Dynasty of Dragons

di _Joanna_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - The Beginning ***
Capitolo 2: *** The First Blaze ***
Capitolo 3: *** The Last Storm ***
Capitolo 4: *** Field of Fire ***
Capitolo 5: *** The Relentless Queen ***
Capitolo 6: *** Aegon the Conqueror ***



Capitolo 1
*** Prologo - The Beginning ***


1











Prologo- The Beginning 

Il cielo era carico di nubi, nere, pesanti, gonfie di pioggia, come se gli dèi si preparassero a piangere. “Agli dèi non importa degli uomini” pensò. Come poteva essere altrimenti? Sua sorella doveva avere di certo una visione molto più poetica della vita; si chiese che cosa stesse guardando, appollaiata sul grande doccione che si affacciava a strapiombo sul mare.
«Centoundici anni» gli disse lei a un tratto. Non si era neanche voltata, lo sguardo assorto in quel paesaggio grigio e desolato, assorbito in una bellezza che lui non riusciva a vedere.
«Credi che lo avessero capito?» continuò «Credi che si fossero accorti che in quel momento tutto il loro mondo stava crollando?»
Lui non aveva una risposta, infatti lei non l’attese e proseguì «Io penso di no. Ognuno avrà creduto che fosse giunta la propria ora, che fosse giunta per molti di loro, ma non per tutti. Nessuno avrebbe mai potuto immaginarlo, nessuno in quell’istante avrebbe mai potuto comprendere che la città più grande mai esistita stava per essere spazzata via dalla faccia della terra, trascinando giù con sé i propri abitanti e il proprio sapere»
Ancora una volta non trovò niente da dire; era una sensazione a cui ormai aveva fatto l’abitudine. Sua sorella sapeva essere gioiosa e vivace, ma era anche estremamente curiosa e profondamente legata alle proprie origini, perennemente protesa verso quel passato ancestrale che le sussurrava di cose perdute e dimenticate. Un aspetto di lei, questo, che amava, pur senza comprenderlo appieno.
Con un movimento improvviso la giovane scattò in piedi, mantenendosi in precario equilibrio sulla pietra ineguale. Gli occhi che tanto amava si piantarono nei suoi, quindi allargò le braccia e si lasciò cadere nel vuoto.
Le sue gambe, di colpo pietrificate, gli impedirono di muoversi, mentre la sua mente lottava per scattare in avanti, incapace di raggiungere, di afferrare la sorella che ora precipitava nel baratro, verso la roccia, attraverso le onde del mare. Un ruggito spezzò l’aria e subito dopo la incendiò. Un turbine di vento caldo risalì la voragine, accompagnato dalla risata divertita della ragazza, e in un istante drago e cavaliere, entrambi d’argento, lo raggiunsero. Avrebbe voluto odiarla per essersi presa gioco di lui, invece, senza nemmeno accorgersene, portò le dita alla bocca e fischiò; attese una manciata di secondi prima di scorgere l’ombra nera scendere in picchiata. Gli saltò in groppa al volo; uomo e animale pronti ad ingaggiare l’ennesima competizione di velocità con le rispettive sorelle.

      E anche adesso, a un anno da distanza da quel giorno, si ritrovarono entrambi su quel balcone, ad osservare, a pensare. Eppure da allora era cambiato tutto. Le preoccupanti notizie giunte da est, unite alle insistenti richieste di aiuto di Tyrosh, Pentos, Volantis, lo avevano portato lontano da casa. Al suo ritorno aveva appreso della morte del padre, e, insieme alle sorelle, aveva pianto quella della madre, avvenuta appena un mese prima. Adesso era tempo di agire, di combattere, di dominare qualcosa di più di un mucchio di scogli gettati in mezzo al mare.
«È pronto» annunciò l’altra sua sorella, affacciandosi anche lei al grande balcone di pietra. Era più austera, più matura e di certo la più bellicosa dei tre fratelli. Per questo motivo amava anche lei. Annuì, quindi la seguì all’interno del Tamburo di Pietra, la torre centrale della fortezza, percependo dietro di sé anche i passi della sorella minore.
Raggiunsero la stanza all’ultimo piano; non si trattava di un ambiente particolarmente grande, né ricco o sfarzoso. La sala circolare era circondata da pareti di nuda pietra, interrotte solo da quattro finestre che si aprivano sui quattro punti cardinali. Ma non era l’arredamento che rendeva speciale quel locale. Esattamente al centro era stato disposto un enorme tavolo di legno dipinto, dai bordi frastagliati, ineguali, e la superficie solcata da rilievi e gibbosità. Un’unica sedia, posta su di una pedana rialzata, era stata posizionata in corrispondenza di una marcata sporgenza del tavolo. Si avvicinò, prendendo posto. Sorrise soddisfatto. Esattamente da dove si trovava poteva dominare tutta la superficie del tavolo che rappresentava la dettagliata mappa di una vasta terra: il Continente Occidentale, come veniva chiamato, un territorio che la sua gente non aveva mai tentato di conquistare, sebbene fosse ricco e prospero. E deliziosamente frammentato. Sorrise di nuovo, scrutando ogni singola curvatura del legno, studiando le numerose città che erano sorte nei secoli.
«Molto bene» approvò infine, congedando gli scalpellini e facendo cenno alle sorelle di avvicinarsi; si disposero una alla sua destra e l‘altra alla sua sinistra. Vide nei loro occhi violetti il suo stesso luccichio ambizioso; era il momento. In quel preciso istante la conquista dei Sette Regni ebbe inizio.

Angolo Autrice

Salve gente! :)

Allora come avrete capito questo prologo segna l'inizio di un mio progetto molto noioso che riguarda, stranamente, i Targaryen. Ebbene si dopo anni di amore indiscusso per i Lannister, ho riscoprto le meraviglie dei Signori dei Draghi e la loro affascinante storia. Ovviamente questo è solo un brevissimo inizio (e menomale) dal momento che ancora devo capire quali eventi inserire e, soprattutto, cercare di dare un ordine, visto che le informazioni sono molte, ma spesso contraddittorie o confuse. 

Nel frattempo commenti, suggerimenti e preferenze sono più che graditi ;)

_Jo

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Capitolo 2
*** The First Blaze ***


2

The First Blaze

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File:Aegon And His Sisters by Amok..png

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Sembrava che fossero passate ore da quando dalla coffa era giunto il grido che annunciava l’avvistamento della terra ferma. Una scialuppa venne calata in acqua e subito Visenya prese il comando dei remi, ansiosa di raggiungere la loro meta. Aegon fece per seguirla, ma prima tentò di rintracciare l’altra sorella, scrutando con attenzione il cielo. Niente.
«Se non ti sbrighi farà in tempo a sorvolare la Barriera andata e ritorno» gli urlò Visenya. Era impaziente; quanto a Rhaenys, non avrebbe avuto problemi a raggiungerli una volta approdati.

      Erano salpati dalla Roccia del Drago un paio di settimane prima. Avevano passato un intero ciclo di luna intorno a quel tavolo, a pianificare, progettare, studiare, ogni singolo dettaglio di quell’impresa; alla fine avevano preso una decisione: sarebbero sbarcati in quella che veniva chiamata la Baia delle Acque Nere, un piccolo golfo nel quale sfociava il fiume delle Rapide Nere. La zona era povera, scarsamente popolata, eccezion fatta per un pugno di marinai; inoltre era oggetto di una contesa tra alcuni dei regni limitrofi, il che voleva dire che era terra di nessuno. Perfetta per il loro approdo. Effetto sorpresa, unito a un’ottima conoscenza del territorio e delle rivalità tra i regni, avrebbero in breve sancito la loro vittoria. E poi avevano i draghi. Rhaenys aveva insistito per cavalcare il suo fino a destinazione, nonostante questo avrebbe aumentato di molto la possibilità di essere avvistati; ma sua sorella era sempre stata testarda e anche quella volta aveva finito per averla vinta; Aegon non aveva potuto fare altro che raccomandarsi al suo buon senso. Dopo essere salpati, drago e cavaliere avevano seguito per un po’ la rotta delle navi, per poi perdersi tra le nubi; erano due giorni che non avvistava né lei né le altre due fiere.

      Intanto avevano ormai raggiunto la riva; solo un piccolo peschereccio era ormeggiato, mentre di presenza umana non v’era traccia. Aegon e Visenya volteggiarono giù dalla scialuppa e iniziarono ad addentrarsi nell’entroterra. Un piccolo e modesto villaggio sorgeva a ridosso del fiume, assediato da ogni lato da una rigogliosa foresta; dalla loro posizione si potevano chiaramente distinguere tre basse colline, evidentemente disabitate e ricoperte di vegetazione. Dalla cima di una di esse si sollevava un acre e denso fumo scuro. I pochi abitanti erano ai piedi del piccolo monte, e, sebbene armati di asce e grossi secchi, esitavano ad avvicinarsi alle fiamme, che ormai ne avevano cinto la sommità con una voluttuosa corona di fuoco. Un vento caldo attraversò l’aria, alimentando le fiamme e sospingendole verso le altre colline. Aegon percepì chiaramente l’arrivo del proprio drago prima ancora che la sua ombra nera oscurasse il sole. Si voltò e vide arrivare Balerion, affiancato dalle sue sorelle. I draghi atterrarono, permettendo ai loro cavalieri di montargli in groppa, quindi spiccarono il volo. L’incendio stava ormai devastando buona parte della zona, e aveva quasi raggiunto la spiaggia. «Dracarys» sussurrò, quasi impercettibilmente, perché sapeva che la mente e il cuore dell’animale erano in stretta connessione con i suoi. Infatti, Balerion aprì le enormi fauci, eruttando una densa fiammata scura, incenerendo quel che restava del villaggio; la sorella, Vhagar, lo imitò. In un istante l’intera baia bruciava. I draghi erano arrivati.

