The Soldier, The Captain & The Spider

di Dragon gio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You’re Not Alone ***
Capitolo 2: *** Family ***
Capitolo 3: *** I’ll be Right Here ***
Capitolo 4: *** I’m Not Your Housewife! ***
Capitolo 5: *** Thunderstorm ***
Capitolo 6: *** Be Still ***
Capitolo 7: *** Rain ***
Capitolo 8: *** Hey, Dad ***



Capitolo 1
*** You’re Not Alone ***


Salve a tutti! E’ con piacere e, timore, che metto piede nel fandom Marvel per la prima volta! Prima di lasciarvi alla lettura, due paroline; questa che vi apprestate a leggere è una raccolta Stucky Superfamily con Peter Parker, insomma avete presente che ci sono scrittrici che la fanno in versione Stony? Bene, la mia è versione Stucky! XD Come linea temporale, parto da dopo gli eventi di Civil War (io mi rifaccio unicamente al Marvel movie universe) e, detto brevemente, Bucky è stato scongelato, il Cap perdonato e sono tornati a vivere a New York, dove i due hanno cominciato una relazione. ♥ Voglio precisare inoltre, che non ho nulla contro zia May ma, che per ragioni di trama, ho dovuto farle fare questa brutta fine, vi chiedo perdono! Sebbene la storia seguirà una linea temporale, ogni capitolo si può considerare autoconclusivo, indi per cui verrà aggiornato solo nel momento in cui avrò qualche idea decente da presentarvi! XD
 
Detto ciò, vi auguro buona lettura! Come sempre, consigli, critiche costruttive e quanto altro saranno sempre ben accette!
 
 
The Soldier, The Captain & The Spider
You’re Not Alone
 
 
Si trovava in un luogo a lui sconosciuto, buio, umido e silenzioso. Le luci, i suoni, ogni cosa pareva lontana, irreale. Peter si sentiva come una piccola e fragile bolla di sapone nell’oscurità, pronta ad esplodere alla minima vibrazione. Camminava piano, mettendo un piede dopo l’altro con incertezza, proseguendo sempre dritto. Un tintinnare di gocce d’acqua scandiva i suoi passi, lentamente e con cadenza misurata.
 
Un grido squarciò le tenebre, la voce di una donna. Una voce che invocava il suo nome.
 
Zia May!
 
Peter si mise a correre. Le sue gambe si muovevano frenetiche, il suo cuore si dibatteva con ferocia nel petto, eppure, era sempre fermo nello stesso punto.
 
La voce si placò tutto un tratto. Peter tremò, davanti a lui si stagliava una porta. Alta, scura, una scritta in bianco accecante che diceva “obitorio”. Il giovane deglutì più volte, il respiro sempre più affannoso. Spalancò la porta e dentro vi trovò una stanza asettica, senza niente dentro. A parte un letto con sopra un cadavere.
 
Zia May…
 
Ripeteva come in trance Peter, gli occhi che gli si riempivano velocemente di calde lacrime. Si avvicinò al corpo privo di vita, continuando a domandare scusa. Ancora, ancora e ancora. Fin quando ogni cosa svanì e, Peter, riemerse con violenza dal suo incubo.
 
Scattò seduto, trattenendo a stento un grido di terrore. Premette con forza una mano sulla bocca per soffocare i singhiozzi che lo stavano scuotendo. Pensò di averla scampata, di non essere stato udito dalle due persone che dormivano nella stanza adiacente.
 
Toc toc.
 
Invece non era così. Si asciugò rapidamente le lacrime e il sudore sul viso usando il lenzuolo, prima di saltare giù dal letto e correre vicino alla porta.
 
« Peter, stai bene? Ho sentito che ti lamentavi! » Chiese una voce gentile dall’altra parte.
« S… sì! Sto bene! E’ tutto a posto, davvero! » mentì, la voce ancora roca e spezzata. Teneva una mano salda sulla maniglia, per impedire a chiunque di varcare la soglia.
« Peter… ti prego, lo so che hai avuto un altro incubo… fammi entrare… »
Dinanzi quella supplica, Peter cedette. Si lasciò andare ad un lungo sospiro, sconfitto, prima di fare qualche passo indietro. La porta si aprì, permettendo ad un uomo biondo e alto di entrare.
« Signor Steve… » disse formale Peter, lo sguardo che vagava a terra, sentendosi colpevole e sciocco.
« Non c’è bisogno che mi chiami “signore”, te l’ho già detto! »
« Ok… è che, me ne dimentico… »
 
Steve cercò a tentoni l’interruttore della luce e lo premette. Non appena la stanza fu illuminata, Rogers constatò il pallore e le profonde occhiaie presenti sul volto di Peter. Corrugò la fronte per un istante, preoccupato per il ragazzino che ormai non chiudeva occhio decentemente da almeno settantadue ore. Ma come poteva dargli torto? Sua zia May, la sua unica parente, la sua  sola  famiglia era deceduta in un incidente.
Un banale incidente d’auto provocato da alcuni rapinatori che, Spider Man, non era stato in grado di fermare, perché impegnato dall’altra parte della città a salvare altre vite umane.
 
La stampa lo aveva definito eroe, per aver tirato fuori da quel bus tutti quei bambini, ma questo per Peter non era importante, no, perché rimaneva il fatto che lui aveva fallito miseramente. Ancora. Prima con zio Ben, ora con sua zia May, erano morti entrambi a causa di un suo errore e niente al mondo lo avrebbe convinto del contrario. Essendo ancora minorenne, Peter sarebbe dovuto finire in adozione, chissà dove, chissà con chi, ma nessuno fra i membri della sua nuova famiglia, gli Avengers, lo avrebbe mai permesso.
Tony Stark si era messo in moto immediatamente, usufruendo di tutte le sue conoscenze e, del suo denaro, aveva fatto in modo di far smarrire le pratiche di Peter per qualche giorno, così da dare il tempo a loro di pensare ad un piano alternativo, per non farlo andare via.
 
Nel frattempo, Peter era ospite a casa di Steve e Bucky. Nessuno si era opposto alla richiesta, tutti sapevano che era la persona più adatta a prendersi cura di Peter, in questo momento di grave lutto. Perfino Bucky, per quanto reticente, data la sua mente ancora instabile, aveva accettato di buon grado la cosa, felice di poter dare una mano ad un'altra persona.
 
« Non hai voglia, di parlarne? » Domandò nuovamente Steve.
Peter se ne stava accucciato sul letto, le ginocchia al petto, strette in un abbraccio, il capo chino, gli occhi serrati che lottavano per non far cadere altre lacrime.
Erano trascorsi ormai svariati minuti, e la situazione non accennava a mutare. Ma Steve era paziente. E discreto, cosa di cui Peter gli fu grato dal primo secondo in cui aveva messo piede nel suo appartamento.
 
« Ti porto dell’acqua fresca… » Si alzò e si diresse in cucina, prese dal frigo una bottiglietta d’acqua naturale e ritornò sui propri passi. Passando davanti la porta della camera che condivideva con Bucky, vide quest’ultimo poggiato allo stipite. Le braccia al petto, lo sguardo crucciato tanto quanto il suo. Gli fece un cenno con il capo, indicando la camera accanto, ma Steve gli fece intendere che poteva sbrigarsela da solo.
 
Quando tornò da Peter, vide che si era coricato di nuovo, dandogli la schiena. Steve comprese che tentare di forzare il ragazzino a parlare, ora, sarebbe stato inutile. Posò la bottiglietta sul comodino e si preoccupò di coprirlo con il lenzuolo, che era finito per terra.
« Lascio la porta della mia stanza aperta, se hai bisogno non esitare a chiamare, ok? »
Non ricevette alcuna risposta, ma Steve non si offese. Capiva fin troppo bene cosa stesse passando Peter, così si ritirò, spegnendo la luce, lasciando il giovane libero di sfogarsi da solo, lontano dai suoi occhi.
 
Dopo un pianto che durò ore, Peter comprese che non sarebbe riuscito a dormire nemmeno quella notte. Ma era così stanco, tanto stanco, desiderava solo poter chiudere gli occhi e riposarsi, senza la paura di rivivere quell’incubo.
Ripensò alle parole di Steve e, come guidato da chissà quale istinto, balzò in piedi e si diresse a passo spedito verso la stanza accanto. Come gli aveva annunciato, la porta sarebbe rimasta aperta quella notte.
Steve e Bucky dormivano assieme nel letto matrimoniale; non erano stati molto chiari sulla natura del loro rapporto ma, alla vista di ciò, Peter dedusse che doveva trattarsi di una relazione sentimentale.
 
Esitò a lungo prima di trovare il coraggio di varcare la soglia. Improvvisamente si sentì uno stupido, ora che era lì cosa pretendeva di fare? Svegliare Steve e costringerlo a stare a sentire i suoi sfoghi?
Era così preso dai suoi pensieri, dal non accorgersi di essere osservato già da alcuni minuti da Bucky. Quando se ne accorse sussultò appena, sorpreso. Provò una tale vergogna che desiderò unicamente fuggire, ma Bucky fece qualcosa di inaspettato. Scostò le coperte e gli fece cenno di raggiungerlo. Peter sgranò gli occhi, scioccato, pensò di aver visto male, in fondo era abbastanza buio ancora.
 
« Vieni… » Gli sussurrò il soldato, la mano umana sollevata e tesa verso di lui. Peter si lasciò convincere e, sebbene ancora pieno di dubbi, si andò a coricare accanto a Bucky. Quando fu disteso, coprì bene entrambi e poi gli diede le spalle, così che le loro schiene fossero a contatto. Nessuno dei due fiatò, e nemmeno si mossero per un tempo indefinito. Ancora prima che se ne rendesse conto, Peter si era addormentato profondamente.
 
Alle prime luci dell’alba, Steve si destò per primo e, come al solito, abbracciò Bucky per dargli il buon giorno. Si rese conto che c’era un intruso nel loro letto, solo nel momento in cui si sporse oltre la spalla del compagno.
Sorrise nel vedere Peter che dormiva accoccolato sul petto di Bucky. Un braccio di quest’ultimo che gli cingeva la vita con fare protettivo. Era decisamente un immagine insolita, ma che riempì di tenerezza il cuore di Steve.
 
« E tu che dicevi di non saperci fare con i ragazzini! »
« Taci… »
 
Molte e molte ore dopo, quando anche Peter si svegliò, si sentiva finalmente pronto per parlare con Steve. Nel cuore la consapevolezza che, qualunque sarebbe stato il futuro che lo attendeva, non avrebbe dovuto affrontarlo da solo.

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Capitolo 2
*** Family ***


The Soldier, The Captain & The Spider
Family
 
Nonostante il caldo afoso di quell’estate non invogliasse a dedicarsi ad attività fisiche, di qualunque natura, due individui stavano sfidando le alte temperature, facendo sesso.
Era l’alba, l’unico momento in cui, ci si illudeva, che l’aria fosse vagamente più fresca. Steve si muoveva con lentezza esasperante, dentro il corpo del compagno. Le mani, al tatto callose, scorrevano frenetiche sulla schiena umida di Bucky, la pelle bollente scossa da brividi di eccitazione.
 
La deliziosa tortura non durò ancora a lungo, con un ultima energica spinta il biondo venne, seguito a sua volta da Bucky che, esausto, cadde al suo fianco.
Il soldato si spostò appena, facendosi vicino a Steve, posando il viso sul suo petto, ancora pervaso da respiri affannosi.
 
« Che cosa hai, oggi? » domandò poi passandosi la lingua sulle labbra gonfie, per i troppi baci aggressivi che aveva ricevuto nelle ultime ore. Steve sollevò lo sguardo sull’amante, confuso.
« Perché, me lo chiedi? »
« Mi sei sembrato distratto, tutto qui… » Replicò atono Bucky, la mano umana che carezzava dolcemente i lineamenti della muscolatura perfetta sull’addome del biondo.
« Sono un po’ in ansia per Peter… » La confessione, turbò non poco Bucky che, si tirò su per vedere bene negli occhi il capitano.
« Stai ancora pensando alla proposta di Stark?! »
Steve non ribatté, strinse le labbra, come per evitare di pronunciare parole sgradevoli e si alzò. Indossò le mutande con gesti rapidi e poi fuggì, letteralmente, dalla stanza.
« Steve! » Chiamò Bucky, invano, rimanendo seduto sul letto sfatto. Alzò gli occhi al soffitto, maledicendo mentalmente Tony Stark.
 
 
Qualche giorno prima, erano stati convocati alla Stark Tower, per discutere la delicata situazione di Peter. Il tempo a loro concesso stava scadendo, fra meno di una settimana, Peter Parker sarebbe finito nel sistema nazionale di adozioni. La possibilità di un immediato trasferimento in un'altra città, era molto elevato.
Nessuno, fra i membri degli Avengers, desiderava questo, specialmente se si teneva conto della doppia vita di Peter. Sarebbe stato pressoché impossibile per lui adattarsi, spiegare alla nuova famiglia il perché tornasse a tarda notte, pieno di lividi o con pallottole in corpo.
 
