Una civetta si dondolava sopra un ramo d'ulivo

di Deliquium
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io sono Atena. ***
Capitolo 2: *** Io non morirò questa notte ***
Capitolo 3: *** Spettrofobia ***
Capitolo 4: *** Letto di pietra ***
Capitolo 5: *** Le cose importanti ***
Capitolo 6: *** Notturno Op. 9 n. 2 ***
Capitolo 7: *** L'Eterno Addio ***
Capitolo 8: *** La lettera. ***



Capitolo 1
*** Io sono Atena. ***


Una civetta si dondolava sopra un ramo d'ulivo

 

Io sono Atena
 

 

Io sono Atena.
Un pensiero.
Ti guardi allo specchio, la spazzola che scivola lentamente a districare i nodi.
«Io sono Atena.» Ripeti, questa volta in un sussurro, che dirlo a voce più alta potrebbe essere un guaio, potrebbe diventare reale.
Appoggi la spazzola sul tavolo da toletta con un sospiro e ti avvicini allo specchio. Il colore dei tuoi occhi è sempre lo stesso e non ci sono segni strani sul tuo volto.
Non sei una sciocca, sapevi che Mitsumada Kido non era il tuo vero nonno – come non notare le palesi differenze!
Sei cresciuta con questa consapevolezza: vezzeggiata, idolatrata, adorata da quell'uomo possente e severo. Era da questo che scaturiva la tua rabbia verso quei bambini. Eravate tutti orfani ... in fondo. Solo che tu avevi un posto speciale.
«Io sono Atena. Una dea.»
Aggrotti la fronte pensierosa, mentre dai le spalle alla tua immagine riflessa.
Cammini per la stanza a lunghi passi.
Cosa fa una dea?
Questo è un problema.
Hai passato l'ultima settimana chiusa nella biblioteca della Villa a cercare informazioni. Qualcosa che ti spiegasse cosa fare, cosa dire, come comportarsi … ma non c'era niente.
Nessuno ha mai pensato di scrivere un saggio sull'argomento.
Ti fermi.
Un'idea improvvisa.
Forse sui libri non avrai trovato nulla, ma c'è qualcuno che potrebbe aiutarti.
Apri la porta della tua camera.
«Fumiko!» gridi «Fumiko!»
Raggiungi la ringhiera del pianerottolo e ti sporgi. Fumiko corre trafelata.
Alza lo sguardo verso di te.
«Saori-dono.» dice chinandosi.
«Dov'è Tatsumi? Vallo a chiamare. Lo aspetto nei miei appartamenti.»
Ti volti, senza attendere risposta.

Apri la finestra. Il sole sta tramontando e si specchia nelle acque placide del Lago artificiale. «Avanti!» Dici senza voltarti quando Tatsumi bussa alla porta.
«Saori-dono. Mi av...»
«Siediti!» Lo interrompi.
Ti preme sapere. Parlare.
Lo trovi ancora in piedi, quando ti volti. Inarchi eloquente un sopracciglio, indicandogli la sedia con un cenno del capo.
«Così, io sarei ... la dea Atena.» dici assottigliando gli occhi.
«Perdon...»
Sollevi una mano stroncando qualsiasi cosa lui avesse potuto dire.
«Ammettiamo che io sia ciò che dite. Che cosa ...» ti interrompi chiedendoti se non sia utile metterla giù in modo meno schietto. «Dovrei fare?»
Evidentemente no.
Tatsumi sbarra gli occhi per un istante, poi il suo viso si rasserena e le sue labbra si piegano in un accenno di sorriso.
Serri i pugni.
«Che cosa sentite Saori-dono dentro di voi?»
C'è serenità e orgoglio nei suoi occhi.
Dentro di me?
Nulla! Saresti tentata di rispondere, ma non lo fai, perché sai che non è vero. Sai che c'è qualcosa dentro di te. C'è dal giorno del tuo tredicesimo compleanno, sebbene tu abbia finto che non fosse cambiato nulla.
Ma non è così.
Non è così.
Abbassi il capo. Le dita ad accarezzare il bordo del tavolo.
«Non ...» aggrotti le sopracciglia perché vorresti che le parole fossero quelle giuste, perché se lo fossero allora anche tu capiresti. Alzi la testa di scatto. Guardi Tatsumi negli occhi. «Sento una forza dentro di me. Non so spiegartelo bene, Tatsumi.» Abbracci il salottino con uno sguardo. «E' come se sapessi di poter fare tutto. Questa forza... questa energia che voi chiamate cosmo, io la sento.» Sorridi. «Capisci Tatsumi!?» compi un passo verso di lui. «L'Universo. Questa cosa che tiene insieme il mondo... Io la sento!» Adesso è più facile, quando ogni cosa prende vita nelle parole. «Se tu potessi … »
Lui sorride mentre tu gli afferri le mani.
«I colori, Tatsumi. E gli odori, e i suoni...»
Vorresti che lui capisse, vorresti che tutti capissero che cosa provi. Che tutto è come prima, ma allo stesso tempo non lo è. Che i colori sono più splendenti, che ogni suono vibra in armonia. E gli odori … e la carezza del vento … Non lo sapevi che c'è vento e vento! Che il vento del mattino, non è come il vento della sera.
«Ieri un uccellino è entrato nella mia stanza.» dici. «E io riuscivo a sentirlo … sentivo la sua paura, appena mi ha visto e poi ...» ti mordicchi il labbro. «Il suo affetto.»
«Non si può non amarvi, Saori-dono.»
Sorridi.
Tatsumi, caro Tatsumi.
Quasi un padre.
Ti siedi sull'alta poltrona di pelle.
Tuo nonno ti ha insegnato a non cedere mai di fronte alle difficoltà, ti ha insegnato a gestire il suo patrimonio in vista della sua dipartita, ti ha insegnato a comandare. Ha reso il tuo animo forte e la tua mente agile. Ti ha insegnato molte cose. Troppe per una bambina della tua età. Ma adesso sai che tutto ciò che ha fatto, l'ha fatto perché sapeva. Un sorriso ti increspa le labbra.
Che sciocca!, ti dici. Io so già che cosa devo fare.

 

Note dell'Autrice - La civetta e l'ulivo sono, secondo il mito, sacri ad Atena. Il titolo riprende la filastrocca “Un elefante si dondolava sopra un filo di ragnatela”.
Questa raccolta di oneshot (si spera) sarà interamente dedicata a Saori Kido. Non fa parte dell'headcanon di Sincretismo, ma rientra in quelle cose che ho scritto e che si richiamano al canon (per quanto io possa scrivere IC – ahahahahahah!).
Giusto due paroline per spiegare un po' come io intendo Saori Kido (almeno per quanto riguarda queste oneshot).
Saori Kido è Atena, e Atena è Saori Kido.
Mi sono presa la libertà di ipotizzare al compimento del tredicesimo anno di età, una sorta di lento risveglio della divinità intrinseca in Saori.
Mi affascina molto l'idea della dicotomia, ma non l'ho quasi mai presa in considerazione nei miei scritti. Per me, Saori continua ad essere Saori, il che significa che non c'è distinzione tra la parte umana e la parte divina e Saint Seiya non è nient'altro che un percorso di formazione.

 

 

 

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 2
*** Io non morirò questa notte ***


Una civetta si dondolava sopra un ramo d'ulivo

 

Io non morirò questa notte.

 

Fa male.
Fa molto male.
Non te lo aspettavi.
A ben vedere, non hai mai pensato che potesse accadere qualcosa del genere.
Ti senti una sciocca, mentre i respiri ti si mozzano in gola e la coscienza va e viene.
Di tanto in tanto, apri gli occhi: pochi attimi, prima di rientrare nell'oblio.
Le nuvole si stanno addensando.
Pioverà. Lo senti nell'aria, lo senti dentro.
Come un presagio.