 

 

     «Non è stata una grande idea» sentenziò Aegon. Tutti e tre erano seduti attorno ad un piccolo bivacco, acceso con la legna degli alberi della foresta che ora si estendeva a qualche miglio di distanza da dove si trovavano. Il fuoco dei draghi aveva incenerito quasi cinquemila ettari di bosco prima di estinguersi, trasformando la zona in un’enorme pianura bruciata, mentre i tre colli, ora spogli e solitari, parevano osservarli.
«Sono morte delle persone» proseguì «Ci hanno visto da subito come dei crudeli invasori senza che avessimo sferrato un solo attacco» Aveva completato lui stesso l’opera di devastazione iniziata da Rhaenys, non c’era poi molto da fare dopotutto; tuttavia si maledisse per aver concesso alla sorella di cavalcare il suo drago e dunque di precederlo, impedendogli di fermare quella follia.
«Rilassati, Aegon» rispose Rhaenys, ridacchiando. Per lei tutto era un gioco, un aspetto di lei che amava, ma era una guerra quella che stavano per affrontare, gli scherzi da bambini erano fuori luogo.
«Ci avrebbero odiati comunque» intervenne Visenya «Siamo invasori, lo siamo oggi e lo saremo domani, finché non li avremo sottomessi tutti non ci ameranno»
Aveva ragione. Visenya era razionale quanto Rhaenys era impulsiva, austera quanto l’altra era giocosa. E lui era nel mezzo, il fulcro di tutta quella energia, l’unico che fosse in grado di controllarla e incanalarla nella giusta direzione. Ma forse Visenya aveva davvero ragione: loro erano degli invasori. Si massaggiò le tempie, laddove la corona aveva cominciato a far sentire il proprio peso.

      Visenya aveva insistito perché Aegon si facesse incoronare lì, nel punto in cui era sbarcato per conquistare tutto il continente. Davanti ai suoi lord, al suo esiguo esercito di neanche duemila uomini, si era inginocchiato come lord Aegon Targaryen, per poi rialzarsi come Re Aegon Targaryen, primo del suo nome, Signore dei Draghi e lord dei Sette Regni. Una beffa, nient’altro che un vuoto titolo e ancora più vuote parole. C’erano otto re nel continente e lui era quello con l’esercito più esiguo, l’unico a non avere un territorio, un castello, un popolo, un alleato.

      «Ci siamo, maestà» annunciò Orys, il suo fratellastro. Aegon annuì e insieme alle sorelle lo seguì fino alla riva della baia. Lì erano stati sistemati gli uomini, i duemila che erano sbarcati con lui, oltre a quelli che si erano uniti alla sua causa dopo le prime vittorie: Rhaenys aveva preso Rosby, Visenya Stokeworth, mentre Aegon si era occupato di Duskendale e Maidenpool. Ora il suo esercito superava le tremila unità e si apprestava ad attaccare un territorio molto più prezioso: Città del Gabbiano, una fiorente città portuale affacciata sulla Baia dei Granchi, nel regno degli Arryn. “Di Sharra Arryn” pensò. La regina della Valle gli aveva sì offerto un’alleanza, a condizione però di un matrimonio e della promessa di nominare suo figlio Ronnel come erede. Una clausola  inaccettabile.
«Non credi che dovremmo prima occuparci di quel porco di Argilac?» chiese Orys. Suo fratello era impaziente di ricambiare l’offesa al re della Tempesta, tuttavia Aegon sapeva che non era ancora il momento, non erano pronti per un assedio.

      Re Argilac Durrandon, signore della Tempesta, era stato suo alleato nella guerra contro Volantis. Preoccupato dalla crescente potenza del vicino re Harren, gli aveva proposto una nuova alleanza, promettendogli anche alcuni territori e la mano della figlia Argella. Aegon aveva rifiutato, offrendo al proprio posto Orys; questo aveva offeso il re, e il suo sdegno non era piaciuto a Orys. Sarebbe venuto il tempo di ripagare i torti subiti, ma prima c’erano questioni più urgenti da risolvere: re Harren Hoare, per esempio.

      Guardò Visenya e Daemon, il suo primo lord ammiraglio, salpare verso la prima battaglia navale del suo regno. Città del Gabbiano era solo un porto come gli altri; distruggere la flotta degli Arryn, quello era il vero scopo.
«E noi che cosa faremo?» chiese Rhaenys. Era impaziente di fare la sua parte, Rosby non era stata una vera battaglia, dare fuoco a un villaggio di pescatori nemmeno lontanamente «Tu resterai qui» annunciò. Aveva troppo pochi uomini, e Rhaenys era troppo impulsiva perché lui potesse fidarsi a lasciarle il comando anche solo di un centinaio di soldati «Abbiamo bisogno di una base solida e duratura. Cominceremo con un fortino, una torre e un fossato basteranno» disse, e, senza aggiungere altro, si allontanò, ignorando le proteste della sorella. Era una guerra, Rhaenys doveva capirlo, e quello era il sistema più pratico. Vicino alla sponda del fiume scorse la sagoma scura del suo drago. Stava guardando il cielo, come se stesse dando un silenzioso addio alla sorella che si allontanava veloce sul mare. L’altra metà del suo esercito era già da giorni in marcia verso nord; a dorso di drago Aegon l’avrebbe raggiunta in poche ore. Quando lo raggiunse, Balerion si rizzò sulle zampe e lui poté intuire la propria immagine riflessa nell’enorme placca pettorale della bestia, assicurata con spesse cinghie a quella che avrebbe potuto essere definita una sella per draghi. Vi montò sopra e subito il calore dell’animale lo pervase, solo toccando le sue scaglie nere poteva percepirne la forza ed essa diveniva una parte di lui; quando lo cavalcava, uomo e drago divenivano una cosa sola, unica, formidabile, invincibile. Balerion allargò le immense ali e caricò per spiccare il volo, un gesto familiare, quasi meccanico, eppure ogni volta intriso di un magico stupore. Presto il continente occidentale avrebbe udito il suo primo, potente ruggito.

 

 

    “La pietra non brucia”
Erano state queste le ultime parole di Re Harren. Sordo ai suoi appelli, aveva chiuso le porte del suo mostruoso palazzo, preparandosi per un assedio che non ci sarebbe mai stato.

      Dopo due battaglie combattute in campo aperto, la maggior parte dei lord delle terre dei fiumi si era ormai arreso alla sua avanzata, conservando i propri titoli e terre. Era dunque rimasta solamente Harrenhal, la gigantesca fortezza appena ultimata, dimora di un re senza più un regno. Aegon gli aveva offerto la pace, la propria amicizia, e il titolo di lord delle Isole di Ferro, il piccolo arcipelago da cui Harren proveniva, ma lui aveva rifiutato.
Non aveva avuto altra scelta.

      Quando l’ultimo tramonto scese su Harrenhal, Balerion si alzò in volo sopra il castello. Aegon non si era mai sentito così potente, sarebbe bastata una sola parola per cancellare la costruzione più imponente a memoria d’uomo, e con essa tutti i suoi abitanti. Contemplò per un istante quell’orrore, costato migliaia di vite, frutto di un’ambizione cieca e sfrenata, riflesso di un potere corrotto eppure stupefacente: con del vile denaro Harren aveva fatto tutto questo, uomini comuni lo avevano edificato a mani nude; nessun incantesimo, nessun sortilegio lo proteggeva dal respiro dei draghi, quell’abilità era andata perduta un secolo prima.
Poi l’istante passò ed Aegon si lanciò nel suo solitario attacco. Spinse Balerion in picchiata e sussurrò il comando. Una pioggia di fuoco si abbatté sulla fortezza, bruciando, disintegrando, sciogliendo, la pietra. Vide le cinque torri accartocciarsi su sé stesse, deformandosi, consumandosi come nere candele. Vide gli uomini avvolti in sudari di fuoco cercare salvezza, mentre ogni cosa attorno a loro prendeva fuoco e bruciava. Vide i vetri delle serre esplodere e cavalli dalle criniere infuocate calpestare i corpi dei moribondi. Fiamme incandescenti strangolarono Harren e i suoi figli, seppellendoli per sempre nella loro chimerica fortezza. Come un enorme castello di carte, Harrenhal bruciò.







