spalle possono reggere pesi più grossi di questo.

Magari non saprai più piangere, ma frignare ti riesce ancora benissimo. Scusami tanto, ma sei tu che fai schifo a me.-

Prima che potessi rendermene conto, il mio pugno chiuso scattò verso il suo volto, nonostante il tavolo fra noi due fosse un impedimento non da poco. Nel momento dell’impatto ci fu un rumore sordo, e una fitta lancinante partì dalle mie dita e arrivò fino al gomito. Mi ritrassi, mugolando e con gli occhi in fiamme.

-Dovevo avvisarti del rischio che avresti corso picchiandomi. Ti sei rotta tre dita, scusami.-

“Ti sei rotta tre dita, scusami.”? Ma che razza di frase era? E di che cosa era fatta la sua faccia, di cemento? Oh, in questo posto era tutto così crudelmente assurdo…

Mi raggomitolai sul divano in posizione fetale, come facevo tutte le volte che avevo paura, e comincia a singhiozzare.

Quando Saga si sedette vicino a me, le lacrime iniziarono a scendere. Piansi tantissimo quella volta, rovesciando nelle lacrime tutta la mia tensione.

Piansi al tramonto, piansi quando arrivò la luna, piansi quando vidi le stelle e quando Saga provò a farmi una carezza timidissima sul braccio.

Cielo, stavo male, male davvero.

Cullata dal silenzio del ragazzo che mi stava accanto e dal dolce frinire delle cicale che entrava dalla finestra, piansi.

Sì, quella notte piansi, piansi, piansi.

 

 

………………………………………………………………………………………….

 

 

 

Aprii gli occhi disturbata da un raggio di sole, e mi scoprii in un letto con delle lenzuola blu notte. Stupita, mi drizzai a sedere e trovai Saga che mi sorrideva con fare fraterno, seduto sul bordo.

-Sei stata bravissima- mi disse, e sembrava sincero.

Solo, non capivo a cosa si riferisse.

-Alle lacrime. E al fatto che alla fine sei riuscita a lasciarti andare. Ah, già…le cose che ho detto…beh, erano solo una provocazione. Non le penso davvero.-

Oh. Ecco cosa intendeva.

-Grazie Saga. Però, per piacere, smettila di leggermi nel pensiero. Non ti terrei mai nascosto nulla,ma chiedimele le cose, invece di scoprirle da te.- mi ero totalmente calmata, e il tono della mia voce era tornato pacato.

-D’accordo, scusami. Comunque, ci tenevo a dirti che se la Dea  si è comportata in quel modo, deve aver avuto le sue buone ragioni. Non so quali siano, non ci siamo ancora consultati in merito. Tu, però, potevi evitare di offendere Saori: non è stata lei a metterti alla prova, ma Athena.-

-A parte il fatto che questo non è un discorso da fare a una persona che si è appena svegliata,- sbadigliai io- secondo me anche Saori è un po’ responsabile: in fondo il corpo è il suo, no?-

-Non è così semplice: lei mette a disposizione il proprio corpo, ma quando Athena decide di prenderne completamente possesso non può opporsi in alcuna maniera.-

Saga sembrava un professore, perso com’era nella sua logica spiegazione di un fenomeno che di logico non aveva proprio nulla. Il mio cervello, però, era ancora troppo assonnato per seguire i suoi ragionamenti.

Così, quando sentii pronunciare le parole “appendice spirituale” e “confinamento dell’inconscio”, decisi che era arrivato il momento di uno dei miei tanti viaggetti mentali, e mi immaginai Saga vestito da medium che ripeteva le medesime cose di quel momento a degli increduli e ammirati clienti.

Davvero, avrebbe fatto una fortuna con un turbante in testa, i tarocchi e tutte quelle parolone specifiche sullo spirito umano.

Risi, fu inevitabile.

-Hey, ma mi stai ascoltando?- mi chiese Saga seccato, fecendomi tornare coi piedi per terra.

-Non mi sono persa una parola- mentii, sperando che non mi leggesse nel pensiero.

-È inutile. Non faccio apposta, sul serio, ma i tuoi pensieri sono così forti che è quasi impossibile evitarli. Non sono io a entrare nella tua mente: è il tuo cervello che mi vomita addosso tutto quello che elabora.-

Arrossii. Va bene, non avevo un gran cervello, ma nessuno l’aveva mai sfottuto così. Antipatico…

-Comunque- tentai, cercando di sviare la sua attenzione dalle mie scarse doti intellettuali – prima di perdermi, mi è sembrato di capire che Saori è una sorta di contenitore dello spirito di Athena, una scatola, no?-

-Mettila come vuoi. Milady, comunque, è ancora scossa per l’accaduto. Faresti bene a scusarti.- storsi il naso alla proposta di Saga, ma lo lasciai continuare:

-E poi, stamattina, mentre dormivi, ho dovuto più volte respingere gli assalti di Milo. È davvero mortificato e non vede l’ora di vederti. Anche Aphrodite ha detto di volersi scusare. In modo più discreto di Milo, certo. Dovrai chiarire anche con loro, Lily.-

Sorrisi leggermente pensando a quei due, poi domandai:

-Posso lasciare il Grande Tempio?-

Ero speranzosa, ma fui smontata dalla risposta del Cavaliere dei Gemelli:

-No. La Dea  è stata categorica. Mi dispiace, ma ti vuole ancora qui.-

Sospirai. Non c’era una cosa che andasse per il verso, e c’era sempre di mezzo “la Dea” , in qualche modo.

-Almeno mi porti la colazione a letto?- miagolai, con un tono di voce a metà tra il piagnucoloso e il persuasivo.

Saga sorrise.

-È quasi mezzogiorno, mia cara. Siamo invitati a pranzo da Aldebaran. Ci saranno tutti i Cavalieri. A proposito, Milo ti ha comprato un vestito per l’occasione. Mi raccomando, non perdere troppo tempo a cambiarti.- a fine discorso, era già praticamente uscito, chiudendo la porta.

Sospirai di nuovo e presi la borsa. C’era un bigliettino attaccato che diceva:

“Alla mia piccolina. Spero che ti piacciano i colori forti =) bacio, Milo.”

Scagliai lontano il biglietto con un grugnito e aprii la borsa. Nel farlo, le dita cominciarono a farmi malissimo.

Accidenti, mi ero scordata di essermene rotta tre!

Con la mano sinistra, rovesciai sul letto il contenuto della sporta.

Oddio. Che schifo.

Avevo tra le mani un abitino lungo appena sopra le ginocchia, di un sobrissimo rosa fluo con dei fiori bianchi stilizzati sparsi qua e là.

 Non solo: ancora una volta, Milo aveva pensato bene di prendermi dei tacchi, questa volta tacco 11, dello stesso, delicatissimo colore del vestito, come se non avessi una gamba quasi rotta.

Decisi che i tacchi li avrei usati per timbrargli la fronte, e continuai a frugare.

Quel deviato mentale mi aveva comprato anche la biancheria!

Mi ritrovai a reggere un tanga nero, con Hello Kitty che faceva il medio stampato sia sul davanti che sul retro. Il reggiseno, con la stessa, stupidissima stampa, era imbottito.

Ero orgogliosissima della mia terza, e non avevo certo bisogno di un’imbottitura di rinforzo.

Certo che non mi sarebbe dispiaciuto avere il seno un tantino più grosso…

Vabbè, per stavolta l’avrei indossato, ma solo per gentilezza nei confronti di Milo, sia chiaro!

Misi quel reggiseno reprimendo il naturale ribrezzo che avevo sempre avuto nei confronti di Hello Kitty, Winnie The Pooh e affini e indossai con calma quel vestito dal colore così forte che quasi cavava gli occhi.

Uscii dalla stanza e cercai Saga, camminando in doloroso equilibrio su quelle trappole mortali. Tanto, ormai, il mio tendine era andato.

-Stai davvero benissimo, Milo aveva ragione- la cortesia di circostanza di Saga non mi sfiorò neppure, ma mi colpì la strana smorfia che aveva dipinta in volto, a metà tra il divertimento e la colpevolezza.

Scrollai le spalle e uscii dalla Terza Casa con l’andatura claudicante che oramai mi caratterizzava.

-Milo sarà felice di sapere che sei stata così gentile nei suoi confronti!- trillò il Santo di Gemini.

Istintivamente, mi portai una mano al seno e arrossii, guardando Saga con odio crescente:

-T-tu…-

-Sì, sì, scusami, non ti leggerò più la mente. Adesso non farti venire l’asma, però! Su, andiamo.-

Mi prese in braccio e io non replicai, perché quella era la prima volta che lo vedevo ridere, e la cosa mi aveva totalmente affascinata.

Vedere Saga ridere di gusto era una cosa che faceva piacere, scaldava il cuore.

-Aspetta, Saga. Prima di andare, c’è una cosa che ti dovrei chiedere.-

-Dimmi pure.-

-Vedi, quando chiudo gli occhi riesco a vedere, al posto delle persone, delle sagome colorate. E se stringo gli occhi fortissimo, riesco anche a captare le sensazioni legate a quel colore. Sono malata?-

Saga sorrise leggermente, ci pensò su qualche secondo e infine rispose:

-No, credo sia il tuo modo di sentire il Cosmo. Da quanto tempo riesci a farlo?-

Mi strinsi nelle spalle.

-Non lo so. Non ci avevo mai fatto caso più di tanto, ma adesso mi è tornato in mente.-

-Tu noti le cose più banali, mentre quelle più importanti ti sfuggono. Sei una frana, Lily.-

-Ecco, per esempio, io vedo la mia sagoma arancione, quasi color rame. Quella di Milo invece è azzurra come i suoi occhi. La sagoma  di Aphrodite è rosa intenso, mentre quella di Kanon è grigio fango. E poi…No, scusa, stavi dicendo? Mi ero persa…-

-Sei…Sei una…bah, lasciamo stare! Tanto non mi ascolteresti! Per curiosità, il mio Cosmo di che colore lo vedi?-

Chiusi gli occhi e li strizzai, massaggiandomi le tempie ed emettendo suoni gutturali. Non era per niente necessaria una scenata del genere, ma volevo colpire Saga con le mie capacità.

Invece fu lui a colpire me.

In testa.

 Con un coppino.

M’indignai, anche se in realtà non mi fece troppo male.

-Colpirmi? Solo perché sei in grado di percepire il Cosmo? Ragazza mia, tu sei troppo imbranata per essere vera!-

Mi aveva di nuovo letto nel pensiero! Oh, che antipatico, antipatico davvero.

-E io che pensavo che tra te e Kanon fossi tu il simpatico! Adesso il colore non te lo dico!-

-Davvero? Sai, credo proprio che mi chiuderò in uno sgabuzzino a frignare…-

-Ah, ecco dov’eri il giorno in cui ho conosciuto gli altri Cavalieri! Mi chiedevo perché tu non ci fossi!-

-Andiamo o ne hai ancora per molto?-

Stava sbuffando e voleva troncare la discussione.

Evvai. Avevo vinto io.

-No, aspetta! Non possiamo ancora andare alla festa! Sento un Cosmo violetto provenire da lassù;- e indicai la cima della collina – appartiene a qualcuno che si sente solo. Devo andare da lui!-

Saga mi squadrò a fondo, come se fossi un’aliena, e parve voler aspettare a lungo prima di parlare.

Io, però, avevo fretta: quel Cosmo era davvero difficile da sostenere senza intristirsi, denso e disordinato com’era…

Incitai nuovamente Saga e lui annuì.

Mi ritrovai, l’istante dopo, davanti ad una porta di mogano.

-Dove siamo?- chiesi ingenuamente.

-Dove hai detto tu. Il Cosmo di cui parli proviene da qui. Ti spetto fuori da questa porta. Non metterci troppo, mi raccomando!-

Annuii, ma in realtà ero ancora confusa, spaesata dal repentino cambiamento dovuto al’alta velocità a cui, ormai ne ero certa, non mi sarei mai abituata.

Mi accinsi ad entrare, ma Saga mi bloccò per un polso.

Quando le sue iridi color ciclamino si specchiarono nelle mie, persi completamente attenzione per ogni altra cosa, e solo pochi secondi dopo che mi ebbe lasciato il polso, realizzai che mi aveva parlato.

-Coraggio, bambina- aveva detto – sii forte, mi raccomando. Mi fido di te.-

Allora, in quel momento, capii chi avrei trovato dietro quella porta; quando entrai sospirando, Saori Kido sussultò.

Sembrava sorpresa quanto me di vedermi lì, e mi accorsi subito che i suoi occhi, come i miei, erano pieni di ombre.

Eravamo entrambe turbate, turbate davvero.

 

 

 

 

 

Il mio corner…

Cap finito con tanto sudore. Vediamo, che dire? Sono in ritardo? Spero di no, anche se di solito lo sono sempre…

Allora, riguardo ciò che ho appena scritto, ci tenevo a precisare una cosa: non sono contro Saori Kido, è un personaggio che mi affascina, semplicemente, senza piacermi né dispiacermi. Dunque, quello che fa nei confronti di Lily non è un gesto di pura e gratuita cattiveria.

Semplicemente, quando le viene fatto un torto la nostra protagonista non è sempre obiettiva, e fa passare tutto come degli enormi crimini fatti ingiustamente contro di lei T.T

 Il perché di tale prova,comunque, verrà chiarito nel prossimo capitolo.

Oddio, sto imbiancando casa! La mia camera l’ho fatta verde ed ora è…piccolissima! Sì, si è proprio ristretta! Che figata! *_*

Vabbè, passiamo ai ringraziamenti:

ti con zero: concetto chiarissimo! Scusa tanto, ma a volte anche il mio cervello va un po’ a rilento! *corre ad oliare gli ingranaggi gnick gnick*. Sì, concordo, il personaggio di Milo è davvero uno dei più affascinanti *_*. Ti ringrazio per aver recensito e per i chiarimenti sulle MarySue, ho scoperto cose…illuminanti! Spero che la mia storia ti piaccia ancora! *1bacio*

roxrox: ciao Roxy! *_* mi fa piacere, allora, di non aver fatto una cavolata pazzesca col mio cap di transizione! Sono felice di averti fatta ridere, e poi sì, alcune gag  sono carine ^_^ . grazie per la recensione, i tuoi complimenti mi fanno sempre piacere! A presto! *1bacio*

ribrib20:  0///////0 tu esageri… mi fai troppo arrossire! Hai ragione quando dici che devo lasciare qualche segreto per tenere alta la curiosità, ma…è più forte di me! Quando c’è da dire qualcosa di misterioso, la mia boccaccia vuole sempre parlare! Non ditemi mai dei segreti, potrebbero sfuggirmi!

Comunque, riguardo alle MarySue, ora so cosa sono! *esulta di gioia iniziando il balletto della felicità* si tratta di personaggi femminili troppo perfetti per essere veri: ragazze bellissime, fortissime e buonissime che fanno sempre innamorare l’eroe di turno e che fanno trionfare le forze del bene grazie al loro indispensabile contributo. Atrocemente antipatiche. Davvero disegni Milo? Ti andrebbe di farmi vedere una tua creazione? (sempre se vuoi, s’intende!). sappi che il tuo entusiasmo mi fa sempre piacere( nota quanto ho scritto!xd!) e, mi raccomando, se vedi che sbaglio, che la storia si fa noiosa, la scrittura diventa lenta oppure noti qualsiasi altro difetto o imperfezione, NON ESSERE INDULGENTE. Devo sapere se e quando sbaglio, quindi non avere pietà. Intanto ti ringrazio, sei gentilissima, continua così! *1bacio*

Volevo ringraziare anche HOPE87 per aver aggiunto “beautiful novel” tra le fic seguite. Evvai, ma allora tu leggi quello che scrivo!! Mi fai strafelice! *_* Che carica, grazie!

Grazie anche a RedStar12 per aver inserito la mia fic tra le sue preferite! Che bello, ci sei anche tu! Evvai!

Infine, un abbraccio grande come il cielo a tutti quelli che leggono senza commentare. Almeno leggete, mica è poco!

Danke!

 

 

 

 

*1bacio*

stantuffo

 

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Capitolo 5
*** stupida, stupida Lily! ***


‡ Beautiful novel ‡

 

 

 

Eravamo in silenzio da almeno cinque minuti buoni, e nessuna delle due sembrava volersi decidere a parlare.

Io ero seduta per terra con le gambe incrociate e non toglievo gli occhi di dosso a Saori,  che se ne stava su un divanetto, con lo sguardo basso e le mani incrociate sul grembo.

-Io…- balbettò dopo un po’, continuando a tenere lo sguardo basso.

-Lascia stare.- la interruppi – scuse accettate.-

-Perché sei qui, allora?- domandò lei, e il suo tono di voce era talmente flebile ed insicuro che mi venne quasi voglia di abbracciarla.

-Ero davvero arrabbiata con te. – risposi –Mi hai fatto male, male davvero, sai? Ero furibonda. Poi, però, ho sentito il colore del tuo Cosmo. Non sei triste, e nemmeno dispiaciuta. Sei…confusa, direi, e anche un po’ amareggiata. Spiegami.-

Ero stata eccessivamente dura, e il timbro della mia voce era risultato più severo di quello che avrei voluto, ma pazienza. Non volevo sembrare troppo tenera, l’avrebbe scambiata per insicurezza.

-Io…io non intendevo farti del male. Sono obbligata ad agire in questo modo per il bene del mondo. È da quando sono nata che Athena è in me, che Athena è me, e lotto, lotto continuamente per la salvezza di voi uomini. Pensavo che questo concetto fosse chiaro anche a te, sebbene tu sia completamente profana in materia divina. Però quelle parole, così cariche di disprezzo…tu pensi che io sia malvagia, vero?-

-Sì-

La vidi abbassare gli occhi con uno scatto iracondo. Pochi secondi dopo, la sua voce era quasi un ruggito:

 -Insolente! Non so perché mi ostini ad ospitarti qui al Santuario!-

-È la stessa cosa che mi chiedo anch’io. Avevo una vita prima di tutto questo, sai? E poi, tu mi hai fatto una domanda e io ho risposto con sincerità, tutto qui!- risposi io, velenosa.

Colpita e affondata.

Saori abbassò lo sguardo ancora una volta, e restò immobile. Solo il suo Cosmo tradiva una grande tristezza, altrimenti celata dalla maschera d’impassibilità che quella ragazzina si era creata nei suoi pochi anni di vita.

-Io non ti ho strappata via dal tuo mondo. Sei tu che sei entrata di prepotenza nel mio.- la ragazzina in questione cercava di mantenere una voce forzatamente altezzosa, perché io non ne notassi le incrinature; il risultato, però, era solo un tono teso e spezzato. Lo sapevo, perché era la stessa maniera in cui mi comportavo anch’io quando volevo sembrare forte e non lo ero per niente.

-Però mi trattieni qui. Tu mi imprigioni, Saori.-

-Ma non posso farne a meno! Tu non capisci, non capisci niente! Sei come tutti i grandi, non sei diversa neanche un po’!- urlò Saori, e oramai la sua voce era stridula, era una crepa nella sua maschera, e le lacrime lavavano via il trucco di scena: ormai non aveva più parti da recitare.

Quanto a me, beh, ero morta.

Morta, risorta e poi morta un’altra volta.

Le sue parole mi avevano fatta a pezzi, perché erano le stesse che mi urlava contro mia sorella Andrea alla fine di ogni litigio.

Quella ragazzina non aveva ancora quattordici anni, mentre io ne avevo quasi venti: era più che normale che mi vedesse come una “grande”.

In più, circondata com’era da uomini e donne più grandi di lei, che le dimostravano rispetto ma non affetto, doveva sicuramente sentirsi sola. Magari, sentiva il bisogno di una madre.

Una merda, sì, in quel momento mi sentii una merda grossa e puzzolente.

“Andiamo, Lily, ti comporti come se non avessi mai avuto a che fare con un’adolescente! Un po’ di controllo, su!”

-E sai qual è la cosa peggiore?- continuò Saori tra le lacrime, distogliendomi dai miei pensieri – è che tutti i Cavalieri mi avevano parlato bene di te! Avevano detto che eri piacevole, ma assolutamente imperfetta, e a me stavi simpatica! Poi, quando ti ho convocata al synagein, sorridevi ed eri gentile! Mi piacevi, Lily! E sono perfino arrivata a pensare che forse, forse potevamo diventare amiche! Sono una stolta…- singhiozzò rumorosamente, ignorando quanto avesse girato il coltello nella piaga.

-Tu…tu volevi un’amica?- chiesi con il tono più gentile che avevo.

E daje con ‘sta storia degli amici…questo posto è davvero una valle di solitudine…” pensai, mentre aspettavo che Saori rispondesse.

-Dimentica quello che ho detto. Sono la Dea Athena, e sono sola. Non ho bisogno di nessuno.-

Pazzesco. Tale e quale a mia sorella quando si impuntava su qualcosa!

-Non è vero. Nessuno è solo finchè è al mondo.-

Mi alzai e mi sedetti di fianco a lei, sorridendo.

-Sai? Ho una sorella della tua stessa età. Si chiama Andrea, e quando è triste dice più o meno le stesse stronzate che dici tu.-

-Rispetto, mortale, io sono Athena!-

-Sì, certo, certo. Comunque, cosa ti fa pensare che non potremo essere amiche? Certo, non è una cosa che si può decidere così, a tavolino, ma possiamo provare ad andare d’accordo. Tu che dici?-

-Quello che mi chiedi è impossibile.-

-Alt!- alzai un braccio, interrompendola con il mio grido.

-“Spesso tutti sono convinti che una cosa sia impossibile, finchè non arriva uno sprovveduto che non lo sa e la realizza.” Queste sono le parole di un uomo che ci sa fare, e non di una “profana” come me. Impossibile. Tsk. Se ti sento ancora pronunciare quella parola, giuro che vengo lì  e ti sciacquo la bocca personalmente.-

Saori mi guardò, e nei suoi occhi azzurri vidi passare la tempesta. Potevo sentire il Cielo agitarsi e sconvolgersi dentro di lei.

Poi, come dopo ogni tempesta che si rispetti, la quiete.

Abbassò il capo e mormorò leggerissime parole di scusa. Mi intenerii quando mi accorsi che piangeva, e le chiesi, con tono dolce, come mai, durante quello che lei aveva chiamato synagein, mi avesse riservato un simile trattamento.

-In realtà, non ho fatto nulla. Il tuo Cosmo è piccolo, ma molto, molto intenso. Io non ho fatto altro che toccarlo, e il dolore che hai sentito è stata semplicemente una tua reazione al mio contatto.-

-Vuoi..vuoi dire che..?- balbettai, confusa.

-Sì, non ti ho attaccato. Ho solo cercato di avere un contatto con te. Il tuo Cosmo è particolare, dev’essere di natura maligna per reagire in modo così esagerato all’aura della Giustizia. Ed è probabilmente un potere di natura divina.-

-No, aspetta, fammi capire: il mio Cosmo è malvagio, e il tuo è buono. Fin qui ci sono. Quando tu hai cercato di toccarmi, il mio Cosmo maligno si è rifiutato, e ha scatenato quella dolorosissima reazione, giusto? Quindi non sei stata tu a farmi del male! Tu ti sei solo ostinata a…”toccarmi” a lungo, non è così?-

Lei annuì, docile.

-Se è così, scusami se te lo dico, ma potevi lasciarmi stare un po’ prima. Non è stato piacevole, sai?-

Non era un vero rimprovero, e il tono della mia voce era scherzoso, infatti riuscii a strapparle un mezzo sorriso.

-Ma scusa un attimo: la malignità del mio Cosmo non ti preoccupa nemmeno un po’?-

Ero basita. Poco fa, Saori aveva ammesso, con il tono più tranquillo del mondo, che io ero un nemico. Un nemico malvagio, per di più.

Quando si era trattato di chiedere scusa,  mi era sembrata molto più a disagio.

-Se il male che è in te avesse voluto uccidermi, l’avrebbe già fatto. E poi tu sei buona, Lily. Ci sono come due anime incompatibili dentro di te, e la tua, quella che davvero ti appartiene, ha sempre avuto la meglio.-

-Mi stai dicendo che dentro di me c’è un Mister Hyde pronto ad uscire?-

-è ancora presto per dirlo, le mie sono solo ipotesi.-

-è per questa ragione che non vuoi che me ne vada dal Grande Tempio, vero?-

-Sì. Oh, e preferirei che i Cavalieri non venissero a conoscenza di tutto ciò. Li informerò io quando tutto sarà più chiaro, anche se dubito che elementi come Shaka o Doko tarderanno molto ad accorgersene.-

Io non risposi. La notizia stava avendo impatto su di me solo in quel momento.

Ero il contenitore di un’entità immortale, presumibilmente malvagia, che si spacciava per divinità.

Questo almeno era quello che avevo capito.

Cominciai a girare nervosamente per la stanza massaggiandomi le tempie e brontolando qua e là qualche frase sconnessa, cercando di tranquillizzarmi: se continuavo così, all’isterismo si sarebbe presto aggiunto un altro attacco d’asma, e proprio non ne avevo voglia.

Cominciai a scuotere la testa mentre camminavo, e mi accorsi di avere dentro al petto un ringhio sordo, come una belva che voleva balzare fuori.

E io la feci uscire: gridai, con tutte le mie forze, un grido senza senso, orfano, che aveva il solo scopo di allentare la tensione in tutto il mio corpo.

Non avrei mai accettato una cosa simile: non ero di nessuno e non lo sarei mai stata.

Cielo, non avrei mai tollerato che qualcuno commettesse empietà con le mie mani, mentre la mia parte buona, il mio Dottor Jekyll, se ne stava lì, inerme e impotente.

No, non l’avrei mai permesso. Piuttosto, sarei anche arrivata ad uccidermi…

Oddio, ma cosa stavo pensando? Jekyll, Hyde, erano solo supposizioni che facevo da sola: Saori non aveva confermato nulla, e la mia mente stava solo facendo dei gran viaggi mentali. In realtà, non sapevo né se questa cosiddetta parte maligna esisteva davvero e né se, in fondo, aveva davvero qualche peso.

Voglio dire, la mia vita finora era andata come doveva andare, senza l’influenza di una seconda anima dentro di me.

Troppi viaggi mentali per niente.

Oddio, tutte queste elucubrazioni mi stavano vaporizzando il cervello, e…

-Su, non preoccuparti. Dimentica quello che ho detto: sono solo una ragazzina, e potrei aver interpretato male quello che ho percepito. Sicuramente mi sbaglio. Sii serena, Lily. -

Annuii, e cercai comunque di credere a quelle parole che suonavano maledettamente come una bugia.

-Mi ha fatto piacere parlare con te, comunque.-

Accompagnai le mie parole con un sorriso un po’ forzato: non vedevo l’ora di andarmene di lì e di svagarmi un po’, senza troppi pensieri per la testa.

-Ora, però, sono in ritardo: Saga mi ucciderà, l’ho fatto aspettare quasi due ore. A proposito, vieni anche tu alla festa di Al?-

Saori scosse impercettibilmente il capo.

-No, mi sento a pezzi. Ti ringrazio, comunque. Vieni, ti accompagno alla porta, così Saga non ti sgriderà.-

L’idea mi parve buona, anzi, provvidenziale. Così, accettai ed uscimmo insieme dalla stanza.

Quando mi vide uscire, Saga imprecò contro la mia lentezza; poi, però, quando si accorse della presenza di Saori, si inchinò toccando quasi terrà, snocciolando un’infinità di “perdonatemi Milady” e “ non pensavo ci foste anche voi…”

-Che bravo zerbino, reciti anche il rosario!- lo canzonai io, ma lui non reagì. Anzi, quando Saori tornò nella sua stanza augurandomi una buona serata, si rialzò e mi squadrò da capo a piedi, stupefatto.

-Come hai fatto?-

-A farmela amica, dici? Oh, beh, amiche non lo siamo, in realtà, ma con un po’ di buona volontà siamo riuscite ad andare d’accordo per dieci minuti buoni. Non pensavo di avere un autocontrollo così ferreo. Comunque, alla fine non è poi così male.-

-Beh, contente voi…Ma adesso muoviamoci, siamo in ritardo di due ore e rischiamo lo scotennamento da parte di Al!-

-Va bene!- esclamai, ritrovando la mia energia, e gli saltai in braccio.

-Non dirmi che devo portarti di nuovo io!-

-Guarda che in due ore il danno al tendine mica passa!-

-Sarà, ma tu te ne approfitti.-

-Non lo farei mai-

Invece era proprio così: non solo mi stavo impigrendo, ma cominciavo anche a trovare un gusto infantile nel farmi portare qua e là in braccio, proprio come una principessa.

-Non sei brava a dire le bugie- scherzò Saga.

-Smettila di leggermi nel pensiero!-sbottai io, indignata.

-Ah ah! Non l’ho fatto, questa volta. Ho letto la tua faccia, e ci ho azzeccato lo stesso! Sei una frana, bambina!-

-Saga, la festa!- gli ricordai, mentre lui continuava a ghignare.

-Sì, scusa…pronta?-

-Via!- urlai, mentre, sorridendo, chiudevo gli occhi e la bocca per non farmi venire il singhiozzo.

Quando li riaprii, la Casa del Toro era davanti a me.

 

 

 

 

………………………………………………………………………………………....

 

 

 

 

-Saga, accidenti a te, sono quasi le due! Si può sapere dove vi eravate cacciati?-

Fu la voce di Aldebaran ad accoglierci, impetuosa e leggermente divertita nonostante il rimprovero.

-Scusaci, Al, ma la signorina qui presente è stata in colloquio con la Kido. -

-Ma dai? Un colloquio non ufficiale? E non siete venute alle mani?- mi chiese il Cavaliere del Toro mentre, sorridente, portava un vassoio carico di tramezzini.

-C’è mancato poco, in realtà. Ma lasciamo stare – scossi la mano un po’ scocciata, come a voler allontanare una mosca fastidiosa, poi domandai:

- Piuttosto, ho una fame da lupi! Dov’è il cibo? E dove sono gli altri Cavalieri?-

-Vieni, è tutto di qua in veranda. Anche gli altri sono affamatissimi, sai? Non t’immagini la fatica che ho fatto per impedire a DeathMask di cominciare senza di voi!-

Risi forte all’idea di quel pazzoide del Cavaliere del Cancro che si avventava famelico sul cibo, bestemmiando con tanto di bava alla bocca, occhi fuori dalle orbite e tutto quanto.

Poi, un pensiero sciocco, che in quel momento, però, mi parve intelligente quanto reale, mi fece bloccare.

-Oddio… abbiamo fatto tardi per colpa mia…Quindi, quello lì mi odia!- rabbrividii e sgranai gli occhi, cercando di immaginarmi quel che avrebbe potuto farmi un DeathMask incazzato e a digiuno.

Saga e Aldebaran non risposero, il primo intento a scuotere la testa borbottando, il secondo troppo occupato a non soffocare dal ridere per poter dire qualcosa.

Che bel senso dell’umorismo!

Io rischiavo il linciaggio da parte di un Cavaliere psicopatico (perché era uno psicopatico, oh, sì, lo si capiva anche solo dagli occhi!) e loro se la ridevano di gusto!

-Hey, Al, hai bisogno o …?- due occhi azzurri fecero capolino da dietro lo stipite della porta.

-Lily! Saga! Siete arrivati, finalmente!- salutò Milo, entusiasta come sempre.

-Lascia perdere, Milo, è persa in un altro dei suoi viaggi mentali.-

Con quest’ultimo, acido commento, Saga lasciò la stanza.

-Scusate, ma Saga è sempre così dolce e simpatico?- chiesi, tra l’infastidito e il sorpreso.

E dire che a prima vista il Santo di Gemini mi era sembrato una così buona persona…

-Infatti, di solito è buono come il pane… dev’essere la tua vicinanza che lo irrita, Lily! Adesso tutti a tavola, marsch!-

Quella di Al era chiaramente una battuta, e non aveva nulla di ostile, no davvero, ma a me sembrò dannatamente la verità.

-Ciao, Lily!-

Mi ritrovai all’improvviso tra le braccia di Milo, mentre lui lasciava che mi ubriacassi del suo profumo.

-Ma…ma non ti avevo già salutato?- chiesi, mentre, leggermente a disagio, rispondevo all’abbraccio.

-Sei arrabbiata con me?- domandò Milo, ignorandomi completamente e facendomi rabbrividire al suono della sua voce, così sensuale e vicina.

Arrabbiata? Io? E per cosa?

Ah, già, il “trattamento” di Athena!

Milo non sapeva nulla del chiarimento che c’era stato tra me e la sua Dea, quindi pensava che nutrissi ancora del rancore nei suoi confronti.

Mi venne da ridere: con un po’ d’astuzia, avrei potuto volgere a mio favore tutta la situazione.

Dico avrei potuto, perché poi il profumo di Milo(mare, sole, bouganvilles, come facevo a resistere?) mi fece perdere nuovamente la testa, e il Cavaliere di Scorpio divenne ancora una volta il fulcro dei miei pensieri.

-Arrabbiata? No…-

Avevo un tono di voce talmente infantile e trasognato, che ancora mi chiedo come abbia fatto Milo a non credermi ubriaca.

-Perfetto, allora a tavola!-

Sciolse l’abbraccio e mi afferrò per un polso con la sua solita allegria, ed io realizzai che avrei dovuto sviluppare un’immunità alla sua bellezza, perché ne ero talmente succube che avrei fatto qualsiasi cosa se solo me l’avesse chiesto lui.

E non andava bene, non andava bene davvero!

Stupida, stupida Lily!

Piuttosto, quello scemo di uno Scorpione si era almeno reso conto di aver appena spezzato, senza alcun tatto, uno dei momenti più magici della mia vita?!?

 

 

 

 

 

 

Il mio corner

Autrice in ritardo pazzesco!!!!!!!!!!!! Chiedo venia, questa settimana ho avuto qualche problema di salute, ma per il resto tutto ok!

Allora… what about questo cap?

La citazione che fa Lily con Saori è di Albert Einstein.

Che dire, ancora? Forse a qualcuno la reazione di Lily potrà sembrare troppo tranquilla, ma che ci volete fare, la ragazza è così, un po’ tra le nuvole. Si rende conto di quanto sia grosso un problema solo quando ci sbatte i denti contro.

Vabbè, basta divagare, passiamo ai ringraziamenti!

 

 

 

RedStar12: disturbare?!? Tu?? Tu non disturbi mai! Anzi, sono così felice di sentirti! E che bello sapere che anche tu segui “Beautiful novel”! *me saltella per la stanza lanciando fiori*. Come ho detto, Lily è troppo tranquilla e sulle nuvole per mandare davvero qualcuno a quel paese. Però, credo che andando avanti imparerà a tirare fuori le unghie. Hey, non preoccuparti per i tuoi “sproloqui”, a me fanno ridere! ^_^. Per quanto riguarda “oltre”…beh, sì, la sto un po’ trascurando. Il fatto è che mi sono fatta coinvolgere un po’ troppo da questa fic, a danno dell’altra, e, un po’ per il tempo che manca, un po’ per la mia incapacità di fare bene troppe cose contemporaneamente, “oltre” è solo temporaneamente sospesa. Tempo un mesetto, però, e la riprenderò in mano! Grazie per aver recensito, spero che continuerai a seguirmi! *1bacio*

Gufo_Tave: ci sei anche tu! Anche tu leggi quello che scrivo! *emozione*. Beh, ti confido che, in realtà, la mia intenzione era quella di fare una storia non OOC. Pero, ero sicura che qualche personaggio mi sarebbe sfuggito di mano, per motivi troppo lunghi da spiegare qui. Perciò, ho messo l’avvertimento OOC.

