In bilico fra i mondi

di _Sherazade_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


In bilico fra i mondi


 


- Capitolo Primo -


Così tanta violenza... così tanto caos...
Come ha potuto il mondo scendere così in basso?
Il mondo in cui viviamo urla al vento il proprio dolore, implorando chiunque di ascoltarlo e di porre fine a tutte quelle azioni insensate.
L'uomo, quella creatura superiore, o presunta tale, che avrebbe dovuto saper sfruttare al meglio il proprio pianeta, senza però lasciarlo cadere in rovina, fu proprio la creatura che ne segnò l'inevitabile declino.
Sembrava tutto perduto: uomini e donne che si macchiavano dei peggiori delitti, il mondo che pian piano cominciava a spegnersi, e la natura silenziosa che si ribellava, liberando sul Globo la furia incontenibile.
Sembrava tutto perduto, ma qualcuno aveva deciso di rispondere a quell'appello disperato.


- Sono Mai Laynn, per TG-NEWS dal parco di Bergamo Sud. Dopo molte ricerche le nostre forze dell’ordine sono riuscite a stanare “L’Orco”, l’uomo che si è macchiato degli atroci delitti di cui abbiamo parlato nei giorni passati. Per tutto il paese ha seminato il terrore, e a sette, fino ad ora, sono arrivate le sue vittime. Dall'elicottero ci giunge notizia che l'uomo è stato oramai accerchiato, privato quindi di ogni via di fuga. È solo questione di minuti prima che lui si arrenda e si costituisca finalmente... Ma, aspettate... ci informano che proprio adesso si stanno verificando movimenti strani.
È fuggito!
L'Orco è fuggito!


L’uomo aveva notato una minuscola via di fuga, e ne aveva approfittato. Lui era sicuro di poterla fare franca ancora una volta, sfuggendo nel grande parco cittadino. L'Orco, così come lui amava farsi chiamare, non provava rimorso per il dolore che aveva causato. Non provava rimpianti per le povere vittime cadute sotto la sua mano. Lui era contento della vita che stava conducendo, ed era sicuro del fatto che nessuno sarebbe mai stato in grado di fermarlo.
Quell'uomo però non aveva ancora fatto i conti con lei, la sola e unica Giustiziera.
L’eroina che tutti aspettavano con ansia.
Là dove il crimine serpeggiava e le forze dell'ordine rimanevano impotenti, lei, con una sola delle sue frecce, sbatteva i criminali nella dimensione di detenzione. Lì non si poteva sfuggire dalle proprie colpe, poiché le punizioni venivano inflitte proprio in base ai crimini commessi. Né soldi, né fama, potevano salvare le persone dalla giusta fine che finalmente veniva loro inflitta.
La Giustiziera puniva solo i veri malvagi che rovinavano il mondo con le loro azioni perverse.
La Giustiziera era comparsa dal nulla, ergendosi su quel mondo sull'orlo del baratro.
Nessuno sapeva chi si celasse dietro quel grande mantello blu scuro e la maschera che le celava il volto.
Tutto quello che la gente sapeva, era che ovunque si fosse celato il male, presto o tardi la Giustiziera l'avrebbe trovato e castigato.


- Io chiedo Giustizia. - gridò la nostra eroina che si era nascosta fra le chiome degli alberi del parco, mentre i riflettori e le telecamere si girarono verso di lei, poco prima che lei scoccasse la sua freccia verso l’uomo.
- No, pietà. - ma era tardi, l’uomo svaniva già in una piccola nube di fumo.
L'Orco non sarebbe più stato un problema da quel momento in poi. Si sentì la gente esultare e acclamare a gran voce la Giustiziera.
Con una agilità degna di un felino, la ragazza saltò giù dagli alberi e con l'espressione soddisfatta, lasciò la scena per tornarsene a casa.
Peccato per lei che la grande reporter non avesse intenzione di lasciarsela sfuggire. La Giustiziera non aveva mai rilasciato alcuna intervista. Faceva il suo dovere e poi spariva nel nulla.
- Aspetta, solo qualche domanda. - chiese la giornalista. Indecisa su cosa fare, alla fine, la bella Giustiziera cedette.
- Va bene, ma che sia solo qualche domanda.
- Perché lo fai? Chi sei in realtà? C’è qualche motivo in particolare che ti spinge a fare questo?
- Voglio solo rendermi utile. Il nostro mondo caotico è reso ogni giorno più difficile da questi individui che spesso non vengono catturati. Io voglio solo fare ciò che è in mio potere per rendere le strade più sicure per tutti noi. - disse lei guardando fisso verso la telecamera. - È forse un crimine? Non c’è scopo più grande di quello di servire patria e cittadini. - rispose infine quasi seccata.
La giornalista allungò la mano per levarle la maschera, ma la giovane si ritrasse, e...
Un suono improvviso!


- Uffa, proprio sul più bello - sbuffai, mentre con una mano stanca mi allungavo per prendere il cellulare e spegnere la sveglia. Mi pareva quasi che la notte fosse trascorsa in un secondo.
A ventidue anni suonati, sognare di essere una specie di super-eroina, è abbastanza patetico, e in parte me ne vergogno... tuttavia non posso farci nulla. I miei sogni sono sempre stati strani.
Solo nel mondo dei sogni posso vestire i panni della Giustiziera; nel mondo reale probabilmente avrei difficoltà anche solo ad arrampicarmi sugli alberi. Da bambina non era un grosso problema, ma crescendo son cambiate parecchie cose.
Nel mondo reale sono una ragazza relativamente normale, con una grande passione per la musica e per i fumetti.
- Alina, vuoi che ti prepari qualcosa per colazione? Fa freddo fuori, almeno avresti qualcosa di caldo nello stomaco. - disse Angelica, la mia matrigna, aprendo la porta della mia camera.
- No grazie, farò colazione con Lilian al bar, come sempre. - Lilian non era semplicemente la mia datrice di lavoro, era anche la mia cara e adorata zia, sorella di mia madre.
E una delle mie più care e fidate amiche.
Ogni mattina, Angelica mi faceva quella domanda, e ogni mattina io le rispondevo alla medesima maniera. Se Angelica non aveva intenzione di farsi da parte e accettare il fatto che ero cresciuta già da tempo, e che non avevo bisogno delle sue finte premure, io non avrei di certo ceduto il passo.
Lei non era del tutto cattiva, io lo sapevo. Semplicemente, non era mia madre.
Angelica e mio padre, Sirio, si sono sposati da svariati anni, ma io non sono mai riuscita a fare parte di quel mondo che insieme si sono creati.
Quando mia madre Bianca perse la vita in uno sfortunato incendio, io di anni ne avevo solo dodici.
Il fuoco non aveva portato via solo la mia adorata madre, ma anche la casa nella quale ero cresciuta, coccolata dall'amore di entrambi i miei genitori. Una casa che loro avevano tirato su con molti sacrifici. Era meravigliosa.
A volte il ricordo di quei giorni lontani è come una fredda lama che mi attraversa il corpo. Altre sembra irreale. Sembra quasi che quella che vedo nella mia testa, sia una scena di un film, di certo non un frammento della mia vita.
Sia io che mio padre ne uscimmo distrutti.
Fu un dolore lancinante per entrambi. Lui la amava immensamente, di questo non ho mai dubitato, e la sua perdita fu per lui la peggiore delle disgrazie.
Zia Lilian, sorella di Bianca, e anche i miei nonni materni, ci furono tutti vicini. Superammo insieme quel difficile lutto.
Devo ammetterlo, però. Anche qualcun altro ci aiutò, e quel qualcuno fu proprio Angelica.
In quei mesi, fu lei a riportarlo alla vita, che sembrava non interessargli più.
Lui si stava spegnendo e allontanando sempre più da me. Lei, e lei soltanto, purtroppo, riuscì a ridargli una ragione per vivere ancora.
È per questo che sopporto la sua presenza.
Solo per amore di mio padre.
Prima che loro ufficializzassero la loro relazione, passò un anno. Ma io avevo già capito tutto.
Fu la vicinanza dei miei nonni e di zia Lilian a tirarmi su di morale. Mio padre si era già allontanato da me, e non potevo immaginare come la cosa si sarebbe accentuata col passare degli anni. Anche se avevo già immaginato come sarebbero andate le cose.
Angelica cercò di essere una figura materna e di riferimento per me. Ma ogni suo tentativo fu inutile.
Sebbene mio padre la introdusse in casa dopo un po' di tempo, dopo soli sei mesi dalla morte di mia madre, quei due stavano già insieme. Inizialmente mio padre me la presentò come una grane amica che lo stava aiutando al lavoro, e io ne fui felice. Ma sentivo che non mi stavano dicendo tutta la verità, e quei dubbi vennero poi consolidati dalla figlia di lei: Kalika. Quando ci presentarono, la piccola mostrò un interesse esagerato nei miei confronti, arrivando persino a chiamarmi sorella. A lei avevano già detto tutto, mentre con me decisero di aspettare più tempo, ritenendo che non fossi pronta.
Come me, anche lei aveva perso un genitore, ma a differenza mia, lei aveva perduto il padre molto prima di poterlo conoscere. Per questo era contenta di avere una nuova famiglia, di avere un nuovo padre e una nuova sorella. Il padre biologico era morto proprio pochi giorni prima della sua nascita, durante un viaggio in patria, l'India, nella quale si era recato per prendere la madre e portarla in Italia per l'imminente nascita della piccola.
Angelica non mi è mai piaciuta, però c'era sempre stata una sorta di muto rispetto e di pacifica convivenza. Io non entravo in merito alle sue scelte di vita, e lei evitava di mettere eccessivamente becco nelle mie.
Kalika invece non sono mai riuscita a digerirla, anzi, l'ho proprio odiata.
Forse le cose sarebbero andate diversamente se questo cambiamento, se questa “famiglia allargata”, non si fosse allargata così rapidamente.
Poco dopo aver ufficializzato la loro relazione, madre e figlia cominciarono a farci sempre più visita nell'appartamento in cui eravamo andati a vivere dopo l'incendio. Era una bella palazzina di soli quattro appartamenti, non giganteschi come la vecchia villetta che avevamo, ma altrettanto graziosa.
A gestire la palazzina in questione, non erano i miei nonni, ma mia zia.
Zia Lilian era sempre stata un'importante figura di riferimento nella mia vita. Era molto legata a mia madre, e le due erano davvero inseparabili. Alla sua morte, zia Lilian aveva pianto come mai l'avevo vista piangere, e vedendoci in difficoltà, fu la prima a tenderci la mano.
Con la casa in cenere, avevamo avuto da subito bisogno di un nuovo alloggio, e quell'appartamento che la Zia ci aveva destinato, in realtà era parte dell'eredità di mia madre. Un appartamento che era già stato destinato a me.
A ventuno anni sarebbe stato mio di proprietà, così come era scritto nel testamento.
Peccato solo che lo scorso anno, quando finalmente raggiunsi l'età designata, non avevo abbastanza soldi da parte per mantenerlo. Anzi, per mantenermi.
Volevo che nessuno potesse avere da dirmi nulla o richiedere qualcosa indietro. Detestavo avere debiti in giro, e mai e poi mai avrei voluto avere ulteriori debiti con mio padre e sua moglie. Desideravo avere da parte soldi a sufficienza per poter far fronte a tutte le mie possibili esigenze.
Un genitore è tenuto ad aiutare e sostenere i figli, ma mi ero sempre sentita in difetto con loro. Per questo meno ci avevo a che fare e meglio era per me.


In cuor mio vivevo un conflitto enorme.
Se da un lato ero lieta della felicità di mio padre, dall'altra non potevo che biasimarlo per le sue scelte.
Non sarei mai stata in grado di accettare appieno la sua nuova vita e quella sua nuova famiglia che lui si era creato.
Avrei finto, tenendomi a debita distanza, ma il cuore avrebbe per sempre sanguinato. Io lo sapevo, ma avevo deciso di non esternare mai questo mio dolore.
Non volevo farlo star male, aveva sofferto moltissimo per la perdita di mia madre, e quella donna lo aveva reso felice.
Perché dargli dei dispiaceri per quello che alla fine era solo un mio problema?
Perlomeno, quando decisero di fare il grande passo, di sposarsi, si comprarono una villetta poco fuori Bergamo, lasciando quindi da parte il nostro appartamento.
L’appartamento aveva il profumo di mamma, e se loro avessero deciso di viverci, lo avrebbero portato via. Quello non glielo avrei mai potuto perdonare.
Magari avrebbero eliminato pure parte del mobilio, di certo Angelica non avrebbe gradito un'eccessiva impronta della precedente moglie di suo marito, nella casa in cui lei avrebbe dovuto vivere cercando di crearsi una sua famiglia.
Tutto ciò che era presente nell'appartamento, era quello che mia madre aveva scelto con cura e minuzia solo per me, solo per il mio futuro.
Il trilocale sarebbe sembrato ancora più piccolo nel momento in cui avrei dovuto condividere i miei spazi con l'allora piccolissima Kalika.
Un periodo difficile per me, ché allora stavo attraversando la dura fase dell'adolescenza, e un po' meno pesante per lei, che era una bambina vivace e adorata da tutti.
A volte mi son chiesta se avrei accettato di più Kalika se fosse nata dall'unione di mio padre e di Angelica, ma credo che non l'avrei apprezzata di più. Non l'avrei considerata mai come una sorella, non lo era né lo sarebbe mai stata.
Ricordo che da bambina avevo tanto desiderato un fratello o una sorella con cui condividere esperienze, parlare del futuro, fare progetti, giocare insieme… ma non era così che me lo ero immaginato.
Kalika non è mai stata in grado di capire. All'epoca era troppo piccola, e crescendo è stata talmente tanto viziata da non essere in grado di pensare a nessun altro se non a se stessa.
Per quanto la detestassi, cercavo di non essere troppo cattiva con lei, anche per evitare le sgridate di mio padre, ma trovarmela sempre tra i piedi era una vera tortura.
Fu indirettamente grazie a lei e alla sua presenza fastidiosa che mi ritrovai a rifugiarmi spesso dalla zia, che mi coccolava un po’. A casa nessuno lo faceva. Da Angelica non avrei voluto quel genere di attenzioni, e mio padre era così preso dalla nuova famiglia, che il tempo per me si era quasi del tutto prosciugato.
L'unica famiglia che potevo immaginare era quella formata da me, da mio padre e da mia madre.


Triste come i sogni e i desideri di bambina vengano bruciati via in un soffio dalla brutalità della vita.
In un attimo, tutta la mia esistenza era stata ribaltata, e le mie speranze sembravano svanite nel nulla.
Senza la zia e i miei adorati nonni materni, Nicola e Mirella, mi sarei completamente chiusa in me stessa.
I nonni avevano un piccolo impero, avevano lavorato molto per ottenere fama e prestigio. Mia madre e mio padre avevano continuato il loro lavoro, e i nonni, per premiarli, avevano ceduto l'azienda al momento di andare in pensione.
Ricordo che da piccola mi piaceva molto seguirli nel lavoro, e che assistevo silenziosa anche alle riunioni, cercando di imparare.
Era il mio sogno poter un giorno lavorare al fianco dei nonni e dei miei genitori. Era quello a cui aspiravo dal più profondo del cuore.
Quando mamma morì, mio padre non fu più in grado di gestire la grande mole di lavoro, e così i nonni furono costretti a riprendere le redini dell'azienda, in modo da permettere a mio padre di riprendersi.
E lì le cose si incrinarono per me. Per lui fu invece la rinascita.
Angelica era stata per anni una collaboratrice dell’azienda che lavorava sotto l'ala di mia madre, e mio padre l'aveva vista sempre e solo di sfuggita.
Il nonno, pensando di fare una cosa buona, decise di affiancarla a papà per aiutarlo a riprendere in mano il tutto. Mai avrebbe potuto immaginare di diventare un inaspettato Cupido. I nonni non tentarono di dissuadere mio padre dall’intraprendere una relazione con Angelica, ma non approvavano. Cercarono invece di far ragionare mio padre sul fatto che per me sarebbe stato un cambiamento troppo rapido da accettare, e che avrebbe dovuto invece dimostrare più pazienza e tatto.
Anche se gli avesse dato retta, i risultati sarebbero rimasti invariati.
Se loro fossero ancora vivi...
Se loro sapessero il male che mi hanno fatto...
Ci son giorni in cui piango e prego per il loro ritorno, perché son certa che non gli avrebbero mai permesso di bruciare così il mio futuro.


Zia Lilian, molti anni prima, aveva favorito mia madre, lasciando a lei la sua parte nell'azienda, preferendo invece costruirsi una sua strada.
I nonni erano davvero orgogliosi di lei, perché sapevano quanto la loro adorata figlia fosse caparbia e in gamba.
Anche se era solo un negozio di musica, sapevano che lei ce l'avrebbe fatta. E così erano anche orgogliosi della loro Bianca, che li aveva sempre aiutati, giorno dopo giorno, diventando un membro indispensabile anche nel lavoro.
E io speravo di poter fare altrettanto, ma quella donna mi ha portato via anche questo. Non le bastava mio padre.
Quella donna voleva di più, e alla fine lo aveva ottenuto.
L’azienda sarebbe spettata a me un giorno, e sarei stata affiancata anche dalla zia per poter gestire al meglio quell'impero che i nonni avevano costruito con fatica e impegno.
Per poter svolgere al meglio quel lavoro, avevo incentrato tutta la mia vita, tutto il mio percorso di studi, unicamente per quello. Tutta una vita votata solo alla carriera dei miei sogni.
Ma non avevo tenuto in conto i loro piani.
Mio padre e Angelica, che ora aveva una buona parte dell’azienda, avevano deciso di lasciare tutto a me e Kalika, fregandosene dei voleri di mia madre e dei nonni.
Riuscendo persino a sovvertire quelle che erano le disposizioni testamentarie.
Quella era l’azienda della mia famiglia, quella era l'azienda di mia madre. I nonni l’avevano costruita con molta fatica e molti sacrifici. Perché tutto quello che avevano ottenuto, doveva andare in mano a chi non aveva fatto nulla per meritarlo? No, non potevo accettarlo, per me era come infangare la memoria dei nonni e della mamma.
Avevo terminato il liceo e avevo iniziato l’università quando mio padre si lasciò manipolare da Angelica e dalla sua famiglia. Se normalmente i nostri rapporti sono freddini ma rispettosi, quando si tocca questo tasto si accende in me il fuoco dell'odio che è difficile da estinguere.
Avevo già avuto qualche piccola esperienza lavorativa all’interno dell’azienda, ma quando ricevetti la notizia eruttai letteralmente.
Non mi ero mai comportata male, non avevo mai dato a vedere a loro il mio dispiacere e distacco. Ma quando seppi che volevano dividere l'azienda di famiglia tra me e lei, non sono stata in grado di accettarlo.
Fu la seconda esperienza peggiore della mia vita, e dopo una furiosa lite, lasciai perdere tutto quanto, azienda e studio.
- Se devo dividere l’azienda con quella, - dissi con un astio tale che mi sorpresi persino io, - preferisco lasciargliela tutta. Dategliela, datela a una che non ha nulla a che fare con la famiglia, datela a chi manderà tutto all’aria. Perché lo sapete anche voi che lei non sarà mai in grado di gestire questo impero. - guardai con aria di sfida Angelica che non ebbe la forza di replicare. Aveva cresciuto una figlia nella bambagia, facendo di lei una ragazzina viziata ed egoista. Non amava le fatiche, e non era nemmeno in grado di rifarsi il letto. Era piccola, e avrebbe potuto migliorare e maturare, ma non sarebbe mai stata in grado di dirigere un'azienda. Non sarebbe mai stata in grado di prendere il mio posto. - Non venite poi a piangere da me. Se solo i nonni non fossero morti, tutto questo non sarebbe mai successo. - guardai mio padre che ammutolito mi voltò le spalle lasciando la stanza.
Lui sapeva che avevo ragione, e sapeva che quella crepa fra noi non sarebbe mai stata riparata del tutto.


Con un peso grosso come un macigno sul cuore, cercai un lavoro qualsiasi che mi permettesse l’indipendenza economica. Non riuscivo più a sopportare l'idea di dover vivere ancora sotto il loro stesso tetto.
Dopo quella sfuriata le cose si acquietarono, e Angelica pensava che io un giorno sarei tornata sui miei passi, ma erano passati già due anni e le cose non erano cambiate.
Ero più tranquilla, e in apparenza serena, ma ancora più distaccata di quanto non lo fossi mai stata in passato.
Avrei sopportato la vista di quelle due ancora per poco. Quello mi permetteva di guardare al domani con serenità. Avevo deciso da tempo che il momento in cui avessi lasciato quella casa, Angelica e Kalika sarebbero per me morte. Avrei mantenuto vivi i rapporti con mio padre, ma con loro due avrei troncato ogni contatto di netto.


Forse, l'unica che avrebbe sofferto per quella separazione, sarebbe stata proprio Kalika, che, nonostante la mia perenne indifferenza nei suoi riguardi, mi aveva sempre vista come sua sorella maggiore.
E io le avevo anche detto più volte che non era così, lei sapeva benissimo che io avevo un'altra madre. Aveva persino trascinato sua madre durante uno dei nostri anniversari.
Ogni anno, io e mio padre ci recavamo là dove una volta c’era casa nostra, nel giorno in cui mia madre se ne era andata.
Insieme, io e mio padre, lasciavamo un mazzo di fiori, dei lillà, i suoi preferiti.
Quando mi sentivo triste e sola, mi recavo spesso su quel terreno. Era un modo per sentirla ancora vicina, e a volte mi sembrava quasi di sentire la sua voce, e la sua mano che si posava sulla mia testa o sulle mie spalle per consolarmi.
Le macerie erano state rimosse, e al suo posto era stato costruito un grande giardino, che veniva curato da mia zia.
Solo noi della famiglia avevamo le chiavi per entrarci, ma io ero l'unica che vi si recava così spesso.
Andavo lì per parlarle, perché era l'unico posto dove la sentivo vicina, e le raccontavo delle mie giornate, dei miei sogni, quei pochi rimasti, e dei tanti dispiaceri.
Non ero mai stata una ragazza particolarmente sicura di sé o bella. Ma la presenza, costante, di Kalika, aveva reso impossibile per me persino la vita sentimentale e affettiva.
Non potevo nemmeno permettermi di invitare a casa le poche amiche che ero stata in grado di farmi.
Non certo perché mi fosse vietato, ma perché la cara sorellina era sempre in mezzo ai piedi. Se non era lei a farsi avanti, era la sua cara mammina che me la lasciava per andare dal parrucchiere o al centro commerciale con le amiche.
Da suo padre, che era metà inglese e metà indiano, la “bambina” aveva ereditato dei capelli neri e fluenti tipici dei tratti indiani, ma gli occhi chiari da inglese. Sapevo già che crescendo sarebbe diventata una bella ragazza, ma sapevo altrettanto bene che, per come l'aveva cresciuta prima la madre, e poi mio padre, sarebbe stata una vera disgrazia per me.
Con quegli occhioni dolci, e i modi di fare finti e zuccherosi, la ragazzina si faceva largo nei cuori delle mie amiche che invece di capirmi, mi chiedevano come non facessi ad amare un tale amore di “bambina”.
Loro non capivano. A dire il vero quasi nessuno mi capiva.
Da allora evitai di invitare chiunque a casa, anche per non doverci litigare, dato che con alcune di quelle presunte amiche, avevo poi troncato ogni rapporto.


