Nullus amor nec foedera sunto (/viewuser.php?uid=70176) Lista capitoli: Capitolo 1: *** Persuasione *** Capitolo 2: *** Con gli occhi chiusi *** Capitolo 3: *** Maschere nude *** Capitolo 4: *** Great Expectations *** Capitolo 5: *** Cuore di tenebra *** Capitolo 6: *** Ragione e sentimento *** Capitolo 7: *** Illuminazioni *** Capitolo 8: *** L'amore tanto per fare *** Capitolo 9: *** Delitto e castigo *** Capitolo 10: *** Doppio sogno *** Capitolo 11: *** Guerra e pace - Parte I *** Capitolo 12: *** Guerra e pace - Parte II *** Capitolo 13: *** Il piacere *** Capitolo 14: *** La decadenza della menzogna *** Capitolo 15: *** Fuga nelle tenebre *** Capitolo 16: *** La fontana di sangue *** Capitolo 17: *** Closer *** Capitolo 18: *** Moriae Encomium - Elogio della follia *** Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
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Capitolo 8
*** L'amore tanto per fare ***
Piccolo avviso:
i personaggi di questa fanfic non sono miei, appartengono tutti a J.K.
Rowling ed io li uso momentaneamente senza fini di lucro o simili.
Eventuali citazioni da altri autori sono poste tra virgolette o
segnalate come tali. Ora godetevi la storia! CAP. 8
L’AMORE TANTO PER FARE Hermione accolse con orrore il suono della porta che si richiudeva e faceva in pezzi ogni sua speranza che Ginny e Blaise cambiassero idea e decidessero di non entrare. Sentì la mano di Draco scivolare via dalla sua bocca ma non emise un suono, troppo confusa e scioccata per poter articolare un pensiero compiuto. Tutto ciò che le occupava la mente era la consapevolezza che se fosse rimasta lì avrebbe sentito qualcosa che non voleva sapere. “Dobbiamo andare via…” sussurrò con voce impercettibile a Draco, prima di tentare di sgattaiolare fuori da sotto la cattedra. Il biondo la afferrò per un polso e la attirò nuovamente a sé, intrappolandola tra le sue braccia. “Ti vedranno…” soffiò nel suo orecchio, stringendola maggiormente contro il proprio petto. La Grifondoro sospirò ma dovette arrendersi all’evidenza e dare ragione al biondo: non c’era modo di uscire senza palesare la propria presenza. Ginny era in fondo all’aula, con le spalle appoggiate alla parete e teneva le braccia incrociate al petto e lo sguardo fisso su Blaise; quest’ultimo era andato a sedersi dalla parte opposta della stanza, sopra la cattedra. Hermione vedeva i suoi piedi sfiorare il terreno davanti a lei e da una fessura nel legno distingueva anche l’esile figura della rossa mordersi le labbra senza trovare il coraggio di aprir bocca. “Dobbiamo parlare di ieri notte.” Cominciò finalmente Ginevra, rompendo il silenzio. “Sì, anch’io volevo parlarti… non ho fatto altro che pensare a te da quando…” “Vorrei che fingessimo che non fosse mai successo.” Lo interruppe la Weasley tutto d’un fiato, tenendo gli occhi fissi a terra. “Cosa?!” “Sì, io vorrei che dimenticassimo di esserci mai incontrati…” La frase della ragazza fu interrotta da un singhiozzo che non era riuscita a reprimere. “Ma ci siamo incontrati invece! Ed era destino, come era destino che succedesse quello che è successo dopo!” Blaise scattò in piedi e le sue gambe coprirono per alcuni attimi la visuale di Hermione, la quale si tappava inutilmente le orecchie. “Dio, ti prego dimmi che hanno giocato a scacchi ieri notte…” mugolò a Draco. “Piuttosto…” il biondo trattenne una risata “…direi che hanno giocato al dottore…” Una gomitata nelle costole da parte della bruna gli tolse la voglia di fare dell’ironia. Zabini intanto aveva raggiunto Ginevra, la quale cercava mestamente di allontanarlo da sé, respingendo i suoi tentativi di prenderle le mani. “Ti scongiuro, lascia perdere… È stato un errore. Ero arrabbiata con Harry, mi sentivo tradita e ho fatto una stupidaggine. Non avrei dovuto seguirti a quella festa, non avrei dovuto neanche parlarti, figuriamoci fare quello che ho fatto. Ora sto di nuovo con Harry e vorrei mettere una pietra sopra a questo piccolo incidente…” “Incidente?” si alterò Blaise “Tu lo chiami incidente? E poi come puoi rimetterti con lui dopo quello che ti ha fatto?” “Non sta a te giudicare!” tuonò la rossa, allontanandosi bruscamente da lui “Cristo Santo, io non ti conosco nemmeno!” “Sì che mi conosci invece!” Il moro la afferrò per le spalle, costringendola a guardarlo “Mi conosci eccome! Abbiamo fatto l’amore ieri notte!” Hermione si sentì morire. Dalla gola non le uscì alcun suono. Avrebbe voluto urlare, uscire da sotto quella dannata cattedra e gridare a quei due di tacere e che erano dei maledetti stupidi! Perché erano entrati proprio in quella stanza in quel momento, costringendola ad essere partecipe di un segreto così tremendo che prometteva di tornare a sconvolgere la rinnovata tranquillità della sua vita? Era appena riuscita a chiarire tutto con Harry e già una nuova rete di bugie e problemi si era formata attorno a lei, ancora più intricata e pesante della prima. Abbiamo fatto l’amore…Questa frase urlata con sentimento e disperazione le arrivò come una staffilettata al cuore e in quello stesso momento sentì Draco accarezzarle morbidamente i capelli e stringerla al petto, come avrebbe potuto fare con una bambina bisognosa di essere consolata. La Grifondoro lo abbracciò più forte e cercò di non ascoltare le voci che la raggiungevano dal fondo dell’aula, ma esse arrivarono fin troppo chiaramente alle sue orecchie. “Sì abbiamo fatto sesso Blaise! E allora? Lo avrai fatto con decine di altre ragazze, perché non puoi semplicemente dimenticarti di questa volta e promettermi che non ne farai parola con nessuno?” Grandi lacrime salate rotolavano giù dalle guance di Ginevra, mentre singhiozzava e respingeva l’ennesimo tentativo del Serpeverde di prenderla tra le braccia. “Lo farò se vuoi… non lo dirò in giro.” Mormorò il ragazzo, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi “Ma, ti prego, non chiedermi di dimenticarti, perché non posso proprio farlo… La scorsa notte per me è stata unica. Non mi sono mai sentito tanto vicino ad una persona in vita mia…” Ginny portò le mani al viso, trattenendo un gemito e si lasciò cadere contro il petto di Blaise, trovandosi subito avvolta da un caldo abbraccio che ricambiò con forza disperata. Affondò il viso nel petto del moro Serpeverde e una serie di ricordi scattò nella sua mente quando percepì il suo profumo ancora una volta così vicino… “Ginny… ti prego, stai con me…” Lei scosse vigorosamente il capo e si allontanò da lui di scatto, come se si fosse appena accorta di dove si trovasse. “No…no…” mormorò senza guardarlo, prima di correre via e sparire oltre la porta. Il moro rimase come abbagliato nella semioscurità della stanza, tendendo invano le braccia al niente. “Dannazione!” Sbatté il pugno contro un banco, facendo risuonare tutta l’aula dell’eco sordo della sua disperazione. Si portò una mano alle tempie, inspirando forte. Ritrovato il controllo di sé uscì anche lui dalla stanza. Hermione ci mise qualche attimo a registrare quanto era appena successo e a ricordarsi della sconveniente posizione in cui si trovava con Draco. La Serpe sembrava piuttosto divertita dall’assurdità della situazione e ridacchiava tra sé e sé continuando a stringerla al petto. La Grifondoro lo allontanò con un gesto di stizza e uscì velocemente da sotto lo spazio ristretto della cattedra che le sembrava ormai di una piccolezza soffocante. “Non posso credere che siamo rimasti qui a origliare!” La consapevolezza di quanto aveva appena appreso cominciava a farsi strada oltre la confusione del momento. “Mia povera piccola onesta Grifondoro… Cosa farai ora? Ti terrai il segreto o andrai a dirlo a San Potter?” Il Serpeverde fece con le mani l’imitazione di una bilancia. “Tradire la Weasley…” abbassò una mano “…o tradire lo Sfregiato?” abbassò l’altra mano “Cosa deciderai?” Hermione si mordicchiò un labbro. Non aveva idea di cosa fosse meglio fare. Come faceva a ficcarsi sempre in queste situazioni del cavolo? “È tutta colpa tua Malfoy!” sbottò all’improvviso, pungolandolo con l’indice in pieno petto. “Mia?!” “Sì, per Merlino! Tua! Se tu non mi avessi trascinato in quest’aula per soddisfare i tuoi bassi istinti non avrei mai sentito quello che ho sentito!” “È colpa mia se lo Sfregiato si è fatto cornificare?!” “Non è questo il punto… Io non dovrei saperlo…” Il biondo arcuò le sopracciglia, meravigliato. “Quindi i tuoi amici possono tradirsi e ferirsi quanto pare loro necessario, purché ciò non pesi direttamente sulla tua coscienza?” “No, non sto dicendo questo…” “Mi sembra di sì invece.” Hermione strinse le labbra e tornò a poggiare l’indice contro le costole del Serpeverde. “Tu… tu non osare giudicarmi! Che cosa vuoi saperne tu di morale, scrupoli di coscienza e onestà? Sei solo una Serpe calcolatrice e meschina che lega a sé le persone con subdoli patti…” Il ragazzo posò una mano su quella che la bruna teneva puntata su di lui e la portò alle labbra. Hermione tacque e lo guardò con il più totale stupore, chiedendosi a cosa dovesse un simile gesto di affetto dopo una tale fiumana di offese da parte sua. “È vero… ma era proprio per questo che ero venuto a cercarti. Non avevo pianificato l’improvvisata di Blaise, ma possiamo riprendere dove lo avevamo interrotto, il discorso su quello che c’è tra noi.” La Grifondoro ritrasse la mano dalla sua presa. Ecco un’altra decisone da prendere, un’altra bilancia su cui si sfidavano i suoi nascenti sentimenti per Draco e il lungo rapporto che la legava a Ron e Harry. Decisamente non si sentiva pronta ad affrontare un simile dilemma. “Ora devo andare a lezione. Parleremo un’altra volta.” Senza lasciare al biondo diritto di replica scivolò fuori dall’aula in fretta e si diresse verso la classe di Antiche Rune pregando silenziosamente che lui non la seguisse e lasciasse cadere il discorso. Forse, se avesse saputo quanto la situazione sarebbe cambiata da lì a pochi minuti, forse allora non avrebbe espresso una tale preghiera e non si sarebbe neanche rallegrata tanto di vederla avverarsi. Draco vide la porta sbattergli davanti e porsi fra lui e la Mezzosangue. Per un attimo pensò di seguirla e tentare ancora una volta di parlarle, ma poi cambiò idea, pensando che fosse meglio lasciarle un po’ di tempo per schiarirsi le idee. Picchiettò un pacchetto di sigarette per farne uscire una e la prese tra i denti per poi spostarsi in corridoio e imboccare le scale che portavano all’esterno. Mentre giocherellava facendo scorrere il filtro tra le labbra, il suo pensiero correva a tutti fatti accaduti di recente e in particolare a quanto aveva appena sentito dire a Blaise. “Ehi Draco!” Si parla del diavolo… Alzò una mano per fare un cenno di saluto all’amico. “Vai a fumare? Ti accompagno… Devo assolutamente parlarti.” “Perfetto…” ironizzò il biondo. Non era proprio un tipo che amasse le chiacchiere e gli sfoghi d’amore e sapeva già di cosa il moro volesse parlargli. Comunque, in nome della loro amicizia, decise di fare uno sforzo. “Forza Blaise, spara…” Nel giro di cinque piani il Serpeverde gli snocciolò l’intera storia: la sera prima era uscito dalla festa per portare in camera Goyle, che era tanto ubriaco da non reggersi neanche in piedi, e tornando su aveva sentito qualcuno piangere in un bagno. Così aveva incontrato Ginevra Weasley, l’aveva invitata alla festa per distrarla un po’ ed erano finiti a chiacchierare e scherzare per ore, con una facilità e una spensieratezza tanto inaspettati quanto piacevoli, e poi alla fine… “La notte più bella della mia vita. Non è stato solo sesso fatto tanto per fare, Draco. È stato molto, ma molto di più, te lo assicuro, non avevo mai provato niente di simile.” Draco scosse la testa, scettico. “Se non era sesso, forse era amore fatto tanto per fare, Zab. Voglio dire… non credi di esserti innamorato un po’ troppo in fretta? Forse la Weasley ti ha colpito tanto solo perché esula un po’ dai canoni di quelle svampite che ti porti a letto di solito.” “Credimi amico, non è così.” Insistette Zabini “Ho trovato l’amore. Ne sono sicuro.” Il biondo si lasciò sfuggire una risata amara. “Allora eri tu quello di cui parlava la Cooman…” “Già…” convenne il moro con una risata “Aveva detto che uno di noi due si sarebbe imbattuto nell’anima gemella e a quanto pare sono stato io. Non preoccuparti Dra, prima o poi succederà anche a te…” Malfoy aspirò una lunga boccata di fumo e accennò un sì con la testa. Forse l’aveva già trovata la sua metà perfetta… Doveva solo capire se anche lei la pensava allo stesso modo. “Comunque…” riprese il moro “Oggi provo a parlarle e lei che fa? Mi dice che devo dimenticarla perché si è rimessa con Potter! Come può anche solo pensare di stare con lui dopo quello che le ha fatto?!” “Perché, cosa avrebbe fatto San Potter?” ridacchiò Draco “L’ha tradita con Lenticchia-Weasley?” “Beh, c’hai preso sul tradire ma hai sbagliato con chi. Ginny l’ha beccato con la Granger…” Draco si bloccò. La sigaretta gli scivolò dalle dita, rigide come quelle di un morto. “Sei sicuro di quello che dici?” sibilò tra i denti. “Certo che sono sicuro! Ne parla praticamente tutta la scuola! Weasley, sì insomma, quel Ron, ha fatto una scenata alla Granger in Sala Comune e lei ha risposto qualcosa sul fatto che aveva il diritto di stare con chi voleva e che nessuno doveva immischiarsi e poi è stata ripetutamente beccata a nascondersi con Potter in torri e aule vuote per non parlare dei baci che... Ehi Draco dove vai?!” Il biondo si era voltato di scatto e marciava a grandi passi verso il bosco, tenendo le mani piantate nelle tasche anteriori dei jeans. Incurante dei richiami del suo amico, il Serpeverde imboccò un sentiero poco praticato e presto si trovò solo in un’isolata radura. Il sole basso del pomeriggio stentava a penetrare il fitto intrico dei rami e pochi cespugli di bacche viola rilucevano ai suoi raggi, tingendosi di un colore sanguigno. Neanche un alito di vento sfiorava quel luogo e l’unico rumore udibile erano i passi rigidi di Draco e il suo respiro affannoso. Il ragazzo si fermò al centro del piccolo spiazzo vuoto coperto di foglie e rametti, davanti ad una grossa quercia nodosa e urlò. Urlò forte e senza una ragione apparente, urlò e basta. Il gelido, impassibile Malfoy dette sfogo a tutta la sua rabbia in un grido lacerante che fece sollevare un gruppo di storni terrorizzati. Il loro sbattere d’ali scosse le foglie ancora cariche di pioggia cosicché alcune gocce caddero a terra e fu come se la natura avesse versato quelle lacrime che Draco si ostinava a ricacciare dietro la sua maschera di freddezza. Il biondo cadde in ginocchio, stremato e appoggiò una mano chiusa a pugno sulla corteccia della quercia, premendo fino a sentir male. “Perché Mezzosangue…” mormorò piano. Rabbia, rancore, disgusto, questi sentimenti si accalcavano sul suo animo orgoglioso ma non erano niente in confronto a ciò che più lo tormentava: un desolante senso di vuoto all’altezza del petto. Aveva dato il suo cuore a Hermione e lei lo aveva fatto a pezzi. Aveva creduto di legarla a sé quando era lui che si impigliava sempre più indissolubilmente nelle trame della sua falsità. Lei aveva osato dargli del bugiardo, dell’insensibile e poi era andata a letto con Potter… Si rimise in piedi e una carezza di vento gli sfiorò i capelli mentre sferrava un cazzotto feroce all’albero, facendosi sanguinare le nocche. Tracce scure si persero nelle pieghe della corteccia, infiltrandosi nelle scritte lasciatevi da vari studenti. Dichiarazioni d’amore, cuoricini, iniziali, nomi che si tinsero di rosso, di odio e soprattutto di vendetta. Perché mentre prendeva una sigaretta e tornava verso il Castello, Draco non pensava che a una cosa: spaccare la faccia a Potter alla prima occasione. Quando la lezione di Antiche Rune fu finita, Hermione si rammaricò di non avere più nulla che le ingombrasse la mente. Non voleva pensare a Draco o a Ginny o a qualunque cosa che richiedesse di prendere una decisione. Il filosofo danese Kierkegaard sosteneva che la vita umana è fatta di scelte che cambieranno irreversibilmente la nostra esistenza futura ed è la consapevolezza di questa necessità inevitabile di decidere che genera nell’uomo una continua, inestinguibile angoscia. Quella sera Hermione, raggiungendo finalmente il ritratto della Signora Grassa, non poteva che dargli ragione; in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non dover incontrare Ginny o Harry e dover prendere una posizione, ma il destino è un giocatore sleale e crudele che poco si cura dei nostri desideri… “Herm!” La bruna alzò gli occhi e si trovò davanti Ginny che si apprestava a entrare nel Dormitorio. La salutò con un cenno frettoloso e tornò a concentrarsi sulla Signora Grassa. “Scintille Purpuree…” Le due Grifondoro pronunciarono la parola d’ordine nello stesso istante; si sforzarono di ridere per quel coretto casuale, ma la tensione strozzò il loro tentativo di spontaneità. Si mossero ancora all’unisono e sbatterono le spalle l’una contro l’altra nel tentativo di varcare il quadro. “Ehm… prego, prima tu Herm…” La rossa si fece da parte. “No, figurati, vai tu…” “No davvero…” “Sul serio, è uguale…” “Oh insomma quante storie!” sbottò la Signora Grassa “Cosa avete stasera signorine? Se non vi date una mossa non faccio entrare nessuna delle due!” Hermione si affrettò a passare, seguita a ruota dalla rossa che appena messo piede nella Sala Comune la fermò per un braccio. “Ti devo parlare…” La bruna chiuse gli occhi e si fece coraggio. Sapeva cosa voleva confessarle. “…di Harry.” “Di me e Harry? Ti assicuro che non è successo davvero nulla…” cercò di divagare. “Io ti credo!” singhiozzò la giovane mentre una lacrima le rigava una guancia “Ed è proprio questo il problema!” Hermione la prese delicatamente per un polso e la portò fino alla propria camera, dove la fece accomodare sul letto. “Dimmi tutto.” “Io ora so che lui non mi ha tradita…” le sue parole furono spezzate da un singhiozzo di pianto “E-ed è per questo che mi-mi sento così in colpa pe-perché i-io…” Hermione lottò con la terribile tentazione di tapparsi le orecchie e non dover sentire. “I-io… ho tradito Harry sono stata con Blaise!” Lo confessò tutto d’un fiato, senza un respirare, accecata dalle lacrime e tremante di paura. La sua amica andò a porle un braccio attorno al collo e le offrì la sua spalla. “Tranquilla…” “Oh Herm… l’ho tradito… l’ho tradito…” Queste furono le ultime parole che disse, poi non furono che singhiozzi e gemiti nel pianto. Il tempo peggiorò improvvisamente col calare della sera; il cielo terso si coprì di grandi nuvole nere gravide di pioggia e fulmini e il vento riprese a soffiare con forza. Diversi studenti che si erano concessi una passeggiata al sole dovettero rientrare in fretta e furia all’interno del Castello, tenendosi cappelli e mantelli ben stretti per evitare che qualche raffica li facesse volare fino alla foresta. Furono in molti a cena a lamentarsi di un tale peggioramento, ma tra di loro non vi fu certo Draco. Il Serpeverde si sentiva più che in sintonia con la furia degli elementi, anzi sembrava proprio che il soffitto magicamente inconsistente della Sala Grande fosse più uno specchio sul suo animo che sul Cielo. Il rombare dei tuoni era niente in confronto al rimestio sordo del suo rancore. Il biondo fissava insistentemente Hermione e aspettava solo che ella alzasse gli occhi su di lui. Cullava la segreta speranza che lei gli rivolgesse uno sguardo puro e sincero che bastasse a discolparla da ogni accusa. Aveva bisogno di conferme da lei perché di conferme riguardo alle voci su Potter ne aveva avute fin troppe, in pratica tutta la scuola ne era al corrente. Però se solo lui avesse potuto leggere in quelle pozze dorate una qualche emozione che potesse dargli una speranza, allora avrebbe dimenticato tutto quello che aveva appena saputo. La Grifondoro però era più ostinata del solito nell’ignorarlo e non alzava gli occhi su di lui neanche per sbaglio. Hermione si sentiva osservata ma la sensazione che ne provava non era piacevole come al solito, anzi era inquietante. Quegli specchi di ghiaccio sapevano darle un piacere intenso e perverso percorrendo con desiderio ogni curva del suo corpo e penetrando fin sotto la sua pelle, ma stasera tutto quello che le trasmettevano era angoscia. “Cosa ti ho fatto, Draco?” pensò, fissando lo sformato di patate e broccoli. Non volle alzare lo sguardo semplicemente perché era già abbastanza disperata da sola e non le serviva certo l’aiuto di Malfoy per peggiorare la situazione. Il biondo teneva la testa appoggiata sul dorso della mano, il gomito puntellato sul tavolo e lo sguardo puntato davanti a sé. “Ehi Draco, c’è una ragione particolare per cui sei così incazzoso stasera o sono io che ti metto di buon umore?” Il compagno gli rispose con un mugolio indistinto che Blaise decise di interpretare come un no. Vedendolo tanto concentrato cercò di capire dove stesse guardando e si sorprese di vederlo tanto interessato al tavolo Grifondoro. “Problemi con qualche Grifone?” Il biondo si irrigidì. “No.” “Allora potresti smettere di diffondere tanto odio nell’aria? Mi stai rendendo amara la zuppa…” “Non è l’odio Blaise, è il veleno che mi permetterà finalmente di non doverti stare continuamente a sentire…” Il moro rimase con il cucchiaio fermo a metà strada. “Stai scherzando vero? Tu non mi avveleneresti mai…” Guardò con preoccupazione il volto truce e accigliato del ragazzo e posò il cucchiaio. “Non lo faresti, vero?” “No, ma se non stai zitto potrei cambiare idea…” Blaise fu soddisfatto della rassicurazione e poté tornare a godersi la zuppa. Draco invece tornò a convogliare tutte le sue attenzioni sulla Mezzosangue. “Andiamo alza gli occhi…” mormorò contro il proprio pugno. Non poteva arrendersi all’idea che lei si fosse comportata così meschinamente con lui. Dopotutto però ora gli pareva che la cosa non fosse poi del tutto inaspettata. A pensarci bene, lei non faceva che ripetere che stava con lui solo per il patto. Forse si era illuso che si fosse fatta coinvolgere quanto lui e cieco d’amore le aveva attribuito una passione non sua, una devozione inesistente. Maledetta Mezzosangue… Lo aveva accusato di giocare con lei e poi era stata l’unica a non fare sul serio, a limitarsi ad una fredda aderenza alle clausole del patto. Ebbene, se era quel dannato accordo tutto ciò che la teneva ancora legata a lui, che con esso finisse pure tutto! Non sarebbe stato certo lui a strisciare ai suoi piedi pregandola di non lasciarlo! Il giorno dopo sarebbe finita ogni cosa. Niente più patto, niente più dolore. “Addio Mezzosangue…” E Draco abbassò gli occhi. Nunc iam illa non volt; tu quoque, inpotens, noli, nec quae fugit sectare, nec miser vive, sed ostinata mente perfer, obdura. […] Scelesta, vae te, quae tibi manet vita? Quis nunc te adibit? Cui videberis bella? Ma ormai lei non vuole; anche tu, incapace di dominarti, non volere, e non inseguire lei che fugge, non vivere da infelice, ma con animo fermo persevera, resisti. […] Scellerata, guai a te, che vita ti rimane? Da chi dunque andrai? Chi ti vedrà bella? Catullo, carme 8 ………continua………. § Spazio autrice: § Il titolo è ripreso da un romanzo giallo di Carlo Cassola, autore che, come al solito, vi consiglio calorosamente (in particolare delle sue opere io amo “La ragazza di Bube”, 1960). MmeBovary |
Capitolo 9
*** Delitto e castigo ***
Ora godetevi la storia! CAP. 9
DELITTO E CASTIGO Una goccia scivolava pigramente su un vetro appannato della torre Grifondoro, ultima superstite di un furioso temporale notturno. La sua forma panciuta si riempiva della luce mattutina mentre il primo albeggiare si intrufolava nel Dormitorio femminile. Hermione si rotolò sotto le coperte e aprì svogliatamente gli occhi verso il cielo pallido, ora sgombro delle tetre nuvole nere che lo avevano affollato la sera prima. I raggi tardivi del Sole cominciarono a farsi ampiamente strada oltre il profilo delle montagne lontane, il che per la Grifondoro era il segno inconfondibile che ormai era proprio ora di alzarsi. Probabilmente quella stella millenaria non aveva idea delle conseguenze che il suo sorgere avrebbe avuto quel giorno sulla vita di diversi studenti. Per i Grifondoro e i Serpeverde dell’ultimo anno l’arrivo del mattino non significava che una cosa: test di Pozioni. Hermione posò a terra i piedi infreddoliti e si stiracchiò le braccia sopra la testa, sbadigliando. Si prese tutto il tempo che le serviva per prepararsi e poi scese in Sala Grande, dove trovò che i suoi amici la avevano preceduta già da un pezzo. Il tavolo della colazione era letteralmente inondato di pergamene e libri nella cui lettura erano immersi tutti gli studenti più grandi, diversi dei quali sembravano sul punto di annegare nella disperazione. Harry e Ron erano tra coloro che tentavano un disperato ripasso dell’ultimo minuto. “La radice di asfodelo va prima o dopo la pelle di girilacco?” piagnucolò il rosso, scorrendo ansiosamente le indicazioni per una pozione ingozzante. “Prima Ron, parecchio prima, prima ancora della polvere di unicorno.” “Polvere che?! Oh Dio Harry, non vedo unicorni qui…” Il moro gli mise davanti i propri appunti. “Ma sì, guarda qui è scritto chiaramente che…” “Che stai guardando la ricetta sbagliata! Quella è per l’invecchiante.” “Cazzo, hai ragione… Allora, no. L’asfodelo va dopo e poi ci va…” Hermione gettò la borsa sul tavolo, spazzando via metà delle pergamene e si lasciò cadere seduta. “Ragazzi ora basta, vi prego!” Si massaggiò le tempie e affondò il volto tra le mani. Aveva dormito malissimo a causa di tutti i dubbi che le affollavano la mente e ora cercava solo una tregua. “Scusa tanto Herm se non siamo rilassati come te…” borbottò Ron “Non tutti abbiamo avuto un insegnante di ripetizioni personale…” La bruna lo fulminò con lo sguardo. “Tanto a questo punto sapete quello che sapete e il resto non potete certo sperare di impararlo un’ora prima del test dalla lettura di una pergamena unta di burro e marmellata!” Harry arrossì con aria colpevole e cercò di dare una rapida ripulita ai suoi appunti, con il solo risultato di spandere le macchie. Hermione scosse il capo e si voltò a cercare Draco con lo sguardo ma la sua regale e bellissima figura non si mescolava come al solito con quelle degli altri Serpeverde. “Lui non c’è.” la informò il Cercatore Grifondoro. La bruna lasciò ricadere di nuovo la testa tra le palme. No, lui non c’era. Draco non si era neanche presentato a colazione, come se la stesse evitando. Gli aveva forse fatto qualcosa? Il ricordo del suo sguardo gelido della sera prima era ancora fresco sulla sua pelle. Hermione sospirò e un pensiero le attraversò al mente. Forse per lei era meglio che Malfoy non ci fosse; almeno non avrebbe dovuto continuare la chiacchierata del giorno prima riguardo al loro rapporto… Un disgusto profondo per se stessa si raccolse nel suo stomaco quando si rese conto di quanto quest’idea fosse vigliacca. Lei era una Grifondoro, per Merlino, e se c’era da affrontare un problema lo avrebbe fronteggiato a testa alta, non si sarebbe certo nascosta dietro la scusa che quella Serpe la stava evitando. Se il signorino non si degnava di rivolgerle la parola, allora lo avrebbe fatto lei. Rianimata nell’orgoglio, la Grifondoro si voltò verso Ron e rimase un attimo titubante, davanti all’espressione del suo amico che pareva aver appena avuto una folgorazione mistica. Il rosso la guardava senza vederla, pensando a qualcos’altro, gli occhi persi nel vuoto, le labbra aperte. “E se…” cominciò dopo alcuni secondi il ragazzo “E se… ci scrivessimo dei suggerimenti?! Delle piccole note!” “Sulle braccia?” propose Harry. “No, no troppo scontato… Facciamo che tu te le scrivi dietro il lobo dell’orecchio e poi ti siedi davanti a me e ogni tanto ti gratti l’orecchio e mi fai leggere che c’è scritto.” Harry inclinò il capo, perplesso. “E come ce li facciamo entrare tre libri di roba in quattro centimetri quadrati di pelle?” “Beh… Magari con un incantesimo.” “Sì, ma poi se anche funziona per te, io come faccio a guardarmi dietro l’orecchio?” Ron si grattò la testa. “Non ci avevo pensato, forse Hermione potrebbe sedersi davanti a te e fare lo stesso…” La bruna si alzò scuotendo il capo e afferrò un cornetto alla crema. Fece un cenno di saluto ai suoi amici e se ne scappò in fretta da quel manicomio, giusto in tempo per non sentire Ron che proponeva di minacciare Piton di lanciargli una pozione allargante sul nasone se non dava Eccellente a tutti. Appena fu fuori dalla Sala Hermione tirò un sospiro di sollievo e prese a scendere verso l’aula di Pozioni addentando la sua colazione. Il sapore zuccherino del croissant ebbe un momentaneo effetto consolatorio, ma sparì presto sul fondo del palato, portando con sé anche l’illusione agrodolce di poter non pensare a Draco per un po’. Il biondo infatti era appoggiato al muro accanto alla porta ancora chiusa dell’aula e aspirava lunghe boccate di fumo da una sigaretta che presto sarebbe andata ad aggiungersi alle altre già accartocciate ai suoi piedi. Doveva essere lì da parecchio. Quando notò la presenza della Grifondoro, Draco spense il mozzicone contro il muro ed esso cadde a terra, dove morì in un lieve crepitio di braci. “Sei arrivata presto Mezzosangue… Nervosa per la grande prova?” Il suo sguardo era distante e la sua voce priva di qualsiasi gentilezza e Hermione sentì improvvisamente tutto il freddo dei sotterranei scivolarle nelle ossa. “Direi che sono più calma di molti altri. Tu, piuttosto, sembri agitato.” Draco girò leggermente il viso fino a poterla guardare negli occhi ma sembrò cambiare idea e tornò a fissare la parete di fronte a sé. “Ero un po’ nervoso, ma una gentile studentessa del quarto anno si è offerta di farmi un bel massaggio rilassante…” masticò con voce poco convinta, sparando la prima cattiveria che gli veniva in mente. Hermione sentì lo stomaco che le si annodava. Perché le diceva una cosa simile? Perché era ancora così gelido con lei? “Sei un maniaco.” Lo rimbrottò tra il serio e il faceto. Una risata sarcastica riempì l’aria umida. “Senti da che pulpito viene la predica…” ironizzò il biondo, decidendosi finalmente a fissarla negli occhi. La Grifondoro aprì la bocca per parlare ma lo sdegno le bloccava la gola: per caso il bastardo aveva appena insinuato che anche lei fosse della sua stessa pasta?! “Come osi…” Strinse gli occhi fino a ridurli a sottili fessure bronzee. Il sangue le pulsava nelle vene con rabbia. “Non fare la santarellina con me Granger.” Il Serpeverde la raggiunse con poche falcate e la intrappolò contro una parete inchiodando le braccia ai lati della sua testa. Il suo corpo muscoloso aderiva perfettamente alle curve leggere di Hermione fino a schiacciarle nel petto il proprio respiro. La bruna cercò di sfuggirgli ma non poté muoversi di un