Invece, il tuo chiarimento su Athena mi spiazza completamente. Davvero, finora avevo sempre pensato che la volontà divina si manifestasse solo in determinate occasioni, e che per il resto Saori Kido restasse semplicemente Saori Kido. Tremendo.

Comunque, come puoi vedere, ora ho cambiato gli avvisi. Pensi che sia necessario che modifichi anche la storia o va bene così? Non lasciarmi a brancolare nel buio *_*. Comunque, grazie, mi ha fatto un piacere immenso ricevere una tua recensione! Spero continuerai a seguirmi! *!bacio*

 

Ribrib20: eh eh! Ciao! Pure io ho finito di scrivere questo cap di notte, e se ciò che è venuto fuori ti sembra incoerente è colpa dell’ora troppo tarda u.u dimmi cosa ne pensi!

Wow… non solo disegni Milo, tu sai pure colorarlo! *_* * me ti ammira!* ho provato, una volta, a fare un disegno di Milo, colore compreso…sembrava 1 condor! Sì, sembrava un uccellaccio cattivo! L’ho buttato via perché mi spaventava…*_*

Inutile dire che sono ansiosa di vedere le tue creazioni, faccio il tifo per te, e poi ormai l’idea mi ha troppo caricata! *go, ribrib!* ^_^

Infine, anch’io trovo che Hello Kitty e tutti i suoi compari annessi e connessi siano una cosa…disgustosa. Al di là dei discorsi di  consumismo e globalizzazione ( che,diciamocelo, annoiano!) sono dei pupazzetti semplicemente banali! Mah, lasciami perdere, io e le mie crociate contro Hello Kitty! Grazie mille per aver recensito, spero che questo capitolo ti piaccia! *1bacio*

 

Roxrox: naa, tranquilla, non ti sei persa nulla! ^_^

Cavoli, questo capitolo non fa ridere per niente, ma rimedierò… mi piace troppo l’idea di vederti rotolare dal ridere per la biblioteca di facoltà! Scherzavo! Non farei mai una cosa tanto sadica alla mia Roxy! ^_^ ( e fu menata a sangue dalla precedentemente citata Roxrox per eccesso di stupidate). Scherzi a parte, spero di aver sfamato e stimolato (contemporaneamente) la tua curiosità! Cosa ne pensi di questo capitolo? Grazie davvero per aver recensito! *1bacio*

 

Poi…

Grazie a roxrox e Terry Alchemist 22 per aver inserito questa storia tra le loro preferite! ^_^ e a Ribrib20 e a Bloody_star per aver aggiunto “beautiful novel” alle seguite! Un abbraccio affettuosissimo!

E un bacio, un abbraccio, un tutto quello che c’è a RedStar12 per avermi aggiunto tra gli autori preferiti! Te quiero, cara!

Infine, grazie anche a tutti quelli che leggono in silenzio. ^_^

 

*1bacio*

                                                                                                 stantuffo

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Capitolo 6
*** mi sono persa? ***


‡ Beautiful novel ‡

 

 

 

Il pranzo andò a gonfie vele, fu un vero tripudio di serenità.

Al non scherzava quando diceva di avere la veranda: si trattava di un ampio spazio coperto da una tettoia che dava su un lato della collina, proprio quello da cui passava il sentiero nascosto.

 La vista di cui si godeva , già bella così, piena di verde e natura, era resa più suggestiva dalla presenza del Porto di Atene come sfondo.

Mangiare e chiacchierare in quell’angolo di Paradiso fu una delle cose più rilassanti che feci durante la mia permanenza al Santuario.

Prima di iniziare a mangiare, mi riappacificai anche con Aphrodite: anche lui era convinto che io lo ritenessi responsabile di ciò che era accaduto al synagein. Io,però, fui con lui sincera sin dal primo momento,e bastò un sorriso per fargli capire che in realtà di quell’episodio mi ero quasi scordata. Figurarsi!

Dal canto suo, il Cavaliere dei Pesci si dimostrò ben più leale di Milo nel chiedere scusa, senza ricorrere ad infide trappole di seduzione in cui sarei inevitabilmente caduta.

-Milo, Lily, vi siete messi d’accordo sui vestiti?- trillò Aiolia non appena ci vide entrare.

Effettivamente, il Cavaliere di Scorpio era quasi più ridicolo di me.

Indossava una maglia nera con le cuciture e la stampa fosforescenti ( dico, ma si potrà?), dei jeans a vita bassa strappati in più punti e delle scarpe grandi, anzi, enormi, con le stringhe di due colori diversi. Ovviamente fluo.

Sembrava un ragazzino in piena fase “ribellione”.

Certo, io, con il mio discretissimo vestito rosa shocking potevo solo tacere, ma di sicuro, di noi due, quello ad avere un pessimo gusto era Milo.

Senza dubbio.

Camus, che mi era seduto a fianco, disse di condividere in pieno l’occhiata di sdegno che rifilai al suo amico, ed io approfittai dello spiraglio che si era aperto tra le maglie della sua riservatezza per aprire un dialogo con lui.

In realtà, fui io a parlare per tutto il tempo, mentre lui interveniva solo di tanto in tanto, con brevi frasi e cenni d’assenso quando concordava con ciò che dicevo, o di diniego quando invece esprimevo concetti che non gli andavano a genio.

Così, scoprii che Camus era appassionato d’arte e amava la letteratura.

Non l’avrei detto, perché da fuori il Cavaliere dell’Acquario sembrava la tipica persona interessata alla scienza e ai numeri, insensibile e freddo come mostrava di essere.

Invece, si era rivelato quasi empatico.

Trovavo straordinaria la sua capacità di riuscire ad “assorbire” tutto quello che gli stava intorno, fino all’ultimo particolare, e, contemporaneamente, di non lasciar trapelare nulla di sé stesso agli altri.

Tuttora so poco di Camus.

Conosco solo ciò che l’enigmatico Maestro dei Ghiacci mi ha permesso di sapere, perché dai suoi gesti, dalle sue parole, dai suoi oggetti, della persona che è davvero traspare poco o nulla.

-Bianchina, passami il vino!-

Una voce poco armoniosa mi riportò alla realtà.

-Uh? Dici a me?- chiesi a DeathMask, che mi guardava con un cipiglio annoiato, la mano tesa ad indicare la brocca poco distante da me.

-Sei sorda? L’unica Bianchina qui sei te, direi…-

Mi osservai le braccia, più incuriosita che offesa da quell’insolita critica.

Era vero, ero pallidissima! Se messa a confronto con la pelle abbronzata della maggior parte dei Cavalieri, poi, la mia sembrava quasi trasparente…

Però non c’era bisogno di offendere!

Mi girai verso DeathMask, ripassando mentalmente tutti gli insulti che conoscevo, pronta a lanciarglieli addosso alla prima occasione. Aphrodite, però, mi precedette:

-Sii un po’ più garbato con la nostra Lily, Angelo.-

Il Santo dei Pesci era insolitamente duro quando si rivolgeva a DeathMask, e, nonostante il suo aspetto dolce, era chiaramente una persona che non amava farsi mettere i piedi in testa dal primo prepotente di turno.

-Chiamami un’altra volta con il mio nome di battesimo e ti soffoco con la tua stessa cipria!- fu l’acida risposta del prepotente in questione.

-Hey, non parlare così ad Aphrodite! Ed ecco il tuo vino, maleducato!-

Con fare poco elegante, sollevai la brocca con uno strattone e la sbattei con un tonfo davanti al muso del Cavaliere del Cancro. Parte del nettare cremisi fuoriuscì, creando sulla tavola una piccola macchia che aveva la vaga forma di una rosa. Fortuna che il vetro resistette all’urto, altrimenti avrei sicuramente combinato un bel danno!

Soddisfatta del mio operato, rivolsi un sorriso a trentadue denti a quello che ormai consideravo il mio alleato.

Aphrodite, però, scosse la testa, in un’espressione che esprimeva sia divertimento che disappunto.

-Una signorina per bene non si abbassa mai a gesti del genere, Lily. –

-Ma io…- replicai, delusissima dalla reazione del Santo dei Pesci.

-Ti è andata male, carina! Ah ah! Aphrodite non approva i maleducati!-

Rise sguaiatamente, quel maleducato di DeathMask, fregandosene del mio sguardo d’odio e dell’ “appunto” che Aphrodite mormorò tra i denti.

Mi stava antipatico, antipatico davvero.

Tutto del Cavaliere della Quarta Casa mi dava la sensazione di un qualcosa di disarmonico, cacofonico, spiacevole.

Come se ogni sua singola caratteristica si fosse trovata lì solo per caso, a dare forma a quell’essere spregevole che era.

Mah.

Aphrodite era decisamente meglio, con la sua gentilezza antica e un po’ distaccata.

Alle volte, però, avevo l’impressione che volesse nascondere, con l’illusione della bellezza e dell’armonia, qualcosa di sé che lo spaventava e gli faceva ribrezzo.

Le mie, però, erano semplici considerazioni basate sull’osservazione, e non su dati oggettivi.

Solo del passato di Milo conoscevo i dettagli, perché era stato lui stesso a raccontarmeli. Delle esperienze che avevano segnato la vita degli altri Cavalieri, invece, non sapevo praticamente nulla, se non che le loro strade erano state quasi sicuramente tracciate nel dolore.

Decisi di smetterla di scervellarmi su cose che non mi riguardavano e che non dovevano riguardarmi, e mi concentrai su quel che mi stava accadendo intorno.

Presa com’era a dialogare un po’ con tutti, non mi ero accorta dell’assenza di due Cavalieri. Me ne accorsi soltanto quando cominciai a contare i bicchieri, per distogliere la mia attenzione dalle scempiaggini di DeathMask; erano undici, e non tredici come avrebbero dovuto essere.

          - Camus, manca qualcuno?-

Il mio taciturno interlocutore annuì leggermente, poi , socchiudendo gli occhi, si portò un bicchiere alle labbra. Bevve quel liquidi zuccheroso con estrema lentezza, ed io rimasi estasiata a contemplare un gesto che era speciale solo perché compiuto da lui.

Com’era elegante, anche nel movimento più banale e consueto!

Certo, tutti quei ragazzi trasudavano fierezza e raffinatezza, perfino Milo e DeathMask, che erano rispettivamente il più solare e il più rozzo dei Cavalieri. Però, in quanto a grazia, Camus non era secondo nemmeno ad Aphrodite, che pure aveva, nel modo di fare, un’innata leggiadria.

Non riuscii a reprimere un moto di ammirazione e di invidia.

-Doko si è recato ai Cinque Picchi dal suo allievo. Mur, invece, e nel Jamir, alla ricerca di un’acqua miracolosa.-

Aveva parlato tenendo gli occhi chiusi e il bicchiere accostato alle labbra; dopo qualche secondo di un silenzio che non osai spezzare, posò il calice e puntò le sue iridi ghiacciate nelle mie.

-Per te- disse, con intensa naturalezza.

Arrossii violentemente, ma, prima di voltare il capo per un imbarazzo che, a dire il vero, era del tutto ingiustificato, riuscii a scorgere,negli occhi del Cavaliere dell’Acquario, il guizzo di un sorriso divertito, nonostante il volto immobile.

“In fondo, dev’esserci un po’ di caldo anche in Siberia…”

-M-ma perché avrei bisogno di un’acqua miracolosa? Cos’ho che non va, da aver così bisogno di un miracolo?-

Un secondo.

Questa volta, il guizzo divertito negli occhi di Camus durò solo un secondo.

-La tua gamba. Si ostina a non guarire.-

In effetti, era vero.

Ero al Santuario da ormai tre giorni, ma la mia caviglia continuava ad essere livida e gonfia nonostante la medicassi ogni sera.

Però, non me ne preoccupavo: tra i tacchi e le passeggiate, avevo certamente sforzato il mio tendine oltre i limiti consigliabili. Era ovvio che, poi, la guarigione procedesse a rilento.

Ma in fondo, andava bene anche così.

Se la Dea Athena si era presa la briga di spedire uno dei suoi protettori addirittura in Jamir ( non sapevo dove fosse, ma dal suono era chiaro che si trattava di un posto molto, molto lontano), voleva dire che avevo una certa importanza.

Lady Saori si ostinava a volermi tenere al Santuario, si apriva, si lasciava andare con me e si preoccupava del mio benessere.

Tutto questo, sommato alla conversazione che avevo avuto con lei poco fa, mi mandava in confusione.

Se non altro, la prigione in cui ero rinchiusa era piuttosto amena. Magra consolazione!

Però, la solita domanda mi tormentava con un’urgenza via via crescente:

-Cosa ci faccio qui? Durerà a lungo?-

Camus non mi rispose, impegnato in uno scambio di sguardi con Milo, seduto al suo fianco, che aveva udito anche lui la domanda.

-Toh, è tornato Mur!- esclamò all’improvviso Aiolia.

Mur dell’Ariete doveva essere una persona molto amata: alla notizia del suo ritorno, tutti avevano manifestato, in modo più o meno palese, allegria e sollievo.

Io, dal canto mio, strizzai gli occhi per individuare il colore del Cosmo del Cavaliere della Prima Casa.

Lo trovai dopo pochi secondi: un rassicurante color lavanda, come i suoi capelli.

E, proprio in quel frangente, Mur entrò. Indossava l’armatura d’oro, con le lunghe corna dell’Ariete a cingergli il collo; sotto braccio reggeva l’elmo, e nella mano destra un’ampolla con del liquido trasparente.

Il mantello bianco che ondeggiava dietro di lui contribuiva a rafforzare l’imponente regalità tipica, da quel che avevo visto, di tutti i Santi d’Oro.

Le occhiaie e il sorriso stanco erano l’unica nota stonata in una sinfonia i dettagli e particolari altrimenti perfetta.

Mur salutò cordialmente i suoi compagni, che ricambiarono in modo amichevole; poi il suo sguardo frugò un po’ per la sala, sino a posarsi su di me.

Mi sorrise, ed io cercai di non notare quanto sul suo volto la stanchezza fosse sempre più evidente.

-Tieni, Lily, è per te. Bevila tutta, mi raccomando.- mi disse, porgendomi l’ampolla, una volta che si fu avvicinato.

- Grazie, Mur.-

Nel prendere l’ampolla, gli sfiorai le dita: erano calde.

Forse mi sbagliavo, forse questi ragazzi erano più umani di quel che pensavo; forse non era vero che avrei dovuto condividere me stessa con qualcuno di malvagio, e forse il Santuario non era davvero una prigione.

Forse, forse…

Le certezze erano diventate un lusso raro, ormai.

Però, quel giorno c’era un gran sole, ed io riuscii a convincermi che un futuro c’era, ed era roseo. Con quell’idea in testa, mandai giù tutto il liquido insapore dell’ampolla.

La felicità?

Ci credevo, ci credevo davvero.

 

 

 

…………………………………………………………………………………………………………

 

 

 

Frugai nell’armadio di Saga alla ricerca di qualcosa di più comodo di quel dannato vestito.

Trovai solo una maglia bianca e sformata e dei vecchi boxer. Indossai ogni cosa in fretta e furia e mi legai i capelli con uno degli elastici che portavo sempre al polso.

Sbuffai.

Non appena avevo bevuto quella strana pozione magica, la mia gamba aveva cominciato a guarire:  il colore della pelle, bluastro a causa dell’ematoma, era tornato, a poco a poco, della tonalità della mia carnagione, mentre il gonfiore era completamente scomparso.

Nel giro di pochi minuti, la mia gamba era tornata come nuova.

I ragazzi avevano assistito allo spettacolo con sorrisi ed entusiaste parole d’incoraggiamento. Io avevo balbettato un timido “grazie” nei confronti di Mur ed ero scappata via, dicendo che dovevo andare in bagno.

Invece, ero uscita di corsa dalla Seconda Casa ed ero arrivata alla Terza.

Ero atterrita.

Non volevo vedere nessuno di loro.

Fino a quel momento si era parlato di Santi, di Cosmo e Divinità, è vero; mi era stato presentato un mondo fuori da ogni razionalizzazione, sì, ed io vi avevo creduto senza batter ciglio e senza pormi troppe domande.

Ma adesso, oh, adesso era diverso.

Quella loro cosa magica era entrata in contatto con me, aveva forzato le leggi della natura,  mi aveva dato la prova pratica di una realtà che avevo accettato di riconoscere solo in teoria.

E fa paura la realtà, fa paura davvero.

Quando mi ero resa conto che, per quei ragazzi, una cosa così comune era la normalità, mi ero sentita…sbagliata.

Io non c’entravo nulla col loro mondo, nulla davvero, e non avrei mai potuto farne parte.

Non avrei mai voluto.

Il Fato, però, doveva pensarla diversamente. Fino a quel momento, la mia vita non era stata altro che il passaggio da una prigione all’altra. Non mi ero nemmeno mai concessa il lusso di sognare la libertà.

Mai, però, la mia prigionia era stata così rassicurante e angosciante al tempo stesso come lo era al Santuario.

Arrivata nella Terza Casa, mi ero diretta verso le stanze di Saga: c’ero già stata e sapevo dove si trovavano.

Avevo raccattato da un cassettone quei vecchi indumenti, e li avevo indossati buttando per terra il vestito fluo, in un gesto che aveva dell’isterico.

Avevo bisogno di sentirmi.

Volevo essere me stessa, Lily, senza tacchi, trucchi, comportamenti da “signorina per bene” e finzioni varie.

In quel momento non volevo compiacere nessuno: cercavo solo di trovare una traccia di me in un mondo che mi era completamente estraneo.

“Ti sei persa, Lily.”

Cominciai a piangere come una bambina quando la verità mi piombò addosso, e a piedi nudi uscii dalla Casa di Gemini.

Cosa volevo fare? Percorrere la gradinata?

No, avrebbe solo aumentato il mio senso di smarrimento. Girai lentamente su me stessa, descrivendo un giro completo, mentre con la mente indagavo le risorse di cui disponevo.

Riuscii ad articolare un solo pensiero: mi trovavo su una collina.

Incapace di smettere di piangere, scavalcai la bassa balaustra della gradinata, e mi ritrovai con i piedi a diretto contatto con l’erba secca.

Mugolai, un po’ perché il terreno scottava e un po’ perché la vegetazione secca e bassa mi provocava dolore a ogni passo. Mi inginocchiai, allora, e raggiunsi carponi quel lato di collina spoglio di templi ma ricco di arbusti e sterpaglie:  prima di schiantarmi addosso a Milo, il giorno del nostro primo incontro, venivo proprio da lì.

Scrollai le spalle e iniziai a salire, diretta alla vetta, dove speravo ci fosse la libertà ad attendermi.

Non volevo scappare, oh, no.

Ero controllata da dodici ragazzi con una forza e un potere sovrumani, capaci di chissà quali trucchetti…Darsi alla fuga, per una come me, sarebbe stata pura follia.

Nessuno mi aveva seguita, però.

Magari avevano intuito il mio stato d’animo, o, più probabilmente, mi avevano letto nel pensiero e avevano capito che non avevo la minima intenzione di fuggire. Non lo sapevo.

La sola cosa certa era che, comunque, mi avevano lasciata stare; il resto non importava.

Giunta a metà scalata, la pendenza divenne molto più ripida, tanto che fui costretta ad arrampicarmi sia con le gambe che con le braccia, il ventre a stretto contatto con la terra, come se stessi scalando l’Everest e non una normale collina.

Durante la salita, le lacrime e i singhiozzi mi lasciarono in pace; anche il dolore ai piedi era sparito, e la morsa che mi aveva stretto il cuore andava a poco a poco sciogliendosi.

Ricominciai a respirare…

Attribuii questa momentanea serenità alla terra: era l’elemento che più amavo, e mi sentivo legata a lei, sapevo di appartenerle.

Il tocco del terriccio, caldo per l’ora inclemente, con il  mio ombelico, anche attraverso la maglietta, mi faceva ridere e sentire viva.

Ah, la terra! Come l’amavo!

Era una madre, la terra, e aveva miliardi di figli. Anch’io, come lei, sarei stata una madre, un giorno? Questi erano gli interrogativi che mi ponevo da bambina, mentre mi rotolavo nel giardino della Clara Domus.

Mi fecero sorridere questi ricordi, che io ormai considerava perduti tra le pieghe della mia memoria.

Cullata da questi pensieri antichi, ero arrivata in cima. Lo spazio era davvero esiguo: non si trattava di una radura, era semplicemente un cucuzzolo ornato qua e là da piccoli cespugli di macchia mediterranea.

La cime della testa di un uomo già avanti con la calvizie, ecco cosa sembrava quella collina.

Che immagine sciocca, sciocca davvero!

Mi lascia andare ad una risata, nonostante l’assurdità dei miei pensieri, perché sapevo di averne un dannato bisogno.

Poi, subito dopo il riso, tornarono le lacrime, come fossi schizofrenica, e assieme alle lacrime, l’asma.

L’asma.

Mi ero dimenticata di citarlo, nell’elenco delle mie disgrazie.

Mi distesi supina su quel giaciglio per niente soffice di spine e scheletri di foglie, e aspettai, con il preciso intento di non muovermi da lì finchè la crisi respiratoria non fosse passata.

L’asma doveva smettere di tormentarmi, era una questione di principio ormai.

O la spuntavo io, o sarei morta lì.

Questi erano i miei assurdi pensieri, mentre mi lasciavo andare ad una delle mie solite sciocchezze.

Ero chiaramente confusa e frustrata, non capivo più nulla: di solito ero una persona assennata. Ansimavo in maniera rumorosissima e i miei pensieri non la smettevano di correre.

Quando ero ormai incerta che sarei impazzita, una sagoma azzurra si disegnò, nitida, nella mia mente.

Conoscevo quel Cosmo e quel colore.

Nonostante la mia volontà di non vedere nessuno, non mi dispiacque sapere che in quel momento Milo era accanto a me.

 

 

 

…………………………………………………………………………………………

 

 

 

 

Eravamo rimasti supini per non so quanto tempo, io a consumare in singhiozzi la mia frustrazione, Milo intento a masticare la spiga di un’erbaccia che aveva trovato lì.

Gli fui grata di aver rispettato il mio silenzio.

Mi rizzai a sedere, e nel farlo avvertii un dolore ben noto. Già pronta a lamentarmi, sollevai la maglietta quel tanto che bastava per constatare che, nonostante la stoffa, ero riuscita a scottarmi il petto.

Dannato sole!

-        Succede a chi ha la pelle così chiara! – rise Milo, cercando con gli occhi un lampo di stizza che brillasse nei miei. Non lo trovò, e questo sembrò rincuorarlo.

-        -Va meglio?- mi chiese con dolcezza.

-Un po’ – ammisi, lo sguardo timido e le spalle basse.

- Ti va di parlare un po’?- domandò allora lui, mentre si sedeva a gambe incrociate.

Annuii. Non mi serviva un confidente, in realtà. Avevo solo bisogno di sentire il suono della mia voce, per capire se ancora mi apparteneva o se anche lei mi aveva tradito.

-Allora racconta. Vediamo, mi piacerebbe sapere qualcosa …mmm…sul tuo passato, sì .-

Allora anch’io mi sedetti a gambe incrociate, e, guardandolo negli occhi, straripai come un fiume in piena.

Gli vomitai addosso una storia che era come un caco acerbo: bella alla vista, ma tremendamente difficile da mandare giù.

Così, come io conoscevo il suo passato, anche Milo conobbe il mio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mio corner

Questo capitolo è stato partorito con dolore, tra il caldo asfissiante, la pigrizia e il tempo, che è sempre poco. Forse, Lily potrà sembrare pazza o esagerata in queste righe, ma io non credo che sia così. Chi si comporta razionalmente nel momento in cui scopre che il mondo in cui deve vivere non è fatto per lui?

Beh, credo che per ora non ci sia altro da aggiungere. Ho alcune considerazioni da fare, ma i tempi non sono ancora maturi.

Finalmente, nel prossimo capitolo , si scoprirà qualcosa sul passato di Lily (sempre che interessi a qualcuno, sigh…=_=)

E ora, i ringraziamenti!

Ribrib20: sei sempre la prima a recensire, tu fai davvero la mia gioia! ^_^ sisi, ora sto bene. Ho avuto solo una banalissima (quanto pessima! D’oh!) influenza allo stomaco, ma ora sto benone! ^_- sono felice che questo storia ti coinvolga a tal punto, non sai che piacere. Comunque sì, ci ho riflettuto un po’: Milo in bianco e nero renderebbe proprio zero *_*. Vai di colori! xD mmm… non sono sicura di sapere esattamente come potresti pubblicare i disegni, perché con la tecnologia sono una frana! ( già il codice html mi ha mandata in crisi *_*) ma ho un amico che di queste cose se ne intende, chiedo a lui e in qualche modo ti farò sapere! ^_- cosa ne pensi di questo capitolo? Intanto, grazie per aver recensito, sei la migliore! Alla prossima! *1bacio*

 

Gufo_tave: troppo immatura, dici? In effetti, potrebbe essere, ma è anche questione di come la si vede. In fondo, se un giorno Saori avesse una reazione del genere, non mi stupirebbe ( tralasciando il discorso Saori = Atena). Per quanto riguarda l’ooc, ti confesso che avevo messo l’avvertimento solo perché, essendo io inesperta del mondo di Saint Seyia, ma trovandolo abbastanza affascinante da scriverci sopra, ero sicura che avrei in qualche modo storpiato il carattere di qualche personaggio. E, infatti, è stato così. Chiedo venia, mi sto impegnando per migliorare. Infine, sì, Lily è italiana da parte di padre, ma la sua mamma è inglese. ^-^ ops, scusa se ti ho scritto una  risposta così lunga…^_^ grazie per la recensione e per non avermi abbandonata! *1bacio*

 

HOPE87: di cosa ti scusi, non devi giustificarti di nulla!^_- mi rendo conto che, fino ad ora, “beautiful novel” segue uno stile narrativo classico e per nulla originale: la solita tipa che si ritrova senza sapere perché nell’universo dei Cavalieri, nasconde una forza che nemmeno conosce e si innamora del figo di turno. Questa è solo apparenza, però. La storia è cominciata, si può dire, solo ora, e spero che già dal prossimo capitolo possa apparirti in qualche modo diversa dalle “solite cose”. Forse la mia è presunzione, forse solo illusione. Ti chiedo di avere fede e pazienza ( pazienza soprattutto) , e vedrai che questa fic ti sembrerà un po’ particolare, se non per la trama, almeno (spero!) per la semplicità. Grazie per aver recensito, comunque, mi ha fatto davvero tanto piacere sapere cosa ne pensi! =) *1bacio*

 

Roxrox:hey, Roxy, figurati, ti capisco benissimo! “ritardo” è il mio secondo nome =) sì, anch’io trovo che Lily sia un po’ troppo buona e sulle nuvole per essere ritenuta normale, ma che ci vuoi fare, l’ho voluta così e adesso me la tengo! xD e comunque, Deathy un po’ di dieta se la merita, in fondo non gli fa certo male! xD. Sono contenta che finora la storia ti piaccia. Cosa ne pensi di questo capitolo? Trovi che sia troppo introspettivo? Fammi sapere cosa ne pensi, ci tengo alla tua opinione! Grazie di tutto, e ancora auguri per la laurea! * 1bacio*

e ora, vorrei ringraziare infinitamente djibril88 che ha aggiunto questa fic tra le sue preferite! Grazie *_*! *1bacio* e un abbraccio.

Infine, grazie anche a tutti coloro che leggono in silenzio!

Enjoy!

stantuffo

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Capitolo 7
*** ti racconto una storia (la mia) ***


  Beautiful novel 

 

 

 

-Sono nata la sera di un’estate di quasi vent’ anni fa, mentre nel cielo moriva una stella.*

I miei genitori volevano un maschio, e invece nacqui io. Però, mi diedero lo stesso un nome e mi trattarono sempre con tutto l’amore di cui furono capaci.

Abitavamo tutti insieme in una casa piccolina, dentro il giardino di una villa che invece era enorme e che noi chiamavamo “Clara Domus”.-

- “Clara Domus”?-

-Sì. Fu mia madre a chiamarla così. Lo considerava un tributo al suo libro preferito, “Il giardino dei Finzi Contini”**. L’hai mai letto?-

- No, mi dispiace.-

- Oh, poco importa. Abitavamo lì perché mio padre era il custode di quella gigantesca villa, che i proprietari utilizzavano solo per le vacanze estive. Quelle persone avevano una ricchezza smisurata, che aveva quasi del disgustoso.-

Presi una pausa e chiusi gli occhi, sentendo sulla lingua quel vago sapore di ricordi, che amavo così tanto e che raramente rievocavo.

- La mia vita e quella dei miei fratelli – continuai - è sempre stata abbastanza normale: i miei genitori avevano a cuore l’idea che il denaro non fosse tutto, anzi, non fosse proprio nulla, e hanno cercato di insegnarci fin da piccoli valori diversi, come il rispetto, l’amore, la lealtà.-

- È molto bello quello che dici.-

Guardai Milo con gratitudine, ma forse lui fraintese, perché subito abbassò lo sguardo mormorando un “scusa, continua”, che in bocca a lui mi sembrava incredibilmente inadeguato e dissonante.

Ma non mi soffermai su questo particolare, perché la memoria mi chiamava con voce suadente, ed io non vedevo l’ora di lasciarmi andare al passato, dove la nostalgia ricopriva ogni cosa come un tenue velo di polvere.

Amavo ricordare, amavo il passato e lo preferivo al presente, forse perché immutabile, forse perché lontano, forse perché non più mio.

Mi sforzai di sorridere, e tornai a raccontare:

- Vivevamo una vita felice e banale, di quelle che interessano, dopotutto, solo a chi la vive. Poi mia madre morì , e con lei morirono il nostro equilibrio e la nostra serenità. Avevo undici anni, e la mia infanzia mi disse addio per sempre.-

- Come morì?- mi domandò Milo, con uno sguardo leggermente preoccupato, probabilmente pensando di violare troppo, con quella domanda, la mia intimità.

- È qui che sta l’assurdo. È morta partorendo mio fratello Jude.-

La bocca del Santo di Scorpio si spalancò per lo stupore, mentre io pronunciavo quelle parole senza più alcun dolore, perché ormai erano diventate come una litania e non significavano più nulla.

- Nel XXI secolo è ancora possibile morire di parto? In un paese industrializzato, poi?-

- Me lo sono chiesto anch’io. Ma mia madre è sempre stata debole di salute, e al momento del parto, il suo fisico troppo debole non ha retto l’anestesia che le hanno fatto per effettuare il cesareo.-

- Lily, questa storia non mi piace, è troppo inverosimile.-

- Eppure è stato così, è stato dannatamente così. -

- Possibile non ci siano altre spiegazioni? Mi sembra una morte così anormale…-

Presi un lungo, lungo respiro.

- Quale morte è “normale”, Milo? E comunque, mia madre è morta. Non m’importa come, so solo che adesso lei non c’è più. E vorrei che almeno la sua anima riposasse in pace. -

- Cos…? –

- Ce l’ha insegnato mio padre: voleva che ricordassimo nostra madre per come era vissuta, non per come era morta. Lui non ha mai voluto sapere la causa della scomparsa della donna che amava.-

Milo tacque per un po’, ed io con lui.

Cominciava a fare caldo, lì sulla collina, caldo davvero, ed entrambi avevamo le guance rosse e la fronte imperlata di sudore.

Presi ad asciugarmi le goccioline più fastidiose un po’ su tutto il corpo, sicura che Milo non si sarebbe nemmeno accorto dei miei gesti, assorto com’era.

Dopo pochi minuti di afa che a me sembrarono interminabili, girò il volto verso di me, e mi chiese, semplicemente:

- Ha il lieto fine la tua storia?-

No, Milo.

La vita non è una favola, e non ha il lieto fine. Non voglio raccontare una storiella ad un ragazzo annoiato. Voglio parlare di una vita di sudore, di denti stretti e di memorie rattoppate.

Una vita che fa male, e che non è ancora finita, ma che di sicuro no, non avrà il lieto fine. Quello è per gli eroi, ed io eroe non sono.

Sono queste le parole che avrei voluto dire a Milo, se solo ne avessi avuto il coraggio, se solo ne avessi avuto la forza.

Invece, risposi accondiscendente come sempre, scuotendo la testa e liquidando i fantasmi che mi torturavano con un sorriso flebile, l’unica arma che avevo.

- Non credo abbia il lieto fine. Ma non si può mai dire. Abbi fede. -

Com’era ovvio, una risposta così vaga non bastò a soddisfare l’infantile curiosità del Cavaliere dello Scorpione.

Che strano, però.

Si comportava come se non avesse mai sentito nessuno raccontare storie, nemmeno da piccolo, e si mangiava ogni mia parola con la stessa voracità con cui un lupo sbrana la sua preda.

-Che accadde, poi?-

Sospirai, arrendendomi al caldo e all’insistenza che leggevo nell’azzurro di quegli occhi, e andai avanti:

- Da quel momento mio fratello maggiore, Albert, cominciò a studiare come un matto, con la promessa che nessuno sarebbe più morto per delle sciocchezze simili quando lui fosse diventato un medico. Tre anni dopo, vinse una borsa di studio a Londra, e partì. È da allora che non lo vedo, e mi manca da morire.-

- Non hai mai avuto sue notizie?-

- Oh, certo. Mail, lettere, telefonate… Ma parlarsi guardandosi negli occhi è un’ altra cosa. –

- Sicuro. - annuì lui, comprensivo.

- Ma non credi sia stato egoista andarsene, da parte di tuo fratello?- chiese, poi, il secondo dopo.

La domanda di Milo, tanto ovvia e banale, mi mandò in bestia, e forse fu proprio a causa della sua ovvietà.

- Non parlare avventatamente di cose che non conosci! Albert è sempre stato un ragazzo sensibilissimo, e la morte di mia madre l’ha toccato profondamente…lui se n’è andato con l’intento di farci del bene.- mentre parlavo, mi ero alzata con il pugno chiuso sul petto, il solito gesto che sottolineava il mio coinvolgimento emotivo in un discorso.

Milo alzò entrambe le mani, come a schermirsi, e con tono gentile si scusò:

- Perdonami, non intendevo offendere nessuno. Considera la mia come l’osservazione di un estraneo. –

Sospirai e tornai a sedermi.

Subito, un lampo furbetto dipinse di malizia lo sguardo del Cavaliere di Scorpio.

Oh, tanto sapeva che l’avevo già perdonato.

- Pace fatta?- chiese, sornione.

- Pace fatta, ma non fare gesti stupidi.- concessi, sorridendo.

- Dai, allora finisci di raccontarmi. Mi parlavi della vostra vita dopo la partenza di tuo fratello.-

-  Ah, già. Da quel momento, io e Andrea aiutammo mio padre meglio che potemmo a mandare avanti i lavori nella villa, e, contemporaneamente,a crescere Jude senza fargli mancare una figura materna. Non fu facile.-

Feci una lunga pausa, durante la quale gli occhi di Milo non smisero mai di esortarmi a continuare.

Ma non ce la facevo, le lacrime cominciavano a pungermi gli occhi ed io prima o poi avrei ceduto, e questo non andava per niente bene.

- E poi?- incalzò Milo, notando che la muta preghiera del suo sguardo ormai non faceva più il suo dovere.

- Poi basta. Ti racconto un altro giorno.-

La delusione si dipinse in un secondo sul volto del giovane,  che mostrò il suo sdegno affilando lo sguardo e stringendo le mani a pugno.

