Haunting

di Erule
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - More bad than good ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Polaroids ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - More bad than good ***


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Haunting
 
Capitolo 1
More bad than good

 
L’aria sapeva di umido e di pioggia. La nebbia attorniava casa sua come un fantasma venuto a prenderti l’anima. Aprì la porta dell’appartamento appena ripitturato di bianco, mentre con l’altra mano teneva la borsa della spesa. Si richiuse la porta alle spalle con un calcio e i tacchi fecero rumore sul pavimento di legno. Posò la borsa sulla sedia della cucina e poi accarezzò la pistola che si portava sempre dietro. C’era un’asse del pavimento, nel soggiorno, che s’incrinava quando qualcuno ci passava sopra con il piede, ma solo se quella persona era particolarmente pesante. Quindi si stava parlando di un uomo e non di una donna. Bene. Fece finta di niente e mosse un paio di passi lenti nel corridoio, così da avere alla sua sinistra la porta di casa da cui uscire, a destra la scala per salire al piano superiore e di fronte il salotto. Lui la stava cercando, di questo ne era certa. Sam glielo aveva detto, che sarebbe venuto anche per lei. Avrebbe voluto dirgli di smettere di nascondersi, ma sapeva che l’avrebbe fatto lui. Non poteva ingannarla, perché lei era esattamente il suo riflesso. Conosceva ogni sua mossa, ogni sua debolezza, la sua coscienza, che era Sam e che ora non aveva più. Sentì un altro rumore e sfilò la pistola dai pantaloni. Lui si rivelò e le ombre sembrarono allontanarsi elegantemente da lui come un mantello. Caricò l’arma e gli sorrise. 
<< È bello rivederti, Dean. >> disse Natalie, puntandogli contro la pistola.
 
***
 
<< Tanti anni e ancora non hai capito niente, Sammy. >> asserì Dean, gli occhi puntati sulla strada che si stagliava di fronte a lui.
<< Non puoi trattarmi così ogni volta, Dean! >> fece Sam, voltandosi a guardare il fratello.
<< E tu dovresti sapere che questa è l’unica cosa che non puoi chiedermi. >> replicò Dean, stringendo le dita attorno al volante.
<< Io non li sopporto più, Dean. Siamo nel ventunesimo secolo, ormai. >> ribatté Sam.
<< E allora? >>
<< Non puoi ascoltare ancora i vecchi cd dei Led Zeppelin! >> esclamò Sam, spazientito.
Dean sfoggiò quel suo solito sorrisetto soddisfatto, mentre alzava il volume della musica e Sam sbuffava.
<< Chi guida sceglie la musica, fratellino. Dovresti aver imparato la lezione, ormai. >>
 
Quando entrò in quella casa, fu come se l’avesse già vista. Non era una sensazione di déjà vu, ma gli sembrava di averla forse sognata una volta o di sentirla in qualche modo familiare. Non era la prima volta che gli capitava, ma di certo ne era passato di tempo dall’ultima volta in cui si era sentito così. I suoi occhi cercarono subito la figura alta e snella di Sam, mentre la testa cominciava a giocargli strani scherzi. Era come se riuscisse a vedere solo le linee interrotte della televisione, quando c’è un canale inesistente che non si riesce a trovare e tutto crolla nel bianco e nero. Per lui fu come se il suo corpo stesse reagendo a qualcosa, allo stesso modo in cui viene da starnutire per colpa dell’allergia o gli occhi diventano rossi. Gli parve di venire trasportato in un altro tempo, in un altro luogo, con i ricordi che si susseguivano uno dietro l’altro, un po’ come quando lui cacciava un dannato vampiro che non voleva saperne di fermarsi. Però non era il momento adatto, né il luogo. Scosse la testa e si sedette di fianco a Sam, vestito anche lui di tutto punto come un agente dell’FBI e si morse la lingua per pensare al dolore e dimenticarsi del resto.
<< Signora Finnegan, sua figlia è scomparsa da giovedì scorso, giusto? >>
La donna, che aveva una grossa sciarpa blu attorno al collo e dita nodose, si soffiò il naso rumorosamente e a Dean venne da vomitare. Quella donna era patetica. D’accordo, non avrebbe dovuto pensarla a quel modo, perché insomma, aveva appena perso sua figlia, ma era brutta e quel paio di occhiali enormi le facevano sembrare gli occhi grandi come quelli di una mosca. Dovette trattenere una risata, a quel punto. Sam gli pestò un piede.
<< Ehi, ma che diav…? >>
<< Perdoni il mio collega, signora Finnegan. Mi stava dicendo? >>
<< Suzy è scomparsa giovedì pomeriggio. Non è neanche tornata a casa da scuola. Lei è tutto quello che mi rimane, da quando mio marito mi ha lasciata. >>
<< Mi domando come mai… >> borbottò Dean e Sam gli pestò di nuovo lo stesso piede. Dean soffocò un urlo ficcandosi un pugno in bocca.
<< Si sente bene, agente? Vuole un tè? >> chiese la signora Finnegan ed i suoi occhi si ingrandirono in modo a dir poco strabiliante.
<< No, grazie. >> rispose Dean, poi si alzò ed andò a passeggiare in salotto. << Io controllo qui intorno, se non le dispiace. >>
<< Faccia pure. >>
<< Grazie. >>
Dean salì le scale e riconobbe subito la stanza della ragazzina. Frugò dappertutto, accese il computer sprovvisto di password, guardò nelle borse, dietro le fotografie appese alla parete, sugli scaffali, ma non trovò niente di strano. Come aveva fatto una ragazzina di quattordici anni a sparire nel nulla? Si sedette sul letto, sconfortato. Inspirò l’aria primaverile che proveniva dalla finestra aperta, ma era impossibile che sapesse davvero di… Una morsa improvvisa gli fece mancare il respiro e gli attorcigliò lo stomaco. No, aveva controllato, non c’erano cespugli di lavanda in quel giardino, né nei dintorni. Non c’era niente che sapesse di lavanda in quella camera. Eppure aveva sentito quel profumo pochi minuti prima, sulla porta di casa. Si sfregò gli occhi con le dita. Era stanco, era solo molto stanco. Stavano succedendo troppe cose nella sua vita e tutte insieme, per giunta. Uno stupido medico gli avrebbe di sicuro detto che non stava facendo altro se non rifugiarsi nel passato per evitare di vivere nel presente. Sì, glielo avrebbe detto anche Sam, ma non poteva farglielo sapere o si sarebbe preoccupato per la sua salute. Non quella mentale, per quella ormai non c’era più cura.
<< La signora Finnegan… >> esordì Sam, la spalla poggiata allo stipite della porta ed un sorriso beffardo sul volto, perché aveva appena fatto trasalire il fratello, << …sostiene che le abbiamo posto le stesse, identiche domande di un altro agente dell’FBI. >>
<< Ah, sì? >> chiese Dean, alzandosi dal letto.
<< Non si ricordava il nome, ma aveva i capelli biondi, corti e gli occhi azzurri. >>
Dean buttò giù l’aria, infilando le mani in tasca e cercando di non apparire strano di fronte a Sam. Poteva essere chiunque, dopotutto. Specialmente perché il mondo è pieno di ragazze bionde con gli occhi azzurri.
<< Ho controllato le orme qui fuori, fresche per via della pioggia. Vieni, voglio fartele vedere. >> 
Dean scese le scale e seguì Sam all’esterno della casa. Non l’avevo notato prima, ma nel vialetto c’erano alcune impronte di stivali, un po’ piccole per essere quelle di un uomo, ma più grandi di quelle di una bambina di quattordici anni.
<< Di chi pensi che siano? >> chiese Dean.
<< Credo appartengano all’agente che ha interrogato la signora Finnegan prima di noi. >>
Dean annuì.
<< Non ci interessa. Pensiamo a cosa fare per trovare questa ragazzina. >>
Salirono entrambi in auto. Dean rimase silenzioso, mentre la stanchezza minacciava di appesantirgli gli occhi, ma doveva restare sveglio. Ogni volta che sbatteva le palpebre, delle immagini si dipingevano nel buio e coloravano lo scenario. Non era il momento per lasciarsi andare, non aveva tempo. In effetti, gli era sempre mancato, il tempo.
<< So a cosa stai pensando. >> fece Sam, rompendo il silenzio che si era creato fra loro due, mentre Dean metteva in moto.
<< Ah, sì? >>
<< Prima quello strano odore nella casa, poi la descrizione di una ragazza dai capelli biondi e gli occhi chiari ed infine quelle orme. Sai che è lei e lo so anche io. >>
<< Come facevi a ricordarti di quel profumo? >> chiese Dean, sorpreso.
<< Lei era come una sorella per me, Dean. Era una di famiglia. Mi ricordo ancora il suo profumo, anche se non quanto te. >>
Dean abbassò lo sguardo, le mani che stringevano il volante sino a far sbiancare le nocche e quella fastidiosa sensazione di vuoto fra petto e stomaco.
<< Come ha fatto ad arrivarci prima di noi? Di me? Sono stato io ad insegnarle tutto quello che sa sulla caccia. >>
<< L’allieva ha superato il maestro, a quanto pare. >>
<< Sì, ma lei avrebbe dovuto restarne fuori! >> esclamò Dean, ma non era arrabbiato con Sam. Era arrabbiato con se stesso.
<< Dopo quella volta… >>
<< Avevi promesso che non ne avremmo più parlato. >> replicò Dean, puntandogli un dito contro.
<< Dean, dopo quello che è successo, sai che non si sarebbe arresa così facilmente. >>
<< Sam, è arrivata prima di noi. Non poteva essere sulle nostre tracce. Significa che sta cacciando da sola. >>
Il viso di Sam s’illuminò e sembrò che avesse capito chissà quale risposta a quella domanda assurda.
<< Forse non è lei ad essere sulle nostre tracce, ma noi. >>
Dean scosse la testa.
<< Ma che diavolo stai dicendo? >>
<< Prima il profumo, poi la descrizione… si è fatta riconoscere apposta! Voleva che noi la trovassimo! >>
<< Non puoi dirlo sul serio. >> fece Dean e Sam video il terrore nei suoi occhi, ma anche qualcos’altro. Vide il suo desiderio di rivederla. Però non lo disse a Dean, perché era una cosa che non avrebbe voluto sentire.
<< Natalie ci sta cercando, Dean e sai bene quanto me che non si fermerà, finché non ci avrà trovati. >>
Dean sospirò, svoltando a destra.
<< Forse non ci sta cercando, Sam. Forse è solo che sta lavorando e magari ha anche capito che è caso di nostra competenza. L’ultima volta che abbiamo parlato, in effetti, è stata ai tempi di Quantico. >>
 