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Angolo Autrice


Orbene salve gente :)
Me ne rendo conto, lo so, sto giocando col fuoco (letteralmente) e mi sono presa alcune licenze, specialmente nella prima parte, dove ho inserito una buona parte di nozionistica... non so se voi sapevate già tutto degli antefatti pre- conquista, ma per faciltare la comprensione (no, non è vero l'ho fatto per me perchè altrimenti perdo il filo, però uffcilamente ho pensato a voi!) li ho inseriti, quindi, nel caso non si rendano necessari, cercherò di limitarmi nella sezione polepttone storico e mi concetrerò più su azioni, battaglie etc, di cui avete avuto un modesto assaggio con il rogo di Harrenhal. Beh che dire, attendo con ansia i vostri commenti e  vi posso già anticipare che nel prossimo capitolo ci saranno molti più eventi ;)


_Jo

















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Capitolo 3
*** The Last Storm ***


gg

The Last Storm

«Non farò la fine di quel pescivendolo!» l’urlo di suo padre risuonò nella sala del consiglio, azzittendo anche le ultime, petulanti, proteste di lord Barros «Io sono il re, il discendente di Durran, questa fortezza ha respinto gli dèi stessi!» proseguì, con il furore che gli distorceva i lineamenti gentili e gli innervava il collo.
Non aveva mai visto suo padre così, non dopo la morte di sua madre.
«Non mi piegherò a quell’ammaestratore di lucertole e alle sue puttane!» continuò infuriato «Né al suo bastardo, mai!» concluse, liquidando ogni possibilità di trattativa.
Suo padre aveva combattuto molte battaglie, ma questa volta anche lei percepiva che c’era qualcosa di diverso; no, non era una banale guerra quella, era un fatto personale.
Aspettò che suo padre e la maggior parte dei lord e dei consiglieri lasciassero la sala, prima di uscire dal suo nascondiglio nella penombra delle massicce colonne.
«Allan?» chiamò.
«Principessa?!» esclamò il giovane lord quando la vide «Non dovresti essere qui» l’ammonì.
«Lo so, ma non ho potuto fare a meno di sentire… Che sta succedendo? Perché mio padre è così arrabbiato e chi son…» non poté terminare la frase che la voce imperiosa di suo padre la interruppe. L’alta e imponente figura di re Argilac si stagliava in contro luce, conferendogli quell’aura di potenza e terrore che da sempre lo caratterizzava. Titubante, Argella si voltò verso di lui, in attesa del consueto rimprovero. Ma quando rimasero da soli, incredibilmente, suo padre le si avvicinò, prendendo le sue mani tra le proprie, come faceva quando era bambina. Un sorriso stanco si dipinse sul suo volto, increspando le leggere rughe agli angoli della bocca e degli occhi; non c’erano quando era piccola, pensò.
«Volevo parlartene di persona» esordì il re «Volevo essere io a dirtelo» disse, mentre Argella lo osservava confusa; non aveva mai visto suo padre così turbato.
«Ricordi Aegon? Aveva caldeggiato la tua unione con il suo fratello bastardo, quel barbaro senza un briciolo di onore, di nobiltà» spiegò.
«Sì, me lo ricordo» rispose. Suo padre aveva reagito con sdegno a quella proposta, perché invece adesso sembrava preoccupato?
«Stanno arrivando, piccola mia, stanno arrivando per prendere il mio trono, per vendicarsi di me, di noi. Non glielo permetterò, mai!» concluse, stringendole ancora di più le mani, quasi stritolandole, come per accertarsi che lei fosse effettivamente ancora lì, insieme a lui.
«Io non…»
«Maestà!» si annunciò un giovane soldato, affrettandosi a porre un ginocchio a terra «Le vedette hanno avvistato un drago nei cieli, è il segnale, le truppe dei Targaryen stanno avanzando» concluse, la voce resa esitante dalla paura, o forse dall’imbarazzo; Argella non si mostrava spesso in pubblico, tra i soldati e i lord di suo padre, e quando questo accadeva la cosa causava sempre un certo nervosismo tra gli uomini.
«Quale drago? Balerion?» domandò ansioso suo padre.
«No, maestà, è quello d’argento» rispose il giovane, senza mai sollevare il viso da terra.
«Non ha neanche il fegato di guardarmi in faccia, quel traditore? Mi manda la sua puttana!?» tuonò, ogni traccia di dolcezza e timore nuovamente cancellata dalla rabbia. «Un errore che rimpiangerà, non avranno mai il mio regno, non avranno mai mia figlia» promise, congedandosi da lei con un ultimo sguardo; “Lo sguardo di Argilac il re” non poté fare a meno di pensare.

      E così, in uno battito di ciglia, Argella si ritrovò sola nelle enormi sale del castello, mentre, dalla porta principale, la fortezza della Tempesta vomitava fuori i suoi uomini di ferro e acciaio, urlanti e impavidi, lanciati verso il nemico. Li osservò dalla balconata centrale: uomo contro uomo, spada contro spada, in un cozzare assordante di armature e scudi, tra i nitriti disperati dei cavalli agonizzanti e le urla pietose dei morenti. Vide lo splendido animale scendere in picchiata, un maestoso fulmine argentato che incendiò l’aria e ogni cosa sotto di essa. E poi vide il bastardo, avvolto dalla sua pelle di acciaio nero. L’elmo, orrendo, inquietante ornato da due enormi corna ritorte, lo distingueva dagli altri; sì, non poteva che essere lui. Con leggerezza spietata liquidò gli ultimi avversari e in un attimo la strada davanti a lui si spianò: non c’era più niente e nessuno tra quel mostro e... Suo padre! Colmò quell’effimera distanza con poche, agili, falcate, mentre Argella urlava l’avvertimento che nessuno là sotto avrebbe potuto udire. Suo padre si voltò appena in tempo per parare l’affondo fatale, e i due cominciarono a duellare. Ma il bastardo era veloce, era giovane, mentre suo padre alternava rari e deboli fendenti a sempre più goffe parate. E poi avvenne l’inevitabile. Re Argilac fu lento, troppo maledettamente lento, e Orys ne approfittò. Lacerò acciaio, seta e carne dal braccio di suo padre, e Argella poté chiaramente percepire il dolore, come se fosse il suo. Con un calcio il bastardo lo gettò a terra, strappò via la spada dalle mani del re e con lentezza quasi compiaciuta affondò la spada nel petto di suo padre. Argella sentì le gambe cedere, urlò e pianse, tentando inutilmente di scacciare via quell’immagine tremenda dalla sua mente.

      Fu così che la trovarono i sopravvissuti alla battaglia; istanti, minuti, forse ore dopo; sulla terrazza, tremante e disperata.
«Prin... Mia regina» la chiamò Allan. Era chinato davanti a lei, sporco di sangue, ferito ed escoriato sul volto, diverso dal bel giovane che spesso sognava e amava osservare allenarsi nelle sue giornate solitarie. Le stava offrendo la mano, per aiutarla ad alzarsi e… come l’aveva chiamata? Regina? Era lei la regina ora che… Ora che suo padre era morto… No, ora che era stato ucciso! Una nuova, inaspettata forza le diede vigore. Doveva reagire, doveva combattere, per suo padre, per il suo regno. Passò in rassegna gli stanchi volti che la osservavano, in attesa di una risposta, di una speranza. Che cosa doveva dire? Andò alla disperata ricerca della parole giuste, e infine le trovò, in suo padre: “Mai arrendersi, mai piegarsi”.
«Miei lord» esordì «Quel mostro ha ucciso il vostro re, mio padre! Ma non sarà morto invano, noi manterremo la promessa, distruggeremo Aegon e i suoi alleati o moriremo nel tentativo!» declamò.
Ma invece delle grida di battaglia, degli inni alla gloria, al regno, al nome di re Argilac, ottenne solo un muto silenzio. Triste. Esausto. Pericoloso.
«Mia regina» disse finalmente qualcuno, lord Barros riconobbe a fatica, piegato e provato dalla battaglia «Noi non… Non abbiamo altra possibilità se non arrenderci, per salvare il poco che rimane» dichiarò, mentre mormorii di assenso percorrevano la sala.
“Codardo” pensò, lo sapeva anche suo padre; mai lord Barros si sarebbe permesso di contestarlo, ma adesso c’era solo lei, una regina, una donna.
«Mio padre ha sfidato Aegon! Lui non ci permetterà mai di arrenderci, raderà al suolo ogni cosa!» esclamò, ma la sua affermazione venne nuovamente accolta da un freddo e muto dissenso. Come potevano essere così ciechi?
«Beh, forse se gli portassimo un dono…» continuò lord Barros.
Dono? Quale dono potrebbe mai compiacere Aegon? E poi loro non avevano più nulla da offrire a parte… Argella non fece in tempo a realizzarlo che subito due uomini la affiancarono, immobilizzandola. Incuranti di chi lei fosse, o di chi fosse stata, le strapparono le vesti e i gioielli di dosso, trascinandola per i corridoi e giù per le scale. Argella provò a resistere, invocò aiuto, urlò minacce, ma ora lei non era più nessuno. “Gli uomini disperati sono pronti a tutto” le parole di suo padre le rimbombarono nella mente. Suo padre l’aveva abbandonata, non aveva rispettato la promessa, e ora lei era rimasta sola. Cercò il viso familiare di Allan, il calore del suo sguardo, ma quando riuscì a individuarlo trovò solo due occhi gelidi che la scavavano nel profondo, che indugiavano... Sulle forme dei suoi seni, esplorandola avidamente, ma non come Argella aveva sempre sognato, sperato; non come un uomo guarda una donna, ma come un animale desidera la preda. E Argella provò un terrore che non aveva mai conosciuto. Intanto qualcuno le aveva legato i polsi, mentre veniva sollevata di peso e portata giù, fuori dal castello, oltre i cortili, oltre la pesante grata di ferro, attraverso il campo di battaglia. E infine lo vide, il mostro che aveva ucciso suo padre. Era davanti al suo padiglione, un buio antro di stoffa nera e oro. Si era ripulito dal sangue e indossava un morbido farsetto e un’elegante mantello gli drappeggiava le spalle larghe. Aveva capelli nerissimi che si muovevano leggermente nella brezza marina, e Argella si ritrovò ad osservarlo con stupore infinito: non era affatto il barbaro che si era immaginata, irsuto e tozzo. No, lui era… Bellissimo. Gli occhi non erano iniettati di sangue, erano due zaffiri, guizzanti scintille azzurre come il cielo d’estate. E il viso, i lineamenti cesellati, così delicati. Anche lui la stava osservando con stupore, e Argella si chiese il perché, dimentica dell’aspetto che doveva avere, nuda, sconfitta, distrutta nel corpo e nell’anima. Il giovane le si avvicinò e rapidamente si sfilò il mantello, ponendoglielo sulle spalle. Quindi tagliò le corde che le legavano i polsi e l’aiutò a rialzarsi. Orys Baratheon aveva appena sciolto le sue catene, ma il suo sguardo, così perfetto, incantevole, ne aveva formate di nuove, invisibili e indissolubili.

