Raggio di sole

di ZereJoke94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Capitolo1 ***


CAPITOLO 1

Imboccai l'autostrada distrattamente, e qualcuno dentro una Mercedes che era stata costretta a frenare per non venirmi addosso mentre mi immettevo nella corsia suonò rabbiosamente il clacson una, due, tre volte. Sobbalzai.
Avevo forse deciso di farmi ammazzare o di ammazzare qualcun altro, quel giorno? Dopo neanche un chilometro misi la freccia e mi fermai in una piccola area di sosta, per schiarirmi un pò le idee.
Appoggiai la testa sul volante e respirai profondamente, pensando che dopo l'anno che avevo appena passato, le cose non potevano fare altro che migliorare. Non era proprio possibile che qualcosa andasse peggio.
Mia madre, Dianne, era morta da tre mesi.
Mi salirono le lacrime agli occhi quando mi tornò in mente il giorno in cui il dottore, un anno prima, mi aveva detto che la persona più importante della mia vita aveva un sarcoma dei tessuti molli. Avevo sbattuto gli occhi più volte, senza avere assolutamente idea di cosa fosse e soprattutto quanto fosse grave.
"E' una forma di cancro molto rara e aggressiva" mi aveva spiegato il medico, senza tante cerimonie. "...ma sua madre è una donna giovane, se iniziamo subito le chemioterapie ci sono delle possibilità che possa guarire".
E così erano iniziati i cicli di chemio. Dal canto mio, stavo finalmente per laurearmi in architettura e per i primi due mesi ero riuscita a non mollare e continuare a studiare per dare gli ultimi esami prima della tesi.
La situazione era irrimediabilmente crollata quando, dopo due cicli di chemioterapia, che la facevano stare malissimo e la costringevano a letto per giorni, mia madre aveva deciso che non si sarebbe più lasciata imbottire di quella roba, che distruggeva cellule cattive e buone, senza distinzione. A nulla erano valsi i miei tentativi disperati di convincerla a tentare un altro ciclo prima di arrendersi.
"Anna" mi aveva detto, abbracciandomi "Voglio vivere il tempo che mi resta, non passarlo a letto o peggio...Sappiamo entrambe che queste terapie non servono a niente". Mi aveva tenuto stretta e mi aveva consolata per tutto il tempo di cui avevo avuto bisogno, quando sarei dovuta essere io a consolare lei.
A quel punto avevo abbandonato gli studi e avevamo passato i mesi seguenti come in una campana di vetro, fino al tracollo, una fredda mattina di febbraio. Semplicemente aveva smesso di alzarsi dal letto e quasi di mangiare, in preda a dolori fortissimi, tanto che dovetti portarla in ospedale due giorni dopo.
Morì li, in quella stanza nel reparto di oncologia, mentre le tenevo la mano, lasciandomi sola in quel silenzio ma con l'assordante convinzione di non aver insistito abbastanza perchè continuasse a curarsi.

Alzai la testa dal volante e mi asciugai le lacrime. Dovevo smetterla. Volevo davvero ricominciare a vivere, ma semplicemente non ci riuscivo.
Mi diedi una rapida occhiata sullo specchietto retrovisore. I miei lunghi capelli ramati erano tutti arruffati e le mie iridi verde chiaro erano velate dal pianto. Più che sembrare una venticinquenne, in quel momento sarei stata perfetta come cinquantenne in preda ad una crisi di nervi.
Scossi la testa e misi nuovamente in moto la mia vecchia Golf. Quella volta prestai molta più attenzione mentre mi immettevo nella corsia.
“Woodbourne1” pensai. Il luogo in cui avevo passato tutte le estati della mia infanzia, a casa di mia nonna Susan, la madre di mio padre.
Estati bellissime e spensierate. 
Amavo profondamente quella cittadina di neanche diecimila anime, e avevo sofferto molto quando, all’età di tredici anni, mia madre non aveva più permesso di tornarci, convinta che mia nonna avesse coperto il tradimento di mio padre.
Per un periodo mi era stato proibito perfino di vederla , ma eravamo troppo legate perché la cosa durasse. Tuttavia, quel giorno ero in viaggio per ritornarci per la prima volta da dodici anni.
Mi lasciavo il caos di Londra alle spalle, mentre percorrevo il centinaio di chilometri che mi separavano da quel luogo che ricordavo con tanto affetto e che mi ero messa in testa sarebbe stato la cura alla tristezza cronica che mi attanagliava da mesi ormai. Cambiare aria mi avrebbe fatto bene.
Premetti con più forza il pedale del gas. Volevo arrivare il prima possibile.

Due ore dopo imboccai il viale alberato in cui abitata mia nonna Susan, constatando con sorpresa mista a sollievo che almeno visivamente, quel posto non era cambiato di una virgola.
Le villette, ciascuna con il proprio giardino annesso, si susseguivano l’una accanto all’altra, identiche se non per il colore, che non era uguale in tutte. Mentre avanzavo verso casa di mia nonna, mi ricordai quante volte avessi percorso quel viale in bicicletta, o ci avessi giocato con gli altri bambini che abitavano quella zona. Sorrisi, e mi sentii ancora più fiduciosa su un eventuale effetto benefico che quel luogo avrebbe potuto regalarmi.
Parcheggiai davanti alla casa che mi interessava, di un color rosa antico, e scesi. Mia nonna era ancora una fanatica del giardinaggio, constatai osservando il giardino che appunto era curato nei minimi dettagli. Non una foglia fuori posto o un fiore appassito. Infilai un braccio attraverso l’ampia fessura del finestrino che avevo lasciato aperto e suonai il clacson. Misi le mani nelle tasche dei jeans e mi appoggiai alla macchina, assumendo una posa indifferente, mentre in realtà non vedevo l’ora che la nonna aprisse quella dannata porta.

1) Woodbourne: cittadina immaginaria nel sud dell'Inghilterra.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
La porta bianca si aprì velocemente ed apparve mia nonna. Nonostante avesse più di settant'anni, era ancora una bella donna. I capelli bianchi, corti ma vaporosi le incorniciavano il viso mettendo in risalto i vivaci occhi verdi, come i miei. Quelli furono la prima cosa che si illuminò di lei quando mi vide, seguiti da un sorriso di pura gioia.
Scese i due gradini che la separavano dal piccolo vialetto che divideva il giardino in due e corse, per quanto poteva, verso di me. Per evitarle quello sforzo mi affrettai ad andarle incontro e pochi istanti dopo eravamo abbracciate.
Un abbraccio gioioso all'inizio, ma che ben presto divenne un abbraccio più profondo, di puro conforto.
Mi lasciai consolare silenziosamente finchè lei non interruppe quel contatto e mi guardò in faccia, storcendo il naso.
-Basta con questa faccia da funerale, Anna! Tua madre non avrebbe mai voluto vederti in questo stato- Sentenziò, strappandomi un sorriso suo malgrado. Una frase molto simile me l'aveva detta il giorno del funerale, qualche mese prima.
Diciamo che mia nonna era una persona molto schietta e pratica. Troppo a volte, ma la adoravo anche per questo.
Mi passò davanti e puntò il portabagagli della mia auto.
-Faccio io, nonna!- Mi affrettai a superarla e a prendere il mio trolley prima che lo facesse lei. Mi fece cenno di seguirla in casa e camminandole dietro notai la strepitosa forma fisica in cui si trovava. Cavolo! Decisi che una delle cose che desideravo di più nella vita era arrivare a settantadue anni nelle sue stesse condizioni.
Appena entrammo in casa fui letteralmente sommersa dai ricordi. La carta da parati a fiori nell'ingresso. Una volta avevo preso un pennarello e mi ero messa a disegnare altri fiori oltre a quelli stampati...la nonna era quasi morta di rabbia.
Le scale che a pochi passi portavano al piano superiore. Un pomeriggio le avevo fatte quasi tutte sul sedere.
Sorrisi nostalgica.
-Non è cambiato molto qui- Mormorai, lasciando le mie cose in fondo alle scale e seguendola in cucina.
-Non ti sei persa quasi niente, infatti- Sorrise lei, mettendo a scaldare l'acqua per il tè.
-Quasi niente?- Ridacchiai.
Appoggiò i gomiti sul ripiano della cucina, mentre io mi sedevo.
-Niente che sia degno di nota. Tesoro mio, ti trovo malissimo- Scosse la testa e assunse un'espressione contrariata.
-Grazie nonna...- Sorrisi un'altra volta, senza volerlo -...non ho molta voglia di farmi bella ultimamente-
-Non hai bisogno di farti bella, sei bellissima anche in questo stato pietoso. Sai bene cosa intendevo- Si sedette vicino a me, e mi prese la mano.
-Sono qui per questo. Questo posto mi ha sempre fatto bene, lo sai...spero che lo faccia anche stavolta- Mi strinsi nelle spalle, trovando difficile sostenere il suo sguardo indagatore. Stava cercando di capire quanto preoccupata dovesse essere su una scala da uno a dieci.
Alla fine annuì e mi sorrise, tornando ai fornelli a occuparsi del tè.
-Vado a darmi una rinfrescata e a portare su le mie cose, torno tra un minuto...-
Salii le scale lentamente, oltrepassai il bagno e giunsi alla porta della camera che una volta era stata di mio padre. Diciamo che sotto la voce "Genitori", non avevo avuto molta fortuna.
Non vedevo mio padre dal giorno del funerale, ed era stata in quell'occasione che lo avevo rivisto dopo quasi un anno. Dopo aver divorziato da mia madre, si era risposato ed era andato a vivere in Irlanda, dimenticandosi di avere una figlia, a quanto pareva.
Poggiai il trolley sul lettino, che la nonna doveva aver rifatto di recente, sostituendo le vecchie lenzuola con una trapunta leggera color salmone. Lo abbandonai li, decidendo che lo avrei disfatto dopo e tornai verso il piccolo bagno.
Non feci in tempo ad entrare che notai che c'era qualcosa di strano. Il lavandino era senza rubinetto! O meglio, senza la manopola per regolare l'acqua.
Feci dietrofront e tornai in cucina, trovando la nonna che serviva il tè fumante in due tazze.
-Ehm...avrei voluto lavarmi il viso e le mani, ma a quanto pare il lavandino è stato mutilato...-
Lei spalancò leggermente gli occhi e si battè una pacca sul fianco -Oh! Mi sono dimenticata di dirtelo prima...stamattina la manopola mi è rimasta in mano! Ho chiamato Gideon e mi ha assicurato che sarebbe venuto a metterlo a posto prima di sera- Si sedette e mi fece cenno di imitarla.
-Chi è Gideon?- Non ricordavo nessuno con questo nome, pescando tra i ricordi della mia infanzia.
-Gideon Lancaster...il fratello di Jeff-
Continuai a guardarla senza capire chi fossero entrambi.
-Jeff chi? Jeff tartaglia?- Chiesi poi, ricordando un ragazzino magrolino con cui avevo giocato qualche volta.
-Si, lui. Non balbetta più ed è diventato un medico- Sembrava estremamente soddisfatta, alla faccia mia e di tanti altri bambini che avevano riso di lui a causa della sua balbuzie -Comunque, Gideon è suo fratello- concluse.
Non ricordavo nessun Gideon, quindi scossi la testa e feci spallucce, aggiungendo un pò di latte nel mio tè.
-Non è mai stato un tipo molto socievole, e comunque ha qualche anno più di te, forse è per questo che non te lo ricordi...è un bravo ragazzo- Nascose il viso dietro la tazza per qualche secondo e quando la riappoggiò sul tavolo era quasi vuota.
-La gente ha così tanti pregiudizi- Mormorò disgustata.
La guardai per un attimo, interdetta. Che le era preso?
Decisi di lasciar perdere perchè francamente non me ne importava più di tanto, finii il tè e mi offrii di lavare le tazze.
-E Jake?- Chiesi improvvisamente -Jake vive ancora qui?-
-Si, lavora all'ospedale. Che bel ragazzo è diventato- Sorrise lei -Non vive più a casa dei suoi, ma puoi sempre chiamare li per farti dare il suo numero. Potreste uscire- Le si illuminarono gli occhi.
Ero arrivata da neanche un’ora, e lei già mi combinava gli appuntamenti.
-Che tenera- Commentai ironica. Jake era stato uno dei miei migliori amici un tempo...ma ora non sapevo nemmeno se si ricordasse della mia esistenza, erano passati dodici anni.
Lo avrei contattato, comunque. Avevo bisogno di qualcuno con cui passare del tempo, non potevo certo vivere in simbiosi con mia nonna.
Pochi istanti dopo il campanello suonò e fui distolta dai miei pensieri.
-Questo deve essere Gideon. Vado io- La nonna si affrettò ad andare ad aprire e scomparve dalla mia vista.
Dopo un attimo udii la porta che scattava seguita dalla sua voce.
-Gideon! Salve, sono così sollevata che tu sia arrivato!-
-Sarei voluto venire prima, Susan. Purtroppo ho avuto da fare giù a Holecreek...- Rispose l'uomo. Aveva un timbro di voce sorprendentemente caldo e profondo.
-Ma figurati, entra caro!- Udii la porta richiudersi e pochi istanti dopo passarono davanti alla cucina. Mia nonna si fermò e annunciò -Oggi ho visite-
L'uomo parve sorpreso nel vedermi, e invece di presentarsi come avrebbe fatto chiunque altro, guardò la nonna.
Lei gli sorrise -Mia nipote Anna, starà con me per un pò-
-Ciao- Lo salutai, visto che lui sembrava non esserne capace. Colmai la distanza che ci separava e gli allungai la mano.
Era molto alto, almeno un metro e ottantacinque, visto che mi sovrastava completamente, ed io ero un metro e settanta. Aveva folti capelli neri, che in quel momento erano straordinariamente disordinati e gli ricadevano sulla fronte, e una barba incolta leggermente più chiara rispetto ai capelli. Gli occhi erano un misto tra grigio, color ghiaccio e celeste. Non avrei saputo definirli meglio.
Ero pronta a scommettere che sarebbe potuto essere piuttosto bello, se solo si fosse dato una sistemata.
A prima vista, comunque, non mi dava molto l'idea del "bravo ragazzo" come lo aveva definito la nonna prima.
-Ciao- Rispose lui, senza sorridere. La sua stretta di mano fu un tantino più forte di come mi aspettavo, e non riuscii a trattenere una smorfia.
-Io vado di sopra, allora- Si congedò immediatamente dopo. Non appena fu sparito in cima alle scale, guardai la nonna a bocca aperta. Non riuscivo a credere alla maleducazione di quel tizio.
Lei si strinse nelle spalle, comprensiva -Ti avevo detto che non è un tipo molto socievole...-


Ciao a tutte! Volevo solo informarvi che questa ff si ispira a Henry Cavill. Il suo protagonista maschile ha il suo aspetto e lo avevo in testa mentre scrivevo, ma in questa storia si chiama Gideon e non corrisponde in nessun modo alla persona di Henry Cavill.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

