Boxe Love - Il filo di Arianna

di Gattopersiano
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cambiamento ***
Capitolo 2: *** Sudore e sguardi ***
Capitolo 3: *** Acqua e indifferenza ***
Capitolo 4: *** Quadri e sigarette. ***
Capitolo 5: *** Pizza e incidenti ***
Capitolo 6: *** Ghiaccio e confessioni ***
Capitolo 7: *** Appuntamenti ***
Capitolo 8: *** Delusioni ***
Capitolo 9: *** Crepe ***
Capitolo 10: *** Orgasmi e lacrime. ***
Capitolo 11: *** Festa e violenza ***



Capitolo 1
*** Cambiamento ***


Corri, Arianna. Respira piano, muoviti il meno possibile per non sembrare una demente totale. Era questo che mi ripetevo nei fatidici quindici minuti di corsa sulla pista, per me un inferno, letteralmente. Mi bruciavano le gambe e mi mancava il respiro; riuscivo a fare i giri necessari ma solo correndo da sola, al mio ritmo. I ragazzi invece correvano tutti in fila, insieme, e cosa peggiore di tutte chiacchieravano. A me come minimo sarebbe servita una bombola di ossigeno di lì a poco e loro parlavano tranquillissimi senza stillare una goccia di sudore.



Ero sempre stata la classica ragazza con gli occhiali che incontri in biblioteca, sommersa tra i libri. Ma intendiamoci, non una di quelle trasandatissime che non sanno neanche che numero di scarpe portano. Semplicemente, ero delicata, introversa, amante della poltrona soffice sui cui leggevo e scrivevo.
Ho sempre curato il mio corpo, ma allo stesso tempo non sono mai stata soddisfatta di me, del mio fisico, della mia vita. Quando mi guardavo allo specchio al mattino mi facevo rabbia, e avevo voglia di prendermi a schiaffi da sola. Ero troppo debole, troppo passiva.

Lasciavo che la mia vita scorresse senza prenderla in mano e realizzare i miei sogni.
Sogno numero uno: entrare nel mondo della scrittura, sia cartacea sia cinematografica.
Sogno numero due: praticare seriamente uno sport che faccia bene al cuore e al corpo. 
A scuola non ero popolare, in classe avevo rapporti amichevoli con tutti ma niente oltre questo; la mia migliore amica Fra frequentava il liceo artistico in un'altra città e la vedevo poco.
Come se non bastasse non sapevo che università prendere ed ero già all'estate del quarto anno. Per me che odiavo le scelte affrettate e le cose all'ultimo momento si prospettava un'estate allucinante, di indecisione e di apatia.

Di amore neanche a parlarne, ero stata sempre rifiutata da quei pochi ragazzi che mi avevano colpito. L'unico con cui era successo qualcosa era Stefano, un amico di cui mi ero puntualmente innamorata che ha avuto la bella idea di scambiare qualche bacio con me e qualche carezza spinta prima di annunciarmi che non ero io ma era lui e che non se la sentiva. Due settimane dopo ha iniziato ad uscire con una delle ragazze più belle e ambite della scuola, e io sono caduta nel dimenticatoio per sempre. Una collezione di sconfitte talmente deprimente per cui non vale neanche la pena di stare a parlarne.

Per questi motivi, in sintesi, la mattina del primo giugno mi ero alzata e avevo preso una decisione: quel pomeriggio stesso sarei andata al corso di boxe della mia città, per fare prepugilistica. Ciò significa che no, non avrei fatto gli incontri alla Rocky Balboa ma solo l'allenamento da pugile, ovvero corsa, corda, esercizi al sacco e tanti addominali e ginnastica. Un'ammazzata insomma.


Allora non avevo ancora idea di quanto quella decisione mi avrebbe cambiato la vita di lì a poco, stravolgendola in un turbine di eventi e trasformandola completamente.
Ancora non potevo sapere che quel giorno, per la prima volta, i suoi occhi si sarebbero posati su di me.


  













Benvenuti/e, io sono Lilith.

Se cercate una storia d'amore diversa, turbolenta e passionale siete nel posto giusto.
Questo è un piccolo prologo introduttivo, normalmente i capitoli sono più lunghi.
Spero vi piaccia, lasciate pure un commento se vi va. 

A presto!

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Capitolo 2
*** Sudore e sguardi ***


La palestra non era grande, ma era piena; aveva un grande ring al centro e più di dieci sacchi disposti intorno, al lato destro vi era la saletta per i pesi e gli esercizi a terra, mentre al lato sinistro vi erano gli spogliatoi maschili e femminili. 

Mi sentii subito in soggezione perchè ero completamente sola, senza nessuno ad accompagnarmi. Mia madre mi aveva lasciato davanti l'entrata chiedendomi se volevo essere accompagnata, ma io spavaldamente avevo detto di no, dicendole di stare tranquilla e mi ero avviata con finta decisione. Devi farlo, ti farà bene, continuavo a ripetermi. Mi accolse un uomo con una grande pancia da bevitore di birra, avrà avuto sì e no 60 anni ma il fisico era ancora forte e gli occhi, di un verde limpidissimo e cristallino, erano buoni ma severi. "Ehilà, abbiamo una nuova arrivata! Non se ne vedono molte di donne da queste parti". Il suo nome era Daniele, e sarebbe stato il mio preparatore assieme ad altri due che in quel momento non c'erano.

Mi indicò lo spogliatoio ridendo sotto i baffi e dicendomi che mi avrebbe sistemata a dovere. Risi e lo presi in contropiede con una battuta anche se avevo un po' paura di quell'affermazione, e in quel momento, mentre mi avviavo verso lo spogliatoio con la pesante borsa che avevo portato, lo notai. 

C'era un ragazzo, seduto sul bordo sinistro del ring. Aveva una specie di mezzoguanto alle mani e dalla posizione sembrava si stesse sistemando le scarpe, ma da quando Daniele aveva iniziato a parlarmi aveva alzato lo sguardo. Aveva i capelli castano chiaro legati in un codino, gli occhi erano chiari e diretti, puntati verso di me. Feci in tempo a notare che aveva un fisico molto ben piazzato quando mi ammonii mentalmente.

Smettila di guardarlo a tua volta come una fessa! Vuoi diventare antipatica a tutti il primo giorno?!Saluta e togliti dai piedi.  

Subito la mia mano scattò timidamente in alto, facendo un cenno discreto ma cortese, mentre la bocca si piegava in un mezzo sorriso. 

Come una persona normale, bene così.
Lui però non rispose subito al saluto, e la sua risposta fu comunque abbastanza fredda. Dopo avermi guardato impassibile -gli occhi azzurri e glaciali- si limitò a fare un cenno col capo e tornò tranquillamente alle sue scarpe.

Benissimo, speriamo che non siano tutti così, mi dissi mentre sistemavo la borsa sulla panca per cambiarmi. Indossavo un paio di jeans lunghi, una camicetta bianca con dei piccoli fiori blu e un paio di converse di jeans. La mia faccia non aveva neanche un aspetto così orribile quel pomeriggio, per cui non riuscivo a non pensare alla faccia tosta di quel tizio. Ero appena arrivata, diamine. Anche lui avrà vissuto il suo primo giorno, no? L'indignazione cresceva e già la voglia di tornare a casa faceva capolino prepotente, ma la scacciai via. 

Rimuginavo su ciò che era successo mentre indossavo un paio di leggins sportivi, scarpe da running, un reggiseno sportivo -ahimè, avevo una terza e dovevo contenerla per bene se non volevo attirare l'attenzione con le tette che ballavano il twerking- e una canotta viola. Mi legai i capelli in un cipollotto disordinato e uscii fuori. Daniele era lì accerchiato dai ragazzi, tutti molto atletici. Solo uno era in carne, essendo comunque robusto. Sicuramente era già dimagrito molto da quando era arrivato lì.

"Bene" esordì Daniele "adesso che anche la signorina è tra noi, iniziate a correre fuori, ognuno al proprio ritmo, chi non ce la fa camminasse velocemente. Vi chiamo io" e ci liquidò molto semplicemente. 
Gli altri ragazzi non si comportarono molto diversamente dal ragazzo biondo, alcuni mi guardarono di sottecchi, a testa bassa, altri mi salutarono molto freddamente, qualcuno fece un mezzo sorriso, ma nessuno si presentò, 
Poco male, mi dissi corricchiando sulla pista, non sono molto abituati ad avere a che fare con le donne, vedo. 

Il ragazzo scorbutico correva parecchi metri davanti a me, e da dietro notai meglio il suo fisico; indossava un completo bianco, maglietta a maniche corte e pantaloncini al ginocchio. Le gambe erano muscolose, la schiena era ampia e massiccia, e ahimè, il sedere che intravedevo da sotto il pantalone doveva essere uno spettacolo divino. 

Pensa a correre che stai per morire, deficiente. E lascia perdere quella faccia di bronzo. 

Dopo la corsa che parve infinita, Daniele ci chiamò e ci fece mettere in cerchio per fare della semplice ginnastica preparatoria, niente di troppo difficile, per sciogliere braccia e gambe. Quando raggiunsi il cerchio mettendomi tra un uomo sulla trentina e un ragazzo magrissimo dai capelli rossi, un altro ragazzo mi gridò "Attenta, non sai tra chi ti sei messa!" scatenando una risata generale, compresa la mia. Scambiammo qualche battuta, e si ricominciò a lavorare. 
Se i maschi sono fatti così penso che mi ci abituerò presto.

Era un'atmosfera semplice come loro, senza pretese. 
L'unico che non aveva riso era il ragazzo scorbutico, che al contrario era rimasto di nuovo a fissarmi, per poi distogliere lo sguardo come se nulla fosse. Questo confermò i miei sospetti; il suo comportamento era diverso, lui era freddo per davvero, non solo in soggezione come gli altri.

Sarebbero state due ore e mezza molto lunghe.






Salve ragazzi/e,
non ho capito ancora molto bene come funzioni questo sito e se posso mettere un piccolo spazio qui ma dando un'occhiata alle storie altrui ho visto che alcune autrici lo fanno perciò <3
Ho sempre avuto la passione per la scrittura, e voglio semplicemente condividerla con voi. Mi farebbe molto piacere ricevere qualche consiglio o qualche parere sulla storia, insomma, conoscervi e farmi conoscere. Cercherò di aggiornare la storia molto frequentemente, ma dipenderà comunque dall'ispirazione che ho in quel giorno. Spero vi piaccia!

A presto,
Lilith


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Capitolo 3
*** Acqua e indifferenza ***


"Allora, questo primo giorno?" Mi disse Fra al telefono, mentre apriva un barattolo, sicuramente di acrilico o di olio, e sciacquava i pennelli. 
"Bene, sono distrutta fisicamente ma l'ambiente mi piace molto e anche l'allenatore è stato ai miei ritmi, mi ha trattato bene insomma" dissi mentre sfogliavo distrattamente una rivista di cucina.
"Ci sono molti Bronzi di Riace?" mi chiese Fra ridendo come una scema. 
"Qualcuno sì, direi di sì" risposi ridendo e pensando involontariamente al ragazzo scorbutico. "Ma ho fatto già abbastanza figuracce quindi stai tranquilla che non mi degneranno di uno sguardo" dissi, ripensando a ciò che era successo dopo la ginnastica, con la corda. 


Stavo saltellando molto lentamente cercando di seguire le direttive che mi aveva appena dato Daniele.
Non ridete, saltare la corda a cinque anni è un conto, ma saltarla a diciannove per venti minuti filati è un altro, credetemi, è stancante e faticosa.
Mentre pensavo ai benefici che la corda avrebbe avuto sul mio sedere troppo grande, il ragazzo scorbutico e il ragazzo che aveva rotto il ghiaccio durante la ginnastica - che avevo scoperto si chiamasse Alessandro- si posizionarono alla mia destra, anche loro con le corde, soltanto che mentre la mia era di plastica e molto sottile, la loro era una corda vera, di quelle spesse e pesanti. Iniziarono a saltare ognuno seguendo un proprio stile con una velocità e una naturalezza impressionanti, i muscoli tesi e coperti da un leggerissimo -e molto sexy- velo di sudore.
Alessandro era altissimo, toccava tranquillamente il metro e novanta, aveva gambe e braccia affusolate e toniche, occhi e capelli neri, mentre lui era piuttosto basso per i canoni della palestra, sotto il metro e ottanta, ma aveva un torace ampio e delineato, con i pettorali che facevano capolino da sotto la maglietta sudata, le braccia forti e compatte.
Le corde facevano letteralmente rumore, una sorta di fischio, e mi arrivò una folata di vento a causa della velocità. 



Dire che ero stregata dalla loro tecnica era poco. "Oddio, state alzando il vento! L'estate qui non serve l'aria condizionata!" gli dissi con un gran sorriso e rivolta ad entrambi, quando si fermarono qualche minuto dopo.
Mi ero totalmente dimenticata del comportamento del ragazzo scorbutico, e volevo sinceramente complimentarmi con loro.
Alessandro mi guardò con stupore e sorrise con gratitudine, ridendo. Lui invece si girò e mi inchiodò con uno sguardo di pura sorpresa, come se non si aspettasse quelle parole. 
Non cedetti e continuai a sorridere, sudata e con una ciocca di capelli sulla faccia, ma sincera.


Alessandro intervenne, non accorgendosi dello sguardo ambiguo del suo amico.
"Questo qui" disse, poggiandogli una mano sulla spalla, "Il primo giorno non fece neanche cinque saltelli di fila, Tu invece hai capito già il ritmo!"  disse sincero.

Prima che potessi rispondere Daniele aveva già richiamato i due. "Già state dietro alla signorina? Non è neanche un'ora che è arrivata! Lasciatela in pace e pensate ad allenarvi!" disse ridendo e tenendosi il pancione. 

Lo sguardo del ragazzo era sempre indecifrabile, e per la prima volta mi mise davvero in soggezione. Per fotuna andarono ai sacchi e io potei allenarmi tranquilla senza sguardi strani.

Ad allenamento finito feci la doccia con il mio bagnoschiuma preferito, alla vaniglia, e mi guardai attentamente nello specchio dello spogliatoio. Avevo una bella linea, pelle chiara, seno florido, sedere pieno e tondo, vita stretta rispetto al ventre, ma c'erano dei chili da perdere per alleggerire la figura, soprattutto cosce e sedere.  Spalmai la mia crema alle mandorle dolci, pettinai i miei capelli castano chiaro con qualche goccia di olio di argan, e mi truccai leggermente con un po' di mascara, un blush pesca e un rossetto della stessa tonalità. Indossai di nuovo i vestiti con cui ero arrivata ed uscii fuori.


"Sei troppo profumata per stare in mezzo a questi bifolchi!" mi disse Daniele ridacchiando mentre aspettavo mia madre all'uscita della palestra. Risi e sbloccai lo schermo del telefono, trovando due messaggi di Fra e alcuni del gruppo classe. 
"Confermo" La voce di Alessandro. Alzai lo sguardo e gli sorrisi, mentre la macchina di mia madre entrava nel parcheggio. 
"Vado, ci vediamo mercoledì!" Dissi, incurante del ragazzo stronzo -era ora di definirlo così- in piedi vicino a Daniele che non salutò, infilò una giacca leggera e indossò il casco dello scooter.


Al diavolo, montato che non sei altro, pensai.


Passai il martedì successivo a leggere e sistemare casa, e nel pomeriggio mi vidi con Fra, dopo quasi dieci giorni.


L'ultima settimana di maggio era stata un inferno scolastico, ma ora finalmente avevamo l'estate davanti per stare insieme e soprattutto per organizzare la mostra di Fra, che si sarebbe svolta alla fine del mese.
Era un suo piccolo grande sogno, quello di esporre le sue tele. 


L'avevo conosciuta alle medie, compagne di banco dal primo giorno, e amiche. Quando la madre morì di cancro un anno dopo, io e Fra ci legammo definitivamente e indissolubilmente. L'accompagnai al funerale e me ne stetti in disparte mentre lei fissava la bara, con gli occhioni vitrei. Negli anni successivi fummo scambiate per sorelle perchè lei aveva i capelli poco più scuri dei miei anche se tagliati cortissimi, e la stessa pelle chiara. Anche i lineamenti del viso erano simili, ma lei aveva la bocca più grande e il naso diverso dal mio. Sempre vestita di nero, riversava sulla tela tutti i suoi colori. 
I suoi dipinti avevano colori cangianti ma anche sofferti, violenti, e quando dipingeva con quelle mani dalle unghie martoriate era lei, era nel suo elemento. 

Era sola come me, ma più bisognosa di amore dopo tutto quello che aveva passato.
Uscimmo in centro per guardare le vetrine e all'occorrenza comprare qualcosa. Mi fermai davanti la vetrina della Desigual in cerca di qualcosa per lei, magari una giacca per la sera della mostra.



"Desigual no, ti prego!" Implorò,
"Devi assolutamente bandire il nero, non vai ad un funerale e sarai la protagonista indiscussa. Dovrai essere colorata come le tue tele!" 
Fra fece una smorfia buffa, e mi tornò alla mente il sorriso a trentadue denti di Alessandro. Forse avrei dovuto farla passare casualmente in palestra, e lasciare le cose al destino. Non si sa mai..
"Che c'è? Hai una faccia strana, cospiratrice che non sei altro" Rise sbarazzina, sistemandosi il basco che portava in testa.
"Io? Niente, niente. Andiamo a mangiare che ho fame!"




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Il giorno dopo era mercoledì. Mi svegliai con i muscoli doloranti e mi infilai sotto la doccia, pensando a quello che sarebbe successo in palestra.


Mi sentivo elettrizzata perchè avevo deciso di fare incontrare Fra con Alessandro e con gli altri ragazzi.
Non so perchè, avevo avuto una bella impressione su tutti -beh, quasi tutti- e volevo farle vedere il posto dove avrei buttato il sangue tutta l'estate. Le scrissi un messaggio su Whatsapp:


"Buongiorno, mia prode artista! Stasera gioca l'Italia e ti voglio a casa per strillare insieme e farci spiegare da papà cosa sia un fuorigioco. Finisco in palestra alle 7.30, mi passi a prendere?"


La risposta arrivò mentre mi vestivo, ed era positiva.
Andare in palestra quel giorno fu più facile perchè sapevo già cosa aspettarmi, ma nello spogliatoio inaspettatamente trovai una ragazza; era poco più alta di me ma molto slanciata e magra.

Non aveva molte forme, ma aveva comunque un corpo tonico allenato dalla boxe. La cosa che mi colpì più di tutte erano i suoi capelli, di quel rosso naturale che sembra più arancione. 
 "Sono Valeria" disse, "Daniele non te l'ha detto? Sono, o meglio ero l'unica femmina che si allenava con questo gruppo, fino a che non sei arrivata tu!" mi sorrise cordiale. Parlammo del più e del meno uscendo dallo spogliatoio, mentre Daniele già ci rimproverava di star parlando troppo, e Alessandro ci salutava caloroso, insieme a qualche altro coraggioso che la volta prima non mi aveva rivolto la parola.


Svoltando l'angolo per uscire a andare verso la pista, mi trovai faccia a faccia con mister Occhio di falco, proprio mentre mi chiedevo che fine avesse fatto. Indossava un paio di jeans e una maglietta a maniche corte nera, e aveva una pesante borsa nel braccio destro, guantoni compresi. Capelli sempre legati, occhiali da sole sulla fronte. 
"Ciao, Riccardo" lo salutò Valeria dietro di me. Riccardo, eh? Adesso ti sistemo io.


Mi aprii nel mio sorriso più cordiale e lo salutai con un "Ciao" a trentadue denti. Lui abbassò immediatamente lo sguardo con la scusa di passarsi la borsa da una mano all'altra e disse "Ciao", con una voce calda, scivolandomi accanto. Con la stessa aria indifferente di sempre. Non un'ombra di timidezza era trapelata dal suo comportamento, come io avrei voluto, ma solo disinteresse.
Avevo sperato di metterlo in imbarazzo e non di farmi mettere in imbarazzo da lui, ma non ci ero riuscita. O forse lui era bravissimo a mascherare, chi lo sa. 

Valeria non disse niente ma corse accanto a me in pista e facemmo ginnastica chiacchierando quando Daniele si girava, facendo sorridere i ragazzi. Era più facile ignorare Faccia di bronzo con Valeria con cui parlare.
Mentre facevo gli esercizi a terra guardavo i ragazzi tirare pugni ai sacchi.


Ad un certo punto vidi Faccia di bronzo salire sul ring, e il ragazzo magro dai capelli rossi salire dal lato opposto. Daniele al centro, che dava consigli a entrambi.
Corsi subito a prendere la corda per esercitarmi mentre potevo guardarli comodamente, e loro iniziarono. 
Il rosso non era muscoloso nè particolarmente potente, ma era veloce, sembrava una serpe mentre schivava i colpi di Faccia di bronzo, che però aveva una tenacia e una potenza incredibili. Si piegava sulle ginocchia con movimenti fluidi e decisi per schivare i colpi del rosso, e aveva la meglio.



Ad un certo punto, Faccia di bronzo assestò un pugno sulla guancia dell'altro, e il colpo andò a segno; nonostante il caschetto protettivo che indossava, il rosso iniziò a sanguinare dal naso, e io mi allarmai.
"Tranquilla" disse Alessandro "Il colpo non era particolarmente forte, lui ha una propensione a sanguinare dal naso"
Annuii perchè non volevo fare la figura dell'insensibile con Alessandro, ma la mia preoccupazione non era per il rosso, intorno al quale erano già andati Daniele e alcuni ragazzi.


Mentre Faccia di bronzo gli sferrava il pugno in viso infatti, il rosso gli aveva tirato un colpo di rimando nel fianco lasciato libero, che adesso Riccardo si teneva con il braccio, appoggiato alle corde, il respiro affannoso. Senza pensare a niente, presi la mia bottiglia d'acqua e gliela porsi, da sotto il ring. "Tutto bene?" Lui trasalì, respirando a fatica. "Non sono io ad essermi fatto male" rispose secco.
Tutta la mia stupida preoccupazione svanì all'istante.


"Benissimo" risposi, "Scusami se mi sono preoccupata"
Feci per andarmene, ma poi mi girai e gli lasciai la mia bottiglia. 
Continuai ad allenarmi senza guardare in faccia nessuno, entrai nello spogliatoio e feci la doccia in silenzio, scambiando giusto qualche chiacchiera con Valeria, che aveva scambiato il mio mutismo per stanchezza.


Avevo voluto attirare l'attenzione di Riccardo, a tutti i costi, ed era un comportamento infantile che non mi si addiceva. Quello sarà stato pieno di ragazze così, pronte anche a tagliarsi un braccio pur di avere un briciolo della sua attenzione. Avevo iniziato boxe per fare a pugni con la vita, non per correre dietro al primo galletto che passava. 


Peccato che non riuscissi a non pensare a quel tono di voce basso e al respiro affannoso di lui appoggiato alle corde, vulnerabile.
















Salve, eccomi tornata con un nuovo capitolo, dove la situazione inizia a prendere piega.
Scusatemi per la mia "lentezza" nel presentare la storia e i personaggi principali ma amo le storie piene, di particolari e di eventi. La vita l'ho sempre concepita così!
Commentate e fatemi sapere cosa ne pensate, di Fra, di Alessandro e ovviamente della strana coppia! 
A prestissimo,
Lilith

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Capitolo 4
*** Quadri e sigarette. ***



Uscii dalla palestra e quello che trovai nel parcheggio mi fece ridere come non mai.
C'era Fra con la sua macchina scassatissima, vestita con dei pantaloni palazzo e un top neri che la facevano sembrare ancora di più un folletto, essendo molto più bassa di me. Era anche più cicciottella di me, ma vestiva qualsiasi cosa riuscendo ad essere di classe. 
Bah, gli artisti.
Stava armeggiando con almeno una dozzina di tele cercando di farle entrare nel bagagliaio, senza successo.
"Si può sapere che stai combinando?" le dissi ridendo.
"Questa macchina maledetta è talmente piccola che per poco un barattolo di acrilico non si rovesciava sui quadri, meno male che me ne sono accorta in tempo!" disse tenendo tra le mani un barattolo di vernice verde smeraldo. "Sono entrate perfettamente stamattina, quindi dovranno rientrarci anche adesso" sbuffava.
Il problema è che le tele avevano delle cornici molto pesanti, per cui spostarle ogni volta era una faticaccia.

"Arianna, che fai? Una mostra solo per noi?" scherzò Alessandro venendoci incontro. Indossava un paio di jeans cachi e una maglietta bianca, i capelli leggermente bagnati; sicuramente aveva fatto la doccia e non li aveva asciugati.
"Non sono mie in realtà, sono sue!" dissi indicando Fra che usciva trafelata dalla macchina. 
Alessandro rimase a guardarla come fosse stata un miraggio e per una volta non mostrò il suo solito sorriso sornione. 
Fra si intimidì, abbassando lo sguardo e sistemandosi pieghe inesistenti del pantalone. 
Li presentai e si strinsero la mano, dopodichè Alessandro si offrì di dare una mano con un tono di voce strano, basso e diverso.
La cosa mi faceva troppo ridere ma mi sforzai di restare seria; avevo fatto bene a presentarli, Alessandro non sapeva nascondere nulla, neanche quando una ragazza lo colpiva.

Si mise a impilare i quadri con poco sforzo, come un bambino scoperto con le mani nella marmellata, chiedendo a Fra dei dipinti con molta discrezione. Era sensibile, e guardandoli aveva capito che quei quadri esprimevano sentimenti profondi e soprattutto dolorosi.
Fra lo invitò alla mostra e lui sorrise, accettando.
Feci per prendere un quadro per riporlo nel bagagliaio, ma un braccio imponente entrò nel mio campo visivo e lo prese, mettendolo nel bagagliaio senza troppi problemi. Un profumo di sandalo mi entrò nelle narici e mi fece venire la pelle d'oca. Già sapevo a chi appartenesse il braccio prima di vederlo, ma rimasi comunque sorpresa. Il suo odore dopo la doccia era così penetrante da farmi girare la testa.

