Vendetta del Nord

di Water_wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ALEX/EINAR/FRANK • Nuova Roma è pronto ad accoglierci (e ammazzarci) ***
Capitolo 2: *** ASTRID/REYNA • Alla deriva in un mare di ottimismo ***
Capitolo 3: *** ALEX/EINAR/LARS • Roma brucia di entusiasmo alla nostra partenza ***
Capitolo 4: *** ASTRID/HAZEL • Flirt e annunci di morte ***
Capitolo 5: *** EINAR/FRANK/LARS • Ricordate sempre che le donne sono importanti, ma soprattutto pericolose ***
Capitolo 6: *** PIPER/REYNA • Da una parte un duello, dall'altra una guerra ***
Capitolo 7: *** ALEX/LARS • La mia viverna fa un pasto a base di aquile ***
Capitolo 8: *** ANNABETH/HAZEL • Discorsi invadenti su notti interessanti ***
Capitolo 9: *** ALEX/EINAR/LEO • Il sole ci dà consigli illuminanti. ***
Capitolo 10: *** ASTRID/REYNA • Potere alle donne! ***
Capitolo 11: *** LARS/ALEX/FRANK • Tra incudine e martello ***
Capitolo 12: *** PIPER/ANNABETH/ASTRID • Incontriamo il padre di Magnus Chase (anche se non abbiamo idea di chi sia questo tizio) ***
Capitolo 13: *** EINAR/FRANK • Dei-menti alla riscossa: Thor vs. Eracle ***
Capitolo 14: *** ASTRID/HAZEL • Tributo a base di delfini pazzi (più o meno) ***
Capitolo 15: *** PERCY/EINAR/LARS • Vicini a Roma ***
Capitolo 16: *** REYNA/ANNABETH/PIPER • Pesanti fardelli ***
Capitolo 17: *** EINAR/PERCY/ALEX • Salviamo un figlio di Ade sotto sale ***



Capitolo 1
*** ALEX/EINAR/FRANK • Nuova Roma è pronto ad accoglierci (e ammazzarci) ***



Vendetta del Nord



Nuova Roma è pronta ad accoglierci (e ammazzarci)
 
 
•Alex•
 
Odino solcò il cielo cavalcando Sleipnir, tenendo alta la lancia. Ymir menò una manata per cacciarlo via, come se fosse una mosca fastidiosa. Thor si lanciò all’attacco scagliando fulmini con Mijolnir, mentre gli altri Dèi affrontavano il loro primo padre con coraggio.
Intorno a me, mille e mille tempeste fuse insieme, mentre soffi di gelo, fulmini e fuoco solcavano l’aria.
Gli Dèi stavano reggendo contro la più potente creatura mai vista. Sembrava che nulla potesse abbatterli, ma, in realtà, vedevo i primi segni di cedimento. Tutti le divinità erano ferite ed una leggera pioggia di icore dorato bagnava la neve ed il ghiaccio.
Ymir tentò di colpire il nipote Odino che, però, scansò abilmente l’attacco. Si poteva dire tutto di mio padre, ma non che non fosse abile a combattere.
Ma anche lui non poteva resistere per sempre ad uno scontro tale.
Altra saette, e Baldr subentrò al suo posto, accendendosi in una supernova di luce, accecando per pochi istanti il nemico, permettendo a nostro padre di ritirarsi.
Gli Dèi indietreggiarono per avere un attimo di respiro.
«Divino Padre!» urlò Tyr, stringendo la spada, tornando volando sul suo cavallo. «È troppo forte! Dobbiamo ripiegare!»
«MAI!» sbottò Odino, furibondo.
«Abbiamo bisogno di rinforzi» intervenne Eir, comparendo al suo fianco. «È un nemico troppo forte, per noi, adesso. Richiama Vidarr e gli altri Dèi che hai lasciato ad Asgard!»
«No!» tuonò il Re degli Dèi, furibondo, lanciandole un’occhiata di fuoco. «I Romani ci potrebbero attaccare da un momento all’altro! Possiamo vincere!»
«Fratello» interloquì Hoenir, il dio della saggezza nordico, e fratello di Odino. «Non sono sicuro che sia una cosa saggia, indebolirci. Il nostro progenitore è troppo forte: abbiamo bisogno di tutta la nostra potenza, per abbatterlo. Riporta tutti gli Dèi alla battaglia» propose, cercando di avere un tono conciliante.
«Mi stai dando del debole, fratello!?» urlò Odino, paralizzandolo con lo sguardo d’acciaio. «Tu ed io abbiamo già sconfitto Ymir! Credi che io non sia alla sua altezza? Che non riesca a sconfiggere di nuovo un avversario come questo? Allora puoi scappare, fratello! Torna ad Asgard, come tutti i codardi. IO rimarrò a combattere fino alla morte. IO sconfiggerò sia Ymir che Giove. IO sono il Re di Asgard! IO Sono il Padre di Tutti!» declamò, prima di tornare all’attacco, alzando la lancia, mentre Freki e Geki si affiancavano a lui ringhiando.
Gli altri Dèi tornarono all’attacco, seguendo il loro Re. Njordr emerse da sotto il ghiaccio, spaccando la calotta polare con onde alte come palazzi, cercando di incatenare il gigante, mentre tutti gli altri colpivano con tutte le loro forze. Esplosioni atomiche si infrangevano contro il corpo di pietra del primo essere della mitologia nordica, senza risultato.
Eir ed Hoenir si osservarono preoccupati.
«Nonostante continuiamo a colpirlo, sembra che la sua energia sia illimitata» sussurrò la regina delle Valchirie, appoggiando la mano su una ferita al braccio sinistro, sanandolo in un istante. «Come avete fatto a sconfiggerlo?»
«Inizialmente lo pensavamo immortale. Ma nulla dura per sempre, cara nipote. Persino gli Dèi hanno dei punti deboli. Quello di Ymir era il suo cuore, che ne conteneva tutta la potenza caotica e tutta la forza primordiale. Io, Odino e Njordr glielo strappammo dal petto con un colpo solo. Questo lo indebolì, ma pare che, oramai, il suo cuore non sia più al suo posto» spiegò la divinità, pensierosa, mentre i suoi occhi scintillavano, persi in chissà quali secolari memorie.
«Quindi? È invincibile?» domandò la dea della medicina, preoccupata, mentre stringeva le nocche intorno all’asta della lancia, pronta a tornare all’attacco.
«No… Ma se i nostri eroi dovessero combattere contro Roma, allora non potrebbero trovarlo. Ancora una volta, i nostri figli sono la chiave per la nostra salvezza» rispose Hoenir, posandole una mano sulla spalla per calmarla. «Eir, ho bisogno che tu torni ad Asgard e aiuti il figlio di Odino e tuo figlio a compere la loro missione. Finché Odino non riavrà la sua corona, il suo odio per Roma non verrà mai meno. E finché il cuore di Ymir continuerà a battere, noi non avremo possibilità. Devi aiutarli e impedire che la guerra abbia luogo.»
«Mi stai chiedendo di abbandonare la mia famiglia ed il mio Re nel pieno di questa battaglia?» chiese la dea inarcando le sopracciglia in un cipiglio minaccioso. «Questa non sono io. Nessun figlio di Asgard si ritira mai.»
«Non ti sto chiedendo di ritirarti: ti sto chiedendo di salvare la nostra città. Il nostro popolo» affermò duramente il dio, fissando la nipote divina con fermezza.
Tra i due ci fu un lungo scambio di sguardi, che mostrava tutta la loro preoccupazione. Quando il mondo è sull’orlo della fine, persino esseri così antichi potevano essere colti dal dubbio, ma sapevo che non avrebbero esitato. Gli Dèi di Asgard erano Dèi della guerra: presa una decisione, l’avrebbero seguita fino in fondo, senza ripensamenti.
«Seguirò le vostre parole, Saggio Hoenir. Che il fato sia con noi e i nostri figli» convenne Eir, montando a cavallo, allontanandosi dal luogo dello scontro, mentre, alle sue spalle, Hoenir tornava a combattere l’antica divinità primordiale che era Ymir.
E mentre i fulmini, le magie e le fiamme solcavano il cielo, esplodendo sulla sua pelle di pietra, i suoi occhi si inchiodarono su di me.
«Combatti la tua inutile guerra, piccolo semidio. Vai pure a Roma. Tenta di sanare la vostra sciocca rivalità. Qualsiasi cosa farai, non riuscirai a trovare il mio cuore pulsate. Esso è difeso dai miei più potenti alleati e non potrai mai raggiungerlo. Arrenditi. Scappa. Fuggi. Nasconditi come un ratto nei più profondi recessi di questo mondo… e prega i tuoi Dèi che non ti trovi mai!» 
 
Mi svegliai di colpo, rigirandomi nel sacco a pelo e maledicendomi, mentre mi stringevo ad Astrid, ancora addormentata, tra le mie braccia. Il motore della Argo II faceva da sottofondo all’angusto ambiente della stalla dove io e i miei compagni ci eravamo accampati.
Negli ultimi due mesi il Campo Nord era stato in fermento e molti semidei erano diventati irrequieti. Mio padre aveva mandato dal Valhalla spiriti di eroi del passato con l’apparente motivo di aumentare le difese, anche se, in realtà aveva personalmente scelto una schiera di vecchi eroi germanici che avevano in odio i Romani e avevano iniziato ad istigare molti semidei nordici contro Jason e i suoi.
Di mio avevo dovuto affrontare dure e lunghe discussioni su come affrontare la questione Nuova Roma. Io avevo spinto per mandare una delegazione pacifica in modo da poter rimanere neutrali nei loro confronti e, nel migliore dei casi, stipulare un’alleanza, in modo che potessimo cooperare nella lotta contro Gea e Ymir, così da combattere entrambe le divinità primordiali senza distrarci a vicenda.
Il problema era che, tra gli spiriti di mio padre, la paura di Ymir e Johannes, che puntava ad attaccare i Romani, la situazione era peggiorata. Sempre più semidei spingevano per la guerra, temendo che i semidei del Campo Giove potessero attaccarci mentre affrontavamo i mostri.
A peggiorare la situazione erano stati rapporti sempre più negativi degli elfi: i mostri attaccavano con sempre maggior frequenza i semidei fuori dal Campo. E non solo i più giovani, ma anche mortali e, soprattutto, i veterani, che stavano tentando di farsi una vita fuori dal Campo subivano attacchi. Questo aveva costretto molti di loro a fuggire verso il Campo Nord o a trovare rifugio ad Asgard, oppure nell’Alfheim, il mondo degli Elfi.
Questo stava provocando molte difficoltà a noi nel mantenere l’ordine e persino i governi mortali  stavano iniziando a mostrare i primi segni di irrequietudine. Notizie di misteriose aggressioni e attacchi iniziavano a venire fuori e, se continuava di questo passo, presto ci sarebbero stati rischi che i mortali usassero la forza ed il mondo finisse di cadere nel caos.
Dovevamo agire in fretta.
Alla fine, dopo aver affrontato molte discussioni – e risse – con gli altri capi delle Orde, confronti con Jason e Annabeth, era stato deciso che sarebbe partita una delegazione pacifica. Eravamo sette in tutto: io, Astrid, Einar, Helen, Lars, Nora e Johannes, quest’ultimo, aggregatosi per assicurarsi che tutto andasse bene quando, in realtà, stava solo cercando di trovare un pretesto per avere una posizione di forza su di me.
Arrivati al Campo Mezzosangue, Leo aveva completato la Argo II, ma non era progettata per ospitare altre sette persone, così ci eravamo temporaneamente accampati nella stalla dei pegasi che, al contrario di quel che pensava Valdez nel costruirla, preferivano stare per i fatti loro, liberi di volare. Non che la sistemazione ci dispiacesse, anzi, ma erano altre le mie preoccupazioni.
Baciai leggermente la guancia di Astrid e mi alzai, stiracchiandomi. Intorno a me stavano ancora riposando tutti, ma Einar era già sveglio e stava aggiustando alcune delle sue frecce.
«Ehi capo! Siamo quasi arrivati» mi informò, salutandomi con uno dei suoi sorrisi sornioni. «Se vai su, vedi Jason pronto a fare da bersaglio.»
«Davvero? Sicuramente intendono usarlo come dimostrazione di pace: è il loro pretore, dopotutto, vederlo li calmerà» ipotizzai, sperando che i semidei di Nuova Roma non ci avrebbero attaccato a vista.
«Be’, spero funzioni, altrimenti la nostra sarà un’ambasciata molto breve…» scherzò, giocherellando con le code delle frecce, anche se il suo comportamento tradiva una certa ansia.
«Io vado su a parlare con Annabeth e Jason» lo informai, dandogli una pacca sulla spalla. «Tieni d’occhio Johannes.»
«Non c’è bisogno che tu me lo dica» mi rassicurò, lanciando un’occhiata al biondo figlio di Thor che russava nel suo sacco a pelo. «Non lo perdo di vista un secondo.»
Annuii e afferrai la mia nuova spada, un regalo di Volund. Dopo che Excalibur era andata distrutta nello scontro contro Ymir ero rimasto senza armi finché il dio non si era presentato in camera mia porgendomi la nuova arma che, a sua detta, era stata forgiata apposta per quell’occasione. L’elsa era fatta di oro imperiale, lo stesso materiale del gladio di Jason; la lama a doppio taglio era fatta di puro acciaio asgardiano, che brillava come argento sotto la luna, ed il filo era tenuto insieme da una sottile striscia di bronzo celeste. I tre materiali incantati unici fusi insieme nella stessa arma. Una spada che doveva rappresentare tutti e tre i popoli che avrei dovuto riunire.
L’avevo chiamata Fragore, dato che, ogni volta che colpiva uno scudo emetteva un forte rumore cristallino.
Salii le scale passando accanto alla mensa, dove il Coach Hadge, un satiro che si era preso molto a cuore le sorti di Jason, Piper e Leo, stava ascoltando alla radio un programma di lotta libera e raggiunsi il ponte, dove Annabeth stava fissando il figlio di Giove, in piedi su un impalcatura di legno, progettata apposta per metterlo in bella vista.
«Ehi!» la salutai, sfiorandole la spalla in un gesto amichevole. «Come va? Stai meglio?» chiesi, riferendomi non solo alla sua prigionia, ma alla moneta che, sapevo, portava con sé.
«Sto bene, tranquillo. Ho solo bisogno… di rivedere Percy» rispose con un sorriso tirato.
Sapevo che a lei mancava il suo ragazzo. Da troppo tempo erano distanti e lei ne risentiva quasi fisicamente. Aveva occhiaie profonde e, a mio parere, doveva anche essere un po’ dimagrita, anche se era difficile dire se quest’ultimo inconveniente fosse veramente dovuto all’assenza di Percy o allo stress e la passata prigionia.
«Tra poco lo rivedrai, non preoccuparti. È un testone resistente, sono certo che starà raccontando qualche barzelletta ai semidei Romani mentre ci aspetta» la rassicurai, scrutando insieme a lei il paesaggio che scorreva sotto di noi.
I suoi occhi grigi osservavano le piante, le strade, le abitazioni senza vederle, tanto erano vuoti. La sua mente era concentrata su altro.
Alle nostre spalle sentivo Piper borbottare parole sottovoce, come se stesse ripetendo un copione, mentre Leo canticchiava un motivetto al timone della nave volante.
Tutto sembrava tranquillo, ma sentivo che qualcosa non andava: come quando vedi una ferita ormai rimarginata eppure senti che, sotto di essa, è rimasta una spina fastidiosa. Cercai di scacciare quei pensieri dalla mia mente. Mio padre era stranamente silenzioso, dopo il risveglio di Ymir ed io temevo stesse tramando qualcosa contro Jason.
«Alex, posso farti una domanda?» chiese, di colpo, Annabeth, voltandosi verso di me.
«Certo. Qualcosa ti turba?» La tranquillizzai, sorridendole.
«In effetti, sì» ammise, sospirando, sedendosi contro il parapetto, lanciando un’occhiata furtiva a Jason. «Tu ti fidi di Jason? Secondo te non ci tradirà?»
Sospirai, osservando il ragazzo biondo: da quella posizione sembrava uno dei classici principi azzurri delle favole, bello, perfetto, eroico… non molto diverso da me, alla fin fine. Anche se in modo differente, avevamo entrambi i nostri ideali e desiderio di difendere le nostre rispettive case e non scatenare una guerra.
«Se vuoi sapere la mia, io credo di sì: possiamo fidarci di lui» risposi, strusciando i pantaloni leggermente, come a togliere di dosso lo sporco. «Tu no?»
«Non lo so» replicò lei, grattandosi la nuca pensierosa. «Nonostante abbia passato un paio di mesi con lui e sia venuto a cercarmi, quando Kara mi teneva prigioniera, non so dire di potermi fidare di lui… È come se non mi convincesse del tutto.» Sospirò e mi guardò negli occhi. «Di’ la verità, non temi che possa venderci ai Romani?»
«Io non penso» risposi subito, senza esitare. «Non è così egoista e, anche se lo fosse, lui ha visto qual è la minaccia che sono Ymir e Gea. Non li potrà mai ignorare.»
«Mi auguro che tu abbia ragione» convenne la figlia di Atena, sospirando, mentre, all’orizzonte, appariva una vera e propria cittadina. Sembrava un mix tra antiche abitazioni ed edifici moderni.
«Stiamo arrivando!» annunciò il figlio di Giove, indicando la città.
Mentre i miei amici salivano sul ponte, i miei occhi si persero sul paesaggio intorno a noi, ammirando quel posto. Sarebbe stato perfetto, farsi una vita lì.
Se solo gli Dèi mi avessero permesso di risparmiarla. Ma sapevo anche che non tutto è oro quel che luccica. Sicuramente, anche lì ci sarebbe stata resistenza alla nostra alleanza, ma non avevo esitazione: avrei combattuto contro qualsiasi cosa impedisse a me e i miei amici di vivere in pace, lontano da quelle stupide rivalità.


 
∫ Einar ∫

Una volta arrivati sul ponte pensai che fosse un buon momento per lasciare il guinzaglio di Johannes. Tutti, sulla nave, lo tenevano d’occhio, per ovvi motivi: avrebbe fatto qualsiasi cosa per istigare i Romani ad attaccare e stavo iniziando a pensare che avrebbe giocato sporco, per quanto poco il suo microcefalo da figlio di Thor potesse concepire.
Astrid mi passò accanto e si andò a piazzare accanto ad Alex, salutando Annabeth. Le due iniziarono a chiacchierare, mentre, poco lontano, Helen e Nora stavano discutendo con Piper e Jason.
Johannes se ne stava in un angolo a farsi gli affari suoi, anche se lanciava continue occhiate di fuoco all’agglomerato di edifici poco lontano. Non mi era difficile intuire i suoi pensieri. Sperai che il capo avesse un’idea su come tenerlo a bada.
Di mio, speravo di poter ritrovare Nico e potergli parlare in pace – parola grossa, vista la situazione. Dopotutto, mi aveva detto che sarebbe andato a Nuova Roma e ci eravamo tenuti in contatto nonostante, da una settimana, non ricevessi notizie e la cosa mi preoccupava.
Sotto di noi, accanto alla cittadina, c’era quello che pareva un perfetto accampamento militare, protetto da robuste palizzate di legno, con torri di avvistamento, armate di balliste. Erano puntate su di noi, ma non facevano fuoco.
Intorno al loro Campo c’erano i segni di quella che doveva esser stata una dura lotta: crateri ormai spenti, residui di armi spezzate ed equipaggiamento non ancora ripreso.
Una colonna di semidei che indossava magliette viola marciava verso la città, seguendoci. Ormai eravamo quasi arrivati.
«Signori, ci siamo!» annunciò Leo, allegro, mentre preparava le ultime manovre di movimento per l’atterraggio.
Ma prima che potessimo spostarci di un altro millimetro, un forte scossone arrestò la nostra avanzata ed io finii a terra, così come Jason, Piper, Alex ed Astrid.
«Ci hanno attaccati! Lo sapevo!» urlò Johannes, appoggiandosi al parapetto.
«Calmati!» gli ordinò il figlio di Odino lanciandogli un’occhiataccia. «Non ci hanno attaccati, ci siamo solo fermati.»
«Esatto, barbaro!» gridò una voce. Una voce che veniva dalla statua che apparve al centro del ponte della nave, urlando minacce a squarcia gola. «Barbari! Germani e Greci insieme! Roma è in pericolo!»
«Calma» provò a dire Annabeth, che si era rimessa in piedi. «Siamo qui per parlare. Io sono Annabeth, figlia di…»
«So chi sei!» starnazzò il busto, squadrandola duramente. «Una figlia di Atena. E porti con te dei figli di Asgard! Voi Greci siete degli infidi e pure sciocchi! Noi sappiamo qual è il posto che compete a quella dea e ai suoi amici del Nord.»
Annabeth strinse la mascella, arrabbiata: si vedeva che quelle parole stavano mettendo a dura prova la sua pazienza.
«Terminus, ti prego. Siamo qui in missione diplomatica, dobbiamo atterrare subito» fece notare Jason, sperando che il suo rango di pretore lo aiutasse a convincere il “coso”.
«Impossibile! Jason Grace, tu sei un Pretore Romano, dovresti sapere chi sono i nostri nemici, però stai facendo entrare le serpi nel nostro confine! Abbassate le armi, arrendetevi e andatevene!» starnazzò ancora la statua che doveva chiamarsi Terminus.
Inarcai le sopracciglia: doveva essere parecchio fuori di testa o con manie ossessivo-compulsive degne da manicomio se riusciva ad urlare in quel modo senza gesticolare.
«Quale delle due? Deporre le armi o arrenderci?» chiese Leo, ghignando.
«Me lo stavo proprio chiedendo» rincarai, sorridendo. Tanto valeva divertirci un po’ con la statua pazza.
«Questo è tutto scemo» sbuffò Astrid, scuotendo la testa a metà tra il divertito e l’esasperato.
«Mi state prendendo in giro, per caso!? Vi meritate uno schiaffo! Lo sentite? È il potentissimo schiaffo che vi sto assestando» urlò il busto con voce da donna isterica.
«Basta così!» gridò Johannes, avvicinandosi con l’arma in pugno. «Io dico di demolire questo coso e di usarlo come ariete per…»
«Zitto!» urlò Alex, bloccandolo.
«Veniamo qui in pace» provò anche Piper, tentando di calmarlo con la sua lingua ammaliatrice.
«Non provare a fregarmi, figlia di Afrodite!» sbottò Terminus, mentre cercavo di trattenermi dal ridere. «Tu e i tuoi infidi alleati del nord verrete tutti massacrati. Andatevene o morirete!»
«Come fai ad ucciderci se non hai le braccia?» domandai, cercando di non soffocare per le risate che trattenevo.
«Einar» mi bloccò Lars, poggiandomi una mano sulla spalla, cercando di calmarmi.
Ma ormai ero a ruota libera.
«Forse mi vuoi mettere i piedi in testa… Ah, no, scusa, non hai nemmeno quelli» aggiunsi, scoppiando a ridere, contagiando Astrid e Leo, mentre Terminus sembrava andare in ebollizione.
«Credete di fare i furbi con me, sporchi norreni?» strepitò il busto, agitandosi nella sua stessa colonna.
«Ora basta!» sbottò Alex, piazzandosi tra me ed il dio, chinando leggermente il capo. «Chiedo scusa per i miei amici. Non sono proprio il massimo della diplomazia.»
«Infatti» convenne Nora, affiancandolo. «Ci scusiamo per eventuali minacce, ma non siamo qui con intenzioni ostili.»
«Ma davvero? Provatelo!» li sfidò Terminus, con un cenno di scherno del capo.
In quel momento, Annabeth si piazzò tra noi, facendo calare il silenzio. I suoi occhi stavano scrutando un punto preciso della folla che si era assiepata nella piazza principale di Nuova Roma. A quanto pareva, aveva individuato Percy Jackson, che risaltava tra i semidei Romani come un diamante in mezzo ai sassi.
«Terminus, non ci sono regole che impediscono lo stazionamento di navi sopra Nuova Roma, giusto?» chiese, con calma misurata, mentre mi lanciava uno sguardo tagliente.
Capii che dovevo stare zitto, se non volevo peggiorare la situazione.
«In effetti no» ammise il busto, pensieroso. Se avesse avuto le mani, avrei detto che si stesse massaggiando il mento.
«Esatto» rincarò Helen, che era stata zitta per tutto il tempo. «Potremmo stazionare sopra la città e scendere con delle scale di corda.»
«Esatto» convenne Annabeth, annuendo verso di lei con gratitudine. «Non porteremo armi a terra, rimarranno tutto sulla nave.»
«Mi piace essere puntiglioso» ammise Terminus, annuendo. «D’accordo, potete scendere, ma non un passo falso, o vi offriremo lo stesso trattamento che abbiamo dato ai vostri antenati.»
«Io mi ricordo che siamo stati noi a massacrarvi. E di certo non abbiamo bisogno di armi per ammazzarvi tutti quanti» ringhiò Johannes minaccioso, facendosi avanti.
«Ma noi non intendiamo far del male a nessuno» lo bloccò subito Alex, tirandogli un veloce calcio nel polpaccio, in modo che si zittisse. «Lo giuro sul mio onore di figlio di Odino» aggiunse, chinandosi davanti alla statua.
«Un figlio di Asgard che ha un minimo di gentilezza. Che cosa strana da vedere in giro» sbuffò con mezza sorpresa il dio dei confini prima di sparire, lasciandoci soli.
«Be’, come primo incontro è andato bene» commentò Lars, guardando verso il basso, dove i semidei romani ci aspettavano.
«Mi aspettavo ci attaccassero» concordò Jason con un sorriso tirato. «La prima impressione è andata, ma ora dobbiamo presentarvi di persona.»
Piper sorrise a tutti, cercando di contagiarci con il suo ottimismo. «Dai, sono certa che andrà tutto bene. Dopotutto vogliamo la stessa cosa. Sono certa che ci ascolteranno.»
«Spero tu abbia ragione, McLean» si augurò Nora, mentre seguiva Lars di sotto, per prendere una scaletta.
«Siamo sicuri? A me sembra che quelli non abbiano proprio buone intenzioni» fece notare Astrid, indicando una colonna di semidei romani armati che avanzava verso la cittadina.
«Dobbiamo avere fiducia» la rassicurò Alex, poggiandole una mano sulla spalla, per, poi, voltarsi verso Jason. «Ci fidiamo di te, cerca di farci uscire vivi da questa situazione.»
«Contate su di me. Giuro sullo Stige che andrà tutto bene» promise, scendendo dal suo piedistallo di legno.
«Perché ho sempre paura quando qualcuno giura su cose del genere?» chiesi a me stesso, mentre scendevo sotto coperta per aiutare con la scaletta.
 
☼ Frank ☼

 
L’arrivo degli amici di Percy mi lasciò davvero sorpreso, per non dire preoccupato. Durante l’ultima seduta del senato aveva parlato del Campo Mezzosangue e dei semidei greci. Già la cosa aveva lasciato dubbiosi molti, dando ad Octavian un altro motivo per volerlo fuori dai piedi – oltre al fatto che gli aveva soffiato il pretoriato da sotto il naso. La situazione era degenerata quando aveva iniziato a parlare del Campo Nord e di Asgard.
Per poco gli spiriti del senato non si erano ribellati. Avevano iniziato a protestare, dicendo che Percy era un traditore e che avrebbe fatto entrare a Nuova Roma il peggior nemico che potesse mai esistere, che non si poteva trattare con dei barbari e che avremmo dovuto fare fuoco a vista.
Octavian aveva gettato benzina sul fuoco, mettendosi dalla loro parte e facendo una delle sue solite arringhe urlando che era già una sua idea e che l’attacco era l’unica soluzione.
Alla fine, però, Reyna era riuscita a mantenere il controllo della situazione, congedando gli spiriti dei Lari e imponendo al discendente di Febo di calmarsi.
Si era deciso che avremmo accolto la delegazione greco-nordica senza ostilità a patto che loro stessi non rappresentassero un pericolo. A quel punto eravamo usciti e ci eravamo assiepati nella piazza principale di Nuova Roma, dove, ormai, era possibile vedere la nave volante che si avvicinava a gran velocità.
Intorno ad essa volavano quattro creature, simili a piccoli draghi, ma senza zampe anteriori, che si  dispersero non appena furono ai limiti del Campo Giove. La nave si fermò appena al limite della città per alcuni istanti, suscitando una certa irrequietudine tra di noi.
Di mio ero parecchio preoccupato: già il fatto che Percy si fosse rivelato un semidio greco e non romano mi aveva lasciato un po’ spiazzato. Non tanto per la rivalità tra Greci e Romani, ma per il semplice fatto che la situazione sembrava raggiungere livelli di assurdità piuttosto elevati. Già assimilare che mio padre era un dio non era stato facile, aggiungere il fatto che aveva sicuramente decine di altri figli dall’altra parte del continente ti metteva un po’ in crisi.
Qui, però, si parlava anche e soprattutto di un pantheon di divinità tutte nuovo e che, a quanto pareva, nemmeno era così bendisposto nei nostri confronti. Nonostante Percy si fidasse di loro – ed io di conseguenza di lui – non riuscivo a togliermi dalla testa il pensiero che potessero essere pericolosi e che non dovevano atterrare.
«Frank, tutto a posto?» chiese dolcemente Hazel, prendendomi il braccio con la mano.
Mi sentii affiorare un sorriso tirato alle labbra, mentre rispondevo: «Tutto a posto. Sono solo preoccupato. Tra poco atterreranno.»
«Non preoccuparti» mi rassicurò. «Percy ha detto che ci possiamo fidare, no? E poi, abbiamo bisogno di alleati contro Gea.»
«Hai ragione» convenni, annuendo, mentre calavano una scaletta davanti a noi.
«Reyna, per gli Dèi! Ordina l’attacco!» tentò Octavian un’ultima volta, mentre il primo a scendere era un ragazzo biondo, dalle spalle larghe ed i capelli lisci: Jason Grace.
«Sta’ zitto, Octavian!» lo zittì Percy, sbuffando irritato. Stava cercando di aggiustarsi la toga pretoria.
«Ascolteremo qualsiasi ambasciatore si presenterà, anche a nome dei semidei nordici. Se avessero voluto attaccarci sarebbero qui con un esercito» aggiunse Reyna, ispirando profondamente. Sembrava molto nervosa, ma cercava di non darlo a vedere.
Il figlio di Giove fu seguito da una lunga serie di semidei: dietro di lui venne subito una ragazza dalla pelle ambrata ed i capelli castani. Una bionda dagli occhi grigi che indossava una maglietta arancione – probabilmente del campo greco – ed un ragazzo con l’aspetto da piccolo elfo.
Appena lo vide, Hazel sussultò accanto a me, fissandolo. Mi parve che arrossisse, ma non ci feci caso perché, dietro di loro, apparvero i semidei nordici.
Un ragazzo alto, dai capelli neri mossi e con un occhio solo. L’altro era coperto da una benda e solcato da una profonda cicatrice che metteva soggezione. Emanava una specie di aura di comando: la stessa che sentivo ogni volta che mi trovavo da solo davanti a Reyna. Era non solo un semidio palesemente molto forte, ma anche abituato ad avere il peso delle responsabilità del comando sulle spalle.
Accanto a lui c’era una ragazza dagli occhi e capelli neri lisci e due vistosi orecchini. Aveva un’aria accigliata e guardinga. Indossava un paio di jeans neri e una maglietta dello stesso colore. Un ragazzo, poco più basso di lei, dall’aria furba, con i capelli castano scuri, e poi una ragazza dai capelli biondi tagliati corti e gli occhi grigi.
Infine, vennero una ragazza albina, che copriva la pelle bianca come la neve sotto pesanti vestiti, mentre i suoi occhi rossi ci scrutavano attentamente uno ad uno. Dietro di lei, due ragazzi biondi. Il primo si mise a fianco di quello che, ovviamente, li comandava. Aveva gli occhi marroni malinconici ed uno scudo sulle spalle. L’altro, invece incrociò le braccia sbuffando, assumendo un espressione disgustata. Aveva spalle larghe ed un collo taurino: sembrava Octavian sotto steroidi. 
«Jason Grace, il mio ex-collega» salutò Reyna, dopo aver osservato tutti attentamente, decidendo che non erano pericolosi.
«Già… Ave, Pretore Reyna» rispose il figlio di Giove, con aria colpevole, mentre teneva per mano la ragazza accanto a lui.
La figlia di Bellona stava per dire qualcosa, ma fu interrotta dalla ragazza bionda che si precipitò addosso a Percy.
«Ciao Ann…» incominciò a dire, prima di essere buttato a terra sotto gli occhi allibiti di tutti.
Provai a soccorrerlo, ma Hazel mi fermò.
«Aspetta» mi consigliò con un sorriso comprensivo.
«Se provi a lasciarmi di nuovo, giuro sugli Dèi che…» minacciò la ragazza, mentre, osservandola bene, mi parve che avesse gli occhi umidi.
«Alt! Mi considero avvertito, Sapientona» la fermò il figlio di Poseidone con un sorriso divertito, mettendosi seduto. «Mi sei mancata anche tu» aggiunse, abbracciandola.
«Vi presento i miei amici. Lei è Annabeth» si intromise Jason, presentando ad uno ad uno i nuovi arrivati.
«Piacere di conoscerti» la salutò Reyna, tendendole la mano. «Sicura di non essere un’amazzone? O magari romana?»
«Tratto così solo il mio ragazzo» garantì, stringendola in risposta.
«Loro sono Alex ed i suoi compagni, Astrid, Einar, Johannes, Lars, Nora e Helen» li presentò, indicandoli uno ad uno.
I ragazzi del Campo Nord si presentarono in modo cordiale, a parte l’Octavian sotto steroidi che sembrava molto infastidito di trovarsi tra i semidei Romani.
«Piacere di conoscervi» salutò il figlio di Odino, stringendo la mano a Reyna, cercando di essere educato.
«Il piacere è mio, sono felice di non dovervi incontrare come nemica» disse la figlia di Bellona, sorridendo loro.
«Anche se sarebbe stato meglio» brontolò Octavian, infastidito.
«Hai qualcosa contro di noi, biondo?» chiese il suo doppione gigantesco, incrociando le braccia che sembravano due tronchi.
Deglutii, pensando che non sarebbe stato divertente averle intorno al collo.
«Sto dicendo che mi sorprende che dobbiamo accogliere voi barbari nella nostra città» rispose il discendente di Febo, incredibilmente impertinente per essere molto più basso e magro del suo nuovo compagno di giochi.
«Taci, Octavian» lo redarguì Reyna, furiosa. «Smetti di importunare i nostri ospiti e di’ agli altri di prepararsi.»
«Intendi invitare questi graecus e barbari nel Senato? Sarebbe una sacrilega follia!» sbottò l’augure infervorato.
«Sentimi bene, tizio! Chiamaci barbari un’altra volta e giuro che…» stava iniziando Johannes, prima che Alex lo fermasse.
«Infatti non faremo una seduta. Pranzeremo qui fuori, dove potremmo parlare con i nostri ospiti in tutta serenità» spiegò la figlia di Bellona, facendo cenno di seguirla agli altri.
Mentre la seguivamo, Percy prese me e Hazel per mano e ci trascinò verso i semidei nordici, affiancato dalla sua ragazza, che sembrava intenzionata a non lasciarlo più.
«Alex!» salutò, appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo con un occhio solo. «Felice di rivederti» aggiunse dandogli una fraterna pacca sulla spalla.
«Anche io!» convenne l’amico, rispondendo allo stesso modo. «Vedo che finisci sempre nei guai.»
«Non è colpa mia, questa volta. È stata Era a rapirmi» replicò il ragazzo con un sorriso divertito. «E poi anche tu ti cacci sempre nei guai, no? Ad ogni modo, volevo presentarti Hazel e Frank, sono i miei nuovi amici.»
«Piacere» dissi, stringendo la mano del ragazzo. Mi sorrise, ma nonostante tutto, mi sentii in soggezione. «Voi siete davvero semidei nordici?»
«Sì. Io sono figlio di Odino» rispose amichevole.
«Piacere. Io sono Hazel, e lui è il mio ragazzo Frank, siamo figli di Plutone e Marte» si accodò Hazel, che sembrava molto più espansiva di me.
Mi sentii molto imbarazzato: sarei dovuto essere un coraggioso figlio di Marte, non comportarmi come uno scolaretto.
«Sono felice che Percy si sia fatto degli amici anche qui. Altrimenti finisce sempre in guai impossibili da cui non riesce a uscire» scherzò il ragazzo con un occhio solo,  sorridendo.
«Be’, anche noi non siamo da meno» risposi, sentendomi imbarazzato, anche se ero felice di constatare che era molto alla mano, almeno non mi sentivo troppo in soggezione. «Anche noi siamo finiti in situazioni davvero orribili.»
«Davvero?» chiese il figlio di Odino, sorridendo in modo strano. «Allora sono proprio curioso di sapere cosa vi è successo e cosa mi sono perso, ultimamente. Scommetto che mentre non era sotto controllo, Percy ve ne ha fatte passare di tutti i colori.»
Dovetti trattenermi dal ridere, dopotutto era davvero un tipo a posto. «Volentieri. Ultimamente siamo stati un po’ sotto pressione.»
«L’ho notato…» ammise il figlio semidio nordico, guardandosi intorno. Doveva aver notato che molti di noi erano rimasti feriti nella battaglia contro il Gigante Polibote.
«Tutto a suo tempo. Prima finiamo questa storia e mandiamo giù un boccone, poi festeggeremo e ci racconteremo aneddoti» propose allegramente Percy, tirandoci verso il centro della piazza, dove stavano allestendo un veloce banchetto di benvenuto.
Mentre ci incamminavamo sussultai, come se mi avessero dato un colpo alla nuca, mentre una voce che conoscevo fin troppo bene, anche se l’avevo sentita una volta sola, mi rimbombò nella mente.
«UCCIDILO!» urlò mio padre, mentre Alex ed Hazel mi sorreggevano.
«Tutto a posto, Frank?» chiese lei, preoccupata.
Le sorrisi, cercando di essere rassicurante. «No, no, sto bene… Ho solo avuto un giramento di testa» mentii, per non farla preoccupare.
«Vuoi qualcosa?» domandò Alex, mettendo mano al suo zaino. «Ho qualche pozione o una barretta energetica.»
«No, grazie» rifiutai, agitando le mani leggermente, per non farlo preoccupare. «Ora mangeremo qualcosa e starò bene. Davvero.»
Lui non sembrava convinto, ma annuì e mi aiutò a riprendere l’equilibrio. Io non volevo parlarne con lui, perché sapevo che quelle parole che mio padre aveva urlato con tanta forza, erano dirette al figlio di Odino.
Strinsi la mano di Hazel, cercando il suo supporto e la sua fermezza, mentre mio padre continuava ad urlare nella mia mente.
«Uccidilo! Uccidi il figlio di Asgard!»

 
koala's corner.

BUONASERA, SEMIDEI!
Salve a tutti, semidei nordici, greci e romani. Dopo una lunga estate noi sminchiatori di Rick Riordan siamo finalmente pronti a ripartire con i nostri scleri sul fandom di Percy Jackson.
Evidentemente gli Dèi non ci hanno fulminato durante questi tre mesi, nonostante non stiano ricevendo una buona pubblicità con noi. A parte Loki. Lok riceve sempre una buona pubblicità.
E quale modo migliore per riportare in auge le avventure di Alex, Astrid ed Einar se non con un bombardamento su Nuova Roma? :P
Ormai il casino è una massima dei semidei e se c'è Alex di torno, morte e distruzione abbondano lol.
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e che la prolungata assenza non vi abbia tolto la voglia di continuare a leggerci - o l'annuncio di Magnus Chase. Rispondete all'appello numerosi. Alla prossima!

Soon on Vendetta del Nord: POV Astrid/Reyna dove le due ragazze tentano di essere coincilianti, ma finiscono ugualmente nei guai.
 

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Capitolo 2
*** ASTRID/REYNA • Alla deriva in un mare di ottimismo ***


Alla deriva in un mare di ottimismo

♦Astrid♦
 
L’idea che mi ero fatta di Reyna non corrispondeva alla realtà. Jason ne aveva parlato all’intero equipaggio, assicurandoci che, se la figlia di Bellona era ancora un pretore, avremmo ricevuto un’accoglienza adeguata – invece che un’orda di mezzosangue romani pronti a trucidarci tutti ad aspettarci.
Si era sforzato di non cantarne le lodi, soprattutto per il bene di Piper, ma non ci era riuscito molto. Il tono che assumeva quando descriveva il suo temperamento, la persona meravigliosa che era, portava con sé un’amara nostalgia.
Essendo curiosa, gli avevo poi domandato in privato se l’avesse amata. I suoi occhi si erano scuriti e aveva voltato il viso da un’altra parte, la mascella serrata. Era quasi ora di cena e il sole stava tramontando, ma i suoi ultimi raggi illuminavano ancora la punta dei suoi capelli, facendoli diventare quasi color rame.
«Può darsi» mi aveva risposto infine, dopo un lungo silenzio. «Ogni volta che penso a lei, mi si stringe in cuore in una morsa, come se avessi lasciato qualcosa di incompiuto. Però, Era mi ha cancellato la memoria, e non mi resta che questa sensazione fantasma. Sono innamorato di Piper, ora, e non posso cambiarlo.»
Avevo annuito. Dopodiché, gli avevo dato un colpetto sulla spalla e avevo cercato di sdrammatizzare: «Be’, se è una delle ex assetate di vendetta che ti sei lasciato dietro, non ti preoccupare: ci sarò io a proteggerti.»
Non ce n’era stato bisogno. Reyna decisamente non voleva veder sanguinare il figlio di Giove lentamente. Non sembrava nemmeno un forte e rispettato pretore in carriera, destinato a grandi imprese. Appariva stanca. Un leader solo che doveva far fronte a troppi problemi tutti in una volta, sfiancato dalle responsabilità eppure sempre all’erta. Sicuramente non me l’ero immaginata così.
Nonostante ciò, indossava una maschera che nascondeva a quasi tutti le emozioni che provava e i pensieri che formulava. Quasi. Io ed Annabeth, forse perché era capitato a entrambe di indossare quella stessa maschera, intuivamo i suoi problemi. Persino Piper non era così cieca da non capire che, a ogni effusione che scambiava con Jason, la figlia di Bellona si irrigidiva.
Di certo lei lo amava, pensai. Oh, Dèi. Non solo. Lo ama ancora.
Considerato il suo punto di vista, la situazione era a dir poco deprimente. Il ragazzo di cui era innamorata scompariva – e io, già a questo punto, avrei iniziato a crollare –, non riceveva notizie su di lui fino al momento in cui “ehi, è vivo!”, poi lo vedeva tornare da lei – apice della felicità – e, infine, notava che stava con un’altra – parte in cui si discuteva l’opzione suicidio. Ma non solo: Jason non si ricordava di lei, soprattutto in quel modo. Tutti i ricordi di quel tipo legato a lei si erano volatilizzati grazie ai poteri della dea.
Non sapevo come facesse a trattenersi dallo strillare, ridere istericamente o piangere abbuffandosi di gelato. Il suo odio per Era doveva essere pari solo a quello di Annabeth, e il suo amore per Piper profondo quanto il mio.
Questo non era uno dei giorni migliori di Reyna, no di sicuro.
Scossi la testa un paio di volte, scacciando le riflessioni deprimenti sulla vita del pretore, e mi concentrai sul cibo. Fu facile. Sulla tavolata comparivano pietanze di tutti i generi, dalle patatine a biscotti appena sfornati, serviti da spiriti del vento di cui non mi sovveniva il nome.
Percy era già a buon punto della sua seconda pizza, fatto che mi fece sorridere. Quell’amorevole idiota mi era mancato, così come mi erano mancate le sue abbuffate di cibo blu.
Jason stava terminando il racconto dell’impresa cui aveva preso parte con Leo e Piper. «È stato alla Casa del Lupo che abbiamo saputo di Gea. Non si è ancora del tutto risvegliata, ma è lei la causa delle difficoltà che abbiamo a rispedire nel Tartaro i mostri che uccidiamo.»
«Già» intervenne la figlia di Afrodite. «È lei che sta facendo risorgere i giganti.»
Jason annuì. «Il loro re Porfirio, contro il quale ci siamo battuti, ha detto si stava si ritirando nelle antiche terre, in Grecia. Conta di risvegliare Gea e distruggere gli Dèi “estirpandoli alle radici”. Ha usato queste parole, mi pare.»
Percy smise di mangiare e annuì, serio. «Gea non si è data da fare solo con voi. Anche noi abbiamo avuto un piacevole incontro con lei.»
Attaccò a raccontare la sua storia, dal risveglio senza memoria alla Casa del Lupo al viaggio in Alaska con Hazel e Frank. Quando parlò di come non si ricordasse nulla eccetto un nome, Annabeth, la figlia di Atena dovette sbattere le palpebre alcune volte per evitare di piangere.
Trattenni un versetto che esprimeva il mio affetto per loro e strinsi la mano di Alex sotto il tavolo. Se Frig avesse provato a cancellare i ricordi del mio figlio di Odino, giurai che l’avrei legata, imbavagliata e cotta al forno fino a farla diventare bella dorata e croccante, come una patatina fritta.
Percy terminò il racconto narrando di come avessero liberato Thanatos, sconfitto Alcione, riportato l’aquila d’oro a Nuova Roma e respinto l’offensiva dell’esercito di giganti.
Alex fischiò. «Te la sei spassata anche senza di noi, vedo!» scherzò.
Percy ammiccò.  
«Wow, non c’è da stupirsi che ti abbiamo eletto pretore» fece Jason, ammirato.
Octavian, il biondino slavato con gli occhi da invasato e il collo da gallina, sbuffò. «E adesso abbiamo ben tre pretori. Le regole stabiliscono che possiamo averne soltanto due.»
«Considera il lato positivo» replicò Percy, rivolgendosi al figlio di Apollo. «Io e Jason adesso siamo entrambi tuoi superiori. Perciò, possiamo ordinarti in due di chiudere il becco.»
Mi misi una mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere, mentre i due semidei si davano il cinque e Octavian diventava viola. Einar stava sorridendo così tanto che non dubitavo gli stessero facendo male le guance, e persino Reyna si lasciò sfuggire un fugace sorriso.
«Dovremo affrontare in un altro momento questa questione del pretore in esubero» suggerì. «Adesso dobbiamo occuparci di problemi più importanti.»
L’augure dallo sguardo di un drogato ci riservò un’occhiata schifata. Già, perché eravamo noi il problema, secondo lui. Scommettevo che, in tutto il Campo Giove, non c’era nessuno desideroso di un pugno in faccia quanto lui.
«Io mi faccio tranquillamente da parte» disse Percy, appoggiandosi allo schienale della sedia, rilassato. «Non è questa gran cosa.»
«Non è questa gran cosa?» Octavian parve strozzarsi con le parole, tanto era sconvolto. «La carica di pretore di Roma “non è questa gran cosa”?»
Mi sporsi in avanti, appoggiando i gomiti sul tavolo. «Senti, Ciccio, “non è questa gran cosa” perché, mentre Gea è ancora per metà nel mondo dei sogni, il Padre dei Giganti dei Ghiaccio norreno è già sveglio, pimpante e molto, molto interessato a ucciderci tutti. Chiaro? O preferisci che ti faccia un disegnino?»
Octavian sarebbe balzato in piedi e mi avrebbe insultata pesantemente, se Reyna non l’avesse trattenuto per una spalla e Percy per l’altra, rispendendolo a sedere. La risata roboante di Johannes non contribuì certo a calmare le acque.
Alex mi stritolò la mano e forzò un sorriso rappacificatore. «Sì, il nostro problema è questo, più o meno. Astrid avrebbe potuto scegliere delle parole migliori, ovviamente. Non voleva urtare i sentimenti di nessuno. Certe volte è solo» ingoiò il “maledettamente” «impulsiva. Non è così, Astrid?»
Immediatamente, spuntò un sorriso anche sul mio viso. Ops. Forse avrei dovuto essere un tantino più delicata.
«Ma certo» chiosai. «Non fate caso al mio lessico inadeguato. Parlare non è il mio forte.»
L’intervento di Alex contribuì a far sbollire la rabbia di Octavian, anche se il romano continuava a borbottare cose in latino che non comprendevo. Se solo avessi potuto, gli avrei spezzato quel collo da gallina.
«Comunque» riprese il figlio di Odino, «credo sia opportuno chiarire chi è Ymir.»
L’apprensione di Percy crebbe visibilmente man mano che Alex raccontava, i suoi occhi erano solo per Annabeth che, invece, evitava di incrociare troppo a lungo il suo sguardo. Avevano molto da dirsi e questo non era il modo adatto a scoprire com’erano trascorsi i nove mesi di blackout.
«Questa è la nostra delegazione di pace» spiegò Alex, indicando velocemente tutti noi nordici. «Come non è difficile immaginare, con ben due giganti di cui occuparsi, una guerra tra Campi basata su meri rancori storici non è negli interessi né vostri né nostri. La tensione che c’è tra gli Dèi basta e avanza.»
«La storia dovrebbe insegnare a evitare di commettere gli errori passati» disse Octavian.
Mi rimangiai una rispostaccia, lasciando che fosse Lars a prendere parola. «Concorderai con me, allora, che ogni tipo di discriminazione, inclusa quella delle proprie origini, non è da ripetere. Giusto?»
Il figlio di Apollo serrò le labbra. «Giusto» sibilò, ritornando a concentrarsi sul contenuto del suo piatto.
Rivolsi a Lars, seduto al fianco destro di Alex, un ampio sorriso. Probabilmente, lui era l’unico veramente in grado di trattare con i Romani senza il minimo timore che dicesse qualcosa di errato.
Reyna era assorta nei suoi pensieri. «Scegliere se fidarci o meno di voi non è una decisione da prendere su due piedi. Credo sarebbe opportuno rimandare questa questione a più tardi» rifletté. «Per il momento, siete nostri ospiti.»
Alex chinò il capo in segno di riconoscenza. «Ti ringrazio a nome di tutto il Campo Nord.»
«Bene» disse il pretore, accennando un piccolo sorriso. «Ora possiamo passare alla Profezia dei Sette.»
«Noi la chiamiamo “la Grande Profezia”» precisò Annabeth. «In ogni caso, la conoscete anche voi.»
«Certamente. Octavian, l’hai imparata a memoria?»
«Naturalmente. Ma, Reyna…»
La figlia di Bellona non badò alla sua reticenza. «Recitala, per favore. Ed evita il latino.»
Octavian sospirò. Dopodiché, si schiarì la voce e intonò: «Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno. Fuoco o tempesta il mondo cader faranno. Con l’ultimo fiato un giuramento si dovrà mantenere. E alle Porte della Morte i nemici armati si dovran temere
«Impressionante» commentò Einar con un ghigno, battendo piano le mani.
Il figlio di Apollo l’avrebbe volentieri incenerito. Farlo infuriare era troppo divertente, era impossibile trattenersi.
Alex tossicchiò. «Comunque, una parte della profezia si sta facendo più chiara. I nemici alle Porte della Morte sono i Greci e i Romani, o i Romani e i Nordici.»
«Già. Qui si vede l’importanza di un’alleanza tra Campi» confermò Annabeth. «Se vogliamo trovarle, dobbiamo unire le forze.»
Hazel, una dei nuovi amici di Percy, prese parola. Avrei sborsato un sacco di soldi per fare a cambio con la sua carnagione scura, invece che il mio pallore costante.
«Mio fratello Nico è andato a cercarle» esordì.
Il figlio di Loki si bloccò di colpo, quasi sputacchiando la Coca-Cola che stava bevendo. «Nico Di Angelo?» balbettò, ripulendosi il mento con il dorso della mano. «Capelli neri, occhi scuri, aria incazzosa? Lui è andato a cercare le Porte della Morte?»
Hazel annuì come se fosse ovvio. C’era qualcosa che non mi quadrava, ma decisi di non approfondire e lasciarla continuare.
«Sì. Lui è… scomparso.» La ragazza si inumidì le labbra. «Non ne sono sicura, ma ho paura che...»
«… gli sia successo qualcosa di male» completò Einar al posto suo, mortalmente serio.
Stringeva il bicchiere così forte che mi chiesi chi, tra lui e l’oggetto, sarebbe andato in pezzi per primo.
«Lo cercheremo» promise Percy. «In ogni caso, dobbiamo trovare le Porte della Morte. Thanatos ci ha detto che avremmo avuto entrambe le risposte a Roma. Quella vera, intendo. Così ci avvicineremo anche alla Grecia, no?»
«Ve l’ha detto Thanatos?»
Annabeth sembrava dover metabolizzare il concetto. Dopotutto, gli Dèi non erano proprio collaborativi.
Percy addentò l’ultima fetta di pizza. «Ora è di nuovo libero, e i mostri torneranno nel Tartaro normalmente. Però, finché le Porte restano aperte, continueranno a tornare indietro.»
«Quindi, dobbiamo trovarle e richiuderle prima di dirigerci in Grecia, se vogliamo essere in grado di sconfiggere i giganti e farli rimanere tali» ricapitolò Alex, facendo il punto.
Reyna prese una mela da un vassoio e se la rigirò tra le mani. Le sue unghie incidevano piccoli solchi a forma di mezzaluna sulla buccia rossa. «State ideando una spedizione suicida a bordo della vostra nave da guerra? Avete un’idea di quanto siano pericolose le acque del Mare Nostrum?»
«Il Mare che?» domandò Leo.
«Il Mare Nostrum» chiarì Jason, «è il nome che gli antichi Romani avevano dato al Mar Mediterraneo.»
«Ci saranno anche là mostri grandi e grossi che ci vogliono uccidere. E allora? Non li combattiamo da sempre?» intervenne Johannes.
Reyna si irrigidì. «Quella è la casa ancestrale dei nostri nemici più temibili. Per quanto sia pericoloso per ogni semidio viaggiare per l’America o la Norvegia, là lo è dieci volte di più.»
«Più sono grossi, più fanno rumore quando cadono» ribatté il figlio di Thor. «Per me non fa alcuna differenza. Non sono una femminuccia.»
Dritt. Gli avrei lanciato qualcosa addosso, pur di farlo stare zitto. Per fortuna, Nora, affianco a lui, lo trattenne dal lanciare frecciatine peggiori con un bel calcio negli stinchi.
«Ci avevi detto che anche l’Alaska era molto pericolosa» notò Percy.«Eppure, siamo sopravvissuti.»
Reyna scosse la testa. «Il livello di pericolo del Mediterraneo è su tutta un’altra scala.»
«Per i semidei romani è un territorio proibito da secoli» ricordò Jason.
«Nessun eroe sano di mente ci si avventurerebbe» concluse la figlia di Bellona.
Non sapevo se la loro sintonia mi desse sui nervi o mi affascinasse.
«Allora noi siamo perfetti!» esclamò Leo. «Siamo tutti pazzi, giusto?»
Sorrise in cerca del supporto di Einar, il suo compagno di scherzi preferito, ma il figlio di Loki era immerso in ben altri pensieri e non aveva l’aria di uno che vuole fare qualche battuta. La notizia della scomparsa di Nico l’aveva rattristato più di quanto mi sarei aspettata.
«Non importa. Per quanto pericolosa sarà l’impresa, dobbiamo sbrigarci» proseguì il figlio di Odino. «Il risveglio di Gea è imminente, e Ymir si sta dando parecchio da fare.»
«La Profezia parla di sette mezzosangue, però» intervenne Piper. «Dobbiamo mischiare tre progenie di semidei e scegliere quelli giusti. Non sarà facile.»
Corrugai la fronte. «Facendo mente locale, noi nordici non abbiamo una versione della Profezia dei Sette o Grande Profezia. Forse, per noi le cose sono diverse.»
«Può darsi» ammise Alex. «Quando troveremo la Corona di Odino, magari la situazione sarà più chiara. Ma partiremo comunque insieme a Greci e Romani.»
Su questo punto non c’era da discutere.
«Okay.» Annabeth sospirò. «Io, Piper, Jason e Leo siamo in quattro.»
«Poi ci siamo io, Frank ed Hazel» continuò Percy. «Insieme, siamo in sette.»
«Cosa?» scattò Octavian, alzandosi in piedi di botto. «E noi dovremmo accettarlo così, senza averne discusso accuratamente?»
Reyna lo zittì con un gesto della mano, come a voler scacciare via una mosca. La sua attenzione si era focalizzata su ben altro. «La Corona di Odino» ripeté, enfatizzando ogni sillaba. «Ho la sensazione che questa faccenda ci riguardi da molto vicino, Alex.»
Il figlio di Odino deglutì, incerto sulle parole da usare in quel frangente. Non poteva uscirsene con “esatto, Reyna! Secoli fa alcuni dei vostri soldati hanno rubato la corona di mio padre, che ora sta dando di matto. Ho già fatto notare che è tutta colpa vostra?”
Lars lo salvò prima che il silenzio si prolungasse troppo a lungo. «È un manufatto estremamente importante per Odino. Purtroppo, la sua corona è andata perduta all’epoca dei conflitti tra i nostri due popoli. Non essendocene traccia nell’area di controllo dei nostri Dèi, supponiamo possa essere nascosta da qualche parte qui in America.»
Gli occhi di Reyna brillarono colpiti da un raggio di luce. Ero sicura che avesse compreso tutti i sottointesi di quella conversazione. Peccato che l’avesse fatto anche Octavian.
«Ladri!» strepitò. «Ci state accusando di essere dei ladri! Noi, il fior fiore del popolo romano, dei criminali!»
«Octavian…» cercò di fermarlo Jason, in vano.
«Traditore!» gli sputò addosso. «Come puoi acconsentire a tutto questo? In che cosa ti hanno trasformato questi barbari?» aggiunse, rovesciando il suo bicchiere d’acqua sulla tovaglia.
La sua voce aveva raggiunto un tono troppo alto per le sue corde vocali, era così stridula che mi provocava dolore fisico. Mi massaggiai le tempie.
«Dèi» invocai, alzando gli occhi al cielo. «Puoi finirla di strillare come un maiale condotto al macello?»
Gli cadde la mascella. La sua bocca, ora, assomigliava a una D capovolta. Non si riprese abbastanza in fretta, però, perché Tyson piombò da noi.
«Percy!»
Stritolò il fratellastro in un abbraccio ciclopico. Dietro di loro seguiva la Signora O’Leary, sulla cui groppa si trovava un’arpia dall’aria malaticcia, con radi capelli rossi e il piumaggio dello stesso colore.
Terminata la calorosa riunione famigliare, Tyson fece un passo indietro ed annunciò: «Ella ha paura!»
«Ba-ba-basta barche» borbottò l’arpia sulla groppa del segugio infernale, prima di mettersi a elencare una serie di navi affondate, tra cui il Titanic.
Leo socchiuse gli occhi, guardando storto Ella. «Sbaglio o questa specie di pollo ha appena paragonato la mia nave al Titanic
«Non è un pollo» replicò Hazel, distogliendo lo sguardo dal figlio di Efesto, quasi avesse paura di lui. «È un’arpia. È solo un po’ ipersensibile, ma non fa del male a nessuno.»
«Ella è carina» aggiunse Tyson. «Dobbiamo portarla via, ma lei non vuole prendere una nave. Ha paura.»
«Niente navi» ribadì Ella. Il suo sguardo vagò sui presenti, scrutandoci tutti, prima di soffermarsi su Annabeth. «Sfortuna. Eccola qui. La figlia della Saggezza cammina da sola…»
«Ella!» Frank si alzò di scatto, un movimento parecchio fluido per uno della sua stazza. «Non credo sia il momento di…»
«Il marchio di Atena su Roma brucerà» continuò lei imperterrita, tappandosi le orecchie e alzando la voce. «Il respiro dell’angelo che ha la chiave dell’eterna morte, i gemelli soffocheranno, se lo vorrà la sorte. La rovina dei giganti si erge pallida e dorata, e sarà vinta col dolore in una prigione intricata.»
Le sue parole ottennero lo stesso effetto che aveva Hermdor sui semidei appena arrivati al Campo Nord: gettava su ogni loro conversazione una coltre di silenzio così fitta che la si poteva tagliare a fette, mentre ogni capello ti si rizzava in testa. La nostra tavolata era immersa in quello stato, sebbene i rumori del banchetto continuassero attorno a noi.
Percy fu il primo a riscuotersi. Prese il fratellastro per un braccio ed esclamò, fingendo entusiasmo: «So io cosa fare!» Iniziò ad allontanarsi. «Tyson, perché non porti Ella a prendere un po’ d’aria fresca? Magari anche con la Signora O’Leary…»
«Aspetta un attimo» lo fermò l’augure. «Sembrava stesse recitando una profezia.»
Già. Ella aveva decisamente pronunciato una profezia. Riguardante Annabeth. Cosa diamine stava succedendo?
«Ella legge moltissimo» si affrettò a dire Frank. «L’abbiamo appunto trovata in una biblioteca.»
«Sì!» confermò la figlia di Plutone di slancio. «Probabilmente era solo qualche testo estrapolato da un libro.»
Sì, certo, come no. E il secondo nome di Alex era Carciofo.
«Libri» borbottò l’arpia, adesso stranamente più rilassata. «A Ella piacciono i libri.»
Nonostante l’uscita felice di Ella, nessuno sembrava convinto di quella scusa.
«Quella era una profezia» insistette Octavian, dando voce al cruccio comune.
Annabeth scoppiò a ridere. «Davvero, Octavian? Forse le arpie sono diverse, qui da voi Romani. Le nostre hanno un cervello appena sufficiente per fare le pulizie e cucinare. Le vostre predicono il futuro? Le consulti per i tuoi auguri?»
Le sue parole ottennero l’effetto sperato sul figlio di Apollo, mentre il suo sguardo supplicante trattenne noialtri dall’indagare oltre. Incrociai le braccia. Quando saremmo state di nuovo sole, avrei preteso di venire messa a conoscenza di ogni dettaglio di quella storia e del perché me l’aveva tenuta nascosta.
«Percy ha ragione» intervenne Frank, con un tono di voce che mal si accordava alla sua figura da grosso panda. «Tyson, perché non porti Ella da qualche parte attraversando le tenebre con la Signora O’Leary? Ella che dice?»
«I cani grossi sono bravi cagnoni» mormorò l’arpia, cominciando a sciorinare una lista di libri riguardanti cani di grossa taglia.
Percy sorrise come se il problema fosse risolto ed esclamò: «Fantastico! Vi manderemo un messaggio Iride quando avremo finito. Ci vediamo dopo!»
Prima che Octavian potesse mettere becco anche in questa decisione, Reyna approvò con un semplice “va bene. Andate” che provocò la gioia di Tyson, il quale fece il giro dei divanetti e abbracciò tutti i presenti compreso Octavian, che sembrava più felice di me del pensiero carino.
«Bene.» La figlia di Bellona posò la mela sul tavolo, decisa a risolvere ogni problema rimasto. «Octavian ha ragione su un punto. Dobbiamo avere l’approvazione del Senato per inviare dei nostri legionari in missione, soprattutto per una missione pericolosa come quella che suggerite voi.»
L’augure, che purtroppo non era morto di accesso di dolcezza causa abbracci ciclopici, brontolò: «Tutta questa faccenda mi puzza. Quella trireme, poi, non è certo una nave pacifica…»
«Allora sali a bordo, amico» propose Leo. «Ti farò fare il giro. Potrai anche guidarla. E, se sarai bravo, ti regalerò un cappellino da capitano.»
Octavian dilatò le narici, sdegnato. «Come osi…?»
«Ottima idea» approvò Reyna. «Octavian, va’ con lui a controllare la nave. Convocheremo la seduta del Senato tra un’ora.»
Leo si alzò e fece un fischiò, e il figlio di Apollo fu costretto a seguirlo. Il sollievo che provammo dopo che se ne fu andato fu immenso.
Alex si schiarì la voce, attirando l’attenzione di Reyna. «Per la Corona di Odino… Non avete una biblioteca che possiamo consultare, per caso? Io e Astrid potremmo fare qualche ricerca a riguardo e poi visitare Nuova Roma, se è possibile.»
Il pretore annuì. «Certamente. Frank e Hazel possono indicarvi la strada.» Non li guardò neanche per assicurarsi che fossero d’accordo con lei, perché quelli erano ordini nascosti dietro una frase innocua. «Spero possiate trovare ciò che cercate.»
«Grazie» replicammo io e Alex in coro.
E quindi si prospettava un’uscita romantica a base di tomi antichi e semidei romani che ci odiavano a pelle. Irripetibile.
«Ehm… Reyna, se non ti dispiace, anche io vorrei portare Piper a fare un giro» disse Jason.
L’espressione della ragazza si indurì e Piper ebbe la decenza di guardare da un’altra parte. Mi chiesi come facesse il figlio di Giove a non accorgersi di ciò che provava Reyna. Gli avrei dato uno scappellotto solo per il suo sfoggio di stupidità.
«Ma certo» acconsentì Reyna, freddamente.
Percy prese la mano di Annabeth. «Be’, allora…»
«No» disse Reyna.
I due si accigliarono. «Come, scusa?» fece il figlio di Poseidone.
«Vorrei scambiare due parole con Annabeth» chiarì lei. «Da sola. Se non ti dà fastidio, Percy.»
Ma era evidente che non gli stava chiedendo alcun permesso. Annabeth era riluttante all’idea di passare del tempo con Reyna invece che col suo fidanzato, però non poteva rifiutarsi, così si alzò e la seguì.
Alex batté le mani. «Bene!» esclamò con forzato entusiasmo. «Lars, Nora, mentre io e Astrid indaghiamo, vi affido il comando. Controllate che tutto vada bene.» Sottointeso: che Johannes non scateni risse.
«Perfetto» annuì il figlio di Eir. «Va’ pure, Alex.»
Alex gli diede una pacca sulla spalla, dopodiché si alzò e mi prese per mano. Via alle ricerche!
 
 
∆Reyna∆

 
«Questo è il mio angolo preferito» dissi. «Il giardino di Bacco.»
Conoscevo quel posto a memoria. Tralci di vite formavano una tettoia ombrosa, perfetta per rilassarsi negli afosi pomeriggi estivi che, a volte, soffocavano il Campo Giove. Le api ronzavano tra i gelsomini e i caprifogli, che riempivano l’aria con i loro profumi inebrianti. Al centro della terrazza c’era una statua di Bacco in una posa di danza classica, cosa che, quando ero più piccola, mi faceva sorridere.
Mi fermai con Annabeth sul bordo della terrazza. Osservandola, seppi che pensava che la vista ricompensava ampiamente la fatica della salita.
La città che si stendeva sotto i nostri occhi appariva come un mosaico in tre dimensioni: le acque calme del lago splendeva sotto i raggi del Sole, più in là si notavano i templi dedicati agli Dèi e l’acquedotto, dove i nostri operai riparavano il tratto danneggiatosi durante lo scontro coi giganti.
La gioia della figlia di Atena nell’ammirare il panorama mi rendeva una madre orgogliosa della propria figlia. Ma c’erano questioni più importanti di cui discutere.
«Volevo saperla da te» esordii.
Annabeth si voltò. «Sapere cosa?» domandò.
«La verità» spiegai. «Convincimi che non sto commettendo un errore a fidarmi di voi, di tutti voi. Parlami di te, del Campo Mezzosangue e di come hai conosciuto i semidei del Campo Nord. Le parole della tua amica Piper sono intrise di stregoneria, dopotutto, ho trascorso abbastanza tempo con Circe per riconoscere una lingua ammaliatrice, quando la sento. Di certo non posso chiedere ad Alex, sebbene mi sembri a posto. E Jason…» Non pensarci, Reyna. Spingili via, quegli aghi. Scacciali, i ricordi. Non te ne fai niente. «E Jason è cambiato» ripresi. «Sembra distante, come se non fosse più tanto romano.»
Come se non fosse più tanto mio. No, no, non adesso. Non era il momento adatto. C’era tanto altro da fare, da programmare, per la sicurezza di Nuova Roma, tutte cose molto più importanti di Jason Grace. Respira. Così. Avanti. Sempre avanti.
Per fortuna, Annabeth iniziò a raccontare e io potei concentrarmi sulle sue parole. Mi parlò della sua famiglia, della sua infanzia, di come era scappata di casa a sette anni ed era arrivata al Campo Mezzosangue. Mi descrisse la bellezza di quel luogo che non avrei mai visto. Narrò di Percy e delle loro avventure e disavventure, e poi dell’arrivo inaspettato dei semidei norreni e della guerra contro Crono, vista dalla prospettiva greca.
Ah, la guerra. Cercai il tempio di mia madre all’orizzonte e, quando lo individuai, lo indicai alla figlia di Atena.
«Vedi quel tempietto rosso? Là, a nord? Quello è il tempio di Bellona.» Mi girai verso di lei. «A differenza di tua madre, Bellona non ha un equivalente greco. È totalmente, autenticamente romana. È la dea che protegge la nostra patria.»
Probabilmente, Annabeth si stava chiedendo perché le stessi facendo un corso accelerato di storia romana.
«Quando noi Romani iniziamo una guerra, andiamo per prima cosa al tempio di Bellona» continuai. «Al suo interno, c’è una piccola porzione di terra che rappresenta il suolo nemico. Vi conficchiamo una lancia, per indicare lo stato del nostro popolo. I Romani hanno sempre creduto che la miglior difesa fosse l’attacco. Nell’antichità, ogni volta che i nostri antenati si sentivano minacciati dai popoli vicini, li invadevano proteggere se stessi.»
«Conquistarono chiunque avessero intorno» osservò Annabeth, omettendo di citare il popolo che non eravamo riusciti a sottomettere. «I Cartaginesi, i Galli…»
«E i Greci.» Lasciai aleggiare l’aggiunta nell’aria prima di procedere. «Non è nella natura di Roma collaborare con altre potenze. Ogni volta che i semidei greci e romani si sono incontrati, hanno combattuto tra loro e hanno acceso scintille delle peggiori guerre dell’umanità, soprattutto quelle civili. Per non parlare dei nostri trascorsi con Asgard…»
Parlare di collaborazione con i Greci era più fattibile che fare la stessa cosa con i Nordici. Ogni loro parola era una bomba ad orologeria che bisognava disinnescare con attenzione.
«Non deve essere per forza così» obiettò Annabeth. «Dobbiamo lavorare insieme. Non possiamo permettere che Gea e Ymir ci distruggano perché non siamo in grado di cooperare.»
«Sono d’accordo» concessi. «Ma la cooperazione è possibile? E se il piano di Giunone avesse delle falde? Anche le dee commettono degli errori.»
La figlia di Atena mi guardò come se si aspettasse che venissi incenerita a causa della mia ultima affermazione. Effettivamente, non era mio uso affermare sentenze del genere, ma ora bisogna parlare chiaro, non fare sfoggio di retorica.
«Non mi fido di Era, o Giunone» ammise la bionda. «Ma mi fido di tutti i miei amici. Non stiamo fingendo, Reyna. Possiamo davvero lavorare insieme.»
Lo speravo con tutto il mio cuore. Come pretore e come semidea romana, non potevo permettere che la mia città venisse danneggiata. Non volevo guardarla stendersi sotto i miei occhi e immaginarci linee di battaglia. Bevvi gli ultimi sorsi di cioccolata calda e posai il bicchiere sul parapetto della terrazza.
«Credo che tu sia sincera. Ma, se andrete nelle antiche terre, e soprattutto a Roma, devi sapere una cosa che riguarda tua madre.»
Annabeth si irrigidì e mi guardò intensamente. «Mia madre?» ripeté.
Annuii. «Quando vivevo sull’isola di Circe, avevamo parecchi visitatori. Una volta, forse un anno prima che arrivaste tu e Percy, approdò un giovane. Aveva viaggiato in balia delle correnti per giorni, ed era quasi impazzito per la sete e il caldo. Non parlava in modo sensato, ma disse di essere un figlio di Atena.»
Annabeth si aggrappò al parapetto, visibilmente a disagio. Aveva già intuito come avrei continuato, esattamente come mi sarei aspettata da una figlia di sua madre.
«Sì» confermai i suoi sospetti. «Farneticava di un figlio della saggezza, di un marchio di Atena, e così via… Le stesse parole che ha usato Ella poco fa. Sicura di non averle mai sentite prima d’ora?»
«Non… non in quella forma» disse la bionda con un filo di voce. «Questo semidio vi spiegò mai i dettagli della sua missione?»
Scossi la testa. «All’epoca non capivo di cosa stesse parlando. Molto più tardi, quando ero diventata pretore al Campo Giove, ho cominciato a sospettare. E il racconto sulla Corona di Odino mi ha dato qualche altro indizio.»
«Cosa sospetti?» mi domandò Annabeth.
«C’è una vecchia leggenda che i pretori si tramandano da secoli. Se fosse vera, potrebbe spiegare come mai i nostri due gruppi di semidei non sono mai stati capaci di collaborare. Vuole la leggenda che, finché l’antico torto non sarà raddrizzato, Greci e Romani non vivranno mai in pace.»
«E la leggenda è incentrata su Atena» intuì.
«Gi–»
Un suono acuto lacerò l’aria. Un suono di qualcosa che si schiantava. Che si schiantava sul suolo romano. Sentii la rabbia pulsare all’interno del mio corpo.
«Giganti?» chiese Annabeth, allarmata. «Pensavo che il loro esercito fosse stato sconfitto.»
«Non sono i giganti» ringhiai, sentendo sulla lingua un sapore come di veleno. «Avete tradito la nostra fiducia.»
«Cosa? No!»
Ma non poté aggiungere altro, perché la sua nave lanciò un secondo attacco. Un arpione incendiario attraversò lo squarcio sul tetto del Senato ed esplose, illuminando l’edificio dall’interno. Contai le decine di persone che si erano riunite lì per la seduta che io avevo chiamato e mi sentii ribollire dentro come il magma nel ventre del Vesuvio. Se solo avessi potuto…
«Santi numi, no!» Annabeth sembrava sinceramente costernata e questo non mi era di consolazione. Niente mi era di consolazione. «Reyna, non è possibile! Non faremmo mai una cosa del genere!»
Aurum e Argentum erano al mio fianco e ringhiavano contro di lei, ma non perché stava mentendo. Strinsi i pugni per ritrovare la calma.
«Stai dicendo la verità» stabilii. «Forse non eri a conoscenza del tradimento, ma qualcuno ne è responsabile e dovrà pagare.»
Nel Foro, si stava scatenando il caos. La mia gente scappava in ogni direzione, completamente nel panico. E il panico portava sempre ad azioni pericolose. Per una frazione di secondo, la rabbia venne meno e mi girò la testa.
«Rischiamo un massacro» dissi piano, come se la voce non fosse mia.
«Dobbiamo impedirlo, andiamo!»
Io e Annabeth corremmo giù dalla collina, verso il fuoco e il sangue.

 
koala's corner.
Buonsera, semidei! Quest'anno abbiamo stabilito che il giorno di pubblicazione cadrà di lunedì. Proveremo a rispettare la tabella di marcia, lo promettiamo. In ogni caso, seguite la nostra pagina fb per monitorarci → https://www.facebook.com/Cronache-del-Nord-714709385281830/timeline/
Il tuo capitolo è figo perché parla di Reyna e nessuno può dire che Reyna non sia figa.
Già :))) A parte la magnifica presenza di Reyna Avila Ramirez-Arellano, vediamo i nordici alle prese con lo psicopatico che è Octavian che vuole ucciderli tutti perché 1) è un idiota, 2) è un idiota e 3) è un idiota.
Ma tanto Alex gli ficcherà la sua spada su per le chiappe :P
E noi sappiamo tutti che fine farà quel sociopatico. Intanto, Einar apprende la notizia della scomparsa di Nico...
... e questo si traduce in: EINICO ANGST!
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, al prossimo lunedì!

Soon on Vendetta del Nord: POV Alex/Einar/Lars in cui Nuova Roma salta in aria e tutti gli altri si saltano alla gola. Jattone is the way.
 

