31 Days ~ December

di Mala Mela
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 . Only the curious have, if they live, a tale worth telling at all . JiraTsu ***
Capitolo 2: *** 02 . Generations of poison, centuries of poison . NejiHina ***
Capitolo 3: *** 03 . But if I try to find you, there are only shadows . SasuSaku ***
Capitolo 4: *** 04 . Drunk with his own light . SasuSaku ***
Capitolo 5: *** 05 . And night with different stars . MinaKushi ***
Capitolo 6: *** 06 . Did you find the enlightenment in the Western Paradise? . JiraTsu ***



Capitolo 1
*** 01 . Only the curious have, if they live, a tale worth telling at all . JiraTsu ***


31 Days - December

31 Days - December

 

 

~Only the curious have, if they live, a tale worth telling at all

[JiraTsu]

 

 

 

 

 

Non ci aveva pensato, Jiraya, dall’alto dei suoi diciassette anni. Non si era fermato, nemmeno per un istante, a pensare alle nefaste conseguenze del suo gesto. Non aveva valutato i pro e i contro, non si era preoccupato minimamente di vagliare le possibilità di riuscita.

Forse perché Jiraya, dall’alto dei suoi diciassette anni, aveva un po’ troppa fiducia in se stesso. E mancava completamente di senso critico, come tutti gli adolescenti.

Perché definire ‘rischiosa’ la missione che stava per intraprendere era un banale eufemismo, così come lo sarebbe stato definirla ‘pericolosissima’. A onor del vero, il termine più adatto era… mortale.

Jiraya spostò il peso sul piede destro, ben attento a non far scricchiolare le foglie sotto di lui, guardandosi attorno con circospezione. Nessuno sembrava essersi accorto della sua presenza, constatò compiaciuto, tutto andava secondo i suoi piani. Con gesto rapido passò la mano tra un i capelli: un po’ per sentirsi ancora più figo, un po’ per togliere tutti i rametti che vi erano rimasti impigliati; sbuffò infastidito nel districare un legnetto più ostico degl’altri.

Quando ebbe finito si passò nuovamente la mano tra i capelli, anche se nascosto com’era nessuno avrebbe potuto ammirarlo. Dannato legnetto, pensò, avere i capelli lunghi non era il massimo della comodità, ma d’altronde quello era il prezzo da pagare per essere così dannatamente affascinante: tutti sapevano che era la sua indomabile chioma ad attrarre le ragazze. Solo che queste ultime dovevano ancora capirlo.

Un rumore al di là della palizzata richiamò la sua attenzione, interrompendo quel monologo interiore. All’erta, tese le orecchie in attesa di un altro minimo suono. Osservando il sole, per quanto gli fosse possibile dal suo nascondiglio, dovevano essere da poco passate le dieci di mattina. Tempismo perfetto, si congratulò con se stesso.

Trattenne il fiato, attendendo in religioso silenzio, poi -finalmente- delle voci. Il momento era giunto.

Rapidamente estrasse un kunai dall’astuccio che teneva legato alla gamba destra e, con l’abilità di chi già l’aveva fatto altre volte, insinuò la lama nella fessura tra un’asse di legno e l’altra. Sempre cercando di non fare rumore, ruotò l’arma fino ad allargare impercettibilmente l’apertura, quel poco che bastava ad un occhio umano per scorgere le figure oltre la recinzione.

Fumiko, sbrigati!” trillò una voce femminile. “È mezz’ora che aspetto”.

“Arrivo, Hana, calmati” rispose la ragazza chiamata in causa. “Non vedi che è presto? Le terme sono ancora vuote”.

Un sorriso ebete si dipinse sul volto di Jiraya. Forse quella non era l’attività più nobile per uno shinobi come lui: nulla a che vedere con qualche missione di livello S, ma di certo altrettanto appagante.

Tsunade ti ha detto qualcosa?” chiese nuovamente la prima voce. “Ieri pomeriggio ha detto che ci saremmo incontrate qui…”.

Lo stupido sorriso di Jiraya si allargò ulteriormente e per la seconda volta da dieci minuti a quella parte, pensò di aver avuto un’idea a dir poco geniale. Quando il giorno prima, al ritorno da una missione, aveva udito la compagna di squadra parlare con altre due amiche non aveva potuto fare a meno di origliare. E gli era bastato fare due più due per unire i suoi passatempo preferiti: osservare le ragazze alla terme -il termine ‘spiare’ non gli era mai piaciuto, aveva un’aria troppo cospiratoria- e infastidire Tsunade.

Soddisfatto della propria trovata accostò nuovamente l’occhiò destro, socchiudendo quello sinistro, allo spiraglio che era riuscito a creare.

“Ciao, scusate il ritardo” disse finalmente una voce conosciuta. “Sono passata da quell’idiota di Jiraya per consegnargli dei documenti da parte del Sensei, ma non l’ho trovato… chissà dove diavolo si è nascosto”.

Dopo pochi istanti la figura di una ragazza bionda entrò nella sua visuale ma, sfortunatamente indossava ancora un asciugamano affrancato sopra il seno. Jiraya imprecò silenziosamente.

“Magari è andato ad allenarsi” commentò una delle due ragazze arrivate per prime, presumibilmente Fumiko. “Rilassati!”.

Tsunade sbuffò, sedendosi su una roccia.

È difficile, sai? Non posso stare calma se penso che quel pervertito potrebbe essere da qualche parte a ‘fare ricerche’ per il suo libro” chiosò truce, sempre senza accennare a liberarsi dell’asciugamano.

“Ricerche? Non sapevo stesse scrivendo un libro”.

“Credimi Hana, in certi casi è meglio non sapere” la redarguì Tsunade, ricordando i gusti letterari del compagno di squadra. “Spero solo per lui che non sia nei dintorni” concluse poi, spaventosamente seria.

Ecco, fu esattamente in quel momento che le convinzioni di Jiraya iniziarono a vacillare. Ma solo un po’. Infatti fece appello a tutta la sua forza per ignorare gli inquietanti rivoli di sudore gelido che avevano iniziato a scendergli dal collo, percorrendo tutta la colonna vertebrale e causandogli violenti tremiti. Forse avrebbe dovuto fare più attenzione.

“Ho sentito che la scorsa settimana l’hanno beccato negli spogliatoi femminili delle terme di Aikawa” disse nuovamente Hana. “Nessuno sarebbe così stupido da commettere lo stesso errore due volte”.

Tsunade roteò gli occhi.

“Stiamo parlando di Jiraya” sbottò spiccia. “Lui può esserlo”.

Jiraya fece un passo indietro, spalancando occhi e bocca sul punto di fare una smorfia irritata.

Ma come si permettev… ops.

Nell’arretrare offeso ed indignato aveva commesso un errore tanto stupido che un qualunque genin avrebbe saputo evitare.

Aveva pestato un rametto.

E mentre quell’inequivocabile ‘screeek’ riecheggiava ancora nel silenzio delle terme, gli occhi di Tsunade si assottigliarono, rivolti all’alta palizzata che riparava il luogo da occhi indiscreti. O almeno così si pensava.

“L’avete sentito anche voi, vero?” chiese rivolta alle altre due ragazze. Queste annuirono, impallidendo improvvisamente.

Jiraya, dal canto suo, dopo quel fatale errore era rimasto immobile. Nonostante l’istinto gli dicesse di scappare, fuggire il più lontano possibile o magari nascondersi due o tre metri sotto il suolo, nessun muscolo del suo corpo accennava a muoversi. Era come paralizzato dalla paura.