Alessandro si riscosse dalla trance. "Voi due non vi siete mai presentati decentemente vero? A me il lavoro sporco, come sempre!" 
Fra sorrise e lui lo notò. "Arianna..Francesca..vi presento mio cugino Riccardo."

Per la prima volta le labbra sottili di Riccardo si incurvarono in un mezzo sorriso mentre stringeva la mano di Fra.
Quando le nostre mani si toccarono avvertii una scossa elettrica passarmi lungo il braccio e giù per la schiena, mentre cercavo di mantenere un viso serio e contenuto. Mi sembrò che la nostra stretta di mano durasse più del dovuto, ma lui non accennava a mollare la stretta, salda e sicura, la mano calda e leggermente ruvida. "Scusami per prima" disse, "ero nervoso perchè avevo sbagliato diverse mosse, non stavo neanche pensando a quel colpo al fianco." Non mi pareva proprio così, ma lasciai correre e risposi con un "Tranquillo" molto asciutto.
Parve leggermente deluso.

"Grazie per l'aiuto, ragazzi" disse Fra che aveva notato la tensione. Alessandro era troppo occupato a guardarla di sottecchi e non si era accorto di un bel niente.
"Di nulla, e complimenti per i quadri" rispose Riccardo, la voce calda come sempre e il volto freddo e distaccato.
Fra rinnovò l'invito anche a lui, che inaspettatamente sorrise davvero - un sorriso pieno - e ringraziò. Era bellissimo.
Provai un'istintiva fitta di rabbia. Perchè con Fra sì e con me no?

"Guardate la partita stasera?" disse Alessandro.
"Sì, la guardiamo insieme a casa sua" rispose Fra.
"Noi la guardiamo a casa del rosso, Augusto. Ci ha detto che possiamo portare qualche amico, per cui siete invitate." 
La mascella di Riccardo si contrasse.

non accettare Fra, non accettare, non accettare, non...
"Grazie, perchè no?" rispose Fra guardandomi felice come una bambina al parco.
Accidenti a te, ma non eri tu quella timidina che non amava troppa compagnia?




"Vengo solo perchè stavi cadendo ai piedi di Alessandro, lo faccio per te!" dissi a Fra che si truccava sul mio letto, mentre io ero in piedi davanti l'armadio da dieci minuti.
"Non è colpa mia se è bello come il sole, ed è stato sensibilissimo per quanto riguarda i quadri! La gente mi ricopre sempre di domande invadenti,lui invece è stato così...delicato e.."
"Sensibile e bla bla bla..."
"Ma cosa vuoi brontolona? E forse colpa mia se tra te e il biondino tira un'aria tremenda? Che gli hai fatto, a proposito? Ti guarda come se gli avessi ammazzato il cane."
"Non chiedermelo!" le risposi un po' angosciata.
Andai in bagno e mi guardai allo specchio.

Io volevo saperlo, volevo capire perchè Riccardo si comportasse in quel modo con me. 
Mi sforzai di pensare che non mi piaceva e che volevo saperlo solo perchè il suo comportamento non era stato normale nè educato.
Misi comunque la mia crema per il corpo preferita e mi truccai di tutto punto; un ombretto chiaro per far risaltare quella poca abbronzatura che avevo, una linea molto sottile di eyeliner, mascara e un rossetto rosa scuro.
Misi un vestitino di cotone molto leggero lungo fino al ginocchio e un paio di sandali alla schiava.

Fra era passata a casa sua per prendere un paio di shorts di jeans e una camicetta rossa che le stava un incanto. Non smetteva più di guardarsi allo specchio. Incrociai le dita per lei ed Alessandro, sperando che quella sera avrebbero parlato un po' e magari scambiato i numeri.

Ci rincontrammo alla palestra come da accordi perchè noi due non sapevamo dove abitasse Augusto, e ovviamente Alessandro si offrì di portarci con la sua macchina e di lasciare quella di Fra lì nel parcheggio. Sperai fino all'ultimo che Riccardo non fosse lì con lui ma invece c'era.
Eccome se c'era.

Scese dalla macchina per far accomodare una di noi davanti, e dovetti trattenermi per non guardarlo a bocca aperta. 
Indossava un paio di pantaloni bianchi e una camicia blu notte con le maniche a tre quarti, e il suo profumo mi investì come un treno. 
Era bello come un Dio e iniziavo a fare pensieri poco casti su quelle braccia, nonostante non lo conoscessi affatto e nonostante il suo comportamento da spaccone.
Salutò tutte e due ma guardando solo Fra. Niente di nuovo.
Per facilitare la vita a Fra mi misi dietro, e mi ritrovai con lui accanto. Mentre i due piccioncini parlavano del più e del meno un sussurro saettò fino alle mie orecchie, chiaro e preciso. "Ciao, Arianna"
Mi girai lentamente, e lui era lì a fissarmi, un mezzo sorriso spavaldo. Cosa credeva, di giocare al gatto col topo?
Ero stanca di essere trattata come la ragazzina della situazione, questo tizio credeva di essere irresistibile, e avrebbe anche potuto esserlo se solo non fosse stato così presuntuoso.

Niente comportamento da scema, gioca al suo gioco.

"Ciao, Riccardo" dissi lentamente, scandendo ogni sillaba del suo nome e concludendo con le labbra increspate da un sorriso e lo sguardo fermo nei suoi occhi.
Lui non se lo aspettava e faticò a contenere la sorpresa, ma riuscì a riprendersi in fretta e guardò fuori dal finestrino con una risata soffocata.

Intanto sei stato tu a distogliere lo sguardo per primo, grosso stronzo.

"Voi che fate nella vita?" domandò Fra ai due, e io mi misi subito all'ascolto.
"Io studio architettura all'Università, e in contemporanea sono un pugile" rispose Alessandro col suo eterno sorriso, "Da quest'anno io e Ric aiuteremo Daniele con la prepugilistica, quindi attenta a te!" mi disse facendomi l'occhiolino nello specchietto.

Riccardo che mi faceva buttare sangue? Stiamo scherzando vero?

Risposi con una risatina nervosa, e siccome mi ero messa in testa di provocare Faccia di bronzo come se non ci fosse un domani, mi girari con fare innocente e gli chiesi "E tu?"
Lui si irrigidì lievemente ma disse "Ogni anno faccio un progetto con le scuole, concentrandomi sui ragazzi con diversità o disabilità, per integrarli attraverso lo sport. Avrei voluto iscrivermi a psicologia l'anno scorso, ma per vari motivi poi non l'ho più fatto, e sono pugile agonistico da più di quattro anni." con il suo solito tono caldo e il viso di pietra.
"Ma è bellissimo!" Fra si girò a guardarlo con gli occhi lucidi, e lui le sorrise - per la seconda volta - di rimando.
"Oh." fu tutto quello che riuscii a dire, e mi sentii un vero schifo per averlo provocato. 
D'altra parte però, il suo comportamento verso di me era stato strano fin dall'inizio, e i suoi sorrisi a Fra lo dimostravano.

Arrivammo a casa di Augusto, - una villetta indipendente - che ci accolse in jeans al ginocchio e maglietta.
Salutò tutti con calore, e inaspettatamente mi diede un buffetto sulla guancia. "Ecco la nostra pugile!" 
Risi, ero contenta di aver trovato degli amici in così poco tempo.
Ci accomodammo nel salone, aspettando il fischio d'inizio.
Augusto aveva due gatti, e Fra iniziò subito a chiamarli per accarezzarli.
"Ti piacciono i gatti? Anche io ne ho uno" le disse Alessandro mentre lei si accucciava e loro facevano le fusa.
"Moltissimo." rispose lei. 
Mi ero ripromessa di tenere d'occhio Alessandro affinchè non si comportasse male, ma in fin dei conti Fra era adulta e consapevole e io non avevo alcun diritto di intromettermi. Li avrei osservati da lontano, e le avrei dato il mio parere più in là, da sole.

Uscii sul terrazzo per osservare gli innumerevoli fiori che c'erano. Amavo le piante, nella mia futura casa avrei voluto un giardino enorme.
"Calle...gerani..rose...basilico e rosmarino addirittura..c'è di tutto qui!"
Augusto mi si avvicinò, mettendomi una mano sulla spalla.
"Mia madre ha il pollice verde" disse tranquillo.
Quel suo ripetuto tocco non mi infastidì subito, pensai che fosse parte del suo carattere, anche se con gli altri non lo aveva fatto fino a quel momento.
Il movimento della finestra che si apriva scosse Augusto, che tolse la mano. 
Profumo di sandalo: era Riccardo. 
Si avvicinò alla ringhiera del balcone, accanto a noi, e sfilò un pacchetto di sigarette dalla tasca.
Qualcuno chiamò Augusto da dentro, e lui rientrò.

Eravamo io e lui, su quella terrazza. Tipico per uno come lui fumare, pensai.
Il modo in cui teneva la sigaretta tra le mani era irresistibile, ma odiavo il puzzo e la dipendenza dal fumo. 

Per uno così bello, con quel sorriso bianco e quel profumo poi...
Non riuscii a frenare le parole "Fa male alle piante oltre che a te, sai?" 
Lui si bloccò per un istante con il fumo in gola, prima di buttarlo fuori guardando a terra.
Non gli diedi tempo di ribattere perchè mi sentivo già bigotta e bacchettona, per cui continuai: "quando mio padre fumava ancora e mia madre lo soprendeva a farlo vicino alle piante, si metteva ad urlare e a colpirlo con il mestolo di legno, dicendogli che stava uccidendo se stesso e le piante del giardino." Risi nel ricordo di quei momenti.

Lui fece un attimo di silenzio, poi rispose "Sono adulto, è una mia scelta." 
Nel tono caldo della sua voce c'era una nota strana, quasi di colpevolezza.
Sapevo riconoscere quel tono, e mi intenerì molto.
"Hai ragione, non lo metto in dubbio. Era solo per parlare. " Mi strinsi nelle spalle e sorrisi.
Con mia grande sorpresa, spense la sigaretta contro un mattone del muro e la ripose nel pacchetto. 
Si tolse gli occhiali da sole con un movimento fluido, poi disse;
 "Augusto è simpatico, un buon amico. Ma con le ragazze..non si comporta propriamente bene."
Questo mi sorprese ancora di più. Più del suo progetto con i ragazzi, più del suo sorriso straordinario che avevo visto solo due volte.
 Si stava forse preoccupando per me?
"Sono adulta, so quello che faccio." Gli dissi sorridendo perchè stavo ripetendo le sue stesse parole. Poi aggiunsi, seria, 
"Grazie per avermelo detto."
Silenzio.

"Io penso seriamente che tu sia un bravo ragazzo, me lo hai dimostrato adesso e anche prima in macchina, ma penso che tu sia partito col piede sbagliato nei miei confronti, o forse lo abbiamo fatto entrambi non lo so. Comunque sia, chi semina vento raccoglie tempesta." dissi, sicura e tranquilla, "Se mi ignori, mi tratti con sufficienza, e come ciliegia sulla torta inizi anche a provocarmi, non ti aspettare che io ti lasci fare. Perciò dimmi: ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio, Riccardo? Qualcosa di cui magari non mi sono accorta." 

"Muovetevi voi due, i fiori resteranno lì ma il fischio d'inizio ve lo state per perdere!" Alessandro si affacciò sul terrazzo.
"Arriviamo" rispose Riccardo, aprendo la finestra e tenendola aperta per lasciarmi passare.
Cercai di restare calma mentre gli passavo accanto, e lui mi soffiò nell'orecchio un "Ne parliamo dopo" che mi fece venire i brividi.

Con te farei anche altro, oltre parlare...

Momento momento momento, calma i bollenti spiriti e aspetta di sentire ciò che ha da dire invece di fare fantasie sessuali, non è proprio il caso.

Ci accomodammo sui due divani davanti la tv.
Io, Fra e Alessandro in un divano e Augusto, Riccardo e Mattia (cugino di Augusto) nell'altro.
Nei momenti morti non potevo fare a meno di guardare Riccardo seduto sul divano, rilassato ma sempre un po' sulla difensiva.
Trovarsi in braccio a lui in quella posizione non sarebbe stato male. Allora sì che si sarebbe rilassato a dovere.

Ho detto stai calma, non è successo un bel niente. 
E tornavo a concentrarmi sulla partita.

Finito il primo tempo l'Italia era in vantaggio di un goal, al quale tutti avevamo esultato.

Fra e Alessandro si alzarono avvicinandosi alla collezione di film di Augusto e parlando dei loro rispettivi gusti cinematografici, e Augusto ne approfittò per sedersi accanto a me. "Bel goal, eh?" 
"Sì, una bella azione" risposi io. Mi era sembrato molto sottile vicino a Riccardo, ma non era privo di muscolatura. Sentivo addosso lo sguardo di Riccardo, anche se stava controllando il telefono sapevo che stava tenendo d'occhio anche noi due. Dire che mi faceva piacere era poco.
"Vado a prendere delle pizze, vi va di unirvi a noi per cenare?" mi disse Augusto.
Fra si girò felice e sorridente, e Alessandro si sporse per vedere cosa avrei risposto. Perchè dove restavo io restava anche lei, ovviamente.
"Va benissimo, no Fra?" 
"Per me margherita" sorrise Fra, "e grazie".
"Chi mi accompagna?" disse lui, alzandosi con le chiavi in mano e guardandomi con un sorriso sfacciato.
Era anche troppo diretto e sicuro di sè.
"Conosco una pizzeria a un quarto d'ora da qui che fa delle pizze tonde buonissime possiamo andare con la macchina di Alessandro. Guido io."
La frase più lunga che abbia mai sentito uscire dalla sua bocca.
"Vero! E la migliore della città!" disse Alessandro, "prendete pure la mia macchina".

E ci ritrovammo così, io davanti, Augusto dietro con l'aria mesta di chi ha perso un'occasione, e lui alla guida.
La scena più erotica del mondo, lui che muoveva il cambio con delicatezza e decisione e faceva delle curve talmente morbide che non riuscivo a smettere di pensare a come potesse essere a letto. Mi guardavo nello specchietto per assicurarmi che il mio viso non trapelasse nulla di ciò che stavo pensando, e contemporaneamente mi davo della stupida. 
Ordinammo la pizza e ci dissero di ripassare tra un'oretta, giusto il tempo per vedere il secondo tempo.

Una volta tornati, Fra, Alessandro e Mattia avevano occupato un divano. Prima che Augusto potesse sedersi accanto a me, guardai Riccardo per un secondo esatto, per poi sedermi in un angolo, seguita a ruota da lui. Svelto, il signorino.
"Vedo che sei perspicace" gli sussurrai senza guardarlo.
"Non l'ho fatto mica per te" disse lui sforzandosi di non sorridere, "vedo meglio la partita seduto al centro."
"Ovviamente."
Sentivo la sua gamba a contatto con la mia, e la voglia di provocarlo era così tanta che mi ritrovai ad approfittare dei momenti morti della partita per passarmi le mani tra i capelli, giocherellare con l'orlo del vestito scoprendomi la gamba di qualche centimetro e accarezzarmi il collo.

Ti stai comportando come il gatto che fa le fusa ovvero come una poco di buono. - pensavo come sempre tra me e me - veramente non sto facendo proprio nulla di male, anzi, questo tizio se l'è meritato, è lui che gioca a fare il sex symbol-cadete-tutti-ai-miei-piedi della situazione, e poi che male c'è nel volermi sentire desiderata? 
Lui non reagì mai, ma sapevo che sentiva il mio profumo e che ogni tanto posava lo sguardo sulle mie gambe, nude dal ginocchio in giù.

A partita finita, Fra chiese ad Augusto dove fosse la tovaglia per apparecchiare la tavola, e Riccardo colse al volo l'occasione: "Io e Arianna intanto torniamo a prendere le pizze", con un tono talmente deciso e naturale che neanche Augusto avrebbe potuto dire nulla senza rivelare la sua intenzione di stare con me. 

Mentre salivo in macchina ero rilassata ed eccitata allo stesso tempo: finalmente era arrivato il momento che aspettavo, ovvero noi due da soli. 
Nessuno ci avrebbe disturbato, e lui non aveva scuse per non spiegarsi e parlare. 
Mise in moto, fece retromarcia, uscì da casa di Augusto.
Fece qualche curva e si schiarì la voce.







Eccoci qui con un nuovo capitolo, dove Fra e Alessandro si conoscono e dove Riccardo e Arianna hanno un piccolo incontro/scontro.
Ci tenevo a precisare, vista la trama generale che hanno le storie d'amore, che questa non sarà la classica storia dove solo il ragazzo prende l'iniziativa e solo il ragazzo ha degli ormoni in circolo, Arianna si arrabbia, risponde, ed è attratta fisicamente da Riccardo, ma comunque non si butterà tra le sue braccia per questo. Sto scrivendo molto in questi giorni perchè la storia va avanti da sola nella mia testa, i personaggi stanno mano mano prendendo forma.

Amo leggere i vostri commenti, perciò lasciateli, anche negativi purchè siano rispettosi ed educati. 
A presto <3 
Lilith





 

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Capitolo 5
*** Pizza e incidenti ***


"Preferenze per la musica?" disse, indicando alcuni CD in un piccolo scompartimento. Pink Floyd, Red Hot..Depeche Mode.
Inserii il cd e Personal Jesus partì. "Solo perchè non hai niente dei Doors!" 
"Non li ascolto"
"Dovresti" dissi con un sorriso, "Scherzo comunque, ascolti buona musica"
Come successe per la corda, anche ora il mio complimento lo lasciò spiazzato e leggermente a disagio; anche se il suo viso non tradiva emozioni avevo iniziato a capire i suoi comportamenti.
"Devi scusarmi per come mi sono comportato, ma sono una persona abbastanza schiva e tendo a stare per conto mio" disse tutto d'un fiato.
Lasciai passare qualche secondo di silenzio, ma lui non accennava a continuare, segno che aveva finito.
"Pensi di darmela a bere così facilmente?" dissi dopo qualche secondo, leggermente indignata.
Lui si girò a guardarmi per un attimo, sorpreso ancora una volta.
"Come scusa?"
Feci un gran respiro ed esordii: "Mi hai praticamente ignorata per tutto il tempo mentre io ho sempre cercato di essere amichevole, mi hai fatta sentire fuori posto e rompipalle, soprattutto quando sono venuta da te mentre tu e Augusto stavate combattendo. Mi sono sinceramente preoccupata e tu ti sei infastidito. Ciò che voglio dire è che una cosa è essere introverso e timido, un'altra è essere stronzo e rude. Inoltre questo modo in cui definisci te stesso mi sembra anche abbastanza superficiale, detto tanto per farmi tacere." Fece per interrompermi, ma io continuai: "Non ho nessun problema contro di te, o meglio non ce l'avevo finchè non hai iniziato a trattarmi come una mosca fastidiosa e a punzecchiarmi senza un motivo preciso."

Silenzio. Eravamo arrivati in pizzeria.
"Aspetta qui" disse con voce piatta, mentre scendeva. Tornò poco dopo con sei cartoni di pizza impilati uno sopra l'altro, mi fece cenno che non aveva bisogno di aiuto e le sistemò nel sedile dietro. 
Quando rientrò, non ripartì subito.
Teneva le mani sul volante - ora che potevo vederle meglio erano grandi, pulite e con qualche callo causato dai guantoni - e guardava dritto davanti a sè.

"Generalmente io non piaccio alla gente, e la cosa mi va benissimo perchè la gente non piace a me. Non ho bisogno di amici, non ho bisogno di gente che mi porti l'acqua" si girò a guardarmi, la sua cattiveria mi ferì, "Ho iniziato a punzecchiarti perchè, detto senza mezzi termini, tu mi interessavi. Ma non per essere amici, e neanche per essere qualcosa in più che amici. Mi interessava il tuo corpo, e poco più." 
Dovetti fare uno sforzo considerevole per non insultarlo.

Brutto idiota. Cretino. Grandissimo pezzo di sterco.

"Non so per chi tu mi abbia preso, ma non sono quel genere di persona. Che io risponda alle tue provocazioni da quattro soldi o no, non sto cercando sesso facile." 

Dov'era il ragazzo gentile e premuroso, che integrava i ragazzi e mi voleva tutelare da Augusto? Quest'ultimo pensiero riaccese la mia rabbia.

"Quindi tu saresti diverso da Augusto solo perchè ammetti di voler fare una scopata?"
Lui mi fissò con i suoi occhi glaciali.
"Io non illudo nessuno a differenza sua, nè le ragazze nè me stesso. Io non vado in giro per lo spogliatoio facendo commenti su quanto mi farei la ragazza nuova del corso di boxe, se una ragazza mi colpisce ci provo e basta, senza prometterle la luna e senza professare un amore eterno che non provo. E fino ad ora ha funzionato perfettamente. "

Qualcosa nello stomaco mi diceva che non stava dicendo tutta la verità, ma solo una parte. Restai comunque in silenzio.
Lui mise in moto e tornammo a casa di Augusto senza scambiarci una parola.
La serata scivolò tranquilla, ignorai Riccardo cercando di cancellarlo dalla mente mentre mi accorsi di una nuova luce negli occhi di Fra.
Forse era scattato qualcosa con Alessandro, e non potevo non esserne felice. Almeno per lei era stata una bellissima serata, e andava bene così.
In macchina non degnai Riccardo di uno sguardo e mi appoggiai al finestrino blaterando che ero stanca e qualche stupidaggine simile per non far preoccupare nessuno; Fra forse si era accorta di qualcosa, ma Alessandro la ubriacava di chiacchiere e di attenzioni. 
Quando fummo di nuovo davanti la palestra, percepii chiaramente la mano di Riccardo darmi un colpetto sulla spalla - credendo che dormissi - prima di scendere. Mi riscossi fingendo di avere un gran sonno, uscii dalla vettura e salutai i due con un cenno e un sorriso. Alessandro salutò Fra posandole una mano sulla testa con un gesto dolcissimo, e lei per tutta risposta si mise in punta di piedi e lo baciò sulla guancia. Questa scena mi scaldò il cuore e mi convinse di aver fatto bene ad uscire quella sera, nonostante tutto. Si sarebbero fatti un gran bene a vicenda quei due, se non come amanti almeno come amici. 

In macchina con Fra cercai di fingere ed evitare l'argomento, ma alla fine vomitai tutto in un fiume di parole e una volta finito di parlare ammutolii. Fra, che era la persona più delicata e comprensiva del mondo, disse "Fatti abbracciare, nessuno ti abbraccia mai, e non sentirti sporca o sbagliata per nessun motivo al mondo." A quelle parole mi caddero un paio di lacrime, la ringraziai e la invitai a dormire da me, ma mi disse che non poteva perchè il giorno dopo aveva un sacco di appuntamenti con gli sponsor per la mostra.
Ci eravamo divisi i compiti e c'era un lavoro enorme da fare.
Decisi di concentrarmi su quello e sulla palestra, lasciando stare la delusione cocente delle parole di Riccardo.


Il giorno dopo mi svegliai dolorante come al solito da quando avevo iniziato boxe, e passai la mattinata a fare la spesa; per distrarmi decisi di fare un po' di shopping. La prima tappa fu il negozio di articoli sportivi, dove comprai un paio di leggins al ginocchio di un tessuto molto comodo e aderente al corpo, una canotta bianca e nera e le fascette per le mani, per proteggerle quando avrei tirato ai sacchi. Per i guantoni avrei dovuto chiedere consiglio sulla marca a Daniele. Passando davanti al negozio di intimo ebbi un attacco di nausea, e subito ripensai allo stupido comportamento che avevo avuto con Riccardo.

Quello cercava solo una cosa e tu ti sei comportata da poco di buono, ecco perchè lui ha iniziato a provocarti.
Se lo avessi evitato lui non ti avrebbe spiattellato in faccia che voleva solo una scopata. Non si sarebbe sentito in diritto.

Scacciai il pensiero, e tornata a casa mi preparai un pranzo leggero. Passai il pomeriggio a scrivere articoli su articoli su tutto ciò che mi passava per la testa solo per tenermi occupata.
Alle cinque meno venti ero già in palestra, e mentre mi cambiavo nello spogliatoio mi chiesi se quei leggins nuovi non fossero troppo provocanti. 
Stavo per fare dietro front e tornare a casa a prendere quelli lunghi, ma mi bloccai di colpo.

Al diavolo! Quello lì è uno zotico maleducato che si è comportato di merda dal primo momento che ti ha vista e che crede di essere meglio degli 

altri solo perchè non mette mai in ballo il suo cuore del cazzo. Esci immediatamente e allenati.


Un'ora dopo ero in un bagno di sudore, pensavo soltanto ad allenarmi e avevo salutato perfino Alessandro in modo molto frettoloso. Lui c'era, ma mi ero ripromessa di non guardarlo neanche una volta.
La cosa bella della boxe è che se hai una giornata nera nessuno ti verrà a rompere, anzi, Daniele mi fece fare esercizi mai fatti in cui sfogai tutta la mia frustrazione e la tristezza.
Alla fine dell'allenamento, mi disse "Non so chi ti abbia fatto arrabbiare signorina, ma penso tu che meriti le sue scuse" Gli sorrisi col fiato corto e lui si allontanò per bacchettare un ragazzo che stava sbagliando la posizione.
Andai a prendere un pezzo di carta per asciugarmi il viso, e Alessandro mi si avvicinò; "Ciao Arianna, come va?"
"Bene, sono stanca, ma bene"
"Volevo ringraziarti."
"Ringraziare me? Perchè?"
"Beh è presto per dirlo mi rendo conto, ma ti volevo ringraziare per aver portato con te Francesca l'altra sera...ci stiamo sentendo in questi giorni, e credo che usciremo assieme questo fine settimana, o se riusciamo anche prima. Sono molto felice di averla conosciuta, ecco."
Meno male, qualcuno che ancora cercava affetto.
"Sono contenta io per voi, non dirlo neanche per scherzo."
Lui sorrise felice e sudato, e io sentii il cuore pieno di felicità. Non la mia, ma comunque felicità.
Come faceva un ragazzo così ad avere per cugino un tale stronzo?

