Dynasty of Dragons di _Joanna_ (/viewuser.php?uid=539983)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - The Beginning ***
Capitolo 2: *** The First Blaze ***
Capitolo 3: *** The Last Storm ***
Capitolo 4: *** Field of Fire ***
Capitolo 5: *** The Relentless Queen ***
Capitolo 6: *** Aegon the Conqueror ***
Capitolo 1 *** Prologo - The Beginning ***
1
Prologo- The Beginning
Il cielo era carico di nubi,
nere, pesanti, gonfie di pioggia, come se gli dèi si preparassero a piangere.
“Agli dèi non importa degli uomini” pensò. Come poteva essere altrimenti? Sua
sorella doveva avere di certo una visione molto più poetica della vita; si
chiese che cosa stesse guardando, appollaiata sul grande doccione che si
affacciava a strapiombo sul mare.
«Centoundici anni» gli disse
lei a un tratto. Non si era neanche voltata, lo sguardo assorto in quel paesaggio
grigio e desolato, assorbito in una bellezza che lui non riusciva a vedere.
«Credi che lo avessero
capito?» continuò «Credi che si fossero accorti che in quel momento tutto il
loro mondo stava crollando?»
Lui non aveva una risposta,
infatti lei non l’attese e proseguì «Io penso di no. Ognuno avrà creduto che
fosse giunta la propria ora, che fosse giunta per molti di loro, ma non per
tutti. Nessuno avrebbe mai potuto immaginarlo, nessuno in quell’istante avrebbe
mai potuto comprendere che la città più grande mai esistita stava per essere
spazzata via dalla faccia della terra, trascinando giù con sé i propri abitanti
e il proprio sapere»
Ancora una volta non trovò
niente da dire; era una sensazione a cui ormai aveva fatto l’abitudine. Sua
sorella sapeva essere gioiosa e vivace, ma era anche estremamente curiosa e
profondamente legata alle proprie origini, perennemente protesa verso quel
passato ancestrale che le sussurrava di cose perdute e dimenticate. Un aspetto
di lei, questo, che amava, pur senza comprenderlo appieno.
Con un movimento improvviso la
giovane scattò in piedi, mantenendosi in precario equilibrio sulla pietra
ineguale. Gli occhi che tanto amava si piantarono nei suoi, quindi allargò le
braccia e si lasciò cadere nel vuoto.
Le sue gambe, di colpo
pietrificate, gli impedirono di muoversi, mentre la sua mente lottava per
scattare in avanti, incapace di raggiungere, di afferrare la sorella che ora
precipitava nel baratro, verso la roccia, attraverso le onde del mare. Un
ruggito spezzò l’aria e subito dopo la incendiò. Un turbine di vento caldo risalì
la voragine, accompagnato dalla risata divertita della ragazza, e in un istante
drago e cavaliere, entrambi d’argento, lo raggiunsero. Avrebbe voluto odiarla
per essersi presa gioco di lui, invece, senza nemmeno accorgersene, portò le
dita alla bocca e fischiò; attese una manciata di secondi prima di scorgere
l’ombra nera scendere in picchiata. Gli saltò in groppa al volo; uomo e animale
pronti ad ingaggiare l’ennesima competizione di velocità con le rispettive
sorelle.
E anche adesso, a un anno da distanza da
quel giorno, si ritrovarono entrambi su quel balcone, ad osservare, a pensare. Eppure
da allora era cambiato tutto. Le preoccupanti notizie giunte da est, unite alle
insistenti richieste di aiuto di Tyrosh, Pentos, Volantis, lo avevano portato
lontano da casa. Al suo ritorno aveva appreso della morte del padre, e, insieme
alle sorelle, aveva pianto quella della madre, avvenuta appena un mese prima. Adesso
era tempo di agire, di combattere, di dominare qualcosa di più di un mucchio di
scogli gettati in mezzo al mare.
«È pronto» annunciò l’altra
sua sorella, affacciandosi anche lei al grande balcone di pietra. Era più
austera, più matura e di certo la più bellicosa dei tre fratelli. Per questo
motivo amava anche lei. Annuì, quindi la seguì all’interno del Tamburo di
Pietra, la torre centrale della fortezza, percependo dietro di sé anche i passi
della sorella minore.
Raggiunsero la stanza
all’ultimo piano; non si trattava di un ambiente particolarmente grande, né
ricco o sfarzoso. La sala circolare era circondata da pareti di nuda pietra,
interrotte solo da quattro finestre che si aprivano sui quattro punti
cardinali. Ma non era l’arredamento che rendeva speciale quel locale.
Esattamente al centro era stato disposto un enorme tavolo di legno dipinto, dai
bordi frastagliati, ineguali, e la superficie solcata da rilievi e gibbosità.
Un’unica sedia, posta su di una pedana rialzata, era stata posizionata in
corrispondenza di una marcata sporgenza del tavolo. Si avvicinò, prendendo
posto. Sorrise soddisfatto. Esattamente da dove si trovava poteva dominare
tutta la superficie del tavolo che rappresentava la dettagliata mappa di una
vasta terra: il Continente Occidentale, come veniva chiamato, un territorio che
la sua gente non aveva mai tentato di conquistare, sebbene fosse ricco e
prospero. E deliziosamente frammentato. Sorrise di nuovo, scrutando ogni
singola curvatura del legno, studiando le numerose città che erano sorte nei
secoli.
«Molto bene» approvò infine, congedando
gli scalpellini e facendo cenno alle sorelle di avvicinarsi; si disposero
una alla sua destra e l‘altra alla sua sinistra. Vide nei loro occhi violetti
il suo stesso luccichio ambizioso; era il momento. In quel preciso istante la
conquista dei Sette Regni ebbe inizio.
Angolo Autrice
Salve gente! :)
Allora
come avrete capito questo prologo segna l'inizio di un mio progetto
molto noioso che riguarda, stranamente, i Targaryen. Ebbene si dopo
anni di amore indiscusso per i Lannister, ho riscoprto le meraviglie
dei Signori dei Draghi e la loro affascinante storia. Ovviamente questo
è solo un brevissimo inizio (e menomale) dal momento che ancora
devo capire quali eventi inserire e, soprattutto, cercare di dare un
ordine, visto che le informazioni sono molte, ma spesso
contraddittorie o confuse.
Nel frattempo commenti, suggerimenti e preferenze sono più che graditi ;)
_Jo
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Capitolo 2 *** The First Blaze ***
2
The First Blaze
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.
-
-
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Sembrava che fossero passate
ore da quando dalla coffa era giunto il grido che annunciava l’avvistamento
della terra ferma. Una scialuppa venne calata in acqua e subito Visenya prese
il comando dei remi, ansiosa di raggiungere la loro meta. Aegon fece per
seguirla, ma prima tentò di rintracciare l’altra sorella, scrutando con
attenzione il cielo. Niente.
«Se non ti sbrighi farà in
tempo a sorvolare la Barriera andata e ritorno» gli urlò Visenya. Era
impaziente; quanto a Rhaenys, non avrebbe avuto problemi a raggiungerli una
volta approdati.
Erano salpati dalla Roccia del Drago un
paio di settimane prima. Avevano passato un intero ciclo di luna intorno a quel
tavolo, a pianificare, progettare, studiare, ogni singolo dettaglio di
quell’impresa; alla fine avevano preso una decisione: sarebbero sbarcati in
quella che veniva chiamata la Baia delle Acque Nere, un piccolo golfo nel quale
sfociava il fiume delle Rapide Nere. La zona era povera, scarsamente popolata,
eccezion fatta per un pugno di marinai; inoltre era oggetto di una contesa tra
alcuni dei regni limitrofi, il che voleva dire che era terra di nessuno. Perfetta
per il loro approdo. Effetto sorpresa, unito a un’ottima conoscenza del
territorio e delle rivalità tra i regni, avrebbero in breve sancito la loro vittoria.
E poi avevano i draghi. Rhaenys aveva insistito per cavalcare il suo fino a
destinazione, nonostante questo avrebbe aumentato di molto la possibilità di
essere avvistati; ma sua sorella era sempre stata testarda e anche quella volta
aveva finito per averla vinta; Aegon non aveva potuto fare altro che
raccomandarsi al suo buon senso. Dopo essere salpati, drago e cavaliere avevano
seguito per un po’ la rotta delle navi, per poi perdersi tra le nubi; erano due
giorni che non avvistava né lei né le altre due fiere.
Intanto avevano ormai raggiunto la riva; solo
un piccolo peschereccio era ormeggiato, mentre di presenza umana non v’era
traccia. Aegon e Visenya volteggiarono giù dalla scialuppa e iniziarono ad
addentrarsi nell’entroterra. Un piccolo e modesto villaggio sorgeva a ridosso
del fiume, assediato da ogni lato da una rigogliosa foresta; dalla loro
posizione si potevano chiaramente distinguere tre basse colline, evidentemente disabitate e ricoperte di vegetazione. Dalla cima di una di esse si sollevava
un acre e denso fumo scuro. I pochi abitanti erano ai piedi del piccolo monte,
e, sebbene armati di asce e grossi secchi, esitavano ad avvicinarsi alle fiamme,
che ormai ne avevano cinto la sommità con una voluttuosa corona di fuoco. Un
vento caldo attraversò l’aria, alimentando le fiamme e sospingendole verso le
altre colline. Aegon percepì chiaramente l’arrivo del proprio drago prima
ancora che la sua ombra nera oscurasse il sole. Si voltò e vide arrivare
Balerion, affiancato dalle sue sorelle. I draghi atterrarono, permettendo ai
loro cavalieri di montargli in groppa, quindi spiccarono il volo. L’incendio
stava ormai devastando buona parte della zona, e aveva quasi raggiunto la
spiaggia. «Dracarys» sussurrò, quasi impercettibilmente, perché sapeva che la
mente e il cuore dell’animale erano in stretta connessione con i suoi. Infatti,
Balerion aprì le enormi fauci, eruttando una densa fiammata scura, incenerendo
quel che restava del villaggio; la sorella, Vhagar, lo imitò. In un istante
l’intera baia bruciava. I draghi erano arrivati.
