Lei aveva vissuto

di MairTonks
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luglio 1997 ***
Capitolo 2: *** Casa Burbage, settembre 1969 ***
Capitolo 3: *** King Cross, settembre 1969 ***
Capitolo 4: *** Espresso per Hogwarst, settembre 1969 ***
Capitolo 5: *** Hogwarst, settembre 1969 ***
Capitolo 6: *** Hogwarst, ottobre 1969 ***
Capitolo 7: *** Hogwarst, 16 ottobre 1969 (parte 1) ***
Capitolo 8: *** Hogwarst, 16 ottobre 1969 (parte 2) ***
Capitolo 9: *** Hogwarst, 26 ottobre 1969 ***
Capitolo 10: *** Hogwarst, 1 dicembre 1969 ***
Capitolo 11: *** Hogwarst, 2 dicembre 1969 (parte 1) ***
Capitolo 12: *** Hogwarst, 2 dicembre 1969 (parte 2) ***
Capitolo 13: *** Hogwarst, 12 dicembre 1969 ***
Capitolo 14: *** Casa Burbage, 24 dicembre 1969 ***



Capitolo 1
*** Luglio 1997 ***


Luglio 1997

Charity si sveglio dall’altro lato del grande letto matrimoniale, il lenzuolo rosso avvolto in malo modo attorno alle gambe e con un braccio sotto il cuscino. Si passò una mano sul volto tenendo gli occhi ancora chiusi e si allontanò con un gesto rapido una ciocca ribelle. Anche se aveva deciso di tagliarli da parecchi anni, continuavano ad andare in tutte le direzioni e non c’era modo di tenerli in ordine. 

Quel giorno non aveva voglia di alzarsi e, soprattutto, non aveva nessun valido motivo per abbandonare il comodo letto. Nessuno dei suoi tre figli era in casa, non doveva andare a lavorare e non aveva nessun incontro in programma. Appoggiò nuovamente la testa sul cuscino nella speranza di riaddormentarsi ma un grosso barbagianni prese a picchiatore con insistenza contro la finestra. A malavoglia si alzò dal letto e si diresse verso la fonte del rumore. L’uccello arruffò le piume prima di spiccare il volo e iniziare a lottare contro le forti folate di vento. Quella giornata era stranamente grigia, non pioveva ma tirava un forte vento e grandi nuvole cariche di pioggia coprivano il sole. 

Ritornò a letto e si sedette dalla sua parte, quella più vicina alla finestra, e si appoggiò al cuscino perfettamente intonso. Erano tredici anni che, la sera, si metteva a dormire in quella che ufficialmente era il suo lato del letto e puntualmente, la mattina dopo, si svegliava dalla parte in cui era solito dormire suo marito. Ricacciò il ricordo di un uomo che era solito dormire a pancia in giù, una mano sotto il cuscino e l’altra a penzoloni fuori da letto e aprì il giornale.

Il tempo cupo fuori dalla finestra rispecchiano perfettamente il clima di paura e terrore in cui era caduta la comunità magica. Man mano che svegliava la gazzetta del Profeta,  non poteva non pensare che tutto quello che i giornalisti riportavano era meno della metà di quello che accadeva realmente. Ogni giorno veniva perseguitati decine di nati babbani, colpevoli secondo alcuni, di aver rubato la magia ai purosangue e altrettanti babbani venivano brutalmente uccisi solo perché considerati inferiori. Ogni giorno Charity ribolliva di rabbia per quelle notizie taciute, ogni giorno doveva ripetersi che non poteva irrompere al ministero e far fuori con un semplice e diretto incantesimo tutti quegli assassini a piede libero che lavoravano tranquilli dietro le scrivanie. 

Ma ogni giorno Charity si svegliava con la consapevolezza che c’erano altri modi per combattere quella guerra, altre armi da usare e altre strategie da mettere in atto. Ogni giorno si svegliava consapevole che il suo non era un semplice lavoro, che insegnare babbanologia a giovani maghi e streghe era più che fornire semplici nozioni per superare gli esami. Ogni giorno lei entrava in aula e faceva il possibile per insegnare ai suoi giovani allievi che il mondo è bello per la sua diversità e che discriminare qualcuno solo perché non possedeva la magia era ingiusto. Magari i babbani non erano in grado di far levitare una piuma, ma erano stati in grado di costruire macchine in grado di volare e trasportare un gran numero di persone. I babbani non erano inferiori, solo diversamente organizzati.

Nutriva la speranza di riuscire ad aprire gli occhi ai giovani, insegnargli fin dalla più tenera età a non aver paura del diverso ma di imparare a conoscerlo. Con gli adulti era sicura di non avere neanche la minima spaventa ma voleva tentare. Era per questo che, dopo il funerale di Silente, aveva contattato un suo vecchio compagno di scuola e lo aveva supplicare di pubblicare sulla Gazzetta del Profeta un suo articolo. Aveva dovuto inviare decine di gufi, supplicarlo e ricordargli della loro amicizia ma alla fine lui aveva ceduto e la settimana scorsa era riuscita ad incontrarlo e parlargli di persona. Lui si era limitato a dire che la sua era un’idea folle, che era una pazzia pubblicare un articolo in difesa dei babbani dopo gli ultimi avvenimenti. Ma Charity si era limitata ad alzare le spalle e a ricordargli che per lei era davvero importante. Lui l’aveva abbracciata prima di salutarla, assicurandole che avrebbe fatto il possibile e chiedendole di fare attenzione perché ci sarebbero state delle conseguenze dopo la pubblicazione del pezzo. 

Era passata una settimana e Charity stava iniziando a pensare che si fosse tirato indietro e bruciato la pergamena su cui aveva scritto l’articolo. Stava per arrendersi, era quasi arrivata alla sezione sportiva del giornale, quando lo vide. Scritto nell’angolo sinistro della pagina, con caratteri minuti e un titolo lungo che non avrebbe attirato l’attenzione di nessuno, c’era il suo articolo. Non era esattamente quello che si era aspettata, era convinta che fosse una buona idea rivolgersi a lui per ottenere la giusta considerazione ma si rese conto di essersi sbagliata. Lui aveva avuto paura e tentato di far passare inosservato il suo articolo e Charity stava giusto scendendo di sotto per mandargli un gufo di protesta quando sentì un forte rumore provenire dal soggiorno. Afferrò la bacchetta e corse giù per le scale, incurante di avere addosso solo una vecchia maglia di suo marito. 

Cinque figure nere avevano iniziato a mettere a soqquadro il soggiorno e la cucina con la chiara intenzione di rompere più cose possibili. La libreria era crollata sul pavimento con un forte tonfo, vecchie cornici erano in frantumi e qualcuno aveva dato fuoco alle tende. 

-Charity, che piacere vederti. Io e alcuni amici eravamo venuti a complimentarmi per il tuo articolo- disse il mangiamorte più vicino a lei abbassandosi il cappuccio.  

Riconobbe Travers dalla brutta cicatrice che gli solcava il viso e, con piacere, notò che non era riuscito a rimarginarla. I suoi occhi avevano una luce folle, la stessa di un cacciatore che vede comparire davanti la propria preda. 

-Ma c’è qualcun altro che vorrebbe discuterne con te. Il Signore Oscuro in persona ci ha chiesto di accompagnarti da lui- continuò mentre avanzava lentamente verso di lei. Intanto le altre quattro figure aveva iniziato a sghignazzare e a puntare le bacchette verso di lei. Era in trappola e al primo movimento l’avrebbero colpita.     

-Ne sono lusingata. Dimmi un po’, perché non e’ venuto lui di persona?- non sapeva da dove provenisse quel sarcasmo ma, se non poteva colpirli senza essere raggiunta da quattro diversi incantesimi, poteva almeno continuare a ribattere con le parole. 
-Lui ha altri progetti per te, Charity. Ha pensato di invitarti a cena- 

Il tono con cui Travers aveva pronunciato l’ultima parola non aveva nulla di rassicurante e Charity si trattenne dallo scappare. Non voleva fare la figura della codarda, avrebbe combattuto fino all’ultimo in ciò che credeva. Ringraziò Merlino che nessuno dei suoi figli fosse in casa e strinse saldamente la bacchetta. Non avrebbe mai accettato l’invito a cena del Signore Oscuro, avrebbe preferito morire che seguire quegli uomini incappucciati e avrebbe fatto in modo di portarne con se’ il più possibile. 

-Mi dispiace, ma stasera ho un impegno- disse prima di alzare la bacchetta e colpire l’uomo davanti a lei. Non sapeva chi fossero gli altri e non gli importava. Travers aveva reso un inferno la vita di Oliver e della piccola Ophelia, aveva contribuito alla morte di suo marito e quasi provocato la morte di Vivienne. 

Travers fu colto alla sprovvista e l’incantesimo lo colpì in pieno. Con un po’ di fortuna, la cicatrice che gli aveva provocato Oliver sarebbe sembrata un graffio. Come previsto, quattro schiantesimi la raggiunsero e l’ultima cosa che vide fu Travers gridare in preda al dolore. 

                                                                                                                 ****

Charity aprì gli occhi e vide un lungo tavolo sotto la sua testa. Dopo una settimana rinchiusa in una piccola cella, qualcuno l’aveva appesa per i piedi, legata con un incantesimo e, anche se provava a muoversi, non sarebbe riuscita liberarsi. Stava girando lentamente, qualcuno stava parlando e notò alcuni volti pallidi fissarla impassibili. 

Non sarebbe dovuta finire così, avrebbe preferito di tutto che quella fine. Lei voleva lottare, voleva guardare negli occhi il suo avversario e tenergli testa. Stava andando incontro ad una fine orribile, ingiusta. Non aveva neanche detto addio ai suoi figli, ai suoi amici e alla sua famiglia. Sarebbe scomparsa nel nulla, per mano di un pazzo con idee folli.

Ad un certo punto incrociò un paio di profondi occhi neri, occhi che aveva già visto e che conosceva bene. Severus Piton la stava fissando impassibile, il volto pallido incorniciato dai capelli neri dello stesso coloro della veste che indossava. Forse, se avesse provato…magari avrebbe avuto una possibilità…

Qualcuno pronunciò il suo nome ma lei era troppo impegnata a supplicare Piton che a dargli retta. Non voleva morire così, non appena al soffitto e con le lacrime che scendevano copiosamente sui suoi capelli. Ma Piton la ignorava, aveva distolto lo sguardo e lei si concesse un ultimo pensiero alle persone che aveva amato. I suoi genitori, i suoi fratelli, i suoi amici e alla famiglia che aveva costruito. Ripensò per l’ultima volta ai volti sorridenti dei suoi figli. 

Sarebbe morta in una maniera orribile, ma aveva vissuto una vita fantastica. Lei aveva vissuto una vita degna di essere chiamata tale. Aveva amato ed era stata amata, aveva lottato per quello in cui credeva e cercato di rendere il mondo un posto migliore. 
Incontrò nuovamente gli occhi di Severus Piton prima di essere avvolta da una luce verde. Poi il nulla.            

                                                                                                      ****

A chilometri di distanza, un uomo dai capelli ricci era chino sulla scrivania del suo ufficio e, in lacrime, osservava la foto di una ragazza dai folti capelli biondi e vivaci occhi azzurri. Era stata scattata in una ventosa giornata di ottobre, lei sorrideva spensierata e i suoi ricci biondi venivano sollevati dal vento. Era così diversa dalla donna che aveva incontrato due settimane prima. Charity Burbage si era tagliata i capelli, aveva delle piccole rughe solo volto lentigginoso e aveva perso il sorriso che tanto aveva amato. Ma una cosa non era cambiata, gli occhi azzurri aveva la stessa luce e voglia di vivere di quando aveva diciassette anni. Era stato per colpa di quelli che aveva ceduto, non era mai stato in grado di resistere ai suoi occhi. 

L’uomo guardò per l’ultima volta la copia del giornale che avrebbe fatto uscire tra qualche ora. I suoi occhi furono catturati da titolo di un articolo posto in prima pagina e lui si ritrovò a sorridere pensando alla reazione che lei avrebbe avuto se lo avesse visto. Charity Burbage lo avrebbe preso a pugni se avesse scoperto che un articolo sulle sue dimissioni aveva avuto una visibilità maggiore quello che aveva scritto lei in difesa dei Babbani. Ma Charity non lo avrebbe mai visto, non avrebbe mai potuto prenderlo a pugni.  Charity Burbage non avrebbe fatto più nulla. 

-Papà- 

Una ragazza con i suoi stessi capelli ricci era in piedi davanti alla sua scrivania. Non si era accorto dell’arrivo di sua figlia e cercò di ricomporsi prima di risponderle. Aveva le braccia incrociate e lo stesso sguardo confuso della madre mentre fissava la foto che lui aveva fatto cadere sulla scrivania. 

-La mamma ti cerca- gli disse senza smettere di fissare la fotografia. 

-Va bene Marietta- rispose lui togliendo la foto da sotto gli occhi della figlia. -Arrivo subito- 

Lei annuì e si allontanò senza aggiungere altro. Lui lanciò un ultima occhiata alla giovane Charity prima di riporre la foto in un cassetto.            


 

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Capitolo 2
*** Casa Burbage, settembre 1969 ***


Settembre 1969

Come ogni anno, il primo settembre, Hortensia e Herbert Burbage organizzavano una colazione con tutta la famiglia per salutare i nipoti prima della loro partenza verso Hogwarst.  

Tutta la sua famiglia si riuniva attorno all’antico tavolo di mogano e trascorreva circa un’ora a far finta di andare d’accordo. Hortensia e Herbert ignoravano i contrasti tra figli e nipoti, a loro bastava riunirli tutti sotto lo stesso tetto per poter permettere al nonno di fare i suoi soliti grandi annunci riguardo al futuro della famiglia. Nonostante i tre figli di Hortensia e Herbert si odiassero visibilmente, nessuno dei tre aveva il coraggio, o il permesso, alternativa più probabile secondo Charity, di andare contro le decisioni del capo famiglia. 

Herbert Burbage era un uomo con una pancia da far invidia a quella di una donna in gravidanza, che neanche le larghe tuniche che Hortensia faceva cucire su misura per lui riuscivano a coprire. Aveva perso tutti i capelli e aveva un folto paio di baffi grigi che amava arricciare tra le dita ogni volta che era soddisfatto per qualcosa. Come quella mattina.

Da quando Charity e i suoi genitori erano entrati in casa, tutti erano seduti attorno al tavolo di mogano e, mentre i suoi zii e zie lanciavano occhiate di fuoco ai suoi genitori, il vecchio Herbert continuava a sorridere e arricciarsi i folti baffi. Aveva indicato con rapidi gesti i loro posti e, senza neanche dargli il tempo di scostare la sedia, aveva fatto servire la colazione. Il fatto che Herbert Burbage avesse fretta non era mai un buon segno. 

Dopo aver preso posto tra Ophelia e Ethalyn, Charity si riempì la tazza di the e prese la crostata alla zucca che Hortensia faceva preparare appositamente per i suoi nipoti. Non era una nonna molto espansiva, trattava i suoi nipoti esattamente come avrebbe trattato il ministro della magia. Salutava i nipoti maschi con una stretta di mano e le nipoti femmine sfiorando leggermente le loro guance con le sue. Era più uno scontro di zigomi che un saluto. Charity era consapevole di aver ricevuto più abbracci dalla stravagante nonna di Gabriel che dalla sua. Ma Hortensia amava i suoi nipoti e lo dimostrava facendo in modo di viziarli il più possibile e non facendogli mancare mai nulla. 

Come d’abitudine, Hortensia Burbage sedeva capotavola difronte al marito, la schiena dritta e il mento alto. Charity, nei suoi diciassette anni di vita, non l’aveva mai vista consumare un pasto completo, si limitava mangiucchiare elegantemente piccoli bocconi delle varie portate mentre i suoi occhi azzurri scorrevano lungo il tavolo seguendo attentamente i discorsi di suo marito. Raramente interveniva, si limitava ad annuire e a rimproverare i figli con una gelida occhiata se osavano contraddire il padre. Aveva un talento naturale nel capire quale fosse il momento esatto per troncare una conversazione particolarmente spinosa facendo servire il dolce o intavolando una conversazione con una delle nuore. Era un segnale per comunicare al marito di interrompere il discorso e riprovare in un’altra maniera. 

-Il nonno e’ stranamente felice oggi- sussurrò Ophelia alla sua sinistra mentre si sporgeva per prendere lo zucchero. Charity si voltò verso la sua cugina preferita, contenta di essere seduta accanto a lei. Erano pochi i familiari a cui poteva dire di tenere e tra questi c’era la piccola Ophelia, che adorava e trattava come una sorella minore. Ophelia aveva due anni in meno di lei, lunghi capelli rossi, gli stessi occhi azzurri della nonna e un bellissimo sorriso in grado di far sciogliere anche il cuore di pietra di zio Claudius.

Charity lanciò una rapida occhiata al nonno che, intanto, aveva intavolato una conversazione con suo cugino Evander seduto alla sua sinistra. Aveva abbandonato la sua colazione e, nonostante la forchetta ancora a mezz’aria, sembrava discutere di argomenti importanti. Evander, d’altro canto, teneva lo sguardo sul piatto e annuiva di tanto in tanto mentre giocava con il cibo. Quell’anno, in quanto nipote maschio più grande, era toccato ad Evander il posto alla sinistra del nonno. 

Ogni anno il numero dei nipoti diminuiva man mano che questi si diplomavano e mettevano su famiglia. Quell’anno erano rimasti in cinque e, nonostante fosse lei la più grande, il nonno lasciava il posto alla sua sinistra solo ai ragazzi. Ma lei non se ne lamentava, anzi, era contenta che il nonno concentrasse tutte le sue attenzioni verso il nipote. Probabilmente, in quel preciso istante, stava programmando nei minimi dettagli la sua futura carriera al ministero come aveva fatto con i figli e i nipoti più grandi. 

Ad eccezione del nonno e di Evander, tutti gli altri consumavano in silenzio la loro colazione, gli occhi puntati sul piatto e i movimenti ridotti al minimo per evitare qualsiasi contatto con i propri vicini. Solo zio Claudius alzava il capo di tanto in tanto per cercare di capire quale fosse l’argomento di discussione tra suo figlio Evander e il padre. Osservandolo meglio, Charity notò che sembrava stranamente agitato. Non divorava la sua colazione com’era solito fare ma lanciava continue occhiate ad Evander ed Ethalyn e al padre, sobbalzando ogni volta che si interrompeva e distoglieva lo sguardo dal nipote. Sembrava in attesa di qualcosa. Accanto a lui sedeva composta sua moglie Hepsie, i lunghi capelli neri le ricadevano ordinati sulle spalle e beveva a piccoli sorsi il suo the.

-Oggi siamo qui riuniti per augurare ai nostri ragazzi un buon rientro ad Hogwarst- esordì il nonno facendo tintinnare le sue posate nel piatto mentre la nonna, con un sonoro schiocco di dita, chiamava gli elfi domestici per far portare via i piatti. Charity notò l’espressione delusa di suo zio Baldwin quando la sua terza fetta di crostata alla zucca gli venne tolta da sotto il naso. Incrociò lo sguardo di sua madre, che per nascondere un sorriso divertito, si tamponava educatamente la bocca con un tovagliolo finemente ricamato. 

-Tre di loro si accingono a frequentare l’ultimo anno, il più importante e quello che deciderà il loro futuro. Nutro grandi speranze per loro, in particolare per il nostro Evander che, il prossimo anno, entrerà al Ministero.- continuò alzandosi dalla sedia e lanciando uno sguardo orgoglioso al nipote. 

-Anche per le nostre due ragazze, Ethalyn e Charity, sarà un anno fondamentale. Una donna intelligente e’ sempre ben accolta dalla famiglia del futuro marito- disse rivolgendo un gran sorriso verso lei e sua cugina. 

Charity era cosciente che il futuro che il nonno immaginava per lei era ben diverso da quello che voleva. Lo sapeva da quando, il primo settembre di otto anni prima, il nonno aveva fatto lo stesso discorso a sua cugina Deidra. Sapeva che quello era il destino che aspettava a tutte le donne delle importanti famiglie della comunità magica. I Burbage non erano tra le sacre ventotto, non potevano vantare così tante generazioni di maghi, ma durante gli ultimi cento anni avevano acquistato il prestigio che gli permetteva di partecipare ai suntuosi banchetti delle famiglie purosangue. Ed era per mantenere questa condizione che il nonno faceva in modo che tutti i suoi discendenti ottenessero matrimoni vantaggiosi e ottimi posti al ministero.        

Una volta finita la scuola, Charity voleva fare carriera ed entrare al ministero. Non aveva la minima intenzione di sposarsi e mettere famiglia, era una vita che non faceva per lei. Aveva provato a discutere con suo nonno del suo futuro, gli aveva parlato delle sue idee ma lui si era limitato a sorriderle e dirgli che era ancora troppo giovane per prendere decisioni sulla sua vita. Anche suo padre aveva provato a far cambiare idea al nonno ma era stato inutile. Aloysius era un uomo intelligente e pacato, ma nessuno dei suoi lunghi discorsi era riuscito a far cambiare idea al padre. Anche lui, come lei e sua madre, si era voltato di scatto verso il nonno con espressione sorpresa quando questo aveva pronunciato il suo nome. 

-Un uomo, per diventare davvero qualcuno, ha bisogno di una donna al suo fianco. Non basta sempre lavorare sodo per raggiungere un posto di rilievo all’interno della comunità magica. Servono giusti appoggi e soprattutto una donna giusta al proprio fianco.- Il vecchio Herbert fece una pausa per lanciare un’occhiata significativa al suo primogenito seduto alla sua destra. Aloysius si limitò ad ignorare lo sguardo del padre, si tolse gli occhiali e, senza ribattere, li pulì con un lembo della sua veste, apparentemente indifferente alle sue parole. 

Herbert Burbage non perdeva mai l’occasione di ricordare al figlio maggiore che non aveva apprezzato la sua scelta. Aloysius, nonostante fosse il primogenito, era stato l’ultimo a sposarsi e l’unico a rifiutare il matrimonio combinato dal padre. Con la scusa di voler fare prima carriera e successivamente mettere su famiglia, aveva rimandato fino all’ultimo il matrimonio con una ricca strega purosangue. Ma, al ritorno da un viaggio in Svezia a seguito della delegazione della cooperazione magica internazionale, non era solo. Nel mese trascorso a Stoccolma, Aloysius aveva conosciuto la bella Astrid, una strega bella e intelligente che lavorava presso il ministero della magia svedese, e se ne era follemente innamorato. Così, il giorno prima della partenza, le aveva chiesto di sposarlo e di trasferirsi con lui in Inghilterra. Astrid non ci aveva pensato un secondo e aveva accettato la sua proposta ma mai si sarebbe immaginata la reazione della famiglia Burbage. Herbert e Hortensia, non riuscendo a far cambiare idea al figlio, si erano visti costretti ad annullare il precedente fidanzamento e ad organizzare il matrimonio. Ma non si erano mai arresi e fatto in modo di dimostrare alla donna tutto il loro disprezzo verso di lei e le sue povere origini. Astrid, infatti, faceva parte di una famiglia purosangue che aveva perso le sue ricchezze e il suo prestigio e, secondo il nonno, non avrebbe aiutato il figlio ad arrivare in alto. 

-Ed è per questo motivo che ho preso accordi con la famiglia Yaxley. Imogen Yaxley ha compiuto sedici anni qualche settimana fa, è una ragazza molto bella ed intelligente e molto presto diventerà la nuova signora Burbage.- annunciò il vecchio Herbert rivolgendo un grande sorriso soddisfatto al nipote. Zio Claudius era al settimo cielo, felice di aver sistemato anche il suo secondo figlio maschio. Anche Hepsie e Ethalyn rivolsero un gran sorriso al nonno e zio Baldwin iniziò a complimentarsi col fratello mentre sua moglie Sapphiria si univa alla conversazione appena intavolata da Hortensia riguardo i dettagli del matrimonio. Tutti sembravano felici per Evander, anche il timido Berty,  che aveva trascorso tutto il tempo ad osservare la tovaglia verde, aveva rivolto un piccolo sorriso al cugino più grande. 

-No- disse Evander dopo qualche secondo. Era stato poco più di un sussurro ma era stato sufficiente a farsi sentire da tutti i presenti. Tutti si erano voltati verso Evander che, con gli occhi bassi, giocava con il bordo della tovaglia. 

-Cosa hai detto?- domandò il nonno non appena ebbe ripreso l’uso della parola. 

-Non voglio sposare Imogen Yaxley- ribadì Evander alzando finalmente i suoi occhi verdi verso il nonno. 

-Perché?- chiese zio Claudius parlando per la prima volta.

-Perché, padre- rispose Ethalyn al posto del gemello -ha una relazione con una Sanguesporco-




Note: 
Questo è il mio secondo tentativo di scrivere della vita di Charity Burbage. Ci avevo provato anni fa ma, per vari motivi, non sono più riuscita a continuare la storia. Spero di avere più fortuna con questa. 
Allora, Charity Burbage è l’insegnante di babbanologia che viene brutalmente uccisa da Voldemort all’inizio del settimo libro. Di lei si conosce solo la sua fine, io ho provato ad immaginare l’inizio. 
Ho provato a cercare vari indizi, o almeno, qualcosa che potesse aiutarmi a costruire la sua storia, ma non ho avuto molta fortuna. 
In questo capitolo, Charity ha diciassette anni e deve iniziare il suo settimo anno ad Hogwarst. Per l’anno di nascita mi sono basata su quello dell’attrice che la interpreta. Mi è sembrato abbastanza verosimile ed è stato l’unica cosa a cui aggrapparmi. 
Non si sa assolutamente nulla sulla famiglia di origine e mi sono presa la libertà di far nascere Charity in una famiglia purosangue. 
Spero di avervi incuriosito, MairTonks. 

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Capitolo 3
*** King Cross, settembre 1969 ***


King Cross, settembre 1969


Dopo le parole di Ethalyn, un silenzio irreale era caduto intorno al tavolo di mogano. Evander fissava con occhi spalancati la gemella, zio Claudius guardava alternativamente i suoi due figli con la speranza di ricevere altre spiegazioni e il nonno era stato costretto a sedersi. Charity aveva sentito Ophelia trattenere il respiro come il resto dei presenti, tutti troppo spaventati per dire o fare qualcosa per paura di far precipitare la situazione. Ma la situazione sarebbe precipitata lo stesso, pensò Charity, era questione di secondi. A zio Claudius presto sarebbe venuto un torcicollo e il volto del nonno aveva raggiunto un brillante color ciclamino. 