Quando uscii dallo spogliatoio, Daniele stava parlando con quattro ragazzi in cerchio, tra cui Riccardo.
"Sapete già come funziona, mangiate leggero, dormite bene e non strapazzatevi con troppa corsa al mattino"
Feci la faccia a punto interrogativo a Valeria, e lei mi rispose che domani sera ognuno di loro avrebbe avuto un incontro con i ragazzi di un'altra federazione. 
Mi avviai con lei verso l'uscita e salutai tutti con un cenno molto generico, mentre sentivo i soliti due occhi perforarmi la schiena.

Il giorno dopo tornai in palestra cercando di convincermi che non fosse per sapere notizie sull'incontro di Riccardo, che si sarebbe tenuto a nella federazione avversaria, alle diciotto. 
C'era molta meno gente del solito, per cui mi allenai con più libertà e più spazio a disposizione. Cosciente che un incontro di boxe dura mezz'ora (escludento l'idea di un K.O.), arrivai alle diciotto e trenta con una dose di ansia enorme e le mani sudate.
Il primo telefono a squillare fu quello di Alessandro; era Daniele. Gli comunicò che Riccardo aveva vinto, picchiando l'avversario con una furia indicibile, tanto che il poveretto era riuscito ad assestare solo qualche colpo poco deciso e una spinta, che però aveva provocato a Riccardo una leggera distorsione alla caviglia. 
Quando riattaccò, Alessandro era preoccupato.
Mi avvicinai a lui e ci mettemmo un po' in disparte. "Cosa c'è? Ti ha detto qualcos'altro Daniele per telefono?" gli dissi cercando di restare tranquilla.
"Daniele ha ordinato a Riccardo di restare fermo due settimane, e non solo per la distorsione."
"Si è forse fatto male sul serio?"
"No, peggio. Gliel'ha detto per la rabbia con cui ha picchiato. Successe una cosa simile solo..no, non è questo il punto adesso. Il punto è che lui...ha dormito da me stanotte, e stamattina mi sono svegliato e nel cestino ho trovato un pacco di sigarette semipieno. Una persona normale sarebbe contenta nel sapere che il cugino ha smesso di fumare, ma io non lo sono. Daniele lo rimprovera da quasi sei anni dicendogli di smettere, che sigarette e pugilato non vanno d'accordo e che si stava rovinando la salute, ma lui non lo aveva mai fatto. Il suo nervosismo lo sfogava con il fumo, diceva sempre così. E adesso che ha smesso con le sigarette a quanto pare, ho paura che sia passato a qualcosa di più...pesante."
"Addirittura? Penso che tu stia esagerando..per quel poco che ho visto Riccardo..l'ho visto sempre molto lucido.." dissi cercando di scacciare la scena a casa di Augusto. Quelle maledette piante. 
C'erano milioni di cose non dette in quella conversazione, cose che Alessandro stava omettendo, ma lo capivo. 
In fondo ci conoscevamo appena, e in quel momento lui aveva solo bisogno di sfogare le sue preoccupazioni. 
"Sarà, ma questa storia della rabbia è un problema grosso, credimi. Quella che vedi qui sul ring è rabbia sana e controllata, eppure spaventa e intimorisce."
Annuii, capivo perfettamente quello di cui parlava e non volevo immaginare cosa avesse fatto Riccardo in quel ring.

Domenica mattina ricevetti un messaggio whatsapp da Fra.


"Buongiorno Ari, ho una notizia fantastica e una cattiva.
La notizia cattiva è che ho bisogno di aiuto con le tele che sono esposte nel negozio d'arredamento vicino casa, devo caricarle in macchina e portarle direttamente in galleria dove ci sarà la mostra. 
Quella fantastica è che ieri sono uscita con Alessandro ed è stato meraviglioso, dolce, gentile, tenero, mi ha raccontato della sua vita e io della mia. Siamo stati benissimo e se te lo stai chiedendo no, ancora nessun bacio, mi ha salutato con un bacio sulla fronte e un grosso abbraccio. Mi 
piace davvero molto <3 Ho anche delle cose da raccontarti, perciò muovi quel sedere e passa da me. A dopo!"


Quel tono non era da lei, sentivo che c'era qualcosa sotto. Comunque sia passai da lei.
"Devo raccontarti una cosa prima di andare." mi disse mettendosi a sedere sul letto.
"Sei incinta?"
"E tu sei completamente rincoglionita?" Rise.
"Ti ho detto che ieri ci siamo raccontati a vicenda con Alessandro e beh, la mia storia la sai già, ma ciò che mi ha detto lui...vorrei che tu lo sapessi.
Alessandro ha vissuto un'infanzia felice, bella famiglia, vacanze al mare, due cani e un gatto. Sua madre e la madre di Riccardo sono sorelle.
Anche la loro vita scorreva tranquilla, un padre giornalista e una madre fotografa, buoni rapporti, mai litigi, mai una violenza.. poi arriva sempre quel giorno, no? Il giorno in cui le cose si rompono, e non tornano più come prima. 
Quel giorno la madre di Riccardo se ne è andata, semplicemente, lasciando il padre per un altro uomo, un fotografo londinese con cui trasferirsi in Inghilterra e sfondare con la fotografia. Lasciando suo figlio da solo. Riccardo si chiuse completamente, il padre bevve per un periodo ma poi smise, consapevole di avere un figlio da crescere e da amare. Non ha mai portato un'altra donna in quella casa.
Per quanto riguarda Riccardo, la situazione è stata più o meno la stessa, a detta di Alessandro; non si è mai e dico mai avvicinato ad una donna, e se lo ha fatto è stato per rapporti superficiali e..insomma, hai capito."

Ero rimasta in silenzio per tutto il tempo, con gli occhi lucidi e gonfi. Ripensavo alle spalle di Riccardo, mentre faceva le flessioni a terra e mentre tirava al sacco. Quelle spalle che mi erano sembrate tanto forti e spavalde da poter reggere il mondo e che invece erano così fragili.

"Ti sto dicendo tutto questo perchè Alessandro ha notato un cambiamento in Riccardo da un paio di settimane a questa parte, e si è allarmato. Dice che aveva sempre la testa tra le nuvole, che sembrava pensare ad altro, e che il giorno prima dell'incontro, nello spogliatoio, aveva rivolto uno sguardo tremendo a quel ragazzo, Augusto, forse perchè aveva detto qualcosa che non gli era piaciuto. Insomma, non sa cosa pensare."

"Capisco" dissi, ancora scossa da quello che avevo sentito.
Tutti i tasselli tornavano al loro posto, e il comportamento assurdo e sbagliato di Riccardo trovava una motivazione.
Non una giustificazione, ma una motivazione. 

Mentre caricavamo le tele nella macchina scassata di Fra mi arrivò un messaggio da Valeria;


"Salve compagna! Stasera per le 19 c'è una dimostrazione di autodifesa per le ragazze, ti va di venire ad aiutarmi? Se puoi mi farebbe molto piacere, ci alleniamo anche un po' noi due"


Cascava a pennello, con tutto quello che avevo sentito avevo solo bisogno di faticare e distrarmi.
"Adesso mi diventerai una roccia con tutto questo allenamento" disse Fra mentre il suo telefono vibrava.
"Qualcosa mi dice che tanto non sarai sola stasera.." dissi maliziosa, e Fra confermò, rossa in viso. "Mi ha appena scritto..di andare a prendere un gelato..stasera"
"Sì, adesso lo chiamano gelato!" scherzai facendola arrossire ancora di più.

Correre a quell'ora della sera era molto piacevole, il sole stava calando e non picchiava come alle cinque; le ragazze avevano un'età compresa fra i venti e i quarant'anni, e mi guardavano come se fossi stata un'esperta. Mi sentivo un po' una ladra, ma mi divertii molto e loro erano reattive e ironiche. Daniele se ne stava in disparte e ogni tanto interveniva, ma lasciava fare quasi tutto a Valeria, e se ne andò lasciandole una copia delle chiavi della palestra.

"Se non me le riporti domani ti faccio a strisce!" disse col suo gran vocione, ridendo.
Lasciammo le ragazze a farsi la doccia mentre noi ci allenammo con corda, palla e addominali.
Quando entrammo per farci la doccia lo spogliatoio era ormai vuoto, tutte se ne stavano andando alla spicciolata. 

Facemmo la doccia e ci vestimmo in silenzio. Uscimmo per le dieci, e c'era una piccola gelateria dall'altro lato della strada. 
Ci concedemmo un frozen yogurt per non appesantirci troppo, e solo quando stavo per chiamare mia madre per farmi venire a prendere mi ricordai di aver lasciato il caricatore del cellulare sulla panca dello spogliatoio.
Valeria voleva accompagnarmi ma era molto stanca, per cui le dissi di andare a casa; avrei aperto con le chiavi che la aveva dato Daniele e le avrei riportate direttamente a lui il giorno successivo.

Mentre mi avvicinavo all'entrata però notai una luce fuoriuscire dalla porta. Cercai di ricordare se avevo spento o no e le luci, ma ero sicura di averlo fatto.

Quando entrai,li sentii chiari e precisi,i colpi dati al sacco. Qualcuno si stava allenando.
Aveva acceso solo la luce dell'ingresso, il resto della sala era in penombra, illuminato solo dalla luce della luna che faceva capolino dai vetri.
Non si accorse dei miei passi, ma chissà come si sentì osservato e si girò.
Aveva la caviglia fasciata, il corpo provato, lo sguardo attento ma stanco.




Eccoci qui con un altro capitolo! So di avervi fatto soffrire ma state tranquille, nel prossimo ci saranno quasi esclusivamente Arianna e Riccardo, come avete potuto immaginare dalla conclusione :)
Vi sta piacendo la storia e la piega che sta prendendo? Fatemi sapere
Domani quasi sicuramente uscirà il prossimo capitolo quindi stay tuned! Hanno parecchio da dirsi, i due!
A presto, 
Lilith


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Capitolo 6
*** Ghiaccio e confessioni ***


"Cosa ci fai qui..di notte..con quella caviglia in quello stato.."
"Io qui ci sto da sei anni. Cosa ci fai tu semmai.." anche il suo tono di voce era stanco, ma mi stava comunque attaccando.
"Io ho scordato di prendere il...non è questo il punto!" Mi stavo giustificando e non ne avevo motivo.
"Sei tu quello che si sta allenando con una caviglia gonfia. Non credi che peggiorerai la situazione così?" Certo che l'avrebbe peggiorata, era lì allenandosi senza permesso, era evidente.
"So quello che faccio, fidati." Con quel corpo massiccio piegato dallo sforzo e lo sguardo perso sembrava un grande leone ferito. 
Aveva fierezza sì, ma per quanto ancora il suo corpo avrebbe resistito?"
Ignorandolo completamente, mi avvicinai al distributore automatico e presi una barretta energetica e una bevanda sportiva per reintegrare i sali minerali e le vitamine andate a farsi benedire.
"Non voglio avere la responsabilità di andarmene da qui e lasciarti svenire, quindi fammi il favore di mangiare questa roba."
"Ho già mangiato, grazie."
"Riccardo!"
"LASCIAMI IN PACE." Il suo tono mi avrebbe spaventato in altre situazioni, ma non in questa. Non ora che sapevo la sua storia, almeno in termini molto generici. Non mi scomposi e lui rimase a fissarmi minaccioso.
Vuoi le maniere forti? Ti accontento.
"Se non ti siedi immediatamente e non mangi questa roba fino all'ultima briciola chiamo Daniele e ti faccio passare un brutto quarto d'ora. Te lo giuro."
Tac, beccati questa Simba.
"Tu non oseresti."
"Certo che oserei, non mi conosci. Stasera io e Valeria abbiamo la responsabilità di quello che troviamo e di quello che lasciamo qui dentro, ma indovina un po'? Lei è già andata via, per cui a me l'onere di occuparmi di te."
"Non fare questi giochetti con me."
"Senti Simba, o la risolviamo in amichevole e tu ti siedi e la smetti di dare testate al sacco -evitando di collassare- oppure dovrai spiegare a Daniele come hai fatto ad entrare. Vedi come sono brava? Neanche pretendo di saperlo, puoi tenertelo per te. Ma siediti."
"Ho anch'io una chiave. Quel ciccione di Daniele avrà perfino dimenticato di avermela data, tonto com'è."
"Daniele fa finta di essere tonto e tu lo sai. Te l'ha lasciata per farti capire di avere sempre una casa in cui tornare" dissi indicando la palestra e soprendendomi delle mie stesse parole.
"E adesso fammi il favore" dissi poggiando ciò che avevo preso sul bordo del ring. Entrai nello spogliatoio e presi il caricatore.
Quando tornai lo trovai seduto, di spalle a me, intento a bere. Mi si intenerì il cuore, ma feci finta di nulla.
"Come facciamo con quella caviglia?" dissi osservandola. Il gonfiore era stato contenuto dalla benda, ma si capiva che fosse arrossata e irritata. 
Lui non rispose, ma io ricordai che nel suo ufficio Daniele aveva un piccolo congelatore, dove teneva il ghiaccio e qualche bevanda. 
Mi avviai a prenderlo proprio quando lui stava per aprire bocca, non so se per minacciarmi di nuovo o per dirmi del congelatore.
Quando tornai stava giocherellando con la confezione della barretta.
"Quella dannata cosa mi è costata due euro e cinquanta, perciò va mangiata." 
Lo dissi senza guardarlo e senza curarmi della sua reazione perchè stavo avvolgendo il ghiaccio nell'asciugamano che avevo usato per asciugarmi dopo la doccia. Era umido e c'era il profumo del mio bagnoschiuma sopra, e la cosa mi fece sorridere per un momento. 
Avrei voluto lanciarglielo, ma non ero sicura che lo avrebbe preso, per cui glielo appoggiai accanto.
Dopodichè, per avere le mani occupate, presi il telefono e lo sbloccai.
Erano le undici.
C'era un messaggio di Fra, mi aveva inviato una foto con due biglietti del cinema. Che carini. Poi ripensai alla preoccupazione di Alessandro, e quindi le scrissi un messaggio

Ho incontrato Riccardo all'uscita della palestra e ora sono con lui, di' ad Alessandro che va tutto bene e che Riccardo è tranquillo. Divertitevi <3

Quando rialzai gli occhi la barretta era sparita - c'era solo la carta accartocciata - e Riccardo aveva allungato la gamba sul bordo del ring tenendo l'asciugamano con il ghiaccio.
"Bisogna per forza minacciarti per farti fare qualcosa?" mi uscì dalla bocca involontariamente. Lui mi guardò, e stavolta il suo sguardo era davvero sofferente.

Tin. Un messaggio. Distolsi lo sguardo quasi con sollievo.

Non sai che bello sapere che siete insieme, Alessandro era sulle spine per lui. Tra un'oretta passiamo a prendervi, basta che ci fate sapere dove siete

Alzai gli occhi "Fra ed Alessandro sono fuori insieme, e gli ho detto che ti ho incontrato per caso, per strada. Tra un'ora passano a prenderci, gli dico di venire nella gelateria qui di fronte" Non cercavo la sua approvazione in quel momento, gli stavo solo comunicando una decisione già presa.
Scrissi il messaggio di risposta a Fra e ne inviai un altro a mia madre dicendole che mi avrebbe riportato lei, dopodichè spensi lo schermo del telefono e mi ritrovai da sola con lui.
Contrasse la mascella, poi mi inchiodò con lo sguardo.

"Perchè lo fai? Ho cercato in tutti i modi di farmi detestare da te."
"Ho notato" dissi ironica, ma lui mi ignorò.
" Più ti guardavo impassibile più tu andavi avanti a sorridermi, più ti respingevo più tu mi trattavi come una persona qualsiasi..e adesso dopo tutto quello che ti ho detto in macchina, invece di tirare dritto e lasciarmi qui facendoti gli affari tuoi mi hai preso da mangiare. Non hai una dignità?" Non lo disse con stizza, ma con disperazione. 

"Ho una coscienza. Ho la coscienza di chiedere a una persona che ha ricevuto un pugno nel fianco se va tutto bene, ho la coscienza di sorridere alle persone perchè non posso sapere che cosa affrontano ogni giorno, e ho la coscienza di non lasciare sola una persona, a farsi del male."

E inoltre, tu sei speciale. 

"Di questo si tratta?" disse lui, massaggiandosi la fronte aggrottata.

Si tratta che vorrei coprirti di baci. Ma meglio che tu non lo sappia, o mi scambierai per una malata mentale.

"Quello che ti ho detto in macchina..non è totalmente vero. Sì, sono stato con un paio di ragazze," la penombra lo aiutava a parlare, "sai quei rapporti fatti solo di esigenza..non le guardavo neanche in faccia, non mi facevo toccare in viso." 

Ci credo, le parti interessate erano altre, disse subito la mia parte cinica e - ahimè - gelosa. 
Stai zitta, ti sta facendo una confessione, ascoltalo e taci.

"Me ne sono pentito. Sono state cose vuote, uno sfogo spicciolo che non mi ha portato mai da nessuna parte. Ero alla ricerca di qualcosa..non so neanche bene cosa, ma quello che so per certo è che non ho mai trovato niente in quel modo. Tu..ti sei preoccupata in modo diverso. In un modo che..non ho riconosciuto, e ti ho avvertita come un pericolo, qualcosa da tenere lontano. Ti ho detto quelle cose per far sì che tu sparissi dalla mia vita così come ci eri entrata e che la smettessi con quel tuo modo di fare che mi mandava - e mi manda tutt'ora - in tilt.
Il modo in cui ti comporti con tutti qui, con la tua amica..a te interessa veramente degli altri. Non hai secondi fini, non lo fai per ricevere affetto in cambio, e questa è la dimostrazione" disse guardando la borsa del ghiaccio improvvisata.
 "Per questo ho voluto dirti quella cosa su Augusto..lui ha un comportamento abbastanza viscido con le ragazze. E tu sei così limpida che..ho pensato avresti potuto credere in lui e fidarti delle parole che ti diceva, quando in realtà nello spogliatoio.. ne na sempre dette altre."
Arrossii nella penombra, grata del fatto che il buio avrebbe nascosto il mio imbarazzo,
"Cosa diceva?" 
"Le cose che dicono i ragazzi arrapati. Commenti sul tuo fisico..sulla tua bocca," si interruppe imbarazzato per essere sceso nei particolari, "Insomma, quel genere di commenti. Gli altri ragazzi sanno com'è fatto e tendono ad ignorarlo; ammonirlo o dirgli di smetterla non serve a nulla, è un eterno tredicenne. Ci ha provato Alessandro, ci ha provato Enrico, era imbarazzante anche per gli altri starlo ad ascoltare. Un giorno allora l'ho preso da parte e gli ho detto di darsi una regolata. Da quel momento non ha fatto più commenti, ma l'altro giorno Alessandro mi stava parlando di Francesca, e lui ha detto qualcosa come 'Ah, l'amica della nostra Arianna..' e l'ha detto in un modo che io non ci ho visto più. L'ho guardato malissimo e ha smesso."
Risi immaginandomi la scena. 
"Ti faccio ridere?"
"Beh a dire la verità sì, sto immaginando la scena di te di fronte a lui, te che sei il triplo di lui e poi con quelle spalle.." mi interruppi, mordendomi le labbra. 

Metti a freno la lingua, meglio che Simba qui non capisca che tu sei più arrapata di Augusto.

Lo sentii distintamente sorridere, e avrei pagato per riuscire a vederlo chiaramente.
Avrei pagato per potermi alzare, avvicinarmi ed accarezzargli la testa, piano, e poi la schiena. Avrei pagato per baciargli le guance, la fronte, le labbra, quella caviglia gonfia, e per dirgli che non avrebbe sofferto più.

"Puoi passarmi quella specie di astuccio sopra la mia borsa?" disse ad un tratto.
Mi alzai in piedi da dove ero seduta e mi avvicinai al suo borsone. Inspiegabilmente non puzzava di sudore, anzi aveva il suo profumo - forse conteneva abiti puliti - e riuscii a scorgere ben poco del contenuto dell'astuccio - un deodorante, una lametta -
"Grazie." disse, e tirò fuori un pacchetto di quelle che mi sembrarono Alpenliebe.
"Ne vuoi una?"
"Un ragazzo maledetto come te mangia caramelle?" mi sfuggì di nuovo. Avrei voluto darmi una botta in testa, ma lui parve non prenderla male.
"Sto cercando di smettere di fumare, sai." fece una piccola pausa mentre giocherellava col pacchetto, "Mio padre ha molte piante in giardino."
Lo disse con una naturalezza tale che stavo per sciogliermi. Sorrisi, lusingata che stesse provando a smettere dopo quella stupida cosa delle piante che gli avevo detto e gli appoggiai una mano sulla caviglia, scostando il ghiaccio.
"Meglio così allora" dissi controllando la caviglia. Sembrava di dimensioni accettabili, ma sicuramente gli avrebbe dato fastidio per un bel po' di giorni. 
"Quella gelateria..ha anche qualcosa di salato. Magari è meglio delle caramelle."
"Iniziamo ad andare, hai ragione."
Scese con eleganza e fece qualche passo, cauto ed esperto. Chissà quante altre volte gli sarà successo.
"Pensavo peggio" disse, "Il ghiaccio ha aiutato molto." Era tornato lui, sicuro e forte.
Prese la sua borsa e anche la mia, nonostante le mie proteste.
"Non è il braccio che mi fa male" disse sorridendo, e io mi avvicinai di qualche passo per vederlo sorridere, senza pensarci.
Un fascio di luce lunare illuminava la sua pelle chiara, il viso virile dalla mascella squadrata, un leggero velo di barba, le labbra sottili ma piene, sensuali. I denti bianchi, gli occhi come due laghi azzurri, un piccolo neo sulla guancia sinistra.
Il sorriso si ammorbidì, facendosi più serio.
"Mi dispiace sinceramente per quello che ti ho detto..e grazie"
I secondi passavano e io non rispondevo, ancorata ai suoi occhi come una totale idiota.
"Cosa..guardi?" disse lui con voce bassa e il respiro lieve, e il mio cervello andò in tilt. 

Inventati qualcosa, inventati qualcosa, inventati qualcosa subito.

Feci un altro passo e mi ritrovai ancora più vicina a lui e al suo odore. 
Lentamente, gli sfilai il pacchetto di caramelle dalla mano.
"Non mi avevi offerto una caramella?" dissi, ma con un tono di voce più adatto al "Sei di un erotismo che mi fa impazzire, se sorridi di nuovo così penso che ti salterò addosso."
Lui distolse lo sguardo e ridacchiò.
"Ci saranno occasioni per farti perdonare" dissi cercando di leggere il gusto delle caramelle. Caffè.

"Prima di andare, dovrei cambiarmi almeno la maglietta. E' sudata." 
C'era un qualche ritardo nel mio cervello, perchè non risposi subito, pensando a lui senza maglietta.
Di fronte al mio sguardo assolutamente sfacciato, rise di nuovo "Vuoi guardare?"
Aspetta, cos'era quella? Malizia? Senza dubbio. Mi aveva guardata con gli occhi furbi di chi crede di imbarazzare.
"Perchè no?" risposi limpida, al che fu lui ad essere preso in contropiede. 
Si riprese in fretta, lo stronzo, e disse semplicemente "Non c'è problema."
Posò entrambe le borse a terra e, con un unico movimento della mano destra, si tolse la maglietta.
Questo davvero non me lo aspettavo.
Feci appena in tempo a scorgere due pettorali perfettamente delineati e tonici che subito mi girai, ridendo e scuotendo la testa.
"Non ti si può fare un complimento sulle spalle che subito resti senza maglietta..tu vuoi farti coccolare."
Avevo di nuovo parlato in fretta, e quel verbo, coccolare, era inserito in un contesto sbagliato e giusto allo stesso tempo.
Lui aveva una freddezza senza misure, era controllato e distaccato, ma in realtà voleva solo essere coccolato, e i complimenti veri e sinceri lo facevano sbandare.
"Anche tu puoi farlo, ti è concesso"
"Ah davvero?" Me lo ritrovai dietro, borse sotto il braccio e maglietta pulita.
"Certo. Io ti farò un complimento e tu potrai farti ammirare, se vuoi."
Non riuscivo a capire come da un atmosfera così seria fossimo passati a una sottospecie di flirt spinto, ma la cosa mi incuriosiva troppo e il mio cervello girava alla stessa velocità dei miei ormoni.
Avrei voluto solo baciargli ogni centimetro del corpo fino a dimenticarmi del mio.
"Okay, proviamo." 
"Hai un bel collo"
Madre mia, ma da dove sei uscito? Vuoi farmi sentire male?
"Ah, veramente?" dissi alzandomi i capelli con le mani e facendo un giro lento e completo davanti a lui.
"Veramente." 
"Non stai guardando il collo però!"
"Non sto guardando solo quello."
Con la scusa del collo aveva visto parecchio mentre giravo su me stessa. Furbo, il ragazzo.
Il telefono suonò, era uno squillo di Fra.
"Vuol dire che tra dieci minuti saranno qui" dissi a Riccardo "Andiamo?"
"Andiamo" rispose divertito, zoppicando lievemente sulla caviglia gonfia per non appesantirla troppo.
"Poi mi spiegherai perchè mi hai chiamato Simba" disse quando varcammo l'entrata della gelateria.
Speravo che non lo avesse sentito o che il suo cervello lo avesse rimosso, 
Ci pensai un po' su mentre lui si faceva preparare una crepes salata.
"Perchè hai l'atteggiamento da leone fiero e spavaldo, ma ai miei occhi sei più un leoncino." 
Oltre ad essere un figo da paura, ovviamente.
Rise di gusto, e ordinò un milkshake al cioccolato che mi mise tra le mani. 
"Ti ho sentita un giorno dire a Daniele che avresti voluto una flebo di cioccolato fondente, perciò.."
Oh mio Dio, quanto potevo rendermi ridicola..
Risi come non mai alle sue parole, desiderando con tutta me stessa di poterlo abbracciare.
Ringraziai e bevvi in silenzio mentre lui pagava, e ci sedemmo ai tavolini fuori aspettando Fra ed Alessandro, che arrivarono poco dopo.

Non mi sentivo in colpa o imbarazzata per quel gioco che avevamo fatto, eravamo entrambi adulti e vaccinati e la tensione dei momenti precedenti era calata. 
Ero cosapevole che probabilmente uno come lui il provocare ce l'aveva nel sangue, ma speravo segretamente che lo facesse solo con me.