Angolo Autrice

Buongiorno/sera a tutti! :)
Orbene dopo una lunga attesa, sono riuscita ad aggiornare almeno questa fanfic... Come avete visto, ho scelto di variare un po' con questo capitolo , presentandolo sotto una prospettiva molto diversa e certamente in un'ottica meno "ampia", e spero sinceramente che vi sia piaciuto, dal momento che questo personaggio è pressoché sconosciuto (anche se di ovvia e vitale importanza!)
E beh, niente, fatemi un po' sapere che cosa ne pensate, ve ne sarei immensamente grata :)



_Jo

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Capitolo 4
*** Field of Fire ***


4.4

Field of Fire

                     

 





 

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«Morto?» Orys era stato l’ultimo ad essere informato della disfatta di Città del Gabbiano; Aegon non aveva voluto rovinargli la gioia di aver abbattuto il suo odiato rivale, ma ora non potevano più aspettare. Era tempo di studiare una nuova strategia, un nuovo piano per ridare linfa al loro ambizioso progetto di conquista. Non si poteva aspettare, altrimenti i successi ottenuti fino a quel momento sarebbero stati nulli e la morte di Daemon vana. Dovevano colpire i grandi re del Sud, impedendo ai superstiti di riorganizzarsi, o per i Targaryen sarebbe stata la fine del loro dominio mai realmente iniziato.
«Avevi detto che non avrebbero avuto scampo» stava dicendo Orys, dopo essersi ripreso dalla notizia della morte del suo più vecchio amico «Che l’esercito degli Arryn sareb…»
«Ho mentito!» lo zittì Aegon «Ho mentito» ripetè, questa volta a voce più bassa «Contento? La flotta degli Arryn doveva essere distrutta, i ribelli fomentanti per una rivolta interna. Daemon era consapevole che la sua missione sarebbe stata senza ritorno, illudersi del contrario sarebbe stato da stolti» concluse.
«E ha funzionato?» chiese Orys, dopo un lungo silenzio.
«No» rispose Aegon, percependo distintamente l’ira montare nell’animo del suo fratellastro.
«Vostra Altezza» si annunciò Jon Mooton, uno dei primi lord ad averlo riconosciuto come unico e vero re del Continente Occidentale; Aegon gli fece cenno di proseguire, facendo del proprio meglio per ignorare lo sguardo ostile di Orys.
«Ho qui il rapporto degli esploratori» fece una pausa «Re… Lord Loren e lord Mern sono in marcia con i rispettivi eserciti, prevediamo che il punto di incontro sia tra la Valle del Corno e Deep Den» concluse.
«Quanti?» chiese Aegon.
«Più di cinquanta mila, sire» rispose lord Mooton, non senza una vena di puro terrore nella voce.
«Lasciatemi» disse Aegon, e il suo tono non ammetteva repliche. Quando finalmente rimase da solo si lasciò cadere sulla sedia da campo. Si sfilò la corona, massaggiandosi le tempie. Erano giorni che non dormiva, ma quello che più gli mancava non era il sonno, ma le sue sorelle. Dopo la sconfitta di Città del Gabbiano e con una battaglia da pianificare aveva mandato Rhaenys in ricognizione a est e Visenya a nord; l’ultima cosa che voleva era essere colto alle spalle durante la battaglia. Erano re e regine adesso, e i sovrani non si concedono lussi e distrazioni quando i loro uomini ancora combattono e muoiono.
«Sei così teso» un sussurro nel vento, la voce di Rhaenys, gli giunse da dietro. Aegon si voltò per ammirare la splendida visione di sua sorella: indossava solo una leggera veste, strati su strati di veli quasi impalpabili che lasciavano ben poco all’immaginazione, mentre i lisci capelli argentei le ricadevano morbidi lungo la schiena nuda. Non sapeva quando fosse tornata, nessuno pareva essersi preso la briga di avvertirlo, o forse era stata lei a… lei… ogni traccia di disappunto venne cancellata dalla sua mente quando Rhaenys si avvicinò e cominciò a massaggiargli le spalle, distendendo, semplicemente con il suo tocco, la tensione accumulata in quei giorni.
«Visenya è partita questa mattina per una ricognizione» disse Aegon, tentando di recuperare la concentrazione. Sua sorella gli faceva sempre questo effetto, riusciva a liquidare tutti problemi, tutto ciò che li circondava perdeva forma e significato e al mondo non rimanevano altri che loro. Ma doveva rimanere concentrato sull’obiettivo, sulla guerra.
«Se confermerà il rapporto degli altri…» riprese, ma Rhaenys lo interruppe.
«Non mi interessa» disse, avvicinando le labbra al suo orecchio «Non mi importa dei rapporti» affermò «Né della guerra… O dei nostri nemici» proseguì, baciandogli il collo «Ci siamo solo noi» concluse, afferrandogli dolcemente il mento per guardarlo negli occhi. Le iridi della sorella, due ametiste di una sfumatura più chiara delle sue, si piantarono nel suo sguardo, scavandolo, sondandolo. Aegon non poteva avere segreti per lei e questa vulnerabilità lo spaventava e insieme lo eccitava. Si alzò in piedi, sollevando la sorella, la sua amante, tra le braccia. La baciò, come aveva fatto migliaia di volte, quindi la depose sul tavolo, ingombro di carte e mappe. E come migliaia di volte prima, il mondo intorno a loro scomparve, esistevano solo loro, i signori dei draghi, il sangue dell’antica Valyria; non c’erano altri che loro due, erano una cosa sola, erano due parti di un tutto, indivisibili e invincibili, immersi in uno spazio senza tempo eppure effimero. Non c’era bisogno di parole, le mani di Aegon frugarono il corpo della sorella senza fretta, ogni parte di lei era una parte di lui, nota e sconosciuta. Rhaenys aveva gli occhi chiusi, le mani intrecciate nei capelli corti del fratello, le labbra semichiuse che urlavano per essere baciate. Aegon esplorò ogni dettaglio del corpo della sorella, i lineamenti del volto, le curve dei seni, senza trascurare nulla. Erano insieme, uniti non più solo nell’anima, e niente, nessuna guerra, nessun regno poteva valere quel momento di… amore? Non era amore, non solo almeno. Era… Non esisteva un termine in grado di definire quella passione, quella fiducia, quel legame profondo, quella sensazione unica; era semplicemente il sangue del dago.