«Non è stata una grande idea» sentenziò Aegon.
Tutti e tre erano seduti attorno ad un piccolo bivacco, acceso con la legna degli
alberi della foresta che ora si estendeva a qualche miglio di distanza da dove
si trovavano. Il fuoco dei draghi aveva incenerito quasi cinquemila ettari di
bosco prima di estinguersi, trasformando la zona in un’enorme pianura bruciata,
mentre i tre colli, ora spogli e solitari, parevano osservarli.
«Sono morte delle persone»
proseguì «Ci hanno visto da subito come dei crudeli invasori senza che avessimo
sferrato un solo attacco» Aveva completato lui stesso l’opera di devastazione
iniziata da Rhaenys, non c’era poi molto da fare dopotutto; tuttavia si
maledisse per aver concesso alla sorella di cavalcare il suo drago e dunque di
precederlo, impedendogli di fermare quella follia.
«Rilassati, Aegon» rispose
Rhaenys, ridacchiando. Per lei tutto era un gioco, un aspetto di lei che amava,
ma era una guerra quella che stavano per affrontare, gli scherzi da bambini
erano fuori luogo.
«Ci avrebbero odiati comunque»
intervenne Visenya «Siamo invasori, lo siamo oggi e lo saremo domani, finché
non li avremo sottomessi tutti non ci ameranno»
Aveva ragione. Visenya era
razionale quanto Rhaenys era impulsiva, austera quanto l’altra era giocosa. E
lui era nel mezzo, il fulcro di tutta quella energia, l’unico che fosse in
grado di controllarla e incanalarla nella giusta direzione. Ma forse Visenya
aveva davvero ragione: loro erano degli invasori. Si massaggiò le tempie,
laddove la corona aveva cominciato a far sentire il proprio peso.
Visenya aveva insistito perché Aegon si
facesse incoronare lì, nel punto in cui era sbarcato per conquistare tutto il continente.
Davanti ai suoi lord, al suo esiguo esercito di neanche duemila uomini, si era
inginocchiato come lord Aegon Targaryen, per poi rialzarsi come Re Aegon
Targaryen, primo del suo nome, Signore dei Draghi e lord dei Sette Regni. Una beffa, nient’altro che un vuoto titolo e ancora più vuote parole. C’erano otto
re nel continente e lui era quello con l’esercito più esiguo, l’unico a non
avere un territorio, un castello, un popolo, un alleato.
«Ci siamo, maestà» annunciò Orys, il suo
fratellastro. Aegon annuì e insieme alle sorelle lo seguì fino alla riva della
baia. Lì erano stati sistemati gli uomini, i duemila che erano sbarcati con
lui, oltre a quelli che si erano uniti alla sua causa dopo le prime vittorie:
Rhaenys aveva preso Rosby, Visenya Stokeworth, mentre Aegon si era occupato di
Duskendale e Maidenpool. Ora il suo esercito superava le tremila unità e si
apprestava ad attaccare un territorio molto più prezioso: Città del Gabbiano,
una fiorente città portuale affacciata sulla Baia dei Granchi, nel regno degli
Arryn. “Di Sharra Arryn” pensò. La regina della Valle gli aveva sì offerto un’alleanza,
a condizione però di un matrimonio e della promessa di nominare suo figlio Ronnel
come erede. Una clausola inaccettabile.
«Non credi che dovremmo prima
occuparci di quel porco di Argilac?» chiese Orys. Suo fratello era impaziente
di ricambiare l’offesa al re della Tempesta, tuttavia Aegon sapeva che non era
ancora il momento, non erano pronti per un assedio.
Re Argilac Durrandon, signore della
Tempesta, era stato suo alleato nella guerra contro Volantis. Preoccupato dalla
crescente potenza del vicino re Harren, gli aveva proposto una nuova alleanza, promettendogli
anche alcuni territori e la mano della figlia Argella. Aegon aveva rifiutato, offrendo
al proprio posto Orys; questo aveva offeso il re, e il suo sdegno non era piaciuto a Orys. Sarebbe venuto
il tempo di ripagare i torti subiti, ma prima c’erano questioni più urgenti da
risolvere: re Harren Hoare, per esempio.
Guardò Visenya e Daemon, il suo primo lord
ammiraglio, salpare verso la prima battaglia navale del suo regno. Città del
Gabbiano era solo un porto come gli altri; distruggere la flotta degli Arryn,
quello era il vero scopo.
«E noi che cosa faremo?»
chiese Rhaenys. Era impaziente di fare la sua parte, Rosby non era stata una
vera battaglia, dare fuoco a un villaggio di pescatori nemmeno lontanamente «Tu
resterai qui» annunciò. Aveva troppo pochi uomini, e Rhaenys era troppo impulsiva
perché lui potesse fidarsi a lasciarle il comando anche solo di un centinaio di
soldati «Abbiamo bisogno di una base solida e duratura. Cominceremo con un
fortino, una torre e un fossato basteranno» disse, e, senza aggiungere altro, si
allontanò, ignorando le proteste della sorella. Era una guerra, Rhaenys doveva
capirlo, e quello era il sistema più pratico. Vicino alla sponda del fiume scorse
la sagoma scura del suo drago. Stava guardando il cielo, come se stesse dando
un silenzioso addio alla sorella che si allontanava veloce sul mare. L’altra
metà del suo esercito era già da giorni in marcia verso nord; a dorso di drago
Aegon l’avrebbe raggiunta in poche ore. Quando lo raggiunse, Balerion si rizzò
sulle zampe e lui poté intuire la propria immagine riflessa nell’enorme placca
pettorale della bestia, assicurata con spesse cinghie a quella che avrebbe
potuto essere definita una sella per draghi. Vi montò sopra e subito il calore
dell’animale lo pervase, solo toccando le sue scaglie nere poteva percepirne la
forza ed essa diveniva una parte di lui; quando lo cavalcava, uomo e drago
divenivano una cosa sola, unica, formidabile, invincibile. Balerion allargò le
immense ali e caricò per spiccare il volo, un gesto familiare, quasi meccanico,
eppure ogni volta intriso di un magico stupore. Presto il continente
occidentale avrebbe udito il suo primo, potente ruggito.
“La pietra non brucia”
Erano state queste le ultime
parole di Re Harren. Sordo ai suoi appelli, aveva chiuso le porte del suo
mostruoso palazzo, preparandosi per un assedio che non ci sarebbe mai stato.
Dopo due battaglie combattute in campo
aperto, la maggior parte dei lord delle terre dei fiumi si era ormai arreso alla
sua avanzata, conservando i propri titoli e terre. Era dunque rimasta solamente
Harrenhal, la gigantesca fortezza appena ultimata, dimora di un re senza più un
regno. Aegon gli aveva offerto la pace, la propria amicizia, e il titolo di
lord delle Isole di Ferro, il piccolo arcipelago da cui Harren proveniva, ma
lui aveva rifiutato.
Non aveva avuto altra scelta.
Quando l’ultimo tramonto scese su
Harrenhal, Balerion si alzò in volo sopra il castello. Aegon non si era mai
sentito così potente, sarebbe bastata una sola parola per cancellare la costruzione
più imponente a memoria d’uomo, e con essa tutti i suoi abitanti. Contemplò per
un istante quell’orrore, costato migliaia di vite, frutto di un’ambizione cieca
e sfrenata, riflesso di un potere corrotto eppure stupefacente: con del vile
denaro Harren aveva fatto tutto questo, uomini comuni lo avevano edificato a
mani nude; nessun incantesimo, nessun sortilegio lo proteggeva dal respiro dei
draghi, quell’abilità era andata perduta un secolo prima.
Poi l’istante passò ed Aegon
si lanciò nel suo solitario attacco. Spinse Balerion in picchiata e sussurrò il
comando. Una pioggia di fuoco si abbatté sulla fortezza, bruciando, disintegrando,
sciogliendo, la pietra. Vide le cinque torri accartocciarsi su sé stesse, deformandosi,
consumandosi come nere candele. Vide gli uomini avvolti in sudari di fuoco
cercare salvezza, mentre ogni cosa attorno a loro prendeva fuoco e bruciava. Vide
i vetri delle serre esplodere e cavalli dalle criniere infuocate calpestare i
corpi dei moribondi. Fiamme incandescenti strangolarono Harren e i suoi figli, seppellendoli
per sempre nella loro chimerica fortezza. Come un enorme castello di carte, Harrenhal
bruciò.
.