- Ma avevi detto che mi avresti parlato del tuo passato.- sibilò.

- Infatti. Ma ora basta, sono stanca e ho mal di testa. Domani, forse, finirò di raccontare.- risposi io, secca.

- Domani? Non si era parlato di domani.-

- Non essere infantile. Ti ricordo che eri venuto qua con l’intento di consolarmi, non con quello di farti raccontare una storia.-

Lui si bloccò un istante a riflettere, poi tornò subito alla carica.

- Sì, ma ormai…- tentò, ma io lo interruppi:

- Milo, a casa mia quello che stai facendo tu ora ha un nome ben preciso: si chiama capriccio. Non è esattamente la parola che più si addice ad un Saint di Athena, no?-

Ferito nell’orgoglio.

Avevo fatto centro. Tutti i Cavalieri l’avevano di proporzioni smisurate.

- Non era un capriccio. Semplicemente curiosità.-

Forse avevo esagerato. In fondo, non aveva fatto domande poi tanto indiscrete, e la sua voce, in quel frangente così indulgente e… sottomessa?, fece sgretolare le mie difese. La capacità di persuasione di quel ragazzo era strabiliante, non avrei mai potuto resistere; ma non cedere,ormai, era una questione di principio.

Cercai di sviare il discorso.

- Ma perché una storiella ti interessa tanto? Non ne hai mai sentita una?-

- Pochissime, e mai una vera. E poi, in addestramento circolavano solo false leggende inventate da noi apprendisti. Non le ricordo nemmeno più.- sorrise, Milo, al ricordo dell’infanzia passata sudando e faticando, per diventare una macchina da guerra al servizio di una ragazzina.

Chissà, magari in fondo era stata un’infanzia felice.

- Quindi, tu non conosci nessuna favola?- domandai, spalancando gli occhi esterrefatta.

- Beh, no… Sai, le favole o le storie in genere non sono mai state la mia priorità…-

Milo era chiaramente a disagio, ma a me non importava nulla: diventare scrittrice di favole o storie per bambini era da sempre il mio sogno, e avevo davanti un bell’esemplare di “potenziale lettore adulto”, ancora da iniziare al mio meraviglioso mondo.

- Milo, dobbiamo assolutamente rimediare!- quasi urlai, tanto era il mio entusiasmo.

Il mio amico greco, invece, era palesemente in difficoltà.

- Allora, prima di farti leggere qualcosa di mio, sarebbe meglio iniziare con un autore famoso, come Esopo o, che so, Fedro… anche perché i miei manoscritti sono ancora tutti alla “Clara Domus”, e io a quel posto non mi avvicino di certo… però forse si potrebbe iniziare con qualche romanzetto di un autore latino americano, magari…-

- Stooop!- il santo di Scorpio fermò il mio viaggio mentale con un dito alzato e un’espressione troppo seccata.

- Le storie mi piace ascoltarle occasionalmente. Non voglio leggere nuovi romanzi. Per quello ho Camus, che m’importuna a sufficienza-

Lo sbalordimento per l’affermazione di Milo non lasciò molto spazio al gelo e alla delusione che altrimenti mi avrebbero inevitabilmente colpita : non sopportavo chi disprezzava senza provare.

Ma i conti non tornavano.

- Camus importuna te? Dai, non scherziamo. Il contrario, semmai.-

- La sola presenza dei tomi che compaiono di tanto in tanto all’Undicesima Casa può essere catalogata come “disturbo”.-

- Eretico. Non sai di cosa parli.-

- Stiamo diventando un po’ troppo impertinenti, per i miei gusti.-

Non sapevo se Milo fingeva o se quel cipiglio un po’ pauroso era frutto di una rabbia autentica, ma preferii starmene dalla parte dei bottoni e buttare la faccenda sul ridere:

- Ah, si? Beh, adesso l’impertinente qui presente ti sfinirà a forza di solletico, Cavaliere di Athena!-

Cominciai a punzecchiare le ascelle, i piedi, il collo del ragazzo che mi stava di fronte e si contorceva come un’anguilla, combattuto tra la sua dignità di uomo adulto e la voglia di lasciarsi andare a un’allegria infantile che, immagino, per lui era del tutto nuova.

Poi, improvvisamente, fui io a contorcermi dalle risate, in una situazione che aveva dell’assurdo: Milo stava sopra di me, ghignante, e continuava a farmi il solletico canticchiando un “ ghiri ghiri” che mi dava sui nervi.

- Bast…ah ah, Milo, ti prego…-

- Ti arrendi, piccola impertinente?-

- Ma neanche…ih ih… No, dai, basta… eh eh… Va bene, maledetto, pietà, pietà!- implorai, facendo un giuramento mentale a me stessa: Milo di Scorpio me l’avrebbe pagata.

Prima o poi.

Adesso c’era solo il presente, ed era bello: perché guastarlo?

- Ti sei arresa, ho vinto io!- Esultò Milo.

- Bella vittoria. Sei due spanne più alto di me e hai il triplo dei muscoli. Ti piace vincere facile, eh? E comunque ho vinto io, tu sei stato sleale.-

- Non se ne parla, è stata una vittoria ottenuta lealmente.- bofonchiò lui,ormai prossimo ad una crisi di orgoglio.

- Vorrà dire che la storia non te la racconto neanche domani!- gli feci la linguaccia, mentre cominciavo a rassettarmi la maglietta.

- Ma così non è corretto!- si lagnò il mio amico greco, alzandosi in piedi e asciugandosi il sudore dalla fronte.

- Taci, ormai hai perso!- risi io, mentre cercavo di scendere da quell’irto tratto di collina senza farmi troppi danni.

- Dove vai, Lily? – chiese Milo, probabilmente preoccupato.

Lo tranquillizzai con uno dei miei soliti sorrisi, senza aspettarmi troppo. Non avevo mai convinto nessuno, mostrando i denti.

Invece, quel giorno, sulla collina, funzionò.

Forse perché era la prima volta, dopo tanto tempo, che mi sentivo allegra senza bisogno di fingere. Stavo bene, bene davvero.

Scesi per il versante quasi saltellando, e con passo leggero mi diressi alla Terza Casa.

Ignorai Kanon, salutai Saga e mi scusai con lui per avergli preso dei vestiti senza chiedere. Lui rispose che non c’erano problemi e mi diede il permesso di entrare nella sua stanza, dove poco prima avevo gettato con stizza il vestito dal colore improbabile che mi aveva regalato Milo.

Lo raccolsi e lo rassettai con cura, poi lo piegai.

Incredibilmente, adesso lo trovavo bellissimo.

 

 

 

 

……………………………………………………………………………………

 

 

 

Mi risvegliai in un letto a due piazze, con delle insolite lenzuola rosso porpora, che sapevano ancora di sogni.

Pigramente mi alzai e mi diressi verso il bagno, dove trovai il coraggio di scrutare la Lily che mi guardava riflessa nello specchio.

Fortuna che, per la prima volta, avevo dormito da sola, in una delle stanze del Tredicesimo Tempio. Chiamare “templi” le abitazioni del luogo mi faceva ancora uno strano effetto. Certo, neanche all’idea di vivere in un Santuario mi ero ancora abituata.

Fatto sta che quella mattina ero davvero inguardabile: occhi gonfi, naso rosso, trucco sbavato…

Sbuffando, scrollai le spalle e cominciai la mia lenta ma inesorabile opera di pulizia.

Mentre mi stavo asciugando i capelli, qualcuno bussò alla porta. Riconobbi il colore fresco e rasserenante di quei Cosmi, e andai ad aprire con una certa carica di allegria.

- Camus! Milo! Che piacere!-

- Buongiorno, Lily. Ti abbiamo portato la colazione. Non è una cosa che si fa spesso, qui, ma dato che tu sei nuova abbiamo pensato che ti avrebbe fatto piacere.-

-  Eccome se mi fa piacere! Ho una fame!- esclamai tastandomi il ventre, come a sottolineare la veridicità della mia affermazione. Così, ci sedemmo sul letto, mentre la bava continuava a colarmi dalla bocca.

- Cosa c’è di buono?- chiesi, spazientita dalla lentezza dei due ragazzi.

Milo rise davanti alla mia fretta, Camus no.

- Via quegli occhi da lupo famelico! Ci sono solo paste di riso, le più leggere.-

- Uff… Ma non volevo fare la dieta…Vabbè, mi toccherà accontentarmi!-

Non avevo ancora finito di brontolare, che già mi trovavo con una pasta per mano. Beh, ero fatta così: amavo lamentarmi, lo trovavo divertente quasi quanto un hobby, e lo facevo spessissimo. Ognuno ha i propri difetti, e questo era uno dei miei, punto e basta.

- A cosa devo tutta questa cura?- chiesi rivolgendomi a Camus, dato che da quando era entrato non aveva ancora detto una sola parola.

- La Dea. Ti vuole vedere.- rispose il ragazzo, come al solito parsimonioso di parole.

- Che significa?- questa volta mi rivolsi a Milo, dato che Camus sembrava aver esaurito il numero giornaliero di frasi da dedicarmi.

- Lady Saori ha convocato un altro synagein, un po’ diverso dal solito e meno ufficiale. Solo tu e lei, per intenderci. Vuole parlarti da sola faccia a faccia.-

Feci una faccia delusa e un po’ scandalizzata, che Milo imitò in maniera piuttosto comica.

Che scemo, mi faceva ridere anche quando non ne avevo voglia!

- Quindi, la colazione in camera è un contentino prima della pena, vero?-

- Non prendertela- si intromise, eccezionalmente, Camus – è solo che allo scorso synagein le cose non sono andate molto bene. Ma tutti ci tengono a farti capire che non siamo dei sadici torturatori, e tra i Gold sono parecchi quelli che ti apprezzano.-

Rimasi un po’ stupita da questo discorso, sia per il contenuto, sia perché era la cosa più lunga che Camus mi avesse mai detto da quando ero al Santuario.

- Quindi c’è anche chi non mi apprezza, vero?-

- Non dirmi che non te ne sei accorta- rispose il Maestro dei Ghiacci, infilandosi in bocca un minuscolo pezzetto di pasta.

- Bah, cosa vuoi che me ne importi! Ho in programma di andarmene da qui il prima possibile!-

Non notai lo sguardo preoccupato che corse tra i due ragazzi, allora. Ero serena, finalmente, e rifiutavo qualunque cosa, anche evidente, che minacciasse di turbare questo mio stato di tranquillità.

- Va bene, quando devo incontrare la Dea?-

- Subito. – rispose Milo, passandomi una sporta con una maglietta e un paio di jeans, insolitamente sobri e anonimi.

Finalmente.

 

 

 

 

……………………………………………………………………………………

 

 

 

Ero pronta ad un altro salto nel vuoto.

Spinsi ancora una volta il battente del pesante portone di legno, ed entrai nella stessa stanza lussuosa dell’ultima volta.

- Benvenuta. –

La solita voce squillante e un po’ costruita, stavolta priva delle incrinature dovute a un’adolescenza oppressa dal dovere.

- Salve.- risposi io, sedendomi a terra a gambe incrociate.

Lady Saori storse il nasino davanti al mio gesto, ma non dimostrò apertamente il suo disappunto.

- Allora, Lily… Ho voluto vederti perché ho preso una decisione su di te, e intendo rendertene partecipe privatamente, prima che la cosa diventi pubblica.-

U-oh. Brutte notizie in arrivo.

La Milady stava girandoci troppo intorno, senza mai centrare il punto della situazione, e la cosa non mi piaceva.

- Ebbene? – incalzai.

- Ebbene, come immaginavo, i Cavalieri d’Oro non hanno tardato ad accorgersi della natura maligna del tuo Cosmo. Ho parlato con Shaka e Doko, e insieme siamo riusciti a trovare una soluzione.-

- Una soluzione a quale problema?- più per quello che mi aveva detto, ero rimasta stupita dalla pacatezza costante con cui mi aveva parlato. Decisamente, quella ragazzina non l’avrei mai capita.

Com’era prevedibile, Lady Saori ignorò completamente la mia domanda.

- È come se il Cosmo che è in te si fosse assopito. Lo è stato per quasi vent’anni, e forse possiamo fare in modo che resti così per sempre.-

- Come…? Cosa…?-

- Allenamento, mia cara. Da domani imparerai a controllare il tuo Cosmo. Riesci a tenerlo sedato in stato normale, se ti allenassi potresti persino reprimerlo fino a quasi annullarlo. E se, a quel punto, dovesse manifestarsi in te una personalità maligna, non costituirebbe più un problema.-

No, davvero, non capivo. Ma il danno sembrava ormai inevitabile.

Deglutii.

- Quando?-

- Comincerai domani, giusto il tempo di formalizzare la mia decisione.-

E così, venne sancita ufficialmente la data d’ inizio dei miei allenamenti. Non diedi gran peso alla cosa, la consideravo una delle tante pazzie di quel mondo assurdo.

Non ero nemmeno preoccupata, perché “allenamento” non era una parola che mi spaventava.

Che stolta.

Se solo avessi saputo prima cosa mi sarebbe aspettato nei giorni successivi, sono sicura che sarei scappata a gambe levate.

 

 

 

 

Il mio corner!

Acc, questa volta sono davvero in ritardo pazzesco! Chiedo venia, ma tra il caldo la scuola, il numero da organizzare il tempo è volato, e sono riuscita a sistemare questo capitolo solo ora. All’inizio avevo deciso di scrivere tuuutta la storia di Lily in un solo capitolo, ma la cosa si faceva lunga e noiosa. Così, ne ho messa solo una parte. Il resto sarà in parte ne l prossimo capitolo, insieme all’azione ( sì, finalmente i personaggi cominceranno a muoversi!!! xD)

Gli asterischi:

* la storia di questa nascita è un po’ ispirata ad una citazione di un brano di Shakespeare e un po’ alla nascita (vera!) di mio fratello, che è uscito dalla pancia della mamma mentre passava una stella cometa (beato lui! *_*)

** tratto da “il giardino dei Finzi – Contini” di Giorgio Bassetti ( il nome originale della casa, però, è “Magna Domus”) ^^

E adesso, i ringraziamenti:

Gufo_Tave: ho deciso di chiamare Andrea la sorellina di Lily perché è un nome che deriva dal greco, e significa “coraggioso/a”,e, come dici tu, all’estero è un nome molto usato anche per delle ragazze. Io l’ho scelto appunto per il suo significato, perché, come si vedrà più avanti, la piccola Andrea è una ragazzina con le palle. Cosa pensi di questo capitolo? La tiro troppo per le lunghe? T.T fammi sapere, e grazie per la recensione! *1bacio*

Ribrib20: grazie, carissima, forse tra tutte le tue recensioni questa è quella che mi è piaciuta di più, non chiedermi perché ( mai farlo, potrebbe essere dannoso! xD!) sappi che ho fiducia nei tuoi disegni e aspetto con ansia che tu li pubblichi! ^_- sono sicura che mi stupiranno! ^_^ Per quanto riguarda gli errori di battitura, chiedo scusissima! * si auto-punisce con una frusta*. Il fatto è che spesso finisco di scrivere i capitoli molto tardi, con il risultato che, quando vado a postare, alcuni errori mi sfuggono. Per i tag chiusi male non riesco a trovare una soluzione: in anteprima è tutto perfetto, poi quando do l’OK viene quella roba! Argh! HTML, ti odio! * sbatte la testa contro il muro in preda ad una crisi isterica* per il resto, tutti gli altri errori ho cercato di correggerli, ma quel codice maledetto è la mia morte!se conosci il modo per neutralizzare questa piaga me lo diresti? Grasie…*_* Tornando a noi,mi fa piacere che ti piaccia l’umanità dei Gold, perché in fondo io li vedo così, dei ragazzi, dopotutto… però forse, con questo capitolo narrativo ho tirato un po’ troppo la corda, tu che dici? Grazie per la recensione, sei un angelo! *1bacio*

Roxrox: ciao! Che piacere! Mi rincuora sapere che l’introspezione dei personaggi è un argomento che non dispiace, e sono felice di aver scelto di non snobbarlo ( anche se con l’ennesimo cap di transizione forse ho un po’ esagerato, ma che ci vuoi fare, tutta questa storia è per me una grande scommessa…xD). Mi dispiace, ma per la storia completa dovrai aspettare un altro cap, ma non preoccuparti: quando l’azione comincerà, sarà difficile fermarla! XD grazie per aver recensito, sei stata gentilissima! Alla prossima! *1bacio*

 

Grazie anche a kira_the_rebel, Megarah_witch, Gufo_Tave  e darkalexandra85 per aver inserito la mia storia tra le seguite.

Un grande abbraccio anche a tutti quelli che leggono “Beautiful novel” in silenzio.

 

 

*1bacio*

stantuffo

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Capitolo 8
*** panico! ***


‡ Beautiful novel 

 

 

 

 

 

I giorni dell’addestramento furono tremendi, ne serbo ancora un ricordo dolorosissimo.

Per una settimana, le mie giornate furono scandite da un massacrante valzer di pesi, corse, lacrime e meditazione.

I miei “maestri” cambiavano di volta in volta, dato che nessuno sembrava capace di sopportare troppo a lungo una frana come me. In linea di massima erano Milo, Aiolia e Aldebaran a seguirmi in quello che doveva essere un allenamento: mi esercitavo correndo e sollevando pesantissimi otri pieni d’acqua, ed ero pure “tenuta ad imparare le tecniche basilari dell’arte del combattimento”, come diceva Shaka. Purtroppo, però, non c’era una cosa che mi riuscisse bene, e dopo mezz’ora di urletti e mosse sfacciatamente inventate sul momento, Aiolia e gli altri si stancavano e mi facevano correre tutto il santo giorno.

Così almeno mi facevo il fiato, dicevano.

La parte dell’addestramento che prevedeva il controllo del Cosmo era, ovviamente, curata dal biondo custode della Sesta Casa, la cui pazienza era messa a dura prova dalla mia disarmante incapacità di usare anche solo un briciolo della mia aura.

Shaka diceva che dovevo chiudere gli occhi e concentrarmi su me stessa; secondo lui, dovevo riuscire a trovare una traccia di me al di là delle cose materiali, perfino al di là delle stelle.

I suoi erano bei discorsi, molto aulici e filosofici, certo, e il biondo asceta li sosteneva anche con convinzione, ma di sicuro non andavano bene per me, che il concetto di Cosmo non l’avevo ancora capito!

Mi limitavo, quindi, a strizzare gli occhi come sapevo fare, cercando di espandere la macchia arancione che vedevo aleggiare intorno a me. Ero riuscita, in due giorni, a farlo vibrare leggermente lungo i contorni.

Di espandersi, però, quella dannata macchia non ne voleva proprio sapere.

I miei primi progressi avevano lasciato soddisfatto Shaka, ma già al terzo giorno di addestramento, vedendo quanto la mia energia spirituale fosse stagnante, il mio biondo insegnante aveva preso l’abitudine di andarsene senza dire una parola, deluso da quella che secondo lui era solo una grave mancanza d’impegno e concentrazione.

Quando Shaka si stancava difficilmente tornava ad allenarmi, e recarsi alla Sesta Casa per pregarlo di chiudere un occhio e riprendere l’addestramento era solo una perdita di tempo, e l’unico risultato che ero riuscita ad ottenere le poche volte che ci avevo provato era stato un pacato e sereno rimprovero su quanto fosse grave mancare di rispetto ad una persona non impegnandosi e disturbando, tra l’altro, la sua meditazione.

Se riuscivo a non demoralizzarmi, mi recavo alla Settima ad implorare Doko di continuare quello che Shaka aveva lasciato a metà.

Il più delle volte, però, il Cavaliere di Libra non si trovava al Santuario, e l’essere snobbata da tutti gli altri cosiddetti maestri mi buttava il morale sotto i piedi.

A quel punto capitava che Mur, impietosito, si offrisse di darmi una mano, con una pazienza e una bontà d’animo che avrebbero fatto invidia ad un santo.

Così, la fatica, i fallimenti e la frustrazione erano tornati ad essere la mia routine. Perciò, più o meno ogni sera, facevo una corsa su per la scalinata e mi recavo da Milo o da Camus, a seconda del mio stato d’animo.

Con Milo urlavo, ridevo e mi sfogavo, perché parlare con lui mi aiutava a distrarmi e a liberarmi da tutti i dubbi e le insicurezze che mi sentivo addosso. La presenza del greco mi dava la forza di pensare positivo, guardando senza paura i guai che sicuramente erano in agguato, appena fuori dal Santuario.

Se è vero che le serate con Milo mi aiutavano ad andare a dormire con il sorriso sulle labbra, è altrettanto vero che quelle passate con Camus erano più benefiche del disinfettante su una ferita.

Solitamente, appena varcata la soglia dell’Undicesima, scoppiavo in lacrime, frignando e lamentandomi di tutto e tutti.

E Camus non mi incoraggiava mai.

Ascoltava la mia disperazione in silenzio, senza alcun' espressione che tradisse il suo stato d’animo.

Poi, mentre ancora singhiozzavo, mi poggiava una mano sulla spalla e con tranquillità mi spiegava per quale ragione, secondo lui, avevo torto.

Non era piacevole sentirsi continuamente contraddire, anzi, era estremamente fastidioso, ma al mondo non c’era niente di più costruttivo: mi trovavo, mio malgrado, a riflettere su ogni cosa, perfino quella che ritenevo più scontata o assoluta.

Al di là delle difficoltà, comunque, la mia vita sociale al Santuario era stata molto incrementata  per via dell’addestramento.

Avevo conosciuto tanti giovani apprendisti che mi avevano preso in simpatia. Così, tra tutti gli abitanti del Santuario, Kanon e Shura erano gli unici che ancora si ostinavano a non rivolgermi la parola.

Il rapporto che avevo con Saga era, invece, particolare e incostante: alternavamo momenti di allegria e di confidenza a silenzi ostinati e risposte fredde. Quell’uomo non riuscivo proprio a capirlo. Tuttavia, non lo trovavo spiacevole, e non disdegnavo la sua compagnia.

Con Aphrodite le cose erano ancora più complicate di così: quando eravamo insieme ci sentivamo entrambi a nostro agio, e ci comportavamo con naturalezza, come se ci conoscessimo da tempo. Davanti agli altri Saint, però, Dite (ormai lo chiamavo così) si comportava come se fossimo due perfetti sconosciuti.

Penso portasse una maschera, dentro di sé, ( ricordo che la indossava specialmente quando aveva a che fare con il Cavaliere del Cancro), e avesse una parte sgradevole da recitare. Spesso le persone, per paura di mostrarsi a nudo e farsi scoprire vulnerabili, preferiscono fingere di avere un carattere che magari detestano.

A quel tempo, però, pensavo che scambiare la vita per una finzione fosse prerogativa di tutti i ragazzi, e mi sentivo fiera di essere superiore in quanto donna.

Com’ero ingenua!

Non me ne rendevo neanche conto, ma con tutti i miei lambiccamenti e le mie teorie sulla vita, più che saggia, come credevo di essere, mi mostravo buffa. E lo ero, lo ero davvero!

Ma adesso torniamo a noi.

La mia condizione al Santuario, dicevo, era tremendamente instabile e altalenante, ma non mi dispiaceva. Cominciavo ad amare il sole di Grecia.

Che fosse per colpa di quell’esuberante ragazzo con gli occhi azzurri che mi faceva ridere e battere il cuore? Può darsi.

Un giorno, però, anche quest’instabile impalcatura di serenità fu stravolta.

Mur era in missione, Doko ai Cinque Picchi e Shaka mi aveva, ancora una volta, abbandonata.

Così, mi recai sul mio solito cucuzzolo, dove avevo intenzione di fare un pisolino all’ombra di un giovane ulivo.

Mi ero appena distesa, che un Cosmo azzurro cielo entrò nell’orizzonte dei miei occhi chiusi.

Sorrisi, immaginando Milo correre verso di me con l’entusiasmo di sempre.

Invece, sentii solo una secchiata d’acqua gelata, seguita da una risata inarrestabile.

Quell’idiota mi aveva tirato un gavettone! Dannato!

Mi alzai con un ringhio, e gli corsi dietro tutta gocciolante.

- Vieni qui, Milo caro, fatti abbracciare! –

- Ih ih… Conciata così, non ci penso nemmeno! 

Coraggioso, il ragazzo.

Ebbe perfino la faccia tosta di ridermi in faccia, dopo il danno che aveva fatto!

Gli fui addosso in un balzo, e gli strappai di mano il secondo palloncino che aveva. Poi, con una risata sadica che spaventò perfino me, glielo ruppi proprio in testa, lacerandolo con le unghie.

Così, bagnati come due pulcini, cominciammo a ridere come dei matti.

Poi a Milo venne la bell’ idea di inseguirmi per farmi pagare “la mia insolenza”, ed io, per scappare dalle sue grinfie, cominciai a rotolare giù dalla collina.

Ah, mi ci voleva un attimo di pausa, dopo tanto sudore!

Mentre correvo, però, qualcosa attirò la mia attenzione: un aquilone rosso con due code, una nera e una blu, si librava alto nel cielo, a poca distanza dal punto in cui mi trovavo.

Ebbi un tuffo al cuore: era troppo improbabile che si trattasse di una coincidenza.

Mi dimenticai di Milo e cominciai a correre, stavolta seriamente, seguendo la direzione del vento per arrivare al punto da cui partiva l’aquilone.

Fu allora che vidi un ragazzo girato di spalle, alto più o meno come Milo, con una folta chioma castana.

Subito non lo riconobbi, ma mi avvicinai comunque.

Sentendo il rumore dei miei passi incerti, il ragazzo si girò, rivelando due occhi verdissimi, dal taglio forse un po’ troppo fine per un uomo.

Quegli occhi cancellarono ogni mio dubbio.

Corsi incontro al ragazzo con le braccia aperte, respirando affannosamente, perché, al solito, l’emozione era stata accompagnata da quella cosa odiosa che era l’asma.

- Lily?- domandò Albert stupito, mentre anche lui ricambiava l’abbraccio.

Piansi e non risposi, e presi a baciargli la fronte, il collo, le mani…

Ero così felice di rivederlo!

- Albert! Cosa ci fai qui?-

Alla mia domanda, la serenità abbandonò il viso di mio fratello, che si tinse di preoccupazione e sospetto.

-Oh, Lily, finalmente ti ho trovata! Ho saputo quello che è successo al matrimonio, tutto quel casino, ed ero venuto qui a riflettere…-

- Riflettere?- chiesi.

Per un attimo avevo dimenticato che, quando aveva tanti pensieri per la testa, mio fratello faceva volare il suo aquilone. Diceva che lo aiutava a pensare.

- Sì, sapevo che eri sparita qui sulla collina, e ho pensato che fosse il posto migliore per…-

- Lily!-

Una voce affannata interruppe quella profonda di Albert.

Mi girai, un po’ allarmata, e trovai Milo che fissava prima me poi mio fratello con fare interrogativo.

-Milo…- cercai di avanzare verso di lui, ma il braccio di Albert, teso davanti a me, mi costrinse a fermarmi.

- Chi è lui, Lily?- mi domandò, freddissimo.

Deglutii. Il suo tono non mi piaceva.

Mio fratello era sempre stato affettuoso, e mai così aspro e duro. Ora che ci facevo caso, era cambiato anche fisicamente: aveva messo su due spalle da combattente, e si intravedevano i pettorali da sotto la maglietta aderente. Era più abbronzato di come me lo ricordavo, e la pelle scura contrastava piacevolmente con gli occhi chiari.

Non mi era mai sembrato così bello, eppure mi faceva paura. Temevo la sterile determinazione che gli leggevo negli occhi, e tutto in lui mi sembrava maledetto, arido, eppure dannatamente attraente.

Deglutii e risposi:

- E’ un mio amico. Si chiama Milo e…-

- È un Cavaliere di Athena? –

Sia io che Milo sgranammo gli occhi, allibiti: ma come diavolo faceva Albert a sapere?

Milo fu il primo a riaversi dalla sorpresa.

- Milo di Scorpio, custode dell’Ottava Casa, Cavaliere d’Oro nonché umile servitore della Dea Athena. E tu chi saresti?-

Albert gonfiò il petto e assottigliò lo sguardo. Immaginai i suoi denti serrati, digrignati, e la bile che si accumulava a poco a poco in lui. Presi a tremare, anche se non ne capivo la ragione.

- Mi chiamo Albert, Albert Valentino, e sono qui per riportare a casa mia sorella.-

Cosa? Mi riportava a casa? Con lui? Oh, Albert!

- No. –

La voce di Milo, secca e imperiosa come non l’avevo mai sentita, ruppe il lieve filo di sollievo che avevo filato sperando tanto intensamente. E la mia ragnatela di emozioni,  che si fondava proprio sulla speranza, crollò.

- Lily è qui per ordine di Athena, e qui deve restare. –

Mai come in quel momento Milo mi sembrò degno di essere chiamato Saint: non era più il ragazzo entusiasta con cui avevo scherzato fino a pochi minuti prima. Era un uomo, in quel momento, non più un ragazzo. Un uomo e un guerriero, un guerriero della giustizia, di Athena.

Ma mio fratello, adesso, cos’era?

Non lo sapevo, e tutto questo mi inquietava tanto, tanto davvero.

Albert parlò pacato, camminando lentamente verso Milo senza tradire alcun’emozione:

- Cavaliere di Scorpio, ti chiedo di concedermi il permesso di riportare a casa una ragazza innocente, che non appartiene al vostro mondo.-

- Lily ha un Cosmo. – rispose Milo con una punta di disprezzo. – E comunque- continuò – Non sono io ad avere il potere di fare concessioni di questo tipo.-

Erano a pochi passi di distanza.

- Allora, portami da Athena. Chiederò il permesso direttamente a lei.-

Milo scosse la testa, palesemente offeso.

- Un mortale senza Cosmo non può profanare il Santuario. Lily resta qui, e non si discute. –

Adesso erano uno di fronte all’altro. Col cuore in gola, mi avvicinai anch’io.

Alle parole di Milo seguì un silenzio teso, durante il quale i due ragazzi non smisero di lottare con gli sguardi.

Blu contro verde, verde contro blu.

Pregai mentalmente tutti gli dei di cui mi ricordavo, nella speranza che Milo non avesse intenzione di passare alle mani, altrimenti Albert non ne sarebbe uscito vivo. Anche se mio fratello si dimostrava ogni secondo più antipatico, gli volevo comunque bene. Condividevamo lo stesso sangue, dannazione!

Milo parlò per primo:

- Lily, vieni, saluta tuo fratello. Noi ora torniamo al Santuario.- mi prese saldamente il braccio, avendo cura di non farmi troppo male, ne sono sicura, e mi tirò a sé.

Io ero disorientata, davvero: non capivo cosa stesse esattamente succedendo, né perché.

- Milo, io…- tentai, ma Albert mi interruppe e con uno strattone mi liberò dalla presa di Milo.

- Va via, Lily! – ringhiò.

- Cos…?-

- VELOCE!-

Un urlo del genere non era mai uscito da quelle labbra, e la voce di mio fratello non mi aveva mai fatto piangere.

Fino a quel giorno. Cosa, o chi, chi aveva cambiato Albert a tal punto?

- Adesso basta! –

Milo fece un ultimo, minaccioso passo avanti. Sia io che lui, però ci trovammo totalmente impreparati davanti alla mossa di Albert : con un guizzo rapidissimo, spruzzò sul viso di Milo uno spray che divenne subito una nuvoletta biancastra.

Il Cavaliere di Scorpio, logicamente,  non respirò quel gas, ma, come scoprii più tardi, quello era un nuovissimo tipo di anestesia, ancora in fase sperimentale, che aveva la proprietà di penetrare nei pori del paziente senza per forza passare per le vie aeree.

- Adesso mi sono stufato, Lily! Alzati e andiamocene!-

Mi alzò tirandomi per un polso, mentre io, impotente, non riuscivo a staccare gli occhi da quelli di Milo, che si facevano sempre più vitrei.

Vidi la mandibola del mio amico rilassarsi, poi il suo corpo si afflosciò.

Quello spettacolo rimbombò come un tuono dentro di me, e trovai la forza di ribellarmi alla stretta di Albert.

- Milo! -

 Lo presi tra le braccia, quasi come una madre, cercando di sorreggergli la nuca. Il respiro era ritmico, e il cuore batteva con regolarità.

Per fortuna, sembrava solo addormentato.

- Lily, dannazione, sto facendo tutto questo per te! –

Mio fratello mi prese in braccio, costringendomi a lasciare Milo, e mi issò sulle sue spalle senza alcuno sforzo.

- Per me? E cosa faresti per me, stronzo? Uccidere gente innocente? Lasciami! –

- Non è morto e non è innocente. E io non sono uno stronzo.-

- Sì che lo sei! E che colpa avrebbe Milo? Quella di essere l’unica persona che mi considera, forse?-

Stavo uscendo dai gangheri: quello non era davvero mio fratello, non poteva esserlo!

- Ma che stai dicendo?!? Sia io che il signor Brain nutriamo una grande stima di te, e…-

- A-ha! Il signor Brain! Ecco spiegato tutto! È colpa sua, ti deve aver fatto il lavaggio del cervello! –

- Ma quale lavaggio del cervello! I Cavalieri di Athena ti avevano rapita, e quell’uomo sta ancora cercando di riportarti indietro! Adesso lo andiamo a trovare, così…-

- Rapita? Andarlo a trovare? Tu sei pazzo! Pazzo e di nuovo stronzo! Brain voleva che lo sposassi contro la mia volontà! La nostra famiglia si è sventrata per colpa sua! –

Arrivammo ad una macchina nera e lunga, dall’aria costosa. Una Mercedes? E da quando potevamo permettercene una?

- Brain mi aveva detto che avresti reagito male! Dannati! Ti hanno pure plagiata!-

Con un gesto irato ma fluido, Albert mi sbatté dentro la macchina e chiuse la portiera con uno scatto, facendole fare un sonoro botto. Mi massaggiai il polso, mi aveva fatto male.

- Cosa diamine vuoi fare?- chiesi – Vuoi davvero lasciare Milo là da solo?-

Vidi la mascella di mio fratello tendersi e le nocche sbiancare, strette al volante.

- Smettila di preoccuparti per lui. Gli ho solo somministrato un’anestesia innovativa. Ne avrà per un’oretta buona.-

- Gli farà del male?- domandai, cominciando a singhiozzare sonoramente, mentre sentivo che l’aria mi veniva via via a mancare.

- Ti ho detto di smetterla, Lily!-

- Se mi preoccupo per lui, è perché gli voglio bene!-

- Ma quella gente non te ne vuole, dannazione! Io, Andrea, Jude, lo stesso Brain… Noi ti vogliamo bene!-

- Fanculo!-

Lo schiaffo arrivò violento e inaspettato, ed io mi ritrovai con una guancia gonfia e un labbro sanguinante. Per la violenza del contraccolpo, avevo anche sbattuto la testa contro il finestrino. Stronzo, sì. E col cavolo che continuavo a ritenerlo mio fratello!

Mai, prima di allora, Albert si era sognato di alzare le mani su di me.

Cominciai a piangere, offesa a morte, e contemporaneamente mi accorsi che anche fuori aveva cominciato a piovere.

- Albert, perché non mi credi?- sputai fuori tutto il mio orgoglio per pronunciare quelle parole senza tremare o mugolare dal dolore

- Brain è malvagio… mentre eri via, mi ha fatto un sacco di male…-

Il muro di odio di mio fratello parve incrinarsi un poco davanti alle mie lacrime. Evidentemente, si sentiva anche in colpa per lo schiaffo, ma si sarebbe ucciso piuttosto che ammetterlo.

