Nihaar'i

di Elendil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Torre del Tempo ***
Capitolo 2: *** Il Giudizio della Veggente ***
Capitolo 3: *** Asiya ***
Capitolo 4: *** Le Rose del Mare ***
Capitolo 5: *** L'ordine dei Tintori ***
Capitolo 6: *** Hayeli'vo ***
Capitolo 7: *** Note Fantasma ***
Capitolo 8: *** Vor yersyel ve’Nai ***
Capitolo 9: *** Il Destino delle Veggenti ***
Capitolo 10: *** Il Canto della Nihaar'ì ***
Capitolo 11: *** So che sei lì ***
Capitolo 12: *** Sery ***
Capitolo 13: *** Ciò che guarda senza essere visto ***
Capitolo 14: *** Virel ***
Capitolo 15: *** Il sentiero della verità ***
Capitolo 16: *** Riflessi d'ombra ***



Capitolo 1
*** La Torre del Tempo ***


Ciao a tutti!!

Dopo la bellezza di...ehm... (tot) mesi di religioso e meditativo silenzio ritorno su EFP con una nuova storia, questa volta originale! :)

Ringraziando anticipatamente tutti coloro che mi hanno sostenuto nella mia precedente - e taaaaanto sofferta- fic (prometto che un pensiero su una One Shot ambientata qualche anno dopo lo faccio :-P), spero che anche questo esperimento vi piacerà!

 

Un bacio Grande a tutti!

Elendil

 

 

Ricordava quel luogo.

Nella sua mente serbava vivido il riverbero di quei sentieri ampi e polverosi, bianchi come avorio e lucenti di luce.

Ricordava quei suoni.

Vacuo rincorrersi di note alte ed acute, armonia riarsa di un ritmo vago e lontano, troppo distante per esprimere un vero senso compiuto.

La volta scorsa “Deserto” l’aveva chiamato, tutto ciò.

Oggi dubitava di quel primo, incauto, appellativo. Avaro, forse, di una più attenta visione.

Giacchè ieri il vuoto pareva fatto di sabbia e onde ventose. Oggi di creste dure, inamovibili, come pietre a fil d’orizzonte.

Le toccò piano, incerta e nel calore di un istante nacque il dolore.

Pietre cattive.

Gli sussurrò il tempo.

Pietre vendicative.

Ansimò l’aria. Ora cauta, ora opprimente come un respiro mancato.

Dimenticò di respirare, poichè sapeva che anche così facendo sarebbe sopravvissuta. Ma dimenticò anche di avanzare, di proseguire, e nel farlo eccole, le dolci carni del suo corpo imbianchire piano, lentamente, un velo alabastro a celarle istante dopo istante, una carezza di luce a fare di lei nulla più che un velo lucente, di spire celato.

Che tu sia bellissima, al ritorno. La lusingò il cielo. Poichè di pietra saranno gli istanti del risveglio.  

 

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Destarsi fu come voltarsi dall’altra parte e semplicemente prendere un profondo respiro. E scoprire che un velo invisibile la separava dal voler respirare al doverlo fare per forza. Un velo abbastanza vacuo da lasciarla per un attimo intorpidita e attonita nel progressivo scurirsi del paesaggio attorno a lei mentre il sogno cedeva il passo alla nuova realtà.

Ancora chiusi, gli occhi tremarono appena sotto il velo delle palpebre, un fremito catturato presto da una garza appena inumidita calata sul suo volto.

Si chiamava “Yi” e la sua unica funzione era quella di trattenere il suo primo sguardo al mondo dopo il lungo sonno della notte e darle sollievo dall’arsura del giorno imminente. Fresco sugli occhi, il panno profumava appena di erbe del deserto, asciutte eppure incredibilmente fresche al naso. Si rilassò.

“Un sogno dolce, Somma Nihaar’i?” la chiamò la vecchia balia, Danhe. La sua voce pareva un misto di sonnolenza e apprensione mentre con dita umide le picchiettava il viso. Ancora distesa, la ragazza scosse il capo controvoglia.

“Affatto” replicò con indolenza “Chiamate l’Aruspice”.

Un movimento leggero poco distante, poi la voce di un uomo ad allontanarsi “Sarà qui a breve, Somma Nihaar’i”.

“Desiderate mangiare qualcosa prima dell’ Elegia?” la richiamò ancora Danhe. Malgrado l’età, la vecchia aveva ancora una voce giovane, leggera e delicata mentre con malcelato affetto le scostava le coperte dal corpo. Ancora inebetita dal sonno, la Nihaar’i le rivolse una smorfia vagamente infastidita: il sogno di quella notte ed in particolare le parole che ne avevano segnato la conclusione le avevano lasciato addosso un vago senso di indolenza e fastidio difficili da rimuovere. Tuttavia si risolse finalmente dal mettersi seduta, la garza umida che, cadendo, rivelava due occhi ancora gonfi e nebulosi.

Come da usanza gli occhi di Danhe erano celati da una sottile garza dalle maglie larghe, comunemente usata per impedire il contatto diretto degli occhi, ma attraverso di essa la Nihaar’ì colse comunque il rapido saettare degli occhi della vecchia in direzione delle sue iridi cristalline, come cedendo per un attimo alla curiosità di scrutare nell’oro intenso in esse racchiuso. Lo schiaffò colpì la balia dritto in volto costringendola ad abbassare lo sguardo a terra.

“Ancora nessuno strappo, immagino” la prese quasi in giro la ragazza sebbene la sua voce tradisse una nota di gelo “Ma immagino che una simile constatazione debba essere lasciata all’Aruspice piuttosto che ad una comune serva, non credi?” l’altra rimase in silenzio, immobile, la testa ingrigita che non accennava a risalire mentre le porgeva un panno dalle tinte blu scure, fresco e morbido come appena lavato.

Tuttavia, la Nihaar’i non fece cenno ad accettarlo.

“O forse l’antica usanza di rispettare lo sguardo altrui evitando di indagare i segni del Risveglio negli occhi della tua Nihaar’i è cosa superflua qui, nella Torre del Tempo?”

No, certo che no. Si disse mentre lo afferrava di scatto scostandosi dal letto basso e sottile, una stuoia fittamente intrecciata che ne sosteneva l’ampia base. Sopra, strati di lenzuola bianche come avorio componevano una trama di stoffe più o meno pesanti nelle quali ella pareva quasi scomparire, piccola e sottile rispetto all’ampiezza di quel trono ovattato.

Nervosa, la ragazza prese ad avvolgere attorno al proprio corpo nudo le morbide vesti di modo che esse le fasciassero collo e petto per poi cadere in una morbida gonna trasversale sulle gambe. Lasciò quindi che la vecchia Danhe ornasse l’abito così ottenuto di nastri e bracciali atti ad impreziosire il tutto. Infine, senza una parola, la balia prese a spazzolarle i capelli corvini, lunghi e sottili come ragnatele.

Fu mentre la donna stava finendo di intrecciare il tutto in una treccia alta ornata di catenine dorate e apporre l’ultimo ornamento - un velo in tinta con le vesti - che giunse l’Aruspice. La Nihaar’i lo sentì arrivare nel frettoloso strisciare delle ampie vesti sui bianchi pavimenti, un mormorio ovattato quasi quanto la medesima voce usata dall’uomo per annunciarsi poco dopo.

“Lasciateci” sillabò la ragazza prima di voltarsi e fronteggiarlo con un sorriso di circostanza. Nella stanza sostavano immobili una decina di guardie, altrettanti servi, serve e qualsivoglia lacché pronti ad assisterla ed assecondarla al semplice cenno della mano, ma fu in meno di un istante che l’intera camera da letto si svuotò lasciandoli soli a fronteggiarsi nella muta ritualità del mattino.

Lo sguardo fisso dell’uomo, anch’esso celato dal velo rituale, era cosa nota alla Nihaar’ì - del resto le sue visite erano il primo e l’ultimo appuntamento fisso del giorno- eppure a fatica trattenne l’impulso di mostrare il vago disagio che quella perizia le provocava ogni volta. Poi, dopo un attimo, egli chinò il capo in segno di saluto.

“Nessun accenno al Risveglio, sua Eccellenza” decretò con pacata tranquillità. C’era una nota breve nel respiro di lui, quasi facesse fatica a trarre aria e nel contempo parlare “Eppure vi vedo turbata. Avete per caso avuto una premonizione?”

La ragazza annuì lentamente “Mandate una guarnigione di Araldi a Hevnan K’ar” per un attimo le labbra dell’Aruspice parvero arricciarsi come nel preambolo di uno starnuto. “Un altro attacco alle cave di pomice?” parlare sembrava costargli fatica e sforzo senza pari. Noncurante, l’altra si limitò a volgere lo sguardo dall’altra parte, la tolleranza di quel forzoso contatto oramai giunta alla soglia limite.

Si rilassò.

“Vi ho detto di inviare degli Araldi, non di obiettare i miei ordini” ribatté asciutta per poi, nel notare l’immobilità dell’altro come in attesa di altre rivelazioni aggiungere con pacata freddezza “ di dilungarvi oltre in futili conversazioni”.

L’affrettato strisciare delle vesti dell’uomo fu l’ultimo suono che le giunse prima che il silenzio si impadronisse nuovamente della stanza lasciandola libera di sospirare di sollievo.

Per quanto funzionale allo svolgimento dei suoi doveri quotidiani, quell’ispezione mattutina cominciava a darle quantomai noia. Volse lo sguardo in direzione delle ampie finestre che davano sull’esterno, saggiandone per un attimo con la vista l’elegante scorcio ritagliato dal sole albeggiante. Sarà stata la voce mezza sibilante mezza soffocata dell’Aruspice? O forse quel vago sentore agrodolce che egli emanava al solo ingresso nella stanza?

Socchiudendo appena le palpebre lasciò che il suo sguardo si spostasse piano oltre la balaustra, oltre il bianco parapetto e con la semplice vertigine della sensazione si lasciasse poi cadere a precipizio nel panorama circostante la Torre, metri e metri di salto nel vuoto privo di qualsivoglia barriera o impedimento.

Esalò un sospiro silenzioso.

Situata al centro esatto della città, la Torre del Tempo era l’edificio più alto e splendente di tutta Chermak, abbacinante nel proprio candido biancore. Una struttura alta e slanciata che pochi avrebbero faticato a notare anche da miglia e miglia di distanza e che proprio per quello era stata scelta come sede della più importante carica politica e spirituale del continente di Harryan: la Nihaar’i, la Veggente.

Tutt’attorno alla Torre del Tempo si estendeva Chermak, un’altrettanto candida città adagiata sulle rive dello Himnakan - il Mare Celeste- che con le sue maree e correnti salate riusciva a mantenerla da tempo immemore brillante e incrostata di preziosi riflessi salini. Pur essendo un mare interno, lo Himnakan era vasto e sconfinato abbastanza da dominare la vista e sfiorare gli orizzonti con i suoi colori chiari e sgargianti.

Sulla pelle il vago brivido della vertiginosa vastità di quel mondo, la Nihaar’i ne ammirò ancora una volta i contorni pallidi e sfumati per via del sale, tinte bianche e rosse a perdersi nell’ocra pallido del deserto circostante. Per un attimo pensò quasi di allungare una mano oltre il parapetto e saggiare con le dita il conosciuto afrore salmastro che a quell’ora prendeva a spirare lungo i fianchi della Torre. Una fragranza bagnata e oleosa al contempo, frizzante sulla lingua e cristallina contro la pelle.

Tuttavia si bloccò.

Non oggi.

Si umettò le labbra, sentendole già vagamente salate.

Non dopo il sogno che aveva allietato il suo riposo regalandole la percezione che pietra e sale potessero entrarle dentro al punto da trasformarla per intero in creatura nuova e marmorea.

Suo malgrado fece un passo indietro, sfuggendo non senza un vago rammarico alle prime brezze termiche che prendevano a risalire dalle piane sabbiose per riversarsi poi nelle acque limpide dello Himnakan e da li salire ancora, salire fin dove lo sguardo poteva arrivare. Da lassù, i cristalli di sale disegnavano talvolta arabeschi scintillanti, destinati a lì perdurare fino all’attimo in cui gravità e leggerezza finivano con l’esaurirsi costringendoli di nuovo a scendere ed in un sentiero d’argento disperdersi nello Iarhan: Il Sentiero del vento.

Da lassù, dalla Torre del Tempo, a volte la Nihaar’ì aveva quasi la sensazione di avvertire i profumi di cibi lontani, banchetti e convivi oramai terminati, voci e discorsi passati. Un intero mondo di sabbia e sale sulle labbra e fra i denti mentre ella si sporgeva oltre il parapetto ed immaginava come sarebbe stato, forse una volta, vederli per davvero.

“Ben svegliata, Somma Nihaar’ì” una voce la sorprese alle spalle. Come da usanza, prima di voltarsi la ragazza abbassò sugli occhi il semplice velo che Danhe le aveva appuntato al capo e solo quando fu certa che fosse ben aggiustato si voltò in direzione di Zaphil, ora fermo sulla soglia della camera, in attesa di un cenno per entrare.

“Entra pure” lo accolse con un mezzo sorriso facendogli dopo un attimo cenno con la mano di accomodarsi dove meglio preferiva. Il Naphilchinò una volta il capo per poi attraversare la stanza ed accostarsi a lei.

L’uomo aveva volto asciutto ed ovale, uno sguardo acuto e vagamente sornione che nascondeva rughe intrecciate a fil di pelle attorno alle labbra e lungo gli zigomi.

Quarant’anni d’aspetto, forse, ma qualcosa di più stando alle voci delle Torre.

Davvero un bel soggetto, commentavano tavolta e non senza una punta di concupiscenza dame e nobildonne.

Qualcuno di cui valesse almeno la pena parlare, non potevano esimersi dall’ammettere tutti gli altri ospiti della Torre giacchè sia per carattere che per atteggiamento innato Zaphil pareva una naturale calamita per pettegolezzi, invidie e interessi di ogni genere tanto per le pulzelle quanto per le Deynes più attempate.

Come da usanza, il Naphil si esibì in un lungo e profondo inchino, le vesti nere che si richiudevano in un leggero sbuffo su di lui portando al naso della Nihaar’ì un vago sentore speziato.

“L’Aruspice dice che avete avuto una premonizione” riprese l’uomo dopo un attimo incrociando le braccia al petto. La Nihaar’ì annuì una volta, quasi con noncuranza “Nulla per cui valga la pena preoccuparsi” lenta, prese a costeggiare una ad una le finestre della stanza “Il solito attacco alle cave di pomice” battè le mani una volta affinché venisse portato il primo pasto del giorno.

A differenza degli altri inservienti e personaggi dell’alta nobiltà presenti nelle zone ricche di Chermak, i Naphil erano soliti lasciare il volto totalmente scoperto e coprire solo il capo con bende arrotolate da calare dinnanzi agli occhi una volta usciti all’esterno. Questo perché, a differenza di tutti gli altri, essi erano vincolati dal Giuramento di Verità nei confronti della Nihaar’ì, erano cioè obbligati a servirla e proteggerla per tutta la vita senza misteri e riserve nei suoi confronti, comprese quelle dello Ivah nah’am, Il Risveglio.

Ma anche in presenza del Velo cerimonale la Nihaar’ì non avrebbe comunque faticato ad indovinare l’immediato accigliarsi di lui. “Lo definireste un sogno ricorrente? Non è la prima volta che ne parlate...” “Così come non è la prima volta che le Ombre attaccano quella zona” lo liquidò rapidamente nel momento in cui giungeva un servo con un piccolo vassoio contenente una tazza di erbe infuse e qualche radice accuratamente ricoperta di succo pahma distillato. Solo quando l’inserviente se ne fu andato la ragazza riprese a parlare.

“Credo di saper riconoscere io stessa la differenza fra un sogno ricorrente ed un sogno che si manifesti per il semplice fatto che qualcosa accadrà per certo” Zaphil la osservò deviare lentamente dalla sua camminata “panoramica” per accostarsi leggera al pasto mattutino. Lo osservò qualche istante in silenzio, ogni volta apparentemente critica nel valutare l’assembramento di gusti e sapori che i Bjes erano in grado di scovare per lei, per poi, forse convinta, allungare una mano e trarre a sé la tazza d’infuso.

Le sorrise, pur non muovendo affatto le labbra “Non era mia intenzione offendervi” riprese con noncuranza “Cercavo solo di capire se in voi vi fossero tracce del Risveglio. Una Nihaar’ì della vostra età avrebbe già dovuto...” ancora prima di essere accostata alle labbra, la tazza sbattè fragorosamente sul tavolino di marmo facendo sobbalzare entrambi.

Zaphil” pur velata, il Naphil indovinò la vaga sfumatura di minaccia nel tono di lei “Credo di conoscere abbastanza bene la mia situazione senza che chiunque in questa dannata Torre me lo ricordi ogni santo giorno!”

Diciannove anni erano molti, per una Veggente. Ancora di più per una Veggente che ancora non si fosse Risvegliata ricevendo in dono daOneiron, il mondo del Sogno, la propria Visione.

La Nihaar’ì trasse un profondo respiro, tentando senza successo di riacquistare quella parvenza di eleganza e controllo propri della sua carica. Non vi riuscì al primo tentativo. Così cercò di prendere tempo fingendo di interessarsi all’affresco riccamente decorato sul soffitto a volta della sua stanza. Un Falco in volo pronto a scagliarsi, rostri e artigli spiegati, su vaghe sagome nere poste tutt’attorno a lui in un incastro frattale di luci azzurre e ombre nere. Sbattè una volta le palpebre.

Spesso si era chiesta perché mai disegnare una rappresentazione metamorfica della Veggente proprio nella stanza della Veggente medesima. Vago tentativo di ricordarle il suo unico e solo scopo nella vita? Giustificazione di una reclusione eterna nelle mura della Torre? O velato avvertimento nel ricordarle quanto orrore e disfatta si annidassero costantemente attorno a lei?

Sospirò.

“Le vostre premonizioni e nayel del futuro ci permettono di sopravvivere ogni giorno ed evitare che gli spostamenti delle Ombre siano per noi uno spreco di vite e forze inutili...” tentò di blandirla Zaphil dopo qualche attimo. Il viso della ragazza non sembrò tuttavia intenzionato a spostarsi dalla propria attenta osservazione “Ma non bastano. Serve lo Ivah nah’am, la Visione” per quanto improbabile, Zaphil ebbe la netta sensazione di vedere la ragazza sobbalzare a quelle parole “Senza questo, una Veggente non è altro che una Risvegliata qualsiasi, abbastanza pericolosa da dover essere uccisa prima che il suo enorme potere richiami la distruzione su tutti noi”

Tacque e per un attimo la Nihaar’ì immaginò gli occhi azzurro pallido dell’uomo fissarsi su di lei con un misto di indolenza e puntiglio assieme. Non era la prima volta che accadeva. Sospirò, alzando finalmente lo sguardo e solo allora, rigida, incontrare lo sguardo dell’uomo duro e grave esattamente come se l’era prefigurato.

No, anzi.

Zaphil amava davvero molto ricordarle in ogni occasione i suoi amabili doveri e ancor più amabili pericoli quasi quanto adorava - e non si poteva certo dire che mancasse di talento- rimproverarla per ogni dannata volta che veniva meno agli stessi. Il che accadeva stranamente abbastanza spesso da rendere biasimi e critiche le attività perno della sua stessa vita.

Ma questa volta la fortuna era dalla sua parte: non c’era tempo per una ramanzina in piena regola perchè i venti già desti reclamavano a gran voce l’inizio dell’Elegia.

Così, quando già la Nihaar’ì cominciava a pensare che il Naphil avrebbe comunque osato uno strappo alla regola giusto per togliersi il puntiglio di rimproverarla, a stretti Zaphil si limitò a dirle “Le correnti si stanno alzando. Che tu sia pronta al mio ritorno per l’Elegia” prima di uscire in un silenzio grigio.

 

Poco tempo dopo, muta e rigida, un mantello bianco come neve a fasciarla da capo a piedi, la ragazza saliva gli impervi gradini della Torre del Tempo. Dinnanzi a lei un corteo di suonatori riccamente agghindato di perle e stoffe color del sole. Dietro al piccolo strascico che ella portava, un altrettanto fornito stuolo di Nobili, assistenti, lacché e altri ancora tutti vestiti nel cerimoniale rosso porpora.

Nel mezzo di tutto ciò, la Nihaar’ì pareva quasi un ciottolo sparuto in un fiume sanguigno. Alla sua destra seguitava Zaphil, silenzioso e altero nelle sue solite vesti nere come carbone. Da che si erano lasciati e ricontrati, non le aveva rivolto una sola parola, segnale che la sviolinata era stata solo rimandata, non dimenicata.

Un gradino dopo l’altro, la giovane si ritrovò a domandarsi come sarebbe parso ora il volto di lui sotto al cappuccio nero, i simboli del Giuramento della Verità a scintillare di quando in quando sul suo volto e lungo il collo nel vago tralucere del sole albeggiante.  

Ansimò piano, il tocco rovente dell’astro nascente che già si avvertiva attraverso i muri quale vaga sensazione di tepore sotto i polastrelli ogni qualvolta capitava di appoggiarvisi nella lunga risalita.  

Teso? Arrabbiato? Sorridente? Pronto a sciorinarle una nuova invettiva colma di emozionanti epiteti e forme retoriche...

Alzò per l’ennesima volta lo sguardo -ben attenta a non tradirsi con il reclinarsi della testa- e dopo un attimo le riuscì di intravedere la fila di lucide sfere poste poco sopra le sopracciglia dell’uomo piegata in una curva dura e tesa. Sospirò.

Pronto all’azione, dunque. Come sempre.

C’era stato un tempo in cui aveva trovato affascinanti le sfere dorate incastonate sulle sopracciglia e lungo il collo del Naphil. Belle nell’accentuare le espressioni di lui. Eleganti nell’inscrivere i suoi lineamenti calamitando l’occhio in un scintillio di riflessi e ornamenti. Deriserabili a tal punto da esprimere anche lei il desiderio di averne giusto un paio su viso e spalle così da poter - ai tempi le era sembrata una cosa così ovvia - avere anche lei l’impressone di essere un qualche tesoro umanizzato come lo era Zaphil ai suoi occhi.

Sciocca fanciullina...

Solo dopo averle scoccato un’occhiata vagamente derisoria l’uomo si era degnato di risponderle “Ad ognuno il suo dono, ragazzina. Inutile chiedere un destino che non ti può essere dato” liquidando per sempre le sue velleità ornamentali ma non, il moltiplicarsi delle sue domande quando, anni dopo, aveva avuto modo di scoprire che impianti e innesti di qualsiasi tipo non erano un vezzo riservato a Zaphil solo ma propri di tutti gli appartenenti all’Ordine dei Protettori in quanto simbolo di casta e gerarchia.

Emulazioni e copiature erano severamente punite, il che giustificava il perché esse fossero ovviamente diffuse in tutto il Regno.

Ma le domande, quelle vere, andavano ben al di là di questa semplice - seppur evocativa- constatazione.

Perchè due piuttosto che tre? Perchè collo e non fronte? Perchè uncini e non palline?

Difficile credere che un semplice fazzoletto colorato o qualsivoglia tatuaggio non fosse in grado di emulare simili emblemi gerarchici fonte di dolore e sofferenze senza pari.

Ammesso che tortura e patimenti non fossero stati proprio gli obiettivi topici di questa pratica....

La Nihaar’ì aveva avuto la sensazione di trovarsi quasi vicina allo scoprire la verità solo una volta in occasione di una grandiosa festa alla quale erano stati invitati tutti i Naphil dell’Ordine.

Una cerimonia incredibile, a dire la verità, dove Zaphil aveva brillato tanto per quantità quanto per bellezza degli ornamenti che portava su volto e collo.

Nessuno si avvicinava anche solo lontanamente a lui. Il che poteva significare solo che o  Zaphil era terribilmente vezzoso e fissato con quegli ornamenti o che probabilmente egli era l’unico autorizzato a portarli in tale quantità....

Finalmente, i respiri ansanti e gonfi di fatica per la lunga salita, il corteo giunse sulla sommità della torre, un’ampia apertura a ventaglio a rivelare una lucente zona sgombra di tutto se non di alti e robusti colonnati bianchi posti al confine dello spiazzo. Apparentemente sottili come giunchi questi sorreggevano una cupola istoriata di arabeschi e preziosi intrecci disegnati che a tratti rivelavano dei veri e propri varchi nel disegno volti a lasciar intravedere il cielo retrostante. Coriandoli di  luce cadevano a pioggia sui presenti illuminandone di quando in quando i volti accaldati e arrossiti.

Barcollanti di fatica - sebbene quella bieca cerimonia avesse luogo ogni santo giorno dall’alba dei tempi - i Nobili i si concessero allora di sostare un attimo come banderuole inferme al centro del colonnato, aprendo le braccia per inondare di vento le vesti appiccicate di sudore e alzando i volti grondanti per rinfrescare pelli ambrate e olivastre.

Virah la Jarid del Mercato Orientale.

Eshei, il prestigioso Kirey delle Città Nascenti.

Varik, il noto contabile delle alte Corti.

Ed altri ancora, tutti lì radunati in ansante meraviglia al cospetto della Nihaar’ì così da placarne potere e grandezza che grandi ed inattaccabili sarebbero stati all’interno delle loro splendide magioni, i loro alti uffizi. Ma non lì, non all’interno di muri provvisti di occhi e orecchie, di specchi leggeri come porte scorrevoli, di casse sempre provviste di doppio fondo onde nascondere le più mirabili occorrenze.

Al notare sulle labbra di alcuni le brune macchie dello Zai la Nihaar’ì distolse subito lo sguardo, una vaga sensazione di disagio a scorrerle in un brivido freddo lungo la schiena prima che le fosse possibile controllare l’espressione del proprio volto. Sapeva però che qualcuno l’aveva certamente veduta compiere quel questo. Di certo uno spunto fastidioso su cui sparlare più tardi...

Così, per distrarsi, tentò di concentrarsi sulle parole che a breve avrebbe dovuto pronunciare durante l’Elegia, il sacro Canto di Benedizione per tutti coloro che si affidavano alla Nihaar’ì, la Veggente. Un canto che, come diceva Zaphil, dall’alba dei tempi impediva alle Ombre di vedere e ghermire coloro che in esso confidavano e si lasciavano al contempo permeare.   

Nel frattempo i musicanti si erano disposti ognuno su una delle venti e più postazioni presenti nello spiazzo circolare recanti un piccolo sgabello e poco distante un sottile e ricco corno d’ottone affisso ad un cavalletto istoriato. I Corni della Torre del Tempo erano famosi in tutte le Terre per la loro lunghezza - due uomini lunghi distesi non avrebbero potuto eguagliarla - e bellezza frutto dell’arte dei più abili fabbri di Chermak.

Posti a sbalzo oltre il bordo della Torre e lì lasciati ogni giorno salvo durante il periodo delle tempeste di sabbia, era ogni volta necessario controllarne il buono stato, la presenza o meno di danneggiamenti dovuti al caldo o alle intemperie e si, ripulire bocchetta e struttura interna da eventuali ruggini dovute all’uso. Per questo, mentre Zaphil invitava gli ansanti nobili a scostarsi da un lato della Torre così da lasciare al centro della stessa solo la Veggente, gli istanti precedenti al rito venivano ogni volta destinati ad un religioso silenzio colmo di cura e dovizia per quei mirabili strumenti.

Il Vento però si stava alzando. L’aria attorno alla Torre prendeva a scaldarsi in acuti sibili e fischi vaganti, quasi che la fuori, oltre il bordo, stesse avendo luogo un sempre più affollato raduno di spiriti vocianti che con voce a tratti profonda, a tratti stridula chiamavano a gran voce gli altri dicendo di affrettarsi, di far presto perchè si, la festa stava davvero cominciare. Con calma, Zaphil si sporse allora oltre il parapetto, saggiando con le dita tese le correnti ascensionali turbinanti attorno alla Torre in una sorta di cascata invisibile e inversa, da vertigine in quella precipitosa altezza qual’era l’ultimo piano della struttura.

 

Poi improvvisamente Zaphil si ritirò, volgendo alla Nihaar’ì un’occhiata di intesa. “E’ il momento” l’avvisò spostandosi repentinamente  dinnanzi a lei e chinandosi in uno sbuffo di stoffe con un ginocchio a terra; senza proferire parola, i nobili lo imitarono rapidamente in un movimento di comune rispetto che lasciò in ultimo solo la Veggente in piedi al centro esatto della Torre.

Rispetto e ritualità in egual misura. Si ritrovò lei a pensare mentre con un movimento leggero faceva ricadere sulle spalle il cappuccio bianco che fino ad allora l’aveva protetta da vento e sguardi. Una perfetta compagnia di teatranti, non c’è che dire. Ma quanti fra di voi darebbero di buon grado tutti i propri averi per scongiurare anche solo la possibilità essere al mio posto? La benda calata sugli occhi le prudeva in modo atroce per via del sudore, ma in quell’istante alzare semplicemente un dito e grattarsi - come ogni buonuomo avrebbe fatto senza darsi nemmeno pena di pensarci su- avrebbe potuto causare uno di quei famigerati incidenti diplomatici per cui era classico vedere saltare teste coronate e colli agghindati nelle manifestazioni risaputamente più gradite alla gente comune.  

In Pubblico, dinnanzi ai suoi fedeli, la Nihaar’ì è una Dea. Una Divinità. Possono le divinità starnutire? Sbadigliare? Tossire? Mostra la tua umanità, e mostrerai loro quanto poco si debba osare per distruggerla....e con essa distruggere te.    

Per un attimo la ragazza ebbe nella coda dell’occhio l’immagine di un giovane nobile che scostava una mano dalle pesanti maniche e, credendo di non essere visto, si infilava un intero dito indice dritto dritto nel naso.

Ecco. Sospirò suo malgrado la Nihaar’ì. Lui può. Lui, figlio di uno fra i più ricchi Seibala dell’acqua...lui non deve curarsi del luogo e del momento più adatti per dare avvio alle pulizie dei suoi dotti respiratori. di poter scatenare l’ennesimo attacco fratricida se si scaccola Qui. Dinnanzi a me.

Ed improvvisamente eccola, una folata più potente delle altre. La Folata che prima fra le più impetuose che ad essa seguirono avvolse  in un attimo la Torre in uno spiro rovente, caldo come il fuoco.

“Preparatevi!” fu l’ultimo grido di Zaphil prima che ogni cosa smettesse di avere suono se non il precipitoso insinuarsi di quelle correnti infernali in ogni finestra, stanza, salone e rientranza che della Torre componevano il mastodontico corpo centrale. Arroventato, per un attimo quel torrente di puro calore inondò la vista di tutti, stravolgendo in una foschia dai tratti sdrucciolevoli e tremolanti ogni cosa ed ogni dove.

Lo chiamavano Il Respiro della Terra, quel fenomeno, poiché in molti pensavano che quello fosse l’esatto istante in cui il mondo, destandosi, traeva la sua più grande e potente sorsata di vita che vibrando, sciabordando ed infine inondando ogni più piccolo pertugio della Torre ne strappava una lunga, gloriosa, terribile ed al contempo stupefacente nota.

Mentre nell’aria essa si espandeva con la forza di mille boati, mille tuoni cavernosi, la Nihaar’ì non potè che ammirarne la terrorizzante potenza, ogni volta distruttiva e stupefacente in confronti a lei che, sola, ora si preparava suo malgrado a fronteggiarla.

Che per Divina Grazia, tutto ella può, tutto le è concesso a lei, la Figlia del Sogno che dal Sogno nasce ed in esso prospera nell’Eternità....

Subito ne seguì l’eco dei Corni, all’unisono suonati quale inno e tributo alla prima, suprema, intonazione.

Che per Divina Grazia, tutto ella è in grado di osare e pensare, Creatura della Salvezza, scongiura di Distruzione. Vita immota.

Ed infine, dopo un sospiro lungo come una vita intera, vibrò cristallina la voce della Veggente la quale, più alta di tutte, prese allora a  recitare l’Elegia diretta a tutti i suoi Fedeli, al suo popolo ed a tutto il mondo che con quel Canto sarebbe stato protetto per quel giorno intero contro le Ombre e le nefande paure della Notte.

Parola antiche. Dicevano i Vecchi. Che solo le Veggenti avrebbero potuto proferire poiché la lingua dei sogni era cosa assai arcana e potente, affare esclusivo di chi fosse in grado di apprenderla senza cedere alle tentazioni di Oneiron.

Come facesse una sola voce ad udirsi in quel rombo apparentemente capace di assordare perfino il remoto pensiero chiuso nelle sicure pareti della mente, nemmeno la Veggente stessa avrebbe saputo dirlo. Ma ogni giorno, alla stessa ora, secondo le medesime ritualità e convenzioni, ecco che la suprema vocale da essa pronunciata scuoteva il mondo e con essa, il terrore delle mille e più Ombre che lo popolavano.

Ma il rituale non era ancora finito. Estasi magica e fisica che solo gli anni e l’esperienza avrebbero potuto far collimare in un unico prodigioso attimo, le correnti ascensionali che nella torre erano rimbalzate all’impazzata dandole voce, anima e corpo in ultimo trovando loco ove disperdersi turbinarono a precipizio lungo le vie di Chermak, ne percorsero in una semplice frazione d’attimo l’intera lunghezza per venire infine ghermite dalle ampie Vele che proprio sul confine della città erano state poste a guardia e difesa dei suoi abitanti. Rosso porpora, le Vele erano l’unica struttura conosciuta che per colore, forma e grandezza erano in grado di scoraggiare le Ombre dall’avvicinarsi ai centri abitati. Il rosso, perché pareva intimorirle. La Vela, poiché l’anima del vento dava vita costante a quei giganti alti fino al cielo - e quasi quanto la torre- rendendoli ancora più vivi e...minacciosi.

 

Quando finalmente il vento calò, e con esso l’Elegia, i nobili e con essi i musicanti vennero invitati ad abbandonare l’ultimo piano della Torre così che, per qualche attimo, la Nihaar’ì ed il Naphil potessero rimanere soli sulla sommità. Era cosa necessaria, poiché in genere questo rituale stancava tanto la ragazza da richiederle al termine qualche momento di tranquillità per riprendere le forze e riguadagnare la voce.

Ancora in piedi la Nihaar’ì fece allora qualche passo in avanti, socchiudendo appena gli occhi così da bearsi dei sibili e mormorii del vento fra le alte colonne tutt’attorno. Parevano piccoli spiriti curiosi che a più riprese si sporgessero dai propri nascondigli per sfiorarle una guancia o pizzicarle una gota per poi fuggire via in un guizzo divertito.

“Sei stata brava, oggi” la lodò poco distante Zaphil. Come sempre l’uomo se ne stava nella parte più estrema della torre, ad un passo dal precipizio, come se quell’altezza vertiginosa non lo turbasse ma anzi stuzzicasse sfidandolo ad andare un poco più avanti, più oltre. A volte la ragazza aveva il sospetto che quell’uomo fosse stato in un’altra vita un falco o un’aquila tramutata poi per dispetto in essere umano così da potergli negare le grandi altezze, le correnti ascensionali e si, il volo.   

“Sono sempre brava” si strinse nelle spalle allungando una mano e giocando a dondolarsi da una colonna all’altra “Se è chiedermi scusa per il tuo comportamento di questa mattina ciò che desideri, ti pregherei di farlo e basta senza blandirmi”.

Qualcosa si tese per un attimo nella figura di Zaphil. Poi però, silenzioso, egli abbozzò un movimento di resa.

“E’ il mio dovere, mia Signora” sillabò in un mezzo sorriso sghembo “Poiché nessuno è autorizzato a farlo, spetta a me il difficile compito di proteggerla, badare  a lei e si, provvedere alla vostra istruzione” “Credevo che per questo ci fossero i Maestri” lo apostrofò l’altra. Zaphil annuì “Al mondo ci sono diversi gradini nella scalata all’istruzione. Io mi occupo di tutti quello meno gradevole ma dal quale dipende la vostra stessa vita, mia Signora”.

Per un attimo la Nihaar’ì si dondolò piano, le mani incrociate attorno ad una colonna, il capo indietro onde lasciare che la nera treccia le scivolasse oltre le spalle in un fruscio ovattato “Finora non ho mai sbagliato” disse dopo un attimo con un sorriso leggero - forse un po’ sbarazzino-, come a voler intendere che tutto sommato lui era un buon maestro e lei una buona allieva. Pace fatta.

“Finora non ti è stato chiesto di fare giusto” fu però la gelida risposta del Naphil. Il sorriso della ragazza svanì in un attimo. Facendo un passo avanti, l’uomo si tolse dal capo le stoffe arrotolate, rivelando una chioma di bruni capelli tagliati poco sopra le spalle. Nel guardarlo la ragazza non tardò a comprendere il perché tutte le dame bramassero anche solo un’occhiata da parte sua. Distolse rapida lo sguardo, incerta sull’espressione del suo viso.
Del resto nessuno si sognerebbe di reclamare il volo ad una creatura senza ali” la apostrofò lui apparentemente incurante delle sue reazioni “Ma le voci della Torre cominciano a farsi sempre più insidiose giorno dopo giorno”

Notte dopo notte.

Annuendo una volta -quelle di Zaphil non erano affatto parole gonfie di novità-, la Nihaar’ì percorse per intero lo spiazzo per giungere ad uno dei corni. Vi poggiò una mano sopra avvertendone sotto le dita la superficie liscia e calda. Sospirò.

“Temono di essersi portati a casa una Rashid...” ancora prima di terminare la frase, la Nihaar’ì capì di aver fatto un errore. Si morse troppo tardi la lingua, preparandosi alle conseguenze della sua noncuranza nel parlare.

“Chi ti ha insegnato questa parola?” la gelò infatti Zaphil poco distante. Immobile, la Veggente parve non trovare nulla di meglio da fare se non stringersi nelle spalle “Non ha nessuna importanza” sillabò tentando di mettersi sulla difensiva “Voci di corridoio”. Zaphil parve però per nulla intenzionato a concederle una nuova tregua, quella mattina “E queste voci hanno anche un nome o mi dovrò limitare a punire chiunque dimori in questa Torre per fare un po’ di chiarezza a riguardo?”.

Strabuzzando gli occhi, la Nihaar’ì si ritrovò a schioccare stizzita la lingua sul palato per poi sbottare “L’ho sentito dire da una delle guardie qualche giorno fa” Zaphil parve poco impressionato “Sai cosa vuol dire?” la pungolò implacabile. Ora palesemente sull’offensiva, la ragazza diede diede un sonoro strattone al corno rischiando quasi di farlo cadere “Parlano giusto perchè hanno la lingua per parlare. Non vuol dire niente, lo sappiamo tutti e due!”

“Un Rashid è un traditore, una spia” pareva che non l’avesse sentita “Uno che dice di essere qualcosa mentre è qualcos’altro o mente su fatti che lo riguardano. Che tale parola abbia preso a circolare nella Torre è cosa grave..” esitò “Ben più grande di quello che tu possa credere”.

Ovviamente. Convenne la ragazza con un’occhiata velenosa decidendo in quell’istante che la cosa migliore da farsi era inforcare la via d’uscita da quel luogo e lasciare solo Zaphil per tutto il resto della mattina...anzi, della giornata.Visto che ogni tua spiegazione è molto meno che una mezza menzogna o una quasi verità.

Dannato Naphil. Unica sua fonte di informazione sulle cose del mondo esterno, mai nella vita egli le aveva rivelato per intero qualcosa. Probabilmente non le aveva mai mentito. Anzi, quasi certamente. Ma vi sono modi davvero fantasiosi per rivelare la verità. Modi arguti ed eleganti. Modi docili e modi irruenti.... e lui di certo li conosceva tutti.

“Aspetta”

Per un attimo Zaphil parve come intenzionato a toccarla, ad afferrarla per il braccio.Era vietato per i Naphil toccare le Nihaar’ì. Vietato dall’alba dei tempi. Solo all’ultimo si bloccò a metà strada, la chiara espressione di una presa che si trasformava in una semplice mano aperta sul suo cammino.

“Sarà meglio scendere. Oggi ho lezione e preferirei passare per i Giardini prima di cominciare...” tentò di dire lei con il cuore in gola ma lui non la lasciò finire.

Odayn” la sua voce era bassa e cupa ora. Abbastanza da impietrirla lì, un piede su ed un piede giù come nell’atto di spiccare un balzo in avanti “La Torre del Tempo non sarà per sempre un luogo sicuro per te. Cerca di fare attenzione”.

 

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Capitolo 2
*** Il Giudizio della Veggente ***


Ri-ciao!

Su suggerimento di qualcuno (grazie anche a Leyla), ho deciso di spezzare in due il primo capitolo così da renderlo più leggero e fruibile J

Spero sia stata una mossa saggia ;)

Ancora grazie a tutti!!

 

Baciozzo

Elendil

 

 

La sensazione di gelo scaturita da quelle parole accompagnò la Nihaar’ì per tutta la discesa della Torre fino a quando, molte rampe di scale più in basso, ella non si ritrovò nel piano dedicato alla coltura e mantenimento dei giardini “pensili”. In tutta sincerità, definirli giardini era cosa assai fantasiosa giacché ciò che si presentava agli occhi dell’osservatore era qualcosa di più simile ad un groviglio di nodose e pallide radici inerpicate su pareti e pavimenti piuttosto che ad un verdeggiante assembramento di fiori e piante verdi. La chiamavano “Radice del Cielo”, poiché la sua graziosa tendenza ad inerpicarsi su qualsiasi cosa rappresentasse un sostegno stabile e la forma di rami e tronco del tutto simili a radici dava la netta sensazione di trovarsi dinnanzi ad una pianta fatta e finita ma per qualche ragione girata al contrario, con le fondamenta disperse al cielo e le chiome piantate giù, a terra, a prendere il frescume negato dall’atmosfera.

Manco a dirlo, era anche l’unica pianta che fosse stato possibile coltivare ed alimentare in quel microclima desertico senza che l’intera popolazione di Chermak si chiedesse perché mai le scorte d’acqua di una intera città dovessero proprio finire nell’umido terriccio di arbusti incapaci di nulla se non allietare la vista.

Da che tale compromesso era stato piantato e lasciato germogliare, le Veggenti si erano dovute accontentare di quella pallidissima imitazione di orto botanico, ad oggi simile ad un intrigo di radici color latte, un po’ nodoso alla vista, un po’ grotta botanica nella quale infilarsi per trovare un po’ di pace.

Fu in quel groviglio che la Nihaar’ì si lasciò docilmente cadere, la schiena a toccare il muro naturale e le gambe semidistese a terra, scomposte. Trasse un profondo respiro, avvertendo il sudore ovunque rappreso -conversazione alquanto semplice...- asciugarsi lentamente nello spirare di aliti di vento ovunque soliti sibilare e percorrerre con mormorii confusi la stanza.

La Torre del Tempo non sarà per sempre un luogo sicuro per te.

Il ricordo delle parole di Zaphil era come un rombo basso nella sua mente, come sabbia in sospensione fra i suoi pensieri apparentemente immobile, eppure ad ogni movimento visibile e tangibile come un muro prossimo dal concretizzarsi.

Lo so.

Si rispose dopo un attimo socchiudendo gli occhi.

Lo so eccome. Zaphil credeva forse di parlare con una bambina?

Già da qualche tempo aveva notato come i Nobili la guardavano, come le guardie la scrutavano, come perfino i suoi servi parevano valutarla da capo a piedi ogni volta che entrava in una stanza. Non era cieca.

Il sospetto, quello vero, non è poi così difficile da vedere, una volta che lo si è riconosciuto la prima volta. E ancor meno lo è la derisione mentre, lo sapeva, ognuno di quegli inutili leccapiedi apprendeva grazie al tam tam della Torre che ancora nessun Nobile aveva avanzato pretese nuziali nei suoi confronti.

“La nostra cara Nihaar’ì è ancora un oggettino tutto sete e sfarfallii” aveva sogghignato un giorno Hamde Vahri, una nobile di alto lignaggio tutta riccioli e sete profumate. Musica e danze - consueta forma di intrattenimento per ogni sera passata all’interno della Torre - avrebbero di certo coperto il suono delle sue parole se casualmente la Nihaar’ì non si fosse trovata proprio in quel momento a tiro d’orecchio “Credo che non si dispiacerà se tutti noi qui aspettiamo il suo primo vero scintillio per reclamare il privilegio della discendenza”.

Discendenza....un modo davvero Nobile di definire la compravendita degli intimi favori delle Veggenti, da sempre fonte d’ispirazione per i peggio intrighi all’interno della Torre.

A quel tempo, ella aveva poco più di dodici anni e la prospettiva di essere semplicemente “montata” da un Nobile - ovviamente solo dopo essere stata pesata, misurata e giudicata degna di un simile onore - non le era sembrata affatto piacevole. Sfortunatamente, Zaphil non era parso del medesimo avviso. Ovvio che no. Dinnanzi alle sue sfuriate tutta adolescenza e nervi aveva semplicemente replicato che, oltre che ovvio, era assai auspicabile che il suo dono non venisse mischiato e disperso ma conservato e comprato da un individuo dotato del “Talento del Sogno”, la capacità cioè di ricordare e influenzare in minima parte i sogni, o perlomeno abbastanza ricco da comprarselo.

“In ogni caso” l’aveva infine rassicurata“La precedenza viene sempre riservata ad individui dotati

Ed in mancanza del primo attributo, aveva poi privatamente continuato, è prassi comune che i Nobili lascino l’incombenza della riproduzione ad individui di Talento interni alla famiglia o selezionati direttamente dai Naphil.

L’incombenza.

Gli occhi socchiusi, la Nihaar’ì avvertì la mascella serrarsi per un secondo appena, riflesso incondizionato di una rabbia che solo pochi anni prima era stata cosa davvero mirabile. Si costrinse a rilassarsi lentamente. Oggi era tutto diverso. Sospirò. Osservare uno ad uno quei rampolli individuandone per ognuno odori e abitudini moleste, sgraziate imperfezioni e naturali abbruttimenti della figura non era che una innocente distrazione dalla onnipresente consapevolezza che uno di loro, prima o poi, sarebbe divenuto il suo sposo. Amato sposo.

Ed in fondo, più andava avanti, più si accorgeva di attendere e sempre meno temere quell’alternativa. In fondo avrebbe semplicemente significato la fine delle sue paure, delle sue angoscie, della costante e mortificante consapevolezza di non essere ancora - ed in potenziale di poterlo anche non divenire mai - la Veggente....

 

--------------

 

Una mano a protendersi del nulla. Bianca e pallida, eppure forte nella sua figura.

Nella luce si defila mentre lei, nel buio, rannicchiata alza allora lo sguardo al cielo. Ed è’ bianco. Ed è pallido. E’ della luce che i suoi occhi si bagnano ansiosi, impauriti, doloranti prima che anche la sua mano risalga a stringere l’altra.

 

-----------

 

“Eccoti finalmente! Cominciavo quasi a perdere le speranze!” una voce la riscosse in un sobbalzo. Si era addormentata...

Si umettò le labbra, una vaga sensazione di sete su di esse a renderle stranamente frastagliate e ruvide sotto la lingua.

Non si era nemmeno accorta...

In quella un volto gioioso si parò nella sua visuale costringendola suo malgrado a focalizzare il mondo circostante.

Zaphil mi ha chiesto di andarti a cercare” la voce di Asiya era di poco sotto il tono consentito per risultare stridula, eppure la leggerezza che ella adottava sempre nell’esprimersi era in grado di renderlo assai gradevole alle orecchie di chiunque “Pensava che dopo le sgridate di oggi avessi deciso di mettere il broncio tutto il giorno...” continuò con un mezzo sogghigno divertito.

E non avrebbe così tanto rischiato di sbagliare....dovette ammettere la Nihaar’ì mentre con uno sbuffo divertito rispondeva al sorriso dell’altra.

“O che tentassi cose pazze e avventate come mettermi semplicemente a dormire ed attendere l’ora delle Udienze....” rimbrottò con tono scontroso.

Per un attimo Asiya si limitò a fissarla con un mezzo sogghigno. Poi, vagamente, si strinse nelle spalle “Sai quanto possa essere apprensiva la tua guardia del corpo” in uno sbuffo di sete si sedette a ginocchia unite dinnanzi a lei “Abbastanza da sguinzagliare la quipresente migliore amica della Nihaar’ì senza nemmeno curarsi del fatto che non fossi arrivata neanche a metà della mia Rushi -meditazione- mattutina....” “Terribile...” rimbrottò la Veggente alzando con un sospiro gli occhi al cielo.

Senza badarle, con un gesto apparentemente familiare Asiya allungò entrambe le mani a scostare il cappuccio bianco che, nella discesa, la ragazza aveva provveduto a calare nuovamente sul capo così da nasconderla un po’ agli occhi dei presenti.