La mattina seguente mi svegliai presto. Forse troppo, visto che non erano neanche le otto ed ero già pronta. Pronta per una giornata in cui non avevo assolutamente idea di come avrei potuto impiegare il tempo.
Scesi al piano di sotto e trovai la nonna che trafficava intorno ai fornelli. "Fantastico", pensai. La colazione era praticamente pronta e quindi non avrei dovuto perdere tempo per prepararmela...
Da quando ero rimasta sola, e in effetti anche da prima, mi ero abituata ad essere autonoma in tutto e per tutto, quindi mi fece strano che quella mattina qualcuno mi preparasse la colazione. Tenni quei pensieri per me e mi appoggiai al frigorifero.
-Buongiorno nonna- La apostrofai sforzandomi di avere un tono che risultasse almeno un po’ allegro.
-Buongiorno cara- Non passarono neanche dieci secondi che mi porse un piatto stracolmo di cibo. Sgranai gli occhi; non ero abituata a mangiare così tanto.
Mi sedetti e iniziai riluttante -Ehm, non so se riuscirò a finir...-
La nonna si girò di scatto e alzò un dito; gesto che sortì l'effetto desiderato perché mi zittii prima di aver terminato la frase.
-Sei dimagrita troppo, signorina. Ho intenzione di farti mettere su peso, durante il tuo soggiorno qui! Hai venticinque anni. Sei giovane e bella, quel viso sciupato non ti si addice proprio- Per tutto il tempo in cui pronunciò quella frase, rimase con il dito alzato e scommetto che fosse convinta di risultare estremamente minacciosa.
In realtà repressi un sorriso per tutto il tempo, ma sapevo anche che aveva ragione, quindi mi misi a mangiare e finii quasi tutto.
Quando le porsi il piatto e mi giustificai dicendo che se avessi mandato giù solo un altro boccone sarei scoppiata, lei alzò un sopracciglio ma alla fine rimase zitta.
-Ah- disse dopo un pò, ed estrasse qualcosa dalla tasca del suo grembiule rosso -Il numero di Jake, stamattina ho chiamato suo padre e me lo sono fatto dare-
Me lo allungò, mentre io rimanevo dritta impalata vicino a lei, guardandola con gli occhi sgranati.
-Cosa hai fatto?- Ero incredula, aveva veramente chiamato il padre di Jake? Oh mio Dio.
-Volevi il numero di Jake? Eccolo- Mi guardò come se fosse la cosa più naturale del mondo -Il signor Sullivan è stato così contento quando gli ho detto che sei qui a Woodbourne...-
-Si, va bene. Il punto è che avrei poluto procurarmi da sola il numero di Jake, semmai lo avessi voluto- Puntualizzai.
-Oooh piantala di fare tante storie e chiamalo- Tagliò corto lei.
Sbuffai e uscii dalla cucina, oltrepassando velocemente l'ingresso e infine uscendo fuori in giardino. Era una bellissima giornata di fine maggio. Il sole era debole a quell'ora del mattino, ma percepii comunque il suo calore sulla pelle e fui contenta di aver indossato una maglietta a maniche corte. Mi piaceva quella maglietta, era di un verde foglia molto acceso, e adoravo l'effetto che faceva in contrasto con i miei capelli ramati.
In quel momento il vento me li scompigliò un pò, così mi feci una coda di cavallo e guardai il bigliettino con su scritto il numero di Jake.
"Non si ricorderà neanche chi sono" pensai, sedendomi sui gradini.
"Al diavolo"; tirai fuori il cellulare, composi il numero velocemente e attesi.
-Pronto?- Rispose una voce maschile.
-Ehm...pronto? Jake?- Balbettai impacciata.
-Si, sono io...chi parla?- Dalla sua voce trapelava una certa curiosità e una punta di impazienza.
-Non so se ti ricordi di me...sono Anna Collins. Abbiamo gioca...-
Lui non mi lasciò finire la frase e quasi mi bucò un timpano -Anna Collins! Oh mio Dio, sono secoli che non ti vedo! Come stai?-
Non mi aspettavo che si ricordasse di me e certo non avrei mai sperato in così tanto entusiasmo...fu come un'iniezione di fiducia e così mi rilassai.
-Sto bene. So che ti sembra strano che ti stia chiamando visto che come hai detto anche tu non ci vediamo da secoli...ma sono a Woodbourne adesso e...-
Mi interruppe di nuovo -Sei a Woodbourne? Da tua nonna?-
-Si, mi sono presa una pausa...- Giocherellavo con i fili d'erba vicino ai gradini dove ero seduta mentre parlavo -Ho avuto il tuo numero da tuo padre, in realtà lo ha avuto mia nonna...ma non ha importanza-
-Dobbiamo assolutamente vederci- Decise, e gli fui grata per averlo detto per primo, evitandomi di sembragli quella che elemosinava la compagnia di qualcuno.
-Certo- Sorrisi -Quando vuoi, io sono qui-
-Stasera! Sto uscendo adesso dall'ospedale, ho fatto la notte e sono distrutto...appena arrivo a casa dormo qualche ora e mi rimetto in sesto. Domani non lavoro quindi possiamo uscire con un altro paio di miei amici se per te va bene...-
Non chiedevo altro.
-Perfetto. Ti scrivo su whatsapp, così possiamo metterci d'accordo-
-Va bene, Anna Collins!- Era allegro, nonostante fosse appena uscito da una nottata in ospedale. Era il genere di persona di cui avevo bisogno in quel momento.
Ci salutammo e rientrai in casa molto più felice e rilassata di prima.
 
Alle otto e trenta in punto uscii, quasi cacciata dalla nonna che non vedeva l'ora che sloggiassi e facessi un pò di vita sociale. Fu quasi come quelle scene dei cartoni animati in cui il malcapitato viene buttato fuori dalla porta di casa con un calcio, seguito dalle proprie cose e un sonoro "E non azzardarti a tornare!".
Avevamo deciso che ci saremmo visti davanti ad un pub non molto lontano da li. Ricordavo dove fosse perchè ci ero stata parecchie volte da bambina con mio padre.
Guidai piano, non volevo arrivare per prima e aspettare qualcuno di cui non conoscevo nemmeno l'aspetto...fui sollevata nel vedere che davanti al locale in questione si era radunata una consistente quantità di gente, quando parcheggiai.
Forse avrei dovuto portare un cartello con scritto "Jake Sullivan" e passare davanti al pub con quello sollevato in aria, tipo aereoporto...come avrei fatto a riconoscerlo, o a farmi riconoscere?
Avanzai lentamente verso le persone radunate davanti all'entrata pentendomi amaramente di aver rifiutato l'invito di Jake di passarmi a prendere a casa.
Decisi di chiamarlo. Rispose dopo due squilli.
-Anna! Io sono qui davanti al pub, tu dove sei?-
-Ehm, in realtà sono qui anch'io- Risi, un pò a disagio.
-Mi sto sbracciando in questo momento, non puoi non vedermi!-
Mi guardai intorno e lo individuai: capii immediatamente cosa intendesse con quel "non puoi non vedermi". Era alto almeno un metro e novanta e indossava una camicia bianca che spiccava in mezzo alle altre persone, che erano prevalentemente vestite di scuro. E ovviamente si stava sbracciando. Agitai una mano e anche lui mi vide, iniziando a camminare verso di me.
-Ciao Anna!- Mi salutò allegramente prima ancora di avermi raggiunta.
-Ciao Jake- Fui contagiata dal suo buon umore e sorrisi.
Mi baciò entrambe le guance abbassandosi considerevolmente per farlo. Oltre che altro era anche magro, forse un pò troppo, tanto da poter essere considerato uno spilungone. In compenso aveva un viso molto bello, con labbra piene e occhi marrone scuro molto dolci. I capelli erano corti, biondo scuro.
Non appena si staccò da me non fece mistero del fatto che volesse verificare se fossi cresciuta bene o meno, perchè mi squadrò da capo a piedi e poi assunse un'espressione compiaciuta.
-Anna, sei bellissima! Non avrei mai pensato!- Rise e gli diedi una spinta, ridendo anch'io.
-Ma grazie!- Si, era il genere di persona di cui avevo bisogno in quel momento.
Il suo sorriso si spense dopo un attimo, però -Ho saputo di tua madre...mi dispiace così tanto- E mi abbracciò come se fosse la cosa più naturale del mondo.
-Grazie Jake...sto provando a lasciarmelo alle spalle-
Mi strinse per qualche istante ancora e poi mi guardò -Allora iniziamo da stasera. Vieni, ti presento i miei amici!- 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

Jessica era una ragazza minuta, con lunghi capelli scuri e ricci, e uno sguardo sbarazzino che fece si che mi fosse simpatica a prima vista. Dopo avermi presentato lei, Jake passò all'altro suo amico, Eric.
Gli strinsi la mano e gli sorrisi, un pò impacciata. Non ero abituata a conoscere così tanta gente nuova tutta insieme. Lui ricambiò il sorriso mettendo in mostra una serie di denti bianchissimi e perfetti.
Aveva capelli biondi un pò lunghi, che gli sfioravano la base del collo e dei begli occhi verdi. Non era molto alto, sarà stato pochi centimetri più di me.
-Così sei tornata in questo mortorio da tua nonna?- Mi chiese Jessica, mentre ci facevamo largo tra la gente all'interno del locale affollato.
-Non lo definirei proprio un mortorio, dai!- Risi, evitando all'ultimo secondo che qualcuno mi venisse addosso. Lei, che era dietro di me, mi battè un colpetto sulla spalle e mi indicò un tavolo in fondo alla stanza, nell'angolo. Misi la quinta e mi affrettai a raggiungerlo prima che qualcuno ce lo fregasse da sotto il naso. Quando fui seduta le sorrisi trionfante per essere riuscite in quell'impresa quasi impossibile e lei ricambiò il sorriso, prima di piombare a sedersi vicino a me. Agitò la mano per farsi vedere dai due ragazzi, che stavano arrivando in quel momento.
-Grandi!- Si complimentò Jake, prima di fermare una cameriera e ordinare una giraffa di birra da cinque litri.
"Ah", pensai. Volevano farmi ubriacare?
Non appena la giraffa arrivò insieme a quattro bicchieri enormi, presi la parola.
-Dobbiamo finirla tutta?- Chiesi, alzando lo sguardo per guardare l'enorme contenitore, pieno di birra fino all'orlo. Sul davanti c'era come un piccolo rubinetto, da cui potersi servire.
-Certo che dobbiamo. Non ti impressionare, saranno al massimo tre bicchieri a testa. Tre bicchieri enormi, si intende- Ridacchiò Eric, togliendosi la giacca.
-Quando sei arrivata?- Mi chiese Jake, giocherellando con le dita sul tavolo di legno.
-Ieri pomeriggio. Questo posto mi sembra esattamente uguale a come l'ho lasciato un secolo fa-
-Beh si, non succedono molte cose qui- Rispose lui mentre iniziava a riempire i nostri bicchieri.
-Dai Anna, raccontaci qualcosa di te, sei fidanzata?- Mi incalzò Jessica vicino a me, appoggiando il mento sulle mani.
Storsi il naso -No, non più...dopo un paio di mesi che mia madre si era ammalata, il ragazzo con cui stavo pensò bene di lasciarmi...-
Mi fissarono tutti e tre senza capire -Perchè?- chiesero quasi all'unisono.
Mi strinsi nelle spalle -Forse non ero più abbastanza divertente per lui-
Era veramente quello l'argomento di cui volevo parlare quella sera? Ero uscita per distrarmi, non per rimurginare sul mio passato disastroso.
-Bastardo- Sibilò Jessica -Non ci pensare, beviamo-
Le fui grata per aver scansato l'argomento e bevvi un generoso sorso di birra. Era gelida e un brivido di freddo mi oltrepassò tutta.
Mi guardai intorno mentre gli altri continuavano a parlare tra loro e notai ancora una volta quante persone ci fossero, e non era neanche il week end! Mentre passavo a rassegna parecchi volti senza ovviamente riconoscere nessuno, il mio sguardo si posò su un tipo in particolare. Se ne stava appoggiato al muro, da solo, con una birra in mano. Mi sporsi leggermente per vederlo in faccia e fui sorpresa nel riconoscerlo. Era il tizio che il giorno precedente era venuto ad aggiustare il lavandino a casa di mia nonna.
Lo guardai meglio, mentre lui invece aveva lo sguardo perso nel vuoto. Ebbi l'impressione che per lui non avrebbe fatto alcuna differenza se all'improvviso tutti noi fossimo scomparsi e fosse rimasto da solo nella stanza. Quel pensiero mi rattristò.
Come si chiamava? Non mi ricordavo.
-Conoscete quel tipo?- Chiesi a Jake e agli altri.
-Chi?- Si guardarono intorno.
-Aspettate, non giratevi subito...quello appoggiato al muro vicino alla finestra-
Appena ebbero capito a chi mi stavo riferendo, mi guardarono con un'espressione che era un misto tra il comprensivo e il divertito.
-Lancaster. Gideon Lancaster- Ridacchiò Jake, scolando quello che rimaneva della sua birra.
-E' solo il matto della città- Eric si strinse nelle spalle.
-E' venuto a casa di mia nonna ieri, per fare una riparazione. In effetti mi è sembrato un tipo strano...matto in che senso?- Chiesi, curiosa.
Jessica sbuffò -Non è matto. E' solo che gli piace starsene per i fatti suoi. Vive in una casa che ha praticamente costruito da solo giù a Holecreek...-
La guardai senza capire, così aggiunse -Vicino al torrente-
Annuii e visualizzai l'immagine del torrente di cui parlava Jessica. Era appena fuori dalla città, dove spesso i genitori avevano portato noi bambini a fare il bagno e a giocare, ricordai.
Jake scosse la testa e riprese -Jessica, è un pazzo furioso, dai. Non so cosa gli sia successo quando è stato via, ma io so che è partito in un modo ed è tornato in un altro...- Scosse la testa e guardò Eric, che ricambiò lo sguardo con un'espressione interrogativa e poi fece spallucce.
-Non è un caso se quasi tutti si tengono alla larga da lui- Iniziò -In fondo lui stesso non chiede altro che essere lasciato in pace, quindi perchè non farlo?- Alzò il bicchiere come per fare un brindisi e bevve.
Dal canto mio, ero parecchio confusa. -Ma cosa ha fatto per essere considerato in questo modo?- Insistetti.
-In pratica niente, ma il fatto che sia andato a vivere quasi in mezzo alla foresta e non rivolga la parola praticamente a nessuno fa riflettere...considerando che, almeno a quanto dice mio padre, era diverso prima di partire- Spiegò Jake.
-Partire per dove?- Ero sempre più curiosa, ma non mi sentivo a disagio nel ficcanasare, visto che loro sembravano più che ben disposti a speculare su quell'uomo.
-Non ne ho idea, so che finì di studiare e partì. Stette via qualche anno e quando tornò persino sua madre stentò a riconoscerlo...-
Jessica allungò il collo per vederlo meglio e io feci lo stesso. Represse un sorriso e mi diede una gomitata leggera.
-Quanti anni gli dai?- Mi chiese.
-Trentacinque?- Azzardai. Ne aveva sicuramente di meno, quella barba incolta ingannava.
-Fuochino. Trentadue e, Dio mi è testimone, se non fosse così strambo e non avessi paura che mi possa fare a pezzettini e usarmi per concimare il giardino ci avrei provato da un pezzo...- E scoppiò in una fragorosa risata, segno che l'alcool iniziava a farsi sentire.
Lasciai cadere il discorso, ma non ero d'accordo con loro. Insomma, il fatto che un uomo fosse strano, solitario, quasi muto e chissà quante altre cose non implicavano che dovesse per forza essere un pazzo omicida.
Rimurginai su quella storia per tutto il tempo, da quel momento in poi.
Non smisi nemmeno quando fui di nuovo a casa, un paio di ore dopo, con una considerevole quantità di alcool in corpo. Continuai a pensarci anche quando mi infilai a letto, ma ben presto caddi in un sonno profondo e svanì ogni cosa.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