- Cosa ti avrebbe fatto? Mi ha sempre tenuto informato circa la tua salute e quella degli altri due. Sembrava così affettuoso e premuroso, che non sono mai stato in ansia per voi. Ma tu dici che ti ha trattata male. Non stai mentendo, vero Lily?-

Scossi la testa,perché le lacrime e i singhiozzi che avanzavano non mi lasciavano parlare. Sapevo di essere ormai diventata paonazza.

- E cosa ti avrebbe fatto? Parla, ti prego! Mi sono sbagliato sul suo conto? Ho sbagliato tutto, finora?-

Annuii.

Sì, Albert, hai proprio sbagliato tutto. Tu hai sempre creduto nella persona sbagliata, e mai in me. Hai sempre inseguito un ideale fasullo, e non ti sei fatto scrupoli di attaccare i deboli e i giusti.

E hai pure fatto del male a Milo.

Sì, dannazione, hai proprio sbagliato tutto!

Forse i miei pensieri arrivarono con forza diritti al cuore di mio fratello, perché si chinò su di me e mi scrutò come se mi vedesse per la prima volta, con quella sua tenerezza antica che, per fortuna, non era morta.

Ora finalmente riconoscevo in quello sguardo mio fratello, nonostante la violenza della crisi respiratoria ormai in corso mi appannasse quasi la vista.

Strano, non mi era mia successo.

- Albert… - invocai il suo aiuto tra i singhiozzi, allarmata da quel nuovo sintomo che con il mio solito asma non si era mai manifestato.

- Lily, che hai?  Perché l’asma è così forte?-

Prese a battermi delle sonore pacche sulla schiena, illudendosi, forse, che servissero a qualcosa. Volevo rassicurarlo, farlo stare tranquillo, dirgli che per un po’ di asma non sarei certo morta, ma non ne ero sicura nemmeno io.

Sollevai leggermente la testa, e mi accorsi della curva che avremmo tagliato tra pochi secondi. Il buio e la pioggia lo nascondevano, ma sapevo che lì, oltre la scarpata, ci attendeva un mare nero e furioso.

E mio fratello era troppo concentrato su di me per rendersi conto in tempo del pericolo.

Il panico mi prese, l’asma aumentò, comincia ad essere presa dalle convulsioni.

Mi sentivo vibrare nell’anima, come un diapason.

Prima che la vista mi si annebbiasse completamente e io perdessi il controllo di me stessa, ebbi solo la forza di gridare:

- ALBERT, LA STRADA!-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mio corner

Quanto tempo! Lo so, sono in un ritardo imperdonabile, e non ho davvero scuse. Tra l’altro, la qualità di questo capitolo mi sembra deprimentemente(?) bassa -.-

L’intento iniziale era quello di mettere i Cavalieri contro una cosa alternativa e forse pericolosa come la tecnologia… l’idea sembrava buona e invece ne è uscito un obrobrio… *me depressaaaaaaaaa*

Ma no problema! Dai, il prossimo capitolo verrà fuori migliore! Che la forza della gioventù sia con me! *si esalta da sola legandosi alla fronte una bandana che fa molto Rambo* *_*

Oh, una cosa. Parto, starò via un mesetto e probabilmente non avrò internet. Quindi, la fic verrà sospesa (e anche tutte le recensioni).

Ma che nessuno si preoccupi! ( fotte sega alla gente della tua fic! NdDeathMAsk sigh…la verità non si può negare…ma tu te ne approfitti! Ndme)

Intanto, mi rimbocco le maniche per preparare un capitolo più avvincente. Intanto, godetevi (?) questo, e buona estate a tutti! ^^

E adesso, ringrazio per le recensioni:

Tsukuyomi: Grazie infinite di tutto, per la recensione e per la fiducia. Non preoccuparti se è solo dal settimo capitolo che parti a recensire, so cosa vuol dire non aver il tempo di far nulla, e a me capita spessissimo di trascurare le recensioni o le letture! Sono felice che ti piaccia Lily, è un personaggio un po’ così, non sapevo se a lungo andare sarebbe piaciuto o no… bene bene, quello che hai scritto mi fa davvero piacere! Grazie di tutto! *1bacio*

 

Ribrib20: ciao!!!!!! Che bello sentirti di nuovo! ^^ *felice fa clap clap* Prima di iniziare a ringraziarti per la recensione, sappi che la mia curiosità è giunta ai limiti estremi! Quindi, devo vedere quei disegni! Ormai li hai pubblicizzati troppissimo, daaaaaaai, se non me li fai vedere frigno, ecco! >-< *sghignazza sadicamente mentre frigna*. Tornando serie…concordo con te, e mi aggrego nella battaglia contro l’html…semplicemente, non si può! Sono sempre più felice che “beautiful novel” si appassioni, anche se come scrittrice faccio acqua da tutte le parti! xD ed eccoti fregata…dell’allenamento c’è ben poco! Questo perché è Lily che narra, e pigrona com’è ha cancellato dalla sua memoria quell’addestramento brutale e  ne ha parlato solo a grandi linee! ^_- Ci si sente presto! *1bacio*

 

Ora, un ringraziamento speciale a ti con zero, Saphiras, Desyree92 per avere inserito “Beautiful novel” tra le seguite, e

 

 

Heather91,Mymoon96 e mik92 per aver aggiunto la mia storia tra le preferite. Grazie, mi avete fatta felice *_*    *inchino*

Grazie anche a tutti coloro che leggono in silenzio.

 

 

 

*1bacio*

stantuffo

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Capitolo 9
*** l'evoluzione ***


Chiedo scusa.

Sono in ritardo. Atrocemente, pazzescamente, tremendamente in ritardo, e non ho scuse. Spero solo che il capitolo vi piaccia.

Dato che sono passati mesi e mesi dall’ultima pubblicazione, ecco qua un breve riassunto per ricordare come sono andate le cose.

Riassunto:

Quando Lily arriva al Santuario, è vestita da sposa, e fugge da tutti i suoi aguzzini. Per puro caso, va a sbattere proprio contro il Santo di Scorpio, che decide di aiutarla. Inizia così la convivenza di Lily von i vari Saints, che non tardano a scoprire, dopo il primo, violento incontro con Athena, che la ragazza ha un piccolissimo Cosmo di origine divina. Così tra alti e bassi cominciano gli allenamenti, e, proprio mentre cercava di evitare uno di questi, Lily ritrova Albert, suo fratello maggiore; il ragazzo però è strano, diverso da come lo ricordava sua sorella. A sorpresa, infatti, Albert stordisce Milo con una sostanza di sua invenzione, scaraventa Lily in macchina e dà inizio ad una folle fuga sotto la pioggia.  

 

‡ Beautiful novel ‡

 

L’evoluzione.

 

 

 

 

Doveva essere un lavoro semplice, e guarda questa svampita cosa mi combina. Qua va a finire che se non intervengo ci lascia la pelle, e io con lei.

 

 

Mentre sentivo queste parole invadermi la mente, cariche di un disprezzo puro e disarmante, una fitta coltre di nebbia invase il mio campo visivo, perciò non riuscii a vedere la smorfia di terrore di Albert, né il guardrail che cedeva sotto la spinta dell’auto e nemmeno il mare scuro che si faceva sempre più vicino.

Però sentii.

Sentii mio fratello gridare disperato, sentii il balzo anomalo dell’auto, sentii l’asma insistermi sui polmoni fino quasi a soffocarmi.

Sentii la vampata di calore che oggi mi è familiare salire dalla punta dei piedi e invadermi tutto il corpo.

Non avevo mai percepito nulla del genere, nemmeno durante gli allenamenti con Shaka, e questo mi spaventò da morire. Strinsi la mano di Albert, pregando per un miracolo nella speranza che il mare non ci inghiottisse.

 

Hey Pecora, svegliati una santa volta! Impegnati, fammi vedere chi sei.

Ardi.

 

Ancora la voce di prima, e ancora quel calore. Stavo impazzendo?

La cosa più incredibile è che tutti quegli eventi si svolsero nell’arco di una manciata di secondi, giusto il tempo di precipitare in una scarpata, eppure ricordo ancora ogni minimo dettaglio con estrema chiarezza.

La mia stretta sulla mano di Albert aumentò, l’avevo sentito rilassarsi, forse era svenuto.

All’improvviso fui abbagliata da un lampo di luce ramata, l’asma finì e sentii la pioggia lambirmi il viso e scivolarmi addosso con un tintinnio metallico che subito non riuscii a spiegarmi.

Trovai il coraggio di aprire gli occhi, e mi resi conto di non avere più la vista appannata.

Vidi l’automobile scomparire inghiottita dai flutti neri, tra gorghi e bollicine, e solo allora mi resi conto di essere sospesa nel vuoto, con mio fratello, incosciente, che ciondolava appeso alla mia mano.

Non ero aggrappata a niente, nessuno mi reggeva in alcun modo.

E allora perché restavamo sospesi?

Mi accorsi che era merito mio solo quando, scuotendo la testa, notai un cimiero lungo e rosso che mi penzolava sulla spalla.

Dunque, indossavo un elmo? Pareva di sì, e anche un’armatura completa, con tanto di calzari alati, tutta color rame. Era un’attrezzatura di prim’ordine, robusta e resistente, che però non pesava per niente.

Preoccupandomi di non allentare la presa sul mio inerme fratello e di non farlo cadere in mare, provai a sgambettare nel vuoto, e, galleggiando nell’aria in modo piuttosto ridicolo, riuscii a raggiungere la banchina.

Adagiai Albert sull’asfalto, tanto la strada era deserta, mi sfilai il magnifico elmo che indossavo e appoggiai l’orecchio sul suo petto cercando di captarne i battiti.

Erano debolissimi, perché?

Sentii nel cuore uno schianto all’idea di poter perdere mio fratello. L’avevo appena ritrovato.

Questo pensiero aprì con forza la strada ad altri, che, come un doloroso rosario, mi sfociarono nell’anima frantumando il mio autocontrollo.

Scoppiai a piangere.

Una lacrima per il pericolo scampato, una per la mia infanzia. Una lacrima per quell’aguzzino di Brain, una per il terrore del matrimonio con lui. Una per Milo, una per il Santuario e i suoi Cavalieri, un’altra per la bambina dai capelli viola.

Piansi per Andrea e Jude, i fratelli di cui avevo perso le tracce. Piansi per Albert, che avevo appena ritrovato e già rischiavo di perdere. Piansi per Mur, perché aveva fatto tanta fatica per portarmi un’acqua miracolosa che non sarebbe servita a niente, perché tanto sarei morta lì, sul ciglio di quella strada, di dolore, di stanchezza e d’ignoranza.

Piansi per Shaka e Dhoko, perché anche loro avevano sprecato fiato e tempo ad insegnarmi a manipolare quell’ombra strana che loro chiamavano Cosmo, e, quando avevo avuto bisogno di un’armatura, quella si era materializzata da sola, senza bisogno di tanti sforzi.

Piansi per Milo, perché mi aveva sempre tenuto compagnia, mi aveva regalato sorrisi senza risparmiarsi, ed io da quando ero lì non avevo fatto altro che frignare, e non gli avevo ancora detto quanto già gli volevo bene, nonostante ci conoscessimo da poco.

Piansi per Camus, Aldebaran, Dite e tutti gli altri, perfino per DeathMask, perché tanto avevo ancora un sacco di lacrime da spendere.

E mentre piangevo, l’armatura che indossavo non faceva altro che sfavillare, come se il mio dolore la rinvigorisse.

La odiai da subito, la odiai talmente tanto che cominciò a sanguinarmi un orecchio. Non è una stupidaggine, tutto quell’odio doveva pur trovare una via di fuga.

E, tanto per fare capire a quella corazza quanto profondo fosse il mio odio, piansi anche per lei, su di lei.

E poi il rame è un colore veramente orribile.

Eppure, nonostante quella situazione drammatica e incomprensibile, mi sfiorò un pensiero atroce ed incoerente: con tutta quella pioggia, la mia meravigliosa armatura si sarebbe certamente arrugginita.

Ma quella riflessione non era da me, no davvero. I conti non tornavano per niente. Il cinismo e la freddezza erano sempre rimasti estranei alla mia anima. Fino a quel momento.

Guardai Albert inerme sotto la pioggia, i capelli bagnati e il volto teso, e mi sembrò quasi uno sconosciuto, un semplice campione di umanità che non mi interessava per nulla.

Ecco, l’avevo fatto di nuovo. Ma da quando nei miei pensieri trionfava la crudeltà?

Nonostante tutto, non ebbi reazioni, nemmeno l’asma, se non quella di continuare a piangere.

Nel mio cuore già vorticavano paura, speranza, disperazione, odio e confusione; qualsiasi altra emozione l’avrebbe fatto esplodere, ne sono certa. Già con l’odio avevo avuto degli inconvenienti non da poco.

Sentivo, però, qualcosa che cercava di annullare la mia volontà, voleva violentarmi dall’interno, e le vampate di calore che avevo sentito prima c’entravano certamente qualcosa.

 

 

Che lagna! Stai sempre a piangere, pecora!

 

Rieccola, quella voce. Ancora sprezzante, ancora odiosa.

Chi sei? Domandai, in silenzio.

 

Chi vuole saperlo? Rispose quella, col tono annoiato del sovrano che si rivolge al servo.

Prima che potessi replicare, una voce nasale interruppe il silenzioso dialogo tra me e la creatura che mi abitava.

- Guarda un po’ chi abbiamo qui. Bentornata, mia piccola Sponsa.

Sgranai gli occhi, e un respiro mi rimase tronco.

Non poteva essere vero.

Mi girai, lenta e tremante, e incrociai i miei occhi in quelli porcini di Brain. Mi venne un rigurgito: sempre il solito cranio calvo, il solito muso suino, il solito aspetto da larva gigante.

Alzai un sopracciglio quando vidi i due gorilla alle sue spalle: mai che si sbrigasse le sue questioni da solo, quell’ uomo.

- Sempre a circondarti di leccaculo, Brain.- allusi, indicando gli omoni alle sue spalle – allora è vero che il marcio attira altro marcio.-

- Io non farei tanto la spiritosa se fossi in te, Sponsa. Comunque, vedo che sei finalmente riuscita a tirare fuori la divinità. Bene, bene.-

Divinità? Parlava forse dell’armatura?

Cercai di dissimulare la sorpresa, solamente per non fargli piacere.

- Va bene. Allora, prima di tutto liberiamoci delle zavorre.-

Ad uno schiocco di dita di quel verme, i bodyguard fecero qualche lento passo avanti, quel tanto che bastava per mettersi tra me e il lurido.

Anche loro, come me, ostentavano un’armatura. Solo che le loro erano veramente tremende: erano di un colore insensato, tra il prugna e il marrone direi, prive del più banale richiamo al classicismo o di un qualsivoglia gusto artistico; inoltre avevano applicata, al centro del petto, una sfera trasparente al cui interno comparivano, di tanto in tanto, dei lampi bluastri.

Praticamente, una sfera natalizia con dentro un parafulmini.

E poi dicono che i cattivi hanno più stile. Mah.

Ero pronta a deriderli per quelle corazze ridicole, davvero; d’altronde, ne avevo ben ragione: la mia era bellissima, anche se la odiavo dovevo ammetterlo, era riccamente decorata e perfetta in ogni dettaglio.

Purtroppo, però, non appena quei due ceffi si mossero verso di me, alla mia perfetta armatura venne la grande idea di sparire. Svampò così, in un attimo, senza avvisi, sublimando in una nube ramata che mi si infilò negli occhi, nel naso, nella bocca, ed io la respirai tutta quanta.

A quel punto, se non mi avessero fatto fuori Brain e compagnia bella, sarei comunque morta di avvelenamento per tutto il rame che avevo inalato.

Non appena l’armatura scomparve, mi sentii nuda: come ho già detto non aveva alcun peso, e la percepivo come una seconda pelle. Averla addosso mi era sembrato…naturale. Il problema veniva adesso, che mi sembrava una forzatura non averla.

Insieme a lei svanì ogni cosa: la sensazione di calore, la sicurezza, l’arroganza, tutto, e rimasi la solita ragazza di sempre, quel pallido fantasmino con il cuore di coniglio.

Con la coda dell’occhio vidi che Albert non si era ancora ripreso, e mi ritrovai a promettere a me stessa che sarei morta, prima che Brain riuscisse a fargli del male.

Intanto i due gorilla si erano girati verso quella larva umana con aria interrogativa. Lui, per tutta risposta, aveva cominciato a sbuffare come una teiera, mentre il suo volto si tingeva di un colorito purpureo che non aveva niente di sano.

- Minne ! Bupalo! –

A quel grido, i due ceffi con l’armatura si misero sull’attenti. Quindi si chiamavano così. Proprio aggraziati anche nei nomi, pensai.

- Non so come sia riuscita a far scomparire la Sacra Armatura, ma ce ne impossesseremo comunque! Prendetela! – gridò ancora Brain, schiumante di rabbia.

Minne e Bupalo mi furono addosso ad una velocità di cui credevo capaci solo i Cavalieri di Athena, e uno di loro mi bloccò i polsi, premendomeli contro la schiena.

Ero nei guai, e soprattutto rischiavo la vita di Albert.

Perché non si svegliava? Aveva certamente bisogno di cure, il battito del suo cuore era così debole… Senza contare che eravamo inzuppati d’acqua da un bel po’, questo non poteva di certo fargli bene…

Niente da fare, questa volta Brain non l’avrebbe avuta vinta.

Mi misi a scalciare come un cavallo, urlando, mordendo e graffiando tutto ciò che toccavo, impazzita. Diedi una capocciata contro qualcosa di duro, ma non mi fermai neanche quando sentii il sangue colarmi giù, dalle tempie fino al collo. Mi ruppi anche diverse unghie, ma in qualche modo riuscii ad arrivare a mio fratello e a buttarmici sopra a peso morto, in un maldestro tentativo di fargli da scudo.

Udii Brain ridere.

- Quindi è il fratellino il problema, Sponsa? - domandò, cantilenando.

- Cane. - sibilai io, furibonda.

- Non preoccuparti, ce ne liberiamo subito. Ormai non ci serve più. Bupalo, procedi. –

Uno dei due ceffi mi scostò con uno strattone violento e mi tenne ferma per le spalle, mentre io continuavo a ringhiare.

L’altro, Bupalo presumo, alzò il braccio e lo puntò verso mio fratello con il palmo rivolto in avanti. Ci fu un lampo di luce bianca e Albert…scomparve.

- Cos…? –

La risata sguaiata di Brain mi interruppe, allarmandomi da morire.

- Dov’è andato Albert? Cosa gli avete fatto? Dov’è mio fratello? –

Lo scimmione che mi teneva stretta mi lasciò andare, ed io potei vedere che gli sanguinava un occhio. Forse ero stata io, nell’impeto di poco fa. Amaramente, sorrisi.

- Posso, signor Brain? –

- Basta che non la uccidi. –

Pam.

Uno schiaffo mi colpì in pieno viso.

Caddi per terra sputando sangue, e sentii il labbro inferiore gonfiarsi quasi subito. Mentre ero a terra ansimante, quell’individuo, ben protetto dall’armatura, continuava a darmi calci e pugni, senza nemmeno lasciarmi lo spazio di un respiro. Mi ricordava ciò che era successo la prima volta che avevo incontrato Athena.

Minne continuò a malmenarmi per un po’, finché un ceffone più forte degli altri mi fece perdere conoscenza.

 

 

Benvenuta nel limbo dell’incoscienza, Pecora.

Chi sei?

Ancora con questa sciocca domanda? Se mi prometti che poi farai quello che ti dico, te lo rivelerò. D’accordo?

Ebbene?

Sì.

Sono colui che è rapido e malizioso, protettore dei ladri, guida dei morti, apportatore di sogni, creatore di prodigi e di illusioni, eterno vagabondo tra cielo, terra ed inferno. La mia intelligenza è lucida, il mio occhio vede chiaro, eppure appartengo alla Notte.

… Sei un dio?

Sì.

Oh.

Già. E noi, Pecora, siamo nei guai.

Perché continui a chiamarmi Pecora?

Come perché? Perché sei una Pecora.

No, non lo sono, dammi retta. Io mi chiamo Lily.

Non mi importa di come ti chiami, per me sei sempre una Pecora.

Allora, dicevo: siamo nei guai. Quei patetici umani hanno inventato una diavoleria che cattura i Cosmi, poco fa ne ho percepito il malefico influsso nella corazza di quella feccia. Non posso materializzarmi.

Non mi sarai d’aiuto?

Fisicamente no.

Ma tu sei l’armatura?

Sei stupida? Ti ho detto che sono un dio!

Ah, già…

Oh, Padre Zeus… comunque non devi preoccuparti, io me la cavo sempre.

Anch’io.

Beh?

…S-Sì. Ad ogni modo, ho mandato una richiesta d’aiuto ad Athena, tra fratelli ci si intende. Manderà qui alcuni dei suoi dorati protettori, anche il tuo amichetto, si è ripreso e sta arrivando.

E mio fratello?

Dimenticalo, è per sempre perduto.

Vuoi dire che è morto?

Sì.

…Non sento dolore…

È la mia anima che allontana il dolore dalla tua.

Oh. Allora smettila, per piacere.

Non se ne parla, non mi piace per niente quando soffri e ti viene l’asma.

Già, non piace nemmeno a me.

Congelerò il dolore per la morte di tuo fratello, e lo libererò solo quando la tua psiche sarà abbastanza solida da non rimanerne danneggiata. Ora sei troppo fragile per subire altri colpi.

Così mi condanni ad un futuro di dolore. Lo sai, vero?

Tu pensa al presente, godine il fiore. Il frutto del domani, se qualcosa va storto, non potrai coglierlo.

Ma perch…?

Taci, ti stai svegliando. Combatti per la dignità, Pecora, resisti fino all’arrivo di Athena. E ricorda: non sei sola.

 

 

 

 

Un ringraziamento particolare a ribrib20. Questo capitolo è tutto tuo.

Grazie anche a chi non ha smesso di seguirmi.

 

*Beso*

stan

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** divini incontri. ***


‡ Beautiful novel ‡

 

 

Divini incontri.

 

Quando riaprii gli occhi, non riuscii a capire dov’ero.

Avvertivo un tormento di fitte in tutto il corpo, e le mani e i piedi erano allacciati ad una sedia con del filo di ferro, che mi aveva abraso la carne fino a farla sanguinare.

La schiena mi doleva per via della posizione scomoda, e le tempie pulsavano in maniera fastidiosa.

Se queste sofferenze potevano comunque sembrarmi sopportabili, il dolore causato dalle bruciature di sigaretta che avevo in tutto il corpo era qualcosa di insostenibile: le ustioni, seppur lievi, ardevano sulla pelle implacabili come un incendio.

Per colpa di quelle cicatrici circolari, che mi mandavano illusioni crudeli, immagini di morte, di eroi inceneriti, non riuscivo a focalizzare la mia attenzione su qualcosa che non fosse quel dolore.

Che brutto ricordo.

Intanto Brain aveva notato che avevo ripreso conoscenza, per cui decise di iniziare il suo patetico spettacolino dando il meglio di sé.

Tanto per cominciare afferrò tutti i miei capelli, che allora erano piuttosto lunghi, e se li attorcigliò intorno alla mano con un solo, magistrale gesto; poi tirò, con l’espressione di chi compie solo l’ordinario dovere.

- Tira fuori la divinità, Sponsa! – ruggì, scuotendomi il capo con violenza.

Io, però, ero ancora troppo stordita dal dolore delle bruciature per sentirne altri, ed ero determinata a seguire il consiglio del dio che era in me; decisi, perciò, di resistere alla violenza del mio aguzzino senza perdere la dignità.

A onor del vero, devo anche ammettere che parlare con la divinità mi aveva istupidita parecchio, forse perché il mio fisico era stato indebolito dalle botte, e le provocazioni di quell’uomo mi giungevano irreali e ovattate come in un sogno.

Solo più tardi ripresi coscienza di ciò che stava realmente accadendomi.

Forse fu per le violente tirate di capelli di Brain, o magari il merito fu ancora una volta del dio che custodivo.

Di fatto, però, mi ritrovai improvvisamente sveglissima, nonostante mi dolessero tutte le giunture, come fossi una vecchia bambola.

Ebbi l’idea di guardarmi intorno, giusto per capire dove mi trovavo. Ero in un ambiente chiuso, stretto e lungo, illuminato solo da luci al neon, che a volte si fulminavano, scoppiando in un’epifania di fumo e scintille blu. Sembrava vagamente un vecchio hangar.

Brain continuava a strillare e dimenarsi, e nonostante i buoni propositi di non reagire alle sue violenze, la mia pazienza era già troppo logorata da tutte quelle prove per non incrinarsi.

E ovviamente accadde.

All’ennesimo urlo, seguito dall’ennesima tirata di capelli, scattò in me una scintilla.

Qualcosa mi ruggì dentro, una fiammata di coraggio mi divampò, sottile, sotto le membra. Sfiorò le punte dei piedi e arrivò a quelle dei capelli fino ad irrorarmi il cuore, spruzzandomi l’anima di una speranza arrogante.

Esibii uno sguardo orgoglioso e sprezzante, prima di sputare in faccia a Brain.

Proprio così, gli sputai addosso dopo aver preso la mira con cattiveria, e lo centrai proprio nell’occhio destro, neanche fossi stata una cecchina.

Ovviamente, quella larva gigante si arrabbiò moltissimo, ma la cosa non mi preoccupò, anzi, servì perfino a procurarmi un perverso senso di piacere. Riuscii addirittura ad esibire un ghigno vagamente malefico.

- Mi sono stufato, mocciosa che non sei altro! Non mi faccio certo umiliare da una poppante, io!- esplodeva, intanto, Brain – Minne, vieni subito qui! –

- Sissignore. –

Il tirapiedi si avvicinò sfregandosi le mani, mentre con la lingua compiva movimenti lenti e circolari intorno alle proprie labbra. Se a questi movimenti inquietanti si sommano gli occhi spalancati e fissi nel vuoto, devo ammettere che in quel momento mi fece un po’ paura. Un bel po’, ecco, sarò sincera.

- Sai una cosa mia cara?- continuò Brain imperterrito. Pensai che quell’uomo avesse un ego infinito, e una gran mania di protagonismo; qualunque cosa gli capitasse intorno, lui doveva parlare e dire la sua. – Io sono uno scienziato, e studiando le stelle sono riuscito a carpire tutti i segreti dell’Universo, compresa la questione dei Cosmi. Pensa che sono addirittura riuscito a sfruttare queste conoscenze per impadronirmi dell’energia dei quasar più lontani. Ora essa è convogliata nelle armature di Minne e Bupalo. Affascinante, non trovi? –

- Meraviglioso, oserei. –

- Poco sarcasmo, Sponsa. Forse non sai che ho inventato una macchina in grado di percepire i Cosmi, vero? Con quella, posso anche assorbirli o riprodurli. Per tua fortuna, ora è disattivata per motivi energetici: esigo che l’energia sia al massimo, quando la tua Armatura si materializzerà di nuovo. –

- E a me che importa? –

- Dovrebbe importarti, tesoro, visto e considerato che questa condizione è solo causa tua. –

- Che vuoi dire? –

- La sera che la costruii ero nel laboratorio della Clara Domus, e si attivò per pura casualità. Fu proprio grazie a quel colpo di fortuna che scoprii che avevi un Cosmo, e di natura divina, per giunta! Che inaspettata sorpresa, nevvero? –

- Aspetta un momento. Vuoi dire che tu… -

- Esatto. All’inizio optai per impadronirmi del tuo Cosmo nella maniera meno violenta possibile, perciò scelsi lo stratagemma del matrimonio. Ma la tua cocciutaggine e l’entrata in scena di Athena mi hanno costretto a cambiare piano.-

Finalmente Brain fece una pausa ed io potei assorbire ogni parola, ma non trovai comunque la forza di rispondere, tanto ero turbata.

Compiaciuto, Crapa Pelata continuò:

- Intanto, tuo fratello Albert era tornato dall’Inghilterra. Era un chimico eccellente, quel ragazzo, ma era troppo ingenuo e troppo poco arrivista. Non sarei mai riuscito a farne un mio suddito devoto. Decisi di eliminarlo, dopo averlo usato. Gli raccontai una storiella in cui i Cavalieri di Athena erano gli antagonisti, e lui ci credette subito. Venne a cercarti di corsa, e il resto più o meno lo conosci. –

Come promesso dal dio, nessuna delle informazioni sulla sorte di mio fratello mi procurò dolore, ma sorpresa sì, inevitabilmente.

Non avrei mia immaginato che il casino di Brain avesse preso questa piega durante il mio soggiorno al Santuario. Maledizione.

- Ed è proprio un’invenzione di tuo fratello, mia cara Sponsa, ciò che voglio mostrarti ora. – disse ancora il verme, mentre dalla tasca della giacca estraeva una siringa dall’aria minacciosa che conteneva un liquido roseo.

- Questa sostanza è opera del tuo caro Albert – ribadì ancora, caricando volutamente di enfasi le ultime due parole.

Che squallido. E così voleva torturarmi nell’anima, eh?

Sapeva quanto ero legata a mio fratello, e cercava di far leva sul dolore per spezzare tutte le difese che avevo, e magari per farmi liberare il Cosmo divino. Un avversario infelice ed emotivamente fragile è un avversario già vinto, mi aveva insegnato proprio lui, quand’ero piccola, alla Clara Domus.

Peccato non sapesse che avevo una nuova forza in me in quel momento, un calore che mi proteggeva senza bruciare, la certezza di un ricordo senza dolore. Potevo vedere il mio passato senza subirne il peso, la mia anima non si sarebbe incrinata mai più, ero imbattibile.

O meglio, lo ero sul piano emotivo, ma fisicamente ero molto, molto provata.

Come se avesse intercettato i miei pensieri, o più semplicemente per dar sfogo alla sua implacabile vena violenta, Brain mi piazzò altri due bei ceffoni in pieno volto, seguiti dalla classica tirata di capelli.

Ma io dico, mi fai del male a caso e riesci comunque ad essere noioso? Cielo, quell’uomo era monotono anche nel picchiare!

Certo, se i fili di ferro non avessero premuto in modo dolorosissimo su polsi e caviglie, se non fossi stata debolissima per via delle percosse e del sangue perso e se non mi avessero inchiodata senza troppo garbo ad una sedia, avrei certamente risposto alle botte con altre botte.

Ormai, però, mi rimaneva solo la mia forza emotiva, che mai come in quel momento mi era sembrata una cosa inutile.

Dove diavolo si erano cacciati i Gold Saints? Dovevano essere arrivati già da un pezzo…

- Adesso basta Sponsa. Tira fuori l’Armatura, altrimenti dovrò farti una punturina... –

- Sai che paura, Crapa Pelata. –

- Fossi in te, ne avrei. È una sostanza che agisce sul sistema nervoso, simulando la sensazione del dolore. –

- Cioè sentirò male senza subire danni? –

- Ne avrai eccome di danni, a livello psichico. Il dolore sarà talmente intenso che l’unica via di fuga per te sarà la pazzia. A meno che non tiri fuori la Sacra Armatura. In quel caso, ti somministrerei l’antidoto.- così dicendo, Brain tirò fuori dalla tasca un’altra siringa contenente un liquido ambrato.

- Sai di essere vile, vero? – chiesi.

- Oh, ma è per questo che mi amo. – soffiò lui. Poi, con espressione trionfante, prese la siringa rosata come se fosse un pugnale, e senza tanti preamboli me la conficcò nel collo.

Strizzai gli occhi per lo stupore, e fu in quel momento che la mia mente si riempì di tante chiazze colorate: azzurre, blu, rosse, verdi…

All’inizio mi sembrarono infinite, ma concentrandomi con più precisione compresi che erano sei.

Finalmente.

Mur, Milo, Shaka, Aiolia, Camus e Aldebaran, se non andavo errando.

La divinità che incarnavo doveva essere piuttosto potente, se Athena stessa si privava della metà dei suoi guerrieri per venire in mio aiuto.

Questa mia riflessione, però, così come ogni altro pensiero, rimase in sospeso di colpo.

Le convulsioni erano cominciate.

Una fitta feroce mi attraversò la spina dorsale, i polmoni vennero offesi da un’asma dalla violenza indefinibile ed io non potei fare a meno di gridare, perché tra il dolore che sentivo realmente e quello che invece era solo presunto, non ne potevo davvero più.

Finalmente, i Gold si decisero ad entrare buttando giù un muro.

Nelle entrate ad effetto sono sempre stati bravi, devo ammetterlo.

Dalla breccia creata dai ragazzi filtrò la luce del sole, odorosa di terra e di gelsomino, segno che ormai aveva smesso di piovere. I raggi solari contrastavano piacevolmente con la fredda luce al neon dell’hangar in cui ci trovavamo, e in un altro momento avrei notato la differenza.

In quell’istante, però, non ero proprio in vena di ammirare i giochi di luce della natura; come mio solito, ero troppo impegnata a piangere di dolore e di sollievo. Almeno, però, ammettevo di essere una piagnucolosa cronica, era un bel passo avanti.

Promisi a me stessa che alla fine di quella storia avrei dovuto imparare ad essere avara di lacrime. Ovviamente, non fui mai di parola.

Minne e Bupalo furono subito addosso ai Gold, che però erano in netta superiorità numerica, tanto che ogni tirapiedi di Brain si vedeva costretto ad affrontare ben due Santi di Athena.

- Ragazzi… - mugolai, felice al pensiero di essere salvata (che sempliciotta che ero! )

Milo fu subito al mio fianco, mentre Camus si preparò ad affrontare Brain; gli altri Cavalieri erano già impegnati nelle rispettive battaglie.

- Milo… - cercai di chiamarlo e sorridergli, ma sentivo davvero troppo male per risultare convincente. Ero vicina al limite.

- Lily, ma cosa ti hanno fatto? Stai ferma, ti libero subito. –

E in un attimo mi ritrovai stesa a terra in fondo alla stanza, la schiena sul pavimento nudo, mentre la battaglia si consumava lontano dalla mia vista.

- Ma cosa…? – Milo intanto mi esaminava con sguardo critico. In effetti, dovevo avere un aspetto orribile. Provai invano a sorridere un’altra volta.

- Bruciature di sigaretta?!? Camus, dammi il cambio! –

Camus indietreggiò fino a giungermi al fianco, mentre Milo, furioso come non l’avevo mai visto, con un solo gesto si liberò delle sue Sacre Vestigia, che andarono a comporre la forma di uno scorpione poco lontano da lui.

- Milo, che fai? – domandò il Cavaliere dell’Acquario, probabilmente allarmato, o forse solo curioso.

Il greco non rispose, si limitò ad avanzare verso Brain con aria sempre più minacciosa, i muscoli tesi e lo sguardo da predatore. Perfino io mi ritrovai percorsa da un brivido di paura, nonostante le convulsioni.

- Certe cose vanno risolte tra uomini. E poi, per un verme come lui l’Armatura dello Scorpione è sprecata. –

Conosceva Brain da solo due secondi, e già aveva capito che era un verme. Adoravo Milo.

Purtroppo, però, non riuscii a vedere lo scontro tra i due, perché il composto chimico ideato da mio fratello stava facendo il suo dovere: le fitte aumentarono d’intensità costringendomi ad inarcare la schiena, invocando senza ragione il nome di Camus quando il male pareva insopportabile.