“Ah, maledetti Araldi” concluse dopo pochi attimi “Tutti lì a dirmi Oggi la Nihaar’ì si è svegliata più radiosa del solito...pareva un bocciolo in fiore... e invece eccole qui...” con un gesto gentile le passò entrambi i pollici sotto gli occhi disegnando con un unico movimento i solchi di due scure occhiaie coperte. Sentire il contatto delle dita di Asiya al di sotto della seta le provocò un lieve brivido sorpreso.

Da che era nata, le sole persone che avessero avuto la concessione di toccare lei, la Veggente, erano state umili servitori e balie per ciò che atteneva la cura della sua persona. E Asiya. Ma lei era un’eccezione.

“I chiari simboli di un’altra notte passata a fare la svenevole con quel piantasabbia del piano di sotto...” si accigliò, come fingendo di non ricordare qualcosa “Com’è che si chiamava.... Ergui ... Ergut...”

Con un finto sospiro la Veggente si abbandonò alla presa dell’altra, lasciando che un po’ del malumore della mattinata scivolasse via assieme alla sua goliardia. “Ergan” sillabò dopo un attimo la Nihaar’ì “E non è un piantasabbia. I suoi genitori sono allevatori...” “Di rape, visto il cervello che quello si ritrova” concluse con un ghignetto Asiya cominciando al contempo a frizionarle i capelli corvini.

Altro sospiro.

“Per te sono tutti piantasabbia, Asiya...” girandosi per consentirle di riordinarle la treccia, la Nihaar’ì abbandonò lievemente il capo all’indietro “Mai una volta che mi tu mi dica qualcosa di positivo su qualunque uomo della Torre. Mai una volta che esprima un giudizio positivo su qualcuno...” “Questo non è vero. Io esprimo molto spesso giudizi positivi su di me”.

Leggera, la risata della dama di compagnia della Veggente trillò fra le due, attirando suo malgrado l’attenzione di tutti gli Araldi lì presenti. l’una né l’altra parvero farvi caso, evidentemente abituate a questo tipo di conversazioni “pubbliche”.

“Che ti devo dire” riprese dolcemente Asiya dopo un attimo. Con una mossa sapiente sciolse le chiome della veggente lasciando che cascate corvine le si spargessero fra le dita “Magari è la Torre che attira solo casi umani...” “O sei tu che hai un parametro di giudizio che sfiora l’improbabile...” “ O ancora meglio” le mani della ragazza parevano conoscere abbastanza bene quei gesti lenti e precisi da non inficiare minimamente la sua capacità di concentrarsi “Forse tutti i tuoi spasimanti si sono messi d’accordo per essere brutti ed imbelli, così quando verrà il momento sarai costretta a decidere puramente a caso e non per merito. Mai che si dica che la Veggente faccia dei favoritismi...”

Malgrado l’argomento “spinoso”, la Nihaar’ì non potè proprio trattenersi dal sorridere divertita.

“Fa attenzione, cara mia, che esiste una discreta possibilità che sia tu, e non io, a doverti cuccare il lieto sposalizio” le dita dell’altra vibrarono appena “Non sia mai!” esalò questa volta con finto sdegno. Con una pacca sulla spalla indicò all’altra di aver finito. “In quantoHayeli’vo - Specchio velo - pretendo di poter fare la viziata e la vanitosa almeno quanto, se non di più della mia protetta” in una piroetta, la Nihaar’ì si tirò in piedi e con lo sguardo cercò rapidamente uno degli specchi che ovunque adornavano la Torre. Erano specchi creati per deviare il sole e così smorzarne l’arsura nelle camere, ma all’occorrenza ognuno di essi poteva fungere da buon punto di osservazione per acconciature, abbigliamento e non per ultime, curiosità più o meno lecite.

“Tu sei già più vanitosa e viziata di quanto il tuo ruolo occorrerebbe...” quando ebbe trovato quello che faceva al caso suo tese una mano all’altra così che, afferrandola, insieme potessero collocarsi dinnanzi ad una lucida lastra riflettente “Ma Zaphil è troppo affascinato da te per pensare anche solo di fartelo notare....

Per un attimo la superficie riflettente parve volersi prendere gioco della Nihaar’ì e della ragazza che con lei prendeva a mettersi come in posa, fianco a fianco, una mano unita da un vincolo tanto simile all’amicizia quanto alla fratellanza. Esso, privo di anche un solo sbavo di polvere, rifletteva infatti non una, bensì due volte l’immagine sottile e impettita della Veggente, blu nelle stoffe e orpelli luccicanti. Due volte un fisico asciutto e quasi infantile. Due capigliature nero carbone. Due trecce alte e ben pettinate. Due visi, due bende di egual misura e colore.

Poi, lentamente, una delle due “copie”, quella di sinistra, si mosse da sola, poggiando una mano al fianco ed assumendo allora una posa assai più provocante e sbarazzina dell’altra.

“E come dargli torto?” sillabò Asiya “Essendo migliore dell’originale, quel pover’uomo ha tutto il diritto di essersi invaghito di me a tal punto da temere perfino il parlami”.

Sorridendo, la Veggente si limitò a scuotere il capo con fare rassegnato.

“Scema” rimbrottò senza smettere di rimirarsi “Guarda che se continui ad atteggiarti a quel modo tutti capiranno l’inganno....e allora entrambe avremo ben altro di cui preoccuparci”

Per un secondo, sorridenti eppure assorte, le due ragazze continuarono a guardarsi così, l’una accanto all’altra. Il vestito e l’acconciatura ora perfettamente identici così come la struttura fisica e la postura. Perfino le sfumature della pelle e le profonde Cicatrici del Sogno erano identiche le une alle altre, sebbene in Asiya fossero state riprodotte artificialmente con dolore e sopportazione senza fine.

Solo pochi particolari le differenziavano, lasciando intendere che a sinistra vi fosse la Veggente ed a destra la sua Hayeli’vo, la sua controfigura: la postura vagamente più impacciata della prima ed i tratti del viso vagamente dissimili. Ma, come facilmente intendibile, con veli e copricapi tali inezie erano cose di poco conto rispetto ad una solida e perfetta apparenza generale.

La pratica di possedere una Hayeli’vo si era diffusa fin da tempi antichissimi in tutte le cerchie più alte della nobiltà quale metodo sicuro ed affidabile per evitare di esporre le cariche politiche e religiose ai rischi della quotidianità: avvelenamenti, assassini, omicidi ed altro ancora erano infatti così diffusi che il solo modo di resistervi era avere letteralmente qualcuno che facesse in toto le veci della Nobiltà in qualunque situazione di pericolo o incertezza. Ora, con il massiccio impiego di Araldi e mercenari, le cose parevano da molti anni essersi appianate al punto da far scomparire tale fenomeno. Ma non per tutti. 
Alcuni, ed in questo caso le Nihaar’ì, solevano circondarsi ancora di queste controfigure in grado di proteggerle e difenderle a qualunque costo. Unite dalle somiglianze estetiche, ma nel tempo accomunate da una vita vissuta in alternanze costanti, generalmente le Hayeli’vo divenivano amiche e compagne per la vita, confidenti, consigliere ma anche vere e proprie sorelle fino alla morte... talvolta naturale.

Asiya ne era una chiara dimostrazione. Da qualche anno assegnata alla Nihaar’ì, ella aveva avuto modo di instaurare con lei un rapporto di amicizia profondo e duraturo, capace di scaldare ed infrangere le barriere della solitudine di entrambe. Chiaro, non era sempre stato tutto rose e fiori.

Il suo incarico era cominciato a seguito della dipartita della precedente Hayeli’vo con la quale la Nihaar’ì aveva ovviamente instaurato un rapporto intimo e complice. Ma il veleno insito nel dono di un Nobile di alto lignaggio era stato superiore a qualunque sua resistenza. Dopo averla piagata nel corpo, esso aveva distrutto la sua mente costringendola a spegnersi fra atroci sofferenze dopo giorni e giorni di agonia.

Chiaro che la Nihaar’ì non fosse affatto ansiosa di rimpiazzare una cara amica - capace di dare suo malgrado la vita per lei- con un’altra, nuova di pacca e assurdamente ansiosa di cominciare i suoi giorni di soggiorno all’interno della Torre. Per i primi tempi la permanenza delle due nella medesima stanza, sullo stesso piano e perfino nel medesimo edificio non era stata cosa assai semplice.

Poi, lentamente, la semplice allegria e spontaneità di Asiya erano riuscite a fare breccia nel cuore dell’altra trasformando un difficile inizio in una dolce e gratificante amicizia.

“Faremo bene a prepararci” la Nihaar’ì osservò distrattamente le ombre del sole ad infrangersi attorno a lei “Credo che oramai sia ora di andare”.

 

Poco dopo, chiacchierando del più e del meno, le due scendevano distrattamente i gradini della Torre, uno stuolo di Araldi ai loro fianchi ad impedire a chiunque estraneo di avvicinarle. Giunsero infine al piano delle Udienze, il luogo entro il quale si discutevano le cause che ogni giorno il Datarn -  Giudizio della Veggente- discuteva.

Entrando, si trovarono dinnanzi ad un’ampia sala illuminata, ampi finestroni a volta coperti da pallide tende ondeggianti al vento. Al centro della stanza era collocato un enorme tavolo in pietra bianca, finemente intagliato con motivi vegetali. La sua forma a mezzaluna permetteva alle dodici sedie dietro di esso di sostare tutte rivolte nella medesima direzione ove solitamente, su una sedia di elegante fattura, sostava “l’imputato”.

Posta esattamente al centro delle sedie destinate ai Consiglieri e alle più alte cariche giuridiche di Chermak stava la sedia della Veggente, anch’essa di pietra, con al fianco una sedia più piccola in legno, riservata alla sua  Hayeli’vo.

Entrando, la Nihaar’ì notò che come sempre l’atmosfera di quel luogo trasudava pulizia e un insolito senso di tranquillità, il vago riflesso del sole oltre le tende a giungere ovattato e dolce agli occhi rendendo le forme più dolci e perfino il calore meno intenso. Suo malgrado non potè risparmiarsi un sorriso amaro: naturalmente il giudizio più dolce di tutta Harryan, stando alle sembianze di quel luogo...

Pochi passi ancora nelle stanza e la Veggente con Asiya al suo fianco vennero accolte dall’ossequioso nugolo di Consiglieri i quali, quasi sgomitando, si affrettarono ad inchinarsi in segno di reverenziale rispetto.

Vor Yersyel” dissero uno dopo l’altro avvicinando due dita della mano destra agli occhi.

Che il Sogno vi accompagni.

Era la forma tradizionale di saluto comunemente usata fra gli alti Uffizi, una personale formalità di casta.

Uhe’yel zysat

Che accompagni anche voi.

Rispose la Veggente senza ripetere il medesimo gesto, a significare che a differenza degli altri lei possedeva la vista, a tutti gli altri negata.

Il laborioso cerimoniale continuò fino a quando la Nihaar’ì si accomodò sullo sgabello riservato alla Hayeli’vo lasciando ad Asiya il comodo scranno destinato alla Veggente. Solo allora tutti i presenti si accomodarono sulle proprie sedie.

“Somma Nihaar’ì” prese subito parola il Consigliere Luyo “Quest’oggi reco dinnanzi al vostro giudizio due casi assai complessi. Il primo riguarda uno schiavo accusato di aver ucciso il proprio padrone.”

La Veggente annuì una volta con la testa, come voleva il cerimoniale. Anche da vicino la figura alta e adunca di Luyo, avvolta nelle tradizionali vesti brune, pareva la concretizzazione umana di qualche magro uccello del deserto.

“Il secondo riguarda invece un Risvegliato ed il suo esilio da Chermak

Bastarono quelle parole per far irrigidire i presenti e scatenare nel medesimo istante un basso mormorio di stupore e allarme.

“Silenzio” li redarguì istantaneamente la Nihaar’ì dal basso della propria seggiolina in legno. Scure bende avvolte ora anche attorno al capo impedivano di vedere altro che labbra e mento ai presenti. Subito tutti si zittirono, sebbene l’atmosfera elettrica continuasse a permanere nella stanza.

Ovvio che sono spaventati non potè esimersi dal pensare. Negli ultimi tempi i Risvegliati stanno vertiginosamente aumentando di numero...gli esili sono all’ordine del giorno...

“Che si proceda” concluse tuttavia con voce monocorde per poi alzare rapidamente lo sguardo in direzione di Asiya la quale fino ad allora era rimasta perfettamente immobile.

Senza abbassare lo sguardo, la giovane annuì una volta, piano.

Da quel momento e fino alla fine dei processi, i loro ruoli si sarebbero invertiti.

 

Come da consuetudine, il primo accusato venne fatto entrare ed accomodare sulla sedia a lui destinata. Poiché il Giudizio della Veggente era una formula di giudizio utilizzabile solo nell’istante in cui i singoli Day’nevy - Tribuni - non fossero stati in grado di giungere ad una sentenza definitiva a causa della complessità del caso, era cosa superflua rispolverare nel dettaglio i fatti e le questioni in causa. Il giudizio della Veggente era perciò più una forma di valutazione politica delle sentenze, pattuite ancora prima che il malcapitato giungesse dinnanzi ai propri giudici finali, che una vera e propria vertenza giudiziaria.

Alla Nihaar’ì - ed in questo caso ad Asiya- il solo compito di leggere la finale sentenza.

Stando così le cose, quasi nessuno prestò attenzione alla testimonianza del poveretto - un individuo di mezza età, smunto e scavato in volto abbastanza da lasciar intravedere tutta la genuina volontà che lo aveva portato a sbarazzarsi del suo crudele padrone con una stilettata in mezzo alle scapole. Solo uno dei Consiglieri parve sforzarsi di porre una domanda all’uomo - le ragioni del suo efferato delitto. Solo due diedero uno sguardo alle note scritte dai precedenti giudici sotto il cui giudizio era passato l’intero caso. A grandi lettere era scritto come il suddetto ricco mecenate fosse un membro prestigioso di una gilda di costruttori, una potenza in tutto il paese, e che come tale la sua dipartita creava serie problematiche di potere nella gestione degli affari all’interno della famiglia.

La voce docile e modulata di Asiya lo condannò a dieci anni di lavori forzati nelle miniere di carbone di Yevtsuk’han.

Che il Sonno possa alleviare le tue sofferenze” concluse quindi come da rito mentre egli veniva portato via nel silenzio più che totale. La Nihaar’ì non potè esimersi dallo scoccare uno sguardo compiaciuto alla propria Hayeli’vo:  quando occorreva, ella sapeva davvero simulare l’inflessione pacata e remissiva che il suo caro maestro Ifron le aveva impartito fin dalla tenera età.

Una Dea parla con amore, con dolcezza, con mesta beltà. Non rigurgita parole sperando semplicemente che esse non risultino troppo sgradevoli all’udito.”

L’attimo dopo eccoli tutti pronti per il “pezzo forte” della giornata. Il Risvegliato.

Fingendo un tono calmo e misurato, il Consigliere Ovorsh che si era occupato più da vicino del caso spiegò che si trattava di un ragazzo sorpreso ad avventurarsi nel perimetro interno alle aree di desalinazione dell’acqua; che aveva fatto resistenza quando fermato; che nella colluttazione egli aveva rivelato i Segni del Sogno sul proprio corpo e che di conseguenza era stato portato immediatamente a giudizio per l’esilio forzato.

Per i casi di Risveglio, il Giudizio della Veggente era la prima ed unica forma di giudizio esistente in tutto il territorio, data la gravità della cosa. Ecco perchè, a differenza degli anni passati, in quegli ultimi tempi il Consiglio continuava a riunirsi con ritmi stranamente serrati....

Ed ecco che finalmente, dopo la grande trepidazione generale e l’ancora più esasperata cavilleria del Consigliere, dalla porta principale fece il suo ingresso l’individuo incriminato. Ai suoi fianchi stavano due Araldi, il primo intento a condurlo in avanti servendosi della catena legata ai suoi polsi, il secondo di guardia. Entrambi parevano indecisi se prestare più attenzione a che il prigioniero non si ribellasse o a che egli non finisse per sfiorarli per qualche imprevista motivo: il contatto con i Risvegliati era infatti impuro, latore di sfortune e malattie di ogni genere.

Come ricordando all’unisono la cosa, fu come se in contemporanea tutto il Giudizio della Veggente si facesse appena indietro sulla propria sedia.

Condotto fino alla sedia a lui destinata, il Risvegliato venne lì ammanettato per mezzo di un lucido anello di ferro che sostava -solo per questi specifici casi- proprio dinnanzi alla seduta.

Che la Veggente possa avere pietà di te, che nell’Incubo vaghi perduto” cominciò subito col recitare il Consigliere Avorsh, seguendo le parole di rito.

Dal canto suo, il ragazzo si limitò a sollevare appena lo sguardo incontrando così quello del Consigliere per un breve momento. Fu sufficiente -se possibile- per gelare ancora di più i presenti: i suoi occhi, lasciati scoperti in qualità di prova fisica di colpevolezza, presentavano le nere “cicatrici” del Risveglio, simili a sbavature ossidiana che a partire dalla pupilla si diffondevano fino alle estremità dell’iride. A vederli, pareva di osservare la dolorosa conseguenza dello spezzarsi della pupilla e successivo diffondersi ovunque del nero in essa racchiusa per tutto l’occhio.

Suo malgrado, la Nihaar’ì rabbrividì. Uno spettacolo innaturale, disturbante ed al contempo affascinante quale potrebbe essere il mostrarsi di una bestia rara, unica e pericolosa. Una creatura solitaria nella propria forma e proprio per questo temuta, braccata. Ma al contempo ammirata. Allo stesso modo, parve di avvertire tutti quanti tacere in quell’attimo di puro scrutamento, incerti sul condannare o viceversa elogiare quegli occhi ora puntati su di loro in un misto di paura e sincero interesse quasi che il ragazzo, ingenua stoltezza, non avesse ancora del tutto capito dove fosse capitato e quale sarebbe stato l’esito della sua permanenza in quella candida stanza.

Nero di capelli, egli portava il taglio corto e disadorno dei Cacciatori di Yenavo’r, famoso per lasciare la zona della cute sopra le orecchie quasi rasata a zero per facilitare l’utilizzo degli strumenti di caccia agli, appunto, Yenavo’r (banalmente detti Draghi del deserto), di cui essi erano specializzati. Alcune lunghe cicatrici ad uncino in prossimità di orecchie e mascella indicavano che il ragazzo aveva già cominciato il proprio addestramento in questa difficile arte trasmessa a livello familiare e negata a qualunque esterno tanto per tradizione quanto per sua difficoltà intrinseca.

Eppure a guardarlo non lo si sarebbe detto poco più grande di lei...

“Colui che qui si presenta in giudizio, risponda” prese in quella a sillabare il Consigliere. Vi era un che di affrettato nella sua voce, quasi che mantenere le formalità piuttosto che giungere direttamente al dunque lo tediasse più di quanto volesse dare a vedere. La Nihaar’ì non potè trattenere un sorriso maligno: chissà se anche nel giorno del suo giudizio, quell’uomo altero e impassibile si sarebbe lasciato andare a simili leggerezze e personali curiosità. Lui, un uomo colmo di tante sfumature come quelle che si avvertono accanto ad una carcassa in via di putrefazione... Negli occhi il disprezzo. Nella voce la compiacenza. Nei modi, il servilismo più autentico.

Qual’è il tuo nome?” continuò imperterrito -e ignaro- l’altro.

Un attimo di silenzio. Poi, lentamente, il giovane alzò i propri occhi sull’altro e socchiuse le palpebre.

Verkar’ach” la sua voce parve un sussurro nella penombra. La voce del Consigliere vibrò come un colpo di frusta nell’aria “Non ho chiesto il tuo nome di Cacciatore” lo ammonì facendolo quasi sobbalzare - e con lui tutti i presenti - “Ma il tuo Vero nome”.

Verkar’ach significava Colui che guarda lontano, ed in genere era il titolo che veniva dato agli individui che fra i Cacciatori rivestivano il ruolo di “Vedette”, a cui spettava cioè il compito di vedere le prede e indicarle ai compagni. La rabbia del Consigliere era dunque quasi motivata: su richiesta di un nome, aveva ricevuto un semplice titolo.

In un brivido l’attenzione dei presenti si fece ancora più tangibile.

Nayv” rispose quindi dopo un attimo il Cacciatore facendo tintinnare le catene ai polsi. Il Consigliere parve rilassarsi in un profondo sorriso.

Nayv, sei accusato di portare sul tuo corpo e nel tuo sguardo i segni del Risveglio” riprese quindi dopo un attimo “Una condizione che comporta l’esilio da Chermak e da qualunque altra civiltà riunita. Sfuggire l’isolazione tornando sui propri passi comporta la Morte certa. Hai qualcosa da dire in tua difesa?”

Era una domanda di rito. Solitamente era impossibile tentare anche una sola forma di difesa contro i segni che ovvi si imprimevano sui corpi dei Risvegliati. Ma per qualche ragione, ogni volta, era come se il Consiglio attendesse una qualche risposta dagli interrogati. Qualcuno che osasse tentare di imbastire una difesa, di ostentare una qualunque forma di controprova all’ineluttabile veridicità dei capi d’accusa. Fallendo, ovviamente, ma in ogni caso, provandoci.

E manco a dirlo, questa volta parve davvero che il desiderio dei presenti venisse ascoltato perchè dopo un attimo di stordimento, lo sguardo dell’imputato si alzò a scrutare i visi di tutti, uno per uno, uno dopo l’altro, per poi infine fermarsi su quello della Veggente.

Di Asiya, in realtà. Ma la NIhaar’ì avvertì comunque le proprie guance accendersi.

Per un attimo egli sembrò scrutare la figura della Veggente con sincero e pacato interesse. Valutarne fisicità e proporzioni. Aspetto. Per poi, come incerto su ciò che vedeva, spostare i propri occhi direttamente su di lei, sulla Nihaar’ì.

Solo allora, come brivido sottopelle, egli parve accendersi di una nota cupa e dolente, qualcosa che suo malgrado la ragazza potè facilmente -ma non senza una punta di orrore- riconoscere come odio misto a timore.

Come poteva guardare lei...Lei, quando al suo fianco stava quella che all’occhio di tutti avrebbe dovuto essere la Vera Veggente...

Avvertì la sensazione del sudore condensarsi a fil di pelle.

Poi, lentamente, il ragazzo alzò le proprie mani ammanettate indicando lei, si lei, con il dito indice.

“Io ho visto lei “ sillabò quindi con strano candore “Lei condurrà tutti noi alla rovina”

Nel gelo che calava nella stanza come spada dritta nelle sue viscere, la Nihaar’ì trovò perfino difficile respirare.

Per un attimo si vide alzarsi, percorrere con ampie falcate la distanza che la separava da quel bugiardo e schiaffeggiarlo lì, davanti a tutti. E gridargli che mentiva. Che non era vero. Che anche solo osare tali parole significava la morte immediata. Esecuzione istantanea.

Ma scoprì con orrore che le mancavano le forze. Nell’attimo in cui egli aveva parlato, quelle parole l’avevano inchiodata lì alla propria sedia, incapace anche solo di fiatare.

Nessuno osò parlare. Forse come lei, tutti quelle alte cariche erano state come paralizzate dall’agghiacciante falsità di quel giovane, incapaci semplicemente di reagire a quella prima, feroce, accusa che veniva rivolta alla Veggente. Mai nessuno prima aveva osato.

Una Visione. Lui. Un Cacciatore venuto dal nulla e chissà perché capitato proprio lì, davanti a tutti, ad accusarla senza alcuno sprezzo del pericolo.

“Il Volto della Nihaar’ì è nascosto agli occhi di tutti. E’ cosa impossibile che la tua immaginazione l’abbia potuto vedere” la voce di Zaphil fu come una scarica elettrica nella stanza. Crepitò fra i presenti e giunse con uno schiocco sordo proprio alle orecchie del ragazzo che, suo malgrado, non potè che sobbalzare.

Forse anche per lui quel silenzio era stato più allarmante di quanto si fosse aspettato.

Scoprendosi al contempo incapace di vivere, ma fortunatamente anche di morire, la Veggente scoprì con necessità di dover ringraziare il Naphil per la cura con cui aveva usato la parola “Immaginazione” piuttosto che “Sogno” o “Visione” riferendosi a ciò che l’altro diceva di aver visto.

Visioni e Sogni erano affare della Veggente. Chiunque osasse proferire le medesime capacità non era altro che un impostore o un millantatore.

Il semplice chiarire questo fatto chiariva ancora una volta la sua figura sovrana in quell’oramai troppo pericoloso Consiglio. Tuttavia il ragazzo parve ora intenzionato a non sbugiardarsi. Scosse una volta il capo e, malgrado l’evidente tremore nella sua voce, si sforzò di obiettare con voce modulata “Io ho visto la Veggente. Quella...” ed ancora una volta indicò con orribile precisione e sicurezza la sua figura “E’ la sua bocca. Quello è il suo mento. E so per certo che sotto quelle sete vi siano occhi che io ricordo con precisione di aver...” esitò un istante, come colto da un pensiero improvviso. Era vietato guardare negli occhi le persone. “ Visto “.

Evidentemente il pensiero di dichiarare di aver infranto -anche in sogno- una ventina o più di leggi inviolabili non preoccupavano abbastanza il ragazzo da impedirgli di asserire a pieni polmoni la propria verità.

Una goccia di sudore prese a colare lungo la schiena della ragazza in una sgradevole sensazione di panico e terrore insieme.

Lui aveva Visto.

Pur incapace di voltare il capo per vederlo, la Nihaar’ì ebbe la chiara sensazione che al suo fianco, Zaphil, sospirasse.

“Non esiste Visione se non quella della Veggente” sillabò gelido. “MA IO L’HO VISTA!” se avesse potuto, il giovane sarebbe per certo in quella scattato in piedi. Un livido rossore imporporì immediatamente collo e volto “L’ho vista richiamare con la propria voce una intera legione di ombre per distruggere...” “ Ora basta! ”

Con grande sorpresa di tutti, era stata Asiya a prendere parola. Ferma sul proprio scranno, ella pareva ora di pietra.

“Io sono colei che stai accusando con simile leggerezza.” esitò “Io” ripetè quindi con dura rabbia “Io che con la mia Voce difendo uomini e bestie dalla ferocia dei loro stessi Incubi. Io, la vostra salvezza” esitò ancora un istante, un tremore che per un secondo l’attraversò facendola rabbrividire “Io” continuò tuttavia dopo un attimo “Che come le Nihaar’ì che mi hanno preceduto un giorno dovrò perire proprio in difesa di tutti quelli che dubitano di me e che come te mi diffamano senza capire che è solo grazie a me che tutte le vostre menzogne e incubi possono esistere”.

Pur sapendo che non era nella ritualità agire così, Asiya si sollevò comunque dal proprio scranno. Nessuno parve in grado di reagire: mai la Veggente era stata accusata. Mai si era palesata la possibilità di una Visione. Mai, prima di allora, la Veggente aveva dunque preso parola se non per pronunciare il verdetto finale. E per...difendersi.

“E sempre Io, dunque” concluse imperterrita Asiya “Condanno con la Morte le tue falsità. Possa il Sogno guidarti verso il Cammino della Pace, poiché nessun altro lo farà”

 

“Non è mai accaduto che la Nihaar’ì prendesse così parola”

Nella morbida oscurità della notte, le pareti bianche della camera da letto parevano brillare appena del pallido riflesso lunare. Leggero e fresco, un vento sottile scivolava fra le tende tirate, scompigliando di mille riflessi azzurrini il candore della stoffa.

C’era odore di sale nell’aria, una strana sfumatura fresca ad impregnarsi sulla pelle accaldata.

Distesa pancia in giù, le lunghe chiome abbandonate sulle sete candide, Asiya socchiuse una volta le palpebre. Due. Poi si concesse un sospiro ovattato.

“Lo so.” ribattè dopo un attimo, la voce impastata dalla stanchezza.

“E allora perchè l’hai fatto?” pallida, la luce lunare si rifletteva nelle iridi ambrate della Veggente, scintillando in esse di sfumature calde “Sai quanto sia importante che le cose rimangano come sono, soprattutto ora che vanno già di per sé...male”

Per un secondo Asiya parve incapace di rispondere, gli occhi fissi in quelli della Nihaar’ì distesa sul medesimo letto accanto a lei, l’una accanto all’altra.

Poi sospirò ancora.

“C’era qualcosa di pericoloso nelle sue parole” constatò dopo un attimo “Cosa?” “Il dubbio” asserì gelida “Il dubbio che qualcuno potesse mettere in discussione il tuo dono e rimanere in vita. Che potesse andarsene in giro a sbandierare di aver avuto una Visione e farla franca”

Per quanto semplice, la Nihaar’ì sapeva quanta precoce saggezza vi fosse nel pensiero di Asiya. Quanto ella, malgrado l’atteggiamento solitamente semplice e leggero, avesse ben presente su che tipo di strapiombo la Nihaar’ì e lei camminassero ogni giorno. Quanto esso fosse sottile. E quanto fosse vitale comprovarne ogni giorno la stabilità e solidità.

“Ammesso che il tuo ragionamento sia corretto, esso non giustifica che tu, la mia Hayeli’vo, ti possa sentire autorizzata a prendere parola per mia Voce e decida arbitrariamente cosa fare. Tu sei il mio riflesso, non la mia Volontà” per quanto difficili da proncunciare, quelle parole uscirono dure e inflessibili dalle labbra della Veggente. Si tirò sui gomiti, chiome nere a ricarderle attorno al viso in una cascata nera “Mandare a morte un ragazzo per delle semplici accuse infondate non è affare di tua competenza”

Questa volta Asiya parve accigliarsi.

“Non erano parole di ragazzo, quelle” replicò secca “Erano accuse di un uomo. Accuse che ora rimarranno nella mente di tutti i presenti e con le quali dovremo fare i conti”

“Quelle, o il fatto che una semplice controfigura si diverta a fare la parte dell’Originale?”

Per un secondo, un nuovo silenzio calò fra di loro, duro e freddo come mai la loro amicizia avrebbe dovuto essere. Ma non era intenzione della Veggente soprassedere sulla cosa.

Per quanto amiche, compagne di vita, quasi sorelle in realtà, vi erano dei confini che le dividevano e le avrebbero per sempre divise. Ne andava della loro medesima vita e dell’inganno che esse intrecciavano nei confronti del resto del mondo.

“Grazie a te ora io non saprò mai fino a che punto si sarebbero spinte quelle illazioni. Non saprò mai chi abbia comandato a quell’imbecille di dirle...”esitò ”Credi che non provenissero da lui stesso?” sillabò improvvisamente stupita Asiya.

Senza volerlo, la Nihaar’ì si strinse nelle spalle.

“Molto più probabile quello di tutto ciò che gli ho sentito dire” esalò non senza una buona dose di incertezza “Ma ora che non potremo mai più saperlo ti avverto, Asiya: interferisci ancora una volta con la mia Volontà e sarà la tua testa a cadere, non quella di un Cacciatore”

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Capitolo 3
*** Asiya ***


Ciao a tutti!

Eccomi ancora qui con il secondo capitolo J

Memore della mole astronomica del primo, ho deciso (e qualcuno ha decisamente approvato la scelta) di ridurre un pochino la lunghezza dei capitoli che da qui in avanti verranno così da facilitarne una più semplice e scorrevole lettura.

Ringrazio di cuore la persona che, povera, si sta impegnando nella correzione e valutazione di questa storia. A lei un bacio…

Spero che possa piacervi e sì, di leggere tanti bei commenti a breve J

A presto!

Elendil

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Immobile, il suo corpo galleggia piano. E’ un mare di pallore a circondarla, bianco come latte, tiepido come acqua temperata.

Un lieve oscillare accompagna il suo lento abbandonarsi a quella mollezza senza meta e senso, piccole creste d’onda a carezzare il suo viso e corpo in un brivido sottile, labile.

Sa che quella pace non è eterna ma solo di breve durata. Eppure le pare cosa assai stupida preoccuparsene ora, in quel caldo oceano di nulla.

Sa che qualcosa sta per cambiare, qualcosa che nella sua coscienza pare un tremore basso, cupo e monocorde. Eppure perchè curarsene? Perchè darsi davvero pena per una cosa che non si può fermare e contrastare?

Apre piano gli occhi, un riflesso di luce a turbare il suo sguardo prima che dinnanzi ad essi si figuri la tremolante figura di una persona.

Sospira.

Giusto, perché curarsene?

In un attimo capisce che quella figura è lei, visione spettrale in uno specchio d’ambra. Lei, immobile e solitaria, tanto sottile da apparire quasi una bambina ai suoi occhi.

Eppure ella ben sa di non essere più una fanciulla ma una giovane donna, ormai...

L’oceano trema ancora, piano, profondo avvertimento del pericolo, e questa volta è la sua figura ad accigliarsi per lei.

Lo vede, nei suoi occhi. Una patina di timore e turbamento. Una forma di presentimento che in un attimo l’attraversa e scuote da capo a piedi costringendola a muoversi per un attimo, febbrilmente, e poi inchiodare i propri occhi a lei.

Il suo sguardo le toglie il fiato.

Odayn” la sente sillabare. E la sua voce è quella di ZaphilOdayn...” E la sua voce è quella di Asiya “Dove stai andando?”

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Si svegliò di sorpassalto, scattando quasi dal giaciglio sul quale si era poc’anzi addormentata.

La terza voce, l’ultima che le aveva parlato, la seguì inesorabile dal sogno, dita invisibili a ghermire ancora le sue percezioni di vista e udito fino al momento in cui, con un sospiro contrito, ella si costrinse a ricacciarle indietro.

Poi, il corpo teso come fibra di vetro, ella si costrinse a ridistendersi sul morbido talamo, leggere lenzuola di lino a fasciarla da capo a piedi in un abbraccio fresco e consolatore.

Dannazione...

Sbattè un paio di volte le palpebre, la lieve patina salata presente nell’aria a sfarfallare come polvere dinnanzi ai suoi occhi, ed infine si stiracchiò. O almeno...ci provò...poiché a quanto pare tutti i suoi sensi parevano fermamente decisi a far perdurare in lei una vaga sensazione di allarme e disagio.  

Stupidi sogni. Mai una volta che le regalassero qualche visione piacevole piuttosto che rompicapi dall’improbabile soluzione.

Danhe” chiamò poi infine, socchiudendo le palpebre nell’istantaneo spalancarsi di una porta poco distante da lei. Fuori pareva esserci il sole.

Sbadigliò svogliatamente.

“Ben svegliata, Somma Nihaar’ì” la salutò la vecchia accostandosi piano a lei e come il solito, poggiando sui suoi occhi una pezza fresca e salata. Rabbrividì al contatto.

“Avete fatto un buon sonno?” continuò l’altra con voce pacata “O il rollio vi ha per caso disturbata?”

Ruotando il capo di lato, la ragazza fece scivolare la benda dagli occhi per poi, stancamente, girarsi su un fianco. Da quella posizione, poteva vedere una lama di luce filtrare nell’oscurità circostante, donando in essa la visione di un vorticoso insieme di polveri e profumi.

“No, affatto” rispose infine “Adoro il moto ondoso. Concilia il sonno”.

Una pausa, giusto il tempo di mettere a fuoco la calda penombra della stanza e poi si tirò in piedi. Se Danhe non l’avesse prontamente afferrata per un braccio, di certo sarebbe caduta gambe all’aria.

“Attenta, Somma Nihaar’ì. Si regga a me” reprimendo un sorriso imbarazzato, la ragazza scosse il capo un paio di volte “Ce la faccio. .Prendi piuttosto le mie vesti, non desidero che al suo arrivo l’Aruspice mi veda con nient’altro addosso che la mia pelle”.

Poco dopo, terminato il consueto balletto del “vedo non vedo” con il suddetto ometto oggi riccamente bardato con stoffe gialle e oro, la Nihaar’ì si risolse dall’uscire dalle proprie camere per avventurarsi all’aperto. Più precisamente, per avventurarsi sopraccoperta del grande veliero che da qualche giorno l’ospitava assieme a tutto il suo entourage in rotta verso Hevnan k’ar, la città delle Rosse Tinte.

Il solido scricchiolio dei gradini in legno che davano verso l’esterno la precedette accompagnandola dal caldo umido e ovattato della stiva all’impetuoso infuriare dei venti caldi e salini dello Himnakan. Nemmeno il tempo di fare capolino dal boccaporto ed essi l’avvolsero scompigliandole i capelli corvini e le vesti ora di un intenso arancione argilla. Ancora una volta, la Nihaar’ì non potè impedirsi di sorridere fra sé e sé.

Era consuetudine che almeno una volta all’anno -ben lontano dalla stagione delle Tempeste di Sabbia- la Nihaar’ì compiesse un lungo pellegrinaggio in tutte le città di Harryan per benedire i Templi della Veggente, realizzare il rito di purificazione delle Vele, valutare lo stato delle difese contro le Ombre, rinsaldare gli accordi politici e commerciali con le città (e relativi Sharyin - Reggenti) ed in generale provvedere a qualunque tipo di accorgimento che la Capitale avesse il dovere di assicurare alle proprie città alleate. 

Era un pellegrinaggio a fini politici, rituali e assolutamente religiosi dal cui compimento pendevano gli esiti di alleanze e amicizie ed in genere il proseguimento di tutto l’apparato geopolitico di Harryan. Era inoltre, manco a dirlo, uno dei momenti più pericolosi per la Veggente, costretta ad allontanarsi per giorni e mesi interi dalla sua  inattaccabile Torre del Tempo per avventurarsi in territori a lei estranei e sottoposti alla giurisdizione altrui. “Territori a te fedeli” le ricordava ogni volta Zaphil con quel suo sorriso scaltro “Ma tutti noi sappiamo che non vi è trappola peggiore che quella della fedeltà ciecamente presupposta”.

Era dunque in misura del tutto cautelare che ad ogni viaggio la Nihaar’ì portava con sé tutta la propria schiera di Araldi ed una buona dose di Guardiani, Combattenti e Spie. Senza contare lacchè e Nobili, servitù, membri del consiglio e chiunque altro avesse l’ardire di offrirsi per il lungo viaggio.

A vederlo da lontano -e forse anche da vicino- tutto quell’assembramento di gente la si sarebbe potuta tranquillamente scambiare per un’armata si era più volte ritrovata a pensare sorvolando con lo sguardo la carovana interminabile  “Ed e’ proprio questo che i nostri alleati devono pensare vedendoci avvicinare... un’armata molto pacifica. Ma pur sempre armata” le aveva risposto sornione Zaphil intuendo un giorno le sue impressioni.

Distratta, la Veggente si scostò inutilmente i capelli dal viso, attardandosi sulla soglia per avvertire l’immediato tocco della salsedine sulla pelle prima di risolversi dall’avanzare ancora fra le due file di Araldi che sull’uscio l’attendevano, schierati.

Per lei, la Nihaar’ì, quell’esperienza annuale era una fonte di incredibile turbamento ed entusiasmo assieme, trattandosi a conti fatti dell’unica occasione che ella aveva per uscire dalle mura della Torre e vedere paesaggi e luoghi a lei preclusi per tutto il resto dell’anno. Un viaggio di cui lei centellinava attimi ed esperienze incerta fra l’emozione della scoperta ed il terrore di tutto ciò che le era nuovo e sconosciuto. Il che era un po’...tutto, insomma. 

Anhi Val’ah, Somma Nihaar’ì” la salutò in quella il Comandante del Vascello. Fra i neri ciuffi danzanti dinnanzi agli occhi, la Nihaar’ì riuscì a malapena ad intravedere l’uomo esibire il saluto più comunemente usato fra le genti di alto rango - ma non dalla stretta cerchia Nobiliare -, con la mano a pugno chiusa sul cuore seguita da un lieve chinarsi del capo.

Rispose nel medesimo modo, facendo però attenzione a non chinare il capo “Anhi Val’ah, Nas’ì Sovayin” rispose gentilmente, passo dopo passo giungendo finalmente al suo fianco poco distante dal timone sagomato in legno. Sovayin era il titolo che si dava a tutti coloro che andassero per mare e significava letteralmente “Colui che segue il mare”. Nas’ì era appellativo di grado, per indicare che egli fosse un Capitano.

“Come procede la navigazione?” chiese dopo un attimo, gli occhi velati che spaziavano dalle pallide creste del Mare chiare di salsedine alle ampie vele Rosso bruno spiegate e tese sopra le loro teste.

Il Capitano, un giovane uomo dall’aspetto coriaceo parve gonfiare un attimo il petto prima di esibirsi in un lungo sorriso “Tutto secondo le previsioni, Somma Nihaar’ì” chiocciò sornione “I Venti ci stanno rapidamente spingendo a Sud. Nessuna nuvola o tempesta all’orizzonte”.

Tronfio e vivace nelle classiche tinte blu delle genti di Mare, l’uomo portava stoffe leggere e disadorne cucite di modo che la parte inferiore non scendesse oltre i polpacci e quella superiore lasciasse scoperte spalle e braccia. Un comodo gilet dal collo alto assicurava protezione dal sole alla nuca e risvolti interni per coltelli da lancio, ganci di ogni genere e utensili di piccolo calibro. Ai fianchi, viceversa, una lucente cinta ornata di squame di pesce presentava ottimi agganci per una lucida sciabola dal manico orlato, una sottile frusta accuratamente ripiegata ed un giro di corda.

Ultimo ornamento - seppur nell’insieme il più rappresentativo - al capo egli portava una pesante stoffa arrotolata a di turbante nella quale erano infilati tre sgargianti piume colorate appartenenti ai famosi Dzuk, i pesci del cielo. Tali piume potevano essere portate solo dai Capitani di navi e vascelli, quale segno distintivo di rango e potere.

Per un attimo la Nihaar’ì si limitò a guardare lungamente l’orizzonte, il profilo delle creste contro l’azzurro intenso del cielo a creare strani giochi di luce nei suoi occhi. Poi il suo sguardo colse le sagome di Zaphil e Asiya a prua, vicine come intente a conversare amichevolmente. Si accigliò. Non credeva fossero già svegli. Non Asiya, perlomeno.

Con un gesto elegante si volse in direzione del capitano “Molto bene” lo congedò cortesemente “La prego di avvertiermi quando giungeremo in vista della costa.”

Attese il cenno di commiato dell’altro prima di cominciare lentamente ad incamminarsi alla volta dei due, l’infuriare dei venti a scompigliare in mille figure scomposte le vesti di entrambi, una nera e l’altra -ovviamente - arancione come la sua. Nel notare i folti capelli neri di Asiya, per un attimo la Veggente non potè impedirsi di ricordare il loro primo incontro, anni prima.

Non era passato che qualche giorno dalla triste morte della precedente Ayeli’vo, una dipartita improvvisa e terribile, tanto orribile e raccapricciante come solo quella di una fanciulla ancora lungi dal fiorire - aveva solamente otto anni- poteva essere. Eppure i guaritori avevano espresso pareri alquanto rassicuranti: il veleno ingerito durante il Banchetto era il frutto di una pregiata alchimia degna dei migliori Subara - maestri dell’avvelenamento: poco dolore e una morte quasi istantanea per soffocamento. Una morte a suo modo elegante e raffinata...decisamente da Nobile...

Una dipartita, dunque, degna del ruolo che la bambina aveva avuto l’onore di interpretare, era stato il commento finale, solitamente usata fra le caste nobiliari come regolamento di conti o appianamento di antiche divergenze.

Come se dovere e affari politici potessero in qualche modo giustificare e rendere assai più sopportabile un simile evento. Come se otto anni non fossero poi così pochi se perlomeno la morte era stata degna di nota.

Per lei, la Nihaar’ì, vedere la sua unica amica, compagna di giochi, sorella e gemella andarsene in quel modo aveva significato ben più che una sommaria esplicazione di causa ed effetto.

Aveva voluto dire smarrire tutto d’un tratto - e apparentemente senza motivo -  l’unica forma di affetto che le fosse mai stata concessa di avere in quel mondo austero e colmo esclusivamente di doveri e gioie negate. 

Aveva voluto significare semplice e puro dolore. Una sofferenza  tanto grande ed insopportabile da costringere i Guaritori a somministrarle per giorni e settimane bevande ed infusi atti ad intontirla, stordirla e con il sonno allontanarla da qualunque sofferenza di anima e corpo. Difficile dire se avesse funzionato. Nei sogni la Nihaar’ì poteva sì tornare a rivivere gioie e dolcezze dei tempi passati, ma al risveglio essi seguitavano a scomparire irrimediabilmente dinnanzi ai suoi occhi nel grigio ritornare della lucidità e con essa dell’insopportabile verità.

Così per qualche tempo le cose andarono avanti così, con lei che passava senza nemmeno accorgersene dall’incoscienza alla dormiveglia a tratti punteggiata da vaghi accenni di dolore fino al giorno in cui, mentre come al solito vagava senza meta per la Torre, le capitò di fermarsi dinnanzi alle sale dell’acqua e lì dentro intravedere una figura immersa in una vasca. Stuoli di servi e serve la circondavano in quello che sembrava in effetti un lungo e dovizioso bagno rigenerante.

Per un attimo, stordita dalle droghe e dal dolore assieme, la Veggente parve incapace di mettere a fuoco la scena, ritrovandosi ad osservare come inebetita la fanciulla chinare docilmente la testa all’indietro, mani sapienti ad insaponarla in tutto il corpo e con cautela prenderle ciocca dopo ciocca i lunghi capelli rubescenti ed impiastriccarli con una scura sostanza color pece.

No, Asiya non aveva i capelli neri come lei. Non naturalmente. Come ci si sarebbe aspettato da un animo come il suo, ella aveva in realtà capelli color tramonto, scuri e lucenti di mille riflessi purpurei.

Non senza una punta di divertimento la Nihaar’ì ricordò allora che quel giorno il suo gesto di benvenuto alla nuova arrivata era stato quello di entrare come una furia nella stanza - in barba agli infusi e varie erbe calmanti - e fiondarsi a testa bassa sulla poveretta.

Con tutta probabilità la sua intenzione era stata quella di farla fuori annegandola o almeno soffocandola. O almeno facendole un po’ di male. Più semplicemente, l’unico effetto che ottenne fu quello di far finire sotto l’acqua entrambe, un mezzo annegamento a testa a suggellare così un pacifico ed assai promettente inizio.

Naturalmente la cosa non passò affatto sotto silenzio nella Torre, motivo per cui iniziarono presto a circolare le più disparate voci sul possibile - e alquanto probabile - rimpiazzo della nuova venuta con una “assai più gradita candidata”.

Del resto c’era ben poco da obiettare. Ogni desiderio della Nihaar’ì, antipatie comprese, erano legge.

Ma non per la prima volta, Asiya li stupì. Stupì tutti in realtà, lei e Zaphil compresi.

Poiché piuttosto che prendersela per quella gioviale rimostranza di benvenuto, offendersi, esplicitare il più che lecito timore che il rimpiazzo avrebbe potuto significare o anche solo far notare a tutti  quanti che non era cosa assai gentile venire accolti con un attentato alla propria vita dalla Divina, ella pensò bene di ripagare la Nihaar’ì, la più alta carica mai esistita ed esistente, con la stessa identica moneta. Si riprese - e con gli interessi - la calorosa accoglienza che la sua “gemella” le aveva inferto.

Non le servì che semplicemente aspettare una notte particolarmente afosa e sonnolenta, con gl Araldi più intenti a non far arrugginire le proprie armature con il loro steso sudore che a fare la guardia e sgattaiolare così fino all’ultima stanza dove, beatamente addormentata, se ne stava la Veggente.

Simpatica fanciulla...eppure i suoi capelli fulvi l’avevano avvertita...

Dopo averla assalita, battuta di santa ragione e terrorizzata come mai le era successo prima di quell’istante, fu nell’inutile affrettarsi degli Araldi lungo le scale che la fanciulla le scoccò un mezzo sorriso compiaciuto.

“Io e te non possiamo che esistere insieme, ora. Siamo e saremo la stessa cosa o altrimenti non saremo niente affatto”

Pochi giorni dopo eccola di nuovo tornare dalle celle di prigionia, un mezzo sorriso a mascherare la paura che quei luoghi angusti e desolati erano stati in grado di scatenare in una bambina della sua età.

“Sapevo che ti sarei mancata. Succede sempre così, quando ripago un favore” la prese in giro Asiya senza mascherare tuttavia il vago tremolio della sua voce.

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“Cosa state tramando, voi due?” in un movimento leggero la Nihaar’ì si frappose fra le figure vicine. Zaphil si tirò subito sull’attenti rivolgendole un elegante cenno di saluto poco dopo replicato dalla Hayeli’vo. In circostanze meno formali la ragazza l’avrebbe probabilmente abbracciata, ma essendo ovunque presente equipaggio e servitù, era chiaro che le formalità dovessero essere rispettate.

“Oh nulla” replicò sorniona la fanciulla “Zaphil stava solo lodando il mio aspetto decantando una ad una le mie molteplici qualità...”

