The Watchers Chronicles-Il Ritorno dei Guardiani

di TotalEclipseOfTheHeart
(/viewuser.php?uid=789393)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I-Elayne O'Connel ***
Capitolo 2: *** Capitolo II-L'Eletta ***
Capitolo 3: *** Capitolo III-Oltre il tempo ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV-Superare i propri limiti ***
Capitolo 5: *** Capitolo V-Un duello esplosivo ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI-Il ritorno di Apophis ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII-I Frutti della Vita ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII-Castiel, il Guardiano del Fuoco ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX-Rotta verso la morte! ***
Capitolo 10: *** Capitolo X-Tensioni di famiglia ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI-Ballo di benvenuto ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII-Come diavolo e acqua santa ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII-Dietro le sbarre ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV-La Sacerdotessa di Draconia ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV-Chiudere gli occhi ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI-Lilith, la Portatrice del Dolore ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII-Perdita di controllo ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII-Conto alla rovescia ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX-Arrivano i rinforzi ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX-La quiete dopo la tempesta ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI-Volo verso casa ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII-Questioni di cuore ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII-Brutte notizie dal fronte ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV-Thalass, la Dimensione dell'Acqua ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXV-L'ombra del tradimento ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXVI-Sotto la maschera ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXVII-L'importanza di un leader ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVIII-Lo Stato di Elementale ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXIX-Missione di salvataggio ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXX-Senso di debolezza ***



Capitolo 1
*** Capitolo I-Elayne O'Connel ***


Capitolo I
Elayne O'Connel
 

Non ho scelto io il destino che mi è stato assegnato.
Mi sono svegliata un mattino, e  la mia vita non era più come prima. Semplicemente, gli dei, o chi per loro, avevano altri programmi per me, e che mi piacesse o no, dovevo seguire la strada che avevano tracciato.
Se pensavate davvero che gli dei fossero dei santarellini tutto amore e amicizia, mi spiace deludervi, ma non è affatto così. Prendete me, per esempio. Pensate davvero che volessi rischiare le penne per salvare il mondo? Io? Tre denunce per rissa e sette sospensioni … come no. Credetemi, fosse stato per me, non mi sarei mai svegliata quel giorno. Me ne sarei rimasta lì, bella tranquilla, a dormire beata nel mio letto, lontana da pazzi psicopatici con manie di grandezza.
Meglio però andare con ordine.
 
Il mio nome è Elayne O’Connel e ho sedici anni.
Sono originaria di Sydney e fino a poco tempo fa mantenevo una vita tutto sommato tranquilla, presso l’Istituto per Ragazzi Problematici, alla Cross Academy. Sono una ragazza difficile? Ehm … sì, credo che la definizione mi calzi a pennello. Dopotutto, non è che ci siano molti altri modi per definire una ragazza nel pieno della ribellione adolescenziale che ha già ricevuto tre denunce per rissa e sette sospensioni, tutte in scuole diverse.
Sentendo il nuovo ragazzo di mia madre, un polizziotto tutto steroidi della California, io dovrei essere la più grande calamità sociale dai tempi di Hitler a oggi, una vera minaccia per l’ordine pubblico. Probabilmente è solo invidioso, perché, finora, non è mai riuscito a beccarmi con le mani nel sacco per sbattermi in gattabuia.
Fatto sta che, comunque, fino a poco tempo fa le cose non andavano poi così malaccio.
Ok, forse la mia media scolastica era leggermente sotto il sei, e, forse, avrei potuto cercare di impegnarmi giusto un po’  di più, evitando di finire in presidenza un giorno sì e l’altro anche. Per il resto, però, non me la passavo così male.
Insomma, era quasi un anno che ero alla Cross Academy, e non mi avevano ancora buttata fuori a calci nel sedere: era un vero record, visto che, solitamente, non riuscivo a stare nella stessa scuola per più di un mese di fila.
Poi però, a partire dal mio sedicesimo compleanno, tutto ha iniziato ad andare a rotoli. Certo, a quel tempo non potevo proprio immaginare cosa ci fosse sotto, ma, allora, non avrei pensato che la mia vita fosse appena giunta a una grande svolta.
Ero appena tornata dalle vacanze invernali quando, con mio immenso dispiacere, ci venne annunciato che ben due nuovi allievi sarebbero ufficialmente entrati a far parte della nostra classe.
Arrivarono nella pausa pranzo, e subito capii che quei due non avrebbero portato proprio nulla di buono.
Il primo era una pulce, un microbo dalla zazzera bionda in perenne movimento, che non appena mi vide, iniziò subito a seguirmi ovunque, trattandomi come una specie di idolo da imitare (Ok, avevo una certa fama, ma quello era decisamente troppo asfissiante!). Non mi ci vollero  un paio di settimane per capire che, di quel passo, avrei veramente rischiato di finire in cella per omicidio.
La seconda, invece, era anche peggio, sempre che sia possibile. Premettiamo una cosa: alla Cross Academy tutti hanno dei problemi, chi più e chi meno, e tutti, o quasi, non sono esattamente dei tipi che si raccomanderebbero ai propri figlioletti. Lei, però, era veramente su un altro piano. Tra denunce per spaccio e precedenti penali, quella ragazza rappresentava un livello di pericolosità tale che, a parte quelli del terzo anno, nessuno aveva nemmeno il coraggio di avvicinarsi a lei.
Dopotutto, bastava un minimo di buon senso per capire che era meglio starle alla larga. Se si desiderava non finire nei guai, e belli grossi.
Capii che non mi avrebbe portato che problemi sin dal giorno seguente, quando fu così gentile da farmi fare una bella visita turistica per i bagni delle ragazze: era la prima volta che qualcuno riusciva a mettermi alle strette, e la rabbia che provai fu tale che, giurai, prima o poi me l’avrebbe pagata.
Fortunatamente, da allora io e i miei compagni capimmo che, con lei nei paraggi, era sempre meglio starsene in gruppo, per cui riuscimmo a cavarcela, più o meno.
Poi però avvenne quel fatto: l’anno scolastico era quasi finito, ed ero appena uscita da scuola, quando vidi lei e la sua banda di bulli di terza trascinare Sting, il nuovo arrivato dai capelli a zazzera, dietro l’edificio principale, con intenzioni abbastanza chiare dipinte in viso.
Non so cosa mi prese; ero sola, e sapevo benissimo che mi stavo cacciando proprio in un bel guaio. Ma quel moccioso, per quanto irritante, era comunque uno dei pochi amici che fossi riuscita a farmi dall’inizio della scuola, e non ero minimamente intenzionata a starmene con le mani in mano, mentre veniva pestato da quelle teste vuote dei suoi amichetti.
Per cui, alla fine, decisi di seguirli. Non l’avessi mai fatto.
Erano lì, vicino all’inceneritore, e sembravano veramente divertiti, mentre lo prendevano a calci, manco fosse un sacco di spazzatura.
Quando mi trovai di fronte a quello spettacolo di pessimo gusto, non ci vidi più.
Beh … ve l’ho detto che sono una ragazza problematica, no? Infatti, un secondo dopo ero loro addosso, menando calci e pugni come una furia, e cercando soprattutto di beccare lei, Dhayanne, nella speranza di lasciarle qualche bel ricordino su quel viso tutto brufoli e lentiggini.
Le cose non andarono esattamente come avevo sperato,
poiché, per qualche strano motivo, quegli scemi non mi stavano nemmeno guardando, perché erano troppo impegnati a fissare, visibilmente orripilanti, qualcosa alle mie spalle.
Feci appena in tempo ad alzare un sopracciglio, che venni spinta, senza tante cerimonie, addosso all’inceneritore, sbattendo la testa e rischiando, per poco, di perdere i sensi. Quando mi rialzai, non senza una certa fatica, mi trovai di fronte uno spettacolo da manuale:
quelli del terzo anno se l'erano appena data a gambe, e Sting giaceva svenuto sul pavimento.
La cosa peggiore, però, era la grossa e non molto amichevole lucertola che gli stava dietro, esattamente nel punto in cui, pochi istanti prima, si trovava Dhayanne. Feci un passo indietro, osservando disgustata quella specie di varano, grosso quanto un cavallo, che in quel momento mi stava fissando, le fauci grondanti un liquido marrone che, ne ero certa, non era coca cola, e gli occhietti rossi iniettati di sangue.
Non avevo idea di come ci fosse arrivato sin lì, ma di certo non era scappato da uno zoo: dubitavo che ci tenessero bestioni simili.
Il piccolo essere strisciante sorrise, e poi sibilò, al mio indirizzo: “Era ora! Non sai che scocciatura, cercare di metterti all’angolo, quando eri sempre circondata dai tuoi amichetti! Una vera rottura, comunque ora, guardiana, visto che ti ho trovata, che ne dici di morire in fretta? Il mio capo vuole la tua testa, e non sarò certo io a deluderlo!”
Fermi tutti!Che?
Il mio cervello si era letteralmente congelato.
Chi mi voleva morta?E per quale motivo?
Feci rapidamente mente locale:
ok, forse non ero certo un grande esempio di pubblica virtù, ma a parte qualche rissa qua e là ero abbastanza sicura di non aver dato a nessuno motivo di volermi morta. Tantomeno per mano di una lucertola gigante con seri problemi di obesità.
“Ehm …”, feci, cercando di rimettere a posto i pezzi del puzzle, “Ok. Senti, non credo di aver fatto nulla di male, quindi, che ne dici se ci buttiamo questa storia alle spalle e ognuno va per la sua strada?”
Non ci speravo molto, e infatti, dal suono irritato che uscì dalle fauci di quel mostro, dovetti dedurre che non l’avesse presa affatto bene.
Un secondo dopo mi era saltato addosso.
Una cosa dovevo concedergliela, quella bestia era proprio veloce, per pesare quanto un rinoceronte.
Schivai i suoi artigli per un pelo, gettandomi di lato e raccogliendo rapida un vecchio tubo di metallo da terra, abbandonato in mezzo ai rifiuti che decoravano, col loro invidiabile profumino, quel lato abbandonato della scuola.
Dubitavo sarebbe servito a qualcosa, con quella bestia, ma almeno era meglio di niente.
Feci appena in tempo a riprendermi, che mi fu di nuovo addosso, questa volta puntando direttamente alla gola. Vidi la vita passarmi letteralmente d’avanti agli occhi, che erano chiusi, consapevole che non avrei potuto evitarla.
Non ce ne fu bisogno: nello shock del colpo, avevo involontariamente messo le mani davanti a me, e mentre avevo gli occhi chiusi potei sentire un vago suono elettrico alle orecchie, mentre il mio naso si riempiva di un forte odore di bruciato. Quando li riaprii, della lucertola obesa non vi era più nemmeno una traccia. Anzi, per essere più precisi, del cortile non vi era più traccia.
 Mi trovavo, difatti,  nel mezzo di un grosso spiazzo bruciato, scuro e fumante, mentre piccole scariche di energia azzurra ancora crepitavano sul terreno, e, oltre a me e Sting, non vi era alcuna traccia di vita.
Ancora sconvolta, mi resi conto delle sirene che suonavano poco distanti, solo quando una mano ferma e decisa  mi trascinò via da quel posto.
Mi guardai attorno, Sting, innaturalmente deciso (insomma, ero così abituata a vederlo piagnucolare e tremare, che quella visione fu un vero shock per la mia mente già debilitata!), mi stava guidando fuori dall’edificio scolastico, cercando di tenersi alla larga dalle strade principali e allontanandosi sempre di più da quella zona che, ormai lo sapevo, era sotto il controllo dei poliziotti.
Lo seguii in silenzio, troppo sconvolta anche solo per parlare, fino a quando quel moccioso non si diresse verso una vecchia decappottabile, abbandonata all’interno del vicolo in cui ci eravamo cacciati, ruppe il finestrino e la aprì, facendomi cenno di salire.
“Ehi! Aspetta un secondo!” feci, scuotendomi improvvisamente, “Che diamine stai facendo? Ok, non è la prima stronzata che farei, ma rubare una macchina? Non stiamo un po’ esagerando?”
Sting alzò gli occhi al cielo, esasperato: “Senti, so che è difficile da capire, ma dobbiamo andarcene, e dobbiamo farlo ora!”
Scossi il capo, testarda: “Non ci penso nemmeno. La lucertola obesa è morta, no? Non so ancora con esattezza come, ma di certo non siamo più in pericolo. Ora me ne torno a scuola, spiego ai poliziotti quello che è successo, e tutto come prima!”
Sting alzò un sopracciglio: “Sì, e secondo te ti crederanno, quando dirai loro che un varano gigante ti ha attaccata? E come gli spiegherai il casino che hai fatto nel cortile?”
“Fermo.”, ribattei, stizzita, “Io non ho fatto proprio niente. Non l’ho distrutto io quel cortile, è esploso e basta!”
Lui scosse il capo: “Non sarebbe male se le cose fossero andate veramente così, ma credimi, sei stata tu. Sai controllare i fulmini, per questo, quando ti sei sentita in difficoltà, il tuo corpo ha reagito di conseguenza.”
Fremetti, stringendo i pugni: “Ti sbagli. Io? I fulmini? Mi stai dicendo che sono forse una specie di fenomeno da baraccone o cosa? Non siamo nei film della Marvel! Queste cose non succedono!”
Lui, allora, mi indicò le mani, e quando abbassai lo sguardo impallidii.
Ero così furiosa che non me ne ero nemmeno resa conto, eppure eccole lì: un tripudio di scariche bluette mi circondavano i palmi, danzando irritate sotto i miei occhi ancora sconcertati.
“C-cosa? Che diamine …”
Non feci in tempo a dire altro, perché alle nostre spalle iniziarono a risuonare dei forti ringhi, che, decisamente, non avevano nulla di normale.
I miei occhi incontrarono quelli di Sting, che era improvvisamente impallidito.
Mi prese la mano, facendomi salire in macchina, mentre i rumori si facevano sempre più vicini: “Che cazzo sta succedendo?”, chiesi, sconvolta, mentre, con una sgommata di tutto rispetto, Sting dava gas e si dirigeva rapido verso l’esterno della città. Lo fissai, interrogativa, e alla fine lui disse, sospirando: “Te l’avevo detto, no? Non si daranno pace, fino a quando non ti avranno uccisa. E tu non sei al sicuro qui, devi andartene.”
“Aspetta un secondo. Loro chi?”
Lui sospirò: “I seguaci di Nidhoggr, la Grande Viverna. Ora che il sigillo che lo teneva prigioniero si sta indebolendo sempre di più, farà qualsiasi cosa per impedire che i Guardiani si riuniscano e lo sconfiggano di nuovo.”
Corrugai le sopracciglia. Effettivamente, mentre mi stavo scontrando con la lucertola assassina, anche lei aveva accennato a qualcosa su dei Guardiani.
“Ok, va bene. E io che c’entro con tutta questa storia? E perché tu sembri saperne tanto?” Si guardò cauto alle spalle, ma, fortunatamente, eravamo ancora in pieno centro, per cui nessun mostro pluriomicida si era ancora mostrato.
 “Io sono lo Spirito Magno di questa Dimensione, il mio compito è quello di rintracciare il nostro Guardiano, e portarlo dagli altri, al Mausoleum. Potrebbe non sembrare, ma sono un kishin di circa qualche migliaio di anni.”
Osservai quel piccoletto tutto ricciolini dorati e lentiggini. Era strano immaginarmelo come un dragone giapponese grosso quanto un palazzo, con corna e tutto: era decisamente la cosa più ridicola che potessi aspettarmi.
Mi fissò, come a cercare di capire la mia reazione: “Che c’è? Non mi credi?”
“Sinceramente? No … proprio per niente.”
Sting sbuffò: “Comunque, la cosa che conta è che tu sia al sicuro. Abbiamo bisogno del tuo aiuto per la guerra contro le viverne, e quindi …”
“Fermo, fermo, fermo!” feci, mentre quelle parole raggiungevano il mio cervello, “Come sarebbe a dire? Col cavolo che mi tirate dentro sta' cosa! Non so nemmeno chi siete, cosa volete e perché  proprio a me debba toccare una cosa simile! Non se ne parla nemmeno, non rischio le penne solo perché siete voi a chiedermelo!”
“Non hai scelta, è scritto. Come Guardiana della Terza Dimensione, è tuo compito proteggerla. Anche a costo di fare sacrifici!”
Scossi il capo. Era del tutto assurdo. Io? Salvare il mondo? Evidentemente, chi aveva scritto il mio futuro aveva qualche rotella fuori posto.
Un pericolo pubblico come me che faceva l’eroina? Era così assurda come cosa che non si poteva  immaginare.
“Senti … so che per voi potrebbe essere dura, ma no, io non …”
Non feci in tempo a dire altro, perché un ruggito, che non sapeva proprio per nulla di amichevole, ci costrinse a voltarci.
Dietro di noi, a pochi metri di distanza in aperta campagna, immerso nel buio della sera, qualcosa molto grosso, si stava avvicinando.
Facemmo appena in tempo a rendercene conto, che l’auto si ribaltò, finendo fuori strada. Decisamente, quella non era la mia giornata.



Note dell'Autrice:
Eccoci quindi alla fine del primo capitolo!
Per chi non mi conoscesse, sono TotalEclipseOfTheHeart, alias Teoth, e questa è la mia primissima originale!
Mica male, eh?
Come potete vedere, siamo solo all'inizio, e già la nostra povera Elayne si trova a dover affrontare dei mostriciattoli davvero cattivi, ma credetemi, non è ancora nulla! Andando avanti con la storia, vi renderete conto che, tutto sommato, questi qui non sono che dei pesci piccoli.
Per ora, lei e Sting sono gli unici personaggi comparsi, e spero che vi piacciano. Lei sa il fatto suo, e anche se è una tipa tosta, si trovarà di fronte dei begli ostacoli durante il corso della storia. Lui, invece, potrebbe sembrare un pivellino, ma credetemi, non si scherza con i Kishin! Sono 1000 tonnellate di pura potenza! E poi sono draghi quindi...è semplicemente impossibile non amarli.
Attendo con ansia i vostri commenti, per qualsiasi cosa, sono aperta alle critiche, a curiosa di sapere cosa ne pensate. Più avanti, proporrò qualche sondaggio sulla storia, ma per ora vi lascerò leggere, visto che sarete certamente curiosi di sapere come va a finire!!! 
Piccola noticella= Oggi pubblicherò i primi tre capitoli, ma dalla prossima settimana aggiornerò un capitolo per volta, di mercoledì, in modo da non farvi incasinare troppo. Poi, chissà, potrei anche fare delle eccezioni, e pubblicarne più di uno, ma in tal caso lo saprete in anticipo.
Detto questo, buona lettura, e che Yggdrasil sia con voi!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II-L'Eletta ***


Capitolo II
L'Eletta
 

Capii che saremo morti quando riuscii, finalmente, a vedere cos’era che ci stava seguendo. Ad essere sincera, non so con esattezza cosa fosse.
Sembrava un grosso drago, delle dimensioni di un carro armato, ma era privo di gambe anteriori e il muso lungo e sottile aveva i tratti più simili a quelli di un serpente che ad altro. Ovviamente, se fosse stato tutto lì sarebbe stato troppo semplice, infatti, a completare l’allegro quadretto, vi era un corazza nera spessa quanto una parete, degli artigli da far sfigurare Edward Mani di Forbice e  una coda con una bella schiera di aculei coperti di acido sulla punta. Insomma, il classico animaletto da compagnia che chiunque vorrebbe avere in casa.
Iniziavo seriamente a chiedermi cosa avessero che non andava quelli che mi volevano morta.
Indietreggiai appena mentre Sting, ancora dolorante, mi si parava di fronte: “Con la Salamandra sono stato colto di sorpresa, ma non ti metterò di nuovo in pericolo. Quindi qui lascia fare a me. Più avanti troverai un grosso pesco, ai lati della strada, è l’unico albero per chilometri, quindi lo riconoscerai. È un portale per il nostro mondo, superalo e sarai al sicuro. Io cerco di tenerlo occupato.”
Sembrava maledettamente serio, ma se c’era una cosa che non sarebbe mai riuscito a fare, era raccontarmi balle. Si vedeva che se la stava facendo sotto.
Osservai il serpentone, che nel frattempo ci era atterrato di fronte, e mi fissava, con occhi che, giuro, non avrei mai dimenticato per il resto dei miei giorni. Non mi ci voleva un chissà quale cervello per capire che era un avversario ostico.
“Col cazzo.” dissi.
Sting mi fissò, basito: “Forse non hai capito. Non è un avversario che tu possa affrontare, quindi fa quello che ti ho detto e corri! Ci vuole ben altro per farmi indietreggiare.”
Avrei voluto rispondergli per le rime, ma non ne ebbi il tempo.
Riuscii a scansarmi per un soffio, prima che una grossa sfera liquida e puzzolente si schiantasse dove, un istante prima, mi trovavo io, liquefacendo il terreno. Magnifico! Quindi, il serpentone sputava anche acido. Perché non bastava già la coda assassina, vero?
Indietreggiai, mentre il corpo di Sting iniziava a tremare, finché non esplose letteralmente dalla sua pelle, mutando fino a diventare un enorme kishin, il corpo lungo e flessuoso che si apprestava allo scontro contro la viverna.
Tremai, e finalmente riuscii a capire: era più che evidente che quello non era uno scontro che potevo sostenere.
Fissai ancora una volta il mio amico squamato.
Se mai ci saremmo rivisti,  giurai che non lo avrei preso più in giro per la sua aria innocente.
Poi feci dietro front, lasciando, con un groppo al cuore, i due titani ai loro affari e dirigendomi a rotta di collo nella direzione indicatami da Sting.
 
Non avevo idea di quanto tempo fosse passato. Era almeno mezz’ora che correvo, senza fermarmi, in quella direzione. E ancora niente, niente di niente. Ormai, iniziavo a credere veramente che non ce l’avrei fatta.
L’inizio dello scontro era stato incredibile: i due si erano alzati in volo, e mentre il cielo iniziava a oscurarsi, nascondendo le loro sagome indistinte agli occhi umani, i boati di quelli che, ne ero certa, non erano fulmini, ma i loro colpi, mi erano giunti alle orecchie con fragore assordante.
Era da alcuni minuti, però che non si udiva più nulla. E io iniziavo a preoccuparmi. Che non ce l’avesse fatta? Che la viverna lo avesse ucciso? Non volevo crederci. Semplicemente, era troppo per me.
Le gambe mi bruciavano, e ormai arrancavo appena, in mezzo a quella pioggia asfissiante e alla nebbia che, ormai, mi impediva di vedere anche solo a un palmo da naso.
Una raffica di vento improvvisa mi costrinse a terra, e quando mi voltai i miei occhi misero a fuoco l’unica cosa che, in quel momento, non avrei proprio voluto vedere: la bestia era li, a pochi metri di distanza, e puntava dritta verso di me.
Non ebbi il tempo di chiedermi cosa fosse successo, o perché Sting non fosse lì. Iniziai a correre, e basta, ignorando il dolore alle gambe, nella speranza di potermi salvare.
Stavo ormai per arrendermi, quando, poco lontano, riuscii finalmente a intravvedere la sagoma vaga di un grosso albero contorto. Con un ultimo sforzo, mi slanciai in avanti, mentre con un ruggito le fauci della viverna mi sfioravano la gamba, subito prima che il portale si aprisse e, avvolta nelle tenebre, mi trascinasse in salvo.