Secondo Tony, l’unica via legale possibile era quella di far adottare Peter da uno di loro. Andando per esclusione, al rampante miliardario la scelta più sensata era Steve Rogers. Nonostante i suoi recenti trascorsi diciamo, turbolenti, rimaneva pur sempre Captain America. Nessun giudice degli Stai Uniti si sarebbe mai opposto.
Bucky era presente, mentre Tony elargiva i suoi preziosi consigli e idee. Se gli fosse stato concesso di parlare, avrebbe espresso il suo dissenso in merito, ma i rapporti fra lui e Stark erano ancora tesi. Durante quel colloquio era rimasto muto, isolato in un angolo ad attendere che concludessero di parlare.
 
Dal momento in cui erano rientrati a casa, Bucky non era riuscito a trovare un momento di intimità per parlare con Steve di questa faccenda. Peter era ancora loro ospite, e stava pian piano ricominciando a vivere dopo la perdita della sua amata zia. Tutta l’attenzione di Steve, era rivolta dunque al ragazzino. Si preoccupava che non saltasse le lezioni, che mangiasse a sufficienza, che non rientrasse troppo tardi quando faceva la sua ronda come Spider Man. In effetti, solo su una cosa poteva essere d’accordo con Stark: di tutti gli Avengers, Steve era quello che più si avvicinava alla figura di un padre. E, ora che condividevano l’appartamento con Peter, lo vedeva con i propri occhi.
Sarebbe stato semplice, in fondo, fare quel passo in avanti e adottarlo. Steve andava d’accordo con lui, e anche Peter sembrava stare bene in sua compagnia. Ma non erano questi, i dubbi che si erano insinuati nella mente del Soldato d’inverno.
 
 
« Steve, devo parlarti! » Bucky piombò in cucina, dove Rogers stava preparando la colazione per tutti. Il sorriso del biondo, si spense velocemente quando si rese conto dell’espressione crucciata del fidanzato.
« Adesso? »
« Sì, adesso. » Si andò a sedere, attendendo che Steve facesse lo stesso. Si fissarono intensamente per qualche istante, prima che Bucky prendesse la parola.
« Steve, voglio che riconsideri la tua idea di adottare Peter. »
Gli occhi chiari del biondo si sgranarono, scioccati, le braccia posate placide sul tavolo si irrigidirono all’istante dinanzi quella richiesta.
« Come mai? Non ti piace, Peter? »
« Non mi fraintendere! E’ un bravo ragazzo, non ho niente contro lui, ma penso che adottarlo sia la scelta sbagliato, ecco tutto. »
« Bucky, dovrai darmi una motivazione, non mi basta un “ecco tutto”. »
Il soldato inspirò a fondo, deglutendo rumorosamente la poca saliva che gli era rimasta in bocca « Se lo adotti, e poi gli accadesse qualche cosa, tu non te lo perdoneresti mai. »
« Lo so, bene. Ma è un rischio che sono disposto a correre! »
« Steve. Ti conosco meglio di te stesso, e so che non sopporteresti l’idea di perdere qualcuno che ami… » bisbigliò con voce incrinata, spostando altrove lo sguardo, come scottato « Ne moriresti. »
 
Steve chinò il capo, passandosi una mano sopra gli occhi stanchi.
« Bucky, io ormai ho deciso! Adotterò, Peter. » Affermò determinato come non mai, la sua espressione seria non lasciava spazio ad altri dialoghi. Si alzò in piedi e ritornò ai fornelli, dando le spalle al compagno, lasciandolo annegare inconsapevolmente, in un mare di incertezze e rancore.
« Quindi la mia opinione, non conta un cazzo per te?! »
« Bucky, qui non si tratta di me o di te, si tratta di Peter, di salvare la vita di questo ragazzo! Non ti importa niente di lui? » Esclamò infervorato Steve voltandosi di scatto, alzando la voce.
« Mi importa più di te! »
« Perché sei così convinto, che sarebbe una scelta sbagliata?! Pensi che sarei un cattivo padre?! »
« No, non è questo! »
« Allora, perché?! Dimmelo, avanti! »
« Perché ho paura! » Gridò infine Bucky, liberandosi del peso che gli attanagliava le viscere. La sua debolezza, la sua fragilità, si era liberata nuovamente agli occhi della persona che amava di più al mondo. Si portò le mani nei capelli, tremando appena.
« Cosa? »
« La mia mente, è ancora piena della merda che ci hanno messo dentro quei bastardi dell’Hydra! Davvero ti fideresti a lasciare quel ragazzino da solo in casa con me?! E se perdessi di nuovo il controllo? Se gli facessi del male?! »
« Tu, vuoi proteggere Peter… »
« Sì, da me stesso. Se… mi affeziono a lui e poi gli faccio del male… non me lo perdonerei mai. »
« Oh, Bucky… perdonami, io non avevo idea che tu… »
Bucky ridacchiò nervosamente, vergognandosi come non mai. Odiava il suo passato, detestava il peso angosciante che gravava come un macigno nel suo cuore ma, più di ogni altra cosa, non riusciva a perdonarsi. Ne ora, ne mai.
« Se vuoi adottare Peter, sarà meglio che io me ne vada, per il bene di entrambi. »
Steve era pronto a ribattere, ma le parole gli morirono in gola quando il cigolio della porta colse di sorpresa entrambi. La figura esile di Peter, con indosso ancora il pigiama, si stagliava dinanzi loro. Si schiarì la voce, era in evidente imbarazzo.
« Io, mi dispiace ma… vi ho sentiti discutere e… »
« Tranquillo, Peter! Perdonaci tu, ti abbiamo svegliato! » disse Steve, andandogli incontro con un mezzo sorriso di circostanza « Tutto bene? »
« Steve. Ci ha sentito, sa di cosa parlavamo… » Sentenziò duramente Bucky sbuffando, ricevendo un occhiataccia da parte del biondo per essere stato così brutalmente diretto.
« Ha ragione… davvero tu… insomma sul serio… mi adotteresti?! »
 
Rogers esitò, non era certo della risposta, non dopo aver appreso dei timori del suo fidanzato. Così, prima si voltò verso Bucky, cercando in lui un muto consiglio. Dal canto suo, il soldato seppe cosa fare non appena incrociò lo sguardo di Peter.
« Sì. Steve, ti adotterà Peter. »
Il volto del giovane si illuminò all’istante, a malapena trattenne un sorriso a trentadue denti.
« Grazie…! Sul serio, grazie! » esclamò fuori di sé dalla gioia, il suo entusiasmo finì con il contagiare anche i due adulti, che si scambiarono un fugace sguardo di intesa.
« Bene, allora se volete scusarmi, ho una telefonata da fare! » Steve si allontanò per recuperare il suo cellulare, doveva contattare immediatamente Tony per avviare le pratiche di adozione. Poco male se lo avrebbe mandato a fanculo, perché lo tirava giù dal letto alle sei di mattina.
 
In cucina, rimasero solo Peter e Bucky, quest’ultimo stava per seguire il biondo quando venne trattenuto per un braccio.
« Signor Barnes… » disse Peter, esitando per qualche secondo quando gli occhi di vetro di Bucky si posarono severi su lui e la mano che stava tenendo il suo braccio di metallo saldamente fermo.
« V…volevo dirle che… non si deve preoccupare per me! Insomma, sono Spider Man, sono piuttosto forte e so difendermi! Se… dovesse accadere qualcosa, saprò difendermi! »
« Perché mi dici, questo? »
« Perché voglio che lei resti! So che lei e Steve state assieme, anche se lui fa di tutto per nasconderlo… »
Bucky inarcò le sopracciglia, ridacchiando divertito al pensiero che Peter avesse intuito della loro relazione solo osservandoli. Anche se, a ben pensarci, due uomini adulti che dormono assieme in un letto matrimoniale lasciava molto poco spazio all’immaginazione. Sospirò, scostando gentilmente la mano di Peter dal suo braccio, portando la sua, quella umana, sulla spalla del giovane.
« Va bene, resterò. Però, Peter ad una sola condizione… »
« Quale? »
« Chiamami ancora “signor Barnes” e ti strozzo, lo giuro. »
« Oh… sì, ecco… non ci conosciamo così bene, e quindi…! Mi scusi! »
« Solo Bucky… Bucky, va benissimo. »
« D’accordo… solo Bucky! » Replicò il ragazzino, rilassandosi e lasciandosi andare ad una risata cristallina. Seguita poi da una scompigliata di capelli da parte del soldato.
 
Nascosto fuori dalla cucina, Steve aveva assistito alla scena, ed ora sorrideva felice. Compose il numero di Tony, pieno di speranza e determinato più che mai ad andare fino in fondo, specie ora che aveva l’appoggio anche del suo Bucky.

 
 **************
 
Salve! Visto che l’ispirazione mi è stata amica in questi giorni, ho pensato di non attendere e di postare anche questa One Shot! Sono lieta di vedere che, nonostante il mio stile di scrittura non sia tutta sta gran cosa, questa Raccolta venga letta da così tante persone, grazie di cuore!!
 
Bene, per ora è tutto, non so quando, ma spero presto, aggiornerò con una nuova One Shot, fino ad allora grazie a tutti!
 
Baci, Giò 

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Capitolo 3
*** I’ll be Right Here ***


The Soldier, The Captain & The Spider
I’ll be Right Here
 
 
Erano trascorse meno di tre settimane, dal momento in cui Steve Rogers aveva adottato ufficialmente e, legalmente, Peter. Il giovane si stava, lentamente, abituando alla sua nuova vita o almeno, questo sembrava all’apparenza.
Ovviamente, era grato a Steve e Bucky per tutto quello che stavano facendo per lui, ma Peter soffriva silenziosamente. Giorno dopo giorno, continuava a tenersi dentro mille emozioni. Temeva che se, fossero sfociate, avrebbero inondato e distrutto ogni cosa al loro passaggio.
 
Gli mancava sua zia May, gli mancava il suo quartiere, casa sua, la sua vera casa. Ma sorrideva e taceva. Non riusciva ancora a dormire bene, ma mentiva dicendo che stava alzato fino a tardi a studiare. Tornava a casa con più lividi e tagli ogni notte, ma minimizzava l’accaduto, affermando che incontrava sempre “tipi tosti”, quando invece era lui che, sempre più frustrato, cercava costantemente la rissa con qualunque delinquente.
Pensava di poter celare tutto quanto, come se indossasse sempre una maschera, la maschera di Spider Man che, si faceva burla dei criminali e li sconfiggeva con facilità. Ma più il tempo passava e più Peter capiva che stava finendo in un luogo più oscuro dei suoi incubi peggiori.
 
 
Una sera come tante, Peter si aggirava inquieto da un palazzo all’altro con indosso il suo sgargiante costume. Non se ne capacitava, ma pareva non essere sazio di tirare cazzotti. Si era occupato già di sventare diversi scippi, una rapina ad un locale e aveva dato una sonora lezione ad alcuni bulli. Ma non bastava. Non era mai sufficiente per placare il fiume di emozioni negative che montava in lui sempre più forte, sempre più intenso, fino a colmarlo di odio e astio. La mattina stessa, era arrivato pure al punto di azzuffarsi violentemente con un suo compagno di classe, Flash. Temeva che la notizia fosse giunta fino a casa Rogers e, dato che Peter non aveva voglia di subirsi una ramanzina dall’integerrimo Capitano, stava evitando di rincasare.
 
Si era accorto che il suo cellulare stava vibrando, da ormai dieci minuti. Così, stanco e nervoso arrestò il suo volteggiare da una ragnatela all’altra, fermandosi in cima ad un edificio.
Buttò quasi a terra lo zaino, con rabbia e, con la medesima furia prese in mano l’odiato telefonino. Sulla schermata, il nome “Steve” la faceva da padrone, con sei chiamate perse nel giro di pochi minuti.
Inspirò profondamente, preparandosi a mordersi la lingua, come era solito fare ormai, mentre rispondeva.
« Sì? »
« Peter! Meno male, ma dove sei? Perché non mi hai mai risposto?! » La voce, di norma pacata e profonda dell’uomo, riecheggiò molesta nelle orecchie del giovane.
« Va tutto bene, non ti agitare. Fra poco rientro. »
« Non posso non stare in ansia per te, Peter! Cerca di capire! »
« Sì, lo so. »
« No, non lo sai. Peter, ti ho già detto che devi essere a casa sempre prima delle ore 20:00! »
« Non sono ancora le 20:00 cavolo, ma che vuoi?! Ti ho detto che rientro fra poco, no?! Stai calmo! »
« Modera i termini, ragazzino. Sono il tuo tutore adesso, sei una mia responsabilità! »
« Non sei mio padre e se per te sono una seccatura, non temere, non dovrai più preoccuparti!! » Urlò con tutto il fiato che aveva, prima di interrompere bruscamente la telefonata.
 