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Capitolo 3
*** ALEX/EINAR/LARS • Roma brucia di entusiasmo alla nostra partenza ***


Roma brucia di entusiasmo alla nostra partenza
•Alex•
 
La nostra gita all’archivio di Nuova Roma fu foriere di quello che sarebbe accaduto più tardi. In primo luogo, esso era gestito da alcuni Lari che, almeno secondo Frank, erano spiriti protettori della Legione che, ovviamente, riservarono a me e ad Astrid una valanga di insulti. Fortunatamente erano in latino e non dovetti fare molto sforzo ad ignorarli, anche se la mia ragazza aveva l’aria di una che aveva proprio bisogno di sciogliere la lingua. Le strinsi la mano e le lanciai un’occhiata di intesa, facendole capire che non era il caso di inimicarsi gli spiriti di qualche legionario idiota, per di più morto qualche secolo prima.
Davanti a noi, Frank e Hazel avanzavano a passo accelerato, quasi avessero voglia di allontanarsi dalla baraonda della piazza. Quando fummo abbastanza distanti, però, il figlio di Marte si girò verso di noi con l’aria di chi vorrebbe sparire, ma, allo stesso tempo, è roso dalla curiosità.
«Posso farvi una domanda?» chiese, mentre eravamo davanti all’entrata che un Lare stava aprendo, la porta dell’archivio.
«Certo» risposi, in modo amichevole.
Sembrava un ragazzo a posto e Percy si era fidato di lui, quindi non poteva essere una persona così malvagia.
«Quando Percy ci ha parlato di voi c’è stato un putiferio… ma io non credo che siate male. Cioè… quello che voglio dire è…» balbettò imbarazzato, come se cercasse le parole giuste. «I-io non credo alle voci che si dicono in giro. E…»
«Spicciati, Zhang» sbuffò Astrid, infastidita dal suo esitare. «Non stiamo facendo una gita di piacere.» Non si vedeva, ma, dal tono di voce, intuii che era nervosa e agitata, come se qualcosa la preoccupasse.
«Ehm, certo, scusate! Ecco, volevo sapere com’era il vostro Campo» fece il ragazzo, diventando rosso per la fretta, mentre la sua ragazza gli teneva la mano.
«Cos’hai sentito, se posso chiedere?» indagai, camminando per entrare.
Il Lare ci lanciò un’occhiataccia.
Fu Hazel a parlare per lui. «Octavian, quello che parlava contro di voi, prima. Fa parte di una ricca famiglia di Nuova Roma ed ha raccontato un sacco di sciocchezze su di voi. Cose tipo che siete dei cannibali, che mangiate i vostri nemici e che bevete il sangue dei caduti direttamente dai crani.»
Io ed Astrid scoppiammo a ridere, malgrado tentassimo di trattenerci. Con il tempo molte informazioni della cultura del popolo del nord erano state distorte in modo a dir poco esilarante.
«Devo segnarmele, queste. Qualche barzelletta sarebbe interessante» scherzò Astrid, divertita.
«Non fidatevi di quel che dice, noi non siamo così. Molte cose sulla nostra cultura sono state distorte, con il tempo. Per rispondere alla domanda, il nostro Campo non mi sembra molto diverso dal vostro Campo Giove. Ognuno di noi ha accesso sia ad un’Orda che ad un tempio del proprio dio. Le Orde sono divise in cinque forti, ognuno rappresentante di un elemento della nostra cultura. Il drago è una delle creature più potenti della nostra mitologia e nella sua accezione positiva è legato alla saggezza del nostro Re degli Dèi, Odino. Poi c’è il sangue versato sul campo di battaglia, il fuoco, che brucia e riscalda d’inverno, la spada, l’arma dei guerrieri, ed infine lo scudo che protegge dai pericoli» spiegai, descrivendo poi la sua forma e le difese in modo superficiale.
Rimasi in silenzio su dove si trovasse di preciso, perché avevo promesso di non dirlo. Era ancora tutto troppo incerto per dare un’informazione del genere.
«E non avete un luogo dove andare, dopo aver finito il vostro periodo al Campo?» chiese Hazel, inarcando le sopracciglia.
«No. Per noi ci sono due possibilità. Una è vivere trai mortali, sopravvivendo ai mostri nel modo giusto. Dopo un po’ i mostri si stancano di dare la caccia a nemici e semidei troppo forti, quindi iniziano a lasciarli stare. Oppure, la seconda è vivere ad Asgard, nella dimora degli Dèi. In quel caso sei al sicuro, ma devi tener conto del fatto che sarai sempre sotto uno strettissimo controllo, diciamo» risposi, senza troppi preamboli.
Ultimamente era uno dei miei pensieri, cosa scegliere dopo il Campo Nord. E, anche se la vita ad Asgard mi intrigava, non sapevo se mio padre mi avrebbe mai permesso di entrarvi, con tutti i problemi che gli stavo creando.
Mentre parlavamo, iniziò la nostra ricerca negli archivi. I Lari non ci aiutarono molto. Si limitarono a guardarci male e sbuffare sonoramente, mentre ci aggiravamo tra gli scaffali. L’archivio era provvisto anche di computer, ma il numero delle imprese era tale che le memorie elettroniche non reggevano tutto, quindi fummo costretti a passare alla vecchia maniera: di scaffale in scaffale.
Fu con un certo fascino che percorsi le fasi della storie dei semidei romani attraverso ciò che avevano scritto. I moderni faldoni lasciavano il posto ad eleganti volumi rilegati in pelle, che diventavano sempre più logori e dalla copertina sempre più sgualcita e tarlata man mano che le imprese erano più vecchie. Nella sezione Guerra di Secessione c’erano parecchie imprese. Fortunatamente le etichette ci permisero di individuare il periodo da noi ricercato: primo decennio dopo Cristo.
«Alex, posso parlarti?» chiese Astrid, mentre controllavo una pergamena scritta in latino.
Ci capivo meno di nulla, per fortuna Hazel sembrava abbastanza ferrata in questa lingua e si era offerta di leggerlo per me.
«Certo, sai che puoi dirmi tutto» la rassicurai, con un sorriso, mentre ci allontanavamo qualche passo dai due romani. «Qualcosa ti preoccupa?»
La figlia di Hell annuì. «Due cose. La prima: ti sei accorto che…» con un gesto del capo indicò Hazel, intenta a leggere.
«… che è una non-morta?» chiesi, intuendo cosa volesse dire. Anche io avevo percepito il suo essere risorta. Mio padre governava su una parte degli Inferi Nordici, ero abituato a vedere spiriti. «A me sembra normale. Non mi ha dato motivo per non fidarmi e Percy non è così tonto da farsi fregare. Io dico di fidarsi, almeno finché non ci da un motivo di sospettare» commentai, studiando per pochi istanti la figlia di Plutone. Guardandola bene mi sembrava persino di intravedere qualche somiglianza con Nico.
«Ed io mi fido di te, però… la seconda cosa è questa» aggiunse, con un cipiglio preoccupato.  «’Sta mattina, prima di arrivare a Nuova Roma ho… percepito qualcosa. Mi ricordava certi momenti in cui avverto la presenza di fantasmi destinati al regno di mia madre. Una sensazione sinistra e fredda. Non so come spiegarlo, ma sento come se degli spettri si fossero insediati sulla nave.»
Mi adombrai, sentendomi nervoso: questo non l’avevo percepito, ma mi fidavo di Astrid. Non mi avrebbe mai mentito, quindi qualcosa a bordo c’era, e dovevo scoprire di cosa si trattava.
«Appena torneremo sulla Argo II setacceremo insieme ogni angolo di quella nave da cima a fondo» proposi, posandole una mano sulla schiena.
Lei annuì, anche se non tanto soddisfatta. Forse aveva paura che fosse troppo tardi per intervenire, ma io temevo che, se fossi tornato a bordo, avrei insospettito i Romani e non volevo dare loro qualcosa di cui dubitare. Avevo intuito che ogni singola parola e azione che compivamo noi nordici era come un clic su una scacchiera del gioco Campo Minato. Un pulsante sbagliato e tutto era perduto. 
Sospirai e cercai di concentrarmi sulla ricerca che, ovviamente, si presagiva lunga e noiosa. Fortunatamente, dopo pochi minuti, Hazel ci fece un cenno per avvicinarci.
«Forse ho trovato qualcosa» ci informò, aprendo la pergamena su un tavolo da lettura, accanto a lei.
«Davvero?»
Sbirciai sulla pergamena, ma ancora non riuscivo a capirci nulla di quella lingua morta.
«Non sono una latinista, però, se non sbaglio, qui c’è scritto di una specie di magazzino. Si parla anche della “corona di un dio straniero”. Dubito che ce ne siano tante, quindi penso si tratti della vostra. Inoltre, si fa riferimento ad una specie di rituale, il… clamat deorum. Non c’è scritto molto, a parte che il rituale è fallito» spiegò, osservandoci dispiaciuta.
«Quindi la corona di Odino è stata portata qui?» chiesi, accigliato.
Strano che un oggetto magico così potente non fosse percepibile.
«No, secondo questo documento il magazzino fu abbandonato dagli Alti Sacerdoti di Giove» rispose, leggendo velocemente la parte finale del documento.
«Il che significa che è ancora a Roma» commentai, massaggiandomi il mento, pensieroso.
Astrid mi dette una pacca sulla spalla. «Roma non è male come città. Mi è sempre interessato visitarla. Inoltre, devo ricordarti che anche loro ci vanno? Abbiamo un passaggio gratuito.»
«Hai ragione» convenni, sfiorandole la mano.
«Ma questo magazzino dov’è?» chiese Frank, mentre leggeva la pergamena con evidenti difficoltà  rispetto alla sua ragazza.
«Non c’è scritto qui, ma forse, in un’altra…» si interruppe quando un boato scosse l’aria.
«Per gli Dèi, che succede?» esclamò Astrid, sorpresa.
«I giganti stanno tornando?» le fece eco Frank, portando la mano al fianco per poi rendersi conto di non avere armi.
Raggiungemmo l’uscita di corsa, ma un Lare ci bloccò la strada e iniziò ad urlarmi contro.
«Tradimento! Ci attaccano! Uccidete questo barbaro!» urlò, cercando di strangolarmi. Mi ritrassi d’istinto, come per sfuggirgli, ma le sue mani mi passarono attraverso, senza danni.
Non spaventarti, è un fantasma!, mi ricordai, passandogli attraverso.
Fu il dopo a spaventarmi: l’Argo II stava facendo fuoco su Nuova Roma e un proiettile stava puntando proprio addosso a noi.
«A terra!» urlai, gettandomi di lato, travolgendo i tre ragazzi al mio fianco.
Finimmo tutti con il crollare a terra come sacchi di patate. Il proiettile incendiario passò così vicino alla mia testa che sentii la punta dei capelli andare in cenere e, pochi istanti dopo, l’entrata dell’archivio crollò come un castello di lego instabile.
«Chi è l’idiota che ha mirato su di noi?» sbottò Astrid, alzandosi furibonda.
Le ciocche di capelli fumanti le davano un’aria comicamente inquietante e pensai, per un istante ridicolo, che, nel suo caso, si poteva dire che stava fumando dalla rabbia.
«Stanno distruggendo la città!» gridò Hazel, con molta più enfasi, precipitandosi verso la piazza.
Le andammo dietro, fino a ritrovarci di nuovo davanti al Senato, dove era in corso una baraonda generale. Einar aveva creato una raffica di illusioni che stava confondendo i romani, ma era sudato. Lo riconoscevo, seduto accanto al tavolo al centro di quella che prima era la tavolata, trasformata in un enorme bersaglio fumante. Il bronzo fuso colava ancora, forse causato dal primo proiettile infuocato.
«Capo, non reggerò a lungo!» mi gridò, scorgendomi tra la calca.
Provai a raggiungerlo, ma una folla di semidei romani mi tagliò la strada. Alcuni di loro erano armato in modo improvvisato e provarono a travolgermi. Ringraziai che le armi non fossero ammesse a Nuova Roma, altrimenti sarei stato falciato. Fu Frank a salvarmi la vita: in pochi istanti il suo corpo si gonfiò, diventando grigio come la pietra, mentre i vestiti venivano inglobati. Un pachiderma di dodici metri si piazzò tra me e i Romani, che urlarono di sorpresa, fuggendo in tutte le direzioni.
La piccola pausa mi permise di guardarmi intorno. Johannes urlava come un folle e, intorno a lui, c’erano una decina di Romani svenuti. Aveva attaccato come una furia, anche se Nora e Lars stavano tentando di trattenerlo, mentre Helen cercava di evitare le sassate che le venivano tirate.
Jason e Piper erano dall’altra parte della strada rispetto a noi ed il biondo cercava di proteggere lei dalla folla inferocita.
«Aspettate, fermi! Sono dalla vostra parte!» urlava il figlio di Giove, cercando di calmare i suoi concittadini.
Il problema era che la maglietta arancione non gli facilitava certo la cosa. Ad un certo punto, un mattone colpì Jason in piena fronte, tramortendolo e, nella mia mente, apparve la stranissima visione che il mattone stesse tentando di dare un bacio al figlio di Giove. L’immagine era talmente assurda che, se la situazione non fosse stata così drammatica, mi sarei messo a ridere.
«Frank! Hazel!» chiamò Percy, avvicinandosi a noi, usando l’acqua della fontana come scudo. «Noi andiamo! Volete unirvi a noi?»
La ragazza sembrava terrorizzata, ma annuì ed indossò l’elmo.
«Vi raggiungiamo a bordo!» urlai, mentre tentavo di ricongiungermi ai miei compagni.
«Eccoli lì!» gridò la voce che riconobbi come quella di Octavian. Mi stava indicando e, accanto a lui, c’erano un paio di legionari. «Prendente il capo barbaro! Ha ordinato l’attacco!»
«Ma sta’ zitto!» fu la mia risposta, dando una gomitata al semidio più vicino, mandandolo a terra.
I Romani avevano caricato le catapulte e stavano rispondendo al fuoco della Argo II, ma, se la prima riuscì a colpire il fianco della nave, mandando in frantumi alcuni remi volanti, la seconda fu schiacciata da Speil, che piombò sulla macchina d’assedio, distruggendola. Le nostre viverne, resesi conto del pericolo, stavano intervenendo, tentando di difendere la Argo II.
Raggiunsi Einar e lo aiutai ad alzarsi, approfittando del disordine.
«Grazie, capo» disse, stancamente.
Per difendersi aveva dato fondo a tutte le sue abilità, ma almeno era vivo.
«Resisti, amico, ci siamo quasi!» lo incoraggiai, dando una spallata ad un altro legionario che provò a fermarci.
«Morite, bastardi!» urlò Johannes, caricando a testa bassa l’ennesimo avversario.
Pur disarmato, stava usando la gamba di un tavolo come clava e aveva persino colpito Lars, quando aveva tentato di bloccarlo. Il figlio di Eir barcollava con la tempia che gli sanguinava, sorretto da Helen. Insieme avevano raggiunto la scaletta della Argo II e la stavano risalendo.
«Alex!» Astrid mi chiamò, superando una panchina con un salto. «Andiamocene!»
«Prendi Einar e Nora! Portali al sicuro sulla nave, io mi occupo di Johannes!» le dissi, mentre lei sorreggeva Einar dall’altro lato.
«Lascialo perdere, quell’idiota, e andiamocene!» sbraitò esasperata.
«Lo ammazzeranno se non faccio qualcosa. O peggio, lui ammazzerà qualcuno» risposi preoccupato, correndo verso il figlio di Thor.
Astrid mi urlò qualcosa che non udii bene, ma suonò come uno “spaccone incosciente” e “stupido figlio di Odino”. Da una parte avrei potuto lasciare Johannes ed il suo microscopico cervello lì in balia dei Romani, ma temevo che avrebbe solo peggiorato la situazione. A pochi passi, lui si voltò verso di me e i suoi occhi azzurri mandarono scintille.
«Lo sapevo che non c’era altra soluzione! Hai visto, Dahl? Sarà la guerra!» urlò, guardandomi con astio.
I Romani intorno a noi si erano dispersi, intenti a spegnere le fiamme. La Argo II si era fermata e i motori si stavano avviando. Se non mi sbrigavo saremo rimasti entrambi lì, cosa tutt’altro che allettante, visto il numero di semidei romani che si stavano avvicinando.
«Non essere stupido, Berg! Possiamo ancora evitare il massacro» lo corressi, cercando di essere conciliante. «Dobbiamo andarcene subito!»
«Io rimango ad ammazzare un po’ di Romani. Tu vattene, se vuoi. Tanto io so come uscirne» sbuffò contrariato, ringhiando come un cane rabbioso.
«Non puoi sconfiggerli tutti! Sono più di duecento! Cosa credi, che ti lasceranno andare? Dobbiamo tornare alle nostre orde. Ora!» gli urlai, cercando di fargli capire che non potevamo restare.
Il suo cervello era talmente prevedibile che riuscivo quasi a vedere gli ingranaggi che si muovevano. Il figlio di Thor strinse i denti e annuì a malavoglia: aveva capito che non avrebbe avuto speranza e, in fondo al cuore, lui covava il desiderio di mostrare tutta la sua forza alla sua orda, quindi avrebbe aspettato di avere del pubblico per lottare. Stupido, certo, ma almeno mi impediva di doverlo stendere per farlo fuggire.
I Romani ci avevano quasi raggiunti, ma Vesa e la sua viverna piombarono tra noi e loro, dandoci copertura.
«Andiamo!» lo incitai, salendo in groppa alla mia cavalcatura.
I mezzosangue stavano indietreggiando, ma alcuni avevano già preparato gli archi per colpirci. Fortunatamente, prima che potessero fare qualcosa, eravamo già alti in cielo, fuori pericolo.
Dietro di noi la città di Nuova Roma era in fiamme.
Sperai che non ci fossero state vittime, nonostante il caos. Certo, noi eravamo salvi, ma, in quel momento, capii che la nostra missione diplomatica era appena andata a farsi benedire.
 
 ∫ Einar ∫

 
Quando Astrid usò il viaggio ombra, mi si rivoltò lo stomaco. Erano tipi di viaggi davvero insopportabili, vista la quantità di vertigini e giramenti di testa che ti davano. Avevo usato le mie illusioni per difendermi e, tra quelle ed il viaggio d’ombra, quando posai i piedi sul ponte della Argo II per poco non le vomitai sulle scarpe.
Fortunatamente io mi trattenni e lei, di suo, mi lasciò andare, raggiungendo Leo, che sembrava stordito, al comando della balista come se non sapesse bene come ci fosse arrivato.
«Tu, idiota! Che ti è saltato in mente?» lo aggredì la figlia di Hell, sul punto di tirargli un pugno.
Fortunatamente, Jason si frappose tra i due, cercando di calmare la baraonda.
«Posso lasciarti un secondo?» chiese Nora, appoggiando la mia schiena al parapetto.
«Vai pure, tanto non scappo da nessuna parte» scherzai, anche se, effettivamente, non avrei avuto la forza di alzarmi.
La figlia di Odino si unì alla discussione che io non riuscii a capire appieno, a parte il fatto che Astrid sembrava intenzionata a darle di santa ragione a Leo.
La situazione stava degenerando, quando sul ponte atterrò prima Hazel insieme al suo bellissimo cavallo, che sembrava assolutamente ignaro del fatto di essere andato oltre la velocità del suono. E poi arrivarono anche Alex e Johannes. Quest’ultimo sbuffò e, praticamente, caricò Frank a testa bassa.
«Bene, questo lo uccidiamo subito?» chiese, afferrando il figlio di Marte per la maglietta.
«Mollami!» sbottò l’altro, più spaventato che minaccioso.
Tuttavia riuscì a trasformarsi in un serpente e a mordere il figlio di Thor sulla mano, liberandosi.
«Maledetto!» urlò il biondo, cercando di afferrarlo, ma Alex lo bloccò.
«Ora basta!» ordinò il capo, tirandogli un pugno all’altezza dello stomaco. «Non siamo qui per ucciderci» aggiunse, aiutando Frank, finiti a terra.
«Grazie» rispose grato il figlio di Marte, accettando l’aiuto.
Alex mi si avvicinò e mi sollevò, lasciando gli altri a discutere. «Vieni, hai bisogno di riposo e cure, sei spossato» mi fece notare, portandomi all’infermeria della nave.
Tecnicamente era stata progettata da Leo per contenere ogni medicina possibile, ma Lars l’aveva letteralmente trasformata in un’infermeria d’emergenza di prim’ordine. Lavorando con i ragazzi della Casa di Apollo l’aveva rifornita con ogni medicina mortale e divina possibile. Lì, il figlio di Eir aveva la testa fasciata, ma ancora pieno di energie per lavorare, al contrario di me che ero uno straccio.
«Lars, tutto a posto?» chiese Alex, facendomi sedere su una delle brande e dandomi da bere un po’ di nettare.
«Sì, solo una sassata alla tempia, sto già meglio. Anche Jason dovrebbe essere qui, ma dopo che l’ho medicato ha fatto come voleva ed è tornato su. Cos’è successo?» domandò, controllando attentamente una boccetta contenente una pozione curativa.
«Leo è impazzito e ha sparato su Nuova Roma» risposi, mentre la mia nausea si calmava, finalmente.
«Capisco» disse, avvicinandosi e premendo leggermente l’indice sulla mia tempia. «Senti dolore?»
Scossi la testa.
«Ti gira la testa? Vomito?» continuò, mentre mi esaminava.
«Solo leggermente, ma sta passando.»
«Be’, allora hai solo usato troppo a lungo i tuoi poteri. Dovrai solo stenderti e mangiare un po’ di ambrosia» mi consigliò, indicandomi la branda.
«Come volete, mi riposo» borbottai stendendomi e togliendomi le scarpe svogliatamente.
Avevo già preparato una risposta sarcastica, ma lo sguardo accusatorio di Alex mi fece desistere. Capii che lui mi ci avrebbe legato, al letto, piuttosto che farmi rischiare uno svenimento, o peggio.
«Ragazzi, abbiamo bisogno di voi, quassù» urlò una voce.
Era Helen e, di contro, riuscivo a sentire anche le voci di Piper, Annabeth e Frank. Sembrava che ci fosse una specie di incontro di wrestling con quella specie di satiro, il Coach Hedge, che incitava.
«Che succede?» chiese Alex, affacciandosi fuori dalla porta dell’infermeria.
A rispondergli fu Percy. «Jason, Astrid, Frank e Johannes si stanno per scannare, qui abbiamo bisogno di aiuto!»
«Dannazione. Vado a fermarli, prima che si uccidano a vicenda» sbuffò il figlio di Odino, incamminandosi.
Lars mi lanciò un’occhiata ammonitrice, prima di dire: «Vado anche io, ma tu non muoverti e riposa.»
«Tranquillo, non vado da nessuna parte» sbuffai, appoggiando la testa sul cuscino.
Cavolo, non avevo per niente voglia di riposare: dovevo scoprire cosa diavolo aveva fatto quel testone di Nico. Ci scommettevo l’arco che era in guai grossi e dovevo tirarlo fuori. C’era stato un periodo, durante l’anno, in cui aveva fatto avanti indietro dall’Oltretomba alla Norvegia per parlare con me. Ci eravamo spesso confidanti e gli avevo fatto confessare un suo segreto che, sinceramente, non mi aveva lasciato del tutto indifferente. Non l’avrei detto a nessuno nemmeno sotto tortura, ma io e Nico ci eravamo avvicinati parecchio e non mi sarei mai perdonato se gli fosse accaduto qualcosa.
Borbottai qualche imprecazione, decidendo che la cosa migliore, forse, era davvero riposare. Con tutti quei pensieri non mi lavorava il cervello.
Come volevasi dimostrare, però, rimasi in una sorta di dormiveglia poco riposante alternata a sprazzi di sogni in cui vedevo Ymir che schiacciava gli Dèi sotto i suoi piedi, per poi spazzare via il mondo intero. Tutto molto rassicurante, insomma.
Passò qualche ora, forse, quando la porta dell’infermeria cigolò piano, avvertendomi dell’arrivo di qualcuno.
Era Hazel, la sorella di Nico.
«Pensavo non ci fosse più nessuno» osservò, sorpresa della mia presenza.
«Sono sempre nei posti più inaspettati, mia cara» le feci notare con un bel sorriso, che cercai di rendere amichevole… anche se, conoscendomi, dubitavo di esserci riuscito.
Mi lanciò un’occhiata difficile da comprendere, ma mi parve di disprezzo, misto, però, ad una forte curiosità.
«Mio fratello non mi ha mai parlato di te» disse dopo qualche secondo, avvicinandosi e studiandomi attentamente.
«Sorpresa?» chiesi,  senza abbassare lo sguardo. «Se Nico ti avesse detto di me la sua copertura tra i Romani sarebbe saltata. Non voleva metterti in pericolo, loro avrebbero potuto sospettare anche di te. Dopotutto, siete figli del dio dei morti, non è esattamente la divinità più amata al mondo.»
«Lo capisco, ma lui ha parlato a te di Nuova Roma?» domandò accigliata.
Forse aveva paura che suo fratello si cacciasse nei guai con me.
«Non esattamente, mi ha detto che era con te a Nuova Roma e mi ha spiegato cos’era a grandi linee. Ma non è mai andato troppo a fondo nella faccenda» precisai per rassicurarla.
«E tu non l’hai detto al tuo comandante?»
Hazel sembrava perplessa dai miei strani modi.
«Senti, io ed Alex siamo amici, ma non credo di dovergli dire ogni particolare della mia vita sent…» Mi bloccai e mi morsi il labbro. «… della mia vita. È vero, Nico mi ha detto qualcosa, ma mi ha fatto giurare di non dirlo a nessuno. E a ragione. Hai visto cos’hanno fatto i tuoi amichetti romani quando ci hanno visti arrivare?» sbottai, leggermente irritato, ripensando alla quantità di ciocchi e mattoni mi avevano lanciato contro.
«Mi sta dando la colpa?» replicò Hazel, arrabbiata, anche se leggermente arrossita: si vedeva che le dispiaceva. «Non tutti noi siamo così, ma abbiamo voi attaccare la città, cos’altro dovevamo fare?»
«Noi, vorrai dire.»
«C-cosa?»
«Noi. Tieni conto che, ormai, anche tu ed il tuo ragazzo siete sulla nave nemica, quindi, tecnicamente, anche voi siete coinvolti, ora» spiegai, scuotendo il capo mestamente.
«Non che avessimo molta scelta. Se non ci univamo, il mondo sarebbe finito» precisò lei, più calma.
«Appunto, quindi siamo tutti sulla stessa barca… Scusa, nave» scherzai, tirandomi su, finalmente del tutto riposato. Adoravo sentirmi bene.
«Comunque sia, non capisco come mai Nico si fidi così tanto di te» brontolò Hazel, guardandomi in modo strano. «Scusa se lo dico, ma non sembri proprio…» Cercò di trovare le parole giuste.
«Affidabile?» le andai incontro con un sorriso.
Lei arrossì un po’, ma annuì.
«Be’, Hazel cara, diciamo solo che io e Nico condividiamo molti segreti. Siamo stati insieme a lungo e sappiamo cosa significa essere al margine. Io e lui ci siamo trovati bene insieme, quindi si fida di me. Ora, la cosa più importante, è andare a salvarlo» spiegai.
Solo pensarci mi aveva fatto salire la preoccupazione.
«Hai ragione» convenne la figlia di Plutone.
«Parlando d’altro» dissi, cercando di portare la conversazione su argomenti più leggeri, «come mai qua in infermeria?»
«Stavo prendendo qualcosa per le emergenze. Io e Leo stiamo andando a prendere un del bronzo celeste per riparare i danni alla nave.» Esitò un attimo, prima di chiedermi, con una certa riverenza: «Vuoi… vuoi venire con noi?»
«Volentieri» risposi allegro. Una missione fuoribordo era proprio quello che ci voleva per calmarmi. «Leo Elfo Valdez avrà bisogno di qualcuno che raffreddi i suoi bollenti spiriti. Chi meglio del sottoscritto?»
Hazel scosse la testa e ridacchiò, mentre, insieme, tornavamo di sopra. Nei suoi occhi, però, leggevo confusione e timore: non l’allegria che voleva trasmettere. Mi chiesi se Leo non la stesse turbando in qualche modo.
 
≈Lars≈

 
«Lasciami!»
Quando arrivai di sopra insieme ad Alex, la situazione stava davvero degenerando. Jason era riuscito a calmare Astrid che si limitava a lanciare occhiate in cagnesco a Leo che ne approfittò per dileguarsi in sala macchine, in modo da controllare la situazione. Il figlio di Giove, però, sembrava ancora stordito e barcollò leggermente ma la sua ragazza lo sostenne e lo portò di sotto.
Johannes non sembrava dell’umore di calmarsi: aveva afferrato Frank per la collottola della maglietta viola e sembrava intenzionato a strangolarlo. Hazel aveva estratto la spada per difendere il suo ragazzo, ma Percy si era messo in mezzo per evitare che si uccidessero a vicenda. Nora ed Helen stavano tentando, invece, di bloccare il figlio di Thor.
«Io vi ammazzerò tutti, maledetti!» urlava come un invasato, mentre il figlio di Marte si divincolava.
Alex ed io ci scambiammo un’occhiata d’intesa e ci lanciammo contro Johannes. Lui gli tirò un pugno nello stomaco, costringendolo a mollare la presa, mentre io gli detti una spallata forzandolo ad indietreggiare fino al parapetto.
«Stronzi» ci  insultò, afferrando il suo maglio e puntandocelo contro. «Vi schierate con il nostro nemico?»
«Non sono nostri nemici» risposi, incrociando le braccia, mantenendo la calma. «C’è stato un malinteso, possiamo ancora evitare il massacro. Dobbiamo solo scoprire cos’è successo.»
«Ve lo dico io cos’è successo» ringhiò come un animale rabbioso. «Questi bastardi» - ed indicò Frank, che si stava tenendo il collo dolorante, aiutato da Percy - «ci hanno attaccati senza motivo e ci volevano morti! Questo non è il momento di indagare, ma di agire! Dobbiamo richiamare i nostri amici e fare il culo ai Romani!»
«Dobbiamo mantenere la calma, invece» lo redarguì Alex, cercando di mostrare autocontrollo.
«Avevi detto che non ci avrebbero attaccati!» gli ricordò il figlio di Thor.
Lo osservai incerto. Quello che era accaduto era molto confuso. Leo aveva aperto il fuoco per primo, ma non ero certo che l’avesse fatto di sua volontà. Forse quel tipo biondo di nome Octavian aveva fatto qualcosa al figlio di Efesto. Quello che era certo era che molti patti erano stati rotti in quel frangente.
Le altre orde avrebbero avuto il via libera di attaccare, considerando il fatto che Alex aveva assicurato loro che non ci sarebbero stati scontri ed invece era avvenuto l’esatto contrario.
«Berg, devi mantenere la calma» venne in aiuto Nora, rifilandogli un’occhiata gelida «Sembri una gallina che starnazzante.»
Il figlio di Thor strinse i pugni fino a farli sbiancare. «Ho capito. Significa che dovrò parlare direttamente agli atri capi.» Puntò l’indice contro Alex. «Io lo sapevo che la tua idea ci avrebbe portato solo rogne, ma io non farò il tuo stesso errore.»
Astrid si fece avanti, pronta a difendere a spada tratta il suo fidanzato, ma non ne ebbe il tempo di aprire bocca. Villskap, la viverna di Johannes, atterrò accanto a lui. Era uno splendido esemplare femmina lungo cinque metri con un apertura alare di dodici. Le scaglie nere facevano contrasto con gli occhi rossi, accesi come braci. Johannes salì sulla sua groppa e i due volarono via, probabilmente verso est.
«Brutto figlio di pu… buona donna» ringhiò Astrid, guardandolo allontanarsi.
«Non ci vuole una figlia di Frigga per capire che ci darà dei problemi» borbottò Helen, accigliata.
«Come agiamo?» domandai, mentre Percy, Frank ed Hazel parlavano tra loro, poco lontano da noi.
Alex incrociò le braccia e chiuse gli occhi pensieroso. Ormai lo conoscevo abbastanza bene da poter vedere tutti gli ingranaggi che si attivavano nel suo cervello alla ricerca della soluzione più veloce possibile.
«Helen? Qualche visione utile?» chiese, dopo qualche momento, voltandosi verso di lei.
La figlia di Frigga si rabbuiò e scosse il capo. «Non sono molto chiare. Il futuro è molto incerto: ho vi semidei romani, nordici e greci che si combattevano ai piedi di una collina bagnata di sangue. Inoltre ho visto… Roma. Quella vera, intendo. Credo che qualsiasi cosa stia succedendo, la città di Roma, in Italia, sarà al centro di molti eventi futuri. Infine... gli Dèi non se la stanno cavando bene.»
«Questo già lo sapevamo» sbuffò Astrid.
«Non è quello che pensi tu. Non lo capisco appieno, ma pare che si divideranno. Alcuni verranno mandati a fermare i Romani» precisò Helen.
«È da pazzi!» sbottò Nora, furibonda. «Nostro padre non può certo pensare di poter sconfiggere Ymir da solo!»
«È impazzito dalla rabbia» feci notare, accigliato. «Persino tra gli Dèi c’è chi nota la sua follia.»
«E di questo dobbiamo approfittare» decise Alex, ponendo fine alle nostre discussioni guardandoci uno ad uno. «Dobbiamo trattenere le nostre forze, fintantoché non avremo in mano la corona di Odino. I nostri Dèi sono tenuti impegnati da Ymir, quindi dobbiamo evitare che i nostri amici si scannino con i Romani.»
Annuimmo, tutti d’accordo su questa linea d’azione.
Si rivolse a me direttamente. «Lars, il comando dell’Orda del Drago è tuo, adesso. La Skidbladnir è ancorata poco lontano dal Campo Mezzosangue. Lì ci sono anche i guerrieri di Johannes. Probabilmente è lì che si è diretto e tu devi andare a trattenerlo. Qualsiasi cosa accada.»
Inspirai nervosamente, rendendomi conto che era qualcosa di molto pericoloso. «D’accordo.»
«Con te ci saranno Nora ed Helen… Se a voi non dispiace, ragazze» aggiunse, guardando le due,  in attesa della loro approvazione.
«Ovvio, fratello. Non sia mai che lasci tutto il divertimento a voi dell’Orda del Drago» gli rispose Nora, abbracciandolo in modo fraterno.
«Bene. Fa’ attenzione» le raccomandò Alex, prima di lasciarla andare a prepararsi per il volo.
Sul ponte rimanemmo solo io, lui ed Astrid a fissarci in modo nervoso: sapevamo tutti cosa stava per accadere.
«Un po’ di strizza, eh, Lars?» mi prese in giro la figlia di Hell, più calma.
Annuii, sospirando. «Questo casino doveva capitare proprio a noi.»
«Lars…» mi disse Alex, appoggiandomi una mano sulla spalla. «Non sei costretto a prendere il comando. Se non vuoi, dimmelo e lo manterrò.»
Mi sorrise, rassicurante, come un fratello maggiore.
Scossi il capo però, deciso a fare la mia parte. «No. Lo devo fare io. Alex, tu devi compiere una missione più importante. Lascia a me la questione delle orde. Posso gestire Johannes e i suoi senza problemi. Per quanto riguarda la corona di tuo padre… Ho la sensazione che solo un figlio di Odino possa recuperarla. E nessuno meglio di te potrebbe riuscirci.»
Ci guardammo per qualche istante e lui annuì.
«Molto bene. In bocca al lupo, Lars. Mi fido di te. Che gli Dèi siano con te» mi augurò, sorridendomi.
 «Anche io mi fido di te… ma dubito che gli Dèi saranno con noi, visto quel che dobbiamo fare» gli feci notare, serio, mentre pensavo a quanto difficile doveva essere il nostro compito.
Tremila anni di rabbia da cancellare in meno di un mese.
«Quando mai lo sono stati?» osservò Astrid, con nero sarcasmo. «Se fregano per tutto il tempo, però poi vogliono usarci per le loro beghe divine e trastullarsi, mentre noi ci facciamo in quattro per loro.»
Alex ridacchiò. «Non posso darti torto.»
«Vedi, Al, io ho sempre ragione, in un modo o nell’altro» lo prese in giro lei, sorridendo un po’ di più.
«Volete che vi lasci soli?» chiesi.
«No, altrimenti chi mi difende da lei?» replicò il figlio di Odino, ridendo.
«Tu? Bisogno di aiuto? Sta’ zitto, cialtrone, che non mi sembrava di dispiacerti» lo canzonò la sua ragazza, mettendo le mani sui fianchi.
Alex alzò le mani in segno di resa. «Ok, ok, come non detto. Ad ogni modo, spero che qualche dio ci venga in aiuto. Per superare certi ostacoli possiamo solo sperare nel miracolo.»
«Questo è vero» risposi accigliato. «Dopotutto, non sempre, per guarire una ferita si può aspettare che la natura faccia il suo corso.»
«Voi due siete così noiosi, mamma mia. Stavamo ridendo e scherzando e tornate a parlare di cose serie» ci prese in giro Astrid, anche se sapevo che la questione le premeva più di quanto non facesse trasparire.
«Tranquilla, ti lascio sola con il tuo ragazzo e al divertimento» la rassicurai, avviandomi verso le scale che portavano sotto coperta.
«Fa’ attenzione, Lars» mi disse Alex, poggiandomi una mano sulla spalla, mentre, impercettibilmente, i suoi occhi si inumidivano. Quasi fosse triste per quello che poteva essere un addio.
«Lo farò» lo rassicurai, cercando di sorridergli.
Mentre scendevo, lui si sedette con le spalle al parapetto, accanto ad Astrid e i due si strinsero in un abbraccio sotto il sole. Sospirai e scesi, rendendomi conto che, forse, Alex ed io ci eravamo davvero detti addio.
Un’ora dopo la Argo II era ferma, poco lontano da un lago, a sud di Nuova Roma. Leo aveva spiegato che aveva bisogno di bronzo celeste per riparare i danni velocemente, così lui, Hazel ed Einar sarebbero andati a recuperarlo, mentre il resto dell’equipaggio avrebbe aiutato nella riparazione dei danni.
Io e Nora avevamo richiamato le nostre viverne. Helen sarebbe stata dietro di lei.
«State attenti» ci consigliò Jason, preoccupato. «I Romani non sono sprovveduti: manderanno le loro aquile a cercarvi. Potrebbero intercettarvi in volo.»
«Saremo in grado di difenderci, biondo» rispose Nora, accarezzando Hurtigfloy, la sua viverna.
«Non ho mai detto questo, ma, comunque, non abbassate la guardia» disse, guardandoci tamburellando mestamente sull’elsa del gladio.
Nella sua mente sentivo rammarico: si sentiva come se avesse tradito la sua città.
«Eviteremo che Nuova Roma venga bruciata» lo rassicurai, mentre salivo su Speil, imitato dalle mie due compagne.
«Me lo auguro. Come auguro a voi buona fortuna» replicò il figlio di Giove, salutandoci.
Ci allontanammo veloci, anche noi diretti ad est, con l’intenzione di intercettare Johannes ed impedirgli di mettere in atto il suo folle piano di massacro e guerra.
E mentre le nostre viverne volavano veloci, trasportate dal vento, mi parve di sentire la voce di mia madre, nella mia mente.
«Figlio mio, ricorda le mie parole. Questa rabbia è come un veleno che scorre nelle vene degli Dèi da molto tempo. Trova la pace nella guerra. Unisciti a lei ed insieme sarete l’antidoto che ci guarirà.»

 
koala's corner.
Buon lunedì, semidei! Sempre i lunedì possano mai definirsi buoni.
Questo capitolo si auspica molto attivo e divertente perché, sostanzialmente, Roma va a fuoco!
E noi non siamo ancora in grado di trovare titoli decenti, anche per un episodio così. Mannaggia.
Come potete vedere, abbiamo già combinato un bel casino. Non è uno spoiler, ma questo è solo il preludio di quello che l'accoppiata greci-romani-nordici ha in serbo.
Tremate! (?)
Oggi non abbiamo molto da aggiungere - strano -, quindi speriamo semplicemente che il capitolo vi sia piaciuto :) Un abbraccio e al prossimo lunedì, ciao!

Soon on VdN: Primo POV di quella ragazza meravigliosa che è Hazel e, be', ricordate tutti il primo incontro dei nostri semidei in MOA, giusto?

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Capitolo 4
*** ASTRID/HAZEL • Flirt e annunci di morte ***


Flirt e annunci di morte

♦Astrid♦
 
Non potevo soffrire un Alex depresso. Io ero la depressa, lui il riflessivo che riusciva in ogni circostanza a sorridere. Ecco, questo scambio di ruoli non mi piaceva per nulla. Ero empatica quanto un pilastro di cemento e perciò totalmente incapace di trovare le parole adatte per confortarlo. Volevo solo che si dimenticasse per un attimo di tutti i nuovi problemi che si erano andati a creare e regalargli un momento di pace. Ma, come già sapevo, in quella situazione ero utile quanto un peto in chiesa.
Gli poggiai una mano sulla spalla e strinsi leggermente. «Lars se la caverà bene» gli dissi. «Fidati di me.»
Alex mi catturò tra le sue braccia. «Mi fido di te» sussurrò. «Ma… So quanto è difficile il comando. Conosco il peso di questa responsabilità e non la affiderei a nessuno a cuor leggero.»
Provai a sorridergli. «È perché sei troppo buono.»
Alex rimase pensieroso. Il mio tentativo di tirarlo su di morale sprofondava più a fondo del Titanic.
«E poi ha Nora ed Helen ad aiutarlo» gli ricordai. «Sono entrambi capaci e gli daranno una mano, soprattutto tua sorella e la sua orda.»
«Anche questo è vero» concesse. «Però bisogna vedere come reagiranno gli altri. Se intercettano Johannes prima che arrivi al Campo potranno evitare il putiferio, ma se falliscono…»
«Sssh. Non falliranno.» Gli diedi un bacetto sulla mascella. «Non preoccuparti. Andrà tutto bene.»
Alex mi prese il viso tra le mani e mi carezzò una guancia con il pollice, sfiorandomi poi le labbra. «Va bene. Ti credo.»
«Mmmh-mmmh» convenni, socchiudendo gli occhi.
Mi baciò lentamente, stringendomi di più a sé. Be’, magari non ci sapevo fare con le parole, ma avevo altre carte da giocare per distrarlo.
 
 
Hazel era una ragazza decisamente troppo buona e gentile per stare con due scalmanati come Einar e Leo. Non le invidiavo affatto il pomeriggio che avrebbe trascorso con i due ragazzi. Sicuramente sarebbe stata sommersa da battutacce e scherzi di dubbio gusto, quando, invece, avrebbe potuto svolgere qualcos’altro insieme a Frank, il suo fidanzato.
Per essere due semidei romani, non sembravano affatto male. Il fatto che la figlia di Plutone fosse una non-morta mi preoccupava un po’, ma sospettavo che la sua vita in questo mondo fosse garantita dal padre, che doveva sicuramente sapere ciò che faceva con i suoi figli morti-e-resuscitati. E Frank era un ragazzone di zucchero filato, decisamente impossibile da non amare.
Pensare all’Oltretomba mi fece ricordare all’improvviso delle strane presenze che occupavano la Argo II. Si erano offuscate, rispetto al momento subito seguente il bombardamento, ma rimanevano comunque lì, come un brusio di sottofondo di cui alla fine ti dimenticavi. Eppure erano sempre lì, come in agguato, e non appena ci prestavo più attenzione potevo sentirle infestare l’intera nave.
Diedi un colpetto al braccio di Alex, accanto a me. «Sai cosa possiamo fare mentre aspettiamo che tornino?» feci.
«Ho il sentore che “tentare di rilassarsi” non rientri nella lista» rispose.
Sorrisi mestamente. «Magari» replicai. «Piuttosto, ricordi i “fantasmi” di cui ti ho parlato a Nuova Roma?»
Alex si fece subito attento e gliene fui grata. Se avessi parlato a qualcun altro di queste mie sensazioni metafisiche non mi avrebbe preso sul serio e avrebbe rimandato la questione a più tardi, quando invece avevo la netta sensazione che non fosse un problema minore.
«Potremmo controllare in giro e accertarci che sia tutto a posto» proposi.
Non dissi “così siamo sicuri di non rischiare una morte dolorosa e inaspettata”, ma il senso era quello, più o meno.
Alex annuì. «Okay. Jason si è finalmente deciso a riposarsi, ma forse Piper ha voglia di aiutarci. Potremmo chiederle se…» Rallentò fino a smettere di parlare, accorgendosi del mio sorrisone di estrema gioia a quella proposta. «… oppure lo facciamo noi due da soli» completò, grattandosi distrattamente la nuca.
«Sì, certo, credo che sia meglio così» dissi, fingendo una naturalezza che non mi apparteneva.
Non ce l’avevo più con Piper – o, almeno, ero molto meno incline all’omicidio colposo –, ma mi sentivo ancora a disagio in sua presenza. Ogni volta che stavo chiacchierando con Jason e lei reclamava attenzione da parte sua, inserendosi nel dialogo, io mi eclissavo man mano finché non trovavo una scusa per dileguarmi. Ammettevo il fatto che non fosse un essere umano spregevole e avesse delle qualità, ma, comunque, di mio non l’avrei mai avvicinata per stringere amicizia. Appartenevamo ad habitat differenti e non mi interessava per nulla adattarmi al suo.
Alex batté le mani ed esclamò: «Bene! A te il comando, Astrid.»
«Onorata della tua fiducia nelle mie capacità, capo» replicai, prendendo in mano la situazione.
Ero quasi certa che gli spiriti di cui avvertivo la presenza non fossero molto attivi sul ponte, ma controllammo lì comunque. Scendemmo sottocoperta ed esaminammo i vari ambienti. Nella sala da pranzo provenivano vibrazioni più forti; il carico di sofferenza, rancore e attaccamento tipici di un’anima vagante premevano contro le pareti. Eppure, un qualcosa mi diceva che non si trattava di spiriti provenienti dall’Hellheim, nonostante si assomigliassero molto. La differenza era minima, ma era comunque ben delineata.
Mi picchiettai il mento con il pollice, tentando di decodificare i segnali che avevo ricavato.
Alex mi pose le mani sulle spalle e abbozzò un massaggio. «Senti niente di diverso?» mi domandò.
Chiusi gli occhi e mi sciolsi sotto il suo tocco. «Sono più forti, qui. Ma non voglio pensare che ci sia un problema con qualcuno di noi» risposi. «Tu non senti proprio niente?»
Il figlio di Odino fece una mezza risata e alzò le mani. «Zero» disse. «Sei tu l’esperta, in questo campo.»
Sospirai e riaprii gli occhi. «L’aiuto di Nico mi sarebbe utile, adesso» borbottai tra me e me. Ricacciai indietro l’ondata di angoscia che seguiva il saperlo nei guai. Mi schiarii la gola e comandai: «Torniamo indietro e controlliamo le camere.»
«Giusto. Meglio evitare che mostri escano da sotto il letto, questa notte» concordò Alex.
Inarcai un sopracciglio. «Era una battuta?» domandai.
Lui mi sorrise con aria colpevole. «Pessima?» chiese.
«Pessima» confermai, scuotendo la testa e sperando che non notasse il sorrisetto che mi increspava le labbra.
«Cavolo, a me sembrava carina» si lamentò. «Uffa.»
Mi scappò un versetto che esprimeva tutto il mio affetto e la mia debolezza di fronte a quel suo mezzo broncio. Intrecciai le mie dita con le sue e gli scoccai un bacio sulle labbra. Alex ricambiò la stretta e mi baciò a sua volta.
«Per che cos’era, quello?» domandò, piacevolmente stupito.
Risi. «Consolazione.»
Alex finse di rimanerci male, facendo una faccia ancora più buffa del suo broncio. «Sei tremenda» mi apostrofò per gioco, dandomi un bacio sui capelli.
Uscimmo dalla sala da pranzo e tornammo indietro verso le camere da letto. Mi fermai accuratamente davanti ad ogni porta per captare ogni segnale sospetto, ma io e Alex decidemmo di comune accordo di non entrare in nessuna stanza per mantenere la privacy.
Quando mi trovai di fronte alla porta dell’alloggio di Hazel, inevitabilmente avvertii delle vibrazioni più intense. Erano forti tanto quelle che mi sarei aspettata da un qualsiasi non-morto di mia madre, seppure con una traccia che non era riconducibile all’inferno nordico. Era come un marchio che Ade – Plutone, in realtà – si era lasciato dietro. Quella stessa caratteristica era presente nelle presenze che infestavano la Argo II.
Non volevo pensare ad Hazel come a una traditrice. Lei era così carina e, in qualche modo, candida, più pura di qualsiasi persona a bordo. Le probabilità che fosse stata assoldata da Gea erano minime, ma comunque esistevano. Forse Madre Terra non aveva ancora abbastanza forze per risvegliarsi, però poteva averne accumulate abbastanza per far alzare dalla sua tomba una ragazza, farla passare per una di noi e fregarci tutti quanti.
«Perché deve andare sempre a finire così…» sospirai.
«Eh?» Alex mi strinse la mano, ricordandomi della sua presenza.
Mi voltai verso di lui. «Uh? Niente.»
«Astrid» mi riprese. «Non mentire. Di’ quello che devi dire e basta.»
Distolsi lo sguardo e mi fissai la punta delle scarpe. «Non voglio dare un motivo per sospettare di Hazel» buttai fuori. «Ma…»
«Ma…?» m’incalzò il figlio di Odino.
«Ma non lo so, Alex» completai, trovando la forza di guardarlo negli occhi. «Ci sono tante somiglianze tra ciò che ho sentito in sala da pranzo e ciò che è presente nella sua stanza. Potrebbe essere una coincidenza, oppure no. Non ne sono sicura e non voglio farmi condizionare dalla simpatia che provo nei suoi confronti. E se lei fosse davvero la responsabile di quello che è accaduto a Nuova Roma, e io non dicessi nulla? Se mi sbagliassi, invece, minerei la serenità di questo gruppo.»
E non voglio fare sempre io la parte di quella che non si fida, quella problematica, solo perché voglio  proteggere tutti quanti, aggiunsi nella mia mente, ma non mi azzardai a dirlo. Era vero, tendevo a diffidare delle persone e a passare per la Ragazza Tenebrosa e Scorbutica. Nessuno indagava a fondo su questo mio comportamento, seppure la ragione fosse a dir poco semplice. Sapevo che chi ci era più vicino era inevitabilmente colui che ci faceva più male, e preferivo conservare integra me stessa chiudendomi all’esterno, piuttosto che stare con gli altri ed essere ferita da tutti loro.
Alex si era rabbuiato. «Hai ragione. Non possiamo incolpare Hazel senza avere prove certe» disse. «Però, d’altra parte, non possiamo nemmeno starcene zitti e aspettare di fare fuoco su una nuova città.»
Mi appoggiai con la schiena al muro e gli strinsi la mano. Una stretta lunga, una breve, e una ancora lunga – un’abbreviazione del codice Morse SOS, un modo che avevamo inventato per dirci segretamente “sono qui” e “ho bisogno di te” e “ti amo”.
«Avanti, figlio di Odino. Sei abbastanza intelligente per trovare una soluzione che al mio cervello di povera figlia di Hell sfugge» scherzai.
Alex sogghignò brevemente. «Tu lusinghi il mio ego, ma a ragione» replicò. «Quando tornerà dalla missione insieme ad Einar e Valdez, le parlerò da sola con una scusa e le racconterò dei nostri sospetti in modo molto cauto e altrettanto gentile.»
«Okay» acconsentii. «Per favore, fa’ del tuo meglio. Non voglio combinare un casino.»
«Non ti preoccupare. Sono bravo con le parole» mi rassicurò.
Non potei impedirmi di sfoggiare un ghigno alla Einar Larsen. «E anche con la lingua» aggiunsi, maliziosa.
Il commento trovò Alex impreparato. «T-tu…» balbettò.
«Sono solo una povera figlia di Hell» dissi, recitando la mia parte di ragazza bisognosa d’affetto.
Una luce guizzò nei suoi occhi. Prima che potessi anche solo pensare di scappare via, Alex mi catturò tra le su braccia e mi issò sulle spalle, avvalendosi di una mossa insegnatagli sicuramente da Hermdor.
Non seppi se scoppiare a ridere o iniziare a strillare. Nel dubbio, feci entrambe le cose.
«Non ti serve a niente gridare» mi disse Alex, che a stento riusciva a rimanere serio. «Nessuno ti sentirà mai.»
Gli battei un pugno sui muscoli d’acciaio della sua schiena. «Cosa vuoi fare?» urlai. «Cosa vuoi farmi
«Oh, niente» rispose, camminando per il corridoio. «Ho solo intenzione di trovare una stanza e dimostrarti che le mie abilità non si fermano alla lingua.»
Avevo l’osso della sua spalla conficcato per metà nello stomaco, ma non era per quello che mi mancava il fiato. «Tu–»
«Taci, figlia di Hell» mi redarguì. «Sei la mia prigioniera, adesso. E non avrai scampo.»
 

◊ Hazel ◊


 
Attraversare il Great Salt Lake su un solo cavallo con due ragazzi dietro di me avrebbe sicuramente fatto svenire le mie insegnanti. Quindi, meglio per loro che fossero morte da tempo. E meglio per Frank che non sia qui a vedermi, aggiunsi mentalmente con una punta d’orrore. Sarebbe stata una situazione molto, molto imbarazzante da spiegare.
Per fortuna, la corsa durò poco, visto che Arion riusciva ad abbattere la barriera del suono anche con tre persone in groppa. Il mio cavallo raggiunse la spiaggia in pochi minuti, e noi smontammo subito dopo. Non senza difficoltà. Einar e Leo scesero nello stesso momento, finendo per ostacolarsi l’un l’altro e atterrare non esattamente in piedi. Apparentemente, nell’incomprensibile gergo maschile, questo era divertente, perché scoppiarono a ridere.
Arion scalpitò sulla sabbia e sbuffò. Ragazzi, sembrava convenire con me. O forse, dopo una corsa del genere, era semplicemente affamato. Mi sarebbe piaciuto condividere la stessa abilità di Percy di parlare con i cavalli e poterlo chiedere direttamente ad Arion.
Gli passai una mano sulla criniera. «Hai bisogno di mangiare, eh?» dissi. «Non so se troverai dell’oro nelle vicinanze.»
«Oro?» domandò Einar.
Mi voltai verso di lui e annuii. «Sì, oro. Ma si accontenterà dell’erba, per ora.»
«Veloce e costoso da mantenere, la Lamb—il cavallo» commentò Leo.
Mi strinsi nelle spalle. «Non esattamente» replicai. «Trovare l’oro non è un problema, per me.»
Leo inarcò le sopracciglia. «Non è un problema, tipo?»
«Tipo, conosco più io della tua mitologia che te, amico» lo rimbeccò Einar, appoggiandosi a lui come se fosse un bastone. Un bastone troppo basso, per lui. «È una figlia di Plutone. Dio dei morti e delle pietre preziose e blablabla. Hai presente, no?»
Leo alzò uno sguardo fintamente ferito verso di lui. «Sono un meccanico, fratello, non Annabeth Wikipedia Chase» ribatté. «E per di più un meccanico greco
Einar allargò le braccia in un’espressione di finto shock. «Cosa? E io che pensavo fossi ispanico.»
«E io che pensavo fossimo in missione» intervenni. Avevo la sensazione che quei due sarebbero stati in grado di continuare così per ore.
Einar puntò un dito verso di me e mi fece l’occhiolino. «Bella risposta, Levesque. Totalmente esatta, anche.»
«Okay.» Leo si sfregò le mani. «Un problema è già risolto. Questa spiaggia è tutta calce.»
Io ed Einar aggrottammo la fronte, in una chiara domanda. La spiaggia?
«Vedete i granelli? Sono perfettamente rotondi. In realtà, non è sabbia, bensì carbonato di calcio.»
«Puoi anche tirartela di meno, Valdez» scherzò il semidio nordico.
Leo gli sorrise, mentre riempiva una busta di plastica di calce e se la faceva scomparire nella cintura degli attrezzi. Si spolverò le mani sui pantaloni, non migliorando poi molto le loro condizioni.
«Adesso, ci manca il bronzo celeste, giusto?» chiese Einar.
«Giusto» gli rispose l’amico. «Festus ha detto che ce ne dovrebbe essere da queste parti, ma non ho idea di dove possa trovarsi…»
«Di qua» dissi, indicando un punto poco più su delle dune bianchissime che formavano l’isola, insieme a rocce incrostate di sale. «A cinquecento metri.»
«Come fai a…?»
«I metalli preziosi rientrano sotto il dominio di Plutone» spiegai.
Leo mi osservò, probabilmente calcolando quanto strano potesse sembrare — e non avevo nemmeno menzionato il fatto che tutte le pietre preziose che trovavo portavano sfortuna. Ero già preparata al suo giudizio. Invece, il ragazzo mi sorprese. «Mica male, come talento» considerò. «Vai avanti tu, Miss Metaldetector.»
Einar rise. «Credo che tu abbia appena ottenuto un nuovo soprannome, Hazel. Ti avviso, è permanente.»
Gli rivolsi un timido sorriso in risposta.
Il figlio di Loki sembrava ancora un ragazzo da cui girare alla larga, uno di quei tipi pronti a cacciarti in guai più grossi di lui e poi negare tutto, quelli che si divertivano a tormentare noi di colore, consci della nostra impotenza nei loro confronti. Ma questi non erano gli anni Quaranta, né ci trovavamo a New Orleans. Giudicandolo a prescindere, gli facevo lo stesso torto che tutti avevano fatto a me in passato. Quindi, decisi di fidarmi di mio fratello e considerarlo una persona di fiducia.
Ci incamminammo verso il luogo in cui avremmo trovato il bronzo celeste, io davanti e i due semidei dietro. Se non fossero stati così impegnati a prendersi in giro a vicenda, mi sarei sentita a disagio ad avere i loro occhi puntati sulla mia schiena. Il sole cominciò a tramontare, tingendo il cielo di un colore a metà tra il porpora e il giallo. Sarebbe stato un paesaggio romantico da ammirare mano nella mano con Frank.
Leo mi si affiancò. «Quanto manca?» domandò, lo stesso tono di un bambino impaziente. La sua somiglianza con Sammy era impressionante.
«Poco, siamo vicini» risposi, puntando verso l’entroterra.
Appena superate le dune di calce, però, notammo una figura. Era una donna, seduta su un sasso in mezzo a un prato. Una moto nera era parcheggiata poco distante da lei. Mi domandai come riuscisse a funzionare, dato che mancava uno spicchio di cerchione a ciascuna delle ruote, particolare che le faceva assomigliare a due grosse forme di formaggio.
Einar strinse gli occhi. «Sta facendo un cosplay della versione femminile di Michael Jackson, per caso?» chiese.
Leo emise una risatina nervosa.
Non avevo idea di chi fosse Michael Jackson, ma probabilmente il commento aveva a che fare con il suo abbigliamento: pantaloni da motociclista di pelle nera, stivali alti e un giubbotto di pelle rosso sangue. Era così magra che le potevo veder sporgere le ossa. I capelli ricci e neri le nascondevano parte del viso, mentre si concentrava sul suo compito, ovvero spezzare biscotti della fortuna cinesi borbottando frasi sconnesse. Ne aveva già una montagnola ai suoi piedi.
«Forse non dovremmo passare per di lì» osservò il figlio di Efesto.
Scossi la testa. «Se vogliamo prendere il bronzo celeste prima che faccia buio, sì» replicai. «Forse è un qualche tipo di guardiana, quindi stiamo attenti.»
Ci avvicinammo con circospezione. Ci facemmo più tesi, quando notammo che portava una frusta arrotolata alla cintura. Un disegno sottile, rami ritorti di un melo con appollaiati sopra uccelli scheletrici, percorreva tutto il suo giubbotto, altro particolare alquanto inquietante.
«Sai» esordì Einar, «la frusta non si accorda bene con il tuo outfit. Non mi pare che Michael Jackson ne avesse una in Thrill… cosa?»
La donna si era alzata e il ragazzo era immediatamente sbiancato. Sbiancato davanti alla… signora Leer? Era impossibile. Lei era morta da anni. La sua somiglianza doveva essere puramente casuale. Eppure, il suo viso era così impresso nella mia mente che non potevo negare la somiglianza lampante.
Leo si accigliò. «Zia Rosa?»
«È così che mi vedi?» chiese la donna. «Interessante. E tu, Hazel cara?»
«Come sa il mio…?» Feci un passo indietro, allarmata. Era tutto troppo strano per essere reale, o per non essere pericoloso. «Lei è identica alla signora Leer, la mia maestra di terza elementare. La odiavo» ammisi.
Lei ridacchiò. «La odiavi, eh? Ti giudicava ingiustamente?»
Oh sì, se lo faceva. «Mi legava le mani al banco per cattiva condotta» dissi, rabbia antica che venava la mia risposta. «Diceva che mia madre era una strega. Mi dava la colpa la colpa di cose che non avevo mai fatto.»
La donna mi rivolse un sorrisetto compiaciuto. Compiaciuto di cosa, però?
«Meglio che tu non pronunci il suo nome, mio caro» disse ad Einar, che la guardava dritto negli occhi con odio. La sua mascella era serrata. «Provo una certa simpatia nei confronti di tuo padre e non vorrei che sua moglie incenerisse uno dei suoi figli più importanti.»
«Okay. Tutto ciò è molto strano.» Leo espresse il pensiero comune. «Lei chi è? E perché la vediamo in modo diverso?»
«Oh, scommetto che puoi arrivarci, mijo» replicò.
Leo osservò prima lei, poi la sua moto, poi di nuovo la donna. «Sei Nemesi, la dea della vendetta.»
«Visto? Mi hai riconosciuta.» Spezzò un altro biscotto e arricciò il naso. «Riceverai una fortuna quando meno te lo aspetti. Tsk. Questo è proprio il genere di sciocchezze che detesto. Qualcuno apre un biscotto, e all’improvviso una profezia gli garantisce la ricchezza. Tutta colpa di quella vagabonda di Tyche, sempre in giro a dispensare fortuna alla gente che non se la merita!»
«Ehm…» Leo esitò un istante prima di continuare. «Lo sa, vero, che non sono vere profezie? I messaggini ce li mette dentro la fabbrica…»
«Niente chiacchiere!» lo fulminò Nemesi. «Tipico di Tyche, illudere la gente. Devo ostacolarla.» Fece scattare un dito sulla strisciolina di carta e le lettere diventarono subito rosse. «Morirai dolorosamente quando meno te lo aspetti. Ecco qua, molto meglio!»
«Ma è orribile!» protestai. «Permetterebbe davvero che una profezia del genere si avveri?»
«Mia cara Hazel, non hai mai augurato cose orribili alla signora Leer?»
«Certo, ma non ho mai voluto che si avverassero!» saltai su.
«Bah…» Nemesi non sembrava convinta. «In ogni caso, Tyche, o Fortuna, per te, sta passando un brutto momento insieme agli altri Dèi. Per me non c’è alcun problema, invece. La vendetta è sempre uguale, sia in Grecia sia a Roma.»
«Non ci ha ancora chiarito il perché sia qui, comunque» intervenne Einar.
Nemesi sgretolò un altro biscotto che non la soddisfaceva. «Volevo solo darvi qualche avvertimento. Vedete, gli Dèi sono in pessima forma. Succede sempre così, quando c’è una guerra civile tra Greci e Romani. Le loro due nature sono divise, e loro si sentono tirare un po’ da entrambe le parti. Il che causa disorientamento, mal di testa lancinanti e anche schizofrenia.»
«Ma noi non siamo in guerra» replicò Leo, confuso.
«Ehm, amico.» Einar gli mise una mano sulla spalla. «Hai da poco bombardato Nuova Roma. È abbastanza per far scoppiare un conflitto.»
«Non l’ho fatto apposta!»
«Lo sappiamo» dissi, cercando di calmare le acque. «Solo, i Romani non se ne rendono conto e ci daranno la caccia per rappresaglia. Soprattutto Octavian.»
«Ascolta i tuoi amici, Leo» riprese la dea. «La guerra è vicina, e sarà combattuta su tre fronti. Il bombardamento è opera di Gea, con il tuo aiuto. Riesci a indovinare chi incolperanno gli Dèi per la loro situazione?»
Leo chinò il capo. «Incolperanno me.»
«Ma sentitelo!» Nemesi fece un verso di scherno. «Non si può dire che tu non abbia un’alta opinione di te stesso. Io mi riferivo all’origine di questa ridicola missione, di questa idea di unire i tre Campi. Non parlavo delle pedine. Gli Dèi incolperanno Era, o Giunone. È scappata dall’Olimpo per sfuggire all’ira della propria famiglia, quindi non aspettarti ulteriori aiuti dalla tua protettrice.»
«Grazie tante. Sapevamo già che gli Dèi non ci avrebbero aiutato» borbottò il figlio di Efesto.
«Bah, io vi sto offrendo il mio aiuto!» ribatté la dea.
«Sul serio?»
«Ovviamente!» confermò lei. «Adoro far crollare gli orgogliosi e i potenti, e nessuno lo merita più di Gea e dei suoi giganti. Devo però avvertirvi che non tollererò un fallimento. La buona sorte è una frode. Il vero successo è frutto del sacrificio.»
«Il sacrificio?» La mia voce raggiunse un acuto. «Ho perduto mia mamma. Sono morta e poi sono tornata in vita. Ora mio fratello è disperso e potrebbe essere in guai seri. Non sono sacrifici sufficienti, per te?» Arrossii per come mi stavo rivolgendo a lei. Era pur sempre una dea e io le stavo riversando addosso i momenti tristi della mia vita come accuse. «In questo momento, vorrei soltanto avere un po’ di bronzo celeste» finii, controllando la mia rabbia.
«Oh, questo è facile» rispose Nemesi. «Basta superare la collina. Lo troverai insieme alle innamorate.»
«Innamorate?»
«Lo scoprirai. Forse ti insegneranno una lezione, Hazel Levesque.» Distrusse l’ennesimo biscotto. «Di solito, gli eroi non possono sfuggire alla propria natura, nemmeno quando viene data loro una seconda occasione di vita.» Mi sorrise, il che non prometteva nulla di buono. «Quanto a tuo fratello Nico, non vi resta molto tempo. Oggi è il… venticinque Giugno, giusto? Sì. Quindi, avete altri sei giorni. Poi morirà, insieme all’intera città di Roma.»
Mi mancò improvvisamente il fiato, come se avessi appena ricevuto un calcio di Arion in mezzo al petto. «Come…? Cosa…?»
Ma Nemesi non mi considerò neanche. «Quanto a te, figlio del fuoco, le prove più dure devono ancora arrivare. Sarai sempre l’escluso, la settima ruota del carro. Non troverai posto persino tra i tuoi fratelli. E…»
«Oh, all’Hellheim tutte queste stronzate» la interruppe Einar. Lo guardai come si guarda un folle buttarsi giù da una rupe. «Leo non è la settima ruota del carro o qualunque altra cosa tu abbia appena detto. È mio amico, e non lo lascerò indietro. So troppo bene cosa si prova ad essere trattato come spazzatura. Non mi permetterei mai di fare la stessa cosa a Leo.»
Leo alzò lo sguardo su di lui, e lessi sul suo viso qualcosa vicino alla commozione.
Nemesi rise sguaiatamente. «Ti piace fingerti un eroe, eh, Einar Larsen? Certo, stando vicino ad Alex Dahl hai imparato bene» l’apostrofò. «Ti ricordo che la storia è fatta di protagonisti e personaggi secondari. Tu sei un figlio di Loki e sai bene a quale categoria appartieni. Ti consiglio di tenerlo a mente. Perché sai che cosa succede ai personaggi secondari che provano a diventare degli eroi?» Non attese risposta. «Muoiono, Einar Larsen. Ecco, che cosa succede.»
Einar sollevò le sopracciglia. «Devo applaudire, o qualcosa del genere? No, perché era un discorso molto coinvolgente, capite.»
Nemesi scosse la testa, senza perdere il sorriso. «Agisci come credi, mezzosangue.» Tornò a rivolgersi al figlio di Efesto. «Avrai bisogno del mio aiuto per risolvere un problema a cui non saprai far fronte, Leo Valdez» disse. «Potrei offrirtelo… ma tutto ha un prezzo.»
«Non ascoltarla, Leo» dissi.
Con mio sollievo, rispose: «Preferisco risolvere i miei problemi da solo.»
La dea della vendetta si strinse nelle spalle. «Okay.»
«Ma… ehm… quale sarebbe il prezzo di questo tuo ipotetico aiuto?»
Mi assalì la voglia di strangolare quel piccolo semidio greco.
«Recentemente, uno dei miei figli ha dato un occhio in cambio della possibilità di fare la differenza in questo mondo» rispose Nemesi con nonchalance.
Leo assunse un colorito malsano. «V-vuoi un mio occhio?»
«Hmm. Nel tuo caso ci vorrebbe un altro sacrificio.» Gli porse un biscotto della fortuna ancora intatto. «Ecco, tieni. Se ti servirà, rompilo. Risolverà il tuo problema.»
«Leo» ammonii, ma lui non mi stette a sentire.
Prese con mano tremante il biscotto e chiese: «Quale problema?»
«Al momento giusto, lo saprai» rispose Nemesi, sibillina.
«No, grazie» rispose lui, ma vidi chiaramente la sua mano far scivolare il biscotto nella cintura degli attrezzi. In che cosa si era appena cacciato?
«Ultimo consiglio: in questo stato, pochissimi Dèi, forse nessuno, riuscirà ad aiutarvi nell’impresa. Solo una cosa potrebbe riportare di nuovo l’unità sull’Olimpo: un antico torto finalmente raddrizzato. Ah, come sarebbe dolce, i piatti della bilancia finalmente in equilibrio perfetto!»
«Suppongo che non ci spiegherai di che cosa stai parlando» replicò Leo.
«O perché a mio fratello mancano sei giorni di vita» aggiunsi.
«Senza menzionare perché la capitale dell’Italia verrà distrutta» completò Einar.
«È tutto collegato, semidei» ribatté Nemesi. «Ma vi ho trattenuto fin troppo. Dovete raggiungere lo stagno riflettente prima che la luce scompaia. Quel povero ragazzo maledetto si, uhm, agita molto all’arrivo del buio.»
Il suono di quell’ultima frase non mi piacque per nulla.
La dea salì sulla moto e diede gas, svanendo in una nuvola di fumo nero. Apparentemente, le ruote funzionavano anche così. Quando il fumo si dissolse, tutti i biscotti della fortuna ai suoi piedi erano scomparsi eccetto uno. Mi chinai a raccoglierlo.
«Ti vedrai riflesso, e avrai motivo di disperare» lessi.
«Dèi, non credo che nessuno di noi sia così brutto, al momento» disse Einar.
Leo rise e gli batté il cinque. «Sei un mito, fratello.»
 
 
Non c’era alcun dubbio che stessimo tutti pensando alle parole di Nemesi, mentre superavamo le dune. Fingevamo che non ci avessero toccato, anche se in realtà era evidente dal nostro silenzio che non fosse così. Leo, in particolare, sembrava il più abbattuto. Anche più di Einar, che aveva praticamente ascoltato un discorso sulla sua morte, pareva averla presa meglio. Forse era abituato a sentire parole simili, ma più probabilmente era un bravo attore.
Alla fine, mi avvicinai a Leo e gli posi delicatamente una mano sulla spalla. «Non prendertela troppo per quello che ha detto Nemesi» cercai di tirarlo su.
Il semidio si accigliò. «E se fosse vero?»
«Non lo è» chiosò Einar.
«Comunque» ripresi, «lei è la dea della vendetta. Forse è dalla nostra parte, forse no. In ogni caso, esiste per suscitare rancore.»
Leo borbottò qualcosa di incomprensibile. «Per adesso, occupiamoci del ragazzo maledetto di cui ha parlato.»
Sotto di noi, una voce ripeté: «Ragazzo maledetto di cui ha parlato.»
Ci scambiammo uno sguardo confuso. Poi, notammo la ragazza. Indossava una tunica greca dello stesso colore delle rocce e perciò era difficile da individuare, ed anche i capelli di un colore indefinito tra il castano, il biondo e il grigio non aiutavano. Non riuscivo a imprimere il suo viso nella mente per più di qualche secondo, che subito diventava indefinito.
Sperai che fosse innocua. Dopotutto, non ci aveva assalito alle spalle. Ad ogni modo, meglio iniziare gentilmente. «Ciao, tu chi sei?» le chiesi.
«Tu chi sei?» replicò lei, annoiata. Aveva l’aria di chi ha ripetuto la stessa domanda troppe volte.
«Ehm, forse prima dovresti rispondere tu» la invitò il figlio di Loki.
«Rispondere tu.»
Einar si ficcò le mani in tasca e ridacchiò. «Be’, se proprio insisti… Io sono Einar, figlio di Loki e un gran pezzo di figo.»
Lei roteò gli occhi. «Un gran pezzo di figo.»
«Lo so, lo so. Il mio fascino va preso un po’ alla volta. È così tanto che destabilizza.»
«Einar» lo bloccai. «Non credo che stia veramente facendo conversazione con te. Sta semplicemente ripetendo le tue ultime parole ogni volta.»
«Uh?»
Leo schioccò le dita. «Hazel, hai ragione! Non c’era un mito che parlava di una ragazza che ripeteva tutto?»
Annuii, all’improvviso rendendomi conto di chi ci trovavamo davanti. «Eco.»
«Eco» confermò la ragazza.
«Poverina» dissi, sinceramente dispiaciuta. Vivere così doveva essere terribile. «È stata una dea a farlo, vero?»
«Vero» dichiarò, sospirando.
«Quindi sei una dei mortali tornata in vita attraverso le Porte della Morte» intuì Einar.
«Porte della Morte.»
Einar diede di gomito a Leo. «Ma deve ripetere proprio tutto?»
Eco lo guardò male. «Proprio tutto.»
«Ehi, amico, potrebbe anche essere divertente» replicò l’altro.
I due ghignarono.
«Non provateci nemmeno» dissi. Non c’era tempo per i loro giochetti da bambini. «Ricordate cos’ha detto Nemesi riguardo al ragazzo maledetto? Si agita quando calano le tenebre. Dobbiamo fare presto.»
«Presto» concordò Eco.
Gesticolò verso un punto più avanti, invitandoci a seguirla. Non ci volle molto a trovare il centro del problema. Potevo sentire il bronzo celeste lì vicino, più o meno superata la folla di ragazze assiepate intorno a, be’, qualcosa. Tenevano alti cartelloni fatti a mano e cercavano di scavalcarsi l’un l’altra per ottenere foto migliori di Qualcosa.
«Cosa stanno guardando?» domandò Leo.
Einar si strinse nelle spalle. «Andiamo a vedere.»
«Vedere» disse Eco.
Fui costretta a sgomitare per farmi largo, con le ragazze – ninfe, supposi – che si lamentavano e strillavano “c’ero prima io!” Arrivammo proprio davanti al bronzo celeste, che luccicava da sotto la superficie del lago. Un ragazzo si stava specchiando in esso. E che ragazzo.
Viso cesellato, con labbra e occhi che sposavano magnificamente lineamenti maschili e femminili, incorniciati da folti capelli scuri. Era tra i diciassette e i vent’anni e aveva un fisico e un portamento da ballerino: braccia lunghe e flessuose, gambe muscolose, e aria regale anche con indosso semplici jeans e una maglietta bianca. Staccare gli occhi da lui era difficile, così come accorgersi che portava arco e faretra inutilizzate allacciate alla schiena. La sua bellezza era soverchiante. Non lo notavo solo io, ma anche Einar, che lo osservava con un certo interesse.
«È uno schianto…» commentai senza volerlo.
Intorno a me, le ninfe approvarono accesamente. Poi, il ragazzo rovinò tutto dicendo: «È vero. Sono proprio uno schianto.»
Storsi il naso. Ma che razza di pallone gonfiato era? Ci parlava senza neanche staccare gli occhi dal suo riflesso.
Le ragazze esplosero in un coro di gridolini eccitati.
Una gridò: «Sposami!»
Un’altra replicò: «No, Narciso è mio!»
Agghiacciante.
«Narciso» considerò Einar. «Conosco il belloccio, qui. Troppi cuori spezzati alle spalle. Nemesi ti punì facendoti innamorare del tuo stesso riflesso. Sei morto annegato, credo.»
«Morto? Questo splendore?» replicò Narciso, incantato dalla sua immagine. «Impossibile.»
Gli schiamazzi ripresero con lo stesso vigore. Stavano incominciando a darmi sui nervi.
«Ho un’idea» intervenne Leo. Si avvicinò a lui. «Ehi, Narciso. La tua amica Eco ci ha portato qui per aiutarti, vero, Eco?»
Eco annuì fortemente.
«Via!»
«Ti ha rifiutata, Eco! Non vali nulla per lui!»
«Non ti vuole!»
«Vuole me, solo me!»
«Queste ragazze mi inquietano» dichiarò Einar. «Solo perché una delle loro sorelle si è innamorata di quel tipo, sarebbero pronte a farla fuori per avere una rivale in meno.»
«Già» concordai. «È orribile.»
«Orribile» ripeté Eco.
Intanto, Leo stava mostrando uno specchio evocato dalla sua cintura a Narciso, tentando di barattarlo con il bronzo celeste. Ma lui lo scambiò per un suo ritratto. Non seppi se considerarlo più patetico o più rivoltante. Ragazzi del genere avrebbero meritato solo tanto duro lavoro da svolgere per capire cosa fosse davvero importante nella vita.
«Ragazzi» ci chiamò Leo.
Ci isolammo dal gruppo di ragazze esaltate per discutere il da farsi. Dovevamo trovare un modo per recuperare il bronzo celeste prima che facesse buio, ovvero subito.
«Hazel, come funziona il tuo potere con i metalli?» indagò il figlio di Efesto. «Riusciresti a evocare quello laggiù?»
Mi mordicchiai l’interno della guancia. «Forse. Dovrei essere più vicina, però. Mi serverebbe un sacco di concentrazione, e non riuscirei a farlo in fretta.»
«Il tempo possiamo ricavarlo io e Valdez» disse Einar.
I due si scambiarono uno sguardo complice.
«Stai pensando a quello che sto pensando io?»
«Già.»
Leo sorrise ad Eco. «Eco, ci servirà anche il tuo aiuto.»
La ninfa mi lanciò uno sguardo e mormorò: «Aiuto.»
Non potei biasimarla.

 
koala's corner.
Ben ritrovati
Saluti da un AxXx molto malato, che però presto si riprenderà, e che si è divertito molto a pianificare con la collega questo capitolo :P
Lui è come Alex, possono farlo a pezzi ma non muore mai (?)
Anche la sopracitata collega si è divertita molto a scrivere delle fangirl pazze per Narciso. E a rileggere questa scena, ovvio.
E poi Einar e Leo insieme sono ilarità assicurata.
Accompagnati da Hazel, che fa un po da "mamma", sono il top. Anche quando Nemesi racconta cose malvagggie.
Chissà se sarà tutto vero. Ad ogni modo, speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!