-Merlino, e’ tardissimo! Voi ragazzi dovreste andare alla stazione, Ethalyn ed Evander vi raggiungeranno piu tardi con Claudius ed Hepsie. Aloysius, saresti così gentile da accompagnare anche Ophelia? Sarebbe inutile farle perdere tempo- 

Charity guardò con ammirazione sua nonna Hortensia. Aveva deciso di sbloccare la situazione nel modo più diplomatico possibile, ovvero, permettendo a dei poveri innocenti di non assistere alla catastrofe inevitabile. Zio Baldwin non esitò un secondo, con un cenno del capo richiamò moglie e figlio, e tutti e tre uscirono di casa senza salutare. 

-Certo madre- disse Aloysius alzandosi a sua volta e rivolgendo un debole sorriso ad Ophelia mentre estraeva la bacchetta e appellava il suo baule. Ma Ophelia non sembrava essersi accorta di nulla, continuava a fissare con espressione terrorizzata Evander che, adesso, guardava la gemella con un disprezzo che nessuno gli aveva mai visto rivolgere. Ethalyn ed Evander erano sempre andati d’accordo, erano uguali sia fisicamente che caratterialmente, ed erano sempre stati molto uniti. Era estremamente raro vederli discutere. 

-Lia, andiamo dai- la spronò Charity. Se c’era una persona che non avrebbe dovuto assistere a quella scena era sicuramente Ophelia. Charity non si sarebbe mai dimenticata la scenata che il nonno aveva fatto a suo fratello Merthin anni prima. I due si erano urlati contro i peggiori insulti e, alla fine, Merthin era andato via sbattendo la porta. Ma suo fratello era stato fortunato, aveva avuto l’appoggio dei suoi genitori cosa che, Charity era certa, non avrebbe avuto Evander. 

-Ophelia, vai subito con tuo zio. Ci vediamo a Natale- fu il freddo saluto di suo zio Claudius che, senza smettere di guardare i figli, rivolse alla minore. Adesso aveva assottigliato gli occhi e sembrava furibondo. 

Ophelia si alzò titubante e decise di seguirla solo dopo aver ricevuto un piccolo cenno da Evander. I due fratelli erano molto legati, il ragazzo adorava la sua sorellina e Ophelia stravedeva per il fratello. Ethalyn, invece, fissava la parete davanti a lei, incurante di quello che stava succedendo intorno a lei.         

Quando Charity e Ophelia arrivarono a King Cross mancava ancora mezz’ora alla partenza del treno. Avevano appena salutato Astrid e Aloysius quando riuscirono a salire sull’espresso insieme ad una decina di eccitate studenti di tutte le età. Loro due, invece, non condividevano lo stesso entusiasmo dei loro compagni di scuola, erano tese e preoccupate per quello che stava succedendo nell’elegante dimora del nonno attorno a quell’articolo tavolo di mogano. Era quello il motivo per cui Charity odiava fare colazione insieme alla sua famiglia il primo settembre, perché ogni anno, in quel particolare giorno, il nonno era solito fare annunci che avrebbero compromesso il già precario equilibrio della famiglia. Non capitava spesso che qualcuno avesse il coraggio di contraddire il vecchio Herbert, da che Charity ne aveva memoria quella era la seconda volta, ma ogni volta che si usciva da quella casa si respirava sempre un’aria densa di tensione. 

-Secondo te lo cacceranno dalla famiglia?- le chiese Ophelia guardandola con i suoi grandi occhi azzurri colmi di preoccupazione. Charity avrebbe tanto voluto consolare la cugina, avrebbe voluto dirle che non sarebbe successo nulla ad Evander, ma non ci riusciva. Suo fratello Merthin era stato cacciato dalla famiglia solo perché non aveva voluto intraprendere la carriera al ministero che gli aveva offerto il nonno. Evander,  invece, aveva rifiutato il matrimonio combinato perché sembrava essersi innamorato di una nata babbana. Avrebbe dovuto rinunciare a lei e sposare una donna di sangue più puro altrimenti il nonno non avrebbe più voluto avere alcun tipo di rapporto con chi aveva osato mischiare il sangue dei Burbage con gente ritenuta indegna. 

-Non lo so Lia- rispose lei con sincerità. Se Evander avesse rinunciato a quella ragazza non avrebbe avuto alcun tipo di problema. Ma non era convinta che lo avrebbe fatto, soprattutto perché aveva osato andare contro la decisione del nonno per questa ragazza. Chissà chi era, si ritrovò a pensare mentre, seguita da Ophelia, cercava uno scompartimento. 

-Charity!- esclamò un ragazzo dai folti ricci neri quando lei gli finì addosso. Presa dai suoi pensieri non  aveva notato il ragazzo uscire dallo scompartimento e gli aveva quasi fatto finire il suo baule sul piede. 

-Cam, mi dispiace- si scusò mentre metteva una buona distanza di sicurezza tra il suo baule e il ragazzo. Lui non sembrava essersi accorto di nulla, continuava a sorriderle e sembrava stranamente agitato. 

-Non preoccuparti- disse lui -Ti ho vista passare e ho pensato di chiederti se ti andava di sederti nello scompartimento con me. Ci sono anche Lud e Kate- le propose il ragazzo indicandole lo scompartimento alle sue spalle. A Charity non sarebbe dispiaciuto passare del tempo con Cam, le piaceva la compagnia del ragazzo ed erano anche usciti un paio di volte insieme, ma non voleva abbandonare Ophelia. 

-Mi spiace Cam, ma vorrei stare con Ophelia- rispose lei indicandogli la ragazza che si trovava a qualche passo da loro e sbirciava fuori dal finestrino in attesa di veder comparire i suoi due fratelli. 

-Non c’è problema, c’è spazio anche per lei- disse il ragazzo con un sorriso. Charity pensò di accettare ma non le sembrava una buona idea. Dopo ciò che era successo quella mattina preferiva cercare i suoi amici e parlarne con loro. 

-Grazie Cam, ma è meglio di no.- Charity vide il sorriso del ragazzo spegnersi un po’ ma senza scomparire del tutto. 

-Capisco. Non preoccuparti- le disse prima di rientrare nel suo scompartimento. Charity non avrebbe voluto deludere Cam, ma non era dell’umore adatto per trascorrere il viaggio con lui. 

-Non sono ancora arrivati, mancano solo dieci minuti- sussurrò Ophelia quando le si avvicinò. 

-Tranquilla Lia, arriveranno in tempo- la rassicurò trascinandola nuovamente alla ricerca dello scompartimento. Ophelia la seguì nel corridoio pieno di ragazzini urlanti che si sbracciavano per salutare i loro amici o che iniziavano a raccontare le rispettive vacante senza preoccuparsi di bloccare il passaggio. Charity salutò qualche viso familiare mentre Ophelia camminava con occhi bassi, incurante dei ragazzi intorno a lei. 

Ophelia era l’unica Tassorosso in una famiglia prevalentemente Serpeverde. Charity sapeva quanto fosse stato difficile per lei essere accettata contemporaneamente dalla famiglia e dalla sua casa di appartenenza. Suo padre le aveva raccontato che, quando i suoi zii avevano ricevuto la notizia, non avevano reagito bene e anche il nonno non era stato felice. Nessuno, però, avrebbe potuto cambiare le cose e, alla fine, tutti si erano arresi. Ma questo non aveva impedito a Claudius e al vecchio Herbert di ricordare alla nipote che lei veniva da un’importante famiglia e che avrebbe dovuto fare attenzione nello scegliere le amicizie. Cosa non facile visto che nessuno di Tassorosso poteva rientrare nella categoria di amici che i due avrebbero reputato adeguata. Per questo motivo la piccola Ophelia aveva risolto il problema non stringendo amicizia con i suoi compagni e trascorreva le giornate in solitudine. Solo lei ed Evander si erano accorti della cosa e non era raro che Ophelia trascorresse i pomeriggi in compagnia del fratello o che Charity si sedesse con lei durante i passi. Capitava a volte che il piccolo Bertie le facesse compagnia in biblioteca, ma oltre a questi piccoli momenti, Ophelia era sola. 

-Era ora, pensavo avessi perso il treno- disse una voce alle sue spalle. Un ragazzo biondo con due grandi occhi azzurri era appoggiato alla porta di uno scompartimento,  le mani in tasca e la camicia rossa fuori dai pantaloni. 

-Ad essere sinceri, io e Ophelia abbiamo rischiato di perderlo il treno oggi- commentò Charity mentre si avvicinava a salutare il ragazzo. 

-Perché?-  chiese lui con espressione preoccupata. 

-Te lo spiego quando sarò finalmente seduta Gabe. È quello lo scompartimento?- Charity non vedeva l’ora di sedersi e posare il pesante baule che stava trascinando de più di venti minuti. Avrebbe tanto voluto far levitare il suo e quello di Ophelia, ma avrebbe rischiato di colpire poveri studenti innocenti. 

-Esatto, dentro ci sono Agatha e Sam. Ophelia, ti unisci a noi?- rispose Gabe rivolgendosi ad Ophelia. Lei esitò un momento prima di annuire. Dopo molti tentativi Charity era riuscita a far conoscere alla cugina i suoi amici e, fortunatamente, Ophelia aveva iniziato a sciogliersi un po’ in loro presenza. 

-Perfetto, è sempre un piacere averti con noi Lia. Ragazze, ai vostri bauli ci penso io- esclamò Gabe e con un fluidi movimento della mano aprì la porta dello scompartimento e fece entrare i due pesanti bauli. 

-Dopo di voi- disse invitandole ad entrare e riuscendo a strappare alla piccola Ophelia un timido sorriso. 

Gabriel Fawley faceva parte di una di quelle che il vecchio Herbert avrebbe definito ‘una delle migliori del mondo magico’. La famiglia Fawley era molto stimata all’interno della comunità magica, erano sempre i primi ad essere invitati ai noiosi banchetti delle famiglie purosangue e, anche se in pochi condividevano le loro idee, tutti cercavano di averli dalla propria parte. Ed era stato proprio ad una delle noiose feste in cui le “migliori famiglie del mondo magico” si riunivano che lei e  Gabriel si erano conosciuti. Entrambi cercavano un posto dove non essere costretti a dover fare tutto usando le buone maniere, Charity era arrivata il limite della sua sopportazione quando sua nonna l’aveva rimproverato di mangiare troppo, e lo avevano trovato sotto un tavolo. Gabriel era arrivato prima di lei e si stava gustando in santa pace un pacchetto di caramelle tutti i gusti +1. Allora avevano cinque anni e nessuno dei due si sarebbe immaginato che avrebbero trascorso tutte le successive feste nascosti sotto un tavolo a mangiare caramelle. E neanche che il signor Fawley, un uomo identico al figlio ad eccezione di due brillanti occhi grigi, diventasse il loro fornitore di caramelle e miglior complice. 

-Char!- esclamò una ragazza prima di abbracciarla con forza. Charity impiegò qualche secondo prima di rispondere all’abbraccio dell’amica. Era impossibile non riconoscere Samantha, i suoi ricci castani erano sempre abbellito da una fascia colorata e i suoi abbracci erano in grado di mozzare il respiro per parecchi secondi. 

-Sam, così non respira- osservò un’altra voce femminile proveniente dal sedile accanto al finestrino. Agatha, che aveva appena finito di salutare Ophelia, si era voltata nella loro direzione. Non appena Sam le concesse di respirare, fu immediatamente avvolta da un nuovo abbraccio. 

-Agatha toglimi subito questa bestiaccia di dosso!- gridò Gabe indicando un elegante gatto nero acciambellato sulle sue gambe. Tutti loro erano al corrente della paura del ragazzo per i gatti, specialmente di quelli neri, a causa di uno spiacevole incidente capitato a Gabe quando aveva solo tre anni. 
Agatha si separò da lei sbuffando e, sposando una ciocca di capelli rossi, allontanò il gatto da un terrorizzato Gabriel. 

-Gli altri dove sono?- chiese Charity spostando lo sguardo nello scompartimento stranamente vuoto. 

-Beh, i nostri due caposcuola sono alla noiosissima riunione prima dell’arrivo ad Hogwarst- le spiegò Gabe mentre guardava il gatto in cagnesco.

-E Oliver è con quella- aggiunse Sam facendo una smorfia, subito seguita da Agatha e Charity stessa. Nessuna di loro aveva mai sopportato la storica fidanzata di Oliver, anzi aveva pure provato a fare in modo che si lasciassero, ma era stato inutile. Lei non lo mollava un secondo, lui sembrava innamorato e si erano arrese davanti alla felicità del loro amico. 

Ma Charity finalmente era insieme a tutti i suoi amici, stava andando ad Hogwarst e per mesi sarebbe stata lontana dalla freddezza della sua famiglia. Il treno era partito da poco e bastò questo a farla sentire finalmente più libera. 


Note:
Rieccomi! Questo capitolo, come il precedente, mi serve a presentare il mondo in cui Charity vive. Saranno un po’ noiosi ma più avanti il ritmo cambierà. 
Tornando al capitolo…Gabriel Fawley è un personaggio che ho inventato ma che appartiene ad una delle famiglie che la Rowling ha inserito nell’elenco delle sacre 28. 
Non ho molto altro da aggiungere. Grazie per aver letto anche questo capitolo!
A presto, MairTonks.  

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Capitolo 4
*** Espresso per Hogwarst, settembre 1969 ***


Espresso per Hogwarst, settembre 1969

Ci erano voluti meno di dieci minuti a Gabriel per rintracciare la signora con il carrello e comprare quasi la metà dei dolci che conteneva. Tutti erano a conoscenza della passione del ragazzo per i dolci ed erano sempre pronti a condividere con lui le sue scorte. Gabriel aveva fatto in modo di comprare diversi tipi di dolciumi in modo da accontentare tutti. Così, mentre il treno sfrecciava velocemente nella campagna appena fuori Londra, nel loro scompartimento si sentiva solo il rumore di carta strappata e il pavimento cominciava a ricoprirsi di involucri colorati. 

Samantha aveva iniziato a mangiucchiare la sua piuma di zucchero mentre leggeva, per quella che Charity pensò essere la centesima volta, il manuale di cura delle creature magiche. La sua amica aveva un vero talento con le varie creature e trascorreva gran parte del suo tempo libero nella capanna di Hagrid a parlare delle varie bestiole che abitavano nella foresta proibita. I grandi occhi marroni si muovevano velocemente e un ricciolo castano, sfuggito dalla fascia che aveva in testa, si sollevava ogni volta che girava pagina.

Agatha, invece, ridacchiava mentre leggeva una copia del settimanale delle streghe e masticava le sue amate Bolle Bollenti. Era seduta davanti a lei, i capelli rossi stretti in un’elegante treccia e le lunghe gambe accavallate, visibili grazie alla corta gonna che indossava. Se sua nonna Hortensia l’avesse vista, i corti capelli grigi che tanto amava curare le si sarebbero drizzati sulla testa. La gonna le arrivava molto sopra il ginocchio e Charity era sicura che molti ragazzi si erano voltati a guardarla mentre camminava lungo il treno. Anche Gabe aveva lanciato qualche occhiata, pensando di non essere visto, alle gambe della sua amica. 

Dopo aver ricevuto un’occhiata di rimprovero da Agatha, Gabriel aveva iniziato a dedicarsi alla sua collezione di figurine delle Cioccorane mentre ne divorava una in pochi secondi. Nonostante il ragazzo avesse quasi diciotto anni, continuava ad aprire ogni confezione nella speranza di trovare la figurina mancante, cosa che, negli ultimi anni, era diventata sempre più rara vista la sua vasta collezione. Charity lo aveva visto un paio di volte scambiare le sue figurine con alcuni ragazzini più piccoli e sventolare trionfante il suo nuovo acquisto ad ogni persona che avesse la sfortuna di trovarsi nei paraggi. Dopo che si erano conosciuti, sotto uno di quegli antichi tavoli in una delle eleganti dimore dei purosangue, gli aveva confessato che il suo era quello di finire, un giorno, anche lui sulle figurine. All’epoca aveva solo cinque anni, ma lei sapeva che lui covava ancora quella speranza. 

Seduta accanto a lei, Ophelia stava dando dei biscotti gufici a Icaro che, libero di volare, si era appollaiato sulla sua spalla e sembrava gradire le attenzione della ragazza. Aveva una scatola di ananas candito aperto accanto a lei e sembrava molto più tranquilla rispetto a prima. Anche lei era molto più rilassata ora che era in viaggio in compagnia dei suoi migliori amici. Lontano dal soffocante affetto della sua famiglia, poteva finalmente concentrarsi sull’anno che stava per cominciare e sul suo futuro. 

Anche se il nonno non ne aveva avuto tempo, troppo impegnato a reagire alla stravolgente notizia del nipote, sapeva che aveva progetti anche per lei. Era convinta che avesse già preso accordi con la famiglia del suo futuro sposo e, lei ne aveva la certezza, non aveva tenuto minimamente conto del parere di suo padre. Il grande annuncio era stato solo rinviato, probabilmente durante le vacanze di natale e Charity tremava al pensiero del pretendente scelto dal nonno che condivideva le sue stesse idee su come dovesse comportarsi una perfetta moglie purosangue. Charity avrebbe preferito rimanere sola a vita piuttosto che diventare una perfetta moglie purosangue come sua nonna e le sue zie e cugine. Sua madre era riuscita a scampare a questo destino solo perché suo padre era di mentalità aperta rispetto al vecchio Herbert. Astrid lavorava con marito nel dipartimento per la cooperazione magica internazionale come interprete ed era un aiuto fondamentale perché Aloysius, per quanto fosse un uomo intelligente e portato per lo studio, non era in grado di capire niente scritto con le antiche rune. Il nonno si sbagliava quando diceva che sua madre non avrebbe mai permesso a suo padre di fare carriera. Non aveva una ricca famiglia alle spalle ma era il suo braccio destro e migliore aiutante. Anche Charity sognava un matrimonio come quello dei suoi genitori, basato sull’amore e non sulla fama e sulla ricchezza. Voleva un marito che la spronasse e fosse orgoglioso dei suoi successi in campo lavorativo e non uno che la obbligasse a sfornare eredi per ampliare l’albero genealogico. 

Mentre mangiava i suoi amati calderotti, Charity si trovò a chiedersi se Camdem potesse essere il ragazzo giusto per lei. L’anno precedente erano andati un paio di volte insieme al villaggio e lei doveva ammettere che trovava piacevole la sua compagnia. Era intelligente, simpatico e gentile. Durante il loro ultimo incontro le aveva regalato una scatola assortita di dolci di Mielandia per farle una sorpresa e nei mesi estivi avevano avuto una fitta corrispondenza. No, pensò, non le sarebbe dispiaciuto se il loro rapporto fosse andato avanti. Magari più tardi avrebbe potuto fare un salto nel suo scompartimento per farsi perdonare per non aver accettato la sua proposta. Ophelia sembrava più tranquilla e in buona compagnia, quindi avrebbe potuto assentarsi per un po’. 

All’improvviso la porta di aprì e un ragazzo alto con i capelli neri completamente spettinati comparve sulla soglia. 

-Oliver, era ora!- esclamò Gabe alzandosi per abbracciare il nuovo venuto. -Avevo bisogno di un po’ di compagnia maschile- aggiunse voltandosi verso di loro per sottolineare il fatto che era l’unico ragazzo nello scompartimento.

-Merlino Gabe, non ci vediamo solo da venti minuti. Non pensavo di mancarti così tanto- ribatté Oliver crollando pesantemente sul sedile accanto a Gabe rischiando di far cadere alcune confezioni di dolci che il ragazzo aveva appoggiato li.

-Qual buon vento di porta qui Oliver?- chiese Agatha chiudendo la sua rivista e sporgendosi verso il nuovo venuto.

-Non posso passare del tempo insieme ai miei migliori amici?- ribatté Oliver mentre prendeva uno dei pacchetti di dolci e trovava quello che cercava. -Api Frizzole! Grazie Gabe- esclamò mentre lo apriva e ne prendeva una manciata. 

-Certo che puoi, basta che quella stia lontana dal nostro scompartimento- disse Sam chiedendo il libro con un tonfo.

Samantha era una delle ragazze più dolci e gentili che Charity avesse mai conosciuto ed era raro vederla arrabbiata con qualcuno. Ma anche la sua pazienza aveva un limite e Demetra l’aveva messa a dura prova. Una serie di strani incidenti erano capitati a Sam a partire dalla fine del loro quinto anno, precisamente dal giorno in cui Demetra aveva visto la ragazza e Oliver ridere insieme in corridoio. Era l’esagerata gelosia della ragazza, e soprattutto i suoi tentativi di allontanare Oliver da loro, che l’aveva resa insopportabile agli occhi di Charity e dei suoi amici. Oliver, d’altro canto, si limitava a credere che tutto quello che capitava a loro fossero semplici incidenti e a lasciarsi ammaliare dagli occhi della sua fidanzata e difendendola accusandoli di non avere prove della sua colpevolezza. Certo, non potevano essere sicuri che ci fosse lei dietro l’improvviso cambio di coloro dei capelli di Sam, o dell’assurdo volo che Agatha aveva fatto dalla sua scopa durante un allenamento o dello stormo di gufi che aveva scambiato i capelli di Charity per un nido. Non avevano prove concrete ma non potevano dire che fosse solo una semplice coincidenza il fatto che fosse sempre in prima fila ogni volta che succedevano cosa del genere, con un piccolo ghigno sul volto e l’espressione angelica più finta che avessero mai visto. 

All’improvviso la porta si aprì e un altro ragazzo comparve sulla soglia. Anche lui aveva i capelli neri ma, diversamente da Oliver, gli ricadevano ordinati sul viso. Indossava già la divisa e lo stemma di Serpeverde brillava sul suo petto ma questa era stropicciata e si poteva notare una fasciatura improvvisata sul polso destro. Si appiattì una ciocca di capelli scuri sul lato destro del volto, forse nella speranza di nascondere l’orribile taglio che aveva proprio sopra l’occhio, e i suoi occhi verdi scorrevano velocemente nel vagone alla ricerca di qualcuno. Il ragazzo si rilassò solo quando incrociò gli occhi azzurri di Ophelia.

-Ero solo venuto a vedere se Ophelia stava bene, scusate il disturbo- sussurrò prima di riabbassare lo sguardo e indietreggiare. 

Nello scompartimento era calato un silenzio irreale, tutti aveva trattenuto il respiro alla vista del ragazzo ridotto in quelle condizioni e Charity non poteva fare almeno di chiedersi cosa fosse successo al cugino. Non era passata neanche un’ora da quando era andata via dalla casa del nonno e lei non poteva credere che gli fosse successo qualcosa sotto il tetto di Herbert Burbage. Non era mai capitato che qualcuno della famiglia alzasse le mani o maltrattasse uno di loro e, soprattutto, usasse incantesimi del genere su un ragazzo di diciassette anni. 

Charity continuava a ripetersi che era un’ipotesi impossibile, che suo nonno e suo zio non avrebbero mai fatto del male al cugino quando la risata di una ragazza, seguita da quella più profonda di un ragazzo, ruppe il silenzio. 

-Macmillan lo avrà ripetuto almeno dieci volte. E’ incredibile quanto quel ragazzo ci tenga a…- ma la voce della ragazza si interruppe quando si scontrò con il ragazzo che stava uscendo dallo scompartimento. I grandi occhi della sua amica Martha si soffermarono sul volto del ragazzo, precisamente sul taglio ancora sanguinante, e aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di riuscire ad emettere un suono. 

-Che ti e’ successo?- 

Martha sembrava sconvolta, continuava a scrutare il ragazzo in attesa di una risposa. Anche Cris, dietro di lei, lo fissava incredulo con la stessa espressione che Charity vedeva sul volto dei suoi amici e che era sicura di avere anche lei. 

-La cosa non ti riguarda, MacAdams- fu la fredda risposta di Evander prima di superare i due nuovi arrivati e allontanarsi lungo il corridoio. Ophelia si alzò così velocemente che Charity non riuscì a fermarla e corse dietro il fratello chiamandolo ad alta voce. Non appena i due fratelli si furono allontanati, tutti gli occhi dei suoi amici si voltarono verso di lei in attesa di una spiegazione. Nessuno di loro nutriva molta simpatia verso suo cugino Evander, anche lei non poteva dire di essergli amica, ma tutti erano rimasti sconvolti davanti al suo volto pallido e sporco di sangue. 

-Non…non pensavo che gli avessero fatto del male…- si trovò a dire Charity cercando le parole giuste per spiegare ai suoi amici quello che era accaduto quella mattina. Aveva solo accennato a Gabriel che lei e Ophelia avevano rischiato di perdere il treno ma, quando aveva rivisto tutti i suoi amici, si era dimenticata di raccontare loro quello che era accaduto attorno all’elegante tavolo di mogano del nonno. 

Era difficile raccontare ai suoi amici le usanze della sua famiglia. Solo Gabe riusciva a capirla, facendo parte anche lui di una famiglia purosangue, ma non completamente. La famiglia Fawley era di mentalità più aperta, non odiava chiunque non fosse purosangue e non aveva nessuno tipo di pregiudizio verso i babbani. Non condivideva gli stessi metodi che la maggior parte delle famiglie purosangue utilizzavano per mantenere puro il loro sangue e Charity non era mai riuscita a far capire a Gabriel l’importanza che suo nonno attribuiva ai matrimoni combinati. 

Agatha, Sam e Cris, invece, erano mezzosangue e avevano sempre vissuto in entrambi i mondi. Loro non dovevano preoccuparsi di essere costretti a rispettare le stupide regole imposte dalle nobili famiglie purosangue e, soprattutto, avevano la libertà di muoversi tranquillamente tra il mondo magico e quello babbano senza alcun tipo di problema. 

Martha e Oliver, invece, avevano vissuto per undici anni nel mondo babbano senza sapere dell’esistenza del mondo magico. Nonostante fossero passati sette anni da quando avevano saputo di avere poteri magici, i due ancora faticavano a capire il loro nuovo mondo e non avevano abbandonato molte usanze babbane.

-Cosa e’ successo Char?- gli chiese Gabriel sporgendosi verso di lei e stringendole una mano. 

-Il nonno ha annunciato ad Evander di aver trovato la sua futura moglie- iniziò Charity con voce tremante. Era sconvolta da quello che erano stati capaci di fare i suoi parenti, incredula davanti a tutta la crudeltà con cui avevano reagito davanti al rifiuto del ragazzo per un matrimonio combinato.