-
Angolo Autrice
Orbene salve gente :)
Me ne rendo conto, lo so, sto giocando col fuoco (letteralmente) e mi
sono presa alcune licenze, specialmente nella prima parte, dove ho
inserito una buona parte di nozionistica... non so se voi sapevate
già tutto degli antefatti pre- conquista, ma per faciltare la
comprensione (no, non è vero l'ho fatto per me perchè
altrimenti perdo il filo, però uffcilamente ho pensato a voi!)
li ho inseriti, quindi, nel caso non si rendano necessari,
cercherò di limitarmi nella sezione polepttone storico e mi
concetrerò più su azioni, battaglie etc, di cui avete
avuto un modesto assaggio con il rogo di Harrenhal. Beh che dire,
attendo con ansia i vostri commenti e vi posso già
anticipare che nel prossimo capitolo ci saranno molti più eventi
;)
_Jo
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Capitolo 3 *** The Last Storm ***
gg
The
Last Storm
«Non farò la fine di quel
pescivendolo!» l’urlo di suo padre risuonò nella sala del consiglio, azzittendo
anche le ultime, petulanti, proteste di lord Barros «Io sono il re, il discendente
di Durran, questa fortezza ha respinto gli dèi stessi!» proseguì, con il furore
che gli distorceva i lineamenti gentili e gli innervava il collo.
Non aveva mai visto suo padre
così, non dopo la morte di sua madre.
«Non mi piegherò a
quell’ammaestratore di lucertole e alle sue puttane!» continuò infuriato «Né al
suo bastardo, mai!» concluse, liquidando ogni possibilità di trattativa.
Suo padre aveva combattuto
molte battaglie, ma questa volta anche lei percepiva che c’era qualcosa di diverso;
no, non era una banale guerra quella, era un fatto personale.
Aspettò che suo padre e la
maggior parte dei lord e dei consiglieri lasciassero la sala, prima di uscire
dal suo nascondiglio nella penombra delle massicce colonne.
«Allan?» chiamò.
«Principessa?!» esclamò il
giovane lord quando la vide «Non dovresti essere qui» l’ammonì.
«Lo so, ma non ho potuto fare
a meno di sentire… Che sta succedendo? Perché mio padre è così arrabbiato e chi
son…» non poté terminare la frase che la voce imperiosa di suo padre la
interruppe. L’alta e imponente figura di re Argilac si stagliava in contro
luce, conferendogli quell’aura di potenza e terrore che da sempre lo
caratterizzava. Titubante, Argella si voltò verso di lui, in attesa del
consueto rimprovero. Ma quando rimasero da soli, incredibilmente, suo padre le
si avvicinò, prendendo le sue mani tra le proprie, come faceva quando era
bambina. Un sorriso stanco si dipinse sul suo volto, increspando le leggere
rughe agli angoli della bocca e degli occhi; non c’erano quando era piccola,
pensò.
«Volevo parlartene di persona»
esordì il re «Volevo essere io a dirtelo» disse, mentre Argella lo osservava
confusa; non aveva mai visto suo padre così turbato.
«Ricordi Aegon? Aveva
caldeggiato la tua unione con il suo fratello bastardo, quel barbaro senza un
briciolo di onore, di nobiltà» spiegò.
«Sì, me lo ricordo» rispose.
Suo padre aveva reagito con sdegno a quella proposta, perché invece adesso
sembrava preoccupato?
«Stanno arrivando, piccola
mia, stanno arrivando per prendere il mio trono, per vendicarsi di me, di noi.
Non glielo permetterò, mai!» concluse, stringendole ancora di più le mani,
quasi stritolandole, come per accertarsi che lei fosse effettivamente ancora lì,
insieme a lui.
«Io non…»
«Maestà!» si annunciò un
giovane soldato, affrettandosi a porre un ginocchio a terra «Le vedette hanno
avvistato un drago nei cieli, è il segnale, le truppe dei Targaryen stanno
avanzando» concluse, la voce resa esitante dalla paura, o forse dall’imbarazzo;
Argella non si mostrava spesso in pubblico, tra i soldati e i lord di suo
padre, e quando questo accadeva la cosa causava sempre un certo nervosismo tra
gli uomini.
«Quale drago? Balerion?»
domandò ansioso suo padre.
«No, maestà, è quello d’argento»
rispose il giovane, senza mai sollevare il viso da terra.
«Non ha neanche il fegato di
guardarmi in faccia, quel traditore? Mi manda la sua puttana!?» tuonò, ogni
traccia di dolcezza e timore nuovamente cancellata dalla rabbia. «Un errore che
rimpiangerà, non avranno mai il mio regno, non avranno mai mia figlia» promise,
congedandosi da lei con un ultimo sguardo; “Lo sguardo di Argilac il re” non
poté fare a meno di pensare.
E
così, in uno battito di ciglia, Argella
si ritrovò sola nelle enormi sale del castello, mentre, dalla
porta principale,
la fortezza della Tempesta vomitava fuori i suoi uomini di ferro e
acciaio,
urlanti e impavidi, lanciati verso il nemico. Li osservò dalla
balconata
centrale: uomo contro uomo, spada contro spada, in un cozzare
assordante di
armature e scudi, tra i nitriti disperati dei cavalli agonizzanti e le
urla pietose
dei morenti. Vide lo splendido animale scendere in picchiata, un
maestoso fulmine
argentato che incendiò l’aria e ogni cosa sotto di essa. E
poi vide il
bastardo, avvolto dalla sua pelle di acciaio nero. L’elmo,
orrendo, inquietante ornato da due enormi corna ritorte, lo distingueva
dagli altri; sì, non
poteva che essere lui. Con leggerezza spietata liquidò gli ultimi avversari e
in un attimo la strada davanti a lui si spianò: non c’era più niente e nessuno tra
quel mostro e... Suo padre! Colmò quell’effimera distanza con poche, agili,
falcate, mentre Argella urlava l’avvertimento che nessuno là sotto avrebbe
potuto udire. Suo padre si voltò appena in tempo per parare l’affondo fatale, e
i due cominciarono a duellare. Ma il bastardo era veloce, era giovane, mentre
suo padre alternava rari e deboli fendenti a sempre più goffe parate. E poi
avvenne l’inevitabile. Re Argilac fu lento, troppo maledettamente lento, e Orys
ne approfittò. Lacerò acciaio, seta e carne dal braccio di suo padre, e
Argella poté chiaramente percepire il dolore, come se fosse il suo. Con un
calcio il bastardo lo gettò a terra, strappò via la spada dalle mani del re e
con lentezza quasi compiaciuta affondò la spada nel petto di suo padre. Argella
sentì le gambe cedere, urlò e pianse, tentando inutilmente di scacciare via
quell’immagine tremenda dalla sua mente.
Fu così che la trovarono i sopravvissuti
alla battaglia; istanti, minuti, forse ore dopo; sulla terrazza, tremante e
disperata.
«Prin... Mia regina» la chiamò
Allan. Era chinato davanti a lei, sporco di sangue, ferito ed escoriato sul
volto, diverso dal bel giovane che spesso sognava e amava osservare allenarsi nelle
sue giornate solitarie. Le stava offrendo la mano, per aiutarla ad alzarsi e…
come l’aveva chiamata? Regina? Era lei la regina ora che… Ora che suo padre era
morto… No, ora che era stato ucciso! Una nuova, inaspettata forza le diede
vigore. Doveva reagire, doveva combattere, per suo padre, per il suo regno. Passò
in rassegna gli stanchi volti che la osservavano, in attesa di una risposta, di
una speranza. Che cosa doveva dire? Andò alla disperata ricerca della parole
giuste, e infine le trovò, in suo padre: “Mai arrendersi, mai piegarsi”.
«Miei lord» esordì «Quel
mostro ha ucciso il vostro re, mio padre! Ma non sarà morto invano, noi
manterremo la promessa, distruggeremo Aegon e i suoi alleati o moriremo nel
tentativo!» declamò.
Ma invece delle grida di
battaglia, degli inni alla gloria, al regno, al nome di re Argilac, ottenne
solo un muto silenzio. Triste. Esausto. Pericoloso.
«Mia regina» disse finalmente
qualcuno, lord Barros riconobbe a fatica, piegato e provato dalla battaglia «Noi
non… Non abbiamo altra possibilità se non arrenderci, per salvare il poco che
rimane» dichiarò, mentre mormorii di assenso percorrevano la sala.
“Codardo” pensò, lo sapeva
anche suo padre; mai lord Barros si sarebbe permesso di contestarlo, ma adesso
c’era solo lei, una regina, una donna.
«Mio padre ha sfidato Aegon!
Lui non ci permetterà mai di arrenderci, raderà al suolo ogni cosa!» esclamò,
ma la sua affermazione venne nuovamente accolta da un freddo e muto dissenso. Come
potevano essere così ciechi?
«Beh, forse se gli portassimo
un dono…» continuò lord Barros.