millimetro. “A che gioco stai giocando Malfoy?” Lui avvicinò il proprio viso al suo fino ad accarezzare il suo naso col proprio fiato caldo. “Tu credi sempre che io stia giocando, vero Mezzosangue?” le sue labbra scorrevano lungo la sua guancia senza toccarla “Anche l’altra sera… in camera mia, mi hai detto di non giocare con te, ricordi?” le sue parole sottili si perdevano nel contatto con l’orecchio di Hermione “Eppure alla resa dei conti, non mi pare proprio di essere stato il più falso di noi due…” La sua ultima frase assomigliava più ad un ringhio sofferto che ad un’affermazione. Hermione sentì le ginocchia cedere mollemente sotto il peso di tanto disprezzo. Forse se avesse immaginato quali pettegolezzi avevano raggiunto il Serpeverde la sera prima, avrebbe capito le ragioni di quel comportamento da bastardo possessivo, ma in quel momento ai suoi occhi tanta cattiveria era totalmente ingiustificabile. “Io sarei falsa?!” mormorò con la forza che un’ondata di rabbia le aveva finalmente ridato “Non sei stato forse tu a chiedermi di essere qualcuno che non sono?” Draco si allontanò da lei quanto bastava per poterla guardare in viso e lei ne approfittò per affondare una mano in tasca. “Io avrei fatto cosa, Mezzosangue?” “Non mi hai forse chiesto di essere docile e arrendevole sotto le tue labbra? Di concederti un diritto sul mio corpo che io spontaneamente non ti avrei mai dato?!” La bruna estrasse la mano dalla tasca, portando alla luce la bacchetta che stringeva tra le dita e puntandola al petto del Serpeverde. Il biondo le gettò un’occhiata veloce, ma non sembrò prendere in considerazione l’ipotesi che la Grifondoro potesse colpirlo veramente. “Quindi…” ribatté con voce melliflua “…hai fatto conto di essere un’altra e mi hai concesso il tuo corpo per affari…” Si spinse di nuovo verso di lei, lasciando che il sottile bastoncino di legno incantato premesse sul suo sterno, sprezzante del rischio. Accarezzò una guancia della sua Mezzosangue e le prese il mento tra le dita. Lei non smise di fissarlo. Sembrava così fiera, meravigliosa, pura e invece lui la vedeva come la più meschina delle traditrici. “Quindi ti sei data a me…” proseguì sulla sua bocca dischiusa “…come una puttana…” Forse avrebbe suggellato quell’affermazione divorando con un bacio rabbioso le labbra della Grifondoro, se solo lei gliene avesse lasciato il tempo. Invece non fu così. La scarica di sdegno furioso che partì da quelle iridi color cioccolato si propagò direttamente fino alle sue dita e scaturì in uno Schiantesimo non-verbale che prese Draco in pieno petto. Il biondo accusò il colpo e cadde indietro boccheggiando. La aveva sottovalutata. “Sei solo un bastardo Malfoy…” La voce le uscì dalla gola incerta e spezzata, più di quanto non volesse. “Sei il peggiore dei bastardi! E vorrei tanto non averti mai incontrato!” Lo vide portarsi una mano al petto e stringere i denti. “La mia sola fortuna” incalzò la bruna “è che tra meno di quattro ore non dovrò più rivolgerti la parola!” Draco tenne lo sguardo ostinatamente rivolto al pavimento. Quattro ore e sarebbe finito tutto. “Forse Granger… è la fortuna di entrambi…” Hermione chiuse gli occhi per un istante, poi si girò e corse via. Mentre fuggiva da quel sotterraneo senza voltarsi indietro, gli occhi le si riempirono di lacrime calde che rotolarono giù dalle sue guance arrossate e si infransero a terra. Quelle delicate stille salate non erano che le ultime vittime di un amore maledetto che aveva già preteso il sacrificio inutile del suo orgoglio, della sua sincerità, del rapporto con i suoi amici. Draco le guardò mischiarsi alla polvere sporca che copriva il pavimento e perdere la loro purezza. Quella era stata la fine che aveva fatto il suo rapporto con la Grifondoro, era caduto dalla beatitudine assoluta allo squallore immondo, come un angelo ribelle cacciato dal Paradiso e scagliato all’Inferno senza possibilità di appello. Il biondo si rimise in piedi, aggrappandosi alla parete. Quella mattina era andato direttamente in aula senza fare colazione per non dover incontrare la Granger e invece se l’era vista arrivare davanti. Una parte di lui che non era riuscito a soffocare aveva gioito di quell’angelica visione, ma il suo orgoglio ferito aveva affogato quei sentimenti nella mera sete di vendetta. Il tradimento che lei aveva commesso era un delitto imperdonabile e meritava un castigo adeguato. Ora che la Mezzosangue era sparita di nuovo dalla sua vista, però Draco non sapeva più cosa provasse. S’imponeva di odiarla, ma non poteva. Inspiegabilmente avrebbe voluto invece correrle dietro, stringerla nel suo abbraccio, sentire i palpiti accelerati del suo cuore contro la sua anima e mormorale che la perdonava, che andava tutto bene, che non c’erano né giochi, né patti, né inganni, solo loro due. Insieme. Pensieri lodevoli, certo, ma più che mai lontani dall’essere tramutati in azioni. Hermione arrestò la propria fuga solo quando ebbe raggiunto il primo piano. Respirava a fatica per la corsa e il pianto imminente che le spezzavano il fiato con lunghi singhiozzi. Si appoggiò a una statua e chiuse gli occhi, tentando di ricacciare indietro le lacrime, ma non riuscì a sentirsi per niente meglio. Un’amara sensazione di soffocamento le risaliva lo stomaco facendole tremare le labbra, annunciando il pianto inevitabile. Un gruppetto di Serpeverde del primo anno intanto scendeva le scale davanti a lei. Cosa poteva esserci di più umiliante che farsi trovare in un angolino a piangersi addosso? Con la rapidità della disperazione, Hermione notò la porta del bagno delle ragazze alle proprie spalle, la aprì e la oltrepassò in silenzio. Si nascose in un gabinetto qualunque, sperando che nessuno da fuori sentisse i suoi singulti e di poter così finalmente avere un attimo di pace. Si sedette sulla tazza chiusa e lasciò cadere indietro la testa, fissando il soffitto picchiettato di macchie d’umido. Subito calde lacrime ripresero a scendere dai suoi occhi dorati e scivolarono giù lungo il suo collo. Si sentiva così sola… Non avrebbe voluto che una cosa in quel momento: essere con Draco. Si ripeteva che doveva dimenticarlo, che lui le aveva appena dato della puttana, la aveva illusa, umiliata, disprezzata ma non riusciva a convincersi che lasciarlo la avrebbe fatta felice. Avrebbe voluto che lui le fosse corso dietro, che l’avesse stretta nel suo abbraccio, contro il suo petto ampio e rassicurante per dirle che andava tutto bene, che non c’erano né giochi, né patti, né inganni, solo loro due. Insieme. Al tempo stesso però non osava neppure sperare che il Serpeverde potesse anche solo formulare simili pensieri. No, Draco non era lì ad asciugare le sue lacrime e non c’era da sperare che arrivasse. A separarlo da lei si trovavano un paio di muri, qualche strato di pietra e sette anni di disprezzo. Amarlo era il suo delitto, soffrirne il suo castigo. Improvvisamente un singhiozzo proveniente dalla sua destra la fece sussultare. Non si era resa conto che ci fosse qualcuno nel bagno accanto al suo. La voce salì più chiara in un prolungato gemito di disperazione e Hermione la riconobbe. “Ginny?!” “Herm?” Le due ragazze restarono un attimo in silenzio, fissando la parete di cartongesso verde scuro che si ergeva tra loro. Fu la rossa la prima a ritrovare la parola. “Herm, perché stai piangendo?” “E tu?” svicolò la bruna. “H-Harry…” Un altro singhiozzo riempì l’aria. Hermione si mise in piedi sulla tavolozza del water, asciugandosi le lacrime, ma non riusciva lo stesso a vedere la compagna. Allora puntò la bacchetta su di sé e mormorò un Wingardium Leviosa che le permise di sollevarsi di qualche decina di centimetri. “In che senso Harry?” Ginevra alzò il capo e per poco non cadde in terra dallo spavento, vedendo la Grifondoro fluttuare nell’aria, come sospesa da fili invisibili. “Non ho il coraggio di parlargli…” mormorò con titubanza, quando si fu ripresa dallo shock “Mi sento così in colpa!” “Puoi sempre confessargli il tuo piccolo tradimento. Dopotutto non è così grave… vi eravate lasciati, no?” “Sì, ci eravamo lasciati da poche ore e io già l’ho tradito!” esplose la rossa, nascondendo il viso tra le palme. Hermione si torturò un labbro. La situazione era complessa. “Se preferisci, puoi non dirglielo, ma poi temo che dovrai fare i conti con la tua coscienza. Non so se riusciresti ad essere serena al suo fianco con una simile spada di Damocle sulla testa.” La replica di Ginevra non fu che un lungo gemito scoraggiato. La bruna pregò che nessuno dal corridoio la sentisse e cercò di calmarla. “Dai Ginny, non disperarti così… Vedrai che si sistemerà tutto. Se ami Harry, un piccolo incidente non v’impedirà di stare insieme.” Stranamente questo bel discorso non ebbe l’effetto calmante che avrebbe dovuto, anzi non fece che aumentare l’intensità del pianto della giovane Weasley. “Se Blaise non ha significato nulla, non ti ci vorrà molto per dimenticarlo…” Qualcosa non andava. Perché Ginevra invece di calmarsi era sempre più scossa dai tremiti del pianto? “Ehm… tutto bene?” “No!” gridò la ragazza tra le lacrime “Non va bene! Io lo amo, dannazione, lo amo!” Sebbene sollevata da terra, Hermione si sentì sprofondare. “Quando dici -lo amo- non intendi Harry, vero?” “No! Blaise… Io-io…” la sua voce si spense nell’ennesimo singulto “…io lo amo.” “Oh Dio, ma sei matta?” si lasciò sfuggire Hermione. “Non ti ci mettere anche tu, per favore! Sto già abbastanza male con il solo pungolo della mia coscienza…” “Scusa…” La bruna sospirò. Che diritto aveva lei di criticare? Non era forse anche lei in quello stesso bagno a piangere per un Serpeverde il cui amore le era proibito? “Probabilmente…” proseguì la rossa “Lui non si ricorda neanche di me…” “Ma se ha detto che non ti avrebbe mai dimenticata!” Hermione si morse la lingua per averlo detto. Questa era un’informazione che lei non avrebbe dovuto avere perché la aveva carpita quando si era trovata ad origliare di nascosto da sotto una cattedra. “È vero… ma se non fosse stato serio?” sussurrò la giovane Grifondoro per poi esitare un attimo, come se ci fosse qualcosa che non capiva bene “…scusa, ma tu come facevi a saperlo?” “Me lo hai raccontato tu ieri sera, non ricordi?” Ecco che mentiva di nuovo ad un’amica. Hermione si sentì un verme. Aveva giurato di essere sincera, ma stava già deviando dal suo buon proposito. Le tornarono alla mente le parole di Draco: “Non mi pare proprio di essere stato il più falso di noi due…”. La menzogna, tarlo maledetto, aveva forse scavato così profondamente nella sua vita da rodere ogni possibilità di avere un rapporto sincero con qualcuno? Era ormai troppo tardi per liberarsene? Forse no. “Senti… magari posso chiedere a Malfoy se può parlare lui a Blaise e chiedergli cosa prova per te.” Gli occhi della Grifondoro si illuminarono di un’intensa speranza. “Davvero lo faresti?! Parlare con Malfoy? E pensi che ti darebbe retta?” La bruna sorrise dolcemente. Forse era il momento di metterla al corrente di alcuni dei recenti avvenimenti. Si preparò a rivelare finalmente il suo segreto, a spalancare la porta del suo cuore… La porta si spalancò di botto. Non quella del cuore però, bensì quella del bagno. “Hermione, cavolo sei qui?” Il moro aveva urlato tenendo la testa voltata verso il corridoio, per non dover guardare nel bagno femminile. “Harry? Che vuoi?!” Il ragazzo si voltò e i suoi occhi smeraldini si spalancarono increduli vedendo la sua amica volteggiare un metro al di sopra del terreno. “Herm, io capisco che i water non siano esattamente pulitissimi, ma non è un po’ scomodo farla da lassù?” “Non fare lo scemo.” Lo redarguì la bruna per poi mormorare un controincantesimo e scendere delicatamente verso il basso. Si diresse velocemente verso il Cercatore, lo afferrò per un braccio e lo trascinò fuori prima che potesse notare la presenza di Ginevra. “Che cosa volevi?” chiese dolcemente, una volta in corridoio. “Che cosa volevo?! Ma eri a farti una canna in quel cesso, Herm? Il test di pozioni, cazzo! Comincia tra cinque minuti!” “COSA?!” La bruna lanciò uno sguardo orripilato all’orologio e si rese conto di essersi completamente dimenticata del test più importante dell’anno. Una scarica di adrenalina le percorse il corpo e mosse le sue gambe in fretta e furia verso i sotterranei. Harry la seguì a fatica, evitando per miracolo di travolgere un paio di ragazzine del primo anno che volevano probabilmente fermarlo per chiedergli un autografo. Quando arrivarono in aula tutti erano già al proprio posto ad attendere il professore e diversi occhi si girarono sui ritardatari. Hermione procedette a capo basso verso la prima fila e si scontrò per sbaglio con i gomiti bitorzoluti di Goyle che sporgevano dal banco, decisamente troppo piccolo per la sua mole. “Ehi Mezzosangue, sta un po’ più attenta!” Nervosa per il poco sonno, la mattinata difficile e la corsa, Hermione non riuscì a rispondergli molto civilmente. “Oh mio Dio, Goyle, ma allora sai parlare! E io che credevo grugnissi e basta…” vide gli occhi plumbei di Draco puntati su di sé “Ti ha insegnato il tuo padroncino Malfoy? Perché lui con le parole è proprio bravo…” Bravo a ingannare, bravo a ferire. “Tu invece potresti morderti la lingua Granger…” sibilò in risposta il biondo, puntellando i gomiti sul tavolo e lasciandovi ricadere il mento con aria annoiata. “Sputeresti meno veleno e spareresti meno cazzate…” Hermione sentì il petto gonfiarlesi di rabbia e si preparò a rispondere, ma l’ingresso di Piton la interruppe. “Allora, siete tutti pronti? Signorina Granger, vuole andare a sedersi o ha bisogno di un invito scritto?” La ragazza raggiunse Harry e si sedette al suo fianco, lanciando occhiate in tralice a Malfoy. Il Serpeverde manteneva la sua posizione languida, giocherellando con una piuma. Non sembrava minimamente toccato da quello che era successo quella mattina. Piton intanto aveva raggiunto la lavagna che a un suo tocco si riempì di ingredienti fittamente scritti. “Allora, siete tutti ai vostri posti? Su… Cominciate! Avete tre ore!” Hermione prese un respiro. Tre ore e sarebbe finito tutto. Lanciò un’ultima occhiata a Draco, seduto una sola fila dietro di lei e ora intento a sminuzzare una radice. Tre ore e gli avrebbe detto addio… Addio a Draco, il suo unico delitto, il suo eterno castigo. “E se almeno la sorte gli avesse concesso il pentimento, un pentimento cocente, di quelli che spezzano il cuore, che scacciano il sonno, un tale pentimento che, con i suoi terribili tormenti, portasse a bramare il cappio o l’acqua dello stagno! Oh, come se ne sarebbe rallegrato! Torture e lacrime sono anch’esse vita. Ma egli non si era pentito del proprio delitto.” Fëdor Michajlovič Dostoevskij, “Delitto e castigo”, 1866 ………continua………. § Spazio autrice: § Il supposto tradimento di Herm è un delitto e l’odio di Draco il conseguente castigo; per lei amare il Serpeverde è un delitto e soffrirne è il giusto castigo; Draco stesso alla fine riassume, in quanto fonte di amore e di odio, le due cose insieme. Dirvi da cosa sono ripresi il titolo e la citazione finale è quasi superfluo: dal celeberrimo “Преступление и наказание” (leggi: “prestuplenie i nakazanie”, cioè “Delitto e castigo”) di Dostoevskij, uno dei romanzi più intensi e meravigliosi di tutti i tempi. La storia, intessuta dei più svariati temi, dal protosocialismo al superomismo, ruota attorno alle vicende di Raskol’nikov, giovane studente russo che, spinto soprattutto da considerazioni teoriche, uccide una vecchia usuraia, condannandosi al rimorso e alla nevrosi. Le frasi che ho citato sono una riflessione che si trova nella parte finale e che quando ho letto il libro mi avevano abbastanza colpita. Ho pensato che potesse adattarsi bene sia a Hermione che a Draco, convinti entrambi al momento di aver fatto uno sbaglio ma incapaci di pentirsene. MmeBovary. |
Capitolo 10
*** Doppio sogno ***
Piccolo avviso:
i personaggi di questa fanfic non sono miei, appartengono tutti a J.K.
Rowling ed io li uso momentaneamente senza fini di lucro o simili.
Eventuali citazioni da altri autori sono poste tra virgolette o
segnalate come tali. Ora godetevi la storia! CAP. 10
DOPPIO SOGNO Un pizzico di polvere di corno di unicorno. Tre gocce di succo di arancia sanguigna. Due petali di camelia bianca. Otto foglie di ortica secca. Il pentolone di Hermione emise un gorgoglio roco e poi la sua superficie si increspò in un rincorrersi di bolle. Pochi secondi e tutti quei rigonfiamenti esplosero con un soffio stanco e sputarono verso l’alto una sottile linea di fumo azzurrognolo che andò a sommarsi a quella appena innalzatasi dalla pozione di Draco. La Grifondoro seguì inconsapevolmente la traccia evanescente del vapore fino agli occhi del biondo, senza però incrociare il suo sguardo, fisso sul suo banco di lavoro, apparentemente incurante di qualsiasi altra cosa. Hermione si dette mentalmente della stupida per essersi distratta e cercò di focalizzare anche lei tutta la propria attenzione sul compito. Dette un’occhiata veloce alla lavagna e constatò che doveva ancora aggiungere il dittamo e la corteccia di faggio, ma prima la pozione aveva bisogno di essere girata: 12 volte a sinistra, 6 a destra, 9 a sinistra. Immerse il lungo manico di legno chiaro nel composto che andava addensandosi e iniziò a raschiare il fondo con lenti movimenti circolari. Un giro a sinistra… Due giri a sinistra… Tre giri a sinistra… Ancora poco e quella pozione rigenerante sarebbe stata finita. Sei giri a sinistra… Era assurda la casualità del destino: quella era stata la prima pozione che aveva preparato con Draco e sarebbe stata anche una delle ultime. Undici giri a sinistra… Hermione si passò il dorso della mano sulla fronte imperlata da piccole goccioline di sudore e si allargò il colletto tirandolo con l’indice. Tutti quei dannati calderoni a bollire sul fuoco surriscaldavano l’ambiente da impazzire. Dov’era rimasta? Ah, sì… Un giro a destra… La pozione parve reagire al brusco cambio di direzione e iniziò a bollire più velocemente, assumendo anche una colorazione più scura ed un intenso aroma pungente. Quattro giri a destra… Quell’odore penetrante aggredì improvvisamente le narici di Hermione e schizzò su fino al suo cervello, risvegliando il ricordo sopito della prima ripetizione con Draco, di quando lui si era ferito e aveva provato su se stesso i risultati del suo lavoro, fidandosi di lei. Si era sentita così strana quella volta… Era stato così assurdo trovarsi a tu per tu con il biondastro a fare qualcosa di diverso dal mandarsi solo reciprocamente al diavolo. Per non parlare di quant’era stata imprevedibile la sensazione provata al contatto con le sue labbra, con le sue mani, con il suo corpo… Santo Cielo, faceva ancora più caldo di prima o era una sua impressione? Cinque giri, no sei forse… a sinistra, no, destra? Sì, sì a destra… Un’altra ora scarsa, un’altra pozione e poi lei e Malfoy si sarebbero detti addio. Niente più pomeriggi passati a ridere davanti ai fumi di qualche stomachevole preparato, niente più baci rubati fuori dall’aula due secondi prima di entrare e scusarsi col professore per essere ancora una volta in ritardo, niente più batticuore nell’attesa di sentire ancora le sue mani scorrere sulla propria pelle… Nove giri, macché dieci, no forse undici… da che parte? Hermione si bloccò di scatto. Merda. Si era distratta. Aveva perso totalmente il conto. Gettò un’occhiata disperata alla preparazione bluastra che bolliva ai suoi piedi, quasi che essa potesse ricordarle quanto ancora doveva girare. “Ancora sette volte verso sinistra…” La Grifondoro si voltò di scatto verso la fonte dell’inaspettato suggerimento. L’ultimo da cui si sarebbe aspettata un aiuto: Draco. “Grazie…” sussurrò, abbassando il capo. Tornò subito a dedicarsi alla sua pozione. Sette giri a destra ed essa assunse una tonalità violacea. Hermione aggiunse il dittamo e la corteccia tritata, infine spense il fuoco. Un’altra pozione perfettamente riuscita, pronta per essere versata in un paio di fialette, etichettata e consegnata al professore. Quando si alzò e andò a posare il suo lavoro sulla cattedra, Hermione sentì un movimento alle proprie spalle e percepì la presenza di Draco accanto a sé; anche lui doveva aver terminato. La Grifondoro si fermò davanti al tavolo di legno scuro su cui si accalcavano ormai decine di provette e senza rendersene conto restò ad attendere che il biondo si facesse più vicino. Tutto il suo corpo si tese nell’istante in cui avvertì la compattezza del suo petto premerle contro la schiena. Fu una reazione involontaria, totalmente irrazionale; per un attimo la sua mente si offuscò e tutto ciò cui riuscì a pensare fu che Draco era dietro di lei, abbastanza vicino da sentire il suo cuore pulsare e il suo braccio sfiorarle un fianco mentre allungava la mano verso la cattedra. Aveva bisogno di toccarlo… Socchiuse gli occhi. Chi sa cosa sarebbe successo se si fosse voltata e lo avesse baciato lì in mezzo alla classe, sotto il naso del professore… “Signorina Granger vuole spostarsi o il signor Malfoy deve calpestarla per riuscire a consegnare il suo compito?” Alla voce di Piton, Hermione ebbe un sussulto e si rese conto di essere ferma da mezzo minuto davanti alla cattedra con gli occhi di mezza classe piantati addosso. “Io no… cioè, sì… scusi, vado a posto…” Si voltò di scatto e senza volere si trovò a sbattere contro Draco. “Ehi Granger, vedi di fare un po’ più attenzione a dove metti i piedi…” La bruna non si fermò a rispondergli e proseguì a diritto verso il banco, lottando contro il rossore che le aggrediva le guance. Per la seconda volta nel giro di mezz’ora si dette dell’idiota. Ma cosa diamine le era preso?! Inspirò forte e attese che Piton scrivesse alla lavagna gli ingredienti della prossima pozione. Intorno a lei gli altri studenti si affaccendavano ancora sui propri calderoni, cercando di finire in tempo. La pozione di Harry, a giudicare dalla fatica che il moro faceva a girarla, era troppo densa, ma tutto sommato accettabile per colore e odore, quella di Ron tendeva vagamente al verde e quella di Neville… beh, purtroppo ci sarebbe voluta molta fantasia anche solo per chiamare quell’ammasso grumoso e puzzolente “pozione”. Il povero ragazzo sudava terribilmente e tentava invano di completare il suo compito, il quale aveva raggiunto però una consistenza tale da restare completamente attaccato attorno al mestolo, come fosse impasto per biscotti. Invece di versarlo, Neville dovette pigiarlo con le dita dentro la fialetta… “Tempo scaduto!” tuonò Piton, cancellando di colpo gli ingredienti alla lavagna e scrivendone di nuovi. “Ultima pozione!” Hermione si mise al lavoro. Chiuse la mente a qualunque distrazione esterna: stavolta c’erano solo lei, i suoi ingredienti e il suo calderone di argento che mezz’ora dopo era già pieno di un liquido madreperlaceo e inconsistente come l’acqua. Preparandosi a concludere questo ennesimo successo, Hermione controllò ancora una volta la situazione dei suoi compagni. Neville era nel panico. Circondato da fialette vuote e ingredienti sparsi a casaccio sul tavolo, pareva totalmente ignaro di ciò che stava accadendo nel suo calderone. “Paciock!” lo apostrofò il professor Piton “Non dovrebbe sudare nella sua pozione, lo sa?” Una risatina di scherno si sollevò dalla zona dei Serpeverde. “Altrimenti, essa risulterà pessima…” un sorriso maligno gli stirò le labbra sottili “Ma sicuramente il suo lavoro sarà orribile comunque. Quindi si sciolga pure dentro quel pentolone…” Il povero Grifondoro sembrava veramente desideroso di sciogliersi e scomparire nelle fessure della pietra. Tremava come una foglia. “Sa, Paciock… no, probabilmente non lo sa… quello che sta tentando di realizzare è un leggero Veritaserum. Chi lo ingerisce non dice obbligatoriamente la verità, ma se prova a mentire poi si smaschera da solo: sente l’irrefrenabile impulso di ridere o di picchiarsi o di darsi del bugiardo… Ma visto l’aspetto del suo compito…” concluse dando un’occhiata al liquido colloso e grigio “…è più probabile che inizi a sudare come un maiale…” Hermione sentì un’ondata di rabbia risalirle il petto mentre le risate delle Serpi costringevano Neville ad abbassare gli occhi arrossati. Il ragazzo sembrava ormai sul punto di svenire: i capelli gli si erano attaccati alla fronte madida di sudore, gli occhi chiari erano vacui e acquosi e la mano che reggeva il mestolo tremava violentemente. “Ehi, Neville, tutto bene?” si informò Hermione. Il Grifondoro deglutì rumorosamente e accennò un sì incerto con la testa. Un grosso gocciolone di sudore rotolò giù schiantandosi sulla polvere di piovra che si era sparsa sul tavolo. Neville prese una manciata di artigli di lupo e li trascinò dentro il calderone, mischiandoli con un’eccessiva quantità di piovra. La bruna pensò di chiedergli se aveva bisogno di una mano, ma un’occhiata sospettosa di Piton la dissuase, così tornò a dedicarsi al proprio lavoro. Aggiunse un crine di unicorno e il suo Veritaserum divenne trasparente, come da ricetta. “Perfetto.” Costatò la ragazza, cominciando a riempire varie provette. L’odore nauseante della pozione di Neville riempiva l’aria. “P-professore?” balbettò il ragazzo. “Che c’è adesso Paciock?” “C-credo di non sentirmi m-molto bene…” Piton avrebbe voluto dirgli di fare poche storie e stare zitto, ma non fece in tempo perché il Grifondoro terminò la frase cadendo a terra con un sonoro tonfo. Nel farlo, urtò violentemente il proprio calderone che gli si rovesciò addosso e colpì dal basso il tavolo più vicino, cioè quello di Hermione. La ragazza fu abbastanza svelta da afferrare un paio di fialette di Veritaserum, ma tutto quello restante fu sbalzato in aria dall’impatto che aveva letteralmente mandato a gambe all’aria il suo banco. Il liquido trasparente volò in aria e fuoriuscì dai piccoli contenitori di vetro per andare a rovesciarsi sulla fila dietro a quella di Hermione. “TU, PACIOCK! STUPIDO MAIALE INUTILE!” urlò Draco, sputando a terra la pozione che gli era colata dai capelli su tutto il volto. “Malfoy, tappati quella fogna!” si infervorò Ron. “Weasley! Cinque punti in meno a Grifondoro!” “Ma professore! È Malfoy che ha cominciato…” “SILENZIO!” Ogni rumore cessò, tranne il lento sobbollire delle pozioni e il gorgoglio sordo che usciva dalla gola di Neville. Piton cercava disperatamente un modo per evitare che quell’insignificante studente morisse e per riuscire al tempo stesso a concludere il test. “Se vuole professore, posso accompagnare io Neville in infermeria. Tanto ho già finito il compito.” Si offrì Hermione, porgendogli una delle fialette superstiti. “Va bene, vada Granger, vada…” mormorò stancamente il professore, facendole un gesto distratto con la mano, più simile a quello che si fa per scacciare una mosca fastidiosa che per dare a qualcuno il permesso di uscire. La bruna cercò di rialzare il compagno steso a terra, ma invano. Il ragazzo se ne stava disteso con la bava alla bocca e non collaborava minimamente agli sforzi sovrumani che Hermione faceva per sollevarlo. In quel momento Draco si avvicinò alla cattedra. “Professore, forse dovrei dare una mano alla Granger, visto che ho finito anch’io.” Piton guardò vagamente stupito il suo alunno prediletto che si offriva di aiutare due Grifondoro. “Così magari mi faccio dare anche un’occhiata da Mme Chips.” concluse Draco. “Sì, sì, certo signor Malfoy, vada pure…” Il biondo si affiancò a Hermione e sollevò con un gesto deciso la mole considerevole di Neville. “Tu prendilo dall’altra parte Mezzosangue.” La ragazza ubbidì e si passò il braccio del Grifondoro attorno al collo, poi, con passo un po’ incerto, lo strano trio uscì dall’aula. Dopo soli due piani Hermione sentì il bisogno improrogabile di fermarsi un attimo a riposare. “Aspetta Draco… devo riprendere… anf… fiato.” Mollò al biondo tutto il peso e si accasciò contro una colonna, sventolandosi con la mano. Il Serpeverde rimase a fissarla. Era meravigliosa anche così, con i capelli in disordine, le guance arrossate dalla fatica e il petto percorso da sottili stille di sudore, anzi era quasi più bella del solito. Lo sforzo rendeva ancora più vivida la luce dei suoi occhi e Draco indugiò un attimo nel fantasticare su quanto dovessero essere belle quelle iridi dorate, accese di lussuria mentre la Mezzosangue faceva l’amore… Probabilmente lui non lo avrebbe mai saputo. “Perché mi hai aiutata?” La domanda della Grifondoro lo colse impreparato. “Cosa?” La voce gli uscì più roca di quanto non volesse, impastata dal desiderio che aveva provato nel guardare la ragazza. “Perché mi hai aiutata?” ripeté lei lentamente. “Non credo che saresti mai riuscita a portare questo bestione fino al quinto piano, quindi non lamentarti.” Lei scosse il capo. “Intendevo prima, con la pozione.” Draco si prese un attimo prima di rispondere. “Sarebbe stato il colmo se dopo settimane di ripetizioni tu avessi mandato a puttane tutti i miei sforzi per una distrazione del genere. Ne andava del mio onore in quanto tuo insegnante.” Non aveva neanche finito di parlare che udì una vocina sottile nella testa martellargli il cervello. “Non è vero, non è vero, non è così… Stai mentendo… L’hai fatto perché tieni a lei… stai mentendo…” Il biondo provò a scacciare questo borbottio colpendosi la fronte e prendendosi le tempie tra le mani. Ma cosa diamine gli stava succedendo? Davanti a lui Hermione esibiva un ghigno malefico degno del principe delle Serpi. “Cos’hai da ridere Granger?” “Rido perché stai mentendo… e perché ora so che il mio Veritaserum funziona perfettamente.” Con nonchalance si affiancò di nuovo al biondo e prese il braccio di Neville sulle spalle, ma Draco non si mosse di un passo. “Non sarai così meschina da approfittare di questa situazione?” Voleva suonare spavaldo, ma una nota di preoccupazione incrinava la sicurezza della sua voce. “Può darsi…” ritrose Hermione senza smettere di sogghignare. “I Grifondoro non si comportano così…” La bruna gli si parò davanti, lasciandogli di nuovo tutto il peso di Neville. “I Grifondoro fanno anche di peggio!” Gli piantò in faccia due occhi di pura fiamma. Doveva chiederglielo. Ora o mai più. “Sei stato a letto con Pansy Parkinson?” Di tutte le domande possibili, questa era una delle ultime che il Serpeverde si sarebbe aspettato. “Più di una volta.” “Intendo due giorni fa.” “La sera della ripetizione?” La sera in cui Pansy si era offerta a lui in giardino e lui la aveva rifiutata. La sera in cui aveva chiesto alla sua Mezzosangue di concedersi a lui e lei lo aveva rifiutato. “E se anche fosse?” “Rispondi.” “Non sono tenuto a farlo.” “RISPONDI!” “NO! Non l’ho fatto, va bene? Non sono stato con nessuna da quando ti do ripetizioni, era questo che volevi sentire?!” Lasciò andare di colpo Neville che si accasciò a terra facendo rimbombare