Dean si sdraiò sul letto, finalmente. Sarebbero rimasti in albergo per la notte e poi avrebbero continuato le indagini il giorno dopo. La ragazzina era scomparsa da troppo tempo per pensare che fosse ancora viva, secondo Dean, ma Sam ci sperava, perché non era ancora stato trovato il cadavere ed era un po’ strano. Sam mormorò qualcosa e si infilò nella doccia, ma Dean aveva già chiuso gli occhi ed il sonno lo aveva assalito di colpo.
Si ritrovò a rivivere l’incontro con Natalie al funerale di suo padre. Dean aveva odiato profondamente quell’uomo, ma sapeva che per Natalie era stato importante, quindi gli sembrava giusto andare a porle le sue condoglianze. E, a dirla tutta, era lì per vederla. Erano passati cinque anni da quando si erano conosciuti e non l’aveva vista, né aveva avuto contatti con lei per altrettanti, ma non c’era stata una volta in cui aveva incontrato una ragazza in cui non aveva pensato a lei. Era stato stupido, da parte sua, innamorarsi e raccontarle tutto, un po’ come aveva fatto con Cassie, ma ciò che non riusciva a perdonarsi, era che lei gli era entrata dentro, sottopelle e non riusciva più a staccarsela di dosso. L’aveva intravista al funerale, i capelli biondi, lunghi, gli occhi rossi, il naso coperto da un fazzoletto bianco, l’abito nero, le gambe troppo magre per una ragazza che non aveva mai avuto problemi di alimentazione. Pioveva e l’aria umida non faceva che infilarsi sotto i vestiti, entrava nelle ossa attraverso i pori e gli si erano paralizzate le ginocchia. Sam gli mise una mano sulla spalla, incoraggiandolo con lo sguardo, ma quando lei si era voltata ed aveva incrociato il suo sguardo per due secondi, tutta la sua sicurezza era crollata e lui era scappato via come un codardo. E quale sarebbe stato il colmo, fra l’altro? Be’, ma è ovvio: Natalie forse l’avrebbe perdonato, dopo averlo fatto penare per un po’, ma lui non avrebbe mai perdonato se stesso per quello che le aveva fatto. E non perché lei l’amava troppo o perché lui non l’amava più, ma unicamente per un altro motivo che non faceva altro che dargli la caccia dal giorno in cui era morto suo padre: temeva di diventare come lui e quello che aveva fatto a Natalie dimostrava che era sulla strada giusta.
Si svegliò di soprassalto nel pieno della notte, trattenendo un urlo che gli era rimasto incastrato in gola. Si alzò, controllò che Sam stesse dormendo e si riempì un bicchiere di acqua (la birra era finita). La pioggia sembrava bussare alla finestra a ritmo di una canzone dei Pink Floyd. Buttò fuori l’aria, poi si cambiò ed uscì. Il freddo gli penetrò nelle ossa, ma stranamente quella miscela di guida sotto la pioggia, canzoni dei Led Zeppelin e principio di congelamento gli fecero venire un’idea. Prima di buttarsi sotto la doccia Sam aveva detto: “L’ultima volta che in questa città è scomparsa una persona è stato tre mesi fa. Buffo che il cadavere sia saltato fuori solo mercoledì scorso, non ti pare?” Così qualche ingranaggio cominciò a muoversi nel cervello di Dean e pensò che tenere in vita una persona per tre mesi è alquanto ostico, se le succhi il sangue ogni giorno, ma non è neanche tanto impossibile da attuare. Così capì che ci doveva essere un covo di vampiri da qualche parte o perlomeno ce ne doveva essere uno in giro e probabilmente la ragazzina doveva essere lì, segregata a fare da sacca di sangue portatile. Svoltò a sinistra e si ritrovò di fronte ad un capanno ai confini della città, piuttosto malconcio e che sembrava abbandonato. Il covo perfetto per un vampiro. Recuperò le armi dal bagagliaio, controllò che non ci fosse nessuno nei dintorni e mentre la pioggia batteva forte sulle sue spalle e gli infradiciava i capelli, lui entrò nel buio.
Non si vedeva niente. Quel posto era più buio di quel locale di spogliarelliste a Las Vegas dell’estate scorsa. Accese un fiammifero, prima di ricordarsi che aveva il telefono in tasca, ma ormai non aveva più mani libere, dato che nella destra c’era un bel coltello affilato. Le assi di legno scricchiolarono sotto ai suoi piedi e gli ricordarono il pavimento dell’Accademia. Scosse la testa. Non era il momento, né il luogo. Si guardo intorno, ma non c’era quasi niente, a parte la borsa della ragazzina che confermava la sua ipotesi ed un vecchio materasso ingiallito. Trovò l’interruttore della luce e lo premette. All’improvviso tutto si fece più chiaro e distinto. Avvertì dei passi provenire dalla stanza di fronte a sé e preparò il coltello. Il rumore degli stivali gli fece capire subito di chi si trattava. Il cuore cominciò a martellargli ferocemente nel petto, tanto da lasciarlo senza fiato. Gli bruciavano gli occhi, ma non per le lacrime e nemmeno per la rabbia. Gli bruciavano per il senso di mancanza che adesso tornava a fargli visita, provocandogli dolore.
Si era quasi dimenticato del suo aspetto, se non fosse che teneva sempre quella foto nel portafogli per ricordarsene. La figura si stagliò di fronte a Dean come in un sogno fin troppo reale. Appoggiò una mano sullo stipite della porta, gli stivali erano sporchi di fango, teneva la pistola nei jeans, le gambe di nuovo formose, portava una maglietta bianca con una camicia di plaid aperta ed aveva un anello d’acciaio all’anulare destro. Aveva i capelli bagnati anche lei, adesso corti, ma sempre biondi. Non sembrava quasi più quella ragazza che aveva lasciato a Quantico, insicura, provocante, bella. Ora lo sfidava con lo sguardo, ma nascondeva qualcosa di dolce ed allo stesso tempo di rotto negli occhi arrossati come tre anni prima e non era più solo bella, ma affascinante nelle imperfezioni (come la cicatrice al fianco sinistro che non amava mostrare).
<< Chi non muore si rivede, eh? >>
  
