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Dopo la
bellezza di...ehm... (tot) mesi di religioso e meditativo silenzio ritorno su
EFP con una nuova storia, questa volta originale! :)
Ringraziando
anticipatamente tutti coloro che mi hanno sostenuto nella mia precedente - e taaaaanto sofferta- fic (prometto
che un pensiero su una OneShot
ambientata qualche anno dopo lo faccio :-P), spero che
anche questo esperimento vi piacerà!
Un bacio
Grande a tutti!
Elendil
Ricordava
quel luogo.
Nella sua
mente serbava vivido il riverbero di quei sentieri ampi e polverosi, bianchi
come avorio e lucenti di luce.
Ricordava
quei suoni.
Vacuo
rincorrersi di note alte ed acute, armonia riarsa di un ritmo vago e lontano,
troppo distante per esprimere un vero senso compiuto.
La volta
scorsa “Deserto” l’aveva chiamato, tutto ciò.
Oggi
dubitava di quel primo, incauto, appellativo. Avaro, forse, di una più attenta
visione.
Giacchè ieri il vuoto pareva fatto di sabbia e onde
ventose. Oggi di creste dure, inamovibili, come pietre a fil d’orizzonte.
Le toccò
piano, incerta e nel calore di un istante nacque il dolore.
Pietre
cattive.
Gli sussurrò
il tempo.
Pietre
vendicative.
Ansimò
l’aria. Ora cauta, ora opprimente come un respiro mancato.
Dimenticò
di respirare, poichè sapeva che anche così facendo
sarebbe sopravvissuta. Ma dimenticò anche di avanzare, di proseguire, e nel
farlo eccole, le dolci carni del suo corpo imbianchire piano, lentamente, un
velo alabastro a celarle istante dopo istante, una carezza di luce a fare di
lei nulla più che un velo lucente, di spire celato.
Che tu sia
bellissima, al ritorno. La lusingò il cielo. Poichè
di pietra saranno gli istanti del risveglio.
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Destarsi fu
come voltarsi dall’altra parte e semplicemente prendere un profondo respiro. E
scoprire che un velo invisibile la separava dal voler respirare al doverlo fare
per forza. Un velo abbastanza vacuo da lasciarla per un attimo intorpidita e
attonita nel progressivo scurirsi del paesaggio attorno a lei mentre il sogno
cedeva il passo alla nuova realtà.
Ancora
chiusi, gli occhi tremarono appena sotto il velo delle palpebre, un fremito
catturato presto da una garza appena inumidita calata sul suo volto.
Si chiamava
“Yi” e la sua unica funzione era quella di trattenere
il suo primo sguardo al mondo dopo il lungo sonno della notte e darle sollievo
dall’arsura del giorno imminente. Fresco sugli occhi, il panno profumava appena
di erbe del deserto, asciutte eppure incredibilmente fresche al naso. Si
rilassò.
“Un sogno
dolce, SommaNihaar’i?” la chiamò
la vecchia balia, Danhe. La sua voce pareva un misto
di sonnolenza e apprensione mentre con dita umide le picchiettava il viso.
Ancora distesa, la ragazza scosse il capo controvoglia.
“Affatto”
replicò con indolenza “Chiamate l’Aruspice”.
Un
movimento leggero poco distante, poi la voce di un uomo ad allontanarsi “Sarà
qui a breve, Somma Nihaar’i”.
“Desiderate
mangiare qualcosa prima dell’Elegia?”
la richiamò ancora Danhe. Malgrado l’età, la vecchia
aveva ancora una voce giovane, leggera e delicata mentre con malcelato affetto
le scostava le coperte dal corpo. Ancora inebetita dal sonno, la Nihaar’i le rivolse una smorfia vagamente infastidita: il
sogno di quella notte ed in particolare le parole che ne avevano segnato la
conclusione le avevano lasciato addosso un vago senso di indolenza e fastidio
difficili da rimuovere. Tuttavia si risolse finalmente dal mettersi seduta, la
garza umida che, cadendo, rivelava due occhi ancora gonfi e nebulosi.
Come da
usanza gli occhi di Danhe erano celati da una sottile
garza dalle maglie larghe, comunemente usata per impedire il contatto diretto
degli occhi, ma attraverso di essa la Nihaar’ì colse
comunque il rapido saettare degli occhi della vecchia in direzione delle sue
iridi cristalline, come cedendo per un attimo alla curiosità di scrutare
nell’oro intenso in esse racchiuso. Lo schiaffò colpì la balia dritto in volto
costringendola ad abbassare lo sguardo a terra.
“Ancora
nessunostrappo, immagino” la prese
quasi in giro la ragazza sebbene la sua voce tradisse una nota di gelo “Ma
immagino che una simile constatazione debba essere lasciata all’Aruspice
piuttosto che ad una comune serva, non credi?” l’altra rimase in silenzio,
immobile, la testa ingrigita che non accennava a risalire mentre le porgeva un
panno dalle tinte blu scure, fresco e morbido come appena lavato.
Tuttavia,
la Nihaar’i non fece cenno ad accettarlo.
“O forse
l’antica usanza di rispettare lo sguardo altrui evitando di indagare i segni
delRisveglionegli
occhi della tua Nihaar’iè cosa superflua qui, nella Torre del
Tempo?”
No, certo
che no.Si disse
mentre lo afferrava di scatto scostandosi dal letto basso e sottile, una stuoia
fittamente intrecciata che ne sosteneva l’ampia base. Sopra, strati di lenzuola
bianche come avorio componevano una trama di stoffe più o meno pesanti nelle
quali ella pareva quasi scomparire, piccola e sottile rispetto all’ampiezza di
quel trono ovattato.
Nervosa, la
ragazza prese ad avvolgere attorno al proprio corpo nudo le morbide vesti di
modo che esse le fasciassero collo e petto per poi cadere in una morbida gonna
trasversale sulle gambe. Lasciò quindi che la vecchia Danhe
ornasse l’abito così ottenuto di nastri e bracciali atti ad impreziosire il
tutto. Infine, senza una parola, la balia prese a spazzolarle i capelli
corvini, lunghi e sottili come ragnatele.
Fu mentre
la donna stava finendo di intrecciare il tutto in una treccia alta ornata di
catenine dorate e apporre l’ultimo ornamento - un velo in tinta con le vesti -
che giunse l’Aruspice. La Nihaar’i lo sentì arrivare
nel frettoloso strisciare delle ampie vesti sui bianchi pavimenti, un mormorio
ovattato quasi quanto la medesima voce usata dall’uomo per annunciarsi poco
dopo.
“Lasciateci”
sillabò la ragazza prima di voltarsi e fronteggiarlo con un sorriso di
circostanza. Nella stanza sostavano immobili una decina di guardie, altrettanti
servi, serve e qualsivoglia lacché pronti ad
assisterla ed assecondarla al semplice cenno della mano, ma fu in meno di un
istante che l’intera camera da letto si svuotò lasciandoli soli a fronteggiarsi
nella muta ritualità del mattino.
Lo sguardo
fisso dell’uomo, anch’esso celato dal velo rituale, era cosa nota alla Nihaar’ì - del resto le sue visite erano il primo e
l’ultimo appuntamento fisso del giorno- eppure a fatica trattenne l’impulso di
mostrare il vago disagio che quella perizia le provocava ogni volta. Poi, dopo
un attimo, egli chinò il capo in segno di saluto.
“Nessun
accenno alRisveglio, sua Eccellenza”
decretò con pacata tranquillità. C’era una nota breve nel respiro di lui, quasi
facesse fatica a trarre aria e nel contempo parlare “Eppure vi vedo turbata.
Avete per caso avuto una premonizione?”
La ragazza
annuì lentamente “Mandate una guarnigione di Araldi a HevnanK’ar” per un attimo le labbra dell’Aruspice parvero
arricciarsi come nel preambolo di uno starnuto. “Un altro attacco alle cave di
pomice?” parlare sembrava costargli fatica e sforzo senza pari. Noncurante,
l’altra si limitò a volgere lo sguardo dall’altra parte, la tolleranza di quel
forzoso contatto oramai giunta alla soglia limite.
Si rilassò.
“Vi ho
detto di inviare degli Araldi, non di obiettare i miei ordini” ribatté asciutta
per poi, nel notare l’immobilità dell’altro come in attesa di altre rivelazioni
aggiungere con pacata freddezza “Nè di dilungarvi
oltre in futili conversazioni”.
L’affrettato
strisciare delle vesti dell’uomo fu l’ultimo suono che le giunse prima che il
silenzio si impadronisse nuovamente della stanza lasciandola libera di
sospirare di sollievo.
Per quanto
funzionale allo svolgimento dei suoi doveri quotidiani, quell’ispezione
mattutina cominciava a darle quantomai noia. Volse lo
sguardo in direzione delle ampie finestre che davano sull’esterno, saggiandone
per un attimo con la vista l’elegante scorcio ritagliato dal sole albeggiante.
Sarà stata la voce mezza sibilante mezza soffocata dell’Aruspice? O forse quel
vago sentore agrodolce che egli emanava al solo ingresso nella stanza?
Socchiudendo
appena le palpebre lasciò che il suo sguardo si spostasse piano oltre la
balaustra, oltre il bianco parapetto e con la semplice vertigine della
sensazione si lasciasse poi cadere a precipizio nel panorama circostante la
Torre, metri e metri di salto nel vuoto privo di qualsivoglia barriera o
impedimento.
Esalò un
sospiro silenzioso.
Situata al
centro esatto della città, la Torre del Tempo era l’edificio più alto e
splendente di tutta Chermak, abbacinante nel proprio
candido biancore. Una struttura alta e slanciata che pochi avrebbero faticato a
notare anche da miglia e miglia di distanza e che proprio per quello era stata
scelta come sede della più importante carica politica e spirituale del continente
di Harryan: la Nihaar’i,la
Veggente.
Tutt’attorno
alla Torre del Tempo si estendeva Chermak, un’altrettanto candida città adagiata sulle rive dello Himnakan - il Mare Celeste- che con le sue maree e correnti
salate riusciva a mantenerla da tempo immemore brillante eincrostata
dipreziosi
riflessi salini. Pur essendo un mare interno, lo Himnakan
era vasto e sconfinato abbastanza da dominare la vista e sfiorare gli orizzonti
con i suoi colori chiari e sgargianti.
Sulla pelle
il vago brivido della vertiginosa vastità di quel mondo, la Nihaar’i
ne ammirò ancora una volta i contorni pallidi e sfumati per via del sale, tinte
bianche e rosse a perdersi nell’ocra pallido del deserto circostante. Per un
attimo pensò quasi di allungare una mano oltre il parapetto e saggiare con le
dita il conosciuto afrore salmastro che a quell’ora prendeva a spirare lungo i
fianchi della Torre. Una fragranza bagnata e oleosa al contempo, frizzante
sulla lingua e cristallina contro la pelle.
Tuttavia si
bloccò.
Non oggi.
Si umettò
le labbra, sentendole già vagamente salate.
Non dopo il
sogno che avevaallietatoil suo riposo regalandole la
percezione che pietra e sale potessero entrarle dentro al punto da trasformarla
per intero in creatura nuova e marmorea.
Suo
malgrado fece un passo indietro, sfuggendo non senza un vago rammarico alle
prime brezze termiche che prendevano a risalire dalle piane sabbiose per
riversarsi poi nelle acque limpide dello Himnakan e
da li salire ancora, salire fin dove lo sguardo
poteva arrivare. Da lassù, i cristalli di sale disegnavano talvolta arabeschi
scintillanti, destinati a lì perdurare fino all’attimo in cui gravità e
leggerezza finivano con l’esaurirsi costringendoli di nuovo a scendere ed in un
sentiero d’argento disperdersi nelloIarhan:Il Sentiero del vento.
Da lassù,
dalla Torre del Tempo, a volte la Nihaar’ì aveva
quasi la sensazione di avvertire i profumi di cibi lontani, banchetti e convivi
oramai terminati, voci e discorsi passati. Un intero mondo di sabbia e sale
sulle labbra e fra i denti mentre ella si sporgeva oltre il parapetto ed
immaginava come sarebbe stato, forse una volta, vederli per davvero.
“Ben
svegliata, Somma Nihaar’ì” una voce la sorprese alle
spalle. Come da usanza, prima di voltarsi la ragazza abbassò sugli occhi il
semplice velo che Danhe le aveva appuntato al capo e
solo quando fu certa che fosse ben aggiustato si voltò in direzione di Zaphil, ora fermo sulla soglia della camera, in attesa di
un cenno per entrare.
“Entra
pure” lo accolse con un mezzo sorriso facendogli dopo un attimo cenno con la
mano di accomodarsi dove meglio preferiva. IlNaphilchinò
una volta il capo per poi attraversare la stanza ed accostarsi a lei.
L’uomo
aveva volto asciutto ed ovale, uno sguardo acuto e vagamente sornione che
nascondeva rughe intrecciate a fil di pelle attorno alle labbra e lungo gli
zigomi.
Quarant’anni
d’aspetto, forse, ma qualcosa di più stando alle voci delle Torre.
Davvero un
bel soggetto, commentavano tavolta e non senza una
punta di concupiscenza dame e nobildonne.
Qualcuno di
cui valesse almeno la pena parlare, non potevano esimersi
dall’ammettere tutti gli altri ospiti della Torre giacchè
sia per carattere che per atteggiamento innato Zaphil
pareva una naturale calamita per pettegolezzi, invidie e interessi di ogni
genere tanto per le pulzelle quanto per leDeynespiù attempate.
Come da
usanza, il Naphil si esibì in un lungo e profondo
inchino, le vesti nere che si richiudevano in un leggero sbuffo su di lui
portando al naso della Nihaar’ì un vago sentore
speziato.
“L’Aruspice
dice che avete avuto una premonizione” riprese l’uomo dopo un attimo
incrociando le braccia al petto. La Nihaar’ì annuì
una volta, quasi con noncuranza “Nulla per cui valga la pena preoccuparsi”
lenta, prese a costeggiare una ad una le finestre della stanza “Il solito
attacco alle cave di pomice” battè le mani una volta
affinché venisse portato il primo pasto del giorno.
A
differenza degli altri inservienti e personaggi dell’alta nobiltà presenti
nelle zone ricche di Chermak, i Naphil
erano soliti lasciare il volto totalmente scoperto e coprire solo il capo con
bende arrotolate da calare dinnanzi agli occhi una volta usciti all’esterno.
Questo perché, a differenza di tutti gli altri, essi erano vincolati dal
Giuramento diVeritànei confronti della Nihaar’ì, erano cioè obbligati a servirla e proteggerla per
tutta la vita senza misteri e riserve nei suoi confronti, comprese quelle delloIvahnah’am,Il Risveglio.
Ma anche in
presenza del Velo cerimonale la Nihaar’ì
non avrebbe comunque faticato ad indovinare l’immediato accigliarsi di lui. “Lo
definireste un sogno ricorrente? Non è la prima volta che ne parlate...” “Così
come non è la prima volta che le Ombre attaccano quella zona” lo liquidò
rapidamente nel momento in cui giungeva un servo con un piccolo vassoio contenente
una tazza di erbe infuse e qualche radice accuratamente ricoperta di succo pahma distillato. Solo quando l’inserviente se ne fu andato
la ragazza riprese a parlare.
“Credo di
saper riconoscere io stessa la differenza fra un sogno ricorrente ed un sogno che
si manifesti per il semplice fatto che qualcosa accadrà per certo” Zaphil la osservò deviare lentamente dalla sua camminata
“panoramica” per accostarsi leggera al pasto mattutino. Lo osservò qualche
istante in silenzio, ogni volta apparentemente critica nel valutare
l’assembramento di gusti e sapori che iBjeserano in grado di scovare per
lei, per poi, forse convinta, allungare una mano e trarre a sé la tazza
d’infuso.
Le sorrise,
pur non muovendo affatto le labbra “Non era mia intenzione offendervi” riprese
con noncuranza “Cercavo solo di capire se in voi vi fossero tracce del
Risveglio. Una Nihaar’ì della vostra età avrebbe già
dovuto...” ancora prima di essere accostata alle labbra, la tazza sbattè fragorosamente sul tavolino di marmo facendo
sobbalzare entrambi.
“Zaphil” pur velata, il Naphil
indovinò la vaga sfumatura di minaccia nel tono di lei “Credo di conoscere
abbastanza bene la mia situazione senza che chiunque in questa dannata Torre me
lo ricordi ogni santo giorno!”
Diciannove
anni erano molti, per una Veggente. Ancora di più per una Veggente che ancora
non si fosseRisvegliataricevendo in dono daOneiron,il mondo del Sogno, la propriaVisione.
La Nihaar’ì trasse un profondo respiro, tentando senza
successo di riacquistare quella parvenza di eleganza e controllo propri della
sua carica. Non vi riuscì al primo tentativo. Così cercò di prendere tempo
fingendo di interessarsi all’affresco riccamente decorato sul soffitto a volta
della sua stanza. Un Falco in volo pronto a scagliarsi, rostri e artigli
spiegati, su vaghe sagome nere poste tutt’attorno a lui in un incastro frattale
di luci azzurre e ombre nere. Sbattè una volta le
palpebre.
Spesso si
era chiesta perché mai disegnare una rappresentazione metamorfica della
Veggente proprio nella stanza della Veggente medesima. Vago tentativo di
ricordarle il suo unico e solo scopo nella vita? Giustificazione di una
reclusione eterna nelle mura della Torre? O velato avvertimento nel ricordarle
quanto orrore e disfatta si annidassero costantemente attorno a lei?
Sospirò.
“Le vostre
premonizioni enayeldel futuro ci permettono di
sopravvivere ogni giorno ed evitare che gli spostamenti delle Ombre siano per
noi uno spreco di vite e forze inutili...” tentò di blandirla Zaphil dopo qualche attimo. Il viso della ragazza non
sembrò tuttavia intenzionato a spostarsi dalla propria attenta osservazione “Ma
non bastano. Serve loIvahnah’am, la
Visione”per
quanto improbabile, Zaphil ebbe la netta sensazione
di vedere la ragazza sobbalzare a quelle parole “Senza questo, una Veggente non
è altro che una Risvegliata qualsiasi, abbastanza pericolosa da dover essere
uccisa prima che il suo enorme potere richiami la distruzione su tutti noi”
Tacque e
per un attimo la Nihaar’ì immaginò gli occhi azzurro
pallido dell’uomo fissarsi su di lei con un misto di indolenza e puntiglio
assieme. Non era la prima volta che accadeva. Sospirò, alzando finalmente lo
sguardo e solo allora, rigida, incontrare lo sguardo dell’uomo duro e grave
esattamente come se l’era prefigurato.
No, anzi.
Zaphil amava davvero molto ricordarle in ogni
occasione i suoi amabili doveri e ancor più amabili pericoli quasi quanto
adorava - e non si poteva certo dire che mancasse di talento- rimproverarla per
ogni dannata volta che veniva meno agli stessi. Il che accadeva stranamente
abbastanza spesso da rendere biasimi e critiche le attività perno della sua
stessa vita.
Ma questa
volta la fortuna era dalla sua parte: non c’era tempo per una ramanzina in
piena regola perchè i venti già desti reclamavano a
gran voce l’inizio dell’Elegia.
Così,
quando già la Nihaar’ì cominciava a pensare che il Naphil avrebbe comunque osato uno strappo alla regola
giusto per togliersi il puntiglio di rimproverarla, a stretti Zaphil si limitò a dirle “Le correnti si stanno alzando.
Che tu sia pronta al mio ritorno per l’Elegia” prima di uscire in un silenzio
grigio.
Poco tempo
dopo, muta e rigida, un mantello bianco come neve a fasciarla da capo a piedi,
la ragazza saliva gli impervi gradini della Torre del Tempo. Dinnanzi a lei un
corteo di suonatori riccamente agghindato di perle e stoffe color del sole.
Dietro al piccolo strascico che ella portava, un altrettanto fornito stuolo di
Nobili, assistenti, lacché e altri ancora tutti
vestiti nel cerimoniale rosso porpora.
Nel mezzo
di tutto ciò, la Nihaar’ì pareva quasi un ciottolo
sparuto in un fiume sanguigno. Alla sua destra seguitava Zaphil,
silenzioso e altero nelle sue solite vesti nere come carbone. Da che si erano
lasciati e ricontrati, non le aveva rivolto una sola
parola, segnale che la sviolinata era stata solo rimandata, non dimenicata.
Un gradino
dopo l’altro, la giovane si ritrovò a domandarsi come sarebbe parso ora il
volto di lui sotto al cappuccio nero, i simboli del Giuramento della Verità a
scintillare di quando in quando sul suo volto e lungo il collo nel vago
tralucere del sole albeggiante.
Ansimò
piano, il tocco rovente dell’astro nascente che già si avvertiva attraverso i
muri quale vaga sensazione di tepore sotto i polastrelli
ogni qualvolta capitava di appoggiarvisi nella lunga risalita.
Teso?
Arrabbiato? Sorridente? Pronto a sciorinarle una nuova invettiva colma di
emozionanti epiteti e forme retoriche...
Alzò per
l’ennesima volta lo sguardo -ben attenta a non tradirsi con il reclinarsi della
testa- e dopo un attimo le riuscì di intravedere la fila di lucide sfere poste
poco sopra le sopracciglia dell’uomo piegata in una curva dura e tesa. Sospirò.
Pronto
all’azione, dunque. Come sempre.
C’era stato
un tempo in cui aveva trovato affascinanti le sfere dorate incastonate sulle
sopracciglia e lungo il collo del Naphil. Belle
nell’accentuare le espressioni di lui. Eleganti nell’inscrivere i suoi
lineamenti calamitando l’occhio in un scintillio di riflessi e ornamenti. Deriserabili a tal punto da esprimere anche lei il
desiderio di averne giusto un paio su viso e spalle così da poter - ai tempi le
era sembrata una cosa così ovvia - avere anche lei l’impressone di essere un
qualche tesoroumanizzatocome lo era Zaphil
ai suoi occhi.
Sciocca
fanciullina...
Solo dopo
averle scoccato un’occhiata vagamente derisoria l’uomo si era degnato di
risponderle “Ad ognuno il suo dono, ragazzina. Inutile chiedere un destino che
non ti può essere dato” liquidando per sempre le sue velleità ornamentali ma
non, il moltiplicarsi delle sue domande quando, anni dopo, aveva avuto modo di
scoprire che impianti e innesti di qualsiasi tipo non erano un vezzo riservato
a Zaphil solo ma propri di tutti gli appartenenti
all’Ordine dei Protettori in quanto simbolo di casta e gerarchia.
Emulazioni
e copiature erano severamente punite, il che giustificava il perché esse fossero
ovviamente diffuse in tutto il Regno.
Ma le
domande, quelle vere, andavano ben al di là di questa semplice - seppur
evocativa- constatazione.
Perchè due piuttosto che tre? Perchè
collo e non fronte? Perchè uncini e non palline?
Difficile
credere che un semplice fazzoletto colorato o qualsivoglia tatuaggio non fosse
in grado di emulare simili emblemi gerarchici fonte di dolore e sofferenze
senza pari.
Ammesso che
tortura e patimenti non fossero stati proprio gli obiettivi topici di questa
pratica....
La Nihaar’ì aveva avuto la sensazione di trovarsi quasi vicina
allo scoprire la verità solo una volta in occasione di una grandiosa festa alla
quale erano stati invitati tutti i Naphil
dell’Ordine.
Una
cerimonia incredibile, a dire la verità, dove Zaphil
aveva brillato tanto per quantità quanto per bellezza degli ornamenti che
portava su volto e collo.
Nessuno si
avvicinava anche solo lontanamente a lui. Il che poteva significare solo che o Zaphil era terribilmente
vezzoso e fissato con quegli ornamenti o che probabilmente egli era l’unico
autorizzato a portarli in tale quantità....
Finalmente,
i respiri ansanti e gonfi di fatica per la lunga salita, il corteo giunse sulla
sommità della torre, un’ampia apertura a ventaglio a rivelare una lucente zona
sgombra di tutto se non di alti e robusti colonnati bianchi posti al confine
dello spiazzo. Apparentemente sottili come giunchi questi sorreggevano una
cupola istoriata di arabeschi e preziosi intrecci disegnati che a tratti
rivelavano dei veri e propri varchi nel disegno volti a lasciar intravedere il
cielo retrostante. Coriandoli di luce cadevano a
pioggia sui presenti illuminandone di quando in quando i volti accaldati e
arrossiti.
Barcollanti
di fatica - sebbene quella bieca cerimonia avesse luogo ogni santo giorno
dall’alba dei tempi - i Nobili i si concessero allora
di sostare un attimo come banderuole inferme al centro del colonnato, aprendo
le braccia per inondare di vento le vesti appiccicate di sudore e alzando i
volti grondanti per rinfrescare pelli ambrate e olivastre.
Virah laJariddel Mercato Orientale.
Eshei, il prestigiosoKireydelle Città Nascenti.
Varik, il noto contabile delle alte Corti.
Ed altri
ancora, tutti lì radunati in ansante meraviglia al cospetto della Nihaar’ì così da placarne potere e grandezza che grandi ed
inattaccabili sarebbero stati all’interno delle loro splendide magioni, i loro
alti uffizi. Ma non lì, non all’interno di muri provvisti di occhi e orecchie,
di specchi leggeri come porte scorrevoli, di casse sempre provviste di doppio
fondo onde nascondere le più mirabili occorrenze.
Al notare
sulle labbra di alcuni le brune macchie delloZaila Nihaar’ì
distolse subito lo sguardo, una vaga sensazione di disagio a scorrerle in un
brivido freddo lungo la schiena prima che le fosse possibile controllare
l’espressione del proprio volto. Sapeva però che qualcuno l’aveva certamente
veduta compiere quel questo. Di certo uno spunto fastidioso su cui sparlare più
tardi...
Così, per
distrarsi, tentò di concentrarsi sulle parole che a breve avrebbe dovuto
pronunciare durante l’Elegia, il sacro Canto di Benedizione per tutti coloro
che si affidavano alla Nihaar’ì, la Veggente. Un
canto che, come diceva Zaphil, dall’alba dei tempi
impediva alle Ombre di vedere e ghermire coloro che in esso confidavano e si
lasciavano al contempo permeare.
Nel
frattempo i musicanti si erano disposti ognuno su una delle venti e più
postazioni presenti nello spiazzo circolare recanti un piccolo sgabello e poco
distante un sottile e ricco corno d’ottone affisso ad un cavalletto istoriato.
I Corni della Torre del Tempo erano famosi in tutte le Terre per la loro
lunghezza - due uomini lunghi distesi non avrebbero potuto eguagliarla - e
bellezza frutto dell’arte dei più abili fabbri di Chermak.
Posti a
sbalzo oltre il bordo della Torre e lì lasciati ogni giorno salvo durante il
periodo delle tempeste di sabbia, era ogni volta necessario controllarne il
buono stato, la presenza o meno di danneggiamenti dovuti al caldo o alle
intemperie e si, ripulire bocchetta e struttura interna da eventuali ruggini
dovute all’uso. Per questo, mentre Zaphil invitava
gli ansanti nobili a scostarsi da un lato della Torre così da lasciare al
centro della stessa solo la Veggente, gli istanti precedenti al rito venivano
ogni volta destinati ad un religioso silenzio colmo di cura e dovizia per quei
mirabili strumenti.
Il Vento
però si stava alzando. L’aria attorno alla Torre prendeva a scaldarsi in acuti
sibili e fischi vaganti, quasi che la fuori, oltre il bordo, stesse avendo
luogo un sempre più affollato raduno di spiriti vocianti che con voce a tratti
profonda, a tratti stridula chiamavano a gran voce gli altri dicendo di
affrettarsi, di far presto perchè si, lafestastava davvero cominciare. Con calma, Zaphil si sporse allora oltre il parapetto, saggiando con
le dita tese le correnti ascensionali turbinanti attorno alla Torre in una
sorta di cascata invisibile e inversa, da vertigine in quella precipitosa
altezza qual’era l’ultimo piano della struttura.
Poi
improvvisamente Zaphil si ritirò, volgendo alla Nihaar’ì un’occhiata di intesa. “E’ il momento” l’avvisò
spostandosi repentinamente dinnanzi a lei e
chinandosi in uno sbuffo di stoffe con un ginocchio a terra; senza proferire
parola, i nobili lo imitarono rapidamente in un movimento di comune rispetto
che lasciò in ultimo solo la Veggente in piedi al centro esatto della Torre.
Rispetto e
ritualità in egual misura.Si ritrovò
lei a pensare mentre con un movimento leggero faceva ricadere sulle spalle il
cappuccio bianco che fino ad allora l’aveva protetta da vento e sguardi.Una
perfetta compagnia di teatranti, non c’è che dire. Ma quanti fra di voi
darebbero di buon grado tutti i propri averi per scongiurare anche solo la
possibilità essere al mio posto?La
benda calata sugli occhi le prudeva in modo atroce per via del sudore, ma in
quell’istante alzare semplicemente un dito e grattarsi - come ogni buonuomo
avrebbe fatto senza darsi nemmeno pena di pensarci su- avrebbe potuto causare
uno di quei famigerati incidenti diplomatici per cui era classico vedere
saltare teste coronate e colli agghindati nelle manifestazioni risaputamente più gradite alla gente comune.
In Pubblico,
dinnanzi ai suoi fedeli, la Nihaar’ì è una Dea. Una
Divinità. Possono le divinità starnutire? Sbadigliare? Tossire? Mostra la tua
umanità, e mostrerai loro quanto poco si debba osare per distruggerla....e
con essa distruggere te.
Per un
attimo la ragazza ebbe nella coda dell’occhio l’immagine di un giovane nobile
che scostava una mano dalle pesanti maniche e, credendo di non essere visto, si
infilava un intero dito indice dritto dritto nel
naso.
Ecco.Sospirò suo malgrado la Nihaar’ì.Lui
può. Lui, figlio di uno fra i più ricchi Seibala
dell’acqua...lui non deve curarsi del luogo e del momento più adatti per dare
avvio alle pulizie dei suoi dotti respiratori. Nè di
poter scatenare l’ennesimo attacco fratricida se si scaccola Qui. Dinnanzi a
me.
Ed
improvvisamente eccola, una folata più potente delle altre. La Folata che prima
fra le più impetuose che ad essa seguirono avvolse in
un attimo la Torre in uno spiro rovente, caldo come il fuoco.
“Preparatevi!”
fu l’ultimo grido di Zaphil prima che ogni cosa
smettesse di avere suono se non il precipitoso insinuarsi di quelle correnti
infernali in ogni finestra, stanza, salone e rientranza che della Torre
componevano il mastodontico corpo centrale. Arroventato, per un attimo quel
torrente di puro calore inondò la vista di tutti, stravolgendo in una foschia
dai tratti sdrucciolevoli e tremolanti ogni cosa ed ogni dove.
Lo
chiamavano Il Respiro della Terra, quel fenomeno, poiché in molti pensavano che
quello fosse l’esatto istante in cui il mondo, destandosi, traeva la sua più
grande e potente sorsata di vita che vibrando, sciabordando ed infine inondando
ogni più piccolo pertugio della Torre ne strappava una lunga, gloriosa,
terribile ed al contempo stupefacente nota.
Mentre
nell’aria essa si espandeva con la forza di mille boati, mille tuoni cavernosi,
la Nihaar’ì non potè che
ammirarne la terrorizzante potenza, ogni volta distruttiva e stupefacente in
confronti a lei che, sola, ora si preparava suo malgrado a fronteggiarla.
Che per
Divina Grazia, tutto ella può, tutto le è concesso a lei, la Figlia del Sogno
che dal Sogno nasce ed in esso prospera nell’Eternità....
Subito ne
seguì l’eco dei Corni, all’unisono suonati quale inno e tributo alla prima,
suprema, intonazione.
Che per
Divina Grazia, tutto ella è in grado di osare e pensare, Creatura della
Salvezza, scongiura di Distruzione. Vita immota.
Ed infine,
dopo un sospiro lungo come una vita intera, vibrò cristallina la voce della
Veggente la quale, più alta di tutte, prese allora a
recitare l’Elegia diretta a tutti i suoi Fedeli, al suo popolo ed
a tutto il mondo che con quel Canto sarebbe stato protetto per quel giorno
intero contro le Ombre e le nefande paure della Notte.
Parola
antiche. Dicevano i Vecchi. Che solo le Veggenti avrebbero potuto
proferire poiché la lingua dei sogni era cosa assai arcana e potente, affare
esclusivo di chi fosse in grado di apprenderla senza cedere alle tentazioni di Oneiron.
Come
facesse una sola voce ad udirsi in quel rombo apparentemente capace di
assordare perfino il remoto pensiero chiuso nelle sicure pareti della mente,
nemmeno la Veggente stessa avrebbe saputo dirlo. Ma ogni giorno, alla stessa
ora, secondo le medesime ritualità e convenzioni, ecco che la suprema vocale da
essa pronunciata scuoteva il mondo e con essa, il terrore delle mille e più
Ombre che lo popolavano.
Ma il
rituale non era ancora finito. Estasi magica e fisica che solo gli anni e
l’esperienza avrebbero potuto far collimare in un unico prodigioso attimo, le
correnti ascensionali che nella torre erano rimbalzate all’impazzata dandole
voce, anima e corpo in ultimo trovando loco ove disperdersi turbinarono a
precipizio lungo le vie di Chermak, ne percorsero in
una semplice frazione d’attimo l’intera lunghezza per venire infine ghermite
dalle ampie Vele che proprio sul confine della città erano state poste a
guardia e difesa dei suoi abitanti. Rosso porpora, le Vele erano l’unica
struttura conosciuta che per colore, forma e grandezza erano in grado di
scoraggiare le Ombre dall’avvicinarsi ai centri abitati. Il rosso, perché
pareva intimorirle. La Vela, poiché l’anima del vento dava vita costante a quei
giganti alti fino al cielo - e quasi quanto la torre- rendendoli ancora più
vivi e...minacciosi.
Quando
finalmente il vento calò, e con esso l’Elegia, i nobili e con essi i musicanti
vennero invitati ad abbandonare l’ultimo piano della Torre così che, per
qualche attimo, la Nihaar’ì ed il Naphil
potessero rimanere soli sulla sommità. Era cosa necessaria, poiché in genere
questo rituale stancava tanto la ragazza da richiederle al termine qualche
momento di tranquillità per riprendere le forze e riguadagnare la voce.
Ancora in
piedi la Nihaar’ì fece allora qualche passo in
avanti, socchiudendo appena gli occhi così da bearsi dei sibili e mormorii del
vento fra le alte colonne tutt’attorno. Parevano piccoli spiriti curiosi che a
più riprese si sporgessero dai propri nascondigli per sfiorarle una guancia o
pizzicarle una gota per poi fuggire via in un guizzo divertito.
“Sei stata
brava, oggi” la lodò poco distante Zaphil. Come
sempre l’uomo se ne stava nella parte più estrema della torre, ad un passo dal
precipizio, come se quell’altezza vertiginosa non lo turbasse ma anzi
stuzzicasse sfidandolo ad andare un poco più avanti, più oltre. A volte la
ragazza aveva il sospetto che quell’uomo fosse stato in un’altra vita un falco
o un’aquila tramutata poi per dispetto in essere umano così da potergli negare
le grandi altezze, le correnti ascensionali e si, il volo.
“Sono
sempre brava” si strinse nelle spalle allungando una mano e giocando a
dondolarsi da una colonna all’altra “Se è chiedermi scusa per il tuo
comportamento di questa mattina ciò che desideri, ti pregherei di farlo e basta
senza blandirmi”.
Qualcosa si
tese per un attimo nella figura di Zaphil. Poi però,
silenzioso, egli abbozzò un movimento di resa.
“E’ il mio
dovere, mia Signora” sillabò in un mezzo sorriso sghembo “Poiché nessuno è
autorizzato a farlo, spetta a me il difficile compito di proteggerla, badare a lei e si, provvedere alla vostra istruzione” “Credevo
che per questo ci fossero i Maestri” lo apostrofò l’altra. Zaphil
annuì “Al mondo ci sono diversi gradini nella scalata all’istruzione. Io mi
occupo di tutti quello meno gradevole ma dal quale dipende la vostra stessa
vita, mia Signora”.
Per un attimo
la Nihaar’ì si dondolò piano, le mani incrociate
attorno ad una colonna, il capo indietro onde lasciare che la nera treccia le
scivolasse oltre le spalle in un fruscio ovattato “Finora non ho mai sbagliato”
disse dopo un attimo con un sorriso leggero - forse un po’ sbarazzino-, come a
voler intendere che tutto sommato lui era un buon maestro e lei una buona
allieva. Pace fatta.
“Finora non
ti è stato chiesto di fare giusto” fu però la gelida risposta del Naphil. Il sorriso della ragazza svanì in un attimo.
Facendo un passo avanti, l’uomo si tolse dal capo le stoffe arrotolate,
rivelando una chioma di bruni capelli tagliati poco sopra le spalle. Nel
guardarlo la ragazza non tardò a comprendere il perché tutte le dame bramassero
anche solo un’occhiata da parte sua. Distolse rapida lo sguardo, incerta
sull’espressione del suo viso.
“Del resto nessuno si sognerebbe di reclamare il volo ad una creatura
senza ali” la apostrofò lui apparentemente incurante delle sue reazioni “Ma le
voci della Torre cominciano a farsi sempre più insidiose giorno dopo giorno”
Notte dopo
notte.
Annuendo
una volta -quelle di Zaphil non erano affatto parole
gonfie di novità-, la Nihaar’ì percorse per intero lo
spiazzo per giungere ad uno dei corni. Vi poggiò una mano sopra avvertendone
sotto le dita la superficie liscia e calda. Sospirò.
“Temono di
essersi portati a casa unaRashid...” ancora prima di
terminare la frase, la Nihaar’ì capì di aver fatto un
errore. Si morse troppo tardi la lingua, preparandosi alle conseguenze della
sua noncuranza nel parlare.
“Chi ti ha
insegnato questa parola?” la gelò infatti Zaphil poco
distante. Immobile, la Veggente parve non trovare nulla di meglio da fare se
non stringersi nelle spalle “Non ha nessuna importanza” sillabò tentando di
mettersi sulla difensiva “Voci di corridoio”. Zaphil
parve però per nulla intenzionato a concederle una nuova tregua, quella mattina
“E queste voci hanno anche un nome o mi dovrò limitare a punire chiunque dimori
in questa Torre per fare un po’ di chiarezza a riguardo?”.
Strabuzzando
gli occhi, la Nihaar’ì si ritrovò a schioccare
stizzita la lingua sul palato per poi sbottare “L’ho sentito dire da una delle
guardie qualche giorno fa” Zaphil parve poco
impressionato “Sai cosa vuol dire?” la pungolò implacabile. Ora palesemente
sull’offensiva, la ragazza diede diede un sonoro
strattone al corno rischiando quasi di farlo cadere “Parlano giusto perchè hanno la lingua per parlare. Non vuol dire niente,
lo sappiamo tutti e due!”
“Un Rashid è un traditore, una spia” pareva che non l’avesse
sentita “Uno che dice di essere qualcosa mentre è qualcos’altro o mente su
fatti che lo riguardano. Che tale parola abbia preso a circolare nella Torre è
cosa grave..” esitò “Ben più grande di quello che tu
possa credere”.
Ovviamente.Convenne la ragazza con un’occhiata velenosa
decidendo in quell’istante che la cosa migliore da farsi era inforcare la via
d’uscita da quel luogo e lasciare solo Zaphil per
tutto il resto della mattina...anzi, della giornata.Visto che ogni tua spiegazione è molto meno
che una mezza menzogna o una quasi verità.
Dannato Naphil. Unica sua fonte di informazione sulle cose del
mondo esterno, mai nella vita egli le aveva rivelato per intero qualcosa.
Probabilmente non le aveva mai mentito. Anzi, quasi certamente. Ma vi sono modi
davvero fantasiosi per rivelare la verità. Modi arguti ed eleganti. Modi docili
e modi irruenti.... e lui di certo li conosceva tutti.
“Aspetta”
Per un
attimo Zaphil parve come intenzionato a toccarla, ad
afferrarla per il braccio.Era vietato per i Naphil
toccare le Nihaar’ì. Vietato dall’alba dei tempi.Solo all’ultimo si bloccò a
metà strada, la chiara espressione di una presa che si trasformava in una
semplice mano aperta sul suo cammino.
“Sarà
meglio scendere. Oggi ho lezione e preferirei passare per i Giardini prima di
cominciare...” tentò di dire lei con il cuore in gola ma lui non la lasciò
finire.
“Odayn” la sua voce era bassa e cupa ora. Abbastanza da
impietrirla lì, un piede su ed un piede giù come nell’atto di spiccare un balzo
in avanti “La Torre del Tempo non sarà per sempre un luogo sicuro per te. Cerca
di fare attenzione”.
Su
suggerimento di qualcuno (grazie anche a Leyla), ho deciso di spezzare in due
il primo capitolo così da renderlo più leggero e fruibile J
Spero sia stata
una mossa saggia ;)
Ancora
grazie a tutti!!
Baciozzo
Elendil
La
sensazione di gelo scaturita da quelle parole accompagnò la Nihaar’ì
per tutta la discesa della Torre fino a quando, molte rampe di scale più in
basso, ella non si ritrovò nel piano dedicato alla coltura e mantenimento dei
giardini “pensili”. In tutta sincerità, definirli giardini era cosa assai
fantasiosa giacché ciò che si presentava agli occhi dell’osservatore era
qualcosa di più simile ad un groviglio di nodose e pallide radici inerpicate su
pareti e pavimenti piuttosto che ad un verdeggiante assembramento di fiori e
piante verdi. La chiamavano “Radice del Cielo”, poiché la sua graziosa tendenza
ad inerpicarsi su qualsiasi cosa rappresentasse un sostegno stabile e la forma
di rami e tronco del tutto simili a radici dava la netta sensazione di trovarsi
dinnanzi ad una pianta fatta e finita ma per qualche ragione girata al
contrario, con le fondamenta disperse al cielo e le chiome piantate giù, a
terra, a prendere il frescume negato dall’atmosfera.
Manco a
dirlo, era anchel’unicapianta che fosse stato
possibile coltivare ed alimentare in quel microclima desertico senza che
l’intera popolazione di Chermak si chiedesse perché
mai le scorte d’acqua di una intera città dovessero proprio finire nell’umido
terriccio di arbusti incapaci di nulla se non allietare la vista.
Da che tale
compromesso era stato piantato e lasciato germogliare, le Veggenti si erano
dovute accontentare di quella pallidissima imitazione di orto botanico, ad oggi
simile ad un intrigo di radici color latte, un po’ nodoso alla vista, un po’
grotta botanica nella quale infilarsi per trovare un po’ di pace.
Fu in quel
groviglio che la Nihaar’ì si lasciò docilmente
cadere, la schiena a toccare il muro naturale e le gambe semidistese a terra,
scomposte. Trasse un profondo respiro, avvertendo il sudore ovunque rappreso
-conversazione alquanto semplice...- asciugarsi lentamente nello spirare di
aliti di vento ovunque soliti sibilare e percorrerre
con mormorii confusi la stanza.
La Torre
del Tempo non sarà per sempre un luogo sicuro per te.
Il ricordo
delle parole di Zaphil era come un rombo basso nella
sua mente, come sabbia in sospensione fra i suoi pensieri apparentemente
immobile, eppure ad ogni movimento visibile e tangibile come un muro prossimo
dal concretizzarsi.
Lo so.
Si rispose
dopo un attimo socchiudendo gli occhi.
Lo so
eccome.Zaphil credeva forse di parlare con una bambina?
Già da
qualche tempo aveva notato come i Nobili la guardavano, come le guardie la
scrutavano, come perfino i suoi servi parevano valutarla da capo a piedi ogni
volta che entrava in una stanza. Non era cieca.
Il
sospetto, quello vero, non è poi così difficile da vedere, una volta che lo si
è riconosciuto la prima volta. E ancor meno lo è la derisione mentre, lo
sapeva, ognuno di quegli inutili leccapiedi apprendeva grazie al tamtam della Torre che ancora
nessun Nobile aveva avanzato pretese nuziali nei suoi confronti.
“La nostra
cara Nihaar’ì è ancora un oggettino tutto sete e
sfarfallii” aveva sogghignato un giorno HamdeVahri, una nobile di alto lignaggio tutta riccioli e sete
profumate. Musica e danze - consueta forma di intrattenimento per ogni sera
passata all’interno della Torre - avrebbero di certo coperto il suono delle sue
parole se casualmente la Nihaar’ì non si fosse
trovata proprio in quel momento a tiro d’orecchio “Credo che non si dispiacerà
se tutti noi qui aspettiamo il suo primoveroscintillio per reclamare il privilegio
della discendenza”.
Discendenza....un modo davveroNobiledi definire la compravendita
degli intimi favori delle Veggenti, da sempre fonte d’ispirazione per i peggio
intrighi all’interno della Torre.
A quel
tempo, ella aveva poco più di dodici anni e la prospettiva di essere
semplicemente “montata” da un Nobile - ovviamente solo dopo essere stata
pesata, misurata e giudicata degna di un simile onore - non le era sembrata
affatto piacevole. Sfortunatamente, Zaphil non era
parso del medesimo avviso.Ovvio che no.Dinnanzi alle sue sfuriate
tutta adolescenza e nervi aveva semplicemente replicato che, oltre che ovvio,
era assai auspicabile che il suo dono non venisse mischiato e disperso ma
conservato e comprato da un individuo dotato del “Talento del Sogno”, la
capacità cioè di ricordare e influenzare in minima parte i sogni, o perlomeno
abbastanza ricco da comprarselo.
“In ogni
caso” l’aveva infine rassicurata“La
precedenza viene sempre riservata ad individuidotati”
Ed in
mancanza del primo attributo,aveva poi
privatamente continuato,è prassi comune che i Nobili lascino
l’incombenza della riproduzione ad individui di Talento interni alla famiglia o
selezionati direttamente dai Naphil.
L’incombenza.
Gli occhi
socchiusi, la Nihaar’ì avvertì la mascella serrarsi
per un secondo appena, riflesso incondizionato di una rabbia che solo pochi
anni prima era stata cosa davvero mirabile. Si costrinse a rilassarsi
lentamente. Oggi era tutto diverso. Sospirò. Osservare uno ad uno quei rampolli
individuandone per ognuno odori e abitudini moleste, sgraziate imperfezioni e
naturali abbruttimenti della figura non era che una innocente distrazione dalla
onnipresente consapevolezza che uno di loro, prima o poi, sarebbe divenuto il
suo sposo. Amato sposo.
Ed in
fondo, più andava avanti, più si accorgeva di attendere e sempre meno temere
quell’alternativa.In fondo
avrebbe semplicemente significato la fine delle sue paure, delle sue angoscie, della costante e mortificante consapevolezza di
non essere ancora - ed in potenziale di poterlo anche non divenire mai - la
Veggente....
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Una mano a
protendersi del nulla. Bianca e pallida, eppure forte nella sua figura.
Nella luce
si defila mentre lei, nel buio, rannicchiata alza allora lo sguardo al cielo.
Ed è’ bianco. Ed è pallido. E’ della luce che i suoi occhi si bagnano ansiosi,
impauriti, doloranti prima che anche la sua mano risalga a stringere l’altra.
-----------
“Eccoti
finalmente! Cominciavo quasi a perdere le speranze!” una voce la riscosse in un
sobbalzo. Si era addormentata...
Si umettò
le labbra, una vaga sensazione di sete su di esse a renderle stranamente
frastagliate e ruvide sotto la lingua.
Non si era
nemmeno accorta...
In quella
un volto gioioso si parò nella sua visuale costringendola suo malgrado a
focalizzare il mondo circostante.
“Zaphil mi ha chiesto di andarti a cercare” la voce di Asiya era di poco sotto il tono consentito per risultare
stridula, eppure la leggerezza che ella adottava sempre nell’esprimersi era in
grado di renderlo assai gradevole alle orecchie di chiunque “Pensava che dopo
le sgridate di oggi avessi deciso di mettere il broncio tutto il giorno...”
continuò con un mezzo sogghigno divertito.
E non
avrebbe così tanto rischiato di sbagliare....dovette
ammettere la Nihaar’ì mentre con uno sbuffo divertito
rispondeva al sorriso dell’altra.
“O che
tentassi cose pazze e avventate come mettermi semplicemente a dormire ed
attendere l’ora delle Udienze....” rimbrottò con tono
scontroso.
Per un
attimo Asiya si limitò a fissarla con un mezzo
sogghigno. Poi, vagamente, si strinse nelle spalle “Sai quanto possa essere apprensiva
la tua guardia del corpo” in uno sbuffo di sete si sedette a ginocchia unite
dinnanzi a lei “Abbastanza da sguinzagliare la quipresente
migliore amica della Nihaar’ì senza nemmeno curarsi
del fatto che non fossi arrivata neanche a metà della miaRushi -meditazione- mattutina....” “Terribile...” rimbrottò la Veggente alzando
con un sospiro gli occhi al cielo.
Senza
badarle, con un gesto apparentemente familiare Asiya
allungò entrambe le mani a scostare il cappuccio bianco che, nella discesa, la
ragazza aveva provveduto a calare nuovamente sul capo così da nasconderla un
po’ agli occhi dei presenti.
“Ah,
maledetti Araldi” concluse dopo pochi attimi “Tutti lì a dirmiOggi
la Nihaar’ì si è svegliata più radiosa del
solito...pareva un bocciolo in fiore...e invece eccole qui...” con un gesto
gentile le passò entrambi i pollici sotto gli occhi disegnando con un unico
movimento i solchi di due scure occhiaie coperte. Sentire il contatto delle
dita di Asiya al di sotto della seta le provocò un
lieve brivido sorpreso.
Da che era
nata, le sole persone che avessero avuto la concessione di toccare lei, la
Veggente, erano state umili servitori e balie per ciò che atteneva la cura
della sua persona. E Asiya. Ma lei era un’eccezione.
“I chiari
simboli di un’altra notte passata a fare la svenevole con quel piantasabbia del piano di sotto...” si accigliò, come
fingendo di non ricordare qualcosa “Com’è che si chiamava.... Ergui ... Ergut...”