Sentii le mani gelate del Santo di Aquarius cingermi le spalle senza che questa sensazione mi procurasse alcun sollievo, e scorsi il pugno nudo di Milo colpire Brain con precisione, in pieno volto, mentre il pelato barcollava sotto quell’inaspettata potenza.

Poi, grazie al cielo, fu di nuovo il buio più totale.

 

 

Bentornata. Allora è vero che chi non muore si rivede.

Mmm… dove mi trovo?

Nel tuo inconscio, al solito posto.

Oh, quindi tu sei il dio.

Sì, sono io.

Sono incosciente da molto?

Da cinque giorni, e in parte è anche colpa mia.

Che vuoi dire?

Il dolore prodotto da quella pozione era evanescente, aveva la consistenza di un miraggio, così l’ho esorcizzato con un’altra illusione, equivalente ma contraria. Ho agito solo quando il tuo sistema nervoso cominciava a subire dei danni.

Vuoi dire che stavo impazzendo?

Può darsi.

Allora grazie di avermi salvata.

Non ringraziarmi, l’esercizio prolungato del mio Cosmo ha provato troppo il tuo fisico, ecco perché stai impiegando tanto tempo per recuperare.

L’esercizio del tuo Cosmo? Ma io e te non siamo la stessa cosa?

La stessa cosa? Cielo, no!

Ma Saori e Athena…

Io ti abito da quando sei nata, ma sono un’entità libera per natura. Siamo due anime in un corpo, ma non siamo la stessa cosa.

Mi userai solo quando dovrai manifestarti?

Sì.

Però io dovrò accordarti il permesso di lasciarmi usare.

Se volessi, Pecora, potrei sottometterti anche subito.

Non credo lo faresti.

Cosa te lo fa pensare?

Affari miei. Il mio nome è Lily, tu come hai detto di chiamarti?

Non l’ho detto.

Io, però, mi sono presentata.

Hai fatto bene, vuol dire che sei una persona educata.

Allora tiro ad indovinare! Vediamo, sei…

Ti prego, Pecora, risparmiami quest’agonia, te lo dico. Sono Hermes, messaggero degli dei. Contenta?

Ahahahaha!

Cosa ridi?

Sono posseduta da un postino!

Messaggero, stupida Pecora mortale e blasfema, sono il Messaggero Divino, e non solo!

Va bene, non ti offendere.

Sei ancora qui?

Hermes? Ti sei arrabbiato?

Oh, non essere ridicolo!

Uff…e va bene. Scusa per quello che ho detto.

Dicevi, Pecora?

Mpf. Ora che ti sei svegliato, abbiamo dei compiti da svolgere?

Non subito, il mio Cosmo è ancora in stato embrionale.

Non capisco.

Non importa. Vieni, ti devo presentare qualcuno di speciale.

Vieni? Dove?

Ora intreccerò la mia anima alla tua e voleremo sull’Olimpo. Non avere paura, mi raccomando…

 

 

Potevo sentire tutto. Ogni cosa, ogni dettaglio, pur essendo solo anima, più leggera di un alito di vento. Era fantastico.

Ebbi come la sensazione di salire in alto, sempre più su verso un mondo splendente, e man mano che salivo mi sembrava di sgravarmi da ogni peso terreno.

Così, la ma anima giunse all’Olimpo rigenerata.

Hermes mi condusse verso una fiamma enorme, doveva essere uno spirito molto potente. Probabilmente, quella fiamma aveva anche un volto, ma nel suo continuo baluginare non riuscivo a scorgerne le fattezze.

Intuii, però, che la lingua infuocata sedeva, per così dire, su un trono altrettanto enorme, di marmo bianco e dorato.

Era tutt’altro che buffa, anzi, incuteva rispetto e timore.

 

 

Salve, Padre. Ve l’ho portata.

Benarrivato, figliolo. Così, questa donna è la coraggiosa custode del tuo Cosmo. Come ti chiami, bambina?

L-Lily, Signore.

Ciao, Lily. Ora che mio figlio Hermes si è svegliato, ti spetta un compito arduo. Per adesso, però, non angustiarti, hai ancora tempo per riposare, e tutti noi dèi ti siamo vicini e alleati. Qualunque offesa ti sarà recata, ti vendicheremo. Noi dèi siamo entità molto suscettibili, sai? E Hermes ci è così caro…

Grazie infinite, Padre.

Tornate giù, ora, e portate ad Athena il saluto di Zeus. Non preoccuparti, giovane Lily, tu ed Hermes agite con il mio consenso e la mia benedizione…

 

 

Vorticai giù senza nemmeno avere il tempo di rispondere, e il mio spirito si ritrovò nuovamente incollato al corpo immobile.

 

Parlare con Zeus non è una cosa che capita tutti i giorni nemmeno alle divinità come me, sai?

Immagino.

Sarà… ad ogni modo, l’incontro con il Padre ha sanato tutte le tue ferite, il suo Cosmo è straordinario. Stai per svegliarti, abbiamo giusto il tempo per le ultime domande.

D’accordo. Io e te stiamo parlando da molto tempo, e dormo da ancora di più: al Santuario sono preoccupati?

Sì, e anche parecchio.

E come stanno i Gold? Sono feriti?

No, stanno tutti bene, durante gli scontri non hanno avuto grosse difficoltà.

Neanche con la macchina che risucchia i Cosmi?

Ricorda che quella diavoleria è stata costruita da mano umana: è imperfetta. Anche se per un po’ li ha indeboliti, non aveva certo il potere di imbrigliare sei Cosmi dorati contemporaneamente.

Sì, giusto. E Brain che fine ha fatto?

È scappato, avvolto da un Cosmo così sottile che io e gli scagnozzi di Athena l’abbiamo percepito solo troppo tardi. Però non mi sembrava molto contento, il Cavaliere dello Scorpione l’aveva quasi ucciso di botte.

Milo…

Quel ragazzo ti vuole particolarmente bene, e ho notato che anche tu…

Dai, piantala, non è vero!

Non provare a mentirmi, Pecora! Tutte le volte che si avvicina ti viene l’asma, oppure il mal di pancia, oppure mi sconquassi il Cosmo senza accorgertene… Da quando te sei arrivata al Santuario, io vivo nel panico!

Ecco…Io…

Dopo tutte le pene che mi hai inflitto per il tuo patetico sentimento mortale, non mi dai neanche la soddisfazione di sentirmi dire la verità?

Mah, veramente…

Con parole tue, Pecora, con parole tue…

Milo…uff…Io…

Oh, Zeus! Non ho tutta la giornata, io!

Tze! Come se avessi di meglio da fare!

Ce l’ho, infatti! Il mio passatempo preferito è torturare le Pecore irriverenti che si credono furbe! Allora, ti piace o no?

Tanto…

Ridicola.

Stronzo.

 

 

 

Di colpo le mie ciglia si sollevarono e potei tornare a godere del sapore della luce, dopo il mio forzato soggiorno in un mondo di tenebre e anime.

Fu un bel risveglio, e mi ritrovai stesa a letto con addosso un panno di lino bianco, avvolta in lenzuola, bianche anch’esse, che frusciavano come fossero di seta.

Mi sentivo un foglio di carta candido, intonso, ancora puro. La sorpresa fu grande, quando mi accorsi che due occhi sereni stavano incidendo sopra di me la loro azzurra calligrafia.

Milo sorrise, quieto, ed io gli sorrisi a mia volta.

Oh, sì, fu davvero un gran bel risveglio.

 

 

 

 

Buon pomeriggio a tutti. =)

Non avete idea di quanto mi infastidisca dover iniziare ogni volta quest’angolo con delle scuse per il ritardo, ma tant’è…

Il mio pc da ancora dei problemi, ma cercherò di usufruire delle case e dei pc altrui per riuscire a postare i cap…Data la difficoltà della cosa, però, non garantisco di postare i capitoli con regolarità, chiedo venia!!! =(

E adesso è il momento dei GRAZIE:

 Tsukuyomi: Ciao, carissima!!! Che piacere vedere un tuo commento! ^_^ Sì, alla fine sono tornata, anche se è stata un po’ dura… Come vedi il nuovo aggiornamento è arrivato, anche se con un po’ di difficoltà, spero ti piaccia… Grazie ancora di tutto! Beso.

 

Ai91: Ciao!!!! :D Hai visto, alla fine sono tornata ad aggiornare!!! Sì, purtroppo era necessario eliminare Albert *_*, cose che capitano… Spero che questo capitolo ti piaccia, grazie infinite per non aver smesso di seguirmi!! :DDD Beso.

 

Ribrib20: Ciao, cara! =) Sì, è davvero tutto merito tuo. Non credo di doverti dire altro, se non che spero tanto che questo capitolo ti piaccia. Ancora grazie, grazie davvero di tutto. =))))))) Un Beso.

 

Infine, grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite e a colore che continuano a leggere. Vamos ya!

 

Beso.

stan

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Capitolo 11
*** de sublime. ***


‡ Beautiful Novel ‡

 

 

† De sublime. †

 

 

Quando mi risvegliai, mi ritrovai a fare i conti con gli occhi di Milo.

Non avevo il solito sguardo affettuoso e arrogante, no, stavolta quell’azzurro sgarbato mi scivolava addosso con curiosità, mi scrutava con forza, intensamente, come se io non fossi realmente presente.

Lui continuava a restare in silenzio ed io facevo lo stesso, domandandomi se davvero ero sveglia o se stavo continuando a sognare.

Infine Milo parlò, rompendo il surreale torpore che mi avvolgeva. Pronunciò frasi di circostanza che non ricordo nemmeno, ed io risposi educatamente con parole altrettanto vuote. Ma il nostro scambio di cortesi formule precotte non durò a lungo, e tra noi tornò a calare un silenzio denso e pieno di dubbi.

Non dimenticherò mai quanto fossero ostinati gli occhi di Milo: era come se mi attraversassero, come se volessero incidere sulla mia pelle, con cilestrina calligrafia, parole molto più interessanti e sincere di quelle che finora erano uscite dalle nostre labbra.

- è inutile. – mi disse – Non riesco a vedere altro che te. Non c’è traccia di divino, non trovo un senso al tuo Cosmo. Davvero non riesco a capire.-

Cosa c’è da capire, avrei voluto chiedergli.

Io non ho mai visto in te, in voi, nient’altro che uomini, anzi, ragazzi. In Saori stessa non ho mai visto altro che una bambina spaventata.

Voi non siete Cavalieri, io non sono un dio.

Tutta questa farsa stellare è assurda, è una cosmica presa in giro.

Non siamo altro che uomini, in fin dei conti.

Non so perché, ma non riuscii a trovare la forza di dirgli tutto questo. Però penso che Milo capì comunque, perché mi sorrise e mi disse che mi avrebbe portata in un posto speciale.

Mi prese in braccio così, senza nemmeno darmi il tempo di guardarmi allo specchio, di sistemarmi i capelli o di cambiarmi la tunica ospedaliera che indossavo. Per la verità, non ebbi neanche il tempo di brontolare.

Un fruscio, un senso di vuoto allo stomaco, una leggera vertigine e lo scenario intorno a me era cambiato. Non ero più in una camera bianca e luminosa che odorava di disinfettante, ma su una piccola spiaggia, vuota e silenziosa.

Era l’ora del tramonto, e le onde erano attraversate da un bagliore rossastro, lo stesso che tingeva i bassi arbusti di tamerici dietro di me.

Nel complesso, era il luogo più armonioso e affascinante che avessi mai visto.

- Benvenuta nell’isola di Milo, mia cara. Benvenuta a casa mia. –

Tentai di sorridere, e magari di rispondere in maniera spiritosa, ma un conato di vomito mi fece accasciare.

Fantastico, gli effetti della supervelocità si manifestavano sempre nei momenti e nei modi meno opportuni!

Chiaramente Milo scoppiò a ridere, così per distrarlo e rimediare alla mia figuraccia proposi un bagno in mare.

Il problema arrivò quando constatai che sotto la tunica ospedaliera indossavo solo gli slip. Del reggiseno neanche l’ombra.

Dal canto suo, Milo si era già spogliato di maglia e pantaloni e sguazzava felice in acqua, canticchiando la propria allegria e schernendo il mio balbettare insicuro.

Ero restia a lasciarmi andare, ma il richiamo delle onde era troppo invitante e la voce di lui troppo suadente, così alla fine cedetti.

Mi sfilai la tunica con un gesto deciso, maledicendo i miei stupidi, pallidi seni, e mi gettai in acqua dopo essermi assicurata che almeno le mutande fossero ben ancorate alle chiappe. Dovevo pur conservare un briciolo di dignità, insomma!

- Ma che ti ridi? – sbuffai verso Milo, che non la smetteva di sghignazzare.

- Mi perdoni, Miss Pudore! – ammiccò lui, chiaramente in cerca di rogne. La guerra di schizzi che cominciò subito dopo fu un’inevitabile conseguenza delle sue insolenze.

Smettemmo di giocare con l’acqua solo quando Milo mi fece notare che una luna tonda e gialla come un pompelmo aveva sostituito il sole senza che noi ce ne fossimo accorti. Solo allora sentii che l’acqua del mare bruciava sulle ferite che ancora riportavo. Nonostante le intense cure, il labbro spaccato in un angolo, il taglio sopra il sopracciglio e i vari graffi nelle gambe continuavano a dolere in modo molto fastidioso.

Dovevo essere un vero schifo.

Milo invece era più bello che mai, così profondamente immerso nel suo ambiente naturale. E quella luna, quell’atmosfera, tutta quella surreale natura sembrava voler contribuire a donare vigore al suo fascino.

Improvvisamente mi sentii inopportuna, inferiore, e provai una gran vergogna.

Uscii dall’acqua di corsa e senza parlare, e cercai subito la tunica per nascondere le mie nudità, che mai mi erano sembrate tanto fastidiose, deformi, rivoltanti. Ma dove cavolo era finito quello straccetto?

Frugavo la spiaggia con lo sguardo, quasi con smania, ansiosa di trovare qualcosa, qualsiasi cosa con cui coprirmi.

Di colpo avvertii una sensazione di calore sulle spalle:Milo mi aveva appoggiato addosso un asciugamano. Ma dove diavolo l’aveva trovato?

- Asciugati, prima di ammalarti. Io intanto provo ad accendere un falò. Ti piacciono i falò? Anche a me. Poi mi dici cosa ti è preso, intesi? –

Un tono dolce, pacato e rigido. Obbedii.

- Non è che avresti una maglietta da prestarmi? –

- Puoi usare la mia, io non ho freddo. –

Lo osservai mentre accendeva il falò e mentre estraeva della carne da uno zainetto nascosto in un cespuglio. Ecco da dove aveva preso l’asciugamano!

- Hai fame? –

- Da morire. –

- Allora siediti, che mangiamo.-

Mi invitò a sedere al suo fianco sopra un telo dai colori sgargianti,e mangiammo in silenzio. Prendevamo i pezzi di carne con le mani e ci leccavamo le dita quando il grasso colava giù, perché non avevamo di che pulirci e ci sembrava che sciacquarci le mani in mare fosse un’eresia, uno spreco di quel sapore squisito.

Terminata la nostra primitiva cena decidemmo di stenderci a guardare le stelle, mentre poco lontano da noi il falò andava lentamente spegnendosi.

- Vuoi dirmi cosa non va, adesso? – mi chiese finalmente.

- Tanto non trovo le parole, non ha senso che te lo spieghi. –

- Mi devi una spiegazione, Lily, e non darmi mai più una risposta del genere, mi spazientisci! –

La verità era che mi sentivo stupida, una bambina cretina che sollevava questioni immature, e non avevo nessuna voglia di chiarire il mio comportamento. Però era anche vero che conoscere il perché delle mie reazioni lunatiche era un suo diritto, o quantomeno lo era ricevere le mie scuse…

Così, tentai di spiegargli la mia sensazione di disagio davanti alla sua statuaria perfezione, e la cosa lo fece irritare ancora di più.

Borbottò qualche imprecazione incomprensibile, si mise a sedere e si passò una mano tra i capelli.

Mi alzai anch’ io, con un’angoscia crescente che mi martellava il petto. Perché le mie ridicole paranoie dovevano sempre rovinare tutto?

Inaspettatamente il suo braccio mi cinse le spalle, ed io potei di nuovo godere di quell’aroma mediterraneo che ancora mi affascina.

- Perdere tempo su dei simili paragoni è la cosa più sciocca, inutile e dannosa che potessi fare! – commentò, secco.

- Lo so, e… -

- No, non è vero. Tu non sai un bel niente, non hai la minima consapevolezza di ciò che sei: sei totalmente incosciente di te stessa.-

Ci sono momenti in cui la verità è come un’offesa. Un serpente pieno di spine, che ti scivola dentro lentamente, e punge,punge ovunque.

- Ma io… - tentai, già con le lacrime agli occhi.

- No, taci. Non parlare. –

Il tono arrogante di Milo mi fece salire la bile alle stelle,facendo muovere freneticamente il serpente che era in me,in una dolorosa danza dettata ora dall’offesa, ora dalla rabbia, ora dalla vergogna.

Poi,però, lui si fece scappare un sorriso lieve,un fulmineo movimento del viso. Durò solo un istante, ma bastò a dissipare le tenebre del malumore che mi stava prendendo.

Milo era così, era il bagliore di un fiammifero in una notte buia: la sua luce non bastava a fare giorno, ma era sufficiente a dissipare le paure, a farmi sentire meno sola. Per me non era vita, eppure ne aveva il sapore.

Appoggiò la sua fronte contro la mia, mentre con una mano mi accarezzava i capelli bagnati. Mi disse ancora di tacere, stavolta sussurrando,e potei avvertire sulla pelle il calore del suo respiro.

Io intanto restavo immobile e incredula, sicura che stessi vivendo un sogno e non la realtà. Chiusi gli occhi e attesi, senza riuscire a fare altro che sperare e pregare. Avrei voluto vivere quell’attimo in eterno.

Poi accadde.

Le labbra di Milo erano proprio come le immaginavo: morbide, leggere e un po’ umide. Schiusi le labbra e risposi al bacio, mentre sotto la mia pelle divampava un fuoco sottile.

Tenevo gli occhi ostinatamente chiusi, ma l’intensità dell’emozione era tale che se anche avessi provato ad aprirli non sarei riuscita a vedere nulla.

Per un po’ l’unico suono udibile, oltre a quello del mare, furono le nostre labbra ansanti che frugavano, mangiavano, danzavano…Poi ci furono sospiri interrotti, gemiti malcelati, morsi, strappi e l’assordante percuotere di due cuori che si riconoscono. Nella mia anima era il caos, e lasciarmi andare ai miei istinti più primordiali fu una dolce resa.

Milo mi spogliò della sua maglietta con una lentezza calcolata, che gli costò non poco, a giudicare dai tremiti e dal respiro affannoso. Io invece gli sbottonai i pantaloni con dita tremanti, rivelando una fretta e un’ansia che non avevo mai avuto e non pensavo di avere, perché non avevo mai desiderato così tanto un uomo prima di Milo.

Gli attimi che precedettero l’amplesso furono i più frustranti della mia vita. Quell’attesa, quello sguardo, quel futuro promesso e taciuto…non dimenticherò mai nemmeno un istante di quella notte.

Poi, finalmente, Milo entrò in me, e potei godere di un atto privo di qualsiasi perversione, di qualsiasi dolore, di qualsiasi rimorso.

Non c’era niente di cavalleresco in quei movimenti animali, nei nostri roventi palpeggiamenti. Il sacro e il divino erano ben lontani da noi, non avevano nulla a che fare con quell’intrico profano di gambe e vite.

Eravamo solo noi due, irraggiungibili, invincibili e mortali.

Non avevo mai vissuto qualcosa di così violento e sublime.

 

 

 

 

 

 

 

 

Finalmente sono tornata!!! Chiedo infinitamente scusa, ma il computer mi crea non pochi problemi, e faccio fatica a postare!-.-‘’

Tra l’altro ci scappa pure un viaggio, quindi non riuscirò ad aggiornare prima di 3 settimane. =(

Chiedo venia!!!!!

Intanto ringrazio tutti, ma veramente tutti per il sostegno. Oggi non faccio in tempo a ringraziarvi uno per uno come meritereste, ma mi rifarò la prossima volta. Spero che questo capitolo vi piaccia!

Enjoy!

*stan*

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Capitolo 12
*** regina di mezogne ***


‡ Beautiful novel ‡

 

 

Regina di menzogne.

 

 

 

Non avevo mai infranto nessuna regola, nemmeno da bambina. Non perché avessi una natura particolarmente remissiva e subordinata, anzi. La verità è che ho sempre avuto paura di perdere.

Ero governata, no, posseduta dal terrore che se fossi caduta non sarei mai più stata in grado di rialzarmi. Ero certa che se mi fossi lasciata andare un pochino di più mi sarei persa, senza alcuna possibilità di ritrovarmi. Mai più.

Per questo ero sempre stata molto attenta a non fare pazzie, a restare in carreggiata, sempre preoccupata per tutto, impegnandomi a fare ciò che gli altri si aspettavano da me e non ciò che desideravo, come invece sarebbe stato giusto.

Non volevo deludere le persone a me care.

Forse è anche per questo che non mi ero mai innamorata. Ma non si può scappare dall’amore, adesso l’ho imparato.

Ora sono cambiata profondamente, complici un falò, un mare calmo e scuro, una spiaggia odorosa. E un uomo incredibile, con braccia forti, occhi chiari e la pelle che sa di Mediterraneo.

Se mi chiedessero di dare un volto all’amore, descriverei quello di Milo. Perché lui è stato come un colpo di spugna sulla polvere della mia vita, una pennellata di colori densi e improbabili sul grigiore della mia esistenza.

Quella notte era stato amore, lo sapevo bene.

Per questo il mattino dopo ero così dispiaciuta: la prima e unica volta che avevo ceduto all’istinto e infranto le regole, c’erano state delle spiacevoli conseguenze. E non solo per me.

Quando aveva scoperto della “fuga” senza permesso di Milo, il Gran Sacerdote era andato su tutte le furie, e si era recato dalla Dea stessa per chiederle immediati provvedimenti.

Così, una volta tornati al Santuario Athena aveva convocato privatamente il Cavaliere di Scorpio, pretendendo spiegazioni sull’accaduto e, a quanto ne so, rimproverandolo severamente.

Io però non potevo tollerare che Milo venisse punito a causa mia. Del resto lui era l’unico, in quella gabbia di matti, a farmi sentire davvero felice e apprezzata.

Perciò raccolsi tutto il mio coraggio e pregai Hermes di manifestarsi. Quella volta non udii nessuna voce divina gracchiare nella mia testa, ma sentii che un alone caldo e rassicurante mi avvolgeva le membra, facendomi sentire più forte.

Entrai nella Tredicesima casa con passo fiero, le spalle dritte e il mento alto, sicura che tutti i presenti avrebbero riconosciuto in me un’autorità divina, e non una ragazzina spaventata a cui tremavano perfino le ginocchia.

Per fortuna, la regale presenza di Hermes fu più evidente della mia angoscia, e nessuno fece caso alla mia smorfia inquieta. Il Gran Sacerdote mi condusse a capo chino in un salone grande e ben arredato, lo stesso in cui avevo incontrato Saori Kido la prima volta, e mi fece educatamente attendere mentre lui mi annunciava alla Dea.

Entrai in silenzio, i pugni chiusi e la mascella rigida, e avanzai fino al cospetto di Athena, la quale cercava di mascherare dietro uno sguardo severo la sorpresa di vedermi lì.

Mi affiancai a Milo, che era inginocchiato proprio di fronte a Saori, e lo osservai un momento per analizzarne la reazione. Mi guardava senza sorpresa né rabbia, nei suoi occhi c’era solo un’immensa curiosità che non riusciva in nessun modo a celare.

- Scorpio, credo sia il caso di rimandare a più tardi la nostra conversazione. Per adesso puoi andare, ma non considerarti impunito.-

Milo fece cenno di aver capito, chinò leggermente il capo e si alzò con cautela, senza smettere di guardarmi. Mentre si avviava lentamente verso la porta, si girò varie volte verso di noi con un’espressione interessata e divertita, come se si aspettasse un colpo di scena da un momento all’altro.

Ma tu guarda! Aveva appena ricevuto una strigliata da Athena in persona e aveva ancora il coraggio di scherzare! Quel ragazzo era incredibile!

Mi scappò un sorriso che Saori intercettò subito.

- Quello che avete fatto ieri notte è… -

    - È tutta colpa mia. – la interruppi io.

Le sue divine iridi si spalancarono per lo stupore: era sicura

- Cosa vorresti dire? – il suo tono era molto sospettoso, avrei dovuto giocare le mie carte con estrema abilità.

- Quando mi sono svegliata, ero in panico. Sentivo fluire in me il Cosmo di Hermes, il mio corpo era un delirio, ardevo, e nella mia mente turbinavano tante immagini distorte, raccapriccianti, confuse…Temevo di impazzire. – feci una pausa per dare più effetto alle mie parole, mentre l’alone intorno a me acquistava nuovo vigore e si intensificava. Sembrava che il Cosmo di Hermes fosse euforico.

- Ma il Cavaliere di Scorpio era lì, pronto a sostenermi, a soddisfare ogni desiderio del vostro amato fratello come voi, Glaucopide, gli avete ordinato. –

Athena assottigliò lo sguardo aspettando il seguito, ed io proseguii:

- Gli chiesi di portarmi immediatamente fuori dal Tempio, in un posto tranquillo e sereno in cui il mio spirito tormentato avrebbe potuto ritrovare un po’ di serenità. Mi portò nell’isola di Milo. –

Tirai un sospiro, prima di raccontare la balla decisiva:

- Poco dopo, però, il Cavaliere di Scorpio mi propose di fare ritorno al Tempio, poiché era mortificato per aver disobbedito ad un Vostro ordine. Io allora mi vidi costretta ad imporre la mia divina autorità, obbligandolo a proteggermi con la sua presenza e a passare anche la notte sull’isola, perché come ben sapete, cara sorella, da sempre le tenebre nutrono e rigenerano il mio potere.-

Il volto di Saori adesso era più disteso, l’espressione serena e lo sguardo tranquillo. L’avevo quasi persuasa, eppure non avrei mai pensato di essere così convincente.

- Quello che voglio dirvi, o Athena, è che Milo di Scorpio non è venuto meno a quanto voi avevate ordinato, tutt’altro. Obbedendo ad un mio capriccio, ha pienamente soddisfatto quello che era un desiderio Vostro e del Padre Zeus, pertanto ritengo che non meriti alcuna punizione. –

Gran finale con botto. Meritavo un Oscar.

In più, tirare in ballo Zeus era stata la ciliegina sulla torta.

- Ma certo, Hermes. Mi siete da sempre caro, fratello mio, ed un piacere fatto a Voi è un piacere fatto alla mia stessa persona. Per questa volta, il Cavaliere di Scorpio non verrà punito. –

Riuscii miracolosamente a nascondere la mia espressione trionfante dietro un sorriso mite e pieno di benevolenza.

- Inoltre, sorella cara – continuai – temo sia giunto il momento di congedarmi da voi, non posso approfittare troppo a lungo della vostra cordialità.-

- Permettetemi di dissentire. Voi siete uno Xenòs, un ospite, e in quanto tale siete sacro. Anzi, Voi lo siete in maniera particolare. Considerate questo Santuario a vostra completa disposizione fino a data da definirsi.-

- Siete troppo buona.- sorrisi, inginocchiandomi e prendendole la mano per baciarla con grazia.

- Come ho già detto, è un piacere.-

Athena sorrise languida, gli occhi cerulei che le brillavano di gioia e sincero affetto.

Avevo vinto su tutta la linea.

Mentre mi chiudevo la pesante porta di legno alle spalle, sentii una voce graffiante rimbombarmi chiaramente nella testa:

Babbea…

 

 

 

 

Prima di recarmi da Milo per dirgli la buona notizia, decisi di approfittare del fatto di essere nella Tredicesima per farmi un bel bagno in una di quelle sale enormi arredate con vomitevole sfarzo.

Mentre mi crogiolavo nel tepore dell’acqua piena di sali, in una vasca grande quanto una piscina, Hermes si manifestò.

Complimenti, Pecora. Ingannare Athena con menzogne così ridicole non è certo cosa da tutti.

Ti ringrazio. Però è strano, come diavolo ha fatto una Dea così potente a bersi quella vagonata di bufale?

Merito mio.

E ti pareva!

Guarda che dico sul serio!

Ti hanno mai detto che sei un monumento alla vanagloria?

Irriverente di un’umana! Come ti permetti di parlare così a un dio? Meriteresti di essere fulminata! E se la tua ignoranza non fosse pari a quella di un primate sapresti che non sono solo il Messaggero degli Dei, ma anche Guardiano degli Inferi, protettore dei viaggiatori e signore dei ladri e dei bugiardi!

Ne sei sicuro?

Certo che sono sicuro! Lo saprò chi sono, non credi?

Se lo dici tu…

Devo insegnarti un sacco di cose, Pecora, sarà una faticaccia…

Potresti cominciare con alcune spiegazioni…come mai hai deciso di possedermi proprio adesso?

Possederti? Non sono un demonio! Io abito in te, non come lo spirito di Athena…tu continui a preservare la tua identità, io la mia. Ma il corpo è uno solo, e lo condividiamo.

Non capisco…

Due anime, un corpo. Non è difficile. Pecora. Anzi, no. Asina!

Se, se…ma perché proprio adesso?

Perché prima non ho mai avuto bisogno di manifestarmi.

Mah…la tua coscienza potrebbe mai prendere il sopravvento sulla mia?

Non mi tentare, cara.

Parlo seriamente!

Anch’io! Comunque ora non ne ho la forza, il mio Cosmo in gran parte è ancora sopito.

Questa conversazione è sfibrante…

Oh, non dirlo a me!

Senti, e quando avrai la forza di prevalere su di me cosa farai?

Prenderò il sopravvento solo quando sarà necessario. Negli scontri, per esempio, o nelle missioni. Ma non preoccuparti, tu resterai sempre cosciente, seppur immobile, come adesso lo sono io.

Vuoi dire che tu vedi quel che vedo io, tocchi quel che tocco io…?

Sì.

Quindi anche ieri sera…?

Sì, mentre facevate…

Non dirlo!

Sì, c’ero. E ho visto tutto.

Cos-?

E se posso permettermi…

No! Non puoi!

Mettiti a dieta.

Ho detto che non potevi!

È per il tuo bene.

Ti odio!

 

Non lo credevo possibile, eppure avvertii chiaramente Hermes sorridere, da qualche parte dentro di me.

Più irritata che mai, uscii dalla vasca di scatto e afferrai un asciugamano. Poi mi diressi a grandi passi verso lo specchio (quella stanza era enorme!) con l’intenzione di smentire le parole del dio: l’ultima cosa di cui avevo bisogno era una cura dimagrante!

Non sono nemmeno in grado di descrivere lo sgomento che mi prese quando, specchiandomi, non trovai il mio volto bagnato e indispettito a restituirmi il riflesso, bensì quello candido e paffuto di un neonato, con tanti boccoli dorati e grandissimi occhi nocciola.

Istintivamente cacciai un gridolino, ma il bambino si portò l’indice alla bocca intimandomi di tacere.

- Pecora fifona, parli con me ma non hai il coraggio di guardarmi in faccia! – disse, con una vocina squillante, che mi ricordava il tintinnare di una sonagliera.

- Parlare con te? Piccolo, io sono sicura di non averti mai visto prima!- mi tremava la voce per l’apprensione, ma ero riuscita a nasconderlo piuttosto bene.

- Per Zeus, Pecora! Che fatica che mi fai fare!-

- Her…mes? – chiesi, stavolta balbettando.

- Ma brava! Hai vinto una caramella! – cantilenò il bimbo, pizzicandosi le guanciotte per schernirmi.

- Che ci fai nello specchio? –

- Volevo farmi  conoscere e mostrarti il mio attuale aspetto, perché quando il mio Cosmo si risveglierà diventerò adulto. Oh, e poi volevo spaventarti. – aggiunse.

- Sei malefico. –

- Dispettoso, lo preferisco. –

Il bambino si esibì in un ghigno che non aveva niente di rassicurante, ma non potei replicare perché all’improvviso le mie ginocchia cedettero, e mi ritrovai a terra con la testa che vorticava.

- Forse è presto per manifestarsi così, il tuo fisico deve ancora abituarsi. Torno nei ricettacoli più bui della mia anima, Pecora, per un po’ potrai fare a meno della mia compagnia. –

Appena l’eco di queste parole si disperse nelle profondità della sala la fiacchezza mi abbandonò, la mente tornò lucida e le gambe furono di nuovo in grado di reggermi.

Più tardi ripensai all’accaduto, e non nego che mi sfuggì un sorriso: tra tutte le splendenti divinità che potevano reincarnarsi in me, mi era toccato proprio un neonato dispettoso con deliri di onnipotenza , balla facile e tendenza al poltergeist.

Peggio di così non poteva andare.

 

 

 

- Milo? Posso entrare? –

Senza aspettare risposta varcai la soglia dell’Ottava Casa, elettrizzata al pensiero di poter raccontare le ultime novità al suo Custode. Ma l’accoglienza fu un tantino diversa da quella che mi aspettavo.

- Sei arrivata anche tu. Perfetto, posso continuare. - sibilò una voce, molto più fredda e tagliente di quella di Milo.

- Ciao Camus… - esordii, in palese imbarazzo.

Ero giunta all’Ottava Casa passando dal sentiero segreto che mi era stato mostrato da Saga pochi giorni dopo il mio arrivo al Santuario, perciò non avevo avuto modo di vedere, passando, se la Casa dell’Acquario fosse vuota o no. Per questo, una volta entrata, mi aspettavo di vedere Milo sorridermi, e non Camus con le braccia conserte e il sopracciglio alzato in segno di rimprovero.

Con un solo gesto della mano mi fece cenno di sedermi sul divano accanto a Milo, che fece spallucce e alzò i palmi in segno di resa.

- Da Milo potevo aspettarmi qualsiasi gesto sconsiderato, ma da te, Lily! In tutta sincerità, ti ritenevo più intelligente! –

Cercai nello sguardo di Milo qualcosa che potesse rassicurarmi, ripararmi da quell’ingiusta sgridata, anche se sapevo di non avere del tutto torto. Come al solito, avevo bisogno di conferme.

Senza farsi vedere da Camus, mi prese la mano e intrecciò le dita con le mie, in un gesto che mi fece sussultare il cuore.

- Incoscienti!- continuava, intanto, Aquarius – adesso Milo pagherà per la vostra avventatezza! –

- Oh no, Camus. – dissi finalmente, trovando il coraggio di interromperlo – per concessione di Athena e di Hermes - mi girai per sorridere a Milo – il Cavaliere dell’Ottava Casa non verrà punito. –

I due sbarrarono gli occhi e mi chiesero di spiegarmi meglio, così raccontai loro della conversazione che avevo avuto con Athena e del  dialogo con Hermes. Riguardo quest’ultimo, però, decisi di omettere alcuni dettagli come quello dello specchio o i commentini imbarazzanti del dio sul mio aspetto fisico. Vergogna a parte, certe cose preferivo tenerle per me.

Dopo qualche commento Camus si congedò, con un’espressione piuttosto pensierosa stampata in volto. Non sembrava molto sereno, ma in quel momento le mie attenzioni non erano certo concentrate su di lui.