<< Perché sei qui? >> chiese Dean, deglutendo.
<< Sto lavorando. >> rispose Natalie, facendo due passi di fronte a sé e Dean indietreggiò. << Mi dispiace per Bobby, era un brav’uomo. Non ho avuto modo di dirtelo, l’altra volta. Non ho avuto modo di parlarti, a dire il vero. >>
Dean serrò la mascella, evitando di replicare. Se solo lei avesse saputo… se avesse saputo quanto faceva male, forse non si sarebbe mai presentata. Avevano sempre lavorato in squadra, come se fossero stati una cosa sola e poi… più niente. C’era stato soltanto il sapore metallico del suo stesso sangue in bocca, gli occhi lucidi di lei e le mani strette a pugno, con le nocche che piano piano erano sbiancate. E c’era stato anche il segno delle cinque dita sulla sua stessa guancia, già. Dean ancora si ricordava della bruciatura, a volte, come se potesse ancora accendere tutte le sue cellule fino ad infiammarle, persino dopo tanti anni.
<< Dispiace anche a me. >>
Dopo l’ultima volta, Dean era sicuro che lei non avrebbe creduto ad un’altra sua bugia, quindi evitò di mentirle.
<< Avrei voluto proteggerti da tutto questo, Dean. >> disse Natalie e gli sembrò di avere un déjà vu.
<< Intendi dal dolore o da questo lavoro? >>
<< Da entrambi. >>
<< Perché sei qui, Natalie? >> ripeté Dean, scuotendo la testa.
<< Sto lavorando. >> ripeté Natalie meccanicamente.
<< Balle. Non sei qui per questo, ma per noi. >>
<< Già, forse sono qui per te, Dean. Cambierebbe qualcosa se ti dicessi che hai ragione? >>
Dean rimase fermo sul posto, ma per un secondo la sua gamba destra tremò, come se avesse voluto indietreggiare. Aveva sempre avuto paura dei sentimenti, Dean e questo Natalie lo sapeva.
<< Ti avevo chiesto una cosa sola, Nat: non cercarmi più. >>
<< Non sono venuta qui per fare squadra con voi, Dean. >> replicò Natalie, sorridendo. << Sono qui per lavoro e basta. >>
<< Ma davvero, Nat? Mi stai dicendo che non hai riconosciuto i segnali, che non hai pensato minimamente ad un covo di vampiri, che non sapevi se non saremmo venuti o meno? >>
Natalie guardò a destra, poi in basso ed il suo volto sapeva tanto di scusa. Sembrava che stesse per fare qualcosa che non voleva fare, ma non come se fosse stata posseduta da un demone. Lei era perfettamente umana. E si vedeva dal suo decolleté, avrebbe detto Dean.
<< Ero sotto copertura, Dean. >> rispose Natalie, sfilando la pistola dai jeans e caricandola. << Sono un’agente dell’FBI, avresti dovuto saperlo. >>
Dean deglutì piano, cercando di non fissare l’anello che portava al dito, cercando di dimenticare l’effetto che gli faceva ancora, nonostante fosse passato così tanto tempo, così tanti anni, otto ed ancora gli faceva venire i brividi lungo il collo e la spina dorsale. Avrebbe voluto che non gli facesse quell’effetto, ma era così.
<< La signora Finnegan non avrebbe dovuto dirci che eri andata da lei, giusto? >>
<< Già. Ho chiesto ai vampiri di fare a cambio con la ragazzina per distruggerli da dentro, ma avevano già saputo che ero dell’FBI, così mi hanno detto di no e hanno cercato di uccidermi. >>
<< Eri qui prima di me? >> chiese Dean.
<< La pioggia ha pulito le tracce di sangue. >>
<< Dov’è la ragazzina? >>
Natalie sembrò cambiare espressione e Dean capì come mai aveva gli occhi rossi: aveva pianto.
<< Natalie, dov’è la ragazzina? >> chiese di nuovo, piano, avvicinandosi a lei.
Natalie strinse i denti ed evitò di rispondere. Non aveva la forza per fare nulla, così si limitò a condurlo al piano di sotto e ad accendere la luce. Dean vide una gabbia nell’angolo della stanza e dentro c’era una piccola figura appallottolata su se stessa, attorniata dai corpi e dalle teste all’esterno.
<< L’hanno trasformata prima che potessi salvarla. >> disse Natalie e le tremò la voce.
Dean si avvicinò alla ragazzina. Lei si girò e lo fissò con i suoi occhi arrossati, enormi, i capillari smembrati e la paura riflessa nelle labbra tremanti.
<< Anche lei è un agente? >>
Dean annuì.
<< Ti porteremo fuori di qui. >> rispose. << Chiamo Sam, lui sa cosa fare. C’è un metodo per invertire il processo. Forse possiamo ancora salvarla. >>
Natalie buttò fuori l’aria, ridacchiando nervosamente.
<< Grazie al cielo. >>


La signora Finnegan riabbracciò sua figlia il giorno dopo e, senza neanche ringraziare Sam o Dean, rientrò in casa. Dean sbuffò, mentre Sam alzava le spalle, come a dire che ormai ci era abituato. Natalie chiamò il suo superiore per avvisarlo e Dean non riusciva a smettere di guardarla.
<< Dean, la stai consumando, a furia di non staccarle gli occhi di dosso. >>
Dean scosse la testa.
<< Lo so, ma non riesco a pensare. Cosa possono dirsi due persone che non si vedono più da anni, perché una delle due ha lasciato l’altra in modo a dir poco orribile? >>
<< L’hai fatto per un motivo. >>
<< Tu non eri d’accordo. >> gli ricordò Dean.
<< Sì, è vero, ma adesso lo capisco. Forse con Jessica avrei fatto lo stesso. >>
Natalie si avvicinò a loro sorridendo, i capelli ormai asciutti ed arricciati per via della pioggia. Dean pensò a quante cose avrebbe voluto raccontarle, a quante volte l’aveva sognata, al fatto che riviveva quel momento almeno una volta al giorno, ma non aprì bocca. Rimase in silenzio e lasciò che Sam conversasse con lei, anche se gli occhi di Natalie non facevano altro che cercare i suoi per delle risposte. Dopotutto, lei sapeva solo una parte della storia.
<< Ragazzi, è stato un piacere vedervi. >> disse Natalie, ma quel sorriso falso attirò l’attenzione di Dean.
<< Anche per noi. >> disse Sam.
<< Stop. Adesso basta, Time out. >> replicò Dean, mimando il simbolo del Time out con le mani. Natalie corrucciò la fronte, confusa. << Ma fai sul serio? Insomma, non ci vediamo da anni e tu sembri stare benissimo, davvero, sembra che tu sia solo qui per lavorare, ma non mi chiedi niente ed è strano per via del tuo carattere curioso e che anela risposte, non mi tiri un altro schiaffo, eppure vorresti, perché le tue mani tremano e porti ancora quell’anello, identico al mio, che io ho perso durante l’Apocalisse. >> disse Dean. << Natalie, mi hai regalato tu quell’anello. So cosa significa per te. Perché non mi chiedi niente? >>
Sam si allontanò senza farsi notare, lasciando loro spazio. Natalie abbassò lo sguardo, non era più in grado di sostenere a lungo quello di Dean. Aveva paura di dirgli tutto quello che pensava, perché era sicura che se l’avesse fatto, il vomito di parole che sarebbe fuoriuscito dalla sua bocca lo avrebbe sopraffatto e lui sarebbe scappato via di nuovo. C’erano fin troppe parole non pronunciate fra di loro, troppi ricordi incorniciati in fotografie appese ad una parete con un filo rosso, che nelle indagini poliziesche significava “non risolto”, un po’ come era per lei Dean.
<< Perché ci siamo già detti tutto anni fa, credo. >> rispose Natalie.
<< Io non credo. >>
<< Ah, davvero? Sei andato a letto con un’altra, Dean. Ti ho chiesto di non andartene, ti detto che ti amavo, ero in lacrime, ero disposta a tutto pur di non vederti sparire, forse persino lasciare Quantico e sai quanto ci tenessi. Sapevo che eri spaventato, sapevo di chiederti troppo, ma non pensavo che saresti arrivato a quello. Mi hai umiliata e lasciata senza tanti giri di parole. Non c’è nient’altro da dire. >> disse lei. << Buon viaggio. >>
Natalie si voltò, ma Dean aveva bisogno di sapere un’ultima cosa. Aveva bisogno di smascherarla.
<< Perché porti ancora l’anello, allora? >> domandò e Natalie si bloccò. Di riflesso, accarezzò l’anello e le venne un groppo in gola.
<< Per ricordarmi che fidarsi di un Winchester non ha mai portato a niente di buono. >>
E Dean l’osservò sparire nell’orizzonte.
 