Con un
finto sospiro la Veggente si abbandonò alla presa dell’altra, lasciando che un
po’ del malumore della mattinata scivolasse via assieme alla sua goliardia. “Ergan” sillabò dopo un attimo la Nihaar’ì
“E non è un piantasabbia. I suoi genitori sono
allevatori...” “Di rape, visto il cervello che quello si ritrova” concluse con
un ghignetto Asiya cominciando al contempo a
frizionarle i capelli corvini.
Altro
sospiro.
“Per te
sono tutti piantasabbia, Asiya...”
girandosi per consentirle di riordinarle la treccia, la Nihaar’ì
abbandonò lievemente il capo all’indietro “Mai una volta che mi tu mi dica
qualcosa di positivo su qualunque uomo della Torre. Mai una volta che esprima
un giudizio positivo su qualcuno...” “Questo non è vero. Io esprimo molto
spesso giudizi positivi su di me”.
Leggera, la
risata della dama di compagnia della Veggente trillò fra le due, attirando suo
malgrado l’attenzione di tutti gli Araldi lì presenti. Nè
l’una né l’altra parvero farvi caso, evidentemente abituate a questo tipo di
conversazioni “pubbliche”.
“Che ti
devo dire” riprese dolcemente Asiya dopo un attimo.
Con una mossa sapiente sciolse le chiome della veggente lasciando che cascate
corvine le si spargessero fra le dita “Magari è la Torre che attira solo casi
umani...” “O sei tu che hai un parametro di giudizio che sfiora
l’improbabile...” “ O ancora meglio” le mani della ragazza parevano conoscere
abbastanza bene quei gesti lenti e precisi da non inficiare minimamente la sua
capacità di concentrarsi “Forse tutti i tuoi spasimanti si sono messi d’accordo
per essere brutti ed imbelli, così quando verrà il momento sarai costretta a
decidere puramente a caso e non per merito. Mai che si dica che la Veggente
faccia dei favoritismi...”
Malgrado
l’argomento “spinoso”, la Nihaar’ì non potè proprio trattenersi dal sorridere divertita.
“Fa
attenzione, cara mia, che esiste una discreta possibilità che sia tu, e non io,
a doverti cuccare il lieto sposalizio” le dita dell’altra vibrarono appena “Non
sia mai!” esalò questa volta con finto sdegno. Con una pacca sulla spalla
indicò all’altra di aver finito. “In quantoHayeli’vo -Specchio velo - pretendo di
poter fare la viziata e la vanitosa almeno quanto, se non di più della mia
protetta” in una piroetta, la Nihaar’ì si tirò in
piedi e con lo sguardo cercò rapidamente uno degli specchi che ovunque
adornavano la Torre. Erano specchi creati per deviare il sole e così smorzarne
l’arsura nelle camere, ma all’occorrenza ognuno di essi poteva fungere da buon
punto di osservazione per acconciature, abbigliamento e non per ultime,
curiosità più o meno lecite.
“Tu sei già
più vanitosa e viziata di quanto il tuo ruolo occorrerebbe...” quando ebbe
trovato quello che faceva al caso suo tese una mano all’altra così che,
afferrandola, insieme potessero collocarsi dinnanzi ad una lucida lastra
riflettente “Ma Zaphil è troppo affascinato da te per
pensare anche solo di fartelo notare....”
Per un
attimo la superficie riflettente parve volersi prendere gioco della Nihaar’ì e della ragazza che con lei prendeva a mettersi
come in posa, fianco a fianco, una mano unita da un vincolo tanto simile
all’amicizia quanto alla fratellanza. Esso, privo di anche un solo sbavo di
polvere, rifletteva infatti non una, bensì due volte l’immagine sottile e
impettita della Veggente, blu nelle stoffe e orpelli luccicanti. Due volte un
fisico asciutto e quasi infantile. Due capigliature nero carbone. Due trecce
alte e ben pettinate. Due visi, due bende di egual misura e colore.
Poi,
lentamente, una delle due “copie”, quella di sinistra, si mosse da sola,
poggiando una mano al fianco ed assumendo allora una posa assai più provocante
e sbarazzina dell’altra.
“E come
dargli torto?” sillabò Asiya “Essendo migliore
dell’originale, quel pover’uomo ha tutto il diritto di essersi invaghito di me
a tal punto da temere perfino il parlami”.
Sorridendo,
la Veggente si limitò a scuotere il capo con fare rassegnato.
“Scema”
rimbrottò senza smettere di rimirarsi “Guarda che se continui ad atteggiarti a
quel modo tutti capiranno l’inganno....e allora
entrambe avremo ben altro di cui preoccuparci”
Per un
secondo, sorridenti eppure assorte, le due ragazze continuarono a guardarsi
così, l’una accanto all’altra. Il vestito e l’acconciatura ora perfettamente
identici così come la struttura fisica e la postura. Perfino le sfumature della
pelle e le profondeCicatrici del Sognoerano identiche le une alle
altre, sebbene in Asiya fossero state riprodotte
artificialmente con dolore e sopportazione senza fine.
Solo pochi
particolari le differenziavano, lasciando intendere che a sinistra vi fosse la
Veggente ed a destra la sua Hayeli’vo, la sua controfigura: la postura
vagamente più impacciata della prima ed i tratti del viso vagamente dissimili.
Ma, come facilmente intendibile, con veli e copricapi tali inezie erano cose di
poco conto rispetto ad una solida e perfetta apparenza generale.
La pratica
di possedere una Hayeli’vo si era diffusa fin da
tempi antichissimi in tutte le cerchie più alte della nobiltà quale metodo
sicuro ed affidabile per evitare di esporre le cariche politiche e religiose ai
rischi della quotidianità: avvelenamenti, assassini, omicidi ed altro ancora
erano infatti così diffusi che il solo modo di resistervi era avere
letteralmente qualcuno che facesse in toto le veci della Nobiltà in qualunque
situazione di pericolo o incertezza. Ora, con il massiccio impiego di Araldi e
mercenari, le cose parevano da molti anni essersi appianate al punto da far
scomparire tale fenomeno. Ma non per tutti.
Alcuni, ed in questo caso le Nihaar’ì, solevano
circondarsi ancora di queste controfigure in grado di proteggerle e difenderle
a qualunque costo. Unite dalle somiglianze estetiche, ma nel tempo accomunate
da una vita vissuta in alternanze costanti, generalmente le Hayeli’vo
divenivano amiche e compagne per la vita, confidenti, consigliere ma anche vere
e proprie sorelle fino alla morte... talvolta naturale.
Asiya ne era una chiara dimostrazione. Da qualche anno assegnata alla Nihaar’ì, ella aveva avuto modo di instaurare con lei un
rapporto di amicizia profondo e duraturo, capace di scaldare ed infrangere le
barriere della solitudine di entrambe. Chiaro, non era sempre stato tutto rose
e fiori.
Il suo
incarico era cominciato a seguito della dipartita della precedente Hayeli’vo con la quale la Nihaar’ì
aveva ovviamente instaurato un rapporto intimo e complice. Ma il veleno insito
nel dono di un Nobile di alto lignaggio era stato superiore a qualunque sua
resistenza. Dopo averla piagata nel corpo, esso aveva distrutto la sua mente
costringendola a spegnersi fra atroci sofferenze dopo giorni e giorni di
agonia.
Chiaro che
la Nihaar’ì non fosse affatto ansiosa di rimpiazzare
una cara amica - capace di dare suo malgrado la vita per lei- con un’altra,
nuova di pacca e assurdamente ansiosa di cominciare i suoi giorni di soggiorno
all’interno della Torre. Per i primi tempi la permanenza delle due nella
medesima stanza, sullo stesso piano e perfino nel medesimo edificio non era
stata cosa assai semplice.
Poi,
lentamente, la semplice allegria e spontaneità di Asiya
erano riuscite a fare breccia nel cuore dell’altra trasformando un difficile
inizio in una dolce e gratificante amicizia.
“Faremo
bene a prepararci” la Nihaar’ì osservò distrattamente
le ombre del sole ad infrangersi attorno a lei “Credo che oramai sia ora di
andare”.
Poco dopo,
chiacchierando del più e del meno, le due scendevano distrattamente i gradini
della Torre, uno stuolo di Araldi ai loro fianchi ad impedire a chiunque
estraneo di avvicinarle. Giunsero infine al piano delle Udienze, il luogo entro
il quale si discutevano le cause che ogni giorno ilDatarn - Giudizio della Veggente-
discuteva.
Entrando,
si trovarono dinnanzi ad un’ampia sala illuminata, ampi finestroni a volta
coperti da pallide tende ondeggianti al vento. Al centro della stanza era
collocato un enorme tavolo in pietra bianca, finemente intagliato con motivi
vegetali. La sua forma a mezzaluna permetteva alle dodici sedie dietro di esso
di sostare tutte rivolte nella medesima direzione ove solitamente, su una sedia
di elegante fattura, sostava “l’imputato”.
Posta
esattamente al centro delle sedie destinate ai Consiglieri e alle più alte
cariche giuridiche di Chermak stava la sedia della
Veggente, anch’essa di pietra, con al fianco una sedia più piccola in legno,
riservata alla sua Hayeli’vo.
Entrando,
la Nihaar’ì notò che come sempre l’atmosfera di quel
luogo trasudava pulizia e un insolito senso di tranquillità, il vago riflesso
del sole oltre le tende a giungere ovattato e dolce agli occhi rendendo le
forme più dolci e perfino il calore meno intenso. Suo malgrado non potè risparmiarsi un sorriso amaro: naturalmente il
giudizio piùdolcedi tutta Harryan,
stando alle sembianze di quel luogo...
Pochi passi
ancora nelle stanza e la Veggente con Asiya al suo
fianco vennero accolte dall’ossequioso nugolo di Consiglieri i quali, quasi
sgomitando, si affrettarono ad inchinarsi in segno di reverenziale rispetto.
“VorYersyel” dissero uno dopo
l’altro avvicinando due dita della mano destra agli occhi.
Che il
Sogno vi accompagni.
Era la
forma tradizionale di saluto comunemente usata fra gli alti Uffizi, una personale
formalità di casta.
“Uhe’yelzysat”
Che
accompagni anche voi.
Rispose la
Veggente senza ripetere il medesimo gesto, a significare che a differenza degli
altri lei possedeva la vista, a tutti gli altri negata.
Il
laborioso cerimoniale continuò fino a quando la Nihaar’ì
si accomodò sullo sgabello riservato alla Hayeli’vo
lasciando ad Asiya il comodo scranno destinato alla
Veggente. Solo allora tutti i presenti si accomodarono sulle proprie sedie.
“Somma Nihaar’ì” prese subito parola il Consigliere Luyo “Quest’oggi reco dinnanzi al vostro giudizio due casi
assai complessi. Il primo riguarda uno schiavo accusato di aver ucciso il
proprio padrone.”
La Veggente
annuì una volta con la testa, come voleva il cerimoniale. Anche da vicino la
figura alta e adunca di Luyo, avvolta nelle
tradizionali vesti brune, pareva la concretizzazione umana di qualche magro
uccello del deserto.
“Il secondo
riguarda invece un Risvegliato ed il suo esilio da Chermak”
Bastarono
quelle parole per far irrigidire i presenti e scatenare nel medesimo istante un
basso mormorio di stupore e allarme.
“Silenzio”
li redarguì istantaneamente la Nihaar’ì dalbassodella propria seggiolina in
legno. Scure bende avvolte ora anche attorno al capo impedivano di vedere altro
che labbra e mento ai presenti. Subito tutti si zittirono, sebbene l’atmosfera
elettrica continuasse a permanere nella stanza.
Ovvio che
sono spaventatinon potè esimersi dal pensare.Negli
ultimi tempi i Risvegliati stanno vertiginosamente aumentando di numero...gli
esili sono all’ordine del giorno...
“Che si
proceda” concluse tuttavia con voce monocorde per poi alzare rapidamente lo
sguardo in direzione di Asiya la quale fino ad allora
era rimasta perfettamente immobile.
Senza
abbassare lo sguardo, la giovane annuì una volta, piano.
Da quel
momento e fino alla fine dei processi, i loro ruoli si sarebbero invertiti.
Come da
consuetudine, il primo accusato venne fatto entrare ed accomodare sulla sedia a
lui destinata. Poiché il Giudizio della Veggente era una formula di giudizio
utilizzabile solo nell’istante in cui i singoliDay’nevy -Tribuni - non fossero stati in
grado di giungere ad una sentenza definitiva a causa della complessità del
caso, era cosa superflua rispolverare nel dettaglio i fatti e le questioni in
causa. Il giudizio della Veggente era perciò più una forma di valutazionepoliticadelle sentenze, pattuite ancora
prima che il malcapitato giungesse dinnanzi ai propri giudici finali, che una
vera e propria vertenza giudiziaria.
Alla Nihaar’ì - ed in questo caso ad Asiya-
il solo compito di leggere la finale sentenza.
Stando così
le cose, quasi nessuno prestò attenzione alla testimonianza del poveretto - un
individuo di mezza età, smunto e scavato in volto abbastanza da lasciar
intravedere tutta la genuina volontà che lo aveva portato a sbarazzarsi del suo
crudele padrone con una stilettata in mezzo alle scapole. Solo uno dei
Consiglieri parve sforzarsi di porre una domanda all’uomo - le ragioni del suo
efferato delitto. Solo due diedero uno sguardo alle note scritte dai precedenti
giudici sotto il cui giudizio era passato l’intero caso. A grandi lettere era
scritto come il suddetto ricco mecenate fosse un membro prestigioso di una
gilda di costruttori, una potenza in tutto il paese, e che come tale la sua
dipartita creava serie problematiche di potere nella gestione degli affari
all’interno della famiglia.
La voce
docile e modulata di Asiya lo condannò a dieci anni
di lavori forzati nelle miniere di carbone di Yevtsuk’han.
“Che il Sonno possa alleviare le tue
sofferenze”concluse
quindi come da rito mentre egli veniva portato via nel silenzio più che totale.
La Nihaar’ì non potè
esimersi dallo scoccare uno sguardo compiaciuto alla propria Hayeli’vo:
quando occorreva, ella sapeva davvero simulare l’inflessione
pacata e remissiva che il suo caro maestro Ifron le
aveva impartito fin dalla tenera età.
“Una Dea parla con amore, con dolcezza,
con mesta beltà. Non rigurgita parole sperando semplicemente che esse non
risultino troppo sgradevoli all’udito.”
L’attimo
dopo eccoli tutti pronti per il “pezzo forte” della giornata. Il Risvegliato.
Fingendo un
tono calmo e misurato, il Consigliere Ovorsh che si
era occupato più da vicino del caso spiegò che si trattava di un ragazzo
sorpreso ad avventurarsi nel perimetro interno alle aree di desalinazione
dell’acqua; che aveva fatto resistenza quando fermato; che nella colluttazione
egli aveva rivelato i Segni del Sogno sul proprio corpo e che di conseguenza
era stato portato immediatamente a giudizio per l’esilio forzato.
Per i casi
di Risveglio, il Giudizio della Veggente era la prima ed unica forma di giudizio
esistente in tutto il territorio, data la gravità della cosa. Ecco perchè, a differenza degli anni passati, in quegli ultimi
tempi il Consiglio continuava a riunirsi con ritmi stranamente serrati....
Ed ecco che
finalmente, dopo la grande trepidazione generale e l’ancora più esasperata cavilleria del Consigliere, dalla porta principale fece il
suo ingresso l’individuo incriminato. Ai suoi fianchi stavano due Araldi, il
primo intento a condurlo in avanti servendosi della catena legata ai suoi
polsi, il secondo di guardia. Entrambi parevano indecisi se prestare più
attenzione a che il prigioniero non si ribellasse o a che egli non finisse per
sfiorarli per qualche imprevista motivo: il contatto con i Risvegliati era
infatti impuro, latore di sfortune e malattie di ogni genere.
Come
ricordando all’unisono la cosa, fu come se in contemporanea tutto il Giudizio
della Veggente si facesse appena indietro sulla propria sedia.
Condotto
fino alla sedia a lui destinata, il Risvegliato venne lì ammanettato per mezzo
di un lucido anello di ferro che sostava -solo per questi specifici casi-
proprio dinnanzi alla seduta.
“Che la Veggente possa avere pietà di te,
che nell’Incubo vaghi perduto”cominciò
subito col recitare il Consigliere Avorsh, seguendo
le parole di rito.
Dal canto
suo, il ragazzo si limitò a sollevare appena lo sguardo incontrando così quello
del Consigliere per un breve momento. Fu sufficiente -se possibile- per gelare
ancora di più i presenti: i suoi occhi, lasciati scoperti in qualità di prova
fisica di colpevolezza, presentavano le nere “cicatrici” del Risveglio, simili
a sbavature ossidiana che a partire dalla pupilla si diffondevano fino alle
estremità dell’iride. A vederli, pareva di osservare la dolorosa conseguenza
dello spezzarsi della pupilla e successivo diffondersi ovunque del nero in essa
racchiusa per tutto l’occhio.
Suo
malgrado, la Nihaar’ì rabbrividì. Uno spettacolo
innaturale, disturbante ed al contempo affascinante quale potrebbe essere il
mostrarsi di una bestia rara, unica e pericolosa. Una creatura solitaria nella
propria forma e proprio per questo temuta, braccata. Ma al contempo ammirata.
Allo stesso modo, parve di avvertire tutti quanti tacere in quell’attimo di
puro scrutamento, incerti sul condannare o viceversa elogiare quegli occhi ora
puntati su di loro in un misto di paura e sincero interesse quasi che il
ragazzo, ingenua stoltezza, non avesse ancora del tutto capito dove fosse
capitato e quale sarebbe stato l’esito della sua permanenza in quella candida
stanza.
Nero di
capelli, egli portava il taglio corto e disadorno dei Cacciatori diYenavo’r,
famoso per lasciare la zona della cute sopra le orecchie quasi rasata a zero
per facilitare l’utilizzo degli strumenti di caccia agli, appunto, Yenavo’r (banalmente detti Draghi del deserto), di cui essi
erano specializzati. Alcune lunghe cicatrici ad uncino in prossimità di
orecchie e mascella indicavano che il ragazzo aveva già cominciato il proprio
addestramento in questa difficile arte trasmessa a livello familiare e negata a
qualunque esterno tanto per tradizione quanto per sua difficoltà intrinseca.
Eppure a
guardarlo non lo si sarebbe detto poco più grande di lei...
“Colui che
qui si presenta in giudizio, risponda” prese in quella a sillabare il
Consigliere. Vi era un che di affrettato nella sua voce, quasi che mantenere le
formalità piuttosto che giungere direttamente al dunque lo tediasse più di
quanto volesse dare a vedere. La Nihaar’ì non potè trattenere un sorriso maligno: chissà se anche nel
giorno delsuogiudizio, quell’uomo altero e
impassibile si sarebbe lasciato andare a simili leggerezze e personali
curiosità. Lui, un uomo colmo di tante sfumature come quelle che si avvertono
accanto ad una carcassa in via di putrefazione... Negli occhi il disprezzo.
Nella voce la compiacenza. Nei modi, il servilismo più autentico.
“Qual’è il tuo nome?” continuò imperterrito -e ignaro-
l’altro.
Un attimo
di silenzio. Poi, lentamente, il giovane alzò i propri occhi sull’altro e
socchiuse le palpebre.
“Verkar’ach” la sua voce parve un sussurro nella penombra.
La voce del Consigliere vibrò come un colpo di frusta nell’aria “Non ho chiesto
il tuo nome di Cacciatore” lo ammonì facendolo quasi sobbalzare - e con lui
tutti i presenti - “Ma il tuo Vero nome”.
Verkar’achsignificavaColui
che guarda lontano,ed
in genere era il titolo che veniva dato agli individui che fra i Cacciatori
rivestivano il ruolo di “Vedette”, a cui spettava cioè il compito di vedere le
prede e indicarle ai compagni. La rabbia del Consigliere era dunque quasi
motivata: su richiesta di un nome, aveva ricevuto un semplicetitolo.
In un
brivido l’attenzione dei presenti si fece ancora più tangibile.
“Nayv” rispose quindi dopo un attimo il Cacciatore facendo
tintinnare le catene ai polsi. Il Consigliere parve rilassarsi in un profondo
sorriso.
“Nayv, sei accusato di portare sul tuo corpo e nel tuo
sguardo i segni del Risveglio” riprese quindi dopo un attimo “Una condizione
che comporta l’esilio da Chermak e da qualunque altra
civiltà riunita. Sfuggire l’isolazione tornando sui
propri passi comporta la Morte certa. Hai qualcosa da dire in tua difesa?”
Era una
domanda di rito. Solitamente era impossibile tentare anche una sola forma di
difesa contro i segni che ovvi si imprimevano sui corpi dei Risvegliati. Ma per
qualche ragione, ogni volta, era come se il Consiglio attendesse una qualche
risposta dagli interrogati. Qualcuno che osasse tentare di imbastire una
difesa, di ostentare una qualunque forma di controprova all’ineluttabile
veridicità dei capi d’accusa. Fallendo, ovviamente, ma in ogni caso,
provandoci.
E manco a
dirlo, questa volta parvedavveroche il desiderio dei presenti
venisse ascoltato perchè dopo un attimo di
stordimento, lo sguardo dell’imputato si alzò a scrutare i visi di tutti, uno
per uno, uno dopo l’altro, per poi infine fermarsi su quello della Veggente.
Di Asiya, in realtà. Ma la NIhaar’ì
avvertì comunque le proprie guance accendersi.
Per un
attimo egli sembrò scrutare la figura della Veggente con sincero e pacato
interesse. Valutarne fisicità e proporzioni. Aspetto. Per poi, come incerto su
ciò che vedeva, spostare i propri occhi direttamente su di lei, sulla Nihaar’ì.
Solo
allora, come brivido sottopelle, egli parve accendersi di una nota cupa e
dolente, qualcosa che suo malgrado la ragazza potè
facilmente -ma non senza una punta di orrore- riconoscere come odio misto a
timore.
Come poteva
guardarelei...Lei, quando al suo
fianco stava quella che all’occhio di tutti avrebbe dovuto essere la Vera
Veggente...
Avvertì la
sensazione del sudore condensarsi a fil di pelle.
Poi,
lentamente, il ragazzo alzò le proprie mani ammanettate indicando lei, si lei,
con il dito indice.
“Io hovistolei“ sillabò
quindi con strano candore “Lei condurrà tutti noi alla rovina”
Nel gelo
che calava nella stanza come spada dritta nelle sue viscere, la Nihaar’ì trovò perfino difficile respirare.
Per un
attimo si vide alzarsi, percorrere con ampie falcate la distanza che la
separava da quel bugiardo e schiaffeggiarlo lì, davanti a tutti. E gridargli
che mentiva. Che non era vero. Che anche solo osare tali parole significava la
morte immediata. Esecuzione istantanea.
Ma scoprì
con orrore che le mancavano le forze. Nell’attimo in cui egli aveva parlato,
quelle parole l’avevano inchiodata lì alla propria sedia, incapace anche solo
di fiatare.
Nessuno osò
parlare. Forse come lei, tutti quelle alte cariche erano state come paralizzate
dall’agghiacciante falsità di quel giovane, incapaci semplicemente di reagire a
quella prima, feroce, accusa che veniva rivolta alla Veggente. Mai nessuno
prima aveva osato.
Una
Visione. Lui. Un Cacciatore venuto dal nulla e chissà perché capitato proprio
lì, davanti a tutti, ad accusarla senza alcuno sprezzo del pericolo.
“Il Volto
della Nihaar’ì è nascosto agli occhi di tutti. E’
cosa impossibile che la tua immaginazione l’abbia potuto vedere” la voce di Zaphil fu come una scarica elettrica nella stanza. Crepitò
fra i presenti e giunse con uno schiocco sordo proprio alle orecchie del
ragazzo che, suo malgrado, non potè che sobbalzare.
Forse anche
per lui quel silenzio era stato più allarmante di quanto si fosse aspettato.
Scoprendosi
al contempo incapace di vivere, ma fortunatamente anche di morire, la Veggente
scoprì con necessità di dover ringraziare il Naphil per la cura con cui aveva
usato la parola “Immaginazione” piuttosto che “Sogno” o “Visione” riferendosi a
ciò che l’altro diceva di aver visto.
Visioni e
Sogni erano affare della Veggente. Chiunque osasse proferire le medesime
capacità non era altro che un impostore o un millantatore.
Il semplice
chiarire questo fatto chiariva ancora una volta la sua figura sovrana in
quell’oramai troppo pericoloso Consiglio. Tuttavia il ragazzo parve ora
intenzionato a non sbugiardarsi. Scosse una volta il capo e, malgrado
l’evidente tremore nella sua voce, si sforzò di obiettare con voce modulata “Io
hovistola
Veggente. Quella...” ed ancora una volta indicò con orribile precisione e
sicurezza la sua figura “E’ la sua bocca. Quello è il suo mento. E so per certo
che sotto quelle sete vi siano occhi che io ricordo con precisione di aver...”
esitò un istante, come colto da un pensiero improvviso. Era vietato guardare
negli occhi le persone. “ Visto “.
Evidentemente
il pensiero di dichiarare di aver infranto -anche in sogno- una ventina o più
di leggi inviolabili non preoccupavano abbastanza il ragazzo da impedirgli di
asserire a pieni polmoni la propriaverità.
Una goccia
di sudore prese a colare lungo la schiena della ragazza in una sgradevole
sensazione di panico e terrore insieme.
Lui aveva
Visto.
Pur
incapace di voltare il capo per vederlo, la Nihaar’ì
ebbe la chiara sensazione che al suo fianco, Zaphil,
sospirasse.
“Non esisteVisionese non quella della Veggente”
sillabò gelido. “MA IO L’HO VISTA!” se avesse potuto, il giovane sarebbe per
certo in quella scattato in piedi. Un livido rossore imporporì
immediatamente collo e volto “L’ho vista richiamare con la propria voce una
intera legione di ombre per distruggere...” “ Ora
basta! ”
Con grande
sorpresa di tutti, era stata Asiya a prendere parola.
Ferma sul proprio scranno, ella pareva ora di pietra.
“Io sono
colei che stai accusando con simile leggerezza.” esitò “Io” ripetè
quindi con dura rabbia “Io che con la mia Voce difendo uomini e bestie dalla
ferocia dei loro stessi Incubi. Io, la vostra salvezza” esitò ancora un
istante, un tremore che per un secondo l’attraversò facendola rabbrividire “Io”
continuò tuttavia dopo un attimo “Che come le Nihaar’ì
che mi hanno preceduto un giorno dovrò perire proprio in difesa di tutti quelli
che dubitano di me e che come te mi diffamano senza capire che è solo grazie a
me che tutte le vostre menzogne e incubi possono esistere”.
Pur sapendo
che non era nella ritualità agire così, Asiya si
sollevò comunque dal proprio scranno. Nessuno parve in grado di reagire: mai la
Veggente era stata accusata. Mai si era palesata la possibilità di una Visione.
Mai, prima di allora, la Veggente aveva dunque preso parola se non per
pronunciare il verdetto finale. E per...difendersi.
“E sempre
Io, dunque” concluse imperterrita Asiya “Condanno con
la Morte le tue falsità. Possa il Sogno guidarti verso il Cammino della Pace,
poiché nessun altro lo farà”
“Non è mai
accaduto che la Nihaar’ì prendesse così parola”
Nella
morbida oscurità della notte, le pareti bianche della camera da letto parevano
brillare appena del pallido riflesso lunare. Leggero e fresco, un vento sottile
scivolava fra le tende tirate, scompigliando di mille riflessi azzurrini il
candore della stoffa.
C’era odore
di sale nell’aria, una strana sfumatura fresca ad impregnarsi sulla pelle
accaldata.
Distesa
pancia in giù, le lunghe chiome abbandonate sulle sete candide, Asiya socchiuse una volta le palpebre. Due. Poi si concesse
un sospiro ovattato.
“Lo so.” ribattè dopo un attimo, la voce impastata dalla stanchezza.
“E allora perchè l’hai fatto?” pallida, la luce lunare si rifletteva
nelle iridi ambrate della Veggente, scintillando in esse di sfumature calde
“Sai quanto sia importante che le cose rimangano come sono, soprattutto ora che
vanno già di per sé...male”
Per un
secondo Asiya parve incapace di rispondere, gli occhi
fissi in quelli della Nihaar’ì distesa sul medesimo
letto accanto a lei, l’una accanto all’altra.
Poi sospirò
ancora.
“C’era
qualcosa di pericoloso nelle sue parole” constatò dopo un attimo “Cosa?” “Il
dubbio” asserì gelida “Il dubbio che qualcuno potesse mettere in discussione il
tuo dono e rimanere in vita. Che potesse andarsene in giro a sbandierare di
aver avuto una Visione e farla franca”
Per quanto
semplice, la Nihaar’ì sapeva quanta precoce saggezza
vi fosse nel pensiero di Asiya. Quanto ella, malgrado
l’atteggiamento solitamente semplice e leggero, avesse ben presente su che tipo
di strapiombo la Nihaar’ì e lei camminassero ogni
giorno. Quanto esso fosse sottile. E quanto fosse vitale comprovarne ogni
giorno la stabilità e solidità.
“Ammesso
che il tuo ragionamento sia corretto, esso non giustifica che tu, la mia Hayeli’vo, ti possa sentire autorizzata a prendere parola
per mia Voce e decida arbitrariamente cosa fare. Tu sei il mio riflesso, non la
mia Volontà” per quanto difficili da proncunciare,
quelle parole uscirono dure e inflessibili dalle labbra della Veggente. Si tirò
sui gomiti, chiome nere a ricarderle attorno al viso
in una cascata nera “Mandare a morte un ragazzo per delle semplici accuse
infondate non è affare di tua competenza”
Questa
volta Asiya parve accigliarsi.
“Non erano
parole di ragazzo, quelle” replicò secca “Erano accuse di un uomo. Accuse che
ora rimarranno nella mente di tutti i presenti e con le quali dovremo fare i
conti”
“Quelle, o
il fatto che una semplice controfigura si diverta a fare la parte
dell’Originale?”
Per un
secondo, un nuovo silenzio calò fra di loro, duro e freddo come mai la loro
amicizia avrebbe dovuto essere. Ma non era intenzione della Veggente
soprassedere sulla cosa.
Per quanto
amiche, compagne di vita, quasi sorelle in realtà, vi erano dei confini che le
dividevano e le avrebbero per sempre divise. Ne andava della loro medesima vita
e dell’inganno che esse intrecciavano nei confronti del resto del mondo.
“Grazie a
te ora io non saprò mai fino a che punto si sarebbero spinte quelle illazioni.
Non saprò mai chi abbia comandato a quell’imbecille di dirle...”esitò
”Credi che non provenissero da lui stesso?” sillabò improvvisamente stupita Asiya.
Senza
volerlo, la Nihaar’ì si strinse nelle spalle.
“Molto più
probabile quello di tutto ciò che gli ho sentito dire” esalò non senza una
buona dose di incertezza “Ma ora che non potremo mai più saperlo ti avverto, Asiya: interferisci ancora una volta con la mia Volontà e
sarà la tua testa a cadere, non quella di un Cacciatore”
Memore della mole astronomica del
primo, ho deciso (e qualcuno ha decisamente approvato la scelta) di ridurre un
pochino la lunghezza dei capitoli che da qui in avanti verranno così da
facilitarne una più semplice e scorrevole lettura.
Ringrazio di cuore la persona
che, povera, si sta impegnando nella correzione e valutazione di questa storia.
A lei un bacio…
Spero che possa piacervi e sì, di
leggere tanti bei commenti a breve J
Immobile, il suo corpo galleggia
piano. E’ un mare di pallore a circondarla, bianco come latte, tiepido come
acqua temperata.
Un lieve oscillare accompagna il
suo lento abbandonarsi a quella mollezza senza meta e senso, piccole creste
d’onda a carezzare il suo viso e corpo in un brivido sottile, labile.
Sa che quella pace non è eterna
ma solo di breve durata. Eppure le pare cosa assai stupida preoccuparsene ora,
in quel caldo oceano di nulla.
Sa che qualcosa sta per cambiare,
qualcosa che nella sua coscienza pare un tremore basso, cupo e monocorde.
Eppure perchè curarsene? Perchè
darsi davvero pena per una cosa che non si può fermare e contrastare?
Apre piano gli occhi, un riflesso
di luce a turbare il suo sguardo prima che dinnanzi ad essi si figuri la
tremolante figura di una persona.
Sospira.
Giusto, perché curarsene?
In un attimo capisce che quella
figura è lei, visione spettrale in uno specchio d’ambra. Lei, immobile e
solitaria, tanto sottile da apparire quasi una bambina ai suoi occhi.
Eppure ella ben sa di non essere
più una fanciulla ma una giovane donna, ormai...
L’oceano trema ancora, piano,
profondo avvertimento del pericolo, e questa volta è la sua figura ad
accigliarsi per lei.
Lo vede, nei suoi occhi. Una
patina di timore e turbamento. Una forma di presentimento che in un attimo
l’attraversa e scuote da capo a piedi costringendola a muoversi per un attimo,
febbrilmente, e poi inchiodare i propri occhi a lei.
Il suo sguardo le toglie il
fiato.
“Odayn”
la sente sillabare. E la sua voce è quella di Zaphil
“Odayn...” E la sua voce è quella di Asiya “Dove stai andando?”
Si svegliò di sorpassalto,
scattando quasi dal giaciglio sul quale si era poc’anzi addormentata.
La terza voce, l’ultima che le
aveva parlato, la seguì inesorabile dal sogno, dita invisibili a ghermire
ancora le sue percezioni di vista e udito fino al momento in cui, con un
sospiro contrito, ella si costrinse a ricacciarle indietro.
Poi, il corpo teso come fibra di
vetro, ella si costrinse a ridistendersi sul morbido talamo, leggere lenzuola
di lino a fasciarla da capo a piedi in un abbraccio fresco e consolatore.
Dannazione...
Sbattè
un paio di volte le palpebre, la lieve patina salata presente nell’aria a
sfarfallare come polvere dinnanzi ai suoi occhi, ed infine si stiracchiò. O
almeno...ci provò...poiché a quanto pare tutti i suoi sensi parevano fermamente
decisi a far perdurare in lei una vaga sensazione di allarme e disagio.
Stupidi sogni. Mai una volta che
le regalassero qualche visione piacevole piuttosto che rompicapi
dall’improbabile soluzione.
“Danhe”
chiamò poi infine, socchiudendo le palpebre nell’istantaneo spalancarsi di una
porta poco distante da lei. Fuori pareva esserci il sole.
Sbadigliò svogliatamente.
“Ben svegliata, Somma Nihaar’ì” la salutò la vecchia accostandosi piano a lei e
come il solito, poggiando sui suoi occhi una pezza fresca e salata. Rabbrividì
al contatto.
“Avete fatto un buon sonno?”
continuò l’altra con voce pacata “O il rollio vi ha per caso disturbata?”
Ruotando il capo di lato, la
ragazza fece scivolare la benda dagli occhi per poi, stancamente, girarsi su un
fianco. Da quella posizione, poteva vedere una lama di luce filtrare
nell’oscurità circostante, donando in essa la visione di un vorticoso insieme
di polveri e profumi.
“No, affatto” rispose infine
“Adoro il moto ondoso. Concilia il sonno”.
Una pausa, giusto il tempo di
mettere a fuoco la calda penombra della stanza e poi si tirò in piedi. Se Danhe non l’avesse prontamente afferrata per un braccio, di
certo sarebbe caduta gambe all’aria.
“Attenta, Somma Nihaar’ì. Si regga a me” reprimendo un sorriso imbarazzato,
la ragazza scosse il capo un paio di volte “Ce la faccio. .Prendi piuttosto le
mie vesti, non desidero che al suo arrivo l’Aruspice mi veda con nient’altro
addosso che la mia pelle”.
Poco dopo, terminato il consueto
balletto del “vedo non vedo” con il suddetto ometto oggi riccamente bardato con
stoffe gialle e oro, la Nihaar’ì si risolse
dall’uscire dalle proprie camere per avventurarsi all’aperto. Più precisamente,
per avventurarsi sopraccoperta del grande veliero che da qualche giorno
l’ospitava assieme a tutto il suo entourage in rotta verso Hevnank’ar, la città delle Rosse Tinte.
Il solido scricchiolio dei
gradini in legno che davano verso l’esterno la precedette accompagnandola dal
caldo umido e ovattato della stiva all’impetuoso infuriare dei venti caldi e
salini dello Himnakan. Nemmeno il tempo di fare
capolino dal boccaporto ed essi l’avvolsero scompigliandole i capelli corvini e
le vesti ora di un intenso arancione argilla. Ancora una volta, la Nihaar’ì non potè impedirsi di
sorridere fra sé e sé.
Era consuetudine che almeno una
volta all’anno -ben lontano dalla stagione delle Tempeste di Sabbia- la Nihaar’ì compiesse un lungo pellegrinaggio in tutte le
città di Harryan per benedire i Templi della
Veggente, realizzare il rito di purificazione delle Vele, valutare lo stato
delle difese contro le Ombre, rinsaldare gli accordi politici e commerciali con
le città (e relativi Sharyin - Reggenti) ed in
generale provvedere a qualunque tipo di accorgimento che la Capitale avesse il
dovere di assicurare alle proprie città alleate.
Era un pellegrinaggio a fini
politici, rituali e assolutamente religiosi dal cui compimento pendevano gli
esiti di alleanze e amicizie ed in genere il proseguimento di tutto l’apparato
geopolitico di Harryan. Era inoltre, manco a dirlo,
uno dei momenti più pericolosi per la Veggente, costretta ad allontanarsi per
giorni e mesi interi dalla suainattaccabile Torre del Tempo per avventurarsi in territori a lei
estranei e sottoposti alla giurisdizione altrui. “Territori a te fedeli” le
ricordava ogni volta Zaphil con quel suo sorriso
scaltro “Ma tutti noi sappiamo che non vi è trappola peggiore che quella della
fedeltà ciecamente presupposta”.
Era dunque in misura del tutto
cautelare che ad ogni viaggio la Nihaar’ì portava con
sé tutta la propria schiera di Araldi ed una buona dose di Guardiani,
Combattenti e Spie. Senza contare lacchè e Nobili, servitù, membri del
consiglio e chiunque altro avesse l’ardire di offrirsi per il lungo viaggio.
A vederlo da lontano -e forse
anche da vicino- tutto quell’assembramento di gente la si sarebbe potuta
tranquillamente scambiare per un’armata si era più volte ritrovata a pensare
sorvolando con lo sguardo la carovana interminabile“Ed e’ proprio
questo che i nostri alleati devono pensare vedendoci avvicinare... un’armata
molto pacifica. Ma pur sempre armata” le aveva risposto sornione Zaphil intuendo un giorno le sue impressioni.
Distratta, la Veggente si scostò
inutilmente i capelli dal viso, attardandosi sulla soglia per avvertire
l’immediato tocco della salsedine sulla pelle prima di risolversi dall’avanzare
ancora fra le due file di Araldi che sull’uscio l’attendevano, schierati.
Per lei, la Nihaar’ì,
quell’esperienza annuale era una fonte di incredibile turbamento ed entusiasmo
assieme, trattandosi a conti fatti dell’unica occasione che ella aveva per
uscire dalle mura della Torre e vedere paesaggi e luoghi a lei preclusi per tutto
il resto dell’anno. Un viaggio di cui lei centellinava attimi ed esperienze
incerta fra l’emozione della scoperta ed il terrore di tutto ciò che le era
nuovo e sconosciuto. Il che era un po’...tutto, insomma.
“AnhiVal’ah, Somma Nihaar’ì” la salutò
in quella il Comandante del Vascello. Fra i neri ciuffi danzanti dinnanzi agli
occhi, la Nihaar’ì riuscì a malapena ad intravedere
l’uomo esibire il saluto più comunemente usato fra le genti di alto rango - ma
non dalla stretta cerchia Nobiliare -, con la mano a pugno chiusa sul cuore
seguita da un lieve chinarsi del capo.
Rispose nel medesimo modo,
facendo però attenzione a non chinare il capo “AnhiVal’ah, Nas’ìSovayin”
rispose gentilmente, passo dopo passo giungendo finalmente al suo fianco poco
distante dal timone sagomato in legno. Sovayin era il
titolo che si dava a tutti coloro che andassero per mare e significava
letteralmente “Colui che segue il mare”. Nas’ì era
appellativo di grado, per indicare che egli fosse un Capitano.
“Come procede la navigazione?”
chiese dopo un attimo, gli occhi velati che spaziavano dalle pallide creste del
Mare chiare di salsedine alle ampie vele Rosso bruno spiegate e tese sopra le
loro teste.
Il Capitano, un giovane uomo
dall’aspetto coriaceo parve gonfiare un attimo il petto prima di esibirsi in un
lungo sorriso “Tutto secondo le previsioni, Somma Nihaar’ì”
chiocciò sornione “I Venti ci stanno rapidamente spingendo a Sud. Nessuna
nuvola o tempesta all’orizzonte”.
Tronfio e vivace nelle classiche
tinte blu delle genti di Mare, l’uomo portava stoffe leggere e disadorne cucite
di modo che la parte inferiore non scendesse oltre i polpacci e quella
superiore lasciasse scoperte spalle e braccia. Un comodo gilet dal collo alto
assicurava protezione dal sole alla nuca e risvolti interni per coltelli da
lancio, ganci di ogni genere e utensili di piccolo calibro. Ai fianchi,
viceversa, una lucente cinta ornata di squame di pesce presentava ottimi
agganci per una lucida sciabola dal manico orlato, una sottile frusta
accuratamente ripiegata ed un giro di corda.
Ultimo ornamento - seppur
nell’insieme il più rappresentativo - al capo egli portava una pesante stoffa
arrotolata a mò di turbante nella quale erano
infilati tre sgargianti piume colorate appartenenti ai famosi Dzuk, i pesci del cielo. Tali piume potevano essere portate
solo dai Capitani di navi e vascelli, quale segno distintivo di rango e potere.
Per un attimo la Nihaar’ì si limitò a guardare lungamente l’orizzonte, il
profilo delle creste contro l’azzurro intenso del cielo a creare strani giochi
di luce nei suoi occhi. Poi il suo sguardo colse le sagome di Zaphil e Asiya a prua, vicine
come intente a conversare amichevolmente. Si accigliò. Non credeva fossero già
svegli. Non Asiya, perlomeno.
Con un gesto elegante si volse in
direzione del capitano “Molto bene” lo congedò cortesemente “La prego di avvertiermi quando giungeremo in vista della costa.”
Attese il cenno di commiato
dell’altro prima di cominciare lentamente ad incamminarsi alla volta dei due,
l’infuriare dei venti a scompigliare in mille figure scomposte le vesti di
entrambi, una nera e l’altra -ovviamente - arancione come la sua. Nel notare i
folti capelli neri di Asiya, per un attimo la
Veggente non potè impedirsi di ricordare il loro
primo incontro, anni prima.
Non era passato che qualche
giorno dalla triste morte della precedente Ayeli’vo,
una dipartita improvvisa e terribile, tanto orribile e raccapricciante come
solo quella di una fanciulla ancora lungi dal fiorire - aveva solamente otto
anni- poteva essere. Eppure i guaritori avevano espresso pareri alquanto
rassicuranti: il veleno ingerito durante il Banchetto era il frutto di una
pregiata alchimia degna dei migliori Suba’ ra - maestri dell’avvelenamento: poco dolore e una morte
quasi istantanea per soffocamento. Una morte a suo modo elegante e
raffinata...decisamente da Nobile...
Una dipartita, dunque, degna del
ruolo che la bambina aveva avuto l’onore di interpretare, era stato il commento
finale, solitamente usata fra le caste nobiliari come regolamento di conti o
appianamento di antiche divergenze.
Come se dovere e affari politici
potessero in qualche modo giustificare e rendere assai più sopportabile un
simile evento. Come se otto anni non fossero poi così pochi se perlomeno la
morte era stata degna di nota.
Per lei, la Nihaar’ì,
vedere la sua unica amica, compagna di giochi, sorella e gemella andarsene in
quel modo aveva significato ben più che una sommaria esplicazione di causa ed
effetto.
Aveva voluto dire smarrire tutto
d’un tratto - e apparentemente senza motivo -l’unica forma di affetto che le fosse mai stata concessa di avere in
quel mondo austero e colmo esclusivamente di doveri e gioie negate.
Aveva voluto significare semplice
e puro dolore. Una sofferenzatanto
grande ed insopportabile da costringere i Guaritori a somministrarle per giorni
e settimane bevande ed infusi atti ad intontirla, stordirla e con il sonno
allontanarla da qualunque sofferenza di anima e corpo. Difficile dire se avesse
funzionato. Nei sogni la Nihaar’ì poteva sì tornare a
rivivere gioie e dolcezze dei tempi passati, ma al risveglio essi seguitavano a
scomparire irrimediabilmente dinnanzi ai suoi occhi nel grigio ritornare della
lucidità e con essa dell’insopportabile verità.
Così per qualche tempo le cose
andarono avanti così, con lei che passava senza nemmeno accorgersene
dall’incoscienza alla dormiveglia a tratti punteggiata da vaghi accenni di
dolore fino al giorno in cui, mentre come al solito vagava senza meta per la
Torre, le capitò di fermarsi dinnanzi alle sale dell’acqua e lì dentro
intravedere una figura immersa in una vasca. Stuoli di servi e serve la
circondavano in quello che sembrava in effetti un lungo e dovizioso bagno
rigenerante.
Per un attimo, stordita dalle
droghe e dal dolore assieme, la Veggente parve incapace di mettere a fuoco la
scena, ritrovandosi ad osservare come inebetita la fanciulla chinare docilmente
la testa all’indietro, mani sapienti ad insaponarla in tutto il corpo e con
cautela prenderle ciocca dopo ciocca i lunghi capelli rubescenti ed impiastriccarli con una scura sostanza color pece.
No, Asiya
non aveva i capelli neri come lei. Non naturalmente. Come ci si sarebbe
aspettato da un animo come il suo, ella aveva in realtà capelli color tramonto,
scuri e lucenti di mille riflessi purpurei.
Non senza una punta di
divertimento la Nihaar’ì ricordò allora che quel
giorno il suo gesto di benvenuto alla nuova arrivata era stato quello di
entrare come una furia nella stanza - in barba agli infusi e varie erbe
calmanti - e fiondarsi a testa bassa sulla poveretta.
Con tutta probabilità la sua
intenzione era stata quella di farla fuori annegandola o almeno soffocandola. O
almeno facendole un po’ di male. Più semplicemente, l’unico effetto che ottenne
fu quello di far finire sotto l’acqua entrambe, un mezzo annegamento a testa a
suggellare così un pacifico ed assai promettente inizio.
Naturalmente la cosa non passò
affatto sotto silenzio nella Torre, motivo per cui iniziarono presto a
circolare le più disparate voci sul possibile - e alquanto probabile -
rimpiazzo della nuova venuta con una “assai più gradita candidata”.
Del resto c’era ben poco da
obiettare. Ogni desiderio della Nihaar’ì, antipatie
comprese, erano legge.
Ma non per la prima volta, Asiya li stupì. Stupì tutti in realtà, lei e Zaphil compresi.
Poiché piuttosto che prendersela
per quella gioviale rimostranza di benvenuto, offendersi, esplicitare il più
che lecito timore che il rimpiazzo avrebbe potuto significare o anche solo far
notare a tuttiquanti che non era cosa
assai gentile venire accolti con un attentato alla propria vita dalla Divina,
ella pensò bene di ripagare la Nihaar’ì, la più alta
carica mai esistita ed esistente, con la stessa identica moneta. Si riprese - e
con gli interessi - la calorosa accoglienza che la sua “gemella” le aveva
inferto.
Non le servì che semplicemente
aspettare una notte particolarmente afosa e sonnolenta, con gl
Araldi più intenti a non far arrugginire le proprie armature con il loro steso
sudore che a fare la guardia e sgattaiolare così fino all’ultima stanza dove,
beatamente addormentata, se ne stava la Veggente.
Simpatica fanciulla...eppure i
suoi capelli fulvi l’avevano avvertita...
Dopo averla assalita, battuta di
santa ragione e terrorizzata come mai le era successo prima di quell’istante,
fu nell’inutile affrettarsi degli Araldi lungo le scale che la fanciulla le
scoccò un mezzo sorriso compiaciuto.
“Io e te non possiamo che
esistere insieme, ora. Siamo e saremo la stessa cosa o altrimenti non saremo
niente affatto”
Pochi giorni dopo eccola di nuovo
tornare dalle celle di prigionia, un mezzo sorriso a mascherare la paura che
quei luoghi angusti e desolati erano stati in grado di scatenare in una bambina
della sua età.
“Sapevo che ti sarei mancata.
Succede sempre così, quando ripago un favore” la prese in giro Asiya senza mascherare tuttavia il vago tremolio della sua
voce.
“Cosa state tramando, voi due?”
in un movimento leggero la Nihaar’ì si frappose fra
le figure vicine. Zaphil si tirò subito sull’attenti
rivolgendole un elegante cenno di saluto poco dopo replicato dalla Hayeli’vo. In circostanze meno formali la ragazza l’avrebbe
probabilmente abbracciata, ma essendo ovunque presente equipaggio e servitù,
era chiaro che le formalità dovessero essere rispettate.
“Oh nulla” replicò sorniona la
fanciulla “Zaphil stava solo lodando il mio aspetto
decantando una ad una le mie molteplici qualità...”
La Nihaar’ì
parve accigliarsi “Ancora?” esalò sogghignando “Ebbene si! E io tutte le volte
a dirgli “Ma no dai...mi metti in imbarazzo...lo sai che sono timida...” ma lui
niente. Imperterrito a ricordarmi quanto...”
“Asiya...”
i gomiti poggiati sul parapetto, Zaphil fissava con
sguardo assente l’orizzonte. Non sembrava infastidito dal comportamento delle
due, ma qualcosa nel suo atteggiamento conservava sempre un che di vigile e
composto. Subito entrambe si scambiarono rapidi cenni d’intesa, sbuffi di vento
a colorare di sfumature cangianti i loro giovani volti.