-Smettila!- Risi mentre mettevo la freccia, giravo il volante e cercavo di mantenere il cellulare premuto sul mio orecchio, tutto nello stesso momento. Miracolosamente ci riuscii.
Era passata una settimana dalla serata al pub con Jake e i suoi amici. Dalla prima serata, perchè ce ne erano state altre, e proprio in quel momento stavamo prendendo accordi per organizzarne un'altra.
-Te lo giuro!- Sghignazzò lui -Eri illegale l'altra sera, con quella gonna!-
-Vorrà dire che dovrò fare attenzione alla polizia...- Ci stava provando o mi stava prendendo in giro? Decisi che non mi importava più di tanto e continuai -In ogni caso, fammi sapere ok? Ora sto guidando...meglio che attacchi prima che mi schianti!-
-Va bene, non voglio averti sulla coscienza, ci sentiamo!- Mi salutò, allegro come sempre.
-Ciao!- Gettai il cellulare sul sedile del passeggero e controllai la spesa che avevo appena fatto sullo specchietto retrovisore. Non si era ancora sparpagliata sul sedile posteriore e la busta era ancora in piedi.
"Notevole" pensai, mentre un sorrisetto mi si dipingeva sulle labbra. Mi sentivo particolarmente felice quel giorno. Oppure mi sentivo più felice in generale. Quel posto mi stava veramente facendo bene, come tanto avevo sperato?
Senza dubbio, la nonna non mi permetteva di starmene chiusa in casa a piangermi addosso, e cercava sempre di trovarmi qualcosa da fare. Quella mattina ad esempio, mi aveva spedita in un supermarket un pò fuori città per fare rifornimento di tutto ciò di cui c'era bisogno in casa e la mattinata era volata. Dovevo cercarmi un lavoretto comunque, e decisi che avrei iniziato il prima possibile.
 Dovevo anche inventarmi qualcosa per il compleanno della nonna, che sarebbe stato qualche settimana più tardi.
Un rumore abbastanza sinistro mi distolse da quei pensieri e la radio che iniziava a "friggere" all'improvviso mi fece accapponare la pelle. Pregando di non aver bucato, accostai lentamente più che potei e dopo aver controllato che non arrivassero macchine, scesi, continuando a pregare mentalmente.
"Ti prego, ti prego, ti prego..."
Non servì a molto, perchè non appena trovai il coraggio di guardare le gomme, mi accorsi immediatamente che quella anteriore dalla parte del passeggero era completamente a terra, e ovviamente non avevo alcuna idea di come si cambiasse una gomma.
Mi sfregai le mani sudate sulle cosce, così, per disperazione. Ero quasi arrivata, maledizione!
Imprecando, tornai verso lo sportello dal quale ero scesa e mi ci appoggiai contro, rassegnandomi al fatto che avrei dovuto aspettare che passasse qualcuno e chiedere aiuto.
Iniziai a spazientirmi quando, cinque minuti dopo, non era ancora passata una maledetta macchina. Possibile che fossi l'unica disgraziata ad essere passata di li quel giorno?
Guardai l'orologio, e finalmente udii il rumore di un'auto che si avvicinava.
Vergognandomi come una che aveva appena rubato in chiesa, feci un passo avanti e gli feci cenno di fermarsi, non appena fui sicura che avrebbe potuto vedermi.
Era un fuoristrada blu scuro, piuttosto sporco. Aveva bisogno di una pulita. In ogni caso, rallentò ed infine si fermò. Non riuscivo a vedere chi vi fosse all'interno, con il sole di mezzogiorno che rifletteva sul vetro e mi accecava.
Mi coprii gli occhi con la mano e feci qualche passo avanti. Quasi mi cadde la mascella a terra, quando dal fuoristrada scese Gideon. Mi fermai di colpo, bloccata da un timore improvviso. Con quello che mi avevano raccontato Jake e gli altri, non ero sicura di voler stare da sola con lui.
Lui non sembrò accorgersi di nulla e si avvicinò ulteriormente.
-Che succede?- Chiese, senza degnarmi di uno sguardo, e anzi concentrando tutta la sua attenzione sulla mia auto, qualche passo dietro di me.
Contrariamente, nonostante il mio timore, lo squadrai per bene prima di rispodere. Aveva il solito aspetto disordinato, anche se la barba era decisamente più corta rispetto alla prima volta che lo avevo visto; una camicia a quadri sui toni del rosso e un paio di jeans piuttosto vissuti. E quegli occhi tristi.
-Ehm, ho bucato, credo- Mi feci da parte per lasciarlo passare e quando mi ebbe superato mi sorpresi a guardargli il sedere. Scossi la testa e alzai lo sguardo.
-Tu dici?- Mi chiese, puntando finalmente gli occhi su di me e indicando la gomma completamente sgonfia.
-Puoi cambiarmela?- Ignorai l'ironia nella sua voce e mi torturai le mani, a disagio. Oltretutto faceva un caldo pazzesco a quell'ora, e non sapevo quanto avrei resistito ancora, sotto quel sole.
Non rispose, ma si diresse verso il portabagagli e lo aprì. Rimase li dietro per una manciata di secondi, per poi richiuderlo senza la minima grazia e riemergerne scuotendo la testa.
-Non c'è niente da cambiare...sai che non potresti viaggiare senza ruota di scorta?- Sembrava che stesse facendo un enorme sforzo a parlare con me.
Non seppi cosa dire, così guardai lui e poi la macchina con un'espressione che dovette apparirgli disperata, perchè mi disse -Vieni, ti accompagno io da Susan-
Spalancai gli occhi. Mi aveva riconosciuta allora? Ma, domanda ancora più importante, volevo salire in macchina con lui?
Rimasi li impalata a fissarlo mentre si dirigeva verso il fuoristrada e si voltava verso di me -Vieni o no?-
Avevo altra scelta? La nonna sembrava fidarsi di lui...mi affidavo al suo giudizio mentre prendevo la spesa, chiudevo la mia vecchia Golf e velocemente salivo in macchina con un uomo che quasi tutta la città considerava "strano".
-Non sapevo di non avere la ruota di scorta- Dissi appena partì, per evitare un silenzio che, almeno per me, sarebbe stato insostenibile, -Si occupava mia madre di queste cose...-
Lui annuì senza parlare, concentrando la sua attenzione sulla strada.
-Mi hai riconosciuta- Mormorai, riprovandoci. Era una missione impossibile avere una sorta di conversazione con quell'uomo?
-Si- Mi guardò per un breve istante e poi si girò nuovamente.
Esasperata e imbarazzata, optai per un semplice -Grazie comunque-
Lui sorrise impercettibilmente e inaspettatamente parlò -Non ringraziarmi. Ringrazia tua nonna-
Inarcai un sopracciglio -Perchè?-
-Perchè è una donna gentile. Non mi sarei fermato se non fossi stata sua nipote- Rispose seccamente.
Quella risposta mi spiazzò e non seppi cosa replicare, quindi mi limitai a studiare il suo profilo perfetto, il naso dritto e la mascella volitiva coperta dalla barba scura. I capelli gli ricadevano ancora sulla fronte, un particolare che lo rendeva sì disordinato, ma anche incredibilmente sexy. Scossi la testa per la seconda volta da quando lo avevo davanti.
-Cosa fai per vivere?- Mi uscì tutto d'un fiato.
Lui mi guardò sorpreso, puntandomi addosso quegli occhi di ghiaccio, poi si strinse nelle spalle e infine distolse lo sguardo da me.
-Il serial killer, ovviamente- Rise senza allegria, riferendosi probabilmente a quello che si diceva di lui in giro.
-Il serial killer di notte- Scherzai -E di giorno?- Mi tranquillizzai quando lo vidi ridere di nuovo.
-Di giorno faccio lavoretti qua e la, come mi hai visto fare a casa vostra. Ma principalmente costruisco mobili, anche se i miei affari non si concentrano qui-
-Quindi sei una specie di falegname?- Gli chiesi, mentre entravamo in città.
-Una specie...- Sospirò lui, mentre svoltava a sinistra e si immetteva nel nostro viale alberato.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6

-E quindi sei tornata a casa con lui?!- Jessica sgranò gli occhi e mi strinse leggermente il braccio, agitandosi sulla sedia. Non aveva toccato la sua birra per tutta la durata del mio racconto, segno che ero veramente riuscita a catturare la sua attenzione. Mi strinsi nelle spalle, e lasciai vagare lo sguardo all’interno del pub, meno pieno del solito quella sera.
-Beh, si. Non potevo certo restarmene li in strada…- Sorrisi a Jake che mi sedeva di fronte, ma lui non ricambiò il sorriso e mi guardò con un’espressione preoccupata.
-Jake? Cos’hai?-
-Niente…sono solo sorpreso- Rispose, tracciando con le dita le venature del tavolo in legno.
Rimasi in silenzio, in attesa che continuasse. Dopo qualche secondo alzò lo sguardo e sbuffò, senza però aggiungere altro. Lo avevo rincontrato solo da pochi giorni, ma ci avevo messo poco a inquadrarlo e sapevo che tentava di nascondere il suo malumore, che avevo captato già prima del mio racconto su Gideon. Un istante dopo si alzò e, schivando un paio di persone si diresse verso la porta. Mi scusai con Jessica e lo seguii fuori.
Non appena mi lasciai la porta alle spalle, il mio respiro iniziò a formare nuvolette di condensa, nonostante giugno fosse dietro l’angolo. Mi maledissi per non aver preso qualcosa per coprirmi ma puntai verso Jake, che era appoggiato ad un’auto a pochi metri e si stava accendendo una sigaretta.
Lui mi guardò attraverso il fumo -Che c’è?-
-Dimmelo tu- Risposi, appoggiandomi alla stessa macchina.
-Oddio, Anna…sentirvi così entusiaste parlando di quel pazzo…mi ha dato sui nervi, tutto qui!- Sbottò lui, alzando leggermente la voce.
Ci rimasi male, inutile negarlo. Non riuscivo a spiegarmi il perché di quella reazione esagerata.
-Non mi sembra di avere sprizzato entusiasmo da tutti i pori- Mi difesi.
Lui borbottò qualcosa di insensato e scosse la testa, tirando dalla sigaretta.
Mi staccai dalla macchina e decisi che non mi andava di indagare oltre, visto che a quanto pareva non aveva altro che una serataccia.
-Chiamami quando ti sarà passata la sindrome premestruale-
 
Quella notte, per la prima volta da quando ero a Woodbourne, sognai mia madre.
 
Il mattino seguente fui svegliata a suon di “Panic Station” dei Muse. Il mio cellulare che squillava.
Pensai e forse borbottai un paio di frasi non molto carine e storsi il naso quando lessi il nome di Jake sul display.
-Pronto- Risposi lasciando ricadere la testa sul cuscino e osservando il soffitto.
-Anna. Io…non so come chiederti scusa per ieri sera- Disse lui lentamente.
-Lo stai già facendo…- Osservai il sole filtrare dalla finestra e ringraziai il cielo che fosse una bella giornata. -Solo rimani a casa la prossima volta che vuoi fare l’acido-
-Hai ragione. Ho avuto una giornata no ieri, su tutta la linea-
Mi tirai su e mi girò un po’ la testa –Qualcosa di grave?-
-No, per fortuna. Solo il lavoro…a volte gli orari sono quelli che sono e mi ritrovo a dormire troppo poco. E divento un po’ stronzo quando non dormo- Risacchiò.
Risi anch’io scendendo dal letto e dirigendomi in bagno, ascoltandolo poi mentre mi raccontava altri particolari sui suoi orari di lavoro all’ospedale.
Sgranai un po’ gli occhi quando mi guardai allo specchio; profonde occhiaie violacee mi incorniciavano lo sguardo in modo decisamente poco carino. In quel momento ricordai di aver sognato mia madre.
-Anna? Ci sei?- Mi chiamò Jake al telefono.
-Oh, si scusami. Mi ero imbambolata a fissare le mie occhiaie allo specchio. Cosa stavi dicendo?-
-Che penso di averti trovato un lavoro-
 
-Ma che splendida notizia, cara!- La nonna agitò la forchetta in segno di trionfo e mi abbracciò.
-Nonna…non è ancora deciso niente…devo incontrare Jeff domani. Tra l’altro mi avevi detto che era un dottore, non un dentista!- Osservai, prendendo una mela dalla fruttiera posizionata al centro del tavolo.
-Dottore in scienza dentale!- Rispose lei prontamente, per poi ammettere -D’accordo, doveva essermi sfuggito-
Risi e addentai la mela, per poi proseguire a bocca piena –Spero di piacergli-
-E perché non dovresti, santo cielo!- E detto questo, mi riempì il piatto di cibo, come se la mela che stavo mangiando non contasse come colazione.
Mentre giocavo con il cibo, lei mi sedeva di fronte sorseggiando il suo caffè.
-Se andasse bene, avrei trovato un lavoro senza neanche cercarlo-
-Jake è un ragazzo d’oro, è stato molto carino ad aver pensato a te- E mi fissò con un sorrisino esplicito.
-No, nonna! Non farti idee strane, io e Jake siamo solo amici-
-Ah. Peccato- Rispose tornando a sorseggiare dalla tazza fumante.
 
"Studio dentistico- Dott. Jeffrey Lancaster" recitava la targa dorata vicino alla porta in legno. Sentii un famigliare rossore salirmi sulle guance mentre suonavo il campanello e mi preparavo ad apparire il più disinvolta possibile.
La porta si aprì ed apparve una donna che mi sorrise immediatamente e mi invitò ad entrare. Era alta più o meno quanto me, co i capelli neri tagliati in un caschetto un po’ irregolare e un bel pancione che rispondeva da solo a parecchie domande che mi erano veniute in mente da quando Jake mi aveva parlato di quella possibilità lavorativa.
Percorremmo un breve corridoio, sulle cui pareti verde chiaro erano appesi attestati e poster con su disegnati denti sorridenti e cose del genere.
-Jeff si libererà tra poco. Mi chiamo Molly, tu devi essere Anna- Mi sorrise facendomi segno di sedermi nella luminosa sala d'aspetto a cui si accedeva a metà del corridoio.
Le strinsi la mano prima di sedermi e poi mi accomodai su una delle numerose sedie, e lei fece lo stesso.
-Jake mi ha parlato di te-
Notò la mia aria sorpresa, perchè precisò immediatamente -Oh, io e Jake siamo cugini!-
Annuii –Mi ero dimenticata di quanto fosse piccola questa città-  Le sorrisi –Non sai quanto mi farebbe comodo ottenere questo lavoro…odio starmene con le mani in mano- Pensai a quanto mi ero data da fare destreggiandomi tra lavoro e università l’anno prima, quando la mamma stava male, e a quanto invece mi sentissi inutile in quel momento.
-Stai tranquilla, il posto è già praticamente tuo, almeno finchè io sarò in maternità- Si toccò il pancione e sorrise beatamente.
-Non dovrei comunque trattenermi così a lungo…- Sobbalzai al suono di una porta che si apriva e mi bloccai.
-Ecco Jeff- Mi informò Molly, mentre ci alzavamo entrambe. Un breve suono di passi precedette la comparsa di un uomo alto in camice bianco, che si fermò sulla soglia della porta della stanza dove ci trovavamo e mi sorrise.
-Tu devi essere Anna- Si avvicinò, sovrastandomi completamente nel suo abbondante metro e ottanta e mi porse la mano.
-Sono io- Sorrisi e lo osservai; era un bell’uomo, aveva capelli neri tagliati corti e occhi marrone scuro. Completamente sbarbato. Mi ricordava qualcuno.
-In realtà penso che ci siamo già conosciuti, quando eravamo bambini, giusto?- Continuò lui.
-E’ possibile, si. Ho passato molte estati qui a Woodbourne- Solo in quel momento mi tornò in mente che Jeff era il fratello di Gideon, quando lui accennò al fatto che probabilmente avessimo giocato insieme da piccoli. In un istante mi balenò in testa la conversazione avuta con la nonna il pomeriggio in cui ero arrivata.
In quel momento nel corridoio passò un ragazzino dall’aria afflitta, che entrò nella stanza e lo salutò, per poi andarsene con una certa fretta. Notai che in bocca teneva un cotoncino.
Jeff ridacchiò guardando Molly che sorrise a sua volta –Povero Jason. I denti da latte non gli cadono da soli, e una volta al mese è costretto a farci visita. Ora vi lascio soli…buona fortuna Anna-
E scomparve dietro l’angolo.
Jeff mi sorrise -Vogliamo andare nel mio studio?-
 
 
Ragazze, una piccola richiesta. Ricevo tantissime visite e molte persone hanno messo la storia tra le preferite e le seguite...ma purtroppo ricevo pochissime recensioni...mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensate, qualsiasi parere è più che ben accetto, ve l’assicuro! Qualsiasi consiglio...mi spronerebbe anche a continuarla! Grazie comunque a tutte :)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

Qualche giorno dopo, fresca di un paio di prove fatte insieme a Molly, mi ritrovai stabilmente seduta dietro la piccola scrivania di metallo che occupava la maggior parte dello spazio nella stanzetta adibita a studio della segretaria del Dottor Lancaster. Jeff; come mi aveva ripetuto più volte di chiamarlo.
Si trattava in sostanza di rispondere al telefono e ricevere i pazienti una volta usciti dallo studio di Jeff, per prendere un nuovo appuntamento semmai ce ne fosse stato bisogno. Dal lunedì al venerdi, dalle 9 alle 12 o dalle 16 alle 19, a giorni alterni.
-Per qualsiasi cosa, sono nel mio studio Anna- Mi disse Jeff -Ah, dovrebbe venire una ragazza tra poco, Sarah. Non avvertirmi appena arriva, falla entrare direttamente-
-Certo- Gli sorrisi e mi finsi disinvolta finchè non ebbe girato i tacchi, per poi tirare un sospiro di sollievo e rilassarmi sulla sedia.
La sera prima Jake e Jessica mi avevano chiamato per augurarmi buona fortuna, ed ero stata incredibilmente ottimista e sicura di me fino a quel momento, ma non appena avevo messo piede nello studio quella mattina, non ero stata più sicura di niente. Neanche di saper rispondere al telefono.
Scossi la testa e mi misi a controllare gli appuntamenti che Molly aveva segnato per quel giorno. Sarebbe stata una mattinata piuttosto piena.
Sobbalzai quando sentii suonare alla porta, per poi alzarmi un momento dopo. Mi lisciai la camicetta bianca a maniche corte che avevo scelto di indossare e mi strinsi un po’ la coda di cavallo con cui avevo raccolto i capelli, nel disperato tentativo di avere un’aria vagamente professionale e mi diressi verso la porta.
Fu più facile del previsto, sorrisi alla ragazza e la accompagnai fino alla porta dello studio di Jeff, per poi farla entrare. Un gioco da ragazzi.
 