Bastò una frazione di secondo affinché una tremenda consapevolezza s’impossessasse di lui. No, pensò, diciassette anni erano decisamente troppo pochi per morire.

Quello che successe in seguito fu soltanto una sequenza sfocata di avvenimenti, inframmezzati da grida e lividi, quando si risvegliò dolorante nella sala dell’ospedale.

Ricordava Tsunade che aveva avanzato nella sua direzione con ampie falcate nervose, poi, come se fosse stata di polistirolo, aveva frantumato la parete lignea trasformandola in un pulviscolo di minuscole schegge. Jiraya non si era ancora mosso, terrorizzato dalla quantità di chakra emanato dalla ragazza. Sempre immobile l’aveva udita urlare qualcosa nei suoi confronti, molto probabilmente insulti e altre poco gentili invettive, e infine aveva visto quello. Aveva visto il pugno di Tsunade abbattersi inesorabilmente su di lui, con una velocità ed una potenza impressionanti.

Poi, il buio.

 

Sbatté più volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Si sentiva come se fosse stato calpestato da una mandria di buoi, la testa gli doleva e apparentemente l’unica parte del corpo che gli era possibile muovere erano gli occhi. Il soffitto asettico e il tubo della flebo che correva poco sopra la sua testa gli fecero capire che, con ogni probabilità, doveva trovarsi all’ospedale di Konoha.

Bene, fin lì era tutto chiaro, si disse. Ora non gli rimaneva che far luce su altri due irrilevanti punti: da quanto era lì? Ma soprattutto, perché?

L’ultima cosa che riusciva a ricordare era un’insulsa missione con Orochimaru e Tsunade, ovviamente concluse brillantemente. Poi…?

Poi erano tornati a Konoha e si erano diretti al palazzo dell’Hokage per fare rapporto, desiderosi di andarsene quanto prima. Stava battibeccando con Tsunade quando, proprio davanti al palazzo, avevano incontrato due amiche di quest’ultima che, con la scusa di salutarla, l’avevano invitata alle ter….

Oh.

Tutto di fece improvvisamente nitido, fino a farlo rabbrividire al solo ricordo del pugno della compagna di squadra. Il senso di onnipotenza che aveva provato la mattina del misfatto era misteriosamente sparito, così come la baldanza e quella sottile nota di perverso autocompiacimento. Ora nella sua mente non vi erano altro che terrorizzanti flash di Tsunade adirata, il rumore della palizzata in frantumi e il dolore provato successivamente.

Provò a dimenarsi nel vano tentativo di voltarsi di fianco: doveva sapere da quanto tempo era ricoverato.

“È inutile che ti agiti tanto, sei completamente immobilizzato”.

Tsunade?!” chiese Jiraya stupefatto, riconoscendo la voce.

“No, la fatina dei dentini” ringhiò lei avvicinandosi al letto.

P-perché mai non riesco a muovermi?” domandò incerto quando la ragazza si chinò su di lui, entrando nel suo campo visivo.

“La risposta più azzeccata sarebbe ‘perché sei un deficiente’” soffiò. “Ma clinicamente parlando possiamo dire che ti ho quasi sfondato il petto, rotto una manciata di costole e una tibia”.

Jiraya sgranò gli occhi.

“Ma sei pazza?!” urlò quanto più forte la sua condizione gli permise. “Avresti potuto uccidermi!”.

La ragazza scoppiò in una risata isterica, ricominciando a passeggiare nervosamente per la stanza.

“Ucciderti? Sì, l’idea era quella” sbottò in seguito. “Perché devi sempre fare queste cazzate?! Non hai più cinque anni, Jiraya”.

“È vero” le concesse. “…a cinque anni certe cose non mi interessavano tanto!” concluse cercando di ridere.

Tsunade socchiuse gli occhi, cercando di ignorare le parole del compagno di squadra.

Forse ci sono andata troppo pesante” disse imponendosi controllo. “Ma tu dovresti smetterla con queste cose da… da… pervertito!”.

“Ehi, non sono un pervertito!” si difese lui.

“Ah, no? E come lo chiami uno che passa il suo tempo libero a spiare le ragazze alle terme?”.

Jiraya cercò di scuotere la testa.

Quello è un semplice pervertito. Io non spio, io osservo” chiosò altezzosamente. “Mi sto documentando per la mia grande opera: Il paradiso della pomiciata”.

“Il paradiso di cosa?” domandò Tsunade alterata. “Ringrazia di trovarti già in un letto di ospedale, altrimenti io… io…”.

“Sì lo so, lo so” la interruppe lui.

“Ecco”.

Passarono alcuni istanti in silenzio. Jiraya avrebbe potuto giurare che Tsunade se ne fosse andata, se non avesse udito il suo respiro regolare scandire il tempo.

Tsunade…?” provò a chiamarla dopo qualche minuto.

“Sì?” rispose lei secca.

Sei arrabbiata?”.

”.

“Intendo, molto arrabbiata?” si accertò.

Tsunade sollevò un sopraciglio.

“Sì Jiraya, molto arrabbiata” rispose nuovamente lapidaria.

“Quantifica molto!” esclamò lui, alquanto infantilmente.

“Mettiamola così: sono tanto arrabbiata quanto tu sei idiota. Infinitamente, quindi”.

“Capisco”.

Nuovamente silenzio.

“Pensavo fosse un’idea geniale” ammise il ragazzo.

“Pensavi? Ah, ecco qual era la falla del tuo grandioso piano” si sentì rispondere, con tono sarcastico.

Ancora, dannatamente silenzio.

Tsunade-chan?” trillò questa volta, melenso. “Mi prude il naso”.

La ragazza si limitò a rivolgergli un brevettato sguardo compassionevole.

“…e allora?” chiese con sufficienza.

Non posso muovermi” le ricordò, cominciando a dimenarsi sommessamente.

Tsunade sorrise.

“Non è un problema mio, sai?”.

“Non sto scherzando, Tsunade… ti supplico”.

E se mi rifiutassi?”.

“Ti scongiuro!”.

No-o!” scandì la ragazza, divertita.

“Sei crudele!” esclamò Jiraya, storcendo freneticamente il naso nel tentativo di far cessare il prurito.

“Dopo quello che hai fatto due giorni fa questo è il minimo!”.

Due giorni fa? I pugni di Tsunade dovevano essere veramente tremendi.

“Crudele E rancorosa”.

Nuovamente silenzio.

Se sei davvero così arrabbiata, cosa ci fai ancora qui?” domandò il ragazzo, divenendo serio. “Da quanto ho capito ti sei infuriata non poco… perché non mi lasci bollire nel mio brodo?”.

Tsunade spalancò gli occhi.

P-perché altrimenti non sarebbe divertente” rispose poco convinta.

“Davvero?”.

“Certo!” esclamò convinta, arrossendo. “Ora non farti strane idee”.

Jiraya chiuse gli occhi, arrossendo a sua volta.

“Certo, che idee vuoi che mi faccia? Con una ragazza manesca come te, poi…”.

E invece credi che a me possa piacere un maniaco come te?” mugugnò Tsunade, imbarazzata.

“L’importante è che questo sia chiaro!”.

“Bene!”

“Bene!”.

 

 

 

“…mi spiace averti fatto così male, scusa”.