“Per me sei troppo buono con lei,
Zaphil” riprese dopo un secondo la Nihaar’ì “Il vecchio maestro Sihil
mi diceva sempre che Veggente e suo Protettore non dovrebbero essere presi sul
ridere nemmeno per errore. E guarda lei invece” la indicò con un gesto
impettito “Senza contare i suoi metodi alquanto discutibili per attaccare
bottone con qualunque giovane che passi per la Torre” “Davvero sconveniente” le
fece eco Asiya senza smettere di sorridere. Poi
improvvisamente si fece più vicino a Zaphil.
“Ma dovrò in qualche modo tentare
di farle guadagnare una buona reputazione, no? Se non fosse per me alla Torre
tutti la conoscerebbero come la vecchia scorbutica musona” “Questo non è vero”
si infervorì subito l’altra “Io sono molto divertente e amabile con tutti!”
esitò un attimo nel notare l’occhiata dell’altra. Quindi si strinse entrambe le
braccia al petto “E almeno non sono vecchia.”.
A quell’ultima affermazione anche
le labbra di Zaphil si arricciarono in un vago
sorriso. Volse piano il capo e incontrando lo sguardo colorito della Nihaar’ì alzò appena le sopracciglia. Subito l’altra
avvertì le guance imporporirsi a causa del contatto
visivo di lui. Volse subito lo sguardo all’orizzonte, il respiro corto a
scivolarle dalle labbra ora tese.
“Beh, visto il tuo comportamento
abituale è come se lo fossi” continuò incurante del siparietto Asiya “Ma sono certa che sia una qualità abituale delle Nihaar’ì”.
Fu nell’esatto istante in cui le
sue labbra pronunciavano quell’ultima frase che la fanciulla si rese conto
dell’errore che aveva compiuto. Spostò immediatamente lo sguardo sul volto
della Veggente che, manco a dirlo, si era immediatamente irrigidito. “Scusa” si
affrettò a dire “Non fa nulla” la tranquillizzò subito l’altra sebbene vi fosse
una certa durezza nella voce.
Poi improvvisamente il suo viso
parve illuminarsi “Guardate” seguendo l’affusolato profilo delle sue dita ora
tese verso il basso, i due notarono proprio sotto la chiglia del vascello una
serie di piccoli pesci che, disturbati dall’incedere dell’imbarcazione, si
disperdevano per ogni dove saltando fuori dall’acqua e planando poi per qualche
metro in uno sfarfallio d’acqua.
Le Iare
erano viste come segno di buon auspicio dalle genti di mare, poiché solite
starsene in superficie nei giorni di bel tempo.
Il corpo teso in avanti, Zaphil trasse allora un profondo sospiro “E’ bene
prepararsi” disse lentamente “Le Tre Volpi saranno certamente ansiose di
accoglierci nel più sfarzoso dei modi. Non credo sia il caso di insultarle con
ritardi di alcun genere”
“Dicono che da mesi preparino le
cose più meravigliose per darci un degno benvenuto” osservò pensierosa la Nihaar’ì. Pur senza vederlo, immaginò lo sguardo dell’altro
farsi più affilato.
Un benvenuto profumato di
ricchezza e infarcito di potere. Con una vaga spolverata di minaccia. Le Volpi
sapevano di certo come ed in che misura tendere le corde del loro spettacolino
tintinnante e predatorio, esattamente a metà fra l’umile ceto mercantile e
quello ben più opulento della nobiltà.
Sogghignò.
Il tutto senza mai sfidare
apertamente l’Unico Potere, quello da cui dipendeva l’indisturbato procedere
dei loro affari.
“Cose meravigliose o cose
spaventose?” Asiya si dondolò piano contro il
parapetto “L’anno scorso per poco non ci rimettevo la pelle mentre quegli omini
tutti profumati quasi si saltavano in testa l’un l’altro per rifilarmi il ragno
più velenoso del continente addomesticato qui, solo per lei, Somma Nihaar’ì.”
Ovviamente il ragno in questione
era finito chissà perché -spintone più, spintone meno - proprio sulle gambe
della povera fanciulla la quale, nel più regale dei modi, non aveva osato far
nulla se non replicare docilmente “Da lontano lo facevo più grassottello”.
“E non dimentichiamoci l’anno
prima” la incalzò sorniona la Veggente “Come le chiamavano? Libellule del
deserto?” Per poco Asiya non saltò sul cornicione.
“Giusto! Quelle maledette cavallette sbranavestiti!
Erano quasi arrivate al polpaccio prima che quegli imbecilli osassero anche
solo avvicinarsi per togliermele di dosso.”
Vero poi che per scusarsi la
Veggente aveva ricevuto intere montagne di vesti fra le più pregiate...
“Se fossi in voi io quest’anno mi
preoccuperei maggiormente del giovane rampollo di Shayarin
e sorella, che di ragni e insetti” le redarguì ancora una volta Zaphil “Dicono che lui sia un estimatore di veleni e lei
una ballerina senza eguali”
Come spesso accadeva dopo
l’intromissione di Zaphil nei discorsi, entrambe le
fanciulle persero immediatamente la voglia di ridere.
“Mathias?
Edereth?” chiese dopo un attimo la Veggente.
Zaphil
socchiuse un attimo le palpebre per poi scostarsi dal parapetto.
“Mathias
sembra avere avuto una graziosa bambina dalla sua quinta compagna. Non dovrà
avere che pochi mesi. Il figlio maggiore scalpita invece per entrare in affari,
ma molti dicono che suo padre non lo reputi ancora abbastanza maturo per la
professione. Quindi temporeggia lasciando che si sfoghi sulle giovani servette
che regolarmente fanno il loro ingresso nella magione”
La Nihaar’ì
si accigliò. L’ultima volta che l’aveva incontrato, Kasir
pareva davvero un piccolo barilotto avvolto in stoffe e tessuti decisamente
troppo sgargianti per la sua fisionomia pingue e impacciata. Capelli corti su
viso imberbe, decisamente trovava difficile immaginarselo avvolto dalle gambe
di una docile fanciulla intenta a soddisfarlo.
Sbattè
piano le palpebre.
“Edereth
ha invece coronato da poco il suo settimo, ma molti dicono infelice,
sposalizio. I nobili l’hanno definito un colpo di testa, trattandosi questi di
un ragazzino privo di finanze ma colmo, a detta di tutti, di indiscutibili
capacità amatorie. Si parla già di una rapida, quanto imminente, separazione.
Ma Edereth non ha mai mostrato difficoltà a portarsi
dietro i suoi stuoli di mariti al pari di bestie da circo”
Entrambe non poterono che
scambiarsi un’occhiata d’intesa. Ricordavano i mariti di Edereth.
Individui piacenti e potenti al contempo, sfortunatamente però assai poco
avvezzi all’intelligenza per capire quanto la loro sposa amasse avere sempre
nuovi e deliziosi giochi con i quali trastullarsi.
“Questa volta non sarà facile
impressionarli” continuò Zaphil “Ma dalla nostra
abbiamo la sempre più prossima carta dello sposalizio da giocare.”
La Ninhaar’ì
annuì una volta, sovrappensiero “Confidano che sarà uno dei loro rampolli il
fortunato Jadi - sposo?” chiese lasciando correre lo sguardo lungo le creste
lontane. Zaphil annuì una volta senza guardarla
“Queste sono le loro aspettative” confermò “E sarà bene che durante il nostro
soggiorno ad Hevnank’ar
esse no vengano né confermate né smentite”.
Entrambe annuirono lentamente
prima che Zaphil concludesse rivolgendo ad entrambe
un sorriso vago “Siate carine e gentili con questi fanciulli imbellettati,
probabilmente è per loro che dovremo passare per conservare la benevolenza dei
loro amati genitori”
Distratta e pensierosa, la Nihaar’ì lasciò che il proprio sguardo vagasse meditabondo
sulle vesti che ora la coprivano da capo a piedi, lasciando a malapena
intravedere la sua figura al di sotto di quelle pesanti e preziose sembianze.
Il blu decisamente le donava.
Dovette ammettere. Peccato che sotto quella montagna di stoffasi faticasse anche solo a notare la sua esile
figura vestita dei più ricchi e deliziosi ornamenti. Il capo, anch’esso coperto
da un cappuccio cadente, lasciava intravedere di sbieco una lunga treccia
laterale anch’essa addobbata da nastri e cristalli blu di sale marino,
splendenti nel sole di mille sfaccettature arcobaleno.
Sulle dita, pesanti anelli ad
artiglio la ricoprivano per intero la pelle fino a giungere alle mani fasciate
come da guanti blu cobalto mentre i piedi, nudi, erano rivestiti anch’essi di
catene scintillanti.
“O mirabile Falco di Luce, io ti
saluto” le fece il verso Asiya giungendo allora alle
sue spalle, un clone perfetto in ogni più piccolo particolare.
Inutilmente gli araldi schierati
tentarono di tener fede all’etichetta mettendosi sull’attenti. Per qualche
ragione, Asiya era sempre un passo più veloce di
tutti ad entrare ed uscire dalle stanze infischiandosene apertamente di ogni
genere di consuetudine. Alla Veggente non restò che concedere loro il riposo
con un semplice gesto scocciato.
“Asiya..”
cominciò a dire lentamente “Quante volte te lo devo dire che non puoi aggirarti
come una servetta qualunque su questa nave? I Nobili risiedono qui. I Servi
pure. Le guardie idem...non puoi andartene in giro come credi...” l’altra la
zittì con un semplice sospiro. Le si accostò e tirandole su appena il cappuccio
le sorrise amabilmente “Credo proprio che il blu sia il tuo colore, fanciulla”
sogghignò “Il nostro colore...”
Pochi secondi dopo fece il suo
ingresso un giovane recando la notizia del recente avvistamento della costa.
“Non appena avrà concluso le
manovre di ancoraggio al porto, il Capitano vi scorterà di persona sulla
terraferma” la Nihaar’ì annuì lentamente “Ringraziate
il Capitano per la sua cortesia. Lo attenderemo qui fino al suo arrivo”
Non appena il giovane si fu
congedato la ragazza volse lo sguardo nuovamente allo specchio incontrando quello
vagamente irrigidito di Asiya.
Pur coperto da un elegante nastro
in fibra d’oro, anch’esso intessuto di fini cristalli di sale, era chiaro che
ella stava provando la medesima agitazione dell’amica. Pur non esplicito,
infatti, il discorso di Zaphil era stato più che
chiaro: le Volpi scalpitavano per un cambiamento, il medesimo che viceversa
loro avrebbero dovuto scongiurare gettando fumo - e sguardi maliziosi - negli
occhi di tutti.
“Vedrai che andrà tutto bene” le
sorrise gentilmente “Le solite noiose faccende burocratiche ed ancor prima di
avvertire questo onnipresente mal di mare attenuarsi potremo tornarcene
tranquille sottocoperta pronte per una nuova, nauseante traversata”
La Nihaar’ì
le scoccò un’occhiata incerta “Davvero cederesti un’affascinante conversazione
diplomatica in cambio di uno snervante e tedioso mal di mare?” commentò poi con
un ghignetto sarcastico. L’altra fece spallucce e fu prima che il capitano
facesse capolino dalla porta che la sentì replicare in un sussurro “Con certi
soggetti...ci potrei giurare”.
Viste dalla superficie, le Rose del mare si
sarebbero potute scambiare per rose del deserto, prelevate dalle sabbie e poi
deposte con dolcezza inaudita sul fondo del mare, eterna fonte di freschezza e
bellezza. Petali color sangue, steli di giada. Eppure esse non erano altro che
stoffe, le stoffe più belle del mondo, sul fondo affisse così che con le maree
e le correnti assumessero le forme più belle e improbabili.
La prima volta che le aveva vedute, la Nihaar’ì non aveva potuto fare a meno di ammirarle in tutta
la loro casuale perfezione, eguagliata solo da quella delle strade lastricate
di Hevnank’an,
costantemente tappezzate dalle più belle e sgargianti sete così che fosse
possibile camminare per tutte le vie senza scarpe e suole di alcun tipo.
“Non è sempre così, somma Nihaar’ì”
aveva ammesso il Maestro del Conio mentre non molti anni prima entrambi
passeggiavano fianco a fianco per le vie multicolori “Ma per voi...la città è
come se si vestisse a festa”.
E festa era esattamente ciò che si imponeva
agli occhi della ragazza mentre con sguardo intontito passava in rassegna i
muri anch’essi sfumati dal rosso più cupo all’arancione pastello, ognuno ordito
di spazi areati e sottratti alla vista solo grazie alla presenza di tende
multicolore ovunque abbandonate al morbido ondeggiare del vento.
Tutte insieme, parevano Vele di alberi invisibili,
tese al vento di bassa marea.
“Voryersyel.
Spero abbiate fatto buon viaggio, Somma Nihaar’ì” la
accolse un uomo alto e dinoccolato, avvolto dai tradizionali abiti scuri dei
funzionari pubblici.
La ragazza annuì piano, ben attenta a non lasciare che
la passerella gettata fra vascello a terraferma la tradisse.
Sotto la pianta dei piedi, il terreno le giunse
tiepido.
“Uhe’yelzysat.
Più che buono. Temo che il vostro Capitano avrebbe tentato di fermare anche il
vento se solo avessi dato segno di averne a noia”
Quieto, il sorriso di lui la accompagnò per il breve
tratto di strada antecedente la portantina che per lei era stata preparata.
Composta da null’altro che una base in legno con infissa una sedia riccamente
decorata e circondata da un sottile siparietto di tendine ambrate, la sua sola
vista lasciò scorrere un brivido di disagio nelle vene di lei.
Esitò un istante, fingendo di dover riassettare dietro
di sé le lunghe vesti cerimoniali, giusto il tempo perché Zaphil
comparisse dal nulla seguito a ruota da una spia adibita a perlustrare
con un colpo d’occhio portantina, facchini e situazione in sé.
Poco dopo, ecco il Naphil
toccarsi lievemente il petto quasi a controllare i contrappunti d’argento lì
fissi.
“Ogni anno Hevnank’an diventa sempre più bella e prospera, Alto Despa’y - Ambasciatore” prese dunque a
temporeggiare lei aprendo appena le mani come nell’atto di ammirarla non solo
con le parole ma anche col corpo. Al suo fianco, il funzionario chinò appena il
capo “Lei è troppo magnanima...” esalò con ossequioso candore “Tutto ciò che
tentiamo di fare qui è rendere ogni anno le nostre dimore più gradite e consone
ad accogliervi”.
Rapida, la spia compì un mezzogiro
attorno alla portantina, la camminata leggera e tranquilla che tradiva una
sorta di agilità insita. Zaphil non si mosse, lo
sguardo apparentemente concentrato su qualche decorazione lontana.
“Ma vi dirò di più” rintuzzò la Nihaar’ì
“E’ forse nuovo quel ponte laggiù che vedo? Non credo di averlo intravisto
l’anno scorso”
Ancora una volta l’uomo chinò il capo “Voi ci onorate,
Somma Nihaar’ì” osservò tutto tronfio “Ebbene si,
quella è la Volta dell’Arco, il nuovo ponte costruito per migliorare il
commercio fra quartiere dei Vasai e quello dei Forni di cottura”
Sapeva già di quel ponte. Sorrise.
La sua costruzione era passata sotto la sua supervisione e approvazione da
molto tempo....
“Davvero un’opera ben fatta” commentò lei facendo
scattare lo sguardo verso una nuova costruzione dall’aspetto imponente...
Ne aveva per caso già decantato le bellezze l’anno
prima?...
Un nuovo volto della Nobiltà...
Sfortunatamente quel piccoletto aveva fatto il proprio
debutto non poche settimane prima...
Una signora che chiaramente aveva l’aria di stare
sudando l’acqua posseduta in questa e quell’altra esistenza...
Divertente o solo sfacciato?
Ma fortunatamente in quella Zaphil
scomparve nuovamente nella folla e con lui la spia.
Tutto bene.
Così, in un lungo e tormentoso intrecciarsi e
ripiegarsi di vesti, la Nihaarìpotè
dire addio al suo interessantissimo ospite e bagnarsi delle acclamazioni
esultanti della folla tutt’attorno riunita. Respirò leggera.
Se evitava di muoversi, di girare il capo, di respirare
ed insomma astenersi dal compiere qualunque gesto che una persona degna di tale
nome avrebbe normalmente sperato di fare, le sue vesti non si sarebbero
trasformate in breve tempo in una terribile fornace senza possibilità di
scampo. Con lei dentro a fare la figura dello sciagurato animale da cuocersi,
ovviamente.
Aprì lievemente le labbra, schiudendo assieme a dita,
braccia e collo qualunque pertugio nelle vesti atto a far circolare aria. Non
ottenne un grande risultato. Particolare che le fece storcere quanto più impercettibilmente
possibile il naso.
Dannato Zaphil. Non potè tuttavia trattenersi dal pensare. Lui nelle cerimonie
formali se ne stava sempre nelle retrovie a sorvegliare. Mai una volta
che assieme alla sua adorata protetta affrontasse le deliziose formalità della
sua posizione.
Come ostentare sorrisi e rilassatezza dopo ore intere
passate in piedi. O fingere che il caldo e le spossatezze dell’afa fossero cose
per il popolino, affatto degne del suo rango. O ancora, lasciar credere
che indugiare in conversazioni di difficile articolazione e comprensione in
compagnia di personalità degne nemmeno di abbozzarne le prime lettere (e
tuttavia fermamente convinte del contrario) la colmasse di autentica ed
incommensurabile gioia.
Nello scroscio di saluti, applausi, fischi
d’acclamazione e ovazione generale, la Nihaar’ì notò
di sfuggita i volti tesi e impassibili delle sue guardie pronte ad intervenire
al minimo segnale di pericolo. Gli sguardi fissi sulla folla, nessuno fece caso
al suo occhieggiare.
Sorrise piano, improvvisamente sentendosi per qualche
ragione meno sola, ora.
Finalmente, dopo un lieve oscillare a destra e
sinistra, la portantina si posò nuovamente a terra lasciando che una mano
riccamente ornata scostasse le tende e si protendesse per aiutarla ad uscire.
Edereth era a
dir poco abbagliante nel meriggio infuocato. Capelli neri come carbone le
circondavano in lunghe ciocche ondulate il viso ovale dagli zigomi alti.
Filamenti aurei partivano dal capo -ornato come di una sottile corona- per
giungere fino a terra in una sorta di tela dorata entro la quale sfilava il suo
corpo da danzatrice, flessuoso come quello di una ragazzina e caldo come quello
di amante.
Davanti al volto portava una benda di fili d’oro.
Stringendola appena, la Nihaar’ì
impedì fisicamente alla propria mano di tremare in quella dell’altra mentre con
leggerezza ella la conduceva all’interno della piazza centrale di Hevnank’an, solitamente gremita
di banchetti ed adibita al commercio di tutte le merci del continente ed oggi
addobbata delle più sgargianti decorazioni e mondanità.
Al centro esatto era steso un meraviglioso arazzo
riccamente intessuto ed incompiuto, i lunghi fili di trama distesi tutt’attorno
in attesa di essere intrecciati l’un l’altro come voleva la cerimonia.
“Voryersyel,
Somma Nihaar’ì. Spero che il mare sia stato clemente
con voi ed il vostro vascello.” richiamò la sua attenzione Edereth.
Anche la sua voce portava le vesti tanto del sussurro malizioso quanto
dell’arguta insinuazione propri di una mente colta e brillante.
Lasciandosi ancora guidare - l’altra pareva non
camminare ma letteralmente scivolare sul selciato-, la Veggente abbozzò un
sorriso cortese.
“Uhe’yelzysat,
EderethMakaYeji(Signora delle Vie). Ben più che gradevole” la
voce le suonò appena tirata all’orecchio, quasi che ella avesse qualcosa
conficcato in gola. Si concesse qualche istante di altezzoso esitare prima di
riprendere “Pur avendo la fama di un mare capriccioso lo Himnakan
ha sempre la capacità di stupirmi per la sua mitezza” anche l’altra esibì un
sorriso leggero “Questo perchè siete voi ed il vostro
equipaggio a solcarlo” replicò gentilmente “Ho veduto nobili molto meno
accomodanti ed avvezzi al rollio delle imbarcazioni di quanto sembriate voi”
Ma che gentile.
La Nihaar’ì sorrise
docilmente.
“Solo chi è costretto ai lunghi viaggi inizia prima o
poi ad apprezzarne gli inconvenienti ed asperità” replicò dopo un attimo “Giacché
se uno non volesse mai provare fastidi e scomodità sceglierebbe di sicuro di
non abbandonare mai la propria dimora” questa volta l’altra ostentò una vera e
propria risatina “O forse chiederebbe che sia il mondo a fargli visita senza
dover mai scostare il proprio grazioso posteriore dai più comodi giacigli”
replicò voltandosi appena verso di lei.
Nuovo sorriso. E così si potevano ritenere conclusi i
convenevoli iniziali. Ora si cominciava a fare sul serio.
“E’ stato per noi un immenso dispiacere non vedervi
all’ultima Cerimonia del Nye’vreh” riprese
dopo un attimo la Veggente. La flessuosa camminata di Edereth
parve avere un’esitazione. Evidente ella avrebbe volentieri gradito qualche
istante in più per prendere le misure della conversazione e con essa
della sua pericolosa contendente, ma ovviamente questo era un lusso che la Nihaar’ì non intendeva concederle. Nel vederla appena
affrettare il passo, la Nihaar’ì non potè trattenersi dal sorridere fra sé e sé. Per quanto
fregiata del titolo di ospite, era ora di vitale importanza che ella ricordasse
a tutti quanti chi fosse, loro malgrado, il Vero padrone di casa.
“Purtroppo alcuni affari mi hanno trattenuta in città
ben più di quanto avessi voluto” ripose quindi la Signora delle Vie “Spero
vivamente che la mia assenza non sia stata considerata nulla di più di
ciò che era” “Un’infelice gestione di priorità?” “Una leggerezza nell’affidare
ad altri ciò che non può che essere fatto di prima persona” “Capisco”. La Nihaar’ì abbozzò un nuovo sorriso comprensivo, nel contempo
tentando di aggiustarsi il cappuccio sul capo: il sole si stava facendo
rovente.
Si chiese per un attimo se la strapazzata potesse
fermarsi a quel punto o dovesse in qualche modo proseguire ma alzando lo
sguardo vide che le altre due Volpi si stavano precipitando di gran carriera
verso di loro apparentemente ansiose di accoglierla, più probabilmente
allarmate dal cambio di colore delle guance della compagna.
Prese un respiro.
Poco male. Prima della fine della giornata ognuna di
quelle serpi avrebbe avuto la propria dose di antidoto contro brama di potere,
superbia ed una notevole smemoratezza nei confronti delle gerarchie.
Terminati i convenevoli, tutte e tre le Volpi
lasciarono che la Veggente si occupasse del popolo che lì si era radunato per
venerarla. Ferma nella piazza, fu dunque suo onore dare il via allo Sivrash, la filatura, cerimonia che ogni anno
portava l’arazzo all’interno della piazza principale ad espandersi di nuovi e
meravigliosi intrecci multicolori. Per ore intere ella non dovette fare altro
che rimanere seduta al centro della mirabile opera, mani e piedi a contatto con
il prezioso tessuto mentre con voce modulata intonava una litania di
benedizione a breve replicata da tutti i cittadini presenti.
Quel canto avrebbe purificato non solo l’arazzo, ma
anche tutti coloro che lo stavano filando, le macchine utilizzate, i
costruttori delle stesse, i tintori delle sete e via discorrendo, in un
invisibile intrecciarsi di ruoli e incarichi gravitanti attorno a quell’attimo.
Solo al termine di quella lunga ed estenuante
cerimonia il grande corteo prese a dirigersi verso l’ultima, ma non finale,
meta del pellegrinaggio della Nihaar’ì: il Tempio
della Veggente. Ad ogni fedele sarebbe stato concesso di seguirla fino alle
immense porte della struttura; una volta oltrepassate, solo i Nobili e maestri
del Culto avrebbero proseguito con lei.
Edereth e Mathias avanzavano solennemente ai suoi fianchi, mentre Shayarin seguitava a breve distanza a sua volta seguito da
un Zaphil dall’aria insolitamente tesa e agguerrita.
Dallo sguardo - impossibile abbozzare anche solo un
rapido scambio di battute a causa della fitta di ritualità cui ella era
costretta ad attenersi - pareva preoccupato per qualcosa. O arrabbiato per
un’altra. Che fosse per via della gente riunita? O per le Volpi?
Eppure era cosa assai strana che Zaphil
mostrasse così apertamente le proprie passioni...
Sospirò. Poco male. Se fosse stato davvero importante,
probabilmente avrebbe trovato il modo di metterla al corrente.
Così, dopo lunghe ed accaldate ore di viaggio, il
corteo giunse al Tempio della Veggente, luogo ove il tradizionale colore Rosso
destinato alla tintura delle Vele veniva lavorato.
Entrando, una lunga scala fiancheggiata da due file di
colonnati li accolse, costringendo tutti quanti ad una silenziosa discesa.
Alla sua destra, Mathias
attirò discretamente la sua attenzione “E’ per la lavorazione della Tinta che
il tempio è stato scavato al di sotto del livello della città. Il calore
eccessivo della superficie provoca infatti una evaporazione troppo rapida del
colore impedendone il fissaggio con le altre componenti che ne donano il
caratteristico tono brunito“ Per quanto egli fosse già sulla sessantina,
l’aspetto di Mathias era ancora gradevole e vigoroso,
proprio di coloro che abbiano nel cuore un attaccamento alla vita fuori dal
comune “Sottoterra invece si creano le caratteristiche ideali di umidità e
temperatura per la perfetta miscelazione. Ora sentirete”
E mentre attraversavano una delle tante Volte che, via
via più strette, dividevano la discesa in comparti sempre più piccoli e
angusti, ecco giungere improvvisamente sulla pelle una vera e propria
sensazione di denso umidore, avvertibile sul viso quasi come un muro dall’odore
pregno e pungente.
L’uomo sorrise appena notando la sua lieve esitazione
“Scala e Volte hanno proprio la funzione di intrappolare il vapori quaggiù e
con essi” attese che una nuova sensazione, questa volta di freschezza via via
più evidente, premesse ancora una volta sul viso della Nihaar’ì
“Anche il fresco sotterraneo”.
“Davvero impressionante” non poté che confermare la
ragazza mentre per la prima volta in quella giornata trovava un po’ di sollievo
dal caldo onnipresente.
Ed infine, dopo lunghi minuti di discesa dominati
dall’affievolirsi sempre più delle luci circostanti - ad un certo punto la luce
naturale venne sostituita dalle torce - il corteo giunse finalmente all’ultima
stanza, sorpassata la quale rimase solo la bianca scala ad aprirsi a ventaglio
in una passerella posta a pelo d’acqua. Al di là di essa, acqua.
“Come potete vedere” fece nuovamente capolino la voce
di Mathias al suo fianco “Il bacino è diviso in
vasche nelle quali vengono via via aggiunte le sostanze addensanti. Questa” ed
indicò con un vago gesto della mano l’acqua attorno a loro “E’ l’ultima vasca,
terminata la quale la tinta viene inviata mediante canali di scolo alle camere
di tintura non molto distanti da qui”
Sarà...
La Veggente lasciò che un brivido le scorresse lungo
la spina dorsale in un lungo, quasi doloroso, condensarsi di ammirazione e
terrore al contempo.
Ma a causa della scarsa illuminazione - l’idea era non
disturbare in alcun modo le condizioni climatiche di quel luogo - più che in un
tempio a lei pareva ora di trovarsi semplicemente dinnanzi ad uno sterminato,
imperscrutabile lago rosso sangue, dalla Terra scaturito quasi che essi ne
stessero ammirando non un anfratto ma una vera e propria vena pulsante.
Nella penombra sanguigna, la Nihaar’ì
contemplò a lungo ii riflessi delle torce creare sfarfallii rubino sulla
superficie immota, archi di luce che come creature abissali si muovevano per
poi scomparire nell’oscurità. Rabbrividì.
“Tutto è pronto, Somma Nihaar’ì”
le si rivolse ancora una volta Mathias con voce calma
e profonda.
Il rituale stava per cominciare.
A breve i Tintori avrebbero intonato il canto
cerimoniale con cui erano soliti benedire la Tinta e lei, di bianco vestita,
non avrebbe dovuto far altro che immergersi in quelle gelide acque e scomparire
in esse, l’unirsi di corpo e colori a consacrare entrambi.
Annuì piano.
“Uhe’yelzysat”
congedò le Volpi, lasciando che esse, ritirandosi, la lasciassero sola dinnanzi
al mare sanguigno. Poi aprì piano le braccia le vesti che al contempo si
schiudevano a ventaglio attorno a lei. Ed infine, in un respiro senza fine,
ella discese l’ultimo gradino poggiando la punta del piede sulla passerella
alabastro.
Fu in quella che il canto ebbe inizio, tremante e
soffuso come quello delle madri che intendano addormentare il proprio piccolo
fra le braccia. E dunque lo coccolino teneramente, senza disturbarlo,
cullandolo con voce bassa e suadente dominata da note basse e tristi.
Rabbrividì. La pietra era gelida, ruvida al tatto.
Poi avanzò di due passi, la mano destra che saliva al
cappuccio facendolo ricadere sulle spalle.
T’voghluysyhet lini Datastani
orvakapakts’ut’yamb. Tyesond’i e arraspelnaynory
,
aynmitk’y , vorgishery. Vor ch’i hasnumstverits’ ,
yevnrank’ khlelbolorpargevykyank’i yevyeraz.
Mentre avanzava, mente e pensiero uniti nell’unanime
tensione dell’attimo, la Nihaar’ì si ritrovò solo per
un istante a ricordare il suono di quel sogno, di quella voce.
“Odayn...Dove
stai andando?”
Dove sto andando? Ripeté al limite
dell’incoscienza.
Poi allungò un piede, un altro, e a lenti passi si
lasciò semplicemente scivolare nel lago di sangue, freddo e vuoto contro il suo
corpo, le sue vesti, il suo petto.
Respirò ancora.
Dove sto andando? Fece di nuovo la sua
mente.
Dove?
Poi, improvviso, un brivido lungo la schiena.
Qualcosa non andava.
Spalancò gli occhi.
Qualcosa...
Un altro brivido. Lungo. Intenso. E poi una vaga
sensazione di formicolio dietro la nuca, la medesima che si provi nell’essere
inconsapevolmente osservati.
Non poteva interrompere il rituale. Realizzò
tuttavia con una imperiosa nota di panico. Si sentì trarre una lunga, dolente,
boccata d’aria.
“Odayn...Dove
stai andando?”
Difficile definire ora se fosse stata la sua mente o
per davvero una voce a chiamarla; l’attimo dopo ella era sott’acqua, il gelo di
quell’oscurità rubescente ad avvolgerla in una morsa quieta ed opprimente.
Sorda. Vesti, cappuccio, ornamenti ed ogni traccia della sua pesante vita ad
abbandonare improvvisamente il triste peso inferto su di lei per librarsi
leggere tutt’attorno alla sua figura sospesa nel vuoto.
E poi eccola, la presa forte di due mani afferrarla
inaspettatamente per le spalle e tirarla a forza fuori dall’acqua come un
cucciolo in balia delle correnti.
“C’è un problema” sentì sillabare una voce alle sue
spalle - Zaphil, riconobbe solo dopo qualche attimo -
prima che ella, disorientata avesse il tempo di aprire gli occhi.
Si paralizzò.
Tutte le fiaccole erano state spente.
“Zaphil” tremò “Che succ..” “Alcune Ombre si sono infiltrate nel tempio”
Per poco non si strozzò con la sua stessa saliva.
“Ombre?” la sua voce le suonò strana alle orecchie. Quasi impastata, molle.
“Hai capito bene” quella di Zaphil
pareva viceversa una frusta nelle sapienti mani di un domatore “Sono entrate
dalle sale di scolo e nessuno ha ancora capito come fermarle. A breve saranno
qui”.
A forza la mise in piedi, concedendole che pochi
secondi prima di intimarle di seguirlo in silenzio. Ma la sua mente,
inaspettatamente lenta come mai era stata, parve puntare i piedi.
“Perché non sei venuto prima?” chiese già senza fiato
per la tensione. Non vedendo nulla, la ragazza non trovò altra soluzione che
aggrapparsi alle vesti di Zaphil.
Lui esitò un attimo “Prima quando?” fece lapidario
“Quando credi sia stato dato l’allarme?”
Suo malgrado, la Nihaar’ì si
ritrovò incapace di rispondere.
Ombre vere. Strinse inconsapevolmente la presa sulle
vesti del Naphil. Mai da che aveva avuto inizio la
sua vita da Veggente si era ritrovata dinnanzi ai figli di Oneiron.
Mai, sebbene i suoi sogni ne fossero costantemente popolati.
Eppure ora che, lo avvertiva con pericolosa chiarezza,
si trovava ad un passo dall’incontrare per davvero ciò che per destino o
semplice casualità l’aveva resa ciò che era... seppe che nulla di ciò che ella
aveva vissuto nei suoi Nayell’aveva
preparata a quel momento. Né le lunghe lezioni alla Torre. Né i suoi lunghi,
estenuanti, sguardi al futuro.
A fatica tentò di non inciampare nelle vesti ora umide
e pesantissime mentre con ampie falcate sentiva Zaphil
affannarsi per riguadagnare la zona asciutta della passerella.
“Non è saggio utilizzare l’entrata principale” lo
sentì borbottare più a se stesso che a lei quando, finalmente, entrambi furono
in grado di scorgere nell’oscurità la sagoma della scala alabastro.
Poi si girò verso di lei “Sarà anche meglio togliersi
di dosso queste vesti inzuppate” aggiunse allungando nel medesimo istante le
mani verso il suo petto per aprirle il pesante manto ora totalmente
inzaccherato. Lei si ritrasse di scatto “Zaphil!”
esalò con una punta di panico. Malgrado il momento, fu quasi divertente notare
la consapevolezza di Chi lei era e cosa voleva dire fare nuovamente
capolino sul viso di lui. L’attimo dopo eccolo chinare lievemente il capo in
segno di scusa.
“Ciò che dobbiamo fare ora è correre” replicò tuttavia
“A voi la scelta se farlo con quelle vesti pesanti e fradicie o meno” una
pausa, poi un mezzo sorriso sghembo. Il suo sorriso “Sappiate però che
in genere le ombre non sono affatto propense a risparmiare le persone solo perché
affette da gravi handicap motori”.
In breve le vesti caddero con un tonfo umido a terra,
Veggente e Naphil che si lanciavano a precipizio
lungo la scala ora totalmente avvolta nell’oscurità. Per i primi momenti
entrambi tentarono di avanzare silenziosamente per non farsi scoprire, ma
quando fu chiaro che essi erano gli unici fuggitivi presenti - ma dove erano
finiti tutti quanti? - decisero di abbandonare ogni timore in favore
della velocità di allontanarsi.
Poi Zaphil prese una via
laterale che scendendo la Nihaar’ì non aveva notato.
“La maggior parte delle stanze che avete attraversato hanno uscite segrete” le
spiegò con il fiato in gola “Tutti gli altri si sono diretti per quelle più
vicine ma io credo che queste” in quella incontrò il muro pallido e subito
cominciò a tastarlo con dita tremanti.
Mentre si spostava con affannosa rapidità, le sue dita
lasciavano tracce sanguigne sulle pareti. La Nihaar’ì
rabbrividì suo malgrado, il panico che come mano invisibile le stringeva attimo
dopo attimo dita invisibili attorno alla gola.
Clac.
“Siano le migliori”.
Allo schiudersi dello stretto passaggio entrambi vi
entrarono quasi con un balzo per poi immobilizzarsi immediatamente. Ovviamente,
esso era ancor più buio di quello che avevano lasciato.
“Statemi vicina. Non desidero in alcun modo che vi
perdiate in questa oscurità”
sillabò lui. Dal riverbero prodotto dalla voce,
si trovavano in uno spazio davvero angusto, grande abbastanza da far a
malapena passare una persona in piedi.
Chissà se i costruttori avevano pensato a questi
passaggi per queste specifiche esigenze...
Poco dopo eccoli incontrare una nuova parete e con un
nuovo Clac uscirne ritrovandosi così in uno spazio
ben più ampio di quello ora abbandonato.
“Questa è la parte Est del tempio, quella che da ai
canali di fissaggio” le spiegò il Naphil
costringendola subito dopo a nascondersi dietro ad una colonna non molto
distante.
Ansimò lasciarsi subito cadere come un sacco vuoto a
terra e lì, dolorosamente, respirare tutta l’aria che i suoi polmoni le
ricordarono improvvisamente di bramare più che mai. Si trovavano all’aperto,
ora, l’oscurità circostante dovuta al progressivo calare della notte. Una
foresta di colonnati si innalzava fitta attorno a loro, donando una sfumatura
azzurro pallido alla penombra attorno a loro.
Ansimò a fatica, la risalita precipitosa che solo ora
cominciava a mostrare i suoi effetti sulle gambe dolenti. Il fianco le bruciava
da impazzire. Ma con l’attenuarsi del suo respiro e del sordo rombo del cuore
nelle orecchie, eccoli.
Come grilli disturbati da un improvviso rumore, eccoli
pian piano ricomparire i respiri di altre persone nascoste tutt’attorno a loro.
Si accigliò. Per un assurdo motivo, aveva davvero
pensato che lei e Zaphil fossero stati i soli a
fuggire incolumi dal Tempio. Chissà dove si trovavano ora le Volpi...
L’improvvisa stretta al braccio del Naphil la fece sobbalzare.
“In piedi” fu il secco ordine. Si sporse per qualche
attimo oltre il profilo della colonna e solo dopo qualche secondo, le rivolse
un cenno di assenso.
Passo dopo passo, presero nuovamente ad avanzare.
“Per ora sembra tutto tranquillo” commentò lui in un
sussurro “Probabilmente i Danzatori le avranno attirate lontano...”
E fu allora che svoltando un angolo se la trovarono
davanti.
Alta tre volte la loro altezza, nera come pece eppure
trasparente al contempo, ella si stagliò su di loro in tutta la propria
immensità, scure e velate propaggini a vorticare attorno alla sua figura come
vento invisibile spirante antistante i suoi arti colossali.
Per una stupida associazione di idee la Nihaar’ì si ritrovò quasi a pensare ad un qualche animale
su quattro zampe, forma e posizione a ricordare un felino o qualcosa ad esso
simile. Al suo fianco, Zaphil ebbe come un fremito
contratto. La mano stretta alla sua che perdeva improvvisamente calore.
Per un attimo la figura si limitò a fissarli,
immobile.
Che il rosso della Tinta la stesse tenendo lontana?
Non era forse questa la sua funzione?
Poi, vaga, di nuovo la sensazione alla base del collo.
Ma non aveva terminato il rituale...a conti fatti
quella era solo tinta rossa. Scura e inutile tinta.
I grandi occhi scuri della creatura, neri come
fuliggine e tuttavia profondi come l’abisso le scoccarono una lunga, intensa,
occhiata.
Eppure lei era la Veggente...
“Odayn” la fece sussultare
la voce di Zaphil. Sentire il suo nome in
quell’istante, il suo vero nome, la allarmò più di quanto non potesse
fare quella creatura di per sé “Fuggi. Io farò in modo di distrarlo”.
Suo malgrado, la Nihaar’ì
non si mosse.
“Odayn” la richiamò lui con
una punta di stizza “E’ questo il significato della mia vita. proteggerti. Non
umiliarmi impedendomi di farlo”
Incapace di parlare la ragazza si ritrovò, tuttavia,
ad annuire. La sua mente si rifiutava di comprendere ciò che lui le diceva, ma
il suo corpo conservava un vago senso di ubbidienza a forza inculcatele negli
anni.
Quindi eccola suo malgrado, compiere un passo indietro
onde guadagnare una distanza sufficiente a spiccare un balzo e fuggire. Eccola
provare a farne un altro, più lungo, le vesti fradicie che sgocciolavano
ovunque creando una graziosa parodia di suono. Eccola saggiarne un terzo,
lunghe apnee ad impedire di compiere un respiro decente. Ecco...
Si bloccò.
Figure immobili sostavano ai margini della sua vista.
Figure nascoste, paralizzate dal terrore. Figure che tuttavia - ironia del
destino - le parve improvvisamente prendessero forma e fattezze assai più
definite. Così furono in un attimo volti, occhi, nasi e sguardi tremanti,
atterriti, spauriti. Furono l’ambasciatore. Furono Edereth.
Furono.
No.
Asiya.
Rimasta fino ad allora nello stuolo dei Nobili pronta
a sostituirla, probabilmente la ragazza non aveva avuto modo di fuggire,
bloccata come loro dall’imprevedibile sopraggiungere delle Ombre.
Asiya.
Ed eccolo. Lo spezzarsi dell’attimo, della
concentrazione, della ragione. La lieve esitazione che trasforma un piano
perfetto -seppur suicida- in un disastro epocale.
La Nihaar’ì ebbe appena il
tempo di voltare lo sguardo e vedere in tutta la sua potenza l’Ombra scagliarsi
su di lei e su Zaphil, un balzo grande come una vita
intera a ghermire entrambi nella morte più che certa.
La voce è limpida e chiara. E’ suadente seppur affatto
sforzata. Ed è confortevole, pregna di quella stessa familiarità che si
riconosce alle cose proprie, alle cose di casa e alle persone che da sempre
riempiono la nostra vita.
E’ la voce che ella aspettava. Realizza dopo un
attimo. E finalmente sentirla la riempie di una gioia tanto primitiva da
risultarle intollerabile.
Per un secondo avverte il desiderio di piangere. Poi
ci ripensa. E allora sorride come una sciocca, certa che così facendo ogni cosa
sarà forse più semplice, più sopportabile...anche la gioia.
“Tu non hai idea di cosa sia stato” esala. Si
interrompe. Le parole sono sassi pesanti che dal suo stomaco gorgogliano senza
sosta pretendono di uscire. A lungo lì rimaste eppure restie a vedere ora
nuovamente la luce del sole. Ma ella vuole parlare. Sa che deve parlare.
Glielo deve.
“Non hai idea di cosa sia stato...senza di te” esala
strozzandosi un poco sul finale “Solo adesso..solo
ora...”
Eccoli finalmente...i colori. Prima scomparsi. Ora
ritrovati.
Si interrompe, un brivido di freddo a solcarle la
schiena giungendo fino alla nuca. Eppure sente il caldo, là fuori. E dunque
come mai dentro ella prova così tanto freddo?
Ma la voce altra le risponde sottile, benevola,
consapevole.
“Non esistono colori per chi non guarda” esala leggera
“Non esiste gioia, per chi non desidera provarla”
Fu lo sguardo di Zaphil ad
accogliere il suo risveglio.
Lui, una smorfia di puro panico a trasfigurarne viso
ed abbraccio insieme. Lui ed il suo calore avvertibile nonostante le vesti
bagnate di Tinta e sudore.
Lui, che malgrado il divieto imperituro di toccare la Nihaar’ì ora la stringeva a sé come se ella potesse
spezzarsi da un momento all’altro. E che nel vederla aprire gli occhi non potè proprio trattenersi dal sorridere gentilmente di
sollievo e tristezza per poi stringerla appena di più.
Era troppo intontita per dirgli che così facendo
sarebbe stato lui e non la stanchezza a spezzarla definitivamente.
Sospirò, sbattendo piano le palpebre.
E solo allora si accorse di un particolare affatto
trascurabile di quel quadretto consolatorio. Non aveva alcuna fascia sul viso.
Istintivamente fece per portarsi una mano al volto ma
il Naphil scosse la testa.
“Non preoccuparti” la sua voce le arrivò lontana e
ovattata, quasi che egli le stesse parlando a miglia di distanza “Ho dato
ordine che nessuno si avvicini”.
Sollevata, la mano ricadde nuovamente nel vuoto.
“Sto...” lui annuì “Si, stai bene..” una esitazione
“Credo”
Credo?
Socchiuse e riaprì le palpebre una volta.
“Cosa vuol dire credo?” sussurrò piano. Lui parve
rifletterci qualche secondo “Dopo ciò che hai fatto dubito potrei accertarmi
delle tue condizioni fisiche senza sbagliare”
Voleva semplicemente essere rassicurata, ma la
risposta di Zaphil non ebbe altro effetto,
ovviamente, che metterla ancora di più in agitazione.
“Cosa” esitò “Cosa vuol dire....dopo ciò che hai” “Sta
tranquilla” la interruppe rapido Zaphil accorgendosi
del suo errore. Le sorrise ancora “Ora la cosa più importante è che tu ti
riposi e riprenda le forze.”
Ma con lo snebbiarsi della mente, fu con un sussulto
che la Nihaar’ì si irrigidì ancor più nelle sue
braccia.
“Ma le Ombre, l’attacco...” esalò con il cuore in
gola. “Shhhh” la blandì lui calmo “E’ tutto a posto.
Siamo al sicuro”
Al sicuro?
Per un attimo la Nihaar’ì
meditò sul trovarsi ancora in uno dei suoi sogni da Veggente. Uno di quelli in
cui le cose che la turbano vanno a posto ed ella può semplicemente ridere delle
situazioni attuali apparenemente senza soluzione. Si
accigliò.
Stava Sognando?
Si morse un labbro, scoccando una nuova occhiata
interrogativa al Naphil. No. Non stava sognando.
“Zaphil. Guardami” lo
incalzò “Dove sono le Ombre?”
Se non fosse stata così vicina, avrebbe faticato a
notare il lieve sorriso che in quella attraversò lo sguardo di lui. “Sono
scomparse” una pausa “Semplicemente scomparse” aggiunse ora con una nota di
divertimento.
“Scomparse” ripetè lei,
quasi che sillabando la parola questa avesse potuto rivelare un significato
diverso da quello che lei, certamente sbagliando, aveva inteso. Ma lui annuì
piano “Scomparse” “Volatilizzate” “Volatilizzate” “Svanite” “Odayn” la redarguì lui facendola sussultare “Non ci sono
più”
Ancora una pausa, lo sguardo di lei che passava dall’incredulo
al diffidente per poi arenarsi sullo scettico.
“E come avrebbero fatto?” Dal sorriso che
improvvisamente si librò sulle labbra di lui, la parte più bella stava
probabilmente qui.
“Sinceramente...non ne ho idea” fu la netta risposta.
Inutile dire frasi come “in che senso?” o “come?”. Per
qualche ancestrale ragione la Nihaar’ì aveva inteso
che quello era l’unico momento nella vita il cui il Naphil
le stava dicendo la verità. O almeno...qualcosa che suonasse come tale.
Ma la fame di dettagli, spiegazioni e altro ancora
doveva spettare. Il pensiero che ora più premeva nella mente della Nihaar’ì era un altro.
“Dov’è Asiya?”
Era certa di averla vista poc’anzi nella sala. Ma ora
il fatto che non ci fosse la stava riempiendo di un vago, per quanto immotivato,
senso di apprensione.
Notare l’espressione accigliata del Naphil non contribuì a migliorare la cosa. “Asiya?” chiese questi con voce incerta per la prima
volta alzando lo sguardo da lei per farlo vagare nella stanza.
La Nihaar’ì non attese il
vederlo riabbassarsi privo di una qualche risposta positiva per tentare di
rimettersi in piedi. Ma la presa dell’altro fu inamovibile.
“Non la vedo” esalò dopo un attimo “Ma sono certo che
a breve la troveremo. A memoria le avevo detto di rimanere nelle retrovie
durante lo svolgimento della cerimonia.” le scoccò un’occhiata dura arrestando
ancora una volta i suoi tentativi di divincolarsi “Nelle retrovie con gli
Araldi. Sorvegliata.” alzò ancora un attimo lo sguardo per poi farlo ricadere
su di lei “Sarà stata portata in qualche luogo sicuro nell’esatto momento in
cui è stato dato l’allarme”
Ma la Nihaar’ì sapeva che
non era così. Lei aveva visto Asiya ad un passo da
lei prima di perdere conoscenza. Aveva visto i suoi occhi sgranati dalla paura,
privi di fascia per la fretta di togliersi di dosso le vesti ingombranti
-eguali alle sue. Aveva visto il pallore della sua pelle, le dita volare al
viso un attimo prima che l’Ombra si avventasse su di loro.
No.
Avvertì, pur non vedendole, le lacrime colmarle gli
occhi mentre la paura la sommergeva come mai prima d’allora.
Asiya non
venne trovata. Quando i guaritori ebbero finito di distinguere i feriti dai
morti, i contusi dai semplici impauriti ella non venne annoverata nel conteggio
totale.
Sparita, fu la constatazione finale, come le Ombre che
per alcun motivo erano riuscite a dilagare entro Hevnan k’an, la città delle
Tinte.
Eccomi ancora qui con un nuovo Capitolo. Qui la voce
narrante passa a Zaphil, il protettore della Nihaar’ì. E’ un esperimento, spero che possa piacervi!
“Siamo stati molto fortunati che il sommo GunarArvestiabbia
accettato di incontrarci. E’ cosa assai rara che egli abbia contatti con
chiunque non appartenga all’ordine dei Tintori” “Immagino a causa della Purezza
che egli deve conservare integra tanto nel corpo quanto nella mente” fece una
voce al suo fianco. Il giovane Kasir annuì una volta.
“Certamente” confermò “Ma anche per altre ragioni.
Sembra infatti che a differenza dei propri predecessori, questo GunarArvesti possieda
un’innaturale passione per il lavoro”
Tutt’attorno alla portantina si accalcavano le genti
di Hevnank’ar, una marea
indecifrabile di visi e copricapi all’unisono immersi in un incessante e teso
mormorio.
Chinandosi appena in avanti, il giovane richiamò
l’attenzione di uno dei trasportatori “Allontaniamoci dal Mercato” ordinò col
ruvido accento dei mercanti “C’è troppa folla per poter proseguire a passo
spedito”.
Occhi celati da fasce e bende multicolori di tanto in
tanto si sollevavano dal mucchio per concedere loro un’occhiata incuriosita,
forse incerti se reputare o meno interessante la vista di due uomini, uno
giovane e l’altro affatto, rigidi sulle sedute di una portantina quasi che
sotto i loro paffuti cuscini vi fossero state pietre e sassi piuttosto che
piume e batuffoli di morbido cotone.
Eppure dall’espressione della Nihaar’ì
si sarebbe detto che quegli affari sballonzolanti non
fossero altro che paradiso per piedi e natiche....