La Nihaar’ì parve accigliarsi “Ancora?” esalò sogghignando “Ebbene si! E io tutte le volte a dirgli “Ma no dai...mi metti in imbarazzo...lo sai che sono timida...” ma lui niente. Imperterrito a ricordarmi quanto...”

Asiya...” i gomiti poggiati sul parapetto, Zaphil fissava con sguardo assente l’orizzonte. Non sembrava infastidito dal comportamento delle due, ma qualcosa nel suo atteggiamento conservava sempre un che di vigile e composto. Subito entrambe si scambiarono rapidi cenni d’intesa, sbuffi di vento a colorare di sfumature cangianti i loro giovani volti.

“Per me sei troppo buono con lei, Zaphil” riprese dopo un secondo la Nihaar’ì “Il vecchio maestro Sihil mi diceva sempre che Veggente e suo Protettore non dovrebbero essere presi sul ridere nemmeno per errore. E guarda lei invece” la indicò con un gesto impettito “Senza contare i suoi metodi alquanto discutibili per attaccare bottone con qualunque giovane che passi per la Torre” “Davvero sconveniente” le fece eco Asiya senza smettere di sorridere. Poi improvvisamente si fece più vicino a Zaphil.

“Ma dovrò in qualche modo tentare di farle guadagnare una buona reputazione, no? Se non fosse per me alla Torre tutti la conoscerebbero come la vecchia scorbutica musona” “Questo non è vero” si infervorì subito l’altra “Io sono molto divertente e amabile con tutti!” esitò un attimo nel notare l’occhiata dell’altra. Quindi si strinse entrambe le braccia al petto “E almeno non sono vecchia.”.

A quell’ultima affermazione anche le labbra di Zaphil si arricciarono in un vago sorriso. Volse piano il capo e incontrando lo sguardo colorito della Nihaar’ì alzò appena le sopracciglia. Subito l’altra avvertì le guance imporporirsi a causa del contatto visivo di lui. Volse subito lo sguardo all’orizzonte, il respiro corto a scivolarle dalle labbra ora tese.

“Beh, visto il tuo comportamento abituale è come se lo fossi” continuò incurante del siparietto Asiya “Ma sono certa che sia una qualità abituale delle Nihaar’ì”.

Fu nell’esatto istante in cui le sue labbra pronunciavano quell’ultima frase che la fanciulla si rese conto dell’errore che aveva compiuto. Spostò immediatamente lo sguardo sul volto della Veggente che, manco a dirlo, si era immediatamente irrigidito. “Scusa” si affrettò a dire “Non fa nulla” la tranquillizzò subito l’altra sebbene vi fosse una certa durezza nella voce.

Poi improvvisamente il suo viso parve illuminarsi “Guardate” seguendo l’affusolato profilo delle sue dita ora tese verso il basso, i due notarono proprio sotto la chiglia del vascello una serie di piccoli pesci che, disturbati dall’incedere dell’imbarcazione, si disperdevano per ogni dove saltando fuori dall’acqua e planando poi per qualche metro in uno sfarfallio d’acqua.

Le Iare erano viste come segno di buon auspicio dalle genti di mare, poiché solite starsene in superficie nei giorni di bel tempo.

Il corpo teso in avanti, Zaphil trasse allora un profondo sospiro “E’ bene prepararsi” disse lentamente “Le Tre Volpi saranno certamente ansiose di accoglierci nel più sfarzoso dei modi. Non credo sia il caso di insultarle con ritardi di alcun genere”

“Dicono che da mesi preparino le cose più meravigliose per darci un degno benvenuto” osservò pensierosa la Nihaar’ì. Pur senza vederlo, immaginò lo sguardo dell’altro farsi più affilato.

Un benvenuto profumato di ricchezza e infarcito di potere. Con una vaga spolverata di minaccia. Le Volpi sapevano di certo come ed in che misura tendere le corde del loro spettacolino tintinnante e predatorio, esattamente a metà fra l’umile ceto mercantile e quello ben più opulento della nobiltà. 

Sogghignò.

Il tutto senza mai sfidare apertamente l’Unico Potere, quello da cui dipendeva l’indisturbato procedere dei loro affari.

“Cose meravigliose o cose spaventose?” Asiya si dondolò piano contro il parapetto “L’anno scorso per poco non ci rimettevo la pelle mentre quegli omini tutti profumati quasi si saltavano in testa l’un l’altro per rifilarmi il ragno più velenoso del continente addomesticato qui, solo per lei, Somma Nihaar’ì.”

Ovviamente il ragno in questione era finito chissà perché -spintone più, spintone meno - proprio sulle gambe della povera fanciulla la quale, nel più regale dei modi, non aveva osato far nulla se non replicare docilmente “Da lontano lo facevo più grassottello”.

“E non dimentichiamoci l’anno prima” la incalzò sorniona la Veggente “Come le chiamavano? Libellule del deserto?” Per poco Asiya non saltò sul cornicione. “Giusto! Quelle maledette cavallette sbranavestiti! Erano quasi arrivate al polpaccio prima che quegli imbecilli osassero anche solo avvicinarsi per togliermele di dosso.”

Vero poi che per scusarsi la Veggente aveva ricevuto intere montagne di vesti fra le più pregiate...

“Se fossi in voi io quest’anno mi preoccuperei maggiormente del giovane rampollo di Shayarin e sorella, che di ragni e insetti” le redarguì ancora una volta Zaphil “Dicono che lui sia un estimatore di veleni e lei una ballerina senza eguali”

Come spesso accadeva dopo l’intromissione di Zaphil nei discorsi, entrambe le fanciulle persero immediatamente la voglia di ridere.

Mathias? Edereth?” chiese dopo un attimo la Veggente.

Zaphil socchiuse un attimo le palpebre per poi scostarsi dal parapetto.

Mathias sembra avere avuto una graziosa bambina dalla sua quinta compagna. Non dovrà avere che pochi mesi. Il figlio maggiore scalpita invece per entrare in affari, ma molti dicono che suo padre non lo reputi ancora abbastanza maturo per la professione. Quindi temporeggia lasciando che si sfoghi sulle giovani servette che regolarmente fanno il loro ingresso nella magione”

La Nihaar’ì si accigliò. L’ultima volta che l’aveva incontrato, Kasir pareva davvero un piccolo barilotto avvolto in stoffe e tessuti decisamente troppo sgargianti per la sua fisionomia pingue e impacciata. Capelli corti su viso imberbe, decisamente trovava difficile immaginarselo avvolto dalle gambe di una docile fanciulla intenta a soddisfarlo.

Sbattè piano le palpebre.

Edereth ha invece coronato da poco il suo settimo, ma molti dicono infelice, sposalizio. I nobili l’hanno definito un colpo di testa, trattandosi questi di un ragazzino privo di finanze ma colmo, a detta di tutti, di indiscutibili capacità amatorie. Si parla già di una rapida, quanto imminente, separazione. Ma Edereth non ha mai mostrato difficoltà a portarsi dietro i suoi stuoli di mariti al pari di bestie da circo”

Entrambe non poterono che scambiarsi un’occhiata d’intesa. Ricordavano i mariti di Edereth. Individui piacenti e potenti al contempo, sfortunatamente però assai poco avvezzi all’intelligenza per capire quanto la loro sposa amasse avere sempre nuovi e deliziosi giochi con i quali trastullarsi.

“Questa volta non sarà facile impressionarli” continuò Zaphil “Ma dalla nostra abbiamo la sempre più prossima carta dello sposalizio da giocare.”

La Ninhaar’ì annuì una volta, sovrappensiero “Confidano che sarà uno dei loro rampolli il fortunato Jadi - sposo?” chiese lasciando correre lo sguardo lungo le creste lontane. Zaphil annuì una volta senza guardarla “Queste sono le loro aspettative” confermò “E sarà bene che durante il nostro soggiorno ad Hevnan k’ar esse no vengano né confermate né smentite”.

Entrambe annuirono lentamente prima che Zaphil concludesse rivolgendo ad entrambe un sorriso vago “Siate carine e gentili con questi fanciulli imbellettati, probabilmente è per loro che dovremo passare per conservare la benevolenza dei loro amati genitori”

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Distratta e pensierosa, la Nihaar’ì lasciò che il proprio sguardo vagasse meditabondo sulle vesti che ora la coprivano da capo a piedi, lasciando a malapena intravedere la sua figura al di sotto di quelle pesanti e preziose sembianze.

Il blu decisamente le donava. Dovette ammettere. Peccato che sotto quella montagna di stoffa  si faticasse anche solo a notare la sua esile figura vestita dei più ricchi e deliziosi ornamenti. Il capo, anch’esso coperto da un cappuccio cadente, lasciava intravedere di sbieco una lunga treccia laterale anch’essa addobbata da nastri e cristalli blu di sale marino, splendenti nel sole di mille sfaccettature arcobaleno.

Sulle dita, pesanti anelli ad artiglio la ricoprivano per intero la pelle fino a giungere alle mani fasciate come da guanti blu cobalto mentre i piedi, nudi, erano rivestiti anch’essi di catene scintillanti.

“O mirabile Falco di Luce, io ti saluto” le fece il verso Asiya giungendo allora alle sue spalle, un clone perfetto in ogni più piccolo particolare.

Inutilmente gli araldi schierati tentarono di tener fede all’etichetta mettendosi sull’attenti. Per qualche ragione, Asiya era sempre un passo più veloce di tutti ad entrare ed uscire dalle stanze infischiandosene apertamente di ogni genere di consuetudine. Alla Veggente non restò che concedere loro il riposo con un semplice gesto scocciato.

Asiya..” cominciò a dire lentamente “Quante volte te lo devo dire che non puoi aggirarti come una servetta qualunque su questa nave? I Nobili risiedono qui. I Servi pure. Le guardie idem...non puoi andartene in giro come credi...” l’altra la zittì con un semplice sospiro. Le si accostò e tirandole su appena il cappuccio le sorrise amabilmente “Credo proprio che il blu sia il tuo colore, fanciulla” sogghignò “Il nostro colore...”

Pochi secondi dopo fece il suo ingresso un giovane recando la notizia del recente avvistamento della costa.

“Non appena avrà concluso le manovre di ancoraggio al porto, il Capitano vi scorterà di persona sulla terraferma” la Nihaar’ì annuì lentamente “Ringraziate il Capitano per la sua cortesia. Lo attenderemo qui fino al suo arrivo”

Non appena il giovane si fu congedato la ragazza volse lo sguardo nuovamente allo specchio incontrando quello vagamente irrigidito di Asiya.

Pur coperto da un elegante nastro in fibra d’oro, anch’esso intessuto di fini cristalli di sale, era chiaro che ella stava provando la medesima agitazione dell’amica. Pur non esplicito, infatti, il discorso di Zaphil era stato più che chiaro: le Volpi scalpitavano per un cambiamento, il medesimo che viceversa loro avrebbero dovuto scongiurare gettando fumo - e sguardi maliziosi - negli occhi di tutti.

“Vedrai che andrà tutto bene” le sorrise gentilmente “Le solite noiose faccende burocratiche ed ancor prima di avvertire questo onnipresente mal di mare attenuarsi potremo tornarcene tranquille sottocoperta pronte per una nuova, nauseante traversata” 

La Nihaar’ì le scoccò un’occhiata incerta “Davvero cederesti un’affascinante conversazione diplomatica in cambio di uno snervante e tedioso mal di mare?” commentò poi con un ghignetto sarcastico. L’altra fece spallucce e fu prima che il capitano facesse capolino dalla porta che la sentì replicare in un sussurro “Con certi soggetti...ci potrei giurare”.

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Capitolo 4
*** Le Rose del Mare ***


Ciao a tutti!

Ed eccoci di nuovo con il terzo capitolo J

Spero che vi stia piacendo!

 

Un bacio

Elendil

 

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Viste dalla superficie, le Rose del mare si sarebbero potute scambiare per rose del deserto, prelevate dalle sabbie e poi deposte con dolcezza inaudita sul fondo del mare, eterna fonte di freschezza e bellezza. Petali color sangue, steli di giada. Eppure esse non erano altro che stoffe, le stoffe più belle del mondo, sul fondo affisse così che con le maree e le correnti assumessero le forme più belle e improbabili.

La prima volta che le aveva vedute, la Nihaar’ì non aveva potuto fare a meno di ammirarle in tutta la loro casuale perfezione, eguagliata solo da quella delle strade lastricate di Hevnan k’an, costantemente tappezzate dalle più belle e sgargianti sete così che fosse possibile camminare per tutte le vie senza scarpe e suole di alcun tipo.

“Non è sempre così, somma Nihaar’ì” aveva ammesso il Maestro del Conio mentre non molti anni prima entrambi passeggiavano fianco a fianco per le vie multicolori “Ma per voi...la città è come se si vestisse a festa”.

E festa era esattamente ciò che si imponeva agli occhi della ragazza mentre con sguardo intontito passava in rassegna i muri anch’essi sfumati dal rosso più cupo all’arancione pastello, ognuno ordito di spazi areati e sottratti alla vista solo grazie alla presenza di tende multicolore ovunque abbandonate al morbido ondeggiare del vento.

Tutte insieme, parevano Vele di alberi invisibili, tese al vento di bassa marea.

Vor yersyel. Spero abbiate fatto buon viaggio, Somma Nihaar’ì” la accolse un uomo alto e dinoccolato, avvolto dai tradizionali abiti scuri dei funzionari pubblici.

La ragazza annuì piano, ben attenta a non lasciare che la passerella gettata fra vascello a terraferma la tradisse.

Sotto la pianta dei piedi, il terreno le giunse tiepido.

Uhe’yel zysat. Più che buono. Temo che il vostro Capitano avrebbe tentato di fermare anche il vento se solo avessi dato segno di averne a noia”

Quieto, il sorriso di lui la accompagnò per il breve tratto di strada antecedente la portantina che per lei era stata preparata. Composta da null’altro che una base in legno con infissa una sedia riccamente decorata e circondata da un sottile siparietto di tendine ambrate, la sua sola vista lasciò scorrere un brivido di disagio nelle vene di lei.

Esitò un istante, fingendo di dover riassettare dietro di sé le lunghe vesti cerimoniali, giusto il tempo perché Zaphil comparisse dal nulla seguito a ruota da una spia adibita a perlustrare con un colpo d’occhio portantina, facchini e situazione in sé.

Poco dopo, ecco il Naphil toccarsi lievemente il petto quasi a controllare i contrappunti d’argento lì fissi.

“Ogni anno Hevnan k’an diventa sempre più bella e prospera, Alto Despa’y - Ambasciatore” prese dunque a temporeggiare lei aprendo appena le mani come nell’atto di ammirarla non solo con le parole ma anche col corpo. Al suo fianco, il funzionario chinò appena il capo “Lei è troppo magnanima...” esalò con ossequioso candore “Tutto ciò che tentiamo di fare qui è rendere ogni anno le nostre dimore più gradite e consone ad accogliervi”.

Rapida, la spia compì un mezzogiro attorno alla portantina, la camminata leggera e tranquilla che tradiva una sorta di agilità insita. Zaphil non si mosse, lo sguardo apparentemente concentrato su qualche decorazione lontana.

“Ma vi dirò di più” rintuzzò la Nihaar’ì “E’ forse nuovo quel ponte laggiù che vedo? Non credo di averlo intravisto l’anno scorso”

Ancora una volta l’uomo chinò il capo “Voi ci onorate, Somma Nihaar’ì” osservò tutto tronfio “Ebbene si, quella è la Volta dell’Arco, il nuovo ponte costruito per migliorare il commercio fra quartiere dei Vasai e quello dei Forni di cottura”

Sapeva già di quel ponte. Sorrise. La sua costruzione era passata sotto la sua supervisione e approvazione da molto tempo....

“Davvero un’opera ben fatta” commentò lei facendo scattare lo sguardo verso una nuova costruzione dall’aspetto imponente...

Ne aveva per caso già decantato le bellezze l’anno prima?...

Un nuovo volto della Nobiltà...

Sfortunatamente quel piccoletto aveva fatto il proprio debutto non poche settimane prima...

Una signora che chiaramente aveva l’aria di stare sudando l’acqua posseduta in questa e quell’altra esistenza...

Divertente o solo sfacciato?

Ma fortunatamente in quella Zaphil scomparve nuovamente nella folla e con lui la spia.

Tutto bene.

Così, in un lungo e tormentoso intrecciarsi e ripiegarsi di vesti, la Nihaarì potè dire addio al suo interessantissimo ospite e bagnarsi delle acclamazioni esultanti della folla tutt’attorno riunita. Respirò leggera.

Se evitava di muoversi, di girare il capo, di respirare ed insomma astenersi dal compiere qualunque gesto che una persona degna di tale nome avrebbe normalmente sperato di fare, le sue vesti non si sarebbero trasformate in breve tempo in una terribile fornace senza possibilità di scampo. Con lei dentro a fare la figura dello sciagurato animale da cuocersi, ovviamente.

Aprì lievemente le labbra, schiudendo assieme a dita, braccia e collo qualunque pertugio nelle vesti atto a far circolare aria. Non ottenne un grande risultato. Particolare che le fece storcere quanto più impercettibilmente possibile il naso.

Dannato Zaphil. Non potè tuttavia trattenersi dal pensare. Lui nelle cerimonie formali se ne stava sempre nelle retrovie a sorvegliare. Mai una volta che assieme alla sua adorata protetta affrontasse le deliziose formalità della sua posizione.

Come ostentare sorrisi e rilassatezza dopo ore intere passate in piedi. O fingere che il caldo e le spossatezze dell’afa fossero cose per il popolino, affatto degne del suo rango. O ancora, lasciar credere che indugiare in conversazioni di difficile articolazione e comprensione in compagnia di personalità degne nemmeno di abbozzarne le prime lettere (e tuttavia fermamente convinte del contrario) la colmasse di autentica ed incommensurabile gioia.

Nello scroscio di saluti, applausi, fischi d’acclamazione e ovazione generale, la Nihaar’ì notò di sfuggita i volti tesi e impassibili delle sue guardie pronte ad intervenire al minimo segnale di pericolo. Gli sguardi fissi sulla folla, nessuno fece caso al suo occhieggiare.

Sorrise piano, improvvisamente sentendosi per qualche ragione meno sola, ora.

Finalmente, dopo un lieve oscillare a destra e sinistra, la portantina si posò nuovamente a terra lasciando che una mano riccamente ornata scostasse le tende e si protendesse per aiutarla ad uscire.

Edereth era a dir poco abbagliante nel meriggio infuocato. Capelli neri come carbone le circondavano in lunghe ciocche ondulate il viso ovale dagli zigomi alti. Filamenti aurei partivano dal capo -ornato come di una sottile corona- per giungere fino a terra in una sorta di tela dorata entro la quale sfilava il suo corpo da danzatrice, flessuoso come quello di una ragazzina e caldo come quello di amante.

Davanti al volto portava una benda di fili d’oro.  

Stringendola appena, la Nihaar’ì impedì fisicamente alla propria mano di tremare in quella dell’altra mentre con leggerezza ella la conduceva all’interno della piazza centrale di Hevnan k’an, solitamente gremita di banchetti ed adibita al commercio di tutte le merci del continente ed oggi addobbata delle più sgargianti decorazioni e mondanità.

Al centro esatto era steso un meraviglioso arazzo riccamente intessuto ed incompiuto, i lunghi fili di trama distesi tutt’attorno in attesa di essere intrecciati l’un l’altro come voleva la cerimonia.

Vor yersyel, Somma Nihaar’ì. Spero che il mare sia stato clemente con voi ed il vostro vascello.” richiamò la sua attenzione Edereth. Anche la sua voce portava le vesti tanto del sussurro malizioso quanto dell’arguta insinuazione propri di una mente colta e brillante.

Lasciandosi ancora guidare - l’altra pareva non camminare ma letteralmente scivolare sul selciato-, la Veggente abbozzò un sorriso cortese.

Uhe’yel zysat, Edereth Maka Yeji (Signora delle Vie). Ben più che gradevole” la voce le suonò appena tirata all’orecchio, quasi che ella avesse qualcosa conficcato in gola. Si concesse qualche istante di altezzoso esitare prima di riprendere “Pur avendo la fama di un mare capriccioso lo Himnakan ha sempre la capacità di stupirmi per la sua mitezza” anche l’altra esibì un sorriso leggero “Questo perchè siete voi ed il vostro equipaggio a solcarlo” replicò gentilmente “Ho veduto nobili molto meno accomodanti ed avvezzi al rollio delle imbarcazioni di quanto sembriate voi”  

Ma che gentile.

La Nihaar’ì sorrise docilmente.

“Solo chi è costretto ai lunghi viaggi inizia prima o poi ad apprezzarne gli inconvenienti ed asperità” replicò dopo un attimo “Giacché se uno non volesse mai provare fastidi e scomodità sceglierebbe di sicuro di non abbandonare mai la propria dimora” questa volta l’altra ostentò una vera e propria risatina “O forse chiederebbe che sia il mondo a fargli visita senza dover mai scostare il proprio grazioso posteriore dai più comodi giacigli” replicò voltandosi appena verso di lei.

Nuovo sorriso. E così si potevano ritenere conclusi i convenevoli iniziali. Ora si cominciava a fare sul serio.

“E’ stato per noi un immenso dispiacere non vedervi all’ultima Cerimonia del Nye’vreh” riprese dopo un attimo la Veggente. La flessuosa camminata di Edereth parve avere un’esitazione. Evidente ella avrebbe volentieri gradito qualche istante in più per prendere le misure della conversazione e con essa della sua pericolosa contendente, ma ovviamente questo era un lusso che la Nihaar’ì non intendeva concederle. Nel vederla appena affrettare il passo, la Nihaar’ì non potè trattenersi dal sorridere fra sé e sé. Per quanto fregiata del titolo di ospite, era ora di vitale importanza che ella ricordasse a tutti quanti chi fosse, loro malgrado, il Vero padrone di casa.

“Purtroppo alcuni affari mi hanno trattenuta in città ben più di quanto avessi voluto” ripose quindi la Signora delle Vie “Spero vivamente che la mia assenza  non sia stata considerata nulla di più di ciò che era” “Un’infelice gestione di priorità?” “Una leggerezza nell’affidare ad altri ciò che non può che essere fatto di prima persona” “Capisco”. La Nihaar’ì abbozzò un nuovo sorriso comprensivo, nel contempo tentando di aggiustarsi il cappuccio sul capo: il sole si stava facendo rovente.

Si chiese per un attimo se la strapazzata potesse fermarsi a quel punto o dovesse in qualche modo proseguire ma alzando lo sguardo vide che le altre due Volpi si stavano precipitando di gran carriera verso di loro apparentemente ansiose di accoglierla, più probabilmente allarmate dal cambio di colore delle guance della compagna.

Prese un respiro.

Poco male. Prima della fine della giornata ognuna di quelle serpi avrebbe avuto la propria dose di antidoto contro brama di potere, superbia ed una notevole smemoratezza nei confronti delle gerarchie.

Terminati i convenevoli, tutte e tre le Volpi lasciarono che la Veggente si occupasse del popolo che lì si era radunato per venerarla. Ferma nella piazza, fu dunque suo onore dare il via allo Sivrash, la filatura, cerimonia che ogni anno portava l’arazzo all’interno della piazza principale ad espandersi di nuovi e meravigliosi intrecci multicolori. Per ore intere ella non dovette fare altro che rimanere seduta al centro della mirabile opera, mani e piedi a contatto con il prezioso tessuto mentre con voce modulata intonava una litania di benedizione a breve replicata da tutti i cittadini presenti.

Quel canto avrebbe purificato non solo l’arazzo, ma anche tutti coloro che lo stavano filando, le macchine utilizzate, i costruttori delle stesse, i tintori delle sete e via discorrendo, in un invisibile intrecciarsi di ruoli e incarichi gravitanti attorno a quell’attimo.

Solo al termine di quella lunga ed estenuante cerimonia il grande corteo prese a dirigersi verso l’ultima, ma non finale, meta del pellegrinaggio della Nihaar’ì: il Tempio della Veggente. Ad ogni fedele sarebbe stato concesso di seguirla fino alle immense porte della struttura; una volta oltrepassate, solo i Nobili e maestri del Culto avrebbero proseguito con lei.  

Edereth e Mathias avanzavano solennemente ai suoi fianchi, mentre Shayarin seguitava a breve distanza a sua volta seguito da un Zaphil dall’aria insolitamente tesa e agguerrita.

Dallo sguardo - impossibile abbozzare anche solo un rapido scambio di battute a causa della fitta di ritualità cui ella era costretta ad attenersi - pareva preoccupato per qualcosa. O arrabbiato per un’altra. Che fosse per via della gente riunita? O per le Volpi?

Eppure era cosa assai strana che Zaphil mostrasse così apertamente le proprie passioni...

Sospirò. Poco male. Se fosse stato davvero importante, probabilmente avrebbe trovato il modo di metterla al corrente.

Così, dopo lunghe ed accaldate ore di viaggio, il corteo giunse al Tempio della Veggente, luogo ove il tradizionale colore Rosso destinato alla tintura delle Vele veniva lavorato.

Entrando, una lunga scala fiancheggiata da due file di colonnati li accolse, costringendo tutti quanti ad una silenziosa discesa.

Alla sua destra, Mathias attirò discretamente la sua attenzione “E’ per la lavorazione della Tinta che il tempio è stato scavato al di sotto del livello della città. Il calore eccessivo della superficie provoca infatti una evaporazione troppo rapida del colore impedendone il fissaggio con le altre componenti che ne donano il caratteristico tono brunito“ Per quanto egli fosse già sulla sessantina, l’aspetto di Mathias era ancora gradevole e vigoroso, proprio di coloro che abbiano nel cuore un attaccamento alla vita fuori dal comune “Sottoterra invece si creano le caratteristiche ideali di umidità e temperatura per la perfetta miscelazione. Ora sentirete”

E mentre attraversavano una delle tante Volte che, via via più strette, dividevano la discesa in comparti sempre più piccoli e angusti, ecco giungere improvvisamente sulla pelle una vera e propria sensazione di denso umidore, avvertibile sul viso quasi come un muro dall’odore pregno e pungente.

L’uomo sorrise appena notando la sua lieve esitazione “Scala e Volte hanno proprio la funzione di intrappolare il vapori quaggiù e con essi” attese che una nuova sensazione, questa volta di freschezza via via più evidente, premesse ancora una volta sul viso della Nihaar’ì “Anche il fresco sotterraneo”.

“Davvero impressionante” non poté che confermare la ragazza mentre per la prima volta in quella giornata trovava un po’ di sollievo dal caldo onnipresente.

Ed infine, dopo lunghi minuti di discesa dominati dall’affievolirsi sempre più delle luci circostanti - ad un certo punto la luce naturale venne sostituita dalle torce - il corteo giunse finalmente all’ultima stanza, sorpassata la quale rimase solo la bianca scala ad aprirsi a ventaglio in una passerella posta a pelo d’acqua. Al di là di essa, acqua.

“Come potete vedere” fece nuovamente capolino la voce di Mathias al suo fianco “Il bacino è diviso in vasche nelle quali vengono via via aggiunte le sostanze addensanti. Questa” ed indicò con un vago gesto della mano l’acqua attorno a loro “E’ l’ultima vasca, terminata la quale la tinta viene inviata mediante canali di scolo alle camere di tintura non molto distanti da qui”

Sarà...

La Veggente lasciò che un brivido le scorresse lungo la spina dorsale in un lungo, quasi doloroso, condensarsi di ammirazione e terrore al contempo.

Ma a causa della scarsa illuminazione - l’idea era non disturbare in alcun modo le condizioni climatiche di quel luogo - più che in un tempio a lei pareva ora di trovarsi semplicemente dinnanzi ad uno sterminato, imperscrutabile lago rosso sangue, dalla Terra scaturito quasi che essi ne stessero ammirando non un anfratto ma una vera e propria vena pulsante.

Nella penombra sanguigna, la Nihaar’ì contemplò a lungo ii riflessi delle torce creare sfarfallii rubino sulla superficie immota, archi di luce che come creature abissali si muovevano per poi scomparire nell’oscurità. Rabbrividì.

“Tutto è pronto, Somma Nihaar’ì” le si rivolse ancora una volta Mathias con voce calma e profonda.

Il rituale stava per cominciare.

A breve i Tintori avrebbero intonato il canto cerimoniale con cui erano soliti benedire la Tinta e lei, di bianco vestita, non avrebbe dovuto far altro che immergersi in quelle gelide acque e scomparire in esse, l’unirsi di corpo e colori a consacrare entrambi.    

Annuì piano.

Uhe’yel zysat” congedò le Volpi, lasciando che esse, ritirandosi, la lasciassero sola dinnanzi al mare sanguigno. Poi aprì piano le braccia le vesti che al contempo si schiudevano a ventaglio attorno a lei. Ed infine, in un respiro senza fine, ella discese l’ultimo gradino poggiando la punta del piede sulla passerella alabastro.

Fu in quella che il canto ebbe inizio, tremante e soffuso come quello delle madri che intendano addormentare il proprio piccolo fra le braccia. E dunque lo coccolino teneramente, senza disturbarlo, cullandolo con voce bassa e suadente dominata da note basse e tristi.

Rabbrividì. La pietra era gelida, ruvida al tatto.

Poi avanzò di due passi, la mano destra che saliva al cappuccio facendolo ricadere sulle spalle.

 

T’vogh luysy het lini Datastani

orva kapakts’ut’yamb.
Tye sond’i e arraspeln ayn ory ,

ayn mitk’y , vor gishery.
Vor ch’i hasnum stverits’ ,

yev nrankkhlel bolor pargevy kyank’i
yev yeraz.

 

Mentre avanzava, mente e pensiero uniti nell’unanime tensione dell’attimo, la Nihaar’ì si ritrovò solo per un istante a ricordare il suono di quel sogno, di quella voce.

 

Odayn...Dove stai andando?”

 

Dove sto andando? Ripeté al limite dell’incoscienza.

Poi allungò un piede, un altro, e a lenti passi si lasciò semplicemente scivolare nel lago di sangue, freddo e vuoto contro il suo corpo, le sue vesti, il suo petto.

Respirò ancora.

Dove sto andando? Fece di nuovo la sua mente.

Dove?

Poi, improvviso, un brivido lungo la schiena.   

Qualcosa non andava.

Spalancò gli occhi.

Qualcosa...

Un altro brivido. Lungo. Intenso. E poi una vaga sensazione di formicolio dietro la nuca, la medesima che si provi nell’essere inconsapevolmente osservati.

Non poteva interrompere il rituale. Realizzò tuttavia con una imperiosa nota di panico. Si sentì trarre una lunga, dolente, boccata d’aria.

 

Odayn...Dove stai andando?”

 

Difficile definire ora se fosse stata la sua mente o per davvero una voce a chiamarla; l’attimo dopo ella era sott’acqua, il gelo di quell’oscurità rubescente ad avvolgerla in una morsa quieta ed opprimente. Sorda. Vesti, cappuccio, ornamenti ed ogni traccia della sua pesante vita ad abbandonare improvvisamente il triste peso inferto su di lei per librarsi leggere tutt’attorno alla sua figura sospesa nel vuoto.

E poi eccola, la presa forte di due mani afferrarla inaspettatamente per le spalle e tirarla a forza fuori dall’acqua come un cucciolo in balia delle correnti.

“C’è un problema” sentì sillabare una voce alle sue spalle - Zaphil, riconobbe solo dopo qualche attimo -  prima che ella, disorientata avesse il tempo di aprire gli occhi.

Si paralizzò.

Tutte le fiaccole erano state spente.

Zaphil” tremò “Che succ..” “Alcune Ombre si sono infiltrate nel tempio”

Per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. “Ombre?” la sua voce le suonò strana alle orecchie. Quasi impastata, molle.

“Hai capito bene” quella di Zaphil pareva viceversa una frusta nelle sapienti mani di un domatore “Sono entrate dalle sale di scolo e nessuno ha ancora capito come fermarle. A breve saranno qui”.

A forza la mise in piedi, concedendole che pochi secondi prima di intimarle di seguirlo in silenzio. Ma la sua mente, inaspettatamente lenta come mai era stata, parve puntare i piedi.

“Perché non sei venuto prima?” chiese già senza fiato per la tensione. Non vedendo nulla, la ragazza non trovò altra soluzione che aggrapparsi alle vesti di Zaphil.

Lui esitò un attimo “Prima quando?” fece lapidario “Quando credi sia stato dato l’allarme?”

Suo malgrado, la Nihaar’ì si ritrovò incapace di rispondere.

Ombre vere. Strinse inconsapevolmente la presa sulle vesti del Naphil. Mai da che aveva avuto inizio la sua vita da Veggente si era ritrovata dinnanzi ai figli di Oneiron. Mai, sebbene i suoi sogni ne fossero costantemente popolati.

Eppure ora che, lo avvertiva con pericolosa chiarezza, si trovava ad un passo dall’incontrare per davvero ciò che per destino o semplice casualità l’aveva resa ciò che era... seppe che nulla di ciò che ella aveva vissuto nei suoi Nayel l’aveva preparata a quel momento. Né le lunghe lezioni alla Torre. Né i suoi lunghi, estenuanti, sguardi al futuro.

A fatica tentò di non inciampare nelle vesti ora umide e pesantissime mentre con ampie falcate sentiva Zaphil affannarsi per riguadagnare la zona asciutta della passerella.

“Non è saggio utilizzare l’entrata principale” lo sentì borbottare più a se stesso che a lei quando, finalmente, entrambi furono in grado di scorgere nell’oscurità la sagoma della scala alabastro.

Poi si girò verso di lei “Sarà anche meglio togliersi di dosso queste vesti inzuppate” aggiunse allungando nel medesimo istante le mani verso il suo petto per aprirle il pesante manto ora totalmente inzaccherato. Lei si ritrasse di scatto “Zaphil!” esalò con una punta di panico. Malgrado il momento, fu quasi divertente notare la consapevolezza di Chi lei era e cosa voleva dire fare nuovamente capolino sul viso di lui. L’attimo dopo eccolo chinare lievemente il capo in segno di scusa.  

“Ciò che dobbiamo fare ora è correre” replicò tuttavia “A voi la scelta se farlo con quelle vesti pesanti e fradicie o meno” una pausa, poi un mezzo sorriso sghembo. Il suo sorriso “Sappiate però che in genere le ombre non sono affatto propense a risparmiare le persone solo perché affette da gravi handicap motori”.

In breve le vesti caddero con un tonfo umido a terra, Veggente e Naphil che si lanciavano a precipizio lungo la scala ora totalmente avvolta nell’oscurità. Per i primi momenti entrambi tentarono di avanzare silenziosamente per non farsi scoprire, ma quando fu chiaro che essi erano gli unici fuggitivi presenti - ma dove erano finiti tutti quanti? - decisero  di abbandonare ogni timore in favore della velocità di allontanarsi.

Poi Zaphil prese una via laterale che scendendo la Nihaar’ì non aveva notato. “La maggior parte delle stanze che avete attraversato hanno uscite segrete” le spiegò con il fiato in gola “Tutti gli altri si sono diretti per quelle più vicine ma io credo che queste” in quella incontrò il muro pallido e subito cominciò a tastarlo con dita tremanti.

Mentre si spostava con affannosa rapidità, le sue dita lasciavano tracce sanguigne sulle pareti. La Nihaar’ì rabbrividì suo malgrado, il panico che come mano invisibile le stringeva attimo dopo attimo dita invisibili attorno alla gola.

Clac.

“Siano le migliori”.

Allo schiudersi dello stretto passaggio entrambi vi entrarono quasi con un balzo per poi immobilizzarsi immediatamente. Ovviamente, esso era ancor più buio di quello che avevano lasciato.

“Statemi vicina. Non desidero in alcun modo che vi perdiate in questa oscurità”

sillabò lui. Dal riverbero prodotto dalla voce,  si trovavano in uno spazio davvero angusto, grande abbastanza da far a malapena passare una persona in piedi.

Chissà se i costruttori avevano pensato a questi passaggi per queste specifiche esigenze...

Poco dopo eccoli incontrare una nuova parete e con un nuovo Clac uscirne ritrovandosi così in uno spazio ben più ampio di quello ora abbandonato.

“Questa è la parte Est del tempio, quella che da ai canali di fissaggio” le spiegò il Naphil costringendola subito dopo a nascondersi dietro ad una colonna non molto distante.

Ansimò lasciarsi subito cadere come un sacco vuoto a terra e lì, dolorosamente, respirare tutta l’aria che i suoi polmoni le ricordarono improvvisamente di bramare più che mai. Si trovavano all’aperto, ora, l’oscurità circostante dovuta al progressivo calare della notte. Una foresta di colonnati si innalzava fitta attorno a loro, donando una sfumatura azzurro pallido alla penombra attorno a loro.

Ansimò a fatica, la risalita precipitosa che solo ora cominciava a mostrare i suoi effetti sulle gambe dolenti. Il fianco le bruciava da impazzire. Ma con l’attenuarsi del suo respiro e del sordo rombo del cuore nelle orecchie, eccoli.

Come grilli disturbati da un improvviso rumore, eccoli pian piano ricomparire i respiri di altre persone nascoste tutt’attorno a loro.

Si accigliò. Per un assurdo motivo, aveva davvero pensato che lei e Zaphil fossero stati i soli a fuggire incolumi dal Tempio. Chissà dove si trovavano ora le Volpi...

L’improvvisa stretta al braccio del Naphil la fece sobbalzare.

“In piedi” fu il secco ordine. Si sporse per qualche attimo oltre il profilo della colonna e solo dopo qualche secondo, le rivolse un cenno di assenso.

Passo dopo passo, presero nuovamente ad avanzare.

“Per ora sembra tutto tranquillo” commentò lui in un sussurro “Probabilmente i Danzatori le avranno attirate lontano...”

E fu allora che svoltando un angolo se la trovarono davanti.

Alta tre volte la loro altezza, nera come pece eppure trasparente al contempo, ella si stagliò su di loro in tutta la propria immensità, scure e velate propaggini a vorticare attorno alla sua figura come vento invisibile spirante antistante i suoi arti colossali.

Per una stupida associazione di idee la Nihaar’ì si ritrovò quasi a pensare ad un qualche animale su quattro zampe, forma e posizione a ricordare un felino o qualcosa ad esso simile. Al suo fianco, Zaphil ebbe come un fremito contratto. La mano stretta alla sua che perdeva improvvisamente calore.

Per un attimo la figura si limitò a fissarli,  immobile.

Che il rosso della Tinta la stesse tenendo lontana? Non era forse questa la sua funzione?

Poi, vaga, di nuovo la sensazione alla base del collo.

Ma non aveva terminato il rituale...a conti fatti quella era solo tinta rossa. Scura e inutile tinta.

I grandi occhi scuri della creatura, neri come fuliggine e tuttavia profondi come l’abisso le scoccarono una lunga, intensa, occhiata.

Eppure lei era la Veggente...

Odayn” la fece sussultare la voce di Zaphil. Sentire il suo nome in quell’istante, il suo vero nome, la allarmò più di quanto non potesse fare quella creatura di per sé “Fuggi. Io farò in modo di distrarlo”.

Suo malgrado, la Nihaar’ì non si mosse.

Odayn” la richiamò lui con una punta di stizza “E’ questo il significato della mia vita. proteggerti. Non umiliarmi impedendomi di farlo”

Incapace di parlare la ragazza si ritrovò, tuttavia, ad annuire. La sua mente si rifiutava di comprendere ciò che lui le diceva, ma il suo corpo conservava un vago senso di ubbidienza a forza inculcatele negli anni.

Quindi eccola suo malgrado, compiere un passo indietro onde guadagnare una distanza sufficiente a spiccare un balzo e fuggire. Eccola provare a farne un altro, più lungo, le vesti fradicie che sgocciolavano ovunque creando una graziosa parodia di suono. Eccola saggiarne un terzo, lunghe apnee ad impedire di compiere un respiro decente. Ecco...

Si bloccò.

Figure immobili sostavano ai margini della sua vista. Figure nascoste, paralizzate dal terrore. Figure che tuttavia - ironia del destino -  le parve improvvisamente prendessero forma e fattezze assai più definite. Così furono in un attimo volti, occhi, nasi e sguardi tremanti, atterriti, spauriti. Furono l’ambasciatore. Furono Edereth.

Furono.

No.

Asiya.

Rimasta fino ad allora nello stuolo dei Nobili pronta a sostituirla, probabilmente la ragazza non aveva avuto modo di fuggire, bloccata come loro dall’imprevedibile sopraggiungere delle Ombre.

Asiya.

Ed eccolo. Lo spezzarsi dell’attimo, della concentrazione, della ragione. La lieve esitazione che trasforma un piano perfetto -seppur suicida- in un disastro epocale.

La Nihaar’ì ebbe appena il tempo di voltare lo sguardo e vedere in tutta la sua potenza l’Ombra scagliarsi su di lei e su Zaphil, un balzo grande come una vita intera a ghermire entrambi nella morte più che certa.

 

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La voce è limpida e chiara. E’ suadente seppur affatto sforzata. Ed è confortevole, pregna di quella stessa familiarità che si riconosce alle cose proprie, alle cose di casa e alle persone che da sempre riempiono la nostra vita.

E’ la voce che ella aspettava. Realizza dopo un attimo. E finalmente sentirla la riempie di una gioia tanto primitiva da risultarle intollerabile.

Per un secondo avverte il desiderio di piangere. Poi ci ripensa. E allora sorride come una sciocca, certa che così facendo ogni cosa sarà forse più semplice, più sopportabile...anche la gioia.

“Tu non hai idea di cosa sia stato” esala. Si interrompe. Le parole sono sassi pesanti che dal suo stomaco gorgogliano senza sosta pretendono di uscire. A lungo lì rimaste eppure restie a vedere ora nuovamente la luce del sole. Ma ella vuole parlare. Sa che deve parlare.

Glielo deve.

“Non hai idea di cosa sia stato...senza di te” esala strozzandosi un poco sul finale “Solo adesso..solo ora...”

Eccoli finalmente...i colori. Prima scomparsi. Ora ritrovati.

Si interrompe, un brivido di freddo a solcarle la schiena giungendo fino alla nuca. Eppure sente il caldo, là fuori. E dunque come mai dentro ella prova così tanto freddo?

Ma la voce altra le risponde sottile, benevola, consapevole.

“Non esistono colori per chi non guarda” esala leggera “Non esiste gioia, per chi non desidera provarla”

 

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Fu lo sguardo di Zaphil ad accogliere il suo risveglio.

Lui, una smorfia di puro panico a trasfigurarne viso ed abbraccio insieme. Lui ed il suo calore avvertibile nonostante le vesti bagnate di Tinta e sudore.

Lui, che malgrado il divieto imperituro di toccare la Nihaar’ì ora la stringeva a sé come se ella potesse spezzarsi da un momento all’altro. E che nel vederla aprire gli occhi non potè proprio trattenersi dal sorridere gentilmente di sollievo e tristezza per poi stringerla appena di più.

Era troppo intontita per dirgli che così facendo sarebbe stato lui e non la stanchezza a spezzarla definitivamente.

Sospirò, sbattendo piano le palpebre.

E solo allora si accorse di un particolare affatto trascurabile di quel quadretto consolatorio. Non aveva alcuna fascia sul viso.

Istintivamente fece per portarsi una mano al volto ma il Naphil scosse la testa.

“Non preoccuparti” la sua voce le arrivò lontana e ovattata, quasi che egli le stesse parlando a miglia di distanza “Ho dato ordine che nessuno si avvicini”.

Sollevata, la mano ricadde nuovamente nel vuoto.

“Sto...” lui annuì “Si, stai bene..” una esitazione “Credo”

Credo?

Socchiuse e riaprì le palpebre una volta.

“Cosa vuol dire credo?” sussurrò piano. Lui parve rifletterci qualche secondo “Dopo ciò che hai fatto dubito potrei accertarmi delle tue condizioni fisiche senza sbagliare”

Voleva semplicemente essere rassicurata, ma la risposta di Zaphil non ebbe altro effetto, ovviamente, che metterla ancora di più in agitazione.

“Cosa” esitò “Cosa vuol dire....dopo ciò che hai” “Sta tranquilla” la interruppe rapido Zaphil accorgendosi del suo errore. Le sorrise ancora  “Ora la cosa più importante è che tu ti riposi e riprenda le forze.”

Ma con lo snebbiarsi della mente, fu con un sussulto che la Nihaar’ì si irrigidì ancor più nelle sue braccia.

“Ma le Ombre, l’attacco...” esalò con il cuore in gola. “Shhhh” la blandì lui calmo “E’ tutto a posto. Siamo al sicuro”

Al sicuro?

Per un attimo la Nihaar’ì meditò sul trovarsi ancora in uno dei suoi sogni da Veggente. Uno di quelli in cui le cose che la turbano vanno a posto ed ella può semplicemente ridere delle situazioni attuali apparenemente senza soluzione. Si accigliò.

Stava Sognando?

Si morse un labbro, scoccando una nuova occhiata interrogativa al Naphil. No. Non stava sognando.

Zaphil. Guardami” lo incalzò “Dove sono le Ombre?”

Se non fosse stata così vicina, avrebbe faticato a notare il lieve sorriso che in quella attraversò lo sguardo di lui. “Sono scomparse” una pausa “Semplicemente scomparse” aggiunse ora con una nota di divertimento.

“Scomparse” ripetè lei, quasi che sillabando la parola questa avesse potuto rivelare un significato diverso da quello che lei, certamente sbagliando, aveva inteso. Ma lui annuì piano “Scomparse” “Volatilizzate” “Volatilizzate” “Svanite” “Odayn” la redarguì lui facendola sussultare “Non ci sono più”

Ancora una pausa, lo sguardo di lei che passava dall’incredulo al diffidente per poi arenarsi sullo scettico.

“E come avrebbero fatto?” Dal sorriso che improvvisamente si librò sulle labbra di lui, la parte più bella stava probabilmente qui.

“Sinceramente...non ne ho idea” fu la netta risposta.

Inutile dire frasi come “in che senso?” o “come?”. Per qualche ancestrale ragione la Nihaar’ì aveva inteso che quello era l’unico momento nella vita il cui il Naphil le stava dicendo la verità. O almeno...qualcosa che suonasse come tale.

Ma la fame di dettagli, spiegazioni e altro ancora doveva spettare. Il pensiero che ora più premeva nella mente della Nihaar’ì era un altro.

“Dov’è Asiya?”

Era certa di averla vista poc’anzi nella sala. Ma ora il fatto che non ci fosse la stava riempiendo di un vago, per quanto immotivato, senso di apprensione.

Notare l’espressione accigliata del Naphil non contribuì a migliorare la cosa. “Asiya?” chiese questi  con voce incerta per la prima volta alzando lo sguardo da lei per farlo vagare nella stanza.

La Nihaar’ì non attese il vederlo riabbassarsi privo di una qualche risposta positiva per tentare di rimettersi in piedi. Ma la presa dell’altro fu inamovibile.

“Non la vedo” esalò dopo un attimo “Ma sono certo che a breve la troveremo. A memoria le avevo detto di rimanere nelle retrovie durante lo svolgimento della cerimonia.” le scoccò un’occhiata dura arrestando ancora una volta i suoi tentativi di divincolarsi “Nelle retrovie con gli Araldi. Sorvegliata.” alzò ancora un attimo lo sguardo per poi farlo ricadere su di lei “Sarà stata portata in qualche luogo sicuro nell’esatto momento in cui è stato dato l’allarme”

Ma la Nihaar’ì sapeva che non era così. Lei aveva visto Asiya ad un passo da lei prima di perdere conoscenza. Aveva visto i suoi occhi sgranati dalla paura, privi di fascia per la fretta di togliersi di dosso le vesti ingombranti -eguali alle sue. Aveva visto il pallore della sua pelle, le dita volare al viso un attimo prima che l’Ombra si avventasse su di loro.

No.

Avvertì, pur non vedendole, le lacrime colmarle gli occhi mentre la paura la sommergeva come mai prima d’allora.

 

 

Asiya non venne trovata. Quando i guaritori ebbero finito di distinguere i feriti dai morti, i contusi dai semplici impauriti ella non venne annoverata nel conteggio totale.

Sparita, fu la constatazione finale, come le Ombre che per alcun motivo erano riuscite a dilagare entro Hevnan k’an, la città delle Tinte.

 

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Capitolo 5
*** L'ordine dei Tintori ***


 

Ciao a tutti J

Eccomi ancora qui con un nuovo Capitolo. Qui la voce narrante passa a Zaphil, il protettore della Nihaar’ì. E’ un esperimento, spero che possa piacervi!

 

A presto

Elendil

 

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“Siamo stati molto fortunati che il sommo Gunar Arvesti abbia accettato di incontrarci. E’ cosa assai rara che egli abbia contatti con chiunque non appartenga all’ordine dei Tintori” “Immagino a causa della Purezza che egli deve conservare integra tanto nel corpo quanto nella mente” fece una voce al suo fianco. Il giovane Kasir annuì una volta.