“…e io sono contento che tu sia qui”.

 

 

 

Spiare Tsunade si era rivelata una pessima idea, realizzò Jiraya anni dopo, grazie al tanto famoso “senno di poi”. Un’esperienza agghiacciante, la definì, assolutamente da non ripetere. E nonostante la paura del momento, si accorse di non rimpiangere affatto il proprio gesto: probabilmente quelle scuse sussurrate erano il miglior antidolorifico, e la mano di lei appoggiata sulla sua valeva più di qualche osso rotto, dei lividi e delle parole dure.

Non sarebbe bastato un libro a raccontare tutto quello.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non ci credo. L’ho finita?!

Yay!

Questa sarà una raccolta ispirata alla Writing Community 31 Day, con i temi di dicembre <3 Ovviamente impiegherò ben più di un mese per completarli (sono 31) ma questo non ha importanza.

Spero che la storia vi sia piaciuta ^^

 

 

Mela

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Capitolo 2
*** 02 . Generations of poison, centuries of poison . NejiHina ***


31 Days - December

31 Days - December

 

 

~Generations of poison, centuries of poison

[NejiHina]

 

 

 

 

 

 

“Lo sguardo è una scelta. Chi guarda decide di soffermarsi su una determinata cosa e di escludere dunque dall'attenzione il resto del proprio campo visivo. In questo senso lo sguardo, che è l'essenza della vita, è prima di tutto un rifiuto.

Vivere vuol dire rifiutare.”

 

 

Faceva freddo. Anche d’estate.

Faceva freddo e il ritmico contatto dei piedi nudi sul pavimento di legno scandiva sinfonie di brividi, tremori che salivano lungo le gambe, su per la colonna vertebrale, fino al collo. E lì morivano abbandonandosi sulle spalle per poi cadere nuovamente a terra.

Eppure era agosto.

Hinata entrò nella stanza senza un rumore, uno spostamento d’aria. Silenziosamente si inginocchiò alla sinistra di Hanabi, piegandosi in un breve inchino in direzione del padre.

Una mano tremante impugnò le bacchette, mentre l’altra, altrettanto esitante, venne tesa verso la ciotola di riso; Hinata fece scorrere gli occhi lungo il tavolo, alla ricerca di un’improvvisamente affascinante piatto di umeboshi.

Nella tenuta degli Hyuuga nessuno parlava, a colazione.

Nella tenuta degli Hyuuga nessuno parlava e nessuno guardava realmente.

Mai.

Non Hiashi che osservava ogni cosa con sguardo invetriato senza vedere nulla. Non Neji, troppo attento a non compromettere la propria posizione per fissare i propri occhi in quelli di lei. Non Hanabi nella sua muta farsa che sapeva troppo di protesta.

Questo pensava Hinata mentre lentamente portava pochi chicchi di riso alla bocca e masticava compostamente.

 

<< Fa freddo, oggi >>.

<< …già >>.

 

Parole talmente banali da rendere irrilevante perfino chi le aveva pronunciate. Probabilmente non c’era un chi e un come, erano soltanto suoni articolati a cui nessuno avrebbe prestato attenzione. Solo rumori.

Ma in quella casa faceva sempre freddo, pensò Hinata mentre le tornavano in mente i brividi di poco prima, non c’era nulla di strano, non quel giorno.

L’acuto rumore delle bacchette che entravano in collisione con il servizio di porcellana vagò per la stanza, rimbalzando contro le pareti di carta e cercando affannosamente uno spiraglio. Niente sarebbe uscito da quella stanza.

 

<< Ha dormito bene padre? >> chiese Hanabi atona e riuscendo al contempo a suonare sibilante e velenosa come una vipera.

<< Sì >> rispose Hiashi noncurante. << Grazie per l’interessamento >>.

<< Strano >> continuò Hanabi. << Io ho invece sentito dei rumori, a notte fonda. A dire il vero non ho quasi chiuso occhio >>.

 

Il volto di Hinata sembrava confondersi sempre più con il leggero yukata di cotone bianco, il candore della pelle veniva messo in risalto dai capelli corvini. Hinata era incolore.

Non incolore come un’incisione d’altri tempi, carta di riso e inchiostro e decisi segni tracciati da un artista. Assomigliava più ad una vecchia foto, sbiadita e logorata dal tempo. Sembrava passata di mano in mano, per poi venire abbandonata su un mobile e lasciata a rovinarsi al sole. In bianco e nero.

 

<< Dev’essere stata la pioggia >> esalò con tono impalpabile. << Ha… ha anche grandinato. È per questo che fa così freddo >>.

 

Neji annuì gravemente.

 

<< Pare che la tempesta di questa notte abbia fatto danni in tutta Konoha >>.

 

Hanabi alzò un sopracciglio con scetticismo, ma in un primo momento in disse nulla. La mortificante banalità di quelle conversazioni la straziava, le toglieva l’aria, e allo stesso tempo la contagiava. Odiava ammetterlo, ma nemmeno lei riusciva a fare a meno di quella confortante e gelida falsità che a Villa Hyuuga permeava ogni cosa. Ma se per gli altri andava bene così, per Hanabi no.

 

<< Mi spiace contraddirti >> disse con calma, rivolta alla sorella. << Ma ciò che mi ha tenuta sveglia non era certo il rumore della grandine >>.

<< È caduto un albero nel cortile est >> chiosò Neji altero. << Il vento ha spezzato dei rami e li ha trasportati fin sul tetto, dove sono rimasti fino a questa mattina >>.

 

Hanabi sbatté più volte le palpebre.

 

<< Non erano rami >> spiegò apparentemente pacata. << Ne sono certa >>.

<< La mia camera era proprio accanto alla tua, ma non mi pare di aver udito alcun rumore >> obbiettò nuovamente Neji, continuando la propria colazione come se nulla fosse.

<< Ne sei certo? >> ribatté lei, volutamente sospettosa.

 

Hiashi si limitò a redarguirla con un fiacco : << Hanabi, sii più rispettosa >> .

 

Strinse i denti, Hinata, e maledisse quell’insulsa conversazione. Le parole, così come ogni altro suono, rimanevano intrappolate nelle mura, rimbombandole nelle orecchie fino a farla impazzire. Basta, avrebbe voluto gridare, smettetela smettetela smettetela smettetela. Ma la sua espressione non cambiò minimamente; rimase composta, inginocchiata al fianco di Hanabi.

Ogni anno, ogni mese, ogni giorno, ogni singolo minuto passato in quella stanza sembrava farla impazzire. Era come una tortura, sottile e perversa: nessuno avrebbe detto le cose come stavano, nessuno. Solo perifrasi, accenni velati e altrettanto velati suggerimenti ed insinuazioni. Niente che fosse o bianco o nero.

Straziante.

 

<< Ha-hanabi, non credo che Neji-nii-san abbia motivo per mentirti >> commentò Hinata con la bocca improvvisamente secca.

<< Non sto dicendo questo >> replicò Hanabi. << Solo… sembrava un rumore di passi >>.

 

Anche Neji impallidì, per quanto gli fosse possibile. Hanabi, Hanabi, Hanabi.

Un tempo l’aveva ammirata, principalmente per il suo essere differente da Hinata, ed ora si ritrovava ad odiarla.

…sempre esattamente il contrario. Con entrambe.