Steve, dall’altro capo del cellulare, continuò a chiamare invano il suo nome. Tentò anche di richiamarlo, ma partiva la segreteria telefonica. Gettò sul tavolo il suo telefonino, portandosi disperato una mano al volto. Proprio in quel momento, Bucky fece il suo ingresso nel salotto. Era appena uscito dalla doccia e, quindi, si era perso tutta la discussione che i due avevano avuto. Si rese conto immediatamente però che doveva essere successo qualcosa di grave.
 
« Steve, tutto a posto? »
« No. Ho litigato con Peter e ora, non so nemmeno dove sia. » Ammise a fatica, la voce ridotta ad un sussurro roco e smarrito. Bucky corrugò la fronte, preoccupato quanto lui. Gli fu vicino in un attimo, sedendosi accanto a lui sul divano. Una mano portata gentilmente a stringere quella di Steve, tremava impercettibilmente.
« Avanti, vai. »
« Cosa? »
« Va fuori a cercarlo! »
« Io non… non ho la più pallida idea di dove sia, Bucky! »
« E questo è un problema, da quando? Non mi pare tu ti sia arreso così facilmente quando mi cercavi. »
« Era diverso. »
« No, non lo è! Vuoi bene a Peter, lo so, non mentire. »
« Certo che gliene voglio! Insomma, mi preoccupo per lui... »
« E allora che ci fai ancora qui? Alza quel culo muscoloso e corri fuori a cercarlo! »
« Da quando il mio sergente mi da ordini? »
« Da quando il mio capitano si comporta da imbecille! » Soffiò a pochi centimetri dalle labbra del biondo. Se fossero stati in altra situazione, probabilmente gli sarebbe saltato addosso strappandogli i vestiti, possedendolo su quel divano per ore. Ma adesso c’erano faccende più urgenti da sbrigare.
Steve scattò in piedi, recuperando rapidamente la sua giacca. Bucky rimase a osservarlo mentre usciva, rimanendo sulla soglia, trattenendo un grugnito malcelato. Se solo lui non fosse ancora confinato fra quelle quattro mura, a causa della sua lenta riabilitazione, lo avrebbe seguito senza indugio. Ma aveva giurato a Stark e Fury, che sarebbe stato fuori dai guai e che, se avesse disubbidito, Steve ne avrebbe pagato tutte le conseguenze. Tirò un pugno al muro riempiendolo di tante piccole crepe. Purtroppo non trovò altro modo per dar sfogo alla sensazione di inutilità che lo pervadeva.
 
 
La notte fu lunga e angosciosa per Steve, non smise un solo istante di cercare Peter. I suoi occhi si spostavano dai vicoli al cielo, sperando di veder comparire Spider Man, da un momento all’altro. Fece il possibile, diede tutto se stesso ma, senza qualcuno che lo aiutasse, fu tutto inutile. Stark non c’era, si trovava dall’altro capo del mondo per una missione e, Steve, non se se l’era sentita di disturbarlo. Però, verso le prime luci dell’alba, fu lo stesso Tony a contattarlo.
 
« Tony? »
« Ehi, Capsicle! Un uccellino mi ha detto che stai cercando Peter, quel monellaccio è scappato, giusto?! »
« Sì, esatto… ma tu come fai a… »
« Tranquillo, sto rientrando a New York! Lo troverò in un lampo, non temere! Tu intanto prenditi una pausa! »
« Sì, grazie. Grazie Tony. »
« Aha smettila, quando mi diventi sentimentale mi dai i brividi! »
Il petto di Steve venne scosso da una risata argentina, la prima da almeno dieci ore. Salutò Stark e riagganciò, poi cercò con lo sguardo una caffetteria, aveva bisogno di un caffè come non mai.
 
 
Seduto ad un bar, stava consumando una veloce colazione, gli occhi spenti mentre girava, come un automa, il cucchiaino nella sua tazza.
La mente attraversata da mille pensieri, uno più cupo dell’altro. Non era tipo da panorami catastrofici, eppure, non riusciva a far altro che pensare a Peter immerso negli scenari più orribili. Peter che era scappato all’estero, magari unendosi a qualche gruppo di giovani super eroi come lui. Peter che era stato ferito, e non poteva comunicare con lui. Peter che era stato catturato da qualche organizzazione segreta, come l’HYDRA, e ora lo stavano torturando o sottoponendo ad esperimenti atroci.
Strinse gli occhi, stanco, non riusciva a darsi pace. Da quando Peter era sparito, gli pareva quasi di non poter respirare per l’ansia, era la sensazione più sgradevole che avesse mai provato.
 
Quando il suo cellulare squillò, ci mise pochi secondi per rispondere, il cuore in gola « Pronto? »
« Ehi, sono Tony! Ho trovato il nostro bimbo ragno! »
« Dove? » Cercava di mantenere un tono piatto, controllato. Ma in realtà, era completamente terrorizzato da cosa gli avrebbe detto Stark.
« E’ qui con me. Vieni alla torre! »
« Arrivo immediatamente, non farlo andare via! »
« Tranquillo, anche volendo non può. »
« Cosa?! Che gli è successo?! » Ogni buon intento di apparire calmo, scemò. Era scattato in piedi, facendo cadere la sedia con violenza dietro sé. Ignorando gli occhi stupiti dei clienti della caffetteria, prese a camminare freneticamente verso l’uscita, spalancando con malagrazia la porta.
« Ma no, niente… un tipo, a cui sta molto a cuore voglio precisare, ha ecceduto nel punirlo e gli ha fatto un occhio nero. »
« Stark, per l’amor del cielo, che è successo a Peter?! »
« Dannazione Rogers, quanto sei lento a capire! Volevo evitare di dire esplicitamente che ho dato un pugno al tuo figlioccio, ma va bene! L’ho fatto! »
« Tu cosa?! »
« Posso dire in mia difesa, che stava tentando la fuga! Una cosa tira l’altra, e… ci siamo azzuffati! »
« Ok, non aggiungere altro. Arrivo! » Emise un lungo sospiro – quasi – sollevato. Meglio ritrovarlo con un occhio nero e l’orgoglio ferito piuttosto che a pezzettini o non rivederlo più.
Con questo pensiero si diresse rapidamente verso la Stark Tower, dove, raggiunse poi nel grande salone al piano terra, Tony.
All’entrata venne accolto dalla voce metallica di Friday, che gli dava il benvenuto. Dentro la stanza, vi erano Tony, con ancora indosso la sua armatura, e Peter, seduto in un angolo del divano, vestito con abiti civili.
Era rannicchiato su uno dei grandi cuscini, lo sguardo riverso verso il pavimento e una borsa del ghiaccio sull’occhio destro.
 
« Bene! Il papino è arrivato! Questo significa, che io posso togliermi di torno! » Tony si incamminò verso l’uscita, incrociando Steve, che lo frenò bloccandolo per un braccio.
« Tony… »
« Senti, mi dispiace per l’occhio nero, ok?! Dopo potrai farmi tutte le ramanzine che vuoi, ma ora… » Spiegò zelante il miliardario, voltandosi per indicare Peter « Lui ha bisogno di te. E non parlo dell’invincibile Captain America, io parlo di Steve Rogers! E’ di lui che ha, davvero, bisogno adesso. » Detto questo, gli posò con fare amichevole una sonora pacca sulla spalla, prima di abbandonare la sala, chiudendosi la porta alle sue spalle.
 
Steve indugiò a lungo, le mani in tasca e l’aria afflitta di chi non sa come iniziare una conversazione. Sorprendentemente, fu Peter a spezzare l’imbarazzante silenzio.
« Sei così incazzato con me, da non trovare niente da dirmi? »
« Linguaggio, Peter… » Sbottò immediatamente il biondo, ma poi si ricordò di cosa gli avesse consigliato Tony. Di chi realmente aveva bisogno Peter in quel preciso istante. Quindi scosse il capo, dandosi dello stupido e, poi, eliminò con poche falcate la distanza che li divideva. Andò a sedersi accanto al giovane, non gli sfuggì il suo irrigidirsi e tirare indietro i piedi, come se non volesse essere toccato da lui.
Alzò lo sguardo verso il volto del ragazzino, indicando l’occhio offeso « Ti fa male? »
Per tutta risposta, Peter fece spallucce, roteando gli occhi, scocciato. Non ne voleva sapere di guardalo in faccia, per ora almeno, e Steve accettò a malincuore la cosa.
« Lo sai, ero molto preoccupato per te. So benissimo di essere solo un tutore e niente altro, e che a volte sono asfissiante con tutte le regole e la disciplina. »
Ancora, Peter lo ignorava, nulla sembrava cambiato nella sua postura a parte quel frenetico mordicchiarsi le labbra sottili.
« Ma… capisco perché ti sei comportato così. So cosa vuol dire rimanere soli al mondo. Senza genitori o parenti, credimi, lo so. Vorresti che tutti la smettessero di guardarti con quello sguardo colmo di pena, che la piantassero di trattarti come se tu avessi bisogno di aiuto. »
Un fugace spostamento delle pupille, questa volta ci fu. Per un istante, gli occhi color nocciola di Peter si posarono in quelli azzurri di Steve. Quest’ultimo gli sorrise, tentando di mantenere più a lungo quel contatto.
« So che stai male Peter. Non dire di no, io lo vedo che sei triste. Quando pensi che nessuno ti stia guardando, tu sei triste. » Le parole, scivolavano gentili e calde, nelle orecchie di Peter, abbattendo una dopo l’altra le barriere che si era costruito negli ultimi tempi.
« Ti manca la tua vecchia vita, vero? Adesso è dura, lo so, ma credimi se ti dico che presto starai meglio. Perché sei forte Peter, e non mi riferisco alla tua super forza. Hai un buon cuore e dai sempre tutto te stesso per gli altri, spero tanto che tu non perda mai queste qualità. »
Gli occhi di Peter, ormai lucidi, erano ancorati alle iridi azzurro cielo del Capitano, pronto a cedere del tutto.
« Non sono arrabbiato con te, per quanto è accaduto stanotte. Sono felice che tu stia bene, però ti prego, non farlo mai più. Ho perso dieci anni di vita almeno… »
Dopo l’ultima frase, Peter si sporse verso Steve, venendo accolto dal suo abbraccio. Con il viso nascosto nell’ampio petto dell’uomo, si lasciò andare ad un pianto silenzioso, ma liberatorio. Tutto il peso che si era trascinato dietro nelle ultime settimane, svanì lentamente, cadendo assieme alle lacrime che gli bagnarono le guance per lunghi minuti.
Steve lo tenne stretto a sé, carezzandogli piano la schiena, per calmarne i sussulti incontrollati. Le labbra posate sui capelli del ragazzino, che gli sussurravano dolcemente di lasciarsi andare, che sarebbe andato tutto bene. Fra un singhiozzo e l’altro, Peter ripeté all’infinito che gli dispiaceva.
 
Quando si fu placato, finalmente fu in grado di articolare meglio le parole.
« Scusami, io non mi comporterò mai più così, te lo prometto. Se vorrai punirmi, capirò… »
« Bé Peter, mi dispiace ma sei, decisamente, in castigo. Niente più internet e fumetti per un mese. »
« Ok… » Replicò mogio il giovane, ma purtroppo sapeva di essere in torto e di non poter ribellarsi alla scelta di Steve.
«Vedila come una lezione di vita, e non come una punizione. » Il biondo portò una mano sulla spalla di Peter, stringendo appena la presa, per far comprendere al giovane che nemmeno lui era felice di ricorrere a certi mezzi ma che la disciplina lo avrebbe aiutato a maturare e riflettere.
« Capitano, sei davvero senza cuore! Ma non lo sai che per un ragazzo, al giorno d’oggi, rimanere senza internet per un mese è come uccidergli la vita sociale?! Faresti prima a farlo arruolare nell’esercito! » Esclamò la voce allegra di Tony, alle loro spalle. L’uomo, che si era cambiato, si avvicinò ai due, con in mano un paio di bottigliette d’acqua naturale. Ne lanciò una a Peter e l’altra a Steve.
« Tony, ti ringrazio, ma se non facessi così non sarebbe una punizione! E poi, se proprio si annoierà, potrà sempre aiutare con le pulizie di casa. »
« Oh santo cielo! Non gli farai anche lavare i piatti e fare il bucato, spero! »
« Quello lo faccio già di mio, signor Stark… ci sono dei turni da rispettare in casa… » Ribadì Peter, bevendo un sorso d’acqua dalla bottiglietta.
« Ricordami di non venirti mai a trovare, Capsicle! »
« Tranquillo Tony! Non ti farò indossare un grembiulino rosa, se è questo che temi! Puoi venire a trovarci quando vuoi, Peter ne sarebbe felice! » La mano di Steve, si mosse automaticamente verso la spalla esile di Peter e, il ragazzino, ricambiò il gesto con un timido sorriso.
« Umh, ci farò un pensierino allora. » Replicò infine Tony, non nascondendo la sua gioia nel vedere che i due avessero fatto pace.
 