      «Ne sei sicura?» chiese Aegon. Erano riuniti nella sua tenda, lui e le sue sorelle. Visenya era tornata dalla sua ricognizione, confermando le informazioni date dalle altre squadre di esploratori: i lord delle Terre dei Fiumi e della Tempesta avevano mantenuto la parola e gli rimanevano fedeli, quanto agli eserciti dell’Ovest e dell’Altopiano, quelli stavano marciando uniti verso di loro; una mostruosità di cinquantacinquemila uomini, oltre cinque volte il loro numero, era pronta a schiacciarli.
«Allora non abbiamo scelta» risolse Aegon «Combatteremo insieme».
Rhaenys e Visenya si scambiarono un’occhiata perplessa. Combattere insieme significava davvero tutti insieme, loro e i draghi. Si trattava di una mossa azzardata, il fuoco era pur sempre un alleato incostante, ma era la loro unica possibilità.
«D’accordo» concordò Visenya. Sapeva che loro alternative erano limitate.
«Rhaenys?» chiese Aegon, vedendo la sorella esitare. Amava quelle creature, e il pensiero di metterle in pericolo tutte e tre contemporaneamente la spaventava. Ma non avevano scelta, questo lei doveva capirlo. Alla fine anche Rhaenys acconsentì, quindi Aegon le lasciò a pianificare i dettagli dell’attacco. Si fidava di loro come di sé stesso e lui doveva ancora fare una cosa. Raggiunse i margini dell’accampamento, quindi si inoltrò nella vegetazione che ricopriva le alture intorno a Tempio di Pietra. Quello che stava per fare non doveva riguardare le sue sorelle, non c’era bisogno che anche loro sapessero. Rhaenys non avrebbe approvato, di questo ne era certo, quanto a Visenya… Non voleva conoscere la sua reazione. Superò l’ultimo dislivello, ritrovandosi in una piccola radura. L’uomo che aveva mandato a chiamare era già lì ad aspettarlo.
“Sa già qual è il suo posto” pensò compiaciuto.
«Ebbene?» chiese, studiando ogni mossa dell’altro, che però continuava a restare immobile, il volto in ombra.
«Il mio signore è lieto di accettare l’offerta di re Aegon» disse finalmente l’uomo «Ci sarebbero delle condizioni…»
«Condizioni?» lo interruppe Aegon.
«Nulla di cui il tuo re non possa privarsi, il mio signore vorrebbe estendere i suoi domini su Dorne magari, o sulle miniere d’or…»
«Per chi mi hai preso?» sibilò Aegon, trascinando l’uomo sotto il raggio luminoso della luna «So chi sei, lord Harlen Tyrell» riconobbe «Ma non è il coraggio che ti ha portato qui, ma vile avidità; allora che cosa vuoi da me?» chiese, aumentando la presa.
«Oh... Mio… Mio re, mio signore, io… solo una piccola ricompensa» balbettò lord Tyrell.
«Ti ho promesso il titolo di lord di Alto Giardino, Protettore del Sud e lord Supremo del Mander, non è abbastanza per un semplice attendente?»
«Io… no, certo che lo è, maestà… ma ecco, sai, per tradire Mern…»
«Tradire?» chiese Aegon, per la prima volta preso in contro piede.
«Sì, maestà, cioè no… Lui è ancora il mio re dopotutto e… Io ho giurato… Ti ho promesso il mio aiuto, ho qui l’oro per corrompere i capitani, volteranno gabbana non appena…»
«Corrompere?!» ringhiò questa volta, cercando di non alzare la voce «Ho chiesto la tua fedeltà per risparmiare il tuo popolo, dopo che avrò sconfitto Mern! Dopo!»
«Ma maestà, non puoi vincere senza che almeno una parte dell’esercito passi dalla tua parte» protestò lord Tyrell.
«Non con il tradimento» sentenziò Aegon «Dimmi lord Harlen, che dovrei fare di te ora?»
«Maestà?» domandò confuso il giovane lord.
«Stavi per tradire il tuo re, come potrò fidarmi di te in futuro?» disse, abbandonando la stretta di colpo «Non credo che potrò farlo» concluse, quindi portò le dita alla bocca e fischiò. Attimi che parvero ore, poi un vento caldo agitò l’aria e il Terrore Nero, così Balerion era stato soprannominato da chi lo aveva visto in azione, planò dolcemente a terra. Aegon posò un mano sull’enorme capo del suo drago, quindi rivolse lo sguardo nuovamente su lord Tyrell. L’uomo sembrava incapace di staccare gli occhi dalla bestia, più stupefatto che atterrito. Una reazione che Aegon aveva visto spesso e che, come previsto, si mutò in cieco terrore pochi istanti dopo.
«No, mio re» cominciò a piagnucolare, non appena realizzò la minaccia «No, ti prego io… io sarò fedele, a te, solo a te, lo giuro! Maestà, ti supplico!» continuò, accartocciandosi su sé stesso.
Aegon si concesse un lieve sorriso, quindi interruppe i mugolii pietosi del suo nuovo Protettore del Sud «E sia» approvò «Ma questo è stato il tuo ultimo errore, non ci saranno altre possibilità» sentenziò.
«Gr-Grazie… oh maestà grazie, non ce ne saranno, non…»
«Vai ora, e non parlare a nessuno di questo incontro, a nessuno, intesi?»
«No, cioè sì, a nessuno, lo giuro, grazie maestà sarò…» continuava lord Tyrell, mentre Aegon balzava in groppa al suo drago e si allontanava veloce. “Patetico” pensò, chiedendosi se risparmiarlo fosse stata la scelta giusta.

      Mancavano una manciata di minuti all’alba ormai, Aegon individuò una piccola radura e vi indirizzò la sua cavalcatura. Balerion atterrò e placidamente si mise a contemplare l’orizzonte che cominciava a tingersi delle mille sfumature del rosa e del giallo. Il drago nero era il più feroce e letale delle tre bestie Targaryen, ma, a differenza delle sue sorelle, finito lo scontro sapeva essere mite e quieto come acqua stagnante; una caratteristica, questa, propria anche dei loro cavalieri. Aegon si concesse un leggero sorriso, una lieve increspatura in quel volto sempre severo. Intanto il sole era ormai sorto e proiettava sulla terra un’infinità di bagliori e luccichii; anche Balerion li notò e subito protese in avanti il lungo collo, in un gesto di disinteressata attenzione. L’orizzonte intero parve brillare, barbagli accecanti invasero per un istante il campo sotto di loro. Aegon socchiuse gli occhi finché non fu in grado di distinguere le punte metalliche di picche e di lance e, sopra tutto questo, la polvere che si andava sollevando al passaggio di decine di migliaia di cavalli da guerra e di altrettanti uomini a piedi, cancellando lo spettacolo di luci e riflessi.
«Ci siamo» mormorò Aegon, un sussurro impercettibile, un avvertimento a sé stesso, il suo unico vero nemico. Aegon era sangue del drago, discendente della grande Valyria, tutto ciò che sognava, tutto ciò che desiderava, diveniva realtà, doveva soltanto credere che fosse possibile.
Devi credere, figlio mio. Abbi fede” le ultime parole di sua madre gli rimbombarono nella testa, tanto che Aegon fu tentato di voltarsi, aspettandosi di ritrovarsela lì, al suo fianco. Lei glielo aveva ripetuto fino all’ultimo istante, fino all’attimo prima di chiudere gli occhi per sempre aveva continuato a spingerlo verso l’accettazione incondizionata del proprio destino. E ora lui era lì, a un passo dalla battaglia decisiva della sua campagna di conquista. Avrebbe potuto essere vittoria o sconfitta in egual modo, non dipendeva da altri che da lui. Accarezzò le lisce squame nere di Balerion e permise che l’energia dell’animale lo pervadesse. “Io sono il sangue del drago” si ripetè, una specie di mantra che i membri della sua famiglia recitavano, beh da sempre credeva.
Montò in groppa al drago e si lanciò in picchiata verso la valle, raggiungendo il suo esiguo esercito che già si apprestava a marciare guidato da lord Mooton. Non ebbe bisogno di cercare le sue sorelle, afferrò saldamente le redini e si affidò totalmente a Balerion. Un battito d’ali, lento, possente, poi un altro e un altro ancora portarono drago e cavaliere in alto, sempre più in alto, dove le due sorelle più piccole mordevano l’aria in una danza impaziente. Balerion lanciò il suo richiamo e si gettò in picchiata seguito dalle altre due. Il campo di battaglia si materializzò davanti ai suoi occhi, infiniti fili d’erba sottile e rossastra, bruciata dal sole. E poi gli eserciti congiunti di Mern e Loren, nient’altro che fili d’acciaio grigio, tutti uguali. Balerion li sorvolò, proiettando la sua enorme ombra nera sul suolo, quindi tornò indietro verso il centro dell’esercito, mentre Vhagar e Meraxes si aprivano a ventaglio sulle ali. Un istante di quiete, durante il quale i soldati sollevarono lo sguardo al cielo, incapaci di comprendere ciò che stava avvenendo, intrappolati nella morsa di quel terrore senza nome, sconosciuto e intangibile eppure mortalmente vicino. Un solo istante e poi l’inferno. Balerion aprì le enormi fauci e vomitò il suo fuoco scuro, incenerendo sul colpo decine di uomini, intrappolandone altri nelle armature costruite per proteggerli e che ora bruciavano. Urla strazianti si sollevarono verso Aegon senza che però potessero raggiungerlo, mentre fiamme rosse, dorate e nere flagellavano l’aria ormai divenuta incandescente. L’erba già secca prese fuoco, e l’incendio divampò rapido e incontrollabile, divorando alti lord, cavalieri e semplici fanti senza alcuna distinzione. Un campo di fuoco ingoiò i nemici dei Targaryen, spietato e insaziabile.