“Certamente” confermò “Ma anche per altre ragioni. Sembra infatti che a differenza dei propri predecessori, questo Gunar Arvesti possieda un’innaturale passione per il lavoro”

Tutt’attorno alla portantina si accalcavano le genti di Hevnan k’ar, una marea indecifrabile di visi e copricapi all’unisono immersi in un incessante e teso mormorio.

Chinandosi appena in avanti, il giovane richiamò l’attenzione di uno dei trasportatori “Allontaniamoci dal Mercato” ordinò col ruvido accento dei mercanti “C’è troppa folla per poter proseguire a passo spedito”.

Occhi celati da fasce e bende multicolori di tanto in tanto si sollevavano dal mucchio per concedere loro un’occhiata incuriosita, forse incerti se reputare o meno interessante la vista di due uomini, uno giovane e l’altro affatto, rigidi sulle sedute di una portantina quasi che sotto i loro paffuti cuscini vi fossero state pietre e sassi piuttosto che piume e batuffoli di morbido cotone.

Eppure dall’espressione della Nihaar’ì si sarebbe detto che quegli affari sballonzolanti non fossero altro che paradiso per piedi e natiche....

In molti tuttavia conoscevano Kasir, il primogenito di Mathias, motivo per cui non fu cosa rara vedere questo o quell’ambulante chinarsi al loro passaggio o ancora abbozzare un saluto formale. Altri invece lo chiamarono direttamente per nome sventolando merci e mercanzie dalle più fantasiose origini.

Fu all’ennesimo venditore di scarabei fiutatesori lanciatosi in un rocambolesco inseguimento del loro mezzo - Un autentico affare, parola mia! Sembrano piccoli, ma non ho mai visto bestiole più energiche, provare per credere! -  che Zaphil non potè proprio risparmiarsi un sorriso beffardo.

“Evidentemente  la passione per il lavoro non è cosa atipica qui” dovette quasi urlare per farsi sentire dall’altro “Ovunque si guardi non vedo che gente indaffarata, intenta nei propri affari o in cerca di altri”.

Al suo fianco, il giovane Kasir esibì un sorriso tutto denti “E’ così che la gente di Hevnan k’ar affronta le proprie paure. Da che le Ombre sono entrate nel Tempio non vi è stato un solo giorno di riposo fra commercianti, bottegai, compratori e chiunque qui avesse affari da sbrigare.” Zaphil esalò una mezza risata lapidaria “Si affrettano ad abbandonare la nave che affonda?” .

L’altro scosse la testa con un ghignetto “Si affrettano a renderla ancora più forte e solida” la nota strafottente della sua voce piacque all’altro  “Non è cosa delle genti di qui arrendersi dinnanzi alle avversità.” una pausa “E poi tutti sanno che lavoro e fatica allontanano le paure e le tristezze meglio di qualunque medicina o anestetico”.

Anche se di poco, l’espressione di Zaphil non potè che irrigidirsi. Voltò istantaneamente il capo dall’altra parte, osservando senza in realtà vederlo un gruppo di giovani che si contendevano un grosso serpente irto fra di loro e pronto ad attaccare. L’animale aveva manto color sabbia e sfumature rosso vivo.

Avvertì gli occhi di Kasir indugiare su lui qualche istante prima che anch’egli si voltasse dall’altra parte. Sospirò.     

Dunque le Volpi erano a conoscenza del motivo per cui la Nihaar’ì ed il suo corteo si stavano trattenendo ad Hevnan k’ar da alcune settimane.  

“Pensate che anche il nostro Gunar Arvesti sia stato conquistato dalla febbricitante atmosfera dilagante in città?” chiese dopo un attimo modulando la voce affinché simulasse un tono calmo e rilassato. Solo un po’ goliardico.

Beh, c’era davvero poco di cui stupirsi. In quell’amabile covo di serpi non esisteva muro, servo o sguattero sulla cui testa non spiccassero grandi e pelose orecchie da “Volpe” diligentemente utilizzate per udire e riferire ogni sillaba che venisse malauguratamente proferita.

Il giovane Kasir ricambiò il sorriso con uno decisamente più accattivamente “Spero vivamente di no. Voci riferiscono che egli sia il primo a giungere e l’ultimo ad andarsene quando si tratta di seguire le fasi più delicate della tintura”

Voci. Zaphil annuì una volta. Ovviamente.

“Ma non temete. Per voi farà di certo una pausa. Non capita tutti i giorni di ricevere la visita del Naphil più potente di Harryan” una lieve esitazione “Sebbene per un’occasione così nefasta”.

Ancora una volta, Zaphil non potè proprio trattenersi dal sorridere bonariamente al suo giovane interlocutore.

Kasir, figlio di Mathias, il Signore delle Miniere.

A dir poco brillante, in quella mattinata soleggiata. Certamente destinato ad una durevole quanto promettente avvenenza, un domani. Un giovanotto non del tutto disonesto eppure già troppo desideroso di seguire le orme del padre per potersi conservare in tale stato ancora a lungo, fra qualche anno.

Ma in sostanza, nulla più che un cucciolo di volpe, ora.

Sospirò piano, quietamente, con la medesima flemmatica indolenza che ci si riservi nell’osservare un’opera astratta, bella eppure di difficile comprensione.

Curioso che il paparino e gli altri con lui si fossero arrischiati ad usarlo a discapito di individui più esperti per tenere a bada lui, lo scagnozzo della Veggente. Che avessero sperato in un cuore tenero? Un mastino ben addestrato e tuttavia incapace di affondare i denti nei primi, goffi, agguati, di quel volpacchiotto tutto sorrisi e moine?

Lentamente, Zaphil socchiuse gli occhi, uno scorcio di luce che fendeva le sete della portantina inondandolo per un attimo di un caldo bagliore ambrato.

Probabile. Anzi. Più che possibile.   

”Ombre e morte non sono novità per coloro che non si affrettano a dimenticarle” riprese dunque con voce ora più grave, una mano che andava a sollevare i veli posti a protezione della seduta per meglio osservare il paesaggio circostante “Rinnega una di queste, e con esse rinnegherai anche l’uomo che sei divenuto affrontandole”

Volse lo sguardo in direzione di Kasir, trovandolo ora nuovamente concentrato su di lui. Aveva labbra appena carnose, accattivanti - immaginò - sul suo viso spigoloso.

Non è dell’oblio che parlavo” obiettò questi dopo un istante “Ma della forza di volontà. Della speranza”.

Zaphil si accigliò “Ma cos’è la forza di volontà se non l’accanirsi contro l’ineluttabile profezia del destino?” scosse la testa con noncuranza, il tremolio della portantina ad annunciare che il loro viaggio fosse appena giunto al termine. L’altro tuttavia non si mosse, così il Naphil gli tese una mano in un invito benevolo.

“Perdonate la mia franchezza” si scusò “Non era mia intenzione recarvi offesa con parole crudeli, ma sfortunatamente per voi la signora Età ha spesso la cattiva abitudine di sottrarre cordialità e donare in egual misura cupi pensieri e fosche parole ai suoi protetti.” ammiccò “E molti dicono che io sia in assoluto uno dei suoi preferiti”

Nel mezzo sorriso che ne seguì - titubante come il Naphil sperava esattamente fosse - l’altro afferrò la sua presa per poi abbozzare un mezzo inchino col capo.

Un piccolo trionfo, nulla più. Dovette suo malgrado ammettere. Giacché piccoli trucchetti di oratoria a danno di un ragazzino non potevano valere quale bottino di una guerra che i suoi antagonisti si stavano ben guardando dal disputare contro di lui.

Tuttavia era fiducioso.

A breve il giovane erede avrebbe comunque trovato la forza di sorridergli più ampiamente, scrollare le spalle e con una battuta sagace fare in modo di dimenticare quel vago senso di imbarazzo che attanagli l’animo di chi si ritrovi inaspettatamente manchevole in una situazione ben più ardua delle previsioni.

Ma con una mano a poggiarsi improvvisamente sulla sua spalla, il ragazzo lo stupì.

“Siete un uomo molto astuto, ve ne do atto” lo apostrofò con piglio leggero “Eppure se fossi in voi mi guarderei bene dal confidare troppo nelle vostre capacità. Assieme alla cordialità, potreste un giorno ritrovarvi a scoprire che la Signora Età vi ha sottratto ben più di quanto pensiate in questi lunghi anni di Veglia” tenue, il serrarsi delle sue dita contro la nera stoffa “E se non voi, quanto sarebbe disposta a rischiare Lei per la vostra supponenza?” poi improvvisamente eccolo mutare nuovamente espressione mentre i suoi occhi si tingevano del profilo di due figure in avvicinamento. Si chinò una volta, lungamente, lasciando solo allora che il loro contatto si spezzasse.

“Spero con tutto il cuore che la Somma Nihaar’ì si possa riprendere in fretta. Uhe’yel zysat”.

Guardarlo allontanarsi a passi leggeri nella polvere fu un lusso che il Naphil potè concedersi per pochi, fugaci, secondi prima che due donne di umili vesti ed ancor più semplici tratti invadessero il suo campo visivo.

Rasate e vestite di nulla più che rossi tessuti aderenti a busto e gambe, esse mimarono un sincrono inchino prima di alzare le braccia e toccare in sequenza occhi, bocca e petto.

Naphil notò subito che spalle, piedi e polpacci di entrambe erano di un candore quasi latteo, innaturale.

Vor yersyel, Sommo Zaphil” lo apostrofò dopo un attimo la più minuta delle due. Aveva voce grigia e roca come di di chi non avesse parlato da lungo tempo “E’ un onore ricevere la vostra visita” Il Naphil ebbe cura di chinare appena il capo replicando la formalità dimostrata dalle due “Vor yersyel. Mi è stato detto che il vostro Gunar Arvesti avrebbe acconsentito a ricevermi” replicò in un sorriso.

Nuovo inchino.

“Così è” fu la semplice replica  “Il Maestro Tintore è ansioso di incontrarvi”.

 

_____________________________________

 

 

Scesero a lungo per gli ampi canali che portavano alle sale di filatura e tintura dei tessuti.

Le donne davanti ed il Naphil subito dietro, tutti e tre avvolti dalla scura penombra di vie in lenta eppure costante discesa nel sottosuolo, torce e lumi a rischiarare il pallore di stanze e corridoi candidi come neve.

Pur simile a quella del Tempio della Veggente, questa struttura appariva assai meno elegante e ricercata della prima, un andamento spiraleggiante ad ispirare l’impressione di trovarsi in una gigantesca vite arrotata all’interno del sottosuolo.

Frescura e silenzio divennero presto dei benvenuti compagni di viaggio fino al momento in cui in lontananza presero a risuonare sordi e costanti rumori meccanici, dapprima tenui come cicaleggio indefinito, ma via via sempre più potenti fino a divenire insopportabili nell’istante in cui tutti insieme i tre varcarono le soglie di una stanza immensa, completamente gremita di Telai in movimento.  

Il filato, completamente rosso, colmava di rubini drappeggi aria e pavimento, spezzato solo dall’ordinato schieramento di Telai e sagome umane al loro seguito, due o tre per macchina.

La donna più alta si volse verso di lui in un nuovo silente inchino “Aspettate qui” esalò con la medesima voce gracchiante dell’altra  -che le costasse fatica o dolore parlare? “Presto il Maestro giungerà ad accogliervi” e detto questo entrambe lo lasciarono solo, libero finalmente di guardarsi intorno senza il riserbo che la sua condizione di ospite gli imponeva.

Fu allora che notò l’acqua.

Raccolta in piccoli e grandi bacini. Condensata a pareti e canali di raccolta artificiali. Convogliata in piccoli rigagnoli scavati direttamente nel pavimento. Limpida. Scrosciante.

Abbondante.

Un miracoloso segreto che il Naphil ricordò di aver scoperto per puro caso solo qualche anno prima quando, immerso in infruttuose ricerche a proposito di Himnakan e delle sue origini, aveva notato una frase di poco conto a margine di un librone intitolato “Tempere e saline, il segreto dell’arte melodica”:   

“Puro di intenti e manifestazioni, il Rosso Tessuto trae la propria vita dalle medesime mani che tessono e danno origine alla sua esistenza. Esso è il cuore, i pensieri e le parole dell’atto stesso del Filare. Ed è per questo che un solo pensiero impuro, una sola macchia basterebbe per deturparne per sempre la finalità ultima. Così i Tessitori vivono in un regno di pace e silenzio allontanando ogni attimo macchia e sudiciume da se stessi, per l’eternità”.

“A vederla, non si direbbe che Himnakan sia una terra di siccità e privazioni”

La voce del Gunar Arvasti lo sorprese mentre affondava una mano in un’ampia bacinella colma fino all’orlo. Rabbrividì all’unisono per la freschezza del liquido e per il tono usato: freddo e misurato come la punta di uno scalpello ad inchiodarsi su pallido marmo. Alzò gli occhi e fu con una punta di sorpresa che si ritrovò dinnanzi ad una donna sottile e asciutta, una corporatura nervosa ad intravedersi appena fra ampi drappi color sangue.

“A vederla, chiunque faticherebbe perfino ad indovinare di trovarsi su Himnakan” replicò dopo un attimo il Naphil facendo per ritrarre la mano. Tuttavia lei lo fermò con un’occhiata.

Giacchè volete onorare le nostre antiche tradizioni”  

Una pausa. Fatelo fino in fondo.

“Lavate mani e piedi”

Una pausa. Poichè così come siete insudiciate perfino l’aria che vi circonda.

Pur non udendole, fu come se quelle parole mute fossero per davvero uscite dalle labbra della Gunar Arvasti. Zaphil le percepì in quei silenzi modulati, pensosi, propri di chi sia abituato ad usare voce e parole solo quando fosse strettamente necessario.

Quando ebbe portato a termine il “rituale”, il Maestro delle Tinte lo invitò a seguirlo, i piedi nudi a seguire l’unico tracciato percorribile in quella ragnatela di filati purpurei. A poca distanza, Zaphil si prese qualche istante per scrutare la sua nuca glabra, le spalle tese e pallide ed infine le braccia affusolate, candide fino all’avambraccio oltre il quale l’uomo intravide lo snodarsi di profonde e diffuse cicatrici.

Si accigliò.

Parevano quasi corolle di fiori sbocciati sottopelle e lì rimasti imprigionati come in attesa.

Schivò abbassandosi una serie di morbidi filamenti sospesi all’altezza della testa.

Fiori carnosi, appena in rilievo sullo spessore della muscolatura quasi che il fuoco vi avesse poggiato sopra le proprie labbra incandescenti per disegnarli.

Bellissimi. Dovette suo malgrado ammettere per quanto fosse orribile credere che una simile deformità potesse dare pregio ad un corpo di per avulso di qualunque imperfezione.  

Eppure...

Scostò lo sguardo nell’esatto istante in cui la donna si voltava per incontrare il suo ed indicare con un movimento leggero le canaline d’acqua che ovunque in quella stanza percorrevano il pavimento.

“Osservate”

Ad intervalli regolari, tutte le figure radunate attorno ai Telai si allontanavano dal proprio lavoro per intingere mani e piedi nell’acqua. Alcune arrivavano a detergersi anche viso e collo. Poi, così ripulite, tornavano al lavoro come se nulla fosse.

“Lavano via la Tinta dal corpo?” ipotizzò Zaphil voltandosi nuovamente verso la Gunar Arvasti. Lei abbozzò un sorriso mesto, invitandolo al contempo a procedere.

“Anche” gli concesse poi dopo un attimo “Ma non è sull’atto in sé che dovreste concentrarvi”

Una pausa. Quanto più sul suo senso.

“Credete che l’acqua sia fonte di purezza?” ipotizzò l’altro facendosi più vicino.

Senza più il costante cicaleggio dei Telai, il fruscio delle vesti della donna era il solo rumore a frapporsi fra loro.

Lei annuì ancora.

“E che il corpo non lo sia affatto” continuò con un sospiro mentre entrambi si inoltravano ora in una zona meno illuminata delle altre, dominata se non dalla vita quanto più dai canali d’acqua che ovunque confluivano come in una grande, foce artificiale.

Suo malgrado, Zaphil rabbrividì.

“Non è quindi il corpo che difendete dalla Tinta...” cominciò quindi col dire avvertendo un umido gelo sfiorargli improvvisamente il viso ”Quanto più la Tinta medesima dagli influssi del Corpo..” Il rosso delle torce si chiuse allora su di loro in uno sciabordio ovattato.

“Silenzio, ora”

La voce di lei lo fece sobbalzare.

Ed infine tutti e due sbucarono in una sala più ampia, il soffitto a volta a riflettere riflessi cristallini d’acqua lì raccolta in un bacino ampio e tranquillo. Piccole torce illuminavano tenuamente l’assenza di ogni arredo o abbellimento dando ancora più suggestione a quello specchio purpureo.

Al suo fianco, la Gunar Arvasti volse lo sguardo verso di lui scrutando per qualche attimo il suo profilo ora teso di aspettativa. Poi, lentamente, abbassò il capo.

“Pochi al mondo nascono con la Vocazione di essere Tintori” la sua voce era poco più che un sussurro “Quasi nessuno riesce per davvero a diventarlo venendo meno ai desideri del corpo e dello spirito, alle aspirazioni dei sensi e delle sensazioni” sospirò “Nessuno, infine, riesce ad esserlo senza provare in vita almeno un attimo di debolezza. Un istante di esitazione. Noi qui lo chiamiamo Shunj Kravy - Il sussurro del fuocosbattè le palpebre una volta.

Una pausa. E non finga di non averlo notato, sommo Zaphil.  

“Chiamatelo pure Risveglio” esalò dopo un attimo “Giacchè per noi cui è vietato il Sogno esso rappresenta in egual misura un’eventualità di rovina e degrado” la benda sottile lasciava appena intravedere i suoi scuri occhi ossidiana “Così, nella speranza di scongiurare il profetizzarsi dello Shunj Kravy è qui che i Tintori vengono per cedere alle acque le proprie paure ed incertezze, i propri turbamenti e desideri più oscuri” una pausa “Ed è qui che noi abbandoniamo infine i nostri morti così che il loro Sognare non divenga mai il nostro futuro Risveglio” indicò con la mano le acque cristalline nelle quali -solo ora- Zaphil notò giacere degli scuri involucri di tessuto rosso sangue.

Istintivamente fece come un passo indietro. Al suo fianco, tuttavia, la Gunar Arvasti si inginocchiò alla riva compiendo un gesto di saluto rituale.

Alzò entrambe le braccia a coppa per poi passarle chiuse sul viso, sul collo ed infine immergerle nell’acqua fino al gomito.

Henvyeraz

Riposo senza sogni.

“Qui troverete le vostre risposte, Sommo Zaphil” esalò alzando dopo un attimo lo sguardo verso di lui “Giacché tutti coloro che hanno veduto qualcosa in quella terribile sera hanno scelto di addormentarsi per sempre in queste acque piuttosto che vivere nel peccato di ricordare”

Una pausa.

“Non ho potuto fermarli, giacché la Purezza è tutto per un Tintore. Senza di essa, la Rossa Tela non sarà altro che uno straccio al vento, imbevuto nel peccato come ogni altro fazzoletto di Himnakan

 

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La voce, quella vera, tornò solo molto dopo.

Solo lontano dal freddo. Lontano dall’umido. Lontano da quelle acque immote eppure in costante, instancabile, sciabordio.

Solo quando, con la medesima rapidità di chi abbandoni una casa in fiamme, Zaphil fu in grado di uscire da quella stanza e con essa fuggire lo sguardo vitreo della Gunar Arvasti.

E da fuori riuscire allora a riprendere fiato.

E respirare. Respirare.

E suo malgrado chiedersi come fosse possibile che in tutta quell’aria non vi fosse affatto spazio per la Sua, la Sua Aria, quella destinata ad entrare nei polmoni e lì soffermarsi a lungo, docilmente, consentendogli di sentirsi via via meno male, meno e terribilmente in trappola in quella buia catacomba priva di finestre e vie d’uscita.

Prima di quell’istante, ricordò di aver avuto la forza di dire ben poco.

“Mi state dicendo che tutti i testimoni dell’accaduto si sono...suicidati?” sillabe immobili.

“Le sto dicendo che tutti i Tintori hanno già dimenticato ciò che è successo”

Una pausa. E chi non l’ha fatto ha da molto posto fine alle sue sofferenze.

A stento il Naphil si era trattenuto dall’imprecare “E voi non li avete fermati?”

La donna non aveva nemmeno avuto la decenza di alzare lo sguardo “Chi sono io per fermare la Volontà altrui? Perchè dovrei condannare coloro che amo ad una vita di sofferenze e turbamenti?”

“Perché li amate”

Lei aveva allora sorriso piano, docilmente, come se dinnanzi ai suoi occhi si fosse ora trovato un bambino e non un uomo fatto e formato.

Una pausa. Dunque meglio una vita di sofferenze che la morte.

“Mi deludete, Zaphi. lCredete davvero che potendo scegliere, questi Tintori avrebbero cambiato la loro decisione? Per un Tintore non vi è vita al di fuori della Purezza. Senza di essa è come vivere una finzione” esalò.

Una pausa. Una lunga, terribile, finzione.

“Avrebbero potuto dimenticare”

“Forse non desideravano farlo”

“Di certo ora non lo sapremo mai, dico bene?”

Lei era rimasta a lungo in silenzio, meditabonda eppure combattiva nella propria postura rigida, compassata, come una fiera in attesa del final tenzone per sgominare le sorti del duello che l’aveva lì intrappolata.

Eppure non fu un balzo che ella osò in ultima battuta. Né una zampata. E nemmeno un morso. Semplicemente la Gunar Arvasti si alzò e con una nota amara aprì un braccio in direzione del bacino d’acqua.
“Per i Morti non esiste alcuna voce se non il Silenzio. Per voi assai troppo debole per avere importanza, immagino, ma per Noi, noi Tintori, la sola ed unica Parola che valga la pena udire” nella penombra cangiante, la sua pelle pareva ora costellata di simboli luminescenti.

“Cercate pure dove volete. L’Ordine dei Tintori vi sosterrà ed asseconderà in tutto. Fate le vostre domande ed ascoltate le vostre fantasiose risposte ma ricordate: la Memoria, così come la Coscienza, è un tesoro assai prezioso ed assai volubile per coloro che ne conoscono il valore”

Probabilmente era stato allora che i suoi pensieri da irosi si erano trasformati in minacciosi. Ed assai poco amichevoli. E fuori dalle labbra essi erano parsi suonare addirittura più gravi di come risultassero viceversa nella mente. Molti avrebbero certamente insinuato che minacciare una Gunar Arvasti non fosse stata una mossa assai saggia per uno nella sua posizione.

Eppure cosa importava? Potevano le cose andare assai peggio di come stavano già andando?

Imprecò. E imprecò una seconda volta.

Tuttavia non riusciva a non pensare a quell’ultimo sguardo di lei, della Gunar Arvasti, nebuloso tralucere di fiammelle su una pelle deturpata di cicatrici. E quella sua frase, insinuosa come solo i pensieri meglio ponderati potevano essere:

“Chi sono io per fermare la Volontà altrui? Perchè dovrei condannare coloro che amo ad una vita di sofferenze e turbamenti?”

Già, chi era lei? Nessuno. Non era nessuno. E lui? Lui chi era?

Socchiuse appena le palpebre, l’abbacinante profilo di Hevnan k’ar che prendeva nuovamente forma dinnanzi ai suoi occhi allucinati. Trasse un profondo respiro, grato di sentire nuovamente sulla lingua l’arido sentore di sabbia e sale.

Niente, a confronto delle forze con le quali si illudeva di poter giocare. Nulla, se paragonato alla grandezza dì ciò che invano tentava di controllare.

“Quali sono gli ordini, Sommo Zaphil?” al suo fianco, Dzerrk’e si mosse a disagio da un piede all’altro, evidentemente allarmato dalla tensione che ora crepitava attorno a lui.

Eppure cosa poteva farci?

Con un gesto automatico Zaphil abbassò la benda sugli occhi prima di rivolgersi al suo Guardiano.

Gli ordini...

Schioccò la lingua sul palato.

“Perquisite l’intero edificio” ordinò. L’altro parve tuttavia accigliarsi “I Tintori non lo permetteranno, Sommo Zaphil. Questo è un luogo sacro”. Questa volta fu il turno di Zaphil di accigliarsi “Che ci maledicano tutti, allora” replicò lapidario “Non esiste alcuna autorità che si possa opporre a quella della Veggente e ora” con un movimento stizzito si strinse nel mantello, una portantina che già si intravedeva risalire la marea di gente affollatasi fra le vie della città “Io rappresento quell’autorità”.

Sospirò, la vaga sensazione di sollievo provata poc’anzi che svaniva in quell’esatto istante con desolante rapidità “C’è dell’altro?” aggiunse poco dopo.

L’altro si mosse nuovamente a disagio “Le Volpi attendono ancora risposta circa la presenza vostra e della Nihaar’ì al banchetto di questa sera”.

Il Naphil avvertì la propria mascella irrigidirsi istantaneamente.  

“Avete inviato comunicazione circa il precario stato di salute della Veggente?” digrignò impassibile.

Ancora ben lungi dall’arrivare, proprio allora la portantina parve arrestarsi del tutto nel mezzo della via, una mare di teste a bloccarla nel viavai generale.

Il Naphil sospirò.

“Certamente” fece l’altro “Ma trattandosi di un Banchetto proprio in onore della Nihaar’ì, tutti sperano che ella possa trovare le forze per fare anche solo una breve comparsa...” “Una breve comparsa?

Dzerrk’e ammutolì istantaneamente dinnanzi allo sguardo dell’altro.

Quanta impudenza. Zaphil schioccò la lingua sul palato. Tanta spavalderia non sarebbe di certo stata tollerata in altri tempi e circostanze. Mai. Ma ora le Volpi osavano addirittura richiedere. Osavano perfino insinuare.

Fu un immenso sollievo notare la traballante sagoma della portantina sbloccarsi finalmente dalla propria immobile degenza e riprendere il suo faticoso avvicinamento.

Zaphil sospirò.

“Riferite alle Volpi che la Nihaar’ì ama abbastanza i suoi fedeli da prendere in considerazione il loro gentile invito”.

 

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Capitolo 6
*** Hayeli'vo ***


Ciao a tutti!

Perdonate il ritardo, in questo mese si sono accavallati un po' di impegni tali da rendermi un po' difficile scrivere con continuità. Spero comunque che questo capitolo possa piacervi!

Ringrazio ancora voi e ringrazio il mio instancabile “correttore di bozze” sempre pronto al sacrificio per tradurre righe incomprensibili in frasi italiane.

Baci

Elendil


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Lei non andrà”

Fermo e deciso, il passo del Guaritore Eke’hel era cosa assai imperiosa da ammirare. La sua voce, egualmente piccata, armoniosa all’orecchio e al gusto. Ed i suoi occhi, arguti e meditabondi, assai intriganti e raffinati.

Eppure Zaphil continuava a domandarsi cosa ancora lo trattenesse dal prendere più volte a calci quel pomposo sedere da studioso così da decretare, finalmente, che suono avrebbe fatto un pallone gonfiato come quello a contatto con il suo piede.

Forse per quei modi affettati, decisamente più consoni ad alti salotti che a sudici ricoveri di malati. O forse per quella sua strana parlantina sciolta e moderata, assai più prodiga di consigli futili più che di sensate diagnosi. O ancora, probabilmente per la sapiente vena di onniscenza di cui egli faceva ampiante uso quale scorta armata di ogni movenza e atteggiamento.

Sospirò.

Immagino capirete meglio di me, Guaritore” si interruppe, piccato dallo sguardo stizzito dell’altro “Che salute e condizioni fisiche siano disagi di assai poco conto se paragonati a questioni politiche di una certa rilevanza”

In uno svolazzo, Eke’hel cambiò improvvisamente direzione inoltrandosi a passo di marcia in un corridoio dal soffitto completamente ricoperto di legno istoriato. Nero come le vesti, Zaphil seguitò a breve distanza.

Ed infatti io capisco” convenne il Guaritore senza voltarsi a guardarlo “Tuttavia dubito che voi facciate altrettanto”

Per poco Zaphil non inciampò nelle sue medesime imprecazioni.

Non credo di doverle ricordare con chi state parlando...” cominciò col dire “Così come non dubito che sia mio dovere informarla che è del bene della Nihaar’ì di cui stiamo disquisendo ora” l’ennesima svolta del suo interlocutore costrinse il Naphil ad un altrettanto repentino inseguimento verso un nuovo locale ancor più soleggiato e arioso.

Vedete di non tirare troppo la corda, Eke’hel” fu la dura replica “Fossi in voi non confiderei troppo nella conoscenza decennale che ci accomuna per reputarvi abbastanza indispensabile da non poter essere sostituito”.

Finalmente, pur impercettibilmente, il passo del Guaritore prese a rallentante consentendo all’altro di affiancarlo.

Che cos’ha?” la voce di Zaphil suonò strana fra li pallidi colonnati del deambulatorio.

L’altro non voltò nemmeno il capo “Vi prego” sputò quasi a terra “Non insultate la vostra intelligenza per vezzeggiare la mia” Tuttavia dopo un attimo sospirò incrociando le braccia al petto.

Sappiamo entrambi che la Nihaar’ì non ha alcun genere di malanno fisico”.

Suo malgrado, Zaphil si ritrovò ad annuire“ Lei però continua a dire di essere malata” abbozzò con una punta di stizza. Come uno specchio, l’altro replicò il suo movimento “Lei non lo farebbe?”.

Sospirò, passando accanto ad uno stuolo di serve intente  a ramazzare terra da polvere e sporco.

Certo, non è la prima volta che la Nihaar’ì perde una persona amata.” si affrettò ad aggiungere il guaritore con un mezzo sorriso saccente “Ma è la prima che perde Asiya. Possiamo biasimarla per qualche capriccio?”.

No. Certo che no. Dovette ammettere il Naphil. Ma la Nihaar’ì non poteva essere Nihaar’ì solo ogni tanto. Solo qualche volta.

Sarei uno sciocco se lo facessi” dovette ammettere “Ma non questa sera. Questa sera non posso proprio permetterle di fare come ella desidera. E’ di vitale importanza che sia presente al ballo in suo onore.”

Al suo fianco, Eke’hel fu scosso da una breve risata senza suono.

Caro Zaphil” la nota divertita del guaritore non sfuggì all’altro “La Nihaar’ì non è più una ragazzina ormai. Temo che non vi permetterà di trascinarla a quel ballo di peso, se è questo che intende” per quanto grave, il suo tono aveva sempre un che di acuto, sporgente come spigolo sempre pronto a conficcarsi nel fianco scoperto di ogni suo incauto interlocutore.

Zaphil gli rifilò un’occhiata amara.

Lo farà, invece” prese fiato “Quando Lei le parlerà delle Volpi e del loro irrefrenabile desiderio di vederla”. Lentamente, il passo del Guaritore si arrestò, le vesti di un intenso ocra che compievano un ultimo sfarfallio attorno alla sua persona mentre egli, piccato, si voltava a fronteggiare Zaphil.

Lei le parlerà?” esalò con una smorfia di sincero divertimento “Spero che con Lei voi non vi riferiate seriamente a quella povera fanciulla che da poche ore è giunta dalla Bianca Città con addosso null’altro che la propria pelle”. Per quanto velato, Zaphil avvertì chiaramente lo sguardo del Guaritore trapassarlo da parte a parte. A fatica si impose di non guardare altrove.

Sommo Zaphil” cominciò tuttavia questi a dire “Capisco quanto pericolosa sia la nostra situazione in questo istante: Volpi e Nobili non attenderanno per sempre che la Veggente si asciughi le lacrime e riprenda a fare il proprio dovere. Tuttavia io ero presente alla morte di Myriel”

Sentire il suo nome fu come essere percorsi da una scossa elettrica. Zaphil rabbrividì, certo che anche attraverso la stoffa il Guaritore potesse notare il rivelarsi del suo disagio.    

E nessuna di quelle passate sofferenze è paragonabile a quella che sta provando ora la Nihaar’ì”.

L’uomo lo scrutò a lungo, intensamente, il riserbo del Velo dimenticato in nome di un ben più necessario incrocio di sguardi.

Poi sospirò.

Ma questo non è abbastanza per fermarvi, ovviamente” concluse con un mezzo sospiro voltandosi e riprendendo lentamente a camminare.

Il Naphil seguitò, improvvisamente conscio del caldo opprimente attorno a loro.

Lo sarebbe se solo lei fosse stata una semplice fanciulla a cui è morta l’amica del cuore” riprese il Guaritore salutando con un cenno del capo un collega di passaggio “Ma poiché la realtà è molto diversa voi tenterete comunque, dico bene?”

Lei era la Nihaar’ì.

La sola ed unica. Insostituibile. Inalienabile.

Preparatele un infuso” replicò rigido il Naphil “Forte abbastanza da stordila ma insufficiente per addormentarla”.

Secco, l’altro sciocchò la lingua sul palato.

Zaphil” rosso vivo fiorì sulle sue guance perfettamente rasate “Vi ricordo che io sono un Guaritore, non un sudicio Suba’ ra -  Maestro dei Veleni. La mia arte dovrebbe provocare sollievo alla Somma Nihaar’ì, non trasformarla in una sorridente bambola di pezza alla mercè del popolino”.

C’era qualcosa di solenne nel modo in cui egli aveva parlato. Qualcosa che suo malgrado il Naphil intuì essere dignità e sì, perché no, fedeltà verso la fanciulla dinnanzi alla cui porta entrambi allora si fermarono con un fruscio contrito.

Intuì gli occhi dell’altro sorvolare un secondo le ante chiuse, colorate di un intenso color turchese tendente al verde. Appoggiò una mano sulla maniglia.

Poiché voi c’eravate” cominciò dunque a dire monocorde “Vi chiedo di fidami di me e fare come vi dico” una pausa “Anche io c’ero. E so cosa potrebbe accadere ora se come allora la Nihaar’ì dovesse mostrarsi debole e fragile dinnanzi ai suoi sudditi”.

Per qualche istante l’altro non disse nulla. Poi, lentamente, egli chinò il capo in un piccolo gesto d’inchino.

Che la saggezza sia con voi, dunque” esalò a mezza voce “E che possa guidare entrambi verso la retta via.”

Avvertì, pur non potendolo confermare, una nota di rimorso nel tono del Guaritore. Quasi che, senza volerlo, entrambi si fossero resi in quell’istante complici di un patto assai più crudele e vincolante del previsto.

Ora se volete scusarmi...c’è una giovane ragazza che attende le mie cure”.

Lo congedò con un semplice inchino, l’improvvisa consapevolezza di trovarsi ora al limitare della stanza della Nihaar’ì a tendere all’unisono tutti i suoi sensi di una nuova e rinnovata apprensione. Quasi che non con una porta, ma con un intero abisso egli ora dovesse misurarsi lasciandosi solo qualche attimo di teso, eppure vitale, raccoglimento.

Si umettò le labbra, e con esse cercò di formulare nella mente le parole che avrebbe detto entrando in quella stanza ampia e soleggiata, lasciata priva di tende e protezioni contro il sole per ordine specifico della Veggente.

Lasciate che entri la luce” aveva detto “Che almeno vi sia un po’ di chiarezza ad ogni mio risveglio”

Poiché nel sonno non ve ne sarà di certo...  

Eppure più ci pensava, più trovava davvero difficile escogitare qualcosa che sembrasse al contempo cortese e confortante, umano e solidale e non un semplice

Mia dolce, stavo giusto parlando del modo in cui venir meno alla tua alquanto disturbante incapacità di vincere il lutto. Pensavo di renderti tanto mansueta quanto presentabile per gli occhi di tutti i tuoi affezionati spasimanti. Entrambe le qualità potrebbero sortire un effetto positivo in tutti.”

Deglutì, il capo che andava a cercare senza accorgersne la dura superficie della porta.

Ma no...non temete. Non sentirete alcun male. A dir la verità non sentirete nulla affatto. Sarete bellissima. Elegante. Affabile. Poco o nulla importa che voi siate realmente presente in quella sala inneggiante la vostra gloria”



Vuole per caso venire con me?”

La voce del Guaritore lo colse di sorpresa. Concentrato com’era nelle sue afflizioni aveva mancato di notare che egli al posto che allontanarsi se ne era rimasto a pochi metri da lui, fissandolo, evidentemente intendo a gustarsi il suo totale ed assai  miserevole sconforto.

Si tirò lentamente sull’attenti, la schiena che a fatica riprendeva la solita posizione rigida.

Ed abbozzò un diniego con la testa.

La Nihaar’ì mi sta aspettando. Anche volendo non potrei proprio accompagnarla”

L’altro tuttavia non si mosse.

La Nihaar’ì sta dormendo ora” fece, lapidario “Non credo si disturberà eccessivamente se non la vedrà giungere attraverso il velo dei Sogni”.

Una mano ancora sulla maniglia, l’altra immobile al fianco, Zaphil abbozzò un nuovo rifiuto.

E’ mio compito vegliare su di lei. Se così non fosse non mi potrei affatto definire il suo Protettore”

Avvertì la voce morirgli fra le labbra, una scura patina di rimorso a colmare di un gusto agrodolce quelle sue parole. Immobile, l’altro lo squdrò per qualche secondo ancora per poi abbozzare un mezzo sorriso malevolo.

Non la sto invitando a fare una passeggiata” c’era del grigiore nelle sue parole “La stanza in cui sto per entrare non credo sarà più piacevole di quella in cui lei tanto scalpita per accedere” piegò la testa di lato “E forse è proprio per quello che le sto chiedendo di venire con me. Non crede?”

Zaphil si ritrovò suo malgrado ad accigliarsi.

Erano anni che lui e quell’uomo affatto simpatico e gioviale dividevano gli spazi di quella asserragliata vita. Anni di lunga ed estenuante vicinanza mai coronata da una qualsivoglia parvenza di amicizia, fratellanza e simpatia. Anni in cui, fianco a fianco, si erano battuti per un bene di cui spesso si faticava a vedere contorni e sfumature e che malgrado ciò li aveva avvicinati come tempera e pennello, due metà forse non del tutto simili eppure egualmente necessarie a dipingere l’astratto sfondo sul quale di tanto in tanto si librava fragile la figura della Nihaar’ì, bella come farfalla.

Ancora oggi non capiva quale forma di antipatia li dividesse. Eppure per un attimo gli parve di vederlo, quel loro improbabile rapporto, dove le perplessità dell’uno dividevano le confidenze dell’altro; dove le paure del primo erano le rassicurazioni del secondo. Ed insieme, loro due, eccoli uniti in un compito affatto felice e consueto ma viceversa ogni giorno ingrigito da compromessi e imperfezioni. Da dolcezze negate. Da sentimenti proibiti.

Ma se preferisce starsene lì a far finta di essere ciò che per sua sfortuna ora non sembra proprio sentirsela di essere faccia pure, non la disturbo”

Mentre con un sospiro tutte quelle mirabili visioni sfumavano per l’ennesima volta dalla sua mente, Zaphil abbandonò una volta per tutte la maniglia di quella oramai inattraversabile porta, l’agonia del silenzio oltre di essa a venire rimpiazzato dall’altrettanto tedioso sorrisino saccente del Guaritore.

Immagino la troverà gradevole. La somiglianza è davvero incredibile”.



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Mentre a piedi nudi entrava nella calda stanza dei Bagni costantemente inumidita di vapori e balsami di ogni genere, Zaphil ebbe per un istante il tempo di ricordare cosa fosse stato per lui vedere per la prima volta Asiya e con lei i suoi lunghi capelli rosso rame. Notare le sue guance accaldate, i suoi occhi accesi di paura ed eccitazione al contempo.

E vederla sorridere mentre lui, compito, commentava che la somiglianza non era poi così evidente come avrebbe dovuto essere.

Vi assicuro invece che se non fosse per i capelli stenterei davvero a pensare di non avere qui ora dinnanzi a me la Veggente in persona” aveva replicato piccato il Guaritore indicando con la punta delle dita la forma del mento, l’inclinazione degli occhi ed altro ancora.

Lui però aveva semplicemente annuito, più pensieroso che altro, lasciando che la piccola fanciulla si esibisse proprio in quell’istante in un lungo e generoso inchino.

C’è di buono che possiede un temperamento assai gioviale” aveva aggiunto poco dopo il Consigliere Ludik “La NIhaar’ì ne trarrà di certo giovamento”.

Ancora una volta, dubbioso, Zaphil aveva annuito di circostanza.

Esistevano animali domestici e giullari per quello. Ricordò allora di aver pensato. Ma la vera domanda era: quanta giovialità sarebbe servita per trasformare quella sparuta copia della Veggente in una vera e propria Nihaar’ì?

In...Odayn?

La fanciulla stava seduta al centro della stanza, avvolta da sottili veli di lino color sabbia. Aveva lunghi capelli neri come carbone, lisci e lucidi come fibre ossidiana. Il mento, sottile, curvava docile all’incrocio del collo lungo e affusolato - da cigno -. Gli occhi, infine, socchiusi, erano fissi a terra in una espressione placida e mansueta, priva di parola.

Al suo fianco, Eke’hel si concesse un lungo sospiro contrito.

Era bellissima.

Ed ovviamente, identica alla Nihaar’ì se non per qualche trascurabile imperfezione.

Sopracciglia più allungate, naso lievemente più largo, labbra meno carnose. Ella alzò allora gli occhi. E iridi più limpide.

Per un lungo, interminabile, attimo, Zaphil si concesse di desiderare quella creatura dalla surreale bellezza frutto di ingenuità e candore al contempo. Poi, come il  mutare del giorno in tramonto e del tramonto alla sera, ella fu la NIhaar’ì.

Fu la Hayeli’vo.

E nessuno di questi pensieri attraversò più la sua mente.

Davvero incredibile” fu il commento di Eke’hel mentre con fare critico tendeva due dita sotto il mento della ragazza costringendola ad alzare il viso “Credevo impossibile che potessero esistere così tante Hayeli’vo al mondo...eppure...”

Si interruppe, passando ora le dita nella folta chioma della ragazza.

Oserei anche dire che la somiglianza sia maggiore rispetto alla precedente” continuò.

Poco dietro, Zaphil deglutì a fatica.

Ma si, certo” incurante, l’uomo scese a guardare spalle, petto e aprendo le vesti, seno e busto. Annuì.

Direi che è perfetta”

Le dita indugiarono ancora un poco, leggere, per poi infine scostarsi.

Che ne pensi, Zaphil?”

La voce era parsa calma e moderata, ma quando il Guaritore si voltò fu chiaro quanto anch’egli fosse turbato. Quanto, malgrado tutto, quella di allora fosse per lui null’altro che una parte da recitare in nome del suo ruolo e funzione.

Tuttavia il Naphi si ritrovò abbastanza a corto di parole da non poter far altro che annuire e fingere un mezzo sorriso accondiscendente prima che il desiderio di andarsene lo sopraffacesse rendendogli impossibile aggiungere altro.

Ancora una volta, tuttavia, Eke’hel sembrò volergli regalare la propria autorevole comprensione.

Credo però che il banchetto di questa sera sia troppo prematuro perfino per una somiglianza come questa” parve allora voler toccare ancora una volta la ragazza. Eppure all’ultimo si fermò.

Forse anche per lui era finito il tempo del desiderio.

Farò come abbiamo concordato. E che possa la buona sorte essere con noi”.

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Capitolo 7
*** Note Fantasma ***


E di nuovo qui!

Nuovo mese, nuovo capitolo. Grazie di cuore a tutti quanti per la costanza nel seguirmi!

Ancora un grazie speciale al mio correttore e…spero che anche queste righe vi piacciano!

 

Baciozzi!

Elendil

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Come grazioso ritornello, Zaphil si ritrovò ancora una volta a chinare il capo, sorridere appena e concludere infine con la gentile frase di commiato.

“La Nihaar’ì vi ringrazia per i vostri Doni. Possano essere fonte di eterna amicizia e prosperità”.

Anhi Sam’ha, un vecchio Nobile del Nord chinò a sua volta il capo, esibendo nel farlo una testa canuta e ambrata di sole. Ricche, le sue vesti parevano tanto pesanti rispetto alla corporatura smagrita da lasciar meravigliare che questi non rischiasse ogni istante di cadere bocconi a terra per via del peso.

Uhe’yel zysat Nihaar’ì va Zaphil” replicò con voce gracchiante. Prima che fosse riuscito ad allontanarsi, uno stuolo di servi aveva già portato via per intero i suoi doni: antiche pergamene del Nord recanti versi di Canti e Poemi fra i più famosi.

Nella sfarzosa terrazza gremita di invitati l’aria notturna di Hevnan k’ar scivolava fresca fra drappi e tendaggi ondeggianti, a tratti ghermita dal vago chiacchiericcio degli ospiti, a tratti sospinta dal morbido intonare di liuti e strumenti a fiato, vaghi sentimenti di melodie meste e melodiche.  Note solitarie risuonavano senza sosta nell’aria dolce di pietanze fra le più squisite e ghiotte di tutta Harryan.

Note di sabbia pensò per un attimo Zaphil ascoltando quei suoni a tratti simili al costante rimescolio delle dune di sabbia nel deserto durante i cambi di temperatura fra giorno e notte.

Note di pioggia gli sussurrò invece la memoria, ricordando le altisonanti citazioni di grandi poeti del passato, sempre inclini a definire la realtà con la sua più che palese negazione.

Mesto, un altro Nobile facente parte dell’interminabile fila lì radunatasi si accostò al giaciglio di cuscini e stoffe riservato alla Nihaar’ì e al suo Protettore.

Si chinò lungamente, rivelando una corporatura di certo più vigorosa del suo predecessore.

Vor yersyel Nihaar’ì va Zaphil” esordì con voce sottile e pacata, difficile quasi da udire nella satura atmosfera circostante. Le sue vesti color sabbia spiccavano appena nel dominante acquamarina della sala.

“Porto con me le più pregiate sete della radura di Kenvar...”

Ma bene...

Zaphil trattenne a stento un sospiro contrito.

E da quando Kenvar produceva sete preziose? A sua memoria era già tanto che quella cittaducola fosse in grado di sostenersi con quel poco che aveva...figuriamoci produrre sovrappiù di così futili destinazioni...

In silenzio, il Nobile lasciò che uno o più dei suoi schiavi lo sorpassassero per depositare a terra rotoli di stoffa bruna e ambrata, nella luce delle torce rigata di graziose sfumature dorate.

Il Naphil gli concesse un rigido inchino.

Difficile credere che quelle meraviglie giungessero proprio dalla città meno prolifica di tutta Himnakan....

“La Nihaar’ì vi ringrazia per i vostri Doni. Possano essere fonte di eterna amicizia e prosperità”

replicò tuttavia con il solito tono colmo di cordialità e buone speranze lasciando che con le stoffe, i servi portassero via anche i suoi molesti dubbi.

Ora aveva altro a cui pensare.

Altro per cui preoccuparsi.

Sospirò.

Un Altro ora seduto pacatamente al suo fianco, un tripudio di pietre e preziosi a scintillare di viva luce attorno a lei come e se non più di un autentico astro celeste.

Il giallo le si addiceva, notò con piacere scoccandole una rapida occhiata. Si intonava con la sua carnagione pallida e rosata.

Distolse tuttavia lo sguardo.

Peccato che le macchie di Zai sulle labbra le dessero ora un’aria sgranata e malsana, affatto congruente con l’immagine che tanto si era racomandato ella avesse.

Potente, la stizza risalì ancora una volta le vene del Naphil confluendo in un’improvvisa vampata di calore a metà fra collo e guance.

Si umettò le labbra, cercando il più possibile di mostrare sincero interesse per le cianfrusaglie che un nuovo Nobile aveva ora ammonticchiato ai piedi della Nihaar’ì.

Lei, la somma Veggente, non abbassò neppure lo sguardo.

Eppure era stato chiaro: sana e cordiale. Possibilmente graziosa.

“La Nihaar’ì vi ringrazia per i vostri Doni. Possano essere fonte di eterna amicizia e prosperità”

E quell’imbecille di Guaritore cosa gli portava?

Lenta, una goccia di sudore prese a scivolare lungo la sua tempia in una snervante parabola pruriginosa.

Chinò il capo e nel mentre si accostò a Dzerrk’e posto a guardia poco distante.

“Veglia su di lei” ordinò a mezza voce “Se qualcuno si avvicina lascia perdere le minacce. Uccidilo”

Il giovane annuì piano.

“E se fosse lei a muoversi?” abbozzò tuttavia. Il Naphil indagò l’espressione della Nihaar’ì per un lungo, denso, momento. Le labbra vagamente bluastre di lei furono tuttavia sufficienti a farlo desistere.