il corridoio. Hermione cercò di soccorrerlo, ma il Serpeverde le sbarrò la strada e afferrò con rabbia il braccio che lei aveva teso verso l’amico. “Sei contenta ora? Ora che lo sai? Ti fa sentire tanto scaltra sapere che io non ti ho tradita?” Parlava con rabbia, stringendole il polso “Bella idea il Veritaserum… magari ti sei messa pure d’accordo con questo verme perché me lo rovesciasse addosso, eh?” Ignorò la debole protesta di lei che scuoteva il capo e cercava di prendere invano la parola “Ti senti meglio ora Mezzosangue? O forse non è così? Avresti forse preferito sapere che ti ho tradita per sentirti meno in colpa?!” Hermione si divincolò dalla sua stretta. Il suo sguardo, tagliente come una lama, le faceva paura. “Draco, lasciami! Mi fai male!” Lui mollò subito la presa, come se la sua pelle avesse preso improvvisamente a bruciare. Si allontanò da lei e le rivolse la schiena, passandosi una mano tremante tra i capelli ancora umidi di pozione per poi colpire violentemente il pugno con il muro. Le lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Come vedi Mezzosangue… Ancora una volta non sono io né il più doppiogiochista né il più falso dei due…” Poche parole dette con odio e disprezzo, poi il Serpeverde si voltò e sparì nella volta delle scale. Hermione si trovò da sola. Sola con il suo dolore e i suoi dubbi. Intorno a lei, un corridoio vuoto in cui il solo rumore udibile era il gorgoglio continuo che risaliva la gola di Neville assieme ad una bava bluastra. Dio solo sapeva cosa c’era in quella pozione che aveva ingerito… Doveva assolutamente essere portato in infermeria. Con un enorme sforzo di volontà la Grifondoro si rialzò da terra, ma lo stesso sforzo di volontà non le fu sufficiente per riportare in piedi anche l’amico svenuto. “Dannazione…” imprecò tra i denti, mentre il ragazzo le scivolava di mano per la terza volta. “Mi scusi signorina, le serve aiuto?” Hermione si guardò intorno. Non c’era nessuno in corridoio… Allora chi aveva parlato? “Signorina?” La bruna si rese conto in quel momento che la voce proveniva dal muro alle sue spalle, o meglio da un quadro appeso ad esso. Un vecchio nobiluomo baffuto si sporgeva cortesemente verso di lei, offrendole i suoi servigi e sorridendole con garbo. “Grazie…” mormorò, un po’ confusa “Ma, senza offesa, non vedo come lei possa aiutarmi…” Il signore gonfiò il petto con orgoglio. “Sir Rupert Chivalson trova sempre il modo di aiutare una fanciulla in difficoltà, anche se è rilegato dietro un metro quadrato di tela.” Con questa frase enfatica sparì oltre il bordo della cornice ed uscì dalla visuale di Hermione, che gli urlava invano di lasciar perdere e non disturbarsi. Due minuti dopo il pomposo signore imparruccato era di ritorno. “Le ho portato soccorsi.” Dichiarò tutto tronfio, additando le scale da cui saliva un rumore di passi. Pochi secondi dopo il volto di Hermione si allargò in un sorriso. “Harry!” Il moro la salutò con un gesto veloce e nascondendo la propria bocca con la mano le bisbigliò piano, affinché il quadro non sentisse: “Herm, ma quello svitato, chi è?” Lei alzò le spalle. “Ha visto chi le ho portato, madama?” berciava intanto il canuto nobiluomo “Harry Potter! Un eroe moderno, il Bambino Sopravvissuto!” Il Cercatore arrossì fino alle orecchie e la sua amica si lasciò sfuggire una risata. “Addirittura un eroe moderno, Harry?” “Vuoi una mano o me ne torno via?” borbottò lui, irritato. “No, scusa, aiutami a tirare su Neville, altrimenti non ce la farò mai… Aspetta un attimo, ma il test di Pozioni?!” “È finita anche la terza ora, ‘Mione… Quel che è fatto è fatto. Sinceramente ho qualche dubbio sulla consistenza della terza pozione, però credo che se avessi…” “Sono sicura che sei andato benissimo, ora però dammi una mano.” tagliò corto Hermione che intanto tentava di rialzare il compagno. Il moro si precipitò a darle manforte. “Che schifo, sbava verde…” costatò, una volta vicino. “Verde?! Prima era blu… Sarà un buon segno?” “Ne dubito. Muoviamoci.” I tre procedettero per un po’ su per varie scalinate con passo un po’ incerto e risparmiando il fiato. Fu Harry a interrompere il silenzio “Scusa se te lo chiedo…” incominciò con un po’ d’imbarazzo “Ma perché non sei con Malfoy? Credevo ti dovesse aiutare lui.” “Abbiamo litigato al primo piano…” sospirò la bruna abbassando gli occhi. “Tutto bene tra voi?” Hermione rivolse al suo migliore amico uno sguardo esterrefatto. Da quando le chiedeva notizie della sua storia con Draco? “Non guardarmi così!” la rimbrottò il moro “Già è difficile affrontare l’argomento, e sappi che lo faccio solo per amor tuo, se poi mi fissi come se fossi pazzo… Comunque se non vuoi parlarne non è un problema.” “No, no…” si affrettò a rispondere lei “Voglio parlarne.” Il suo cuore traboccava di gratitudine per il suo amico. Il primo che l’aveva compresa, l’unico che aveva messo da parte l’odio per Malfoy in nome dell’amore per lei, il solo pronto ad ascoltarla senza giudicare. Le vennero le lacrime agli occhi. “No… Non va bene… non va bene per niente…” un singhiozzo le ruppe la voce “Oh Harry, io credo che lui mi odi …” In quel momento un grosso gocciolone di bava color fucsia si schiantò a terra a due centimetri dalle scarpe di Harry. “Bleah… Credo sia meglio rimandare a dopo le chiacchiere, Herm. Ora portiamo su questo peso piuma.” Il moro allungò una mano per asciugarle una lacrima, ferma al limitare della sua mascella. “Vedrai che si sistemerà tutto.” Hermione sospirò. Avrebbe tanto voluto credergli… Affidato Neville alle cure di Mme Chips, i due Grifondoro furono liberi di andare e presero a scendere verso la Sala Grande. “Oh Dio, Neville dovrà pagarmi il chiropratico!” sbraitò Harry, massaggiandosi le spalle doloranti. “Glielo faremo sapere non appena smetterà di sbavare tutti i colori dell’arcobaleno, ok?” “Già, hai visto? Era arrivato al lilla!” Improvvisamente Harry si fermò e tirò in disparte la sua amica, in una nicchia vuota che aveva avuto una volta la funzione di ospitare una scultura. “Allora… Vuoi riprendere il nostro discorso sulla Serpe malefica?” Hermione sentì il suo cuore prendere la rincorsa e battere più forte, come se dovesse uscirle dal petto. “Oh Harry…” si gettò con un singhiozzo tra le sue braccia “Io non so che fare… non so che pensare…” Il moro la accolse sul proprio petto e le prese il volto tra le mani, avvicinandola a sé per farle riposare la fronte sulla propria. “Tranquilla Herm… Tranquilla…” Ma le lacrime di lei gli continuavano a scivolargli tra le dita. Quando aveva lasciato Hermione sola, Draco era andato in infermeria, si era fatto dare un’occhiata e un antidoto. Mentre Mme Chips gli ficcava giù per la gola un cucchiaio di chi sa quale stomachevole preparato, aveva avuto il tempo per riflettere su quanto appena accaduto e per pentirsi della propria impulsività. Forse era stato un po’ infantile fare quella sfuriata e mollare la Mezzosangue in mezzo al corridoio con quel bisonte bavoso di Paciock in stato semi-comatoso… Per non darle alcuna soddisfazione doveva mostrarsi superiore ai suoi sordidi giochetti, non vendicarsi così puerilmente. Per questo, appena sfuggito alle cure di Mme Chips prese uno stretto passaggio che portava da dietro l’arazzo “Battaglia di Hastings” direttamente al quadro “Paesaggio estivo” al primo piano, dove si aspettava di trovare la Mezzosangue ancora alle prese con quel quintale d’inutilità, meglio noto come Paciock. Era così certo di vedersela davanti che quando si trovò in un corridoio vuoto, rimase piuttosto deluso. “Granger?” Nessuna risposta. Si incamminò per le scale, sicuro di beccarla pochi gradini più su, intenta a non affogare nella bava del suddetto bisonte. “Draco, finalmente ti ho trovato!” Il biondo si voltò verso la fonte di quella voce familiare, che però non era quella della Mezzosangue. “Blaise…” biascicò in saluto. “Cos’ha detto Mme Chips, tutto bene, vero? Senti, avresti cinque minuti per me?” Draco sbuffò e gli riservò uno sguardo annoiato. “Quando dici così vuol dire che vuoi parlare e quando dico parlare intendo riversare addosso a me tutti i tuoi problemi per due ore.” Il moro lo liquidò con un’alzata di spalle. “Farebbe bene anche a te sfogarti, Dra.” “Vuoi parlare o ascoltare me?” ribatté Malfoy con una sigaretta già tra le labbra. Se doveva sentire ancora del suo idilliaco amore per la babbanofila Weasley, aveva bisogno di nicotina. “Parlare. Vieni giù in Dormitorio, così abbiamo un po’ più di privacy?” “Devo andare in infermeria.” Si lasciò sfuggire il biondo, maledicendosi un secondo dopo per non aver saputo inventare una scusa. “Non ci sei appena stato?” Appunto. “Non ti sfugge niente, eh?” ironizzò aspirando una lunga boccata di fumo “Vado a trovare qualcuno.” “Chi, Paciock?” Il Serpeverde lo fulminò con lo sguardo. “Scherzavo, scherzavo…” Scosse la testa mora in cui un pensiero frullava insistentemente da giorni. Un pensiero che prese forma in una frase buttata lì con noncuranza. “… lo so che andavi a trovare la Granger.” In un secondo tutta la persona di Draco fu scossa da un brivido. La sua pelle eburnea sembrò sbiancare ancora di più e i suoi occhi si fecero di ghiaccio. Blaise seppe allora di aver centrato il bersaglio, anche se in fondo era scontato: conosceva quella Serpe troppo bene e da troppo tempo per poterlo mancare. “Come?” La voce del biondo non uscì più forte di un soffio e si perse nel vorticare del fumo della sigaretta. “Andiamo… La guardi continuamente, la punti da lontano, ti siedi sempre dietro di lei e quando ti ho detto che la avevano beccata con Potter ti ho visto schizzare il sangue al cervello. Non vorrai negare con me, il tuo migliore amico?” Draco aveva negli occhi il terrore di chi vede cadere ad una aduna tutte le barriere che si era costruito. “Non essere ridicolo Zabini.” Perché tirare fuori questa storia ora? Ora che tutto era finito, ora che anche l’ultimo legame che lo univa alla Mezzosangue, il loro patto, era sciolto? “Sarò anche ridicolo… Ma se fosse così…” Il biondo scosse il capo, rassegnato. “Dicevo, se fosse così non potresti chiedere alla tua Granger di mettere una buona parola per me con Ginevra?” “Ancora quella Weasley?” “Non riesco a parlarle, mi evita, è tornata da quell’idiota di Potter e io non so più vivere senza di lei… E risparmiami questo sguardo scettico Dra, è così, al cuor non si comanda…” Draco annuì, più in risposta ad un proprio pensiero che non alle richieste dell’amico. “Lo farai allora?” Il biondo gli riservò un sorriso enigmatico e riprese a salire le scale, ignorando la sua voce che arrivava su dal primo piano. “Draco, lo farai? Allora? Draco!” Malfoy alzò gli occhi al Cielo… Certo che Blaise era proprio innamorato cotto… Però era bello vedere qualcuno pronto a lottare per il proprio amore. Lui lo aveva forse mai fatto davvero? Aveva creduto da subito che la Granger fosse sua legittima proprietà e che non lo avrebbe mai rifiutato e invece non era stato così. Poi, quando le cose sembravano cominciare a funzionare un pettegolezzo era bastato a rovinare tutto. Un pettegolezzo… Dopotutto quanto poteva crederci? Lui la aveva forse mai vista davvero tra le braccia di Potter? Credeva davvero a quelle chiacchiere? Forse no, non sul serio, altrimenti niente lo avrebbe trattenuto dal togliere il Cercatore Grifondoro da questo mondo. Magari poteva pensare di concedere a Hermione un’altra chance se lei la avesse chiesta, magari tra loro poteva ancora nascere qualcosa. Riflettendo così era arrivato al quarto piano e sarebbe salito fino all’infermeria se qualcosa non avesse attirato in quel frangente la sua attenzione. In una nicchia appartata, un movimento veloce. Un corpo femminile e delicato che si lasciava cadere tra le braccia di un ragazzo alto e moro. Due mani circondate da una cascata di boccoli bruni, pronte ad accogliere il suo viso e ad attirarlo in quello che sembrava un bacio che Draco si rifiutò di vedere. Aveva già visto abbastanza. Anzi, aveva visto troppo. “Potter sei finito…” Il pranzo quel giorno ebbe per Draco il sapore amaro della rabbia e al tempo stesso quello dolce della vendetta che già progettava di prendersi nei confronti dello Sfregiato. Come aveva osato rubargli l’unica persona su questa terra cui tenesse ancora davvero? Lo faceva impazzire vederlo chiacchierare allegramente assieme alla sua Mezzosangue… anzi probabilmente avrebbe dovuto dire semplicemente alla Mezzosangue, perché ormai non aveva più alcuna ragione per ritenerla sua. Tutta la sua frustrazione si sfogava nel gesto ripetitivo di afferrare un grissino dopo l’altro e spezzarli in due con un colpo secco. Ovviamente nella sua testa, lo scricchiolio sinistro del pane sbriciolato si sovrapponeva già a quello delle ossa che progettava di rompere a San Potter… “Ehi Draco, tutto bene?” Blaise era un po’ preoccupato dalla montagna di grissini spezzati che andava accumulandosi nel piatto dell’amico. “Una meraviglia, perché?” “Sembri un po’ teso…” “Non lo sono affatto.” Ringhiò il biondo mentre le schegge della sua ultima vittima farinacea si spandevano sulla tovaglia. Blaise alzò le spalle. “Buono a sapersi.” Era inutile insistere con lui, lo conosceva da troppo tempo ormai per pensare di poter ottenere qualcosa in quel momento. “Sei riuscito a parlare alla Granger di quello che ti avevo chiesto?” L’ennesimo grissino andò in briciole mentre Harry si sporgeva a dire qualcosa nell’orecchio di Hermione. “No.” “Ci hai provato almeno?” “No.” Blaise sospirò. “Buono a sapersi.” Hermione sorrideva impercettibilmente, persa nei propri pensieri, mentre i suoi compagni discutevano animatamente del test di Pozioni. Il ricordo della chiacchierata con Harry era ancora fresco nella sua mente. Come sempre le aveva fatto bene aprirsi con lui, non solo perché le aveva permesso di sfogarsi un po’ ma soprattutto perché le aveva fatto capire cosa volesse veramente. Lei voleva Draco, voleva stare con lui, lo voleva come non aveva mai voluto nessuno prima… Non aveva senso continuare a mentire a se stessa e negarsi una felicità che se ne stava a pochi passi da lei, così vicina che sarebbe bastato allungare una mano per sfiorarla. Sarebbe bastato parlare a Draco, chiarire qualsiasi dubbio lui avesse sulla sincerità dei suoi sentimenti e poi niente avrebbe potuto ostacolare il sorgere di quel tenue sentimento ancora senza nome che le dava una morsa allo stomaco ogni qualvolta gli occhi grigi di lui le sfioravano la pelle. “Sei di buon umore Herm?” Ron le diede una pacca sulla spalla. “È perché sei libera, vero?” La Grifondoro parve non capire. “Come?” “Sì, sei libera dal patto con Malfoy… Da oggi non dovrai più rivolgergli la parola, giusto?” “Ecco, io…” Dannazione… già sorgeva un primo ostacolo… Come lo spiegava al rosso che non aveva alcuna intenzione di dimenticare quella Serpe? Per sua fortuna Harry, che aveva prestato orecchio ai loro discorsi, intervenne per distrarre il suo amico. “Ehi Ron, ti va una sfida a scacchi dopo?” “E me lo domandi? Non vedo l’ora di provare una nuova mossa di cui ho letto, che credo sarà…” Bla, bla, bla… Le sue chiacchiere assunsero per Hermione il contorno indistinto di un inconsistente blaterare che non le impedì di rituffarsi nel mare dei suoi pensieri. Non appena il pranzo fu finito, la Grifondoro cercò Draco con lo sguardo. Lo vide alzarsi da tavola ed avviarsi fuori scortato da una decina di Serpeverde, così provò a seguirlo da lontano, nell’attesa che fosse solo. Circa cinque minuti dopo il biondo si era liberato di tutto il suo corteo, fatta eccezione per una biondina riccioluta che non sembrava minimamente intenzionata a lasciar andare il suo avambraccio. Hermione decise di prendere in mano la situazione. “Malfoy, posso parlarti?” Il Serpeverde si fermò e si voltò nella sua direzione. I suoi occhi, alla luce delle torce avevano una colorazione intensa e spaventosa. “Á propos de quoi, ma petite putain? ” Riguardo a cosa, mia piccola puttana ? La biondina attaccata al suo braccio batté le mani con entusiasmo. “Oh Dra-dra, sei così sexy quando parli spagnolo…” Spagnolo? Il ragazzo si limitò a gettarle un’occhiata di fredda indifferenza. Aveva parlato in francese proprio per non farle capire. Hermione intanto rispose mantenendo il suo stesso tono. “Á propos, mon cher bâtard, de nous deux…” A proposito, mio caro bastardo, di noi due … La Serpe annuì. “Tu puoi andare.” ordinò alla bionda. “Perché? Io voglio stare con te…” piagnucolò quest’ultima, strusciandosi contro il suo petto. Hermione non seppe trattenere uno scatto d’impazienza. “Allora Riccioli d’oro, non capisci più neanche la tua lingua? Fuori dai piedi!” La giovane la guardò un po’ spaventata, poi sembrò esitare un momento, offesa, ma infine girò i tacchi e sparì. Draco batté lentamente le mani alla bruna davanti a sé. “Chapeau, ma petite putain… Io stesso non avrei saputo dirlo meglio.” “Piantala di chiamarmi piccola puttana o potrei farti del male.” “Preferisci puttana e basta?” soffiò la Serpe. “Preferisco Hermione.” Una risata amara riempì l’aria “E io preferirei non doverti vedere mai più Granger, ma a quanto pare nessuno dei due sta avendo quello che vuole…” La Grifondoro fu scossa da un brivido. Perché era così freddo con lei? Le riservava uno sguardo gelido e sprezzante che niente aveva a che fare con quello morbido e languido che gli aveva visto nelle tante volte in cui si erano mormorati parole confuse tra i baci e le carezze nei sottoscala e nelle aule vuote. Era quello sguardo che rivoleva indietro. In fondo però un po’ se lo aspettava. Se fosse stato facile ragionare con lui non sarebbe stato Draco Malfoy. Un cher bâtard, un caro bastardo. “Cos’hai a dirmi Granger? Non ho tempo da perdere io.” La bruna gli fece cenno di seguirla e si infilò in un bagno in disuso poco distante. “Volevo finire il discorso che avevamo iniziato ieri.” Draco trattenne a stento una risata sarcastica. Il giorno precedente gli sembrava lontano secoli. Solo 24 ore prima aveva trascinato la Mezzosangue in un’aula vuota per chiederle di trasformare il loro assurdo patto in una relazione vera e propria. Ora l’unica cosa che voleva era allontanarsi da lei, la sua più perversa e dolorosa tentazione. “Riguardo al nostro patto quindi.” Cercò di sembrare indifferente. Doveva liquidarla in fretta e porre fine ai crudeli giochi che lei faceva col suo cuore. “Credevo non volessi più parlare di un patto per descrivere quello che c’è tra noi.” Ribatté la Grifondoro, affatto scoraggiata dalla sua freddezza. “Giusto…” il biondo si lasciò cadere mollemente verso la parete “Perché ormai non c’è più neanche quello. Ora parlerei di mutuo disprezzo.” La vide ammutolire e seppe di aver scosso le sue certezze. Hermione si morse un labbro. Cosa doveva rispondere ad una simile affermazione? “Ma ieri tu stavi dicendo…” “Ieri è lontano.” “Non molto in realtà.” “Abbastanza da non riesumare discorsi ormai privi di senso.” Privi di senso? Il loro rapporto era privo si senso allora? La Grifondoro sentì un labbro tremarle e le lacrime pungerle gli occhi, perché se quel discorso era una sciocchezza allora la sua vita ormai era un folle sogno. “Non lo pensi davvero.” “Io credo di sì.” “Io credo di no.” “E come cazzo lo sai Granger? Me lo leggi negli occhi o roba del genere?” si sporse in avanti verso di lei, premendola contro un lavandino “O è un’abilità da Mezzosangue? Vuoi darmi ancora del Veritaserum per esserne sicura?” “È per questo che sei arrabbiato, Draco? Per il Veritaserum?” Il biondo si allontanò da lei scuotendo la testa. “Non me ne frega un cazzo, Granger… Esattamente come non me ne frega niente di te.” Non poteva essere vero, non poteva pensarlo davvero. Hermione deglutì e provò ad andare avanti. “Allora vorresti sciogliere il nostro patto?” “Mi pare sia già sciolto.” “E interrompere qualsiasi contatto tra noi?” “Oh, no…” si prese un secondo per osservare i suoi occhi dorati bruciare di speranza “Possiamo continuare ad odiarci come sempre. Non ti toglierei mai questo piacere.” Vide quella speranza cocente consumarsi nel disinganno e morire sotto i colpi del suo sarcasmo. Ma vide anche qualcos’altro rinascere in quelle iridi, una nuova determinazione, forte e disperata risorta dalle proprie ceneri come una fenice. “Non è vero.” La Grifondoro parlò con decisione per poi afferrare il maglione che fasciava la figura sensuale del Serpeverde ed attirarlo a sé. Si sedette su di un lavandino e trascinò il biondo tra le proprie gambe. Un attimo dopo si era sfilata il maglione ed era rimasta in biancheria intima. Non ragionava più, non pensava più, si sentiva distante, come in una dimensione parallela in cui lei non era lei, Draco non era Draco e lei decisamente non stava facendo la colossale sciocchezza, così estranea al suo carattere, che stava invece facendo. Voleva solo che lui capisse, che capisse quanto era importante per lei. “Mezzosangue rivestiti…” “Vuoi andare via Draco?” Lui le rivolse un’occhiata appannata dal desiderio. “Sì, voglio andare via…” Le sfiorò la pelle morbida dello stomaco e del petto, in un gesto molto poco coerente con le proprie parole. Si beò del brivido che percorse il suo corpo esile e curvilineo e della passione che accese le sue iridi color cioccolato, così simile a quella su cui aveva fantasticato quel pomeriggio in corridoio ed eppure ancora così lontana dal suo apice. Arrivò a giocare con l’orlo della sua gonna, mentre Hermione gli metteva le mani attorno al collo, intrecciando le dita coi suoi capelli biondi, per poi attiralo verso le proprie labbra. Fu un bacio veloce e violento, un contatto contrastato di bocche che si cercavano e si respingevano. Draco voleva ritirarsi, voleva sottrarsi al suo potere, ma non ci riusciva, non riusciva a fare a meno di quel sapore divino che avevano le sue labbra… Quel contatto lo inebetiva e lo trascinava in uno stato d’incoscienza simile a quello di un incubo da cui voleva ma non poteva svegliarsi. O forse era esattamente il contrario: avrebbe potuto ma non voleva farlo. La bruna lo fissò con occhi languidi e ripeté la domanda. “Vuoi andare via?” Lui annuì col capo, lottando per non rituffarsi sulle sue labbra peccaminose. “Non vuoi fare l’amore con me, Draco?” Il giovane rise amaramente ricordando la sera di soli due giorni prima, quando in camera sua era stato lui a porre quella stessa domanda alla Granger. Sembrava un’epoca lontanissima. “Draco?” “No Mezzosangue, non voglio fare l’amore con te. Perché non corri da Potter invece?” “Che cosa c’entra Harry ora?” Il Serpeverde si allontanò da lei, lentamente, inspirando il suo profumo delicato, con la convinzione che probabilmente non avrebbe mai più potuto sentirlo da così vicino. “Addio Granger.” E con un suono sordo la porta si chiuse alle sue spalle. […] Je suis la plaie et le couteau! Je suis le soufflet et la joue! Je suis les membres et la roue, Et la victime et le bourreau ! Je suis de mon cœur le vampire, - Un de ces grands abandonnés Au rire éternel condamnés, Et qui ne peuvent plus sourire! Les fleurs du mal, “L’Héautontimorouménos” C. Baudelaire […] Io sono la piaga e il coltello! Io sono lo schiaffo e la guancia! Io sono il corpo e la ruota, E la vittima e il boia! Io sono il vampiro del mio cuore stesso, - Uno di quei grandi diseredati Al ridere eterno condannati, E a cui sorridere non è più concesso! I fiori del male, “L’Eautontimorumenos”, C. Baudelaire ………continua………. § Spazio autrice: § Riguardo al titolo, questa volta l’ho ripreso dal romanzo “Doppio sogno” di Arthur Schnitzler, autore fra l’altro del mio libro preferito “La signorina Else” (racconto brevissimo ma semplicemente me-ra-vi-glio-so!). La storia originale riguarderebbe gli smarrimenti paralleli di una coppia di giovani ed ordinari sposi: il marito partecipa quasi per caso ad una sorta di misteriosa festa in maschera, tanto strana da sembrargli un sogno e la moglie invece dormendo tranquilla nel suo letto fa un sogno di una sconcertante attinenza col reale. Io ho voluto, come al solito, riprendere solo il titolo senza attinenza alla trama e ho impiegato il motivo del doppio sogno per trasmettere l’idea che sia Draco sia Herm si sentono, quando sono insieme, lontani dalla realtà, come in una dimensione onirica tutta loro in cui però ancora non riescono a ritrovarsi pienamente e a comunicare tra sé. Uniti dall’essere in un sogno, divisi dal non essere nello stesso. A presto! MmeBovary |
Capitolo 11
*** Guerra e pace - Parte I ***
Piccolo avviso: i personaggi di questa fanfic non sono miei, appartengono tutti a J.K. Rowling ed io li uso momentaneamente senza fini di lucro o simili. Eventuali citazioni da altri autori sono poste tra virgolette o segnalate come tali. Ora godetevi la storia! CAP. 11
GUERRA E PACE – Parte I Le fiamme danzano… Non c’è verbo migliore per definire i labili tremolii che scuotono le lingue di fuoco nel camino. Danzano. Si contorcono per un millesimo di secondo, come pervase da chi sa quale inesprimibile dolore o estasi per poi svanire nel fumo e nel nulla. Un movimento decisamente affascinante, o comunque abbastanza ipnotico da aver catturato l’attenzione di Harry Potter da una mezz’oretta buona. Il moro sedeva languidamente abbandonato sul divano davanti al camino con il libro di Storia della Magia buttato sulle gambe distese e aperto al capitolo “Antiche credenze sulle erbe magiche: Machiavelli e la mandragola”. Le dieci pagine che avrebbe dovuto leggere per il giorno seguente erano così noiose che era bastato il crepitio del fuoco a distrarlo, dopodiché le movenze delicate delle fiamme avevano incatenato il suo sguardo smeraldino. L’armonia di quella danza infuocata fu sconvolta da una leggera folata di vento quando la porta del Dormitorio femminile si aprì e Harry fu portato ad alzare la testa per cercare la fonte di quel disturbo. Ginny stava silenziosamente scendendo le scale e quando vide il moro girarsi verso di lei ebbe un fremito subitaneo e abbassò lo sguardo, come un bimbo colto con le dita nel barattolo della marmellata. Il ragazzo parve non notarlo e allungò il braccio verso di lei, invitandola ad avvicinarsi. La rossa, dopo un attimo di esitazione, obbedì e si andò a sedere sul bracciolo del divano. “Ehi, Ginny… Non ti ho visto a pranzo oggi, tutto bene?” chiese il Cercatore, passandole intanto le braccia dietro la vita per attirarla a sé. “Io… non stavo bene…” Puntò le mani delicate sul petto di Harry, facendo resistenza con le braccia alla forza del suo abbraccio. Non voleva dimostrargli una passione che non provava più ma non riusciva a trovare il coraggio di rivelargli quello che sentiva. Temeva di ferirlo più di ogni altra cosa… “Non sto bene.” Aggiunse, quasi a giustificarsi della propria riluttanza. Il moro le prese gentilmente il volto tra le dita e le labbra di lei furono increspate per un attimo da una smorfia di fastidio, quasi tremasse all’idea di un bacio, ma Harry voleva solo osservarla da vicino. “Sei un po’ pallida in effetti… Sembri stanca. Cosa c’è che non va?” Lei scosse il capo e nascose gli occhi lucidi dietro una cascata di capelli rosso acceso il cui scivolare leggiadro ricordava vagamente il danzare del fuoco. “Non c’è niente che non va… Solo, credo di aver un po’ d’influenza… Forse è contagiosa, magari è meglio se me ne vado…” Tentò invano di scivolare via dalla presa del Grifondoro che le bloccò una mano e aprì la bocca per offrirsi di accompagnarla in Infermeria. In quel momento però il quadro della Signora Grassa si spalancò e Hermione fece il suo ingresso nella stanza così che Harry fu distratto a sufficienza perché Ginny potesse sgattaiolare via senza farsi notare. “Ehi Herm!” La ragazza procedeva a capo chino, senza guardare dove mettesse i piedi. Sentendosi chiamare si girò di colpo e andò a sbattere contro Seamus Finnigan facendo finire a terra entrambi. “Ehi Hermione guarda un po’ dove metti i piedi!” Lei balbettò uno “scusami” incerto e fece per rialzarsi. Seamus le offrì una mano per tirarsi su e notò che il maglione Grifondoro che le copriva le braccia fino alle mani era infilato al contrario. “Ma ti sei vestita al buio stamattina?” scherzò “Hai il golf alla rovescia…” La giovane ebbe un tremito di vergogna e nascose frettolosamente le cuciture del polsino sotto la stretta delle unghie, come a voler negare quel particolare rivelatore che non sfuggì però all’attenzione di Harry. Il moro la prese subito a braccetto e la portò verso il camino ammiccando. “Vestiti stropicciati, eh Herm? Risparmiami i particolari… ma con la Serpe è andata bene quindi?” In tutta risposta lei alzò verso di lui il suo sguardo più disperato. Tutto l’oro delle sue iridi si era spento in un marrone smorto, scuro come la terra dei cimiteri. Tutta la speranza che vi era arsa giaceva sotto uno strato immenso di dolore. “Oh no…” soffiò il suo migliore amico, stringendola al petto “Il bastardo ti ha lasciata, vero?” Era bastata un’occhiata a spiegargli tutto, non servivano parole tra di loro, il suo bisogno di conforto superava la mera comunicazione verbale. Con un singhiozzo la bruna si gettò tra le sue braccia e scoppiò in singhiozzi e mentre veniva portata su in camera dal suo migliore amico, dietro di lei Seamus Finnigan, ignaro di tutto, si chiedeva da quando la Granger era così permalosa da scoppiare in lacrime per un’annotazione sui suoi vestiti… Hermione si lasciò trascinare dalla mano ampia e calda del Cercatore Grifondoro fin nella sua camera vuota. Fissò per tutto il tempo con sguardo vacuo l’oscillare ad ogni suo passo del suo maglione color vinaccia sui muscoli della sua schiena e poi si lasciò mettere a sedere sul letto. Si accorse solo distrattamente che il ragazzo le aveva fatto una domanda. “Come?” balbettò incerta. “Non ha voluto stare con te?” ripeté pazientemente il moro. Hermione abbassò lo sguardo e serrò le labbra. Per quanto dette con dolcezza quelle parole erano troppo vere per non ferirla profondamente. Qualcosa dentro di lei sembrava aver preso a sanguinare. Era il suo orgoglio ferito? O forse il suo povero cuore? Harry le prese il viso tra le mani e le asciugò le lacrime con i pollici per poi far combaciare le loro fronti. Quel contatto fresco fu un sollievo per la mente stanca della bruna. “Allora, se non ti vuole è un idiota. E se è un idiota non ti merita e tantomeno merita che tu soffra per lui.” La ragazza scosse il capo, incapace di arrendersi a quel pensiero così drastico e definitivo. “No, deve essere colpa mia, devo aver sbagliato qualcosa, devo avergli dato qualche impressione errata…” Frugava nella propria mente alla ricerca di indizi che le rivelassero dove poteva nascondersi l’incomprensione, ma non capiva. In fin dei conti, per quanto Draco la accusasse di essere falsa era proprio con lui che era stata più sincera che con gli altri… i suoi sussurri e sospiri mentre la accarezzava, i suoi baci infuocati, i