Dono? Quale dono potrebbe mai
compiacere Aegon? E poi loro non avevano più nulla da offrire a parte… Argella
non fece in tempo a realizzarlo che subito due uomini la affiancarono,
immobilizzandola. Incuranti di chi lei fosse, o di chi fosse stata, le
strapparono le vesti e i gioielli di dosso, trascinandola per i corridoi e giù
per le scale. Argella provò a resistere, invocò aiuto, urlò minacce, ma ora lei
non era più nessuno. “Gli uomini disperati sono pronti a tutto” le parole di
suo padre le rimbombarono nella mente. Suo padre l’aveva abbandonata, non aveva
rispettato la promessa, e ora lei era rimasta sola. Cercò il viso familiare di
Allan, il calore del suo sguardo, ma quando riuscì a individuarlo trovò solo
due occhi gelidi che la scavavano nel profondo, che indugiavano... Sulle forme dei suoi
seni, esplorandola avidamente, ma non come Argella aveva sempre sognato, sperato; non come un uomo guarda una donna, ma come un animale desidera la preda. E Argella provò un terrore che non aveva mai conosciuto. Intanto qualcuno
le aveva legato i polsi, mentre veniva sollevata di peso e portata giù, fuori
dal castello, oltre i cortili, oltre la pesante grata di ferro, attraverso il
campo di battaglia. E infine lo vide, il mostro che aveva ucciso suo padre. Era
davanti al suo padiglione, un buio antro di stoffa nera e oro. Si era
ripulito dal sangue e indossava un morbido farsetto e un’elegante mantello gli
drappeggiava le spalle larghe. Aveva capelli nerissimi che si muovevano
leggermente nella brezza marina, e Argella si ritrovò ad osservarlo con stupore
infinito: non era affatto il barbaro che si era immaginata, irsuto e tozzo. No,
lui era… Bellissimo. Gli occhi non
erano iniettati di sangue, erano due zaffiri, guizzanti scintille azzurre come
il cielo d’estate. E il viso, i lineamenti cesellati, così delicati. Anche lui
la stava osservando con stupore, e Argella si chiese il perché, dimentica dell’aspetto
che doveva avere, nuda, sconfitta, distrutta nel corpo e nell’anima. Il giovane
le si avvicinò e rapidamente si sfilò il mantello, ponendoglielo sulle spalle.
Quindi tagliò le corde che le legavano i polsi e l’aiutò a rialzarsi. Orys
Baratheon aveva appena sciolto le sue catene, ma il suo sguardo, così perfetto,
incantevole, ne aveva formate di nuove, invisibili e indissolubili.
Angolo Autrice
Buongiorno/sera a tutti! :)
Orbene dopo una lunga attesa, sono riuscita ad aggiornare almeno questa
fanfic... Come avete visto, ho scelto di variare un po' con questo capitolo ,
presentandolo sotto una prospettiva molto diversa e certamente in un'ottica
meno "ampia", e spero sinceramente che vi sia piaciuto, dal momento
che questo personaggio è pressoché sconosciuto (anche se di ovvia e vitale
importanza!)
E beh, niente, fatemi un po' sapere che cosa ne pensate, ve ne sarei
immensamente grata :)
_Jo
|
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Capitolo 4 *** Field of Fire ***
4.4
Field of Fire
«Morto?» Orys era stato
l’ultimo ad essere informato della disfatta di Città del Gabbiano; Aegon non
aveva voluto rovinargli la gioia di aver abbattuto il suo odiato rivale, ma ora
non potevano più aspettare. Era tempo di studiare una nuova strategia, un nuovo
piano per ridare linfa al loro ambizioso progetto di conquista. Non si poteva
aspettare, altrimenti i successi ottenuti fino a quel momento sarebbero stati
nulli e la morte di Daemon vana. Dovevano colpire i grandi re del Sud,
impedendo ai superstiti di riorganizzarsi, o per i Targaryen sarebbe stata la
fine del loro dominio mai realmente iniziato.
«Avevi detto che non avrebbero
avuto scampo» stava dicendo Orys, dopo essersi ripreso dalla notizia della
morte del suo più vecchio amico «Che l’esercito degli Arryn sareb…»
«Ho mentito!» lo zittì Aegon
«Ho mentito» ripetè, questa volta a voce più bassa «Contento? La flotta degli
Arryn doveva essere distrutta, i ribelli fomentanti per una rivolta interna.
Daemon era consapevole che la sua missione sarebbe stata senza ritorno,
illudersi del contrario sarebbe stato da stolti» concluse.
«E ha funzionato?» chiese
Orys, dopo un lungo silenzio.
«No» rispose Aegon, percependo
distintamente l’ira montare nell’animo del suo fratellastro.
«Vostra Altezza» si annunciò Jon
Mooton, uno dei primi lord ad averlo riconosciuto come unico e vero re del
Continente Occidentale; Aegon gli fece cenno di proseguire, facendo del proprio
meglio per ignorare lo sguardo ostile di Orys.
«Ho qui il rapporto degli
esploratori» fece una pausa «Re… Lord Loren e lord Mern sono in marcia con i
rispettivi eserciti, prevediamo che il punto di incontro sia tra la Valle del
Corno e Deep Den»
concluse.
«Quanti?» chiese Aegon.
«Più di cinquanta mila, sire»
rispose lord Mooton, non senza una vena di puro terrore nella voce.
«Lasciatemi» disse Aegon, e il
suo tono non ammetteva repliche. Quando finalmente rimase da solo si lasciò
cadere sulla sedia da campo. Si sfilò la corona, massaggiandosi le tempie.
Erano giorni che non dormiva, ma quello che più gli mancava non era il sonno,
ma le sue sorelle. Dopo la sconfitta di Città del Gabbiano e con una battaglia
da pianificare aveva mandato Rhaenys in ricognizione a est e Visenya a nord;
l’ultima cosa che voleva era essere colto alle spalle durante la battaglia. Erano
re e regine adesso, e i sovrani non si concedono lussi e distrazioni quando i
loro uomini ancora combattono e muoiono.
«Sei così teso» un sussurro
nel vento, la voce di Rhaenys, gli giunse da dietro. Aegon si voltò per
ammirare la splendida visione di sua sorella: indossava solo una leggera veste,
strati su strati di veli quasi impalpabili che lasciavano ben poco
all’immaginazione, mentre i lisci capelli argentei le ricadevano morbidi lungo
la schiena nuda. Non sapeva quando fosse tornata, nessuno pareva essersi preso
la briga di avvertirlo, o forse era stata lei a… lei… ogni traccia di
disappunto venne cancellata dalla sua mente quando Rhaenys si avvicinò e
cominciò a massaggiargli le spalle, distendendo, semplicemente con il suo tocco,
la tensione accumulata in quei giorni.
«Visenya è partita questa
mattina per una ricognizione» disse Aegon, tentando di recuperare la
concentrazione. Sua sorella gli faceva sempre questo effetto, riusciva a liquidare
tutti problemi, tutto ciò che li circondava perdeva forma e significato e al
mondo non rimanevano altri che loro. Ma doveva rimanere concentrato
sull’obiettivo, sulla guerra.
«Se confermerà il rapporto
degli altri…» riprese, ma Rhaenys lo interruppe.
«Non mi interessa» disse,
avvicinando le labbra al suo orecchio «Non mi importa dei rapporti» affermò «Né
della guerra… O dei nostri nemici» proseguì, baciandogli il collo «Ci siamo
solo noi» concluse, afferrandogli dolcemente il mento per guardarlo negli
occhi. Le iridi della sorella, due ametiste di una sfumatura più chiara delle
sue, si piantarono nel suo sguardo, scavandolo, sondandolo. Aegon non poteva
avere segreti per lei e questa vulnerabilità lo spaventava e insieme lo
eccitava. Si alzò in piedi, sollevando la sorella, la sua amante, tra le
braccia. La baciò, come aveva fatto migliaia di volte, quindi la depose sul
tavolo, ingombro di carte e mappe. E come migliaia di volte prima, il mondo
intorno a loro scomparve, esistevano solo loro, i signori dei draghi, il sangue
dell’antica Valyria; non c’erano altri che loro due, erano una cosa sola, erano
due parti di un tutto, indivisibili e invincibili, immersi in uno spazio senza
tempo eppure effimero. Non c’era bisogno di parole, le mani di Aegon frugarono
il corpo della sorella senza fretta, ogni parte di lei era una parte di lui,
nota e sconosciuta. Rhaenys aveva gli occhi chiusi, le mani intrecciate nei
capelli corti del fratello, le labbra semichiuse che urlavano per essere
baciate. Aegon esplorò ogni dettaglio del corpo della sorella, i lineamenti del
volto, le curve dei seni, senza trascurare nulla. Erano insieme, uniti non più
solo nell’anima, e niente, nessuna guerra, nessun regno poteva valere
quel momento di… amore? Non era amore, non solo almeno. Era… Non esisteva un
termine in grado di definire quella passione, quella fiducia, quel legame
profondo, quella sensazione unica; era semplicemente il sangue del dago.
«Ne sei sicura?» chiese Aegon. Erano
riuniti nella sua tenda, lui e le sue sorelle. Visenya era tornata dalla sua
ricognizione, confermando le informazioni date dalle altre squadre di
esploratori: i lord delle Terre dei Fiumi e della Tempesta avevano mantenuto la
parola e gli rimanevano fedeli, quanto agli eserciti dell’Ovest e dell’Altopiano,
quelli stavano marciando uniti verso di loro; una mostruosità di
cinquantacinquemila uomini, oltre cinque volte il loro numero, era pronta a
schiacciarli.
«Allora non abbiamo scelta»
risolse Aegon «Combatteremo insieme».
Rhaenys e Visenya si
scambiarono un’occhiata perplessa. Combattere insieme significava davvero tutti
insieme, loro e i draghi. Si trattava di una mossa azzardata, il fuoco era pur
sempre un alleato incostante, ma era la loro unica possibilità.
«D’accordo» concordò Visenya.
Sapeva che loro alternative erano limitate.