Alle 11.30 entrò l’ultimo paziente, e potei ritenermi soddisfatta di me stessa. Il telefono aveva squillato un paio di volte, e anche in quel frangente me l’ero cavata bene, quindi il bilancio del mio primo giorno di lavoro non poteva che essere positivo.
Stavo per tornare nella mia minuscola stanzetta, quando il campanello suonò di nuovo. Non risultavano altri pazienti per quella mattina, forse Molly si era dimenticata di dirmi qualcosa?
Aprii la porta e mi ritrovai davanti Gideon. Guardava a terra nel momento in cui spalancai la porta, e non appena li alzò e mi vide li spalancò leggermente.
-Che ci fai qui tu?- Domandò accigliandosi.
-Ci lavoro. E’ il mio primo giorno, a dire il vero…- Spostai il peso da un piede all’altro, a disagio, mentre sembrava scrutarmi con quegli occhi assurdamente freddi.
-Mio fratello è impegnato?-
-E’ con un paziente, si-
-Hai intenzione di lasciarmi entrare?- Chiese, senza l’ombra di un sorriso. Sarebbe andato bene anche un sorrisetto sarcastico. Qualunque cosa che lo facesse sembrare umano.
Mi scostai per lasciarlo passare e lui mi superò senza tante cerimonie, per poi accomodarsi nella sala d’attesa.
Una volta seduto, non mi degnò più di uno sguardo, concentrandosi invece su una delle tante riviste appoggiate sul tavolino in vetro alla sua destra. Quanto a me, rimasi sulla porta per qualche secondo, ancora una volta disarmata dalla sua freddezza. Avrei giurato che dopo l’ultima volta avessimo fatto qualche minuscolo passo in avanti, mentre da parte sua sembrava che ne avessimo fatti parecchi indietro. Ero terribilmente incuriosita da lui, ma allo stesso tempo ero intimorita e non sapevo quale fosse il limite che non dovevo oltrepassare con lui.
Lo osservai: indossava una t-shirt bianca e i soliti jeans logori. La barba era nuovamente cresciuta, il che lo rendeva disordinato come la prima volta che lo avevo incontrato a casa della nonna.
Improvvisamente alzò gli occhi e io distolsi immediatamente lo sguardo, per poi incrociare le braccia al petto.
-Devo dire al Dottor Lancaster che sei qui?- Gli chiesi, con finta noncuranza.
-No, ho detto a Jeff che sarei passato-
Annuii, aspettando che tornasse a ignorarmi. Invece lui piantò gli occhi su di me e sembrò soppesare qualcosa per qualche secondo, prima di parlare di nuovo.
-Come sta Susan?- Posò la rivista sul tavolo e si rilassò sulla sedia, incrociando le braccia al petto e appoggiando un piede sul ginocchio. Per la prima volta sembrava una persona normale.
Feci qualche passo avanti. Se volevo scalfire la sua corazza, quello era il momento giusto.
-Sta bene- Mi sedetti vicino a lui, che si ritrasse impercettibilmente. Lo notai, ma feci finta di niente.
-Ultimamente non si sono più rotti rubinetti a casa nostra- Gli sorrisi, sperando che lui facesse altrettanto. Dopo un attimo sollevò un angolo della bocca, e un istante dopo sorrise anche con gli occhi.
Era così bello che quasi mi mancò il fiato. Quel sorriso aveva rivelato una serie di denti bianchissimi, e non per merito di suo fratello. Quell’uomo doveva sorridere di più, decisamente.
-E’ una casa vecchia- Continuò lui –Prima o poi si romperà qualcos’altro-
“Speriamo presto” Pensai.
-Perché sei tornata qui?- Era tornato serio, e quella domanda mi spiazzò.
Mi raddrizzai sulla sedia -Ehm, è una storia lunga…-
-Ho tempo. Lo senti il trapano?- Mosse la testa in direzione dello studio, dal quale proveniva il sinistro rumorino che tanto spesso si sente negli studi dentistici. –Jeff avrà da fare per un bel pò-
E detto questo restò in attesa che dicessi qualcosa. Avevo intenzione di scoprire qualcosa di lui, e tutto a un tratto era lui a scoprire qualcosa di me.
Sospirai. –Sono qui da un paio di settimane. Non tornavo a Woodbourne da tantissimi anni…ma da quando mia madre è morta, cinque mesi fa…- La voce mi tremò leggermente, mi fermai un istante e continuai –Non riuscivo ad andare avanti…non riuscivo a lasciarmi alle spalle tutta quella sofferenza. Così ho pensato che venire qui, cambiare aria…mi avrebbe fatto bene. E in effetti sto già molto meglio, almeno credo-
Lui annuì e distolse lo sguardo da me -Mi dispiace per tua madre-
-Grazie…-
-A volte cambiare completamente posto è quello che serve per chiudere un capitolo della vita, e cercare di aprirne un altro…- Sembrava parlare più a se stesso che con me, e in effetti quella frase mi riportò alla mente ciò che Jake e gli altri mi avevano detto di lui una sera. Non era stato via per tanto tempo, per poi ritornare praticamente irriconoscibile?
-Già. E’ quello che sto provando a fare-
Annuì ancora, assente. Chissà dov’era in quel momento con la mente.
-Dove sei?- Gli chiesi, prima di rendermene conto.
Lui girò di scatto la testa e mi incatenò di nuovo con gli occhi –Cosa?-
Mi maledissi mille volte, ma ormai c’ero dentro e dovevo parlare. –Con la mente, dov’eri?- Cercai di mantenere un tono di voce amichevole, il più normale possibile.
-In posti dove non ti piacerebbe andare-
A quella risposta sentii il sangue gelarsi nelle vene, ma fui salvata dal suono della porta dello studio che si apriva e poi da lui stesso, che si alzò e uscì dalla sala d’attesa.
Non appena trovai la forza di alzarmi, mi precipitai nella mia stanzetta e diedi la data del nuovo appuntamento all’ometto che era appena uscito, per poi rimanere sola e stordita.
Sentii Jeff e Gideon parlare, ma non riuscii a distinguere cosa si stessero dicendo. In quel momento volevo solo tornare a casa.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8

Mi sbattei rabbiosamente la porta di casa alle spalle -Nonna?-
Entrai in cucina e abbandonai la borsa sul tavolo, notando all’ultimo il piccolo biglietto vicino alla fruttiera.
“Spero che il primo giorno di lavoro sia andato bene!
Torno tra poco”
Dove era andata? Avevo un disperato bisogno di parlare e lei non c’era, dannazione. Sbuffai e salii le scale due alla volta, per poi entrare in camera mia e buttarmi sul letto, che emise un rumore piuttosto sinistro quando ci piombai sopra.
Ma chi diavolo si credeva di essere quel tizio?
“In posti dove non ti piacerebbe andare” aveva detto. Ma che razza di risposta idiota era? Se voleva spaventarmi ci era riuscito. Ora capivo perché tutta la città lo considerava uno squilibrato!
Mi ero sentita così umiliata che se non mi avesse fatto la grazia di alzarsi e andarsene lui stesso avrei scavato una buca nel bel parquet di suo fratello e ci avrei ficcato la testa dentro.
Mi alzai di scatto e afferrai il cellulare digitando il numero di Jake.
-Anna?- Rispose lui.
-Jake- In quell’istante mi resi conto che non avevo idea del motivo per il quale lo avessi chiamato. Mi era solo sembrata una bella ripicca alla faccia di Gideon, che tra parentesi non lo avrebbe mai saputo e al quale molto probabilmente non sarebbe importato niente. Mi sentii una perfetta idiota.
-…allora? Com’è andata??- Mi incitò lui, visto che me ne rimanevo zitta.
Gli raccontai la parte bella, ovviamente saltando di sana pianta il discorso “Gideon”.
Non appena chiusi la telefonata mi arrivò un sms da Jessica. Le risposi e in quel momento udii la porta di casa aprirsi.
 
Fissai il braccialetto d’argento per qualche secondo e poi abbracciai la nonna.
-Non ce n’era bisogno, davvero…- Mormorai ricacciando indietro le lacrime. Quel braccialetto era straordinariamente simile a quello che avevo regalato alla mamma pochi giorni prima della sua morte. Lei mi aveva detto che non voleva separarsene mai, e in effetti l’avevamo seppellita con il braccialetto addosso.
-Sciocchezze, è solo un pensiero. Per il tuo primo giorno da segretaria- Mi asciugò una lacrima che era riuscita a fare capolino tra le mie ciglia e mi fece l’occhiolino. Dopodiché me lo assicurò al polso e assunse un’espressione soddisfatta.
-Grazie nonna- Le diedi un bacio sulla guancia e iniziai ad apparecchiare la tavola mentre lei si mise ai fornelli.
-Per caso…- Mi bloccai, mordendomi la lingua. Volevo veramente parlarne con lei? Non sarebbe stato meglio farlo con Jessica magari? Non ne ero sicura.
Si voltò -Cosa?-
Ridacchiai nervosamente e mi appoggiai al tavolo -No, è che mi chiedevo…come mai Gideon è così…strano?-
-Strano?- Ripeté lei.
-Beh, si insomma…come mai tutti pensano che sia strano?-
-Non lo so di preciso. Da quando ti interessa quello che pensa la gente?- Si girò completamente e si passò le mani sul grembiule.
-Non è per quello- Alzai gli occhi al cielo e mi sentii vagamente esasperata –Oggi è venuto allo studio…e non credo che si comporti come una persona normale si comporterebbe. Ho cercato di parlare con lui, ma non lascia che nessuno gli si avvicini-
Mi scrutò per qualche secondo –Ti interessa Gideon, Anna?-
-No- Risposi troppo velocemente e me ne pentii subito –No. Volevo solo parlare, come fanno le persone- Giocherellavo con un bicchiere mentre parlavo.
-Non devi toccare certi argomenti con lui. Devi essere molto più cauta che con qualunque altra persona- Sembrava avesse paura a parlare, perché esitò quasi ad ogni parola. Questo non fece che aumentare la mia curiosità.
-Perché? E’…pericoloso?- Posai il bicchiere sul tavolo e trattenni il fiato.
-Gideon non è pericoloso. Ma la vita non è stata gentile con lui. Forse è meglio che tu gli stia lontana, tesoro- Mi disse dolcemente, come per convincermi a lasciar perdere. Era così evidente quindi? Era così palese il mio interesse per lui?
Annuii e lasciai che cambiasse discorso, ma mi si era chiuso lo stomaco e qualunque cosa stesse bollendo in pentola era diventata molto meno invitante rispetto a qualche secondo prima.
 
La conversazione con la nonna non aveva praticamente portato a niente, se non a farmi quasi completamente saltare il pranzo. Quel poco che avevo mangiato era stato grazie alle sue affettuose minacce.
“Meglio lasciar perdere tutto” Mi dissi, mentre camminavo accanto a Jessica ed Eric, che stavano parlando di profumi.
-Si, si chiama “Si”- Rise Jessica. La serata doveva ancora iniziare, e lei sembrava già ubriaca.
-Ah si?- La prese in giro Eric, che non riusciva a smettere di ridere. La sua risata risultava particolarmente contagiosa, perché mi ritrovai a ridere anch’io.
-Si!- Jessica piangeva dal ridere, quando avvistammo Jake davanti al solito pub in cui ci vedevamo ormai quasi tutte le sere.
-Che avete da ridere?- Ci apostrofò non appena fu sicuro che lo avremmo sentito. Era particolarmente bello quella sera. Notai che forse aveva preso due o tre chili rispetto a quando lo avevo rincontrato per la prima volta, e non potevano che stargli bene. Non sembrava più tanto spilungone.
-E’ una cosa talmente idiota- Jessica si asciugò le lacrime.
-Eh si- Eric non demordeva, e questo la fece ridere ancora di più. Quando finalmente riuscì a smettere di rivolse a me –Mi è colato il trucco?-
Scossi la testa e le scompigliai un po’ i capelli ricci –Sei perfetta-
-Sarà meglio che siate tutte perfette, perché stasera andiamo a ballare- Fece Jake, con un sorrisetto.
“Cosa!?”
Non andavo a ballare da anni. In realtà non mi era mai piaciuto molto.
-A ballare dove?- Chiesi, senza molta convinzione.
-Al Matrix; ad una ventina di chilometri da qui- E tirò fuori quattro biglietti –Ho quattro omaggi-
Jessica sembrava felicissima ed Eric più di lei. Io ero indecisa. Non ero neanche vestita in modo adatto…
-Potevi anche dircelo prima…- Mormorai mettendo il broncio.
-Che noia Anna! Non devi neanche lavorare domattina. E in più sei perfetta-
-Che ne sai che non devo lavorare?- Gli chiesi incrociando le braccia.
-Lo so e basta- Mi strizzò l’occhio e ci porse un biglietto omaggio per uno -Non li perdete-
 