In molti tuttavia conoscevano Kasir,
il primogenito di Mathias, motivo per cui non fu cosa
rara vedere questo o quell’ambulante chinarsi al loro passaggio o ancora
abbozzare un saluto formale. Altri invece lo chiamarono direttamente per nome
sventolando merci e mercanzie dalle più fantasiose origini.
Fu all’ennesimo venditore di scarabei fiutatesori lanciatosi in un rocambolesco inseguimento del
loro mezzo - Un autentico affare, parola mia! Sembrano piccoli, ma non ho mai
visto bestiole più energiche, provare per credere! - che Zaphil non potè proprio
risparmiarsi un sorriso beffardo.
“Evidentemente la passione per il lavoro non è
cosa atipica qui” dovette quasi urlare per farsi sentire dall’altro “Ovunque si
guardi non vedo che gente indaffarata, intenta nei propri affari o in cerca di
altri”.
Al suo fianco, il giovane Kasir
esibì un sorriso tutto denti “E’ così che la gente di Hevnank’ar affronta le proprie paure. Da che le Ombre sono
entrate nel Tempio non vi è stato un solo giorno di riposo fra commercianti,
bottegai, compratori e chiunque qui avesse affari da sbrigare.” Zaphil esalò una mezza risata lapidaria “Si affrettano ad
abbandonare la nave che affonda?” .
L’altro scosse la testa con un ghignetto “Si affrettano
a renderla ancora più forte e solida” la nota strafottente della sua voce
piacque all’altro “Non è cosa delle genti di qui arrendersi dinnanzi alle
avversità.” una pausa “E poi tutti sanno che lavoro e fatica allontanano le
paure e le tristezze meglio di qualunque medicina o anestetico”.
Anche se di poco, l’espressione di Zaphil
non potè che irrigidirsi. Voltò istantaneamente il
capo dall’altra parte, osservando senza in realtà vederlo un gruppo di giovani
che si contendevano un grosso serpente irto fra di loro e pronto ad attaccare.
L’animale aveva manto color sabbia e sfumature rosso vivo.
Avvertì gli occhi di Kasir
indugiare su lui qualche istante prima che anch’egli si voltasse dall’altra
parte. Sospirò.
Dunque le Volpi erano a conoscenza del motivo per cui
la Nihaar’ì ed il suo corteo si stavano trattenendo
ad Hevnank’ar da alcune
settimane.
“Pensate che anche il nostro GunarArvesti sia stato conquistato dalla febbricitante
atmosfera dilagante in città?” chiese dopo un attimo modulando la voce affinché
simulasse un tono calmo e rilassato. Solo un po’ goliardico.
Beh, c’era davvero poco di cui stupirsi. In
quell’amabile covo di serpi non esisteva muro, servo o sguattero sulla cui
testa non spiccassero grandi e pelose orecchie da “Volpe” diligentemente
utilizzate per udire e riferire ogni sillaba che venisse malauguratamente
proferita.
Il giovane Kasir ricambiò il
sorriso con uno decisamente più accattivamente “Spero
vivamente di no. Voci riferiscono che egli sia il primo a giungere e l’ultimo
ad andarsene quando si tratta di seguire le fasi più delicate della tintura”
Voci. Zaphil annuì una volta. Ovviamente.
“Ma non temete. Per voi farà di certo una pausa. Non
capita tutti i giorni di ricevere la visita del Naphil
più potente di Harryan” una lieve esitazione “Sebbene
per un’occasione così nefasta”.
Ancora una volta, Zaphil non
potè proprio trattenersi dal sorridere bonariamente
al suo giovane interlocutore.
Kasir, figlio di Mathias, il
Signore delle Miniere.
A dir poco brillante, in quella mattinata soleggiata.
Certamente destinato ad una durevole quanto promettente avvenenza, un domani.
Un giovanotto non del tutto disonesto eppure già troppo desideroso di seguire
le orme del padre per potersi conservare in tale stato ancora a lungo, fra
qualche anno.
Ma in sostanza, nulla più che un cucciolo di volpe,
ora.
Sospirò piano, quietamente, con la medesima flemmatica
indolenza che ci si riservi nell’osservare un’opera astratta, bella eppure di
difficile comprensione.
Curioso che il paparino e gli altri con lui si fossero
arrischiati ad usarlo a discapito di individui più esperti per tenere a bada
lui, lo scagnozzo della Veggente. Che avessero sperato in un cuore
tenero? Un mastino ben addestrato e tuttavia incapace di affondare i denti nei
primi, goffi, agguati, di quel volpacchiotto tutto sorrisi e moine?
Lentamente, Zaphil socchiuse
gli occhi, uno scorcio di luce che fendeva le sete della portantina inondandolo
per un attimo di un caldo bagliore ambrato.
Probabile. Anzi. Più che possibile.
”Ombre e morte non sono novità per coloro che non si
affrettano a dimenticarle” riprese dunque con voce ora più grave, una mano che
andava a sollevare i veli posti a protezione della seduta per meglio osservare
il paesaggio circostante “Rinnega una di queste, e con esse rinnegherai anche
l’uomo che sei divenuto affrontandole”
Volse lo sguardo in direzione di Kasir,
trovandolo ora nuovamente concentrato su di lui. Aveva labbra appena carnose,
accattivanti - immaginò - sul suo viso spigoloso.
“Non è dell’oblio che parlavo” obiettò questi dopo un
istante “Ma della forza di volontà. Della speranza”.
Zaphil si accigliò “Ma cos’è la forza di volontà se non
l’accanirsi contro l’ineluttabile profezia del destino?” scosse la testa con
noncuranza, il tremolio della portantina ad annunciare che il loro viaggio
fosse appena giunto al termine. L’altro tuttavia non si mosse, così il Naphil gli tese una mano in un invito benevolo.
“Perdonate la mia franchezza” si scusò “Non era mia
intenzione recarvi offesa con parole crudeli, ma sfortunatamente per voi la
signora Età ha spesso la cattiva abitudine di sottrarre cordialità e donare in
egual misura cupi pensieri e fosche parole ai suoi protetti.” ammiccò “E molti
dicono che io sia in assoluto uno dei suoi preferiti”
Nel mezzo sorriso che ne seguì - titubante come il Naphil sperava esattamente fosse - l’altro afferrò la sua
presa per poi abbozzare un mezzo inchino col capo.
Un piccolo trionfo, nulla più. Dovette suo malgrado
ammettere. Giacché piccoli trucchetti di oratoria a danno di un ragazzino non
potevano valere quale bottino di una guerra che i suoi antagonisti si stavano
ben guardando dal disputare contro di lui.
Tuttavia era fiducioso.
A breve il giovane erede avrebbe comunque trovato la
forza di sorridergli più ampiamente, scrollare le spalle e con una battuta
sagace fare in modo di dimenticare quel vago senso di imbarazzo che attanagli
l’animo di chi si ritrovi inaspettatamente manchevole in una situazione ben più
ardua delle previsioni.
Ma con una mano a poggiarsi improvvisamente sulla sua
spalla, il ragazzo lo stupì.
“Siete un uomo molto astuto, ve ne do atto” lo
apostrofò con piglio leggero “Eppure se fossi in voi mi guarderei bene dal
confidare troppo nelle vostre capacità. Assieme alla cordialità, potreste un
giorno ritrovarvi a scoprire che la Signora Età vi ha sottratto ben più di
quanto pensiate in questi lunghi anni di Veglia” tenue, il serrarsi delle sue
dita contro la nera stoffa “E se non voi, quanto sarebbe disposta a rischiare
Lei per la vostra supponenza?” poi improvvisamente eccolo mutare nuovamente
espressione mentre i suoi occhi si tingevano del profilo di due figure in
avvicinamento. Si chinò una volta, lungamente, lasciando solo allora che il
loro contatto si spezzasse.
“Spero con tutto il cuore che la Somma Nihaar’ì si possa riprendere in fretta. Uhe’yelzysat”.
Guardarlo allontanarsi a passi leggeri nella polvere
fu un lusso che il Naphilpotè
concedersi per pochi, fugaci, secondi prima che due donne di umili vesti ed ancor
più semplici tratti invadessero il suo campo visivo.
Rasate e vestite di nulla più che rossi tessuti
aderenti a busto e gambe, esse mimarono un sincrono inchino prima di alzare le
braccia e toccare in sequenza occhi, bocca e petto.
Naphil notò subito che spalle, piedi e polpacci di entrambe
erano di un candore quasi latteo, innaturale.
“Voryersyel,
Sommo Zaphil” lo apostrofò dopo un attimo la più
minuta delle due. Aveva voce grigia e roca come di di
chi non avesse parlato da lungo tempo “E’ un onore ricevere la vostra visita”
Il Naphil ebbe cura di chinare appena il capo
replicando la formalità dimostrata dalle due “Voryersyel. Mi è stato detto che il vostro GunarArvesti avrebbe acconsentito a ricevermi” replicò in
un sorriso.
Nuovo inchino.
“Così è” fu la semplice replica “Il Maestro
Tintore è ansioso di incontrarvi”.
_____________________________________
Scesero a lungo per gli ampi canali che portavano alle
sale di filatura e tintura dei tessuti.
Le donne davanti ed il Naphil
subito dietro, tutti e tre avvolti dalla scura penombra di vie in lenta eppure
costante discesa nel sottosuolo, torce e lumi a rischiarare il pallore di
stanze e corridoi candidi come neve.
Pur simile a quella del Tempio della Veggente, questa
struttura appariva assai meno elegante e ricercata della prima, un andamento
spiraleggiante ad ispirare l’impressione di trovarsi in una gigantesca vite
arrotata all’interno del sottosuolo.
Frescura e silenzio divennero presto dei benvenuti
compagni di viaggio fino al momento in cui in lontananza presero a risuonare
sordi e costanti rumori meccanici, dapprima tenui come cicaleggio indefinito,
ma via via sempre più potenti fino a divenire insopportabili nell’istante in
cui tutti insieme i tre varcarono le soglie di una stanza immensa,
completamente gremita di Telai in movimento.
Il filato, completamente rosso, colmava di rubini
drappeggi aria e pavimento, spezzato solo dall’ordinato schieramento di Telai e
sagome umane al loro seguito, due o tre per macchina.
La donna più alta si volse verso di lui in un nuovo
silente inchino “Aspettate qui” esalò con la medesima voce gracchiante
dell’altra -che le costasse fatica o dolore parlare? “Presto il
Maestro giungerà ad accogliervi” e detto questo entrambe lo lasciarono solo,
libero finalmente di guardarsi intorno senza il riserbo che la sua condizione
di ospite gli imponeva.
Fu allora che notò l’acqua.
Raccolta in piccoli e grandi bacini. Condensata a
pareti e canali di raccolta artificiali. Convogliata in piccoli rigagnoli
scavati direttamente nel pavimento. Limpida. Scrosciante.
Abbondante.
Un miracoloso segreto che il Naphil
ricordò di aver scoperto per puro caso solo qualche anno prima quando, immerso
in infruttuose ricerche a proposito di Himnakan e
delle sue origini, aveva notato una frase di poco conto a margine di un librone
intitolato “Tempere e saline, il segreto dell’arte melodica”:
“Puro di intenti e manifestazioni, il Rosso Tessuto
trae la propria vita dalle medesime mani che tessono e danno origine alla sua
esistenza. Esso è il cuore, i pensieri e le parole dellatto stesso del Filare.
Ed è per questo che un solo pensiero impuro, una sola macchia basterebbe per
deturparne per sempre la finalità ultima. Così i Tessitori vivono in un regno
di pace e silenzio allontanando ogni attimo macchia e sudiciume da se stessi,
per l’eternità”.
“A vederla, non si direbbe che Himnakan
sia una terra di siccità e privazioni”
La voce del GunarArvasti lo sorprese mentre affondava una mano in un’ampia
bacinella colma fino all’orlo. Rabbrividì all’unisono per la freschezza del
liquido e per il tono usato: freddo e misurato come la punta di uno scalpello
ad inchiodarsi su pallido marmo. Alzò gli occhi e fu con una punta di sorpresa
che si ritrovò dinnanzi ad una donna sottile e asciutta, una corporatura
nervosa ad intravedersi appena fra ampi drappi color sangue.
“A vederla, chiunque faticherebbe perfino ad
indovinare di trovarsi su Himnakan” replicò dopo un
attimo il Naphil facendo per ritrarre la mano.
Tuttavia lei lo fermò con un’occhiata.
“Giacchè volete onorare le
nostre antiche tradizioni”
Una pausa. Fatelo fino in fondo.
“Lavate mani e piedi”
Una pausa. Poichè
così come siete insudiciate perfino l’aria che vi circonda.
Pur non udendole, fu come se quelle parole mute
fossero per davvero uscite dalle labbra della GunarArvasti. Zaphil le percepì in
quei silenzi modulati, pensosi, propri di chi sia abituato ad usare voce e
parole solo quando fosse strettamente necessario.
Quando ebbe portato a termine il “rituale”, il Maestro
delle Tinte lo invitò a seguirlo, i piedi nudi a seguire l’unico tracciato
percorribile in quella ragnatela di filati purpurei. A poca distanza, Zaphil si prese qualche istante per scrutare la sua nuca
glabra, le spalle tese e pallide ed infine le braccia affusolate, candide fino
all’avambraccio oltre il quale l’uomo intravide lo snodarsi di profonde e
diffuse cicatrici.
Si accigliò.
Parevano quasi corolle di fiori sbocciati sottopelle e
lì rimasti imprigionati come in attesa.
Schivò abbassandosi una serie di morbidi filamenti
sospesi all’altezza della testa.
Fiori carnosi, appena in rilievo sullo spessore della
muscolatura quasi che il fuoco vi avesse poggiato sopra le proprie labbra
incandescenti per disegnarli.
Bellissimi. Dovette suo malgrado ammettere per quanto fosse orribile
credere che una simile deformità potesse dare pregio ad un corpo di per sè avulso di qualunque imperfezione.
Eppure...
Scostò lo sguardo nell’esatto istante in cui la donna
si voltava per incontrare il suo ed indicare con un movimento leggero le canaline
d’acqua che ovunque in quella stanza percorrevano il pavimento.
“Osservate”
Ad intervalli regolari, tutte le figure radunate
attorno ai Telai si allontanavano dal proprio lavoro per intingere mani e piedi
nell’acqua. Alcune arrivavano a detergersi anche viso e collo. Poi, così
ripulite, tornavano al lavoro come se nulla fosse.
“Lavano via la Tinta dal corpo?” ipotizzò Zaphil voltandosi nuovamente verso la GunarArvasti. Lei abbozzò un sorriso mesto, invitandolo al
contempo a procedere.
“Anche” gli concesse poi dopo un attimo “Ma non è
sull’atto in sé che dovreste concentrarvi”
Una pausa. Quanto più sul suo senso.
“Credete che l’acqua sia fonte di purezza?” ipotizzò
l’altro facendosi più vicino.
Senza più il costante cicaleggio dei Telai, il fruscio
delle vesti della donna era il solo rumore a frapporsi fra loro.
Lei annuì ancora.
“E che il corpo non lo sia affatto” continuò con un
sospiro mentre entrambi si inoltravano ora in una zona meno illuminata delle
altre, dominata se non dalla vita quanto più dai canali d’acqua che ovunque
confluivano come in una grande, foce artificiale.
Suo malgrado, Zaphil
rabbrividì.
“Non è quindi il corpo che difendete dalla Tinta...”
cominciò quindi col dire avvertendo un umido gelo sfiorargli improvvisamente il
viso ”Quanto più la Tinta medesima dagli influssi del Corpo..” Il rosso delle
torce si chiuse allora su di loro in uno sciabordio ovattato.
“Silenzio, ora”
La voce di lei lo fece sobbalzare.
Ed infine tutti e due sbucarono in una sala più ampia,
il soffitto a volta a riflettere riflessi cristallini d’acqua lì raccolta in un
bacino ampio e tranquillo. Piccole torce illuminavano tenuamente l’assenza di
ogni arredo o abbellimento dando ancora più suggestione a quello specchio
purpureo.
Al suo fianco, la GunarArvasti volse lo sguardo verso di lui scrutando per qualche
attimo il suo profilo ora teso di aspettativa. Poi, lentamente, abbassò il
capo.
“Pochi al mondo nascono con la Vocazione di essere
Tintori” la sua voce era poco più che un sussurro “Quasi nessuno riesce per
davvero a diventarlo venendo meno ai desideri del
corpo e dello spirito, alle aspirazioni dei sensi e delle sensazioni” sospirò
“Nessuno, infine, riesce ad esserlo senza provare in vita almeno un attimo di
debolezza. Un istante di esitazione. Noi qui lo chiamiamo ShunjKravy - Il sussurro del fuoco” sbattè le palpebre una volta.
Una pausa. E non finga di non averlo notato, sommo Zaphil.
“Chiamatelo pure Risveglio” esalò dopo un attimo “Giacchè per noi cui è vietato il Sogno esso rappresenta in
egual misura un’eventualità di rovina e degrado” la benda sottile lasciava
appena intravedere i suoi scuri occhi ossidiana “Così, nella speranza di
scongiurare il profetizzarsi dello ShunjKravy è qui che i Tintori vengono per cedere alle acque le
proprie paure ed incertezze, i propri turbamenti e desideri più oscuri” una
pausa “Ed è qui che noi abbandoniamo infine i nostri morti così che il loro
Sognare non divenga mai il nostro futuro Risveglio” indicò con la mano le acque
cristalline nelle quali -solo ora- Zaphil notò
giacere degli scuri involucri di tessuto rosso sangue.
Istintivamente fece come un passo indietro. Al suo
fianco, tuttavia, la GunarArvasti
si inginocchiò alla riva compiendo un gesto di saluto rituale.
Alzò entrambe le braccia a coppa per poi passarle
chiuse sul viso, sul collo ed infine immergerle nell’acqua fino al gomito.
“Henv’ yeraz”
Riposo senza sogni.
“Qui troverete le vostre risposte, Sommo Zaphil” esalò alzando dopo un attimo lo sguardo verso di
lui “Giacché tutti coloro che hanno veduto qualcosa in quella terribile sera
hanno scelto di addormentarsi per sempre in queste acque piuttosto che vivere
nel peccato di ricordare”
Una pausa.
“Non ho potuto fermarli, giacché la Purezza è tutto
per un Tintore. Senza di essa, la Rossa Tela non sarà altro che uno straccio al
vento, imbevuto nel peccato come ogni altro fazzoletto di Himnakan”
Solo lontano dal freddo. Lontano dall’umido. Lontano
da quelle acque immote eppure in costante, instancabile, sciabordio.
Solo quando, con la medesima rapidità di chi abbandoni
una casa in fiamme, Zaphil fu in grado di uscire da
quella stanza e con essa fuggire lo sguardo vitreo della GunarArvasti.
E da fuori riuscire allora a riprendere fiato.
E respirare. Respirare.
E suo malgrado chiedersi come fosse possibile che in
tutta quell’aria non vi fosse affatto spazio per la Sua, la Sua Aria, quella
destinata ad entrare nei polmoni e lì soffermarsi a lungo, docilmente,
consentendogli di sentirsi via via meno male, meno e terribilmente in trappola
in quella buia catacomba priva di finestre e vie d’uscita.
Prima di quell’istante, ricordò di aver avuto la forza
di dire ben poco.
“Mi state dicendo che tutti i testimoni dell’accaduto
si sono...suicidati?” sillabe immobili.
“Le sto dicendo che tutti i Tintori hanno già
dimenticato ciò che è successo”
Una pausa. E chi non l’ha fatto ha da molto posto
fine alle sue sofferenze.
A stento il Naphil si era
trattenuto dall’imprecare “E voi non li avete fermati?”
La donna non aveva nemmeno avuto la decenza di alzare
lo sguardo “Chi sono io per fermare la Volontà altrui? Perchè
dovrei condannare coloro che amo ad una vita di sofferenze e turbamenti?”
“Perché li amate”
Lei aveva allora sorriso piano, docilmente, come se
dinnanzi ai suoi occhi si fosse ora trovato un bambino e non un uomo fatto e
formato.
Una pausa. Dunque meglio una vita di sofferenze che
la morte.
“Mi deludete, Zaphi. lCredete davvero che potendo scegliere, questi Tintori
avrebbero cambiato la loro decisione? Per un Tintore non vi è vita al di fuori
della Purezza. Senza di essa è come vivere una finzione” esalò.
Una pausa. Una lunga, terribile, finzione.
“Avrebbero potuto dimenticare”
“Forse non desideravano farlo”
“Di certo ora non lo sapremo mai, dico bene?”
Lei era rimasta a lungo in silenzio, meditabonda
eppure combattiva nella propria postura rigida, compassata, come una fiera in
attesa del final tenzone per sgominare le sorti del
duello che l’aveva lì intrappolata.
Eppure non fu un balzo che ella osò in ultima battuta.
Né una zampata. E nemmeno un morso. Semplicemente la GunarArvasti si alzò e con una nota amara aprì un braccio
in direzione del bacino d’acqua.
“Per i Morti non esiste alcuna voce se non il Silenzio. Per voi assai troppo
debole per avere importanza, immagino, ma per Noi, noi Tintori, la sola ed
unica Parola che valga la pena udire” nella penombra cangiante, la sua pelle
pareva ora costellata di simboli luminescenti.
“Cercate pure dove volete. L’Ordine dei Tintori vi
sosterrà ed asseconderà in tutto. Fate le vostre domande ed ascoltate le vostre
fantasiose risposte ma ricordate: la Memoria, così come la Coscienza, è un
tesoro assai prezioso ed assai volubile per coloro che ne conoscono il valore”
Probabilmente era stato allora che i suoi pensieri da
irosi si erano trasformati in minacciosi. Ed assai poco amichevoli. E fuori
dalle labbra essi erano parsi suonare addirittura più gravi di come
risultassero viceversa nella mente. Molti avrebbero certamente insinuato che
minacciare una GunarArvasti
non fosse stata una mossa assai saggia per uno nella sua posizione.
Eppure cosa importava? Potevano le cose andare assai
peggio di come stavano già andando?
Imprecò. E imprecò una seconda volta.
Tuttavia non riusciva a non pensare a quell’ultimo
sguardo di lei, della GunarArvasti,
nebuloso tralucere di fiammelle su una pelle deturpata di cicatrici. E quella
sua frase, insinuosa come solo i pensieri meglio
ponderati potevano essere:
“Chi sono io per fermare la Volontà altrui? Perchè dovrei condannare coloro che amo ad una vita di
sofferenze e turbamenti?”
Già, chi era lei? Nessuno. Non era nessuno. E lui? Lui
chi era?
Socchiuse appena le palpebre, l’abbacinante profilo di
Hevnank’ar che prendeva
nuovamente forma dinnanzi ai suoi occhi allucinati. Trasse un profondo respiro,
grato di sentire nuovamente sulla lingua l’arido sentore di sabbia e sale.
Niente, a confronto delle forze con le quali si illudeva
di poter giocare. Nulla, se paragonato alla grandezza dì ciò che invano tentava
di controllare.
“Quali sono gli ordini, Sommo Zaphil?”
al suo fianco, Dzerrk’e si mosse a disagio da un
piede all’altro, evidentemente allarmato dalla tensione che ora crepitava
attorno a lui.
Eppure cosa poteva farci?
Con un gesto automatico Zaphil
abbassò la benda sugli occhi prima di rivolgersi al suo Guardiano.
Gli ordini...
Schioccò la lingua sul palato.
“Perquisite l’intero edificio” ordinò. L’altro parve
tuttavia accigliarsi “I Tintori non lo permetteranno, Sommo Zaphil.
Questo è un luogo sacro”. Questa volta fu il turno di Zaphil
di accigliarsi “Che ci maledicano tutti, allora” replicò lapidario “Non esiste
alcuna autorità che si possa opporre a quella della Veggente e ora” con un
movimento stizzito si strinse nel mantello, una portantina che già si
intravedeva risalire la marea di gente affollatasi fra le vie della città “Io
rappresento quell’autorità”.
Sospirò, la vaga sensazione di sollievo provata
poc’anzi che svaniva in quell’esatto istante con desolante rapidità “C’è
dell’altro?” aggiunse poco dopo.
L’altro si mosse nuovamente a disagio “Le Volpi
attendono ancora risposta circa la presenza vostra e della Nihaar’ì
al banchetto di questa sera”.
Il Naphil avvertì la propria
mascella irrigidirsi istantaneamente.
“Avete inviato comunicazione circa il precario stato
di salute della Veggente?” digrignò impassibile.
Ancora ben lungi dall’arrivare, proprio allora la
portantina parve arrestarsi del tutto nel mezzo della via, una mare di teste a
bloccarla nel viavai generale.
Il Naphil sospirò.
“Certamente” fece l’altro “Ma trattandosi di un
Banchetto proprio in onore della Nihaar’ì,
tutti sperano che ella possa trovare le forze per fare anche solo una breve
comparsa...” “Una breve comparsa?”
Dzerrk’e ammutolì istantaneamente dinnanzi allo sguardo
dell’altro.
Quanta impudenza.Zaphil
schioccò la lingua sul palato. Tanta spavalderia non sarebbe di certo stata
tollerata in altri tempi e circostanze. Mai. Ma ora le Volpi osavano
addirittura richiedere. Osavano perfino insinuare.
Fu un immenso sollievo notare la traballante sagoma
della portantina sbloccarsi finalmente dalla propria immobile degenza e
riprendere il suo faticoso avvicinamento.
Zaphil sospirò.
“Riferite alle Volpi che la Nihaar’ì
ama abbastanza i suoi fedeli da prendere in considerazione il loro gentile
invito”.
Perdonate
il ritardo, in questo mese si sono accavallati un po' di impegni tali
da rendermi un po' difficile scrivere con continuità. Spero
comunque che questo capitolo possa piacervi!
Ringrazio
ancora voi e ringrazio il mio instancabile “correttore di
bozze” sempre pronto al sacrificio per tradurre righe
incomprensibili in frasi italiane.
Baci
Elendil
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“Lei
non andrà”
Fermo
e deciso, il passo del Guaritore Eke’hel era cosa assai
imperiosa da ammirare. La sua voce, egualmente piccata, armoniosa
all’orecchio e al gusto. Ed i suoi occhi, arguti e meditabondi,
assai intriganti e raffinati.
Eppure
Zaphil continuava a domandarsi cosa ancora lo trattenesse dal
prendere più volte a calci quel pomposo sedere da studioso
così da decretare, finalmente, che suono avrebbe fatto un
pallone gonfiato come quello a contatto con il suo piede.
Forse
per quei modi affettati, decisamente più consoni ad alti
salotti che a sudici ricoveri di malati. O forse per quella sua
strana parlantina sciolta e moderata, assai più prodiga di
consigli futili più che di sensate diagnosi. O ancora,
probabilmente per la sapiente vena di onniscenza di cui egli faceva
ampiante uso quale scorta armata di ogni movenza e atteggiamento.
Sospirò.
“Immagino
capirete meglio di me, Guaritore” si interruppe, piccato dallo
sguardo stizzito dell’altro “Che salute e condizioni
fisiche siano disagi di assai poco conto se paragonati a questioni
politiche di una certa rilevanza”
In
uno svolazzo, Eke’hel cambiò improvvisamente direzione
inoltrandosi a passo di marcia in un corridoio dal soffitto
completamente ricoperto di legno istoriato. Nero come le vesti,
Zaphil seguitò a breve distanza.
“Ed
infatti io capisco” convenne il Guaritore senza voltarsi a
guardarlo “Tuttavia dubito che voi facciate altrettanto”
Per
poco Zaphil non inciampò nelle sue medesime imprecazioni.
“Non
credo di doverle ricordare con chi state parlando...” cominciò
col dire “Così come non dubito che sia mio dovere
informarla che è del bene della Nihaar’ì di cui
stiamo disquisendo ora” l’ennesima svolta del suo
interlocutore costrinse il Naphil ad un altrettanto repentino
inseguimento verso un nuovo locale ancor più soleggiato e
arioso.
“Vedete
di non tirare troppo la corda, Eke’hel” fu la dura
replica “Fossi in voi non confiderei troppo nella conoscenza
decennale che ci accomuna per reputarvi abbastanza indispensabile da
non poter essere sostituito”.
Finalmente,
pur impercettibilmente, il passo del Guaritore prese a rallentante
consentendo all’altro di affiancarlo.
“Che
cos’ha?” la voce di Zaphil suonò strana fra li
pallidi colonnati del deambulatorio.
L’altro
non voltò nemmeno il capo “Vi prego” sputò
quasi a terra “Non insultate la vostra intelligenza per
vezzeggiare la mia” Tuttavia dopo un attimo sospirò
incrociando le braccia al petto.
“Sappiamo
entrambi che la Nihaar’ì non ha alcun genere di malanno
fisico”.
Suo
malgrado, Zaphil si ritrovò ad annuire“ Lei però
continua a dire di essere malata” abbozzò con una punta
di stizza. Come uno specchio, l’altro replicò il suo
movimento “Lei non lo farebbe?”.
Sospirò,
passando accanto ad uno stuolo di serve intente a ramazzare
terra da polvere e sporco.
“Certo,
non è la prima volta che la Nihaar’ì perde una
persona amata.” si affrettò ad aggiungere il guaritore
con un mezzo sorriso saccente “Ma è la prima che perde
Asiya. Possiamo biasimarla per qualche capriccio?”.
No.
Certo che no. Dovette
ammettere il Naphil. Ma
la Nihaar’ì non poteva essere Nihaar’ì solo
ogni tanto. Solo qualche volta.
“Sarei
uno sciocco se lo facessi” dovette ammettere “Ma non
questa sera. Questa sera non posso proprio permetterle di fare come
ella desidera. E’ di vitale importanza che sia presente al
ballo in suo onore.”
Al
suo fianco, Eke’hel fu scosso da una breve risata senza suono.
“Caro
Zaphil” la nota divertita del guaritore non sfuggì
all’altro “La Nihaar’ì non è più
una ragazzina ormai. Temo che non vi permetterà di trascinarla
a quel ballo di peso, se è questo che intende” per
quanto grave, il suo tono aveva sempre un che di acuto, sporgente
come spigolo sempre pronto a conficcarsi nel fianco scoperto di ogni
suo incauto interlocutore.
Zaphil
gli rifilò un’occhiata amara.
“Lo
farà, invece” prese fiato “Quando Lei
le
parlerà delle Volpi e del loro irrefrenabile
desiderio
di vederla”. Lentamente, il passo del Guaritore si arrestò,
le vesti di un intenso ocra che compievano un ultimo sfarfallio
attorno alla sua persona mentre egli, piccato, si voltava a
fronteggiare Zaphil.
“Lei
le
parlerà?” esalò con una smorfia di sincero
divertimento “Spero che con Lei
voi
non vi riferiate seriamente a quella povera fanciulla che da poche
ore è giunta dalla Bianca Città con addosso null’altro
che la propria pelle”. Per quanto velato, Zaphil avvertì
chiaramente lo sguardo del Guaritore trapassarlo da parte a parte. A
fatica si impose di non guardare altrove.
“Sommo
Zaphil” cominciò tuttavia questi a dire “Capisco
quanto pericolosa sia la nostra situazione in questo istante: Volpi e
Nobili non attenderanno per sempre che la Veggente si asciughi le
lacrime e riprenda a fare il proprio dovere. Tuttavia io ero presente
alla morte di Myriel”
Sentire
il suo nome fu come essere percorsi da una scossa elettrica. Zaphil
rabbrividì, certo che anche attraverso la stoffa il Guaritore
potesse notare il rivelarsi del suo disagio.
“E
nessuna di quelle passate sofferenze è paragonabile a quella
che sta provando ora la Nihaar’ì”.
L’uomo
lo scrutò a lungo, intensamente, il riserbo del Velo
dimenticato in nome di un ben più necessario incrocio di
sguardi.
Poi
sospirò.
“Ma
questo non è abbastanza per fermarvi, ovviamente”
concluse con un mezzo sospiro voltandosi e riprendendo lentamente a
camminare.
Il
Naphil seguitò, improvvisamente conscio del caldo opprimente
attorno a loro.
“Lo
sarebbe se solo lei fosse stata una semplice fanciulla a cui è
morta l’amica del cuore” riprese il Guaritore salutando
con un cenno del capo un collega di passaggio “Ma poiché
la realtà è molto diversa voi tenterete comunque, dico
bene?”
Lei
era la Nihaar’ì.
La
sola ed unica. Insostituibile. Inalienabile.
“Preparatele
un infuso” replicò rigido il Naphil “Forte
abbastanza da stordila ma insufficiente per addormentarla”.
Secco,
l’altro sciocchò la lingua sul palato.
“Zaphil”
rosso vivo fiorì sulle sue guance perfettamente rasate “Vi
ricordo che io sono un Guaritore, non un sudicio Suba’
ra -
Maestro dei Veleni. La mia arte
dovrebbe
provocare sollievo alla Somma Nihaar’ì, non trasformarla
in una sorridente bambola di pezza alla mercè del popolino”.
C’era
qualcosa di solenne nel modo in cui egli aveva parlato. Qualcosa che
suo malgrado il Naphil intuì essere dignità e sì,
perché no, fedeltà verso la fanciulla dinnanzi alla cui
porta entrambi allora si fermarono con un fruscio contrito.
Intuì
gli occhi dell’altro sorvolare un secondo le ante chiuse,
colorate di un intenso color turchese tendente al verde. Appoggiò
una mano sulla maniglia.
“Poiché
voi c’eravate” cominciò dunque a dire monocorde
“Vi chiedo di fidami di me e fare come vi dico” una pausa
“Anche io c’ero. E so cosa potrebbe accadere ora se come
allora la Nihaar’ì dovesse mostrarsi debole e fragile
dinnanzi ai suoi sudditi”.
Per
qualche istante l’altro non disse nulla. Poi, lentamente, egli
chinò il capo in un piccolo gesto d’inchino.
“Che
la saggezza sia con voi, dunque” esalò a mezza voce “E
che possa guidare entrambi verso la retta via.”
Avvertì,
pur non potendolo confermare, una nota di rimorso nel tono del
Guaritore. Quasi che, senza volerlo, entrambi si fossero resi in
quell’istante complici di un patto assai più crudele e
vincolante del previsto.
“Ora
se volete scusarmi...c’è una giovane
ragazzache
attende le mie cure”.
Lo
congedò con un semplice inchino, l’improvvisa
consapevolezza di trovarsi ora al limitare della stanza della
Nihaar’ì a tendere all’unisono tutti i suoi sensi
di una nuova e rinnovata apprensione. Quasi che non con una porta, ma
con un intero abisso egli ora dovesse misurarsi lasciandosi solo
qualche attimo di teso, eppure vitale, raccoglimento.
Si
umettò le labbra, e con esse cercò di formulare nella
mente le parole che avrebbe detto entrando in quella stanza ampia e
soleggiata, lasciata priva di tende e protezioni contro il sole per
ordine specifico della Veggente.
“Lasciate
che entri la luce” aveva detto “Che almeno vi sia un po’
di chiarezza ad ogni mio risveglio”
Poiché
nel sonno non ve ne sarà di certo...
Eppure
più ci pensava, più trovava davvero difficile
escogitare qualcosa che sembrasse al contempo cortese e confortante,
umano e solidale e non un semplice
“Mia
dolce, stavo giusto parlando del modo in cui venir meno alla tua
alquanto disturbante incapacità di vincere il lutto. Pensavo
di renderti tanto mansueta quanto presentabile per gli occhi di tutti
i tuoi affezionati spasimanti. Entrambe le qualità potrebbero
sortire un effetto positivo in tutti.”
Deglutì,
il capo che andava a cercare senza accorgersne la dura superficie
della porta.
“Ma
no...non temete. Non sentirete alcun male. A dir la verità non
sentirete nulla affatto. Sarete bellissima. Elegante. Affabile. Poco
o nulla importa che voi siate realmente presente in quella sala
inneggiante la vostra gloria”
“Vuole
per caso venire con me?”
La
voce del Guaritore lo colse di sorpresa. Concentrato com’era
nelle sue afflizioni aveva mancato di notare che egli al posto che
allontanarsi se ne era rimasto a pochi metri da lui, fissandolo,
evidentemente intendo a gustarsi il suo totale ed assai miserevole
sconforto.
Si
tirò lentamente sull’attenti, la schiena che a fatica
riprendeva la solita posizione rigida.
Ed
abbozzò un diniego con la testa.
“La
Nihaar’ì mi sta aspettando. Anche volendo non potrei
proprio accompagnarla”
L’altro
tuttavia non si mosse.
“La
Nihaar’ì sta dormendo ora” fece, lapidario “Non
credo si disturberà eccessivamente se non la vedrà
giungere attraverso il velo dei Sogni”.
Una
mano ancora sulla maniglia, l’altra immobile al fianco, Zaphil
abbozzò un nuovo rifiuto.
“E’
mio compito vegliare su di lei. Se così non fosse non mi
potrei affatto definire il suo Protettore”
Avvertì
la voce morirgli fra le labbra, una scura patina di rimorso a colmare
di un gusto agrodolce quelle sue parole. Immobile, l’altro lo
squdrò per qualche secondo ancora per poi abbozzare un mezzo
sorriso malevolo.
“Non
la sto invitando a fare una passeggiata” c’era del
grigiore nelle sue parole “La stanza in cui sto per entrare non
credo sarà più piacevole di quella in cui lei tanto
scalpita per accedere” piegò la testa di lato “E
forse è proprio per quello che le sto chiedendo di venire con
me. Non crede?”
Zaphil
si ritrovò suo malgrado ad accigliarsi.
Erano
anni che lui e quell’uomo affatto simpatico e gioviale
dividevano gli spazi di quella asserragliata vita. Anni di lunga ed
estenuante vicinanza mai coronata da una qualsivoglia parvenza di
amicizia, fratellanza e simpatia. Anni in cui, fianco a fianco, si
erano battuti per un bene di cui spesso si faticava a vedere contorni
e sfumature e che malgrado ciò li aveva avvicinati come
tempera e pennello, due metà forse non del tutto simili eppure
egualmente necessarie a dipingere l’astratto sfondo sul quale
di tanto in tanto si librava fragile la figura della Nihaar’ì,
bella come farfalla.
Ancora
oggi non capiva quale forma di antipatia li dividesse. Eppure per un
attimo gli parve di vederlo, quel loro improbabile rapporto, dove le
perplessità dell’uno dividevano le confidenze
dell’altro; dove le paure del primo erano le rassicurazioni del
secondo. Ed insieme, loro due, eccoli uniti in un compito affatto
felice e consueto ma viceversa ogni giorno ingrigito da compromessi e
imperfezioni. Da dolcezze negate. Da sentimenti proibiti.
“Ma
se preferisce starsene lì a far finta di essere ciò che
per sua sfortuna ora non sembra proprio sentirsela di essere faccia
pure, non la disturbo”
Mentre
con un sospiro tutte quelle mirabili visioni sfumavano per l’ennesima
volta dalla sua mente, Zaphil abbandonò una volta per tutte la
maniglia di quella oramai inattraversabile porta, l’agonia del
silenzio oltre di essa a venire rimpiazzato dall’altrettanto
tedioso sorrisino saccente del Guaritore.
“Immagino
la troverà gradevole. La somiglianza è davvero
incredibile”.
Mentre
a piedi nudi entrava nella calda stanza dei Bagni costantemente
inumidita di vapori e balsami di ogni genere, Zaphil ebbe per un
istante il tempo di ricordare cosa fosse stato per lui vedere per la
prima volta Asiya e con lei i suoi lunghi capelli rosso rame. Notare
le sue guance accaldate, i suoi occhi accesi di paura ed eccitazione
al contempo.
E
vederla sorridere mentre lui, compito, commentava che la somiglianza
non era poi così evidente come avrebbe dovuto essere.
“Vi
assicuro invece che se non fosse per i capelli stenterei davvero a
pensare di non avere qui ora dinnanzi a me la Veggente in persona”
aveva replicato piccato il Guaritore indicando con la punta delle
dita la forma del mento, l’inclinazione degli occhi ed altro
ancora.
Lui
però aveva semplicemente annuito, più pensieroso che
altro, lasciando che la piccola fanciulla si esibisse proprio in
quell’istante in un lungo e generoso inchino.
“C’è
di buono che possiede un temperamento assai gioviale” aveva
aggiunto poco dopo il Consigliere Ludik “La NIhaar’ì
ne trarrà di certo giovamento”.
Ancora
una volta, dubbioso, Zaphil aveva annuito di circostanza.
Esistevano
animali domestici e giullari per quello.
Ricordò allora di aver pensato.Ma
la vera domanda era: quanta giovialità sarebbe servita per
trasformare quella sparuta copia della Veggente in una vera e propria
Nihaar’ì?
In...Odayn?
La
fanciulla stava seduta al centro della stanza, avvolta da sottili
veli di lino color sabbia. Aveva lunghi capelli neri come carbone,
lisci e lucidi come fibre ossidiana. Il mento, sottile, curvava
docile all’incrocio del collo lungo e affusolato - da cigno -.
Gli occhi, infine, socchiusi, erano fissi a terra in una espressione
placida e mansueta, priva di parola.
Al
suo fianco, Eke’hel si concesse un lungo sospiro contrito.
Era
bellissima.
Ed
ovviamente, identica alla Nihaar’ì se non per qualche
trascurabile imperfezione.
Sopracciglia
più allungate, naso lievemente più largo, labbra meno
carnose. Ella alzò allora gli occhi. E iridi più
limpide.
Per
un lungo, interminabile, attimo, Zaphil si concesse di desiderare
quella creatura dalla surreale bellezza frutto di ingenuità e
candore al contempo. Poi, come il mutare del giorno in tramonto
e del tramonto alla sera, ella fu la NIhaar’ì.
Fu
la Hayeli’vo.
E
nessuno di questi pensieri attraversò più la sua mente.
“Davvero
incredibile” fu il commento di Eke’hel mentre con fare
critico tendeva due dita sotto il mento della ragazza costringendola
ad alzare il viso “Credevo impossibile che potessero esistere
così tante Hayeli’vo
al
mondo...eppure...”
Si
interruppe, passando ora le dita nella folta chioma della ragazza.
“Oserei
anche dire che la somiglianza sia maggiore rispetto alla precedente”
continuò.
Poco
dietro, Zaphil deglutì a fatica.
“Ma
si, certo” incurante, l’uomo scese a guardare spalle,
petto e aprendo le vesti, seno e busto. Annuì.
“Direi
che è perfetta”
Le
dita indugiarono ancora un poco, leggere, per poi infine scostarsi.
“Che
ne pensi, Zaphil?”
La
voce era parsa calma e moderata, ma quando il Guaritore si voltò
fu chiaro quanto anch’egli fosse turbato. Quanto, malgrado
tutto, quella di allora fosse per lui null’altro che una parte
da recitare in nome del suo ruolo e funzione.
Tuttavia
il Naphi si ritrovò abbastanza a corto di parole da non poter
far altro che annuire e fingere un mezzo sorriso accondiscendente
prima che il desiderio di andarsene lo sopraffacesse rendendogli
impossibile aggiungere altro.
Ancora
una volta, tuttavia, Eke’hel sembrò volergli regalare la
propria autorevole comprensione.
“Credo
però che il banchetto di questa sera sia troppo prematuro
perfino per una somiglianza come questa” parve allora voler
toccare ancora una volta la ragazza. Eppure all’ultimo si
fermò.
Forse
anche per lui era finito il tempo del desiderio.
“Farò
come abbiamo concordato. E che possa la buona sorte essere con noi”.
Nuovo mese, nuovo capitolo. Grazie di cuore a tutti
quanti per la costanza nel seguirmi!
Ancora un grazie speciale al mio correttore e…spero che
anche queste righe vi piacciano!
Baciozzi!
Elendil
______________________________________
Come grazioso ritornello, Zaphil
si ritrovò ancora una volta a chinare il capo, sorridere appena e concludere
infine con la gentile frase di commiato.
“La Nihaar’ì vi ringrazia
per i vostri Doni. Possano essere fonte di eterna amicizia e prosperità”.
AnhiSam’ha, un vecchio Nobile del Nord chinò a sua volta il
capo, esibendo nel farlo una testa canuta e ambrata di sole. Ricche, le sue
vesti parevano tanto pesanti rispetto alla corporatura smagrita da lasciar
meravigliare che questi non rischiasse ogni istante di cadere bocconi a terra
per via del peso.
“Uhe’yelzysatNihaar’ì va Zaphil” replicò
con voce gracchiante. Prima che fosse riuscito ad allontanarsi, uno stuolo di
servi aveva già portato via per intero i suoi doni: antiche pergamene del Nord
recanti versi di Canti e Poemi fra i più famosi.
Nella sfarzosa terrazza gremita di invitati l’aria
notturna di Hevnank’ar
scivolava fresca fra drappi e tendaggi ondeggianti, a tratti ghermita dal vago
chiacchiericcio degli ospiti, a tratti sospinta dal morbido intonare di liuti e
strumenti a fiato, vaghi sentimenti di melodie meste e melodiche. Note
solitarie risuonavano senza sosta nell’aria dolce di pietanze fra le più
squisite e ghiotte di tutta Harryan.
Note di sabbia pensò per un attimo Zaphil ascoltando quei suoni a tratti simili al costante
rimescolio delle dune di sabbia nel deserto durante i cambi di temperatura fra
giorno e notte.
Note di pioggia gli sussurrò invece la
memoria, ricordando le altisonanti citazioni di grandi poeti del passato, sempre
inclini a definire la realtà con la sua più che palese negazione.
Mesto, un altro Nobile facente parte
dell’interminabile fila lì radunatasi si accostò al giaciglio di cuscini e
stoffe riservato alla Nihaar’ì e al suo Protettore.
Si chinò lungamente, rivelando una corporatura di
certo più vigorosa del suo predecessore.
“VoryersyelNihaar’ì va Zaphil” esordì
con voce sottile e pacata, difficile quasi da udire nella satura atmosfera
circostante. Le sue vesti color sabbia spiccavano appena nel dominante acquamarina
della sala.
“Porto con me le più pregiate sete della radura di Kenvar...”
Ma bene...
Zaphil
trattenne a stento un sospiro contrito.
E da quando Kenvar produceva
sete preziose? A sua memoria era già tanto che quella cittaducola
fosse in grado di sostenersi con quel poco che aveva...figuriamoci produrre
sovrappiù di così futili destinazioni...
In silenzio, il Nobile lasciò che uno o più dei suoi
schiavi lo sorpassassero per depositare a terra rotoli di stoffa bruna e
ambrata, nella luce delle torce rigata di graziose sfumature dorate.
Il Naphil gli concesse un
rigido inchino.
Difficile credere che quelle meraviglie giungessero
proprio dalla città meno prolifica di tutta Himnakan....
“La Nihaar’ì vi ringrazia
per i vostri Doni. Possano essere fonte di eterna amicizia e prosperità”
replicò tuttavia con il solito tono colmo di
cordialità e buone speranze lasciando che con le stoffe, i servi portassero via
anche i suoi molesti dubbi.
Ora aveva altro a cui pensare.
Altro per cui preoccuparsi.
Sospirò.
Un Altro ora seduto pacatamente al suo fianco,
un tripudio di pietre e preziosi a scintillare di viva luce attorno a lei come
e se non più di un autentico astro celeste.
Il giallo le si addiceva, notò con piacere scoccandole
una rapida occhiata. Si intonava con la sua carnagione pallida e rosata.
Distolse tuttavia lo sguardo.
Peccato che le macchie di Zai
sulle labbra le dessero ora un’aria sgranata e malsana, affatto congruente con
l’immagine che tanto si era racomandato ella avesse.
Potente, la stizza risalì ancora una volta le vene del
Naphil confluendo in un’improvvisa vampata di calore
a metà fra collo e guance.
Si umettò le labbra, cercando il più possibile di
mostrare sincero interesse per le cianfrusaglie che un nuovo Nobile aveva ora
ammonticchiato ai piedi della Nihaar’ì.
Lei, la somma Veggente, non abbassò neppure lo
sguardo.
Eppure era stato chiaro: sana e cordiale.
Possibilmente graziosa.
“La Nihaar’ì vi ringrazia
per i vostri Doni. Possano essere fonte di eterna amicizia e prosperità”
E quell’imbecille di Guaritore cosa gli portava?
Lenta, una goccia di sudore prese a scivolare lungo la
sua tempia in una snervante parabola pruriginosa.
Chinò il capo e nel mentre si accostò a Dzerrk’e posto a guardia poco distante.
“Veglia su di lei” ordinò a mezza voce “Se qualcuno si
avvicina lascia perdere le minacce. Uccidilo”
Il giovane annuì piano.
“E se fosse lei a muoversi?” abbozzò tuttavia. Il Naphil indagò l’espressione della Nihaar’ì
per un lungo, denso, momento. Le labbra vagamente bluastre di lei furono
tuttavia sufficienti a farlo desistere.
“Dubito che ne sia in grado” borbottò acidulo “Se
tuttavia dovesse accadere vieni subito ad informarmi”
Detto ciò si allontanò a grandi falcate dall’insieme
di Nobili e personalità radunate in fremente attesa di essere ricevute dalla Nihaar’ì.
Non era cosa assai saggia abbandonare la Nihaar’ì a se stessa proprio in quell’attimo di estrema
debolezza, si ammonì.
Tuttavia era vitale ora assicurarsi che tutti i pezzi
fossero al proprio posto prima dell’arrivo dei loro ospiti...
Fece rapidamente scorrere lo sguardo per la sala onde
individuare il tanto gradito Guaritore Eke’hel ora
intento in una goliardica conversazione con il Consigliere Luyo
e consorte.
Per l’occasione l’aquilinoburocrate portava
vesti color indaco e sabbia capaci se non di conferirgli il suo solito aspetto
rapace, di suggerire comunque all’occhio una vaga somiglianza con una gazza
ladra.
Mentre si accostava, Zaphil
rivolse ad entrambi un inchino affilato.
“Sommo Zaphil” il Consigliere
Luyo pareva sinceramente entusiasta di vederlo “Quale
onore avervi fra noi. Pensavamo che i vostri affari diplomatici ci avrebbero
privato della vostra brillante favella per tutta sera e invece....”