«Rhaenys?» chiese Aegon,
vedendo la sorella esitare. Amava quelle creature, e il pensiero di metterle in
pericolo tutte e tre contemporaneamente la spaventava. Ma non avevano scelta,
questo lei doveva capirlo. Alla fine anche Rhaenys acconsentì, quindi Aegon le
lasciò a pianificare i dettagli dell’attacco. Si fidava di loro come di sé
stesso e lui doveva ancora fare una cosa. Raggiunse i margini
dell’accampamento, quindi si inoltrò nella vegetazione che ricopriva le alture
intorno a Tempio di Pietra. Quello che stava per fare non doveva riguardare le
sue sorelle, non c’era bisogno che anche loro sapessero. Rhaenys non avrebbe
approvato, di questo ne era certo, quanto a Visenya… Non voleva conoscere la
sua reazione. Superò l’ultimo dislivello, ritrovandosi in una piccola radura.
L’uomo che aveva mandato a chiamare era già lì ad aspettarlo.
“Sa già qual è il suo posto”
pensò compiaciuto.
«Ebbene?» chiese, studiando
ogni mossa dell’altro, che però continuava a restare immobile, il volto in
ombra.
«Il mio signore è lieto di
accettare l’offerta di re Aegon» disse finalmente l’uomo «Ci sarebbero delle
condizioni…»
«Condizioni?» lo interruppe
Aegon.
«Nulla di cui il tuo re non
possa privarsi, il mio signore vorrebbe estendere i suoi domini su Dorne
magari, o sulle miniere d’or…»
«Per chi mi hai preso?» sibilò
Aegon, trascinando l’uomo sotto il raggio luminoso della luna «So chi sei, lord
Harlen Tyrell» riconobbe «Ma non è il coraggio che ti ha portato qui, ma vile
avidità; allora che cosa vuoi da me?» chiese, aumentando la presa.
«Oh... Mio… Mio re, mio
signore, io… solo una piccola ricompensa» balbettò lord Tyrell.
«Ti ho promesso il titolo di
lord di Alto Giardino, Protettore del Sud e lord Supremo del Mander, non è
abbastanza per un semplice attendente?»
«Io… no, certo che lo è,
maestà… ma ecco, sai, per tradire Mern…»
«Tradire?» chiese Aegon, per
la prima volta preso in contro piede.
«Sì, maestà, cioè no… Lui è
ancora il mio re dopotutto e… Io ho giurato… Ti ho promesso il mio aiuto, ho
qui l’oro per corrompere i capitani, volteranno gabbana non appena…»
«Corrompere?!» ringhiò questa
volta, cercando di non alzare la voce «Ho chiesto la tua fedeltà per
risparmiare il tuo popolo, dopo che
avrò sconfitto Mern! Dopo!»
«Ma maestà, non puoi vincere
senza che almeno una parte dell’esercito passi dalla tua parte» protestò lord
Tyrell.
«Non con il tradimento»
sentenziò Aegon «Dimmi lord Harlen,
che dovrei fare di te ora?»
«Maestà?» domandò confuso il
giovane lord.
«Stavi per tradire il tuo re,
come potrò fidarmi di te in futuro?» disse, abbandonando la stretta di colpo
«Non credo che potrò farlo» concluse, quindi portò le dita alla bocca e
fischiò. Attimi che parvero ore, poi un vento caldo agitò l’aria e il Terrore
Nero, così Balerion era stato soprannominato da chi lo aveva visto in azione,
planò dolcemente a terra. Aegon posò un mano sull’enorme capo del suo drago,
quindi rivolse lo sguardo nuovamente su lord Tyrell. L’uomo sembrava incapace
di staccare gli occhi dalla bestia, più stupefatto che atterrito. Una reazione
che Aegon aveva visto spesso e che, come previsto, si mutò in cieco terrore
pochi istanti dopo.
«No, mio re» cominciò a
piagnucolare, non appena realizzò la minaccia «No, ti prego io… io sarò fedele,
a te, solo a te, lo giuro! Maestà, ti supplico!» continuò, accartocciandosi su
sé stesso.
Aegon si concesse un lieve
sorriso, quindi interruppe i mugolii pietosi del suo nuovo Protettore del Sud
«E sia» approvò «Ma questo è stato il tuo ultimo errore, non ci saranno altre
possibilità» sentenziò.
«Gr-Grazie… oh maestà grazie,
non ce ne saranno, non…»
«Vai ora, e non parlare a
nessuno di questo incontro, a nessuno, intesi?»
«No, cioè sì, a nessuno, lo
giuro, grazie maestà sarò…» continuava lord Tyrell, mentre Aegon balzava in
groppa al suo drago e si allontanava veloce. “Patetico” pensò, chiedendosi se
risparmiarlo fosse stata la scelta giusta.
Mancavano una manciata di minuti all’alba
ormai, Aegon individuò una piccola radura e vi indirizzò la sua cavalcatura.
Balerion atterrò e placidamente si mise a contemplare l’orizzonte che
cominciava a tingersi delle mille sfumature del rosa e del giallo. Il drago nero
era il più feroce e letale delle tre bestie Targaryen, ma, a differenza delle
sue sorelle, finito lo scontro sapeva essere mite e quieto come acqua
stagnante; una caratteristica, questa, propria anche dei loro cavalieri. Aegon
si concesse un leggero sorriso, una lieve increspatura in quel volto sempre
severo. Intanto il sole era ormai sorto e proiettava sulla terra un’infinità di
bagliori e luccichii; anche Balerion li notò e subito protese in avanti il
lungo collo, in un gesto di disinteressata attenzione. L’orizzonte intero parve
brillare, barbagli accecanti invasero per un istante il campo sotto di loro. Aegon
socchiuse gli occhi finché non fu in grado di distinguere le punte metalliche
di picche e di lance e, sopra tutto questo, la polvere che si andava sollevando
al passaggio di decine di migliaia di cavalli da guerra e di altrettanti uomini
a piedi, cancellando lo spettacolo di luci e riflessi.
«Ci siamo» mormorò Aegon, un
sussurro impercettibile, un avvertimento a sé stesso, il suo unico vero nemico.
Aegon era sangue del drago, discendente della grande Valyria, tutto ciò che
sognava, tutto ciò che desiderava, diveniva realtà, doveva soltanto credere che
fosse possibile.
“Devi credere, figlio mio. Abbi
fede” le ultime parole di sua madre gli rimbombarono nella testa, tanto che
Aegon fu tentato di voltarsi, aspettandosi di ritrovarsela lì, al suo fianco. Lei glielo
aveva ripetuto fino all’ultimo istante, fino all’attimo prima di chiudere gli
occhi per sempre aveva continuato a spingerlo verso l’accettazione
incondizionata del proprio destino. E ora lui era lì, a un passo dalla
battaglia decisiva della sua campagna di conquista. Avrebbe potuto essere
vittoria o sconfitta in egual modo, non dipendeva da altri che da lui. Accarezzò
le lisce squame nere di Balerion e permise che l’energia dell’animale lo
pervadesse. “Io sono il sangue del drago” si ripetè, una specie di mantra che i
membri della sua famiglia recitavano, beh da sempre credeva.
Montò in groppa al drago e si
lanciò in picchiata verso la valle, raggiungendo il suo esiguo esercito che già
si apprestava a marciare guidato da lord Mooton. Non ebbe bisogno di cercare le
sue sorelle, afferrò saldamente le redini e si affidò totalmente a Balerion. Un
battito d’ali, lento, possente, poi un altro e un altro ancora portarono drago e
cavaliere in alto, sempre più in alto, dove le due sorelle più piccole mordevano
l’aria in una danza impaziente. Balerion lanciò il suo richiamo e si gettò in
picchiata seguito dalle altre due. Il campo di battaglia si materializzò
davanti ai suoi occhi, infiniti fili d’erba sottile e rossastra, bruciata dal
sole. E poi gli eserciti congiunti di Mern e Loren, nient’altro che fili d’acciaio
grigio, tutti uguali. Balerion li sorvolò, proiettando la sua enorme ombra nera
sul suolo, quindi tornò indietro verso il centro dell’esercito, mentre Vhagar e
Meraxes si aprivano a ventaglio sulle ali. Un istante di quiete, durante il
quale i soldati sollevarono lo sguardo al cielo, incapaci di comprendere ciò
che stava avvenendo, intrappolati nella morsa di quel terrore senza nome,
sconosciuto e intangibile eppure mortalmente vicino. Un solo istante e poi l’inferno.
Balerion aprì le enormi fauci e vomitò il suo fuoco scuro, incenerendo sul
colpo decine di uomini, intrappolandone altri nelle armature costruite per proteggerli
e che ora bruciavano. Urla strazianti si sollevarono verso Aegon senza che però
potessero raggiungerlo, mentre fiamme rosse, dorate e nere flagellavano l’aria ormai
divenuta incandescente. L’erba già secca prese fuoco, e l’incendio divampò
rapido e incontrollabile, divorando alti lord, cavalieri e semplici fanti senza
alcuna distinzione. Un campo di fuoco
ingoiò i nemici dei Targaryen, spietato e insaziabile.
In seguito Aegon non avrebbe saputo dire
quanto quello strazio fosse durato, pochi minuti a giudicare dalla potenza del
fuoco dei draghi, eppure a lui erano parse ore, ore interminabili di fiamme, sangue,
grida e terrore.
Quando finalmente il fuoco fu
estinto e i supersiti radunati e incatenati, lord Jon Mooton consegnò
personalmente la corona di Alto Giardino nelle mani di Aegon. Il re la rigirò delicatamente
tra le dita, osservando il curioso intreccio di mani di giada che stringevano l’una
il polso dell’altra. Aegon sollevò lo sguardo e individuò Orys, quindi gli fece
segno di avvicinarsi.