Soon on VdN: fine delle allegre avventure di Einar, Hazel e Leo in Fangirlandia. In più, alla gioiosa combricola composta da Nora, Helen e Lars succede qualcosa di non molto felice.

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Capitolo 5
*** EINAR/FRANK/LARS • Ricordate sempre che le donne sono importanti, ma soprattutto pericolose ***


Ricordate sempre che le donne sono importanti, ma soprattutto pericolose

∫ Einar ∫
 
Dovevo ammettere una cosa: Leo poteva anche aver avuto un’idea folle, ma la stava trattando in modo geniale.
La scritta Gran Figaccione, Team Leo e Bomba di Sexaggine scritte sulle braccia con dei pastelli neri per simulare i tatuaggi erano fantastici. Anche gli occhialini da saldatore usati come occhiali da sole erano forti, anche se li trovavo molto strani.
«Ok, è il tuo momento» annunciò lui, rivolgendosi a me. «Fammi diventare ancora migliore.»
«Ai tuoi ordini… Gran Figaccione» scherzai, sfiorando occhiali e tatuaggi.
Avvolsi il suo corpo in una leggera illusione che lo avrebbe reso più accettabile. Era palese che era la caricatura di un vero macho, ma Leo era troppo ossuto per poter apparire bello come voleva. Feci in modo che sembrasse più proporzionato e muscoloso, mentre resi i suoi tatuaggi più realistici ed i suoi occhiali veri occhiali da sole di marca.
«Perfetto» osservai la mia opera. «Sei semplicemente perfetto, amico mio.»
«In effetti… non sei male» confermò Hazel, con sguardo critico e leggermente rossa in viso. Probabilmente non era abituata a vedere uomini conciati in quel modo.
«Non sei male» ripeté Eco, ancora semitrasparente.
«Grazie, tesoro» rispose Leo, sorridendole furbo.
«Tesoro» sibilò lei, cercando di non farsi sentire.
«Vuoi uscire con me?» chiese il figlio di Efesto.
«Me» rispose semplicemente la ninfa, guardandolo male.
Ridacchiai alle spalle del mio amico, mentre Hazel alzava gli occhi al cielo, ormai arresa al fatto che io e Leo fossimo le persone più lontane dalla serietà.
«Allora, ci muoviamo?» ci riprese, brusca.
«Ci muoviamo?» rincarò Eco, sollevata che le parole che doveva ripetere fossero sensate.
«Ok, ok… io non dico più nulla» dissi, alzando le mani in segno di resa.
«Nulla!» sentenziò la ninfa piazzandosi davanti a me, prima di tornare al fianco di Leo.
«Ok, va bene. Avete capito?» chiese il figlio di Efesto, guardandoci entrambi. «Appena è distratto, tirate via quella lastra di Bronzo Celeste e portatela via da qui.»
«Ma sarà pesantissima»protestò Hazel, accigliata.
«Tranquilla» la rassicurai, cercando di cingerle le spalle. «Ci penserò io.»
Lei si scostò rapidamente e mi guardò male. «Vedrò di fidarmi di voi due.» Disse quelle parole come se fosse una cosa tremendamente pericolosa… Cosa che in effetti era. Ma che altra scelta potevamo avere: quel bronzo celeste ci serviva e, se non lo avessimo preso, ci saremmo ritrovati un’orda di Romani incazzati neri alle costole.
«Molto bene. Ci vediamo!» ci salutò Leo, con un sorriso, prima di sfoggiare la sua migliore aria da macho e avviarsi verso le ninfe sospiranti e urlanti che attorniavano Narciso.
«Ci vediamo!» ripeté Eco, seguendolo.
«Be’, sono una bella coppia» commentai con un sorrisetto, mentre scendevano dalla collina. «Sono perfetti.»
«Mah… Siete ben strani, in quest’epoca» brontolò Hazel, sedendosi aspettando il momento giusto.
«Siamo tutti strani per le epoche in cui viviamo» replicai, girandomi i pollici, in attesa.
Leo fece il suo ingresso tra il gruppo di ninfe adoranti urlando un sonoro “TEAM LEO!!!” A cui Eco aggiunse la sua voce chiara e decisa.
«Sta iniziando la festa» annunciai, facendo cenno ad Hazel di stare pronta, mentre acuivo la vista per non perdermi Narciso che era ancora fissato sul suo dannato specchio d’acqua.
Leo iniziò a colpirlo con le sue frecciatine. La figlia di Plutone, intanto, aspettava che io le dessi il via libera per procedere. Vidi Leo iniziare a sbeffeggiare il povero Narciso – povero, sì, come no –  imperversando tra le ninfe dandosi l’aria da gran figo. Sentii l’illusione iniziare a risucchiarmi un po’ di energia. Sperai che il figlio di Efesto non ci mettesse troppo, altrimenti non sarei nemmeno riuscito a correre. Fortunatamente non ci volle molto perché il belloccio staccasse gli occhi dallo specchio d’acqua.
«Magnifico, Leo sta facendo la parte del rivale con stile» commentai con un ghigno, mentre le acclamazione di Leo arrivavano fin qui.
«Che dice?» chiese Hazel, che, essendo dietro di me, non sentiva bene.
«Oh, nulla… Sta solo facendo apprezzamenti sessuali alle ninfe» mentii senza ritegno, prevedendo la sue reazione.
Infatti non mi deluse: sulle guance di Hazel andò a disegnarsi un colore intenso rossastro. «COSA!?»
«Stavo scherzando!» ridacchiai, tornando a concentrarmi su Narciso che, nonostante la presenza di Leo, l’aveva solo degnato di qualche occhiata. Doveva avere un bel po’ d’autocontrollo.
«Sii serio, siamo in missione» sibilò la figlia di Plutone, irritata.
«Ok, ok…» mi scusai, tutt’altro che dispiaciuto. «Romani, siete tutti troppo seri» aggiunsi a voce bassissima, per non farmi sentire.
Di colpo, però, la mia attenzione fu catturata da un improvviso movimento di Narciso che, dopo una battutina parecchio stuzzicante di Leo riguardo al fatto che fosse un perdente, aveva alzato completamente la testa e si era quasi messo seduto. Com’è che non si era paralizzato in quella posizione, tanto ci era stato?
«Vai» dissi velocemente alla mia compagna, facendole capire che era il momento.
Lei non rispose, si limitò a chiudere gli occhi e sfiorare il terreno con le dita. Sentii una sorta di leggerissima vibrazione, ma, a parte questo, nulla sembrò cambiare. I suoi lineamenti si contorsero in una smorfia concentrata, mentre percepivo una chiara energia che accresceva intorno a lei. Alle mie spalle, Leo continuava a tenere impegnato Narciso.
Dopo meno di un minuto, dal terreno emerse qualcosa. Inizialmente sentii come se mi fossi ritrovato su un tappeto piegato male e stessi poggiando le gambe proprio sulle pieghe, poi, però, la terra accanto a me si aprì rivelando una liscia lastra di bronzo celeste tanto lucida che avrei potuto specchiarmici – e a dirla tutta era anche più figo di Narciso.
«Ecco qua. Secondo i miei calcoli dovrebbero essere venti chilogrammi di Bronzo Celeste» mi informò Hazel, che prese uno dei bordi.
Mi chinai per aiutarla e sollevai l’altro bordo. Stavamo per iniziare a muoverci quando qualcosa accadde di sotto, dove stava Leo.
Mi voltai e capii: era Narciso.
Il ragazzo aveva appena scoperto che il suo adorato riflesso e specchio era sparito e ci aveva individuati – complimenti per la vista! Con un gemito di dolore e rabbia ci aveva puntato contro il dito, promettendo una ricompensa alla ninfa che gli avesse restituito lo specchio, aggiungendoci un bonus per quella che avrebbe decretato la fine dei nostri giorni, affermando che nessuno era meglio di lui – arrogante!
«Direi che è ora di togliere il disturbo!» annunciai, iniziando a spingere la lastra, incoraggiando Hazel ad andare più veloce.
Leo, dal canto suo, fu rapidissimo. Ci raggiunse in poche falcate, distanziando il gruppo di ninfe che si stava organizzando. Be’, era avvantaggiato, dato che non si portava dietro venti chili di metallo, ma, una volta raggiunti, prese anche lui uno dei bordi e ci aiutò.
Tutti insieme correvamo velocissimi, nonostante il peso e, sebbene le ninfe fossero veloci, noi avevamo un paio di vantaggi interessanti: il primo era che loro non giocavano di squadra, ma continuavano ad intralciarsi a vicenda, cercando di ottenere ciascuna il loro ambito, quanto impossibile premio; in secondo luogo, Eco continuava ad aiutarci, facendo inciampare le ninfe e placcandole, spesso facendone cadere anche una dozzina alla volta.
Al centro dello schieramento Narciso che incoraggiava le sue pazze fangirls. Impugnò l’arco ed estrasse una freccia, probabilmente nel tentativo di colpirci, ma, appena lo incoccò, il dardo gli si disintegrò in mano tanto era antico.
Nonostante tutto, non eravamo abbastanza veloci e stavano recuperando il vantaggio.
«Chiama Arion!» urlammo io e Leo, in coro, con il fiato corto.
«Già fatto!» replicò Hazel, prontamente.
Arrivammo sul bagnasciuga immediatamente dopo, stanchissimi e gravati dal peso del metallo. Dall’altra parte del lago intravedemmo la Argo II, ma era impossibile da raggiungere, nemmeno se avessimo abbandonato il Bronzo Celeste.
«Siamo in trappola» commentai.  
Alle nostre spalle, Narciso superò le dune usando l’arco come fosse un bastone e non un’arma da tiro, seguito dal suo piccolo esercito di ninfe pazze che si erano armate alla bell’e meglio. Quelle dell’erba avevano preso dei sassi, quelle dei boschi avevano grossi rami e quelle degli stagni e ruscelli avevano un simpatico assortimento di fruste e pistole ad acqua, tutt’altro che minacciose, ma che non diminuivano la loro aria assassina.
«Stai dietro di noi» disse Hazel, mollando il Bronzo Celeste a Leo, prima di estrarre la sua spada.
Io feci altrettanti ed impugnai l’arco, piazzandomi alla destra del figlio di Efesto, mentre Eco si sistemava alla sua sinistra, creando una sorta di schermo semidivino intorno a lui. Incoccai la freccia e mi tenni pronto a tirare a qualsiasi ninfa che si avvicinasse. Avrei preferito infilzarle con altro, ma, anche se erano ragazze, non mi sarei mai fatto scrupolo colpirle. Legittima difesa, non maschilismo!
Leo, alle mie spalle, evocò una palla di fuoco dalle mani, ma il suo sguardo vagò sulla figura semitrasparente di Eco.
«Sei una ninfa coraggiosa» ammise in tono sincero.
«Una ninfa coraggiosa?» ripeté lei, perplessa.
«Già. Sono fiero di averti in squadra con me» aggiunse, preparandosi a combattere. «Se ne usciamo vivi, dovresti pensare di mollare Narciso.»
«Mollare Narciso?» domandò ancora lei, confusa.
«Esatto, non fa per te» spiegò Leo con un sorriso.
«Volete tè e pasticcini?» chiesi, mentre le ninfe ci accerchiavano. «Perché se vi fa piacere, vi do tutta l’intimità che cercate.»
Il figlio di Efesto, indispettito dalle mie battute, mi tirò contro la palla di fuoco che aveva in mano. La evitai abbassando la testa, facendola esplodere davanti a me, facendo indietreggiare alcune ninfe, ma Narciso si fece avanti senza esitare.
«Impostori!» urlò, indicandoci. «Loro non mi amano! Voi, invece, mi amate quanto io amo me stesso, vero?»
Le ninfe annuirono eccitate e speranzose, guardandoci maligne, prima di attaccarci in massa. Avrei tirato contro la più vicina, se la sabbia non mi fosse esplosa davanti, bloccandomi la visuale.
Arion era apparso a mezz’aria, colpendo la calce alla velocità del suono, facendola saltare addosso alle ninfe. L’arrivo del nostro amatissimo cavallo supersonico le lasciò disorientate e lui iniziò a correre velocissimo intorno a loro, sollevando una tempesta di sabbia che avvolse Narciso e le pazze che stavano con lui. Quando Arion si fermò, tutti erano pieni di sabbia.
Quasi tutte erano a terra e, quelle in piedi, andavano in giro alla cieca, tendendo le mani in avanti per non urtarsi a vicenda. Narciso, da parte sua, aveva una spessa calotta di sabbia sul viso e sventolava il bastone dell’arco cercando di colpire quella che sembrava una grossa pentolaccia invisibile.
«Adoro questo cavallo» esclamò Hazel.
«Anch’io» convenni, sollevato, mentre Arion si bloccava a pochi metri da noi.
«Andiamo!» ci incitò la figlia di Plutone, saltando in groppa alla sua cavalcatura, mentre io issavo sul dorso anche il Bronzo Celeste.
«Ma non possiamo abbandonare Eco!» protestò Leo, guardando verso la nostra amica ninfa che, però, scosse il capo.
«Abbandonare Eco» disse lei, decisa.
Al figlio di Efesto sembrò fosse caduta una mascella dallo stupore. «Perché?» chiese stupefatto. «Non penserai davvero di poter aiutare Narciso!»
«Aiutare Narciso» ripeté lei, sempre decisa.
Avrei voluto tapparmi le orecchie: quella era una cosa abbastanza personale tra Leo ed Eco e, sinceramente, avrei voluto che avessero più tempo per chiarirsi, ma il fatto era che non ne avevano. Le ninfe, infatti, stavano iniziando a riprendersi, pulendosi la sabbia dagli occhi che erano rossi di lacrime e rabbia. Anche Narciso si stava riprendendo a poco a poco.
«Leo, muoviti!» lo incitò Hazel, preoccupata, vedendo i nostri nemici che si riprendevano.
Mi voltai un attimo verso la Argo II, che sembrava un miraggio lontano, poi tornai a concentrarmi sul figlio di Efesto… Il tempo di vedere Eco che gli dava un leggero bacio sulla guancia e gli sorrideva, prima di sparire nel vento.
Leo rimase imbambolato per un istante ma, subito dopo, si riprese e saltò in groppa ad Arion dietro di me, poco prima che Narciso lo attaccasse con il bastone.
«Ridatemi me stesso!» urlò il ragazzo al nostro indirizzo, agitando l’arco disperato.
Ma non lo ascoltammo, allontanandoci veloci dalla spiaggia, diretti alla nave. Durante il tragitto Leo  fu molto silenzioso e mi parve persino, che si stesse asciugando gli occhi velocemente per nascondere le lacrime. Avrei voluto consolarlo, ma capii che non era il momento adatto per parlargli.
Osservai affranto il ragazzo innamorato di sé stesso e riflettei che, forse, Nemesi non voleva riferirsi a Narciso con le sue parole, ma a Eco, che aveva scelto la sua seconda possibilità per salvare la persona che amava. Gli Dèi, raramente davano buon consigli, però. E di certo non mi sarei piegato al volere di quella tipa lì.
Se dovevo combattere per qualcosa, avrei combattuto per i miei amici e non per salvare gli Dèi.
Questo era chiaro.
 
☼Frank☼

 
Fui molto felice, quando atterrammo sul ponte della Argo II. Il volo sotto forma di drago non era stato particolarmente turbolento. In città eravamo riusciti a trovare tutto quello che cercavamo, in particolare il catrame, ma, una volta fuori, un grosso mostro melmoso ci aveva attaccati, rendendo i nostri vestiti stracci e i nostri aspetti ancora peggiori.
Arrivati a bordo, aiutai Percy ed Annabeth a trascinare i secchi di catrame in sala macchine, in attesa che Leo tornasse con Hazel e Einar. Non erano ancora qui, cosa che mi preoccupò, dato che avrebbero dovuto essere i più veloci, essendo nelle vicinanze.
Quando chiesi a Percy se avremmo dovuto controllare, lui rispose semplicemente: «Forse hanno incontrato un mostro, ma sLeo ed Einar sono fortissimi ed anche Hazel sa difendersi. Sono certo che torneranno presto.»
Me lo feci bastare, nonostante la preoccupazione.
Passando accanto alla dispensa, ne vedemmo uscire Alex ed Astrid, che si apprestarono ad aiutarci. Apparentemente stavano pattugliando la nave per evitare che qualche mostro vagante vi si introducesse.
Al ritorno, intravidi Piper accanto al letto di Jason, che si stava riprendendo. La figlia di Afrodite era seduta al suo capezzale con aria afflitta, ma non per questo era meno energica. Ammirai la sua fedeltà, avrei voluto poterle dimostrare anche io la stessa cosa.
Ok, lo ammetto: Leo non mi piaceva affatto. Senza contare che aveva bombardato Nuova Roma, che, pur non essendo stato accolto in modo particolarmente caloroso, era stata una casa, per me, non mi piaceva il modo in cui Hazel e lui si guardavano. Sembravano legati da una strana sorta di empatia che non comprendeva anche me e questo mi spaventava: non volevo che Hazel mi ignorasse, io ero pazzo di lei e non volevo che mi lasciasse per Leo Valdez.
Proprio mentre pensavo a loro, sentii il botto di Arion che atterrava sul duro legno della nave. Salii di sopra insieme ad Alex ed Astrid, ritrovandomi davanti Leo, Einar e la mia ragazza messi non proprio benissimo, come se fossero stati attaccati da un gruppo di spiriti della natura. Oltretutto, Leo era vestito in modo strano e sulle braccia aveva alcuni tatuaggi che sembravano sbiaditi, ma su uno era ancora leggibile Team Leo e Gran Figaccione.
«Bei tatuaggi» commentò Astrid, al mio fianco, trattenendo una risata.
«Divertente» replicò tetro il figlio di Efesto, smontando da Arion. «Avete trovato tutto?» chiese, guardando verso di me.
«Sì, è tutto di sotto» risposi, indicendo le scale.
«Bene. È il momento che il maestro Valdez vi mostri come si aggiusta una nave» affermò lui, saltellando di sotto con l’energia di una trottola caricata al massimo.
Alex prese di nuovo Einar ed Astrid da parte e si misero a confabulare qualcosa, mentre io mi avvicinavo ad Hazel.
«Tutto bene?» le chiesi, apprensivo.
«Sì… sì, sto bene» rispose piano, osservando i tre nordici. «Sono solo un po’ scossa.»
«Lo credo bene» dissi, comprensivo. «Forse dovresti riposare, così, per la riunione, sei tranquilla.»
«Già, credo…»
«Aspetta!» ci bloccò Astrid, accostandosi alla figlia di Plutone.
Non capii cosa volesse e, senza volerlo, misi una mano sulla spada pronto a combattere, ma lei si limitò ad avvicinarsi e squadrare Hazel con curiosità, venendo ricambiata dai nostri sguardi perplessi, dopodiché scosse il capo.
«Nulla» concluse, quasi tra sé e sé. «Mi sono sbagliata.»
Tornò da Einar ed Alex e si rimisero a parlottare. Mi accigliai: per quanto i nordici non mi stessero antipatici, la loro presenza non mi faceva molto piacere se dovevano sospettare di Hazel.
«Be’, io vado a riposarmi» disse lei, dubbiosa.
Appena scese le scale mi avvicinai ai tre, nonostante il mio timore. Einar era il meno inquietante tra loro, mentre, a mettermi più timore, era Alex, che mi superava in altezza e aveva sempre quella sorta di aura di comando che lo circondava, quasi dovesse mettersi ad urlare ordini come il Sergente Maggiore Hartman. Cosa che, per precisare, non aveva mai fatto, ma, ciò nonostante, ero sempre preoccupato.
«Scusate, vorrei parlarvi» dissi, prendendo coraggio.
Alex mi fissò un attimo. «Certo, dimmi pure.»
Esitai un attimo: anche se non gliene avevo mai dato motivo, non volevo che lui pensasse che stessi insinuando che aveva pregiudizi.
«Ecco… So che non vi fidate di me o Hazel perché siamo Romani, ma noi non vogliamo metterci contro di voi. Siamo qui tutti per lo stesso motivo, no? Salvare i nostri amici e le nostre case» cominciai, sentendomi vagamente in imbarazzo. «Se, per qualche ragione non vi fidate di lei, posso assicurare che è dalla nostra parte.»
«Intendi per poco fa?» chiese il figlio di Odino, inarcando un sopracciglio, prima di sbuffare divertito. «Non era perché siete romani, tranquillo. È altro a preoccuparci.»
«Cosa, allora?» domandai, sorpreso.
«Ehm…» Di colpo fu lui a sembrare imbarazzato. Dondolò il peso del corpo da una gamba all’altra e riprese. «A Nuova Roma, la mia ragazza…» fece un cenno ad Astrid Jensen. «… ha percepito qualcosa: crediamo siano spiriti, forse spie di Gea. Pensavamo di capire se era Hazel ad interferire con i sensi di Astrid, ma non è lei il problema.»
«Credevate che fosse una spia?» domandai accigliato.
«No!» risposero subito il figlio di Odino e la sua fidanzata, in coro. «Intendevamo dire che volevamo assicurarci di non esserci presi un abbaglio. Non vogliamo accusare nessuno.»
«Inoltre, se fosse stata davvero al soldo di Gea, avrebbe potuto benissimo catturare me e Leo un centinaio di volte» aggiunse Einar, pensieroso. «Senza contare che tu e Percy ci avete viaggiato insieme, quindi non è lei ad aver messo in allarme i sensori di Miss Morte.»
Mi accigliai: se una presenza sinistra li aveva messi in guardia e avevano appurato che non era Hazel, significava che c’era qualcos’altro su questa nave. Qualcosa che non eravamo noi.
«Mi state dicendo che c’è qualcosa su questa nave?»
«Sì… qualcosa di morto» precisò Astrid.
«Ho anche usato i miei poteri runici, ma non riusciamo ad individuarlo» aggiunse Alex.
«Ma Hazel non è morta» obiettai, anche se, lo sapevo, non era proprio tutta la verità.
Tecnicamente Hazel era morta quasi cinquant’anni fa ed era tornata in vita con l’aiuto di suo fratello Nico, attraversando le Porte della Morte, ma non sarei certo stato io a dirlo a loro.
«Be’, fingi bene, ma lo so già che è morta e risorta» replicò Astrid di colpo, ridendo. «Figlia di Hell, ricordi?»
Arrossii, sentendomi un idiota per via della mia ingenuità: era ovvio che lei l’avesse percepito, ed era per quello che si era confusa.
«Comunque sia» dissi, più per cambiare discorso che altro, «dobbiamo scoprire dove si nasconde questa… spia
«Per questo eravamo di sotto» spiegò Alex, guardingo, come se temesse di essere sotto osservazione. «Stavamo cercando questo spirito per allontanarlo dalla nave, ma non l’abbiamo trovato.»
Stavo per dire qualcosa, ma, in quel momento, la nave iniziò a vibrare e a scuotersi, mentre i remi si rimettevano in moto per sollevarla da terra.
«Direi che stiamo ripartendo!» constatò Astrid che, per non crollare come me, Alex e Einar si era appoggiata al parapetto.
«Ve l’avevo detto» ci canzonò Einar, con un sorriso furbo. «Leo Valdez saprebbe aggiustare qualsiasi cosa.»
Ma Alex non lo stava ascoltando. Il suo unico, inquietante occhio era concentrato su qualcosa alle mie spalle, come se avesse visto, di colpo, qualcosa di preoccupante. Quando mi voltai, capii anche di cosa si trattava.
«Un’aquila da ricognizione Romana!» esclamai, vedendola. In un primo momento ebbi l’impulso di nascondere l’informazione, ma poi mi ricordai che Alex era un alleato. «Sono usate per rintracciare i semidei romani dispersi, hanno un fiuto incredibile per i mezzosangue. Ma, adesso, credo le stiano usando per darci la caccia.»
«Inquietante» commentò Einar, accigliato. «Penso che dovremmo parlarne con gli altri.»
«Sì…» Alex parlò come se avesse la mente altrove. 
All’improvviso, il drago, che poco tempo prima era atterrato su Nuova Roma, si affiancò alla nave con un leggero ruggito, come ad avvertire della sua presenza, ed il figlio di Odino gli si accostò.
«Ehi, Vesa. Tutto a posto?» chiese, sfiorandole il muso squamoso come  a un gattino.
«Wow… che cos’è?» domandai, osservando affascinato la creatura.
«È una viverna» spiegò lui, sussurrandole qualcosa che non sentii, come ad un cucciolo. «Se riesci ad addestrarne una, ti è fedeli come e più di un cane. Un legame empatico mi permette di richiamarla anche a grande distanza.»
«Insomma, sono vostri amiche» constatai, mentre lei volava lontano.
«Già. Le ho detto di pattugliare la zona e di tornare in caso veda altre aquile» disse lui, avviandosi verso il piano di sotto. «Sarà meglio riunirsi per decidere cosa fare.»
«Giusto!» convenni, precedendolo. «Andrò a svegliare Hazel.»
Lei, però, non era riuscita a riposare bene. L’ondeggiare della nave le aveva fatto venire il mal di mare e, alla riunione, mostrava una chiara sfumatura verdognola. Tentai di aiutarla, consigliandole di bere del tè, ma non ero un esperto di queste cose, quindi non sapevo proprio come aiutarla.
Mentre ci sedevamo, inoltre, accadde un episodio spiacevole: Alex, Einar e Astrid si erano seduti in fondo al tavolo, ma, a capotavola opposto, Jason e Percy, per un attimo, cercarono di prendere lo stesso posto. Tra i due ci furono sguardi tesi, come a voler convincere l’altro ad andarsene, ma, alla fine, come per comune accordo, lasciarono il posto ad Annabeth. Leo, nonostante fosse sporco d’olio e catrame, cercò di rendere il racconto delle loro disavventure con le ninfe comico, ma non riuscì a migliorare l’umore di nessuno dei presenti.
«I Romani ci sono alle costole» dissi, infine, facendomi un po’ di coraggio. «Credo che vogliano catturarci.»
«Frank ha ragione» convenne Jason, preoccupato. «Dobbiamo rimanere all’erta, sono abbastanza convinto che ci inseguiranno in massa non appena avranno la nostra posizione precisa.»
«E se provassimo a tornare?» propose Piper, incerta, come se volesse risolvere un problema. «Dopotutto… potremmo spiegarci.»
«Sarebbe bello, Pipes» commentò Annabeth, affranta. «Ma non abbiamo prove, né possibilità di farci ascoltare.»
«Senza contare che abbiamo appena colpito la loro casa. Non condivido il loro modo, ma capisco cosa possano pensare» aggiunse Alex, preoccupato. «Hanno visto la nostra nave attaccare casa loro, è ovvio che pensino che li abbiamo attaccati e che vogliano difendersi.»
«Li capisco» convenne Annabeth, abbattuta. «Ma se non completiamo la nostra missione, tutto il mondo farà una brutta fine.»
«Già… Serve qualcosa per riconciliare tutti» fece notare Percy, accigliato. «I Romani trionfarono contro molti popoli, ma hanno sempre sottratto qualcosa.»
«La Corona di Odino fermerebbe la furia degli Dèi Nordici» spiegò Astrid, fissando il suo ragazzo, vagamente preoccupata. «Abbiamo qualche informazione su di essa, ma dobbiamo aspettare di arrivare a Roma.»
«E per i Greci?» chiese Hazel. «Anche per loro non ci dovrebbe essere qualcosa?»
«Be’… qualcosa ci sarebbe» iniziò Annabeth, indecisa, lanciando uno sguardo indagatorio a Jason. «Reyna mi stava per dire qualcosa di importante sulla nostra rivalità.»
«Anche Nemesi ha detto qualcosa di simile» aggiunse Einar, riflettendo.
«Una cosa per volta» li bloccò Leo. «Per ora i motori reggono, ma dobbiamo decidere dove atterrare per finire le riparazioni e sfuggire ai Romani.»
Per un attimo nessuno parlò. Provai a rispolverare le mie conoscenze di Geografia, ma nulla mi faceva venire in mente un luogo sicuro. Inoltre, il mio sguardo era attirato dalle immagini che si riproducevano sugli schermi che tappezzavano la sala. Mostravano le immagini di quello che sembrava l’area ristoro di un bellissimo campo estivo.
Ipotizzai che fosse il Campo Mezzosangue e, senza nemmeno volerlo, il mio cervello continuava a riportarmi a Nuova Roma. Anche se lì ero stato trattato male da molti, avevo comunque incontrato degli amici. Avevo conosciuto Percy ed Hazel ed ero anche diventato una persona rispettata, fino a che non ero stato coinvolto in quell’impresa. Provai una fitta di dolore all’idea che, forse, non ci avrei potuto mai rimettere piede.
«Potremmo provare Kansas» disse la cristallina voce di Piper, riportandomi sulla Terra.
Dopo che ci ebbe spiegato della sua visione con quello che sembrava proprio Bacco, decidemmo il piano d’azione: ci saremmo diretti verso Kansas e lì avremmo trovato il modo di tenere la nave al sicuro, mentre la riparavamo. Nello stesso tempo, lei avrebbe cercato di contattare Bacco, se davvero lui era disposto ad aiutarci.
 
≈Lars≈
 
La battaglia infuriava sempre più violenta.
Ymir era avvolto in una tempesta che gli Dèi, a fatica, respingevano. Erano troppo pochi e disorganizzati. Odino sembrava l’unico a riuscire a frenare, in qualche modo, l’avanzata dell’antenato divino, brandendo Gugnir come un bastone, mentre cavalcava Sleipnir nelle correnti di vento. La punta della lancia riluceva di rune brillanti violette, che esplodevano sulla dura pelle di pietra del Primo Gigante come piccole meteore. Ma, ogni volta, i colpi non erano altro che ferite superficiali. L’impetuoso attacco di Odino era paragonabile a quello di un grosso gatto furibondo contro il suo padrone: doloroso e fastidioso, certo, ma non pericoloso.
Gli altri Dèi, da parte loro, erano indeboliti. Thor e Vidarr non c’erano. La mancanza dei fulmini del Dio Tonante non aiutava gli Dèi che, inesorabilmente, indietreggiavano. Njordr tentava, insieme al figlio Freyr, di avvolgere Ymir in catene fatte d’acqua, ma senza riuscire a far nulla. Hoenir, con le sue nuvole, provava ad occludergli la visuale, ma esse si fondevano con la testa del loro avversario come se ne fossero parte.
Ymir, invece, avanzava deciso. Un suo passo equivaleva ad una città intera. I suoi pugni erano meteore e, dove si schiantavano, finivano con il tranciare intere parti di calotta polare. Il suo soffio congelava ogni cosa nel raggio di chilometri e persino la sua sola presenza bastava a far venire i brividi.
Stavano perdendo.
«Salvaci…»
La voce rimbombò nella mia testa. Una voce che conoscevo bene e che, per me, significava dolore, ma anche calma, amore e gentilezza.
La calda luce di mia madre mi avvolse come una coperta e, per un attimo, mi sembrò di essere tornato un bambino di sette anni, nascosto nel portico di un palazzo, al freddo, avvolto in un giaccone logoro, che scambiava gli Dèi per angeli.
«Salvaci dal Fato a cui nostro padre ci ha condannati…»
Mi voltai e vidi Eir, intenta a curare Tyr, il dio della guerra e del sacrificio. Un enorme spunzone di roccia lo aveva trafitto da parte a parte all’altezza del torace, facendogli perdere un fiume di icore dorato che, come tanti serpi, si riversava in rivoli sul terreno. In quell’istante capii che, a contatto con il ghiaccio, l’icore stava scorrendo proprio verso Ymir, alimentandone la furia.
«Siamo pochi, figlio mio, e la rabbia di Odino ci indebolisce. Ferma la guerra con Roma, o nessuno ne uscirà vincitore» mi ammonì mia madre.
Anche se curava Tyr, i suoi occhi erano incollati nei miei.
Le sue iridi di un colore verde come il prato più rigoglioso si incollarono alle mie. Poi sospirò e l’immagine divenne scura. L’ombra di Ymir ci sovrastò e, con il suono dei suoi ruggiti e dei suoi colpi, il sogno svanì.  


 
Aprii gli occhi e albeggiava.
Accanto a me, Helen dormicchiava tranquilla, acciambellata nel sacco a pelo come un micino. Benché apparisse tranquilla, il suo volto era leggermente contratto, il che significava che aveva avuto una premonizione o una visione del futuro.
Accanto a noi Speil e la viverna di Nora sonnecchiavano tranquille. Sotto le palpebre, a malapena si intravedevano i fieri occhi gialli, simili a quelli dei felini e, oltre agli sbuffi e a leggeri movimenti con le ali, i loro grossi corpi squamosi erano immobili.
Poco più in là, Nora montava la guardia tenendo a portata di mano la sua lancia. I capelli biondi tagliati corti sembravano oro mentre riflettevano i colori dell’alba.
«Tutto a posto?» chiesi, avvicinandomi alla figlia di Odino, decidendo che era meglio dare ad Helen la possibilità di riprendersi.
«Sì, tutto a posto. Nessun mostro ci ha infastidito» mi informò, massaggiandosi la spalla. «Di Johannes, invece, nessuna traccia o notizia.»
«Temi sia arrivato al Campo Mezzosangue?» domandai, leggermente preoccupato.
«È possibile: le viverne sono molto veloci e noi non distiamo più di mezza giornata da New York. Lui dovrebbe essere leggermente più avanti a noi… a meno che non abbia viaggiato anche di notte» spiegò.
L’idea che fosse arrivato al Campo Mezzosangue era plausibile e spaventosa. Da quando era iniziata la missione diplomatica per andare a Nuova Roma, il Campo greco aveva creato un canale di comunicazione diretto con il Campo Nord, in modo che rimanessero costantemente informati sulla situazione e, in caso di attacco, intervenire subito.
Ovviamente Johannes aveva fatto i salti di gioia ad apprendere di poter comunicare direttamente con la sua orda e non avevo dubbi che lo avrebbe fatto non appena fosse arrivato. Non sarebbe nemmeno dovuto tornare in Norvegia, gli sarebbe bastato rimanere al Campo Mezzosangue e attendere l’arrivo dei rinforzi.
Per questo Alex aveva ordinato all’Orda del Drago di prendere la Skidbladnir – nave magica gentilmente prestata da Freyr – e di stanziarsi al largo di New York, in modo da poter fermare Johannes in caso tentasse di superare l’Atlantico, oppure rallentare l’Orda della Spada prima che potesse attaccare Nuova Roma.
Ma ora la situazione era cambiata: Nuova Roma era stata indotta a credere nella nostra ostilità e non avrebbe esitato un attimo ad attaccare il Campo Mezzosangue. Dalle parole di Reyna, il pretore di Nuova Roma, forse non si sarebbero rivoltati contro il Campo Nord, vista la loro paura dell’oceano.
Tuttavia i semidei nordici avrebbero agito come alleati nei confronti dei Greci, venendo personalmente a soccorrerli e, guidati da Johannes, impaziente di dimostrare la propria abilità al padre Thor, avrebbe guidato gli eroi norreni ad un massacro. 
«Dobbiamo muoverci» decisi, non volendo pensare a quanti sarebbero morti a causa di quell’idiota.
«Appena si sveglia Helen, partiamo» convenne Nora, stiracchiandosi e andando allo zaino per mangiare una barretta energetica.
Non ci volle molto perché la figlia di Frigga si svegliasse. Come intuito, era stata colta da un incubo-visione come il mio. Secondo la sua visione, Johannes avrebbe condotto i norreni in una sanguinosa battaglia contro le legioni e, durante lo scontro che aveva visto, Ymir avrebbe schiacciato gli Dèi. Lo scontro sarebbe stato un massacro senza nessun vincitore.
«Sarebbe la fine» commentò Nora, sempre più preoccupata. «Se quell’idiota continua a fare come gli pare, finiremo malissimo.»
«Vuole dimostrare di essere migliore di tuo fratello» spiegò Helen, affranta. «È convinto che, se vincesse la guerra contro i Romani, gli Dèi gli tributeranno più onore di Alex.»
«Come se gli fosse mai stato utile» replicò la figlia di Odino. «L’unica cosa che l’attenzione degli Dèi porta è un sacco di guai.»
Non potevo che essere d’accordo: da quando Alex aveva sconfitto Thor, insieme a me, anni fa, gli Dèi non avevano fatto altro che prendersela con lui, usandolo per ogni minimo capriccio. Con l’arrivo dei semidei Greci e Romani, le cose si erano anche complicate e loro ne avevano sempre approfittato per dare a lui i compiti più difficili e, in una parte del mio cervello, covavo il dubbio che lo facessero per liberarsene. Forse lo temevano per il suo potere e la sua influenza tra i semidei.
«Non abbiamo tempo da perdere» ci incitò Nora, montando sulla viverna. «Andiamo!»
Salii su Speil e, dietro di me, si sistemò Helen, che si tenne stretta alla mia vita, mentre decollavamo verso il cielo. Lanciai una veloce occhiata alle nostre spalle e non vidi nulla, anche se temevo che i Romani ci stessero seguendo o pedinando.
All’orizzonte nessuna traccia di Johannes e della sua viverna, ma sperai ardentemente che non fosse troppo tardi per fermarlo e scongiurare lo scontro.
Preso nei miei pensieri, non mi accorsi subito della sagoma scura che volava poco sopra di noi.
«Nora, prendi Helen» dissi, abbastanza forte perché mi sentissero.
La figlia di Odino annuì quando le feci cenno verso l’alto e, con un salto agile, l’albina passò alla viverna accanto non appena si accostò a noi, aggrappandosi all’amica.
Ordinai alla mia viverna di andare verso l’alto lentamente, così da non destare troppi sospetti in chiunque ci stesse seguendo. Salii tra le nuvole e mi ritrovai davanti ad una grossa viverna nera, cavalcata da una giovane donna dai capelli bianchi, la pelle nera e gli occhi rossi come le braci di un camino: un’elfa oscura.
«Ma che…?» iniziai, ma quella mi vide e, con un rapido movimento, afferrò la sua lancia e la roteò contro di me.
«Speravo di ucciderti di sorpresa…» sibilò lei, mentre mi abbassavo per evitare il colpo. «Vorrà dire che mi accontenterò di sventrarti così.»
«Non ci tengo!» replicai, estraendo la spada e ordinando a Speil di fare un avvitamento per allontanarsi dalla nostra avversaria.
Lei mi inseguì e tentò di colpirmi rapidamente alle spalle, ma riuscii a far fare alla mia viverna una rapida giravolta in modo da finirle sopra.
«Non sai fare di meglio?» chiesi, menando un fendente con la spada.
Lei, però, fu rapida a girarsi in sella e pararlo, rispondendo con un affondo. Mentre combattevamo, Speil andò addosso alla viverna nera, cercando di morderla, graffiandole il ventre con violenza, mentre io e lei ci scambiavamo colpi di spada, tentando di disarcionarci a vicenda. Per un istante le nostre viverne si separarono offrendoci un attimo di respiro e, guardando in basso, mi resi conto che, se fossi caduto, mi sarei schiantato da almeno trenta metri di quota.
Mi ressi alla sella di Speil, che girò su se stesso ed investì l’altra viverna, costringendo l’elfa a reggersi. Ne approfittai subito e, roteando la spada, colpii la mia avversaria con la spada. Lei ebbe il riflesso di scansarmi, ma non riuscì ad impedirsi di venire ferita alla coscia. Sibilò di dolore e gridò contro di me una maledizione che, però, non sentii. La sua cavalcatura riuscì a liberarsi e cambiò bruscamente rotta, costringendo Speil a virare per seguirlo.
Iniziammo ad inseguirci tra le nuvole, mentre cercavo di dirigere la mia viverna verso l’ala sinistra dell’avversaria, vedendola già danneggiata e sanguinante.
«Aspetta…» sussurrai, cercando di individuare il momento più opportuno per farla scattare. «Aspetta…»
Proprio nell’istante in cui la vidi virare a sinistra, ordinai a Speil di attaccare e, con un poderoso battito delle ali simili alle pale di un mulino, scattò in avanti, afferrando la viverna nera per il ventre, mentre i suoi artigli graffiavano il fianco ferito.
Io e l’elfa ci colpimmo ancora, duellando con violenza a innumerevoli metri di altezza, mentre le nostre cavalcature precipitavano avvinghiate l’una all’altra. Duellammo senza esclusione di colpi, usando anche calci e pugni, quando necessario.
Ma non tenni conto del gioco sporco della mia avversaria che, con una finta, riuscì a saltare alle mie spalle e ad avvolgere il mio collo con l’asta della lancia. Subito mi sentii soffocare, mentre tentavo di divincolarmi, ma non era facile, mentre la propria viverna precipitava. Invece, per lei, strozzarmi era molto più pratico, dato che mi usava pure per rimanermi appiccicata.
«Credi che ti lascerò andare?» sibilò lei, crudelmente, rinsaldando la presa sull’asta. «Non credo proprio che andrai ad avvertire il Campo Nord dell’incidente. Lo sciocco figlio di Thor manderà i tuoi amici al massacro ed io sarò in prima fila a vederli morire.»
Una rabbia travolgente si impadronì di me, al suono di quelle parole, ma non riuscii a fare a meno di sentirmi impotente. Capii che lei era venuta fin qui non tanto per ucciderci, ma per impedirci di fermare Johannes. Ci aveva spiati fin dalla nostra partenza e ci aveva attaccati in volo, quando credeva di poterci eliminare più facilmente.
Di colpo la presa sul mio collo si allentò.
L’elfa urlò di dolore. Aveva una lancia piantata nel fianco e, accanto a me, Nora stava continuando a colpirla, permettendo a me di liberarmi. Tirai una gomitata alla mia avversaria e, con un comando mentale, ordinai a Speil di avvitarsi in aria per disarcionarla e, allo stesso tempo, liberarsi dell’altra viverna. La mossa funzionò: l’elfa precipitò nel vuoto con un urlo, mentre la sua cavalcatura si separava dalla mia e tentava di riprenderla in volo.
«Andiamo a finirla!» mi incitò Nora, alzando la lancia, ma io la fermai.
«No!» dissi, ansimando per il fiato che mi mancava. «Dobbiamo… dobbiamo andare al Campo Mezzosangue! Forse possiamo ancora fermare Johannes!»
Senza controbattere, io e le due ragazze ci lanciammo letteralmente verso Long Island, decisi a tentare di fermare Johannes prima che potesse mettersi in contatto con il Campo Nord.
Arrivammo prima di mezzogiorno, ma ormai era già troppo tardi. Quando atterrammo vicino alla collina, vedemmo la viverna del figlio di Thor accucciata vicino alla foresta, che sonnecchiava. Lasciammo anche le nostre in cima alla collina e ci scagliammo verso la Casa Grande e, sulla porta, incontrammo Rachel ad aspettarci.
«Eccovi!» ci salutò la Rossa, preoccupata. «Cos’è successo? Johannes ci ha detto che siete stati attaccati dai Romani!»
«Rachel, dov’è Johannes?» chiese Helen, trafelata. Le due erano molto amiche, in quanto condividevano il dono della preveggenza. «Dobbiamo fermarlo prima che dica al Campo Nord cos’è successo!»
«Ma siete stati veramente attaccati?» domandò lei, accigliata.
«Sì» risposi, per aggiungere subito: «Ma siamo stati noi ad attaccare per primi.»
Sotto lo sguardo incredulo dell’Oracolo, raccontammo, a turno, dell’attacco. Spiegammo di come Leo fosse stato posseduto e della risposta violenta dei Romani, dei danni subiti dalla Argo II e della decisione di Percy e degli altri semidei prescelti, insieme ad Alex, Astrid ed Einar, di procedere subito verso Roma.
«… Allora è troppo tardi» sospirò Rachel, affranta, quando ebbe ascoltato tutta la storia.
«Come sarebbe a dire!?» sbottò Nora, furiosa. «Johannes…»
«Ha già parlato con il Campo Nord» rispose la rossa, perentoria. «Se volete, potete entrare. Chirone ha riunito il consiglio di guerra. Ci prepariamo a difendere il Campo dai Romani e, a quel che so, ipotizzano che i primi semidei norreni arriveranno entro tre giorni.»
Imprecai, mentre Helen abbracciava Rachel e Nora si appoggiava abbattuta allo stipite della porta. Nonostante tutte le difficoltà e la nostra velocità, non eravamo riusciti a fermare Johannes.
La guerra sarebbe iniziata comunque.

 
koala's corner.
HELLO FROM THE OTHER SIIIIIIIDEEE
*Water viene soppressa violentemente*
Ben tornati, semidei nordici! Come va? :3
Questo capitolo ci butta nell'azione con Einar e Leo fanno i cazzoni.
Noi li amiamo comunque, o forse soprattutto per questo lol E poi c'è Frank che è un patatone ed è intimorito da Alex *-*
Nel POV di Lars - che dimostra la sua figaggine anche non riuscendo a fermare Johannes -, compare Elfa Oscura XXXXX. Chi sarà mai? Sono aperte le scommesse.
Fatecelo sapere nelle recensioni ^^ Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!

Soon on VdN: POV Piper/Reyna in cui le due ragazze dimostrano di essere molto toste U.U

 

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Capitolo 6
*** PIPER/REYNA • Da una parte un duello, dall'altra una guerra ***


Da una parte un duello, dall'altra una guerra.
 
►Piper◄
 
Adoravo la mia cabina. Leo aveva cercato di crearle tutte seguendo i nostri gusti personali, aggiungendoci piccoli gadget che le rendevano semplicemente perfette, come un programma che regolava automaticamente la temperatura della stanza in modo che non fosse mai né troppo calda né troppo fredda. Era un ambiente accogliente e avevo un letto più comodo di quello al Campo Mezzosangue, requisiti che normalmente mi avrebbero permesso di addormentarmi in meno di dieci secondi. Sfortunatamente, il Coach aveva deciso di trascorrere la prima ora di guardia sbraitando avanti indietro per il corridoio. Alla fine, dovetti essere scivolata nel sonno senza accorgermene, perché fu la voce di Leo a riportarmi di colpo alla realtà.
«Ehi, Miss Mondo, sveglia!»
Drizzai la schiena e mi massaggiai il cuoio capelluto. Possibile che fosse già mattino? Il banchetto a Nuova Roma era stato solo ieri?
Leo bussò sulla porta e la spinse in avanti, incastrandosi nell’uscio. Aveva una mano a coprirgli gli occhi, che sarebbe stato un gesto carino, se non stesse sbirciando dalle fessure tra le dita. «Sei vestita?»
«Leo!»
«Scusa» disse, ma sorrideva e non sembrava affatto dispiaciuto. «Oh, carino il pigiama dei Power Rangers!»
Lo guardai storto. «Sono aquile cherokee
Il suo sorriso si allargò. «Ceeerto. Comunque, stiamo atterrando a Topeka, come richiesto. La colazione è già in tavola.»
Annuii distrattamente. «Arrivo.»
Di sopra, il Coach strillò qualcosa in gergo navale che fece storcere il naso al figlio di Efesto, che si dileguò con la scusa di dover dare una ripassata al suo linguaggio marinaresco.
Indossai in fretta e furia i primi vestiti che mi capitarono sotto mano – pantaloncini cachi e una maglietta sdrucita delle Super Chicche che probabilmente risaliva alla prima Media –, feci una veloce tappa ai bagni e salii sopraccoperta con un bagel fumante in mano. Raggiunsi gli altri e mi avvicinai ad Annabeth, che sembrava aver trovato il luogo più comodo dove stare: tra le braccia di Percy.
Ero così felice per la mia amica che dovetti sopprimere un versetto alla vista di tanta tenerezza. A differenza di Alex e Astrid, loro non mi sarebbero mai risultati stucchevoli o molesti. Erano una coppia semplicemente perfetta. Non esattamente come me e Jason, anche… Lui era un ragazzo fantastico, qualcuno che non sarei nemmeno riuscita a sognare, ma ogni tanto appariva distante, quasi freddo. Come ieri, quando la figlia di Atena aveva toccato l’argomento rivalità tra Greci e Romani.
Rimanda a più tardi, Pipes, mi dissi. Ora, occupati di Bacco e del cartello Topeka 50.
Evitai di riflettere troppo anche sull’altra parte della visione che mi aveva mostrato il coltello, quella in cui io, Percy e Jason affogavamo. Non ne comprendevo il senso, soprattutto perché il figlio di Poseidone non avrebbe mai potuto annegare, e c’erano già altre profezie e missioni di cui occuparsi. Se Katoptris mi avesse mostrato di più, ne avrei informato gli altri.
In quel momento, ci raggiunsero tutti i nordici. Einar stava finendo di divorare un enorme krapfen ripieno fino a scoppiare di crema al cioccolato, sporcandosi tutte le dita. Nonostante ciò, sembrava piuttosto felice di avere sotto mano una di quelle delizie.
«Ehi, Valdez» esordì. «Dici che puoi inventarmi una versione portatile dei piatti magici che abbiamo qui? Vorrei portarmene uno a casa.»
Leo ghignò. «Niente è impossibile per me.»
Annabeth mi si accostò e mi rubò un pezzetto di bagel. Al Campo, ci rubavamo la colazione di continuo e questo era un gioco che ormai non mi dava più fastidio. Lo ingoiò e chiese: «Siamo tutti presenti?»
Si udì un “sì” collettivo.
«Bene, ciurma» prese parola Leo. «Secondo Festus, non dovremmo essere lontani dalla destinazione. O dove Piper crede di trovare Bacco.»
Percy sbuffò. «Tutta questa strada per vedere il Signor D…» brontolò a mezza voce. Gli si formava una piccola fossetta tra le sopracciglia quando si accigliava.
«Bacco è a posto» osservò Jason, conquistandosi un’occhiata scettica da parte del greco. «Una volta gli ho fatto un favore, nel paese del vino. È il suo seguito, che non è molto piacevole.»
Già. Le Menadi non erano per niente a posto.
«Se lo dici tu, bello» replicò Percy.
«Forse il suo lato romano è migliore» ipotizzò Alex. «Se andassi al posto di Percy, magari correremo meno rischi.»
«Mmmh.» La sua ragazza non pareva convinta. «Nemesi ha raccontato ad Hazel e Leo che gli Dèi sono un po’ schizofrenici, in questo periodo. Non so se Bacco sarà pacifico, trovandosi davanti un semidio norreno.»
«Giusto» concordai. «E poi, nella visione, eravamo io, Percy e Jason. Credo che sia importante mantenere questa formazione.»
Alex aveva l’aria un po’ abbattuta. «Potrei aiutare voi tre e…»
«Capo, niente manie di protagonismo» lo riprese Einar in tono leggero.
Il sottointeso, però, era chiaro. Tre figli di Dèi così potenti insieme... era più pericoloso che saggio. Uniti, avrebbero potuto radere al suolo una città. Divisi, avrebbero potuto distruggersi l’un l’altro. L’imbarazzante situazione di ieri sera a cena ne era un esempio.
Il figlio di Odino alzò le mani in segno di resa. «Okay. Vorrà dire che pattuglierò con Vesa, in cerca delle aquile romane.»
«Se vuoi, posso darti una mano» si propose Frank, arrossendo un poco. «Mi trasformerò in, ehm, un corvo o qualcosa del genere.»
Alex gli rivolse un ampio sorriso, cercando di metterlo a suo agio. «Perfetto. Sarai il mio compagno di volo.»
«Perché un corvo, quando puoi diventare un drago?» si intromise Leo. «Il drago è il più figo.»
La faccia di Frank assunse un colorito violaceo, e non era possibile scambiarlo per vergogna o timore reverenziale. Quei due non si sopportavano, punto.
«È come fare i pesi in palestra: non è che ogni volta ti metti a sollevare il peso massimo. È faticoso e rischi di farti male. Trasformarsi in drago non è facile.»
«Non l’avrei mai detto. Io non faccio pesi.»
Se gli fossi stata vicina, gli avrei rifilato una gomitata nelle costole. Non poteva semplicemente lasciar perdere? Non feci in tempo a pensarlo, che sentii la risposta di Frank.
«Be’, magari dovresti farci un pensierino, Super-Fig…»
«Allora» intervenne Hazel, tempestivamente, «io e Astrid potremmo perlustrare via terra. Se non ti dà fastidio cavalcare, Astrid.»
La figlia di Hell lanciò un breve sguardo ad Alex, che scosse impercettibilmente il capo. Corrugai la fronte, ma la sua risposta fu assolutamente ordinaria: «Nessun problema. Mi piacciono i cavalli.»
«Perfetto» decretò Hazel.
Leo tossicchiò. «Ehm… Annabeth, mi farebbe comodo il tuo aiuto per le ultime riparazioni. Sei l’unica che ne capisce un po’ di ingegneria.»
La mia amica guardò Percy mortificata. «Ha ragione. Devo restare a dare una mano.»
«Tornerò da te» replicò lui, baciandole teneramente la fronte. «Promesso.»
Mi si strinse il cuore.
La nostra attenzione si spostò sull’unica persona che ancora non si era proposta per un compito particolare. Einar era più concentrato sul suo krapfen che sulla discussione, per cui ci mise un po’ a rendersi conto che lo stavamo fissando.
Quando lo fece, smise di leccarsi lo zucchero via dalle dita e si affrettò a farfugliare: «Sì, be’, io farò la guardia.» Ricambiò i nostri sguardi carichi di aspettativa e aggiunse: «E proverò a mettermi in contatto con Nico. Io ho… un metodo che devo sperimentare. Non assicurò che funzionerà, però.»
«Provaci comunque» rispose Hazel, stringendosi le mani. «Per favore.»
Il figlio di Loki annuì, non una traccia di presa in giro nel suo aspetto. Il che era un po’ assurdo, considerato che aveva due baffi di crema al cioccolato che lo facevano sembrare un alto ufficiale dell’esercito di Napoleone. «Farò tutto il possibile per ritrovare tuo fratello.»
Lei gli rivolse un debole sorriso. «Grazie.»
«È deciso» concluse Jason. «Prepariamoci all’atterraggio.»
 
 
Leo aveva detto che eravamo vicini, ma lui e Festus avrebbero dovuto rivedere il loro concetto di “vicino”. Io e i ragazzi fummo costretti a fare una scarpinata nei campi roventi, con il calore che saliva dal terreno e tormentati dalle zanzare. Arrivati sulla strada, la quale sembrava ribollire sotto la sua delle mie scarpe, trovammo un vecchio cartello pubblicitario che indicava che distavamo ancora sessantacinque chilometri dalla prima uscita per Topeka.
«Correggetemi se sbaglio» disse Percy. «Ma questo non significa che dobbiamo camminare per altri quindici chilometri, vero?»
Jason scrutò l’autostrada a destra e sinistra, trovando solo girasoli e girasoli e girasoli. «Suppongo niente autostop. Non che lo avremmo fatto, comunque.»
«No» concordai. «Però abbiamo camminato troppo a piedi. Qui, tutto appartiene a Gea.»
Il figlio di Giove giocherellò con il fodero della sua spada, pensoso. I suoi capelli, così illuminati, apparivano quasi bianchi. All’improvviso, schioccò le dita.
«Ci sono!» esclamò. «Posso chiamare un amico per farci dare un passaggio.»
Percy inarcò le sopracciglia. «Oh, davvero? Anch’io. Vediamo quale dei due arriva prima?» lo sfidò.
Pensai: vi prego, non scatenate la Terza Guerra Mondiale.
Jason gli sorrise. «Ci sto.» Dopodiché, semplicemente fischiò.
Il figlio di Poseidone, invece, chiuse gli occhi e si concentrò. Lo osservai ancora una volta e lo paragonai all’idea del grande Percy Jackson di cui tutti parlavano al Campo Mezzosangue. Sentendolo nominare almeno in una conversazione al giorno, l’avevo creduto un ragazzo più come Jason, che ispirasse fiducia e stabilità. Invece, era più snello, qualche centimetro più basso e i suoi capelli, leggermente più lunghi e molto più scuri, gli valevano completamente il soprannome Testa d’Alghe. Se non avessi saputo che fosse un semidio, l’avrei scambiato per uno skater da cui sarei girata alla larga: carino, arruffato, del genere un po’ selvaggio e sicuramente un piantagrane. Eppure, capivo perché ad Annabeth piacesse tanto – o perché fosse l’unica in grado di tenerlo a bada.
Il bagliore di un lampo distolse la mia attenzione da lui.
Jason sorrise. Richiamare Tempesta non era mai un’impresa facile. «Manca poco» avvertì.
«Troppo tardi» ribatté  Percy, indicando un punto nero verso est che si avvicinava molto velocemente.
Aguzzai la vista. «È un pegaso nero? Non ne avevo mai visto uno così.» Sarebbe sicuramente piaciuto ad Hazel.
Lo stallone alato ci raggiunse e atterrò. Trotterellò verso il suo padrone e gli strofinò il muso contro il viso, poi si girò con aria interrogativa verso noi altri.
«Blackjack, ti presento Piper e Jason» ci introdusse il moro. «Sono amici.»
Il cavallo nutrì piano.
«Ehm… magari dopo, bello.»
«Che cosa ti ha chiesto?» indagai.
Percy rivolse uno sguardo alla sua cavalcatura con aria divertita, ma anche dolce. «Ciambelle. Come sempre, no?»
Forse avrebbe aggiunto qualcos’altro, se l’aria non si fosse fatta improvvisamente gelida. Mi si tapparono brevemente le orecchie, mentre Tempesta cavalcava a tutta velocità verso di noi, fermandosi così di colpo che, per un momento, temetti che avrebbe investito Jason.
«Da quanto tempo, amico» lo accolse il semidio.
Lo spirito della tempesta si impennò e nitrì. Blackjack arretrò, innervosito. Be’, anche a me la presenza dell’altro stallone non rendeva tranquilla.
«Niente male, Grace» ammise Percy.
«Anche tu, Jackson.»
Accettai la mano che mi porgeva e salii in groppa a Tempesta. Sperai che non si volatilizzasse mentre eravamo in volo. Perlomeno, era un mezzo di trasporto molto veloce, dal momento che raggiungemmo il cartello della mia visione in pochi attimi.
Blackjack fu il primo ad atterrare, permettendo a Percy di smontare. I due sembrarono avere un altro dei loro momenti intimi.
«Hai ragione. Il tizio del vino non si vede.»
«Come, scusa?» lo contraddisse una voce dai campi.
Ci voltammo tutti di scatto verso il dio, vestito esattamente come me l’aveva mostrato Katoptris: cappello a testa larga ornati d traci di vite, una maglietta viola a maniche corte, pantaloncini color cachi e un paio di sandali con i calzini bianchi al ginocchio. Oh, Immortali. Quelli proprio non si potevano vedere. Sperai che lo stesse facendo per infastidire Madre Terra, umiliandola semplicemente camminandole sopra con quegli orrori antiestetici. Come minimo, mia madre sarebbe svenuta.
«Sbaglio o qualcuno mi ha appena chiamato “tizio del vino”?» esordì lui. «Preferisco Bacco, per favore. O divino Bacco. Oppure anche Oh-Santi-Numi-La-Prego-Non-Mi-Uccida Divino Bacco. Suona sempre così bene.»
Percy lo studiò, socchiudendo le palpebre. «Sembri diverso» osservò. «Sei più magro. Hai i capelli più lunghi. E non indossi una camicia pacchiana
Quindi Dionisio poteva vestirsi peggio di Bacco?
Il dio del vino lo squadrò. «Di che diamine stai parlando? Voi chi siete, e dov’è Cerere?»
Mentre le sopracciglia di Percy viaggiavano verso l’alto per l’incredulità, Jason domandò: «Divino Bacco, si ricorda di me? Le ho dato una mano con quel leopardo scomparso, a Sonoma.»
Bacco si grattò il mento ispido. «Mmmh. Vi ha mandati Cerere, allora?»
«No, divino Bacco» rispose il mio ragazzo. «Doveva incontrarla qui?»
Il dio fece un verso di scherno. «Be’, figliolo, in Kansas non venuto per divertirmi. Cerere mi ha invitato a un consiglio di guerra. Con questa storia del risveglio di Gea, le colture stanno appassendo, i karpoi si stanno rivoltando e si sta diffondendo la siccità. Nemmeno le mie viti sono al sicuro. Cerere vuole creare un fronte unico nella guerra vegetale.»
«La guerra vegetale?» ripeté il figlio di Poseidone. «E che avete intenzione di fare? Armerete i chicchi d’uva con mini Kalashnikov per l’assalto?»
Bacco rivolse la sua completa attenzione a lui. «Ci siamo già incontrati?»
«Al Campo Mezzosangue. Io ti conosco come il Signor D… Dionisio.»
«Ah!» La divinità trasalì e si premette le mani sulle tempie. Per un attimo, la sua immagine sembrò mutare e potei intravedere una camicia leopardata.  Poi, il suo aspetto si ristabilizzò. «Basta!» ordinò. «Smettila di pensare a me in greco!»
«Ehm, ma–»
«Ragazzo, hai idea di quanto sia dura restare concentrati? Un dolore costante e lancinante alla testa! Non so mai quello che sto facendo o dove sto andando! Mi lamento in continuazione!»
«Be’, niente di diverso dal solito, allora» commentò Percy.
Bacco dilatò le narici e una delle foglie di vite sul suo cappello prese fuoco. «Se ci conosciamo davvero nell’altro Campo, mi stupisco di non averti già trasformato in un delfino.»
«In effetti, lo avevi preso in considerazione. Più volte» lo rassicurò il semidio. «Ma eri troppo pigro per farlo.»
Osservavo la scena tra l’inorridito e l’affascinato. Era come assistere a un incidente d’auto in diretta, ed ero come paralizzata al mio posto. Fortunatamente, l’idea di una versione mammifero marino di Percy che usciva con la mia migliore amica mi riscosse abbastanza in fretta da salvare la situazione.
«Divino Bacco!» intervenni. Sentii Jason stringermi velocemente il braccio, un silenzioso avvertimento. «Ci dispiace importunarla, mio signore. In tutta verità, siamo venuti qui per chiederle consiglio. La prego, abbiamo bisogno della sua saggezza.»
«Hai il dono della parola, ragazza. Un consiglio, eh? E va bene.» Si staccò la foglia in fiamme e la spense tra due dita mentre parlava. «Eviterei il karaoke. E ricordate che le feste a tema ormai non vanno più. In questi tempi di austerità, la gente vuole eventi semplici, informali, con spuntini bio a chilometro zero e…»
«Non si tratta di una festa» lo interruppi il più educatamente possibile, «anche se seguirò sicuramente i suoi utilissimi consigli, divino Bacco. Noi speravamo che ci aiutasse con la nostra missione.»
Gli raccontai dell’Argo II, del nostro viaggio verso Roma per evitare il risveglio di Gea e i giganti, la scadenza dei sei giorni e, infine, gli descrissi la visione riflessa nel pugnale in cui lui ci offriva un calice d’argento.
«Un calice d’argento?»
Il dio non appariva molto entusiasta – come tutti, quando chiedevamo loro aiuto. Acchiappò una lattina di Diet Pepsi dal nulla e tirò la linguetta.
«Ma non bevevi Diet Coke?» osservò Percy.
«Non so di cosa parli» lo fulminò quello. «Quanto alla visione del calice, non ho da offrirti niente da bere, a meno che tu non voglia una Pepsi. So che è una seccatura, ma Giove mi ha vietato di offrire alcolici ai minori. I giganti, invece, li conosco bene. Ho combattuto nella prima guerra contro di loro.»
«Sai combattere?» chiese il figlio di Poseidone.
Desiderai con tutta me stessa che non l’avesse detto in tono così incredulo, o con gli occhi tanto sgranati. Essere in missione con Percy Jackson equivaleva ad affidarsi al caso e sperare di non venire disintegrati dal dio o mostro di turno.
Bacco ringhiò. La lattina si trasformò in un bastone lungo quasi due metri, intrecciato di edera e sormontato da una pigna.
«Ca-cavoli! Un tirso!» esclamai, sperando di distrarre il dio dai suoi intenti omicidi. «Che arma potente!»
«Esatto» concordò il dio, scoccando un’altra occhiataccia penetrante a Percy. «Lieto di vedere che almeno qualcuno del vostro gruppetto ha un po’ di cervello. La pigna è una temibilissima arma di distruzione! La usavo anch’io, quando da semidio combattei nella Prima Guerra dei Giganti. Ero il figlio di Giove!»
Jason trasalì. Sentirsi ricordare che quel dio era, tecnicamente, suo fratello maggiore non doveva essere piacevole.
Bacco fece roteare il tirso nell’aria come una majorette troppo robusta, rischiando di colpire Percy sul capo – che si spostò prontamente e lo guardò in cagnesco –, e continuò: «Certo, accadde tutto molto prima che inventassi il vino e divenissi immortale. Combattevo al fianco di un altro semidio. Si chiamava, ehm, Enrico?»
«Ercole?» suggerii innocentemente.
«Sì, be’, è uguale» replicò la divinità. «Comunque, uccisi il gigante Efialte e suo fratello gemello Oto. Che orribili zoticoni, quei due! Una bella pigna in faccia per entrambi!»
Trattenni il fiato. Due versi delle profezia mi rimbombarono nella mente: Il respiro dell’angelo che ha la chiave dell’eterna morte / i gemelli soffocheranno, se lo vorrà la sorte. All’improvviso, tutto mi appariva così ovvio. Mi voltai verso Jason e lui annuì. Stava pensando le stesse cose.
«Ha detto che erano gemelli, giusto?» chiesi conferma. Bacco annuì. «È per questo che siamo qui, divino Bacco. Lei fa parte della nostra impresa eroica!»
Il dio si accigliò. «Spiacente, figliola. Non sono più un semidio. Le imprese eroiche non mi riguardano più. E, a dire la verità, meglio così. Comportavano troppi pericoli mortali e troppa poca gloria. Più facile inventare il vino e godermi l’eternità nella mia nuova, disfunzionale famiglia divina.»
«Ma i giganti si possono uccidere soltanto se eroi e Dèi collaborano» insistetti. «Lei adesso è un dio, ed ha già sconfitto Efialte ed Oto in passato. Credo che ci stiano aspettando a Roma. Hanno intenzione di distruggere la città, in qualche modo. Il calice d’argento che ho visto… è un simbolo del suo aiuto. Lei deve aiutarci a uccidere i giganti!»
Seppi di aver scelto le parole sbagliate nel momento in cui lasciarono le mie labbra. Mi sarei voluta mordere la lingua.
«Mia cara ragazza, io non devo fare un bel nulla» replicò Bacco, gelido. «E poi, aiuto solo coloro che mi offrono un tributo adeguato, cosa che nessuno riesce più a fare da molti, molti secoli.»
La parola “tributo” non suonava affatto bene.
Percy pose la domanda che avevo troppa paura di formulare. «Che genere di tributo?»
Il dio liquidò la faccenda con un gesto distratto della mano. «Niente di cui tu sia in grado di occuparti, insolente di un semidio greco. Ma vi darò un consiglio gratis, visto che la ragazza, qui, conosce un po’ di buone maniere. Scovate il figlio di Gea, Forco. Ha sempre odiato la madre, e non gli si può dare torto. Non voleva nemmeno sapere dei suoi fratelli, i gemelli. Lo troverete nella città che ha preso nome da quell’eroina… Atalanta?»
«Atlanta?» provai.
«Quella. E cercate l’acqua salata.»
«L’acqua salata» disse Percy, «ad Atlanta
«Sì» confermò Bacco. «Sei duro d’orecchi? Se c’è qualcuno in grado di farvi capire meglio Gea e i gemelli, è Forco. Però state attenti.»
«In che senso?» domandò Jason.
Il dio non rispose. Lanciò un’occhiata al sole, che aveva quasi raggiunto il suo punto più alto nel cielo.
«Non è da Cerere fare tardi…» considerò ad alta voce. «A meno che non abbia avvertito qualcosa di pericoloso nella zona. O… che non sia una trappola. Be’, io devo andare. Se fossi in voi, farei lo stesso!»
E scomparve, lasciandosi indietro la protesta di Jason.
Il vento arruffò i petali dei girasoli. Attorno a noi, la temperatura scese di poco, o forse era solo una mia sensazione. I cavalli pestarono irrequieti gli zoccoli. Non mi serviva conoscere il cavallese per sapere che sarebbe stato meglio levare le tende al più presto. Non feci in tempo a dirlo, che una voce si levò dai campi circostanti.
«Troppo tardi.»
Ricordi, più che altro frammenti, di quest’inverno mi attraversarono la mente.
Sarevock che spiegava come avrebbe risvegliato il Padre dei Giganti del Ghiaccio.
Chione che univa il suo sangue a quello di Jason e Alex.
L’ombra più grande che avessi mai visto che si materializzava sopra di noi.
La sua voce che era il rombo di cento tuoni.
Il terrore più puro e semplice.
Ma non era Ymir a parlare, bensì Gea. Il loro tono era così simile che mi assalì la stessa, istintiva paura. Non importava che lei stesse ancora dormendo, il suo potere permeava tutto.
Percy e Jason estrassero le spade.
«Benvenuti alla mia festa» ci accolse Gea. «Cosa vi ha consigliato Bacco? Ah, già: una situazione semplice, informale, con due spuntini bio. Di spuntini me ne bastano due: il sangue di una semidea e quello di un semidio. Dolce Piper, mia cara, scegli quale eroe morirà con te.»
Avrei voluto gridare “nessuno”, ma deglutii e rimasi zitta.
«Smettila di nasconderti nel frumento!» gridò Jason. «Fatti vedere!»
«Quanta baldanza» sibilò Gea. «Ma anche l’altro, Percy Jackson, ha un certo fascino. Scegli, Piper McLean, o lo farò io.»
Il cuore mi batteva a mille, come quello di un piccolo topolino, ma non potevo lasciarla fare. «Tu sei pazza!» urlai. «Io non sceglierò un bel niente per te!»
«Come vuoi.»
All’improvviso, il figlio di Giove sussultò. Drizzò la schiena e salì compostamente, inumanamente, sulla groppa di Tempesta.
«Jason…» mormorai. «… che succede?»
Il mio ragazzo abbassò lo sguardo su di me. Il volto era sempre il suo, ma aveva assunto una calma glaciale. I suoi occhi azzurri brillavano d’oro.
Arretrai, cercando lo sguardo di Percy. Ma anche il figlio di Poseidone era rimontato in sella e si stava posizionando a una decina di metri di distanza lungo la strada. Levò la spada e la puntò contro Jason.
«Uno solo morirà!» annunciò con voce profonda. «Sarai tu!»
«Sarò io a vincere» replicò Jason con lo stesso tono sordo.
«No!» gridai. La voce mi si spezzò, vanificando il potere della lingua ammaliatrice.
Jason e Percy lanciarono le cavalcature al galoppo, slanciandosi in avanti, pronti, decisi e letali. Tempesta e Blackjack cercarono di opporre resistenza, senza riuscirci. Grazie al loro sforzo, però, evitai di finire sotto i loro zoccoli. Rotolai sul ciglio della strada per togliermi di mezzo e, non appena mi tirai su, mi voltai a guardare la scena.
I due ragazzi incrociavano le spade e sprizzavano scintille. Il bronzo celeste contro l’oro imperiale, la maglietta viola contro quella arancione. Si lanciarono in un secondo assalto, ancora più violento del primo.
Mi spinsi in piedi e gridai: «Fermi!»
Per un secondo, Jason prestò ascolto al suono della mia voce. I suoi occhi dorati si voltarono verso di me giusto il tempo di un battito di ciglia. E Percy attaccò, sbattendogli la lama sul petto.
Un grido d’orrore mi si bloccò nella gola, nell’accorgermi che il figlio di Poseidone non l’aveva colpito di taglio, bensì di piatto, forse di proposito o forse per sbaglio. Non tagliò Jason in due, ma quest’ultimo venne sbalzato via da cavallo e finì a terra con un tonfo. Tempesta decise che era il momento adatto per dileguarsi.
«Percy!» urlai, usando un gran quantità di magia. «Jason è tuo amico. Getta la spada.»
La sua mano tremò e si abbassò. Sarei riuscita a farlo ragionare, se Jason non si fosse rialzato urlando a pieni polmoni: «Io ti ammazzooo!»
Una saetta si incurvò nel cielo, rimbalzò sul suo gladius e piombò su Percy, che venne disarcionato.
Blackjack nutrì e fuggì nei campi. Jason si avvicinò con movenze bestiali all’avversario, ancora a terra coi vestiti fumanti.
«No! Fermati, ho detto!»
Il mio ragazzo si bloccò, la spada a dieci centimetri dalla faccia di Percy, e si girò lentamente. La luce dorata nei suoi occhi scintillava incerta.
«Non posso fermarmi. Deve morirne uno.»
C’era qualcosa nella sua voce… non era Gea, e sicuramente non Jason. Chiunque fosse, parlava inciampando sulle parole, come se quella non fosse la sua lingua.
«Chi sei?» domandai.
La bocca di Jason si piegò in un sorriso crudele. Non era in sé, ma mi ferì ugualmente. «Siamo gli eidolon. E torneremo in vita.»
Ripassai alla velocità della luce i mostri studiati durante la mia permanenza al Campo Mezzosangue. Eidolon… eidolon… era come non trovare la voce che cercavi in un dizionario, proprio perché ce l’avevi sotto il naso. «Siete dei fantasmi?» tentai.
«Lui deve morire.»
«Non è così. Non farlo.»
Ma Jason non mi ascoltava più. Fece in tempo a voltarsi verso Percy, che questo agganciò una sua gamba e con una rapida mossa lo spedì a terra. La sua testa cozzò contro l’asfalto. Percy si alzò con aria trionfante e aggiustò la presa su Vortice.
Mi sforzai di tenere a bada il panico. Non potevo attaccarlo con il pugnale, perché sarei finita peggio di Jason e il piano di Gea si sarebbe compiuto. Non potevo bloccarlo con la mia voce per molto tempo, perché non conoscevo i desideri di quella creatura. La parola eidolon non mi diceva ancora niente. Quindi, avrei applicato il metodo Chase del “continua a parlare e guadagna tempo”.
«Sei uno spirito degli Inferi e stai possedendo Percy Jackson» dissi.
Il figlio di Poseidone emise un verso di scherno. La sua espressione era terrificante. «Tornerò a vivere in questo corpo. Madre Terra me l’ha promesso. Vado dove mi pare e piace, controllo chi voglio.»
Un’ondata di consapevolezza si abbatté su di me. «Hai… hai posseduto anche Leo. Sei tu che hai bombardato Nuova Roma!»
La creatura nel corpo di Percy rise senza allegria. «L’hai capito, finalmente! Ma ormai è troppo tardi. Non puoi fermarmi. Ucciderò Jason Grace.»
Alle mie spalle, Blackjack emerse dal campo, muovendosi con sorprendete cautela per essere un pegaso. Lo guardai fisso nei suoi grossi occhioni scuri e ordinai: «Non lo ucciderai.» Il potere della lingua ammaliatrice vibrava attorno a me. «Lo manderai al tappeto.»
Percy corrugò la fronte, investito da quelle vibrazioni. «Lo manderò al tappeto?»
«Oh, scusa, eidolon. Non stavo parlando con te.»
Blackjack, in posizione, si impennò e calò uno zoccolo sulla testa di Percy, che si accasciò sull’asfalto accanto a Jason.
«Ah, diamine!» esclamai, portandomi una mano alla bocca. «Blackjack, non l’avrai colpito troppo forte, vero?»
Il pegaso sbuffò.
«Okay. Mi fido.»
Per sicurezza, controllai che i due ragazzi stessero bene. Respiravano normalmente e sembravano solo svenuti. Sospirai di sollievo. Per fortuna, avevano entrambi la testa dura.
Dopodiché, mi rivolsi al pegaso. «Bene, Blackjack. Ora, non ci rimane altro che riportare questi due alla nave.»
Lo stallone alato inclinò il testone di lato, come a dire “E la fai così facile?”
 