-Lui ha rifiutato ed Ethalyn ha aggiunto che aveva una relazione con una sang…nata babbana- si corresse davanti all’occhiata ammonitrice di Gabriel. Per Charity, abituata fin dalla tenera età ad appellare i nati babbani con quel termine, era stato uno shock scoprire che era un insulto verso di loro. Era stato proprio Gabriel il primo a rimproverarla quando, durante il suo primo viaggio verso Hogwarst, aveva chiamato il quel modo un perplesso Oliver. 

-Noi siamo andate via, ma non sapevo che avrebbero reagito in quel modo. Erano molto arrabbiati e Evander sembrava non avere intenzione di cambiare idea- disse terminando il racconto. Tutti i suoi amici la fissavano increduli e lei non poteva dargli torto. Cris e Martha erano ancora sulla porta, Oliver aveva abbandonato le sue caramelle e Sam e Agatha la fissavano in attesa di ulteriori spiegazioni. 

-Non pensavo che tu cugino fosse in grado di provare dei sentimenti, deve essersi davvero innamorato per arrivare a fare una cosa del genere- commentò Gabe dopo qualche minuto di silenzio in cui nessuno sapeva cosa dire. 

-Si sa chi e’ questa ragazza?- chiese Agatha tentando di alleggerire un po’ il discorso. Non era facile, tutti erano rimasti senza parole davanti al ragazzo, ma tutti riuscirono a distrarsi pensando all’identità della misteriosa ragazza. Mentre cercavano di darle un nome, ritornarono a mangiare i dolci che aveva preso Gabriel.

Piano piano le ipotesi iniziavano a diventare sempre più assurde e la tensione che Evander aveva portato nello scompartimento svanì per lasciare il posto ad un’atmosfera più rilassata. Solo Martha continuava a conservare un’espressione pensierosa sul viso, guardava fuori dal finestrino torturandosi una ciocca di capelli neri e non aveva ancora aperto la sua scatola di rospi alla menta. Samantha aveva quasi finito la sua piuma di zucca e rideva al racconto di Cris e di una ragazzina di Serpeverde che aveva passato tutta l’estate a mandargli lettere. Per il troppo ridere Gabriel aveva liberato una cioccorana che aveva iniziato a saltellare per lo scompartimento con grande disappunto di Icaro che, schioccando il becco indignato, si era rifugiato sulla spalla della sua padrona. Agatha, stretta tra Oliver e Gabriel, si teneva la pancia per il troppo ridere e Oliver era senza fiato. Anche Charity aveva le lacrime agli occhi. 
I suoi amici erano la sua seconda famiglia. Voleva bene a tutti loro, nonostante non potessero essere più diversi da lei. Ognuno di loro aveva un modo diverso di scoprire il mondo, ognuno vedeva delle sfumature diverse dagli altri e insegnava lo a vederle. Era proprio questa diversità a rendere forte la loro amicizia che, dopo sette anni e molti ostacoli, era più solida che mai. 

Ad un certo punto la rana di cioccolato saltò tra i capelli di Martha distraendola dai suoi pensieri e provocando altre risate. Ci vollero almeno cinque minuti prima che qualcuno di loro riuscisse a smettere di ridere e le togliesse la rana tra i capelli, impresa non facile perché anche Martha era scoppiata in una fragorosa risata. 

Dopo pranzo Oliver si alzò e andò alla ricerca di Demetra per trascorrere con lei il resto del viaggio, Martha e Cris, in quanto Caposcuola, dovevano dare il cambio ai prefetti e pattugliare il treno e Charity decise di andare alla ricerca di Ophelia ed Evander per vedere come stavano. Gabriel e Agatha avevano cominciato a parlare di quidditch quando uscì dallo scompartimento seguita, con sua grande sorpresa da Sam.

-Ho un appuntamento con Abercombie- le confessò facendole l’occhiolino e superandola nel corridoio. Charity rimase un secondo a fissare Gabriel e Agatha che parlavano vicini nello scompartimento e si allontanò ignorando una strana sensazione all’altezza dello stomaco. 

Trovò i suoi cugini soli in uno scompartimento intenti a giocare a gobbiglie. Evander si limitò a rassicurarla dicendole che non era niente di grave e che non aveva neanche bisogno di andare in infermeria una volta arrivato a scuola. Si era sistemato la divisa, coperto la fasciatura al polso e pulito il graffio sull’occhio. Ophelia lanciava occhiate preoccupate al fratello ma, oltre questo, sembrava contenta di vederlo insieme a lei. 

Nessuno parlò di quello che era successo quella mattina, Evander non disse chi era stato a conciarlo in quel modo e Charity si trattenne dal chiedere dove fosse Ethalyn. Il cugino doveva essere furioso con la gemella per aver rivelato il suo segreto, tanto da trascorre il viaggio da solo con Ophelia che con lei e tutti i loro amici. 

-La proposta di stamattina e’ ancora valida- disse una voce alle sue spalle facendola sobbalzare.

 Aveva appena lasciato lo scompartimento dei suoi cugini, stava ritornando al suo e non si era accorta di essere passata davanti allo scompartimento di Camdem. Con tutto quello che era successo si era dimenticata di lui. 

-Va bene- rispose sorridendo al ragazzo e seguendolo nello scompartimento alle sue spalle. Lui le rivolse un sorriso luminoso e le prese una mano mentre entrava e chiudeva la porta.

Stava così bene con Camdem che non si era accorta del passare del tempo. Quando lesse l’ora sull’orologio che lui portava al posto saltò in piedi e lo salutò con un veloce bacio sulla guancia prima di ritornare la suo scompartimento. Mancava meno di un’ora all’arrivo ad Hogwarst ma Charity doveva ancora cambiarsi e recuperare i suoi bagagli. 

-Era ora!- esclamò Gabriel osservandola mentre, con il fiatone, apriva lo scompartimento. Lui, Cris e Oliver erano rimasti fuori per permettere alle ragazze di cambiarsi e stavano finendo di sistemarsi le cravatte. O meglio, Cris stava cercando di evitare che i suoi due amici si strozzassero con un semplice pezzo di stoffa. Charity era troppo contenta di essere ad Hogwarst da non notare le strane occhiate che Gabriel continuò a rivolgerle fino all’arrivo al castello. 

Finalmente era ritornata a casa.




Note:
Eccomi con un altro capitolo.
Volevo solo precisare che quella che indossa Agatha e’ una minigonna, indumento che andava molto di modo a Londra negli anni 60\70 e che i dolci citati sono quelli che sono presenti nei libri.
Il termine mezzosangue non ha il significato neagativo come nei libri, indica semplicemente coloro che hanno un genitore con poteri magici e uno babbano, diversamente da sanguesporco, modo dispregiativo per indicare i nati babbani.
Per il resto non ho molto da dire, se non grazie a tutti voi che avete dedicato un po’ del vostro tempo a leggere la mia storia. Grazie!
MairTonks.
                                                   
 

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Capitolo 5
*** Hogwarst, settembre 1969 ***


Charity detestava con tutto il cuore le sue compagne di stanza che, ogni anno da sette anni, rendevano i suoi risvegli sempre più traumatici di quanto già non fossero. Si girò dall’altro lato per nascondersi dal timido raggio di sole che filtrava attraverso le spesse tende attorno al letto e per cercare di ignorare la discussione a toni accesi che stava avendo luogo. Una voce estremamente fastidiosa aveva appena iniziato una filippica su quanto fosse importante rispettare i turni per il bagno e aveva ormai raggiunto livelli tali da essere udita ormai solo dai pipistrelli.

Come ultimo tentativo per provare a conquistare altri dieci preziosi minuti di sonno, non era esattamente un tipo mattutino, Charity mise la testa sotto il cuscino ma una terza voce si aggiunse alla discussione e dovette dire addio al caldo torpore del letto. Si alzò e, ignorando le tre ragazze, si diresse verso il bagno e chiuse la porta alle sue spalle. Dopo anni era diventata un’esperta ad approfittare di qualsiasi momento di distrazione delle sue compagne per riuscire a prepararsi in tempo per le lezioni. Numerosi ritardi causati da interminabili attese per il bagno le aveva tolto qualsiasi scrupolo di coscienza e, ormai, ne traeva una certa soddisfazione.

-Per l’ennesima volta, se tutte noi rispettassimo i turni non avremmo problemi- stava ripetendo la voce odiosa per la decima volta da quando aveva aperto gli occhi.

Cosa aveva fatto di male per finire insieme a quelle tre? Non poteva avere delle compagne tranquille e simpatiche con cui parlare fino a notte fonda e spettegolare sugli altri studenti? Penelope andava ancora bene, era l’unica con cui riusciva a scambiare due parole quando era in dormitorio ma le altre due erano insopportabili. Litigavano sempre per qualsiasi cosa dalla finestra lasciata aperta alla porta del bagno sbattuta violentemente. 

Si lavò il viso per togliere le ultime tracce di sonno e si specchiò. Lo specchio le riportò il riflesso di una ragazza di diciassette anni dal viso pallido e lentigginoso. Indomabili ciocche bionde le ricadevano disordinatamente sui grandi occhi azzurri che, come era solito definirli Gabe, avevano lo stesso colore di una gelatina tutti i gusti al mirtillo. Non avevano niente a che vedere con la sfumatura azzurro ghiaccio degli occhi di sua nonna Hortensia o di Ophelia e, da quanto le aveva detto sua madre, li aveva ereditati dalla sua nonna materna. Charity non aveva mai visto nemmeno una foto di sua nonna Ingrid ma sia sua madre e suo nonno Hans non facevano altro che ripeterlo. 

-Per l’ennesima volta, non intendo rispettare una stupida tabella per poter andare in bagno!- la voce acuta di Kate la riscosse dai suoi pensieri. Con calma finì di prepararsi e, quando uscì per andare in sala comune, trovò le sue compagne ancora intente a discutere. 

-Buongiorno Char- le disse una voce calma quando scese l’ultimo gradino. Seduto su una poltrona con un libro aperto in grembo c’era Cris, perfettamente vestito e pettinato. 

Era così da quella lontana mattina di circa sette anni prima quando, per la prima volta si era svegliata nel suo letto a baldacchino e sentito la furiosa discussione che era nata tra le sue compagne di stanza. La Charity undicenne aveva tentato di calmare la situazione ma si era arresta quando Kate si era voltata verso di lei dicendole di farsi gli affari suoi. Così, troppo arrabbiata e delusa per essere capitata in dormitorio con persone del genere, si era preparata ed era corsa il più lontano possibile da quelle bambine che aveva reso ancora più difficile il suo primo risveglio ad Hogwarst. 
Dopo che il cappello parlante aveva smistato lei e Gabe in due case diverse aveva sperato almeno di fare amicizia con le sue compagne. Ma tutte e quattro aveva iniziato con il piede sbagliato e, nonostante la flebile speranza di poter ricominciare da capo la mattina dopo, ci aveva rinunciato. Charity non era mai stata una bambina molto socievole e, se non fosse stata per Gabe, non avrebbe avuto amici. Era stata lui a fare tutto quando si erano conosciuti ed era stato sempre lui a presentarle un timido Oliver durante il primo viaggio verso la scuola.

Come quel giorno Cris era seduto su quella che sarebbe poi diventata la sua poltrona preferita, intento a leggere un libro per non farsi trovare impreparato a lezione. Lo aveva incontrato per la prima volta il giorno del suo smistamento ma era troppo agitata per parlare con qualcuno, persino con Gabe, ma ricordava che era stato lui a spiegare ad un meravigliato Oliver che era possibile osservare il cielo stellato attraverso il soffitto della sala grande grazie ad un incantesimo. Doveva aver usato un tono saccente e seccato perché Gabe aveva messo una mano intorno alla sua spalla e a quella di Oliver e li aveva allontanati dal bambino dicendo che era troppo noioso per i suoi gusti.

-Di nuovo?- le chiese Cris inarcando un sopracciglio. 

-Come ogni giorno da sette anni. Sarebbe stato strano non iniziare una giornata con le loro grida, non trovi?- disse Charity sospirando rassegnata e buttandosi a peso morto sul divanetto davanti alla poltrona. Cris le rivolse un timido sorriso comprensivo prima di chiudere il libro che stava leggendo per dedicarle la sua completa attenzione e prepararsi a sentire per l’ennesima volta il suo solito monologo su quanto fosse stata sfortunata a finire in quel dormitorio. 

-Voglio cambiare dormitorio- concluse Charity spostandosi una ciocca ribelle sfuggita dalla stretta coda in cui aveva legato i suoi capelli. A detta di sua madre quello era l’unico modo possibile per domare i suoi capelli che amavano avere una vita propria ma non sembrava avere molto successo. Neanche l’infallibile Astrid Burbage era riuscita a riordinare i suoi capelli in una bella coda alta e Charity ci aveva ormai rinunciato e si era abituata a scacciare le ciocche con un rapido movimento della mano. Purtroppo i suoi capelli non erano lisci e ordinati come quelli di sua madre e sua sorella Regan ma erano mossi come quelli di suo padre e suo fratello Merthin. 

-Lo sai che non e’ possibile.- le ricordò lui come ogni volta. Cris cercava di far passare un sorriso divertito in uno comprensivo con scarso successo. Una volta il ragazzo aveva ammesso di trovare divertenti i suoi monologhi sulle compagne di stanza e Charity non poteva dargli torto. Sapeva di essere piuttosto buffa di prima mattina, con gli occhi ancora pieni di sonno e i capelli sparati in tutte le direzione. Anche se all’inizio si era sentita offesa, sapeva che quella non era l’intenzione di Cris. Era un ragazzo estremamente sincero, che diceva la verità anche quando avrebbe rischiato di ferire qualcuno. 

Charity si limitò a lanciargli un’occhiataccia prima di alzarsi e uscire a passo spedito per recarsi in Sala Grande per la colazione. Cris fu costretto a rincorrerla e quando le fu accanto il suo sorriso non era scomparso. 

-Lo so Char, anche io non ho un buon rapporto con i miei compagni ma uso il dormitorio solo per dormirci. E anche tu, quindi stringi i denti e pensa che tra meno di un anno non sarai più costretta a svegliarti con le loro urla- le disse mentre si sedevano al tavolo. 

Charity si bloccò come se fosse stata pietrificata. Erano state le ultime parole del suo amico a farle quell’effetto. “Tra pochi mesi non sarai più costretta a svegliarti con le loro urla.” Tra pochi mesi non sarebbe più stata ad Hogwarst e, con tutto quello che era successo, non aveva realizzato che quello era il suo ultimo anno. Tra pochi mesi non avrebbe più camminato per quei corridoi, non avrebbe più mangiato sotto il cielo della Sala Grande e non avrebbe più passato tutto quel tempo con i suoi amici. Pochi mesi la separavano dall’inizio della sua vita reale, una vita che non sapeva che direzione avrebbe preso una volta presi i MAGO. 

-Tutto ok?- le chiese Cris dopo qualche attimo di silenzio. 

Lei annuì senza convinzione e si ritrovo' a pensare che quelli erano gli ultimi mesi di libertà prima degli obblighi dell’età adulta che la attendevano alla fine degli esami. Avrebbe dovuto lottare contro la sua famiglia per realizzare i sogni che ancora non conosceva. Era proprio questo che la spaventava, il fatto di non sapere cosa fare per il resto della sua vita. Le sarebbe piaciuto lavorare al ministero come i suoi genitori, ma in quale dipartimento? Non ci aveva mai pensato, si era sempre limitata a pensare a quello che non avrebbe fatto. Non si sarebbe sposata a diciotto anni con un uomo che non amava e non avrebbe sfornato bambini per il resto della sua vita. E allora cosa avrebbe fatto?

-Char, abbiamo babbanologia alla prima ora- la informò una voce distraendola dai suoi pensieri. Alzò gli occhi dal the ormai freddo che continuava a girare e si ritrovò davanti il volto di Gabe sporco di torta alla melassa. Non si era accorta che il suo amico le si era seduto difronte, troppo immersa nei suoi pensieri. 

-Sei sporco di melassa Gabe. Pulisciti- gli ordinò Cris mentre Charity sbirciava l’orario che le era stato dato poco prima. Non era male, soprattutto per il fatto che, nonostante il suo primo giorno di scuola non fosse iniziato nel migliore dei modi, almeno avrebbe cominciato l’anno con la sua materia preferita. 

-Agli ordini mamma- ribatte’ Gabe mentre tentava di ripulirsi. 

-E aggiustati la cravatta. Come e’ possibile che a quasi diciotto anni tu non sia in grado di fare un nodo degno di questo nome?- continuò Cris osservando con occhio critico il suo amico. 

Nonostante lo scambio di battute non molto promettente la sera del loro smistamento, Cris e Gabe erano diventati buoni amici anche se erano l’uno l’opposto dell’altro. Cris era preciso e ordinato, al contrario di Gabe, disordinato e incapace di fare il nodo alla cravatta o mettere la camicia dentro i pantaloni. 

-Anche la cravatta di Oliver non e’ allacciata bene, perché a lui non dici nulla?- chiese Gabe offeso mentre tentava di darsi una sistemata. Oliver, che si era appena seduto accanto a lui, lo ignorò preferendo buttarsi sulle uovo piuttosto che rispondergli. Tutti loro sapevano che Oliver era intrattabile di prima mattina e che non parlava prima di aver fatto un’abbondante colazione. 

-Perché lui non ha lezione tra dieci minuti Gabe. Tu e Char fareste meglio ad andare- ribatte’ Cris rivolgendosi anche a Charity che aveva assistito con un sorriso allo scambio di battute dei suoi amici. Anche Agatha e Sam sorridevano mentre osservavano il povero Gabe tentare di fare un nodo alla sua cravatta rossa e oro. 

-Non c’è un incantesimo?- chiese Gabe dopo aver fallito il quinto tentativo.

-Si, te l’ho anche insegnato ma la cravatta ti ha quasi strozzato- gli ricordò Cris senza sollevare gli occhi dal suo caffè. Tutti loro scoppiarono a ridere al ricordo di Gabe e della sua cravatta assassina, compresa Martha che li aveva appena raggiunti e aveva ancora il fiatone per la corsa. Charity notò che anche Evander si era appena seduto al suo tavolo ed era stato appena raggiunto dalla sua gemella e da una ragazza bionda che riconobbe come Imogene Yaxley. 

-Fatto!- esclamò Gabe al settimo tentativo. 

-Meglio di niente- commentò Cris osservando il debole nodo che teneva insieme la povera cravatta tutta stropicciata. Charity, Agatha e Sam scoppiarono a ridere e anche Oliver sollevò lo sguardo dal suo piatto per ammirare il risultato. Solo Martha non si unì alle risate e Charity notò che aveva lo sguardo puntato sulla schiena di Evander che in quel momento stava discutendo con la gemella. 

-Bene, io e Char andiamo visto che siamo gli unici del settimo anno ad avere lezione alla prima ora- disse Gabe alzandosi e guardando in cagnesco i suoi amici. 

-Anche io e Sam abbiamo lezione- replicò Agatha alzandosi a sua volta seguita da Sam.

-Certo, cura delle creature magiche. Trascorrerete tutto il tempo ad osservare il professor Kettleburn farsi divorare l’ennesimo arto- commentò Gabe.

-E tu passerai il tempo a capire a cosa serve un interruttore- ribatte’ Agatha con un sorriso ironico.                                        Era normale per loro assistere ai continui battibecchi tra i due ma non per gli altri studenti seduti accanto a loro per colazione. Molti continuavano a lanciare nella loro direzione occhiate perplesse e a parlottare in maniera fitta mentre li indicavano scuotendo la testa. 

Erano sette anni che Charity e  i suoi amici sedevano allo stesso tavolo durante i pasti nonostante appartenessero a case diverse. Avevano anche stilato un piccolo programma per fare in modo che tutti consumassero un pasto al tavolo della loro casa di appartenenza: colazione dai Corvonero, pranzo dai Grifondoro e cena dai Tassorosso.  Ma i loro compagni non si erano ancora abituati al fatto che studenti con indosso divise dai colori diversi si sedessero al loro tavolo. In molti continuavano a fissarli come se andassero in giro con il volto dipinto di verde. Alcuni studenti accettavano la cosa e spesso si univano al loro gruppo, altri, invece, li isolavano come se avessero paura di venire contagiati. Charity non era mai riuscita a capire come la rivalità tra le case potesse impedire ad un Corvonero di essere amico di un Grifondoro e ad un Tassorosso di trascorrere il suo tempo con un Serpeverde. Anche lei aveva avuto paura quando il cappello parlante aveva mandato lei a Corvonero, Gabe a Grifondoro e Oliver a Tassorosso e aveva pensato che non avrebbe più potuto stare insieme alle uniche due persone che conosceva. Ma le sue paure erano svanite quando Gabe e Oliver le avevano promesso che sarebbero stati amici nonostante i diversi colori della divisa e da allora avevano fatto di tutto per passare la maggior parte del tempo insieme. Col tempo si erano uniti a loro anche Cris, Agatha, Sam e Martha e loro erano più uniti che mai. 

-Char, andiamo o faremo tardi- la richiamò Gabe mentre le faceva cenno di seguirla. Charity lanciò un ultima occhiata ai suoi compagni di casa che continuavano a lamentarsi per il fatto di avere ospiti sgraditi al loro tavolo e seguì Gabe verso l’aula di babbanologia. Entrambi avevano deciso di seguire quella materia perché stanchi di non capire metà delle cose che i loro amici raccontavano sul mondo babbano e Charity si era completamente innamorata del mondo babbano tanto che, non appena ne aveva l’occasione, cercava di studiarlo più da vicino. Il modo in cui i babbani erano andati avanti senza l’uso della magia era strabiliante e le piacevano le soluzioni che avevano escogitato per semplificare la loro vita quotidiana.         Era un altro tipo di magia, molto più ingegnosa e affascinante di agitare una bacchetta.    



Note:
Sono ritornata! Dopo la breve pausa estiva rieccomi con il quinto capitolo in cui si scopre la casa di appartenenza di Charity. Non l’ho trovata da nessuna parte così ho deciso di metterla tra i Corvonero, mi e’ sembrata la scelta migliore per una futura insegnate di babbanologia che ama il suo lavoro e che lotta fino alla fine. Insomma, appartengono a Corvonero tutti coloro che hanno voglia di imparare e la mia Charity e’ una ragazza curiosa e desiderosa di conoscere un modo completamente diverso dal suo. E’ una mia idea, spero che la condividiate. 
Seconda cosa, non ho trovato nessuna regola che impedisca agli studenti di consumare i pasti insieme ai loro amici di altre case e mi piaceva l’idea che gli amici di Charity non fossero tutti Corvonero. Ognuno di loro ha una personalità particolare che emerge anche grazie alla casa di appartenenza. Spero possiate condividere anche questa mia idea. 
Terzo, il professor Kettleburn e’ il predecessore di Hagrid come insegnante di Cura delle Creature magiche e viene nominato nel terzo libro da Silente. Di lui si sa che sottovalutava la pericolosità delle creature che allevava e alcuni incidenti gli costarono alcuni arti. 
Quarta e ultima cosa, vorrei ringraziare tutti coloro che leggono\seguono\recensiscono la mia storia. Grazie mille davvero! 
Spero che il capitolo sia piaciuto, MairTonks    

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Capitolo 6
*** Hogwarst, ottobre 1969 ***


Hogwarst, ottobre 1969

-Charity, hai della terra sulla fronte-

Charity sobbalzò trovandosi difronte il volto sorridente di Camdem e la sua mano a pochi centimetri dal viso. Impiegò qualche secondo a capire le parole che il ragazzo aveva pronunciato, momentaneamente incantata a guardare due brillanti occhi osservarla, prima di strofinarsi la fronte per eliminare la traccia di terra.

-Aspetta, faccio io- si propose lui avvicinandosi ancora di più e pulendole con un gesto delicato la fronte. A causa dell’odioso vizio, come amava chiamarlo sua nonna Hortensia, di spostarsi in continuazione le ciocche ribelli dagli occhi, ogni volta che usciva dalle serre si ritrovava l’intero viso sporco con il terreno che era costretta a maneggiare ad ogni lezione di Erbologia. Non aveva mai biasimato Cris per aver deciso di non seguire più le lezioni di Erbologia dopo i GUFO, neanche lei amava sporcarsi le mani di sterco di drago o avere le unghie sporche di terra, ma le piaceva non dover seguire almeno una lezione chiusa in un’aula. E, sterco di drago a parte, stare in mezzo a piante colorate e profumate non era poi tanto male se si imparava a distinguere i vari esemplari.

-Grazie- disse Charity sperando di non essere diventata rossa. Cam era l’unico ragazzo in grado di farla sentire a suo agio quando si ritrovavano a parlare da soli del più e del meno e, allo stesso tempo, mandarla in confusione con piccoli gesti inaspettati come quello. Si erano abbracciati parecchie volte prima di quel giorno ma mai si erano trovati con i volti a pochi centimetri di distanza e lei non aveva mai notato la particolare sfumatura dei suoi occhi. Erano dello stesso colore del bosco, verde e marrone mescolati in quel piccolo spazio. Se Agatha avesse sentito i suoi pensieri le avrebbe dato della dodicenne alla sua prima cotta, Sam sarebbe scoppiata a ridere e Martha le avrebbe sorriso comprensiva come si fa una lontana zia che non fa altro che ripetere la stessa cosa ad ogni incontro. Ma non poteva evitare di arrossire ogni volta che lui le si avvicinava o fare pensieri sdolcinati. -Ti sei presa una bella cotta Char- le fece notare una voce nella sua testa con un tono spaventosamente simile a quello di Agatha. Era stata lei a metterla davanti alla cruda realtà quando, qualche mese prima, aveva raccontato alle sue amiche delle sue uscite con il ragazzo.

-Allora, che ne dici?- le chiese lui all’improvviso. Charity sbatte’ un paio di volte le palpebre come per allontanare il più velocemente possibile i pensieri che le frullavano in testa e si rese conto di essere ancora davanti all’uscita della serra con Cam che la fissava speranzosa. Doveva averle proposto qualcosa ma era stata troppo distratta dai suoi occhi per capire le parole.

-Cos… va bene- rispose alla fine pentendosene subito dopo. L’ultima volta che aveva accettato qualcosa senza sapere di cosa si trattasse si era ritrovata sulla Gufiera insieme a Sam in una ventosa giornata di dicembre ad aiutarla a studiare tutte le varie specie di gufi che possedeva la scuola.