Nonostante fosse molto grande, sembrava non esserci alcuno spazio per me in quella villetta.
Non credevo di chiedere molto, solo un po’ di privacy, solo un po' di spazio per me. Ma purtroppo, per loro era troppo concedermi quell’unica cosa che fin dall'inizio avevo sempre richiesto.
Io non potevo essere l'erede della mia famiglia, e non potevo nemmeno essere libera. Non potevo essere libera perché per loro, io ero sempre e solo servita per un'unica cosa: tenere a bada quella figlia che non erano stati in grado di educare.
Mi ci erano voluti anni per capire, ma col tempo ogni tassello era andato al giusto posto.
Angelica era stata gentile da sempre con me non per una sua presunta bontà d'animo, ma per motivazioni ben più superficiali.
Ad Angelica non piacevano i conflitti, lo avevo capito appieno dopo la sfuriata per la questione dell'azienda. La donna si era tenuta in disparte non perché atterrita dalla verità che sbattevo loro in faccia, ma perché si trovava in difficoltà, non sapeva come replicare.
Ad Angelica faceva inoltre comodo avere qualcuno a cui affidare la figlia. Era una donna che era sì dolce con la figlia, ma si stancava in fretta di accudirla e di dover pensare troppo alle esigenze della chiassosa bambina che pretendeva ogni volta qualcosa di più. Per questo le servivo: per poter lasciare a me le incombenze materne che avrebbero dovuto essere sue.
Questo ero io ai suoi occhi, agli occhi di tutti: Alina, la distante ragazza dai capelli castano chiaro e dagli occhi verde paludoso; la ragazza che si aggirava nella casa, pronta a dover soddisfare le esigenze della piccola bambolina figlia di una madre troppo impegnata in annose questioni di frivola entità; una ragazza che sognava meravigliose realtà parallele, ma che era schiava di una realtà dura e di un destino beffardo. Circondata da tante persone, ma incredibilmente sola.


Guardai l’orologio, era tardi e dovevo muovermi.



 
L'angolo di Shera ♥

Eccoci di nuovo qui, a scrivere su EFP.
O meglio, a ripresentare al popolo di EFP la mia seconda long originale degna di tale nome... o quasi.
Sapevo già di partenza che sarebbe stato un lavoro parecchio lungo, quello di revisionare la prima versione di "In bilico fra i mondi", ma non avevo idea di quanto arduo sarebbe stato questo lavoro.
Ma tranquilli, non mi lascio scoraggiare per questo.
Di sicuro rispetto ad altre storie scritte di recente, questa storia avrà ancora più pecche, ma io ci tenevo davvero tanto a sistemarla e ripubblicarla. Ricordo anche alcune delle critiche mosse ai tempi, come la scelta sul nome di Kalika, nella società italiana, o presunta tale. Sorvolando sul fatto che da anni il nostro paese accoglie migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, e sorvolando anche sul fatto che molti italiani danno nomi stranieri ai figli... spero che l'aver aggiunto le origini indiane per la bambina, possa ora non sollevare più inutili polemiche ^_^.

Ci sono tante, TANTE modifiche che ho in mente per questa storia, a cominciare dal triangolo, e dalle origini stesse della "famiglia di Alina... ma a questo ci arriveremo poi ^^. So che è brutto anticiparvi del "triangolo", ma essendo già messo come avviso, e chi ha già letto la prima versione, o visto le fan art, saprà bene che i co-protagonisti sono due *^*.
Il mio fidanzato sostiene che Thanatos e Hypnos erano una versione migliorata dei miei due protagonisti maschili... giudicherete poi voi ♥

Alla fine ho anche scelto di cancellare la prima versione de "La nuova Torre", ma di certo, una volta finita la revisione di qusta long, sistemerò bene i primi capitoli della Torre e riprenderò con la stesura.
Anche se è un progetto che ha finito con l'essere abbandonato, è una di quelle storie che ci tengo davvero a concludere. Non mi sono dimenticata della long su Sel, o sulle OS da fare... con calma... con calma faremo tutto :*

Grazie a tutti, spero che la storia vi abbia almeno incuriosito.
Un abbraccio

Shera ♥

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


- Capitolo Secondo -




Mentre mi recavo al lavoro, i soliti, tristi pensieri mi affollavano la mente.
Non potevo fare a meno di pensare, anche se meno spesso, a quella vita che mi era stata strappata via dalle mani.
Quando lasciai l’azienda di famiglia, fu per me un periodo difficilissimo. Non era solo e semplicemente un discorso di testardaggine, la mia. Non avevo rinunciato a quello che mi spettava, a ciò che era mio di diritto per capriccio.
Avevo capito che se avessi accettato le loro disposizioni, i loro di capricci, come appunto svendere così l'eredità dei nonni, non ne sarei più uscita. E io volevo distaccarmi da loro.
In quel periodo fu come se l'oscurità mi avesse avvolta nella sua tenebrosa stretta, ma qualcosa riusciva ancora a non farmi sprofondare. A volte, di notte, mi pareva quasi di udire una ninna nanna, in una lingua a me sconosciuta, e una voce maschile che non avevo mai udito. Una voce che cantava solo per me. E non solo, a volte mi pareva di sentire il profumo di mia madre.
Mi mancava, soprattutto in una situazione difficile e complicata come quella. L'unica cosa che mi restava da fare era quella di rifugiarmi nella nostra vecchia casa, nel nostro giardino. E zia Lilian capì cosa fare per potermi tirare fuori dal baratro in cui mio padre mi stava involontariamente buttando, offrendomi un lavoro nel suo negozio. Non era il mio sogno... ma imparai ad amare quel nuovo lavoro e quella nuova vita che, pezzo dopo pezzo, stavo ricostruendo.
Lilian, vedendo che la situazione in casa non era della migliori e capendo il mio disagio, mi propose perfino di andare a vivere con lei.
Forse per orgoglio, o forse per altro... non accettai, preferendo seguire un mio codice. Volevo riuscire a tornare nell'appartamento di mia madre solo con le mie forze. Volevo guadagnarmi la mia totale indipendenza da tutto e tutti.
Volevo che il momento in cui avessi lasciato casa di mio padre, sarebbe stato per andare a vivere da sola.
Non volevo che quel momento venisse visto come una fuga fra le braccia della zia adorata.
Ma quello non era l'unico motivo che mi frenava, ce n'era un altro, molto più fastidioso: mio padre.
Ero consapevole del fatto di avergli creato io stessa dei dispiaceri, a cominciare da quella furiosa lite. Non riuscivo più a togliermela dalla testa, ma non potevo nemmeno vivere la mia vita in sua funzione. O vivere per servire la sua famiglia.
Volevo indietro la mia vecchia vita... ma non l'avrei mai più riavuta.
Potevo solo scegliere di stargli vicino ancora per un poco.
E così feci nel successivo anno, dal momento in cui cominciai a lavorare da zia Lilian, e finalmente, il mio traguardo così tanto sospirato, e a lungo ricercato, era quasi a un palmo dal mio naso. Finalmente avevo quasi raggiunto la somma che mi ero prefissata di ottenere prima di poter andare a vivere per conto mio.


Il negozio di musica di zia Lilian si trovava al piano terra della palazzina di famiglia nella quale lei stessa viveva, e nella quale, molto presto, sarei andata a vivere anche io.
Era sempre stata presente nella nostra casa, e ricordo con piacere i momenti in cui mi portava a spasso con lei, o per negozi con la mamma.
Zia Lilian è sempre stata solare e sorridente, allegra e spensierata. Lei è sempre stato il mio sole, soprattutto dopo la morte della mamma.
Lei e la mamma non si somigliavano molto fisicamente, ma erano così legate che credo nemmeno la morte abbia potuto recidere quello che loro avevano costruito insieme.
Io ho preso molto del mio aspetto da mia madre: come me aveva gli occhi verdi ed era castana, ma a differenza mia i capelli erano mossi. Avrei tanto voluto avere dei bei boccoli come i suoi, invece mi son dovuta accontentare dei capelli lisci. Non sono brutti, so di avere una bella chioma, ma ho sempre avuto un debole per i capelli voluminosi. Come mia madre e come zia Lilian. Lei è una rossa naturale, con ricci meravigliosi e occhi così azzurri da ricordare il cielo d'estate.
Mia madre era molto dolce, era una persona molto posata, le piaceva divertirsi e le bastava davvero poco per farlo. Amava i piccoli piaceri della vita.
Entrambe avevano una cosa in comune: quando si mettevano in testa qualcosa, nessuno riusciva a smuoverle dalle loro posizioni.
Erano legatissime, e forse è anche per questo che io e la zia abbiamo un così forte attaccamento.
Entrambe cerchiamo nell'altra un ricordo di Bianca.
Non è una cosa così superficiale come vorrebbe sembrare. L'affetto che ci lega va ben al di là della ricerca di mia madre, ma lei, nonostante il suo trapasso, ci ha permesso di starci ancora più vicine.


Parcheggiai l’auto a pochi metri dal negozio, sicura di veder sbucare dal nulla Lilian per andare insieme al bar.
Oramai era diventato un piccolo rito per aprire al meglio la giornata, e non solo quella lavorativa.
Il piccolo Bar gestito da Mike, il proprietario di origine inglese, era aperto da svariati anni. Nonostante la zona non fosse una delle più trafficate, era riuscito a farsi la giusta pubblicità e a farsi un bel giro di clienti.
Col tempo, e con le belle entrate, era riuscito addirittura ad espandere il suo bar. A sostenerlo all'inizio fu anche zia Lilian, che lo aiutò a spargere la voce. Da allora loro due sono sempre stati ottimi amici. E sarebbero anche qualcosa in più se solo lei lo volesse. Lui è innamorato da molti anni di lei, ma credo che lei abbia il cuore già impegnato per un altro.
Non vedendola arrivare, la precedetti, non sarei rimasta fuori al freddo ad attenderla per chissà quanto.
- Buondì, cappuccio e brioche integrale. - chiesi a Mike, entrando sorridendo nel bar.
Mike mi squadrò. Mi conosceva da così tanto tempo da sapere se c'era qualcosa che non andava, se ero preoccupata o se nascondevo qualcosa.
- Che faccia strana abbiamo stamattina! Hai litigato con tuo padre o Angelica?
- Guarda, non ricordarmelo. Mi ha incastrata un’altra volta, per quella mocciosa. - dissi sbuffando. La sera prima avevo avuto un acceso dibattito con mio padre proprio a questo riguardo. Qualunque cosa lei volesse, era per loro un ordine. Ordine che però toccava a me seguire e soddisfare. - La bambinetta vuole a tutti i costi che la sua festa di compleanno si faccia in un locale, o al massimo, dato che lei è comprensiva, in una sala d’albergo. Ti rendi conto? A quattordici anni io non ero così! - stavo già dando in escandescenza, anche se mi ero ripromessa di non lasciarmi più coinvolgere in questo tipo di cose. E soprattutto, di non lasciare che eventi del genere mi sottomettessero. Ma era più forte di me, me la prendevo troppo a cuore. - Certo, non posso negare che anche io avrei voluto fare delle belle feste ai tempi, ma nulla di così spropositato. Sta esagerando e loro due, – riferito ovviamente a mio padre e ad Angelica, - non fanno altro che peggiorare la situazione già abbastanza grave di suo. Va bene la festa, ma parliamo di ragazzini. Basterebbe una bella pizzeria! Per i locali c'è ancora tempo. - Mike rise, non tanto per la storia in sé. Oramai era abituato ai miei resoconti, e quello non era nemmeno uno dei più straordinari. Lui sorrideva per me, dato che in occasioni del genere, quando un discorso mi prendeva, o quando mi arrabbiavo, tendevo a gesticolare parecchio.
- E alla fine? - chiese lui incuriosito. - Com'è andata? - gli bastò una mia occhiata per capire.
- Secondo te? - alzai gli occhi al cielo un'altra volta. - Alla fine ha ottenuto tutto quello che voleva. Come sempre, del resto, ma quello che non sopporto è che alla fine io debba pagarne le conseguenze. Vengo sempre coinvolta in faccende di cui non potrebbe fregarmene di meno.
- Dovrai organizzare tu il tutto? - mi chiese portandomi al tavolo la mia ordinazione. Annuii sbuffando.
- Dovrò stare alle sue direttive, e organizzare l'evento. Per fortuna Angelica ha un amico proprietario di un albergo, per questo gran parte del lavoro è fatta. Dovrò solo andare là a parlare con questo tizio e dare a lui le indicazioni e quant'altro. Oggi dovrebbe chiamarlo lei per mettersi d'accordo sulla sala da prenotare, e io nel pomeriggio dovrò recarmi sul posto per prendere dei documenti e dargli ulteriori dettagli. - sorseggiai il buon cappuccino, mentre Mike mi sorrideva.
- Certo che non vogliono proprio farle mancare nulla. Se adesso fanno una cosa del genere, quando ne compirà diciotto... ? - commentò lui, facendomi strabuzzare gli occhi.
- Non voglio nemmeno pensarci! Per fortuna, quando arriverà quel giorno, io sarò fuori da quell’inferno, e la cosa non mi tangerà minimamente.
In quel momento entrò Lilian nel bar.
- Calma, Alina, - disse lei sorridendo, - ti si sentiva fin dal negozio. Siamo parecchio agitate oggi, eh!
- Scusa zia, ma proprio non è giornata. - e cominciai a raccontarle tutto quanto. Zia Lilian annuì, cercando di consolarmi e di minimizzare. Non lo faceva perché riteneva che io esagerassi, ma solo perché sapeva che era più dannoso per me starci male e rimuginarci sopra, anche se avevo perfettamente ragione.
- Angelica rovinerà la figlia se continua a concederle tutto. - scosse la testa. - Ma la cosa non deve farti abbattere. Alla fine, tutto quello che ne verrà fuori, riguarderà solo e unicamente loro. Lasciale perdere, Alina. - Mi disse lei con la sua solita dolcezza.
Una volta, poco dopo la morte di mia madre, avevo sperato che papà se ne innamorasse, perché le volevo bene, e perché sentivo che insieme avremmo potuto formare una nuova famiglia ed essere felici.
Purtroppo mi toccarono Angelica e Kalika, e la mia unica consolazione era stato il fatto che i due avessero scelto di non procreare. Di Kalika ne bastava e avanzava una soltanto.
Ero grande, e con la mia maturità avrei potuto gestire la cosa col giusto distacco, ma ai tempi non so come avrei potuto reagire all'idea di una gravidanza di Angelica.
- Non glielo hai ancora detto, vero? - disse Lilian mescolando il té, senza incrociare il mio sguardo.
- No, non ancora. - ammisi io. - Sai com’è fatto papà. Oramai ci siamo, manca poco e io volevo proprio aspettare il raggiungimento di quell'obiettivo ma, dati gli ultimi avvenimenti, il trasferimento non può che essere imminente. Lascerò passare la festa di Kalika. - dissi smorzando una risatina. - Rischierei altrimenti di sentirmi accusare della rovina del compleanno della bestiolina… ehm, della piccola cara. Aspettare qualche settimana non mi ucciderà. - Era comunque una questione di tempo. Tutti i figli, prima o poi, devono lasciare il nido. E anche per me era finalmente giunto il momento, dovevo solo trovare il tempo e la maniera per informare mio padre della mia scelta.
Per mia fortuna, quell'appartamento era la mia eredità, e nessuno poteva avanzare diritti o pretese su di esso. Forse, sotto sotto, anche mio padre sapeva che presto avrei lasciato la loro casa, ma non aveva mai osato sollevare l'argomento per paura che l'evento si verificasse ancora prima del dovuto.
Mancavano ancora delle piccole cose per rendere l'appartamento completamente confortevole, ma quei soldi a lungo risparmiati, sarebbero serviti allo scopo.
Avevo grandi progetti in testa per l'arredamento, e zia Lilian mi aveva promesso che un giorno avremmo fatto spese insieme proprio per rinnovare i locali. Ero entusiasta all'idea di condividere con lei quella bella esperienza.
Ci sarebbe dovuta essere anche mia madre, ma con zia Lilian, era un po' come se ci fosse stata anche lei.
- Ce la farai? - mi chiese fissandomi con apprensione.
- Certo, sono più forte di quello che sembro. E non intendo cedere, non posso restare con loro per sempre.
Nei sogni ero l'indomita Giustiziera, mentre nella realtà ero solamente Alina, una ragazza costretta dal destino a vivere una vita che non aveva mai sentito sua.
Mi ero chiesta più volte se non ero nata nell'epoca sbagliata... Quanto avrei voluto vivere nell'epoca delle dame e dei cavalieri! I romanzi e i film ambientati in quei contesti erano i miei preferiti in assoluto.
Segretamente sognavo di poter incontrare il mio principe azzurro, un cavaliere, o un potente mago che dal nulla sbucasse fuori da dietro l'angolo e che mi portasse via.
Anche se erano sciocchezze, erano piccole cose che mi facevano sorridere e stare bene. Erano illusioni, ma almeno non facevano male.
- Cosa c’è Alina, a che pensi?
- Niente zia, ero solo persa nell'idea di comprare insieme l'arredo di casa. Ci conto sul tuo aiuto! - le dissi ritrovando l'allegria.
- Ora capisco, avevi un'espressione serena. E chi lo sa, magari, una volta che avrai lasciato la casa degli orrori, - disse facendomi ridere, - troverai anche il tuo spasimante ideale.
- Chi lo sa... magari lo troverai tu al mio posto.
Ridemmo insieme di quelle battutine sciocche. Entrambe alla ricerca di un amore quasi impossibile da ritrovare nel mondo nel quale vivevamo. Ma fermamente convinte di ciò che desideravamo. Anche la zia, come me, aveva un ideale di uomo, ed ero certa che il suo cuore fosse già impegnato verso qualcuno che purtroppo non era mai stata in grado di catturare.
Ero certa che un giorno entrambe, avremmo trovato l'amore della vita, prendendoci così una rivincita verso quel mondo che tanto ci aveva tolto. Gustando finalmente quella felicità a lungo ricercata.
- Si sta facendo tardi, che ne dici di andare? Vedo già Casia sulla porta del negozio che smania per entrare. Non possiamo farla attendere oltre. - Casia era una delle inquiline della nostra palazzina, e una delle persone a cui tenevo di più. Dopo zia Lilian, ovviamente.
Era una donna simpatica, aveva circa una sessantina d’anni, ma aveva una forza e un’energia tale da fare invidia ai giovani. I capelli erano ingrigiti dal tempo che passava, ma a lei non importava e li mostrava con orgoglio.
Nonostante l'età, Casia era una donna estremamente elegante e femminile, una donna molto decisa e forte, un modello per chiunque.
Coltivava moltissime passioni: teatro, cinema, letteratura, musica, sport… e se c’era qualcosa di nuovo, lei lo provava. Diceva che la vita era talmente breve che lasciarsi condizionare dalla paura era troppo stupido. Bisognava rischiare ogni tanto. Avrei tanto voluto essere come lei sotto quel punto di vista, ma io, invece, ero davvero una preda facile della paura e dei tentennamenti; ma mi ero ripromessa di migliorare, e di prendermi più cura di me stessa, che non degli altri. Inseguendo di più i miei desideri e i miei sogni.
Casia conosceva tutti nella zona. Era anche stata una buona amica dei miei adorati nonni. Anche lei ci aveva consolati dopo la perdita di mia madre, e aveva fatto una bella lavata di capo a mio padre quando aveva ufficializzato la sua relazione con Angelica.
Purtroppo la donna non aveva gradito, e da allora, Casia non era più stata la benvenuta a casa di mio padre.
Io però avevo continuato a frequentarla, fregandomene di quello che Angelica pensava di lei, e di quello che mi diceva mio padre. Lui era libero di stare con una donna che a me non piaceva, e io ero altrettanto libera di passare il tempo con una cara vecchia amica che si era sempre presa cura di me.
- Buongiorno, fanciulle. Siamo in ritardo, vedo!
- A dire il vero sei te in anticipo. - disse Lilian tirando su la serranda. - Ecco, ora siamo aperti.
Zia Lilian prese subito posto dietro al bancone. Aveva un bel po’ di affari da sistemare, fra bollette, fatture e quant'altro. Il lavoro in un qualsiasi negozio non finiva mai.
Il mio lavoro all’interno del negozio era piuttosto semplice, o almeno, per me lo era dopo tutto quel tempo. Ma probabilmente, era diventato semplice perché adoravo stare lì con loro. La sera eravamo entrambe distrutte, ma soddisfatte per quello che avevamo fatto. Per quello non mi era mai pesato, per quello ero felice di quell'unico aspetto della mia vita che ero stata in grado di scegliere e dirigere come volevo io.
- Fammi indovinare, cara, - disse Casia poggiandomi una mano sulla spalla, - problemi a casa. - non era una domanda, la sua.
- Sono un libro aperto?
- Solo per me e Lilian. - Casia mi sorrise e si indignò notevolmente quando seppe quello in cui mi aveva coinvolta Angelica senza la mia approvazione.
- Hai provato a dirle no? Quella donna dovrebbe fare da sola queste cose, e non obbligare te a farle per lei.
- Lo so, ma come potevo rifiutarmi?
- Bastava dirle no, mia cara. - scossi la testa.
- Sai bene che non è così semplice.
- So che è dura per te questa situazione, e per questo preferirei che tu fossi un po' più dura. Non puoi permettere loro di sfruttarti così, a loro piacimento. Tu vali quanto e più di loro, non scordarlo mai! - io la ringraziai, e sapevo che aveva davvero ragione. Ma per l'ultima volta, volevo essere condiscendente con mio padre, e regalargli quell'ultimo contentino. Sarei presto stata libera, quindi quell'ultimo sforzo, per quanto fastidioso, l'avrei fatto senza più lamentarmi.
- Sarà l'ultima volta, te lo prometto. Dovrò portare pazienza ancora un pochino, una volta passata la festa sarò finalmente libera. Cose come questa non saranno più di affare mio, Casia. Sarà poi solo questione di qualche giorno, presto io e la zia andremo a fare compere per gli ultimi pezzi di arredo. C'è un letto a baldacchino in ferro battuto che mi piace da matti! Se vuoi puoi unirti a noi. - dissi convinta.
- Certo che voglio venire. Non puoi andare a fare shopping, specie per un'occasione così speciale, senza di me. Ma, dimmi, riguardo tuo padre come ti senti?
- Lo sai, una parte di me non vorrebbe lasciarlo, ma è necessario. Non solo per me, per rendermi indipendente, ma soprattutto perché non ne posso più di quelle due. Lui è un adulto e ha fatto le sue scelte: giuste o sbagliate che siano, sono le sue scelte. Che prenda atto di quello che ha fatto, e che scenda a patti con le conseguenze relative.
Io gli vorrò sempre bene, ma è giunto il tempo per me di pensare a me stessa.
- Brava! - disse lei abbracciandomi con slancio. - È così che ti voglio! E comunque, anche se andrai via di casa, l'amore che ti lega a tuo padre non svanirà mai, quindi non preoccuparti troppo. Anche lui capirà.
- Lo spero. A volte vorrei tanto essere lontana da qui. Magari potessi vivere un'avventura magica come quella dei libri. Magari potessi viaggiare nel tempo o per mondi inesplorati e lontani anni luce da noi. Sarebbe bello, e sarebbe sicuramente più semplice sopravvivere nella giungla o in un regno ostile, piuttosto che avere a che fare con Kalika. - dissi ridacchiando assieme a Casia e a zia Lilian che ci era passata accanto.
- Tieniti stretto il tuo desiderio, magari si avvera. Il mondo in cui viviamo è davvero strano e magari, da qualche parte, una fata ti ha sentito e farà avverare il tuo sogno. - mi strizzò l’occhio. Casia aveva studiato molto, e si era soffermata spesso a raccontarmi delle varie credenze popolari, nelle quali lei confidava moltissimo. Non era la prima volta che mi diceva una cosa del genere, e pur non credendoci, sperai in cuor mio che davvero una fata mi permettesse di vivere una storia meravigliosa.
- Magari, amica mia! Se si avverasse ne sarei davvero felice. Ma ora... dimmi per cosa sei venuta. Un nuovo CD?
- No, sono in cerca di un certo film. Deve essere emozionante e romantico. Hai qualcosa da consigliarmi? - mi si accese subito la lampadina. Una cosa che adoravo del mio mestiere? Aiutare i clienti a scegliere qualcosa, e la mia conoscenza dei prodotti in vendita era tale da permettermi di essere sempre un passo avanti.
- Forse ho qualcosa che fa al caso tuo. Vuoi seguirmi?