Scivoli nell'incoscienza per l'ennesima volta.
Dietro le tue palpebre chiuse esplodono i colori. Un leggero tepore ti avvolge. La nostalgia di un ricordo di infanzia.
Il tintinnio delle campanelle, il gracchiare della Ruota della Fortuna che gira.
Venghino signori. Venghino.
Nonno che cammina facendo roteare il suo bastone.
Il profumo dei taiyaki caldi.
Nostalgia.

Il rintocco della Meridiana spinge la freccia più a fondo, ti trascina nel dolore. Spalanchi gli occhi. Stringi i pugni.
«Atena!»
Chi è l'uomo che ti guarda? Non lo hai mai visto.
Socchiudi gli occhi.
Ah, sì. Ti dici ricordando. Era qui anche prima.
È un'armatura d'oro quella che indossa. Riconosci i fregi sul pettorale, le corna virili.
L'Ariete., pensi.
Un tuono fa tremare il cielo.
Vorresti alzarti, strapparti quella freccia dal petto e gridare: «Io sono Atena!»
Ci hai provato, ma non ci sei riuscita. E questo ti spaventa.
Quando ti hanno detto chi eri, credevi che una dea sarebbe stata in grado di fare tutto.
Sono Atena, ti dicevi. Una dea. Chi mai potrà colpire una dea?

Ecco chi può colpire una dea?
Un tuo Santo.

Che cosa puoi dire ora? Che cosa puoi fare?

Non hai mai temuto per la vita di Seiya alla casa del Toro. Sapevi - sentivi - che l'animo del suo custode era gentile e che le sue azioni erano dettate solo dal non sapere.
Strano è stato il passaggio attraverso la Terza casa. Il cosmo di Gemini andava e veniva.
Hai un dubbio su Gemini, ma non riesci a discernere la realtà dal sogno. Per lunghi istanti la tua coscienza ti abbandona e quando i tuoi sensi tornano a percepire il mondo che ti circonda, la tua mente fatica a pensare.
Così il mistero di Gemini è un dolore pulsante, simile, ma allo stesso tempo diverso, rispetto a quello che hai provato quando il Cancro è morto. Ne sono morti altri prima di lui, lo sai benissimo. E un po' ti vergogni di non aver provato nulla. Ti sei detta: Non li conoscevo! Ma nemmeno il Cancro lo conoscevi ... eppure ti ha fatto male.

Un altro tuono.
Il vento si alza.
Chiudi gli occhi e l'incoscienza ti vince.
La carne è dolorosa. Rinchiusa in essa sei assoggettata ai limiti della mortalità.
E mentre il Leone avanza con il suo animo sporcato da una maledizione, tu Saori Kido, tu Atena, comprendi il tuo nome e un pensiero ti sfiora come un alito di vento al sopraggiungere dei Vespri: io non morirò questa notte

 

Note dell'Autrice - le storie non seguono una consequenzialità cronologica - oddio, dovrebbero!, ma diciamo che seguono più che altro la mia ispirazione.
Venghino non è corretto - grammaticalmente parlando! XD

 

 

 

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 3
*** Spettrofobia ***


Una civetta si dondolava sopra un ramo d'ulivo

 

Spettrofobia

 

«Chi è quell'uomo?» ti domanda Shizuka. I capelli corvini stretti in una coda alta.
«Mio nonno!» rispondi con orgoglio.
Nonno sta parlando con Kobayashi, il vostro maestro di equitazione.
I tuoi occhi brillano l'orgoglio e di affetto.
«Bugiarda!» ti volti di scatto.
Shizuka ha le labbra arricciate in una smorfia, giocherella distrattamente con il bottone dorato della divisa da cavallerizza.
La sua accusa ti coglie di sorpresa. Hikaru protesta scuotendo la criniera quando smetti di spazzolarlo.
«Ma certo che è mio nonno. Vuoi che non lo riconosca?»
La tua voce titubante e la risatina nervosa che ne segue esprimono tutto fuorché sicurezza.
«Non dirmi che non ti sei mai accorta della differenza!»
C'è un'ombra di cattiveria nel tono usato da Shizuka. Fai un passo indietro senza volerlo.
«Perdonami, Saori. Ma è così evidente!» continua lei imperterrita. «Prendi il colore dei capelli.» Afferra la coda e se la porta davanti, lasciandola ricadere sul petto. «Hai mai visto un giapponese che non abbia i capelli neri? E gli occhi...»
Stringi i denti.
Lo sai. Lo sai benissimo.
Non sei una sciocca.
«Perdonami, ma tu non hai proprio i nostri occhi.»
Sta zitta!
Hai sempre finto che non fosse vero, anche se lo specchio ti mostrava la verità e proprio per questo le parole di Shizuka fanno male. Non puoi nascondere quella verità, se sono altri a vederla.
«Tu non sei giapponese.» Shizuka sembra parlare a se stessa, quasi come se stesse riflettendo ad alta voce. «Credo che tu sia Europea. Quando sono andata in Francia con mamma e papà ho visto tante persone come te. O forse, chissà magari, sei americana. Persino quei poveracci che stanno alla villa sono più giapponesi di te.»
Inghiotti le lacrime e speri che Shizuka non si accorga di nulla, ma evidentemente non è così, vedendo gli occhi sbarrati con cui lei ti fissa. Solleva una mano a coprirsi la bocca.
«Oh, no! Scusami. Non volevo. Io credevo che tu lo sapessi.» Ma il suo finto tono contrito mostra la verità dietro le parole.
Riacquisti il controllo. Ti sforzi di riacquistare il controllo! Sollevi il mento, tira indietro le spalle, tieni tra le mani la spazzola come lo scettro di una regina.
«Naturalmente.» ribatti. E gioisci nel renderti conto di aver ritrovato la tua sicurezza. «Solo uno sciocco non si accorgerebbe che Mitsumada Kido non è mio nonno.» Hai già afferrato Hikaru per la cavezza. «Ma sai» continui, cominciando a camminare. «Non è il sangue a fare una famiglia ma i legami che si creano tra le persone. E non c'è legame più forte di quello che c'è tra me e mio nonno.» Chiosi, segretamente stupita per le parole che tu stessa hai pronunciato.