Salutammo Fra ed Alessandro, che rivolse uno sguardo speciale a Riccardo, lo sguardo di chi è sollevato dopo una bella dose di preoccupazione. Riccardo lo guardò con la dolcezza che si riserva ai fratelli, e gli diete un colpetto sulla spalla con il pugno chiuso.
Fra mi rivolse uno sguardo strano, sorrideva ma era spenta. Sospettai che fosse successo qualcosa tra loro due, e infatti..

"Mi ha detto che vuole che restiamo buoni amici" Disse appena fummo sole, a casa mia.
Mancavano pochi minuti a mezzanotte.
Mia madre era ancora alzata, si stava preparando del té caldo e appena sentì le parole meste di Fra le accarezzò la testa, porgendole la sua tazza.
"Vi lascio, buonanotte" disse andando in salotto, "Sai che puoi restare stanotte, Francesca. Stai tranquilla"
"Grazie". 
Poco dopo sentimmo il brusio della televisione, e Fra iniziò a parlare; "Ci siamo sentiti ogni giorno. Messaggini su messaggini, soprattutto la notte, lui non mi mollava un attimo, abbiamo parlato più o meno di tutto da due settimane a questa parte. Non siamo stati più di quattro ore senza sentirci. Lui mi ha detto più volte di passare in palestra per salutarlo ma io ero impegnatissima con i quadri, sai come funziona, ho fatto avanti e indietro per la città tutta la settimana, e non sono mai riuscita a passare nei suoi orari. Quando siamo usciti è stato perfetto entrambe le volte, non mi ha mai toccata con un dito tranne al momento dei saluti, mai fatto battute maliziose"- non potei fare a meno di pensare a Riccardo per un secondo- "mai una parola fuori posto, mai girato a guardare un'altra, aveva occhi solo per me. Io ieri sera aspettavo con tutta me stessa questo maledetto bacio ma lui niente, all'uscita del cinema ad un tratto mi guarda con uno sguardo strano e mi stringe a sè. Io penso 'Oddio, lo sta per fare', e lui invece fa 'Ti voglio bene, Francesca'." fece una pausa e io la lasciai pensare.
"Forse non sono abbastanza attraente?"
"Francesca, non dire stupidaggini." la chiamavo col suo nome per intero solo quando la situazione lo richiedeva.
"Tu sei perfetta. Non è detto che non ti voglia in quel senso, probabile che non ti voglia illudere e che ci stia andando piano per non farti soffrire" dissi, stupendomi per aver usato le parole di Riccardo.
Fra fece un sospiro, bevve il suo té e restammo in silenzio fino a che non lo finì.
Poi andammo in camera mia e ci addormentammo, entrambe scosse dalla serata appena trascorsa, ma per motivi ben diversi.
Se non opposti.





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Eccoci qui con il famoso capitolo bomba, dove Arianna e Riccardo hanno il loro primo, vero confronto. Che ve ne pare?
Anche tra Fra e Alessandro la situazione si fa strana..lui avrà fatto marcia indietro o c'è qualcosa sotto?
Lasciate un commento con le vostre impressioni, e a prestissimo con un nuovo capitolo <3
Lilith


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Capitolo 7
*** Appuntamenti ***


Mi svegliai e controllai l'ora; le sette del mattino. La luce filtrava dalle imposte lasciate socchiuse, e Fra non era accanto a me nel letto, nè seduta sulla poltroncina nell'angolo della stanza.
Era fuori, e stava dipingendo sul balcone. Mi avvicinai ma lei non mi ascoltò, come sempre concentratissima quando dipingeva.
Indossava il camice nero e stava seduta per terra, la tela appoggiata alla ringhiera.
Portava sempre l'occorrente in macchina; barattoli di vernici, qualche pennello e le tele. "Non si sa mai",diceva.
Stava dipingendo con le mani, immergendole direttamente nel barattolo del colore. Accanto alla tela che stava dipingendo ce n'erano altre due ancora fresche, segno che aveva dipinto tutta la notte, portando in silenzio le tele bianche dalla sua macchina fino in camera mia.
Una era una tela pop-art, dove vi era il primo piano di una donna vista di profilo, sul momento di piangere. Il colore di sfondo era un giallo violento e accecante. 
L'altra rappresentava un viso di uomo, stavolta frontale, dai colori inverosimili - pelle rossa, labbra gialle, ciglia verdi-, circondato da un turbine di grigio.
Quello che si accingeva a dipingere invece era senza dubbio un astratto, aveva appena iniziato a dare il fondo.
Si accorse di me e si girò.
"Scendo a fare colazione, cosa ti porto? Abbiamo latte, té, yogurt"
"Una tazza di té andrà benissimo, grazie"
Quando scesi mi accorsi che aveva lasciato il suo cellulare sul mobiletto della cucina. Preparai due tazze di té e le sistemai su un vassoio con i biscotti e il barattolo della marmellata.
Risalii con il vassoio e il cellulare, e glielo porsi. Lei lo sbloccò e vide che c'erano molti messaggi, ma neanche li aprì.
Fece colazione in modo molto distratto, fissando i quadri e ritoccando alcuni punti con un pennellino sottile. Doveva avere un groppo di emozioni in gola da ieri sera, e solo dipingendo sfogava ogni cosa.
Il silenzio non era imbarazzato, nè uno di quei silenzi indifferenti; dopo tanti anni, non avevamo bisogno di molte parole.
Fra si aspettava altro da Alessandro, ed era rimasta delusa.
Pranzammo assieme a casa mia, e mia madre invitò il padre di Fra, che quel giorno staccava da lavoro proprio all'ora di pranzo.
Il pomeriggio passò tranquillo, il padre tornò a lavoro e io aiutai Fra a caricare i nuovi lavori in macchina, coperti da fogli di giornale perchè non si scheggiassero. 
"Ti accompagno in palestra e poi vado a dare il lucido a questi nuovi arrivati" disse mettendosi il rossetto color prugna allo specchio e sistemandosi i capelli ribelli.
"Sei sicura?"
"Certo."

Mi cambiai indossando i miei soliti leggins al ginocchio e una maglia larga a cui Fra aveva tagliato le maniche qualche giorno prima "Così rende giustizia al tuo corpo, fidati di me" avevo annuito visto che era lei l'esperta di stile. Lasciai i capelli sciolti, elastico al polso e grandi occhiali da sole. E la cosa peggiore era che sapevo benissimo per chi mi stavo vestendo con tanta cura, anche se stavo solo andando ad allenarmi.

Tuttavia non avevo un buon presentimento, e infatti quando imboccammo nel parcheggio vidi subito da lontanto Alessandro vicino ad una figura femminile, mai vista prima.
Era una ragazza di media statura con un fisico abbastanza mascolino e robusto, bionda. 
Sentii chiaramente il respiro di Fra farsi più pesante.
Si fermò vicino l'entrata e io scesi. 
Alessandro si girò e ci venne incontro, facendo cenno alla ragazza bionda di seguirlo.
Adesso che potevo vederla da vicino non era propriamente una bellezza; era tinta di biondo platino con una considerevole ricrescita nera, gli occhi neri e il viso regolare, portamento sgraziato, si presentò in modo abbastanza asciutto, la voce grezza. "Paola, piacere."
Feci un mezzo sorriso da dietro gli occhiali, mentre prendevo la borsa. "Arianna"
"Francesca, piacere" disse Fra in tono neutro, dal posto di guida.
Alessandro si abbassò leggermente per guardarla, "Ehi" disse sforzandosi di essere allegro quando in realtà era teso.
"Questa è Paola, di solito si allena qui al mattino, ma da ora che.. beh insomma, inizierà a venire anche qualche volta il pomeriggio."
Alessandro si stava forse sentendo con quella tizia?
Era l'esatto opposto di Fra, che era morbida e delicata. Sarebbe stato un brutto colpo per lei.
E infatti la vidi fare un sorriso spento e dire "Devo andare, ho dei quadri nel bagagliaio e non voglio che si rovinino."
Salutò con la mano e se ne andò.
Mi si spezzò il cuore per lei.
Paola, impassibile, mi squadrò da capo a piedi. Feci finta di nulla.
"Io entro" dissi cercando di apparire il più naturale possibile.
Quando entrai, vidi con la coda dell'occhio qualcosa che era stato lanciato contro di me. Di riflesso, alzai il braccio e la afferrai; era una bevanda energetica.
Non potei fare a meno di sorridere.
"E questa?" dissi afferrandola e rigirandomela tra le mani.
"Per sdebitarmi" disse Riccardo, bello come non mai. Era appoggiato al ring, e indossava pantaloni della tuta neri e una maglietta che -ahimè- nascondeva i suoi muscoli. I capelli erano come sempre legati in un piccolo cipollotto, gli occhiali da sole sulla fronte.
"Tu non dovevi stare a riposo?"
"Ci sta, infatti." disse Daniele, uscendo dal suo ufficio con un paio di fogli in mano;
"Ma, chissà perchè, il signorino non riesce a stare lontano da questo posto. Ha detto di voler fare da coach agli altri oggi, e ha aggiunto la scusa del pagamento della quota e altre bazzecole del genere; non ha mai pagato in orario in sei anni e adesso si preoccupa improvvsamente! Insomma, tutto pur di avere una scusa per stare qui." disse strizzandomi l'occhio.
"Che vai insinuando, pancione che non sei altro?" disse Riccardo dandogli una leggera spallata, e io risi.
Magari fosse venuto per me, mi ritrovai a pensare.
Alessandrò entrò seguito da Paola, che mi fissò di nuovo.
Mi sta mettendo a disagio, non lo capisce questa che fissare la gente è da maleducati? 
"Forza, mozzarella" mi disse Riccardo, sicuramente per la mia carnagione.
"Qui si corre, non lo sai?" disse mentre casualmente si alzava la maglietta di qualche centimetro, sugli addominali, con la scusa di aggiustarsi il pantalone.

Ah è così?

"Benissimo, allora io vado" dissi voltandomi e lasciandolo lì senza rispondere alla provocazione.
Aspetta e vedrai.

Quando rientrai dalla corsa, facemmo ginnastica in cerchio, dopo di che andai a prendere la palla dello squat. Ero sudata, e mentre Riccardo controllava un ragazzo al sacco, mi misi perfettamente di profilo allo specchio- e alla loro vista-, tenendo la palla al seno e scendendo giù con lentezza e precisione. Una volta finita la serie, lasciai andare la palla e mi voltai dandogli le spalle e tirandomi su in modo molto discreto la maglietta con una mano per asciugarmi il sudore dal collo. Sentivo il suo sguardo andare su e giù sulla mia schiena.

Dall'altra parte della sala, Alessandro gironzolava attorno a Paola, che si atteggiava come se fosse la Regina Elisabetta. Ci mancava solo il saluto a mano aperta ed era fatta.
"Prendimi un po' di carta", oppure semplicemente "Acqua". Sembrava la classica mantide che attirava i ragazzi per poi staccargli la testa dopo il rapporto sessuale, e Alessandro c'era caduto in pieno.
Mentre pensavo a come tirare Fra su di morale sentii un leggero pizzico al fianco.
"Sala pesi, mozzarella."
Seguii Riccardo apparentemente indifferente mentre in realtà il cuore iniziava a pompare furioso; eravamo appartati rispetto agli altri. 
"Per caso Alessandro e quella ragazza..si stanno sentendo?" dissi mentre guardavo lui che le dava un buffetto sulla guancia.
Riccardo prese un'asta, mise due pesi da dieci ciasuno e la posizionò ai miei piedi. Poi si mise accanto a me. 
"Non che io sappia. Lui non mi ha detto nulla, almeno non ancora."
Feci silenzio.

"Questo esercizio è per quadricipiti, glutei e braccia." disse lui con perfetto tono accademico. "Prendi l'asta in questo modo, poi la alzi lentamente, e con un movimento deciso e te la porti sulle clavicole. Dopodichè la rimetti giù. Prova, ci sono io."
Si mise esattamente davanti a me. 
"Okay brava, lentamente, solleva, bene. Senti che tirano le gambe? Ora resta bella ferma e non perdere l'equilibrio, vai."
Alzai l'asta con un movimento impreciso e subito le braccia di Riccardo mi aiutarono a fermarla all'altezza delle clavicole. 
Si avvicinò molto anche se non sembrava necessario.
"Stai così, dieci, nove, otto.." Era immobile davanti a me, a separarci soltanto l'asta. 
"tre..due..uno, lascia, ti aiuto."
Poggiammo il peso a terra.
"Tre serie ripetute in questo modo, poi corda."
In quel momento Paola entrò e disse a Riccardo: "Puoi aiutarmi con questa cavigliera?" mentre teneva due pesi tra le mani.
Puoi poggiare i pesi e farlo da sola, genio.
Riccardo si abbassò e lei le porse tutta la gamba facendo finta di avere un equilibrio instabile e di doversi appoggiare alle sue spalle.
a cavigliera, con il suo peso, la teneva salda a terra, per cui era chiaro lontano un miglio che fingeva. 
"Grazie" disse con un tono che doveva sembrarle sensuale, prima di andarsene. 
In tutto ciò Riccardo era rimasto imperturbabile, ma lo sguardo che mi rivolse fu in qualche modo soddisfatto.
Alzai un sopracciglio
"Che c'è, mozzarella?" 
"Quella lì, volevo dire Paola, vorrebbe flirtare, ma non sa farlo."
"Vuoi insegnarglielo tu?" rispose lui pungente.
"Non si possono insegnare questo genere di cose, o le sai fare o non le sai fare."
"Ma davvero?" rispose lui malizioso.
"Eh, davvero. E non chiamarmi in quel modo." dissi, alzando di nuovo l'asta da terra.
Quando feci per alzarla al petto, trovai di nuovo la sua presa salda ad aiutarmi e stavolta dalla sua bocca uscì un invito quasi timido.
"Vuoi uscire con me stasera?"
Fu come se un enorme detonatore avesse fatto esplodere centinaia di bombe nella mia testa.
L'emozione fu un colpo allo stomaco, che sembrò schizzarmi su in gola.
Rispondi, veloce, rispondi qualcosa di intelligente.
Mi schiarii la voce perchè non ce l'avevo più, e poi risposi in un sussurro "Perchè no?"

Mentre sudavo sulla cyclette giustamente Daniele fece fare gli esercizi per busto e braccia a Riccardo (che non necessitavano sforzo alla caviglia) per cui dovetti subire l'ennesima tortura dei suoi muscoli che si contraevano e si rilassavano, si allungavano e si modellavano.
Non poterlo toccare mi arrecava una sorta di dolore fisico, e l'idea che quella sera ci saremmo visti mi mandava letteralmente nel pallone.
Ad allenamento concluso chiamai Fra per sentire come stesse, e la sua vocina mesta mi mise tristezza e anche un po' di rabbia verso Alessandro.
Paola non arrivava neanche all'unghia del piede di Fra, ma lui non aveva scelto lei.
Non gliene potevo fare una colpa, ma ero comunque nervosa e dispiaciuta.
Il giorno della mostra si avvicinava, e non poteva trovarla così triste.
Inoltre la settimana prima dell'inaugurazione sarebbe stata un inferno; avremmo dovuto portare gli inviti personali e i volantini in giro per tutta la città, assicurarci che il catering, il fotografo e l'orchestra fossero pronti e puntuali, ovviamente sistemare e allestire la sala e via discorrendo.
Organizzare un matrimonio mi avrebbe angosciata di meno: doveva essere tutto perfetto per Fra.

All'uscita, Riccardo mi vide pensierosa.
"Preoccupata per stasera?" disse scherzando con il suo mezzo sorriso.
"Stasera è l'ultima delle mie preoccupazioni" risposi stando al gioco, dopodichè tornai seria e gli parlai della mostra.
"Farete tutto questo da sole?"
"Il padre di Fra lavora e anche i miei, per cui gran parte del lavoro dovremmo farlo noi due, sì" mi strinsi nelle spalle.
"Possiamo aiutarvi io e Alessandro, soprattutto nei lavori più pesanti..quei quadri erano davvero grandi." disse lui con noncuranza cercando di restare freddo, ma io sentii il cuore andarmi in poltiglia.
"Da quando ti comporti da ragazzo dolce e premuroso?" gli dissi, e gli carezzai la testa come a un bravo cagnolino.
Forse non era il caso, ma dovevo toccarlo, non ero riuscita a resistere. Buttandola sullo scherzo forse non si sarebbe accorto della fame che avevo di lui.
Lui tenne lo sguardo fisso nel mio.
Ha capito benissimo, invece.
"Se devo comportarmi così per farmi accarezzare da te, farò questo e altro."

Quella sera mi truccai e mi vestii di tutto punto, ma senza esagerare; eravamo oramai in piena estate, per cui mi concessi un vestito nero molto leggero, lungo fino al ginocchio e con le maniche a tre quarti, che lasciava la parte alta della schiena nuda. Legai i capelli in uno chignon ricordandomi di ciò che lui aveva detto a proposito del mio collo - sentendomi alquanto frivola - indossai una collana con un brillante molto discreto e un paio di sandali con il tacco.
Lui passò a prendermi sotto casa con la macchina di Alessandro.
Mia madre aveva capito l'atmosfera nell'aria e sbirciò dalla finestra senza farsi vedere da lui.
"Mamma!"
"Che c'è? Attenta a quello che fai piuttosto!"
"E tu non spiare la gente dalla finestra" dissi indecisa su che rossetto mettere. Volevo optare per il rosso, ma non volevo che il mister si attribuisse troppa importanza, per cui passai il mio solito rosa scuro e uscii nell'aria calda di giugno.
Lui non mi vide subito perchè era occupato a rovistare tra i CD, ma quando entrai in macchina mi fissò partendo dai polpacci nudi fino alla testa, nella penombra della sera. Alzò il sopracciglio e per la prima volta il suo sguardo mi trasmise un certo calore.
"Perchè non ti vesti così anche per venire in palestra?" disse concentrandosi sulla collana.
"Ti piacerebbe, eh?" 
Lui neanche scherzava. Camicia bianca, jeans chiari e il solito profumo che mi faceva uscire fuori di testa.
Gli risultò difficile distogliere lo sguardo, ma poi mi porse i CD che aveva in mano.
"Raccolta aggiornata" disse.
Il CD dei Doors spuntava nel mucchio, lo riconobbi subito. "Ah sì?" dissi sorridendo.
"Mi sono fidato di te - non so con quale coraggio - e l'ho preso, un po' di tempo fa. Niente male, devo dire"
"Stai minimizzando, non mi daresti mai soddisfazione" dissi rigirandomi il CD tra le mani.
"Cosa te lo fa pensare?" disse lui, mettendo il braccio dietro al mio sedile per fare retromarcia.
"Il fatto che mi provochi in continuazione vale come esempio?"
"Sei tu che rispondi alle provocazioni, non è colpa mia."
"Allora temo che andremo avanti all'infinito."
"Non mi chiedi neanche dove stiamo andando?"
"Sono troppo impegnata a farmi punzecchiare da te."
Rise. "Vabbè, hai vinto tu per stavolta. Conosco un ristorante molto carino, niente di altolocato, che ha dei tavolini fuori con vista sulla città."
Il viaggio andò avanti così, con io che straparlavo per l'imbarazzo e lui che ascoltava e ribatteva. Parlammo nei nostri gusti musicali e di quelli in fatto di cibo, delle schifezze che mangiavamo da bambini e dei cartoni che ci piacevano di più, passando per quali materie detestavamo a scuola e quali sogni nel cassetto avevamo.
"La palestra, anche se può sembrarti attiva e piena, è oramai in stato di abbandono. La gente pensa solo ai soldi e non più ai ragazzi, i pugili giovani non sanno che pesci prendere perchè devono sborsare un sacco di soldi anche per fare un incontro con un tizio qualsiasi della città accanto. Una delle cose che vorrei fare è prendere quella palestra in mano e portarla di nuovo a splendere. Daniele mi ha insegnato tutto, è stato come un secondo padre, se sono uomo almeno per un briciolo lo devo a lui, e non posso sopportare di vederlo invecchiare assieme al luogo che mi ha formato e cresciuto; tanta gente ha bisogno della boxe come di respirare, io sono stato e sono uno di quelli." a quelle parole la sua voce si ruppe, e fece silenzio.
Eravamo fermi sullo spiazzo che dava sulla città, di fronte al ristorante. Mille luci davanti a noi e i Doors in sottofondo. Nessuno dei due accennava a scendere.
Mi si inumidirono gli occhi. Lui si girò a guardarmi, il pomo d'adamo in rilievo nella luce della notte e gli occhi penetranti.
Anche se non aveva detto nulla sul suo passato e sulla sua famiglia, per me aveva rotto un qualcosa che prima lo divideva da me. 
"Sono sicura che ci riuscirai. Hai Alessandro, hai Daniele e gli altri che ti sapranno insegnare come funziona, e anche se non è granchè, hai tutto il mio aiuto."
Alla mia carezza si irrigidì, ma le mie parole lo rilassarono.
Ogni gesto che faceva sembrava il risultato di una battaglia interiore: mi fido o non mi fido? 
Silenzio.
Non mi azzardai a romperlo.
Sentii la stoffa dei suoi vestiti scivolare lentamente verso di me, le sue braccia cirondarmi.
"Grazie" disse.
Fu un abbraccio controllato da parte sua, al quale io risposi con naturalezza, circondandolo -per quanto mi risultasse difficile- e accarezzandogli la schiena.
Lui si rilassò di nuovo e per un momento chiuse gli occhi.
Accennò a tirarsi indietro, ma io lo trattenni.
"Hai fretta?" gli sussurrai in un orecchio.
"Non so come tu faccia, ma riesci sempre a mettermi a disagio." sussurrò lui di rimando. Stretti nell'abbraccio, iniziò a disegnare cerchi immaginari sulla mia schiena nuda, mandando i miei ormoni ad impossessarsi direttamente del cervello.
Mi diede un bacio sulla spalla, le labbra calde mi marchiarono a fuoco la pelle. Dopodichè si staccò,
"Andiamo?"
"Certo."









Eccoci di nuovo <3
Come vedete Riccardo e Arianna e come pensate che andrà a finire il loro appuntamento?
E di Fra, Alessandro e la nuova arrivata Paola invece, che pensate?
Il giorno della mostra si avvicina, e tanto ancora dovrà accadere!
Lasciatemi il vostro pensiero più sincero, che sia anche una critica (costruttiva chiaramente)
Un bacio,
Lilith


















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Capitolo 8
*** Delusioni ***


Rientrai in casa e collassai sul letto con una strana sensazione addosso.
Era filato tutto liscio al ristorante e anche dopo, ma quel momento di vicinanza avuto in macchina non si era più ripetuto per tutta la sera. Era come se lui si fosse affacciato sul bordo del burrone deciso a buttarsi giù, ma poi avesse fatto marcia indietro, tornando nella sua zona territoriale senza spingersi oltre.
Aveva scherzato con me ed era stato malizioso e pungente -anche se non ai livelli della mattina in palestra- ma sentivo di nuovo la barriera tra noi, quella che avevo sperato fosse svanita. 
Era come se fosse uscito con un'amica o una potenziale più che amica per passare qualche ora in compagnia, fare qualche battuta e niente più.
C'erano persone che ci provavano gusto a vivere così -superficialmente e sulla base del niente- ma io non ero una di quelle. Io volevo il Riccardo che avevo ascoltato parlare durante tutto il viaggio in macchina, non il bamboccione freddo e provocante che aveva cenato con me. La persona che mi aveva abbracciato sembrava svanita, tanto che mi ritrovai a pensare di essermi inventata l'intera scena.
Mi addormentai con una sensazione di incompletezza.

La mattina dopo fu caotica, e non ebbi il tempo nè la voglia di pensare a Riccardo; dovetti accompagnare Fra a visitare la sala per la prima volta, nel palazzo comunale della città, in pieno centro.
Era un palazzo a due piani vecchio stile, di quelli che tappezzano Roma e che i turisti giapponesi fotografano da mille angolature; 
ci sarebbe stata la presentazione e l'intervista al primo piano, alla quale ovviamente il pubblico avrebbe potuto assistere, e dopodichè sarebbe stata aperta la sala al piano terra con i quadri esposti per tutta la settimana successiva.
Fu la prima volta dopo giorni che vidi di nuovo Fra illuminarsi in un sorriso dei suoi, vero e perfetto. Camminava lentamente per la sala - svuotata da una precedente esposizione fotografica - con un sorriso a trentadue denti sulle labbra colorate dal rossetto. Le mani mangiucchiate scorrevano sui muri leggere, sembrava che danzasse di felicità. "E' perfetta."
Portai il mio curriculum -scarso, devo dire- a più o meno tutte le redazioni giornalistiche della città, dicendo che ero volenterosa di imparare, e passando in macchina davanti la palestra notai che nel tabacchi accanto alla gelateria c'era un cartello "Cercasi cassiera".
Lasciai un recapito anche lì per non lasciare niente di intentato e finalmente tornai a casa e mi concessi qualche ora di riposo, prima di preparare di nuovo tutto e andare in palestra.
Speravo ardentemente di trovarmi un lavoretto estivo per tenermi occupata e guadagnare qualcosa.

Nè Riccardo nè Alessandro c'erano, e Daniele non mi disse nulla su di loro, cosa che mi suonò strana.
Da una parte avrei voluto vedere Riccardo dopo l'appuntamento, ma dall'altra ero contenta che non ci fosse, perchè la sua persona mi stava letteralmente assorbendo. Pensavo a lui continuamente, e cercare di decifrare i suoi comportamenti mi sfiancava ogni volta.
Mi allenai, faticai, e notai che alcuni ragazzi mi guardavano in modo curioso; forse gli piacevo, forse con loro sarebbe stato facile e naturale.
Daniele mi disse che conosceva il tizio della tabaccheria e che avrebbe messo una buona parola per farmi lavorare - ovviamente senza rinunciare all'allenamento quotidiano - e io non potei fare a meno di ringraziarlo mille volte.
Mentre cenavo svogliatamente, pensavo che Riccardo aveva il mio numero, ma non mi aveva contattato neanche una volta nell'arco della giornata.
Istintivamente ripensai alle parole di Fra riguardo Alessandro "Ci sentiamo ogni giorno, di continuo, lui non riesce a non chiamarmi o a non mandarmi un sms ogni quattro ore" e provai un'istintiva fitta di frustrazione.