Mi svegliai con la netta sensazione di essere appena stata travolta da un tram in corsa. La vista era ancora annebbiata, mentre la mia mente ripercorreva quelle ultime ore e, sconvolta, cercavo di rimettermi in piedi.
“Ferma, ferma, ferma …”, una mano gentile mi costrinse a rimettermi sdraiata, mentre finalmente riuscivo a mettere a fuoco un giovane che doveva avere sì e no la mia età, seduto a lato del letto.
I capelli erano una cascata color perla, con leggere striature azzurro ghiaccio, dello stesso colore di quegli occhi che, freddi, mi fissavano senza battere ciglio. La carnagione era diafana, pallida, e i tratti del viso erano affilati e secchi, così come il corpo,  che era agile e snello, ma anche slanciato e robusto.
“Era ora.”, fece quello, tastandomi appena la fronte, ancora imperlata di sudore.
“Iniziavamo a temere che Apophis ti avesse ammazzata, sai?”
“Mmmhhh … chi scusa?”, chiesi, senza capire.
Lui accennò alla mia gamba, e solo in quel momento mi resi conto della fasciatura che la stringeva, coperta a tratti da grosse chiazze purpuree. Evidentemente, poco prima di superare il portale, la viverna era riuscita a mordermi, lasciandomi anche un bel segno sulla gamba.
“Uno dei Tre Eredi di Nidhoggr, creato dalla sua essenza per operare sulle dimensioni, visto che, per ora, la Viverna non è ancora in grado di muoversi. Per fortuna, se posso dire la mia.”, mi osservò, freddo, poi riprese: “Comunque, quello che conta è che tu sia sana e salva. Non appena ti sarai ripresa ti condurremo dall’Oracolo, e così potrai conoscere gli altri e farti un’idea della situazione.”
Fece per alzarsi, ma subito lo trattenni, e lui mi fissò, accigliato: “Aspetta un secondo!”
“Sì?”, chiese, gli occhi gelidi che mi perforavano, impassibili.
Mi ritrassi appena, come scottata. Quel tipo era decisamente inquietante.
“Sting. Dov’è?”, chiesi infine, dando finalmente voce a quel dubbio che mi rodeva sin da quando mi ero svegliata.
“Chi? Il kishin? Che ne so? È uno Spirito Magno, il suo compito era condurti qui, e visto che ci è riuscito, non vedo dove sia il problema …”
Tremai, fissandolo irata: “Come sarebbe a dire che non vedi dove sia il problema? È solo grazie a lui se sono qui, e voi non ve ne fregate nemmeno?” sbottai, facendo partire un pugno dritto verso il muso di quel tipo che, lo avevo deciso, non mi sarebbe mai stato simpatico.
Il ragazzo non fece una piega, cosa che mi fece arrabbiare parecchio, ma non potevo fare niente: aveva afferrato la mia mano, imprigionandola in una morsa letale e costringendomi, mio malgrado, e fissarlo negli occhi. Sorrise, gelido: “Sai, finché continuerai a tirare colpi così deboli, dubito che concluderai mai qualcosa, novellina.”
Avrei voluto staccargli quel brutto muso a morsi, ma proprio in quel momento fece il suo ingresso l’individuo più strano e insolito che avessi mai visto in tutta la mia vita. Aveva l’aspetto di un giovane sulla ventina, se non che i tratti non erano proprio del tutto umani. Il cranio, infatti, completamente calvo e coperto da innumerevoli tatuaggi tribali, era decorato da due imponenti corna da toro, che, aggiunte alla sua mole a dir poco imponente, gli davano un’aria tutt’altro che amichevole. La carnagione era scura, quasi ambrata, e gli occhi erano neri ma allegri e solidali, i bicipiti scolpiti emergevano evidenti dalla semplice maglietta color inchiostro che indossava, assieme agli addominali e al fisico robusto e atletico. Insomma, un Adone in carne e ossa.
Eppure, nonostante il suo aspetto poco raccomandabile, in quel momento mi osservava sorridendo, gentile: “Ehilà, bellissima! Ci hai fatti proprio preoccupare, sai? Per un attimo abbiamo pensato che ci avresti rimesso le penne!”
Mi si avvicinò, sorridendo, e io lo fissai, elusiva. Che fosse chiaro, io non ero tipo da baci e abbracci, e se solo avesse osato toccarmi, lo avrei riempito di cazzotti fino alla nausea, anche se, molto probabilmente, vista la sua mole, alla fine sarei stata io e rimanerci secca.
Lo strano essere  alzò le mani, con fare innocente: “Ok, scusa! Ho capito, non sei il tipo, vero?” il suo sguardo si posò sulla mia mano, ancora saldamente bloccata a pochi centimetri dal volto del simpaticone congelato: “Ohhh … vedo che hai già fatto amicizia col nostro Chrystal. Lascia perdere, non riuscirai a smuoverlo nemmeno lavorandoci per cent’anni. Comunque, io sono Jakhaal di Doran, Guardiano della Settima Dimensione, piacere!”
Mi porse la mano, che strinsi, sorridendo in risposta.
“Mpf … fate come vi pare, io non ho tempo da perdere. Torno in Arena, quando avrete deciso di iniziare a darvi da fare, fatemi un fischio.”, e detto ciò Mr. Ghiacciolo (avevo deciso che lo avrei chiamato in quel modo, almeno finché non avesse iniziato a comportarsi in modo gentile) se ne andò, senza dire altro.
Jakhaal scoppiò a ridere, divertito: “Wow … che gli hai fatto? È la prima volta che lo vedo così arrabbiato con qualcuno!”
“Non chiederlo a me. Gli ho solo detto che è un pezzo di merda, visto che quando gli ho chiesto di Sting ha detto che sono affari suoi se è morto.” mi adombrai, e quello strano individuo sospirò, posandomi una mano sulla spalla.
 “Ehi, piccoletta. Tirati su, subito dopo che sei arrivata, io e Ainu, la Guardiana della Sesta Dimensione, abbiamo messo sottosopra tutta la zona, e non l’abbiamo trovato. Se non c’era nessun corpo, molto probabilmente sarà ancora vivo, quindi cerca di stare tranquilla, Ok?”
Sorrisi, annuendo, incoraggiata. Almeno, ora mi sentivo un po’ meglio.
La strana creatura  mi diede una pacca sulla spalla, e per un pelo non me la spaccò in due: “Perfetto! Così si fa! Ora, che ne dici di seguirmi? Così ti presento il resto della truppa!” Mi guidò quindi per i corridoi dell’edificio.
Per quel che potevo vedere, ci trovavamo in un ampio complesso di edifici, di stampo greco-romano, letteralmente sospesi a mezz’aria in mezzo a una fitta coltre di nubi, e collegati gli uni agli altri da ponti e tunnel. Le pareti erano interamente in marmo, decorate con alte colonne doriche e affreschi raffiguranti scene di caccia e festa, viaggi e avventure, ai lati dei corridoi svettavano grosse piante esotiche, armature complete e quadri dalla bellezza sublime, oltre che statue in marmo e bassorilievi dorati.
Attraversammo un grande giardino pensile, completo di fiumicello e laghetto con le ninfee, boschetto di ciliegi e cespugli dalle forme più svariate.
Jakhaal rideva, osservando la mia espressione basita, mentre strane creature mai viste prima mi sgusciavano tra i piedi, e gruppetti di spiriti ci osservavano curiosi.
“Chi sono quelli?” chiesi infine, indicando alcune figure eteree, come fatte di luce, che sorvolavano indaffarate il giardino che stavamo attraversando.
Alzò lo sguardo, e rispose: “Quelli sono Angeli della Natura, si occupano di mantenere l’ordine degli elementi nelle dimensioni.”
“Aspetta. Hai detto angeli?”, chiesi, basita.
Lui sorrise: “Già. Vedi, il Mausoleum non è solo la sede di noi Guardiani, ma è una vera e propria dimensione a parte, dalla quale si mantiene l’ordine in tutte le altre, per questo è abitata anche da molti spiriti e angeli. Ognuno di loro ha un compito specifico, e vive solo per tale ruolo. Ne vedrai molti qui, ci sono gli Angeli Guida, gli Spiriti delle Emozioni, gli Angeli Combattenti… ma imparerai a riconoscerli col tempo.”
“E tu?”, chiesi infine, “Non sei umano, giusto?”
La creatura dalle corna taurine rise, divertito: “Cosa te lo ha fatto capire? Le corna o la mia stazza? No, non sono umano. Vedi, esistono Nove Dimensioni, ognuna presieduta da un Guardiano, e ognuna di esse è caratterizzata da alcune razze piuttosto che da altre. Io sono un incrocio tra un Minotauro e un Aureo, una specie di umanoidi tipica della mia patria natale.” Annuii, decisa.
Fu allora che arrivammo, finalmente, al il Santuario. Si trattava di un grosso spiazzo, proprio nel mezzo del Mausoleum, al centro del quale troneggiava un’immensa fontana, all’interno della quale svettava una statua, raffigurante una sacerdotessa con un vaso in mano da cui usciva un rivolo d’acqua cristallina.
“Eccoci arrivati.” disse, indicandomi due figure poco più avanti.
La prima era una giovane che doveva avere circa la mia età. Portava i capelli, simili a oro fuso, raccolti in una complessa crocchia, che le ricadevano a tratti in morbidi boccoli sulle spalle, dalla carnagione color avorio. Gli occhi erano due gemme color smeraldo, il fisico agile e leggiadro, mentre da sotto i capelli si intravvedevano due piccole orecchie a punta. Un elfo.
La seconda, più inquietante, non era che una bambina. Vestiva di una leggera tunica bianca, con ricami in oro, e galleggiava a mezz’aria sull’acqua della fontana, gli occhi erano due orbite vuote e bianche, mentre i capelli che erano a caschetto, neri con striature dorate, le circondavano il viso dai tratti infantili e delicati.
“Ben arrivata.” disse infine la strana bimba. Sussultai: per essere una bambina, aveva una voce del tutto innaturale.
“Non temere, non ti farò del male. Il mio nome è Liisya, ma tutti qui mi conoscono come l’Oracolo, la voce di Dio. Sono felice che tu sia giunta fin qui sana e salva.”
“Io invece sono Ainuviel Thingarrel, Terza del Mio Nome, elfo della Sesta Dimensione e sua Guardiana.” disse, l’elfo, sorridendomi solidale, “Svolgo il mio ruolo da ormai 400 anni, e sono contenta che tu ti sia unita a noi: abbiamo bisogno della tua guida, e sono certa che svolgerai magnificamente il tuo ruolo.”
Indietreggiai appena, guardando Jakhaal incerta, che alzò le spalle, spiegando: “Vedi, tra i Guardiani c’è sempre un Eletto, che di generazione in generazione svolge il ruolo di leader del gruppo. Secondo Ainu, questa volta sarai tu il nostro capo, anche se, non avendo ancora rintracciato gli altri Guardiani, non è affatto detto che le cose vadano veramente così.”
“Aspettate un secondo. Io una leader? Stiamo scherzando? Sentite, non volevo nemmeno questo ruolo, ma essere il vostro capo? Veramente? Non fa per me, non ho mai diretto nulla nella mia vita, non sono mai stata il capo di nessuno e non mi sono mai presa responsabilità di alcun genere, nemmeno quando ne combinavo una delle mie. Essere capo del gruppo che dovrebbe salvare il mondo, seriamente? È del tutto impossibile, vi sarete sbagliati con qualcun altro.”Abbassai il capo.Non è che volessi deluderli, ma era vero.
Avevo vissuto la mia vita fregandomene dei doveri e delle responsabilità, non avevo idea di cosa fosse il gioco di squadra, anzi, avevo sempre pensato che chi fa da sé fa per tre, e che fidarsi degli altri fosse da sciocchi. Pensare che gli altri possano aiutarti porta solo guai; mi bastava vedere il modo in cui mia madre era stata abbandonata, subito dopo la gravidanza, per capirlo. Essere a capo di un gruppo? Nemmeno per idea. Non faceva per me, punto.
“Non sta a te decidere.” l’Oracolo mi si avvicinò, sorridendo rassicurante e prendendomi le mani. Rabbrividii, la sua pelle era incredibilmente gelida, quasi inumana: “ Dio ti guiderà, devi solo comparire al suo cospetto, se lui ti riterrà degna, allora stai pur certa che lo sarai. Dio non sbaglia.”
“Aspetta, Dio? Niente da fare, sono atea.” dissi, decisa.
Ok, angeli e nemici cosmici a parte, qui le cose iniziavano ad andare un po’ fuori controllo. Un Dio? Seriamente? Mi state prendendo in giro?
Jakhaal scoppiò a ridere, divertito: “Già … anch’io ho reagito così quando me ne hanno parlato. Tranquilla, Chosmos, il Dio dell’Ordine che noi serviamo, non è un tipo particolarmente severo. Si fa vedere raramente, e quando non c’è siamo noi a fare le sue veci, e poi, alla fin fine, non ha nemmeno i poteri di un vero dio, perché li ha persi anni fa, per rinchiudere la Viverna nell’Abisso.”
Mi grattai il capo, nervosa, poi annuii: “E va bene. Tanto, ormai, non mi sorprendo più di nulla …” E detto ciò seguii l’Oracolo.




Note dell'Autrice:
Rieccomi!
Finalmente si entra nel vivo dell'azione.
Come avrete certamente visto, sono comparsi anche altri personaggi. Per ora, i Guardiani presenti al Mausoleum sono solo loro quattro, ma con il tempo anche gli altri si uniranno alla causa, e allora si che ne vedremo delle belle!
Personalmente, adoro Jakhaal, anche se a volte è un po' troppo esuberante, tuttavia sa il fatto suo, e sotto sotto è un vero tenerone. Chrystal invece l'ho creato perchè...bhe, per tutte le fan degli tsundere, e poi, non poteva certo mancare un tipo come lui nella storia, no? Sa essere veramente insopportabile a volte, ma è un ottimo guerriero, e, col passare della trama, si dimostrerà anche molto sensibile, a dispetto del carattere apparentemente gelido e distaccato. Ainu, invece, (si, il suo nome è Ainuviel, ma qui la chiamano tutti così, per cui mi adeguo anch'io) per ora si è si e no fatta vedere appena appena, ma presto imparerete a conoscerla meglio!
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, nel prossimo, verrà finalmente data qualche spiegazione in più su chi sia Nidhoggr e cosa voglia, per cui vi lascio alla lettura.
Che Yggdrasil sia con voi!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III-Oltre il tempo ***


Capitolo III
Oltre il tempo
 

Non credo ci siano molti modi per descriverlo: Chosmos, il Dio dell’Ordine, era, semplicemente, divino. Era  un energumeno tutto muscoli e tartaruga, fatto di luce e sprizzante scintille di un qualche genere di polverina magica, che sorrideva divertito, di fronte alla mia espressione inebetita.
“Elayne, cara!” disse, sorridendo. La tensione venne spazzata via in un soffio, come non fosse mai esistita: semplicemente, era impossibile provare emozioni negative con lui nei paraggi, era un concentrato di positività all’ennesima potenza.
“Finalmente ci incontriamo! Ho sentito che sei riuscita a sconfiggere una Salamandra, ottimo lavoro! Solitamente, un Guardiano ci mette del tempo per imparare a controllare i propri poteri, ma per fortuna sembra proprio che tu possieda un talento naturale. Comunque, vieni avanti, così posso vedere meglio il tuo destino.” Guardai nervosa l’Oracolo, che annuì, incoraggiandomi. Non sapevo con esattezza cosa fare, ma alla fine mi feci coraggio, e avanzai, incerta.
Il dio mi sollevò letteralmente da terra, facendomi salire sul palmo della sua mano e osservandomi attentamente gli occhi dorati e caldi che sembravano leggermi nell’animo.
Mi guardai attorno, nervosa, mentre ogni singolo ricordo della mia vita, ogni pensiero o azione, veniva messo allo scoperto, finché la divinità, una volta terminato l’esame, sorrise, gentile: “Temi di non essere all’altezza del tuo compito.” constatò infine.
Abbassai il capo, imbarazzata: “Ehm … già. Aspetta un secondo. Quindi è tutto vero? Toccherà a me guidarli?” chiesi, sconvolta.
Se c’era una cosa che volevo assolutamente evitare, era causare la fine del mondo per la mia mancanza di capacità gestionale.
Insomma, bastava guardare la mia scrivania, nei dormitori della Cross Academy, per capire che io, con l’ordine, non ci andavo esattamente a braccetto.
Chosmos sorrise, come percependo i miei pensieri confusi e alquanto sconvolti: “Non serve necessariamente avere delle buone capacità organizzative, per guidare una squadra. Quello che conta veramente è la capacità di comprendere gli altri e di guardare in faccia i propri difetti, senza menzogne o raggiri. Per mandare avanti un team, non si deve essere perfetti, perché nessuno lo è, nemmeno io, la cosa che conta è stabilire un legame con i propri compagni, imparare a fidarsi e sapere cosa significa la sofferenza. Io ho visto in te un immenso potenziale. Certo, per ora sei ancora un diamante grezzo, ben lontano dal risultato finale. Sei piena di incertezze e domande, che verranno adeguatamente soddisfatte a tempo debito, pensi che questa guerra non ti appartenga, e che sia tutto un malinteso. Ma sono certo che, col tempo, diventerai una grande guerriera: hai un animo nobile, lo hai dimostrato fin troppo bene quando hai cercato di difendere il tuo Spirito Magno, contro la Salamandra, e penso che avrai modo di dimostrarlo ancora.”Abbassai il capo, sospirando, poi annuii.
Sembrava strano, e se fosse stato qualcun altro a dirmelo, molto probabilmente non gli avrei nemmeno creduto. Con lui però era diverso, sembrava che qualsiasi cosa dicesse, bastasse per convincere chiunque a confidare in se stesso, perché se lui ci credeva, allora non poteva certo sbagliarsi.
Sorrisi, mentre mi posava a terra, gentile, e diceva: “Molto bene. Ora arriva la parte difficile!”
Lo fissai, sconcertata: “Ehm, e cosa c’è di più difficile che farsi fare il checkin mentale da un essere centenario? Insomma, ora sai tutto di me! Non potrei mentirti nemmeno volendo, sai persino di quella volta che ho truccato i risultati dell’esame, e dello scherzo al ragazzo di mia madre e …”
il dio mi fermò, ridendo divertito: “Tranquilla, non sono intenzionato a spifferare ai quattro venti tutti i dettagli della tua vita!”
Sospirai, sollevata: “Ok, beh, ora mi sento meglio.”
“Non è questo il punto.”, disse Chosmos, tornando serio, “Vedi, ogni Eletto, per guidare la sua squadra, deve passare per questa fase. Vedrai con i tuoi occhi il motivo per cui dovrai lottare, viaggiando nel passato, potrai capire veramente cosa significa essere un Guardiano, e quanto sia grande la minaccia di Nidhoggr, la Grande Viverna. Ora, seguimi, faremo un piccolo salto a spasso per il tempo.”
Non feci in tempo ad annuire, che sentii il mio corpo venire risucchiato, e il buio avvolgermi. Ero sola, attorno a me non c’era nulla, assolutamente nulla. Solo il buio più totale.

Cercai di guardarmi attorno, ma mi resi conto di essere priva di corpo, e, privata dei miei limiti fisici, caddi quasi nel panico.
Tranquilla. È tutto a posto.
La voce di Chosmos mi rimbombò direttamente nel cervello, e subito mi sentii più calma. “Che sta succedendo? Dove siamo esattamente?”
Non si riuscivo a vedere nulla, non c’erano suoni, o odori, e quel vuoto totale iniziava seriamente a mettermi a disagio. Qui siamo dove tutto ebbe inizio. Osserva.
Immerso in quel buio senza fine, un piccolo germoglio di luce fioriva, ai miei piedi, le foglie dorate crescevano a velocità incredibile, fino a trasformarlo in un fuscello, poi in un arbusto, e infine in un alto, possente, albero dalla corteccia bianca come l’avorio e le foglie, coperte di resina, dorate.
Vedi, quello è Ygadrasil. Il Primo Yggdrasil, l’Albero del Mondo. Fu lui a creare le Nove Dimensioni, collegate le une alle altre dai canali di energia prodotti dalla sua linfa vitale, e mantenute in vita dalla sua forza. Guarda, i primi frutti stanno maturando, e con loro, nuovi universi stanno venendo alla luce, proprio in questo momento.
Mi avvicinai, ammagliata, osservando nove grossi frutti rossi che, proprio di fronte ai miei occhi, iniziavano a prendere forma. Riflessa sulla lucida superficie ovale, potevo vedere la Terra prendere le sembianze con cui l'avevo sempre conosciuta, i pianeti stabilirsi nelle loro orbite e le stelle nascere. Altro che Big Bang!
Decisamente, i nostri scienziati erano un po’ fuori strada.
Quella che vedi di fronte a te è Astrapos, la Terza Dimensione. La tua dimensione.
“è … beh, magnifico.” dissi, quasi commossa.
C’era qualcosa di autentico, di profondo, in quel momento.
L’albero sembrava l’essenza stessa della vita, sprigionava armonia da ogni poro, e la sua sola presenza pareva mettermi in pace con me stessa, come se ogni cosa si riducesse a quell’unica, millenaria, entità, e da essa dipendesse ogni cosa.
Esatto. Yggdrasil è il perno attorno al quale ruota tutta la vita, senza di esso nulla ha più valore, nulla ha più senso.
Mi bloccai, mentre una strisciante, pessima, sensazione di minaccia mi percorreva la schiena. Non mi piaceva il tono con cui il dio aveva formulato quelle ultime parole, e quando posi quella domanda, mi resi conto che, la risposta non mi sarebbe piaciuta affatto: “Hai detto che questo fu il Primo Albero del Mondo. Questo significa che ce ne sono altri? Perché?”
Guarda. Subito dopo aver creato le dimensioni, Yggdrasil decise di creare anche dei protettori, che le custodissero e le governassero, anche quando lui si sarebbe addormentato. Ci vogliono molte energie per creare un mondo, e dopo aver compiuto la sua opera, lui andò a dormire, per riprendere le forze.
Osservai ciò che mi aveva indicato, e sussultai. Innumerevoli creature stavano emergendo, proprio in quell’istante, dalle radici dell’albero. E tra esse, oltre a Chosmos, vi era anche lui.
Non vi era alcun dubbio, il grande kishin che stavo osservando, proprio in quell’istante, muovere i suoi primi, incerti passi nell’universo, altri non poteva essere che Sting. “Ma, lui è … come diamine è possibile?”
Il dio parve come sorridere, e proseguì: io e i miei fratelli venimmo creati per proteggere le dimensioni. Quelli che vedi sono i Nove Spiriti Magni, che successivamente divennero i custodi dei portali che conducevano dai vostri universi al Mausoleum. Non è ancora finita, la parte importante arriva ora, osserva: un’altra creatura sta per venire alla luce.
Mi abbassai, fissando incuriosita le radici dell’albero.
Improvvisamente, un’insolita sensazione di pericolo mi travolse, costringendomi a indietreggiare, sconvolta, mentre un piccolo cucciolo di viverna, nero come la pece e dagli accesi occhietti vispi, emergeva incerto dall’albero, osservandosi timido attorno, per poi gettarsi a giocare divertito coi suoi nuovi fratelli.
Avevo appena assistito alla nascita di Nidhoggr, il Distruttore di Mondi, colui che, un giorno, avrebbe condotto alla fine di ogni cosa.
 