 
∆Reyna∆
 
«I nemici ci hanno avvistato, Pretore Arellano» mi informò con voce squillante uno delle ultime aggiunte alla mia legione, Kyle. Figlio di Apollo, era arrivato due mesi prima dal Midwest e aveva dimostrato di avere la stoffa del buon soldato: eseguiva gli ordini alla lettera senza porre domande. Avrebbe fatto carriera. Ovviamente, dopo aver debellato la minaccia Gea.
«Hanno attaccato o hanno mostrato comportamenti ostili?» lo interrogai.
Kyle resse il mio sguardo. «No, signora. La viverna si è alzata in volo e pattuglia il cielo in cerca di altre aquile, ma non sembra intenzionata a lanciare un’offensiva.»
Mh. Interessante. La viverna apparteneva chiaramente ad Alex Dahl, e Alex Dahl non mi sembrava il tipo di persona che comanda alla propria cavalcatura di non nuocere all’avversario senza un motivo. Se le sue belle parole di pace a Nuova Roma fossero state tutte menzogne, perché non ordinare al drago di eliminare le nostre vedette?
«Grazie, soldato Kyle. Puoi andare» lo congedai.
Il figlio di Apollo fece il saluto e si allontanò. Si sarebbe ricongiunto al resto dei legionari e avrebbe cenato con i suoi compagni, mentre io studiavo il da farsi nella solitudine della mia tenda. Sempre meglio che avere Octavian attorno. Per tutto il giorno non aveva fatto altro che strillare e starnazzare e istigare e punzecchiare. Un tafano che si accanisce su un cavallo.
Neanche lo avessi evocato, sentii sollevare un lembo della tenda e, quando mi voltai, me lo ritrovai. Sorrisi senza gioia. Parli del diavolo, spuntano le corna.
«Octavian » lo accolsi freddamente. «A cosa devo la tua visita?»
«Reyna» ricambiò l’augure. «Ho sentito che il bastardo del nord ha messo in fuga le vedette che avevi inviato con la sua viverna.»
«Non è un bastardo» replicai. «E la sua viverna non ha messo in fuga nessuna delle mie vedette. Sono state avvistate e hanno ripiegato, come avevo ordinato.»
«Uhm.»
Octavian si accomodò senza che lo invitassi. Studiò la cartina che avevo steso sul tavolo, cercando di capire che via avrebbero preso i Greci e i Nordici e tentando di prevedere la loro prossima mossa. Doveva apparargli come un simbolo della mia fedeltà a Nuova Roma, quando invece era tutto il contrario. Se avessi scoperto la via che avevano scelto di percorrere, avrei potuto costruire bugie più forti per rallentare l’avanzata di Octavian.
«Se fossi in te, cercherei di liberarmi di quella bestia con una sortita notturna» disse.
«Non sprecherò le mie aquile in una sortita notturna» mi opposi. «Sanno che li osserviamo. L’effetto sorpresa è nullo. Senza contare che la viverna di Dahl batte una delle nostre aquile dieci a uno.»
«Potrei mandare le mie.»
Serrai la mascella. «Potresti» concessi. Tamburellai con le dita sul tavolo, tradendo nervosismo. «Ma dubito che otterresti grandi risultati. Sai bene anche tu, che dobbiamo scegliere ciò che giova di più a Nuova Roma.»
Il figlio di Apollo sollevò un pugnale che avevo usato come poggia carte. Un angolo della cartina si arrotolò con un wush. Octavian si fece ruotare la punta sull’indice, finché non si punse. Una goccia del suo sporco sangue bagnò la lama della mia arma. Le sue labbra si contrassero in una smorfia. Sembravano due vermi grassocci e mollicci.
I suoi occhi gelidi si alzarono sul mio volto. «Tu lo stimi, vero?» mi accusò. «Alex Dahl» scandì. «Comandante dell’Orda del Drago. Tsk.»
Era facile non lasciar trasparire nessuna emozione dalla mia espressione. Era un gioco a cui giocavo ogni giorno da tanto, troppo tempo e a cui vincevo sempre.
«Non è rilevante» risposi. La mia voce era totalmente indifferente.
Octavian non staccò i suoi occhi da me. Avevo voglia di strappargli il coltello di mano e cavarglieli seduta stante.
Il suo sguardo su di me era semplicemente ripugnante. Mi guardava come un ladro di appartamenti guarda un attico a vetrate che si affaccia sulla spiaggia di Malibu: con rabbiosa brama di possesso, quasi a voler dire “presto sarai mio”. Ogni volta che posava i suoi occhi su di me, mi irrigidivo e stavo costantemente all’erta. Non lo temevo, ma non potevo impedirmi di sentirmi molto più che a disagio.
«Sembravi piuttosto colpita da loro, durante il banchetto» continuò, insinuante.
Mi avvicinai e tirai fuori un sorriso finto dalla mia riserva inesauribile. «Be’, sì, hai ragione» dissi, controllata. «Me li aspettavo diversi. Vestiti di pelli, scarmigliati, con una fiaschetta di tequila nel taschino interno della giacca… come i loro antenati, insomma. Anche tu li avevi immaginati così, no?»
Octavian fu costretto ad annuire. «Come dei perfetti barbari» rincarò.
«Invece» ripresi, senza tenere conto del suo commento, «erano normali. Ordinari, quasi. Come noi Romani, se non contiamo le usanze. Si sono anche dimostrati pacifici.»
«Pacifici» ripeté il figlio di Apollo. «Scherzi? La troia di Alex Dahl mi ha insultato!»
«Non prenderla troppo sul personale. Credo sia meglio non giungere a conclusioni affrettate.»
Octavian saltò su dalla sedia. «Non sto giungendo a conclusioni affrettate» replicò, aspro. «Ci hanno attaccato. Hanno distrutto la sede del Senato. E noi gli avevamo offerto ospitalità.»
«Loro ci hanno offerto pace e hanno condiviso con noi tutto ciò che sapevano» gli tenni testa. «Ci hanno messo in guardia da Gea e Ymir. Volevano che ci aiutassimo a vicenda. Perché attaccarci? Non ha senso.»
«Mentivano!» sbraitò il biondo. «Ci hanno ingannato! Si sono presi gioco di noi!»
«O forse no» replicai. «Dobbiamo lasciare loro una possibilità di spiegarsi. I nostri antenati erano un popolo civile. Noi siamo cresciuti in un Paese dove vige la democrazia
«I nostri antenati fondarono l’Impero» ribatté Octavian. «E lo fecero prendendo le teste dei loro oppositori. È così che io agirò e–»
«Peccato che tu non sia pretore, Octavian» lo interruppi. «Perché io starò a sentire cos’hanno da dire. Ora, se non ti dispiace, vorrei riposarmi.»
Il figlio di Apollo sembrava sul punto di schiaffeggiarmi o mettersi a piangere e strillare come un bambino di tre anni. Per sua fortuna, riuscì a contenere il suo sdegno e uscì dalla tenda sbuffando, portandosi dietro il suo ego ferito.
Mi lasciai cadere sulla sedia e mi presi la testa tra le mani, massaggiandomi le tempie. Pensai: sono il pretore, ma fino a quando?

 
koala's corner.
Ben tornati, semidei!
Scusate se ieri non abbiamo pubblicamo, ma era il lunedì post Lucca Comics (che suona tanto come post sbornia, anche se è molto meglio xD)
Già, sappiate che io e Wolfie eravamo al Lucca Comics e abbiamo pianificato tante cose interessanti per i nostri eroi :P
Come abbiamo già detto nella pagina, dove ci sono anche delle nostre foto, nel caso voleste ficcanasere un po'. In ogni caso, in questo capitolo torna Reyna, che deve fare i conti con Octavian e si dimostra la badass che è |B
L'altra parte, invece, ripercorre la storia classica di zio Rick, sempre narrata da Piper, dal momento che è l'unica in grado di narrarlo
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima! Tanto eucalipto e arcobaleni a tutti!

Soon on VdN: POV Alex/Lars in cui Vesa si pappa un'aquila romana e al Campo Mezzosangue la situazione peggiore.
 

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Capitolo 7
*** ALEX/LARS • La mia viverna fa un pasto a base di aquile ***


La mia viverna fa un pasto a base di aquile.
 
•Alex•
 
Frank ed io eravamo di pattuglia, ma non riuscivo ad essere completamente concentrato.
In effetti, ero preoccupato per Percy e Jason: da quando avevamo percepito quella strana presenza, io, Astrid ed Einar ci eravamo ripromessi di non perdere d’occhio nessuno e, sinceramente, io temevo di più per Percy e Jason.
Avevo paura che, qualsiasi cosa tramasse contro di noi, avrebbe puntato a danneggiare il loro incontro con Dioniso. Ma, d’altra parte, Einar aveva ragione: Dionisio o Bacco era comunque un dio greco-romano e la sua personalità romana avrebbe potuto prendere la mia presenza in modo molto negativo, rifiutandosi di condividere qualsivoglia informazione. D’altra parte, c’era anche il rischio che, se attaccati, i nostri poteri congiunti avrebbero potuto fare più danno che altro.
«Ancora nulla» disse Frank, atterrando sulla schiena di Vesa e riacquisendo forma umana.
«Meglio così. Non mi piace essere seguito» risposi, lanciando un’occhiata sotto di noi.
Stavamo sorvolando una di quelle tipiche cittadine americane con le villette a schiera che circondavano le strade. Era tutto abbastanza tranquillo ed i mortali, ignari, continuavano le loro vite, senza avere idea della nostra presenza.
Il che era sempre meglio. Troppi mostri erano pericolosi per loro e sarebbe stato più che difficile, per molti mortali, scoprire cosa si nascondeva tra di loro.
«Credo che siano tornati» mi informò Frank, prima ritrasformarsi in corvo.
«Hai ragione» confermai, sentendo una strana sensazione. Non ero certo che fossimo al sicuro. «Torniamo indietro.»
Ordinai a Vesa di cambiare rotta e tornare all’Argo II, compiendo una morbida virata che mi riportò sulla strada per la nave. Accanto a me, Frank fu altrettanto agile e, nella sua forma volante, si girò su se stesso e si mosse insieme a me. Il battito regolare delle ali della Viverna era simile a quello delle pale di un mulino, potenti e forti, mentre quelle del mio amico erano meno frequenti e si limitava a planare.
Eravamo poco lontani dalla Argo II, quando un sibilo attirò la mia attenzione.
Per pochi istanti tutto andò a rallentatore, come se avessi messo il mondo in un film proiettato fotogramma per fotogramma. La mia percezione si acuì di colpo e mi mossi leggermente a sinistra, mentre una freccia con la punta dorata mi passava a pochi centimetri dal collo.
«Ci attaccano!» avvertii, girandomi di scatto, vedendo avvicinarsi tre imponenti aquile romane, cavalcate da altrettanti legionari.
Al loro comando c’era un ragazzo in armatura completa con un pennacchio rosso sull’elmo e la visiera abbassata, ma riconobbi anche a quella distanza gli occhi gelidi di Octavian, l’augure romano che voleva ucciderci.
«Frank!» urlai, estraendo Fragore. «Corri all’Argo II! Di’ che ci stanno attaccando!»
Il ragazzo-corvo, però, non fece come gli dissi, ma si gettò verso l’aquila più vicina, mirando al cavaliere, che già tendeva l’arco per scagliare la seconda freccia. Il proiettile mi passò sopra la testa, dato che il soldato si era distratto per difendersi, ed io ne approfittai per scagliarmi contro l’Augure.
«Arrenditi, feccia nordica!» mi ordinò lui, lanciandosi contro di me con la sua aquila. «O subirai lo stesso destino della tua bestia da soma.»
«Ti consiglio di non chiamare Vesa “bestia”, a meno che tu non voglia finire molto male» replicai, mentre la viverna, a quanto pare sentendosi colta sul vivo dall’insulto, si impennava per poter agganciare l’aquila con le zampe posteriori.
Ci schiantammo con la forza di due giganti, tanto che io sbattei la testa contro la schiena squamosa di Vesa, mentre l’aquila emetteva un acuto stridio di dolore, azzannata all’attaccatura dell’ala.
L’augure sembrò spaventato da quella reazione così violenta, tanto che non reagì, rimanendo aggrappato alla sella, come paralizzato dal terrore. Diversamente fecero i suoi compagni, uno dei quali si lanciò contro di me, mentre l’altro affrontava Frank, che era tornato in forma umana.
La lancia della guardia di Octavian mi sfiorò la spalla sinistra, mentre la sua aquila cercava di graffiare il ventre della mia cavalcatura con i suoi artigli affilati. Non avevano messo in conto, però, che le viverne sono ben corazzate e, nonostante le due creature fossero quasi uguali in grandezza, Vesa era più corazzata e resse, anche se fu costretta a mollare quella di Octavian.
«Per Roma!» urlò il legionario, lanciandosi su di me con la lancia un pugno, tentando di infilzarmi.
«Fermo!» sbottai, parando il colpo con la spada. «Devi ascoltarmi! Non vogliamo combattere!»
Ma il ragazzo non mi dette ascolto e roteò la sua lancia, tentando di ferirmi al fianco, ma non ci riuscì, dato che saltai di lato, rimanendo sul dorso di Vesa per un soffio. Parai un altro colpo e menai un lungo fendente con il quale tranciai in due l’asta del giavellotto.
Il mio avversario, però, non sembrò impressionato ed estrasse una corta lama di oro imperiale, molto simile a quella di Jason. Nemmeno io ero impreparato e, aiutato dai riflessi semidivini, parai il colpo che mi avrebbe senza dubbio tagliato un braccio e ne menai uno con il piatto della spada, mirando all’elmo.
Il romano emise un gemito sommesso, mentre, con un sonoro tong, sveniva, accasciandosi sulla sella dell’aquila.
«Non fuggite, codardi!» sbraitò Octavian, che tornava all’attacco, questa volta cercando di colpire Vesa agli occhi.
Il problema era che anche l’altro legionario era svenuto, dato che Frank aveva menato una poderosa zampata in forma di orso, e, se non avesse ripreso la sua forma umana, avrebbe fatto anche precipitare l’aquila con il suo peso. Nonostante ciò, l’augure sembrava convinto di avere un intero esercito a cui dare ordini.
«Ora basta!» sbottai, dando ordine alla mia viverna di attaccare.
Lei non ci pensò due volte a colpire l’aquila al petto con una codata, sbilanciandola. Quella provò a riprendere quota, ma Vesa la bloccò, impedendole di aprire le ali. Octavian cacciò un lungo e acuto grido di paura, mentre precipitava verso terra. Tuttavia, Vesa arrestò la caduta, trattenendo l’aquila per l’ala rotta.
«Maledetti! Mi vendicherò!» urlò l’augure, mentre scendeva a terra con le gambe che tremavano per il terrore.
«Ma smettila!» ringhiai, afferrandolo per le cinghie dell’armatura. «Se fosse uno scontro vero, saresti già morto.»
«Non hai il coraggio di uccidermi, eh, bastardo di Asgard!?» mi derise l’augure, ma era più spaventato che coraggioso.
«Non ne ho bisogno» replicai deciso. «Non ho bisogno di uccidere gli stupidi e i codardi per dimostrare quanto valgo. E non ucciderò altri semidei per puro piacere. Ma possiamo ancora allearci, se…»
«Credi che a me importi!?» Sul suo viso si disegnò un crudele ghigno. «Non mi interessa della vostra stupida guerra! Io penso solo a Roma! Io sono Roma!»
«Sbagliato. Tu sei soltanto un idiota. Non ti servirà a nulla prendere il potere, se Gea ed Ymir vinceranno» sibilai, dandogli un pugno sul naso, che prese a sanguinare copiosamente.
«Farò un patto con il vostro Ymir… Sono certo di potergli offrire…»
«Non si tratta con quelli come lui, Octavian!» scattai, lasciandolo andare. «Per lui, noi siamo solo degli insetti.»
In quel momento, ero così innervosito che l’avrei voluto uccidere. Era la causa di molti dei nostri problemi. Eppure, dubitavo che la sua morte ci avrebbe fatto riguadagnare la fiducia dei Romani, anzi. Ero abbastanza convinto che non ci avrebbero perdonati la morte del loro augure.
«Vattene… E di’ a Reyna e ai tuoi che possiamo ancora parlare, se lo desiderano» gli dissi, rinfoderando la spada.
«Ti ammazzerò, figlio di Odino!» sbraitò, anche se non osò attaccarmi alle spalle.
«Allora, mettiti in fila» replicai, mentre la mia viverna tratteneva ancora l’aquila gigante per l’ala. «Troppe persone mi hanno lanciato la stessa minaccia, sta diventando monotono.»
Quando le salii in groppa, la viverna abbandonò l’ala dell’avversaria e spiccò il volo, allontanandosi dall’augure e dai suoi insulti, che aumentavano la mia voglia di ficcargli una spada su per il sedere. Ma non potevo rischiare di peggiorare ulteriormente la situazione con i Romani.
Frank mi si affiancò subito e, dopo essere atterrato sul dorso di Vesa, riassunse forma umana e si aggrappò alla sella.
«Quelli erano i suoi gorilla» mi informò, accigliato.
«Come, scusa?» chiesi, sorpreso che usasse un termine così poco… romano. Mi aspettavo dicesse legionari, o qualcosa di più specifico.
«Gli amiconi di Octavian. Lui… è molto potente tra i legionari. La sua famiglia è ricca e serve Nuova Roma da secoli. È solo grazie a loro che è diventato augure e tiene Campo Giove in scacco con il suo denaro» spiegò il figlio di Marte, affranto. «Quelli erano legionari particolarmente fedeli ad Octavian: figli di suoi alleati e amici, che lo seguono per il denaro che offrirà loro.»
«Mi sorprende che sia permesso» affermai, sinceramente colpito da quanto potesse essere stronzo quel biondino.
«Già, anche io. Al Campo Giove ci fanno credere di essere tutti uguali, ma non è così… Chi come lui nasce con famiglie importanti, fa la bella vita. È per questo che la sua è la Prima Coorte, il fior fiore del Campo Giove. Tutte le altre finiscono con leccarle i piedi» raccontò Frank, accigliato.
«Mi sorprende che Jason  abbia lasciato correre» osservai, pensando che il figlio di Giove non avrebbe mai agito in modo così meschino.
«Be’, io non c’ero quando Jason era al Campo, ma… so che lui riusciva a tenere a bada Octavian. Nessuno si sarebbe messo contro un figlio di Giove» spiegò il figlio di Marte.
Mentre riflettevo su quanto mi stava raccontando, mi dissi che era un bene che Frank si fidasse di me abbastanza da condividere quell’informazione con me. Era ovvio che Octavian non aveva visto l’ora di cacciare Jason: era un osso troppo duro per lui, ma ora aveva praticamente mano libera e, per quanto Reyna sembrasse un pretore forte, non sapevo se la sua eloquenza avrebbe vinto il denaro del discendente di Febo.
La Argo II fu presto in vista e, appena atterrammo sul ponte, capii subito che qualcosa non andava. Sul ponte c’era solo il Coach Hedge, che pilotava la nave e sorvegliava che non ci fossero nemici.
«Eccovi, scalmanati!» ci accolse, brandendo la sua mazza. «Ce ne avete messo di tempo! Dov’eravate, a bighellonare?»
«Siamo stati attaccati» risposi, senza preamboli. «Dove sono gli altri?»
«Attaccato!? Dove sono i Romani!? Dobbiamo uccidere qualcuno!?» saltò su il satiro, agitato, roteando la mazza.
Io e Frank ci scambiammo un’occhiata: il Coach era molto strano.
«Li abbiamo respinti. Ora, ci dice dove sono tutti?» domandò Frank.
«Oh… Sono di sotto. A quanto pare, la missione con il tizio del vino non è andata benissimo» disse Hedge, deluso più per lo scontro mancato che per la missione non andata benissimo.
Noi ci precipitammo in sala da pranzo, dove trovammo tutti intenti a discutere e capimmo subito che qualcosa era andato storto: Jason esibiva un fantastico livido sulla nuca che riusciva a tenere Astrid e Piper vicine perché entrambe erano intente a curarlo, mentre Percy sfoggiava un bel bernoccolo a forma di zoccolo sulla fronte.
«Però… Vi siete presi a pugni e zoccoli con Blackjack?» chiesi, divertito, mentre mi sedevo accanto ad Astrid.
La mia ragazza alzò gli occhi al cielo. «Amore, ti prego, smettila con queste battute orribili.»
«Molto divertente, Alex…» borbottò Percy, tenendosi un po’ di ghiaccio sulla pelle violacea e gonfia. «Potremmo dire che è lui che ha pestato noi. O meglio, me
Astrid incrociò il mio sguardo e, di colpo, capii che per lei tutto quello che stava succedendo aveva a che fare con la misteriosa presenza che avevamo percepito.
«Allora, cos’è successo?» chiese Frank, sedendosi vicino ad Hazel.
Piper prese la parola, assicurandosi che Jason stesse bene. Raccontò di quello che Bacco aveva detto Dioniso e di cercare l’acqua salata ad Atlanta, dove, forse, avremmo trovato informazioni utili sui giganti Oto ed Efialte. Dopodiché ci raccontò di come Gea avesse posseduto Percy e Jason e lei era riuscita, in extremis, a fermarli prima che si ammazzassero.
«Accidenti. Per fortuna c’eri tu» dissi, quando il racconto finì.
«Già… Grazie, Pipes. Se non fossi intervenuta a fermarci, avrei ucciso Jason» aggiunse Percy, appoggiato alla sedia.
«Uccidermi con cosa?» chiese il figlio di Giove. «Qui non c’è acqua.»
«Non ho certo bisogno di acqua, io» replicò Percy con un sorriso di sfida.
«Ok, basta» li bloccai, prima che la situazione peggiorasse.
Credevo di poter capire cosa volessero dire: era sempre nella testa di ogni semidio dimostrare di essere migliore dell’altro e, se spingevi due semidei ad affrontarsi, era difficile che non si volessero confrontare di nuovo.
Anche io continuavo a provare un certo desiderio di misurarmi con Jason, ma meglio che lo ignorassi, dato che, se avessimo sollecitato i poteri dei nostri genitori, rischiavamo di far saltare tutto in aria.
«Vi ha detto qualcosa di Nico?» chiese Einar, quasi impaziente. «Il mio metodo ha fatto cilecca.»
«In realtà, no» rispose Jason, dispiaciuto. «Ma forse questo dio esiliato può dirci qualcosa.»
«Speriamo…» sussurrò lui, stranamente accigliato.
Gli lanciai uno sguardo indagatore, ma lui scosse impercettibilmente il capo, facendomi capire che non voleva parlarne. Non ancora, almeno.
«Ad ogni modo, cosa vi avrebbe posseduti?» chiese Astrid, accigliata. «Uno spirito, magari?»
«Non ne ho idea» disse Percy, inarcando un sopracciglio.
«Io credo di saperlo» intervenne Hazel, di colpo timorosa. «Eidolon… Spiriti oscuri dell’Ade. Di solito sono tenuti sotto controllo, ma questi devono essere fuggiti dai Campi delle Pene.»
«E si sono alleati con Gea» osservai, tutt’altro che tranquillo del fatto che lei potesse contare anche sull’aiuto di anime ribelli.
«Questo spiega perché non riesco  percepirli bene. Sono anime dell’Ade, non dell’Hellheim. Sono in grado di sentirli, ma non con chiarezza» aggiunse Astrid. 
«Fermi tutti!»
Sobbalzammo, quando Piper disse quelle parole, alzandosi in piedi. I suoi occhi erano accesi di comprensione.
«Questi eidolon sono ancora qui.»
Ci fu un brivido collettivo, mentre tutti ci guardavamo intorno, come alla ricerca di qualcosa fuori posto. Mi aspettavo di vedere apparire i fantasmi dalle pareti che urlavano, come in Casper.
«Sono nascosti qui» sussurrò Astrid, «dentro alcuni di noi?»
«Che bella notizia. Come li riconosciamo?» domandò Leo, guardandosi freneticamente intorno.
«Io lo so. Tutti quanti, concentratevi su di me e ascoltatemi con attenzione» ci ordinò Piper, con la voce le tremava appena per la tensione.
Tutti, anche Astrid, la fissarono senza protestare. Mi concentrai su di lei, ansioso di scoprire come avrebbe fatto a scoprirli. Il suo sguardo si posò su tutti noi, ad uno ad uno, come a voler scrutare nel profondo della nostra anima. I suoi occhi iridescenti brillarono.
«Eidolon! Alzate la mano!» ordinò decisa.
Passarono alcuni istanti e… non accadde nulla.
Leo ridacchiò. «Oh, andiamo non cre-»
Ma il suo sorriso si afflosciò di colpo, mentre il viso diventava una maschera di pietra impassibile. I suoi occhi castani diventarono vuoti all’istante e assunsero un colorito dorato innaturale, mentre la sua mano destra scattava verso l’alto. Poco lontano, Percy e Jason fecero lo stesso e Frank, che era seduto accanto al figlio di Efesto, balzò all’indietro facendo cadere la sedia. Einar estrasse l’arco con una velocità impressionante, puntandolo contro Percy, mentre Astrid sgranava gli occhi, sorpresa.
«Maledizione» sibilai, stringendo l’elsa della spada.
«Oh Dèi…» Annabeth guardò Piper con uno sguardo implorante. «Puoi curarli, vero?»
Vidi la sicurezza della figlia di Afrodite vacillare, vedendo Jason controllato da una mente estranea, ma, nonostante questo, si fece avanti. Dopo averli passati tutti in rassegna si fissò su Leo, forse quello meno impressionante dei tre. «Ce ne sono altri, di voi?»
«No…» La voce di Leo era innaturale e cupa. «La Madre Terra ha mandato noi, i migliori… Torneremo in vita.»
«Non adesso e non con questi corpi!» ordinò Piper, decisa. «Andatevene!»
«NO!» Percy si fece avanti. «Dobbiamo vivere.»
Frank puntò l’arco contro Leo. «Per Marte Onnipotente! Andatevene, spiriti!»
Il figlio di Efesto lo osservò, senza vederlo per davvero. «Non darci ordini, figlio di Marte. La tua vita è fragile e può bruciare in qualsiasi momento.»
Non capii a cosa si riferisse, ma per Frank doveva significare qualcosa, dato che barcollò all’indietro e dovette rinsaldare la presa sull’arco.
«Fermati, Frank!» Hazel gli afferrò il braccio per fermarlo.
Eravamo ad un punto morto. Einar teneva Percy sotto tiro e Frank Leo. Jason era ancora fermo al suo posto. Ma ora avevamo gli eidolon allo scoperto e, se non riuscivamo ad attaccarli, ci saremmo trovati ad affrontare i nostri amici. Dovevamo trovare una soluzione.
«Ora basta!» Astrid fissò Percy negli occhi. «Io sono figlia di Hell, figlia degli Inferi, e tu e i tuoi dovete ubbidirmi. Andatevene! Adesso
Per pochi istanti vidi gli occhi del figlio di Poseidone tornare verde acqua, ma, l’istante dopo, erano di nuovo dorati e sinistri.
Lo spirito rise. «Bel tentativo, figlia di Hell. Ma noi non rispondiamo a tua madre. Noi apparteniamo all’Ade.» 
«Siate maledetti, spiriti» sibilò Einar, attingendo ai suoi poteri della lingua ingannatrice. «Andatevene!»
Jason, però, era di diverso avviso. «Fa’ silenzio, figlio dell’inganno, la tua voce è fastidiosa.»
Con una rapidità incredibile, menò un fendente contro il figlio di Loki che, però, riuscì ad evitarlo con agilità. D’istinto mi parai davanti a lui e, con una spinta, mandai Jason indietro, ma, appena fummo in posizione da combattimento, vidi la mia mano destra avvolta in una luce violetta; la circondava un’aura di rune opalescenti.
«Merda…» sibilai, mentre scuotevo la mano, nel tentativo di non lanciare un incantesimo letale contro il figlio di Giove.
«Forse dovremmo lasciare che sia tu ad ucciderci» mi canzonò lo spirito, vedendo la mia reazione. «Credi che non conosciamo quanto voi due possiate essere pericolosi insieme? Se ti attaccassi e tu ti difendessi, tuo padre non esiterebbe ad aiutarti.»
Ed era vero: se fossi entrato in ostilità con Jason, avrei rischiato di attirare l’attenzione di mio padre e, allora, una mano luccicante sarebbe stato l’ultimo dei nostri problemi. Troppo spesso io ed il figlio di Giove ci eravamo resi conto che, il solo stare vicini faceva reagire i nostri poteri come se fossimo due cariche troppo in tensione. Se ci fossimo avvicinati troppo con l’intento di attaccarci saremmo partiti e ci saremmo scontrati con effetti disastrosi, a mio avviso.
«Fermi!» Hazel strinse i denti, mentre bloccava Annabeth, che aveva allungato una mano verso Percy. «Non potrò darvi ordini, ma Piper sì! Ascoltate lei!»
Le due si scambiarono un’occhiata decisa. La figlia di Plutone annuì, facendo capire alla compagna che poteva procedere.
«Puoi farcela» dissi, mentre ancora la mia mano era avvolta da rune viola opalescenti,
Astrid mi guardava preoccupata, probabilmente si aspettava che esplodessi.
«Okay. Eidolon!» La figlia di Afrodite fissò tutti con rinnovata decisione. «Ascoltatemi bene! Voi, ora, lascerete questi corpi e non vi farete più ritorno. Giurerete sullo Stige di non nuocere più a nessuno di questo equipaggio.»
Per un attimo, le parole di Piper risuonarono in tutta la stanza, come se gli eidolon stessero tentando di resistere, dopodiché, come se le parole uscissero a fatica dalle loro bocche, ringhiarono: «Lasceremo… questi… corpi.»
«Giuratelo sullo Stige!» ordinò Piper.
Gli eidolon sibilarono contrariati, ma lei insistette e, alla fine sussurrarono: «Lo… giuriamo… sullo Stige.»
«Perfetto. Adesso, via da qui!» concluse la figlia di Afrodite, di colpo sollevata, mentre si abbandonava sulla sedia.
Leo crollò a faccia in giù sul piatto, Frank che non fece nulla per aiutarlo. Annabeth prese Percy al volo, mentre Astrid sorresse Jason. Appena si sedette, la mia mano smise di brillare ed il mio battito cardiaco si calmò. Hazel si accasciò sulla sedia, stanca. Einar emise un sospiro di sollievo. 
«Siamo salvi» sussurrai, mentre gli altri si riprendevano.
«Ora che ce li siamo tolti di torno, possiamo smettere di farmi sbattere la testa?» fece Jason, massaggiandosela.
«Ora sì» lo tranquillizzò Piper, abbracciandolo.
Strano a dirsi, Astrid sorrise vedendoli e si avvicinò a me.
«Tutto a posto? La tua mano ha smesso di essere un tostapane alieno con la passione per il viola?» domandò, stringendomela.
«Sì, per fortuna. Ho rischiato, però non è successo nulla» risposi, stringendole la mano e dandole un leggero bacia sulle labbra. «Non è una bella cosa far esplodere la propria ragazza.»
«Esatto, quindi vedi di non farlo» ridacchiò lei, mentre, sollevati, ci sedevamo.
Ma, nonostante fossimo riusciti a liberarci degli eidolon, rimanevano ancora molti problemi.
Abbastanza da non farmi sentire affatto tranquillo.
 
≈Lars≈

Ora capivo perché spesso Alex diceva di avere mal di testa.
Tenere sotto controllo un’orda di semidei nordici era una delle imprese più faticose e frustranti che io avessi mai affrontato in tutta la mia vita. Appena Johannes era arrivato al Campo Mezzosangue, aveva allertato tutto il Campo Nord e l’Orda della Spada e del Drago – le più vicine, dato che si erano accampate a largo del campo greco con la Skidbladnir –, che si erano immediatamente precipitate in nostro aiuto.
Il pomeriggio era passato tra la confusione più totale, mentre tentavo di organizzare i miei compagni. Gran parte dell’Orda del Drago mi era fedele, ma Johannes non parlò d’altro che di come i Romani lo avessero attaccato e, da come lo poneva lui, la sua sembrava un’eroica fuga romantica, mentre raccontava di come si fosse fatto largo in mezzo ad una decina di legionari romani da solo.
«E come li hai battuti? A chiacchiere?» lo schernì Nora, all’ennesimo avvenimento inverosimile.
«Non è colpa mia se io sono un vero eroe del nord, tesoro. Quando avrò portato i nostri compagni alla vittoria, gli occhi del Re degli Dèi non saranno più solo per i suoi figli» replicò il figlio di Thor, con un verso disgustato, mentre la sua orda si complimentava.
A peggiorare le cose era Clarisse che, con mia sorpresa, lo appoggiava. «Se quei Romani vogliono la guerra, gliela daremo! Siamo andati lì con le migliori intenzioni e loro ci ripagano con un coltello nella schiena.»
Tutti i capi-cabina stavano discutendo il modo migliore per difendersi dai Romani, come se fossero già alle porte.
«Dobbiamo organizzarci con il Campo Nord» disse, ad un certo punto, Chirone, interrompendo tutte le discussioni. «Sono nostri alleati e, ora più che mai, quest’alleanza deve mostrarsi forte.»
«Buona idea» convenne Nora, avvicinandosi ad un grande specchio montato accanto ad una testa di leopardo animata.
La sua mano si posò su di esso e le rune iniziarono a muoversi, facendo increspare la superficie come se fosse liquida, finché su di essa non apparve l’immagine di una stanza diversa. Inquadrava un grosso tavolo di legno circolare intorno al quale erano seduti due ragazze, un ragazzo ed un uomo dalla folta barba nera, i capelli dal taglio militare e gli occhi grigi.
«Chirone, collega. A cosa devo questo così tanto anticipato piacere?» chiese il direttore del Campo Nord, senza mostrare segni di sorpresa.
«L’ambasciata è fallita!» urlò Johannes, prima che chiunque potesse intervenire. «Dovete mandare rinforzi!»
«Silenzio!» lo sguardo d’acciaio del direttore zittì il figlio di Thor. «Non ho chiesto a te di parlare. Quando vorrò che tu lo faccia, sarai interpellato.» Detto questo fece un cenno al centauro, facendogli capire che poteva parlare.
«Grazie, collega. Ma temo che il tuo ragazzo abbia ragione… anche se i dettagli mi sfuggono» disse Chirone, con un sospiro.
Il racconto, come al solito, non lasciò traccia sul volto dell’antico semidio nordico. Non sapevo se fosse una sorta di personale autodisciplina per non mostrare punti di debolezza che potessero essere utilizzati contro di lui, o semplicemente, viveva da talmente tanto tempo, che più nulla lo sorprendeva.
«Preoccupante» commentò semplicemente, lisciandosi la barba. «Ma se il vostro amico Valdez non ha attaccato, chi è stato?»
«Sospettiamo che qualcuno abbia spinto Leo ad attaccare per far scoppiare la guerra» spiegò Nora, facendosi avanti. «Forse, il romano che era con lui.»
«Chi se ne importa!» sbottò Berg, dandole una spinta. «Ormai è fatta, signore. Loro ci attaccheranno, se non lo facciamo prima noi. Distruggiamoli!»
«Non credo sia il momento giusto per mandare i nostri al massacro»sibilai, contrariato.
«Mi dispiace deluderti, Nilsen, ma è il momento» mi interruppe Hermdor, accigliato. «Mentre eravate a Nuova Roma, ho ricevuto una visita. Re Odino ha ritirato Thor e Vidarr dal fronte di Ymir, convinto che sarebbero stati più utili in difesa del Campo Nord. Attualmente sta le coste atlantiche, assicurandosi che nessun romano provi a sbarcare in Europa, mentre Vidarr sta sorvegliando Roma.»
«Non può essere!» boccheggiò Helen, sorpresa. «Come può farlo? Thor e Vidarr sono gli Dèi migliori nel combattimento! Senza di lui non credo che possano resistere, non contro il Primo Gigante»
«Non insultare la forza del Padre di Tutti» la redarguì prontamente il direttore, anche se, a giudicare dal modo in cui sembrava evitare la situazione sul fronte a nord, anche lui era della stessa idea. «Egli pensa che siano più utili aiutando voi, e noi dobbiamo solo ubbidire.»
«Esatto!» Per Johannes, sembrava che Natale fosse arrivato in anticipo. «Con mio padre potremmo marciare su Nuova Roma e schiacciare quei–»
«Tuo padre  ha l’ordine di difendere il Campo, non di attaccare Nuova Roma» lo corresse immediatamente Hermdor. «Ad ogni modo, temo che il danno sia fatto.»
«Che vuole  dire?» chiesi, preoccupato.  
«Ovvio, di chiunque sia la colpa, i Romani ci hanno dichiarato guerra. Se attaccheranno il Campo Mezzosangue, dovranno vedersela anche con noi. Odino ha mandato il segno di una guerra vittoriosa e noi la vinceremo. Mi dispiace, Nilsen, ma le trattative sono finite.» Tornò a concentrarsi su Chirone. «Detto questo, le Orde sono pronte ad inviare tutto l’appoggio militare possibile. Invieremo rifornimenti, armi, munizioni e, ovviamente, uomini. Abbiamo anche un intero contingente di elfi e nani pronto ad unirsi alla battaglia.»
«Avrei preferito non si dovesse arrivare a tanto, ma direi che non ci sono alternative» convenne il centauro, anche se si capiva che era dispiaciuto all’idea di combattere.
«Capisco. Ah, e dimmi, Nilsen: dov’è Dahl?» domandò Hermdor, di colpo, lasciandomi spiazzato per un istante.
«È rimasto con Percy, signore» risposi, dopo un istante. «Checché ne dicano altri, Gea va fermata.»
«Capisco. Quindi, immagino che avranno bisogno di aiuto. Nilsen, tu andrai a dar loro una mano con la Skidbladnir, in modo che possano contare sulla copertura della nave, in caso i Romani li inseguano. Berg, il tuo compito sarà preparare un accampamento in attesa del nostro sbarco. Abbiamo già cinque drakkar pronte a muoversi con la benedizione di Njordr» ordinò il direttore del Campo Nord, senza preamboli.
Johannes parve infastidito. «Ma, signore! Io sarei molto più utile aiutando–»
«I miei ordini sono questi e non sono ammesse discussioni» sentenziò Hermdor, facendo capire che il discorso era chiuso.
Il resto della discussione fu incentrato sul modo migliore per affrontare i Romani, nel caso si avvicinassero al Campo Mezzosangue. Una cosa molto rischiosa, certo, ma anche vantaggiosa. Nonostante tutto il Campo fosse ben difendibile e, anche in inferiorità numerica, avremmo potuto vincere lo scontro. Date le informazioni di Jason, sembrava proprio che avremmo avuto la superiorità navale, visto il timore che i Romani avevano per Nettuno, tuttavia loro potevano contare su un’avanguardia incredibilmente resistente, al pari di quella del Campo Nord.
A metà conversazione, mi allontanai per eseguire l’ordine di Hermdor, chiedendo ad Helen e Nora di rimanere ad ascoltare. Seguii il sentiero che separava la Casa Grande dal bosco e mi avviai verso la costa.
«Allora è vero?» La voce di Grover, il satiro amico di Percy, mi raggiunse da dietro un albero. «Le trattative sono andate male?»
«Sfortunatamente» ammisi, affranto.
Grover sospirò abbattuto. «Preparerò gli spiriti della foresta… Almeno Percy è salvo.»
«Non so se la presenza di Gea ed Ymir ci possa considerare salvi» feci notare, mentre continuavamo ad avanzare.
«No, infatti» convenne il satiro, trottandomi accanto. «Abbiamo un sacco di problemi. Gea si sta svegliando e sta influenzando gli spiriti della foresta. Alcune ninfe si stanno incattivendo, specie quelle che abitano in zone più inquinate. Sono quasi felici di stare dalla parte di Gea, se lei guarirà i loro alberi.»
«Immagino che ognuno tiri l’acqua al suo mulino. E con questi Campi divisi non diamo certo l’idea di essere affidabili» notai, con una risata senza gioia. «Chi si vorrebbe alleare con noi?»
«Questo è vero. Facendoci la guerra a vicenda, sembriamo un branco di pagliacci» ammise Grover, arricciandosi il pizzetto. «Ora gli Dèi saranno fuori di testa, con questa cosa delle doppie personalità.»
«Già. Dobbiamo solo sperare che le cose non peggiorino» dissi, arrivando alla spiaggia, da dove si poteva vedere la Skidbladnir.
«Be’, io ti lascio, Lars. Vado al Consiglio dei Satiri, così posso organizzarli» finì Grover, dandomi una pacca sulla spalla.
L’Orda della Spada si stava preparando al combattimento. Già montava le tende in attesa dell’arrivo di tutti gli altri. Salii sulla nave, dove, invece, l’Orda del Drago era in attesa. Erano tutti abbastanza tranquilli, ma il nervosismo aleggiava nell’aria come un fantasma.
«Allora, dove andiamo?» chiese Marcus. 
«Semplice, andiamo incontro alla Argo II. Ordini di Hermdor: dobbiamo dare ad Alex e Percy tutta la copertura possibile per farli arrivare in Europa» spiegai, mettendomi al timone.
Alcuni ragazzi si affrettarono a mettere in moto i motori, che si accesero ronzando, mentre le grandi vele bicolore prendevano il vento, facendoci muovere.
«Quindi a Nuova Roma è stato un disastro» intuì Marcus, appoggiandosi al parapetto.
«Chiamarlo disastro sarebbe riduttivo. Ma, forse, possiamo ancora farcela, se ci impegniamo. Rimarremo fedeli all’idea di Alex: possiamo riunirci con i semidei romani, se la sua missione non fallisce» affermai convinto, mentre seguivo la rotta che avevo percorso a ritroso per arrivare al Campo Mezzosangue.
«Speriamo che tu abbia ragione, Lars» sussurrò lui, fissando il cielo, preoccupato.

koala's corner.
Buon lunedì a tutti! (Non che i lunedì possano essere dei "buon" lunedì, comunque)
In questo capitolo vediamo che Octavian è il solito imbecille e Alex lo malmena, possiamo dire con grande soddisfazione di tutti :P
Così, per scaricare la tensione, invece di sbattarsi Astrid, sbatte un pugno in faccia ad Octavian LOL
Nel frattempo, vengono mandati via gli eidolon. Ma torneranno... *ghigno malvagio*
Infine, Odino dimostra di essere uscito di testa e, in sostanza, fa cose a caso. Mentre Lars, il nostro cucciolo, deve occuparsi del piantagrane che è Johannes.
Lui e Octavian sono anime affini.
Speriamo che il capitolo sia stato di vostro gradimento, alla prossima!

Soon on VdN: POV Annabeth/Hazel in cui regnano la Percabeth e la Einico. Preparatevi per i feels (?)

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Capitolo 8
*** ANNABETH/HAZEL • Discorsi invadenti su notti interessanti ***


Discorsi invadenti su notti interessanti
 

♣Annabeth♣
 
«Percy…» chiamai, piano. «Svegliati.»
Il figlio di Poseidone era avviluppato nelle coperte, strette attorno al suo corpo come un bozzolo, con una gamba di fuori. Stava mugugnando qualcosa, la faccia premuta contro il cuscino, e aveva sbavato sulla federa.
Quando dormi, sbavi. Le prime parole che gli avevo rivolto, quando eravamo ancora ragazzini che si detestavano. Non sembrava un bel ricordo, distante anni luce da frasi romantiche stile insta-love, eppure era un episodio che racchiudeva una tenerezza e una gioia che avevo provato di rado, negli ultimi tempi.
«Percy…» sussurrai.
Testa d’Alghe saltò all’improvviso e lo guardai combattere contro il lenzuolo, divertita. Rimaneva sempre il solito, amorevole idiota.
«Che… che succede? Siamo arrivati?» chiese, in allarme.
«No» risposi, tenendo la voce bassa. «È ancora notte fonda.»
Le orecchie di Percy diventarono rosse. «Vuoi dire che sei entrata di nascosto nella mia cabina? Disubbidendo al Coach?»
Alzai gli occhi al cielo. «Percy, tra due mesi compirai diciassette anni. Non puoi preoccuparti di metterti nei guai col Coach!»
«Ehm… hai visto la sua mazza da baseball?»
«Dài.» Mi avvicinai al letto e lo invitai ad alzarsi, prendendogli la mano. «Voglio semplicemente farti vedere il mio posto preferito a bordo. Non siamo ancora riusciti a passare un po’ di tempo insieme, da soli, e non credo che ci saranno molte altre opportunità come questa.»
Per un attimo, Percy sembrò combattuto. Poi, disse: «Posso lavarmi i denti, prima?»
Non trattenni un sorriso. «Ti conviene, perché non ho intenzione di baciarti finché non lo farai» replicai. «E datti una pettinata, già che ci sei.»
Mi baciò velocemente la guancia e si fiondò in bagno. Mentre eseguiva gli ordini, lo informai: «E comunque, sbavi ancora quando dormi.»
Percy emise un verso incomprensibile che suonava tanto come “uhhghmm”. Già, decisamente sexy.
Almeno, fu veloce e, dopo un minuto, avevamo già sceso le scale del secondo ponte. Attraversammo la sala macchine, il regno di Leo Valdez. Spessi cavi di metallo serpeggiavano sul pavimento e correvano sulle pareti, mentre condotti, pistoni e tubi sbucavano da una sfera di bronzo celeste posizionata al centro. Avevo passato parecchio tempo là sotto, ma la dinamica di molti di quei meccanismi mi era oscura; dopotutto, ero un architetto, non un meccanico.
«Ma come fa a funzionare questo coso?» domandò Percy, abbassandosi per evitare un cavo penzolante.
«Non ne ho idea» risposi. «E io sono l’unica oltre a Leo in grado di azionarlo.»
«Molto rassicurante.»
«Dovrebbe essere a posto. Ha minacciato di scoppiare solo una volta.»
Il figlio di Poseidone si voltò verso di me, lo sconcerto dipinto in viso. «Stai scherzando, spero.»
Sorrisi. Chissà. «Andiamo.»
Superammo la cambusa e l’armeria, puntando verso la poppa della nave. Oltrepassammo una porta di legno a due battenti, che si apriva su un’ampia scuderia. L’odore di fieno fresco e coperte di lana mi invase le narici.
Camminai verso il centro della stalla e spiegai: «Leo ha costruito questo posto per permettere ai pegasi e alle viverne di andare e venire con facilità, senza rendersi conto che entrambi preferiscono volare in libertà. Perciò, gli stalli rimangono sempre vuoti.»
«In che senso, andare e venire con facilità? Come potrebbero scendere due piani di scale? E a che cosa serve il fondo di vetro?»
Mi sembrava di essere tornata ai vecchi tempi, quando dovevo spiegargli ogni cosa sulla mitologia greca. «Questi» dissi, indicando il pannello trasparente su cui stavo sopra, «sono portelloni che si aprono. Come quelli di un bombardiere.»
Percy deglutì. «Vuoi dire che stiamo in piedi su delle porte? E se si aprissero?»
«Cadremmo e ci romperemmo l’osso del collo, immagino. Ma non si apriranno.» Presi una coperta, prima appesa a un gancio fissato alla parete, e la stesi per terra. «Probabilmente.»
Anche se riluttante, Percy si stese su di essa, accanto a me. «Fantastico.»
Risi.
«Sai perché mi piace questo posto?» gli chiesi. Lui scosse la testa. «Non ti ricorda…?» Lasciai di proposito la frase in sospeso.
Gli occhi di Percy si illuminarono. «Il camion di trasporto animali» capì. «Quello che ci portò a Las Vegas.»
Le guance iniziavano a farmi male per il troppo sorridere. Era incredibile come la sola presenza – o assenza – di una persona potesse sconvolgere completamente l’impressione che si ha del mondo.
«È passata una vita» continuò. «Eravamo ridotti piuttosto male, dopo aver attraversato il Paese alla ricerca di quella stupida folgore. Ed eravamo chiusi in quel camion insieme a un gruppetto di animali maltrattati. Come puoi ripensarci con nostalgia?»
Perché il passato è per sempre, pensai. Nessuno me lo toglierà mai. Poi mi incupii. C’era qualcuno che lo poteva fare, qualcuno che l’aveva già fatto con il ragazzo di cui ero innamorata. Era l’aveva privato di tutto ciò che rendeva lui, lui. Se non avesse bevuto quel filtro, non sarebbe mai riuscito a recuperare i suoi ricordi.
«Perché quella è stata la prima la prima volta in cui io e te abbiamo parlato davvero, Testa d’Alghe» risposi, ed era vero. «Io ti ho raccontato della mia famiglia e…»
Mi toccai distrattamente la collana di perline colorate del Campo Mezzosangue. Appeso, c’era anche il ciondolo di corallo rosso dal palazzo di Poseidone che mi aveva regalato quando ci eravamo messi insieme. Glielo mostrai.
«Mi ricorda da quanto tempo ci conosciamo» proseguii. «Avevamo dodici anni, Percy. Ora quasi cinque in più. Riesci a crederci?»
«No» ammise lui. «Quindi… è stato allora che hai capito che ti piacevo?»
Feci una smorfia. «In verità, all’inizio di odiavo. Ti trovavo incredibilmente irritante. Ti ho sopportato per qualche anno. Poi…»
«Poi il mio grande fascino ha scalfito anche la tua dura scorza da Chase» mi interruppe.
Lo colpii sulla spalla, non troppo piano né troppo forte. «Non ti vantare troppo, Testa d’Alghe» lo ripresi bonariamente. «Senza di me, saresti perduto.»
Percy distolse lo sguardo. «Lo ero.»
Qualcosa di appuntito affondò nel mio stomaco. Mi morsi le labbra e ammisi: «Lo ero anch’io.»
La sua mano cercò la mia e la trovò vicina. Ne accarezzò il dorso con  il pollice. Non disse nulla, ma quel nulla era abbastanza. Il fatto che potessimo toccarci era già di per sé straordinario, quando due giorni fa eravamo ancora distanti chilometri. Tutto questo sembrava un sogno.
«Mi sei mancato» mormorai, anche se quelle parole non potevano esprimere niente di ciò che avevo provato. «Mi sei mancato» ripetei.
Percy mi tirò a sé e mi abbracciò stretta. Mi accarezzò i capelli e io mi sciolsi sotto il suo tocco. «Mi sei mancata» sussurrò, il fiato caldo che mi scostava i riccioli.
Mi salirono le lacrime agli occhi. Mi imposi di ricacciarle indietro, perché sapevo bene che piangere non risolveva nulla. Lo tenni stretto tra le mie braccia, desiderando di poter rimanere così per sempre.
Lentamente, Percy si allontanò quel tanto che bastava per permettere alle nostre labbra di toccarsi. Il primo bacio fu impacciato, noi due arrugginiti. Il secondo andò meglio. Il terzo mi scaldò il cuore. Continuando a baciarci, ci stendemmo di nuovo sulla coperta.
Le sue mani erano ferme all’altezza del bacino, mentre mi ricordava che ero ancora viva. Le mie stringevano i suoi capelli, nel dirgli quanto lo amavo. Quando le nostre labbra diventarono gonfie per i baci, ci accoccolammo uno vicino all’altra e ci addormentammo.
 
 
Accanto a me, sentii Percy muoversi e mormorare qualcosa. Infastidita, mi stropicciai gli occhi prima di aprirli. Mi trovai davanti Frank Zhang, che guardava me e Percy come se fossimo ali di pipistrello racchiuse in un vasetto di vetro: con così tanto orrore da sembrare sul punto di vomitare.
«Tutti pensano che siate stati rapiti» ci informò, deglutendo a vuoto. «Stiamo perlustrando la nave già da un po’.»
«Tranquillo, Frank» fece Percy. «Ci siamo solo addormentati qui.»
Il semidio non sembrava affatto rassicurato. «Quando il Coach lo scoprirà…» Rabbrividì, poi sbarrò gli occhi. «Oh, santi numi, siete stati quaggiù tutta la notte
«Frank!» esclamai. Se solo la sua voce non fosse stata tanto piena di sconcerto, non mi sarei sentita le orecchie in fiamme. «Siamo scesi solo per parlare in pace, ci siamo messi comodi e, senza rendercene conto, ci siamo addormentati. Fine.»
«Be’, ci siamo baciati un paio di volte…» aggiunse Percy.
Mi voltai di scatto verso di lui e lo fulminai con lo sguardo. «Non mi stai aiutando!» Testa d’Alghe ebbe la decenza di apparire dispiaciuto.
«È meglio che…» Frank indicò la porta, i suoi piedi erano già rivolti in quella direzione. «Ehm… Dobbiamo incontrarci a colazione. Ci pensate voi a spiegare cos’avete fatto? Cioè, non fatto? Non ho nessuna voglia che quel fauno… intendevo, satiro… mi uccida.»
Il semidio romano corse via, quasi stesse fuggendo da noi.
La situazione non sarebbe risultata così imbarazzante se, a colazione, tutti gli occhi non si fossero puntati su me e Percy. Potevo leggere le loro espressioni come libri aperti: erano sollevati che non ci avessero rapiti, ma, soprattutto, si chiedevano cosa avessimo fatto nelle stalle tutta la notte. Anzi, molto più probabilmente, si chiedevano solo come l’avessimo fatto tutta la notte.
«È solo colpa tua» sibilai all’orecchio del mio ragazzo, stritolandogli il braccio. «Se non avessi detto…»
Venni interrotta dall’ingresso del Coach Hedge. Aveva la mazza in mano e la roteava furiosamente, senza controllo. Einar fu costretto ad abbassarsi per evitarla, mentre Leo, accanto a  lui, non si spostò di un millimetro, calcolando che la mazza gli sarebbe passata sopra la testa.
«Mai in vita mia!» strillò, avvicinandosi a noi con aria minacciosa. «Tutto contro le regole, tutto! Incoscienti! Irresponsabili!»
Puntò un dito contro Percy, fulminandolo con lo sguardo. «Potevo aspettarmi un tale comportamento da te, piccolo combina guai» disse, non sforzandosi minimante di trattenere la propria rabbia, «ma da te, figlia di Atena… che delusione!»
«Coach, è successo per sbaglio» mi scusai, facendo del mio meglio per non ripensare a mia madre e alle parole che mi aveva rivolto, così simili a quelle del satiro. «In fondo, abbiamo solo dormito.»
«E poi» intervenne Percy, «se continua così, comincerà ad assomigliare a Terminus.»
Hedge socchiuse gli occhi. «Mi stai insultando, Jackson?»
«Assolutamente no, Coach!» Il figlio di Poseidone si sforzò di non ridere. «Non mi permetterei mai.»
«Mh-mh.» Il satiro ritirò la mazza e se la poggiò su una spalla. «Ti tengo d’occhio, Jackson. E anche te, Annabeth Chase.»
Sospirai di sollievo, mentre andavo a sedere accanto ad Astrid. «Non succederà più, Coach.»
«Promesso» confermò Percy, prendendo posto vicino ad Alex. «Ora, non abbiamo altre cose di cui discutere?»
Jason si schiarì la voce e disse qualcosa che non sentii, perché la figlia di Hell si chinò verso di me e mi sussurrò all’orecchio, allusiva: «Allora, amica mia… Com’è andata? Percy è bravo quanto posso immaginare? Dopotutto, come baciatore non è per niente male.»
Mi sentii la faccia diventare rossa come un peperone. «Astrid» dissi, ma dovetti interrompermi, troppo imbarazzata per continuare.
«Su, su» fece lei. «A me puoi dirlo, non mi scandalizzo mica. Io e Alex siamo diventati piuttosto intimi.»
Se possibile, assunsi una sfumatura di rosso ancora più scuro. Quasi mi strozzai con le parole. «Noi non abbiamo fatto nulla. Sul serio» aggiunsi.
«Mmmmh-mmmh» replicò Astrid, con aria saputa. «Come vuoi tu.»
Ringraziai gli Dèi per la possibilità di potermi concentrare sulla discussione in corso e dimenticarmi delle strane e terrificanti parole della mia amica.

 
◊Hazel◊

 
Una mano mi toccò la spalla. Mi girai di scatto e mi trovai di fronte Einar. Lasciai andare il fiato che non mi ero accorta di aver trattenuto.
«Scusa» disse lui, rivolgendomi uno dei suoi sorrisi sghembi. «Non volevo spaventarti.»
«Non fa nulla, non ti preoccupare» replicai, scrollando le spalle. Non ero proprio dell’umore adatto per parlare, ma essere scortese non sarebbe stato giusto nei suoi confronti. «Volevi dirmi qualcosa?»
Il figlio di Loki si passò una mano tra i capelli, riportandoseli indietro. «In realtà, sì.» Sospirò. «È importante.»
Sentii il mio stomaco aggrovigliarsi. «Riguarda Nico, vero?» intuii. La voce mi uscì rauca e si ruppe nel pronunciare il nome di mio fratello.
Negli occhi di Einar si agitò un sentimento sconosciuto. «Andiamo in posto appartato» disse, prendendomi delicatamente per il gomito.
Mi condusse nella sua stanza, mi fece entrare velocemente – meglio che il Coach non ci beccasse insieme, nonostante sapesse bene che non c’era niente tra me e il semidio norreno – e si chiuse la porta alle spalle. Si sedette sul letto e mi invitò con un cenno a prendere posto accanto a lui. Posi una giusta distanza tra me e lui, ma eravamo comunque piuttosto vicini.
Notai allora il pallore innaturale della sua pelle, la magrezza insana del suo viso. Sembrava aver perso peso di colpo: i suoi zigomi non erano mai stati così sporgenti, quasi stessero per bucare la pelle; ora erano aguzzi come quelli di un teschio. La maglietta nera poneva l’accento sul colorito malsano e le profonde occhiaie.
Einar si accorse del mio sguardo e ghignò. Ma era una pessima copia di quelli che aveva elargito a tutti, in questi giorni sull’Argo II. Mi ricordava di più una smorfia.
«Sono sempre uno schianto, non è vero?» fece, con una risata amara.
«Einar…» iniziai, esitante.
«Sì, sì, passiamo oltre» mi bloccò, agitando una mano in aria. «Hai detto bene, prima. Ti volevo parlare di Nico.»
«Se riguarda quello che, ehm, c’è tra di voi» lo anticipai, arrossendo un poco, «io non sono contraria. Voglio dire, va benissimo. Cioè, è normale e non c’è niente di male.»
«Magari si trattasse di questo, Miss Metaldetector» sospirò lui. «Ad ogni modo, accetto con piacere le tue parole. Valgono molto.»
Mi schiarii la voce, eliminando le tracce di imbarazzo che mi aveva lasciato il toccare quegli argomenti. «Ma se non è di voi due che si tratta… Di che cosa volevi parlarmi, allora?»
«Ieri ho detto che il mio metodo per contattare Nico ha fallito» rispose. Teneva lo sguardo a terra e si torturava le mani. «In realtà, io… io ho mentito.»
«Tu…?» Feci un paio di respiri profondi per calmarmi. L’eccitazione e l’apprensione rendevano l’aria elettrica. «Intendi dire che gli hai parlato? L’hai visto?»
«Non esattamente.»
Crollai le spalle, come sgonfiata di tutta la carica elettrica di poco prima.
Einar si frugò nella tasca posteriore dei jeans e ne tirò fuori un piccolo specchio, delle dimensioni di un palmo. Il figlio di Loki me lo porse ed io lo presi in mano delicatamente. Ci passai sopra le dita, ammirandone la fattura.
«Nico ne ha uno uguale» mi spiegò. «Basta toccarlo, pensando a chi si vuole vedere, e si apre il collegamento.»
«Una sorta di messaggio Iride» dissi.
Il semidio annuì. «È così che io e Nico ci teniamo in contatto. Ma era da un po’ di tempo che non funzionava di più, circa da quando tuo fratello è andato a cercare le Porte delle Morte.» Emise una risatina nervosa. «A quanto pare, la connessione nel Tartaro deve essere pessima. Perciò, quando ieri l’ho ripreso in mano, era solo una vana, ma immortale speranza a muovermi.»
«Eppure, ha funzionato» ribattei.
Il figlio di Loki scosse la testa. «Non credo sia stato lo specchio» replicò. «Lo tenevo stretto al petto, però, quando mi sono addormentato. Sì, mi sono assopito quando il mio compito era sorvegliare la nave insieme al quel satiro fuori di testa.»
Sbuffai e scossi la testa, contrariata.
Lui sorrise. «La tua reazione è molto controllata, essendo una romana.»
«Oh, va’ avanti e basta» lo spronai. «Discutere sul mio spirito romano è inutile, adesso. Voglio sapere di Nico.»
Einar strinse le labbra, riducendole ad un’unica linea dritta e sottile. «Sarà stata l’intensità del mio desiderio, o il fatto che volevo così tanto parlare con Nico da sentirlo fisicamente vicino, magari combinato al potere racchiuso nello specchio. In ogni caso, ho sognato e, in sogno, l’ho raggiunto.»
Mi alzai in piedi di scatto, incapace di rimanere seduta un secondo di più. «Quindi l’hai visto!» esclamai. «Sai dov’è? Dove lo tengono? Riusciresti a rintracciarlo? Sta bene? I semi gli bastano?»
Einar si prese la testa tra le mani. Le sue dita artigliavano il cuoio capelluto. «Non lo so» ammise con voce bassa, roca. «Non so rispondere a nessuna delle tue domande e mi dispiace
Si premette forte i pollici alla radice del naso, sbattendo più volte le palpebre. Poi si schiarì la gola e continuò: «Intorno a me, c’era solo nebbia. Una nebbia spessa, quasi solida, che mi impediva di vedere a un palmo dal naso. Ho vagato senza meta, cercando raccapezzarmi, finché non sono stato attirato da un bagliore. Era la spada di Nico. L’ho trovato rannicchiato a terra, stretto nel suo dannatissimo giaccone da aviatore, con i semi di melagrana aperti accanto a lui. Io… Io mi sono sentito morire.»
Fece schioccare la lingua contro il palato, combattendo una battaglia contro la sua voce, che proprio non ne voleva sapere di rimanere ferma. «Mi sono inginocchiato accanto a lui, ho provato a scuoterlo, ho gridato il suo nome. Non so per quanto avrei continuato, se la sua mano non avesse afferrato la mia e se i suoi occhi non si fossero aperti.»
Mi morsi l’interno della guancia. Mi sentivo il petto oppresso dal peso troppo grande dei miei sentimenti e di quelli di Einar.
«Prima ha detto il mio nome» proseguì il figlio di Loki. «Sembrava che si fosse graffiato la gola, tanto la sua voce era rauca. A fatica, ha sillabato “Ti ho sognato. È un peccato che tu non sia reale.” Dopodiché, ha richiuso gli occhi. Ora so che è l’effetto dei semi, ma, comunque, è stato devastante. L’ho scosso di nuovo e ho urlato di fare tutto ciò che era in suo potere per restare in vita, che poteva prendere da me tutto quello che voleva, persino la mia stessa vita, purché vivesse lui. E io credo… credo che l’abbia fatto.»
Mi sfuggì un verso inarticolato. «C-cosa?» buttai fuori, come se stessi soffocando.
«Penso si sia preso una parte della mia vita» ripeté Einar, alzando gli occhi scuri su di me. «Mi sono sentito risucchiare via qualcosa, prima di svegliarmi. E guardami. Guardami. Sembro uno zombie, ed è come uno zombie che mi sento, fisicamente parlando.»
Lentamente, mi avvicinai al letto e mi lasciai cadere sul materasso. Ero così carica di emozioni da non sentire assolutamente nulla. Le ginocchia mi tremavano e le mani anche.
«Gli hai offerto la tua vita» dissi, faticando a formare una frase completa. «Gli hai donato ciò che hai di più caro, pur di farlo sopravvivere.»
Einar batté un pugno sul materasso, furente. «Non me ne fotte un cazzo della mia v-»
Gli gettai le braccia al collo.
«Oh, miei Dèi» sospirai, il figlio di Loki che si lasciava andare e rispondeva esitante al mio abbraccio. «Potresti avergli salvato la vita, lo sai? Sei un eroe.»
Einar sbuffò sonoramente. «Più probabilmente, avrò solo fatto un gran casino.»
«Hai salvato Nico» ribattei, sicura. «Di questo, ti sarò sempre grata.»
«E io ti sarò sempre grato di non essere una ragazza degli anni Quaranta contro i gay» ribatté.
Sorrisi mestamente, separandomi da lui. «Comunque» cambiai argomento, «non capisco per quale motivo tu abbia mentito a tutti gli altri.»
«La considero una piccola omissione» replicò il semidio. «Non volevo che tutti i miei amici, specialmente Alex, si preoccupassero per me e iniziassero a trattarmi come se fossi il Povero Ragazzo Con La Vita Accorciata, se capisci ciò che intendo.»
Annuii. «Afferrato.»
Einar sbuffò. «È già un miracolo che Miss Morte non abbia annusato l’aria mortifera che aleggia intorno a me» scherzò.
«Tu e Leo avete una fissa con queste “Miss”» commentai.
«Ci piace far sentire tutte le donne delle regine» rispose prontamente lui. «Specialmente Valdez.»
Risi.
Stavo per replicare, quando qualcuno bussò alla porta. Einar si portò un dito alle labbra e mi fece segno di rimanere in silenzio.
«Sì?» fece.
«Poltrire è un peccato mortale, mezzosangue!» tuonò Hedge, da dietro la soglia, così forte da farmi sobbalzare. «I tuoi compagni stanno lavorando e tu te ne stai qui a dormire, scansafatiche. Va’ a dare una mano, capito?»
«Agli ordini, Coach!» gridò in risposta. Trattenendo una risata, aggiunse: «Poltrire è un peccato mortale!»
«Ben detto, ragazzo!»
Mi coprii la bocca con una mano per non ridere.
«Aspetta un po’, prima di uscire.» Einar si alzò, scrollò le spalle e sospirò. «Devo lavorare, dolce Miss. Ordini del Coach.» Detto questo, aprì la porta e sparì oltre la soglia.

 
koala's corner.
Buona sera, semidei! Anche se di sere buone, in questi ultimi giorni, non ce ne sono state. Infatti, prima di iniziare a parlare della nostra storia, vorremmo dedicare le nostre condoglianze alle vittime degli attentati a Parigi, Beirut e Ankara e alle loro famiglie, e più in grande, a tutti coloro che hanno sofferto e/o stanno soffrendo a causa del terrorismo. Di parole ne sono state dette tante e questa non è la sede dove aggiungerne altre, ma ci sembrava giusto dire almeno questo.
Ugh, è dura parlare di questo capitolo, dopo una premessa come questa ^^"
Forse dovremmo alleggerire l'atmosfera con una battuta :P
*voce fuori campo: non faaaarloooo*
Qual è la città in cui vivono i capi dei tonni?
...
Boston.
Mi avvalgo del facepalm.
Lo so che in realtà ti fa ridere.
Ceeerto (y) E ora tutti i lettori sanno da chi Alex ha preso il senso dell'umirosmo.
Va bene, ammetto che il sarcasmo di Astrid è più popolare. Anche se non scherzava affatto, quando ha chiesto ad Annabeth com'era Percy a letto :3
Che delfino curioso lol Ad ogni modo, ho cercato di mantenere la Percabeth più sul fluff, senza scendere in dettagli piccanti, dal momento che i due si sono da poco ri-incontrati. Spero anche che i miei tentativi di descrivere una scena in cui Einar sta trattenendo senza scrivere Einar sta trattenendo le lacrime.
Perché a lei piace complicarsi la vita.
Ovviamente.
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, che abbiate apprezzato sia la Percabeth che la Einico e vogliate dircelo con una recensione. Un abbraccio, e alla prossima!

Soon on VdN: L'acqua salata di Atlanta e un incontro con una divinità ben più conosciuta, con un pizzico di altra Einico.

 

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Capitolo 9
*** ALEX/EINAR/LEO • Il sole ci dà consigli illuminanti. ***


Il sole ci dà consigli illuminanti.
 
•Alex•
 
I sogni avevano sempre avuto un brutto effetto su di me.
Mi trovavo in una grandissima caverna umida, che avrebbe benissimo potuto contenere una cattedrale. Era molto buio e a malapena riuscivo a vedere oltre qualche metro. Guardandomi attorno cercai di intravedere qualcosa nell’oscurità che mi circondava, ma l’unica cosa che riuscivo a vedere erano quelli che sembravano dei filoni d’argento che si intricavano alle pareti, riflettendo la luce di una grande statua che si trovava al centro.
La statua era anch’essa ricoperta di sottili fili argentati e raffigurava una bella donna dall’aria altera, che reggeva in una mano uno scudo, raffigurante una specie di testa di donna con dei serpenti al posto dei capelli, e nell’altra quella che sembrava la statua più piccola di una donna alata.
Un grosso piede squamoso, con dei serpenti al posto delle dita, apparve al mio fianco, producendo un suono strano, come se stesse schiacciando molti piccoli fogli insieme. Solo allora mi resi conto che quelli che avevo preso per infiniti filoni d’argento, altri non erano che ragnatele che riflettevano la luce della statua che si trovava al centro.
L’enorme piede apparteneva ad una creatura umanoide: un gigante greco alto si e no quattro metri circa, molto più piccolo rispetto agli altri che avevo visto della stessa specie, come Toante, molto più imponente di quello che avevo accanto. Indossava una giacca elegante e pantaloni neri. Le zampe erano coperte da stivali che erano stati tagliati all’estremità per permettere ai serpenti-dita, di respirare e agitarsi liberamente. A quanto pareva, aveva provato ad indossarli integrali, con ben poco successo.
Poco più in là, riuscii a vedere un altro gigante greco, che indossava un completo giallo fluorescente. Entrambi emanavano l’aura attrattiva tipica dei loro simili: una specie di mini campo gravitazionale che ti attirava inesorabilmente a loro.
«Efi» disse il gigante giallo, spostando l’immenso peso da una zampa all’altra. Sembrava stranamente a disagio.
«Oto! Ti ho detto di non chiamarmi Efi!» ringhiò il suo compagno, anche se sembrava a disagio pure lui. «Cosa vuoi, ora?»
«Non mi piacciono, quei due» disse Oto, il giallo, guardandosi intorno come cercando una presenza ostile.
Poi ci fu una vampa di fuoco.
«Come posso non piacervi?» lo riprese Loki, lisciandosi i capelli in modo sensuale.
Al contrario di quando l’avevo visto l’ultima volta, indossava una specie di abito antico che terminava con una testa di caprone, mettendo in mostra due fantastiche corna. Emanava un’aura di calore e caos ed i suoi occhi passavano dal verde veleno al rosso acceso, tipico di un fuoco senza freni. Al fianco teneva una spada fatta per metà di bronzo celeste e, per metà, di argento. Era Vipera, la versione celata della Falce di Crono che Loki stesso aveva strappato dalle mani del Signore dei Titani prima di tradirlo.
«Con tutte le informazioni che vi ho dato…» La voce del dio era melliflua e sinistra. «Come risvegliare Ymir e tenere gli Dèi Asgardiani fuori dai nostri piccoli affari, la trappola a Thanatos e come richiamare le sue Porte. Senza di me voi non sareste riusciti a fare nemmeno mezza di queste cose, ed invece eccovi qui, pronti a scatenare l’Apocalisse.»
Strinsi i denti all’idea che quel verme si fosse alleato con Gea ed i Giganti suoi figli.
«Gea ci ha detto che sei prezioso, Ingannatore. Ma non credere che non conosciamo la tua fama. Saresti capace di vendere Asgard per il tuo tornaconto» replicò Efialte, ringhiando una maledizione a mezze labbra.
Era chiaro che fosse Loki la fonte del loro disagio.
«Oh, mi offendi. Io non venderei mai Asgard» replicò il Dio, con un sorrisetto. «La offrirei al miglior partito, è diverso.»
«In ogni caso, ci chiediamo quanto ci metterai a vendere noi» lo apostrofò Oto, sempre più agitato.
«Dipende da voi» rispose una quarta voce femminile e sibilante, che proveniva dall’alto.
Una grande figura si calò dal soffitto. Il corpo era quello di un grosso ragno gonfio e dalle lunghe zampe nere. Ma dalla vita in su, al posto della testa di ragno, vi era il corpo orrendamente sfigurato di una donna. Indossava una specie di abito antico stracciato. I capelli lunghi e unticci le ricadevano, come ragnatele, sulla schiena. La bocca era innaturalmente grande ed irta di denti aguzzi. Quattro occhi allungati le si aprivano sul volto, emanando bagliori rossi.
«Aracne, mia adorata amica, era ora che ti unissi a noi» la salutò Loki, con un leggero inchino.
«Loki. Potrei dire che il piacere sia reciproco, ma mentirei» sibilò la donna ragno, contrariata.
«Mi piace la tua onestà» replicò lui, con un sorrisetto.
Aracne non si lasciò impressionare e lo ignorò per rivolgersi ai due Giganti: «La vostra trappola mi interessa ben poco, ma la figlia di Atena… oh sì, lei mi interessa eccome. Ricordate la vostra promessa. Quando saranno tutti qui, lei è mia.»
«A noi basta che la statua rimanga qui» sbuffò Efialte, prendendo un po’ di coraggio.
«Inoltre non dimentichi che a noi la ragazza serve viva» aggiunse Oto, imbarazzato.
Ci fu una specie di boato e alcuni filamenti si separarono sotto i piedi dei giganti.
Con orrore capii che non c’era pavimento e sotto di noi c’era solo un gigantesco crepaccio oscuro. Solo le ragnatele di quella creatura tenevano in piedi i due.
Loki, da parte sua, non sembrava affatto preoccupato per la possibile caduta. Si limitò a librarsi in aria a qualche centimetro da terra. Io, dal mio sogno, ero impotente, ma anche grato di non rischiare una morte del genere.
«Non serve che io vi uccida, per farvi tornare nel Tartaro.» La voce di Aracne era graffiante e dura. «Mi basterebbe tagliare un solo filo della mia ragnatela e voi precipitereste molto in basso. Secoli di rabbia divina hanno consumato questo luogo e solo il mio rifugio vi tiene separati dall’Abisso. Io desidero ardentemente ottenere vendetta e questa potrebbe essere la mia ultima offerta.»
«Non… non c’è problema» ansimò Efialte, affrettandosi ad indietreggiare. «Presto Gea trionferà e noi saremo tutti premiati. Voi non dovrete più vegliare su questo luogo.»
La donna si ritirò nell’ombra, tessendo la sua ragnatela. «Vedremo. Per ora, voi occupatevi dei vostri preparativi. Io agirò nell’ombra.»
«Sì, mia signora» sussurrò Efialte in tono riverente, indietreggiando.
I due giganti si affrettarono ad andarsene, mentre Aracne e Loki da soli rimanevano nel salone.
«Quali sono i tuoi piani, Ingannatore?» chiese la donna, con un ringhio sinistro.
«I miei piani sono quelli di salvare me stesso dalla tempesta. Come sempre» rispose lui, con un sorrisetto divertito.
«Non so a che gioco stai giocando, ma le nostre fonti ci dicono che ci sono dei norreni, con i Sette. Avrebbero dovuto essere soli, secondo i tuoi piani. Come lo spieghi?» sibilò Aracne, sospettosa.
«Alex Dahl e la sua banda sono difficili da controllare.» Le dita di Loki tamburellarono sulla spada, ma non abbandonò il suo ghigno. «Ma è un solo mezzosangue. Non dirmi che lo temi.»
«Un semidio che persino gli Dèi temono è pericoloso» replicò lei, stizzita. «Sono cauta nel trattare con lui. Come possiamo essere sicuri che non diventerà un pericolo?»
«Perché presto, in un modo o nell’altro, lui non sarà più tra i vivi» spiegò lui.
Ormai questa minaccia stava diventando davvero monotona.
«E intanto, però, tu vieni qui rischiando di farti scoprire dai tuoi fratelli asgardiani. Sai che il dio Vidarr sta pattugliando Roma insieme ai suoi spiriti della vendetta. Se ti scoprissero potrebbero riferire a tuo fratello che sei qui» aggiunse Aracne, sospettosa, ma anche intimorita.
Per quanto potesse essere forte, non poteva competere con un dio.
«Gli spiriti della vendetta norreni pattugliano luoghi ben diversi. È vero, siamo vicini, ma non sanno dove siamo e non avrebbero motivo di cercarci. Tu, di certo, sei l’unica a non doverti preoccupare: l’aura di rabbia della dea fa da schermo alle tue attività e tiene lontani gli spiriti della vendetta. I due fratelli… be’, loro potrebbero essere un po’ più in pericolo, ma Vidarr predilige pattugliare i vecchi templi degli Dèi, dove si consumò il misfatto, quindi è improbabile che si incrocino. In quanto a me, ho i miei metodi per passare inosservato» asserì Loki, senza la minima preoccupazione. Sembrava aver predisposto tutto nei minimi dettagli. 
«Eppure non riesco a togliermi dalla mente l’idea che tutto questo sia un piano per fregarci tutti, figlio del fuoco. Anche se Madre Terra ti deve molto, non sono tipa da fidarmi di coloro che ingannano la morte stessa per raggiungere i loro scopi.»
Le parole di Aracne aleggiarono nella sala come una sentenza, ma Loki si limitò a sorridere ancora e fissarla.
«Credimi, mia cara. Io ho fatto cose molto peggiori di ingannare la morte, nella mia vita. Tessi pure i tuoi arazzi. Io tesserò la mia rete di inganni, finché gli Dèi non ne rimarranno in trappola.»
Di colpo tutto divenne sfocato ed il sogno si dissolse in nebbia. Una voce femminile, diversa da quella di Aracne, si sovrappose a tutto. Per un attimo pensai che fosse la voce di Gea, ma poi mi resi conto che era diversa. Un volto femminile, familiare, ma allo stesso tempo alieno, si materializzò davanti ai miei occhi.
«Figlio di Odino, Prescelto del Fato, ho osservato le tue imprese. Non hai nemmeno idea di quello che gli Dèi hanno in serbo per tutti noi. Ymir sta vincendo, ma io posso fermare tutto. Sottomettiti a me e salverò questo mondo dalla distruzione.»
«Chi sei?» provai a chiedere, tuttavia mi parve che la mia bocca non si fosse nemmeno mossa.
«I nomi sono potenti, Alex Dahl. Io sono la dea rinnegata dai Vani e dagli Asi. Io sono la Maga. Conosco bene tuo padre e so che lui vuole solo il dominio supremo. Cosa vuoi tu?»
«Io voglio proteggere i miei amici a qualsiasi costo ed impedire che questa guerra abbia un esito tragico» risposi senza esitare nella mia mente, ma certo che lei, qualsiasi cosa fosse, mi avesse sentito.
«Credi davvero che sia tutto qui?» La voce rise nella nebbia impenetrabile. «Nonostante la tua forza, gli Dèi ti hanno accecato. Credi davvero che le Norne siano state in silenzio? Loro hanno predetto il tuo futuro molto tempo prima che tu iniziassi a parlare. Gli Dèi ti spostano sulla loro scacchiera da anni per fare in modo che tua rimanga loro fedele.»
«Di che Hell stai parlando!? Perché il mio futuro dovrebbe essere importante?» domandai, improvvisamente desideroso di avere delle risposte. Che voleva dire tutto questo?
«Se vuoi aprire gli occhi, io ti posso aiutare. Abbandona la missione per conto di Odino. Lascia che esaurisca le sue forze contro Ymir. Lo sconfiggeranno, prima o poi, stanne certo. Ho preso delle precauzioni. Meglio che il Re di Asgard diventi debole, no? Dopotutto, lui non ti ha mai voluto bene, e ha solo tentato di deviarti.»
Appena quelle parole si conclusero, sentii una strana sensazione di accogliente calore avvolgermi e mi figurai, nella mente, l’immagine di una mano tesa e amica, pronta ad aiutarmi. Ma qualcosa mi frenò.
«Dici di aver preso delle precauzioni. Quindi tu hai a che fare con la resurrezione di Ymir?» chiesi, cercando di riscuotermi da quel sinistro torpore.
«Ymir è solo una piccola parte di un grande quadro. Ti assicurò che non arrecherà nessun danno permanente. Ma io posso aiutarti, se tu aiuti me.»
L’esitazione istantanea dell’entità mi permise di difendermi. «Mi sembra di parlare con Loki. Parole ambigue e patti segreti, mai a dire le cose come stanno. Tieniti pure la tua offerta. Il mio futuro lo scoprirò da solo. E per quanto riguarda il tuo aiuto, credimi: i miei amici sono più che sufficienti ad aiutarmi.»
«La scelta è tua, figlio di Odino. Ma credimi, so essere molto convincente.»
La nebbia si dissolse e, finalmente, aprii gli occhi.
Ero nella mia stanza sulla Argo II e avevo un leggero mal di testa. Il sogno mi aveva lasciato stordito, ma almeno non avevo il cervello fuso che mi colava dalle orecchie. Mi alzai e presi una bottiglia d’acqua dal frigobar per bere qualcosa. Mi sentivo la gola secca e avevo assolutamente bisogno di parlare con gli altri.
Qualcuno bussò.
«Avanti» dissi, riponendo la bottiglietta nel minifrigo.
Ad entrare fu Astrid.
«Ho sentito che ti agitavi nel sonno. Ancora incubi?» chiese, sedendosi accanto a me.
«Sì» risposi, massaggiandomi la testa. «Un altro incubo. Ormai li faccio appena chiudo gli occhi.»
«Non sei il solo, tranquillo.» Mi accarezzò una spalla. «Non ci lasciano un attimo di pace, nemmeno nei sogni.»
«C’è di buono che, almeno i sogni, ci tengono informati su quello che accade nel mondo» sbuffai, abbracciandola.
Avevo bisogno di sentirla vicina, per non crollare. Non capivo perché, ma quel sogno in particolare mi aveva messo addosso più ansia di quel che volevo.
«Lo so, ma vorrei anche dormire, la notte» scherzò lei, stringendomi.
«Ormai siamo sveglio, però» risposi, sciogliendomi dall’abbraccio e dandole un bacio. «Gli altri sono già ad Atlanta?”
«Non ancora. Ci stiamo riunendo per decidere chi mandare, stavo giusto venendo a chiamarti» mi rassicurò Astrid, tenendomi la mano. «Il sogno era importante?»
«Potrebbe. Ho visto Loki che sta preparando qualcosa con due giganti, ma nessuno sembra felice di questa alleanza» spiegai.
«Si è davvero alleato con Gea?» chiese Astrid, accigliata.
«Non saprei dirlo. Loki adora tradire i suoi alleati, non saprei proprio dire se lui lo stia facendo per puro divertimento o se c’è qualcosa sotto. Quel che è certo è che ha aiutato i giganti e che, in qualche modo, ha un piano» risposi, pensieroso.
«Come sempre. Intendi dirlo agli altri?» chiese lei, accarezzandomi la spalla per rassicurarmi.
Sorrisi e la guardai. «Sai bene che non nasconderei mai nulla ai nostri alleati.»
 