«Ti piace?» chiese,
porgendogli il diadema.
Orys gli rivolse uno sguardo contrariato,
quindi si concentrò sulla corona, poi di nuovo su Aegon e sulle sorelle, in
piedi accanto a lui. «Bellissima maestà» asserì, non senza una lieve punta di acido
risentimento, e aggiunse «Un tizio che si stringe le mani da solo, un simbolo
perfetto per il tuo nuovo lacchè» concluse, accennando sfacciatamente a lord Mooton
che osservava serenamente la scena, ignaro dell’allusione.
«Hai ragione, fratello»
approvò Aegon «Davvero perfetta per il Primo Cavaliere del Re… Tu»
Orys lo guardò senza capire,
quindi reprimendo un sorriso, fece un breve inchino, mormorò un ringraziamento e
si allontanò.
“Tipico” rifletté Aegon,
concedendosi uno dei suoi rari sorrisi divertiti.
«Vostra maestà» la voce di
lord Mooton lo richiamò al suo prossimo, e meno affabile, prigioniero. Aegon
annuì con la testa e si sistemò meglio sul trono improvvisato, una semplice
sedia di legno, leggermente più grande del normale e ricoperta da un drappo
rosso, forse una tenda riconobbe. “Se devo stare scomodo tanto vale che mi
sieda sulla punta di una freccia” pensò.
«Maestà» annunciò di nuovo
lord Mooton «Loren Lannister, di Castel Gra…»
«Re Loren» precisò il
prigioniero.
«Prego?» chiese lord Mooton,
incredulo. «C’è un solo re nel Continente Occidentale e non sei tu, quindi
inginocchiati davanti al tuo sovrano!» ordinò, cercando di costringere il
non-più-re Loren a prostrarsi in avanti.
«Re Loren delle Terre dell’Ovest»
disse Aegon, interrompendo il patetico siparietto «Oggi sei stato sconfitto, il
tuo esercito distrutto, il tuo alleato ucciso. Io sono Aegon Targaryen, primo
del mio nome e, per grazia dei Sette, Re dei Sette Regni» fece una pausa,
quindi indicando prima Rhaenys e poi Visenya proseguì «Queste sono le mie
sorelle e regine. Inginocchiati davanti a noi, giuraci fedeltà e ti nomineremo
lord di Castel Granito e Protettore dell’Ovest. Rifiutati, e ti faremo giustiziare
e annienteremo quel che resta del tuo popolo»
Loren parve soppesare a lungo
quelle parole, poi fece cenno al suo attendente di avvicinarsi. Aegon percepì Visenya
estrarre la spada e la rassicurò con uno sguardo, quindi riportò l’attenzione
sul prigioniero.
Loren prese la sua corona, un’ampia fascia d’oro tempestata di rubini, dalle mani del valletto «Ecco la
mia corona, simbolo del mio potere» declamò «La consegno a voi, mio re e mie
regine, e vi giuro fedeltà. Da questo momento e fino alla fine dei miei giorni
la mia vita vi appartiene» concluse, quindi, posto il ginocchio a terra, consegnò il pesante diadema nelle
mani di lord Mooton.
Aegon annuì, in segno di
accettazione, quindi chiese che gli venisse portata Blackfyre, la sua spada
valyriana, e nominò Loren Lannister primo lord di Castel Granito.
“E quattro” pensò. Ora
mancavano solo tre regni da conquistare, il freddo e vasto nord, la torrida e
raffinata Dorne e l’impervia Valle di Arryn. Il ruggito del drago non era più solo
un’eco lontano.
Angolo autrice
Allora da dove cominciare... beh innanzitutto buongiorno/sera a tutti :)
Mi scuso per il mostruoso ritardo nell'aggionamento e per le
non-risposte alle recensioni, le recupererò una per una,
promesso! Intanto ringrazio di cuore chi si è preso la briga di
recensire o di seguire la mia storia, GRAZIE DAVVERO <3
Come avete visto questo capitolo è leggermente diverso dagli
altri (oltre che noiosamente più lungo, ma vista l'assenza
prolungata e il tema trattato mi è sembrato giusto non spezzarlo
in due parti) ... Qui si scoprono tratti nuovi di Aegon, più
gioiosi (per modo di dire) e più umani, insomma okay che
è il sangue del drago eccetera però ... Mmm che altro
aggiungere, ah sì questa descritta qui sopra è la prima
scena "intima" di Aegon e Rhaenys, e non ho voluto esagerare,
però non ne sono molto convinta quindi vorrei sapere che cosa ne
pensate anche del risultato, oltre che dell'intero capitolo ovviamente.
Bene, allora vi aspetto nelle recensioni e nel nuovo (più
celere) capitolo! :)
_Jo
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Capitolo 5 *** The Relentless Queen ***
5.5
The Relentless Queen
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Il giorno aveva ormai
inesorabilmente ceduto il passo alla notte e la luna, grande e luminosa,
proiettava ombre e riflessi argentanti ovunque. Accanto alla finestra,
ammantata dalle tende mosse dal vento, l’alta e sinuosa figura di Visenya era
in attesa. La porta della piccola stanza si aprì con un lieve stridore,
colorando di un tenue arancione le pietre del pavimento. Sulla soglia comparve Aegon, che per un momento rimase fermo sulla soglia, ammirandola da lontano. Visenya si sciolse
dall’abbraccio di stoffa e prese per mano il fratello, facendosi seguire fino
al letto. Si mise sopra di lui, giocando con i boccoli dei capelli,
stuzzicandolo con le infinite pieghe della veste sottile, guidandolo lungo le
forme del proprio corpo. Con la stessa disinvoltura con cui si muoveva in
armatura sul campo di battaglia, condusse i movimenti di entrambi, prendendo il
totale controllo della mente e del corpo del giovane re. Sapeva che Aegon
preferiva Rhaenys a lei, ma tuttavia non poteva dubitare del suo amore, del
loro legame, diverso ma comunque intenso. Era passato quasi un ciclo di luna
dall’ultima volta che Aegon le aveva fatto visita, e ne sarebbe passato un
altro prima che lui ritornasse, eppure i loro corpi si incastravano alla
perfezione come se fossero nati esclusivamente per quello. Finalmente Visenya
permise al fratello di esplorarla come più gli piaceva, abbandonandosi per un
solo, dolcissimo, istante alle carezze del suo amante, l’unico uomo a cui fosse
concesso toccarla. Una notte, una soltanto, poi l’indomani mattina sarebbe
partita per la Valle di Arryn, per sottomettere il regno dell’Aquila una volta
per tutte.
La battaglia navale che aveva combattuto
all’inizio della loro campagna di conquista era stata un completo disastro.
Daemon Velaryon, amico di vecchia data dei suoi fratelli, aveva perso la vita,
inabissandosi insieme alla piccola flotta Targaryen. Visenya aveva dato fuoco
alle navi della Valle, ma tutto ciò che era riuscita ad ottenere era stata
l’animosa reazione di un pugno di lord nell’Arcipelago delle Tre Sorelle, nulla
di più di tre scogli gettati nel mare, a nord delle Montagne della Luna. Un
piccolo focolaio di ribellione insidioso tanto per gli Arryn quanto per i
Targaryen.
L’alba la sorprese con una frustata di
luce gelida. Visenya avvertì la fastidiosa sensazione della pelle increspata,
una condizione, questa, insolita per lei e che si verificava solo in particolari
circostanze. Visenya gettò le lenzuola di lato, dove ignaro suo fratello ancora
dormiva, e si diresse verso il piccolo braciere accanto alla porta. Sepolti
sotto le ceneri, i carboni ancora pulsavano vividi. Visenya li attizzò,
permettendo alle fiamme di tornare a bruciare. Scrutò tra le cangianti lingue
di fuoco finché l’immagine, chiara e definita, prese vita davanti ai suoi occhi
d’ossidiana: un drago dalle scaglie d’argento sorvolava un deserto di polvere e
morte; al centro, una sottile striscia di fuoco tagliava in due lo spoglio
paesaggio. Improvvisamente, le fiamme si fecero più intense, salendo verso il
cielo, fino ad avvolgere il drago, squarciandone le ali, smembrandolo, sciogliendolo,
mentre l’ultimo ruggito infuocato andava a confondersi con le fiamme del
braciere. Visenya sbatté le palpebre, mentre una calda lacrima le scivolava
lungo la guancia. Non riusciva a comprendere appieno il significato di ciò che
aveva visto; il drago d’argento rappresentava Rhaenys? Sua sorella era forse in
pericolo? E il fuoco, come poteva il fuoco uccidere un drago?
Le risate sguaiate di alcuni
soldati la riportarono alla realtà, ricordandole la sua missione. Rivolse un
ultimo sguardo al fratello, il suo re. Avrebbe voluto tornare tra le sue
braccia, ma sapeva che non sarebbe stato possibile, non lì, non adesso, non per
lei. Raccolse le sue poche cose, la sua armatura, la sua seconda pelle, e la
sua inseparabile spada, Sorella Oscura, una formidabile lama di Acciaio di
Valyria, sottile, veloce, letale, proprio come lei; quindi lasciò la camera.