***
 
<< Ti avevo detto di lasciarmi perdere, Nat. >> disse Dean, con quella camicia rossa che calzava a pennello con il suo istinto omicida.
<< Hai lasciato quel biglietto a Sam, non a me. >>
Gli puntava la pistola contro con sicurezza, ma dentro era terrorizzata. Non era sicura che avrebbe sparato e nemmeno che Sam sarebbe arrivato in tempo per salvarla, ma doveva prendere tempo per pensare.
<< Non avresti dovuto intrometterti. Non vi ho dato nessun fastidio per mesi. >>
<< Credevi che la tua famiglia non ti avrebbe più cercato, Dean? >>
<< Ci speravo. >>
<< Non posso lasciarti andare, Dean. >> disse Natalie, abbassando la pistola. << Ma non voglio nemmeno farti del male. >>
Dean ghignò ed il suo volto appariva quasi deformato, come se fosse una maschera – ed in effetti lo era – o come se non fosse suo. Dean stringeva nella mano destra la Prima Lama, ma adesso non sembrava più che volesse usarla contro di lei. Sembrava più che altro che volesse trattare.
<< Hai qualcosa che appartiene a Crowley. >>
<< Adesso lavori per lui? Sei diventato il migliore amico del Re dell’Inferno? >> lo rese in giro Natalie. Dean le rivolse un sorrisetto impertinente.
<< Io e Crowley siamo perfetti per gli affari, allo stesso modo in cui io e la barista di quel locale da quattro soldi che si trova dietro casa tua siamo perfetti a letto. >> replicò Dean e Natalie dovette chiudere gli occhi per il fastidio. Lo stava facendo solo per provocarla, solo per quello, si ripeté più volte nella testa.
<< Per quanto mi riguarda, potresti farti anche Crowley e non mi interesserebbe lo stesso. >>
<< Ah, no? >>
<< Sono andata avanti con la mia vita, Dean. Dovresti farlo anche tu. >>
<< Quelle foto che tieni in camera tua appese a quel filo non dicono lo stesso. >>
Non avrebbe voluto farlo, ma fu istintivo. Natalie alzò la pistola e sparò. Dean non se l’aspettava e quella pallottola puntata verso il suo braccio lo colse letteralmente alla sprovvista.
<< D’accordo, basta parlare allora. >>
Dean si scagliò contro di lei, cercando di ferirla con la Prima Lama, ma Natalie si divincolò e scivolò di fianco. Si rialzò, caricò la pistola e corse al piano di sotto, nella cantina. Sembrava un film dell’orrore, ma sapere di essere la protagonista non la divertiva molto. In più doveva continuare a ricordarsi che quello non era Dean, non era più il ragazzo che aveva conosciuto a Quantico, terrorizzato da suo padre e che amava suo fratello e nemmeno quello che aveva incontrato di nuovo di recente, un uomo sicuro di sé e che sapeva ciò che voleva, bensì un demone che voleva qualcosa ed avrebbe fatto di tutto pur di ottenerla. Non si accorse che Dean l’aveva raggiunta. L’afferrò per un braccio e l’atterrò. Alzò la lama per ucciderla, ma lei gli tirò un calcio e finì solo per ferirla. Natalie si morse un labbro per evitare di cacciare un urlo. Tornò indietro, salì le scale, ma Dean la prese per il collo, rischiando di strozzarla. Natalie si dimenò e le cadde la pistola. L’aria le venne a mancare e le braccia cominciarono a scivolarle lungo il busto, mentre nelle narici penetrava l’odore di Dean: zolfo allo stato puro. Non era quello l’odore di Dean. Dean sapeva di birra e muschio, non di quella roba. Smise di opporsi, l’aria le era ormai venuta a mancare del tutto e lei scivolò in un sonno profondo.
 
Quando si risvegliò, era viva, respirava e le stava squillando il telefono. Lo cercò a tentoni, rispose alla chiamata e lo mise in vivavoce.
<< Sì? >> chiese a mezza voce.
<< Natalie Dawson? >> domandò la voce dall’altro lato, con uno strano accento scozzese. << Parla Crowley, il Re dell’inferno. Dov’è Dean? >>
Natalie scosse la testa.
<< Non lo so. >>
<< Fantastico, allora significa che dovrò trovarmelo da solo. Di nuovo. Di’ al tuo all’alce che accetto la sua proposta, sono dalla vostra parte adesso. >>
<< Oh, ma vai al diavolo, Crowley. >> borbottò Natalie, terminando la chiamata.
Si alzò dal pavimento ed andò al piano di sopra. La casa era praticamente a posto, la porta era chiusa e sembra tutto in ordine. Come mai Dean non l’aveva uccisa? Come mai non aveva frugato dappertutto alla ricerca dell’incantesimo? Poi la consapevolezza si fece strada dentro di sé e corse nella sua stanza. Cercò la foto, ma non la trovò. L’unico modo per tenere qualcosa nascosto è metterlo in bella vista, così aveva scritto l’incantesimo dietro alla Polaroid del giorno in cui aveva baciato Dean per la prima volta. Era l’unica foto che non ritraeva loro due, ma l’Impala del ’67. Probabilmente Dean l’aveva trovata e se l’era portata via. Il suo telefono squillò di nuovo e lei trasalì. Il numero era sconosciuto. Rispose.
<< Pronto? >>
<< Hai abbassato la pistola per non farmi del male. Ti saresti fatta uccidere, pur di non farlo. Sei coraggiosa, ma anche molto stupida. >>
<< Dean, dove sei? >> chiese Natalie, scendendo le scale.
<< Non cercarmi più, Natalie. La prossima volta non sarò così indulgente. >>
<< Dean, ti prego, non… >>
Le riattaccò il telefono in faccia. Natalie si sfregò le mani sul viso, cercando di contenere l’istinto di piangere. Mandò un messaggio a Sam, poi uscì di casa. Doveva trovare Dean e riportarlo a casa. Doveva trovarlo a tutti i costi o non se lo sarebbe mai perdonato. C’erano ancora delle cose in sospeso da sistemare e troppe parole che doveva ancora dirgli.   







Angolo autrice:
Ciao :3
Manco da EFP da un bel po' di tempo e torno con questa storia su Supernatural, wow. Sono nel fandom da poco, quindi non è stato semplice scrivere di Dean e Sam, ma spero che non siano sembrati troppo OOC. Comunque, come si può vedere ci sono vari filoni temporali che si intrecciano e sono importanti per capire la relazione che c'è/c'è stata fra Natalie ed i fratelli, specialmente con Dean. Natalie è liberamente ispirata alla Shelby di Quantico, tanto che l'attrice che le dà il volto è la stessa ed è un'agente dell'FBI, ma per il resto non c'entra niente con lei.
Per il momento non ho molto da dire, tutto quello che c'è da sapere su di loro verrà svelato mano mano che la storia va avanti. Ditemi cosa ne pensate :)
E.   