Hai riguadagnato la dignità, ma il dolore continua a nascondersi dietro gli atteggiamenti. Non rispondi a nessuna delle domande che Tatsumi ti pone mentre tornate alla villa. Hai cercato tuo nonno alla scuola di equitazione, ma il maestro ti ha detto che era già andato via. Insieme al dolore c'è anche una rabbia che non ti dà tregua, che ti fa digrignare i denti, fissare il tuo volto riflesso dal finestrino dell'auto con astio.
Le vie di Tokyo sembrano formicai. Le insegne al neon lampeggiano a intermittenza nonostante la luce del giorno. Una modella di colore pubblicizza una nota marca di cosmetici sullo schermo gigante in cima al grattacielo. Le formiche - le persone - corrono verso l'ingresso della metropolitana senza guardare in faccia nessuno. Tu vorresti smettere di vedere il tuo volto riflesso nel vetro: i tuoi capelli castani tagliati a caschetto, gli occhi di quella sfumatura bluastra, le palpebre, il taglio, quel profilo così straniero.
Percorri il sentiero del parco della villa a passo di marcia, il frustino serrato nel pugno. Quei poveracci, come di chiama Shizuka, stanno giocando a calcio, nel tuo parco, con uno dei tuoi palloni.
Persino quei poveracci che stanno alla villa sono più giapponesi di te.
Stringi le labbra in una linea sottile.
Fai scivolare lo sguardo tutto intorno a te. Non ti hanno notata e continuano a comportarsi come se fossero loro i proprietari della villa.
I nipoti del nonno.
Le budella ti si attorcigliano dal nervoso non appena senti la voce di Seiya.
Lo chiami, fendendo l'aria con un secco movimento del frustino, quasi a sottolineare l'imperativo del richiamo. Lui ti raggiunge lentamente, le mani affondate nelle tasche, quell'orribile maglietta rossa, dalla quale non si separa mai, nemmeno fosse il suo cimelio più prezioso.
«Ti serve qualcosa Saori?»
Non ha mai usato i titoli onorifici, né tanto meno il tono remissivo che si confà a un poveraccio della sua risma.
«Sì, mi serve un cavallo.» Rispondi secca, guardandolo dall'alto in basso. «Inginocchiati. Fammi quanto sei bravo a fare il cavallo!»
Seiya ti guarda attonito. Non capisce se tu lo stia prendendo in giro o se tu sia seria. Ma tu lo sei! Sei serissima e stanca e irritata. E una marea di altre cose che non sapresti nemmeno nominare.
«Stai scherzando!»
«Inginocchiati!» gridi.
Non dovresti gridare. Il nonno te l'ha sempre detto, che un vero leader non ha bisogno di gridare o minacciare per ottenere rispetto. Lo sai, lo sai benissimo!
«Non hai capito quello che ti ho detto, Seiya? Inginocchiati!»
«Oh, va al diavolo, Saori! Per chi mi hai preso!?»
Il sangue ti incendia il volto; non riesci a placare il tremore dell'ira. Le dita serrate attorno al frustino; sollevi il braccio, pronta a colpirlo, a sottolineare la tua richiesta, ma qualcuno ti ferma. Non fai in tempo a vedere chi.
Un altro di quei poveracci si è inginocchiato davanti a te.
Come si chiama?
Ha i capelli color della sabbia: un biondo decisamente poco comune; gli occhi azzurri. Aggrotti la fronte, mentre lo fissi cercando di rammentarne il nome.
Inspiri rumorosamente, nel notare che persino lui è più giapponese di te.
«Molto bene.» annunci, inarcando il sopracciglio. «Per fortuna che c'è ancora chi sa stare al suo posto.»
Non hai sentito nemmeno una parola di quello che ha detto Jabu.
Ecco! Sì, Jabu! Ecco come si chiama!
Ti siedi a cavalcioni sulla sua schiena.
Sei perfetta! Indossi persino la tenuta da cavallerizza.
Jabu è un pessimo cavallo. Si muove come un poveraccio che imita un cavallo. Non ha nemmeno un'oncia della grazia di Hikaru.
«Avanti, cavallino! Fammi vedere cosa fai fare!» lo esorti, colpendolo ripetutamente con il frustino. «Nitrisci, cavallino! Hai forse perso la voce?»
Il verso che viene fuori dalla bocca di Jabu, sembra più un gatto castrato che un cavallo.
Pieghi le labbra in una smorfia.
Si muove lentamente per i tuoi gusti. Arranca! Un cavallo dovrebbe correre, trottare, al massimo stare al passo... non arrancare!
«Più veloce! Vai più veloce!»
Non guardi gli altri, non ascolti i loro mormori, anche se sai perfettamente quali sono le espressioni che stanno facendo e sapresti ripetere il tenore dei loro sussurri.
Sbuffi. Sei stanca.
Credevi che fosse divertente, che ti facesse sentire meglio. Ma non è affatto divertente e non ti ha fatto sentire meglio.
Jabu non è Hikaru. Non ha la sua grazia, la sua velocità. Non è lo stesso. E tu stai proprio come stavi prima …
E i tuoi occhi continuano ad avere la forma sbagliata.
«Saori!» la voce possente del nonno ti fa alzare di scatto.
È comparso all'improvviso. L'inseparabile bastone, l'abito cucito su misura, la barba bianca a incorniciargli il viso.
Rughe di divertimento attorno agli occhi dalla forma giusta.
Ti solleva tra le braccia, ridendo al sonoro bacio che gli stampi sopra lo zigomo, lì dove la barba non c'è.
«Come è andata oggi, Saori? Ti sei divertita alla scuola di equitazione.»
«Oh, sì certo, nonnino.» menti. «Ti ho visto, sai. Ma quando sono venuta a cercarti, non c'eri già più.»
Ti stringi a lui.
Il tuo porto sicuro. La tua famiglia. La tua casa.
«Sono venuto a parlare con il tuo insegnante e mi ha detto che ultimamente stai battendo un po' la fiacca.»
«Non è vero!» esclami drizzando la schiena.
Lui scoppia a ridere.

I poveracci sono dove li hai lasciati; stretti gli uni agli altri hanno formato un circolo. Allunghi il collo per vedere cosa stanno guardando. Il profilo di tuo nonno s'indurisce.
Riconosci i capelli di Jabu.
«Avete visto che cosa gli ha fatto?» sta dicendo qualcuno.
«Povero Jabu!»
Intravedi il suo volto, sporco di lacrime e muco.
Le sue ginocchia sono due macchie di sangue.
È colpa mia?
Non è colpa mia!
È stato lui! Lui ha voluto farmi da cavallo! È tutta colpa sua!

Sei pronta a difenderti a spada tratta.
«Saori.»
La voce del nonno ti riporta alla realtà.
«Saori.» ripete per essere certo di avere la tua attenzione.
Si è avvicinato a loro.
«Guarda, Saori.» dice.
Abbassi lo sguardo. Il tuo nome ripetuto per tre volte.
«Jabu non è un cavallo, è una persona e come tale merita rispetto.»
Ti mordi un labbro, le lacrime che ti pungono gli occhi.
«Rispettare una persona significa non chiederle nulla che possa ferire la sua dignità.»
Distogli lo sguardo e fissi un punto imprecisato in mezzo all'erba.
«Un uomo può perdere tutto il suo denaro, la sua casa. Può perdere i suoi amici, sua moglie, i suoi figli, ma fino a quando continuerà a conservare la sua dignità, non smetterà di essere un uomo.»
Non dici nulla. Hai paura che se dovessi aprire bocca non potresti impedirti di scoppiare a piangere. Nonno lo capisce, perché non ti domanda nulla.
Vuole solo che ascolti e tu ascolti.
Ogni parola.
«Verrà un giorno, Saori, che capirai il rispetto che dovrai avere nei confronti di questi ragazzi e capirai che non avrai bisogno né di ordini urlati, né di frustini da cavallerizza.»
Appoggi la testa sulla spalla di tuo nonno e chiudi gli occhi.

 

Note dell'Autrice - Spettrofobia è la paura degli specchi, detta anche eisoptrofobia. Da non confondere con la paura degli spettri che si dice phasmofobia. Comunque, specchi-spettri-Specter-Hades. Non ricordo quali furono le esatte parole pronunciate in quella scena, ma ho improvvisato.