Fra non è proprio la persona a cui dovresti paragonarti in questo momento visto quanto sta soffrendo. Pensa ad altro.

Ma non ci riuscivo. La voglia di chiamarlo era tanta, ma per una volta volevo che fosse lui a fare un passo verso di me dopo tutto quello che avevo fatto io. Ripensai a quella notte in cui lo avevo scoperto in palestra ad allenarsi, a come lui mi aveva scacciato urlandomi contro; mi tenni lontana dal telefono facendo tutte le cose che fanno le donne e che portano via ore ed ore; depliarsi, fare lo scrub, le soprcciglia con la pinzetta, fare la maschera ai capelli. Quando arrivai a limare le unghie dei piedi capii che ero disperata.
Quando il cellulare squillò mi precipitai a prenderlo con uno scatto da centometrista, ma vidi un numero sconosciuto sul display e risposi sconsolata. Era il tizio della tabaccheria che mi chiedeva se fossi disponibile per entrare in prova tra due o tre giorni.
Per tenermi occupata, gli dissi che ero pronta già dal mattino successivo, e lui accettò.
Dormii male e mi alzai nervosamente.
Avevo il turno dalle sette del mattino all'ora di pranzo. 
La tabaccheria era infinitamente piccola ma molto graziosa; da fuori non avevo notato la scritta "Bar" e il piccolo bancone all'interno; inoltre quello era un punto di passaggio per molte auto, oltre che per quelli che frequentavano la pista e il centro sportivo, per cui doveva essere frequentato.
Portai con me la borsa per il pomeriggio; sarei andata direttamente ad allenarmi senza passare da casa.
Il proprietario, Tiziano, mi accolse seduto dietro il banco mentre leggeva il giornale.
"Ciao cara, benvenuta. Questo posto cade un po' a pezzi, ma abbiamo un discreto numero di clienti"
Mi guardai intorno; in effetti quel posto aveva decisamente visto tempi migliori; non c'era musica, le pareti erano ingiallite e avevano macchie imbarazzanti di dubbia provenienza; il piano bar aveva la macchina per fare caffè e simili e la macchina per la spremuta, ma nella piccola vetrina c'era solo qualche tramezzino rancido e un cornetto secco.
Gli sgabelli erano orrendi, e lo specchio di fronte al bancone era pieno di ditate; non veniva pulito dall'ultima guerra, probabilmente.
"Tutto quello che devi fare è stare alla cassa, al banco ci penso io" disse lui con un tono che non mi convinse molto.
"Se vuoi puoi fare un giro per ambientarti, ma tra poco i clienti inizieranno ad arrivare, quindi resta nei paraggi."
Entrai nel piccolo ripostiglio dietro il bancone in cerca di roba per pulire, e la trovai seppellita sotto scatoloni di cialde e una montagna di polvere.
Lo avrebbero denunciato sicuro se qualcuno avesse messo il naso lì dentro.
Pulii lo specchio con un panno che diventò giallo, dopodichè diedi una passata veloce di straccio al pavimento seguita da un panno per asciugare; in quel modo almeno ci sarebbe stato un odore di pulito e la gente non sarebbe scappata a gambe levate in prima battuta.
Buttai senza farmi vedere i tramezzini verdi e il cornetto mummificato, con la scusa di pulire anche la vetrinetta.
Avrei voluto sistemare il bancone con tutta me stessa e magari mettere una pianta da qualche parte, ma era meglio farsi gli affari propri.
Misi in ordine i giornali esposti e mi posizionai dietro la cassa.
La gente iniziò ad arrivare; principalmente lavoratori che si fermavano di corsa per prendere il giornale, fare una ricarica o bere un caffè che Tiziano preparava con una lentezza allucinante.
Non disse nulla riguardo alle pulizie che avevo fatto, ma neanche mi rimproverò. Mi diede la paga per il turno e semplicemente disse "Ci vediamo domani alla stessa ora, Daniele dice che ti alleni solo di pomeriggio, per cui."
"Possiamo metterci d'accordo per fare a giorni alterni, posso andare al mattino ad allenarmi e fare il turno di pomeriggio, non c'e problema."
Parve soddisfatto della mia proposta, ma disse di rimanere in quel modo per la giornata di domani. Forse era ancora indeciso se assumermi oppure mandarmi al diavolo.
Il mio unico pensiero quando varcai la soglia della palestra qualche ora più tardi era vedere Riccardo.
Ma neanche quel giorno lui arrivò. La cosa iniziava a preoccuparmi e stavo per chiamarlo quando Alessandro varcò la soglia assieme a Paola. Mi precipitai verso di lui ignorando completamente lei:

"Ciao Alessandro come stai, bene? Io benissimo, come va? Come mai non sei venuto ieri? Come va tra voi due? Sono contenta, sai anche LA MIA AMICA FRA sta bene. Senti per caso hai notizie di Riccardo? Ci siamo visti l'altra sera ma poi non l'ho più sentito."

Mi mancava davvero poco al ricovero in clinica psichiatrica.
Paola mi guardò come si guarda qualcuno con un pesce crudo in bocca e un naso da clown, Alessandro attutì la raffica di domande e mi disse che Riccardo stava bene e che non era venuto a causa della caviglia che non gli rendeva possibile l'allenamento.
Dovetti trattenermi per non pensare a voce alta.
Come cazzo è possibile, se fino all'altro giorno sarebbe venuto anche con le flebo attaccate? Adesso sparisce e mette la scusa della caviglia? Neanche un messaggio mi ha mandato. E io che mi sono pure messa i tacchi per uscire con lui. Stupida, stupida, stupida.

Mi allenai con una rabbia impressionante in corpo. 
Non so per quale strano motivo Daniele se ne uscì mettendo Paola davanti a me al posto del sacco.
"Sento un'aria buona oggi" disse semplicemente.
Stranamente non avevo paura, nè soggezione. Quando la campana -che suonava di continuo, ogni tre minuti - suonò gracchiando, non stavo iniziando un esercizio nè una serie con la corda. Stavo facendo a pugni con Paola.
Non pensavo a nulla, schivavo e davo, schivavo e davo.
Ero arrabbiata, ferita, mi sentivo presa in giro.
Ma la cosa che mi mandava in bestia era che mi ero quasi innamorata del Riccardo che mi aveva abbracciato, in quella macchina.
Ad un certo punto Paola si accasciò all'angolo, una mano aperta davanti a me in segno di resa.
Non sentii niente e nessuno, la aiutai a rialzarsi e scesi dal ring diretta in spogliatoio dove scoppiai in un pianto disperato che sembrava togliermi il respiro.
Mi infilai sotto la doccia sperando che il getto dell'acqua mi tranquillizzasse, e così fu, ma solo dopo cinque minuti di singhiozzi.
Sentii Paola entrare e trafficare nello spogliatoio ma la ignorai.
Quando uscii dalla doccia non c'era nessuno. Mi vestii con calma, mi truccai un po' gli occhi per nascondere il pianto.
Quando uscii la palestra era semi deserta. Alessandro stava sistemando le sue cose nel borsone, appoggiato al ring. Era solo.
Appena mi vide provò a parlarmi "Ehi, sei sicura di stare be.."
"Io sto benissimo, non preoccuparti, piuttosto devo dirti un paio di cose. Capisco che al giorno d'oggi i sentimenti siano una cosa svalutata e considerata antica, ma per favore fammi il piacere di parlare chiaro e tondo alle persone, Alessandro. Non illudere, non campare castelli in aria quando le persone magari stanno credendo alle tue parole e stanno immaginando una storia diversa dalla tua. Non voglio difendere nessuno e nessuno mi ha chiesto o mi ha obbligato a dirti queste cose, perchè siamo tutti adulti. Il mio è un invito alla sensibilità, questa grande sconosciuta che sembra persa per sempre." Non disse niente e io me ne andai.

Il giorno dopo tornai al bar, e mentre Tiziano mi guardava con due occhi a palla da dietro il giornale, posizionai due piccole piantine grasse sul bancone e disposi patatine e noccioline in due ciotole. Mi ero portata da casa una piccola cassa e una pennetta con della musica.
"Posso?"
"Se vuoi" disse lui neutro.
Le note dei Doors mi accompagnarono per tutta la mattinata mentre battevo scontrini di cornetti e cappuccini, assieme ai complimenti di alcuni amici panzoni di Tiziano che passarono a bere una birra.
"Sembra un altro posto, quando ho visto le patatine gratis per poco non mi commuovevo" disse uno, al che Tiziano fece un cenno verso di me.
"Merito suo."

Perchè a te interessa veramente degli altri.
La voce di Riccardo mi perforò la mente come un pugnale.
Sì infatti, a differenza tua.

Era il terzo giorno che non avevo sue notizie.
Dopo i guanti con Paola e ciò che avevo detto ad Alessandro non avevo voglia di rimettere piede in palestra e di rivederli, perciò finito il turno andai da Fra e mangiammo assieme.
Il pomeriggio lo passai stampando e plastificando i cartellini con i titoli dei quadri, dopodichè presi un pacco di volantini della mostra e feci un giro della città con lei. Attaccando un volantino davanti l'ennesimo bar scoppiai a piangere perchè Fra mi disse che era da una vita che non mangiava le Alpenliebe, e allora capii che ci ero rimasta - e che stavo tutt'ora - davvero di merda. Chiamai Tiziano e gli chiesi se potevo fare il turno di pomeriggio l'indomani. 
Sarei andata ad allenarmi al mattino, così da non incontrare nessuno.

Quando entrai nel tabacchi il giorno dopo, ero letteralmente sfiancata. Daniele mi aveva ammazzata, e mentre mi asciugavo il viso stravolta mi aveva preso da parte. "Io sono vecchio e queste cose le ho fatte molti anni fa, ma credo di aver capito che aria tira. Tu, non pretendere di essere forte come un tronco" disse, "I tronchi si spezzano facilmente...pretendi di essere forte come un giunco, di adattarti a qualsiasi vento senza essere spazzata via."

Con mia enorme sorpresa, nella vetrina del bancone c'erano un vassoio di tramezzini e uno di panini freschi.
"Wow! Hanno un aspetto fantastico!" esclamai felice, e Tiziano mi concesse il suo primo sorriso -o quasi sorriso- da sotto i grandi baffi grigi.
Un cliente in giacca e cravatta venuto per una ricarica telefonica li vide e chiamò al telefono tutto il suo squadrone di colleghi, che si precipitarono in pausa pranzo spazzolando via tutto, tanto che per le due fui costretta ad uscire a fare rifornimento.

Quel pomeriggio ci fu un'affluenza di gente incredibile, data dal fatto che c'era un corso di fitness gratuito sulla pista. Tutti, uscendo, si fermavano al bar per prendere una bevanda rinfrescante, e molti comprarono anche panini e tramezzini.
La fila alla cassa era considerevole, correvo a destra e a sinistra sul mio piccolo banco senza fermarmi, felice di avere la mente occupata.

Tiziano, da dietro il bancone : "Bisognerà prendere anche qualcos'altro, per avere più scelta!"
Una cliente con bimba urlante al seguito: "Quanto vengono queste patatine? Non vedo il prezzo.."
Bimbo urlante numero due: "Papà, ho fame!"
Cliente uomo: "Un pacco di Camel da dieci per favore."

Stavo rispondendo alla cliente quando udii la sua voce nel marasma di almeno altre venti voci, ma nonostante il caos riconobbi al volo il timbro, e fu sufficiente per congelare all'istante, dalla punta dei capelli fino all'unghia del piede.
Mi voltai, ed era lui.
Mi guardava come se mi vedesse per la prima volta, come se non mi conoscesse, come se non fossimo stati seduti ad un tavolo l'uno di fronte all'altra tre sere prima. 

Aveva anche ricominciato a fumare. O forse non aveva mai smesso? 

"Lavori qui?" disse con tono neutro, leggermente sorpreso.
Mi voltai, presi il pacchetto, lo appoggiai sul bancone, feci lo scontrino. 
"Sono due e cinquanta" dissi facendo finta di continuare a battere in cassa.
Dopo un attimo di esitazione, appoggiò gli spicci sul bancone e prese scontrino e sigarette.
La mamma con bimba urlante al seguito lo scavalcarono subito, e io lo ignorai completamente.
Dopo un po' lo sentii andare via.
Circa un'ora dopo finii il turno.
Tiziano mi sorrise da sotto i baffi e mi diede un piccolo extra. Già mi stavo affezionando a lui.
Uno dei tuoi più grandi difetti.
Quando uscii fuori, Riccardo era seduto ad uno dei tavoli della gelateria accanto, un bicchiere oramai vuoto e il pacchetto di sigarette sul tavolo, plastificato e ancora intatto. Proseguii ignorandolo, ma lui mi chiamò prima che attraversassi. "Arianna."
Mi voltai lentamente e lo raggiunsi, nessuna espressione in volto.
"Siediti, per favore."
Obbedii, fissando un punto nel vuoto, gli occhiali da sole a proteggere il mio sguardo dal suo.
"Mi dispiace per come mi sono comportato, Alessandro mi ha detto..."
"Alessandro ti ha detto." dissi scandendo lentamente ogni parola, come in un dialogo con me stessa.
Tolsi gli occhiali e lo guardai dritto negli occhi.
"Sei letteralmente sparito da tre giorni. Ora le opzioni sono due: la prima è che Alessandro mi ha mentito dicendomi che andava tutto bene mentre in realtà ti è successo qualcosa di spiacevole o che so, sei stato malato. In questo caso comunque hai il mio numero e un semplice squallido messaggio sarebbe bastato a togliermi dai ferri roventi di una persona preoccupata. In secondo caso, sei deliberatamente sparito senza nessuna ragione. Qual è, tra le due?"
"La seconda."
"Bene. In questo caso, sono stanca del tuo comportamento. Rapportarmi con te è stata una fatica dall'inizio alla fine, che non ha portato risultati. L'unico momento in cui ho visto il vero te e la persona che mi interessa è stato in macchina, l'altra sera. Per tutto il resto del tempo ho visto un fantoccio freddo, rigido e calcolatore che aveva chiuso i sentimenti in una qualche scatola nel cervello."
"Arianna.."
"Riccardo, cazzo! Pensi che io sia una sorta di sacco da boxe dalle forme femminili? Pensi che la mia batteria sia infinita? Pensi che io sia sempre pronta a capirti anche se non ti degni di spiegare nulla? Pensi che io voglia fare la vita della donna votata al martirio? Ti sbagli di grosso. Ho bisogno anche io di supporto, di gente che mi capisca e a cui io possa affidarmi, non di uno qualsiasi che sparisce nel nulla. Sia come amico che come qualcos'altro."
Mi alzai e me ne andai, lasciandolo seduto lì. Lui non si mosse.

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Mi svegliai nel cuore della notte, sudato e col fiatone. L'avevo sognata, di nuovo. Portava addosso lo stesso vestito che aveva indossato la sera prima, quando ci eravamo visti.
Mi sorrideva con la bocca piccola, a forma di cuore, e le labbra piene scoprivano i denti bianchi. Si avvicinava, e io non riuscivo a resisterle. La attiravo a me e poggiavo le mie labbra sul suo collo, la voglia impaziente di spogliarla e di sentirla mia. Mi sembrava davvero di sentire la sua pelle al tocco e la compattezza della sua carne, potevo quasi contare le poche lentiggini sul naso. La prendevo in braccio per le cosce morbide ma toniche, e lei iniziava a leccarmi il collo, accarezzandomi la schiena, e io ad un tratto la lasciavo, mi inginocchiavo senza forze, le dicevo ti prego non mi lasciare, non te ne andare.
E lei diceva che no, non mi avrebbe lasciato, mi accarezzava la testa. Allora riprendevo a baciarle il polpaccio, risalendo piano la gamba, accarezzandole il seno, e proprio quando mi avvicinavo alla bocca lei si allontanava, svanendo nel nulla.

Controllai l'ora dalla sveglia sul comodino. Le 03,48.
La casa era silenziosa, papà dormiva come sempre russando piano.
Non faceva nulla, papà, in modo forte; non russava, non piangeva, non urlò neanche quando lei se ne andò. Faceva tutto in silenzio, mio padre. Russava, piangeva, soffriva.
Mi alzai in piedi. Ero eccitato, come sempre dopo averla sognata. Era una costante da un paio di settimane. Non era mai successo,con nessuna. Da quando l'avevo vista, mi era entrata nella testa come un tarlo, impossibile da scacciare. 
All'inizio avrei voluto farla mia, godere di lei e dimenticare tutto il mondo che avevo attorno. Sognavo di abbandonarmi a lei, sul suo ventre morbido, e non pensare più. Ma non era niente di più che una fantasia come un'altra.
Poi la questione si è fatta pericolosa. Lei ha iniziato ad interessarsi a me, e quando dico interessarsi intendo a guardarmi dentro.
Lei mi ha mostrato vie traverse, opzioni, scelte che avrei potuto fare. Mi ha fatto capire che avrei potuto essere migliore, e questo ha scatenato in me un terrore che non credevo di possedere. Cambiare, affidarmi, per chi, a chi? A lei? Lei che sarebbe potuta svanire proprio come era apparsa.
Uscii fuori in balcone, il pacchetto di sigarette nella mano, intatto. 
Non sei neanche capace di scopare. Non riesci a scopare la ragazza più bella e sensuale che tu abbia mai visto e non perchè lei non ti calcoli, ma perchè tu non ci riesci. Non riesci neanche più a fumare. Basta una sua parola per farti comportare come un coglione.

L'amore, il rispetto, tutto ha una data di scadenza. 
Potresti fare il signore, comprarle dei fiori..
A lei piacciono le piante.
Potresti fare il signore, comprarle delle piante, portarla fuori e innamorarti e tutte quelle stronzate da film da quattro soldi, ma magari tra un paio d'anni puf, lei prende, fa le valigie e va a scoparsi qualcun'altro.


E di te rimarrebbero solo i pezzi.






Eccoci qui con un nuovo capitolo un po' particolare dove ho voluto fare l'esperimento di dare la voce ad un altro personaggio, in questo caso Riccardo, perchè ne sentivo la necessità.
Il fatto è che io nella mia testa li ho tutti, mentre voi avete letto la storia solo dal punto di vista di Arianna fino a questo momento, e ho provato a farvi entrare nella mente di Riccardo, anche se per poco, per darvi un assaggio di quello che si cela dentro le teste degli altri :)
Che ve ne pare? Scusatemi se non vi ho risposto, mi avete lasciato parecchie recensioni ma non ho avuto proprio il tempo e neanche stasera lo avrò, sono riuscita a stento a pubblicare questo capitolo perchè me lo avete chiesto con ansia e mi avete riempito il cuore di gioia <3 

Commentate, commentate! Risponderò a tutte, fatemi sapere se vi piacciono i POV (Point of view, per chi non lo sapesse, "punti di vista") e cosa ve ne pare dell'andazzo generale <3
A domani,
Lilith <3






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Capitolo 9
*** Crepe ***


Lo squillo del telefono mi svegliò, la sveglia segnava le otto del mattino. Avevo sempre avuto il sonno agitato, bastava un nonnulla a svegliarmi. 
Era un messaggio di Alessandro.


Stronzo, passo a prenderti alle dieci, ci alleniamo al mattino perchè al pomeriggio sono fuori con Paola.

Che cosa ci trovasse in quella, ancora non lo avevo capito. Non era brutta, ma neanche bella, non era simpatica, non aveva dato segni di intelligenza, non aveva neanche un buon profumo.
Al contrario di qualcun'altra.
Nonostante non la sopportassi, non mi sentivo nessuno per mettere il becco nelle sue decisioni; nessuno lo faceva con me, e mi andava benissimo così.
Ero il massimo della discrezione, non facevo domande e non davo pareri troppo decisi perchè pretendevo che gli altri facessero lo stesso con me.
Alessandro ci aveva provato più volte durante gli anni, ma si era arreso. Aveva capito che sì, volevo la sua vicinanza - eravamo praticamente fratelli- ma che non volevo interferenze.
Scesi al piano di sotto e trovai, come spesso accadeva, mio padre addormentato sul tavolo della cucina, il portatile acceso, fogli protocollo e appunti ovunque. Il lavoro lo assorbiva completamente e lui si lasciava assorbire dal lavoro con piacere.
Misi il pc in stand-by e aprii frigo e dispensa per constatare che non c'era quasi nulla, tranne qualche uovo, acqua e birra.
Presi dei soldi dal suo portafoglio e uscii in pantaloni della tuta, maglietta e infradito per andare alla bottega davanti casa.
Yolanda mi salutò con lo stesso calore di sempre mentre varcavo la soglia stretta e bassa.
Aveva quarant'anni e non aveva mai avuto figli perchè non poteva. Viveva da sola, dei ricavi della sua bottega, e da quando mia madre aveva levato le tende aveva sempre avuto un occhio di riguardo per me e per mio padre. Portava piatti di lasagne e crostate a casa, metteva da parte il pane ai cereali più croccante per darlo a noi, e mi faceva sempre degli sconti se le sorridevo e le parlavo un po' mentre mi aggiravo tra gli scaffali. Raramente mi era capitato di parlarle per il gusto di farlo, di solito lo facevo per farla contenta e per ricevere lo sconto.
Mi sentivo uno stronzo in quei momenti, e mi ripromettevo di non farlo di nuovo, senza riuscirci.

"Ciao, Yolanda"
"Buongiorno caro, siamo mattinieri oggi?"
"A casa non è rimasto quasi nulla"
Non c'era ancora nessuno, a parte noi due.
Presi un pacco di biscotti, un cartone di latte, della marmellata, un filone di pane, pasta, e quando il mio sguardo si posò sullo scaffale dei dolciumi, senza pensarci, presi una tavoletta di cioccolato fondente.
"Ogni volta che ti vedo sei più muscoloso, devo venire anch'io in quella palestra, magari accade il miracolo!" disse mentre batteva lo scontrino.
Aveva la pelle olivastra, una massa di capelli ricci che legava sempre in una treccia, grandi occhi scuri e un fisico fin troppo morbido, ma accogliente e materno. La classica persona che rifiutavo come la peste.
Ero sempre stato molto distante con lei, fin da ragazzino.
"Puoi venire quando vuoi, ti alleno io" le sorrisi, e lei sembrò esserne contenta.
Tornai in casa e scaldai del latte per papà, che non si era ancora svegliato.
Mi guardai intorno; la cucina era vecchia e triste, gli sportelli scheggiati e macchiati, il tappeto consunto e il tavolo sporco di briciole.
Non capivo perchè mi stessi soffermando su quei dettagli - che avevo sempre trascurato - proprio in quel momento, poi mi ricordai del bar di fronte la palestra.
Ci ero sempre andato, negli anni, per comprare le sigarette da fumare di nascosto, quando ero ancora troppo piccolo e sapevo che papà avrebbe fatto storie. Era squallido, abbandonato a se stesso e il proprietario sembrava far parte della mobilia per quanto era lento e impassibile.
Quando ci ero andato l'altro giorno, qualcosa aveva subito stonato nella mia testa; gli odori, i suoni, qualcosa era cambiato, particolari all'apparenza insignificanti che eppure avevo notato.
C'era della musica, del cibo, e tutto sembrava più moderno e pulito.
Quando avevo sentito la voce della cassiera avevo capito tutto.
Era stata lei, sempre lei, ci avrei messo la mano sul fuoco.
Dove passava lei, qualcosa cambiava, in automatico. 

"Cosa credi, che io abbia la batteria infinita?" 
Dal primo momento che l'avevo vista avevo iniziato a desiderarla, e mi dicevo ce la puoi fare, non ti affezionerai, ve la spasserete qualche volta e una volta che l'avrai avuta riuscirai finalmente a fartela uscire dalla testa.
Ma ogni volta che ero in sua presenza, puntualmente, mi andava in pappa il cervello e mi comportavo come uno stupido, mandando a puttane ogni sorta di progetto.

In macchina con Alessandro mi appoggiai al finestrino facendo finta di riposare, mentre mi persi in una realtà parallela dove mio padre era felice, la casa era viva, io ero vivo e uscivo con lei, andavo a prenderla in motorino e la portavo al mare, gestivo la palestra e finalmente ringraziavo Daniele per tutto quello che aveva fatto per me.

Avevo varcato la soglia di quella palestra a tredici anni, ventitrè giorni dopo che mia madre se l'era data a gambe. Alessandro mosse mari e monti per andarci insieme e i suoi genitori con lui, rifiutai e rifiutai mille volte con ogni scusa possibile ma quella mattina non ci fu verso, e dovetti accompagnarlo. Ero mingherlino, basso e incazzato col mondo. Sapevo che Alessandro e i miei zii lo stavano facendo soprattutto per me, per farmi sfogare in maniera sana, ma io non ne volevo proprio sapere, non volevo stare tra la gente.
Daniele aveva qualche chilo in meno e qualche capello in più, mi guardò con i suoi immensi occhi azzurri e scoppiò a ridere tenendosi le mani sulla pancia come una donna incinta.
"E che cos'abbiamo qui? Devi crescere, ragazzo! Sei talmente piccolo che stavo per passarti sopra!"