“Aspetta un secondo! Quel coso era tuo fratello?” sbottai, sconvolta, quando riuscii finalmente a rimettermi in piedi. Chosmos sospirò, rammaricato.
È difficile doverlo ammettere, ma sì, io e Nid eravamo fratelli.
“Nid? Ha pure un soprannome adesso? Hai dato un fottuto di soprannome al tizio che vuole distruggere il mondo?” ovviamente, sapevo di stare parlando con un essere millenario, ma ero decisamente troppo sconvolta per reagire altrimenti.
Se solo avessero capito subito di cosa era capace quel mostro, se solo lo avessero ucciso, quando ancora erano in tempo. Non avrei dovuto essere lì, non avrei dovuto combattere una battaglia non mia e, soprattutto, non avrei dovuto vedere Sting sparire nel nulla, senza lasciare traccia.
Il tono del dio era triste, profondamente contrito, mentre rispondeva.
Lo so. Avrei dovuto capirlo, ma Yggdrasil credeva in lui, e quindi anche noi lo facevamo. Dopotutto, l’aveva dato alla luce perché, nel mondo, per mantenere l’equilibrio delle cose è necessario che ci sia anche il caos, e, mentre io rappresentavo l’ordine, a lui sarebbe toccato il compito opposto. Credimi, nessuno di noi avrebbe mai immaginato cosa sarebbe successo dopo.
Tremai. Una parte di me stava gridando di andarmene, perché non dovevo sentire il resto della storia. Stava per accadere qualcosa di brutto, molto brutto, e se lo avessi visto, la mia vita sarebbe stata cambiata per sempre, ma alla fine riuscii a chiedere, decisa: “E cosa accadde poi?”
Il paesaggio mutò, improvvisamente, come riscosso dalla mia domanda, e mi ritrovai lì.
Era il Mausoleum, non vi erano dubbi, eppure, in quel momento, era a stento riconoscibile. Le fiamme stavano divorando ogni cosa, angeli e spiriti fuggivano, in preda al terrore, mentre grosse viverne e rettili dalla forma a dir poco terrificante si davano alla carneficina, uccidendo e distruggendo qualsiasi cosa capitasse loro a tiro.
Lontano, avvolto da tuoni e saette, il Santuario risuonava dei colpi frenetici di una lotta senza fine, mentre il terreno iniziava a tremare, e una strisciante sensazione di pericolo mi avvolgeva le membra.
Alzai lo sguardo, e lo vidi: Yggdrasil, immenso, troneggiava sul Mausoleum, ma, ormai, non restava quasi nulla del suo antico splendore.
La corteccia non era che un ammasso carbonizzato, le foglie, un tempo magnifiche, cadevano morte e sofferenti a terra, mentre una linfa rossa, simile a sangue, copriva il terreno.
Sentii il cuore esplodermi, mentre un dolore ancestrale mi divorava le membra.
Era qualcosa di sbagliato, maledettamente sbagliato, e ogni forma di vita soffriva per la fine del mondo, di quel motore che, fino ad allora, aveva garantito l’equilibrio della vita.
Persino il mio corpo lo capiva, e soffriva, anche se, di fatto, stavo solo osservando la fine dell’albero, come se una strana, ancestrale empatia, mi costringesse a essere per sempre legata a esso.
E capii. Capii la vera minaccia della Viverna. Perché, se fosse vissuta, ogni cosa avrebbe avuto fine.
Vedi, ecco perché dobbiamo fermarlo. La voce del dio era triste, ma anche saggia, e le sue parole veritiere.
“Cosa è successo? Perché ha fatto questo? Era suo padre! Perché fare una cosa tanto orribile?”, chiesi, sconvolta. Lui sospirò.
Nidhoggr voleva il potere. Non sopportava che l’ordine e la pace regnassero nelle dimensioni, e anche se lui stesso era parte di quell’equilibrio, tale destino lo ripugnava: la sola idea di essere stato creato per uno scopo che non aveva scelto lo faceva imbestialire.
Decise quindi di distruggere tutto. Potrebbe apparire come un piano folle, perché con la morte dell’albero lui stesso sarebbe morto, ma Nidhoggr non era uno sciocco, sapeva bene che, se Yggdrasil fosse morto divorato da lui stesso, avrebbe potuto ottenere un potere senza pari, grazie al quale sopravvivere anche alla morte di nostro padre. E così fece. Creò un esercito di bestie nate dal suo sangue, e le sollevò contro di noi. Io fui il solo a oppormi. I miei fratelli erano ancora sconvolti, troppo sconvolti, per combattere contro colui che, ancora, consideravano come un amico, ma io ero diverso. Conoscevo Nid meglio di chiunque altro, e mi bastò guardarlo per capire che la sua determinazione non era certo una burla, e che dovevo fermarlo. Commisi un errore assai terribile, per cui ancora adesso non mi do pace. Stavo ormai per sopraffarlo, quando mi resi conto di non poterlo fare: era mio fratello, come potevo ucciderlo? Lui non fu altrettanto gentile, mi attaccò, privandomi dei miei poteri e costringendomi a un nulla di fatto: potevo ancora usare la telepatia, e viaggiare nel tempo per vedere i fatti passati, ma non potevo in alcun modo fermarlo.
Si ritirò. Lo scontro lo aveva stremato, e ora che l’albero era ferito mortalmente, era solo questione di tempo prima che perisse, per cui non aveva più nulla dare fare lì. Fu Yggadrasil stesso a dirci cosa fare: lui non sarebbe morto, avrebbe messo il seme del suo potere nell’animo di una giovane mortale, la cui anima, la più pura tra tutte, era la sola in grado di contenerlo.
Noi avremmo dovuto cercare questa mortale, l’Aetherna, e trasformarla nella sua erede, allo stesso tempo, ci disse che nessun dio poteva sconfiggere nostro fratello. Solo nove giovani dal cuore puro, uno per ogni dimensione, potevano portare a termine quel compito, rinchiudendo Nidhoggr nell’Abisso, una dimensione che, fintanto che il Secondo Yggdrasil fosse stato in vita, lo avrebbe tenuto prigioniero per sempre.
E così facemmo. Fu molto difficile, ma alla fine la giovane Aetherna, Amina, capì le nostre motivazioni, e decise di abbandonare la sua vita terrena, mutando nel nuovo albero per proteggere il mondo. I Guardiani sconfissero mio fratello, e lo sigillarono nell’Abisso, ma ogni sigillo necessita di un modo per essere rotto.
Un giorno, Yggdrasil sarebbe morto, di nuovo, e il ciclo sarebbe ricominciato. I Guardiani avrebbero dovuto riunirsi di nuovo, e una nuova Aetherna sarebbe nata. Lo scontro finale sarebbe giunto.
La visione mutò di nuovo. Questa volta, eravamo sempre nel Mausoleum, ma un altro, differente, Albero del Mondo, troneggiava proprio sotto il Santuario, custodito ove nessuno avrebbe potuto ferirlo.
“Dove siamo?”, chiesi, infine.
Questa era Yggdrasil, pochi mesi fa. Niente è destinato a durare per sempre, e, alla fine, anche il Secondo Albero della Vita è giunto alla fine del suo ciclo. Una nuova Aetherna è nata, e ora che il suo potere è stato trasferito non ha più alcun motivo per vivere. Il sigillo si è indebolito, passo dopo passo, e anche se noi ci siamo messi subito all’opera per radunare tutti i Guardiani, Nidhoggr è riuscito ad anticipare molte delle nostre mosse. La guerra è ormai iniziata, e sebbene lui sia ancora troppo debole per entrare in gioco di persona, i suoi seguaci sono riusciti a conquistare e distruggere già due dimensioni, e lo stesso toccherà alle altre, se andremo avanti così.
“Aspetta. Ha già distrutto due dimensioni? E gli Spiriti Magni che dovevano proteggerle? E i loro Guardiani?” chiesi, senza capire.
Nemmeno io so rispondere con certezza a questa domanda. È la prima volta, da quando è nato il mondo, che una delle Nove Dimensioni scompare: è un evento senza precedenti. Ora che Choros e Oras sono scomparse, i loro Guardiani non ci sono più, e anche gli spiriti che le proteggevano sono svaniti, eppure, qualcosa mi dice che non è finita qui.
Sento ancora la loro essenza aleggiare nel mondo, e anche se ormai non posso più combattere, sono certo che Yggdrasil non avrebbe mai permesso una cosa simile, se non avesse avuto un piano di riserva.
Annuii, decisa.
Bene, torniamo a casa. È ora che tu inizi a prendere in mano i tuoi doveri.
Sospirai, rassegnata. La cosa non si prospettava affatto semplice.




Note dell'Autrice:
Altro capitolo ormai giunto al termine.
Mphiuuu...che faticaccia!
Allora, cosa ne pensate!
Finalmente, qualche piccola rivelazione ci ha fatto capire il perchè di tutto questo casino. Povera Elayne, non sarà affatto facile per lei vedersela con quel lucertolone brutto a cattivo...comunque, per ora siamo solo all'inizio e credo che, col tempo, avremmo modo di vederne delle belle!
Ehhh, si...Chosmos e Nidhoggr erano fratelli. Brutta storia la loro, comunque, spero che vedere Sting da cucciolo vi abbia rellegrati almeno un po', perchè più me lo immagino e più vorrei avere un cucciolo di Kishin che scorazza per casa!
Per ora, ci fermeremo qui. Dopotutto, anche Elayne se ne starà buona per un po', visto che deve iniziare il suo addestramento come Guardiana, prima di poter entrare in azione, per cui spero che la storia, fino a questo punto, sia stata di vostro gradimento.
Qualsiasi domanda o dubbio abbiate, io sono sempre reperibile, e ansiosa di sentire il vostro parere a riguardo. Sono molto aperta a ogni genere di critica, per cui non siate timidi e ditemi tutto quello che volete dirmi.
Che Yggdrasil sia con voi!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV-Superare i propri limiti ***


Capitolo IV
Superare i propri limiti
 

Il colpo mi mandò nuovamente a terra, per  la milionesima volta, solo nelle ultime ore. Eravamo nell’Arena, un posto che, ormai, avevo imparato a conoscere piuttosto bene, nonché a odiare con tutta me stessa.
Si trattava di Sette Aree di Addestramento, una per ogni elemento, munite di ogni genere di attrezzatura per il combattimento, nonché di vari sistemi di allenamento, come macchinari per misurare la velocità, la forza o la resistenza.
La Casa della Folgore, la mia casa, era un vasto spiazzo dal lucido pavimento in marmo nero, in grado di condurre e incanalare l’elettricità, delimitato ai lati da quattro basilischi, che ogni tot di tempo fulminavano il terreno, mettendo a dura prova chiunque fosse così idiota da metterci un piede dentro senza la dovuta preparazione.
Era il luogo ideale per permettermi di imparare a controllare i miei poteri, perché l’elettricità che lo percorreva mi lasciava  utilizzarla a piacimento, almeno in teoria.
Purtroppo,  nemmeno io riuscivo a stare in quel posto per più di un’ora, perché, per quanto mi sforzassi, il mio corpo poco allenato non voleva proprio saperne di contenere più di una certa quantità di volt.
Come se non bastasse, in due settimane che mi allenavo in quel posto, non ero ancora riuscita a padroneggiare alcuno stile di combattimento, né a rafforzarmi abbastanza da riuscire a sostenere un incontro più lungo di qualche minuto. Per farla breve, eravamo a un punto morto.
Ovviamente, se fosse stato tutto lì, sarebbe stato troppo semplice, infatti, assieme al mio momentaneo blocco, si aggiungeva anche il fatto che proprio lui fosse stato scelto come mio maestro, fintanto che non avessi appreso almeno le basi.
Già, perché Chrystal Mr. Ghiacciolo non era solo uno strafottente so-tutto-io, un maniaco della perfezione e uno zotico, ma anche il miglior spadaccino del gruppo, per cui, mentre Jakhaal e Ainuviel erano fuori in missione, alla ricerca degli altri Guardiani, era lui a dovermi addestrare, con immenso piacere di entrambi.
“Non riuscirai mai a tenere testa a chicchessia se ci metti così tanto tempo per reagire ai miei attacchi.” constatò Crystal, fissandomi dall’alto al basso mentre, col sedere in fiamme (il ghiacciolo non ci andava affatto leggero), cercavo di rimettermi in piedi.
“Chissà perché ho la strana impressione di avertelo già sentito dire …”,ribattei, amara.
Se c’era una cosa che mi faceva imbestialire, era l’idea di non essere nemmeno riuscita a colpirlo, in ore e ore di addestramento. Solitamente, io attaccavo gridando come un’ossessa, e lui schivava come se nemmeno mi cagasse, manco stesse giocando con un cucciolo di gatto troppo combattivo. E poi, mentre io mi spaccavo il sedere per andare avanti, lui era sempre lì, indifferente a tutto e a tutti e sempre fresco come una rosa, cosa che mi faceva decisamente imbestialire.
“Forse perché, con quella testa quadra che ti ritrovi, ripeterti le cose fino alla nausea è il solo modo per fartele capire.” fece lui, alzando gli occhi al cielo, esasperato.
Sbuffai, furiosa: “Beh … allora sai che ti dico, va a quel paese!” e detto ciò gettai la spada che mi aveva dato, un semplice surrogato di legno per novellini, a terra, e feci per andarmene, “è evidente che così non concluderemo nulla, quindi a che serve insistere? Andrò in missione anche senza addestramento, tanto, sono sempre stata tipo da rendere meglio negli scontri veri.”
Un colpo secco mi raggiunse la testa, costringendomi a voltarmi, offesa.
L’espressione di lui era innaturalmente dura.
Gongolai: finalmente! Erano giorni che cercavo di fargli avere una qualche umana reazione, e non ero ancora riuscita a fare nulla.
“Non se ne parla nemmeno. Credi che i nostri nemici lasceranno correre, quando avranno l’occasione di ammazzarti? Non siamo in un film, e credimi se ti dico che gli scontri veri sono tutto, fuorché piacevoli!” disse, gelido.
Scoppiai a ridere: “Sembra quasi che tu stia parlando per esperienza personale.” Crystal sbuffò, irritato.
Poi proseguii: “Facciamo così. Mettimi alla prova. Se non sarò all’altezza, tu e il tuo innato genio del combattimento interverrete. Che dici?”
il Ghiacciolo mi squadrò, soppesando l’idea, poi annuì: “Andata. Se però Ainu si arrabbia con noi, io me ne tiro fuori.”
Sorrisi, sornione: “Perfetto! Quindi che facciamo? Andiamo sulla Terra e spariamo un razzo segnalatore della serie: ehi noi siamo qui!?”
Per la prima volta da quando l’avevo conosciuto, Crystal parve sorridere, divertito: “Certamente, così se arriva un pezzo grosso dell’esercito di Nidhoggr ci rimaniamo veramente secchi. No, faremo qualcosa di più semplice: evocheremo qui un suo seguace!” Lo fissai.
Ora ero io a chiedermi se non avesse dei problemi. Evocare qui un mostro? Era davvero possibile?
Sorrise: “Seguimi. Ti faccio vedere un posto.”
E detto ciò si avviò, deciso, diretto verso il luogo più improbabile del mondo, per un Guardiano del Ghiaccio, come lui, ossia il Tempio del Fuoco.
Erano ormai due settimane che ero arrivata al Mausoleum, e con il tempo avevo appreso che, in quel luogo, direttamente connessi al Santuario vi erano Nove Templi, uno per dimensione, tutti caratterizzati da un Tesoro, ossia un potere che solo lì poteva essere custodito.
Per esempio, nel Tempio del Fulmine era custodito l’Altare delle Anime, un luogo dove ogni grande anima del passato poteva decidere di reincarnarsi, per guidare sulla retta via i mortali che la incontravano.
Ainuviel custodiva invece la Scacchiera della Natura, dove ogni pianta del mondo poteva proliferare, senza temere l’estinzione.
Jakhaal, invece, aveva il Muro del Pianto, ossia un immenso spiazzo dove era possibile osservare tutte le grandi opere architettoniche dei grandi del passato, in perfetto stato di conservazione.
“Ehm … e cosa c’entra il Tempio del Fuoco con questo? E poi, siamo sicuri di poterci entrare? Il suo Guardiano non è ancora stato trovato, non è che sia proibito?” chiesi, incerta, mentre percorrevamo una lunga navata.
Il pavimento, in vetro, mostrava un fiume di lava sottostante, mentre ai lati grossi affreschi raffiguranti paesaggi caotici decoravano le pareti, assieme a una rispettabile collezione di colonne corinzie che sorreggevano l’ampia volta, decorata con complessi giochi di luci e colori, che gettavano sul luogo raggi luminescenti dagli effetti straordinari.
Lui sorrise appena: “Vedi, il Tempio del Fuoco custodisce la Fiamma della Vita, fonte di ogni forma senziente, grazie alla quale potremmo evocare senza problemi un avversario che possa metterti alla prova.”
Lo fissai,  con le sopracciglia corrugate: “Non hai risposto alle altre domande.” constatai, ferma.
Il guardiano del ghiaccio alzò le spalle, tranquillo: “Beh … che vuoi che sia? Non ci scopriranno di certo, visto che tanto il Guardiano del Fuoco deve ancora essere trovato. Sempre che tu non glielo vada a dire, ovviamente.”Sbuffai. Come idea non era male.
Non mi sarebbe dispiaciuto vedere Mr. Ghiacciolo darsi una bella scaldata.
“E’ questa?” chiesi infine. Eravamo giunti alla fine della navata, e di fronte a noi, sospesa in un altare coperto di carboni ardenti, scoppiettava allegramente la fiamma più insolita che avessi mai visto, dalle sfumature biancastre.
“Già, eccola qui.” rispose lui, avvicinandosi.
“Che si fa ora? Alacazammm o cose simili?” ripresi.
Mister Ghiacciolo sorrise: “No, ora chiediamo allo Spirito del Fuoco di farci accedere al suo potere. Sta a guardare, lei è l’ultima della sua specie, non esistono altre Ninfe delle Fiamme oltre a lei, in nessuna dimensione.”
La fiamma iniziò a scoppiettare, come reagendo alla nostra presenza, fino a quando non prese le sembianze di una giovane.
Era piccola, grande sì e no quanto una mano, e interamente coperta da scintille di fuoco, che la avvolgevano protettive, come un vestito, mentre delle ali da libellula le permettevano di volteggiare, curiosa, attorno alle nostre teste, fissandoci incerta.
Mi si parò di fronte, seria, e poi constatò: “Decisamente, voi due non sembrate proprio delle Creature del Fuoco, e tantomeno il mio Guardiano. Che ci fate qui? Custode dei Fulmini e Tizio del Ghiaccio?” la ninfa osservò critica Chrystal, come se la sua sola presenza in quel luogo fosse quanto mai indesiderata: “Non mi piacciono i ghiaccioli. Tantomeno quelli con un pessimo gusto in fatto di moda, chi diamine porta più i capelli bianchi al giorno d’oggi? Che sei, un vecchietto?”
Scoppiai a ridere, divertita, mentre lui, stizzito, faceva finta di nulla e diceva: “Ci serve il tuo aiuto. Vorremo che evocassi una creatura per noi.”
La ninfa sbuffò, offesa, e ribatté: “Fare un favore, a te? Stiamo forse scherzando? Non sei nemmeno un mortale, non ci penso nemmeno!”
Osservai il mio compagno, interrogativa. Non era un mortale, in che senso?
Fissai, critica, il suo aspetto, ma per quanto mi sforzassi, non riuscivo a trovare proprio nulla che lo rendesse diverso da un comune essere umano.
Poi ricordai: effettivamente, da quando avevamo iniziato ad allenarci assieme, era stato subito evidente quanto la sua forza e agilità fossero fuori dal normale, anche se, sul momento, avevo pensato che fosse tutto dovuto al fatto che era un Guardiano con un certa esperienza alle spalle.
Lui sospirò, rispondendo: “Ok, per essere precisi, il favore lo dovresti fare a lei. È appena arrivata, e vuole mettere alla prova le sue abilità, combattendo contro un avversario vero, io sono solo qui per assisterla qualora qualcosa vada storto.”
La ninfa lo fissò, diffidente, poi mi chiese: “è vero?”
“Già. Non odi anche noi del fulmine, vero?”
Lei sorrise, battendo le mani contenta e saltellando sul posto: “Certo che no! Anzi, non potremmo essere in rapporti migliori. Le nostre dimensioni sono molto vicine, per cui non potrei chiedere di meglio. Ma se solo questo ghiacciolo si azzarda a toccare qualcosa, qualsiasi cosa, del mio santuario, giuro che lo incenerisco!”, e detto ciò lanciò un’occhiata che avrebbe dovuto essere assassina a Chrystal, che alzò gli occhi al cielo.
Per dirla tutta, era impossibile farsi spaventare da quella fatina, era così carina che, anche se avesse minacciato di morte anche me, non mi avrebbe fatto fare un piega, anzi, piuttosto mi avrebbe fatta ridere.
“Perfetto!”, proseguì, “Quindi, cosa volete che evochi?”
“Tre Salamandre.”risposi, prima ancora che Chrystal potesse fermarmi.
Lui mi prese la mano, costringendomi a fissarlo, serio: “Sei forse pazza? Sulla Terra hai avuto fortuna, perché il tuo corpo ha reagito d’istinto, ma cosa credi di poter fare contro tre Salamandre? Hai idea di quanto siano pericolose quelle creature?”
Mi scostai, stizzita: “Non concluderò mai nulla se mi tiro indietro al minimo ostacolo. Quindi, tre Salamandre andranno più che bene!”
Il guardiano sospirò, esasperato, poi fece un cenno alla ninfa che, tutta gongolante all’idea di assistere a una bella zuffa in diretta, si affrettò a riprendere la forma della fiamma, iniziando a crescere, fino a quando, dal suo interno, iniziarono a emergere tre grosse forme, che subito dopo balzarono in avanti, soffiando irate al mio indirizzo.
Erano identiche a quella che avevo già avuto modo di affrontare a scuola, ma allo stesso tempo erano molto diverse. Innanzitutto, le squame non erano nere, ma di una scura sfumatura purpurea, e sprizzavano scintille di lava incandescente. Poi, attraverso le fauci irte di zanne aguzze, si intravvedeva una luce bollente.
Guardai Chrystal, senza capire, il quale sospirò: “Te l’avevo detto! Quando hai combattuto contro quella terrestre, sei stata fortunata. Lontane dal loro ambiente naturale, le Salamandre sono deboli, e non possono utilizzare il fuoco, loro elemento di appartenenza, qui, invece, le cose sono diverse. Siamo nel Tempio del Fuoco! Praticamente, le stai facendo giocare in casa!”Perfetto, non poteva andarmi meglio! Tuttavia, ci voleva ben altro per farmi arrendere.
Presi in mano il gladio, una delle poche armi che, in quelle settimane, avevo imparato a padroneggiare, almeno quel tanto che bastava da non farmi colpire, e mi misi in guardia.
Le tre lucertolone soffiarono, irate, circondandomi attente in attesa del momento giusto per attaccare. Parevano perfettamente consapevoli del fatto di trovarsi di fronte a una Guardiana, per cui non si sarebbero certo fatte fregare solo perché troppo precipitose. Sospirai: evidentemente, quella volta le cose sarebbero state più difficili.
Cercai di ricordare quel poco che sapevo su quelle creature. Fortunatamente, in quei giorni, Mr. Ghiacciolo non si era limitato a prepararmi solo fisicamente, ma aveva anche iniziato a tempestarmi con un’infinita, stressante, pioggia di nozioni teoriche sui nostri avversari.
Ok, lo ammetto: non lo stavo mai a sentire, nella maggior parte dei casi, mi limitavo a dormicchiare, fingendo di stare attenta. Eppure, in quel momento, quelle nozioni mi tornarono alla memoria, più utili che mai.
Le Salamandre, come la maggior parte dei rettili delle file nemiche, sono totalmente cieche. Si orientano grazie a dei sensori del calore, posti sul muso, fiutando gli odori con la lingua o percependo le vibrazioni del terreno. Sono creature di terra, e quindi, a mezz’aria o in acqua, passano subito in svantaggio.
Corrugai la fronte. Ok, e allora? Non mi veniva in mente alcun modo per utilizzare quelle informazioni a mio favore.
Stavo ancora pensando a che strategia usare, quando la prima di queste mi si lanciò contro, soffiando irata. Lo scontro era iniziato!