      In seguito Aegon non avrebbe saputo dire quanto quello strazio fosse durato, pochi minuti a giudicare dalla potenza del fuoco dei draghi, eppure a lui erano parse ore, ore interminabili di fiamme, sangue, grida e terrore.
Quando finalmente il fuoco fu estinto e i supersiti radunati e incatenati, lord Jon Mooton consegnò personalmente la corona di Alto Giardino nelle mani di Aegon. Il re la rigirò delicatamente tra le dita, osservando il curioso intreccio di mani di giada che stringevano l’una il polso dell’altra. Aegon sollevò lo sguardo e individuò Orys, quindi gli fece segno di avvicinarsi.
«Ti piace?» chiese, porgendogli il diadema.
Orys gli rivolse uno sguardo contrariato, quindi si concentrò sulla corona, poi di nuovo su Aegon e sulle sorelle, in piedi accanto a lui. «Bellissima maestà» asserì, non senza una lieve punta di acido risentimento, e aggiunse «Un tizio che si stringe le mani da solo, un simbolo perfetto per il tuo nuovo lacchè» concluse, accennando sfacciatamente a lord Mooton che osservava serenamente la scena, ignaro dell’allusione.
«Hai ragione, fratello» approvò Aegon «Davvero perfetta per il Primo Cavaliere del Re… Tu»
Orys lo guardò senza capire, quindi reprimendo un sorriso, fece un breve inchino, mormorò un ringraziamento e si allontanò.
“Tipico” rifletté Aegon, concedendosi uno dei suoi rari sorrisi divertiti.
«Vostra maestà» la voce di lord Mooton lo richiamò al suo prossimo, e meno affabile, prigioniero. Aegon annuì con la testa e si sistemò meglio sul trono improvvisato, una semplice sedia di legno, leggermente più grande del normale e ricoperta da un drappo rosso, forse una tenda riconobbe. “Se devo stare scomodo tanto vale che mi sieda sulla punta di una freccia” pensò.
«Maestà» annunciò di nuovo lord Mooton «Loren Lannister, di Castel Gra…»
«Re Loren» precisò il prigioniero.
«Prego?» chiese lord Mooton, incredulo. «C’è un solo re nel Continente Occidentale e non sei tu, quindi inginocchiati davanti al tuo sovrano!» ordinò, cercando di costringere il non-più-re Loren a prostrarsi in avanti.
«Re Loren delle Terre dell’Ovest» disse Aegon, interrompendo il patetico siparietto «Oggi sei stato sconfitto, il tuo esercito distrutto, il tuo alleato ucciso. Io sono Aegon Targaryen, primo del mio nome e, per grazia dei Sette, Re dei Sette Regni» fece una pausa, quindi indicando prima Rhaenys e poi Visenya proseguì «Queste sono le mie sorelle e regine. Inginocchiati davanti a noi, giuraci fedeltà e ti nomineremo lord di Castel Granito e Protettore dell’Ovest. Rifiutati, e ti faremo giustiziare e annienteremo quel che resta del tuo popolo»
Loren parve soppesare a lungo quelle parole, poi fece cenno al suo attendente di avvicinarsi. Aegon percepì Visenya estrarre la spada e la rassicurò con uno sguardo, quindi riportò l’attenzione sul prigioniero.
Loren prese la sua corona, un’ampia fascia d’oro tempestata di rubini, dalle mani del valletto «Ecco la mia corona, simbolo del mio potere» declamò «La consegno a voi, mio re e mie regine, e vi giuro fedeltà. Da questo momento e fino alla fine dei miei giorni la mia vita vi appartiene» concluse, quindi, posto il ginocchio a terra, consegnò il pesante diadema nelle mani di lord Mooton.
Aegon annuì, in segno di accettazione, quindi chiese che gli venisse portata Blackfyre, la sua spada valyriana, e nominò Loren Lannister primo lord di Castel Granito.
“E quattro” pensò. Ora mancavano solo tre regni da conquistare, il freddo e vasto nord, la torrida e raffinata Dorne e l’impervia Valle di Arryn. Il ruggito del drago non era più solo un’eco lontano.






Angolo autrice

Allora da dove cominciare... beh innanzitutto buongiorno/sera a tutti :)
Mi scuso per il mostruoso ritardo nell'aggionamento e per le non-risposte alle recensioni, le recupererò una per una, promesso! Intanto ringrazio di cuore chi si è preso la briga di recensire o di seguire la mia storia, GRAZIE DAVVERO <3
Come avete visto questo capitolo è leggermente diverso dagli altri (oltre che noiosamente più lungo, ma vista l'assenza prolungata e il tema trattato mi è sembrato giusto non spezzarlo in due parti) ... Qui si scoprono tratti nuovi di Aegon, più gioiosi (per modo di dire) e più umani, insomma okay che è il sangue del drago eccetera però ... Mmm che altro aggiungere, ah sì questa descritta qui sopra è la prima scena "intima" di Aegon e Rhaenys, e non ho voluto esagerare, però non ne sono molto convinta quindi vorrei sapere che cosa ne pensate anche del risultato, oltre che dell'intero capitolo ovviamente. Bene, allora vi aspetto nelle recensioni e nel nuovo (più celere) capitolo! :)


_Jo







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Capitolo 5
*** The Relentless Queen ***


5.5

The Relentless Queen

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Il giorno aveva ormai inesorabilmente ceduto il passo alla notte e la luna, grande e luminosa, proiettava ombre e riflessi argentanti ovunque. Accanto alla finestra, ammantata dalle tende mosse dal vento, l’alta e sinuosa figura di Visenya era in attesa. La porta della piccola stanza si aprì con un lieve stridore, colorando di un tenue arancione le pietre del pavimento. Sulla soglia comparve Aegon, che per un momento rimase fermo sulla soglia, ammirandola da lontano. Visenya si sciolse dall’abbraccio di stoffa e prese per mano il fratello, facendosi seguire fino al letto. Si mise sopra di lui, giocando con i boccoli dei capelli, stuzzicandolo con le infinite pieghe della veste sottile, guidandolo lungo le forme del proprio corpo. Con la stessa disinvoltura con cui si muoveva in armatura sul campo di battaglia, condusse i movimenti di entrambi, prendendo il totale controllo della mente e del corpo del giovane re. Sapeva che Aegon preferiva Rhaenys a lei, ma tuttavia non poteva dubitare del suo amore, del loro legame, diverso ma comunque intenso. Era passato quasi un ciclo di luna dall’ultima volta che Aegon le aveva fatto visita, e ne sarebbe passato un altro prima che lui ritornasse, eppure i loro corpi si incastravano alla perfezione come se fossero nati esclusivamente per quello. Finalmente Visenya permise al fratello di esplorarla come più gli piaceva, abbandonandosi per un solo, dolcissimo, istante alle carezze del suo amante, l’unico uomo a cui fosse concesso toccarla. Una notte, una soltanto, poi l’indomani mattina sarebbe partita per la Valle di Arryn, per sottomettere il regno dell’Aquila una volta per tutte.

      La battaglia navale che aveva combattuto all’inizio della loro campagna di conquista era stata un completo disastro. Daemon Velaryon, amico di vecchia data dei suoi fratelli, aveva perso la vita, inabissandosi insieme alla piccola flotta Targaryen. Visenya aveva dato fuoco alle navi della Valle, ma tutto ciò che era riuscita ad ottenere era stata l’animosa reazione di un pugno di lord nell’Arcipelago delle Tre Sorelle, nulla di più di tre scogli gettati nel mare, a nord delle Montagne della Luna. Un piccolo focolaio di ribellione insidioso tanto per gli Arryn quanto per i Targaryen.