∫ Einar ∫

 
Il capo sembrava che avesse passato la notte a prendere a testate un tram. Il che era tutto dire, dato che aveva le occhiaie di uno zombie e aveva un’aria assonnata. Sapevo che sarebbe passata molto presto, ma ciò non toglieva che sembrava davvero uno zombie. Quando succedeva, significava che gli era capitata la nottata storta.
«’Giorno» salutò Alex, con un cenno al compagno, avvicinando con poca voglia la sua ciotola di cereali per la colazione.
«Amico, ti vedo distrutto» lo salutò Percy, come se il Coach non gli avesse sclerato addosso meno di cinque secondi fa. Sul suo piatto apparve una ciambella talmente piena di crema blu che gli strabordava. «Nottataccia?»
«Non sono il solo» ribadì Alex, con un sorrisetto, iniziando a mangiare.
«Nulla di interessante dal mondo dei sogni?» chiesi, massaggiandomi la spalla.
Ormai, da quando ero riuscito a contattare Nico, o meglio, a farmi usare come batteria, mi sentivo indolenzito e stanco, come se fossi diventato vecchio di colpo.
«Più o meno. Riguarda tuo… Loki» raccontò Astrid, affrettandosi a correggersi.
Sapeva bene che mi dava fastidio che Loki venisse definito come mio padre. Io ero figlio di Elinor Larsen, e Loki non era certo stato un gran padre, per me.
«Oh, finalmente. Era un pezzo che non si sentiva parlare di lui. Mi sembrava strano che non si facesse sentire» replicai sprezzante.
«E conoscendolo, penso proprio che avrà in mente qualcosa di brutto per noi» aggiunse Annabeth.
«Questo è fuor di dubbio» concordò Jason. «Ma i suoi piani sono indecifrabili. Perciò, potremmo prima decidere chi andrà ad Atlanta.»
«Per la cronaca» si inserì Leo, «ci siamo davvero molto vicini. Così dice Festus.»
«Spero che siamo vicini per davvero, questa volta» commentò Piper, sottovoce, alludendo all’avventura in Kansas.
«Quindi, chi cercherà l’acqua salata?» domandò Frank.
«Oh, non c’è problema. A questo posso pensare io» rispose Percy. «Vieni con me, amico?»
Il figlio di Marte rispose con un pollice alzato.
«Potrei venire anch’io, con voi» intervenne il Coach Hedge. «Così ti potrò tenere d’occhio, Jackson.»
Il figlio di Poseidone lo guardò, sconcertato. Alla fine, però, fu costretto a capitolare: «Va benissimo, Coach.» Non che avesse molte altre opzioni.
«Quindi siamo a posto» sentenziò Alex. «Possiamo ritornare ai sogni.»
«Già, anch’io avrei qualcosa da raccontare» aggiunse Percy.
Entrambi iniziarono a parlare dei loro rispettivi sogni e la cosa mi fece stare sempre peggio. Io ed Hazel ci scambiammo uno sguardo; questa volta l’unica cosa complice era la paura per Nico. Alla fine, Alex terminò con un racconto sulla strana entità che sembrava volere qualcosa da noi.
«Si direbbe che abbiamo più nemici di quanti possiamo immaginare» sussurrò Frank, preoccupato.
«Che importanza ha?» sbottai, battendo una mano sul tavolo. «Saremo sempre in pericolo!»
«Einar ha ragione: dobbiamo salvare Nico ad ogni costo!» rincarò Hazel.
«Ecco…. Ehm…» Leo si agitò accanto a me. «Forse dovremmo essere cauti.»
«Essere cauti?» ringhiai, arrabbiato. «Che c’è da essere cauti? Nico è prigioniero di due giganti con i vestiari più orrendi che io abbia mai visto e parliamo di cautela?»
«Sto solo dicendo che Nico faceva avanti e indietro dai due Campi senza dirlo a nessuno» spiegò lui, imbarazzato.
«Stai dicendo che non possiamo fidarci di lui?» chiese Jason, pensieroso. «Lo credo anche io.»
Leo annuì alle sue parole.
«Come sarebbe a dire!? Nico è mio fratello e voi non volete aiutarlo!» ulò Hazel, in preda alla rabbia.
Anche io mi sentii ribollire. Strinsi i pugni per l’ira, cercando di trattenermi. Non pensavo avrebbero sospettato di Nico, dopo tutto quello che lui aveva fatto per loro e che Hazel aveva garantito per lui.
«Ma certo che lo aiuteremo!» replicò Frank, cercando di calmare gli animi. «Nessuno ha detto il contrario.»
«Credo che Jason e Leo si siano spiegati male» aggiunse Astrid, lanciando loro un’occhiata di fuoco.
A malapena riuscii a seguire la discussione, dato che mi scoppiava il cervello.
«Aspettate, io sto solo cercando di…» Jason provò a dire qualcosa, cogliendo la minaccia, ma Hazel si alzò di scatto.
Mentre attraversava la sala, i piatti ed i bicchieri di bronzo volarono via come se fosse diventata un enorme magnete negativo.
«Ma cosa ho detto?» chiese Leo, esterrefatto.
«Un sacco di stronzate» sibilai, a mezza voce, tutt’altro che desideroso di ascoltare quello che aveva da dire.
«Senti, amico, io stavo solo-»
«Non chiamarmi amico!» urlai. La mia rabbia esplose tutta in un colpo. Estrassi una delle mie spade corte e la mossi quasi alla cieca verso di lui. «Se fossimo davvero amici, non avresti sparato tutte queste idiozie.»
Leo fissò con stupore la spada che avevo fermato a pochi centimetri dal suo naso e mi guardò, esterrefatto e anche ferito. Poi abbassò lo sguardo: «Non… non intendevo…»
«Se non sai nemmeno quello che vuoi dire, allora cuciti la bocca. Ci sono momenti in cui bisogna parlare e altri in cui bisogna starsene zitti. Anche se dubito che tu possa conoscere il valore del silenzio, amico» sibilai, velenoso.
In altre circostanze non l’avrei fatto, ma ero talmente sopraffatto dalla rabbia che non riuscii ad impedirmi di avere un tono sprezzante.
Vidi che Alex si era alzato in piedi e tutti gli altri mi fissavano preoccupati, come se temessero che fossi impazzito.
«Einar, non essere duro con Leo. Abbiamo solo espresso la nostra opinione» cercò di dire Jason, alzando le mani verso di me, come per calmarmi.
«Be’, se la vostra opinione è un’opinione di merda, meglio che stiate zitti» scattai. «Credete che io sia un pazzo, vero? Ma voi non conoscete Nico. Non avete idea di cosa lui abbia fatto per voi. Gli dovete molto più di quanto dovete a voi stessi e vi permettete pure di giudicarlo.»
Abbassai l’arma e mi allontanai. «Inoltre, non è vero che non ha detto a nessuno che faceva avanti e indietro. Io lo sapevo. Mi chiederei perché lui non l’abbia detto a nessuno di voi, pur ritendendovi suoi amici.»
Il mio sguardo cadde su Percy e lo vidi arrossire un po’ dalla vergogna, prima che abbandonassi la stanza. Non avevo proprio voglia di parlare con nessuno di loro. Percorsi il corridoio a grandi falcate, stringendo i pugni dalla rabbia.
«Einar, aspetta!»
Alex mi raggiunse e mi poggiò una mano sulla spalla.
«Lasciami» ringhiai, scrollandomelo di dosso. «Non voglio parlare né con te, né con loro.»
«Ma io sì» replicò lui, tranquillo.
«Allora aspetta un altro momento. Non ho proprio voglia di discutere con te» sbuffai, guardandolo adirato.
«Invece dovresti ascoltarmi, Einar.» Lui si sporse verso di me e, nel suo unico occhio, balenò una scintilla di rabbia, subito repressa. «Non voglio mettermi contro di te, sto cercando di aiutarti.»
«Non puoi aiutarmi» risposi.
«Ma voglio comunque provarci» continuò lui. «Avevo il sospetto già da tempo che tra te e Nico ci fosse qualcosa. So che è dura essere in pena per chi si ama.»
Sbuffai, per niente sorpreso. Alex sembrava riuscire ad intuire tutto di tutti.
«Complimenti, Sherlock. Mi domando come tu abbia mai fatto a capirlo.»
«Non l’ho intuito subito, Watson, ma negli ultimi tempi eri talmente ossessionato che mi sarebbe sembrato strano il contrario» rispose lui, con un sorrisetto appena accennato per tornare subito serio. «Quello che voglio dire è che io non credo affatto che Nico sia un traditore. Jason e Leo hanno solo paura, ma sono convinto che anche loro non lo pensino davvero.»
«Ma l’hanno comunque detto. Per loro Nico è sacrificabile, no?» sibilai, tornando adirato.
«Ma non per me. Per me non ci sono persone sacrificabili, specie tra i miei amici. Posso giurarti che ti aiuterò a salvarlo. E sono certo che anche Astrid sarà con noi» mi rassicurò, poggiandomi una mano sulla spalla.
Come se l’avesse evocata, Astrid uscì dalla sala comune e ci raggiunse.
«Jason è stato un vero idiota» commentò, avvicinandosi. «Mi dispiace che abbia detto cazzate, Einar.»
«Lasciate perdere, anche io ho fatto una stronzata» sospirai, lasciando cadere le spalle, sentendomi svuotato dalla rabbia.
«In effetti hai rischiato di ferire Leo» commentò lei, accigliata.
«Tranquilla, mi sono fermato prima che potessi ammazzarlo» replicai, appoggiandomi al muro.
Mi sentivo stanco e ancora adirato. Ma ora tutta l’energia violenta che avevo accumulato sembrava svanita nel nulla. Mi sentivo a pezzi, in bilico tra il senso di colpa per la mia sfuriata e la rabbia per ciò che avevano detto.
«So che sei arrabbiato, Einar. Ti capisco. Noi siamo i primi a sapere cosa significa essere una coppia osteggiata» mi spiegò Alex, tranquillo, indicando Astrid. «Ricordi quanta gente sparlava di noi al Campo? Tutt’ora gli Dèi non approvano.»
«Già. Einar, non dare ascolto agli idioti» aggiunse lei, dandomi una spintarella affettuosa. «Parlano, parlano, ma niente di quello che dicono ha importanza.»
Annuii e li guardai, commosso. «Grazie, ragazzi. Scusate se me la sono presa, prima.»
«Non preoccuparti. Anche io avrei reagito così, se si fosse trattato Astrid» disse Alex, tranquillo.
«L’hai fatto, capo» ricordai, con un sorrisetto. «Mi pare che un paio di anni fa ti sia rifiutato di consegnarla agli Dèi, a causa di un certo martello.»
«Infatti ero innocente» sbuffò Astrid.
«Appunto. Dimostreremo che anche Nico è innocente, così Leo e Jason si rimangeranno la parola» decise Alex.
«Mi piace l’idea.» Abbassai il capo. «Ma non sono certo che abbia ancora voglia di passare del tempo con loro.»
«Leo è tuo amico» replicò il figlio di Odino, pensieroso. «Secondo me, se vi parlaste, potreste appianare le divergenze.»
«Forse… Ma non subito. Non mi è piaciuto il modo in cui ha parlato. Ho… bisogno di tempo» risposi, strusciando i piedi sul pavimento.
«Non vogliamo costringerti,  fyr, ti stiamo dando solo un consiglio. Se non dovessi farlo, potresti pentirtene» mi avvertì Astrid.
«Ci penserò, davvero. Ragazzi, grazie» risposi.
Il capo mi batté una mano sulla spalla, stringendomi in un mezzo abbraccio. «E di che? Siamo tuoi amici.»
«I migliori» replicai, annuendo.
Astrid prese la mano del suo ragazzo e gli ricordò che, nella sala, li stavano aspettando. Lui era un po’ riluttante, ma la seguì ugualmente. Li guardai allontanarsi, prima di voltarmi e continuare a percorrere il corridoio.
C’era una persona con cui dovevo parlare, una persona che doveva sapere.

 
♪ Leo ♪
 
Aspettavamo tutti che Frank, Percy  e il Coach tornassero da Atlanta.
Dopo il discorso su Nico, l’atmosfera sulla nave era gelata di colpo. Non credevo avrei visto Einar così arrabbiato ed essere la causa di tutta quella rabbia mi faceva sentire davvero da schifo.
Appena avevo messo piede sul ponte per far atterrare la nave, lui mi aveva lanciato uno sguardo gelido ed era andato di sotto. Sembrava non riuscire a stare in mia presenza.
Ed anche io mi sentivo molto a disagio. Non riuscivo a credere che lui, dopo aver assicurato di essere mio amico, pochi giorni prima, fosse disposto a colpirmi alle spalle in quel modo. Io mi fidavo di lui.
Però ha ragione. Ho parlato male di Nico e, probabilmente, anche lui è un suo amico. Si vede che ci tiene a lui, e si sarà sentito tradito da quello che ho detto, pensai, affranto, sentendomi in colpa.
In effetti, non ero mai stato il tipo da discorsi filosofici o morali. Facevo quello che mi pareva e tutto andava bene, di solito.
Anche tra semidei, non mi ero mai trovato veramente bene con qualcuno. Nessuno riusciva a capirmi a fondo. Con Einar, invece, ero riuscito a trovarmi subito in sintonia. Anche lui aveva avuto delle perdite e anche lui era stato in fuga, a modo suo, dal suo passato. Era un tipo brillante, scherzoso e sagace, tutte cose che apprezzavo. Non volevo perdere un amico, forse l’unico che potesse veramente capirmi.
Ma è colpa tua, alla fine sei tu ad aver parlato a sproposito, mi dissi, abbattuto.
Forse avrei dovuto parlargli e porgergli le mie scuse. Ma non potevo rimangiarmi le mie parole: io trovavo veramente sospetto Nico Di Angelo. Non ero sicuro di potermi fidare di lui, ma non volevo non aiutarlo. Io dicevo solo di stare attenti.
Sospirai e mi voltai verso Jason che, insieme ad Alex, sorvegliava la nave, cercando di individuare mostri o semidei romani in avvicinamento.
«Dici che abbiamo esagerato?» chiesi, appoggiandomi ai comandi.
«Temo proprio di sì» sospirò il figlio di Giove, abbassando il capo. «Ho parlato per paura e non credo che gli altri abbiano apprezzato. Soprattutto Einar.»
«Non pensavo se la prendesse così tanto» precisai, accigliato.
In effetti, ancora non capivo i motivi della sua reazione eccessiva. Quella di Hazel potevo capirla: era sua sorella, era ovvio che lo difendesse. Ma Einar? Possibile che Nico e lui avessero un legame tanto forte o qualcosa di simile?
«Nemmeno io. Ha reagito in modo davvero tremendo, ma credo che Alex l’abbia calmato» mi tranquillizzò Jason, osservando l’amico norreno che continuava a fissare ad ovest, alla ricerca di nemici.
«Strano che fino a pochi mesi fa, volessi farlo fuori» scherzai, con un sorrisetto sghembo.
«Le persone cambiano. Non siamo Dèi, per fortuna» sbuffò Jason, abbassando il capo. «Loro non cambiano mai.»
Stavo per aggiungere qualcosa, ma non riuscii a dire nulla perché ci fu una specie di boato. Alzai lo sguardo e, per pochissimi secondi, mi parve di vedere il Sole dividersi in due ed una parte precipitare verso di noi come un’enorme meteora fiammeggiante.
«Dèi dell’Olimpo!» gridai, afferrando i comandi, pur consapevole che non avremmo avuto possibilità contro un impatto del genere.
Poi una luce accecante mi coprì come un manto ed io chiusi gli occhi per non essere accecato. Un calore immenso ci avvolse tutti per un attimo, lasciandoci intatti. Si udì uno stridio di gomme e, poi,  una voce chiara e allegra salutò: «Ehilà, gente!»
Era una ragazza, pensai.
Azzardai ad aprire gli occhi, ma dovetti richiuderli subito perché strane lucine gialle si erano messe a danzarci davanti, facendomi girare la testa. Sbattei un paio le volte le palpebre e, finalmente, misi a fuoco la persona che era atterrata sulla nostra nave.
Innanzitutto notai il veicolo: una sfavillante Ferrari rosso fuoco nuova di zecca che vibrava di calore. E quando dico rosso fuoco, intendo dire che sembrava davvero fatta di fuoco ridotto allo stato metallico, come se le fiamme fossero state catturate e immobilizzate in uno strato di acciaio rovente. Poi i miei occhi caddero sulla ragazza che stava scendendo dalla macchina.
«Wow…» riuscii a commentare.
Non sapevo chi fosse, ma potevo dire che era molto bella. Inutile nascondere il fatto che tutti si erano resi conto che era una dea. Bastava percepire l’aura di calore e potere che emanava per capirlo.
Aveva la pelle liscia e abbronzata, ma non troppo scura in modo gradevole – niente chiazze arancioni da autoabbronzante –, rendeva la sua carnagione perfetta. Aveva una cascata di capelli biondi lucenti come i raggi del Sole. Letteralmente, dato che mi abbagliavano. Gli occhi erano color oro fuso.
Indossava uno di quei completi per andare a correre e, sulla testa, portava due paia di occhiali da sole ultimo modello. Dalla tasca spuntava un IPod. Sarebbe stato tutto molto gradevole, se non fosse stato per l’enorme scudo tondo dorato che stava tirando giù dalla Ferrari.
«Scusate l’arrivo imprevisto. Ma tranquilli, non posso fermarmi» disse, avvicinandosi a me e Jason.
Alex ci raggiunse ancora abbagliato e, appena la vide, si affrettò a chinare il capo. «Divina Sol.»
«Salute, Alex Dahl. Sono arrivata giusto in tempo, direi» lo salutò la dea, cordiale, per poi fissare me e Jason. «Salute anche a voi, Leo Valdez e Jason Grace.»
«Ci conosce e non vuole ucciderci?» chiese il figlio di Giove, sorpreso. «Non pensavo che una divinità nordica non avrebbe tentato di farmi fuori.»
«Oh, come se avessi qualcosa contro gli Olimpici. Ho un debito verso i tuoi antenati, presso Apollo, in particolare. Un peccato che si sia rovinato in forma romana, ma non gliene faccio una colpa. Il Sole deve continuare la sua corsa» spiegò lei, con un sorriso radioso, in tutti i sensi.
I suoi denti erano così bianchi che mi facevano male gli occhi il solo guardarli.
«E come mai avete deciso di parlare con noi? Perché ora?» chiesi, cercando di guardare un punto del suo corpo che non mi bruciasse le pupille.
Cosa abbastanza difficile visto che brillava in modo a dir poco eccessivo, in qualsiasi parte del corpo, comprese le sopracciglia.
«Credi che io sia qui tanto per? Hai idea di cosa significhi farsi tutti i giorni il giro del mondo?» sbuffò lei, irritandosi un po’. I suoi capelli divennero più luminosi. «Ad ogni modo, sono giunta appena Skoll mi ha dato tregua.»
«Chi?» chiesi, ma lei mi ignorò.
«Ascoltatemi bene, ho poco tempo per dirvi questo, ma è importante che facciate attenzione. So cosa state facendo, vi sono passata sopra abbastanza volte da saperlo. Inoltre, quei chiacchieroni di Hugin e Mugin mi aggiornano sempre prima che io mi addormenti. Comunque, so che tenterete di attraversare l’Atlantico. Devo dirvi, però, ch non ce la farete» spiegò, andando avanti e indietro. Anche se le sue parole suonavano scure, continuava a camminare come se avesse le molle ai piedi.
«Sappiamo che i Romani proveranno a fermarci. Per questo, la nave è ben protetta» spiegò Alex, lanciandomi un’occhiata eloquente.
Era vero, la nave poteva farcela.
«Lo so bene, maio non parlo dei Romani, parlo di tuo fratello, il Tonante» precisò la Dea, fermandosi.
«Oh, Thor. Grandioso» sbuffò il figlio di Odino scuotendo il capo. «Davvero, davvero, grandioso… merda.»
«Suona male» scherzai.
«Oh, dovrebbe, Leo Valdez. Thor è stato inviato sull’Atlantico per fermare qualsiasi tentativo dei Romani di attraversarlo… E a me sembra proprio che voi ne abbiate un paio a bordo» spiegò lei, sorridendo a Jason e poi spostando lo sguardo su di me.
«Non potremmo evitarlo?» chiese Jason, accigliato.
«Be’, potreste passare dal Brasile, poi dall’Africa e andare in Italia dal sud. Oppure seguire la mia rotta continuando verso Est, ma temo che ci vorrebbe troppo tempo per farlo, quindi sono qui per darvi un consiglio» disse Sol, tornando alla macchina e mostrandoci una cartina dell’Atlantico.
«Ecco, vedete?» domandò, indicando un punto poco a nord ovest di Charleston. «Se andate qui, poco ad Ovest, dovreste trovare un spaccatura.»
«Una spaccatura?» chiesi, incerto.
Non suonava molto piacevole.
«Già. Da quando Ymir si è svegliato, la situazione nei Nove Mondi sta andando a rotoli. Si stanno aprendo delle spaccature ed il confine della realtà si fa sempre più instabile. Questa qui inparticolare vi permetterà di volare nel Vanheim, il regno dei Vani, e sbucare appena fuori dallo Stretto di Gibilterra, risparmiando persino qualche ora ed evitando Thor» illustrò Sol, con un sorrisetto divertito.
Mi chiesi come facesse a mantenerlo: qui si parlava di salvare il mondo ed evitare un dio e a lei sembrava una scampagnata. Era, forse, un po’ troppo solare.
«Il Regno dei Vani… È comunque territorio norreno, potrebbero dirottarci» disse Alex, pensieroso.
«Non credo.» Jason sembrava soddisfatto. «Se ho capito bene, tutti gli Dèi stanno affrontando Ymir, il che significa che non ne dovremmo incontrare, se attraversiamo la spaccatura.»
«Esatto. Al massimo, incontrerete qualche elfo. I Vani hanno un esercito di elfi ed eroi caduti, ma se sarete veloci, non vi daranno troppi problemi» commentò la Dea, soddisfatta, tornando alla macchina.
«Aspetti!» la fermai. Ero perplesso e volevo risposte. «Perché ci aiuta? Odino non potrebbe prendersela?»
«Oh, non lo saprà mai. Inoltre, te l’ho detto: io ho un debito con gli Olimpici. Prima che impazzissero a causa della vostra stupida guerra, Apollo mi dava il cambio a metà giornata nel giro del mondo. Adesso è un po’ fuori, ma io gradirei non dover continuare a fare questa maledetta rivoluzione da sola» raccontò, con un sorriso raggiante, ma solo allora mi resi conto che era solo finto. Era il sorriso di una persona stanca e provata.
Poi si sentì un ululato.
«Ah, Skoll si avvicina» sbuffò Sol, saltando in macchina, inserendo le chiavi e dando gas. Con la mano ci salutò e sorrise. «Cercate di non morire e chiudete gli occhi.»
Fu un ottimo consiglio: appena l’auto ripartì, infatti, ci fu un secondo boato e mi parve di percepire una forte ondata di luce. Il Sole di Sol si ricongiunse a quello normale e tutto sembrò tornato come prima.
«Accidenti, che tipa precipitosa» commentai, alzando le sopracciglia. «Ma fa sempre così?»
Alex scrollò le spalle:. «Non ho mai incontrato Sol o Mani di persona, prima d’ora. I due fratelli non fanno altro che correre in cielo.»
«Come mai? Fanno una gara di velocità?» scherzai, mentre cercavo eventuali danni sul ponte.
L’auto non aveva lasciato nemmeno i segni della sgommata: quando si dice un lavoro pulito, insomma. Jason sembrava solo accigliato.
«In realtà, no. Sol e Mani sono inseguiti da Skoll, l’Inganno, e Hati, l’Odio. Sono i due lupi primordiali che danno la caccia al Sole e la Luna. Se si dovessero fermare, il mondo cadrebbe nell’oscurità perenne e i demoni dei mondi avrebbero la strada spianata per liberare i figli di Loki» spiegò il figlio di Odino, fissando il cielo.
Immaginai come si dovessero sentire Sol e Mani. Costretti ad una corsa senza fine, ogni giorno, nel cielo, trascinandosi dietro il Sole e la Luna, inseguiti da due lupi assetati di luce. Fui felice di non essere con loro. E ora capivo perché voleva che non finissimo in guerra: l’aiuto di Apollo, probabilmente, concedeva a Sol un po’ di tregua da quegli attacchi.
«Dici che le sue informazioni sono affidabili?» chiese Jason al figlio di Odino.
«Sol vede praticamente ogni cosa. Una spaccatura del genere non passa inosservata e siamo fortunati che porti a Vanheim. Ci sono posti peggiori da attraversare» spiegò Alex, pensieroso.
Sembrava che qualcosa lo preoccupasse.
«Qualcosa non va, vero?» chiesi, cercando di indovinare i suoi pensieri.
«Stavo solo pensando. Se è vero che c’è una spaccatura a causa di Ymir, allora significa che ce ne sono molte altre sparse per il mondo. Questo vuol dire che i mostri potranno girare più facilmente tra i mondi senza che nessuno li fermi» disse lui, affranto.
Jason imprecò. «E con questa stupida guerra né semidei romani, né greci né nordici interverranno per mettere la situazione a posto.»
«Già, di norma anche i caduti di Odino possono dare manforte, ma saranno tutti impegnati con Ymir e i suoi Giganti. Dobbiamo trovare il modo di rendere gli Dèi Norreni potenti e far cessare questa guerra. Solo unendo le forze potremmo farcela» commentò Alex, deciso.
«Allora facciamolo!» esclamai, mettendomi al timone. «Appena Acquaman, Coach e Mister Mutaforma saranno tornati, partiremo subito.»
Non ci volle molto perché tornassero. Stavamo discutendo con gli altri di quello che aveva detto Sol, quando atterrarono sul ponte. Frank aveva assunto la forma di una gigantesca aquila romana e teneva Percy e Hedge tra gli artigli.
«Presto, decollate!» urlò il figlio di Poseidone, mentre Frank atterrava non proprio elegantemente. «Siamo inseguiti da Kate e Porco!»
«Chi?» chiesi, divertito, mentre stavo già manovrando la nave.
«Ceto e Forco» precisò il figlio di Marte, ancora un po’ stordito. «Abbiamo alcune cose da raccontarvi.»
«Anche noi» rispose Alex, dandogli una mano.
La situazione si stava mettendo male.

 
koala's corner.
Buona sera - o buona notte - semidei!
Si inizia con Alex, che una nuova e mistica presenza cerca di portarlo al lato oscuro. Ma lui è troppo integerrimo per questo, tsk u.u
Sol è una dea che pochi conoscono, o forse poco considerata, ma in generale è la controparte di Apollo e traina il Sole. Lavoro poco impegnativo, no? :P
E poi Einar. Einar, che mostra quanto ci tiene a Nico (e poi si confida con Hazel, ma questo lo sappiamo già.)
Il nostro figlio di Loki sclera un po', perché sa che cosa ha fatto davvero Nico per tutti loro e non riesce a sopportare che gli altri non gli riconoscono i suoi meriti.
Ma pensa che abbia fatto piacere a tutti vederlo così :))
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, un abbraccio e alla prossima!

Soon on VdN: Le ragazze danno filo da torcere ai romani e fanno il culo a tutti, più o meno (y)
Abbiamo finito Magnus Chase. Abbiamo finito Magnus Chase. Possiamo dire che è stata una lettura di-vi-na.
 

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Capitolo 10
*** ASTRID/REYNA • Potere alle donne! ***


Potere alle donne!

♦Astrid♦
 
Il White Point Garden di Charleston poteva essere definito un bel posto dove passeggiare, se ti piaceva l’accoppiata antichi cannoni risalenti alla Guerra Civile e palme. Per quanto mi riguardava, ero troppo impegnata a non pensare al caldo – sul serio, molto meglio il clima della Norvegia – e a non riflettere troppo su quante cose sarebbero potute andare storte, con Jason e Alex in missione insieme, per curarmi troppo del paesaggio.
Capivo che volessero rendersi utili e che stare sempre nei pressi della nave li snervasse, ma non importava quanto controllo potessero esercitare sui loro poteri, avevo paura che si sarebbero fatti saltare in aria a vicenda. E l’idea di rimanere senza compagno di vita e senza compagno d’armi non mi allettava affatto.
Fosse dipeso da me, avrei bocciato la loro ispezione al C.S.S. Hunley. Ma Charleston era la nostra meta, qui si trovavano le informazioni di cui avevamo bisogno se volevamo sanare la rivalità tra Greci e Romani. Sarebbe stato il primo passo, questo, perché il secondo, ovvero riappacificare i Romani e Norreni, avrebbe richiesto ancora più impegno.
Quindi, Astrid, mi ripresi mentalmente, fa’ attenzione a ciò che ti sta attorno. Lo spirito che ha parlato con Reyna potrebbe manifestarsi da un momento all’altro.
In quel momento, Piper indicò verso il porto ed esclamò: «Laggiù!»
A un centinaio di metri da noi, sopra la superficie dell’acqua, fluttuava una figura candida e scintillante. A quella distanza, poteva benissimo essere una boa o un’inquietante dama del lago, anche se di laghi non ce n’erano. Il suo scintillio, però, era troppo vivo e si muoveva con troppa determinazione verso di noi.
«Il fantasma!» esclamò la figlia di Afrodite.
«Quello non è un fantasma» la corresse Hazel. «Nessuno spirito brilla così forte.»
«No, infatti» confermai.
«È sicuramente la persona che ha incontrato Reyna, però» replicò Annabeth. «Tanto vale avvicinarsi.»
Così facemmo. La figura si faceva sempre più vicina e la luce che emanava sempre più vivida, rendendo impossibile distinguere i particolari del suo aspetto. L’apparizione fluttuò sino al frangiflutti e si fermò di fronte a noi.
Il bagliore si spense, permettendoci di vederla chiaramente. La donna era di una bellezza mozzafiato, di quel tipo odioso che possedevano solo le figlie di Freyja appena sveglie, quando,  invece di assomigliare a dei bradipi ubriachi come tutti i comuni mortali, sembravano deliziosi fiori appena sbocciati.
Il che mi mise immediatamente in allarme: era impossibile che si trattasse di Freyja – se fosse stato così, Reyna avrebbe dovuto incontrarla un anno fa, mentre era chiaro che il pretore non era nemmeno a conoscenza dell’esistenza delle divinità nordiche –, ma poteva benissimo essere Afrodite. Ed io e le dee dell’amore andavamo d’accordo come le camicie bianche e l’olio da motori.
In effetti, gli occhi le scintillavano allegri e continuavano a cambiare colore, passando dal verde al blu all’ambra, esattamente come quelli di Piper. Anche i capelli alternavano una chioma bionda e liscia a una cascata di riccioli color cioccolato, a seconda dei lineamenti che valorizzavano meglio.
La cosa singolare, ma non inaspettata, era che era uno schianto persino con indosso un ampio abito rosa da damigella del Sud di metà Ottocento: busto ben stretto in vita, gonna a crinolina a tre strati bordata di pizzo bianco, abbinato a lunghi guanti bianchi di seta e a un ventaglio di piume che riprendeva gli stessi colori del vestito.
«Il rosa è l’unica pecca» considerai, mentre Annabeth esclamava: «Afrodite!»
«Venere?» chiese Hazel, stupita.
«Mamma!» disse invece Piper.
La dea spalancò le braccia, quasi desiderasse accoglierci in un abbraccio di gruppo. «Ragazze!» fece. «Sono felicissima che siate qui.»
Tra tutte, sua figlia sembrava la meno entusiasta. Ah-ah. Non che godessi della sua manifesta infelicità, ma, be’, vederla in difficoltà di fronte al genitore divino come tutti gli altri semidei mi piaceva. Almeno, dimostrava di essere normale, non una ragazza di plastica perfetta.
«La guerra è vicina» continuò Afrodite. «Lo spargimento di sangue è inevitabile. Perciò, c’è solo una cosa da fare.»
«Ehm… e sarebbe?» si azzardò a domandare Annabeth.
«Una bella chiacchierata davanti a una tazza di tè, naturalmente. Venite con me!»
 
 
Odiavo prendere il tè, però, in quanto a materia, Afrodite ci sapeva davvero fare. Non come Hell, che sembrava ricevermi alla tavolata del Cappellaio Matto – dove lei era la matta, a voler essere precisa.
La dea ci condusse in un gazebo sostenuto da colonne bianche, situato centralmente nel parco. Ad attenderci, c’era un tavolo apparecchiato con argenteria, porcellane e una teiera fumante, la cui fragranza si spandeva nell’aria, vassoi di panini dolci, biscotti e muffin appena sfornati.
Il mio stomaco brontolò. Fosse stato per me, mi sarei avventata su quanta più roba possibile e mi sarei ingozzata subito dopo, ma, evidentemente, i codici di galateo di Afrodite non lo permettevano. La dea si accomodò con grazia su una poltrona di vimini e iniziò a servici con raffinata precisione tè e dolci in una quantità scandalosamente minuscola.
Mi trattenni dal dirle che un po’ di cioccolato in più non mi avrebbe fatto del male e che il mio ragazzo non avrebbe fatto caso a qualche brufolo, visto che gli mancava un occhio.  Invece, feci del mio meglio per non apparire come una buzzurra cavernicola, stando attenta a non mettere i gomiti sul tavolo eccetera eccetera, mentre la ascoltavo raccontare di quanto amava Charleston e i suoi balli all’epoca del Vecchio Sud.
Mi riscossi quando Annabeth chiese: «Ma tu quale sei delle due, Venere o Afrodite? E non dovresti… ehm… soffrire di terribili mal di testa come gli altri Dèi?»
La divinità sorseggiò il suo tè, con uno scintillio malizioso negli occhi. «Annabeth Chase, sei diventata proprio una bella ragazza. E anche molto intelligente, per di più.» Sospirò. «Bellezza e intelligenza, il connubio perfetto. Dovresti fare qualcosa per quei capelli, però. Oh, e Hazel Levesque, Astrid Jensen… ma come vi vestite?»
La figlia di Plutone abbassò lo sguardo sui jeans spiegazzati, più stupita che imbarazzata, mentre io arrossivo di colpo. Avrei dovuto essere preparata a quel tipo di commenti.
«Mamma!» intervenne Piper. «Mi stai mettendo in imbarazzo.»
«Be’, non ne vedo il motivo, tesoro» replicò la dea. «Solo perché tu non apprezzi i miei consigli di moda, non significa che le altre non possano farlo. Potrei rifare il look delle tue amiche in attimo…»
«Mamma!» esclamò ancora la ragazza, salvandomi da una delle più orribili esperienze che avrei mai potuto vivere.
«E va bene, niente restyling» sospirò Afrodite. «Per rispondere alla tua domanda, Annabeth, io sono sia Afrodite che Venere. A differenza di molti miei colleghi dell’Olimpo, la mia natura non è mutata, quando sono stata accolta nel pantheon romano. Dopotutto,  l’amore è l’amore, per i Greci come per i Romani. Questa guerra non mi turberà quanto turberà gli altri. E per fortuna, oserei dire: tutto quello stress non fa bene alla pelle. Non che io abbia di questi problemi, comunque.»
Hazel sbocconcellò un biscotto. «Non siamo ancora in guerra, mia signora.»
«Oh, Hazel cara… Quanto ottimismo! Eppure ti attendono giorni strazianti.» Si sistemò i guanti e aggiunse distrattamente: «In effetti, tutte voi dovrete prepararvi a fronteggiare diverse difficoltà.»
All’improvviso, mi passò la fame. Abbandonai a metà il cupcake che stavo mangiando e deglutii, sforzandomi di mandare giù l’ultimo boccone. «Alex…» iniziai, ma dovetti interrompermi.
Afrodite – o Venere – posò la tazzina di tè sul piattino con grazia. «Mi dispiace, cara» disse, «ma non posso dirti se il tuo fidanzato rischierà di nuovo la vita. A Freyja piacciono i colpi scena, quindi non rivela nulla neanche a me. E poi, sarebbe contro le regole del nostro gioco.»
Inarcai un sopracciglio. «Quale gioco?»
«Il Gioco delle Coppie, ovviamente» rispose la dea. «La sua pedina principale è la Alrid, la mia la Percabeth. Detto tra noi, penso che io sia in vantaggio. Tutte queste quasi morti di Alex Dahl… sta diventando terribilmente cliché, non è più divertente. Quando ho promesso ad Annabeth di rendere interessante la sua vita amorosa, mi sono data parecchio da fare nello scovare nuove trovate. Non è così, Annabeth?»
La figlia di Atena stringeva il manico della tazzina tanto forte che temetti la stesse per spezzare. «Interessante, sì… A dir poco» commentò aspramente.
Io ero ancora rimasta al “tutte queste quasi morti di Alex Dahl… sta diventando terribilmente cliché, non è più divertente”. Non è più divertente? Perché, c’era stato un momento in cui era anche minimamente divertente?
Lei e Freyja giocavano con noi e i nostri cuori, lambiccandosi il cervello per cercare di procurarci i più dolori possibili, quasi non fossimo umani. Alex avrebbe potuto rimettere la vita solo perché avrebbe reso la nostra storia d’amore ancora più drammatica, e quelle due avrebbero fatto qualche commento sul genere “forse, se avesse stretto il suo corpo insanguinato al petto, la scena sarebbe riuscita alla perfezione. Cosa ne pensi, Freyja? Un’altra zolletta di zucchero?”
In quel momento, avevo voglia di prendere un coltello da burro e cavarle gli occhi. Magari, avrebbe rispecchiato la sua idea di divertente.
«Mamma, c’è un motivo particolare per cui ti trovi qui?» chiese Piper, sottintendendo “a parte rovinarmi la giornata?”.
«Oh, in realtà vengo qui spesso. Adoro la vista, il cibo, l’atmosfera… L’aria profuma di romanticismo e cuori infranti, non sentite anche voi?»
Intuendo che Afrodite stava per partire di nuovo per la tangente, Piper ripeté: «Mamma…»
«Sì, sì, scusa» replicò la dea. «Per farla breve, sono qui per aiutarvi, ragazze. Dubito che vedrete molto Era. La vostra piccola impresa non le ha fatto conquistare le grazie della sala del trono. Poi, le altre divinità sono alquanto indisposte, come sapete, divise tra le loro due personalità. Alcune più di altre.»
Lanciò uno sguardo ad Annabeth, che noi altre seguimmo immediatamente. La guance della mia amica si tinsero di rosso intenso.
«Suppongo che tu abbia raccontato della rottura con tua madre» continuò la dea.
«Una rottura?» chiedemmo all’unisono.
«Una discussione» precisò la bionda. «Non è niente.»
«Niente? Non direi proprio» ribatté Venere. «Atena era la più greca di tutte le dee. La protettrice di Atene, dopotutto. Quando i Romani prese il sopravvento adottarono Atena a modo loro. Divenne Minerva, la dea delle arti minori e della sapienza. Ma i Romani avevano altre divinità di loro maggiore gradimento, divinità più fedeli allo spirito di Roma.»
«Come Bellona, la madre di Reyna» intervenne Hazel.
«Proprio così, ma chère» confermò la dea. «Anche Marte, naturalmente, a cui si è aggiunto Mitra, l’idolo dei legionari. Lui, però, non mi è mai piaciuto molto. Troppo volgare, un parvenu. Ad ogni modo, i Romani hanno accantonato la povera Atena, togliendole gran parte della sua importanza militare. E i Greci non li hanno mai perdonati per tale insulto. Né, tantomeno, lo ha fatto Atena.»
«Il marchio di Atena… conduce a una statua, vero? Conduce a quella statua» disse Annabeth.
Non avevo idea di che cosa stesse parlando. L’ultima volta che avevo sentito qualcosa del genere, era stata in bocca dell’arpia Ella, quando aveva pronunciato una strana profezia o qualcosa di simile. Rivolsi il mio sguardo verso la mia amica, cercando di leggerle la mente ed evitare di chiederle perché non si fosse confidata con me.
Afrodite sorrise. «Sei molto perspicace, Annabeth. Devi comprendere, però, che i tuoi fratelli cercano la statua da secoli e nessuno è mai riuscito a recuperarla. Nel frattempo, hanno continuato a tenere viva l’animosità dei Greci verso i Romani. Ogni guerra civile, con tutto il sangue versato e tutti i cuori infranti, è stata orchestrata dai figli di Atena.»
Potevo quasi vedere gli ingranaggi nella testa di Annabeth, tanto pensava intensamente. «Questo è…»
«Romantico?» suggerì la dea. «Sì, suppongo di sì.»
«Ma…» Annabeth si riportò indietro una ciocca di capelli, come se, mettendo in ordine quelli, avrebbe riordinato anche i suoi pensieri. «Come funziona il marchio di Atena? Si tratta di una serie di indizi, una pista lasciata da mia madre o…?»
«Mmmm. Difficile a dirsi.»
Afrodite sembrava educatamente annoiata. Probabilmente, preferiva ritornare all’argomento “come rendere più interessante la vita amorosa di quei poveri semidei che, tra l’altro, stanno tentando di rimettere a letto Madre Terra e il Padre dei Giganti del Ghiaccio senza nessun aiuto”.
«Non credo che Atena abbia creato il marchio in modo consapevole. Se sapesse dove si trova la sua statua, lo direbbe chiaro e tondo. No, direi che il marchio è una sorta di scia di briciole spirituale, una connessione tra la statua e i figli della dea. La statua vuole essere trovata, certo, ma può essere liberata soltanto dall’eroe più valoroso.»
«E non se ne è presentato uno in secoli» osservò la bionda.
Piper cercava di seguire il discorso e aveva la fronte corrugata. Come noi altre, d’altronde. «Ma di quale statua state parlando?»
Sua madre ridacchiò. «Oh, sono certa che la vostra amica saprà ragguagliarvi. Ad ogni modo, l’indizio che vi serve è vicino. Si tratta di una mappa lasciata dai figli di Atena nel 1861, un reperto che vi metterà sulla strada giusta, una volta arrivati a Roma. Ma, come hai detto tu, Annabeth Chase, nessuno è mai riuscito a seguire il marchio di Atena sino alla fine. Là dovrai affrontare la tua peggiore paura, la paura di ogni figlio d’Atena. E, se anche ce la dovessi fare, come userai la tua ricompensa? Per la guerra o per la pace?»
«Sicuramente non per la guerra» commentai. «Ne abbiamo già fin troppe.»
La dea mi rivolse uno sguardo indecifrabile. Gli occhi le brillarono, nel passare da un caldo color oro a un azzurro ghiaccio, come a dire “ne sei così sicura?”
«Dove si trova la mappa?» indagò Annabeth.
Hazel si agitò sulla sedia. «Ragazze…» ci chiamò. «Guardate il cielo.»
L’inquietudine nella sua voce mi spinse a fare subito come diceva. Scorsi immediatamente tre aquile romane, perché stavano volando in cerchio sopra le palme. Più in alto, c’era una biga volante trainata da due pegasi, che sembrava intenzionata ad opera una rapida discesa. Strinsi le labbra. Quindi, l’operazione Capotavola di Buford e Leo non aveva funzionato granché bene.
Afrodite spalmò della marmellata un pezzo di bagel, come se ci fosse tutto il tempo del mondo. «La mappa è a Fort Summer, naturalmente» rispose alla domanda di Annabeth. «Pare che i Romani vi abbiano raggiunto. Farei ritorno alla vostra nave di buona lena, se fossi in voi. Gradite dei pasticcini da portar via, mentre correte?»
«No, grazie, mamma» replicò Piper, brusca. «Ciao.»
Suonava più come un “a mai più rivederci”.
Abbandonammo la tavola in fretta e furia, salutammo la dea e i suoi deliziosi brownies e ci mettemmo a correre verso l’Argo II. Ovviamente, non riuscimmo a raggiungerla. Eravamo arrivate a metà del molo, quando tre aquile giganti atterrarono di fronte a noi, sbarrandoci la strada.
Ciascuna di esse depositò un soldato romano, abbigliati con jeans, maglietta del Campo e armatura scintillante. Già il fatto che ci fossero dei pennuti troppo cresciuti mi rendeva irrequieta, se poi trasportavano pure degli odiosissimi Romani con la testa zeppa di pregiudizi sugli stranieri, la mia smania di farli fuori cresceva senza controllo.
Il mezzosangue al centro, il più mingherlino, sollevò la visiera dell’elmo. «Arrendetevi a Roma!» strillò Octavian.
Mi chiesi se quel ragazzo fosse anatomicamente in grado di parlare senza sembrare una checca isterica. Poi, mi chiesi se stesse facendo sul serio. Arrendersi a Roma? Stava scherzando?
Hazel estrasse la spada da cavalleria e ringhiò: «Scordatelo!»
Mi sfilai gli orecchini. Fremevo dalla voglia di iniziare una rissa con quella gallina umanoide e i suoi tirapiedi.
Piper, invece, sembrava di tutt’altro avviso. «Octavian, quello che è successo al Campo è stato un inganno» disse, optando per l’approccio diplomatico. «Possiamo spiegare, se ce ne date l’opportunità.»
«Non ti sentiamo!» urlò l’augure. «Abbiamo la cera nelle orecchie! Procedura standard contro le sirene. Ora, gettate le armi e voltatevi lentamente, così potrò legarvi le mani.»
«Lasciatemelo infilzare» mormorò Hazel. «Vi prego.»
Scossi la testa e ghignai. «Ah-ah. Ha chiamato il mio ragazzo bastardo» ribattei. «La gallina è mia.»
Annabeth provò a fermarci, parlando della distanza della nave e di strategia, ma non la ascoltai. Mi lanciai in avanti con un urlo, le mezzelune pronte nelle mie mani.
Il legionario di destra si mise in mezzo, cercando di proteggere il suo capitano, ma la figlia di Plutone ingaggiò un duello con lui, togliendomelo dai piedi. Dietro di lui, Octavian aveva sguainato la daga ed era pronto a ricevermi.
Be’, forse non proprio pronto.
Un attimo prima che le nostre lame si incrociassero, mi abbassai. La sua spada compì un arco sopra la mia testa, mentre lo investivo con una spallata. Octavian era addirittura più esile di me, o forse Hermdor era un maestro migliore, perché si sbilanciò anche più di quello che pensavo.
Gli colpii la mano destra con il pomello della mezzaluna, disarmandolo. La sua spada cadde a terra sferragliando. Era musica per le mie orecchie. L’augure si guardò la mano, non capacitandosi di ciò che era appena successo, e godetti della sua espressione di puro stupore.
Indietreggiò di qualche passo, cercando di formare parole che non riusciva a trovare. Sembrava un pesce. «Tu… tu…»
Gli rivolsi un sorriso da lupo. «Io non so, ma tu, bello mio, stai per farti un tuffo» dissi. «Spero che tu sappia nuotare.» Finsi di rifletterci su un attimo. «Anzi, non lo spero affatto.»
«Cos-»
Non ebbe tempo di finire la frase.
Rapida come un cobra, gli agganciai una gamba e gli feci perdere l’equilibrio. Giusto una piccola spintarella, e il gioco era fatto.
Mi voltai, controllando la situazione alle mie spalle. Hazel stava per infliggere il colpo finale al suo avversario, mentre Annabeth e Piper erano riuscite a mandare al tappeto il terzo legionario. La figlia di Plutone evitò un affondo, si portò di fianco al romano e gli abbatté l’elsa della sua spada sul cranio. Il semidio crollò a terra, svenuto.
«Wow» commentai. «Potere alle donne!»
Le ragazze mi sorrisero. Un secondo dopo, sui loro visi si dipinse un’espressione di orrore. Mi girai, pronta a difendermi dall’assalto di un Octavian straordinariamente prestante. Invece, mi trovai davanti un muro d’acqua alto due metri. Sgranai gli occhi. Poi scoppiai a ridere.
«Bella tavola da surf, Percy» scherzai.
Il figlio di Poseidone, dall’alto dell’onda da lui evocata, mi sorrise. «Ho percepito qualcosa di grosso cadere in acqua e mi sono preoccupato» si spiegò, guardando negli occhi la sua ragazza. Scese dall’onda, approdando sul molo. «Tutto okay?»
Annabeth si sciolse. Gli gettò le braccia al collo e gli stampò un bacio sulla bocca. Quando si separarono, rimase a entrambi un sorrisetto sulla faccia.
«Che cos’era, comunque?» chiese, mentre il suo sguardo si spostava sui legionari a terra svenuti.
«Oh, solo Octavian» rispose la figlia di Atena.
«Anche se di grosso ha soltanto il suo ego» aggiunsi.
«Come ti permetti, sporca norrena?!»
Se c’era qualcosa da cui era possibile riconoscere Octavian, era la voce. Un melodioso e rilassante canto di struzzo con la tonsillite.
«Figlia di sangue corrotto, insulsa discendente di barbari, incapace di comprendere l’arte e la bellezza del rigore e dell’ordine…»
«Dacci un taglio, Octavian» lo apostrofò Hazel.
L’acqua del portò si agitò. Nuove increspature si formarono sulla sua superficie.
«Cosa volete che ne faccia, ragazze?» domandò Percy.
Non ci fu bisogno che di uno sguardo per intenderci alla perfezione.
«Rimandalo giù» rispose Annabeth.
Il suo ragazzo ghignò. «Agli ordini, Sapientona.»
 
∆Reyna∆

 
Trovare Annabeth. Parlare con lei. Convincerla a sacrificarsi in nome della pace. Evitare la guerra.
Da quando avevamo intercettato la loro nave, non ero riuscita a pensare ad una soluzione migliore. Octavian fremeva dalla voglia di attaccare e di vendicarsi delle offese subite. Se fossi riuscita a ritracciare Annabeth, avrei avuto la possibilità di parlare e di spiegarle la situazione.
Avrebbe dovuto consegnarsi alla legione e subire un processo ingiusto, cui sarebbe seguita una morte dolorosa, ma così facendo avrebbe evitato lo scoppio di una guerra civile. Octavian avrebbe avuto il sangue che voleva e non avrebbe rivolto la sua attenzione verso un obiettivo più grande, l’unico che, nella sua ottica, poteva ripagare i danni di Nuova Roma. E mettere a ferro e fuoco il Campo Mezzosangue non era nei miei interessi.
Avanzai dentro Fort Summer, alla ricerca della figlia di Atena. Aurum e Argentum, al mio fianco, fiutavano in giro. I rumori della battaglia in corsa al di fuori del fortino erano un sottofondo che mi ricordava Nuova Roma e i nostri giochi. Ma questi non sono i ludi, pensai con una smorfia.
Trovare Annabeth. Parlare con lei. Convincerla a sacrificarsi in nome della pace. Evitare la guerra.
Ma anche Alex Dahl sarebbe andato bene. Non lo conoscevo bene, ma mi sembrava un tipo affidabile. In più, dai racconti che avevo ascoltato al banchetto, non era la prima volta che si sacrificava per il bene comune. Avrebbe acconsentito a farlo di nuovo.
Stavo stabilendo quale tra i due semidei avrei preferito incontrare, quando Argentum sollevò la testa di scatto e latrò. Rinsaldai la presa sul giavellotto.
«Avanti» gli sussurrai. «Fammi vedere cos’hai sentito.»
Il mio cane corse avanti, battendo la strada. Gli tenni dietro e arrivai nel cortile. Da lì, potevo vedere i miei legionari, uniti alle truppe di Octavian. Avevano stretto i ranghi e stavano avanzando in formazione verso l’Argo II, sfidando la tempesta che Percy Jackson e Jason stavano facendo infuriare.
Ma non era quello il vero problema. Nel porto, era giunta un’altra nave e persino da quella distanza potevo vedere guerrieri armati muoversi freneticamente sul ponte. Non ci fu bisogno delle calorose esclamazioni di benvenuto da parte dei Dieci, per capire che quei mezzosangue erano loro alleati.
Imprecai tra i denti. Pensare che la loro missione fosse solitaria e che non avrebbero ricevuto rinforzi era stato un errore grossolano, da principianti. Ora, ci trovavamo in netta inferiorità numerica. E con sempre meno possibilità di risolvere facilmente le questioni in sospeso, aggiunsi nella mia testa.
Spostai lo sguardo dalla scena, decisa a portare a termine il mio compito. Forse, per una volta nella vita, la fortuna mi arrideva, perché non impiegai molto a trovare la persona che cercavo. Annabeth si girò, un piccolo disco stretto tra le mani, e sbiancò quando mi vide.
«Vai di fretta?» le chiesi.
La figlia di Atena mi osservò, posando gli occhi prima sulla mia armatura e poi sui miei levrieri, intuendo che non ce l’avrebbe fatta a sconfiggermi in uno scontro. Aprì la bocca per replicare, quando sentimmo gridare il suo nome.
«Annabeth!»
Era uno dei guerrieri della seconda imbarcazione. Ci misi un po’ a realizzare di chi si trattava: era il luogotenente di Dahl, il biondo che sapeva cosa fosse la diplomazia. Come avesse fatto a raggiungerci così in fretta mi era ignoto, ma non aveva importanza. Era lì e stava interferendo con i miei piani.
«Scappa!» urlò il semidio, rivolto alla bionda. «L’Argo II ti sta aspettando. Io ti coprirò le spalle!»
Annabeth esitò. «Ma…»
«Non preoccuparti!» la fermò l’altro. «Corri!»
Probabilmente fu la perentorietà delle sue parole a convincere la figlia di Atena a fuggire. Cercai di afferrarla per un braccio, ma lei sgusciò via. Aurum e Argentum ringhiarono e, a un mio cenno del capo, partirono all’inseguimento. Nel frattempo, il semidio aveva sguainato la spada e mi si era avvicinato.
«Nel nome di Nuova Roma, ti ordino di abbassare le armi» esordii, sebbene sapessi che fosse inutile.
«Reyna» iniziò lui, «quello che è successo non è opera nostra. Non devi…»
«Abbassa le armi» lo interruppi, glaciale, «o sarò costretta a combattere contro di te.»
Qualcosa si agitò negli occhi del norreno. Paura? Rammarico? Non ebbi tempo di definirlo, perché le sue parole di risposta furono: «Allora, avanti.»
Non mi permisi esitazioni. Ma ero in battaglia, e in battaglia non ne avevo mai.
Attaccai.
Il semidio era pronto a ricevermi. Parò il mio colpo con lo scudo e si portò fuori portata per il mio prossimo affondo, in una posizione in cui avrebbe potuto lanciare la sua offensiva. Prevedibile. L’asta del giavellotto assorbì il suo fendente, facendomi tremare appena il braccio che lo reggeva. Mi mossi velocemente, facendo roteare la lancia e colpendolo alla testa. Il suo mezzo elmo volò via, lasciando scoperto il volto. Gli avrei tagliato il naso, se non fosse stato svelto a ripararsi dietro lo scudo.
Decise di giocare in difesa, evitando ogni mio colpo. La frustrazione mi fece ribollire il sangue. Avevo altre priorità, altro da fare subito, e invece ero incastrata in un duello con il secondo di Dahl.
Serrai la presa sul giavellotto e caricai con maggior potenza. La punta dell’arma si conficcò nello scudo, facendo scricchiolare il legno. Seppi di non poterlo recuperare facilmente nel momento esatto in cui lo capì il norreno. Mollai la presa e mi chinai. Avvertii l’aria spostarsi nel punto in cui, una frazione di secondo prima, si trovava la mia testa. Quando mi rialzai, non gli concessi altre occasioni di questo genere.
Sguainai la daga e gliela puntai contro. Un tuono rombò nel cielo e la sua luce illuminò l’oro imperiale. Io e il biondo girammo in tondo, studiandoci a vicenda e cercando il momento giusto per fiondarci l’uno sull’altra. Nel periodo trascorso con Lupa, avevo assistito a parecchi scontri tra lupi. Il nostro spostarci lentamente, in cerchio, gli occhi puntati sull’avversario, era la loro stessa danza.
Mentre spostava un piede verso destra, abbassò la guardia per un momento e, in quel momento, colpii. Il semidio rispose fiaccamente al mio attacco, troppo veloce perché potesse pararlo correttamente, e non gli permisi di adattarsi al passo dello scontro. Con una mossa veloce, gli strappai la spada di mano.
Trovandosi improvvisamente disarmato, fece l’unica cosa che avrebbe potuto salvarlo: mi caricò con lo scudo. L’asta del giavellotto, ancora conficcata nel mezzo, avrebbe potuto trapassarmi lo stomaco, se non l’avessi schiavata per tempo. Scartai a sinistra, evitando l’assalto, e mi girai in fretta, arrivandogli dietro la schiena. Un rivolo di sangue scese lungo il suo collo, quando deglutì con la lama della mia daga puntata alla gola.
«Dammi una sola buona ragione per cui non dovrei ucciderti» sibilai al suo orecchio.
«Perché non sono il tuo nemico» scandì. La sua voce rimase ferma. «E lo sai anche tu, altrimenti non avresti esitato.»
«Non sei il mio nemico» ripetei. «Ma, dal momento che sei venuto sulla stessa nave che ha bombardato il Senato, sei nemico di Nuova Roma. Quindi, tu sei il nemico.»
«Non potete iniziare una guerra» disse. Questa volta, la tensione nella sua voce era palpabile. «Alex non ha avuto il tempo di spiegarmi tutto nei dettagli, ma c’erano degli spiriti di Gea sull’Argo II. Sono loro che hanno rivolto le armi contro di voi. Se solo ci permetteste di spiegare, si risolverebbe tutto.»
«È troppo tardi, ormai» replicai. «Octavian non vuole ascoltare. Forse, se uno dei vostri leader si consegnasse, potrei convincerlo che una condanna esemplare è abbastanza ed evitare la guerra. Era quello che avrei chiesto ad Annabeth, se tu non le avessi permesso di scappare.»
«Nessuno di noi verrà giustiziato per appagare la sete di sangue di un idiota megalomane.» L’improvvisa rabbia nelle sue parole mi colse di sorpresa. Non lo credevo capace di una simile forza.
Rinsaldai la presa sull’elsa della spada, prima di parlare. «Io non ho trovato altre soluzioni» ammisi. «Voi salperete verso il Mediterraneo e noi non vi seguiremo, sarebbe troppo pericoloso. Allora, non potendo vendicarsi di voi, Octavian rivolgerà la sua attenzione al Campo Mezzosangue. La legione lo raderà al suolo e spargerà sale sulla terra.»
«No.» Il semidio fremette e la lama affondo un po’ di più nella sua pelle. «Non può accadere. Reyna, il Campo Nord ha fatto sbarcare i rinforzi pochi giorni fa. Abbiamo già combattuto al fianco dei Greci. Insieme, siamo inarrestabili. Sarà un massacro.»
«Non sottovalutarci» ribattei. «Non hai mai visto la legione in guerra.»
«Ci dev’essere un altro modo» disse lui, piano, come se stesse parlando con se stesso. «Non possiamo permetterci il lusso dell’autodistruzione, quando ci sono forze molto più potenti determinate a schiacciarci.»
Poi, ricevetti una gomitata nello stomaco. Tossii e cercai di capire che cosa avesse fatto quel norreno, ma non potei fare molto altro.
«Mi dispiace» disse il mezzosangue, puntandomi contro il giavellotto che aveva strappato dal suo scudo. «Ma discutere di guerra con una spada che mi incide la gola inibiva le mie capacità diplomatiche.»
«Tu…»
Tu mi hai colpito, avrei voluto dire. Ma era un commento alquanto stupido, visto che fino a un minuto prima stavamo duellando.
«Reyna, ascolta.» Il suo sguardo mi inchiodò al posto. «Abbiamo un piano. C’è un modo per sanare l’astio che c’è tra i nostri Campi e noi lo metteremo in pratica.»
«L’astio di cui parli dura da migliaia di anni» feci presente. «Non ce la farete. Alea iacta est. Il dado è tratto. La legione attaccherà il Campo Mezzosangue e chiunque sia suo alleato.»
«Non succederà.» Il semidio non tentennò. «Credimi.»
C’era urgenza e sicurezza nella sua voce, quel tipo di sicurezza che deriva solo da ciò che è completamente certo. Come sapere che un anno ha trecentosessantacinque giorni. Avrei voluto così tanto credergli, fidarmi ciecamente delle sue parole. Ma, dentro di me, sapevo che era impossibile.
Odiavo ciò che stavo per dire. Tuttavia, se c’era anche solo una piccola possibilità di fare la cosa giusta…
«Come faccio a crederti?»
Il semidio lasciò andare il fiato. «Per noi norreni, l’Isola di Foreseti è un luogo sacro. Quando vogliamo rendere vincolate qualcosa di importante, lo giuriamo in nome di quell’Isola. Ha lo stesso valore che promettere sullo Stige.» Fece una pausa e si umettò le labbra. «Farò tutto ciò che è in mio potere per raddrizzare i torti subiti e rendere possibile una pace tra i tre Campi. Lo giuro sull’Isola di Foreseti.»
Rimasi immobile. Non mi aspettavo nulla di simile. Ero preparata a una serie di ragioni per cui la guerra non sarebbe iniziata, a una logica stringente e anche a inganni finemente intessuti. Un giuramento solenne che, se non mantenuto, gli sarebbe costato la vita, era qualcosa di talmente folle che mi riusciva difficile da comprendere.
Ma, alla fine, un suo senso ce l’aveva. I nordici non erano fatti per i compromessi, per le cose abbandonate a metà, per il lasciato intentato. Per loro, era o tutto o niente. Questo poteva portarli alla più devastante distruzione, ma anche ai più grandi successi. Sfidare il proprio senso di autoconservazione era la loro natura.
Lentamente, abbassai la spada. «Ti credo» dissi. «Torna alla tua nave. Ti chiedo solo di portare un messaggio. Tenterò di rallentare l’avanzata di Octavian, ma, se dovessimo incontrarci di nuovo sul campo di battaglia, non mostrerò pietà.»
Il mezzosangue annuì, serio. «Lo capisco.»
Lasciò cadere a terra il mio giavellotto, si voltò e corse via. Dopo qualche metro, però, si fermò. La tempesta, alle sue spalle, si era quietata; l’Argo II solcava l’acqua del porto a gran velocità, lasciandosi dietro quella alleata a coprirle le spalle. Nuvole cariche di pioggia, però, opprimevano ancora il cielo e il vento violento aveva piegato le palme del parco.
Di sotto, i suoi compagni stavano facendo un gran putiferio, e il ragazzo dovette gridare per farsi sentire. «Resisti» urlò, prima di girarsi per l’ultima volta.
Fissai il cielo qualche istante, inebetita. Poi scossi la testa, rinfoderai le spada e diedi le spalle al cortile.

 
koala's corner.
Buon martedì, gente!
Be', il titolo del capitolo ben riassume il contenuto lol
Si vede Astrid che rompe i culi della gente (Octavian) :P
Perché lui pensa sul serio che Astrid possa arrendersi
.
Ceeerto. Una semidea con due mezzelune che ti odia profondamente si arrenderebbe subito!
Ma anche Reyna fa la sua porca figura. (Anche se Reyna fa sempre la sua porca figura) Spero che il duello con Lars si capisca perché io e le scene di battaglia abbiamo sempre qualche divergenza lol
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto  - e che vogliate recensirlo; se non volete, venerdì è il compleanno di Water, fate un regalo a questa povera crista xD -, alla prossima e tanto eucalipto!

Soon on VdN: Gamberzilla e attraversamento della Spaccatura uuuh (?)