suoi sguardi languidi… Non erano forse queste le più veritiere prove d’amore che poteva dargli? E poi non gli si era forse appena offerta apertamente? Harry la strinse al proprio petto. “Herm, Herm, Herm… spero tanto che sia vero e che tutto si risolva, ma se non dovesse essere così…” Lei crollò con forza la testa ricciuta, rifiutandosi ostinatamente di accettare l’idea. “Se non dovesse essere così” proseguì il suo amico “comunque non dovresti restare troppo sorpresa. È pur sempre di un Malfoy che stiamo parlando.” Due piccole mani sottili si puntellarono con forza sui muscoli del suo petto mentre Hermione si distanziava da lui quel che bastava per guardarlo negli occhi. Quel gesto fu inaspettato ma non fu ciò che lo stupì. A stupirlo ci pensarono le iridi della Grifondoro. Così ferventi e tempo stesso carezzevoli al come non le aveva mai viste. “In lui c’è più di quello che appare…” soffiò la ragazza in un sussurro con tono distante, come se si stesse stupendo ella stessa delle proprie parole “Non è solo un Malfoy, lui è Draco Malfoy… Con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, ma comunque lui… Non è solo il suo cognome.” Harry restò spiazzato da una tanto appassionata difesa. Aveva capito da tempo che la sua amica non stava con Malfoy solo per quella specie di patto che avevano stipulato, ma ora un sospetto tremendo s’insinuava nella sua mente… Possibile che lei… che lei si fosse innamorata davvero? “Non dovresti affezionarti troppo a quella Serpe.” La Grifondoro inspirò profondamente e si strinse nelle spalle indolenzite. “Mi credi così stupida da farmi delle illusioni su di lui?” Alzò le lunghe ciglia brune, appesantite dal pianto e incontrò gli occhi smeraldini del suo migliore amico. Ebbe come un fremito e subito si costrinse a guardare altrove. Era come se Harry le avesse letto l’anima. “Non credo che tu sia stupida Herm…” le sussurrò il moro posando le labbra fresche sulla sua gota sfumata di un tenue rossore, dovuto all’imbarazzo quanto alla stanchezza “Ma ciò non toglie che tu possa esserti innamorata.” Hermione chiuse gli occhi, ma un’unica piccola lacrima sfuggì alla presa serrata delle sue palpebre, un’unica piccola lacrima, testimone scomoda di un sentimento che lei avrebbe voluto poter non provare. Quando Draco entrò in Sala Comune e Blaise lo vide da sopra l’orlo del proprio bicchiere, il moro non poté impedirsi di pensare che quello era lo sguardo più torvo che gli avesse mai visto in faccia. Malfoy teneva i pugni serrati con tale forza che le sue nocche erano divenute bianche e la sua mascella si muoveva impercettibilmente, come per un tic nervoso, digrignando i denti dietro le labbra perfette. Solo un idiota non avrebbe capito che era il caso di lasciarlo in pace. Peccato che fosse proprio un’idiota quella che lo aspettava seduta sul divano. “Dra-dra!” lo apostrofò con la sua voce squillante Alissa, la biondina ricciuta che lo aveva seguito dopo pranzo. Il biondo girò il volto di lato mentre lei gli saltava al collo e lo trascinava verso il divano. Un secondo dopo era cavalcioni su di lui e gli baciava avidamente il collo di cigno. Il ragazzo lasciava semplicemente che lei abusasse del suo corpo, standosene fermo e distante. Se invece di accarezzarlo lo avesse preso a schiaffi non lo avrebbe visto più coinvolto. “Mi sei mancato Dra-dra…” gli soffiò la bionda “Che cosa doveva dirti quella stupida Mezzosangue?” La reazione del biondo a quella parola fu subitanea. Con uno scatto ribaltò la giovane sul divano accanto a sé, serrandole la gola con la mano tremante di rabbia. “Tu…” sibilò “…non... osare… mai più…” Non riusciva neanche a parlare, non capiva cosa stesse facendo, non sapeva cosa gli fosse preso. La Serpeverde pigolava come un pulcino spaventato. “Draco ti prego lasciami…” In quel momento Blaise afferrò l’amico per le spalle e lo tirò via. “Ehi, che cazzo ti prende?” Il biondo si scrollò dalla sua presa con un ringhio furioso e fissò in maniera agghiacciante la Serpeverde raggomitolata sul divano. “Sparisci…” Una parola bastò a farla correre via. “Draco sei impazzito per caso? Cosa credevi di fare?” Il biondo, ritrovata la propria calma glaciale non seppe cosa rispondere. Il solo sentir nominare Hermione con un tale tono lo aveva mandato in bestia… Cosa gli era preso?! “Non mi scassare Zab…” tagliò corto “Sono già abbastanza nervoso senza che tu mi faccia il terzo grado.” “Si è già visto quanto tu sia nervoso, mi pare…” ironizzò il moro “Hai parlato con Hermione quindi?” “Deve per forza essere lei la Mezzosangue di cui parlava Addison?” “Alissa.” “Quello che è.” “Sì deve essere lei, o non avresti reagito così.” Ovviamente non ottenne risposta. Il biondo infatti ignorò la provocazione e si buttò mollemente tra i cuscini del divano. Si sporse in avanti e prese dal basso tavolino un pesante bicchiere di cristallo in cui versò un’abbondante dose di whisky incendiario. Blaise vide alcune gocce ambrate cadere sul tappeto scuro: la mano con cui Draco reggeva la bottiglia tremava ancora leggermente. Tutta la frustrazione che aveva accumulato in quei giorni era esplosa con forza animale nel brusco gesto di poco prima e ora faticava a diminuire. Si propagava invece come un’aura di rabbia attorno alla sua figura, sfumando nei cerchi concentrici che increspavano la superficie del suo whisky. Nonostante ciò Zabini non seppe resistere alla tentazione di fargli un’altra domanda. “Quindi, per caso, non è che le hai parlato di me e Ginny?” Draco fece roteare il bicchiere, osservando il morbido movimento del liquido alcolico. “Certo.” “Davvero?!” Il biondo si portò il cristallo alle labbra con un ghigno. “Certo… che no.” Blaise si buttò sul divano accanto a lui con la testa tra le mani. “Tu giochi col cuore di un uomo morto.” Il principe delle Serpi roteò gli occhi con aria annoiata, senza alzare la bocca dal whisky. Si divertiva a tenere il suo amico un po’ sulle spine. “Non essere melodrammatico…” “Non sono melodrammatico Dra, sono innamorato. Capisci? I-n-n-a-m-o-r-a-t-o… Ce l’hai presente? Credo di sì, perché mi sa che tu non stai messo tanto meglio di me.” Se un’occhiata avesse potuto uccidere probabilmente Blaise sarebbe caduto a terra stecchito perché il suo amico non gli risparmiò uno sguardo abbondantemente truce. “Non dire cazzate.” “Sì, sì, nega pure… intanto però sei cotto a puntino.” “Fanculo.” “Cotto… innamorato cotto…” “Blaise ripetilo un’altra volta e giuro che domani avrai tutti i requisiti per entrare nel coro delle voci bianche.” “Dillo tu allora.” Il biondo alzò un sopracciglio, confuso. “Dire cosa?” “Dì che non la ami.” Draco scosse il capo. Una risata nervosa s’infranse sulla superficie di quel che rimaneva del suo whisky. Perché mai avrebbe dovuto fare una cosa tanto stupida? Che bisogno c’era di dimostrare che non provava più amore per la Mezzosangue dopo che l’aveva vista tra le braccia di Potter? “Draco?” “Nh?” “Dillo. Ti sfido a convincermi.” L’unico suono che seguì quelle parole fu quello del tappo della bottiglia che veniva tolto e del suo contenuto che riforniva il bicchiere di cristallo. Non voleva dirlo. Dentro di sé qualcosa glielo impediva. Paura, dovette ammettere con se stesso. Paura che dicendolo ad alta voce sarebbe diventato irreversibile o paura di scoprire in quelle parole la falsità di un autoinganno? Questo non lo sapeva neanche lui. Ma non poteva rifiutare una sfida così diretta. Fissò il suo migliore amico negli occhi. Era sempre stato il migliore nel dissimulare qualsiasi emozione, una maschera di ghiaccio copriva ogni possibile tremito della sua voce o anche la più piccola contrazione del suo viso: non poteva perdere questa sfida. “Io non sono innamorato di Hermione.” Scandì bene le parole, calcando il non, distese la bocca in un sorriso diplomatico, fece tutto quello che faceva sempre… eppure qualcosa andò storto. Un lampo attraversò le iridi blu di Blaise e Draco seppe di aver perso. “E io sono Minerva Mc Granitt…” rispose il moro con un sorriso. Non gli aveva creduto neanche per un secondo. -Coglione- si disse mentalmente Draco -sei un coglione-. Quella volta neanche tutta la freddezza made in Malfoy era stata sufficiente per far passare per veritiera la più grande balla del secolo. Lui amava Hermione. La amava alla follia, ecco la verità, per quanto avrebbe voluto odiarla, odiarla come odiava Potter che la aveva strappata dal suo abbraccio… e questo si era sentito fin troppo chiaramente in quelle sei misere parole. “Sei un coglione Draco.” Blaise dette voce ai suoi pensieri. “Perché rifiuti di lottare per la ragazza che ami e soffri come un cane e perché rifiuti di aiutare me con la ragazza che io amo e fai soffrire anche me come un cane!” Il Serpeverde si passò le dita tra i capelli chiarissimi, scuotendo la testa. “Zab, a volte sai essere la persona più fastidiosa che conosca…” “Più di Pansy?” ironizzò il moro, sapendo quanto il suo amico odiasse la vocina acuta della compagna. “…ma ho deciso…” continuò il biondo “…di aiutarti lo stesso.” Il volto di Blaise si accese di una speranza nuova e sincera, fresca come un fiore appena sbocciato. “Davvero?!” sembrò esitare un attimo “No, probabilmente ti stai prendendo di nuovo gioco di me. Lasciamo perdere.” Fece per alzarsi e andare via, ma la voce profonda e impastata dall’alcol di Draco lo fermò. “Io volevo aiutarti sul serio. Ma se preferisci andartene…” Non fece in tempo a finire la frase che il suo amico era tornato a sedere al suo fianco. “Le parlerai?!” Il biondo scosse il capo. “Dato che non ho nessuna intenzione di rivolgerle la parola…” Blaise espresse il suo dissenso per tanta caparbietà con un’occhiata di rimprovero che il suo amico si lasciò scivolare addosso con indifferenza. “…Suppongo che non ci resti che scriverle Zab… e vedrai che riporterà il tuo messaggio a quella babbanofila Weasel.” “Ginevra!” Il biondo finì l’ultimo sorso di alcol con un ghigno sarcastico. Adorava far innervosire il suo amico… “Sì, sì, quella lì.” Borbottò schivando un cazzotto scherzoso. …e ora che era così innamorato era anche troppo facile. Hermione si lasciava cullare dalle braccia del suo amico, troppo stanca ormai anche per singhiozzare come aveva fatto fino ad allora. Si sentiva vuota senza Draco, inutile, incompleta. Quando era successo- pensò -quando era diventato così importante per lei? Non era forse iniziato tutto come un freddo scambio di favori? Quando aveva abbassato le sue difese, il muro della diffidenza e del rancore, al punto da affezionarsi tanto al Serpeverde? Al punto da innamorarsi… E lui l’aveva rifiutata in modo così spietato… Possibile che per lui il loro rapporto non significasse nulla? Le sue labbra avevano detto questo, ma le sue mani, le sue mani che l’avevano accarezzata morbidamente, i suoi occhi, così umidi e brillanti di passione… Quelli parevano mandare un messaggio diverso. La bruna si passò una mano sul viso. Stava piangendo? Non se ne accorgeva neanche più… “…Queste non son più lacrime, che fuore Stillo dagli occhi con sì larga vena. Non suppliron le lacrime al dolore: finîr, ch’a mezzo era il dolore a pena. Dal fuoco spinto ora il vitale umore Fugge per quella via che agli occhi mena…” L. Ariosto, L’Orlando furioso …Queste che stillo dagli occhi con tanta Abbondanza non sono più lacrime. Le lacrime non furono sufficienti per sfogare Tutto il mio dolore: finirono, quando il dolore Era a metà appena. Ora quel liquido che esce, spinto Dalla cocente passione, dalla via che porta agli occhi, È l’essenza della mia vita stessa… Harry la attirò al proprio petto, appoggiando le labbra fresche sulla sua fronte accaldata, e le asciugò due grossi lacrimoni che correvano lungo le sue gote. “Va un po’ meglio?” le mormorò sulla pelle. “Insomma…” Hermione detestava sentirsi debole, odiava piangere e non lo faceva quasi mai. Ma quel giorno si sentiva semplicemente annientata. “Cosa ti farebbe stare meglio?” continuò con voce piacevolmente carezzevole il Cercatore “Gelato? Una cioccolata calda? Patatine e tanta salsa? Un bel libro?” La Grifondoro osservò l’orologio. “Tra venti minuti iniziano le lezioni.” “Non devi andare per forza. Non stai bene, ci penserò io a dirlo ai professori.” Hermione puntò le mani sul suo petto e si distaccò leggermente da lui, quanto bastava per guardarlo con i suoi caldi occhi castani. “Non hai capito… Quello che mi serve sono due ore di Aritmanzia e un’ora di Difesa contro le Arti Oscure.” Harry scosse la testa. “Certo che a volte sei strana Herm…” “Sono fatta così.” Ribatté lei sorridendo, finalmente. Il suo amico era riuscito persino a strapparle un sorriso. I muscoli intorpiditi del suo viso fremettero quando furono contratti in quella semplice espressione di gioia, come se non lo avessero fatto per troppo tempo. Riprese a farsi cullare dolcemente tra le braccia di quel Grifondoro per colmare un po’ la vuota desolazione del proprio cuore. “Posso restare da te stanotte Harry? Non mi va di dormire sola.” “Certo che puoi…” “Dillo a Ginny però” celiò la bruna “O succederà ancora un casino come l’ultima volta!” Harry non rise a quella battuta e Hermione sollevò verso di lui lo sguardo. I suoi occhi smeraldini erano fissi nel vuoto, la sua mente rapita da un filo di pensieri. “Glielo dirò...” rispose dopo quella lunga pausa “Se riesco a parlarle… Ultimamente sembra evitarmi.” La ragazza lo abbracciò stretto. Lei sapeva le ragioni per cui Ginny era così distante e titubante, sapeva cosa la rossa provasse per il proprio ragazzo e cosa per Blaise… Un moto di compassione le attanagliò lo stomaco. “Mi dispiace…” “Fa niente. In realtà era da un po’ che le cose non funzionavano molto tra noi. Anche da prima che succedesse quel putiferio per cui ci eravamo lasciati.” Il moro sospirò leggermente, ma poi il sorriso tornò sul suo volto. “Non pensare a me ora Herm. Sei tu quella da consolare!” In quel momento Hermione ringraziò il Cielo che le aveva posto affianco quell’angelo custode dagli occhi verdi, perché senza di lui non ce l’avrebbe mai fatta. Di amici come Harry ce n’erano pochi al mondo. Se quella sera, quando tornò in quella stanza, Hermione riuscì ad addormentarsi fu solo perché percepiva il suo corpo accanto al proprio e il calore del suo abbraccio attorno a sé. Il sole non aveva ancora fatto capolino oltre la linea dell’orizzonte quando Hermione fu svegliata dallo stridere di una civetta. Il grosso uccello grigio puntinato di marrone si era posato sul davanzale della Torre e chiedeva imperiosamente di entrare, arruffando le penne. La Grifondoro scivolò via da sotto le coperte e andò ad aprire. Sentì Harry mugolare qualcosa d’indistinto per poi cercare a tentoni gli occhiali sul comodino. Non appena fu libera di farlo, la civetta volò dentro la stanza, appoggiandosi sulla spalliera di una poltrona e Hermione le accarezzò delicatamente la testolina piumata. Edwige dal suo trespolo protestò per quell’invasione di territorio emettendo un lungo fischio acuto. “Sht…” le intimò la bruna, sperando che gli altri ragazzi lì a dormire non si fossero svegliati. Fortunatamente, un grugnito assonnato proveniente dal letto di Ron fu l’unico segno di vita. “Che è?” masticò Harry arrivando a fianco alla sua amica, ancora semi-addormentato. “Una lettera…” rispose la ragazza sciogliendo la busta bianca che era stata legata alla zampa dell’animale. Sul retro della carta bianchissima erano vergate solo le iniziali del mittente. D. L. M. Harry porse alla civetta un cracker (gesto che provocò un'altra rumorosa protesta di Edwige) e questa volò via soddisfatta, dirigendosi verso la guferia. Un rigirarsi sotto le coperte fece sospettare ai due amici che gli altri Grifoni stessero per svegliarsi. Di comune accordo si spostarono in bagno, dove avrebbero avuto un po’ più di privacy. “È da parte di Malfoy?” chiese il Cercatore avendo adocchiato le sue iniziali. La reazione istintiva della sua amica fu di stringere la busta al petto, di nasconderla. “Non è detto…” ribatté senza troppa convinzione “Potrebbe essere una Dorothea Lucy Marlen o un Dexter Lucas Mabbof… no? Ci saranno tanti D. L. M. al modo…” “Non essere sciocca ‘Mione. Vuoi leggerla da sola? Me ne vado…” si offrì il moro. “No!” esclamò subito lei bloccandolo per un braccio. Non aveva il coraggio di aprire quella busta, ma doveva sapere cosa contenesse. “Leggila prima tu, Harry…” Il Cercatore storse le labbra. “Sei sicura? Potrebbe essere molto personale.” “Sarà solo un mare di offese…” Il moro la guardò. Se era così allora Malfoy conosceva davvero una lista infinita di offese perché il pacco era tanto voluminoso da far pensare che contenesse più fogli. “Non è che esplode appena la apro?” Quel pensiero gli aveva attraversato subito la mente. Considerando da chi veniva la busta… “No, cioè credo di no… Non vedo perché dovrebbe!” “Allora sei certa di non volerla vedere tu?” “Dalle prima un’occhiata e se non è così brutta come penso me la farai leggere.” “E va bene…” Harry strappò il sigillo in ceralacca nera e tirò fuori tre fogli ripiegati. Davanti a lui Hermione seguì con ansia ogni minimo cambiamento nella sua espressione. Il suo volto all’inizio restò calmo, vagamente contrariato forse, ma sempre tranquillo. Quando proseguì nella lettura però tutto cambiò. Una rabbia sorda e cieca deformò i suoi lineamenti sorridenti. Le sue mani tremarono. Non poteva credere a quello che stava leggendo. ………continua………. § Spazio autrice: § Salve gente. Ecco a voi anche il capitolo XI che è la prima parte di un “capitolone” (neologismo che Word mi sta già segnalando come errore!) diviso in due parti di lunghezze relativamente disuguali (questa è parecchio più corta). Il titolo stesso è doppio: “Guerra e pace” ( o Война и мир se masticate il russo…), ovviamente ripreso dal capolavoro di Lev Tolstoj, un vero e proprio pilastro della letteratura russa (e pilastro è il termine più adatto per definire un libro di duemila pagine! Tanto per chiarire, la citazione nel mezzo presa dall’Orlando Furioso pari pari è quella sopra, mentre quella sotto è la parafrasi che ho aggiunto per renderla più comprensibile. Niente Baudelaire stavolta, chi sa come mai! MmeBovary. |
Capitolo 12
*** Guerra e pace - Parte II ***
Piccolo avviso: i
personaggi di questa fanfic non sono miei, appartengono tutti a J.K.
Rowling ed io li uso momentaneamente senza fini di lucro o simili.
Eventuali citazioni da altri autori sono poste tra virgolette o
segnalate come tali.
Ora godetevi la storia! CAP. 12
GUERRA E PACE – Parte II “La vita, per tutte le sfacciate assurdità, piccole e grandi, di cui beatamente è piena, ha l’inestimabile privilegio di poter fare a meno di quella stupidissima verosimiglianza, a cui l’arte crede suo dovere obbedire.” L. Pirandello La vita è assurda, illogica, imprevedibile più del più fantasioso romanzo. Non è pensabile che sia regolata da leggi imperscrutabili. Quale legge mai potrebbe mettere in gioco tante variabili, orchestrare tante apparenti casualità, coordinare tanti dettagli? No… è inutile nascondersi dietro la confortante illusione che regole più grandi di noi determinino il nostro destino… L’assurdo è ciò che regna nella vita umana. Harry Potter lo aveva appena sperimentato sulla sua pelle. Un attimo prima stava consolando la sua migliore amica perché il suo cuore era a pezzi e l’attimo dopo era il suo stramaledetto cuore ad essere andato in frantumi. Hermione lo osservava, preoccupata. “È così brutta come penso?” Il moro lasciò ricadere il braccio. Si sentiva assurdamente stanco, come se quel pezzo di carta avesse risucchiato tutta la sua voglia di vivere, e al tempo stesso ogni suo muscolo si corrodeva in una rabbia cocente e folle, pronta ad esplodere. “Tutt’altro…”, rispose con una calma che lui stesso non si sarebbe aspettato “…è una bellissima lettera d’amore.” La bruna credette per un secondo che la stesse prendendo in giro. Una lettera d’amore da parte di Draco? Era più probabile che Goyle fosse diventato Ministro della Magia piuttosto. “Per me?!” “No. Per Ginny.” A Hermione servì un attimo per capire. Un attimo lungo un’ora in cui la sua mente riempì i vuoti lasciati sottintesi da quelle poche parole e ricostruì quanto appena successo. Quella dannata lettera doveva contenere qualche esplicita dichiarazione di Blaise per la sua amica. -Cretina- si disse -sei una cretina-. Come le era venuto in mente di far leggere una lettera di Draco a Harry?! Neanche nei suoi più folli incubi si sarebbe mai permessa una simile leggerezza e invece quella mattina il sonno, la stanchezza, lo stress accumulato e la frustrazione la avevano spinta ben oltre il limite della sua logica imperterrita e previdente. Aveva avuto paura. Aveva tremato di fronte alla lettera di Draco, di fronte a Draco, e queste erano le conseguenze. “Non sembri particolarmente sorpresa…”, commentò il Cercatore, notando come la sua amica avesse a malapena reagito ad un annuncio che per lui era stato a dir poco sconvolgente. La ragazza tentò invano di trovare una giustificazione. “Harry, io…” La colpevolezza nel suo sguardo parlò per lei. Il suo migliore amico serrò gli occhi, nascondendo dietro le palpebre forzatamente chiuse la verità dolorosa del tradimento. “Tu lo sapevi!”, ringhiò, tornando a fissarla “Tu lo sapevi e non mi hai detto niente!” Hermione provò un approccio dolce. “Harry, tesoro, mantieni la calma…” “MANTIENI LA CALMA UN CORNO, HERM!” “È stato quando vi eravate lasciati…” “LEI! MI AVEVA LASCIATO LEI!” “Credeva la avessi tradita! Calmati ora!” Il moro prese un profondo respiro, ma la sua rabbia non sbollì affatto. “Forse quando leggerai questa, capirai perché non posso essere calmo.” Le porse quei tre fogli ormai mezzi accartocciati e Hermione notò subito che erano vergati da due calligrafie diverse. Il primo era occupato solo in una piccola striscia da una scrittura elegante, essenziale, fredda, che lei riconobbe subito. I restanti erano stati riempiti fittamente da una mano evidentemente agitata, frettolosa, incapace di trattenere le emozioni che stava riversando nel foglio. Hermione iniziò a leggere. Neanche un saluto su quella prima pagina, nessuna formalità. “Mezzosangue, non pensare che ti scriva perché ho cambiato idea su quello che ci siamo detti poco fa o perché voglio scusarmi per qualunque colpa tu mi addossi.” Gentile come sempre. “L’unica ragione che mi spinge a contattarti dopo che ti avevo promesso di non farlo più è l’amicizia che mi lega a un mio compagno, Blaise Zabini. Leggendo il suo nome probabilmente avrai già capito cosa vuole da te. È suo desiderio che tu interceda per lui presso Ginevra Weasley. Non so se lei ti abbia mai parlato di Blaise, ma ti assicuro che il mio amico non fa altro che tormentarmi riguardo a quanto la ami e a come non possa scordare la notte che hanno passato insieme. Pensi di riuscire a portare il resto di questa lettera alla Weasley o mi odi troppo anche per aiutare un mio amico? Ah, dimenticavo… Auguri con San Potter. Draco L. Malfoy” Da qui iniziava una lunga e appassionata lettera d’amore che Hermione lesse senza neanche capire cosa ci fosse scritto. Nella sua mente tutto ciò che rimbombava con insistenza erano le parole di Draco. Quando ebbe finito, alzò gli occhi verso il suo migliore amico, fermo davanti a lei con la mascella serrata e lo sguardo verde che assumeva tinte omicide. “Capisci ora?” La bruna scosse il capo. “Harry, temo che dovrai accettarlo…” “ACCETTARLO?! Vuoi forse che metta la coda tra le gambe e abbandoni Ginny alle mire di quella Serpe?!” Per un attimo Hermione sentì dentro di sé il prurito fastidioso di una risposta acida che sgomitava per essere formulata. Perché, cosa c’era di così tremendo nell’abbandonarsi a una Serpe? Ma quello non era il momento di riportare la conversazione su se stessa; per quanto distrarre Harry sarebbe stato consigliabile, tirare in ballo Malfoy non era la mossa giusta per ispirare nel Cercatore Grifondoro sentimenti esattamente pacifici. La cosa importante era farlo ragionare e frenare la sua rabbia prima che uscisse col passo di una belva inferocita per far saltare in aria il Dormitorio Serpeverde. Cercò con attenzione le parole giuste. “Sai io credo che se si amano veramente…” Vide le pupille del suo migliore amico dilatarsi come se quella frase avesse sprigionato in lui un tale orrore da ispirare al suo corpo la muta richiesta di più luce. Forse non aveva scelto bene le sue parole… “Non ho intenzione di stare qui ad ascoltare certe cazzate!” “Harry…” “No, Herm, no! Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, no! Non ragionerò, non starò calmo, non mi tirerò indietro, va bene?! L’unica cosa che farò è trovare Zabini e spaccargli la faccia!” La bruna scosse il capo, chiedendosi perché i maschietti non si fossero più evoluti dal tempo in cui gli uomini primitivi si prendevano a pugni sui corpi pelosi e coperti solo da pellicce di animali scuoiati per conquistarsi il diritto di possedere una compagna. “Non essere sciocco…” Evidentemente l’approccio materno era inutile in quel momento, quindi l’unica opzione rimasta era imporsi con un po’ di autorità. Peccato che in quel momento Harry Potter dell’autorità se ne fregasse altamente. Senza degnare di un’altra parola la sua amica, il moro partì in quarta verso il corridoio e si sbatté la porta alle spalle. Hermione alzò gli occhi al cielo. Avrebbero dovuto chiamarlo il Bambino Cocciuto, non il Bambino Sopravvissuto, tanto era testardo… Andò tranquillamente verso la porta, certa di poterlo ancora fermare, qualunque cosa avesse in mente, ma una parola pronunciata fuori da quella stanza da bagno ebbe il potere di gelarle il sangue. “Colloportus!” Si gettò sulla maniglia con la disperazione di chi si è appena reso conto di non aver calcolato proprio ogni possibile reazione. Tirò, spinse e strattonò invano. Era chiusa dentro. Da una delle piccole finestre allungate che si intervallavano sui muri del Dormitorio Serpeverde Blaise guardava un grosso allocco marrone volare verso la Torre Grifondoro. Alla sua zampa aveva legato molto più che una busta… aveva legato il suo cuore e le sue speranze. Poteva solo pregare che arrivassero a destinazione. “Quell’animale recapiterà la lettera, vero Draco?” Il biondo sedeva mollemente abbandonato sul divano davanti alle braci quasi spente del camino. L’ennesimo bicchiere di Firewhisky in mano, teneva la testa reclinata all’indietro e le palpebre abbassate, cercando di combattere l’emicrania che la nottata insonne passata a scrivere quella dannata lettera gli aveva lasciato. “No che non la recapiterò Blaise… Ci accenderà il fuoco e inizierà a ballarci intorno…” Il moro sbuffò, senza smettere di cercare con lo sguardo l’uccello, ormai perso nel cielo ancora scuro. “Devi sempre rispondere con una delle tue frecciatine acide, eh?” “E tu devi sempre fare domande così idiote?” “Mi preoccupavo solo dell’affidabilità di quella bestia che hai preso in Guferia… Emerald che fine ha fatto?” Al nome del suo gufo il biondo appoggiò il bicchiere sul tavolino davanti a sé e si passò le mani tra i capelli per poi fermarsi con le braccia incrociate dietro la testa. Il suo sguardo era pensieroso. “L’ho usato per spedire una lettera a mio padre e ancora non ho avuto la risposta.” Blaise distolse lo sguardo dalla finestra per concentrarsi sul suo amico. Diversamente da quanto molti credevano, dietro un’apparenza di cordiale e freddo rispetto, Draco non era certo in buoni rapporti col padre, quindi se gli aveva scritto doveva essere successo qualcosa di grosso. “C’è qualcosa di cui vuoi parlarmi?” Il ragazzo ruotò leggermente la testa sull’avambraccio arrivando a cogliere nello sguardo blu di Blaise una nota di sincero interesse. Solitamente Zabini era il suo solo ed unico confidente. Lo conosceva da una vita ed erano praticamente cresciuti insieme. Gli unici ricordi felici della sua infanzia erano probabilmente, oltre a quelli con sua madre, quelli legati a quel Serpeverde che gli stava lì davanti... Quante volte da bambini si erano dati appuntamento sotto il tavolo del buffet per fuggire dalla noia degli interminabili convenevoli di un ballo di gala! Bei momenti quelli… Momenti in cui 50 centimetri di tovaglia di purissimo lino bianco si frapponeva come un sipario tra loro e quella mascherata di vecchi ipocriti che pensava solo a mettersi in mostra alla festa. Peccato che poi fossero puntualmente puniti per quel comportamento “poco signorile”. E se la punizione preferita della signora Zabini era proibire al figlio di usare la scopa per una settimana, il buon vecchio Lucius pareva riteneva che una maledizione senza perdono potesse servire meglio allo scopo. Era così che ogni sera, quando la tovaglia del buffet veniva alzata di scatto da una mano rabbiosa in cerca di un figlio disobbediente, i due bambini davanti agli occhi plumbei di Lucius si scambiavano un ultimo sguardo disincantato e si dicevano addio fino al giorno successivo senza poter essere certi però che la mattina dopo sarebbero stati entrambi ancora in vita. Ed era così che Blaise ogni volta il giorno dopo sgusciava fuori di casa all’alba per andare a mettersi sotto la finestra di Draco a Malfoy Manor. Quei minuti in cui tirava sassolini al vetro intarsiato del palazzo erano i più angoscianti che avesse mai passato. Ogni pietra che colpiva invano i lineamenti di piombo fuso che delineavano i disegni di quelle vetrate era una spina che si conficcava nel suo cuore e gli serrava la gola. Ogni secondo del silenzio che seguiva l’impatto sapeva di sangue. E se il signor Malfoy la sera prima avesse esagerato? E se si fosse fatto prendere la mano e il Cruciatus fosse andato oltre il semplice scopo punitivo? Afflitto da questi pensieri, il ragazzo riprendeva a respirare davvero solo quando la testa bionda del suo migliore amico faceva capolino dietro le pesanti tende di broccato e lui sapeva finalmente per certo che era ancora vivo. “Draco, allora? C’è qualcosa che non mi hai detto?” Il biondo di riscosse dai propri ricordi. Non aveva mai avuto segreti con Blaise. Mai. “Niente.” Da quel giorno però ne creò uno. Il suo sguardo argenteo restò placidamente fisso in quello blu del suo amico senza mostrare alcun segno di nervosismo, dissimulando perfettamente la menzogna. “Allora perché hai scritto a tuo padre?”, lo incalzò il moro. “Una semplice formalità fiscale riguardo dei terreni da intestare a mio nome.” Era la prima scusa che gli fosse venuta in mente e sembrò funzionare perché Blaise con una smorfia annoiata accettò quella menzogna come una limpida verità e tornò a cercare con lo sguardo il lento batter d’ali di un grosso allocco marrone. Draco chiuse di nuovo le palpebre e sentì gli occhi pulsarvi contro al ritmo cadenzato del suo battito cardiaco, come se premessero per uscire e fuggire da quella testa piena di falsità e ipocrisie. Aveva appena creato un precedente