Rapido, un sorriso aguzzo sorvolò le labbra del Naphil.
“Ed invece eccomi qui” aprì le braccia come a comprova
delle sue parole “Sebbene per uno sgradito compito: affari urgenti richiedono
altrove la presenza del nostro amato Guaritore”
Non gli servì che l’immaginazione per avvertire la
stizza frizzare nella figura di Eke’hel.
“Ma non temete” rassicurò subito entrambi “Sarà mio
personale impegno riportarvi subito il nostro prezioso ospite”
Fu lo stesso stizzito Eke’hel
a condurlo poco dopo lontano dal Consigliere, la camminata spedita - più una
marcia in realtà - ed il portamento rigido a confermare quanto poco l’uomo
avesse gradito il grazioso siparietto imbastito da Zaphil.
Poco male, lui non aveva affatto gradito altri tipi di
suoi interventi quindi...
Quando fu sicuro che nessuno potesse udirli il
Guaritore si voltò finalmente per fronteggiarlo.
“Credevo che voi ammiraste l’intelligenza altrui, non
che la sottovalutaste per vostro diletto” fu la piccata premessa “Da quando vi
fate beffe dei Consiglieri...”
“Vi avevo dato un solo ordine, Eke’hel”
lo zittì immediatamente l’altro “E voi siete stato in grado di fallire anche
quello”
Bastò poco perché il brillante intelletto dell’altro
trottasse dritto al punto incriminato della questione.
“Credete che farle sorbire quella roba sia
stato un piacere, per me?” si accigliò.
“Forse non un piacere, ma di certo un affare assai
semplice” sogghignò Zaphil “Vi sbagliate. Prima di
quello ho tentato altri rimedi e sostanze, ma l’unico effetto è stato quello di
indurle un sonno sempre più torbido” una pausa, poi la voce ad affievolirsi “La
Nihaar’ì ha vanificato ogni mio tentativo spingendosi
sempre più in profondità della propria mente dove era certa io non potessi
raggiungerla”
Raggiungerla?
Zaphil
avvertì qualcosa di pungente conficcarsi improvvisamente nel suo cranio,
all’altezza della nuca. Sbattè le palpebre,
perplesso.
“Non vuole svegliarsi” decretò quindi dopo un attimo.
Il Guaritore annuì piano.
“Sapete meglio di me quale sia il Dono di
quella ragazza, e se vi dico che l’unico modo per tirarla fuori dal suo
giaciglio è stato drogarla...” si umettò le labbra, a disagio “Io devo
credervi” concluse per lui il Naphil.
“Ha parlato?” chiese dopo un attimo. Il Guaritore
annuì una volta, titubante “Per un istante è sembrata perfino lucida” si
scrollò nelle spalle “Ha chiesto di voi e di Asiya e
di essere portata nella sala dei Bagni”
Un nuovo sospiro proruppe dalle labbra di Zaphil.
“Ha aggiunto altro?” ”Solo di voler essere portata ad Aghayerk” “La città del Cielo?” l’altro si strinse nelle
spalle “Potrebbe aver avuto un nayel...”.
Zaphil annuì
più per convenzione che per reale convinzione. Poi scrollò il capo.
“Inviate una Compagnia in perlustrazione. Non sappiamo
come il suo Dono stia funzionando ora” sorvolò a disagio la sala
cogliendo proprio allora le avvisaglie di una vaga agitazione.
Stavano già arrivando le Volpi?
“Potrebbe effettivamente aver avuto una Visione ma non
essere in grado di gestirla a causa del suo...stato”.
Zaphil
schioccò la lingua, improvvisamente ansioso di concludere la conversazione.
“Comunque sia” tagliò corto “Desidero che simili espedienti
non vengano più utilizzati per porre rimedio agli stati emotivi della Nihaar’ì. Sapete meglio di me quanto quelle sostanze possano
essere distruttive”.
Il vago chinarsi del capo del Guaritore seguì il suo
repentino allontanarsi in ragione di raggiungere un nuovo gruppetto di Nobili
lì assiepati. Parevano intenti in una allegra conversazione, tantoché al suo
giungere tutti quanti scoppiarono in una fragorosa risata collettiva subito
modulata dal notare la sua figura.
Due o tre si schiarirono addirittura la gola prima di
abbozzare un saluto vagamente formale.
“Sommo Zaphil” lo salutarono
sorridenti il ricco Luver, noto mercante d’argilla
originario di Hevnank’ar
ed il corpulento Jedo’l Hi, celebre Scrutatore
Celeste “Quale onore”.
“Voryersyel,
spero che questa fresca serata sia di vostro gradimento”
La compagna di Luver,
fortunata figlia di un fu Combattente dalle prodigiose doti
guerrafondaie, aveva dal defunto padre ereditato viso e corpo assai poco
accattivanti. Evine viso radice la
chiamavano. Malgrado ciò il suo spirito esuberante e goliardico la rendevano
una compagna di conversazione assai più gradevole del marito.
“Con questa brezza sarebbe difficile trovare alcunché
di cui dispiacersi” replicò leggera “Ma voi, piuttosto, sembrate l’unico in
questa sala totalmente incapace di comprendere l’astratto significato della
parola divertirsi. Problemi di lessico o semplice testardaggine nel
seguire le mode altrui?”
Zaphil si
costrinse a sorridere meccanicamente “Mia cara” abbozzò sornione “Credo proprio
che Viaggi e Banchetti inizino ad essere un passatempo assai poco distraente
per me. Le responsabilità mi chiamano”
La ParuhiEvine esibì una risatina leggera “E voi fate finta di non
sentire. In fondo noi Nobili siamo celebri per essere duri d’orecchi, dico
bene?” sospirò leggiadra per poi, avvicinandosi, circondare il suo braccio con
il proprio “O devo forse credere che voi siate l’eccezione che conferma la
regola?”
Cogliere il velato spunto della donna ed invitarla a
danzare fu cosa doverosa - se non necessaria - a disimpegnare un dialogo
che già si prefigurava troppo sostenuto e formale per il Naphil.
“Suvvia, mio caro Zaphil”
Divagare sulla questione Zaphil
lei è un uomo abbastanza bello e piacente da concedersi una o più distrazioni
nella vita fu tuttavia cosa assai più ardua ed impegnativa.
“Solo uno sciocco fingerebbe di non vedere quali e
quanti sguardi in questa sala seguono ogni vostro passo”
Pur non necessitando di alcun contatto fisico diretto,
le danze di Hevnank’ar
erano celebri per la loro dolcezza nell’avvicinare coppie e ballerini in un
sofisticato intreccio di passi e movenze fra le più leggere.
Il Naphil concesse alla
donna un sorriso nervoso.
“Eppure avrei giurato che foste voi l’oggetto di tutta
questa attenzione...”
Volteggiarono insieme, un’armonia triste a vagare fra
di loro prima che egli poggiasse una mano sul fianco di lei.
“Elegante e gentile come sempre” gli concesse la donna
“Ma per vostra sfortuna assai poco avvezzo a donne di brillante intelletto: non
sarà con qualche lusinga che riuscirete a distogliere l’attenzione dall’enigma
che vi circonda...”
Nere come carbone, le vesti del Naphil
piroettarono con lui nell’ennesima giravolta cadenzata “E sarebbe?”
Al di sotto dei veli magenta, Evine
aveva occhi lucenti e furbi, simili a quelli di un rapace
“Per chi batte il vostro cuore, mio caro Zaphil?” “Per la Nihaar’ì,
ovviamente”
La risposta fu tanto semplice quanto ovvia. Forse un
poco premeditata, ma di certo non meno rassicurante. Suo malgrado, essa
parve non soddisfare affatto le brame della sua compagna di danze.
“E se non parlassimo di fedeltà e abnegazione?”
replicò prontamente.
“Vi risponderei che non conosco altro modo di amare
che non comprenda tale definizione”
Nuovo volteggio, nuovo sbuffo melodico degli strumenti
a fiato. Nuovo sospiro scontento della donna.
“Suvvia, Zaphil. Volete
davvero farmi credere che voi amate la Nihaar’ì in quel
modo? Come un uomo amerebbe la propria donna?” “E voi volete davvero
insinuare che esistano modi diversi di amare la Nihaar’ì
se non con tutta la propria essenza, anima e corpo congiunti nell’estasi
dell’adorazione?”
Per un attimo ella parve sinceramente sconcertata
dalla risposta quasi che non una semplice frase ma una ben più assestata sberla
l’avesse colpita in pieno colpo. Ammutolì, pochi attimi di tensione che
entrambi colmarono con un flessuoso andamento prima a destra e poi a sinistra.
Solo nell’istante in cui il Naphil
cominciò seriamente a pensare di dover sfoderare una delle sue galanti scuse
ella lo perdonò concedendogli finalmente un lungo ed ampio scrollarsi di
spalle.
“Siete un demonio, Zaphil”
fu il conciliante rimprovero “Sempre a farvi beffe della curiosità
altrui....eppure mi piacerebbe davvero sapere come fareste se per una volta
qualcuno vi obbligasse alla serietà che tanto fuggite costringendovi ad una
conversazione degna di tale nome...”
“Credo proprio che rimarreste delusa, mia cara Evine” leggere, due braccia circondarono petto e spalle di Zaphil costringendolo ad una inevitabile battuta d’arresto.
“In quanto a fuga il nostro Zaphil temo
possegga un talento inarrivabile per noialtri”
Fu il profumo a rivelarla.
Fresco e dolce al contempo, Edereth
aveva sempre un inusuale sentore di un frutto proibito, sfuggente aroma capace
di ridurre lascivia e forza ad un unico concetto ed espressione, la medesima
che ella sfoderò nell’esatto istante in cui il Naphil
si voltò per fronteggiarla.
Dunque eccoli, il suo appuntamento con la Verità...
“Eccovi, finalmente” fece un breve inchino “Qui tutti
iniziavano a domandarsi se le Volpi avessero per caso deciso di sorvolare
questo lieto banchetto per altre e più dilettevoli distrazioni...”
Edereth mosse
il capo a destra e sinistra lasciando che scintillanti trame corvine le
vorticassero sulle spalle nude. Poi sorrise.
“Qualcosa di più allettante di voi, Sommo Zaphil?” nella penombra, i suoi canini parevano assai
aguzzi “Difficile crederlo”.
Ai suoi fianchi, le altre Volpi seguitavano con
ponderata mestizia, quasi avessero deciso di comune accordo che sarebbe stata Edereth e non un uomo qualsiasi a fare gli onori di casa. Zaphil concesse a tutti un breve inchino.
“Fate attenzione, mia cara. Ogni vostro complimento è
come una lama affilata nel cuore di un uomo, anche se vecchio e stanco come me”
divagare fu più difficile mentre lo sguardo di Edereth
lo incalzava con la sua solita indolente sagacia.
Una donna pericolosa, si ammonì mentre ponderava sul
da farsi, capace di rendere la propria bellezza un’arma solo inferiore alla sua
arguzia.
“Una lama, dite?” con un elegante cenno della mano lei
lo invitò allora a seguirlo “Eppure avrei giurato che mai nessuno sia morto dei
miei complimenti”
Lui abbozzò una smorfia contrita, salutando col capo i
suoi oramai abbandonati ospiti per dedicarsi alle molto più eloquenti e
pericolose Volpi
“Questo perché voi vi siete sempre
ben guardata dal renderli tali...”
Ancora una volta grazie a tutti i
lettori di EFP, alla pazienza del mio personale correttore e…Buon Anno nuovo!
Baciozzi
Elendil
Zaphil sapeva che parlare e danzare erano affare Nobiliare. Parlare,
danzare e fingere nel frattempo di non sudare. Di non provare stanchezza, fame,
insofferenza ed ogni altra umana qualità che solitamente contraddistingue le
occasioni di comunanza popolare.
Si umettò le labbra.
Poiché i Nobili, strana variante della
razza umana, molto dovevano condividere con essa ma mai eguagliarla in tutto.
Se di Nobili si parlava. E di distinzione sociale pure.
Eppure, dopo l’ennesima
-gradevolissima- piroetta di Lav’ì, la figlia di Shayarin in mezzo alla sala, Zaphil
non potè proprio trattenere un mezzo sospiro
contrito.
“Già stanco, Sommo Zaphil?”
lapidaria, la voce di Edereth lo raggiunse da dietro
una corolla di neri capelli. Aguzza come il pugnale che egli teneva nascosto
sotto l’ascella destra. Pruriginosa, come la goccia di sudore che fastidiosa
scendeva ora lungo la sua schiena.
“Solo della mia età, mia Signora”
rintuzzò “Sebbene sia certo che giorni e notizie migliori avrebbero placato
questa mia naturale predisposizione”
Lei si strinse nelle spalle.
“E’ stato un dolore tanto per voi
quanto per noi apprendere questi tristi retroscena, sommo Zaphil”
la donna voltò appena il capo, mostrando nel risplendere delle candele la
flessuosa linea del collo “Non siete il solo ad amare più di ogni altra cosa al
mondo la Nihaar’ì”
O ciò che ella rappresenta.
Il Naphil si
concesse qualche istante per osservare la figlia di Shayarin
scivolare come felino fra vesti color notte. Alle sue spalle, il giovane Elias,
fratello e secondogenito del ricco Signore delle Tinte esibiva trucchi di
magia e spettacolo servendosi delle sostanze più disparate. La sua destrezza
nell’agitare, mescolare, nascondere e solo infine mostrare i prodotti della sua
abilità lo facevano assomigliare a tutti gli effetti ad un abile Lai Mephi(illusionista).
Zaphil osservò entrambi con una punta di diffidenza, sperando che la
tensione della sua mascella non trasformasse quell’occhiata in uno sguardo di
vero e proprio sdegno.
Del resto la notizia che un manipolo
di Risvegliati aveva tentato di fare irruzione a Hevnank’ar durante l’attacco delle Ombre non era stata una
delle più liete che avesse mai avuto: erano passati per le vie dei Tintori
approfittando dello scompiglio generato dalle Ombre per aprirsi la strada fino
alla zona abitata dai Nobili.
“Credete che ci riproveranno?” osservò
asciutto.
Fortuna vuole che malgrado il panico
generale, le forze di Hevnank’ar
fossero state capaci di raggiungerli e fermarli scongiurando il peggio.
Al suo fianco, Edereth
scrollò piano le spalle “Chi può dirlo?” commentò atona. Troppo atona perché il Naphil non
avvertisse appena pungere le dita “Voi, Edereth”
voltò appena lo sguardo incrociando quello velato di lei.
“Voi e le altre Volpi qui radunate”
l’altra si mosse appena a disagio, cercando per un attimo con lo sguardo
l’appoggio di Mathias e Shayarin
in ascolto al suo fianco. Poi sorrise “Non credo dobbiate temere il ripetersi
di simili episodi. Uno è bastato per scoraggiarne di altri” “Attentare alla
vita della Nihaar’ì non dovrebbe essere una questione
episodale” digrignò i denti Zaphil.
Edereth schioccò rapidamente la lingua sul palato “In ogni caso
dubito che ci saranno altri attacchi”.
Il Naphil si
accigliò “Ricordo che questa fu la medesima garanzia datami al nostro arrivo ad
Hevnank’ar” poco distante,
Shayarin ebbe come un fremito di stizza “Quelle che
avete visto erano tutte le forze a disposizione della nostra Città. Se avessimo
avuto avuto anche un solo uomo in più da schierare
per proteggere la Nihaar’ì l’avremmo utilizzato”.
Zaphil esibì un sogghigno incredulo “Fossi stato in voi avrei
reclutato i messaggeri che non avete inviato alla Torre del Tempo per
meglio provvedere alla vostra sicurezza. Saranno di certo morti di noia quei
poveretti” schioccò la lingua mentre tutti e tre piegavano appena il capo in un
chiaro segno d’imbarazzo.
Solo allora il Naphil
ricordò la restante parte delle informazioni giunte a proposito della fine
toccata ai Risvegliati catturati infine dalle guardie di Hevnank’ar. Rifilò a tutti e tre un lungo istante di
silenzio “Dove li avete portati?” chiese infine. Mathias
sospirò “Sono in attesa del Vori Ar - Addormentarsi”.
Una nuova, lunga, pausa.
“Non è ciò che ho chiesto” il tono del
Naphil scivolò sinuoso fra le pieghe del vestito di Lav’i, la figlia di Shayarin,
volteggiando con lei di una bellezza elegante e selvatica; le Volpi si mossero
a disagio “Presso l’ordine dei Tintori” esalò infine Mathias.
Ancora loro.
Il Naphilsbattè le palpebre.
Ma perché diavolo tutta quella storia sembrava
accentrarsi fra quelle dannate mura?
“Non sapevo che spettasse a loro
osservare il rito del Vori Ar”. “E cosa dovevamo
fare? Lasciarli a decomporsi fino all’arrivo deiLegheon?”
Una nuova pausa, poi il nuovo sussurro
del Naphil “Meriterebbero forse più alte cerimonie?”.
Fu solo grazie all’improvviso
intromettersi del giovane Elias fra di loro, una boccetta scintillante per mano
sprizzante fumo e densi odori come di pietanze andate a male, che l’impettito Shayarin si trattenne dall’esprimere quanto gradevole quel
commento fosse suonato alle sue orecchie.
Solo quando il povero Shayarin fu condotto a forza dinnanzi agli ospiti lì
radunati e Mathias reclutato suo malgrado dai
rimanenti commensali in qualità di “spalla” che Edereth
si accostò nuovamente al Naphil.
Per un attimo non parve intenzionata a
dire nulla, l’atmosfera della sala che rapidamente sfumava nell’imminente
cerimonia atta a consolidare l’amicizia fra la Torre del Tempo ed Hevnank’ar; tuttavia dopo un attimo
ella si risolse in una mezza scrollata di spalle.
“La Legge della Torre del Tempo non
sarebbe stata infranta se Hevnank’ar
avesse potuto contare sull’aiuto dei Legheon” esitò
“Ma forse la Nihaar’ì non ha reputato necessario
evitare un simile spargimento di sangue....”
Immobile, Zaphil
avvertì chiaramente una sensazione di gelo risalire lungo la schiena.
O più semplicemente... non l’aveva
previsto.
Si umettò le labbra.
“Le visioni della Nihaar’ì
sono spesso al di là della nostra comprensione” commentò gelido “Decifrarle non
è che un esercizio di supponenza”
Edereth annuì una volta soltanto “La mia fedeltà, così come quella
delle Volpi va alla Nihaar’ì” precisò “Ma ciò che
vedo, che tutti noi vediamo ora sedere al suo posto non è che l’Ombra della
Veggente che meriteremmo di avere”
Inutile sdegnarsi. Inutile negare e
piegare nuovamente al suo volere quella conversazione. Hevnank’ar e le sue giornate immensamente lunghe stavano
diventando decisamente troppo per il Naphil.
Troppo intense. Troppo pericolose.
Troppo colme di quel vago senso di pericolo che qualunque preda avverta pur
ignorando che il proprio cacciatore si nasconda nell’erba antistante.
Alzò dunque gli occhi e nel notare
ancora una volta la figura della Nihaar’ì seduta sul
proprio scranno, un braccio ripiegato sull’altro e la testa appena flessa di
lato in una smorfia quasi instupidita, non potè che
socchiudere le palpebre.
“Le città di Yevtsuk’han
e Lernayin probabilmente non ritireranno i propri Jadi
- Ambasciatori” lo raggiunse ancora una volta la voce di Edereth
“Sono giunti stamane ricchi di doni e provvigioni” nel progressivo calare del
silenzio all’interno della sala, le sue parole parevano ora nulla più che un
sussurro a fil di labbra “Ma dubito che gli avvenimenti di Hevnank’ar non avranno alcun tipo di ripercussione sul
Pellegrinaggio”
E finalmente eccola, la grande ampolla
di puro cristallo colma di liquido trasparente, avanzare nell’oramai immobile
attesa dei commensali. Un’anfora tanto grande da poter essere retta da non meno
di quattro uomini fra i più forti. Cristallina e trasparente come l’acqua in
essa contenuta. Bella e semplicemente perfetta in quel mondo rigonfio di
siccità e arsura.
“Per nostra sfortuna, la Fede non è
cosa che permetta indugi o ripensamenti” fu il commento finale di Zaphil, i cui sensi già lo preparavano all’immanente
entrata in scena in quel quadretto cerimoniale “Pur difficile e colma di
asperità, essa è la sola passione che ci separi dalla crudezza del mondo e dai
suoi pericoli più insidiosi.” “Come l’Amore, caro Zaphil?”
sussurrò Edereth non senza una punta d’ironia. Lui le
concesse un piccolo cenno del capo “Come l’Amore che ora so di non
potervi chiedere di provare per la Nihaar’ì ed il suo
Dono” “Lo stesso Dono che oggi non ha salvato Hevnank’ar” precisò lei “Lo stesso che l’ha protetta mille e più
volte prima di questo giorno” vago, un nuovo sorriso fece infine capolino sul
volto della donna.
Guardò a lungo il Naphil,
quasi sfidandolo a dire di più per poi abbozzare un sospiro “Come tutti i cuccioli,
prima o poi anche la Nihaar’ì crescerà e scoprirà di
avere denti e zanne abbastanza affilati da non doversi crucciare per la
benevolenza dei suoi sudditi. Fino ad allora, le Volpi staranno semplicemente a vedere fin dove il suo Amore riuscirà
a condurla”
Nella calma generale, l’ampolla venne
condotta dinnanzi alla Nihaar’ì ed ai suoi piedi
deposta in attesa che ella la benedicesse sancendo così un nuovo anno di pace e
alleanze.
Pochi istanti e Zaphil
fu al fianco della giovane, i convenevoli con Edereth
espletati nel tempo richiesto affinché ella non si fosse sentita oltraggiata
dal suo defilarsi.
“Che questa acqua suggelli un anno
ancora di amicizia e prosperità” aveva già cominciato con l’esordire Mathias nella formale cadenza delle proclamazioni
cerimoniali “Che la Nihaar’ì vegli su di noi a lungo
con grazia e benevolenza” alzò le braccia come ad abbracciare la sala intera
“Possano questo giorno e la sua immensa gioia durare in Eterno!” e detto ciò si
chinò in direzione della Nihaar’ì seguito a breve da
tutti i commensali riuniti.
Ed ecco il momento tanto temuto. Che
il cauto Zaphil aveva saggiato con il pensiero mentre
redarguiva il Guaritore, fronteggiava le Volpi e che ora, pur faticando ad
ammetterlo, si preparava ad affrontare con dolente rassegnazione: la risposta
della Nihaar’ì.
La giovane sapeva cosa avrebbe dovuto
dire a questo punto della Cerimonia. Le era stato accuratamente insegnato. Ma Zaphil dubitava che ora come ora ella avesse davvero in
mente anche solo una delle parole più e più volte ribadite in quelle mattinate
di lunghe e noiose lezioni mnemoniche.
E ovviamente, ecco calare il silenzio.
Un lungo, molesto, silenzio.
Suo malgrado il Naphil
si ritrovò a ricercare nella folla il Guaritore. Ovviamente non lo trovò.
Fece allora per sfiorare la Nihaar’ì e così aiutarla ad alzarsi, ma con sua immensa
sorpresa eccola alzare allora una pallida mano in direzione dei presenti e con
essa sorvolarli tutti in una perfetta simulazione di carezza.
“Voryersyelve’Nai”
Che il
Sogno vi accompagni per sempre
Ciò che seguì fu un tripudio di grida
e applausi, cori festosi e gioia a profusione mentre l’anfora veniva presa
d’assalto da una miriade di piccoli boccali grandi poco più che un ditale.
L’ultima goccia fu data alla Nihaar’ì la quale, pur
tremando appena, strinse fra le dita il piccolo calice quasi che temesse si
spezzasse.
O si spezzasse lei.
Edereth aveva porto a Zaphil una
altrettanto minuta coppa pochi istanti prima, un docile sorriso quasi a voler
stemperare la tensione vigente fra di loro.
All’unisono, tutti i boccali vennero
quindi protesi in avanti in direzione della Nihaar’ì
la quale, docile, non fece altro che reggere il proprio con entrambe le mani.
“Voryersyelve’Nai”
ripetè fiacca
“Uhe’yelzysat”
fu la risposta unanime prima che, come unico uomo, tutti quanti
bevessero d’un fiato la propria limpida, pura, acqua.
Fu solo deglutendo che improvvisamente
Zaphil si rese conto del retrogusto particolare di
quel liquido. Fragranza morbida ed asciutta al contempo, affatto simile alla
solita rimembranza di sale che tutta l’acqua depurata di Harryan
soleva avere. Sfregò un paio di volte la lingua sul palato, avvertendo solo
distrattamente la mancanza di sensibilità sotto di esso. Socchiuse allora le
palpebre e fu mentre voltava il viso per includere Edereth
in quella osservazione che la notò riversa a terra al suo fianco, un mare di
capelli bruni a circondarle scompostamente il viso impreziosito di monili e
pietre.
Non era possibile...
Deglutì a vuoto.
Veleno?
L’attimo dopo cadde
anche lui bocconi a terra, un sonno senza sogni a catturarlo senza via di
scampo nella sua morsa letale.
Perdonate le tempistiche di
“postaggio” un po’ più lunghe del solito, è un
periodo un po’ trafficato J spero comunque di
mantenere la costanza e, se possibile, accelerare un po’.
Ancora un enorme grazie a
tutti ed in particolare ai miei correttori di fiducia (ebbene si, abbiamo una
new entry!). Spero che questo nuovo capitolo possa piacervi!
“Ricorda queste parole:
non è solo con gli occhi che potrai percepire ciò che è velato. Resta in
ascolto e capirai che non esistono veri segreti, non vi sono reali misteri”
Zaphil si
svegliò con un sussulto, occhi di ghiaccio a colorarsi in un attimo della
pallida sfumatura della paura prima ancora che il sonno, vero o apparente,
avesse il tempo di abbandonarli. Si tirò in piedi con uno scatto, scoprendo con
suo immenso rammarico di trovarsi ancora riverso a terra non poco distante dal
punto in cui -evidentemente- era caracollato in un momento non meglio
precisato. Represse una smorfia di dolore nell’avvertire una fitta alla testa,
conseguenza dall’urto con il pavimento.
Serrò un paio di volte le palpebre per tentare di
schiarirsi le idee, la visione che di momento in momento si faceva tanto più
chiara quanto più tragica: ovunque giacevano corpi riversi e ammonticchiati
l’uno all’altro come la casualità aveva provveduto. Alcuni -tirò un sospiro di
sollievo- russavano sonoramente. Altri si muovevano appena, segno di un
imminente ma ancora imprecisato destarsi.
Più vicine, le Volpi sonnecchiavano pacifiche, un filo
di bava a colare dalle labbra di Mathias ed uno di
sangue - particolare assai meno rassicurante- da quelle di Shayarin.
Poco più distante, una Edereth
solo per metà desta sedeva sugli scalini di marmo reggendo fra le braccia il
suo ennesimo marito, un giovinotto dalle guance rosee e delicate.
Infine, con un sospiro che sapeva già di rassegnazione
e sconforto assieme, Zaphil si convinse ad alzare lo
sguardo verso il punto dove avrebbe dovuto trovarsi - ma chissà perché aveva da
tempo sospettato il contrario- la Nihaar’ì.
Uno scranno vuoto, miseramente circondato di ricchezze
fra le più disparate, ricambiò il suo sguardo affranto, ricordandogli perché,
solitamente, era usanza non far mai toccare cibi e bevande alla Veggente in
simili festività e occasioni.
E ancor meno alle sue guardie del corpo.
Socchiuse le palpebre, la nota del più puro
avvilimento che si innalzava tonante in lui costringendolo a ricadere
nuovamente a terra, dolente.
Dannazione.
Ansimò.
Possibile che fosse stato così incauto? Così sciocco
da lasciare spazio ad un così semplice, banale e imbelle piano? Che si fosse a
tal punto distratto da permettere che la cosa più preziosa al mondo gli venisse
sottratta così, senza il disturbo di una resistenza?
Chinò il capo e quando lo rialzò dinnanzi a lui stava
la figura del Guaritore, una sagoma affranta con occhi cinerei. Attorno a lui,
pur flemmatiche, si intravedevano le avvisaglie dell’immanente risveglio
comune.
“Già sveglio?” abbozzò Zaphil
con una smorfia roca. Eke’hel si strinse nelle spalle
“I Guaritori sono soliti testare su se stessi veleni e medicamenti prima di
propinarli ai propri pazienti. Probabilmente questa droga possedeva sostanze
che il mio organismo già conosceva”
Il Naphil si accigliò
“Questa droga?”
L’altro si strinse nelle spalle “Questa non è una
magia, Sommo Zaphil. E’ il semplice trucco di un Suba’ra”
Un maestro dei Veleni.
Per un folle attimo gli occhi del Naphil
corsero per la sala alla ricerca del ragazzetto tanto simpatico che dall’inizio
del banchetto non aveva fatto altro che giocare con unguenti e sostanze
sconosciute. L’avevano chiamato Suba’ra, giusto?
Tuttavia il Guaritore lo precedette
“Era addormentato come tutti gli altri” abbozzò una
smorfia contrita “Ho dato comunque ordine che venisse interrogato al suo
risveglio”
Zaphil annuì
una volta, poi non potè proprio trattenersi dall’esalare
un sospiro esasperato.
“Immagino che nessuno abbia visto - per caso - la Nihaar’ì nei dintorni”
Eke’hel non si
curò neppure di rispondere.
“Fate rinvenire le Volpi al più presto” Zaphil si umettò le labbra “E chiamate Dzerrk’e”
Al nominare il Guardiano, qualcosa nella postura di Eke’hel parve irrigidirsi “Dzerrk’e
è morto, Sommo Zaphil” esalò tetro dopo un attimo.
Morto?
“Lui ed alcuni uomini di guardia alle porte sono stati
sgozzati. Altri più avanti hanno ricevuto lo stesso trattamento” il Naphil socchiuse le palpebre “Da dove sono passati?” “Dal
quartiere delle cave d’argilla probabilmente, ma è ancora presto per dirlo. Ho
mandato alcuni uomini in perlustrazione”
Quindi in sostanza non avevano la più pallida idea né
di chi fossero, né di quanti fossero.
Un nuovo sospiro contratto.
“Altre vittime? Feriti?”
Il Guaritore si portò una mano alla fronte, detergendo
un sudore più psicologico che reale.
“Non ne ho idea” esalò infine “Da quando mi sono
svegliato non ho fatto altro che tentare di rintracciare la Nihaar’ì.
Agli altri non ho pensato...” si coprì le labbra, anch’esse imperlate di sudore
“Ma temo che i Soldati non saranno le sole vittime...”
Annuendo meccanicamente, Zaphil
intuì suo malgrado a chi si riferisse il Guaritore: il sangue sulle labbra di Shayarin lasciava ben pochi dubbi sul suo stato di salute.
Ma dunque la pista di Elia’s
non poteva essere quella giusta....
Tossì, decidendo finalmente di tirarsi in piedi ed
affrontare la situazione da una posizione eretta.
La Nihaar’ì era scomparsa.
Fissò quel pensiero della mente.
Ma probabilmente non era stata uccisa.
Prese a spazzolarsi le vesti sgualcite.
Se così fosse stato l’avrebbero trovata insieme agli
altri riversa in un lago di sangue.
Si umettò le labbra.
Ma lo scranno era vuoto. E le guardie erano state
trucidate.
Perchè osare
tanto se non per portare fuori qualcuno?
Ordinò dunque ai pochi Soldati lì presenti di portare
i dormienti nelle loro camere, i feriti nelle sale dei Guaritori e mettere di
guardia un uomo per ognuno di essi così da assicurarsi che nessuno tentasse la
fuga. Poi cavò dalle vesti il proprio pugnale ed in silenzio prese a cercare le
prove che né il Guaritore nè nessun altro se
non un Naphil come lui sarebbe stato in grado di
trovare.
La domanda principale però perdurava.
Dopo il primo attacco, Hevnank’ar era stata setacciata e rivoltata da cima a fondo
più e più volte. Come era possibile che qualcuno fosse riuscito - ancora - ad
entrare ed uscire dalle sue mura senza che anima viva avesse avuto l’ardire di
accorgersene e -che ne so- dare l’allarme?
Porte segrete? Passaggi sconosciuti?
E soprattutto, perché ogni volta che Zaphil si concedeva di pensare che Hevnank’ar avesse finalmente esaurito i propri segreti,
quella dannata città si ostinava a presentargliene uno in più da svelare?
Ore dopo, sporco d’argilla, sangue e delle più
improbabili sostanze raccimolate nei bassifondi della
città, Zaphil fece nuovamente capolino dalla porta
d’ingresso della magione di Shayarin. Fu uno stravolto
Eke’hel ad accoglierlo, gli occhi vitrei come biglie
incastonate.
“Cattive notizie” esordì il Guaritore venendogli
incontro come per circondargli le spalle e guidarlo all’interno. Una rapida
occhiata bastò tuttavia per farlo desistere.
“Anche le mie” rispose l’altro con una nota drammatica
“Se non lo credessi inverosimile, giurerei che quei bastardi abbiano lasciato
di proposito un cadavere ad ogni angolo per guidarci sui loro passi” il
Guaritore storse la bocca “Sicuro che fossero più di uno?” l’altro scosse il
capo “Affatto. Ma se così non fosse, gradirei essere il primo a vedere il volto
di un uomo capace di simili gesta”.
Sfinito, si accasciò allora su una sedia, le gambe a
distendersi in una posa di inesorabile stanchezza.
“E voi invece, che novità?”
Immagino migliori delle mie...
Il Guaritore scosse il capo.
“Shayarin è morto. Una
pugnalata alla schiena” Zaphil si passò una mano
stanca sugli occhi lasciando che le palpebre si abbassassero per un bruciante
momento “Aveva questo con sé” continuò asciutto l’altro per poi accostarsi e
porgergli un pezzo di carta sporco e stropicciato.
Zaphil lo
guardò a lungo, intensamente, quasi che con un’occhiata avesse potuto
decifrarne il temibile contenuto. Poi sospirò.
“Leggetelo, vi prego”
Chissà perché, la sola idea di prenderlo in mano lo
turbava.
Eke’hel lo
guardò stupito per un attimo, tuttavia non fece segno di aprire il prezioso
involucro.
“E’ firmato dai Figli delle Ombre” evidentemente
l’aveva già letto un numero sufficiente di volte da ricordarlo a memoria
“Dicono di aver rapito la Nihaar’ì e di non avere
alcuna intenzione di liberarla a meno che la Torre del Tempo non rilasci i loro
compagni, prigionieri nelle Segrete”
I Figli delle Ombre?
Suo malgrado, Zaphil non potè proprio trattenere uno sguardo attonito.
Non ricordava quel nome. Nemmeno un po’. E ancor meno
ricordava perché mai avrebbe dovuto ricordarlo.
Erano ribelli?
Si morse un labbro, dolori lancinanti a piedi e
schiena a ricordargli improvvisamente quanto lunga stava diventando
quella dannata giornata - riposo involontario o meno.
Forse Cultisti scappati alla
giustizia della Torre del Tempo? Del resto si definivano figli delle Ombre....Oppure
erano semplici criminali, predoni del Deserto ansiosi di avere la propria rivalsa...
Fu il colpo di tosse del Guaritore a destarlo dalle
proprie divagazioni mentre questi gli porgeva ancora una volta il foglio di
carta.
“Ci danno appuntamento tra non meno di quattro giorni
sulla riva Nord del Lago Lichrak, al confine delle
Vele” continuò rigidamente “Dicono di portare lì i prigionieri per...” esitò
“Lo Scambio”
Con un movimento stanco Zaphil
si constrinse finalmente a prendere dalle mani di Eke’hel quel dannato pezzo di carta, aprendo i risvolti
spiegazzati e leggendo con una nota contrita quelle poche righe vergate con
mano rozza ma decisa, quasi che il pugno avesse temuto tutto fuorché le proprie
barbariche intenzioni.
I Figli delle Ombre - nome dalla discutibile
confidenza - concludevano minacciando Zaphil e tutta
la Corte della Veggente di porre fine alla vita della Nihaar’ì
per qualunque “colpo di testa” o “azione sconsiderata” tentata dai suoi.
Alzò gli occhi incontrando il Velo su quelli di Eke’hel. Davvero poco confortante. Così li riabbassò e
lesse ancora ad una ad una quelle righe blasfeme.
Lo Scambio.
La parola suonò come un pungolo sottile infilato
proprio sotto le sue unghie. Aguzzo e pungente cui il vecchio rispose con una
smorfia di autentico dolore.
Poi scattò in piedi, la sensazione di essere rimasto
davvero troppo seduto a costringere i suoi arti a muoversi con
meccanica, eppur furiosa, rapidità.
E poi fermarsi. Per poi riprendere poco dopo. E
arrestarsi ancora.
“E’ una trappola”
esalò infine
“Chi mai, avendo a disposizione la Nihaar’ì
la cederebbe per un semplice scambio di ostaggi?” Eke’hel
esitò qualche istante, forse tentando di racimolare una qualche risposta, ma Zaphil non gliene diede il tempo “Avrebbero potuto rapire
una delle Volpi” riprese con passione “Un semplice funzionario o chiunque non
necessitasse di un pandemonio simile ....” “Magari la loro intenzione è
attirarci con una richiesta accettabile per poi passare alla fase
successiva....” “Possibile” convenne rapido l’altro “Penso però che il loro
piano sia sfruttare la Nihaar’ì per qualche altro
intento. Del resto stiamo parlando della Veggente, non di una ragazza
qualsiasi...” “Ammesso che loro sappiano veramente di cosa sia capace una
Veggente” lo imbeccò l’altro.
Il Naphil si passò due dita
sugli occhi “Credo che ora il vero problema sia valutare cosa ella non sia
capace di fare”
Intendendo le sue parole, Eke’hel
ebbe come un sussulto.
“Se ella non si dimostrerà capace di usare i propri
Doni potrebbero crederla una Hayeli’vo e ucciderla”
“Questo a meno che non sia nostro preciso intento fargli credere questo”
Difficile decifrare l’espressione di Zaphil.
“So che può sembrare assurdo” si affrettò a spiegare
l’altro “Eppure proviamo a pensarci: i Figli delle Ombre credono di avere
rapito la Nihaar’ì, la carica più importante di tutta
Harryan. Sanno di tenerci ora sotto scacco e di avere
su di noi più potere di quanto mai alcuna organizzazione abbia avuto
dall’inizio della Storia” esitò un attimo, facendo un passo avanti “Proviamo
però ad immaginare cosa accadrebbe se ad un certo punto scoprissero di avere
fatto un errore; di aver rapito non la Nihaar’ì ma la
sua sostituta” “Perderebbero la testa” esalò Zaphil
“Esatto. Ma è proprio questo che serve a noi: una buona dose di confusione tale
da lasciarci tutto il tempo per agire” “Questo ammesso che non decidano di
liberarsi di lei e fuggire appena scoperto l’errore” Suo malgrado, Eke’hel si sforzò comunque di sorridere “Non credo che lo
faranno. Forse non sarà la Veggente, ma una Hayeli’vo
è pur sempre una buona merce di scambio, non credete?”
Zaphil esalò
un ghigno incredulo “Credete davvero che metterei a rischio la vita della Nihaar’ì per un semplice...inganno?”
Evidentemente questa era proprio la risposta che il
Guaritore si era aspettato perché sorrise beffardo “A voi la scelta su quale
rischio preferire: la gestione di quattro o cinque esaltati religiosi o
l’eventualità che tutta Harryan sappia che oltre ad
aver perso il controllo di Hevnank’ar,
delle Ombre e dei Risvegliati al loro seguito, siamo stati pure capaci di percedercinientemeno che Nihaar’ì”
Per un attimo il Naphil
parve incapace di rispondere, la semplicità di quella rivelazione a gettare su
di lui una nuova coltre di spessa, insuperabile e rinnovata ansia.
Guardò a lungo il Guaritore, immaginando non il suo
volto ma quello assai più volpino di Mathias
ed Edereth nel prendere atto della favolosa notizia
della scomparsa della Veggente - no, meglio ancora, del suo rapimento- proprio
dopo il “mezzo si” concesso dalla Signora delle Vie in relazione alla possibile
alleanza fra Hevnank’ar e
la Torre del Tempo.
Infine sospirò.
Del resto nessuno a parte lui ed il Guaritore erano a
conoscenza della nuova Hayeli’vo. Come
dubitare che vi fosse un trucco...dietro al trucco?
“Abbiamo quattro giorni” replicò quindi asciutto
“Quattro giorni per andare a riprenderci la Veggente, riportarla qui a Hevnank’ar e riprendere come se
nulla fosse il Pellegrinaggio”
Ancora una volta, il Guaritore scosse la testa
“Quattro giorni per rimettere sì tutto a posto, ma uno
soltanto perché io parta immediatamente con la nostra Hayeli’vo
ed evitare che tutti quanti i nostri alleati si accorgano dell’inganno”
replicò asciutto “Sarà mia cura assicurarmi che i Messi ci precedano
comunicando al mondo lo scampato pericolo. La vostra partenza dovrà invece
essere assai meno conclamata: basterà dire che voi e le vostre truppe ci
precederete alla prossima città per assicurarvi che tutto sia stato preparato a
regola d’arte”.
Per un attimo sui due calò il silenzio. Poi,
lentamente, Zaphil si ritrovò ad annuire una volta.
“Credete che ci cascheranno?” abbozzò non senza una
punta di scetticismo. L’altro si strinse nelle spalle, una smorfia altrettanto
vaga a sfiorargli le labbra “Se reciteremo bene la nostra parte, sì. Viceversa,
il Destino delle Veggenti sarà perpetrato e la nostra Nihaar’ì avrà la tragica fine che merita”
Zaphil gli
scoccò un’occhiata truce.
“Non permetterò che Odayn
muoia per mano di qualche pazzoide religioso” digrignò gelido.
Ancora una volta, il Guaritore si strinse nelle spalle
“Se il suo Regno cadrà, lei cadrà con lui. Che per allora ella sia ancora viva
o già morta farebbe assai poca differenza”
Nuovo
mese, nuovo capitolo :) Ancora una volta si cambia narratore,
vicenda, punto di vista. Spero abbiate gradito Zaphil ed il suo modo
di pensare/parlare/vedere il mondo. Come sempre ringrazio tutti, ma
proprio tutti, per la gentilezza nel leggere e seguire questa storia.
A presto!
Baciozzi
Elendil
“Non
abbiate paura, entrate” la voce dell’uomo era calma e
gentile, una piccola carezza sul viso congestionato. Avevano percorso
più scale di quante ne avesse mai viste in tutta la sua vita
ed ora, suo malgrado, faticava quasi a respirare.
Lui
sorrise ancora, forse percependo il suo disagio.
“Avanti,
dai”.
Si
strinse nelle spalle prima di entrare, un passo dopo l’altro
che la portavano a sfiorare con le dita dei piedi nudi un tappeto di
grezza lana attorcigliata, ruvido al tatto. Solo allora i suoi occhi
scorsero le ampie finestre schermate da tende di lino, le pregiate
pitture delle pareti ed il grande letto posto al centro.
Espirò
lentamente.
Tutto
di quella stanza esprimeva bellezza e buon gusto, i dettagli di ogni
piccolezza tanto minuti e ricercati da rasentare il sovrannaturale.
Un morbido blu-verde tingeva ogni cosa addolcendo ancor più la
perfetta alchimia del mobilio.
Approvò
la scelta.
“E’
bello” constatò voltando in quella lo sguardo verso
Zaphil. L’uomo aveva il volto coperto, ma fu impossibile non
notare il vago sorriso far capolino sulle sue labbra. “Speravo
vi piacesse” le confessò senza abbassare lo sguardo “Non
è sempre facile indovinare i gusti di una fanciulla”.
I
gusti di una Veggente. Lo
corresse mentalmente lei, ma pensò che fosse sgarbato
puntualizzare un così innocuo particolare alla vigilia della
loro conoscenza. Del resto, le avevano detto che i Naphil rimanevano
al fianco delle Nihaar’ì per tutta la vita...rendersi
antipatica fin dalprimogiorno
forse
non era la mossa più intelligente da fare...
Decise
quindi di stringersi nelle spalle e annuire.
“E’
una stanza stupenda” decretò facendo qualche passo in
avanti. Sfiorò con le dita gli ampi tendaggi che circondavano
il letto, notandone sotto i polpastrelli la fine trama priva di
difetti. Passò dunque ai mobili, lisci e levigati di fino,
perfetti per contenere più abiti di quanti ella avesse mai
pensato di possedere.
Aprì
con cautela un cassetto.
Ed
eccole lì. Decine e decine di meravigliose opere di sartoria,
ispirate ed intessute a suo modello così che, una volta
indossate, ogni centimetro di seta le calzasse a pennello senza
sbavo.
Richiuse
il cassetto. Le dita rimasero tuttavia ferme sui pomelli, un brivido
a percorrerle per un attimo prima che ella, distrattamente, vi si
separasse con un sospiro.
“Questa
sarà la mia casa da ora in poi?” chiese senza guardare
il Naphil. Nell’attimo di silenzio che seguì, uno zefiro
di vento attraversò solitario la stanza intrecciandosi negli
scuri capelli della fanciulla. Per quanto assurdo, anch’esso
profumava come tutto ciò che si trovava all’interno
della Torre del Tempo.
Poi
lui sospirò.
“Questa
sarà la vostra casa per sempre, Somma Nihaar’ì”
le rispose “Da ora in avanti sarà mio impegno
assicurarmi che nulla vi venga mai fatto mancare”
Lei
sbattè una volta le palpebre.
“Siete
il mio Servo personale?” chiese monocorde. Stranamente, Zaphil
sembrò reprimere una risatina asciutta “Voi
considerereste i vostri genitori Servi?” “Voi vi
considereste mio padre?” rimbeccò lei. Docile, lui
incrociò le braccia al petto “Mi basterebbe anche solo
essere vostro amico”.
Io
non ho amici. Non più. Pensò
subito la fanciulla. E come se avesse avvertito quel pensiero, Zaphil
aggiunse “Il vostro nuovo
amico”.
Per
un attimo nessuno dei due parve intenzionato ad aggiungere altro.
Distogliendo lo sguardo, la Veggente si accostò allora
all’ampia finestra della camera, gli occhi velati che
percorrevano in un sol attimo le miglia che la dividevano da ciò
che un tempo era stato il suo mondo.
Arricciato
in una piccola struttura in ferro raffigurante un albero stilizzato,
un bastoncino di spezia bruciava diffondendo un profumo ricco e
pungente.
“Avevo
un amico...” iniziò a dire lei. Poi si interruppe
scuotendo il capo. Zaphil strinse appena le labbra per poi rilassarle
un attimo dopo “Farò il possibile affinché possa
ricevere protezione fino alla maggiore età.” disse dopo
un attimo “Dopo di allora, sapete che ognuno è padrone
del proprio Destino”.
Lei
annuì solo una volta, eppure fu come vederla improvvisamente
distendersi nelle vesti, il capo che si sollevava e
contemporaneamente voltava per incontrare finalmente la figura del
Naphil.
“Avete
detto di chiamarvi Zaphil, si?” chiese lei abbozzando quello
che avrebbe potuto essere un sorriso. Lui si strinse nelle spalle,
imitando dopo un attimo quella smorfia stentata.
“Così
mi chiamano gli
amici”
soffiò
docile. Voltandosi completamente a guardarlo, la Nihaar’ì
si poggiò allora al parapetto.
“Allora,Zaphil,
quali
sono i doveri di una Veggente?”
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Fermo
sulla soglia, l’uomo in bianco aprì un braccio come ad
invitarla ad oltrepassare l’uscio spalancato. Probabilmente
avrebbe anche voluto parlare, ma qualcosa nella sua postura rigida le
suggerì che questi non fosse affatto a suo agio in quella
scomoda situazione.
Lei
non si mosse, gli abiti spiegazzati dal viaggio a darle ora un’aria
arruffata e nervosa.
Entrare
in una cella? Lei?
Lui
si chiarì allora la gola, come preparandosi a parlare.
Tuttavia lei fu più veloce.
“Osereste
rinchiudere me
in
una gabbia?” esalò quasi ringhiando “Avete idea di
chi sono?”
Rigido,
l’altro parve ancora una volta incapace di formulare una frase.
Esitò, una mano ancora tesa come nell’atto di invitarla
ad entrare in quella cella di sale e l’altra abbandonata al
fianco, inerte, quasi che perfino egli stesso non avesse granché
idea di che farsene.
Poi
ripetè la sua tacita offerta. Abbassando il capo.
Stizzita,
la Nihaar’ì strinse appena gli occhi.
“Non
oserete” dichiarò. Ma così come ella non pareva
intenzionata a muoversi, nemmeno l’altro sembrò incline
a reagire in qualche modo alla sua provocazione. Né
fronteggiandola, né soccombendovi.
Così,
dopo un attimo di strenua resistenza reciproca, la Nihaar’ì
dovette suo malgrado arrendersi e varcare con un sibilo contrito la
tanto sospirata soglia.
Fu
la figura di un uomo in bianco ad accoglierla. Seduto sull’unica
sedia presente nella stanza,
le sorrise docilmente nel vederla bloccarsi all’istante come un
felino.
“Vor
yersyel” la salutò. L’altra dovette quasi mordersi
la lingua per non cinguettare la nota risposta.
“Perdonate
le maniere del nostro Jui”sogghignò
l’uomo “Fra le sue molte qualità, dubito che la
parlantina sia quella più valente”.
Sorrise.
La
Nihaar’ì non ricambiò.
“Dunque
siete voi che comandate?” digrignò viceversa.
A
pochi giorni dal loro primo incontro, Zaphil le aveva insegnato un
divertente trucchetto per smascherare i veri ricchi dalle loro
pallide e fantasiose imitazioni.”Una semplice precauzione
contro chi pretenderà di essere più furbo di voi
nell’insegnarvi ad essere furba” aveva chiocciato il
vecchio.
Guarda
le vesti.
Forma,
consistenza, filato, ma soprattutto il colore.
In
un mondo dove l’acqua è il bene più prezioso, chi
pensi possa permettersi di sprecarlo per un semplice vezzo di
pulizia?