Aveva bisogno d’aria, di ossigeno e di scelte. Si sentiva attaccato indirettamente e messo con le spalle al muro da una ragazzina, una mocciosa velenosa e petulante ma dannatamente perspicace; aveva trattenuto il respiro a lungo, cercando di risultare il più sfuggente possibile.

Era bastato un passo falso. Un rapido respiro fuori dall’acqua, il termine momentaneo di quell’inutile apnea. Ma a lui serviva altra aria.

 

Hinata.

 

<< Passi? >> chiese falsamente stupito. << Probabilmente ti sei sbagliata >>.

<< Io non mi sbaglio >> soffiò la minore, fredda e assiomatica. << Mai >>.

<< Ne sei certa? >>.

 

Le narici di Hanabi si dilatarono. Se fosse stato possibile, pensò Neji, ne sarebbe uscito anche del fuoco. Non era contenta Hanabi. Ma non lo era nemmeno Neji, e nemmeno Hinata.

Soltanto Hiashi pareva immune a quella scia di veleno.

Generazione di veleno.

 

Neji alzò il mento, per la prima volta da quando aveva messo piede nella sala. Appoggiò le bacchette, cessando ogni rumore e ogni movimento.

 

Cosa c’è in primo piano? Si era chiesto Neji incessantemente, durante quell’infernale manciata di minuti. Hinata o gli Hyuuga?

 

 

“Lo sguardo è una scelta”

 

 

<< Non possono essere stati che passi, allora >>.

 

Hinata sussultò. Neji la stava guardando.

Stava guardando lei, proprio ed esclusivamente lei, senza dar conto a ciò che accadeva attorno. Gli occhi opalescenti del cugino erano fissi sulla sua persona e ignoravano palesemente il resto, senza degnare Hiashi o Hanabi della minima attenzione.

 

 

“Lo sguardo, che è l’essenza della vita, è prima di tutto un rifiuto”.

 

 

<< Hai ragione, Neji-nii-san >> concordò Hinata con voce flautata, alzando il volto con decisione. << Non possono essere stati che passi >>.

 

Hiashi e Hanabi strinsero le labbra con forza, fino a farle impallidire, fino a farle quasi scomparire dal volto. Strinsero le labbra per evitare che esse emettessero un qualsiasi suono, atteggiamento poco adatto alla casata, e per mostrare la loro muta indignazione.

Per un lungo, gelido minuto si sentirono estranei; per la prima volta, quella mattina, sentirono quanto realmente facesse freddo a villa Hyuuga. Si sentirono rifiutati.

Poiché Neji guardava Hinata e Hinata guardava Neji.

 

E se quello non era nient’altro che uno sguardo, i rumori non erano nient’altro che passi.

 

Idea ben più temibile.

 

 

“Vivere vuol dire rifiutare”.

 

 

Hiashi socchiuse gli occhi, mentre Hanabi distolse lo sguardo.

Poiché Hinata guardava Neji e Neji guardava Hinata.

Tutto ciò che sarebbe accaduto, non sarebbe stato altro che secoli di veleno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa storia è il regalo di natale per Leti, alias Kaho_chan <3

Perché lei sembra sempre sotto l’effetto del gas esilarante, ma poi scrive piccoli capolavori che definire angst è un banale eufemismo. Perché anche se è una Pink Panter, ogni volta che vedo il suo lato Hyuugacestoso me ne dimentico u_u

 

Buon Nata (L)

 

 

 

La citazione iniziale è tratta da Metafisica dei tubi, di Amélie Nothomb <3
Lo so che è presto, ma sono arrivata alla conclusione che postare tutti i regali tra 23 e il 24 sarebbe stato folle e controproducente. Dunque eccomi qui u__u

 

 

Piichan: Anche io sono per la corrente di pensiero “Jiraya era un gran figo”, anche grazie ai disegni lasciatici dal caro Kishimoto-sama. Ogni tanto fingo che Dan non sia mai esistito, Tsunade era innamorata di lui, non ci sono storie U_U

 

bambi88: Grazie <3 In Tsunade ci vedo una sorta di Sakura, ma sempre versione Shippuuden. Jiraya invece è semplicemente Jiraya!

 

Kaho_chan: Adesso magari attendo una TUA Jiratsu, no? <3

 

Talpina Pensierosa: Brevità perdonata XD Grazie!

 

 

 

I hope you like it!

 

Mela Caramellata

 

 

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Capitolo 3
*** 03 . But if I try to find you, there are only shadows . SasuSaku ***


31 Days - December

31 Days - December

 

 

 

~But if I try to find you, there are only shadows

[SasuSaku]

 

 

 

You shout in your sleep

That's the price, it's just too steep

Is your conscience at rest

It was put to the test

You awake with a start

Just the beating of your heart

Just one man beneath the sky

Just two ears, just two eyes

 

 

Dicembre, anno 1972

 

Quella non era pioggia.

Compatte gocce d’acqua non lasciavano le nubi all’incontro di una massa d’aria fredda, non cadevano sorde, rapide e indolori, sull’asfalto del marciapiede e contro i finestrini sporchi delle automobili.

L’acqua sembrava vaporizzata e le minuscole particelle di pioggia non soggette alla legge di gravità vagavano nell’aere alla ricerca di qualcosa a cui attaccarsi, rendendo così pressoché inutile l’uso di un ombrello.

Sakura imprecò silenziosamente scorgendo il proprio riflesso in una vetrina. Il pesante strato di mascara e kajal aveva iniziato a colarle ai lati del viso, facendola sembrare sempre più ad un panda; normalmente avrebbe riso a quell’immagine, al solo pensiero di ciò che le avrebbe detto quella perfezionista di Ino. Ma non ora.

Si fermò con decisione di fronte ad un edificio in mattoni rossi alquanto fatiscente, accostandosi all’ingresso. Mise la chiave nella toppa e la girò con forza, facendo cigolare rumorosamente i vecchi e ormai obsoleti ingranaggi. La porta si aprì con un grido sofferente e arrugginito. Salì di corsa le tre rampe di scale ed entrò con passo pesante nell’appartamento contrassegnato con il numero sette.

In un istante si ritrovò catapultata nel caos primordiale: la prima stanza, e più grande delle due, presentava un rozzo angolo cucina, un tavolo con quattro sedie -tutte rigorosamente differenti-, una televisione malconcia e un divano in pelle sintetica di un’accecante quanto orrendo color senape; custodie di dischi giacevano ovunque, unite a numerose paia di scarpe e ai vestiti stropicciati. Nel lavandino si trovava un suo reggiseno, e non sapeva nemmeno come ci fosse finito!

<< Sasuke? >> chiamò. << C’è nessuno? Naruto?! >>.

Un ragazzo biondo, vestito solamente con un paio di pantaloncini nonostante le temperature glaciali, emerse dal bagno con sguardo interrogativo e intontito.

<< …ah, sei tu Sakura >>.

Lei arricciò il naso, puntellandosi le mani ai fianchi.

<< Non mi dirai che ti sei appena alzato! >> esclamò scandalizzata. << Ti rendi conto di che ore sono, vero? >>.

Naruto assunse un’espressione corrucciata, grattandosi la scarmigliata chioma di capelli biondi.

<< No, perché? >> mugugnò sbadigliando.

<< Perché è pomeriggio inoltrato >> lo riprese, indicando il quadrante dell’orologio a muro che segnava le quattro e ventitré minuti.

<< Eh?! Ma non sono nemmeno le cinque. Di cosa ti lamenti? >>.