Lo salutammo, stava compilando dei moduli nel suo ufficio, e ci cambiammo in spogliatoio.
Fui l'ultimo ad uscire, erano già tutti fuori a correre.
Lei era sul ring con Paola a fare schemi di lotta, esercizi basilari. Non mi vide, era occupata a muoversi e a schivare i colpi dell'altra.
Rimasi a guardare come si muoveva, era molto più fluida e veloce di Paola.
Stavo per andarmene per non essere visto, quando accadde.
Invece di fare l'esercizio -passo avanti, pugno, passo di lato, pugno- Paola si avvicinò, la guardò in modo strano e dopodichè le affondò un colpo alla bocca dello stomaco. "Così impari a stare nel tuo" disse in un sibilo.
Il sangue mi schizzò al cervello e due secondi dopo ero sul ring accanto a lei, che non aveva emesso suono, nè un rantolo, nè un lamento.
Si era semplicemente accasciata in posizione fetale, le braccia strette allo stomaco, il respiro strozzato.
Avevo una tale rabbia che avrei voluto alzarmi e riempire di schiaffi quella sottospecie di nullità ma rimasi inchiodato accando ad Arianna, e la voce che mi uscì dalla bocca fu un sussurro.
"Cosa cazzo hai fatto."
La sensazione del pugno allo stomaco era tremenda, la conoscevo e ne avevo presi tanti; tranne in casi estremi non c'erano conseguenze per il corpo, ma non erano comunque dei bei momenti.
La presi per le spalle delicatamente e mi preoccupai del respiro; non era molto regolare, per di più piangeva; aveva un paio di lacrime agli angoli degli occhi ma si sforzava di non scoppiare.
La misi seduta e iniziai a rassicurarla; "Stai calma, non è successo niente, shhh. Respira bene e piano, inspira...brava così, e adesso butta fuori, di nuovo..."
Appena fu in grado di parlare, disse: "Non voglio che gli altri vedano..."
"Okay, okay, non ti sforzare, non ti sforzare. C'è il ripostiglio dei sacchi, adesso ti porto lì e ti calmi, va bene? Stai tranquilla e fai dei grandi respiri."
La presi in braccio come una bambola e la portai sul retro, sdraiandola a terra e alzandole le gambe.
Paola era sparita.
"Non è necessario..sto già meglio.."
"Tu respira, non ti fa di certo male." le portai la mia bottiglia d'acqua.
"Bevi a piccoli sorsi e lentamente, ti sentirai meglio."
Non potevo credere che quella cretina le avesse dato un pugno del genere approfittando del fatto che lei fosse alle prime armi e che di certo non avrebbe capito la situazione in tempo per proteggersi. Lo aveva fatto assolutamente di proposito e con l'intento di spaventarla.
"L'altra volta..l'ho schienata. E lei beh, deve essersela legata al dito." disse lei, quasi intuendo i miei pensieri.
"Quella non metterà più piede qui dentro, se me la trovo davanti sono cazzi suoi. Quel coglione di mio cugino ci esce anche, con quella psicopatica e..."
"Riccardo..." disse lei ad occhi chiusi, come per calmarmi. Il modo in cui disse il mio nome -dolcemente- mi fece scendere un brivido lungo la schiena. Immaginai tutt'un altro contesto, io, lei e un letto.
La guardai mentre si metteva lentamente a sedere e mi sembrò l'essere più tenero sulla faccia della Terra. 
E in quel momento capii che ero spacciato. 
"Senti dolore?"
"No.."
"In ogni caso, per oggi basta con l'allenamento."
La aiutai ad alzarsi.
"Vai ad allenarti, io mi cambio e vado al lavoro."
Eravamo soli e chiusi in una stanza.
Non comportarti da idiota.
"Arianna."
"Dimmi, ti ascolto."
"Non ce la faccio a ignorarti e a starti lontano. Ci ho provato, non ci sono riuscito."
"Perchè dovresti starmi lontano, ti sembro pericolosa?" fece una pausa, "Penso di essere la persona meno pericolosa al mondo."
"Non hai capito niente di come sei fatta, allora. Non lo sai."
Iniziava a innervosirsi; "Dimmelo tu, allora!"
Sei bella. Mi fai salire il sangue al cervello.
"Non riesco a smettere di pensare a te. Quando ti ho abbracciato, mi sono sentito al caldo, come non mi sentivo da troppo tempo. Una sensazione bella, ma fuggevole. Quando va via, fa male."
"E' come rifiutarsi di vivere perchè si ha paura di morire. Non puoi negarti di avere relazioni perchè hai paura, ferisci te stesso e gli altri anche se non te ne rendi conto."
Si avvicinò.
"Smettila di scappare".

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Quando varcai la soglia del bar quel pomeriggio - largamente in anticipo - sentivo un turbine indefinito di emozioni.
Ricevere un pugno allo stomaco da Paola non era stato niente in confronto a Riccardo in quel ripostiglio. Per quanto fossi stata delusa dal suo comportamento il mio cuore pompava lo stesso come se non ci fosse un domani, e la voglia di stringerlo era tanta. Sperai con tutta me stessa che lui si sarebbe lasciato andare.
Per quanto riguardava Paola, stranamente il colpo non mi aveva ferita più di tanto nè fisicamente nè psicologicamente; accanto a Riccardo mi ero sentita protetta dal primo momento in cui avevo sentito la sua presenza accanto a me.
Lei si era comportata da bulletta e la avrei affrontata a dovere, ma avevo anche altro a cui pensare in quel momento.
Mentre sistemavo i giornali, guardavo insistentemente una macchia di fumo che ingialliva la parete.
Tiziano se ne accorse e borbottò tra i baffi "Si beh, dovrei dare una mano di pittura. L'ultima volta che l'ho fatta dare avevo ancora i capelli neri."
Risi a quella frase, e il mio cellulare squillò. Siccome ero arrivata in anticipo, Tiziano mi fece cenno di rispondere, così uscii fuori.
"Arianna! Cazzo quanto mi dispiace!"
Alessandro.
"Riccardo mi ha detto tutto, l'ho forzato io a dirmelo perchè mi sono accorto che qualcosa non andava. Non ci posso credere che l'abbia fatto, davvero.."
"Non è colpa tua, Alessandro, e poi non è successo nulla di che, ha fatto una stronzata e sono sicura che se ne sarà già resa conto da sola" - certo, come no - "Provvederò a parlarle come fanno le persone civili e chiuderò questa questione senza che volino altri pugni, non sono un tipo manesco io"
"Invece è anche un po' colpa mia, avrei dovuto capirlo che ti aveva preso di punta e invece come al solito non ci ho capito nulla."
Ogni tanto dici qualcosa di sensato.

Dopo circa altre venti scuse, chiusi la telefonata e iniziai a lavorare.
Fu un pomeriggio tranquillo, ma l'affluenza di clienti era maggiore di giorno in giorno.
Mentre mi toglievo il grembiule a fine turno, ebbi un lampo di genio:
"Io conosco una persona che può riverniciare le pareti!"

Il giorno dopo era un sabato, e Fra si presentò alle sei e mezzo di fronte al bar, munita di aggeggi per scartavetrare la parete, una piccola scala e di una quantità assurda di pennelli e secchi.
Il bar sarebbe rimasto chiuso per lavori per tutto il week end, così che Fra avrebbe fatto una full immersion di pittura. Le pareti erano piccole e strette, ma ci sarebbe voluto comunque del tempo per dare più passate e far asciugare il tutto.
Tiziano la squadrò da capo a piedi, divertito: si trovò davanti una ragazza alta un metro e sessantacinque vestita con una lunga gonna nera e un top giallo canarino,i capelli corti che andavano in tutte le direzioni e un grande cappello nero a tesa larga sulla testa.
Li presentai e iniziarono a parlare del più e del meno.
"Un'artista, eh? Ne vedremo delle belle.." disse ridacchiando.
Fra indossò subito l'uniforme da guerra - il suo camice nero più macchiato di colore che mai - e si mise subito al lavoro.
Tiziano voleva ridipingere le pareti dello stesso colore iniziale - un giallo sabbia - ma quando si trovò davanti quello strano soggetto le diede la piena libertà.
Musica per le orecchie di Fra, che diede un fondo verde mela a tutte le pareti tranne a quella portante, posta tra la cassa e il bancone, che restò momentaneamente intatta. Lavorammo come muli, spostando ciò che doveva essere spostato e dando più mani di colore.
Avevo intuito cosa volesse fare alla parete portante, ma non le dissi nulla.
Pranzammo con un panino, dopodichè Fra mise le cuffie alle orecchie, e in quel momento la mia ipotesi fu confermata: voleva dipingere la parete restante. E infatti iniziò dal basso, accovacciata per terra, dipingendo grandi foglie di un verde vibrante a cui pian piano iniziarono ad aggiungersi fiori dalle forme e dai colori esagerati e frizzanti. 
Io approfittavo di quel rinnovo per buttare via tutto ciò che era nel magazzino e che non serviva più, sotto l'occhio vigile di Tiziano.
Quando presi distrattamente il telefono per staccarlo dalla carica quasi mi prese un colpo: Riccardo mi aveva inviato un messaggio alle dieci del mattino.


Buongiorno..vieni in palestra oggi?

Mi sentii morire. Risposi velocemente descrivendo in che situazione mi trovavo e subito ripresi a mettere in ordine.
Dopo circa un'ora vidi la mia testa preferita fare capolino nel locale, bionda, i capelli legati in un cipollotto.
Mi sentii brutta e sudata come non mai, ma andai lo stesso a salutarlo col mio sorriso migliore.
"Questo posto diventerà il bar più alla moda della città grazie a quello che stai facendo." 
"Grazie, e scusami se non ti ho risposto, ma questa era la situazione" dissi alzando le spalle e guardandomi attorno.
"Si vede che avete scartavetrato le pareti, hai della polvere ovunque" disse lui, e la sua mano calda e leggermente ruvida passò sulla mia guancia.
"Non riesci ad allenarti oggi?"
"Non so, dovrei chiedere.."
"Puoi andare" disse Tiziano mentre mi passava accanto,"Se continua di questo passo penso che la tua amica finirà tranquillamente entro le otto di stasera, domani puliamo tutta questa polvere e sarà fatta."
Presi le mie cose, e mi avviai verso l'uscita.
"Non la saluto ora, è concentrata. Le manderò un messaggio." dissi accennando a Fra.
Tiziano dovette trattenersi per non ridere, e io e Riccardo andammo in palestra, in silenzio. Camminare da sola accanto a lui era una sensazione strana; mi sentivo come dentro una bolla, e in qualche modo più forte del solito.
Daniele ci vide assieme e fece un fischio. "La strana coppia! Fate meno i piccioncini e andate a cambiarvi, oggi si suda!"
Riccardo fece un mezzo sorriso da dietro gli occhiali da sole, io risi.
Finimmo di allenarci che erano le otto passate, con doccia annessa si fecero le nove. Alessandro in tutto non si era fatto vivo per tutto il giorno, e pregai sinceramente che avesse mandato Paola a farsi benedire.
Mi cambiai indossando una salopette a pantaloncino con sotto una maglietta a maniche corte rossa, lasciai i capelli sciolti e leggermente umidi visto che li avevo lavati, occhiali da sole e sandali.
Quando uscii fuori, Riccardo era già andato via.
Sbloccai il cellulare, e lessi


Sono alla ricerca di Alessandro, non risponde al telefono, non sparisce mai così. Se sai qualcosa fammi sapere, ma stai tranquilla.

Prima che Fra si facesse la doccia e si preparasse per andare a mangiare fuori si fecero le undici.
In pizzeria provai a richiamare Riccardo, leggermente preoccupata, ma il telefono era staccato.
"Non ci sarà campo" disse lei, "Stai tranquilla, sarà uscito con la sua Paola senza avvisare."
Appena uscite dalla pizzeria, dopo un paio di metri a piedi, sentimmo una voce familiare uscire da un vicolo.
Era Alessandro, sbandava ed era visibilmente ubriaco, se non peggio.
Sperai ardentemente che non avesse preso o fumato nulla di più di birra e sigarette, ma a giudicare dalla gente accasciata a terra e appoggiata ai muri non si trattava di un'innocente bottiglia di birra in compagnia. La testa di Paola spiccava tra le altre; stava accovacciata a terra, la schiena appoggiata al muro e gli occhi chiusi.
Una cosa simile me la sarei aspettata da Riccardo, non da lui.
Fra rimase pietrificata.
Proprio in quel momento il mio telefono squillò: mi stava richiamando.
Risposi.
"Saputo qualcosa?" era lui, la voce preoccupatissima.
"L'abbiamo trovato."
Il motorino di Riccardo arrivò sfrecciando poco dopo. Scese, infuriato, e con un gesto secco e preciso entrò nel vicolo, prese Alessandro per un braccio e lo trascinò fuori.
"Francesca" biascicò, mentre lui lo strattonava, "Chiudi la bocca, coglione. Questa è la volta buona che ti gonfio di botte."
Sfiorai con una mano la spalla di Riccardo. "Cosa facciamo?"
"Non posso portarlo a casa sua così, ai suoi genitori verrebbe un infarto. Mio padre è fuori per lavoro fino a dopodomani, lo porto a casa mia." Fece per apparire sicuro, ma le condizioni di Alessandro non erano quelle di una semplice sbronza.
"Ti accompagniamo."
Quando ci fece strada nell'ingresso di casa sua, la mia mente era troppo occupata a pensare ad Alessandro per rendersi conto del posto in cui mi trovavo.
L'agitazione aveva bloccato Fra, che guardava Alessandro come un cerbiatto terrorizzato.
"Qualunque cosa abbia preso, deve vomitarla."
Aiutammo Riccardo a trascinarlo fino in bagno dove, senza tanti complimenti, gli aprì la mascella con una mano gli infilò due dita in gola. 
Mentre Alessandro vomitava l'anima io stavo in piedi, subito dietro di lui, mentre Fra stava appoggiata alla porta, la fronte corrucciata.
"Voglio restare con lui." disse rivolta a Riccardo, più tardi, mentre lo avevamo steso sul divano.
"Fra, domani mattina hai l'appuntamento con il Sindaco e la Giunta per invitarli alla mostra e hai altri giri da fare, lo sai. E' solo una sbronza, niente di più."
Lei mi guardò, i grandi occhi lucidi e dispiaciuti. "Se fossi stata presente nella sua vita forse non si sarebbe ridotto così a quest'ora."
"Francesca, non farti problemi di cui non sei e non sarai mai la causa" disse Riccardo, "Alessandro ha sempre frequentato quel gruppo di disgraziati, una volta li frequentavo anche io. Qualche anno fa qualcuno di loro si allenava ancora in palestra prima che iniziassero a sfondarsi talmente tanto da non riuscire neanche più a fare un giro di pista. L'unica che ancora frequenta la palestra, come avrete capito, è Paola." mi guardò con aria colpevole. "Non te l'ho detto perchè non volevo che ti preoccupassi, credevo ingenuamente che la situazione fosse sotto controllo, ero ogni giorno con lui ed ero sicuro che avesse chiuso i rapporti con quella gente...se qualcuno deve assumersi delle responsabilità qui sono io. Non me ne importa un cazzo di nessuno, non mi accorgo delle cose perchè sono così concentrato sui cazzi miei da non vedere nient'altro. Francesca, e anche tu Arianna, andate a casa, è tardi."
Francesca aprì subito la bocca per protestare - la conoscevo come le mie tasche - per cui parlai io.
"Non possiamo lasciarti da solo qui con lui in questo stato, ti serve qualcuno vicino. Fra, tu non puoi restare perchè domani mattina hai un universo di faccende da sbrigare e non puoi passare la notte in piedi, per cui resterò io e saremo tutti d'accordo."
Facemmo un paio di chiamate; io dissi a mia madre che avrei dormito da Fra, Riccardo disse ai genitori di Alessandro che erano appena rientrati dal cinema e che lui era collassato a dormire sul divano, come accadeva spesso.
Fra raccolse le sue cose promettendo di passare l'indomani mattina.
"Franciesca, sciei bellishima" biascicò Alessandro dal suo stato comatoso.
"Ho bisogno di parlargli quando gli sarà passata."
Chiuse la porta e fummo soli io e lui. E Alessandro ovviamente, coperto di sudore sul divano.
"Dovrei metterlo sotto la doccia, secondo te?"
"Sì, fredda."
Lo aiutai a spogliarlo fino a che restò solo in boxer.
"Al resto dovrò pensarci io purtroppo."
Scoppiammo a ridere per la prima volta quella sera.
Mentre Riccardo sparì in bagno con Alessandro io misi i vestiti zuppi di sudore e puzzolenti di fumo nella lavatrice, che scovai in un piccolo ripostiglio accanto alle camere da letto. Fui tentata di entrare nella camera di Riccardo, ma c'era un casino appiccicoso sul pavimento della cucina che doveva essere pulito.
Le scarpe di Alessandro dovevano aver pestato fango ed altre sostanze pessime, perchè aveva insozzato tutto il pavimento.
Fortuna che accanto alla lavatrice c'erano uno straccio e un secchio. Conclusa l'opera mi guardai attorno, cercando eventuali tracce del passaggio di un ragazzo sbronzo e forse mezzo drogato. Non ne trovai, e finalmente guardai davvero la casa. Era trascurata, c'erano poche cose ma essenziali - un tappeto, due divani, una tv malmessa, una credenza.
I muri erano ingialliti, non c'erano piante; avevo intravisto però il giardino, che ne era pieno, ed era evidente che fosse una casa gestita da soli uomini. Non c'erano fotografie in giro, tranne una di Riccardo da piccolo, poggiata sul caminetto: un bellissimo bambino biondo, fotografato nell'atto di camminare con addosso il grembiulino dell'asilo; chiamato dalla persona che aveva scattato la foto, aveva girato la testolina e lo scatto lo aveva preso così, con gli occhioni azzurri spalancati e i dentini bianchi e distanti.
In quel momento sentii la porta del bagno aprirsi e Riccardo riemerse, stravolto.
Alessandro sembrava meno distrutto, aveva addosso un paio di calzoncini e una canotta, sicuramente di Riccardo.
Lo aiutai a distenderlo di nuovo sul divano.
"Hai pulito tutto, grazie."
"Non preoccuparti. Se vuoi fare una doccia vai pure, io gli misuro la febbre e vedo se si addormenta o se ha bisogno di qualcosa."
"Tipo?"
"Tipo una botta in testa"
Sorrise. "Grazie, faccio in fretta. Se vuoi poi puoi andare tu, ti do qualcosa di mio con cui dormire. Il termometro sta nel primo cassetto della credenza."
Annuii e lui scomparve di nuovo dietro la porta.
Mi girai verso Alessandro, che rantolava nel letto.
Aveva qualche linea di febbre, ma niente di preoccupante.
Borbottava cose senza senso.
"Ma si può sapere che ti è passato per quella testa bacata?"
Cercai nel ripostiglio un vecchio secchio nel caso avesse avuto conati di vomito, e rimasi a guardarlo per accertarmi che non iniziasse a sudare o simili.
Riccardo riemerse dal bagno chiuso in un accappatoio, i capelli bagnati e per la prima volta sciolti. Gli ricadevano intorno al viso, arrivandogli al collo.
Gli ormoni mi schizzarono su, al cervello.
"Febbre?" 
"Leggera, ma già lo vedo meglio dopo la doccia."
Sparì in camera sua e nel giro di pochi minuti tornò, vestito con un pantalone della tuta grigio chiaro e una maglietta bianca di cotone. E quei capelli sempre sciolti. L'erotismo puro.
Mi porse una sua maglia e un paio di calzoncini, oltre a un asciugamano pulito.
"E' il meglio che posso offrirti, sono di quando ero più piccolo per cui non dovrebbero starti larghissimi."
Entrai in bagno, e mi accorsi dal profumo che aveva pulito.
Nel box doccia c'era ancora l'odore del suo bagnoschiuma.
Io avevo preso il mio, alla vaniglia, dal mio borsone della palestra.
Feci la doccia e indossai gli abiti di Riccardo. Avevano il suo profumo, il che bastò a mandarmi in visibilio.
Quando uscii fuori, Riccardo stava lavando alcune stoviglie rimaste nel lavandino. 
"Vuoi una tazza di té?"
"Volentieri."
"E' successo altre volte?" dissi facendo un cenno ad Alessandro mentre lui azionava il bollitore.
"Mai in questo stato, ha oltrepassato ogni limite." I muscoli del braccio si contrassero.
"Trovarlo lì, in quel vicolo puzzolente, tra quella gente schifosa.."
Mi avvicinai e gli misi una mano sulla spalla.
Lui si girò verso di me, gli occhi lucidi. "E' colpa mia. L'ho lasciato allo sbaraglio, sempre. Non sono un buon amico, siamo come fratelli.."
"Non dire stupidaggini! L'hai raccolto dalla strada, gli hai fatto il bagno come a un neonato e hai pulito il suo schifo. Tutti sbagliamo.." gli accarezzai la guancia solo per il piacere di sfiorare per la prima volta i suoi capelli sciolti. "Ma riusciamo a farci perdonare."
Lui non disse niente, sentii chiaramente il suo braccio circondarmi la vita e quando mi strinse a sè mi diressi alle sue labbra come se lo avessi già fatto altre cento volte.
Ci baciammo, le sue labbra erano roventi e smaniose, cercavano le mie e le sue mani mi stringevano e mi accarezzavano i fianchi.
Lo circondai in un abbraccio senza smettere di baciarlo, infilando le dita nei suoi capelli.
Presi a mordicchiargli quel labbro che tanto avevo fissato e da cui erano uscite le parole che mi avevano provocata, fatta arrabbiare, fatta innamorare.
Proprio quando sentii la punta della sua lingua stuzzicarmi le labbra il bollitore suonò, ma dire che lo ignorai fu poco. Schiusi le labbra e lasciai che il bacio si approfondisse, diventando sempre più passionale fino a quando il pantalone che lui indossava non fu più in grado di contenerne l'erezione, e fui in grado di sentirla contro la gamba.
"Ops. Scusa" disse lui con aria colpevole, prima di staccarsi leggermente per spegnere il bollitore.
Nello stesso momento, Alessandro si alzò con un lamento e vomitò, per fortuna avendo la cognizione di farlo nel secchio che gli avevo messo accanto.
Guardai Riccardo e scoppiammo a ridere. Il primo bacio più imperfetto e meraviglioso della mia vita.
"Niente male come atmosfera, eh?"
"Meravigliosa" dissi io mentre pulivo la bocca di Alessandro con un tovagliolo bagnato e gli porgevo dell'acqua e zucchero.
Il puzzo di vomito stava già impregnando l'aria, per cui Riccardo svuotò il secchio nel gabinetto e lo sciacquò.
"Il fatto che non si sia vomitato addosso è un buon segno" disse mentre tornava.
"Già, vuol dire che si sta riprendendo"
"Allora, questo tè?" dissi io avvicinandomi.
Lo abbracciai forte infilando la testa nell'incavo del suo collo per respirare il suo profumo.
Restammo lì per un po', lui ricambiò l'abbraccio un po' titubante.
"Hai sonno?"
"Un po'."
"Beviamo il té e poi puoi dormire nel mio letto, io dormirò in quello di mio padre."
No, fu tutto quello che riuscii a pensare, ma non dissi niente.
Finimmo il té in silenzio, Alessandro dormiva come un sasso.
Quando mi fece strada fino alla sua stanza, mi sedetti sul suo letto e gli tenni la mano.
"Meglio di no." fece lui con un mezzo sorriso.
"Riccardo..."
"Non scappare" sussurrai quando se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.
Dopo venti minuti in cui mi rigiravo nel letto - che sapeva di lui - senza nessuna intenzione di dormire, sentii la porta socchiudersi, e poi aprirsi.
Trattenni il respiro, e lui scivolò lentamente nel letto, dandomi le spalle. Credeva che dormissi, per cui cercò di fare il meno rumore possibile.
Rimasi ad ascoltare il ritmo del suo respiro farsi leggermente più pesante fino a trasformarsi in un leggero russare, e quando fui certa che fosse addormentato gli accarezzai la schiena e mi addormentai anch'io.







Eccoci qui! Questo capitolo è molto movimentato, succedono un bel po' di cose !
Il titolo per me è molto significativo, poichè per la prima volta nel personaggio di Riccardo e nel suo carattere chiuso si è aperta una fenditura importante, sia per ciò che è successo ad Alessandro sia per Arianna. Ha capito di star commettendo diversi errori e vuole porvi rimedio, anche se non si sente in grado.

Fatemi sapere che ve ne pare, aspetto le vostre recensioni!

P.s. Ho letto le vostre risposte al mini-sondaggio e come vedete ho preparato il terreno per parlavi meglio di Fra, Alessandro e Daniele, ma senza mai trascurare "la strana coppia" !

Un bacio, 
Lilith <3




 

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Capitolo 10
*** Orgasmi e lacrime. ***


Mi svegliai nel bel mezzo della notte, la sveglia sul comodino segnava le quattro e mezzo. Mi ero ritrovai tra le braccia di un 
Riccardo addormentato. Dormiva composto, a bocca chiusa, i capelli spettinati sul cuscino e un leggero russare.
Se non fosse stato per il fisico e per quel pomo d'adamo che andava su e giù sarebbe apparso come un bambino innocente, invece trasudava virilità da ogni poro. Mi cingeva la vita con un braccio, delicatamente. Lo accarezzai fino a che non scivolai di nuovo nel sonno.