Un’ora dopo ero parecchio alticcia. Eric e Jake avevano fatto testa o croce su chi dovesse prendere la macchina e quindi rimanere sobrio ed Eric aveva perso.
Lo osservai mentre sorseggiava un cocktail analcolico con un’aria depressa e mi venne da ridere.
-Dai Eric, non serve per forza bere per ditervirsi!-
Lui scoppiò a ridere -Da che pulpito! Sei entrata nella fase ”dislessia portami via”, Anna?-
-Niente affatto- Mi alzai e, cercando di non apparire sbronza, raggiunsi Jessica che stava fumando fuori.
-Uhm, non sono sicura di essere vestita in modo consono- Mi lamentai. Indossavo dei leggins neri e una camicetta lunga bianca a pois neri. E dei semplicissimi stivali neri.
-Che paroloni- Rise sguaiatamente, segno che era sbronza anche lei –Sei bellissima. Vorrei poter essere come te senza dover passare ore a prepararmi!-
Le diedi una finta gomitata e feci per replicare, ma mi bloccai non appena vidi Gideon che si dirigeva verso l’entrata del pub, dove mi trovavo io.
Trattenni il respiro mentre si avvicinava sempre di più, aspettando che alzasse quei maledetti occhi e mi vedesse. Chissà come si sarebbe comportato, dopo la scena di poche ore prima.
Finalmente smise di fissare l’asfalto. L’alcool mi rese audace, e quando piantò i suoi occhi nei miei non distolsi lo sguardo, ma sostenni il suo con ostinazione.
Quando mi passò vicino, il suo tono di voce fu straordinariamente basso -Anna-
Non risposi, e solo quando fu entrato mi riscossi e mi voltai verso Jessica, che mi stava fissando.
-Sbaglio o ti ha salutata?- Il sopracciglio le faceva su e giù in uno spasmo involontario, mentre tentava di trattenere non so cosa.
-Ehm, beh…si, credo- Mormorai.
Solo allora esplose in un’altra risata e mi prese per le spalle scuotendomi tutta.
-Anna, gli piaci!- Cantilenò continuando a scuotermi come una forsennata. Dio, se era ubriaca!
Mi tolsi quelle sue piccole, fastidiose manine di dosso e mi ricomposi –Ma che dici…dai, torniamo dentro-
Feci per rientrare, ma sbattei contro qualcosa, o qualcuno.
-Posso parlarti un attimo?- Feci un passo indietro e alzai lo sguardo di una ventina di centimetri per ritrovarmi nuovamente occhi negli occhi con Gideon. Deglutii.
Mi voltai verso Jessica, che aveva gli occhi grandi come due arance. Mi fece un sorrisetto tirato, per poi sgattaiolare all’interno del locale. La vidi correre verso Jake e Eric agitando le braccia come una pazza. Perfetto…quanto la odiai in quel momento.
Feci un paio di passi indietro, in modo da non farmi venire il torcicollo per guardarlo in faccia e aspettai che dicesse qualcosa.
Mi scrutò per qualche interminabile istante.
-Non ho intenzione di chiederti scusa per oggi-
Non potevo credere alle mie orecchie.
-Bene. Allora che vuoi?- Risultai eccessivamente acida persino alle mie orecchie, ma lui non sembrò farci caso o comunque non ci diede peso.
Lui sospirò e si sfregò la barba –Non ho intenzione di chiederti scusa per oggi. Voglio chiederti scusa per come mi sono comportato non solo oggi, ma in tutte le occasioni in cui ci siamo parlati, Anna-
Rimasi senza parole. Non sapevo cosa dire; in compenso arrossii violentemente e pregai che non lo notasse, visto che eravamo relativamente al buio.
-Io…- Iniziai, ma lui mi interruppe.
-Non sono abituato a persone come te. Sono abituato all’indifferenza…- Rise amaramente e abbassò lo sguardo. I capelli scuri gli ricaddero sulla fronte e quando alzò nuovamente lo sguardo fui certa che quello fosse l’uomo più bello e triste che avessi mai conosciuto.
-Sono abituato a essere guardato con diffidenza, con paura, con disprezzo. Oppure con compassione. Come mi guarda tua nonna. Ma non sono abituato a te- Mi incatenò con quegli occhi disarmanti e freddi, e mi sentii improvvisamente lucida.
-Cosa ho fatto?- Fu l’unica cosa che mi venne in mente di chiedergli.
Si avvicinò di un passo e cercai di non indietreggiare.
Fece per rispondere ma una voce alle sue spalle lo precedette.
-Che succede qui?- Jake uscì dal pub e si frappose tra me e Gideon. Con mio grande disappunto.
-Jake- Provai a spostarlo, ma non lo mossi di un centimetro -Va tutto bene-
Che diavolo voleva? Proprio adesso che stavamo parlando veramente! Provai l’impulso di urlare ma in qualche modo mi trattenni.
-Jake, va tutto bene- Ripetei, toccandogli il braccio
Finalmente si voltò verso di me -Anna, se ti stava infastidendo devi dirmelo-
Spalancai gli occhi, “Cosa?!”
Gideon alzò gli occhi al cielo e sbuffò, battendosi le mani sulle cosce.
-Jake, non mi stava infastidendo! Lo conosco, ok? Stavamo solo parlando-
La sua espressione passò dalla rabbia alla totale disapprovazione. La delusione gli si leggeva in faccia, insieme a qualcos’altro. Gelosia?
Scosse la testa e tornò a guardare Gideon, che non aveva detto una parola. Fece per dirgli qualcosa, ma poi cambiò idea e tornò dentro, non senza avermi prima trafitto con lo sguardo.
Scossi la testa, incredula -Io…Mi dispiace…-
-Forse è meglio lasciar perdere- E senza dire altro se ne andò.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9
-Cosa ti ha fatto pensare di avere il diritto di fare quello che hai appena fatto?!- Morivo dalla voglia di prendere Jake a sberle, visto lo stato di totale isteria in cui ero in quel momento.
Eravamo all’esterno del pub, nello stesso punto dove poco prima mi trovavo con Gideon.
Lui si strinse nelle spalle -Ho solo pensato che quello squilibrato ti stesse dando fastidio. Non mi sembra il caso di farne una tragedia-
-Pensi che sarei rimasta qui come una cretina, se fosse stato così? So badare a me stessa, e so giudicare le persone, cosa di cui tu non mi sembri tanto capace- Mi morsi la lingua. Avevo parlato troppo.
Jake sgranò leggermente gli occhi e si avvicinò a me di un passo –Che stai dicendo? Anna, non so cosa ti stia frullando per la testa- Mi prese il viso tra le mani e automaticamente mi irrigidii -Ma non devi parlare con quello, ok?-
-Jake- Posai le mie mani sulle sue e provai ad usare un tono di voce il più dolce possibile -So quello che devo fare-
-A quanto pare no!- Si scostò bruscamente e iniziò a camminare avanti e indietro mentre gesticolava animatamente -Gideon Lancaster vive in una specie di capanna a Holecreek, da solo. Non si taglia la barba da…non lo so, credo cinque anni. Non rivolge la parola a nessuno tranne che alla sua famiglia  presumo e quando tornò da Dio solo sa dove ridotto ad una specie di zombie, a sua madre per poco non prese un colpo! Francamente non so cosa esca a fare da quella specie di tana che si è costruito! –
Mancava solamente che iniziasse a battere i piedi, poi gli avrei messo in mano un bel lecca lecca e una macchinina giocattolo.
-Jake, ti stai rendendo ridicolo- Mi limitai a commentare.
-Certo- Fece per rientrare, ma evidentemente ci ripensò, perché si voltò e disse -E’ pericoloso. Chiedi a tua nonna, lei sa-
Sentii il sangue defluirmi dal viso. La serata era terminata.
 
 
“Chiedi a tua nonna, lei sa”.
Ma che ne sapeva Jake se mia nonna fosse o meno a conoscenza di qualcosa?
Oltretutto lei stessa mi aveva detto di non sapere niente di preciso…mi aveva mentito? Ma cosa c’era di tanto orribile da non poter essere detto su quell’uomo? Dove diavolo era stato? E soprattutto, che cosa era successo?
 
 
Mi sciacquai il viso e osservai la mia immagine riflessa allo specchio. Erano le nove del mattino seguente.
Non avevo dormito granchè e il motivo era soltanto uno. Non avevo fatto altro che pensare a quello che mi aveva detto Jake. Dovevo parlare con la nonna?
Osservai le profonde occhiaie scure che mi cerchiavano gli occhi, “No, meglio lasciar perdere per ora”. La curiosità mi divorava, curiosità mista a paura. Ero terrorizzata da ciò che avrei potuto scoprire.
 
Quel pomeriggio al lavoro non feci altro che guai, sbagliai un paio di volte a segnare gli appuntamenti e il risultato finale fu un calendario pieno di cancellature e disegnini idioti, che avevo fatto mentre ero altrove con la testa. Verso le 18:30 Jeff uscì dal suo studio e si fermò davanti alla mia porta.
-Puoi andare Anna. Per oggi abbiamo finito, l’ultimo appuntamento è saltato- Si massaggiò le mani, sembrava parecchio stanco.
-Niente di grave spero- Risposi mentre mi alzavo dalla sedia e raccoglievo le mie cose, felice di tornare  a casa mezz’ora prima.
Lui rise –Oh no, credo si sia trattato di un attacco di fifa last minute-
Lo osservai, a primo impatto non somigliava a Gideon, ma se lo si guardava bene ci si accorgeva che avevano la stessa bocca, la stessa espressione quando ridevano. Avevo visto Gideon “ridere” un paio di volte, sorridere più che altro, ma fu una cosa che notai comunque.
Parlammo del più e del meno per altri cinque minuti e poi ci salutammo.
Faceva piuttosto caldo quel giorno, e c’era ancora molta luce. Giugno era il mio mese preferito. Mi sentii improvvisamente di buonumore e mi sciolsi i capelli che prima avevo raccolto in una coda alta.
Non appena fui salita in macchina abbassai il finestrino e accesi la radio; in molti si giravano nella mia direzione quando sentivano la musica che proveniva dall’abitacolo, ma non mi importava. Storsi il naso quando giunsi al solito semaforo che, ovviamente, non poteva che essere rosso. Abbassai il volume, mi  fermai e attesi.
Tamburellavo con le dita sul volante e mi misi a leggere i vari cartelli posizionati nell’incrocio. Sentii lo stomaco contrarsi quando lessi “Holecreek”.
E se invece di continuare a spappolarmi il cervello di domande che da sole non avrebbero avuto risposta, fossi andata direttamente da lui? In fondo avevamo un discorso in sospeso, no?
Rimasi li ferma a riflettere se continuare per la mia strada o se svoltare a sinistra. Magari era vero quello che Jessica aveva detto una volta… mi avrebbe fatto a pezzetti e mi avrebbe usato per concimare il giardino?
In ogni caso sarebbe stata pura invadenza presentarsi cosi a casa sua che, tra parentesi, non sapevo neanche dove fosse di preciso. Sapevo solo che era ad Holecreek, con cui si intendeva tutta la zona del torrente.
Qualcuno suonò furiosamente il clacson alle mie spalle e fui strappata dai miei pensieri. Dopo un istante premetti l’acceleratore.
 
La casa era veramente a due passi dal torrente e ringraziai Dio che non fosse dall’altra parte rispetto al sentiero che avevo percorso dalla strada per arrivarci. Era piuttosto grande ma semplice, tutta in legno chiaro, a primo impatto mi diede l’idea di una baita. L’aveva veramente costruita da solo? Parcheggiai e scesi, il più silenziosamente possibile, il che non aveva molto senso, perché non ero andata li per spiarlo, ma per incontrarlo.
 
Era veramente un bel posto in cui vivere, trasmetteva tranquillità, e il rumore dell’acqua così vicina ventiquattro ore su ventiquattro doveva essere qualcosa di fantastico. La casa era circondata da alberi. Uno aveva il tronco talmente piegato che ci si poteva salire sopra e sedervisi. Mi domandai se Gideon se ne stesse mai seduto li da solo.
Nonostante i dubbi che ad ogni passo aumentavano, mi avvicinai sempre di più finchè non scorsi il fuoristrada scuro parcheggiato nel lato della costruzione che prima mi era nascosto. Mi bloccai. Ma che cavolo stavo facendo? Dovevo essere impazzita…
-Che ci fai qui?- Chiese una voce profonda, alle mie spalle.
Chiusi gli occhi un istante, maledicendomi in tutte le lingue che conoscevo, prima di girarmi.
Gideon se ne stava li, con un tronco largo almeno trenta centimetri sulla spalla destra. Una maglietta bianca con sopra una camicia di jeans aperta e soprattutto molto vissuta, come lo erano i jeans che indossava sotto. Al solito.
Nonostante l’imbarazzo, pensai che fosse indicibilmente sexy.
-Ho pensato che fosse giusto concludere il discorso di ieri sera- Mi fingevo disinvolta e sicura di me, quando in realtà non ero sicura di niente.
Mi superò senza rispondere e posò il tronco a pochi passi dal fuoristrada. Lo seguii senza pensarci due volte e solo in quel momento notai che su quel lato della casa c’era un'altra porta, un garage ipotizzai, vista la grandezza.
Lui si pulì le mani sui jeans e inaspettatamente fece un sorrisetto sarcastico -Hai controllato che Sullivan non ti abbia seguita, spero. Non vorrei mi cogliesse di nuovo nell’atto di infastidirti-
“Che permaloso!”
-Perdonalo per la scenata di ieri sera…-
Mi fissò per qualche secondo con gli occhi quasi sbarrati, e notai una macchiolina più scura nella sua iride sinistra. Decisi che quello non fosse il momento più opportuno per dirgli che aveva gli occhi più belli e strani che avessi mai visto in vita mia.
-Scusalo. Non so che altro dirti-
Ero sempre così poco brillante nel rispondergli. Ma non ero abituata a persone come lui.
-Non è per lui, Anna. Non è stata una sorpresa per me che abbia pensato quello che ha pensato. In effetti, hai avuto un bel fegato a venire qui da sola, viste tutte le belle cose che ti avranno raccontato di me-
Mi strinsi nelle spalle -Pettegolezzi…-
Lui sospirò e sembrò pensare un attimo; -Forse è meglio che tu te ne vada adesso-
Sbuffai esasperata. Bisognava fare chissà che cosa per avere una conversazione normale con lui? O bisognava davvero essere fortunati e prenderlo in un momento in cui era incline alla normalità?
-Non penso proprio- Incrociai le braccia automaticamente –Vorrei che finissi di dirmi quello che mi stavi dicendo ieri sera-
Lui si appoggiò alla sua auto e mi guardò con un’espressione strana, non avrei saputo dire se fosse più sorpresa o divertita.
-Mi sono scusato per come mi sono comportato. Mi piacerebbe che avessimo un rapporto amichevole- Mi scrutava mentre parlava, come a voler leggere ogni mia minuscola reazione a ciò che mi stava dicendo.
“Un rapporto amichevole”. Sentii lo stomaco rigirarsi insieme a una sensazione di pesantezza al petto che non mi piacque affatto. Ma mascherai bene la delusione atroce, almeno credo, e mi inventai che dovevo tornare a casa da mia nonna.
 
GIDEON
La delusione che le lessi in faccia mi fece male e mi spaventò. L’avevo appena delusa, oltre che umiliata.
La guardai, e soprattutto la lasciai partire a razzo con quella vecchia auto che si ostinava a tenere, dopo aver balbettato qualcosa a proposito di sua nonna, del fatto che era in ritardo.
Mi ero sbilanciato troppo la sera prima, mi ero lasciato andare. Dopotutto la scenata del suo amico non era stata completamente inutile, anzi. Se non fosse arrivato ad interromperci probabilmente le avrei detto qualcosa che mi ero ripromesso di non dire più a nessuna donna.
Ora l’unico problema era Susan, e sperai con tutto me stesso che non le dicesse niente, ma se non lo aveva fatto fin ora…
L’ideale sarebbe stato che si convincesse che ero pazzo, come credevano un po’ tutti a Woodbourne e lasciasse perdere qualunque cosa si fosse messa in testa e, cosa ancora più importante, che mi stesse lontano.
Mi bloccai, colto alla sprovvista da un pensiero che mi fece risalire un brivido lungo la schiena. Ma io volevo stare lontano da lei?

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***




CAPITOLO 10

 
-Spero che i denti da latte siano quasi finiti eh, Jason?- Tentai di far ridere il ragazzino che mi sedeva davanti avvilito, con un cotoncino stretto un bocca e altri due in mano.
Lui tirò su col naso e abbozzò un sorriso –Magari! Non ne posso più…-
Gli scompigliai i capelli castani –Il dottor Lancaster non è poi così male-
Lui mi guardò dalla sedia su cui era seduto, davanti alla mia scrivania –Lui no, ma le sue pinze si-
Risi e concordai con lui. Dopo qualche minuto lo salutai, lo accompagnai alla porta e tornai nella mia stanzetta.
Era passata una settimana dal giorno in cui ero stata così fuori di testa da andare a parlare con Gideon; dopodiché non lo avevo più visto. Odiavo ammettere che mi mancava, perfino a me stessa.
Ma cosa mi mancava di lui? Non sapevo spiegarmelo, considerando che in quasi tutte le occasioni in cui ci eravamo parlati mi aveva trattata malissimo.
Scossi la testa e mi raddrizzai sulla sedia: “Al Diavolo”.
 