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Polaroids ***


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Capitolo 2
Polaroids 
 
Quella mattina Natalie avvertì una fitta allo stomaco quando si svegliò. La sera prima aveva bevuto troppo, così credeva fosse per quello. Probabilmente il suo fegato stava già esplodendo. Saltò giù dal letto e si fiondò in bagno, aggrappandosi con le mani al lavandino, ma non vomitò. Si guardò allo specchio: aveva le occhiaie, lo sguardo spento ed il trucco le era colato giù per le guance. Era ancora vestita con l’abito della sera prima, perché si era accorta tardi di dover tornare entro mezzanotte come Cenerentola e poi si era addormentata di colpo non appena aveva toccato il letto. I ricordi della sera prima le tornarono in mente, spezzettati, confusi, ma era quasi certa di essersi nascosta in un angolo con un tizio del suo stesso anno. Oh, cos’aveva combinato? L’alcol aveva dovuto averle inibito i sensi.
Bussarono alla sua porta.
<< Un momento! >> esclamò, levandosi frettolosamente il trucco in eccesso ed infilando l’accappatoio per fingere che fosse uscita proprio in quel momento dalla doccia. Avvolse i capelli nell’asciugamano, poi andò ad aprire. << Helen? >>
Helen aveva il volto pallido, le mani le tremavano e sembrava che non fosse quasi capace di parlare. La sua compagna di stanza aveva letteralmente l’aspetto di una che aveva appena visto un fantasma.
<< Nat, oh mio… >>
<< Helen, cos’è successo? >> chiese Natalie.
<< Lo hanno trovato qui fuori, lui… >>
<< Helen, di chi stai parlando? Prendi un bel respiro e dimmelo tutto d’un fiato, d’accordo? >> disse, prendendola per le spalle dolcemente.
Helen inspirò, poi buttò fuori le parole una dietro l’altra, come se stessero inciampando allo stesso modo dei tasselli del Domino.
<< Hanno trovato il professor Peterson nel cortile, morto. >>
 
Natalie per poco non buttò all’aria il tavolo, talmente era furiosa. Sam le lanciò un’occhiata preoccupata, poi tornò al suo amato computer. Aveva perso tempo, troppo forse, nel cercare quella dannata fotografia, ma non ci era riuscita e Dean si rifiutava di parlare. Sam e Castiel erano riusciti a prenderlo, nel frattempo ed ora bisognava solo trovare una soluzione per farlo tornare normale.
<< Basta, mi sono stufata. >> disse Natalie, rabbiosa, prima di scendere al piano di sotto, la pistola carica fra le mani.
<< Natalie, non fare niente di stupido! >> le gridò dietro Sam. << Cas, potresti accompagnarla, per favore? >>
Sam aveva sempre pensato che Natalie fosse una testa calda, proprio come Dean e forse anche per questo gli piacevano insieme, ma Dean e Natalie chiusi in una stanza facevano sempre scintille, specialmente in una situazione simile, in cui Dean non era davvero Dean.
Natalie spalancò la porta, entrò nella stanza e si diresse verso Dean, puntandogli la pistola alla fronte, mentre lui se ne stava seduto su quella sedia, legato. L’anello sembrava ora bruciarle al dito.
<< Dov’è la Polaroid? >> domandò, cercando di rimanere controllata, perché è questo ciò che ti insegnano a Quantico, a respirare anche nelle situazioni difficili, l’autocontrollo, la precisione, la calma. Lei non era mai stata molto brava in quello.
Dean sogghignò, con quel luccichio negli occhi che non gli apparteneva affatto e che le faceva quasi paura. Lasciò che il dito scivolasse sul grilletto, perché era l’unica cosa che riusciva sempre a riportarla alla realtà. Era cosciente, adesso. Era perfettamente in linea con la situazione. Il dito sul grilletto le ricordava sempre che avrebbe potuto premerlo o meno, che se avesse sbagliato non avrebbe più potuto tornare indietro.
<< La rivuoi perché ti ricorda i bei vecchi tempi o per l’incantesimo? Credevi davvero che non avrei capito che avevi cercato di coprirlo? >> replicò Dean e Natalie sentì il dito sudare contro il grilletto. << E dite a Crowley che l’accordo è saltato, dato che mi ha venduto a voi. >>
<< Smettila. >> disse Natalie, mentre Castiel entrava nella stanza e li fissava.
Aveva appena conosciuto Natalie, ma era un angelo, quindi riusciva a sentire cosa nascondeva nei meandri della sua anima. Sapeva che aveva una cicatrice al fianco sinistro che cercava sempre di coprire, sapeva che c’era un motivo per cui portava quell’anello e non era quello che aveva rivelato a Dean, così come sapeva che non aveva paura di cosa quel demone avrebbe potuto fare a lei, ma a Dean. Perché Dean ed il demone erano due entità diverse e niente avrebbe potuto convincerla del contrario.
<< Natalie, cercherà solo di provocarti. >> disse Castiel.
<< Dov’è la foto? >> chiese di nuovo Natalie.
<< Hai capito di avermi perso nel momento in cui hai scoperto chi ero veramente e questa cosa ti ha fatta impazzire. >> affermò Dean. Lo sguardo di Natalie si fece più duro, ma la mano destra cominciò a tremare. << Quello che c’era fra di noi era una bugia, io non ero quella persona, Nat. >>
<< Lo eri. >> ribatté. << Eri comunque tu. >>
<< No, non è vero. >>   
<< Lo eri. >> rimarcò Natalie. << Hai solo mentito sulla tua professione, ma tutto il resto era vero. Ed io ti ho perdonato. >>
<< Non mi hai perdonato per quello che ho fatto dopo, però. >>
<< Natalie, lascia la pistola. >> disse Castiel. Natalie si morse il labbro inferiore per impedirsi di premere il grilletto. << Sta solo cercando di farti arrabbiare. >>
<< Non ti ho mai amata, Natalie. >> disse Dean ed anche se sapeva che non era lui, faceva male lo stesso, perché aveva il suo corpo e la sua voce ed il suo sguardo, gli occhi che si chiudevano lentamente prima di osservarla. Una volta avrebbe fatto un patto con il Diavolo, solo per poter riavere indietro un secondo di lui che la guardava in quel modo. << Ma posso dirti che in camera da letto eri veramente una bomba. >>
E fu fatta. Lo colpì con il calcio della pistola. Probabilmente gli spaccò il naso. Dean sorrise, mentre il sangue gli colava sul mento e Natalie si sfregava gli occhi, ma non stava piangendo, era solo la sensazione che avrebbe potuto farlo da un momento all’altro. Diede la pistola a Castiel e corse su per le scale.
<< L’ho bruciata, quella fotografia! >> urlò Dean dal piano di sotto.
Natalie andò da Sam e lo guardò a lungo per un attimo, prima di parlare. Il groppo in gola le rendeva difficile parlare.
<< Quello che gli stai facendo… funzionerà? >> chiese infine, quasi a scatti.
Sam le rivolse uno sguardo di compatimento, ma non commentò. Si limitò solo a risponderle.
<< Sì, ma non sarà piacevole. >>
<< Basta che lo riportiamo indietro. >>
 
Natalie scese in cortile trovò tutti gli studenti in cerchio, attorno al cadavere coperto da un lenzuolo bianco. Non conosceva molto bene quell’uomo, ma di sicuro, qualunque cosa avesse fatto, non meritava una fine del genere. Si chiese chi fosse il colpevole, se magari avesse avuto modo di incontrarlo, se avrebbero sospeso le lezioni almeno per un giorno, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Erano arrivati degli agenti dell’FBI, dei veri agenti, dal quartier generale di Washington. Non aveva mai visto dei veri agenti in azione, ma quei due le sembravano comunque appena usciti fuori da Quantico, perché erano fin troppo giovani. Li vide parlare con il suo responsabile, Dennis Ackwood, che sembrava molto dispiaciuto per il signor Peterson, anche se loro due si odiavano. A quanto pare Peterson aveva sposato la fidanzata del liceo di Ackwood ed a lui non era mai andata giù. Osservò i due agenti scomparire nella scuola dopo aver dato una rapida occhiata al cadavere. Superò la folla di studenti e si gettò dentro, inseguendoli, ascoltando il suono della loro voce, ma riuscì a farlo solo per poco, perché proprio quando stava per salire le scale, qualcuno le si parò di fronte e la bloccò per le spalle.
<< Ehi, dove stai andando? >> chiese un ragazzo che non aveva mai visto, ma che era vestito esattamente come un professore, quindi dedusse che fosse un supplente o qualcosa del genere.
<< Io stavo solo… >>
<< Non dovresti andare in giro da sola in questo momento, qualcuno potrebbe pensare che sei coinvolta in questo caso. >> replicò il ragazzo con un sorrisetto strafottente e gli occhi verdi che brillavano.
<< Professore, mi scusi, ma… >>
<< Oh no, no, no, non permetterti di chiamarmi in quel modo, mi fai sentire un vecchio. >> ribatté quello. << Chiamami Dean. >>
 