Dopo qualche altro scambio di battute fra Tony e Steve, il giovane ammise di essere esausto ed espresse il desiderio di rincasare.
« Grazie di tutto, signor Stark… » Peter allungò una mano che venne stretta con piacere dall’uomo dinanzi a sé.
« Ti ha fatto un occhio nero, e lo ringrazi?! » Esclamò, fintamente offeso, Steve. Alche, Tony si mise sulla difensiva immediatamente.
« Disse il Capsicle che lanciò in testa a questo povero ragazzo, un container! »
« Ehi, io stavo rischiando la pelle! Non hai idea di quanto picchi duri, Peter! »
« Sì, so che vuoi dire! In effetti, anche io ho rischiato di venir linciato! Questo piccoletto pelle e ossa fa paura quando si arrabbia! »
Peter aveva abbassato lo sguardo, imbarazzato e mortificato all’ennesima potenza. Sapeva bene di essersi meritato pienamente l’occhio gonfio che gli doleva, aveva attaccato senza pietà Iron Man in un attimo di collera. Stark si era solo difeso in fondo.
« Mi dispiace… tanto… » Ebbe solo la forza di balbettare, sempre a capo chino e le guance che andavano a fuoco.
« Fa niente, bimbo ragno. Basta che d’ora in poi non scappi più di casa! Altrimenti, lo zietto Tony dovrà sculacciarti di nuovo, chiaro?! »
« Chiaro… »
Peter si avviò verso l’uscita, mentre Steve rimase ancora un istante, quanto meno per ringraziare a dovere Tony. E anche perché voleva togliersi un piccolo dubbio.
« Tony, senti, prima non me lo hai detto ma… come facevi a sapere che Peter era scappato? Eri dall’altra parte del mondo fino a poche ore fa! »
« Chiedilo a quel taciturno – sempre di cattivo umore – del tuo amante! »
Steve sgranò gli occhi, aprendo e richiudendo la bocca come uno sciocco per almeno due volte. Tant’è che Tony scosse la testa, ridacchiando.
« Ci vediamo, Capsicle! E salutami braccio di ferro! »
Questa volta, fu il turno di Steve di arrossire fino alla punta dei capelli. Il suo tentativo di tenere segreta la sua relazione con Bucky, era andata bellamente a farsi fottere. Se uno come Tony Stark ne era, non si sa come, venuto al corrente, poteva essere certo che fra non meno di ventiquattrore, lo avrebbero saputo tutti gli altri Avengers. Perfino Thor, e lui al momento si trovava su Asgard.
 
 
Dopo un ora circa, Steve e Peter mettevano piede in casa, finalmente. Furono accolti all’ingresso da Bucky che, era corso alla porta ancor prima che venisse aperta.
Steve lo salutò con un cenno del capo, ma l’uomo rimase rigido nella sua posizione, squadrando male Peter. Quando il giovane sollevò lo sguardo su lui, si ritrovò a sudare freddo. Rimase con il fiato sospeso, per almeno trenta secondi, prima che Bucky allungasse una mano verso lui e lo attirasse a sé per un abbraccio stritola ossa.
« C… credevo che stessi per tirarmi un pugno… » Biascicò titubante Peter, ricambiando l’abbraccio.
« Oh, credimi. Volevo farlo. Ma vedo che sono stato battuto sul tempo. »
« Scusami… » Pigolò in risposta Peter, nascondendo il viso nel petto dell’adulto. A Steve non sfuggì il sospiro liberatorio di Bucky, mentre lo stringeva a sé.
« Va a lavarti e datti una sistemata. Facciamo colazione fra poco. »
« Sissignore, sergente Barnes! » Esclamò Peter imitando la tipica posa militare. Finalmente anche le labbra di Bucky si distesero in un sorriso.
« Fila via, soldato! » Lo mandò avanti tirandogli una pacca sulla schiena, seguita da un lieve calcio nel sedere. La scena fece ridere di gusto anche Steve, rimasto sulla soglia di casa a godersi lo spettacolo.
 
I due si scrutarono a lungo, prima che Steve si rifugiasse fra le braccia dell’amato.
« Sei stanco? »
« Sì, molto… »
« Ti capisco. Quel ragazzino ti toglie ogni energia… »
Steve sorrise a quell’affermazione, perché sapeva che non c’era malignità nelle sue parole ma solo un ovvia constatazione.
« Però, ne vale la pena, Buck… » Si staccò dal corpo accogliente solo per donargli un bacio a fior di labbra, gustandosi appieno quel momento di intimità.
« A proposito, ho saputo che hai chiamato Tony… »
« Non so a cosa tu ti stia riferendo. » Lo liquidò rapidamente Bucky, dando le spalle al biondo.
« Grazie. »
Bucky sollevò, con fare annoiato, una mano, facendogli intendere che era tutto a posto.
 
Dopo che Peter si fu fatto una doccia, raggiunse i due uomini in cucina, dove ad attenderlo c’era una colazione abbondante. Anche se i pancake erano bruciati e la marmellata era finita, per Peter, quella fu la colazione più bella che fece da quando abitava lì.
 
Perché per la prima volta, avvertì quel tipico calore famigliare che tanto gli era mancato ultimamente. E, capì inoltre, che Steve e Bucky ci sarebbero stati, sempre, per lui.

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Capitolo 4
*** I’m Not Your Housewife! ***


The Soldier, The Captain & The Spider
I’m Not Your Housewife!


« Come va? » Gli chiese per l’ennesima volta Bucky. Peter stava coricato sul letto, una pezza bagnata sulla fronte. Gli occhi chiusi, in cerca di quiete dal mal di testa che gli martellava nel cranio interrottamente da quando era finito, spalmato si può dire, contro un palazzo un ora prima.
 
Combattere il crimine aveva i suoi, tanti, svantaggi, fra cui quello di correre il rischio di tornare a casa con le ossa rotte e la testa che ti scoppiava per i troppi colpi ricevuti. L’avversario di Peter, stavolta, era stato in grado di metterlo abbastanza in difficoltà, tanto da farlo rientrare a casa Rogers tutto dolorante.
 
« Andrà meglio quando la stanza la pianterà di girare… » Commentò con voce flebile il giovane. Non era la prima volta che lo colpivano così duramente, ma in questa occasione aveva accusato parecchio il colpo. Proprio la sera in cui Steve era fuori città, ovvio. Così in casa c’erano solo lui e Bucky, che lo stava accudendo come meglio poteva. Memore dei tempi andati, in cui lui doveva curare un giovane rachitico e asmatico, Steve, sempre pronto a cercar rissa.
 
Il soldato dai capelli scuri sospirò, riprendendo la pezza umida e bagnandola di nuovo nella ciotola piena d’acqua e ghiaccio sul comodino. La strizzò bene e la passò nuovamente sul viso di Peter, sperando che servisse ad alleviare il dolore.
« Oh cavolo… ma perché mi è saltato in mente, di fare l’eroe?! » Borbottò poi il ragazzino con voce sofferente.
« In effetti, me lo sto chiedendo anche io. Se ti deve ridurre così tutte le volte. »
« Non infierire… »
Le labbra di Bucky si tirarono in un sorrisetto divertito, fortunatamente Peter teneva ancora gli occhi chiusi così non lo notò. Rivide molto del giovane Steve in lui, in quel preciso istante. Faceva tanto il grand’uomo ma poi, quando veniva tirato via per i capelli dai vicoli bui,  pieno di lividi e sangue, ostentava ugualmente tutto il suo orgoglio. E guai a tentare di offrirsi di portarlo in spalla, si sarebbe offeso a morte.
Scosse il capo, ritornando al presente, a quanto pare era scritto nel suo destino che dovesse occuparsi di ragazzini cocciuti, che si gettavano sempre nella mischia senza pensare alle conseguenze.
 
« Hai fame? Vuoi mangiare qualcosa? »
« No… ho la nausea… »
« Se devi vomitare, dimmelo, che ti accompagno in bagno! Ho appena cambiato le lenzuola del tuo letto, non voglio che le sporchi! » Sbottò stizzito Bucky, la voce che si era elevata improvvisamente. Peter sollevò la pezza dagli occhi e squadrò stranito Bucky, per almeno un minuto buono, facendo così irritare il soldato.
« Che hai da guardarmi così?! »
« Parli come una casalinga disperata! Hai bisogno di uscire un po’, amico mio… »
« Semmai sono un recluso, è diverso. E non sono affatto una… casalinga. » Bucky ebbe quasi difficoltà a ripetere tale inquietante termine. Ma sul serio, Peter lo vedeva come tale?
« Mi hai appena detto di aver cambiato le lenzuola del mio letto, anche se non spetterebbe a te farlo! »
« Bè, perché sprecare inutilmente l’acqua? Dovevo lavare anche quelle del nostro letto, ho fatto un unico bucato. »
« Quindi hai fatto anche il bucato! »
« Certo, mi piace dormire nel pulito. » Sbottò Bucky lanciando occhiate, piuttosto eloquenti, al disordine che regnava sovrano nella camera di Peter. Per non parlare della mole di polvere presente in ogni angolo della stanza.
« E ultimamente cucini sempre tu, senza rispettare i turni. »
« Steve è sempre troppo stanco per cucinare, mentre tu sei un disastro, non voglio passare un'altra nottata in bagno per causa tua! »
« Facendo una somma di tutto questo, dimmi tu se non sei una casalinga. » Spiegò zelante il ragazzino, iniziando a divertirsi a stuzzicare l’adulto.
« Non dire assurdità, Peter!! »
« Cucini, lavi i nostri vestiti e tieni pulita la casa tutto da solo… »
« Se non lo facessi io, vivremmo nella sporcizia e mangeremmo sempre robaccia presa al Take Away! »
« Bucky… » L’espressione, a dir poco eloquente, che gli rivolse Peter fece perdere tutta la sicurezza che ostentava con fierezza Barnes. Abbassò gli occhi, osservandosi disperato le mani, prendendo atto della cruda realtà.
« Cazzo. Sono una fottuta casalinga. »
« Tecnicamente parlando tu saresti più una moglie, dato che vai a letto con Steve! »
Ci fu un lungo silenzio e un occhiataccia alquanto inquietante da parte del soldato, che fece deglutire a vuoto Peter, zittendolo all’istante.
« Peter, taci. »
 
Quando, il mattino dopo, Steve rientrò dalla sua missione, trovò Bucky già in piedi in cucina dove si stava preparando del caffè. Gli dava le spalle e, pareva, non essersi accorto della sua presenza.
« Ehi, ciao! Siamo mattinieri, vedo! » Steve abbandonò, alla meno peggio, il suo borsone in terra, raggiungendo velocemente Bucky, abbracciandolo e posando un piccolo bacio dietro il suo collo.
« Veramente, non sono ancora andato a dormire. » Rispose piatto Bucky, ingurgitando tutto d’un fiato il suo caffè nero.
« Come mai? Hai fatto altri brutti sogni? » Steve obbligò il compagno a voltarsi, scrutandone attentamente il volto si rese conto di quanto fosse stanco.
« No, Peter… » Sbuffò il soldato, prese posto al tavolo, lasciandosi cadere esausto sulla sedia. Steve dietro lui, teso come una corda di violino.
« Cosa è successo?! Sta male?! »
« Niente di grave, ieri è tornato a casa malconcio. Però, visto che aveva sbattuto forte la testa, ho preferito rimanere sveglio, nel caso la situazione fosse peggiorata. Ma è andato tutto liscio, ora il ragazzo riposa e sta bene. »
« Bucky, grazie… » Bisbigliò sollevato il biondo, per un attimo non era riuscito a respirare dalla paura. Ormai era talmente affezionato a Peter che, al pensiero gli fosse capitato qualcosa di grave, non era riuscito a rimanere calmo.
« Penso che andrò a farmi un pisolino pure io. »
« Ma certo, te lo meriti! » Si chinò verso l’amato e gli depositò un piccolo bacio sui capelli, carezzandoli dolcemente un istante dopo. Bucky si alzò e, stiracchiandosi indolenzito, si diresse verso la camera da letto.
Steve, al contrario, che era affamato, si avventò sul frigo aprendolo.
«Aha, Bucky scusa, hai visto dove è finita la marmellata? » Chiese sporgendosi oltre l’anta del frigo. Bucky, ancora sulla soglia della cucina, si bloccò ed esclamò risentito « E che ne so io? Non sono la tua fottuta moglie! E non lasciare in giro la tua roba! » Sbraitò calciando sdegnato il borsone di Steve, che era stato posato proprio appena fuori dalla loro cucina.
Steve, sebbene rimase inebetito come un baccalà, ignorò la risposta acida del compagno. Pensò, che forse, era nervoso perché non aveva chiuso occhio tutta la notte.
 
Ma quando, nei giorni avvenire, si rese conto che Bucky aveva smesso tutto un tratto di fare la sua parte nel pulire casa, cucinare, nonché sgridare lui e Peter perché lasciavano sempre tutto in disordine, intuì che il compagno avesse avuto un improvvisa crisi di identità. O forse, si era semplicemente reso conto che non era capace di stare in casa fermo a far niente. Purtroppo, a causa degli accordi raggiunti con Stark e Fury, Bucky doveva passare la maggior parte delle sue giornate confinato in quell’appartamento, e seguire rigorosamente la sua “riabilitazione”. I giorni di libera uscita erano sempre esigui e sorvegliati a vista.
 