Sakura scosse la testa rassegnata.

<< Va bene, ci rinuncio >> si arrese. << Hai per caso visto Sasuke? Quando sono uscita di casa stamattina non l’ho visto >>.

<< Non ne ho idea >> mormorò Naruto, facendosi improvvisamente serio. << Pensi che ci sia qualche problema? >>.

<< Spero proprio di no >>.

<< Hai controllato da Ino? >> si accertò. << Può darsi che abbia passato la notte da lei >>.

<< Certo che ho controllato >> borbottò stizzita Sakura. <<E poi sai che non va da lei da mesi >>.

Naruto si strinse nelle spalle.

<< Magari è semplicemente andato a farsi un giro >> disse più a se stesso che a Sakura.

<< Non dire stupidaggini >> sibilò lei, nuovamente sulla difensiva. << Sai meglio di me che non può essere così >>.

Naruto tacque per un momento, aprendo il frigorifero per prendere una bottiglia di succo e trarne una lunga sorsata. Con una mano si pulì il baffo arancione sopra il labbro, poi tornò a guardare Sakura.

<< Secondo me sbagli >>.

La ragazza spalancò gli occhi verdi, senza mai staccarli da lui.

<< Co-come? >>.

<< Sbagli a trattarlo sempre come un bambino piccolo, come un moccioso >> le spiegò seriamente. << Sasuke qua, Sasuke là… credi che io non sia preoccupato quanto te? Beh, lo sono, però non voglio tenerlo sotto una campana di vetro! >>.

Sakura non rispose, lanciò a Naruto uno sguardo adirato, si tolse il leggero cappotto -del tutto inadatto al rigido clima invernale- e sparì oltre la soglia della sua camera da letto.

Era una casa molto piccola, un bilocale dotato di un bagno sgangherato dotato di un altrettanto sgangherato sistema di riscaldamento, ma Naruto e Sasuke avevano insistito affinché lei prendesse l’unica camera da letto, mentre loro si accontentavano di dormire in quella che avrebbe dovuta essere una sala da pranzo.

Con un sospiro si lasciò cadere stancamente sul materasso, sprofondando tra coperte e i vari cuscini di colori improponibili racimolati chissà dove. Infilò la testa sotto le lenzuola non appena da salotto sentì provenire le note di Childhood’s End dei Pink Floyd, dall’album Obscured by Clouds, pubblicato in quello stesso anno.

L’aveva comprato Sasuke, e Naruto, ogni volta che litigavano, lo metteva nel giradischi e faceva partire qualche canzone a modo di scusa, come per dire “Ecco, vedi? Sono pentito e per espirare le mie colpe ascolto la musica che piace a quel teme. Mi perdoni?”.

Lei lo ignorò, continuando a rimanere rannicchiata in posizione fetale tra le coperte.

<< Sakura-chan? >> la chiamò sommessamente, rimanendo immobile sulla soglia. << Vieni con me a cercarlo? >>

Sakura non rispose.

<dobbiamo litigare così >> continuò Naruto. << Noi siamo una famiglia >>.

Voi siete la mia famiglia.

 

 

 

You said, sail across the sea

Long past thoughts and memories

Childhood's end: your fantasies

Merging harsh realities

And then as the sail is hoist

You'll find your eyes are growing moist

 And all the fears never voiced

Say you have to make the final choice

 

 

 

Ultimi giorni di Novembre, anno 1971

 

<< Pronto, casa Haruno. Chi parla? >>.

<< Salve, sono Naruto, sono… un amico di Sakura >>,

Un attimo di esitazione.

<< Certo >> risposta affermativa. << Certo, te la passo subito >>.

Un sospiro di sollievo.

<< … pronto? Sono Sakura >>.

<< Oi, Sakura >>.

<< Na-naruto? >>.

È successo qualcosa, lui non la chiama mai a casa.

<< Eh già. Come va? >>.

<< Io bene… tu? >>.

Ancora esitazione.

<< Sì, sì, bene anch’io, grazie >>.

<< Ehm… bene >>.

<< Senti, Sakura…. Mi chiedevo, non è che tu hai sentito Sasuke ultimamente? >>.

Lei trattiene il respiro.

<< No >>.

<< Capisco >>.

<< Mi… Mi devo preoccupare? >>.

<< Sì, cioè no >> Naruto incespica. << In ogni caso non è nulla di grave, non preoccuparti >>.

<< Cosa intendi? >>.

Sakura stringe la cornetta con nervosismo, mentre lui di tortura le labbra.

<< Poco fa mi ha telefonato suo padre >> dice. << Ho capito subito che c’era un problema se quell’uomo aveva superato il suo atavico odio nei miei confronti per chiamarmi >>.

<< E cosa ti ha detto? >>.

<< Nulla. Mi ha semplicemente chiesto se ho visto Sasuke: manca da casa da almeno tre giorni >>.

<< Cosa?! >> esclama allarmata. << Tre giorni? >>.

<< Già >>.

<< Ne sei certo? >>.

<< Sicurissimo >>.

<< Naruto, dobbiamo fare assolutamente qualcosa >>.

<< Tu hai idea di perché potrebbe essersene andato? >>.

Sakura rimane in silenzio per qualche attimo.

<< Sai del processo in cui è coinvolta la sua famiglia, vero? >>.

Lui annuisce anche se Sakura non lo può vedere.

<< Sì >> mormora. << Ne hanno parlato ovunque: c’era di mezzo un omicidio. Pare che Sasuke fosse l’unico testimone e abbia deposto contro il fratello. Itachi Uchiha è stato condannato alla sedia elettrica e giustiziato non meno di due settimane fa >>.

<< Esattamente >>.

<< Credi che abbia a che fare con la sua scomparsa? >>.

<Naruto, ne sono certa. Per quanto ne so pare che Sasuke volesse ritrattare… >>.

<< …ma ormai era troppo tardi >>.

<< Già >>.

<< Dici di andare a cercarlo? >>.

<< Io… non so >>.

<< Proverò ad informarmi e ti chiamerò nuovamente per farti sapere, ok? >>.

<< Ok, Naruto, grazie >>.

<< Di niente. Ci sentiamo >>.

<< Sì, ci sentiamo >>

 

 

Primi giorni di Gennaio, anno 1972

 

<< Pronto sono Na->>.

<< Naruto! Perchè hai aspettato tanto a chiamarmi?! >>.

<< Non avevo nessuna novità! >>.

<< E ora? L’hai trovato? >>.

<< …sì >>.

<< Come sta? >>.

<< Mh. Sembrerebbe bene >>.

<< Sembrerebbe? >> Sakura si agita. << Naruto? >>.

<< Vedi… >> tentenna. << Quando l’ho trovato era in stato confusionale; vagava senza meta da più di una settimana, senza mangiare e dormendo all’addiaccio. Ha borbottato qualche frase sconnessa, parlava del processo e dell’esecuzione. Pensa che non ha nemmeno opposto resistenza quando l’ho sollevato di peso e l’ho portato a casa! >>.

<< Hai chiamato i suoi genitori? Mikoto deve essere così in pensiero… >>.

<< Sakura… >>.

<< Beh, certo, anche Fugaku deve essere preoccupato >>.

<< Sakura! >>.

La ragazza blocca il flusso di parole.

<< Si? >>

<< Sasuke parlava anche dei suoi genitori e di suo fratello. Diceva delle… cose sulla sua morte >>.