pericoloso: aveva spudoratamente mentito al suo migliore amico. Doveva farlo, era inevitabile. L’alternativa sarebbe stata dirgli tutto del fidanzamento combinato che suo padre aveva programmato per lui e questo lui non voleva farlo. Dirlo ad alta voce lo avrebbe reso dannatamente reale… E poi perché far preoccupare Blaise? Dopotutto non c’era ancora nulle di definitivo, poteva ancora scappare da quella situazione… Eppure il pensiero di aver nascosto un fatto di tale portata al suo amico gli causava uno strano formicolio sconosciuto al petto. Che fosse un senso di colpa? Scrollò il capo per scacciare quegli sciocchi pensieri moralisti, degni di un Grifondoro. Lui una morale non poteva proprio permettersela. S’infilò la mano in tasca alla ricerca delle sigarette, ma le sue dita si scontrarono prima con la superficie liscia di un oggetto sottile e allungato. I suoi polpastrelli accarezzarono il biancospino lucidato così come la sua mente accarezzò un’idea che vi aleggiava ormai da un pezzo e le sue labbra emisero una risata soffocata. Aveva appena trovato il modo perfetto per occupare la mente e prendersi anche una piccola soddisfazione. “A cosa stai pensando?”, lo interrogò Blaise che si era accorto dell’improvviso cambiamento nel suo umore. Draco sfilò la mano dalla tasca stringendo ancora la bacchetta tra le dita. “Sto pensando…”, soffiò verso il suo amico con un ghigno “…che avrei proprio voglia di un duello…” Un duello. Due bacchette che si sfidano, puntandosi fiere l’una verso l’altra. La tensione che si distende, palpabile al pari di un velo, tra gli sfidanti. Harry già pregustava in fondo al palato il sapore dell’adrenalina crescente che accompagnava ogni sfida. Tutto quello che doveva fare era trovare Zabini e spaccargli la faccia. Semplice a dirsi, meno a farsi, dato che era a malapena l’alba e in giro non si vedeva praticamente nessuno. Poteva sempre far saltare in aria l’entrata del Dormitorio Serpeverde però. Si diresse a grandi passi giù per le scale, schivando per un soffio la figura zoppicante di Gazza che rientrava dall’ispezione notturna. Non vide neanche i gradini di marmo dell’ultima scalinata che si susseguivano sotto i suoi piedi e quasi si sorprese quando arrivò davanti alla porta dei sotterranei. Il tempo di abbassare la maniglia e già era sparito tra quei cunicoli oscuri. Passò silenziosamente davanti alle stanze di Piton e scivolò oltre l’ingresso delle cucine. Se non ricordava male il Dormitorio dei Serpeverde doveva essere lì da qualche parte in uno di quei dannati cunicoli bui e freddi che si assomigliavano tutti spaventosamente. Si strofinò le braccia con le mani, trattenendo il battere dei denti. “Forse potevo mettermi la divisa invece di uscire in pigiama…”, confessò a se stesso, riprendendo a camminare, mentre i suoi piedi a contatto con la pietra si facevano via via più insensibili e il suo odio per gli abitanti di quel posto sempre più cocente. “Dannati Serpeverde…” Hermione emise un gemito rabbioso e strattonò malamente la maniglia del bagno mentre l’ennesima forcina andava in pezzi nella serratura e veniva gettata a terra. “Ma come diamine fanno nei film ad aprirci le porte?!”, borbottò, scegliendo volontariamente di ignorare il fatto che le porte dei film babbani non sono bloccate da incantesimi sigillanti. Incapace di arrendersi, puntò per la decima volta la bacchetta contro il buco della chiave. “Alohomora!” Niente. Quell’incantesimo era inutile se la porta era stata sigillata con la magia. Era stato già stupido provare ad usarlo una volta, ma tentare per undici di seguito sarebbe stato veramente troppo per il suo ego. Pestò i piedi a terra e incrociò le braccia sotto al seno. Detestava quella situazione, il sentirsi in trappola come un uccellino in gabbia. Lei non era un uccellino, dannazione, era un Grifone e un Grifone non si fa certo rinchiudere. Percorse con lo sguardo l’intera stanza, alla ricerca di un qualche oggetto che potesse permetterle la fuga. Umh… forse se fosse stata nel bagno femminile avrebbe potuto mischiare insieme tutte le cremine, gli unguenti, i saponi, i trucchi, le lozioni e gli oli con cui Calì e Lavanda s’impiastricciavano quotidianamente e ne sarebbe scaturita una reazione chimica abbastanza feroce da sciogliere la serratura… Peccato però che fosse nel bagno dei ragazzi e che la popolazione maschile dei Grifondoro sembrasse non fare minimamente uso di una tale serie di cosmetici. Scalciò nuovamente il pavimento, con il solo scopo di sfogare la rabbia. La lettera gettata prima a terra si accartocciò sotto le sue dita scalze e lei la prese in mano. “Malfoy…” Quel nome salì alle sue labbra assieme ad un’ondata di bile. Codardo e vile, aveva preferito mandarle una lettera compromettente piuttosto che abbassarsi a parlarle di nuovo e risolvere la questione a voce, ed ecco il risultato. Chi sa perché, quando lei finiva nei casini, ultimamente c’era sempre di mezzo lui. Hermione passò le dita su quel primo foglio, occupato solo da poche righe eleganti, concluse dalla sua firma, dal suo nome. Il contatto dei polpastrelli con quelle ultime parole le dette un brivido inaspettato. Draco Lucius Malfoy… un suono che le riempieva la bocca di un sapore troppo intenso per essere semplice ricordo di baci passati. Era quel nome stesso che lei percepiva in ogni sua cellula anche solo leggendolo. Maledetto. Avrebbe dovuto odiarlo per tutte le grane in cui l’aveva trascinata e invece con tutta la sua buona volontà non ci riusciva proprio. Forse anche perché al momento la sua rabbia trovava la propria valvola di sfogo in un pensiero diverso: la prospettiva deliziosa di riuscire a mettere le mani su Harry e fargli la scenata del secolo per aver osato rinchiuderla lì! “Oh, per Merlino, ora mi sono stufata!” Prese in mano la bacchetta e fronteggiò la porta. Forse era un’idea folle, ma ormai era l’unica che le fosse rimasta. “Speriamo solo di non fare troppo rumore.” Draco si alzò con un gesto fluido dal divano nero e portò le braccia verso l’alto, stiracchiando con un lungo gemito soddisfatto i muscoli intorpiditi. “Non farai sul serio?” Il biondo posò sul suo amico due occhi di ghiaccio. “Ti sembra che io sia in vena di scherzi Blaise?” “Sinceramente mi sembra che tu sia in vena di cazzate Dra e la cosa mi preoccupa.” “Un duello non è una cazzata.”, borbottò irritato il rampollo Malfoy sgranchendosi anche le dita con movimenti studiati. “E chi sarebbe il fortunato che vorresti sfidare, sentiamo?” “Non fare domande inutili. Potter ovviamente.” “Ovviamente… e sentiamo, come vorrei sfidarlo? Pensi di entrare nel Dormitorio Grifondoro a quest’ora o credi che dorma in giardino?” Draco sbuffò irritato. Detestava che si contrastassero i suoi eccessi d’ira con motivazioni tanto razionali. “A costo di far saltare in aria la torre Grifondoro Zab, stasera lo Sfregiato duellerà con me.” Il moro alzò gli occhi al cielo. “Un duello per una pulzella… è roba da Medioevo! Non sarebbe più facile se tu parlassi con la Granger invece di fare a fettine il suo ragazzo?” Quella frase che avrebbe dovuto far ragionare il Serpeverde con un po’ di calma ebbe invece il potere di mandare in fiamme ogni sua singola terminazione nervosa. Il suo ragazzo… Mai e poi mai avrebbe accettato che un simile epiteto fosse usato per definire San Potter in relazione alla sua Mezzosangue! Blaise colse il lampo che attraversò le sue iridi a quelle parole. “Che c’è, Dra? Ti dà fastidio che chiami così Potter? C’è un solo modo per evitare che lo faccia. Domani parli alla tua affascinante Grifondoro, metti da parte per un po’ il tuo dannato orgoglio e cerchi di riconquistarla!” Il biondo sfoderò un ghigno degno del peggiore dei Malfoy. “No, Blaise, c’è anche un altro modo…” Oh sì, c’era un altro modo, dannatamente più divertente, per far diventare lo Sfregiato un ex della Mezzosangue: un morto non può essere il ragazzo di nessuno… Senza un’altra parola ruppe gli indugi e si diresse con la sua falcata più decisa verso l’uscita. “Cazzo, Draco, aspetta…” Il moro fece per seguirlo, ma dovette prima fermarsi a rimettere i bicchieri e la bottiglia di Firewhisky nel nascondiglio segreto, casomai Piton o Gazza avessero deciso di fare capolino nella Sala. Perse meno di mezzo minuto, eppure quando anche lui ebbe varcato l’uscita si trovò davanti un corridoio vuoto. “Dannazione Draco, vuoi ragionare? Dove sei andato a ficcarti?” Lasciandosi dietro una scia di improperi ben poco gentili si diresse per la via più breve verso la scalinata che portava ai piani superiori, immaginando che il suo compagno dovesse aver preso quella direzione. L’orlo del suo mantello scomparve lungo le pietre opache del pavimento e, con un ghigno soddisfatto, una figura bionda, che non si era mai mossa di lì, uscì dall’ombra di una nicchia in cui si ergeva un’armatura vuota. Draco scrollò il capo. Era stato fin troppo facile. Rigirandosi lentamente la bacchetta tra le dita s’incamminò nella direzione opposta a quella del suo amico, verso un’uscita laterale. Ci mise pochi minuti a raggiungerla, esperto com’era di quei luoghi, ma questo breve lasso di tempo gli parve un’eternità. Non voleva avere momenti liberi per pensare, avrebbe preferito poter iniziare quel duello all’istante. Perché se lasciava che la sua mente indugiasse su quel che stava facendo rischiava di convincersi che era una follia. Una follia rischiare l’espulsione per una Mezzosangue, una follia imbastire un duello per una che gli aveva preferito qualcun altro, una follia sperare di riuscire a rintracciare Potter. Fortunatamente era già arrivato alla porta che conduceva all’Ingresso. “Dannati Serpeverde…” Il biondo si voltò di scatto sentendo una voce fin troppo familiare provenire dall’altro lato della sala. Che Merlino potesse fulminarlo in quell’istante se non appena aveva sentito proprio lo Sfregiato, colui che stava cercando, mandare al diavolo la sua Casa. L’assurdo era che gli pareva pure che quella voce fosse uscita dai Sotterranei attraverso la porta laterale socchiusa all’altro capo dell’Ingresso. Doveva essere colpa dell’alcool. O della nottata insonne. “Calmati Draco, adesso hai pure le allucinazioni…”, mormorò a se stesso col solo risultato di sentirsi ancora più pazzo per aver parlato da solo. Blaise arrivò di corsa fino alla porta principale e abbassò la maniglia appoggiandovisi con una forza tale che non si sarebbe meravigliato troppo se l’avesse ridotta in briciole. Davanti a lui ancora solo l’immenso Ingresso vuoto. L’istinto di chiunque sarebbe stato di proseguire il folle inseguimento scapicollandosi su per le scale per raggiungere il suo amico prima che arrivasse al Dormitorio Grifondoro. Lui però non era chiunque e conosceva Draco abbastanza bene da sapere che il giovane Narciso biondo non era il tipo da darsela a gambe a tutta velocità. Non perdeva il suo aplomb e la sua statuaria calma neanche in una situazione del genere. Quindi se non era lì in quel momento voleva dire solo una cosa: era ancora nei Sotterranei. Probabilmente a ridere sotto i baffi per averlo fregato così facilmente. Il moro richiuse la porta con un tonfo e tornò a grandi passi verso il Dormitorio, imprecando tra i denti. “Allora, la vogliamo finire con queste cazzate?!”, gridò al corridoio vuoto, incurante della possibile presenza di qualche professore o prefetto “Mi spieghi a cosa diamine serve un duello?” Una voce inaspettata lo sorprese alle spalle, bassa e suadente, e rispose alla sua domanda. “In genere Zabini… ad avere vendetta.” “Cazzo, mi sa che mi sono perso…”, gemette Harry, portandosi una mano tra i capelli spettinati. Nella foga della rabbia non aveva pensato di portare con sé la Mappa del Malandrino e in quel momento se ne pentì amaramente. Quei dannati corridoi si assomigliavano tutti. Chilometri di muri umidi e scuri illuminati costantemente da fiaccole tetre che proiettavano ombre sfocate. Fu proprio una di quelle ombre a colpire in quell’istante il suo sguardo smeraldino. Il guizzare verde e argento di una fugace forma indistinta era appena sparito dietro l’angolo. Un brivido discese lungo la sua colonna vertebrale fino a serrare spasmodicamente la stretta delle sue dita attorno alla bacchetta. Trovato. Non poteva credere alla sua fortuna. Improperi di ogni sorta accompagnavano il passaggio di quel Serpeverde, rimbombando nei corridoi. Harry udì distintamente la voce di colui che quasi disperava di trovare guidarlo fino al suo Dormitorio. Lì Blaise si fermò e prese ad urlare, apparentemente contro solo una vecchia armatura vuota, chiedendo a cosa servisse un duello. Il Cercatore Grifondoro non riuscì a trattenere la risposta. “In genere Zabini… ad avere vendetta.” Vide gli occhi blu del Cacciatore dilatarsi per la sorpresa. Probabilmente era convinto di essere vittima di qualche Confundus… Harry Potter non poteva trovarsi lì a quell’ora. E poi perché gli puntava addosso la bacchetta? E soprattutto, perché diamine era in mutande?! “Sei caduto giù dal letto direttamente quaggiù nelle profondità della terra, Potter?” Il Cercatore distese le dita lungo la bacchetta, sentendola fremere della sua stessa eccitazione. “Tra poco ti passerà la voglia di scherzare Zabini. O quella di mandare lettere d’amore alle ragazze altrui.” La sua voce si spense in un sussurro strozzato dall’impazienza. “Ahn…”, convenne il moro “Ora capisco…” Un sorriso stanco increspò le sue labbra perfette. A quanto pareva la sua missiva non aveva raggiunto il destinatario giusto. Ecco cosa succedeva a fidarsi dei gufi della scuola. Doveva ricordarsi di fare un bel discorsetto a Draco riguardo l’affidabilità di quelle bestie. “Ed esattamente cos’è che vorresti da me?” si informò con tono cortese, conscio che si trovava in una posizione debole rispetto al Grifondoro. Dopotutto era vero che gli aveva rubato la ragazza e che il moro aveva un certo diritto di essere arrabbiato. “Te l’ho già detto mi pare, Zabini… vendetta.” Il Serpeverde trattenne una risata al pensiero che gli aveva appena attraversato la mente. Harry e Draco, così opposti e in quel momento così uguali. “Anche tu sei il tipo che si batte a duello per una fanciulla?” Il Grifondoro non colse l’allusione a Malfoy celata dietro quell’“anche”. “Io sono il tipo che spacca la faccia a chi gli ruba la ragazza.” “Ma non mi dire… San Potter?” “Sono pieno di sorprese…” Il moro distolse da lui gli occhi azzurri, guardando se per caso Draco non fosse nei paraggi. Riportare il suo compagno alla ragione restava la sua priorità e dell’onore da difendere di Potter gli importava ben poco. “Non ho intenzione di battermi con te Harry.” “Peccato perché io sì.” “Senti, se non ti spiace avrei altro da fare…” “Per caso hai paura Zabini?” Blaise scosse il capo. Ah, il ragazzo si sbagliava di grosso se credeva di poterlo convincere giocando sul suo orgoglio. Non era mica Draco lui! “Non farmi ridere. Io non ho bisogno di dimostrarti nulla. Quindi ora levo il disturbo…” “Devo dedurre che non te ne importa proprio niente di Ginny, dato che non sei nemmeno disposto a rischiare il tuo regale fondoschiena per lei?” La voce del Grifondoro si ridusse ad un sibilo velenoso mentre si giocava anche l’ultima arma. Se non fosse andata a segno neanche questa provocazione probabilmente avrebbe dovuto cominciare a prendere in considerazione l’ipotesi di lasciar perdere. La frecciata però non manco il bersaglio. “Cosa?!” Una nuova nota faceva vibrare la voce sempre così bassa e distesa di Blaise e Harry la trovò semplicemente meravigliosa perché era esattamente quella la punta di rabbia che gli avrebbe fatto accettare la sfida. Il Serpeverde infilò la mano in tasca e quando la ritrasse stringeva tra le dita la sua bacchetta. “Quando vuoi Harry.” Una parola. Una sola parola. Undici lettere che se inanellate nel modo giusto formano uno degli incantesimi più comuni, eppure anche più efficaci. Un suono che se pronunciato da un babbano è una ridicola formuletta al pari di un abracadabra qualunque, ma se intonata da un mago si trasforma senza indugio in un fiotto di luce rossa dalla forza distruttiva. “Stupeficium!” Harry lo sentì uscire dalle proprie labbra nei Sotterranei, mentre concentrava tutta l’attenzione dritto al cuore dello sfidante. Blaise lo udì un secondo prima di gettarsi a terra e vedere un lampo rosso sfiorargli il lobo dell’orecchio sinistro. Draco lo sentì provenire da un punto indefinito alle sue spalle e si decise ad andare a vedere cosa fosse successo. I Grifondoro del Settimo anno credettero di averlo sognato un attimo prima però di veder andare in pezzi la porta del loro bagno e di trovarsi davanti il prefetto Hermione Granger con la bacchetta ancora fumante e uno sguardo vagamente colpevole negli occhi castani. Hermione si fece largo tra i resti polverosi della porta. Ok, forse aveva un po’ esagerato, ma non le veniva in mente altro modo per uscire di lì. Mentre si scrollava di dosso la cenere che svolazzava nell’aria per merito del suo forse troppo enfatico incantesimo, si accorse di avere puntati addosso gli occhi ancora semi-chiusi dal sonno dei suoi compagni di corso. Solo Ron mancava all’appello, dato che neanche il tonfo del legno che andava in frantumi era stato sufficiente a turbare il suo sonno profondo. “È tutto a posto ragazzi, ora rimedio… Reparo!” Con un rapido gesto del braccio la bruna fece tornare ogni scheggia al suo posto e siglò la riuscita di quell’“evasione” con un bel sorriso di circostanza. Seamus e Dean la fissavano ancora stropicciandosi gli occhi. Il primo pensò persino di darsi un pizzicotto sul braccio per accertarsi di non stare dormendo, ma nella confusione del dormiveglia afferrò la pelle del compagno di stanza che sobbalzò per il dolore. “Bah… non ho sentito nulla…”, biascicò Seamus, ancora convinto di aver azzeccato la mira sul proprio avambraccio “Vorrà dire che è un sogno…” Hermione colse la palla al balzo. “Certo… è così… a letto ora…” soffiò con voce cantilenante “…tornate a dormire…” Con delicati gesti delle mani indicò ai diciassettenni semi addormentati i propri letti vuoti e questi, incespicando con la grazia di un branco di zombie, andarono subito ad occuparli, convincendosi nel giro di un minuto di aver semplicemente sognato qualcosa di assurdo come la Granger che faceva saltare in aria il bagno del loro Dormitorio. Hermione intanto era già corsa giù per le scale fino alla stanza che ospitava le ragazze del sesto anno. “Ginny! Ginny! Dannazione svegliati e apri questa porta!” Il lento cigolio del letto e un rumore di passi strascicati precedettero la comparsa dietro l’anta di legno di una testa rossa spettinata e confusa. “Herm? Cosa è successo?” La Weasley sbatté un paio di volte gli occhi azzurri e cercò distrattamente l’orologio alla parete, incapace di determinare da sola che diamine di ore fossero. “Si tratta di Harry…” “Oh, è questo? Io ti giuro che glielo dirò… solo non ho ancora trovato il momento adatto…” Il prefetto scosse vigorosamente il capo. “No, non hai afferrato. Harry sa tutto… oh, accidenti, non c’è tempo, ti spiego per strada!” E senza sprecare ulteriore tempo afferrò la povera Ginevra, ormai totalmente sicura di stare solo avendo un incubo particolarmente realistico, fuori dal Dormitorio e giù per un centinaio di rampe di scale. “Expelliarmus!” Harry si abbassò di scatto, gettandosi alla propria sinistra ed evitò per un soffio di perdere la bacchetta. Facendo leva sulla mano libera che poggiava a terra, si sollevò quel che bastava per includere l’avversario nella propria linea di tiro. “Incendio!” Rispose al semplice incantesimo di disarmo di Zabini con uno ben più incisivo, che però andò a vuoto come il precedente schiantesimo. Il Serpeverde lo aveva infatti parato sfilando lo scudo dall’armatura nella nicchia e usandolo per proteggere se stesso. Vedendo che però non rispondeva all’attacco, Harry si spazientì. “Allora Zabini, vuoi combattere o hai intenzione di continuare a scappare?!” Il moro imprecò a bassa voce mentre estraeva a fatica le dita da dietro la placca metallica dello scudo, reso bollente dal calore della magia e fuso in vari punti. Non voleva combattere, ma di certo non aveva intenzione di tirarsi indietro. L’eco metallico dello scudo gettato a terra non era ancora cessato, quando si decise finalmente a fare sul serio. “Petrificus Totalus!” “Protego!” Harry respinse l’incantesimo con un gesto annoiato del braccio e fisso gli occhi verdi sulla figura di Blaise, ancora immobile con la bacchetta puntata su di lui. “Non ci siamo capiti, allora… o non sei proprio in grado di fare una magia decent…aahhh” La sua frase si spense in un gemito di dolore quando un secondo incantesimo, stavolta non verbale, lo colse di sorpresa e lo raggiunse al braccio. Le sue dita si serrarono attorno alla bacchetta e tutti i suoi muscoli fino alla spalla parvero farsi di pietra. “Allora Potter, ne hai abbastanza o dobbiamo continuare?” “Bastardo…” Con uno scatto rabbioso Harry afferrò con la sinistra la propria bacchetta e la sfilò a fatica dalla morsa delle proprie dita spasmodicamente rigide. “Wingardium Leviosa!” Come previsto, Zabini si scansò di nuovo, ma non fece caso a ciò che il suo incantesimo era andato a colpire, cioè il pesante elmo piumato dell’armatura alle sue spalle. Un attimo dopo una ventina di chili di metallo lavorato colpivano in pieno la sua testa. Il Serpeverde provò un’intensa fitta di dolore e mille stelle esplosero davanti ai suoi occhi mentre le lacrime pungevano per uscire ed entrambe le sue mani correvano istintivamente al capo. Dannazione, si era fatto fregare con un trucchetto del genere… La sua vista appannata fu sufficiente a fargli mettere a fuoco la figura del Cercatore che si rimetteva in posizione d’attacco, pur tenendo sempre il braccio destro grottescamente rigido. Tastò il terreno alla cieca, cercando la propria bacchetta, mentre la formula pronunciata dal suo avversario già gli riempiva le orecchie. “Stupef…” “STUPEFICIUM!” Un potente fiotto rosso s’infranse sul muro, mancando l’orecchio destro di Harry per un soffio. Il moro si voltò con un ringhio verso la fonte di quell’interruzione. “Malfoy…” Il biondo incedeva verso di lui, la bacchetta ancora sollevata. “Questo era solo un avvertimento Potter. Sta pur certo che il prossimo colpo non ti mancherà.” “Avrei paura di essere preso da te Malfoy, solo se stessi mirando a qualcuno a due metri da me.”, ironizzò il Grifondoro. Il biondo arricciò il labbro superiore in una smorfia irritata. “Aspetta solo di cominciare il nostro duello e non solo non avrai più voglia di fare battute sulla mia mira, ma tu e la sfregio che aggiungerò alla tua collezione sarete eterni testimoni di quanto essa sia infallibile.” Harry sembrò rendersi conto solo in quell’istante delle intenzioni del biondo. Non era lì per difendere il suo compagno. Era lì per sfidare lui a duello. “Non so se te ne sei accorto, Malferret, ma avrei già una sfida in corso!”, squillò con voce piccata, indicando con un gesto di stizza l’avversario steso a terra che si massaggiava la nuca dolorante. “Questa tua stupida ripicca per una di cui nemmeno t’importa davvero viene dopo il nostro problema Sfregiato.” “Quale problema?” Quale problema? Quale problema?! Il finto tonto aveva anche il coraggio di chiedergli quale fosse il problema? Il problema era che lui gli aveva strappato dalle braccia l’unica donna di cui gli fosse mai importato qualcosa, ecco, qual era il suo problema! “Se c’è una cosa che detesto sono quelli che fingono di non capire Potter…” Il moro strabuzzò gli occhi. Che diamine gli era preso al biondastro? Lui non aveva davvero idea di cosa gli avesse fatto. Certo, non ci voleva un vero motivo per lanciare un paio di fatture a quella Serpe e negli anni le occasioni in cui si erano amabilmente schiantati l’un l’altro non erano mancate, ma al momento non vedeva una sola ragione per cui interrompere un duello per lui. “Allora Sfregiato? Combatti o devo iniziare io?”, lo incalzò il Serpeverde. “Prima deve finire con me…” Draco si ritrovò a fissare incredulo il suo compagno di Casa che tentava di rimettersi in piedi. “Falla finita Blaise, tu non volevi neanche combattere.” “Ma ora non ho nessuna intenzione di dargliela vinta.” Aggrappandosi anche con le unghie alla pietra del muro riuscì a riportarsi in posizione eretta. “Allora Harry, dove eravamo rimasti?” “Da nessuna parte!”, lo interruppe Draco, parandoglisi davanti. “Dannazione Malfoy, vuoi capirlo che non ho intenzione di combattere con te?” “Invece lo farai Sfregiato…”, ringhiò il biondo, mentre la rabbia già gli scivolava lungo le vene fino alla punta delle dita per poi trasformarsi in piccole scintille argentee che scaturirono dall’estremità della sua arma. “No.”, sentenziò lapidariamente il Grifondoro. “Sì.”, ribatté il biondo. “No!” “Tu stanne fuori, Blaise! Ora devo spaccare la faccia a Potter” “No!” “Sì!” “No!” “NO!” Una voce si aggiunse al loro bisticcio. Una voce dolce e soave come il canto di un cardellino, ma ferma e decisa come il ringhio di un leone. Prima ancora di voltarsi e vederla, Draco già sapeva chi aveva parlato. Lei… “Herm, cosa ci fai qui?”, sbottò Harry. La bruna sembrò farsi incandescente. La voce le tremò un attimo per l’assurdità di quella domanda. “Cosa ci faccio qui?”, soffiò con un fil di voce “Tu osi chiedermi cosa ci faccio qui?!”, il suo tono diveniva sempre più irato “Harry James Potter… dopo avermi rinchiuso con la magia in un bagno per venire qui a sfogare i tuoi eccessi di testosterone, tu osi chiedermi cosa ci faccio qui?!” Il moro abbassò lo sguardo verso il pavimento con aria colpevole, mentre la Grifondoro oltrepassava Draco e raggiungeva il suo amico per poi borbottare un contro incantesimo e sciogliere i muscoli irrigiditi del suo braccio. Il biondo Serpeverde non poté trattenersi dal ridere. Lo Sfregiato con la coda tra le gambe mentre la sua Mezzosangue lo rimbrottava a dovere era uno spettacolo impagabile. Quella risata sommessa lo fece notare da Hermione. “E tu…”, sibilò la ragazza, puntando l’indice verso di lui “E tu…” Il biondo alzò il mento, guardandola con sprezzo dall’alto del suo metro e ottantacinque. Lei lo fissò dritto in quegli occhi argentei che si ritrovava e le sue membra furono percorse da un’intensa sensazione di calore. Dannazione. Avrebbe dovuto odiarlo in quel momento, e invece… Dio, perché amava tutto di lui, dalla piega superba delle sue labbra, alle sue ciglia chiare, al suo tono di voce strascicato e annoiato, al sapore della sua pelle che conosceva così bene… perché? “E io, cosa Mezzosangue?”, la sfidò a continuare il Serpeverde. “E tu, che fai tanto l’offeso…”, riprese lei “…con questi tuoi atteggiamenti da maschio tradito, mi spieghi cosa diamine ti ha fatto Harry? O cosa diamine ti avrei fatto io, tanto per cominciare?!” Il biondo alzò gli occhi al cielo, esasperato. Cos’era quello? Il raduno dei finti tonti? “Davvero non ci arrivi da sola Mezzosangue?”, soffiò verso di lei, portandosi a pochi centimetri dal suo viso. La sentì fremere nell’attesa di un contatto che però le negò e soprattutto che negò a se stesso. Non voleva toccarla, non voleva sentire la morbidezza della sua pelle oltre la stoffa sottile del pigiama. Voleva mantenersi superiore e distante e se la avesse avuta tra le braccia di certo non ce l’avrebbe fatta. Già pochi istanti prima, quando gli era passata accanto, il solo ondeggiare dei suoi boccoli aveva sparso un profumo sufficiente a mandargli in tilt il sistema nervoso. La bruna scosse il capo lentamente. Non capiva, ma voleva sapere, chiarire tutto una volta per tutte. “Vieni con me…”, le sussurrò il biondo, indicando un corridoio laterale dove avrebbero potuto parlare in privato. La Grifondoro annuì, ma prima di seguirlo aveva un’ultima cosa da fare. Si voltò verso il corridoio da cui era arrivata. “Ginny, puoi venire qui, per favore?” Una cascata di capelli rossi fece capolino da dietro l’angolo, seguita dal profilo delicato di un volto coperto di lentiggini e di vergogna. Ginevra fece qualche passo incerto verso la sua amica, che le tendeva la mano con fare incoraggiante. Non riusciva ancora a credere a quello che le stava succedendo attorno. Hermione le sussurrò qualche parola di incoraggiamento che lei non capì assolutamente. Fece cenno di sì con la testa, senza avere idea di cosa le avesse detto. Guardò Harry e guardò Blaise. Una fitta le strinse il cuore nel notare che quest’ultimo si reggeva a malapena in piedi. Poi vide Hermione sparire in un cunicolo laterale, seguita a ruota dal suo principe delle Serpi e seppe di essere sola con la propria decisione da prendere. In fondo al cuore però lo sapeva già, quella decisione era presa da tempo Hermione appoggiò la schiena contro la parete di un oscuro sottoscala. “Allora? Ora hai intenzione di spiegarmi per quale cavolo di motivo ce l’hai tanto col mondo?” Draco invece di risponderle o anche solo di prenderla in considerazione si portò una sigaretta alle labbra e fece per accenderla. Le dita della Grifondoro furono più leste delle sue e gli sfilarono il sottile bastoncino di tabacco dalla bocca, spezzandolo in due con una leggera pressione delle dita. “Non fumare ora. Parla.” Il biondo contrasse il volto in un’espressione furiosa. Non solo la Mezzosangue gli aveva rovinato il divertimento portandolo via dal duello che agognava, ma ora gli sottraeva pure un bene di prima necessità come la nicotina! “Posso fare molte cose e parlare…”, sussurrò con voce roca mentre una nuova sigaretta prendeva il posto della precedente “…o ti sei già scordata quante volte qua sotto abbiamo parlato mentre io ero intento a fare anche qualcos’altro…” Hermione avvampò fino alle orecchie. Fu come se avesse sentito di nuovo le sue mani sul suo corpo, le sue labbra così vicine da farla impazzire. “Non divagare.”, tagliò corto “Dimmi solo cosa ti ha fatto Harry.” “Mi pare ovvio.”, ritrose lui. “Forse nel tuo infantile ed egocentrico mondo in cui tutti pensiamo come te, ma ti assicuro che nella realtà per me non è ovvio per niente!” Il giovane sospirò con aria annoiata e mise via la sigaretta. Senza smettere di fissare i suoi occhi dorati si avvicinò alla sua Mezzosangue, fino a schiacciarla col proprio corpo contro la parete. Ad ogni passo che faceva nella sua direzione i battiti di entrambi si facevano più accelerati, finché i loro corpi si toccarono e tutto ciò che essi riuscirono a sentire fu il rumore dei reciproci respiri e il rombo del sangue nelle orecchie. “Se non lo avessi capito, Mezzosangue…”, soffiò lui sulla sua guancia arrossata “… voglio fare a pezzi Potter per colpa tua…” “Mia?”, ribatté lei con un fil di voce. La vicinanza col suo corpo la faceva impazzire. Quanto tempo erano stati lontani? Mesi? Giorni? No, solo poche ore… Possibile? “Sì Granger…”, chiarì il biondo “Perché tu preferisci lui a