“Dubito che ne sia in grado” borbottò acidulo “Se tuttavia dovesse accadere vieni subito ad informarmi”

Detto ciò si allontanò a grandi falcate dall’insieme di Nobili e personalità radunate in fremente attesa di essere ricevute dalla Nihaar’ì.

Non era cosa assai saggia abbandonare la Nihaar’ì a se stessa proprio in quell’attimo di estrema debolezza, si ammonì.

Tuttavia era vitale ora assicurarsi che tutti i pezzi fossero al proprio posto prima dell’arrivo dei loro ospiti...

Fece rapidamente scorrere lo sguardo per la sala onde individuare il tanto gradito Guaritore Eke’hel ora intento in una goliardica conversazione con il Consigliere Luyo e consorte.

Per l’occasione l’aquilino burocrate portava vesti color indaco e sabbia capaci se non di conferirgli il suo solito aspetto rapace, di suggerire comunque all’occhio una vaga somiglianza con una gazza ladra.

Mentre si accostava, Zaphil rivolse ad entrambi un inchino affilato.

“Sommo Zaphil” il Consigliere Luyo pareva sinceramente entusiasta di vederlo “Quale onore avervi fra noi. Pensavamo che i vostri affari diplomatici ci avrebbero privato della vostra brillante favella per tutta sera e invece....”

Rapido, un sorriso aguzzo sorvolò le labbra del Naphil.

“Ed invece eccomi qui” aprì le braccia come a comprova delle sue parole “Sebbene per uno sgradito compito: affari urgenti richiedono altrove la presenza del nostro amato Guaritore”

Non gli servì che l’immaginazione per avvertire la stizza frizzare nella figura di Eke’hel.

“Ma non temete” rassicurò subito entrambi “Sarà mio personale impegno riportarvi subito il nostro prezioso ospite”         

Fu lo stesso stizzito Eke’hel a condurlo poco dopo lontano dal Consigliere, la camminata spedita - più una marcia in realtà - ed il portamento rigido a confermare quanto poco l’uomo avesse gradito il grazioso siparietto imbastito da Zaphil.

Poco male, lui non aveva affatto gradito altri tipi di suoi interventi quindi...

Quando fu sicuro che nessuno potesse udirli il Guaritore si voltò finalmente per fronteggiarlo.

“Credevo che voi ammiraste l’intelligenza altrui, non che la sottovalutaste per vostro diletto” fu la piccata premessa “Da quando vi fate beffe dei Consiglieri...”

“Vi avevo dato un solo ordine, Eke’hel” lo zittì immediatamente l’altro “E voi siete stato in grado di fallire anche quello”

Bastò poco perché il brillante intelletto dell’altro trottasse dritto al punto incriminato della questione.

“Credete che farle sorbire quella roba sia stato un piacere, per me?” si accigliò.

“Forse non un piacere, ma di certo un affare assai semplice” sogghignò Zaphil “Vi sbagliate. Prima di quello ho tentato altri rimedi e sostanze, ma l’unico effetto è stato quello di indurle un sonno sempre più torbido” una pausa, poi la voce ad affievolirsi “La Nihaar’ì ha vanificato ogni mio tentativo spingendosi sempre più in profondità della propria mente dove era certa io non potessi raggiungerla”   

Raggiungerla?

Zaphil avvertì qualcosa di pungente conficcarsi improvvisamente nel suo cranio, all’altezza della nuca. Sbattè le palpebre, perplesso.

“Non vuole svegliarsi” decretò quindi dopo un attimo. Il Guaritore annuì piano.

“Sapete meglio di me quale sia il Dono di quella ragazza, e se vi dico che l’unico modo per tirarla fuori dal suo giaciglio è stato drogarla...” si umettò le labbra, a disagio “Io devo credervi” concluse per lui il Naphil.

“Ha parlato?” chiese dopo un attimo. Il Guaritore annuì una volta, titubante “Per un istante è sembrata perfino lucida” si scrollò nelle spalle “Ha chiesto di voi e di Asiya e di essere portata nella sala dei Bagni”

Un nuovo sospiro proruppe dalle labbra di Zaphil.

“Ha aggiunto altro?” ”Solo di voler essere portata ad Aghayerk” “La città del Cielo?” l’altro si strinse nelle spalle “Potrebbe aver avuto un nayel...”.

Zaphil annuì più per convenzione che per reale convinzione. Poi scrollò il capo.

“Inviate una Compagnia in perlustrazione. Non sappiamo come il suo Dono stia funzionando ora” sorvolò a disagio la sala cogliendo proprio allora le avvisaglie di una vaga agitazione.

Stavano già arrivando le Volpi?

“Potrebbe effettivamente aver avuto una Visione ma non essere in grado di gestirla a causa del suo...stato”.

Zaphil schioccò la lingua, improvvisamente ansioso di concludere la conversazione.

“Comunque sia” tagliò corto “Desidero che simili espedienti non vengano più utilizzati per porre rimedio agli stati emotivi della Nihaar’ì. Sapete meglio di me quanto quelle sostanze possano essere distruttive”.

Il vago chinarsi del capo del Guaritore seguì il suo repentino allontanarsi in ragione di raggiungere un nuovo gruppetto di Nobili lì assiepati. Parevano intenti in una allegra conversazione, tantoché al suo giungere tutti quanti scoppiarono in una fragorosa risata collettiva subito modulata dal notare la sua figura.

Due o tre si schiarirono addirittura la gola prima di abbozzare un saluto vagamente formale.

“Sommo Zaphil” lo salutarono sorridenti il ricco Luver, noto mercante d’argilla originario di Hevnan k’ar ed il corpulento Jedo’l Hi, celebre Scrutatore Celeste “Quale onore”.

Vor yersyel, spero che questa fresca serata sia di vostro gradimento”

La compagna di Luver, fortunata figlia di un fu Combattente dalle prodigiose doti guerrafondaie, aveva dal defunto padre ereditato viso e corpo assai poco accattivanti. Evine viso radice la chiamavano. Malgrado ciò il suo spirito esuberante e goliardico la rendevano una compagna di conversazione assai più gradevole del marito.

“Con questa brezza sarebbe difficile trovare alcunché di cui dispiacersi” replicò leggera “Ma voi, piuttosto, sembrate l’unico in questa sala totalmente incapace di comprendere l’astratto significato della parola divertirsi. Problemi di lessico o semplice testardaggine nel seguire le mode altrui?”

Zaphil si costrinse a sorridere meccanicamente “Mia cara” abbozzò sornione “Credo proprio che Viaggi e Banchetti inizino ad essere un passatempo assai poco distraente per me. Le responsabilità mi chiamano”

La Paruhi Evine esibì una risatina leggera “E voi fate finta di non sentire. In fondo noi Nobili siamo celebri per essere duri d’orecchi, dico bene?” sospirò leggiadra per poi, avvicinandosi, circondare il suo braccio con il proprio “O devo forse credere che voi siate l’eccezione che conferma la regola?”

Cogliere il velato spunto della donna ed invitarla a danzare fu cosa doverosa - se non necessaria -  a disimpegnare un dialogo che già si prefigurava troppo sostenuto e formale per il Naphil.

“Suvvia, mio caro Zaphil

Divagare sulla questione Zaphil lei è un uomo abbastanza bello e piacente da concedersi una o più distrazioni nella vita fu tuttavia cosa assai più ardua ed impegnativa.

“Solo uno sciocco fingerebbe di non vedere quali e quanti sguardi in questa sala seguono ogni vostro passo”

Pur non necessitando di alcun contatto fisico diretto, le danze di Hevnan k’ar erano celebri per la loro dolcezza nell’avvicinare coppie e ballerini in un sofisticato intreccio di passi e movenze fra le più leggere.

Il Naphil concesse alla donna un sorriso nervoso.

“Eppure avrei giurato che foste voi l’oggetto di tutta questa attenzione...”

Volteggiarono insieme, un’armonia triste a vagare fra di loro prima che egli poggiasse una mano sul fianco di lei.

“Elegante e gentile come sempre” gli concesse la donna “Ma per vostra sfortuna assai poco avvezzo a donne di brillante intelletto: non sarà con qualche lusinga che riuscirete a distogliere l’attenzione dall’enigma che vi circonda...”

Nere come carbone, le vesti del Naphil piroettarono con lui nell’ennesima giravolta cadenzata “E sarebbe?”

Al di sotto dei veli magenta, Evine aveva occhi lucenti e furbi, simili a quelli di un rapace

“Per chi batte il vostro cuore, mio caro Zaphil?” “Per la Nihaar’ì, ovviamente”

La risposta fu tanto semplice quanto ovvia. Forse un poco premeditata, ma di certo non meno rassicurante. Suo malgrado, essa parve non soddisfare affatto le brame della sua compagna di danze.

“E se non parlassimo di fedeltà e abnegazione?” replicò prontamente.

“Vi risponderei che non conosco altro modo di amare che non comprenda tale definizione”

Nuovo volteggio, nuovo sbuffo melodico degli strumenti a fiato. Nuovo sospiro scontento della donna.

“Suvvia, Zaphil. Volete davvero farmi credere che voi amate la Nihaar’ì in quel modo? Come un uomo amerebbe la propria donna?” “E voi volete davvero insinuare che esistano modi diversi di amare la Nihaar’ì se non con tutta la propria essenza, anima e corpo congiunti nell’estasi dell’adorazione?”

Per un attimo ella parve sinceramente sconcertata dalla risposta quasi che non una semplice frase ma una ben più assestata sberla l’avesse colpita in pieno colpo. Ammutolì, pochi attimi di tensione che entrambi colmarono con un flessuoso andamento prima a destra e poi a sinistra.

Solo nell’istante in cui il Naphil cominciò seriamente a pensare di dover sfoderare una delle sue galanti scuse ella lo perdonò concedendogli finalmente un lungo ed ampio scrollarsi di spalle.

“Siete un demonio, Zaphil” fu il conciliante rimprovero “Sempre a farvi beffe della curiosità altrui....eppure mi piacerebbe davvero sapere come fareste se per una volta qualcuno vi obbligasse alla serietà che tanto fuggite costringendovi ad una conversazione degna di tale nome...”

“Credo proprio che rimarreste delusa, mia cara Evine” leggere, due braccia circondarono petto e spalle di Zaphil costringendolo ad una inevitabile battuta d’arresto. “In quanto a fuga il nostro Zaphil temo possegga un talento inarrivabile per noialtri”

Fu il profumo a rivelarla.

Fresco e dolce al contempo, Edereth aveva sempre un inusuale sentore di un frutto proibito, sfuggente aroma capace di ridurre lascivia e forza ad un unico concetto ed espressione, la medesima che ella sfoderò nell’esatto istante in cui il Naphil si voltò per fronteggiarla.

Dunque eccoli, il suo appuntamento con la Verità...

“Eccovi, finalmente” fece un breve inchino “Qui tutti iniziavano a domandarsi se le Volpi avessero per caso deciso di sorvolare questo lieto banchetto per altre e più dilettevoli distrazioni...”

Edereth mosse il capo a destra e sinistra lasciando che scintillanti trame corvine le vorticassero sulle spalle nude. Poi sorrise.

“Qualcosa di più allettante di voi, Sommo Zaphil?” nella penombra, i suoi canini parevano assai aguzzi “Difficile crederlo”.

Ai suoi fianchi, le altre Volpi seguitavano con ponderata mestizia, quasi avessero deciso di comune accordo che sarebbe stata Edereth e non un uomo qualsiasi a fare gli onori di casa. Zaphil concesse a tutti un breve inchino.

“Fate attenzione, mia cara. Ogni vostro complimento è come una lama affilata nel cuore di un uomo, anche se vecchio e stanco come me” divagare fu più difficile mentre lo sguardo di Edereth lo incalzava con la sua solita indolente sagacia.

Una donna pericolosa, si ammonì mentre ponderava sul da farsi, capace di rendere la propria bellezza un’arma solo inferiore alla sua arguzia.

“Una lama, dite?” con un elegante cenno della mano lei lo invitò allora a seguirlo “Eppure avrei giurato che mai nessuno sia morto dei miei complimenti”

Lui abbozzò una smorfia contrita, salutando col capo i suoi oramai abbandonati ospiti per dedicarsi alle molto più eloquenti e pericolose Volpi

“Questo perché voi vi siete sempre ben guardata dal renderli tali...”

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Capitolo 8
*** Vor yersyel ve’Nai ***


Ri-ciao!

Nuovo mese (quasi…), nuovo capitolo!

Ancora una volta grazie a tutti i lettori di EFP, alla pazienza del mio personale correttore e…Buon Anno nuovo!

 

Baciozzi

Elendil

 

 

Zaphil sapeva che parlare e danzare erano affare Nobiliare. Parlare, danzare e fingere nel frattempo di non sudare. Di non provare stanchezza, fame, insofferenza ed ogni altra umana qualità che solitamente contraddistingue le occasioni di comunanza popolare.

Si umettò le labbra.

Poiché i Nobili, strana variante della razza umana, molto dovevano condividere con essa ma mai eguagliarla in tutto. Se di Nobili si parlava. E di distinzione sociale pure.

Eppure, dopo l’ennesima -gradevolissima- piroetta di Lav’ì, la figlia di Shayarin in mezzo alla sala, Zaphil non potè proprio trattenere un mezzo sospiro contrito.

“Già stanco, Sommo Zaphil?” lapidaria, la voce di Edereth lo raggiunse da dietro una corolla di neri capelli. Aguzza come il pugnale che egli teneva nascosto sotto l’ascella destra. Pruriginosa, come la goccia di sudore che fastidiosa scendeva ora lungo la sua schiena.

“Solo della mia età, mia Signora” rintuzzò “Sebbene sia certo che giorni e notizie migliori avrebbero placato questa mia naturale predisposizione”

Lei si strinse nelle spalle.

“E’ stato un dolore tanto per voi quanto per noi apprendere questi tristi retroscena, sommo Zaphil” la donna voltò appena il capo, mostrando nel risplendere delle candele la flessuosa linea del collo “Non siete il solo ad amare più di ogni altra cosa al mondo la Nihaar’ì

O ciò che ella rappresenta.

Il Naphil si concesse qualche istante per osservare la figlia di Shayarin scivolare come felino fra vesti color notte. Alle sue spalle, il giovane Elias, fratello e secondogenito del ricco Signore delle Tinte esibiva trucchi di magia e spettacolo servendosi delle sostanze più disparate. La sua destrezza nell’agitare, mescolare, nascondere e solo infine mostrare i prodotti della sua abilità lo facevano assomigliare a tutti gli effetti ad un abile Lai Mephi (illusionista).

Zaphil osservò entrambi con una punta di diffidenza, sperando che la tensione della sua mascella non trasformasse quell’occhiata in uno sguardo di vero e proprio sdegno.

Del resto la notizia che un manipolo di Risvegliati aveva tentato di fare irruzione a Hevnan k’ar durante l’attacco delle Ombre non era stata una delle più liete che avesse mai avuto: erano passati per le vie dei Tintori approfittando dello scompiglio generato dalle Ombre per aprirsi la strada fino alla zona abitata dai Nobili.  

“Credete che ci riproveranno?” osservò asciutto.

Fortuna vuole che malgrado il panico generale, le forze di Hevnan k’ar fossero state capaci di raggiungerli e fermarli scongiurando il peggio.

Al suo fianco, Edereth scrollò piano le spalle “Chi può dirlo?” commentò atona. Troppo atona  perché il Naphil non avvertisse appena pungere le dita “Voi, Edereth” voltò appena lo sguardo incrociando quello velato di lei.

“Voi e le altre Volpi qui radunate” l’altra si mosse appena a disagio, cercando per un attimo con lo sguardo l’appoggio di Mathias e Shayarin in ascolto al suo fianco. Poi sorrise “Non credo dobbiate temere il ripetersi di simili episodi. Uno è bastato per scoraggiarne di altri” “Attentare alla vita della Nihaar’ì non dovrebbe essere una questione episodale” digrignò i denti Zaphil.

Edereth schioccò rapidamente la lingua sul palato “In ogni caso dubito che ci saranno altri attacchi”.

Il Naphil si accigliò “Ricordo che questa fu la medesima garanzia datami al nostro arrivo ad Hevnan k’ar” poco distante, Shayarin ebbe come un fremito di stizza “Quelle che avete visto erano tutte le forze a disposizione della nostra Città. Se avessimo avuto avuto anche un solo uomo in più da schierare per proteggere la Nihaar’ì l’avremmo utilizzato”.

Zaphil esibì un sogghigno incredulo “Fossi stato in voi avrei reclutato i messaggeri che non avete inviato alla Torre del Tempo per meglio provvedere alla vostra sicurezza. Saranno di certo morti di noia quei poveretti” schioccò la lingua mentre tutti e tre piegavano appena il capo in un chiaro segno d’imbarazzo.

Solo allora il Naphil ricordò la restante parte delle informazioni giunte a proposito della fine toccata ai Risvegliati catturati infine dalle guardie di Hevnan k’ar. Rifilò a tutti e tre un lungo istante di silenzio “Dove li avete portati?” chiese infine. Mathias sospirò “Sono in attesa del Vori Ar - Addormentarsi”.

Una nuova, lunga, pausa.

“Non è ciò che ho chiesto” il tono del Naphil scivolò sinuoso fra le pieghe del vestito di Lav’i, la figlia di Shayarin, volteggiando con lei di una bellezza elegante e selvatica; le Volpi si mossero a disagio “Presso l’ordine dei Tintori” esalò infine Mathias.

Ancora loro.

Il Naphil sbattè le palpebre.

Ma perché diavolo tutta quella storia sembrava accentrarsi fra quelle dannate mura?   

“Non sapevo che spettasse a loro osservare il rito del Vori Ar”. “E cosa dovevamo fare? Lasciarli a decomporsi fino all’arrivo dei Legheon?”

Una nuova pausa, poi il nuovo sussurro del Naphil “Meriterebbero forse più alte cerimonie?”.

Fu solo grazie all’improvviso intromettersi del giovane Elias fra di loro, una boccetta scintillante per mano sprizzante fumo e densi odori come di pietanze andate a male, che l’impettito Shayarin si trattenne dall’esprimere quanto gradevole quel commento fosse suonato alle sue orecchie.

 

Solo quando il povero Shayarin fu condotto a forza dinnanzi agli ospiti lì radunati e Mathias reclutato suo malgrado dai rimanenti commensali in qualità di “spalla” che Edereth si accostò nuovamente al Naphil.

Per un attimo non parve intenzionata a dire nulla, l’atmosfera della sala che rapidamente sfumava nell’imminente cerimonia atta a consolidare l’amicizia fra la Torre del Tempo ed Hevnan k’ar; tuttavia dopo un attimo ella si risolse in una mezza scrollata di spalle.

“La Legge della Torre del Tempo non sarebbe stata infranta se Hevnan k’ar avesse potuto contare sull’aiuto dei Legheon” esitò “Ma forse la Nihaar’ì non ha reputato necessario evitare un simile spargimento di sangue....

Immobile, Zaphil avvertì chiaramente una sensazione di gelo risalire lungo la schiena.

O più semplicemente... non l’aveva previsto.

Si umettò le labbra.

“Le visioni della Nihaar’ì sono spesso al di là della nostra comprensione” commentò gelido “Decifrarle non è che un esercizio di supponenza”

Edereth annuì una volta soltanto “La mia fedeltà, così come quella delle Volpi va alla Nihaar’ì” precisò “Ma ciò che vedo, che tutti noi vediamo ora sedere al suo posto non è che l’Ombra della Veggente che meriteremmo di avere”

Inutile sdegnarsi. Inutile negare e piegare nuovamente al suo volere quella conversazione. Hevnan k’ar e le sue giornate immensamente lunghe stavano diventando decisamente troppo per il Naphil.

Troppo intense. Troppo pericolose. Troppo colme di quel vago senso di pericolo che qualunque preda avverta pur ignorando che il proprio cacciatore si nasconda nell’erba antistante.

Alzò dunque gli occhi e nel notare ancora una volta la figura della Nihaar’ì seduta sul proprio scranno, un braccio ripiegato sull’altro e la testa appena flessa di lato in una smorfia quasi instupidita, non potè che socchiudere le palpebre.

“Le città di Yevtsuk’han e Lernayin probabilmente non ritireranno i propri Jadi - Ambasciatori” lo raggiunse ancora una volta la voce di Edereth “Sono giunti stamane ricchi di doni e provvigioni” nel progressivo calare del silenzio all’interno della sala, le sue parole parevano ora nulla più che un sussurro a fil di labbra “Ma dubito che gli avvenimenti di Hevnan k’ar non avranno alcun tipo di ripercussione sul Pellegrinaggio”

E finalmente eccola, la grande ampolla di puro cristallo colma di liquido trasparente, avanzare nell’oramai immobile attesa dei commensali. Un’anfora tanto grande da poter essere retta da non meno di quattro uomini fra i più forti. Cristallina e trasparente come l’acqua in essa contenuta. Bella e semplicemente perfetta in quel mondo rigonfio di siccità e arsura.

“Per nostra sfortuna, la Fede non è cosa che permetta indugi o ripensamenti” fu il commento finale di Zaphil, i cui sensi già lo preparavano all’immanente entrata in scena in quel quadretto cerimoniale “Pur difficile e colma di asperità, essa è la sola passione che ci separi dalla crudezza del mondo e dai suoi pericoli più insidiosi.” “Come l’Amore, caro Zaphil?” sussurrò Edereth non senza una punta d’ironia. Lui le concesse un piccolo cenno del capo “Come l’Amore che ora so di non potervi chiedere di provare per la Nihaar’ì ed il suo Dono” “Lo stesso Dono che oggi non ha salvato Hevnan k’ar” precisò lei “Lo stesso che l’ha protetta mille e più volte prima di questo giorno” vago, un nuovo sorriso fece infine capolino sul volto della donna.

Guardò a lungo il Naphil, quasi sfidandolo a dire di più per poi abbozzare un sospiro “Come tutti i cuccioli, prima o poi anche la Nihaar’ì crescerà e scoprirà di avere denti e zanne abbastanza affilati da non doversi crucciare per la benevolenza dei suoi sudditi. Fino ad allora, le Volpi staranno semplicemente  a vedere fin dove il suo Amore riuscirà a condurla”   

 

Nella calma generale, l’ampolla venne condotta dinnanzi alla Nihaar’ì ed ai suoi piedi deposta in attesa che ella la benedicesse sancendo così un nuovo anno di pace e alleanze.

Pochi istanti e Zaphil fu al fianco della giovane, i convenevoli con Edereth espletati nel tempo richiesto affinché ella non si fosse sentita oltraggiata dal suo defilarsi.

“Che questa acqua suggelli un anno ancora di amicizia e prosperità” aveva già cominciato con l’esordire Mathias nella formale cadenza delle proclamazioni cerimoniali “Che la Nihaar’ì vegli su di noi a lungo con grazia e benevolenza” alzò le braccia come ad abbracciare la sala intera “Possano questo giorno e la sua immensa gioia durare in Eterno!” e detto ciò si chinò in direzione della Nihaar’ì seguito a breve da tutti i commensali riuniti.

Ed ecco il momento tanto temuto. Che il cauto Zaphil aveva saggiato con il pensiero mentre redarguiva il Guaritore, fronteggiava le Volpi e che ora, pur faticando ad ammetterlo, si preparava ad affrontare con dolente rassegnazione: la risposta della Nihaar’ì.

La giovane sapeva cosa avrebbe dovuto dire a questo punto della Cerimonia. Le era stato accuratamente insegnato. Ma Zaphil dubitava che ora come ora ella avesse davvero in mente anche solo una delle parole più e più volte ribadite in quelle mattinate di lunghe e noiose lezioni mnemoniche.

E ovviamente, ecco calare il silenzio.

Un lungo, molesto, silenzio.

Suo malgrado il Naphil si ritrovò a ricercare nella folla il Guaritore. Ovviamente non lo trovò.

Fece allora per sfiorare la Nihaar’ì e così aiutarla ad alzarsi, ma con sua immensa sorpresa eccola alzare allora una pallida mano in direzione dei presenti e con essa sorvolarli tutti in una perfetta simulazione di carezza.

Vor yersyel ve’Nai

Che il Sogno vi accompagni per sempre   

 

Ciò che seguì fu un tripudio di grida e applausi, cori festosi e gioia a profusione mentre l’anfora veniva presa d’assalto da una miriade di piccoli boccali grandi poco più che un ditale. L’ultima goccia fu data alla Nihaar’ì la quale, pur tremando appena, strinse fra le dita il piccolo calice quasi che temesse si spezzasse.

O si spezzasse lei.

Edereth aveva porto a Zaphil una altrettanto minuta coppa pochi istanti prima, un docile sorriso quasi a voler stemperare la tensione vigente fra di loro.

All’unisono, tutti i boccali vennero quindi protesi in avanti in direzione della Nihaar’ì la quale, docile, non fece altro che reggere il proprio con entrambe le mani.

 

Vor yersyel ve’Nai

ripetè fiacca

 

Uhe’yel zysat

 

fu la risposta unanime prima che, come unico uomo, tutti quanti bevessero d’un fiato la propria limpida, pura, acqua.

Fu solo deglutendo che improvvisamente Zaphil si rese conto del retrogusto particolare di quel liquido. Fragranza morbida ed asciutta al contempo, affatto simile alla solita rimembranza di sale che tutta l’acqua depurata di Harryan soleva avere. Sfregò un paio di volte la lingua sul palato, avvertendo solo distrattamente la mancanza di sensibilità sotto di esso. Socchiuse allora le palpebre e fu mentre voltava il viso per includere Edereth in quella osservazione che la notò riversa a terra al suo fianco, un mare di capelli bruni a circondarle scompostamente il viso impreziosito di monili e pietre.

Non era possibile...

Deglutì a vuoto.

Veleno?

L’attimo dopo cadde anche lui bocconi a terra, un sonno senza sogni a catturarlo senza via di scampo nella sua morsa letale.

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Capitolo 9
*** Il Destino delle Veggenti ***


Ed eccoci!

Perdonate le tempistiche di “postaggio” un po’ più lunghe del solito, è un periodo un po’ trafficato J spero comunque di mantenere la costanza e, se possibile, accelerare un po’.

Ancora un enorme grazie a tutti ed in particolare ai miei correttori di fiducia (ebbene si, abbiamo una new entry!). Spero che questo nuovo capitolo possa piacervi!

Baciozzi

Elendil

 

_____________________________________________________________

 

 

“Ricorda queste parole: non è solo con gli occhi che potrai percepire ciò che è velato. Resta in ascolto e capirai che non esistono veri segreti, non vi sono reali misteri”

 

Zaphil si svegliò con un sussulto, occhi di ghiaccio a colorarsi in un attimo della pallida sfumatura della paura prima ancora che il sonno, vero o apparente, avesse il tempo di abbandonarli. Si tirò in piedi con uno scatto, scoprendo con suo immenso rammarico di trovarsi ancora riverso a terra non poco distante dal punto in cui -evidentemente- era caracollato in un momento non meglio precisato. Represse una smorfia di dolore nell’avvertire una fitta alla testa, conseguenza dall’urto con il pavimento.

Serrò un paio di volte le palpebre per tentare di schiarirsi le idee, la visione che di momento in momento si faceva tanto più chiara quanto più tragica: ovunque giacevano corpi riversi e ammonticchiati l’uno all’altro come la casualità aveva provveduto. Alcuni -tirò un sospiro di sollievo- russavano sonoramente. Altri si muovevano appena, segno di un imminente ma ancora imprecisato destarsi.

Più vicine, le Volpi sonnecchiavano pacifiche, un filo di bava a colare dalle labbra di Mathias ed uno di sangue - particolare assai meno rassicurante- da quelle di Shayarin.

Poco più distante, una Edereth solo per metà desta sedeva sugli scalini di marmo reggendo fra le braccia il suo ennesimo marito, un giovinotto dalle guance rosee e delicate.

Infine, con un sospiro che sapeva già di rassegnazione e sconforto assieme, Zaphil si convinse ad alzare lo sguardo verso il punto dove avrebbe dovuto trovarsi - ma chissà perché aveva da tempo sospettato il contrario- la Nihaar’ì.

Uno scranno vuoto, miseramente circondato di ricchezze fra le più disparate, ricambiò il suo sguardo affranto, ricordandogli perché, solitamente, era usanza non far mai toccare cibi e bevande alla Veggente in simili festività e occasioni.

E ancor meno alle sue guardie del corpo.

Socchiuse le palpebre, la nota del più puro avvilimento che si innalzava tonante in lui costringendolo a ricadere nuovamente a terra, dolente.

Dannazione.

Ansimò.

Possibile che fosse stato così incauto? Così sciocco da lasciare spazio ad un così semplice, banale e imbelle piano? Che si fosse a tal punto distratto da permettere che la cosa più preziosa al mondo gli venisse sottratta così, senza il disturbo di una resistenza?

Chinò il capo e quando lo rialzò dinnanzi a lui stava la figura del Guaritore, una sagoma affranta con occhi cinerei. Attorno a lui, pur flemmatiche, si intravedevano le avvisaglie dell’immanente risveglio comune.

“Già sveglio?” abbozzò Zaphil con una smorfia roca. Eke’hel si strinse nelle spalle “I Guaritori sono soliti testare su se stessi veleni e medicamenti prima di propinarli ai propri pazienti. Probabilmente questa droga possedeva sostanze che il mio organismo già conosceva”

Il Naphil si accigliò

“Questa droga?”

L’altro si strinse nelle spalle “Questa non è una magia, Sommo Zaphil. E’ il semplice trucco di un Suba’ra

Un maestro dei Veleni.

Per un folle attimo gli occhi del Naphil corsero per la sala alla ricerca del ragazzetto tanto simpatico che dall’inizio del banchetto non aveva fatto altro che giocare con unguenti e sostanze sconosciute. L’avevano chiamato Suba’ra, giusto?

Tuttavia il Guaritore lo precedette

“Era addormentato come tutti gli altri” abbozzò una smorfia contrita “Ho dato comunque ordine che venisse interrogato al suo risveglio”

Zaphil annuì una volta, poi non potè proprio trattenersi dall’esalare un sospiro esasperato.

“Immagino che nessuno abbia visto - per caso - la Nihaar’ì nei dintorni”

Eke’hel non si curò neppure di rispondere.

“Fate rinvenire le Volpi al più presto” Zaphil si umettò le labbra “E chiamate Dzerrk’e

Al nominare il Guardiano, qualcosa nella postura di Eke’hel parve irrigidirsi “Dzerrk’e è morto, Sommo Zaphil” esalò tetro dopo un attimo.

Morto?

“Lui ed alcuni uomini di guardia alle porte sono stati sgozzati. Altri più avanti hanno ricevuto lo stesso trattamento” il Naphil socchiuse le palpebre “Da dove sono passati?” “Dal quartiere delle cave d’argilla probabilmente, ma è ancora presto per dirlo. Ho mandato alcuni uomini in perlustrazione”

Quindi in sostanza non avevano la più pallida idea né di chi fossero, né di quanti fossero.

Un nuovo sospiro contratto.

“Altre vittime? Feriti?”

Il Guaritore si portò una mano alla fronte, detergendo un sudore più psicologico che reale.

“Non ne ho idea” esalò infine “Da quando mi sono svegliato non ho fatto altro che tentare di rintracciare la Nihaar’ì. Agli altri non ho pensato...” si coprì le labbra, anch’esse imperlate di sudore “Ma temo che i Soldati non saranno le sole vittime...”

Annuendo meccanicamente, Zaphil intuì suo malgrado a chi si riferisse il Guaritore: il sangue sulle labbra di Shayarin lasciava ben pochi dubbi sul suo stato di salute.

Ma dunque la pista di Elia’s non poteva essere quella giusta....

Tossì, decidendo finalmente di tirarsi in piedi ed affrontare la situazione da una posizione eretta.

La Nihaar’ì era scomparsa.

Fissò quel pensiero della mente.

Ma probabilmente non era stata uccisa.

Prese a spazzolarsi le vesti sgualcite.

Se così fosse stato l’avrebbero trovata insieme agli altri riversa in un lago di sangue.

Si umettò le labbra.

Ma lo scranno era vuoto. E le guardie erano state trucidate.

Perchè osare tanto se non per portare fuori qualcuno?

Ordinò dunque ai pochi Soldati lì presenti di portare i dormienti nelle loro camere, i feriti nelle sale dei Guaritori e mettere di guardia un uomo per ognuno di essi così da assicurarsi che nessuno tentasse la fuga. Poi cavò dalle vesti il proprio pugnale ed in silenzio prese a cercare le prove che né il Guaritore  nessun altro se non un Naphil come lui sarebbe stato in grado di trovare.

 

La domanda principale però perdurava.

Dopo il primo attacco, Hevnan k’ar era stata setacciata e rivoltata da cima a fondo più e più volte. Come era possibile che qualcuno fosse riuscito - ancora - ad entrare ed uscire dalle sue mura senza che anima viva avesse avuto l’ardire di accorgersene e -che ne so- dare l’allarme?

Porte segrete? Passaggi sconosciuti?

E soprattutto, perché ogni volta che Zaphil si concedeva di pensare che Hevnan k’ar avesse finalmente esaurito i propri segreti, quella dannata città si ostinava a presentargliene uno in più da svelare?

 

Ore dopo, sporco d’argilla, sangue e delle più improbabili sostanze raccimolate nei bassifondi della città, Zaphil fece nuovamente capolino dalla porta d’ingresso della magione di Shayarin. Fu uno stravolto Eke’hel ad accoglierlo, gli occhi vitrei come biglie incastonate.

“Cattive notizie” esordì il Guaritore venendogli incontro come per circondargli le spalle e guidarlo all’interno. Una rapida occhiata bastò tuttavia per farlo desistere.

“Anche le mie” rispose l’altro con una nota drammatica “Se non lo credessi inverosimile, giurerei che quei bastardi abbiano lasciato di proposito un cadavere ad ogni angolo per guidarci sui loro passi” il Guaritore storse la bocca “Sicuro che fossero più di uno?” l’altro scosse il capo “Affatto. Ma se così non fosse, gradirei essere il primo a vedere il volto di un uomo capace di simili gesta”.

Sfinito, si accasciò allora su una sedia, le gambe a distendersi in una posa di inesorabile stanchezza.

“E voi invece, che novità?”

Immagino migliori delle mie...

Il Guaritore scosse il capo.

Shayarin è morto. Una pugnalata alla schiena” Zaphil si passò una mano stanca sugli occhi lasciando che le palpebre si abbassassero per un bruciante momento “Aveva questo con sé” continuò asciutto l’altro per poi accostarsi e porgergli un pezzo di carta sporco e stropicciato.

Zaphil lo guardò a lungo, intensamente, quasi che con un’occhiata avesse potuto decifrarne il temibile contenuto. Poi sospirò.

“Leggetelo, vi prego”

Chissà perché, la sola idea di prenderlo in mano lo turbava.

Eke’hel lo guardò stupito per un attimo, tuttavia non fece segno di aprire il prezioso involucro.

“E’ firmato dai Figli delle Ombre” evidentemente l’aveva già letto un numero sufficiente di volte da ricordarlo a memoria “Dicono di aver rapito la Nihaar’ì e di non avere alcuna intenzione di liberarla a meno che la Torre del Tempo non rilasci i loro compagni, prigionieri nelle Segrete”

I Figli delle Ombre?

Suo malgrado, Zaphil non potè proprio trattenere uno sguardo attonito.

Non ricordava quel nome. Nemmeno un po’. E ancor meno ricordava perché mai avrebbe dovuto ricordarlo.

Erano ribelli?

Si morse un labbro, dolori lancinanti a piedi e schiena a ricordargli improvvisamente quanto lunga stava diventando quella dannata giornata - riposo involontario o meno.

Forse Cultisti scappati alla giustizia della Torre del Tempo? Del resto si definivano figli delle Ombre....Oppure erano semplici criminali, predoni del Deserto ansiosi di avere la propria rivalsa...

Fu il colpo di tosse del Guaritore a destarlo dalle proprie divagazioni mentre questi gli porgeva ancora una volta il foglio di carta.

“Ci danno appuntamento tra non meno di quattro giorni sulla riva Nord del Lago Lichrak, al confine delle Vele” continuò rigidamente “Dicono di portare lì i prigionieri per...” esitò “Lo Scambio”

Con un movimento stanco Zaphil si constrinse finalmente a prendere dalle mani di Eke’hel quel dannato pezzo di carta, aprendo i risvolti spiegazzati e leggendo con una nota contrita quelle poche righe vergate con mano rozza ma decisa, quasi che il pugno avesse temuto tutto fuorché le proprie barbariche intenzioni.

I Figli delle Ombre - nome dalla discutibile confidenza - concludevano minacciando Zaphil e tutta la Corte della Veggente di porre fine alla vita della Nihaar’ì per qualunque “colpo di testa” o “azione sconsiderata” tentata dai suoi.

Alzò gli occhi incontrando il Velo su quelli di Eke’hel. Davvero poco confortante. Così li riabbassò e lesse ancora ad una ad una quelle righe blasfeme.

Lo Scambio.

La parola suonò come un pungolo sottile infilato proprio sotto le sue unghie. Aguzzo e pungente cui il vecchio rispose con una smorfia di autentico dolore.

Poi scattò in piedi, la sensazione di essere rimasto davvero troppo seduto a costringere i suoi arti a muoversi con meccanica, eppur furiosa, rapidità.

E poi fermarsi. Per poi riprendere poco dopo. E arrestarsi ancora.

“E’ una trappola”

esalò infine

“Chi mai, avendo a disposizione la Nihaar’ì la cederebbe per un semplice scambio di ostaggi?” Eke’hel esitò qualche istante, forse tentando di racimolare una qualche risposta, ma Zaphil non gliene diede il tempo “Avrebbero potuto rapire una delle Volpi” riprese con passione “Un semplice funzionario o chiunque non necessitasse di un pandemonio simile ....” “Magari la loro intenzione è attirarci con una richiesta accettabile per poi passare alla fase successiva....” “Possibile” convenne rapido l’altro “Penso però che il loro piano sia sfruttare la Nihaar’ì per qualche altro intento. Del resto stiamo parlando della Veggente, non di una ragazza qualsiasi...” “Ammesso che loro sappiano veramente di cosa sia capace una Veggente” lo imbeccò l’altro.

Il Naphil si passò due dita sugli occhi “Credo che ora il vero problema sia valutare cosa ella non sia capace di fare”

Intendendo le sue parole, Eke’hel ebbe come un sussulto.

“Se ella non si dimostrerà capace di usare i propri Doni potrebbero crederla una Hayeli’vo e ucciderla” “Questo a meno che non sia nostro preciso intento fargli credere questo”

Difficile decifrare l’espressione di Zaphil.

“So che può sembrare assurdo” si affrettò a spiegare l’altro “Eppure proviamo a pensarci: i Figli delle Ombre credono di avere rapito la Nihaar’ì, la carica più importante di tutta Harryan. Sanno di tenerci ora sotto scacco e di avere su di noi più potere di quanto mai alcuna organizzazione abbia avuto dall’inizio della Storia” esitò un attimo, facendo un passo avanti “Proviamo però ad immaginare cosa accadrebbe se ad un certo punto scoprissero di avere fatto un errore; di aver rapito non la Nihaar’ì ma la sua sostituta” “Perderebbero la testa” esalò Zaphil “Esatto. Ma è proprio questo che serve a noi: una buona dose di confusione tale da lasciarci tutto il tempo per agire” “Questo ammesso che non decidano di liberarsi di lei e fuggire appena scoperto l’errore” Suo malgrado, Eke’hel si sforzò comunque di sorridere “Non credo che lo faranno. Forse non sarà la Veggente, ma una Hayeli’vo è pur sempre una buona merce di scambio, non credete?”

Zaphil esalò un ghigno incredulo “Credete davvero che metterei a rischio la vita della Nihaar’ì per un semplice...inganno?”

Evidentemente questa era proprio la risposta che il Guaritore si era aspettato perché sorrise beffardo “A voi la scelta su quale rischio preferire: la gestione di quattro o cinque esaltati religiosi o l’eventualità che tutta Harryan sappia che oltre ad aver perso il controllo di Hevnan k’ar, delle Ombre e dei Risvegliati al loro seguito, siamo stati pure capaci di percederci nientemeno che Nihaar’ì

Per un attimo il Naphil parve incapace di rispondere, la semplicità di quella rivelazione a gettare su di lui una nuova coltre di spessa, insuperabile e rinnovata ansia.

Guardò a lungo il Guaritore, immaginando non il suo volto ma quello assai più volpino di Mathias ed Edereth nel prendere atto della favolosa notizia della scomparsa della Veggente - no, meglio ancora, del suo rapimento- proprio dopo il “mezzo si” concesso dalla Signora delle Vie in relazione alla possibile alleanza fra Hevnan k’ar e la Torre del Tempo.

Infine sospirò.

Del resto nessuno a parte lui ed il Guaritore erano a conoscenza della nuova Hayeli’vo. Come dubitare che vi fosse un trucco...dietro al trucco?

“Abbiamo quattro giorni” replicò quindi asciutto “Quattro giorni per andare a riprenderci la Veggente, riportarla qui a Hevnan k’ar e riprendere come se nulla fosse il Pellegrinaggio”

Ancora una volta, il Guaritore scosse la testa

“Quattro giorni per rimettere sì tutto a posto, ma uno soltanto perché io parta immediatamente con la nostra Hayeli’vo ed evitare che tutti quanti i nostri alleati si accorgano dell’inganno” replicò asciutto “Sarà mia cura assicurarmi che i Messi ci precedano comunicando al mondo lo scampato pericolo. La vostra partenza dovrà invece essere assai meno conclamata: basterà dire che voi e le vostre truppe ci precederete alla prossima città per assicurarvi che tutto sia stato preparato a regola d’arte”.

Per un attimo sui due calò il silenzio. Poi, lentamente, Zaphil si ritrovò ad annuire una volta.

“Credete che ci cascheranno?” abbozzò non senza una punta di scetticismo. L’altro si strinse nelle spalle, una smorfia altrettanto vaga a sfiorargli le labbra “Se reciteremo bene la nostra parte, sì. Viceversa, il Destino delle Veggenti sarà perpetrato e la nostra Nihaar’ì avrà la tragica fine che merita”

Zaphil gli scoccò un’occhiata truce.

“Non permetterò che Odayn muoia per mano di qualche pazzoide religioso” digrignò gelido.

Ancora una volta, il Guaritore si strinse nelle spalle “Se il suo Regno cadrà, lei cadrà con lui. Che per allora ella sia ancora viva o già morta farebbe assai poca differenza”

 

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Capitolo 10
*** Il Canto della Nihaar'ì ***


Buonasera!

Nuovo mese, nuovo capitolo :) Ancora una volta si cambia narratore, vicenda, punto di vista. Spero abbiate gradito Zaphil ed il suo modo di pensare/parlare/vedere il mondo. Come sempre ringrazio tutti, ma proprio tutti, per la gentilezza nel leggere e seguire questa storia. A presto!

Baciozzi

Elendil



Non abbiate paura, entrate” la voce dell’uomo era calma e gentile, una piccola carezza sul viso congestionato. Avevano percorso più scale di quante ne avesse mai viste in tutta la sua vita ed ora, suo malgrado, faticava quasi a respirare.

Lui sorrise ancora, forse percependo il suo disagio.

Avanti, dai”.

Si strinse nelle spalle prima di entrare, un passo dopo l’altro che la portavano a sfiorare con le dita dei piedi nudi un tappeto di grezza lana attorcigliata, ruvido al tatto. Solo allora i suoi occhi scorsero le ampie finestre schermate da tende di lino, le pregiate pitture delle pareti ed il grande letto posto al centro.

Espirò lentamente.

Tutto di quella stanza esprimeva bellezza e buon gusto, i dettagli di ogni piccolezza tanto minuti e ricercati da rasentare il sovrannaturale. Un morbido blu-verde tingeva ogni cosa addolcendo ancor più la perfetta alchimia del mobilio.

Approvò la scelta.

E’ bello” constatò voltando in quella lo sguardo verso Zaphil. L’uomo aveva il volto coperto, ma fu impossibile non notare il vago sorriso far capolino sulle sue labbra.
Speravo vi piacesse” le confessò senza abbassare lo sguardo “Non è sempre facile indovinare i gusti di una fanciulla”.

I gusti di una Veggente. Lo corresse mentalmente lei, ma pensò che fosse sgarbato puntualizzare un così innocuo particolare alla vigilia della loro conoscenza. Del resto, le avevano detto che i Naphil rimanevano al fianco delle Nihaar’ì per tutta la vita...rendersi antipatica fin dal primo giorno forse non era la mossa più intelligente da fare...

Decise quindi di stringersi nelle spalle e annuire.

E’ una stanza stupenda” decretò facendo qualche passo in avanti. Sfiorò con le dita gli ampi tendaggi che circondavano il letto, notandone sotto i polpastrelli la fine trama priva di difetti. Passò dunque ai mobili, lisci e levigati di fino, perfetti per contenere più abiti di quanti ella avesse mai pensato di possedere.

Aprì con cautela un cassetto.

Ed eccole lì. Decine e decine di meravigliose opere di sartoria, ispirate ed intessute a suo modello così che, una volta indossate, ogni centimetro di seta le calzasse a pennello senza sbavo.

Richiuse il cassetto. Le dita rimasero tuttavia ferme sui pomelli, un brivido a percorrerle per un attimo prima che ella, distrattamente, vi si separasse con un sospiro.

Questa sarà la mia casa da ora in poi?” chiese senza guardare il Naphil. Nell’attimo di silenzio che seguì, uno zefiro di vento attraversò solitario la stanza intrecciandosi negli scuri capelli della fanciulla. Per quanto assurdo, anch’esso profumava come tutto ciò che si trovava all’interno della Torre del Tempo.

Poi lui sospirò.

Questa sarà la vostra casa per sempre, Somma Nihaar’ì” le rispose “Da ora in avanti sarà mio impegno assicurarmi che nulla vi venga mai fatto mancare”    

Lei sbattè una volta le palpebre.

Siete il mio Servo personale?” chiese monocorde. Stranamente, Zaphil sembrò reprimere una risatina asciutta “Voi considerereste i vostri genitori Servi?” “Voi vi considereste mio padre?” rimbeccò lei. Docile, lui incrociò le braccia al petto “Mi basterebbe anche solo essere vostro amico”.

Io non ho amici. Non più. Pensò subito la fanciulla. E come se avesse avvertito quel pensiero, Zaphil aggiunse  “Il vostro nuovo amico”.

Per un attimo nessuno dei due parve intenzionato ad aggiungere altro. Distogliendo lo sguardo, la Veggente si accostò allora all’ampia finestra della camera, gli occhi velati che percorrevano in un sol attimo le miglia che la dividevano da ciò che un tempo era stato il suo mondo.

Arricciato in una piccola struttura in ferro raffigurante un albero stilizzato, un bastoncino di spezia bruciava diffondendo un profumo ricco e pungente.

Avevo un amico...” iniziò a dire lei. Poi si interruppe scuotendo il capo. Zaphil strinse appena le labbra per poi rilassarle un attimo dopo “Farò il possibile affinché possa ricevere protezione fino alla maggiore età.” disse dopo un attimo “Dopo di allora, sapete che ognuno è padrone del proprio Destino”.

Lei annuì solo una volta, eppure fu come vederla improvvisamente distendersi nelle vesti, il capo che si sollevava e contemporaneamente voltava per incontrare finalmente la figura del Naphil.

Avete detto di chiamarvi Zaphil, si?” chiese lei abbozzando quello che avrebbe potuto essere un sorriso. Lui si strinse nelle spalle, imitando dopo un attimo quella smorfia stentata.

Così mi chiamano gli amicisoffiò docile. Voltandosi completamente a guardarlo, la Nihaar’ì si poggiò allora al parapetto.

Allora, Zaphil, quali sono i doveri di una Veggente?”


-----------------------------------


Fermo sulla soglia, l’uomo in bianco aprì un braccio come ad invitarla ad oltrepassare l’uscio spalancato. Probabilmente avrebbe anche voluto parlare, ma qualcosa nella sua postura rigida le suggerì che questi non fosse affatto a suo agio in quella scomoda situazione.

Lei non si mosse, gli abiti spiegazzati dal viaggio a darle ora un’aria arruffata e nervosa.

Entrare in una cella? Lei?

Lui si chiarì allora la gola, come preparandosi a parlare. Tuttavia lei fu più veloce.

Osereste rinchiudere me in una gabbia?” esalò quasi ringhiando “Avete idea di chi sono?”

Rigido, l’altro parve ancora una volta incapace di formulare una frase. Esitò, una mano ancora tesa come nell’atto di invitarla ad entrare in quella cella di sale e l’altra abbandonata al fianco, inerte, quasi che perfino egli stesso non avesse granché idea di che farsene.

Poi ripetè la sua tacita offerta. Abbassando il capo.