Tirai un sospiro di sollievo e mi stiracchiai, appoggiando la testa sulla spalla di Milo.

- Ciao – sussurrò, finalmente rilassato.

- Ciao – miagolai – come stai? –

- Bene. Molto più di quanto pensassi. E tu, come stai? –

- Stanca. Però sto bene.-

In effetti era quasi sera,e tutti gli avvenimenti della giornata mi avevano prosciugato le energie.

- Mmm… dormi qui stasera? –

- Sicuro che non sia contro le regole? – domandai, mentre giocavo con una ciocca dei suoi capelli.

- La regola è che non dobbiamo uscire dal Santuario senza permesso. E poi, anche se fosse proibito… -

- Vuoi dire che ormai siamo dei fuorilegge? – scherzai.

Milo sorrise.

- Voglio dire che abbiamo dalla nostra parte il Pinocchio più convincente che esista. – disse, scompigliandomi i capelli senza troppo garbo.

- Va bene, allora resto qui!- gli feci la linguaccia, felice nel profondo, e gli diedi un bacio lieve sulle labbra.

- Prima, però, la cena! –

 

 

 

 

 

Cercai di improvvisarmi cuoca,ma la cosa non mi era mai riuscita bene. In più, Milo aveva congedato tutti gli inservienti e gli aiutanti che di solito infestavano l’Ottava Casa: quella sera aveva bisogno di intimità, aveva detto.

Ero d’accordo con lui, ma alla fine mi ero ritrovata a dover usare il forno senza l’aiuto di nessuno, e nel tentativo di rosolare la carne l’avevo bruciata. Carbonizzata, per essere precisi.

La vista dei miei sforzi andati in fumo mi depresse un sacco, ma Milo cercò di consolarmi dicendo che quella sera avremmo mangiato verdure. Stizzita, gli lanciai uno straccio umido ringhiando qualcosa come “allora adesso pulisci tu!”, ma ciò non bastò a scalfire il suo improvviso e inspiegabile buonumore.

Mi prese una fitta allo stomaco: con che coraggio potevo rovinare quel sorriso? Come sarei riuscita a raccontargli tutta la verità su Hermes? Inoltre, il dio aveva chiaramente parlato di “missioni”: io non avevo osato chiedere nulla, ma era chiaro che per me e Milo questo significava dover essere diversi e lontani,anche contro la nostra volontà. Oh, perché proprio adesso? La mia esistenza aveva appena cominciato ad avere un senso e già…

- Lily, che cos’hai? Non mi sembri serena stasera. Qualcosa non va? –

Forse, se avessi espresso ad alta voce tutte le mie paure quelle sarebbero evaporate. Sì, sarebbero sfumate a contatto con l’aria, eclissate, eliminate. E forse, forse, a quel punto la mia vita sarebbe stata di nuovo serena e ordinata. Con Milo.

Dovevo dirglielo.

- Ecco, vedi…- deglutii, le parole mi si erano seccate in gola. Coraggio, non era certo il momento di vacillare!

- Hermes… - tentai, ma quando vidi lo sguardo di Milo affilarsi e l’espressione farsi subito più concentrata la forza di continuare mi abbandonò.

- Hai problemi con Hermes? Ti senti male a causa sua? –

- In un certo senso… - ero sicura che, dentro di me, il dio mi stesse insultando senza troppi riguardi.

- Parla Lily, avanti!-

Infatti, Lily! Parla, su! Mi feci mentalmente coraggio, presi un respiro e:

- Per te non è un problema il fatto che custodisca in me una divinità? Il fatto che io non sia completamente umana e non lo sarò mai più, e che soprattutto abbia accettato tutto questo senza batter ciglio non ti sembra gravissimo? –

Bugia. Anzi, mezza verità. Non ero stata capace di dirla tutta. Ero un’insulsa, schifosa, pavida vigliacca. Mi disgustavo.

Milo prese un bicchiere, si versò dell’acqua e ne bevve una lunga sorsata. Poi si asciugò le labbra con il dorso della mano, si spostò un ciuffo di capelli dagli occhi e sospirò.

- No. Non mi importa. Anzi, per quel che mi riguarda la più umana tra noi due sei tu. Sai cosa vuoi, non aspiri a fama, potenza, splendore; ami la normalità, anche se non sei una persona ordinaria; nonostante la situazione in cui ti trovi, non hai perso la tua identità, e che io sappia non hai mai fatto nulla che non volessi fare. Sei migliore di me. –

- Penso che nemmeno tu abbia mai fatto qualcosa contro la tua volontà.-

- Sì, invece.-

- Per esempio? –

- Ho ucciso. –

Sussultai, nel vano tentativo di immaginare Milo nell’atto di stroncare brutalmente una vita.

- E’ stato tanto tempo fa – continuò lui, il tono distaccato e gli occhi immobili – quando la trama dell’inganno era fitta, Athena lontana e i miei occhi ciechi. -

Adesso il suo tono era più basso, quasi un sussurro, come se stesse rivelando a sé stesso, e non a me, le sue più intime debolezze. Nel suo sguardo lontano potevo scorgere il filo sottile ed etereo che lega i ricordi al presente, e nel rievocare provoca dolore.

Decisi di tacere.

 

 

 

 

 

Dopo quella breve confidenza mi si era aperta una minuscola finestra sul cuore di Milo, un piccolo scorcio che mi permetteva di sfiorare la sinuosità delle sue emozioni. Me li immaginavo così, i suoi sentimenti, come tante piccole volute di fumo che serpeggiavano quietamente dentro di lui. Non so perché, ma quando stavo con Milo ogni cosa mi appariva più palpabile, più concreta.

Ci ritrovammo sul suo letto, nudi e impazienti, mentre in cucina la scarsa cena che ero riuscita a preparare si rassegnava a raffreddarsi nei piatti, insipida e ignorata.

Avevamo voglia di tutt’altro sapore.

Milo cominciò a baciarmi il collo, prima quasi con cautela, poi con crescente trasporto. Scese lentamente lungo il mio corpo mentre le sue labbra si facevano via via più umide. Quando arrivò ai seni si mise a giocare con un capezzolo, provocandomi brividi talmente intensi da inibire ogni mia resistenza, se mai davvero ne avessi avuta una.

Continuammo a stuzzicarci a vicenda, a scoprirci senza pudore, ad ansimare su ogni strusciamento rovente aspettando che il piacere giungesse all’apice.

Quando Milo entrò in me non sentii alcun dolore, anzi, stavolta in lui non c’era alcun segno della brutale urgenza con cui mi aveva penetrata la prima volta. Venne completamente dentro di me, ansimando flebili scuse, ed io provai a sorridere e gli baciai la punta del naso.

- Non sono mai andata all’università… – sussurrai dopo un gemito – ho abbandonato lo studio e cominciato a lavorare non appena finite le superiori. Facevo la cameriera. - la mia voce uscì roca e flebile tra gli spasmi del piacere ancora pulsanti.

Milo adesso era disteso accanto a me, prono, sudato e con il fiato corto. Con un braccio mi cingeva stancamente il petto, mentre la sua schiena si alzava e abbassava velocemente, al ritmo del respiro. Sollevò la testa dal cuscino e mi guardò con aria interrogativa.

- Anch’io ho fatto scelte contro la mia volontà – provai a spiegare, tra un respiro e l’altro – diventare archeologa era il mio sogno, e ho deciso di rinunciarvi… -

Milo si sporse in avanti e mi baciò le labbra con leggerezza. Poi, non senza qualche difficoltà, riuscì ad insinuare il proprio braccio sotto la mia schiena e mi tirò a sé, in un abbraccio umido e odoroso.

- Mmm…i sogni…- mugugnò, ormai prossimo ad addormentarsi – adesso…come ti sembra… di vivere? Sei in un sogno…o sei sveglia? –

Le sue palpebre si chiusero su quest’ultima, delirante frase, e a me fu preclusa la vista di quegli occhi spettacolari. Non risposi e gli baciai l’incavo fra l’occhio e il sopracciglio, sicura di non svegliarlo perché era chiaramente scivolato in un sonno profondo e senza sogni: quelli erano rimasti fuori, potevo scorgerli impigliati fra le sue ciglia.

Chiusi gli occhi a mia volta, arrendendomi alla stanchezza. Stavolta sapevo che l’indomani, al mio risveglio, non sarei stata sola.

Sogno o realtà, veglia o illusione: non mi importava.

Qualunque fosse il sentimento che mi percuoteva il petto in quel momento, avevo deciso di viverlo tutto.

Fino all’ultimo istante.

 

 

 

 

 

 

Che dolorosissimo travaglio!!!! Però…bye bye pigrizia! Sono riuscita a postarlo, finalmente! La mia vacanza è finita (sob!) ed ecco qui, come promesso, un nuovo capitolo! Però rega…11 pagine…mi sembra di non aver mai scritto così tanto! :D  Ho i crampi alle dita! xD

Dato che il troppo lavoro mi fa delirare ( lavoro? O_o), passo subito ai doverosi ringraziamenti:

Gea_Kristh: Ciao! :D Tanto per cominciare, sono veramente molto felice di conoscerti. Lily ti ringrazia di cuore, è molto raro che qualcuno la trovi divertente! (detto fra noi, è troppo frignona per stare simpatica alla gente, ma è meglio non dirglielo! ;-) ). Hermes invece è stato una scelta quasi obbligata…lo amo da sempre, soprattutto nei suoi lati meno conosciuti, che mostrerà più avanti! :D E poi devo scusarmi: è vero, il fatto che Lily e Milo uscissero dal Santuario senza permesso era inverosimile, ma necessario ai fini della storia. Nello scorso capitolo però ho preferito non specificarlo, in effetti sono stata più attenta a tacere molte cose che a rivelarle…Infine grazie, grazie grazie per tutti i complimenti! Troppo gentile! ^^ Waaa, ho scritto una risposta lungherrima!!! Mi dispiace, non leggerla tutta se non vuoi! >.<

Ribrib20: che piacere sentirti! :D davvero ti è piaciuto?? Sono molto contenta, lo sai che ho un’alta considerazione della tua opinione! Grazie mille! *rotola* Piuttosto, penso di avere qualche problema con le e-mail (te ne ho mandate 2, una lunga quanto un papiro e una in risposta alla tua), non penso ti arrivino. Non sapendo in quale altro modo comunicartelo te lo scrivo qui…

p.s. non ringraziarmi per averti messo nei preferiti: penso davvero che tu sia brava, e quando avrò un briciolino di tempo passerò a farti le recensioni che meriti! ;)

ashar: Hello!!! :D Penso che anche per te valga lo stesso discorso di rib: ti ho ringraziata per avermi inserita tra i preferiti, ma la mail *sospira* non dev’esserti arrivata! L  Perciò ti ringrazio qui, ufficialmente, dato che non so più come contattarvi! ç_ç * E sappi che per me è un onore sapere che la mia storia ti abbia presa tanto! Grazie ancora!!! :D (abuso di questa parola, eppure non mi sembra mai abbastanza!)

 

Infine grazie a tutti quelli che hanno inserito “Beautiful novel” tra le preferite, le seguite e le storie da ricordare!!! *inchino* e a tutti quelli che continuano a leggere nonostante i miei continui ritardi!!!!

 

Un bacio

*stan*

 

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Capitolo 13
*** il risveglio del caduceo/divinità sotto processo ***


‡ Beautiful novel ‡

 

Il risveglio del caduceo / divinità sotto processo.

 

 

 

 

Svegliarsi con lo stomaco che gorgoglia per la fame è una sensazione bruttissima, non la auguro proprio a nessuno. Ti senti attraversare le interiora da un risucchio gelido, e il tepore del sonno viene spazzato via dal viscerale ruggito di una caverna vuota: il tuo stomaco.

Così, quando quella mattina riaprii gli occhi, la mia disposizione nei confronti del mondo non era certo alle stelle.

Ma il fastidio si trasformò presto in malumore, quando constatai che Milo non giaceva nel letto accanto a me, come avevo sperato. Le lenzuola erano fredde e spiegazzate nella parte in cui aveva dormito lui, segno che si era già alzato dal letto da un pezzo, e a quanto pareva aveva deciso di non svegliarmi.

Che nervoso.

Bighellonai un po’ stesa sul letto, chiedendomi se fosse il caso di alzarmi o no. Alla fine decisi che non potevo poltrire tutto il giorno, e comunque i morsi della fame erano troppo insistenti per essere ignorati a lungo.

Così scesi dal letto un po’ controvoglia, e cominciai a cercare i miei slip per terra: non avevo alcuna intenzione di farmi vedere nuda da tutti gli inservienti dell’Ottava Casa.

Poi rovistai per tutta la stanza, alla ricerca di un indumento adatto a coprirmi, perché non potevo farmi bastare solo gli slip. Avevo ancora un briciolo di pudore, all’epoca.

Trovai una camicia blu notte che mi piacque molto, e senza pensarci troppo mi abbottonai un solo bottone, all’altezza del seno. Milo era più alto di me, perciò la sua camicia mi copriva metà coscia, quasi come un vestito.

Mi trascinai verso la cucina (ci misi un po’ a trovarla, perché stranamente la Casa era deserta) e cominciai a smangiucchiare un biscotto in maniera piuttosto annoiata, perché nel frattempo la fame era passata.

Sentivo che quella era una giornata da dimenticare, anche solo per il modo in cui era cominciata.

Dopo la mia simbolica colazione tornai in camera da letto, con l’intenzione dare una parvenza d’ordine a quella stanza massacrata. Avevo appena cominciato a fare il letto quando sentii dentro di me un suono come di percussione, che mi fece vibrare fin dalle fondamenta.

Bum. Bum.

Quella sensazione sgradevole continuò a ripetersi, inclemente. I battiti del mio cuore accelerarono, e le solite difficoltà respiratorie non tardarono a fare la loro comparsa. Stranamente la mia vista non si era ancora appannata, anche se non sapevo cosa volesse significare. Forse che, almeno questa volta, il mio malessere non dipendeva da Hermes?

La risposta me la trovai davanti poco dopo, quando alzai lo sguardo.

Avevo di fronte un giovane molto alto, con la pelle luminosa, i capelli corvini e degli occhi così azzurri da fare concorrenza a quelli di Milo. Indossava un’armatura aperta sul ventre, che mi colpì subito per la raffinatezza e le sfumature: all’inizio mi parve argentea, ma poi mi accorsi che ad ogni passo cambiava colore.

Anche se era un ragazzo piuttosto imponente, il suo volto era fine e i lineamenti gentili, e in un’altra occasione l’avrei trovato perfino amabile. Nell’istante in cui si avvicinò, però, la sensazione di essere percossa da un martello si fece più intensa e logorante.

- Ciao – disse lo sconosciuto, che aveva una voce molto profonda – io mi chiamo Alfie, piacere di conoscerti.-

Chiusi gli occhi e non risposi, troppo presa a controllare l’odiosa nausea che mi stava devastando le viscere.

- Tu devi essere Lily, non è così? –

Adesso sudavo terribilmente.

- Stai tranquilla, non voglio farti del male. Devo solo parlare con te e con il divino Hermes. –

Sapevo di essere ormai diventata paonazza, con due vene enormi sul collo.

Bum, bum, bum. Ancora l’anima, ancora il cuore.

Scoppiai.

Ci fu un botto, un’epifania di scintille dorate, e caddi a terra ansante, con il mento dolorante per l’urto e i capelli sparsi sul viso in ciocche scomposte. Ero incapace di muovermi, avevo appena la forza di respirare.

Il ragazzo di nome Alfie corse immediatamente al mio fianco e si inginocchiò, mentre riflessi di colori diversi continuavano a danzare sulla sua armatura.

Con un gesto quasi materno mi sollevò la nuca, mentre con l’altra mano mi scostava i capelli dal viso.

Aveva uno sguardo che non riuscivo completamente a decifrare, potevo scorgervi solo un’accalorata apprensione. In verità ero troppo concentrata a chiedermi cosa diavolo fosse successo per concentrarmi sui pensieri di uno sconosciuto che, in fin dei conti, stava cercando di aiutarmi, per quanto la situazione fosse strana.

Per questo fui presa da uno sconforto infinito quando Alfie sussurrò qualcosa come “non preoccuparti, ci penso io”.  Lo sconforto si trasformò presto in sorpresa e la sorpresa in ribrezzo quando quell’individuo si chinò di scatto su di me e mi baciò.

E non fu un casto bacio a fior di labbra, o un gesto disinteressato come può essere un bacio dato ad occhi aperti, nossignore! Quel disgustoso ragazzone mi baciò con trasporto, chiudendo perfino gli occhi, e mi infilò in gola tutta la lingua che aveva. Con quel suo viscido tentacolo scavò a fondo, arrivando perfino a provocarmi dei conati.

Che schifo!

Desideravo ribellarmi con tutta me stessa, eppure il mio corpo non obbediva alla mia volontà, come se fossi stata una bambola vuota, un burattino.

Quando ormai pensavo di morire per soffocamento, o magari dal voltastomaco, quello decise di staccarsi.

Tornai a respirare avidamente aria fresca, limpida e soprattutto asciutta.

- Ti senti meglio, Lily? –

No, ma dico. Hai appena tentato di strangolarmi con la tua rivoltante, filamentosa lingua e mi chiedi se mi sento meglio?!? Non contento, hai pure la faccia tosta di chiamarmi per nome! Chi te l’ha detto, il mio nome? E chi ti ha dato il permesso di usarlo?

Quell’individuo era un chiaro insulto alla decenza, ed era capace di risvegliare in me pensieri ed istinti omicidi che credevo sepolti.

Peccato solo che quell’inspiegabile paralisi non volesse saperne di abbandonarmi.

- Perché non parli? Sei forse timida? – domandò il bellimbusto, mentre mi passava un pollice sule labbra. Rabbrividii di disgusto a quel tocco, e al pensiero del dopo.

Con mio sommo orrore, fece scorrere quel dito maledetto fino al mento, disegnò lentamente la curva del collo e scese fino al seno, per lottare con l’unico bottone che teneva chiusa la camicetta. La resistenza di quella piccola goccia d’avorio fu vinta con facilità, liberando le sue mani prepotenti, che andarono a chiudersi senza troppo garbo su uno dei miei seni.

L’esplosione fu immediata.

Alfie volò dall’altra parte della stanza e si schiantò contro il muro, tirando giù due quadri di paesaggi.

Io finalmente mi scoprii libera di alzarmi, mentre intorno mi sfolgorava un alone di luce divina, intenso come non era mai stato. Percepii un potere talmente forte da scacciare ogni altra sensazione, a parte quella di essere diventata più alta e maestosa.

E all’improvviso il mio punto di vista cambiò. Vedevo le cose dall’alto, da un angolo della stanza che mi permetteva di scorgere la scena alla perfezione.

Per prima cosa vidi me stessa.

Indossavo l’Armatura di Hermes, che scintillava nel suo divino splendore. Rimasi ancora una volta stupita dalla magnificenza di quella panoplia, completa di tutto e perfetta in ogni dettaglio: dalle rosse piume del cimiero, che mi ondeggiava purpureo dietro le spalle, alle ali sottili formate da lamine d’oro, che spuntavano dai calzari come graziose appendici.

E anch’io ero bella, bella come non lo ero mai stata.

Il mio volto, i miei occhi, i miei capelli, tutto sembrava risplendere di una luce che sapevo non appartenermi. Chiaramente quella parentesi di splendore era dovuta alla potenza del dio che si manifestava, tutto qua. Sapevo di non poterne vantare il merito.

Dall’altra parte della stanza Alfie si stava alzando, irritato, spostandosi i capelli dal viso con fare stizzito.

Lily, il tuo spirito sta vagando. Torna qui, riallacciati al corpo.

La voce di Hermes stavolta mi risuonava in testa con una cadenza grave. Doveva essere molto, molto arrabbiato.

Risposi mentalmente di sì e il mio spirito fluttuò verso il corpo; poco dopo mi ritrovai ad avere la mia visuale di sempre, e potei gustarmi da lì lo spettacolo di Hermes che entrava in azione.

- Viscido mortale – sentenziai, ma la voce che uscì non era la mia – come hai osato avvicinare la mia protetta? Sfiorarla? Farle del  male? Come hai potuto spingerti a tanto? –

Sentivo il disprezzo scivolarmi via dalle labbra, denso e velenoso .

- Tsk. L’agitarsi del tuo Cosmo le stava facendo del male, ho cercato di aiutarla. Il mio bacio dona benessere, non ricordi? - rispose l’interpellato. Anche la voce di Alfie era scomparsa, sostituita da una di donna, che sembrava essere sul punto di incrinarsi per quanto era acuta.

- Benessere ?!? – tuonò Hermes – Proprio non direi! Stava avendo un arresto cardiaco, Iris! Ancora un po’ e il tuo pupillo avrebbe stuprato un cadavere! –

Arresto cardiaco? Iris? Stuprare? Oh, Zeus…

- Non era quella la mia intenzione, o Divino! – replicò Alfie, stavolta con la sua solita voce. Fu però messo a tacere praticamente da sé stesso, mentre la dea prendeva di nuovo il sopravvento.

- Tu taci! Dopo faremo i conti! – strillò. Poi disse, rivolta a me:

Hermes, il fatto che la vita della tua protetta fosse a rischio per così poco non può che rammaricarmi, in quanto ciò indica in lei il risveglio del tuo Cosmo è ancora a livello embrionale. La sola compresenza dei nostri due Cosmi basta a metterla fuori gioco, e ciò è male. –

- Se anche fosse, non vedo perché ciò dovrebbe interessarti. Non mi sembra di doverti alcuna spiegazione. –

- Non voglio spiegazioni, ma fatti. – rispose asciutta la dea – il Cosmo di Iris ha trovato nel corpo di Alfie l’ambiente giusto per crescere e prosperare. Peccato che di te e della tua umana non si possa dire lo stesso.-

- Non costringermi a ripetermi, Iris! Non vedo in che misura questa faccenda possa riguardarti! – replicò aspro Hermes.

- Mi riguarda eccome, mio caro. Anche se abbiamo quasi lo stesso compito, il tuo potere è molto più ampio del mio. –

Incrociai le braccia al petto, arricciai le labbra e scossi ritmicamente la testa, in un gesto spavaldo voluto dal dio, senza il quale sarei risultata poco credibile.

- Già. – gongolò Hermes – Non tutti hanno la fortuna di nascere belli, forti, astuti e soprattutto figli di Zeus.-

Alfie arricciò appena il naso, ma Iris ebbe la forza di astenersi da qualsiasi commento e andare avanti.

- E il fatto che il tuo potere non sia ancora pienamente attivo, significa che Zeus ha delegato a me il dovere di adempiere anche ai tuoi compiti. E, per quanto si tratti di una situazione temporanea, non ho alcuna intenzione di fare ciò che non mi compete, con il doppio dello sforzo e la metà del riconoscimento. –

Stavolta Hermes tacque, e la dea riprese a parlare mentre Alfie camminava lentamente per la stanza, condendo le parole di Iris con ampi gesti.

- Che io sappia, però, un caso come il nostro non si era mai verificato, almeno non da quando l’uomo ha memoria. Perciò ogni tentativo di risvegliare pienamente il tuo Cosmo, Hermes, potrebbe rivelarsi vano: eppure la mia disperazione è tale che ho deciso di tentare ugualmente.-

Detto questo, Alfie schioccò le dita, e tra le sue mani apparve un lungo bastone ramato, appuntito ad un’estremità e decorato all’altra. All’altezza dell’impugnatura erano raffigurati due serpenti che, intrecciandosi, mordevano un pomo.

- Vorrai perdonarmi – continuò Iris – se mi sono presa la libertà di prelevare dal tuo tempio il caduceo.-

Senza che io lo volessi, mi conficcai le unghie nel palmo fino a farmi sanguinare.

- Tu, lurida meretrice, vergognosa ladra, figlia di bastardi! Come hai osato, tu…?!? -

Alfie ghignò, e senza dare a me e ad Hermes il tempo di reagire scagliò il caduceo proprio contro il mio petto. L’arma mi colpì in pieno, ma inspiegabilmente non mi ferì: venne rapidamente assorbita dall’Armatura senza nessuna conseguenza immediata.

Poi avvertii in me l’eco di una detonazione lontana, tante scintille mi divamparono sotto la pelle, il battito del mio cuore divenne un ruggito e il mio sguardo si riempì di un fuoco di rabbia.

Subito balzai addosso ad Alfie, e mentre l’alone del mio Cosmo diventava da arancione a dorato e da dorato a scarlatto, sgorgavo sul ragazzo tutta l’impetuosità della mia violenza. I nostri avversari non si difendevano, forse sopraffatti da quell’esplosiva potenza, e nel mio corpo il furore era tale che non riuscivo a capire se i colpi che infliggevo fossero voluti da Hermes o da me.

Poi un Cosmo dorato, gentile e autorevole si impose tra me ed Alfie, ci separò e ci costrinse all’immobilità.

Poco dopo nell’Ottava Casa comparve la figura di Athena, seguita da tutti i suoi paladini.

Era arrivata rivestita con un’armatura scintillante, che più che ad una vera guerra sembrava adatta ad una parata militare. Indossava anche l’elmo, e sotto di esso le sopracciglia sottili erano corrugate in un’espressione che non riusciva a nascondere una certa urgenza. Forse stavolta l’avevo fatta davvero grossa.

- Salve, Glaucopide…- mormorò Alfie, rosso in viso – chiedo perdono per il caos che io e Iris abbiamo portato nel vostro tempio, ma non avevamo assolutamente intenzioni bellicose. –

Lo sguardo della Divina era severissimo e traboccante d’ira, ma riuscì a trattenere un discreto controllo, e con tono rigido ci ordinò di seguirla all’interno della Tredicesima Casa.

Io e Alfie obbedimmo mestamente, ma in me la fiamma che aveva acceso Hermes non si era ancora spenta, né tantomeno il Cosmo si era placato.

Così, giungemmo alla Tredicesima Casa con le mascelle digrignate e i pensieri che turbinavano. Una volta arrivata Athena si sedette sul trono, e, senza nemmeno spogliarsi dell’Armatura, ordinò ai suoi cavalieri di disporsi ai lati di esso.

Io e Alfie rimanemmo in piedi davanti a lei, non troppo lontano perché non fossimo costretti ad urlare per capirci e non troppo vicino per non mancarle di rispetto.

- Per Alfie e Lily dev’essere una situazione insolita e…sgradevole, oserei dire.- esordì Athena dopo qualche istante di riflessione.

- È vero, o Divina. Sarebbe opportuno portare qui degli specchi, affinché la faccenda risulti più chiara a tutti.- disse Iris per mezzo di Alfie.

La Glaucopide annuì, e a un cenno del suo capo due inservienti fecero un inchino e uscirono dalla stanza. Ricomparirono qualche minuto dopo, accompagnati da due colleghi. Ogni coppia di giovani trasportava uno specchio grande almeno quanto una porta, con cornici stuccate come ornamento, che dovevano pesare moltissimo.

Posizionarono gli specchi di sbieco, uno a fianco a me e uno a fianco ad Alfie, poi sparirono con un altro inchino.

All’inizio non compresi la ragione di quel gesto, poi mi accorsi la superficie vitrea di entrambi i mobili cominciava a contrarsi, a pulsare, mentre dai bordi delle cornici fuoriusciva una nebbia leggera. Focalizzai l’attenzione sul mio specchio, e vidi il mio aspetto mutare poco a poco, fino a che la mia immagine riflessa non fu sostituita da quella di un giovane ragazzo alto, muscoloso e pieno di riccioli biondi. Indossava un’armatura identica alla mia, e il suo sguardo esprimeva una rabbia cieca, al confine con la follia.

Anche il riflesso nello specchio di Alfie era mutato: adesso mostrava l’immagine di una donna snella e pallida, con lunghissimi capelli neri e lucenti e occhi color lavanda.

- Bene, fratelli. Eccovi dunque comparire con il vostro vero aspetto. Lily, Alfie, ora vi prego di tacere e di lasciar parlare le vostre Divinità. Ebbene, Iris: sei entrata nel Tempio di Athena senza permesso, avvalendoti della tua posizione di divinità messaggera, e hai attaccato un mio ospite. Cos’hai da dire a tua discolpa?-

- Sono stata costretta, Divina Athena, - cominciò Iris, la voce alta e melodiosa in perfetta armonia con la figura sottile – in quanto non ho la forza di svolgere sia i miei compiti che quelli del divino Hermes. Mi rammarico di aver invaso un luogo a te sacro, ma non avevo altra scelta.-

- E come mai il Cosmo di Hermes sarebbe esploso non una, ma ben due volte? – indagò ancora Athena, assottigliando lo sguardo.

- A questo posso rispondere io – intervenne Hermes, riflesso al mio fianco. Notai con una punta di amarezza che nel giovane che avevo davanti non c’era già più traccia del bambino vivace ed entusiasta che avevo conosciuto poche ore prima.

- L’ultima esplosione che avete percepito, Milady, è stata provocata da Iris in persona. La mia sgradita collega ha pensato bene di intrufolarsi nel mio tempio per rubare il caduceo, la mia arma più potente, che era custodito all’interno di esso. Riesce a realizzare l’entità dell’onta che ho subìto? Una sgualdrinella semimortale ha l’ardire di intrufolarsi nel mio tempio, violare il mio onore e rubare il mio oggetto più sacro! Rubare! A me, il dio dei ladri!- qui Hermes soffocò un ringhio animalesco e Athena lo invitò a contenersi.

- E non è tutto. – continuò il dio, contraendo la mascella per non urlare – ha anche cercato di attentare alla mia persona, provando a ferirmi con l’arma prediletta. L’esplosione del Cosmo non è stata altro che una conseguenza del contatto tra Armatura e Caduceo, che ha provocato il totale risveglio del mio spirito. Ma la prima esplosione…-

- La prima è stata provocata dalla tua reazione esagerata, nient’altro- lo interruppe Iris, roteando gli occhi magnifici con fare esasperato.

- Esagerata?!? Fingendo di aiutarla, il tuo sicario stava per violentare la mia protetta!-

A quelle parole trasalii, e un brivido mi percorse la schiena nel ricordare quel momento disgustoso. Cercai lo sguardo di Milo nella folla dorata davanti a me, e nel cielo sereno dei suoi occhi riuscii a catturare un lampo di ira e di sdegno. Nel mio intimo ne fui compiaciuta.

- Violentare? Come ti permetti di muovermi accuse tanto gravi? – strillò Iris, al colmo dell’indignazione.

- Sì, violentare! C’era pura perversione negli occhi di quel ragazzo, come se i fatti non bastassero! –

A quelle parole gli occhi di tutti i presenti si spalancarono, e un tenue brusio si diffuse per la stanza. Sfiorai lo specchio con le dita per suggerire ad Hermes di moderarsi. Il dio fece cenno di aver capito e continuò:

- Ma al di là di questo, Iris, tu mi hai offeso, e renderai conto di ciò davanti a Zeus. E sai bene che il Padre degli dei non è tollerante verso chi pecca di tracotanza.-

- Non ti permettere, Hermes! – strillò Iris scuotendo il bel capo corvino – Non ho fatto nulla di così vile da giustificare il tuo odio nei miei confronti! -

-Come se il dover sopportare la tua vista non fosse già un grave insulto…- miagolò il dio con noncuranza, mentre si fingeva intento a misurare la lunghezza delle proprie unghie. Iris si morse le labbra rosee e soffiò:

- Molto divertente, se a dirlo non fosse stato un marmocchio che non sa fare altro che suonare la lira e rubare vacche!* In tanti anni che cammini su questa terra non hai ancora imparato il significato della parola “coerenza”!-

- Sarà meglio che cominci a zampettare sul tuo ridicolo arcobaleno fino a rifugiarti sotto il trono di Hera, o niente riuscirà a salvarti dalla mia ira! – tuonò Hermes gonfiando il petto.

- Signori! Vi ordino di smetterla, almeno per rispetto nei miei confronti! – intervenne Athena dopo un sospiro.

- Mi duole inoltre comunicarvi- continuò – che se non risolverete in giornata e in questa sede i vostri dissapori, sarò costretta a chiedere l’immediato intervento di Zeus come giudice supremo. E ho motivo di credere che la notizia dell’ennesima lite fra i suoi Messaggeri potrebbe farlo alterare non poco.-

Evidentemente l’ira di Zeus era un motivo più che sufficiente per andare d’accordo, perché le due divinità, udite quelle parole, si acquietarono di colpo.

- E sia. – disse Hermes – io veglierò sui bugiardi, sui ladri e sui viandanti, e sarò il più abile e veloce Messaggero che Zeus abbia mai avuto. Ti devo però chiedere, Iris, di aiutare Caronte nel suo compito di traghettatore infernale. –

- Non se ne parla. Quel compito spetta a te. – rispose Iris.

Lo so perfettamente, ma non posso portare Lily negli Inferi: non ha né l’aspetto né l’autorità per farsi rispettare dalle anime dei dannati. Guardala: è già allo stremo delle forze solo perché mi sono concretizzato, e per giunta da pochi minuti! –

Era vero, in effetti avevo un fiatone non indifferente, ma tutto sommato non si poteva dire che stessi male. Però intuii che se mi fossi mostrata fisicamente debole io e Hermes ne avremmo tratto qualche profitto. Quindi cominciai a strabuzzare gli occhi e a rendere più rauco e teatrale ogni mio respiro. Pensai anche di simulare conati o svenimenti, oppure un’asma da record, ma alla fine decisi che non era il caso e mi accontentai di una performance moderata.

- Invece il tuo protetto sembra fatto apposta per adempiere al compito alla perfezione. – terminò il Divino Messaggero.

Iris parve pensarci un po’, con la testa reclinata da una parte, poi sospirò.

- E sia. – disse – Ma non voglio avere altri compiti. Dovrai occuparti tu di tutti i desideri della Madre Hera. Io ora mi ritiro, sono molto stanca e il tuo volto non è un belvedere. Addio, Glaucopide, e grazie per la tua infinita disponibilità. Saprò sdebitarmi. -

La Dea dell’Arcobaleno chiuse gli occhi e congiunse le mani, come a voler pregare, finché lei ed Alfie non sparirono in un turbinio di scintille multicolore. Lo specchio, svuotato del suo splendido contenuto, sembrava adesso un oggetto pacchiano e fastidiosamente opaco.

Guardai fuori dalla finestra, e vidi che, anche se non pioveva, c’era l’arcobaleno.

Anche Hermes lo notò, e borbottò un “ Che Cerbero ti sbrani!” neanche troppo sottovoce, tanto che riuscì a guadagnarsi un’occhiataccia da parte mia e di Athena.

- Divino fratello, puoi ritirarti. E tu, Lily, vai pure a riposare in una delle mie stanze: devi essere distrutta.-

 

 

 

 

 

 

 

L’acqua era molto calda e la vasca immensa, in quel Santuario avevano il vizio di costruire stanze monumentali per onorare la loro Dea. Non che mi dispiacesse godere di tutto quel lusso, ma quando si è abituati a vivere in un bilocale, fare il bagno in una stanza ampia quanto un campo da calcio mette un tantino a disagio, tutto qui.

Ad ogni modo mi trovavo nella Tredicesima Casa, e per l’ennesima volta mi stavo rigenerando con l’aiuto di acqua calda e Sali da bagno.

Afferrai una saponetta e presi a strofinarmela addosso con energia, per poi immergermi sott’acqua a lavoro compiuto. Compii varie volte questo giochino, fino a che non sentii bussare alla porta.