Qualche ora dopo varcai la soglia di casa, era quasi ora di pranzo e stavo morendo di fame.
-Nonna?- Chiamai lasciando cadere le chiavi della macchina sulla mensola vicino alla porta. Lei uscì dalla cucina con una strana espressione e mi fece cenno di entrare.
La guardai con un’espressione interrogativa, ma lei non disse nulla e mi lasciò passare.
Mi lasciai sfuggire un sospiro, non appena vidi Jake seduto al nostro tavolo. Un sospiro di sollievo? Un sospiro di frustrazione? Non avrei saputo definirlo bene.
Non avevo più parlato con lui dalla sera in cui avevamo “litigato”. Mi sentii un po’ in colpa per non avere neanche pensato di chiamarlo dopo quello che era successo, ma d’altra parte neanche lui mi aveva chiamata…in ogni caso lui ora era li seduto, a casa mia, con una faccia da cane bastonato che avrebbe intenerito chiunque.
-Io vado di sopra a fare alcune faccende- Ci informò la nonna. Lui annuì e la ringraziò, mentre io rimasi in silenzio sulla porta.
-Mi dispiace per l’altra sera- Mormorò alzandosi.
Io annuii ma non dissi niente. Notai però che sembrava nervoso…okay, era venuto a chiedermi scusa, ma non c’era bisogno di agitarsi così.
-Cavolo, Anna! Se ho reagito in quel modo avevo i miei buoni motivi!-
Alzai un sopracciglio –Ah si? E sarebbero? Le chiacchiere e i pettegolezzi di gente che non sa che altro fare nella vita se non demolire altra gente?-
Le parole mi erano uscite dalla bocca come veleno. Ma perché difendevo quello stronzo di Gideon in quel modo? Non sapevo un bel niente su di lui! Eppure non riuscivo a farne a meno.
-Oh mio Dio- Si appoggiò al tavolo e si premette le mani sugli occhi per qualche istante –Io…-
Aspettai che finisse la frase, ma lui scosse la testa e fece per superarmi.
-Tu cosa?!- Lo esortai bloccandogli il passaggio. Possibile che nessuno in quella maledetta città riuscisse a terminare un discorso? O una frase?
-Anna, fammi passare- Mi intimò, fissandomi dritto negli occhi.
-Sei venuto tu da me, Jake! Non esiste che tu te ne vada senza aver chiarito!- Mi sentii sfinita e disorientata.
Lui provò di nuovo a superarmi, poi, senza il minimo preavviso mi prese il viso tra le mani e mi baciò.
 
Mi irrigidii automaticamente ma rimasi li, troppo sconvolta per spingerlo via o fare qualunque altra cosa. Lui premette le labbra sulle mie per qualche altro secondo, poi si allontanò e mi fissò con un’espressione indecifrabile.
-Jake, io…- Stavolta fui io a lasciare la frase in sospeso, perché fui interrotta dal suono del campanello. Mormorai qualcosa per scusarmi e mi diressi verso la porta, me percepii la sua presenza dietro di me.
Aprii la porta e rimasi a bocca aperta. Gideon era in piedi sulla soglia e mi fissava.
Non sembrò nemmeno accorgersi della presenza di Jake, pochi passi dietro di me.
-Anna, devo parlarti- Disse piano.
Per quanto riguarda me, ero così sbalordita dal fatto che lui fosse li, e turbata per ciò che era successo qualche minuto prima, che aprii la bocca per rispondere qualcosa…ma non ne uscì alcun suono.
Semplicemente me ne rimasi sulla porta a fissarlo come una stupida per qualche secondo, finchè non mi ricordai che non eravamo soli, e allora mi voltai verso Jake. Non posso descrivere l’espressione che gli lessi in faccia. Un misto tra rabbia, paura, frustrazione.
Anche Gideon sembrò notarlo solo in quel momento, ma qualunque fosse l’emozione che provò, la nascose piuttosto bene. Si limitò a guardarlo per un attimo, per poi tornare a rivolgere la sua attenzione a me.
Che diavolo dovevo fare?
 
-Ehm….entra- Mi feci da parte per lasciarlo passare, e così ci ritrovammo in tre nel piccolo corridoio che improvvisamente mi sembrava ancora più angusto.
Dovevo chiedere a Jake di andarsene? Dovevo chiedere a Gideon di passare più tardi? La testa mi scoppiava, nel tentativo di trovare una via d’uscita a quella situazione irreale.
 -Che ci fa lui qui?- Fu Jake a parlare per primo, e lo fece come se Gideon non si trovasse nella stanza con noi.
-Speravo di poter parlare con Anna, ma a quanto pare ormai sei incluso nel pacchetto, Sullivan- Gideon ridacchiò, mentre Jake non sembrava molto incline a farsi due risate.
Jake gli rivolse un’occhiata truce –No, no. Tranquillo, mi tolgo dai piedi. Anna, se vuoi parlare di qualunque cosa…il mio numero ce l’hai-
E detto questo ci lasciò da soli. Sospirai di sollievo. Un sollievo che durò solo un istante.
Sospirai e mi diressi di nuovo in cucina, senza una ragione precisa. Non capivo perché Jake dovesse comportarsi in quel modo, quando c’era Gideon.
Lui sembrò leggermi nel pensiero, perché aggiunse –Non gli va a genio l’idea che uno squilibrato come me ti ronzi intorno- Rise senza allegria.
Gideon mi ronzava intorno? “Semmai è il contrario”, pensai. E poi l’ultima volta non mi aveva detto che voleva che fossimo amici?
-Che sei venuto a fare?- Chiesi senza troppi giri di parole.
Dio, quanto era bello quell’uomo? Faticavo a non distogliere lo sguardo, ogni dannata volta che lo guardavo perché mi intimidiva, ma contemporaneamente non volevo smettere di fissarlo.
Lui esitò, sembrava non sapere cosa rispondere.
-Io...non lo so- E rise nervosamente, come se improvvisamente si fosse reso conto di quello che aveva fatto.
Fece qualche passo nella cucina, probabilmente aspettando che io dicessi qualcosa.
-Sono contenta che tu sia qui, comunque- Tanto valeva essere sincera. Meglio una verità ingombrante che un’infinità di vuote sciocchezze che sarebbero servite solo a riempire un silenzio imbarazzante.
Lui si fermò e mi fissò per un istante, allarmato.
-Meglio che me ne vada ora- E fece per uscire dalla stanza.
Spinta da non so quale forza o coraggio, fui più veloce di lui e lo afferrai per il braccio. Sentii i muscoli irrigidirsi sotto le mie dita.
Gideon si girò lentamente verso di me e sulle prime mi incenerì, mi stava intimando silenziosamente di mollare la presa e lasciarlo passare. Ma ovviamente e soprattutto volendo, sarebbe bastato un niente perché si liberasse da solo dalla mia debole stretta.
In ogni caso non lo lasciai e continuammo a batterci con il solo sguardo.
Ora sembrava che nel suo non ci fosse più alcuna minaccia, ma solo una muta implorazione. Che diamine, era venuto lui da me! Era la seconda persona che quel giorno veniva a casa mia per parlare con me e che dieci secondi dopo voleva scappare. Il problema era che non volevo che questa persona se ne andasse.
Non mi lasciai convincere da quello sguardo e rimanemmo in quella posizione, occhi negli occhi, per non so quanto tempo. Finchè lui non spostò lo sguardo sulla mia bocca.
 
Non appena i suoi occhi si posarono sulle mie labbra, queste si schiusero, senza che potessi evitarlo o in qualche modo comandare loro di rimanere serrate.
Sentii il sangue incendiarsi nelle vene e finalmente mollai il suo braccio, muovendomi di un passo indietro. Incontrai quasi subito il ripiano vicino al piano cottura e mi ci appoggiai con le mani.
Lui sembrava come ipnotizzato, e si mosse insieme a me, solo in avanti, cosicché mi ritrovai intrappolata tra il suo corpo e il marmo del ripiano. Pregai silenziosamente che la nonna non decidesse di scendere proprio in quel momento, avrei preferito morire, piuttosto che interrompere quello che stava succedendo tra noi e che avevo sognato dalla primissima volta che avevo visto quell’uomo proprio li in quelle cucina.
All’improvviso, come se fosse arrivato al limite della sopportazione, Gideon mi infilò una mano tra i capelli e mi attirò a se.
Avevo sempre pensato che baciare un uomo con la barba così lunga sarebbe stato fastidioso, o quantomeno strano…invece era eccitante.
Non appena lo sentii approfondire il bacio e la sua lingua accarezzò la mia, salii sul ripiano e mi ci sedetti, allargando le gambe per farlo avvicinare ancora di più. Lui grugnì sulle mie labbra quando, chiaramente non più in possesso delle mie facoltà, gli infilai le mani tra i capelli e glieli tirai.
Neanche sentii la nonna che apriva la porta di una qualche stanza al piano di sopra e scendeva le scale, ma lui fortunatamente si, perché tornò improvvisamente lucido e balzò indietro lasciandomi stordita e impreparata a quel distacco.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11
Gideon mi fissò come se fossi la cosa di cui aveva più paura al mondo, mentre io mi riprendevo e saltavo giù dal ripiano. Dio, avevo appena allargato le gambe per lui? Non in senso stretto, ovviamente, ma era bastato un bacio (un bacio bellissimo, diciamocelo) perché perdessi completamente il controllo di me stessa in quel modo?
Okay, era tanto tempo che non toccavo un uomo. Questo pensiero non mi aiutò affatto, anzi, mi fece sentire patetica. Mi ero esposta troppo, e ora lui mi guardava in quel modo. Perché mi guardava così?
Intanto la nonna era arrivata in fondo alle scale e stava per entrare in cucina –Jake, vuoi rimanere a pranzo?-
Strabuzzò gli occhi, non appena realizzò che nella stanza non c’era più Jake, ma Gideon.
-Susan- La salutò lui, schiarendosi un po’ la voce prima di parlare. Aveva i capelli più incasinati del solito e l’aspetto di uno che è appena stato baciato, chissà se la nonna aveva occhio per queste cose. Pregai con tutta me stessa che, in fondo, fosse un po’ rammollita.
Oh mio Dio, se lui era conciato in quel modo, non osavo immaginare come fossi messa io. Mi lisciai i capelli, così, per disperazione.
-Gideon!- Lei tentò di non apparire troppo sconvolta e mi venne vicino, osservandomi un istante prima di rivolgere nuovamente la sua attenzione a lui -Incredibile, erano anni che non avevo tutti questi uomini in casa! Mia nipote è stata proprio una boccata d’aria fresca!-
-Già- Convenne lui, tornando ai monosillabi –Beh, Susan , mi ha fatto piacere vederti. Ora devo andare-
Mi rivolse un’ultima occhiata -Anna-
Visualizzai mentalmente l’immagine delle mie braccia che cadevano a terra, mentre pronunciavo un semplice -Ciao, Gideon-
Non appena udii la porta scattare feci per salire le scale e andarmene in camera mia a rimuginare e probabilmente a piangere un po’, ma la nonna mi precedette  -Anna! Vuoi dirmi che diavolo stai combinando??-
-Niente, non sto combinando niente- Risposi, più a me stessa che a lei.
 
Un paio d’ore dopo, tirai fuori il cellulare e decisi che dovevo, dovevo confidarmi con qualcuno. Non potevo andare avanti in quel modo. Jessica sarebbe stata perfetta, così le inviai un messaggio.
“Jess, ti va di passare a casa mia oggi pomeriggio? Ho bisogno di parlare”
Non passò neanche un minuto che rispose.
“Certo! Vengo subito, se per te va bene. Non mi va di stare a casa”
“Perfetto. Ti aspetto”
Buttai il cellulare sul letto e sospirai. Sperai che si desse una mossa, e considerando quanto fosse curiosa, me la immaginai mentre rischiava di uccidersi nel tentativo di fare presto. Mi scappò una risatina, il che fu piuttosto strano visto che mi sentivo morire dentro.
 
-Allora- Jessica abbandonò la propria borsa rosa sul pavimento e venne a sedersi di fronte a me sul letto, incrociando le gambe –Dimmi tutto-
-Non so da dove cominciare…o da chi- Solo in quel momento mi ricordai che non esisteva solo Gideon, ma anche Jake, in quella situazione assurda.
Lei spalancò un po’ gli occhi ma rimase zitta e mi diede il tempo di organizzare il discorso.
-Hai presente quella sera al pub? Quando Gideon è venuto fuori a parlare con me…-
-Certo- E assunse un’espressione concentrata.
-Ecco. Mi ha chiesto scusa per come si era comportato in altre occasioni in cui ci eravamo parlati…eri un po’ sbronza, quindi non so se ti sei accorta che Jake è venuto fuori anche lui e…ha praticamente fatto una scenata a Gideon- Scossi la testa a quel ricordo.
-Mi sono accorta e…penso sia un po’ colpa mia…sono entrata nel pub e ho detto a Eric e Jake che tu e Gideon eravate fuori da soli…- Mi guardò di sottecchi.
-Lo so, lo immaginavo. Sei entrata sbracciandoti come una pazza- Ridacchiai –Tranquilla, non fa niente. In ogni caso prima che arrivasse Jake io…ero veramente riuscita ad avere un contatto con Gideon. Stava per dirmi qualcosa…-
-Che cosa?- Chiese lei, sporgendosi leggermente verso di me.
-Se lo avessi saputo e non fossi stata scontenta per l’interruzione di quella sera…non sarei andata a Holecreek a cercarlo il giorno dopo-
Lei fece leva sulle caviglie e in un unico, fluido movimento passò dallo starsene a gambe incrociate all’essere in equilibrio sulle ginocchia, per poi appoggiare le mani sul letto e sporgersi verso di me fin quasi a toccarmi il naso con il suo –Anna! Oh mio Dio! E me lo dici solo ora?? Dai continua!-
Mi ritrassi un po’ per non rischiare lo strabismo dato che non riuscivo a guardarla senza storcere gli occhi, tanto mi era venuta vicina.
-Sono andata da lui e, per inciso, non vive in una capanna. Comunque, mi ha detto che voleva che fossimo amici- Lessi la delusione nei suoi occhi, così continuai -Ma oggi.. cioè prima, è venuto qui a casa mia e…ci siamo baciati-
Lei fece per dire qualcosa, ma la fermai e continuai –E credo sia giusto dirti che prima di lui anche Jake è stato qui e…mi ha baciata. Anche lui mi ha baciata- Solo in quel momento realizzai l’assurdità di tutta quella situazione e avvampai.
Jessica si portò una mano alla bocca e sembrò riflettere un istante, prima di dire qualunque cosa.
-Per quanto riguarda Gideon…io non so cosa tu gli abbia fatto per farlo tornare tra noi umani…ma credo che sia un bene. Qui tutti pensano che lui abbia un problema con il mondo. Io credo che invece sia il mondo ad avere un problema con lui…Non so cosa gli sia capitato quando stette via tutto quel tempo, ma certamente è stato qualcosa che lo ha cambiato. Me lo ricordo bene, prima che partisse…-
Aguzzai le orecchie, quella parte mi interessava, e molto.
-…era un ragazzo del tutto normale. Non il più espansivo o solare della Terra, intendiamoci…ma aveva amici e anche parecchie ragazze che gli ronzavano intorno. Quando finì di studiare, so che ebbe un litigio con il padre o qualcosa del genere, perché sparì da un giorno all’altro. Se ne andò e stette via più di un anno…quando tornò…- Jessica rabbrividì.
-Cosa?- La incitai -Jessica, ti prego-
-Non era più lui, Anna! Mi ricordo che non lo riconobbi, la prima volta che lo rividi. Era dimagrito di almeno venti chili, e in quel viso scavato ricordo che vidi solo sofferenza…la gente però adora speculare a spese di chi è più debole, o almeno lo è in un determinato momento della vita…e in poco tempo iniziarono a circolare delle storie-
-Quali storie?-
-Ipotesi. Di cosa potesse essergli accaduto, su come si fosse ridotto in quel modo. Un po’ per volontà sua, un po’ per tutto, le persone hanno formato un cerchio intorno a lui e nessuno gli si è più avvicinato. Finchè sei arrivata tu- Sorrise.
Sospirai, incerta su cosa dire –Non ho fatto niente, Jess-
Lei mi fissò come se mi sfuggisse qualcosa di ovvio -Anna! Tu lo hai trattato come una persona normale. Il solo fatto che tu sia andata a cercarlo a casa sua deve aver significato tanto per lui! Non scherzavo quando ti dissi che avevo paura che mi facesse a pezzetti e mi usasse per concimare il giardino…tu questo non lo hai neanche pensato, giusto?-
“In realtà si, per un attimo”.
Tacqui, così lei andò avanti.
-Ed è per questo che sei così diversa da noi, così diversa da me e da tutta la gente che ha sempre vissuto qui. Per questo ti ha baciata…tu sei stata come un raggio di sole per lui-
Rimasi sbalordita da tutto il discorso che aveva fatto, dalla sicurezza con cui aveva interpretato tutta la situazione.
-Cavolo, Jess…non mi aspettavo niente di quello che hai detto-
-Neanche io. Ho capito solo adesso che Gideon Lancaster non è altro che una vittima. Sarebbe bello se grazie a te rinascesse dalle proprie ceneri…- Mormorò sognante, tornando a incrociare le gambe sul letto -Ora devi solo scoprire che diavolo gli è capitato durante la sua assenza qui-.
-Solo?- Le feci eco.
-Non è esattamente la cosa più semplice del mondo…Ah, per quanto riguarda Jake invece…devi dirgli chiaramente e subito che non sei interessata-
-Lo so, lo so. Lo farò- E mi lasciai cadere all’indietro, atterrando sul cuscino con un tonfo.
 