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Capitolo 11
*** LARS/ALEX/FRANK • Tra incudine e martello ***


Tra incudine e martello
Water_wolf: il titolo mi fa pensare a doppi sensi lmao
AxXx: mettilo, mettilo... facciamo godere i nostri lettori :P
≈Lars≈
 
Non avere più la lama di un pretore pronto a eliminarti senza tanti preamboli era una sensazione piacevole.
Uscii dal forte a tutta velocità, tenendo lo scudo alzato, pronto a parare qualsiasi freccia potesse arrivarmi contro. Il cortile era un putiferio: mentre la Argo II prendeva il largo, l’Orda del Drago stava affrontando la furia dei semidei romani.
Alex era rimasto con noi e stava tenendo testa, da solo, a due legionari insieme. Poco più in là Astrid stava affrontando un legionario con le spalle così larghe da sembrare un rugbista. Ovunque c’erano piccoli duelli tra noi e loro. Magliette rosse contro viola, romani contro norreni, olimpici contro asgardiani.
«Ok, direi che non possiamo fare altro» sussurrai, osservando le ammaccature sullo scudo. «Dobbiamo fermare questo scontro.»
Corsi verso Alex per potergli riferirgli cosa mi aveva detto Reyna, sperando che gli Dèi fossero dalla mia parte.
«Ehi, amico!» Amalia, figlia di Tyr, mi salutò, mentre la sua ascia si piantava sullo scudo quadrato di un romano. «Questa sì che è una battaglia!»
«Cerca di non uccidere nessuno!» risposi, mentre un legionario mi tagliava la strada.
La sua lancia vibrò un affondo contro di me, ma non mi fu difficile evitarlo. Scartai di lato e, con la spada, tranciai in due l’asta, dopodiché colpii il tipo alla nuca con il manico e lo tramortii.
Altri legionari stavano affrontando tre dei nostri, più avanti. Ma non intervenni, dato che se la stavano cavando bene.
Mentre raggiungevo Alex, mi guardai freneticamente intorno e fui sollevato dal vedere che, almeno a prima vista, non c’erano ancora stati caduti da nessuna delle due parti. Se qualcuno di noi fosse morto, allora la pace sarebbe stata impossibile.
Lo scontro continuava con una certa violenza. Non sapevo cosa vedessero i mortali, ma sperai che non arrivasse la polizia, o sarebbe stata dura spiegare la nostra presenza. Alzai un attimo lo sguardo e vidi Speil e Vesa che tenevano lontane una mezza dozzina di aquile giganti romane che tentavano di attaccarci. Le aquile erano più numerose, ma le viverne più forti e meglio difese, permettendo loro di tenerle lontane.
«Fermo!»
Un romano si avventò su di me, con il gladio alzato.
«Togliti di torno» gli risposi, parando il colpo e tirandogli un pugno in faccia, mandandolo lungo e disteso a terra.
I legionari sapevano difendersi, ma il loro stile era prevedibile.
Quando raggiunsi Alex, che combatteva al centro di una stradina ghiaiosa, si era già liberato dei suoi avversari. Uno di loro era svenuto a terra, l’altro aveva i piedi rinchiusi in due pesanti blocchi di ghiaccio che lo inchiodavano sul posto, impedendogli di muoversi.  
«Hai sempre avuto un debole per aghalaz» commentai con un sorrisetto, vedendo il semidio romano che tentava in tutti i modi di liberarsi.
«Be’, la runa del ghiaccio è utile. Molto di più di quanto non sembri» sbuffò divertito, ma tornò serio e si guardò intorno. «Dobbiamo dare ordine di ritirarci. Se ci scappa il morto, allora, non c’è speranza di fare pace.»
«A questo proposito, ho un messaggio da parte del Pretore Reyna» dissi, voltandomi verso di lui.
Stavo per dirglielo, quando una voce che conoscevo fin troppo bene raggiunse le nostre orecchie. Octavian apparve davanti a noi. Non indossava armatura, bensì maglietta e pantaloni fradici. I capelli gli ricadevano bagnati sul viso dandogli un aspetto ridicolo, come di un gattino che ha tentato di fuggire da una vasca piena d’acqua, senza molto successo. I suoi occhi iniettati di sangue ci fissavano colmi d’odio. Non portava armi, ma sembrava volerci minacciare.
«Uccideteli!» ordinò furioso ai due legionari che gli erano accanto. «Uccideteli entrambi e portatemi le loro teste!»
«Ma non la smette mai?» chiesi, inarcando le sopracciglia.
«Di starnazzare come un tacchino al macello, o di ordinare la nostra morte?» domandò Alex, mentre stringeva Fragore. «Perché è fastidioso in entrambi i casi.»
I due legionari che si fecero avanti erano senz’altro tipi tosti: portavano entrambi un’armatura completa ed un mantello viola, erano armati di grossi scudi quadrati e pila, mentre sulla testa portavano un pennacchio elaborato che li identificava come graduati. Da quel che ci aveva detto Jason, dovevano essere centurioni: un grado molto elevato.
«Chi ti prendi?» chiese Alex, mentre la sua spalla destra sfiorava la mia sinistra.
«Lasciamo che siano loro a decidere» risposi, mentre inclinavo lo scudo, in modo che difendesse, in parte, anche lui.
I due centurioni si mossero lentamente, come per aggirarci. I loro pila erano puntati contro di noi.
«Arrendetevi, nel nome di Roma!» ordinò quello più vicino a me. «E vi daremo una morte rapida.»
«E se vi stendessimo e non morissimo?» fece Alex, puntando la spada. «La trovo un’opzione migliore.»
«Basta parlare!» sbraitò Octavian, spazientito. «Uccideteli!»
I nostri avversari sembrarono lanciarsi uno sguardo d’intesa, prima di colpire contemporaneamente, come se avessero studiato quella mossa da mesi. Alzai lo scudo, mentre io ed Alex ci mettevamo spalla a spalla per ricevere meglio il colpo.
La lancia del mio avversario si piantò sul mio scudo, ma il suo mi arrivò in faccia con una potenza d’urto che non mi ero aspettato. Emisi un gemito di dolore, mentre sentivo un rivolo di caldo sangue scendermi lungo le narici, ma non caddi. Alle mie spalle, Alex aveva usato il piatto della spada per attutire l’attacco e parare il pila. Ci stavano letteralmente schiacciando tra due scudi.
«Così! Massacrateli! Soffocateli! Che muoiano della peggiore delle morti!» li incitava l’augure, che sembrava un bambino assatanato che tifava la sua squadra del cuore.
«Chiudi la bocca!» urlò Alex, alle mie spalle, prima di alzare la mano sinistra.
Si voltò verso di me, un attimo e nei suoi occhi intravidi un avvertimento. Ormai combattevamo insieme da troppo tempo per non riconoscerlo, così chiusi gli occhi e strinsi i denti, confidando nella sua magia.
Ci fu una specie di risucchio.
Percepii lo scoppio di luce, attraverso gli occhi chiusi, mentre la pressione contro il mio scudo si allentava di botto. Quando li riaprii, i due centurioni sembravano disorientati. Indietreggiavano tenendosi il viso, come se fossero stati tutto il giorno al buio e, di colpo, qualcuno gli avesse fatto scattare il flash di una macchina fotografica in faccia.
«Andiamo» disse Alex, soddisfatto, mentre abbassava la mano. Su di essa era ancora visibile la runa di sowulo.
La runa della luce aveva una forma simile ad una Z molto allungata e messa in verticale e aveva lasciato una piccola cicatrice nell’aria con la sua forma, che riluceva ancora di un tenue bagliore dorata. Ora non faceva niente, ma doveva esser stato tremendo vedere la sua luce mentre Alex la evocava.
Mi lanciai contro il centurione che avevo davanti e lo colpii in faccia con lo scudo. Nel frattempo Alex colpì l’altro in testa, tramortendolo.
«Bene» disse soddisfatto, voltandosi verso l’augure. «Octavian, ti do due possibilità. O ti rituffi da solo nel porto, o ti ci ributto io personalmente.»
«E io chi sono?» protestai, rigirandomi la spada in mano. «Anche io voglio divertirmi.»
Il ragazzo indietreggiò. «Come… come osate, barbari!? Io sono figlio di Febo! Sono l’augure di Roma e voi, sporchi razziatori, non avete alcuni rispetto per me!»
«Ok, ho capito, grazie per avercelo detto per trecentesima volta.»
Corsi verso di lui, e lo colpii in faccia con lo scudo.
Svenne all’istante e crollò a terra senza nemmeno un gemito.
«Grazie, ne avevo abbastanza di sentirlo parlare.»
Alex mi fu accanto un istante dopo. Anche lui, a quanto pareva, aveva tentato di tramortirlo, ma io ero stato più veloce. 
In quel momento una voce risuonò tra le fila dei Romani. Reyna avanzò tra di loro, tenendo alto il vessillo della legione, urlando a squarciagola: «Ritirata! Romani, indietro! Ricompattatevi!»
«Ora, Alex, diamo l’ordine di ritirata anche noi» dissi, certo che non avremmo avuto altre possibilità di ritirarci.
«Molto bene.» Alex corse indietro con me. «Orda del Drago! Alla Skidbladnir!»
In poco tempo, sia noi che i Romani ci ritirammo. Noi tornammo sulla nave, mentre i Romani si ricompattavano al forte. Le loro aquile volteggiavano ancora su di noi, ma le viverne le tenevano a bada.
«Astrid, forza!» gridò Alex, dandole una mano a salire lungo la fiancata della nave. «Non vorrai restare con Mister Parlo Troppo.»
«Non ci penso neanche» replicò lei, mentre le grida di Octavian, rinvenuto da pochi istanti, riempivano l’aria.
A quanto pare era molto infastidito dal fatto che noi fossimo fuggiti e non poteva dare la colpa a Reyna, dato che quell’idiota era venuto a cercarci personalmente. Il che mi fece stare bene con me stesso. Reyna avrebbe avuto tempo di organizzare una strategia per rallentare i Romani, in attesa del nostro ritorno.
«Qual è la situazione?» chiesi a Marcus, facendo un cenno verso i nostri amici.
Alex e Astrid stavano aiutando Shawn, un figlio di Ullr rimasto ferito da una freccia.
«Nessuna perdita» rispose Marcus, avvicinandosi. Aveva il braccio fasciato. «Lo scontro è stato duro, ma nessuno di noi ci ha lasciato la pelle. Abbiamo solo feriti.»
«Ottimo.» Alex si avvicinò. «Allora torniamo al Campo Mezzosangue.»
«Pensavo tu volessi rimanere con Percy ed i suoi. Come mai vuoi stare con noi?» chiesi sorpreso, mentre Petra si dava da fare per far muovere la nave.
Il figlio di Odino sospirò. «Non posso lasciarvi ad affrontare la situazione da soli. Oggi abbiamo visto cosa possono fare i Romani ed è solo grazie agli Dèi che nessuno di noi è morto. Se davvero ci sarà una battaglia, io sarò più utile qui ad aiutarvi.»
«Però non dovremmo aiutare Einar?» obiettò Astrid, che si stava pulendo le mani, sporche di sangue.
«E poi la Corona di Odino è importante» rammentai, preoccupato. «Se c’è qualcuno capace di trovarla, quello sei tu. Oltre al fatto che sei un figlio di Odino. Potresti percepirla prima di vederla. Devi andare.»
Alex sospirò e fissò i nostri compagni che si stavano sistemando sulla nave: alcuni erano feriti e, aiutati da alcuni miei fratelli e sorelle, si curavano i tagli. Altri riparavano taciturni le loro armi. Ogni tanto, qualcuno ci lanciava un’occhiata veloce, prima di riabbassare lo sguardo.
«Sono nostri amici» capitolò, alla fine. «Loro contano su di me. Si aspettano che io li guidi, come loro comandante e come figlio di Odino. Non posso andarmene come se niente fosse e lasciarvi così. Aiutarvi è mio dovere.»
«Aiutaci trovando quella corona e rimettendola in testa a tuo padre. Quella è l’unica cosa importante da fare adesso. Ci penserò io a comandare l’Orda e a tenere Johannes lontano dai Romani per quanto possibile.»
Alex sembrò rifletterci un bel po’, prima di decidersi. Osservai Astrid, come per sperare che mi desse supporto morale, ma lei rimase in silenzio, osservando il suo ragazzo. Sentivo che lei avrebbe preferito non interessarsi, ma, se avesse potuto scegliere, credo avrebbe preferito aiutare Percy nella sua missione.
«Lars, te la senti davvero?» chiese, alla fine, guardandomi un po’ preoccupato. «Johannes è un tipo più duro di quanto si possa pensare, ma non è un completo idiota. Prima o poi troverà il modo di convincere la maggior parte dei semidei ad attaccare.»
«Lo so, ma posso assolutamente farcela, capo. Fidati di me» lo rassicurai, poggiandogli una mano sulla spalla.
«Mi fido.» Sospirò e alzò gli occhi al cielo. «Allora andiamo, tesoro?»
Astrid gli dette un pugno amichevole. «Certo che andiamo, scemo. Dov’è la tua viverna?»
«Pensavo soffrissi di vertigini» la punzecchiai.
«Appunto: prima si parte, prima potrò scendere dal dorso di quel coso» sbuffò la figlia di Hell, esasperata, proprio mentre Vesa atterrava sul ponte della nave.
Alex non ci mise molto a prendere la sua roba e mettersi in groppa alla viverna. Insieme a lui, Astrid si issò sulla schiena della creatura, stringendosi a lui. La vidi sbuffare e diventare un po’ più pallida, anche se era difficile dirlo: era pallida di natura.
«Cerca di non farti ammazzare, Lars!» si raccomandò il figlio di Odino, salutandomi un’ultima volta. «Cercherò di tornare prima possibile con buone notizie.»
«Vai capo. Io terrò duro fino al tuo ritorno» lo salutai, mentre la viverna decollava, spingendo Alex ed Astrid verso la Argo II.
 
 
•Alex•
 
Volammo sulle onde dell’Atlantico per diverse ore, prima di individuare di nuovo la Argo II. Dopo aver fatto rotta a Charleston, si erano diretti a nord per cercare la spaccatura tra i mondi. Non era difficile trovarla, eppure, quando arrivammo sul posto, ci rendemmo conto che la Argo II non l’aveva ancora raggiunta
«Non è possibile che siano in ritardo» disse Astrid, guardandosi intorno. «La nave è velocissima! Sarebbe già dovuta essere qui.»
«Qualsiasi cosa sia accaduta, spero che non sia nulla di troppo grave» affermai, indicandola davanti a noi.
Agli occhi dei mortali, la spaccatura sarebbe stata invisibile, solo un ammasso nebbioso ed informe sotto il quale l’acqua si agitava tumultuosa. Ma per un semidio era facile scorgere lo squarcio che si agitava in aria: due lembi di foschia sottilissimi, come se la realtà stessa fosse tagliata in due da una forza prorompente, aprendo una finestra su un’altra realtà. Era stranissimo e spaventoso allo stesso tempo, come se da un momento all’altro quell’apertura potesse risucchiare tutto.
«Credi che siano già passati?» urlò Astrid, sovrastando il rumore del mare in tempesta.
«Non penso!» replicai, strizzando gli occhi. «Se qualcosa fosse passato da qui, lo percepirei, e non è successo.»
Mi guardai intorno preoccupato. Possibile che non si fossero ancora fatti vivi? L’Argo II era una nave molto veloce e nessuno avrebbe mai voluto fare ritardo, specie se si trattava di Leo, che adorava spingere quel gioiellino al massimo.
«Meglio seguire la loro rotta al contrario per assicurarsi che nulla li abbia rallentati!» dissi, mentre Vesa compiva una lunga virata verso sud.
«I Romani… credi che Octavian possa averli attaccati ancora?» chiese la mia ragazza, reggendosi.
«Non i romani, ma Gea ed Ymir. Non hanno pochi alleati, loro potrebbero farcela benissimo» risposi, mentre volavamo bassi per ritrovare i nostri amici.
Non fu un’impresa, però. Dopo pochi minuti, intravedemmo l’albero maestro dell’ Argo II a distanza sul mare, mentre le onde sembravano calmarsi. Si vedevano i fulmini che Thor stava scatenando sull’Atlantico, probabilmente stava cercando di rintracciare Jason. Ordinai a Vesa di accelerare e, in un attimo, fummo sopra la nave, dove Piper ci stava facendo segno di atterrare.
«Eccovi, finalmente!» esclamò Astrid, smontando con malcelata gioia dalla mia viverna. «Come mai siete così indietro?»
«Siamo stati attaccati» spiegò la figlia di Afrodite, indicando lo scafo danneggiato della nave. «Da un mostro gigante simile ad una grossa aragosta.»
«Dove sono tutti?» chiesi, osservando il profondo squarcio nella fiancata.
«Percy e Jason stanno cercando Hazel, Frank e Leo, che sono caduti in mare. Einar e Annabeth sono di sotto a riparare i danni» rispose Piper, ansiosa.
«Stanno bene?» domandai, scrutando le onde. Probabilmente Percy era sott’acqua.
«Gli altri non sono risaliti, ma non sappiamo se siano morti o no. La corrente potrebbe averli portati lontani, solo che… Percy è preoccupato. Non riesce a trovarli. L’acqua è il suo elemento.»
Dalla sua voce, capii quanto la preoccupasse il fatto che il figlio di Poseidone fosse incapace di ritrovare i dispersi. Non volli immaginare cosa stesse provando Annabeth, all’idea che il suo ragazzo fosse tanto indebolito.
«Sono certo che li troverà» la rassicurai, andando sotto coperta, intenzionato ad aiutare gli altri a riparare la nave. «È un semidio molto potente e li farà tornare su.»
Sottocoperta la situazione era parecchio critica, ma non terribile. La spaccatura era molto grossa, però era stata provocata nella parte superiore della chiglia e non aveva fatto imbarcare troppa acqua, in più non aveva danneggiato i motori o altri sistemi importanti della nave.
Annabeth ed Einar stavano inchiodando delle assi per impedire che l’acqua entrasse ed io li aiutai volentieri, mentre loro mi aggiornavano sulla situazione.
«Speriamo solo che stiano tutti bene che Jason e Percy riescano a trovarli» concluse Einar, dopo il racconto dello scontro con il mostro nemico.
«Quindi sono stati quegli Dèi esiliati ad Atlanta a mandare il mostro. Dobbiamo stare attenti contro prossimi attacchi» dissi, mentre issavo un’altra asse di legno.
Le stalle erano quasi del tutto allagate e l’acqua mi arrivava alle  ginocchia, impedendomi movimenti fluidi e precisi. Un paio di volte caddi addosso ad Einar e mi colpii il pollice con il martello. Non ero affatto un buon costruttore come Leo, ma almeno riuscimmo ad impedire all’acqua di farci affondare. Astrid ci dette una mano a riparare il resto dei danni.
Percy riemerse un ora dopo, con aria abbattuta. Jason arrivò poco dopo, anche lui esausto dopo il volo.
«Non riesco a trovarli, maledizione» sbottò, sedendosi sul parapetto. «Mi sembra di essere di nuovo nell’acquario, dove non riuscivo a controllare i miei poteri. È come se qualcuno li stesse inibendo.»
«Wow, Jackson, “inibendo”. Che termine aulico» scherzò Einar, cercando di tirarlo su. «Da quando sei così altisonante? Non è che è l’effetto romano?»
«Ma sta zitto, Larsen» sbuffò il figlio di Poseidone.
Jason mi guardò. «Sei tu l’esperto di magia. Hai idea di cosa lo stia ostacolando?»
«No.» Osservai la distesa oceanica sovrastata dalle nubi di Thor. «Il mare non è di mio padre, i miei poteri sono limitati qui. Non riesco a capire cosa ci stia intralciando.»
«Nessuno vi sta intralciando!»
La voce di Leo ci fece prendere un colpo, ma almeno fummo felici che fosse la sua e non quella di qualche mostro. Lui, Frank ed Hazel si stavano issando lungo la fiancata della nave.
«Chi ha ridotto in quel modo la mia nave?» Sbuffò, appoggiandosi al parapetto. «Era più carina aperta che riparata come l’avete fatto voi.»
«Ehi, nessuno è bravo come te a riparare cose» scherzò Piper, abbracciandolo insieme a Jason, mentre Percy gettava le braccia al collo di Hazel e Frank.
«Ma dov’eravate finiti?» chiese il figlio di Poseidone.
«In un posto che ti piacerebbe molto… Ragazzi, dobbiamo parlarvi. Ci sono cose importanti su cui aggiornarvi» disse Frank, liberandosi della nostra stretta.
Ci riunimmo tutti di sotto, nella sala comune dove i tre ci raccontarono del campo di semidei marini e degli avvertimenti dei fratelli di Chirone. Bythos e Aphros avevano promesso aiuto e avevano dato dei consigli su dove andare, ma dubitavo che persino loro potessero impedire a Thor di percepirci ed attaccarci.
«Dobbiamo raggiungere lo squarcio il prima possibile» dissi, preoccupato. «Thor si avvicina sempre di più e quando ci avrà a portata questa nave avrà a che fare con cose peggiori di Gamberzilla.»
«Cosa gli impedirà di seguirci attraverso la spaccatura?» chiese Hazel, in ansia. «Potrebbe abbatterci con un solo colpo.»
«Attraversare lo squarcio ci farà guadagnare tempo. Persino gli Dèi subiscono gli effetti della Foschia e Thor è uno dei più vulnerabili ai suoi effetti. Useremo la Foschia dello squarcio per disorientarlo e filarcela. Una volta a Vanheim dovremmo essere al sicuro. È il Regno dei Vani e gli Asi sono indeboliti nei regni a loro estranei» spiegai.
«Come quando eravamo nell’Hellheim» osservò Einar.
«Ma tu non subirai lo stesso effetto?» domandò Leo, inarcando le sopracciglia. «Sei un figlio di Odino, dopotutto.»
«Vero, a Vanheim non potrò darvi molto aiuto. Ma meglio approfittare di questa scorciatoia» affermai, con un sospiro. Odiavo essere inutile.
«Oh, avanti.» Percy mi arruffò i capelli, allegro. «Non ci deludi mai con i tuoi segni magici.»
«Rune» lo corresse Astrid.
«Quel che è. Quello che intendo, è che andrai alla grande e chissene importa se Thor ci dà dei problemi.»
«Allora è deciso. Avanti, finiamo di riparare questa nave e poi andiamo a trovare questi Vani.»
Leo si alzò e corse euforico nella stiva per prendere gli attrezzi, seguito a ruota da Einar e Piper, ansiosi di aiutarlo.
Astrid si avvicinò. «Sei sicuro di farcela? Attraversare la tempesta di Thor potrebbe essere troppo anche per te.»
«Siamo in ritardo. Se non attraversiamo lo squarcio come ci ha detto Sol, allora non serve a nulla correre. E non possiamo lasciar morire Nico» risposi sospirando.
La magia che avrei usato per permettere all’Argo II di superare l’apertura e la tempesta sempre più vicina avrebbe potuto prosciugarmi, in effetti.
«Sempre a fare l’eroe, vero?» sbuffò lei, dandomi però un bacio sulla guancia. «Vediamo di non morire, questa volta, eh?»
«Non dovevi dirlo, o rischierò sul serio» replicai con un sorrisetto. «Porta sfortuna.»
«Ma taci!» Mi dette un pugno sulla spalla. «Ora va’ a prepararti, che se no arrivi lì e non sei pronto, testone che non sei altro.»
«D’accordo, tesoro. Ci vediamo dall’altra parte» dissi, prima di baciarla e stringerla, nonostante le sue proteste riguardo al chiamarla “tesoro”.
Avevo bisogno di sentirla vicina. Poche volte avevo lanciato un incantesimo del genere. La prima volta era avvenuto quando sconfissi Thor e, all’epoca, ero con Lars e disposto a tutto per vincere. Questa volta ero meno sicuro di me stesso e, soprattutto, dovevo pensare a proteggere tutti, non solo me stesso.
Quando salii di sopra, sul ponte, c’era solo Leo che guidava la nave. Tutti gli altri erano di sotto su mio consiglio, per evitare di essere coinvolti.
«Ehi, Mister Muscolo!» urlò Leo, al timone. «Ho riparato al meglio la falla, ma se veniamo colpiti perdiamo tutta la nave. Vedi di fare del tuo meglio.»
«Tranquillo, tu guidaci a Vanheim!» replicai, posizionandomi sulla punta della nave, dove avrei lanciato l’incantesimo.
Avevamo riparato lo scafo al meglio, ma non era certo che avremmo retto, mentre attraversavo lo squarcio e il temporale si avvicinava.
«Ok, ci siamo!»
Leo virò, in modo da allinearsi con l’apertura e spinse i motori al massimo.
«Ci sono!»
Alzai le mani davanti a me, congiungendole a con i palmi rivolti verso l’alto e sussurrai il nome della runa.
«Algiz
Un simbolo gigantesco che ricordava una zampa di gallina, o il simbolo della pace senza il cerchio, si allargò sotto i miei piedi, mentre una sua riproduzione luminosa mi appariva in mano. La runa avvolse tutta la nave, creando una gigantesca bolla di energia luminosa.
«Vai!» urlai, mentre sentivo l’energia che già mi veniva sottratta dalla runa.
Leo fece una manovra e accelerò al massimo, mentre la Argo II si infilava nel varco. La barriera avrebbe impedito alle correnti che scorrevano lungo Ygdrasill di disintegrarci mentre lo attraversavamo in volo.
«Ok, ci siamo!» Il figlio di Efesto mosse le mani con tanta rapidità che sembrava averne sei. «Stiamo per infilarci nel vuoto.»
Sarebbe stato troppo bello se tutto fosse andato liscio. Nella concitazione del momento non ci eravamo resi conto che le nubi erano avanzate. Un tuono squarciò l’aria. Poco dopo, un fulmine si abbatté sulla barriera, facendomi ansimare per il dolore. Il dio del tuono stava tentando di trattenerci. La barba ed i capelli biondo-rossicci sciolti al vento sembravano scintille accese ed il martello emetteva saette elettriche.
«Osate fuggire, codardi?! »Thor calò dal cielo, brandendo l’arma. «Combattete!»
«Oh, fantastico. Alex, resisti!»
Leo tentò di raddrizzare la nave, ma Thor si stava preparando ad attaccarci di nuovo.
«Non fuggirete!» Thor atterrò sullo scafo e alzò il martello. «Mi basterà distruggere questa nave per fermarvi!»
«No!» urlai, senza rompere l’incantesimo. Dovevo dare tempo a Leo di riallinearci con il varco, o saremmo potuti finire a Muspellheim. «Se distruggi questa nave, non potremmo fermare Gea!»
«Gea non è un problema» replicò il dio del tuono, lanciandomi uno sguardo furente. «Appena avremo sconfitto Ymir, Gea cadrà sotto i nostri colpi! I Romani stanno solo tentando di sabotarci!»
«Ah, non è possibile ragionare con te!» sbottai, mentre mantenevo la barriera.
«Proprio così, fratello! Ora lasciami demolire questa nave!» esultò, alzando la sua arma.
Sarebbe stata una fantastica scena di demolizione, se non fosse che la situazione venne salvata dal più improbabile semidio che avrei visto affrontare Thor.
Frank Zhang.
 
☼ Frank ☼

 
Ok, salvare la Argo II da Thor non era in cima alla mia lista delle cose da fare. O meglio, salvare la Argo II era un ottima idea, ma affrontare Thor era tutta un’altra cosa.
La nave subì uno scossone fortissimo e si inclinò di lato, così decisi di salire in coperta per vedere cosa stesse succedendo, mentre tutti gli altri tentavano di rialzarsi. Percy era rimasto incastrato sotto due sedie e Annabeth lo stava aiutando a rimettersi in piedi.
Risalii rapidamente la scaletta fino al portellone che portava sul ponte e lo aprii. Brutta mossa, visto che mi trovai proprio sotto il sedere di Thor.
Il dio sembrava stare valutando quale punto dell’imbarcazione colpire, mentre Alex e Leo erano impegnati ad evitare che la nave venisse disintegrata dai fulmini, così io feci la cosa più stupida che mi venisse in mente: dare un calcio nel didietro di un dio.
Certo, non proprio elegante, ma mi sorpresi di quanto fosse funzionante, dato che lo sbilanciò, facendolo crollare come un sacco di patate.
«Come osi!?»
Thor alzò lo sguardo e mi fissò furente.
«Ehm… S-salve, credo che lei abbia sbagliato volo» farfugliai, indietreggiando. Non mi piaceva il modo in cui mi guardava.
«Figlio di Marte, ti do la possibilità di morire velocemente subito, se non opponi resistenza. O preferisci una morte lenta e dolorosa? Io protendo per quest’ultima opzione» propose il dio del tuono, facendo roteare il martello con l’aria di volerlo usare per schiacciarmi la testa.
Arrivai fino al parapetto e deglutii. «C’è una terza opzione che non prevede la mia morte?»
A quanto pare non era nel listino di Thor risparmiare i nemici, perché con un fluido movimento del braccio scagliò il martello contro di me. Nei pochi istanti che mi separavano dall’impatto andai nel panico e, come capitava quando ero nel panico, attivai la metamorfosi senza nemmeno pensarci.
Sentii come se il mio corpo venisse pressato infinite volte e poi sgonfiato di tutta l’aria. Una sensazione stranissima che non riuscivo nemmeno a capire se fosse sgradita. Semplicemente mi sentii regredire, ed il martello mi passò sopra la testa facendomi letteralmente impazzire.
La buona notizia era che ero vivo. Quella cattiva era che la nave si era sbilanciata ancor di più.
«Ehi, gente! Vedete di non distruggere tutto!» urlò Leo, mentre muoveva freneticamente il timone, cercando di raddrizzarla.
Alex stava ancora proteggendo la nave dalla pioggia di fulmini che ci bombardava. Solo allora capii come mai mi sentivo così strano: ero diventato una mosca. Quando l’arma mi era passata sopra la testa, ero appena diventato una mosca: per questo ero impazzito, come se un forte vento mi avesse sbilanciato. Per le mie attuali dimensioni, il martello aveva provocato uno spostamento d’aria tale da farmi volare vie. Ed infatti Thor non mi vedeva più.
«Dove sei, piccolo semidio romano?» domandò, arrabbiato, mentre il martello gli tornava in mano. «Ti nascondi? Non mi sorprende, quelli come te sono sempre stati dei codardi.»
Ronzai via, tutt’altro che intenzionato ad iniziare uno scontro contro il dio del tuono in forma di mosca. Sarei stato schiacciato come… una mosca. Se solo fossi riuscito a trasformarmi in qualcosa di più grosso e forte, forse, avrei potuto affrontarlo.
Provai a concentrarmi, ma nulla.
Ci risiamo… Sono bloccato!, mi maledissi, affranto. Anche quando ero carpa, mi ero bloccato: ancora una volta una trasformazioni inutile.
«Ah, non importa. Distruggerò il resto» bofonchiò Thor, perdendo interesse per me.
«Non ci provare!»
Leo abbandonò il timone e lo attaccò.
Nello stesso tempo, Alex si voltò e sulla sua mano apparve un altro simbolo che non conoscevo. Una runa, penso, e l’incantesimo evocò una specie di lingua di fuoco bianco. Il dio del tuono sparì, per un attimo, in una colonna di fiamme argentee e rosse, come se venisse avvolto in un pilastro di metallo fuso.
Ma sconfiggere una divinità non poteva essere così facile: infatti Thor evocò un fulmine che lo liberò. Nello stesso istante scattò verso Leo, colpendolo al petto con un pugno così ben assestato che mi parve di sentire il rumore di qualche osso rotto.
Dovevo intervenire.
Senza riflettere mi lanciai contro di lui, prima che potesse rivolgere le sue attenzioni ad Alex e, con tutto il mio poco peso, mi gettai sul suo occhio destro.
«AAAAAAAAAAARGH!»
Non credevo che un dio potesse essere così stupido.
L’occhio si trasformò in un ammasso di pelle gonfia che a mala pena poteva tenere aperto. Gli ronzai intorno, sentendomi più sicuro di me stesso, provando a colpire anche l’altro occhio, ma lui si agitava tantissimo.
«Maledetto! Che tu abbia sangue di Loki nelle vene non cambia! Ti schiaccerò!» urlò Thor, agitando il martello.
Ebbene, lasciatevi dare un consiglio: agitare un martello contro un ragazzo-mosca che ti ronza davanti alla faccia è cosa assai poco salutare. Proprio come Thor scoprì che darsi una martellata in testa fa molto male e rischia di tramortire.
«Wow.» Tornai alla mia forma umana – non so per quale grazia divina – e sì: Thor era a terra. «Come ho fatto?»
«Bel colpo, Zhang.» Alex era al mio fianco e mi aiutò ad alzarmi. «Thor non brilla proprio di intelligenza.»
«Che ne facciamo?» chiesi, un attimo preoccupato. Quel dio avrebbe potuto riprendersi da un momento all’altro.
«Semplice» rispose il norreno, sollevandolo per le braccia con uno sbuffo. «Lo gettiamo fuori bordo.»
Non ero tanto convinto che gettare via un dio in mezzo all’oceano potesse essere una buona idea, ma non ci tenevo nemmeno a portarmelo dietro. Non era neanche detto che a Vanheim fosse impotente, anzi, se da quel che avevo capito, Asi e Vani erano alleati, poteva risultare indebolito, ma comunque molto pericoloso. Così lo presi per i piedi. Non riuscimmo a spostare Mijolnir, per questo decidemmo di legarglielo al braccio e li gettammo entrambi di sotto.
«Presto, aiuta Leo e portare via questa nave!» disse Alex, tornando al suo posto.
«Avanti, Valdez» aiutai Leo a rialzarsi, anche se sembrava molto indebolito dal colpo. «Aiutami a portare questa nave oltre quella roba.»
«Be’, Zhang, sei pieno di sorprese» replicò lui, mentre si appoggiava alla console di comando.
Con il suo aiuto, riuscii a guidare l’Argo II attraverso i rimasugli di tempesta che ci ostacolavano e puntammo alla spaccatura senza ulteriori ritardi e senza altri Dèi ad ostacolarci.
Con un ultimo sforzo, Leo guidò la nave all’interno, mentre Alex alzava, di nuovo, la barriera per non danneggiarla.
Finalmente saremmo arrivati a Vanheim.

koala's corner.
Buon mercoledì, semidei! Forse riusciremo a toccare tutti i giorni della settimana. In ogni caso, due annunci: il primo, Dicembre è un mese molto incasinato e quindi pubblicheremo un po' a singhiozzo, putroppo; il secondo, spostiamo il dì di pubblicazione a al giorno di Marte/Tyr.
(La prossima settimana di scuola sarà da panico aiut salvatemi)
Passando ad argomenti più felici, diciamo che Frank è un grande perché nemmeno Loki poteva battere Thor trasformandosi in una mosca :P Dandogli pure un calcio nel sedere, poi.
Ma anche Alex Passione Per Le Rune non se la cava male, poi. E il suo rapporto con Lars meriterebbe una fiction a parte lol
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!

Soon on VdN: saranno andati davvero a Vanheim? Mh. Chissà.

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Capitolo 12
*** PIPER/ANNABETH/ASTRID • Incontriamo il padre di Magnus Chase (anche se non abbiamo idea di chi sia questo tizio) ***


Incontriamo il padre di Magnus Chase (anche se non abbiamo idea di chi sia questo tizio)


►Piper◄

 
La prima cosa che vidi fu un’immensa distesa erbosa. La prima cosa che pensai, invece, fu VERDE. Be’, ovvio, quando stai sorvolando un mare d’erba. Ma quell’erba non aveva un colore normale, il suo verde era così luminoso e brillante da rimanere impresso sulle palpebre e poterlo vedere persino ad occhi chiusi. In una stanza buia, il verde intenso avrebbe fatto lo stesso effetto di una lampadina accesa. Il colore era così forte che sembrava gridarlo: VERDE.
Scrollai la testa e mi girai per catturare le espressioni degli altri, usciti non appena ci eravamo liberati di Thor. Leo era imbambolato coi comandi in mano. Frank, invece, era letteralmente a bocca aperta. Alex e Jason fissavano con muta ammirazione il paesaggio.
Poi, Astrid saltò al collo del suo ragazzo ed esclamò: «Ci hai portati nel mondo giusto!»
Il figlio di Odino fu costretto ad appoggiarsi al parapetto per reggere l’assalto improvviso. Scambiò un bacio tenero con la sua fidanzata che gli lasciò un sorriso sulle labbra. «Che c’è, dubitavi delle mie abilità?»
Einar ghignò e intervenne, insinuante: «Di quali abilità stai parlando, di preciso, capo?»
Alex mollò la presa e Astrid riappoggiò i piedi per terra. Entrambi, incredibilmente sincronizzati, incrociarono le braccia, inclinarono la testa a sinistra e lo guardarono storto.
«Quelle di farti stare zitto, Larsen» replicò il semidio, secco.
Il figlio di Loki soffocò una risata e fissò lo sguardo all’orizzonte, fischiettando. Di tanto in tanto, però, lanciava qualche occhiata alla coppia. Incorreggibile, pensai.
«Comunque» riprese Astrid, alzando la voce per sottolineare il cambio d’argomento, «non dubitavo di te, Alex. Solo, non si è mai troppo sicuri quando si viaggia tra i mondi… Avremmo potuto finire nell’Hellheim, o peggio.»
«Hellheim? Il regno di tua madre?» domandò Jason, aggrottando le sopracciglia. «C’è qualcosa di peggio di capitare per sbaglio in una landa desolata destinata ad accogliere i peggiori criminali dopo la morte?»
La semidea alzò le spalle. «C’è Muspellheim, per esempio. Il regno dei Giganti del Fuoco.»
Alex annuì. «Saremmo potuti finire in un lago di lava, o direttamente in un muro di fiamme.»
Leo fischiò. «Mi piace, il posticino. Mo… no, Mus… Mus-Qualcosa-Heim» commentò. «Il fuoco è il mio elemento.»
«In momenti come questo, penso che ti manchi qualche rotella» dissi. «Ma ti voglio bene lo stesso.»
Il figlio di Efesto mi fece l’occhiolino.
A velocità di crociera, sorvolammo la pianura più vasta che avessi mai visto. Vanheim sembrava del tutto privo di pericoli o minacce. Era piacevole starsene tranquilli sul ponte senza temere un attacco da parte di Octavian, degli Dèi o degli scagnozzi di Gea. Con il sole che mi scaldava le spalle e il venticello che giocava con le piume nei miei capelli, sembrava di stare in vacanza.
Mi rilassai accanto a Jason e, per una volta dopo troppo tempo, chiacchierammo come avremmo fatto se ci fossimo trovati ancora alla Scuola della Natura. Non ci stavamo toccando, ma quella vicinanza e quella tranquillità mi infondevano un senso di tepore pari a quello di un bacio o delle nostre mani unite.
«Ci stiamo avvicinando a una città» sentii dire da Hazel. Ad alta voce, chiese: «È normale che ci sia una città, qui?»
«Sì. A Vanheim…» le stava spiegando Astrid, quando venne la sua voce venne sovrastata da un rumore di tavole di legno che si inclinavano.
L’Argo II traballò e noi venimmo sbatacchiati di qua e di là. Leo si fiondò sui comandi, afferrando il timone e impedendogli di girare a ruota libera.
«Che cosa sta succedendo?» domandò Percy, concitato.
Frank impallidì. «Non è che Thor…» Lasciò la frase in sospeso e rabbrividì.
Annabeth scosse la testa. «Se fosse stato Thor…» Non avrebbe mai detto cosa sarebbe accaduto, se fosse stato Thor.
Un colpo molto più potente del precedente si abbatté sullo scafo e, questa volta, sentimmo chiaramente il legno spaccarsi. La nave si inclinò a destra all’improvviso. Riuscii a vedere mozziconi di remi che precipitavano nel vuoto, prima di essere ribaltata all’indietro. Cercai di aggrapparmi a qualcosa, ma non c’era niente che potesse frenare la mia caduta. Scivolai sulla pancia per mezza nave, prima che Leo riuscisse a raddrizzarla ed evitare che finissi fuori bordo.
«Stiamo perdendo quota!» gridò. «Non riuscirò a reggere a lungo! Ho bisogno d’aiuto!»
Mi misi carponi e mi girai verso di lui. I muscoli delle sue braccia ossute erano tesi allo spasimo nel tentativo di trattenere l’Argo II in posizione. Sotto di lui, Einar era riuscito ad aggrapparsi alla base del timone. Si rialzò a fatica, barcollando, ma prese in mano il comando e diede uno strattone. Ci raddrizzammo ulteriormente.
Leo guardava il figlio di Loki con gli occhi sgranati. Balbettò qualche parola sconnessa. «Einar…» riuscì alla fine. «Perché mi stai aiutando?»
L’altro ragazzo si voltò bruscamente verso di lui. «Perché…» Un’ombra passo sul suo viso. «Una viverna!» urlò. Poi, più sconcertato, domandò: «Una viverna?»
Il figlio di Efesto gli fece eco. «Perché una viverna…?»
«Oh, merda!» esclamò Astrid, rimettendosi in piedi. «Alex, ho bisogno che tu mi dica che mi stia sbagliando e quelli non sono i guerrieri di Volkvanger.»
Sopra di noi, qualcuno rise. «Certo che siamo noi, mezzosangue!» rispose un uomo, a cavallo della viverna che volava esattamente sopra le nostre teste. Il sole mi impediva di vedergli il volto, ma le sue armi scintillavano e sembravano parecchie. «Chi dovremmo essere, altrimenti?»
«Non siamo nemici!» urlò Alex.
Un altro uomo fece capolino da dietro le sue spalle. «No, avete ragione, siete solo di passaggio, vero?» rispose, facendolo girare di scatto.
«Come fai a saperlo?»
«Oh, be’, Freyr ci ha descritto la nave» fece quello, agitando una mano. «Abbiamo l’ordine di abbattervi. Il fatto che abbiate scoperto la spaccatura ed eliminato Thor per riuscire ad arrivare più in fretta in Europa ha fatto infuriare le alte sfere. La vostra missione, il vostro viaggio, non può continuare.»
Mi avvicinai ad Alex e guardai quel tizio dritto in faccia. Un mezzo elmo gli oscurava parte del volto, ma non portava barba e, dalla voce, sembrava giovane. Aveva già aperto un buco nella nave, però, e convincerlo a lasciarci andare – finché avessimo potuto, con l’Argo II in quelle condizioni – poteva non essere semplice anche se era giovane e più condizionabile.
«Ci dispiace per Thor» mentii. «Ma lei comprende che era necessario. Non avremmo mai arrecato alcun danno alla sua divina persona, altrimenti. Siamo stati costretti a farlo. La nostra impresa è di fondamentale importanza per evitare la fine del mondo. Non crede che i suoi ordini possano essere trascurati, in favore della salvezza di tutti?»
Il guerriero mi fissò per un attimo. Mi parve di vederlo sbattere le palpebre. «Figlia di Freyja, riconosco il dono di tua madre nelle tue parole. Se potessi, non farei precipitare questa nave con una sua discendente a bordo» mi rispose. «Ma ho ordini precisi e aspetto la fine dei tempi da trecento anni. Non vedo l’ora del Ragnarok, così potrò partecipare a una vera battaglia.»
Rimasi sconcertata. Non negai nemmeno di essere figlia di Freyja. «Cioè, desidera la fine dell’interno mondo conosciuto solo per poter appagare la sua voglia di combattere?» parafrasai.
«Tutti noi guerrieri di Volkvanger, qui a Vanheim, lo desideriamo, in realtà» fece quello. «Faremo vedere a quegli spocchiosi degli eroi del Vahlalla che non siamo da meno. Ora scusami, ma devo portare a termine il mio compito. Gerard!»
L’altro soldato rispose al richiamo. «Sono pronto!»
«All’attacco!»
Nello stesso momento, Alex gridò il nome di una runa. Poi crollò a terra e noi precipitammo nel vuoto senza controllo.
 
 
♣Annabeth♣

 
Nel mio ultimo momento di lucidità, il mio cervello ebbe la correttezza di informarmi che l’equazione “trenta metri da terra” e “schianto” avevano come risultato “morte dolorosa”. Poi il sangue freddo mi abbandonò e riuscii solamente a strillare.
Incrociai lo sguardo di Percy e vi vidi riflessa la mia stessa, primitiva paura. Avevamo cinque anni di imprese alle spalle, ma non eravamo mai scampati a un disastro aereo. Quando era stato sputato fuori dal vulcano, il mio ragazzo, uno degli eroi più potenti della nostra generazione, aveva avuto bisogno di due settimane di riposo sull’isola di Calipso. Ed era atterrato sul morbido.
Mi presi la testa tra le mani e mi ordinai: PENSA! I figli di Atena hanno sempre un piano, no? Trovane uno, che diamine. Ma pensare mentre precipitavo non era affatto semplice.
Passai in rassegna a tutte la abilità dell’equipaggio. Io avevo solo il mio ingegno, mentre Piper, Hazel ed Einar non erano utili in questa occasione. Alex era K.O. e nessuno aveva idee del potere della runa che aveva lanciato, se fosse di attacco, difesa o qualcos’altro. Percy, al massimo, poteva farci impattare contro un muro d’acqua. Leo non sarebbe mai riuscito a creare un congegno in grado di salvarci in tempo. Astrid poteva fare un viaggio d’ombra, ma non c’era luce e trasportare tutti noi avrebbe potuto ucciderla, o farci arrivare in Tibet. Frank non era in grado di trasformarsi in un animale abbastanza grande da frenare una nave volante grossa come l’Argo II. Jason sarebbe riuscito a creare una corrente d’aria abbastanza forte da rallentarci?
«Jason!» urlai, cercando di farmi sentire al di sopra del fischio del vento. «Grace!»
Il figlio di Giove si voltò. «Hai un piano?»
«Tu prova solo a fermarci» risposi. «Prova, o moriremo.»
Il semidio annuì, risoluto. Un tuono rimbombò, ma il cielo rimaneva sereno. La terra si avvicinava sempre di più. Nessuna corrente d’aria ci stava facilitando l’atterraggio.
Contai i metri che ci mancavano. Arrivata a tre, Percy mi strinse tra le braccia e sussurrò il mio nome. Ne mancavano due e gli strinsi forte la mano. Un metro e qualcosa ci fermò. Poi fu come rimbalzare più volte. La terra e il cielo si confusero davanti ai miei occhi e avvertii una sgradevole sensazione allo stomaco. L’Argo II smise di capovolgersi e atterrò, scavando un buco nel terreno finché non smise di muoversi. Incredula, mi guardai attorno.
Avevamo praticamente arato un campo. Mucchi di terreno smosso avevano finalmente arrestato la nostra corsa e, ora, coprivano quasi interamente la testa di Festus.
«Jason?» chiesi.
Il figlio di Giove ricambiò il mio sguardo confuso. Poi, Astrid si alzò in piedi e vomitò sulle scarpe. La scena era così assurda, e noi eravamo così assurdamente vivi, che scoppiai a ridere. Percy si unì a me, seguito a ruota dagli altri.
«Ah ah ah» ci fece eco il biondo. «Grazie mille, Astrid.»
«Di nulla» replicò lei, ancora pallida in volto. «Non è che avresti un fazzoletto?»
«E tu non è avresti delle scarpe nuove?»
La figlia di Hell gli sorrise e gli chiese scusa. «Però, se riesci ancora a scherzare, vuol dire che non ti sei fatto nulla» aggiunse.
«Sì. Per fortuna.» Jason sospirò e si passò una mano sui capelli. «State tutti bene?»
Rispondemmo tutti di sì, tranne Leo, che si fece sentire solo con un “la mia povera Argo II. Distrutta. Distrutta” ed Alex, che emise un mugolio incomprensibile. Astrid si precipitò accanto a lui, buttandosi sulle ginocchia e controllando freneticamente se stesse sanguinando. Altrettanto preoccupati, noi altri la raggiungemmo e formammo un capannello attorno a loro.
L’apprensione della mia amica non sarebbe servita ad aiutare il figlio di Odino e, in mancanza di un medico, serviva qualcuno che riuscisse ad agire in maniera distaccata, perciò mi chinai e chiesi: «Dove senti dolore, Alex?»
Il ragazzo guardò me, poi la sua ragazza, e ridimensionò la sua risposta: «La mia testa. Io… Io penso di averla sbattuta nell’atterraggio.»
«Non c’è sangue» intervenne Astrid. «Per tua fortuna.»
Alex cercò di mettersi seduto. «Piano» ammonimmo io e Astrid nello stesso momento, ma non c’era bisogno di ricordarglielo, viste le smorfie che faceva ad ogni movimento troppo brusco.
Mi rialzai. «Qualcuno sa se nell’infermeria abbiamo un antidolorifico, o qualcosa del genere?»
I nostri sguardi si puntarono inconsciamente verso la figura slanciata del figlio di Giove.
«Jason?» fece Leo, esprimendo il quesito comune.
«Che c’è?» ribatté quello, incrociando le braccia.
«Amico, davvero non capisci?» lo punzecchiò Percy.
Jason strinse gli occhi. «No» rispose, lapidario.
«Sei tu quello che si è beccato un mattone in faccia e una zoccolata sul cranio» gli spiegò Leo. «In teoria, dovresti conoscere piuttosto bene l’infermeria.»
«Non ha la testa dura come quella del capo» commentò Einar, lanciando un’occhiata ad Alex.
Jason divenne rosso in faccia. «Tu-voi-»
Piper sospirò e lo prese sottobraccio. «Vieni con me. Io mi ricordo benissimo» disse, trascinandolo via.
Alex li seguì con lo sguardo e ghignò.
«Oh, quindi la situazione ti diverte, eh?» lo rimbrottò Astrid. Se non fosse stato ferito, ero certa che gli avrebbe dato una scrollata, come si fa coi cuccioli disubbidienti. «Lanci rune a destra e a manca, svieni per lo sforzo, rischi un trauma cranico o un coma e poi te ne stai lì a ridere, giusto?»
«Hai dimenticato “vi salvo la vita”, tesoro» rispose.
«E non chiamarmi tesoro!» sbottò lei. La sentii borbottare un “idiota egocentrico”.
Forse per evitare che il silenzio si protraesse troppo a lungo, o più probabilmente perché lo pensava davvero, Frank disse: «Ad ogni modo, grazie, Alex.»
«Di nulla, amico» ribatté lui. «Non potevo certo permettere che ci spiaccicassimo al suolo.»
«Né resistere alla tentazione di rischiare la vita un’altra volta.» Astrid sbuffò e scosse la testa. «Lasciamo perdere.»
Mi morsi l’interno della guancia. Astrid avrebbe dovuto essere grata per essere amata da una persona come Alex. E credo che lo sia, pensai. Anche se per ragioni diverse da quelle che ho in mente io.
Avrebbe dovuto essere grata, perché Alex non avrebbe mai lasciato indietro nessuno. Non aveva lasciato indietro me, quando ero stata così ardita da voler cercare Percy in una terra di neve e ghiaccio. Aveva convinto la sua orda ad attraversare le parti più gelide e inospitali della Norvegia per riportare a casa me.
Alex considerava suo dovere salvare gli altri e, nel farlo, superava ogni volta i suoi limiti. Ma sarebbe arrivato un giorno in cui non sarebbe riuscito a saltare più in alto dell’asticella che lui stesso si era posto, e avrebbe fallito. Il senso del dovere poteva anche essere il suo difetto fatale, riflettei, però era sicuramente la sua più grande virtù.
Percy mi strinse la mano, strappandomi alle mie considerazioni. «Annabeth, lo vedi anche tu?»
Stavo per replicare “vedere cosa?”, quando li notai. I due guerrieri che ci avevano abbattuti stavano volando verso di noi. Accompagnavano un terzo uomo, a piedi, che puntava dritto verso di noi.
«Sì» dissi, stringendo la mano al figlio di Poseidone. «Lo vedo.»
«Ragazzi» chiamò lui, attirando l’attenzione di tutti. «Tenetevi pronti.»
Dietro di noi, la voce di Piper domandò: «Tenerci pronti? Cos’altro è andato storto?»
Leo scosse la testa, sconsolato. «Tutto è andato storto» si lamentò. «Aprire un buco nella pancia della nave non era abbastanza? Adesso, devono anche assicurarsi che siamo morti?»
Mentre la figlia di Afrodite porgeva il kit di pronto soccorso ad Astrid e, insieme a lei, cercava di aiutare Alex, Jason si accostò a me e scrutò l’orizzonte.
«Chi è il terzo guerriero?» indagò. «Alto, biondo e scintillante. Sembra Apollo. Solo che è impossibile, dato che siamo a Vanheim.»
Alex ed Einar si scambiarono uno sguardo. «È Freyr» spiegò quest’ultimo. «Dio dell’estate, della pioggia, eccetera. Il fratello di Freyja. Ci ha prestato la Skidbladnir a tempo indeterminato.»
«Se è dalla nostra parte, perché ha ordinato di eliminarci?» domandò Hazel, confusa.
«Chiediamolo a lui» replicò il figlio di Loki.
Aspettammo in trepidante attesa che ci raggiungesse. Man mano che si avvicinava, notavo diversi dettagli. Aveva parecchio in comune con Apollo, anche se era più basso e non aveva lo stesso incedere armonioso. Al fianco, portava un fodero intarsiato di pietre preziose e rune scintillanti, ma l’elsa che spuntava da esso non aveva niente a che fare con lo splendore del suo contenitore.
Si fermò davanti al muso di Festus. Benché fossimo sull’Argo II, la sua forma divina era abbastanza imponente da non farci sentire protetti. Si rivolse ai soldati, atterrati al suo fianco.
«Sono ancora vivi» disse. Non sorrideva.
Il tizio con cui aveva parlato Piper alzò le spalle prese parola: «Questi mezzosangue vogliono salvare il mondo. Hanno capito che, per iniziare, devono essere in grado di portare a casa la loro pellaccia.»
«Già. Suppongo sia così.» Freyr saltò sopra Festus e da lì sul ponte della nave. Si riportò indietro i lunghi capelli biondi e si presentò. «Benvenuti, semidei. Io sono Freyr, il signore di Vanheim.»
«Benvenuti?» ripeté Leo. «I suoi guerrieri avevano l’ordine di abbattere l’Argo II con noi a bordo, e saremmo i benvenuti?»
«Mi dispiace per quanto riguarda l’atterraggio rocambolesco» replicò il dio. «Odino disapproverebbe, ma io sono felice che siate vivi.»
«Non si direbbe» commentò Astrid.
Alex, che si reggeva a lei, chiese: «È stato mio padre a volere tutto questo, non è così?»
Freyr sembrava lievemente a disagio. «Non potevo rifiutarmi» farfugliò. «Ho sempre sostenuto i semidei, io. Non sono loro nemico. Però…»
«Sappiamo che è dalla nostra parte, divino Freyr» intervenne Piper. «Ci domandiamo solo perché non possa continuare ad esserlo.»
«Odino…»
«Teoricamente parlando, ha già eseguito gli ordini di Odino» lo anticipai. «Doveva abbatterci e l’ha fatto. Non siamo morti, è vero, ma lei ha fatto quello che doveva fare. Se ora ci permette di continuare la nostra missione, non le potrà essere mossa alcuna accusa.»
«Mi piacerebbe che fosse così, ma, mio malgrado, Odino sa come funzionano gli scontri aerei. Ho ordini e contrordini da eseguire.» Freyr sospirò. «Siete sopravvissuti per caso. Ora, il mio compito è quello di uccidervi.»
«No!» gridai. Il dio mi fissò con un’espressione stupita in volto e mi costrinsi a mantenere un tono pacato. «Ucciderci non è la soluzione. Se lo facesse, nessuno eviterebbe il risveglio di Gea. Insieme ad Ymir, i due giganti distruggerebbero il mondo. Divino Freyr, sa bene che questo non può accadere. È di vitale importanza trovare un’altra soluzione.»
«Annabeth ha ragione» mi spalleggiò Alex. Si appoggiava ad Astrid, ma la sua voce era ferma. «Lei più di tutti comprende che gli Dèi e loro figli devono collaborare. Ci ha fatto dono della Skidbladnir. Ora, ci dia le possibilità di portare a termine la nostra impresa.»
Il dio rifletté. «Sono da sempre molto sensibile al tema Ragnarok» disse, studiando attentamente le parole. «La fine dei tempi… è qualcosa di cui conosco gli aspetti più oscuri. Per questo, non posso permettermi di disobbedire a Odino. Ma, dall’altra parte, impedirvi di compiere il vostro dovere mi è altrettanto intollerabile.»
«Quindi ci aiuterà?» chiese Hazel.
La divinità annuì. «Sì, lo farò. Per quanto possibile» confermò.
Un barlume di speranza si accese dentro di me. Ringraziai mentalmente Freyr per non essere un dio accecato dall’odio. Poter trattare con lui era una vera benedizione.
«Vi lascerò procedere» disse. I suoi occhi verdi si fecero impenetrabili. «Ma i Romani resteranno a Vanheim.»
«Cosa?» esclamò Alex. «Non possiamo separarci!»
«Sono incredibilmente dispiaciuto» continuò Freyr, in un tono che non esprimeva affatto il suo incredibile dispiacere. «Comprenderete che è l’unico modo. Odino non permetterebbe mai a dei semidei romani di attraversare uno dei nove mondi e passarla liscia. Di voi dieci, tre verranno con me. Sette mi sembra un numero più che sufficiente per procedere.»
«Non è una questione di numeri» tentai di spiegare. «C’è una profezia…»
«Il Fato è mutevole» mi liquidò Freyr. Alzò una mano e, senza nemmeno voltarsi, comandò: «Guerrieri, catturate i Romani.»
 

♦Astrid♦


 
«Che giornata meravigliosa!» esclamai.
Il sarcasmo che trasudava dalle mie parole avrebbe potuto uccidere un uomo. Questa era una giornata tutt’altro che meravigliosa.
Ovviamente, quando Freyr se n’era uscito con quella battuta rubata a una film dedicato alla storia degli Antichi Romani, non ce n’eravamo rimasti con le mani in mano. Per il tempo che i guerrieri di Volkvanger avevano impiegato a salire a bordo, noi dieci avevamo sguainato abbastanza armi affilate da poter riempiere una rastrelliera da addestramento.
Frank si era trasformato in un grizzly e aveva caricato i nemici. I due l’avevano evitato gettandosi a terra e, quando si erano rialzati, avevano le loro viverne a spalleggiarli. Una delle due aveva emesso un grido che mi aveva perforato i timpani. L’udito animale di Frank era ben più sensibile e quel suono lo aveva costretto a ritornare umano. Alla viverna era bastato afferrarlo per la maglietta e levarsi in volo. Einar l’aveva bersagliata di frecce, finché non era stata troppo lontana. Se avesse continuato, avrebbe potuto colpire accidentalmente il figlio di Marte.
Da quel momento in poi, la situazione aveva iniziato a degenerare. Tenere a bada una viverna e due soldati super addestrati – i Berserkr morti finivano anche a Vanheim? – era molto più difficile di quello che sembrava. Io e Jason combattevamo schiena contro schiena. Piper lanciava prosciutti contro la viverna rimanente, che non sapeva se ingoiarli al volo o scansarli. Stufa di vederla ancora volare, Hazel aveva sollevato un blocco di granito e lo aveva scagliato nello stomaco della creatura.
Forse il rumore delle costole che si spezzavano e le strida di dolore della viverna erano state abbastanza per allarmare Freyr e indurlo a intervenire. Gridando in una lingua scandinava che non si sentiva più da ere, aveva ordinato ai suoi uomini di stare giù. Poi, aveva cominciato a brillare.
Jason aveva già avuto una brutta esperienza con gli Dèi che decidevano di assumere il loro vero aspetto. Aveva smesso di combattere per portarsi le mani davanti agli occhi. Gli avevo gridato nell’orecchio qualcosa tipo “siamo nel mezzo di un combattimento! Che diavolo ti prende?”, prima di rendermi conto del pericolo. Avevo appena fatto in tempo ad abbassare le palpebre.
Fu come se il mondo esplodesse. La luce andava al di là del concetto umano di potenza. Era come abbronzarsi sdraiati su un lettino direttamente sulla superficie del sole. Credetti che i miei occhi sarebbero bruciati. Per fortuna, non fu così.
La luce smise di premere contro le mie palpebre, le macchie che vedevo dietro di esse svanirono. Esitai comunque ad aprire gli occhi. Ne schiusi prima uno, poi, constatando che il bagliore era cessato, aprii anche l’altro.
Vidi due cose: la prima, che tutti noi eravamo vivi; la seconda, che Hazel e Jason erano scomparsi assieme a Freyr e i suoi scagnozzi. Era rimasta solo la viverna, che agonizzava al suolo.
Adesso, intenta a inchiodare assi sotto il sole cuocente, ironizzavo su quanto meravigliosa fosse la giornata.
Avrei di gran lunga preferito nuotare in una vasca piena di squali. Riparare l’Argo II? Non c’è problema. Il lavoro manuale mi dava fastidio? Affatto. Sudare a causa del caldo? Ci potevo passare sopra. Fare tutto questo senza una crema solare protezione cinquanta? Neanche per sogno.
Ero vestita di nero – novità – e tutti i raggi erano attirati da quel colore. Sentivo le spalle scottare e la pelle tirare. Prima di sera, avrei vinto il premio per Miss Gambero e non avrei potuto dormire sulla schiena per una settimana. Non avevo nessun motivo di sottoporre la mia pelle color cadavere a quella tortura, se non fosse stato che o riparavo la nave insieme agli altri e raggiungevamo i nostri amici a Volkvanger, o eravamo fottuti. Grande scelta.
Per lo meno, le chiacchiere mi distraevano dalla sofferenza fisica. Dovevamo ancora attraversare l’Atlantico e arrivare a Roma prima che Nico esaurisse i semi di melagrana che lo tenevano in vita, ma abbandonare Frank, Hazel e Jason non era un’opzione contemplabile. Non saremmo mai riusciti a sconfiggere Freyr in uno scontro frontale, sebbene avessi sistemato Thor per benino.
Questa volta, però, giocavamo a carte scoperte. Alex, Einar ed io avevamo studiato la geografia e la storia dei nove mondi nelle nostre estati al Campo Nord. Il figlio di Odino conosceva in dettaglio la formazione di Vanheim e i suoi miti, ma c’era un “ma”. Mentre il mio ragazzo sarebbe sopravvissuto a un’interrogazione di Hermdor sulle nostre radici perché aveva studiato i fatti più importanti, io e il figlio di Loki, per sconfiggere la noia, ci eravamo interessati ai fatti di cronaca nera. Per questo, eravamo a conoscenza delle prigioni di Vanheim, presiedute dai guerrieri di Volkvanger. Giravano strani racconti su quel luogo. Se il nostro piano fosse riuscito, sarebbe diventato uno di essi.
 
 
«Sei sicuro di riuscire a tenerli occupati, Percy?»
«Ho distratto mostri peggiori» rispose il figlio di Poseidone con un’alzata di spalle. «Non è così, Annabeth?»
Annabeth brontolò qualcosa che suonava tanto come “odio questo piano”. «Sì, Piper» rispose a denti stretti. «L’ha fatto.»
«Non preoccuparti, Miss Mondo. Hai già partecipato a un’evasione» tentò di rassicurarla Einar. «Recuperare il tuo amato sarà un gioco da ragazzi.»
La figlia di Afrodite si sforzò di sorridere, senza ottenere grandi risultati. «Atterriamo, allora.»
L’Argo II si produsse in strani e inquietanti rumori. Temetti che le riparazioni avrebbero ceduto e noi avremmo assaporato un secondo, terrificante atterraggio di fortuna. Il mio stomaco si rivoltava al solo pensiero. Grazie agli Dèi, arrivammo a terra senza alcun intoppo. Leo sospirò così forte che i suoi ricci si sollevarono sopra la sua fronte.
«Si va in scena» mormorò Einar, strofinandosi le mani.
Alex si apprestò a scendere. Lo fermai un attimo prima che salisse sulla scaletta e gli baciai delicatamente le labbra. «Niente più rune, okay?» dissi, guardandolo negli occhi.
Mi sorrise. «Starò attento» replicò. Dopodiché, si affrettò a raggiungere Percy e Annabeth.
Io, invece, mi avvinai a Piper ed Einar. Ci nascondemmo dietro Festus e, attenti a non farci scoprire, spiammo la scena che si stava svolgendo di sotto. La mia amica si era già calata nel ruolo di venditrice d’auto.
«È il semidio più potente del suo tempo!» stava dicendo. «Figlio di Poseidone, fratello di Zeus, il Re degli Dèi Olimpici!»
C’erano due soldati a guardia dei cancelli d’ingresso delle prigioni, un edificio che ricordava un’enorme drakkar rovesciata. Al suo interno, però, lo spazio era sapientemente organizzato in modo da creare corridoi labirintici. Non eravamo a conoscenza del numero di prigionieri, ma supponevamo non fossero molti: più che altro, eroi impazziti nell’attesa del Ragnarok e rovinavano l’atmosfera pacifica di Vanheim, o coloro che avevano fatto un torto a Freyr o Freyja.
In ogni caso, saremmo dovuti entrare per ritrovare Frank, Hazel e Jason. Percy sarebbe stato l’esca, che avrebbe distratto le guardie dalla porta principale, sperando che, con l’aiuto di Annabeth e Alex, avrebbe attirato anche gli altri uomini appostati lungo perimetro dell’edificio.
«Quindi non è il figlio di un re» insinuò uno degli uomini.
«No, avete ragione» disse la figlia di Atena. «Però, sapete… È risaputo che Zeus non sia poi così potente…»
«Alcuni dicono che non si meriti il trono» le venne in aiuto il mio ragazzo. «Ho sentito mio padre, Odino, discuterne con Tyr…»
«Odino e Tyr?» fece quello, scambiando un’occhiata con il suo compagno. «Vediamo che cosa sa fare.»
«Va bene. Mi sto annoiando» accettò l’altro.
«Ah, no» saltò su Annabeth. «State scherzando? Il figlio di Poseidone non si esibisce mai di fronte a un pubblico così esiguo.»
«Non spreca certo i suoi enormi poteri solamente per uno spettacolino da niente» continuò il figlio di Odino.
La bionda annuì convinta. «Da buoni manager, non possiamo permettere che l’eroe si stanchi così.»
«Sottoscrivo» disse Alex. «Se la situazione è questa, ritorniamo sulla nostra nave e ce ne andiamo.»
«Non avreste altri amici da invitare?» domandò Annabeth. «Disdire la tappa a Vanheim sarebbe un vero peccato. La tournée ne risentirebbe.»
Trattenni a stento una risata. Mi girai verso gli altri e sorrisi ancora di più, nel constatare che anche i miei amici si stavano scompisciando dalle risate.
«Alberigo, che dici?» chiese una guardia.
«Ah, Gottfried, io sono curioso di vedere lo spettacolo. I greci sono sempre stati bravi in queste cose, no?» ribatté Alberigo. «Vado a chiamare Hartmann e gli altri. Nelle loro postazioni ci si annoia sempre a morte.»
Non appena lo vedemmo allontanarsi, io, Einar e Piper abbandonammo il nostro nascondiglio. Corremmo sottocoperta e uscimmo dal portellone sul fondo, dopodiché costeggiammo l’Argo II e aspettammo il segnale di Annabeth. Quando disse che Percy, nel frattempo, avrebbe fatto qualche esercizio di riscaldamento, uscimmo allo scoperto.
Rapidi come furetti, superammo la guardia Gottfried e ci infilammo al di là della porta. Giusto il tempo di respirare, prima di continuare la missione di salvataggio. Procedemmo spediti lungo il corridoio principale. Alla prima svolta a destra, ci imbattemmo in due uomini in armatura, che ci bloccarono l’ingresso.
«Siamo qui per conto di Freyr» esordì Einar, usando un pizzico dei suoi poteri. «Dobbiamo controllare le condizioni dei nuovi prigionieri.»
«Nessuno può vedere i Romani» replicò il guerriero di sinistra.
«Abbiamo ricevuto gli ordini direttamente da lui» obiettai. «Le vostre istruzioni sono errate. Con noi, viene anche una figlia di sua sorella, la splendida Freyja.»
Piper mi lanciò un’occhiata che voleva dire “che stai blaterando? Dovevo solo usare la mia lingua ammaliatrice, non fingermi la figlia di un’altra dea!”, ma fu costretta a ricomporsi e a portare avanti la farsa: «È così. Sareste così gentili da mostrarci la strada? Mia madre ve ne sarebbe molto riconoscente.»
Un angolo della bocca di Einar schizzò verso l’altro. «E voi sapete com’è concessiva Freyja, quando è riconoscente.»
I due uomini sorrisero sornioni. Senza più fare domande, batterono i tacchi e ci condussero verso le celle giuste. Senza loro due a farci da guida, mi resi conto che ci saremmo persi nei meandri della drakkar rovesciata. Al momento, però, speravo solo che Freyja me la facesse passare liscia.
Infine, arrivammo davanti alle prigioni in cui erano tenuti i nostri compagni. Quando ci vide, Hazel dovette trattenere un grido affettuoso. Lentamente, Jason si alzò in piedi e si sporse oltre le sbarre.
«Cosa succede?» domandò, rimanendo impassibile.
I due guerrieri lo ignorarono e si rivolsero a noi. «Ecco i Romani» disse una. «Le sbarre e le catene sono di fattura nanica, niente di meglio in circolazione. La massima sicurezza è garantita anche solo da quelle.»
Einar si finse riflessivo. «Mi piacerebbe vederle più da vicino. Sono sempre stato un estimatore dell’arte nanica.»
«Questi sono prigionieri pericolosi.»
Dolce ma determinata, si fece sentire Piper: «Ma la massima sicurezza non era garantita anche unicamente dalle catene?»
Le guardie si guardarono, titubanti.
«Avanti» incalzò la figlia di Afrodite. «Aprite le celle.»
Se avessi avuto le chiavi in mano, la forza del suo potere mi avrebbe spinto a fare come desiderava all’istante. Evidentemente, però, il senso del dovere di quei tizi era ben radicato, perché non si lasciarono ammaliare.
«Siamo dispiaciuti, figlia di Freyja» replicò uno dei due. «Ma questo non è possibile. Speriamo che la visita possa soddisfare tua madre e tuo zio.»
Piper si morse il labbro. «Capisco.» Ci lanciò un’occhiata. «Anche noi siamo dispiaciuti.»
Non ci fu bisogno di altre parole. Einar prese la guardia più vicina a lui, mentre io mi occupai dell’altra, quella di sinistra. La spinsi contro la cella di Jason, premendo la sua faccia contro le sbarre. Evitai d’un soffio una gomitata diretta allo stomaco, sfilai un pugnale dalla cintura del mio avversario e gliela premetti sulla pelle morbida del collo. Per tenerlo fermo, dovetti schiacciarlo contro le sbarre utilizzando tutto il peso del mio corpo.
«Jason» sibilai. «Ti sarei grata se prendessi le sue dannate chiavi.»
«Traditori» biascicò la guardia, agitandosi sotto la mia presa e tentando inutilmente di non farsi sottrare il mazzo.
«Non continuerei con gli insulti, se fossi in te» gli suggerì il figlio di Giove, mentre si apriva le manette. «La mia amica è pazza. Potrebbe tagliarti la testa su due piedi solo perché ne ha voglia e non avrebbe nessun rimorso.»
«Tu non sai niente. Io-»
Sbuffai sonoramente. Colpii la tempia dell’uomo con l’impugnatura del suo pugnale, mandandolo al tappeto. Jason fece scattare la serratura della cella e uscì fuori. Piper lo investì con un abbraccio, senza curarsi del tizio svenuto a cinque centimetri dalle sue scarpe. Io voltai la testa di lato e sorrisi ai di nuovo liberi Frank ed Hazel.
«Muoviamoci» disse Einar. «Non sappiamo quanto tempo ci resti.»
Piper si separò dal suo fidanzato e annuì. «Hai ragione.»
Mentre ripercorrevamo di corsa il corridoio, Jason mi chiese: «Che cosa avete escogitato per tirarci fuori da qui?»
«”La mia amica è pazza”?» scandii, scegliendo di non rispondergli.
Il figlio di Giove mi rivolse un sorrisetto compiaciuto. «Sei arrabbiata perché ti ho definito “mia amica” oppure “pazza”?» replicò.
Gli lanciai un’occhiata di fuoco. «Non è il momento giusto per farti venire il senso dell’umorismo, Grace. Sono ancora in tempo a rinchiuderti.»
«Sarà per un’altra volta, invece» replicò lui. «L’uscita è proprio davanti a noi.»
«Ah. Il dispiacere mi corrode» commentai, sarcastica.
Hazel tossicchiò. «Ragazzi, per favore. Dobbiamo ancora arrivare all’Argo II sani e salvi.»
Non appena varcammo la porta principale, ci trovammo di fronte a una scena alquanto esilarante. Annabeth e Alex guardavano Percy eseguire il suo numero come genitori orgogliosi. Peccato che il figlio di Poseidone fosse impegnato a innalzare getti d’acqua da due dei gabinetti installati sulla nave, sfidando gli osservatori a indovinare quale sarebbe arrivato più in alto quella volta. Facemmo in tempo a raggiungere l’Argo II, prima di essere scoperti dalle guardie raggruppate in cerchio davanti all’ingresso principale. Una di loro lanciò l’allarme. Subito, tutte le altre sguainarono le loro spade e puntarono le loro lance.
Da dietro i controlli, Leo ci gridò di sbrigarci. «Salite, salite, salite!» urlò. «Scattanti, mis amigos
Mentre salivamo a bordo il più fretta possibile, Percy diresse il getto dei due wc contro i guerrieri, che vennero investiti in pieno. Lui, Alex e Annabeth se la diedero a gambe, raggiungendo l’Argo II in tempo record. Leo fece decollare la nave, lasciandosi dietro una serie di insulti e commenti poco carini dai soldati di Volkvanger riguardo la doccia inaspettata. Impostò la rotta e la velocità, dopodiché si abbandonò sullo schienale, incrociando le mani dietro la testa.
«Ragazzi» disse. «Tutto ciò è stato epico.»
Einar sorrise. «Concordo, amico» confermò. «Concordo appieno.»

 
koala's corner.
Bentornati, semidei! Anche se probabilmente non vorrete più vederci, dopo questa lunga assensa... MA non importa, perché noi siamo imperituri e ritoneremo sempre. A volte con aggiornamenti lampo, a volte dopo intervalli di tempo maggiori che tra l'episodio VI e VII di Star Wars, noi ci saremo.
Poi, siamo giustificati. AxXx aveva la sua ragazza che non poteva ignoare e anche io avevo io avevo i libri da leggere. Libri! anche loro non si lasciavano ignorare lol
Freyr qui si mostra un pochino più reticente rispetto alle storie precedenti perché Odino è sempre più fuori di testa e nessuno è al sicuro. Neanche voi OuO
Assistiamo a una piccola riappacificazione tra Einar e Leo, anche se ci sarà ancora strada da fare per ritornare all'antico splendore (?)

Per tutte le volte che li hanno nominati, agli Dèi saranno fischiate le orecchie :P Per fortuna, nulla è andato storto.
Non ancora, vorrai dire...
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, un abbraccio e alla prossima!