- Chi è? –

- Sono io. Posso entrare? –

Era la voce di Milo.

- Ehm…sono nuda…- balbettai, arrossendo.

- Oh. E perché dovrebbe essere un problema? –

Un istante di silenzio. Poi mi arresi.

- Ok, entra pure. –

Milo entrò e si sedette su uno sgabello sul bordo della vasca. Contrariamente a quanto pensavo, non mi sentivo a disagio nel sapere che mi guardava, e non avvertii l’impulso di coprirmi. Del resto, non era certo la prima volta che mi vedeva senza vestiti, anche se la situazione era un po’ diversa.

Nuotai fino a lui e uscii dalla vasca, tamponandomi il corpo con un asciugamano che poi usai per coprirmi, legandomelo sul seno a mo’ di tubino.

- Come ti senti?- domandò Milo, apprensivo.

- Un po’ provata, ma non sto male, anzi. Non ho un attacco d’asma da almeno due giorni.-

Sorrisi, ma Milo non mi imitò come mi aspettavo.

- Hey, che cos’hai? – gli chiesi, mentre ansie e dubbi di ogni tipo si facevano largo nella mia mente.

- Ti…ti va di raccontarmi cos’è successo di preciso all’Ottava Casa? –

Oh, cavolo! La scenata di Hermes doveva averlo preoccupato più di quel che pensavo.

- Niente che valga la pena di essere riportato, davvero. Credimi se ti dico che non ho subito nessuna violenza, neanche la più piccola.-

- Questo perché Hermes l’ha impedito.- mormorò lui stringendo i pugni.

- Hermes è il dio dei bugiardi. Ha mentito anche stavolta. Non so se ci hai fatto caso, ma senza questa scusa la sua aggressività nei confronti di Iris sarebbe stata del tutto ingiustificata.-

Milo non pareva convinto.

- E l’esplosione del suo Cosmo a cos’era dovuta? –

- Alla rabbia, direi.-

- Rabbia perché Iris voleva farti del male. Ed io non c’ero.-

- No, rabbia perché la sua peggior nemica stava cercando di cambiarmi lo stato d’animo con i suoi poteri. Hermes è stato mosso soprattutto dall’orgoglio, come succede alla maggior parte degli uomini.-

Anche se non avevo detto precisamente la verità, le mie parole avevano rassicurato Milo quel tanto che bastava a rasserenarlo.

Mi sedetti a cavalcioni su di lui, senza preoccuparmi di bagnarlo, e gli cinsi il collo con le braccia.

- Fammi un sorriso, uomo tenebroso – sussurrai, mentre col mio naso sfioravo il suo.

- Non mi piace prendere ordini – borbottò. Ma sorrise.

- Però l’hai fatto. Buffone! – bisbigliai, baciandolo con leggerezza. Lui fece un finto broncio, mi sollevò di peso e mi buttò sulla sua spalla come fossi un sacco di patate.

- Pagherai cara quest’offesa! – ghignò – non m’importa se sei provata, se hai il mal di testa, se hai il ginocchio della lavandaia o i capelli bagnati: stasera si fa l’amore!-

Scoppiai a ridere fino alle lacrime, nonostante la posizione scomoda.

- No, ti prego! Lascia almeno che mi asciughi i capelli!-

Milo ebbe un bel da fare a dire che no, non aveva voglia di aspettare, ma io mi impuntai a tal punto che riuscii ad averla vinta, e lui dovette attendere un po’ per liberarsi del peso della passione.

 

 

 

 

 

 

Mi leccai le labbra e ridacchiai, mentre cercavo di ignorare il fiatone e il cuore che rombava come fosse il motore di una macchina da corsa.

- Perchè ridi? – mormorò Milo, anche lui col fiato corto. Avevamo appena finito l’amplesso e nudi, sudati e odorosi ci stavamo perdendo nella contemplazione di un cielo che ci lasciava senza parole, avvinghiati come se temessimo di essere separati da un momento all’altro.

Dalla finestra entrava una brezza tiepida, che ci sfiorava con il suo inconfondibile sentore marino.

- Trovo buffo – risposi, masticando un po’ le parole – il fatto che ogni sera ci ritroviamo immancabilmente a ruzzare per il tuo letto.-

- Ruzzare, dici? –

- Sì, ruzzare. Come fanno i cuccioli.-

- Oh, beh, se stai cercando di dirmi che non ti piace “ruzzare” con me, sarò costretto ad offendermi.-

Lo baciai.

- Lo sai che lo adoro. –

Milo sorrise sincero, chiuse gli occhi e si abbandonò sul cuscino, mentre con un pollice mi accarezzava la guancia.

- Milo? – mormorai dopo un po’.

- Mh?-

- Tu mi vuoi bene?

- Di più…-

- Quindi…mi ami? –

Lui non rispose, mi sollevò il mento con le dita e mi baciò a lungo. E mentre i dubbi mi affollavano la mente, il cuore si riempiva di una gioia inspiegata e arrogante.

Forse non era una vera risposta. Però per quella sera decisi che bastava.

 

 

 

 

 

*Iris si rifà al mito della nascita di Hermes, secondo il quale il dio neonato avrebbe rubato una mandria di vacche sacre ad Apollo per il semplice gusto di fare un dispetto. Si sarebbe poi fatto perdonare regalando al dio del sole uno strumento inventato da lui sul momento: la lira.

 

 

Rieccomi, finalmente!

Arrivo con un ritardo di almeno un mese, che è difficile da mandare giù. Quando ho pubblicato lo scorso capitolo questo era solo da assemblare, perciò pensavo che non avrei impiegato molto tempo a pubblicarlo. Invece non è stato così, e non per scarsa organizzazione stavolta, ma per vera e propria mancanza di tempo (o eccesso di cose da fare!). So che è odioso dover aspettare all’infinito (e a volte anche invano) l’aggiornamento di un solo capitolo, per cui se non riesco a ritagliare un po’ del mio tempo per questa fic penserei quasi di sospenderla, almeno finché non arriveranno tempi più rosei. Lo so, non è una soluzione molto felice (per niente! Ç_ç) ma mi rendo conto che certi ritardi sfiorano la soglia della mancanza di rispetto!

Per adesso scelgo di continuare, poi si vedrà! Abbiate fede, cercherò di fare quello che posso per pubblicare in maniera costante! ^^

P.s. Cosa pensate della storia? Si capisce il passaggio umano/divinità o non è chiaro? C’è qualcosa che vi sfugge? No, perché questo capitolo non mi sembra il massimo in quanto a chiarezza,e sono disposta a correggerlo, se necessario! ;)

Adesso tocca ai ringraziamenti per le recensioni! J

Ashar: Già, Milo è un esibizionista non da poco! Se poi aggiungi i commenti inopportuni di Hermes, certe situazioni imbarazzanti diventano proprio inevitabili! ^_^ Grazie mille per la tua recensione, spero davvero che anche questo capitolo ti piaccia! :D Un bacione!!!

Ribrib20: ç_ç Di sicuro ti arrabbierai per questo enoooooorme ritardo, ma spero di farmi perdonare con il capitolo! :D *fa occhioni dolcissimi e sguinzaglia Milo nella sua versione più sexy per meritarsi il perdono* Spero che Hermes e Lily non ti deludano, in questo capitolo erano piuttosto agitati! (soprattutto il dio!) Grazie infinite per la tua recensione e per seguirmi sempre! ^^ Se puoi fammi sapere cosa pensi di questo capitolo, sono in un’ansia tremenda! :S Intanto ti mando un bacio grande così! :D

Tsukuyomi:Nah, non scusarti se salti gli aggiornamenti. Dato che io sono sempre in ritardo, direi che siamo pari! xD Grazie,grazie,grazie davvero per tutti i complimenti! *arrossisce* Hermes mi ha detto che sarebbe molto contento di fare da soprammobile sul tuo comodino, come compenso si accontenta di poter intrufolarsi nella tua vita privata…cosa che, a quanto pare, gli riesce bene! xD spero che anche quest’aggiornamento ti piaccia, fammi sapere! :D un beso!

LoVe_PeAcE:Eccolo, eccolo qua il seguito! Scusa per averti fatto attendere tanto, spero ti piaccia! ;) Grazie mille per la recensione, e fammi sapere cosa pensi del resto! :D Un bacione!

 

 

Infine grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite, tra le preferite e le ricordate. J

E grazie anche a tutti quelli che leggono.

Alla prossima! ;)

 

 

 

Un bacio

*stan*

 

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Capitolo 14
*** in caduta libera ***


‡ Beautiful Novel ‡

 

 

 

 

 

 

In caduta libera.

 

 

 

Sono una pessimista.

Mi hanno sempre definita così, nel migliore dei casi. Altrimenti, nei momenti in cui la gentilezza scarseggiava arrivavo ad essere disfattista, tragica, fatalista, catastrofica, e, in mancanza di fantasia, rompipalle.

È vero, sono una di quelle persone che vede il bicchiere mezzo vuoto, che gira sempre con l’ombrello nella borsetta e controlla il testamento ogni sera, prima di andare a letto.

Sì, a vent’anni avevo già fatto testamento, non si sa mai. Non che avessi granchè da lasciare, ma almeno sulla carta sarei stata pronta al peggio, quando ciò sarebbe accaduto.

Non c’era mai stato un posto in cui mi sentissi realmente al sicuro, al riparo da ogni disgrazia: nemmeno tra le braccia di mia madre, o avvolta nelle lenzuola di flanella del mio vecchio lettino. 

Però c’erano persone, gesti e sensazioni che riuscivano a farmi stare bene. Non cancellavano la mia innata negatività, questo no, ma riuscivano a farmela dimenticare, almeno per un po’.

Milo era una di queste cose. Era il disinfettante sulla ferita, l’acqua fresca sulla gola riarsa, era il colore di un fiore che sboccia sotto la neve e spaventa l’inverno.

Quella mattina mi risvegliai abbracciata a Milo, con il suo respiro caldo che mi scivolava sul collo, e mi ritrovai a pensare che a volte l’eccezione pesa più della regola, e ci sono attimi in cui l’illusione del mondo si sfalda per lasciare spazio a emozioni confuse, colorate, piene di luce.

Piena di luce.

Quella mattina era così, in perfetta assonanza con il mio animo.

Quella mattina non avrei corso pericoli ad attraversare la strada, non avrei avuto bisogno di alcun ombrello e il mio bicchiere non era mezzo vuoto, ma ricolmo, e traboccante di vita.

Ero felice, quella mattina.

 

 

 

- Che fai, non mangi? – chiese Milo masticando.

Chinai lo sguardo sulla colazione che mi aveva preparato: un toast con sopra due uova al tegamino per gli occhi e una striscia di bacon al posto della bocca. Doveva assomigliare ad una faccina felice, ma le uova stavano colando e la striscia di bacon non ricordava per niente un sorriso, anzi. Repressi la nausea con una smorfia.

- Veramente, la mattina non mangio mai cose salate… -

- Ah no? – Milo strabuzzò gli occhi e mi guardò come se fossi un’aliena.

- No. – ripetei, leggermente infastidita dalla sua sorpresa.

- Allora…cosa mangi? –

- Cose dolci! –

Milo si grattò la testa.

- Pane e marmellata, crema al limone, fette di torta, cioccolata… -

Alla parola “cioccolata” lo sgomento del Santo di Scorpio raggiunse il suo apice.

- Cioccolata?!? E per di più a colazione! Ti farà malissimo al fegato, e in più ti riempirai di brufoli!- esclamò, con la sua solita delicatezza.

Ringhiai.

- Ehm…- balbettò, dopo qualche istante di smarrimento – Vado a prepararti qualche…uhm…qualcosa…qualcosa di dolce, sì!-

- Sarebbe anche il caso! – m’imbronciai.

- Direi di sì: sei acida. –

- E tu cafone! –

- Vipera! –

- Trattore! –

- Eh? Trattore? –

- Russi, mio caro! –

- Non è vero! –

- Milo, ho fame! –

- Tsk.-

Milo si alzò da tavola dritto come un manico di scopa, le spalle strette e un naso rivolto talmente all’insù che pareva un segugio che fiuta una traccia.

Mi ero dimenticata di quanto fosse permaloso quel ragazzo.

Mi alzai anch’io, presi la rincorsa, e, dato che era voltato di spalle, gli saltai sulla schiena gridando e coprendolo di baci. Bastava davvero poco a farlo tornare di buonumore.

 

 

 

- Adesso vado ad allenarmi, finirò stasera. – disse Milo abbottonandosi i pantaloni leggeri.

Io mi stavo lavando i denti nel bagno di fronte alla camera da letto. Tenevo la porta aperta, così potevo vedere nello specchio il riflesso del Cavaliere dello Scorpione che si preparava per l’allenamento.

- Come mai così tardi? – chiesi, sciacquandomi la bocca dalla schiuma del dentifricio.

- Ordini di Athena. Oggi devo allenarmi con i Bronze Saints. –

- Cosa sono i Bronze Saints? – domandai ancora, entrando nella stanza e rubando la maglietta che stava per mettersi.

- Sono miei subordinati. Giovanissimi, quasi dei bambini con l’Armatura. Li credevo dei morbidi, invece alcuni hanno dimostrato di avere le palle. Eddai, ridammi la maglietta! –

- Hey,sembra una storia interessante! – sorrisi, incuriosita.

- Se vuoi stasera a cena te la racconterò. La maglia, Lily! –

Appoggiai le dita sui suoi pettorali scolpiti, e fu un piacere bearmi anche solo per un secondo della sua pelle calda e compatta. Lui rabbrividì, ed io ghignai: sapevo di avere le mani gelide per via dell’acqua fredda con cui le avevo lavate, e stuzzicarlo con certi dispettucci mi divertiva da morire.

- Guarda che mi fai fare tardi! –

- Uff, e va bene! – sghignazzai, restituendo il maltolto – Ma torna presto, mi raccomando. –

Sorrise e mi strinse a sé, per darmi un bacio lieve.

- Piuttosto, dovresti allenarti un po’ anche tu. Da quanto tempo non vai da Shaka per migliorare nel controllo del Cosmo? –

- Mh. –

- Lily? –

Sbuffai, soffiando via una ciocca di capelli che mi ricadeva sulla fronte.

- Oggi ci vado, te lo prometto. –

- Brava. – mi sorrise Milo. Si sporse verso di me per darmi l’ennesimo bacio, poi uscì.

- A stasera. – gridò, ormai fuori dalla porta.

- A stasera. –

All’improvviso, rabbrividii.

Dalla finestra era entrato un vento gelido che mi fece venire la pelle d’oca. Agitava le fronde degli alberi e sferzava la terra, producendo il rumore di una grande muta di cani che si lancia all’attacco. Un altro brivido.

Chiusi la finestra.

 

 

 

- Ciao, Shaka. –

- Buongiorno, Lily. Cosa ti porta alla Casa della Vergine? –

Non avrei mai colto Shaka di sorpresa, o impreparato, o fuori posto. Erano appena le otto del mattino, eppure lui era lì, bello, pettinato, perfetto, luminoso e splendente nella sua Armatura dorata.

E aveva anche l’aria di chi ha già cominciato la giornata da un po’ e si appresta a compiere i propri doveri con energia.

- Pensavo fosse il caso di esercitarmi un po’ con il Cosmo…-

- E’ molto che non ti alleni.-

Una semplice constatazione. Stavolta non c’era la solita ironia pungente nelle sue lapidarie risposte. Il Cavaliere doveva essere inspiegabilmente di buonumore.

Decisi di farmi i fatti miei, e senza fare domande lasciai che Shaka mi guidasse nel Giardino all’interno della sua Casa. Mi sedetti ai piedi dell’enorme albero fiorito, chiusi gli occhi e cominciai a meditare, senza più curarmi di Virgo e della sua immotivata contentezza.

L’oscurità delle mie palpebre calate fu a poco a poco bucata da una miriade di punti luminosi: i Cosmi degli abitanti del Santuario.

Potevo scorgere una macchia lilla in corrispondenza di Mur e della Casa dell’Ariete, e riuscivo a riconoscere Aldebaran in uno spruzzo di energia giallo limone; il Cosmo della Dea Athena splendeva come una piccola stella, e quello azzurro di Milo scintillava per lo sforzo, circondato da una moltitudine di Cosmi colorati che non avevo mai visto ( che fossero i tanto famosi Bronze Saints? ). Del  Cosmo di Camus non c’era traccia,forse era partito per una missione. Mi parve strano.

Il Cosmo di Aiolia invece riluceva quieto nella Quinta Casa, mentre ero sicura di aver sentito dire dagli inservienti che era via per conto di Athena. E se la gioia silenziosa di Shaka dipendesse proprio dalla sua presenza? Del resto…

Quando hai finito di fare la panoramica delle love story del Santuario fammi un fischio…Pecora idiota.

Ma come siamo gentili. Sai, invece, cosa ho scoperto?

Che tra quei due c’è più di un’amicizia non è mai stato un segreto per nessuno, Genio del Male.

Ma, ma…

Oh, Zeus! Cos’è quella faccia? Lo sanno tutti qui, nono rimanerci male!

Oggi sei proprio odioso, Hermes.

Odioso, dici? Beh, se la prendi così quando ti dico che tra Virgo e Leo c’è del tenero, non oso pensare a come reagirai quando ti dirò che Babbo Natale non esiste.

Uff…ma che vuoi?

Dobbiamo parlare.

Un colloquio con me costa 100 euro al minuto.

Eddai, era una battuta!

Beh?

Se non fossi fatto di spirito, in questo momento tenterei di ammazzarmi.

Ok, sono seria.

Bene, allo-

Oh, solo una cosa,solo una cosa! Hai visto come sono stata brava a concentrarmi? Ci siamo parlati quasi subito! E non mi sento affatto stanca, anche se siamo in contatto da un po’! Miglioro di giorno in giorno,eh?

Sei petulante nei giorni in cui io non ne ho nessuna voglia, Pecora. Come posso spiegartelo senza ferirti? Vediamo…io sono in te, tu sei in me; con la giusta dose di volontà e concentrazione (cosa che ti manca in gran quantità, assieme ad un considerevole numero di neuroni ) siamo in grado di agire in perfetta sincronia. Certi tipi di allenamento aiutano, altri sono solo specchietti per le allodole.

D’accordo, ma…

E non rompere! Non dobbiamo parlare di questo, adesso!

Uff…

Allora, Pecora, facciamo seriamente il punto della situazione: come siamo messi, io  e te?

Non lo so, come siamo messi?

Siamo messi maluccio : io sono sveglio e innegabilmente adulto, e ciò significa che non abbiamo più scuse, dobbiamo svolgere i compiti che ci verranno assegnati senza fare troppe storie. In secondo luogo, Iris, la Dea Messaggera, si è dimostrata a noi ostile. Per adesso si è ritirata, ma è un nemico valido e molto vendicativo: dobbiamo tenere gli occhi aperti.

D’accordo. E poi?

Poi c’è il problema dell’umano che ti perseguita. Dovrebbe chiamarsi…

Brain.

Sì, lui. Si è ritirato nel suo covo ormai da un po’, ha avuto tutto il tempo di organizzare una contromossa. E ho motivo di credere che non tarderà ad agire.

E poi c’è Albert.

Giusto, tuo fratello. Ho arginato in te il dolore per la sua morte, riposa in un angolo remoto della tua anima. Ma prima o poi dovrò liberarlo, e allora tu dovrai essere diventata forte, con uno spirito indistruttibile.

Mi chiedo se tutto questo sia giusto.

Non so risponderti. Non conosco altre vie.

Beh…fine del quadro catastrofico?

Pecora…forse la situazione non ti è chiara, ma se le cose stanno così mettiamo in pericolo la vita di Athena.

Che c’entra adesso la vita di Athena?

Ragiona. Non possiamo rischiare di provocare i nostri nemici fino ad esasperarli, o finiremo per soccombere. Ora siamo in un momento di pace temporanea, ma non durerà a lungo. Se Iris riesce ad ottenere l’appoggio di Hera, siamo fregati. E lo stesso vale per il tuo nemico umano: non possiamo permettere che si impossessi di nuove tecnologie, o saremo perduti.

Non ti seguo del tutto. La cosa di Brain mi è chiara, ma perché hai tirato fuori Hera?

Iris è la Messaggera prescelta da Hera, è la sua diletta, come io lo sono di Zeus. Ora come ora, la mia cara collega non si azzarderebbe ad attaccarci, siamo sotto la protezione di Athena, che è molto più forte di lei.

Ma se Hera si schierasse dalla sua parte le cose cambierebbero…

Vedo che cominci a capire.

E tu pensi che Hera sarebbe disposta ad attaccare Athena, se solo Iris glielo chiedesse?

Non me la sento di escluderlo. Iris è un nemico valido e vendicativo: il suo rancore non si spegnerà, questo è certo.

E se non facciamo attenzione rischiamo…

Rischiamo una nuova Guerra Sacra.

Oh…che intendi fare?

Con Iris e Hera? Niente, per adesso. Per prima cosa voglio sistemare quel dannato umano.

Brain? Ma lui è cosa da poco!

Eppure ci ha messo in difficoltà già una volta, non dimenticarlo. Anche il tuo amico, il Cavaliere di Scorpio, a causa sua ha passato un brutto quarto d’ora.

È vero, ma secondo me non ne vale lo stesso la pena.

Avanti, Pecora! Se non lo facciamo ora che siamo nel pieno delle forze, quando dobbiamo farlo?

Sarà, ma tu non me la racconti giusta.

Non capisco cosa tu voglia dire.

Andiamo, Hermes! Qual è il vero motivo di questa decisione?

Te l’ho appena spiegato.

Voglio la verità.

È questa.

Bugiardo.

Onorato.

Hermes! Tu sei in me, io sono in te. L’hai detto tu, proprio poco fa! Non devi nascondermi nulla!

Umpf. Mi …ato.

Cosa?

…ato.

Se bisbigli non sento.

Mi ha ingiuriato! Ha offeso la mia persona, ha oltraggiato la mia autorità, ha sminuito la mia importanza, ha ferito il mio orgoglio! Ti basta?

Così va bene. Ceto che sei permaloso!

Pf. Questa volta faccio finta di non aver sentito, mortale dalla lingua biforcuta.

Tse.

Ci serve un piano d’attacco, Pecora: adesso usciamo di qui, smontiamo baracca e burattini e poi torniamo alla tua vecchia casa, la Clara Domus… sono sicuro che quel verme si trovi là. Poi lo secchiamo e ci ritiriamo nella mia dimora sul Pireo, quella gestita da mio figlio. Meglio restare ad Atene, sembra che questa città sia diventato il punto di ritrovo di tutte le divinità reincarnate…

Hey, frena un secondo! Vuoi dire che non torneremo al Santuario?

No, direi di no.

E perché mai?

Per svincolarci da Athena. Se non ci protegge, non rischia di essere coinvolta.

Athena ha dei valenti paladini che servono proprio a questo.

Pensavo che non volessi assolutamente mettere in pericolo la vita dei tuoi amici e del tuo amato.

Ma nemmeno voglio perdere la loro amicizia e il suo amore.

Se dovessero infrangersi alla prima difficoltà, credimi, sarebbero dei legami da poco.

Non me la sento Hermes, non sono pronta.

Ti conosco, Pecora. Non sarai mai pronta.

Non voglio lasciarlo.

Ora non conta.

Lo amo.

Al punto di vederlo soccombere per le tue debolezze, il tuo egoismo, la tua stupidità?

Lotterei con lui.

Lily, questo non importa! Non possiamo rischiare che una guerra devasti il mondo per i tuoi capricci.

Lo so, però…

È un compito che ci è stato assegnato, un destino che non abbiamo scelto. Lo so che è ingiusto, ma va affrontato. Non possiamo continuare a sopravvivere e basta.

E adesso perché piangi? Guada che lo sento…

Ascoltami, Lily. Se ora non compi questo passo, potresti non avere più un futuro. Sarai arrivata fin qui, ti sarai ferita e affannata per niente. Ti chiedo di lasciare andare la sua mano, per adesso. Più avanti la riallaccerai alla tua, quando il mondo che hai costruito con i tuoi sforzi sarà un posto un pochino più giusto.

Sniff.

Stringi i denti.

Milo questa non me la perdonerà.

Certo che lo farà.

No, sniff…né io potrò mai perdonare me stessa. Mi odierò, e diventerò acida e cattiva, e mi richiuderò dentro di me, e mi verrà la gobba sulla schiena, e mi resterà addosso per sempre. Mi trasformerò in una chiocciola e invecchierò di cento anni in un giorno solo.

Non credere che lasci che il corpo che mi ospita vada in rovina. Ci tengo alle apparenze, io!

Pf. Però sono sola al mondo, stavolta definitivamente.

Pecora! Non offendermi, per Zeus! Non sei mai stata sola, né lo sarai mai: sarò sempre con te, che tu lo voglia o no!

Suona come una minaccia.

Molto peggio, è una promessa.

…Grazie, Hermes. Ti voglio be…

Prova a dirmi una smanceria del genere e in meno di due minuti ti spedisco a sciogliere le lande ghiacciate dell’Ade con un cerino.

Glom!

 

 

 

 

 

Mi trovavo alla Tredicesima Casa, davanti al portone di legno intarsiato che conduceva alla sala dove poco tempo prima si era tenuto l’ultimo synagein. Se chiudevo gli occhi potevo vedere il Cosmo di Athena fluttuare quietamente sul trono di marmo. Segno che forse la coscienza della Dea era a riposo e Saori Kido aveva il pieno controllo di sé stessa.

Bussai, e fui invitata ad entrare. Un po’ esitante varcai il portone che si era spalancato magicamente davanti a me.

Mi avvicinai alla ragazzina dai capelli viola percorrendo un lungo tappeto rosso, e la salutai chinando il capo quando raggiunsi la distanza giusta.

- Ciao, Lily. –

- Ciao, piccola Saori. –

Se Lady Kido fu in qualche modo infastidita dal mio eccesso di confidenza, non lo diede a vedere.

- Cosa ti porta qui? Il Cavaliere di Virgo mi ha confidato di averti visto molto turbata. –

In effetti, Shaka aveva sentito il mio Cosmo agitarsi ed intorbidirsi durante la meditazione, e quando mi aveva visto andarmene con gli occhi gonfi di pianto era rimasto palesemente inquieto. Però non pensavo avesse già informato la Dea del mio stato.

- Infatti. C’è una cosa di cui devo parlarti, o Pallade.

Lo sguardo di Saori si fece più serio, non sembrava più tanto una ragazzina. Era diversa rispetto ai primi tempi in cui l’avevo conosciuta, sembrava più matura, più consapevole del suo ruolo, e forse, in qualche modo, più triste. Mi ricordai del giorno in cui mi aveva rivelato le sue paure: nella sua confidenza appena accennata avevo potuto scorgere tutta la fragilità di quella creatura divina e sola.

Chissà se avrebbe capito che la mia non era una fuga, né un abbandono.

Chissà se avrei avuto la forza di dirle che le volevo bene, e che un giorno sarei tornata.

Chissà se in realtà sarei tornata davvero.

Chissà…

- Di che si tratta? –

Inspirai a fondo, prima di dire addio alla Dea dagli occhi azzurri.

 

 

 

 

 

 

Del resto era un pessimo giorno per andarsene, io me lo sentivo.

Anche se era quasi sera l’aria brillava ancora di azzurro, il profumo del mare era intenso e penetrante, e gli uccelli si ostinavano a cantare, a celebrare quel sole che, ignaro delle leggi della natura, non voleva saperne di spegnersi.

Era come se tutto il Creato si fosse messo d’accordo, come se l’ Universo intero tramasse per non far sopraggiungere la sera e ostacolare la mia partenza.

E poi c’era quella musica.

Avevo sentito le prime note di quella melodia rimbalzare tra le colonne di marmo della sala del synagein.

Chi la cantava?

Forse qualcuno si stava esercitando, ma chi?

Forse venivano dal cuore di Athena, dal punto esatto in cui io l’avevo spaccato.

Forse era una musica immaginaria, e la sentivo soltanto io.

La Dea se ne stava davanti a me, immobile nella sua bellezza diafana, apparentemente insensibile a quelle note dolorose.

E se il profilo nobile della divinità si manifestava imponente, incrollabile e maestoso, la ragazza che lo ospitava piangeva.

Piangeva, ma lo faceva con dignità, quasi con discrezione. Fui grata a Saori per questo, e non nego che qualche lacrima sfuggì anche a me.

- Chiamami tutte le volte che avrai bisogno. Athena è con te. –

- Grazie di tutto, amica mia. – mormorai prima di andare.

E mentre mi dirigevo verso la porta, dando le spalle alla Dea che piangeva per me, riconobbi finalmente le parole di quella canzone.

Erano versi di Saffo:

“ …molte cose mi disse, e anche questo:

Ahimè, così terribilmente soffriamo

E ti lascio senza volerlo per nulla.

 

 

 

 

 

Se separarmi da Athena era stato inaspettatamente difficile, dire addio a Milo sarebbe stato pressoché impossibile. Per non parlare degli altri Saints.

Con che coraggio sarei partita? Con che faccia? Cosa gli avrei detto, come potevo?

La mia razionalità cominciava a venir meno, e l’unico chiodo fisso che avevo era quello di non risultare patetica agli occhi della persona che amavo.

Sembra stupido, ma in quel momento il mio problema più grosso era sparire nel modo più dignitoso che mi venisse in mente, cercando di cancellare ogni traccia del mio passaggio. Non volevo che mi ricordassero come un persona debole, o, peggio, una traditrice.

Per questo corsi a perdifiato lungo il sentiero che fiancheggiava i Templi Sacri, per poter giungere all’Ottava Casa a raccattare i miei pochi averi, senza essere costretta a mentire a tutto il Santuario.

Ero così immersa nei miei pensieri che non mi accorsi di una presenza che mi veniva incontro, e gli rovinai addosso rotolando a faccia in giù sul selciato.

Quando rialzai la testa, non mi stupii di incontrare gli occhi di Camus: avevo già intuito la sua identità spiando il Cosmo color avorio che lo avvolgeva. Probabilmente era tornato dalla sua missione e stava recandosi da Athena a fare rapporto.

Il Cavaliere di Aquarius mi guardò con un’aria contrariata e insieme interrogativa. Sentii le lacrime pungermi gli occhi: non ero in grado di rispondere alle domande, e forse neanche alle accuse, che mi rivolgeva con quello sguardo silenzioso.

Mi rialzai di scatto, afferrai una delle sue mani e gliela baciai.

Cercai di sostenere il suo sguardo più a lungo che potevo, ma un istante fu già troppo. Chinai la testa di colpo, mormorai un “mi dispiace” strozzato e corsi via.

Non mi fermò. Non una parola, non un gesto.

“Grazie” pensai.

Arrivai finalmente all’Ottava Casa. Avevo il fiatone, le gote arrossate e pareva che tutte le energie del mio corpo fossero impiegate nel titanico sforzo di non piangere.

Cominciai a frugare un po’ alla cieca nella camera da letto di Milo, ammassando le mie cose sul letto quando le riconoscevo. In fondo all’armadio trovai una valigia, e decisi di usarla per portare via i miei beni.

Mancavano pochi oggetti, ancora pochi, fottutissimi dettagli e me ne sarei andata. Pochi dettagli, poche cianfrusaglie, era davvero necessario affannarsi così tanto per portarle via?

Sì, non volevo che a Milo restasse di me una traccia equivoca. Non volevo che un giorno provasse odio o rancore nel guardare un oggetto che mi era appartenuto.

Il mio era un bisogno infantile, è vero, eppure mi sembrava indispensabile.

Poche cose e avrei finito, ancora poche cose…

“Testa, cuore, per favore, non cedete. Non abbandonatemi adesso!”

E in quel momento, in quel dannato momento ( mancavano davvero poche cose ) un piccolo puntino, azzurro e luminoso, bucò la nebbia dei miei pensieri disordinati.

Milo.

Mi bloccai di colpo e pregai con tutto il cuore di diventare invisibile.

- Ciao, Lily! Sono tornato. –

Non si era ancora accorto del mio stato d’animo, forse potevo fingere fino all’ultimo che andava tutto bene, potevo mentire, sì…

No, non potevo farlo. Non potevo fare anche questo, non a Milo.

Sospirai, e le difese che avevano arginato le mie emozioni si ruppero come se fossero fatte di carta. Scoppiai a piangere in maniera disperata, prendendo di tanto in tanto ampi respiri perché mi veniva a mancar l’aria.

- Lily, che ti succede? È per qualcosa che ho fatto? Shaka mi ha detto che eri inquieta, ma non pensavo di trovarti così… -

Mi abbracciò, ed io mi aggrappai a lui con disperazione, come un naufrago che trova un appiglio.

- M-Milo, io… - singhiozzai, da persona banale quale ero. Lui mi accarezzò dolcemente la testa, e per tutta risposta io aumentai la stretta, arrivando perfino a graffiarlo.

- Io…io –

Cosa avrei voluto dire? Che lo amavo, certo.

“Io ti amo”, le tre parole più semplici del mondo.

Tempo addietro ne avevo abusato tante volte, senza rimorsi e senza vergogna, e ora che succedeva? La prima volta che amavo davvero, non usciva niente.

Ero tutta sbagliata. Lo sono sempre stata, dal momento in cui sono nata. Uno scherzo della natura, un dispetto di qualche Dio. Io, Lily, non ero altro che una burla, un errore, una svista.

Solo così riuscivo a spiegarmi perché ero nata storta, completamente inesatta rispetto al mondo. C’è stato un equivoco, lassù in cielo, ed è da lì che sono nata.

Sono fatta talmente male che quando Milo si staccò da me con una carezza e andò a prendermi un bicchiere d’acqua, non dissi altro che “va bene”.

Mi trovavo ridicola.

Ma se non altro, in quel breve lasso di tempo riuscii a ricompormi, a ritrovare lucidità e focalizzare il punto della mia missione.

Richiamai tutte le forze che mi erano rimaste ed invocai Hermes.

Quando Milo tornò e mi vide con indosso la Divina Armatura fece cadere il bicchiere per la sorpresa. Però non disse nulla, lì per lì. Era stato preso da una rigidità anomala, come se fosse stato colpito da un’improvvisa paralisi.

Io, dal canto mio, non sapevo più che cosa fare per tenermi unita, per non cadere a terra e sfracellarmi in mille pezzi.

E di colpo, quasi per scherno, mi tornarono in mente i versi di Saffo che avevo udito poco fa, e a questi se ne aggiunsero altri:

“ Vai e stai bene, e di me

Ricordati, perché sai

Come ti ho amato”

Anche se dentro sentii scuotermi con la forza di un terremoto, non lo diedi a vedere. Mi tenni stretta la mia maschera fino all’ultimo, chissà poi perché. Chissà perché nella vita uno preferisce mentire, certe volte.

Così, quella volta lì, mentii.

Avrei voluto dirgli che l’amavo.

Invece dissi solo:

- Io vado.-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi qua. Ritardo pauroso, lo so. Chiedo infinitamente, e ancora una volta, scusa.

Ora come ora non penso di riuscire ad avere il tempo di ringraziarvi uno per uno. Vi manderò una mail uno a uno il prima possibile. Alla fine del prossimo capitolo, invece, preciserò a quali frammenti di Saffo i versi facciano riferimento.

Grazie del tempo che buttate per me, grazie della pazienza, grazie della fiducia. Soprattutto tu, rib! J

Spero che il capitolo vi piaccia!