In ogni caso, Steve si promise di prendersi qualche giorno di ferie e portare Bucky in vacanza, lontano dalla città, per farlo svagare un po’ e fargli passare questo complesso da casalinga disperata che aveva sviluppato.

 
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Ma salve a tutti, miei cari!!
 
Sono molto felice di poter aggiornare finalmente questa raccolta! Ho pensato che ci volesse un pizzico di allegria e spensieratezza, per la nostra neo famigliola! Il Bucky “casalingo” è un idea che mi è venuta vedendo alcune fan art dove lui indossa un adorabile grembiulino rosa e, boh, me lo sono visto che sfaccenda per casa mentre sgrida Peter e Steve! XDD D’altro onde, passando sempre il tempo chiuso fra 4 mura, deve pur fare qualcosa per non impazzire, povero lui! XDD
 
Ho scritto già altre One Shot per questa raccolta ma, come sempre, ho bisogno di tempo per rivederle bene e sistemarle come si deve!
 
Colgo intanto l’occasione per ringraziare tutti coloro che stanno seguendo questa raccolta, che l’hanno inserita fra le preferite e che la commentano, GRAZIE DI CUORE!!!
 
Ci vediamo presto, un bacione
Giò ♥

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Capitolo 5
*** Thunderstorm ***


The Soldier, The Captain & The Spider
Thunderstorm
 
 
Dovevano essere le tre del mattino, all’incirca, quando quel tremendo boato fece ridestare con violenza Bucky dal suo sonno. Spalancò gli occhi, vitrei, scattando per istinto seduto, scrutando nell’oscurità della camera per capire da dove provenisse quel suono.
La camera da letto venne invasa da una luce, istantanea e fugace, seguita poi da un altro rimbombo che fece eco nell’appartamento. Spostò lo sguardo confuso sulla finestra, rendendosi conto che si trattava solo di un temporale in arrivo.
Aveva ancora il cuore in gola quando si rimise giù, sbattendo nervoso la testa sul cuscino. Non che fosse un tipo pauroso, ma suoni violenti e luci improvvise nel cuore della notte, lo riportavano con la mente alla guerra. Di tutti i ricordi che desiderava recuperare, quelli legati al suo periodo al fronte erano gli unici di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
 
Si girò fra le lenzuola, inquieto, per circa cinque minuti, prima che Steve gli si facesse vicino, abbracciandolo gentilmente.
« Bucky, è solo un temporale, non temere… » Disse con voce assonnata, posando poi le labbra sulla schiena nuda del soldato. Ma, sentendo il compagno ancora così teso, si tirò un po’ su per poterlo guardare in viso.
« Buck… »
Il grugnito in risposta, giunse molesto alle orecchie di Steve quasi quanto il fragore del tuono, seguito poi dallo scroscio violento della pioggia.
« Odio i temporali. » Asserì piatto Bucky, facendo nascere in Steve un sorriso spontaneo. Arresosi al fatto che, il fidanzato non lo avrebbe fatto dormire se non lo calmava in qualche modo, escogitò una strategia diversiva.
« Ti preparo del latte caldo. »
« Non sono un poppante, Steve! »
« No, ma l’ultima volta che hai avuto un incubo ha funzionato! »
Il soldato, per tutta risposta, si girò offeso, dando nuovamente le spalle al biondo. Steve intanto se la rideva allegramente, mentre si dirigeva in cucina per preparare il latte.
 
Passando davanti la camera di Peter, si rese conto che la luce era accesa. Bussò lievemente alla porta lasciata semi aperta « Peter? »
Il ragazzino era nel letto, intento a giocare con il suo cellulare. Quando vide Steve entrare sollevò lo sguardo su lui.
« Ciao. »
« Ehi, tutto bene? Come mai sei sveglio?! Anche se domani non hai scuola, dovresti riposare. »
« Sto bene, non temere. E’ colpa del temporale, mi ha svegliato e ora non riesco più a dormire! »
« Capisco. Io sto preparando del latte caldo, ne vuoi un po’? »
Peter parve rifletterci un paio di secondi, prima di sorridere timidamente e fare un cenno positivo con il capo.
 
Quando Steve ebbe raggiunto il cucinotto, recuperò il cartone di latte dal frigo e lo versò tutto in un padellino capiente, che mise poi sul gas. Attese che fu abbastanza caldo e lo versò, con cura, in due tazze. Recuperò il pacco di biscotti dalla credenza e si diresse dai suoi ragazzi.
« Peter, vieni. » Affermò il capitano, passando dinanzi la cameretta di Peter. Gli fece cenno di seguirlo e così il ragazzino fece. Una volta giunti nella stanza di Steve e Bucky, accese la luce, provocando l’ennesimo brontolio da parte di quest’ultimo.
« Il tuo latte, Buck! » Esclamò il biondo porgendo la tazza fumante al compagno. Bucky, con la sua proverbiale pigrizia, si mise a sedere lentamente, sbuffando.
« Perché Peter è qui?! » Chiese poi notando la presenza del ragazzino.
Peter, ignorando bellamente il malumore di Bucky si  andò a sedersi accanto a lui e, Steve, tornò dal suo lato del lettone.
« Credo sia una sorta di riunione famigliare, a base di latte e biscotti! » Affermò Peter, ridacchiando appena. Steve posò davanti a loro il pacco di biscotti con cereali e cioccolato, ghignando « Mi raccomando però, non facciamo briciole! Se no poi mamma Buck si incazza! »
« Chiamami ancora mamma e ti spacco quei bei dentini, Steve. »
« Oh no, Captain America sdentato è una visione orribile! Non farlo Bucky, ti prego! Per il bene di tutte le fanciulle d’America!! » Trillò fintamente disperato Peter, provocando così le risate generali dei presenti.
 
Passarono i seguenti minuti a divorare biscotti e bersi il latte, sotto gli occhi divertiti di Steve. Fuori intanto imperversava una vera tempesta d’acqua e vento, nel tipico stile dei temporali estivi.
« Vedo che avete gradito! »
Steve si preoccupò di togliere le tazze, ormai vuote, e salvare il pacco di biscotti, prima che finissero tutti e lui rimanesse senza per far colazione.
« Sì, però non ho ancora sonno… »
« Nemmeno io. » Ammise atono Bucky, le braccia incrociate al petto e un adorabile broncio sul viso.
« Perché non guardate un po’ di tv? Magari vi viene sonno! »
I due si guardarono negli occhi e, con tacito assenso, Peter afferrò il telecomando e accese la tv. Steve nel frattempo, tornò in cucina dove lavò le tazze poi, prima di tornare a letto, fece un salto in bagno.
 
Quando rientrò nella stanza, si rese conto che i due erano crollati. Gli venne voglia di esclamare “ma quanto tempo sono stato in bagno” ma preferì tacere invece. Lui, al contrario di quei due guastafeste, aveva un sonno dell’accidenti e non vedeva l’ora di potersi coricare di nuovo. Visto che Peter si era allargato, occupando più spazio del dovuto, il povero Steve dovette accontentarsi di rimanere a bordo letto.
Terribile fu rendersi conto che ora era lui ad non avere per niente sonno. Sospirò, rimanendo a osservare annoiato il soffitto, in lontananza il temporale che andava pian piano scemando.
 
« Domani voi due me la pagherete… » Ringhiò a voce bassa rivolto verso Peter e Bucky, anche se non era realmente arrabbiato con loro. Sorrise invece, prima di socchiudere le palpebre, l’ultima immagine che gli rimase impressa, furono i volti sereni di Bucky e Peter che dormivano profondamente uno accanto all’altro.
 
 
*******************
 
Salve a tutti!! Chiedo scusa per questo grande ritardo, ma l’estate, le ferie etc, mi hanno tenuta lontana da questi lidi! XD Ringrazio come sempre immensamente tutti coloro che stanno seguendo e commentando questa raccolta, mi fate davvero felice, GRAZIE di cuore!!!
 
E niente, visto che ho già pronti altri capitoli (son solo da correggere) cercherò di non far passare troppo tempo questa volta, promesso!
 
Tanti bacini sparsi a tutti
Giò ♥

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Capitolo 6
*** Be Still ***


The Soldier, The Captain & The Spider
Be Still
 
 
James Barnes, era un uomo che Peter avrebbe definito insolito. Non era mai certo di comprendere fino in fondo dove finisse il Soldato d’inverno e dove iniziasse Bucky.
Anche se ormai erano cinque mesi che conviveva assieme al capitano Rogers e, il suo compagno Bucky, Peter aveva l’impressione di non conoscere affatto quest’ultimo. E questa cosa lo destabilizzava profondamente.
C’erano dei momenti in cui riusciva a conversarci, almeno per dieci minuti filati, senza che l’uomo perdesse la concentrazione, o che si distraesse su qualcosa altro. Il più delle volte però, rimanevano in silenzio e lo sguardo di Bucky si perdeva nel vuoto, vitreo e spento.
 
Steve gli aveva spiegato, come poteva, che la mente dell’amico era molto debilitata e fragile, dopo gli atroci esperimenti a cui lo avevano sottoposto, per anni, gli scienziati dell’HYDRA.
Inoltre, mangiava e dormiva sempre poco e, questo, era fonte di litigi fra lui e Steve. Per quanto, si mettessero a discutere chiusi in camera, o sul balcone, le loro voci non erano mai abbastanza lontane dalle orecchie di Peter.
 
Ogni tanto Bucky tentava anche di coinvolgere Peter a fare qualcosa assieme - sicuramente sotto minaccia di Steve - ma più che guardare un film o scambiarsi due parole prima e dopo la scuola, non facevano altro.
Sebbene relativamente sereno, il loro rapporto aveva delle profonde lacune che entrambi, non sapevano come colmare. Peter si sforzava sempre di trovare un argomento interessante di cui discutere e, Bucky, allo stesso modo, cercava di rimanere attento a quanto gli diceva.
Comunicare era sempre un dramma e finivano con il guardarsi imbarazzati la punta delle scarpe, prima che potessero aver concluso decentemente ogni possibile discorso.
Ma non era certo finita qui, perché di “stranezze” ne avvenivano parecchie in casa Rogers. Nel cuore della notte, Peter udiva dei passi andare verso il salotto. Sapeva che appartenevano a Bucky, ma non si era mai soffermato troppo sul perché se ne andasse in sala alle ore più improbabili. Soffriva di insonnia, gli aveva confidato Steve, così aveva sempre pensato che passasse parte delle ore notturne a guardare la tv, o leggere un libro in solitudine.
 
Non si era mai posto il problema, mai, ma quella particolare notte, accadde qualcosa di differente. I passi erano stati più pesanti e veloci del solito. Peter non seppe perché, ma qualcosa dentro di lui gli intimò di alzarsi e andare a controllare.
A piedi nudi raggiunse la sala. Le luci spente, il silenzio delle tenebre rotto unicamente da un ansimare profondo e scoordinato. Peter si avvicinò a tentoni, constatò di essere arrivato accanto al divano, quando, un singhiozzo lo colse di sorpresa, paralizzandolo sul posto.
Deglutì nervoso, una mano si mosse automatica verso la lampada, accendendola. Bucky era lì, seduto al centro del divano, le ginocchia raccolte al petto, le braccia strette attorno ad esse, la testa nascosta. Il suo intero corpo dondolava appena avanti e indietro, scosso da forti tremori. Non poteva scorgerne l’espressione in viso, ma Peter poteva intuire che fosse una maschera di dolore e angoscia.
 
Soffriva di incubi, sapeva anche questo. Ma non aveva mai trovato parole di conforto per lui, nonostante egli stesso ne fosse stato tormentato per oltre un mese, quando era morta sua zia May.
Rimase impalato per svariati minuti, avvertendo un fastidioso pizzicore agli occhi, nel vedere quanto stesse soffrendo ancora oggi a causa dell’HYDRA.
Non trovando le parole adatte per tranquillizzarlo, decise di andare a sedersi vicino a lui. In perfetto silenzio, solo portando una mano alla sua nuca, carezzandola con delicatezza più volte.
Quella notte, Peter comprese quanto le parole potessero risultare inutile, al contrario di un semplice gesto d’affetto.
Bucky non necessitava di parlare, ma solo di sapere che ci sarebbe stato sempre qualcuno per lui, pronto a sostenerlo quando le tenebre tornavano ad addensarsi nella sua mente. Fu questo che la gentilezza di quel piccolo gesto trasmise all’adulto e, fu proprio grazie a questo, che riuscì a quietarsi.
Senza dire niente al giovane, si rannicchiò sul divano, addormentandosi, esausto. Peter rimase al suo fianco, seduto in un angolo. Non si mosse da lì fino al mattino seguente.
 