Stizzita, la Nihaar’ì strinse appena gli occhi.

Non oserete” dichiarò. Ma così come ella non pareva intenzionata a muoversi, nemmeno l’altro sembrò incline a reagire in qualche modo alla sua provocazione. Né fronteggiandola, né soccombendovi.

Così, dopo un attimo di strenua resistenza reciproca, la Nihaar’ì dovette suo malgrado arrendersi e varcare con un sibilo contrito la tanto sospirata soglia.  

Fu la figura di un uomo in bianco ad accoglierla. Seduto sull’unica sedia presente nella stanza, le sorrise docilmente nel vederla bloccarsi all’istante come un felino.

Vor yersyel” la salutò. L’altra dovette quasi mordersi la lingua per non cinguettare la nota risposta.

Perdonate le maniere del nostro Jui” sogghignò l’uomo “Fra le sue molte qualità, dubito che la parlantina sia quella più valente”.

Sorrise.

La Nihaar’ì non ricambiò.

Dunque siete voi che comandate?” digrignò viceversa.

A pochi giorni dal loro primo incontro, Zaphil le aveva insegnato un divertente trucchetto per smascherare i veri ricchi dalle loro pallide e fantasiose imitazioni.”Una semplice precauzione contro chi pretenderà di essere più furbo di voi nell’insegnarvi ad essere furba” aveva chiocciato il vecchio.

Guarda le vesti.

Forma, consistenza, filato, ma soprattutto il colore.

In un mondo dove l’acqua è il bene più prezioso, chi pensi possa permettersi di sprecarlo per un semplice vezzo di pulizia?

Ll’uomo dinnanzi alla Nihaar’ì presentava abiti dalle trame ben strutturate, filate ad arte come solo le sarte di grande esperienza erano in grado di fare. E bianche, pulite, insomma lavate di fresco.

Chi mai se non un capo avrebbe potuto permettersi tale inutile vezzo?

Ammesso ch’egli non possedesse un unico vestito buono da utilizzarsi per le occasioni speciali...

Si umettò le labbra.

Fu tuttavia con una mezza nota di soddisfazione, che la giovane vide l’altro annuire una volta “Ahimè, credo proprio di essere stato scoperto” asserì con una nota beffarda “Ma dato che mi riservate l’onore di riconoscermi, lasciate che anche io vi rivolga la medesima cortesia” sogghignò “Siete voi dunque la Nihaar’ì?”

L’altra strinse appena le labbra “I Legheon vi faranno a pezzi uno ad uno per questo affronto” “I Legheon faranno bene a starsene buoni dove sono se non desiderano che la loro amata Veggente faccia la fine che si merita” la zittì l’altro.

Gelido, il silenzio calò su di loro. Cerchi di morbida luce si stagliavano ora sul pavimento della cella, ombre lucenti dai buchi che dal soffitto erano stati aperti per lasciar passare luce ed aria.

Doveva essere ancora mattino.  

Fu l’uomo a prendere nuovamente parola, le dita imbrunite dal sole che tamburellarono un attimo nell’aria come alla ricerca di uno strumento invisibile.

Perdonate la rudezza” scrollò le spalle “Non è mia abitudine parlare con fanciulle della vostra levatura sociale. Posso solo immaginare quanto rozzo possa ora sembrare ai vostri occhi...”

La Nihaar’ì lo liquidò con un semplice sorriso.

L’avete detto, vi ho riconosciuto al primo sguardo” l’altro simulò la parodia di un inchino con il braccio “Ma indovinare il vostro passato non è cosa di mio interesse. In confronto a ciò che io sono, voi siete meno di un disturbo per me.”

L’altro si lasciò sfuggire un sogghigno teso, la gamba destra che saliva ad incrociare l’altra all’altezza del ginocchio.

Quale gentilezza...” esalò, ma la ragazza non aveva ancora finito “...La vera domanda viceversa è ora un’altra: cosa avete intenzione di fare di me?”

Ora che mi avete preso. Ora che mi avete condotto qui, in questa misera cava di sale abbandonata sulle coste di chissà quale lago di Harryan. Ora che siete riusciti in ciò che tutto il mondo credeva impossibile.

Fu con un movimento agile che l’altro si tirò in piedi e colmò con una semplice falcata lo spazio che lo divideva dalla Veggente. Mentre la sedia cadeva a terra con uno schianto sordo alle sue spalle lui le afferrò un polso con forza portandolo all’altezza del viso di lei. La Nihaar’ì annaspò, improvvisamente rigida nelle mani dell’uomo.

Siete la Nihaar’ì?” chiese lui in un sibilo. L’altra lo fissò incapace di capire. Di risposta, l’uomo le strattonò il braccio una volta costringendola a farglisi di un passo più vicina. Le sue vesti odoravano di spezie dolci, la sua pelle di balsami e aromi caldi.

Siete la Nihaar’ì?” ripetè più lentamente.

Finalmente lei annuì una volta.

Dunque non vi servono risposte” ghignò lui lapidario “Vi basterà dormirci su e tutto vi apparirà più chiaro, dico bene?” Incapace di parlare, la Veggente si limitò a fissarlo attonita, la stretta sul polso che di istante in istante diveniva sempre più dolosa.

Tentò con scarsi risultati di liberarsi.

Fossi in voi, mi prenderei comunque il disturbo di riflettere sulla questione questa notte. Potrebbe rivelarsi un’esperienza interessante”

Finalmente egli la lasciò andare, la mancata presa che quasi la faceva crollare a terra. Incespicò all’indietro, il tremore delle gambe a guidarla fino alla parete più vicina. Vi si appoggiò con un sospiro.

Lui sorrise prima di accostarsi all’uscio e da lì regalarle una lunga occhiata cui ella scampò voltando il viso dall’altra parte.

Uhe’yel zysat, Nihaar’ì” esalò dunque prima di chiudersi la porta della cella alle spalle “Vi auguro una Buona Notte”.


Fu un brivido a svegliarla. Un tremito lungo e teso, come la sensazione di freddo ad intrufolarsi fra le vesti alle prime luci dell’alba.

Tuttavia percepiva ancora nell’aria l’umido sentore della notte sulle palpebre. Il suo velo freddo sulla pelle. Si mosse a disagio nelle coperte, tentando suo malgrado di schermarsi da quell’inopportuno risveglio chiudendosi a bozzolo in esse. E sospirò.

L’attimo dopo spalancò entrambe le palpebre nel buio. L’ondata di terrore che seguì a paralizzarla in quella sua posizione fetale senza possibilità di scampo.

C’erano delle voci.

Dal terreno ove ella aveva posato la guancia risalì allora un arido sentore di polvere e sabbia a pizzicarle il naso e bloccarle il respiro. Annaspò immobile.

Fu allora che si presentò il dolore. Scapole e spalle schiacciate sotto il peso di quel rigido giaciglio, Gambe aggrovigliate nel tentativo di trattenere il calore. Collo ritorto su un braccio - ora insensibile - per sfuggire all’assenza di un cuscino.

In un unico spasmo doloroso, il corpo della Nihaar’ì accusò le conseguenze del dormire a terra senza la benché minima traccia di stoffa o giaciglio ad addolcire il contatto con il terreno.

Gemette meccanicamente, la sensazione di non potersi affatto muovere -malgrado l’evidente necessità di farlo- che le graffiava dolorosamente i fianchi della coscienza prima che ella si imponesse di stirare prima una gamba, poi l’altra. Ed infine tutte e due.

Di nuovo, in lontananza, l’eco di Voci.

Rotolò su un fianco, il freddo che di petto la investiva lasciandola senza fiato. Strizzò allora gli occhi, il peggior risveglio di sempre che prendeva a tormentarla con un tremito convulso a tutto il corpo. Tremito che prese rapido a risuonare nella cella al ritmo dei suoi incisivi cozzanti.  

Infine si mise seduta.

E di nuovo gemette.

La testa le scoppiava. Ma dubitava di poter capire se per le sue ore di doloroso sonno o per quel temibile suono che ella aveva percepito dal suo stato di incoscienza.

Ma di nuovo, eccolo.

Voci basse, lontane. Quasi il mugghio della terra. Ma certamente umane. Innalzarsi in un’unica nota compatta e poi svanire. Per poi tornare. Come risacca antica.

Qualcosa di simile al presentimento fremette in lei, irrigidendo i suoi muscoli già contratti.

Conosceva quel suono.

Comprese.

Conosceva quell’intonare.

Si stupì.

Tremante, si costrinse allora ad alzarsi in piedi ed accostarsi alla porta. Il buio più impenetrabile rispose al suo sguardo, un ghigno che sapeva di corridoi deserti e stanze spoglie, attraversate solo dalla pallida sfumatura lunare.

La Veggente poggiò le mani al legno della porta, le dita che misuravano con apprensione la consistenza umida della sua superficie prima che l’orecchio vi si accostasse, in attesa.

E di nuovo, il fluttuare di voci nel buio oltre la soglia. Tramestio velato, grave e pesante se paragonato al solito che ella era abituata ad udire.

Eppure era proprio lui.

Impossibile dimenticarlo. Impossibile confonderlo. E dubitare.

Quello era il Canto della Veggente.

Il suo canto.

La consapevolezza le rizzò tutti i peli del corpo, una doccia gelata che la lasciò boccheggiante lì, in piedi, appoggiata alla soglia quasi che sola non avrebbe potuto reggersi sulle proprie gambe.

Il suo canto.

Ripetè la sua mente.

E’ proibito.
Aggiunse poi, lapidaria.

Nessuno a parte la Nihaar’ì poteva pronunciare quelle parole, la sacra e intangibile invocazione al mondo dei Sogni.

Era un’eresia.

Boccheggiò.

No. Peggio.

Un sacrilegio.

Torna a dormire, Ragazzina”

improvvisa, la voce giunse ad un sospiro da lei, dietro la porta eppure sorprendentemente vicina.

Terrorizzata, la Nihaar’ì scattò allora all’indietro, il panico che istantaneamente la faceva incespicare nei suoi piedi, ruzzolare fino alla parete più vicina dove la sua testa incontrò la solida parete di sale.

L’eco di quei canti fu l’ultimo suono che ella percepì prima di cadere bocconi a terra.

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Capitolo 11
*** So che sei lì ***


Ed eccomi di nuovo, questa volta pure in anticipo :) A poche ore da un esame importante, ecco il nuovo capitolo! Spero piaccia. Grazie a tutti e come sempre...alla prossima!!

Baciozzi

Elendil

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Torna a dormire, Ragazzina”

quella voce fu la prima che ella udì al suo nuovo risveglio. Vera o apparente che fosse, fu quella che ella percepì nel momento in cui i suoi occhi si spalancarono nuovamente su un mondo questa volta pallido e soleggiato.

Alto, esso si stagliava in cerchi dorati attorno a lei, punteggiandola di screziature calde. Alla porta sostava ora una figura in bianco. La Nihaar’ì ne mise faticosamente a fuoco le fattezze, riuscendo solo dopo qualche attimo a dedurre che si trattava di una donna.

Si tirò piano a sedere, la mano sinistra che andava istintivamente a tastare la nuca nel risvegliarsi di un dolore acuto e disturbante.

Ritraendola la vide sporca di sangue rappreso. Fece una smorfia contrita.

Immobile, la figura in bianco attendeva, paziente. Sollevò allora lo sguardo su di lei solo un attimo, la vaga sensazione che nemmeno quella nuova guardia del corpo avrebbe detto granché ad offrirle una nuova, gradevolissima, scusa per essere di cattivo umore.

Nuova smorfia, nuova sensazione di odiare tutto di quella imprevista visita nei bassifondi della civiltà. Poi si umettò le labbra.

Sono sveglia” constatò atona alzandosi in piedi. Le gambe tremarono nervosamente per qualche istante prima di consentirle una posizione eretta degna di tale nome. Quindi fronteggiò nuovamente la nuova venuta “A cosa devo questa gradita visita?”

Come da copione, l’altra si limitò a farle un vago cenno con la mano invitandola a seguirla. Come da copione la Nihaar’ì non diede segno di volersi muovere.

L’altra ripetè allora il movimento senza proferire parola.

Ma si poteva sapere cosa avevano tutti lì dentro contro la capacità di esprimersi a parole? Era forse un’usanza troppo Nobile per poter essere condivisa dal mondo comune?

Non ho alcuna intenzione di seguirla, se è questo che intende” espresse con il tono più pacato che potesse mostrare incrociando le braccia al petto. Senza batter ciglio, l’altra ripetè il movimento. Di tutta risposta, la Veggente riformulò il suo.

E fu allora che, ovviamente nel rispetto del più religioso silenzio, l’altra non fece altro che voltarsi e allontanarsi nel corridoio che dava sulla cella lasciandola sola.  

Difficile a quel punto impedirsi una sonora rimostranza di stizza. Peccato che anche quella parve assai futile ed impotente rispetto a tutto ciò.

Zaphil li avrebbe fatti fuori uno ad uno....uno ad uno...

Quando, ore dopo, la Veggente si arrischiò finalmente a percorrere da sola quei corridoi, fu dopo la prima svolta che si trovò dinnanzi alla figura in bianco. Immobile come l’aveva lasciata e ovviamente per nulla stizzita dalla lunga attesa.

Sospirò esasperata rassegnandosi a seguirla malgrado i dolori della notte passata ad irrigidire ogni suo movimento di dolorose e ricorrenti fitte a fianchi e schiena. Sospirò.

E pensare che alla Torre del Tempo si era più volte lamentata per inezie quali lenzuola troppo spesse o cuscini esageratamente imbottiti...

Svolta dopo svolta, la sua guida la portò avanti in quello che presto si rivelò essere un dedalo di stretti corridoi e gallerie scavate in vene di sale antiche e sedimentarie. Le sfumature cangianti variavano dal rosso ruggine al bianco più puro dando all’intera struttura un’aria di tramonto apparente, a tratti suggestivo a tratti soffocante.

Il tutto si basava sul lavoro di anni, se non decenni, dove mani esperte avevano scavato solchi e gallerie dalle più fantasiose forme. Silenziosa e dolorante, la Nihaar’ì non potè che apprezzarne la bellezza intrinseca ed al contempo odiarne la labirintica struttura. Pochi passi e già si ritrovò persa in quelle gallerie rosate a tratti rischiarate dal tenue riardere di torce.

Infine, svolta più svolta meno, la sua guardia la condusse lungo una serie di scale che presto le portarono a ridiscendere lentamente verso il basso.

Dove sono tutti?” chiese improvvisamente la Veggente notando solo allora il perfetto silenzio che regnava in quel luogo. Ricordava le voci della notte precedente e l’oscuro terrore che esse avevano suscitato in lei. Eppure dove si trovavano ora tutte quelle genti? Possibile che quel luogo fosse tanto grande da nasconderle e disperderle tutte?

Ovviamente l’altra la ignorò. Anzi, se possibile questa sembrò accelerare il passo tanto da costringerla a trottarle dietro con qualche rigido balzo.

Maledetta. La maledì mordendosi la lingua. Se solo fosse stata nella Torre del Tempo ora....

Già. Se fosse stata alla Torre del Tempo ora...

Finalmente l’altra parve rallentare, i passi nudi che compivano un’ultima svolta prima di aprirsi in una zona più larga di quelle precedentemente percorse. Qui gli scalini cedevano il passo ad una morbida discesa di quella che la Nihaar’ì percepì immediatamente essere una sorta di spiaggia sotterranea.

Una pozza dalle tinte rosate, larga poco più di tre metri di diametro riverberava tenue di fioche lanterne proiettando sulle pareti saline scintille iridescenti.

Bella. Fu il primo pensiero della Nihaar’ì subito sostituito dalla coscienza dell’uso che ella avrebbe dovuto fare di quella pozza.

Volse lo sguardo ed eccoli, alcuni vestiti poggiati alle rocce poco distanti. Si morse un labbro. Ovviamente bianchi. Ovviamente anonimi come tutti quelli che aveva visto fino ad allora.

Fece per esternare il suo totale rifiuto a lavarsi in quella pozza colma di chissà quali impurità ma -la cosa iniziava a divenire ripetitiva - la sua guida l’aveva ovviamente già abbandonata.

Di nuovo.

Ma che simpatia. Abbandonarla nuovamente in un luogo in cui non sapeva come fosse arrivata e dal quale non sarebbe riuscita in alcun modo ad allontanarsi con le sue sole forze...

Rassegnata, alla ragazza non restò altro da fare se non cominciare a spogliarsi ed immergersi poco dopo nella pozza naturale.

La sensazione la stupì: l’acqua era fredda e salata, eppure la pelle ne accolse con sollievo il contatto. Quando immerse la testa, una tenue corona di sangue si sparse tutto attorno a lei provocandole lancinanti fitte nei pressi della ferita aperta.

Malgrado ciò si distese nel bacino, beandosi di quella sensazione appagante e rassicurante fino al momento in cui alcuni rumori alle sue spalle non la misero nuovamente in allarme.

Come un felino scattò fuori dall’acqua, le mani tremanti che correvano ad afferrare le vesti candide preparate per lei. Avevano un vago sentore di sabbia e vento, quasi che il vento del deserto le avesse asciugate da poco.

Quando la figura familiare del suo aguzzino fece capolino nella conca, era già vestita.

Lui la salutò con un mezzo inchino cui lei non rispose.

Il bianco le sta d’incanto” commentò lui con un sorriso gentile. Lei scostò il viso di lato “Se voi chiamate bianche queste sudicie vesti...”

Nuovo sorriso. “Sono contento di vederla in forma. Molti dei nostri prigionieri tendono a non prendere così bene la loro prigionia” l’altra si accigliò “Prigionieri? E vostra usanza prelevare persone innocenti e farne merce di scambio?”

Chi ha detto che ne facciamo merce di scambio?” replicò sottile l’altro “Questo è un privilegio che intendiamo riservare solo a lei”

Lusingata..

Dunque è per vile denaro che avete profanato Hevnan k’ar mettendo a repentaglio la vita di tutti i suoi abitanti?” esalò la ragazza cominciando a districarsi i capelli bagnati con le dita. Il gesto fu seguito per un attimo dall’altro “Eravamo tutti d’accordo che il bottino valesse l’impresa” fu il commento finale.
Lei non colse la lusinga, limitandosi a continuare il proprio movimento meccanico. Poi sospirò “E che mi dite dunque delle voci che ho udito questa notte?” esalò dopo un attimo.

Qualcosa nella postura di lui parve improvvisamente irrigidirsi.

Voci?” replicò asciutto.

Si. Voci. Canti, per la precisione”.

L’altro parve non capire per qualche attimo. Poi scrollò le spalle, quasi che la questione fosse stata di poco conto “Mi segua, la prego”.



Impossibile essersi sbagliata. Più lo osservava, più la Nihaar’ì era certa che quell’individuo non fosse affatto ciò che egli diceva di essere.

Beh, non quasi tutto.

Di sicuro egli non era il poveruomo, umile e di modeste origini che affermava d’essere. I suoi modi lo tradivano, la sua parlantina sciolta lo tradiva, perfino il suo profumo lo metteva nella condizione di poter a fatica passare per un semplice Khonarh (popolano).

Eppure egli si trovava lì, in quella sorta di miniera di sale abbandonata, un po’ fatiscente ed un po’ suggestiva ed assolutamente impossibile da decifrare per la sua mente speranzosa. Nel condurla per i corridoi egli non si prese nemmeno il disturbo di legarla o bendarla. “Dubito in effetti che riuscireste ad indovinare l’uscita perfino se posta proprio dinnanzi ad essa. Questo luogo è un labirinto naturale” aveva spiegato con semplicità conducendola per l’ennesimo corridoio privo di finestre e pieno di porte chiuse.

Per un folle attimo la Nihaar’ì si chiese quanti dei precedenti ospiti avessero già subito il medesimo trattamento.

Noto con piacere che voi non avete subito il medesimo maleficio toccato a tutti quanti i pochi presenti” riprese col dire dopo un attimo. Una nuova rigidità colse il suo accompagnatore. Rallentando il passo, egli parve come intenzionato a fermarsi. Tuttavia desistette.

Ossia?” sillabò poi senza voltarsi

Mi state parlando. Sembra una pratica assai poco diffusa qui” replicò lei a disagio. Aveva forse detto qualcosa di male?  

Per un nuovo attimo lui non rispose ancora. Poi scrollò le spalle “Questo perché qui non è usanza parlare quando non si ha nulla da dire”

L’altra si accigliò “Nemmeno se l’occasione è una domanda posta?”

Credo che la stiate guardando dal punto di vista sbagliato” l’uomo svoltò ancora una volta “Più che domandarvi il perché non vi sia stata data risposta, forse dovreste chiedervi se la vostra domanda ne necessitasse davvero di una”

Che idiozia.

L’altra non potè trattenere un gesto di stizza “Non è mia abitudine porre questioni per semplice gusto”

Eppure me ne avete posta una poc’anzi” “E sarebbe?” “Riguardo le voci della scorsa notte”

Per un attimo lei parve incapace di capire. Seguitò in silenzio per qualche passo in parte domandandosi se la sensazioni di aver già percorso quel corridoio fosse errata - che stessero girando intorno?- ed in parte chiedendosi perché mai in quel luogo gli estremi fossero il silenzio più assoluto o conversazioni enigmatiche e colme di doppi fondi peggio delle scatole a trabocchetto della Città del Cielo.

Sono certa di aver sentito quelle voci” asserì infine dura. L’altro parve ridacchiare appena “Credo che la vostra sicurezza sia un’altra”

Fu in quella che entrambi sbucarono in una stanza sorpendentemente ampia e areata. Probabilmente un tempo era stata una mensa o qualcosa di simile ad una zona di ritrovo perché possedeva diversi tunnel di entrata ed uscita nonché una serie di fori stretti e allungati sulle pareti per far entrare la luce del sole in fasci obliqui. Pallide ed a tratti striate, le venature dei muri donavano un che di caldo e confortevole all’intera zona.

Voltandosi appena a fronteggiarla, egli le fece cenno con la mano di entrare.

Stavano intonando il Canto della Veggente” esalò lei avanzando titubante. La vastità di quella sala la stupiva ed inquietava al contempo se paragonata alla claustrofobica strettezza dei passaggi fino ad allora sperimentati. Poco o nulla arredata, essa aveva solo qualche sedia in legno disposta a ridosso delle pareti. Piccoli tavoli giacevano riuniti in un punto più lontano- forse qualcuno li aveva spostati di recente.   

Fu solo dopo alcuni passi che la Veggente si fermò al centro esatto della stanza, chinandosi poi a sfiorare con la punta delle dita un vasto dipinto cesellato a mosaico con piccoli tasselli blu e argento. La Fenice della Veggente si librava letale in un mare grigio nero di Ombre ed Aberrazioni.

Ritrasse la mano quando avvertì i passi dell’altro raggiungerla in silenzio.

Era qui prima ancora che noi arrivassimo” le spiegò l’uomo “Curioso, se pensate che qui il vostro Canto non giunge che due o tre volte l’anno, portato dai Venti”

L’altra sollevò rapidamente il capo, lo sguardo velato che si fissava in quello altrettanto invisibile dell’altro.

Non giunge?

Cosa...?”

Fu in quella che la Nihaar’ì colse un movimento fuori dal suo campo visivo. Scostò rapida lo sguardo ed eccole lì, immobili, una trentina o più forse di figure in bianco a prendere forma dinnanzi ai suoi occhi atterriti. Silenti e immote, così come erano apparse, esse parevano capaci di scomparire per magia.

Vor yersyel” fece per loro l’uomo al suo fianco.

In un attimo ella si alzò in piedi quasi che il pavimento scottasse. Si ripulì meccanicamente le mani nelle vesti scoprendole già sudate e infreddolite all’altezza dei polpastrelli. Poi si voltò a fronteggiare il suo accompagnatore.

Cosa volete da me?” digrignò gelida.

L’altro le sorrise.

Nulla più di ciò che voi date già a tutti i vostri fedeli: la vostra Voce” “Voi non siete miei fedeli” sputò sprezzante. L’altro si accigliò “Dunque non meritiamo la Vostra somma misericordia?” la provocò.

Con un fremito, lei compì un passo verso di lui “Io sono vostra prigioniera. Come osate chiedere anche solo un briciolo della mia misericordia?”

Cantate” fu l’improvviso ordine dell’altro.

Lei ammutolì.

Cantate” ripetè lui con calma.

Lei non rispose.

Devo ricordarvi ciò che mi avete appena detto?” sorrise lui piano.

Lei non ricambiò. Fece invece un passo in avanti, andando quasi a sfiorare le vesti dell’altro.

Fate attenzione, Figlio delle Ombre. Così come è capace di donare salvezza, la mia Voce potrebbe condannarvi alla dannazione eterna”

Finalmente, anche l’altro parve colto da un’improvvisa tensione.

Ma non mi dica...La Grande Veggente arriverebbe a tanto?...”

L’altra ostentò un ghigno velenoso

Pensate di no? Quanto valore pensiate che io dia ad un branco di Eretici?”

Per un attimo regnò il silenzio fra di loro. Un silenzio grave e colmo dell’odio che la Nihaar’ì sapeva ora provenire dall’uomo di fronte a lei.

Poi l’altro abbassò lo sguardo.

Portatela nelle sue celle” esalò atono.



La Notte giunse lenta e decadente, ore interminabili a disegnarsi con fitti arabeschi rosa e magenta sui muri della cella dove la ragazza sedeva immobile, la testa reclinata contro la parete e le gambe distese lunghe a terra, molli come quelle di una bambola di pezza.

Sospirò, il lento inumidirsi dell’aria a sfiorarle la pelle come zampettio leggero, frizione esitante del suo attendere senza esito.

Da che l’avevano riportata in cella, nessuno era più passato a trovarla quel giorno. Né per darle da mangiare, né per darle la semplice occasione di sgranchirsi le gambe indolenzite. Così per ingannare l’attesa la ragazza aveva dapprima cominciato a misurare piede dopo piede il perimetro della stanza, poi a spanne, poi a pollici. Ed infine aveva finito per sdraiarvisi all’interno lunga distesa, la sua altezza che sola bastava per coprirne da parte a parte l’intera estensione.

Terminato ciò, ahimè, ella aveva dovuto suo malgrado ammettere che le fosse rimasto assai poco da fare. Dormire - forse - sarebbe stata allora la soluzione migliore, se non che, velati dal morbido sipario delle palpebre, anche i pensieri più innocui parevano rapidamente in grado di trasformarsi in nefaste prospettive di rovina.   

Così aveva suo malgrado dovuto accontentarsi di rimanersene così, lunga distesa nella sua umile cella attendendo - sguardo rivolto al soffitto - che il mondo finisse irrimediabilmente per addormentarsi e con lui anche il fervido laborio della sua mente.

Espirò lungamente, densi frullii di polvere a volteggiare negli ultimi scorci di luce obliqua filtrante dal soffitto.

E solo allora chiuse finalmente gli occhi.



Fu un respiro oltre la soglia a ridestarla.

Sbattè un paio di volte le palpebre, l’improvvisa percezione dell’oscurità circostante ad avvolgerla in un velo di nera fuliggine togliendole il fiato. Fu colta dall’improvviso bisogno di tossire ma si trattenne, certa che così facendo si sarebbe fatta scoprire.

Ma scoprire cosa? Che malauguratamente si era svegliata quando invece avrebbe dovuto starsene come una imbecille a dormire sogni d’oro?

Si diede della stupida.

E fu solo dopo un respiro contrito che fu in grado di schiarirsi la voce ed esalare un ringhioso

Chi c’è?”

La domanda cadde nel vuoto.

Ma la Nihaar’ì non era intenzionata a farsi scoraggiare. Non dopo il grazioso pretesto che i suoi visitatori le avevano dato per destarsi dall’unico istante di riposo che le era stato concesso di avere.

So che sei lì” ringhiò alla porta.

Ancora nessuna risposta.

E fu in quella che la ragazza si ritrovò a scattare in piedi e come una furia colpire con un calcio rabbioso il legno della porta. Il rimbombo lacerò il silenzio colpendo i sensi della Nihaar’ì tanto forte da farla arretrare. Quando, stordita, ella fu in grado di rimettersi in ascolto, la presenza era scomparsa. Si rimise a sedere, tronfia ed al contempo pentita ora di aver cacciato l’unica sua distrazione per quella notte.

Solo più tardi, con il nuovo protrarsi delle ore notturne e con esse della sua lunga attesa di nuovi -quanto improbabili - accadimenti ella si accorse del dolore lancinante alle dita del piede.

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Capitolo 12
*** Sery ***


Ciao a tutti.

Ma servirà questo specchietto iniziale? Vedo che in alcuni scritti non si usa °__°' Mh...

In ogni caso (bando alle ciance), di nuovo grazie a tutti voi per continuare a seguire questa storia! Questo è un periodo un po' “così”, per cui se troverete errori di battitura o parole abbandonate per strada...lasciate perdere e tirate dritto XD

Bacissimi (scusate, questo capitolo è un po' lungo, ma non sono riuscita a tagliarlo diversamente)

Elendil


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Quando l’indomani l’uomo in bianco aprì la porta della cella, trovò una Nihaar’ì seduta a terra, uno sguardo di pura contrizione dipinto sul volto mentre ella contemplava la gonfia fragilità del suo alluce destro.

La osservò per qualche istante prima di sorridere.

Serata movimentata?” scoccò una breve occhiata all’arto menomato “O più semplicemente le Nihaar’ì sono solite scacciare i sogni molesti a calci?”

Lei alzò lo sguardo solo per un attimo, giusto il tempo di tacere sul piacevole senso dell’umorismo dell’altro.

I vostri Sogni hanno respiri e passi assai pesanti, Anhayt (uomo del deserto)” replicò secca “Ma uno scarso uso della parola. Evidentemente il deserto insegna più con i gesti che con la bocca”

O più probabilmente, qui tutti trovano davvero divertente fare del più semplice mezzo di comunicazione una inutile e trascurabile forma di educazione.

Lui scrollò semplicemente le spalle e senza proferire altra parola la invitò a seguirlo verso quello che si rivelò essere un nuovo bagno rigenerante nella pozza già sperimentata il giorno prima.

Pulita e adornata di nuove e fresche sete rigorosamente bianche, la ragazza venne nuovamente scortata per i lunghi corridoi così da giungere infine in una sala assai più piccola ed intima della precedente. Qui le pareti erano adombre di piccole mensole in legno ospitanti altrettanti rotoli di fine pergamena. Un vago sentore di polvere permeava la sala raddensandosi in soffici ammassi dimenticati qua e la fra mobili, sedie e scrittoi disposti un po’ ovunque. A giudicare dalla varietà di stili, nessuno di quegli arredi proveniva dalla medesima fonte quasi che la casualità - e non un preciso intento creativo - avesse arredato quel luogo altrimenti spoglio.

Una biblioteca?

Tentò di capire la Nihaar’ì passando distratta fra quelle pile di carte e calamai, le dita che naturalmente si protendevano a sfiorare polverose superfici e zigrinate carte arrossate dal tempo.

Fu una donna a rispondere alle sue domande.

Sedeva composta, una gamba accavallata all’altra e nelle mani un libro dalla copertina ingrigita.

Pareva lì da molto, la posa rilassata propria di chi oramai si senta tanto a proprio agio nella lettura da dimenticare il paesaggio circostante.

Fu tuttavia la sua presenza a distrarla. Forse sentendola arrivare ella alzò lo sguardo dalla lettura e vedendola subito chiuse il libro trattenendo l’indice fra le pagine a mo di segnalibro. Poi si alzò, vesti bianche a scivolarle sulle gambe fino alle caviglie. Un velo candido a schermarle completamente il volto.

Anhi val’ah” sorrise avvicinandosi.

A vedersi, la donna pareva insieme leggera e delicata come un uccello del deserto, le spalle sottili ad evidenziarsi nel bianco pallore della sua sagoma affusolata. “E’ un onore avervi fra noi, Somma Nihaar’ì” la salutò quando fu abbastanza vicina. La fanciulla non rispose.

La Nihaar’ì non sembra gradire particolarmente il nostro nido d’amore” sogghignò l’uomo alle sue spalle. Con un solo movimento le fu accanto, una mano a scivolarle gentile sul fianco stringendosela appena più vicino. La Veggente si accigliò. L’altro invece sorrise.

Credo lo trovi un po’ dozzinale rispetto ai suoi standard” il sarcasmo di quelle parole fece appena arricciare le labbra della ragazza in una smorfia acidula cui la donna in bianco reagì chinando umilmente il capo.

Sono spiacente che le nostre sistemazioni non siano di vostro gradimento” esalò gravemente “Mi rendo conto che tutto ciò dovrà sembrarvi assai misero...” strinse le mani l’una all’altra, lasciando ora una più che mai perplessa Nihaar’ì a fissarla per qualche attimo, incerta su come reagire a quella imprevista manifestazione di disappunto.

Non è il caso di fare tante scene” tagliò improvvisamente corto l’altro “Quattro giorni non la uccideranno di certo, non credete anche voi?”

Quattro giorni?

Come una stilettata nella mente, le parole dell’uomo fecero improvvisamente tornare la Nihaar’ì alla realtà.

Quattro giorni...cosa?” chiese con un filo di voce.

L’altro sogghignò.

Quattro sono i giorni che abbiamo concesso al vostro Naphil per venire a prendervi. Dopo di ciò, dubito che sarà nostra intenzione trattenervi oltre” “Nel senso che mi lascerete libera?” soffiò incredula la ragazza.

L’altro si strinse nelle spalle “Nel senso che vedremo in qualche modo di liberarci della vostra magnifica persona” di nuovo, la sgradevole sensazione di poc’anzi tornò a stilettarle il capo “Avere fra le mani la Nihaar’ì è cosa assai interessante, ma a mio dire sconsigliabile per chi desideri giungere serenamente alla vecchiaia”

Dunque avevano paura.

Avete chiesto un riscatto?” continuò la ragazza incrociando le braccia al petto. L’altro non rispose, lasciando che fosse la sua compagna ad intervenire “Nulla più di ciò che ci è stato tolto dalla Torre del Tempo in questi anni: i nostri compagni ora prigionieri dei Legheon” concluse infine la donna. La Nihaar’ì non potè evitarsi una smorfia.

Eretici come voi, immagino” fu il sommario commento. Una costatazione evidentemente errata perché l’attimo dopo l’uomo fu ad un palmo di naso da lei, la linea delle labbra ad intendere quanto egli fosse stato deliziato dalle sue parole.

Pur evitandosi di indietreggiare, la Nihaar’ì scostò un poco di lato il capo.

Avete capito cosa vi stiamo dicendo?” le sogghignò addosso lui “Quattro giorni per avere ciò che abbiamo chiesto. Dopo di che Arryan saprà di cosa è capace una Nihaar’ì abbandonata, sola, oltre il Confine delle Vele” finalmente l’altra si voltò a fronteggiarlo “Fossi in voi non sfiderei il potere della Nihaar’ì...” lo minacciò a denti stretti.

Lui quasi le rise in faccia “Sbaglio o siete stata voi stessa a definirci Eretici?” fu la ruvida constatazione “I poteri di chi o di cosa dovremmo esattamente temere?” lei lo liquidò con un sospiro “Smettiamola con i giochetti, Anhayt. Se non credeste affatto in me io ora non mi troverei qui” l’altro fece un passo indietro incrociando finalmente le braccia al petto “Eppure da che siete arrivata ho visto in voi tutto meno che la Creatura Sovrannaturale che dite di essere” “Creatura Sovrannaturale?” se possibile, la Nihaar’ì sarebbe scoppiata a ridere “Dite forse di non esserlo?” si accigliò l’altro.

Fu questa la volta della Nihaar’ì di incrociare le braccia al petto. E prendere fiato “Credo semplicemente che voi siate alla ricerca di un Miracolo che non è mia intenzione donarvi” concluse atona.

Rapido, lo scatto dell’altro sarebbe calato su di lei se solo la compagna dell’uomo non l’avesse trattenuto. Fu con quella mossa che la Nihaar’ì notò finalmente nella donna un particolare che le fece gelare il sangue nelle vene. Trattenne quasi il fiato fino a quando l’altro non si fu allontanato riprendendo la calma.

Perdonateci, Somma Nihaar’ì” si scusò finalmente l’ignara figura in bianco, un braccio teso come ad ammonire l’uomo e l’altro chiuso al petto in una posa di vivo sconforto “Noi siamo figli delle Sabbie e del Vento. Le regole della Torre del Tempo ci sono per lo più sconosciute...” “Credo invece che voi conosciate benissimo le regole della Torre ma abbiate deliberatamente deciso di ignorarle” la zittì la Nihaar’ì “Ed è per questo che malgrado le vostre suppliche, io non canterò per voi”.

Per qualche istante la donna parve osservare la Veggente, l’uomo al suo fianco ora rigido in una posizione di palese pur inesprimibile collera. Tuttavia, fu infine la compagna a scrollare il capo.

Avete ragione” fu il suo triste commento “Se è un Miracolo ciò che noi aspettavamo, forse Voi siete proprio quello che le nostre azioni scellerate meritano”

Fu la donna a riaccompagnarla in seguito nella sua cella, il silenzio a regnare cupo fra di loro. Pallida, la sua figura ammantata sorvolava senza rumore le lunghe gallerie, un vago profumo di erbe a seguitare con lei nel silenzio. Pareva uno spirito, notò l’altra poco dietro, le membra percorse da una sgradevole sensazione di rigidità e debolezza assieme.

Quando furono alla volta della sua cella, la donna la salutò toccandosi il petto con la mano chiusa a pugno cui seguì un lieve chinarsi del capo.

L’altra si accigliò.

Se voi credete” esalò in un sussurro “Perché dunque vi accompagnate a degli Eretici?”

Per un istante la donna in bianco non sembrò intenzionata a rispondere. Poi chinò il capo.

Se voi siete la Nihaar’ì, perché dunque vi ostinate a comportarvi come se non lo foste?”

Dolce, quell’accusa priva di odio o rancore fu l’unica cui la ragazza non fu in grado di rispondere. Senza pensare strinse fra le dita il profilo della porta e con un tonfo sordo se la richiuse alle spalle.


____________________________________________________



La notte giunse con il suono di mille e più voci ad innalzarsi cupe lungo le nodose rientranze dei corridoi della cava. Una marea monocorde e monotona che traditrice prese ad infiltrarsi nei sogni tormentati della Nihaar’ì per infine destarla in un sussulto brusco.

Sbattè ancora una volta le palpebre, la certezza di riconoscere quei suoni, quelle parole che illividiva il pallore delle sue guance. Rispose a quel richiamo con un digrigno grigio.

Giorni di fuoco e notti come quelle avrebbero di certo finito per farle saltare i nervi...

Fu allora che notò la porta della cella. Era socchiusa.

La fissò immobile.

Uno spiraglio di buio filtrava incatenando il suo sguardo attonito.

Ma che diavolo...

Si tirò in piedi a fatica, spalle e gambe ancora una volta tormentate dalla piacevolezza del suo giaciglio. Fissò ancora per un attimo la nera voragine dinnanzi ai suoi occhi, un buco a precipizio verso l’ignoto.

Ma a che diavolo di gioco stavano giocando?

Zoppicante si accostò allora alla soglia poggiando una mano sulla fredda superficie di legno prima di sospingerla con un unico movimento. In un digrigno sommesso l’uscio si aprì, inondando la Nihaar’ì di un buio profondo e brumoso.

Più forte, il Canto della Veggente la chiamò allora da lontano.

Rabbrividì.

Era una trappola? O forse uno stupido gioco per spaventarla ancor più di quanto già non fosse? Ricordava perfettamente i termini del dialogo di quel giorno e l’oscura minaccia in esso sopita.

Mosse a disagio il peso da un piede all’altro ed infine, con un sospiro, prese allora a camminare.

Tempo due svolte ed ovviamente si era già persa.

Che risvolto assai sorprendente...

Si strinse nelle spalle, un senso di gelo a costringerla ad abbracciarsi il busto con entrambe le mani mentre, alla cieca, continuava ad avanzare prima a destra e poi a sinistra.

E di nuovo a destra. O forse a sinistra?

Si morse un labbro.

Ma che importanza aveva? Veramente pensava di poter scappare da quel labirinto?

Nuovamente il Canto della Veggente la raggiunse, trovandola dove ella non avrebbe mai sperato di cercarsi.

La sospinse suo malgrado a destra lungo una svolta. Si fermò di nuovo, ombre di pareti rosate ad indicarle una piccola discesa a semicerchio, simile all’interno di una conchiglia. Ne percorse a piccoli passi l’intera lunghezza volgendo poi dinnanzi ad un bivio. Sospirò.

Andò quindi a destra, le mani che a tratti si alzavano per incontrare le pareti ruvide di sale.

Poi, improvviso, un movimento alle sue spalle.

Si bloccò terrorizzata, il gelo che piombava su di lei togliendole il respiro.

Chi va la?

Pensò di chiedere. Ma pensò sarebbe stata cosa assai buffa che l’intruso chiedesse al padrone di casa di mostrarsi. Quindi non disse nulla e senza voltare il capo riprese ad avanzare più vicina alla parete.

Un nuovo movimento.

Si bloccò ancora. Ansimò. E forse meditò di girarsi ed affrontare la cosa. Si convinse subito dopo del contrario. Fece altri due passi. Qualcuno allora la seguì.

L’attimo dopo la Nihaar’ì si ritrovò a correre a perdifiato per i bui corridoi, lo scatto delle gambe a precedere qualsiasi pensiero cosciente e condurla avanti, molto più avanti, perduta in quel dedalo di gallerie fino al momento in cui, cieca dalla paura, andò direttamente a schiantarsi all’ombra di una parete contro la quale caracollò bocconi.

Terrorizzata vi si accucciò, spalle e ginocchia a coincidere in un bozzolo sussultante. E le venne allora in mente che Paura e Confusione non avrebbero dovuto essere cose per una come lei, abituata a ben altri turbamenti. E che in effetti, mai prima di quel momento aveva permesso a qualsivoglia Entità o individuo di spaventarla tanto da costringerla a terra, stretta in se stessa come una piccola infante.

E che Zaphil l’aveva anzi addestrata alla gestione di ogni emozione e turbamento al fine di renderla pronta ad affrontare qualunque situazione le si fosse mai posta dinnanzi.

Bell’addestramento. Si prese in giro infine. Probabilmente il Naphil avrebbe fatto meglio a favorire le palesi inclinazioni come scattista da lei manifestate...

Quando, di nuovo, il Canto della Veggente giunse alle sue orecchie, la Nihaar’ì fu in grado di aprire nuovamente gli occhi e scrutare - il cuore in gola - l’oscurità attorno a sé.

Non c’era nessuno.

Esitò.

Apparentemente.

Eppure il suo istinto le diceva di dubitare di ciò che i suoi occhi vedevano poiché qualcosa, qualcuno, o nessuno probabilmente, poteva in ogni caso trovarsi lì, al suo fianco, senza che ella fosse per nulla in grado di vederlo.     

Così si tirò a fatica in piedi, un sudore freddo a farla tremare ancora una volta prima che il suono delle voci la attirasse nuovamente verso un corridoio più scuro degli altri. Si strinse nelle spalle, gli occhi tanto sgranati da dolerle quasi.

Poi, finalmente, una luce. Lontana e fioca, essa si sagomò di neri colonnati posti ancora più avanti. Si morse un labbro: le voci provenivano da là.

Quasi arrancando tanta era la paura di essere scoperta, ella giunse finalmente in prossimità di questi, le Voci che ora intonavano attorno a lei inondandola di quel basso e profondo salmodiare a lei tanto familiare. E sporgendosi, infine li vide: una serie di figure ammantate di rosso sedute a terra in cerchi concentrici, tutte intente ad intonare, tutte unite da un lento movimento del corpo, da destra a sinistra e viceversa.

Al centro stava la sagoma dell’Anhayt anch’essa seduta ma con le braccia aperte verso l’alto, rossa sabbia fra le dita a filtrare dai palmi a terra e poi ancora, in un movimento ripetuto e cerimoniale.

Poi, lento, l’avvicinarsi di due figure in rosso. Fra di loro, una sagoma alta, vestita di rubino anch’ella. Pareva un uomo, indovinò la Nihaar’ì osservandone le proporzioni larghe di spalle e strette di fianchi. Avanzava con piccoli passi, le persone lì radunate che al suo sopraggiungere si scostavano pian piano lasciando libero il passaggio.

Pur se non costretto, era chiaro che quell’uomo non desiderasse affatto trovarsi dove era ora e visto il suo rigido avanzare, di certo sarebbe caduto bocconi a terra se solo i due uomini non l’avessero sorretto fino al momento in cui, giunti al centro della folla, entrambi lo lasciarono libero di sedersi in ginocchio dinnanzi all’Anhayt.

Il Canto parve allora crescere d’intensità.

Poi l’uomo chinò il capo, le mani dell’altro che andavano a scoprire le sue vesti lasciando che poco a poco la schiena si rivelasse alla vista di tutti.
La Nihaar’ì si ritrovò a trattenere il fiato: lunghi e profondi solchi sanguigni percorrevano il corpo dell’uomo, disegnandone la carne viva di mirabili ed incomprensibili arabeschi. Trattenne un singulto, il terrore che in un attimo la invadeva sopraffacendola: quello era un Risvegliato.

Quanto poteva essere passato dall’inizio del Risveglio?

Ansimò, le Voci che divenivano improvviso frastuono nelle sue orecchie.

Pochi giorni. Pochi mesi. Difficile dirlo, le parole di Oneiron erano ancora vivide su di lui.

Per nulla turbato, o forse già avvezzo alla vista, l’Anhayt prese ancora la rossa sabbia dal terreno circostante, la alzò al cielo e la lasciò allora scorrere dalle sue dita alla pelle dell’uomo in un precipitare costante e misurato. L’altro rimase immobile, i presenti nella sala che improvvisamente si alzavano in piedi innalzando anch’essi le mani al cielo, il Canto che prendeva ora se possibile ancor più forza e vigore.

Fredde, la Nihaar’ì strinse le mani al petto.

Poi improvvisamente il Canto cessò. Tutti, uno dopo l’altro, i presenti si rimisero seduti rivelando in ultimo le due figure immobili al centro dei cerchi. Il primo, l’Anhayt, ora in piedi mentre l’altro ancora curvo a terra, la schiena flessa in una parentesi contrita. Sulla sua pelle, rossi come sangue, risplendevano ancora i Segni del Risveglio.

Ed in qualche modo la Nihaar’ì capì.

Per il silenzio greve ora calato sulla sala. Per la composta rigidità dei presenti. Per l’immobilità del Risvegliato.

Capì cosa sarebbe successo e perché tutto ciò sarebbe accaduto.



Zart’vonk’ ch’i shnorhel nerum.
Na khostovanel e, vor p’rkut’iwn

Il Risveglio non conosce Perdono. Non concede redenzione.



Pur essendo la voce dell’Anhayt, la Nihaar’ì udì quelle parole pronunciarsi da Zaphil stesso come quando, anni prima, egli le aveva rivelato il Segreto del Risveglio.



Nrank’, ovk’yer art’nats’yel yen aylevs tghamardik ,

bayts’ An’me e’am korts’rel e , yev yerbek’ mtadir e handiphel

Coloro che si risvegliano non sono più uomini bensì Anime nel Sogno perdute e mai più destinate a ritrovarsi.



Ayn, vor Vori Ar karogh nrants’ tramadrel Henv’yeraz nrank’ arzhani

Che il Vori Ar possa concedere loro il Henv’ yeraz che essi meritano.



L’attimo dopo l’Anhayt trasse dalle proprie vesti un lungo ed affilato pugnale simile ad un pungolo affilato. Lo elevò alto sopra la propria testa e prima che la Nihaar’ì avesse il tempo di esalare un grido angosciato lo calò dritto sulla nuca dell’uomo inginocchiato, penetrandola da parte a parte. L’attimo dopo il cadavere caracollò esanime da un lato, afflosciandosi senza vita..

A quel punto la ragazza stava già correndo a perdifiato fra le pallide gallerie della cava, il puro terrore guidarla dove la vista mai avrebbe potuto. Faticava a respirare, eppure il suo corpo pareva suo malgrado capace di muoversi con un vigore mai provato prima di allora.

Eresia

Esalò la sua mente terrorizzata.

Eresia

Ripetè il suo cuore impietrito, i battiti ora tanto forti da schizzarle quasi fuori dalle orecchie.

Scartò senza neppure vederla una sporgenza del muro - forse una porta - e continuò ad arrancare lungo una mezza salita. Poi una discesa. Poi una strettoia. Poi...

Qualcosa le afferrò improvvisamente il fianco e con forza la sbilanciò facendola scivolare nella polvere.

Ansimò fuori di sé, la sabbia che le entrava negli occhi ed in bocca costringendola ad un gemito esasperato. Il suo nemico tuttavia ne approfittò per rinsaldare la presa, una seconda mano ad aggiungersi e ghermirle un polso.