-Allora, vuoi spiegarmi cosa sta succedendo? Oggi Jake piomba qui con una faccia stravolta che non ti dico, vi lascio soli a chiarire qualunque cosa sia successa, dopo neanche mezz’ora scendo e trovo Gideon con una faccia che la diceva lunga e…-
-Nonna, smettila per favore…- La interruppi, infilzando una patatina senza però mangiarla. Avevo pensato, piuttosto stupidamente, che la nonna avrebbe lasciato correre su ciò che era successo quel giorno senza farmi il terzo grado. A quanto pareva mi ero sbagliata di grosso.
-Anna…- Mi sfiorò una mano con la sua –Parla con me, sai che puoi farlo-
-Lo so…è che non c’è niente da dire- Lasciai rumorosamente cadere la forchetta nel piatto, e lei mi guardò storto, attendendo che continuassi.
-Io e Jake abbiamo avuto una discussione qualche sera fa al pub, era solo venuto a chiedermi scusa- Buttai lì, sperando che questo le bastasse.
-E Gideon? E’ a causa sua che tu e Jake avevate discusso?-
Sgranai gli occhi –Si, ma non mi va di parlarne nonna. Per favore-
-Va bene, parleremo quando sarai pronta. Nel frattempo però, ricordati quello che ti ho detto riguardo a Gideon ok?-
Annuii e finalmente addentai quella patatina.
 
La mattina seguente spensi la sveglia senza accorgermene e quindi feci tardi a lavoro. Nella fretta avevo indossato le prime cose che mi erano capitate sotto gli occhi e non ero neanche sicura di essermi pettinata i capelli.
Arrivata allo studio sana e salva per miracolo, dopo aver guidato in stile Vin Diesel in “Fast and Furious”, trovai Jeff che si stava mettendo il camice. Tirai un respiro di sollievo e gli feci un sorrisetto di scuse -Sono un po’ in ritardo, scusami-
Lui mi sorrise, ma sembrava un po’ assente -Non fa niente Anna…ehm, dovrebbe passare mio fratello tra poco, io sono libero fino alle 10 stamattina, quindi appena arriva fallo entrare-
Sentii il cuore balzarmi in gola, e lo fissai rimanendo li imbambolata per qualche secondo.
-Anna? Tutto ok? Hai…-
-Si- Mi riscossi –Si, scusami. Sono ancora un po’ scossa dalla corsa che ho appena fatto per arrivare qui- Mi sforzai di ridere e lo guardai andare nel suo studio e chiudersi la porta alle spalle.
Non appena fui sola mi precipitai in bagno a controllare in che stato pietoso fossi. I capelli erano un disastro, così me li lisciai come potei con le dita e infine li raccolsi in una coda alta.
Mentre mi mettevo un velo di gloss che avevo recuperato dal fondo della borsa, mi venne in mente che Gideon era sempre in uno stato pietoso a pensarci bene, eppure era così bello!
Iniziai a ridere da sola come una pazza davanti allo specchio, ma smisi immediatamente quando sentii il campanello suonare. Mi diedi un paio di pizzicotti sulle guance per darmi un aspetto più salutare e feci un respiro profondo. Mi diressi verso la porta.
Non ero per niente preparata a quello che vidi non appena la aprii. Gideon, con una donna.
Aprii la bocca per dire qualcosa, ma purtroppo per me ne uscì una specie di rantolo. Mi schiarii la voce e ci riprovai, desiderando di scomparire in quel preciso istante.
-Buongiorno- Squadrai la donna da capo a piedi, con un tale odio che dubito di essere riuscita a celare molto bene. Lei però sembrò non farci caso, anzi mi sorrise. Portava i capelli neri corti ed aveva un paio di grandi occhi…dello stesso colore di quelli di Gideon. Piano piano iniziai a notare la loro estrema somiglianza, e il fatto che la donna fosse sulla cinquantina.
-Ciao, Anna- Mi salutò lui entrando, seguito dalla donna che mi porse subito la mano.
-Piacere, sono Sylvia- Mi sorrise ancora, e in quel sorriso vidi lo stesso sorriso di Gideon e Jeff. Mi sentii incredibilmente stupida.
Le strinsi la mano e cercai di rimediare alla mia scortesia di poco prima –Piacere mio, Sylvia. Sono Anna-
-Jeff mi ha parlato di te. Al contrario di Gideon , lui viene spesso a trovare la sua vecchia, noiosa mamma- E gli lanciò un’occhiataccia, che lui finse abilmente di non aver notato.
-Andiamo- Le fece, dirigendosi verso lo studio del fratello senza degnarmi di uno sguardo.
Lei mi rivolse un sorriso di scuse e lo seguì.
Rimasi li impalata per qualche secondo, a realizzare il fatto che Gideon mi avesse appena trattata come una sconosciuta. Sentii le mani informicolirsi e una brutta, purtroppo famigliare sensazione a livello dello stomaco. Camminai come in trance verso la mia stanzetta, ma giunta davanti alla porta cambiai idea e feci qualche altro passo verso la porta dello studio di Jeff.
-…bene adesso?- Era la sua voce, sembrava piuttosto preoccupato.
-Sto bene- Rispose Gideon seccamente.
Stavo origliando i discorsi privati del mio capo con suo fratello e sua madre. Non potevo crederci.
-C’era proprio bisogno di questo?- Continuò.
-Cosa dice il Dottor Rickman?- La madre gli rispose con un’altra domanda. Curiosa di saperne di più, avvicinai ancora di più l’orecchio alla porta.
Dopo una lunga pausa, Gideon urlò -Dice che sto bene, maledizione!-
-Gideon, lo sai che è per il tuo…-
-Sono passati quattro anni! Non ne posso più di quello strizzacervelli! Non fa altro che dirmi che devo elaborare!- Sbottò Gideon, e sentii i suoi passi che si avvicinavamo alla porta. Scattai indietro e mi rimisi in piedi in un istante. Un secondo dopo ero davanti alla mia scrivania, con il cuore che mi batteva all’impazzata. Udii la porta aprirsi e un attimo dopo la sua presenza dietro di me.
-Hai sentito tutto?- Mi chiese in un tono piatto che mi fece rabbrividire.
-Io…no, non ho sentito niente- Balbettai.
-Anna- Alzò un sopracciglio, e mi inchiodò li dove mi trovavo con il suo sguardo freddo.
-Ho sentito l’ultima parte… ti sei messo a urlare, non volevo ascoltare- Sperai di essere brava a mentire, rifilandogli quella fesseria.
-Allora adesso sai che vado da uno strizzacervelli- Disse lentamente, osservando la mia reazione ad ogni parola.
Mi strinsi nelle spalle -Ci sono andata anch’io per un periodo, dopo la morte di mia madre-
Quella risposa sembrò non andargli a genio. Pensava che sarei scappata a gambe levate dopo aver scoperto che era in cura da uno psicologo? Cioè, voleva che sparissi?
-Guarda che ho capito. Vuoi che mi tolga dai piedi- Buttai li, sentendomi incredibilmente scoperta. Ma dov’erano finiti sua madre e suo fratello?
-E’ questo che hai capito?- Mi chiese tristemente.
Ignorai la sua espressione e continuai -Non lo so, ieri, dopo…insomma, quello che è successo, mi hai guardata come se fossi qualcosa dalla quale scappare immediatamente…e in effetti lo hai fatto. Oggi piombi qui e mi tratti come se non fosse successo niente, e adesso cerchi di intimidirmi con questa storia dello psicologo. Cosa dovrei capire??-
Lui fece un paio di passi verso di me -Se potessi io…mi comporterei diversamente, Anna. Lo farei- Mi prese una ciocca di capelli sfuggita alla coda tra le dita e me la sistemò dietro l’orecchio. Quel contatto mi fece venire la pelle d’oca in tutto il corpo e mi ritrovai a trattenere il respiro.
-Perché?- Mormorai, incapace di staccare gli occhi dai suoi -Gideon…-
-Devo andare- Mi rivolse un’ultima occhiata carica di dolore e se ne andò.
Mi appoggiai alla scrivania. Per il bene della mia salute mentale, era giunto il momento di scoprire cosa nascondeva quell’uomo.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12



SUSAN  (Quattro anni prima)…

Louisa Sullivan non la smetteva più di raccontarmi ogni minuscolo particolare sul giorno della laurea in infermieristica di suo figlio Jake. Era una donna estremamente dolce e premurosa, ma tendeva un po’ troppo a monopolizzare la conversazione, almeno quella sera. Eravamo state a cena fuori in occasione del mio sessantottesimo compleanno; non che ci fosse molto da festeggiare, ma ultimamente eravamo diventate buone amiche, nonostante una differenza di età di più di dieci anni.

-Deve essere una bella soddisfazione, con tutti i sacrifici che avete fatto per quel ragazzo!- Commentai, nella speranza di indurla a chiudere il discorso.

-Oh Susan, eccome se lo è!- Sorrise e si sistemò i capelli castani, ma con qualche filo argentato, dietro le orecchie.

Salimmo in macchina e io mi sistemai sul sedile del passeggero, mentre lei si metteva alla guida. Non aver preso la patente era uno dei miei più grandi rimpianti.

-A proposito, come sta tua nipote? Anna, giusto?- Chiese mettendo in moto.

Mi strinsi nelle spalle –Non la vedo molto spesso purtroppo, ma stamattina mi ha telefonato e sta bene…vive con sua madre a Londra-.

-Dianne. Con lei le cose vanno sempre male, invece?- Mi rivolse un’occhiata veloce, forse per controllare che quel discorso non mi provocasse troppo imbarazzo.

-Oh, si. Le cose non sono mai migliorate dopo la separazione tra lei e John. Ormai è acqua passata- Scossi la testa, ripensando a quante volte avevo telefonato a casa loro tentando di parlare con lei, ma purtroppo era sempre rimasta irremovibile nella sua convinzione che io fossi complice di mio figlio…quando in realtà non avevo idea che lui la tradisse con quella donna che poi era diventata sua moglie. John era stato la delusione più grande della mia vita, e nonostante lo amassi con tutto il mio cuore di madre, non potevo perdonargli quello che aveva fatto a Dianne e ad Anna. Si era completamente dimenticato della figlia, limitandosi a mandarle biglietti di auguri per i compleanni e a provvedere al suo mantenimento.

-Capisco- Concluse Louisa imboccando la via dove abitavo  –Vogliamo fare due passi prima di concludere la serata?-

Acconsentii, così lasciammo la macchina davanti casa mia e ci incamminammo lungo il viale, dirigendoci verso la tangenziale.

Chiacchierammo del più e del meno per tutto il tempo, di cose decisamente più frivole rispetto a poco prima.

-….e così le ho detto “Scusami ma chi sei tu per decidere?”, voleva prendere tutte le decisioni, ti sembra normale? E’ assurdo, ogni volta che viene anche lei…-

Ma non la stavo più ascoltando da un pezzo, presa com’ero a guardare una figura che si stava avvicinando a noi, e che proveniva dalla strada, alla quale eravamo vicinissime ormai. Mi bloccai. Non riuscivo a vedere chi fosse, ma percepivo chiaramente la sua andatura lenta e barcollante.

-Louisa- La interruppi bruscamente –Torniamo indietro-

Lei mi guardò senza capire, poi mosse gli occhi in direzione del mio sguardo e si irrigidì.

-Pensi che sia un ubriaco?- Chiese mentre entrambe facevamo velocemente dietrofront.

-Non lo so e non mi…- Mi interruppi immediatamente non appena sentii il rumore di un tonfo sordo, seguito da un lamento.

Ci voltammo entrambe e scorgemmo quella figura rannicchiata a terra, proprio sotto la luce di un lampione. Aveva imboccato il viale, prima di cadere.

-Susan, andiamo!- Mi incitò Louisa, spaventata.

Guardai lei e poi la figura a terra, e seppi di non potere assolutamente andare a casa e lasciare li quel disgraziato.

-Non possiamo lasciarlo li! Mi sembra inoffensivo adesso, andiamo!- E mi incamminai velocemente verso di lui (o lei), con il cuore che accelerava a ogni passo, temendo il peggio.

Constatai immediatamente che si trattava di un uomo, a giudicare dall’altezza e dalle spalle larghe. Ma non riuscivo a vederlo in faccia.

-Giriamolo- Ordinai, e non senza un notevole sforzo da parte di entrambe, riuscimmo a farlo rotolare sulla schiena. Prima di ogni altra cosa, mi chinai su di lui e controllai che respirasse. Sospirai di sollievo non appena ne fui certa. Anche Louisa si inginocchiò di fianco a lui e gli scostò i capelli scuri e lunghi da davanti agli occhi. Con quei capelli e la barba lunga fino alla base del collo aveva tutta l’aria di essere un barbone.

Lo scossi leggermente, ma me ne pentii subito. E se ci avesse aggredito?

D’altra parte, non potevamo certo rimanere li a fissarlo tutta la notte, quindi pensai che provare a fargli riprendere coscienza e chiedergli se avesse bisogno di un’ambulanza fosse la scelta migliore.

Dopo un altro paio di tentativi, che effettuai sotto gli occhi terrorizzati di Louisa, lo sconosciuto aprì lentamente gli occhi. E che occhi!

Batté le palpebre una, due, tre volte, infastidito dalla luce del lampione esattamente sopra di noi, per poi spostare lo sguardo prima su di me e poi sulla mia amica.

Dopo un istante, sbarrò gli occhi e si tirò su a sedere con una velocità che stentai a credere, e che fece balzare indietro me e Louisa.

-Stai calmo- Mormorai, allungando una mano verso di lui.

Aveva il respiro accelerato e sembrava in uno stato di assoluta confusione, tanto che provò a parlare più di una volta, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono.

-Mi chiamo Susan- Provai a sorridergli, ma lui non ricambio il mio gesto e continuò a fissarmi, confuso. Non ero sicura che sapesse dove si trovava.

-Sei a Woodbourne, nel sud dell’Inghilterra, e non c’è assolutamente niente da temere, stai tranquillo- Mi avvicinai di un passo, ma non mi alzai in piedi, non volevo frastornarlo più di quanto non lo fosse già. Non era ubriaco, era solo spaventato. E incredibilmente magro.

Deglutì un paio di volte e infine parlò, con la voce roca di chi si è appena risvegliato da un coma durato mesi –Lo so, io…abitavo qui-

Io e Louisa ci guardammo, sconvolte.

-Co…come ti chiami?- Chiese lei.

Lui esitò un attimo prima di rispondere –Gideon. Sono Gideon Lancaster-

Lo fissai per un tempo che mi parve interminabile. Quello era Gideon Lancaster?

Lessi la stessa incredulità negli occhi di Louisa. Nessuna delle due poteva credere che quell’uomo stremato e mal nutrito fosse lo stesso ragazzo che ricordavamo.