 
L'angolo di Shera ♥

Ciao a tutti, nonostante questo capitolo fosse "pronto" da settimane, mi son decisa solo ora a pubblicare.
Non chiedete... il mio cervello non funziona bene in questo periodo -.-.
Mi hanno rinnovato il contratto, e di lavoro, devo dire, ce ne è anche fin troppo per i miei gusti.
Oggi davvero tanti, TANTI, clienti.

Non mi lamento del lavoro in sé, dico solo che è stancante, e la sera l'ultima cosa che desidero è attaccarmi al portatile.
E stasera non faccio eccezioni, anche se una particina di me, vorrebbe anche mettersi dietro con la revisione.
Ma credo che attenderanno i prossimi capitoli prima che io ci metta mano. Spero comunque per la fine dell'anno di riuscire a pubblicare tutti gli, attuali, venti capitoli (epilogo incluso).
Prevedo comunque di, se non aggiungere un nuovo capitolo, di allungare ben bene gli altri, anche per dare spazio a un personaggio in particolare, dato che nella prima versione, ahimé non ero riuscita a dargli quel tocco in più che invece aveva nella mia testa.
Ed essendo uno dei personaggi principali, non posso proprio perdonarmi di non avergli dato maggior impatto nella storia.
Insomma, devo creargli nuove situazioni in cui lui possa essere al centro dell'attenzione.

Per il resto, spero che quest capitolo vi sia piaciuto, non ha subito la terza revisione da parte del mio moroso, ma spero sia comunque all'altezza.

Un bacione, a presto (spero davvero di rifarmi viva presto XD)

Shera ♥

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


- Capitolo Terzo -


Non ci furono molti clienti durante l'intera giornata, tuttavia mi sentivo ugualmente stanca e provata, e la ragione era ahimè solo una: la stupida festa di Kalika.
Sarebbe stato più logico che fosse la madre a pensare a tutti i preparativi, dato che lei stava avallando le stupide e inutili richieste della bambina. Però, gran parte del lavoro, era invece stata affidata a me.
Ci avevo messo un po' per capire, ma alla fine ci ero arrivata.
Questo non era che l'ennesimo tentativo di farmi avvicinare a Kalika, e non escludevo nemmeno il fatto che l'idea di farmi organizzare il party fosse stata di mio padre.
Lui aveva sempre sperato che noi avessimo potuto creare una nuova famiglia unita, e forse il suo era un desiderio più egoistico che altro. Non ha mai tenuto realmente in conto la mia opinione circa Angelica e Kalika.
Era un bel problema, ma avrei dovuto, ancora una volta, mettere da parte le mie esigenze e i miei veri desideri per loro. Un'ultima volta.
Zia Lilian insistette nell'accompagnarmi all'albergo, sapendo quanto la cosa mi pesava. Aveva pensato bene di darmi una mano nel suo piccolo.
Il proprietario fu, a dispetto di quanto pensavo, molto gentile e disponibile. Anche se ero lì per conto della mia matrigna e di sua figlia, finii anche col passare dei piacevoli momenti, dimenticandomi che ero lì per persone che mal sopportavo.
Una volta sistemati gli ultimi dettagli, riaccompagnai zia Lilian a casa, e una sensazione d'angoscia mi strinse il cuore.
- Fai attenzione nel tornare a casa. Ti vedo un po’ troppo agitata, e guidare in certe condizioni non è certo il massimo. - mi disse zia Lilian dandomi una pacca delicata sulle spalle. - Non è che vorresti fermarti da me per un po’? Se la giornata di lavoro non è riuscita nel farti scaricare, magari una tazza di tè potrebbe invece giovarti.
- Sarei tentata, e anche molto, ma non posso. Papà mi ha accennato ieri che stasera ha qualcosa di importante da annunciarci, sembrava molto serio. Deve essere una cosa importante. Ultimamente ha sempre la testa fra le nuvole. Temo che la cosa riguardi l'azienda: le cose stanno peggiorando sempre di più.
- È così grave la situazione? - mi chiese lei corrugano la fronte.
- Lo sai anche tu come stanno andando gli affari ultimamente. Ne hanno parlato anche i giornali. Hanno perso parecchi clienti e hanno dovuto licenziare buona parte del personale. Non sono sul lastrico, non devono chiudere completamente l'azienda, ma non è più il colosso che hanno messo su i nonni. - se da una parte ero contenta di vedere che loro, senza di me, non ce la facevano, dall'altra non potevo che essere in apprensione. Apprensione per tutte quelle persone che erano rimaste senza lavoro a causa della mala-gestione dell'azienda da parte di Angelica.
Mio padre non si occupava quasi più della direzione della stessa, ma era tutto in mano alla sua dolce metà.
L'aveva affossata, non del tutto, ma sarebbe stato davvero difficile riportare il gruppo alla magnificenza acquisita dopo anni e anni di duro lavoro.
- Vedrai che troveranno il modo di risollevarsi. Tuo padre però deve riprendere in mano il tutto e non lasciarsi guidare da una persona che ha dimostrato di avere tutto fuorché naso per gli affari. Se Angelica continuerà a tenere le redini dell'azienda, il gruppo finirà per crollare. - concluse amaramente zia Lilian. Anche se lei ne era uscita, anche se io avevo mollato, quella era pur sempre l'azienda di famiglia.
- Magari mi sbaglio e papà dovrà parlarmi di qualche stupidata. Magari qualche scemenza o vacanza. Mi chiederà come minimo di badare alla bambina pestifera mentre lui e la sua bella se ne andranno in vacanza in qualche esotico posto, qualche paradiso terrestre. - lei rise di gusto, e l'ombra che per un momento si era impadronita di noi, se ne era andata. Le cose non erano facili, né buone, ma io volevo davvero credere che mio padre avrebbe salvato l'azienda.
Temevo ancora che le cose potessero precipitare, ma ancora speravo...
- Sarà meglio che vada. Non mi piace fare aspettare le persone.
- Lo so, e non ti tratterrò oltre. Vai tranquilla e serena, cara. Magari sono buone notizie. E magari Sirio ti dirà invece che l'azienda sta avendo una ripresa. - disse lei sorridendomi con dolcezza.
- Magari, magari. - dissi con aria sognante.
- Finché non parti, non lo saprai. Vai a casa e non preoccuparti più del dovuto. Farlo non ti porta ad altro che a stare male. - Annuii e mi avviai verso la macchina, senza sapere minimamente a cosa stavo andando incontro.
Nel bene e nel male quella sarebbe stata la fine, che mi avrebbe però portata ad un nuovo inizio.


- Finalmente sei arrivata. - disse Angelica non appena aprii la porta, mostrandomi un sospetto sorriso a trentadue denti. Cercò di abbracciarmi, ma mi ritrassi. Non sopportavo il contatto fisico in generale con persone sconosciute, ma soprattutto con persone che mal sopportavo. E Angelica lo sapeva bene. Una leggera ruga le solcò la fronte, era una ruga da delusione, e mi sorprese. Da tempo non cercava più di valicare il limite dell'approccio fisico. Cosa era cambiato?
Se da una parte potevo essere rincuorata da tanta allegria, dato che Angelica era di rado così allegra e sorridente, dall'altra poteva anche essere una recita.
Quello poteva anche essere un sorriso di facciata. Magari le cose stavano andando davvero molto male. Col cuore che mi batteva forte nel petto, inspirai profondamente e superai il corridoio che portava al salotto.
- Scusate, c’era un po’ di traffico. - dissi per chiudere lì ogni possibile domanda.
- Oh, ben arrivata, aspettavamo solo te! - mi disse mio padre dopo aver interrotto la conversazione che stava avendo con Kalika. Di certo non stavano parlando di nulla di serio. Lei si alzò, ma non mi venne incontro, a differenza di mio padre che, invece, mi raggiunse abbracciandomi con allegria.
- Ciao. - dissi io un po' scossa dal suo atteggiamento. Vederlo così mi aveva sorpresa non poco. Anche lui come Angelica era tutto fuorché bontempone. - Dunque... di che volevi parlare stasera? Spero non sia nulla di grave. - dissi io osservando le sue espressioni per carpire cosa gli passasse per la testa. - Non avrai ancora problemi con l'azienda, vero? - e in quel momento mi balenò per la testa un terrore ancora più atroce.
Non avevo preso in considerazione il fatto che potesse anche essere un problema di salute. E se lui avesse indetto quella riunione famigliare proprio per parlarci di una sua grave malattia?
Lo fissai con occhi sgranati mentre realizzavo quell'eventualità, ma mio padre scoppiò a ridere.
- Tu, Alina ti stai già facendo un filmino mentale. - disse prendendomi per le spalle e facendomi sedere sulla poltroncina. - Non oso pensare a quale catastrofe tu ci abbia già condannati.
- Ultimamente al lavoro...
- Ah... ora capisco. - disse lui scompigliandomi i capelli come faceva quando ero piccola. - Eri preoccupata per questo? - io annuii. - Sappi che le cose stanno migliorando. Certo, abbiamo perso parecchi clienti, ma non siamo ancora messi così male. L'azienda non è sull'orlo del crollo come vorrebbero far credere i giornali e, soprattutto, la concorrenza.
- Che fossi preoccupata era normale e comprensibile. È da molto che non fai una cosa del genere e tutte le altre volte è sempre andata a finire male... - ripensai all'ultima riunione... l'odiosa rivelazione sulla successione dell'azienda. Cercai però di scrollarmi di dosso quel pensiero e sorridendo gli dissi invece che vederlo così contento mi stava facendo sperare che la notizia fosse molto più allegra.
E cominciai così a credere che quello di cui ridevamo io e Lilian non fosse poi così lontano dal vero.
Forse quei due avevano davvero intenzione di farsi una vacanza.
- Io e Angelica dobbiamo parlare ad entrambe, e non è una bella notizia. È molto di più che una bella notizia! - Squadrai Kalika cercando di capire se lei sapesse qualcosa, ma capii in fretta che anche lei era totalmente all'oscuro di tutto. - Su, sedetevi vicine. - mi disse, ma io non mi spostai dalla mia poltrona, mentre Kalika mi raggiunse sedendosi sul divanetto accanto a me. Cominciavo invece ad avere i sudori freddi, e una strana sensazione di disagio mi pervase il corpo.
Presi un bicchiere d'acqua per cercare di calmarmi, ma non fece molto effetto.
Mio padre e Angelica erano in piedi davanti a noi che ci fissavano come due ragazzini innamorati che stavano per annunciare ai genitori la loro intenzione di sposarsi.
Una cosa carina... in altri frangenti, e con altre persone. Ma non loro.
Stavo davvero temendo la catastrofe...
- Ragazze, abbiamo un annuncio importante. - disse stringendo la mano della moglie e scambiando con lei un dolce sguardo carico d'amore. Con la voce tremante per l'emozione fece il suo annuncio, un annuncio così inaspettato. Quella cosa non avrei mai potuto tenerla in considerazione. - Dopo tanti anni, finalmente, Angelica è incinta. - disse lui esultando come un ragazzino. E con la voce quasi strozzata. - Presto avrete un fratellino o una sorellina, non è meraviglioso? - Io lo ascoltavo, con gli occhi che strabuzzavano fuori dalle orbite, e col cuore che batteva così forte da farmi temere che presto avrei anche potuto avere un infarto. - Era già da un po' che lo sapevamo, ma abbiamo preferito aspettare. Data l’età di Angelica, sapevamo che si trattava di una gravidanza a rischio e non volevamo parlarne fino a quando non fossimo stati certi della stabilità del bambino. A breve comincerà anche a vedersi la pancia. Siamo quasi al quarto mese. - Kalika gettò le braccia al collo della madre, e, grazie alle sue urla si coprirono i miei di versi, che erano tutto, fuorché di gioia.
Mio padre venne ad abbracciarmi, e lo lasciai fare.
Mi sarei fatta abbracciare anche da Angelica o Kalika. In quel momento mi ero come tramutata in una statua di marmo.




Un figlio, l’unico avvenimento che avevo escluso potesse accadere, l’unico che oramai, data la loro età, avevo scartato con sollievo. Nei primi anni del loro matrimonio avevo seriamente temuto tale eventualità, ma dopo quattro anni, avevo tirato un lungo sospiro di sollievo. Ma il destino aveva uno strano modo di dimostrarmi che anche io contavo qualcosa nel mondo, che anche i miei desideri erano importanti e contavano qualcosa per esso.
Un figlio...
Mi ci volle un attimo per riprendermi.
Loro, sotto sotto, si aspettavano le feste, baci e abbracci... ma da me cosa potevano realmente aspettarsi? Credevano davvero che avrei gioito di tutto cuore per la loro notizia? Mi sentivo i loro occhi addosso. Si aspettavano che io facessi qualcosa, e qualcosa di carino.
Strinsi la mano di mio padre, e anche quella di Angelica, dicendo semplicemente “Congratulazioni”, con il sorriso più finto che potevo loro mostrare.
C’erano tante cose che avrei voluto dire in realtà, cose che avrei finito col gridare loro in faccia, ma non era certo il caso di dare sfogo alla mia rabbia repressa. E allora presi la mia decisione.
Avrei voluto aspettare per dare la mia grande notizia, quella che fremevo da tempo di poter dare loro, ma decisi di prendere la palla al balzo.
Quello era il momento giusto per porre fine a un qualcosa che era andato avanti per troppo tempo.
- Dato che è serata di grandi notizie, anche io ne ho una per voi. - dissi sorridendo, e quel sorriso era vero. Era un sorriso non solo di gioia , ma anche di rivincita. Contro il destino e contro di loro. - Ho deciso di trasferirmi finalmente nella casa di mamma. - Vedere il loro sorriso spegnersi lentamente per l'incredulità mi stava riempiendo di una carica positiva che non immaginavo che sarei mai stata in grado di provare. - Mi ci è voluto un po', ma ho messo da parte una certa cifra, come avevo sempre programmato. Posso finalmente rendermi indipendente. Non avrete più da pensare anche a me, non sarò più un peso.
- Ma non lo sei mai stata... - cominciò Angelica con gli occhi lucidi.
“No, perché facevo tutto quello che tu da sola non eri in grado, anzi no... facevo ciò che non volevi fare” pensai guardandola continuando a sorridere.
- Ma adesso, col nuovo bambino in arrivo, avrete per la testa un sacco di pensieri ed impegni. Avrete anche bisogno di una nuova camera, e la mia è in un'ottima posizione. Sono certa che quando sarà grande gli piacerà infinitamente. - Il mio annuncio sortì gli stessi effetti del loro. Non era così che l'avevo immaginato, ma era andata persino meglio. Il silenzio calato inesorabile nel salotto venne interrotto da un'esultante Kalika che ancora non aveva capito cosa significava davvero per me andare a vivere lontano da loro.
- Che bello! Se vai a vivere da sola, qualche volta potrò venire da te a dormire, - e gli occhi cominciarono a brillarle ancora di più dalla frenesia, - e fare un sacco di feste.
- Ehm, no Kalika. - dissi io lanciandole uno sguardo che avrebbe dovuto farle capire che con me non ci sarebbero stati più rapporti... ma la ragazzina era dura di comprendonio. - Quella è casa mia, non casa tua. - il tono duro che avevo usato però, aveva quantomeno smorzato il suo grande entusiasmo.
- Pensavamo noi di lasciarvi a bocca aperta, - cominciò Angelica, prendendomi la mano, stringendola forte - ma alla fine sei stata te a stupirci. - sembrava contenta, ma sapevo che non lo era. - Ricordati però che tu farai sempre parte della nostra famiglia. La porta di questa casa sarà sempre aperta per te.
- Lo so, - dissi sciogliendo la stretta, - ma oramai sono grande, ed è giusto che vi lasci per trovare la mia strada. - mi rivolsi poi a mio padre. - Parte dell’arredamento è da sistemare. Purtroppo mamma non è riuscita completamente nell'intento, ma da una parte è un bene. Ci metterò anche io del mio per rendere quella casa davvero mia. - mi fermai un attimo e ripresi. - La zia Lilian si è offerta di aiutarmi nella scelta delle ultime cose. Alcune sono nella sua cantina, erano dei nonni; altre andremo a comprarle uno di questi giorni assieme a Casia.
- Se vuoi potremmo mettere noi i soldi per…
- No! - gridai quasi, ma poi addolcii la voce. - No, non serve. Adesso col bambino avrete parecchie spese, non posso certo permettervi di gettare così inutilmente il denaro per cose che potete evitare di accollarvi. - dissi volgendomi poi verso Kalika, ma lei non capì l'allusione. - Inoltre voglio che casa mia sia mia al cento per cento. Se vi permettessi di partecipare alle spese non potrei mai perdonarmelo.
- Come vuoi cara. - disse mio padre porgendomi un calice di spumante. - Allora direi di festeggiare! Pensavamo di dover festeggiare solo la nostra bella notizia, invece abbiamo tre motivi per gioire: il bebè in arrivo, il compleanno di Kalika, e la tua scelta, Alina.
Guardai il calice colmo della bevanda frizzantina. Quei calici li aveva comperati mia madre, ed erano infatti i più belli della casa. Avrei potuto reclamarli, ma avevo deciso di cederglieli.
Oramai erano suoi. Casa mia sarebbe stata solo e soltanto mia.
Finalmente, dopo tanto, mi sarei ripresa la mia vita.
Quello che si stava affacciando sulla finestra della mia vita era un nuovo inizio.