Quando Steve si alzò, trovò Peter sul divano, coricato alla meno peggio, una coperta di lana a coprirlo. Bucky invece in cucina, ai fornelli.
« Buck… stai bene? Non ti alzi mai così presto! » Prima ancora che il compagno potesse replicare, Steve capì. Lo colse dalla sua postura rigida, dai gesti meccanici, dagli occhi stanchi e gonfi.
« Hai avuto un altro incubo, stanotte? »
« Sì. » Ribatté apatico Bucky, non smettendo di preparare la colazione.
« Perché, non mi hai svegliato?! Buck, lo sai che non voglio che rimani solo quando accade! » La voce di Steve, era uscita come un ringhio, pieno di disappunto e ansia. Non voleva turbare l’amato, ma quando si comportava così, facendosi carico di tutto il peso del suo dolore da solo, perdeva inesorabilmente le staffe.
« Ma io, non ero solo… » Ribatté il soldato, alzando, finalmente, gli occhi di ghiaccio verso Steve. Il cenno che fece con il capo, rivolto al salotto, fu eloquente per il biondo.  
Steve parve leggermente sorpreso, ma non perché non si aspettasse che Peter avrebbe cercato di aiutare Bucky, quanto più che fosse riuscito a gestirlo durante uno dei suoi “attacchi di ansia”.
Senza aggiungere altro, tirò il bruno in un abbraccio, stringendolo forte, permettendogli di abbandonarsi totalmente a lui. Bucky posò il capo sulla spalla di Steve, inspirando a pieni polmoni il suo odore, lasciandosi cullare dai ricordi che riemersero da quel profumo. Le palpebre si chiusero automaticamente, tornando indietro nel tempo con la mente, a quando erano solo Buck e Steve, i due ragazzacci di Brooklyn.
 
« Lo sai, vero? » Domandò ad un certo punto Steve, facendo riemergere Bucky dal suo stato di memorie lontane. Un sorriso si increspò sulle labbra secche, la bocca quasi gli fece male per quanto si allargò.
« Sì, lo so. »
Ogni coppia aveva un modo speciale per dirsi ti amo e, quello, era il loro. Bucky e Steve riuscivano a comunicarselo tramite un semplice abbraccio, uno sguardo fugace, un sorriso velato. Perché per loro il contatto fisico era tutto, ne erano stati privati così a lungo negli anni, che ora non agognavano altro per tutto il tempo.
 
« Hai fatto i pancakes? » Chiese poi il capitano, avvicinandosi al piano cottura. Un bel piatto fumante dei deliziosi dolci era pronto per essere servito.
« Sì. Peter se li merita. »
« Ed io, no?! »
« Dipende… »
Si lanciarono uno sguardo carico di malizia e aspettative, non fosse stato per Peter che si stava destando - forse svegliato dal delizioso profumino di pancakes - si sarebbero gettati uno addosso all’altro con passione. Ma per quello, c’era sempre tempo.
 
Peter salutò entrambi, illuminandosi entusiasta nel vedere in tavola latte e pancakes freschi. Non fece parola con Steve di quanto avvenuto la notte scorsa e, di questa discrezione, Bucky gliene ne fu grato.
Gli piazzò sotto il naso un piatto ricolmo dei suoi deliziosi pancakes con sciroppo di prugna, poi, non con poco imbarazzo, passò una mano fra i suoi capelli. Lasciando una carezza affettuosa sulla sua nuca. Per fortuna Peter era un ragazzino sveglio, così comprese che era il suo modo per dirgli grazie. Un improvvisa gioia lo colse, scaldandogli le guance, si sentiva felice di aver potuto dare una mano al soldato.
Peter, al contrario di Steve, non riusciva ad abbracciarlo come faceva lui, o a sussurrare al suo orecchio le parole giuste per farlo stare meglio. Ma così come quella lontana notte, Bucky dimostrò di esserci per lui, Peter aveva voluto fare lo stesso, ricambiando la sua gentilezza.
 
Quando il buio scende su di te
E ti copre di paura e di vergogna
Stai tranquillo e sappi che io sono con te.
 
E se tu dimentichi la strada da prendere
E perdi quella da cui sei venuto
Sappi solo che io sono al tuo fianco.
 
 
 
**********
 
Ciriciao a tutti!! Questa One Shot, dai toni più cupi rispetto alle precedenti, serviva per ampliare il rapporto fra Petey e il soldato d’inverno! Peter fatica a comprendere Bucky e viceversa ma, alla fine, trovano empatia l’uno nel dolore dell’altro. Le parole finali, come il titolo, sono tratte dalla stupenda canzone Be Still del gruppo The Fray! C’è anche un piccolo omaggio a Criminal Minds, vediamo se i più attenti lo colgono!
E’ in un paio di battute dette da Steve e Bucky e sono proprio prese da una scena (con Reid e Morgan) che ho amato moltissimo del suddetto telefilm! ♥
 
Come sempre, ringrazio tantissimo tutti coloro che commentano, seguono e quanto altro, GRAZIE di cuore, siete una gioia per i miei poveri occhi stanchi! ♥
P.S. I pancakes con sciroppo di prugne, sono una dedica speciale a due donne super speciali che ho conosciuto tramite il fantasioso mondo delle Role, quindi sì, ho pensato proprio a voi due mentre scrivevo!
 
Bacini
Giò

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Capitolo 7
*** Rain ***


The Soldier, The Captain & The Spider
Rain
 

Era così frustrante dover rimanere a casa, mentre il resto degli Avengers stava in missione, chissà dove. Nemmeno la posizione gli aveva rivelato Steve, non che fosse importante, anche conoscendola, non poteva sperare di raggiungerli con mezzi propri.
 
Peter stava seduto sul davanzale della finestra di camera sua, gli occhi scuri ammantati ancora dal rancore, lo stomaco chiuso al ricordo della furiosa litigata avvenuta qualche ora prima.
Il giovane aveva supplicato Steve di poterlo seguire, ma lui si era opposto fermamente. Si trattava di una missione assegnatagli da Fury in persona, vi avrebbero partecipato anche Iron Man, Black Window e Hawkeye. L’arrampica muri sperava di poter essere di aiuto, in fondo mancava Thor, ancora su Asgard, così si era fatto avanti.
Ma Steve, dopo un primo momento di calma, aveva finito con l’alzare la voce, affermando che non avrebbe fatto parte di quella missione, punto e basta. Poi, per punizione, lo aveva confinato nella sua camera da letto. Ferito nell’orgoglio, Peter era scappato dal salotto, chiudendosi nella propria stanza, sbattendo forte la porta per mostrare tutta la sua indignazione.
 
Non si era più mosso, spegnendo anche la tv che non faceva altro che parlare degli Avengers, visti partire dalla Stark Tower ore fa. Ovviamente, la cosa faceva notizia, ma a Peter non importava. Fingeva che non gli importasse.
Si crucciava invece, osservando le gocce di pioggia che si schiantavano con violenza sul vetro della finestra.
 
Pioveva così forte, aveva iniziato prima della lite, prima che Steve si allontanasse dal divano, ove stavano facendo una maratona Star Wars, per rispondere al telefono.
L’acqua scendeva impietosa, le nuvole si erano fatte ancora più cupe, trasformando un semplice temporale estivo in qualcosa di più simile ad una tempesta. Peter scrutava il proprio riflesso, deformato dall’acqua che scorreva inesorabile, ancora e ancora, tutto sembrava scivolare via, assieme ai suoi pensieri.
Rimase immobile nella sua posizione, anche quando il cigolio della porta che si apriva, giunse alle sue orecchie.
 
« Sicuro, di non voler cenare? » La voce bassa e profonda di Bucky, si fece strada nella cameretta buia del ragazzino.
« Sì. Non ho fame. »
« Nemmeno se prendessimo una bella pizza? » Bucky sperava di corromperlo con l’offerta di uno dei suoi cibi preferiti, ma purtroppo Peter non era davvero dell’umore giusto.
« No, ma grazie lo stesso… » Replicò mogio, girandosi appena verso l’adulto. Non gli sfuggì il sorriso stanco che gli rivolse. Anche Bucky doveva essere in ansia, pure lui provava la medesima rabbia malcelata per essere stato escluso. Per essere stato considerato “non necessario” per la missione.
« Ok, allora… ti lascio solo. » Affermò serafico il soldato, anche se Peter ebbe l’impressione che lo stesse dicendo più a se stesso. Ormai conosceva sufficientemente quell’uomo da capire quando non gradiva avere gente intorno e, quello, era proprio uno di quei momenti.
 
Sospirò profondamente, tornando a perdersi totalmente con lo sguardo nel cielo in tempesta al di là del vetro. Passò così tutta la notte, incapace di allontanarsi da quella dannata finestra o dai propri pensieri angosciati. Dopo la rabbia, era giunta la paura, il terrore che Steve non tornasse più da quella fottuta missione. Il rimorso che si faceva crudelmente strada nel suo cuore, al pensiero che le ultime parole che gli aveva rivolto erano di astio. Il dubbio lo logorava, lentamente ed inesorabilmente. Si colpevolizzava di aver commesso nuovamente il medesimo errore; anche quando morì zio Ben, ci aveva litigato prima e, quelle orribili parole, furono le ultime che l’uomo aveva udito dalla sua bocca.
 
Verso le cinque e mezza del mattino, la serratura della porta di ingresso scattò. Peter reagì di istinto, saltando giù dal davanzale e correndo verso l’entrata.
Anche Bucky fece lo stesso, lui, come previsto, era rimasto in salotto, a rimuginare scribacchiando sul suo taccuino personale.
 
Non appena Steve fece un passo in casa, il cuore di Peter gli saltò in gola, battendo furiosamente. Un misto di emozioni si scossero con violenza nel proprio petto, gli occhi iniziarono a bruciare fastidiosamente.
Come era prevedibile, Steve era abbastanza malconcio, doveva essere stata una battaglia piuttosto pesante a giudicare dai tanti lividi e tagli che mostrava. Si trascinò stancamente dentro l’appartamento, le suole dei suoi stivali erano sporche di fango, e lui zuppo d’acqua dalla testa ai piedi.
 
« Cavolo, mi dispiace Buck… stamattina avevi lavato i pavimenti, scusa… » Biascicò prima di inciampare in avanti, preso al volo dal compagno stesso. Lo sguardo di ghiaccio puntato furioso su lui.
« Cosa vuoi che me ne freghi dei pavimenti, adesso?! Perché non sei in ospedale?! »
« Aha, anche io sono felice di vederti… » Ribatté il biondo, cercando di inserire una nota divertita nella frase, sebbene la voce gli uscisse roca e debole.
« Peter, vai a prendere la cassetta del pronto soccorso! »
« S… sì… » La gola di Peter si era seccata improvvisamente, rendendogli difficoltoso articolare le parole. Deglutì a fatica prima di sparire e correre in bagno, dove tenevano tutti i medicinali e il kit di pronto soccorso.
 
Quando prese tutto, si diresse verso la camera da letto, ove Bucky aveva fatto coricare Steve e lo stava spogliando.
« Buck, ehi… guarda che ce la faccio anche da solo, non sono mica moribondo! » Protestò vivacemente il capitano, tentando di allontanare con una mano il fidanzato. Ma Bucky lo raggelò con la sua classica espressione autoritaria e, allora, Steve si lasciò ricadere pesantemente sul cuscino, lasciandolo fare.
« Grazie, Peter. Ora qui ci penso io, tu vai in cucina e prepara qualcosa di caldo da bere. » Ordinò poi il soldato, Peter obbedì senza fiatare. Steve in primis fu sorpreso dal suo silenzio, non gli aveva ancora rivolto la parola.
« Ehi, Buck… è ancora tanto arrabbiato con me? »
« Tu, che dici? » Replicò con uno sbuffo risentito il bruno. Non gli sfuggì la reazione di Steve, che abbassò gli occhi, colpevole.
« Non volevo litigarci… Dio, questa è stata davvero una giornata di merda… »
« Steve, stai peggio di quanto temessi. »
« Nh? »
« Hai appena bestemmiato. »
Il capitano non trattenne un sorriso divertito ma, tutto sommato, Bucky aveva ragione. Dopo un lungo silenzio però, riprese a parlare, lentamente.
« Fury ci ha chiesto di localizzare dei terroristi e ucciderli. » Spiegò voltando appena il capo alla sua destra, mentre Bucky si preoccupava di estrarre delle schegge di legno dal suo braccio.
« Peter è un bambino, non volevo che fosse sottoposto ad un simile orrore. Spider Man salva vite, non le spezza. Per questi lavori sporchi ci siamo noi adulti. » Concluse atono Steve,  gli occhi sempre puntati lontano, come se stesse osservando qualcosa che Bucky non poteva cogliere in quell’istante.
 