me.” Hermione portò le mani sul suo petto, giocando con la sua cravatta. “Tra me e Harry non c’è quello che c’è tra me e te…” “Perché io e te non stiamo insieme e voi sì?” “Io e Harry non stiamo insieme!” Draco si irritò ulteriormente davanti a quella che giudicò come l’ennesima menzogna. La prese per i fianchi e la attirò a sé, ringhiando la risposta alla sua affermazione dritta dentro il suo orecchio. “Però andate a letto insieme…” “Cosa?!” Il Serpeverde lasciò la presa sulla sua vita e sbatté violentemente i palmi sul muro accanto al suo volto. “Ho detto basta menzogne!” “E io non ne ho dette!”, si difese la bruna, incredula davanti a tali accuse. La Serpe si allontanò velocemente da lei, come se non sopportasse più quel contatto così intimo col suo sguardo. Si decise ad accendersi finalmente quella dannata sigaretta. Mulier cupido quod dicit amanti, in vento et rapida scribere oportet aqua. Ciò che la donna dice all'innamorato bisogna scriverlo nel vento e nell'acqua che scorre. Catullo, Carme LXX Hermione si ritrovò a fissare la sua schiena che veniva circondata da sempre più fitti cerchi di fumo. “Draco, io non ti sto mentendo. Non sono mai andata a letto con Harry.” Il Serpeverde ringraziò il cielo di stare rivolgendo le spalle alla Mezzosangue. Le sue mani ebbero un tremito a quelle parole e un impalpabile mucchietto di cenere cadde verso le sue costose scarpe italiane. Perché la voce della Granger suonava così sincera? Se si fosse voltato e la avesse guardata negli occhi, cosa vi avrebbe visto? La vergogna di una bugia o la sfida ad accettare la più pura verità? “Draco, guardami.” Lui non variò la sua posizione di un millimetro. Se la avesse guardata avrebbe retto la sfida? Hermione si irritò per la sua ostinatezza nel non considerarla minimamente. “Accidenti a te Malfoy, vuoi dirmi come diamine ti è entrata in testa l’idea che Harry ed io siamo stati insieme?!” Il biondo soffiò l’ennesima boccata di fumo. “Ma se lo sa tutta la scuola… E poi è per questo che la Weasley ha conosciuto Blaise. Potter la aveva tradita. Con te. E se non bastasse, ti ho vista con i miei occhi gettarti tra le sue braccia dopo il test di Pozioni.” La sua risposta arrivò a Hermione come uno schiaffo in pieno viso. Dopo averla ignorata mezz’ora si decideva a risponderle e tutte le giustificazioni che le dava erano queste? “Non ti facevo così stupido.”, lo provocò, senza ottenere grandi risultati. Al posto delle parole, ancora non riceveva che cerchi di fumo. “E nemmeno così codardo.”, aggiunse allora, incrociando le braccia sotto al seno con aria autoritaria. “Codardo io?”, sbuffò il Serpeverde in una risata. “Ora le ho sentite proprio tutte…” “Se non lo sei voltati.” La sigaretta consumata finì a terra, schiacciata dalla punta di una scarpa dalla lucida superficie nera. Draco inspirò forte. Non poteva rifiutare una sfida così aperta. Ancora un secondo per racimolare in ogni angolo del proprio corpo il coraggio e poi lo fece. Si voltò. E fu allora che sentì il nodo che gli stringeva la gola sciogliersi in un gemito dannatamente felice che ebbe cura di ricacciare in fondo allo stomaco. Perché fu allora che capì. La sua Mezzosangue lo guardava negli occhi, bella, sicura, fiera e soprattutto sincera. Attraverso quelle pozze dorate poteva vedere la sua anima e leggervi l’indignazione per quelle accuse insensate che le aveva rivolto e la volontà di mostrargli quanto non se le fosse meritate. Quegli occhi così caldi, dolci e forse, perché no, innamorati, non potevano celare alcuna menzogna. “Tutte quelle chiacchiere” cominciò Hermione “Su me e Harry sono nate perché mi ero addormentata nel suo letto dopo che avevo pianto sulla sua spalla per ore, per colpa tua. Ginny mi ha vista dormire e si è fatta un’idea sbagliata, ma ora è tutto risolto. E riguardo all’essermi buttata tra le braccia di Harry, come dici tu, forse in quel momento eri troppo occupato a trarre conclusioni affrettate per accorgerti che stavo semplicemente scoppiando in lacrime e indovina un po’ per colpa di chi? Ancora tua, maledetta Serpe… Colpa tua, che mi avevi fatto del male…” Mentre la guardava sfogare la sua rabbia, Draco lottava per reprimere un sorriso di tenerezza che rischiava di deturpare la sua statuaria freddezza e di rovinare per sempre la sua fama di uomo di ghiaccio. Come aveva potuto credere che quella ragazza che gli stava davanti, l’unica che gli avesse mai fatto tremare il cuore, potesse averlo tradito? Si sentì improvvisamente un idiota per aver bevuto una tale serie di sciocchezze, proprio lui che si era sempre ritenuto superiore ai pettegolezzi. “Ti ho fatto del male quindi?”, soffiò verso la sua dea, avvicinandosi di un passo. “Più di quanto immagini.”, fu la risposta tremante di quell’angelica voce commossa e sfinita. “E vuoi stare con me lo stesso?” La prese di nuovo tra le braccia, come poco prima, ma certo stavolta di non volerla lasciar andare mai più. “Sì…”, mormorò lei allacciando le braccia dietro la sua nuca. “Allora…”, Draco avvicinò le labbra al suo collo latteo “…stai con me. Ti farò del male con tutta la dolcezza che posso…”, e affondò i denti nei suoi muscoli tesi, leccando ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere. Hermione gemette per il dolore e il piacere vicino al suo orecchio, aumentando il contatto del proprio bacino con il suo e premendo i polpastrelli sulla sua schiena fino a che divennero bianchi per la mancanza di afflusso sanguigno. Il desiderio per quel corpo divino, bello come quello di un Dio pagano, crebbe nel suo ventre, strisciando come una serpe verso le sue labbra, trasformandosi in un sussurro strozzato. “Draco…”, mugolò al limite del proprio autocontrollo. Il biondo fu scosso da un fremito a quel suono. Niente e nessuno gli avrebbe potuto impedire in quell’istante di prendere la sua Mezzosangue tra le braccia e trascinarla nel proprio letto per poi chiudersi in camera per l’intera giornata. Allontanò le labbra dal suo collo. Voleva un bacio, Dio se lo voleva… Hermione sorrise, leggendo la passione nelle sue iridi chiare. Stavolta non si sarebbe tirata indietro. Avvicinò il volto a quello del suo angelico tentatore. Sentiva le labbra andarle a fuoco e sapeva che solo una persona avrebbe potuto estinguere l’incendio che ardeva in lei… I loro visi si fecero sempre più vicini… No, niente avrebbe potuto impedire loro di amarsi quel giorno… Niente… …o quasi. STONF! Con un sonoro strepitio di penne una civetta bianca con un sottile collare di piume nere attorno al collo terminò la sua picchiata sbattendo sul petto di Draco, il quale non si preoccupò di trattenere una serie di improperi. “Ma cosa cazzo…” Le parole gli morirono in gola non appena riuscì a fermare l’animale, chiudendogli le ali attorno al corpo e si trovò a fissare gli occhi verde intenso del suo Emerald. Legata alla sua zampa c’era una lettera scritta in pregiata carta bianca e sigillata da uno stemma che conosceva fin troppo bene. Il blasone dei Malfoy. Alzò gli occhi verso quelli pieni di confusione della sua Mezzosangue e una morsa d’ira gli serrò i polmoni. Doveva aprire quella lettera, ma non poteva farlo lì. Dannazione. Per colpa di suo padre avrebbe dovuto rinunciare a lei ancora un po’. “Io… devo andare.” Schioccò un veloce bacio sulla fronte della Grifondoro e le rivolse le spalle per incamminarsi a grandi passi verso il proprio Dormitorio, affrettandosi ad allontanarsi perché sapeva che se avesse indugiato non avrebbe più trovato la forza di staccarsi da lei. “Ma… Draco…” La bruna tese la mano verso di lui, trovandosi improvvisamente a stringere l’aria. Inizialmente la delusione rese più amaro il sapore del bacio negato, poi però la giovane decise di concedere al biondo un po’ di tempo. Qualunque cosa fosse successo doveva essere importante e loro due avrebbero avuto da allora in poi tutte le occasioni del mondo per stare insieme. O almeno così le pareva in quel momento… Quando vide il volto di Ginny sporgersi dietro l’angolo Harry trattenne il fiato. Il suo corpo si paralizzò nell’attesa di vedere cosa lei avrebbe fatto. Sarebbe corsa ai suoi piedi? Avrebbe pianto e supplicato per il perdono, dicendo che quell’idiota di Zabini non significava nulla per lei? La rossa fece qualche passo incerto verso Hermione e il moro sentì la sua amica sussurrarle “So che qualunque cosa farai, sarà la scelta giusta. Segui il tuo cuore Ginny…”. Riprese a incamerare aria nei polmoni, gonfiandosi il petto dell’idea che mai Ginny, la sua amica da anni, avrebbe potuto preferirgli un Serpeverde, l’avventura di una notte. Tutta la sua sicurezza però scivolò via in un soffio quando la rossa alzò gli occhi prima su di lui e poi su quell’altro. Possibile che ella riservasse un simile sguardo proprio a Zabini? Non c’era forse possibilità che si fosse sbagliata? Lo scintillio di tenera preoccupazione che illanguidiva i suoi occhi azzurri poteva forse essere per lui e non per quella Serpe? Rendersi conto che non poteva essere così fu un boccone amaro da mandare giù per il povero Grifondoro. Quando Ginevra gli si avvicinò per parlargli sapeva già cosa gli avrebbe detto. “Harry…” Il moro piantò i suoi occhioni verdi nei suoi, sperando di infonderle coraggio. Se quella era la sua scelta, voleva sapere perché. “Harry… io… scusa…” la sua frase fu interrotta da un singhiozzo “Io non volevo… non ti avrei mai fatto questo… ma mi sentivo tradita e ferita e sola e le cose tra noi non sono mai davvero andate come avrei voluto, come ho sognato per anni…” Si bloccò per riprendere fiato. Parlare era così difficile… E poi ci si metteva anche il suo stesso corpo a tradirla. Ogni suo muscolo era teso nello sforzo di restare lì davanti a Harry e non correre tra le braccia di Blaise, come inconsciamente avrebbe tanto voluto. “Lo so…”, mormorò il Cercatore con un sorriso che la lasciò esterrefatta. “Io lo amo Harry…”, sussurrò con l’ultimo briciolo di coraggio che le restava. Il moro abbassò lo sguardo verso i propri piedi nudi. Quelle parole gli avevano fatto male, anche se le aspettava. Anche se sin dalla prima occhiata che la rossa aveva rivolto al Serpeverde aveva già capito di aver perso, accettarlo non era semplice. “Harry… se mi vuoi bene…”, proseguì Ginny senza che lui la guardasse “…lasciami andare.” Il Cercatore girò leggermente il capo in direzione di Blaise, che guardava la scena come se loro due fossero state le Parche in persona e stessero discutendo se tagliare o no il filo della sua vita. Anche per lui la rossa era importante… Tornò a fissare Ginny negli occhi, regalandole finalmente un sorriso sincero e disinteressato. “Certo che ti voglio bene scema…” Strinse tra le braccia la ragazza che a quelle parole era scoppiata in lacrime e si era gettata sul suo petto. “Scusa Harry…” “No, scusa tu Ginny… Ero troppo affezionato a te per capire che quello che ci legava non era amore e anche troppo pigro per lasciarti. Ti ho tenuta legata a me senza alcun diritto. Tu meriti questo amore. Perdonami.” “Oh Harry…” La Grifondoro si strinse forte al suo petto, incapace di credere alle sue orecchie. Ce l’aveva fatta. La verità era venuta a galla e aveva trascinato dietro di sé il suo pesante carico: l’amore. “Quanto a te…”, soffiò il Bambino Sopravvissuto verso il Serpeverde che li guardava da lontano “Falla soffrire e giuro che il mal di testa che hai ora ti sembrerà una cosa da nulla rispetto a quello che ti farò.” Il moro annuì e una luce nuova accese i suoi profondi occhi blu mentre una cascata di capelli rossi inondava il suo petto e lui poteva sentire di nuovo da vicino il profumo inebriante di quella creatura che in una sola notte gli aveva fatto scoprire l’amore. Harry si voltò senza smettere di sorridere. A volte la vita è davvero assurda. Era andato in quei sotterranei per fare a pezzi Zabini e ora gli aveva appena dato la sua benedizione per stare con una delle persone più importanti della sua vita. Assurdo, semplicemente assurdo. Scosse la testa, mentre si avviava a cercare l’uscita. Svoltò in un corridoio laterale e senza volere andò a sbattere contro Malfoy che procedeva in quarta verso di lui. “Ehi, Malferret, perché tanta fretta?” Il biondo non si curò minimamente di rispondergli. Come se non gli avesse appena tirato una spallata pazzesca, anzi, come se non lo avesse proprio visto, procedette a diritto verso il proprio Dormitorio, stringendo una lettera ben salda tra le dita. “Bah…”, bofonchiò Harry, massaggiandosi la spalla ammaccata “Cosa ci troverà Herm in lui…” Draco e Hermione: ecco un altro esempio lampante di come la vita possa essere assurda. Una coppia decisamente fuori dall’ordinario la loro, certo… ma forse per questo in qualche modo imperfetta? No… solo assurda. Semplicemente, puramente, meravigliosamente assurda. ………continua………. § Spazio autrice: § Il titolo ve l’ho spiegato l’altra volta, però diciamo che se la prima parte era la “pace”, questa è la “guerra”. Da notare, come l’incipit e la fine abbiano preso un’inaspettata nota esistenzialista che proprio non avevo previsto… Ecco cosa succede a leggere Camus e poi scrivere! MmeBovary |
Capitolo 13
*** Il piacere ***
Piccolo avviso: i personaggi di questa fanfic non sono miei, appartengono tutti a J.K. Rowling ed io li uso momentaneamente senza fini di lucro o simili. Eventuali citazioni da altri autori sono poste tra virgolette o segnalate come tali. Ora godetevi la storia! CAP. 13
IL PIACERE Una bottiglia di whisky incendiario quasi vuota, un bicchiere in frantumi sul pavimento, una pergamena accartocciata tra le schegge sottili e Draco sprofondato nel suo letto con il braccio ancora alzato verso il muro, dove, da una grossa macchia ambrata, una sottile ragnatela di gocce alcoliche scivolava a terra. Questo fu il quadro desolante che si presentò agli occhi di Blaise quando, ingenuamente armato di sorriso ed ottimismo, entrò in camera di Draco. Il suo poco appropriato entusiasmo si spense in una smorfia preoccupata. “Draco?” “No.” Incoraggiante… “Strano, eppure gli somigli…” “Cazzo vuoi Blaise?” soffiò il giovane senza preoccuparsi di nascondere l’evidente frustrazione che poco prima era esplosa nel gesto di scaraventare contro la parete tutto ciò che gli capitava a portata di mano. “Credevo volessi parlare di quello che è successo poco fa là fuori nei sotterranei…” Zabini si portò di fronte al compagno. Le schegge di cristallo scricchiolarono sotto i suoi piedi sbriciolandosi in frammenti sempre più piccoli. Draco gettò un’occhiata distratta nella loro direzione. Probabilmente in quel momento in una parte non meglio identificata del suo petto stava succedendo qualcosa di simile. Il suo cuore, se ne aveva ancora uno, non era più che un mucchietto di cocci polverizzati dal peso insostenibile di aspettative secolari, obblighi familiari, Case e casati, bugie e sotterfugi. “Allora Draco… Con Hermione non è andata come speravi?” “Vuoi sapere com’è andata?!” sbottò il ragazzo, irato “Stavo per baciarla dannazione, ecco com’è andata! E togliti di quell’aria da ‘io-la-sapevo-lunga’ dalla faccia perché non ti si addice proprio… Comunque stava andando a meraviglia… peccato però…” Distolse gli occhi dal pavimento e parve riflettere un attimo prima di continuare. Valeva la pena di dire a Blaise come stavano in realtà le cose? Rovinare la sua felicità perfetta con i propri problemi? Potevano Lucius Malfoy e le sue lettere spedite con tempismo impeccabile rovinare la gioia di due Serpeverde quel giorno? “Peccato che cosa? È successo qualcosa?” “Nh…” “Sarebbe un no?” “Sarebbe un ‘è meglio che ti fai i fatti tuoi’ se ci tieni a non far perdere lo smalto a quel sorriso che sfoggi con tanto orgoglio…” Blaise si fece scuro in volto mentre si piegava sulle proprie ginocchia portandosi col viso al livello di quello dell’amico disteso sul letto. “Pensi che potrei starmene tranquillo a fare finta di niente sapendo che c’è qualcosa che ti tormenta? Mi ritieni un amico così meschino ed egoista?” Draco fece scivolare gli occhi grigi lontano dal suo volto. Ecco che si sentiva di nuovo in colpa… Che sensazione strana per una Serpe senza coscienza… Ma forse era colpa (o merito?) di quella dannata dolcissima Mezzosangue che nel giro di poche settimane aveva saputo cambiarlo così profondamente da renderlo irriconoscibile persino, e soprattutto, a se stesso… Che gli avesse inculcato persino quella fastidiosissima presenza che i Grifoni sfoggiano con tanto orgoglio sotto l’etichetta di coscienza? “C’è un particolare della mia vita di cui non ti ho parlato Zab.” borbottò con voce atona “Un particolare che ultimamente si sta facendo piuttosto… come dire… insistente…” Vide le sopracciglia scure dell’amico incurvarsi sopra gli occhi blu manifestando il suo sconcerto. “Un particolare di che genere?” “Del peggiore…” soffiò il Serpeverde, andando a raccogliere la lettera accartocciata a terra e porgendola al compagno. Blaise la lesse velocemente e il suo viso parve perdere colore ad ogni parola che scorreva sotto il suo sguardo. La rabbia si sostituì presto all’incredulità. “Non posso crederci!” urlò, letteralmente fuori di sé “Cristo Santo! Tuo padre crede di poterti combinare un matrimonio? Ma dove siamo, nel Medioevo?” “Le tradizioni dei Malfoy sono ferme più o meno a quel periodo, dovresti saperlo…” convenne il giovane versandosi una generosa dose di whisky in un bicchiere nuovo. “Cosa hai intenzione di fare?” Draco fermò il liquore ambrato a pochi centimetri dalle labbra. “In che senso?” soffiò increspando la superficie del liquido scuro. “Con Hermione, intendo.” Draco gettò indietro la testa mentre svuotava il contenuto del bicchiere nella propria gola in un lungo sorso. Il bruciore che gli invase la bocca si espanse con un formicolio piacevole fino alle narici e alla base del collo. Senza aggiungere una parola, e con un ghigno che Blaise non poté giudicare niente meno che preoccupante, riprese la lettera, afferrò la propria scopa dall’armadio ed uscì fuori sbattendo la porta. Hermione si sentiva leggera. Non letteralmente, è ovvio. Leggera dentro… Sentiva pioverle nel petto una sensazione di leggerezza così nuova ed estasiante che era come se ogni sua singola terminazione nervosa fosse in festa. Come se ogni sua cellula stesse urlando di gioia… Tutto era chiarito. Tutto era risolto. Non poteva ancora crederci. Per Merlino, ora poteva stare con Draco! Si presentò davanti alla Signora Grassa con un’espressione di gaiezza così sincera e coinvolgente che la donna la lasciò passare senza neanche chiederle, com’era invece sua abitudine, per quale ragione mai stesse scorrazzando fuori dal Dormitorio a quell’ora del mattino. Solo dopo aver messo piede dentro la Sala Comune si ricordò dell’esistenza del resto del mondo e che forse non proprio tutto era sistemato… Decine di occhi la guardavano straniti. Grifondoro di ogni età si erano appollaiati sulle scale e sui divani della stanza in attesa che l’integerrimo prefetto Granger tornasse e desse loro una spiegazione sul perché era corsa fuori dal dormitorio in pigiama all’alba schiantando una porta e trascinandosi dietro la Weasley. Hermione puntò le mani sui fianchi e assunse il suo solito cipiglio severo. “Beh, che c’è, mai vista una ragazza in pigiama? Cosa ci fate tutti qui a quest’ora? Filate in camera vostra a prepararvi per le lezioni o sarò costretta ad inviare una nota al Preside per insubordinazione collettiva…” In realtà una simile nota era da redigersi solo nel ben più grave caso in cui un’intera Casa si rifiutasse di prendere parte alle lezioni, ma cosa potevano saperne i suoi compagni che ovviamente non si erano mai sognati di leggersi il regolamento della scuola? Nel giro di mezzo minuto la Sala era rimasta vuota, fatta eccezione per una chioma rosso fuoco che spuntava ancora dalla tromba delle scale del Dormitorio maschile. “Allora Herm? Puoi dirmi cosa sta succedendo?! Che diamine ti è preso adesso?” Oh no… La bruna sentì come un peso soffocante stringerle la gola. Non era tutto risolto come le era sembrato poco prima in corridoio. C’era ancora una questione fondamentale da sistemare. Ron, uno dei suoi due migliori amici da anni, meritava una spiegazione. Dopotutto gli aveva detto che il suo flirt con la Serpe era finito e invece… In quel momento però non si sentiva davvero in grado di affrontare l’argomento. “Senti Ron, non è che possiamo riparlarne più tardi? Adesso dovrei andare a cambiarmi per le lezioni, ma ti giuro che poi oggi ti spiego tutto.” Sbatté le ciglia scure, mordendosi il labbro inferiore con aria così dolcemente infantile che il suo compagno non poté dirle di no. Nuovamente felice la giovane corse su per le scale ed infilò nella propria camera, già vuota, dato che Calì e Lavanda erano chiuse in bagno a prepararsi (o “restaurarsi” come diceva lei) da almeno una mezz’ora buona. Vedendosi riflessa nello specchio prese improvvisamente coscienza del proprio abbigliamento. Santo Cielo, era uscita in pigiama! Aveva girellato per la scuola fuori dall’orario consentito e senza neanche i vestiti addosso. Le venivano i brividi mentre già si immaginava portata per le orecchie da gazza nello studio di Silente e costretta a sorbirsi una ramanzina con i fiocchi senza neanche la protezione della divisa addosso. Forse c’era persino una regola contro quello che aveva fatto… Infilò la testa nell’armadio e cominciò a gettare sul letto i primi indumenti che trovava, avendo fretta di vestirsi propriamente. Stava lottando per sfilarsi la canottiera del pigiama, che come al solito si era ingarbugliata con i suoi capelli, quando udì un suono ben noto giungere dalla finestra alle sue spalle. Toc-toc… Il suo primo pensiero andò al gufo di Draco che già altre volte la aveva raggiunta nella sua stanza. Forse portava un messaggio, un chiarimento riguardo l’inspiegabile comportamento del Serpeverde, che poco prima la aveva piantata in mezzo al corridoio con le labbra che bruciavano per il bacio mancato. Con quest’idea si liberò della canottiera con uno sbuffo annoiato e alzò gli occhi sullo specchio che aveva di fronte e che ricopriva l’intera anta aperta dell’armadio. L’immagine che la superficie vetrata le restituì però non era quella di un gufo. Si voltò di scatto, incrociando le braccia sul seno nudo con un’aria vergognosa che scatenò una risata ironica. “Mezzosangue non dirmi che ti vergogni… di me?” A cavallo della sua scopa Draco la fissava da dietro la finestra chiusa, le nocche ancora appoggiate al vetro colorato su cui aveva bussato, gli occhi incollati invece su di Hermione. “Mi hai fatto prendere un colpo!” lo rimbrottò la Grifondoro. “E io che pensavo di farti una gradita sorpresa… ma se vuoi me ne vado…”, parlò curvando leggermente l’inclinazione della sua scopa, cosicché essa iniziò a scendere. “No!” esclamò Hermione prima di poter pensare a quello che diceva. Vide il Serpeverde fuori dalla finestra sogghignare vittorioso e arrossì furiosamente. “Beh ormai, sei qui… sarebbe sciocco andartene…” cercò di svicolare, non volendo ammettere che avere di nuovo Draco accanto a sé era l’unica cosa che desiderasse davvero in quell’istante. “Allora mi apri o devo sfondare la finestra?” “Ne saresti capace”, convenne la ragazza “Ma aspetta un secondo. E non guardare!” Si voltò e andò ad infilarsi in fretta la prima camicia che trovò su letto. Quando tornò a fissare Draco si rese conto che egli non si era perso uno solo dei suoi movimenti. “Ehi, quale parte di ‘non guardare’ non avevi capito?!” Il ragazzo piegò le labbra in un sorriso sornione mentre la finestra Grifondoro veniva aperta perché lui potesse spingersi a violare quella camera che mai prima di allora aveva accolto la presenza di una Serpe. Posò i piedi a terra e lasciò ricadere la scopa contro il muro alle sue spalle, mentre il suo corpo si muoveva quasi da solo verso la ragazza dei suoi desideri. “Grazie”, sussurrò ormai a due centimetri dal volto di Hermione, “Cominciavo a credere che mi avresti lasciato là fuori a congelare…” La giovane fu tentata di indietreggiare, spaventata non dal tono morbido e sensuale di lui quanto dall’irrazionalità dei propri pensieri. Nella sua mente un solo bisogno si faceva strada oltre tutti. Faceva caldo… tanto caldo… Le sue labbra bruciavano ormai al limite apparente dell’autocombustione e in qualche strana e perversa maniera Hermione era certa che solo il contatto bollente con quella bocca di Serpe che aveva di fronte avrebbe saputo placare la sete che le corrodeva la gola. “Di niente…” mormorò, sentendosi subito un’idiota per non aver saputo trovare una frecciatina in risposta alle frasi di Malfoy. Pensò di chiedere perché mai il ragazzo si fosse preso il disturbo di volare fino lì ma la sua domanda le morì in gola quando Draco le passò un braccio dietro la schiena e la attirò a sé di colpo, premendola contro il proprio petto fino a sentir male. L’altra mano restò chiusa a pugno, stringendo qualcosa che la giovane non notò. Lei appoggiò la guancia sul suo torace, meravigliandosi di sentire il suo cuore battere così veloce. “Herm…” “Sht…” lo zittì, completamente disinteressata in quel momento a qualunque cosa non fosse il rapido ticchettio del suo muscolo cardiaco, così rincuorante ed eccitante al tempo stesso. Era proprio lei a causargli quell’emozione così forte? Senza riflettere, voltò il viso, strofinando la guancia contro la stoffa morbida della sua camicia per poi lasciarvi andare la fronte e insinuare le labbra sul sottile lembo di pelle nuda visibile tra un’asola e l’altra. Draco si lasciò sfuggire un sospiro roco e gettò indietro la testa, inspirando forte per non perdere il controllo. Era lì per un motivo e non poteva lasciarsi distrarre… Non poteva… Hermione fece saltare via i primi bottoni, scoprendo il suo petto, percorrendo le linee dei suoi muscoli con le labbra dischiuse. No, non poteva proprio... La punta rosea della sua lingua s’insinuò tra le sue labbra, rotonde e arrossate, pronta a gustare ogni centimetro di pelle profumata, mentre ormai la camicia con lo stemma Serpeverde scivolava via dalle spalle del ragazzo. Beh… forse invece poteva… Draco fece scorrere via il braccio destro da dietro la schiena di Hermione, sostituendolo con l’altro, nel cui pugno giaceva, ormai dimenticata, una lettera. La sua mano libera risalì lo stomaco della ragazza davanti a sé, accarezzò il suo costato e si chiuse a coppa sul suo seno nudo, strappandole un gemito. I respiri di entrambi si fecero più accelerati, gli occhi più lucidi, i desideri più torbidi… “Draco…”, mugolò Hermione mentre i denti del Serpeverde affondavano nella carne del suo collo. Rabbrividì delle sensazioni che si propagavano nel suo corpo e chiuse gli occhi. Si chiese cosa sarebbe successo se per una volta avesse smesso di pensare alle conseguenze di quello che faceva e si fosse concessa alle misteriose trame del fato. Se avesse lasciato che fosse quella sensazione vorticosa alla bocca dello stomaco e non più il cervello a gestire il suo volere. Se semplicemente si fosse abbandonata alle mani di Draco… Se solo non avesse sentito di nuovo quel rumore! Toc-toc… Con un mugolio di frustrazione la Grifondoro allontanò il calore rassicurante del corpo di Draco e si sporse oltre la sua spalla. “Scusate l’interruzione…” Rosso d’imbarazzo e con lo sguardo fisso al suolo, lontano decine di metri sotto la sua scopa, Harry tentennava nell’indecisione. La sua migliore amica si richiuse frettolosamente a camicetta e nello scivolare via dall’abbraccio di Draco ebbe una strana sensazione di dejà-vu. Con la sola differenza che quella prima volta che Harry aveva interrotto i baci del Serpeverde lo aveva fatto con rabbia e odio e tutta l’intenzione di rimproverarla a dovere, mentre stavolta nei suoi occhi c’era solo il bisogno di parlarle, di confidarsi con lei e il rammarico di averle rovinato un attimo di felicità. Hermione lottò momentaneamente con l’irrazionale tentazione di serrare le tende e ignorare il bussare sul vetro, ma si dette subito della sciocca per un simile pensiero e corse alla finestra borbottando qualcosa sulle “dannate scope e i dannati uomini e la loro dannata mancanza di fantasia”… “Vieni, entra.” mormorò con voce gentile, mascherando al meglio la delusione. “Preferisci che vada via?” accennò Harry, esitando a farsi avanti. “Non importa, io stavo per andarmene.” mentì spudoratamente Draco, dopo essersi ritirato la camicia sulle spalle ed aver afferrato la propria scopa. Hermione annuì distrattamente, vagamente meravigliata che il Serpeverde non se ne fosse uscito con una delle sue frecciatine. Quest’ultimo la salutò con un veloce bacio sulla fronte e poi volò via, il pugno sempre serrato attorno alla lettera che non aveva avuto il tempo di mostrarle, lasciandole sulle labbra un bruciore sempre più insopportabile. “Io non so più che fare Herm…” La ragazza si voltò verso il proprio migliore amico come se si fosse riscossa da un sogno. “Come?” “Non so più che fare, non so più che cazzo succede!” urlò il Bambino Sopravvissuto con la testa tra le mani “Tu e Malfoy a fare i fidanzatini, Ginny che si innamora di Zabini… Oh Cristo, ma il mondo ha preso a girare al contrario e vi siete scordati di avvertirmi?!” Hermione sorrise amaramente mentre si portava a sedere accanto a lui. “Tesoro, temo di non avere neanche io una spiegazione razionale per tutto questo. Vorrei tanto che ci fosse, ma comincio a credere che non sia così.” Il Cercatore le rivolse un’occhiata stupita. “Hermione Granger che non riesce a capire le cause di qualcosa? Questa devo proprio segnarmela…” “Non essere sciocco. Sai benissimo cosa voglio dire.” “Già… Al cuor non si comanda, giusto? Accettiamo queste pillole di saggezza degne delle scatole di cioccolatini come se fossero vere risposte! E al mio di cuori che ci pensa?” Concluse il suo piccolo sfogo fissando il soffitto sopra di sé, tanto perché la forza di gravità gli desse una mano a ricacciare indietro quelle stupide lacrime che gli pungevano gli occhi. “Oh, Harry… vieni qui. Lo sai che per te ci sarò sempre…” gli sussurrò la ragazza, stringendolo tra le proprie braccia con fare materno. Quando lei aveva avuto bisogno, il suo migliore amico non la aveva mai giudicata, né condannata, né abbandonata. Ora il minimo che lei potesse fare era ricambiargli il favore, per quanto le sue labbra aride reclamassero ancora da una certa Serpe un bacio che tardava da troppo ad arrivare. Mentre entrava in Sala Grande per la colazione, Hermione cercò Ron con lo sguardo. Lo vide seduto al suo tavolo addentare con aria assente un croissant al cioccolato e imprecare sommessamente quando il cacao ricadde in uno sbuffo scuro sugli appunti di Trasfigurazione che il ragazzo stava ripassando. “Buon giorno.” gli sussurrò con un sorriso, sedendosi al suo fianco e rubandogli con due dita la punta del croissant. “Ehy!” protestò bonariamente il