La- lasciatemi!” gridò lei tentando con foga di calciare via il suo assalitore.

Vi prego, Somma Nihaar’ì...” pur impastata, la voce le suonò abbastanza familiare da costringerla suo malgrado ad esitare per un attimo, sgranare gli occhi e così mettere faticosamente a fuoco la figura della donna in bianco, la compagna dell’Anhayt.

Se possibile, il suo terrore parve ingigantirsi ancor di più. Annaspò e con un rantolo tentò con uno strattone di fuggire. L’altra però sembrò resistere.

La prego...” fu la desolante richiesta “Non osate toccarmi!” gridò finalmente la Nihaar’ì divincolandosi ed annaspando a carponi contro la parete più vicina “Voi...” per un attimo la testa le girò vorticosamente. Deglutì a vuoto “Risvegliata” concluse infine con un sibilo.

Per un attimo l’altra parve irrigidirsi, ancora riversa sul fianco come nell’atto di afferrarla. Poi, lentamente, si tirò a sedere, le gambe rannicchiate sotto le cosce in una posa curiosamente simile a quella dell’uomo appena ucciso. La Nihaarì si costrinse a non pensarci.

Dunque voi sapete” fu la tiepida risposta della donna “Del resto come avrei potuto nascondervelo, siete la Veggente...” sembrò sorridere.

Ho visto cosa avete fatto a quell’uomo” digrignò l’altra. Il cuore pareva doverle uscire dalle orecchie “Siete dei mostri”.

L’altra piegò appena il capo “Credete forse che i vostri Legheon facciano qualcosa di diverso ai Risvegliati portati a giudizio?” esalò. L’altra si strinse al muro “I Legheon mandano i Risvegliati in Esilio nel deserto” replicò asciutta “Che è un po’ come mandarli a morte, se il Deserto non è stata la loro culla” obiettò l’altra.

La Nihaar’ì tacque. Fu solo dopo qualche momento che la donna in bianco parve osare parlare di nuovo “Abbiamo tentato di salvarlo in ogni modo” esalò nell’oscurità “Ma come molti altri prima di lui, nemmeno il vostro Canto è stato capace di sottrarlo al suo Destino” l’altra si ritrovò a stringere appena gli occhi “Questo perché il Canto della Veggente non riporta indietro i Risvegliati” obiettò freddamente. La donna chinò il capo, evidentemente restia a contraddirla. Parve però subito ripensarci “E’ stato quell’uomo a chiederci di donargli lo Henv’ yeraz (riposo senza sogni). Il deserto avrebbe rappresentato una morte troppo misera da affrontare” “La sola che meritano i Risvegliati” obiettò dura la Veggente. L’altra strinse appena le braccia in grembo “Se solo vi sforzaste di capire...” sillabò atona prima di zittirsi improvvisamente. Ma oramai era troppo tardi.

A quelle parole la furia della Nihaar’ì la investì senza possibilità di replica “Se io mi sforzassi?” le gridò quasi in faccia “Intendete forse dirmi che esiste una spiegazione plausibile a ciò che ho appena visto?” “Vi prego...” tentò di dire l’altra ma con scarso successo “Riti sacri scimmiottati da fanatici senza scrupoli....” “Somma Nihaar’ì...” “Omicidi privi di alcuna logica e compiuti al di là di ogni Giustizia riconosciuta...” “Per favore...” “Risvegliati tenuti nascosti e protetti dalla Torre del T...”

Quello che la mia amata sta tentando di dirvi...” la voce alle spalle di entrambe le fece sussultare. Immobile, una decina e forse più di figure in bianco alle spalle, stava l’Anhayt. Sorrise appena venendo loro incontro e giunto a breve distanza, offrì alla propria consorte un braccio per alzarsi. La donna lo guardò qualche istante, immobile, prima di accettare il gesto.

E’ che se continuerete ad urlare così, Somma Nihaar’ì, il misero piano escogitato per farvi fuggire dalla vostra condizione di prigionia verrà vanificato” sorrise rivolgendosi poi alla donna in bianco “Dico bene, Sery?”.

Non per l’ultima volta in quella notte, la Nihaar’ì ebbe la netta sensazione di stare perdendo qualche passaggio importante dell’intera vicenda. Sbattè una volta le palpebre, incapace suo malgrado di capire.

Quello che stava cercando di dirvi...” riprese implacabile l’altro “E’ che se voi o altissima lasciaste parlare le persone piuttosto che rintronarle con la vostra Somma necessità di esprimere sempre e comunque la vostra opinione, capireste che vi è un mondo di “perché” da scoprire proprio dinnanzi ai vostri occhi”.

Confusa, la Nihaar’ì non potè fare altro che passare lo sguardo dall’uno all’altra, e poi di nuovo al primo prima che questi, con un sospiro, indicasse brevemente prima lei e poi la sua compagna.

Scortate la Nihaar’ì nella sua cella” strinse le labbra “E Sery nelle sue camere. C’è un limite alla pazienza che un uomo può dimostrare in simili circostanze”

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Capitolo 13
*** Ciò che guarda senza essere visto ***


Salve!

Di nuovo eccomi qui :) Ancora grazie a tutti e a tutte e buona lettura!

Bacio

Elendil



Malgrado le clausole del rapimento avessero chiarito che quattro e non di più dovessero essere i giorni per venirsi a riprendere la Nihaar’ì, il giorno seguente Zaphil non giunse a liberarla.

E nemmeno il quinto giorno sembrò offrire migliori risvolti.

Egualmente il sesto.

E il settimo.

E così, nelle interminabili giornate che seguirono, la Nihaar’ì si ritrovò più volte a misurare con passi pesanti il perimetro sempre più ridotto della propria cella, il pensiero di aver in qualche modo, sbagliato le proprie mosse a turbarla più di quanto fosse legittimo ammettere.

Quella donna aveva tentato di liberarla? Si era ritrovata a pensare una, due, mille volte. Eppure le era parso che fosse la compagna del suo aguzzino, perchè tradire la sua fiducia?

Quando il perimetro smise di essere una misura assai interessante da scandagliare, la Nihaar’ì passò dunque al calcolo del tempo trascorso mediante l’attenta osservazione degli oblunghi fasci di luce filtranti dal soffitto.

Ma forse la fede nella Nihaar’ì era stata in grado di farla agire malgrado l’amore...

Calmo e moderato, il piglio dell’Anhayt non sembrava fortunatamente risentire particolarmente del ritardo. Le sue visite si fecero tuttavia più parche e spoglie di informazioni, una vena di gelo a permeare qualunque tipo di esternazione o dialogo fino ad allora assai più vivace e movimentato.

Siete sicura che il vostro Zaphil intenda per davvero venirvi a salvare?” le aveva freddamente chiesto il quinto giorno, le braccia al petto ed una spalla appoggiata alla parete. Lei aveva voltato il capo di lato prima di stringersi nelle spalle “Voi cosa credete?” aveva risposto monocorde “Mi avreste rapito se non foste stati sicuri che qualcuno prima o poi sarebbe accorso a salvarmi?”

Il giorno dopo, la domanda si era fatta più insidiosa.

Nessuno ad Hevnan k’ar parla della vostra sparizione” pur pacata, la voce dell’uomo tradiva una vaga inflessione nervosa “Anzi. Sembra che il viaggio della Nihaar’ì sia ripreso senza alcun intoppo o inconveniente di sorta....”

La Nihaar’ì non aveva fatto altro che stringersi nelle spalle.

Zaphil sa cosa è giusto fare in questi casi. Non permetterà che degli Eretici seminino il panico fra le genti per uno stupido giochetto” vago, il sorriso aveva fatto nuovamente capolino dalle labbra dell’altro  “Oh, certo. Immagino che Zaphil sappia esattamente come sia giusto comportarsi in questi casi. Non è la prima volta che una Nihaar’ì gli sfugge da sotto il naso, dico bene?”



Quel giorno, il quindicesimo oramai di tediosa ed assai inconcludente prigionia, l’Anhayt portava i segni di una notte probabilmente insonne, la pelle di zigomi pallida e tirata, la postura curva e tesa.

Sery vi porge i suoi saluti” le comunicò cupo entrando nella cella. Dopo la notte della sua quasi fuga, le richieste da parte dell’uomo di celebrare il Canto della Veggente erano se possibile triplicate, l’ostinazione del suo domandare vinta solo dall’ingegnosità nell’escogitare strategie sempre nuove per piegarla al suo volere. Malgrado ciò, la sdegnosa ostinazione dell’altra nel rifiutare qualunque tipo di compromesso ne avevano in effetti minato un poco la grinta.

Così la Nihaar’ì non si allarmò più di tanto quando l’Anhayt le propose subito di fare un giro per la cava con meta l’oramai conosciuta sala recante la rappresentazione della Veggente. Quella del rituale.

Alzandosi da terra - giaciglio oramai consolidato-, ella gli rivolse una semplice occhiata di diffidenza cui egli non diede particolarmente seguito. “Prego” esalò in un soffio prima di voltarsi e prendere a percorrere le gallerie rosate. Poco dopo, svolta più svolta meno, entrambi giunsero nella sala ora -ma che fortuna- deserta. Qui, lunghe falci di luce a tralucere oblunghe sul pavimento, egli si accomodò su una sedia lasciando all’altra la possibilità di fare altrettanto.

La Nihaar’ì rimase tuttavia in piedi.

Vi porge inoltre ancora una volta le sue scuse per avervi mancato di rispetto. Credo si sia convinta di aver compiuto un chissà quale atto imperdonabile...” riprese lui dopo un attimo. Poco distante, l’altra abbozzò una smorfia “Tenete anche lei confinata in una cella o è un privilegio che riservate solo a me?”.

Lui esalò un mezzo sogghigno “Non è mia abitudine fare del male alle persone che amo, se è questo che pensate” a piccoli passi, la Nihaar’ì prese allora a passeggiare quietamente per la stanza, occhi socchiusi a cercare qua e la i segni della visione di poche sera prima

Una goccia di sangue. Uno straccio slavato. Una cicatrice nel pavimento.

Eppure ero certa di aver sentito altro genere di intenzioni quando quella sera avete ordinato di riportare me alla mia cella e lei nella sua” sillabò costeggiando un lungo tavolo ora ridossato al muro. Pallide impronte di sabbia ne segnavano i contorni.

L’Anhayt chinò il capo come nell’atto di sospirare. Poi scrollò le spalle “Non confondete un attimo di rabbia con la fedeltà ed il rispetto di anni. Se mi credete un efferato aguzzino, temo rimarrete delusa” “Ma no, certo” rise lei piano, quasi che per qualche ragione si fosse aspettata quel genere di risposta “Non dubito che questo volto lo riserviate solo a me e a nessun altro”.

Ed ancora - compagno oramai lieto e benaccetto -  il silenzio calò nuovamente su di loro, l’immobilità di quei luoghi adorni di una vita forse passata, trascorsa e mai più ritornata a vagheggiare in lunghi attimi di indifferenza reciproca. Poi, esile, la voce della Nihaar’ì “Perchè la tenete con voi?” azzardò “E’ una Risvegliata. Sapete cosa ciò significhi”.

La mascella dell’altro parve allora contrarsi un poco, le gambe che scivolavano improvvisamente  sulla seduta  “La sua presenza non ci mette in pericolo più di quanto già non faccia la vita del deserto” fu questo il turno della mascella della Nihaar’ì di serrarsi “E che mi dite allora dellEsilio? Se come penso è solo lei ad aver subito il Risveglio, allora perché condannare anche voi ad una vita di stenti e pericoli al di là del confine delle Vele?”.

Lui non rispose. Si limitò ad alzarsi e cominciare a passeggiare lentamente per la sala illuminata. Di reazione, lei si accostò ad un altro tavolo poggiandovi schiena e mani.

Dubito che potreste capire” sospirò lui dopo un attimo.

Se solo vi sforzaste di capire...Per un attimo le parole di Sery vagheggiarono nella mente della Nihaar’ì, curiosamente simili per tono ed inflessione a quelle dell’uomo ora dinnanzi a lei. Sbattè una volta le palpebre, incerta.

Forse potrei, se mi spiegaste...” replicò tuttavia. Lui poggiò allora una mano ad una mensola impolverata sollevando a quel gesto docili sbuffi di pulviscolo. Poi chinò il capo.

Fui io a condurre Sery verso il Risveglio”

Gelide, la Nihaar’ì avvertire le dita delle mani stringersi autonomamente le une sulle altre.

Voi la conduceste” si prese il tempo di respirare “...dove?”.

Per quanto difficile, l’Anhayt sembrò chinare ancor più il capo verso terra “Nei suoi sogni, ella cominciò a vedere il mio volto. Dapprima nulla più che una sagoma indistinta ma poi via via sempre più definita fino a quando io fui io ed ella seppe per certo che a breve il Risveglio l’avrebbe colta cambiando per sempre la sua esistenza”

Impossibile esalare più che un sussurro contratto “E voi cosa faceste?” lui si toccò distrattamente la nuca, grattando un improbabile prurito “Allora io non avevo idea di chi ella fosse e lo stesso valeva per lei. Ero una immagine, nulla di più forse, che per qualche ragione Sery sapeva appartenere ad una persona in carne ed ossa e non ad un semplice spirito”

Una immagine...un Nayel...?

Il solo pensiero fece accapponare la pelle della ragazza. Scosse il capo.

Immagino venne esiliata” commentò poi a disagio. L’altro si strinse nelle spalle “Il Giudizio della Veggente giunse poco dopo confinandola nei territori oltre le Vele. Da lì, sola, iniziò a cercarmi”

E vi trovò in questi territori?” lo incitò a continuare Lui socchiuse per un attimo le labbra come per rispondere. Poi esitò. Ed infine sorrise. “Si. Ma dubito che questa parte di storia possa interessarvi” concluse con una scrollata di spalle.

Qualcosa si tese di nuovo e molto sgradevolmente nel volto della Nihaar’ì.

Fatto sta che da allora non ci siamo più separati” concluse l’uomo prima di tornare nuovamente a sedersi. Ancora una volta, la Nihaar’ì non potè che notare la stanchezza nelle movenze di lui, deboli e rigide. Desistette comunque dal concedergli una qualunque forma di tregua “Da allora siete sempre in fuga, vorrete dire” fece infatti lapidaria guadagnandosi un rapido, seppur indolente, sogghigno.

Credo si possa riassumere anche così, si” le concesse osservandola allora poggiare due dita sugli occhi velati e sospirare “E’ per questo che dunque mi avete rapito? Per liberarvi dai vostri Incubi?l’altro si strinse nelle spalle “Pensare solo a noi sarebbe stata cosa assai egoista, non credete? Vi abbiamo rapito per pregarvi di liberarci tutti, in realtà”

Incapace di parlare, incerta sulle reazioni da ostentare ora che finalmente aveva ottenuto una parvenza di verità, la Nihaar’ì si limitò a fissare l’uomo per un lungo, esasperante, momento. Poi si tirò con uno scatto in piedi, i passi a guidarla nell’esatto punto ove si trovava il mosaico della Fenice della Nihaar’ì. Quanto era stato difficile lavare via il sangue di quell’uomo?

Vi si chinò lentamente, la necessità di sfiorare i tratti consunti di quel disegno a guidarla bocconi a terra, tremante di paura.

Il potere della Nihaar’ì non riporta indietro i Risvegliati, lo dovreste sapere voi più di tutti” alzò lo sguardo. L’Anhayt la raggiunse in pochi passi “Ma è in grado di allontanare le Ombre, stando a quello che dicono i vostri Araldi e...” esitò “Questo”.  Nella luce calante, il blu della Fenice aveva oramai assunto tinte cobalto. La Nihaar’ì la fissò con ammirazione e timore al contempo, chiedendosi per un attimo cosa avrebbe dovuto dire per lei tutto quel blu in un mare di pallida ed inaffrontabile inconsapevolezza. Nulla, forse. Realizzò. O probabilmente più di quanto ella sarebbe mai stata in grado di capire.

Poi lui si chinò a sua volta, occhi velati ad incontrare occhi velati. Le tese una mano “Alzatevi, vi prego. Dovrebbe essere ora”.



Per un lungo istante la Veggente osservò l’Anhayt, incapace di capire. Accettò la sua mano, incerta, lasciando che questi la sollevasse senza fatica prima di accostarlesi un poco. Stava tremando, notò la ragazza con una punta di improvviso allarme.

Vi prego di non parlare” chiese l’uomo tanto piano che ella dubitò per un istante che avesse realmente parlato “Qui nessuno parla di ciò che non dovrebbe essere visto” esitò “Sarebbe troppo doloroso” esitò ancora, sguardo a tendere ora verso il profilo di un ingresso avvolto nell’ombra “Sono certo che anche voi capirete”.

Capire cosa?

Poi, improvviso, un vento impetuoso si riversò nella sala spegnendo all’unisono tutte le torce accese e lasciando così entrambi nell’oscurità più che totale.

Nel buio improvviso, la Nihaar’ì sbattè allora un paio di volte le palpebre, un vago presentimento a serrarle suo malgrado la gola in un nodo contratto, doloroso, cui seguì un singulto atterrito.

C’era qualcuno.  

Fece come per indietreggiare, ma l’uomo al suo fianco la trattenne serrando le dita attorno al braccio.

Poi dall’ombra eccola sgusciare, una figura sottile. Nuda fino alla vita, essa si delineò nella trasparenza di ombre ossidiana, folte chiome a scivolarle da un lato del capo rivelandone spalle misurate, fianchi sottili, forme slanciate.

Sery era la più bella donna che la Nihaar’ì avesse mai visto. Eppure la giovane non potè suo malgrado impedirsi di tentare ancora una volta di indietreggiare, la percezione di un pericolo incombente, palpabile a serrarle senza preavviso la gola impedendole quasi di respirare.

L’Anhayt sospirò nel suo orecchio, il mento irsuto a sfiorarle per un attimo il capo mentre questi le circondava senza sforzo le spalle impedendole di muoversi. Tremava anche lui, percepì l’altra. Eppure la sua forza fu in grado di bloccarla lì in piedi, come impietrita.

Ferma.

Storcendo appena le labbra, lei tentò una volta di divincolarsi.

E guarda.

Somma Nihaar’ì....”

La voce di Sery colse entrambi di sorpresa.

Somma...” più lentamente “Nihaar’ì...”

La sua inflessione li inchiodò loro malgrado a terra, la percezione che essa fosse, ma al contempo non fosse un modularsi a loro conosciuto a rabbrividire nell’oscurità. Di nuovo, il tremito dell’Anhayt l’attraversò da parte a parte. Lei rispose con un brivido altrettanto turbato, sgomento.

Poi, improvvisa, una tiepida luce si accese fra le mani di Sery, un cerino alla cui vista entrambi reagirono con un balzo all’indietro.

Somma...”

E guardando in quell’alone oscillante, ecco finalmente delinearsi la tremula figura della donna: più giovane di quanto la Nihaar’ì si fosse immaginata, ella traluceva di una bellezza esile e timida, quasi conturbante nella fragilità di fianchi e spalle. Scure chiome le scivolavano in cascate sul petto percorso da neri segni simili ad arabeschi a precipizio dal collo fino al ventre. Seria e livida, ella si limitò a fissare entrambi prima di prendere ad avvicinarsi con passo leggero, il medesimo di quando la Nihaar’ì l’aveva intravista quella prima volta in biblioteca.

Impossibile non tentare di abbassare gli occhi. E tremare. E poi serrare le palpebre immaginando così di lasciare tutto il terrore di quella camera sbarrato al di fuori della coscienza, della realtà. Ma ancora una volta l’Anhayt la costrinse laddove ella non avrebbe osato, così che quando finalmente Sery ed il suo lume furono ad un passo da lei, fosse impossibile non guardare. Non scrutare. E specchiarsi infine in quei suoi occhi pallidi, bianchi quasi, macchiati del nero sfilacciarsi della pupilla in mille sbavi ossidiana.

Gli occhi di una Risvegliata.

Il più proibito e inviolabile degli sguardi di tutta Arryan.

E’ a causa del Risveglio che le genti di Arryan sono solite coprirsi gli occhi con il Velo” le aveva spiegato molti anni prima Zaphil “La paura di vedere negli occhi degli altri - e nei propri- i segni di un destino infelice era in effetti tale che un bel giorno tutti pensarono fosse cosa assai gentile evitarsi la formalità di guardare l’altro dritto in viso. Iniziarono dunque a comparire i primi veli, via via sempre più spessi e inviolabili. In seguito, trasformare questa semplice discrezione in Legge parve un passo assai breve di cui nessuno si lamentò”

Desiderò allora non guardare. Serrare gli occhi, chiuderli più semplicemente e avere allora la certezza che così facendo il suo sguardo non avrebbe incontrato quello dell’altra.

Desiderò anche non desiderare di guardare. E così non violare alcun antico precetto, alcun dettame che imponesse di mai incrociare lo sguardo di un Risvegliato.



Herrust’a arrants’ tesel

Ciò che guarda senza essere visto

kaya ovk’yer karogh aylevs nayum

Si cela negli occhi di chi non può più guardare



Recitava un antico adagio.

Ma la Nihaar’ì sapeva ancor prima di farlo che avrebbe guardato. Troppa la curiosità, troppo il desiderio di scoprire ciò che in tutti quegli anni le era stato nascosto e solo vagamente paventato. E così, pur tremante, ella lasciò che il suo sguardo si intrecciasse dunque a quello dell’altra, un lungo istante nel quale il Male ed il suo Rimedio parvero quasi  per caso incontrarsi in  una lunga, concentrata, occhiata.

Poi il lume si spense, abbandonandoli nuovamente in un buio sgomento.

Somma...” soffiò la voce di Sery “Le sentite anche voi....si?”

Vago, il silenzio vibrò attorno a loro.

Le sentite, vero?” sciabordio nell’ombra.

Silenzio. Silenzio acuto, doloroso. Avvolgente.

Silenzio vuoto. Silenzio fumo. Silenzio...

Voi non...” una pausa “Non lo sentite?”

Movimento leggero, setoso, e poi la Nihaar’ì avvertì come dita sul volto, un tocco gentile a cercare a tentoni il profilo del suo Velo. Si ritrasse con uno scatto nervoso, un sapore di sangue ad esploderle improvvisamente in bocca. Si era morsa.

N..” boccheggiò, stordita “N-non mi toccate” alzò le mani per scartare il nuovo movimento verso di lei, il buio a schiacciarlesi improvvisamente sul viso come una patina dura, vischiosa.

Ansimò.

Voi...” crepitio nell’oscurità, poi una forza improvvisa la schiantò a terra sul nudo pavimento a mosaico. Il dolore esplose dinnanzi ai suoi occhi in milioni di scintille colorate.

Ora basta giocare” il ringhio dell’Anhayt riverberò contro le pareti in un rimbombo basso e cupo, più letale di qualsiasi lama ella avesse mai veduto in vita sua “Se non volete morire qui e subito, vi consiglio di smetterla con questa recita, adesso”.

Non ve lo chiederò una seconda volta.

Tremante, lei si scoprì allora incapace di parlare. Gemette, tentando senza successo di scostarsi dalla sua posizione riversa. Lo sentì schioccare la lingua sul palato.

Maledetta la vostra ostinazione. Se avessimo saputo che saremmo arrivati a questo...” “Virel...” la voce di Sery si intromise fra di loro in un sussurro da far rizzare i peli in testa “Non abbiamo più tempo” una pausa velata, il fruscio delle vesti dell’Anhayt mentre questi si muoveva come a disagio “Loro sono qui”

Loro?

Allarme e speranza si affacciarono improvvisamente nella mente delle Nihaar’ì.

Loro chi?

Poi un sospiro contratto.

Lasciatele avvicinarsi” fu il commento finale “Se questo è l’unico modo...” una nuova folata di vento più potente della prima coprì per un attimo la voce dell’Anhayt “...che il nostro Destino si compia”.

Silenti ed immote, la Nihaar’ì notò allora il radunarsi di decine e più di figure in bianco ai lati della sala. Ognuna reggeva un piccolo lume schermandolo con le mani per evitare che il vento lo spegnesse. Alcune non portavano il velo. Altre si. Altre erano nude come Sery dal petto in su.

La Nihaar’ì vide i segni sul petto. Immaginò gli occhi scheggiati.

Risvegliati.

Realizzò.

E fu allora che capì. Con la medesima inoppugnabile certezza di chi colga finalmente la soluzione ad un enigma fino ad allora irrisolvibile. E si stupisca allora della sua semplicità. Capì, e si sentì improvvisamente sommergere dal terrore.

V-vi” boccheggiò “Vi prego no...” fece per tirarsi in piedi, ma le gambe le cedettero miseramente. Non molto distante avvertì il vago sogghigno dell’Anhayt “No?” la derise. Pochi passi e le fu nuovamente accanto, le ginocchia ripiegate così da poterla guardare in viso.

No cosa, esattamente?” dolorante, lei si ritrasse strisciando appena all’indietro “N-non...” una nuova folata di vento “Io n-non posso”.

Ancora la risposta sbagliata. Ancora il rifiuto che la ragazza sapeva l’uomo non avrebbe tollerato. Tuttavia non fu rabbia quella che egli le donò. In un silenzio tombale, questa volta fu un sogghigno a coglierla.

Credo che oramai sia un po’ troppo tardi per parlare di potere e volere, non credete?” terrorizzata, lei scosse una volta il capo “Voi non capite” avvertì il calore risalirle le guance in un sentimento difficile da definire “I-io non posso...davvero”.

Rabbia? Disperazione?

Non ne sono in grado”

Paura?

Davvero, non sono...” deglutì “...Io”.
E pur non vedendolo, fu quasi impossibile non percepirlo, lo sguardo dell’Anhayt. Fino ad allora rabbioso, esasperato, impaurito forse, ed ora inaspettatamente incerto. Il dubbio a risalire vago laddove fino a quel momento vi erano state solo folle certezza e fredda determinazione.

Egli esitò un istante, grigie ombre ad attendere immobili attorno a loro. Poi un sussurro.

Cosa diavolo state farneticando?”

Alzarsi in piedi fu quantomai faticoso. Eppure sentì in qualche modo di doverlo fare almeno ora, almeno in quel momento. Traditrici, le gambe le cedettero tuttavia costringendola ad un paio di miseri tentativi.

Finalmente in piedi, esalò un sospiro contratto.

Io non...” una nuova folata di vento, un presentimento più freddo della morte “Non sono la Nihaar’ì”





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Capitolo 14
*** Virel ***


Ciao a tutti!

Eccomi di nuovo qui :) Ancora grazie a tutti i miei lettori e non!

Baciozzi

Elendil

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Per un attimo l’Anhayt e Sery al suo fianco rimasero immobili a fissare la ragazza, l’espressione di entrambi incerta fra la diffidenza e l’incredulità. Poi, debole, il sogghigno di lui.

Non lo siete?” esalò monocorde. La giovane scosse il capo. “E’ per caso uno dei vostri stupidi scherzi?” continuò l’altro. Nuovo diniego.

Ed eccolo il sorriso del giovane incrinarsi finalmente di un poco mentre, attimo dopo attimo, le parole della ragazza si facevano strada fra dubbio e incertezza per svelarsi infine in tutta la loro agghiacciante verità. Eccolo voltare un attimo il capo verso Sery - impietrita anch’ella- e rivoltarlo poi verso la giovane.

Poi reclinare il capo di lato. Poi passarsi due dita sugli occhi velati.

Spogliatevi” sussurrò infine.

Per quanto sapesse che sarebbe successo, che la prova delle sue parole sarebbe stata invocata esattamente con quelle semplici parole, la giovane non potè impedirsi di incespicare quasi. Esitò.

N-non servirebbe a nulla” esalò infine “I Segni mi furono impressi tanto tempo fa, nella Torre del Tempo” mentre parlava, alzò entrambe le mani a sfiorare tremante il Velo ancora posto sul suo viso. Per un incerto attimo ella ne saggiò la sottile consistenza prima di trovare il nodo e, riluttante, sfilarlo in un fruscio, unico nel silenzio ora piombato nella sala.

Lo stridio acuto, lacerante, che seguì, fece ghiacciare il sangue nelle vene della giovane.

Sono qui” fece per lei Sery, la disperazione ora a distorcere i tratti del suo bel viso “Le Ombre sono qui” ripetè tremante. Neanche un istante e l’Anhayt fu sulla ex-Veggente ora ricaduta miseramente a terra ghermendole un polso così da costringerla a guardarlo.

E finalmente la comprensione fece capolino sul suo volto avvampandolo di furore e dolore assieme. Un’espressione che lacerò il petto della giovane più di quanto avessero fatto fino ad allora le parole.

Credette allora l’avrebbe picchiata.

Ma lui si limitò a fissarla “Perché l’avete fatto?” esalò poi a denti stretti. Lei serrò la mascella “E’ mio dovere” fu solo in grado di rispondere. Smorfia sprezzante “Il vostro dovere ci costerà la vita, lo sapete questo?” lui strinse maggiormente la presa “Maledetta Hayeli'vo...” si umettò le labbra, la rabbia che divampava in un pallore grigio ed esangue “meriteresti la morte per...

Virel!”

Prima ancora di girarsi, prima ancora di voltarsi e fissare il proprio sguardo in quell’esatto punto a metà fra la galleria che saliva verso il piano superiore e quella scendeva verso gli strati sotterranei, la ragazza seppe cosa avrebbe trovato a fissarla. Seppe, con la medesima certezza che si prova solo poche volte nella vita - e mai per le cose piacevoli - che il continuare o meno della sua esistenza sarebbe ora dipeso da quei pochi, memorabili, istanti.

Poiché era la seconda volta che incontrava un’Ombra. Che la vedeva proprio dinnanzi a se stagliarsi alta, terrificante, nel grigio bruno della notte. Che ne misurava con cieco terrore la potenza aliena, la forza incommensurabile. Ma questa volta, questa no, non c’era Odayn ed il suo altrettanto inesplicabile potere a salvarla. A salvare tutti. Ora, immobile, paralizzata dal terrore e affatto incline a muoversi anche solo per respirare c’era solo lei, Asiya.

Poco meno che un’imitazione. Poco più che una burla a danno di quei Risvegliati tanto desiderosi di liberarsi dai propri persecutori da non accorgersi di aver preso la Nihaar’ì sbagliata.

Di nuovo, intollerabile, lo stridio delle Ombre invase l’aria, costringendo a carponi tutti quanti a tapparsi le orecchie.

Immensa, alta quasi fino al soffitto, la prima Ombra fece dunque il proprio ingresso nella sala, passi da gigante a sfiorare appena il terreno in un silenzio sgomento, in un fruscio sommesso. Nero, il suo manto pareva cosa vera e al contempo impalpabile, quasi la sensazione del fumo alla vista e poi al tatto.

Per un attimo ella si stagliò immobile nel silenzio, come un predatore nell’atto di individuare la propria preda prima di colpire. Poi, scintillanti, i suoi occhi si posarono infine su Sery.

Scappate!” la voce dell’Anhayt esplose improvvisamente nella sala come un lampo di luce, accecando i presenti di un riverbero forte, vigoroso e irreprensibile. L’attimo dopo tutte all’unisono le candele vennero buttate a terra mentre la folla si disperdeva come formiche raggiunte dal fuoco riempiendo le gallerie di grida e urla di puro terrore. Prima di allora, l’Anhayt aveva già di forza tirato in piedi Asiya e con Sery al fianco si era lanciato alla cieca nelle gallerie della cava.

L’Ombra, ovviamente, li seguì.

Stordita e inerme, la ragazza si ritrovò allora a correre nel buio, strattonata una svolta dopo l’altra dall’uomo il cui passo pareva non conoscere esitazioni. Destra. Sinistra. Poi giù da una rampa. Poi su per una scala.

Si rese allora improvvisamente conto di non aver mai visto quei luoghi prima di quel momento, malgrado le lunghe passeggiate.

Possibile che quella cava fosse così grande? O forse era solo il suo senso dell’orientamento ad essere estremamente piccolo?

Improvvisamente l’Anhayt costrinse le due donne ad accucciarsi dietro un muro, il fiato che a tratti si serrava nel tentativo di udire se ancora l’Ombra fosse sulle loro tracce.

Rannicchiata e ansante, per metà afona e sorda di paura, Asiya intercettò allora lo sguardo di Sery fisso su di lei. La donna guardava i suoi occhi e pareva ancora incapace di rassegnarsi alla normalità in essi racchiusa. Restituì riluttante il suo sguardo, gocce di sudore a colarle dai lati del capo in un prurito fastidioso.

Perché mi portate con voi?” si sentì suo malgrado sussurrare “Avete detto che meriterei di morire”.

China e curva di tensione, la figura dell’Anhayt ebbe come un sussulto mentre egli si voltava in sua direzione. La guardò un attimo torvo, le labbra a storcersi in una smorfia di nudo disprezzo prima che un rumore facesse sobbalzare tutti e tre improvvisamente. Rapido come serpente, la presa dell’uomo ghermì all’unisono Sery ed Asiya costringendole a tirarsi nuovamente in piedi.

E morire esattamente è ciò che farete” le sibilò mentre riprendevano la loro fuga precipitosa “Ma per mano mia”.

Correndo, incontrarono un paio di Ombre ancora, entrambe intente ad eliminare una ad una le figure in bianco che popolavano quella cava di sale. Una di esse si accorse di loro costringendoli ad una rapida quanto insopportabile fuga, l’altra invece pareva troppo intenta nei propri divertimenti per notarli.

Fu infine con un sospiro esasperato che tutti e tre riuscirono a sbucare infine all’aria aperta dove trovarono una luna pallida e brumosa ad attenderli di sfondo alle distese ondose del deserto. Si accasciarono senza fiato, il tocco gelido della sabbia a rabbrividire sulla loro pelle sudata e tremante.

Nemmeno il tempo di comprendere le avvisaglie del proprio -inaspettato- ritorno alla libertà, che l’Anhayt fu su di lei, una mano a serrarle le labbra e l’altra a puntarle dritta sul collo una lama color avorio.

Ed ora fa bene attenzione, Hayeli’vo” le sibilò a pochi centimetri dal viso “Le Ombre che hai visto non sono venute qui da sole. Molte altre ci stanno aspettando qui fuori e di certo saranno in grado di trovarci al primo grido o movimento sbagliato” una pausa, più lunga, come se egli fosse volesse sincerarsi di essere stato inteso. Quasi prossima dal soffocare, Asiya si ritrovò ad annuire una volta. Anche lui annuì.

Immagino sarai contenta di sapere che non sono venute sole” aggiunse poi in uno strano sibilo contratto. Sopracciglia di lei a sollevarsi appena. Sospiro di lui.

Zaphil è qui”

Zaphil?

Per un meraviglioso, estatico, istante, la ragazza non potè che immaginarsi libera e al sicuro a bordo di una trasportina diretta verso lidi tranquilli e ben protetti. Si vide stringersi in un abbraccio al Naphil e rimproverarlo per averci messo così tanto a trovarla, a cercarla, a raggiungerla insomma. E per averla fatta aspettare. E dubitare inoltre delle sue reali intenzioni di venirla a prendere...

Poi però l’Anhayt la strattonò nuovamente per un braccio facendola miseramente cadere bocconi nella sabbia e ricordò quante profezie catastrofiche e minacce di morte certa la separavano ancora dal  suo mirabile progetto di libertà. Quante Ombre la volevano quasi certamente morta - o meglio, volevano la Nihaar’ì, ma Asiya dubitava che quelle amabili creature avrebbero notato la differenza -. E quanto ancora di sbagliato ci fosse nel suo elenco di cose da fare affinché la voce “salva e al sicuro” vi si affacciasse fra le prime disponibili.

Così suo malgrado si ritrovò ad accucciarsi nelle dune di sabbia mentre attorno a loro la notte prendeva a formicolare di figure in bianco per metà svestite e frizzare a tratti di silenti grida nell’oscurità e stridii confusi.

Più lontano, molto più lontano invece, nulla più che neri puntini seminascosti nell’oscurità, eccole.

Trattenne il fiato, l’improvvisa voglia di gridare a risalirle la gola in un sospiro esasperato.

Le Guardie della Torre del Tempo.

Le scure sagome delle Ombre fluttuavano in vaghi riflessi tutt’attorno a loro, figure leggere eppure mastodontiche nel cui velo parevano scomparire il deserto e le sue creste con esso. I loro passi parevano solo vagamente sfiorare la terra prima di ogni balzo letale, ogni rapido slancio.

Terrorizzata, la bocca per metà colma di sabbia e panico, Asiya si ritrovò suo malgrado a cercare in quel vitreo fluttuare la figura di Zaphil prima che  l’Anhayt le schiacciasse allora la testa a terra.
Giù, kri’la vahs! (dannazione a te)” le sibilò all’orecchio ”Non devono vederci”

Le Ombre o i soldati?

La ragazza esalò un nuovo gemito contrito, la paura ad ordinarle di chinare il capo ma i suoi occhi -ora per la prima volta dopo anni liberi da qualunque velo o protezione- a spingersi malgrado tutto ancora in avanti, ancora oltre la barriera di sabbia e Ombre a perdifiato dinnanzi a lei.

E poi finalmente, eccolo. Chino dietro lo sperone di una roccia affiorante dal terreno, Zaphil pareva intento in una complicata serie di esercizi di braccia e mani cui poco lontano, egualmente nascosti fra dune e ridossamenti rocciosi, i suoi rispondevano con i medesimi gesti e sequenze improvvisate.

Zaphil!”

Prima di averne anche solo potuto formulare l’intento, Asiya si ritrovò in piedi a saltellare nel bel mezzo del nulla.

Zaphil!”

ripetè con voce strozzata, i piedi che tremanti la portavano di un passo in avanti suggerendole allora di correre, spiccare un balzo verso la sua libertà ora più che mai vicina e possibile. Sentì le lacrime riempirle improvvisamente gli occhi.

Zaphil!”

L’attimo dopo un dolore cieco al fianco la fece caracollare a terra in un rantolo convulso. Il pugnale dell’Anhayt, ora sporco di sangue premette nuovamente sulla carne, poggiandosi sull’incavo della trachea come un gioiello iridescente.

Ti avevo detto di tacere!” le bruciò il viso la voce di lui.

Ma oramai la Luce era troppo vicina per riuscire a voltarle ancora una volta le spalle. La libertà, la sua libertà troppo a portata di mano per poterle rinunciare. Così fu con un grido che Asiya tentò di divincolarsi dalla sua presa.

Kri’la vahs! Non sono la vostra dannata Veggente!” sbraitò “E’ chiaro che ora non vi servo più a nulla, o sbaglio?” di risposta, lui la schiaffeggiò con violenza “Veggente o no, tu ed i tuoi stupidi giochetti da Hayeli’vo ci avete messo in questa situazione” il sapore del sangue in bocca le provocò quasi il vomito “E voi rimedierete! In piedi!”.

Lo strattone che seguì le lacerò quasi completamente le vesti costringendola ad afferrarle in fretta e furia prima che l’Anhayt la costringesse assieme a Sery a correre verso un nuovo riparo.

Somma Nihaar’ì!” il grido di Zaphil li colse quando tutti e tre si trovavano già al riparo.

Al primo suono di risposta, Asiya era certa che l’uomo l’avrebbe uccisa all’istante. Si costrinse quindi a tacere.

Somma Nihaar’ì!” di nuovo, più vicino, il richiamo.

Deglutì a fatica, un umido dolore al fianco che cominciava a risalire le pareti della sua coscienza costringendola a poggiarvi una mano tremante.

La ritirò sporca di sangue.

Somma Nihaar’ì...

Si ritrovò tuttavia a pensare.

Nemmeno il Naphil sapeva che lei, e non Odayn, era stata presa?

Si costrinse a riprendere fiato per un attimo, l’Anhayt che si affacciava guardingo da dietro una duna per controllare il passaggio.

O forse chiamarla Nihaar’ì faceva parte del medesimo gioco da lei interpretato fino ad allora?

Giù!” ancora una volta, la mano dell’Anhayt calò su di lei costringendola a ruzzolare faticosamente nella sabbia, Ombre scure a mancarli proprio allora di poco. Espirò.

E solo allora i suoi occhi si soffermarono su tre figure poco più avanti. Difficile identificarle a prima vista. Sbattè una volta le palpebre. Ma dopo un attimo eccoli definirsi malgrado l’oscurità: tre Yenavo’r (draghi del deserto) immobili nella sabbia. I loro cavalcatori se ne stavano immobili a carponi fra le dune.

La sua via di fuga, realizzò Asiya mentre la falcata dell’uomo la trascinava ancora e dolorosamente in avanti. Al suo fianco Sery arrancò a stento, lo sguardo stravolto a donarle un’aria se possibile ancor più inquietante.

Asiya si costrinse ad asciugarsi le lacrime, la speranza che prendeva a frugarle ogni pensiero ricercandone uno valido, uno abbastanza solido da consentirle di mettere insieme un piano.

Come raggiungerli?

Fu il primo.

Come raggiungerli senza che l’Anhayt la freddasse al primo passo?

Fu il successivo.

Deglutì a fatica.

E finalmente capì cosa doveva fare. Quale mossa poteva avere in servo una come lei. Una Hayeli’vo.

Così l’attimo dopo la ragazza si lasciò semplicemente cadere nella sabbia, il suo imprevisto abbandono a trascinare malauguratamente con sé Anhayt e Sery in un rovinoso volteggio fra dune e polvere. Avvertì il grido dell’uomo. Poi i gemiti della donna. Ed infine il suo triste miagolio di sconforto, ogni giro di boa a procurarle lancinanti fitte a tutto il corpo.

L’avrebbe uccisa. Realizzò nello schiumare del mondo attorno a lei. Appena fermi, quell’uomo l’avrebbe uccisa.

Ciononostante, quando tutti e tre si arrestarono finalmente in una fredda conca di sabbia, non furono le imprecazioni e la lama dell’Anhayt a ferire il suo orecchio quanto più la voce altera di Zaphil a pochi passi da lei.

Lasciatela andare” la minaccia di quelle parole le procurò quasi una fitta di intimo piacere “Non ve lo chiederò una seconda volta”

Al suo fianco, l’Anhayt ebbe come un fremito convulso. Si tirò a sedere con uno scatto, trascinando con sé anche lei, unita da una presa apparentemente inscindibile sul braccio.

Zaphil, ma quale onore” fu la greve risposta. Si rimise in piedi, costringendola a fare lo stesso “Dopo tutto questo tempo, iniziavamo seriamente a dubitare che vi avremmo visto” la lama nel suo braccio sinistro trovò nuovamente il proprio posto al fianco di lei mentre questi, un passo dietro l’altro, prendeva lentamente ad indietreggiare.

Rapido, lo scatto della mano di Zaphil alla propria lama fece sobbalzare tutti quanti.

Anhayt, lasciatela andare” la sua voce era immobile “Questa farsa è durata fin troppo”
Farsa?” la risata dell’altro riverberò nella notte “Voi avete il coraggio di parlare a me di farsa dopo questo?” dolorosa, la punta della lama affondò nel fianco di Asiya strappandole un grido isterico.

Ho dato in pasto alle Ombre tutta la mia gente a causa del vostro inganno!” strinse maggiormente la presa “Ho aperto le porte della mia casa a quelle luride aberrazioni ed ora voi mi venite a rimproverare? Voi?”

Per un attimo il Naphil parve incapace di rispondere. Immobile, egli si limitò a fissare l’Anhayt con un misto di tensione e confusione assieme, la linea delle labbra flessa in un’espressione rigida e compunta. Poi, lento, il suo sguardo si spostò infine su Asiya, concentrando su di lei una lunga, attenta, occhiata.

E fu allora che lei lo vide.

Lo sgomento.

Quello vero.

Muto e tacito.

Asiya? esalarono gli occhi dell’altro.

Si, proprio io. Risposero indolenti i suoi percependo dolorosamente su di sé la pura e nuda incredulità nel vederla lì, nel vedere lei quando invece egli si era chiaramente aspettato di vedere  l’altra.

La Veggente. Quella vera.

Col senno di poi, Asiya pensò che allora entrambi commisero un terribile errore nel guardarsi e mostrare, loro malgrado, l’effettiva incredulità nel riconoscersi. Un errore imperdonabile nell’essere per un attimo così muti e indifesi negli occhi dell’altro tanto da dimenticarsi per un istante di altri sguardi e altri attimi assai ben più pericolosi di quello ad affacciarsi e reclamare la loro attenzione.

Se così non fosse stato, probabilmente l’Anhayt non sarebbe riuscito ad abbandonare un attimo la presa su di lei per scagliarsi con tutta la forza che aveva in corpo sul Naphil. E Zaphil non avrebbe miseramente incassato il colpo ruzzolando inerme a terra in uno schiumare di sabbia e sangue. E Sery, anima in pena, non avrebbe sicuramente avuto l’ardire di estrarre la sua lama ed intimare ad una paralizzata Asiya di seguirla -in silenzio- fino agli yenavo’r poco distanti.

Un fiato e ti apro la gola” esalò ad un soffio. Mentre, una lama ancora puntata alla gola, la ragazza si allontanava a tutta velocità nel deserto, ebbe quasi il tempo di porsi una sola e semplice domanda.

Se Zaphil pensava che la Veggente fosse lì, e non c’era, dove si trovava allora Odayn?




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Capitolo 15
*** Il sentiero della verità ***


Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo e un nuovo punto di vista!

Grazie mille a tutti per la lettura e in particolare a Talia Baratheon che sembra essersi presa a cuore la mia impresa J

Un bacio e a presto

Elendil

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Aprì gli occhi poco prima di cadere di sella, la mano destra che ne ghermiva appena in tempo il pomo prima che di peso la sua figura scivolasse nel vuoto. Il sole lo accecò, ricordandogli di essersi assopito proprio nel bel mezzo del viaggio senza che tramonto o alba avessero segnato l’esatto momento in cui gli fosse stato concesso un attimo di riposo.

Eppure la stanchezza era ancora lì, lucida e presente proprio come quando poco tempo prima - attimi? Ore? Secondi forse? - egli si era concesso di soccombervi in un sonno piatto e senza sogni.

Al suo fianco, legato mani e piedi alla sella del suo kahrise (un grande volatile dalle lunghe zampe e incapace di volare, comunemente usato per le lunghe marce nel deserto), l’Anhayt gli rifilò un’occhiata truce.

“Stanco, sommo Zaphil?” sibilò fra i denti “O è solo la mia compagnia a darvi noia?”

Inizialmente si era pensato che non fosse cosa consona per un uomo del suo rango - Nobile, malgrado le apparenze mostrassero il contrario - venire legato come un comune prigioniero per tutta la durata del viaggio. Le ferite presenti sul suo corpo avevano inoltre perorato la decisione che egli venisse semplicemente affiancato da una o più guardie capaci di assicurarsi che egli non tentasse mosse avventate o colpi di testa.

Ma dopo tre rocamboleschi tentativi di fuga seguiti da tre altrettanto estenuanti giorni di inseguimento in pieno deserto, il gruppo intero aveva deciso che sicurezza e tranquillità nel sapere quell’uomo ben legato alla propria scorta valevano il prezzo dell’onta inferta.

Zaphil strizzò appena gli occhi indolenziti dal riverbero.

“Caro Anhayt” la sua voce suonò in qualche modo roca ed impastata mentre si rivolgeva all’altro. Una ruvida corda intrecciata univa le loro cavalcature costringendo i reciproci kahrise a spostarsi di pari passo “Tutto potrei lamentare della vostra compagnia tranne che la noia”.

Per qualche ragione sembrò di vedere l’altro sorridere prima che questi si rivolgesse ad un uomo della scorta poco più avanti.

“Ero certo che voi uomini della Torre avreste amato le mie doti di Anhayt. Fra le donne riscuotono sempre molto successo” gli fece sogghignando.

Dall’altra parte Zaphil sospirò appena “Sciogliere nodi e nascondere oggetti contundenti in ogni pertugio del corpo non le definirei doti”.

L’altro si strinse nelle spalle “Punti di vista” gli concesse “Ma di sicuro lo sono il saper resistere ad ogni genere di sopruso per giorni interi senza mangiare né bere” concluse con un ghignetto sardonico. Il Naphil si limitò a replicare il gesto con minor passione “Rimproverate voi stesso e non me per le spiacevoli divergenze di questi giorni. Io sono un Guardiano, non il vostro aguzzino”.

Nuova smorfia contrariata. Nuovo scrollarsi di spalle “Eppure giurerei di aver pensato ad un Sarnich’sou (combattente del sud) mentre per poco non riducevate la mia faccia ad una poltiglia sanguinolenta...” “E’ stato spiacevole per tutti e due, credetemi” si umettò le labbra l’altro.

La risata dell’Anhayt fece voltare la testa a due guardie poco più avanti.