La serata proseguì e alla fine, l'attenzione dovette per forza dirottare sulla festa di Kalika, che con orgoglio mi porse un foglio.
- Per la mia festa, - disse lei, - questa è la lista degli invitati, devi pensarci tu. Mamma mi aiuterà per il resto, ma chiederemo il tuo aiuto per altre piccole faccende. Di sicuro meno importanti di questa. - per fortuna mi avevano lasciato una delle parti di lavoro più semplici, a dispetto di quanto mi aveva anticipato Angelica. Non sapevo per quale ragione la donna avesse cambiato idea, lasciandomi poche commissioni, ma non m'importava. Sorrisi e le dissi che non ci sarebbero stati problemi e che nei giorni successivi me ne sarei occupata.
- Tranquilla, sai che per queste cose son precisa e affidabile. - ero stranamente gentile. Forse il fatto di aver finalmente rivelato loro le mie intenzioni, mi avevano permesso di reagire con il giusto distacco nei confronti della sorellastra.
- È importantissima questa cosa. Guarda che ci conto.
- Domani mi metterò al lavoro. Promesso. - prima lo facevo e prima me lo toglievo dai pensieri.
Quando però diedi un'occhiata alla lista mi venne quasi un colpo. Erano tantissime persone, almeno una settantina.
- Ma tua madre l’ha vista? Ad occhio e croce mi sembrano almeno settanta.
- Sono centododici per la precisione.
- Quanti?!? Hai invitato tutte le prime?
- No, scherzi? Sarebbero stati molti di più se l'avessi fatto. Sono soprattutto ragazzi più grandi di noi e le ragazze più popolari. Per essere popolare anche io ho cercato di farmele amiche. In questo modo la mia festa sarà un successo, io sarò sulla bocca di tutti, e tutti mi guarderanno con ammirazione. Se riesco anche a trovarmi il fidanzato del terzo o del quarto anno sono certa che sarò la reginetta del liceo.
- Bah, - mi lasciai sfuggire una sbuffata, - se tua madre è d’accordo non è un problema mio. - Per togliermi ogni responsabilità ne parlai proprio con lei, che non solo era al corrente delle intenzioni della figlia, ma che anzi, la incoraggiava.
La scuola di Kalika era privata, ed era frequentata solo da figli di gente benestante. Farsi le giuste amicizie fin dalle scuole, era, secondo Angelica, il modo migliore per assicurarsi un buon avvenire. Le conoscenze giuste, in molte occasioni, potevano rivelarsi estremamente utili.
Da una persona che concepiva simili ragionamenti, non c'era da stupirsi se era venuta fuori una figlia come Kalika.
Annuii, per nulla concorde con il loro modo di pensare, e raggiunsi mio padre per congedarmi.
Ero stanca e provata, dovevo assolutamente dormire e riprendermi. Anche se avevo trovato il modo per superare come meglio potevo quella notizia, non ero del tutto serena. Sapevo che presto l'euforia per aver annunciato il mio trasferimento lasciando tutti a bocca aperta, avrebbe lasciato spazio a paure e a timori ben radicati nella mia testa.
Con quel bambino in arrivo, i rapporti con mio padre avrebbero rischiato di diradarsi sempre più. Lo capivo e non provavo remore o odio nei confronti di quella creatura, ma sentivo che con lui sarebbe stato sempre più difficile mantenere un rapporto vivo.
Mi chiesi se non sarebbe stato addirittura meglio per entrambi se a un certo punto avessi smesso di farmi sentire o di rispondere alle sue chiamate.
Mi congedai, e prima che chiunque mi potesse dire o chiedere altro, ero già sparita verso la mia stanza.
Mi buttai sul letto e cominciai a sentirmi male.
- Tipico di me. - borbottai. In quel momento sentii come se una mano gentile si fosse posata sulla mia fronte, alleviando in parte il dolore che mi stava prendendo.
Cominciai a piangere nel silenzio della mia stanza. Le lacrime scendevano, e ogni tanto i miei singhiozzi riuscivano a spezzare quel silenzio di dolore.
Avrei voluto gridare, battere i piedi per terra come una bambina perché le cose erano andate tutte fuorché come avrei voluto che andassero... avrei voluto fare tante cose, ma cercai di calmarmi e di cacciare tutto giù, come avevo sempre fatto.
Quando anche l'ultima lacrima venne scacciata, qualcuno bussò alla mia porta. Era mio padre.
- Tutto bene? - chiese lui varcando la soglia, e richiudendosi la porta alle spalle. - So che la notizia ti ha scioccata…
- Stai minimizzando la cosa. - dissi alzandomi dal letto e trovandomi faccia a faccia con lui. - Se tu sei felice però, credo di poterlo sopportare e di farmene una ragione. Non posso certo dire che questa situazione mi piaccia, non ero preparata per una tale eventualità. Sappi che se non mi sono lasciata andare è stato solo per te e per il bene che ti voglio.
- Lo so e te ne sono grato. - mi disse sorridendo. - Lo siamo entrambi. - eccolo! Una cosa che mi aveva sempre dato fastidio: doveva sempre esserci lei di mezzo. Anche quando volevo solo che parlassimo di noi: di me e di mio padre. Ma lui la tirava sempre in ballo.
- Non sono sprovveduta a tal punto da non capire che con Angelica in quello stato, fare scenate è l'ultima delle cose da fare. Non posso mettere a rischio la sua gravidanza, quindi non preoccuparti. - feci una pausa, ponderando bene le parole da utilizzare. Non ero mai stata il tipo di persona che si lasciava andare ad espressioni esageratamente colorite o volgari. Avevo finito col mettere sempre le esigenze degli altri prima delle mie, finendo col sopprimere molti sentimenti. Non volevo far soffrire nessuno, ma ero giunta alla conclusione che non potevo lasciare che fosse sempre e solo il bene degli altri a prevalere anche sul mio. - Volevo aspettare dopo la festa per annunciare il mio trasferimento, ma dato che voi avete sganciato la vostra bomba, io ho deciso di farmi avanti con la mia. Sarò schietta, non contare più su di me come hai fatto in questi anni. Ero ospite in casa vostra e mi sono adeguata. In casa mia, regole mie. Ma soprattutto, d'ora in poi cambieranno molte cose.
- Tesoro mio, sai che non volevo ferirti. Ho amato tanto tua madre, non puoi avercela con me perché…
- Non ce l’ho con te perché ti sei rifatto una vita. Credo che quello sia un sacrosanto diritto di ogni persona. Ci sono vedovi che scelgono di rimanere tali, e altri che si rifanno una vita. Son scelte che ognuno deve essere libero di fare senza doversi sentire obbligato da nessuno. - dissi con amarezza. Pensavo davvero quello che avevo detto, ma una parte di me aveva sempre rimproverato mio padre per aver fatto quel passo così in fretta. - Avrei comunque preferito che tu sposassi una donna migliore. Una donna meravigliosa come zia Lilian. - Molte volte mi era sembrato di scorgere un interesse da parte della zia verso mio padre, ma avevo trovato la cosa troppo ridicola per darci peso. Tuttavia, più volte mi ero chiesta “E se lui avesse sposato lei?”. Di certo la mia esistenza sarebbe stata molto più serena.
- Non avrei mai potuto sposare Lilian. È una donna meravigliosa, è vero, ma era pur sempre la sorella di tua madre. - disse lui imbarazzato. - Angelica è una brava donna. Lo sai anche tu. L'amo immensamente.
- Non mi pare di avervi mai ostacolati, o di averla sempre trattata male. - lessi del disappunto nel suo sguardo. Non ritenevo Angelica cattiva nel senso assoluto: è solo che non mi piaceva e la ritenevo anche un po' arrivista. Di certo un po' si era avvicinata a lui nella speranza di potersi garantire un solido futuro e un avvenire sereno per la figlia. Aveva fatto tombola, questo era certo.
Sui suoi sentimenti non avevo dubbi, lei voleva bene a mio padre, e questo mi aveva tenuta buona. Solo questo mi aveva frenata.
- Non si può dire nemmeno che tu la tratti con affetto.
- Non provo affetto per lei o per sua figlia, ma se c’è bisogno alla fine mi sono sempre prestata al loro servizio, anche controvoglia. Non negarlo.
- È vero, anche se avrei preferito un po’ di calore da parte tua. Ma so che era chiedere troppo. - almeno, pur se deluso, l’aveva capito.
- L'affetto non si compra... - sussurrai sentendo una stretta al cuore. Non era mai stato così esplicito. Anche se sapevo cosa voleva. Ma io non credevo nelle famiglie allargate sempre felici, sempre sorridenti e sempre unite. E così non riuscii a trattenermi.
- Papà, però, un bambino alla vostra età… certo non sono affari miei, hai ragione, non è un problema mio, ma vostro. Anche se andrò a vivere per conto mio tu sarai sempre mio padre, io non smetterò mai di volerti bene. Credo però che abbiate fatto un azzardo con questa gravidanza.
- Ce la faremo, bambina mia. E avrei piacere che tu facessi parte della vita del tuo fratellino o della tua sorellina. - Sentii una stretta allo stomaco. Mi stavo calmando e quell'ultima cosa stava per farmi straparlare.
- Non puoi chiedermi questo. Per me, le tue scelte, non sono mai state buone dato che il mio coinvolgimento in esse è stato a dir poco disastroso. Ma ho resistito e fatto la buona figlia obbediente che non vi ha mai causato disagi. - lui annuì.
- Sì è vero. A scuola sei sempre andata bene, ti sei sempre impegnata e non hai mai dato a me e Angelica grosse preoccupazioni. L'unica cosa era la tua freddezza nei nostri riguardi. - mi dovetti morsicare la lingua per non rispondergli come invece avrebbe meritato.
- Papà, non intendo mantenere un vivo contatto con la tua nuova famiglia. Per me l'unica famiglia nella quale abbia creduto era quella formata da te, da me, dalla mamma, dalla zia e dai nonni. - lui evitò il mio sguardo, ma sapevo che cominciava a sentire una morsa allo stomaco. Non gli piaceva parlare di loro. Non gli piaceva ricordare il passato. - Io ho accettato la vostra relazione, non vi ho mai messo i bastoni fra le ruote facendo la bambina capricciosa. Non l'ho fatto allora e non intendo farlo nemmeno adesso. Scelgo semplicemente di farmi la mia vita lontano da loro. - Le parole che a lungo avevo tenuto celate, stavano uscendo, non con un impeto tale da investirlo con una violenza senza pari, ma di certo lo stavano colpendo. - L'azienda è stata l'unica cosa per la quale mi avete fatta uscire dai gangheri, e anche in quel caso mi sono trattenuta dal far valere i miei diritti. E lo sapevi che con le giuste conoscenze sarei riuscita ad ottenere molto di più. Avrei anche potuto battere gli ottimi avvocati trovati da Angelica e dalla sua famiglia.
Tu hai ipotecato il mio futuro per quella là e per sua figlia, ma va bene. Non importa, non più almeno. - mi andai a sedere sulla poltroncina accanto alla scrivania guardandolo ed esprimendo tutta la mia amarezza e delusione per come si erano evolute le cose.
- Alina... - lo zittii con un semplice gesto della mano. Lui sembrava afflitto, ma, forse con eccessiva malizia, pensai che il suo dispiacere non era per me, quanto per la sua compagna e figliastra.
- Tu sei felice e questo mi basta. Ti sei rifatto una famiglia, e ne avevi ogni diritto. Tu sei libero di fare ciò che vuoi, ma non di impormi, ora che me ne sto per andare, di continuare a vivere con la loro presenza nella mia vita. - sentii una strana forza in me, mai sentita prima di allora. Mi sentivo quasi invulnerabile, e provai pena per lui, così mi addolcii. - Non ti sto chiedendo di scegliere fra me e loro. Non potrei mai. Voglio solo che tu la smetta di pretendere amore da parte mia, nei confronti di chi tu ami ma che per me non conta nulla.
Lui mi fissò con tristezza, ma alla fine cedette, anche se sapevo che in futuro avrebbe ancora tentato di farmi cambiare idea. Era una piccola vittoria, ma sempre di vittoria si trattava.
- Va bene, bambina. So quanto è stata dura per te questi anni, e so anche quanto impegno ci hai messo per non creare a noi alcun fastidio. Sei stata brava, e so che per te è stato un grande sacrificio. Credo però che, in fondo al tuo cuore, un po' di affetto per loro tu lo abbia provato, e lo provi tutt'ora. Ho sempre pensato che la tua ritrosia fosse legata al ricordo di tua madre, e alla paura di non rendere onore alla sua memoria affezionandoti a un'altra donna. Con una nuova madre, non avresti reso disonore alla mamma, ma anzi, l'avresti resa felice perché ti avrebbe vista più serena. - quelle parole le trovai fuori luogo, ma non replicai. Lo lasciai credere a quell'orribile illusione. - Speravo che cambiando casa e unendoci per formare una nuova famiglia, avresti potuto lasciarti il dolore della perdita alle spalle, e, un giorno, aprirti a tutti noi. Mi rendo però conto non averti lasciato il tempo per accettare tutto questo. È stata colpa mia, e ti chiedo scusa per non averti aiutata abbastanza. - mi stampò un bacio sulla fronte e mi augurò la buonanotte, lasciandomi di nuovo sola.
- Tu non hai ancora capito nulla, ma anche se te lo spiegassi e rispiegassi, tu non lo capiresti. - conclusi nell'oscurità della mia stanza.
Non aveva senso pensarci e rimuginarci ancora sopra. Contava solo una cosa in quel momento. Una soltanto.
Finalmente l’incubo stava per finire.


Quella notte non mi trasformai nella Giustiziera. Quella notte non venne a trovarmi nemmeno il principe.
Ah, giusto, il principe…
Da molti anni, di tanto in tanto, sognavo che un principe bellissimo entrava dalla finestra della mia stanza per portarmi via in un regno lontano, dove avrei potuto vivere serena.
Non era come quando sognavo di essere la Giustiziera, era molto di più. A volte, quando mi recavo nella vecchia tenuta di famiglia, mi sembrava di scorgere un'ombra che si aggirava nel giardino. Non un'ombra ostile, ma quasi un guardiano tutto mio. Una specie di guardia del corpo che vegliava su di me, che mi proteggeva.
Quando ero triste, come lo ero stata la sera prima, e cominciavo a sentirmi male, spesso sentivo come un'energia che mi avvolgeva e pian piano mi guariva.
Non sapevo se fosse o meno frutto della mia immaginazione. Non lo sapevo e non mi importava nemmeno di scoprire se fosse vero o meno. Se dopo stavo meglio, cosa mi importava se fosse realtà o finzione?
Una cosa era certa, tutte le volte che sognavo il principe misterioso, del quale non ero mai stata in grado di vedere nemmeno il volto, la mattina ero sempre di buonumore.


Passarono due settimane e il “grande” giorno di Kalika arrivò, sollevandomi finalmente da ogni impegno che la riguardasse.
In fin dei conti, poi, i preparativi furono molto meno impegnativi di quanto non avessi previsto, e il tutto mi risultò tutt'altro che sgradevole. Non ero certo contenta di essermi trovata in quella situazione, ma fu molto meno tragica, e riuscii anche a passare una serata tranquilla.
Una volta che mio padre e Angelica lasciarono la sala in cui si stava svolgendo la festa, io mi recai al piano bar dell‘hotel. Dato che la festa, anche una volta che “gli adulti” se ne erano andati, sembravano tranquilli, non c‘era motivo che io rimanessi. C'era comunque il personale di sala, e se fosse successo qualcosa mi avrebbero chiamata, se non addirittura mio padre e Angelica.
Avrei dovuto rimanere a vigilare, ma ero una ragazza di ventidue anni, e tutto avrei voluto tranne che fare da balia a dei ragazzini.
Vedendo poi come avevano lasciato la sala alla fine dell'evento, mi dovetti ricredere un poco su Kalika.
Non era rimasta immacolata la sala, ma non era poi così disastrata dal doversi strappare i capelli.
Forse la bambina capricciosa e viziata stava crescendo.
Forse, ma la cosa non era più di mio interesse. Il giorno dopo avrei lasciato per sempre la loro casa, e non avevo intenzione di guardarmi mai più indietro.


- E questo è l’ultimo scatolone. - Il giorno dopo la festa, cominciai a trasportare tutti gli scatoloni che avevo preparato nei giorni precedenti. Non si trattava di tanta roba, dato che tutto quello che mia madre mi aveva lasciato, o quasi, era rimasto nell'appartamento.
Mio padre insistette per accompagnarmi in quel breve viaggio da casa sua alla mia, desideroso di darmi una mano nello scaricare i miei averi.
- Sono davvero fiero di te, ma mi mancherai. - disse mentre parcheggiavo davanti casa.
- Grazie papà. Anche tu. Ma ora dobbiamo assolutamente portare tutta questa roba di sopra.


Varcata la soglia, fu come se quella fosse la prima volta.
Il bel trilocale lasciatomi in eredità da mia madre mi sembrava davvero meraviglioso. Certo, la villa di mio padre era stupenda, ma non era casa mia. Quella invece lo era, e lo sarebbe stata per sempre.
Non avrei avuto accanto mio padre. Non lo avrei più visto ogni giorno, certo, ma non sarei stata sola. Accanto a me, sullo stesso pianerottolo, ci sarebbe stata zia Lilian, dato che l'altro appartamento era il suo, mentre al piano superiore viveva Casia. La mia vita non sarebbe stata poi così solitaria, e se avessi avuto bisogno di aiuto, gente disposta ad aiutarmi si sarebbe fatta avanti.
Portai le mie cose in camera da letto. Avrei sistemato il tutto pian piano, non avevo fretta, e non intendevo certo dare feste o altro. Avrei potuto prendermi il mio tempo per fare tutto quello che era necessario per rendere ancora più meravigliosa quella semplice casetta.
Mio padre mi aiutò a spostare gli scatoloni più pesanti: erano dei regali di mia madre. Non si era fidato nel lasciarli nell'appartamento. Li avevamo tenuti nella sua casa, ma nessuno li aveva mai toccati. Erano un servizio di piatti e delle porcellane.
Il corredo di nozze di mia madre. Uno dei suoi più preziosi lasciti dato che non era solo un suo ricordo, ma anche quello dei nonni.
- Sono davvero splendidi. - dissi ammirando uno dei calici in vetro.
- So che non vuoi più vedere Angelica e Kalika, - ed eccolo che tornava alla carica, - ma che ne diresti di dare una piccola cena? Per festeggiare tutti insieme. - fui sul punto di sbatterlo fuori di casa, ma ci ripensai.
- Va bene, ma verrà anche la zia Lilian. - lei era la mia famiglia, e, dato che mi era sempre stata accanto e dato che si era presa lei cura dell'appartamento, era il minimo renderla partecipe.
In fondo, che sarà mai? Mi chiesi scioccamente.
La cena fu solo una scusa, e io avrei dovuto intuirlo fin dall'inizio, ma tendevo a non vedere la malafede nei gesti degli altri. Specie in mio padre. Lui lo aveva definito un piccolo favore, ma per me era peggio di un incubo.
Mi chiesero di ospitare Kalika per qualche giorno dato che Angelica doveva recarsi dai suoi genitori, i quali abitavano lontani. Non volendo far perdere alla ragazzina giorni di scuola, l'unica soluzione era chiedermi di ospitarla.
Scambiai uno sguardo malinconico con zia Lilian, ma alla fine accettai.
È l'ultima volta, mi dissi.
Alla festa non si è comportata poi così male.
Ero troppo buona, e lo sapevo, ma non potei fare a meno di acconsentire.
Se avessi saputo fin dal principio i guai che ne sarebbero scaturiti, non avrei mai accettato.



 
L'angolo di Shera ♥

Come promesso, eccoci anche col terzo capitolo ^^. Almeno questa volta son riuscita a pubblicare come volevo. Sebbene avessi da tempo pronto il capitolo, non son mai riuscita a trovare il tempo, o la voglia, per decidermi a postare.
Con l'arrivo della primavera mi è tornato pure il buonumore, sarà il ritorno di Persefone in superficie, o chi lo sa ;)
Come avevo accennato nell'ultima one shot, mi stava venendo l'idea di scrivere una nuova versione di "Lux Averni", o per meglio dire, prendere la versione della mitologia romana di Ade e Persefone, quindi Plutone e Proserpina, per fare una nuova versione.
Voi che ne pensate? Se lo facessi dite che sarebbe una buona idea?
Probabilmente punterei ancora a un lieto fine, ma volevo scrivere una storia diversa.
Sono parecchio combattuta, anche perché dovrei finire questa storia e proseguire con la nuova torre, per non parlare della long su Sel....

Un abbraccio
Shera <3

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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


- Capitolo Quarto -


E fu così che Kalika si trasferì da me durante quei pochi giorni di assenza di mio padre e di Angelica. Temevo che sarebbe stato un inferno, ma cercai di non pensarci e di dare alla ragazza una chance. Del resto non era più una bambina.
Anche se i miei sentimenti non erano mutati, credevo ancora che le persone potessero cambiare e migliorare, e che anche Kalika potesse dimostrarsi migliore di quanto non lo era stata in passato.
La sua breve permanenza a casa mia non avrebbe cambiato le cose fra di noi, ma forse non sarebbe stata poi così sgradevole come invece temevo.
Si tratta solo di pochi giorni, continuavo a pensare, sperando che quel mantra potesse tranquillizzarmi.
- Su, sali che ti mostro la stanza. - le dissi prendendo due delle molte borse che si era portata appresso.
- Non vedevo l'ora, Alina. - disse lei sorridendo.
- Non credi di aver preso troppa roba? - nonostante la breve visita, Kalika si era portata dietro un borsone, la trousse gigante, e altre due piccole valigie. Più ovviamente l'occorrente per la scuola.
- Solo il necessario. - disse lei sorridendo e prendendo quello che rimaneva da portare in casa.


Le ore passarono incredibilmente veloci, e la ragazzina non mi creò alcun problema.
Senza che me ne accorgessi, passarono altre due giornate.
Kalika se ne era rimasta buona nell'appartamento, a fare i compiti o a svagarsi come meglio poteva, mentre io lavoravo al piano inferiore.
Zia Lilian non mi lasciò sola in quei giorni, perché sapeva bene quanto tutta quella situazione mi mettesse a disagio.
Avrei finito col fare la scena muta a cena, mettendo entrambe a disagio, così, fin dalla prima serata, si unì a noi, rallegrando la conversazione.
Parlando del più e del meno mi ricordai di alcuni impegni che avevo già preso da tempo per il giorno successivo. Li avevo completamente rimossi dalla mia testa, e constatai, con un certo disappunto, che vi avrei dovuto rinunciare, data la situazione in casa mia...
- Suvvia cara, si tratta di visite mediche, dopotutto. - mi esortò la zia. - Inoltre avevi anche appuntamento con la tua vecchia amica. Leilani, giusto? Non sarebbe carino darle buca così, all'ultimo. - mi fece l'occhiolino. - Avrete tante cose da raccontarvi.
- Ma...
- Kalika è abbastanza grande da stare da sola in casa per qualche oretta dopo la scuola. Se ci fosse bisogno di qualcosa, io sarei al piano inferiore. - Kalika annuì. Avevo dovuto aspettare parecchio per quelle visite, e non vedevo Leilani da un sacco di tempo.
Leilani era una vecchia compagna di università, di quell'unico anno che avevo frequentato. Veniva da fuori città, e aveva scelto il nostro istituto perché non solo era rinomato, ma anche l'unico della zona con quell'indirizzo di studio. Lei fu una di quelle rare persone che potei definire davvero amica. Nonostante quello, però, per una cosa o per l'altra, dopo che lasciai la facoltà, ci perdemmo di vista.
Trovare il tempo per vederci, era davvero difficile. Lei era sempre molto impegnata, oltre a studiare lavorava, e di tempo libero gliene rimaneva davvero poco. Non potevo darle buca.
- Ok. Dato che comunque anche oggi ti sei comportata bene, se vuoi, e a patto che la casa rimanga esattamente com'è adesso, puoi invitare qualche amica. - gli occhi di Kalika cominciarono a brillare. - Tornerò dopo cena, quasi in concomitanza con tua madre e papà, per questo ti lascerò qualcosa per ordinare del cibo d'asporto. Il ristorante cinese in fondo alla via è davvero molto buono, se ti va, il loro volantino è all'ingresso.
Kalika prese subito il telefono per contattare le sue amiche.
- Mi raccomando, solo qualche amica, - dissi guardandola seria, memore della sua festa di compleanno, - non tutta la scuola. - la festa era stata tranquilla, ma gli invitati erano davvero tanti. Non potevo certo permetterle di invitare tutti quei ragazzi a casa mia.
- Certo! - disse lei sorridendo e venendo ad abbracciarmi. Subito mi irrigidii, e la allontanai. - Cinquanta euro dovrebbero bastarvi... altrimenti farete colletta.
- Va benissimo, grazie Alina. Vai e divertiti! - disse lei avviandosi verso la camera. - Ah! Se fai shopping non scordarti di prendermi qualcosa. - zia Lilian sorrise.
- È pur sempre un'adolescente. Tutto ruota sempre intorno a loro.
- Lo so... - ero decisa a non rovinarmi la serata, così sorvolai su quella mancanza di tatto della cara Kalika.
Zia Lilian mi salutò dicendomi che se avessi imparato davvero a farmi scivolare tutto addosso, le cose sarebbero andate sempre più migliorando.
- Se seguirai una via più calma, non necessariamente vuol dire che ti piegherai agli altri. Semplicemente ti approccerai alla vita in un'altra maniera, e anche il tuo cuore ne gioverà.
- Speriamo, zia Lilian. Lo spero davvero. - volevo solo scrollarmi di dosso la Alina mansueta e accondiscendente che faceva sempre e solo quello che volevano gli altri, e che finiva col lamentarsi di continuo, torturando gli amici.
Mio padre telefonò proprio quando richiusi la porta.
- Ciao cara, tutto bene in casa? - notai subito una certa apprensione nella sua voce. Mi sfuggì un sorriso.
- Sì, tutto ok. Kalika si è comportata molto bene. Domani avevo degli impegni, e dato che non potevo rinunciarvi, zia Lilian mi sostituirà per il tempo necessario. - sentii sussultare dall'altro capo del telefono. Era Angelica, ma la cosa non mi turbò. Non mi disturbava il fatto che avesse fatto una chiamata col vivavoce.
- Tranquilli, anche se la zia non sarà sempre presente in casa, Kalika non sarà da sola. Dato che è abbastanza grande, ho pensato di lasciarla libera di invitare qualche amica. - per un momento non sentii nulla al telefono. - Papà?
- Trovo... - sembrava esitante, ma poi mi rispose davvero entusiasta. - Troviamo che sia un'ottima idea. Del resto non è più una bambina, starle sempre col fiato sul collo non è giusto. È bene che stia anche un po' da sola in casa. Così si responsabilizza. Ottima idea, Alina.
- Tornerò comunque prima che arriviate voi, quindi non sarà un periodo lunghissimo. Se ci fosse bisogno di qualcosa, Kalika potrà chiedere aiuto a zia Lilian, o a Casia.
- Sono certo che andrà tutto bene. - sapevo che non dovevo pronunciare il suo nome. Papà, per un momento, sembrò quasi abbattuto al solo sentir pronunciare quel nome. Ma gli passò velocemente.
- Bene, tutto a posto allora. Ci vediamo domani.
- A domani.


Un certo senso di liberazione mi stava riempiendo il cuore, tuttavia... anche se ero contenta del fatto che avrei riavuto presto la mia libertà in casa, ero rimasta colpita in positivo da Kalika.
Era ancora l'adolescente egoista che avevo sempre sostenuto fosse, ma si era comportata bene.
Dato che non l'avevo mai fatto, e non avrei avuto altre occasioni per farlo, decisi che avrei accolto la sua richiesta, facendole un piccolo regalo.
Non mi piaceva molto il modo in cui l'aveva chiesto, ma volevo comunque ringraziarla per non avermi fatto penare.