 

 

 

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 4
*** Letto di pietra ***


Una civetta si dondolava sopra un ramo d'ulivo

 

Letto di Pietra

 

«Saori-sama.»
Sbatti le palpebre quando riconosci il tuo nome pronunciato dalle labbra di Shun.
Sollevi la testa a incrociare il suo sguardo. Dietro di lui, Ikki ti fissa con una sottile ruga di preoccupazione a solcargli la fronte.
Abbassi la testa.
«Dea Athena» ti chiama l'uomo che si è presentato come Milo di Scorpio. «Lasciate che ce ne occupiamo noi.»
Quando il Toro solleva tra le braccia il corpo senza vita di Andréas, il tuo grembo si tramuta in roccia.
Senti il peso dell'assenza. Il dolore …
Vedi Aldaberan rientrare nel tempio, scomparire insieme a lui.
Sono passate solo dodici ore, eppure ti sembra di aver vissuto una vita intera, diecimila vite.
Il cielo si è fatto cupo. La sottile brezza della sera porta con sé la fragranza delle rose che persiste nonostante la dipartita di Christopher.
Ma la notte per te è calata molto prima. È calata quando hai varcato la soglia che separa il mondo degli uomini dal Santuario.
Stupida, ti dici. Stupida. Stupida. Stupida.
Hyoga ti aveva messa in guardia.
Shun aveva espresso perplessità per l'invio della lettera.
È colpa mia, se sono morti.
Poteva essere evitato.
Stringi i pugni e ti auguri che nessuno abbia notato il turbamento che ti ha colta.
Le parole del nonno, tutte le cose che ti ha detto, ti piovono addosso come moniti tardivi.
Seiya si regge in piedi, solo grazie al sostegno di Shiryu.
«Stai bene?» gli chiedi.
Lui stira le labbra in una smorfia.
«Niente che un po' di riposo non possa mettere a posto, Saori.»
Saori.
Un sorriso mitiga il dolore sul tuo volto.
Senti l'abbraccio di una stoffa sulle spalle.
Inclini la testa ad incrociare gli occhi di Aiolia e vi scorgi il tuo stesso dolore.
«La sera non fa poi così caldo ad Athene.» Si giustifica lui.
Ti stringi nel suo mantello e chiudi gli occhi aspirandone il profumo.
Dodici ore e non sei sicura di essere la stessa Saori che è scesa da quell'aereo.
C'è una strana consapevolezza in te. La mente già proiettata alla prossima Guerra. Perché lo sai, lo hai appreso attraverso le visioni tra la vita e la morte che Lui sta tornando.
È per questo che sei ancora in questo mondo.

La sala che accoglie i corpi dei caduti è immersa nella luce soffusa delle candele.
Hai domandato di poter stare sola con loro. Un tempo lo avresti preteso, ma non ora, non questa notte.
Sollevi la testa ad abbracciare con un'occhiata i letti di pietra. I Santi morti e coloro che non lo erano.
«Si chiamava Aurélien.» il dolore nella voce dello Scorpione, quando te lo ha confidato.
Allunghi la mano, le tue dita sfiorano il volto dell'Aquario.
È gelido, più gelido della morte. Nemmeno tu sei riuscita a togliere quel gelo, sebbene tu abbia sciolto tutto il ghiaccio.
Al suo fianco, l'uomo che uccideva in tuo nome. Il collezionista di maschere. Le hai viste le sue maschere quando hai attraversato la Quarta Casa.
«Christopher lo sapeva.» ti ha risposto Aiolia quando hai domandato loro quale fosse il nome di Deathmask.
Gli sfiori i capelli, come una madre, sebbene tu abbia solo tredici anni e lui era un uomo fatto e finito.
«Mi dispiace di non essere stata forte come speravi tu.» sussurri, prima di accomiatarti.
Asura ha il corpo pieno di ferite. Shaka lo ha riportato indietro, con una lenta discesa. Sfiori con la punta delle dita uno dei tagli ormai esangui.
«Possa il tuo animo trovare la pace che non hai avuto in questa vita, Santo del Capricorno.»
Ha il volto di una fanciulla. I capelli biondi, la pelle diafana. Sai che i suoi occhi sono blu come il cielo. Te lo ricordi, sebbene tu non lo abbia mai incontrato.
«Sei stato sfuggente anche in questa vita?» Il sorriso che ti increspa le labbra non raggiunge gli occhi. «In un'altra vita, in un altro mondo, ne sono certa, Christopher, avremmo bevuto il te insieme e avremmo parlato ore e ore, sotto il porticato.»
Cammini verso due letti di pietra, più distanti dagli altri, ma non per questo meno preziosi.
Lui non lo guardi, non ancora. Hai bisogno di raccogliere i pensieri.
Saabir, l'uomo che ti ha quasi uccisa. Non provi odio nei suoi confronti. Lo hai capito adesso: non sapevano!
Se avesse saputo non avrebbe mai levato la sua mano contro di me, ti dici.
«Non è stata colpa tua. Sarebbe accaduto lo stesso. Se non lo avessi fatto tu, Andréas avrebbe trovato un altro modo. Non mi avrebbe mai permesso di vivere.»
Il ragazzo che giace accanto a Saabir è enorme. Le ferite sul suo corpo sono terribili; il volto sfigurato dai colpi.
«Cassios.» dici semplicemente chiudendo gli occhi.
Un pensiero solo per lui attraversa il tuo cosmos.

Lui è lì. I capelli neri, il profilo austero.
L'uomo che ha cambiato il tuo destino. L'uomo che ha cambiato il destino di un dio.
C'è una sedia lì vicino e la trascini fino al suo letto di pietra.
I pugni chiusi sulle ginocchia, le labbra serrate.
Quest'uomo ha tentato di ucciderti quando eri bambina. Ha ucciso il vecchio Gran Sacerdote, ha ucciso l'Altare e indirettamente il Sagittario. Lo ha reso un traditore. Per sua volontà non ti è rimasto quasi nessuno.
E la guerra sta arrivando. Lo senti scorrere nelle tue vene mortali, lo senti vibrare nel tuo cosmos divino.
Quando guardi Shun il terrore ti prende e non sai perché.
«Mi hanno detto, Andréas, che eri il migliore tra tutti i Santi.» La voce ti si spezza, chini la testa, stringi la veste. «Perché mi avete lasciata sola?» la tua voce è quella di una bambina. Sei una dea. Eterna. Non c'è inizio non c'è fine. Eppure le tue spalle sono scosse dai singhiozzi. «Ci saremmo seduti nel giardino degli ulivi e tu con ancora indosso la Veste di Gemini mi avresti raccontato della tua ultima missione e Orestes sarebbe stato con noi, con la veste scura e le tre collane e l'elmo da Gran Sacerdote e magari sarebbero arrivati anche Christopher e Deathmask e tu lo avresti ripreso per il suo linguaggio scurrile. Perché lo so, me lo sento, lui non avrebbe avuto peli sulla lingua. E poi, sarebbe venuto Aurelién e il Cancro lo avrebbe scimmiottato per il suo accento francese, sotto lo sguardo severo di Asura che sarebbe rimasto in silenzio ad ascoltare.»