Ll’uomo
dinnanzi alla Nihaar’ì presentava abiti dalle trame ben
strutturate, filate ad arte come solo le sarte di grande esperienza
erano in grado di fare. E bianche, pulite, insomma lavate di fresco.
Chi
mai se non un capo avrebbe potuto permettersi tale inutile vezzo?
Ammesso
ch’egli non possedesse un unico vestito buono da utilizzarsi
per le occasioni speciali...
Si
umettò le labbra.
Fu
tuttavia con una mezza nota di soddisfazione, che la giovane vide
l’altro annuire una volta “Ahimè, credo proprio di
essere stato scoperto” asserì con una nota beffarda “Ma
dato che mi riservate l’onore di riconoscermi, lasciate che
anche io vi rivolga la medesima cortesia” sogghignò
“Siete voi dunque la Nihaar’ì?”
L’altra
strinse appena le labbra “I Legheon vi faranno a pezzi uno ad
uno per questo affronto” “I Legheon faranno bene a
starsene buoni dove sono se non desiderano che la loro amata Veggente
faccia la fine che si merita” la zittì l’altro.
Gelido,
il silenzio calò su di loro. Cerchi di morbida luce si
stagliavano ora sul pavimento della cella, ombre lucenti dai buchi
che dal soffitto erano stati aperti per lasciar passare luce ed aria.
Doveva
essere ancora mattino.
Fu
l’uomo a prendere nuovamente parola, le dita imbrunite dal sole
che tamburellarono un attimo nell’aria come alla ricerca di uno
strumento invisibile.
“Perdonate
la rudezza” scrollò le spalle “Non è mia
abitudine parlare con fanciulle della vostra levatura sociale. Posso
solo immaginare quanto rozzo possa ora sembrare ai vostri occhi...”
La
Nihaar’ì lo liquidò con un semplice sorriso.
“L’avete
detto, vi ho riconosciuto
al
primo sguardo” l’altro simulò la parodia di un
inchino con il braccio “Ma indovinare il vostro passato non è
cosa di mio interesse. In confronto a ciò che io sono, voi
siete meno di un disturbo per me.”
L’altro
si lasciò sfuggire un sogghigno teso, la gamba destra che
saliva ad incrociare l’altra all’altezza del ginocchio.
“Quale
gentilezza...” esalò, ma la ragazza non aveva ancora
finito “...La vera domanda viceversa è ora un’altra:
cosa avete intenzione di fare di me?”
Ora
che mi avete preso.Ora
che mi avete condotto qui, in questa misera cava di sale abbandonata
sulle coste di chissà quale lago di Harryan. Ora che siete
riusciti in ciò che tutto il mondo credeva impossibile.
Fu
con un movimento agile che l’altro si tirò in piedi e
colmò con una semplice falcata lo spazio che lo divideva dalla
Veggente. Mentre la sedia cadeva a terra con uno schianto sordo alle
sue spalle lui le afferrò un polso con forza portandolo
all’altezza del viso di lei. La Nihaar’ì annaspò,
improvvisamente rigida nelle mani dell’uomo.
“Siete
la Nihaar’ì?” chiese lui in un sibilo. L’altra
lo fissò incapace di capire. Di risposta, l’uomo le
strattonò il braccio una volta costringendola a farglisi di un
passo più vicina. Le sue vesti odoravano di spezie dolci, la
sua pelle di balsami e aromi caldi.
“Siete
la Nihaar’ì?” ripetè più lentamente.
Finalmente
lei annuì una volta.
“Dunque
non vi servono risposte” ghignò lui lapidario “Vi
basterà dormirci
sue
tutto vi apparirà più chiaro, dico bene?”
Incapace di parlare, la Veggente si limitò a fissarlo
attonita, la stretta sul polso che di istante in istante diveniva
sempre più dolosa.
Tentò
con scarsi risultati di liberarsi.
“Fossi
in voi, mi prenderei comunque il disturbo
di
riflettere sulla questione questa notte. Potrebbe rivelarsi
un’esperienza interessante”
Finalmente
egli la lasciò andare, la mancata presa che quasi la faceva
crollare a terra. Incespicò all’indietro, il tremore
delle gambe a guidarla fino alla parete più vicina. Vi si
appoggiò con un sospiro.
Lui
sorrise prima di accostarsi all’uscio e da lì regalarle
una lunga occhiata cui ella scampò voltando il viso dall’altra
parte.
“Uhe’yel
zysat, Nihaar’ì” esalò dunque prima di
chiudersi la porta della cella alle spalle “Vi auguro una Buona
Notte”.
Fu
un brivido a svegliarla. Un tremito lungo e teso, come la sensazione
di freddo ad intrufolarsi fra le vesti alle prime luci dell’alba.
Tuttavia
percepiva ancora nell’aria l’umido sentore della notte
sulle palpebre. Il suo velo freddo sulla pelle. Si mosse a disagio
nelle coperte, tentando suo malgrado di schermarsi da
quell’inopportuno risveglio chiudendosi a bozzolo in esse. E
sospirò.
L’attimo
dopo spalancò entrambe le palpebre nel buio. L’ondata di
terrore che seguì a paralizzarla in quella sua posizione
fetale senza possibilità di scampo.
C’erano
delle voci.
Dal
terreno ove ella aveva posato la guancia risalì allora un
arido sentore di polvere e sabbia a pizzicarle il naso e bloccarle il
respiro. Annaspò immobile.
Fu
allora che si presentò il dolore. Scapole e spalle schiacciate
sotto il peso di quel rigido giaciglio, Gambe aggrovigliate nel
tentativo di trattenere il calore. Collo ritorto su un braccio - ora
insensibile - per sfuggire all’assenza di un cuscino.
In
un unico spasmo doloroso, il corpo della Nihaar’ì accusò
le conseguenze del dormire a terra senza la benché minima
traccia di stoffa o giaciglio ad addolcire il contatto con il
terreno.
Gemette
meccanicamente, la sensazione di non potersi affatto muovere
-malgrado l’evidente necessità di farlo- che le
graffiava dolorosamente i fianchi della coscienza prima che ella si
imponesse di stirare prima una gamba, poi l’altra. Ed infine
tutte e due.
Di
nuovo, in lontananza, l’eco di Voci.
Rotolò
su un fianco, il freddo che di petto la investiva lasciandola senza
fiato. Strizzò allora gli occhi, il peggior risveglio di
sempre che prendeva a tormentarla con un tremito convulso a tutto il
corpo. Tremito che prese rapido a risuonare nella cella al ritmo dei
suoi incisivi cozzanti.
Infine
si mise seduta.
E
di nuovo gemette.
La
testa le scoppiava. Ma dubitava di poter capire se per le sue ore di
doloroso sonno o per quel temibile suono che ella aveva percepito dal
suo stato di incoscienza.
Ma
di nuovo, eccolo.
Voci
basse, lontane. Quasi il mugghio della terra. Ma certamente umane.
Innalzarsi in un’unica nota compatta e poi svanire. Per poi
tornare. Come risacca antica.
Qualcosa
di simile al presentimento fremette in lei, irrigidendo i suoi
muscoli già contratti.
Conosceva
quel suono.
Comprese.
Conosceva
quell’intonare.
Si
stupì.
Tremante,
si costrinse allora ad alzarsi in piedi ed accostarsi alla porta. Il
buio più impenetrabile rispose al suo sguardo, un ghigno che
sapeva di corridoi deserti e stanze spoglie, attraversate solo dalla
pallida sfumatura lunare.
La
Veggente poggiò le mani al legno della porta, le dita che
misuravano con apprensione la consistenza umida della sua superficie
prima che l’orecchio vi si accostasse, in attesa.
E
di nuovo, il fluttuare di voci nel buio oltre la soglia. Tramestio
velato, grave e pesante se paragonato al solito che ella era abituata
ad udire.
Eppure
era proprio lui.
Impossibile
dimenticarlo. Impossibile confonderlo. E dubitare.
Quello
era il Canto della Veggente.
Il
suo
canto.
La
consapevolezza le rizzò tutti i peli del corpo, una doccia
gelata che la lasciò boccheggiante lì, in piedi,
appoggiata alla soglia quasi che sola non avrebbe potuto reggersi
sulle proprie gambe.
Il
suo canto.
Ripetè
la sua mente.
E’
proibito.
Aggiunse poi, lapidaria.
Nessuno
a parte la Nihaar’ì poteva pronunciare quelle parole, la
sacra e intangibile invocazione al mondo dei Sogni.
Era
un’eresia.
Boccheggiò.
No.
Peggio.
Un
sacrilegio.
“Torna
a dormire, Ragazzina”
improvvisa,
la voce giunse ad un sospiro da lei, dietro la porta eppure
sorprendentemente vicina.
Terrorizzata,
la Nihaar’ì scattò allora all’indietro, il
panico che istantaneamente la faceva incespicare nei suoi piedi,
ruzzolare fino alla parete più vicina dove la sua testa
incontrò la solida parete di sale.
L’eco
di quei canti fu l’ultimo suono che ella percepì prima
di cadere bocconi a terra.
Ed
eccomi di nuovo, questa volta pure in anticipo :) A poche ore da un
esame importante, ecco il nuovo capitolo! Spero piaccia. Grazie a
tutti e come sempre...alla prossima!!
Baciozzi
Elendil
_______________________________________
“Torna
a dormire, Ragazzina”
quella
voce fu la prima che ella udì al suo nuovo risveglio. Vera o
apparente che fosse, fu quella che ella percepì nel momento in
cui i suoi occhi si spalancarono nuovamente su un mondo questa volta
pallido e soleggiato.
Alto,
esso si stagliava in cerchi dorati attorno a lei, punteggiandola di
screziature calde. Alla porta sostava ora una figura in bianco. La
Nihaar’ì ne mise faticosamente a fuoco le fattezze,
riuscendo solo dopo qualche attimo a dedurre che si trattava di una
donna.
Si
tirò piano a sedere, la mano sinistra che andava
istintivamente a tastare la nuca nel risvegliarsi di un dolore acuto
e disturbante.
Ritraendola
la vide sporca di sangue rappreso. Fece una smorfia contrita.
Immobile,
la figura in bianco attendeva, paziente. Sollevò allora lo
sguardo su di lei solo un attimo, la vaga sensazione che nemmeno
quella nuova guardia
del corpo avrebbe
detto granché ad offrirle una nuova, gradevolissima, scusa per
essere di cattivo umore.
Nuova
smorfia, nuova sensazione di odiare tutto di quella imprevista visita
nei bassifondi della civiltà. Poi si umettò le labbra.
“Sono
sveglia” constatò atona alzandosi in piedi. Le gambe
tremarono nervosamente per qualche istante prima di consentirle una
posizione eretta degna di tale nome. Quindi fronteggiò
nuovamente la nuova venuta “A cosa devo questa gradita visita?”
Come
da copione,
l’altra
si limitò a farle un vago cenno con la mano invitandola a
seguirla. Come dacopionela
Nihaar’ì non diede segno di volersi muovere.
L’altra
ripetè allora il movimento senza proferire parola.
Ma
si poteva sapere cosa avevano tutti lì dentro contro la
capacità di esprimersi a parole? Era forse un’usanza
troppo Nobile per poter essere condivisa dal mondo comune?
“Non
ho alcuna intenzione di seguirla, se è questo che intende”
espresse con il tono più pacato che potesse mostrare
incrociando le braccia al petto. Senza batter ciglio, l’altra
ripetè il movimento. Di tutta risposta, la Veggente riformulò
il suo.
E
fu allora che, ovviamente nel rispetto del più religioso
silenzio, l’altra non fece altro che voltarsi e allontanarsi
nel corridoio che dava sulla cella lasciandola sola.
Difficile
a quel punto impedirsi una sonora rimostranza di stizza. Peccato che
anche quella parve assai futile ed impotente rispetto a tutto ciò.
Zaphil
li avrebbe fatti fuori uno ad uno....uno ad uno...
Quando,
ore dopo, la Veggente si arrischiò finalmente a percorrere da
sola quei corridoi, fu dopo la prima svolta che si trovò
dinnanzi alla figura in bianco. Immobile come l’aveva lasciata
e ovviamente per nulla stizzita dalla lunga attesa.
Sospirò
esasperata rassegnandosi a seguirla malgrado i dolori della notte
passata ad irrigidire ogni suo movimento di dolorose e ricorrenti
fitte a fianchi e schiena. Sospirò.
E
pensare che alla Torre del Tempo si era più volte lamentata
per inezie quali lenzuola troppo spesse o cuscini esageratamente
imbottiti...
Svolta
dopo svolta, la sua guida la portò avanti in quello che presto
si rivelò essere un dedalo di stretti corridoi e gallerie
scavate in vene di sale antiche e sedimentarie. Le sfumature
cangianti variavano dal rosso ruggine al bianco più puro dando
all’intera struttura un’aria di tramonto apparente, a
tratti suggestivo a tratti soffocante.
Il
tutto si basava sul lavoro di anni, se non decenni, dove mani esperte
avevano scavato solchi e gallerie dalle più fantasiose forme.
Silenziosa e dolorante, la Nihaar’ì non potè che
apprezzarne la bellezza intrinseca ed al contempo odiarne la
labirintica struttura. Pochi passi e già si ritrovò
persa in quelle gallerie rosate a tratti rischiarate dal tenue
riardere di torce.
Infine,
svolta più svolta meno, la sua guardia la condusse lungo una
serie di scale che presto le portarono a ridiscendere lentamente
verso il basso.
“Dove
sono tutti?” chiese improvvisamente la Veggente notando solo
allora il perfetto silenzio che regnava in quel luogo. Ricordava le
voci della notte precedente e l’oscuro terrore che esse avevano
suscitato in lei. Eppure dove si trovavano ora tutte quelle genti?
Possibile che quel luogo fosse tanto grande da nasconderle e
disperderle tutte?
Ovviamente
l’altra la ignorò. Anzi, se possibile questa sembrò
accelerare il passo tanto da costringerla a trottarle dietro con
qualche rigido balzo.
Maledetta.
La maledì mordendosi la lingua. Se solo fosse stata nella
Torre del Tempo ora....
Già.
Se fosse stata alla Torre del Tempo ora...
Finalmente
l’altra parve rallentare, i passi nudi che compivano un’ultima
svolta prima di aprirsi in una zona più larga di quelle
precedentemente percorse. Qui gli scalini cedevano il passo ad una
morbida discesa di quella che la Nihaar’ì percepì
immediatamente essere una sorta di spiaggia sotterranea.
Una
pozza dalle tinte rosate, larga poco più di tre metri di
diametro riverberava tenue di fioche lanterne proiettando sulle
pareti saline scintille iridescenti.
Bella.
Fu
il primo pensiero della Nihaar’ì subito sostituito dalla
coscienza dell’uso che ella avrebbe dovuto fare di quella
pozza.
Volse
lo sguardo ed eccoli, alcuni vestiti poggiati alle rocce poco
distanti. Si morse un labbro. Ovviamente bianchi. Ovviamente anonimi
come tutti quelli che aveva visto fino ad allora.
Fece
per esternare il suo totale rifiuto a lavarsi in quella pozza colma
di chissà quali impurità ma -la cosa iniziava a
divenire ripetitiva - la sua guida l’aveva ovviamente già
abbandonata.
Di
nuovo.
Ma
che simpatia. Abbandonarla nuovamente in un luogo in cui non sapeva
come fosse arrivata e dal quale non sarebbe riuscita in alcun modo ad
allontanarsi con le sue sole forze...
Rassegnata,
alla ragazza non restò altro da fare se non cominciare a
spogliarsi ed immergersi poco dopo nella pozza naturale.
La
sensazione la stupì: l’acqua era fredda e salata, eppure
la pelle ne accolse con sollievo il contatto. Quando immerse la
testa, una tenue corona di sangue si sparse tutto attorno a lei
provocandole lancinanti fitte nei pressi della ferita aperta.
Malgrado
ciò si distese nel bacino, beandosi di quella sensazione
appagante e rassicurante fino al momento in cui alcuni rumori alle
sue spalle non la misero nuovamente in allarme.
Come
un felino scattò fuori dall’acqua, le mani tremanti che
correvano ad afferrare le vesti candide preparate per lei. Avevano un
vago sentore di sabbia e vento, quasi che il vento del deserto le
avesse asciugate da poco.
Quando
la figura familiare del suo aguzzino fece capolino nella conca, era
già vestita.
Lui
la salutò con un mezzo inchino cui lei non rispose.
“Il
bianco le sta d’incanto” commentò lui con un
sorriso gentile. Lei scostò il viso di lato “Se voi
chiamate bianche queste sudicie vesti...”
Nuovo
sorriso. “Sono contento di vederla in forma. Molti dei nostri
prigionieri tendono a non prendere così bene la loro
prigionia” l’altra si accigliò “Prigionieri?
E vostra usanza prelevare persone innocenti e farne merce di
scambio?”
“Chi
ha detto che ne facciamo merce di scambio?” replicò
sottile l’altro “Questo è un privilegio che
intendiamo riservare solo a lei”
Lusingata..
“Dunque
è per vile denaro che avete profanato Hevnan k’ar
mettendo a repentaglio la vita di tutti i suoi abitanti?” esalò
la ragazza cominciando a districarsi i capelli bagnati con le dita.
Il gesto fu seguito per un attimo dall’altro “Eravamo
tutti d’accordo che il bottino valesse l’impresa”
fu il commento finale.
Lei non colse la lusinga, limitandosi a
continuare il proprio movimento meccanico. Poi sospirò “E
che mi dite dunque delle voci che ho udito questa notte?” esalò
dopo un attimo.
Qualcosa
nella postura di lui parve improvvisamente irrigidirsi.
“Voci?”
replicò asciutto.
“Si.
Voci. Canti, per la precisione”.
L’altro
parve non capire per qualche attimo. Poi scrollò le spalle,
quasi che la questione fosse stata di poco conto “Mi segua, la
prego”.
Impossibile
essersi sbagliata. Più lo osservava, più la Nihaar’ì
era certa che quell’individuo non fosse affatto ciò che
egli diceva di essere.
Beh,
non quasi tutto.
Di
sicuro egli non era il poveruomo, umile e di modeste origini che
affermava d’essere. I suoi modi lo tradivano, la sua parlantina
sciolta lo tradiva, perfino il suo profumo lo metteva nella
condizione di poter a fatica passare per un sempliceKhonarh
(popolano).
Eppure
egli si trovava lì, in quella sorta di miniera di sale
abbandonata, un po’ fatiscente ed un po’ suggestiva ed
assolutamente impossibile da decifrare per la sua mente speranzosa.
Nel condurla per i corridoi egli non si prese nemmeno il disturbo di
legarla o bendarla. “Dubito in effetti che riuscireste ad
indovinare l’uscita perfino se posta proprio dinnanzi ad essa.
Questo luogo è un labirinto naturale” aveva spiegato con
semplicità conducendola per l’ennesimo corridoio privo
di finestre e pieno di porte chiuse.
Per
un folle attimo la Nihaar’ì si chiese quanti dei
precedenti ospitiavessero
già subito il medesimo trattamento.
“Noto
con piacere che voi non avete subito il medesimo maleficio toccato a
tutti quanti i pochi presenti” riprese col dire dopo un attimo.
Una nuova rigidità colse il suo accompagnatore. Rallentando il
passo, egli parve come intenzionato a fermarsi. Tuttavia desistette.
“Ossia?”
sillabò poi senza voltarsi
“Mi
state parlando. Sembra una pratica assai poco diffusa qui”
replicò lei a disagio.Aveva
forse detto qualcosa di male?
Per
un nuovo attimo lui non rispose ancora. Poi scrollò le spalle
“Questo perché qui non è usanza parlare quando
non si ha nulla da dire”
L’altra
si accigliò “Nemmeno se l’occasione è una
domanda posta?”
“Credo
che la stiate guardando dal punto di vista sbagliato” l’uomo
svoltò ancora una volta “Più che domandarvi il
perché non vi sia stata data risposta, forse dovreste
chiedervi se la vostra domanda ne necessitasse davvero di una”
Che
idiozia.
L’altra
non potè trattenere un gesto di stizza “Non è mia
abitudine porre questioni per semplice gusto”
“Eppure
me ne avete posta una poc’anzi” “E sarebbe?”
“Riguardo le voci della scorsa notte”
Per
un attimo lei parve incapace di capire. Seguitò in silenzio
per qualche passo in parte domandandosi se la sensazioni di aver già
percorso quel corridoio fosse errata - che stessero girando intorno?-
ed in parte chiedendosi perché mai in quel luogo gli estremi
fossero il silenzio più assoluto o conversazioni enigmatiche e
colme di doppi fondi peggio delle scatole a trabocchetto della Città
del Cielo.
“Sono
certa di aver sentito quelle voci” asserì infine dura.
L’altro parve ridacchiare appena “Credo che la vostra
sicurezza sia un’altra”
Fu
in quella che entrambi sbucarono in una stanza sorpendentemente ampia
e areata. Probabilmente un tempo era stata una mensa o qualcosa di
simile ad una zona di ritrovo perché possedeva diversi tunnel
di entrata ed uscita nonché una serie di fori stretti e
allungati sulle pareti per far entrare la luce del sole in fasci
obliqui. Pallide ed a tratti striate, le venature dei muri donavano
un che di caldo e confortevole all’intera zona.
Voltandosi
appena a fronteggiarla, egli le fece cenno con la mano di entrare.
“Stavano
intonando il Canto della Veggente” esalò lei avanzando
titubante. La vastità di quella sala la stupiva ed inquietava
al contempo se paragonata alla claustrofobica strettezza dei passaggi
fino ad allora sperimentati. Poco o nulla arredata, essa aveva solo
qualche sedia in legno disposta a ridosso delle pareti. Piccoli
tavoli giacevano riuniti in un punto più lontano- forse
qualcuno li aveva spostati di recente.
Fu
solo dopo alcuni passi che la Veggente si fermò al centro
esatto della stanza, chinandosi poi a sfiorare con la punta delle
dita un vasto dipinto cesellato a mosaico con piccoli tasselli blu e
argento. La Fenice della Veggente si librava letale in un mare grigio
nero di Ombre ed Aberrazioni.
Ritrasse
la mano quando avvertì i passi dell’altro raggiungerla
in silenzio.
“Era
qui prima ancora che noi arrivassimo” le spiegò l’uomo
“Curioso, se pensate che qui il vostro Canto non giunge che due
o tre volte l’anno, portato dai Venti”
L’altra
sollevò rapidamente il capo, lo sguardo velato che si fissava
in quello altrettanto invisibile dell’altro.
Non
giunge?
“Cosa...?”
Fu
in quella che la Nihaar’ì colse un movimento fuori dal
suo campo visivo. Scostò rapida lo sguardo ed eccole lì,
immobili, una trentina o più forse di figure in bianco a
prendere forma dinnanzi ai suoi occhi atterriti. Silenti e immote,
così come erano apparse, esse parevano capaci di scomparire
per magia.
“Vor
yersyel” fece per loro l’uomo al suo fianco.
In
un attimo ella si alzò in piedi quasi che il pavimento
scottasse. Si ripulì meccanicamente le mani nelle vesti
scoprendole già sudate e infreddolite all’altezza dei
polpastrelli. Poi si voltò a fronteggiare il suo
accompagnatore.
“Cosa
volete da me?” digrignò gelida.
L’altro
le sorrise.
“Nulla
più di ciò che voi date già a tutti i vostri
fedeli: la vostra Voce” “Voi non
siete
miei fedeli” sputò sprezzante. L’altro si accigliò
“Dunque non meritiamo la Vostra somma misericordia?” la
provocò.
Con
un fremito, lei compì un passo verso di lui “Io sono
vostra prigioniera. Come osate chiedere anche solo un briciolo della
mia misericordia?”
“Cantate”
fu l’improvviso ordine dell’altro.
Lei
ammutolì.
“Cantate”
ripetè lui con calma.
Lei
non rispose.
“Devo
ricordarvi ciò che mi avete appena detto?” sorrise lui
piano.
Lei
non ricambiò. Fece invece un passo in avanti, andando quasi a
sfiorare le vesti dell’altro.
“Fate
attenzione, Figlio delle Ombre. Così come è capace di
donare salvezza, la mia Voce potrebbe condannarvi alla dannazione
eterna”
Finalmente,
anche l’altro parve colto da un’improvvisa tensione.
“Ma
non mi dica...La Grande Veggente arriverebbe a tanto?...”
L’altra
ostentò un ghigno velenoso
“Pensate
di no? Quanto valore pensiate che io dia ad un branco di Eretici?”
Per
un attimo regnò il silenzio fra di loro. Un silenzio grave e
colmo dell’odio che la Nihaar’ì sapeva ora
provenire dall’uomo di fronte a lei.
Poi
l’altro abbassò lo sguardo.
“Portatela
nelle sue celle” esalò atono.
La
Notte giunse lenta e decadente, ore interminabili a disegnarsi con
fitti arabeschi rosa e magenta sui muri della cella dove la ragazza
sedeva immobile, la testa reclinata contro la parete e le gambe
distese lunghe a terra, molli come quelle di una bambola di pezza.
Sospirò,
il lento inumidirsi dell’aria a sfiorarle la pelle come
zampettio leggero, frizione esitante del suo attendere senza esito.
Da
che l’avevano riportata in cella, nessuno era più
passato a trovarla quel giorno. Né per darle da mangiare, né
per darle la semplice occasione di sgranchirsi le gambe indolenzite.
Così per ingannare l’attesa la ragazza aveva dapprima
cominciato a misurare piede dopo piede il perimetro della stanza, poi
a spanne, poi a pollici. Ed infine aveva finito per sdraiarvisi
all’interno lunga distesa, la sua altezza che sola bastava per
coprirne da parte a parte l’intera estensione.
Terminato
ciò, ahimè, ella aveva dovuto suo malgrado ammettere
che le fosse rimasto assai poco da fare. Dormire - forse - sarebbe
stata allora la soluzione migliore, se non che, velati dal morbido
sipario delle palpebre, anche i pensieri più innocui parevano
rapidamente in grado di trasformarsi in nefaste prospettive di
rovina.
Così
aveva suo malgrado dovuto accontentarsi di rimanersene così,
lunga distesa nella sua umile cella attendendo - sguardo rivolto al
soffitto - che il mondo finisse irrimediabilmente per addormentarsi e
con lui anche il fervido laborio della sua mente.
Espirò
lungamente, densi frullii di polvere a volteggiare negli ultimi
scorci di luce obliqua filtrante dal soffitto.
E
solo allora chiuse finalmente gli occhi.
Fu
un respiro oltre la soglia a ridestarla.
Sbattè
un paio di volte le palpebre, l’improvvisa percezione
dell’oscurità circostante ad avvolgerla in un velo di
nera fuliggine togliendole il fiato. Fu colta dall’improvviso
bisogno di tossire ma si trattenne, certa che così facendo si
sarebbe fatta scoprire.
Ma
scoprire cosa? Che malauguratamente si era svegliata quando invece
avrebbe dovuto starsene come una imbecille a dormire sogni d’oro?
Si
diede della stupida.
E
fu solo dopo un respiro contrito che fu in grado di schiarirsi la
voce ed esalare un ringhioso
“Chi
c’è?”
La
domanda cadde nel vuoto.
Ma
la Nihaar’ì non era intenzionata a farsi scoraggiare.
Non dopo il grazioso
pretesto
che i suoi visitatori le avevano dato per destarsi dall’unico
istante di riposo che le era stato concesso di avere.
“So
che sei lì” ringhiò alla porta.
Ancora
nessuna risposta.
E
fu in quella che la ragazza si ritrovò a scattare in piedi e
come una furia colpire con un calcio rabbioso il legno della porta.
Il rimbombo lacerò il silenzio colpendo i sensi della Nihaar’ì
tanto forte da farla arretrare. Quando, stordita, ella fu in grado di
rimettersi in ascolto, la presenza era scomparsa. Si rimise a sedere,
tronfia ed al contempo pentita ora di aver cacciato l’unica sua
distrazioneper
quella notte.
Solo
più tardi, con il nuovo protrarsi delle ore notturne e con
esse della sua lunga attesa di nuovi -quanto improbabili -
accadimenti ella si accorse del dolore lancinante alle dita del
piede.
Ma
servirà questo specchietto iniziale? Vedo che in alcuni
scritti non si usa °__°' Mh...
In
ogni caso (bando alle ciance), di nuovo grazie a tutti voi per
continuare a seguire questa storia! Questo è un periodo un po'
“così”, per cui se troverete errori di battitura o
parole abbandonate per strada...lasciate perdere e tirate
dritto XD
Bacissimi
(scusate, questo capitolo è un po' lungo, ma non sono riuscita
a tagliarlo diversamente)
Quando
l’indomani l’uomo in bianco aprì la porta della
cella, trovò una Nihaar’ì seduta a terra, uno
sguardo di pura contrizione dipinto sul volto mentre ella contemplava
la gonfia fragilità del suo alluce destro.
La
osservò per qualche istante prima di sorridere.
“Serata
movimentata?” scoccò una breve occhiata all’arto
menomato “O più semplicemente le Nihaar’ì
sono solite scacciare i sogni
molesti a
calci?”
Lei
alzò lo sguardo solo per un attimo, giusto il tempo di tacere
sul piacevole senso dell’umorismo dell’altro.
“I
vostri Sogni
hanno
respiri e passi assai pesanti, Anhayt
(uomo
del deserto)” replicò secca “Ma uno scarso uso
della parola. Evidentemente il deserto insegna più con i gesti
che con la bocca”
O
più probabilmente, qui tutti trovano davvero divertente fare
del più semplice mezzo di comunicazione una inutile e
trascurabile forma di educazione.
Lui
scrollò semplicemente le spalle e senza proferire altra parola
la invitò a seguirlo verso quello che si rivelò essere
un nuovo bagno rigenerante nella pozza già sperimentata il
giorno prima.
Pulita
e adornata di nuove e fresche sete rigorosamente bianche, la ragazza
venne nuovamente scortata per i lunghi corridoi così da
giungere infine in una sala assai più piccola ed intima della
precedente. Qui le pareti erano adombre di piccole mensole in legno
ospitanti altrettanti rotoli di fine pergamena. Un vago sentore di
polvere permeava la sala raddensandosi in soffici ammassi dimenticati
qua e la fra mobili, sedie e scrittoi disposti un po’ ovunque.
A giudicare dalla varietà di stili, nessuno di quegli arredi
proveniva dalla medesima fonte quasi che la casualità - e non
un preciso intento creativo - avesse arredato quel luogo altrimenti
spoglio.
Una
biblioteca?
Tentò
di capire la Nihaar’ì passando distratta fra quelle pile
di carte e calamai, le dita che naturalmente si protendevano a
sfiorare polverose superfici e zigrinate carte arrossate dal tempo.
Fu
una donna a rispondere alle sue domande.
Sedeva
composta, una gamba accavallata all’altra e nelle mani un libro
dalla copertina ingrigita.
Pareva
lì da molto, la posa rilassata propria di chi oramai si senta
tanto a proprio agio nella lettura da dimenticare il paesaggio
circostante.
Fu
tuttavia la sua presenza a distrarla. Forse sentendola arrivare ella
alzò lo sguardo dalla lettura e vedendola subito chiuse il
libro trattenendo l’indice fra le pagine a mo di segnalibro.
Poi si alzò, vesti bianche a scivolarle sulle gambe fino alle
caviglie. Un velo candido a schermarle completamente il volto.
“Anhi
val’ah” sorrise avvicinandosi.
A
vedersi, la donna pareva insieme leggera e delicata come un uccello
del deserto, le spalle sottili ad evidenziarsi nel bianco pallore
della sua sagoma affusolata. “E’ un onore avervi fra noi,
Somma Nihaar’ì” la salutò quando fu
abbastanza vicina. La fanciulla non rispose.
“La
Nihaar’ì non sembra gradire particolarmente il nostro
nido d’amore” sogghignò l’uomo alle sue
spalle. Con un solo movimento le fu accanto, una mano a scivolarle
gentile sul fianco stringendosela appena più vicino. La
Veggente si accigliò. L’altro invece sorrise.
“Credo
lo trovi un po’ dozzinale rispetto ai suoi standard” il
sarcasmo di quelle parole fece appena arricciare le labbra della
ragazza in una smorfia acidula cui la donna in bianco reagì
chinando umilmente il capo.
“Sono
spiacente che le nostre sistemazioni non siano di vostro gradimento”
esalò gravemente “Mi rendo conto che tutto ciò
dovrà sembrarvi assai misero...” strinse le mani l’una
all’altra, lasciando ora una più che mai perplessa
Nihaar’ì a fissarla per qualche attimo, incerta su come
reagire a quella imprevista manifestazione di disappunto.
“Non
è il caso di fare tante scene” tagliò
improvvisamente corto l’altro “Quattro giorni non la
uccideranno di certo, non credete anche voi?”
Quattro
giorni?
Come
una stilettata nella mente, le parole dell’uomo fecero
improvvisamente tornare la Nihaar’ì alla realtà.
“Quattro
giorni...cosa?” chiese con un filo di voce.
L’altro
sogghignò.
“Quattro
sono i giorni che abbiamo concesso al vostro Naphil per venire a
prendervi. Dopo di ciò, dubito che sarà nostra
intenzione trattenervi oltre” “Nel senso che mi lascerete
libera?” soffiò incredula la ragazza.
L’altro
si strinse nelle spalle “Nel senso che vedremo in qualche modo
di liberarci della vostra magnifica persona” di nuovo, la
sgradevole sensazione di poc’anzi tornò a stilettarle il
capo “Avere fra le mani la Nihaar’ì è cosa
assai interessante, ma a mio dire sconsigliabile per chi desideri
giungere serenamente alla vecchiaia”
Dunque
avevano paura.
“Avete
chiesto un riscatto?” continuò la ragazza incrociando le
braccia al petto. L’altro non rispose, lasciando che fosse la
sua compagna ad intervenire “Nulla più di ciò che
ci è stato tolto dalla Torre del Tempo in questi anni: i
nostri compagni ora prigionieri dei Legheon” concluse infine la
donna. La Nihaar’ì non potè evitarsi una smorfia.
“Eretici
come voi, immagino” fu il sommario commento. Una costatazione
evidentemente errataperché
l’attimo dopo l’uomo fu ad un palmo di naso da lei, la
linea delle labbra ad intendere quanto egli fosse stato deliziato
dalle
sue parole.
Pur
evitandosi di indietreggiare, la Nihaar’ì scostò
un poco di lato il capo.
“Avete
capito cosa vi stiamo dicendo?” le sogghignò addosso lui
“Quattro giorni per avere ciò che abbiamo chiesto. Dopo
di che Arryan saprà di cosa è capace una Nihaar’ì
abbandonata, sola, oltre il Confine delle Vele” finalmente
l’altra si voltò a fronteggiarlo “Fossi in voi non
sfiderei il potere della Nihaar’ì...” lo minacciò
a denti stretti.
Lui
quasi le rise in faccia “Sbaglio o siete stata voi stessa a
definirci Eretici?” fu la ruvida constatazione “I poteri
di chi o di cosa dovremmo esattamente temere?” lei lo liquidò
con un sospiro “Smettiamola con i giochetti, Anhayt.
Se non credeste affatto in me io ora non mi troverei qui”
l’altro fece un passo indietro incrociando finalmente le
braccia al petto “Eppure da che siete arrivata ho visto in voi
tutto meno che la Creatura Sovrannaturale che dite di essere”
“Creatura Sovrannaturale?” se possibile, la Nihaar’ì
sarebbe scoppiata a ridere “Dite forse di non esserlo?”
si accigliò l’altro.
Fu
questa la volta della Nihaar’ì di incrociare le braccia
al petto. E prendere fiato “Credo semplicemente che voi siate
alla ricerca di un Miracolo che non è mia intenzione donarvi”
concluse atona.
Rapido,
lo scatto dell’altro sarebbe calato su di lei se solo la
compagna dell’uomo non l’avesse trattenuto. Fu con quella
mossa che la Nihaar’ì notò finalmente nella donna
un particolare che le fece gelare il sangue nelle vene. Trattenne
quasi il fiato fino a quando l’altro non si fu allontanato
riprendendo la calma.
“Perdonateci,
Somma Nihaar’ì” si scusò finalmente
l’ignara figura in bianco, un braccio teso come ad ammonire
l’uomo e l’altro chiuso al petto in una posa di vivo
sconforto “Noi siamo figli delle Sabbie e del Vento. Le regole
della Torre del Tempo ci sono per lo più sconosciute...”
“Credo invece che voi conosciate benissimo
le
regole della Torre ma abbiate deliberatamente deciso di ignorarle”
la zittì la Nihaar’ì “Ed è per
questo che malgrado le vostre suppliche, io noncanterò
per voi”.
Per
qualche istante la donna parve osservare la Veggente, l’uomo al
suo fianco ora rigido in una posizione di palese pur inesprimibile
collera. Tuttavia, fu infine la compagna a scrollare il capo.
“Avete
ragione” fu il suo triste commento “Se è un
Miracolo ciò che noi aspettavamo, forse Voi siete proprio
quello che le nostre azioni scellerate meritano”
Fu
la donna a riaccompagnarla in seguito nella sua cella, il silenzio a
regnare cupo fra di loro. Pallida, la sua figura ammantata sorvolava
senza rumore le lunghe gallerie, un vago profumo di erbe a seguitare
con lei nel silenzio. Pareva
uno spirito,
notò l’altra poco dietro, le membra percorse da una
sgradevole sensazione di rigidità e debolezza assieme.
Quando
furono alla volta della sua cella, la donna la salutò
toccandosi il petto con la mano chiusa a pugno cui seguì un
lieve chinarsi del capo.
L’altra
si accigliò.
“Se
voi credete” esalò in un sussurro “Perché
dunque vi accompagnate a degli Eretici?”
Per
un istante la donna in bianco non sembrò intenzionata a
rispondere. Poi chinò il capo.
“Se
voi siete la Nihaar’ì, perché dunque vi ostinate
a comportarvi come se non lo foste?”
Dolce,
quell’accusa priva di odio o rancore fu l’unica cui la
ragazza non fu in grado di rispondere. Senza pensare strinse fra le
dita il profilo della porta e con un tonfo sordo se la richiuse alle
spalle.
La
notte giunse con il suono di mille e più voci ad innalzarsi
cupe lungo le nodose rientranze dei corridoi della cava. Una marea
monocorde e monotona che traditrice prese ad infiltrarsi nei sogni
tormentati della Nihaar’ì per infine destarla in un
sussulto brusco.
Sbattè
ancora una volta le palpebre, la certezza di riconoscere quei suoni,
quelle parole che illividiva il pallore delle sue guance. Rispose a
quel richiamo con un digrigno grigio.
Giorni
di fuoco e notti come quelle avrebbero di certo finito per farle
saltare i nervi...
Fu
allora che notò la porta della cella. Era socchiusa.
La
fissò immobile.
Uno
spiraglio di buio filtrava incatenando il suo sguardo attonito.
Ma
che diavolo...
Si
tirò in piedi a fatica, spalle e gambe ancora una volta
tormentate dalla piacevolezza del suo giaciglio. Fissò ancora
per un attimo la nera voragine dinnanzi ai suoi occhi, un buco a
precipizio verso l’ignoto.
Ma
a che diavolo di gioco stavano giocando?
Zoppicante
si accostò allora alla soglia poggiando una mano sulla fredda
superficie di legno prima di sospingerla con un unico movimento. In
un digrigno sommesso l’uscio si aprì, inondando la
Nihaar’ì di un buio profondo e brumoso.
Più
forte, il Canto della Veggente la chiamò allora da lontano.
Rabbrividì.
Era
una trappola? O forse uno stupido gioco per spaventarla ancor più
di quanto già non fosse? Ricordava perfettamente i termini del
dialogo di quel giorno e l’oscura minaccia in esso sopita.
Mosse
a disagio il peso da un piede all’altro ed infine, con un
sospiro, prese allora a camminare.
Tempo
due svolte ed ovviamente si era già persa.
Che
risvolto assai sorprendente...
Si
strinse nelle spalle, un senso di gelo a costringerla ad abbracciarsi
il busto con entrambe le mani mentre, alla cieca, continuava ad
avanzare prima a destra e poi a sinistra.
E
di nuovo a destra. O forse a sinistra?
Si
morse un labbro.
Ma
che importanza aveva? Veramente pensava di poter scappare da quel
labirinto?
Nuovamente
il Canto della Veggente la raggiunse, trovandola dove ella non
avrebbe mai sperato di cercarsi.
La
sospinse suo malgrado a destra lungo una svolta. Si fermò di
nuovo, ombre di pareti rosate ad indicarle una piccola discesa a
semicerchio, simile all’interno di una conchiglia. Ne percorse
a piccoli passi l’intera lunghezza volgendo poi dinnanzi ad un
bivio. Sospirò.
Andò
quindi a destra, le mani che a tratti si alzavano per incontrare le
pareti ruvide di sale.
Poi,
improvviso, un movimento alle sue spalle.
Si
bloccò terrorizzata, il gelo che piombava su di lei
togliendole il respiro.
Chi
va la?
Pensò
di chiedere. Ma pensò sarebbe stata cosa assai buffa che
l’intruso chiedesse al padrone di casa di mostrarsi. Quindi non
disse nulla e senza voltare il capo riprese ad avanzare più
vicina alla parete.
Un
nuovo movimento.
Si
bloccò ancora. Ansimò. E forse meditò di girarsi
ed affrontare la cosa. Si convinse subito dopo del contrario. Fece
altri due passi. Qualcuno allora la seguì.
L’attimo
dopo la Nihaar’ì si ritrovò a correre a
perdifiato per i bui corridoi, lo scatto delle gambe a precedere
qualsiasi pensiero cosciente e condurla avanti, molto più
avanti, perduta in quel dedalo di gallerie fino al momento in cui,
cieca dalla paura, andò direttamente a schiantarsi all’ombra
di una parete contro la quale caracollò bocconi.
Terrorizzata
vi si accucciò, spalle e ginocchia a coincidere in un bozzolo
sussultante. E le venne allora in mente che Paura e Confusione non
avrebbero dovuto essere cose per una come lei, abituata a ben altri
turbamenti. E che in effetti, mai prima di quel momento aveva
permesso a qualsivoglia Entità o individuo di spaventarla
tanto da costringerla a terra, stretta in se stessa come una piccola
infante.
E
che Zaphil l’aveva anzi addestrata alla gestione di ogni
emozione e turbamento al fine di renderla pronta ad affrontare
qualunque situazione le si fosse mai posta dinnanzi.
Bell’addestramento.
Si
prese in giro infine. Probabilmente
il Naphil avrebbe fatto meglio a favorire le palesi inclinazioni come
scattista da lei manifestate...
Quando,
di nuovo, il Canto della Veggente giunse alle sue orecchie, la
Nihaar’ì fu in grado di aprire nuovamente gli occhi e
scrutare - il cuore in gola - l’oscurità attorno a sé.
Non
c’era nessuno.
Esitò.
Apparentemente.
Eppure
il suo istinto le diceva di dubitare di ciò che i suoi occhi
vedevano poiché qualcosa, qualcuno, o nessuno probabilmente,
poteva in ogni caso trovarsi lì, al suo fianco, senza che ella
fosse per nulla in grado di vederlo.
Così
si tirò a fatica in piedi, un sudore freddo a farla tremare
ancora una volta prima che il suono delle voci la attirasse
nuovamente verso un corridoio più scuro degli altri. Si
strinse nelle spalle, gli occhi tanto sgranati da dolerle quasi.
Poi,
finalmente, una luce. Lontana e fioca, essa si sagomò di neri
colonnati posti ancora più avanti. Si morse un labbro: le voci
provenivano da là.
Quasi
arrancando tanta era la paura di essere scoperta, ella giunse
finalmente in prossimità di questi, le Voci che ora intonavano
attorno a lei inondandola di quel basso e profondo salmodiare a lei
tanto familiare. E sporgendosi, infine li vide: una serie di figure
ammantate di rosso sedute a terra in cerchi concentrici, tutte
intente ad intonare, tutte unite da un lento movimento del corpo, da
destra a sinistra e viceversa.
Al
centro stava la sagoma dell’Anhayt anch’essa seduta ma
con le braccia aperte verso l’alto, rossa sabbia fra le dita a
filtrare dai palmi a terra e poi ancora, in un movimento ripetuto e
cerimoniale.
Poi,
lento, l’avvicinarsi di due figure in rosso. Fra di loro, una
sagoma alta, vestita di rubino anch’ella. Pareva un uomo,
indovinò la Nihaar’ì osservandone le proporzioni
larghe di spalle e strette di fianchi. Avanzava con piccoli passi, le
persone lì radunate che al suo sopraggiungere si scostavano
pian piano lasciando libero il passaggio.
Pur
se non costretto, era chiaro che quell’uomo non desiderasse
affatto trovarsi dove era ora e visto il suo rigido avanzare, di
certo sarebbe caduto bocconi a terra se solo i due uomini non
l’avessero sorretto fino al momento in cui, giunti al centro
della folla, entrambi lo lasciarono libero di sedersi in ginocchio
dinnanzi all’Anhayt.
Il
Canto parve allora crescere d’intensità.
Poi
l’uomo chinò il capo, le mani dell’altro che
andavano a scoprire le sue vesti lasciando che poco a poco la schiena
si rivelasse alla vista di tutti.
La Nihaar’ì si
ritrovò a trattenere il fiato: lunghi e profondi solchi
sanguigni percorrevano il corpo dell’uomo, disegnandone la
carne viva di mirabili ed incomprensibili arabeschi. Trattenne un
singulto, il terrore che in un attimo la invadeva sopraffacendola:
quello era un Risvegliato.
Quanto
poteva essere passato dall’inizio del Risveglio?
Ansimò,
le Voci che divenivano improvviso frastuono nelle sue orecchie.
Pochi
giorni. Pochi mesi. Difficile dirlo, le parole di Oneiron erano
ancora vivide su di lui.
Per
nulla turbato, o
forse già avvezzo alla vista,
l’Anhayt prese ancora la rossa sabbia dal terreno circostante,
la alzò al cielo e la lasciò allora scorrere dalle sue
dita alla pelle dell’uomo in un precipitare costante e
misurato. L’altro rimase immobile, i presenti nella sala che
improvvisamente si alzavano in piedi innalzando anch’essi le
mani al cielo, il Canto che prendeva ora se possibile ancor più
forza e vigore.
Fredde,
la Nihaar’ì strinse le mani al petto.
Poi
improvvisamente il Canto cessò. Tutti, uno dopo l’altro,
i presenti si rimisero seduti rivelando in ultimo le due figure
immobili al centro dei cerchi. Il primo, l’Anhayt, ora in piedi
mentre l’altro ancora curvo a terra, la schiena flessa in una
parentesi contrita. Sulla sua pelle, rossi come sangue, risplendevano
ancora i Segni del Risveglio.
Ed
in qualche modo la Nihaar’ì capì.
Per
il silenzio greve ora calato sulla sala. Per la composta rigidità
dei presenti. Per l’immobilità del Risvegliato.
Capì
cosa sarebbe successo e perché tutto ciò sarebbe
accaduto.
Zart’vonk’
ch’i shnorhel nerum.
Na khostovanel e, vor p’rkut’iwn
Il
Risveglio non conosce Perdono. Non concede redenzione.
Pur
essendo la voce dell’Anhayt, la Nihaar’ì udì
quelle parole pronunciarsi da Zaphil stesso come quando, anni prima,
egli le aveva rivelato il Segreto del Risveglio.
Nrank’,
ovk’yer art’nats’yel yen aylevs tghamardik ,
bayts’
An’me e’am korts’rel e , yev yerbek’ mtadir e
handiphel
Coloro
che si risvegliano non sono più uomini bensì Anime nel
Sogno perdute e mai più destinate a ritrovarsi.
Ayn,
vor Vori Ar karogh nrants’ tramadrel Henv’yeraz nrank’
arzhani
Che
il Vori Ar possa concedere loro il Henv’ yeraz che essi
meritano.
L’attimo
dopo l’Anhayt trasse dalle proprie vesti un lungo ed affilato
pugnale simile ad un pungolo affilato. Lo elevò alto sopra la
propria testa e prima che la Nihaar’ì avesse il tempo di
esalare un grido angosciato lo calò dritto sulla nuca
dell’uomo inginocchiato, penetrandola da parte a parte.
L’attimo dopo il cadavere caracollò esanime da un lato,
afflosciandosi senza vita..
A
quel punto la ragazza stava già correndo a perdifiato fra le
pallide gallerie della cava, il puro terrore guidarla dove la vista
mai avrebbe potuto. Faticava a respirare, eppure il suo corpo pareva
suo malgrado capace di muoversi con un vigore mai provato prima di
allora.
Eresia
Esalò
la sua mente terrorizzata.
Eresia
Ripetè
il suo cuore impietrito, i battiti ora tanto forti da schizzarle
quasi fuori dalle orecchie.
Scartò
senza neppure vederla una sporgenza del muro - forse una porta - e
continuò ad arrancare lungo una mezza salita. Poi una discesa.
Poi una strettoia. Poi...
Qualcosa
le afferrò improvvisamente il fianco e con forza la sbilanciò
facendola scivolare nella polvere.
Ansimò
fuori di sé, la sabbia che le entrava negli occhi ed in bocca
costringendola ad un gemito esasperato. Il suo nemico tuttavia ne
approfittò per rinsaldare la presa, una seconda mano ad
aggiungersi e ghermirle un polso.
“La-
lasciatemi!” gridò lei tentando con foga di calciare via
il suo assalitore.
“Vi
prego, Somma Nihaar’ì...” pur impastata, la voce
le suonò abbastanza familiare da costringerla suo malgrado ad
esitare per un attimo, sgranare gli occhi e così mettere
faticosamente a fuoco la figura della donna in bianco, la compagna
dell’Anhayt.
Se
possibile, il suo terrore parve ingigantirsi ancor di più.
Annaspò e con un rantolo tentò con uno strattone di
fuggire. L’altra però sembrò resistere.
“La
prego...” fu la desolante richiesta “Non osate toccarmi!”
gridò finalmente la Nihaar’ì divincolandosi ed
annaspando a carponi contro la parete più vicina “Voi...”
per un attimo la testa le girò vorticosamente. Deglutì
a vuoto “Risvegliata” concluse infine con un sibilo.