Note dell'Autrice:
Lo so, lo so.
Avevo detto che avrei pubblicato una volta alla settimana.
Visto che però non sono sicura di essere disponibile, la settimana prossima, penso che mi butterò un pochino avanti ora che posso.
Passiamo ora alla storia.
Bhe...come avete potuto vedere, la nostra protagonista ha finalmente dato inizio al suo addestramento come Guardiana. Sfortunatamente, imparare a controllare un potere evocato per caso non è certo semplice, e lei, oltre a qualche rissa qua e la, non ha mai combattuto dei veri e propri scontri, tantomeno maneggiando delle armi, che pesano anche parecchio. Ci vorrà quindi un po' di tempo perchè si abitui al suo nuovo ruolo, ma certamente imparerà a cavarsela.
Spero che, fino a questo punto, la storia sia stata di vostro gradimento. La storia sarà abbastanza lunghetta, e qui siamo solo all'inizio, per cui ci vorrà del tempo perchè compaiano anche altri personaggi, comunque spero di aver saputo suscitare il vostro interesse.
Ringrazio moltissimo tutti quelli che mi hanno seguita fin qui, e sopratutto EragonForever, che mi supporta sempre con le sue recensioni sempre creative. 
Che Yggdrasil sia con voi!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V-Un duello esplosivo ***


Capitolo V
Un duello esplosivo
 

Gridai, in preda al dolore, mentre un altro, profondo taglio mi colorava di rosso la manica della tuta. Chrystal accennò nuovamente a intervenire, ma gli scoccai un’occhiataccia, e quindi si fermò, incerto. Mi morsi il labbro, furibonda con me stessa e con il mondo perché, per quanto avessi provato a batterle, ancora non ero riuscita a far loro nemmeno un graffio. La delusione mi bruciava dentro, minacciando di farmi perdere la testa a causa dell’ira a stento repressa, ma cercai di restare calma, perché sapevo che, se avessi perso il controllo, allora sì che sarei stata veramente spacciata … sospirai, cercando di tranquillizzarmi.
La cosa che più mi bruciava, però, non era tanto la delusione di fronte alla mia impotenza, quanto l’idea di doverla dare vinta a quel buffone. Non avrei potuto tollerare l’idea di vederlo rinfacciarmi il mio errore per i giorni seguenti, per cui mi rimisi in piedi, stringendo i pugni, irata.
Fortunatamente, il loro fuoco pareva dal tutto inutile contro di me.
Con mia enorme sorpresa, infatti, le loro fiamme non sembravano nuocermi nemmeno, cosa che, probabilmente, era dovuta al fatto che, per sopportare le alte temperature delle folgori, dovevo per forza essere resistente al caldo e alle fiamme.
Tuttavia, questo era ben lontano dal mettermi in salvo.
Come vantaggio, non era sufficiente a tenere testa alle loro zanne e agli artigli, coperti di acido, per cui, alla fin fine, ero comunque punto a capo, che mi piacesse o meno.
Le osservai, furiosa, mentre iniziavano, nuovamente, a girarmi attorno caute. Era sempre così: attaccavano in gruppo, poi, quando ero stremata, si allontanavano, per riprendere fiato e costringermi a una fine lenta e dolorosa. Di quel passo, sarei morta senza che fossero manco costrette a impegnarsi sul serio.
Il colpo giunse repentino, rischiando di ferire irrimediabilmente il mio occhio destro, ma riuscii a scansarmi appena in tempo mentre una lieve scarica elettrica mi percorreva la mano.
Mi fissai, incerta, poi il mio sguardo si posò sulle Salamandre, che si erano improvvisamente fermate. Perché non attaccavano?
Sono completamente cieche. Si orientano grazie a dei sensori del calore, posti sul muso, fiutando gli odori con la lingua o percependo le vibrazioni del terreno.
Fu allora che mi illuminai. Osservai la mia mano, dove un tripudio di scintille elettriche danzavano incerte.
Evidentemente, per utilizzare il mio potere, la mia temperatura corporea doveva salire, per cui ora, in mezzo a quel mare di lava, non riuscivano più a vedermi. Inoltre, con quel tanfo di zolfo nell’aria, non potevano nemmeno fiutarmi. E, finché non mi fossi mossa, non avrebbero potuto percepire i miei movimenti.
Sorrisi, mentre un’idea davvero niente male iniziava a prendere forma nella mia mente.
Non sapevo ancora come fossi riuscita a sbloccare il mio potere. Era come se un muro si fosse rotto, e adesso potessi sentire, dentro di me, un’immensa fonte di energia pronta all’uso, lì solo per poter essere utilizzata. C’era sempre stata, ma io non ero mai riuscita a vederla: evidentemente, messa sotto pressione, ero finalmente riuscita a sbloccarmi, per cui non mi restava che tentare la sorte.
Diressi l’energia dritta alle gambe, e schizzando in avanti iniziai a muovermi, rapida come mai avrei immaginato di essere, senza mai toccare terra, utilizzando solo l’elettricità per muovermi e, quindi, lasciando perplesse le Salamandre, che non percependo i miei movimenti non avevano più idea di cosa fare.
Attaccai, rapida, consapevole che, sebbene avessi finalmente sbloccato i miei poteri, non possedevo ancora la resistenza necessaria per utilizzarli troppo, per cui dovevo chiudere lo scontro in fretta, altrimenti sarei stata decisamente spacciata.
Le Salamandre iniziarono a soffiare, irritate, cercando di bloccare i miei movimenti e facendo gioco di squadra per impedirmi di attaccare. Niente da fare, grazie a quella tecnica, riuscivo a muovermi troppo rapidamente per poter essere anche solo vista, figuriamoci intercettata.
Poi mi venne l’illuminazione.
Non ero sicura che avrebbe funzionato, ma di certo avrebbe potenziato un bel po’ la mia forza d’attacco.
Mi concentrai, permettendo ai fulmini di fluire sul braccio, per incanalarli sulla spada, e attaccai.
Ero quasi al limite, e potevo sentire le forze venirmi meno, ma ero troppo determinata a vincere per fermarmi.
Non ci vollero molti colpi, con la spada coperta di elettricità, bastarono un paio di fendenti per friggere le mie avversarie che, stremate, caddero infine a terra, segnando la fine dello scontro, e il mio successo.
Atterrai, il corpo quasi privo di sensibilità a causa delle molteplici ferite che lo ricoprivano, e cercai di sorridere, esultando: “Hai visto, Mr. Ghiacciolo? Te l’avevo detto, che con gli scontri reali io rendo meglio!”
Non feci in tempo a proseguire, che le forze mi abbandonarono, mentre i miei sensi, sempre più deboli, riuscivano a stento a percepire le sue braccia che mi soccorrevano, rapide, e le sue ultime, amare ma gentili, parole: “Scema. Che ti serve tutto quel potere, se per usarlo poi non puoi nemmeno più reggerti in piedi?”

 Mi svegliai alcune ore dopo, in infermeria. Qualcuno stava gridando.
Cercai di sollevare le palpebre, ancora appesantite dal sonno, e subito dovetti alzare un sopracciglio, alla vista della scena che mi si presentava di fronte.
Chrystal se ne stava seduto e contrito, oltre che con un grosso bernoccolo sulla fronte, su una sedia, e pativa in silenzio le grida sconvolte di Ainuviel che, scandalizzata, non appena era venuta a sapere della nostra bravata, aveva dato di matto, iniziando un lunghissimo e asfissiante monologo sul dovere, e sul buon senso, e sulla nostra missione … cose così, insomma.
Tra tutto, Jakhaal annuiva, alle sue spalle, senza però risparmiarsi qualche risolino divertito ogni tanto, nel vedere il compagno in preda alla furia isterica della Guardiana.
“Si può sapere che diamine vi è passato per il cervello?” stava dicendo, proprio in quel momento, Ainu, “Siete forse impazziti! Avrebbe potuto morire, per la miseria, ti sei forse dimenticato che lei è la nostra leader?”
L’altro sbuffò, alzando gli occhi al cielo: “E addio al monito degli Angeli Guaritori di lasciarla riposare. Con tutti questi strilli, avrai messo in allarme l’intero tempio. Anzi, no, tutte e sette le dimensioni rimaste!”
Aniu divenne bordò, poi nera, poi di nuovo bordò, infine esplose: “Tu! Piccolo, brutto, presuntuoso …”
“Ehm …”, intervenne, improvvisamente, Jakhaal, indicandomi incerto, “Non vorrei disturbare la vostra allegra chiacchierata …”
Sghignazzai, divertita, sforzo che, da solo, mi causò un dolore acutissimo al petto.
Ok, forse, avevo un po’ esagerato. Giusto un po’.
“… ma credo che ora ci siano altre priorità in ballo. A quanto pare i vostri discreti sussurri l’hanno svegliata veramente, alla fine.” terminò, a braccia conserte.
Ainuviel arrossì, poi sospirò, avvicinandosi al mio letto: “Mi dispiace. Ma avresti potuto veramente vedertela male, sai? Ci sei andata maledettamente vicina, e se Chrys non ti avesse portata immediatamente qui, molto probabilmente ora non saresti nemmeno tra noi!”
Osservai il Guardiano, sorpresa, che alzò le spalle, sbuffando.
Come non detto. E io che mi ero illusa che potesse provare un minimo di emozioni. Dovevo smettere di provarci, quel tipo era una causa persa.
Divenni bordò, al pensiero di lui che mi portava, in braccio, fino all’infermeria, e tutto per salvarmi. Scossi il capo. No! Era solo una dannatissimo tsundere, e decisamente non era il mio tipo!
Cercai di sorridere, anche se lo sforzo era più che sufficiente per farmi gemere di dolore: “Eddai! Almeno ora ho sbloccato i miei poteri, no?”
Lei alzò un sopracciglio, stizzita, poi annuì: “E va bene! Forse, non è stata una così cattiva idea! Siete comunque in punizione, tutti e due!”
Io e Chrystal la fissammo, gli occhi sbarrati. Cheee?
“Bhe? Che avete da fissare?” rispose lei, sospirando, “Qui sono io la più anziana, e finché Elayne non avrà ottenuto il suo Frutto della Vita, e preso a pieno titolo il suo posto nel gruppo, resta il fatto che sono io qui a prendere le decisioni! Quindi, che vi piaccia o meno, ora siete tutti e due in punizione!”
Sbuffai, irritata. Magnifico, e io che già mi pregustavo i piaceri del comando.
Non per dire, ma l’idea di schiavizzare Mr. Ghiacciolo e farlo diventare il mio maggiordomo personale non mi dispiaceva per niente.
Invece, mi toccava aspettare, e non sapevo nemmeno per quanto.
“E quindi? Quando riceverò il mio Frutto?” chiesi infine, impaziente.
Jakhaal alzò le spalle, vago: “Difficile a dirsi. I Frutti della Vita sono l’essenza del nostro potere spirituale, e vengono direttamente creati da Yggdrasil, ma il tempo che ci metterà per completarli varia molto da persona a persona. Prendi Ainu, ci ha messo quasi cinquant’anni per ottenere il suo, Chrys invece solo sei mesi.”
“Ehi!” protestò la ragazza, offesa, “Questo dettaglio potevi anche ometterlo, no? Così sembra che il signorino tutto emozioni sia più dotato di me!”
Chrys sbuffò, divertito: “Ma io sono più dotato di te, donna-albero!”
Sorrisi, mentre quella stizzita, faceva dietro front, indignata, e se ne andava, sbattendo la porta.
“Quindi? Non potrò partecipare alle missioni per quanto ancora?”proseguii, cercando di alzarmi.
Niente da fare, il dolore mi costrinse nuovamente a terra.
Jakhaal sospirò: “Stiamo facendo del nostro meglio, per accelerare il più possibile il tuo allenamento. Ora che finalmente hai sbloccato i tuoi poteri, dovrebbe essere più semplice, ma nulla è certo. Di sicuro, non puoi combattere senza un Frutto, su questo non ci piove.”
A quel punto chiesi, interrogativa: “Non capisco. Perché questi Frutti sono così importanti? A che servono esattamente?”
Chrystal si alzò, tirando fuori da una sacca quello che, a prima vista, mi parve un ammasso di metallo fuso e informe: “Ecco perché. Questa è la spada che hai utilizzato durante lo scontro con le Salamandre. Vedi, nessuna arma può sopportare a lungo il potere di un Guardiano, e, d’altra parte, contro certi nemici i soli poteri non sono sufficienti per difendersi.
I Frutti della Vita sono questo: armi. Nascono grazie alla piena maturazione del nostro potere spirituale, ossia quando un Guardiano diventa abbastanza forte da entrare ufficialmente a far parte del nostro ordine. Per ora, sei solo una recluta, un cadetto. Quando avrai imparato le basi, allora riceverai anche tu il tuo Frutto, con quello, il tuo potere aumenterà notevolmente. Sarai sempre una novellina, almeno se paragonata a guerrieri più esperti, come me o Ainu, ma per lo meno avrai qualche possibilità di cavartela anche in situazioni particolarmente ostiche.” Annuii, comprensiva.
“Quindi? Che si fa ora?” Jakhaal sorrise, strapazzandomi i capelli, divertito. Sospirai, anche se, a dire il vero, avrei tanto voluto prenderlo a pugni, ma ero troppo debole anche solo per muovere un muscolo, figurarsi fare a botte con quel colosso tutto bicipiti e steroidi. “Per ora, cerca di riprenderti. Sei una Guardiana, non ti ci vorrà molto. Poi, ricomincerai ad allenarti con Chrystal, e allora vedremo.”
Sospirai, per nulla sollevata. Se c’era una cosa che detestavo, era l’idea di starmene legata al letto senza far nulla.
Mi rimisi abbastanza in fretta. Non erano passati che pochi giorni, ed ero di nuovo ad allenarmi con Mr. Ghiacciolo.
Ora che finalmente avevo imparato a evocare i miei poteri di mia spontanea volontà, era tutto più semplice. Certo, dovevo ancora affinare il loro utilizzo, e la quantità di energia che mi prendevano di volta in volta, e inoltre dovevo fare più pratica con le armi, cosa per nulla semplice. Ma di sicuro le cose procedevano molto più rapidamente che prima, per cui, alla fin fine, non ce la passavamo così male.
Mi ci vollero alcuni mesi, e non poche fatiche, ma alla fine raggiunsi il mio traguardo.
Sorrisi, trionfante, mentre, per la prima volta in quei lunghi, spossanti mesi, riuscivo a mandare KO il signorino senza emozioni che, stupito, alzò lo sguardo su di me, osservandomi sorpreso.
Mi avvicinai, trionfante e mi parai di fronte a lui, sghignazzando: “Allora? Che te ne pare della mia nuova Lightning Roar?”
La sorpresa scomparve dal suo volto, subito sostituita dall’ironia, alzò un sopracciglio: “La tua che?”
Sbuffai, indignata: “La mia nuova tecnica, quella con cui ti ho appena mandato chiappe a terra. Lightning Roar!”
Mi fissò, come a chiedermi se fossi seria, poi scoppiò a ridere: “Si, certo. Linghtning Roar … perché non qualcosa di più originale, tipo Avada Kedavra o Rasengan?” Divenni bordò. Insomma, come osava insultare la mia tecnica!? Ci avevo messo un mese intero per crearla!
“Sì, sì … ridi pure. Scommetto che tu non dai i nomi alle tue tecniche, invece!”
Mr Ghiacciolo tornò serio, e rispose: “Non ci penso nemmeno. Dare nomi alle proprie tecniche è per gli sfigati, come te e Jakhaal, per esempio!”
Sbuffai, poi sorrisi, divertita: “Oppure, più semplicemente, il tuo cervello surgelato non è abbastanza sveglio da creare un nome decente. A me sembra più plausibile questa, come spiegazione!”
Lui sbuffò, irritato: “Come ti pare, comunque, meglio andare. È evidente che il tuo addestramento, qui, è finalmente finito!”
Esultai, sollevata: “Era ora! Insomma, otto ore al giorno in compagnia di un pinguino? Hai la più pallida idea di quanto sia stato difficile?”
“Non quanto lo è stato per me addestrarti, novellina!”, ribatté lui, irritato.
Gli balzai al fianco, ridendo divertita: “Comunque, ora che potrò avere il mio Frutto, non dovremmo più essere obbligati a sopportare la reciproca presenza!”
“Certo, contaci …”, non riuscì a proseguire, perché, un istante dopo, eravamo stati sbalzati via entrambi, mentre un boato profondo percorreva il Mausoleum.
Ci alzammo, indolenziti, e quando volgemmo gli occhi in alto, ci trovammo di fronte allo spettacolo peggiore che avremmo mai potuto immaginare: una schiera di portali oscuri si era appena aperta, coprendo il cielo sopra il Santuario, mentre da quei varchi spazio-temporali stormi e sciami di sagome scure e informi marciavano indemoniate verso i Templi, distruggendo tutto ciò che capitava loro a tiro, e dirigendosi decise verso il luogo in cui erano conservati i Frutti non ancora maturi.
Circondata da quell’esercito di creature senza nome, un’immensa figura troneggiava sulle altre, un’immagine che mai avrei potuto dimenticare:
Apophis.
Strinsi i denti, mentre osservavo irata la viverna che aveva fatto sparire il mio migliore amico, e quella ricambiava il mio sguardo, come a invitarmi a farmi avanti. Sorrisi. A quanto pareva, la guerra era iniziata.




Note dell'Autrice:
Rieccomi qui, miei carissimi fan!
Come promesso, oggi, essendo mercoledì, ho pubblicato questo nuovo capitolo della mia nuova serie!
Spero veramente che finora vi sia piaciuta, anche se ovviamente, essendo solo all'inizio, forse è un po' presto per dirlo con certezza.
Bhe...finalmente le cose hanno iniziato a vivacizzarsi un pochetto.
Ora che finalmente la nostra Elayne è riuscita a sbloccare i propri poteri, penso proprio che avremo modo di vederne delle belle! E poi, ci sono anche i suoi compagni. Per ora, essendo il suo maestro, Chrystal è quello che si è visto di più, ma credetemi se vi dico che presto anche Ainu e Jakhaal avranno modo di mettersi un po' in mostra: potrà non sembrare, ma anche loro sono abbastanza fortini!
Per ora, ringrazio tutti coloro che mi hanno seguita, in particolar modo EragonForever, che con le sue immancabili recensioni sa sempre come supportarmi!
Alla prossima!!!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI-Il ritorno di Apophis ***


Capitolo VI
Il ritorno di Apophis
 

Decisamente, io odio i rettili.
Ok, va bene … non mi hanno fatto nulla di male.
Credetemi però, se anche voi vi foste trovati a lottare contro uno stormo di demoni squamati e puzzolenti, allora di certo non li amereste molto.
Comunque, dov’ero arrivata?
Ahhh … giusto: l’attacco delle lucertole assassine.
Bhe, che devo dire?
Erano tante, dannatamente troppe, e sciamavano ovunque.
Certe non erano che grandi quanto un chihuhua, ma credetemi se vi dico che, in stormi di cento e passa esemplari, sanno essere fastidiose comunque, e poi, erano tutte velenose.
Chi più e chi meno, c’erano quelli che sputavano acido, quelli che se ti mordevano di mandavano al camposanto, alcuni erano persino in grado di emanare flatulenze (non chiedetemi come facessero, non voglio nemmeno pensarci) in grado di stordire chiunque. Insomma, sembrava di trovarsi in mezzo a uno di quei cartoni animati, con Scooby Doo e la Misteri&Affini. Solo che era mille volte peggio.
Per farla breve, io e Mr. Ghiacciolo cercavamo di cavarcela alla meno peggio.
Come ci avevano intercettati, quello stormo di strani demoni-rettile ci era venuto addosso, impedendoci anche solo di vedere a un palmo dal naso e bloccandoci completamente i movimenti.
La cosa strana, però, era che né io, né tantomeno il frigorifero ambulante, riuscivamo a far loro un graffio. Semplicemente, era come se ogni nostro movimento fosse impacciato, riuscivamo a stento a reagire, e per quanto cercassimo di colpirli quelli sfuggivano via come anguille.
“Non guardarli negli occhi!”, gridò improvvisamente lui, gli occhi chiusi mentre, tutto d’un tratto, pareva come recuperare la sua agilità normale, “Sono cuccioli di basilisco! Se li fissi a lungo inizierai a indebolirti, e alla fine ti pietrificheranno!”
“Magnifico! Ci mancavano anche i cosi-pietrifica-persone. E secondo te, come cazzo faccio a colpirli se non posso guardarli?”, niente da fare, immersi in quello sciame vorticante di basilischi urlanti, lui non riusciva nemmeno a sentirmi.
Strinsi i denti, furiosa.
Miseria!
Avevo appena fatto in tempo a puntare ad Apophis, che quel branco di cosi fastidiosi si era messo in mezzo!
Furibonda, non ci pensai due volte e caricai il mio corpo di elettricità, per poi scaricarla completamente contro i miei nuovi amichetti, che caddero abbrustoliti a terra.
Sorrisi, diretta verso Chrystal che mi fissava, sorpreso.
“Visto? Ammettilo, ti sto superando!”
Lui sbuffò: “Certo, aspetta e spera.”
Scoppiai a ridere, quando un improvviso, lancinante grido ci costrinse a terra.
Sentii la testa esplodermi, mentre cercavo di proteggermi i timpani da quell’assalto talmente acuto da farmi girare la testa. Sentii qualcosa di liquido e viscoso colarmi sul collo, e sussultai: era sangue.
Cercai di alzarmi, ma ero troppo instabile, e barcollavo vistosamente.
Improvvisamente, il cielo si oscurò, mentre una grossa sagoma dalle accese squame verde smeraldo atterrava rumorosamente di fronte a noi.
Era grossa quanto uno stallone da corsa, ma altrettanto lunga. A vedere l’aspetto, sembrava la versione adulta e cazzuta (oltre che parecchio incazzata) dei piccoletti che avevo appena ammazzato. La si sarebbe potuta scambiare con una viverna, ma il fisico era molto più agile e meno robusto, slanciato e fatto per i combattimenti a breve termine, inoltre, sul dorso e sul capo, spiccava una sgargiante collezione di piume colorate, che sul muso del mostro formavano una vera e propria corona dalle tinte arcobaleno. Non c’era da sorprendersi se quel mostro veniva definito il “Re dei Serpenti”, la definizione calzava a pennello.
La creatura ci fissò ostile, poi il suo sguardo si posò sui piccoli, a terra.
Sbiancai, mentre una pessima sensazione si faceva strada dentro di me.
Perfetto, avevamo appena fatto incazzare mamma basilisco, qualcosa mi diceva che eravamo in guai seri.
Chrys mi si mise di fronte, barcollando appena e fissandomi preoccupato: “Lasciala a me. Non è un avversario che tu possa combattere.”
“Mi prendi in giro? Ti reggi a stento in piedi! Pensi davvero di poterla sconfiggere?”, ribattei, furiosa.
Lui scosse il capo: “Senti, queste creature sono molto astute. Ha utilizzato il suo richiamo apposta per mettere temporaneamente fuori gioco i nostri sensori dell’equilibrio, e ci metteranno un po’ per riprendersi. Ora come ora, solo io posso occuparmene.”
“Non ci penso nemmeno, non ti mollo qui!”
Lui mi tirò una pacca sulla testa, fissandomi innaturalmente serio: “Credi veramente che mi farei ammazzare da un mostriciattolo come questo? Tranquilla, tornerò sano e salvo. Dopotutto, controllo il ghiaccio, con creature a sangue freddo come questa, sarà un giochetto metterla alle strette. La cosa che conta, ora, è che tu vada all’Albero. Devi prendere il tuo Frutto, altrimenti non riusciremo a fermare l’attacco solo in tre!”
Strinsi i denti.
Odiavo ammetterlo, ma aveva ragione.
Con i cuccioli di basilisco ci era andata bene, ma nulla ci garantiva che saremmo stati ancora altrettanto fortunati.
Lo fissai, seria, poi annuii.
Feci per andarmene, ma improvvisamente tornai sui miei passi, prendendolo per la collottola e portandomelo di fronte, furiosa: “Prova a morire, e giuro che ti ammazzo, chiaro?”
Quello rise: “Ti rendi conto di aver appena detto una cosa completamente senza senso, vero?”
Poi lo lasciai, correndo via barcollante, e voltandomi solo per un attimo, osservando preoccupata il mio compagno e maestro che si apprestava, impassibile, a combattere contro una mamma molto incazzata e per nulla di buon umore.
 