-Perfetto, allora ci vediamo dopo pranzo per studiare insieme- le disse con un sorriso ancora più ampio prima di raggiungere Lud che lo stava aspettando poco distante. Charity rimase per qualche attimo ad osservare il ragazzo allontanarsi ma non arrivò neanche dietro l’angolo che lo vide tornare indietro da solo.

-Non volevo chiederti di vederci per studiare. In verità era solo una scusa per passare del tempo con te- le disse tutto d’un fiato. La guardava negli occhi ma un lieve rossore era spuntato sulle sue guance e Charity non poté fare a meno di trovarlo carino.

-Quindi riformulo la domanda. Charity, questo pomeriggio ti andrebbe di passare del tempo con me?- le chiese. Nel tempo che avevano trascorso insieme Charity aveva avuto modo di notare che, ogni volta che Camdem era agitato, aveva l’abitudine di mettere le mani in tasca e iniziare a dondolarsi sui talloni.

Sorrise e senza neanche pensarci un attimo accettò la proposta del ragazzo. Era rimasta piacevolmente sorpresa dal suo comportamento e non poteva negare di voler passare del tempo con lui. L’ultima volta che si erano trovati da soli era stato durante il viaggio di andata verso Hogwarst e lei si era stupita di come il tempo sembrasse volare quando era in sua compagnia.

-Fantastico, allora possiamo andare subito dopo pranzo- le disse e, con un gesto inaspettato, le prese la mano. Fissarono per diversi secondi le loro mani intrecciate e, come se Charity avesse risposto ad una sua muta domanda, Camdem si diresse verso la Sala Grande.

-Ti ho detto che non voglio più avere a che fare con te, sono stato chiaro?- urlò una voce poco distante tremendamente simile a quella di suo cugino Evander. Non poteva esserne certa, non lo aveva mai sentito urlare, neanche quando aveva affrontato il nonno quel primo settembre, ma aveva alle spalle diciassette anni trascorsi in sua compagnia.

-Sono tua sorella Evander, non puoi evitarmi per sempre- ribatte’ una voce più bassa ma tagliente.

Charity girò l’angolo trovandosi i suoi due cugini talmente vicini da permettere ai loro nasi di sfiorarsi. Camdem accanto a lei si fermò, la guardò come per chiederle se volesse cambiare strada ma lei scosse la testa e si voltò verso i suoi cugini. Nessuno dei due sembrò accorgersi della loro presenza, troppo impegnati a litigare.

Era strano vederli discutere, non solo per il fatto che erano sempre andati d’accordo, piuttosto per il fatto di trovarsi davanti la copia femminile e maschile della stessa persona. Non erano uguali solo fisicamente, ma anche i loro movimenti e le loro espressioni erano le stesse. In quel momento entrambi avevano una profonda ruga sulla fronte, gli occhi verdi ridotti in fessure e l’indice puntato contro il petto dell’altro.

-Te lo ripeto per l’ennesima volta, smettila di vederti con quella sanguesporco e inizia a conoscere Imogene Yaxley. Il nonno non sarà contento di sapere che continui a rifiutarla- Ethalyn non urlava ma aveva usato un tono che avrebbe intimorito anche il barone sanguinario.

-Riferisci a lui e a nostro padre ogni singola mossa? Sanno anche quante cioccorane mangio e quante volte vado in biblioteca? Ti hanno nominata spia dopo aver quasi fatto fuori a suon di incantesimi?- Evander faceva paura, aveva un’espressione feroce dipinta in volto e guardava con disgusto la sorella. Charity notò Ethalyn vacillare un attimo, forse anche lei aveva avuto paura quando il suo gemello era stato brutalmente colpito dal padre e dal nonno. Non poteva darle torto, Charity si era spaventata solo a vedere i segni sul volto del cugino e ad immaginare ciò che li aveva procurati.

-Sto solo cercando di aiutarti, dannazione! Lo sto facendo per te, per evitare ti farti cacciare dalla famiglia per colpa di una schifosa sanguesporco!- Ethalyn aveva alzato la voce e per la prima volta Charity la vide perdere la freddezza che tanto la caratterizzava. Fin da bambina sua cugina aveva imparato ad imitare gli atteggiamenti freddi e distaccati che osservavano tutte le donne della sua famiglia. Era da sempre stata l’orgoglio di sua nonna Hortensia e di sua madre Hepsie.

-Se ti importasse davvero di me mi appoggeresti, non rischieresti di farmi ammazzare!-

-Che cosa ci guadagni stando con quella? Perderai tutto, il tuo futuro e la tua famiglia, Evander. Davvero preferisci lei a noi? Preferisci lei a me?-

Ethalyn aveva definitivamente perso il controllo, urlava contro il fratello colpendolo ripetutamente al petto, i lunghi capelli neri che ondeggiavano sulla sua schiena ad ogni colpo e una piccola lacrima aveva iniziato a scendere lungo la sua guancia. Evander non sembrò farci caso, continuò a risponderle mantenendo lo stesso tono furioso. Charity, invece, per la prima volta capì che anche sua cugina aveva un cuore.

Da quando aveva lasciato la casa dei nonni, la mattina del primo settembre, si era chiesta perché mai Ethalyn avesse svelato davanti a tutti il segreto di suo fratello sapendo quali sarebbero state le conseguenze per lui. Semplicemente sua cugina aveva paura di perdere l’unica persona a cui teneva veramente. Lei ed Evander avevano condiviso tutto fin dalla nascita, ogni passo, ogni gioco e ogni momento. Era stata la gelosia della cugina nei confronti del gemello a spingerla a rivelare al padre e al nonno il suo segreto nella speranza di convincerlo a cambiare idea. Ma non aveva tenuto conto dei sentimenti del fratello e Charity si ritrovò a chiedersi chi fosse questa misteriosa ragazza in grado di trasformare il freddo Evander in un ragazzo che lottava per amore.

-Ti avverto Evander, allontanati da quella o ci penserò io ad allontanarla da te- la minaccia fu poco più di un sussurro appena udibile ma fu in grado di pietrificare Evander che, in momento di rabbia, aveva afferrato il braccio della sorella.

-Non provare neanche a toccarla-

Il tono di Evander era più tagliente di un’ascia ma Ethalyn non mostrò il minimo segno di cedimento, neanche quando la stretta del ragazzo si fece più forte sul suo braccio.

-O lei o me, Evander- furono le sue ultime parole prima di liberarsi e allontanarsi dal fratello più lontano possibile. Evander rimase ad osservare la figura della gemella allontanarsi lungo il corridoio e Charity immaginò che anche lui dovesse soffrire per la frattura del suo rapporto con la sorella.

Camdem attese che Evander si allontanasse lungo il corridoio prima di parlarle. Anche lui sembrava sconvolto e lei non poteva dire che quello a cui avevano appena assistito fosse stato un bello spettacolo.

-Chi e’ la ragazza di cui stanno parlando?-

-Non lo so, non mi ero mai accorta che Evander frequentasse qualcuna- rispose Charity sinceramente. Le conversazioni con suo cugino si limitavano a brevi frase pronunciate nelle rare occasioni in cui si trovavano insieme. Aveva sempre pensato che se non fossero nati nella stessa famiglia e non condividessero lo stesso cognome non si sarebbe mai accorti l’uno dell’altro.

-Nessuno lo avrebbe mai detto. Probabilmente questo era il suo intento, tenere la relazione segreta per evitare qualsiasi ritorsione verso la ragazza. Non deve essere una situazione facile la sua- continuò Camdem mentre si dirigevano verso la Sala Grande. Charity notò che, per tutto quel tempo, il ragazzo non le aveva lasciato la mano e adesso, immerso nei suoi pensieri, aveva preso ad accarezzarla distrattamente. Quel contatto riuscì ad allontanare i brutti pensieri riguardanti la reazione del nonno allo scoprire che il nipote continuava a frequentare quella ragazza.

Raggiunsero finalmente la Sala Grande ma, sull’ingresso, notarono un campanello di persone. Entrambi si avvicinarono, Charity sempre saldamente aggrappata alla mano di Camdem e finalmente riuscirono a vedere cosa stava succedendo. Gabriel teneva stretta Martha che, con gli occhi sgranati, fissava un’enorme pietra che sembrava essersi staccata dal soffitto ed era caduta proprio davanti a lei. Se non fosse stato per il ragazzo che la teneva stretta, probabilmente Martha sarebbe stata colpita in pieno.

Da quello che sentiva dire dai ragazzi accanto a lei, Charity apprese la dinamica di ciò che era appena successo. Mentre la maggior parte degli studenti si stava recando a pranzo, un pezzo del soffitto sembrava essersi staccato e avrebbe rischiato di finire direttamente in testa alla povera Martha che passava proprio li se Gabe non l’avesse spostata appena in tempo. Tutto faceva pensare ad un incedente ma Charity dubitava che, per quanto vecchia, la scuola potesse cadere a pezzi.

Facendosi largo tra la folla riuscì ad arrivare proprio davanti ai frammenti di pietra del pavimento. Notò che anche Cris e Sam erano riusciti a farsi strada ma erano tenuti a distanza di sicurezza del piccolo professor Vitious che aveva iniziato a dare ordini agli studenti più vicini.

-Signor Fawley, porti la signorina MacAdams in infermeria. Madama Chips potrà darle qualcosa per farla riprendere dallo spavento e assicurarsi che non sia stata ferita da qualche frammento. Voi altri andate a pranzo, non c’è niente da guarda qui- ordinò il professore mentre si sbracciava per farsi notare anche dagli studenti più lontani. Gabe trascinò di peso Martha lontano dalla folla, senza badare ai piedi che pestava o alle gomitate che tirava. Lei, Cris e Sam lo seguirono immediatamente e lo aiutarono a raggiungere l’infermeria.



Note:
rieccomi! Scusate la piccola pausa ma non sono riuscita ad aggiornare prima.
Non ho molto da aggiungere, volevo solo ringraziare tutti coloro che dedicano parte del loro tempo a leggere la mia storia. Grazie!
MairTonks.

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Capitolo 7
*** Hogwarst, 16 ottobre 1969 (parte 1) ***


Hogwarst, 16 ottobre 1969 (parte 1)

Da quel giorno di inizio ottobre erano cambiate molte cose.

Martha non poteva più andare in giro per la scuola visto che, da quando era uscita dall’infermeria, non faceva altro che attirare quelli che lei chiamava ‘semplici incidenti’. Ma di semplice non avevano nulla e, soprattutto, non si trattava di incidenti. Forse i primi tre potevano definirsi tali ma, dopo l’ennesima visita da Madama Chips, tutti loro avevano convenuto che qualcuno sembrava averla presa di mira.

Il primo pensiero di Agatha e Sam era andato a Demetra, la gelosissima fidanzata di Oliver, che non aveva mai risparmiato a loro scherzi di pessimo gusto. Ma Demetra non aveva mai colpito Martha, neanche la sua estrema gelosia poteva portarla a fare dei dispetti all’unica persona che non aveva ostacolato in alcun modo la sua relazione con Oliver e che, soprattutto, si era sempre sforzata di essere gentile con lei.

Charity aveva pensato che si trattasse di qualche brutto scherzo che qualche ragazzo di Serpeverde avesse deciso di tirare a Martha. La sua amica era una delle allieve più brillanti del loro anno, era un genio in pozioni e ciò aveva portato molti Serpeverde ad essere invidiosi del trattamento speciale che Lumacorno le riserva. Qualche piccolo incidente era già capitato negli anni precedenti, ma si era sempre trattato di semplici manomissioni alle pozioni che preparava.
Gabe aveva azzardato anche a qualche vendetta nei suoi confronti da qualche ragazzino a cui Martha aveva tolto punti o assegnato punizioni in quanto Caposcuola ma era davvero impossibile che qualcuno potesse avercela così tanto solo per motivi banali come questi. D’altronde Martha era buona e toglieva punti solo quando era costretta.

Ma c’era un’ultima ipotesi che nessuno aveva il coraggio di dire ad alta voce. Non era raro che in quegli ultimi mesi molti nati babbani subissero stupidi scherzi da parte di tutti coloro fissati con la purezza di sangue. Nessuno aveva dimenticato il ragazzino del terzo anno di Tassorosso che, l’anno precedente, era stato trovato privo di sensi in un bagno senza un apparente motivo. Solo tempo dopo si era scoperto che era stato vittima di due ragazzi di Serpeverde che lo avevano preso di mira a causa delle sue origini. Nessuno di loro aveva più visto quel ragazzino per i corridoi e, da quello che si diceva, probabilmente aveva abbandonato la scuola per paura.

Questo portava di conseguenza al secondo grande cambiamento avvenuto ad inizio ottobre. Di comune accordo tutti loro avevano stabilito che Martha non doveva più essere lasciata andare in giro da sola. Questo non serviva ad impedire che gli incidenti giornalieri accadessero ma, almeno, permetteva loro di aiutare subito la povera Martha in qualsiasi momento della giornata.

Il terzo cambiamento era avvenuto nel rapporto tra Charity e Camdem che, nonostante il mancato appuntamento il giorno dell’incidente di Martha, avevano preso a vedersi regolarmente tutti i giorni. Camdem era stato molto gentile e comprensivo quel giorno e non si era arrabbiato quando lei si era completamente dimenticata di lui. Così, ogni volta che Charity non era impegnata con Martha e con i suoi amici, lei e Camdem trascorrevano il tempo facendo lunghe passeggiate nel parco della scuola o, se il tempo non era clemente, stando semplicemente seduti nella loro sala comune.

Era stato in quelle occasioni che Charity aveva scoperto la fotografia. Camdem, in quanto figlio di due importanti giornalisti della Gazzetta del Profeta, era praticamente cresciuto con in mano una macchina fotografica e aveva ereditato quella passione dai genitori. Da quando aveva mostrato la sua macchina fotografica a Charity, la ragazza lo aveva praticamente costretto a portarla ogni volta che andavano a passeggiare nel parco e lo aveva eletto a suo insegnante privato. Il ragazzo aveva accettato e si divertiva parecchio a mostrarle il modo esatto con cui immortalare i soggetti che Charity voleva fotografare. Aveva anche ammesso che le sue fotografie non erano male e le aveva permesso di tenere per se tutte quelle che voleva e insieme ad alcune che lui le aveva scattato di nascosto.

Ce ne era che la ritraeva mentre si girava verso di lui sorridendo felice per aver finalmente trovato il suo prossimo soggetto e, nonostante Charity fosse molto critica verso il suo aspetto, non poteva negare che quella foto fosse davvero bella. Camdem aveva colto il momento esatto in cui si voltava verso di lui sorridendo e il vento, per una volta dalla sua parte, le aveva allontanato i capelli dal viso permettendo ai suoi occhi di essere finalmente visibili.

Charity la stava fissando proprio in quel momento chiedendosi se fosse davvero lei quella ragazza sorridente della fotografia. Lui le aveva confessato di trovarla bellissima e, anche se lei stentava a crederlo, non aveva potuto controbattere davanti a quella fotografia. Si trovò a pensare che, se in quel momento era davvero bella, era solo per merito di Camdem. Era lui l’unica persona in grado di farla stare bene in quel periodo, i suoi amici erano troppo tesi e nervosi per potersi divertire come un tempo che, nonostante fossero trascorsi solo poco giorni, sembrava terribilmente lontano.

-Che stai facendo?- le chiese Gabriel buttandosi a peso morto sulla sedia davanti a lei.

Era l’ora di pranzo ma Charity era andata in biblioteca per poter finire il tema di babbanologia che avrebbe dovuto consegnare l’indomani. O meglio, quella era una bugia che aveva rifilato ai suoi amici per poter stare un po’ in pace. Non avrebbe retto ancora a lungo davanti all’espressione triste di Martha che, in quegli ultimi tempi, aveva smesso di sorridere e fare qualunque cosa. Non mangiava, dormiva poco e trascorreva la maggior parte del tempo in infermeria a farsi curare da Madama Chips le ferite della giornata. L’infermiera, dopo il terzo giorno in cui aveva dovuto medicare una distorsione al polso della ragazza, aveva avvertito gli insegnanti e il preside ma nessuno di loro era riuscito a sistemare la situazione. Ogni volta che accadeva qualcosa a Martha nessuno poteva accusare qualcuno di essere stato il colpevole. Martha era caduta in corridoio deserto, un bicchiere le era esploso in mano, dei libri erano caduti addosso da uno scaffale in biblioteca e la sua sedia si era spostata all’improvviso mentre si sedeva. Nessuno poteva negare che si trattassero di incidenti e l’unica cosa che faceva sospettare il contrario era la frequenza con cui accadevano.

-Il tema di babbanologia per domani- rispose cercando di nascondere la foto senza farsi notare. Non sapeva il motivo ma preferiva non raccontare a nessuno di quello che accadeva con Camdem. Era una cosa solo loro e aveva paura che potesse finire tutto se qualcuno ne fosse venuto a conoscenza.

-Pensi di scriverlo sul tavolo?- le chiese indicando il punto in cui sarebbe dovuta esserci la pergamena su cui aveva già iniziato a scrivere le prime righe il giorno precedente. Charity spostò lo sguardo dal tavolo al volto perplesso del suo amico, che la fissava con un sopracciglio alzato, nella speranza di trovare qualcosa da dire per rompere il pesante silenzio che era calato dopo la sua domanda.

-Devo ancora finire di sistemarmi- si giustificò Charity mentre si chinava per prendere la pergamena nella sua borsa.

-Ok- si limitò a dire lui senza smettere di fissarla scettico, come se stesse cercando di smascherare la sua bugia. Non era raro che uno di loro si allontanasse non appena erano sicuri che Martha non era sola sussurrando scuse che nessuno ascoltava veramente. Era l’unico modo che avevano per evitare di esplodere davanti a Martha o di farle capire quanto quella situazione fosse davvero pesante.

Martha continuava a ripetere che non era necessario essere scortata in qualunque momento della giornata ma, col tempo, si era arresa e accettava la loro compagnia esattamente come si era rassegnata agli incidenti quotidiani. Tutti loro cercavano di non farle pesare la cosa e di tirarla su di morale sforzandosi di comportarsi normalmente.

-Cris e Sam hanno smesso di litigare- la informò Gabe dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio. Charity aveva preso a sfogliare il libro senza sapere esattamente cosa stesse cercando mentre il ragazzo continuava ad osservarla con la testa appoggiata sulla mano.

-Bene- disse senza neanche alzare gli occhi. Avrebbe dovuto essere sollevata dalla notizie, invece era semplicemente indifferente. Ormai i litigi tra loro sembrava all’ordine del giorno e nascevano per i motivi più futili.

Quel giorno era stata la volta di Cris, solitamente calmo e ragionevole, di perdere la pazienza. Dopo la lezione di pozioni, che seguiva insieme a Martha, doveva recarsi nell’aula di Trasfigurazione. Sam avrebbe dovuto dargli il cambio con Martha ma la ragazza si era attardata a parlare con Hagrid di un cucciolo di unicorno che il guardiacaccia aveva trovato nella foresta. Cris era un ragazzo estremamente puntuale ed era andato su tutte le furie quando Sam si era presentata venti minuti dopo l’orario previsto. La discussione era sfociata nella pausa pranzo, Cris aveva dato a Sam dell’irresponsabile e l’aveva accusata di perdere tempo dietro a stupide creature piuttosto che aiutare una sua amica. Se non si poteva scherzare con la puntualità con Cris, allo stesso modo non si poteva dire a Sam che trascorrere il tempo con le creature magiche era inutile. Così la situazione era definitivamente degenerata e i due avevano passato tutto il tempo ad urlarsi ai due lati del tavolo. Agatha era stata l’unica ad accorgersi dell’espressione mortificata di Martha che, mentre i suoi due amici urlavano, sembrava voler sprofondare. Aveva sbattuto violentemente un pugno sul tavolo mentre si alzava e trascinava con se un’inerte Martha.

-Oliver ha dovuto farli tacere con un incantesimo. Quando sono arrivato io lui stava mangiando come se nulla fosse successo e Sam stava uscendo il lacrime dalla Sala Grande- continuò.
Quindi i due non avevano smesso di litigare di loro spontanea volontà ma era stato Oliver che, probabilmente al limite della sua già infinita pazienza, li aveva costretti a stare in silenzio.

-Non possiamo continuare così- disse Charity smettendo di sfogliare inutilmente il volume di Babbanologia e guardando negli occhi il ragazzo.

-E cosa proponi? Non possiamo lasciare Martha da sola, ti ricordo che solo ieri ha rischiato volare giù per le scale e Oliver ha fatto non so che tipo di incantesimo per bloccare la sua caduta-

-Lo so. Ma così rischiamo di impazzire tutti quanti e di metterci a litigare per ogni cosa- insistette Charity. Doveva già sopportare le sue compagne di dormitorio che litigavano continuamente, non poteva anche sopportare che i suoi amici si urlassero continuamente contro.

-L’unica cosa che possiamo fare e’ capire chi c’è dietro a tutto questo e fermarlo- propose Gabe e Charity notò la luce di determinazione accendersi nei suoi occhi azzurri.

-Charity!- la chiamò Ophelia senza curarsi di mantenere un tono basso e sbucando da dietro uno scaffale. Sembrava sconvolta, doveva aver corso per venire da lei e fu costretta a prendere fiato prima di riuscire a parlare.

-Agatha ha portato Martha in infermeria, Oliver mi ha detto che qualcuno l’ha fatta cadere nel lago- ma la piccola Ophelia non aveva finito la frase che sia lei che Gabe erano scattati in piedi e si erano diretti verso l’infermeria.

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Capitolo 8
*** Hogwarst, 16 ottobre 1969 (parte 2) ***


 Hogwarst, 16 ottobre 1969 (parte 2)

-Ma si può sapere cosa vi e’ saltato in mente? Rischia di farsi male semplicemente sedendosi a tavola e voi la portate a passeggiare vicino al lago? Ma si può essere così stupidi?-

Non ebbero neanche bisogno di entrare per riconoscere la voce di Cris. Lui, Agatha, Sam e Oliver erano tutti riuniti attorno al letto sul quale Madama Chips aveva sistemato Martha. Oliver era seduto accanto alla ragazza avvolta in una pesante coperta e le aveva messo un braccio intorno alle spalle per cercare di riscaldarla più velocemente.
Cris, liberatosi dall’incantesimo di Oliver, urlava verso le due ragazze che lo fissavano pronte a ribattere a loro volta.

-Ho solo pensato di farle fare una passeggiata. L’unica volta che e’ uscita dal castello e’ stato per andare a lezione di Erbologia.- si giustificò Agatha approfittando dell’attimo che il ragazzo aveva usato per prendere fiato.

-E’ stata l’idea più stupida che vi potesse venire in mente. Per Merlino, non avete pensato alle conseguenze? Ma cosa ci si poteva aspettare da una che si preoccupa di più per una stupida creature che per la sua amica?- continuò Cris ignorando Agatha e rivolgendosi solo ad Sam che aveva fatto un passo indietro quando il ragazzo si era voltato verso di lei. A quando pare il ragazzo non le aveva ancora perdonato il fatto di essere arrivata tardi.

-E’ stata una mia idea Cris. Sam ci ha solo raggiunto dopo ed e’ stato un bene visto che non sarei mai riuscita a trasportare Martha da sola fin qui- disse Agatha mettendosi davanti a Sam come per ripararla dalla furia di Cris.

-Non l’ avresti portata li’ se Samantha fosse arrivata puntuale oggi- urlò Cris usando il nome intero della ragazza, segno che era completamente su tutte le furie.

-Ti ho detto che mi dispiace! Per quanto tempo ancora mi rinfaccerai questo errore?- gridò Sam a sua volta spostando Agatha per trovarsi difronte a Cris.

Charity non aveva mai visto i suoi amici in quelle condizioni. La fascia che solitamente teneva legati i capelli di Sam si era sciolta ed era caduta ai suoi piedi permettendo ai suoi ricci castani di coprirle il viso rosso per la rabbia. Agatha, con la divisa ancora bagnata e i capelli rossi appiccicati al viso, osservava preoccupata i due urlare e Cris che aveva gli occhiali in bilico sulla punta del naso e i capelli in disordine visto che aveva l’abitudine di passarci le mani in mezzo ogni volta che era nervoso. Gabe, accanto a lei, fissava la scena con le braccia inermi lungo i fianchi, senza sapere cosa fare per fermare il litigio tra i due e Oliver abbracciava Martha e cercava di impedirle di sentire la discussione.

-Fin quando non capirai che stare dietro a quelle stupide creature e’ solo una perdita di tempo!-

-Invece stare con il naso dentro quei tuoi stupidi libri e’ utile, vero?-

-Basta!-

L’urlo di Martha impedì a Cris di ribattere. Tutti loro si voltarono verso la piccola figura della ragazza nel letto che aveva ancora gli occhi chiusi e le mani sulle orecchie.

-Basta- ripete’ con un tono di voce più basso. -Per favore, andatevene via- aggiunse sempre tenendo gli occhi chiusi.

-Martha, ci dispiace…- provò a dire Agatha ma la ragazza la bloccò prima che potesse aggiungere altro.

-Lo so. Ho bisogno di stare da sola-

-Possiamo aspettare fuori- propose Cris ma Martha scosse la testa.

-Sono in infermeria, Madama Chips e’ nel suo ufficio, tra poco verrà a darmi qualche pozione per cercare di farmi rilassare e non ci sono altre persone. Voglio stare da sola- ripete’ Martha.

Tutti loro si lanciarono un’occhiata senza sapere cosa fare. Non volevano lasciarla sola ma nessuno di loro l’aveva mai vista in quelle condizioni e non volevano rischiare di farla stare peggio.

-Va bene- acconsentì Oliver alla fine. Tutti loro si voltarono verso il ragazzo che scosse la testa per bloccare qualunque replica.

-Ma Ophelia verrà più tardi a vedere come stai e, se Madama Chips ti lascerà uscire, verrò a prenderti- aggiunse Oliver alzandosi e allontanandosi dal letto. Martha annuì e loro seguirono Oliver senza smettere di fissare preoccupati la loro amica.

-Oliver non possiamo lasciarla da sola, potrebbe capitarle qualsiasi cosa- esclamò Agatha non appena Gabe chiuse la porta dell’infermeria alle loro spalle. Charity era pienamente d’accordo con Agatha e non riusciva a capire come Oliver avesse potuto accettare la richiesta di Martha di essere lasciata completamente da sola.