Soon on Vendetta del Nord: Thor è ancora alle loro calcagna. Devono incontrare Eracle. Chi dei due bamboccioni l'avrà vinta? *zan-zan*

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Capitolo 13
*** EINAR/FRANK • Dei-menti alla riscossa: Thor vs. Eracle ***


Dei-menti alla riscossa: Thor vs. Eracle

∫ Einar ∫


«Se facciamo un conto, abbiamo schivato Thor, attraversato Vanheim, infinocchiato i signori guerrieri di Volkvanger e attraversato un secondo portale. Capo, ti stai superando» dissi, mentre la barriera si dissolveva, lasciandoci tornare su Midgard.
«Be’, grazie.» Alex sbuffò stanco e si accasciò contro il parapetto. «Ma non credo di poter fare nient’altro per i prossimi due giorni.»
«Per una volta siamo d’accordo su “niente più rune”.» Astrid gli fu subito accanto, sbuffando contrariata. «Devi sempre strafare.»
«Altrimenti non sarebbe Alex Dahl» replicai, con un sorrisetto. «E non ti concederesti a lui tanto facilmente.»
La mia esperienza nei confronti delle reazioni di Astrid era, ormai, ampia. Ed infatti riuscii ad evitare un pugno che, altrimenti, avrebbe rotto il mio già più volte devastato naso.
«Sta’ zitto, Larsen» sibilò, tornando a tubare su Alex. «Meglio se tu, invece, ora vai a riposare.»
«Credo sia una buona idea» confermò il figlio di Odino, arrancando verso la scaletta di discesa, proprio mentre gli altri riemergevano.
«Be’, siamo fuori dal territorio di quei pazzi» commentò Frank, ancora acciaccato dopo la sua permanenza nelle segrete dei Vani.
«Dai Zhang, non erano tanto male. Non hai ancora conosciuto gli Asi» replicai con un sorrisetto.
Il figlio di Marte arrossì, borbottando qualcosa che non sentii bene, ma suonava tanto come “non ci tengo affatto a conoscerli”, mentre Hazel gli dava una pacca sulla spalla.
«Be’, ora dobbiamo essere il più possibile rapidi» dichiarai, decidendo di tagliare corto e guardai all’orizzonte. «Dove ci troviamo esattamente?»
«Secondo il radar, tra una decina di minuti saremo allo Stretto di Gibilterra» rispose Leo, che stava controllando la console di comando. «Direi che abbiamo guadagnato 12 ore al massimo.»
«Avremmo potuto guadagnare un intera giornata, se Freyr non ci avesse fermati» sbuffò Jason, contrariato. «Ma poi, non ho capito… Perché ci ha ostacolati? L’ultima volta non ha fatto molto caso al mio essere romano.»
«Oh, quello, temo, sia Odino» gli spiegò Astrid. «Non credo che Freyr sia mai stato un vostro nemico. I Vani sono più pacifici degli Asi, maa sono sottomessi a loro. Odino ordina e loro eseguono. E in tempi come questo è meglio non contraddirlo.»
«Ma se Ymir è così pericoloso, perché Freyr non lo affronta?» chiese Piper, accigliata.
«Credo che il Re degli Dèi stia diventando un tantino paranoico. Forse pensa di affrontarlo come lo affrontò in passato, da solo. Così manda gli altri Dèi a difendere altri fronti» spiegai, amareggiato.
«Come se Zeus schizofrenico e Gea sul piede di guerra non ci dessero già abbastanza problemi» sbuffò Percy, appoggiandosi al parapetto.
La nave rollò tranquilla, appoggiandosi sull’acqua, quasi scivolando sul sottile schermo liquido, mentre avanzavamo verso i due lembi di terra che delimitavano il Mediterraneo.
«Ok, gente, ormai ci dovremmo essere» ci informò Leo, rallentando. «Siamo davanti al Mare Nostrum.»
Man mano che ci avvicinavamo, notai che lo stretto era molto trafficato; non solo navi mercantili: ogni circa venti minuti, vedevamo un traghetto profilarsi all’orizzonte, passando tra i due lembi di terra. Quando fummo molto vicini, ci passò accanto una nave da crociera, regalandoci uno scroscio di saluti dei molti turisti incuriositi dalla nostra presenza: evidentemente una trireme greca di tremila anni fa era uno spettacolo divertente, sempre che fosse quello che la Foschia faceva vedere loro.
Alla nostra sinistra, iniziò a prendere forma un promontorio su cui era stata costruita una specie di rocca di avvistamento di pietra. Alla nostra destra, più lontano, si intravedeva un altro lembo di terra, sicuramente la costa africana.
«Va bene, passiamo.»
Leo attivò il rotore, pronto ad imboccare lo stretto, ma Jason lo fermò.
«Aspetta!» Il figlio di Giove sembrava nervoso. «Credi davvero sia una buona idea?»
«Amico, questo è lo stretto di Gibilterra, passano centinaia di navi al giorno» gli fece notare Percy. «Nessuno farà caso a noi.»
«Ma noi siamo una nave di semidei» replicò Piper.
«Pipes ha ragione. Dobbiamo almeno onorare Eracle» le dette man forte Annabeth.
«Ed in che modo, se posso chiedere?» domandai, divertito.
Non avevamo modo di sacrificare un bel nulla ad Eracle, e nemmeno il tempo era qualcosa di cui disponevamo in abbondanza.
«Non lo so, ma questo luogo ha una valenza sacra. È il confine del Mondo Antico. In un certo senso è come se noi tornassimo alle origini dei nostri Dèi. Qui Eracle pose le sue colonne, che lo rendono celebre ancora oggi tra i mortali. Dobbiamo porgergli i nostri rispetti o rischiamo di trovarcelo alle calcagna, esattamente come Thor» spiegò la figlia di Atena, in tono paziente.
Stavo per replicare con una delle mie battute, quando mi accorsi che Percy si stava comportando in modo strano: invece di parlare, cosa che faceva di solito, fissava un punto non ben definito sulla rocca di Gibilterra. Seguii il suo guardo ma non vidi nulla, eppure lui sembrava intento a decifrare un codice segreto importantissimo.
«Non Plus Ultra»recitò quasi in trance.
«Come fai a saperlo?» chiese Annabeth, allibita.
«Non lo so. È scritto lassù» rispose semplicemente, indicando le rocce della scogliera.
Appena ci sporgemmo per accertarcene, il paesaggio cambiò. All’inizio mi parve come una leggera foschia, poi, al centro dello stretto, iniziò a condensarsi una specie di atollo che, in poco tempo, si trasformò in un’isola vera e propria con tanto di spiaggia con sabbia bianchissima. Sulla battigia era appostato un giovane ragazzo. Eravamo ancora distanti e non riuscii a distinguere i lineamenti, ma non era difficile intuire chi fosse.
«Ragazzi… ehm… che faccio?» Leo sembrava in panne, un po’ preoccupato e un po’ turbato. «Possiamo decollare, se volete. Passiamo per aria, così non ci può inseguire... Penso.»
«Non sarebbe una cattiva idea» sussurrò Piper, che sembrava molto turbata.
«Se quello è davvero Eracle, visto il modo in cui ci aspetta, non sarebbe una cattiva idea» ammisi, cercando di nascondere il nervosismo.
«Nada, amigos. I miei radar indicano una grande perturbazione accompagnata da un’incredibile energia divina in avvicinamento. Frank, secondo te Thor quanto ci mette a raggiungerci?» scherzò Leo, anche se lo conoscevo abbastanza bene da poter dire che era nervoso.
Mentre Frank biascicava qualcosa contro Thor, diventando leggermente più pallido, mi chiesi se non fosse il momento adatto per riappacificarmi con il figlio di Efesto. Scossi il capo. Avrei aspettato un momento migliore, magari uno in cui non ci saremmo dovuti scontrare con due Dèi con troppi muscoli e troppo poco cervello.
«In poche parole siamo tra incudine e martello» commentò Percy accigliato. «L’unica è tentare di passare da qui.»
Astrid sbuffò: «Be’, fantastico, siamo dieci eroi esausti contro Ercole. Ce la faremo di sicuro.»
«Io ho un’idea migliore: perché non proviamo a parlargli?» consigliò Annabeth.
Ci fu una piccola discussione su chi dovesse andare. Percy avrebbe voluto parlargli, ma dopo una breve discussione, decidemmo che sarebbero andati Jason, che condivideva il padre con Eracle, e Piper, che avrebbe potuto usare la lingua ammaliatrice in caso di necessità.
Mentre quei due volavano verso Eracle, Leo fermò la nave e ci preparammo ad una lunga attesa.
«Io vado di sotto, da Alex» disse Percy, abbastanza contrariato, come se non andare lo avesse offeso.
Io mi appoggiai al parapetto della nave, osservando come procedevano le cose sulla spiaggia con Eracle. Da quella distanza si riuscivano ancora a vedere i nostri amici. Jason atterrò praticamente subito, spostando la sabbia in un piccolo vortice, mentre, alle nostre spalle, le nuvole si addensavano.
«Si direbbe che Thor sia molto vicino» commentò Leo, che approfittava della fermata per dare un’occhiata ai danni provocati dai numerosi attacchi.
«Sicuramente ha voglia di vendicarsi dello smacco subito» ipotizzai, alzando le spalle.
«Sarebbe molto bello andarsene» sbuffò Frank, che camminava avanti e indietro sul ponte. Era palesemente agitato.
«Abbi fiducia nei nostri amici. Superman può far ragionare suo fratello» provai a rassicurarlo, proprio mentre vedevo Jason e Piper allontanarsi da Eracle, girando dietro l’isola.
Quell’avvenimento iniziò a farmi preoccupare: se il dio aveva dato loro dei problemi, perché non tornavano? E dove stavano andando? Presi in considerazione l’idea di proporre uno sbarco per vedere che succedeva, ma poi pensai che Eracle avrebbe potuto non gradire e, se le leggende erano vere, decidere che un disastro navale potesse rallegrare la sua giornata.
«Posso chiederti una cosa?»
Frank si era avvicinato e stava anche lui, osservando la costa.
«Se posso rispondere, volentieri.»
«Ieri Thor mi ha detto che ho sangue di Loki. Ma a quel che so non ho discendenti norreni.»
«Ah, quello… Credo sia per la tua capacità di mutare forma. È comune tra i miei fratelli» risposi, ridacchiando.
Il figlio di Marte si accigliò. «Non mi pare che tu ti trasformi.»
«Be’, non tutti i figli di Loki sono mutaforma. Io ho il dono dell’illusione, altri sono cambiano aspetti e altri ancora possono manipolare il fuoco come mister Valdez qui presente» risposi, facendo un cenno verso il figlio di Efesto. «Se gli Dèi avessero un DNA, direi che dipende dai geni. Ho un’altra teoria, però. Secondo me, io non muto forma perché sono già perfetto così come sono.»
In quel momento, Jason e Piper tornarono a farsi vedere sulla spiaggia. Sembravano messi male: i vestiti bagnati ed i capelli appiccicati, come se li avessero ficcati in una lavatrice. Eracle appariva irritato, ma nascondeva il tutto sotto uno sguardo ferreo, mentre li aspettava. Mi morì il sorriso sulle labbra.
«Ehi, Leo. Prepara i motori, sento che la situazione sta per raggiungere un finale… inatteso» avvertii, mettendo mano all’arco.
Il figlio di Efesto alzò lo sguardo sull’isola e si accigliò. «D’accordo, mi preparo.»
Andai a dargli una mano ad accendere i motori, mentre Frank correva di sotto ad avvertire gli altri. La rapidità con cui ci muovemmo era imbattibile, eccetto che per un dio. Sull’isola di Eracle Piper fece qualcosa di strano che sommerse il figlio di Zeus sotto una valanga di frutta, verdura e cibo in generale. Nello stesso istante, Jason le cinse la vita e prese il volo, diretto alla nostra nave.
«Ragazzi, andiamocene!» urlò, mentre atterrava. «Prima che Eracle si liberi!»
«Ottima idea» commentai, mentre la nave si alzava in volo.
La nave si alzò dal pelo dell’acqua cigolando a causa delle riparazioni frettolose. Eravamo già sopra l’isola di Eracle – che stava ancora cercando di liberarsi dalla montagna di cibarie – quando un forte vento contrario bloccò la nostra fuga.
«Oh, e adesso che diavolo succede?» gridò Piper, che reggeva uno strano corno cavo gigante come se fosse un fucile.
La risposta arrivò piuttosto rapidamente: le nubi ci raggiunsero in fretta ed un tuono esplose al centro del ponte.
Thor doveva aver visto giorni migliori. Dopo il bagno causato da Frank, i suoi capelli e la sua barba sembravano avere la consistenza di una spugna con svariate alghe impigliate. L’armatura doveva aver preso molta acqua, l’elmo era sparito e gli mancava persino uno stivale. Tuttavia  sembrava meno arrabbiato del solito.
«Me l’avete fatta, eh? Siete delle canaglie. Ma vi sistemerò io. Dov’è il tipo che mi ha buttato a mare? Voglio complimentarmi con lui, prima di spaccargli la testa. Non sono in molti a dire di potermi aver battuto, sapete?»
Parlava con tranquillità, come se fossimo gli amici con cui andava a prendersi una birra al bar. Ma noi sapevamo bene di non poterlo affrontare direttamente.
Leo e Jason avevano poteri limitati: usare i fulmini contro Thor? Pessima idea. Anche il fuoco serviva a poco. Alex era distrutto in infermeria, il che ci rendeva vulnerabili: la sua magia era fuori discussione. Astrid non poteva portare via tutti. Hazel e Frank erano ancora un po’ provati per lo scontro con i Vani. Insomma, eravamo solo io e Piper con voce, pugnali e corno-strano-che-è-figo-ma-non-so-a-cosa-serva.
Stavo per lanciarmi in un eroico ultimo scontro da far impallidire il capo, quando avvenne il miracolo: Eracle ci salvò.
«Dove siete, maledetti!? Io vi… E tu che ci fai qui!?»
Il dio era apparso sul ponte brandendo la mazza con rabbia, tanto da farla passare a pochi millimetri dal divino naso di Thor, il quale fece scattare la testa all’indietro.
«To’, ma guarda un po’ chi si rivede! Il caro, vecchio beota Eracle» esordì, fissandolo con aria di superiorità.
Ora che lo vedevo bene, Eracle era leggermente diverso da come me l’ero figurato. Avevo sempre pensato a lui come un Thor castano, con barba incolta, muscoli pompati e pelle color abbronzata. Quest’ultimo particolare era effettivamente coerente, ma il resto era molto diverso: non sembrava avere più di vent’anni e portava i capelli tagliati corti, in stile militare, e al posto della veste di leone indossava quello che sembrava un abito vescovile.
Infine, sembrava non sopportare essere definito “beota”.
«Per la Barba di Zeus, non sono un Beota! Io sono Miceneo!» si inalberò, roteando la mazza. «E comunque, tu stai superando il confine! Qui siamo nel mio territorio, Thor.»
«Sarà una mia impressione, ma le Colonne sono più avanti rispetto a noi, quindi siamo ancora in Terra di Nessuno» replicò l’altro, tirandosi la barba pensoso.
Fantastico! Ce ne mancavano due di pazzi!, pensai, non arrischiandomi a parlare, nel timore di attirare la loro sgradita attenzione su di me.
Vidi gli altri arrovellarsi alla ricerca di una soluzione, così mi spremetti le meningi per trovarla pure io. Quei due Dèi erano degli idioti patentati, alla fine: rumorosi, egocentrici e abbastanza stupidi. La loro forza era l’unico punto a loro favore.
E se la usassimo contro di loro? realizzai, mentre un’idea folle prendeva piede nella mia mente.
«Divino Thor!» esclamai, fingendo una reverenza, chinando la testa in un profondo inchino. «Lei ha proprio ragione, sa? È lei che deve distruggerci. Sarebbe un grandissimo onore, per noi, essere disintegrati da lei. Il divino Eracle non è all’altezza del compito. Ha visto che ci raggiunti persino dopo di lei?»
Jason mi guardò come se fossi pazzo, ma, al suo fianco, il volto di Piper si illuminò di comprensione e resse il gioco decisa.
«Il mio compagno ha proprio ragione. Lei è molto meglio di Eracle» affermò, infondendo tutto il suo potere ammaliatore in quelle parole.
«Avete proprio ragione, mezzosangue» commentò il dio del tuono, raggiante. «Bisogna sempre essere attenti nelle modalità di morte. Modestamente, io offro garanzie ottime per questo. Mjolnir non fallisce mai.»
«Ne sono assolutamente convinto, signore» concordai, sperando che il mio piano avesse successo.
Per fortuna Eracle era abbastanza stupido da cascarci.
«Aspettate un momento!» protestò, mentre il suo volto assumeva una vivace sfumatura viola. «Come vi permettete di ignorarmi così? Io sono il migliore! Devo forse ricordarvi le mie dodici fatiche? Ho ucciso così tanti mostri con così tante armi diverse che posso offrirvi una morte migliore di quella che vi può dare questo grosso imbecille!»
«Ma se sei soltanto un misero dio minore! Non voglio essere ucciso da un deucolo di serie B.»
«Le tue dodici fatiche sono più vecchie di mio padre. Largo alle innovazioni!»
«Innovazioni un corno! Per la Folgore di Zeus, siamo nel mio territorio! Decido io come e chi si uccide!» sbottò Eracle, indignato, stringendo la mazza così forte da far sbiancare le nocche. «E guai a chi mi contraddice!»
«E saresti tu a impedirmi di ucciderli, eh, beota?» chiese Thor, sporgendosi verso di lui, come a sfidarlo a colpirlo. «Io prendo ordini solo da Odino in persona!»
Il dio greco doveva avere molto a cuore quel genere di sfida dato che, con un fluido movimento del braccio, colpì il dio del tuono così forte da farlo volare fuori bordo.
«Ti ho detto che sono miceneo!» precisò, mentre Thor si faceva l’ennesimo bagno e – forse – perdeva anche l’altro stivale.
Deglutii: forse avevo sopravvalutato la forza dei nostri Dèi.
«Ora torniamo a noi. Vi dovevo distruggere, no?»
Eracle alzò la mazza, pronto a colpire, ma qualsiasi azione volesse portare a termine, non  ci sarebbe mai riuscito, visto che Mijolnir gli arrivò dritto in faccia, facendolo cadere dalla nave. Thor emerse dal mare, con l’aria di chi aveva avuto una brutta giornata, e si lanciò contro Eracle, scagliandolo contro la costa africana.
«Semidei, aspettatemi qui! Prima distruggo il beota, poi potremo parlare della vostra garanzia di morte» ci disse, volando verso la costa africana, richiamando il suo martello.
«Sapete che vi dico? Non ci tengo a sentire la sua offerta di morte dolorosa» commentò Leo, mentre le sue mani si affrettavano ai comandi, facendo ripartire la nave.
«Nemmeno io. Bel lavoro, Miss Mondo» la ringraziai, tirando un sospiro di sollievo: li avevamo fregati.
«Di nulla, Einar. Per fortuna non si sono accorti della presa in giro!» disse la figlia di Afrodite, sedendosi sulle dure assi di legno del ponte, per il sollievo.
 
☼Frank☼
 
Fui molto felice di non rivedere Thor. Dopo la mia ultima trasformazione in insetto per stenderlo, avevo la sensazione di non essere in cima alla lista di suoi migliori amici. Io ed Hazel stavamo ascoltando insieme agli altri il modo in cui Piper ed Einar erano riusciti a farli combattere a vicenda, permettendoci di accedere al Mediterraneo.
«La mia domanda è: quanto credete che ci metteranno a raggiungerci?» chiese Jason, accigliato.
«Gli Dèi nordici ci inseguiranno ancora?»
«Ne dubito fortemente» commentò Alex. «Il Mediterraneo non è il loro territorio. Anche se i nostri antenati lo hanno solcato, preferiscono da sempre altre acque. Qui, la presenza greca e romana è da sempre troppo forte.
«Alex ha ragione. Approfittiamo del tempo che abbiamo per riposarci. Abbiamo schivato fin troppi Dèi, fino ad adesso. In questi giorni, toccherà ai mostri» convenne Annabeth, preoccupata.
Ormai era un pezzo che non parlavo, così decisi di prendere parola: «Secondo Reyna, qui vivono i mostri più aggressivi. Speriamo che le schermature reggano.»
«Tranquillo Zhang, reggeranno. Parola di Valdez» mi tranquillizzò Leo, con un sorrisetto.
Annuii compito, mentre cercavo di calmarmi.
Dopo quello che era successo a Nuova Roma, avevo passato un sacco di tempo a pensare a me ed Hazel. Tutto stava andando a rotoli e noi eravamo messi peggio degli altri. Quelli del Campo Giove ci avrebbero uccisi a vista. La missione era talmente importante da non lasciarmi dormire la notte.
Ma che ci potevo fare? Non mi sentivo di dare il mio contributo all’impresa. A parte trasformarmi in una carpa koi ed una zanzara andata a sbattere nell’occhio di un dio, il resto non mi aveva fatto sembrare un grande eroe. Avrei voluto dare di più, come facevano Alex, Percy, Einar  e Piper con i loro poteri, e Leo con la sua abilità da meccanico che ci avevano tirati fuori da diverse situazioni spinose.
A complicare le cose era la voce di mio padre che mi rimbombava in testa, sbraitando ordini contraddittori che andavano dal “Uccidi quei barbari!” a “Ah! È tutto ciò che sai fare, figlio?” intervallati da urla di dolore.
Hazel mi strinse la mano, preoccupata, e quel gesto bastò a farmi tornare lucido.
«A questo punto, direi che è tutto chiaro: dobbiamo solo puntare a Roma. Faremo dei turni di guardia per evitare di essere colti di sorpresa» decise Annabeth, guardandoci tutti come a cercare sostegno.
«Sono d’accordo.» Astrid annuì. «Inizierò io. Vedrò di tenere d’occhio i dintori ed evitare altri attacchi a sorpresa.»
«Be’, io do un’occhiata in sala macchine. Ormai non ci vuole poi molto per arrivare a Roma, ma dopo gli ultimi scontri, non vorrei mai che la nave vada in pezzi» ci informò Leo, alzandosi ed uscendo veloce.
«Vado con lui» saltò su Einar, tradendo la sua ansia. «E anche se la tua bella si è proposta per il duro lavoro, tu riposati, capo, che hai ancora mal di testa» aggiunse Einar, rivolto all’amico, cambiando simultaneamente argomento.
Mentre abbandonavamo la stanza, Hazel mi sfiorò il fianco. Aveva l’aria stanca, probabilmente provata per l’incursione nel regno dei Vani ed in generale per la missione.
«Tu stai bene, Frank?» chiese, quasi in un sussurro.
«Sto bene, davvero. Prima ero solo un po’ distratto» risposi, cercando di sorridere almeno un po’.
«Beato te! Io vorrei solo ritrovare Nico e tornare a casa.»
«Ehi.» Le sfiorai i capelli, sentendomi arrossire. Mi sentivo sempre mancare il respiro, quando la toccavo. «Lo ritroveremo. Domani saremo a Roma e lo salveremo. Ora possiamo solo riposare… E ci serve, visto tutto quello che è successo.»
«Hai ragione. Speriamo solo che non sia troppo tardi.»
Ci scambiammo un bacio, prima di separarci per raggiungere le nostre rispettive stanze, una di fronte all’altra. Quando entrai, crollai sul letto, distrutto dall’ansia e dalla stanchezza. Nei miei ultimi sprazzi di lucidità pregai Morfeo di non farmi sognare. Avevo imparato sulla mia pelle che i sogni portavano sempre brutti presagi, ma, a quanto pareva, anche questa preghiera rimase inascoltata.
Mi ritrovai sotto forma di uccello, forse una rondine, dato che sentivo la lunga e sottile coda biforcuta che, come un timone, mi permetteva di viaggiare tra le correnti d’aria senza timori. Stavo inseguendo un altro grosso volatile, quello che sembrava un grosso falco nero. Intorno a me c’era una specie di grigio indefinito, quasi fossimo sospesi nel vuoto o stessimo attraversando una nuvola carica di pioggia.
Procedevo come se conoscessi già la strada… O forse andavo semplicemente sempre dritto, dato che non c’era differenza tra una direzione o l’altra. Poi, ci fu una specie di boato ed il grigiore si aprì, rivelando le alte mura di una città, arroccata sopra quella che sembrava una gigantesca collina sospesa in spirali di nebbia.
Il falco si avvicinò alla porta principale, che appariva avvolta in una cascata dai molti colori, che si susseguivano secondo l’odine dell’arcobaleno, e vi entrò, seguito a ruota da me. Una volta oltrepassata la soglia, il falco si appoggiò delicatamente sul terreno ed iniziò a mutare.
Non avevo mai assistito ad un'altra trasformazione da mutaforma, ma mi chiesi se non capitasse lo stesso a me. Fu come vedere un albero passare da piantina ad una quercia secolare ad incredibile velocità. Le zampe divennero longilinee gambe umane, le ali braccia sottili. Il muso si allargò diventando più largo, le piume regredirono, rimanendo solo come vestiti. Rimasero solo sulla testa, ma cambiarono, trasformandosi in capelli dalla sfumatura rosso fuoco.
«Loki, figlio di Laufey» tuonò una voce profonda. «A cosa devo la tua spiacevole visita?»
Davanti a me apparve l’immagine di un uomo dalla folta barba scura e gli occhi azzurrissimi, tanto che sembrava avesse i raggi X. I lineamenti erano duri e lo sguardo penetrante. Ricordava vagamente Ares, o Eracle invecchiati. Il petto ampio era protetto da una pesante armatura e le bracci larghe come rami di sequoia sorreggevano uno scudo quadrato di dimensioni enormi, da far impallidire un legionario.
«Heimdallr, qual buon vento. Ed io che pensavo che tu fossi al fianco del nostro Re, in questi tempi difficili… Ultimamente sono pochi gli Dèi che lo aiutano» scherzò l’ex-falco, ovvero Loki.
«Parla meno, Ingannatore. Il mio sguardo coglie quasi tutto. Capisco perché hai scelto questo aspetto, il tuo primo volto, quello che ti calza meglio.»
«Sono dei complimenti, giuso?» Loki sogghignò. «E che cosa vedi, divino Heimdallr?»
«Vedo Gea e la dama dalle molte zampe a Roma. Vedo Vidarr, pronto a colpire con i Romani. Vedo che giungeranno presto. Ma tu rimani un incognita, Loki. Nascosto, come un ragno nella crepa. Qual è il tuo piano, questa volta?» sbuffò il guardiano, facendosi avanti con aria minacciosa.
«Il mio piano, Denti d’Oro? Il mio unico piano è quello di servire il Padre di Tutti» replicò Loki, con un sorrisetto lascivo.
A quanto pareva, però, Heimdallr sembrava molto poco convinto. «Non prenderti gioco di me, verme! So che trami qualcosa. Dici di spiare Gea, ma in realtà tessi con lei una qualche ragnatela ed io scoprirò che cosa intendi fare. Potrai impietosire Odino, ma a mio parere, dovevi rimanere legato a quella lastra per sempre!»
«Quanta aggressività. Non sai che ti fa male allo stomaco?» commentò il Dio del Fuoco, stranamente allegro. «Incredibile come la tua fedeltà per il nostro Re ti porti sempre a intrometterti in affari che non ti riguardano. Ovviamente Ymir sta per ucciderlo, ma tu ti preoccupi dei miei discutibili metodi di spionaggio. Visto che vedi sempre tutto, com’è che non cerchi di ritrovare Thor? O provi a fermare Ymir? Forse Odino non si fida più della sua vedetta, tanto da non affidargli più incarichi di rilievo come un tempo?»
«Non osare dire questo! Odino si fida ciecamente di me!» ringhiò Heimdallr, furibondo, portando mano alla spada.
«Tutto sommato nemmeno io mi fiderei di una sentinella che non riesce a vedere un gigante che rinasce… ma che ci possiamo fare? C’est la vie. A proposito, com’è che tu, grande guardiano, non accorri in aiuto di tuo padre, proprio ora che egli è più in difficoltà?» chiese ancora Loki.
Il suo interlocutore divenne paonazzo e borbottò una risposta che non capii bene, ma che suonava come: “Il Re ha ordinato.”
«Oh, giusto. E tu, da bravo soldatino, esegui. Accidenti, nemmeno negli scacchi c’è tanta ubbidienza» commentò il dio degli inganni, abbandonando Heimdallr come uno stoccafisso.
Lo seguii incuriosito, chiedendomi come mai i sogni mi mostrassero proprio questa scena. Procedemmo lungo in grande viale deserto, circondato da grandissimi palazzi, ognuno molto diverso dagli altri. Un gigantesco edificio, però, troneggiava su tutti e, dalla cima, si vedevano i rami di un albero immenso.
«Ti piace la vista, Frank?»
Sobbalzai, rendendomi conto che ero in forma umana e che Loki mi stava fissando.
«C-come…?»
«Come faccio a vederti? Sono il dio della magia e degli inganni. Percepisco i viaggi onirici come tu percepisci il vento che ti sfiora la pelle» replicò lui, con un sorrisetto.
«Sei stato tu a portarmi qui?» chiesi, cercando di darmi un contegno.
«Io? Sinceramente no… Anche se non credo che io possa dire qualcosa sinceramente» precisò ridacchiando, lasciandomi abbastanza inebetito. «Ad ogni modo, questo è un piacere per me. Ho l’onore di incontrare l’ennesimo vincitore di Thor. Sembra che ultimamente, battere l’idiota dal martello piccolo sia il nuovo sport estremo dei semidei.»
«Non l’ho fatto a posta!» sbuffai, come a giustificarmi. «Ho cambiato forma nel panico.»
«Oh, lo so. Modestamente, io sono il maestro nel cambiamento di forma. Altro motivo per cui mi piaci. Potresti tornarmi utile, molto più di Dahl. Ormai credo che troppi provino a manipolarlo» commentò allegramente. «O esce di testa, o finisce per fare come gli viene detto.»
«Se lui non si fa manipolare, non lo farò certo io.»
«Capisco. Vuoi somigliargli, vero? Lo ammetto, quelli come lui provocano un certo fascino sui semidei comuni. L’eroe perfetto, il protagonista di tutte le ballate, l’invincibile, l’incorruttibile eccetera eccetera.» Sembrava che stesse sibilando quelle parole con disprezzo. «Volete tutti essere come lui, quando il mondo disprezza quelli come lui.»
«Questo non è vero!» replicai. «Chi non vorrebbe persone come lui? Aiuterebbero molti.»
«Mh, vediamo se riesco a trovare qualche esempio. Octavian vorrebbe uno come lui? Zeus? Odino? A loro che interessa solo il potere. Quelli come Alex, Jason, Percy… tutte spine nel fianco. Certo: utili da sfruttare, ma da gettare via prima che diventino troppo pericolosi. Preparati a subire la stessa sorte, Frank. Avverto te, come ho avvertito mio figlio. Il mondo non è fatto per i giusti. Al contrario di chi ha imparato a piegarsi, che non corre il rischio di spezzarsi sotto il peso delle sue regole.»
Avvertii un peso al petto che sembrava volermi schiacciare. Non mi piaceva dove andava a parare quel discorso. Avevo sempre visto persone come Percy impossibili da odiare. Loro rappresentavano il meglio che un semidio ed una persona potesse dare, eppure c’erano persone che, nella loro sete di potere, volevano distruggerli, tra cui gli stessi Dèi che noi stavamo tentando di difendere.
Scossi il capo. Einar mi aveva parlato di suo padre e mi aveva avvertito di non fidarmi.
«E tu li vorresti? Mi sembra di capire che anche tu non apprezzi quelli come loro.»
«Io non li disprezzo. Disprezzo il modo in cui loro usano le loro energie. Invece di difendere gli Dèi, potrebbero soppiantarli. Con loro sui troni del cielo, il mondo sarebbe certamente migliore» rispose duramente, mentre si sfiorava una cicatrice rossastra sul viso.
«Quindi, per rendere il mondo migliore lasceresti morire centinaia di persone?» chiesi, stringendo i pugni dalla rabbia.
«I cambiamenti sono come il fuoco. Come me. Credi che siano avvenuti pacificamente? Che la gente abbia liberato gli schiavi perché improvvisamente è diventata buona? Il cambiamento porta sempre alla fine di qualcuno, o qualcosa. Ma non si può nemmeno rimanere nell’immobilità eterna. Anche gli eroi sono dovuti cambiare per essere tali» illustrò Loki, sfoggiando un ghigno malefico.
«Io non ci credo. Ci sono modi migliori di cambiare. Si può fare a meno di distruggere tutto» replicai, deciso a sostenere la mia idea.
Non osavo immaginare quale delle due cose fosse peggiore: da una parte gli Dèi chiusi nella loro idea di potere, dall’altra Loki con il suo desiderio distruttivo.
«Questo lo dici tu. Anche Alex Dahl è diventato qualcuno di diverso. È cambiato. Prima era un idiota, esattamente come Octavian, poi sono morti dei ragazzi a cui teneva… ed è diventato migliore. Ma sono morte comunque delle persone. Il fuoco non risparmia nessuno, Frank Zhang… Tu dovresti saperlo bene.»
Esitai un attimo, pensando a ciò che aveva detto. Immaginare Alex come Octavian? Non credevo fosse possibile.
«Ci sono sempre modi migliori per cambiare» decisi.
«Vedo che sei testardo. Bene, mi piaci. Sei un figlio di Marte particolare.» Ridacchiò. «Be’, preparati, perché presto sarà difficile evitare le fiamme. E ti consiglio di tenerti pronto ad una bella trasformazione, o non vincerai mai il Ragazzo Dorato.»
Ci fu una specie di botto e le immagini che avevo davanti si dissolsero di colpo, come se fossero precipitate in un vortice. Mi svegliai di botto, sentendomi afferrare per le braccia. Provai a dimenarmi, ma qualcuno mi colpì alla testa, stordendomi.

koala's corner.
Buon martedì semidei!
Partiamo dalla fine. Loki svela una piccola parte di passato di Alex e mostra la sua grande ambiguità: da una parte odia gli eroi perfetti, dall'altra vorrebbe che loro sostituissero gli dèi che l'hanno deluso.
Il tentativo di Loki di minare il gruppo partendo da Frank, quello che ora è lo psicologicamente più debole, non ha funzionato per bene, perché non ha considerato che lui trova la sua forza negli altri. Frank è troppo un patato u.u
*Thor irrompe violentemente nella scena* Basta parlare di Loki! Parlate di me! Io che ho sconfitto Eracle!
...
Sì, poi ovviamente c'è stato Eracle vs. Thor che non sappiamo come va a finire ma è stato divertente da scrivere :P
Einar e Leo forse giungeranno a una riappacificazione - finalmente -, ma vedremo. Abbiamo ancora molto altro da dire.
Speriamo che abbiate la pazienza di seguire i nostri aggiornamenti altalenanti, un abbraccio e alla prossima!

Soon on VdN: vi ricordate del delfino? sì? bene. preparatevi a ridere come la prima volta.

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Capitolo 14
*** ASTRID/HAZEL • Tributo a base di delfini pazzi (più o meno) ***


Tributo a base di delfini pazzi (più o meno)
 

♦ Astrid ♦
 
Bussai piano alla porta e chiesi: «Posso entrare?», ma avevo già varcato la soglia prima che Alex mi rispondesse di sì. Dopotutto, sapevo che sarei sempre stata la benvenuta nella sua cabina.
Il figlio di Odino mi squadrò da capo a piedi e un sorriso pigro e divertito si distese sulle sue labbra.
«Che c’è?» lo ripresi, mentre chiudevo la porta dietro di me con il piede. Tra le braccia, tenevo tutto il cibo spazzatura che avevo trovato nella dispensa.
«Niente, niente» rispose lui, senza smettere di sorridere come un ebete. «Dicono che le fidanzate siano premurose, ma tu superi gli standard.»
«Ah-ah.»  Mi sedetti sul letto accanto a lui, che si tirò su e spostò le gambe per farmi spazio. Sistemai il pacco gigante di patatine e le due lattine di Coca-Cola tra me e lui, così da essere più comoda. «Grazie. Là in fondo, il mio ego sta facendo i salti di gioia per questo complimentone.»
«Non fare l’acida» mi rimbrottò bonariamente. «Io sono serio.»
Inarcai un sopracciglio. Ignorai la sua replica e gli chiesi: «Come ti senti?»
«Ora che mi hai portato tutto questo cibo, decisamente meglio» rispose. Prese il pacco di patatine tra le mani e lo aprì con reverenza, inalando ad occhi chiusi il loro odore. «Mmmh. Al pomodoro. Le mie preferite.»
Gli pungolai il ginocchio con il piede. «Conosco i tuoi gusti, ciccione.»
«Oddei, lo pensi davvero? Tutti mi hanno sempre detto che salvare il mondo aiuta a mantenere la linea!»
Alex mise il broncio e si finse offeso, ma il richiamo del cibo spazzatura era troppo forte per rendere la sua recita credibile.
L’angolo sinistro della mia bocca schizzò involontariamente verso l’alto, forzando un mezzo sorriso. «Sta’ zitto e mangia» ribattei. «Scegli sempre i momenti sbagliati per farti venire il senso dell’umorismo.»
Il figlio di Odino si ficcò una singola patatina in bocca e distolse lo sguardo. Improvvisamente, la parete davanti ai suoi occhi divenne oggetto di tutta la sua attenzione.
«Ehi» lo chiamai, addolcendo immediatamente il tono. «Stavo scherzando. Sicuro che ti sia ripreso completamente? So bene che usare le rune ti stanca molto di più di quello che vuoi ammettere.»
Alex si voltò verso di me, ma le sue iridi grigie erano ancora perse in un’altra dimensione. Inghiottì e si schiarì la voce, prima di rispondere alla mia domanda. «Sto bene, Astrid, davvero. Mi è solo ritornato in mente il sogno che ho fatto quando mi sono appisolato.»
Chiusi la mano attorno alla lattina di Coca e diedi a lei la colpa della mia incapacità espressiva. Anche io sceglievo sempre i momenti sbagliati per menzionare i “momenti sbagliati”.
«Quanto era brutto da uno a dieci?» indagai.
Alex sospirò e si ficcò in bocca un’altra patatina, sovrappensiero. «Abbastanza» rispose. «Ho sognato mio padre. Ymir era di fronte a lui, forte e terrorizzante come il giorno del risveglio, e Odino era l’unico a fronteggiarlo. È inutile che ti dica che lo scontro era impari.»
Mi morsi l’interno della guancia. «Non riuscirà a fermarlo» dissi, perché era vero. «Ymir lo sconfiggerà» aggiunsi qualche istante dopo, perché era altrettanto vero.
Alex rimase in silenzio per un po’, pensando a una risposta adeguata. Il fatto che continuasse a ingurgitare patatine una dietro l’altra avrebbe dovuto alleggerire l’atmosfera, ma, evidentemente, l’argomento “fine del mondo” costituiva un’eccezione. Alla fine, si abbandonò contro la testata del letto ed emise un sospiro pesante.
«Questo potrebbe essere totalmente insensato o ingenuo» mi avvertì, «ma credo Odino vincerà Ymir. Non perché l’abbia già fatto una volta, né perché si tratta di mio padre, il Re degli Dèi e tutto il resto, ma perché in questo momento non è in lui.»
Corrugai la fronte. «Che cosa intendi?»
«Intendo che non è in pieno possesso dei suoi poteri. Odino è un re senza corona, letteralmente. La sua corona gli garantiva il completo controllo su se stesso e l’accesso alla sua conoscenza infinita. I Romani l’hanno trafugata, ma se noi riuscissimo a recuperarla e riconsegnargliela prima che sia troppo tardi…»
«…Odino riacquisterebbe potenza necessaria per rimettere Ymir a nanna» intuii. «Capito.»
«Esattamente» confermò Alex, facendomi l’occhiolino. «Adesso, è l’arroganza a muoverlo e a spingerlo a prendere decisioni non ben ponderate. Non so se gli Dèi possano avere un difetto fatale, in ogni caso quello di mio padre sarebbe l’hybris, la tracotanza che da sempre accompagna la sete di sapere. Ora come ora Odino non ha a disposizione la sua intera saggezza, perciò si sta facendo guidare dal lato ingannevole della sua conoscenza e questo non può continuare, per evitare che si verifichi un Ragnarok prematuro.»
Sgranocchiai lentamente una patatina, riflettendo sulle parole del mio ragazzo. Mi venne in mente Annabeth, non a caso figlia della dea della ragione greca, il cui difetto fatale era proprio l’hybris – anche se, a dirla tutta, si comportava più saggiamente del Re degli Dèi, in questi ultimi tempi. Quando arrivai a pensare “possono gli Dèi condividere i difetti degli uomini?”, decisi di troncare lì il ragionamento onde evitare un’improvvisa morte per autocombustione.
«Quindi, ritorniamo sempre allo stesso punto» dissi. «Trovare la Corona di Odino.»
«A qualunque costo e in qualunque modo» ribadì Alex. «O il mondo come lo conosciamo potrebbe finire. E io non posso tollerarlo.»
«Sai che novi…» Mi bloccai. «Cosa hai appena detto?»
Il figlio di Odino fissò i suoi occhi nei miei. Non c’era bisogno che ripetesse l’ultima frase. Avevamo entrambi capito benissimo. I sottointesi impliciti di quel “io non posso” mi invasero la mente, riempendola di immagini di separazione e sofferenza e paura.
«Astrid» iniziò lui, ma non gli permisi di andare avanti.
«Non dire niente» lo interruppi. «Non devi portare questo peso da solo—Tu—»
«Astrid» mi riprese, calmo ma incrollabile. Una frustata avrebbe fatto meno male del mio nome pronunciato in quel modo. «Sai bene anche tu che è una mia responsabilità. Se non io, chi?»
«Io e te ed Einar» sbottai. «Abbiamo già compiuto un’impresa insieme e l’abbiamo portata termine, guarda un po’, unendo le forze. Se non tu, saremo noi. Tutti noi. Che diamine, potresti muovere l’intera Orda del Drago, anzi, l’intero Campo Nord, se solo volessi farlo!»
Scattai in piedi, incapace di continuare a discutere tranquillamente seduta sul letto. Anche Alex seguì il mio esempio, alzandosi subito dopo di me. Lo odiai, perché era più alto di me di dieci centimetri buoni e la sua stazza mi metteva in una posizione di svantaggio.
«Non posso coinvolgere l’intera orda» obiettò. «Sono responsabile di quei ragazzi. Sono responsabile delle loro vite. Quanti non sono tornati a casa dalle loro famiglie, quando abbiamo combattuto contro Toante? Quanti non sono tornati a casa dalle loro famiglie, dopo la Battaglia di Manhattan? Quanti non sono tornati a casa dalle loro famiglie, dopo che mi sono lasciato guidare dalla mia superbia nella mia prima impresa? Quanti?»
Aveva alzato la voce senza volerlo, perdendo il controllo sulle sue emozioni, ma l’ultima domanda, l’ultimo appello, si era tramutato in un sussurro strozzato.
«Nessuno morirà più a causa mia. Il prezzo è troppo alto e io non voglio pagarlo col sangue degli altri.»
«Quindi cosa? Abbandonerai la missione e ti metterai a cercare, da solo, una corona dispersa più di mille anni fa?» ribattei, aspra. «Tuo padre potrà anche peccare di hybris, ma il tuo difetto fatale è il senso del dovere ed è altrettanto letale. Conosci le leggende. Odino si è impiccato a un ramo di Yggdrasil ed è rimasto in agonia giorni e notti in attesa che le rune gli si rivelassero completamente. Sei pronto a compiere lo stesso sacrificio, Alex? Sei pronto a stringere il cappio attorno al tuo collo? Così, almeno capirai cosa significa essere colui che non torna a casa dalla sua famiglia.»
Mi sentii meschina. Mi sentii sporca. E non potevo nasconderlo, perché io ero meschina e sporca, ed era per questo che gli parlavo in quel modo. Perché nella vita c’era chi se ne andava e chi rimaneva, e chi rimaneva si sentiva strappare via il cuore ad ogni partenza. Io ero stufa di recitare questa parte.
«Non puoi chiedermi…»
Colpi secchi alla porta impedirono ad Alex di ribattere.
Alzai gli occhi al cielo ed esclamai: «Per l’amor degli Dèi, andatevene via! Non importa se siamo arrivati a Roma, okay?»
Poi la porta venne sfondata e strane creature fecero irruzione nella stanza. Erano… delfini? No, non esattamente. Se un dottore pazzo avesse deciso di unire gli uomini ai delfini, ne sarebbero usciti quegli sgorbi: alcuni avevano il muso grigio, altri pinne al posto delle mani, alcuni i piedi uniti in una coda. Ad ogni modo, erano sgorbi armati e decisamente incazzati.
Alex si gettò destra, cercando di recuperare la spada, ma non riuscì nemmeno a sguainarla. Il branco di guerrieri-delfino lo assalì, muovendosi a un incredibile velocità per non possedere delle gambe.
«Fermatevi!» gridai – molto stupidamente, oserei dire, ma nelle situazioni caotiche si finisce sempre per parlare senza pensare.
Mi portai una mano agli orecchini, decisa a preparare sushi di delfino per pranzo, ma non riuscii a completare il movimento. L’elsa di una spada mi colpì in faccia e io crollai a terra. Assaporai il sangue sulla lingua, poi, semplicemente, svenni.
 
 
◊ Hazel ◊

 
Le corde che mi stringeva mani e piedi erano troppo strette per permettermi di liberarmi velocemente e aiutare gli altri. Piper era in condizioni peggiori delle mie, considerato il bavaglio che le impediva di aprire bocca, così come ad Einar. Astrid non aveva ancora ripreso i sensi. Jason era svenuto in seguito a una colluttazione, ma aveva la testa dura e sapevo si sarebbe ripreso presto.
Il guerriero con la maschera a forma di gorgone aveva appena dichiarato che noi ragazze saremmo state vedute come schiave o apprendiste di Circe, eppure ero più preoccupata per l’assenza di Frank che della situazione critica in cui ci trovavamo.
Sperai solo che i soldati-delfino non l’avessero ferito troppo gravemente. Se Percy riusciva a guadagnare tempo, ero certa che sarebbe ricomparso con in mente un piano in grado di farci uscire da questo pasticcio.
Al mio fianco, Alex grugnì e riprese a combattere contro le corde che gli stringevano i polsi, tentando inutilmente di allentarle. Quando notai che si stava scorticando la pelle, gli diedi un colpetto con la spalla e, ottenuta la sua attenzione, scossi la testa.
Il figlio di Odino mi guardò dritta negli occhi. Non ci fu bisogno di parole, perché il messaggio era chiaro e semplice: finché aveva forze in corpo, non si sarebbe arreso.
Gli rivolsi un piccolo sorriso di comprensione. «Frank arriverà ad aiutarci» sussurrai.
«Lo so» mi rispose lui. «Ma quel tizio continua a non piacermi per nulla. Ci serve un piano.»
Piper annuì, convinta, mentre Einar mugolava il suo assenso. Concordai con loto. Frank sarebbe certamente arrivato, ma non per questo saremmo rimasti immobili a fare nulla.
In quel momento, il comandate in questione schioccò la lingua in segno di disapprovazione e apostrofò la figlia di Atena: «Oh, Annabeth, purtroppo non resterai con me. Mi piacerebbe molto, ma tu e il tuo Percy siete già prenotati. Una certa dea paga una taglia molto alta per la vostra cattura. Vi vuole vivi, se possibile, anche se non ha specificato che dovete essere illesi.»
Piper sgranò gli occhi e iniziò a lamentarsi così forte che la si sentiva attraverso il bavaglio. Dopodiché, svenne sulla guardia più vicina, scaraventandola a terra. Quindi, questo era il piano.
Mi accasciai sul ponte, scalciando e dimenandomi come un’indemoniata, facendo del mio meglio per occupare interamente i pensieri dei guerrieri-delfino. Mi muovevo come se mi avessero arrotolato in un tappeto e la cosa sarebbe anche stata imbarazzante, se non ci fosse stata in palio la nostra salvezza e quella di mio fratello. E visto che non potevo contare sulla forza e la tecnica di Alex, che aveva ingaggiato un combattimento con i nostri aguzzini a discapito delle mani legate, non avrei considerato la vergogna una ragione sufficiente per non fare quello che andava fatto.
Intanto, Percy aveva colto l’occasione al volo e aveva sguainato Vortice. Il rumore delle due spade che cozzavano mi spinse a dimenarmi con ancora maggiore intensità. Percy è un eccellente spadaccino, pensai. Ma Frank, tu dove sei finito? Abbiamo bisogno di te!
I suoni del combattimento cessarono all’improvviso. Il figlio di Poseidone imprecò e io mi sentii gelare il sangue nelle vene.
«Ci hai provato» disse il guerriero mascherato. «Adesso, però, sarete incatenati e condotti dai servi di Gea. Non vedono l’ora di svegliare la dea versando il vostro sangue.»
«Sei un folle!» urlò Alex.
Cercò di scagliarsi contro di lui, ma venne riacciuffato dai suoi tirapiedi e sbattuto a terra. Un uomo con la coda da delfino si sedette sopra di lui, schiacciandolo sotto il suo peso e impedendogli qualsiasi movimento.
«Patetico» commentò, scoccando un’occhiata scocciata al figlio di Odino.
«Bene!» sbottò Percy, a voce talmente alta da far girare tutti. «Portaci via, se il nostro capitano te lo permette.»
Il comandante sembrava confuso, anche se non lo si sarebbe potuto dire, data la maschera. «Quale capitano? Oltre a voi, non c’è nessun altro a bordo.»
Il figlio di Poseidone sollevò le mani in modo teatrale. «Il dio appare solo quando vuole lui, però è il nostro capo. Dirige anche il nostro campo per semidei. Vero, Annabeth?»
Il volto della bionda si illuminò. Io facevo fatica a capire dove volessero andare a parare, ma qualcosa mi diceva che avrei dovuto intuirlo.
«Sì!» confermò lei con convinzione. «Mister D. Il grande Dioniso!»
I nostri aguzzini furono scossi da un fremito di inquietudine. Uno di loro lasciò persino cadere la spada.
«Non vi muovete!» ordinò il loro capo. «Non c’è nessun dio sulla nave. Cercano solo di spaventarvi.»
«Dovreste, invece!» ribatté Percy, squadrandoli uno a uno, quasi sfidandoli a contraddirlo. «Avete rallentato un viaggio voluto da Dionisio e lui sarà furioso con voi. Ci punirà tutti quanti. Non avete notato che le ragazze, prima, erano in preda all’euforia del vino?»
Io e Piper avevamo appena finito di ribellarci ai guerrieri-delfino. Visto dall’esterno, le nostre potevano tranquillamente apparire come convulsione. Il figlio di Poseidone ci scoccò un’occhiata molto significativa. E se facesse parte del piano? Oh. Prima ancora di terminare il pensiero, ripresi a tremare e dimenarmi, seguita a ruota da Piper.
«Bugiardi!» ci accusò il guerriero mascherato, ma non riuscì a impedire ai suoi sottoposti di darsela a gambe, sordi ai suoi ordini.
«Dionisio è il nostro direttore e il capo di questa missione» ribadì Percy. Corse verso il frigobar e non trovò nessuno a fermarlo. Ne tirò fuori una lattina di una bevanda gassata e la alzò verso il cielo. «Guardate! La bevanda preferita del dio! Tremate di fronte all’orrore della Diete Coke!»
Il sole colpì le bande rosse e argento, scatenando il panico nei guerrieri-delfino.
Percy continuò a tenere alzata la Diet Coke e proseguì con le sue minacce: «Il dio prenderà la vostra nave. Dopodiché, porterà a termine la vostra trasformazione in delfini, o vi farà impazzire, oppure vi trasformerà in delfini pazzi. La vostra unica speranza è fuggire! Svelti, scappate a nuoto!»
Il capo si girò a destra e a sinistra, incapace di controllare l’ammutinamento e non capacitandosi di quello che stava accadendo davanti ai suoi stessi occhi. «Ridicolo!» esclamò, ma la sua voce era diventata acuta.
Percy lo ignorò completamente. «Salvatevi!» continuò imperterrito. «Fatelo, finché siete in tempo! Per noi è già troppo tardi!» Poi restò a bocca aperta e indicò un punto dall’altra parte della nave. «Oh, no! Frank si sta trasformando in un delfino pazzo!»
Frank si sta trasformando in un delfino pazzo? pensai, confusa. Dopotutto, lui non si vedeva e non stava accadendo nulla.
«Ho detto: Frank si sta trasformando in un delfino pazzo!» ripeté Percy.
All’improvviso, Frank sbucò fuori e rischiò di inciampare nel sartiame dietro cui era nascosto. Mi rivolse una brevissima occhiata, che mi fece intendere che era tutto sotto controllo, poi si strinse la gola in gesto drammatico.
«Oh, no!» esclamò, come se stesse leggendo un copione. «Mi sto trasformando in un delfino pazzo!»
E lo fece davvero. Il suo aspettò cominciò a cambiare: prima il naso si allungò a formare il muso della creatura marina, poi la pelle divenne lucida e grigia e infine gli spuntarono le pinne. Il mio ragazzo crollò sul ponte sotto forma di delfino, la coda che sbatteva contro le assi.
L’equipaggio di pirati, o almeno ciò che era rimasto di esso, si disperse terrorizzato emettendo grida stridule. In quella confusione, Annabeth venne lasciata libera dal suo aguzzino e si precipitò a tagliare le corde che ci tenevano legati. Alex si alzò in piedi con un sorriso a metà tra l’inquietante e il divertito. Io ero ancora frastornata, ma aiutai la figlia di Afrodite a mettersi in piedi e insieme avanzammo minacciose verso il guerriero mascherato.
Quest’ultimo indietreggiò fino a sbattere contro il bordo del parapetto. «Non è finita qui, Jackson» ringhiò. «Verrà un giorno…»
Le sue parole furono interrotte da Frank, ora sotto forma di un orso grigio del quintuplo del peso del suo avversario. Gli strappò la maschera a forma di gorgone, ma prima che potesse sferrare un’altra unghiata, il guerriero si era gettato in mare. Ci sporgemmo oltre al parapetto, ma di lui nessuna traccia. La minaccia, a quanto pareva, era stata sventata.
Sarei saltata al collo di Frank anche nella forma di orso, ma il figlio di Marte ebbe la gentilezza di ritornare umano e di accogliermi in un caldo abbraccio. Puzzava ancora un po’ di pesce, però non ci feci quasi caso, stretta la sue braccia. Erano – lui era – più forte di quanto si reputasse e non avrei smesso di adorare la sua modestia guerriera.
«Che cosa ne facciamo?» chiese la figlia di Atena, indicano la nave pirata. «La bruciamo?»
Percy guardò la Diet Coke che stringeva ancora in mano. «No. Ho un’altra idea.»
E fu così che facemmo affondare una nave carica di sei milioni di dollari in oro e pietre preziose per onorare un tributo richiesto dal dio del vino tra i campi di grano del Kansas.
«È legale?» indagai, prima che il figlio di Poseidone si accingesse a cominciare il rito.
Lui scrollò le spalle. «Non credo» rispose. Mi rivolse uno dei suoi sorrisi da combina guai. «In ogni caso, non lo verrà a sapere nessuno. A parte il diretto interessato, ovvio.»
Einar mise una mano sulla mia spalla e su quella di Percy. «Benvenuta nei meravigliosi anni duemila, dolce Hazel, dove le bravate si fanno in grande stile e sempre in compagnia» disse, sorridendo con l’aria di uno che si sta divertendo un mondo.
«Sarà» commentai, scettica, ma stavo sorridendo anch’io.

 
koala's corner.
Nonostante oggi non siamo nella nostra forma migliori, oggi - aka stiamo sclerando paurosamente e la sanità mentale è scappata via da un pezzo -, ma eccoci qui *musica di sottofondo incalzante*
Questa sera siamo davvero degli imbecilli e abbiamo scelto un titolo più aberrante
del solito. Vorrei anche raccontarvi una barzelletta, ma c'è un limite al peggio e quindi la lascerò dire ad Alex nei prossimi capitoli. Se non avete capito, è una minaccia.
E qui vale il consiglio di Percy: Scappate finché siete in tempo!
Parlando un po' più seriamente, possiamo dire che in questi capitoli stiamo ripercorrendo la trama di MoA finché non raggiungeremo il punto in cui la storia prenderà la sua propria strada e sarà nuova nuova.
Nel frattempo, approfondiamo un po' le personalità dei vari personaggi, in primis Alex per togliere un po' della sua aura di perfezione.
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!

Soon on VdN: POV Percy e Lars, in cui i Dieci arrivano a Roma e Lars è Lars.

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Capitolo 15
*** PERCY/EINAR/LARS • Vicini a Roma ***


Vicini a Roma
(e noi abbiamo esaurito anche i titoli parzialmente decenti)

 

♠Percy♠
 
Il Mar Mediterraneo fu esattamente come Reyna ci aveva descritto. Nonostante le difese della Argo II, mostri selvaggi apparivano ogni due minuti, costringendoci ad affrontarli a più riprese. Non volevo in nessun modo essere costretto ad abbandonare il mio posto: sapevo che tutti, su quella nave, erano in pericolo, e non volevo addormentarmi sapendo che non erano al sicuro, ma, dopo il decimo attacco, fui costretto a crollare.
«Percy, il tuo turno è finito da un pezzo.» Annabeth mi tirò su, aiutandomi a reggermi in piedi. «Sembri Alex.»
«E Alex sembra me» replicai con un sorrisetto, mentre osservavo la polvere di mostro che si era incrostata sulla mia giacca: era il decimo che abbattevo.
«Sì… Infatti siete entrambi degli idioti testardi che hanno bisogno di riposo» sbuffò lei, scuotendo la testa, mentre Einar, Frank ed Hazel ci davano il cambio.
«State attenti» mi raccomandai. «E tenete gli occhi aperti. Spuntano fuori proprio quando meno te l’aspetti.»
«Tranquillo, Jackson. Sono i mostri a dover stare attenti!» mi rispose il figlio di Loki, rigirandosi una freccia tra le dita.
Quando fummo nella mia stanza crollai sul letto e, accanto a me, Annabeth. Eravamo entrambi molto stanchi e davvero abbattuti. Ci sentivamo intrappolati in un limbo di incertezze.
Avrei voluto essere al Campo Mezzosangue per difenderlo. Non sapevo se sarebbe stato ancora lì al nostro ritorno. Ma non potevo nemmeno abbandonare la missione: Gea era un pericolo per tutti.
«Dobbiamo resistere, Percy» sussurrò Annabeth, al mio fianco. Il suo petto si alzava e abbassava ad ogni respiro.
«Lo so, ma non mi piace» sbuffai, esasperato. «Vorrei poter fare di più e riuscire a difendere tutti, dannazione. Grazie mille agli Dèi per averci messo in questa situazione!»
«Calmati. Dobbiamo avere fede nelle nostre capacità. Possiamo farcela. Sconfiggeremo i Giganti e salveremo il Campo. E… siamo in dieci, Testa d’Alghe, non ci sei solo tu a combattere» mi consolò la figlia di Atena, carezzandomi dolcemente la schiena. «Quindi non ti preoccupare, siamo forti abbastanza per reggere tutto questo.»
Le strinsi la mano e le detti un bacio. «Eppure, vorrei essere l’unico. Non preoccuparmi di nessun altro.»
«Non puoi difendere tutti, Percy. Sei uno solo» disse lei, accarezzandomi il dorso della mano, «ma non sei da solo. Ci siamo tutti noi, ad aiutarti. Lasciaci difendere le persone che amiamo.»
La fissai un secondo, indeciso su come reagire, poi la abbracciai, rendendomi conto di quanto, per lei, significassero quelle parole. Lei stava cercando di difendere, non solo tutti, ma anche me. Difendere me da me stesso e dalla mia inclinazione a fare stupidaggini per gli altri. Avrei voluto farle capire quanto, per questo, la amassi, ma non sapevo nemmeno come esprimere quel sentimento.
Alla fine ci addormentammo, stretti l’uno all’altra, sperando di non dover fare altri incubi. Non avevo voglia di farne quella notte, poco prima di arrivare a Nuova Roma. Ovviamente non ebbi fortuna, anche se questo non fu un vero e proprio incubo.
Ero in un luogo stranamente scuro, con una sorgente di luce che sembrava provenire dal soffitto da una piccola apertura. Al centro vi era una grossa lastra di marmo con fissate ai lati delle strane corde che ricordavano tanto dei lacci di pelle.
Davanti ad essa, Loki osservava il luogo con svogliato interesse, come se il posto lo interessasse, ma in modo marginale. I suoi occhi continuavano a dardeggiare sulle rocce e, a dispetto di quello che era lui, il suo volto trasmetteva uno strano misto di tristezza e serietà.
«Ti piace la tua vecchia prigione, Loki?» chiese una suadente voce femminile alle mie spalle.
Mentre il dio degli inganni voltava la testa verso la fonte della voce, io feci altrettanto, cercando di capire chi altri ci fosse. Alle mie spalle, davanti l’entrata della grotta, c’era una donna. Dire che fosse bella, forse, era sminuirla: ricordava Afrodite, o Freyja, considerati i capelli; probabilmente era anche lei una dea nordica. I capelli erano rosso acceso, come se avesse delle fiamme che le avvolgevano la testa, ed il viso affilato e magro. Le forme prominenti la rendevano tremendamente attraente, ma qualcosa, nel suo sguardo, sembrava renderla pericolosa. I suoi occhi erano di un colore indefinito che danzava tra il grigio ed il castano chiaro, quasi come se una fiamma intensa stesse danzando nelle sue iridi.
«Mia cara amica. Vieni a deridermi? Dovresti stare attenta a quel dici, visto che sei tu quella che è bruciata tre volte» la sbeffeggiò bonariamente lui, con un leggero, irritante inchino.
«Devo ammettere che non è stato carino interpretare quel ruolo, ma quel che importa è che sono viva.»
«Ed immagino che anche tu abbia i tuoi piani» commentò Loki, sornione.
La donna agitò in aria una mano. «Tsk. Certo che ho dei piani. Chi credi che abbia risvegliato Ymir dal suo sonno? Creature come lui non sono tipe da destarsi da sole» commentò, sedendosi su una roccia levigata in un angolo.
«Sentivo il fresco odore di trame intessute alle spalle che ti porti dietro, tesoro. È palese come il fatto che io abbia ingannato tutta Asgard. Ma la mia domanda è: cosa vuoi da me?» chiese Loki, mal celando un sorrisetto, quasi sapesse già quello che gli stavano per chiedere.
«Quello che ti chiedo sempre. Asgard è mia nemica come è tua nemica. Potremmo unire le nostre forze.»
«Sei prevedibile, sai?» commentò il dio con un sogghigno. «Sospettavo mi volessi riproporre l’alleanza, ed infatti eccoti qui. E dimmi, in quale punto dei tuoi piani mi troverò incatenato di nuovo a questa lastra di marmo?»
«Io non sono Odino» replicò la donna, che non abbandonava il suo sorriso.
«No, hai ragione. Sei peggio, tesoro.» Loki si appoggiò alla lastra, lanciandole uno sguardo infuocato… letteralmente. «Come ben sai, i nostri scopi non coincidono. Tu vuoi prenderti il trono e regnare dall’alto, ma a me non interessa altro che il caos. Voglio radere al suolo la città dorata e distruggere chiunque si trovi sul mio cammino. Tu mi metteresti da parte appena non ti servirò più.»
«Non che la cosa ti dispiaccia, visto come stai sfruttando i miei piani» commentò la donna, che sembrava meno accondiscendente di prima.
«Sono solo elastico» replicò Loki, alzando le spalle. «Non mi lascio spaventare dalla tempesta. Il fuoco si spegne, ma le braci restano.»
«Un altro modo per dire che sei il giunco che si piega. Ma prima o poi ti spezzerai anche tu» lo rimbeccò la dea, abbandonando totalmente la maschera. «Faresti bene a rivalutare le tue idee. Ho molti alleati e stai certo che anche io i miei assi nelle maniche.»
«Intendi il tuo patetico tentativo di controllare quei dieci eroi pazzi che vanno a Roma? Lasciali fare. Moriranno o vinceranno. Per me poco importa. Tutto ciò che conta è vedere quanto ci mette Gea a cadere. Se mi toglierà di torno metà dei semidei di Midgard, allora, tanto meglio» sbuffò Loki, incrociando le braccia.
«Sei molto fiducioso nella tua alleata» commentò la dea, calcando sull’ultima parola. Che le bruciasse essere stata rifiutata da una divinità spregevole?
«E chi dice mai che è mia alleata?» ghignò il dio degli inganni, avvicinandosi con misurata calma.
Cercai di indietreggiare, anche se era difficile farlo in un sogno, visto che non avevo un vero corpo da controllare.
Tra le mani di Loki intravidi il luccichio dell’acciaio asgardiano. Il dio si mosse con uno scatto rapido ed estrasse un pugnale da sotto la lunga veste e lo scagliò contro la sua avversaria. Lei sembrò quasi annoiata da quell’inutile attacco e, semplicemente, sparì in una colonna di fuoco. Il pugnale si piantò nella roccia, proprio nel punto dove, un attimo prima, c’era la dea.
Quella era già apparsa alle spalle di Loki e, dalle sue mani, esplose un’altra vampata di fuoco, materializzando una lunga lama che sembrava fatta di fiamme liquide. Con un preciso ed elegante movimento del braccio mosse l’arma verso l’avversario, con il chiaro intento di decapitarlo, ma il dio degli inganni fu rapido a reagire e, in men che non si dica, regredì, diventando un grosso moscone.
Ronzò rapidamente contro il volto della sua avversaria e si ritrasformò in un grosso lupo, cercando di azzannarla. Lei si tirò indietro e, con uno scatto della mano in avanti, evocò una specie di muro di fuoco, che sbalzò Loki all’indietro, facendolo uggiolare.
Un altro scoppio e lei sparì, lasciando Loki steso a terra, che si rialzava con un gemito.
«Be’, non sei arrugginita, nonostante l’esilio a Jotunheim… Spero proprio che tu non muoia subito» commentò, mentre si rimetteva in piedi, massaggiandosi il collo.
In quel momento mi sentii come se un amo mi si fosse agganciato all’ombelico e mi tirasse via. Uno strattone secco e deciso ed io fui catapultato lontano. Ero su un’autostrada, all’alba. Non si vedeva molto, visto che, oltre ad esserci poca luce di per sé, una cappa di nuvole mi impediva di vedermi intorno.
Sentivo come se stessi cavalcando su Blackjack ed intorno a me, un gruppo di violacei larii romani stavano avanzando guidando veloci carri spettrali. Sotto di noi avanzava una mezza decina di SUV che procedeva a velocità sostenuta. Nonostante fossi in alto ed i vetri fossero oscurati, capii subito chi c’era dentro: la prima squadra di Romani che andava a presidiare il Campo Mezzosangue, guidati da Reyna.
Avrei voluto urlare loro di fermarsi, ma, sfortunatamente, in quel momento, ero meno compatto degli spettri che mi circondavano: tutto stava andando lentamente a rotoli ed io ero impotente.
Fu allora che mi svegliai di colpo.
 

«Non dobbiamo solo preoccuparci di Loki, quindi» concluse Annabeth, quando finii il racconto.
«C’è qualcun altro. Una strana dea che sembrava interessata a controllarci» spiegai, mentre tutti si riunivano intorno a noi.
Secondo Leo, ormai, eravamo vicini a Roma. Solo un paio d’ore e saremmo atterrati. Per questo mi ero deciso a dire tutto prima di arrivare: così avremmo potuto rispondere a qualsiasi minaccia avremmo trovato alla città eterna. Il problema era che nemmeno Alex o Astrid avevano idea di chi fosse la divinità con cui Loki si era intrattenuto.
«Non ne sono sicuro. Ci sono molte divinità nel nostro Pantheon, e molte sono sconosciute persino a noi. Gli Dèi si sono fatti la guerra tantissime volte, quindi non posso essere certo di chi ce l’abbia con mio padre» commentò il figlio di Odino, accigliato. «Però, ho una mezza idea. Ci devo pensare su.»
«Possiamo escludere Hell. Mezza faccia decomposta sarebbe stata difficile da non notare» dissi, cercando di alleggerire un po’ l’atmosfera. Cosa abbastanza inefficace, visto che nessuno sorrise o ridacchiò.
Lasciai perdere.
«È una dea della magia di sicuro.» Einar sembrava molto pensieroso. «Escludendo Freyja non rimangono molte scelte. Una Vani di sicuro.»
«Ormai siamo a Roma, comunque» disse Annabeth, alzandosi in piedi. «Nuove minacce non fanno che aggiungersi a quelle precedenti, ma siamo andati troppo oltre, ormai. Non possiamo tornare indietro.»
«Eppure… se tornassimo davvero?» Frank esitò, prima di parlare. «Reyna sta guidando davvero un’avanguardia contro il Campo Mezzosangue. E se davvero intende attaccare…»
«… sarà un massacro» concluse Astrid, per lui. «Con tutto il rispetto eccetera eccetera: la legione è forte, ma contro Campo Nord e il Campo Mezzosangue? Sarà un massacro da entrambi i lati.»
«E come facciamo, se non torniamo indietro?» domandò Jason, rivolto ad Annabeth.
«Arriveremo a Roma, sconfiggeremo i giganti gemelli e salveremo Nico, come nei piani. Tornare indietro non è un’opzione che possiamo prendere in considerazione.» La mia ragazza sospirò pesantemente. «Ormai ci siamo. Se torniamo indietro ora, come ci giustifichiamo con i Romani? Odino non si calmerà senza la sua corona e mia madre nemmeno, se non riparerò ai torti che i nostri popoli si sono fatti nei secoli. Dobbiamo continuare.»
Le poggiai una mano sulla spalle. «Non devi fare per forza tutto da sola. Noi altri possiamo darti una mano con Atena.»
Annabeth annuì, sebbene il suo sguardo fosse ancora scuro. «Lo so, scusami. La situazione mi sta mettendo pressione» ammise.
«Be’, credo che ormai, sia troppo tardi per tornare indietro ora» commentò Leo, mentre estraeva dalla tasca una specie di palmare. «Secondo Festus, siamo ormai molto vicini a Roma. Abbandonare l’impresa ora significherebbe perdere ogni cosa.»
«Senza contare che Nico è ancora nelle loro mani, dobbiamo salvarlo» aggiunse Hazel, perentoria.
«Allora è deciso» disse Annabeth, guardandoci uno ad uno. «Andremo a Roma e finiremo questa storia, in un modo o nell’altro.»
«Che gli Dèi ci aiutino» mormorò Alex.
 
∫ Einar ∫
 
Il cielo sopra Roma era stranamente limpido, quasi gli Dèi ci stessero prendendo in giro, come a dire “ehi, Gea potrebbe risvegliarsi e il figlio di Ade morire, ma almeno splende il sole!” Sotto quella città così bella e antica, ci aspettava una tempesta, forse la prima di molte altre tempeste che si sarebbero susseguite dopo di essa.
Il primo passo del nostro scontro sarebbe avvenuto lì. Avevo già preparato le mie armi: due daghe facili da estrarre ed il mio fidatissimo arco. Avevo la sensazione che mi sarebbero servite tutte molto presto e che mi sarei inevitabilmente cacciato in grossi guai.
Mi sentivo stranamente tranquillo, eppure tremendamente nervoso. La mia mente era vuota, come se l’unica cosa che la occupasse fossero le condizioni di Nico, intrappolato in quella maledetta giara. Per la milionesima volta, mi rifeci le stesse domande di sempre: quanto sarebbe potuto resistere? Aveva abbastanza energia? Sarei arrivato in tempo?
L’unica cosa che riuscivo a figurarmi in quel momento era lui. Il cuore mi batteva così forte nel petto da sentirmelo scoppiare. Era un potente martello che mi rimbalzava contro la cassa toracica, facendomi sentire perennemente in ansia. Ansia di rivederlo, e rivederlo pressoché morto.
Insomma, era tutto un casino.
«Sembra che tu abbia la testa tra le nuvole, amico» commentò Leo, poco lontano.
Stava preparando l’Argo II all’atterraggio. Com’era solito fare, controllava ogni cosa alla velocità della luce. Le sue mani passavano rapidamente da un comando all’altro, tirando leve e premendo bottoni che non sapevo nemmeno io a cosa servissero, ma supponevo regolassero la potenza dei motori.
«Solo preoccupato per la missione» risposi, velocemente, tornando a guardare il paesaggio. «Siamo vicini al nostro punto di svolta.»
«Già…» convenne lui, caustico, cercando di ignorarmi e portare a termine le sue faccende per i conti suoi.
Ecco, ci mancava solo questo, pensai, mentre ricominciavo a sentire il senso di colpa avvolgermi.
Con tutta la tensione dei giorni passati, mi ero quasi dimenticato di scusarmi con Leo per la mia eccessiva reazione nei suoi confronti. Non avevo sopportato il modo in cui lui e Jason si erano accaniti su Nico, definendolo un possibile traditore solo perché figlio di Ade. Io sapevo cosa aveva passato per poter mantenere il segreto tra i due Campi e non sopportavo che qualcuno sparlasse di lui.
Eppure Leo era mio amico e non riuscivo a dimostrarmi indifferente nei suoi confronti. Certo, non sembrerebbe il tipo cui confidare i propri pensieri più oscuri e tormentati. Leo è scostante e chiacchierone, il tipico amico chiassoso, ma che nessuno considererebbe fidato. Eppure, a dispetto dell’apparenza, lo era. Avevamo molte cose in comune, e, probabilmente, quella più importante, era la nostra mente così simile. Avevamo adottato lo stesso metodo per resistere ai nostri incubi: ridergli in faccia.
Alla fin fine, avevamo litigato di grosso, o meglio, ero stato io ad urlargli addosso, ma questo non doveva essere un buon motivo per tenergli il muso. Dovevo decidermi a parlargli.
Potrebbe essere l’ultima occasione che hai per farlo, mi ricordò la mia mente, mentre, ormai, iniziavamo a sorvolare la costa italiana proprio sopra Anzio.
«Ehi, Valdez» chiamai, graffiando il legno del parapetto.
«Sì?»
Si voltò verso di me, un attimo, con un mezzo sorriso, quasi si aspettasse un’altra sfuriata.
«Volevo parlarti. Sai, quello che è successo un paio di giorni fa…» gli ricordai avvicinandomi e appoggiandomi alla console di comando, attento a non premere qualcosa per sbaglio.
«Stai aspettando delle scuse dell’ultimo minuto?» sbuffò lui, fissandomi con leggera esitazione.
«No. Non né questo né altro.» Sospirai. «Sono io che—che volevo chiederti scusa per aver esagerato.»
Leo rimase per un attimo a bocca aperta. Probabilmente non era abituato che qualcuno gli chiedesse scusa, o forse non se l’aspettava da me.
«Sì, lo so, sembra strano, ma ti sto chiedendo scusa perché in fondo mi dispiace, anche se penso che abbiamo torto entrambi. Tu hai toccato una corda delicata senza accorgetene e io ho avuto reazione spropositata» spiegai, iniziando a camminare avanti e indietro. «Era un po’ che volevo dirtelo, ma non ho mai trovato il momento giusto. Ora potremmo morire da un momento all’altro e non volevo andarmene con questo stupido peso. Quindi sì, ti chiedo scusa.»
«Ehi, amico, ma non eri ottimista?» Leo mi dette una pacca sulla spalla e ridacchiò. «Per un attimo ho pensato che Alex avesse preso il tuo posto, di solito è lui quello serio.»
«Chi va con lo zoppo impara a zoppicare» risposi con un sorrisetto.
«Allora zoppica meno, Larsen, è inutile piangere sopra il latte versato, non trovi? Credo che potremmo ancora guardarci le spalle senza timori» commentò il figlio di Efesto.
«Già, lo penso anche io. Litigare per certe cose è stupido quando si cerca di salvare il mondo» spiegai, alzando le spalle.
«Allora litigheremo quando avremo salvato il mondo. In ogni caso, credo che anche io mi debba scusare. Hai ragione. Non conosco Nico bene come te e non dovevo permettermi di giudicare, quindi accetta le mie scuse.»
Mi porse la mano, mi guardò negli occhi e attese. Gliela strinsi e gli sorrisi complice.
«Credo di poter accettare le tue scuse.» Guardai all’orizzonte, verso Roma. «È ora di andare a mostrare ai giganti che rimanendo uniti possiamo sconfiggere pure loro.»
 
≈Lars≈
 
Camminavo avanti e indietro, senza un’idea precisa di cosa fare.
Nei giorni precedenti, il Campo Nord si era totalmente trasferito al Campo Mezzosangue. Avevamo montato almeno un centinaio di tende sulla spiaggia ed intorno al pugno di Zeus, in attesa di vedere i Romani avvicinarsi.
Johannes era sicuro che sarebbero arrivati, ed io non dubitavo che avesse ragione. Vedendo come si muovevano i Romani, sembrava proprio che non avrebbero tardato a venire. Sicuramente in forze, o forse con una piccola forza di avanscoperta, ma prima o poi si sarebbero fatti vivi.
Ed io dovevo pure evitare che ci ammazzassimo a vicenda, il che era tutt’altro che facile. Ero riuscito a convincere i semidei norreni a non marciare verso Nuova Roma appena messo piedi sul suolo americano, in modo da non provocare ulteriori ostilità, ma Johannes era un problema permanente e pienamente supportato da Clarisse, con la quale faceva a gara a quanto dolorosa sarebbe stata la morte dei romani.
Oltre a Chirone e me, c’erano poche voci contrarie. Rachel, inoltre, sembrava aver perso buona parte dei suoi poteri, come se qualcosa avesse iniziato ad interferire con i suoi poteri di oracolo.
Tutto questo rendeva i semidei greci nervosi ed i miei compagni norreni sempre più inclini allo scontro.
Avevo parlato con Nora ed Helen su come rendere le cose meno pericolose, anche perché i figli di Ares ed i figli di Tyr e Thor si erano provocati già più volte e si rischiava che la cosa degenerasse. Ci mancava solo che ci ammazzassimo da soli prima che arrivassero o Romani.
La tensione faceva brutti scherzi.
Ormai il campo era montato e avevamo pattuglie lungo tutto il confine del Campo Nord e tutto il controllo della spiaggia, quindi non era rimasto altro che aspettare.
Ed odiavo aspettare. Soprattutto considerato quello che stavo aspettando.
«Nervoso?» chiese una voce accanto a me.
Will Solace si avvicinò a me, tenendo l’arco a tracollo. Il capo della Casa di Apollo era stato uno dei primi a volersi mettere in moto per difendere il Campo, ma anche uno dei meno violenti. Voleva solo difendersi e si era subito opposto alla proposta di Johannes di lanciare un attacco immediato.
«Solo un po’. Qui siamo tutti nervosi e devo tentare di evitare che la tensione diventi una bomba» risposi, appoggiandomi ad una delle rocce del pugno di Zeus.
«Ti capisco. Clarisse non fa che aizzare tutti. Se non la conoscessi direi che è pazza, ma… credo sia spaventata. In un certo senso, è la prima volta che ci troviamo veramente minacciati. Per di più da altri semidei» spiegò Will, sedendosi sul terreno e togliendosi l’arco dalle spalle. «Se solo potessimo parlare con loro.»
«Ci abbiamo provato» risposi, alzando le spalle. «Ma ormai sono sul piede di guerra. Gea ha preparato questo scontro così bene da costringerci a combattere.»
«Pensavo che voi Norreni adoraste combattere» mi fece notare Will, con un mezzo sorriso. «Sangue, addominali al vento e rock ‘n’ roll, no?»
Non riuscii a sorridere alla sua battuta. «Solo quando vogliamo noi» replicai.
Ci avviamo lungo il confine dell’accampamento, dando un’occhiata alla situazione e all’aria che tirava. I semidei norreni, ovviamente, non erano noti per la loro tranquillità. Sotto un certo punto di vista, noi eravamo iperattivi come i semidei greci, ma avevamo anche un tocco di violenza in più che ci metteva sempre a rischio. Eravamo facilmente irritabili, insomma.
Questo ci rendeva anche più pericolosi. Quindi né io né Will ci sorprendevamo se vedevamo due figli di Tyr che si pestavano o liti che scoppiavano qua e là come funghi. Più la battaglia si avvicinava, più bisognava scaricare la tensione. E questi erano i modi più usati da noi.
Ad un certo punto, però, notai un leggero movimento tra i cespugli della pineta alla nostra sinistra.
«Hai sentito?» chiesi, poggiando una mano sulla spalla di Will per fermarlo.
Afferrai lo scudo con la mano sinistra e avanzai lentamente.
«Cosa?» domandò il figlio di Apollo, incoccando una freccia.
Mi addentrai nella pineta, guardingo. Poteva essere benissimo una ninfa solitaria o un satiro che girovagava nella foresta. Sarebbe stato normale, ma qualcosa mi diceva che non era così. Will, alle mie spalle, avanzava cauto, man mano che ci allontanavamo dai sicuri confini del campo.
Ci fu uno schianto e, un attimo dopo, una lancia si diresse verso di me.
Una fortuna che il mio scudo fosse in posizione difensiva, altrimenti sarei stato trafitto. Invece, il giavellotto fu deviato dai supporti metallici che tenevano insieme le assi di legno e cadde di lato, mentre un gruppetto di ombre emergeva dagli alberi, tutte armate.
Cinque semidei romani erano emersi dai cespugli pronti a combattere. Ognuno di loro indossava non la maglietta del Campo Giove, ma un uniforme mimetica che sembrava presa dalle forze speciali. Erano tutti armati di spada e scudo e celavano i volti sotto gli elmi, tranne il loro capo. Reyna aveva il volto scoperto ed era l’unica ad impugnare una lancia.
«Ritirata!» ordinò, prima che chiunque potesse dire o fare qualcosa. «Ci hanno scoperti, avvertite gli altri!»
A quanto pare non era l’ordine che i nostri avversari si aspettavano. Persino uno stupido si sarebbe reso conto che, in una superiorità numerica di cinque contro due, sarebbe stato facile sconfiggerci, ma i semidei romani erano troppo abituati a seguire gli ordini per disubbidire. In men che non si dica, i quattro legionari stavano già indietreggiando, tenendoci sotto tiro.
«Torna al Campo e dai l’allarme, Will» dissi al mio compagno, approfittando della loro ritirata.
«Vado in un lampo!» assicurò lui, scattando all’indietro, diretto all’accampamento dei norreni.
«Andate, ora!» ordinò la figlia di Bellona, lanciandosi contro di me, con la lancia pronta a trafiggermi.
Con uno scatto istintivo, inclinai lo scudo, in modo che l’arma ribalzasse di lato e potessi sbilanciarla, ma lei mantenne l’equilibrio ed indietreggiò, rivolgendosi ai suoi legionari che esitavano ad ubbidirle.
«Andate!» intimò. «Presto arriveranno i loro rinforzi e potremo combattere come si deve.»
Quello sembrò far capire meglio il concetto ai quattro semidei, che iniziarono a correre verso l’entroterra, mentre lasciavano il loro pretore a fronteggiarmi.
«Coraggiosa a combattere da sola» commentai, estraendo la spada.
«Non ho certo paura di te» replicò lei, con un elegante affondo  della sua lancia.
Parai di nuovo, ma, invece di attaccare, indietreggiai. «Evitiamo di ammazzarci.»
«Direi che non siamo sulla strada giusta, allora.»
Lei rimase in guardia, ma non attaccò di nuovo.
«Suppongo che parlare ora sia inutile» osservai, tenendo lo scudo alzato, anche perché Reyna sapeva intimidire molto bene, visto il suo modo di tenermi sotto controllo.
«Siamo in guerra. Non ho il potere di fermare ciò che avete iniziato» sibilò, provando a colpirmi con la lancia, alla spalla sinistra.
Feci scattare la spada, per usare lo scudo in modo da avvicinarmi. «Anche se Gea ci sta manipolando?»
«Non servirei mai Gea. E non c’è altra scelta. Non ci avete lasciato altra scelta.»
Eravamo a pochi centimetri di distanza ed i nostri corpi quasi si sfioravano, mentre a separarci c’erano solo il mio scudo e la sua lancia.
«C’è sempre un’altra scelta» replicai, in un soffio, tanto eravamo vicini. «Non c’è nulla che possiamo fare per calmare il vostro augure?»
A sorpresa, lei scoppiò in una breve risata di scherno. Mi allontanò con una spinta.
«Credi che a Octavian interessi la pace? A lui interessa solo il vostro Campo. Lui vuole prendere il mio posto e se dovesse accadere, porterebbe Nuova Roma alla rovina. Io non posso permetterlo. Sto solo agendo di conseguenza.»
«Sembra di parlare con Alex. È testardo quanto te» sbuffai, partendo all’attacco.
Lei parò con il manico della lancia e tentò di colpirmi con la punta, usando l’ampio arco che l’arma poteva provocare. Mi abbassai giusto in tempo per tentare un affondo, ma lei si scansò.
«A giudicare da come ne parli, è un complimento» commentò, indietreggiando.
Rimasi in posizione. «Potremmo dire di sì.»
Ci bloccammo entrambi, quando, alle mie spalle, iniziarono a sentirsi i rumori di passi sempre più vicini, accompagnati dal forte clangore delle armi che sbattevano contro le armature – il segno che Will aveva raggiunto il nostro accampamento e che stavano arrivando rinforzi.»
«A te la scelta: o te ne vai, o ti arrendi» la avvertii, sapendo che, una volta arrivati, difficilmente la figlia di Bellona sarebbe riuscita a salvarsi.
Lei indietreggiò di un passo. «Sappiamo già dove vi trovate. Vi abbiamo osservati per qualche minuto e conosciamo le vostre forze.»
«Allora sai già che non potete vincere» dissi, avanzando di un passo a mia volta. Sembravamo due ballerini intenti a danzare un ballo estremamente lento.
«Forse.» Un sorrise fugace illuminò il suo volto. «Ma noi Romani siamo famosi per la nostra capacità di vincere battaglie in inferiorità numerica. Non avere troppa fiducia nei tuoi compagni» mi avvertì il pretore romano, prima di mettersi a correre lontano da me.
Quando i miei compagni, accompagnati da Will arrivarono, lei era già sparita.
Pensai che fosse meglio così. Almeno per ora, era salva. Ma ormai era certo: i Romani sarebbero arrivati molto presto.
E non avremmo avuto scampo.

 
koala's corner.
Salve gente! Siamo tornati dopo un po' di tempo causa i Water che se ne va in giro all'estero e AxXx che perde ispirazione e adesso beve coca-cola e non aiuta :P
Ad ogni modo, questo dovrebbe essere l'ultimo de capitoli di passaggio perché finalmente siamo a Roma.
E Roma si fa casino u.u
Leo e Einar si riappacificano ed è un bene, considerato quello che viene dopo e le poche possibilità di interazione tra i personaggi.
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, un abbraccio e alla prossima!