-Sei il figlio di Mark e Sylvia Lancaster?- Chiese ancora Louisa, incapace di crederci.

-Si- Ripetè debolmente lui.                          

Rimasi pietrificata per qualche altro secondo, per poi riscuotermi e realizzare che dovevamo fare qualcosa. E dovevamo muoverci da sole, perché Gideon non sembrava assolutamente capace di prendere qualunque decisione, anzi sembrava sul punto di crollare a terra di nuovo.

Ma che diavolo gli era successo? Era un bel po’ che non lo vedevo in giro, in effetti…ma mai mi sarei aspettata una cosa del genere.

-Gideon, ce la fai ad alzarti?-

 

Qualche minuto dopo gli porsi una tazza di tè fumante, e dei biscotti. Molti più di quanti ne avrei offerti normalmente.

-Grazie- Mormorò, e iniziò a sorseggiare il tè. Mi sarei aspettata molto più entusiasmo, per non dire foga. Sembrava che non mangiasse da giorni.

Invece si limitò, come ho detto, a sorseggiare il tè e solo dopo un po’ prese un biscotto. Mi sedetti di fronte a lui nella piccola cucina, mentre Louisa era rimasta sulla porta, con una strana espressione stampata in faccia.

-Allora, Gideon…vuoi dirmi cosa ti è capitato?- Sperai di non aver usato un tono troppo accondiscendente, che magari avrebbe potuto offenderlo.

Lui scosse la testa e allontanò la tazza ancora mezza piena.

“Mio Dio” pensai, doveva aver perso almeno quindici chili dall’ultima volta che lo avevo visto…se non mi avesse detto il suo nome non lo avrei mai riconosciuto.

-Penso che sia il caso di chiamare sua madre- Intervenne Louisa.

Lui si girò lentamente verso di lei, infastidito. Lei sobbalzò.

-Non c’è alcuna fretta- Intervenni prontamente. Louisa era un po’ troppo ansiosa di chiudere quella faccenda, come se Gideon fosse stato una patata bollente che le bruciava le mani. Non si dava neanche la pena di nasconderlo!

-Gideon- Aspettai che si voltasse nuovamente verso di me, e quando fui certa di avere la sua totale attenzione continuai –Puoi rimanere qui per tutto il tempo che vuoi, solo quando vorrai tu chiameremo tua madre. Se lo vorrai-

In quel momento nel suo sguardo sembrò rompersi qualcosa. Il suo autocontrollo andò in mille pezzi e si portò le mani agli occhi, per nascondere le lacrime.

Louisa sembrava farsi sempre più piccola, mentre a me venne naturale alzarmi e andare verso di lui. Gli tolsi le mani da davanti agli occhi e gli accarezzai il viso –Hey…tranquillo. Tranquillo…Gideon, qualunque cosa sia successa, sfogati. Piangere è la cosa migliore che tu possa fare in questo momento-

Mentre lo consolavo, inginocchiata davanti a lui, aveva iniziato a dire frasi confuse e sconnesse. Era di nuovo molto agitato.

-Io non volevo, non volevo…- Mormorava -Non c’è più…è tutta colpa mia…-

Con la coda dell’occhio vidi Louisa sbiancare e tirare fuori il cellulare. Alzai un dito per impedirle di chiamare la polizia. La conoscevo, e sapevo perfettamente che era arrivata a conclusioni affrettate.

Lei mi guardò storto, ma si rimise il cellulare in tasca.

-Gideon, se sei d’accordo io vorrei chiamare tua madre, che ne dici?-

Dopo un attimo di esitazione annuì.


Non appena aprii la porta, Sylvia Lancaster si precipitò dentro casa mia come solo una madre in pena per il proprio figlio avrebbe potuto fare. Pochi passi più indietro c’era suo marito.

-Dov’è?- Mi chiese lei, senza fiato.

-In cucina…- La bloccai, per impedire che mi superasse prima che avessi finito di parlare –Sylvia, lo abbiamo trovato in uno stato confusionale che veniva dalla tangenziale a piedi, completamente al buio. Era in stato confusionale. Devo avvertirti…-

Lei fece un cenno con la mano e mi pregò di lasciarla passare, così mi feci da parte e la seguii in cucina.

Non appena il figlio entrò nel suo campo visivo, lei barcollò e si appoggiò allo stipite della porta.

-G-Gideon- Bisbigliò.

Lui alzò lo sguardo appena, per poi riabbassarlo senza dire niente.

Mark Lancaster entrò nella stanza e, dopo essersi assicurato che sua moglie riuscisse a tenersi in piedi, piantò gli occhi su Gideon per un tempo che mi sembrò infinito, ma senza proferire parola.

-Non…non sarebbe il caso di chiamare un’ambulanza?- Domandai.

-Sta bene- Sentenziò Mark, per poi avvicinarsi a me e a Louisa -Vi ringrazio infinitamente per averlo portato qui, per averci chiamati e… spero, per la vostra discrezione. Gideon, alzati. Andiamo-

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13

Fissai i barattoli di pomodoro disposti in fila nello scaffale di fronte a me. Li fissai per un minuto intero, forse per due. Alla fine, un ragazzo magrolino che indossava la divisa del supermercato nel quale mi trovavo mi si avvicinò e mi disse –Ti consiglio di prendere uno di quelli- E indicò un barattolino con un’etichetta blu –Il rapporto qualità/prezzo è ottimo-.
Lo fissai per un istante, poi lo ringraziai e presi quello che mi aveva consigliato lui. Guardai la lista della spesa. Neanche ci serviva la passata di pomodoro.
In realtà, negli ultimi tempi mi capitava spesso di perdermi nei miei pensieri nei posti meno opportuni, come in quel momento. Forse troppo spesso, riflettei.
Scossi la testa e feci per proseguire, appoggiata al carrello come se fosse stato lui a portare in giro me, e non viceversa. Non appena imboccai la corsia dei surgelati, vidi Jake con la testa infilata nel lunghissimo congelatore che percorreva tutta la corsia. Mi bloccai.
Per un istante pensai di girare i tacchi e svignarmela, da vera codarda. Non lo avevo più chiamato dopo quello che era successo nella cucina della nonna, una settimana prima.
La verità era che non riuscivo a pensare ad altro che non fosse Gideon. Ma avrei comunque dovuto farlo, maledizione.
Alla fine avanzai lentamente verso di lui, mentre riemergeva dal congelatore con in mano una busta di piselli. La buttò velocemente nel carrello, non appena mi vide.
-Hey- Mi apostrofò -Chi si rivede! –
-Ciao Jake- Gli sorrisi timidamente. Pregai in silenzio che si aprisse una voragine sotto i miei piedi in quell’istante. Essere inghiottita nelle profondità della terra sarebbe stato meglio che stare lì con lui in quel momento.
-Non mi hai più chiamato- Il tono incolore con cui pronunciò quella frase mi fece sentire terribilmente in colpa.
-Ehm, lo so. Scusami, io…ho avuto da fare- Balbettai, incapace di partorire una scusa migliore di quella.
-….in ogni caso il messaggio mi è arrivato lo stesso-
-Jake, non puoi piombare a casa mia in quel modo; baciarmi e pretendere che non ci rimanga di merda! Pensavo fossimo solo amici-
Se non fossi stata sul punto di scoppiare a piangere quella situazione mi avrebbe divertito, non avrei mai pensato che un giorno avrei avuto una conversazione del genere al supermercato nel reparto surgelati.
-Mi dispiace se sono stato irruente. Ma non penso sia questo il problema, giusto?-
Mi appoggiai al congelatore e incrociai le braccia –E quale sarebbe?-
-Lo sai benissimo. Mi sembra evidente che sei attratta da un altro tipo d’uomo-
Scossi la testa –Finiamola qui, Jake- Ripresi il carrello e feci per andarmene, ma lui lo tenne fermo e si avvicinò al mio viso –Mi dispiace Anna. Tu mi piaci veramente, tantissimo…io non sopporto di vederti con lui. Cosa è venuto a fare a casa tua quel giorno?-
Mi ritrassi leggermente –Niente. Lasciami passare-
Mi guardò negli occhi per qualche altro istante, prima di allentare la presa e permettermi di allontanarmi.
 
-Non prendertela troppo con lui- Jessica si sedette sul tavolo della cucina e mi rivolse uno sguardo triste. Quel giorno si era lisciata i capelli e le arrivavano appena sopra il sedere.
-Non ha alcun diritto di mettere in mezzo Gideon ogni volta che parliamo. C’è ben poco da mettere in mezzo, in ogni caso- Mormorai sorseggiando rumorosamente un succo di frutta.
-Signorinella! - Esclamò la nonna entrando in cucina –Giù le chiappe dal mio tavolo!-
Jessica rise e balzò giù immediatamente, sporgendosi poi per baciarla. Lei e la nonna erano diventate molto complici, in realtà non conoscevo nessuno che non avesse adorato mia nonna fin da subito. Doveva essere un talento innato, o qualcosa di simile.
-Io e Jess andiamo a fare un giro nonna, hai bisogno di qualcosa? -
-No, ma non fare tardi per cena! –
 
GIDEON
Non l’avevo più vista negli ultimi giorni. Lo avevo fatto di proposito; mi ero proibito di andare da Jeff allo studio, per vedere se riuscivo a togliermela dalla testa, ma era tutto inutile.
Mi ero buttato a capofitto nel lavoro per impedirmi di pensare a lei, ma due giorni prima mi ero quasi amputato un dito mentre sognavo a occhi aperti. Fissai la fasciatura intorno al pollice della mia mano sinistra e mi sentii stupido. Non avrei mai pensato che la corazza che mi ero costruito in quegli anni potesse essere spazzata via tanto facilmente.
Camminavo lentamente mentre riflettevo su quelle cose, ma ben presto fui colto da una strana sensazione, mi sentii osservato. Era da un bel po' che non mi sentivo così, a Woodbourne nessuno mi fissava più tanto spesso e la maggior parte della gente faceva praticamente finta che io non esistessi.
Mi guardai intorno e, dall’altra parte della strada, vidi Jake Sullivan. Se ne stava appoggiato alla sua macchina e mi fissava con un’espressione molto poco amichevole.
Era piuttosto chiaro da un bel pezzo che avesse una cotta per Anna, visto che le girava sempre intorno come un cagnolino. Mi fermai e decisi che volevo proprio sapere che cosa avesse tanto da guardare, così attraversai velocemente la strada.
Mi fermai a un paio di passi da lui –Allora, qual è il problema?-
Lui rimase dove si trovava, appoggiato all’auto –Lo so cosa hai fatto. Mi fa VO-MI-TA-RE –
Sentii le mani informicolirsi, una spiacevole sensazione che avevo provato solo poche volte in vita mia.
-Vuoi che Anna lo venga a sapere? Ti ha idealizzato, per lei sei tu la vittima qui. La vittima di una città troppo cattiva per un principe come te- Rise sarcastico –Se solo sapesse quello che hai combinato…-
-Che diavolo vuoi, Sullivan?- Sputai fuori tutto d’un fiato.
Fece un paio di passi verso di me, così ci trovammo a pochi centimetri di distanza –Non ci sei ancora arrivato? Non voglio più vederti che le gironzoli intorno. Altrimenti un uccellino le dirà tutto-
Qualcosa nel suo sguardo mi disse che non stava affatto bleffando. Sua madre era con Susan la notte in cui mi trovarono mezzo morto in strada, e sapevo che qualche giorno dopo mia madre le aveva invitate a casa nostra ed era crollata, raccontando loro tutto. Era evidente che Louisa Sullivan non aveva saputo tenere la bocca chiusa, come invece aveva fatto Susan.
-Sei un cane- Sibilai.
-Allora siamo d’accordo? - E mi rivolse un sorriso soddisfatto.
-Vai a farti fottere. Non ho alcuna intenzione di cedere ai ricatti di un ragazzino geloso- Feci un passo in avanti e lui indietreggiò -Lei non ti vorrebbe comunque…e lo sai bene-
In altre circostanze mi sarei sentito soddisfatto di me stesso e probabilmente avrei fissato la faccia sbalordita che fece per giorni…ma non quella volta. Non dopo quello che mi aveva detto.
 
ANNA
-Una festa? E quando??- Mi sporsi verso Jessica, eccitata.
-Tra una settimana. E’ una specie di festa di mezza estate. Non te la ricordi?-
-Uhm no- Mormorai infilandomi in bocca l’ultimo boccone di gelato. Avevo gusti piuttosto classici, mi piaceva la nocciola, il cioccolato, il pistacchio…
Jessica invece era tutto il contrario di me, adorava i gusti alla frutta, ma quel giorno aveva optato per un improbabile abbinamento tra melone e caffè. Finsi l’ennesimo conato di vomito e lei rise, rischiando di sputarmi in faccia quel miscuglio.
-In ogni caso- Continuò quando ebbe smesso di ridere -Devi venire per forza!-
-E dove sarebbe questa festa?-
-Un po' fuori città, al vecchio campo da rugby. Tagliano l’erba solo per questa occasione, è abbandonato da parecchio tempo…ma per quell’occasione si trasforma in un vero e proprio rave! Viene perfino un sacco di gente da fuori- Mi fece l’occhiolino e scoppiò in una fragorosa risata.
-Va bene allora- Risi –Chissà se…-
Jessica mi rivolse un’occhiata esplicita –No, non penso che lui sia propriamente un animale da festa…ma puoi sempre invitarlo!-
-Si…certo- Sbuffai –Mi pare un’ottima idea-
-Perché no??- Si inclinò leggermente in avanti mentre camminavamo per vedermi meglio in faccia.
-Perché è scomparso nel nulla dal giorno in cui ci siamo parlati a lavoro…- Mi rigiravo tra le mani il tovagliolino di carta che mi avevano dato insieme al gelato, ora ridotto a una pallina minuscola.
-Lui non è come tutti gli altri. Forse, visto quello che ti ha detto l’ultima volta, ti sta evitando di proposito-
-Come se per lui avessi tutta questa importanza- Sospirai.
-Fossi in te andrei a parlarci-
Mi fermai –No. Non possono essere sempre io a fare il primo passo. Se vuole vedermi, e ne dubito, verrà lui da me. L’ultima volta sono andata io da lui e mi ha umiliata! Per poi venire a casa mia e baciarmi, quindi svignarsela come un centometrista e fare finta di niente il giorno dopo. Sono un po' stanca, non ci capisco niente-
 
-Nonna, io vado a letto- La abbracciai. In realtà erano solo le dieci, ma quella sera mi sentivo particolarmente stanca. Psicologicamente parlando.
Non appena uscii dalla cucina , squillò il telefono che si trovava proprio a metà del piccolo corridoio tra la porta e le scale.
-Pronto?- Risposi, cercando di non apparire troppo scocciata. Odiavo rispondere al telefono, non so perché.
-Anna, sono Gideon-
Il mio cuore fece un balzo, e iniziò a martellarmi nel petto. “Non balbettare” Mi ammonii mentalmente.
-Oh- “Oh”? –Ehm, si, cioè, dimmi- E meno male che non dovevo balbettare…
-Devo parlarti…- Sembrava perso nei sui pensieri mentre parlava, la sua voce mi dava piccoli, piacevolissimi brividi alla base del collo –Lavori domattina?-
-No, di che si tratta?- Chiesi curiosa.
-Preferirei non parlarne al telefono. Va bene se passo a prenderti verso le 10?-
Gideon Lancaster che, non solo stava avendo una quasi normale conversazione con me, ma mi proponeva addirittura di passare a casa mia a prendermi?
-Va bene…- Non sapevo più cosa pensare.
-A domani allora- E riagganciò senza tanti commiati. D’altronde non potevo pretendere che passasse dall’essere quasi muto a oratore in un secondo, quindi potevo ritenermi soddisfatta.
-Chi era?- Mi urlò la nonna dalla cucina.
-…Jessica!- Mentii, non so perché.
In bilico tra la gioia pura e la preoccupazione, salii le scale che portavano alla mia camera, sperando di riuscire a chiudere occhio.

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