-E’ al sicuro in infermeria, Madama Chips non la perderà di vista un attimo e conosce perfettamente la situazione. Potrebbe anche decidere di tenerla in infermeria per un po’ per farla riposare in pace.- spiegò Oliver con calma. Charity avrebbe voluto fidarsi ciecamente delle parole di Oliver ma, dopo tutto quello che era successo, non riusciva a pensare alla sua amica sola in infermeria.

-Ragazzi, lo so che e’ difficile ma lei ha davvero bisogno di stare da sola- continuò Oliver quando si accorse che nessuno aveva mosso un passo.

-Martha piange tutte le sere, si sente in colpa per quello che sta succedendo, si sente un peso e ha paura anche solo di mettere il naso fuori da dormitorio. E’ esausta e noi non la aiutiamo se continuiamo a litigare davanti a lei.- terminò spostando lo sguardo su ognuno di loro.

Oliver aveva ragione. Per quanto fossero sempre pronti a venire in soccorso a Martha, non potevano dire di esserle d’aiuto sul piano emotivo. Erano tutti tesi e saltavano per qualsiasi cosa. Una volta Gabe aveva quasi affatturato un ragazzino del quarto anno che aveva starnutito accanto a lui. Agatha aveva sfogato tutta la tensione accumulata in quei giorni durante l’allenamento di quidditch e aveva mandato un bolide sul naso di un cacciatore della sua squadra, rompendoglielo. Questo aveva portato lei e Gabe a litigare furiosamente durante l’allenamento e i due non si erano parlati per giorni dopo essere usciti dal campo.

 Anche Charity aveva litigato pesantemente con Gabe qualche giorno prima quando nessuno dei due voleva rinunciare al loro appuntamento. Entrambi erano stati con Martha tutta la mattina e avevano bisogno di una pausa. Era stato solo merito di Oliver che si era proposto di sostituirli se erano riusciti a smettere di discutere e ad andare ai loro appuntamenti.

Quel giorno era stato il turno di Sam e Cris ma, in generale, nessuno di loro era in grado di aiutare Martha a rilassarsi completamente. Charity si rese conto di essere stata davvero pressante e ansiosa, si preoccupava solo che a Martha non
accadesse niente senza neanche chiederle come si sentisse.

-Prendiamoci un giorno di pausa, ognuno e’ libero di fare quello che vuole basta che smettiamo di litigare per qualsiasi cosa- disse Oliver.

-Vengo con te più tardi- si proposero tutti parlando contemporaneamente. L’attimo dopo si ritrovarono tutti a sorridere ma Oliver si limitò a scuotere la testa.

-Tranquilli, io e Ophelia ce la caveremo bene- disse facendo l’occhiolino alla ragazza che era rimasta in disparte per tutto il tempo.

Charity vide sua cugina sorridere di rimando al ragazzo e notò un lieve rossore sulle sue guance. Anche lei si era proposta di aiutare Martha e il suo aiuto era stato fondamentale. Poiché tra loro solo Oliver era un Tassorosso, era l’unico che poteva fare compagnia a Martha quando si trovava nella sua Sala Comune ma non poteva accedere ai dormitori femminili. Anche se tutti loro dubitavano che l’artefice di quegli incidenti fosse una ragazza di Tassorosso, sapere che Ophelia poteva aiutare Martha anche la sera era un gran sollievo per tutti.

-Ci vediamo a cena allora- li salutò Oliver allontanandosi. Gabe fu il primo a seguirlo e ordinò ad Agatha di farsi trovare dopo le lezioni al campo per un allenamento. Cris e Sam, non volendo stare nello stesso posto più tempo del necessario, si diressero in due direzioni opposte.

Charity, rimasta sola, non aveva dubbi su dove andare e, senza esitazioni, si incamminò nel parco dove era sicura di trovare Camdem. Infatti il ragazzo si trovava ai margini della foresta proibita insieme a Lud Turpin, il suo inseparabile amico. Entrambi erano chini su delle pergamene e stavano approfittando delle ultime tiepide giornate di ottobre per finire i compiti all’aria aperto. Aveva smesso di tirare vento e, anche se si era costretti a portare la sciarpa, faceva ancora abbastanza caldo per poter passeggiare.

-Charity!- esclamò Camdem notandola ferma a pochi metri di distanza. Charity si era bloccata ad osservare l’espressione concentrata del ragazzo e si riscosse non appena lui si alzò per venirle incontro.

-Non ti aspettavo prima di stasera. Tutto bene?- le chiese una volta che le fu vicino. Le prese la mano, un gesto che ormai era diventato spontaneo, e la osservò con un’espressione felice ma allo stesso tempo preoccupata.

-No… cioè si… e’ una storia lunga- rispose alla fine. Neanche lei sapeva bene cosa rispondere: non poteva dire che la situazione che si era creata fosse bella, soprattutto sapendo Martha sola in infermeria, ma poteva finalmente trascorrere un pomeriggio senza doversi guardare continuamente le spalle o sbirciare dietro ogni angolo ogni volta che girava per i corridoi.

-Martha sta bene? Ho sentito che oggi e’ caduta nel lago- le chiese mentre la guidava verso il punto in cui aveva abbondato le sue cose e il suo migliore amico. Lud alzò la testa per rivolgerle un breve saluto prima di tornare alla sua pergamena.

-E’ in infermeria, sta bene ma e’ spaventata ed esausta- rispose lei prendendo posto accanto a Camdem che, per tutto quel tempo, non le aveva mai lasciato la mano.

-Immagino, non deve essere una passeggiata. Tu come stai?-
Presa com’era ad occuparsi di Martha, non aveva molto tempo per pensare a se stessa e Camdem era l’unico che si preoccupasse per lei e che, almeno una volta al giorno, le chiedeva come stesse.

-Bene, solo un po’ stanca- ammise. Camdem era l’unico con cui poteva essere sincera. Essendo tutti tesi e nervosi, non poteva ammettere davanti ai suoi amici di essere stanca. Così il ragazzo era diventato il suo unico confidente e, quando era in sua compagnia, non aveva senso mentire.

Camdem era a conoscenza di tutto quello che provava riguardo a quella situazione, sapeva a memoria tutte le sue lamentele riguardo gli atteggiamenti dei suoi amici e quel giorno dovette sorbirsi il suo monologo riguardo la discussione tra Sam e Cris. Lui la lasciava parlare senza dire nulla, annuiva di tanto in tanto ma non diceva mai niente quando lei si lamentava dei suoi amici.

-Bene, allora oggi farò in modo di farti rilassare e non pensare a nulla. Martha ha bisogno di te e devi essere in forma per aiutarla- decretò alla fine alzandosi e trascinando in piedi anche lei. Charity lo fissò perplessa ma lui scosse la testa e, dopo essersi scusato con Lud, la prese per mano e insieme si diressero verso il castello.

-Dove stiamo andando?- le domandò dopo qualche minuto. Si stavano dirigendo verso il loro dormitorio e Charity non riusciva a capire cosa avesse in mente il ragazzo.

-Non pensare male- le disse dopo che ebbero messo piede nella sala comune. Lei gli restituì un’occhiata perplessa mentre la trascinava su per le scale dei dormitori maschili.

-Hai bisogno di riposarti e, visto che le tue compagne di stanza non ti lasciano mai dormire in pace, ho pensato che potevi usare il mio letto. Oggi pomeriggio non hai lezione e il dormitorio sarà vuoto fino all’ora di cena- le spiegò davanti all’ingresso della sua stanza. Camdem le sorrideva rosso in viso, sia per l’imbarazzo che per la corsa che aveva fatto. Aprì la porta del dormitorio senza neanche darle il tempo di rispondere e la richiuse subito alle loro spalle.

Charity era già stata nel dormitorio dei ragazzi e sapeva che il letto sotto la finestra apparteneva a Cris. Se non fosse stato per la mano di Camdem stretta alla sua, probabilmente si sarebbe diretta immediatamente verso il letto di Cris, visto che anche lui aveva avuto molte volte la stessa idea.

-Si, ho copiato l’idea di Cris.- le confessò lui dopo qualche secondo di silenzio in cui Charity non aveva fatto altro che guardarsi intorno incerta sul da farsi. Non era la prima volta che dormiva nel dormitorio dei ragazzi, molte volte Cris le aveva permesso di usare il suo letto. Ma Cris era Cris, il suo migliore amico che considerava al pari di un fratello. Non si era mai sentita in imbarazzo a salire li’ con lui e neanche a dormire nel suo letto. Quando erano più piccoli, e ci entravano entrambi, avevano anche dormito insieme quando le discussioni delle sue compagne di stanza le impedivano di prendere sonno.

-Se non vuoi non mi offendo- le disse vedendo che esitava. Charity scosse la testa e, senza pensarci troppo, lo abbracciò per ringraziarlo. Non sapeva come ci fosse riuscito ma Camdem era riuscito ad entrare nella sua vita e lei non sapeva più come fare senza di lui. In quel periodo in cui i suoi amici erano quasi estranei, lui era l’unico punto fermo.

-Grazie- sussurrò Charity staccandosi dal ragazzo. Lui le sorrise e, con rapido gesto, le diede un veloce bacio sulle labbra.

-Adesso ti conviene andare a riposarti, ti ho tenuto già troppo sveglia- le disse indicandole il letto. Se non fosse stato per il sorriso gigantesco e il rossore sul volto del ragazzo, Charity avrebbe giurato di essersi inventata tutto. Camdem non aggiunse altro, la condusse verso il suo letto e scostò le tende che lo circondavano.

-Mettiti comoda, verrò a svegliarti prima di cena- le promise prima di darle un altro veloce bacio e richiudere le tende. Charity avrebbe voluto mettersi a riflettere su tutti i possibili significati di quel gesto ma era davvero troppo stanza per pensare e si addormentò in pochi minuti.
 


Note:
Buon pomeriggio! Eccomi con la seconda parte del capitolo. E’ venuto più lungo degli altri , così ho preferito dividerlo in due.
Allora, che dire?
E’ un capitolo diverso dai precedenti: da una parte ci sono Martha con i suoi numerosi incidenti che rischiano di incrinare i rapporti tra i suoi amici, dall’altra Charity che, man mano, capisce di provare qualcosa di profondo verso Cam.
Riguardo a Camdem, e’ un ragazzo timido ma allo stesso tempo sa quello che vuole ed ha la passione per la fotografia. La macchina fotografica che ha con se e’ magica quindi funziona perfettamente anche ad Hogwarst.
Per il resto non altro da aggiungere. Spero vi sia piaciuto e grazie per continuare a seguire la storia.
Al prossimo capitolo,
MairTonks

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Capitolo 9
*** Hogwarst, 26 ottobre 1969 ***


Hogwarst, 26 ottobre 1969

Nonostante Grifondoro avesse condotto la partita e vinto l’incontro, erano i Tassorosso quelli più felici. Oliver, capitano e cercatore della squadra, aveva appena effettuato una presa talmente spettacolare porre fine alla partita e rubare la scena alla vittoria dei Grifondoro.

Dagli spalti si levavano applausi da tutte e quattro le case, segno che tutta la scuola era in festa. I Grifondoro, nonostante avessero vinto solo di venti punti, erano felici di aver portato a casa la prima vittoria dell’anno e, adesso, l’intera squadra capitanata da Gabe, si era riunita in un abbraccio di gruppo, contenti che i faticosi allenamenti del loro capitano avessero dato i loro frutti. Ma neanche la vittoria appena conseguita era in grado di appianare i vecchi dissapori e Charity notò la chioma rossa di Agatha volare il più lontano possibile da Demetra, che con i suoi tiri aveva fatto la maggior parte dei punti, e avvicinarsi ad un raggiante Gabe che, in veste di capitano, si stava godendo gli applausi degli studenti della sua casa.

I Tassorosso, invece, stavano facendo il giro del campo in sella alle loro scope, felici come se avessero appena vinto il loro campionato. Oliver, in testa, volava reggendosi con una mano mentre l’altra era sollevata e stringeva ancora il boccino appena catturato. La squadra lo seguiva, tutti con un sorriso enorme stampato in viso, felici di aver tenuto testa ai Grifondoro, compreso il portiere, un ragazzino del quarto anno alla sua prima partita. Nonostante il giovane non avesse parato un tiro, un po’ per colpa dell’inesperienza e un po’ a causa del nervosismo, era stato il primo che Oliver aveva abbracciato dopo aver catturato il boccino e, adesso, seguiva il suo capitano con un misto di ammirazione e orgoglio. Charity era certa che, se fosse appartenuto ad un’altra squadra, non avrebbe ricevuto lo stesso trattamento.

I Serpeverde e i Corvonero applaudivano più per il fatto di aver assistito ad un’avvincente partita che per il risultato anche se i primi avevano battuto le mani giusto un paio di volte, restii a dimostrarsi entusiasti davanti alle prestazioni di un semplice nato babbano. Charity aveva sentito alcuni Serpeverde fischiare al passaggio di Oliver o lanciargli insulti che, come ogni volta, il ragazzo aveva ignorato.

Dopo aver compiuto il secondo giro di campo, Oliver venne letteralmente stritolato da Agatha e Gabe che avevano abbandonato la loro squadra per complimentarsi con il ragazzo. Ad un certo punto Agatha si staccò dal gruppo per permettere ai due capitani di sollevarsi in aria ancora abbracciati a prendersi gli applausi di entrambe le squadre. Agatha e altri giocatori incitavano il pubblico e, mentre applaudiva il più forte possibile, Charity non poté non sentirsi orgogliosa dei suoi due amici.

Oliver e Gabriel erano stati i primi due amici che aveva avuti, le avevano fatto compagnia durante il suo primo viaggio verso Hogwarst e durante gli anni trascorsi a scuola, nonostante appartenessero a tre case diverse. Charity non potevano non guardare Oliver e non pensare al bambino dai folti capelli neri e grandi occhi scuri che guardava meravigliato la locomotiva rossa dell’espresso per Hogwarst che, mentre attendeva che gli studenti salissero, ruggiva e sputava fumo come un drago impaziente.

Anche se subito lo aveva trattato male a causa degli stupidi pregiudizi che la sua famiglia le aveva tramesso, lui si era limitato a guardarla perplesso e sorriderle l’attimo dopo chiedendole quali fossero, tra tutte quelle che Gabriel aveva portato nel vagone, le sue caramelle preferite. Sette anni dopo Charity rivedeva ancora quel bambino con lo sguardo meravigliato in Oliver ma anche il giovane uomo che stava diventando, sempre sorridente e gentile con tutti.

Accanto a lei c’era Ophelia che, dopo essersi lasciata convincere a venire a vedere la partita, si era alzata in piedi e applaudiva felice la sua squadra, incurante dei capelli rossi che le erano finiti sul viso. Aveva la sciarpa gialla e nera intorno al collo, le guance rosse a causa del vento freddo che tirava quella mattina e, Charity pensò divertita, per il fatto che Oliver si fosse fermato a pochi metri da loro durante il suo giro per rivolgere un breve sorriso. Anche Martha, alla destra di Ophelia, la guardava e Charity non ebbe il minimo dubbio che stesse pensando la stessa cosa. Quando i loro occhi si incontrarono non poterono evitare di lanciarsi un’occhiata complice e seguire lo sguardo della ragazza puntato, come entrambe avevano previsto sulla figura di Oliver. Ma non era l’unica e Charity capì perché Demetra, nonostante la vittoria della sua squadra, guardava verso i due capitani con gli occhi ridotti in due fessure. Oliver e Gabe erano più belli che mai, entrambi raggianti e con i capelli scombinati dal vento.

-Bella partita vero?- urlò Cam a pochi centimetri dal suo orecchio per sovrastare il frastuono degli spalti.

Charity sobbalzò sorpresa. Presa com’era dalla partita, si era dimenticata della presenza di Cam al suo fianco. A dirla tutta, non si era ancora abituata alla presenza costante in qualsiasi momento della sua giornata. Dal giorno del fugace bacio che si erano scambiati nel dormitorio del ragazzo, il loro rapporto era cambiato e, se prima si vedevano solo quando Charity era libera dai suoi impegni, adesso Cam aveva preso ad aspettarla tutte le mattine per accompagnarla a colazione o dopo le lezioni. Non era abituata a tutte queste attenzioni da parte di un ragazzo, non che la cosa non le piacesse, ma continuava ad arrossire ogni volta che camminavano mano nella mano nei corridoi o quando lui la baciava davanti ad altri studenti. Era contenta di come si erano evolute le cose tra loro.

Intanto, intorno a loro, gli studenti stavano iniziando a dirigersi verso la scuola, chi per festeggiare la propria squadra, chi per godersi la giornata libera dalle lezioni. Charity annuì e Cam le cinse la vita con braccio prima di darle un veloce bacio sulla guancia mentre lei arrossiva e abbassava lo sguardo.

-Ti va una passeggiata nel parco prima di pranzo?- le propose il ragazzo, sempre con le labbra a pochi centimetri dal suo orecchio.

-Accompagno Martha e Ophelia e ti raggiungo- rispose lei rivolgendogli un timido sorriso prima di voltarsi verso le sue amiche che guardavano sorridenti verso il campo. Gli attentati a Martha continuavano anche se con una frequenza minore.
L’ultimo risaliva a due giorni prima quando, durante la lezione di pozioni, le fiamme sotto il suo calderone si erano alzate all’improvviso provocandole una brutta bruciatura sulla mano destra e una sulla guancia. I segni erano ancora visibili, Madama Chips avrebbe potuto farli sparire in un attimo ma, nell’ultimo periodo, la sua amica aveva iniziato a curarsi da sola e ad evitare le visite in infermeria. Charity aveva assoluta fiducia nelle capacità della sua amica, Martha sognava di diventare guaritrice dopo Hogwarst, e la capiva quando diceva che non ne poteva più di recarsi in infermeria almeno una volta al giorno.

-Se vi va possiamo venire anche io e Lud. Sai, a Lud non dispiacerebbe passare del tempo con Martha- le confesso indicando il suo amico che, con le mani in tasca fissava la ragazza parlare e ridere insieme ad Ophelia. Ora che Martha sorrideva, cosa che purtroppo in quel periodo non accadeva spesso, Charity pensò che il taciturno Lud dovesse trovarla davvero molto carina con i corti ricci neri ad incorniciarle il viso e le fossette che aveva sulle guance. Spostò lo sguardo verso Cam, come per chiedergli conferma di ciò che aveva appena detto, e lui alzò semplicemente le spalle.

-E poi Sam può raggiungere i suoi compagni per la festa, e’ inutile farle perdere tempo- aggiunse indicando Sam, a pochi passi da loro, intenta a parlare con Abercombie, un ragazzo biondo del sesto anno.

Charity e Martha avevano faticato parecchio a convincere Sam a venire alla partita. La ragazza era parecchio taciturna in quell’ultimo periodo a causa della discussione che aveva avuto con Cris. I due continuavano ad evitarsi ed era stato solo quando Charity aveva detto che sarebbero state solo loro tre e Ophelia che Sam aveva accettato di venire. Cris, infatti, aveva deciso di trascorrere la mattina in biblioteca probabilmente con l’intenzione di evitare Sam.

-Va bene- accetto Charity avvicinandosi al ragazzo per dargli un leggero bacio sulla guancia come ringraziamento. Lui ne approfittò per stringerla a se’ e rimasero abbracciati fino a quando Sam non tossì in modo estremamente rumoroso.

-Char, dobbiamo accompagnare Martha alla Sala Comune- le ricordò Sam ignorando il povero Abercombie che era rimasto a pochi passi da la guardava in attesa di qualcosa.

-Vai tranquilla, vengono Cam e Lud con noi. Puoi andare direttamente alla festa- la incoraggiò facendole l’occhiolino e indicandole la squadra di Grifondoro che, ancora con indosso le divise, si stava dirigendo verso la loro torre insieme ad altri studenti.

-Ah- si limitò a dire Sam guardando perplessa i due ragazzi.

Con gran dispiacere di Charity, nessuno dei suoi amici aveva visto di buon occhio la sua relazione con Cam. Solo Martha, a causa della sua indole buona, le aveva sorriso mentre tutti gli altri erano rimasti come congelati davanti a quella notizia. Sam e Agatha l’avevano fissata come se fosse impazzita quando, una mattina, si era presentata a colazione mano nella mano con Camdem. Agatha, poi, aveva fulminato il ragazzo con i suoi gelidi occhi azzurri e si era comportata come se lui fosse invisibile. Cris aveva semplicemente squadrato Camdem dalla testa ai piedi prima di tornare al suo libro e ad Oliver erano andate di traverso le uova che stava mangiando. Era stata proprio la reazione di quest’ultimo che l’aveva spiazzata visto che, tra tutti, era quello che avrebbe dovuto capirla visto che anche la sua ragazza era mal vista da loro. Camdem non era Demetra, era gentile con tutti, si era offerto di aiutarli con la faccenda di Martha e di certo non faceva scenate di gelosia se lei parlava con i suoi amici maschi.

Gabriel, invece, non aveva reagito in nessun modo. L’aveva guardata con i suoi penetranti occhi azzurri per qualche secondo, come per cercare di capire se fosse davvero sincera quando le aveva detto che lei e Camdem stavano insieme. In quando suo migliore amico, era stato il primo a cui era andata per dargli la notizia e si era aspettata qualcosa di più che un semplice “congratulazioni”. Continuava a trattarla allo stesso modo, anzi, era anche più affettuoso rispetto al solito.

Quando parlavano le cingeva sempre le spalle con fare protettivo o si sedeva sempre accanto a lei durante i pasti. Charity aveva notato Cam irrigidirsi davanti a quei comportamenti ma lo aveva rassicurato assicurandogli che Gabe era il suo migliore amico.

Sam continuò a fissarli e Charity vide nei suoi bei occhi nocciola l’indecisione. Sicuramente non si fidava di Cam e Lud, pensò con una certa delusione, ma vi lesse anche il desiderio di voler andare nella sua sala comune per evitare in poter incontrare Cris per sbaglio. Quest’ultima parte sembrò vederla anche Martha e fu solo quando lei parlò che Sam distolse lo sguardo dai due ragazzi.

-Io e Ophelia raggiungeremo i nostri compagni, non preoccupatevi- li rassicurò.

Anche se tutti loro continuavano a scortarla in ogni posto, Martha cercava in tutti i modi di liberarli da quell’incombenza. Si sentiva in colpa per quello che era successo a Cris e Sam e chiedeva scusa ogni volta che li vedeva correre per non lasciarla sola.

-Davvero, non c’è bisogno- ripete’ per convincerle.

Charity e Sam si guardarono e annuirono dopo aver convenuto che Martha non sarebbe stata sola in mezzo ai suoi compagni di casa e ad Oliver. Ophelia sarebbe stata con lei, non l’avrebbe mai lasciata da sola.

-Perfetto, ci vediamo a cena allora- le salutò con un gran sorriso prima di allontanarsi con Ophelia. Sam seguì le due con lo sguardo fino a quando non le vide sparire per le scale. Charity notò Cam e Lud scambiarsi una conversazione silenziosa che terminò quando Lud si diresse con le mani in tasca verso le scale. Cam le rivolse un piccolo sorriso colpevole e lei capì che doveva essere andato a raggiungere Martha.

Sam le rivolse un piccolo saluto prima di raggiungere Abercombie che la attendeva speranzoso e, rimasti soli, Charity e Cam decisero di andare a fare la loro passeggiata nel parco.

-Char, c’è un gufo che ti segue- le fece notare Cam indicandole l’elegante barbagianni che volava proprio sopra la sua testa.

-Aspetta, c’è una lettera- disse mentre si allungava per cercare di slacciare la pergamena legata alla zampa dell’animale. Ma questo gli beccò violentemente il dito costringendolo ad arretrare prima di appollaiarsi sulla spalla di Charity.

-E’ il gufo di Merthin- esclamò riconoscendo il fedele animale di suo fratello. Gli accarezzò la testa piumata prima di prendere la lettera.

“Charity, io e Regan dobbiamo parlarti di una cosa importante. Possiamo incontrarci ai Tre Manici di Scopa durante la prossima che puoi andare al villaggio? Fammi sapere al più preso. Merthin”

Charity fissò la pergamena chiedendosi cosa ci fosse di così importante da portare i suoi fratelli, che non si parlavano da anni, a venire al villaggio. Appellò una penna e rispose a Merthin.



Note:
Buona sera a tutti! Sono tornata con un nuovo capitolo più allegro rispetto ai precedenti.
Non ho molto da aggiungere tranne un ringraziamento a tutti voi che leggete.
A presto, MairTonks.
                                         
 

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Capitolo 10
*** Hogwarst, 1 dicembre 1969 ***


10. 1 Dicembre 1969

Novembre era stato un mese da dimenticare.

Seduta in un tavolo in fondo alla biblioteca, Charity osservava i primi fiocchi di neve scendere lentamente e sciogliersi sul davanzale. Era ormai sera, la maggior parte degli studenti era a cena e la biblioteca era più silenziosa che mai, esattamente come piaceva a lei. Tentò inutilmente di concentrarsi sul tema di Trasfigurazione che avrebbe dovuto consegnare la settimana prossima e che aveva iniziato a scrivere per tenere occupata la mente dai mille pensieri che le frullavano in quel periodo. Erano le situazioni come quelle a far emergere il suo lato Corvonero: ogni volta che voleva distrarsi dai problemi che la affliggevano, non poteva fare altro che tenere la mente impegnata con altro e nascondersi in biblioteca per evitare di essere disturbata.

I suoi amici li chiamavano i “momenti Corvonero” perché non era da lei trascorrere intere giornate in biblioteca e portarsi avanti con i compiti. Charity era sempre stata una Corvonero atipica e se ne era resa conto non appena il capello parlante aveva pronunciato il suo verdetto. Anche se erano passati sette anni da quel giorno, ancora oggi si chiedeva se veramente la casa di Cosetta Corvonero era quella più adatta a lei. A undici anni aveva sperato di essere smistata tra i Grifondoro come suo fratello Merthin ed era rimasta delusa quando ciò non era accaduto.

“Una mente aperta e curiosa come la tua non può non appartenere ai Corvonero. Anche se adesso non condividi la mia scelta, un giorno capirai” le aveva detto il Cappello Parlante e Charity aspettava ancora quel giorno.

Nessuna abilità o talento in qualche campo, nessun amore incondizionato verso lo studio o propensione per una particolare materia. Solo una passione per la lettura e un’infinita curiosità verso qualsiasi cosa riguardasse il mondo babbano che di certo non l’aiutavano a capire la decisione del Cappello Parlante.