ragazzo, prima di afferrare un’identica pasta e metterla nel piatto vuoto della compagna. “Allora ‘Mione? Ti sei finalmente decisa a spiegarmi cosa ti sta succedendo? In quest’ultimo periodo ho come l’impressione che tu e Harry mi stiate escludendo da tutto.” La giovane scosse il capo e inghiottì in fretta un grosso boccone della propria colazione. “Non essere sciocco. Sai che non lo faremmo mai; è solo che… è successo un po’ di casino, per essere brevi.” “Io non voglio che tu sia breve.” “Davvero, è una storia lunga e decisamente questo non è né il luogo né il momento adatto per discuterne.” “E quindi preferisci tenermi all’oscuro ancora un po’?!” s’infervorò il Grifondoro. Le sue mani tremarono leggermente, nonostante egli avesse lottato per mantenere basso il tono della propria voce e non attirare l’attenzione. Alcune gocce del caffè che stava versandosi macchiarono la tovaglia candida e Hermione capì che la sua pazienza stava arrivando al limite. “Senti, ti andrebbe bene se ci vedessimo prima di pranzo dietro la serra del dittamo?” “E mi spiegherai tutto?” “Ti spiegheremo tutto.” Diversamente da quanto Ron poteva immaginare, quel ti spiegheremo non aveva per soggetti tanto lei e Harry, quanto lei, Harry, Ginny, Blaise e Draco. Hermione stava per incamminarsi verso l’aula di Trasfigurazioni quando si bloccò. Il suo amico si voltò nella sua direzione. “C’è qualcos’altro?” “No, cioè, sì… Potresti promettermi…” “Cosa? Che non ne farò parola con nessuno? È ovvio…” “No, in realtà vorrei che… che tu non portassi la bacchetta.” Le sopracciglia fulve di Ron balzarono a fare compagnia all’attaccatura dei suoi capelli quando i suoi occhi chiari si dilatarono per lo stupore. “E perché mai?” “Niente è che a volte prevenire è meglio che curare e voi siete un po’ impulsivi, quindi…” “Voi chi?” “Oh, senti, lascia stare, prometti e basta e ci vediamo alla serra, ok?” Scavalcò rapidamente la panca e schioccò un bacio in fronte all’amico, allontanandosi prima che quello potesse risponderle. “Bah…”, bofonchiò Weasley, “A volte, chi la capisce è bravo…” Tremuli fiori azzurri offrivano le proprie gole profumate alle carezze del vento invernale, prima che dita intirizzite di studenti Serpeverde e Tassorosso le stroncassero con un gesto deciso dai loro steli. La professoressa Sprite chiacchierava con Hagrid e osservava distrattamente il procedere della prima lezione di quel giorno, godendosi la vista del prato costellato di gigli dei ghiacci da dentro l’ambiente tiepido della serra. “Quella maledetta…” ringhiò Draco mentre la professoressa versava con calma una tazza di cioccolata calda per sé e il Custode delle Chiavi, lottando con il golosissimo Thor che le saltellava intorno. Il Serpeverde andò a gettare l’ennesima corolla nel cestino che condivideva con Blaise e riprese a bofonchiare. “Lei se ne sta al caldo a poltrire e noi qui a congelarci il culo.” “La vita è ingiusta, amico”, sospirò il compagno con filosofia “E a proposito di ingiustizie… sei riuscito a spiegare a Hermione di tuo padre?” Uno stelo di giglio si spezzò malamente sotto il tocco nervoso di due dita rese violente dalla rabbia. Blaise capì che era meglio cambiare argomento. “Io vado a svuotare il cestino in serra, ok?” In risposta ottenne una via di mezzo tra un consenso e un’imprecazione, quindi prese i fiori raccolti e seguì i ciottoli semi-congelati del vialetto fino al luogo dove si raccoglievano quei rari e delicati ingredienti per pozioni. Draco approfittò di quell’attimo di solitudine per lasciarsi cadere sull’erba umida di brina e riposare la schiena, distrutta da quell’ora passata ricurvo su quei dannati gigli. Mugolò di soddisfazione quando poté stirare le braccia sopra la testa, ma un tocco familiare sulle spalle rovinò la sua perfetta pace. “Che diamine vuoi Pansy?” soffiò senza neanche voltarsi, mentre le afferrava i polsi sottili e interrompeva quel massaggio non richiesto. “Mi sembravi infreddolito.” si giustificò la ragazza, spostandosi una ciocca corvina dietro l’orecchio con aria sensuale. Draco riprese ad ignorarla, chiedendosi adesso come avesse potuto una volta sopportare la sua compagnia. La giovane restava in piedi dietro di lui e si scambiava ogni tanto sguardi carichi di sottintesi con le compagne alle proprie spalle. “Ti va un po’ di tè caldo, per caso?” Il Serpeverde le lanciò un’occhiata traversa da sopra la spalla. Non aveva fatto colazione e oltre allo stomaco vuoto aveva un fastidioso cerchio alla testa per la nottata praticamente insonne. Forse per una volta in vita sua la Parkinson avrebbe potuto essere utile a qualcosa. Allungò una mano verso di lei, che con un gridolino di gioia corse a riempirgli un bicchiere di polistirolo facendo un innaturale giro su se stessa, passandosi il bicchiere dietro la schiena, prima di porgerglielo. Draco abbozzò un sorriso di cortese ma freddo ringraziamento prima di portare la bevanda bollente alle labbra. L’odore acidulo del limone gli invase per primo le narici, seguito poi da una nota estremamente dolce. “L’ho fatto con poco zucchero, come piace a te.” uggiolò Pansy, carezzandogli una spalla con le lunghe unghie laccate di rosso cupo. Il suo sguardo non si staccava un momento dalla bocca seducente del ragazzo, aspettando solo di veder scivolare il liquido dorato verso la sua gola… e il suo cuore. Tè per scaldargli il corpo e Filtro d’Amore per bruciargli l’anima. La avrebbe amata come una dèa, come la musa cui non avrebbe potuto più rinunciare. Forse l’effetto non sarebbe durato tutta la vita, ma i capelli di Veela e i chiodi di Garofano che componevano quella benedetta pozione appena versata nel suo bicchiere lo avrebbero stregato almeno per un paio di giorni. E questo bastava per convincerlo a scrivere a Lucius Malfoy che l’unica donna che lui avrebbe mai sposato portava il nobile cognome dei Parkinson. Già si vedeva con la fede al dito e il conto in banca triplicato… Assorta nei suoi pensieri si riscosse solo quando Thor prese ad abbaiare a pochi metri di distanza. “Ti piace?” chiese a Draco che aveva ancora le labbra appoggiate all’orlo del polistirolo. Il ragazzo si alzò in piedi, stringendo ancora tra le dita il bicchiere. “Molto. Grazie…” soffiò con voce bassa. Pansy fu scossa da un brivido di vittoria ed eccitazione. “Tanto per curiosità…”, mugugnò, avvicinandosi al suo corpo con movenze da gatta, “Come mi trovi oggi?” Draco inarcò un sopracciglio, portando le proprie labbra a un centimetro dal suo orecchio. “Meravigliosa…” La Serpeverde era tanto estasiata da quella parola che, diversamente dal solito, non si arrabbiò nemmeno quando il grosso cane di Hagrid prese a girellare attorno a lei e al ragazzo per poi fermarsi dietro a quest’ultimo. “Dici sul serio?” “Ovvio. Così bella che neanche un cane potrebbe resisterti.” La ragazza curvò il capo, incerta sul significato di quello strano complimento. “In che senso?” Lo sguardo che il Serpeverde le rivolse nell’allontanarsi dal suo viso per poi spostarsi di lato avrebbero dovuto farle capire che qualcosa non andava. Il suo ghigno sadico poi avrebbe dovuto preoccuparla seriamente. In quel momento di sublime estasi però Pansy era troppo occupata a complimentarsi con se stessa per notare questi particolari. Quando vide che il giovane lasciava cadere a terra un bicchiere di tè mezzo pieno e che dietro di lui Thor si leccava beatamente i baffi non ebbe più tempo per riflettere. Un secondo e si trovò spalmata a terra con un quintale di cane a schiacciarle le costole e laccarle amorevolmente il viso. “Che schifo! Levatemelo di dosso!” La risata di Draco le ferì le orecchie come veleno. “Visto Pansy? Così bella che neanche un cane potrebbe resisterti.” La risposta della ragazza si perse tra un mare di improperi, urla isteriche e vari rimproveri degli insegnanti che si erano avvicinati di corsa per capire l’inspiegabile comportamento del cane. Blaise si avvicinò al proprio migliore amico e poggiò a terra il cestino vuoto. “C’entri forse qualcosa?” “Chi, io?” ridacchio il Principe delle Serpi con finta innocenza. Dopotutto Pansy se l’era cercata. Era davvero così sciocca da pensare che un pozionista come lui non avrebbe riconosciuto all’istante il profumo dolciastro di chiodi di garofano di un Filtro d’Amore? Aveva solo dovuto fingere che esso stesse facendo effetto per qualche secondo prima che Thor, guidato dalla propria golosità e attirato da quell’essenza zuccherina corresse a leccare via il tè dal bicchiere alle sue spalle e si beccasse una cotta per la Serpeverde. “Sei crudele.” lo rimproverò Blaise. “Oh, andiamo, non dirmi che all’improvviso tieni a quell’oca!” “In realtà io mi riferivo al cane. Mi fa una gran pena…” Draco scoppiò a ridere di gusto, allietato ancora maggiormente dalla voce esausta della Sprite che tentava invano di tirare via Thor e urlava ai suoi alunni ridacchianti che la lezione era finita. Il Serpeverde si concesse ancora qualche minuto di quell’appagante scenetta e poi si diresse verso il Castello. L’erba ghiacciata scricchiolò sotto i suoi piedi e il vento freddo si intrufolò sotto le pieghe morbide della sciarpa di lana. Draco vi affondò il viso e alzò lo sguardo. Un’esile figura bruna che procedeva a fatica tra le raffiche gelate che le scompigliavano i riccioli scuri entrò nel suo campo visivo e lo portò ad accelerare il passo. “Ciao…”, sussurrò lasciando cadere a terra la borsa a tracolla quando fu a pochi passi da lei. “Ciao.” rispose con un sorriso Hermione. Erano soli ma la giovane accennò lo stesso ad un piccolo sentiero che conduceva verso il bosco e il Serpeverde la seguì per pochi metri. “Devo parlarti…”, iniziò la Grifondoro, fermandosi in un punto riparato da alcuni cespugli di ginepro. “Come posso aiutarla, mia dama?” celiò Draco con un misto di curiosità e impazienza. “Prima di pranzo. Alla serra del dittamo.” Il ragazzo rise. Si avvicinò a lei e le strinse i fianchi per attirarla a sé. “Che fai? Mi dai ancora gli appuntamenti negli angolini nascosti?” ridacchiò. Lei pose i pugni chiusi sul suo petto, esitando a lasciarvi andare anche il volto imporporato dal contatto col vento freddo. “No, scemo, è importante.” Ora che lui era così vicino era difficile resistere alla tentazione di lasciar perder Ron e Harry, con i quali aveva fissato prima il ritrovo alla serra, e chiudersi con quel Serpeverde in camera per tutta la vita. “Ora devo scappare”, mugolò controvoglia, sentendo dei passi avvicinarsi, “Ho lezione tra un minuto.” Si allontanò da lui, si voltò e corse via. Draco tese involontariamente la mano verso la sua immagine che si faceva più piccola, lasciandolo solo con la sensazione amara di un colloquio durato troppo poco e a consolarlo giusto la prospettiva di un nuovo incontro, dolce come il profumo dei gigli di ghiaccio che arrivava fin lì, trasportato dal vento vagabondo di novembre. Finita l’ultima lezione della mattinata e dell’intero giorno, Draco corse verso il proprio Dormitorio. Entrò in camera gettando la borsa e il mantello sul copriletto trapuntato da sottili fili argentati. Le piume e le pergamene vi rotolarono sopra e si sparpagliarono in ogni direzione, scivolando a terra con schianti cristallini. Emerald, appollaiato sul suo trespolo, prese ad agitarsi e a sbattere le ali. “Reparo!” mormorò stancamente il suo padrone. L’animale però non si calmò. Volò anzi verso gli oggetti appena rimessi insieme e prese tra gli artigli acuminati una piuma e un foglio che depositò sulla scrivania cui era seduto Draco. “Che vuoi?” Il gufo prese a punzecchiargli le mani con il becco ricurvo, incitandolo a scrivere una risposta che evidentemente gli era stato ordinato di riportare celermente. “Basta!” urlò, scansandolo con uno scatto furioso del braccio. Emerald schioccò il becco e volò via, stizzito, andando a posare gli artigli attorno al prezioso bracciolo intarsiato di una poltrona in ebano scuro e levigato. Draco lo fulminò con lo sguardo, conscio tanto quanto l’animale di avergli già ripetuto un milione di volte che a lui era proibito stare lì e che altrettante volte il gufo aveva disobbedito al suo ordine, testardo e infido quanto il proprio padrone. Voleva che rispondesse a suo padre, eh? E cosa? Questo sapeva forse dirglielo? No, certo che no… e chi avrebbe potuto? Il Serpeverde si alzò di scatto e afferrò l’ultima lettera di Lucius, ficcandola malamente dentro la tasca del mantello che riafferrò con un gesto ampio e rabbioso. I bordi scuri dell’indumento si sollevarono, roteando fino a sfiorare la poltrona dalle rifiniture in ebano. Emerald sbatté le ali per non perdere l’equilibrio. “Sai cosa ti dico?” gli ringhiò contro Draco, sorprendendosi di stare davvero parlando con un animale “Che sarà lei a decidere!” Avrebbe mostrato la missiva a Hermione e avrebbe agito come lei gli avrebbe detto. Dopotutto chi, meglio di lei, che già disponeva del suo cuore, avrebbe potuto guidare anche le redini del suo destino? Corse così veloce verso il luogo dell’appuntamento da arrivare primo. Dopo aver ripreso fiato rimase in attesa e le parole della lettera riapparvero davanti ai suoi occhi, chiare nel ricordo come sulla carta, per via di tutte le volte che le aveva rilette. “Caro Draco, Spero che la presente ti trovi nel pieno possesso delle tue forze e nella migliore delle disposizioni d’animo, perché ho grandi notizie per te. Sappi che presto…” Un fruscio tra gli alberi lo strappò a quei pensieri, trascinandolo di nuovo sulla terra e poi su verso il Paradiso. “Granger…” “Malfoy.” Tutto ciò cui riuscì a pensare il Serpeverde mentre bruciava le distanze e stringeva finalmente tra le braccia la sua amata Mezzosangue fu “Finalmente!”. Dimentico di tutto ciò che non fosse l’odore della sua pelle e dei suoi capelli o la consistenza carnosa delle sue labbra contro il proprio collo, le affondò le dita tra i boccoli scuri, mentre lei allacciava le braccia dietro i suoi fianchi. “Mi sei mancata.” le sussurrò. Il suo fiato caldo le carezzò la nuca. “Ci siamo visti poco fa…” “Intendevo, dall’ultima volta che ci siamo baciati.” Puntualizzò il ragazzo, con voce roca e graffiante per l’impazienza e il desiderio. D’istinto Hermione si portò le dita alle labbra. Erano fredde. E allora perché le pareva bruciassero tanto? Socchiuse gli occhi. Lui era lì, a pochi centimetri, fresca sorgente di vita e fonte di ristoro sicuro. Come non abbandonarsi a lui? I loro volti si avvicinarono ancora, finché la Grifondoro sentì il tocco sensuale delle sue labbra contro le proprie nocche piegate… Poi ancora un fruscio e Harry uscì dalla vegetazione, staccandosi di dosso foglie e rami costellati di spine. “Porca miseria, ho beccato tutti i cespugli di ortiche di questo dannato post…ops!” si morse la lingua quando vide Hermione ritrarsi con uno scatto dal suo Principe delle Serpi. Li aveva interrotti di nuovo. Vide Draco stringere le mascelle e serrare i pugni e poté giurare che le vene del suo collo avessero preso a pulsare più velocemente mentre andava ad appoggiare il petto alla schiena di Hermione e, da dietro, le circondava la vita con le braccia. “Dì un po’ Sfregiato, hai seguito un corso apposito o ti viene proprio naturale di arrivare sempre nel momento e nel luogo più inopportuno?!” “Draco piantala”, lo rabbonì la sua Mezzosangue “Gli ho detto io di venire qui oggi.” Il Serpeverde la fissò con aria interrogativa. “E aspetti altre visite per oggi?” In tutta risposta Ginny uscì dai cespugli, stringendo la mano di Blaise. Nel vedere Harry le sue guance raggiunsero la stessa tonalità dei suoi capelli, ma il sorriso amichevole che il Bambino Sopravvissuto le rivolse fu sufficiente a calmarla. “Perfetto…” bofonchiò Draco mentre la sua idea di un incontro a quattr’occhi con finale in camera da letto andava al diavolo. “Manca nessuno all’appello, Mezzosangue?” “Probabilmente”, accennò una voce tra gli alberi “Io.” Ronald si fece largo alle loro spalle, scrutando ogni particolare con aria sospettosa. Valutò seriamente l’idea di andare a sbarbare una mandragola e farla finita per sempre, perché doveva essere diventato improvvisamente pazzo. Altrimenti come si spiegava che sua sorella stringesse la mano di una Serpe sotto lo sguardo accondiscendente del proprio ragazzo e che Malfoy se ne stesse avvinghiato alla sua migliore amica?! “Bene, ci siamo tutti.” Sentenziò la Caposcuola Grifondoro, sciogliendo l’abbraccio del Serpeverde alle sue spalle e contemplando i presenti con un misto di terrore ed eccitazione. “Harry, Ginny, Ron…” Lo avrebbe detto, lo avrebbe detto… “Cosa, Herm?” la interruppe l’ultimo nominato, fissandola con due occhioni da cucciolo spaurito che misero a dura prova la sua determinazione. “Harry, Ginny, Ron…” Lo avrebbe detto subito, stava per dirlo… “Cosa Herm?” “La pianti di interrompermi, Ronald?!” “Oh, al diavolo, Mezzosangue!” la sovrastò Draco con poco garbo, “Glielo vuoi dire a Lentiggini che io e te stiamo insieme o aspetti la folgorazione divina?” La delicatezza non era mai stata il punto forte di Malfoy, ma almeno la aveva tolta dall’imbarazzo di dover proseguire in quella farsa tragicomica di dialogo. “COSA?!” L’urlo di Ron fece volare via uno storno di uccelli appollaiati poco lontano e parve propagarsi all’infinito verso il cielo brumoso. Hermione ringraziò il Cielo per aver pensato di dire al suo amico di non portare la bacchetta, altrimenti in quell’istante probabilmente avrebbe avuto inizio una strage. Alla vista della sua smorfia disgustata però sentì la rabbia sovrastarla. “Cosa cosa? Non cadere dalle nuvole con quell’aria Ronald Weasley, perché te ne avevo già parlato!” Blaise nel frattempo si avvicinò a dare una pacca sulla spalla del compagno di Casa. “E bravo Draco, finalmente ti sei deciso a parlare chiaro, eh? E per quel che riguarda quella letter…” Non terminò mai la frase, interrotta dalla sadica puntualizzazione del suo migliore amico. “E comunque, Donnola, lui sta con tua sorella, non Potter!” Sospirò di sollievo quando vide il Grifondoro incendiare con gli occhi l’altro Serpeverde e fu certo che l’argomento lettera non sarebbe stato ritirato fuori nell’immediato. Quando aveva sentito nominare quella parola gli era parso che il foglio nella sua tasca pesasse una tonnellata e dovesse cadere a terra con un tonfo assordante. “Che cosa?!” “Ok, forse di questo non ti avevo ancora accennato…” ammise Hermione. “Già, forse ti era sfuggito!” Si voltò verso Zabini che rivolgeva insulti a Malfoy in tutte le lingue conosciute, verso sua sorella, che pareva sul punto di incendiarsi tanto era rossa e infine verso il suo migliore amico, del tutto indifferente e anzi, Ron avrebbe potuto quasi scommetterci, all’apparenza anche vagamente… divertito? “Ginevra, dimmi che non fai sul serio…” mormorò con un filo disperato di voce. La ragazza parve ritrovare un po’ del suo naturale coraggio. “Perché, se facessi sul serio che problema ci sarebbe?” Ron rimase allibito, a bocca aperta. Si mise le mani nei capelli e cominciò a girare senza meta, borbottando nervosamente qualcosa tra sé. Ogni tanto alzava la testa o mugolava di disappunto. Il resto del gruppo lo fissava con apprensione, eccezion fatta per Malfoy, ovviamente, che sembrava essersi appassionato alla nobile arte del calciare sassolini e la applicava a qualsiasi minerale rientrasse nel raggio d’azione delle sue gambe, ignorando completamente il Grifondoro. Finché questi non se ne uscì con una frase finalmente comprensibile. “Non può funzionare.” “Cosa?” domandò il Serpeverde, tentando di circondare di nuovo la vita della sua Mezzosangue con le braccia, ma trovando la sua resistenza. “Questo.” Malfoy rise beffardamente, irritato però dall’abbraccio rifiutato. “Solo perché lo dici tu Lentiggini?” “Perché è così e basta. Grifoni e Serpenti non sono fatti per volare insieme e tantomeno per strisciare come te Malfoy…” Il ragazzo rispose con uno sbuffo dal tono agguerrito, emesso arricciando le labbra sottili e contratte. Una voce femminile dette eco ai suoi pensieri inespressi. “Queste sono solo cazzate!” Gli occhi di tutti si fermarono su Ginny che aveva appena parlato, stupendo tutti con un linguaggio decisamente poco consono al suo solito registro. “E io non credevo che tu fossi così stupido da crederci, Ron.”, rincarò la dose. Hermione le diede manforte, ben decisa a non mollare la lotta per un sentimento che le aveva dato tante emozioni così tragicamente e dolcemente diverse in poche settimane e che mai fino ad allora era stato stabile e sicuro per più di pochi attimi. Draco vide una luce accendersi nel fondo delle sue iridi dorate e sorrise della sua determinazione. Aveva le guance accese di porpora intensa e le labbra serrate fino allo spasmo, ma non per questo era meno bella, anzi lo era di più. Non le staccò mai gli occhi di dosso mentre lei ribatteva prontamente e con lucidità ad ognuna delle obiezioni mosse dal suo compagno, attirato da quell’aura misteriosa di sicurezza che pareva alleggiarle intorno. “Tu non hai nessuna coscienza, nessuna idea, nessuna cognizione che possa permetterti di arrogarti il diritto di sputare sentenze!” concluse con forza. Ron tentò l’ultima carta, rivolgendosi a Harry. “Tu non sarai d’accordo con questa follia voglio sperare?! Andiamo, si tratta di Zabini, di Malfoy, per la miseria! Malfoy, il tuo nemico da sempre! Non crederai che sia sincero, non crederai a lui?!” Il Grifondoro gli sorrise, conscio di quanto fosse difficile da accettare. Lui c’era già passato e poteva dire che era stata un’esperienza a dir poco scioccante, che lo aveva costretto a rimettere in gioco le proprie convinzioni e le proprie certezze, ma non senza lati positivi: la felicità e la pace di due delle persone che più amava. “A costo di suonare retorico”, rispose, “Io credo nella verità e la verità è che sia Ginny che Hermione sono felici con loro e questo mi basta. E, sinceramente, credo che possa bastare anche a te.” Le ragazze annuirono con convinzione. “Se ci vuoi bene, cos’hai incontrario alla nostra serenità?” incalzò sua sorella. Il ragazzo affondò il volto tra le mani con un mugolio doloroso che fece disperare molti. Quando alcuni minuti dopo riemerse però, contro ogni previsione, le sue labbra accennavano un sorriso. “So già che me ne dovrò pentire”, spiegò scrollando le spalle, “Ma se è questo che volete… per me va bene.” Ginny emise un gridolino di felicità e saltò tra le braccia spalancate del Serpeverde alle proprie spalle, il quale si impossessò all’istante delle sue labbra. “Ehy, almeno non davanti a me!” si scandalizzò suo fratello. La ragazza si voltò all’istante, rossa di vergogna. “Scusa… L’entusiasmo.” Risero tutti di quella piccola uscita. Finalmente tutti. Insieme. Hermione tirò un sospiro di sollievo e si lasciò ricadere contro il petto di Draco, chiudendo gli occhi. Lui appoggiò le labbra tra i suoi riccioli e le strinse finalmente le braccia attorno alla vita, cullandola leggermente. “Ci vediamo in Sala Comune”, le disse Harry, allontanandosi con Ron, “Tanto stasera non abbiamo lezioni.” La ragazza annuì leggermente e fece lo stesso per salutare Blaise e Ginny che sparirono per un altro viottolo intricato. Adesso erano solo lei e Draco. Il Serpeverde serrò maggiormente la stretta del proprio abbraccio e stavolta la giovane non oppose resistenza. “Se avessi rifiutato ancora il mio tocco…” la informò il Principe delle Serpi, “Non avrei più risposto delle mie azioni.” Hermione sorrise, ascoltando il lento strusciarsi del vento contro le poche foglie rimaste e beandosi del calore che trapelava dai vestiti intirizziti dall’umidità dell’inverno. Sollevò il viso verso quello di Draco e in quel preciso istante in cui trovò il suo sguardo, le parve di potersi mescolare a lui, fondersi, bersi. Entrambi sentirono un bisogno reciproco impellente e bruciante e videro il mondo scomparire in un abisso profondo e lasciarli soli con un pensiero unico. Non c’erano che loro, senza patti, senza malintesi, senza pregiudizi. Allora Draco sfiorò il volto della sua Mezzosangue con lentezza crudele per poi accarezzarle il mento con le dita affusolate. “Hermione…”. Sussurrò piano, assaporando il gusto di quel nome. Lei sorrise. “Draco…” Lui sorrise. Erano così vicini da sentire i propri respiri caldi mentre parlavano. Così vicini che quando Draco sollevò leggermente il mento di Hermione, inevitabilmente, le loro labbra si incontrarono. Fu come un tuffo nel ghiaccio, fu come respirare per la prima volta dopo secoli. Come ossigeno, una sensazione irreale di piacere si diffuse nei loro corpi, sospinta nel sangue dal battito accelerato dei loro cuori. Hermione si aggrappò alle braccia del biondo che le lambiva le labbra, dissetando il suo bruciante bisogno di lui. Quello era benessere allo stato puro, stillato dalle morbide labbra di una Serpe, il più dolce dei veleni, ambrosia divina che eccitava i suoi seni. Draco sentì che avrebbe potuto passare la vita in quel contatto, fosse morto in quell’abbraccio non avrebbe avuto rimorsi, dato che poteva forse esserci qualcosa di meglio del morire tra le mani candide di un angelo? Tutto attorno a loro si fece ovattato. Il mondo divenne un pallido riflesso di quello che era, nessun suono fu più udibile, tranne quello cadenzato dei loro respiri e quello umido delle loro labbra che si rincorrevano. Quando si separarono restarono senza fiato né coscienza di sé. I loro occhi velati dal desiderio s’incontrarono di nuovo e Draco sentì le membra della Grifondoro tremare sotto il suo tocco. “Tu as peur, mon amour?” bisbigliò nel suo orecchio. Hai paura, amore? La ragazza scosse il capo e avvicinò le sue labbra alla sua gola, cosicché la propria risposta sarebbe stata un sussurro strozzato sulla sua pelle. “Je crains ce que j’éspère…” Temo quel che spero. Si allontanò da lui, prima indietreggiando lentamente con gli occhi fissi nei suoi, poi voltandosi solo ogni tanto, per vederlo mentre la seguiva. A quelle poche parole Draco si era sentito catturare e trascinare fuori dal mondo reale. Non si rese neanche conto di essere rientrato a scuola, di aver attraversato l’atrio e i corridoi dei Sotterranei, di aver detto la parola d’ordine e aver varcato l’ingresso del Dormitorio, vuoto a causa del pranzo in corso. Riprese contatto con la realtà solo quando udì la porta della propria camera richiudersi alle proprie spalle. Hermione era in piedi davanti a lui. Bella, fiera, indomabile Grifondoro, lo fissava con aria di sfida mentre un sorriso malcelato le increspava le labbra vermiglie. Si sfilò il maglione con un unico gesto fluido e lo lanciò in terra, poi iniziò a far scivolare i bottoni della camicetta fuori dalle asole ricamate in rosso e oro. Draco si appoggiò morbidamente allo stipite della porta, osservando ogni suo gesto con attenzione. “Sai che non dovresti farlo, vero Granger?” Forse non era ancora il momento, c’erano ancora particolari da chiarire, dettagli da definire, lettere da mostrare… Lei inclinò la testa. “E perché? Sentiamo.” “Beh, perché io sono Draco Malfoy.” L’infida Serpe che ancora cova in seno segreti non svelati. La Grifondoro replicò con una risata cristallina. “E io sono Hermione Granger. Piacere. Ora che le presentazioni sono fatte…” Gli si avvicinò e lo aiutò a togliersi la giacca. Lui le bloccò il polso. “Fai sul serio Granger?” “E tu?” Lui si abbassò a sfiorarle le labbra dischiuse. “Non sto giocando, se è questo che mi chiedi.” le mormorò sulla bocca. Hermione gli sfilò anche la camicia, lasciandolo a torso nudo e prese a baciargli il petto e le spalle. “Allora ricordami perché non dovrei farlo…” Draco rise della provocazione e la sospinse lentamente verso il letto. La sua mano percorse la sua schiena in una carezza oscena che terminò sotto la stoffa della gonna. “Non me lo ricordo…” celiò, baciando avidamente ogni centimetro di pelle visibile sul suo corpo perfetto. E in realtà, in quel momento, mentre amore e piacere si mescolavano nel suo sangue risalendo il suo corpo e insinuandosi in ogni sua fibra più segreta, mentre l’aria si riempiva di gemiti, sospiri strozzati e nomi sussurrati all’infinito, in realtà in quel beato oblio poteva dire di non ricordare veramente. …[Mavors] in gremium [...] saepe tuum se reicit aeterno devictus vulnere amoris, atque ita suspiciens tereti cervice reposta pascit amore avidos inhians in te, dea, visus, eque tuo pendet resupini spiritus ore… …[Marte] spesso rovescia il capo nel tuo grembo, vinto dall’eterna ferita d’amore, e così mirandoti con il tornito collo reclino, in te, oh dea, sazia anelante d’amore gli avidi occhi, e alla tua bocca è sospeso il respiro del dio supino… Lucrezio, De rerum natura, I, vv. 33-37, (Inno a Venere) ………continua……… § Spazio autrice: § “Il piacere” è ovviamente ripreso dal romanzo di Gabriele D’Annunzio, che ho letto l’estate scorsa, innamorandomene perdutamente. La storia è piuttosto scarna e ruota tutta attorno alle vicende di personaggi dai caratteri morbosamente esasperati, in particolare a quelle del giovane e attraente nobile Andrea Sperelli, innamorato di due donne e della propria filosofia di esteta. Devo precisare che il dialogo in francese dell’ultima scena è ripreso proprio al libro (giusto le due battute in lingua, che mi erano piaciute tanto). La citazione finale invece è un brano del “De rerum natura” che descrive l’atto amoroso della divina Venere e del suo amante Marte. L’ho scelta perché mi pareva perfetta per descrivere l’unione di Hermione e Draco, tutto qui. Con affetto, MmeBovary |
Capitolo 14
*** La decadenza della menzogna ***
Ora godetevi la storia! CAP. 14
LA DECADENZA DELLA MENZOGNA Une orange sur la table Ta robe sur le tapis Et toi dans mon lit Doux présent du présent Fraîcheur de la nuit Chaleur de ma vie. « Alicante », Jacques Prévert Un’arancia sul
tavolo