Ma il soldato d’inverno non era uno sciocco, e arrivò da solo al nocciolo del problema.
« Tutte belle e ammirevoli parole, ma a Peter questo glielo hai spiegato? »
« Sai come è fatto, Buck, avrebbe insistito per venire con noi lo stesso. Quel ragazzino è così testardo quando ci si mette… »
« Tutto suo padre. » Esclamò Bucky, allargando le labbra screpolate in un tiepido sorriso. Il cuore di Steve si scaldò nel sentirsi definire padre. Per quanto, lui stesso avesse un opinione negativa in merito.
« Peccato che come padre, io faccia schifo. Non faccio altro che far infuriare Peter e litigarci… »
« E allora? Tutti i teenager litigano con i propri genitori. »
« Sì, ma io ci litigo un po’ troppo spesso… »
« Con la vita che conduciamo, è già tanto che quel ragazzino abbia la testa sulle spalle e non usi i suoi poteri per darsi alle rapine o alle gang di strada. »
« Mi odia, ne sono certo… »
« Falla finita, regina del dramma! » Sbottò Bucky dando una sonora pacca sul fianco, appena finito di disinfettare, provocando un violento sussulto in Steve.
« Ouch!! Buck, fai piano, ho delle costole rotte! »
« Oh, povera stella, quanto mi dispiace! »
« Non sei spiritoso! »
Il simpatico “teatrino”, venne interrotto da Peter che fece il suo ingresso in camera. Stringeva fra le mani un vassoio, su cui erano riposte un paio di tazze fumanti e alcune fette biscottate con il barattolo di marmellata accanto.
Si schiarì la voce prima di parlare timidamente e dire « Ho pensato che avessi fame. »
 
Steve si tirò a sedere, gemendo appena, afferrando poi il vassoio.
« Grazie, in effetti sì, ho molta fame… »
Peter lo aiutò a sistemarsi, poi passò una delle due tazze a Bucky, che lo ringraziò a sua volta.
« E per te? »
« Aha bé, la mia tazza è rimasta in cucina, non ci stavano tutte sul vassoio! » Tentò di scappare dalla stanza, ma Bucky lo bloccò per un polso e lo costrinse a sedersi sul letto. Poi gli passò fra le mani la propria tazza.
« Bevo io quella che è di là, tu resta. Assicurati che Steve finisca il suo tè e mangi qualcosa. »
Peter non se la sentì di contraddire Bucky, quando voleva, sapeva come imporsi su lui.
 
Rimasero così unicamente loro due nella camera da letto. Per i primi minuti, poterono indugiare in un tranquillo silenzio, almeno fin quando Steve non finì di bere il suo tè e fece piazza pulita di tutte le fette biscottate.
Dopodiché, fu dura evitare gli sguardi e l’imbarazzo ancora palpabile nell’aria. Peter era troppo orgoglioso per prendere per primo la parola, Steve ne era conscio, così decise di fare lui la prima mossa.
« Peter, mi dispiace molto di non averti portato con me in questa missione, ma… non era un genere di missione adatta a te, ecco. »
Per quanto avesse cercato di apparire calmo e controllato, dentro di sé Steve stava vivendo un caos di emozioni contrastanti. Non aveva mai provato nulla di simile ma, come aveva ormai intuito, certe emozioni non erano che la punta dell’iceberg. Si stava rendendo conto di quanto fosse dura essere un padre per qualcuno.
 
« Steve, quando scendo in strada con il mio costume, non so se la “missione” che dovrò affrontare sarà adatta a me o meno, però l’affronto ugualmente! » Ribatté con decisione il ragazzino, mettendo quasi a disagio il genitore adottivo con le sue parole così schiette.
« Già, ma questa volta sapevo in anticipo a cosa andavamo incontro. Volevo solo proteggerti, figliolo… »
« Non sei tenuto a farlo! »
« , invece. Se posso evitarti un dolore, lo farò sempre Peter. »
Peter trattenne il fiato, mordendosi poi le labbra nervosamente. Detestava venir trattato sempre da tutti come un bambino bisognoso di protezione. Però, dentro di sé, nel profondo, era felice di sapere che c’erano persone che gli volevano così bene da volerlo tenere al sicuro da ogni pericolo. Era una bella sensazione che, nonostante non lo avrebbe mai ammesso, gli era mancata.
« So che vuoi proteggermi, lo capisco, ma… non pensi che anche io voglia fare lo stesso?! »
 
Steve aggrottò le sopraciglia, incerto di aver udito chiaramente l’ultima affermazione del giovane.
« Vuoi proteggere Captain America? » Chiese poi non riuscendo a nascondere una risatina malcelata che, nemmeno a dirlo, provocò l’immediata reazione irritata del suo interlocutore.
« Lo trovi così ridicolo?! »
L’adulto scosse il capo, ancora divertito, le labbra che si tiravano lentamente in un sorriso caloroso.
« No, per niente. Sarebbe un onore combattere al tuo fianco, Spider Man! »
Questa volta doveva aver toccato il nervo giusto, perché notò immediatamente come la postura di Peter mutò drasticamente passando dal teso e nervoso, ad una più rilassata. Ricambiò il sorriso, prima timidamente, poi l’entusiasmo prese il sopravvento, portandolo a dimenticare tutta la rabbia covata fino a quell’istante.
« Allora, la prossima volta potrò venire in missione con voi?! »
« Umh, vedremo… » Il capitano sogghignò, mefistofelico, mentre si portava con fare arrogante le mani dietro la nuca. Godendosi al contempo, l’indignazione che trasaliva sul volto di Peter.
« Sei veramente incredibile!! » Gridò al colmo dell’esasperazione. Proprio quando era pronto a perdonarlo, ecco che Steve gli rifilava questo colpo basso. Che, per inciso, nemmeno aveva colto.
« Oh, ti ringrazio! »
« Non era un complimento… »
 
Si guardarono negli occhi per un lungo istante di imbarazzante silenzio, mentre Steve comprendeva la gaffe appena fatta. Quando capì, una fragorosa risata spezzò la tensione fra i due, spazzando via definitivamente ogni ombra di rabbia latente. Come un forte vento che trascinava via lontano le nubi cariche di pioggia.
 
« Ridi, ridi pure! Ti costringerò a trattarmi da adulto prima o poi, aspetta e vedrai!! » Peter si agitava e gli puntava contro un dito con fare minaccioso, ma riusciva solo a suscitare le risate del capitano.
« Ok, ok! Ora però, che ne dici di lasciare riposare un po’ questo vecchietto? »
« Va bene. Ma guarda che mi devi ancora una maratona di Star Wars! »
« Hai ragione, mi farò perdonare, promesso… » Steve alzò un pugno chiuso verso il giovane, gesto che venne replicato da lui stesso, facendo scontrare appena le loro mani.
« Ci conto! »
Peter abbandonò la stanza e raggiunse Bucky in cucina, per riporre nel lavello la propria tazza. Si lanciarono uno sguardo di intesa, poi il ragazzino affermò di aver bisogno di dormire un po’, e ottenne il tacito consenso di Bucky di poter saltare le lezioni, in via del tutto eccezionale.
 
Pioveva ancora a dirotto, quando Peter si infilò nel proprio letto. Ma, al contrario di prima, il suono della pioggia lo cullava dolcemente trascinandolo nel mondo dei sogni, facendogli vivere fantasiose avventure al fianco di Capitan America.

 
 ******************************
 
Salve a tutti! Chiedo immensamente scusa per questo ritardo nell’aggiornamento, nonostante il capitolo fosse pronto da tempo, ho avuto davvero tanto da fare e non riuscivo mai a rileggerlo per le correzioni, quindi sorry sorry e ancora sorry! XD
 
Questo capitolo mostra l’ennesimo “scontro” fra Petey e Steve, quando ho iniziato a scrivere per questa raccolta mi ero promessa una cosa: cercare di rendere il più possibile reale il loro rapporto! Perciò, volevo alternare momenti sereni ad altri più cupi o, come in questo caso, di litigi e incomprensioni. Sono comunque una famiglia che si è formata dal nulla da poco tempo e, Peter, per quanto intelligente, resta comunque un adolescente e chi non si è mai scontrato con il proprio padre?
 
Peter in questa one shot tenta di affermare il suo valore, la sua indipendenza, non vuole più essere considerato un bambino e lasciato a casa con la “tata” (poor Bucky, casalinga e pure tata, non mi odiare XD) mentre suo padre è fuori a salvare il mondo. Ed essendo Peter stesso un vigilante, capite bene che venire trattato come un principiante sia fonte di enorme frustrazione, anche se come ben sapete, Steve voleva solo proteggere la sua innocenza.
 
Al solito, il titolo è ispirato ad una canzone, Rain di Patty Griffin (è davvero molto bella, ascoltatela se potete)! Quando la scrissi, era un giorno di pioggia e così ho trasmesso la medesima sensazione che mi dava l’acqua nella fiction!
 
Ok, anche per oggi direi che è tutto, ci vediamo nella prossima One Shot! Non posso promettere di aggiornare presto, ma farò del mio meglio, giuro!
Come sempre, ringrazio immensamente tutti coloro che leggono, recensiscono, mettono fra i preferiti questa raccolta o semplicemente la seguono in silenzio! Grazie a tutti!! ♥
 
Un  bacione enorme
Giò

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Capitolo 8
*** Hey, Dad ***


The Soldier, The Captain & The Spider
Hey, Dad
 
Come fosse accaduto tutto questo, ancora non se lo spiegavano. Doveva essere una semplice missione di recupero ostaggi: trenta civili fatti prigionieri da una cellula terroristica sconosciuta.
 
Captain America, Spider Man, Iron Man e il Soldato d’inverno erano stati chiamati in causa per svolgere tale compito. Tony, scherzando, aveva affermato di poter sistemare la faccenda da solo, se non fosse stato reduce da una sbornia colossale.
Quella fu anche la prima missione di Bucky assieme agli Avengers. Dopo otto mesi di riabilitazione, cure mediche e segregazione nell’appartamento di Rogers, era finalmente pronto per cominciare a ripagare la società di tutte le vite innocenti che aveva spezzato. E lui era ben lieto di poter fare qualcosa di buono, finalmente.
 
Tutto era andato liscio, come previsto. Ostaggi liberati e portati in salvo, i terroristi arrestati. Quando compresero però, che l’intera operazione era una gigantesca trappola, volta a catturarli, era troppo tardi.
L’imprevisto fu gestito bene, tutto sommato, eccezion fatta per il rapimento di Spider Man. Lui, giovane e ancora così ingenuo, si era fatto ingannare da un uomo, che si era finto uno degli ostaggi in pericolo.
Invece si trattava di un mercenario, ingaggiato da qualche organizzazione segreta, mandato lì con la sua squadra per far prigionieri gli Avengers. Forse per usarli come armi, o per esperimenti di genetica, Dio solo lo sapeva.
Dopo averlo messo fuori gioco con una pistola spara sedativi, se lo era caricato sulle spalle ed era scappato, supportato dai suoi compagni.
 
Da quel momento, era cominciata una caccia all’uomo senza quartiere e, da quel preciso istante, Steve era diventato freddo come un pezzo di ghiaccio. Bucky non si perse una sola sua reazione in merito, il capitano ostentava calma e controllo, pianificando minuziosamente un attacco ai danni delle persone che avevano rapito Peter. Tony, al contrario, era furibondo, lui non si vergognava di palesare le sue emozioni. Tipico di Stark. Anche Bucky fremeva per la preoccupazione, ma non era nella sua natura cadere preda delle emozioni. Barnes era fatto così, tutti gli anni passati come Soldato d’inverno, purtroppo, avevano lasciato un segno inesorabile dentro il suo animo. Quindi per lui, era assolutamente normale rimanere così apatico, nonostante ci fosse in gioco la vita di una persona a cui tenesse molto.
Ma non era una cosa normale per Steve. Lui voleva molto bene a Peter, lo considerava davvero suo figlio ormai. Per cui, quell’espressione così dura e lo sguardo atono, preannunciavano solo la quiete prima della tempesta.
 
Ne ebbe conferma, non appena localizzarono lo stabilimento dove avevano portato Peter. Ci erano volute quarantotto ore. Due lunghissimi giorni in cui la tensione si era tagliata con un coltello e, anche solo comunicare, era divenuta un impresa epica.
Non appena giunsero a destinazione, nel laboratorio numero 5, Steve sfondò la porta con un poderoso calcio. Dentro, ci saranno stati una decina di uomini fra guardie e sedicenti “medici”. Peter era steso su un tavolo di acciaio, legato mani e piedi, mezzo nudo, il viso privo di maschera.
Era così pallido e immobile, che perfino il cuore di Bucky sussultò a quella vista. Poi, un moto di rabbia, gli salì dritto al cervello conducendolo all’attacco assieme a Steve e Tony.
Avevano visto in volto Spider Man, svelandone l’identità. Non ci fu bisogno di consultarsi, per decidere che tali soggetti andavano messi a tacere definitivamente. La scusa dell’identità svelata, era ottima per mascherare il semplice e umano sentimento di vendetta verso coloro che avevano rapito e seviziato uno di loro.
Bucky osservò con orrore alcuni strumenti presenti nella stanza, fra cui una macchina per l’elettroshock. Tanti, troppi ricordi spaventosi si affollarono nella sua mente, paralizzandolo dal terrore.
 