      L’alba la sorprese con una frustata di luce gelida. Visenya avvertì la fastidiosa sensazione della pelle increspata, una condizione, questa, insolita per lei e che si verificava solo in particolari circostanze. Visenya gettò le lenzuola di lato, dove ignaro suo fratello ancora dormiva, e si diresse verso il piccolo braciere accanto alla porta. Sepolti sotto le ceneri, i carboni ancora pulsavano vividi. Visenya li attizzò, permettendo alle fiamme di tornare a bruciare. Scrutò tra le cangianti lingue di fuoco finché l’immagine, chiara e definita, prese vita davanti ai suoi occhi d’ossidiana: un drago dalle scaglie d’argento sorvolava un deserto di polvere e morte; al centro, una sottile striscia di fuoco tagliava in due lo spoglio paesaggio. Improvvisamente, le fiamme si fecero più intense, salendo verso il cielo, fino ad avvolgere il drago, squarciandone le ali, smembrandolo, sciogliendolo, mentre l’ultimo ruggito infuocato andava a confondersi con le fiamme del braciere. Visenya sbatté le palpebre, mentre una calda lacrima le scivolava lungo la guancia. Non riusciva a comprendere appieno il significato di ciò che aveva visto; il drago d’argento rappresentava Rhaenys? Sua sorella era forse in pericolo? E il fuoco, come poteva il fuoco uccidere un drago?
Le risate sguaiate di alcuni soldati la riportarono alla realtà, ricordandole la sua missione. Rivolse un ultimo sguardo al fratello, il suo re. Avrebbe voluto tornare tra le sue braccia, ma sapeva che non sarebbe stato possibile, non lì, non adesso, non per lei. Raccolse le sue poche cose, la sua armatura, la sua seconda pelle, e la sua inseparabile spada, Sorella Oscura, una formidabile lama di Acciaio di Valyria, sottile, veloce, letale, proprio come lei; quindi lasciò la camera.
Non appena Visenya fece il suo ingresso nel piccolo cortile che circondava la torre dove lei ed Aegon avevano trovato ospitalità, il manipolo di soldati della retroguardia smise immediatamente di parlare, alcuni volsero lo sguardo al cielo, altri fissarono le punte dei piedi, a testa bassa, finché lei non ebbe oltrepassato la bassa collina, scomparendo alla vista. Visenya sorrise compiaciuta. Non poteva essere amata come Rhaenys, né rispettata come Aegon, quindi aveva imparato a far sì che gli uomini la temessero.
Il paesaggio era stupendo, notò. A ovest, si aprivano miglia e miglia di distese pianeggianti, fertili e feconde, intervallate da bassi rilievi e punteggiate qua e là da piccoli castelli e mulini. A est, senza nessun preavviso, il terreno si sollevava, formando tozze colline rocciose, aspre e sterili, elevandosi sempre più, fin quando le cime dei monti si perdevano tra le nuvole. La Valle di Arryn si trovava oltre quelle alture minacciose, celata e protetta dai suoi giganti di roccia. E al centro della Valle, superbo, sorgeva il Nido dell’Aquila, roccaforte inespugnata degli Arryn.
Gli uomini che Aegon le aveva affidato dovevano ormai aver raggiunto la Porta Insanguinata, il punto d’accesso alla Valle, pronti per cingerla d’assedio.
Visenya si guardò intorno, alla ricerca del suo drago. Alla fine, a una cinquantina di piedi di altezza, individuò l’ingresso di una grotta dai bordi anneriti e irregolari: Vhagar doveva essersi scavata una tana. La regina si portò le dita alla bocca e fischiò; in un attimo una densa fiammata porpora eruppe dall’imboccatura della caverna, come dal cratere di un vulcano, annunciando la presenza del drago rosso. Vhagar planò giù per raggiungerla, e, docilmente, si accucciò accanto a lei, permettendole di accarezzarle le scure scaglie color rame antico. Anche in questo, drago e cavallerizza erano simili: neanche l’animale, infatti, amava essere avvicinato, preferendo la solitudine ai giochi in compagnia dei due fratelli. Visenya si perse per un momento nei grandi occhi del drago, brucianti e torbidi come lava fusa. Vhagar parve intuire il suo turbamento e, delicatamente, premette il muso contro la sua spalla, come per riscuoterla e confortarla.
Era tempo di agire, di porre fine all’inutile resistenza di Sharra Arryn.
Visenya balzò in groppa al drago, che lanciò un grido mentre prendeva la carica e si alzava in volo. In pochi istanti superarono le Montagne della Luna, sorvolarono la Porta Insanguinata dove i difensori preparavano trappole e agguati contro l’esercito del drago. Avrebbe potuto incenerirli in un solo istante, ma sapeva che ne sarebbe arrivati altri, intere tribù di guerrieri barbari sarebbero discese dai loro rifugi sui monti per difendere la Valle e conquistarla per loro stessi. Proseguirono quindi la loro ascesa, finché le bianche mura del Nido dell’Aquila non si materializzarono davanti a loro. Visenya individuò il cortile della fortezza, il Parco degli Déi come veniva chiamato nel Continente, molto più piccolo di quelli che aveva visto negli altri castelli del Sud. Vhagar riuscì comunque ad atterrarvi, sotto lo sguardo incredulo di un bambino. Il marmocchio non poteva avere più di sei anni, eppure, a differenza delle centinaia di uomini in armi che avevano visto Vhagar piombare su di loro, sembrava tutto meno che terrorizzato. Visenya volteggiò giù dal drago e si avvicinò al bambino «Tu devi essere lord Ronnel Arryn» riconobbe.
«Sono il re Ronnel» precisò il piccolo sovrano, gonfiando il petto minuto «E tu chi sei? Sei una lady?» chiese, in tono insieme impertinente e buffo.
Visenya non poté reprimere un sorriso divertito, quindi, portandosi alla sua stessa altezza, rispose «No, non sono una lady, sono la regina, ma tu puoi chiamarmi Visenya».
Il bambino parve confuso per un momento. «Quindi sei una regina come la mamma?» chiese «Però non sei di qui vero? Il maestro non mi ha parlato di una regina Vi... Vil… Vinelia?»
Visenya non fece in tempo a correggerlo che subito il lord riprese a parlare «È un drago, vero?» riconobbe «È davvero tuo?» domandò eccitato. Visenya annuì e aggiunse «Ti piacerebbe cavalcarlo?»
Un enorme sorriso si dipinse sul volto paffuto di Ronnel «Davvero posso?» chiese, incredulo ed emozionato.
«Certo che no!» l’ordine, fermo e deciso, era stato pronunciato da Sharra Arryn che, rapida, stava attraversando il cortile per raggiungere il figlio, seguita da una mezza dozzina di guardie e cavalieri.
«Ma madre» protestò il piccolo lord «Io voglio cavalcare il drago!» e si strinse al braccio di Visenya, come per invocarne l’intercessione. La giovane regina ne approfittò, accarezzando con la mano libera l’elsa di Sorella Oscura. Sharra Arryn comprese l’allusione e finalmente mostrò un accenno di insicurezza.
«Lord Ronnel Arryn, Difensore della Valle e Protettore dell’Est non correrà alcun pericolo, mia lady. Vhagar protegge gli alleati dei Targaryen come se fossero i suoi stessi signori» promise Visenya.
Il giovane lord, ignaro di ciò che era appena accaduto tornò alla carica «Ti prego madre, posso volare con la lady?».
Lady Arryn annuì e chinò il capo, troppo orgogliosa per inginocchiarsi davanti agli occhi del figlio. Visenya accettò la resa silenziosa, quindi sollevò Ronnel in aria e lo depositò sul dorso di Vhagar. Il bambino trillava di gioia mentre il drago dispiegava le enormi ali, osservando il Nido dell’Aquila, il centro del suo potere, come solo le aquile potevano, e come nessun altro lord avrebbe mai fatto.
Ancora una volta i draghi erano stati decisivi per la vittoria, questa volta in un modo insolito e che mai Visenya avrebbe immaginato possibile. Il feroce drago e l’implacabile regina avevano inaspettatamente conquistato il cuore di un bambino.

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Angolo Autrice

Eeeeed eccomi qui questa volta con un aggiornamento lampo (e scandalosamente breve xO).
Questo è stato il mio primo capitolo Visenya-centrico e, nel tentativo di marcare la differenza tra lei e i due fratelli, temo di essere scivolata un po' nel banale.... In effetti, per quanto il personaggio di Visenya mi incuriosisca molto, le informazioni su di lei sono pochissime (ad esempio non si sa nemmeno di che colore siano le scaglie di Vhagar!) e uscire dall'aura di guerriera-strega che la circonda, ridandole un po' di umanità, non è stato facile, o meglio, più scrivevo e rileggevo e più mi sembrava di aver tolto un pezzo della personalità unica di Visenya... Perciò spero che il risultato non sia proprio inguardabile ecco! Se volete fatemi sapere che cosa ne pensate, commenti e recensioni sono sempre graditissimi! :)
(E ancora grazie a chi è già passato a recensire e spero continuerà a farlo, ogni critica, positiva o negativa, è sempre ben accetta e importante, almeno per me lo è XD) 

_Jo

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Capitolo 6
*** Aegon the Conqueror ***


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Aegon the Conqueror

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I graffianti artigli del mattino fendevano impietosi il cielo a oriente, strappando ad Aegon il suo dono notturno. Tenne gi occhi ancora chiusi e lasciò che il respiro regolare della sorella lo cullasse. Rhaenys era adagiata sul suo petto, ancora immersa nel sonno in cui entrambi erano scivolati chissà quando, stremati e appagati l’uno dell’altra, per quanto Aegon potesse davvero sentirsi sazio di lei. Lentamente, per non svegliarla, scivolò fuori dal suo abbraccio e si diresse verso la finestra. La Strada delle Ossa si srotolava sinuosa attraverso il territorio brullo e irregolare. Istintivamente volse lo sguardo a sud, scrutando la penombra che mano a mano andava illuminandosi. Nessuna traccia di presenza umana, solo silenzio e pace.
Nel frattempo il sole aveva fatto capolino all’orizzonte; Aegon ne seguì i vivaci raggi che prepotentemente filtravano nella stanza, accarezzando il corpo di Rhaenys, giocando con i mille riflessi dei suoi capelli argentati.
Un rumore di passi lo distolse da quella visione. Rapidamente infilò le brache nere abbandonate in mezzo alla camera la notte prima, quindi, afferrato un semplice farsetto di cuoio, uscì dalla stanza. Come previsto, il diligente Jon Mooton stava salendo gli ultimi gradini del piccolo fortino e per poco non perse l’equilibrio nel trovarsi Aegon in cima alle scale, in attesa.
«Maestà, buongiorno, stavo appunto venendo a chiamarti» disse, accentuando il più possibile il tono infastidito.
«Non dirmelo, di nuovo la nostra volpe?» chiese Aegon con un sorriso amaro.
«Esattamente, sire» borbottò il lord «È più testardo di un mulo, dovrebbe cambiare stemma, lo dico sempre» polemizzò, scuotendo esageratamente la testa mentre si avviava di nuovo giù per le scale.
Aegon lo seguì, interrogandosi sul sistema per liberarsi definitivamente dalle fastidiose lagnanze di lord Florent.