La mattinata trascorse veloce, e quelle antipatiche visite di controllo, me le lasciai finalmente alle spalle.
Fu una gioia rivedere Leilani, avevamo così tanto da raccontarci, che il tempo che avevamo a disposizione sembrava davvero pochissimo.
Leilani si era da poco fidanzata ufficialmente con un ragazzo della sua terra d'origine.
Leilani era mezza hawaiana, e coi genitori, ogni anno, si recava sulla sua isola per ritrovare i parenti e godersi la bellezza di quella terra lontana. Fu durante una di queste visite che incontrò il suo fidanzato, e dopo qualche anno di relazione, si erano decisi a sposarsi.
- Ovviamente non potevo non invitarti. - disse lei porgendomi l'invito.
- Sono così contenta per voi. Non posso crederci che fra un anno vi sposerete! - dissi con gli occhi lucidi. Ero così felice per la mia vecchia amica che non riuscivo a contenere la gioia.
- Sono certa che un giorno anche tu troverai un uomo meraviglioso come il mio Pekelo. - imbarazzata cercai di cambiare discorso.
Il mio problema era che avevo un ideale di uomo, ma era irraggiungibile. Mi ero fatta talmente coinvolgere dal mio sogno sul misterioso principe, che oramai non riuscivo a trovare più nessuno interessante.
Sapevo che era una sciocchezza, ma i miei sogni erano così reali, e anche se non riuscivo a vederlo in volto, le sensazioni che provavo erano così vivide che non potevo ignorarle. Mai con nessun altro mi ero sentita così. Per me quelle sensazioni erano l'unica cosa che avrebbe potuto farmi vacillare per un qualsiasi ragazzo. Fino a che non avessi provato qualcosa di simile, non mi sarei mai fatta incantare da nessuno.
- Grazie piuttosto per lo shopping. Sai che non me ne intendo per niente. - lei sorrise divertita.
- Oh, ma lo sai che è un piacere. Non sei affatto cambiata, hai sempre detestato “perdere tempo” nei centri commerciali.
- Ogni tanto, però... - ridemmo entrambe divertite.
- Spero che le piaceranno questi orecchini. - dissi prendendo in mano la confezione regalo che mi ero fatta fare nel negozio di bigiotteria. Erano dei cerchi particolari, con delle piccole gemme incastonate. Una volta l'avevo sentita parlare con la madre, descrivendole degli orecchini simili.
- Sono certa che apprezzerà, Alina. Credo che qualsivoglia regalo le si faccia, lei è contenta.
- Speriamo. - dissi, rimettendo via il pacchetto. Dato che Kalika ne usava tanti, le avevo preso anche dei fermagli colorati a forma di stella, glitterati e scintillanti. Erano di un arancione brillante, il suo colore preferito.
Avevo io stessa fatto un po' di acquisti per me, aiutata dalla consigliera migliore del mondo. Dovevo rifarmi il guardaroba da un bel po', e colsi l'occasione per approfittarne.
Fra una compera e l'altra, il tempo passò veloce, e la fame si fece sentire.
- Lo sai che hanno aperto una sala da tè qui vicino?
- Dici sul serio? - io adoravo il tè, e sapere che avevano aperto una sala come si deve, mi aveva fatto brillare gli occhi.
- Oh sì, e so che i pasticcini sono quelli del Plistie. - Il Plistie altro non era che una rinomata pasticceria della zona.
- Dobbiamo andarci assolutamente allora. - dissi prendendola sottobraccio. Non arrivammo alle auto però, che il mio telefono squillò. Era zia Lilian, e il mio stomaco cominciò ad attorcigliarsi: non mi avrebbe mai chiamata se non ce ne fosse stato reale bisogno.
- Ciao zia, tutto bene? Non è successo qualcosa a te o a Kalika, vero? - Accidenti, non sarei mai dovuta uscire! Una volta finite le visite avrei dovuto subito tornarmene a casa. Gli scenari peggiori cominciarono a farsi largo nella mia testa.
- No, stiamo bene, - disse lei con voce calma e pacata, - ma torna a casa. Con calma, ma torna a casa. - non poteva dirmi di stare calma.
- Cosa è successo? - dissi scandendo ogni parola, mentre l'ansia trapelava dal mio tono di voce. Cominciai anche a sudare freddo.
- Non è nulla di serio, Alina, questo te lo posso assicurare. - mi disse lei con una certezza tale nel tono, che non potei che crederle. - Vedrai appena arriverai a casa. Ti chiedo solo di venire su con calma. - Un qualcosa mi aveva fatto accendere la lampadina. Non era successo nulla di grave, semplicemente, Kalika aveva combinato qualcosa.
Qualcosa che mi avrebbe fatta davvero arrabbiare.


- Mi spiace che il nostro incontro debba finire così. - dissi con tristezza, ma devo assolutamente tornare a casa.
- Non preoccuparti, lo capisco. - disse lei abbracciandomi. - Tanto ci rivedremo presto. Sei una delle invitate più importanti per me.
Ci abbracciamo ancora e ci salutammo.
- Ora non ci resta che tornare a casa e dare una lezione a chi se lo merita. - perché non avevo dubbio alcuno che la ragazzina ne aveva combinata una delle sue e, imboccando la via di casa, ne ebbi subito la conferma.
La musica altissima che sentivo, non proveniva da un'auto, dai bar, o dal negozio di musica. Quel fastidioso frastuono, proveniva da casa mia.
- Una festa. - constatai, guardando con apprensione zia Lilian che mi aspettava davanti al negozio.
- Da quanto vanno avanti? - chiesi rossa in volto.
- Da un po’. - disse lei voltando lo sguardo. - Ho provato a ragionarci, ma come risposta hanno chiuso la porta a chiave e hanno alzato il volume. - l'unico mazzo di chiavi di casa, l'avevo io. Avrei dovuto farne una copia, e avrei dovuto farlo prima, e me ne rammaricai; ma era inutile piangersi addosso. - Per fortuna sia Casia che l'altra coppia sono fuori. Ed essendo giorno, gli altri vicini non si sono ancora lamentati. - si morse il labbro. Lo faceva quando mi diceva le mezze verità. - Non più di tanto, almeno.
- Avresti dovuto chiamarmi subito. - dissi io parcheggiando e imboccando la rampa di scale.
- Ho preferito aspettare. Speravo si calmassero e che la festa finisse.
- Ora li faccio calmare io. - dissi decisa. Non ero mai stata una persona violenta o volgare. Non era nella mia natura.
Non mi piaceva gridare o fare la figura della furia.
Ma Kalika aveva superato il limite della mia pazienza. Era una ragazzina, lo sapevo, ma non aveva il diritto di farmi questo. Non dopo avermi fatto cambiare idea su di lei.
- Vai con calma, Alina. Arrabbiarsi non servirà a molto. - cercò di farmi placare, ma era inutile.
- Io non urlerò, non subito almeno. - dissi con le mani che fremevano, - ma quei mocciosi devono uscire da casa mia.
Infilai la chiave nella toppa e con foga spalancai la porta. Non sapevo quanti fossero, ma erano dovunque, e non si accorsero di me finché non spensi lo stereo.
- Adesso, tutti voi filate fuori da questa casa o chiamo i carabinieri. - dissi con voce ferma e sguardo fisso. - Non fatemelo ripetere una seconda volta. Fuori!!! - un ragazzotto con in mano un bicchiere di birra si avvicinò a me con aria spavalda, borbottando che non ero nessuno per dire loro cosa fare.
Ancora non so quale forza strana prese possesso di me, ma allungai la mano verso il suo bicchiere, e glielo rovesciai addosso.
- Ora, volete uscire coi vostri piedi o vi ci devo sbattere fuori io coi miei? - alcuni borbottarono, ma li ignorai, e pian piano, il mio devastato appartamento, si svuotò.
Sentivo ancora della musica, ma pensai al negozio sottostante. In fondo, era pur sempre un negozio musicale.
Non vedevo Kalika però, e la cosa mi fece insospettire.
Guardai giù per la rampa delle scale, e bloccai Jennifer, la sua migliore amica.
Nemmeno lei sapeva dove Kalika si fosse cacciata, non la vedeva più da almeno una mezz'oretta. La cosa non mi piaceva per niente.
Chiamai mia zia, lei era rimasta in fondo alle scale per controllare che tutti uscissero dal condominio.
- Non hai visto Kalika, vero? - la paura era che la ragazza si fosse nascosta fra gli altri e che fosse scappata.
- No, e prima del tuo arrivo nessuno ha lasciato l'appartamento.
- Quindi è ancora dentro, sarà in... oh no! - io e zia Lilian ci guardammo. Cosa mai avrebbe potuto combinare una ragazza della sua età, in cerca di attenzioni e di ragazzi, con una casa vuota a disposizione?
Io e zia Lilian rientrammo in casa e, seguendo la flebile musica, ci ritrovammo davanti alla porta della mia stanza.
- Fa che non sia qua con qualcuno. - dissi pregando a bassa voce. Aprendo la porta trovai Kalika. Il che era un sollievo.
La trovai, sì, ma non era sola. Con lei c'era un ragazzo, erano entrambi svestiti, ed erano nel mio adorato letto.
Spensi la radio, e, con tutta la voce che avevo, gridai loro di vestirsi, e me ne uscii sbattendo la porta, sotto lo sguardo attonito di zia Lilian. Per calmarmi cominciai a sistemare il salotto, che era completamente stravolto.
Lei fece per parlarmi, ma io le feci cenno di non farlo, ero troppo furiosa per stare a sentire chiunque. Non avrei ascoltato neppure lei.
Dopo qualche minuto uscì il ragazzo, e mi fissò intimorito.
- Esci di qui. Dopo potrete sentirvi, la cosa non mi riguarda. Ma ora vattene via. - si scusò, fissò prima me, che ero intenta a rassettare, e poi zia Lilian.
- Noi non volevamo, è stato... - zia Lilian gli fece capire con delicatezza che era meglio che se ne andasse senza aggiungere altro. Probabilmente era anche un bravo ragazzo, ne aveva tutta l'aria, ma io ero troppo arrabbiata. Troppo incattivita per trattare quel ragazzino con minor durezza.
Erano cose che succedevano. Avrei tollerato una festicciola, se me l'avesse chiesto, con meno della metà delle persone che lei aveva invitato.
Se me l'avesse chiesto.
Ma non l'aveva fatto, lei si era impossessata di casa mia, prima, e della camera poi.
Quello proprio non potevo perdonarglielo.
Kalika era in lacrime. Sbucò fuori dal corridoio e mi fissava impaurita, incerta su cosa fare o dire.
- Tu, tu sei nei guai, e non sai nemmeno quanto! - ero furiosa, ma cercai comunque di essere il meno cattiva possibile.
- Scusami, io… è sfuggita al mio controllo, e poi… - disse lei balbettando, cercando in zia Lilian una sorta di sostegno. Sapeva che lei era buona, e che era l'unica al mondo che aveva davvero il potere di riportarmi alla tranquillità. Ma quella volta neppure zia Lilian sarebbe stata in grado di placarmi.
- Pensavi di avere più tempo? - aveva un “sì” stampato in faccia. Mi scappò una risatina isterica.
- Probabilmente se la festa non fosse degenerata e se non aveste fatto tutto quel casino, avresti avuto il tempo per fare i tuoi comodi, rimettere in ordine e passarla liscia. - dissi sistemando i cuscini del divano. Non riuscivo nemmeno a guardarla in faccia, tanto era il disgusto che provavo. - Non sta a me punirti, ma mi ripagherai per quello che i tuoi amici hanno rotto e anche per le lenzuola che avete usato. Puoi anche tenertele a questo punto. - sospirai e raccolsi i cocci di un antico vaso di famiglia. Non aveva un grande valore economico, ma sentimentale. - Per fortuna questo si può comunque far riparare. Non sarà più lo stesso, ma si è rotto in modo tale che possa essere ricomposto. Quello che non si può aggiustare è altro. - l'odio che mi usciva da dentro, mi spaventava quasi. - Sai, ti ho sempre reputato sciocca, egoista ed egocentrica. Proprio come tua madre. Non ti ho mai vista come mia sorella, e la mia opinione di te sembrava destinata a rimanere pessima, ma avevo notato qualcosa. Un cambiamento, e stavo cominciando a ricredermi.
Mai avrei pensato che avresti avuto una tale mancanza di rispetto nei miei riguardi. - la mia voce tremava. - Hai profanato la mia camera. Quello, - dissi indicando verso la stanza, - era il mio letto, non il tuo. Mi sarei comunque arrabbiata per le tue bugie, ma mai tanto come per il fatto che hai usato il mio letto per poter fare i tuoi comodi col tuo ragazzo.
- Ma…
- Osi anche contestare? Osi ribattere? - dissi guardandola seria. - C'è qualcosa di quanto da me affermato che non corrisponde al vero? - lei scosse la testa.
- Come immaginavo. - sospirai. Oramai avevo scaricato tutta la mia rabbia, e non rimaneva che una sorta di delusione e di noia, - Per una volta, una soltanto, ti ho dato davvero fiducia, e questo è il ringraziamento. Tra un paio di ore dovrebbe arrivare tua madre. Fa quello che vuoi, fa i compiti, naviga in rete, telefona alle amiche o al tuo ragazzo, guardati un film. Quello che vuoi. Ma non osare, non osare, per alcun motivo al mondo, rivolgermi la parola. - il mio tono fu talmente secco, che obbedì, chiudendosi in camera.
Non sistemai nient’altro, e chiesi a zia Lilian di non fare nulla. Mi scusai con lei per averle risposto a malo modo, e lei capì, anche se mi disse che ero stata un po' troppo dura nei modi.
- Non mi ha lasciato altra scelta per farle capire come stavano le cose. - dissi fissando il vuoto, mentre sprofondavo nel divano.
- Vuoi che rimanga con te?
- No, grazie. - dissi sorridendo. - Ho solo voglia che quei due arrivino e che se la portino via.
L'attesa sembrò essere infinita, ma alla fine arrivò mio padre con Angelica.
- Alina, cosa... che diamine è successo? - chiese mio padre guardandosi intorno.
- Una parte l'ho già pulita, ma volevo che vedeste cosa ha combinato la vostra Kalika.
Spiegai loro quanto successo, omettendo solo del fattaccio avvenuto in camera da letto. Non che avessi intenzione di fargliela passare liscia, decisi solo di dire una mezza verità. Io li avevo effettivamente trovati sul mio letto mentre si stavano baciando, e quello raccontai. Quello che era stato prima non era affar mio.
Non raccontai tutta la verità solo per non turbare mio padre. Non era particolarmente all’antica, ma già il solo fatto di aver dato una festa senza il mio permesso, di avermi devastato casa, e di essersi appartata per qualche bacetto nella mia stanza, era sufficiente per mandarlo in tilt.
Entrambi i coniugi si guardarono attorno, rivolgendo, per la prima volta in assoluto, uno sguardo di delusione tale verso Kalika, da farmi sentire risollevata per tutte quelle volte che avevano fatto finta di nulla.
- Ho già detto a Kalika cosa voglio: un risarcimento per le cose rotte o danneggiate, in più un completo di lenzuola nuove e un nuovo materasso.. Per come era ridotta la stanza, deduco che prima che ci entrasse Kalika, un'altra coppietta ne aveva usufruito. Ho trovato della biancheria abbandonata.
Mio padre chinò la testa, giustamente deluso e amareggiato; anche Angelica, che era rimasta incredula fino all’ammissione da parte della figlia, non l'avevo mai vista così abbattuta.
- Avevo detto a Kalika che se voleva poteva invitare qualche amica, e le avevo anche lasciato i soldi per poter ordinare la cena fuori. - dissi guardando mio padre negli occhi. - Ha fatto il passo più lungo della gamba, e qua ora non è più la benvenuta. Questa è casa mia, e cose del genere non esistono proprio. Portatela via, per cortesia.
Prima che mio padre tornasse, ero anche scesa a recuperare le borse dello shopping.
- Ricordi, - dissi rivolgendomi a Kalika, - ieri sera mi avevi chiesto un regalo. Ti eri comportata bene, e avevo deciso di premiarti. - glieli consegnai con freddezza. - Se vuoi prendili, altrimenti buttali. Fanne quello che vuoi, ma non aspettarti mai più niente da me. - lei chinò il capo.
- Ora però non ti sembra di esagerare? - mi chiese Angelica in difesa della figlia.
- Esagerare? Questa è casa mia! Io a casa vostra non ho mai fatto nulla del genere. Non portavo neanche le amiche a casa. Se voi mi aveste trovata nel vostro letto ad amoreggiare non ve la sareste presa?
- Sì, hai ragione. - ammise, ma sentivo che non aveva ancora finito di proferir parola. - Ma siete pur sempre sorelle, e tu sei la maggiore, dovresti capire!
- Fermiamoci un attimo. Lei non è mia sorella. - sottolineai bene il “non”, cercando di non arrabbiarmi più come avevo fatto al rientro a casa. - Tu non sei mia madre, ma la mia matrigna. Abbiamo passato tanti anni assieme, non posso negare di aver vissuto tanti anni con te tanti quanti ne ho vissuti con mia madre, ma non provo affetto, solo una sorta di riconoscenza perché mio padre è felice. Ho sempre cercato di non crearvi problemi, e di rispettarti come moglie di mio padre. - dissi guardandola con altezzosità. Non era da me quel comportamento. Mi sentivo come se qualcuno mi stesse, ancora una volta, infondendo il coraggio per esprimermi. - Di madre ce n’è una sola, e la mia purtroppo è morta. Se ho sopportato la vostra presenza è solo perché vedevo mio padre felice, era tornato a vivere, e per questo ve ne sono grata. Fra noi non esiste affetto, noi siamo persone che per un po’ di anni hanno dovuto vivere sotto lo stesso tetto, ma ora è finita, non sono più fra i vostri piedi. - mi fissarono con la bocca spalancata, Angelica corse in bagno a vomitare. Mi spiaceva, ma aveva toccato un tasto dolente. Era andata a cercarsela, non poteva che biasimare sé stessa.
Mio padre mi fissò con disapprovazione, raggiungendo la moglie sconvolta. A me non importava. Era stata lei a cominciare, per questo non potevano prendersela con me.
Quando tornarono dal bagno, era visibilmente scossa, e lui l’aiutò a sedersi, preoccupato come sempre.
- Mi spiace se l'hai presa in questa maniera, ma è così che la penso, e tutti noi lo sappiamo. Non avrei voluto reagire così, ma è una di quelle cose di cui non amo parlare.
- Lo so. Però io ti considero davvero come se fossi mia figlia. Noi siamo una famiglia, indipendentemente da quello che pensi, noi lo siamo davvero. Ora stai per avere un altro fratello o un’altra sorella.
Avrei voluto risponderle a tono, ma mio padre mi fulminò con lo sguardo non appena aprii la bocca per ribattere. Non aveva mai fatto così. Non potevo però tacere, così optai per una versione edulcorata di quello che era il mio pensiero.
- La mia famiglia è morta dieci anni fa in un incendio che ha consumato tutto, la casa, i ricordi e gli affetti. Non mi ha portato via solo mia madre, ma anche mio padre. - dissi sospirando. Mio padre era lì, ma l’incendio, e l’arrivo delle due, avevano portato via una parte di lui.
Eravamo tutti stravolti, e mi lasciarono sola, trascinandosi fuori dal nostro condominio.
Non appena rimasi sola, cominciai a piangere, buttando fuori tutto il nervoso che mi stavo tenendo dentro.
Zia Lilian mi sentì singhiozzare, e venne da me per consolarmi, come aveva sempre fatto in circostanze simili, stando con me fino alle prime luci dell’alba.


Avevo sempre aspettato che arrivasse un cambiamento, un’occasione davvero unica e speciale per scrollarmi di dosso tutto quello che mi aveva fatto soffrire
Eppure eccola lì l'occasione tanto attesa.
Pensavo però che sarebbe stata più motivo d'orgoglio che di vergogna. Pensavo che sarebbe stata il momento in cui mi sarei sentita libera. Eppure ero ancora schiava delle mie debolezze. Detestavo perdere il controllo, eppure non mi ero trattenuta. Volevo essere più matura e imparare a gestire in maniera migliore anche le situazioni di crisi come quella.
Un giorno sarei riuscita a diventare quel modello di donna a cui aspiravo, pensavo.
Un giorno sarei riuscita ad essere la donna che volevo diventare, ma la strada era ancora lunga.
C'era però un qualcosa di nuovo in me, qualcosa che mi aveva fatta spaventare, ma al contempo, mi aveva dato un'energia che mai, prima di allora, avevo avuto.
Sia quando avevo varcato la soglia di casa, che quando avevo fronteggiato mio padre, avevo sentito una forza misteriosa che mi aveva permesso di dire ciò che pensavo, con un impeto che mai avevo dimostrato.
Forse quella donna, quell'Alina era sempre esistita, ma non avevo mai avuto il coraggio di tirarla fuori.
Non sapevo come mai proprio in quei momenti si era palesata, ma, ogni volta che ci pensavo, il mio pensiero volava al principe dei miei sogni che mi abbracciava e mi spronava nelle notti più dure.
Anche se era solo un sogno ricorrente, quel sogno mi aveva permesso di fare un passo avanti.



 
L'angolo di Shera♥

Salve a tutti, come promesso son tornata ^_^, e in fretta.
Finalmente la parte più "noiosa" della storia è quasi finita.
So che ci sono degli, indiretti, rimandi alla fiaba su Antares (il principe del sogno, è simile, ma è diverso XD), vi assicuro però che gli sviluppi saranno completamente diversi.
Ho messo parecchia mano a questo capitolo, sia sviluppando la parte dei sogni di Alina, sia sviluppando anche altri elementi di contorno. Non essenziali, ma che servono per rendere la storia meno piatta, banale e stupida.
Fino ad ora ci siamo concentrati sulla quotidianità di Alina, della sua famiglia, e dei suoi sentimenti.
Può essere il tutto noioso, ma è una parte che serve per lo sviluppo del personaggio, e per capie meglio il suo punto di vista.
Alina è una ragazza di ventuno anni, non è perfetta, non è ancora molto matura. Ha ragione a comportarsi così, oppure è troppo irruenta ed egoista?
Questo spetta a voi deciderlo. Io ovviamente sto dalla sua XD.
Nel prossimo capitolo non arriveranno ancora i miei personaggi preferiti, ma finalmente ci siamo quasi.
Ce ne è voluta, ma le cose stanno cambiando.

Il prossimo lunedì mi tocca partire per il mare, non che la cosa mi rattristi, ma stare lontana dal pc sarà pesante (non per altro, ma perché vorrei rimettermi in pari con i racconti, e durante quei 5 giorni non potrò fare altrimenti, ahimé).
Non sarà proprio vacanza. Noi andremo giù per sistemare la roulotte e quant'altro U_U. 2 giorni per sistemare, e 2 di pausa. Venerdì si parte la mattina presto, quindi parliamo di 4 giorni effettivi.
Insomma, nulla di che, ne approfitterò per leggere, e di libri ne ho davvero tanti.
Sto finendo un libricino introduttivo all'induismo, e in lista ne ho altri (contando anche un pdf) sette.
Non mi annoierò più di tanto XD.