<< Ma a-anche tu hai detto che vaneggiava! >>.

<< Certo Sakura, ma -dannazione- quelli non erano gli sproloqui di un folle! >>.

<< No-non capisco >>.

<< …Itachi è innocente, anzi era. In un primo momento in tribunale Sasuke ha soltanto ripetuto ciò che gli aveva detto il padre, ma poi ha scoperto la verità. Non ha fatto a tempo a cambiare idea >>.

<< Ah >>.

Sakura non ha parole.

<< È da te ora? >>.

<< Sì >>.

<< Aspettami, arrivo subito >>.

 

 

Who are you and who am I

To say we know the reason why

Some are born, some men die

Beneath one infinite sky

There'll be war and there'll Le peace

But anything one day will cease

All the iron turn to rust

All the proud men turn to dust

So all things time will mend

So this song will end

 

 

 

Dicembre, anno 1972

 

Lo ricordava come se fosse accaduto il giorno prima, Sakura. Senza pensarci due volte aveva preso una manciata di vestiti e l’aveva buttata in una borsa; aveva sollevato il portagioie che teneva sul comodino e si era svuotata l’intero contenuto in tasca. Infine aveva afferrato il cappotto ed aveva imboccato la porta.

Sakura se n’era andata così, apparentemente senza motivo, senza dare spiegazioni ai propri genitori o ad altri amici, stringendo i propri dischi preferiti tra le braccia.

Poi Naruto l’aveva accolta in casa, così come aveva fatto anche con Sasuke, e loro tre avevano iniziato a vivere insieme. Non erano semplicemente tre amici che dividevano un appartamento malandato, non più: loro tre erano una famiglia.

Col tempo i legami esistenti fin da quando erano piccoli si erano intensificati, e nel giro di poche settimane Sasuke si era ripreso, tornando finalmente alla normalità. Nei mesi successivi nessuno di loro aveva più parlato degli eventi di quella primavera; i signori Uchiha, così come gli Haruno, avevano provato più volte a telefonare o ad entrare nuovamente in contatto con i figli in qualunque altro modo, ma inutilmente.

E poi era arrivato dicembre, di nuovo, e quello che Sakura temeva accadesse… era accaduto.

Se n’è andato” pensò rialzandosi con fatica dal materasso.

Stropicciandosi gli occhi notò la figura di Naruto, appoggiato allo stipite della porta e con le mani nelle tasche dei jeans sdruciti.

<< Allora? >> la incalzò.

Sakura sbatté le palpebre.

<< Allora cosa? >> chiese inclinando la testa. Naruto sbuffò.

<< Andiamo a cercare quell’idiota, no? >> rispose lui, con ovvietà. << Chissà dove sarà andato a cacciarsi questa volta. Senza di noi non come farebbe! >>.

Lei abbozzò un mezzo sorriso, alzandosi per rivestirsi.

<< Ok >> disse. << Ci dividiamo la città? >>.

Il ragazzo annuì, avviandosi verso la porta.

<< Vuoi andare tu dai suoi genitori? >>.

<< No >> rispose lei, piano. << Meglio di no. Farai bene a non andarci nemmeno tu >>.

<< Ma se Sasuke fosse… >>.

<< No, Naruto >> ripeté. << Sasuke non è tornato da quelli. Credimi >>.

Naruto si limitò a fissarla, poco convinto.

<< Ok >> asserì infine. << Io controllo fino al canale accanto al centro commerciale e tu da lì in poi, va bene? >>.

Sakura serrò la mascella con decisione, chiudendosi la porta alle spalle.

<< Perfetto >>.

 

Il gelido vento dicembrino le sferzava il volto, arrossandole le gote e facendole lacrimare gli occhi. Era uscita senza nemmeno prendere una sciarpa: sarebbe rimasta a letto con la polmonite per i mesi a venire.

Passò incurante sotto l’appartamento di Ino, dove era stata appena poche ore prima. Lei e Sasuke avevano avuto una storia, alquanto strana ad onor del vero, ma decisamente breve. E comunque lui non era lì, nemmeno la bionda l’aveva visto da una settimana a quella parte.

Svoltò a sinistra, superando un parco giochi dove alcuni bambini giocavano a palle di neve, ridendo ed urlando come pazzi.

Un tempo anche lei, Naruto e Sasuke erano stati così. Ogni inverno -come imponeva la tradizione- si ritrovavano sulle colline ad est della città e passavano ore ed ore a correre nella neve, finché le labbra non diventavano viola e le mani perdevano sensibilità.

Poi l’idillio si era spezzato, Itachi Uchiha era stato condannato a morte e Sasuke era il suo unico testimone.

Quasi inconsciamente, Sakura si porto entrambe le mani alle orecchie, per non udire le grida e gli schiamazzi. Accelerò il passo e in pochi attimi raggiunse il canale che delimitava la sua area d’azione.

Fu in quel momento che lo vide.

Anche lui la fissò e Sakura si sentì immensamente stupida, col suo naso arrossato, con gli occhi lucidi e le mani premute sulle orecchie. Ma lui la guardò solamente.

Lei gli corse incontro il più rapidamente possibile, come se temesse in una sua -ennesima- fuga.

<< Sasuke! >> cominciò ad urlare ad una ventina di metri di distanza. << Sasuke! >> ripeté nuovamente, con gli occhi che si riempivano nuovamente di lacrime, questa volta non dovute al freddo.

<< Dove ti eri cacciato? >> ruggì disperata. << Mi sono preoccupata! Anche quello scemo di Naruto si è preoccupato, anche se in questo momento non saprei dire che è peggio tra i due! Non senti che freddo fa? Hai le mani completamente ghiacchiate! Dove hai dormito? Hai mangiato? Stai bene?! >>.

<< Sono… sempre stato qui >> rispose lui, a voce bassa.

Sakura tacque, frenando la valanga di parole che gli aveva riversato addosso.

<< Dovevo solo pensare >> aggiunse Sasuke, torcendosi le mani.

Lo sguardo della ragazza si addolcì.

<< Lo so >> ammise, tendendo una mano verso il suo volto. << Ormai è passato un anno. Chi l’avrebbe mai detto >>.

Sasuke socchiuse gli occhi.

<< Il tempo vola >> mormorò.

<< Avevi intenzione di tornare? >> domandò Sakura, apprensiva.

Lui non rispose.

<< Sasuke? >>.

<< … non lo so >>.

La ragazza si morse le labbra gelate e screpolate, fino a farle sanguinare.

<< Per tuo fratello, vero? >>.

<< Anche >>.

Sasuke era lì, di fronte a lei, con la testa china. Sentì gli occhi inumidirsi nuovamente e le lacrime scorrere lungo le guance, bruciando come sale su una ferita aperta.

<< Non voglio che tu mi spieghi i perchè >> sussurrò con voce spezzata. << A me basta... che tu rimanga >>.

Sasuke la guardò per un lungo istante, come per imprimere il più possibile la sua immagine sbiadita nella memoria. Poi, facendole sgranare gli occhi, la abbracciò; era una stretta leggera, di chi non vuole essere invadente ma al tempo stesso piena di gratitudine, quasi fraterna.

<< Grazie >> sussurrò. << Sakura >>.

 

 

 

 

(Childhood’s end - Pink Floyd)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buon Natale Tya <3

Non vieni da Susi e non ti meriteresti questa storia -seppur indegna- ma te la dedico ugualmente.