 

Note dell'Autrice - in questo breve racconto, ho immaginato un commiato. Personalmente, ho sempre creduto che Saori non abbia riportato in vita i bronze, ma sia stata in grado di salvarli solo perché erano ancora vivi. Più morti che vivi, ma pur sempre vivi. Non ha potuto fare lo stesso con gli altri, in quanto già morti, quindi, già appartenenti ad Hades.
Qui, uso volontariamente i nomi di battesimo per i morti.
Il mio headcanon è duplice – vado a prendervi i sali! - “Rovine” e “Sincretismo”. “Rovine” sono le storie che scrivo stando in canon – per quanto possibile! “Sincretismo” segue una storia tutta sua, che io ho già in mente, devo solo estrapolarla dal mio cervello, ma credo che la lobotomia non sia una scelta oculata.
Tuttavia, entrambe le serie hanno ripetuti richiami l'una all'altra. Se non vi torna qualcosa, chiedete pure!
Veniamo ai nomi. La prima autrice che mi ha introdotto all'idea del "Diamo a sti poveracci dei nomi come dio comanda!" è stata Francine. Visto e considerato che l'idea ha una logica inoppugnabile e che io non posso assolutamente farmi sfuggire l'occasione di dare nomi a destra e manca ...  Aurélien, Asura, Christopher, Andréas, Saabir, Orestes sono rispettivamente i nomi di battesimo di Camus, Shura, Aphrodite, Saga, Ptolemy/Betelgeuse, Aiolos.
“Letto di Pietra” si regge sul desiderio di Saori Kido di un epilogo diverso, di una realtà diversa che Athena vivrà in “Sincretismo”. C'è un richiamo da qualche parte alla Terra Desolata di Eliot, solo che là era un colonnato, parlavano per un'ora intera e bevevano caffè. ;)

 

 

 

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 5
*** Le cose importanti ***


Una civetta si dondolava sopra un ramo d'ulivo

Le cose importanti

«Seiya?»
Una lieve incertezza nella tua voce che speri sia passata inosservata alle orecchie dei presenti, primo fra tutti alle sue.
Non è cambiato in tutti questi anni, salvo essere cresciuto un po' in altezza. Lo stesso sguardo strafottente, lo stesso ghigno beffardo a increspargli le labbra. Le cinghie sulle sue spalle sono logorate, lo scrigno di bronzo manda riflessi verderame.
«Allora Saori. Ho sentito che il vecchio è morto.»
Abbassi lo sguardo, non per disagio, ma per rabbia. I tuoi occhi scorrono sulle condizioni contrattuali che stavi leggendo, prima che Seiya irrompesse nello studio.
Un accordo vantaggioso per entrambe le parti: per la Kido Corporation che aprirebbe nuovi mercati in Europa e in Medio Oriente e per le Industrie Solo che non potrebbero ottenere che vantaggi dall'avere come partner commerciale i Kido.
«Hai capito cosa ti ho detto?»
Alzi la testa di scatto. Seiya ti sta fissando con gli occhi sbarrati. C'è rabbia in quello sguardo, e aspettativa. Di cosa, tu non ne hai la più pallida idea.
Ti siedi e premi il tasto dell'interfono.
«Kaori, sto ancora aspettando i documenti. Vuoi degnarti di portarmeli!» dici con voce secca. Interrompi la comunicazione non appena senti la voce della ragazza tremare sulle parole Sono desolata.
Scusa.
Mi dispiace.
Sono desolata.
Odi queste parole. Il nonno lo diceva sempre, Fai in modo che nessuno arrivi mai a dirti mi dispiace.
Sei ancora troppo giovane perché la tua voce possa avere il potere decisionale che si confà a un leader. Occupi la poltrona della presidenza che un tempo fu di tuo nonno nella Sala delle riunioni, ma li vedi gli sguardi degli altri consiglieri. Hanno il doppio, il triplo dei tuoi anni e ti trattano con accondiscendenza.
Non riescono ad accettare che una ragazzina sieda con loro, che una ragazzina parli con loro. A te importa, importa molto. Vorresti dirti che non è così, ma la sera piangi in una stanza buia. Ti manca il nonno e vorresti già essere donna.
Non sei sola: ci sono Tatsumi e Kaori e Yamada, che è la tua voce, quando gli altri non vogliono ascoltarti.
«Sono qui per Seika.» dice Seiya, riportandoti alla realtà.
La porta si apre.
«Tuo nonno aveva promesso che se io avessi accettato di addestrarmi per questa armatura, lui l'avrebbe cercata per me.»
Aggrotti lievemente le sopracciglia.
Ah, ecco. Ecco cos'era.
Eri ancora una bambina, come Seiya, del resto, e tutti gli altri.
Un giorno la Villa era piena di bambini e il giorno dopo tu camminavi per i corridoi deserti.
Ricordi il nonno, l'odore pungente del sigaro, le tende mosse dalla brezza. Ricordi Seiya, i suoi capelli spettinati, gli occhi scuri che brillavano.
«Dite sul serio? Troverete Seika per me?»
Tuo nonno aveva aspirato dal sigaro.
«Naturalmente.» Aveva risposto. «A patto che tu ritorni con l'armatura.»
Sono passati anni da quella promessa e tu sai che lui non si è curato di mantenerla.
«Ci sono cose più importanti.» ti aveva detto.
Più importanti di una sorella perduta?, avresti voluto chiedergli.
Ma i giorni erano trascorsi ed erano diventati mesi e poi anni e le cose importanti hanno preso il posto delle cose importanti.
«Il nonno ha impiegato molte risorse per cercare tua sorella, ma purtroppo non è riuscito a trovarla.» menti.
«Bugiarda!»
«Mi dispiace!»
Le vostre parole si sovrappongono e tu apri la bocca per ribattere non appena realizzi cosa ti ha appena detto.
«Come osi rivolgerti a Saori-sama in tal modo!»
La voce di Jabu ti precede.
Seiya si è voltato di scatto.
«Non riesci a capire, Seiya?» continua. «Se vuoi, ci penserò io ad insegnarti a tenere un giusto comportamento davanti a Saori-sama.»
Ma Seiya non risponde.
Tu li osservi, ti chiedi se sia il caso di intervenire. Lo zelo di Jabu ti è utile, soprattutto quando gli altri si dimostrano poco propensi ad accettare la tua autorità. Tuttavia, non hai nessuna intenzione di assistere a questa dimostrazione di forza prettamente maschile. Dischiudi le labbra per richiamarli all'ordine, ma per la seconda volta, vieni interrotta.
«Tu … tu sei … tu sei Jabu.»
«Seiya, sai a chi stai parlando?» lo ignora. «Saori-sama è una persona verso la quale noi dobbiamo mostrare il più assoluto rispetto. Ora, tu chiedi scusa in ginocchio.»
«Non sono fatti tuoi, Jabu ...»
Li osservi, attenta a ogni loro sguardo, ogni loro movimento, ogni loro parola e qualcosa dentro di te si smuove. Ha la leggerezza delle onde che al mattino la brezza spinge verso la spiaggia; l'intensità eterna del fiume che corrode le montagne.
Stringi il bordo del tavolo, le labbra serrate. Sembri arrabbiata, ma non è così.
Hai paura.
Non sei mai riuscita a capire – ad accettare – le storie del nonno.
«Gli dei esistono.» ti aveva detto. «E sono in mezzo a noi. Scelgono eroi perché combattano le loro guerre.»
«Perché?» gli avevi domandato.
Eri nell'età in cui si credeva a tutto, persino a dei e a eroi.
«Ancora non capisci? Ti sto dicendo che questo tuo atteggiamento è un grave errore.» continua Jabu, mentre Seiya si è voltato ed è tornato a guardarti.
Ma tu non lo vedi. I tuoi occhi scrutano la realtà oltre l'orizzonte.
Io sono una persona che voi dovete rispettare.
Io sono una persona che

Non sai che cosa ti accade. Di colpo, quel rispetto nei tuoi confronti preteso da Jabu con pungolante insistente ti sembra dovuta, necessaria e hai paura – tremi – al pensiero che qualcuno non possa concedertela.
Voi dovete rispettarmi!
Io sono