Spero che la storia stia piacendo (?!), se avete commenti, pareri, critiche, suggerimenti o pareri positivi, sarei felice di sentirli.
Grazie per tutto
Baci

Shera♥

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Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


- Capitolo Quinto -


Dormii profondamente quella notte, nella camera che avevo destinato a Kalika, sognando del mio principe e dimenticandomi di quanto accaduto.
Mi risvegliai con la sensazione che il principe mi avesse chiesto di cercare qualcosa, qualcosa per andare da lui.
Se solo fossi reale”, pensai amaramente.
Mi alzai inspiegabilmente di buonumore, e zia Lilian approfittò del giorno di chiusura del negozio per darmi una mano: dopo il casino combinato dagli scatenati amici di Kalika, ne avevo di lavori da sbrigare.
Dovevo fare una stima dei danni fatti e andare a comprare materasso e lenzuola nuove.
Sistemare quel casino richiese tutta la mattinata. Ci fermammo da Mike per un panino veloce, in attesa dell'apertura del negozio di arredamento.
- Ve la siete spassata ieri. Avreste anche potuto invitarmi! - scherzò lui. Lo fulminai con lo sguardo, non ero ancora entrata nella fase del “ora possiamo riderci sopra”.
- Non ci provare, Mike. Kalika mi ha fatta uscire di senno ieri.
- Lo so, era per sdrammatizzare. Vedrai che anche questa non sarà che una brutta esperienza della quale finirai per dimenticartene. Non devi darle peso. - Mike mi sorrise, e il suo sguardo si spostò su zia Lilian. - Lilian... - si schiarì la voce, - degli amici mi avrebbero regalato dei biglietti per il teatro. So che a te piaceva l'operetta e mi chiedevo se tu non avessi voglia di venire con me. - disse tutto d'un fiato.
Zia Lilian lo fissò incerta, stupita da quell'inaspettato invito.
- Se vuoi andare, zia, non ci sono problemi col negozio. Altre volte mi sono occupata da sola della chiusura. - la rassicurai. Era da tanto che non usciva con nessuno, e Mike era un bravo ragazzo. Lei non era interessata a lui se non come amico, ma se ci fosse uscita, forse, avrebbe potuto anche mettere una pietra su quell'uomo che non era stato in grado di ricambiare il suo amore.
- Ci penserò, Mike. Devo vedere i miei impegni, ma ti prometto che massimo domani mattina ti farò sapere. - la delusione sul volto di lui mi fece stringere il cuore. - Alina, vogliamo andare al negozio d'arredo?
Annuii e la seguii verso l'auto.
- Fossi in te accetterei l'invito. - la vidi arrossire mentre apriva la portiera.
- Lo so... ma non credo di essere pronta. - zia Lilian era una donna dolcissima, e anche parecchio timida. Non lo dava a vedere, ma mettersi in gioco con un uomo la metteva a disagio. Era in grado di affrontare moltissime difficoltà, ma di mettere in gioco il proprio cuore era una cosa davvero ardua per lei. Aveva troppa paura di aprirsi e di perdere tutto.
Eravamo molto simili sotto quell'aspetto, e per questo preferii non insistere. Speravo che, da sola, prendesse la decisione di dare una possibilità a quel ragazzo.
Se son rose fioriranno, diceva il detto. E io speravo che zia Lilian potesse davvero trovare la sua isola felice con un brav'uomo che l'amasse e la valorizzasse come lei meritava.


La nostra uscita per lo shopping fu molto più rapida di quanto non avessimo previsto.
Per un attimo mi aveva sfiorata l'idea di cambiare anche la struttura del letto, ma mi piaceva troppo per sacrificarla a causa di quello che la ragazzina aveva combinato.
Se avessi dovuto spendere tutto di tasca mia, avrei senza dubbio scelto prodotti, non scadenti, ma a buon mercato.
Dato che a pagare i danni, sarebbero invece stati mio padre ed Angelica, avevo deciso di darmi alla pazza gioia.
Non erano beni di lusso, ma era tutto quello che era stato rovinato o rotto.
Passai anche da un antiquario per sistemare il vecchio vaso di famiglia. Altre cose erano andate in frantumi, alcune recenti, altre più antiche, e non tutte erano riparabili. Quel vaso in particolare, che apparteneva alla famiglia di mia madre da quasi duecento anni, era la mia priorità.
Non potevo non fare quanto in mio potere per sistemarlo.
Il restauro avrebbe richiesto un po' di tempo, ma il preventivo da lasciare a mio padre, era già pronto.
Non appena finimmo tutte le commissioni, mi recai in ufficio da mio padre per consegnargli la documentazione di tutto quello che avevo dovuto ricomprare, e di quello che l'antiquario era in grado di riparare.
Riconobbi che parte della colpa era anche mia: avevo lasciato sola un'adolescente immatura, non ancora pronta alle responsabilità. Quella era stata la mia colpa.
Tuttavia, se i genitori l'avessero educata adeguatamente, tutto quello non sarebbe accaduto, quindi erano loro a dover rispondere delle azioni della figlia.
- … questo è tutto. Per restituirmi la somma fate pure con comodo, avevo abbastanza soldi da parte per coprire tutte le spese. - ma mio padre scosse la testa.
- No, Alina. Ti firmo subito un assegno. Kalika è in castigo adesso, ed è mortificata. - disse lui evitando il mio sguardo. - Te lo assicuro.
- Almeno ha capito di aver sbagliato, questa volta.
- Sì, e stai pur certa che né io, né Angelica, saremo molto clementi con lei. Non si è semplicemente comportata in maniera stupida, ma ha creato un danno materiale. Anche se è la prima volta che succede, non possiamo far finta di nulla. - Quella era una delusione che non sarebbe passata tanto in fretta.
Estrasse il blocco degli assegni dal cassetto, e, senza battere ciglio, me lo firmò, consegnandomelo con mano leggermente tremula.
- Mi dispiace.
- Lo so, papà. Non è colpa tua, non sono arrabbiata con te. - lui sorrise dolcemente.
- Spero che, nonostante quanto successo, i rapporti fra noi non... - mi stavo emozionando, e subito lo abbracciai.
- Tu sei sempre mio padre. Questo è solo un... incidente di percorso. Non conta nulla. - dissi singhiozzando.
- Angelica ne sarà entusiasta. E anche Kalika.
- Aspetta, cosa? - Rovinato un momento perfetto. Mi ritrovai a cacciare subito via le lacrime.
- Erano entrambe preoccupate, dopo la tua sfuriata, che non le avresti mai più volute rivedere. - mi spiegò lui sorridendo. - Io però sapevo che la tua reazione alle azioni di Kalika, era giustificata, ma non era la fine del nostro rapporto. Sapevo che in fondo...
- No papà. - lui non avrebbe mai capito. - Angelica è tua moglie, l’ho accettata da tempo e su questo argomento non credo ci sia molto da dire. È un fatto, e come tale non dirò più nulla, ma voglio limitare al minimo indispensabile i nostri incontri. E questo a prescindere da quello che Kalika ha combinato. - non riuscivo a guardarlo in faccia, tanta era la mia delusione. - Se sua figlia non avesse fatto ciò che ha fatto, se lei non avesse dovuto puntualizzare dove non doveva, ieri non sarei esplosa una seconda volta.
Ci saremmo allontanate pian piano, del resto, avrete presto il vostro bel da fare... Sapevo che anche con te avrei avuto meno tempo da passare, e lo avevo accettato. Ci saremmo comunque sentiti, sei mio padre, e io ti voglio bene.
Io ci ho provato, ma non ci riesco, e non intendo più provarci. Ho dato una possibilità a Kalika, ho anche pensato che, per come stavano andando le cose, in quelle poche occasioni in cui ci saremmo viste, le cose non sarebbero poi state così pesanti e spiacevoli. Ho sbagliato, ho visto male. - lui era ormai rassegnato.
- Mi spiace, Alina. Mi spiace, che tu veda così le cose. Voi siete le persone più importanti della mia vita, e vorrei davvero che andaste d’accordo, ma se non è possibile, accetterò. - lo ringraziai.
- Ora devo andare, zia Lilian mi sta aspettando da basso, abbiamo da sistemare un po' di cose a casa. - Presi l'assegno e feci per uscire, quando Angelica entrò in ufficio con del tè.
- Permesso. Ciao, Alina. - leggermente imbarazzata, la salutai con un cenno del capo. Anche lei sembrava un po' a disagio. - Alina, ti chiedo scusa per Kalika. So che nulla di quanto io possa dirti, potrà cambiare il rapporto fra noi. So che sei arrabbiata, e che in questo momento non vuoi vedere né me né mia figlia, ma spero che in futuro le cose possano tornare come erano prima. - disse con un sospiro, massaggiandosi la pancia. La carta della pietà, non mi era nuova, ma non mi sarei lasciata fregare ancora.
- Per papà, sopporterò di vedervi ancora, e di fingere che le cose vadano “bene”. Ma non ora. - Sapevo che anche quello era darle un contentino, ma non potevo fare altrimenti per stare ancora a fianco di mio padre.
- È già qualcosa. - mi sorrise come se avesse vinto lei. Lo sapevo, ma non mi arrabbiai. - Tu hai sempre tenuto tutti a distanza, eccetto tuo padre, ma anche con lui hai eretto un muro invalicabile. Sono dispiaciuta perché tutto questo è sbagliato, non devi chiuderti così. - disse con voce dolce. - Non ti sto chiedendo di diventare amiche, né di frequentare tutti i giorni casa nostra. Non puoi però sparire dalla nostra vita. Noi ti vogliamo bene, e questo non devi scordarlo. - troppo, troppo mielosa. Con quel discorso, la cattiva sembravo io che trattavo male i miei familiari, e che mi chiudevo a riccio. C'erano momenti in cui mi chiedevo anche se i suoi comportamenti erano frutto di finzione. Però poi la guardavo negli occhi: era sincera. Certo, voleva che le cose andassero bene per lei e la sua famiglia, aveva voluto il comando dell'azienda, e l'aveva ottenuto. Ma l'affetto per mio padre non era frutto di finzione. Sapere che c'era qualcosa di buono in lei, era per me una pugnalata. Mi sentivo davvero cattiva quando volevo semplicemente allontanarmi da mio padre per non doverlo dividere con lei e la figlia.
Dentro di me mi dibattevo, perché non riuscivo a capire come fosse davvero quella donna. Angelica non era né bianca né nera. Vedevo le sue sfumature, nel bene e nel male; per questo non mi riusciva di odiarla pienamente, entrando così in conflitto con me stessa. Avrei davvero voluto che lei fosse finta e cattiva, così avrei avuto meno sensi di colpa nell'odiarla.
- Ora devo andare. - chiusi così la discussione non volendola prolungare ancora. - Ci sentiamo, papà.
Sapevo che avrei finito ancora con l'accontentare mio padre, frequentando ancora la sua famiglia, che invece avrei voluto non rivedere mai più.
Per quanto cercassi di cambiare, alla fine, rimanevo sempre la solita Alina. I miei comportamenti non cambiavano, io non cambiavo, ma certi lati del mio carattere, sapevo di averli smussati. Non ero del tutto cambiata, forse ero maturata.
Non avrei smesso di provare diniego nei loro confronti, e non sarei stata più gentile di quanto non lo ero stata in passato... però, forse, il mio approccio sarebbe stato meno negativo, meno ostile. Non per loro, ma per me.
Forse me la sarei presa meno a cuore, speravo di riuscire a distaccarmi davvero e di non stare più male.
Forse non sarei mai stata tanto matura da accettare a cuore aperto quella famiglia allargata che avevo rifiutato con tutta me stessa fin dal principio, ma un giorno non avrei più sofferto. Un giorno, mi dicevo, sarò in grado di non soffrire più per causa loro.


Il giorno dopo tornai a lavorare in negozio, e con mia grande sorpresa, mi sentivo più leggera.
Passarono le settimane, e tutto il nervosismo causato da Kalika, sembrava essere svanito. Mi vedevo con mio padre ogni tanto, solo noi due, ed ero davvero felice di quella insolita situazione. Non mi era capitato di restare sola con lui da così tanti anni, eccezion fatta per l'anniversario della morte di mamma, che non mi sembrava vero.
L'ultima volta che eravamo usciti insieme, senza l'allegra famigliola a seguito, era stato per il mio quindicesimo compleanno. Mio padre mi portò in un parco divertimenti, e anche se non ero più una bambina, mi divertii moltissimo,, recuperando il tempo perduto. Quello era uno dei pochi ricordi felici e spensierati di quegli anni.
Ripresi a frequentare casa loro, ma solo una volta al mese. Il clima tra me e le due donne di casa era ancora molto freddo, e non intendevo assolutamente modificare le cose. A me andava bene così: parlavamo poco, e di cose superficiali.
Non avevamo più toccato argomenti tabù, e Kalika mi rivolgeva la parola il meno possibile. Non sapevo se per paura, o per astio, dato che dopo la sua festa, era rimasta confinata in casa per due mesi. Dalla sua prospettiva, poteva anche aver dato la colpa a me per le sue disgrazie. Io non lo sapevo, e non mi interessava.


Erano passati già un po' di mesi, eravamo arrivati a metà Gennaio e la pancia di Angelica cominciava a essere parecchio evidente. Era oramai giunta al sesto mese.
Quella sera ero ospite a casa loro, e mio padre non era ancora arrivato a casa.
Intanto che Angelica era in cucina per sistemare la cena, dato che avevo già apparecchiato la tavola, mi sedetti su quella che una volta era la mia poltrona, e presi il giornale.
Non ero particolarmente interessata a quello che c'era scritto, ma eravamo in sala solo io e Kalika: se avevo qualcosa da fare, quel silenzio imbarazzante sarebbe stato meno fastidioso.
- Perché non glielo hai detto?
- Detto cosa? - Kalika mi aveva fatto quella domanda dal nulla. Dopo mesi di silenzio quasi totale, era la prima volta che mi chiedeva qualcosa al di là dei soliti convenevoli.
- Quello che è successo davvero quel giorno. – Avevo cercato di rimuovere i dettagli meno piacevoli di quella giornata. Non avevo dimenticato, ma non ci passavo le notti sopra per ricordarli. La fissai stupita. - Perché hai detto che io e Jacopo ci stavamo solo baciando?
- Perché non volevo dare preoccupazioni a mio padre, e forse anche a tua madre. Sai, per via della gravidanza. - dissi ritornando a guardare il giornale, senza però leggere davvero quello che avevo di fronte. - Ho pensato che sarebbe stato sgradevole per loro scoprire che l'adorata figlioletta, appena quattordicenne, si dava da fare. Dal mio punto di vista sei precoce, ma capisco che ognuno ha i propri tempi.
Ci sono quattordicenni maturi per la loro età, che capiscono ciò che fanno e gli danno un peso. Altri che sono immaturi e non capiscono ciò che fanno, o che comunque non gli danno peso. Ognuno fa ciò che vuole della propria vita, spero solo che tu abbia due dita di testa e che non ti butti senza prima pensare a un paracadute. - feci una breve pausa per guardarla da sopra il giornale. Sembrava imbarazzata. - La cosa, comunque, non mi riguarda e, ovviamente, non mi preoccupa nemmeno. Lo so che non sono fatti miei, quindi non ti farò la predica.
- Avresti potuto mettermi nei guai, - ci pensò un attimo, - di più. Avresti potuto davvero farmi fare la ramanzina del secolo. O peggio.
- Lo so. - Avrei anche voluto, e mi sarei davvero divertita ottenendo un po' di giustizia... ma alla fine avevo scelto di non farlo.
- Quindi perché?
- Te l’ho detto: per mio padre, principalmente. - mi guardai attorno, non era saggio parlare di quell'argomento con Angelica che poteva sbucare fuori da un momento all'altro. - Ti ricordo, e dovresti averlo studiato, che la gravidanza è un momento molto delicato per ogni donna. Sebbene io non ami tua madre, non potevo certo metterla in crisi per via degli ormoni impazziti della figlia. Ha già molto a cui pensare, non credi anche tu? – lei annuì.
Di sicuro, la ragazzina, era ancora immatura sotto molti aspetti. Ma alla madre ci teneva, e il pensare a lei, e a quello che aveva combinato, forse l'aveva resa un po' più matura.
- Io ero molto in imbarazzo per quanto successo. Avrei voluto scusarmi altre volte, ma avevo paura, non solo di te, ma anche per un'altra cosa. Quel giorno... sai, è stata la mia prima volta, e il profilattico si era rotto. Ero disperata, non sapevo con chi parlarne e finché non mi è arrivato il ciclo ho temuto che...
- Tua madre non è troppo all'antica. Secondo me le farebbe piacere se tu le parlassi dei tuoi “tumulti interiori”.
- Mi imbarazza molto, e temo che potrebbe arrabbiarsi. - Quella era una delle rare volte in cui provai invidia per Kalika. Lei aveva una madre con cui confidare i suoi problemi. Io avevo zia Lilian, ma non era lo stesso.
- Parlare di ciclo, di prevenzione e cose di questo tipo, una buona madre lo sa fare. E tua madre, con te, si è rivelata abbastanza buona. Se dovessi avere problemi o dubbi, ti consiglio di parlarne con lei. Sono certa che capirà e che ti saprà consigliare.
- Grazie. - mi rispose con un largo sorriso.
- Prego. – ricambiai il sorriso con gesto automatico. Non volevo fare la “buona sorella maggiore”, ma capivo. Non mi ero mai trovata in una situazione analoga, ma di certo, avrei voluto avere una spalla a cui appoggiarmi se a quell'età mi fossi trovata anche io a dover affrontare una tale situazione.
Kalika era stata molto fortunata.
Anche se non le ero affezionata, ero contenta che le cose le fossero andate bene.
Se fosse rimasta incinta, le tragedie greche che ne sarebbero seguite, sarebbero state infinite.
- Scusate il ritardo. Il traffico, questa sera, era davvero impossibile. - finalmente potevamo cenare, papà era arrivato.


La settimana successiva invitarono me e zia Lilian a cena. Era il compleanno di mio padre, compiva cinquant'anni, e quale occasione migliore per stare tutti insieme?
C’erano anche i genitori di Angelica, e solo l'amore per mio padre mi aveva fatta trascinare fuori di casa.
- Se vuoi, Alina, possiamo inventare una scusa... - vedendomi depressa tutto il giorno, Lilian mi suggerì di mentire. Non era da lei; solo perché conosceva bene il motivo di tale malessere, mi aveva consigliato di non uscire.
- Non potrei fare questo a mio padre. - sospirai infilandomi il dolcevita nero. - Speriamo solo che duri meno del solito.
Ero restia a vedere Kalika e Angelica, ma lo ero ancor di più nel veder la matrona della famiglia.
Nonostante fossero passati anni dal nostro primo incontro, e nonostante Angelica avesse sempre cercato di farmi sentire di famiglia anche con loro, io davo loro ancora del lei, e li chiamavo “signore” e “signora”.
Quando arrivammo a casa, loro erano già lì, e la madre, Alberta, squadrò me e zia Lilian con il consueto sguardo di disapprovazione.
Mal sopportava, oltre me, anche zia Lilian perché sapeva quanto lei tenesse a me e a mio padre. Aveva sempre temuto che lei potesse un giorno allontanare mio padre da sua figlia, e quindi dai suoi beni.
Le sue, sfortunatamente, erano paure infondate dato che mia zia non si sarebbe mai comportata in una maniera tanto disdicevole. Forse Angelica avrebbe potuto farlo. Lei, la signora Alberta aveva cercato con ogni mezzo di conquistare il ricco padre di Angelica, Federico. Per sua fortuna, quell'uomo buono e gentile, era caduto nella sua rete.
Per mia fortuna, invece, lui non era odioso come lei, e, quelle rare volte che ci incontravamo, riuscivamo a conversare amabilmente.
Lui era l'unico membro di quella famiglia, che io riuscissi a sopportare.
Grazie alla presenza di zia Lilian e di Federico, la serata fu piuttosto piacevole.
Noi tre parlammo a lungo in salotto, evitando le noiose chiacchierate fra le tre donne di famiglia e mio padre. Erano discussioni superficiali e sciocche, più legate alla vita mondana, agli acquisti fatti, e a quelli da fare. Mi chiedevo sempre come mio padre riuscisse a resistere in mezzo a loro tre.
A noi, io, zia Lilian e Federico, non interessavano quelle sciocchezze, e preferivamo conversare d'altro.
Con Federico era impossibile annoiarsi. Da quando era andato in pensione aveva coltivato un'infinità di hobby, e ogni volta mi parlava delle ultime esperienze che aveva fatto. Era un uomo molto attivo, che amava, inspiegabilmente la moglie, ma che non era cieco di fronte alla sua mancanza di educazione nei miei riguardi. Spesso e volentieri l'aveva ripresa dopo che la donna mi aveva maltrattata. Non le piacevo, e avevo sempre saputo che tale antipatia nasceva dal fatto che la donna temeva che avrei tolto alla figlia il benessere raggiunto.
Oramai avevo rinunciato da tempo a quello che doveva essere mio, ma la donna mi era ancora ostile.
- Non farci caso, Alina. Lei odia tutti quelli che non sono come lei... e per fortuna, tu non lo sei. - mi disse lui una volta sogghignando. - Amo mia moglie, ma certe volte non la capisco proprio. È così superficiale...
Risi quando me lo disse. Risi perché sapevo che al di là di quello, lui era ancora innamoratissimo di quella donna dall'animo davvero superficiale.
Tutto sembrava andare bene, fino a quando Alberta non si decise a rivolgermi le solite domande imbarazzanti. Lei conosceva già la risposta, ma ogni volta era l'occasione buona per lei, per punzecchiarmi.
- Allora Alina, il fidanzato? – mi chiese col sorriso stampato in volto. È una domanda che in apparenza non è fastidiosa, ma il motivo per il quale la donna me la faceva ogni volta, lo era.
Una volta l'avevo sentita parlare con la figlia, e la donna aveva detto sghignazzando che ero talmente bruttina e rotondetta, che non sarei mai riuscita a trovare nessuno. Il mio carattere era troppo chiuso, non solare e piacente come Angelica o la sua adorata nipote. Io non valevo niente, e per questo sarei sempre rimasta sola.
Lei me lo augurava, così che non potessi mai tornare sui miei passi e richiedere la mia eredità per avere una vita agiata per una mia ipotetica famiglia.
Anche se ci avevo rinunciato, mio padre sarebbe stato pronto a restituirmi la mia eredità aziendale.
Alberta era molto previdente, e se fossi stata come lei, allora sì che avrebbe dovuto preoccuparsi. Io però non ero un'arrampicatrice sociale.
- Non ce l’ho, Alberta. Per il momento sto molto bene da sola. Posso sistemarmi con calma, non c'è alcuna fretta. - La donna sembrò contrariata. Le avevo risposto con una tale calma, che lei rimase delusa del suo fallimento. Voleva infastidirmi e non c'era riuscita.
Federico cercò di non scoppiare a ridere con zia Lilian, ovviamente, nemmeno lei aveva una gran simpatia per Alberta.
Credo anche che sotto sotto, nemmeno mio padre provasse una gran stima per lei. Solo l'amore per la moglie gli aveva fatto chiudere un occhio sui suoi atteggiamenti discutibili.
Dopo quella piccola parentesi, Alberta non mi parlò più, e la serata si concluse serenamente.