Sono contenta di averti conosciuta (L)

 

Questa one-shot ha una storia lunga e travagliata… sappiate che ho avuto dei problemi con la collocazione temporale e la congruenza tra le date, la canzone e la pena di morte. Alla fine si è risolto tutto per il meglio <3

 

 

 

Non rispondo alle recensioni perché ho fretta ò__ò

INIZIA LA TERZA STAGIONE DI BONES!!

 

Chiedo venia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Clà

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Capitolo 4
*** 04 . Drunk with his own light . SasuSaku ***


31 Days - December

 

31 Days - December

 

 

 

~ Drunk with his own light

[SasuSaku]

 

 

Before I sink into the big sleep

I want to hear, I want to hear

The scream of the butterfly

 

[When the music’s over – Doors]

 

 

 

 

Sakura era come una falena. Speranzosa volava freneticamente attorno alla luce, senza capire quanto quella fosse artificiale.

Bianca, e fredda, e lucida.

E nonostante tutto continuava a sbattere incessantemente le ali, muovendosi verso Sasuke. Si scagliava contro quella luce, a più riprese, sempre cadendo rovinosamente.

Una volta.

Due volte.

Tre volte.

Non le importava il dolore, lo sconforto, l’ennesimo fallimento.

Alla falena non interessavano le ali rovinate o l’odore di bruciato, e nemmeno quel calore insopportabile che la feriva. Non le importava che quel bagliore fosse la luna o soltanto un semplice lampione.

L’avrebbe amato comunque, per la sua luminosità.

 

 

 

 

 

______________

Sob.

Le vacanze stanno finendo.

Sigh.

Devo smetterla con le SasuSaku.

Sob.

 

 

 

Talpina Pensierosa: Tu sei un’insospettabile SasuSaku, sappilo XD Comunque grazie!

 

Bambi88: Grazie ^^ Spero di averli resi al meglio, pur non amandoli come li ama Tya XD

 

Topy: Magari un dì la trasformerò in una long-fic… per ora non ne ho la forza >_<

 

Nomiemi: Grazie ^^

 

Hipatya: L’ombra SasuIno alegga su ogni cosa, come un fantasma Muhahahahahahahahahaha ù__ù Sono capace di terrorizzare, vero? Oddio, forse ricorda City of Blindino Lights solo perché l’ha scritta la stessa mano XD a me paiono abbastanza differenti… Comunque felicissima che questo piccolo aborto ti sia piaciuto <3 <3

 

 

 

 

 

 

Mela

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Capitolo 5
*** 05 . And night with different stars . MinaKushi ***


31 Days - December

31 Days - December

 

 

 

 

~And Night With Different Stars

[MinaKushi]

 

 

 

 

 

La stanza era avvolta nell’ombra, la poca luce che entrava dalla finestra spalancata bastava appena per rendere visibili le scure sagome dei mobili. Il ragazzo rise sommessamente nel notare come un’esatta metà della camera sembrasse un campo di battaglia, mentre l’altra un salone di bellezza discretamente attrezzato. Unico comune denominatore, il disordine tipico degli adolescenti.

A tentoni si diresse verso la finestra e, nonostante la cautela e le sue famose qualità di shinobi, inciampò rumorosamente in un paio di sandali, venne travolto da una pila di rotoli, atterrò su un mucchio di vestiti, venne quasi strangolato da una benda e rischiò seriamente di cavarsi un occhio con uno shuriken incautamente abbandonato sul pavimento.

Si rialzò dolorante, imprecando mentalmente. Con un movimento rapido si liberò dalla stretta della benda e ringraziò il grande demone celeste -o chi per lui- di avere entrambi i bulbi oculari intatti e funzionanti. Sì, avrebbe dovuto farle un discorsetto anche riguardo al fattore “ordine”.

Con passi attenti raggiunse il davanzale e rimase immobile per qualche attimo, beandosi della brezza che soffiava su Konoha quella notte. La strada sotto di lui era ancora illuminata e gli abitanti del villaggio sciamavano per le vie, inebriati dal clima estivo. Poi, con un agile balzo saltò sul cornicione, allungò una mano verso la sporgenza successiva e in poche, rapide mosse raggiunse il tetto dell’edificio.

Fece vagare lo sguardo sulla distesa di tegole verdognole e strinse gli occhi finché i contorni di ciò che lo circondava si fecero più nitidi. In fondo sulla destra, accanto ad un comignolo di forma tubolare, una ragazza giaceva supina, con entrambe le braccia dietro la testa. Il rumore dei passi non sembrò richiamare la sua attenzione, anzi, quando il ragazzo le si distese accanto, lei non sembrò nemmeno farci caso.

« Stai giocando a “ignoriamo Namikaze”? Sembra divertente » esordì tranquillo, puntando gli occhi sul manto blu scuro che si stendeva sopra di loro fino all’orizzonte. « Posso partecipare? ».

La ragazza arricciò il naso.

« Scemo » si limitò a commentare, senza muoversi di un millimetro.

« Lo so, lo so » continuò lui. « Questo gioco deve essere più divertente con Arisa, lei se la cava decisamente meglio di me nel fingere che le persone non esistano. Che ci vuoi fare Kushina, sono ancora un principiante ».

La risata trattenuta di Kushina fece sì che anche le sue labbra si incurvassero in un timido sorriso.

« Scemo » ripeté. « Come puoi ignorare te stesso? Il gioco non avrebbe più uno scopo così. E poi è vero, non potresti mai vincere contro una veterana come me ».

« Veterana o no, mi spiace farti notare che hai appena infranto la regola principale » le fece notare, rotolando su un fianco e voltandosi verso di lei. Kushina piegò appena il collo.

« E cioè? » domandò inarcando le sopracciglia.

« Mi stai rivolgendo la parola, ovvio » rispose Minato, con tono volutamente saccente.

« Scemo » decretò nuovamente lei, per la terza volta in quaranta secondi. « Se tu mi parli, risponderti è il minimo ».

Minato sorrise, tornando a sdraiarsi sulla schiena.

« Stiamo facendo progressi allora ».

« Che intendi? ».

« Beh… » Minato si grattò la testa, come un cerca delle parole esatte. « Diciamo che fin dalla tua prima comparsa qui a Konoha, il tuo atteggiamento nei miei confronti è sempre stato… come dire… un po’ ostile ».

« Ah ».

« Ma, insomma, va bene così! » si corresse rapidamente il ragazzo, questa volta sorridendo apertamente. « Lo trovo divertente ».

Kushina scosse il capo, un po’ per disapprovazione, un po’ per scostare una fastidiosa ciocca di capelli rossi che le era caduta sul volto.

« Se lo dici tu » commentò poco convinta, per poi rinchiudersi nuovamente nella silenziosa apatia iniziale.

Minato tornò a sedersi, portando lo sguardo su di lei e studiandone il profilo. Vedere Kushina Uzumaki seria e pensosa aveva uno strano effetto su di lui, abituato a vederla sempre rumorosa e in movimento.

L’aveva prima aspettata al palazzo dell’Hokage, dove avrebbe dovuto consegnare il resoconto della missione appena svolta, ma Yuiko –una stramba kunoichi dalle gote rossissime, responsabile dell’archiviazione dei rapporti- gli aveva detto che il team di Uzu non si sarebbe fatto vivo fino al giorno successivo. Per nulla rassegnato, si era poi recato al chiosco del Ramen dove la ragazza passava ogni suo momento libero; lì aveva trovato Ichiro sensei, Arisa e Yuichi, intenti a consumare la cena. Da loro aveva appreso che Kushina si era rifiutata di uscire dalla camera, lamentando un banale e poco credibile mal di pancia.