Che quella non era proprio la mia giornata, ormai doveva essere stato per lo meno chiaro.
Lo fu ancora di più quando, entrata nei Sotterranei del Santuario, presso il luogo dove Yggdrasil, ormai agonizzante, produceva ancora i Frutti della Vita, mi trovai di fronte allo spettacolo più sconcertante che avessi potuto immaginare.
Gli Angeli Vigilanti, i guerrieri che, solitamente, vegliavano notte e giorno di fronte all’Albero della Vita, erano tutti a terra, in un orribile intrico di corpi e membra sparse, il sangue che scorreva fresco sul pavimento e i volti ancora contorti dal dolore della morte.
Non avevo mai visto un angelo morire, non sapevo cosa succedesse quando un essere millenario spirava.
Mi avvicinai sconvolta a quelle persone con cui avevo imparato a vivere, con cui avevo passato i pomeriggi e con cui avevo stretto dei legami, in quei brevi mesi di addestramento.
I loro corpi iniziavano lentamente a sbiadire, trasformandosi in una leggera polvere dorata che, lenta, si alzava verso le foglie dell’albero, ormai rade, tanto pochi erano i giorni che gli rimanevano di vita.
Il sigillo si stava ormai rompendo, e quando fosse scomparso del tutto, lui sarebbe stato libero, e sarebbe stata la fine. I suoi seguaci già avevano iniziato l’opera, e presto nessuno avrebbe più potuto fermarli.
Il mio sguardo si posò, impassibile, verso le radici dell’Albero, tra le quali, tranquillo, stava lui.
Apophis mi osservava, immobile, un grosso frutto blu elettrico racchiuso tra le zampe.
Sentii il mio cuore perdere un battito, mentre capivo il motivo che l’aveva portato fin li. Mi temevano, e sapevano che, se volevano fermarmi, dovevano assolutamente impedirmi di ottenere quel potere.
Mi si avvicinò, le sembianze che, lentamente, iniziavano a mutare.
Lentamente, iniziò a rimpicciolire, le squame divennero sempre più rade e presto al posto dell’imponente viverna vi fu un giovane, un ragazzetto che non doveva avere che pochi anni in meno di me. I capelli erano una cascata di inchiostro liquido, e gli giungevano fino ai fianchi, coprendogli a tratti gli allegri e sfuggenti occhietti gialli, mentre la carnagione era innaturalmente diafana. Due zannette aguzze gli sporgevano appena dalle labbra, mentre il capo era coperto da una piccola collezione di corna e una lunga e agile coda da demone si muoveva nervosa dietro di lui. Il fisico era smunto e magro, ma anche estremamente agile e dai tratti sfuggenti.
Mi sorrise, cosa che, decisamente, non aiutò molto il mio buon umore.
Anzi, mi fece solo voglia di prenderlo a pugni.
Balzò agile, fluttuando appena a mezz’aria, di fronte a me, e fissandomi curioso disse: “Alleluja! Era ora che ci rivedessimo! Sai, con tutto il tempo che te ne sei rimasta nascosta qui dentro, iniziavamo seriamente a temere che non avremmo mai avuto modo di incontrarci di nuovo! Allora, come ci si sente? Hai appena abbandonato il tuo primo amore a morte certa, non dev’essere proprio una bella sensazione, no?”
Arrossii, furiosa, mentre mi slanciavo in avanti, il corpo percorso da folgori e la seria intenzione di staccargli quel ghigno burlone anche a costo di rimetterci le penne.
Brutto impertinente!
Certo che ne aveva, di faccia tosta!
Quello, in tutta risposta, mi scansò, evitando il mio colpo una naturalezza tale che, per un istante, dubitai veramente delle mie possibilità di vittoria.
Insomma, ci avevo messo mesi per raggiungere quel livello, a quella velocità, nemmeno le Salamandre riuscivano a vedermi, figuriamoci a evitare i miei colpi, e invece lui mi scansava manco fossi solo una novellina fastidiosa?
Chi diamine era, con esattezza, quel tipo? E come poteva essere così forte?
Quello rise, divertito, come leggendo le mie emozioni: “Che c’è? Inizi a dubitare delle tue possibilità? Ok, visto che sono una persona gentile e amorevole, ti darò qualche piccola informazione.
Io sono Apophis, e assieme ai mia sorella Lilith e a mio fratello Tartaros, siamo i Tre Figli di Nidhoggr, il nostro potere è il più grande, tra quello delle schiere di nostro padre. Ovviamente, puoi considerarti fortunata, io sono solo il pesce più piccolo, tra noi tre, quindi, forse, con mooolta fortuna, tra qualche secolo sarai in grado di farmi qualche graffietto. Forse …”, rise, divertito, volteggiando beffardo attorno a me, mentre io, furibonda, cercavo invano di colpirlo.
Niente da fare.
Quel tipo era su un livello completamente differente, per me, che ero da poco riuscita a padroneggiare solo le basi, era del tutto impensabile riuscire anche solo a tenergli testa.
Tremai, mentre il panico iniziava a prendere il sopravvento.
Fino ad allora, anche se in difficoltà, non mi ero mai trovata messa così male da non poter nemmeno IMMAGINARE una vittoria. Con lui, però, era del tutto differente. Non potevo batterlo, punto.
Sarebbe stato sciocco pensare il contrario, anche con un colpo di fortuna colossale, sarei stata sempre punto a capo. Era del tutto inutile, e ormai iniziavo a capirlo.
Quello scoppiò nuovamente a ridere, battendo le mani contento e fissandomi, estasiato: “Ecco! È questa l’espressione che voglio. Il terrore supremo! La perfetta consapevolezza della disfatta, della propria inutilità! L’impotenza di fronte all’inevitabile! Esiste forse qualcosa di più bello, se paragonato alla paura della morte, all’espressione di disperata rassegnazione di chi sa non poter sfuggire al proprio destino! Sai, ti capisco. Dopotutto, chiunque cercherebbe di fuggire, in una situazione simile. Potresti tornartene a casa, rinunciare per sempre al tuo ruolo e farla finita li, dopotutto, perché lottare per una causa persa in partenza? Non è ridicolo?”
Tremai, mentre la sua aura iniziava a gonfiarsi, avvolgendo tutta la stanza e rendendo impossibile anche solo respirare. Era come se lui stesso si nutrisse del mio terrore, e la cosa non faceva che rendere la situazione persino più terribile di quanto già non fosse.
Sentii il mio cuore tremare, poi, però, mi fermai.
Strinsi i denti, furiosa con lui e con me stessa perché, per un attimo, avevo seriamente pensato di mollare tutto.
Mi tirai un sberla, per darmi una svegliata, e quello si fermò, fissandomi senza capire.
Evidentemente, ora era lui a pensare che avessi dei problemi.
Risi, la paura che mi percorreva le membra. Era fin troppo evidente quanto me la stessi facendo sotto, ma chissà perché la cosa non mi toccava affatto, anzi, non faceva che eccitarmi ancora di più.
“Ho capito. Quindi sei proprio un tipo forte, immagino.”, dissi mentre quello, senza capire, mi osservava.
“Ehi … perché non scappi? Non hai paura?”, chiese, come spiazzato. Era evidente che non era proprio abituato a quel genere di situazioni, e il fatto di trovarsi di fronte a una cosa mai affrontata prima lo rendeva nervoso.
“Certo, chi non ne avrebbe? Mi trovo di fronte a un tizio superforte. Sai una cosa? Sono proprio contenta! Con i miei compagni, mi trattengo sempre troppo, perché ho paura di far loro del male, ma suppongo che con te non sarà necessario, potrò scatenarmi quanto voglio, e tu ti rialzerai sempre! Non è magnifico? E poi, mi spiace dovertelo dire, ma io non credo nel destino. Se morirò, sarà perché sono io a sceglierlo!”, e detto ciò prima ancora che potesse reagire, mi lasciai avvolgere da una tempesta di fulmini, sparendo alla vista e ricomparendo, pochi secondi dopo, alle sue spalle, per colpirlo con tutta la forza che avevo in corpo.
Quello non mi bloccò nemmeno.
Ancora sconvolto per la mia reazione, incassò il colpo in pieno, venendo rispedito dal lato apposto della stanza, e lasciando un profondo foro nella parete.
Si rialzo, praticamente illeso, e quando i suoi occhi si posarono nuovamente su di me, fu con una luce diversa che mi osservarono.
Fino ad allora, non aveva fatto che guardarmi dall’alto in basso, prendendosi gioco di me e senza considerarmi una vera minaccia, ora invece era diverso, era come se, finalmente, avesse compreso il motivo per cui suo padre mi temeva tanto.
Sorrisi, soddisfatta: “Finalmente! Iniziavo a chiedermi quando avresti iniziato a prendermi sul serio!”
Quello sorrise, per la prima volta, senza derisione: “Capisco. Quindi è così che stanno le cose. Ora posso capire, il motivo per cui nostro padre ti vuole così tanto morta. Un nemico che non teme la morte … interessante, mi chiedo se la penserai ancora così, quando ti troverai di fronte a lui.”
“Non ne vedo l’ora, e quando succederà …”, niente da fare.
Con un lampo repentino, solo un secondo in ritardo mi accorsi del pugno che, doloroso, mi aveva appena sferrato, dritto nello stomaco.
Annaspai, mentre lui, silenzioso, mi sorreggeva: “Bhe … suppongo che sarebbe un peccato, uccidere subito Yggdrasil, e liberare mio padre. Se ti ammazzasse ora, probabilmente non avresti alcuna possibilità. Io invece voglio dartene una, sono curioso. Voglio vedere se manterrai la tua parola, ma per farlo devi crescere ancora: per come sei adesso, non avresti alcuna possibilità contro mio padre.”
Mi lasciò andare, sorridendo burlone di fronte alla mia espressione sorpresa.
Mi accasciai a terra, gemendo appena mentre il dolore allo stomaco mi toglieva il fiato.
Lui alzò il mio Frutto, divertito: “Comunque, per ora questo lo prendo io. Se lo rivuoi indietro, vieni pure a prenderlo, non vedo l’ora di combattere di nuovo con te. Mi aspetto grandi cose, quindi, vedi di non deludermi. Sei il mio nuovo giocattolino personale, quindi vedi di farmi divertire, prima di schiattare, Ok?”
Cercai di colpirlo, ma quello, ridendo folle, non fece una piega e mi tirò un calcio sulla nuca, facendomi sprofondare nell’oblio.
La sua risata fu l’ultimo ricordo che avrei avuto di quella pessima, orribile, giornata al Mausoleum.



Note dell'Autrice:
Eccomi qui, con un nuovo capitolo!
Che dire?
L'attacco è stato veramente violento, e la nostra Elayne ha rischiato seriamente di vedersela brutta, furtunatamente però, per ora ha avuto modo di incontrare solo Apophis. Certo, non è proprio il re della simpatia, e non è nemmeno un tipo che si potrebbe definire normale, ma credo che, se dovesse scegliere tra lui e i suoi fratelli, che incontreremo più avanti, non avrebbe alcun dubbio su chi voler affrontare.
E così, ora Nidhoggr possiede il suo Frutto della Vita...sarà veramente dura recuperarlo, anche perchè, senza di esso, nessun Guardiano può fronteggiare alla pari i suoi nemici.
Spero che, fin'ora, la storia vi stia piacendo, e per qualsiasi domanda io sono sempre disponibile.
Attendo con ansia le vostre recensioni, e ringrazio EragonForever e onlyfanfiction per il loro incrollabile supporto.
Alla prossima!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VII-I Frutti della Vita ***


Capitolo VII
I Frutti della Vita
 

Decisamente, avrei preferito non svegliarmi mai da quel colpo.
Ok, ero felicissima di essere ancora viva e vegeta.
Però, se avessi potuto scegliere, me ne sarei rimasta a letto perché, per essere sincera, lo spettacolo che mi attendava fuori da quella infermeria non era proprio dei migliori.
Uscii che era ormai sera.
Avevo passato il pomeriggio ad ascoltare le liti furibonde di Chrys e Jakhaal perché, finalmente, avrei potuto andare in missione.
Peccato, però, che non fosse esattamente nel ruolo in cui mi sarei aspettata.
 
“Col cazzo! Non se ne parla nemmeno!”, aveva detto Chrystal quando, subito dopo essermi finalmente svegliata, Ainu aveva annunciato che, per la missione di recupero del Frutto, avrei dovuto essere presente anche io.
Jakhaal aveva alzato gli occhi al cielo, esasperato: “E ora che c’è? Da quando in qua sei così premuroso nei confronti di qualcuno?”
Quello divenne bordò, borbottando incerto: “Chi, io? Premuroso? Stai scherzando? È solo che non voglio vedere la mia allieva migliore morire a causa della stupidità di qualcun altro!”
Ainu sbuffò, divertita: “Certo, vogliamo parlare del modo in cui le sei rimasto a fianco, anche col braccio fratturato, mentre cercava di riprendersi?”
Lo guardai, interrogativa, ma lui voltò lo sguardo, intestardito: “Ve l’ho già detto, io non mi affeziono a nessuno, tantomeno a una stupida umana.”
Sussultai, ferita, osservandolo senza capire.
Ok, va bene, forse non ero esattamente il massimo della simpatia, ma dopo tre mesi di addestramenti assieme, e il fatto che, nell’ultimo scontro, avesse deciso di sacrificarsi per me, mi sarei aspettata come minimo un qualche legame affettivo.
E invece niente.
Mi morsi il labbro, dandomi, per la centesima volta in quei giorni, della stupida.
Decisamente, dovevo smetterla di dargli tante possibilità, era ormai più che evidente che non era affatto capace di mostrare gentilezza verso qualcuno.
Il silenzio era calato, tetro, nella stanza, per cui decisi di intervenire: “Bene, allora, questa stupida umana vorrebbe sapere esattamente per quale motivo sarebbe un peso per la missione, Mr. Ghiacciolo.”
Quello sbuffò, e rispose: “Senza il tuo Frutto sei peggio che inutile, quindi non vedo perché dovremmo prenderti con noi!”
Strinsi i denti, mentre la rabbia prendeva il sopravvento: “Ok! Se è questo che pensi, allora posso anche starmene qui a marcire, mentre voi andate a farvi ammazzare. E buona fortuna, perché ne avrete bisogno! Hai forse scordato che io sono la sola qui che può percepire la presenza del Frutto? Hai la più pallida idea di cosi significhi setacciare Sette Universi alla ricerca di un oggetto, senza il minimo indizio su dove sia? Sarebbe come cercare un ago in un pagliaio!
E inoltre, Mr. Simpatia, potrei, di grazia, avere almeno il piacere di sapere perché tanto disprezzo nei miei confronti? È da quando ci siamo incontrati che continui a trattarmi peggio di uno zerbino, e ora viene fuori che io sarei solo una stupida umana? Si può sapere che problemi hai con quelli della mia specie? Ti abbiamo forse fatto qualcosa? Perché a me sembra di no, anzi, credo che tu sia solo un cretino, un egoista e un ipocrita!”
Jakhaal e Ainu erano immobili, e osservavano imbarazzati il pavimento mentre, spietata, la mia predica accorata raggiungeva le orecchie indifferenti di Chrystal che, alla fine, si alzò, osservandomi gelido negli occhi.
Per la prima volta da quando l’avevo conosciuto, per un breve istante, provai veramente terrore nei suoi confronti, tale era l’odio con cui mi guardò.
“Si, decisamente, voi mi avete fatto molto più di qualcosa. E se sapessi cosa è veramente successo, cosa i tuoi simili mi hanno fatto, allora, credimi, anche tu ne saresti disgustata.”, detto ciò, se ne andò, senza fare altro.
Immobile, lo osservai in silenzio, poi il mio sguardo si posò su Jakhaal e Ainu che, immobili, si erano limitati ad ascoltare in silenzio.
Quello alzò le spalle: “Non chiedermelo nemmeno. Non abbiamo idea di cosa gli sia successo prima di unirsi a noi, lo Spirito Magno della sua dimensione lo ha portato qui, ma non ci ha mai raccontato nulla del suo passato.”
Alzai gli occhi al cielo: “Perfetto, un altro mistero da risolvere.”
 
Sospirai mentre, in silenzio, vagavo sola tra le macerie semidistrutte dall’attacco.
L’odore di zolfo e sangue impregnava ancora l’aria quasi fredda della sera, mentre mi avventuravo tra quel mausoleo di ruderi in rovina, tra i marmi un tempo magnifici ormai distrutti, in mezzo ai corpi dilaniati e alle armature infrante.
Gli Angeli Combattenti avevano cercato di difendere strenuamente la loro casa, ma contro la furia schiacciante dell’esercito oscuro, non era servito a molto. Solo il supporto dei tre Guardiani Veterani aveva impedito che il Santuario cadesse in mano dei nemici, per il resto, la maggior parte della forza bellica del Mausoleum ne era uscita distrutta, nulla sarebbe stato più come prima.
Vagando senza meta in quell’inferno di corpi ormai privi di vita, mi trovai per la prima volta, da quando ero entrata a far parte di quel mondo, di fronte a una realtà terribile, che andava oltre qualsiasi previsione e, decisamente, per la mia mente impreparata fu troppo. Semplicemente, non potevo sopportarlo.
Fino ad allora, ero vissuta in una dimensione pacifica, lontano dalle guerre e dalla sofferenza, chiusa in un bozzolo d’ignoranza che aveva impedito al mio animo di entrare in contatto con quella realtà, forgiandosi come invece si erano forgiati gli animi dei miei compagni che, tutto sommato, erano abituati agli scontri e alle sofferenze della vita. Io, invece, ero sempre stata cieca, sorda, e ora ne pagavo le conseguenze.
Rientrai nelle mie stanze radicalmente cambiata, e, per i giorni successivi, non ne uscii più.
 
“El … eddai, stiamo iniziando a preoccuparci.”, per l’ennesima volta in quella settimana d’isolamento volontario, Ainu era di fronte alla mia porta, cercando di smuovermi dal mio silenzio ostinato.
“Lasciami stare, non ne voglio parlare.”, ribattei, girandomi ostinata nel mio letto.
Ovviamente, non mi diede retta.
Con uno sfrigolio incerto, il legno della porta iniziò a formare un varco, obbedendo docile al comando della Guardiana della Foresta che, silenziosa, mi si sedette accanto, osservandomi comprensiva: “Ehi … tutto bene? È per Chrys? Sai com’è fatto, a volte non può proprio fare a meno di comportarsi da scemo.”
Scossi il capo.
Certo, c’era anche quello, ma sul suo carattere volubile, ormai mi ero rassegnata.
Era il trauma dell’attacco a bloccarmi.
“No, lui non c’entra niente.”, dissi, cupa.
“Me ne vuoi parlare?”, chiese, cercando d’incoraggiarmi.
Sospirai, poi annuii. Sentivo che, se non ne avessi parlato al più presto con qualcuno, avrei rischiato di scoppiare: “E’ per l’attacco. Io … non pensavo fosse realmente così … orribile. Non ho mai saputo cosa fosse veramente una guerra, e ora che mi ci ritrovo in mezzo, è troppo, non credo che riuscirò a sopportarlo. Semplicemente, non è il genere di cose che mi sarei aspettata.”
Lei mi si sdraiò accanto, silenziosa, poi esordì: “Sai, posso capire come ti senti.”
Mi voltai, osservandola interrogativa.
Lei sorrise, gentile: “Vedi, anch’io all’inizio non avevo alcun contatto con la guerra. La mia Dimensione, Dasos della Foresta, è sempre stata abbastanza pacifica, se paragonata alle altre, e specialmente tra gli elfi, i miei simili, i contrasti erano rari e poco violenti. Purtroppo, nonostante le opposizioni della mia famiglia, io volevo viaggiare: avevo un grande potere guaritivo, e volevo utilizzarlo per aiutare le persone.
Sfortunatamente, la medicina elfica è molto vicina alla magia, e fuori dal mio regno, tale arte non era sempre ben vista, anzi, spesso la si scambiava con la stregoneria, a quel tempo molto diffusa. Per quanto cercassi di rendermi utile, alla fine venivo sempre cacciata, braccata, e come valeva per me lo stesso accadeva per molte altre giovani donne e uomini: la caccia alla stregoneria ormai dilagava ovunque, fatta eccezione per il territorio elfico. Per me, che ero sempre stata abituata alla quiete del mio regno, quella violenza immotivata, quei villaggi rasi al suolo per un niente, erano decisamente troppo da sopportare.”
“E poi?”, chiesi. Non avrei mai immaginato che dietro a una persona gentile e solare come Ainuviel potesse celarsi un passato simile.
Iniziai a chiedermi se, dopotutto, non fosse colpa di Chrys se odiava la mia razza. Se anche lui non avesse un peso orribile da sostenere, come lei.
Sorrise, e proseguì: “Bhe … alla fine, compresi che nascondermi e fuggire via non sarebbe servito a nulla, e decisi di continuare a mandare avanti la mia arte, anche se questa avrebbe potuto causarmi problemi. E ora, a distanza di quasi 400 anni, eccomi qui, con i miei amici, ad affrontare un’altra battaglia, senza più il terrore della distruzione a bloccarmi.”
“Vorrei poter essere forte come te.”, ammisi infine, arrossendo appena e spostando lo sguardo di lato.
Odiavo ammettere la mia debolezza, ma era vero.
Invidiavo la forza con cui lei aveva saputo affrontare il suo destino, e avrei voluto possederne altrettanta.
“Ma tu sei forte, piccola pulce!”, ci voltammo di scatto.
Jakhaal, silenzioso e scaltro, si era avvicinato alla stanza, ascoltando tutto quello che ci eravamo dette.
Ainu divenne bordò: “Tu! Hai origliato tutto!”
“Ehi, non scaldarti tanto, fiorellino, mica eravate nude, no? Anche se, a dire il vero, non mi sarebbe dispiaciuto affatto.”
“Scemo! Non lo sai che non si entra senza permesso nelle stanze di una ragazza? Pervertito! E se era in doccia?”, fece lei, livida di rabbia e indignazione.
Lui alzò un sopracciglio: “La stanza di una ragazza? Sul serio? Io qui vedo solo un tronco marcio e una bulletta da rissa … dove sarebbe la ragazza?”
Ovviamente, a quel punto fummo in due a tremare di rabbia per cui, in meno di un secondo, il nostro compagno si ritrovò steso a terra, fermamente bloccato da un fitto intrico di liane, e con i capelli sfrigolanti di elettricità per la scossa appena subita.
Altrettanto ovviamente, quello non parve esserne minimamente scosso, anzi, era sano come un pesce e, ridendo, disse: “Ok, Ok … niente più battute cattive. Comunque, piccola anguilla elettrica, Ainu ha ragione, sei molto più forte di quel che pensi, altrimenti, come avresti fatto ad affrontare a testa alta un cambio di vita come quello che ti è capitato? Hai saputo accettare il tuo ruolo, certo, inizialmente non era semplice, ma alla fine, quando si è trattato di combattere contro Apophis e difendere l’Albero, non ti sei tirata indietro. Sei forte, anche se non te ne rendi conto!”
Sorrisi appena.
Era vero, in quei tre mesi di allenamento, ero cambiata, non era più la semplice ragazza di città di quando ero arrivata: ormai ero una guerriera.
Li osservai in silenzio.
Dopotutto, nonostante le innumerevoli differenze che ci separavano, eravamo un bel team. Difficilmente avrei saputo tirarmi su da sola, senza la gentilezza delicata di Ainu o gli incoraggiamenti esuberanti di Jakhaal. Non avevo quasi fatto in tempo a rendermene conto, che quei ragazzi erano già diventati dei preziosissimi amici per me che, fino ad allora, non ne avevo mai avuti.
Quando hai la fedina penale sporca, e viaggi in precario equilibrio da un Istituto Riformativo all’altro, impari presto che nessuno è realmente interessato a stringere dei rapporti con te: sei la feccia della società, perché dovresti essere accettato?
Io con quella realtà avevo imparato ormai a conviverci da anni, era diventata parte di me, costringendomi a diffidare degli altri quanto questi diffidavano di me, e quindi non ero mai riuscita a stringere delle vere amicizie.
Con loro, invece, era del tutto diverso.
Avevamo un peso comune sulle spalle, che ci teneva vicini, e inoltre sapevano bene cosa fossi costretta a passare, e quindi cercavano di starmi accanto il più possibile.
O almeno, Ainu e Jakhaal ci provavano. Erano giorni che non vedevo Chrys, e per quanto fossi convinta di non meritare il suo rancore solo a causa della mia razza di appartenenza, sentivo di dover chiarire le cose con lui il prima possibile.
Altrimenti, avrei rischiato seriamente di impazzire.
“Grazie ragazzi, non saprei cosa fare senza di voi.”, Ainu mi sorrise, mentre Jakhaal, liberatosi come un niente dai tralci di liane che lo intrappolavano, ci strinse entrambe in un abbraccio che, per una persona normale, sarebbe stato certamente letale.
“Così si fa, pulce! E ora, forse è il caso di andare a tirare il surgelatore fuori dal suo buco, che si parte per la missione!”, disse, avviandosi divertito verso le stanze di Chrys.
Lo seguii, curiosa: “Quindi, io che dovrò fare esattamente?”
Lui tirò su un muso canzonatorio: “Mahhh … sarai il nostro navigatore portatile, no? Ogni tanto, dovrai mettere su una voce da robot e dire cose come –Fare inversione a destra-!”
Lo guardai male: “Seriamente, io non ho la minima idea di come percepire la presenza del Frutto.”
Mi scompigliò i capelli, ridendo al mio sguardo di rimprovero. Sapeva quanto odiassi venire strapazzata come un cuccioletto, ma evidentemente si divertiva troppo a stigarmi per poterne fare a meno: “Beh … partiremo con Atrea, il nostro mezzo di trasporto per i viaggi lunghi. Dentro la cabina principale, c’è un Risonatore, un congegno magico che riesce ad aumentare temporaneamente le nostre capacità percettive, collegata a quello, cadrai in un breve trance e avrai una chiara visione del covo in cui si trova il Frutto. Semplice, semplice!”
Alzai un sopracciglio.
L’idea di venire attaccata a un congegno di dubbia validità non mi attizzava esattamente molto. E se fossi rimasta a dormire per il resto dei miei giorni?
“Tranquilla. Nel peggiore dei casi, passerai a miglior vita!”, fece lui mentre io, indignata, cercavo di affibbiargli una bella scossa in testa.
Niente da fare, bloccò il mio colpo a mezz’aria, sempre ridendo divertito.
Evidentemente, ne avevo di strada da fare.