Per
un attimo l’altra parve irrigidirsi, ancora riversa sul fianco
come nell’atto di afferrarla. Poi, lentamente, si tirò a
sedere, le gambe rannicchiate sotto le cosce in una posa curiosamente
simile a quella dell’uomo appena ucciso. La Nihaarì si
costrinse a non pensarci.
“Dunque
voi sapete” fu la tiepida risposta della donna “Del resto
come avrei potuto nascondervelo, siete la Veggente...” sembrò
sorridere.
“Ho
visto cosa avete fatto a quell’uomo” digrignò
l’altra. Il cuore pareva doverle uscire dalle orecchie “Siete
dei mostri”.
L’altra
piegò appena il capo “Credete forse che i vostri Legheon
facciano qualcosa di diverso ai Risvegliati portati a giudizio?”
esalò. L’altra si strinse al muro “I Legheon
mandano i Risvegliati in Esilio nel deserto” replicò
asciutta “Che è un po’ come mandarli a morte, se
il Deserto non è stata la loro culla” obiettò
l’altra.
La
Nihaar’ì tacque. Fu solo dopo qualche momento che la
donna in bianco parve osare parlare di nuovo “Abbiamo tentato
di salvarlo in ogni modo” esalò nell’oscurità
“Ma come molti altri prima di lui, nemmeno il vostro Canto è
stato capace di sottrarlo al suo Destino” l’altra si
ritrovò a stringere appena gli occhi “Questo perché
il Canto della Veggente non riporta indietro i Risvegliati”
obiettò freddamente. La donna chinò il capo,
evidentemente restia a contraddirla. Parve però subito
ripensarci “E’ stato quell’uomo a chiederci di
donargli lo Henv’ yeraz (riposo senza sogni). Il deserto
avrebbe rappresentato una morte troppo misera da affrontare”
“La sola che meritano i Risvegliati” obiettò dura
la Veggente. L’altra strinse appena le braccia in grembo “Se
solo vi sforzaste di capire...” sillabò atona prima di
zittirsi improvvisamente. Ma oramai era troppo tardi.
A
quelle parole la furia della Nihaar’ì la investì
senza possibilità di replica “Se io mi
sforzassi?”
le gridò quasi in faccia “Intendete forse dirmi che
esiste una spiegazione plausibile a ciò che ho appena visto?”
“Vi prego...” tentò di dire l’altra ma con
scarso successo “Riti sacri scimmiottati da fanatici senza
scrupoli....” “Somma Nihaar’ì...”
“Omicidi privi di alcuna logica e compiuti al di là di
ogni Giustizia riconosciuta...” “Per favore...”
“Risvegliati tenuti nascosti e protetti dalla Torre del T...”
“Quello
che la mia amata sta tentando di dirvi...” la voce alle spalle
di entrambe le fece sussultare. Immobile, una decina e forse più
di figure in bianco alle spalle, stava l’Anhayt. Sorrise appena
venendo loro incontro e giunto a breve distanza, offrì alla
propria consorte un braccio per alzarsi. La donna lo guardò
qualche istante, immobile, prima di accettare il gesto.
“E’
che se continuerete ad urlare così, Somma Nihaar’ì,
il misero piano escogitato per farvi fuggire dalla vostra condizione
di prigionia verrà vanificato” sorrise rivolgendosi poi
alla donna in bianco “Dico bene, Sery?”.
Non
per l’ultima volta in quella notte, la Nihaar’ì
ebbe la netta sensazione di stare perdendo qualche passaggio
importante
dell’intera
vicenda. Sbattè una volta le palpebre, incapace suo malgrado
di capire.
“Quello
che stava cercando di dirvi...” riprese implacabile l’altro
“E’ che se voi o
altissima lasciaste
parlare le persone piuttosto che rintronarle con la vostra Sommanecessità
di esprimere sempre e comunque la vostra opinione, capireste che vi è
un mondo di “perché” da scoprire proprio dinnanzi
ai vostri occhi”.
Confusa,
la Nihaar’ì non potè fare altro che passare lo
sguardo dall’uno all’altra, e poi di nuovo al primo prima
che questi, con un sospiro, indicasse brevemente prima lei e poi la
sua compagna.
“Scortate
la Nihaar’ì nella sua cella” strinse le labbra “E
Sery nelle sue camere. C’è un limite alla pazienza che
un uomo può dimostrare in simili circostanze”
Capitolo 13 *** Ciò che guarda senza essere visto ***
Salve!
Di
nuovo eccomi qui :) Ancora grazie a tutti e a tutte e buona lettura!
Bacio
Elendil
Malgrado
le clausole del rapimento avessero chiarito che quattro e non di più
dovessero essere i giorni per venirsi a riprendere la Nihaar’ì,
il giorno seguente Zaphil non giunse a liberarla.
E
nemmeno il quinto giorno sembrò offrire migliori risvolti.
Egualmente
il sesto.
E
il settimo.
E
così, nelle interminabili giornate che seguirono, la Nihaar’ì
si ritrovò più volte a misurare con passi pesanti il
perimetro sempre più ridotto della propria cella, il pensiero
di aver in
qualche modo, sbagliato
le proprie mosse a turbarla più di quanto fosse legittimo
ammettere.
Quella
donna aveva tentato di liberarla? Si
era ritrovata a pensare una, due, mille volte.Eppure
le era parso che fosse la compagna del suo aguzzino, perchè
tradire la sua fiducia?
Quando
il perimetro smise di essere una misura assai interessante da
scandagliare, la Nihaar’ì passò dunque al calcolo
del tempo trascorso mediante l’attenta osservazione degli
oblunghi fasci di luce filtranti dal soffitto.
Ma
forse la fede nella Nihaar’ì era stata in grado di farla
agire malgrado l’amore...
Calmo
e moderato, il piglio dell’Anhayt non sembrava fortunatamente
risentire particolarmente del ritardo. Le sue visite si fecero
tuttavia più parche e spoglie di informazioni, una vena di
gelo a permeare qualunque tipo di esternazione o dialogo fino ad
allora assai più vivace e movimentato.
“Siete
sicura che il vostro Zaphil intenda per davvero venirvi a salvare?”
le aveva freddamente chiesto il quinto giorno, le braccia al petto ed
una spalla appoggiata alla parete. Lei aveva voltato il capo di lato
prima di stringersi nelle spalle “Voi cosa credete?”
aveva risposto monocorde “Mi avreste rapito se non foste stati
sicuri che qualcuno prima o poi sarebbe accorso a salvarmi?”
Il
giorno dopo, la domanda si era fatta più insidiosa.
“Nessuno
ad Hevnan k’ar parla della vostra sparizione” pur pacata,
la voce dell’uomo tradiva una vaga inflessione nervosa “Anzi.
Sembra che il viaggio della Nihaar’ì sia ripreso senza
alcun intoppo o inconveniente di sorta....”
La
Nihaar’ì non aveva fatto altro che stringersi nelle
spalle.
“Zaphil
sa cosa è giusto fare in questi casi. Non permetterà
che degli Eretici seminino il panico fra le genti per uno stupido
giochetto” vago, il sorriso aveva fatto nuovamente capolino
dalle labbra dell’altro “Oh, certo. Immagino che
Zaphil sappia esattamente come sia giusto comportarsi in questi casi.
Non è la prima volta che una Nihaar’ì gli sfugge
da sotto il naso, dico bene?”
Quel
giorno, il quindicesimo oramai di tediosa ed assai inconcludente
prigionia, l’Anhayt portava i segni di una notte probabilmente
insonne, la pelle di zigomi pallida e tirata, la postura curva e
tesa.
“Sery
vi porge i suoi saluti” le comunicò cupo entrando nella
cella. Dopo la notte della sua quasi
fuga,
le richieste da parte dell’uomo di celebrare il Canto della
Veggente erano se possibile triplicate, l’ostinazione del suo
domandare vinta solo dall’ingegnosità nell’escogitare
strategie sempre nuove per piegarla al suo volere. Malgrado ciò,
la sdegnosa ostinazione dell’altra nel rifiutare qualunque tipo
di compromesso ne avevano in effetti minato un poco la grinta.
Così
la Nihaar’ì non si allarmò più di tanto
quando l’Anhayt le propose subito di fare un giro per la cava
con meta l’oramai conosciuta sala recante la rappresentazione
della Veggente. Quella
del rituale.
Alzandosi
da terra - giaciglio oramai consolidato-, ella gli rivolse una
semplice occhiata di diffidenza cui egli non diede particolarmente
seguito. “Prego” esalò in un soffio prima di
voltarsi e prendere a percorrere le gallerie rosate. Poco dopo,
svolta più svolta meno, entrambi giunsero nella sala ora -ma
che fortuna- deserta.Qui,
lunghe falci di luce a tralucere oblunghe sul pavimento, egli si
accomodò su una sedia lasciando all’altra la possibilità
di fare altrettanto.
La
Nihaar’ì rimase tuttavia in piedi.
“Vi
porge inoltre ancora una volta le sue scuse per avervi mancato di
rispetto. Credo si sia convinta di aver compiuto un chissà
quale atto imperdonabile...” riprese lui dopo un attimo. Poco
distante, l’altra abbozzò una smorfia “Tenete
anche lei confinata in una cella o è un privilegio che
riservate solo a me?”.
Lui
esalò un mezzo sogghigno “Non è mia abitudine
fare del male alle persone che amo, se è questo che pensate”
a piccoli passi, la Nihaar’ì prese allora a passeggiare
quietamente per la stanza, occhi socchiusi a cercare qua e la i segni
della visione di poche sera prima
Una
goccia di sangue. Uno straccio slavato. Una cicatrice nel pavimento.
“Eppure
ero certa di aver sentito altro genere di intenzioni quando quella
sera avete ordinato di riportare me
alla
mia cella e lei
nella
sua” sillabò costeggiando un lungo tavolo ora ridossato
al muro. Pallide impronte di sabbia ne segnavano i contorni.
L’Anhayt
chinò il capo come nell’atto di sospirare. Poi scrollò
le spalle “Non confondete un attimo di rabbia con la fedeltà
ed il rispetto di anni. Se mi credete un efferato aguzzino, temo
rimarrete delusa” “Ma no, certo” rise lei piano,
quasi che per qualche ragione si fosse aspettata quel genere di
risposta “Non dubito che questo volto lo riserviate solo a me e
a nessun altro”.
Ed
ancora - compagno oramai lieto e benaccetto - il silenzio calò
nuovamente su di loro, l’immobilità di quei luoghi
adorni di una vita forse passata, trascorsa e mai più
ritornata a vagheggiare in lunghi attimi di indifferenza reciproca.
Poi, esile, la voce della Nihaar’ì “Perchè
la tenete con voi?” azzardò “E’ una
Risvegliata. Sapete cosa ciò significhi”.
La
mascella dell’altro parve allora contrarsi un poco, le gambe
che scivolavano improvvisamente sulla seduta “La
sua presenza non ci mette in pericolo più di quanto già
non faccia la vita del deserto” fu questo il turno della
mascella della Nihaar’ì di serrarsi “E che mi dite
allora dell’Esilio?
Se come penso è solo lei ad aver subito il Risveglio, allora
perché condannare anche voi ad una vita di stenti e pericoli
al di là del confine delle Vele?”.
Lui
non rispose. Si limitò ad alzarsi e cominciare a passeggiare
lentamente per la sala illuminata. Di reazione, lei si accostò
ad un altro tavolo poggiandovi schiena e mani.
“Dubito
che potreste capire” sospirò lui dopo un attimo.
Se
solo vi sforzaste di capire...Per
un attimo le parole di Sery vagheggiarono nella mente della Nihaar’ì,
curiosamente simili per tono ed inflessione a quelle dell’uomo
ora dinnanzi a lei. Sbattè una volta le palpebre, incerta.
“Forse
potrei, se mi spiegaste...” replicò tuttavia. Lui poggiò
allora una mano ad una mensola impolverata sollevando a quel gesto
docili sbuffi di pulviscolo. Poi chinò il capo.
“Fui
io a condurre Sery verso il Risveglio”
Gelide,
la Nihaar’ì avvertire le dita delle mani stringersi
autonomamente le une sulle altre.
“Voi
la conduceste” si prese il tempo di respirare “...dove?”.
Per
quanto difficile, l’Anhayt sembrò chinare ancor più
il capo verso terra “Nei suoi sogni, ella cominciò a
vedere il mio volto. Dapprima nulla più che una sagoma
indistinta ma poi via via sempre più definita fino a quando io
fui io ed ella seppe per certo che a breve il Risveglio l’avrebbe
colta cambiando per sempre la sua esistenza”
Impossibile
esalare più che un sussurro contratto “E voi cosa
faceste?” lui si toccò distrattamente la nuca, grattando
un improbabile prurito “Allora io non avevo idea di chi ella
fosse e lo stesso valeva per lei. Ero una immagine, nulla di più
forse, che per qualche ragione Sery sapeva appartenere ad una persona
in carne ed ossa e non ad un semplice spirito”
Una
immagine...un Nayel...?
Il
solo pensiero fece accapponare la pelle della ragazza. Scosse il
capo.
“Immagino
venne esiliata” commentò poi a disagio. L’altro si
strinse nelle spalle “Il Giudizio della Veggente giunse poco
dopo confinandola nei territori oltre le Vele. Da lì, sola,
iniziò a cercarmi”
“E
vi trovò in questi territori?” lo incitò a
continuare Lui socchiuse per un attimo le labbra come per rispondere.
Poi esitò. Ed infine sorrise. “Si. Ma dubito che questa
parte di storia possa interessarvi” concluse con una scrollata
di spalle.
Qualcosa
si tese di nuovo e molto sgradevolmente
nel
volto della Nihaar’ì.
“Fatto
sta che da allora non ci siamo più separati” concluse
l’uomo prima di tornare nuovamente a sedersi. Ancora una volta,
la Nihaar’ì non potè che notare la stanchezza
nelle movenze di lui, deboli e rigide. Desistette comunque dal
concedergli una qualunque forma di tregua “Da allora siete
sempre in
fuga, vorrete
dire” fece infatti lapidaria guadagnandosi un rapido, seppur
indolente, sogghigno.
“Credo
si possa riassumere anche così, si”le
concesse osservandola allora poggiare due dita sugli occhi velati e
sospirare “E’ per questo che dunque mi avete rapito? Per
liberarvi dai vostri Incubi?”
l’altro
si strinse nelle spalle “Pensare solo a noi sarebbe stata cosa
assai egoista, non credete? Vi abbiamo rapito per pregarvi di
liberarci tutti, in realtà”
Incapace
di parlare, incerta sulle reazioni da ostentare ora che finalmente
aveva ottenuto una parvenza di verità, la Nihaar’ì
si limitò a fissare l’uomo per un lungo, esasperante,
momento. Poi si tirò con uno scatto in piedi, i passi a
guidarla nell’esatto punto ove si trovava il mosaico della
Fenice della Nihaar’ì. Quanto
era stato difficile lavare via il sangue di quell’uomo?
Vi
si chinò lentamente, la necessità di sfiorare i tratti
consunti di quel disegno a guidarla bocconi a terra, tremante di
paura.
“Il
potere della Nihaar’ì non riporta indietro i
Risvegliati, lo dovreste sapere voi più di tutti” alzò
lo sguardo. L’Anhayt la raggiunse in pochi passi “Ma è
in grado di allontanare le Ombre, stando a quello che dicono i vostri
Araldi e...” esitò “Questo”. Nella
luce calante, il blu della Fenice aveva oramai assunto tinte cobalto.
La Nihaar’ì la fissò con ammirazione e timore al
contempo, chiedendosi per un attimo cosa avrebbe dovuto dire per lei
tutto quel blu in un mare di pallida ed inaffrontabile
inconsapevolezza. Nulla,
forse. Realizzò.
O
probabilmente più di quanto ella sarebbe mai stata in grado di
capire.
Poi
lui si chinò a sua volta, occhi velati ad incontrare occhi
velati. Le tese una mano “Alzatevi, vi prego. Dovrebbe essere
ora”.
Per
un lungo istante la Veggente osservò l’Anhayt, incapace
di capire. Accettò la sua mano, incerta, lasciando che questi
la sollevasse senza fatica prima di accostarlesi un poco. Stava
tremando, notò la ragazza con una punta di improvviso allarme.
“Vi
prego di non parlare” chiese l’uomo tanto piano che ella
dubitò per un istante che avesse realmente parlato “Qui
nessuno parla di ciò che non dovrebbe essere visto”
esitò “Sarebbe troppo doloroso” esitò
ancora, sguardo a tendere ora verso il profilo di un ingresso avvolto
nell’ombra “Sono certo che anche voi capirete”.
Capire
cosa?
Poi,
improvviso, un vento impetuoso si riversò nella sala spegnendo
all’unisono tutte le torce accese e lasciando così
entrambi nell’oscurità più che totale.
Nel
buio improvviso, la Nihaar’ì sbattè allora un
paio di volte le palpebre, un vago presentimento a serrarle suo
malgrado la gola in un nodo contratto, doloroso, cui seguì un
singulto atterrito.
C’era
qualcuno.
Fece
come per indietreggiare, ma l’uomo al suo fianco la trattenne
serrando le dita attorno al braccio.
Poi
dall’ombra eccola sgusciare, una figura sottile. Nuda fino alla
vita, essa si delineò nella trasparenza di ombre ossidiana,
folte chiome a scivolarle da un lato del capo rivelandone spalle
misurate, fianchi sottili, forme slanciate.
Sery
era la più bella donna che la Nihaar’ì avesse mai
visto. Eppure la giovane non potè suo malgrado impedirsi di
tentare ancora una volta di indietreggiare, la percezione di un
pericolo incombente, palpabile a serrarle senza preavviso la gola
impedendole quasi di respirare.
L’Anhayt
sospirò nel suo orecchio, il mento irsuto a sfiorarle per un
attimo il capo mentre questi le circondava senza sforzo le spalle
impedendole di muoversi. Tremava anche lui, percepì l’altra.
Eppure la sua forza fu in grado di bloccarla lì in piedi, come
impietrita.
Ferma.
Storcendo
appena le labbra, lei tentò una volta di divincolarsi.
E
guarda.
“Somma
Nihaar’ì....”
La
voce di Sery colse entrambi di sorpresa.
“Somma...”
più lentamente “Nihaar’ì...”
La
sua inflessione li inchiodò loro malgrado a terra, la
percezione che essa fosse, ma al contempo non
fosse
un modularsi a loro conosciuto a rabbrividire nell’oscurità.
Di nuovo, il tremito dell’Anhayt l’attraversò da
parte a parte. Lei rispose con un brivido altrettanto turbato,
sgomento.
Poi,
improvvisa, una tiepida luce si accese fra le mani di Sery, un cerino
alla cui vista entrambi reagirono con un balzo all’indietro.
“Somma...”
E
guardando in quell’alone oscillante, ecco finalmente delinearsi
la tremula figura della donna: più giovane di quanto la
Nihaar’ì si fosse immaginata, ella traluceva di una
bellezza esile e timida, quasi conturbante nella fragilità di
fianchi e spalle. Scure chiome le scivolavano in cascate sul petto
percorso da neri segni simili ad arabeschi a precipizio dal collo
fino al ventre. Seria e livida, ella si limitò a fissare
entrambi prima di prendere ad avvicinarsi con passo leggero, il
medesimo di quando la Nihaar’ì l’aveva intravista
quella prima volta in biblioteca.
Impossibile
non tentare di abbassare gli occhi. E tremare. E poi serrare le
palpebre immaginando così di lasciare tutto il terrore di
quella camera sbarrato al di fuori della coscienza, della realtà.
Ma ancora una volta l’Anhayt la costrinse laddove ella non
avrebbe osato, così che quando finalmente Sery ed il suo lume
furono ad un passo da lei, fosse impossibile non guardare. Non
scrutare. E specchiarsi infine in quei suoi occhi pallidi, bianchi
quasi, macchiati del nero sfilacciarsi della pupilla in mille sbavi
ossidiana.
Gli
occhi di una Risvegliata.
Il
più proibito e inviolabile degli sguardi di tutta Arryan.
“E’
a causa del Risveglio che le genti di Arryan sono solite coprirsi gli
occhi con il Velo” le aveva spiegato molti anni prima Zaphil
“La paura di vedere negli occhi degli altri - e nei propri- i
segni di un destino infelice era in effetti tale che un bel giorno
tutti pensarono fosse cosa assai gentile evitarsi la formalità
di guardare l’altro dritto in viso. Iniziarono dunque a
comparire i primi veli, via via sempre più spessi e
inviolabili. In seguito, trasformare questa semplice discrezione in
Legge parve un passo assai breve di cui nessuno si lamentò”
Desiderò
allora non guardare. Serrare gli occhi, chiuderli più
semplicemente e avere allora la certezza che così facendo il
suo sguardo non avrebbe incontrato quello dell’altra.
Desiderò
anche non desideraredi
guardare. E così non violare alcun antico precetto, alcun
dettame che imponesse di mai incrociare lo sguardo di un Risvegliato.
Herrust’a
arrants’ tesel
Ciò
che guarda senza essere visto
kaya
ovk’yer karogh aylevs nayum
Si
cela negli occhi di chi non può più guardare
Recitava
un antico adagio.
Ma
la Nihaar’ì sapeva ancor prima di farlo che avrebbe
guardato. Troppa la curiosità, troppo il desiderio di scoprire
ciò che in tutti quegli anni le era stato nascosto e solo
vagamente paventato. E così, pur tremante, ella lasciò
che il suo sguardo si intrecciasse dunque a quello dell’altra,
un lungo istante nel quale il Male ed il suo Rimedio parvero quasi
per caso incontrarsi in una lunga, concentrata, occhiata.
Poi
il lume si spense, abbandonandoli nuovamente in un buio sgomento.
“Somma...”
soffiò la voce di Sery “Le sentite anche voi....si?”
Vago,
il silenzio vibrò attorno a loro.
“Le
sentite, vero?” sciabordio nell’ombra.
Silenzio.
Silenzio acuto, doloroso. Avvolgente.
Silenzio
vuoto. Silenzio fumo. Silenzio...
“Voi
non...” una pausa “Non lo sentite?”
Movimento
leggero, setoso, e poi la Nihaar’ì avvertì come
dita sul volto, un tocco gentile a cercare a tentoni il profilo del
suo Velo. Si ritrasse con uno scatto nervoso, un sapore di sangue ad
esploderle improvvisamente in bocca. Si era morsa.
“N..”
boccheggiò, stordita “N-non mi toccate” alzò
le mani per scartare il nuovo movimento verso di lei, il buio a
schiacciarlesi improvvisamente sul viso come una patina dura,
vischiosa.
Ansimò.
“Voi...”
crepitio nell’oscurità, poi una forza improvvisa la
schiantò a terra sul nudo pavimento a mosaico. Il dolore
esplose dinnanzi ai suoi occhi in milioni di scintille colorate.
“Ora
basta giocare” il ringhio dell’Anhayt riverberò
contro le pareti in un rimbombo basso e cupo, più letale di
qualsiasi lama ella avesse mai veduto in vita sua “Se non
volete morire qui e subito, vi consiglio di smetterla con questa
recita, adesso”.
Non
ve lo chiederò una seconda volta.
Tremante,
lei si scoprì allora incapace di parlare. Gemette, tentando
senza successo di scostarsi dalla sua posizione riversa. Lo sentì
schioccare la lingua sul palato.
“Maledetta
la vostra ostinazione. Se avessimo saputo che saremmo arrivati a
questo...” “Virel...” la voce di Sery si intromise
fra di loro in un sussurro da far rizzare i peli in testa “Non
abbiamo più tempo” una pausa velata, il fruscio delle
vesti dell’Anhayt mentre questi si muoveva come a disagio “Loro
sono qui”
Loro?
Allarme
e speranza si affacciarono improvvisamente nella mente delle
Nihaar’ì.
Loro
chi?
Poi
un sospiro contratto.
“Lasciatele
avvicinarsi” fu il commento finale “Se questo è
l’unico modo...” una nuova folata di vento più
potente della prima coprì per un attimo la voce dell’Anhayt
“...che il nostro Destino si compia”.
Silenti
ed immote, la Nihaar’ì notò allora il radunarsi
di decine e più di figure in bianco ai lati della sala. Ognuna
reggeva un piccolo lume schermandolo con le mani per evitare che il
vento lo spegnesse. Alcune non portavano il velo. Altre si. Altre
erano nude come Sery dal petto in su.
La
Nihaar’ì vide i segni sul petto. Immaginò gli
occhi scheggiati.
Risvegliati.
Realizzò.
E
fu allora che capì. Con la medesima inoppugnabile certezza di
chi colga finalmente la soluzione ad un enigma fino ad allora
irrisolvibile. E si stupisca allora della sua semplicità.
Capì, e si sentì improvvisamente sommergere dal
terrore.
“V-vi”
boccheggiò “Vi prego no...” fece per tirarsi in
piedi, ma le gambe le cedettero miseramente. Non molto distante
avvertì il vago sogghigno dell’Anhayt “No?”
la derise. Pochi passi e le fu nuovamente accanto, le ginocchia
ripiegate così da poterla guardare in viso.
“No
cosa,
esattamente?”
dolorante, lei si ritrasse strisciando appena all’indietro
“N-non...” una nuova folata di vento “Io n-non
posso”.
Ancora
la risposta sbagliata. Ancora il rifiuto che la ragazza sapeva l’uomo
non avrebbe tollerato. Tuttavia non fu rabbia quella che egli le
donò. In un silenzio tombale, questa volta fu un sogghigno a
coglierla.
“Credo
che oramai sia un po’ troppo tardi per parlare di potere
e
volere,
non
credete?” terrorizzata, lei scosse una volta il capo “Voi
non capite” avvertì il calore risalirle le guance in un
sentimento difficile da definire “I-io non posso...davvero”.
Rabbia?
Disperazione?
“Non
ne sono in grado”
Paura?
“Davvero,
non sono...” deglutì “...Io”.
E pur non
vedendolo, fu quasi impossibile non percepirlo, lo sguardo
dell’Anhayt. Fino ad allora rabbioso, esasperato, impaurito
forse, ed ora inaspettatamente incerto. Il dubbio a risalire vago
laddove fino a quel momento vi erano state solo folle certezza e
fredda determinazione.
Egli
esitò un istante, grigie ombre ad attendere immobili attorno a
loro. Poi un sussurro.
“Cosa
diavolo state farneticando?”
Alzarsi
in piedi fu quantomai faticoso. Eppure sentì in qualche modo
di doverlo fare almeno ora, almeno in quel momento. Traditrici, le
gambe le cedettero tuttavia costringendola ad un paio di miseri
tentativi.
Finalmente
in piedi, esalò un sospiro contratto.
“Io
non...” una nuova folata di vento, un presentimento più
freddo della morte “Non sono la Nihaar’ì”
Per
un attimo l’Anhayt e Sery al suo fianco rimasero immobili a
fissare la ragazza, l’espressione di entrambi incerta fra la
diffidenza e l’incredulità. Poi, debole, il sogghigno di
lui.
“Non
lo siete?” esalò monocorde. La giovane scosse il capo.
“E’ per caso uno dei vostri stupidi scherzi?”
continuò l’altro. Nuovo diniego.
Ed
eccolo il sorriso del giovane incrinarsi finalmente di un poco
mentre, attimo dopo attimo, le parole della ragazza si facevano
strada fra dubbio e incertezza per svelarsi infine in tutta la loro
agghiacciante verità. Eccolo voltare un attimo il capo verso
Sery - impietrita anch’ella- e rivoltarlo poi verso la giovane.
Poi
reclinare il capo di lato. Poi passarsi due dita sugli occhi velati.
“Spogliatevi”
sussurrò infine.
Per
quanto sapesse che sarebbe successo, che la prova delle sue parole
sarebbe stata invocata esattamente con quelle semplici parole, la
giovane non potè impedirsi di incespicare quasi. Esitò.
“N-non
servirebbe a nulla” esalò infine “I Segni mi
furono impressi tanto tempo fa, nella Torre del Tempo” mentre
parlava, alzò entrambe le mani a sfiorare tremante il Velo
ancora posto sul suo viso. Per un incerto attimo ella ne saggiò
la sottile consistenza prima di trovare il nodo e, riluttante,
sfilarlo in un fruscio, unico nel silenzio ora piombato nella sala.
Lo
stridio acuto, lacerante, che seguì, fece ghiacciare il sangue
nelle vene della giovane.
“Sono
qui” fece per lei Sery, la disperazione ora a distorcere i
tratti del suo bel viso “Le Ombre sono qui” ripetè
tremante. Neanche un istante e l’Anhayt fu sulla ex-Veggente
ora ricaduta miseramente a terra ghermendole un polso così da
costringerla a guardarlo.
E
finalmente la comprensione fece capolino sul suo volto avvampandolo
di furore e dolore assieme. Un’espressione che lacerò il
petto della giovane più di quanto avessero fatto fino ad
allora le parole.
Credette
allora l’avrebbe picchiata.
Ma
lui si limitò a fissarla “Perché l’avete
fatto?” esalò poi a denti stretti. Lei serrò la
mascella “E’ mio dovere” fu solo in grado di
rispondere. Smorfia sprezzante “Il vostro dovereci
costerà la vita, lo sapete questo?” lui strinse
maggiormente la presa “Maledetta Hayeli'vo...”
si
umettò le labbra, la rabbia che divampava in un pallore grigio
ed esangue “meriteresti la morte per...”
“Virel!”
Prima
ancora di girarsi, prima ancora di voltarsi e fissare il proprio
sguardo in quell’esatto punto a metà fra la galleria che
saliva verso il piano superiore e quella scendeva verso gli strati
sotterranei, la ragazza seppe cosa avrebbe trovato a fissarla. Seppe,
con la medesima certezza che si prova solo poche volte nella vita - e
mai per le cose piacevoli - che il continuare o meno della sua
esistenza sarebbe ora dipeso da quei pochi, memorabili, istanti.
Poiché
era la seconda volta che incontrava un’Ombra. Che la vedeva
proprio dinnanzi a se stagliarsi alta, terrificante, nel grigio bruno
della notte. Che ne misurava con cieco terrore la potenza aliena, la
forza incommensurabile. Ma questa volta, questa no, non c’era
Odayn ed il suo altrettanto inesplicabile potere a salvarla. A
salvare tutti. Ora, immobile, paralizzata dal terrore e affatto
incline a muoversi anche solo per respirare c’era solo lei,
Asiya.
Poco
meno che un’imitazione. Poco più che una burla a danno
di quei Risvegliati tanto desiderosi di liberarsi dai propri
persecutori da non accorgersi di aver preso la Nihaar’ì
sbagliata.
Di
nuovo, intollerabile, lo stridio delle Ombre invase l’aria,
costringendo a carponi tutti quanti a tapparsi le orecchie.
Immensa,
alta quasi fino al soffitto, la prima Ombra fece dunque il proprio
ingresso nella sala, passi da gigante a sfiorare appena il terreno in
un silenzio sgomento, in un fruscio sommesso. Nero, il suo manto
pareva cosa vera e al contempo impalpabile, quasi la sensazione del
fumo alla vista e poi al tatto.
Per
un attimo ella si stagliò immobile nel silenzio, come un
predatore nell’atto di individuare la propria preda prima di
colpire. Poi, scintillanti, i suoi occhi si posarono infine su Sery.
“Scappate!”
la voce dell’Anhayt esplose improvvisamente nella sala come un
lampo di luce, accecando i presenti di un riverbero forte, vigoroso e
irreprensibile. L’attimo dopo tutte all’unisono le
candele vennero buttate a terra mentre la folla si disperdeva come
formiche raggiunte dal fuoco riempiendo le gallerie di grida e urla
di puro terrore. Prima di allora, l’Anhayt aveva già di
forza tirato in piedi Asiya e con Sery al fianco si era lanciato alla
cieca nelle gallerie della cava.
L’Ombra,
ovviamente, li seguì.
Stordita
e inerme, la ragazza si ritrovò allora a correre nel buio,
strattonata una svolta dopo l’altra dall’uomo il cui
passo pareva non conoscere esitazioni. Destra. Sinistra. Poi giù
da una rampa. Poi su per una scala.
Si
rese allora improvvisamente conto di non aver mai visto quei luoghi
prima di quel momento, malgrado le lunghe passeggiate.
Possibile
che quella cava fosse così grande? O forse era solo il suo
senso dell’orientamento ad essere estremamente piccolo?
Improvvisamente
l’Anhayt costrinse le due donne ad accucciarsi dietro un muro,
il fiato che a tratti si serrava nel tentativo di udire se ancora
l’Ombra fosse sulle loro tracce.
Rannicchiata
e ansante, per metà afona e sorda di paura, Asiya intercettò
allora lo sguardo di Sery fisso su di lei. La donna guardava i suoi
occhi e pareva ancora incapace di rassegnarsi alla normalità
in
essi racchiusa. Restituì riluttante il suo sguardo, gocce di
sudore a colarle dai lati del capo in un prurito fastidioso.
“Perché
mi portate con voi?” si sentì suo malgrado sussurrare
“Avete detto che meriterei di morire”.
China
e curva di tensione, la figura dell’Anhayt ebbe come un
sussulto mentre egli si voltava in sua direzione. La guardò un
attimo torvo, le labbra a storcersi in una smorfia di nudo disprezzo
prima che un rumore facesse sobbalzare tutti e tre improvvisamente.
Rapido come serpente, la presa dell’uomo ghermì
all’unisono Sery ed Asiya costringendole a tirarsi nuovamente
in piedi.
“E
morire esattamente è ciò che farete” le sibilò
mentre riprendevano la loro fuga precipitosa “Ma per mano mia”.
Correndo,
incontrarono un paio di Ombre ancora, entrambe intente ad eliminare
una ad una le figure in bianco che popolavano quella cava di sale.
Una di esse si accorse di loro costringendoli ad una rapida quanto
insopportabile fuga, l’altra invece pareva troppo intenta nei
propri divertimenti per notarli.
Fu
infine con un sospiro esasperato che tutti e tre riuscirono a sbucare
infine all’aria aperta dove trovarono una luna pallida e
brumosa ad attenderli di sfondo alle distese ondose del deserto. Si
accasciarono senza fiato, il tocco gelido della sabbia a rabbrividire
sulla loro pelle sudata e tremante.
Nemmeno
il tempo di comprendere le avvisaglie del proprio -inaspettato-
ritorno alla libertà, che l’Anhayt fu su di lei, una
mano a serrarle le labbra e l’altra a puntarle dritta sul collo
una lama color avorio.
“Ed
ora fa bene attenzione, Hayeli’vo” le sibilò a
pochi centimetri dal viso “Le Ombre che hai visto non sono
venute qui da sole. Molte altre ci stanno aspettando qui fuori e di
certo saranno in grado di trovarci al primo grido o movimento
sbagliato” una pausa, più lunga, come se egli fosse
volesse sincerarsi di essere stato inteso. Quasi prossima dal
soffocare, Asiya si ritrovò ad annuire una volta. Anche lui
annuì.
“Immagino
sarai contenta di sapere che non sono venute sole” aggiunse poi
in uno strano sibilo contratto. Sopracciglia di lei a sollevarsi
appena. Sospiro di lui.
“Zaphil
è qui”
Zaphil?
Per
un meraviglioso, estatico, istante, la ragazza non potè che
immaginarsi libera e al sicuro a bordo di una trasportina diretta
verso lidi tranquilli e ben protetti. Si vide stringersi in un
abbraccio al Naphil e rimproverarlo per averci messo così
tanto a trovarla, a cercarla, a raggiungerla insomma. E per averla
fatta aspettare. E dubitare inoltre delle sue reali intenzioni di
venirla a prendere...
Poi
però l’Anhayt la strattonò nuovamente per un
braccio facendola miseramente cadere bocconi nella sabbiae
ricordò quante profezie catastrofiche e minacce di morte certa
la separavano ancora dal suo mirabile progetto di libertà.
Quante Ombre la volevano quasi certamente morta - o meglio, volevano
la Nihaar’ì, ma Asiya dubitava che quelle amabili
creature avrebbero notato la differenza -. E quanto ancora di
sbagliato ci fosse nel suo elenco di cose da fare affinché la
voce “salva e al sicuro” vi si affacciasse fra le prime
disponibili.
Così
suo malgrado si ritrovò ad accucciarsi nelle dune di sabbia
mentre attorno a loro la notte prendeva a formicolare di figure in
bianco per metà svestite e frizzare a tratti di silenti grida
nell’oscurità e stridii confusi.
Più
lontano, molto più lontano invece, nulla più che neri
puntini seminascosti nell’oscurità, eccole.
Trattenne
il fiato, l’improvvisa voglia di gridare a risalirle la gola in
un sospiro esasperato.
Le
Guardie della Torre del Tempo.
Le
scure sagome delle Ombre fluttuavano in vaghi riflessi tutt’attorno
a loro, figure leggere eppure mastodontiche nel cui velo parevano
scomparire il deserto e le sue creste con esso. I loro passi parevano
solo vagamente sfiorare la terra prima di ogni balzo letale, ogni
rapido slancio.
Terrorizzata,
la bocca per metà colma di sabbia e panico, Asiya si ritrovò
suo malgrado a cercare in quel vitreo fluttuare la figura di Zaphil
prima che l’Anhayt le schiacciasse allora la testa a
terra. “Giù,
kri’la
vahs! (dannazione
a te)” le sibilò all’orecchio ”Non devono
vederci”
Le
Ombre o i soldati?
La
ragazza esalò un nuovo gemito contrito, la paura ad ordinarle
di chinare il capo ma i suoi occhi -ora per la prima volta dopo anni
liberi da qualunque velo o protezione- a spingersi malgrado tutto
ancora in avanti, ancora oltre la barriera di sabbia e Ombre a
perdifiato dinnanzi a lei.
E
poi finalmente, eccolo.
Chino dietro lo sperone di una roccia affiorante dal terreno, Zaphil
pareva intento in una complicata serie di esercizi di braccia e mani
cui poco lontano, egualmente nascosti fra dune e ridossamenti
rocciosi, i suoi rispondevano con i medesimi gesti e sequenze
improvvisate.
“Zaphil!”
Prima
di averne anche solo potuto formulare l’intento, Asiya si
ritrovò in piedi a saltellare nel bel mezzo del nulla.
“Zaphil!”
ripetè
con voce strozzata, i piedi che tremanti la portavano di un passo in
avanti suggerendole allora di correre, spiccare un balzo verso la sua
libertà ora più che mai vicina e possibile. Sentì
le lacrime riempirle improvvisamente gli occhi.
“Zaphil!”
L’attimo
dopo un dolore cieco al fianco la fece caracollare a terra in un
rantolo convulso. Il pugnale dell’Anhayt, ora sporco di sangue
premette nuovamente sulla carne, poggiandosi sull’incavo della
trachea come un gioiello iridescente.
“Ti
avevo detto di tacere!” le bruciò il viso la voce di
lui.
Ma
oramai la Luce era troppo vicina per riuscire a voltarle ancora una
volta le spalle. La libertà, la sua
libertà
troppo a portata di mano per poterle rinunciare. Così fu con
un grido che Asiya tentò di divincolarsi dalla sua presa.
“Kri’la
vahs! Non
sono la vostra dannata Veggente!” sbraitò “E’
chiaro che ora non vi servo più a nulla, o sbaglio?” di
risposta, lui la schiaffeggiò con violenza “Veggente o
no, tu ed i tuoi stupidi giochetti da Hayeli’vo ci avete messo
in questa situazione” il sapore del sangue in bocca le provocò
quasi il vomito “E voi rimedierete! In piedi!”.
Lo
strattone che seguì le lacerò quasi completamente le
vesti costringendola ad afferrarle in fretta e furia prima che
l’Anhayt la costringesse assieme a Sery a correre verso un
nuovo riparo.
“Somma
Nihaar’ì!” il grido di Zaphil li colse quando
tutti e tre si trovavano già al riparo.
Al
primo suono di risposta, Asiya era certa che l’uomo l’avrebbe
uccisa all’istante. Si costrinse quindi a tacere.
“Somma
Nihaar’ì!” di nuovo, più vicino, il
richiamo.
Deglutì
a fatica, un umido dolore al fianco che cominciava a risalire le
pareti della sua coscienza costringendola a poggiarvi una mano
tremante.
La
ritirò sporca di sangue.
Somma
Nihaar’ì...
Si
ritrovò tuttavia a pensare.
Nemmeno
il Naphil sapeva che lei, e non Odayn, era stata presa?
Si
costrinse a riprendere fiato per un attimo, l’Anhayt che si
affacciava guardingo da dietro una duna per controllare il passaggio.
O
forse chiamarla Nihaar’ì faceva parte del medesimo gioco
da lei interpretato fino ad allora?
“Giù!”
ancora una volta, la mano dell’Anhayt calò su di lei
costringendola a ruzzolare faticosamente nella sabbia, Ombre scure a
mancarli proprio allora di poco. Espirò.
E
solo allora i suoi occhi si soffermarono su tre figure poco più
avanti. Difficile identificarle a prima vista. Sbattè una
volta le palpebre. Ma dopo un attimo eccoli definirsi malgrado
l’oscurità: tre Yenavo’r (draghi del deserto)
immobili nella sabbia. I loro cavalcatori se ne stavano immobili a
carponi fra le dune.
La
sua via di fuga, realizzò
Asiya mentre la falcata dell’uomo la trascinava ancora e
dolorosamente in avanti. Al suo fianco Sery arrancò a stento,
lo sguardo stravolto a donarle un’aria se possibile ancor più
inquietante.
Asiya
si costrinse ad asciugarsi le lacrime, la speranza che prendeva a
frugarle ogni pensiero ricercandone uno valido, uno abbastanza solido
da consentirle di mettere insieme un piano.
Come
raggiungerli?
Fu
il primo.
Come
raggiungerli senza che l’Anhayt la freddasse al primo passo?
Fu
il successivo.
Deglutì
a fatica.
E
finalmente capì cosa doveva fare. Quale mossa poteva avere in
servo una come lei. Una Hayeli’vo.
Così
l’attimo dopo la ragazza si lasciò semplicemente cadere
nella sabbia, il suo imprevisto abbandono a trascinare
malauguratamente con sé Anhayt e Sery in un rovinoso volteggio
fra dune e polvere. Avvertì il grido dell’uomo. Poi i
gemiti della donna. Ed infine il suo triste miagolio di sconforto,
ogni giro di boa a procurarle lancinanti fitte a tutto il corpo.
L’avrebbe
uccisa. Realizzò
nello schiumare del mondo attorno a lei. Appena
fermi, quell’uomo l’avrebbe uccisa.
Ciononostante,
quando tutti e tre si arrestarono finalmente in una fredda conca di
sabbia, non furono le imprecazioni e la lama dell’Anhayt a
ferire il suo orecchio quanto più la voce altera di Zaphil a
pochi passi da lei.
“Lasciatela
andare” la minaccia di quelle parole le procurò quasi
una fitta di intimo piacere “Non ve lo chiederò una
seconda volta”
Al
suo fianco, l’Anhayt ebbe come un fremito convulso. Si tirò
a sedere con uno scatto, trascinando con sé anche lei, unita
da una presa apparentemente inscindibile sul braccio.
“Zaphil,
ma quale onore” fu la greve risposta. Si rimise in piedi,
costringendola a fare lo stesso “Dopo tutto questo tempo,
iniziavamo seriamente a dubitare che vi avremmo visto” la lama
nel suo braccio sinistro trovò nuovamente il proprio posto al
fianco di lei mentre questi, un passo dietro l’altro, prendeva
lentamente ad indietreggiare.
Rapido,
lo scatto della mano di Zaphil alla propria lama fece sobbalzare
tutti quanti.
“Anhayt,
lasciatela andare” la sua voce era immobile “Questa farsa
è durata fin troppo” “Farsa?”
la risata dell’altro riverberò nella notte “Voi
avete il coraggio di parlare a me di farsa dopo questo?”
dolorosa, la punta della lama affondò nel fianco di Asiya
strappandole un grido isterico.
“Ho
dato in pasto alle Ombre tutta la mia gente a causa del vostro
inganno!” strinse maggiormente la presa “Ho aperto le
porte della mia casa a quelle luride aberrazioni ed ora voi mi venite
a rimproverare? Voi?”
Per
un attimo il Naphil parve incapace di rispondere. Immobile, egli si
limitò a fissare l’Anhayt con un misto di tensione e
confusione assieme, la linea delle labbra flessa in un’espressione
rigida e compunta. Poi, lento, il suo sguardo si spostò infine
su Asiya, concentrando su di lei una lunga, attenta, occhiata.
E
fu allora che lei lo vide.
Lo
sgomento.
Quello
vero.
Muto
e tacito.
Asiya?
esalarono
gli occhi dell’altro.
Si,
proprio io. Risposero
indolenti i suoi percependo dolorosamente su di sé la pura e
nuda incredulità nel vederla lì, nel vedere lei quando
invece egli si era chiaramente aspettato di vedere l’altra.
La
Veggente. Quella vera.
Col
senno di poi, Asiya pensò che allora entrambi commisero un
terribile errore nel guardarsi e mostrare, loro malgrado, l’effettiva
incredulità nel riconoscersi. Un errore imperdonabile
nell’essere per un attimo così muti e indifesi negli
occhi dell’altro tanto da dimenticarsi per un istante di altri
sguardi e altri attimi assai ben più pericolosi di quello ad
affacciarsi e reclamare la loro attenzione.
Se
così non fosse stato, probabilmente l’Anhayt non sarebbe
riuscito ad abbandonare un attimo la presa su di lei per scagliarsi
con tutta la forza che aveva in corpo sul Naphil. E Zaphil non
avrebbe miseramente incassato il colpo ruzzolando inerme a terra in
uno schiumare di sabbia e sangue. E Sery, anima in pena, non avrebbe
sicuramente avuto l’ardire di estrarre la sua lama ed intimare
ad una paralizzata Asiya di seguirla -in silenzio- fino agli yenavo’r
poco distanti.
“Un
fiato e ti apro la gola” esalò ad un soffio. Mentre, una
lama ancora puntata alla gola, la ragazza si allontanava a tutta
velocità nel deserto, ebbe quasi il tempo di porsi una sola e
semplice domanda.
Se
Zaphil pensava che la Veggente fosse lì, e non c’era,
dove si trovava allora Odayn?
Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo e
un nuovo punto di vista!
Grazie mille a tutti per la lettura e in particolare a TaliaBaratheon che sembra
essersi presa a cuore la mia impresa J
Un bacio e a presto
Elendil
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Aprì gli occhi poco prima di cadere di sella, la mano
destra che ne ghermiva appena in tempo il pomo prima che di peso la sua figura
scivolasse nel vuoto. Il sole lo accecò, ricordandogli di essersi assopito
proprio nel bel mezzo del viaggio senza che tramonto o alba avessero segnato
l’esatto momento in cui gli fosse stato concesso un attimo di riposo.
Eppure la stanchezza era ancora lì, lucida e presente
proprio come quando poco tempo prima - attimi? Ore? Secondi forse? - egli si
era concesso di soccombervi in un sonno piatto e senza sogni.
Al suo fianco, legato mani e piedi alla sella del suo kahrise (un grande volatile dalle lunghe zampe e incapace
di volare, comunemente usato per le lunghe marce nel deserto), l’Anhayt gli rifilò un’occhiata truce.
“Stanco, sommo Zaphil?” sibilò
fra i denti “O è solo la mia compagnia a darvi noia?”
Inizialmente si era pensato che non fosse cosa consona
per un uomo del suo rango - Nobile, malgrado le apparenze mostrassero il
contrario - venire legato come un comune prigioniero per tutta la durata del
viaggio. Le ferite presenti sul suo corpo avevano inoltre perorato la decisione
che egli venisse semplicemente affiancato da una o più guardie capaci di
assicurarsi che egli non tentasse mosse avventate o colpi di testa.
Ma dopo tre rocamboleschi tentativi di fuga seguiti da
tre altrettanto estenuanti giorni di inseguimento in pieno deserto, il gruppo
intero aveva deciso che sicurezza e tranquillità nel sapere quell’uomo ben
legato alla propria scorta valevano il prezzo dell’onta inferta.
Zaphil
strizzò appena gli occhi indolenziti dal riverbero.
“Caro Anhayt” la sua voce suonò
in qualche modo roca ed impastata mentre si rivolgeva all’altro. Una ruvida
corda intrecciata univa le loro cavalcature costringendo i reciproci kahrise a spostarsi di pari passo “Tutto potrei lamentare
della vostra compagnia tranne che la noia”.
Per qualche ragione sembrò di vedere l’altro sorridere
prima che questi si rivolgesse ad un uomo della scorta poco più avanti.
“Ero certo che voi uomini della Torre avreste amato le
mie doti di Anhayt. Fra le donne riscuotono sempre
molto successo” gli fece sogghignando.
Dall’altra parte Zaphil sospirò
appena “Sciogliere nodi e nascondere oggetti contundenti in ogni pertugio del
corpo non le definirei doti”.
L’altro si strinse nelle spalle “Punti di vista” gli
concesse “Ma di sicuro lo sono il saper resistere ad ogni genere di sopruso per
giorni interi senza mangiare né bere” concluse con un ghignetto sardonico. Il Naphil si limitò a replicare il gesto con minor passione
“Rimproverate voi stesso e non me per le spiacevoli divergenze di questi
giorni. Io sono un Guardiano, non il vostro aguzzino”.
Nuova smorfia contrariata. Nuovo scrollarsi di spalle
“Eppure giurerei di aver pensato ad un Sarnich’sou
(combattente del sud) mentre per poco non riducevate la mia faccia ad una
poltiglia sanguinolenta...” “E’ stato spiacevole per tutti e due, credetemi” si
umettò le labbra l’altro.
La risata dell’Anhayt fece
voltare la testa a due guardie poco più avanti.
“Da come colpivate, non sembravate un granché
dispiaciuto” sibilò poco dopo l’Anhayt “Ma date le
circostanze, non posso certo biasimarvi”
Sfuggire quella notte al pandemonio generato dall’attacco
delle Ombre non era stata cosa facile. Resistere alle successive rappresaglie
dei Figli delle Ombre desiderosi di riprendersi il proprio Anhayt
era parso ancora peggio. Arrancare infine all’inseguimento dei plurimi
tentativi di fuga di quest’ultimo perdendo ore se non giorni interi di viaggio
fra dune di sabbia e distese pietrose era sembrato decisamente troppo per tutti
quanti.