Era successo tutto troppo velocemente, eppure lei ci aveva messo anima e corpo in quella relazione. Erano stati attimi, frammenti, pezzi di puzzle che rimessi insieme formavano l’arco di troppo poco tempo per potersi innamorare in quel modo (completo, bruciante, passionale), eppure lei non era più riuscita a staccarselo dalla pelle. A volte le sembrava persino di sentire il suo profumo impregnato ancora nei vestiti. Forse lui non aveva più pensato a lei, magari era anche stato con altre donne - così come lei era stata con altri uomini -, ma sperava davvero, in cuor suo, che non l’avesse mai dimenticata. Se ne stava seduta sul suo letto, ad osservare la sua stanza, senza toccare niente, senza cambiare niente, senza aggiustare niente. Sentiva che non le apparteneva, avvertiva il vuoto dentro al petto per via della fotografia e le sembrava di stare per scoppiare a piangere da un momento all’altro, di nuovo, ma i suoi occhi non accennarono a versare una lacrima. Ad essere sinceri, era da tanto che non piangeva.
<< Castiel è rimasto di sotto con lui. >> disse Sam, appoggiato allo stipite della porta con una spalla. << Non voglio farlo senza di te. >>
Natalie sospirò, guardando il muro di fronte a sé. Un punto imprecisato fra trachea e stomaco le pizzicava come un puntello che colpisce piano un pezzo di legno, ma lei non era dura come il legno, lei era molto più debole.
<< Ti ha mai parlato di me? >> chiese, con la bocca asciutta.
Non voleva sembrare egoista, ma da quando li aveva rivisti, quella domanda le aveva martellato la testa giorno e notte. Aveva bisogno di saperlo, aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno e Sam era sempre stato lì per lei quando ne aveva avuto bisogno. A volte le aveva persino mandato gli auguri di Natale, fingendo che Dean la salutasse o dicendole come stava, senza che lei glielo chiedesse. Perché Sam lo sapeva, sapeva che erano entrambi troppo orgogliosi per tornare a parlarsi dopo quello che era successo l’ultima volta. In realtà non era solo per orgoglio, lei si era sentita ferita per molto tempo, ma non per la bugia su chi Dean fosse veramente o per il modo in cui era andata a finire. Si era sentita ferita, perché lui avrebbe dovuto parlarle e non innalzare un muro. Avrebbe dovuto dimostrarle che tutte le sue parole, pronunciate fino a quel momento con convinzione, avevano nascosto tutti quei messaggi simbolici che lei si era illusa di aver ricevuto.
<< Apri il cassetto. >> disse Sam, accennando al cassetto del comodino di Dean.
Natalie lo guardò, confusa, poi fece come le aveva detto. C’erano i suoi giornaletti porno, il che la fece ridere, perché non aveva mai cambiato le sue brutte abitudini, ma sopra tutti quei giornalini c’era una foto. Lei aveva i capelli lunghi, biondi ed un bel sorriso. L’aveva scattata poco prima di entrare in Accademia e l’aveva regalata a Dean l’ultimo giorno in cui era rimasto. Era ingiallita e dietro lui ci aveva scritto una data. Era la data del giorno in cui l’aveva lasciata andare. L’aveva tenuta per tutti quegli anni, sempre. L’accarezzò con il pollice, poi la rimise al proprio posto e chiuse il cassetto.
Si alzò, infilando le mani nelle tasche posteriori dei jeans.
<< Sono pronta. >>
Sam annuì.
<< L’ha sempre tenuta nel portafogli ed ogni volta che abbiamo cambiato albergo o casa, lui controllava sempre di non averla persa o macchiata. Credo che l’abbia lasciata qui apposta, per far intendere che non gli importa più, ma quello non è lui, Nat. >> disse Sam. << Giusto per fartelo sapere. >>
 
Si presero la giornata libera, solo perché l’FBI era in giro per indagare. Natalie si guardò intorno, ma non ritrovò quello strano professore da nessuna parte. Si diresse verso Helen, tanto per parlare un po’ con lei. Eppure c’era qualcosa, qualcosa di strano che aveva notato, che non la faceva stare tranquilla, ma non si ricordava cosa fosse.
<< Stai bene? >> chiese e Helen annuì, coprendosi le spalle con lo scialle. << Helen, so che non stai bene. >>
<< Non credo che ce la farò, Natalie. >> replicò la ragazza. << Io non sono forte come te, non ne posso più di svegliarmi alle sei del mattino, di allenarmi, di sopportare tutta questa pressione. >>
<< Stanno cercando di farti mollare, Helen, ma non ce la faranno. So che abbiamo iniziato da poco, ma ce la possiamo fare. Ci sono io con te, okay? >> disse Natalie, cercando di rassicurarla. Helen le sorrise flebilmente e per un attimo, Natalie pensò che sarebbe andato tutto bene.
Helen andò via da Quantico due settimane dopo quel giorno.
 
Non era sicura che avrebbe funzionato, ma era stufa delle parole di quel demone maledetto e di vedere Dean soffrire. Sperò con tutte le sue forze che il piano di Sam funzionasse, ma aveva paura. Aveva paura come il giorno in cui aveva perso Dean, aveva paura quando la notte avevano cominciato a venirle dei piccoli attacchi di panico che non riusciva a controllare, ma non poteva parlarne con nessuno, perché nessuno poteva saperlo. E non riusciva più a dormire. Così, mentre tutti si chiedevano come facesse ad essere diventata la prima della classe in poco tempo, lei si chiedeva se avrebbe mai potuto dormire di nuovo la notte invece di studiare a causa dell’insonnia. Alla fine ci era riuscita, aveva ricominciato a dormire per almeno sei ore di fila, ma non era stata più la stessa. Era successo il giorno in cui aveva accettato che Dean non sarebbe tornato indietro. Era il giorno prima del diploma.
Dean chiuse gli occhi e quello la riportò con i piedi per terra. Sam e Castiel si scambiarono uno sguardo d’intesa. Si sentì sprofondare. L’attesa minacciò di ucciderla lentamente, poi Dean aprì piano gli occhi. Li spalancò, in verità e lei annegò dentro i ricordi solo perché quel verde così luminoso le faceva venire in mente un’altra cosa.
Il suo sguardo si posò su di lei e Natalie venne risucchiata nel vortice.
 