 

Note dell'Autrice:
Ben ritrovati!
Eccoci qui con un altro capitolo, questa volta, di transito.
Visto che avevo preso un ritmo abbastanza serrato nei passi precedenti, facendo accadere parecchie cose in si e no sei capitoli, ho pensato di spezzare un po' il ritmo con questo volumetto ponte.
Così, ne ho un pochetto approfittato per introdurre meglio i personaggi di Ainu e Jakhaal, che fin'ora non si sono mai mostrati moltissimo, ed accennare sia al passato di Chrys, sul quale si ritornerà più avanti, che, in modo appronfodito, a quello di Ainu. Tranquilli, se siete curiosi di sapere anche qualcosa sul nostro Guardiano della Roccia, non rimarrete delusi, ma dovrete attendere un pochetto.
Per ora, lasciamo i nostro amici ad apprestarsi alla partenza visto che, ormai, la missione è alle porte.
Ringrazio ancora moltissimo tutti doloro che mi hanno seguita fin qui, specialmente EragonForever e onlyfanfiction, senza i quali non saprei proprio come fare. Siete uniche, ragazze!
Alla prossima!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo VIII-Castiel, il Guardiano del Fuoco ***


Capitolo VIII
Castiel, il Guardiano del Fuoco
 

Più tardi, quando finalmente riuscimmo a convincere Mr. Ghiacciolo a uscire dal suo stato d’isolamento, ci ritrovammo tutti e quattro presso il Santuario, dal quale la nostra missione di recupero sarebbe finalmente iniziata.
Fu li che scoprii cosa fosse, esattamente, Astrea.
Già, perché il nostro mezzo di trasporto non era una nave qualunque, ma anzi, un veliero volante. E se fosse stato tutto li, evidentemente sarebbe stato troppo noioso, infatti, oltre che volante, quel veliero era pure vivente.
Vi chiederete come possa essere possibile, invece credetemi se vi dico che è perfettamente normale, almeno per noi Guardiani.
Il vascello, infatti, costruito in un lucente legno rosso e dorato, aveva la focena modellata a testa di grifone, mentre grosse ali piumate spuntavano dai lati e una lunga coda decorava coi suoi sgargianti colori terracotta la poppa della nave. Il capo della magnifica creatura, interamente fuso con il vascello, era coperto da un folto piumaggio in legno, oro, rosso e nero, mentre gli accesi occhietti arancioni osservavano impazienti di partire i suoi passeggeri e padroni.
Sul ponte, oltre all’albero maestro il vascello poteva vantare ben tre vele di supporto, mentre dai fianchi, subito sotto le possenti ali della creatura, si intravvedevano le fessure per l’artiglieria.
Per farla breve, uno spettacolo da mozzare il fiato.
“E’ … cosa dire, assolutamente bellissimo!”, sussurrai, intimorita, a Chrys che, alzando gli occhi al cielo sospirò: “Non lo dire, ti prego, se ti sentisse …”
Troppo tardi, il possente grifone aveva già chinato il capo alla mia altezza, e mi fissava ora serio: “Mpfhhh … certo che sono bellissima! Per chi mi hai preso? Per uno di quei vostri giocattolini umani in latta? Io sono Astrea! Il terrore dei cieli! Il ruggito che scuote gli astri, io sono …”
“Si, si, molto interessante!”, fortunatamente, Jakhaal intervenne in nostro soccorso, scoccando un’occhiataccia al nostro esuberante mezzo di trasporto e riprendendo: “Ora, che ne dite di salpare? Siamo già in ritardo sulla tabella di marcia!”
“Vero.”, fece Ainu, dietro di sé, cun corteo di liane che stava diligentemente caricando i nostri bagagli sulla nave, “Meglio salpare immediatamente. Per fortuna, Astrea non necessita di alcun genere di equipaggio …”
“Equipaggio? E a chi serve un equipaggio? Io sono perfetta già così da sola, mica mi serve direzione! A proposito, dove si va?”, interruppe lei, arruffando le penne impaziente di salpare.
Ainu alzò lo sguardo al cielo: “Puoi, almeno per un secondo, lasciarci discutere? Abbiamo delle questioni importanti di cui trattare!”
“Più importanti della rotta? Cosa c’è di più importante?”, chiese quella, stizzita. Era fermamente convinta che, fintanto che saremmo stati a bordo, sarebbe stata lei a decidere cosa fare e quando farla.
Sospirai, la cosa si prospettava abbastanza stressante.
“Niente.”, ribattè Chrys, evidentemente stizzito, “Solo la strategia da utilizzare per non rimanerci secchi. Che vuoi che sia mai?”
Quella sbuffò, contrariata: “Che strategia e strategia? Nessuno tiene testa ai miei cannoni!”
“Vero, ma di certo non potrai accompagnarci all’interno del covo dei nostri nemici.”, fece Jakhaal, accennando alla sua mole, “Sei, come dire, un poco ingombrante.”
Ainu si mise le mani sugli occhi mentre quella, scandalizzata, si sollevava lievemente da terra, sbattendo le ali e travolgendoci in pieno con le raffiche da esse create: “Ingombrante? Io? Stai forse dicendo che sono grassa? Guarda che ora sono a dieta, ho già perso tre quintali!”
Sospirai: “Ok, bene, e ne siamo felici, ora, di cosa dovevamo parlare?”
“Bhe …”, esordì Ainu, “Tanto per iniziare, abbiamo deciso che, a meno che il Frutto non si trovi nella tua dimensione, cosa a mio parere abbastanza improbabile, ci faremo dare un piccolo aiutino, dallo Spirito Magno che la presiede.”
Alzai un sopracciglio, incuriosita: “Credevo che il compito degli Spiriti Magni fosse quello di rintracciare i Guardiani.”
Chrys alzò le spalle: “Se gli chiederemo aiuto, dubito che ce lo negherà. Inoltre, la forza degli Spiriti Magni è indiscussa, anche se, ovviamente, noi tre con i nostri Frutti siamo di gran lunga più potenti.”
Annuii.
Caricammo i bagagli abbastanza rapidamente, anche perché difficilmente sarebbe stato un viaggio lungo, e le provviste erano già fornite da Astrea per cui, di fatto, a parte pochi vestiti e i nostri effetti personali non dovevamo portare via poi molto.
Una volta a bordo, ci dirigemmo subito presso il Risonatore che, scoprii, alla fin fine non era che un grosso trono interamente in cristallo.
Lo fissai, critica: “E questo sarebbe uno degli oggetti più preziosi e unici al mondo?”
Ainu annuì, seria: “Ne esistono solo altri due oltre a questo, e, fortunatamente, non sono ancora caduti in mano al nemico, anche se dubito che potrebbe utilizzarli. Reagiscono solo al potere dei Guardiani, e il loro valore è semplicemente inestimabile.”
Alzai un sopracciglio: “Certo che, per essere preziosissimo, un po’ più comodo potevano anche farlo.”, dissi, sedendomi sulla superficie gelida e dura.
Chrys alzò gli occhi al cielo: “Dillo ai suoi costruttori, non a noi.”
“Pronta?”, chiese Ainu, porgendomi un bicchiere pieno di un denso liquido verde.
“Ehm, e se schiatto davvero? Questo coso non mi sembra molto raccomandabile.”, dissi, osservando preoccupata la melma che ribolliva. Sembrava bile frullata.
Jakhaal scoppiò a ridere: “Tranquilla, ti farà solo dormire un po’, tutto qui. Così vedrai il posto che dobbiamo raggiungere. E poi non c’è problema, sai cosa si dice, no? L’erba cattiva non muore mai!”
Io e Ainu lo fissammo, divertite: “Parli di te?”
Scossi il capo, poi, ancora diffidente, bevvi la sostanza incriminata.
Fu con un forte sapore di pesce marcio in bocca che, in un istante, persi i sensi e caddi nell’oblio.
 
Volavo sopra una landa infuocata, il calore che minacciava seriamente di fondere il mio corpo, tanto era elevato. Fortunatamente, era solo un’impressione perché, dovetti rendermi conto, non ero che uno spirito informe.
Sotto di me, una pianura cupa e infinita si estendeva per miglia e miglia, intervallata a tratti da possenti vulcani spruzzanti lava e lapilli, o da fiumi di magma bollente, che scorreva pigro verso una meta indefinibile.
Superai un’altissima rupe, dalla forma molto simile a quella di un drago ruggente, dalle cui fauci un intenso bagliore sanguigno raggiungeva il cielo dall’odore di zolfo.
Subito avanti, in un immenso cratere vuoto, si estendeva lo spettacolo più insolito che avessi mai potuto immaginare.
Un’immensa città, costruita interamente nella roccia viva, si disgregava all’interno della voragine, per chilometri a non finire, mentre un complesso intrico di tunnel sospesi collegavano le due estremità, permettendo il passaggio da un lato all’altro della fortezza.
Alzai lo sguardo, sopra di me, in mezzo alle nubi scure, nugoli di viverne setacciavano la zona, in cerca di eventuali nemici.
Mi abbassai ulteriormente, passando da una finestra ed entrando nelle vaste sale.
Dentro, la temperatura era molto più sopportabile, mentre le mura erano interamente intagliate nel ferro e nella roccia. I corridoi erano sorvegliati e giorno da plotoni disciplinati di Salamandre e Draghi, anche se, notai con mio immenso piacere, parevano come ciechi alla mia presenza, mentre correvo rapida verso quel richiamo che mi indirizzava deciso verso il lato più a nord della fortezza.
Molte volte ebbi l’occasione di vedere file di giovani semiumani e nani in catene, costretti dalle orribili creature a compiere marce forzate fino ai meandri più profondi della costruzione, da dove potevo sentire il rumore dei mantici e dei picconi all’opera.
Era evidente che ero appena finita in un centro di costruzione delle armi per la guerra contro di noi, e un centro molto importante.
Combattei contro il naturale istinto di salvare quegli innocenti mandati al massacro, e seguii decisa il richiamo che, in pochi istanti, mi condusse presso un imponente portone in mogano scuro, dal quale sentivo provenire una forte energia famigliare.
Feci per aprirlo quando qualcuno, sorprendentemente, mi stese a terra, cogliendomi di sorpresa.
Mi voltai, certa che, almeno teoricamente, nessuno avrebbe dovuto essere in grado di vedermi in quello stato, e tantomeno di toccarmi.
Davanti a me, un giovane dai folti capelli rossi mi fissava ostile, in posizione di guardia mentre, accompagnato da un piccolo draghetto dalle accese squame purpuree, mi fissava truce.
“Chi sei? E perché sei interessata alla gemma? Sei forse una di loro?”, chiese, osservandomi incerto.
Evidentemente, aveva capito che non potevo essere una seguace della Viverna, tuttavia ciò non spiegava come mai fossi libera di muovermi per la fortezza. Effettivamente, neanche lui avrebbe dovuto trovarsi li.
“Potrei farti la stessa domanda.”, dissi, decisa.
Quello scoppiò a ridere: “Hai ragione, nemmeno io dovrei essere qui. La cosa che mi ha incuriosito, è che nessuno si è accorto della tua presenza, da quando sei entrata da quella finestra, poco fa.”
Rimasi a bocca aperta, scioccata: “Vuoi dire che mi hai seguita fin qui?”
Quello sorrise, furbetto: “Perché non avrei dovuto? Insomma, da che mondo e mondo, quando un principe vede una così bella fanciulla, dovrebbe per lo meno presentarsi, non credi?”
Arrossii, lusingata. Decisamente, era la prima volta che qualcuno mi dava della “bella fanciulla”. Mi avevano chiamata teppista, calamità naturale, scherzo del fato, ma bella fanciulla? Mai.
Mi ripresi, decisa a non cadere nelle sue avances: “Questo non toglie che sei uno stalker!”
Quello sghignazzò: “Cos’è? Un altro termine umano per descrivere un figo da paura? Se è così, allora si, sono decisamente uno stalker.”
Sospirai, esasperata, e fu in quel momento che mi resi conto che, effettivamente, il mio nuovo conoscente non aveva molto di umano in sé.
I capelli erano una cascata di lava purpurea, con leggere ciocche dorate e vermiglie, mentre gli occhi erano due sfere gialle e rettilinee, simili a quelle dei draghi. La carnagione era molto scura, ma la cosa insolita erano le possenti corna dragonesche che gli decoravano il capo, così come le piccole squame che, ogni tanto, punteggiavano la sua carnagione e la lunga e affusolata coda da rettile che sbucava, agile, dietro di lui.
Alzai un sopracciglio: “Quindi, tu cosa saresti esattamente?”
Quello si esibì in un profondo inchino, porgendomi la mano e presentandosi: “Castiel III della Casata Velharion, detto Salamander. Al suo servizio!”
Alzai gli occhi al cielo, ma non feci in tempo a presentarmi a mia volta che un frastuono di guardie all’erta ci costrinse all’attenti.
“Vai pure, mia dolce fenice. Mi occuperò io dei nostri amichetti!”
Detto ciò, lasciò che il suo corpo venisse avvolto da una coltre di fiamme e si lanciò contro il plotone di guardie che erano appena sopraggiunte.
Feci appena in tempo a chiamarlo, che la dura realtà del mio corpo dovette richiamarmi a sé, riportandomi indietro.
 
I miei compagni mi osservavano, ansiosi.
“Miseria, è ancora viva!”, borbottò deluso Jakhaal, consegnando una moneta dorata a Chrys che, soddisfatto, intascò il bottino gongolante.
Balzai in piedi, scandalizzata: “Fermi tutti! Ma vi pare il caso, avete scommesso sulla mia morte!”
“Tranquilla, come previsto, l’erba cattiva non muore.”, fece Chrys, con un lieve tono di amarezza nella voce.
Lo fissai, stizzita, poi sbuffando, mi voltai verso gli altri, che mi fissavano in attesa.
“Allora? Dove dobbiamo andare?”, chiese.
“Ehm … credo di dovervi dire prima una cosa più importante …”
“Ossia?”, chiese, irritato, Chrys.
Lo guardai male: “Niente, penso solo di aver appena incontrato il Guardiano del Fuoco. E sai che ti dico? Lui si che è un vero gentiluomo, avresti di che imparare, sai?”
Il silenzio cadde nella stanza.
Evidentemente, li avevo proprio lasciati senza parole.



Note dell'Autrice:
Nuovo capitolo!
E tutto in un solo giorno, inizio veramente a gonfiarmi d'orgoglio ;)
Eccoci dunque qui, con un altro, entusiasmante Guardiano da aggiungere alla lista!
Tra Astrea e Castiel, non so proprio dire chi dei due causerà più danni una volta iniziata la missione, speriamo bene!
Spero che l'idea della nave volante vi sia piaciuta, anche se, confesso, l'ho presa in parte da Percy Jackson (come certamente qualcuno avrà potuto notare) il quale, però, a sua volta l'ha presa da Volo, un vecchio fantasy di cui nessuno ricorda mai nulla, ma che ha fatto la mia infanzia. 
Spero che la storia vi stia entusiasmando, e che il nostro fiammiferino abbia soddisfatto le aspettative della mia inseparabile e carissima EragonForever: te lo dedico tutto per te, visto che so quanto ami quell'elemento! Spero solo di averlo fatto figo abbastanza...
Detto questo, ringrazio ancora chi continua a seguirmi, anche onlyfanfiction, e vi saluto!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo IX-Rotta verso la morte! ***


Capitolo IX
Rotta verso la morte!
 

Che Chrys non era affatto felice della mia scoperta, fu subito chiaro.
Naturalmente, per precauzione preferii sorvolare sul fatto che Castiel ci avesse palesemente provato con me, in modo da evitare scontri inutili, tuttavia fu subito chiaro che, tra me e lui, doveva essere successo qualcosa.
Cosa che, a dire il vero, non fece che irritare ancora di più il signorino che, scontroso, continuava a ribattere: “Cosa ci assicura che sia veramente un Guardiano? Ok, ha saputo utilizzare le fiamme, ma sai quante persone ci sono a Flogon, la Seconda Dimensione, che ne sono capaci?”
Sbaffai, esasperata: “Quello lo immaginavo anch’io, genio! Però sappiamo tutti che il Risonatore reagisce solo a noi, quindi perché avrebbe potuto vedermi, se non a causa del fatto di essere un Guardiano?”
Ainu annuì, decisa: “Chrys, so che tra voi e i Guardiano del Fuoco non scorre buon sangue da millenni, ma Elayne ha ragione. Non esiste altra spiegazione.”
“Già. E sembra proprio che il fiammiferino sia un tipo tosto! Voglio sfidarlo!”, fece Jakhaal, dando ulteriore sfoggio alla sua insolita tendenza a sfidare chiunque gli capitasse sotto tiro. Spesso senza risultato.
“Questo non c’entra! Avete sentito cosa ha detto, è del Terzo Principe di Draconia che stiamo parlando, avete la minima idea di cosa significhi?!?”, sbottò, furibondo.
Lo fissai, senza capire.
Sbuffò, spiegando: “E’ un poco di buono, lo sanno tutti nel suo regno! Dovrebbe occuparsi degli affari di corte, dimostrarsi un valido principe e mandare avanti la propria formazione come possibile erede, e invece passa il tempo a bighellonare per il regno, come uno straccione. Ha scatenato un vero inferno a causa del suo atteggiamento superficiale e menefreghista, non è il genere di persona a cui si potrebbe affidare la propria vita! Tantomeno il destino del mondo!”
Quello era decisamente troppo.
Non lo aveva mai nemmeno incontrato, e già pretendeva di sapere chi fosse e cosa pensasse.
Mi stava facendo letteralmente andare il sangue al cervello.
Prima che potesse anche solo prevedere la mia reazione, gli avevo sferrato un forte ceffone, voltandolo di lato.
Ormai, avevo le lacrime agli occhi.
Ero semplicemente sconvolta.
Mi sarei aspettata, per lo meno, una parvenza di appoggio da parte di Chrys, perché finalmente ero riuscita a incontrare qualcuno che fosse sulla mia stessa linea d’onda, con cui essere me stessa sempre e comunque.
Invece no, lui era sempre li, indifferente, a rompere ogni volta la mia felicità, quasi non fosse affatto contento all’idea di vedermi assieme a un altro.
“Ora dacci un taglio! Posso capire che tu continui a portare rancore verso la mia specie, per chissà quale ragione, e non voglio farti pressioni a riguardo, ma potresti, per lo meno, evitare di fare di tutta l’erba un fascio e cercare, almeno un po’, di non comportarti sempre da idiota ogni volta che ci sono di mezzo io? Non possiamo salvare il mondo se continui a comportarti come un bambino ogni singola volta che ti parlo!”, sbottai, furibonda, “Inoltre …”, proseguii, “… hai forse scordato com’ero io prima di venire qui? Di un po’, scommetto che, dipendesse da te, nemmeno io dovrei far parte del team, visti i miei precedenti penali e la pessima fama che avevo nella mia dimensione di origine. Persino la mia famiglia ha troncato i ponti con me! Mettiti il cuore in pace, perché se non vorrete lui, allora dovrete fare a meno anche di me!”
E detto ciò mi voltai, furibonda, lasciando la stanza senza curarmi di sbattere la porta alle mie spalle.
Salii sul ponte, pestando i piedi furiosa, e decisi di nascondermi dalla fastidiosa presenza di Chrys arrampicandomi sull’albero maestro.
Non mi ci volle molto.
Sebbene fossi ancora lontana dalla perfezione, avevo fatto molti progressi da quando avevo iniziato ad addestrarmi: un tempo, non sarei nemmeno stata capace di immaginarmi di salire a un’altezza simile.
Sospirai, esausta, lasciando vagare il mio sguardo verso il cielo.
Finalmente, un po’ di pace.
“Bello, eh?”, aprii gli occhi, sotto di me, Astrea mi sorrideva, solare, “Non c’è niente di meglio di un bel volo per schiarirsi le idee, credimi.”
“Già … aspetta un secondo, hai sentito tutto?”, chiesi, sorpresa.
Quella scoppiò a ridere, divertita: “Ovviamente! Io vedo e sento tutto ciò che accade qui a bordo, non c’è nulla che possa sfuggire agli occhi di un buon capitano! Posso dirti, per esempio, che subito dopo che te ne sei andata il Guardiano del Ghiaccio ha dovuto sopportare una seconda predica coi fiocchi: a quanto pare i tuoi amici la pensano come te, è del tutto ridicolo giudicare un libro dalla copertina.”
Mi sporsi appena verso di lei, incuriosita: “E poi? Che è successo?”, chiesi.
Lei sorrise: “Ahhh … quindi, dopotutto, sei veramente interessata al ghiacciolino!”
Arrossii, furiosa: “Non è affatto vero! È solo un vile, e un prepotente, non mi metterei mai con un tipo simile, tuttavia, vorrei per lo meno sapere se quello che gli ho detto è servito a qualcosa. Non possiamo lavorare come una squadra, se lui ci rema contro a ogni singola decisione da prendere!”
Lei annuì, sempre sghignazzando appena: “Bhe, si è rifugiato nella sua cabina, ha bulleggiato e devastato il mio mobilio per qualche minuto, e ha tirato qualche imprecazione abbastanza colorita. E poi …”, si bloccò, osservandomi appena con la coda dell’occhio, poi riprese, visibilmente tesa, “E poi niente, si è buttato sul suo letto e si è addormentato.”, voltò il capo piumato di lato, ma era più che evidente che non aveva detto tutto.
“Ehi, guarda che non me la dai a bere.”, dissi, lasciando che il mio corpo venisse percorso da una lieve corrente elettrica, che mi fece ricomparire di fronte a lei, sospesa a mezz’aria, in modo che non potesse più evitare il mio sguardo inquisitore.
Lei storse la bocca: “Si, sicura di volerlo sapere? Insomma, non mi sembra proprio che tu gli sia indifferente, se ti piace davvero, potresti non gradire quello che ho da raccontarti.”
Sbuffai: “Va avanti, tanto, ormai, non c’è più niente che possa sorprendermi. Mi sono rassegnata all’idea che quello è un bastardo fatto e finito.”
Mi fissò, come a soppesare le mie parole, poi proseguì: “Bhe, e poi si è messo a fissare il ritratto di una ragazza. Molto carina, se posso anche dire la mia, lo tiene all’interno di una ciondolo, lo porta sempre con sé …”
Sussultai appena, riprendendomi subito e mascherando il mio disagio con una sonora risata: “Tutto qui? Insomma, da come l’avevi buttata giù, sembrava quasi che avesse un segreto orribile e innominabile, tipo che è gay, o un eunuco. Invece, bhe … confesso che sono abbastanza sollevata!”
Quella mi osservò, poco convinta, poi riprese, cambiando argomento: “Quindi? Dove si va?”
“Rotta per Flogon, la Terza Dimensione.”, disse Ainu, comparendo sorridente alle nostre spalle. Mi fissò per un istante, ma io le sorrisi di rimando, rassicurandola. Non volevo che i miei amici si sentissero a disagio a causa dei miei contrasti con Chrys, la situazione era già abbastanza complicata da sola. “Regno di Draconia, Rupe del Drago. Andiamo a fare un visitina al Mondo di Flaar, la Fenice di Fuoco.”
Alzai un sopracciglio: “Quindi, lo Spirito Magno di Flogon è una Fenice?”, chiesi, incuriosita.
Astrea sbuffò, nervosa: “Già, la custode del Regno del Magma Eterno. Magnifico, una crociera in un posto più piacevole no, vero? Tipo Dasos, o Astrapos, no, dovevamo proprio andare nell’unica dimensione dove rischio di finire ammazzata. Non è che i miei magnifici e stupefacentissimi arredi in legno vadano molto d’accordo con le fiamme, e poi, quei piccoli impertinenti dei fabbri nanici pensano sempre di poter creare navi migliori di me. Vi rendete conto? Potreste immaginare un vascello migliore della sottoscritta? È una cosa del tutto inaudita!”
Jakhaal si massaggiò le tempie, esasperato: “Per lo meno, non parlano né rompono i maroni notte e giorno, come invece fa qualcuno.”
Cercai di fargli capire che era meglio non fare commenti, ma niente da fare, Astrea aveva già sentito tutto, e ora ci fissava indignata: “Ahhh, è così allora! Bene, sapete che vi dico? Questo è il MIO ponte, e voi siete i MIEI  passeggeri, e fino a quando non ci saremo congedati, dovrete stare alle MIE regole, se volete che vi dia le provviste per andare avanti. Per cui, d’ora in poi, la vostra principale occupazione sarà pulire i miei mobili e i pavimenti, riassestare le vele e sostituire le funi e via dicendo, fino a prossimo avviso.”
La fissammo, sconvolti.
Praticamente, eravamo appena diventati i suoi sguatteri personali.
Fissai ostile Jakhaal.
Perfetto, lui diceva una cavolata, e ci finivamo in mezzo tutti.
Alzò le spalle, innocente, ma non fece in tempo a giustificarsi che un esercito di scope come vive iniziò a inseguirci, su ordine di Astrea, per il ponte, costringendoci a non perdere tempo e a darci da fare.
Decisamente, sembrava proprio che quel nuovo hobby la divertisse parecchio.
 