Il giorno dopo tornammo alla solita vecchia routine, ma zia Lilian aveva in mente una piccola sorpresa per me.
- Da domani sei in ferie, Alina. – mi disse mentre stavo aprendo una delle scatole appena arrivate. Rischiai anche di tagliarmi col taglierino tanta era la sorpresa.
- Come?
- Sì, hai capito bene.
- Ma come, abbiamo parecchio lavoro ultimamente.
- Sì, ma hai delle ferie in arretrato. Devi smaltirle. - mi fece l'occhiolino. - Non ti voglio obbligare ad andare fuori città, puoi anche rimanertene tranquilla e beata a casa, ma devi riposarti. Stai lavorando da tanto senza avere un giusto periodo di riposo. - mi prese di mano il taglierino e mi abbracciò. - Stai cominciando a scaricare le tensioni accumulate. Ultimamente sei più fiacca, e anche la cena di ieri ti aveva messo addosso un po' di ansie. Devi riposarti!
- Non posso. Ho già preso tanti permessi ultimamente.
- Permessi dovuti, nulla che non avrei fatto anche per altri dipendenti, mia cara. Inoltre se ti riposi adeguatamente torneresti più attiva al lavoro. – mi strizzò l’occhio.
Come diceva lei, negli ultimi mesi mi ero concentrata sul lavoro per non pensare. Avevo dovuto affrontare parecchi cambiamenti, e altre situazioni non proprio gradevoli.
La cena per il compleanno di mio padre con la famiglia di Angelica, non era per me altro che motivo di ulteriore tensione.
- Forse hai ragione, zia.
- Certo che ho ragione. - rise lei di gusto. - Non ti fidi del mio infallibile intuito? - risi anche io. Una bella vacanza non mi avrebbe di certo uccisa. Ne avevo davvero bisogno per poter poi tornare al lavoro e dare il meglio di me.
- Buongiorno ragazze. – disse Casia entrando nel negozio e avvicinandosi al bancone.
- Buongiorno, Casia. - la salutai con allegria, - Allora, hai visto l'ultimo film che ti ho suggerito?
- Certo, mi hai consigliato davvero bene. Ma è difficile che tu faccia il contrario. So che di te posso fidarmi. - sorrise allegramente. - Allora, ci sono novità? Sembrate molto allegre quest'oggi.
- Sì, Alina si prenderà una settimana di ferie. - mi anticipò zia Lilian.
- Era anche ora aggiungerei io! Non volevo dirtelo, cara, ma ultimamente mi parevi parecchio sciupata. - disse prendendomi il viso con una mano e facendomelo ruotare per esaminarlo. - Devo però ammettere che rispetto a qualche settimana fa, sembri un'altra persona. In meglio ovviamente.
- Sarà che vivere da sola sta presentando molti più vantaggi di quanto non avessi immaginato.
- Fa parte della crescita, mia cara. Immagino che ti manchi molto tuo padre. - Casia sapeva quanto gli fossi affezionata, e, nonostante il clima teso fra di loro, mi aveva sempre spronata a non abbandonarlo.
- Sì, beh, papà mi manca. Credo sia anche normale, ma quella non era mai stata casa mia. Lasciarla non mi è pesato poi così tanto. – Casia annuì, e mi fece i complimenti per come avevo gestito tutta la storia. Lei era una donna forte, non sopportava costrizioni e ingiustizie, e più di una volta aveva cercato di convincermi a trasferirmi da zia Lilian. Forse avrei dovuto darle ascolto.
Non aveva mai capito come mio padre si fosse innamorato di Angelica. Con tante donne migliori in giro, diceva lei, perché dover andare a prendere una donna come quella. Vista anche la famiglia che si ritrovava, riferendosi unicamente ad Alberta ovviamente.
Aveva sempre fatto il tifo per Lilian, ma sentiva che quei due non erano fatti per stare insieme.
- Allora, Alina, cosa farai? Sai già dove andare a trascorrere le ferie?
- A dire il vero è stata una cosa dell'ultimo minuto. Non ho ancora avuto modo di pensare a una meta in particolare. - in realtà avevo solo voglia di starmene tranquilla in casa. - Potrei sempre starmene in panciolle sul divano.
- Come?!? Eh no signorina. Devi fare una vacanza come si deve! - brontolò lei. Per Casia non esisteva lo “starsene in panciolle”, oziare. Se per lei tutto era un'avventura, lo doveva essere anche per gli altri.
- Voglio solo riposarmi, Casia. Alla fine le ferie servono a quello.
- Lo sai bene, Casia, che Alina è un animale solitario. Lei è sempre stata così. - cercò di difendermi Lilian. Anche lei avrebbe preferito vedermi staccare completamente da casa, ma rispettava le mie scelte.
- Non dicevi sempre di volere un’avventura da romanzo?
- Sì, ma un conto è sognare, un altro conto è viverlo davvero. - Una vera avventura? Magari, ma in quel caso, una bella settimana dedicata allo svago, ai film o alla lettura di tutti quei libri lasciati in sospeso, erano per me sufficienti. - Senza contare che questo non è proprio il mondo dove vivere un’avventura come si deve. Posso passare anche una settimana tranquilla a casa, e godermela ugualmente.
- Sciocchezze! - Casia aveva già deciso per me. La guardai sorridendo, cercando di farle capire il mio punto di vista. Erano successe tante cose, e le ferie erano già un qualcosa di nuovo. Di sicuro mi servivano, ma non avevo né il tempo, né la voglia di cercare un albero o di organizzare una grossa vacanza. - Vedo che non riesco proprio a farti ragionare. Però potresti prendere in considerazione questo parco. – disse mostrandomi una cartina. - Ho lì vicino una casa, potrei prestartela per qualche giorno. È molto rilassante, e l'aria fresca di montagna non credo ti dispiaccia. C'è un sacco di neve, e mi pare di ricordare che tu la adorassi. - Casia aveva ragione, io adoravo la montagna e la neve. Erano anni che non andavo in montagna d'inverno... a dire il vero neanche in estate. Non era molto lontano, e c'era qualche altra fonte di svago oltre alle passeggiate. Mi sarei portata dietro la macchina fotografica.
- Non sembra male. - zia Lilian e Casia mi fissarono in attesa di una risposta affermativa. - Ok, aggiudicato.
- Perfetto e dato che ci vai, potresti cercare il mio specchio? L’ho perso l’altro giorno camminando nella neve. - Ah, ecco spiegato perché ci tenesse tanto. Non che Casia fosse una donnicciola opportunista, ma spesso chiedeva agli altri dei favori mascherandoli come aveva fatto in questo caso. Ma non potevo certo arrabbiarmi con lei. Nessuno poteva farlo, Casia era semplicemente Casia.
- Capisco. Com'è fatto? Ti ricordi il punto dove potresti averlo perso?
- Ha la cornice e il manico argentato, con delle figure in rilievo. Ci sarei tornata io nei prossimi giorni, ma dato che vai te... ne approfitto. – Casia frugò nella borsa fino a che non trovò un'altra cartina di uno dei percorsi turistici, indicandomi la zona dove era certa di aver perso il prezioso oggetto.
- Va bene, Casia, ma solo perché sei tu.


Zia Lilian mi aveva concesso non una, ma due settimane di ferie, così decisi di aspettare la domenica per partire. Fui fortunata, e trovai pochissimo traffico lungo il percorso. Mi diressi immediatamente nella baita di Casia, era molto grande e spaziosa. Casia aveva anche chiesto a dei suoi amici della zona a cui aveva lasciato la copia delle chiavi di casa, di precedermi, in modo da accendere subito il riscaldamento. Fu davvero bello entrare nella baita e trovare un ambiente caldo, in contrasto col freddo gelido dell'esterno.
C'era un bellissimo caminetto, e gli amici di Casia, mi avevano già portato dentro un bel po' di legna.
Non sarei morta di freddo durante la mia permanenza, quello era poco ma sicuro.
Dopo aver sistemato i miei bagagli in camera, scesi in paese per fare un po' di spesa, e subito dopo averla riposta in cucina, uscii per fare una passeggiata.
Ci fu un momento in cui mi balenò per la testa un atroce sospetto: Casia non mi tormentava da un bel po' sul fronte fidanzati. Temevo mi avesse organizzato qualche incontro.
Subito scacciai il pensiero, e cercai di godermi la neve fresca.
Avevo con me la cartina, e riconobbi la zona: era lì che Casia aveva probabilmente smarrito il suo specchio. In quel momento cominciò anche a nevicare.
- Se voglio trovarlo, mi conviene cercare in fretta e tornare a casa.
Cercai per una mezz'oretta, e mi sentivo stanchissima. Il sole sarebbe calato entro un'ora: dovevo tornare, o rischiavo di perdermi.
Stavo per lasciare la radura nella quale mi trovavo, quando vidi brillare qualcosa a pochi passi da me.
Trovato! Era sempre stato sotto al mio naso.
Lo presi in mano, e trovai che non ci fosse nulla di più bello del favoloso specchio che avevo in mano. Cornice e manico erano finemente lavorati, in rilievo c’erano un sacco di fiori e una ninfa sul lato sinistro.
Aveva come un che di familiare, ero sicura di averlo già visto.
La testa cominciò a martellarmi, ed ebbi un flash di un mio sogno. Un sogno col mio principe ovviamente, in cui mi chiedeva, in una lingua a me sconosciuta, ma che comprendevo, di trovare qualcosa.
Lui mi chiese di trovare uno specchio per poterlo raggiungere. Lui mi aveva chiesto di trovare proprio quello specchio!
- È... impossibile... - e in quel momento, lo specchiò si illuminò. Per lo spavento lo lasciai cadere, ma questo continuò ad emettere luce. Mi chinai per raccoglierlo, ma subito sentii come se esso stesse cercando di risucchiare dentro di sé tutto quanto: l'intera radura, il suolo, gli alberi... e anche me stessa.
In quel momento mi passò davanti tutta la mia vita, pensai a mio padre, mia madre, Lilian, Casia... persino ad Angelica e Kalika.
“È finita” pensai cominciando a piangere, mentre tutto, attorno a me svaniva. Mentre io svanivo nella luce più pura.


- Ahio! – gridò qualcuno riportandomi alla realtà. Era come se mi fossi svegliata da un sonno pesantissimo, mi doleva la testa e tutto girava attorno a me.
Quando il mal di testa passò, e quando il paesaggio si fermò, capii che qualcosa era cambiato.
La radura era identica, ma sembrava essere appena arrivata la primavera.
Sentii borbottare ancora, la terra sotto di me si mosse, e io caddi su un lato. Quella che si era mossa però, non era terra, quello era un uomo. Un uomo visibilmente arrabbiato che, una volta rialzato, mi puntò addosso la lama della sua affilatissima spada.
Dov'ero finita?





 
L'angolo di Shera♥

Come promesso, eccomi di ritorno dalla breve vacanza al mare, con tanto di ustione ;) Finalmente, Alina, lascia il suo mondo per arrivare nella terra di Anthea, dove farà parecchi incontri illuminanti... ma non posso dirvi altro, ho già anticipato troppo U_U
ono molto affezionata a questa storia, nonostante tutto.
Nonostante le sue pecche e, se vogliamo, a certi discorsi superficiali. Ci sono ancora parecchi capitoli da pubblicare, spero che, dopo questi primi e noiosi capitoli, i prossimi possano piacervi di più :D
Alla prossima, un abbraccio,

Shera ♥

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Capitolo 6
*** Capitolo Sesto ***



- Capitolo Sesto -


- Metta giù l'arma. - dissi tremante all'uomo che continuava a puntarmi contro la spada. Mi fissò incuriosito, ma non si mosse.
- Mi spiace averla urtata, non ho la minima idea di come sia finita qui. Sembra quasi di stare in un set cinematografico... Non ho interrotto le riprese di un film, vero? - chiesi preoccupata del fatto che potevo aver creato qualche problema a una troupe. Ancora non mi spiegavo quello che era capitato, ma quella delle riprese e del set, mi sembrava una cosa plausibile. Forse avevo toccato qualcosa, avevo battuto la testa, o qualcosa di simile.
L'uomo gridò qualcosa, e agitò di nuovo la lama verso la mia gola.
Cominciai a sudare.
Quella non era certamente una spada giocattolo, e quell'uomo non sembrava intenzionato a rinfoderare l'arma.
Non ero su un set, e quello non era un attore.
Lui mi parlò, fissandomi sospettoso, ma io non capivo nulla di quello che mi diceva. La sua era una lingua a me del tutto nuova.
Provai a parlargli in italiano, ma lui non mi comprendeva. Come io non conoscevo la sua lingua, lui non conosceva la mia. Gli parlai in inglese, e spiccicai qualche parola in francese e tedesco. Ma nessuna di loro sembrava riscuotere successo.
Lui mi squadrò, e solo allora notai il suo strano abbigliamento. Sembrava uscito da un film fantasy o da un film cavalleresco.
Alzando le mani in segno di resa, mi alzai da terra molto lentamente. Se lui avesse creduto che io volessi ribellarmi o aggredirlo, di sicuro avrebbe reagito, e per me sarebbe stata la fine.
L'uomo non doveva essere molto più vecchio di me, a giudicare dall'aspetto, non doveva avere più di trent'anni; era un vero “armadio a due ante”, un omone alto quasi un metro e novanta, molto muscoloso, dai capelli corti e scuri.
Di certo non era cattivo, altrimenti mi avrebbe fatto immediatamente del male, ma la barriera linguistica sembrava essere insormontabile.
Io non sapevo come poter comunicare con lui, e anche lui sembrava interdetto.
Io volevo solo capire che cosa era successo, perché mi ero ritrovata in quella radura...
Quale strada dovevo seguire per tornare a casa mia?
Mi guardai intorno, e mi sembrò di scorgere qualcosa di familiare. Feci per muovermi, quando l'uomo mi afferrò per un braccio, gridandomi qualcosa che interpretai come “No, stai ferma”.
Lui guardò dietro di sé, tenendomi sempre stretta, e gridò qualcosa, un nome.
- Lasciami andare. - lamentai, cercando di liberarmi dalla sua stretta, ma l'uomo, non solo strinse ancora di più la presa, ma mi caricò sulla spalla come se fossi stata nulla di più di un sacco di patate.
Non passarono molti minuti che un ragazzotto di circa vent'anni fece capolino dal bosco.
Un bel biondino sul metro e settanta, meno muscoloso dell'amico, e dall'aspetto atletico. Gli occhi chiari, i lunghi capelli biondi e l'arco in mano mi fecero pensare subito a un elfo della foresta... Peccato che non fosse un simpatico elfo giunto per salvarmi, ma un amico dell'omaccione, pronto a dargli manforte.
Il ragazzo mi guardò e, toccando il mio piumino, scoppiò a ridere. Mi guardava e rideva.
- Sono così ridicola? - gli chiesi spazientita. Non mi piaceva essere derisa così allegramente senza poter capire e ribattere.
Il ragazzo si mise a parlare col suo compagno ma, per quanto mi sforzassi di seguire, non riuscivo a capirli, né a individuare la loro provenienza. Non avevo studiato lingue, ma qualcosina, anche grazie ai documentari, l'avevo imparata.
E quel linguaggio non riuscivo ad associarlo a nessuna lingua dei cinque continenti.
Non era di ceppo europeo, indiano, asiatico, africano, americano o oceanico.
Eppure... anche se non riuscivo a capire che lingua fosse, anche se non capivo cosa essi si stessero dicendo, quella lingua aveva un che di familiare. Come un eco lontano di qualcosa, o di qualcuno, che in quel momento non riuscivo a ricordare.
Il mio istinto mi diceva che dovevo liberarmi, e che dovevo trovare il modo per tornare a casa, anche se non sapevo bene da che parte andare.
Forse era solo un sogno, pensai.
Ma nei miei sogni non avrei mai potuto concepire quel mondo, quegli uomini e quella lingua. Nei miei sogni avrei incontrato il mio principe, se era un bel sogno. Se era un sogno brutto avrei probabilmente sognato Angelica o Alberta.
Il biondo disse qualcosa, guardandosi intorno con aria preoccupata, raccattò la mia borsa che giaceva per terra e prese anche lo specchio. Lo osservò per qualche istante, come se lo avesse già visto, ma fece spallucce e lo infilò nella borsa.
Diede un'altra rapida occhiata in giro e ci mettemmo in marcia. Nonostante lui fosse più giovane dell'uomo che mi stava trasportando, era lui a comandare. Ero certa che quei due appartenessero a un gruppo più esteso, e che facessero capo a qualcun altro. Ed era quello a preoccuparmi maggiormente.
Dall'abbigliamento, e per quello che ricordavo dai libri di storia e dai film, quei due potevano benissimo essere dei banditi.
Il loro non era un abbigliamento di nobili, e nemmeno da popolani. I loro modi erano un'ulteriore prova del fatto che non avevo a che fare con dei semplici abitanti di un paese sperduto nei boschi.
Non potevo sapere dove mi avrebbero condotta, da chi... o che cosa ne avrebbero fatto di me.
Subito i peggiori scenari mi si affollarono nella mente, e la necessità di liberarmi di loro si fece sempre più impellente.
Quanto ancora avrebbero camminato, e da là dove mi stavano portando, avrei avuto occasioni di fuggire?
Pensai a ogni possibile trucco e, in ogni caso, dovevo convincerli a mettermi a terra, o non avrei mai potuto tornare da dove ero venuta. Più ci allontanavamo, e più avrei rischiato di perdermi, non conoscendo i luoghi, sarebbe stato molto difficile per me ritrovare la strada se ci fossimo addentrati ancora di più nel bosco.
Non potevo comunicare a parole con loro, ma potevo farmi capire a gesti.
Cominciai a lamentarmi e a mostrare un viso sofferente.
Dopo qualche minuto di marcia, il biondo gli disse qualcosa, di certo gli chiese di depormi a terra. L'unico modo per farmi tacere probabilmente, e per capire che problemi avessi.
Comincia a muovermi sul posto, ad incrociare le gambe e a tenermi la pancia. Cercai di fargli capire che dovevo... espletare un certo bisogno fisico, e che ne avevo un urgente bisogno.
Il moro sembrò quasi imbarazzato, mentre il biondo rise, e mi indicò un cespuglio.
Chinai il capo e andai dove mi aveva indicato. Vedendo che non mi perdevano d'occhio, gli gridai di voltarsi. Anche se c'era di mezzo un folto cespuglio, la cosa non era molto piacevole.
Non serviva che capissero l'italiano, i miei gesti e il mio tono furono abbastanza per far loro capire, e si voltarono dalla parte opposta.
La mia recita aveva funzionato, e quei due mi avevano finalmente lasciata sola.
Guardai verso la direzione dalla quale eravamo arrivati. Se mi muovevo bene, e se avevo studiato bene la strada, sarei anche potuta tornare al punto di partenza. L'unica condizione per poterlo fare, era quella di non farsi beccare.
Cercando di muovermi in maniera più silenziosa possibile, mi allontanai dalla siepe e ne raggiunsi un'altra. E così quella successiva, ancora e ancora.
Ogni tanto buttavo l'occhio verso i due uomini che ancora se ne stavano fermi immobili là dove li avevo lasciati.
- Wow, non pensavo sarebbe stato così semplice. Mi sembravano furbi e tosti quei due. Ora però devo trov... - ma quando mi voltai per studiare la prossima mossa, mi trovai di fronte a un altro uomo. Mi sorrise e mi afferrò, trascinandomi poi dagli altri due.
Quando ci videro arrivare, notai che non sembravano per nulla sorpresi, e guardandomi ebbi l'impressione che loro avevano sempre saputo che avrei tentato di svignarmela.
Sapevano che avrei tentato di scappare, ma non serviva che loro mi mettessero troppi paletti. Sarebbe stata vana una mia qualsiasi fuga, loro erano già un passo avanti a me.
- Oh basta. Sono stufa di tutta questa storia! - sbottai ad un certo punto. - Riportatemi a casa, fatemi tornare indietro, io non ho fatto nulla di male!
Ma se anche mi avessero riportato nella radura dove avevo fatto il loro incontro, come sarei potuta tornare a casa? Anche se avevo pianificato di tornare alla radura, io non sapevo come poter fare ritorno alla baita.
Sembrava tutto così surreale.
Un attimo prima passeggiavo per il bosco innevato, avevo ritrovato lo specchio di Casia, e poi è successo il finimondo.
Lo specchio si è illuminato inghiottendo tutto nella luce. Dopo il bagliore, tutto sembrava essere tornato alla normalità, ma qualcosa era già cambiato.
La neve era sparita, e la primavera aveva già fatto capolinea. E quelle strane persone che non mi capivano e che io non riuscivo a comprendere, erano un mistero per me. Sembrava quasi che avessi viaggiato nel tempo...
E allora qualcosa di davvero irrazionale mi balenò in testa: se avessi davvero viaggiato nel tempo?
Ero sicura che quello non fosse un sogno, io, il più delle volte, lo capivo. Capivo quando sognavo, se non subito, dopo un po'. Quello non era un sogno. Non poteva essere un sogno.
Non mi spiegavo tante cose di quello che mi stava accadendo, ma un viaggio nel tempo avrebbe risposto a molti dei miei interrogativi. Una magia antica, tramite l'antico specchio di Casia, mi aveva riportata in un'epoca lontana. La magia era la chiave. Da adulta non ci avevo più pensato, cosa da bambini... ma da piccola ci credevo fermamente.
Mi arrabbiavo quando i cosiddetti grandi mi dicevano che non esisteva alcuna magia. Io la difendevo, così come credevo che una volta i draghi solcassero i cieli, che magia bianca e nera si confrontassero continuamente per il dominio del mondo. Andavo anche matta per le novelle medievali. La classica storia della principessa rinchiusa nella torre, protetta da un drago e salvata dal principe, mi affascinava più di tutte le altre fiabe che mi raccontava mia madre.
Io ci credevo fermamente, poi mia madre morì, e con lei il mio mondo, e anche la mia fanciullezza. Morì anche la mia fantasia e la mia fiducia nella magia.
Avevo più volte pregato le fate di riportare indietro mia madre, ma nessuna rispose al mio appello, neanche per dirmi che era impossibile. E così finii per pensare quello che mi dicevano i grandi: la magia non esiste, è solo un trucco, una favola che si racconta ai bambini.
Mi ero ritrovata in un luogo sconosciuto, con gente che non mi comprendeva, e sentivo che l'unica risposta a tutto quanto era la magia.
La magia esisteva, e io avevo viaggiato nel tempo.
Il nuovo arrivato, di aspetto molto simile a quello del giovane ragazzo biondo, coi soli capelli neri, frugò nella mia borsa e ne tirò fuori lo specchio.
Ne rimase così sorpreso che per poco non gli cadde di mano.
Lui me lo indicò e mi fece delle domande in maniera molto concitata, ma non potei rispondergli. Lui sembrava preoccupato e avrei davvero voluto capirlo per potergli rispondere.
Sembrava che quello specchio fosse molto importante, anche per lui. La mia teoria dei viaggi nel tempo forse era più vicina al vero di quanto non immaginassi.
Se mi stavano portando al loro villaggio, forse c'era anche un mago, e forse io sarei riuscita a farmi capire e a tornare nel mio tempo.
“ Andrà così ”, pensai “ Deve andare così, per forza! ”.