Il pensiero si esaurisce, consumato dalla rapidità del movimento di Jabu.
Seiya si volta di scatto, e solleva un braccio per difendersi dal calcio diretto al suo volto.
«Basta, Jabu.» lo senti dire con calma che mai avresti pensato potesse appartenergli.
Sposti lo sguardo su Jabu e scorgi nei suoi occhi, tutta l'ira che sta provando, un'ira che – lo sai – se lasciata libera di sfogarsi può condurre solo a una cosa. Cerchi di individuare ciò che alimenta l'ira. È l'odio? Il disprezzo? O forse …
Sei una donna, un preludio di donna – per l'esattezza – certe cose le senti per istinto, come tutte le donne.
«Sei sempre il solito cagnolino. Sempre a scodinzolare. Dì un po', ti piace ancora farti cavalcare?» pronuncia parole offensive con calma, quasi amarezza.
«Co… me?» balbetta Jabu con i pugni stretti per la rabbia.
«Anche quando eravamo bambini tu eri sempre pronto a farti camminare sulla faccia da lei. Saori-sama, qua… Saori-sama, là… Mi stupisco che non ti abbiano trovato a fare da tappetino all‘ingresso.»
«Come ti permetti brutto bastardo» lo prende per la maglia, attirandolo verso di sé. «Adesso ci penserò io a farti rimangiare tutto quello che hai detto…»
«Ora basta, voi due. Vi rendete conto di dove vi trovate?»
La voce di Jabu trema di indignazione mentre cerca ancora di averla vinta.
«Non vuoi obbedirmi?» domandi lapidaria.
Lui abbassa la testa, vinto, prima di lasciare andare Seiya.
Ti sfugge un sospiro.
«Come ti ho già spiegato, Seiya,» dici dopo qualche istante.«io non so dove si trovi tua sorella.» Lui ti fissa in silenzio. Il suo sguardo è gelido, ma allo stesso tempo brucia come fiamma e tu ti chiedi come sia possibile un simile ossimoro.
Si sfila le cinghie dalle spalle e lascia cadere a terra il Pandora Box.
«Vuoi questo stramaledetto cloth?» urla «Eccolo, Saori-sama» pronuncia quel sama, distorcendo le labbra in una smorfia «Prenditelo.»
Torni a sederti alla scrivania che un tempo era stata di tuo nonno e riprendi a leggere da dove ti eri interrotta.
«Quell’armatura è importante. Dovresti trattarla con più riguardo.» dici senza guardarlo.
«Cosa?»
Alzi la testa.
«Non hai forse rinunciato a tutto, per quell'armatura, Seiya?»
Lui apre la bocca un paio di volte, ma non riesce a ribattere nulla. Si limita a fissarti con gli occhi sbarrati.
Entrambi sapete cosa si nasconde dietro quelle parole.
Afferra le cinghie del Pandora Box e se lo rimette sulle spalle.
Tu lo osservi camminare lentamente verso la porta, aprirla, uscire.
Chiudi gli occhi.
«Le cose importanti prendono il posto delle cose importanti.»
E il tuo non è nient'altro che un sussurro.



These precious things
Let them bleed
Let them wash away


Note dell'Autrice - In futuro, parte di questo scritto troverà il suo corrispettivo nella storia Sincretismo. Detto qui, non serve a nulla, ma vi lascio semplicemente questo indizio per il futuro. Semmai arriverà quel futuro ...
I versi finali sono presi da una canzone di Tori Amos, "Precious Things".

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 6
*** Notturno Op. 9 n. 2 ***


Una civetta si dondolava sopra un ramo d'ulivo

Notturno Op. 9 n. 2

Chi è Athena?
La filatrice che fila e disfa trame di vita con la stessa semplicità del sole che sorge. La civetta che plana tra scheletri di alberi in un bosco senza nome.
Che cos'è Athena?
Il desiderio di eternità che si aggrappa con le unghie e con i denti ai ricordi di una mente mortale per non sparire, per non morire.
L'ultimo raggio di sole che incendia il cielo del colore della vergogna, prima che la notte giunga e tutto si compia.


Dormi nel tepore inamidato delle lenzuola di lino. La brezza che entra dalla finestra socchiusa lambisce il tuo volto, carezza la frangia sottile.
Le ciglia fremono, segno che stai sognando troppo presto. Per questo non lo ricorderai. Per questo domani il tuo incedere sarà privo di paura.
Trai un respiro profondo. Esali turbamento.
Che cosa sogni Saori?
Cosa vedi?
Athena soggiace sotto la tua pelle. Il tuo sangue è il suo sangue. Le tue ossa sono vestigia di un passato scardinato dalla storia, consegnato al regno dei miti.


Le valigie stazionano accanto alla porta. Un frammento del tuo mondo chiuso in esse per non giungere impreparata al cospetto del destino.
Qualche porta più un là, un ragazzo si è appena addormentato. Il suo nome è Shun, la sua pelle ha il bianco splendore del volto di una geisha.
Più in là ancora, un altro consegna il suo futuro alle ombre che di notte si annidano negli angoli bui della stanza. Il suo cuore è un'offerta sanguinante. I suoi occhi polle ghiacciate tra cumuli di neve.
Il Drago è restato a vegliare seduto sul tetto, sotto una cupola di stelle intrecciate in costellazioni. Il suo respiro è armonia, i suoi gesti pacati, la sua mente un tumulto.
Ma tu sogni, Saori. Sogni, e dormi, e ignori i turbamenti che riecheggiano nelle anime degli unici guerrieri che la sorte ti ha lasciato. Hanno voci che sfumano nella gravità della fine dell'infanzia. I loro volti sono imberbi, le loro membra, scolpite nella pietra.


Sacrifici.
Fratelli.
Conoscenti.

Non sempre l'ordine delle parole esprime i dettami del cuore.
Conoscenti.
Fratelli.
Sacrifici.



Gli dei si nutrono dei fumi che si levano dall'ara. I loro nomi sono un caleidoscopio di simboli.
Hai chiesto a Seiya di restare. Solo per questa notte. Hai insistito. Lui ti ha guardata serbando nei suoi occhi scuri una promessa di fedeltà e un interesse per quella ragazza giunta da lontano.
L'Ofiuco che ha giurato di ucciderlo, che ha giurato di amarlo.
E un po' ti dispiace di non essere lei, di non essere quell'ombra nel suo sguardo.


Ma sei Athena e tanto basta.