Quando riaprii gli occhi di nuovo, nel letto accanto a me non c'era nessuno; Riccardo doveva essersi alzato. Le otto e un quarto del mattino.
Mi stiracchiai e andai ad affacciarmi in soggiorno; con mia grande sorpresa trovai Alessandro sveglio, la faccia stravolta e gonfia. Riccardo si era legato i capelli ed era appoggiato al tavolo, bevendo un bicchiere d'acqua. Nessuno parlò.
Sentii nell'aria un odore leggero ma fastidioso che mi sembrò vomito; sicuramente Alessandro aveva vomitato durante la notte. Se ne stava sul divano e guardava fisso nel vuoto.
Riccardo mi fece cenno di raggiungerlo in camera sua.
"Buongiorno." mi disse, chiudendosi la porta alle spalle. Si avvicinò e mi stampò un bacio in fronte, causandomi non poco imbarazzo. Gli sorrisi, assonnata.
"Come sta?"
"Non bene. Non so se te ne sei accorta, ma stanotte mi sono alzato perchè l'ho sentito lamentarsi..ho il sonno leggero, tu invece dormivi" , fece un mezzo sorriso, "Dormivi così bene che ho preferito non disturbarti. Aveva vomitato di nuovo, ma di meno della prima volta. Ho pulito, gli ho dato una medicina per lo stomaco e sono tornato a letto. Poco fa mi sono alzato e l'ho trovato come lo hai visto tu poco fa. Mi sono seduto davanti a lui e l'ho guardato dritto negli occhi, ma lui mi ha totalmente ignorato."
Sospirai, frustrata. 
In quel momento, qualcuno bussò a mano aperta sulla porta.
Riccardo mi guardò, la faccia a punto interrogativo mentre si avviava ad aprire.
"Ah, molto probabilment.."
Non riuscii a finire la frase che Fra piombò nell'ingresso come una forsennata. Non riuscivo mai a restare seria guardandola - con quei vestiti strani e quei capelli - ma stavolta nessuno di noi si concentrò sul suo abbigliamento.
Si piazzò davanti ad Alessandro e gli diede un sonoro schiaffo sulla guancia.
Lo schiocco risuonò nel salone, il silenzio era da tagliare con il coltello.
"Come cazzo ti è venuto in mente di spaccarti a merda a quel modo, hai quasi ventidue anni non sedici cazzo, non sei più un bambino o un ragazzino con gli ormoni in tempesta. Potevi rimanerci secco!"
Poi lo abbracciò con un tale slancio che il cappello che indossava le cadde dalla testa.
"Non farlo mai più, mi hai fatto morire di paura."
Lui rimase così colpito che non disse nulla. Poi parlò.
"Mi dispiace. Credo proprio di dovervi delle spiegazioni."
Fra riprese il suo cappello e si sedette di fronte a lui, io mi appoggiai contro il bracciolo del divano a braccia incrociate e Riccardo rimase in piedi.
"Tu che dici?" ringhiò Riccardo, e io gli misi una mano sul braccio, al che fece silenzio. Mi ero resa conto che il mio tocco lo aveva calmato, aiutandolo a tenere i nervi saldi.
"Ieri sera è arrivata una lettera dalla banca, papà ha perso il lavoro e siamo pieni di debiti fino al collo. Io ho cercato di stare calmo durante tutto questo periodo - perchè è da un pò che dura - ma ieri sono scoppiato quando ho letto la lettera di congedo, e volevo solo dimenticare."
"Da quanto dura?" le voci di Fra e di Riccardo si sintonizzarono sulla stessa identica domanda.
"Beh più o meno dall'inizio del mese, insomma da quando io e te" disse rivolto a Fra, "da quando ci siamo conosciuti."
Vidi un dubbio strisciante farsi strada nel volto di Fra, che incurante della presenza mia e di Riccardo iniziò a pensare ad alta voce.
"È forse per questo che mi hai.."
"Che ti ho detto che stavo bene con te ma che non volevo altro? Beh, sì. Quando ti ho mandato quel messaggio l'ho fatto con piena cognizione di causa; non volevo rovinare un rapporto perchè sono pieno di problemi, e poi volevo trattarti come una regina, e senza un soldo non mi era possibile, la situazione mi ha creato talmente vergogna che ho preferito, ecco, lasciar perdere. Qualcuno meglio di me ti avrebbe sicuramente invitato ad uscire, o roba simile."
"È una cosa molto dolce..ma anche molto stupida." disse Fra scuotendo la testa.
Sentii chiaramente Riccardo digrignare i denti.
"Eravamo tutti qui per te, e tu ci hai tenuto all'oscuro." dissi, consapevole di star parlando sia a lui che a Riccardo; avevano agito allo stesso modo.
"Sei stato male tu e sono stati male anche gli altri." Era stata Fra a parlare questa volta.
Alessandro si alzò e abbracciò Fra di slancio, sollevandola da terra. Lei rise, e lui le scompigliò i capelli.
Riccardo si schiarì la voce molto rumorosamente e io ridacchiai. Alessandro si staccò da Fra e si piazzò davanti a lui; due giganti, uno alto e smilzo e uno più basso e muscoloso, si guardarono per un secondo e poi si strinsero in un abbraccio che avrebbe comodamente stritolato una quercia, con tanto di pacche sulle spalle.
"Stronzo." mormorò Riccardo.
"Devo dire che sono ancora sottosopra con lo stomaco, però ho una fame da lupi." disse per sdrammatizzare.
"Vuol dire che ti stai riprendendo!" risi.
Fra guardò l'ora e schizzò come una molla al grido di "È tardi!", salutò tutti e si precipitò all'uscita, ma Alessandro la raggiunse lontano dai nostri occhi. Non so cosa si dissero, ma lui rientrò poco dopo. "Vado anche io a casa, sarebbe ora. Grazie per tutto, davvero." 
"Di niente e stai tranquillo, troveremo sicuramente un modo per farti guadagnare qualche soldo. Comincerò subito chiedendo a Tiziano, il tizio dove lavoro."
Mi ringraziò con gli occhi che brillavano. 
Quando radunò le sue cose e si chiuse la porta alle spalle, restammo soli io e Riccardo.
Il brontolio del mio stomaco si fece sentire. Erano le nove e un quarto.
"Cos'era quello, il grido di battaglia?" ridacchiò Riccardo.
"Ho fame" ammisi facendo la bambina e tirando fuori la lingua. Lui rimase a guardarmi per un attimo, poi si riprese.
"Possiamo farla fuori se vuoi, credo che il latte sia finito.." si bloccò per un attimo, come se stesse per dire qualcosa di cui non era sicuro. 
Poi riprese, "altrimenti possiamo andare alla bottega qui di fronte e comprarlo. Anzi lascia, vado io."
"Tranquillo, ti accompagno. Vado a vestirmi."
Entrai in bagno e mi diedi una rinfrescata, quindi tornai in camera di Riccardo e trovai casualmente una sua maglietta pulita sul letto.
Sorrisi e mi sfilai i pantaloncini e la canotta che mi aveva prestato la sera prima, restando in intimo; un paio di mutandine nere e un reggiseno a balconcino ugualmente nero.
Mentre prendevo la salopette della sera prima da indossare assieme alla maglietta, sentii chiaramente la presenza di Riccardo sulla soglia della porta.
"Ehilà, mozzarella."
Mozzarella? Di nuovo?
Mi voltai e mi avvicinai lentamente a lui, raccimolando tutta l'autostima che avevo e a testa alta.
Lui deglutì e il suo respiro si fece irregolare.
"Riesci ad essere strafottente anche a questa distanza?" dissi a un palmo dal suo viso, guardandolo negli occhi.
"Sbrigati a vestirti, ho fame." disse passandomi accanto e sfilandosi teatralmente la maglietta.
"Vuoi restare a guardare?" disse senza guardarmi, pescando un paio di jeans dal cassetto.
Mi voltai e infilai la salopette arrossendo in volto.
Sentii chiaramente i pantaloni della tuta di lui sfilarsi, e il fatto che fossimo mezzi nudi e così vicini mi diede una scarica di eccitazione.
Mi vestii in silenzio e andai in bagno per mettere mascara e rossetto.
Rimasi a fissare il mio volto allo specchio: avevo passato un'acne allucinante l'anno passato e avevo utilizzato una quantità industriale di creme fai da te e successivamente di creme prescritte dal dermatologo, e grazie a Dio ero riuscita a guarirne. Era stato un mio grande punto di debolezza, e mi sarei vergognata molto se Riccardo mi avesse conosciuta quando ancora l'avevo.
Perchè sei diventata così frivola tutto d'un tratto? 
Varcammo la soglia della piccola, adorabile bottega, e la proprietaria - dall'aspetto altrettanto adorabile - subito mi scrutò curiosa.
"Buongiorno Yolanda" disse Riccardo.
"O-oh! Buongiorno cari! È una tua amica?"
"Salve" le sorrisi cordiale.
"Ah, come sei bella!"
"Grazie mille, la sua bottega è carinissima"
Si illuminò, tutta orgogliosa "Oh! Grazie, beh, l'ho tirata su da sola e.." Riccardo le fece cenno di darci un taglio, ma io gli pestai un piede e lui mi mandò al diavolo con un gesto, dirigendosi verso gli scaffali.
Era logorroica ma discreta e gentile, e io avevo la chiacchiera contagiosa, per cui restai a parlare con lei fino a che Riccardo non tornò con il latte e altre cose tra le braccia.
"Ehi, vai a scegliere la marmellata che ti piace, e prendi ciò che vuoi."
Annuii come una bambina in pasticceria e mi addentrai tra i piccoli scaffali.
"Te la sei scelta bene eh! Tutta curve e occhi grandi, buongustaio!"
"Yolanda! Per favore..."
Dovetti trattenermi per non ridere e fare finta di nulla. 
Pagò gli acquisti e tornammo in casa.
Io presi un té verde, uno yogurt e qualche fetta biscottata con la marmellata, lui invece da buon pozzo senza fondo che era bevve una tazza enorme di latte con innumerevoli biscotti al cioccolato. Mi aveva sempre messa in soggezione, ma vederlo mangiare biscotti così mi fece intenerire . In fondo era un bambinone, anche se voleva far intendere il contrario.
Parlammo del più e del meno e lui mi portò a vedere il piccolo giardino del padre, sul retro della casa. C'era una bellissima orchidea e poi gerani, begonie, girasoli; era l'unica parte della casa ancora fresca e vivace.
"Papà ha sempre amato le piante e le ha sempre curate da solo, mia madre non se ne è mai interessata.." si bloccò, fissando un punto a caso del giardino, d'un tratto si era intristito.
"A te non piacciono?"
"Diciamo che..ultimamente le ho annaffiate, qualche volta."
"Dopo il mio stupido discorso sulle piante?" Risi.
Lui sorrise divertito, e io rimasi a guardarlo. Era davvero un bellissimo ragazzo, e non aveva approfittato della situazione neanche per un minuto la notte scorsa, quando avrebbe potuto e io molto probabilmente ci sarei anche stata.
"Grazie per la colazione." Mi alzai leggermente sulle punte e lo baciai sulla guancia.
Lui per tutta risposta prese il mio mento tra il pollice e l'indice e mi baciò sulle labbra.

Mentre correvo più tardi in pista ripensavo ai baci, non sapendo chiaramente che significato dargli. L'unica cosa di cui ero certa è che c'erano stati e mi erano piaciuti.
Accidenti se mi erano piaciuti.
Lui continuava a chiamarmi mozzarella e a provocarmi, ma qualcosa era cambiato. Sentivo di avere un ascendente su di lui, di avere influenza sul suo umore.
Quando iniziai il turno al bar, tutto aveva un'atmosfera diversa. Più che un bar sembrava un piccolo locale per ragazzi,e infatti si popolò di gente curiosa di vedere la giungla dipinta sulla parete. Tiziano fu ricoperto di complimenti per il rinnovo, gli incassi superarono ogni aspettativa, tanto che lo sentii dire di voler ingrandire il locale acquistando una saletta che apparteneva alla gelateria lì accanto ma che era in disuso.
Visto che eravamo in tema di cambiamento gli parlai di Alessandro, e lui mi disse che l'altra cassiera che lavorava quando io non c'ero sarebbe entrata in maternità tra qualche settimana.
Alle otto, a fine turno, chiamai Alessandro per dirglielo, al che lui mi ringraziò mille volte.
"Sono con Fra, la sto aiutando con delle commissioni.." fece una pausa imbarazzata "piuttosto ho sentito Riccardo poco fa ed era di una cupezza assurda, mi ha detto che la madre...insomma, che la madre ha avuto un figlio dal suo compagno, e che lui lo è venuto a sapere dalla vicina. Non è che potresti.." 
"Passo da lui, subito."
Il padre sarebbe tornato l'indomani, perciò lui era completamente solo, e mano a mano che mi avvicinavo a casa sua ero più preoccupata.
Mi attaccai al campanello, ma nessuno rispose.
"So che sei dentro. Apri!" 
Iniziai a bussare a mano aperta come una pazza, al che lui aprì, gli occhi gonfi.
Non feci neanche in tempo ad abbracciarlo per prima che lui mi strinse e mi prese in braccio con tutto il borsone che avevo in spalla, come se non pesassi nulla. Mi baciò, le labbra calde, le guance ancora bagnate di lacrime. Si chiuse la porta alle spalle, io lasciai andare la borsa senza smettere di baciarlo e di accarezzargli la testa.
Mi portò in camera sua senza sforzo, e mi poggiò sul letto stendendosi su di me, baciandomi e cullandomi tra le sue braccia come una bambina. Mi voltai delicatamente mettendomi a cavalcioni su di lui e gli baciai gli occhi, la fronte, il naso, le labbra, il collo. Sentivo il suo corpo, forte e caldo ma incredibilmente sofferente. Lo abbracciai con tutta la forza che avevo e due lacrime spuntarono agli angoli dei suoi occhi.
Iniziò ad accarezzarmi i fianchi e il viso, sempre con più foga, e quando la sua mano scivolò sotto la mia maglietta e mi sfiorò un seno dovetti mordermi le labbra per non gemere.
Gli tolsi la maglietta lentamente e gli accarezzai il petto mentre lui si rilassava, abbandonandosi al mio tocco.
Mi alzò i capelli con le mani per baciarmi il collo, mordicchiandolo e facendomi rabbrividire.
Mi tolse la maglietta indugiando sul mio seno, e io mi alzai in piedi per togliere i pantaloncini. Rimasi in intimo davanti a lui, che mi strinse baciandomi il ventre e slacciandomi il reggiseno. Iniziò a percorrere con l'indice la linea dei miei fianchi, provocandomi un lungo, leggero brivido dove passava il suo tocco, mi stuzzicò i capezzoli con la lingua, e io partii definitivamente; ogni traccia di pudore o di vergogna mi aveva abbandonata.
Sorrisi baciandogli il collo e accoccolandomi su di lui.
La sua eccitazione era evidente, la sentivo sotto di me e mi mandava in delirio. "Arianna." la sua voce era spezzata, il respiro corto.
Non avremmo fatto l'amore, lo sapevamo entrambi, ma i nostri corpi volevano conoscersi ed esplorarsi a vicenda.
Ci baciammo su ogni centimetro del corpo, e mi soffermai su ogni suo singolo particolare; la piccola cicatrice sul fianco destro, il neo sull'avambraccio, il leggero velo di barba, la peluria bionda del suo inguine. Ogni cosa di lui mi faceva impazzire.
Quando scese delicatamente a baciarmi lì dove la mia carne si faceva più delicata credetti di morire di piacere. Gli afferrai i capelli con delicatezza e mi buttai indietro con la testa, inarcando la schiena e gemendo come una dannata. Quando raggiunsi l'orgasmo una scarica elettrica mi avvolse, e l'eccitazione salì invece di scemare.
Non avevo mai fatto nulla del genere ad un ragazzo, ma in quel momento eravamo una cosa sola, una grande macchina di fiato e carne che si muoveva con naturalezza. Nulla più mi creava timore o imbarazzo. Il momento in cui avevo provato vergogna in intimo davanti a lui ora mi sembrava lontanissimo, non avevo più remore, e lo sentii trattenere il respiro mentre scendevo lentamente e lentamente iniziavo a baciarlo, con intensità e poi sempre con più foga. Niente mi piaceva più di sentirlo inerme sotto di me, mentre gemeva, i forti muscoli delle gambe che si rilassavano e si contraevano di continuo.
Mentre stava per raggiungere l'orgasmo, mi chiamò con voce affannata. "Baciami..vieni qui.."
Accostai il mio viso al suo e lo baciai sul collo mentre lui raggiungeva l'apice del piacere per poi rilassarsi lentamente.
Non mi resi conto del tempo che passava, e restammo a letto, nudi e abbracciati. Avevo rispetto del suo dolore e non gli chiesi nulla, aspettai che lui fosse pronto per parlare, e quando lo fece, con poche parole, mi trasmise tutto il suo dolore e il suo abbandono.
Sentivo che per lui era difficile parlare, difficile affidarsi a qualcuno che non fosse stato se stesso, ma il calore del mio corpo e quella nuova intimità riuscirono a rassicurarlo. Non c'erano spiegazioni o grandi parole da dire, solo lo strazio dell'abbandono, così, da un giorno all'altro, e questo figlio che lo aveva rimpiazzato per sempre e definitivamente dalla memoria di sua madre. Si nascose nell'incavo dei miei seni, cospargendoli di baci, mentre io gli accarezzavo i capelli sciolti e sparsi sul suo collo.
Mi baciò ancora e ancora, sempre con più tenerezza.
"Resta con me stasera."








Scusate per l'assenza, ma ho avuto diversi impegni in questi giorni: avevo questo aggiornamento pronto da un bel po' e non vedevol'ora di pubblicarvelo anche se più corto del solito. Spero che non vi siate dimenticate di Boxe Love, perchè è tornato!
A presto, 
Lilith <3


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Capitolo 11
*** Festa e violenza ***


La cipolla sfrigolava nell'olio caldo della padella. Adoravo quel momento in cucina, dove l'aria diventava saporita e l'atmosfera sapeva di casa.
Riccardo aveva insistito per uscire a mangiare fuori, ma nessuno dei due riusciva a togliere la bocca da quella dell'altro, perciò io mi incaricai di preparare una bella cena. Mentre soffriggevo aglio e cipolla avvertivo la sua presenza dietro di me; stava apparecchiando.
Sorrisi al pensiero di ciò che era successo poco prima.
Eravamo ancora a letto, e lui con un po' di vergogna aveva ammesso che non c'era molto per cucinare.
"Nessun problema" avevo risposto allungando il braccio sul suo comodino per prendere un post-it, "facciamo una lista e andiamo alla bottega di fronte" 
E così avevamo iniziato a buttare giù gli ingredienti, e tra una cosa e l'altra iniziammo una gara a chi nominava più cibi con la stessa lettera iniziale. Vinsi io grazie allo scalogno, e Riccardo con la sua aria da leone spavaldo mi sovrastò iniziando a farmi il solletico. Quando la sua mano scivolò sotto la mia maglietta afferrandomi un seno nudo, la risposta del suo sesso fu immediata. Risi maliziosa e gli stuzzicai il collo con la punta della lingua.
"Devi pagare pegno adesso."
Il pegno da pagare stabilito da me fu lui in boxer per tutta la sera, il che mi sembrò anche troppo buona come penitenza. Per entrambi, ovviamente. Poter ossevare il suo corpo in piedi e non steso a letto era uno spettacolo magnifico. Le gambe erano definite e scattanti, la schiena era un tripudio di muscoli che si contraevano all'unisono ad ogni movimento come in una danza, le vene sull'avambraccio in rilievo.
Avevo scelto di non accendere la luce del lampadario della cucina - troppo forte e bianca - e avevo preferito quella di una lampada nell'angolo del salone, che faceva una grande luce calda e morbida; la cucina era in penombra ma la tavola era comunque ben visibile, inoltre la luna che faceva capolino dalla finestra contribuiva a rendere l'atmosfera accogliente e rilassante.
Avevo addosso solo la maglietta di Riccardo e le mutandine.
Il sugo al salmone era quasi pronto, l'acqua era a bollire e il pollo stava diventando dorato.
Sentii il corpo caldo di Riccardo contro di me e la sua mano iniziò ad accarezzarmi il ventre, e poi il sesso attraverso le mutandine.
"Ehilà" balbettai, per nascondere un gemito, mentre la sua erezione si faceva sentire contro la mia schiena. 
"Ehilà" disse lui con voce roca, "Il tuo profumo mi fa impazzire."
Il rumore delle pentole che cuocevano mi mandava ancora di più in pappa il cervello; ero lì, appoggiata al quadro cottura, i vapori caldi e profumati che mi scaldavano il viso, mentre la sua mano delicata ma decisa indugiava su di me. Sentivo il suo respiro farsi più affannoso al mio orecchio, e avrei voluto urlargli di scostare l'intimo e di proseguire, ma non osavo muovermi nè fare nulla: avrei rotto quel gioco meraviglioso.
Iniziò a stuzzicarmi il capezzolo con l'altra mano, sempre attraverso i vestiti,e io buttai la testa indietro, gemendo.
Era la tortura più bella e devastante che io avessi mai ricevuto, lenta e costante.
Non so per quanto mi accarezzò in quel modo, ma l'acqua iniziò a bollire.
Quando il mio tanga fu zuppo a dovere, finalmente lo scostò con un dito ed entrò in me trovandomi calda e pronta.
"Oh mio Dio" sussurrò al mio orecchio. "Non rispondo di me.."
Inarcai ancora di più la schiena per sentirlo meglio, con una voglia sfrenata di fare l'amore con lui.
L'orgasmo arrivò lento come i suoi movimenti, e si protrasse così a lungo che gemetti a voce alta come un gatto, muovendo il bacino sotto i suoi movimenti.
Lui non smise di toccarmi, e inizio a baciarmi la spalla e il collo. Sentivo già un altro orgasmo arrivare, e anche lui lo percepì dal mio fremere ed ansimare perchè mi voltò, mi prese in braccio e mi mise seduta sul bancone di fronte, senza smettere di baciarmi e di mordermi le labbra. Quando si abbassò e iniziò a baciarmi il sesso in modo selvaggio e sfrenato, andai fuori di me. Un secondo orgasmo, fortissimo, mi travolse e urlai, aggrappandomi con le mani ai suoi capelli.
Lui si rialzò, e continuò a massaggiarmi con la mano, mentre io inumidivo la mia con la saliva per andare a toccarlo lì dove era eccitato e bisognoso di piacere.
Mi accorsi che iniziavo ad adorare il suo corpo, il suo tocco su di me, l'iniziativa che aveva. Stava diventando una droga che bramavo senza sosta.
Per poco i nostri giochi sessuali non bruciarono tutto, ma per fortuna la cena fu salva.
Cuocemmo la pasta e iniziammo a mangiare con calma, guardandoci negli occhi.
Ad un tratto lui mi afferrò delicatamente per la mano, e mi fece sedere sulle sue ginocchia senza smettere di mangiare.
Mi sembò un gesto così dolce e intimo che per poco non mi misi a piangere. Lo baciai e gli sciolsi i capelli, giocherellando con le sue ciocche dorate tra una forchettata e l'altra.
"Comunque bisogna fare qualcosa" disse a un tratto lui.
"Cosa?"
"Fare qualcosa per quello che è successo prima. Tu mi ecciti troppo."
Risi e lo baciai. "Perchè dovremmo, è grave?"
"Non mi è mai capitato di voler assalire qualcuna mentre girava il sugo" disse lui con un sorriso scoprendo i denti bianchi.
"Io l'ho trovato assolutamente perfetto" dissi con un piccolo sbadiglio, accoccolandomi sul suo petto.
La serata scivolò così, lenta e perfetta. Lui spazzolò ogni cosa mugugnando complimenti tra un boccone e l'altro, e quando finimmo di cenare ci trasferimmo sul divano in salotto, dove lui iniziò a rilassarsi infilando le mani tra i miei capelli.
"Grazie Arianna, per tutto." aprii gli occhi e trovai i suoi su di me, seri. " Tu mi hai ascoltato come non ha mai fatto nessuno, non hai cercato stupidi consigli per distrarmi, tu hai ascoltato davvero e hai capito. Penso davvero che tu sia una specie di miracolo."
Lo abbracciai forte.

Dopo aver lavato i piatti, mi riportò a casa con il suo motorino.
Quando uscii da quella casa, mi sentivo in qualche modo legata a lui da qualcosa di forte e speciale. 
Mi strinsi a lui mentre sfrecciava per le strade, respirando il suo profumo ancora una volta.
Quando arrivammo sotto casa mia, mi tolse il casco con un gesto esperto e mi baciò a lungo, teneramente.
Mi sto innamorando di te.
Le parole premevano per uscire, ma mi trattenni. Non era ancora il momento.
"Buonanotte piccola guerriera" disse lui dandomi un buffetto sulla guancia.
Se io sono una guerriera, tu sei un leone.

Mi buttai sul letto col cuore che mi batteva all'impazzata e ci misi almeno un'ora per calmarmi. Stavo per prendere sonno, quando il mio cellulare vibrò.

C'è il tuo profumo nel mio letto. Non farò sogni casti e puri.

Digitai una risposta veloce e secca, le prime parole che mi vennero alla mente.

E allora sognami.

Il giorno dopo mi allenai come una pazza, avevo un'energia inesauribile e un sorriso a trentadue denti.
Riccardo non venne, e mi mandò un messaggio.

Anche papà ha saputo di mia madre, e voglio restare un po' con lui a pranzo. Stasera c'è una festa a casa di Eugenio, sei invitata e ci vieni con me.

Quell'imposizione mi gettò addosso una scarica di adrenalina. Che stesse iniziando a pensare a noi due come a un noi?
Eugenio mi rivolse l'invito mentre ci allenavamo, e accettai felicissima.
Fra mi chiamò a fine allenamento, comunicandomi che anche lei era stata invitata da Alessandro e che voleva assolutamente un consiglio su cosa mettere.
Passai a casa sua e pranzai con lei, passammo il pomeriggio a farci le unghie a vicenda e a fare impacchi strani ai capelli. Le raccontai tutto di Riccardo - beh, senza scendere nei particolari - e lei si mise a saltare sul letto e fece tanti urletti felici. 
Quando gli nominai Alessandro divenne color melanzana, e alla mia domanda che chiedeva cosa lui le avesse detto quel giorno a casa di Riccardo, fece la vaga e divenne di nuovo rossa. 
Lei si fece fare le unghie a punta e le dipinse con un gel color perla, io invece mi buttai sulla classica forma arrotondata e le feci color rosso vinaccia.
Alla mostra mancava solo una settimana, perciò organizzammo un piano d'azione con tutte le cose da fare e poi ci buttammo sulla scelta dei vestiti.
Lei indossò un vestitino bianco sopra il ginocchio, scollo a cuore e spalline molto anni '50 che la fasciava perfettamente, con un paio di sandali dal tacco alto. 
Io invece misi un vestito lungo color rosso scuro che lasciava la schiena scoperta, uno spacco sul lato destro scopriva la gamba.
Sotto misi un paio di zeppe con i laccetti color carne, e mi guardai allo specchio. 
"Sei una gran figa, ma quando avrò finito con te sarai un'opera d'arte" disse Fra, riversando sul letto i suoi trucchi.
Mi fece la piega liscia con il phon e raccolse alcune ciocche dietro, fermandole con delle mollette e facendo dei boccoli.
Dopodichè iniziò a truccarmi, e quando mi diede lo specchio rimasi a bocca aperta.
Aveva steso un velo leggero di bb cream colorata, che dava alla pelle un colorito rosato e fresco, dopodichè aveva illuminato tutta l'area del contorno occhi e delle sopracciglia, sfumato un ombretto color pesca molto naturale insieme ad un altro più dorato, e applicato una linea sottile di eyeliner e molto mascara sulle mie ciglia lunghe, il tutto completato da un rossetto color corallo. "Oddio!"
"Sono o non sono un'artista?" disse lei soddisfatta, mentre si passava sulle spalle un lungo foulard multicolore. "Riccardo ti chiuderà in casa per non farti uscire!"
Proprio in quel momento il mio telefono vibrò

Sono in motorino, passo a prenderti?