Il viaggio durò poco meno di una settimana.
Una settimana decisamente dura, se posso aggiungere.
Innanzitutto, c’era la pessima situazione in cui verteva la nostra squadra.
Chrys non era più uscito dalla sua camera, e non voleva saperne di unirsi a noi, nemmeno quando dovevamo pianificare più nel dettaglio la nostra sortita nel covo dei nemici. Semplicemente, ci ignorava, e solo Astrea poteva parlargli ogni tanto, facendo comparire del cibo in camera sua e chiedendogli come se la passava, assicurandosi che non morisse d’inedia prima del tempo.
Tra me, Ainu e Jakhaal, le cose andavano bene. Eravamo tutti ansiosi di reincontrare Castiel, forse lei un po’ meno, ma solo perché, notoriamente, elfi e draconiani non sono mai stati in così buoni rapporti. Tuttavia eravamo ottimisti, e speravamo che, ottenendo il suo aiuto in missione, sarebbe stato più semplice rubare il Frutto.
Purtroppo, era anche vero che, se Chrys avesse continuato in quel modo, non saremmo potuti andare molto lontano. Io mi rifiutavo di parlargli, ero ancora troppo arrabbiata per come aveva trattato il mio nuovo amico stalker, per poterlo perdonare. Quindi, toccava ad Ainu e Jakhaal andare ogni giorno di fronte alla sua porta, chiedendogli di smetterla con quelle scenate inutili e tornare con noi.
Non che servisse a molto.
Altro problema, poi, era Astrea.
Sebbene sapesse anche essere molto simpatica, a volte, era una vera staccanovista quando si trattava della sua nave. Atteggiandosi da capitano indiscusso, ci aveva tutti rinchiusi ai lavori forzati, per cui passavamo la maggior parte delle giornate a pulire il ponte, sistemare le cabine e riparare ormeggi. E la cosa peggiore erano i pasti.
Si, perché la nostra amica si era legata al dito l’uscita di Jakhaal sul suo peso, e ora ci costringeva a subire il suo stesso supplizio, mettendoci tutti a dieta ferrea.
Per Ainu, che era comunque abituata a mangiare solo frutta e verdura, non era certo un problema. Per me e Jakhaal, che eravamo amanti del bacon e delle mangiate folli, fu un vero supplizio. Dopo il terzo giorno, iniziai persino a sognarmi i panini del Burger King, che mi inseguivano assatanati per le stanze del vascello, mentre Astrea rideva sadicamente dall’esterno.
La situazione, alla fine, precipitò perché Jakhaal, al limite, pensò bene di aprire un portale per il primo Mac che gli fosse capitato in mente, teletrasportandosi all’interno incurante delle grida sconvolte dei clienti e trafugando senza nemmeno pagare il primo menù che gli fosse capitato a tiro, per poi rientrare col bottino sulla nave. Astrea non la prese bene, e quella sera fu costretto a guardarci mangiare (broccoli, sai che invidia, poi) legato a un palo senza poter muovere un dito.
Per farla breve, fu decisamente il viaggio peggiore di tutta la mia vita.
 
Eravamo ormai giunti nel Regno di Draconia da alcuni giorni, e la missione proseguiva senza intoppi.
O almeno, senza intoppi da parte dei nostri nemici.
Quel posto, infatti, era un vero e proprio inferno.
E se Jakhaal non ne era minimamente toccato, visti i deserti della sua patria natia, a cui era abituato, per me, Ainu e soprattutto Chrys era l’esatto contrario.
Le temperature, in quel posto, erano così assurdamente alte che, per evitare di morire surriscaldati, dovevamo ingerire giornalmente delle pillole speciali, che creavano una sottile membrana magica in grado di traspirare sia il calore, che i fumi densissimi e lo zolfo che regnavano nell’aria.
Per Chrys, però, la cosa non era affatto di conforto. Lui, in quanto creatura del ghiaccio, era ancora più esposto al calore di quella dimensione, e sebbene le pillole potessero in qualche modo diminuire la temperatura attorno a noi, non potevano certo azzerarla per cui, di fatto, lui ne soffriva moltissimo.
Cosa che, con nostro immenso dispiacere, andava anche a influire sul suo umore, già di per sé instabile. Infatti, da quando eravamo giunti a Flogon, era persino più cinico e scontroso, rivolgergli la parola era inutile, perché trattava male chiunque cercasse di avvicinarlo, persino Ainu, con cui di solito andava anche abbastanza d’accordo.
Io, dal canto mio, cercavo di ignorarlo il più possibile, e mi limitavo a osservare il quel paesaggio così sterminato e sublime, così dannatamente e mortalmente affascinante da rapire lo sguardo.
Perché, dopotutto, c’era qualcosa di arcano e profondo in quelle lande senza tempo, tra i lapilli di lava bollente e le eruzioni che illuminavano a giorno il cielo, anche quando era notte. Era impossibile non rimanerne incantati, specialmente per me, così abituata ai monotoni paesaggi di città della mia dimensione di origine.
“Non male, devo ammetterlo, ma preferirò sempre gli alberi secolari di Dasos.”, disse Ainu, affiancandomi in silenzio, l’ultimo pomeriggio del nostro viaggio.
“Già, la tua dimensione è quella delle foreste sterminate. Come fate a costruire le città?”, chiesi, incuriosita.
Lei sorrise: “Solitamente, le costruiamo sugli alberi. Tutte le creature di Dasos possiedono il Canto, un dono che consente di plasmare il legno senza ucciderlo e ferire le piante, in modo da costruire case e villaggi senza nuocere alla natura.”
La fissai, sbalordita: “Wow, mi piacerebbe poterle vedere, un giorno.”
“Ci riuscirai, tranquilla. Noi Guardiani abbiamo molti impegni, oltre a combattere Nidhoggr, e quindi viaggiamo molto, sono certa che ne avrai l’occasione. Intanto, penso sia il caso di dare una mano a qualcuno.”, e accennò e Jakhaal, piegato con la testa fuori bordo, che dava di stomaco per qualcosa come la decima volta solo in quel giorno.
Alzai un sopracciglio, senza capire: “Che gli prende? Credevo che il clima non lo toccasse molto!”
Astrea scosse il capo, esasperata: “Non è il clima. È un Guardiano della Roccia, quelli come lui, con i viaggi aerei, non ci vanno esattamente molto d’accordo. Comunque, se prova a imbrattarmi i fianchi, giuro che lo sbatto fuori bordo!”
Ci avvicinammo, preoccupate: “Ehm … tutto bene?”, chiesi, esitante.
Quello sussultò, mettendosi subito in piedi e fingendo un’aria sciolta, anche se in realtà era verde come un peperone: “Chi, io? Certo che va tutto bene! Va tutto beni …”, non ce la fece, un secondo dopo, era di nuovo a dare di stomaco.
Ainu alzò un sopracciglio: “Si, va proprio benissimo. Sicuro di non volere uno dei miei infusi?”
Quello si alzò, furioso, e ci avvicinò, gli occhi scintillanti di minaccia: “Provate a dire in giro che soffro il mal d’aria, e giuro che non vedrete l’alba di domani, chiaro?”
Sorrisi, solidale: “Tranquillo, nessuno verrà mai a sapere che un duro come te si fa smontare da un paio di venticelli!”
“Questa è proprio buona, un valente Minotauro di Vrach che soffre le altezze!”, alzammo il capo, e rimanemmo a bocca aperta.
Dietro di noi, Astrea si fermò, nervosa: “Ehm … gente, non per dire, ma penso che abbiamo un piccolo problema!”
E infatti era proprio così, attorno a noi, una plotone di draghi dalle lucenti squame vermiglie ci aveva completamente circondati, costringendoci alla resa.
Sulle loro groppe, soldati vestiti d’oro e rosso ci fissavano ostili, le corna e le code dragonesche che sferzavano l’aria, segno indelebile che eravamo appena capitati nel mezzo di una ricognizione di Draconiani del posto.
Spostai il mio sguardo verso quello che aveva parlato.
Aveva un’aria molto famigliare, ma sul momento non riuscii a capire dove l’avessi già visto.
I capelli, vermigli come l’armatura che indossava, erano raccolti dietro il capo da una semplice coda di cavallo, mentre gli occhietti da rettile ci fissavano ostili. La carnagione era molto abbronzata, e il fisico agile ma robusto, mentre una leggera cicatrice gli deturpava a graffio il lato sinistro del viso.
Non seppi perché, ma mi stette subito antipatico, per cui risposi, stizzita: “E tu chi saresti, di grazia?”
L’espressione di quello s’irrigidì, mentre rispondeva, spavaldo: “Io sono Castor X della Casata Velharion, Secondo Principe di Draconia e, ora, voi siete i miei prigionieri!”



Note dell'Autrice:
Ehhh, si, sono di nuovo qui!
Lo so, sto aggiornando abbastanza in fretta, ma con l'inizio dei corsi che si avvicinano, preferisco approfittarne finchè posso!
Eccoci dunque qui, con un altro capitolo!
Il viaggio è ormai iniziato, e anche se non accade nulla di veramente interessante, abbiamo finalmente potuto conoscere un po' meglio i nostri amici, specialmente Astrea, che più avanti avrà modo di farsi valere anche lei.
Ho inserito un piccolo accenno al passato di Chrystal, ma dovrete aspettare ancora un po' se volete sapere chi è la ragazza misteriosa di cui porta con sè il ritratto, nel frattempo, vi farò bollire nel vostro brodo.
Per ora, dovranno vedersela con i Draconiani, che come avrete già potuto intuire non sono esattamente una specie molto ospitale, specialmente verso gli sconociuti. Ehhh...si, Castor è niente popò di meno che il fratello maggiore di Castiel, ma vedremo più avanti in che rapporti sono con esattezza.
Nel frattempo, ringrazio come da programma tutti coloro che mi stanno seguendo, non serei niente senza di voi e mi fa sempre piacere sentire i vostri pareri per questo mio piccolo gioiellino. Ringrazio anche EragonForever per il suo supporto, e onlyfanfiction per le critiche sempre costruttive.
Ci si rivede!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo X-Tensioni di famiglia ***


Capitolo X
Tensioni di famiglia
 

Fu quindi Castor Ho-Un-Nome-Lunghissimo-Solo-Per-Farmi-Figo a darci un caloroso benvenuto presso Flogon, la Seconda Dimensione.
Che lui e il suo popolo non amavano gli stranieri, fu abbastanza chiaro quando, senza tanti mezzi termini, sequestrò la nostra nave, ci imbavagliò e ci mise in catene, tutto sghignazzando come un demente.
Per essere sincera, avrei davvero voluto friggergli quel cervello da lucertola in prognosi riservata, ma Ainu mi fermò in tempo, scoccandomi un’occhiata eloquente e facendomi capire che, in quanto Guardiani, noi non potevamo assolutamente toccare dei civili innocenti.
Francamente, dubitavo che quel tipo avesse un che di innocente, visto il modo in cui ci fissava, manco potesse già vederci penzolare dalla forca.
Insomma, come avrete capito, il nostro fu amore a prima vista.
Tra le proteste indignate di Astrea, e le imprecazioni irrepetibilmente volgari di Jakhaal, venimmo infine scortati verso Dracoos, la Capitale di Draconia. Come se il nome non lo chiarisse da solo, poi …
Comunque, il viaggio fu silenzioso, almeno da parte nostra.
Castor infatti, passò tutto il tragitto a vantarsi delle tecniche di tortura e uccisione del suo regno, con tanto di dettagli inediti, per poi passare a una molto poco razzista predica su come i Draconiani fossero esseri superiori, e come, invece, noi altri non fossimo che carne da macello. Cose così, insomma.
Nel frattempo, sorvolando le terre del regno, potemmo notare, senza molta sorpresa a dire il vero, come i Draconiani non dovessero essere proprio molto amati dai popoli vicini. Bhe … non che ci sia nulla di strano, anch’io inizierei  a desiderare di vedere il mio vicino morto se ogni tre per due mi evidenziasse l’indubbia superiorità della sua specie.
Infatti, sotto di noi, villaggi in fiamme e rovine distrutte dalla guerra si alteravano ininterrotte, saltuariamente intervallate da imponenti accampamenti in stato di guerra, campi coperti di corpi non altrimenti definibili e altri scenari abbastanza chiari. Era più che evidente che i nostri amichetti mezzi draghi non erano proprio ben voluti dai loro vicini. Sghignazzai, attenta a non farmi beccare, soddisfatta.
Così, durante il viaggio augurai almeno un centinaio di morti differenti al nostro allegro intrattenitore, al che, quando finalmente giungemmo in vista di Dracoos, rimasi quasi delusa.
Altra cosa da notare sui Draconiani: sono dei dannati snob che non fanno minimamente caso alle spese.
Lo capimmo subito, quando ci trovammo di fronte alle altissime guglie dorate della città, ai templi in marmo scuro, alle cattedrali imponenti e alle mura che, solo con la loro mole, facevano passare totalmente la voglia di superarle a chiunque fosse così idiota da pensarci.
Dracoos era una megalopoli, costruita nell’ottica di superare, per magnificenza e potenza, qualsiasi altra costruzione mai ideata a memoria d’uomo. Ma, prima di ogni cosa, era una fortezza a prova di bomba.
Tre cinte murarie, spesse almeno trenta piedi, e alte altrettanto, dividevano prima l’esterno della città dai sobborghi del popolo, poi questi dalle zone della borghesia e dei mercanti, e infine queste ultime dal castello vero e proprio, con la corte e il resto. Intervallate a distanza regolare, cinquanta torrette di guardia permettevano di controllare il perimetro delle cinte murarie, mentre grosse catapulte, e altre macchine da guerra che non avevo mai visto prima, erano appostate e pronte ad ogni evenienza.
Plotoni disciplinati di soldati in pesanti cotte d’acciaio sorvegliavano la cinta e le strade, mentre dal castello, presso il quale si trovavano anche tutti gli edifici militari e la caserma, ogni tanto stormi di possenti draghi purpurei si alzavano in volo, pronti per la ricognizione aerea.
Impallidii.
Perfetto, se per un attimo anche solo uno di noi aveva sperato di poter fuggire, ora potevamo sognarcelo.
Era più che evidente quanto la sicurezza di quel posto fosse elevata, e senza poter usare i nostri poteri contri i civili, eravamo praticamente morti in partenza.
L’unica cosa che ci impediva ancora di cadere in preda al panico, era l’idea che il mio nuovo amico stalker fosse, secondo un immenso colpo di chiappe, presente e magari accorresse in nostro soccorso prima che venissimo appesi a quella forca che Castor aveva continuato a inneggiare.
Una risata diabolica mi sorprese alle spalle, mentre Castor mi si avvicinava, divertito: “Scommetto che, ora, hai smesso di fare tanto la superiore, eh? Umana?”
Un lieve formicolio mi percorse il braccio.
Dio, quanto avrei voluto ammazzarlo.
Guardai Ainu, che scosse il capo.
Quindi mi sforzai di sorridere, appellandomi a tutti gli dei che mi venissero in mente per non perdere la testa e picchiarlo fino alla nausea: “Si, non male. Scommetto però che basterebbe una delle nostre bombe a idrogeno per far sparire tutta questa bambagia snob, sai?”
Quello divenne bordò, poi un calcio mi c’entrò in pieno capo, spedendomi a terra. Un rivolo di sangue mi bagnò l’occhio, ma strinsi i denti, sopportando il dolore e alzando lo sguardo con aria di sfida.
“Piccola presuntuosa. Ecco perché odio voialtri di Astrapos. Vi credete chissà chi, ma in realtà siete gli unici imbecilli tra tutte le dimensioni a non aver ancora capito come funziona il mondo.”, fece, irritato, poi mi fissò, come se un pensiero insolito gli fosse proprio in quel momento passato in mente, “Ora che ci penso, è strano che un’umana di li si faccia vedere nelle altre dimensioni. Ora sono curioso …”
Mi prese per i capelli, costringendomi a fissarlo negli occhi: “Chi sei con esattezza? E che ci fai qui?”
Io sorrisi, tesa.
Merda, quel tipo era più sveglio di quanto pensassi.
“E perché dovrei dirlo a un secondino come te?”, chiesi, sfidandolo.
Quello sorrise, poi mi gettò a terra, ridendo.
“Ok, se proprio insisti, fai pure la difficile. Scommetto che, quando ti troverai di fronte al re, non sarai altrettanto arrogante.”
 