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 7
*** L'Eterno Addio ***


Una civetta si dondolava sopra un ramo d'ulivo

L'eterno addio

Osservi gli alberi che scorrono oltre il finestrino dell'auto. Macchie indistinte inframezzate d'azzurro, là dove il cielo è visibile.
Milo, lo Scorpione, siede accanto a te. Gli occhi chiusi, le braccia conserte. Indossa un abito dal taglio elegante, la giacca abbottonata, la cravatta scura. Ha i capelli stretti in un elastico morbido. Aggrotti la fronte mentre osservi il profilo ellenico del suo volto giovanile, poi torni a fissare lo scorrere del paesaggio.
Sono trascorsi pochi giorni dalla battaglia al Santuario, eppure hai l'impressione di aver passato mesi nella stanza che un tempo fu di Andreas. Non hai voluto che spostassero niente di ciò che era suo. I suoi abiti sono ancora nell'armadio. Il suo odore aleggia tra le lenzuola lavate.
Sei Athena. Su questo non si discute. Eppure hai l'impressione che il Santuario non ti appartenga. Ti senti ospite in casa tua ed è per questo che sei qui, ora, nella città di Atene a inseguire l'umanità che lui, suo malgrado, ti ha imposto.
Osservi le mani appoggiate sul grembo. Le unghie rosa. Un ramo di ulivo in oro bianco che cinge il tuo anulare sinistro: precisione millimetrica di uno dei migliori orafi di Corinto.
Alzi la testa.
Lo sguardo che Tatsumi ti riserva dallo specchietto retrovisore è carico di preoccupazione. Vorresti che non ti guardasse in quel modo. Che nessuno ti guardasse in quel modo. Ma la ferita ti fa ancora male, anche se non ti è rimasta nessuna cicatrice.
«Io so chi sono. Non lo nego.» Avevi detto a Shaka della Vergine, nelle stanze del Tredicesimo Tempio. « Ma questa non è casa mia.»
Lui aveva lasciato che il silenzio si ergesse brevemente tra di voi, poi ti aveva contraddetta con voce pacata.
«Da quando Athena ha fondato il Santuario, la sua casa è stata il Tredicesimo Tempio.»
Avevi stretto i pugni attorno all'elegante abito principesco, facendo forza su te stessa per non urlare, per non comportarti come la ragazzina viziata che eri. Che sei, nonostante il nettare che ti scorre nelle vene.
«Casa mia è Tokyo.» hai replicato.
Il mento alzato, gli occhi fissi sulle palpebre chiuse della Vergine, quasi a sfidarlo a opporsi, a dissentire dalla tua volontà di vivere in Giappone. Ma chi può sapere se Shaka aveva visto dal tono perentorio della tua voce, il fare aristocratico dal quale non ti saresti liberata facilmente.
Avevi atteso.
Lui è un Gold Saint. Un tuo sottoposto. Sapevi che ti aveva giurato eterna fedeltà e se tu gli avessi chiesto di portarti la luna, lui non ci avrebbe pensato due volte e, saresti pronta a giurare, che Shaka, la luna, sarebbe riuscito a portartela davvero.
Quando aveva aperto gli occhi, l'azzurro delle iridi ti aveva ferito e ammaliato. Il passato è una rapida esplosione di immagini. I ricordi di Athena, i tuoi ricordi ti mostrano il futuro.
«Se questa è la vostra volontà.»
«Lo è, Shaka. Ho ritenuto sia giusto informarvi. Questo...». Il tuo sguardo era scivolato sullo scrittoio, aveva seguito i dorsi delle copertine dei libri che furono di Andreas. «Questo posto non riesco a sentirlo mio. Mi dispiace, ma sono successe troppe cose.»
Lasci fuori il mondo dalle palpebre serrate per un po', mentre l'auto continua a scorrere al fianco del mondo.
Richiami alla memoria i ricordi. Rivivi quei momenti, per comprenderli in quanto Athena.
Forse se non fossi stata così sicura di me?
È un pensiero che ti sfiora e ti fa vergognare. Forse se tu avessi agito in modo diverso, loro sarebbero vivi.
Il cielo che vedi è denso di porpora. Un cielo irreale come lo sfondo di un palcoscenico apocalittico. Stringi il bastone di Nike con forza ad ogni gradino che sali. Il vento ti porta gli odori delle battaglie, del sangue, delle lacrime.
Come siamo arrivati a questo?
Ti chiedi con animo furioso. La dea della guerra che è in te trova indicibile una simile carneficina che ti ha privata di oltre metà del tuo esercito.
La casa del Toro è vuota. Il suo custode ha vegliato su di te, mentre il cielo si scioglieva in pioggia.
Oltrepassare Gemini è un tormento che ti affretti a lasciarti alle spalle. Devi riaverlo. In qualche modo devi ricondurlo a te. Lui è forte. Con il tuo esercito dimezzato hai bisogno di quell'uomo.
T'inginocchi accanto al cadavere del Cancro. Vorresti toccarlo, ma la tua mano resta sospesa a mezz'aria. Sai che lui non vorrebbe. Non ora.
Il Leone è spezzato. Veglia il corpo di un uomo che non hai mai visto.
«Athena?» soffia via.
Sai cosa vorrebbe chiederti. Sei una dea. Una dispensatrice di miracoli.
«Mi dispiace.» tendi una mano. La pelle del suo volto scotta. «Io non ho potere alcuno sui morti. Se avesse avuto anche solo un barlume di vita, avrei potuto ...»
Lui distoglie lo sguardo.
Sospiri.
«Vieni.» gli dici, senza guardarlo, mentre ti avvii verso l'uscita.
Le Case si susseguono le une dopo le altre. E più sali, più il tuo cuore precipita. Il tuo animo tenta di fuggire. Hai vinto ormai. Ma a quale prezzo?
Seiya è ancora in piedi. Persino tu ti chiedi come sia possibile. Dov'è situata la fonte della sua resistenza? Cosa scorre nelle sue vene?
L'uomo contro cui combatte ha occhi selvaggi di follia, mentre ti guarda. Per un'istante la sua immagine si sovrappone a quella di un altro uomo. È la stessa persona. Eppure non lo è. Una stanza illuminata da lampadari di cristallo. Gli eleganti abiti da sera si riflettono sul pavimento di marmo.
Lui è lì. Gli abiti eleganti, il volto bellissimo. Ha i capelli neri.
«Siete stanca mia signora? Desiderate andare via?»
Apri gli occhi di scatto. Le strade che ti sfrecciano accanto brillano di desolazione. Athene è così. Piena di bellezza e bruttura. Una città che cova in sé una malattia silenziosa. Il suo nutrimento è corruzione, scelte sbagliate, indifferenza. Ma questi sono i problemi degli uomini e come tali non sono competenza degli dei.
Ti volti.
Milo, lo Scorpione, guarda fisso davanti a sé.
«Ho fatto un sogno.» gli dici.
L'auto rallenta, fino a fermarsi. La portiera si apre.
Il pavimento della hall è così lucido da riflettere le persone che vi camminano.
I lampadari di cristallo risplendono della luce del solo.
«Era un posto simile a questo. Ho visto un uomo identico ad Arles ma allo stesso tempo non lo era. Era più simile a ...»
«Saga di Gemini.»
Annuisci. Sì, era più simile a Saga, all'uomo che era morto tra le sue braccia dopo aver fatto a pezzi il suo mondo.
Perché lo aveva fatto? Per paura? Per vergogna?
Le voci che giravano al Santuario era che Saga di Gemini si era ucciso perché incapace di sopportare il senso di colpa. Altri dicevano che aveva giudicato sé stesso colpevole e si era inflitto la massima pena.
Chiudi gli occhi. Una piega amara compare sulle sue labbra.
I tuoi passi, resi sordi dalla moquette, si arrestano di fronte alla porta della suite. Ti limiti ad annuire quando Milo si congeda. È nella camera a fianco. Basterebbe una lieve increspatura del tuo cosmo divino perché lui intervenga.
Siedi accanto alla finestra. Le stelle sono oscurate dalle luci elettriche della città e in lontananza scorgi il profilo cremisi delle automobili in corsa.
La stessa luce dei suoi occhi vessati dalla follia. Del suo sangue quando ha preferito morire piuttosto che levare ancora una volta la mano contro di te.

Note dell'Autrice - Piano piano aggiorno anche questa raccolta. Mi spiace non essere presente come prima, e chiedo scusa anche a chi commenta. Leggo tutti i commenti, ma non riesco a rispondere con rapidità. Prima a poi arriverò …
C'è un breve richiamo a una scena di Sincretismo in questa one-shot. Da qualche parte devo aver scritto che Rovine e Sincretismo pur seguendo due diverse linee temporali, presentano richiami l'uno all'altra. Sto cascando dal sonno, quindi … smetto di scrivere perché mi conosco: Comincio a straparlare!

E.