Il tuo vestito sul tappeto E nel mio letto, tu Dolce dono del presente Frescura della notte Calore della mia vita. «Alicante », Jacques Prévert Una Luna grande e pallida si stagliava ormai su un cielo di perla quando Draco riaprì gli occhi dopo un sonno tranquillo e insolitamente privo di incubi. Non poté fare a meno di piegare le labbra in un sorriso mentre, rigirandosi nel torpore del risveglio, avvertì la tiepida morbidezza del corpo nudo di Hermione accanto al proprio. La ragazza mugolò qualcosa d’indecifrabile e si voltò verso di lui, continuando beatamente a dormire come una bambina. Draco puntellò il gomito nel cuscino e appoggiò il capo al palmo aperto, osservando i tratti gentili della giovane, rilassati dal sonno. L’innocenza delle sue rotonde palpebre abbassate sotto le ciglia brune aveva qualcosa di divino, eppure l’invitante sporgenza delle sue labbra dischiuse e umide era quanto di più peccaminoso Draco potesse immaginare. Non poté resistere alla tentazione di sfiorare quei vellutati petali vermigli… “Mh…” Hermione arricciò il naso e affondò il volto nel cuscino, scacciando la sua mano come se fosse una zanzara fastidiosa. Il Serpeverde rise leggermente e tornò ad osservarla da lontano. Una parte di lui avrebbe voluto svegliarla e ricominciare da capo con le coccole, le carezze, i baci bollenti e i gemiti intrisi di piacere che avevano costellato la loro notte, prima che, stremati, si arrendessero al sonno. D’altra parte però, anche solo poterla guardare in un momento di così sublime pace come non ne avevano mai condivisi prima, era molto più di quanto avesse mai ritenuto di meritare. Avvicinò il volto ai suoi capelli, lasciando un bacio impigliato tra i suoi boccoli ribelli. Avrebbe potuto passare la vita lì sdraiato accanto a lei… purtroppo però il fato capriccioso sembrava mettersi d’impegno per rovinare ogni stilla di felicità che egli riusciva ad agguantare. Il cigolio dei cardini che roteavano lo fece voltare di scatto. “Draco, sono io, posso entrar…” Il giovane balzò in piedi, afferrò una vestaglia al volo da una sedia e si precipitò fuori prima che Pansy Parkinson potesse infilare la sua testolina curiosa nella sua stanza. Si tirò dietro la porta con uno scatto secco. Tra i due compagni di Casa serpeggiò per un minuto il silenzio. “Chi era quella?” sibilò la ragazza, indicando la camera di cui aveva avuto una visione troppo rapida per cogliere più che la volatile impressione di due corpi nel letto del suo amato. Draco non si prese neanche il disturbo di considerarla e sfilò una sigaretta dal pacchetto che teneva nella tasca della vestaglia in seta scura e dai riflessi color onice. “Che vuoi Pansy?” alitò tra le spire evanescenti del fumo. “Una volta eri più felice di vedermi…”, piagnucolò la giovane, “Ora sembri scocciato.” “Forse”, replicò lui, “Lo sembro perché lo sono.” Fissò con rabbia la porta chiusa alle proprie spalle, come se stesse ammirando il Paradiso perduto e ogni attimo che passava con quella vipera della Parkinson fosse una piuma strappata alle ali che gli sarebbero servite per risalirci. “Insomma, puoi dirmi che cazzo vuoi?” sbottò, irritato dal mutismo ostile della Purosangue. Lei si fece scura in volto e arricciò il labbro inferiore. “Niente… è solo che, sai com’è, lui voleva sapere dov’eri, ma non ti si è visto tutto il giorno, né a pranzo né a cena, nessuno sapeva dirglielo; Blaise gli ha giurato che in camera tua non c’eri, ma io sono venuta a controllare lo stesso, e a quanto pare Zabini si sbagliava, e ora lui…” “Chi voleva sapere dov’ero, Pansy, chi?!” Lei sgranò gli occhi. “Oh, come, non te l’avevo ancora detto? Tuo padre, ovviamente… È di là che ti aspetta.” “Mio padre?” mormorò il ragazzo con un filo di voce. “Ma sì! È arrivato poco prima di cena e poi… ehy, Dra, sembri pallido, va tutto bene?” No, non andava tutto bene. Non andava per niente bene. Draco deglutì a fatica e in quel momento pregò che la terra si spaccasse e lo lasciasse sprofondare, ma nessuna voragine si aprì sotto i suoi piedi. C’era già all’inferno… “Mh… Draco…” mugolò Hermione con voce bassamente impastata dal sonno, rigirandosi nel letto. Il rumore della porta che si chiudeva la aveva svegliata e ora le sue mani scorrevano la superficie setosa delle lenzuola alla ricerca di Malfoy. Non trovando niente, la giovane aprì gli occhi. “Draco?” Si tirò su a sedere tra i cuscini di piume e si guardò intorno. La camera era immersa nella semioscurità della sera. Dalle piccole finestre incantate entrava una luce verdognola e evanescente che si sommava a quella delle tremule fiamme del camino per illuminare la vasta stanza da letto. Il fuoco era quasi spento e Hermione avvertì un brivido di freddo. Si alzò per andare a raccogliere un maglione di Draco, abbandonato su di una poltrona poco lontano e lo infilò, frizionando piacevolmente la lana pungente contro la pelle nuda delle proprie braccia. Si lasciò cadere di nuovo sul letto e passò le mani sul punto in cui aveva dormito Malfoy. Era ancora molto caldo, quindi doveva essersi alzato da poco. Dove poteva essere andato? Hermione affondò il volto nel suo cuscino per un lungo attimo, riscoprendo con gioia l’odore salato della sua pelle, poi si guardò di nuovo intorno, sedendo tranquillamente con le ginocchia raccolte al petto. Dalla mensola scura del camino un mazzo di rose di vario colore pareva offrirsi alle sue carezze, lasciando ricadere a terra una pioggia di petali nivei e purpurei. In un angolo c’era il calderone di Draco in cui lei stessa aveva preparato pozioni su pozioni durante le loro ripetizioni. Il pensiero di quei momenti la fece sorridere inconsciamente. Per quanto si fosse maledetta per averlo accettato, probabilmente stipulare quel patto era quanto di meglio avesse fatto in vita sua. Si portò nuovamente in piedi per andare a riattizzare le fiamme del camino, ma inciampò malamente nel mantello di Draco, accartocciato a terra, e sbatté l’alluce contro una gamba della scrivania. “Ma porca…” Si morse la lingua per reprimere un’imprecazione piuttosto pesante e, zoppicando, raccolse il mantello incriminato. Dalla tasca scivolò fuori una lettera ripiegata più volte e piuttosto stropicciata, come se fosse stata letta ripetutamente. Con innocente curiosità Hermione la prese in mano. In quel momento però la porta si aprì di nuovo per far entrare il padrone di casa. “Ehy… buongiorno.” lo salutò la Grifondoro, lasciando perdere all’istante quell’inutile pezzo di carta. “Buongiorno mia dèa.” Le fece eco il ragazzo, accogliendola tra le proprie braccia. Hermione si sollevò appena sulle punte per arrivare a depositare un tenero bacio sul suo mento. “Dov’eri andato?” Draco non rispose, ma piegò il capo e si impossessò delle sue labbra, mentre le sue mani le torturavano la pelle sensibile della schiena e del ventre. La giovane sciolse il nodo della sua vestaglia, iniziando a retrocedere verso il letto, ma il Serpeverde la bloccò. “Ehy, senti… Scommetto che hai fame…” Hermione rimase spiazzata. Sinceramente il cibo era l’ultimo dei suoi pensieri in quel momento, però a pensarci bene, dopo aver saltato sia il pranzo che la cena uno spuntino avrebbe aiutato a recuperare un po’ delle energie bruciate quella notte. “Effettivamente…” ammise, senza capire dove il ragazzo volesse andare a parare. “E se andassi a prenderti qualcosa in cucina?” La Grifondoro mise il broncio e assunse la sua consueta aria vagamente saccente. “In quanto fondatrice e amministratrice unica del C.R.E.P.A. sono assolutamente e irremovibilmente contraria a questo genere di sfruttamento degli elfi domestici.” Draco le restituì un’occhiata scettica. “Non fare la moralista come a tuo solito, Mezzosangue! Saranno avanzate tonnellate di cibo dalla cena. Vado, lì, ne prendo un po’ e torno. Gli elfi non si accorgeranno nemmeno di me!” Hermione esitò, mordicchiandosi un labbro, finché fece per replicare ma fu interrotta dal brontolio del proprio stomaco vuoto. Arrossì furiosamente mentre Draco sghignazzava. “Lo prendo per un sì…”, ironizzò, evitando il cuscino che la Grifondoro aveva appena scaraventato nella sua direzione, “Quindi… potrei riavere il mio maglione per uscire?” Vide la Mezzosangue guardarsi quasi con stupore a causa di quella richiesta. Entrando, egli aveva notato subito come lei avesse indossato qualcosa di suo e sebbene la avesse trovata a dir poco mozzafiato si era subito ripromesso di farla arrossire un po’ con una richiesta di quel genere. “Ne hai a decine.” replicò Hermione. “Ma io voglio quello.” si impuntò il Serpeverde, liberandosi intanto della vestaglia per sostituirla con un paio di boxer e di pantaloni. La Grifondoro sbuffò ma decise di accontentarlo e si sfilò l’unico indumento che aveva indosso con un gesto fluido e, secondo la prospettiva di Draco, dannatamente sensuale. “Lo vuoi solo perché sei un bamboccio viziato e incontentabile.” gli sibilò, a metà tra il serio e il faceto. “No” la corresse lui, sfiorando il suo orecchio con le labbra mentre le toglieva di mano il maglione “Lo voglio perché così potrò sentire il tuo profumo anche mentre non ti starò accanto…” Hermione avvertì chiaramente la vampata di calore che le tinse di rosso le gote e le orecchie a quelle parole, eppure non poté impedirsi di sorridere. Draco intanto però, dopo un ultimo bacio a fior di labbra, aveva già raggiunto la porta. “Torno tra un attimo. Tu non aprire a nessuno, ok?” “Sì, papà…” ironizzò la ragazza, tornando a rovistare tra i vestiti della sera prima, in cerca di qualcosa da mettersi. Draco si richiuse la porta alle spalle e il sorriso che gli piegava le labbra morì all’istante. “Ce ne hai messo di tempo…” puntualizzò Pansy, guardando l’orologio a pendolo appeso in corridoio. “Potevi andartene.” “Non ho detto che volevo andarmene.” “Non ho detto che volevo che mi aspettassi.” La Serpeverde si morse il labbro inferiore, incapace di replicare. Solitamente era solita ignorare le frecciatine di Draco rigirandole nella propria mente fino a farle apparire prive di cattiveria e anzi, ironicamente gentili, ma con quell’affermazione la possibilità di fraintendimento era praticamente nulla. “Dov’è mio padre?” le chiese seccamente il Purosangue, finendo di allacciarsi la cintura. “Ti sta aspettando nell’Ingresso.” La risposta della ragazza fu strascicata e lagnosa e nascose un’amara punta di delusione cocente. Mise il broncio, sperando di intenerire il Principe delle Serpi e di strappargli una gentilezza. Povera illusa. Draco le rivolse le spalle senza troppi complimenti e s’incamminò verso l’entrata, bloccandosi a metà corridoio solo quando si rese conto che qualcosa non andava, o meglio che qualcuno non se ne andava… “Pansy, non starai pensando di entrare, vero?” sibilò, assottigliando gli occhi e fissando la porta della propria camera. “Chi, io?! Pensi che sia così stupida? Non oserei mai…” Il ragazzo si dimostrò scettico di fronte a quella commediola di sentito rispetto, ma, per quanto non si fidasse affatto a farlo, fu costretto a correre via e a lasciare la Parkinson sola davanti alla sua porta con la minaccia che se avesse osato abbassare quella maniglia se ne sarebbe pentita per il resto della vita. Pansy attese di vederlo svoltare l’angolo. Non era stupida, no, e non sarebbe entrata in camera di un Malfoy senza il suo permesso per pura curiosità o civetteria. Ma per gelosia, per quella sì… Afferrò il pomello bronzeo e spinse la porta, mossa da un solo pensiero. Se Draco non poteva essere suo, non sarebbe stato di nessun’altra in quella scuola… Un flebile odore di legna bruciata, entrando, le colpì l’odorato e le fece bruciare gli occhi che faticarono leggermente ad adattarsi all’oscurità di quella camera dopo che ella era stata tanto a lungo in piedi sotto una delle torce del corridoio. Eppure la giovane vide benissimo quello che voleva vedere. Una ragazza era in piedi davanti alla scrivania di Draco e si specchiava nella superficie liscia di una cornice per foto, sistemandosi i lunghi capelli ricci. “Già di ritorno, Draco?” Sentendo lo scattare della porta, Hermione alzò il viso e si girò nella direzione in cui si aspettava di trovare Malfoy. Quel gesto però le riservò una brutta sorpresa. “Oh… Pansy.” biascicò, pronunciando il suo nome come se avesse un sapore schifoso “Se cerchi Draco, torna tra poco.” La Serpeverde sbuffò, incredula, puntando le mani sui fianchi. “Che fai, Mezzosangue, gli onori di casa?” Hermione non si scompose. Stava con Draco ormai e aveva tutto il diritto di essere lì. “Ti stavo solo dando un’informazione,” puntualizzò con tono paziente, “Vuoi che ripeta? H-a-i c-a-p-i-t-o?” Accompagnò il suo scandire con gesti delle mani, come se avesse avuto a che fare con qualcuno dalle abilità cognitive estremamente limitate. “Guarda che non sono scema.” Si sentì in dovere di far presente Pansy. La Grifondoro si lasciò scappare un insomma a fior di labbra, ma l’altra non lo notò, troppo presa a seguire il filo dei propri pensieri. “Dio…” mormorò all’improvviso con una smorfia, “Non ci credo che Dra s’è portato a letto una cosa come te.” “Ehy, cosa dillo a qualcun altro,” ribatté prontamente la strega dagli occhi dorati “Io sono una persona.” “Mezzosangue. Quindi mezza persona…” sibilò la Serpeverde, sprezzante. Hermione scosse il capo. Se credeva di destabilizzarla con questa storia trita e ritrita era fuori strada. Al massimo rischiava di beccarsi una fattura Orcovolante se non si sbrigava a toglierle dalla vista quel suo muso da carlino. “Insomma Parkinson, che accidenti vuoi?” “Oh, nulla…” biascicò indifferente la Purosangue “Volevo solo vedere chi si era scelto Draco per scaldarsi le ossa mentre io ero occupata e non poteva avermi. Strano che abbia scelto una Mudblood, anche perché ora temo che quelle lenzuola dovrò farle bruciare… ” “Sei patetica.” le fece notare Hermione, ottenendo che la sua pelle chiara si tingesse di un intenso color pesca, cioè quanto di più simile al rossore avesse mai sperimentato. “Io sarò patetica ma tu non sei da meno,” frecciò la Serpeverde, prendendo a girellare per la stanza, nuovamente indifferente,“Se ti illudi di poter restare tanto a lungo in quel letto.” “Risparmiati la tirata.” La Granger la bloccò con un gesto annoiato della mano. Ne aveva abbastanza di sentire sciocchezze per quella sera. Voleva solo che Draco tornasse e si dedicasse di nuovo interamente a lei. Ma perché diamine ci metteva tanto? Eppure le cucine erano lì vicino… Pansy prese a sfogliare distrattamente le rose rosse poste sopra il camino, raccogliendone i petali vellutati nell’incavo della mano. “Beh, mi ha fatto molto piacere fare due chiacchiere con te Parkinson,” ironizzò Hermione “Ma, ora che hai visto quello che volevi vedere puoi anche andartene, no?” La Serpeverde si voltò verso di lei, mordicchiando distrattamente un petalo di rosa. “Se è per questo potresti andartene anche tu, perché temo che Draco sarà di cattivo quando rientrerà da questo incontro e dubito che avrà voglia di vedere ancora la sua amante Sanguesporco ad infestargli la stanza.” “Io non sono la sua amante!” berciò la Grifondoro “Sono la sua ragazza, ficcatelo in quella testaccia vuota che ti ritrovi, ok? E comunque lui è solo andato in cucina, non è a nessun incontro.” “In cucina? È questo che ti ha detto… Povera cara… Evidentemente era questa la versione studiata per la sua amante.” Pansy spinse in fuori il labbro, fingendo una compassione che non provava, specialmente ora che già pregustava la stoccata finale che stava per infliggere. “Io sono la sua ragazza, ci arrivi?” “Ma senti un po’! E da quando, da prima o dopo che si fidanzasse ufficialmente con un’altra?” Hermione deglutì a vuoto, mentre sentiva la terra mancarle per un attimo sotto i piedi. No, non era vero, non era possibile. “Risparmiami queste fesserie.” tagliò corto. “Saranno anche fesserie…”, strascicò Pansy, “Ma io lo so per certo da una lettera che Draco stesso mi ha mostrato e poi la cosa ormai è quasi pubblica, voglio dire, se non te lo avessi detto io probabilmente lo avresti letto tra qualche giorno sulla Gazzetta del Profeta.” “Vai via…” alitò Hermione con un filo di voce, fissando il pavimento. La Serpeverde sorrise. Il petalo di rosa tra i suoi denti perlacei si era fatto più scuro, del colore macabro del sangue. “Oh, mi dispiace tanto di aver rovinato la tua piccola illusione”, mentì, lasciando ricadere a pioggia sul pavimento la corolla distrutta che aveva in mano, “Ma tu per lui sei solo una delle tante puttane…” Se ne andò con il sorriso sulle labbra, gioendo dell’aver trascinato con sé nell’inferno del rifiuto qualcuno che non avrebbe dovuto trovarvisi. Se Draco non poteva essere suo, non sarebbe stato di nessun’altra in quella scuola… Hermione sobbalzò quando sentì il tonfo della porta che veniva sbattuta malamente sui cardini. I suoi occhi s’incollarono al pavimento cosparso di petali vermigli. Davanti a sé vedeva tutto rosso e una parola le aleggiava davanti agli occhi: fidanzato. Tentò di fare due passi, ma le girava la testa e non percepiva più chiaramente la stanza attorno a sé. Calmati Herm – si disse – Mantieni il controllo. In fondo, non era successo nulla. Respirò a fondo. Poteva essere tutta una menzogna della Parkinson. Sì, certamente era così. Draco non le avrebbe mai mentito ancora, glielo aveva giurato: niente più giochi, niente più inganni. Sapeva che lei non avrebbe potuto sopportarlo. Ritrovato il controllo si appoggiò alla scrivania con entrambe le mani, per riprendere fiato e le sue dita si scontrarono di nuovo con il foglio accartocciato che lei stessa aveva gettato lì per andare incontro a Draco. Era una lettera, come aveva detto la Parkinson. Senza neanche rendersene conto la aprì, la lesse, impallidì. “Caro Draco, Spero che la presente ti trovi nel pieno possesso delle tue forze e nella migliore delle disposizioni d’animo, perché ho grandi notizie per te. Sappi che presto verrò a trovarti, per definire gli ultimi particolari del fidanzamento con la cara Margarethe. Poco dopo spero di poterla portare da te, giacché intuisco dalla tua lettera sia desiderio tuo (e ti assicuro anche suo) trovarvi finalmente più vicini. Sappi che mi ha fatto estremamente piacere ricevere la tua risposta affermativa e sapere che gioisci anche tu come tutti noi all’idea di queste nozze, così auspicabili. Sono fiero del fatto che onorerai come si deve la stirpe Malfoy con una sì nobile ragazza e sono certo che tu e la nostra cara signorina Sondersen Kirpsiengaard sarete perfetti insieme dopo le nozze come mi apparite adesso al tempo del fidanzamento. Con rispetto, Lucius Malfoy.” Hermione gettò via quel foglio come se fosse stato un essere rivoltante, messo tra le sue dita per sbaglio e per cattiveria. Si portò le mani alla gola, senza fiato. Si sentiva soffocare, le mancava l’aria, le serviva l’aria! Doveva andare via da quelle quattro mura, doveva fuggire… Afferrò il proprio mantello e si voltò verso l’uscita… Draco percorreva i corridoi dei Sotterranei quasi correndo. Un presentimento nero gli attanagliava la gola come una mano nemica; l’idea di non avere abbastanza tempo per risolvere tutto, la paura che la situazione gli sfuggisse di nuovo di mano. Dannato Lucius! Aveva scritto che sarebbe venuto presto ed eccolo lì, con tempismo perfetto per rovinargli uno dei pochi momenti felici della sua vita. Lo aveva persino costretto a mentire a Hermione, cosa che aveva giurato a se stesso di non fare mai più. Entrò nell’atrio spalancando la porta a due mani e vi trovò Lucius Malfoy intento a conversare con un Blaise dall’aria piuttosto reticente. “…e poi mi raccomando, saluta tua madre da parte mia.” “Non mancherò… oh Draco! Aspettavamo giusto te.” Il Serpeverde sembrava molto desideroso di togliersi di torno. “Padre. Blaise.” li salutò freddamente il giovane, riuscendo miracolosamente ad apparire composto anche dopo una corsa a perdifiato. “Oh, Bene! Allora la signorina Parkinson ti ha trovato!” esordì suo padre. “A quanto pare.” “Scusa”, gli sussurrò il suo migliore amico di nascosto “Non sono riuscito a fermarla.” Draco crollò il capo, lasciando intendere che apprezzava lo sforzo ma capiva come contro la testardaggine di quella ragazza ci fosse poco da fare. “Signor Malfoy”, si congedò intanto Zabini, “A presto.” “A presto Blaise.” Draco prese il posto dell’amico, al fianco del padre. “Bravo ragazzo quello…”, borbottava Lucius, “È fidanzato che tu sappia? Ci sarebbe una tua cugina sennò che…” “Sì, è felicemente fidanzato. Cosa volevate da me, padre?” “Ah, fidanzato dici? Che peccato… Comunque, è ovvio che sono qui per il tuo di fidanzamenti, Draco.” Il ragazzo si sedette su una delle lunghe panche di legno scuro che ornava l’Ingresso e suo padre lo imitò. “Non mi aspettavo di vedervi così presto.” “Eppure te lo avevo scritto nella mia lettera.” “Già, la lettera…” Draco trattenne una risata ripensandoci. Aveva stentato a credere ai propri occhi quando la aveva vista. Era incredibile come suo padre avesse manipolato le sue fredde parole di disinteresse per trasformarle in una risposta affermativa ed entusiasta al suo folle progetto. Lui ricordava di aver scritto che voleva andarci piano e la risposta era stata una visita immediata. “Comunque ero nei paraggi”, aggiunse Lucius, “E ho colto l’occasione. E poi perché sprecare tempo. Tu sei d’accordo e la famiglia di lei lo è, quindi, pensavo, magari potremmo organizzare la cerimonia anche per l’estate prossima…” “L’estate prossima?! Credevo avreste voluto concedermi almeno tre anni.” sbottò Draco, allibito. Suo padre inclinò leggermente il capo, sorpreso da tanto slancio e carezzò lentamente la testa d’aquila scolpita nel pomello metallico del proprio inseparabile bastone, come faceva spesso quand’era pensieroso. “Capisco. Hai paura…” “Io non ho paura.” “E allora perché tanti indugi? Devi farlo, vuoi farlo, e quindi che problema c’è se cambia la data?” Draco assottigliò gli occhi plumbei, stringendo convulsamente le nocche sulle proprie ginocchia, da sopra la stoffa scura dei jeans. “Siete venuto qui per discutere…”, sibilò, “O solo per mettermi davanti ad un fatto compiuto?” Lucius sbatté pesantemente a terra il proprio bastone, facendo risuonare la stanza della propria irritazione. “Non osare rivolgerti a me con quel tono ironico!” “Ah, no? E che tono dovrei usare allora? Io ti scrivo per prendere tempo per sganciarmi da questa assurda faccenda e tu vieni qui a chiedermi il colore dei confetti? Se non c’è da essere ironici qui…” Suo padre scattò in piedi con un balzo, come se la panca lo avesse morso. “Assurda faccenda…”, sibilò, mentre la sua sicurezza iniziava a incrinarsi. Draco lo fissò con malcelato disprezzo. “Non ti è mai neanche venuto in mente che potrei non volermi sposare con chi dici tu?” Malfoy Senior non celò il proprio stupore. “Assurdo. E perché non dovresti?” “Forse perché amo un’altra?” “Ah, l’amore…” sibilò il Purosangue con una smorfia, “L’infido male che ha rovinato tanti elementi valorosi. No, Draco, noi Malfoy non siamo fatti per l’amore, lasciatelo dire. Non so cosa tu creda di provare adesso o cosa tu voglia dimostrare con questa tua insolenza, ma sappi che non durerà. Ti scivolerà via dalle dita, lo distruggerai, lo farai marcire con la tua natura, decadere dietro un mare di menzogne. Non puoi evitarlo, è scritto nei tuoi geni…” “Basta!” urlò il ragazzo, portandosi in piedi di scatto. La panca dietro di lui si ritrovò scaraventata al muro. “Tu non sai di che parli! E io non sono come te…” Lucius ghignò, stranamente soddisfatto. “Lo credi ora, ma presto mi darai ragione.” “HO DETTO BASTA!” Suo padre reclinò leggermente il capo, con accondiscendenza. “Come vuoi, non c’è bisogno di urlare. Quando avrai cambiato idea, e lo farai, sai dove trovarmi. Nel frattempo non credere che smetterò di occuparmi della cosa.” “Fuori…” ringhiò suo figlio “Fuori da questa scuola!” Lucius si voltò, stringendo forte il proprio bastone da passeggio. Le parole di suo figlio, per quanto a suo dire immature e dettate da un’inesperienza su cui era disposto per il momento a sorvolare, gli erano arrivate in faccia come uno schiaffo. Si incamminò verso la porta e uscì, senza proferire un’altra sillaba, rimuginando su come portare comunque a termine quella faccenda ora che non poteva più negare che suo figlio non fosse d’accordo. Draco si lasciò cadere di nuovo sulla panca, con il volto tra le mani. Ancora non credeva a quello che aveva appena fatto, a quanto aveva detto a suo padre. Adesso non restava che un’ultima cosa da sistemare: informare Hermione di tutto e spiegarle quell’assurda faccenda. Hermione! Il pensiero di lei si risvegliò improvviso. Lo stava ancora aspettando! Si alzò di scatto, facendo finire definitivamente la panca a gambe all’aria, e corse in cucina, dove si procurò in fretta e furia un vassoio ricolmo di dolci, succo di zucca, fragole e biscotti. Quando arrivò alla propria camera e aprì la porta non poteva immaginare quanto tutto fosse cambiato, in pochi minuti. “Ehy, Mezzosangue, guarda cos’ho…” Lei si bloccò in mezzo alla stanza, il piede già proteso verso l’uscita e la mente ripiegata tutta sulle parole odiose che aveva appena letto. Voleva solo andare via e non rivedere Draco mai più. E invece eccolo lì. Crollò il capo e si fece strada verso la porta, sbattendo goffamente contro la spalla di lui. Il Serpeverde rimase basito, incapace di comprendere, finché lei alzò i suoi occhi verso di lui e gli rivolse l’occhiata più fredda che potesse immaginare. C’era la morte in quelle iridi castane, inquietantemente posta a guardia di speranze decadute e illusioni distrutte. Draco lasciò cadere a terra il vassoio, calpestando malamente il suo contenuto di cocci infranti e dolci martoriati. “Hermione, che c’è? Che ti succede?” Cercò di prenderla tra le braccia, per calmarla, per proteggerla, ma lei rifuggiva il suo tocco, aborriva il contatto con lui, con le sue mani, con le sue labbra. “Lasciami…” “Mi vuoi dire che c’è?” Hermione si strattonò dalla sua presa, guardandolo con furia. “Dov’eri?” gli sibilò. “Come dov’ero? In cucina, te l’ho detto…” “Sei un bugiardo!” gridò la ragazza, serrando i pugni e le palpebre. Era scossa da brividi di rabbia incontrollabili, semplicemente fuori di sé. “So tutto! Ho letto la lettera! So che sei già fidanzato! Mi stai illudendo! TU STAI SOLO GIOCANDO!” Lui cercava invano di calmarla, trattenendole le braccia, che lo colpivano con rabbia cieca al petto e al volto. “FARABUTTO! CAROGNA! BUGIARDO! Lasciami!” “Hermione, calmati!” “Dov’eri?!” Draco sospirò, rassegnato. “Con mio padre…” Con uno scatto repentino Hermione liberò i polsi dalla sua presa e sfoderò la bacchetta. “Stupeficium!” Malfoy evitò l’incantesimo per un soffio. I suoi occhi spalancati contemplarono per un attimo con stupore il solco che si era aperto nella sua parete, prima di doversi concentrare di nuovo per non essere colpito. “Stupeficium! Stupe…” “Adesso basta, Hermione!” Il Serpeverde deviò la direzione della magia ghermendo di nuovo le braccia della sua Mezzosangue. Il raggio rosso andò a colpire il vaso di rose sopra il camino, mandandolo in frantumi. Una pioggia di candida neve profumata si sparse al suolo, mescolandosi con i petali purpurei distrutti da Pansy. “Amore, guardami…” Lei non parlava più, né alzava lo sguardo, appannato dalle lacrime. Quando, poco dopo, sentì la presa sulle proprie braccia allentarsi si diresse a grandi passi verso la porta, decisa a non sentire più una parola. “Mezzosangue, ascolta, non è come credi…” La Grifondoro si voltò di nuovo verso di lui. “Non voglio sentire.” Troppe volte la aveva ingannata con le sue belle parole, con le sue promesse e le sue scuse tirate su ad arte. Ora avrebbe potuto chiamare Dio a testimone della propria condotta: non lo avrebbe perdonato lo stesso. Draco tentò di avvicinarsi a lei, per prenderla tra le braccia e calmarla con il battito lento del proprio cuore sfinito, ma lei si ritirò come se fosse stata la Morte stessa ad abbracciarla. “Non toccarmi”, sibilò con una voce metallica che non sembrava nemmeno la sua, “Mi fai schifo. Tu sei… tu sei…” La sua voce si spense in un singhiozzo strozzato mentre apriva la porta e gli rivolgeva le spalle. “Hermione, io…” “Addio.” Un’unica parola, sussurrata senza far più rumore di un petalo di rosa che cada sul prato, fece il cuore di Draco in tanti piccoli pezzi, perché in quell’unica parola era racchiusa tutta l’amarezza delle mille altre ricacciate in gola. “Perdonami.” mormorò il Serpeverde, gli occhi chiusi, le braccia tese in avanti, non sapendo più che fare. Provò l’innaturale impulso di umiliarsi, strisciare ai suoi piedi e implorare perdono, ma sapeva che non sarebbe servito a niente, non con lei, non in quel momento. Per un lungo attimo attese che il corpo gracile di lei tornasse a riempire le curve piegate delle sue braccia, poi udì il rumore della porta che si richiudeva e infine solo il vuoto silenzio e un’amarezza che sapeva di disincanto. Aveva avuto giorni per mostrare a Hermione quella lettera, poi ore, poi minuti, poi più nulla. Il tempo gli era sfuggito, come una farfalla cui avesse preteso di legare le ali, scivolando via come il sangue da una ferita aperta. Aveva indugiato, aveva sbagliato, rovinando tutto. Le parole di suo padre gli risuonarono in testa. No, Draco, noi Malfoy non siamo fatti per l’amore… Non durerà… Lo distruggerai, lo farai marcire con la tua natura, decadere dietro un mare di menzogne… Non puoi evitarlo, è scritto nei tuoi geni… Era vero? Lo aveva fatto? Aveva polverizzato da solo l’unica occasione della propria vita di essere felice? Con un gemito, cadde a terra, sulle ginocchia che non sapevano più reggerlo, schiacciato da una sofferenza che minacciava di spezzargli la schiena mentre gli strappava una ad una le fibre del cuore, contando all’indietro, uno per uno, i secondi che avevano segnato la sua fine. Le Plaisir vaporeux fuira vers l’horizon Ainsi qu’une sylphide au fond de la coulisse ; Chaque instant te dévore un morceau du délice A chaque homme accordé pour toute sa saison. Trois mille six cent fois par heure, la Seconde Chuchote : Souviens-toi ! – Rapide, avec sa voix D’insecte, Maintenant dit : Je suis Autrefois, Et j’ai pompé ta vie avec ma trompe immonde ! […] Souviens-toi que le Temps est un jouer avide Qui gagne sans tricher, à tout coup ! c’est la loi. Le jour décroît; la nuit augmente, souviens-toi ! Le gouffre a toujours soif ; la clepsydre se vide. Les fleurs du mal, "L’horloge ",C. Baudelaire Il Piacere diafano fuggirà verso l’orizzonte Così come silfide dietro le quinte; Ogni istante ti divora un frammento della povera gioia Che a ogni uomo in vita fu concessa; Per tremila seicento volte all’ora il Secondo Ti bisbiglia: Ricorda! Rapido, con la sua voce D’insetto, Adesso dice: Io sono Poco fa, e ti ho succhiato la vita con il mio pungiglione immondo! […] Ricorda che il tempo è un giocatore avido Che vince senza barare, ad ogni ruota! è la legge. Il giorno scema; la notte aumenta, ricorda! L’abisso ha sempre sete; la clessidra si vuota. I fiori del male, “L’orologio”, C. Baudelaire ………continua……… § Spazio autrice: § Il titolo è ripreso da un dialogo di oscar Wilde, The decay of lying, in cui l’autore afferma che la vita deve imitare l’arte e non il contrario, perché la menzogna e la poesia sono sorelle mentre il realismo, in voga al suo tempo, è uno sciatto abominio che sta insterilendo la bellezza. Le poesie iniziali e finali sono state scelte per essere diametralmente opposte: la prima è la dolcissima “Alicante” del poeta francese Jacques Prévert, famoso per i suoi versi d’amore, mentre la seconda è frutto del genio di Charles Baudelaire. Mi pareva che la differenza tra i due stili si intonasse bene al cambio di atmosfera che si crea tra l’inizio e la fine della fanfic. MmeBovary. Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
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