-Sei qui- esclamò piano una voce attenta a non disturbare alcuni studenti intenti a studiare nel tavolo accanto al suo. Charity sobbalzò spaventata e tentò di nascondere qualsiasi emozione prima di girarsi verso il proprietario della voce e affrontarlo. Si era recata in quell’angolo remoto della biblioteca con l’intento di evitarlo ma era stato tutto inutile. Lo sentì fare il giro del tavolo e sedersi difronte a lei.

Charity sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi di Camdem che riflettevano esattamente quello che provava: era visibilmente sollevato per averla trovata ma, allo stesso tempo, preoccupato per quello che sarebbe potuto succedere quella sera. Sapeva benissimo di non poter rimandare quella conversazione per sempre, prima o poi avrebbero dovuto affrontarsi e chiarire.

-Mi stai evitando- disse Camdem dopo qualche attimo di silenzio. Non era una domanda ma una semplice costatazione e lei si limitò ad abbassare lo sguardo senza sapere da dove iniziare ad affrontare quella conversazione. Una parte di lei sapeva di dover dare a Camdem delle spiegazioni ma l’altra aveva troppa paura di rovinare per sempre il loro rapporto.

-Possiamo parlarne? E’ da un mese che questa storia va avanti, vorrei capire che cosa e’ successo. Cosa ho sbagliato?- le chiese Camdem usando per la prima volta un tono di voce incerto e sfinito. Doveva essere stato male e questo la fece sentire ancora peggio.

-Come sta Lud? E’ uscito dall’infermeria?- si informò lei per prendere tempo. Non poteva rimandare ancora quel momento ma aveva bisogno di raccogliere le idee e togliere dalla sua vista quel maledetto quaderno giallo che non faceva altro che riportare galla ricordi che avrebbero reso ancora più difficile quella situazione.

-Lui.. lui sta bene. Madama Chips l’ha fatto uscire poco fa- rispose il ragazzo sorpreso.

Charity annuì, sollevata di sapere che a Lud non era capitato niente di grave. Nell’ultimo periodo, strani incidenti erano accaduti al ragazzo, molto simili a quelli che, di tanto in tanto, continuavano a succedere a Martha. Nessuno era riuscito a capire chi ci fosse dietro tutto ciò ma era inevitabile pensare che erano dovuto alla vicinanza costante di Lud con la ragazza. I due avevano iniziato a vedersi per studiare insieme e, anche se Martha aveva rifiutato qualsiasi incontro che non riguardasse lo studio, non era raro trovarli a discutere nei corridoi. Lud era visibilmente interessato a Martha e Charity aveva sentito un paio di ragazzine commentare che sarebbero stati una bella coppia.

-E’ dal giorno dell’uscita al villaggio che sei strana- iniziò Camdem senza smettere di guardarla negli occhi.
Charity prese a fissare le ombre che le candele disegnavano sulla superficie del tavolo. Sentì gli angoli degli occhi pizzicarle in ricordo di quello che era successo quel giorno al villaggio.



"Avrebbe dovuto incontrare i suoi fratelli ma, dopo averli aspettati per più di un’ora, si era arresa e decisa a ordinare una burrobirra. Sapeva che avrebbe fatto meglio a tornare immediatamente al castello e scrivere una lettera a Merthin per avere spiegazioni e se ne convinse maggiormente quando sentì quello che stavano dicendo alcune Grifondoro sedute poco lontano da lei.

‘Hai visto? La Bloom e Fawley sono venuti insieme al villaggio. Non ci credevo quando li ho visti da Mielandia’
A quelle parole Charity aveva rischiato di strozzarsi con la burrobirra che stava bevendo e di rompersi il collo mentre si girava rapidamente verso la biondina che aveva parlato.

‘Sono davvero carini insieme. Anche se nessuno avrebbe mai scommesso sulla loro relazione, neanche io se non li avessi visti in quel vicolo buio’ aveva continuato lanciando un’occhiata maliziosa alle sue amiche.

Non aveva saputo dare un nome alla strana sensazione era comparsa all’udire quelle parole ma non poteva dire di esserne sorpresa. Nessuno avrebbe mai potuto negare il fatto che Agatha e Gabe, nonostante non facessero altro che battibeccare continuamente, sarebbero stati bene insieme. Ma c’era qualcosa che non sapeva spiegarsi, il fatto che, per quanto potesse convincersi che i suoi due amici sarebbe stati una bella coppia, lei non riusciva a pensare che fosse sbagliato immaginarseli come due fidanzatini felici e non come la coppia di battitori della squadra di Grifondoro.

Aveva finito la sua burrobirra ed era uscita dal locale intenta a cercare Cam che, in quel momento, doveva trovarsi con Lud da qualche parte. Stava camminando lungo la strada principale quando era stata fermata da una ragazzina con corti capelli castani e dei familiari occhi verdi che non aveva mai notato prima.

-Charity Burbage?- le aveva chiesto sorridendole gentilmente. Era piuttosto bassa e minuta, doveva frequentare il terzo o quarto anno.

-Io sono Juliette Summers, frequento il terzo anno e sono a Grifondoro- si era presentata porgendole la mano.

-E’ un piacere conoscerti- le aveva sorriso titubante Charity senza riuscire a capire cosa potesse volere da lei quella ragazzina.

-Mi spiace non averti mai parlato prima ma aveva bisogno di incontrarti da sola. Probabilmente non hai mai conosciuto la mia famiglia ma zia Persephone ci teneva a farti avere queste- le aveva spiegata porgendole una busta che aveva l’aria di essere molto pesante.

-Perché? Insomma, non so chi sia tua zia- aveva ribattuto Charity confusa osservando la busta ancora in mano alla ragazzina.

-Non dirlo a me. Mia zia mi ha fatto promettere di dartele una volta che ti avrei incontrata da sola. Mi spiace, non ne so molto più di te- le aveva risposto alzando le spalle in un gesto di scuse.

Appena Charity aveva preso la busta, Juliette l’aveva salutata prima di andare alla ricerca delle sue amiche. Non riuscendo a tenere a freno la curiosità Charity aveva aperto la busta in mezzo alla strada e tirato fuori un foglio accuratamente piegato. Non era pergamena, ma la carta che i babbani erano soliti usare per scrivere lettere.

Cara Charity,                                                                                                                                                                                   probabilmente non ti ricorderai di me ma sono certa che non avrai dimenticato l’unica volta in cui ci siamo incontrate. Avevi quattro anni all’ora, era piccola e molto diversa dalla ragazza che ho avuta la fortuna di vedere questa estate. Stavi passeggiando per le vie di Liverpool e sei passata proprio davanti al mio negozio insieme ai tuoi amici. Ti ho riconosciuta subito, i tuoi occhi sono inconfondibili e con gli anni sei diventata sempre più simile a tuo padre.

Ho deciso di scriverti perché sono sicura che potrai aiutarmi. E’ una cosa piuttosto lunga da spiegare ma ho fatto del mio meglio per consegnarti tutto il necessario per aiutarti a capire. Se dovessi avere bisogno di ulteriori chiarimenti o di farmi delle domande non esitare a mandarmi lettere tramite Juliette, lei saprà come farmele avere.

Ho dato per scontato il fatto che avresti accettato e spero vivamente che sia così ma, se dovessi cambiare idea, sei libera di farlo. Non voglio costringerti a fare nulla, soprattutto una cosa che potrebbe metterti in contrasto con la tua famiglia.
Spero di ricevere presto tue notizie.
Con affetto, Zia Persephone

Charity aveva continuato a camminare ed era quasi arrivata davanti ai cancelli della scuola quando aveva finito di leggere la lettera. La sua curiosità non aveva fatto altro che aumentare man mano che i suoi occhi scivolano sulle parole scritte ordinatamente sul foglio che stringeva tra le mani. Non sapeva chi fosse questa misteriosa Zia Persephone ma il nome non le suonava affatto nuovo.

 

-Lo so che non hai visto i tuoi fratelli- le confessò Camdem vedendo che lei non si decideva a parlare. Charity lo guardò sgranando gli occhi, incredula davanti a quelle parole. Aveva sempre dato per scontato che Camdem le avesse creduto quando gli aveva raccontato della mattina che non aveva trascorso con i suoi fratelli. Era una della tante cosa a cui non aveva badato nell’ultimo mese.

-Pensavo di essermi sbagliato quando a cena mi hai raccontato la tua giornata ma non ho mai smesso di pensarci. Sei uscita troppo presto, mi avevi detto di aver passato con loro tutto il tempo ed era per questo che eri arrivata tardi in Sala Grande.- le spiegò il ragazzo con voce bassa e calma. Charity deglutì perché la sua bocca era diventata improvvisamente arida e prese un bel respiro prima di prepararsi a replicare e a dirgli finalmente la verità. Ma Camdem la fermò con un gesto della mano e continuò a parlare.

-All’inizio non ci ho dato peso, anche se eri molto strana. Ma con il passare dei giorni ai smesso definitivamente di parlare con Fawley e i tuoi amici. Anche se sapevo che qualcosa non andava, l’unica cosa a cui pensavo era che ti avevo tutta per me. Lo so, e’ stato un pensiero da egoista ma non potevo evitarlo dato che, ogni volta che eravamo insieme, Fawley non ci lasciava un attimo e non la smetteva di toccarti-

Aveva usato un tono aspro nel pronunciare l’ultima frase. Aveva discusso alcune volte riguardo all’atteggiamento di Gabe nei suoi confronti che, davanti a Camdem, diventava molto più affettuoso del solito e si comportava come se il suo fidanzato non ci fosse. Charity lo aveva sempre giustificato, dopotutto era il suo migliore amico da quando aveva cinque anni, ma nell’ultimo periodo aveva capito. O meglio, Agatha le aveva aperto gli occhi.

-Voglio chiarire la faccenda una volta per tutte e poi, per quanto mi riguarda, possiamo dimenticarci completamente dell’ultimo mese e ripartire da dove ci siamo interrotti- le disse con un tono più dolce mentre le prendeva la mano tra le sue.
Charity sapeva che era giunto il momento di dire qualcosa ma la voce severa della bibliotecaria fece passare l’attimo ed entrambi sobbalzarono. Camdem si alzò mentre lei sistema i libri nella borsa e la attesa a pochi passi di distanza. Le prese la mano mentre uscivano dalla biblioteca e Charity riprovò, dopo tanto tempo, la sensazione di calore che solo il suo contatto riusciva a darle.

Mentre percorrevano in silenzio il corridoio, furono quasi investiti da una ragazza che correva verso di loro. Charity riconobbe il volto di Martha, nascosto dai ricci scuri e bagnato da lacrime che scendevano copiosamente sulle sue guance. La vide girare a destra e la stava per seguire quando venne spintonata da un ragazzo che riuscì ad identificare come suo cugino. Fu solo grazie a Camdem, che riuscì ad afferrarla in tempo, che non finì sul freddo pavimento di pietra.

La porta dell’aula nella quale era entrata Martha sbatte’ con violenza dopo l’ingresso di Evander ma questo non impedì a Charity di udire su cugino chiedere scusa alla ragazza. Stava urlando, sembrava davvero disperato e lei non riusciva a capire cosa potesse spingere il freddo e composto Evander a inseguire la dolce e sorridente Martha in un’aula.
Charity non sentì nessuna risposta da parte della sua amica, solo un silenzio interrotto ogni tanto da qualche scusa disperata urlata da Evander. Era così confusa che si era momentaneamente dimenticata di Camdem che la teneva ancora stretta.

-Quando Lud e’ stato travolto dallo scaffale in biblioteca, tuo cugino era li’ vicino con la bacchetta in mano. Non avevo nessuna prova per denunciarlo ad un insegnante e Lud aveva sbattuto violentemente la testa, mi sono occupato di lui e mi sono dimenticato di Evander- le raccontò Camdem.

-Pensi sia stato lui?-

-Ne sono sicuro-





Note:
Buona sera a tutti! Dopo molto tempo sono ritornata…
Per prima cosa chiede scusa per l’enorme ritardo ma gli impegni universitari non mi lasciano molto tempo da dedicare alla mia storia. Cercherò in ogni modo di aggiornare il prima possibile ma, purtroppo, non con la stessa velocità di prima.
Passando al capitolo…la storia man mano si infittisce e nuovi dettagli iniziano ad emergere. C’è stato un salto temporale di circa un mese, la comparsa di una zia misteriosa ed emergono alcuni problemi nel rapporto tra Cam e Charity. Spero di avervi un po’ incuriosito.
Grazie per il tempo che dedicate alla mia storia!
Al prossimo capitolo, MairTonks.

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Capitolo 11
*** Hogwarst, 2 dicembre 1969 (parte 1) ***


11. Hogwarst, 2 dicembre 1969

Quella mattina Charity si svegliò così presto che le sue compagne di stanza erano immerse nel mondo dei sogni e, fuori dalla finestra, il cielo era ancora scuro. Pensò che sarebbe rimasto così per tutta la giornata visto che grandi nuvole grigie venivano trasportate dal forte vento che aveva preso a soffiare. Rabbrividendo sotto i pesanti vestiti che aveva indossato uscì dal dormitorio con la borsa piena di libri, con l’intenzione di sfruttare il fatto di non riuscire a dormire per continuare la ricerca di zia Persephone. Mentre chiudeva la porta alle sue spalle scorse la figura di Penelope alzarsi dal letto e rivolgerle un breve saluto assonnato. 

Come aveva immaginato la Sala Comune non era vuota e l’unico occupante stava seduto su una poltrona vicino al fuoco intento a scrivere qualcosa su un foglio di pergamena. Charity si avvicinò a passo incerto e si sedette su una poltrona accanto al ragazzo. Cris alzò lo sguardo dal foglio e si aggiustò gli occhiali che gli erano caduti sulla punta del naso prima di rivolgerle un piccolo sorriso. I suoi intelligenti occhi color ambra la scrutarono per qualche attimo prima di parlarle. 

-Litigano anche a quest’ora?- le chiese inarcando un sopracciglio e lanciando uno sguardo all’orologio che aveva al polso. Charity guardò sorpresa l’ora che segnava, incredula di essersi svegliata così presto. Era sempre stata piuttosto pigra e di certo non poteva definirsi mattiniera ma, ultimamente, non riusciva più a dormire. 

-Non riuscivo a dormire- rispose alzando con noncuranza le spalle ed estraendo uno dei volumi che aveva messo nella borsa.   

Lo sguardo di Cris indugiò per un po’ su di lei prima di ritornare alla sua pergamena e Charity iniziò a sfogliare il grosso tomo alla ricerca del segno che vi aveva lasciato. Ricordava di aver trovato un capitolo interessante e si chiese quanto potesse essere utile per le sue ricerche. 

Rimasero in silenzio, ognuno immerso nelle proprie faccende fino a quando la Sala Comune non iniziò ad animarsi. Visto che mancava ancora un po’ di tempo prima che la colazione in Sala Grande fosse pronta, parecchi Corvonero piuttosto mattinieri si fermarono nella Sala Comune chi leggendo, chi parlando e chi attendendo semplicemente un compagno che si era attardato nel dormitorio. Diversamente dalle altre case, quando si trattava di cominciare una giornata piena di studio, i Corvonero erano i primi ad alzarsi e prepararsi per affrontare le lezioni. Questa era una delle tante cose che la facevano sentire una Corvonero atipica: avrebbe preferito sfruttare tutto il tempo a sua disposizione nel dormire piuttosto che trascorrerlo ad indugiare in sui divanetti della sua Sala Comune per essere la prima ad arrivare a lezione. 

-Buongiorno Cris- esclamò una voce fastidiosamente allegra. Penelope, ormai perfettamente sveglia, sembrava essersi materializzata accanto alla poltrona di Cris e aspettava una sua risposta con un ampio sorriso. Dietro di lei, meno pimpante e sveglia, Kate stava scendendo le scale per raggiungere l’amica. Dopo sette anni in cui si erano trovate costrette a condividere il dormitorio, Charity era diventata brava a leggere le varie espressioni sul viso della sua compagna e poteva affermare con sicurezza che, anche quella mattina Kate aveva discusso con l’ultima occupante delle loro stanza. Si ritenne fortunata ad aver scampato l’ennesima discussione e fu abbastanza di buon umore da rivolgere a Kate un piccolo saluto. 

-Oh, ciao Penelope- rispose Cris, preso alla sprovvista dal saluto della ragazza. Non si poteva dire che i due fossero amici intimi ma, piuttosto, buoni compagni di Casa che, ogni tanto, studiavano insieme e si scambiavano gli appunti. 
Penelope indugiò per qualche secondo, in attesa che Cris aggiungesse altro. Charity notò che stringeva la copertina del suo libro e, nonostante i suoi morbidi capelli castani le nascondessero il viso, un leggero rossore copriva le sue guance. 

-Ci…ci vediamo più tardi a lezione- disse infine. 

-Oh certo, a dopo- la salutò Cris, ancora perplesso da quello scambio di battute. Non appena Penelope e Kate si furono allontanate, gli occhi coloro ambra del suo amico cercarono i suoi, in attesa di spiegazioni per quello strano comportamento. Charity si limitò ad sorridere davanti all’espressione confusa del suo amico e a scuotere la testa in risposta alla sua tacita domanda.

 -Vabbè, andiamo a far colazione?- le propose mentre si alzava e arrotolava la pergamena che aveva finito di scrivere. 

-Io aspetto Cam- rispose Charity abbassando lo sguardo sul libro che aveva in grembo per evitare gli occhi ambrati del suo amico. Cris non disse nulla, finì di sistemare le sue cose nella borsa prima di dirigersi verso l’uscita. 

-Char- la chiamò girandosi verso di lei. -Provate a parlare- le consigliò prima di uscire. 

Charity aspettò qualche secondo prima di ritornare al capitolo che stava leggendo ma senza capire realmente le parole scritte sulla pagina. La decisione di voler aspettare Cam l’aveva presa quella notte mentre continuava a rigirarsi nel letto in attesa di cadere tra le braccia di Morfeo. Voleva fargli capire che le dispiaceva averlo fatto soffrire in quel modo, soprattutto dopo che lui voleva buttarsi alle spalle l’ultimo mese e ricominciare. Quella notte si era chiesta più volte se anche lei voleva ricominciare ad essere felice con Camdem o se quella scelta fosse semplicemente la soluzione più semplice ai suoi problemi. Ci aveva riflettuto parecchio e, quando si era svegliata quella mattina, era giunta alla conclusione che era giusto farsi perdonare per l’atteggiamento che aveva avuto nei suoi confronti. 

-Charity- disse incredulo l’oggetto dei suoi pensieri avvicinandosi alla poltrona dove era seduta, con un libro nella mano destra e la sinistra in tasca.

Charity si alzò per andargli incontro ma, dimenticandosi del libro che aveva in grembo, lo fece cadere con un tonfo che attirò parecchie occhiate curiose da parte dei suoi compagni di casa e inciampandovi. Per la seconda volta in meno di ventiquattro ore si trovò tra le braccia del ragazzo che le evitò un incontro particolarmente doloroso con il pavimento. 

-Attenta- la avvertì Camdem mentre cercava di rimettersi in piedi. Stava sorridendo e Charity non poté evitare di fare altrettanto mentre si toglieva con il suo solito gesto i capelli che le erano finiti sul viso. 

-Mi stavi aspettando?- le chiese senza spostare la mano che aveva usato per cingerle la vita evitandole di cadere.
Charity annuì e vide il sorriso sul volto del ragazzo allargarsi. Cogliendola alla sprovvista, Cam le diede un piccolo e veloce bacio sulla guancia prima di allontanarsi per permetterle di prendere la sua borsa. Quel rapido contatto ebbe il potere di farle sentire, allo stesso tempo, felice e triste. Dopo averlo evitato per giorni, non si aspettava che con quel semplice gesto tutto potesse tornare come prima ma le rese ancora più evidente la frattura che si era creata tra loro. 

Camdem le prese la mano e camminarono in silenzio fino alla Sala Grande che, man mano, si riempiva di studenti. Charity scorse i suoi amici seduti, come ogni mattina, ai loro soliti posti al tavolo dei Corvonero. Cris e Sam, che avevano finalmente fatto pace, stava parlando tranquillamente uno difronte all’altro. Sam aveva lasciato perdere la sua colazione e gesticolava mentre raccontava qualcosa al ragazzo davanti a lei che sorseggiava il suo the e le sorrideva. Accanto a lei era seduta la piccola Ophelia, che nell’ultimo periodo non si staccava mai da loro, che parlava con Martha. 

Con tutto quello che aveva in testa, si era completamente dimenticata della scena a cui aveva assistito la sera precedente. Anche la sua amica non sembrava ricordarsene, parlava e sorrideva come sempre, e Charity non riuscì a pensare a quanto tutta questa situazione fosse strana. Il suo sguardo non poté fare a meno di cercare la figura di suo cugino tra gli studenti di Serpeverde. Non poteva credere che fosse Evander l’artefice di tutti gli incidenti che erano capitati a Martha e che, ultimamente, accadevano a Lud. Era stato Cam a dirglielo e le risultava davvero difficile credergli, soprattutto perché non riusciva a trovare niente che potesse spingerlo a comportarsi così nei confronti della ragazza. Anche se molti dei suoi compagni si divertivano a prendere di mira i nati babbani, Evander non aveva mai manifestato interesse nel lanciare incantesimi contro poveri studenti innocenti. Preferiva fingere che non esistessero. 

Lud, arrivato poco prima di loro, era seduto difronte a Martha e, ogni tanto, interrompeva la sua colazione per guardare non visto la ragazza. Charity, che ancora stava fissando suo cugino, notò che anche lui stava osservando Martha ignorando completamente Imogen Yaxley che tentava di parlargli. La povera Imogen ce la stava mettendo tutta per catturare l’attenzione del ragazzo che, completamente indifferente, scattò in piedi non appena Martha scoppiò a ridere per qualcosa detto da Lud. 

Seguì Camdem e si sedette accanto lui. Rivolse un rapido saluto ai suoi amici e stava per iniziare una conversazione con loro quando le sue parole vennero coperte da una voce squillante e una zazzera di capelli rossi irruppe nel suo campo visivo. Sam smise di parlare, Cris posò la tazza che aveva tra le mani mentre Martha, senza smettere si ascoltare Ophelia, aveva preso a guardare alternativamente lei e la nuova arrivata. Camdem, che aveva iniziato una conversazione con Lud, non sembrava essersi accorto della tensione che era appena scesa tra loro.        

L’unica reazione di Agatha fu quella di irrigidirsi leggermente senza perdere il buonumore che la accompagnava quella mattina. Non si sedette con loro ma si limitò a prendere alcuni biscotti e panini imburrati mentre continuava a parlare tranquillamente. I suoi occhi azzurri, però, continuavano a saettare verso di lei e il sorriso si era trasformato in un piccolo ghigno. 

Nessuno di loro disse una parola per paura di far precipitare la situazione. La violenta litigata avvenuta tra Agatha e Charity era impossibile da dimenticare e nessuno desiderava rivivere quell’esperienza. Dopo quello che era accaduto tra lei e Gabe, Charity aveva apprezzato il fatto che nessuno dei suoi amici si fosse schiarato: passavano il tempo con entrambi ed evitavano qualsiasi accenno alla situazione che si era creata. O almeno, tutti tranne Agatha che, con il suo comportamento, non faceva altro che farla sentire in colpa. 

Charity avrebbe tanto voluto rintanarsi nel suo angolo preferito della biblioteca e trascorrere li’ il resto dell’anno ma era un sogno irrealizzabile. Quella mattina, poi, aveva lezione di babbanologia e si sarebbe trovata a passare la mattina nella stessa stanza insieme a Gabe. 

-Io vado a lezione- annunciò lasciando a metà la sua colazione. Charity non riusciva più a reggere le gelide occhiate che Agatha le lanciava mentre continuava a mettere insieme la colazione da portare via. Non ci voleva molto a capire a chi fosse destinata e Charity sentì il peso sullo stomaco aumentare fino a diventare insopportabile. Le mancava l’aria e dovette allontanarsi il più velocemente possibile da Agatha per evitare un’altra scenata nel bel mezzo della Sala Grande. 

-Ti accompagno a lezione- disse Cam non appena la raggiunse porgendole la borsa che si era dimenticata nella fretta. Charity si accorse che il tono del ragazzo era diventato più freddo e non le prese la mano come aveva fatto poco prima. Rimasero in silenzio, camminando l’uno accanto all’altra facendo attenzione a non sfiorarsi.

-Ci vediamo a pranzo?- propose Charity a pochi passi dall’aula di babbanologia.

-Ok- si limitò a rispondere Camdem affondando ancora di più le mani nelle tasche. 

Rimasero a fissarsi per parecchi secondi prima che Camdem si allontanasse senza aggiungere altro. Charity lo vide allontanarsi lungo il corridoio, perdendo definitivamente tutti i buoni propositi che si era prefissata per quella giornata. Era inutile cercare di ricucire il suo rapporto con Camdem se prima non sistemava le cose con Gabe, pensò mentre si sedeva al posto che occupava solitamente. L’entrata in aula del professor Figg la distrasse dai suoi pensieri e a tenerli lontani dalla sedia vuota accanto a lei.                      

Charity era completamente assorbita dalla lezione quando la porta dell’aula si aprì. Il professor Figg, che aveva l’abitudine di camminare mentre spiegava, si fermò per osservare il nuovo arrivato che era rimasto immobile sulla soglia. 

-Signor Fawley, lo sa che e’ in ritardo di venti minuti vero?- lo accolse il professore indicandogli con un gesto seccato l’orologio che portava al polso. -Per questa volta entra ma dovrai consegnare quindici centimetri in più di pergamena per il tema della prossima settimana- terminò prima di ritornare sui suoi passi e riprendere la lezione da dove si era interrotto. 
Dopo aver annuito, Gabe chiuse la porta alle sue spalle e si sedette nel posto vuoto accanto a lei. Charity non riuscì a distogliere lo sguardo dalla figura del ragazzo che, tenendo gli occhi passi, si sistemava e cercava la pagina dell’argomento del giorno.         