“Da come colpivate, non sembravate un granché dispiaciuto” sibilò poco dopo l’Anhayt “Ma date le circostanze, non posso certo biasimarvi”

Sfuggire quella notte al pandemonio generato dall’attacco delle Ombre non era stata cosa facile. Resistere alle successive rappresaglie dei Figli delle Ombre desiderosi di riprendersi il proprio Anhayt era parso ancora peggio. Arrancare infine all’inseguimento dei plurimi tentativi di fuga di quest’ultimo perdendo ore se non giorni interi di viaggio fra dune di sabbia e distese pietrose era sembrato decisamente troppo per tutti quanti.

Troppo perché ora, smagrito ed imbruttito di lividi, l’Anhayt non paresse ora la grottesca parodia di se stesso.

Per un attimo i due rimasero in silenzio, l’oramai misero plotone di Zaphil che lentamente si spostava fra le esalazioni roventi del giorno, passo dopo passo sempre più vicino alla meta sospirata: Hevnan k’ar. 

Perchè non l’avete seguita?” la voce dell’Anhayt vibrò improvvisamente fra di loro, cogliendo Zaphil intento ora a scrutare pensoso l’orizzonte. Per un secondo egli parve non aver sentito; poi abbassò lo sguardo.

“Intendete l’Hayeli’vo?”

L’altro si limitò a scrollare le spalle “Da come l’avete guardata mentre Sery ve la portava via da sotto il naso, mi sarei aspettato che l’avreste rincorsa senza esitazione”.

Sguardo appena corrucciato, il labbro inferiore a scomparire per un attimo nella pallida curva dei denti “Se fosse stata la Nihaar’ì l’avrei rincorsa di certo” abbozzò poi senza espressione “Ma per sua sfortuna, l’Hayeli’vo non è altri che una sostituta di colei a cui vanno i miei servigi e fedeltà” “Quindi non le dovete niente?” azzardò l’Anhayt apparentemente divertito. Questa volta Zaphil non rispose.

Ma l’uomo pareva refrattario ad abbandonare la conversazione. Si mosse per qualche istante sulla sella come per assumere una posizione più comoda; poi sospirò “Eppure chissà come, quella ragazza pareva davvero convinta che l’avreste salvata. Malgrado più volte l’avessi provocata suggerendo il contrario, lei non ha mai esitato. Nemmeno una volta” suo malgrado, Zaphil si ritrovò ad alzare lo sguardo incontrando quello velato dell’altro “Zaphil arriverà e ve la farà pagare cara. Questo diceva” rincarò la dose.

Ancora una volta, quasi meccanicamente, Zaphil si limitò a stringersi nelle spalle “Era suo dovere farvelo credere” esalò poi monocorde “Viceversa, avreste potuto davvero pensare che lei fosse chi diceva di essere? Una Nihaar’ì che non si aspetti di essere salvata? Che non ostenti la convinzione di essere ciò che lei doveva essere?”. L’Anhayt tentò allora di chinarsi sulla sella per raggiungere con le mani legate la punta del suo naso. Non vi riuscì. Sospirò.

“Non offendete la vostra intelligenza, Zaphil, sapete meglio di me che quella Hayeli’vo avrebbe potuto mostrarmi qualunque cosa, qualunque assurda fantasia le fosse passata per la mente di raccontarmi ed io le avrei creduto senza alcuna esitazione” una pausa, il labbro inferiore che si spaccava nell’ombra di un mezzo sorriso “Il mio desiderio di liberare me e la mia Sireli (amata) dalla nostra maledizione era troppo grande per concedermi anche solo un’istante di incertezza”

“Dunque, come vedete quella ragazza non ha dovuto fare granché per convincervi della veridicità delle proprie azioni e sentimenti” concluse con un mezzo sospiro il Naphil “Ammesso che fingesse” rintuzzò l’altro.

Tacquero ancora per un attimo, giusto il tempo perché l’Anhayt ostentasse un nuovo e sentito gradimento per le corde strette attorno ai propri polsi martoriati. L’altro lo ignorò, lo sguardo che correva lontano, oltre le dune, alla ricerca della tanto sospirata Hevnan k’ar.

Più tardi, mentre il sole prendeva ad inabissarsi nel bruciante profilo delle sabbie e le temperature con esso volgevano dal caldo soffocante ad un freddo sempre più pungente, il manipolo decise di arrestare la propria marcia ed accendere un fuoco. Un caldo aroma speziato proveniente da una pentola in terracotta prese presto a diffondersi nell’aria circostante mentre tutt’attorno gli uomini imbastivano dei piccoli giacigli di tela.

Quando fu pronto, Zaphil portò una scodella anche all’Anhayt. Gli sedette poi accanto, lasciando che questi terminasse di trangugiare avidamente la propria porzione prima di parlare.

“Avete detto di non aver mai visto il volto di chi vi ha concesso di entrare ad Hevnan k’ar” cominciò guardando lungamente il fuoco. Al suo fianco, l’altro annuì.

“Come foste certo che non si trattasse di un inganno?” concentrato, l’altro diede una lunga lappata alla ciotola prima di deporla dinnanzi a sé “Come vi ho già detto, ci fu uno scambio di lettere” spiegò “Non ne conservai ovviamente nessuna” si affrettò a precisare “Ma vi posso assicurare che fin dalla prima fui certo della loro veridicità” in attesa, Zaphil sbattè una volta le palpebre “Vedete. Quelle lettere non erano in realtà indirizzate a me, bensì alla mia Sireli (amata), e chi scriveva non la chiamava con il semplice appellativo riservato ai Risvegliati o alle donne del deserto bensì con il suo Nome”.

Il suo vero Nome.

Quello che le genti di Arryan erano solite rivelare solo a pochi stretti confidenti per paura che Oneiron e le Ombre con esso potessero ghermirlo e fare di esso il proprio diletto.

Suo malgrado, Zaphil non potè che accigliarsi “Chi oltre a voi potrebbe conoscerlo?” l’altro scosse la testa “Nessuno che potesse avere l’ardire di fare del male alla mia Sireli con quel Nome, questo è poco ma sicuro” “E fu per quel motivo che voi vi fidaste ciecamente di quelle lettere?” “Quel motivo” l’altro si strinse nelle spalle “E per il fatto che chi scriveva si firmasse con il fregio di Hevnan k’ar” ancora una volta il Naphil non potè impedirsi di provare una nota di confusione “La vostra Sireli proviene da Hevnan k’ar?” chiese titubante.

Si e no, mimarono le spalle dell’Anhayt.

“So che parte del suo passato si nasconde in quella città, sì. E per rispondere alla vostra domanda” sogghignò “No, non potrei essere più preciso perché questo è davvero tutto ciò che so sulla mia Sireli

Non una parola di più, non una di meno.

Impossibile non accigliarsi di nuovo “Per essere la vostra Sireli, mi sembra sappiate davvero ben poco di lei” esalò incredulo il Naphil. Nuova scrollata di spalle “Il presente è il cammino che noi condividiamo con le persone che ci stanno accanto. Ma il passato è nostro e nostro soltanto”.

 

Quel giorno, uno dei tanti oramai trascorsi a marciare liberi nel deserto, giunsero finalmente alla volta di Hevnan k’ar. Non vi entrarono subito. Prima di giungere a vista delle vedette, le guardie improvvisarono infatti una breve sosta per estrarre dalle pesanti borse a tracolla dei kahrise un non meglio precisato insieme di stoffe dall’aria consunta e logora, colori un tempo sgargianti ora ridotti a nulla più che blande tinte rossastre e sabbiose.

L’Anhayt rifilò a quell’insieme un’occhiata incerta prima che Zaphil gliene porgesse una dall’aria particolarmente lisa.

“Queste saranno il nostro lasciapassare all’interno della città” spiegò con un mezzo sogghigno “Preferirei infatti che nessuno all’interno di Hevnan k’ar sapesse del nostro ritorno fino a quando non lo riterrò opportuno”. Nuova occhiata perplessa dell’Anhayt “Niente accoglienza da re, quindi?” sbattè una volta le palpebre. Zaphil si strinse nelle spalle “Spiacente ma no”.

Per un attimo lo sguardo di entrambi cadde allora sull’offerta del Naphil ancora tesa nel vuoto, ponte di stoffa dall’aria ora più che mai incerta.

Poi l’altro schioccò la lingua sul palato “Avete detto che se acconsentirò ad aiutarvi mi lascerete andare” si grattò il mento ora irto di una barba ruvida e spinosa. Sotto i polpastrelli avvertì piccoli granelli di sabbia. “Così ho detto” concesse il Naphil “E se questo è il vostro dubbio, posso assicurarvi di essere un uomo di parola” “Così come di scarni sentimenti?” lo pungolò l’altro con un sorriso. Zaphil non rispose, limitandosi semplicemente a riproporre con un lieve movimento la stoffa all’altro.

L’Anhayt sospirò afferrando finalmente l’indumento. Se lo rigirò per un attimo fra le mani, evidentemente misurandone con fare critico la misera fattura “Tutte qui le grandi risorse della Torre del Tempo?” sogghignò poi. Lo sguardo rivolto già alla città, Zaphil non colse la critica “Prego?” chiese tuttavia. Tutt’attorno gli uomini erano già alle prese con il camuffamento, le distintive vesti nere rimpiazzate dalle ben meno raffinate pezze solitamente usate fra le genti di bassa levatura quali piccoli commercianti, contadini e simili.

“Da ciò che raccontava mia madre, alla Torre del Tempo non bastava l’immaginazione per descrivere le meraviglie e l’abbondanza presenti in ogni dove. I muri grondavano acqua, i pavimenti riflettevano i colori del cielo ed ogni dove vi erano piante e frescura in abbondanza” una pausa, giusto il tempo di alzare i panni lisi e mostrarli al suo interlocutore “Probabilmente i tempi sono davvero cambiati da allora”.

Vago, un sogghigno attraversò allora il volto del Naphil prima che questi estraesse dalla sacca del proprio kahrise stracci della medesima tinta e condizione “Dunque vostra madre vi parlava della Torre del Tempo” disse prendendo lentamente a spogliarsi “Eppure voi non l’avete mai accompagnata nei suoi viaggi” .

Per un attimo l’Anhayt parve troppo impegnato a fissare i sottili innesti metallici sul corpo dell’uomo per rispondere. Poi, interdetto, si schiarì la gola “Questo perché lei mi raccomandava sempre di non farlo. “Quel luogo è così pieno di serpi che pare di sentire le mura sibilare anche di notte” mi diceva sempre” una pausa, mani a saggiare infine la possibilità di indossare quegli stracci luridi “Odiava andarci e se non fosse stato per risparmiare a me e mio padre il dovere di farlo al suo posto, sono certo non ci avrebbe mai messo piede”.

Cominciò dunque a svestirsi anch’egli, un rapido cambio d’abiti sufficiente a mostrare nel riverbero solare strisce di pelle livida e segnata da vecchie e nuove cicatrici. Questa volta fu il turno del Naphil di osservare l’altro con un misto di curiosità e perplessità assieme. Poi sospirò.

“Ho pianto per la sua morte. Era una donna gentile” esalò portandosi al volto un velo consunto. Alcune fibre lise pendevano di lato dando una parvenza di baffi posticci. L’Anhayt scrollò la testa “Voi non conoscevate mia madre. Non era abbastanza ricca e potente perchè voi vi interessaste a lei. Ma vi ringrazio comunque”

 

Si decise dunque che gli uomini di Zaphil sarebbero entrati in città con le luci del giorno unendosi alle carovane che regolarmente entravano ed uscivano dalle porte di Hevnan k’ar. Da dentro avrebbero fatto in modo di posizionarsi nei punti strategici della città e da lì seguire l’andamento della giornata. Salvo contrordine, Zaphil e l’Anhayt sarebbero allora entrati all’imbrunire, seguendo il percorso che settimane prima aveva condotto i Figli delle Ombre all’interno della città.

A pochi istanti dal calare della notte, nessuno degli uomini del Naphil era ancora tornato per segnalare strani avvenimenti. Dopo un ultimo sguardo al profilo oramai brunito della città. i due decisero dunque di mettersi in marcia.

Giunsero in poco tempo nella parte orientale di Hevnan k’ar, le rive dell’Himnakan a sciabordare fra le morbide anse del porto in un dedalo di Rose del Mare e flutti rubino. Tutt’attorno alla città si snodava il pallido profilo delle Mura, sottile circonferenza ottagonale articolata in creste simili ad immense pinne dorsali di animali marini. Ogni cresta recava attacchi ed infissi per sostenere le ancor più mastodontiche Vele tese nella fine brezza notturna come giganteschi petali di fiori rubino. Ad ogni cambio di vento, la notte scricchiolava del loro mutare di posizione ed inclinazione così che da lontano l’intera Hevnan k’ar somigliasse ad un immenso veliero teso al vento.

Sottili passaggi di legno e corda collegavano come fili di ragnatela ogni struttura dando modo ai Danzatori di guardia alla città di pattugliarne i perimetri. Le loro piccole sagome tremolavano alla luce di torce e bracieri disposti ad intervalli regolari.

Zaphil e l’Anhayt ignorarono quello spettacolo suggestivo per procedere viceversa in direzione del lago e del porto. Le mura continuavano anche qui, pur degradando nel contemporaneo abbassarsi del fondale marino fino a lasciar intravedere in lontananza nulla più che le punte delle ultime vele a scomparire fra i flutti. In silenzio i due ne seguirono il profilo, fermandosi a tratti per non essere visti dai Danzatori di ronda fino ad arrivare alle rive del lago ove si svestirono rapidamente avvolgendo il tutto in un fagotto stretto in vita. Pochi istanti per prendere nuovamente fiato e poi insieme si immersero fra i flutti.

L’acqua era tiepida rispetto al freddo pungente della notte, scintillante di salsedine quando essi scivolarono a nuoto lungo il profilo discendente del porto. Solo quando furono ben distanti dal camminamento si diedero il tempo di aggrapparsi ad una Vela per riposare.

“Siete  sicuro di sapere dove stiamo andando?” esalò Zaphil senza fiato.

In passato i Tintori erano soliti donare alla popolazione le Tinte di scarto ottenute dalla lavorazioni dei tessuti. Queste, pur se in misura inferiore, conservavano comunque un poco del loro potere capace di allontanare le Ombre. Sfortunatamente però la natura umana, sopratutto se avvicinata all’atavico istinto di sopravvivenza che la caratterizza, sviluppa in sé le peggiori potenzialità ed escogitazioni; così in breve, Hevnan k’an divenne patria del commercio sommerso delle Tinte, un mercato nero i cui interessi si estesero via via per tutto il territorio affliggendone con prezzi e condizioni indeprecabili l’intero andamento.

I Tintori decisero così di porre fine alle proprie donazioni chiudendo i canali di scolo affioranti in città e nascondendone di nuovi in luoghi più sicuri.

L’Anhayt annuì una volta “Nelle lettere era indicato il percorso da seguire” spiegò pratico, lo sguardo che andava a sorvolare le creste del lago come alla ricerca di qualcosa. Zaphil si accigliò.

“Era scritto anche quello?” seguì inutilmente lo sguardo dell’altro, incapace di vedere nulla se non il riverbero lunare fra i flutti. Sospirò.

“Fate attenzione ora. Non avremo che un istante per seguire le tracce della Tinta” riprese poco dopo l’Anhayt “I Tintori non sono stupidi. Non appena ve lo dirò, siate pronto per cominciare a nuotare e subito immergervi dietro di me. C’è un passaggio proprio al di sotto dell’ultima vela del porto ma per arrivarci...”

Proprio allora, il vento cambiò. Improvviso attimo di bonaccia fra lo spirare di uno e il sopraggiungerne di un altro, il silenzio calò sul porto placando ogni rumore e tramestio e lasciando viceversa un che di vuoto e indifeso ad abbattersi sui due uomini ora a mollo fra i flutti.

“Ora” sibilò senza voce l’Anhayt prendendo rapido a nuotare proprio in direzione dell’ultima vela semi sommersa. Poco più avanti, una guardia avvertì allora lo sciabordio del loro avanzare.

Brivido di panico..

“Fermo” sibilò fra i denti Zaphil “O ci scopriranno”.

L’altro non si girò. Se possibile, sembrò anzi affrettarsi.

“Fermo...” ripetè l’altro invano.

Poi il vento tornò. Lento e lieve, esso prese nuovamente a spirare a pelo d’acqua in senso inverso rispetto al precedente, variazione che portò nello stesso istante tutte le vele presenti a girarsi dalla parte opposta a quella tenuta fino ad allora.

“Chi va là!”

rapido come uno schiocco, la voce della guardia li raggiunse fra una bracciata e l’altra.

Zaphil si morse un labbro “Anhayt” tentò invano di chiamare l’altro ora più che mai avanti “Se non ci mettiamo subito al riparo...” tentò di dire ma proprio allora i suoi occhi notarono qualcosa.

Nulla più che un’ombra a pelo d’acqua, nulla meno che un alone dinnanzi all’ultima Vela del porto il cui presto mutare di posizione avrebbe di certo cancellato alla vista di chiunque.

Impossibile non strabuzzare gli occhi.

Quella era Tinta?

“Chi è là!” ancora una volta la voce della guardia li raggiunse da dietro le spalle. Troppo tardi.

Entrambi la ignorarono lasciandosi viceversa a capofitto in direzione della chiazza già prossima dallo scomparire.

Possibile che i Tintori avessero scelto proprio quel luogo, proprio quello...

Quando furono abbastanza vicini - proprio un secondo prima che il loro inseguitore desse l’allarme - entrambi si immersero fra i flutti con una capriola stentata lasciando che l’acqua li ghermisse trasformando il mondo attorno a loro in uno sfuocato insieme di tinte grigionere. Impossibile non perdere l’orientamento in quell’oscurità.

Ma l’Anhayt sapeva dove andare.

Senza nemmeno sincerarsi di essere seguito, egli si diresse in profondità, il corpo impallidito dal riverbero lunare  a scomparire in un attimo dietro le pallide rientranze del muro sommerso.

Zaphil gli fu subito dietro, piccolo ed apparentemente inerme a confronto della sagoma mastodontica della Vela inabissata. Più sotto l’Anhayt sbracciò con forza per avvicinarsi al fondo, virò per tutta la lunghezza del muro e poi vi si poggiò come nell’atto di tastarne la superficie.

Mezzo cieco, Zaphil ebbe appena il tempo di intravedere la figura dell’altro ridossarsi alla candida struttura che questi era già sparito.

Ma che diavolo...

Facile a vedersi, seguire l’esempio dell’uomo fu tuttavia cosa assai più difficile del previsto. Celebre per la propria forte salinità, l’Himnakan poteva in effetti rivelarsi un temibile avversario per qualunque nuotatore inesperto. E Zaphil, per quanto reduce da molte ed assai ardite esperienze, di certo mai avrebbe potuto definire se stesso un nuotatore. Figuriamoci mirabile. Così a stento, aggrappandosi dove possibile alla Vela e dove non concesso, alla più ardita forza di volontà, anch’egli riuscì a raggiungere il punto verso il quale l’Anhayt era stato guidato dalle lettere dell’ignoto delatore. Qui, nulla più che una vaga rientranza nel muro a rivelarlo, vi era un passaggio poco più largo di un braccio, poco più stretto di due spalle a schiacciarsi verso l’interno.

Mani a protendersi sulle pareti, piedi ad incollarsi alle sporgenze e dopo un eterno attimo di smarrimento, la testa del Naphil affiorò in quella che egli ipotizzò essere una parte cava del muro.

Un annaspare poco distante lo avvertì che anche l’Anhayt era affiorato come lui sano e salvo.

“Dannato Naphil” lo apostrofò questi di buonumore “Ero quasi pronto a scommettere che un uomo arido come voi non fosse in grado di sopravvivere in acqua e invece...” “Invece se fossi in voi comincerei ad escogitare qualcosa di più fantasioso se la vostra intenzione è davvero quella di eliminarmi...” lieve sogghigno nel buio “E porre così fine alla nostra deliziosa amicizia? Perché mai?”

Proprio allora alle loro spalle vibrò un sonoro clung, come di ingranaggi che pesantemente spostati e rimessi al loro posto. Per quanto assai poco istruito a riguardo, il Naphil si ritrovò ad ipotizzare che quel canale possedesse chiuse e sbarramenti per evitare tanto la fuoriuscita della Tinta quanto l’entrata di incauti visitatori come loro. 

Un meccanismo forse temporizzato, o mosso esattamente in corrispondenza del calare e stabilizzarsi del vento.

A poca distanza, il suo compagno di viaggio parve affrettare la frequenza delle bracciate “Non ci resta molto tempo prima che le chiuse vengano sbarrate” spiegò con una traccia d’affanno nella voce “Muoviamoci”.

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Capitolo 16
*** Riflessi d'ombra ***


Ed eccomi! Capitolo purtroppo abbastanza lungo che segna la fine del “primo libro” di questa Storia nonché Il suo giro di boa verso nuovi sviluppi e vicende. Spero che possa piacervi! Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito fin qui rendendo possibile, uno dopo l'altro, la stesura di ogni pagina.

I prossimi capitoli che (spero) vedrete potrebbero non essere pubblicati di seguito ma in una parte totalmente nuova così da dare un po' più di respiro al tutto.

Che dire? Grazie ancora di cuore a tutti per la pazienza e la gentilezza. Grazie anche a coloro che, pur non sapendolo, mi danno ogni giorno la possibilità di portare avanti la mia passione


Bacius

Elendil

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Per un po’ non parlarono. Preferirono accelerare l’andatura fino al momento in cui il riverbero dei loro respiri smise di infrangersi sulle pareti circostanti per aprirsi in un morbido e vasto riverbero cavernoso. Qui si fermarono, senza fiato, l’oscurità a costringerli alla cieca a cercare un punto ove aggrapparsi e riposare. Solo dopo qualche istante Zaphil si rese conto che l’acqua qui era assai meno salata di come la ricordasse all’esterno ed ovunque percorsa come da una corrente leggera ma costante. Resistette tuttavia all’impulso di bere, un vago sentore ferrugginoso a suggerirgli che quel liquido non fosse affatto puro come i suoi sensi ora gli suggerivano.

Si concesse allora un sospiro contratto cui l’altro rispose con un risolino egualmente distorto.

Quando giungemmo qui su indicazione delle lettere” prese a dire muovendo appena le gambe a mollo “Le torce erano state accese per guidarci verso il luogo in cui la Nihaar’ì avrebbe celebrato il Rito. E’ un vero peccato che ora non ci siano, pochi spettacoli su tutta Harryan reggono il confronto”.

Pur sapendo che l’altro non l’avrebbe vista, il Naphil non potè trattenere una smorfia contrita.

Ho visto e viaggiato più di quanto voi possiate pensare, Anhayt” rimbrottò nervoso “Penso sopravviverò a questa privazione” “Certo, immagino di si” convenne l’altro mentre, cauto, prendeva ad allontanarsi lungo la parete. Subito Zaphil gli fu dietro “Eppure in qualche modo sono certo che questo l’avreste voluto vedere...”

Poi un lungo fischio proruppe dalle labbra dell’Anhayt, vibrando e spargendosi nell’immobilità di quel luogo come un brivido lanciato alla cieca nel buio. Senza direzione e meta esso parve dapprima scomparire per poi subito tornare quasi che altri avessero a loro volta fischiato di rimando.

Silenzio.

Fischiò ancora, più lungamente. E di nuovo eccola andare e tornare quella marea invisibile, risacca sul viso e nel corpo.

Silenzio.

Poi, al terzo fischio, una luce si schiuse improvvisamente nell’oscurità. Dapprima fioca e lontana, poi via via più vicina e calda. Ed infine lucida e splendente fra le mani della sagoma glabra che la reggeva, nulla più che una donna dall’aspetto esile e minuto a confronto della vastità di quella sala.

E per quanto gli costasse farlo, Zaphil dovette suo malgrado ammettere che l’Anhayt aveva avuto ragione. Pochi spettacoli potevano competere con quello offerto ora dal Tempio delle Tinte.

La cavità adibita all’ultima fase di riposo e fissaggio della Tinta non era altri che un’immensa caverna dalla volta a cupola sul cui soffitto erano stati aperti naturali ed artificiali buchi affacciati su un piano superiore, anch’esso in nuda roccia calcarea. Da questi squarci pendevano immensi teli rosso cupo, alcuni lunghi poco meno di qualche metro, altri tanto estesi da sfiorare quasi la superfici delle acque sottostanti. Da ogni stoffa precipitavano lente e costanti gocce d’acqua frutto dell’umido dilavamento delle rocce. Il loro stillare pareva un lieve rumore di sottofondo nell’atmosfera di placida e calma stasi.

Immobile, Zaphil si ritrovò improvvisamente incapace di parlare.

Espirò invece piano, lasciando che la fragile ed al contempo ciclopica bellezza di quel luogo calasse su di lui come un velo di pura e semplice meraviglia. Al suo avvertì allora l’Anhayt sogghignare prima di sfiorargli con la mano la spalla.

Andiamo” sussurrò “Quella è la luce che ci farà uscire di qui”.

In silenzio presero a nuotare in direzione della luce ora ferma sulla riva opposta del lago. La persona che la reggeva, chiunque fosse, pareva come in attesa o incerta della fonte del suono che l’aveva spinta a scendere fin lì. Per fortuna di tutti parve non trovarla perché dopo un istante questa si voltò prendendo subito dopo ad ontanarsi portando via con sé l’unico risplendete chiarore del luogo.

Rapidi, l’Anhayt e Zaphil le furono dietro, nemmeno il tempo di uscire dall’acqua per impedirsi di rimanere nuovamente nel buio e perdere così definitivamente l’occasione di muoversi all’interno del Tempio dei Tintori.

Solo quando a quell’unica luce se ne sommarono in lontananza altre fioche, i due si diedero il tempo di ripararsi in un angolo e vestirsi alla bell’é meglio con i propri stracci ora zuppi e freddi. Loro malgrado, in un attimo entrambi presero a battere i denti dal freddo.

Tuttavia Zaphil pareva affatto intenzionato a perdere tempo.

Avete detto che trovaste torce accese ad attendervi e guidarvi verso il luogo delle Celebrazioni” si rivolse all’altro notando ora le sue labbra vagamente annerite dal gelo. L’Anhayt annuì una volta. “Cos’altro?” lo incalzò subito.

Nel buio, per un attimo l’incertezza parve balenare sul volto dell’altro, quasi che in un determinato istante il dubbio vi avesse fatto capolino distorcendolo appena nei tratti e lineamenti. Poi si morse le labbra.

Solo le indicazioni per uscire senza che i Danzatori potessero intercettarci” esalò in un lieve tremito. Zaphil si ritrovò ad aggrottare appena le sopracciglia.

Possibile che tutti i Tintori sapessero così tanto della loro dimora? Possibile che chiunque, se opportunamente guidato, avesse il potere di entrare ed uscire a piacimento da uno dei luoghi più sacri di tutta Harryan?

Infine sospirò, le dita infreddolite che andavano per un attimo a schermare il suo sguardo incupito.

No. Impossibile.

Voglio che tu mi mostri esattamente il tragitto che avete percorso per entrare ed uscire da questo luogo” ordinò monocorde.



Il percorso che ne seguì fu in realtà cosa di poco conto nella memoria del Naphil. Non serviva infatti un grande intuito né uno spiccato senso della logica per capire che quei corridoi, quei passaggi, quelle gallerie ed insomma ognuno di quei percorsi sempre e comunque ritagliati al di là delle vie più comunemente usate dai Tintori non potevano di certo essere il frutto della memorie e delle conoscenze di un discepolo comune. Nè di un semplice membro anziano.

Ma dunque chi?

La risposta, per quanto cupa, non necessitava di particolari elucubrazioni.

O qualcuno di estremamente umile, o qualcuno di estremamente potente.

Poco prima di giungere in superficie verso l’ultima e memorabile barriera che li separava dall’esterno, Zaphil brancò il suo compagno di viaggio imponendogli una brusca fermata.

Penso di aver visto abbastanza per ora” esalò l’uomo in un ringhio basso “Venite con me”



La trovarono seduta nella stanza delle Celebrazioni, le gambe rannicchiate sotto il corpo ritto in una parentesi sottile. Sostava sul bordo della medesima discesa sulla quale poco tempo prima si erano poggiati i piedi della Nihaar’ì durante il rito della Purificazione.

La Gunar Arvasti.

Dava le spalle ad entrambi, ma dal guizzo dei muscoli della schiena, fu chiaro che li avesse sentiti arrivare già da tempo.

Lieta di rivedervi” li salutò senza voltarsi.

Di rivedere entrambi.

Zaphil esalò un sospiro contrito. L’ultima volta che aveva veduto quella donna si era ripromesso che mai e poi mai avrebbe rimesso piede in quelle dannate sale, in quella gabbia di pazzi travestita da luogo di pace e sacralità. Ed invece eccolo di nuovo lì, bagnato ed infreddolito come poche volte nella sua vita ad attendere che quella pazza lo sbalordisse con nuovi e meravigliosi segreti.

Spiacente di non poter dire lo stesso, Gunar Arvasti” rispose monocorde “Temo che i luoghi chiusi e sotterranei mi stiano divenendo assai indigesti”.

Lei non colse la battuta - o meglio fece finta di non coglierla - limitandosi a tirarsi semplicemente seduta e voltare la testa. Il Naphil si accigliò: per qualche ragione, pareva più vecchia dell’ultima volta che l’aveva vista. La donna si concesse qualche istante per guardare attentamente lui. Poi spostò il proprio sorriso sull’altro.
Tu devi essere l’Anhayt” lo salutò piano, voltando solo allora tutto il corpo per fronteggiarli. Sorrise ancora, questa volta più lungamente. Poi abbassò lo sguardo.

Lei mi ha parlato di te”

Lei?

Nel medesimo istante in cui formulava questa domanda, il Naphil seppe di conoscerne la risposta.

Del resto non sarebbero arrivati fino a quel punto se già non avessero sospettato di lei e del suo legame con la giovane amata dell’Anhayt.

Anche il suo compagno di viaggio parve arrivare alla medesima conclusione perché si limitò a rispondere al sorriso ricevendone uno più largo in cambio.

Sery mi descrisse così tanti dettagli del tuo volto che confesso, sospettai ti avesse già incontrato”

Calmo, l’Anhayt si limitò a scrutare per un poco la Gunar Arvasti prima di passarsi due dita sugli occhi. “Siete la madre di Sery?” chiese atono. L’altra socchiuse per un attimo le palpebre, poi scosse il capo “No, se per madre intendi colei che la diede alla luce”.

Si, se stai parlando della donna che ella consideri tale.

Eppure da come mi guardi, Anhayt, deduco che ella non ti abbia mai parlato di me”

Suo malgrado, l’uomo non potè che rimanere in silenzio. “No” continuò quindi l’altra “Suppongo di no”.

Si tirò in quella in piedi, un morbido movimento a rivelare solo allora braccia e spalle interamente velate di rossa Tinta quasi che ella vi si fosse immersa per intero lasciando affiorare solo collo e testa.

Del resto fui io stessa a raccomandarle di non farlo quando ci lasciammo. So per esperienza quanto grande possa essere la curiosità delle persone se paragonata alla loro discrezione” rapido, il volto dell’Anhayt ebbe come una contrazione “Se pensate che io le abbia chiesto di svelare i suoi segreti, rimarrete delusa” sibilò guadagnandosi un ghigno beffardo.

Delusa?” ironizzò “Ma io sono certa che tu non abbia mai avuto il cuore di chiederle alcunché. Viceversa non le avrei mai permesso di andarsene come ha fatto lasciandomi qui a marcire tutta sola”.

Per quanto inavvertibile, parve quasi di vedere il volto dell’uomo contrarsi ancora una volta, la mascella a sgranarsi di un poco sotto il velo traslucido della pelle.

Non capisco.

Fu l’evidente pensiero. Ma tacque, probabilmente troppo orgoglioso per mostrare la sua incertezza. Di diverso avviso fu tuttavia Zaphil la cui pazienza pareva assai meno incline a questo tipo di giochetti. Con una semplice mossa si frappose fra i due, la figura rilassata eppure colma di una minaccia latente, appena sobillata.

Sery è una Tintrice?” chiese monocorde. Per la prima volta da che era cominciata quella conversazione, lo sguardo della donna tornò su di lui degnandolo di un’occhiata solo moderatamente interessata.

Erarispose dopo un attimo.

Era?” si accigliò l’uomo “Eppure se ben ricordo, l’Ordine dei Tintori non riconosce a nessuno la facoltà di abbandonare la propria vocazione”

Era cosa risaputa in tutta Arryan che l’Ordine considerasse estinto il ruolo di Tintore solo con la morte dello stesso ed in nessun altro modo che comportasse la sopravvivenza dei loro affiliati.

La donna si strinse nelle spalle “Ed ecco il motivo per cui chiesi a Sery di non rivelare mai il suo passato ad anima viva” spiegò con semplicità. Troppa semplicità perché Zaphil vi si accomodasse sopra con tutta la soddisfazione del mondo. Storse il naso.

Foste voi ad aiutarla a scappare? Organizzaste insieme la sua fuga?”.

Nuova pausa, nuova stretta si spalle “No, non direi. Fu lei ad organizzare tutto. Di me si può dire piuttosto che tentati di fermarla fino all’ultimo. Non volevo che se ne andasse” abbozzò come una smorfia infantile, il rammarico a stemperarsi nel suo stringersi le braccia al petto “Pur sapendo quale fosse il destino dei Risvegliati all’interno dell’Ordine, provai comunque a fermarla, scioccamente convinta che per lei avrebbero fatto un’eccezione. Che l’avrebbero risparmiata”

Suo malgrado, alla parola Risvegliata Zaphil dovette fare una faccia assai sbigottita perché nel medesimo istante la Gunar Arvasti scoppiò a ridere prima di rivolgersi all’Anhayt..

Dunque Sery non si era sbagliata. Siete davvero un uomo capace di mantenere i segreti” si complimentò “Peccato che allora non mi fidai delle sue parole. Non le credetti quando mi disse che tu l’avresti protetta e amata e che insieme sareste stati felici. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che lei desiderava solo allontanarsi da me e lasciarmi sola”.

Disorientato, il Naphil dovette schiarirsi nuovamente la gola “Dunque Sery è una Risvegliata?” esalò titubante. “Sembra impensabile, non è vero?” sogghignò di rimando la Gunar Arvasti “Ammetto che inizialmente anche io fui sorpresa quando Sery iniziò a parlarmi dei suoi Nayel (visioni). Pensavo mi stesse prendendo in giro o che più semplicemente ella confondesse i sogni con la fantasia” si umettò le labbra “Del resto tutti sanno che i Tintori non possono dormire e di conseguenza, non possono fisicamente Sognare. Ma con il passare dei giorni - e delle notti - ella sembrava sempre più sicura”. Incerto, Zaphil si portò due dita al mento “Forse Sery stava trasgredendo ai dettami dei Tintori” ipotizzò scrollando appena le spalle. L’altra scosse subito la testa “Giunsi inizialmente anch’io alla medesima conclusione. Ed infatti la minacciai di riferire all’Ordine quanto stava accadendo. Ma mi sbagliavo. Per un lungo periodo Sery cominciò infatti a compiere lo Anyatsy (Rito del Riposo) al mio fianco. Insieme chiudevamo gli occhi ed insieme intonavamo la litania che i Tintori usano per calmare la mente e ristorare lo spirito. E quando insieme ritornavamo nello stato di veglia ella era sempre pronta a darmi nuovi particolari del tuo volto” spostò lo sguardo sull’Anhayt “Presto ogni particolare della tua persona divenne così chiaro che mi fu impossibile non credere che esistessi per davvero là fuori, da qualche parte nelle terre di Arryan” “Fu allora che la tradiste?” la voce di Zaphil giunse secca e grave al contempo, come un sibilo da dentro la gola.

Improvvisamente lei esitò, il capo a chinarsi istantaneamente verso il basso in un’espressione quasi stanca “Io volevo bene a Sery” parve giustificarsi dopo un attimo “Non avrei mai avuto il cuore di tradirla” “Nemmeno se l’intero Ordine dei Tintori fosse stato minacciato dal suo Risveglio?” la incalzò l’altro. Nuovo scuotersi della testa “Nemmeno in quel caso” “Eppure lo faceste, non è vero?” improvvisamente lei strinse le labbra fino a farle sbiancare di netto “Ho già detto che non la tradii” digrignò pallida; poi, lentamente, abbassò nuovamente lo sguardo “Ma minacciai di farlo se mi avesse abbandonata”.

Per un attimo, la Guar Arvasti parve ancora più piccola e fragile di quanto fosse sembrata fino a quell’istante. Restò qualche istante così, ferma ed immobile dinnanzi ai loro sguardi confusi. Poi, stanca, si sedette allora sul bordo dell’immenso bacino, i flutti cremisi a lambirle appena le punte dei piedi irsuti. Poggiò il capo alle ginocchia.       

Eppure lei mi lasciò comunque.

Dunque è per questo che le inviaste quelle lettere” riprese con il dire dopo un attimo Zaphil “Per farla tornare da voi”. Ancora una volta, contro ogni aspettativa, la donna scosse sconsolata il capo.

Non inviai mai alcuna lettera a Sery. Ancora oggi non so nulla della sua vita attuale” lungo sospiro, eco sbiadita della nuova espressione incerta dei due uomini dinnanzi a lei “Le parole che vi hanno guidato fin qui e che voi pensate essere state vergate dal mio pugno sono in realtà di Shayarin”

Shayarin?

Dallo scatto che seguì, fu chiaro che l’Anhayt si sarebbe all’istante scagliato sulla Gunar Arvasti se Zaphil non l’avesse fermato frapponendosi fra i due. Con un ringhio sordo, l’uomo si arrestò ad un passo da lei.

Immobile, la donna si limitò a portarsi le mani in grembo “Vedete, Zaphil, al mondo esistono solo due cose più grandi dell’amore. Il rimorso e coloro che sono abbastanza astuti da sfruttarlo a proprio piacimento”

E fu così che in un breve ed assai desolante monologo, la Gunar Arvasti rivelò infine di come, esasperata tanto dal proprio amore perduto quanto dal rimorso per ciò che aveva fatto, ella lasciò infine che il dolore la guidasse laddove ogni buonsenso l’avrebbe di certo allontanata. Andò da Shayarin, il signore delle Tinte, che solo aveva il potere di entrare ed uscire a suo piacimento dal Tempio.

Fiduciosa, ella gli parlò di Sery e del loro prezioso legame oramai irrimediabilmente andato distrutto. Gli descrisse la fuga della ragazza ed i suoi Nayel. Ed infine gli chiese consiglio.

All’epoca tutto ciò che desideravo era scusarmi con lei. Chiederle di perdonarmi” pallide, le sue mani parvero allora intrecciarsi tanto da sbiancare le nocche “Mai avrei pensato a cosa la mia avventatezza mi stava portando”

Alle conseguenze che quelle rivelazioni avrebbero comportato.

Quel giorno Shayarin mi promise che avrebbe trovato Sery e le avrebbe portato le mie scuse. Mi rassicurò inoltre che avrebbe custodito il mio segreto per sempre” sorrise come fra sé e sé “Beh, non si può certo dire che su quello abbia mentito”

Per un attimo la macabra visione dell Signore delle Tinte riverso a terra, uno sbavo di sangue a scivolargli dal labbro appena dischiuso riverberò nella mente di Zaphil. Il Naphil si umettò improvvisamente le labbra, a disagio.

Fu dunque Shayarin a guidare i Figli delle Ombre fino alla Nihaar’ì?” concluse quindi dopo un attimo. La Gunar Arvasti si limitò ad annuire volgendo contemporaneamente il proprio sguardo all’Anhayt “Sapeva che avreste seguito la speranza che vi offriva anche a costo delle vostre stesse vite”.

Impossibilitato a qualunque esternazione fisica - Zaphil si trovava ancora fra i due -, per questa nuova rivelazione l’Anhayt tentò dunque la via dell’espressione verbale, il viso che in un istante si imporporava di una sincera ed assai rubescente collera prima che egli prendesse a dilungarsi in una dettagliata descrizione di cosa ne pensasse lui dei Tintori, di Shayarin e non per ultima della medesima Gunar Arvasti.

Immobile fra i due contendenti, il Naphil lasciò invece che la sua mente si dilungasse per un istante nel riesame  dell’incerto - eppure inaspettatamente delineato - quadro che fino a quel punto la donna aveva fornito loro.

Mancava qualcosa. Intuì suo malgrado. Qualcosa che la sua mente gli suggerì annidarsi nei ricordi che egli aveva accumulato in quei giorni senza curarsene affatto.

Sospirò, abiti ancora umidi a rabbrividirgli addosso, sulla pelle. Poi, un pensiero.

Shayarin aveva mai parlato alla Nihaar’ì? Esitò. Più in generale, Shayarin aveva mai parlato? Rammentare fu abbastanza complesso da costringerlo ad un tenue sibilo fra i denti. Tuttavia la risposta non tardò comunque ad arrivare.

Sì, aveva parlato. Annuì fra sé e sé. Ma anche impegnandosi, il Naphil era certo di poter riassumere le parole dell’uomo sulla punta di una mano. Un po’ poco per una Volpe. Lo incalzò qualcosa nella sua testa. Un po’ poco per chiunque, in effetti.

Che Shayarin fosse stato un uomo silenzioso?

Meglio.

Che fosse stato un uomo minacciato?

E di nuovo fu come averle davanti, l’una in rapida successione dell’altra, le molteplici occasioni dove Shayarin avrebbe sì potuto parlare ma che per qualche ragione, aveva in effetti mancato di farlo: il primo incontro al Porto, la lunga discesa all’interno del Tempio delle Tinte punteggiata dal fitto sproloquiare di Mathias. E poi, più avanti, le sue scarne parole di discolpa nei confronti di Hevnan k’ar, pronunciate come a difesa dell’imperdonabile carenza di attenzione mostrate nel primo attacco.

Improvvisamente si bloccò, la sua percezione che rapidamente lo rimetteva al passo con gli istanti di intenso ed assai costruttivo dialogo fra Gunar Arvasti e Anhayt.

Rapire la Nihaar’ì servendosi dei Figli delle Ombre era solo il primo piano, non è vero?” esordì quindi. Ancora intento nella propria concitata esplicazione di dove esattamente egli avrebbe mandato la donna e tutto il suo inutile schieramento di scuse, l’Anhayt si bloccò, il volto che di scatto si voltava a fronteggiare quello del Naphil. Viceversa, la Gunar Arvasti rimase immobile. Poi, lentamente, alzò il capo. Evitò tuttavia di guardare dritto in viso il proprio interlocutore.

Solo gli stupidi non hanno un piano di riserva” sorrise senza allegria. Di rimando, il Naphil avvertì chiaramente la sensazione di un nodo alla gola a formarsi fra bocca e trachea “E le Volpi non sono affatto stupide, non è vero?” esalò di rimando.

Lucido e scintillante, il riverbero della lama fra le dita della donna fu poco meno che uno sfarfallio, poco più che un brillio nel buio prima che ella la cavasse improvvisamente dalle vesti per piantarla senza un suono dritta nel petto di Zaphil. Lui gemette, il toc della guardia che si incastrava in un non meno precisato punto a metà fra petto e mano destra volata di riflesso a sua protezione; ed espirò, una vibrazione dinnanzi ai suoi occhi ad informalo contemporaneamente del rapido scatto dell’Anhayt in direzione della donna.

Indietreggiò di qualche passo, la mano sacrificata a cascare dolente lungo il fianco prima che un grido soffocato lo informasse che l’Anhayt era stato in grado di sedare gli intenti omicidi della donna. Quando alzò lo sguardo su di loro, li trovò stretti in un caldo e ansante abbraccio, vaghe strisce di sangue ad imporporare entrambi.

Questo sarebbe il vostro piano di riserva?” esalò con un mezzo sogghigno. Lei non tentò neppure di negare, il volto sfregiato di sangue a brillare quasi nella stretta dell’Anhayt.

Nessun piano di riserva. Affatto. Solo un unico, estremo, tentativo.

Perdonate la sua pochezza sommo Zaphil, ma temo non me ne siano più rimasti molti. L’Ordine ha richiesto il mio Henv’Yeraz (riposo senza sogni)” sogghignò in un ghigno amaro.

Lo Henv’Yeraz?

Zaphil non potè impedirsi una smorfia contrita “Credevo che le Gunar Arvasti come voi fossero esenti da simili idiozie rituali” una lieve contrazione della mascella lo informò di quanto la donna avesse gradito le sue parole. Tuttavia rimase immobile “Credete pure ciò che volete, Sommo Zaphil” lo derise tuttavia “La realtà è cosa assai diversa” “E sarebbe?” lei strinse nervosamente le labbra “Sarebbe che tutti prima o poi devono pagare per i propri errori a discapito di importanza o posizione”

Il sorriso di lui fu quasi una carezza a fior di pelle.

Anche Shayarin ha dovuto pagare?” sobillò “L’Ordine ha deciso che anche per lui fosse tempo di giustizia?” stretta fra le braccia dell’Anhayt, lei si irrigidì appena “L’Ordine non uccide i suoi fedeli, nemmeno se bisognosi di assoluzione quanto Shayarin” concluse.

Ed ancora una volta, il Naphil ebbe come la netta sensazione di trovarsi dinnanzi ad una di quei meravigliosi spettacoli di magia cui nei lunghi anni di permanenza al fianco della Nihaar’ì gli era capitato -suo malgrado - di assistere. Il Lai Mephi di turno mostra un anello chiuso. Poi un altro. E per qualche ragione, ecco l’attimo dopo i due anelli intrecciarsi perfettamente in un legame apparentemente impossibile. E lui lì, ogni volta, a domandarsi dove diavolo fosse il trucco in tutto ciò.

Ora, immobile dinnanzi alla donna, Zaphil si ritrovò ad arricciare le labbra in un’espressione seria, decisa, compunta. E poi ad accigliarsi.

Dunque Shayarin è stato ucciso dalle Volpi” sibilò improvvisamente. L’altra sospirò “Per mano sua o altrui, il suo Henv’Yeraz si è infine compiutouna pausa, lo sguardo che per un attimo si spostava sulla distesa d’acqua che li circondava “Vor yersyel ve’Nai”

Mentre senza volerlo imitava quel gesto, un doloroso affanno che rapido aveva preso da qualche istante a risalire in violente pulsazioni mano e petto insieme, Zaphil ebbe finalmente l’intuizione del perchè, fra molti luoghi, la Gunar Arvasti ora si trovasse proprio lì, nella stanza del rito, ad intingere il proprio corpo nelle medesime acque nella quale si era immersa la Nihaar’ì. Comprese il motivo della sua solitudine, religiosa e inviolata (nessuno era giunto fino ad allora) al pari delle più sacre cerimonie.

Dannati Tintori.

Suo malgrado, sentì proprio allora la necessità di sedersi. E riprendere fiato. Ma desistette.

Dove si trova la Nihaar’ì?” digrignò avvertendo alcune fredde gocce di sudore condensarsi sotto l’attaccatura del naso. Lei piegò appena il capo “Dopo il secondo attacco, le Volpi nascosero qui la Nihaar’ì. Solo quando voi partiste per salvare l’Hayeli’vo si arrischiarono a portarla via” “Dove?” “Non lo so. Edereth è troppo astuta per rivelare simili informazioni in presenza di estranei. Ricordo però di aver sentito due Danzatori dire qualcosa a proposito della necessità di evitare le Tempeste di Sabbia”.

Attimo di silenzio, poi il sospiro di Zaphil “Potrebbero essersi diretti verso Anaphantum. In questo periodo è la prima città ad essere raggiunta dalle Tempeste” caldo, avvertì ora il sangue prendere ad inzuppargli gli abiti. Strinse appena le labbra prima di sospirare “Da quanto tempo sono in viaggio?” “Il giorno dopo la vostra partenza giunsero qui e portarono via la Nihaar’ì.”

Nuovo attimo di silenzio, lo sguardo velato di lui che soppesava per un attimo l’esile figura di lei studiandone i tratti aridi, consunti, dilaniati da quella sua sofferenza insostenibile. Capì allora che avrebbe dovuto provare pietà per lei. Per lei e la sua afflizione. “Le avete parlato?” esalò invece.

Avete parlato alla Nihaar’ì?

Il sorriso di lei fu l’ultimo ad abbandonare i ricordi di quel giorno.

Gentile, fugace eppure incredibilmente tranquillo nell’immobilità di quell’attimo. Poi di nuovo il buio, nudo, teso come il corpo di lei contro la lama che non pochi momenti oltre avrebbe lacerato per la prima ed ultima volta la sua pelle.

Continuamente da che la portarono qui” esalò in un sospiro “Desideravo che mi perdonasse”

Una pausa. Lunga. Dolorosa. Estenuante come il sentimento che qui l’aveva condotta per poi abbandonarla, cieco, al proprio destino.

Ma lei non mi ha mai risposto. Nemmeno una volta”

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