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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Capitolo 8
*** La lettera. ***


Una civetta si dondolava sopra un ramo d'ulivo

La Lettera

«Saori-sama, siete certa che sia una buona idea?»
Aggrotti lievemente le sopracciglia nell'udire la voce di Shun.
«Sono una Kido!» ribadisci con risolutezza. «Non ho paura e non ho alcuna intenzione di nascondermi!»
«Dovreste.»
«Nascondermi, Hyoga?»
«Usare cautela!»
Sollevi una mano come per scacciare via un insetto fastidioso.
«Sono d'accordo con Hyoga, Milady. Non sappiamo che cosa troveremo una volta giunti ad Atene! Il Santuario ha già cercato di uccidervi! E non una sola volta!» ti spiega pacatamente il Dragone.
Tu stringi i pugni. Lo sai. Lo sai benissimo, ma una parte ingenua di te crede, spera – implora – che le cose non siano così cupe.
Come può il Santuario, baluardo di Giustizia in terra, essersi votato al male?
Nella stanza di tuo nonno hai trovato lettere a te destinate, lettere mai spedite che raccontano una storia. E tu ha vissuto un'intera vita attraverso quelle parole, la vita che ti sarebbe spettata se qualcuno non ti avesse rapita e portata via.
Tuo nonno non possedeva nessuna certezza, solo congetture che ruotavano attorno alle poche parole pronunciate da un uomo che era solo un ragazzo.
Chi eri davvero, Aiolos di Sagitter?
«È evidente che stia accadendo qualcosa di strano al Santuario e che qualcuno stia agendo come se Athena fosse al suo fianco.»
Shun è pensieroso. La sua voce gentile ti riporta a loro, placa la tua rabbia, quella che scaturisce dalla tua impotenza.
Sono giorni che lo osservi, che cerchi di capire. C'è qualcosa in lui che ti turba. A volte, scorgi … come un'ombra.
Ti dici che è normale, dopo quello che è accaduto a Ikki, chiunque sarebbe a pezzi, soprattutto qualcuno dall'animo gentile come Shun.
Eppure non riesci a liberarti da quella sensazione. Lo guardi e non sei certa di vederlo davvero. Ma non sai. Non capisci. Sei una dea, dicono che lo sei, ma alla fine non sai nulla. Athena in te, seguita a dormire, quella parte di te che non ha fine. E speri, inconsciamente che Lei sia lì, ad aspettarti, tra le pietre dei sacri templi e che tu finalmente riconosca il tuo nome.
«Non ho alcuna intenzione di comportarmi in modo meschino, lo ribadisco.»
Ti siedi. Sei stanca di spiegare a loro, a te stessa, le ragioni delle tue scelte.
Tuo nonno ti ha insegnato a tenere la testa alta, a non ricorrere a sotterfugi, ad affrontare le avversità guardandole dritte negli occhi. E tu vuoi guardarlo dritto negli occhi, colui che turba il Cavaliere del Leone e, a quel che si dice, tiene lontano l'Artigiano delle Armature dalla sua Casa.
«Non lo definirei meschino, Milady, ma prudente.»
Sollevi il capo lentamente e li fissi uno a uno. Sai che sono preoccupati, sai che temono per la tua vita. Dovresti rassicurarli, usare parole gentili. Sono solo dei ragazzini. Come te, del resto.
Appesantiti dalle responsabilità, possiedono tutti un'anima che vanta un'esistenza lunga secoli.
Dovresti usare parole gentili, ma la tua voce è dura quando parli, i tuoi occhi sono punte di spada, le tue parole dure.
«Io sono Athena, Cavalieri. Mettetevelo bene in testa. Nessuno e dico nessuno osa contraddire il mio volere. La decisione è presa e non torneremo più su questo argomento. Potete andare.»
Lapidaria. Terribile. Spaventosa. Esattamente l'opposto di quello che tuo nonno ti aveva chiesto di essere.
«Come desidera, nobile Athena.»
Il primo ad andarsene è Hyoga, il Cigno. Non un ma dalle sue labbra. China la testa, ti volta le spalle. Se ne va.
Aspetta! Vorresti dire. Mi dispiace!
«Se vogliate scusarmi.»
Dolore, così tanto dolore in quegli occhi di smeraldo.
Torna indietro! Parlami!
«D'accordo, faremo ciò che lei comanda, Milady.»
La sua voce è dura. Ti riscuote come uno schiaffo. Lo fissi. Cerchi di ritrovare la tua di voce. All'esterno il tuo volto è una rigida maschera no che palesa un'unica emozione.
«Partiremo dopodomani. Tatsumi si è già occupato di tutto.» dici come se lui non lo sapesse, ma Shyriu si limita ad annuire, e tu scorgi nel suo sguardo qualcosa che è simile al biasimo.
La porta si chiude.

Ti hanno lasciata sola.
Ma no, non è corretto, non sei sola. Lui è ancora lì. Non ha detto nulla, è restato in disparte, lasciando che fossero i suoi compagni a parlare. Te lo ricordavi diverso. Un bambino che non si piegava mai, che era pronto a farsi frustare piuttosto che soggiacere ai tuoi futili desideri. Quel bambino, ne eri certa, ti avrebbe urlato contro tutta la tua stupidità.
«E tu, Seiya.» lo chiami. Dovresti tacere, non fare la prima mossa. Ma sei stanca questa sera e tutto ciò che desideri … Che cosa desideri, Saori Kido? «Cosa ci fai ancora qui?»
Hai le spalle appesantite da tutte quelle responsabilità che ti sono cadute addosso: la Fondazione Grado, la Kido Corporation, il Santuario. Ti massaggi la base del naso, tra gli occhi chiusi. Sorridi. La maschera che indossi è pesante.
«Tu non mi piaci, Saori.»
Apri gli occhi. Sei pronta a fronteggiare quello sguardo strafottente, le mani affondate nelle tasche dei jeans, la curva sprezzante delle labbra, ma non vi è nulla di tutto questo. Il suo sguardo è grave, le braccia conserte, le sua labbra non hanno che la curva naturale.
«Sono quasi sicuro che ci farai ammazzare. Perché sei una Kido. Perché tuo nonno, mio padre, ti ha cresciuta come una principessa. E non ti è mai mancato da mangiare. Non ti sono mai mancati servitori. Per questo, tu non sai chiedere. Sai solo ordinare.»
«Sei..»
«Oh, non temere, Saori. Sono un Cavaliere. Ho sputato sangue e mi sono spaccato le ossa, letteralmente, per essere il tuo servitore. Ti seguiremo, saremo al tuo fianco e faremo tutto ciò che è in nostro potere per riportarti a casa.»
Ti ha dato le spalle. Ti ha detto cose che meriterebbero il bastone di Tatsumi e ora … Trattieni le lacrime. Non deve vederti debole. Se ti vedrà piangere, penserà di aver ragione. Nutri disprezzo nei suoi confronti, ma allo stesso tempo ne sei attratta. Vorresti riuscire a dare voce ai tuoi sentimenti, ma hai paura.
«Tuttavia.» Lui si è fermato sulla porta. Quando si volta, un sorriso gentile e rassicurante gli ingentilisce i duri lineamenti. «Consentimi di farti notare che come stratega non vali niente!»
La porta si chiude. Il silenzio della stanza ti sommerge. Ti togli le scarpe senza nemmeno degnarti di usare le mani. Ridi. La tua risata prorompe dalla pancia, sale nel petto, ti esplode tra i denti. Il tuo volto è bagnato di lacrime.

Note dell'Autrice - non aggiorno questa raccolta da un tempo immemore. Non aggiorno nessuna delle mie storie da anni, ad essere sincera. Sono lì, a lievitare, ad aspettare, che io ritrovi ancora la voglia di scrivere, e rammenti il modo in cui possa rubare al Tempo una manciata di ore da dedicare loro. Mah, si vedrà …

E.

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

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