Troppo perché ora, smagrito ed imbruttito di lividi, l’Anhayt non paresse ora la grottesca parodia di se stesso.
Per un attimo i due rimasero in silenzio, l’oramai misero
plotone di Zaphil che lentamente si spostava fra le
esalazioni roventi del giorno, passo dopo passo sempre più vicino alla meta
sospirata: Hevnank’ar.
“Perchè non l’avete seguita?”
la voce dell’Anhayt vibrò improvvisamente fra di
loro, cogliendo Zaphil intento ora a scrutare pensoso
l’orizzonte. Per un secondo egli parve non aver sentito; poi abbassò lo
sguardo.
“Intendete l’Hayeli’vo?”
L’altro si limitò a scrollare le spalle “Da come l’avete
guardata mentre Sery ve la portava via da sotto il
naso, mi sarei aspettato che l’avreste rincorsa senza esitazione”.
Sguardo appena corrucciato, il labbro inferiore a
scomparire per un attimo nella pallida curva dei denti “Se fosse stata la Nihaar’ì l’avrei rincorsa di certo” abbozzò poi senza
espressione “Ma per sua sfortuna, l’Hayeli’vo non è
altri che una sostituta di colei a cui vanno i miei servigi e fedeltà” “Quindi
non le dovete niente?” azzardò l’Anhayt apparentemente
divertito. Questa volta Zaphil non rispose.
Ma l’uomo pareva refrattario ad abbandonare la
conversazione. Si mosse per qualche istante sulla sella come per assumere una
posizione più comoda; poi sospirò “Eppure chissà come, quella ragazza pareva davvero
convinta che l’avreste salvata. Malgrado più volte l’avessi provocata
suggerendo il contrario, lei non ha mai esitato. Nemmeno una volta” suo
malgrado, Zaphil si ritrovò ad alzare lo sguardo
incontrando quello velato dell’altro “Zaphil arriverà
e ve la farà pagare cara. Questo diceva” rincarò la dose.
Ancora una volta, quasi meccanicamente, Zaphil si limitò a stringersi nelle spalle “Era suo dovere
farvelo credere” esalò poi monocorde “Viceversa, avreste potuto davvero pensare
che lei fosse chi diceva di essere? Una Nihaar’ì che
non si aspetti di essere salvata? Che non ostenti la convinzione di essere ciò
che lei doveva essere?”. L’Anhayt tentò allora di
chinarsi sulla sella per raggiungere con le mani legate la punta del suo naso.
Non vi riuscì. Sospirò.
“Non offendete la vostra intelligenza, Zaphil, sapete meglio di me che quella Hayeli’vo
avrebbe potuto mostrarmi qualunque cosa, qualunque assurda fantasia le fosse
passata per la mente di raccontarmi ed io le avrei creduto senza alcuna
esitazione” una pausa, il labbro inferiore che si spaccava nell’ombra di un
mezzo sorriso “Il mio desiderio di liberare me e la mia Sireli
(amata) dalla nostra maledizione era troppo grande per concedermi anche solo
un’istante di incertezza”
“Dunque, come vedete quella ragazza non ha dovuto fare
granché per convincervi della veridicità delle proprie azioni e sentimenti”
concluse con un mezzo sospiro il Naphil “Ammesso che
fingesse” rintuzzò l’altro.
Tacquero ancora per un attimo, giusto il tempo perché l’Anhayt ostentasse un nuovo e sentito gradimento per le
corde strette attorno ai propri polsi martoriati. L’altro lo ignorò, lo sguardo
che correva lontano, oltre le dune, alla ricerca della tanto sospirata Hevnank’ar.
Più tardi, mentre il sole prendeva ad inabissarsi nel
bruciante profilo delle sabbie e le temperature con esso volgevano dal caldo
soffocante ad un freddo sempre più pungente, il manipolo decise di arrestare la
propria marcia ed accendere un fuoco. Un caldo aroma speziato proveniente da
una pentola in terracotta prese presto a diffondersi nell’aria circostante
mentre tutt’attorno gli uomini imbastivano dei piccoli giacigli di tela.
Quando fu pronto, Zaphil portò
una scodella anche all’Anhayt. Gli sedette poi
accanto, lasciando che questi terminasse di trangugiare avidamente la propria
porzione prima di parlare.
“Avete detto di non aver mai visto il volto di chi vi ha
concesso di entrare ad Hevnank’ar”
cominciò guardando lungamente il fuoco. Al suo fianco, l’altro annuì.
“Come foste certo che non si trattasse di un inganno?”
concentrato, l’altro diede una lunga lappata alla ciotola prima di deporla
dinnanzi a sé “Come vi ho già detto, ci fu uno scambio di lettere” spiegò “Non
ne conservai ovviamente nessuna” si affrettò a precisare “Ma vi posso
assicurare che fin dalla prima fui certo della loro veridicità” in attesa, Zaphilsbattè una volta le
palpebre “Vedete. Quelle lettere non erano in realtà indirizzate a me, bensì
alla mia Sireli (amata), e chi scriveva non la
chiamava con il semplice appellativo riservato ai Risvegliati o alle donne del
deserto bensì con il suo Nome”.
Il suo vero Nome.
Quello che le genti di Arryan
erano solite rivelare solo a pochi stretti confidenti per paura che Oneiron e le Ombre con esso potessero ghermirlo e fare di
esso il proprio diletto.
Suo malgrado, Zaphil non potè che accigliarsi “Chi oltre a voi potrebbe conoscerlo?”
l’altro scosse la testa “Nessuno che potesse avere l’ardire di fare del male
alla mia Sireli con quel Nome, questo è poco ma
sicuro” “E fu per quel motivo che voi vi fidaste ciecamente di quelle lettere?”
“Quel motivo” l’altro si strinse nelle spalle “E per il fatto che chi scriveva
si firmasse con il fregio di Hevnank’ar” ancora una volta il Naphil
non potè impedirsi di provare una nota di confusione
“La vostra Sireli proviene da Hevnank’ar?” chiese titubante.
Si e no, mimarono le spalle dell’Anhayt.
“So che parte del suo passato si nasconde in quella
città, sì. E per rispondere alla vostra domanda” sogghignò “No, non potrei
essere più preciso perché questo è davvero tutto ciò che so sulla mia Sireli”
Non una parola di più, non una di meno.
Impossibile non accigliarsi di nuovo “Per essere la
vostra Sireli, mi sembra sappiate davvero ben poco di
lei” esalò incredulo il Naphil. Nuova scrollata di
spalle “Il presente è il cammino che noi condividiamo con le persone che ci
stanno accanto. Ma il passato è nostro e nostro soltanto”.
Quel giorno, uno dei tanti oramai trascorsi a marciare
liberi nel deserto, giunsero finalmente alla volta di Hevnank’ar. Non vi entrarono subito. Prima di giungere a
vista delle vedette, le guardie improvvisarono infatti una breve sosta per
estrarre dalle pesanti borse a tracolla dei kahrise
un non meglio precisato insieme di stoffe dall’aria consunta e logora, colori
un tempo sgargianti ora ridotti a nulla più che blande tinte rossastre e
sabbiose.
L’Anhayt rifilò a quell’insieme
un’occhiata incerta prima che Zaphil gliene porgesse
una dall’aria particolarmente lisa.
“Queste saranno il nostro lasciapassare all’interno della
città” spiegò con un mezzo sogghigno “Preferirei infatti che nessuno
all’interno di Hevnank’ar
sapesse del nostro ritorno fino a quando non lo riterrò opportuno”. Nuova
occhiata perplessa dell’Anhayt “Niente accoglienza da
re, quindi?” sbattè una volta le palpebre. Zaphil si strinse nelle spalle “Spiacente ma no”.
Per un attimo lo sguardo di entrambi cadde allora
sull’offerta del Naphil ancora tesa nel vuoto, ponte
di stoffa dall’aria ora più che mai incerta.
Poi l’altro schioccò la lingua sul palato “Avete detto
che se acconsentirò ad aiutarvi mi lascerete andare” si grattò il mento ora
irto di una barba ruvida e spinosa. Sotto i polpastrelli avvertì piccoli
granelli di sabbia. “Così ho detto” concesse il Naphil
“E se questo è il vostro dubbio, posso assicurarvi di essere un uomo di parola”
“Così come di scarni sentimenti?” lo pungolò l’altro con un sorriso. Zaphil non rispose, limitandosi semplicemente a riproporre
con un lieve movimento la stoffa all’altro.
L’Anhayt sospirò afferrando
finalmente l’indumento. Se lo rigirò per un attimo fra le mani, evidentemente
misurandone con fare critico la misera fattura “Tutte qui le grandi risorse
della Torre del Tempo?” sogghignò poi. Lo sguardo rivolto già alla città, Zaphil non colse la critica “Prego?” chiese tuttavia.
Tutt’attorno gli uomini erano già alle prese con il camuffamento, le distintive
vesti nere rimpiazzate dalle ben meno raffinate pezze solitamente usate fra le
genti di bassa levatura quali piccoli commercianti, contadini e simili.
“Da ciò che raccontava mia madre, alla Torre del Tempo
non bastava l’immaginazione per descrivere le meraviglie e l’abbondanza
presenti in ogni dove. I muri grondavano acqua, i pavimenti riflettevano i
colori del cielo ed ogni dove vi erano piante e frescura in abbondanza” una
pausa, giusto il tempo di alzare i panni lisi e mostrarli al suo interlocutore
“Probabilmente i tempi sono davvero cambiati da allora”.
Vago, un sogghigno attraversò allora il volto del Naphil prima che questi estraesse dalla sacca del proprio kahrise stracci della medesima tinta e condizione “Dunque
vostra madre vi parlava della Torre del Tempo” disse prendendo lentamente a
spogliarsi “Eppure voi non l’avete mai accompagnata nei suoi viaggi” .
Per un attimo l’Anhayt parve
troppo impegnato a fissare i sottili innesti metallici sul corpo dell’uomo per
rispondere. Poi, interdetto, si schiarì la gola “Questo perché lei mi
raccomandava sempre di non farlo. “Quel luogo è così pieno di serpi che pare di
sentire le mura sibilare anche di notte” mi diceva sempre” una pausa, mani a
saggiare infine la possibilità di indossare quegli stracci luridi “Odiava
andarci e se non fosse stato per risparmiare a me e mio padre il dovere di
farlo al suo posto, sono certo non ci avrebbe mai messo piede”.
Cominciò dunque a svestirsi anch’egli, un rapido cambio
d’abiti sufficiente a mostrare nel riverbero solare strisce di pelle livida e
segnata da vecchie e nuove cicatrici. Questa volta fu il turno del Naphil di osservare l’altro con un misto di curiosità e
perplessità assieme. Poi sospirò.
“Ho pianto per la sua morte. Era una donna gentile” esalò
portandosi al volto un velo consunto. Alcune fibre lise pendevano di lato dando
una parvenza di baffi posticci. L’Anhayt scrollò la
testa “Voi non conoscevate mia madre. Non era abbastanza ricca e potente perchè voi vi interessaste a lei. Ma vi ringrazio comunque”
Si decise dunque che gli uomini di Zaphil
sarebbero entrati in città con le luci del giorno unendosi alle carovane che
regolarmente entravano ed uscivano dalle porte di Hevnank’ar. Da dentro avrebbero fatto in modo di
posizionarsi nei punti strategici della città e da lì seguire l’andamento della
giornata. Salvo contrordine, Zaphil e l’Anhayt sarebbero allora entrati all’imbrunire, seguendo il
percorso che settimane prima aveva condotto i Figli delle Ombre all’interno
della città.
A pochi istanti dal calare della notte, nessuno degli
uomini del Naphil era ancora tornato per segnalare
strani avvenimenti. Dopo un ultimo sguardo al profilo oramai brunito della
città. i due decisero dunque di mettersi in marcia.
Giunsero in poco tempo nella parte orientale di Hevnank’ar, le rive dell’Himnakan a sciabordare fra le morbide anse del porto in un
dedalo di Rose del Mare e flutti rubino. Tutt’attorno alla città si snodava il
pallido profilo delle Mura, sottile circonferenza ottagonale articolata in
creste simili ad immense pinne dorsali di animali marini. Ogni cresta recava
attacchi ed infissi per sostenere le ancor più mastodontiche Vele tese nella
fine brezza notturna come giganteschi petali di fiori rubino. Ad ogni cambio di
vento, la notte scricchiolava del loro mutare di posizione ed inclinazione così
che da lontano l’intera Hevnank’ar
somigliasse ad un immenso veliero teso al vento.
Sottili passaggi di legno e corda collegavano come fili
di ragnatela ogni struttura dando modo ai Danzatori di guardia alla città di
pattugliarne i perimetri. Le loro piccole sagome tremolavano alla luce di torce
e bracieri disposti ad intervalli regolari.
Zaphil e
l’Anhayt ignorarono quello spettacolo suggestivo per
procedere viceversa in direzione del lago e del porto. Le mura continuavano
anche qui, pur degradando nel contemporaneo abbassarsi del fondale marino fino
a lasciar intravedere in lontananza nulla più che le punte delle ultime vele a
scomparire fra i flutti. In silenzio i due ne seguirono il profilo, fermandosi
a tratti per non essere visti dai Danzatori di ronda fino ad arrivare alle rive
del lago ove si svestirono rapidamente avvolgendo il tutto in un fagotto
stretto in vita. Pochi istanti per prendere nuovamente fiato e poi insieme si
immersero fra i flutti.
L’acqua era tiepida rispetto al freddo pungente della
notte, scintillante di salsedine quando essi scivolarono a nuoto lungo il
profilo discendente del porto. Solo quando furono ben distanti dal camminamento
si diedero il tempo di aggrapparsi ad una Vela per riposare.
“Sietesicuro di
sapere dove stiamo andando?” esalò Zaphil senza
fiato.
In passato i Tintori erano soliti donare alla popolazione
le Tinte di scarto ottenute dalla lavorazioni dei tessuti. Queste, pur se in
misura inferiore, conservavano comunque un poco del loro potere capace di
allontanare le Ombre. Sfortunatamente però la natura umana, sopratutto
se avvicinata all’atavico istinto di sopravvivenza che la caratterizza,
sviluppa in sé le peggiori potenzialità ed escogitazioni; così in breve, Hevnank’an divenne patria del
commercio sommerso delle Tinte, un mercato nero i cui interessi si estesero via
via per tutto il territorio affliggendone con prezzi e condizioni indeprecabili
l’intero andamento.
I Tintori decisero così di porre fine alle proprie
donazioni chiudendo i canali di scolo affioranti in città e nascondendone di
nuovi in luoghi più sicuri.
L’Anhayt annuì una volta “Nelle
lettere era indicato il percorso da seguire” spiegò pratico, lo sguardo che
andava a sorvolare le creste del lago come alla ricerca di qualcosa. Zaphil si accigliò.
“Era scritto anche quello?” seguì inutilmente lo sguardo
dell’altro, incapace di vedere nulla se non il riverbero lunare fra i flutti.
Sospirò.
“Fate attenzione ora. Non avremo che un istante per
seguire le tracce della Tinta” riprese poco dopo l’Anhayt
“I Tintori non sono stupidi. Non appena ve lo dirò, siate pronto per cominciare
a nuotare e subito immergervi dietro di me. C’è un passaggio proprio al di
sotto dell’ultima vela del porto ma per arrivarci...”
Proprio allora, il vento cambiò. Improvviso attimo di
bonaccia fra lo spirare di uno e il sopraggiungerne di un altro, il silenzio
calò sul porto placando ogni rumore e tramestio e lasciando viceversa un che di
vuoto e indifeso ad abbattersi sui due uomini ora a mollo fra i flutti.
“Ora” sibilò senza voce l’Anhayt
prendendo rapido a nuotare proprio in direzione dell’ultima vela semi sommersa.
Poco più avanti, una guardia avvertì allora lo sciabordio del loro avanzare.
Brivido di panico..
“Fermo” sibilò fra i denti Zaphil
“O ci scopriranno”.
L’altro non si girò. Se possibile, sembrò anzi
affrettarsi.
“Fermo...” ripetè l’altro
invano.
Poi il vento tornò. Lento e lieve, esso prese nuovamente
a spirare a pelo d’acqua in senso inverso rispetto al precedente, variazione
che portò nello stesso istante tutte le vele presenti a girarsi dalla parte
opposta a quella tenuta fino ad allora.
“Chi va là!”
rapido come uno schiocco, la voce della guardia li
raggiunse fra una bracciata e l’altra.
Zaphil si
morse un labbro “Anhayt” tentò invano di chiamare
l’altro ora più che mai avanti “Se non ci mettiamo subito al riparo...” tentò
di dire ma proprio allora i suoi occhi notarono qualcosa.
Nulla più che un’ombra a pelo d’acqua, nulla meno che un
alone dinnanzi all’ultima Vela del porto il cui presto mutare di posizione
avrebbe di certo cancellato alla vista di chiunque.
Impossibile non strabuzzare gli occhi.
Quella era Tinta?
“Chi è là!” ancora una volta la voce della guardia li
raggiunse da dietro le spalle. Troppo tardi.
Entrambi la ignorarono lasciandosi viceversa a capofitto
in direzione della chiazza già prossima dallo scomparire.
Possibile che i Tintori avessero scelto proprio quel
luogo, proprio quello...
Quando furono abbastanza vicini - proprio un secondo
prima che il loro inseguitore desse l’allarme - entrambi si immersero fra i
flutti con una capriola stentata lasciando che l’acqua li ghermisse
trasformando il mondo attorno a loro in uno sfuocato insieme di tinte grigionere. Impossibile non perdere l’orientamento in
quell’oscurità.
Ma l’Anhayt sapeva dove andare.
Senza nemmeno sincerarsi di essere seguito, egli si
diresse in profondità, il corpo impallidito dal riverbero lunarea scomparire in un attimo dietro le pallide
rientranze del muro sommerso.
Zaphil gli
fu subito dietro, piccolo ed apparentemente inerme a confronto della sagoma
mastodontica della Vela inabissata. Più sotto l’Anhayt
sbracciò con forza per avvicinarsi al fondo, virò per tutta la lunghezza del muro
e poi vi si poggiò come nell’atto di tastarne la superficie.
Mezzo cieco, Zaphil ebbe appena
il tempo di intravedere la figura dell’altro ridossarsi alla candida struttura
che questi era già sparito.
Ma che diavolo...
Facile a vedersi, seguire l’esempio dell’uomo fu tuttavia
cosa assai più difficile del previsto. Celebre per la propria forte salinità,
l’Himnakan poteva in effetti rivelarsi un temibile
avversario per qualunque nuotatore inesperto. E Zaphil,
per quanto reduce da molte ed assai ardite esperienze, di certo mai avrebbe
potuto definire se stesso un nuotatore. Figuriamoci mirabile. Così a stento,
aggrappandosi dove possibile alla Vela e dove non concesso, alla più ardita
forza di volontà, anch’egli riuscì a raggiungere il punto verso il quale l’Anhayt era stato guidato dalle lettere dell’ignoto
delatore. Qui, nulla più che una vaga rientranza nel muro a rivelarlo, vi era
un passaggio poco più largo di un braccio, poco più stretto di due spalle a
schiacciarsi verso l’interno.
Mani a protendersi sulle pareti, piedi ad incollarsi alle
sporgenze e dopo un eterno attimo di smarrimento, la testa del Naphil affiorò in quella che egli ipotizzò essere una parte
cava del muro.
Un annaspare poco distante lo avvertì che anche l’Anhayt era affiorato come lui sano e salvo.
“Dannato Naphil” lo apostrofò
questi di buonumore “Ero quasi pronto a scommettere che un uomo arido come voi
non fosse in grado di sopravvivere in acqua e invece...” “Invece se fossi in
voi comincerei ad escogitare qualcosa di più fantasioso se la vostra intenzione
è davvero quella di eliminarmi...” lieve sogghigno nel buio “E porre così fine
alla nostra deliziosa amicizia? Perché mai?”
Proprio allora alle loro spalle vibrò un sonoro clung, come di ingranaggi che pesantemente spostati e
rimessi al loro posto. Per quanto assai poco istruito a riguardo, il Naphil si ritrovò ad ipotizzare che quel canale possedesse
chiuse e sbarramenti per evitare tanto la fuoriuscita della Tinta quanto
l’entrata di incauti visitatori come loro.
Un meccanismo forse temporizzato, o mosso esattamente in
corrispondenza del calare e stabilizzarsi del vento.
A poca distanza, il suo compagno di viaggio parve
affrettare la frequenza delle bracciate “Non ci resta molto tempo prima che le
chiuse vengano sbarrate” spiegò con una traccia d’affanno nella voce
“Muoviamoci”.
Ed
eccomi! Capitolo purtroppo abbastanza lungo che segna la fine del
“primo libro” di questa Storia nonché Il suo giro
di boa verso nuovi sviluppi e vicende. Spero che possa piacervi!
Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito fin qui rendendo
possibile, uno dopo l'altro, la stesura di ogni pagina.
I
prossimi capitoli che (spero) vedrete potrebbero non essere
pubblicati di seguito ma in una parte totalmente nuova così da
dare un po' più di respiro al tutto.
Che
dire? Grazie ancora di cuore a tutti per la pazienza e la gentilezza.
Grazie anche a coloro che, pur non sapendolo, mi danno ogni giorno la
possibilità di portare avanti la mia passione
Bacius
Elendil
________________________________________
Per
un po’ non parlarono. Preferirono accelerare l’andatura
fino al momento in cui il riverbero dei loro respiri smise di
infrangersi sulle pareti circostanti per aprirsi in un morbido e
vasto riverbero cavernoso. Qui si fermarono, senza fiato, l’oscurità
a costringerli alla cieca a cercare un punto ove aggrapparsi e
riposare. Solo dopo qualche istante Zaphil si rese conto che l’acqua
qui era assai meno salata di come la ricordasse all’esterno ed
ovunque percorsa come da una corrente leggera ma costante. Resistette
tuttavia all’impulso di bere, un vago sentore ferrugginoso a
suggerirgli che quel liquido non fosse affatto puro come i suoi sensi
ora gli suggerivano.
Si
concesse allora un sospiro contratto cui l’altro rispose con un
risolino egualmente distorto.
“Quando
giungemmo qui su indicazione delle lettere” prese a dire
muovendo appena le gambe a mollo “Le torce erano state accese
per guidarci verso il luogo in cui la Nihaar’ì avrebbe
celebrato il Rito. E’ un vero peccato che ora non ci siano,
pochi spettacoli su tutta Harryan reggono il confronto”.
Pur
sapendo che l’altro non l’avrebbe vista, il Naphil non
potè trattenere una smorfia contrita.
“Ho
visto e viaggiato più di quanto voi possiate pensare, Anhayt”
rimbrottò nervoso “Penso sopravviverò a questa
privazione” “Certo, immagino di si” convenne
l’altro mentre, cauto, prendeva ad allontanarsi lungo la
parete. Subito Zaphil gli fu dietro “Eppure in qualche modo
sono certo che questo l’avreste voluto vedere...”
Poi
un lungo fischio proruppe dalle labbra dell’Anhayt, vibrando e
spargendosi nell’immobilità di quel luogo come un
brivido lanciato alla cieca nel buio. Senza direzione e meta esso
parve dapprima scomparire per poi subito tornare quasi che altri
avessero a loro volta fischiato di rimando.
Silenzio.
Fischiò
ancora, più lungamente. E di nuovo eccola andare e tornare
quella marea invisibile, risacca sul viso e nel corpo.
Silenzio.
Poi,
al terzo fischio, una luce si schiuse improvvisamente nell’oscurità.
Dapprima fioca e lontana, poi via via più vicina e calda. Ed
infine lucida e splendente fra le mani della sagoma glabra che la
reggeva, nulla più che una donna dall’aspetto esile e
minuto a confronto della vastità di quella sala.
E
per quanto gli costasse farlo, Zaphil dovette suo malgrado ammettere
che l’Anhayt aveva avuto ragione. Pochi spettacoli potevano
competere con quello offerto ora dal Tempio delle Tinte.
La
cavità adibita all’ultima fase di riposo e fissaggio
della Tinta non era altri che un’immensa caverna dalla volta a
cupola sul cui soffitto erano stati aperti naturali ed artificiali
buchi affacciati su un piano superiore, anch’esso in nuda
roccia calcarea. Da questi squarci pendevano immensi teli rosso cupo,
alcuni lunghi poco meno di qualche metro, altri tanto estesi da
sfiorare quasi la superfici delle acque sottostanti. Da ogni stoffa
precipitavano lente e costanti gocce d’acqua frutto dell’umido
dilavamento delle rocce. Il loro stillare pareva un lieve rumore di
sottofondo nell’atmosfera di placida e calma stasi.
Immobile,
Zaphil si ritrovò improvvisamente incapace di parlare.
Espirò
invece piano, lasciando che la fragile ed al contempo ciclopica
bellezza di quel luogo calasse su di lui come un velo di pura e
semplice meraviglia. Al suo avvertì allora l’Anhayt
sogghignare prima di sfiorargli con la mano la spalla.
“Andiamo”
sussurrò “Quella è la luce che ci farà
uscire di qui”.
In
silenzio presero a nuotare in direzione della luce ora ferma sulla
riva opposta del lago. La persona che la reggeva, chiunque fosse,
pareva come in attesa o incerta della fonte del suono che l’aveva
spinta a scendere fin lì. Per fortuna di tutti parve non
trovarla perché dopo un istante questa si voltò
prendendo subito dopo ad ontanarsi portando via con sé l’unico
risplendete chiarore del luogo.
Rapidi,
l’Anhayt e Zaphil le furono dietro, nemmeno il tempo di uscire
dall’acqua per impedirsi di rimanere nuovamente nel buio e
perdere così definitivamente l’occasione di muoversi
all’interno del Tempio dei Tintori.
Solo
quando a quell’unica luce se ne sommarono in lontananza altre
fioche, i due si diedero il tempo di ripararsi in un angolo e
vestirsi alla bell’é meglio con i propri stracci ora
zuppi e freddi. Loro malgrado, in un attimo entrambi presero a
battere i denti dal freddo.
Tuttavia
Zaphil pareva affatto intenzionato a perdere tempo.
“Avete
detto che trovaste torce accese ad attendervi e guidarvi verso il
luogo delle Celebrazioni” si rivolse all’altro notando
ora le sue labbra vagamente annerite dal gelo. L’Anhayt annuì
una volta. “Cos’altro?” lo incalzò subito.
Nel
buio, per un attimo l’incertezza parve balenare sul volto
dell’altro, quasi che in un determinato istante il dubbio vi
avesse fatto capolino distorcendolo appena nei tratti e lineamenti.
Poi si morse le labbra.
“Solo
le indicazioni per uscire senza che i Danzatori potessero
intercettarci” esalò in un lieve tremito. Zaphil si
ritrovò ad aggrottare appena le sopracciglia.
Possibile
che tutti i Tintori sapessero così tanto della loro dimora?
Possibile che chiunque, se opportunamente guidato, avesse il potere
di entrare ed uscire a piacimento da uno dei luoghi più sacri
di tutta Harryan?
Infine
sospirò, le dita infreddolite che andavano per un attimo a
schermare il suo sguardo incupito.
No.
Impossibile.
“Voglio
che tu mi mostri esattamente il tragitto che avete percorso per
entrare ed uscire da questo luogo” ordinò monocorde.
Il
percorso che ne seguì fu in realtà cosa di poco conto
nella memoria del Naphil. Non serviva infatti un grande intuito né
uno spiccato senso della logica per capire che quei corridoi, quei
passaggi, quelle gallerie ed insomma ognuno di quei percorsi sempre e
comunque ritagliati al di là delle vie più comunemente
usate dai Tintori non potevano di certo essere il frutto della
memorie e delle conoscenze di un discepolo comune. Nè di un
semplice membro anziano.
Ma
dunque chi?
La
risposta, per quanto cupa, non necessitava di particolari
elucubrazioni.
O
qualcuno di estremamente umile, o qualcuno di estremamente potente.
Poco
prima di giungere in superficie verso l’ultima e memorabile
barriera che li separava dall’esterno, Zaphil brancò il
suo compagno di viaggio imponendogli una brusca fermata.
“Penso
di aver visto abbastanza per ora” esalò l’uomo in
un ringhio basso “Venite con me”
La
trovarono seduta nella stanza delle Celebrazioni, le gambe
rannicchiate sotto il corpo ritto in una parentesi sottile. Sostava
sul bordo della medesima discesa sulla quale poco tempo prima si
erano poggiati i piedi della Nihaar’ì durante il rito
della Purificazione.
La
Gunar Arvasti.
Dava
le spalle ad entrambi, ma dal guizzo dei muscoli della schiena, fu
chiaro che li avesse sentiti arrivare già da tempo.
“Lieta
di rivedervi” li salutò senza voltarsi.
Di
rivedere entrambi.
Zaphil
esalò un sospiro contrito. L’ultima volta che aveva
veduto quella donna si era ripromesso che mai e poi mai avrebbe
rimesso piede in quelle dannate sale, in quella gabbia di pazzi
travestita da luogo di pace e sacralità. Ed invece eccolo di
nuovo lì, bagnato ed infreddolito come poche volte nella sua
vita ad attendere che quella pazza lo sbalordisse con nuovi e
meravigliosi segreti.
“Spiacente
di non poter dire lo stesso, Gunar Arvasti” rispose monocorde
“Temo che i luoghi chiusi e sotterranei mi stiano divenendo
assai indigesti”.
Lei
non colse la battuta - o meglio fece finta di non coglierla -
limitandosi a tirarsi semplicemente seduta e voltare la testa. Il
Naphil si accigliò: per qualche ragione, pareva più
vecchia dell’ultima volta che l’aveva vista. La donna si
concesse qualche istante per guardare attentamente lui. Poi spostò
il proprio sorriso sull’altro. “Tu
devi essere l’Anhayt” lo salutò piano, voltando
solo allora tutto il corpo per fronteggiarli. Sorrise ancora, questa
volta più lungamente. Poi abbassò lo sguardo.
“Lei
mi ha parlato di te”
Lei?
Nel
medesimo istante in cui formulava questa domanda, il Naphil seppe di
conoscerne la risposta.
Del
resto non sarebbero arrivati fino a quel punto se già non
avessero sospettato di lei e del suo legame con la giovane amata
dell’Anhayt.
Anche
il suo compagno di viaggio parve arrivare alla medesima conclusione
perché si limitò a rispondere al sorriso ricevendone
uno più largo in cambio.
“Sery
mi descrisse così tanti dettagli del tuo volto che confesso,
sospettai ti avesse già incontrato”
Calmo,
l’Anhayt si limitò a scrutare per un poco la Gunar
Arvasti prima di passarsi due dita sugli occhi. “Siete la madre
di Sery?” chiese atono. L’altra socchiuse per un attimo
le palpebre, poi scosse il capo “No, se per madre intendi colei
che la diede alla luce”.
Si,
se stai parlando della donna che ella consideri tale.
“Eppure
da come mi guardi, Anhayt, deduco che ella non ti abbia mai parlato
di me”
Suo
malgrado, l’uomo non potè che rimanere in silenzio. “No”
continuò quindi l’altra “Suppongo di no”.
Si
tirò in quella in piedi, un morbido movimento a rivelare solo
allora braccia e spalle interamente velate di rossa Tinta quasi che
ella vi si fosse immersa per intero lasciando affiorare solo collo e
testa.
“Del
resto fui io stessa a raccomandarle di non farlo quando ci lasciammo.
So per esperienza quanto grande possa essere la curiosità
delle persone se paragonata alla loro discrezione” rapido, il
volto dell’Anhayt ebbe come una contrazione “Se pensate
che io le abbia chiesto di svelare i suoi segreti, rimarrete delusa”
sibilò guadagnandosi un ghigno beffardo.
“Delusa?”
ironizzò “Ma io sono certa
che
tu non abbia mai avuto il cuore di chiederle alcunché.
Viceversa non le avrei mai permesso di andarsene come ha fatto
lasciandomi qui a marcire tutta sola”.
Per
quanto inavvertibile, parve quasi di vedere il volto dell’uomo
contrarsi ancora una volta, la mascella a sgranarsi di un poco sotto
il velo traslucido della pelle.
Non
capisco.
Fu
l’evidente pensiero. Ma tacque, probabilmente troppo orgoglioso
per mostrare la sua incertezza. Di diverso avviso fu tuttavia Zaphil
la cui pazienza pareva assai meno incline a questo tipo di giochetti.
Con una semplice mossa si frappose fra i due, la figura rilassata
eppure colma di una minaccia latente, appena sobillata.
“Sery
è una Tintrice?” chiese monocorde. Per la prima volta da
che era cominciata quella conversazione, lo sguardo della donna tornò
su di lui degnandolo di un’occhiata solo moderatamente
interessata.
“Era”
rispose
dopo un attimo.
“Era?”
si
accigliò l’uomo “Eppure se ben ricordo, l’Ordine
dei Tintori non riconosce a nessuno la facoltà di abbandonare
la propria vocazione”
Era
cosa risaputa in tutta Arryan che l’Ordine considerasse estinto
il ruolo di Tintore solo con la morte dello stesso ed in nessun altro
modo che comportasse la sopravvivenza dei loro affiliati.
La
donna si strinse nelle spalle “Ed ecco il motivo per cui chiesi
a Sery di non rivelare mai il suo passato ad anima viva” spiegò
con semplicità. Troppa
semplicità
perché Zaphil vi si accomodasse sopra con tutta la
soddisfazione del mondo. Storse il naso.
“Foste
voi ad aiutarla a scappare? Organizzaste insieme la sua fuga?”.
Nuova
pausa, nuova stretta si spalle “No, non direi. Fu lei ad
organizzare tutto. Di me si può dire piuttosto che tentati di
fermarla fino all’ultimo. Non volevo che se ne andasse”
abbozzò come una smorfia infantile, il rammarico a stemperarsi
nel suo stringersi le braccia al petto “Pur sapendo quale fosse
il destino dei Risvegliati all’interno dell’Ordine,
provai comunque a fermarla, scioccamente convinta che per lei
avrebbero fatto un’eccezione. Che l’avrebbero
risparmiata”
Suo
malgrado, alla parola Risvegliata
Zaphil
dovette fare una faccia assai sbigottita perché nel medesimo
istante la Gunar Arvasti scoppiò a ridere prima di rivolgersi
all’Anhayt..
“Dunque
Sery non si era sbagliata. Siete davveroun
uomo capace di mantenere i segreti” si complimentò
“Peccato che allora non mi fidai delle sue parole. Non le
credetti quando mi disse che tu l’avresti protetta e amata e
che insieme sareste stati felici. L’unica cosa a cui riuscivo a
pensare era che lei desiderava solo allontanarsi da me e lasciarmi
sola”.
Disorientato,
il Naphil dovette schiarirsi nuovamente la gola “Dunque Sery è
una Risvegliata?” esalò titubante. “Sembra
impensabile, non è vero?” sogghignò di rimando la
Gunar Arvasti “Ammetto che inizialmente anche io fui sorpresa
quando Sery iniziò a parlarmi dei suoi Nayel (visioni).
Pensavo mi stesse prendendo in giro o che più semplicemente
ella confondesse i sogni con la fantasia” si umettò le
labbra “Del resto tutti sanno che i Tintori non
possono dormire e
di conseguenza, non possono fisicamente Sognare. Ma con il passare
dei giorni - e delle notti - ella sembrava sempre più sicura”.
Incerto, Zaphil si portò due dita al mento “Forse Sery
stava trasgredendo ai dettami dei Tintori” ipotizzò
scrollando appena le spalle. L’altra scosse subito la testa
“Giunsi inizialmente anch’io alla medesima conclusione.
Ed infatti la minacciai di riferire all’Ordine quanto stava
accadendo. Ma mi sbagliavo. Per un lungo periodo Sery cominciò
infatti a compiere lo Anyatsy (Rito del Riposo)
al
mio fianco. Insieme chiudevamo gli occhi ed insieme intonavamo la
litania che i Tintori usano per calmare la mente e ristorare lo
spirito. E quando insieme ritornavamo nello stato di veglia ella era
sempre pronta a darmi nuovi particolari del tuo volto” spostò
lo sguardo sull’Anhayt “Presto ogni particolare della tua
persona divenne così chiaro che mi fu impossibile non credere
che esistessi per davvero là fuori, da qualche parte nelle
terre di Arryan” “Fu allora che la tradiste?” la
voce di Zaphil giunse secca e grave al contempo, come un sibilo da
dentro la gola.
Improvvisamente
lei esitò, il capo a chinarsi istantaneamente verso il basso
in un’espressione quasi stanca “Io volevo bene a Sery”
parve giustificarsi dopo un attimo “Non avrei mai avuto il
cuore di tradirla” “Nemmeno se l’intero Ordine dei
Tintori fosse stato minacciato dal suo Risveglio?” la incalzò
l’altro. Nuovo scuotersi della testa “Nemmeno in quel
caso” “Eppure lo faceste, non è vero?”
improvvisamente lei strinse le labbra fino a farle sbiancare di netto
“Ho già detto che non la tradii” digrignò
pallida; poi, lentamente, abbassò nuovamente lo sguardo “Ma
minacciai di farlo se mi avesse abbandonata”.
Per
un attimo, la Guar Arvasti parve ancora più piccola e fragile
di quanto fosse sembrata fino a quell’istante. Restò
qualche istante così, ferma ed immobile dinnanzi ai loro
sguardi confusi. Poi, stanca, si sedette allora sul bordo
dell’immenso bacino, i flutti cremisi a lambirle appena le
punte dei piedi irsuti. Poggiò il capo alle ginocchia.
Eppure
lei mi lasciò comunque.
“Dunque
è per questo che le inviaste quelle lettere” riprese con
il dire dopo un attimo Zaphil “Per farla tornare da voi”.
Ancora una volta, contro ogni aspettativa, la donna scosse sconsolata
il capo.
“Non
inviai mai alcuna lettera a Sery. Ancora oggi non so nulla della sua
vita attuale” lungo sospiro, eco sbiadita della nuova
espressione incerta dei due uomini dinnanzi a lei “Le parole
che vi hanno guidato fin qui e che voi pensate essere state vergate
dal mio pugno sono in realtà di Shayarin”
Shayarin?
Dallo
scatto che seguì, fu chiaro che l’Anhayt si sarebbe
all’istante scagliato sulla Gunar Arvasti se Zaphil non
l’avesse fermato frapponendosi fra i due. Con un ringhio sordo,
l’uomo si arrestò ad un passo da lei.
Immobile,
la donna si limitò a portarsi le mani in grembo “Vedete,
Zaphil, al mondo esistono solo due cose più grandi dell’amore.
Il rimorso e coloro che sono abbastanza astuti da sfruttarlo a
proprio piacimento”
E
fu così che in un breve ed assai desolante monologo, la Gunar
Arvasti rivelò infine di come, esasperata tanto dal proprio
amore perduto quanto dal rimorso per ciò che aveva fatto, ella
lasciò infine che il dolore la guidasse laddove ogni buonsenso
l’avrebbe di certo allontanata. Andò da Shayarin, il
signore delle Tinte, che solo aveva il potere di entrare ed uscire a
suo piacimento dal Tempio.
Fiduciosa,
ella gli parlò di Sery e del loro prezioso legame oramai
irrimediabilmente andato distrutto. Gli descrisse la fuga della
ragazza ed i suoi Nayel. Ed infine gli chiese consiglio.
“All’epoca
tutto ciò che desideravo era scusarmi con lei. Chiederle di
perdonarmi” pallide, le sue mani parvero allora intrecciarsi
tanto da sbiancare le nocche “Mai avrei pensato a cosa la mia
avventatezza mi stava portando”
Alle
conseguenze che quelle rivelazioni avrebbero comportato.
“Quel
giorno Shayarin mi promise che avrebbe trovato Sery e le avrebbe
portato le mie scuse. Mi rassicurò inoltre che avrebbe
custodito il mio segreto per sempre” sorrise come fra sé
e sé “Beh, non si può certo dire che su quello
abbia mentito”
Per
un attimo la macabra visione dell Signore delle Tinte riverso a
terra, uno sbavo di sangue a scivolargli dal labbro appena dischiuso
riverberò nella mente di Zaphil. Il Naphil si umettò
improvvisamente le labbra, a disagio.
“Fu
dunque Shayarin a guidare i Figli delle Ombre fino alla Nihaar’ì?”
concluse quindi dopo un attimo. La Gunar Arvasti si limitò ad
annuire volgendo contemporaneamente il proprio sguardo all’Anhayt
“Sapeva che avreste seguito la speranza che vi offriva anche a
costo delle vostre stesse vite”.
Impossibilitato
a qualunque esternazione fisica - Zaphil si trovava ancora fra i due
-, per questa nuova rivelazione l’Anhayt tentò dunque la
via dell’espressione verbale, il viso che in un istante si
imporporava di una sincera ed assai rubescente collera prima che egli
prendesse a dilungarsi in una dettagliata descrizione di cosa ne
pensasse lui dei Tintori, di Shayarin e non per ultima della medesima
Gunar Arvasti.
Immobile
fra i due contendenti, il Naphil lasciò invece che la sua
mente si dilungasse per un istante nel riesame dell’incerto
- eppure inaspettatamente delineato - quadro che fino a quel punto la
donna aveva fornito loro.
Mancava
qualcosa. Intuì suo malgrado. Qualcosa che la sua mente gli
suggerì annidarsi nei ricordi che egli aveva accumulato in
quei giorni senza curarsene affatto.
Sospirò,
abiti ancora umidi a rabbrividirgli addosso, sulla pelle. Poi, un
pensiero.
Shayarin
aveva mai parlato alla Nihaar’ì? Esitò. Più
in generale, Shayarin aveva mai parlato? Rammentare
fu abbastanza complesso da costringerlo ad un tenue sibilo fra i
denti. Tuttavia la risposta non tardò comunque ad arrivare.
Sì,
aveva parlato. Annuì fra sé e sé. Ma anche
impegnandosi, il Naphil era certo di poter riassumere le parole
dell’uomo sulla punta di una mano. Un po’ poco per una
Volpe.Lo
incalzò qualcosa nella sua testa. Un
po’ poco per chiunque, in effetti.
Che
Shayarin fosse stato un uomo silenzioso?
Meglio.
Che
fosse stato un uomo minacciato?
E
di nuovo fu come averle davanti, l’una in rapida successione
dell’altra, le molteplici occasioni dove Shayarin avrebbe sì
potuto parlare ma che per qualche ragione, aveva in effetti mancato
di farlo: il primo incontro al Porto, la lunga discesa all’interno
del Tempio delle Tinte punteggiata dal fitto sproloquiare di Mathias.
E poi, più avanti, le sue scarne parole di discolpa nei
confronti di Hevnan k’ar, pronunciate come a difesa
dell’imperdonabile carenza di attenzione
mostrate
nel primo attacco.
Improvvisamente
si bloccò, la sua percezione che rapidamente lo rimetteva al
passo con gli istanti di intenso ed assai costruttivo dialogo fra
Gunar Arvasti e Anhayt.
“Rapire
la Nihaar’ì servendosi dei Figli delle Ombre era solo il
primo
piano,
non è vero?” esordì quindi. Ancora intento nella
propria concitata esplicazione di dove
esattamente
egli avrebbe mandato la donna e tutto il suo inutile schieramento di
scuse, l’Anhayt si bloccò, il volto che di scatto si
voltava a fronteggiare quello del Naphil. Viceversa, la Gunar Arvasti
rimase immobile. Poi, lentamente, alzò il capo. Evitò
tuttavia di guardare dritto in viso il proprio interlocutore.
“Solo
gli stupidi non hanno un piano di riserva” sorrise senza
allegria. Di rimando, il Naphil avvertì chiaramente la
sensazione di un nodo alla gola a formarsi fra bocca e trachea “E
le Volpi non sono affatto stupide, non è vero?” esalò
di rimando.
Lucido
e scintillante, il riverbero della lama fra le dita della donna fu
poco meno che uno sfarfallio, poco più che un brillio nel buio
prima che ella la cavasse improvvisamente dalle vesti per piantarla
senza un suono dritta nel petto di Zaphil. Lui gemette, il toc
della
guardia che si incastrava in un non meno precisato punto a metà
fra petto e mano destra volata di riflesso a sua protezione; ed
espirò, una vibrazione dinnanzi ai suoi occhi ad informalo
contemporaneamente del rapido scatto dell’Anhayt in direzione
della donna.
Indietreggiò
di qualche passo, la mano sacrificata a cascare dolente lungo il
fianco prima che un grido soffocato lo informasse che l’Anhayt
era stato in grado di sedare gli intenti omicidi della donna. Quando
alzò lo sguardo su di loro, li trovò stretti in un
caldo e ansante abbraccio, vaghe strisce di sangue ad imporporare
entrambi.
“Questo
sarebbe il vostropiano
di riserva?” esalò con un mezzo sogghigno. Lei non tentò
neppure di negare, il volto sfregiato di sangue a brillare quasi
nella stretta dell’Anhayt.
Nessun
piano di riserva. Affatto. Solo un unico, estremo, tentativo.
“Perdonate
la sua pochezza sommo Zaphil, ma temo non me ne siano più
rimasti molti. L’Ordine ha richiesto il mio Henv’Yeraz
(riposo senza sogni)” sogghignò in un ghigno amaro.
Lo
Henv’Yeraz?
Zaphil
non potè impedirsi una smorfia contrita “Credevo che le
Gunar Arvasti come voi fossero esenti da simili idiozie rituali”
una lieve contrazione della mascella lo informò di quanto la
donna avesse gradito le sue parole. Tuttavia rimase immobile “Credete
pure
ciò che volete, Sommo Zaphil” lo derise tuttavia “La
realtà è cosa assai diversa” “E sarebbe?”
lei strinse nervosamente le labbra “Sarebbe che tutti prima o
poi devono pagare per i propri errori a discapito di importanza o
posizione”
Il
sorriso di lui fu quasi una carezza a fior di pelle.
“Anche
Shayarin ha dovuto pagare?” sobillò “L’Ordine
ha deciso che anche per lui fosse tempo di giustizia?”
stretta
fra le braccia dell’Anhayt, lei si irrigidì appena
“L’Ordine non uccide i suoi fedeli, nemmeno se bisognosi
di assoluzione quanto Shayarin” concluse.
Ed
ancora una volta, il Naphil ebbe come la netta sensazione di trovarsi
dinnanzi ad una di quei meravigliosi spettacoli di magia cui nei
lunghi anni di permanenza al fianco della Nihaar’ì gli
era capitato -suo malgrado - di assistere. Il Lai Mephi di turno
mostra un anello chiuso. Poi un altro. E per qualche ragione, ecco
l’attimo dopo i due anelli intrecciarsi perfettamente in un
legame apparentemente impossibile. E lui lì, ogni volta, a
domandarsi dove diavolo fosse il trucco in tutto ciò.
Ora,
immobile dinnanzi alla donna, Zaphil si ritrovò ad arricciare
le labbra in un’espressione seria, decisa, compunta. E poi ad
accigliarsi.
“Dunque
Shayarin è stato ucciso dalle Volpi” sibilò
improvvisamente. L’altra sospirò “Per mano sua o
altrui, il suo Henv’Yeraz si è infine compiuto”
una
pausa, lo sguardo che per un attimo si spostava sulla distesa d’acqua
che li circondava “Vor yersyel ve’Nai”
Mentre
senza volerlo imitava quel gesto, un doloroso affanno che rapido
aveva preso da qualche istante a risalire in violente pulsazioni mano
e petto insieme, Zaphil ebbe finalmente l’intuizione del
perchè, fra molti luoghi, la Gunar Arvasti ora si trovasse
proprio lì, nella stanza del rito, ad intingere il proprio
corpo nelle medesime acque nella quale si era immersa la Nihaar’ì.
Comprese il motivo della sua solitudine, religiosa e inviolata
(nessuno era giunto fino ad allora) al pari delle più sacre
cerimonie.
Dannati
Tintori.
Suo
malgrado, sentì proprio allora la necessità di sedersi.
E riprendere fiato. Ma desistette.
“Dove
si trova la Nihaar’ì?” digrignò avvertendo
alcune fredde gocce di sudore condensarsi sotto l’attaccatura
del naso. Lei piegò appena il capo “Dopo il secondo
attacco, le Volpi nascosero quila
Nihaar’ì. Solo quando voi partiste per salvare
l’Hayeli’vo si arrischiarono a portarla via”
“Dove?” “Non lo so. Edereth è troppo astuta
per rivelare simili informazioni in presenza di estranei. Ricordo
però di aver sentito due Danzatori dire qualcosa a proposito
della necessità di evitare le Tempeste di Sabbia”.
Attimo
di silenzio, poi il sospiro di Zaphil “Potrebbero essersi
diretti verso Anaphantum. In questo periodo è la prima città
ad essere raggiunta dalle Tempeste” caldo, avvertì ora
il sangue prendere ad inzuppargli gli abiti. Strinse appena le labbra
prima di sospirare “Da quanto tempo sono in viaggio?” “Il
giorno dopo la vostra partenza giunsero qui e portarono via la
Nihaar’ì.”
Nuovo
attimo di silenzio, lo sguardo velato di lui che soppesava per un
attimo l’esile figura di lei studiandone i tratti aridi,
consunti, dilaniati da quella sua sofferenza insostenibile. Capì
allora che avrebbe dovuto provare pietà per lei. Per lei e la
sua afflizione. “Le avete parlato?” esalò invece.
Avete
parlato alla Nihaar’ì?
Il
sorriso di lei fu l’ultimo ad abbandonare i ricordi di quel
giorno.
Gentile,
fugace eppure incredibilmente tranquillo nell’immobilità
di quell’attimo. Poi di nuovo il buio, nudo, teso come il corpo
di lei contro la lama che non pochi momenti oltre avrebbe lacerato
per la prima ed ultima volta la sua pelle.
“Continuamente
da che la portarono qui” esalò in un sospiro “Desideravo
che mi perdonasse”
Una
pausa. Lunga. Dolorosa. Estenuante come il sentimento che qui l’aveva
condotta per poi abbandonarla, cieco, al proprio destino.
“Ma
lei non mi ha mai risposto. Nemmeno una volta”