<< Stai scherzando, spero! >> esclamò una ragazza nello spogliatoio, arrotolandosi un asciugamano attorno ai capelli.
<< Assolutamente no, non vogliono che si sappia nulla, quindi il funerale sarà già domani mattina. >> replicò l’altra, finendo di mettersi il mascara sulle ciglia.
<< Ehi, di cosa stiamo parlando? >> intervenne Natalie, asciugandosi le mani di fianco a loro.
<< Del signor Peterson. >> replicò la prima ragazza. << Vogliono seppellirlo entro domani mattina per insabbiare tutto, nonostante l’FBI stia ancora indagando. >>
<< Cosa? Non possono farlo! >> esclamò Natalie.
<< Ragazze, vi siete forse dimenticate che siamo a Quantico? All’FBI non gliene frega niente dell’FBI, loro fanno sempre quello che vogliono. E poi si è capito che si è trattato di un incidente, è scivolato, ha sbattuto la testa contro l’asta della bandiera ed è morto. È stata una tragedia, certo, ma per una volta ci è capitato un caso semplice e tale dovrà rimanere. >> ribatté la seconda ragazza. << Cambiando argomento, domani sera ci sarà la festa di compleanno di Chantal, voi ci sarete? >>
<< Ovviamente! >> esclamò l’altra ragazza e si girò a guardare Natalie, che si ritrovò ad annuire, imbarazzata.
<< Certo. >> disse, sfoggiando un sorriso insicuro. Non avrebbe affatto voluto andarci, ma adesso doveva farlo per forza, fantastico.
Uscì dallo spogliatoio con il morale sottoterra. Pensò di tornare nella sua stanza a parlare un po’ con Helen, ma in realtà sperava che stesse dormendo, dopo tutto quello che era successo. Si tirò le maniche della maglia fino alle dita, camminando per i corridoi dell’Accademia, ripensando all’immagine del cadavere coperto da un lenzuolo bianco. Cosa c’era che le era sfuggito? Cos’aveva notato? Se era scivolato, forse aveva tentato di aggrapparsi da qualche parte e questo avrebbe spiegato il taglio… un taglio rosso sulla mano… ma era un taglio?
Per poco non andò a sbattere contro il ragazzo di nome Dean che aveva incontrato quella mattina. Stava calando la sera e non avevano ancora acceso le luci, ma i suoi occhi verdi brillavano stranamente. Stavolta era accompagnato da un altro ragazzo, che sembrava persino più giovane di lui.
<< Ma voi siete davvero due insegnanti? >> chiese, mentre Dean si voltava per guardarla incuriosito.
<< Ti sembriamo troppo giovani, forse? >> domandò l’altro ragazzo. Natalie annuì.
<< Be’, anche quei due agenti di stamattina sembravano troppo giovani per essere due agenti. >> replicò Dean.
Natalie ridacchiò.
<< Touché. >>  
Dean fece velocemente segno a Sam di sparire dalla vista e lui sbuffò. Ogni volta che c’era una bella ragazza all’orizzonte, suo fratello non faceva che dimenticarsi di avere un cervello. Alzò le spalle, sbuffando. Non c’era niente di fare, non sarebbero riusciti a lavorare, quella sera. Eppure quel caso gli sembrava troppo strano per essere vero. C’era qualcosa che non gli tornava.
<< Ci vediamo dopo, Dean. >>
<< Sì Sam, ciao, sparisci. >> replicò Dean, sventolando una mano. << Allora, come ti chiami? Non mi hai ancora detto il tuo nome. >>
Natalie si tirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Probabilmente era anche arrossita. Oh, dannazione, ogni volta che parlava con un ragazzo l’imbarazzo aveva la meglio. Sarebbe mai finita quella situazione? La verità era che l’unico ragazzo che l’aveva degnata di uno sguardo era stato un suo compagno di classe delle superiori, il suo primo amore praticamente, ma non era mai successo nulla fra di loro, perché ogni volta che tentava di parlargli, puntualmente lui aveva qualcos’altro di cui occuparsi. Però con Dean era diverso, non lo conosceva e lui non conosceva lei, quindi poteva reinventarsi daccapo.
<< Natalie. >> rispose. << Natalie Dawson. >>
Dean le sorrise e lei pensò che, per qualche motivo, i sorrisi più luminosi sono quelli delle persone che hanno sofferto di più. Forse Dean era una di quelle, un po’ come lei.
<< Ti andrebbe di fare un giro con me, stasera? >>
Natalie rimase interdetta.
<< Dean, sei un professore dell’Accademia, non posso. >>
<< Sono solo di passaggio, non rimarrò a lungo. >> replicò. << E poi, ti ho solo chiesto di fare un giro. >>
<< Dean… >>
<< Non sono un tuo professore, Natalie. >> disse Dean. Natalie scosse la testa.
<< Non sei abituato ad un “No” come risposta, eh? >>
 
Entrò in quella stanza per la seconda volta nell’arco di poco tempo. Adesso lui era seduto sul letto, a guardare vecchie foto ed a Natalie sembrò che il quadro fosse completo, che non mancasse niente. Quell’ambiente le era diventato familiare sin dal primo momento in cui era entrata nel bunker. Forse era solo che la presenza di Dean rendeva tale ogni luogo. Il suo sguardo vagò per la camera e vide il portafogli posato sul comodino, da cui sotto sfuggiva un angolo di quella che poteva essere una fotografia. Rimase sull’uscio ad osservarlo. Era immerso nei ricordi probabilmente, ma non poteva non essersi accorto della sua presenza. Fissò nella mente quel momento, perché era l’ultima volta in cui avrebbe potuto vederlo così. Impresse nella memoria il suo respiro lento, la clavicola che spuntava da sotto la camicia, il viso ripulito del sangue da Castiel, le dita che scorrevano le foto. Adesso che l’aveva rivisto, le sarebbe mancato molto più di prima. Non poteva negarlo a se stessa, quell’anello non le serviva per ricordarsi della sua presenza, ma della sua assenza. Era un modo per tenerlo insieme a lei anche quando non c’era.
<< Ehi. >> esordì Natalie, con voce flebile.
Dean alzò lo sguardo su di lei e le sorrise con un angolo della bocca.
<< Ehi. >>
<< Come stai? >> chiese Natalie, avvicinandosi al letto.
Dean mise le foto da parte e si sedette sul bordo, le mani congiunte come in preghiera. Natalie impresse ogni istante nella sua mente ed impresse, impresse, impresse fino che non fosse più riuscita a ricordare nient’altro che quella scena. Fu un po’ come se fosse il suo ultimo ricordo, in effetti.
<< Sono solo un po’ frastornato, ma starò meglio. E tu? >> chiese, guardandola negli occhi e lei si sentì cadere.
Le parole pungevano nella gola per uscire fuori, ma non era ancora il momento, doveva preparare il terreno, doveva stare attenta a quello che avrebbe detto, doveva reprimere il bisogno di piangere. La testa aveva deciso, la testa, la testa, la testa. Era per quello che lo stomaco continuava ad attorcigliarsi ogni minuto che passava.
<< Sto bene. >> replicò. << Posso sedermi? >>
Dean si mosse un po’ più indietro per lasciarle spazio. Il suo respiro era così vicino da farle credere che lei stesse solo sognando e che quello in realtà non fosse che uno spiffero d’aria che entrava dalla sua finestra.
<< Mi dispiace di aver bruciato quella foto. >> disse Dean. << Era importante? Insomma, io amo la mia auto, ma non capisco perché tu avessi una foto di lei. >>
<< Sai che la tua auto non è una donna, vero? >> domandò lei, alzando un sopracciglio, prendendolo in giro. Eppure quella semplice domanda le fece capire quanto fosse importante fare quello che aveva deciso. Lui nemmeno se lo ricordava.
<< Certo che lo so. >> replicò Dean, con un’espressione divertente, che sembrava tanto quella di un bambino di cinque anni.
Natalie ridacchiò, ma qualcosa in quel quadretto le provocò una reazione che non aveva messo in piano. Le pizzicavano gli occhi e piano piano le lacrime avrebbero trovato il modo di rompere gli argini, quindi cercò di essere veloce. Anche perché non voleva che Castiel e Sam tornassero prima che lei potesse raccontare tutto a Dean.
<< Dean, c’è una cosa che dovrei… >>
<< Non ho ancora avuto l’occasione di ringraziarti per essere venuta. >> la interruppe Dean, senza volerlo. No, no, no, non puoi farmi questo, non adesso, pensò Natalie. << Ogni tanto ho pensato di scriverti, ma non ne avevo il coraggio, dopo quello era successo fra di noi. Sono… sono contento che ci siamo ritrovati, anche grazie al fatto che Sam non si fa mai gli affari suoi. >> continuò. << Forse adesso potremmo parlare di… >>
<< Ho accettato di lavorare a Washington. >> disse Natalie, tutto d’un fiato e fu come se il flusso di parole si fosse bloccato nella trachea, per Dean.
Dean la guardò sorpreso, ma anche triste. No, era più di triste, era dolorante. Aveva gli occhi lucidi, stanchi e Natalie intravide un paio di ombre sotto di essi. Il muro che c’era stato fino ad ora tra di loro crollò del tutto, come se fosse appena stato colpito da un fiume in piena. Natalie non riuscì a sostenere il suo sguardo ancora a lungo, quindi prese a fissare il pavimento, le mani in grembo.
<< Washington. Intendi D.C., giusto? A diciannove ore da qui. >> disse Dean. Natalie annuì. << Sono felice per te. >> disse Dean, dopo un breve istante di silenzio, con un sorriso forzato.
Natalie lo guardò negli occhi, con il labbro inferiore che tremava, sperando che dicesse qualcosa, qualunque altra cosa per trattenerla lì con lui, ma non lo fece. Cosa possono dirsi due persone che provano qualcosa l’uno per l’altra, ma senza rischiare di ferirsi a vicenda in qualche modo? Senza la paura che lasciare tutto sarà solo l’inizio della fine? Dean non ne aveva idea. Avvertì la porta aprirsi al piano di sopra e la voce di Sam chiedere dov’erano. Si sporse verso di lei, lentamente, anche se temeva che Castiel o Sam potessero rovinare quel momento, ma non gli importava più di niente. Natalie credette che Dean stesse per baciarla, ma non fu così. Il suo sguardo scivolò dalle sue labbra alla fronte, le sue mani le accarezzarono le tempie ed infine, le sfiorò la fronte con le labbra. Natalie non pianse, ma sentì comunque una lacrima caderle sulla mano. Si accorse solo dopo, quando Dean le disse: “Buona fortuna” e varcò quella porta, che lui aveva gli occhi ancora lucidi.
 