Infine l’aveva trovata sul tetto, intenta a fissare il cielo.

« È per via della missione? » azzardò, dopo aver taciuto per un istante.

« Eh? ».

« Sei triste per quello? ».

Kushina scosse il capo, negando silenziosamente.

« Non sono triste » aggiunse infine, nonostante una nota amara nella sua voce indicasse il contrario. « Va tutto bene, davvero ».

« Perché non sei a mangiare ramen con la tua squadra? » le chiese nuovamente, ma con meno cautela. Questo fece scattare la kunoichi sulla difensiva.

« Perché non sei a farti i fatti tuoi? » borbottò imbarazzata. Facendo leva sulle braccia si sollevò e si sedette, portando gli occhi alla stessa altezza di quelli di Minato.

« Perché altrimenti tu saresti qui da sola » rispose con semplicità. « E passeresti tutta la notte al freddo, rimuginando sui tuoi problemi senza riuscire a risolverli. Anzi, questi diventerebbero ancora più grandi e… ».

« Scusa » Kushina lo interruppe con aria colpevole.

« Scusa? ».

« Sì. Non devi preoccuparti, va tutto bene. Tutto bene, sul serio » ripeté. « È solo che… insomma… ».

Incapace di trovare le parole adatte, la ragazza cominciò a mordersi l’interno delle guance. Voleva parlare, voleva spiegare tutto a quel fastidioso individuo che era Minato Namikaze, certa che l’avrebbe capita, ma il suo orgoglio le impediva di proferire parola.

« Sì? » la incalzò con tono pacato.

Kushina si passò una mano fra i capelli, arrossendo per l’imbarazzo.

« Ve-vedi… è difficile da spiegare » balbettò visibilmente a disagio.

« Se non ti va di dirmelo… ».

« No, no. Voglio dirtelo » lo interruppe con sguardo supplicante. « Potrei parlarne con Arisa, ma ho paura che mi rida in faccia. Ho bisogno di dirlo a qualcuno ».

Minato annuì lentamente, tornando ad osservare l’orizzonte.

« Il fatto è… che mi manca Uzu » esalò la ragazza, come se le mancasse il fiato. « La Foglia è fantastica, credimi. Completando qui il mio addestramento ho avuto l’occasione di confrontarmi con ninja eccezionali –tra cui anche tu, ma non montarti la testa!- e affrontare numerose missioni… Ma ci sono dei momenti in cui ricordo che questa non è casa mia » concluse piegando le labbra in un sorriso nostalgico. « Uzu è diverso ».

Lui continuò ad osservare il panorama notturno, fingendo di non accorgersi delle lacrime che erano spuntate dagli occhi di Kushina.

« Cosa c’è di diverso? » chiese realmente interessato, ma senza guardarla. Lei gliene fu grata.

« Non saprei… le persone, forse » sussurrò. « La mia famiglia, i miei amici e anche semplicemente i miei conoscenti. È diverso uscire in strada e vedere ovunque facce familiari, entrare nell’unico locale e trovare qualcuno con cui scherzare a qualunque ora… Anche stare con Arisa e Yuichi è diverso a Uzu. Non ci sono pressioni o aspettative su di noi, riusciamo perfino ad andare d’accordo e a ridere insieme senza litigare. Poi l’aria: il profumo del mare invade le strade vicino al porto, arrivando anche alle case più lontane con l’avvicinarsi di qualche tempesta; oppure il sole che si riflette sulle onde ed infine tramonta dietro le case. Molte cose, insomma ».

« Credo di capirti » decretò Minato, che nel frattempo aveva allungato una mano fino a posarla su quella di lei che, inaspettatamente, non l’aveva spostata.

« …e poi le stelle » mormorò Kushina, spostandosi lentamente verso di lui, leggermente rincuorata dal calore della sua mano.

« Le stelle? » chiese lui, distogliendo definitivamente lo sguardo dal cielo notturno. « Cos’hanno le stelle di Konoha che non va? ».

Kushina fece una smorfia strana e corrucciò le sopracciglia.

« Sono diverse » disse infine, quando i loro nasi arrivarono quasi a sfiorarsi. « Ma in senso buono ».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Che il blocco sia finalmente finito? Non lo so, so solo che devo ringraziare , ovvero Kaho_chan, per avermi inconsapevolmente aiutata a superarlo. Tutto ciò che ho pubblicato negli ultimi mesi era in realtà bello e pronto da tempo, personalmente non metto mano a word dai primi di gennaio.

Fortunatamente (per me, non per voi!) eccomi di nuovo qui con la mia molesta presenza e le mie infestanti MinaKushi <3

Per chi non l’avesse capito, Yuiko –la ninja con le gote rossissime XD- è . Grazie.

 

Come al solito ringrazio anche i quattro gatti che mi leggono, ovvero eleanor89, bambi88, Talpy e Tya °u°

Le vostre recensioni mi danno una spinta in più XD

 

Mela

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Capitolo 6
*** 06 . Did you find the enlightenment in the Western Paradise? . JiraTsu ***


31 Days - December

31 Days - December

 

 

 

~Did you find the enlightenment in the Western Paradise?

[JiraTsu]

 

 

 

 

 

«Sono contento che tu sia tornata».

«Siamo mancati entrambi per troppo tempo».

«Ma tu sei stata la prima ad andarsene e l’ultima a tornare».

«Vuoi farmene una colpa? » domanda contrariata. « …quando perfino tu hai lasciato Konoha».

Jiraya scoppia in una risata fragorosa.

«Hai ragione» asserisce. «Ma volevo comunque provare l’emozione di darti il benvenuto».

«Il solito pallone gonfiato».

«Già »

«Dimmi Tsunade… ».

«Sì? ».

«Hai trovato quello che cercavi? È per questo che sei di nuovo qui?».

Tsunade scuote la testa, posando sulla scrivania il bicchierino che fino a pochi istanti prima era ricolmo di saké.

«È proprio perché non ho trovato nulla che sono tornata. Suppongo che il mio metodo di ricerca non sia abbastanza efficace».

«Forse il problema non è il metodo, ma ciò che cerchi» le fa eco Jiraya. «Perché se l’unica cosa che vuoi trovare è una ragione per non tornare mai più, prima o poi finirai per fare l’esatto contrario».

La donna sbuffa, infastidita.

«E tu che ne sai?».

«Siamo mancati entrambi per troppo tempo, l’hai detto tu».

Tsunade abbozza un sorriso, poi fa vagare lo sguardo sul suo nuovo ufficio da Hokage.

«Allora vecchia, hai trovato l’illuminazione durante i tuoi viaggi?» le chiede nuovamente Jiraya.

«Non saprei… » risponde, assumendo un’aria pensosa. «Penso di averla trovata qui, all’ombra del fuoco ».

«L’illuminazione?».

«Una ragione per restare».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come ogni volta, ringrazio coloro che hanno commentato: ovvero la fangirleggiante Kaho, la mia omonima Clahp, hachi92 (“ti seguirò in capo al mondo” suona come una minaccia XD), Bambi88, Talpy e Silvia alias harryherm che finalmente commenta <3

 

Hasta luego!

 

Mela

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