Gli risposi dicendogli di passare a prendermi sotto casa di Fra mentre il cuore mi schizzava in gola.
"Alessandro è sempre in ritardo e passerà fra un quarto d'ora" disse Fra mentre si acconciava i capelli, "vai pure dal tuo principe nordico!" 
Risi di gusto, ma quando sentii il rombo del motorino fermarsi sotto la nostra finestra iniziai a sudare freddo.
Scesi le scale con tutta la naturalezza possibile, accompagnata dai complimenti dei genitori di Fra.
Salutai e uscii nell'aria estiva, il vestito che oscillava lento ai miei movimenti.
Riccardo era sul motorino, un piede appoggiato a terra.
Portava una camicia bianca arrotolata sull'avambraccio e un paio di pantaloni scuri. Bellissimo.
Stava armeggiando con il telefono, cercando di infilarlo nel cruscotto del motorino, e quando sentì la mia presenza alzò la testa. Non potevo vedere la sua espressione perchè aveva la visiera del casco abbassata, e questo mi diede un po' di sicurezza.
Mi avvicinai, protetta dai miei occhiali da sole, e gli dissi: "Se mi prendi in giro ti riempio di pugni."
Lui non rispose e, con un movimento fluido scese dalla moto, porgendomi il secondo casco.
Mi tolsi gli occhiali da sole e lui si alzò la visiera,
"Tu vuoi farti rapire stasera?" disse squadrandomi "Io non vado a nessuna festa, mi fermo prima."
Risi lusingata e lui mi baciò - il suo profumo mi investì come un treno - "Mi invidieranno tutti stasera" disse accarezzandomi un fianco.
Salii sul motorino aggrappandomi a lui e stando attenta che lo spacco del vestito non rivelasse troppo.
Dopo neanche quindici minuti eravamo sotto casa di Eugenio, ma io avrei voluto restare lì, stretta a lui tutta la notte.
La casa di Eugenio aveva un giardino molto grande con una piscina e un gazebo, che era stato illuminato e apparecchiato per l'occasione. C'erano dei tavolini - probabilmente di plastica - coperti da lunghe tovaglie bianche, e nell'aria suonava Blue Jeans di Lana del Rey.
"Non c'è canzone più adatta a te" dissi senza rendermene conto, mentre mi aiutava a scendere dal motorino.
"Dici?" disse lui, passando un dito sotto lo spacco del vestito, sulla gamba nuda.
"Ehilà!" Eugenio si staccò da un gruppetto di ragazzi e venne a salutarci, seguito dalla sua ragazza. L'avevo già vista qualche volta all'uscita della palestra, si chiamava Alessia e mi aveva sempre salutata con gentilezza. E così fu anche quella sera. "Questo vestito ti sta benissimo!" mi disse mentre mi salutava.
"Grazie, anche tu sei bellissima." Era vero, Alessia aveva un bel corpo slanciato e un caschetto rosso che le incorniciava il volto dai bei lineamenti. Indossava un lungo vestito color rosa chiaro, sembrava una fata.
Iniziammo a chiacchierare del più e del meno tutti e quattro, e avevo notato che Eugenio aveva lanciato un'occhiata stramba a Riccardo quando ci aveva visti arrivare insieme. Alessia mi prese sottobraccio; "Ti presento gli altri e ti faccio fare un giro." 
Mi presentò ad un gruppo di ragazzi che non conoscevo, alcuni mi guardarono con discrezione, altri rimasero a fissarmi senza nessun ritegno.
C'erano due ragazze sedute in disparte che si davano gomitate e si sussurravano nell'orecchio. "Quelle lasciale perdere, fanno parte di quella comitiva che ti ho presentato ma le poche volte che sono uscita con loro mi hanno totalmente ignorata e hanno sparlato alle mie spalle per tutto il tempo..oltre a guardare insistentemente il fondoschiena di Eugenio."
"Oh Dio, ma dai!" risi al pensiero; Eugenio era un bel ragazzo, ben piazzato grazie alla boxe, capelli castani e occhi scuri da cerbiatto. Potevo capire che gli sbavassero dietro, ma Alessia era una ragazza amabile e non si meritava quel trattamento. Mentre ridevo una delle due, una mora dagli occhi neri, mi guardò con un certo disprezzo.
Era magrissima, strizzata in un mini abito nero con dei ricami in pizzo che le copriva a stento il sedere, tacchi vertiginosi e un vistoso rossetto rosso che stonava troppo con il suo naso aquilino.
Alessia mi porse un bicchiere riempiendone anche uno per lei: era un cocktail di frutta. Ringraziai, e in quel momento Riccardo ed Eugenio stavano entrando sotto il gazebo.
L'attenzione delle due all'angolo fu tutta per loro, ma mi sembrò più veicolata verso Riccardo.
Il mio sguardo passò velocemente da lei a lui, che si guardava in giro, cercando qualcuno. 
Probabilmente me, mi ritrovai a pensare.
Ma prima che potessi alzare un braccio per farmi notare, la mora si era alzata sui tacchi traballanti, seguita dalla sua fedele compagna, e si era avviata verso di loro, sistemandosi il vestito che la stava lasciando scoperta.
Si avvicinò ad Eugenio e lo salutò, per poi farsi ovviamente presentare Riccardo.
Riccardo le strinse la mano con fare piuttosto indifferente, ma quando lei gli sventolò i capelli davanti e si accarezzò il collo da sola come una mentecatta non ce la feci più.
Afferrai un pasticcino alla crema e mi diressi verso di loro con scatto da centometrista, con Alessia che mi seguiva.
Riccardo si accorse di me, e rimase a fissarmi mentre camminavo spedita con lo spacco che svolazzava al vento.
Morsi il pasticcino esattamente a metà mentre mi avvicinavo, e quando fui davanti a lui gli porsi l'altra metà, strabordante di crema. 
"Assaggia, è buonissimo."
Lui alzò un sopracciglio divertito e si lasciò imboccare. Ovviamente non persi l'occasione di sfiorargli le labbra con le dita, con la scusa di evitare che si sporcasse di crema. 
In tutto ciò, Eugenio si era distratto per l'arrivo di Alessia, ma i due piloni della luce avevano visto tutto molto attentamente.
Le ignorai per un attimo, per poi voltarmi verso di loro esibendo il mio miglior sorriso.
Lo sguardo di una vagò sul mio corpo, quello dell'altra sui miei capelli e sul mio viso. Io invece le guardai dritte negli occhi e mi presentai.
Mugugnarono i loro nomi, -la mora era Elisa, l'amichetta invece Silvia- per poi girare sui tacchi e allontanarsi con un "Ci vediamo più tardi"
"Da quando mi imbocchi anche?" disse malizioso Riccardo, a bassa voce.
"Non posso?" dissi io facendomi circondare dalle sua braccia e ballando un lento improvvisato.
"Hai visto come ti hanno guardato quelle?"
"No, come mi hanno guardata?" dissi con malizia.
"Come si guarda una gnocca da paura."
"Che gli ha fregato il sexy ragazzone biondo che avevano puntato."
"Ah sì?" disse lui ridacchiando.
Poco dopo arrivarono Alessandro e Fra, che venne puntata subito da un ragazzo. La osservava da lontano, e quando si avvicinò al tavolo delle bevande le porse un drink per poi tornarsene al suo posto. In tutto ciò, Alessandro non le staccava gli occhi di dosso e rivolse uno sguardo di traverso a quel povero ragazzo che fece morire dalle risate Riccardo e imbarazzare Fra.
Ogni tanto c'era un contatto tra me e Riccardo; uno sguardo, le mani che si sfioravano, lui che mi toglieva una ciocca di capelli dal viso, io che gli sistemavo i polsini della camicia.
Gesti che potevano apparire del tutto normali in realtà erano la conseguenza di un filo rosso che oramai ci legava.
Potevo guardarlo dall'altra parte del giardino e sapere che, quando i suoi occhi avrebbero incrociato i miei, avrei sentito una connessione speciale ed unica, soltanto nostra. Non c'era bisogno di tenersi la mano o di star seduti vicini, anzi più eravamo immersi tra gli altri e più questo contatto era intenso.
Quando lui si fece scivolare un'ostrica sulla lingua non riuscii a trattenere un brivido di eccitazione, ma cercai di restare calma e mi sedetti accanto a lui, accarezzandomi il collo come una gatta in calore. Lui ne prese un'altra, e mentre la mandava giù, gli appoggiai una mano sulla coscia da sotto la lunga tovaglia.
Lui ebbe un leggero tremito; probabilmente non si aspettava un'iniziativa così audace da me, ma aveva capito, e potevo quasi sentire il suo cervello accendersi e iniziare a spogliarmi con gli occhi, l'eccitazione crescere e la fantasia spaziare il più possibile.

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Era girata di spalle e stava parlando con la ragazza di Eugenio.
Con discrezione, ogni tanto buttavo l'occhio sulla sua schiena nuda, leggermente dorata dall'abbronzatura e tonica, i muscoli sensuali sotto il sottile velo di pelle, e poi il sedere, il culo più bello che avesse mai abitato le mie fantasie, coperto da uno strato di tessuto, eppure in rilievo.
Mi imposi di non fare pensieri spinti e di non guardarla troppo, perciò mi concentrai sul cibo; presi un paio di ostriche dal vassoio sul tavolo e me ne portai una alla bocca. Lei mi guardò, ma non ci feci troppo caso. Mentre prendevo la seconda si avvicinò, e capii che ciò che aveva visto l'aveva in qualche modo colpita.
Questa sorta di danza che era iniziata da quando eravamo arrivati mi intrigava come non mai. Le altre ragazze che avevo avuto non avevano mai avuto nessun ascendente del genere su di me.
Quello di chiamarmi con lo sguardo, anche da lontano, o di trasmettermi un pensiero con un tocco.
Il mio corpo, accanto a lei, era vivo, ogni cellula trasmetteva e riceveva, non era solo una questione di ciò che avevo tra le gambe. 
Mentre si sedeva gettai uno sguardo sulla sua gamba nuda e immaginai di prenderla lì, su quel tavolo, sotto quel gazebo che improvvisamente diventava deserto e solo per noi.
Quando la sua mano si posò sulla mia coscia, l'erezione mi era già esplosa nei pantaloni, e capii che lei stava pensando la stessa cosa.
Il tavolo continuò ad essere animato da chiacchiere al quale ci unimmo con naturalezza, parlando e ridendo del più e del meno. 
La sua mano si era spostata, aveva sentito la mia eccitazione e si era ritirata.
Aspettai di tornare alla normalità per non dare spettacolo, dopodichè, la presi per la vita e ci allontanammo con discrezione, facendo un giro del giardino.
Si era riempito di gente, e lei colse non pochi sguardi da parte di alcuni ragazzi. La cosa mi infastidiva e dall'altra parte mi esaltava. Entrai in casa, e con assoluta naturalezza la guidai su per le scale.
Conoscevo casa di Eugenio, sapevo che aveva due bagni e una camera per gli ospiti, dove dormivano i suoi cugini quando venivano a trovarlo da Milano.
Il piano di sopra era deserto, e la stanza aveva due letti singoli e una grande libreria a muro.
Chiusi la porta con un giro di chiave, la serranda era già abbassata e la stanza era in penombra.
Finalmente la presi tra le braccia e la baciai con foga, lei gemeva sotto il mio tocco e mi stringeva la schiena, le spalle. La addossai delicatamente alla libreria senza far rumore e le abbassai le spalline del vestito, scoprendole i seni turgidi e sodi. 
Li baciai e li succhiai mentre cercavo il suo sesso con l'altra mano, armeggiando con i veli del vestito. La trovai, e la scoprii bagnata più di quanto pensavo, segno che era eccitata da molto tempo.
Lei iniziò a respirare più affannosamente e ad affondarmi le mani nei capelli, cosa che mi mandava ogni volta in tilt.
"Riccardo" ansimò, "ti voglio."
Quello significava solo una cosa, ma entrambi sapevamo che non poteva accadere lì, in quella stanza, quella sera. Doveva essere speciale.
"Anch'io ti voglio" dissi affondando ancora di più in lei e provocandole un gemito.
Proprio sul più bello lei mi spinse delicatamente via, e mentre la guardavo con fare interrogativo aprì una zip sul fianco facendo scivolare il vestito ai suoi piedi, seguito dall'intimo.
Si avvicinò tenendomi le mani sul petto e facendomi indietreggiare, fino a che non incontrai il letto e fui costretto a sedermi.
La presi per i fianchi e la costrinsi a fare un giro su se stessa.
"Sei assolutamente meravigliosa" le dissi mentre le accarezzavo un seno, e la vista del suo culetto nudo mi portò a fantasie ben più rudi. 
Ricominciai a toccarla stando seduto, lei seduta su di me, i suoi seni all'altezza della mia bocca.
Ebbe un orgasmo silenzioso, e poi un altro.
Si chinò con foga, e accolse il mio sesso nella sua bocca, completamente e con decisione.
"Non mi farai durare un secondo" gemetti a fatica, mentre accompagnavo la sua testa reggendole i lunghi capelli.
Per tutta risposta lei tornò a leccarmi il collo, prima lentamente e poi con così tanta passione che mi ritrovai a masturbarmi con la mano, il sesso che quasi mi doleva dal piacere.
Lei rise e tornò giù, lenta, sempre più lenta ma decisa, e raggiunsi un orgasmo lento e devastante.
La stanza aveva un piccolo bagno collegato, così andai a sciacquarmi. 
La osservai per un secondo dalla fessura della porta; era nuda, addosso solo le scarpe, e scorreva con la mano i libri dello scaffale.
"Vedi di rivestirti o non uscirai di qui fino a domani" dissi osservandole la curva dei seni.
La sentii ridere, e mi accorsi con un certo spavento che quella risata mi scendeva dentro, e mi faceva bene.
Mi accorsi con un certo spavento che prima della connessione fisica c'era quella mentale. Mi ricomposi in silenzio e mi sciacquai il viso e le mani, che sapevano dei suoi umori.
Lei entrò, rivestita, e si affiancò a me, insaponandosi anche lei.
Era bellissima, da capogiro.
"Adoro questo vestito, e sai perchè?
"Perchè?"
"Perchè è facile da togliere."

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Ci rimescolammo tra la gente senza dare nell'occhio, il sole era quasi calato del tutto e la musica era aumentata; qualcuno ballava, altri mangiavano sotto il gazebo, altri ancora se ne stavano in piccoli gruppi a chiacchierare. Avere Riccardo accanto a me era una sensazione strana ma meravigliosa.
Alessandro si accorse dei nostri sguardi e sparì assieme a lui sotto il gazebo, mentre Fra mi prendeva sottobraccio, ballando.
Un paio di ragazzi subito si avvicinarono, ma non li calcolammo più di tanto, ridendo e facendo le idiote a ritmo di musica.
Mentre ballavo, notai un paio di occhi fissarmi tra la folla. All'inizio non riconobbi chi fosse, ma poi mi voltai di nuovo e di nuovo la scoprii a fissarmi: capelli corti e biondi, occhi chiari, faccia da schiaffi: era Paola. Non l'avevo più vista dal famoso pugno che mi aveva dato.
Accanto a lei c'era un ragazzone alto e tarchiato, moro, e un altro che le assomigliava molto; forse il fratello.
Dopo aver individuato me, il suo sguardo passò a Fra e poi ad Alessandro, che chiacchierava con Riccardo e gli altri a qualche metro da noi.
Si avvicinò a noi seguita dai due, e notai che era vestita in modo parecchio spinto: portava un paio di shorts di jeans e un top striminzito che lasciava poco all'immaginazione; inoltre lei non era esattamente longilinea, per cui quei vestiti abbinati alle zeppe alte la rendevano alquanto volgare. 
"Ignorala" mi disse Fra, che si era accorta della sua presenza.
"Stai tranquilla, non mi tocca."
L'importante è che non tocchi qualcuno di voi.
Continuai a ballare restando comunque vigile, e notai che Paola e i due si accorparono con i due piloni della luce, Elisa e Silvia.
Iniziarono anche loro a ballare, e Paola iniziò a strusciarsi con il tizio alto, soprattutto quando Alessandro si voltava per guardare la pista.
Ad un certo punto, prese per il braccio quel buzurro e lo trascinò verso di noi.
"La vedi questa col vestito bianco?" disse ad alta voce al ragazzo indicando Fra, senza smettere di ancheggiare come la gran troia che era, "Pensa che Alessandro se l'è presa! Bah, stavo anche pensando di dargli una possibilità e lui che fa? Si prende questa nullità invece di vedere le stelle con me."
Il buzurro rise, viscido. Aveva i capelli neri e unti, un fisico robusto e gli occhi azzurri e maligni. 
Gli occhi di Paola si spostarono su di me: "Come va lo stomaco?"
"Non so che cazzo tu ti sia fumata per essere così ma è meglio se ti togli di torno." 
Era Alessandro, incazzato come una iena. Si frappose fra Paola e Fra e prese la mia amica per mano.
"Che c'è, Paola? Ti rode il culo perchè non c'è stato praticamente niente tra noi? Se c'è una nullità qui quello sono io che ti sono stato dietro come un coglione, ora che ti guardo davvero non capisco come cazzo io abbia fatto."
Grande! Hai guadagnato mille punti!
Alessandro si allontanò di qualche passo abbracciando Fra.
"Stai bene piccola?" lo sentii chiederle tra la folla. Stavo per allontanarmi,e andai a sbattere contro l'altro ragazzo, quello che assomigliava a Paola. "Scusa" disse con voce roca.
"Niente" dissi io, e raggiunsi gli altri sotto il gazebo.
Riccardo era rimasto a guardare la scena da lontano, pronto ad intervenire, e lo trovai alquanto sollevato.
"Pensavo che Gianmarco sarebbe partito, sempre ubriaco com'è, invece è andato tutto bene, per fortuna."
"Ma neanche li ho invitati quelli" disse Eugenio, "Si sono invitati da soli, idioti e anche rompicoglioni."
La serata andò avanti e il gruppo di Paola non causò più problemi, anche se quella Elisa continuava a fissare Riccardo mentre ballava con quelle gambette secche.
"Arianna, puoi andare a prendere dei bicchieri di plastica in cucina?" mi chiese Eugenio, impegnato a tagliare a fette un grosso cocomero. "Sono finiti e non so dove sia Alessia"
"Certo." risposi.
Mi avviai verso la cucina -che avevo intravisto prima quando ero entrata assieme a Riccardo- e sentii delle voci provenire dall'interno.
"Hai finito?" 
"Eddai, tesoro..." 
Mi bloccai sulla porta, uno strano brivido mi percosse ma entrai ugualmente; non mi importava cosa avrei visto o interrotto, era una cucina ed erano loro in difetto, non io.
Con mio sollievo incontrai solo Alessia che respingeva un ragazzo. 
"Esci, Fernando." era il ragazzo di poche ore fa, il forse-fratello di Paola. Era allegro e sornione, evidentemente brillo.
"Eddai dammela una bottiglia di birra, mica mi ubriaco davvero eh!"
Alessia si voltò verso di me alzando gli occhi al cielo e sbuffando, due teglie di dolci fra le mani. Uscì per portarle fuori.
Io lo ignorai, e mentre mi chinavo per prendere i bicchieri sentii una sua mano palparmi il sedere con violenza.
Quasi caddi in avanti perdendo l'equilibrio.
"Che cazzo fai!!?" gli urlai dandogli un sonoro schiaffo sulla guancia. Lo spinsi con tutta la forza che avevo e lo mandai a sbattere contro il bancone. Feci per uscire tentando di restare calma- era solo un pervertito ad una festa- ma lui fu più veloce, mi sbattè contro la porta che si chiuse e cominciò a strizzarmi i seni attraverso il vestito.
Mi fece così ribrezzo che mi paralizzai, schiacciata contro la porta mentre lui si spalmava su di me.
"Ti ho vista che mi sei venuta addosso prima" biascicò, "tu mi vuoi scopare, lo so.."
Volevo urlare ma un grosso mattone mi bloccava la gola, sentivo di non avere voce e di soffocare.
Sentii che armeggiava con la cintura e quando avvertii qualcosa di caldo appoggiarsi sulla mia schiena capii che si era davvero calato i pantaloni.
"Ti piacerebbe se ti venissi in bocca, eh bella zoccola.." biascicò mentre iniziava a toccarsi e con l'altro braccio mi teneva la testa schiacciata contro la porta.
Iniziò a mugugnare e più andava avanti più la vergogna si espandeva in me come una macchia d'olio.
Vedendo che restavo ferma, tolse il braccio che mi schiacciava e iniziò ad alzarmi il vestito come un dannato.
"Si ferma così...fammi divertire un po' tesoro.." Quando sentii il contatto del suo pene contro la pelle della coscia mi riattivai, e come se l'incantesimo si fosse sciolto, gli diedi una sonora gomitata nello stomaco. Uscii fuori dalla cucina e caddi sulle ginocchia.
Mancavano solo pochi metri, poi la porta che si apriva sul salotto, la gente fuori, non sarei stata più alla sua mercè.
Ma subito lo sentii di nuovo dietro di me, tirarmi i capelli e bloccandomi a carponi.
Il rumore metallico della cintura mi bloccò di nuovo ogni muscolo, e di nuovo lui si sputò sulla mano e iniziò a masturbarsi.
"sei la più bella maiala che io abbia mai visto, come arrapi.." 
Ero terrorizzata, ma un'altra parte di me stava evadendo, volando in un posto diverso dove l'erotismo non era una vergogna e dove c'erano le parole calde e le carezze di Riccardo.
"Vedi? Non succede nulla..fammi divertire ancora un po' che sto per venire...sulla tua bella schiena.."
Mi sentivo un verme, piangevo in silenzio e non avevo voce, la vista offuscata.
L'altro braccio riuscì ad intrufolarsi con violenza sotto il mio vestito.
"Hai la fichetta depilata, lo sapevo che eri una troia.." 
Non sentii nulla, solo d'un tratto il mio corpo farsi leggero.
La porta davanti a me era sempre chiusa, ma stavolta Alessia era accanto a me, e mi tirava su a sedere. 
Poi capii. Riccardo era lì, si era chiuso in cucina con quel porco e lo stava ammazzando di botte.
"No!" urlai tirandomi su come una molla.
Nella stanza non vidi nessuno.
Poi la vidi, una porta a vetri che dava su un piccolo giardino.
Mi fiondai fuori e vidi Riccardo che tempestava di pugni Fernando.
"Che cazzo hai fatto!" Pum.
"Cosa cazzo hai fatto!" Pum, un altro pugno, poi un calcio.
"Come cazzo ti sei permesso di toccarla!" Il tizio non si muoveva più sotto i suoi colpi, li sorbiva come un sacco da boxe.
"Riccardo.." mi stupii della mia stessa voce. Non era la mia voce, era il rantolo di un animale ferito.
Lui smise di colpo e si voltò.
"Oh mio Dio" corse verso di me, prendendomi il viso " Cosa cazzo ti ha fatto questo sterco?!" 
"Niente...a me..niente..lui.."
"Cazzo!" Urlò, diede un calcio ad una sedia di plastica mandandola a gambe all'aria.
Poi si girò come una pantera gettandosi di nuovo su di lui.
Lo prese per il colletto della camicia, lo alzò, - il pene in bella vista con il pantalone mezzo calato - e gli sputò in faccia.
Dopodichè gli diede una sonora ginocchiata, dritta nei genitali. 
L'urlo questa volta si sentì eccome, ma venne sopraffatto dalla musica. Alessia tornò seguita da Eugenio, che guardò Fernando con gli occhi di fuori.
"Brutto pezzo di merda!" Si avventò su di lui con un calcio tremendo.
"Lo ammazzate così!" niente da fare: la mia voce non era che un sussurro.
"È colpa mia.." disse Alessia, bloccata. "Cazzo, non me lo sono cagata di striscio, non avrei mai immaginato che.."
"Ha detto qualcosa anche a te questa merda?" urlò Eugenio.
"Io lo spello vivo. Lo denuncio. Hai sentito, bastardo? Mio padre è un giornalista. Se non ti ammazzo prima ti sbatteranno su tutti i giornali."
"Non voglio...non voglio sporgere denuncia."
Silenzio.
Riccardo mi guardò, gli occhi sbarrati. "Che cosa?"
"Non voglio. Non voglio che voi veniate coinvolti, non voglio che questa storia venga fuori, voglio solo andare a casa e non vederlo mai più."
La testa mi girava terribilmente, la vergogna era inarrestabile.
"Riccardo.." gli occhi mi si gonfiarono di lacrime, il suo viso si fece sfocato. 
Riccardo mi strinse a sè impedendomi di vedere nient'altro che il suo petto.
"Amore, sono qui...ehi. Eccomi."
"Vado a chiamare quella deficiente e la sua combriccola" disse Eugenio, "prenderanno questa testa di cazzo e se lo porteranno a fanculo uscendo dal retro."
Riccardo mi prese in braccio e mi ritrovai in una macchina.
Aprii gli occhi e mi guardai intorno mentre lui faceva retromarcia.
"Siamo passati dal retro, ho preso la macchina di Alessandro, ti sto portando a casa."
"Non voglio." gli afferrai un polso con fatica, un singhiozzo mi scosse "Voglio stare solo con te."





Eccoci qui con un capitolo abbastanza forte sotto ogni punto di vista.
Comincio col dire che il rating di questa storia è ben definito, perciò dovrete aspettarvi scene di questo genere. 
Spero che comunque la storia vi stia appassionando, si farà molto più introspettiva da adesso in poi.
A presto, e recensite mi raccomando! Aspetto i vostri commenti <3
Lilith





 

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