Nonostante fossi ancora preoccupata della mia sorte, perché in quel momento mi stavo basando solo su delle teorie, non tentai più di scappare, e mi lasciai guidare verso il loro villaggio.
L'omone mi prese di nuovo sulle spalle, e dopo una lunga camminata, vedemmo le prime case. Enormi tende e casette in legno, uomini, donne e bambini.
Sembrava un villaggio come tanti, ne avevo visti di simili nei libri di storia e in alcuni dipinti antichi, non sembrava affatto l'insediamento di un gruppo di banditi. Forse mi ero sbagliata sul loro conto. Il nostro primo incontro forse non era stato dei più piacevoli, ma non erano delle persone cattive.
Non appena arrivammo, i bambini mi notarono e cominciarono ad indicarmi e a parlottare fra loro. Dopo notai che anche gli altri abitanti del villaggio mollarono quello che stavano facendo per fissarmi.
Sapevo di avere un abbigliamento che per loro poteva risultare insolito, ma sentirmi così osservata mi mise a disagio.
Avvicinandoci sempre di più verso la grande tenda al centro del villaggio, l'uomo mi depose a terra.
Una donna gli si avvicinò, baciandolo con dolcezza. Doveva essere la fidanzata o la moglie, mi sembrò una donna davvero carina e gentile. Il modo in cui la guardava e il modo in cui lui le parlava, e i modi in cui la trattava, lo rendevano molto meno spaventoso ai miei occhi.
Lui era grande e grosso, mentre lei era una donna non più alta di me e piuttosto magra e slanciata.
Mi rivolse qualche parola con tono amichevole, ma prima che potessi dire qualcosa per farle capire che non comprendevo la lingua, il terzo uomo che avevo incontrato le disse qualcosa. Lei allora mi prese una mano e la strinse fra le sue. Come se avesse voluto farmi capire che ero al sicuro e che nessuno mi avrebbe fatto del male.
Mi indicò il grande tendone al centro del villaggio e sorrise, precedendoci assieme ad altri abitanti.
Mi fecero entrare, facendomi fermare al centro del grande salone circolare. Tutti gli altri, adulti ed infanti, se ne stavano contro le pareti, attendendo che avvenisse qualcosa. O forse, aspettavano l'arrivo di qualcuno.
Era chiaro che quel qualcosa che stavano aspettando, era per me, e forse c'entrava anche lo specchio che mi aveva mandato a cercare Casia. Il ragazzo dai capelli scuri lo aveva più volte osservato anche durante la lunga camminata per raggiungere il villaggio.
Se solo Casia avesse saputo...
Il salone non era riccamente addobbato, ma i tendaggi e gli arazzi esposti erano molto suggestivi. Rudimentali, popolani, ma belli. Non erano ricchi o elaborati come quelli della classe nobile, ne avevo visti diversi nelle gite ai musei. Quelli erano semplici, ma non potevo fare a meno di trovarli stupendi.
Il tappeto che stava sotto i miei piedi, una lunga passatoia rossiccia dai bordi neri, portava verso un grande tavolo e a un trono in legno nero. Sul tavolo c'era anche la mia borsa e lo specchio, qualcuno fece per avvicinarsi, ma l'uomo che mi aveva trasportata fino al villaggio li fece allontanare.
Attesi per quella che mi era parsa un'eternità, ma nessuno arrivò per occupare il posto sul trono.
La gente sembrava incuriosita, ma nessuno si fece avanti, salvo qualche bambino che mi toccò il giaccone e i vestiti. Dovevano essere qualcosa di davvero eccezionale per loro, date le reazioni.
Fuori il sole stava per tramontare, e gli uomini buttarono della legna nel camino, riscaldando immediatamente la grande sala. Faceva così caldo che dovetti togliermi il giaccone, o sarei svenuta.
Non appena me lo levai, la ragazza dell'omone mi venne accanto prendendomelo e lasciandolo sul tavolo. Feci per protestare, ma lei cercò di farmi capire che non dovevo preoccuparmi. Anche se non la conoscevo, sentivo che mi potevo fidare.
La gente in sala sembrava agitarsi, finalmente stava per arrivare la persona che avrebbe occupato il trono, me lo sentivo.
Non poteva che essere il capo villaggio, o un potente sciamano, e io speravo più nel secondo caso. Se mi fossi trovata davanti a un “Merlino”, di certo egli avrebbe potuto trovare il modo di capirmi e di riportarmi nella mia epoca.
Sentii un ordine dato alle mie spalle, i due ragazzi che avevo incontrato nella foresta, “l'elfo” e il suo gemello dai capelli scuri, mi immobilizzarono.
- Ehi, che vi prende? - chiesi spaventatissima, cercando di divincolarmi dalla loro presa con scarsi risultati. - Lasciatemi andare immediatamente!
Pestai con violenza il piede del primo e mi liberai dalla sua stretta; per divincolarmi anche dall'altro cercai di sferrargli un pugno, ma venni bloccata alle spalle.
L'uomo che mi aveva fermata mi disse qualcosa, e la voce era la stessa dell'uomo che aveva dato l'ordine di bloccarmi.
Il suo profumo aveva un che di familiare, la sua voce mi ricordava qualcosa, qualcuno.
Provai a voltarmi per vederlo, ma aveva una cappa che gli copriva il volto, riuscii solo ad intravvedere una lieve barba rossiccia.
Il moro prese allora una coppa di vino e cercò di farmela bere.
Stavano cercando di drogarmi? Ero terrorizzata.
Che volevano farmi? Eppure mi era sembrata gente tranquilla a dispetto dell'aspetto.
Serrai le labbra e voltai il capo non appena il ragazzo mi portò alla bocca il bicchiere.
Dopo svariati tentativi infruttuosi, l'uomo che mi teneva ferma riuscì ad intrappolare il mio viso, costringendomi infine a bere.
L'uomo mi lasciò andare, e mi accasciai a terra. La testa mi girava, il cuore batteva all'impazzata, la vista mi si stava annebbiando e temevo anche che di lì a poco avrei vomitato l'anima. Il mio corpo cominciò a muoversi a causa degli spasmi involontari, quasi come se avessi avuto un attacco epilettico.
Nessuno osò avvicinarsi a me, stavo malissimo e a nessuno importava. Se stavo per morire, speravo che l'agonia finisse in fretta.
Ma io non stavo per morire.
Quando finalmente tutto finì, mi rialzai tremante, e guardai l'uomo incappucciato che sedeva sul trono.
- Cosa mi avete fatto? - chiesi, anche se loro non mi capivano. - Cosa ho fatto per meritare un simile trattamento? Che cosa...
- Quante domande, signorina. - disse lui divertito.
Dopo un attimo di giramento di testa, dovuto ancora a quello che mi era successo, mi accorsi di una cosa: io lo capivo. Sentii la gente borbottare, e anche loro parlavano in italiano finalmente.
- Come... perché ora parlate in italiano? - gridai arrabbiata. Loro mi capivano e avevano aspettato fino a quel momento per rispondermi finalmente? Avevano aspettato fino a quel momento per farsi capire.
- Parlare in...? - mi fissò perplesso.
- Italiano. La lingua che state tutti parlando. Era tanto difficile parlarla anche prima? - La gente cominciò a ridere, e anche l'uomo che avevo di fronte. Non riuscivo a capire il motivo di tanta ilarità. Avevo fatto una semplicissima domanda, e per nulla comica.
- Noi non abbiamo cominciato a parlare in italiano. Sei tu che stai parlando, e capendo, la nostra lingua. - lo fissai interdetta.
In quel momento, da dietro il trono, fece capolino un grosso gatto dal pelo bianco con una grande chiazza nera sul muso. Si fermò accanto al trono e si eresse su due zampe.
- È tutto merito della mia pozione, mia cara. - disse il felino. Io cominciai a balbettare. Un gatto parlante?!
- M-ma tu parli. - il gatto sembrò quasi risentirsi.
- Sei lingue, tra le altre cose... Perché tanto stupore? Nel tuo mondo non parlano i gatti?
- No, da noi miagolano... - nel mio mondo? - Un momento... che intendi con “Il mio mondo”?
- Questa è la terra di Anthea, e tu sei una viaggiatrice dimensionale. Ti abbiamo fatto bere una speciale pozione che permette a chiunque di connettersi con il mondo in cui si trova, e di impararne la lingua.
Tutto quello che mi stava dicendo era troppo strano, ma almeno una delle mie intuizioni si era rivelata essere esatta. La magia era strettamente connessa a quello che mi era successo, e se quello che il gatto aveva detto era vero, sarei presto tornata a casa. Il gatto era di certo un mago, un potente mago data la pozione che aveva saputo creare. Rispedirmi a casa sarebbe stato ancora più semplice. L'uomo incappucciato chiese alla ragazza dell'omone di portarmi una sedia.
- Io avevo creduto di aver fatto un viaggio nel tempo... - dissi quasi più a me stessa che a loro. - Certo, sarebbe stato strano anche quello, ma questo, questo è forse peggio. È tutto così ridicolo.
- Sarà strano, o ridicolo, - cominciò il gatto, - ma se sei qui, un motivo ci sarà. I viaggiatori come te portano sempre scompiglio in ogni mondo che visitano. - disse sorridendo.
- Dovrei sentirmi rallegrata per ciò?
- Rallegrata forse no, ma sappi che c'è sempre un motivo per ogni cosa che succede. E noi ti stavamo aspettando da tanto tempo.
Chiesi dell'acqua, avevo la gola così secca che non riuscivo neanche più a parlare.
L'uomo sul trono esaminò con attenzione lo specchio, mentre gli uomini che mi avevano “accompagnata” al villaggio, stavano controllando la mia borsa, lasciando il suo contenuto sul tavolo davanti al loro capo.
- Come sei entrata in possesso di questo? - mi chiese l'uomo incappucciato riportandomi alla realtà.
- Non è mio. Apparteneva a una mia amica. - spiegai. - Lo aveva perso e mi aveva chiesto di cercarglielo; quando l'ho trovato nella neve si è illuminato, e mi son trovata nel vostro mondo. - parlare di mondi mi faceva uno strano effetto.
- Lo specchio ha fatto da portale. - mi spiegò il gatto. - Esistono manufatti che fanno da collegamento fra mondi e realtà parallele. Solo un viaggiatore, però, può attivarli.
- Questo deve essere un incubo... - sospirai.
- No, non lo è. - disse l'uomo incappucciato. Sembrava quasi contrariato da me.
- Mizar, - disse rivolgendosi al gatto, - siamo sicuri che sia proprio lei...? - mi indispettì il tono con cui si riferì a me.
- I segni hanno parlato. Lo specchio è la prova, Rel. È lei. - l'uomo sembrò impensierirsi di fronte alle conferme del gatto.
- Allora non possiamo che fidarci... - fece un cenno, e la gente del villaggio cominciò a darsi un gran da fare per sistemare la sala.
- Vieni con me. - mi prese in disparte il gatto. - Lasciamoli preparare la sala.
- Che succede?
- Non ti preoccupare, qui sarai al sicuro. - mi rispose lui con gentilezza.
Mi condusse nella sala privata dietro al trono. Era un vero e proprio appartamento, con tanto di camera, bagno e sala.
- Spero che Alghoin, Altaire e Tiarein non ti abbiano spaventata troppo.
- Chi? - il gatto ridacchiò.
- Hai ragione anche te. Finché non hai bevuto la pozione, ogni interazione ti è stata preclusa. Alghoin è quell'omaccione che ti ha trasportata. Non lasciarti spaventare dall'aspetto imponente, oltre ad essere molto forte è anche un uomo di buon cuore. - il gatto mi fece cenno di sedermi su uno dei due divanetti presenti nella sala. - Hai conosciuto anche sua moglie, Mada, è una mia assistente. Sono certo che andrete d'accordo voi due. - vedendoli insieme avevo avuto anche io l'impressione del “gigante buono”. - Altaire e Tiarein sono gli altri due. Come avrai intuito sono fratelli, impossibile non notarlo. Altaire è il minore, ed è il biondo, mentre Tiarein è più vecchio di un paio di anni, è molto sveglio e scaltro nonostante la giovane età. - C'era una punta d'orgoglio nelle sue parole. - Quei tre sono i nostri generali.
- Posso sapere dove mi trovo, ma soprattutto, perché sono qui?
- Sei su Anthea, come ti avevamo detto poc'anzi. - disse dietro di me l'uomo che il gatto aveva chiamato Rel. - Sul motivo della tua venuta, beh, Mizar dice che, secondo i segni, tu porterai fine al conflitto che da anni imperversa nel nostro regno.
- Io? - chiesi con tono tra il sorpreso e il canzonatorio. Forse era un sogno. Forse mi stavo davvero immaginando tutto.
- Sì. Pensavo sarebbe arrivato un guerriero... o un mago, nella peggiore delle ipotesi... - “Rel non ama molto i maghi” mi sussurrò Mizar, - ma invece sei arrivata tu.
Rel si tolse infine la cappa, mostrandomi un ragazzo di non più di trent'anni dai corti capelli e dagli occhi rossicci.
Il fisico muscoloso e atletico era avvolto da vestiti di pelle nera e marroncina.
Il suo aspetto mi ricordava qualcosa, sentii come una morsa allo stomaco che non riuscivo a spiegarmi.
Mi si avvicinò, studiandomi. Non potei fare a meno di distogliere lo sguardo dai suoi occhi scarlatti. Mi diede un forte pizzicotto sul braccio.
- Ahia! E questo per cos'era?
- Primo: non distogliere mai lo sguardo. Secondo: tu stavi ancora pensando che tutto questo non è reale. Il tuo dolore è abbastanza reale?
Mizar si lasciò sfuggire un sorriso.
- A volte Rel non ha tatto con le persone che non conosce bene, ma ti posso assicurare che è una brava persona. - cercò di convincermi Mizar. Ma non ne ero poi così convinta.
Calò il silenzio nella sala, un silenzio che venne presto interrotto dal ruggito del mio stomaco. Erano ora che non mettevo nulla sotto ai denti.
- Invece che tormentarla dicendole un sacco di cose che non riuscirà a metabolizzare, e a ricordare probabilmente, avreste potuto darle qualcosa da mangiare fintanto che il banchetto non è ancora pronto. - disse Mada entrando nella stanza, seguita dai tre generali.
- Domani avremo tempo per parlare ancora. - mi disse Mizar, camminando a quattro zampe e strofinandosi contro le mie gambe.
- Non si direbbe che è il nostro sciamano e gran consigliere del re, vero?
- È il vostro sciamano? Quindi è come un mago, giusto? - fissai il gatto con occhi speranzosi.
- La pozione è opera mia, ricordi? - annuii. - Solo uno sciamano di un certo livello poteva prepararla. - disse lui con orgoglio.
- E sei anche il consigliere del... re. - ripetei a voce sempre più bassa, volgendo il mio sguardo verso il Re, con il sorriso che mi si spense nel momento in cui i nostri sguardi si incontrarono.
Nel grande salone, era stato lui si a sedersi sul trono, il modo in cui tutti rispondevano ai suoi ordini, e la lunga attesa, non lasciavano dubbi: lui era il re di quel piccolo villaggio.
- Non sono esattamente un re, - disse lui fissandomi e sorridendo soddisfatto. - È un titolo che mi hanno affibbiato. Il Re dei Ribelli. Ma non sono un vero re.
- Si preoccupa di tenere questo villaggio al sicuro. - mi disse Altaire. - Non c'è nessuno come Rel.
- Guida le nostre armate contro quelle del perfido sovrano... Senza lui al comando, avremmo perso la guerra molto tempo fa. - Tiarein sembrava mi stesse studiando, per capire, dalle mie reazioni, che tipo di persona potessi essere.
- Tutte le battaglie che ha guidato, le ha condotte verso la vittoria e col minor numero di perdite possibili. Prima o poi riusciremo a sconfiggerlo quel... Quel... - Alghoin sembrava sul punto di esplodere, ma Mada sapeva come farlo calmare. Il suo semplice tocco sembrava riportare la serenità nel cuore di quel gigante buono.
- Devi sapere... ehm, come hai detto di chiamarti? - mi chiese imbarazzata Mada.
- Non l'ho detto a dire il vero. Ora che ci penso, non mi sono ancora presentata. Io sono Alina.
- Allora, Alina, il nostro mondo è in guerra, noi stiamo lottando per la libertà del nostro popolo, e per la detronizzazione del tiranno. Purtroppo, in guerra, i primi a patire sono proprio gli innocenti, e Rel, assieme ai nostri uomini, sta cercando in ogni modo di proteggere il nostro popolo.
Non è cosa facile, ma stiamo tutti facendo del nostro meglio.
Il nostro villaggio è stato tenuto nascosto per anni. Per nostra fortuna riusciamo a sostentare con quello che abbiamo, ma di tanto in tanto dobbiamo mandare degli uomini all'esterno per comprare dei viveri. Se non avessimo anche l'appoggio del saggio Crinto, la vita per noi sarebbe molto più dura.
La magia di Mizar riesce a proteggere il villaggio, ma a corte esistono maghi potenti che potrebbero anche sconfiggere la sua barriera.
- Capisco. - dissi con voce flebile. - Non deve essere facile vivere in una situazione come questa. - Non potei fare a meno di sentirmi in colpa. Il mondo dal quale provenivo era caotico, e i problemi non mancavano, ma la guerra non era che un lontano ricordo.
- Senza uomini come Rel, che combattono per regalarci un mondo migliore, la nostra vita sarebbe molto più dura e priva di qualsiasi speranza in un futuro migliore. - disse Mada. - Sono molto orgogliosa di mio marito e di quello che fa per tutti noi al fianco di Rel. - La donna si slanciò verso il marito, abbracciandolo con tutto l'amore che provava per lui, e lui ricambiò con lo stesso amore quel dolcissimo e semplice gesto.
Sorrisi vedendo quei due assieme, erano una coppia molto affiatata e innamorata.
- Come vedi, Alina, il nostro non è un mondo poi così spaventoso. - mi disse Rel avvicinandosi di soppiatto alle mie spalle.
- Non ho mai detto che lo fosse.
- Ma eri spaventata. - constatò lui divertito. - E credo che pure io ti faccia paura.
- Vorrei vedere chiunque di voi al mio posto. - replicai stizzita. - Mizar, avete prima detto che io sono una viaggiatrice, e che lo specchio è stata la mia porta... c'è modo per me ora di tornare indietro?
- Sì. Tu sei una viaggiatrice, e ora che hai risvegliato i tuoi poteri sarà molto più semplice viaggiare fra i mondi. - un vero sollievo! Sentire quelle parole mi fece sorridere di pura gioia.
- Tu puoi spiegarmi come fare per poter tornare a casa? - purtroppo però, il gatto scosse la testa.
- Questi oggetti son dotati di vita propria. Loro sanno, loro sentono quando è giunto il momento. Quando il viaggiatore è pronto.
- Ma io lo sono, su questo non ci sono dubbi. - lui sorrise.
- Abbi pazienza, mia cara, presto sarà tutto più chiaro e semplice. Fidati di me. Se sei qui un motivo ci sarà, e poi potrai tornare a casa. - Sembrava ancora tutto così strano e surreale. Mi sentii di nuovo spaesata di fronte a quella rivelazione.
Sarei mai stata in grado di far ritorno al mio mondo?
Mi dispiaceva per gli abitanti di Anthea, ma io non ero fatta per stare in una terra sconvolta da un conflitto come quello che stavano vivendo. Io non ero un'eroina. Io ero solo Alina.
Altaire, quasi titubante, si avvicinò e mi porse la borsa.
- L'avevi lasciata di là sul tavolo. Se non te la riportavo, non l'avresti più rivista. - disse sorridendo.
- Me ne ero completamente scordata. Grazie.
- Di nulla... - lui mi fissò come se avesse voluto farmi delle domande.
- C'è qualcosa che non va? - lui cominciò a balbettare, così intervenne il fratello Tiarein.
- Abbiamo visto delle cose strane nella tua borsa. Altaire voleva chiederti a cosa servissero.
- Tutto qui? - risi e acconsentii. Altaire mi allungò il mio telefono. Lo aveva colpito più degli altri oggetti che aveva trovato.
- Oh cielo! - esclamai realizzando una cosa molto importante.
- Che succede? - mi chiese Mada preoccupata. - Non ti senti bene?
- No, non è niente, è che... mia zia sarà molto preoccupata per me. Se io non farò ritorno a casa, se non potrò mettermi in contatto con lei... si preoccuperà a morte. - cominciai a muovermi per la stanza in cerca di campo per il telefono.
“Magari”, pensai, “se una strana forza mi ha portata qui, quella stessa forza può creare un campo magnetico, o qualcosa di simile, che possa far andare questo maledetto telefono”.
- Fermati, ragazzina.
- Non credo di essere più tanto giovane per essere definita ragazzina. - risposi a uno scocciato Rel, continuando a camminare avanti e indietro.
Il rosso mi bloccò, togliendomi di mano il telefono.
- Non avevi detto che ci avresti spiegato cosa erano gli strani oggetti della tua borsa? Questo ad esempio, a cosa serve? - disse lui esaminandolo e cercando di aprirlo. Prima che accadesse l'irrimediabile, glielo tolsi di mano.
- Questo è un telefono. Se avessimo campo potrei telefonare a mia zia. - in nessun angolo della stanza riuscivo a prendere campo. Ma la cosa non mi sorprese, era una speranza vana fin dal principio, la mia. Mi voltai verso il gruppetto e vedendo che la mia spiegazione non era stata abbastanza chiara, mi schiarii la voce: - Questo oggetto viene utilizzato per comunicare a distanza.
- Noi usiamo i corvi per quello. - disse Alghoin. - Sei sicura che funzioni? I corvi sono molto veloci. - io annuii.
- Come funziona di preciso? - chiese incuriosito Tiarein.
- Ogni persona che possiede un telefono, ha un particolare numero ad esso associato. Se io conosco quel numero, lo inserisco nel mio telefono e posso chiamare quella persona o inviargli un messaggio.
Altaire e Rel mi fecero altre domande, sulle strane chiavi che avevo loro mostrato, quelle dell'auto, o sul lettore mp3.
Rel in particolare sembrava molto interessato al nostro mondo, e cominciò a farmi domande su domande.
Nonostante il suo approccio iniziale mi avesse un po' infastidita, in quel momento non mi sembrò più così antipatico e fastidioso.
Arrivò una ragazza per chiamarci: la sala era pronta, e il ricco buffet era in tavola.
- La tua vita cambierà drasticamente, Alina. - mi disse Mizar camminando al mio fianco. - Che tu lo voglia o meno, il tuo destino è legato alle sorti del nostro mondo. - non riuscii a fare un altro passo. - Non era forse la grande avventura quella che sognavi?


 
L'angolo di Shera ♥

Ero indecisa se pubblicare o meno, dato che il mio moroso non ha ancora visionato il capitolo, ma alla fine ho deciso di buttarmi comunque. I suoi consigli mi son stati spesso e volentieri molto utili, fondamentali talvolta.
Con questo capitolo, finalmente, ci addentriamo nelle terre di Anthea. Non ho accorpato i capitoli, ma è stato fatto un lavoro di super revisione. La prima revisione è stata, di fatto, una quasi totale riscrittura del capitolo.
Chi ha letto la prima versione ricorderà che nel bosco la scena era un tantino diversa. Il personaggio di Tiarein è stato ideato per questa nuova versione, per questo anche i prossimi capitoli saranno da sistemare di conseguenza.
Rel era più sul "burlone" che sull'"ostile", nei confronti di Alina, anche se si sta già ammorbidendo. Da "Re degli Assassini", è diventato "Re dei Ribelli". Gli si addiceva di più.
Nel prossimo capitolo inserirò una nuova scena che per me sarà molto importante nel rapporto che si andrà a creare fra i due protagonisti. C'è un'altra figura che è stata accennata fin dall'inizio, cosa che nella prima versione già c'era, ma che non era stata sviluppata come si deve.
Anche con Mizar ho apportato alcune modifiche, a cominciare dal suo ingresso nella scena: nella vecchia versione arrivava solo a fine capitolo, e solo per un brevissimo istante. Giusto il tempo di presentarsi insomma.
Tante cose le ho cambiate, anche se il succo è sempre quello, e tante ancora ne dovrò cambiare.
Tanti personaggi devono ancora entrare in scena... abbiamo solo incominciato!
Spero stavolta di fare un buon lavoro.

Detto questo chiudo, alla prossima
Shera♥

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