     Dopo la grandiosa vittoria di quella che era stata subito soprannominata la battaglia del Campo di Fuoco, Aegon aveva nominato i suoi nuovi lord, quindi aveva fatto levare le tende e indirizzato il suo esercito verso Nord, per intercettare le truppe di lord Stark che rapidamente stavano discendendo il Continente per combatterli. Evidentemente, però, a qualcuno non era piaciuto il modo in cui lui aveva risolto la questione di Alto Giardino. Lord Arvid Florent, infatti, subito dopo aver appreso la notizia che Harlen Tyrell era stato nominato nuovo lord dell’Altopiano, aveva marciato a spron battuto verso Nord, per presentare al nuovo re il suo amaro disappunto. A quanto pareva infatti, entrambe le case dei Tyrell e dei Florent vantavano dei legami di sangue con l’ormai ex dinastia regnante dei Gardener, ma lord Arvid sosteneva che la sua famiglia avesse maggior prestigio, antichità e, di conseguenza, un diritto di sangue più forte per succedere al seggio di Alto Giardino. Tutto molto giusto, se fosse stato che ad Aegon importava ben poco di dinastie e millantate parentele: Aegon esigeva lealtà e rispetto al prezzo più conveniente, e, per sfortuna di lord Arvid, i bistrattati Tyrell erano dannatamente più a buon mercato.
Alla fine, però, lord Florent aveva afferrato il nocciolo della questione, e, a giorni alterni, si era presentato al cospetto del re carico di omaggi: un giorno aveva portato splendidi gioielli, un altro aveva fatto condurre con sé tre magnifici cavalli di razza, uno per ciascuno dei sovrani, un altro ancora aveva cercato il favore delle regine con sontuosi abiti ricamati nei colori dei Targaryen, un dono, quest’ultimo, che aveva mandato Visenya su tutte le furie.
Persino alla vigilia dello scontro con lord Stark, il signore delle volpi si era insinuato nella tenda del re, blaterando di leggende degli antichi Florent, ricoprendo di quando in quando Aegon di esagerati e immeritati elogi.

     Aegon ricordava perfettamente quel mattino. Il cielo era quasi del tutto limpido, soltanto volgendo lo sguardo verso nord si potevano distinguere alcune nubi candide, gonfie e pesanti, come se gli Stark stessero portando l’inverno con loro. E anche lui aveva qualcosa della propria terra con sé. L’aria era satura dell’odore del fumo di decine e decine di fuochi da campo ormai estinti, che avevano formato una leggera foschia a non più di un metro di altezza, trasmettendogli quell’inconfondibile odore di cose che bruciano, lo stesso che la Roccia del Drago trasudava; l’odore di casa.
E che poco dopo aveva impregnato l’aria a est di Delta delle Acque, a miglia di distanza dalla Fortezza dei Targaryen.
Lame di fuoco erano piovute dal cielo, uno spettacolo pirotecnico di spaventosa bellezza. Re Torrhen Stark, come si era presentato ad Aegon, aveva osservato pietrificato i tre draghi volteggiare in alto, in una danza mortale, e riflettersi sulla liscia superficie della Forca Rossa. Aegon si era ritrovato a sperare che al signore del Nord bastasse quell’innocua dimostrazione. Era stanco di morte. Lo aveva visto guardarsi attorno, misurare la forza numerica degli avversari, quindi voltarsi e contare le centinaia e centinaia di soldati al suo seguito: padri, figli, mariti, fratelli, amici; e poi di nuovo scrutare il cielo, dove i tre draghi si rincorrevano ancora nell’aria. E dopo un momento durato ore, l’ultimo re dell’Inverno aveva posto il ginocchio a terra, gettato la spada ai piedi dei tre Targaryen e giurato fedeltà al drago: era stata la più gloriosa sconfitta che Aegon avesse mai visto.

     E che, lo sapeva, non si sarebbe ripetuta. Dorne era un regno orgoglioso, fiero, non si sarebbe mai piegato al dominio dei draghi senza combattere. Quel gioco a rincorrersi era solo l’inizio della vera guerra.
Nel frattempo lui e lord Mooton avevano raggiunto la sala centrale di Blackhaven, la roccaforte dei Dondarrion, dove lord Florent attendeva quietamente, affiancato da quattro corpulenti valletti che sorreggevano due enormi casse di legno lavorato. Aegon sospirò esasperato, aveva faccende più importanti di cui occuparsi. Superò senza neppure degnare di uno sguardo il petulante lord, e uscì all’esterno, seguito a ruota da lord Mooton.
«Ringrazia lord Florent per il generoso dono» disse Aegon, non appena sentì il vento caldo del sud frustargli il viso «E ribadiscigli pure che la mia decisione ormai è presa, le sue insistenze mi annoiano. E dirgli che cosa capita a chi mi annoia» aggiunse, accennando un sorriso che poteva tranquillamente significare scherno o schietta verità. Lord Jon si affrettò ad eseguire gli ordini, felice di poter fare la voce grossa con l’insopportabile lord Volpe, come gli piaceva chiamarlo.
Superò alcune tende piantate nel cortile del forte e si diresse verso una delle basse alture che si rincorrevano ai due lati della Strada delle Ossa. Era sicuro di aver visto levarsi del fumo, volute dense e torride: il respiro dei draghi. E infatti, superato uno sperone roccioso, come aveva previsto, si ritrovò davanti allo spettacolo che molti sognano di contemplare, ma che pochi hanno il coraggio di ricercare: tre magnifici draghi erano distesi al caldo sole di Dorne, crogiolandosi sotto i suoi raggi dorati che traevano riflessi multicolori dalle loro scaglie. Visenya era seduta in mezzo a loro, perfettamente a suo agio nella sua leggera armatura nera, il cui colore, unito alla potenza dei riverberi della luce solare, faceva risaltare ancora di più i suoi lunghi capelli innaturalmente splendenti e candidi.
Aegon si sedette accanto a lei, ad ammirare la vista di quella terra unica anche nel paesaggio, che rifiutava ancora di sottomettersi al dominio dei draghi.
«Ancora storpi e vecchie raggrinzite?» chiese tutto d’un tratto Visenya.
«Sì» rispose tranquillamente Aegon «Un pugno di uomini inabili al combattimento fatti prigionieri. I dorniani nel frattempo continuano le piccole schermaglie contro le truppe di avanguardia» proseguì «e solo stanotte quattro esploratori uccisi»
Visenya rimase in silenzio.
La resistenza, testarda, orgogliosa e atipica di Dorne era stata un fattore che Aegon non aveva considerato, credendo che nessun regno avrebbe potuto resistere a lungo al fuoco dei draghi.
Ma ormai Aegon aveva deciso. Aveva fatto troppo per conquistarsi quella corona ed era giunto il momento che l’intera Westeros assistesse alla sua ascesa al trono. L’incoronazione avvenuta davanti alle nere acque della baia dove erano approdati era stato un atto dovuto, simbolico. Ora l’intero reame avrebbe dovuto assistervi.

     E così, due settimane dopo, con Dorne che continuava a rimanere imbattuta, Aegon calò su Vecchia Città, sede della casa Hightower, salutato lungo la marcia da folle di sostenitori: alti lord, contadini, cavalieri, mercanti, tutti inneggiavano ai Cavalieri dei Draghi.
Quando finalmente giunse in vista dell’Alta Torre, trovò le porte della città aperte e lord Manfred Hightower ad attenderlo, pronto a riconoscerlo come suo signore e re. Aegon accettò l’atto di sottomissione e, tre giorni più tardi, convertitosi al Credo dei Sette, venne incoronato dall’Alto Septon, che lo proclamò re Aegon, primo del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei Sette Regni e Protettore del Reame.

     E tale rimase, per trentasette anni. Amato dal suo popolo e dai suoi lord, governò dall’alto del Trono di Spade, contorto e intricato scranno forgiato dal respiro di Balerion, fondendo le lame di tutti i nemici che aveva affrontato e quindi sconfitto.
Per trentasette anni regnò, anni felici, a volte difficili, che segnarono l’inizio della Dinastia del Drago che per quasi tre secoli avrebbe dominato Westeros.

 

 

… Ma questa è un’altra storia.

 

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Angolo Autrice

 Ebbene eccoci arrivati alla fine delle guerre di conquista di Aegon I. Mi scuso innanzi tutto per il mostruoso ritardo nell’aggiornamento, e spiego la scelta che mi ha portato a concludere, forse un po’ bruscamente la storia.
Ho iniziato altre fan fiction, dedicate alla storia di Westeros, dove ovviamente i Targaryen ci sono dentro fino al collo, e ho pensato che fosse meglio chiudere il ciclo delle conquiste di Aegon per approfondire poi nel dettaglio le figure dei Targaryen nei ritratti che sto facendo nelle due raccolte “Westeros Kings” e “Westeros Queens”. Pertanto non sentitevi sollevati, vi riempirò di fan fiction ancora per un po’!

 A presto,

 
_Jo

 
P.S. mi raccomando non astenetevi dal commentare!!! ;)

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