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Capitolo 12
*** Hogwarst, 2 dicembre 1969 (parte 2) ***


12. Hogwarst, 2 dicembre 1969

Charity era nascosta dietro la porta e tentava di ascoltare i sussurri dei suoi genitori. Suo padre aveva iniziato a camminare avanti e indietro e lei poteva sentire il rumore dei suoi passi attutito dal tappeto verde del soggiorno. Sua madre, seduta sulla poltrona che solitamente occupava suo padre, parlava in una lingua che non conosceva. Anche se Charity aveva solo quattro anni, riusciva abbastanza bene lo svedese, la lingua di sua madre e che lei era solita usare quando era emozionata e si dimenticava di passare all’inglese. Ma non aveva mai sentito quella che adesso usavano i suoi genitori. Sbuffò, odiava quando sua madre e suo padre parlavano in qualche strana lingua per non fare capire a lei e ai suoi fratelli l’argomento dei loro discorsi. Si allontanò dalla porta e si sedette a terra con gambe e braccia incrociate, beccandosi un’occhiata di rimprovero da Merthin e Regan che, ancora con l’orecchio appoggiato alla porta, cercavano di capire qualcosa.

Merthin era più grande di lei di quattro anni mentre Regan di appena due e, anche se avevano sentito i loro genitori usare parecchie lingue, faticavano a capire il significato delle parole pronunciate in soggiorno. Essere figli di due impiegati nel dipartimento per la cooperazione magica internazionale voleva dire avere genitori in grado di conoscere un gran numero di lingue che permetteva loro di dialogare e trattare con un gran numero di Paesi stranieri e, all’occorrenza, usarle quando non volevano farsi capire. Anche Charity e i suoi fratelli usavano parole in svedese quando non volevano farsi capire dai loro cugini e zii.

-Forse e’ spagnolo- propose Merthin staccandosi a sua volta dalla porta. Regan scosse la testa e i suoi lunghi capelli rossi le finirono sul naso facendola starnutire.

-Char, fa silenzio o ci scoprono- la rimproverò Regan prima di rispondere al fratello maggiore. -Non e’ spagnolo, e’ gaelico. Ken ha detto che me lo avrebbe insegnato- spiegò con aria di superiorità.

Merthin sbuffò a sua volta e si sedette accanto a lei incrociando le braccia e squadrando la sorella con i suoi occhi verdi.         -Visto che sai di che lingua si tratta saprai anche cosa si stanno dicendo- ribatte’ seccato. Diversamente da Regan, Merthin non aveva ereditato l’orecchio per le lingue e faticava a riconoscerle. Sapeva solo l’inglese e lo svedese, quelle che veniva parlate prevalentemente in casa.

-Ken non me lo ha ancora insegnato-disse mentre di sedeva anche lei per terra ma in maniera più composta ed elegante, in una perfetta imitazione di sua nonna Hortensia.

All’improvviso i toni nel soggiorno cambiarono e Charity udì chiaramente sua madre gridare qualcosa in svedese e suo padre risponderle nella stessa lingua. Se sua madre era passata alla sua lingua voleva dire che era troppo furiosa per riuscire ad usare le altre.

-Astrid, ti prego. E’ l’unica cosa che possiamo fare- ripete’ suo padre in inglese mentre sua madre continuava a parlare in svedese. Charity aveva mal di testa a furia di sentire tutte quelle lingue e stava per ritornarsene in camera sua quando vide i suoi fratelli alzarsi e riattaccare l’orecchio alla porta.

-La tua famiglia non me lo porterà via! Non mi interessa delle loro stupide regole, non abbandonerò mio figlio- ormai la voce di sua madre aveva raggiunto livelli tali da essere udita anche senza doversi avvicinare alla porta.

-Neanche io voglio abbandonarlo ma e’ la soluzione migliore. Non potrà continuare a stare qui, sai quello che possono fargli i miei fratelli o mio padre. E poi sarà più felice tra quelli come lui- disse suo padre con voce rotta. Charity non sentì la risposta di sua madre ma solo rumorosi singhiozzi seguiti da passi veloci verso la porta. Merthin riuscì a spostare lei e Regan prima che la porta aperta con violenza le colpisse in pieno e Charity vide sua madre correre in lacrime su per le scale.

-Papà, cosa vuol dire?- domandò Merthin. Aloysius, uscito dal soggiorno per seguire la moglie, non si era accorto dei suoi tre figli accovacciati dietro la porta. Li osservò stupito prima di fargli segno di seguirli nella stanza. Charity si sedette sul divano tra i suoi fratelli e tutti e tre rimasero in silenzio, in attesa della risposta del padre.

Dovettero passare parecchi minuti prima che Aloysius trovasse il coraggio di dire qualcosa. Aprì e richiuse la bocca parecchie volte, cambiando idea ogni volta che le parole che aveva in mente non erano quelle che reputava corrette. Era strano, pensò Charity, che un uomo come sua padre, in grado di parlare un sacco di lingue, non riuscisse a trovare le parole adatta per spiegare qualcosa ai suoi figli.

-Quello che papà vuole dirvi e’ che dovrò andare via per un po’- disse un’altra voce. Tutti e tre si girarono di scatto verso il nuovo venuto che non avevano visto entrare. Kendrik fece qualche passò verso di loro, gli sorrise dolcemente e si sedette sulla poltrona davanti al divano, quella che era solito occupare Aloysius. Charity osservò sua padre fermarsi e guardare incredulo il maggiore dei suoi figli fare quello che avrebbe dovuto fare lui.

-E’ perché andrai ad Hogwarst? Lo sappiamo già, non e’ una cosa brutta- commentò Merthin guardando alternativamente il padre e il fratello.

-No Fin- rispose Kendrik dolcemente scuotendo i suoi indomabili capelli rossi, dello stesso colore di quelli di Regan. -Non andrò ad Hogwarst-

Charity notò la figura di sua madre, appoggiata allo stipite della porta, piangere mentre osservava la scena. Suo padre sembrava congelato e lei non riusciva a capirci niente di quella situazione. Perché suo fratello Kendrik, che aveva compiuto undici anni il giorni prima, non sarebbe andato ad Hogwarst? Era quello che facevano tutti i maghi una volta compiuti undici anni e anche Charity, nonostante mancassero ancora parecchi compleanni, non vedeva l’ora di ricevere la sua lettera per andarci.

-Vai in un’altra scuola di magia? Quella dove e’ andata la mamma?- chiese Merthin ansioso di conoscere la risposta. Charity e i suoi fratelli erano cresciuti con i racconti dei loro genitori sulle rispettive scuole di magia e si erano sempre chiesti quale delle due avrebbero frequentato una volta raggiunta l’età giusta.

Di nuovo Kendrik scosse la testa ma senza smettere di sorridere. -Non vado in una scuola di magia. Vado a vivere con i babbani, vero papà?- domandò girandosi verso Aloysius.

-Kendrik, ascolta…- iniziò suo padre ma venne interrotto dal figlio che, sempre mantenendo un tono calmo, continuò a parlare.

-Lo so che non sono un mago, non sono mai riuscito a fare magie. Il nonno mi ha raccontato quello che fanno a quelli come me e penso sia giusto andare a vivere con i babbani.-

Charity non riusciva a capire cosa volesse dire suo fratello Kendrik. Perché non riusciva a fare magie se tutti in famiglia le facevano? Perché doveva andare a vivere con i babbani e non poteva rimanere li’ con loro? Dove sarebbe andato? Avrebbe potuto rivederlo e farsi raccontare le storie come faceva ogni sera prima di andare a dormire? E perché la mamma continuava a piangere e suo padre non riusciva a parlare?

-Kendrik, io e la mamma non vogliamo separarci da te, ti vogliamo bene e vogliamo solo che tu sia felice. E’ per questo che devi andare, capisci?- spiegò suo padre inginocchiandosi davanti alla poltrona dove era seduto Kendrik. Lui annuì e venne immediatamente avvolto dall’abbraccio della mamma che, ancora in singhiozzi, lo aveva raggiunto.

-No! Ken non andrà via! Non può andare a vivere con i babbani!- urlò Regan alzandosi e correndo ad abbracciare il fratello.

-Regan, per favore…-

-No! Kenny non andrà dai babbani!- continuò e suo padre fu costretto a spostarla per poterla guardare negli occhi.

-E’ già stato deciso Regan e non può andare diversamente.- disse con tono autoritario suo padre. -Stasera verranno a prenderlo. Nessuno deve sapere di questo ok? Nessuno ne farà parola con il nonno, la nonna e gli zii. E neanche con i vostri cugini. Sono stato chiaro?- ordinò guardando negli occhi i suoi figli. Charity non aveva mai sentito suo padre parlare con quel tono e, quando incontrò i suoi occhi, non poté fare altro che annuire.

Come aveva annunciato suo padre, Kendrik venne portato via quella sera. Anche se era molto tardi, nessuno di loro riusciva a dormire e suo padre permise a Charity e ai suoi fratelli di rimanere svegli per salutare Kendrik. Nessuno le disse che si trattava di un addio e Charity non riusciva a capire perché la mamma e Regan continuavano a piangere, Merthin era stranamente calmo, non agitato come al solito, e suo padre non faceva altro che camminare avanti e indietro per il soggiorno. Charity pensava che avrebbe rivisto presto suo fratello e trascorse la serata a disegnare con lui su una delle vecchie pergamene di suoi padre.

Vennero a prenderlo una donna e un uomo. Quella sera nevicava abbondantemente e, quando entrarono, i due bagnarono il tappeto verde del soggiorno. L’uomo aveva dei fiocchi di neve che spiccavano tra i capelli neri e, cosa che aveva maggiormente colpito Charity, una grande e brutta cicatrice sul volto. Rimase ad osservarla per un po’, all’inizio spaventata ma, man mano che si abituava alla sua vista, sempre più curiosa di capire come se l’era procurata.

-E così tu sei Charity, e’ un piacere conoscerti- le aveva detto ad un certo punto la donna facendola sobbalzare e distraendola dai suoi pensieri. Diversamente dall’uomo, che stava in un angolo con le braccia incrociate e lo sguardo guardingo, lei aveva abbracciato sua madre, parlato con suo padre ed era venuta a salutare lei e i suoi fratelli. Aveva un corto caschetto rosso e due brillanti occhi azzurri dello stesso colore di quelli di nonna Hortensia.

-Non volevo spaventarti- continuò sedendosi sul divano accanto a lei. -Lui e’ Mike e la brutta cicatrice sul viso se l’è fatta in guerra- le raccontò mentre seguiva la direzione del suo sguardo. Charity abbassò gli occhi imbarazzata, sua madre le diceva sempre di non fissare la gente per non metterla a disagio ma non era riuscita a distogliere lo sguardo dal volto dell’uomo.

-Tranquilla, non sei la prima che se lo chiede- la rassicurò rivolgendole un grande sorriso.

-Sep, dobbiamo andare- disse l’uomo indicando alla donna il suo orologio da polso. La donna annuì e le rivolse un ultimo sorriso prima di alzarsi dal divano e dirigersi verso Kendrik.

-E ora di andare Kendrik. Saluta tutti, io e Mike ti aspettiamo all’ingresso con le tue cose. E’ stato un piacere conoscervi ragazzi, magari un giorno ci rivedremo- li salutò agitando la mano prima di seguire Mike che, senza farselo ripetere due volte, si era già diretto verso l’ingresso.

-Persephone- chiamò suo padre. La donna si voltò e la guardò negli occhi per alcuni secondi prima di continuare. -Grazie-
La donna sorrise e uscì dal soggiorno. Sua madre scoppiò a piangere e abbracciò il figlio maggiore. Anche Regan piangeva ma silenziosamente e rannicchiata in un angolo del divano, la testa nascosta tra le gambe e le spalle mosse dai singhiozzi. Merthin non piangeva ma si poteva chiaramente vedere che aveva gli occhi lucidi, segno che avrebbe tanto voluto farlo.

-Papà, quando possiamo andare a trovare Ken?- chiese Charity avvicinandosi a lui. Suo padre si limitò a scuotere la testa e, perdendo definitivamente il controllo, sussurrò qualcosa che assomigliava a un non lo so.

E allora Charity capì che non avrebbe mai più rivisto suo fratello Ken. Era per questo che sua madre e sua sorella stavano piangendo, che suo padre non riusciva a parlare e suo fratello stava immobile in un angolo. Era l’ultima volta che lo avrebbe visto. Scoppiò anche lei in lacrime e corse ad abbracciarlo, aggrappandosi a lui con l’intenzione di non lasciarlo andare.

Quando Kendrik si mosse per uscire dalla stanza, dopo averli salutati per l’ultima volta, suo padre la afferrò e cercò di prenderla in braccio ma Charity continuava a dimenarsi e ad urlare il nome di suo fratello. Sbatte’ la testa contro qualcosa mentre cercava di liberarsi dalla stretta di suo padre, continuando ad urlare il nome di suo fratello.

Qualcuno la chiamava, probabilmente suo padre che cercava di calmarla ma lei non voleva sentirne. Qualcuno le bloccò un polso e lei venne tirata lontano dalla porta dove era scomparso suo fratello Kendrik. Doveva raggiungerlo e fermarlo, non poteva lasciarlo andare via in quel modo.


-Charity, svegliati!- urlò qualcuno e, quando aprì gli occhi, vide il volto preoccupato di Gabe sopra di lei. Parecchi altri volti la guardavano dall’alto, compreso quello del professor Figg che stava ordinando al resto della classe di allontanarsi per lasciarle spazio.

-Char va tutto bene, era solo un sogno- la rassicurò Gabe senza lasciarle i polsi che aveva afferrato per farla smettere di dimenarsi. -Va tutto bene- aggiunse mentre la aiutava a mettersi seduta. Charity cercò di calmare il respiro e chiuse gli occhi quando vide la stanza girare intorno a lei. Non era solo un sogno, era il ricordo che la raggiungeva di notte e le faceva rivivere uno dei giorni peggiori della sua vita. C’era stato un periodo in cui sognava quella sera ogni notte e si risvegliava nel letto urlando ma era da parecchio che non le capitava.

-Signorina Burbage, le conviene andare in infermeria e farsi dare un’occhiata da Madama Chips. Probabilmente le consiglierà solo di fare una buona colazione ma non si sa mai. Signor Fawley, vada con lei, non so se e’ in grado di camminare da sola- ordinò il professore mentre aiutava Gabe ad alzarla. Charity annuì e si lasciò condurre fuori dall’aula chiedendosi quanto avesse urlato prima di svegliarsi.

-Si può sapere da quanto non mangi? Ieri non hai cenato e oggi non hai fatto colazione, non puoi continuare così- la rimproverò Gabe non appena furono fuori dall’aula. La fece appoggiare al muro mentre si sistemava le borse in spalla e cercava qualcosa dentro la sua.

-Mangia questo. Così riuscirai almeno ad arrivare da Madama Chips- le ordinò mettendole davanti una cioccorana già scartata. Charity la prese e la mangiò senza protestare. Come se si fosse risvegliato dopo il primo boccone, il suo stomaco iniziò a borbottare e si rese conto di avere parecchia fame.

-Meglio?- le chiese Gabe dopo che ebbe finito la sua cioccorana. Charity annuì, pentendosene subito dopo poiché il corridoio riprese a girare.

-Ti fa male la testa? Hai battuto piuttosto violentemente quando sei caduta dalla sedia- continuò il ragazzo mettendole una mano tra i capelli alla ricerca del bernoccolo che si era procurata. Sobbalzò quando vi poggiò le dita sopra e si chiese come aveva fatto a non svegliarsi dopo quella botta.

-Forza, ti porto da Madama Chips- disse. Gabe le mise una mano intorno alla vita per sorreggerla ignorando le sue deboli proteste.

-Si può sapere come puoi dimenticarti di mangiare?- le richiese mentre avanzavano lungo il corridoio. Charity non rispose sentendosi stupida per essersi davvero dimenticata di mangiare. La sera precedente era stata in biblioteca durante l’ora di cene e quella mattina aveva bevuto giusto un sorso di succo di zucca prima di scappare via dalla sala grande.

Come aveva previsto il professor Figg, Madama Chips le consigliò di mangiare dopo averle fatto sparire, con un semplice colpo di bacchetta, il bernoccolo che si era procurata. Uscì dall’infermeria e si sorprese di vedere Gabe che la aspettava appoggiato al muro.

-Dai, andiamo a mangiare qualcosa- le propose.

-Madama Chips mi ha dato della cioccolata. Penso che andrò in dormitorio a riposare un po’- rifiutò dirigendosi verso la torre dei Corvonero. Ma Gabe la ignorò e, prendendole la mano, la condusse verso le cucine senza darle tempo di fargli notare che mancavano solo un paio d’ore al pranzo e poteva aspettare benissimo.

Vennero accolti da un gran numero di elfi domestici che, abbandonando momentaneamente la preparazione del pranzo, si diressero verso di loro per servirli. Gabe annuì ad ogni loro proposta e, quando furono seduti, si trovarono circondati da piatti colmi di cibo.

-Non sono io quello che e’ svenuto nel mezzo della lezione di babbanologia.- le fece notare Gabe spingendo verso di lei un piatto di biscotti. Ne prese uno e iniziò a mangiucchiarlo tenendo gli occhi bassi per ignorare lo sguardo di Gabe.

Il fatto che si stesse occupando di lei la faceva sentire tremendamente a disagio dopo tutto quello che era successo. Non era mai capitato che non si parlassero per giorni, il loro massimo era qualche ora, ed era strano vederlo preoccupato dopo che le aveva urlato di non voler più avere niente a che fare con lei.

-Hai sognato Kendrik?- le chiese dopo qualche minuto in cui si erano limitati a mangiare i biscotti portati dagli elfi.

-Ho urlato il suo nome, vero?- Gabe si limitò ad annuire e lei iniziò a domandarsi perché, dopo anni, avesse sognato l’ultimo incontro con suo fratello. Erano passati tredici anni da quella sera e, ancora, nessuno della sua famiglia aveva superato la cosa. Kendrik era andato a vivere con i babbani, nessuno sapeva esattamente dove ma, almeno, Charity era riuscita a capire il perché.

Suo fratello Kendrik era un magono, non aveva mai compiuto magie nonostante tutta la sua famiglia fosse composta da maghi. Ed era stato proprio a causa della famiglia che suo padre aveva preso la difficile decisione di mandarlo via, a vivere tra i babbani. Anche Charity, col tempo, aveva appoggiato la scelta di suo padre poiché, crescendo, aveva capito che Kendrik non sarebbe mai stato accettato da suo nonno o dai suoi zii e avrebbe finito solo per soffrire. Nonno Herbert le aveva raccontato cosa era capitato ai magono delle generazioni precedenti e ciò aveva rafforzato la convinzione che suo padre aveva preso la scelta giusta.

-Char- cominciò Gabe posando il bignè al cioccolato morso sul piatto davanti a lui. Charity sollevò lo sguardo spaventata e curiosa di sentire quello che il ragazzo voleva dirle. -Se hai smesso di mangiare per quello che e’ successo, per favore, smettila di farlo ok?-

Lei e Gabe avevano discusso dopo l’uscita al villaggio. Senza fermarsi a pensare, senza riuscire a bloccarsi prima di agire, Charity aveva riversato addosso al ragazzo due anni di sentimenti tenuti nascosti. Avrebbe dovuto seguire il consiglio di Cris, di contare fino a dieci prima di fare qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi. Ma Charity aveva passato i due anni precedenti a pensare a cosa sarebbe successo se qualcuno avesse scoperto che si era innamorata del suo migliore amico e, soprattutto, cosa sarebbe accaduto al loro rapporto dopo essersi dichiarata.

Quando aveva sentito le ragazze ai Tre Manici di Scopa dire che Fawley e la Bloom erano usciti insieme, qualcosa in lei era scattato e non era più riuscita a tenere a bada la gelosia. Era riuscita a non dare troppo peso al fatto che il suo migliore amico uscisse con diverse ragazze ripentendosi che non era niente di importante se ne cambiava una a settimana. Ma con Agatha era stato diverso. Agatha era esattamente il tipo di ragazza di cui lui si sarebbe potuto innamorare: bella, intelligente, brava a quidditch, praticamente perfetta. Sapeva che, se si fossero messi insieme, lei sarebbe stata messa da parte e questo non riusciva proprio ad accettarlo.

Dopo due anni passati a nascondere la verità a tutti e a se stessa, con la paura di perdere il suo migliore amico, non appena aveva incontrato Gabe non aveva potuto evitare di urlargli contro tutto quello che gli era passato per la testa. Ricordava di avergli detto che era un errore stare con Agatha, che avrebbe finito per rovinare il loro gruppo.

Se si fosse fermata a riflettere, o almeno, ad ascoltare quello che lui tentava di dirle, avrebbe capito che si era trattato di un errore. Ma lei era andata avanti per la sua strada, ignorando Gabe che le faceva notare che non era stato lui ad uscire con Agatha ma suo fratello Gaspard. Se avesse riflettuto un attimo si sarebbe ricordata dell’esistenza del fratello minore di Gabriel e, magari, avrebbe aspettato prima di aggredirlo.

Se ne era andata senza dargli il tempo di ribattere, si era completamente dimenticata di Camdem che la aspettava e aveva iniziato le sue ricerche per Juliette Summers. Aveva ignorato Gabe per giorni, fino a quando il ragazzo non l’aveva fermata in corridoio e l’aveva obbligata a chiarire.

Mai Charity si sarebbe aspettata di sentire le parole che lui le aveva detto. Mai avrebbe pensato che anche lui era stato assalito dai suoi stessi pensieri. Mai avrebbe pensato che anche lui si era innamorato di lei. Era queste le parole che aveva usato e che l’avevano spaventata. Lo aveva lasciato in quel corridoio, senza risposta ed era scappata via senza voltarsi.

-Non so se le cose potranno tornare come prima ma non possiamo continuare così- terminò mentre giocava con quello che restava del suo bignè.

-Posso solo dirti che, se tu sei felice con Camdem, io cercherò di essere felice per te. Non sarò entusiasta quando ti vedrò baciarlo ma mi basta sapere che starai bene. Solo, cerca di stare bene, ok? Non fare più come negli ultimi giorni-
Charity si limitò ad annuire, senza riuscire ad aggiungere altro. Gabe le sorrise prima di alzarsi e dirigersi verso l’uscita.




Note
Eccomi con la seconda parte. E’ un capitolo più lungo rispetto agli altri ma, non sapendo quando riuscirò ad aggiornare nuovamente, ho preferito non dividerlo ulteriormente.
Ci sarebbero un sacco di cose da spiegare, spero di riuscire a farlo nei prossimi capitoli.
Allora, riguardo al sogni di Charity… si tratta di un ricordo della sua infanzia quando, suo fratello di undici anni, viene mandato a vivere tra i babbani poiché nato senza poteri magici. Ho preso spunto da quello che Ron dice a Harry riguardo ad un cugino di sua madre che, essendo magono, e’ diventato ragioniere.
Secondo precisazione… i genitori di Charity lavorano nel Dipartimento per la cooperazione magica internazionale e, quindi, conoscono e parlano molte lingue che usano quando non vogliono farsi capire.
Terzo…il rapporto tra Gabe e Charity. Piano piano sta venendo fuori il motivo per il quale hanno litigato.
Quarto…piccola anticipazione! Tenete d’occhio il professor Figg, potrebbe rivelarsi importante per lo svolgersi della storia!
Grazie per essere arrivati fino a qui! Cercherò di aggiornare il prima possibile ma non prometto niente.
A presto, MairTonks.

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Capitolo 13
*** Hogwarst, 12 dicembre 1969 ***


13. 12 dicembre 1969

Quella era una delle partite più violente a cui Charity avesse mai assistito. Certo, il quidditch non poteva definirsi uno sport tranquillo ma raramente si vedevano colpi micidiali diretti contro una sola persona. La squadra dei Corvonero, oltre a condurre la partita con un vantaggio di almeno cento punti, sembrava accanirsi contro il portiere dei Serpeverde. Poteva sembrare uno schema ma, anche ad un occhio poco esperto come quello di Charity, sembrava altamente impossibile che un cacciatore preciso come Lud, arrivato davanti agli anelli, sbagliasse un tiro facile e centrasse in piena pancia il portiere dei Serpeverde. L’intero stadio aveva trattenuto il fiato quando Evander si era piegato in due sulla scopa.

Charity non aveva mai visto la squadra della sua casa giocare in modo così violento. Anche Cris, seduto al suo fianco, scuoteva la testa incredulo ma aveva dovuto ammettere che, nonostante il gioco violento, Corvonero non stava infrangendo nessuna regola. E questo rendeva ancora peggiore la situazione visto che nessuno avrebbe potuto fermare il gioco e dare un po’ di tregua ai Serpeverde. Solitamente Charity non era incline a provare compassione per la squadra verde-argento ma anche lei condivideva la stessa preoccupazione di Ophelia, saldamente attanagliata al suo braccio, ogni volta che Evander veniva colpito dalla pluffa. Potevano tutti sembrare tiri sbagliati ma Charity sospettava che l’obbiettivo di Lud non fosse fare punti ma, piuttosto, colpire Evander. Suo cugino non reagiva, altri Serpeverde lo avevano fatto al posto suo e commesso numerosi falli, e Charity ebbe la spiacevole sensazione di essere ritornata ad inizio settembre.

-Perché?- chiese Ophelia con gli occhi azzurri spalancati per la preoccupazione e lo sguardo fisso sul fratello, in quel momento impegnato a parare un tiro ed a evitare un bolide. Charity si limitò ad alzare le spalle senza rispondere ma lei sapeva benissimo il perché di quel comportamento.

Da quando Martha aveva smesso di essere vittima dei numerosi incidenti, questi avevano iniziato a colpire Lud. Libri che cadevano dagli scaffali, bicchieri che si rompevano improvvisamente o scope che non potevano essere controllate. Camdem, sempre al fianco del suo migliore amico, aveva notato che, ogni volta che questi accadevano, Evander era sempre nelle vicinanze con la bacchetta in mano e un ghigno in volto. Charity stentava a crederci, aveva ripetuto fino alla nausea che suo cugino non si sarebbe mai abbassato a quegli atteggiamenti da bullo, ma sia Camdem che Lud l’avevano ignorata. Lei aveva smesso di convincerli del contrario ma non poteva fare a meno di non pensarci.