Non appena Visenya fece il suo
ingresso nel piccolo cortile che circondava la torre dove lei ed Aegon avevano
trovato ospitalità, il manipolo di soldati della retroguardia smise
immediatamente di parlare, alcuni volsero lo sguardo al cielo, altri fissarono le punte dei piedi, a testa bassa, finché lei non ebbe
oltrepassato la bassa collina, scomparendo alla vista. Visenya sorrise
compiaciuta. Non poteva essere amata come Rhaenys, né rispettata come Aegon,
quindi aveva imparato a far sì che gli uomini la temessero.
Il paesaggio era stupendo,
notò. A ovest, si aprivano miglia e miglia di distese pianeggianti, fertili e
feconde, intervallate da bassi rilievi e punteggiate qua e là da piccoli
castelli e mulini. A est, senza nessun preavviso, il terreno si sollevava,
formando tozze colline rocciose, aspre e sterili, elevandosi sempre più, fin
quando le cime dei monti si perdevano tra le nuvole. La Valle di Arryn si
trovava oltre quelle alture minacciose, celata e protetta dai suoi giganti di
roccia. E al centro della Valle, superbo, sorgeva il Nido dell’Aquila,
roccaforte inespugnata degli Arryn.
Gli uomini che Aegon le aveva
affidato dovevano ormai aver raggiunto la Porta Insanguinata, il punto
d’accesso alla Valle, pronti per cingerla d’assedio.
Visenya si guardò intorno,
alla ricerca del suo drago. Alla fine, a una cinquantina di piedi di altezza, individuò
l’ingresso di una grotta dai bordi anneriti e irregolari: Vhagar doveva
essersi scavata una tana. La regina si portò le dita alla bocca e fischiò; in
un attimo una densa fiammata porpora eruppe dall’imboccatura della caverna,
come dal cratere di un vulcano, annunciando la presenza del drago rosso. Vhagar
planò giù per raggiungerla, e, docilmente, si accucciò accanto a lei, permettendole di accarezzarle le scure
scaglie color rame antico. Anche in questo, drago e cavallerizza erano simili: neanche
l’animale, infatti, amava essere avvicinato, preferendo la solitudine ai giochi
in compagnia dei due fratelli. Visenya si perse per un momento nei grandi occhi
del drago, brucianti e torbidi come lava fusa. Vhagar parve intuire il suo
turbamento e, delicatamente, premette il muso contro la sua spalla, come per
riscuoterla e confortarla.
Era tempo di agire, di porre
fine all’inutile resistenza di Sharra Arryn.
Visenya balzò in groppa al
drago, che lanciò un grido mentre prendeva la carica e si alzava in volo. In
pochi istanti superarono le Montagne della Luna, sorvolarono la Porta
Insanguinata dove i difensori preparavano trappole e agguati contro l’esercito
del drago. Avrebbe potuto incenerirli in un solo istante, ma sapeva che ne sarebbe
arrivati altri, intere tribù di guerrieri barbari sarebbero discese dai loro
rifugi sui monti per difendere la Valle e conquistarla per loro stessi. Proseguirono
quindi la loro ascesa, finché le bianche mura del Nido dell’Aquila non si
materializzarono davanti a loro. Visenya individuò il cortile della fortezza,
il Parco degli Déi come veniva chiamato nel Continente, molto più piccolo di
quelli che aveva visto negli altri castelli del Sud. Vhagar riuscì comunque ad atterrarvi,
sotto lo sguardo incredulo di un bambino. Il marmocchio non poteva avere più di
sei anni, eppure, a differenza delle centinaia di uomini in armi che avevano
visto Vhagar piombare su di loro, sembrava tutto meno che terrorizzato. Visenya
volteggiò giù dal drago e si avvicinò al bambino «Tu devi essere lord Ronnel
Arryn» riconobbe.
«Sono il re Ronnel» precisò il
piccolo sovrano, gonfiando il petto minuto «E tu chi sei? Sei una lady?» chiese,
in tono insieme impertinente e buffo.
Visenya non poté reprimere un
sorriso divertito, quindi, portandosi alla sua stessa altezza, rispose «No, non
sono una lady, sono la regina, ma tu puoi chiamarmi Visenya».
Il bambino parve confuso per un
momento. «Quindi sei una regina come la mamma?» chiese «Però non sei di qui
vero? Il maestro non mi ha parlato di una regina Vi... Vil… Vinelia?»
Visenya non fece in tempo a
correggerlo che subito il lord riprese a parlare «È un drago, vero?» riconobbe «È
davvero tuo?» domandò eccitato. Visenya annuì e aggiunse «Ti piacerebbe cavalcarlo?»
Un enorme sorriso si dipinse
sul volto paffuto di Ronnel «Davvero posso?» chiese, incredulo ed emozionato.
«Certo che no!» l’ordine,
fermo e deciso, era stato pronunciato da Sharra Arryn che, rapida, stava
attraversando il cortile per raggiungere il figlio, seguita da una mezza
dozzina di guardie e cavalieri.
«Ma madre» protestò il piccolo
lord «Io voglio cavalcare il drago!» e si strinse al braccio di Visenya, come
per invocarne l’intercessione. La giovane regina ne approfittò, accarezzando
con la mano libera l’elsa di Sorella Oscura. Sharra Arryn comprese l’allusione
e finalmente mostrò un accenno di insicurezza.
«Lord Ronnel Arryn, Difensore
della Valle e Protettore dell’Est non correrà alcun pericolo, mia lady. Vhagar
protegge gli alleati dei Targaryen come se fossero i suoi stessi signori»
promise Visenya.
Il giovane lord, ignaro di ciò
che era appena accaduto tornò alla carica «Ti prego madre, posso volare con la
lady?».
Lady Arryn annuì e chinò il
capo, troppo orgogliosa per inginocchiarsi davanti agli occhi del figlio. Visenya accettò la
resa silenziosa, quindi sollevò Ronnel in aria e lo depositò sul dorso di
Vhagar. Il bambino trillava di gioia mentre il drago dispiegava le enormi ali,
osservando il Nido dell’Aquila, il centro del suo potere, come solo le aquile
potevano, e come nessun altro lord avrebbe mai fatto.
Ancora una volta i draghi
erano stati decisivi per la vittoria, questa volta in un modo insolito e che
mai Visenya avrebbe immaginato possibile. Il feroce drago e l’implacabile
regina avevano inaspettatamente conquistato il cuore di un bambino.
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Angolo Autrice
Eeeeed eccomi qui questa volta con un aggiornamento lampo (e scandalosamente breve xO).
Questo è stato il mio primo capitolo Visenya-centrico e, nel
tentativo di marcare la differenza tra lei e i due fratelli, temo di
essere scivolata un po' nel banale.... In effetti, per quanto il
personaggio di Visenya mi incuriosisca molto, le informazioni su di lei
sono pochissime (ad esempio non si sa nemmeno di che colore siano le
scaglie di Vhagar!) e uscire dall'aura di guerriera-strega che la
circonda, ridandole un po' di umanità, non è stato
facile, o meglio, più scrivevo e rileggevo e più mi
sembrava di aver tolto un pezzo della personalità unica di
Visenya... Perciò spero che il risultato non sia proprio
inguardabile ecco! Se volete fatemi sapere che cosa ne pensate,
commenti e recensioni sono sempre graditissimi! :)
(E ancora grazie a chi è
già passato a recensire e spero continuerà a farlo, ogni
critica, positiva o negativa, è sempre ben accetta e importante,
almeno per me lo è XD)
_Jo
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Capitolo 6 *** Aegon the Conqueror ***
aegggg
Aegon the Conqueror
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I graffianti
artigli del mattino fendevano impietosi il cielo a oriente, strappando ad Aegon
il suo dono notturno. Tenne gi occhi ancora chiusi e lasciò che il respiro
regolare della sorella lo cullasse. Rhaenys era adagiata sul suo petto, ancora
immersa nel sonno in cui entrambi erano scivolati chissà quando, stremati e
appagati l’uno dell’altra, per quanto Aegon potesse davvero sentirsi sazio di
lei. Lentamente, per non svegliarla, scivolò fuori dal suo abbraccio e si
diresse verso la finestra. La Strada delle Ossa si srotolava sinuosa attraverso
il territorio brullo e irregolare. Istintivamente volse lo sguardo a sud,
scrutando la penombra che mano a mano andava illuminandosi. Nessuna traccia di
presenza umana, solo silenzio e pace.
Nel frattempo il
sole aveva fatto capolino all’orizzonte; Aegon ne seguì i vivaci raggi che
prepotentemente filtravano nella stanza, accarezzando il corpo di Rhaenys,
giocando con i mille riflessi dei suoi capelli argentati.
Un rumore di passi
lo distolse da quella visione. Rapidamente infilò le brache nere abbandonate in
mezzo alla camera la notte prima, quindi, afferrato un semplice farsetto di
cuoio, uscì dalla stanza. Come previsto, il diligente Jon Mooton stava salendo
gli ultimi gradini del piccolo fortino e per poco non perse l’equilibrio nel
trovarsi Aegon in cima alle scale, in attesa.
«Maestà,
buongiorno, stavo appunto venendo a chiamarti» disse, accentuando il più
possibile il tono infastidito.
«Non dirmelo, di
nuovo la nostra volpe?» chiese Aegon con un sorriso amaro.
«Esattamente, sire»
borbottò il lord «È più testardo di un mulo, dovrebbe cambiare stemma, lo dico
sempre» polemizzò, scuotendo esageratamente la testa mentre si avviava di nuovo
giù per le scale.