Soon on VdN: POV Reyna in cui vediamo la legione all'attacco. (Per Narnia!)

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Capitolo 16
*** REYNA/ANNABETH/PIPER • Pesanti fardelli ***


Pesanti fardelli

∆ Reyna ∆
 
Le mie dita scorsero lentamente sul tatuaggio che portavo sull’avambraccio destro. Tre linee nere poste sotto il simbolo di mia madre a significare gli anni che avevo trascorso a Nuova Roma.
Il Campo Giove era diventato la mia casa, la legione la mia famiglia. Non potevo sopportare l’idea che venissero minacciati e li avrei difesi anche contro il più mostruoso dei nemici, l’avrei fatto al di là dei miei doveri di pretore. Non avrei mai permesso a nessuno di rendere la mia nuova casa una rovina che parlava di anni felici da ormai lungo tempo passati e la mia nuova famiglia un circolo di fantasmi. Non mi sarei lasciata indietro un’altra Porto Rico.
E allora perché le mie mani indugiavano sui pezzi dell’armatura? Perché la fermezza che caratterizzava il mio modo di fare vacillava a quella maniera? Esitavo in modo così palese che me la presi con me stessa, iniziando una discussione interiore dai toni accesi, mentre sbuffando finii di sistemarmi l’armatura.
Controllai allo specchio che fosse tutto in ordine. Alla vista di così tanti ciuffi che sfuggivano alla mia treccia, non riuscii a trattenermi dall’alzare gli occhi al cielo. Sbuffando sonoramente, spostai i capelli sulla mia spalla destra, disfai con gesti decisi i resti della treccia più orribile della storia e impugnai il pettine come se fosse un pugnale.
Se c’era una cosa che odiavo, era avere i capelli in disordine. Non c’era alcuna spiegazione logica, ma se non erano raccolti perfettamente mi sentivo a disagio, impreparata a far fronte alla giornata e incapace di andare avanti come al solito, trovando una soluzione ai problemi che la gente continuava a creare e che io ero costretta a risolvere. In disordine i capelli, in disordine la mente. E poi, per quanto fossi arrabbiata col mondo e con me stessa, pettinarmi mi rilassava come altre poche altre cose.
Con gesti resi svelti dall’abitudine, mi feci una nuova treccia, stringendo bene ogni nodo. Contemplai il lavoro delle mie mani, dopodiché buttai la treccia dietro la nuca e mi voltai.
Quando vidi Octavian, mi prese quasi un colpo.
«Sai» esordì lui, muovendo i primi passi all’interno del padiglione, «mi sono sempre chiesto se ti avrei mai visto senza quella treccia. Per mia sfortuna, sono entrato troppo tardi per riuscirci. Chissà, magari senza di essa sembreresti meno pretore e più Reyna.»
L’incontro inaspettato con una persona che detestavo e le sue parole odiose resero il mio tono più aspro di quanto volessi. «Oh, mio caro augure» lo presi in giro. «Non esiste né un pretore né una Reyna, ma solo Reyna il pretore.»
Sul suo volto si aprì un sorrisetto ambiguo. «È così, dunque? E io che volevo solo risultare gentile prima di una battaglia…»
Per farlo dovresti impiccarti, pensai sfoggiando un sorriso falso. Mi assicurai la daga alla cintura e gli passai accanto prima di uscire dalla tenda.
«Un consiglio: la prossima volta che vuoi farmi un complimento, inizia col dire che ho dei bellissimi capelli, almeno» lo ripresi. «Non che i tuoi complimenti o quelli di un qualsiasi altro ragazzo possano influenzare in qualche modo una delle mie battaglie.»
Godetti della sua espressione a metà tra il ferito e lo stupito per qualche momento, prima di abbandonare il padiglione. «Ora devo proprio andare. La mia legione mi aspetta.»
La sua voce, ritornata un odioso stridio che non mascherava più le sue infide intenzioni, mi raggiunse dopo qualche passo. «Per Jason Grace la tua legione avrebbe aspettato, però. Non è così, Reyna?»
Mi fermai.
«Forse aspetterebbe anche per qualcuno di quei nordici. Magari quello a cui hai risparmiato la vita a Charleston?»
Mi voltai lentamente. Guardai Octavian come si fa con gli insetti particolarmente ripugnanti. Se solo avessi potuto, l’avrei schiacciato tra due dita come si fa con quelle bestioline odiose.
«Sono dalla tua stessa parte, Octavian.» Il mio tono era gelido. «Gradirei che non sminuissi ciò che sto facendo per Nuova Roma sulla base di insensati pregiudizi che hai nei miei confronti.»
Il biondino inarcò un sopracciglio. «Insensati? Davvero?»
«Sì, insensati» ribadii. «Sono più che in grado di separare i miei sentimenti dalle mie azioni. Non che ne provi alcuni, in ogni caso. Ti consiglio di fare lo stesso.»
Mi girai nuovamente e ripresi a camminare. Sperai con tutta me stessa che non riprendesse parola e che, per una volta nella sua vita, stesse zitto. Se non l’avesse fatto, avrei rischiato di perdere l’ultimo briciolo di pazienza che mi era rimasto. Grazie agli Dèi, ebbe il buonsenso di tenere chiuso il becco.
Mentre mi dirigevo dai miei compagni, capii che la mia esitazione era dovuta proprio a questo. La vittoria della legione avrebbe significato la vittoria di Octavian e questo non poteva accadere. Desiderava la mia carica più di ogni altra cosa, più ancora della vendetta sui semidei nordici che l’avevano umiliato, ed era arrivato persino alla seduzione per ottenerlo. Se Octavian fosse mai riuscito a raggiungere una posizione effettiva di comando, ogni possibilità di pace e di giustizia sarebbero scomparse.
Questo era il problema: dovevo vincere ma non potevo vincere. Mi trovavo intrappolata in un assurdo dramma Shakespeariano. Se quel tipo non fosse stato famoso per le sue tragedie, il mio umore non sarebbe stato così pessimo.
 
♣Annabeth♣
 
Era un giorno pessimo per festeggiare un compleanno. Il Sole splendeva alto su Roma – la vera Roma – e illuminava le parti metalliche dell’Argo II che avevamo parcheggiato in un parco alla bell’e meglio, domandandoci come sarebbe apparso lo spettacolo agli occhi dei comuni mortali. Il calore si alzava dall’asfalto e l’afa si appiccicava ai vestiti, ma c’era da aspettarselo: era Luglio ed eravamo in Italia, se non fosse stato così ne saremmo rimasti più delusi che stupiti. Sarebbe stato perfetto e sapere di avere a portata di mano tanta storia, tante possibilità ma essere anche consci di avere un’unica scelta – salvare Nico e sconfiggere i giganti gemelli in meno di ventiquattr’ore – rovinava l’atmosfera completamente.
Eppure, quando Jason ricordò timidamente che era il suo compleanno, quasi sfiorando l’argomento per paura di apparire inopportuno, ci fermammo tutti quanti e di comune accordo indicemmo un pic-nic per festeggiare.
«Nella vita ci sono delle priorità» commentò Einar, «e la torta è una di queste.»
«La priorità è che sia blu» disse Leo, ammiccando nella direzione di Percy. «Non è così, Jackson?»
Risi prima che il mio fidanzato potesse difendersi in qualche modo.
«Un giorno conoscerete tutti mia madre» disse il figlio di Poseidone, alzando la voce per dare una parvenza solenne al suo discorso, «e non riderete più del mio problema…»
«… ossessione…» tossicchiò Leo.
Percy roteò gli occhi. «… la mia ossessione per il cibo blu. È una promessa.»
«Mi piacerebbe molto incontrare tua madre» rispose Hazel. «Dev’essere una donna meravigliosa.»
Il mio ragazzo le rivolse una versione smorzata del suo classico sorriso. «Lo è.» Il suo sorriso si fece più tirato. «Lo è. Una volta, ha attraversato una Manhattan piena di mostri al servizio di Crono per assicurarsi che stessi bene. Non appena prenderemo a calci nel didietro Gea, la prima cosa che farò sarà tornare a casa da lei.»
Avrei cercato di confortarlo, se non avessi temuto che bastasse una semplice stretta di mano a farlo scoppiare a piangere. Osservando la sua espressione contrita, il modo in cui aveva stretto le labbra e lasciato che il ciuffo gli ricadesse davanti agli occhi, mi ricordai all’improvviso dell’altro ragazzo che non era ancora tornato a casa. Che non sarebbe mai tornato a casa. Entrambe le loro madri stavano preparando dolcetti in attesa che il loro unico figlio bussasse alla porta.
«Va bene ragazzi, adesso possiamo tornare a parlare di me?» intervenne Jason. «È il mio compleanno e non sono al centro dei vostri pensieri. Mi ritengo personalmente offeso.»
L’uscita ci distolse tutti e in solo momento dalle riflessioni deprimenti. Piper abbracciò immediatamente il figlio di Giove e gli stampò un bacio di scuse sulla guancia. Astrid optò per un approccio più burbero: gli diede un pugno sulla spalla, lo insultò – «Egocentrico di merda, peggio di tuo padre» – infine gli rivolse un sorriso a trentadue denti.
Alex riacciuffò la sua ragazza e la strinse a sé, impedendole di muoversi. «Stai insultando qualcun altro e non me. Devo incominciare ad essere geloso?»
«Idiota. A chi è che stavo dando dell’egocentrico, prima?»
Ne nacque un battibecco esilarante senza capo né coda. Per un momento, vidi il nostro gruppo come se fossi fuori dal mio corpo e venni sommersa dalla felicità semplice e pura che stavamo provando. Per un momento, le nostre risate e il nostro stare in cerchio mi fecero pensare che fossimo degli adolescenti normali.
Poi le mie dita toccarono la moneta che tenevo in tasca e la fredda superficie metallica spazzò via la spensieratezza che provavo fino a un secondo prima. Mi voltai, cogliendo uno sprazzo della gioia altrui, e mi resi conto che anche Percy non ne faceva parte. Gli sfiorai il viso con una mano e raccolsi la singola lacrima che gli era scesa al pensiero di sua madre.
Decidemmo di andare a fare una passeggiata. La pausa torta era terminata, almeno per noi, e non ci rimaneva più molto tempo. Non ne rimaneva a me. La moneta d’argento pesava sempre di più, esattamente come la responsabilità più grande che mi fosse stata affidata finora. Camminare mano nella mano con Percy sul lungo Tevere non alleggeriva per niente la prospettiva di dovermi separare da lui.
A un certo punto, incapace di sostenere il silenzio teso che si era creato tra noi, dissi: «Devi fidarti di me. Devi credere che tornerò.»
«Io mi fido di te» replicò. «Non è questo il problema. Il problema è che Atena fuori di testa ti ha ordinato di combattere un nemico che generazioni di suoi figli non sono riusciti a sconfiggere.»
Sospirai. «Non è che abbia altra scelta.»
«Sei una dei Dieci. Potresti prima sconfiggere i giganti e poi seguire il cammino di Atena e tutto il resto.» Si fermò e si mise una mano tra i capelli. «Ma niente di quello che sto dicendo ti farà cambiare idea, giusto? Ci sono cose che si devono fare e basta e probabilmente sto peggiorando la situazione cercando di trattenerti.»
Gli rivolsi un sorriso triste ma grato per la sua comprensione. Stavo per dire qualcosa, ma le sue braccia mi strinsero prima che potessi anche solo aprire bocca. Mi ritrovai stretta nel suo abbraccio. Mi abbandonai contro il suo petto e forse fu la mia immaginazione a trasformare i battiti del suo cuore in parole sussurrate al mio orecchio: «Non farti venire a cercare, Sapientona.»
Poi la strombazzata di un motorino a distanza ravvicinata rovinò tutto quanto. Le braccia di Percy erano ancora attorno alla mia vita, quando voltai la testa di scatto per vedere chi aveva rovinato il nostro momento.
Sentii la mia bocca spalancarsi al rallentatore. Su un vecchio modello di Vespa celeste sedevano un uomo e una donna vestiti con abiti rubati agli anni cinquanta. Ma non erano semplicemente due innamorati che si facevano in giro in motorino, erano Gregory Peck e Audrey Hepburn negli outfit del film Vacanze romane.
«Oh miei Dèi» riuscii a sillabare.
Percy guardò prima loro, poi me, poi di nuovo loro. «Voi due avete un’aria familiare» decise.
«Solo familiare?» lo rimbrottai. «Avrò visto quel film milioni di volte con mio padre! È un classico.»
Il figlio di Poseidone non sembrò illuminarsi alle mie parole. Se Audrey non l’avesse preceduto, avrebbe potuto chiedermi se facevano parte del cast di quei lungometraggi parodia su Thor; ma, per fortuna, la sua domanda sarebbe rimasta per sempre inespressa.
«Oh, cara! Temo che tu ci stia confondendo con altri» si scusò la donna, sorridendomi gentile. «Non abbiamo mai girato nessun film. E come avremmo potuto? Io sono Rea Silvia, forse mi conoscete meglio come la madre di Romolo e Remo. Questo qui, invece, è mio marito Tiberino, il dio del Tevere.»
«Ehm… Salve» disse Percy, dopo aver stretto la mano ad entrambi. «Non vorrei sembrare inopportuno, soprattutto nei confronti di due star del… ehm  divinità come voi, ma siete venuti per aiutarci?»
Tiberino annuì, ma il suo sguardo si posò più a lungo su di me. «Le mie naiadi hanno detto che vi avremmo trovato qui. Hai la mappa e la lettera di presentazione, mia cara?»
«Uhm, sì. Sì, ecco.» Gli porsi la lettera e il disco di bronzo che avevo recuperato a Charleston, lievemente in imbarazzo. Trovare qualcuno disposto a darci una mano era una rarità, ormai. «È la prima volta che aiutate un figlio di Atena per questa impresa?»
«Certo che no, Annabeth cara!» rispose Rea Silvia. «Abbiamo aiutato moltissimi che hanno intrapreso il tuo stesso cammino. Tiberino è sempre così disponibile. Ha salvato i miei figli e li ha portati dalla dea Lupa. Poi, quando il vecchio re Numa ha tentato di uccidermi, ha avuto pietà di me e mi ha preso in moglie. Da allora governo il regno del fiume al suo fianco. È un uomo semplicemente fantastico!»
Soprattutto nei panni di Gregory Peck, pensai.
«Grazie, cara» commentò il dio con un sorriso. «È vero, ho aiutato molti tuoi fratelli e sorelle… almeno a intraprendere il viaggio  senza correre rischi. È un peccato che poi siano tutti morti in modo penoso. In ogni caso, meglio darci una mossa. Il marchio di Atena ti attende!»
Da come lo disse, sembrò più “una fine dolorosa è lì dietro l’angolo ad aspettarti!”. Percy doveva aver inteso la frase alla mia stessa maniera, perché mi rivolse uno sguardo da cucciolo di foca sperduto e aveva un’ultima supplica sulle labbra.
«Non ti preoccupare» gli dissi, stringendogli la mano e cercando di assumere un’aria determinata nonostante fossi rosa dalla paura. Accettai l’aiuto di Rea Silvia per salire sulla Vespa. «Andrà bene.»
«Tiberino, permettimi di accompagnarla ancora per un po’» tentò, facendo un passo in avanti. «Ti prego.»
Il dio del Tevere scosse la testa. «Se ti permetto di accompagnarla adesso, vorrai farlo per tutto il cammino. Non è possibile, Percy Jackson. Il tuo destino è altrove.» Si guardò l’orologio che portava al polso sinistro. «Anzi, dovresti affrettarti. La visione comparirà presto sul pugnale della tua amica Piper. Va’, potresti avere meno tempo di quanto pensi per salvare Nico di Angelo.»
«Ma…»
«Percy» lo richiamai. «Devi andare.»
La sua indecisione era resa palese dai piccoli, numerosi movimenti che iniziava e non portava a compimento. Alla fine, in due passi mi raggiunse e mi prese il volto tra le mani prima di baciarmi. «Sta’ attenta» mi disse.
Poi Tiberino diede gas e la Vespa partì sgommando per le vie trafficate di Roma, lasciandosi alle spalle il mio ultimo saluto.
 
► Piper ◄

Dal modo in cui Percy tornò correndo verso di noi, capimmo che o aveva brutte notizie o stava scappando dalle brutte notizie. Grazie agli Dèi, non aveva nessun nemico alle calcagna e potemmo lasciar andare la presa sulle armi.
«Cos’è successo?» chiese Jason, alzandosi in piedi.
Trafelato, Percy si mise a farfugliare parole a caso senza riuscire a ordinarle in una frase di senso compiuto. Quando finalmente si fu calmato, riuscì a dire che Annabeth era stata rapita con un motorino da Gregory Peck e Audrey Hepburn. Non che avesse molto più senso, ovviamente.
«Non proprio rapita» precisò il figlio di Poseidone. «Eppure ho questa brutta sensazione…» Trasse un profondo respiro, come se stesse cercando con tutto se stesso di non esplodere. «In ogni caso, Annabeth è andata. Forse non avrei dovuto permetterle di farlo, ma…»
«Sapevi che doveva continuare da sola» lo interruppi, aggiungendo un pizzico di lingua ammaliatrice alle mie parole per massimizzare l’effetto. Il modo in cui mi fissò, quasi stesse bevendo ogni frase che pronunciavo, fu una conferma sufficiente della mia riuscita. «Annabeth è forte e intelligente. Se c’è un figlio di Atena che può farcela, è lei.»
«Sì, hai ragione. Non dovrei dubitare di lei» concordò, sbattendo le palpebre un paio di volte per capire se stesse pronunciando per davvero quelle parole.
«Bene!» Einar batté le mani e le sfregò una contro l’altra, facendoci sobbalzare. «Oh, scusate. Comunque, non vorrei sembrare impaziente, ma visto che adesso Percy è qui… Possiamo dare inizio alla ricerca di Nico e dei nostri amici giganti, giusto?»
«Cavolo! Stavo per dimenticarmene» saltò su Percy. «Gregory Peck… cioè, Tiberino mi ha rivelato che per salvare Nico abbiamo a disposizione meno tempo di quello che pensavamo.»
Il figlio di Loki si portò una mano alla tempia, cercando di contenere la sua irritazione. «E tu—tu te lo stavi dimenticando
L’altro ragazzo deglutì. «Ha anche detto che Piper sarebbe stata capace di individuare il punto in cui si trova grazie al pugnale» disse molto velocemente.
Un considerevole numero di occhi si posò su di me. Iniziarono a sudarmi le mani per l’agitazione. «Ho già provato questa mattina. Non sempre Katoptris mostra quello che voglio vedere. Anzi, non lo fa quasi mai.» Ma mi bastò scambiare un’occhiata con Einar per desiderare di aver ben altre notizie. Sospirai. «Okay. Proverò un’altra volta.»
Sguainai il pugnale e lo posi davanti a me, in modo che tutti potessero vedere. Ti prego, pensai. Funziona. Per favore. La lama di bronzo si illuminò, e non a causa della luce naturale. Sulla superficie comparvero prima delle tende, poi la visuale si strinse sulle persone che camminavano tra di esse; l’oro imperiale delle armi luccicava alle loro cintole. Katoptris ci mostrò Octavian entrare nel padiglione in cui si trovava Reyna, al cui centro era posto un tavolo con stesa sopra una cartina.
«Quella è una mappa di Long Island» disse Percy. «I Romani sono già arrivati.»
«Stanno esplorando il territorio. Se non l’hanno già fatto» spiegò il figlio di Giove. «Maledizione. Pensavo che Reyna sarebbe stata in grado di regalarci più tempo.»
«I due Campi possono aspettare» li interruppi. «Le nostre priorità sono già qui ad attenderci.»
Strinsi la presa sull’elsa per aiutarmi a concentrarmi. Voglio sapere dove si trova Nico di Angelo. La visione si dissolse, lasciando spazio a una nuova.
Ai nostri occhi si presentarono rovine romane, muri e colonne erose dal tempo e coperte parzialmente dal muschio, addossate al fianco erboso di una collina costellata di pini. Era il Foro antico che avevamo avvistato dall’alto dell’Argo II, prima di atterrare.
La vista si restrinse e zoomò su un particolare lato del pavimento di pietra, dove era stata scavata una rampa di scale che conduceva a un cancello moderno chiuso da un lucchetto. Dopo quest’ultimo, una scala a chiocciola che conduceva a una sala buia e cilindrica che ricordava l’interno di un silo vuoto.
Il polso mi tremò e la visione sparì. Per poco Katoptris non mi sfuggì di mano.
«Piper, tutto bene?» mi chiese Jason, posandomi una mano sulla spalla.
«Non possiamo andare in quel posto» dissi. La sensazione di stare annegando coincideva completamente con l’ambiente che la lama mi aveva appena mostrato. Morire era già stato abbastanza orribile nel sogno. Andare là era come condannarsi con le proprie mani. «Non so come spiegarvelo, ma se entriamo là dentro…»
«Sappiamo che sarà pericoloso» mi interruppe Einar. «Tutte le cose che facciamo lo sono. Le minacce che affrontiamo impresa dopo impresa sono sempre più vicine all’ucciderci. Potremmo morire se entriamo in quel luogo, ma potremmo sopravvivere, come abbiamo sempre fatto. Se non lo facciamo, invece, per Nico non ci sarà speranza.»
«Ha ragione» lo appoggiò Percy, e vidi anche Jason annuire.
La paura di annegare, la sensazione di non avere più aria nei polmoni erano ancora vivide nella mia memoria. Non avrei voluto continuare a guardare nel pugnale, ma come potevo rifiutarmi quando sapevo che le mie azioni erano impedite dal panico e quelle dei miei compagni da sentimenti molto più nobili? Dall’amore, persino? Perché non c’era dubbio che il figlio di Loki fosse innamorato, per quanto cercasse di non darlo a vedere. Al suo posto, mi sarei comportata allo stesso modo.
La lama scintillò di nuovo e riprese la visione là dove si era fermata. Vedemmo i giganti gemelli, entrambi in armatura da gladiatori, seduti su enormi sedie da pretore mentre brindavano in calici d’oro, quasi avessero già vinto. Tra di loro c’era una grossa giara di bronzo, la più grande che avessi mai visto, a dir la verità. Non che lo fosse abbastanza per contenere il corpo di Nico di Angelo, rannicchiato al suo interno più pallido di un morto.
Einar smise di guardare, voltandosi di scatto e allontanandosi di qualche passo con le mani tra i capelli. Rimisi Katoptris nella sua fodera, fissando la schiena del figlio di Loki e desiderando di poterlo aiutare. Mi domandai se anche questo facesse parte del gioco malato tra mia madre e Freyja.
«Non faremo più in tempo» commentò Jason, a bassa voce, temendo di offendere Einar.
Al suo posto, invece, fu Percy a prendere parola. «No!» ribatté. «Non voglio crederci. Forse Nico è entrato è entrato in uno stato di trance più profondo per guadagnare tempo. Dobbiamo solo sbrigarci.»
«Vieni con me, Jackson?» domandò Einar. Si stava sistemando l’arco e frecce in spalla. «Non ho intenzione di aspettare che gli altri tornino per l’orario stabilito.»
«Certo.»
«Un attimo.» I due sembravano pronti a scappare via correndo, diretti nel luogo che avrebbe potuto diventare la nostra tomba. «Come faranno a trovarci, se ce ne andiamo così? Manca poco alle tre, possiamo aspettarli qui e poi andare insieme e saremo più preparati.»
«Tiberino ha detto che non disponiamo di così tanto tempo» sottolineò Percy. «Dobbiamo muoverci.»
«Lasciamo un bigliettino o qualcosa del genere, se ti va» aggiunse Einar. «Leo saprà trovarci grazie all’Argo II. E poi Alex avrà con se dieci rune di rintracciamento come minimo. Ci troveranno.»
Jason alzò le spalle e poi le lasciò cadere con un lungo sospiro. Ci scambiammo un lungo sguardo e, alla fine, io annuii, sebbene riluttante. «Va bene. Qualcuno ha una penna?» chiesi.
 
«Non avevo la minima idea che Vortice funzionasse come una normalissima penna» commentò il figlio di Loki, estasiato.
«Nemmeno io» disse Percy con un sorriso.
«Ragazzi» li chiamò il figlio di Giove. «Siamo arrivati.»
Rimasi a guardare mentre tagliava con la spada il lucchetto che teneva chiuso il cancello e quest’ultimo si apriva cigolando. Sotto, si intravedevano i primi gradini della scala a chiocciola, i seguenti avvolti dall’oscurità.
«Siete davvero sicuri di voler scendere?» chiesi. Il mio cuore stava già iniziando a battere più intensamente.
Einar si voltò e mi rivolse un sorriso da angelo. «Miss Mondo, hai sconfitto un gigante. Capisco che una scala a chiocciola possa essere un nemico temibile per gli anziani, ma tu hai sedici anni, diamine.»
«Ehi» ammonì Jason. «Vacci piano. Piper… questo posto, l’hai già visto, vero?»
Annuii, grata. «Non sapevo come dirvelo. Io… io ho visto che saremmo annegati, là dentro. Capite perché non possiamo andare adesso?»
Percy corrugò la fronte. «Sono il figlio del dio del mare. Io non posso annegare.» Ma non sembrava tanto convinto.
«A me non interessa» chiosò Einar.
«Hai già detto come la pensavi riguardo ai pericoli da correre» replicò il figlio di Giove, cercando di calmare gli animi. «Però è importante tenere a mente quello che ha visto Piper ed essere molto prudenti.»
«Non credo abbia fatto in tempo a sentirti» lo informò Percy, indicando le scale da cui Einar era appena sceso.
Il mio ragazzo borbottò qualcosa sui nordici e l’impulsività in generale, premendosi con due dita la radice del naso. Mi avvicinai a lui e intrecciai le mie dita alla sue, un minimo ringraziamento per aver preso le mie difese nonostante avessi appena dichiarato ad alta voce – e quindi reso vero – una profezia di morte.
«Sono ancora vivo!» La voce del figlio di Loki ci giunse flebile e distorta. «Scendete e venite a dare un’occhiata!»
Ne avrei volentieri fatto a meno, ma non potevamo più tirarci indietro. Scesi tenendo stretta la mano di Jason e controllando ogni due secondi di avere le armi vicine, ma la cornucopia e il pugnale non si muovevano di un centimetro. Scritte recenti cedettero il posto ad antichi graffiti e incisioni, finché le scale non terminarono con un ultimo gradino.
L’ambiente era esattamente come Katoptris l’aveva mostrato: le pareti curve che un tempo erano decorate da affreschi ora sbiaditi e il soffitto a volta a una quindicina di metri d’altezza, il pavimento perfettamente asciutto. Ora potevamo anche vedere delle nicchie, nove in tutto, disposte lungo le pareti e ricavate nel muro stesso. L’aria era fredda e secca e aveva una strana fragranza salmastra. Se una chiesa si fosse trovata nell’oceano, avrebbe avuto lo stesso odore.
«Sentite il profumo dell’oceano?» domandò Percy. Facemmo tutti dei cenni affermativi. «Allora non è decisamente un’illusione. Strano. Ho come la sensazione che ci debba essere dell’acqua, ma non ce n’è nemmeno un goccio.»
Meglio così, pensai tra me e me. Anche se qualcosa mi diceva che c’era ancora tempo per riempire quel posto fino al soffitto.
Jason si era avvicinato a una nicchia e ne stava studiando la superficie. «Ci sono delle conchiglie incastonate nella pietra.» Si alzò e si voltò verso di noi, lasciandosi alle spalle l’incavo nelle parete. «Credo di sapere dove ci troviamo. Questo è un ninfeo, un santuario delle ninfe risalente all’Antica Roma. Era uso comune per i patrizi erigerne uno al di fuori delle ville per assicurarsi che l’acqua fosse sempre fresca e per onorare le ninfe che, quando decidevano di stabilirvisi, erano un segno di buona sorte. Un tempo questo era in superficie, ma negli anni è sprofondato e vi hanno costruito sopra.»
«Peccato che la fortuna non si estendesse alle ninfe» intervenne Percy. «Una volta accettato di vivere in un ninfeo, le ninfe sarebbero state legate alla nuova sorgente d’acqua per sempre.»
«Ma il ninfeo in cui ci troviamo è sepolto da secoli. Non vi è nessuna sorgente d’acqua» fece notare Einar.
«Già.» Mi misi a osservare le nicchie, una ad una, riflettendo su cosa potesse essere accaduto alle legittime proprietarie in tutto questo tempo. «Che fine avranno fatto le ninfe?» ragionai ad alta voce.
Il profumo d’oceano si fece all’improvviso più intenso. La luce che illuminava parzialmente le pareti divenne viola e verde acido, in netto contrasto con i colori chiari di poco fa. Sopra le nostre teste, all’altezza delle nicchie, vedemmo scintillare delle figure.
Erano nove in tutto e si stagliavano in corrispondenza delle cavità. Avevano l’aspetto di mummie: avvizzite, con gli occhi viola che scintillavano malvagi e parevano il riflesso del veleno che portavano dentro, erano vestite con i brandelli degli abiti di seta che un tempo fasciavano i loro corpi e i loro capelli erano secchi e stopposi, per metà tirati su in acconciature da nobildonne romane ormai sciupate.
Una volta ero andata a trovare mio padre ad Hollywood sul set del suo nuovo film e avevo assistito per caso alla registrazione di un episodio di The Walking Dead. Avevo pensato che gli zombie fossero molto più spaventosi sullo schermo che nella realtà, ma dovetti ricredermi non appena posai gli occhi sulle nove creature.
«Che fine avranno fatto le ninfe?» ripeté quella nella nicchia al centro. «Domanda interessante, mia cara. Forse le ninfe sono ancora qui a soffrire in attesa di vendetta.»
Il mio primo pensiero fu quello di scappare ma, quando mi voltai, la porta era scomparsa. C’era soltanto una parete vuota. Ovviamente. Jason e Percy sguainarono le spade, mentre Einar incoccò una freccia e tenne sotto mira la prima ninfa.
«Chi siete? E che cosa volete da noi?» domandò il figlio di Giove.
Fu sempre quella centrale a risponderci. «Ah… i nomi! Un tempo avevamo un nome, prima che venisse sepolto come il nostro ninfeo. Io ero Agno, la prima delle nove ninfe originali!»
«Ninfe originali?» ripeté Jason, corrugando la fronte. «Intendi dire…»
«Sì!» Sulla faccia della ninfa si aprì un sorriso malvagio. «Noi abbiamo assistito alla nascita di tuo padre, quando ancora si chiamava Zeus. Non solo, abbiamo fatto il possibile per nasconderlo in modo che Crono non lo trovasse. Sapeste che polmoni aveva! Non è stata impresa facile, ma ci furono tributati onori eterni per il servizio reso. Tutto questo accadeva nell’antica patria, la Grecia.»
Le altre ninfe gemettero e graffiarono le nicchie, agitandosi al ricordo legato alla loro patria natia.
«Roma ha preso il potere e noi siamo state invitate qui» continuò Agno. «Un semidio figlio di Giove ci ha tentato offrendoci doni. Ci promise una nuova casa, più grande e più bella. Disse che Roma sarebbe durata per sempre.»
«Ma Roma non è durata per sempre» mormorò Jason.
Le ninfe sibilarono, se la loro approvazione o il loro disappunto non avrei saputo dirlo.
Agno si apprestò alla conclusione. «Fu così che abbandonammo le nostre sorgenti e fonti sul Monte Liceo per trasferirci qui. Per secoli la nostra vita è stata meravigliosa! Feste, sacrifici in nostro onore, abiti e gioielli… Poi gli acquedotti sono stati deviati. La villa del nostro padrone è stata abbandonata e demolita. Noi siamo state dimenticate e sepolte sottoterra, ma non potevamo andarcene. La nostre fonte di vita era collegata a questo luogo. Per secoli, siamo appassite e appassite nell’oscurità e adesso abbiamo sete… molta sete.»
Einar abbassò l’arco e allargò le braccia, cercando di apparire amichevole. «Sono tremendamente dispiaciuto per voi» disse. «Io vi capisco. So cosa significa avere sete. Voi la provate da secoli interi, certo, ma a me è bastata qualche settimana per vedere la vendetta anche nei sogni. Quindi vi prego, permettete a me e ai miei amici di andare a dissetarci.»
«Possiamo tornare ad aiutarvi» aggiunsi. «Vivere così dev’essere stato terribile. Ma noi non siamo vostri nemici. Se possiamo fare qualcosa anche adesso…»
Percy si fece avanti. «Il mio padre è Poseidone. Forse posso evocare una nuova sorgente d’acqua per voi.»
Il sorriso di Agno non aveva fatto altro che allargarsi, finendo per assomigliare a uno squarcio nel mezzo della sua faccia. «Certo che potete aiutarmi, semidei. Tutti voi potete dare una mano» rispose. «Efialte e Oto mi avevano promesso che sareste venuti qui.»
«Lavorate… Lavorate per i giganti?» balbettai.
Sentivo che mi stavano venendo meno le gambe. Katoptris, maledetto pugnale buono a nulla, non mi aveva mostrato niente di tutto questo. Ora eravamo qui, in trappola e senza alcuna via di scampo per colpa mia e della mia mancanza di risolutezza.
«Sono i nostri vicini, mia dolce figlia di Afrodite» spiegò Agno. «Hanno detto che avremmo potuto farvi ciò che più avremmo desiderato. Perciò, da te prenderemo la bellezza che il tempo ha fatto scomparire. Da te, figlio di Poseidone, esigeremo una riserva d’acqua, una riserva d’acqua infinita. Tu, discendente di Giove, pagherai per l’orribile tradimento del tuo predecessore che ci ha irretite in questo luogo.» La ninfa girò la testa, dedicando una lunga occhiata all’ultimo rimasto tra noi. «Sono desolata, Einar Larsen, ma la tua sete di vendetta dovrà aspettare. Da te prenderemo la forza e il vigore della gioventù. Il sacrificio non ti sarà gravoso, dal momento che già donasti parte della tua vita a Nico di Angelo, dico bene?»
Il figlio di Loki incurvò lo spalle, celando il viso livido di rabbia. «Drikke av dette, tipse» disse tra i denti. Poi, più forte: «Dissetati con questo, stronza!»
La corda dell’arco vibrò e una lunga freccia nera tagliò l’aria. Non raggiunse mai il bersaglio. Si conficcò nella nicchia centrale, esattamente dove avrebbe dovuto trovarsi Agno un momento prima. Ma le ninfe erano scomparse, svanite nel nulla, lasciandosi dietro acqua. Acqua scura, nera, nauseabonda, acqua che sembrava petrolio.
Ci raggiunse le caviglie, le ginocchia, poi il bacino in una manciata di minuti. Einar lanciò un grido di rabbia e frustrazione. Jason e Percy si scagliarono contro le pareti, cercando disperatamente un’uscita. Rimasi immobile un istante, paralizzata dalla sensazione schiacciante che un incubo fosse appena diventato realtà.

 
koala's corner.
Bentornati da AxXx (che si beve una Sprite) e Water_wolf (che naviga nelle tristi acque dei titoli dei capitoli)! Siamo stati assenti per due mesi e non possiamo esprimere a parole quanto ci dispiaccia aver abbandonato EFP per tutto questo tempo, ma la vita è successa. Comunque, adesso che siamo di nuovo qui, ci impegniamo per riprendere a scrivere con un ritmo quanto meno regolare questa storia.
Sì, vi terremo compagnia d'estate insieme a J-Ax e Fedez lol. Questo non è esattemente il capitolo che avevo in mente, anche perché riprendere a scrivere è stato duro ed è uscito qualcosa di strano, ma è un inizio.
E da qui in poi incominciano le scazzotate, i combattimenti e le cose varie che ci piacciono tanto. Un po' di sana violenza.
Mi sono resa conto che c'è un po' tanta Einico, ma non credo dispiaccia a nessuno, giusto? XD
Speriamo che abbiate ancora voglia di seguirci e recenserci, un abbraccio e alla prossima!

Soon on Vendetta del Nord: andiam, andiam, andiamo a trucidaaar
 

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Capitolo 17
*** EINAR/PERCY/ALEX • Salviamo un figlio di Ade sotto sale ***


Salviamo un figlio di Ade sotto sale

∫ Einar ∫
 
Tra le morti che mi ero visionato, quella di annegare era per me davvero all’ultimo posto. Insomma, seriamente: un semidio norreno di solito viene squartato, massacrato, infilzato o tagliuzzato dai mostri. Non viene imprigionato in un pozzo da un gruppo di cosplayers della bambina dell’esorcista per farlo lentamente annegare. Non è nella nostra natura.
«Ci dev’essere un modo per uscire!» sbottò Jason, in quell’istante, che aveva tentato di abbattere il muro a spadate con assai poco successo. «Questi posti avevano canali di scarico per far defluire l’acqua.»
Ormai avevamo l’acqua alla gola e, presto, avremmo dovuto nuotare per rimanere in superficie.
«Lo troverò.»
Percy si immerse, proprio nell’istante in cui i miei piedi lasciavano il terreno.
«Avevi ragione, Miss Mondo, venire qui sotto è stata una pessima idea» mi scusai, cercando di rimanere a galla.
La figlia di Afrodite provò ad arrampicarsi per ispezionare il soffitto, ma, nonostante fosse la più leggera del gruppo, le pareti e le mani bagnate erano troppo scivolose e lei ricadde giù provocando un grande tonfo nell’acqua.
«Maledizione!» sibilò, mentre si teneva in superficie a fatica.
Per qualche ragione, l’acqua sembrava appesantirci più del normale, come se ci cercasse di tirarci giù e non era difficile che fosse opera di quelle ninfe zombie. Pochi istanti dopo, Percy riemerse sputacchiando acqua con notizie assai poco rassicuranti.
«Non riesco a respirare» sbuffò, ansante, mentre liberava il naso dall’acqua. Solo in quel momento notai che i suoi vestiti perennemente asciutti, persino sott’acqua, erano fradici. «È come se l’essenza di quelle ninfe fosse… malata. La loro acqua è irrespirabile anche per me.»
«Be’, fantastico!»ringhiai, tentando anche io la scalata, con meno successo della mia compagna. «Ma non intendo morire qui sotto, quindi… Qualcuno ha qualche idea?»
«Jason, usa i tuoi poteri! Evoca un fulmine e facci uscire da qui!» lo incoraggiò la sua ragazza, frettolosamente.
«Ma se lo faccio i detriti potrebbero essere così pesanti da ucciderci» protestò il figlio di Giove.
Per tutta risposta, Piper ringhiò con un espressione tremendamente simile a quella di Astrid: «Preferisco morire con la testa spaccata che affogata, soffrirò di meno, quindi correrò il rischio.»
«Va bene, va bene.»
Ormai l’intera camera era mezza sott’acqua ed il pavimento era molti metri sotto di noi, mentre salivamo a vista d’occhio. Jason si accigliò, concentrandosi ed evocò un nuvoletta scura che coprì il soffitto. Sfortunatamente, però, invece di evocare un fulmine per distruggere il soffitto o la parete, la nuvola iniziò a liberare una pioggia scrosciante e continua.
«Non volevo questo!» sbottò Jason a mo’ di scusa.
«Be’, in un modo o nell’altro, arriveremo in cima» commentai, cercando di controllare il panico.
Era molto difficile immaginarsi un modo per sfuggire a quella situazione. L’acqua aumentò più velocemente che mai e, in un minuto, riuscimmo a vedere bene il soffitto. Come sospettavamo, non c’erano aperture di sorta: eravamo in trappola.
«Guardate il lato positivo: possiamo esprimere il nostro ultimo desiderio con molta calma» constatai, con la voce che mi tremava di freddo e paura.
«Sì, allora io desidero uscire da qui» sbuffò Percy che, in un ultimo coraggioso tentativo di fuga, colpì la parete con Vortice.
Mi detti dello stupido. Accecato dal desiderio di salvare Nico, avevo dimenticato ogni cautela, mandando me stesso e,  soprattutto, gli altri, a morte certa e in modo davvero orribile. Ora capivo come mai Alex fosse così cauto quando c’erano gli altri e così deciso nonostante i rischi: lui voleva proteggere chi gli stava accanto e, se qualcuno doveva rischiare, era meglio che fosse lui da solo. Se solo avessi ragionato io, in quel modo, Percy, Piper e Jason avrebbero potuto salvare Nico anche se io affogavo. Che stupido idiota che ero stato. Nel mio taciuto egoismo, avevo messo in pericolo tutti, non solo me stesso.
Mi voltai un attimo e vidi che Piper stava baciando Jason. Forse l’ultimo bacio prima della fine. Come biasimarli.
Mi voltai dall’altra parte ed incrociai lo sguardo leggermente imbarazzato di Percy. Probabilmente, baciarsi era molto strano poco prima di morire, per lui.
Sorrisi.
«Jackson, davvero, non sei male come ragazzo, ma io non ti bacio» scherzai, ormai vicino alla rassegnazione.
L’acqua, ormai, era così vicina che, con la punta dei capelli, sfioravo il soffitto. Fu in quel momento che Piper, che si era separata dal suo ragazzo, emise un’esclamazione di sorpresa ed i suoi occhi si illuminarono.
«Ragazzi, forse so come uscirne!» ci disse, mentre eseguiva una specie di contorsione per afferrare qualcosa attaccato alla cintura.
Con le mani sollevò la cornucopia sopra l’acqua e disse: «Dobbiamo concentrarci sulle cose felici e far uscire acqua pura dalla cornucopia per purificare l’acqua delle ninfe.»
«Ma così affogheremo più velocemente!» protestò Percy, accigliato.
«Non affogheremo, fidatevi!» replicò lei in fretta, mentre, ormai, l’acqua ci schiacciava contro il soffitto.
«Che abbiamo da perdere?» commentai, sardonico, mentre posavo le mani sulla cornucopia che iniziò ad emettere un getto di acqua limpida.
Jason e Percy misero anche le loro mani intorno al corno, poco prima di venire sommersi.
L’acqua sembrava premere contro il petto ogni istante di più, come a spingerci ad emettere un respiro per soffocarci più velocemente ed era così buio che non vedevo nulla. Mentre stringevo le mani intorno alla cornucopia cercai di ignorare il dolore ai polmoni e di pensare a tutto ciò che aveva reso bella la mia vita. Ricordi legati a mia madre, Alex, Astrid, Nico, i miei fratelli al Campo Nord. Centinaia di scherzi, racconti intorno al fuoco, risate con gli amici.
Tutto quello che riuscii a pensare di felice, cercai, in qualche modo, di trasmetterlo alla cornucopia che continuava ad emettere il suo getto di acqua pulita. Nonostante l’oscurità, tuttavia, notai che l’acqua che lei emetteva sembrava più chiara di quella in cui eravamo immersi, e più leggera. Come se un’onda di pulito infrangesse una chiazza di petrolio in mezzo al mare.
Ma eravamo ancora sotto e la vista iniziava ad annebbiarmisi ogni secondo che rimanevo senza respirare.
Poi, di colpo, l’acqua tornò ad abbassarsi e presi una grande boccata d’aria, felice di respirare.
«Dèi!» ansimai, cercando di riprendere fiato.
Ci volle meno di un minuto e riuscimmo a toccare di nuovo il pavimento di quell’enorme pozzo che, per poco, non era diventato la nostra tomba.
«Cavolo, non pensavo saremmo sopravvissuti» boccheggiai, mentre le gambe mi tremavano per l’adrenalina non del tutto scaricata.
«Dovevamo… purificarle.» Le parole di Piper le uscivano a fatica dalla bocca. «Prigioniere qua sotto… le ninfe… dovevano aver accumulato… molti pensieri negativi, per questo… l’acqua era… così pesante. Ho usato la cornucopia… per purificarla.»
«E di questo ti siamo grate, figlia di Afrodite» confermò una voce flautata proveniente dalla nicchia dove prima c’erano le ninfe zombie.
Ora che erano state purificate, avevano riottenuto un aspetto decente. Gli abiti strappati erano di nuovo solidi e ricordavano ancora di più un’antica tunica romana. I capelli, prima grigi, crespi e cadenti, erano diventati lucidi di un verde scuro quasi nero che ricadevano lisci come una cascata sulle loro spalle fino alla vita. La sua pelle non era più raggrinzita e rugosa, ma giovane e morbida come quella che doveva avere un tempo.
«Grazie a voi, ora, non siamo più legati all’acqua di questo posto. Siamo di nuovo vive e libere di andarcene» ci ringraziò, con calma, facendo un leggero inchino verso di noi.
Era difficile pensare che, poco prima, quella fosse la stessa donna vecchia e non-morta che aveva tentato di ucciderci.
«E dove andrete?» chiese Percy, i cui vestiti si erano immediatamente asciugati.
«Non lo so, potremmo tornare alla nostra fonte o trovarne una nuova in un altro posto. Di certo Pan ha evitato che gli umani distruggessero le foreste, no?» rispose la ninfa, fiduciosa.
Il figlio di Poseidone parve rabbuiarsi, ma non rispose.
«Felice di non essere morto» borbottai a mezza voce, un po’ risentito. Sapevo che non era stata proprio una loro idea, ma avevano cercato di ucciderci.
«So che questo non basterà a farci perdonare. Siamo state crudeli e spinte dalla sete abbiamo attentato alla vostra vita, ma voi ci avete salvate. Permettetemi, quindi, di ricambiare, in minima parte questo favore» aggiunse, lei, come se mi avesse sentito.
A un suo cenno, la parete si aprì, ma invece di dare verso l’esterno sembrava portare ancor più sottoterra, seguendo un passaggio leggermente discendente.
«Questo passaggio porta sotto il Colosseo, proprio dove i Giganti tengono il vostro amico» spiegò la ninfa, attirando subito la mia attenzione. «Essi non si aspettano che voi sopravviviate, quindi potreste coglierli di sorpresa, ma fate attenzione: sono comunque nemici temibili.»
«Non ci spaventano» affermò Jason, deciso.
Mentre ci avviavamo lungo il corridoio di pietra, ancora fradici – tranne Percy, perché lui è Percy –, mi girai e notai, per un istante, tutte le ninfe che un tempo abitavano lì, trasparenti come fantasmi, ognuna nella sua nicchia e di nuovo belle come un tempo, prima che sparissero lasciando dietro di sé una leggera brezza salmastra e qualche goccia d’acqua. Sperai di non incontrarle più con la luna storta e che trovassero un bel posto dove vivere, se Gea non distruggeva tutto.
Procedemmo lungo il cunicolo senza incontrare ostacoli. Probabilmente i giganti non si aspettavano che noi arrivassimo fin lì, ma fu comunque una lunga passeggiata. Solo dopo quasi venti minuti, il cunicolo si aprì in un enorme stanzone, grande quanto un campo da calcio.
Ci guardammo intorno, ma non c’era traccia di nessuno.
In compenso c’erano decine di giocattolini interessanti: esplosivi, fuochi d’artificio, e strani giochi pirotecnici che, però, sembravano esser stati manomessi per diventare mortali, come un gigantesca artiglieria di fuochi d’artificio, che era stata ingrandita e potenziata in modo che facesse saltare un edificio o dei petardi più simili ad una granata a frammentazione. Oltre a questo, c’erano almeno duecento gabbie contenenti diversi mostri e animali mortali: dai semplici leopardi e leoni, fino ad un paio di idre completamente sviluppate ed una manticora gigantesca che agitava la grande criniera, annusando l’aria.
E, al centro, sospesa ad una decina di metri dal suolo, eccola: la giara. La prigione di Nico.
Il mio primo impulso fu quello di correre verso di essa, ma mi bloccai.
«I Giganti non sono qui? È troppo strano, stiamo attenti.»
«Io e Jason andiamo avanti» propose Percy, con un cenno d’intesa.
«Io vi copro le spalle.» Piper indietreggiò di pochi passi, ma estrasse il pugnale risoluta.
«Allora io faccio il giro e cerco di passare dietro quelli» dissi, indicando le grandi casse e gabbie. «Se vi attaccano, vi darò tutto l’aiuto possibile.»
Presi l’arco ed iniziai a camminare all’ombra di quei pericolosi oggetti scenici. Non era difficile immaginare come fosse facile renderli pericolosi: una scintilla nel posto sbagliato e tutto il posto sarebbe saltato in aria. Man mano che procedevamo, notai che il posto era una vera e propria catena di montaggio di armi e corazze d’assalto, mandato avanti da grosse ruote da criceto in cui erano imprigionati dei mastini infernali. Nelle gabbie c’erano anche un wyrm ed un paio di leoni delle nevi con dei serpenti al posto della coda; dovevano aver trovato un po’ di bestie nordiche da mettere in gabbia.
Quando gli altri furono a metà strada tra la giara e l’entrata, di colpo una grande piattaforma calò dal soffitto. Su di essa, ecco il primo gigante: Efialte.
Indossava una tremenda camicia hawaiana con una fantasia di eroi greci torturati e agonizzanti al posto dei classici fiorellini –  della serie: il gusto orribile dei giganti. Aveva anche jeans bianchi immacolati che si abbinavano malissimo con la fantasia colorata di sopra. I piedi erano scalzi, in modo che i serpenti che erano lì, al posto delle dita, potessero muoversi liberamente e, come Percy aveva detto, i capelli erano intrecciati con monete d’argento.
«Benvenuti, eroi! Non pensavo avreste superato le ninfe, ma, in fondo, è meglio così. Sarà più divertente. Siete giunti ora per l’evento più importante» commentò il gigante con un gran sorriso soddisfatto.
Mi spostai di lato, in modo che non potesse vedermi, e strisciai intorno ad alcune casse esplosive.
«Siamo qui, lascia andare il nostro amico!»
Percy, forse per la sua solita testa calda, forse per attirare l’attenzione del gigante, si fece avanti e ne approfittai per affacciarmi. Ero sul fianco del gigante, se mi fossi avvicinato alla giara mi avrebbe visto.
«Come volete. È sorprendente che sia ancora vivo» replicò il gigante, proprio mentre, al suo fianco, si apriva un’altra botola, facendo apparire la peggiore visione che mi fosse mai capitata.
A quanto pare, Oto aveva idee diverse per uno spettacolo mortale.
Sembrava un ballerino di danza classica gigantesco e mostruosamente grasso, visto le sue dimensioni. Scarpette grandi come canoe calzavano i suoi piedi ed erano state tagliate per lasciare liberi i serpenti che aveva come dita e sulla testa portava un cerchietto d’argento che lo rendeva tremendamente ridicolo.
Nonostante la situazione, dovetti sforzarmi di non ridere.
Mentre i due giganti discutevano dei loro abiti di dubbio gusto, approfittai delle grosse gabbie e li aggirai, nascondendomi dietro una lunga fila di lanciarazzi esplosivi. Proprio in quel momento, Oto si avvicinò alla giara e la capovolse, facendo cadere Nico sul pavimento.
Mi sentii mancare nel vedere quanto sembrava emaciato e pallido più del solito. Dovevo salvarlo, ad ogni costo.
Rimisi l’arco in spalla e mi avvicinai silenzioso, alle spalle dei due giganti.
 
♠ Percy ♠

 
Einar sembrava aver perso l’istinto di conservazione. Con calma, uscì dal suo nascondiglio alle spalle dei giganti, cosa ben poco saggia, visto che Oto manteneva lo sguardo su Nico che si agitava debolmente. Intanto, suo fratello Efialte ci aveva deliziato con il suo piano di distruzione romana, con tanto di pane in cassetta.
«E se… invece di ucciderci ci lasciaste andare?» chiese Piper, mettendoci tutto il suo potere, per convincere i giganti gemelli. «Sarebbe un grandissimo colpo di scena e mostrereste a tutti che siete maestri, anche nell’improvvisazione.»
«Non so se Gea apprezzerebbe» commentò Efialte, pensieroso, come se stesse effettivamente pensando all’idea di lasciarci andare.
«Ma sarebbe un’idea eccellente, no? Potremmo anche fare un balletto mentre andiamo via» replicò lei, lanciando uno sguardo ad Oto, che lo distolse da Nico.
Einar si avvicinò silenziosamente, evitando lo sguardo dei giganti. Ormai era a pochi passi.
«Vedi, Efi? Loro sono d’accordo con me» disse il gigante gemello ballerino con un sorriso.
L’altro fratello ci pensò un po’, ma poi scosse il capo. «Mi dispiace, ma non possiamo proprio deludere nostra madre Gea.»
Einar approfittò della distrazione dei giganti per issarsi Nico in spalla. Soffocò un grugnito di fatica; ora che li vedevo vicini mi accorsi che, pur non mostrando gli stessi segni di privazione del figlio di Ade, Einar era pallido come l’amico e con occhiaie altrettanto profonde, come se non dormisse bene da giorni. Sembravano entrambi parecchio malati.
«… e poi avevamo preparato tutto!» Efialte aveva continuato a parlare, anche se io non lo ascoltavo. «I Romani hanno sempre voluto Panem et Circenses, no? Noi glielo daremo!»
Una forma di pane cadde ai miei piedi, avvolta in un involucro rosso e giallo. Mi chinai per afferrarla e la guardai interrogativo. Jason si accigliò anche lui, molto perplesso.
«Pane in cassetta?» chiese, stupito.
«Già. Certo, Gea ha detto di aspettare il suo risveglio ad Agosto, ma ci ha concesso di distruggere Roma per prima, nella sua infinita saggezza» spiegò il gigante con un sorriso.
In quel momento, la situazione precipitò. Nico emise un grugnito, aprendo gli occhi per la prima volta. Un suono abbastanza poco udibile, ma, nel silenzio del momento, attirò l’attenzione dei due giganti.
«Questo non c’era nello spettacolo!» ringhiò Efialte, furibondo, alzando la lancia contro il figlio di Loki.
Io, Jason e Piper ci lanciammo in avanti verso i giganti, nello stesso momento in cui Einar dava una spinta a Nico, facendolo rotolare lontano dalla portata delle lance. Estrasse così rapidamente la sua spada che, per poco, non lo vidi muoverla. Efialte affondò ed il figlio di Loki fece roteare la lama per deviare la lancia, ma, per salvare Nico, bruciò una manciata di istanti cruciali. La lancia passò oltre la sua frettolosa guardia e impalò la sua spalla al pavimento.
«Einar!»
Mi lanciai contro Efialte, che, per difendersi, abbandonò la lancia. 
Jason provò ad assistermi, ma Oto lo intercettò con una piroetta, mentre Piper correva a liberare il figlio di Loki che gemeva con la lancia che lo teneva a terra.
Provai a superare la guardia del gigante, ma, con uno sbuffo di sabbia, sparì e ricomparve su una pedana con il pannello di controllo.
«Allora, Perseus Jackson… Vogliamo iniziare lo spettacolo?» domandò con un sorriso folle che mi faceva mancare Dioniso.
Provai a scattare verso di lui, ma, di colpo, il pavimento sotto i miei piedi si aprì, ed io precipitai giù. Le pareti iniziarono a stringersi intorno a me.
«Ma andiamo!?Cos’è? Una scena di Guerre Stellari!?» ringhiai, saltando verso l’alto ed usando la spada come rampino, mi issai fuori prima di essere schiacciato.
Registrai tutto in pochissimo tempo: Efialte aveva liberato una coppia di leopardi che avanzavano verso Piper che era riuscita a liberare Einar e ora li fronteggiava brandendo il corno dell’abbondanza. Il figlio di Loki stava difendendo Nico da una viverna selvaggia e Jason combatteva contro Oto, che sembrava molto arrabbiato. Efialte stava ridendo mentre liberava più mostri possibili. Mi ritrovai davanti ad un’idra con ben sette teste fameliche che sputavano acido.
«Odio queste cose!» sbottai, saltando via, mentre un getto acido mi passava sopra i capelli.
Mi rifugiai in un boschetto di compensato che faceva il giro della sala. Fu una bella mossa, ma mi resi conto che il boschetto mi impediva di muovermi facilmente. Mi maledissi e tornai all’attacco.
«Vediamo se liberare altri mostri. Questi ragni giganti andranno benissimo vicino a Castel Sant’angelo» commentò Efialte, allegro.
Non potevo fermarlo, ma decisi di lanciare una cassetta di pane contro l’idra che, in quel momento, decise di lanciare un getto acido che le fece esplodere il pane acido in faccia, accecandola. Ne approfittai per rotolare via, mentre Einar, che era riuscito a liberarsi della viverna, prese la mira con l’arco e fece precipitare la gabbia dei ragni. La spalla gli sanguinava parecchio e, alle sue spalle, Nico si reggeva a malapena in piedi.
Dovevo fare qualcosa.
Mi guardai intorno e vidi un treppiede con sopra montata una carica di razzi pirotecnici pesantemente modificati che mi fece ricordare quando, molti anni prima, Clarisse abbatté un’idra simile con una bordata di nave da guerra. Mi precipitai verso il cavalletto con l’artiglieria e lo puntai contro Efialte, che stava premendo altri pulsanti per liberare altri mostri.
«METTETEVI AL RIPARO!» urlai, sperando che mi sentissero e afferrassero il concetto.
Premetti il grilletto e mi gettai a terra. I fuochi d’artificio modificarti esplosero in una raffica di fuoco multicolore, disintegrando l’idra e facendo a pezzi molti oggetti scenici. Le ruote da criceto crollarono liberando diversi segugi infernali che iniziarono a combattere contro il wyrm, uscito dalla sua gabbia con l’aiuto di un esplosione.
Un numero parecchio elevato di missili sibilò contro Efialte, che venne travolto. Altri mostri furono inceneriti all’istante e Jason fu abbastanza furbo da mettersi al riparo, abbandonando il combattimento con Oto, che fu colpito da un missile che squarciò il fianco e la gamba sinistra del gigante.
Il rumore quasi mi assordò, ma, quando mi alzai, vidi che, per il momento, i giganti erano KO. Jason aiutava Piper ad alzarsi, dato che lei era stata colpita da un sacco di sabbia caduto dal soffitto che le aveva slogato la spalla. Einar era ferito, ma riusciva a sorreggere Nico, che sembrava scosso.
Mi avvicinai a loro, sperando in un momento di calma, ma fui troppo ottimista. Efialte si riformò, emergendo dalla catasta fumante che, ormai, era la sua postazione di comando, mentre Oto si alzò da un mucchio di macerie. Entrambi erano storditi, ma per nulla sconfitti.
«Percy!» urlò jason, indicando qualcosa a pochi metri da Efialte. «Distruggilo, presto!»
Il pannello di controllo!, compresi, in un attimo, notando che era ancora indietro. Prima che il gigante potesse reagire, superai con un balzo la distanza che ci separava e tagliai in due il pannello, che andò in pezzi in una pioggia di scintille rosse.
«No!» ululò Efialte, sconcertato e furibondo. «Hai rovinato il mio spettacolo!»
Per un trionfale momento, pensai di aver vinto, ma poi l’asta di una gigantesca lancia mi colpì allo stomaco, facendomi rotolare fino al centro della grande sala degli effetti speciali. La vista mi si annebbiò, mentre lucine gialle iniziavano a danzarmi davanti agli occhi e lo stomaco mi si rivoltava per il dolore. Riuscii a non vomitare con uno sforzo davvero eroico.
Con la coda dell’occhio vidi Jason accorrere in mio aiuto, ma Oto gli tagliò la strada e, con una spinta, lo mandò contro di me. Mi ritrovai spalla a spalla con il mio compagno, mentre i giganti gemelli ci circondavano.
«Non potrete mai vincere!» ringhiò Efialte, ancora fumante di rabbia. «Non avete un dio ad aiutarvi e noi vi distruggeremo assieme a questa città!»
«Vi uccideremo lo stesso, dio o no!» urlai, brandendo Vortice. Sapevo che era impossibile, ma non potevo arrendermi a quella coppia di squinternati.
«Già… come Giove fece a pezzi Saturno, noi faremo a pezzi voi!» aggiunse Jason, con decisione.
«Sarebbe un gran peccato, allora, visto che sono venuto per nulla» esclamò una voce con strana tranquillità.  
Ci voltammo tutti verso il corridoio da cui, minuti prima, eravamo spuntati noi e, con mia sorpresa, vidi Dioniso – o meglio, Bacco – avanzare tranquillo, brandendo il tirso con calma, come se davanti a lui non ci fossero due giganti assassini. 

 
• Alex •

Capisci di essere in una giornata difficile quando, per prima cosa, stai girando Roma alla ricerca dei tuoi amici, ti urlano contro tutti gli spiriti di una città, vieni assalito da un gruppo di turisti posseduti, ed infine ti ritrovi davanti ad una porta chiusa nascosta sotto il Pantheon di Roma da una botola magica.
Perfetto: la giornata si faceva interessante.
Leo stava armeggiando con la porta, che sembrava bloccata da una serie di complicati lucchetti meccanici completamente in oro imperiale e con al centro una sfera grande come una palla da bowling che sembrava controllarli tutti.
«Maledetti eidolon» sibilò Hazel, guardandosi intorno. «Pensavo che Piper li avesse costretti a tenersi alla larga da noi!»
«Tecnicamente non ci hanno posseduti e non si sono avvicinati alla nave. Non hanno rotto il loro giuramento» spiegò Frank, accigliato.
«Bene, ora gli spiriti sono laureati in giurisprudenza infernale?» ringhiò Astrid che sembrava abbastanza nervosa a causa dell’oscurità, rischiarata a malapena dalle nostre spade incantate. «Tranquilla, bellezza, non ci dovrebbero aver seguito» la tranquillizzò Leo, che armeggiava con la serratura. Sembrava divertirsi parecchio.
«Questa serratura è molto… sofisticata per i Romani. Loro tendono a semplificare molto le cose. Bisogna allineare i segni e le lettere in modo giusto… così!» esclamò, mentre i meccanismi si aprivano.
Frank sbuffò. «Sì, perché a voi piace complicare le cose.»
«Calma» dissi piano, intuendo che poteva scoppiare una lite. Eravamo in pericolo e non era il caso che ci mettessimo a litigare.
La porta scattò, proprio nell’istante in cui sia Hazel che Frank lanciavano uno sguardo di sbieco a Leo che, però, non li notò, troppo curioso per vedere cosa c’era dietro la porta.
«Ho come la sensazione che non siamo al sicuro» sussurrò Astrid, guardandosi intorno. Forse riusciva a percepire la presenza degli spiriti.
«Andiamo avanti. Speriamo non ci raggiungano» la rassicurai, mentre la porta scorreva di lato.
Era un meccanismo straordinariamente complesso per l’antichità: la porta scorreva di lato. Opera di semidei, senza dubbio. Oltre vi era un grande stanzone, ampio come l’officina del Campo Mezzosangue o la Sala comune dei Forti al Campo Nord. Era stracolma di scaffali zeppi di strani strumenti di fabbricazione di foggia antica, ma ben conservati. Su un lato vi erano una decina di automi strani che sembravano inutilizzati da secoli e, su un tavolo al muro, una serie di grosse sfere di bronzo delle dimensioni di un pallone da calcio.
«Non ci credo… Automi!»
Leo sembrava estasiato. Io un po’ meno. Percy mi aveva raccontato della passione di Efesto ed i suoi figli per gli automi. Automi che spesso erano mal funzionanti o si guastavano attaccando la gente che li circondava.
Mentre Hazel e Frank seguivano Leo nei suoi sproloqui, ispezionai la zona con Astrid. Lo stanzone era molto stipato, per questo non mi accorsi subito della porta dall’altro lato.
«Guarda qua. Queste non sono sfere» disse Astrid, indicando segni che conoscevo troppo sfortunatamente bene.
«No. Sono rune.»
Cosa ci faceva una porta sigillata con la magia runica dietro un laboratorio degli Antichi Romani? Leo era troppo occupato a discutere con Frank ed Hazel e, senza accorgersene, aveva messo su una discussione sull’ingegno dei Romani.
«Ragazzi, forse…» Ma mi bloccai: l’automa alle spalle di Hazel e Frank aveva preso vita, nonostante Leo avesse assicurato che non potessero. «Attenti!!»
Troppo tardi. Uno degli automi sparò dei cavi da una delle braccia colpendo Hazel e Frank alle spalle, tramortendoli.
«Leo!»
Hazel provò a correre verso di lui, ma un altro automa la colpì al petto, mandandola a terra.
«Toglietele le mani di dosso!» urlai, alzando la spada e mozzandogli un braccio, che emise scintille elettriche. L’automa emise un urlo. Gli automi non possono emettere urli, ma, ugualmente, mi attaccò. Parai il colpo e aiutai Astrid ad alzarsi. Leo fronteggiava altri due automi e capii che quelli erano i tre eidolon che ci avevano attaccati in America. Non avevano mai smesso di seguirci.
«Da questa parte, Leo!» urlò Astrid, avvicinandoci alla porta.
Leo ci seguì e chiuse una grata che separava il laboratorio principale dal corridoio che portava alla porta runica. I tre automi menarono fendenti contro la grata, ma quella resistette.
«Bella… Credo che gli operatori qui abbiano creato queste strutture per fuggire in caso le loro creazioni fossero impazzite. Ce n’erano altre intorno al laboratorio» ansimò Leo, affaticato per lo scontro.
«Geniale, visto che la situazione ci calza a pennello» brontolò Astrid, massaggiandosi la nuca. «Ma ora che si fa?»
«Dobbiamo liberarci di loro» rispose il figlio di Efesto, mentre il suo sguardo vagava sul laboratorio.
La zona in cui eravamo intrappolati era una specie di punto di studio secondario con un tavolo vicino su cui erano posati degli appunti. Presso la porta c’era una specie di reticolato di cavi di bronzo celeste che attraversavano il terreno come vene di un corpo umano.
«Ho un’idea. Non dobbiamo nemmeno uscire.» Leo si avvicinò al reticolato, ma si fermò un attimo ad osservare la porta. «Questo macchinario alimentava tutto il laboratorio di energia magica. Ma ora è concentrato sulla porta. Questa…» e ci mostrò la sfera di bronzo celeste «… devierà l’energia dalla porta e la potrò usare per distruggere i tre.»
«Speriamo che la porta non nasconda qualcosa di molto peggio» commentai, nervoso. C’era qualcosa che, in quella stanza, mi dava i brividi.
«Posso controllare ogni cosa nel laboratorio, datemi solo un secondo.»
Il figlio di Efesto sembrava molto nervoso e preoccupato, ma deciso a fare il necessario per salvare Frank ed Hazel.
«Siamo nelle tue mani, allora.» Astrid si avvicinò alle grate che gli automi stavano colpendo inutilmente.
«Fateci entrare! Arrendetevi!» sibilò un automa dall’elmo di leone.
«Come no» replicai, incrociando le braccia sulla difensiva. Se fossero riusciti a sfondare, non ce l’avremmo mai fatta.
Rimanemmo a fissarci per diversi minuti, mentre Leo armeggiava con la sfera ed il reticolato di cavi. Gli automi sembravano essersi decisi a non distruggere la porta, ma ero certo che stessero escogitando qualcosa per entrare o, peggio ancora, attirarci fuori.
Di colpo, uno degli automi, si avvicinò ai corpi svenuti di Frank ed Hazel e, con gli stessi cavi con cui li aveva storditi, li agganciò.
«Fateci entrare, o uccideremo i vostri amici» minacciò Testa di leone.
«Non ci provare!» ringhiai, avvicinandomi. Sapevo di non potercela fare, ma non gli avrei permesso di ferirli.
Stavo per aprire la grata, ma Astrid mi trattenne prendendomi per il polso. Il suo sguardo era furibondo, ma, in quella circostanze, aveva capito che attaccando non avremmo risolto nulla.
«Quanto ci metti, Leo!?» chiesi furiosamente, mentre l’automa iniziava ad inondare di scariche elettriche i due ragazzi.
Anche lui se n’era accorto e sudava vistosamente. «Ho… Ho bisogno di tempo, gente.»
«Allora te lo daremo.» Astrid mi strinse la mano e, senza preavviso, mi trascinò in un viaggio-ombra catapultandoci al centro del laboratorio principale. «Attacchiamo!»
Non me lo feci ripetere. Evocai il potere delle rune, mentre Astrid lanciava entrambe le sue mezzelune, tagliando di netto i cavi che imprigionavano Hazel e Frank. La runa Tiwaz mi avvolse, facendomi sentire rinvigorito e mi dette abbastanza forza fisica da resistere a due automi, mentre la mia ragazza si occupava  del terzo. Sapevo che l’incantesimo non mi avrebbe retto per sempre, ma feci del mio meglio per tenerli lontani dai nostri amici, mentre Leo si ingegnava per disattivare gli automi.
Dopo quasi due minuti, però, capii che Leo aveva tentato una mossa disperata. Non era ancora riuscito a risolvere l’enigma della sfera ed il mio incantesimo si stava esaurendo. La mia forza magica iniziava a scemare, lasciando il posto ad una tremenda stanchezza. Scossi il capo, mentre tentavo di reggere le lame meccaniche dei due automi.
«Allora hai finito!?» domandò Astrid, che era riuscita ad allontanare il suo avversario da Frank ed Hazel che si stavano riprendendo in quel momento.
«Ci sono quasi! Ancora un minuto!»
Il figlio di Efesto era nervosissimo e le mani gli tremavano, nonostante compisse ancora movimenti parecchio precisi.
Capii che, in realtà, gli sarebbero servite ore per risolvere quell’enigma, ma stava tentando il tutto per tutto per salvarci, così decisi di dargli tutto il tempo che potevamo. Colpii con tutte le mie forze, tentando di abbattere gli automi, ma erano troppo forti e finirono con il mettermi con le spalle al muro.
Poi Leo fece il miracolo.
Gli automi iniziarono ad andare in avaria. Due sfere del laboratorio esplosero, ma altre iniziarono a ronzare contro gli automi, levitando a mezz’aria alimentati dall’energia della sfera di Leo.
«Che sta succedendo?» ringhiò Testa di leone, cercando di frenarsi.
Gli automi iniziarono a combattere tra di loro e andare in avaria, controllati da Leo, che aveva l’aria molto soddisfatta, mentre reggeva nella mano destra la sfera e in quella sinistra un foglietto.
«Chi controlla chi, adesso?» chiese, costringendo i tre automi a sbatacchiare tra loro.
Astrid aiutò Frank ed Hazel ad alzarsi, mentre Leo ordinava agli automi di bloccarsi. Ci fu una specie di suono acutissimo, come quello di una radio o un televisore mal funzionante. Poi scintille ed i tre automi si bloccarono in posizioni assurde emanando un forte odore di bruciato. Erano fusi ed intrappolati all’interno.
«Accidenti.» Hazel fu la prima ad alzarsi e notare il casino. «Che è successo?»
Leo aprì le grate che lo proteggevano. «Sono bloccati nelle armatura. Gli eidolon non potranno più uscirne.»
«Grande!» esclamai, dando un colpetto all’automa più vicino.
«In ogni caso.» Astrid estrasse da sotto un tavolo la spada di Nico. «Questa era una trappola. La sua arma è qui. Era per quello che avevi percepito la presenza di tuo fratello.»
Hazel emise un gemito disperato. «Allora ci siamo cascati in pieno!»
«Ma perché proprio qui?» chiese Frank, accigliato.
«Forse perché è un buon posto dove imprigionarci. In effetti, ci sono quasi riusciti» spiegai, con un cenno alle macchine impazzite.
Il laboratorio era a soqquadro. Le pergamene, prima ordinate sugli scaffali, erano tutte sparse sul pavimento, alcune bruciacchiate o tagliuzzate. I tavoli e le preziosissime sfere erano quasi tutte distrutte e, a quella vista, Leo, si rabbuiò, ma riuscì a sorridere.
«Avanti, gente! Sono certo che gli altri l’hanno trovato» commentò.
«Troveranno solo la morte.»
La voce di Gea rimbombò nel laboratorio e, un istante dopo, la porta principale si chiuse.
«Sapevo che sarebbe stato troppo facile» commentò Frank, accigliato.
Un grosso specchio di bronzo celeste si accese. Divenne della consistenza del fango, come se fosse un televisore mal sintonizzato. Per un attimo, su di esso, apparve l’immagine di una specie di edificio di pietra protetto da una grata dentro il quale stavano entrando Percy, Jason, Piper ed Einar. Era palesemente una trappola, ma non potevamo avvertirli e Gea lo sapeva. Si divertiva a renderci partecipi della sorte dei nostri compagni senza aiutarli.
«Liberaci, o sarà peggio per te» ringhiò Astrid, minacciosa.
«I vostri amici moriranno» annunciò Gea. «Consegnerò i Norreni ai Romani, così da giustiziarli. Voi, invece, sarete il sacrificio per risvegliarmi. La vostra miserabile impresa è appena giunta al termine.»
In quell’istante Leo fuse lo specchio di bronzo con una lunga fiammata, facendoci sobbalzare.
«Scusate, ma non avevo voglia di seguire l’ultima edizione di Semidei al Massacro» sbuffò, accennando allo specchio.
«Tranquillo, Leo.» Frank, inaspettatamente, gli dette una pacca sulla spalla. «Ma ora dobbiamo uscire da qui.»
«Non abbiamo altra scelta, allora.» Indicai la porta con le rune incise sopra. «La porta principale è bloccata, quella è l’unica uscita.»
Speravo solo non fosse anche l’ultima fermata.

 
koala's corner.
Buon ferragosto semidei!
Non possiamo regalarvi un buon titolo, ma almeno abbiamo aggiornato XD (Dopo le solite ere, ovviamente, per cui scusateci un'altra volta. Provvederemo a rispondere anche alle recensioni, quando io e AxXx riusciremo a metterci in contatto meglio.)
Ricordiamo come sempre che shippare Einico è meglio ed è uno sport riconosciuto persino dai giudici di Rio :P
Speriamo che il capitolo vi piaccia, alla prossima!

Soon on VdN: attraverso la porta con le rune. Andiamo a fondo nel mistero della Corona di Odino e, come sempre, guai a palate.

 

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