Erano mesi che Evander si comportava in maniera strana, era molto più solitario, non parlava più con Ethalyn ma passava un sacco di tempo con Ophelia ed era diventato molto più scontroso con i suoi compagni. C’erano state diverse occasioni in cui Charity lo aveva visto staccarsi dal suo gruppo e isolarsi in qualche angolo del castello. Non ci aveva dato molto peso e aveva attribuito la cosa al matrimonio combinato con Imogen Yaxley e al litigio con la sorella. Charity aveva anche smesso di chiedersi chi fosse la misteriosa ragazza di cui Evander sembrava essersi innamorato ma, dopo aver visto Martha in lacrime seguita da suo cugino un dubbio l’aveva sfiorata. Aveva pensato per un istante che si trattasse proprio della sua amica e ne aveva anche parlato con Samantha che aveva messo a tacere il tutto dicendo che, se fosse stato così, Martha ne avrebbe parlato con loro.

E poi, se Evander fosse stato innamorato di Martha, avrebbe avuto senso farle accadere tutte quelle cose? Ma avrebbe senso farle accadere a Lud, rispose un’altra vocina nella sua testa.

-Corvonero prende il boccino e stravince la partita!- urlò lo studente addetto alla cronaca della partita e un boato si alzò dagli studenti Corvonero. Charity ritornò a concentrarsi sul campo, giusto in tempo per vedere Lud e Camdem stretti in un abbraccio con il resto della squadra e i Serpeverde atterrare mesti e tornare negli spogliatoio, non senza evitare di lanciare occhiatacce ad Evander, loro capitano e portiere.
                                                                                                            ~~~~

Charity non riusciva a godersi la festa che avevano organizzato nella Sala Comune. Camdem non la mollava un secondo e, anche se avrebbe voluto parlare con il suo ragazzo, tutta la casa di Cosetta Corvonero aveva deciso di congratularsi con lui per la partita. Certo, era contenta che la sua casa avesse vinto la partita e che lui fosse felice, ma lei non riusciva a sorridere dopo quello che aveva visto. Anche se Corvonero aveva rispettato alla lettera tutte le regole, aveva la sensazione che Lud avesse allenato la sua squadra con l’obbiettivo di umiliare Evander. Aveva tutte le ragioni visto che, a quanto sembrava, era lui a far capitare tutte quegli strani incidenti a Lud ma era pur sempre suo cugino e lei non riusciva a non pensare che Evander aveva incassato i colpi senza lamentarsi. Sembrava quasi che si fosse sentito in colpa e Charity non riusciva a togliersi la strana sensazione che Lud se la fosse presa con una persona indifesa.

Anche Lud era indifeso quando veniva colpito alle spalle, ribatte’ la solita voce nella sua testa. Ma c’era qualcosa in Evander che non la convinceva e doveva assolutamente scoprire cosa prima di impazzire. Sarebbe stato più facile risolvere il mistero di “zia Persephone”, pensò, mentre cercava di comunicare a Camdem che aveva bisogno di allontanarsi un attimo. Ma il ragazzo era impegnato a descrivere, per la decima volta in meno di un’ora, la partita ad un paio di ragazzine del quarto anno.

Riuscita finalmente a farsi strada verso l’uscita della Sala Comune, impresa non facile visto che un paio di suoi compagni volevano sapere dalla “ragazza del battitore” dove si trovava il loro idolo, si fermò un attimo indecisa su cosa fare. Lo sapeva, aveva rimandato troppo, ma aveva bisogno di qualche minuto per riflettere prima di prendere un’altra decisione affrettata e rischiare di partire alla carica come aveva fatto con Gabe.

Quando Evander aveva rifiutato il matrimonio combinato con Imogene Yaxley quel primo settembre, Ethalyn aveva rivelato, davanti a tutta la famiglia, che il ragazzo si era innamorato di una nata babbana. Charity non avrebbe mai potuto dimenticare l’espressione di suo cugino quando la sua gemella aveva rivelato il suo segreto e, soprattutto, le condizioni in cui lo aveva rivisto sul treno. Aveva pensato che questa ragazza doveva davvero essere importante per lui visto che lo aveva portato ad affrontare l’intera famiglia e, soprattutto, litigare pesantemente con la sorella. Ethalyn aveva minacciato il fratello che, se non l’avesse lasciata, ci avrebbe pensato lei.

Ethalyn sapeva chi era questa misteriosa ragazza, pensò Charity mentre si sedeva sul freddo pavimento del corridoio e si passava distrattamente una mano tra i capelli. E aveva davvero mantenuto fede alla minaccia? Si, ribatte’ e l’immagine di Martha tra le braccia di Gabe che osservava con occhi spalancati un enorme pietra che si era staccata dal soffitto comparve nella sua mente.

Come se una luce si fosse accesa nella sua testa, Charity rivide mentalmente tutti gli incidenti di Martha. Ethalyn non era mai stata presente nei dintorni e non poteva essere certa che si trattasse di lei. Ma sua cugina non si sarebbe mai abbassata a quei livelli, probabilmente aveva convinto qualcuno a farlo al posto suo. Si, la cosa aveva senso.

Aveva perso il conto delle volte in cui avevano chiesto a Martha se aveva dei sospetti e lei aveva sempre risposto di no. Non lo sapeva veramente o non aveva mai denunciato Ethalyn per non rischiare di aggravare la posizione di Evander?
Charity aveva raccontato a Martha di quello che era successo a suo cugino e lei lo aveva visto sul treno.

Più ci pensava e più notava dettagli a cui non aveva fatto caso. L’espressione terrorizzata di Martha davanti alle ferite di Evander, il suo isolarsi quando parlavano di lui e tutte le volte che aveva rifiutato gli appuntamenti con Lud. Lei, Agatha e Sam non si erano mai spiegate perché la loro amica continuasse a rifiutare gli inviti di Lud anche se con lui trascorreva molto tempo. Sarà semplicemente troppo timida, l’aveva giustificata Agatha.

Ma la sua relazione con Evander stava continuando? Charity aveva visto suo cugino con Imogene Yaxley qualche volta ma, in ogni occasione, era presente anche Ethalyn. Non aveva mai visto Martha ed Evander incontrarsi o parlare, tranne quella volta in corridoio. Evander le chiedeva scusa, Martha piangeva e si allontanava dai lui. Charity non ci aveva più dato peso, era stata distratta da tutto quello che era appena successo nella sua vita e, dopo aver confidato a Sam del suo sospetto, aveva smesso di pensarci.

Tutto tornava ma c’era una cosa a cui Charity non riusciva a darsi una risposta. Perché Martha non aveva raccontato a loro tutto questo? Perché aveva continuato a mantenere il segreto anche mentre subiva quegli attacchi e loro non facevano altro che preoccuparsi per lei? Più ci pensava, più si sentiva tradita da quella che considerava una delle sue migliori amiche. Non si sarebbe mai aspettata un comportamento del genere da Martha.

Non aveva senso continuare ad indugiare. Si alzò e andò alla ricerca della sua amica senza sapere da che parte cominciare. Camminare non la aiutava, anzi, continuava a rivedere tutti i dettegli che gli erano sfuggiti in quei mesi e, soprattutto, non riusciva a non pensare a tutto quello che aveva passato Evander.

Trovò Martha che usciva dalla biblioteca con Ophelia e un paio di altre ragazzine di Tassorosso. Aspettò che la raggiungesse e, senza dire niente, entrò nella prima aula vuota.

-Char, dovresti essere alla festa nella tua Sala Comune?- le chiese Martha con un tono leggermente preoccupato nascosto dal suo solito sorriso dolce.

-Char, mi stai spaventando. Tutto bene?- continuò Martha mentre Charity non sapeva come iniziare il discorso. Non aveva senso girarci intorno, lo sapeva.

-Da quanto tempo va avanti la tua storia con Evander?- sapeva che non era la domanda giusta ma una parte di lei voleva sapere da quanto tempo la sua amica le mentisse. Vide Martha spalancare i suoi grandi occhi neri e aprire e chiudere la bocca un paio di volte.

-Cosa?- fu tutto quello che riuscì a dire ma a Charity era bastata quella reazione.

-Da quanto tempo?- ripete’ Charity usando un tono più arrabbiato di quanto pensasse. Non era sicura di voler conoscere la risposta, non sapeva se sarebbe stato meglio sapere che la sua amica le mentiva da un anno o solo da qualche mese. Le aveva nascosto la verità ed era questo che la faceva infuriare.

-Dall’anno scorso.- fu la risposta sincera di Martha. -Volevo dirvelo ma era complicato. Non sapevo come avreste reagito, come tu avresti reagito, ma Evander mi ha chiesto di non dire nulla. Non voleva che Ethalyn o qualcuno della famiglia lo sapesse. Char, davvero, mi dispiace-

Le parole di Martha non servivano a farla stare meglio, anzi, erano ancora peggio. Non avrebbe voluto ascoltarle ma non riusciva ad andarsene.

-Perché?- chiese interrompendo le sue scuse.

-Cosa?-

-Perché Evander? Con tanti ragazzi perché proprio lui? Sarebbe finita male in ogni caso e non avete fatto altro che stare male-

Charity vide Martha bloccarsi e fissarla incredula, gli occhi spalancati al massimo e alcune ciocche le ricadevano disordinate sul volto.

-Cosa vuol dire? Che io ed Evander non possiamo stare insieme?-

-Si! Insomma lui e’ un purosangue, tu…tu sei una sanguesporco. Cosa ti aspettavi…-

Charity non riuscì a finire la frase che una macchia rossa comparve improvvisamente davanti a lei e si ritrovò scagliata contro il muro.

-Non ci provare- esclamò Gabe mettendosi davanti a lei e puntando la bacchetta contro Agatha che teneva la sua ancora in mano.

-Hai sentito quello che ha detto! Come fai a difenderla?- urlò Agatha scuotendo la testa per spostare i capelli che le erano finiti sul volto.

-Ok, calmiamoci un attimo- si intromise Oliver mettendosi tra Agatha e Gabe per dividerli.

Charity vide con la coda dell’occhio altre due figure muoversi dall’altro lato dell’aula e non ebbe bisogno di sentire l’urlo di Sam per sapere che Martha era appena uscita di corsa.


Note:
So che e’ passato un sacco di tempo dall’ultima volta in cui ho aggiornato quindi inizio con chiedervi scusa. Finalmente si chiarisce la situazione tra Evander e Martha che, molto probabilmente, in molti avranno intuito negli scorsi capitoli. E’ la prima volta che scrivo una storia così lunga e spero che gli indizi lasciati negli scorsi capitoli siano stati chiari ma non troppo.
Riguardo al comportamento di Charity…non e’ perfetta e viene da una famiglia un po’ complicata e, anche se il suo comportamento non e’ giustificabile, non e’ neanche da condannare.
Spero di avervi incuriosito!
Grazie per aver letto anche questo capitolo e spero di aggiornare presto (esami permettendo)!
MairTonks

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Capitolo 14
*** Casa Burbage, 24 dicembre 1969 ***


24 dicembre 1969, Casa Burbage
Nonostante le prelibatezze e la stanza decorata a festa, un silenzio irreale circondava il grande tavolo di mogano attorno a cui era riunita la famiglia Burbage. Quasi tutta, si corresse mentalmente Charity mentre osservava i volti tesi e tutt’altro che colmi di gioia dei suoi parenti. Erano due i grandi assenti quella sera e i loro posti vuoti non erano sfuggiti agli occhi attenti di sua nonna Hortensia e del vecchio Herbert, che non avevano esitato un attimo prima di chiedere spiegazioni. Anche Charity era curiosa di scoprire il motivo per cui sua sorella Regan e suo fratello Merthin avessero deciso di non presentarsi quella sera. Non aveva loro notizie da prima del loro mancato incontro ad Hogsmeade e, anche se li aveva tempestati di lettere, non aveva ricevuto neanche una riga di risposta. Sperava di poter parlare con loro durante le vacanza, o almeno durante la cena che i nonni organizzavano la sera della vigilia di Natale ma, per la prima volta nella sua vita, si era ritrovata a condividere la curiosità di suo nonno. Non tanto per quanto riguardava suo fratello, lui non metteva piede in casa dei nonni da quando aveva rifiutato la carriere che il vecchio Herbert aveva preparato per lui, quanto l’assenza di Regan. Lei non mancava mai ad occasioni come quelle, soprattutto ora che era in procinto di sposare un illustre erede della famiglia Black.
 
-Allora Aloysius, quando si decideranno ad arrivare i tuoi figli? Sai, noi tutti avremmo voglia di gustare il delizioso banchetto che tua madre ha fatto preparare- disse il vecchio Herbert rompendo il silenzio e rivolgendosi al sua primogenito, seduto come sempre alla sua destra.
 
-Regan e Merthin non parteciperanno al banchetto di questa sera- rispose Aloysius, pulendosi gli occhiali sulla tunica che indossava come ogni volta che era nervoso. Charity notò sua madre, con gli occhi bassi e fissi sulla tavola, stringere di nascosto il braccio di suo padre. Anche lei aveva rivolto quella domanda ai suoi genitori, parecchie volte prima di raggiungere la casa dei nonni ma nessuno aveva dato una risposta.
 
-Bene allora, mangeremo senza di loro. Spero per te che arrivino prima del dolce- annunciò mentre si serviva per primo, seguito immediatamente da tutti i presenti.
 
Come se il nonno avesse spezzato un incantesimo, intorno al tavolo iniziarono una serie di conversazioni riguardanti gli argomenti più diversi. Charity captò qualche frammento di quella che si svolgeva a pochi posti da lei tra suo zio Baldwin e zio Claudius e di quella tenuta da sua nonna che interrogava le sue cugine più grandi sulla loro vita matrimoniale e, di certo, non le sfuggì quella silenziosa tra suo padre e sua madre. Erano preoccupati, come lei d’altronde, dalla minaccia velata fatto dal nonno.
 
Ma, anche se le varie portate e le diverse conversazioni si alternavano come sempre, l’aria nella stanza continuava a rimanere tesa. I posti vuoti, esattamente al centro del tavolo, continuavano ad attirare gli sguardi di tutti, Charity per prima, e anche lo strano comportamento di Evander, seduto alla sinistra del nonno contribuiva a movimentare la serata.
 
Fortunatamente, la cena stava volgendo al termine e, come era usanza della sua famiglia, prima dei tradizionali dolci, tutti i presenti si alzavano dal tavolo e si trasferivano a parlare nel grande soggiorno di casa Burbage. Charity attese che tutti i suoi parenti si alzassero dal tavolo prima di avvicinarsi ad Evander, ancora della stessa posizione che aveva assunto all’inizio della cena. Per tutto il tempo era rimasto con le braccia incrociate e a fissare la parete davanti a lui senza toccare cibo. Il piatto e le posate difronte a lui erano immacolate e i bicchieri, che il nonno aveva riempito con insistenza di vino elfico, pieni fino all’orlo.
 
-Ciao Evander- esordì Charity, titubante, quando anche l’ultimo cugino lasciò la stanza con uno dei suoi bambini urlanti saldamente ancorato al braccio. Raramente avevano parlato ma gli ultimi episodi avevano cambiato il modo in cui Charity aveva sempre visto suo cugino. Il fatto che Martha si fosse innamorata di lui voleva dire che esisteva altro sotto la maschera fredda che il ragazzo era solito portare.
 
Come se si fosse risvegliato da un incantesimo, Evander smise di osservare la parete e puntò i suoi increduli occhi verdi su di lei, anche lui leggermente a disagio. Aveva passato giorni a pensare a cosa dire al cugino ma, adesso che di trovava davanti a lui, i dubbi che l’avevano attanagliata in quei giorni erano tornati.
 
-L’hai sentita?- chiese Evander senza preamboli. Charity rimase spiazzata da quella domanda ma tiro’ un respiro di sollievo visto che non era stata costretta ad iniziare lei il discorso.
 
-No- rispose. Era dal giorno della lite che non parlava con Martha, aveva fatto di tutto per cercare di recuperare il rapporto con la sua amica ma senza successo. Secondo Cris, Martha aveva bisogno di tempo, e Charity glielo stava lasciando. Le aveva scritto solo una lettera durante le vacanze che aveva allegato al regalo di Natale ma ancora non aveva ricevuto risposta. Nonostante la discussione, quello non era un atteggiamento da Martha e lei stava iniziando a preoccuparsi. E, a quanto sembrava, anche Evander sembrava preoccupato.
 
-Le hai scritto e non ti ha risposto, vero?- continuò Evander e Charity trovò strano il fatto di parlare di Martha nella casa di suo nonno. Anche se stavano sussurrando e continuavano a tenere d’occhio la porta, era bello poter condividere queste cose con qualcuno della famiglia che non fosse Ophelia.
 
-Si. Non e’ da lei non rispondere alle lettere-
 
-Lo so- disse Evander con un sorriso triste. -Infatti volevo chiederti una cosa, se non ti e’ di disturbo ovviamente- Adesso era visibilmente a disagio e Charity lo capiva, non avevano mai parlato così tanto in tutta la loro
vita.
-No figurati, dimmi- accettò Charity con un piccolo sorriso con la speranza di sciogliere la tensione tra loro.
 
-Potresti scrivere a Bennett e chiedere informazioni a lui? Sono molto amici e magari lui riesce a sapere qualcosa in più- Formulare quella richiesta doveva costargli molto in termini di orgoglio, soprattutto il fatto di chiedere un favore ad un ragazzo che aveva sempre ignorato a causa della sua origine.
 
-Si, scriverò ad Oliver, non preoccuparti. Magari anche agli altri per avere più informazioni- disse e, visto che quella sembrava la serata delle prime volte, suo cugino la ringraziò con un piccolo sorriso.
 
Ma c’era altro di cui Charity voleva parlare e stava cercando il coraggio necessario per affrontare quella conversazione quando un rumore proveniente dal camino li costrinse ad alzarsi di scatto e sguainare le bacchette.
 
-Speravo in un ingresso più trionfale, magari con zio Baldwin che, per lo spavento, si strozzava con la terza porzione di pollo- esclamò la figura coperta di cenere appena uscita dal camino. In un’altra occasione Charity avrebbe riposto la bacchetta e corsa ad abbracciare suo fratello. Adesso, invece, la tentazione di puntargli la bacchetta e costringerlo in tutti i modi a farsi spiegare il silenzio di quei mesi era irresistibile.
 
Merthin si tolse la cenere dai capelli con deciso colpo di bacchetta prima di puntare i suoi occhi verdi, eredità dei Burbage, su di loro.
 
-Ma devo ammettere che vedere voi due parlare come due veri cugini in cucina e’ piuttosto sorprendente. Sorellina, neanche un abbraccio?- disse avvicinandosi verso di loro e allargando le braccia in attesa.
 
-Un abbraccio? Dopo che non ti sei presentato all’appuntamento che tu avevi programmato? Dopo tutte le lettere senza risposta?- lo aggredì Charity avvicinandosi solo per poterlo spingere via.
 
-Ok ok, hai ragione Ty. Ma non urlare, vorrei essere io ad annunciare la mia presenza al nonno.- disse dopo averle afferrato i polsi per evitare un pugno che lo aveva quasi colpito in faccia. -Giuro che ti spiegherò tutto, ma non adesso e non qui- continuò lanciando uno sguardo ad Evander, fermo a pochi passi da lei. -Allora riuscite a stare qualche ora separati- commentò prima di lasciarla e dirigersi verso il soggiorno.
 
-Perché sei venuto qui?- domandò Charity prima che il fratello aprisse la porta. Era dal giorno in cui Merthin aveva annunciato di essere in procinto di iniziare la sua carriera di guaritore che non metteva piede in casa del nonno, nonostante i tentavi di quest’ultimo di cercare di rimettere il nipote sulla strada giusto per un ragazzo come lui. Non andava bene che un giovane purosangue proveniente da una famiglia come la loro passasse la vita a riparare gli errori di gente che non e’ in grado di maneggiare correttamente una bacchetta. Ma Merthin non aveva voluto sentire ragioni e, con un’uscita in grande stile, aveva urlato al nonno che anche lui faceva parte di coloro che non erano in grado di usare correttamente una bacchetta e suggerito un modo piuttosto volgare dove metterla per non combinare guai.
 
-E’ una cena di famiglia, no? E, purtroppo, questa e’ la mia famiglia- rispose prima di aprire la porta che collegava cucina e soggiorno. -E se fossi in voi, non mi perderei per nulla al mondo la faccia del nonno sul punto di esplodere- disse tornando indietro.
 
Dopo essersi scambiati un’occhiata preoccupata di nuova complicità, Charity ed Evander seguirono Merthin in soggiorno dove tutti i loro parenti avevano preso posto intorno alla grande poltrona del nonno. Erano tutti ammutoliti all’ingresso di Merthin che, con il suo solito fare tranquillo, li osservava al centro della stanza.
 
-Guardate un po’ chi ci ha dato l’onore della sua presenza. Merthin sei arrivato giusto in tempo per il grande annuncio- lo salutò il vecchio Herbert alzandosi e raggiungendo il nipote per dargli una pacca, per nulla amichevole, sulla spalla. Merthin non cambiò espressione ma Charity notò una domanda silenziosa rivolta a suo padre.
 
-Se anche voi due avete finito di spettegolare in cucina- continuò rivolgendosi a lei ed Evander ancora fermi sulla porta- sarei lieto di annunciare la quasi stipulazione di un nuovo contratto di matrimonio-.
 
-Visto che Charity e’ stata l’unica a non ricevere nessuna buona notizia questo primo settembre, ho pensato di farle un regalo di natale. Non e’ nel mio stile, bada bene ragazza, sono stato molto clemente con te.- disse rivolgendosi verso di lei. Charity non riusciva a pensare a nulla tranne al fatto che avrebbe voluto essere ovunque in quel momento, tranne li. -Visto che tua sorella molto presto si legherà ad un giovane Black, ho pensato che fosse un’ottima idea consolidare ancora di più l’unione con questa famiglia.-
 
Charity osservava il nonno senza riuscire a dire o fare nulla e il no urlato contemporaneamente da suo padre e suo fratello le giunse lontano. Viveva già una situazione piuttosto complicata con Camdem, Gabe le parlava appena e l’idea di un giovane rampollo dei Black che le ronzava intorno era ancora peggio.
 
-All’inizio avevo pensato che la tua amicizia con il giovane Fawley potesse rivelarsi utile ma, visto le complicazioni che di recente si sono verificate, ho pensato che un altro matrimonio con quella famiglia fosse utile. E i Fawley sono difficili da convincere, con tutte le loro idee sulla donna in carriera e il matrimonio fondato sull’amore- le spiegò il nonno mentre la osservava in attesa di una risposta.
 
-Sai Charity, non devi ringraziare me per questo matrimonio. Piuttosto, ringrazia quella sgualdrina di tua sorella che si e’ fatta mettere incinta da un babbano. Merthin un consiglio da nonno a nipote, e’ inutile tentare di fregarmi, ho più esperienza di te in queste cose-
 
Tutte le persone nella stanza sembravano aver smesso di respirare, impregnate com’erano a osservare qualsiasi movimento provenisse da Merthin, dal vecchio Herbert o da Aloysius che, al sentir accennare a Regan era scattato in piedi.
-Aloysius, te lo avrò ripetuto infinite volte ormai. Sposando quella dannata donna ti sei rovinato e hai portato i tuoi figli a fare lo stesso. Hai solo una possibilità per rimediare a tutto questo Al. Firma il contratto di matrimonio tra Charity e il giovane Black e ti assicuro che Regan non verrà toccata da nessuno e finirà nel dimenticatoio-
 
Il nonno doveva essersi preparato il discorso da messi, doveva essere il più d’effetto possibile, e con un rapido gesto appellò il foglio che aveva riposto in un libro. Charity si sentiva male davanti a tutto quello che era appena successo e, soprattutto, all’idea di essere costretta a sposare uno sconosciuto che non amava e a rinunciare al suo futuro per salvare la vita a sua sorella Regan. E al bambino che portava in grembo, aggiunse una voce nella sua testa. Perché era sicura di farlo per salvare quelle due vite.
 
-Pensa bene a quello che fai, Aloysius. Non si tratta solo di Regan ma, visto che i tuoi figli hanno pensato bene di giocare col fuoco, altre persone rischiano di rimetterci e Merthin lo sa bene- aggiunse il nonno mentre porgeva la pergamena e la piuma verso il suo primogenito.
 
Suo padre non si voltò verso sua madre, in lacrime dietro di lui, ma ebbe per qualche secondo uno conversazione silenziosa con Merthin. Al termine di questa, entrambi si voltarono nella sua direzione e lei fece l’unica cosa possibile, annuì segnando così la fine di tutti i suoi sogni.
 
-Deve esserci un altro modo. Rinuncio al mio lavoro, stipula un contratto con qualche ragazza che fa Black di cognome ma lascia fuori Charity- esclamò Merthin strappando il contratto dalle mani del padre.
 
Ormai tutti i presenti erano così presi dallo spettacolo organizzato dal nonno che nessuno, neanche i bambini più piccoli avevano il coraggio di parlare o lamentarsi.
 
-Molto nobile da parte tua, il comportamento che ci si aspetta da un degno e stupido Grifondoro. Ma non funziona così, e’ troppo semplice. Sei libero di fare quello che vuoi ragazzo, non fai più parte della famiglia da tempo- lo liquidò il nonno e, con uno strattone che quasi ruppe la pergamena, riprese il contratto per passarlo al figlio.
 
-Prima di firmare il contratto, dammi un po’ di tempo. Lei e Gabriel Fawley sono molto amici e magari la famiglia Fawley potrebbe accettare l’idea di un matrimonio, se proposta nel modo giusto- disse suo padre.
 
-Tu pensi di riuscire dove io ho fallito? Pensi davvero che…-

Ma il nonno non riuscì a terminare la frase che un lampo di luce rossa lo raggiunse alla schiena. Troppo impegnata ad osservare le pericolose trattative riguardo al suo futuro, Charity non si era accorta che Evander aveva preso, nuovamente, la bacchetta tra le mani e l’aveva puntata contro il vecchio Herbert. In un attimo si scatenò il caos, Charity venne afferrata e portata via con la materializzazione congiunta da sua fratello. L’ultima cosa che vide, prima di smaterializzarsi, fu il volto furibondo di Claudius Burbage che fissava con odio e disprezzo Evander a pochi passi da lei.

 
Note autrice
Per prima cosa mi scuso per l’immenso ritardo ma l’università mi lascia davvero poco tempo a disposizione per mettermi davanti al computer per aggiornare.
Sono ritornata con un capitolo particolare che chiarisce alcuni punti ma, soprattutto, aggiunge altra carne al fuoco. Spero di avervi incuriosito un po’!
Voglio ringraziare tutti coloro che hanno letto la mia storia e anche questo capito e mi auguro di riuscire ad aggiornare presto.
Buonanotte e al prossimo capitolo

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