Aegon lo seguì,
interrogandosi sul sistema per liberarsi definitivamente dalle fastidiose
lagnanze di lord Florent.
Dopo la grandiosa vittoria di quella che
era stata subito soprannominata la battaglia del Campo di Fuoco, Aegon aveva
nominato i suoi nuovi lord, quindi aveva fatto levare le tende e indirizzato il
suo esercito verso Nord, per intercettare le truppe di lord Stark che
rapidamente stavano discendendo il Continente per combatterli. Evidentemente,
però, a qualcuno non era piaciuto il modo in cui lui aveva risolto la questione
di Alto Giardino. Lord Arvid Florent, infatti, subito dopo aver appreso la
notizia che Harlen Tyrell era stato nominato nuovo lord dell’Altopiano, aveva
marciato a spron battuto verso Nord, per presentare al nuovo re il suo amaro
disappunto. A quanto pareva infatti, entrambe le case dei Tyrell e dei Florent
vantavano dei legami di sangue con l’ormai ex dinastia regnante dei Gardener,
ma lord Arvid sosteneva che la sua famiglia avesse maggior prestigio, antichità
e, di conseguenza, un diritto di sangue più forte per succedere al seggio di
Alto Giardino. Tutto molto giusto, se fosse stato che ad Aegon importava ben
poco di dinastie e millantate parentele: Aegon esigeva lealtà e rispetto al
prezzo più conveniente, e, per sfortuna di lord Arvid, i bistrattati Tyrell erano
dannatamente più a buon mercato.
Alla fine, però,
lord Florent aveva afferrato il nocciolo della questione, e, a giorni
alterni, si era presentato al cospetto del re carico di omaggi: un giorno aveva
portato splendidi gioielli, un altro aveva fatto condurre con sé tre magnifici
cavalli di razza, uno per ciascuno dei sovrani, un altro ancora aveva cercato
il favore delle regine con sontuosi abiti ricamati nei colori dei Targaryen, un
dono, quest’ultimo, che aveva mandato Visenya su tutte le furie.
Persino alla
vigilia dello scontro con lord Stark, il signore delle volpi si era insinuato
nella tenda del re, blaterando di leggende degli antichi Florent, ricoprendo di
quando in quando Aegon di esagerati e immeritati elogi.
Aegon ricordava perfettamente quel
mattino. Il cielo era quasi del tutto limpido, soltanto volgendo lo sguardo
verso nord si potevano distinguere alcune nubi candide, gonfie e pesanti, come
se gli Stark stessero portando l’inverno con loro. E anche lui aveva qualcosa
della propria terra con sé. L’aria era satura dell’odore del fumo di decine e
decine di fuochi da campo ormai estinti, che avevano formato una leggera
foschia a non più di un metro di altezza, trasmettendogli quell’inconfondibile
odore di cose che bruciano, lo stesso che la Roccia del Drago trasudava;
l’odore di casa.
E che poco dopo
aveva impregnato l’aria a est di Delta delle Acque, a miglia di distanza dalla
Fortezza dei Targaryen.
Lame di fuoco erano
piovute dal cielo, uno spettacolo pirotecnico di spaventosa bellezza. Re
Torrhen Stark, come si era presentato ad Aegon, aveva osservato pietrificato i
tre draghi volteggiare in alto, in una danza mortale, e riflettersi sulla
liscia superficie della Forca Rossa. Aegon si era ritrovato a sperare che al
signore del Nord bastasse quell’innocua dimostrazione. Era stanco di morte. Lo aveva
visto guardarsi attorno, misurare la forza numerica degli avversari, quindi
voltarsi e contare le centinaia e centinaia di soldati al suo seguito: padri, figli,
mariti, fratelli, amici; e poi di nuovo scrutare il cielo, dove i tre draghi si
rincorrevano ancora nell’aria. E dopo un momento durato ore, l’ultimo re
dell’Inverno aveva posto il ginocchio a terra, gettato la spada ai piedi dei
tre Targaryen e giurato fedeltà al drago: era stata la più gloriosa sconfitta
che Aegon avesse mai visto.
E che, lo sapeva, non si sarebbe ripetuta.
Dorne era un regno orgoglioso, fiero, non si sarebbe mai piegato al dominio dei
draghi senza combattere. Quel gioco a rincorrersi era solo l’inizio della vera
guerra.
Nel frattempo lui e
lord Mooton avevano raggiunto la sala centrale di Blackhaven, la roccaforte dei
Dondarrion, dove lord Florent attendeva quietamente, affiancato da quattro
corpulenti valletti che sorreggevano due enormi casse di legno lavorato. Aegon
sospirò esasperato, aveva faccende più importanti di cui occuparsi. Superò
senza neppure degnare di uno sguardo il petulante lord, e uscì all’esterno,
seguito a ruota da lord Mooton.
«Ringrazia lord
Florent per il generoso dono» disse Aegon, non appena sentì il vento caldo del
sud frustargli il viso «E ribadiscigli pure che la mia decisione ormai è presa,
le sue insistenze mi annoiano. E dirgli che cosa capita a chi mi annoia»
aggiunse, accennando un sorriso che poteva tranquillamente significare scherno
o schietta verità. Lord Jon si affrettò ad eseguire gli ordini, felice di poter
fare la voce grossa con l’insopportabile lord Volpe, come gli piaceva chiamarlo.
Superò alcune tende
piantate nel cortile del forte e si diresse verso una delle basse alture che si
rincorrevano ai due lati della Strada delle Ossa. Era sicuro di aver visto
levarsi del fumo, volute dense e torride: il respiro dei draghi. E infatti,
superato uno sperone roccioso, come aveva previsto, si ritrovò davanti allo
spettacolo che molti sognano di contemplare, ma che pochi hanno il coraggio di
ricercare: tre magnifici draghi erano distesi al caldo sole di Dorne,
crogiolandosi sotto i suoi raggi dorati che traevano riflessi multicolori dalle
loro scaglie. Visenya era seduta in mezzo a loro, perfettamente a suo agio
nella sua leggera armatura nera, il cui colore, unito alla potenza dei
riverberi della luce solare, faceva risaltare ancora di più i suoi lunghi
capelli innaturalmente splendenti e candidi.
Aegon si sedette
accanto a lei, ad ammirare la vista di quella terra unica anche nel paesaggio,
che rifiutava ancora di sottomettersi al dominio dei draghi.
«Ancora storpi e
vecchie raggrinzite?» chiese tutto d’un tratto Visenya.
«Sì» rispose
tranquillamente Aegon «Un pugno di uomini inabili al combattimento fatti
prigionieri. I dorniani nel frattempo continuano le piccole schermaglie contro
le truppe di avanguardia» proseguì «e solo stanotte quattro esploratori uccisi»
Visenya rimase in
silenzio.
La resistenza, testarda, orgogliosa e atipica di Dorne era stata un fattore che Aegon non aveva
considerato, credendo che nessun regno avrebbe potuto resistere a lungo al fuoco
dei draghi.
Ma ormai Aegon
aveva deciso. Aveva fatto troppo per conquistarsi quella corona ed era giunto
il momento che l’intera Westeros assistesse alla sua ascesa al trono. L’incoronazione
avvenuta davanti alle nere acque della baia dove erano approdati era stato un
atto dovuto, simbolico. Ora l’intero reame avrebbe dovuto assistervi.
E così, due settimane dopo, con Dorne che
continuava a rimanere imbattuta, Aegon calò su Vecchia Città, sede della casa
Hightower, salutato lungo la marcia da folle di sostenitori: alti lord,
contadini, cavalieri, mercanti, tutti inneggiavano ai Cavalieri dei Draghi.
Quando finalmente giunse
in vista dell’Alta Torre, trovò le porte della città aperte e lord Manfred
Hightower ad attenderlo, pronto a riconoscerlo come suo signore e re. Aegon
accettò l’atto di sottomissione e, tre giorni più tardi, convertitosi al Credo
dei Sette, venne incoronato dall’Alto Septon, che lo proclamò re Aegon, primo
del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei Sette
Regni e Protettore del Reame.
E tale rimase, per trentasette anni. Amato
dal suo popolo e dai suoi lord, governò dall’alto del Trono di Spade, contorto
e intricato scranno forgiato dal respiro di Balerion, fondendo le lame di tutti
i nemici che aveva affrontato e quindi sconfitto.
Per trentasette anni
regnò, anni felici, a volte difficili, che segnarono l’inizio della Dinastia
del Drago che per quasi tre secoli avrebbe dominato Westeros.
… Ma questa è un’altra
storia.
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Angolo Autrice
Ebbene eccoci
arrivati alla fine delle guerre di conquista di Aegon I. Mi scuso innanzi tutto
per il mostruoso ritardo nell’aggiornamento, e spiego la scelta che mi ha
portato a concludere, forse un po’ bruscamente la storia.
Ho iniziato altre fan
fiction, dedicate alla storia di Westeros, dove ovviamente i Targaryen ci sono
dentro fino al collo, e ho pensato che fosse meglio chiudere il ciclo delle
conquiste di Aegon per approfondire poi nel dettaglio le figure dei Targaryen
nei ritratti che sto facendo nelle due raccolte “Westeros Kings” e “Westeros
Queens”. Pertanto non sentitevi sollevati, vi riempirò di fan fiction ancora
per un po’!
A presto,
_Jo
P.S. mi raccomando
non astenetevi dal commentare!!! ;)
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