La verità era che aveva accettato, solo per levarsi dalla mente l’immagine di quel lenzuolo bianco. Quando arrivò al pub vicino all’Accademia, Dean la stava aspettando seduto ad un tavolo con un paio di birre. Per un secondo, uno solo, pensò che cosa fosse successo se quella figura fosse diventata per lei abituale, familiare, poi scacciò via quel pensiero. Dean era solo di passaggio, dopotutto. Andò a sedersi di fronte a lui ed il suo viso si animò quando la vide. Le passò la birra e sorrise.
<< Non è che magari avevi altri programmi per stasera? >> chiese Natalie. << Voglio dire, il tuo collega sembrava un po’ contrariato. >>
<< Oh, Sam è mio fratello ed è sempre preoccupato, lascialo perdere. Allora, raccontami un po’, perché vuoi diventare un’agente dell’FBI? >>
Natalie per poco non si strozzò con la birra.
<< Cominciamo con le domande semplici, eh? >> replicò e Dean ridacchiò.
<< Già. >>
<< Tu perché lo sei diventato? >>
<< Ehi, stiamo parlando di te, non di me. >> ribatté lui.
<< D’accordo, d’accordo. Voglio diventare un’agente, perché… >> stava dicendo, poi buttò fuori l’aria. << Ci sono fin troppi motivi per cui voglio farlo. Insomma, voglio proteggere gli innocenti, il mio Paese, la libertà, ma non è solo per questo. Io credo che un vero agente dell’FBI debba cercare di evitare ogni tipo di ingiustizia ed io voglio questo. >>
<< Sei una fanatica della legge, eh? >>
<< Rispettare la legge non significa fare giustizia, a volte. Specialmente se le leggi sono manipolate dai potenti. >> replicò Natalie, poi bevve un sorso di birra.
<< Oh, ma che pensiero profondo! >> esclamò Dean e Natalie rise. << Scommetto che ti è capitata un’ingiustizia. >>
Natalie alzò le spalle.
<< Qualcosa del genere. >>
<< Ma non è capitata a te, altrimenti non saresti qui. È capitata a qualcuno che avresti voluto difendere, ma non potevi. >> dedusse Dean e l’aria attorno a loro si fece improvvisamente troppo ferma. Natalie rimase immobile, lo sguardo fisso nel suo.
Natalie non rispose, ma era certa che Dean avesse capito che il suo silenzio equivaleva ad un’affermazione.
Uscirono da quel bar quasi a mezzanotte. Dean la riaccompagnò davanti alla porta della sua camera e lei sentiva le guance accaldarsi ad ogni passo che faceva. Forse aveva la febbre o forse aveva bevuto troppo di nuovo. Di sicuro era stata una delle più belle serate degli ultimi mesi. Sfiorò la maniglia della porta, ma non l’aprì prima di aver salutato Dean, per non svegliare Helen.
<< Ti vedrò domani a lezione, presumo. >> disse lei.
<< Probabilmente no, devo aiutare quei due agenti nelle indagini. >>
<< Ma non si era trattato di un incidente? >>
<< Mio fratello non ne è così sicuro, quindi faremo qualche altro rilievo sulla scena del crimine e poi vedremo. >>
Natalie annuì, ma non riusciva a staccare gli occhi dalle sue labbra, quindi aveva sentito solo la metà di quello che aveva detto. Doveva andarsene, doveva sbrigarsi.
<< Okay. Buonanotte. >> disse, poi si voltò per entrare, ma qualcosa la trattenne. Si girò di nuovo. << Vorrei che non fossi solo di passaggio, Dean. >>
Dean sorrise dolcemente, le mani infilate in tasca ed il colletto della camicia slacciato lasciava intravedere la linea morbida della clavicola.
<< Se fosse per me, non ti avrei nemmeno riaccompagnata qui a quest’ora. >> replicò Dean, poi se ne andò, senza voltarsi indietro.
Natalie non riuscì a dormire quella notte. Le tornò di nuovo in mente quel cadavere coperto da un lenzuolo e la mano, la mano che aveva un taglio sanguinante sul palmo, ma l’asta della bandiera era liscia, come aveva fatto a farsi male? Dei brevi flash della serata prima le riempirono la testa di luci, ma quel taglio… Si svegliò di soprassalto. Prese il telefono e di getto compose il numero di Dean. Al primo squillo riattaccò. Erano le quattro del mattino, non poteva chiamarlo per una mera supposizione. Però il funerale ci sarebbe stato solo il giorno dopo e se avevano bisogno di indagare sul corpo, lei avrebbe dovuto avvertire qualcuno adesso. Così mise da parte il terrore, l’orgoglio, l’imbarazzo e lo chiamò. Dean rispose al terzo squillo.
<< Dean Cobain. >>
<< Dean, mi sono ricordata che c’era qualcosa che non andava nel cadavere del signor Peterson. Aveva un taglio sul palmo, deve essersi difeso da un aggressore, altrimenti non si spiega come abbia potuto morire in quel modo così assurdo. >>
<< Natalie… >>
<< Dean, non potete seppellirlo domani. >>
<< Natalie, è troppo tardi. Il signor Peterson verrà seppellito fra poche ore e non potremo farci niente. >>
<< Dean, se non trovaste il colpevole, sarebbe un’ingiustizia. >>
Dena non rispose.
<< Mi stai chiedendo di farlo per te? >>
<< Ti sto chiedendo di farlo per salvare la memoria di un innocente. >>
Dean sospirò.
<< D’accordo, tanto Sam era già arrivato alla stessa conclusione. Dovreste parlare un po’, voi due, avete tanto in comune. >>
Natalie sorrise.
<< Perché non mi hai detto che l’avresti fatto comunque? >>
<< Perché speravo che mi dessi una buona ragione per rivederti e così è stato. Buonanotte, Nat. >> replicò Dean.
<< Buonanotte. >> rispose Natalie, anche se Dean aveva già riattaccato.





Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Dunque, in questo capitolo già si vede un po' del passato di Natalie e Dean e di come si sono conosciuti (i flashback in corsivo rappresentano le linee temporali del passato). Lei arriva praticamente assieme a Castiel, quindi quando Dean sta per essere curato definitivamente da Sam. So che c'è un ennesimo salto temporale fra "il presente" del primo capitolo e questo, ma anche fra il passato a Quantico ed il "presente" del primo capitolo, ma verranno spiegati nei flashback che porteranno i personaggi fino al "presente" (peggio di Ritorno al futuro, lo so, ma verrà spiegato tutto).
Ditemi cosa ne pensate :)
E.  

 

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