Un bacio

stan

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Capitolo 15
*** finalmente un po' d'aria ***


Anche questa va a ribrib20.  Per la sua infinita pazienza nel riportarmi, ogni benedetta volta, nel mondo reale. Grazie.

 

 

 

 

 

‡ Beautiful Novel ‡

 

 

Finalmente un po’ d’aria.

 

 

 

 

 

 

 

- NO! HERMES, BASTA COSì! –

Lily, ma che diavolo ti prende?! Lily? LILY!

- Non muoverò un altro passo da qui, sia chiaro! Io non mi muovo! –

Urlavo a squarciagola contro il vuoto, disperatamente, anche se mi faceva male la gola e sentivo in bocca il sapore del sangue.

Ci trovavamo in un quartiere di Atene che non conoscevo, ma che non doveva essere molto distante dal centro. Per fortuna era notte fonda e in strada non c’era nessuno, altrimenti avrei passato dei guai.

Alzai la testa al cielo, cercando un briciolo di conforto in quelle stelle che Milo ammirava ogni sera prima di addormentarsi, ma non ve ne trovai traccia. Sopra di me c’era solo una fitta coltre di tenebre, un’oscurità così densa che se mi ci fossi immersa ne sarei stata inghiottita. A quanto pareva, quella sera anche il cielo mi aveva voltato le spalle.

Che vuol dire che non ti muovi? Non puoi stare in mezzo alla strada con indosso l’Armatura!

Ancora la voce di Hermes a torturare i miei poveri nervi, già sufficientemente logorati da tutte le prove di quella notte. Anche il dio doveva essere piuttosto frustrato, o quantomeno esausto, perché non aveva mai avuto un tono così stridente.

Singhiozzai senza lacrime prima di urlargli addosso.

- Mio Dio Hermes, che hai fatto? Che ho fatto? – caddi a terra sbattendo le ginocchia con violenza, ma non mi curai del dolore. Con un gesto fiacco mi sfilai l’elmo e mi passai una mano tra i capelli, e solo allora le lacrime cominciarono a scendere copiose.

Allora mi investirono i ricordi di quella notte, e un’ennesima piaga, profonda e pulsante, si aprì sul mio cuore già lacerato.

 

 

 

Pochi attimi prima ci trovavamo alla Clara Domus, la mia vecchia casa.

Hermes aveva preso pieno possesso del mio corpo, perché sosteneva che dopo l’addio a Milo io fossi troppo sconvolta per mantenere il controllo della situazione.

Mio malgrado mi ero trovata d’accordo con lui, così avevo obbedito senza protestare.

Sotto forma di coscienza mi ero ripiegata su me stessa e avevo trovato un anfratto della mia anima in cui riposare. Da lì potevo vedere tutto senza agire, ero come spettatrice della mia stessa vita.

Hermes si muoveva veloce, con grazia, usava il mio corpo alla perfezione, mortale veicolo dei suoi gesti sublimi.

Arrivammo alla Clara Domus in un attimo, e senza esitare penetrammo nel suo antico cuore di marmo. Trovammo Brain quasi subito, non ci fu nemmeno bisogno di cercarlo. Non so se lui si aspettasse una nostra visita o se si trattò di un incontro casuale, ma il fatto che indossasse una vestaglia da notte mi fece pensare che uno scontro ravvicinato con Hermes non fosse esattamente nei suoi piani.

Inutile dire che i suoi scagnozzi arrivarono subito dopo, avvolti nelle loro Armature tintinnanti e fasulle, che sfavillavano di una luce illegittima.

Anche loro sembravano sorpresi di vedermi.

Hermes agì subito, senza dar loro il tempo di riaversi dalla sorpresa. Pronunciò un discorsetto ironico e pomposo, uno di quelli che era solito fare, e che le forti emozioni di quella sera mi avevano fatto scordare; poi cominciò a bruciare il suo Cosmo immenso.

Quei poveri diavoli provarono a sferrare qualche attacco, ma ogni resistenza si dimostrò vana, e dovettero presto piegarsi alla forza impetuosa sprigionata dal dio.

La concentrazione di Hermes era all’apice, così come la sua furia, potevo percepirlo benissimo. Aprì il palmo della mano destra e contrasse leggermente le dita: si materializzò una sfera densa di luce, che proiettava riflessi ramati lungo le pareti. Di qualunque diavoleria si trattasse, sembrava non costare troppo sforzo al dio, che in cuor suo si rallegrava, ed io potevo sentirlo, di poter ottenere la sua vendetta senza nemmeno sforzarsi di sfoderare il caduceo.

Notai che il viso di Brain aveva perso colore, e gli occhi dei suoi scagnozzi erano sgranati per la paura. Anche Hermes se ne accorse e ghignò, per poi scagliare contro di loro quel concentrato di pura energia. Ci fu un grido quasi disumano, poi i tre uomini scomparvero senza lasciare traccia.

Non realizzai subito cosa fosse accaduto. Mi sentivo frastornata, come se mi trovassi dentro ad un sogno, o chiusa dentro ad una campana di vetro, ermetica al mondo.

Poi la realtà mi colpì, improvvisa come lo scoppio di un petardo.

Avevo ucciso.

Sentii un brivido scivolarmi lungo le membra,e nelle mie orecchie si diffuse il suono sgradevole che emette il ghiaccio quando viene perforato. Ebbi come la sensazione che in me qualcosa si rompesse. Una crepa nell’anima, ecco cos’era. Una crepa che andava a poco a poco allargandosi, trasformandosi in un baratro.

All’improvviso mi tornarono le forze, mi sentivo vuota e invincibile allo stesso tempo, come una brocca che non teme di essere rotta.

Gonfiai la coscienza fino a che la mia anima, espandendosi, non riuscì ad occupare lo spazio originario. Hermes tentò di imporsi ma non ci fu verso, ero più forte perfino di lui. Lo relegai ad un brandello di subconscio, poi bruciai il Cosmo, azionai le ali dei calzari e volai via da quel posto maledetto.

Non pensavo di essere in grado di fare cose del genere; in effetti, tutte le azioni che compii quella sera andavano al di là di ogni mia immaginazione.

Ma quando stavo sorvolando un viottolo poco lontano dal centro la misteriosa energia che mi aveva mosso venne meno, e all’improvviso precipitai.

Fu Hermes ad impedire la caduta, prendendo ancora una volta il controllo. Ostinata, però, io mi imposi di nuovo, rivendicando la legittima proprietà del mio corpo e delle mie azioni.

Non sarebbe accaduto mai più.

Nessuno mi avrebbe più usata per fare del male.

Avevo lasciato che gli altri manovrassero la mia volontà, che decidessero per me, e alla fine ero diventata così passiva da lasciare che un omicidio si consumasse davanti a me senza che avessi il coraggio di fare nulla.

Come avevo fatto a cadere così in basso senza rendermene conto?

- NO! HERMES, BASTA COSì! –urlai.

Lily, ma che diavolo ti prende? Lily? LILY!

- Non muoverò un altro passo da qui, sia chiaro! Io non mi muovo! – singhiozzai.

Che vuol dire che non ti muovi? Non puoi stare in mezzo alla strada con indosso l’Armatura!

- Mio Dio, Hermes, che hai fatto? Che ho fatto? –

Caddi in ginocchio, senza neanche trovare la forza di curarmi dei singhiozzi che stavano trasformandosi in asma.

L’elmo non mi lasciava respirare. Me lo sfilai dalla testa, e con le lacrime che scorrevano senza freni lo scagliai lontano, sul selciato pietroso. Osservai il cimiero scarlatto ondeggiare nella polvere per poi fermarsi, come un serpente esotico che riposa.

Il colore di quelle piume ornamentali mi ricordò quello del sangue, e dovetti reprimere un conato per non rimettere.

Vidi le ali dei calzari agitarsi, segno che ancora una volta il dio cercava di prendere il sopravvento.

Bestemmiai mentalmente tutte le divinità che conoscevo, e di nuovo, con uno sforzo sovrumano, sovrastai la coscienza di Hermes.

Nemmeno ora riesco a spiegarmi come quella sera sia riuscita a tenerlo sottomesso per tanto tempo. Ma ormai evito di chiedermelo: quella notte le stelle, al riparo sotto la loro coltre di nuvole, assistettero a scene impensabili ed uniche, quasi si trattasse di pura magia.

In quel momento, però, non riuscivo a pensare lucidamente. Il mio turbamento non faceva altro che crescere, assieme alla moltitudine di domande che mi affollava la testa. Come faceva Hermes a non comprendere l’entità della mia angoscia? Come poteva pensare che io fossi d’accordo con lui, che acconsentissi ad uccidere un uomo, per quanto meschino?

Io pensavo che volesse limitarsi a rendere Brain innocuo, magari cancellandogli la memoria o esiliandolo in qualche universo parallelo. Mi aspettavo che gli infliggesse una di quelle punizioni tipiche degli eroi buoni, di quelli che sconfiggono i nemici ma non li annientano.

Invece l’aveva ucciso. Con le mie mani, poi.

Più ci pensavo e più saliva l’indignazione, che si trasformava prima in rabbia e poi in frustrazione, quando realizzavo che ero troppo piccola e troppo debole per gestire ciò che mi stava accadendo.

Lily, dammi retta…

- Vaffanculo, Hermes. –

In un attimo mi ritrovai con la faccia a terra, tutte le membra schiacciate da una forza invisibile e un braccio piegato all’indietro, in maniera innaturale. Gemetti per il dolore.

Ascoltami bene, mortale. Solo per il fatto che mi sono affezionato alla tua stupidità, non puoi permetterti tutto. Sono comunque un dio, portami rispetto! A denti stretti ho sopportato che tu, per capriccio, scagliassi via le mie Sacre Vestigia. Ma adesso è troppo! Non osare ingiuriarmi, Pecora! Non osare.

Non risposi nulla, mi limitai a tirare su con il naso. Avvertii che la tensione che mi avvolgeva gli arti andava sciogliendosi, e anche l’asma andava a poco a poco svanendo.

Ora ci teletrasportiamo dove dico io, e non azzardarti a protestare.

Tacqui ancora. Fu il buio attorno a me, e un istante dopo si aprì una luce lontana. Poi di nuovo il buio.

 

 

 

 

 

 

Sognai Milo quella notte, ma non fu un sonno lieto. Mi rovesciava addosso il suo colpo segreto, lo Scarlet Needle, come se fossi il suo peggior nemico. Io non avevo ancora visto quell’attacco di persona, ma lo sognai come un fiotto di scintille che mi avviluppava ustionandomi.

Lentamente, il rosso cominciò ad avvolgermi. Mi vorticava intorno feroce, e a poco a poco il volto di Milo scomparve, inghiottito da quel gorgo sanguigno.

Riaprii di colpo gli occhi, e subito fui costretta a richiuderli, perché mi colpì un intenso mal di testa, poco diverso da quelli che seguono un’ubriacatura. Ironia della sorte, mi ritrovai distesa in un letto con le lenzuola color porpora; anche le pareti della stanza in cui mi trovavo erano tinteggiate di una tonalità molto scura di rosso, e come se non bastasse dalla finestra potevo scorgere il mare, così ingiustamente azzurro, umido come lo sguardo di Milo quando mi aveva vista scappare in quel modo così vigliacco.

Andatevene tutti al diavolo, pensai.

Come facevo a dimenticare il Cavaliere di Scorpio, se lo vedevo in ogni cosa? Sembrava quasi che ogni dettaglio della mia ridicola, sciocca vita traboccasse di lui.

Serrai gli occhi con forza e sentii una lacrima vibrare tra le ciglia chiuse. Sarei certamente scoppiata a piangere se una voce sconosciuta non avesse interrotto quel patetico attimo di autocompatimento.

- Vedo che ti sei svegliata. Ti senti bene? –

Mi drizzai a sedere e subito, per via delle lacrime, non potei scorgere con esattezza i lineamenti di chi aveva parlato. Intuii però una figura esile e slanciata, con una macchia molto chiara in corrispondenza dei capelli.

Se ne stava ritta in mezzo alla stanza, combattuta tra la curiosità di avvicinarsi al letto e il timore di farmi una scortesia.

 Alla fine decise di mettere da parte l’imbarazzo, e camminando in maniera piuttosto impacciata arrivò fino al mio letto e si sedette sulla sponda. Aveva un modo bizzarro di stare seduto: la schiena leggermente sbilanciata all’indietro, le braccia tese a sostenere il peso del corpo e le gambe lunghe distese davanti a sé.

Era così alto che si comportava come se non sapesse dove mettersi per non dare fastidio, e le fattezze del suo corpo lo mettevano chiaramente a disagio. Provai per quello sconosciuto un moto improvviso di comprensione e simpatia.

Quando mi chiese ancora una volta se stavo bene, mi pulii gli occhi con il dorso della mano per scrutarlo meglio in viso.

I capelli luminosi e lisci incorniciavano un ovale diafano, in cui erano incastonati due occhi plumbei, di madreperla. Il cromatismo di quel viso era straordinario, delicato e indelebile allo stesso tempo.

Il naso era elegante e ben proporzionato, le labbra piccole ma piene. Aveva dei lineamenti soavi, quasi femminili dopotutto, ma la voce con cui mi aveva parlato, per quanto argentina, era senza dubbio quella di un uomo.

Arrivai a dubitare seriamente della sua sessualità quando scorsi una traccia di rimmel sulle ciglia, già nere e folte per loro natura. Non che avessi dei pregiudizi, per carità, ma quell’individuo era una contraddizione continua. Dire che fosse stravagante era niente.

- Chi sei? – chiesi allora, completamente dimentica dell’educazione e delle domande che mi aveva rivolto poco fa.

Quel tipo destava la mia curiosità molto più del posto in cui mi trovavo, per quanto anch’esso fosse piuttosto stravagante.

La creatura davanti a me parve colpita, sgranò per un attimo gli occhioni perlacei e infine sorrise, dando mostra di una perfetta fila di denti piccoli e lucidi.

- Il mio nome è Richard, ora ti trovi a casa mia. E…beh, in teoria sono tuo figlio.- rispose candidamente.

- E in teoria ti sbagli, perché non è possibile.- risi io, completamente convinta che si trattasse di uno sciroccato.

- In effetti non sono proprio figlio tuo. Hermes è mio padre, tutto qui. –

A sentire il nome di Hermes mi rabbuiai.

Richard dovette accorgersene, e si affrettò a dire:

- Oh, non preoccuparti. Il divino Hermes sta riposando ora, era molto stanco. Il suo Cosmo è appena stato risvegliato e si è già trovato costretto ad abusarne. –

Annuii meccanicamente, appena rinfrancata dal pensiero che per un po’ il dio non avrebbe interferito con i miei pensieri. Dopo quello che era successo lo sentivo come un traditore, un corpo estraneo che desideravo espellere il prima possibile.

- E così, tu saresti Lily. –

Annuii ancora. Non avevo alcuna voglia di intavolare una conversazione con quell’insolita creatura, ma le circostanza non mi permettevano di essere scortese. E a dirla tutta, avevo bisogno di distrarmi dal pensiero di Milo e degli altri Gold Saints.

Mi resi conto solo in quel momento di non averli nemmeno salutati tutti. Aldebaran mi avrebbe uccisa, se fossi tornata senza una scusa decente.

- Non sapevo che Hermes avesse figli – mugugnai con la voce un po’ roca, anche se mi sforzavo in tutti i modi di risultare amichevole.

- Il fatto è che non va molto fiero di questa cosa. Comunque, oltre a me ha messo al mondo altri due disgraziati. Per rispondere ai tuoi interrogativi sul mio aspetto, io sono la reincarnazione di Ermafrodito.-

Inarcai un sopracciglio, scettica.

- Ermafrodito, figlio di Hermes e di Afrodite. –

Benissimo, ora lo conoscevo. Peccato che la cosa non mi interessasse quasi per niente. Ma lui continuò, imperterrito:

- Ho ereditato da mio padre la scaltrezza e l’intelligenza, i miei pregi migliori. Da mia madre, invece, ho preso tutte le debolezze.

- Davvero? – domandai. Va bene che di lui non mi importava nulla, ma un po’ di curiosità non mi avrebbe certo fatto male.

In risposta Richard mi sorrise, malizioso, eppure in qualche modo sincero.

- Vedo che la nostra conversazione comincia ad interessarti, mia cara. E’ proprio vero che la curiosità è donna! –

- E’ solo cortesia. – mentii.

- Ah, ingenua e bugiarda. Ora capisco perché mio padre ha scelto di reincarnarsi in te, è una mescolanza di qualità che lo diverte molto. E non nego che affascina anche me.-

- Quando Hermes si è reincarnato in me non poteva certo prevedere quale sarebbe diventato il mio carattere – replicai, vagamente risentita.

Richard inclinò appena un angolo della sua bocca delicata in una smorfia che poteva sembrare un ghigno. In quell’istante le sue labbra mi sembrarono petali sgualciti, i suoi occhi scrigni di vetro vuotati del contenuto. Era dotato di una bellezza innaturale ed inspiegabile, il suo volto era un componimento di parole vuote ma dolcissime. Non riuscivo a smettere di contemplarlo.

- Ho ereditato da mia madre la capacità di amare. – continuò, riprendendo il discorso da dove era stato interrotto.

- E perché sarebbe una debolezza? – domandai, convinta di non voler conoscere davvero la risposta.

- Lo è, quando ami il Creato e l’Amore sopra ogni cosa. –

- Quindi vuoi dirmi che tu…ami l’amore? –

- Amo l’amore, e non solo. –

- Senti, ho avuto una serataccia. Ho un mal di testa terribile, mi sono svegliata in un posto che non ho mai visto e sto conversando da parecchi minuti con una persona che non conosco. Puoi, per pietà, farmi il favore di risparmiarmi queste rispostine enigmatiche? –

Una vaga smorfia di delusione deformò il volto del mio interlocutore, appena un attimo, poi su quei lineamenti perfetti tornò la pace.

- Ti credevo un’entusiasta. E’ un peccato che la mia esibizione da vate sibillino non ti sia piaciuta. –

- Sono cose che mi danno i nervi. – stavolta sorrisi, sinceramente cordiale: Richard cominciava a starmi simpatico.

- Ad ogni modo – continuò – quello che stavo cercando di dirti è che anch’io, pur essendo figlio di Afrodite, sacerdote dell’Amore e devoto ad Eros più che a mia madre stessa, ebbene, anche io mi sono innamorato, e di una donna, una soltanto. –

- Oh. – sussurrai appena, rapita più dall’enfasi con cui Richard raccontava che dalla storia stessa.

- A dire la verità non era proprio una donna,era una ninfa. Si chiamava Salmace, ed era bellissima. Aveva dita sottili, e labbra rosse come le ciliegie. Come ti ho già detto, me ne innamorai perdutamente.-

Qui Richard si fermò a prendere fiato, passandosi una mano tra i capelli. Lo sguardo perso nella memoria e la malinconia della sua espressione avrebbero dovuto obbligarmi ad un rispettoso silenzio, ma la curiosità di conoscere la fine della storia era così tanta che mi ritrovai a sfiorargli un braccio, senza pensare, con l’attesa dipinta in volto.

- Amai lei. – riprese lui – Solo lei, lei e basta. L’amai di giorno, di notte, nel corpo e nell’anima. L’amore che per natura provavo verso il resto del mondo non era affatto diminuito, e questo era curioso, ma ciò che provavo per Salmace era un sentimento che andava oltre, trascendeva regole e obblighi. –

Il mio interlocutore fece una nuova pausa, seppur breve, per leccarsi le labbra riarse. Era di una lentezza sfibrante.

- Quando il mio cuore fu così pieno d’amore che pensavo sarebbe esploso, il Fato ci colpì sotto forma di dèi capricciosi.-

Annuii. Dèi capricciosi. Ne sapevo qualcosa.

- Erano invidiosi del nostro amore, e quando chiedemmo loro di restare uniti per sempre ci presero in parola. Saldarono insieme le nostre membra, con il preciso intento di farci il peggiore dei torti. Ma non sanno che da quel momento il nostro amore non fece che crescere, e anzi, benedimmo quell’unione che ci rendeva tanto vicini da non poter più distinguere dove finissi io e dove iniziasse lei.-

- Vuoi dire che gli dèi hanno fuso i vostri due corpi? –

- Tanto che adesso non è più possibile distinguere il mio sesso da quello di Salmace, proprio così. –

- Ma è abominevole. –

- Da fuori lo può sembrare, e così sperarono gli dèi invidiosi. Invece da quel momento il nostro sentimento è completo.-

La leggenda di Ermafrodito, la creatura senza sesso.

Colui a cui avevo sempre pensato come ad un errore, un aborto della natura, ora si rivelava essere la più alta espressione d’amore.

Amore senza confini, amore senza giudizio, amore senza paura.

Da quella creatura avrei imparato molto più di quel che pensavo.

A quel punto mi sembrò doveroso chiedergli perché aveva deciso di raccontarmi una storia tanto intima.

- Perché nel tuo amore ho intravisto l’ombra del mio – rispose – e voglio aiutarti. E perché mio padre ha dimenticato da troppo tempo qual è il vero sapore dei sentimenti. E’ ora che ricordi, e spero nel tuo sostegno.-

Non feci altre domande, perché mi sembrava che quelle parole sgorgassero da una ferita interiore molto antica, ma ancora pulsante e viva.

- Dimmi cosa devo fare, Richard. Come posso insegnargli ad amare? –

- Non devi insegnargli – precisò lui – devi aiutarlo a ricordare. Non sarà difficile, la sola cosa che ti chiedo è di ritornare ad uno stato primordiale.-

- Scusa ma non capisco… - farfugliai.

- Come chi ha appena imparato a parlare, devi descrivergli ciò che senti, vedi, desideri e speri.-

- Non credo proprio che sarà sufficiente.- replicai, piuttosto scettica.

- Sì, se sarai sincera. Il suo cuore non è ancora del tutto impermeabile ai sentimenti. Capirà, vedrai.-

Detto questo, Richard mi congedò con un timido inchino. Disse che aveva la sensazione che molto presto Hermes si sarebbe svegliato, e temeva che potesse scoprire i nostri piani, mandandoli all’aria.

Rimasta sola, cominciai ad esplorare un po’ la stanza in cui mi trovavo. Era a pianta rettangolare, con le pareti di un insolito color porpora; anche le lunghe tende erano della stessa tonalità di rosso, perciò non c’era da stupirsi se quando mi ero svegliata la prima cosa che mi era balzata agli occhi era stata quella tinta inusuale.

Ora che me ne accorgevo, però, anche l’arredamento non aveva nulla di ordinario. Soprammobili dal design moderno erano affiancati in maniera stridente ad antichi ornamenti di stampo orientale, mentre un camino decorato in marmo verde dava lugubre mostra delle sue ceneri spente in un angolo della sala.

Quattro semicolonne sottili definivano l’architettura dell’intera stanza, che aveva un soffitto molto alto e terminava con una volta a crociera. Notai che, all’interno della volta, le quattro lunette delimitate dai costoloni erano decorate con un ciclo di affreschi, mentre nelle vele, poco più piccole, potevo scorgere dei bassorilievi che raffiguravano dei falli.

Imparai dopo che quello era il simbolo di Hermes, ma sul momento preferii non farmi domande.

Non feci in tempo a interessarmi del contenuto degli affreschi, perché la mia attenzione fu catturata da un’enorme libreria che prima non avevo notato.

Avevo delle conoscenze di filologia molto essenziali, ma sapevo certamente riconoscere quando un tomo era antico; e sono sicura che in quella biblioteca fossero racchiuse opere rarissime, in edizioni che risalivano ai primi anni dell’Umanesimo. Ero affascinata.

Senza pensarci, presi in mano una copia de “La Gerusalemme Liberata”. Sopra la pergamena della copertina, annerita dal tempo, era posta un’etichetta sicuramente moderna, su cui erano appuntate le cifre 1581. Ingenuamente, per prima cosa pensai che si trattasse del prezzo.

Non è il prezzo, stupida. E’ l’anno della prima edizione integrale, e tu sei pregata di mettere a posto quel tomo prima di disintegrarlo. Non puoi nemmeno immaginarne il valore.

Rabbrividii, mentre due pensieri mi folgorarono: stavo toccando un tomo raro, il cui valore superava il mio peso in oro. Wow.

La seconda cosa che pensai fu che Hermes si era svegliato davvero di pessimo umore. Per riuscire a combinare qualcosa di buono con lui avrei dovuto fare appello a tutta la mia pazienza.

Appoggiai il tomo su un tavolino di vetro, poi mi avvicinai a grandi passi verso uno specchio che prima non avevo notato.

Hey, Pecora! Rimettilo subito dov’era!

Ignorai gli strepitii di Hermes, che giudicai piuttosto come una richiesta di attenzioni, e cominciai a scrutare l’immagine che mi restituiva lo specchio.

Ero sempre io, né più grassa né più magra, alta esattamente come prima. L’unica differenza con la Lily di qualche giorno fa erano solo le occhiaie più marcate e il colorito insano della pelle e dei capelli. Ma per il resto non ero assolutamente cambiata.

Non nego la delusione che provai per questo.

Andiamo, avevo fatto una scelta importante, il cuore mi si era spaccato a metà, stavo dando una svolta radicale alla mia vita e mi sembrava doveroso, da parte del mio corpo, cambiare in base alle mie esigenze. Non so, speravo di avere gli occhi più luminosi, le spalle più ampie…un cambiamento, di qualsiasi tipo. E invece niente.

Ti conviene lavarti. In fondo alla stanza c’è una tenda, e dietro quella una vasca. Dentro uno scrigno troverai un olio a base di ambrosia,  usa quello, diventerai più bella. Anche se per un miracolo così mi chiedo se l’ambrosia sia sufficiente…

Sempre più ostinata ad ignorare ogni tipo di provocazione mi recai verso la tenda indicatami dal dio. Mi ritrovai a sorridere, perché nonostante l’assurdità della situazione il pensiero di una doccia rigenerante non poteva che mettermi di buonumore.

 

 

 

 

 

 

Dopo la doccia, mi ero vestita con una tunica bianca, semplice ma preziosa, che Richard aveva lasciato sul letto assieme ad alcuni bracciali dorati e un nastro per i capelli. Mi guardai allo specchio così agghindata, non ero niente male! Sembravo completamente rinata, l’ambrosia faceva davvero miracoli.

Trovai in un angolo della stanza una sacca contenente alcuni medicinali, un cappello dalla tesa molto larga e qualche altro oggetto strano che non identificai. Ripiegato sul tavolo di vetro c’erano anche un mantello dall’ampio cappuccio e una sciarpa blu.

Mi sfuggì un risolino entusiasta: Richard non aveva lasciato niente al caso, non c’era un dettaglio che potesse andare storto.

Qui c’è qualcosa che mi puzza. Cosa diavolo stai tramando?

Il mondo reale era scomparso, e un mondo onirico aveva preso il suo posto. Lo scenario della nostra battaglia sarebbe stato quello, dunque.

- Non voglio nasconderti niente, Hermes. Torno al Santuario di Athena, voglio dire a Milo che lo amo e che sono stata un’idiota. –

Tu sei impazzita. Mi sembrava che ne avessimo già parlato.

- Il fatto è che nel profondo del mio cuore non ho avuto il coraggio di contraddirti. –

Ma che…? Pensavo che non volessi metterlo in pericolo, Lily! Credevo che le mie ragioni fossero abbastanza valide!

- Le ragioni del cuore lo sono di più! –

“Le ragioni del cuore”, ma certo. Hai incontrato quella checca di mio figlio, vero? E’ stato lui ad infilarti in testa certe idee! Se lo prendo, per Zeus…

- Richard non c’entra niente! L’idea di tornare al Santuario è solo mia. E tra parentesi, è una persona eccezionale ed intelligente. Non dovresti darlo così per scontato. –

Talmente intelligente che ora si ritrova fuso con una sgualdrina.

- Quella che tu chiami sgualdrina è la donna che lui ama!-

Sì, certo, certo. Dunque questo stupido atto di ribellione sarebbe un’idea tua, eh?

- Proprio così. –

Va bene, allora...tu ami Milo, non è così?

- Sì. –

Però l’hai lasciato solo.

- Contro la mia volontà.-

Se l’avessi amato davvero saresti rimasta con lui.

- Lo so. E’ per questo che voglio tornare al Santuario. –

E una volta al Santuario, cosa farai?

- Gli dirò quanto lo amo. -

Ma non è la verità, Lily. Senza di lui mangi, dormi e respiri comunque. La vita ti è cara anche se lui non c’è, il pensiero di togliertela per amore non ti ha mai nemmeno sfiorata. Non è vero che lo ami, sei diventata bugiarda anche tu.

- Sei tu che menti, Hermes, e lo sai. Il mio sentimento non è una bella veste, non è una ferita da mostrare con orgoglio. E’ uno scorrere impetuoso, un gorgo ardente, un desiderio intimo. E’ segreto, è sacro, è nostro. –

Sei solo una Pecora che vomita luoghi comuni.

- Ma non lo vedi il mio amore, tu che vivi in me? -

Non vedo proprio niente.

- Allora sei cieco, oltre che bugiardo. -

Stai diventando patetica.

- Amo Milo. Amo il rumore dei suoi passi sul marmo del tempio, amo ogni singola cosa che mi ha insegnato; amo il modo in cui le sue mani mi sfiorano mentre camminiamo, amo tutte le parole che non mi ha detto; amo il suono del suo nome, amo il modo in cui i suoi occhi luccicano mentre facciamo l’amore; amo il suo profumo, amo i momenti in cui i nostri sguardi si incrociano, amo tutto ciò che vede quando guarda lontano. Io lo amo, e se tu non sei disposto ad accettarlo sei un vigliacco. Tu, che sei fuggito dall’amore, ora fuggi via da me, perché io ho deciso di arrendermi, di arrendermi a Milo, e se tu non sei d’accordo sigillati in me, chiudi la tua coscienza per non aprirla mai più, lascia che la tua stella si spenga e che tutte le persone che ti sono care si dimentichino di te. Va’ via, vincitore, colpevole di non aver avuto il coraggio di accettare la resa. -

Il mondo onirico in cui mi ero trovata immersa si dileguò, e mi ritrovai supina sul letto dalle lenzuola color porpora.

Il mio petto si alzava e abbassava a scatti irregolari, scosso dai singhiozzi, e gli occhi erano talmente incrostati di lacrime che faticavo ad aprirli; sulla tempia una vena mi pulsava dolorosamente.

Sentivo una mano tremante accarezzarmi i capelli con una dolcezza insicura, come se volesse consolarmi ma fosse trattenuta da qualche timore. La discussione con Hermes doveva essere stata terrificante a vedersi, se perfino il calmissimo Richard versava in quello stato di panico.

Con uno sforzo eroico aprii totalmente gli occhi e mi sollevai. Vedere che la stanza era in condizioni disastrose, con i vetri infranti, i soprammobili a pezzi e qualche buco nel muro non mi stupì più di tanto. Del resto, durante il nostro confronto avevo percepito il Cosmo del dio ribollire di sdegno e rabbia, soprattutto alla fine. Era ovvio che sarebbe esploso, dovevo aspettarmelo.

Mi alzai in piedi e cominciai ad aggirarmi per la stanza, sotto lo sguardo preoccupato di Richard.

Mi sentivo dentro un tenue sentimento di trionfo, come uno squillo di tromba suonato a basso volume.

Mi fermai di fronte al grande specchio, spaccato in una raggiera di frammenti dal divampare del Cosmo divino.

Al mio timido sguardo di vittoria Hermes ne sovrappose uno ferito, furibondo. Il vetro mi restituiva l’immagine di un ragazzo dai capelli arruffati, le spalle esili, le gote pallide e i polsi sottili.

Hermes non mi sembrava più imponente, la sua figura non mi incuteva più il timore di un tempo. Eravamo alla pari, adesso.

- Ti odio – sibilò, ma per un secondo mi sembrò di cogliere nel suo sguardo una scintilla di divertimento e approvazione.

- Odio te e le tue lacrime dannatamente giuste.- disse poi, a voce più alta.

- Avanti, adesso renditi presentabile, che dobbiamo andare. – mi intimò poi, infastidito dal mio silenzio.

- Andare dove? –

- Al Santuario di Athena, stupida. Sarò anche il signore degli ingannatori, ma so riconoscere una sconfitta. E poi, è arrivato il momento di fare le cose come vanno fatte. –

Lanciai un gridolino di vittoria, che lui smorzò subito con una frase del tipo “Altrimenti chissà quanto frignerai ancora!”.

Lo stesso mi esibii nel più radioso dei miei sorrisi, cosa che non facevo veramente da tanto tempo, e so che anche Hermes fu tentato di imitarmi. Ma non lo fece, il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di piegarsi anche a questo.

Ce l’avevo fatta, avevo sconfitto me stessa, il nemico più grande.

La ruota cominciava a girare, finalmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Alloraalloraallora? Si capisce bene? Com’è venuto? Atrocemente noioso? Roba da maledirmi dopo due righe?  *ansia!*

Cooomunque, scusate il ritardo! Sono un’animale, c’è poco da dire.

Vi giuro però che non credevo fossero già passati mesi dall’ultima volta che avevo pubblicato! ( è meglio che prenoti una visita neurologica, ne sono consapevole! ç_ç)

Passiamo ai DOVEROSI ringraziamenti:

Ribrib20: Niente rosa, per carità. Non volevo, giuro, ma per un avvoltoio mi sembrava un colore simpatico! XD Vada per il corvaccio nero, allora! :D Come vedi il capitolo è finalmente qui, non era proprio il caso di perdere altro tempo! Come ti sembra? E’ troppo complicato, anche a livello di struttura e di stile? Lily e gli altri sono odiosi e pallosi presi da soli? E’ una sgradevole sensazione che non riesco a levarmi di dosso! .-. Ormai non riesco più a trovare il modo di ringraziarti senza sembrare una disgustosa lecchina, ma tu sai quanto il tuo aiuto sia prezioso! J

Tsukuyomi: Ciao! :D Ci hai visto giusto, direi. Hermes ha un passato molto interessante che non tarderà ad emergere ( cercherò di inserire qualche spunto originale senza allontanarmi troppo dal mito originale), e Lily deve solo svegliarsi. Ha tanto potenziale, ma lo scoprirà solo strada facendo. Come ti sembra questo passo verso il cambiamento? Banale, scontato? Oddio, mi sento una di quelle insostenibili madri ansiose! D: Grazie per aver seguito questa storia fino a qua, con i miei insopportabili alti e bassi! Spero che questo capitolo non ti deluda! ^_^

LoVe_PeAcE: Ciao, che piacere sentirti! ;) Come vedi, Hermes aveva qualcosa di nascosto, ma la verità non è ancora venuta del tutto a galla! Dal prossimo capitolo dovremmo avere anzi un po’ d’azione, spero che la cosa non ti dispiaccia! :D Grazie tante per la recensione, sei stata davvero molto carina!

LadyVirgo: Ciao! Mi dispiace tanto, ma alla fine quella fifona di Lily se l’è svignata senza nemmeno salutare tutti i Saint! Ma se tornerà al Santuario, penso che qualcuno non gliela farà passare liscia! ;) Sono veramente felice che la mia storia ti emozioni, non sai che piacere! J anche per te, vale lo stesso discorso: dimmi assolutamente cos’hai trovato pesante o malfatto in questo cap, perché non mi convince! .-. Grazie ancora per la recensione!

Grazie infinite anche a chi ha letto questa storia fino a qui e chi l’ha inserita tra le seguite o le preferite! *scodinzola*

Ciao Hitsu! :D

Un bacio

stan

 

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