« Barnes! Non stare lì impalato, controlla che non arrivi nessuno!! » Urlò Iron man al soldato, facendolo riscuotere dal suo torpore.
Lui, intanto, si preoccupava di liberare Peter, prigioniero di svariate morse di acciaio che gli impedivano di muovere un solo muscolo. Si assicurò inoltre, di tranciare immediatamente il tubo della flebo che era collegata al suo braccio. Non era un medico, ma la soluzione chimica della sacca era chiara: lo stavano tenendo sotto controllo tramite sedativi. La dose era così massiccia che avrebbe stordito pure Rogers, nonostante il suo metabolismo. Conoscendo Peter, doveva aver lottato strenuamente per tentare la fuga, come dimostravano i vari lividi presenti sul suo corpo.
 
« Peter, ehi… coraggio ragazzino, riprenditi! » Tony gli stava schiaffeggiando delicatamente il viso, sperando di svegliarlo. I battiti cardiaci erano lenti, respirava a malapena.
« Rogers, dobbiamo portarlo via da qui, subito! »
Steve, per tutto il tempo, era rimasto alle spalle di Tony, senza smuoversi dalla sua posizione, come pietrificato. Tony dovette chiamarlo ancora un paio di volte prima che reagisse.
« Hai ragione, andiamo. » Biascicò infine chinandosi per prendere in braccio Peter. Era la prima volta che lo faceva e, si rese conto, quanto fosse esile e facile da trasportare.
« Buck! Dammi la tua giacca, per favore! »
Bucky posò il mitra e si sfilò rapidamente l’indumento richiesto dal compagno. Peter indossava unicamente la biancheria intima, e il suo corpo stava diventando molto freddo.
Si fecero strada eliminando gli ultimi superstiti di quella base, facendo piazza pulita, lasciandosi alle spalle solo una macabra scia di sangue.
 
Finalmente riuscirono a rientrare nell’aereo privato di Tony, che avevano usato per raggiungere la base, situata su un isola in mezzo dell’oceano Pacifico.
Il viaggio di rientro  sarebbe stato lungo e, tutti i presenti, erano in ansia per le condizioni del giovane. Tony usò Friday per fare una scansione delle funzioni vitali di Peter, e si fece consigliare cosa fare per farlo rinvenire.
Per sua fortuna, essendo un tipo che si feriva spesso e volentieri, aveva una sacca piena di medicinali di ogni genere a bordo dell’aereo.
Sperando che la sua intelligenza artificiale, non avesse commesso errori di calcolo, somministrò a Peter una dose di adrenalina, per riattivare il suo cuore che batteva troppo lentamente.
Dopo alcuni minuti, Peter gemette riaprendo lentamente gli occhi. Si guardò attorno, spaesato, mettendoci qualche secondo prima di capire di non trovarsi più in quel laboratorio spaventoso.
 
« Peter… » Lo chiamò Steve, portando istintivamente una mano sulla sua guancia con fare protettivo.
« Ehi, ciao… papà… »
A quel punto, la corazza che aveva sollevato Steve crollò come un castello di carte. Non gli importava un accidenti del suo orgoglio, della sua reputazione di Captain America o del fatto che Tony avrebbe potuto prenderlo in giro fino alla fine dei tempi. Ora, era solo Steve, un padre che aveva temuto di perdere suo figlio. Si chinò verso Peter per abbracciarlo, lasciandosi sfuggire dei singhiozzi malcelati.
« Sto bene… non ti preoccupare, sto bene… » Continuava a ripetere Peter, ricambiando l’abbraccio dell’uomo con la poca forza che possedeva al momento. Si lasciò cullare dalle sue braccia confortevoli, fin quando non si staccò dolcemente da lui. Era strano vedere il viso di Steve rigato dalle lacrime, non lo aveva mai visto piangere. Sapeva quanto fosse discreto e che non amasse mostrare le sue debolezze apertamente.
 
« Ci hai fatto preoccupare da matti, bimbo ragno! » Esclamò Tony sorridendogli caloroso. Forse era solo una sua impressione, ma a Peter parve che si fosse commosso nel vedere la reazione avuta da Steve.
« Mi dispiace signor Stark… ho causato solo problemi… »
« Aha, non dire sciocchezze! Un rapimento, capita a tutti prima o poi! E’ il destino di noi super eroi! »
La battuta spezzò la tensione, rasserenando gli animi tormentati dei presenti.
« Manca ancora un po’ prima di rientrare a New York, tu riposati, ok? »
Peter si rimise giù, sul comodo divanetto trasformato in un letto con tanto di cuscini e coperte.
« Vuoi mangiare qualcosa? Posso preparare dei pancake se vuoi! Bé, li farò preparare a Rogers, per poi prendermi il merito, ma a bordo ho dell’ottimo sciroppo d’acero canadese! »
« No, grazie signor Stark, non ho fame. »
« Ok, allora ti lasciamo riposare… »
Tutti i presenti si allontanarono, tranne Bucky.
« Resto con Peter a fargli compagnia. » Disse unicamente l’uomo, suscitando l’espressione sorpresa di Tony. Ma non quella di Steve.
« Buona idea, a dopo. » Commentò il capitano, sorridendo di rimando a Barnes.
 
Rimasti solo Bucky e Peter nella cabina – salottino per fare festini – di Stark, il soldato andò a sedersi accanto al ragazzino. Gli posò, goffamente, una mano sul braccio nel tentativo di confortarlo.
« Allora, come stai? »
Peter preferì non rispondere, concedendo unicamente una criptica alzata di spalle. Bucky non insistette, lasciando cadere un profondo silenzio fra loro.
 
Un silenzio che però, venne rotto dallo stesso Peter senza alcun preavviso.
« Bucky, senti… posso chiederti una cosa? »
« Sì, dimmi. »
« Quando quelli dell’Hydra ti hanno fatto gli esperimenti… insomma, tu… ci hai messo tanto per dimenticare? »
Il soldato si incupì a tale domanda e, un senso di angoscia, lo pervase interamente da capo a piedi. Si morse le labbra, nervoso, inquieto al pensiero di indagare sulla faccenda.
« Peter, cosa è successo in quel laboratorio? »
Il giovane sfuggì al suo sguardo, come scottato, imbarazzato quasi. Bucky comprendeva bene quello stato d’animo, lui lo aveva provato così tante volte in passato da averne perso il conto.
« Non mi va di parlarne… »
« Non devi farlo adesso. Me ne parlerai quando vorrai. »
« Ok… ma devi promettermi, che non dirai niente a Steve… »
« Perché? »
« Non voglio che si preoccupi… e poi… non voglio apparire debole ai suoi occhi. » Affermò il giovane con un tono di voce così basso e fragile, da renderlo irriconoscibile. Barnes trattenne un sospiro, carico di rabbia e frustrazione, maledicendo le persone che lo avevano ridotto in quello stato.
 
« Peter, se a Steve importasse così tanto di certi dettagli, pensi che avrebbe pianto prima? »
« Io non… non lo so… » Biascicò in risposta Peter, confuso e spiazzato da tale quesito.
« Lui non pensa che tu sia debole, credimi. Nessuno di noi lo pensa. »
Forse era a causa dei sedativi che ancora gli circolavano in corpo, ma Peter non se la sentì di proseguire quella conversazione. Avvertiva la testa pesante, il corpo fiacco e i muscoli doloranti perché costretti troppe ore nella stessa posizione.
« Se lo dici tu. »
« E’ così, fidati. Non ci pensare adesso, devi riposare. »
« Ok… » Inspirò profondamente e, stancamente, si voltò su un fianco, cercando una posizione comoda per addormentarsi.
 
 
Nemmeno si accorse quando l’aereo atterrò o, di quando, Steve lo prese in braccio per condurlo in ospedale – nel reparto intimo e speciale creato da Stark - a fare un controllo medico.
Grazie al suo metabolismo accelerato, lo rimandarono a casa il giorno stesso, le sue condizioni di salute risultavano ottime e gli era bastato unicamente dormire per alcune ore.
 
Vennero accolti dal calore del loro appartamento, solo verso sera. Pasteggiarono con una cena leggera, poi si fecero la doccia a turno. Anche se non aveva molto sonno, Peter venne condotto a letto, di forza, da Steve. Il ragazzino protestava e sbuffava, ma il biondo non volle sentire ragioni. Gli rimboccò con cura maniacale le coperte e si accertò che ogni cosa fosse in ordine prima di allontanarsi.
« Se hai bisogno, chiama, ok? Lascio la porta aperta stanotte. »
« Sì, ok. Non ti preoccupare, starò benissimo! »
« Va bene ma, davvero, se avessi bisogno di qualcosa… »
« Bucky, ti supplico, te lo porti via?! » Esclamò il giovane, esasperato dalle eccessive attenzioni di Steve. Bucky se la rise di gusto, trascinando via il compagno, che continuava imperterrito a dare raccomandazioni a Peter.
« Ehi, capitano! Lascialo respirare, dai. » Affermò Bucky, una volta strappato il biondo dalla stanza del figlio adottivo.
« Lo so, lo so! Mi dispiace, sono un po’ stressato… »     
« Sei esausto, non chiudi occhio da oltre quarantotto ore Steve. A malapena hai toccato cibo prima… »
 
Talmente era stanco ormai, che si fece condurre fino in camera da letto senza opporre la minima resistenza. Si lasciò ricadere sul materasso, portandosi entrambe le mani alla testa. Bucky gli fu subito accanto, preoccupato.
« Ohi, tutto bene? » Una mano che massaggiava l’ampia schiena di Steve, nel tentativo di calmarlo come poteva.
« Mh… sì… sono solo davvero tanto stanco… »
Con un colpo di reni, si tirò su, raggiungendo il cassettone dove teneva il suo pigiama. Si cambiò e poi si infilò a letto, beandosi della piacevole sensazione di relax. Per quanto, lui ancora trovasse difficoltà nel dormire in un letto vero, il pavimento continuava a sembrargli un luogo migliore dove riposare. Peccato che la sua schiena non la pensasse così, il materasso l’aveva sempre vinta alla fine.
 
Bucky lo imitò, coricandosi accanto a lui, cingendogli piano la vita in un caldo abbraccio, in cui Steve si abbandonò totalmente.
« Notte, capitano… »
« Notte, Buck… »
Non passarono neanche due minuti, che Steve riprese a borbottare.
« Peter starà bene? Forse non avremmo dovuto lasciarlo da solo, dopo tutto quello che ha passato… »
« Se non taci subito, ti chiudo io quella bocca. »
« Sono serio Buck! »
« Anche io. »
Si scrutarono a lungo senza proferire parola e, quando Steve si azzardò a riaprire la bocca per dire qualcosa, le sue labbra vennero messe a tacere da quelle di Bucky. Un lento, umido e lungo bacio appassionato, che riuscì finalmente a placare tutte le ansie di Steve.
« Non ti preoccupare per lui, è un ragazzino forte. E se avrà bisogno di aiuto, sa dove trovarci. Non è mai solo dopo tutto. »
« Grazie, Buck… »
« Dormi, prima che mi venga voglia di fare altro. »
« Va bene… »
 
Nonostante Bucky non avesse fatto altro che riprendere Steve, perché fosse troppo ansioso, passò il resto della nottata a fare avanti e indietro dalla sua camera a quella di Peter.
E quando si rese conto che il sonno del giovane era tormentato da un incubo, si sedette sul pavimento, allungando una mano verso la sua fronte, carezzandola con dolcezza per calmarlo. Vi rimase per quasi un ora, non smettendo di donare conforto a Peter, sussurrandogli che era lì con lui e non doveva temere niente.
 
Fece ritorno nella propria stanza, solo dopo che Peter si fu totalmente tranquillizzato, venendo accolto dal sorrisetto beffardo di Steve.
« E…ero in bagno! » Tentò di giustificarsi Bucky, arrossendo irrimediabilmente.
« Per un ora e mezza? »
« Sta zitto. »
Si ficcò sotto le coperte, dando le spalle a Steve, che gli ridacchiava allegramente nelle orecchie, facendolo sentire un povero sciocco.
« Ammettilo, sei un tenerone sotto sotto… »
« Ti odio, Pal. »
« Ti amo, Punk. »
 
 
**********
 
Salve miei cari! Mi scuso per l’immenso ritardo con cui posto questo nuovo capitolo, ma è stato periodo intenso e, sebbene avessi questa one shot pronta da mesi, non trovavo mai il tempo per dedicarci la giusta attenzione.
 
Questa volta temo di essere andata un pochino OOC con Steve e Bucky, vi chiedo perdono!! Però, ci tenevo a mostrare il lato più umano e fragile di questi personaggi. Insomma, ormai Petey è considerato da entrambi come un figlio, quindi ho pensato che certe reazioni non sarebbero state poi così esagerate, sebbene esulino un po’ dal loro carattere canonico! Comunque, come si sol dire “ai posteri l’ardua sentenza”.
 
Non ho idea di quando riuscirò a fare uscire una nuova one shot per questa raccolta, al momento non ho molte idee, ma confido che l’ispirazione mi colga all’improvviso quando meno me lo aspetto, come spesso succede! XD
 
Bene, non mi resta che salutarvi tutti e, cogliere l’occasione di farvi tanti auguri di Buon Natale e felice anno nuovo!!
 
Giò ♥

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