Atterrammo in un grosso spiazzo, proprio all’interno del castello, costruito appositamente per il decollo e il ritorno dei mezzi volanti, quali draghi e navi.
Venimmo subito fatti scendere, circondati da un plotone di soldati in divisa rossa e oro e perquisiti. Non avevamo portato armi con noi, o almeno non armi che si potessero trovare così facilmente: i Frutti dei miei compagni, infatti, erano accuratamente camuffati, temporaneamente trasformati in gingilli e gioielli vari per non attirare troppo l’attenzione.
Quando stabilirono che eravamo puliti, iniziarono a controllare anche Astrea, con suo immenso dispiacere.
Iniziò quindi la nostra lunga attesa.
I Draconiani parevano autenticamente interessati al nostro mezzo di trasporto, e, dopo aver perquisito anch’esso, senza curarsi di prendere per sé ciò che vi trovavano all’interno di prezioso, decisero di spostarla presso il loro laboratorio tecnico.
Non che servisse a molto.
Astrea non era certo una sciocca, sapeva di non poter far loro nulla, ma di certo non avrebbe rivelato loro i nostri segreti, né tantomeno iniziato a lavorare per i tizi che avevano appena rubato il suo prezioso mobilio in legno stagionato.
Effettivamente, da come li fissava, pareva seriamente tentata di farli saltare tutti in aria, solo l’occhiata eloquente che le lanciai le impedì di farlo, e allora si diresse, cupa e rassegnata, verso il laboratorio, senza tuttavia esimersi dallo sparare accurate imprecazioni a chiunque le capitasse a tiro.
Fatto ciò, venimmo scortati direttamente per le vie del castello, verso la Sala del Trono, dove avremmo finalmente avuto modo di incontrare Astor, l’Imperatore Supremo di Draconia. Solo dal titolo di cui si fregiava si poteva capire quanto potesse essere modesto quel tipo. Non lo avevo ancora manco conosciuto, e già mi stava sulle scatole.
La Sala del Trono era, in assoluto, quanto di più imponente, magnifico e surreale avessi mai visto. Odiavo doverlo ammettere, ma persino il Santuario in cui mi ero addestrata in quei mesi impallidiva al confronto.
La stanza era immensa, tanto grande da farci apparire come delle formiche al confronto, sorretta ai lati da imponenti colonne doriche, così ampie da non poter essere circondate nemmeno da cinque persone messe assieme.
Era formata dalla navata centrale, coperta da un lungo e soffice tappeto rosso, bordato in oro e mostrante l’emblema del regno: in drago con una rosa tra le zanne. Nelle due navate laterali, subito a fianco del limite imposto dalle colonne, schiere di soldati vegliavano sul posto, per un totale di almeno un centinaio di uomini per lato, tutti muniti di lance e scudi luccicanti di pulitura. Grossi affreschi decoravano le pareti, intervallati a tratti da bracieri accesi e imponenti piante esotiche, mentre il soffitto era costruito in un tripudio di vetro colorato, composto a raffigurare la storia di quel popolo.
L’emblema della casata reale era ovunque: sulle bandiere, sulle tuniche dei soldati, sul tappeto … ovunque.
Sul fondo della navata centrale vi era un’ampia scalinata a mezza luna, che conduceva al trono. Vi erano tre seggi, il primo, quello al centro, era il più imponente: costruito nell’oro, e imbottito in seta rossa, ospitava quello che, dovetti dedurre, doveva essere il re.
Un uomo dall’aria impassibile e severa, che emanava regalità da tutti i pori. Tutto in lui trasmetteva potenza, dagli occhi, così penetranti da trapassarti da parte a parte, al fisico sodo e robusto, fisico da guerriero, per finire con i lineamenti, squadrati e regali. Indossava una preziosa toga rossa, bordata in oro, che gli arrivava fino ai piedi, mentre, posata di fianco a lui, una grande spada a due mani terminava quel quadro a dir poco suggestivo.
Le due poltrone ai lati, invece, ospitavano una una donna, che doveva essere l’Imperatrice, dalla bellezza talmente accecante da far sbiadire chiunque al confronto, e una un giovane uomo, che era, in pratica, la copia più giovane e serena del padre.
Due guardie, vestite di una divisa differente, più comoda e preziosa, vigilavano attente ai lati del re, mentre quella che doveva essere il resto della famiglia reale terminava il quadro.
Potei notare, infatti, a fianco dell’Imperatrice, altre due fanciulle, che non dovevano avere molti più anni di me. Una era su una specie di poltrona a rotelle, una versione draconiana delle nostre sedie per disabili, e sorrideva serafica: la sua sola presenza era più che sufficiente per smorzare un po’ l’atmosfera pesante del posto. Vicina a lei vi era una giovane che, a differenza della sorella e della regina, non indossava i classici abiti da dama di corte, ma una semplice divisa da guerriera, mentre sul fianco le pendeva una spada leggera, adatta ai combattimenti di velocità. Vegliava sulla sorella protettiva, occhieggiando a tratti verso gli uomini che militavano nella sala, diffidente. A fianco di quello che doveva essere il primogenito del re, invece, vi erano due ragazzi, uno dei quali non era che un fanciullo. Il primo, più grande, sorrideva solare, i lunghi capelli raccolti in una treccia purpurea, l’altro, apatico, osservava annoiato la nostra lenta marcia verso il trono.
La sala era parecchio grande, per cui, mentre ci dirigevamo verso il trono, Castor ebbe modo di fare alcune brevi presentazioni.
“Quello a fianco dell’Imperatore è l’Erede al Trono, Caesar. Fossi in voi, me lo terrei buono, è uno dei pochi, qui, che possa mettere voce nelle decisioni di nostro padre, il vostro destino dipenderà in gran parte da lui, quindi, cercate di portargli il dovuto rispetto. Vicino a lui ci sono i nostri fratelli minori, Eamyr ed Efnir, entrambi candidati a far parte della mia Guardia Reale. Poi c’è l’Imperatrice, la mia matrigna, Eleazer, e con lei le principesse Arianne e Ariyme. Azzardatevi a guardare in modo strano Ariyme, e vi guadagnerete un biglietto di sola andata per la forca.”
Alzai un sopracciglio.
Wow … quindi, in quel posto di nobili dementi, almeno un po’ di umanità c’era, se tutti amavano così tanto la principessa sulla sedia a rotelle.
Ok, forse avevamo una possibilità.
Forse.
Giungemmo di fronte al re con l’ansia che quasi si poteva toccare, e subito Castor si fece avanti, inginocchiandosi ossequioso di fronte al padre, subito seguito dai suoi uomini e da noi.
Non che mi piacesse baciare i piedi di quel tipo, ma avevo il serio dubbio che, se non l’avessimo fatto, avremmo perso la testa prima ancora di poter protestare.
Quindi chinai il capo, senza tuttavia esimermi dal lanciare mentalmente ogni tipo di maledizione al re di fronte a noi. In particolare, gli augurai di beccarsi la sifilide.
Poi Castor si alzò, avvicinandosi al padre: “Vostra Meastà, io e i miei uomini siamo appena tornati dalla spedizione. Tutto come da programma, siamo riusciti ad assoggettare i barbari del sud, ora, un nuovo popolo si inchina alla vostra magnificenza.”
Storsi la bocca.
Dio, quanto odiavo quei modi falsamente ossequiosi.
Potevo vederlo da un chilometro di distanza che Castor provava qualsiasi cosa verso il padre, fuorchè il rispetto.
Avevo sempre avuto occhio per quel genere di cose, per cui mi bastò guardarmi attorno per capire che l’atmosfera, in quella corte, non era esattamente delle migliori.
L’Imperatore annuì, sorridendo: “Perfetto. Non che potessi aspettarmi di meno, dal mio secondogenito. Ottimo lavoro. E i nostri ospiti?”, chiese, osservandoci indagatore.
“Legittima domanda, padre. Bhe … li abbiamo trovati che sorvolavano il nostro spazio aereo, questa mattina, con una nave mai vista prima. Non hanno detto chi siano, né da dove provengano, ma appartengono tutti a dimensioni differenti.”, spiegò, fissandomi impassibile.
Il sovrano ci osservò, serio, poi disse: “Entrare all’interno dei nostri confini senza un permesso scritto, ora che siamo in guerra, per quel che mi riguarda coincide con un tentativo di infiltrazione, ne siete consapevoli?”, chiese, severo.
Abbassammo il capo.
“Tuttavia, prima di prendere una decisione in merito, voglio sentire cosa avete da dire. Se la motivazione che vi ha condotti fin qui verrà ritenuta valida, allora potrei concedervi una diminuzione della pena. Portavano oggetti sospetti con loro?”
Castor scosse il capo. A dire il vero, sembrava quasi dispiaciuto: “Niente di niente, mio signore. La loro nave possedeva dei cannoni da guerra, ma non abbiamo trovato munizioni a bordo, né altre armi sospette. Non trasportavano nulla, nemmeno sete o oggetti di qualche valore commerciale. Avevano un piccolo laboratorio di medicina, ma finchè i nostri esperti non ne avranno esaminato il contenuto, non potremmo sapere nulla. Diciamo che sembrano puliti.”, concluse, fissandoci stizzito.
Uno a zero per noi, capellone.
“Capisco.”, disse quello, poi proseguì, “Resta però il fatto che hanno commesso un grave crimine. Anche se dovessero dimostrarsi candidi e innocenti, finirebbero comunque ai lavori forzati, e, inoltre, non posso sorvolare sul fatto che, tra loro, vi è anche un'elfa, e un mostro della Dimensione del Ghiaccio, nostri nemici da millenni.”, disse, scoccando un’occhiata diffidente ad Ainu e Chrystal che, incerti, abbassarono il capo.
Perfetto.
Le cose non si stavano affatto mettendo bene.
Quei tipi non sembravano minimamente transigenti con quelli che disobbedivano alle regole, e, da quel che ero riuscita a capire, nel migliore dei casi avremmo passato il resto della nostra vita a estrarre metallo in miniera. La sola idea mi dava la nausea.
Ripensai alle schiere di schiavi che avevo visto, presso il covo dei nostri nemici. Non potevo permettere che accadesse.
Se avessimo fallito, non ci sarebbe stata solo quella dimensione a soffrirne, ma l’intero mondo sarebbe andato in rovina. Feci per farmi avanti, sebbene sapessi che, per noi, non c’erano molte speranze, quando le porte della Sala del Trono si spalancarono nuovamente, e una voce miracolosamente familiare diceva: “Aspettate! Loro sono con me, li ho fatti venire io qui da noi.”
Ci voltammo, e sentii il mio cuore perdere un battito.
Castiel marciava a passo sicuro per la sala, diretto verso il padre che, oscuratosi improvvisamente, alzò un sopracciglio e disse: “Tu guarda. Iniziavamo a chiederci quando saresti tornato, figlio …”
Un silenzio soffocante era caduto nella stanza.
Potevo percepire il nervosismo percorrere l’aria, mentre quello, tranquillo e sicuro, si avvicinava al trono, inchinandosi appena e proseguendo: “Questi miei ospiti sono giunti fin qui per Ariyme padre, ho avuto modo di incontrarli durante il mio ultimo viaggio. Sono medici, e a quanto ho sentito dire, potrebbero aiutare mia sorella con la sua malattia: ho voluto condurli qui perché potessero occuparsene di persona.”
L’aria sembrò alleggerirsi, mentre lo sguardo del re si inteneriva: “Capisco. Bhe … se le cose stanno così, non posso che chiedere loro scusa.”
Alzai un sopracciglio.
Come aveva parlato della sorella, l’atmosfera era totalmente cambiata.
Ora, persino l’Imperatrice aveva smesso di fissarci dall’alto in basso, e ci sorrideva solidale, mentre Castor, frastornato, si inchinava appena, scusandosi: “Sono immensamente spiacente. Non immaginavo che foste qui per mia sorella, mi scuso per il mio comportamento inopportuno.”, disse, per poi fare cenno alle guardie di liberarci.
Castiel mi fece l’occhiolino, mentre il re ci avvicinava, questa volta sorridendo. Era strano, vedere quell’uomo che, fino a un secondo prima, era l’essenza stessa della regalità, venirci incontro in quel modo così tranquillo e solidale.
“Vi ringrazio, sono anni ormai che cerchiamo qualcuno che possa aiutare la nostra Ariyme, ma finora non abbiamo mai trovato nessuno che potesse far qualcosa per lei. È il nostro piccolo angelo, l’intera corte non esisterebbe senza di lei. Come avete potuto vedere, è la sola che riesca a conciliare tali e tanti modi di pensare.”, si rivolse al figlio, guardandolo, questa volta, con una punta di soddisfazione, “Per oggi, non mi soffermerò sulla tua fuga da palazzo. Hai fatto un buon lavoro, e quindi penso che ne potremo riparlarne domani. Hai aiutato tua sorella, e anche se sono certo che tu non l’abbia fatto per fare un piacere a noi, ti devo ringraziare.”
Quello chinò appena il capo, sorridendo.
Intanto, sia l’Imperatrice che gli altri si erano avvicinati, per cui Castiel ci condusse sorridendo verso le due ragazze.
Ariyme e Arianne erano molto diverse, effettivamente, non sembravano nemmeno sorelle, eppure, in qualche modo, avevano la stessa aura: i loro modi gentili e cordiali, la dolcezza che traspariva dai loro atteggiamenti, erano indiscutibilmente gli stessi.
La prima aveva i capelli lunghi, soffici come la seta, e a differenza di quelli del resto della famiglia erano color dell’oro. Gli occhi erano verde chiaro, gentili e solari, accesi di una luce in grado di addolcire anche gli animi più insensibili, e la carnagione era meno abbronzata di quella dei fratelli. Il fisico era minuto e fragile, così innocente e indifeso da lasciare senza fiato. Non aveva coda, ma solo due piccole e graziose corna purpuree e perfettamente levigate. Non ci voleva molto per capire che non doveva essere una Draconiana di sangue puro.
La seconda aveva i capelli rosso scuro, di una sfumatura meno accesa di quella del resto della famiglia, a tratti simili al castano, e le ricadevano sulle spalle in morbidi boccoli. Gli occhi erano come quelli della sorella, mentre la carnagione era identica a quella di Castiel: il fisico era slanciato e agile, molto atletico. Era evidente la sua natura di guerriera, eppure, dal modo in cui ci parlò, non sembrava affatto il tipo da poter dimostrare valore in battaglia: era così gentile che era impossibile immaginarsela con la spada in mano.
“Elayne, loro sono le mie sorelle, Ariyme e Arianne. Come avrai già capito, mia sorella è affetta da una grave malattia, che la debilita moltissimo e le ha sempre reso molto difficile vivere come una persona normale. È la sola, qui, che sia in grado di mantenerci uniti.”, sorrise, sinceramente intenerito, guardando la sorella con affetto.
Era incredibile il modo in cui, con la sua sola presenza, quella creatura apparentemente così fragile riuscisse a conciliare modi di pensare tanto differenti. Era evidente come, con lei in ballo, tutti riuscissero a mettere da parte i rancori.
Le sorrisi, presentandomi e facendole conoscere anche i miei compagni.
“Questa invece …”, proseguì Castiel, presentandomi l’altra sorella, “… è Arianne. È un membro dell’Ordine delle Fenici Celesti, un’organizzazione di donne e sacerdotesse guerriere, ma solitamente rimane a palazzo, per aiutare mia sorella e starle accanto.”, le sorrisi, e lei ricambiò.
Proseguimmo le presentazioni, che furono più lunghe del previsto.
Se con Airyme e Arianne ce l’eravamo cavata abbastanza bene, fare la conoscenza dell’Imperatrice e dei fratelli di Castiel non fu altrettanto piacevole.
Sebbene vista la nostra posizione non osassero mostrare il loro dissenso, era evidente quanto non si fidassero di noi, e fu solo quando fui costretta a parlare con l’Erede, Caesar, che mi resi conto di quale razza di guaio ci eravamo cacciati.
Quello mi osservò, impassibile, poi sorrise appena, baciandomi appena la mano: “E’ un vero piacere fare la vostra conoscenza, sono sicuro che vi troverete magnificamente qui a palazzo.”
Sorrise di nuovo, e quando i miei occhi incontrarono i suoi potei sentire una voce chiara parlarmi nella mente.
Si … vi troverete veramente mooolto bene … Guardiani …



Note dell'Autrice:
Scusateee!!!
Lo so, sono stata terribile, e la settimana scorsa non sono riuscita a pubblicare, come da programma, un nuovo capitolo.
Spero quindi di rifarmi con questo, che tra l'altro è anche abbastanza lunghetto.
Come avete potuto vedere, finalmente siamo riusciti a incontrare la famiglia di Castiel, e che famiglia! Già, perchè i rancori repressi qui non sono certo pochi, ma per fortuna c'è la piccola Ariyme, che quando è in ballo nessuno si azzarda di fare casini, altrimenti, i nostri protagonisti se la sarebbero vista davvero brutta.
Ovviamente, avremo modo di vedere meglio tutti  i vari personaggi più avanti, c'è l'Imperatrice, Arianne e anche Caesar, per non parlare di Eamyr ed Efnir...insomma, un bel po' di cose di cui trattare.
Visto che siamo al X capitolo, ho deciso di indire un piccolo sondaggio, per vedere quali sono i personaggi che avete amato di più tra quelli fino a ora comparsi. Sarà un piccola consuetudine che manterrò durante la storia, e ogni dieci capitoli avrete il vostro piccolo sondaggio, perchè sono veramente curiosa di sapere quali personaggi vi hanno colpiti di più, e chi invece vi sta più sulle scatole, per così dire!
Eccoli quindi qui di seguito!
Elayne
Jakhaal
Ainu
Chrys
Castiel
Sting
Apophis
Astrea
Oracolo
Chosmos
Castor
Caesar
Astor
Ariyme
Arianne
Eleazer
Eamyr 
Efnir
Chi sono quelli che amate di più? E chi invece non riuscite proprio a sopportare?

Sono davvero curiosissima!
Per finire, ringrazio come sempre tutti coloro che mi hanno seguita, specialmente EragonForever, e onlyfanfiction.
Vi saluto!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo XI-Ballo di benvenuto ***


Capitolo XI
Ballo di benvenuto
 

Ci sono molte cose che odio.
Per esempio, non sopporto i gioielli, lo shopping, e tutte quelle frivolezze varie stile mocciosette senza cervello. Sono fatta così, se devo scegliere tra un concerto rock e un’uscita a fare spese, scelgo il primo.
Eppure, nonostante tutto, quel giorno non riuscii proprio a tirarmi indietro.
Non appena l’Imperatore Astor era venuto a sapere che ci saremmo fermati al castello per qualche settimana, aveva deciso subito di dare un banchetto in nostro onore, per festeggiare coloro che, anche se non sapevamo ancora come, avrebbero dovuto essere in grado di salvare sua figlia.
Motivo per cui, quel pomeriggio, Castiel si presentò, tutto gongolante e sprizzante gioia da ogni poro, presso le stanze di noi ragazze.
A sentire lui, dovevamo assolutamente farci aiutare con la scelta dell’abito.
Ovviamente, io mi opposi sin dall’inizio.
“Non se ne parla nemmeno!”, dissi, cercando invano di risbatterlo fuori dalla nostra camera: non che servisse a molto. Aveva tirato su una tale aria da cucciolo supplicante che non sarei riuscita a farmi valere nemmeno se lo avessi voluto. “Col cavolo che mi metto una di quelle ridicole tovaglie della nonna che indossano le tue sorelle, te lo puoi anche scordare, stalker!”
Quello mi guardò, falsamente deluso: “Eddai! Dammi un po’ di soddisfazione, potrò pur vedere una gioiello come te con qualcosa di carino addosso, no? Oppure preferisci tenere il tuo fascino femminile tutto per quel cubetto di ghiaccio? Non sono scemo, quando ti ho salutata mi ha fissato come se volesse linciarmi sul posto … state forse assieme?”, chiese, parandosi di fronte a me e scrutandomi curioso.
Io arrossii, spostando lo sguardo altrove mentre balbettavo: “N-non è affatto come pensi, non c’è niente tra me e Chris, e se è per questo, non c’è niente nemmeno tra me e te, maniaco!”
Quello rise, divertito, poi tornò a fissarmi, con sguardo improvvisamente dolce. Mi prese il mento, osservandomi sorridendo appena e sussurrò, a pochi centimetri dalle mie labbra: “Veramente, non hai la minima idea di quanto desideri vederti in abito da sera. Sei così splendida, sarebbe uno spreco non cogliere un’occasione simile … e poi, niente abito e niente ballo, è la regola da noi, e io ho assoluto bisogno di una compagna. Vorresti essere la mia partner? Solo per stasera, è ovvio …”
Tremai.
Era solo a un soffio dalle mie labbra, e avevo il cuore che galoppava all’impazzata.
Osservai con la coda dell’occhio Ainu che, nel frattempo, aveva finto di tuffarsi nella lettura di un grosso tomo. Non che potessi cascarci, era più che evidente che ci aveva tenuti d’occhio sin dall’inizio, bastava vedere come sghignazzava, dietro le pagine, per capirlo. Miseriaccia, un piccolo aiutino no, vero?
Sorrisi, tesa, poi cedetti: “E va bene, dove dobbiamo andare quindi?”, chiesi, mentre gli occhi di lui si illuminavano, gioiosi.
“Magnifico!”, esultò, stampandomi, prima ancora che potessi fermarlo, un rapido bacio sulle labbra, “Arianne sarà qui a momenti, io intanto vado, devo assolutamente dirlo a mia sorella!!!”
E detto ciò voltò i tacchi, dirigendosi verso la porta, se non che finì a sbattere dritto contro la sola persona che, in quel momento, avrei decisamente preferito non vedere. Chris aveva osservato tutto, appoggiato allo stipite della porta, e quando Castiel gli sorrise, sorpassandolo, per un istante parve seriamente intenzionato a ucciderlo sul posto.
Tornò a fissarmi, poi esordì: “E quello cos’era, posso sapere?”
Indietreggiai appena, incerta: “Chris, io … non è stato nulla, sul serio, ha fatto tutto lui e quindi …”
Scosse il capo, furioso: “Lasciamo perdere. Mi hai deluso, veramente, non pensavo che fossi una così facile da abbindolare. Sono sorpreso.”
Sentii l’imbarazzo svanire, subito sostituito da un impeto di rabbia a stento reprimibile. Strinsi i pugni, poi dissi: “Ora io e Ainu dobbiamo prepararci, quindi, se non ti dispiace, preferirei che te ne andassi, queste sono le nostre stanze.”
A dire il vero, avrei voluto prenderlo a pugni, ma siccome quel posto pullulava di guardie e la nostra situazione era già precaria, senza aggiungerci una scenata da parte mia, preferii lasciar perdere.
Quello sbuffò: “Non mi è sembrato che con lui fosse un problema. Comunque, se proprio lo desideri, me ne vado.”, e detto ciò voltò i tacchi, lasciandoci finalmente sole.
Sospirai, lasciandomi cadere sull’ampio letto a due piazze in cui io e Ainu dormivamo.
Lei appoggiò il libro su un tavolino, fissandomi sornione: “Allora?”
La guardai male. Ero già sfinita abbastanza così, senza che ci si mettesse anche lei: “Non so proprio di cosa tu stia parlando.”, dissi, voltandomi in modo da darle le spalle.
Lei rise: “Eddai, sappiamo entrambe a cosa mi riferisco. E non dirmi che non ci stava provando, perché non me la bevo.”
Sbuffai: “Stai sopravvalutando la cosa, è solo galanteria, scommetto che fa così con tutte.”
“Si, come no.”, fece lei, sedendomisi a fianco, “Ma ti piace, o sbaglio?”, chiese poi.
Sospirai, alzandomi e guardandola, assorta: “Non so. Nessuno è mai stato così gentile con me, solitamente, tutti i ragazzi che conosco non badano mai al mio lato femminile, e mi vedono un po’ come un maschiaccio, per cui questa cosa è un po’ nuova per me. Però, se mi chiedi se mi piace come mi parla, allora si, mi piace.”, dissi, sospirando e voltando la testa di lato.
Lei sorrise, gentile: “E quindi? Che hai in mente di fare con Chrys?”
Sbuffai: “Preferirei non parlarne, e poi …”
Non feci in tempo a terminare la frase, perché proprio in quel momento Arianne comparve sulla soglia: “Ehm … se volete, io, Ariyme e la Regina Madre saremmo pronte, abbiamo fatto preparare un paio di abiti tra cui potrete scegliere, quindi se volete seguirmi.”, disse, arrossendo imbarazzata.
Noi annuimmo, seguendola per i lunghi corridoi.
“Quindi, ci sarà anche l’Imperatrice?”, chiesi, a disagio.
Durante le presentazioni, nonostante si fosse dimostrata molto aperta e gentile verso di noi, era stato quasi impossibile non sentirsi soggiogati, tale era il fascino e la bellezza che trasparivano da quella figura.
Certo, non era stata distante o fredda, ma quando ci si trova di fronte a un gioiello simile, è del tutto impossibile non sentirsi a disagio. E l’idea di dover scegliere il vestito per il ballo proprio con lei mi innervosiva non poco.
Guardai Ainuviel, ma lei, dal canto suo, sembrava perfettamente a suo agio. C’era anche da dire, però, che lei era un’elfa: era difficile trovare qualcuno che le tenesse testa in fatto di eleganza.
Arianne annuì appena: “Bhe, sembra proprio che le siate simpatiche. Solitamente, con gli amici di nostro fratello, non è molto socievole, ma apprezza i vostri sforzi nell’aiutare Ariyme, che d’altro canto è un po’ come la sua prediletta, per cui penso che ci tenga molto a questa cosa. E poi, resta pur sempre la maggiore icona di eleganza del nostro regno: se sarà lei a presentarvi alla corte, state pur certe che vi accoglieranno tutti a braccia aperte.”
“Capisco, quindi, lei è la madre di Castiel, giusto?”, chiesi, curiosa.
Lei scosse il capo: “Vedete, nel nostro regno, soprattutto per i sovrani, la poligamia è molto frequente. Io, Castiel e Ariyme siamo fratelli. Nostra madre è sola umana che sia mai stata sposata dal re, ma purtroppo è confinata nelle sue stanze, perché è affetta da una grave malattia che la debilita moltissimo. Ceasar, Efnir ed Eamyr invece sono figli suoi, e Castor è figlio di Elmira, la seconda moglie del re, che è anche la nostra Sacerdotessa Madre, il capo del culto del nostro regno. È un personaggio molto influente, ma non si mostra molto spesso a corte.”
La osservai, cercando di capire cosa le passasse in mente.
A sentire come parlava della seconda moglie, non doveva essere esattamente un bel tipo di persona, dal tono che aveva usato, pareva quasi che fosse lei, li, il vero motivo di tutti quei rancori repressi.
Sorrisi, fingendo di non averci fatto caso, e infine raggiungemmo le stanze della Regina Madre.
Venimmo accolte da un intero corteo di una dozzina di ancelle, che si occuparono subito di farci spogliare.
Sebbene fossimo parecchio a disagio, anche perché Eleazer osservava ogni singolo processo con minuzia, bastò la piacevole e serena presenza di Ariyme per farci rilassare, mentre il lungo processo di vestizione iniziava.
Ora, posso capire quelle ragazze che, prima di un appuntamento galante, si fanno prendere dall’ansia e ci mettono due ore per prepararsi. Ma un intero pomeriggio, inutile dire che, dopo un po’ avrei veramente voluto fuggire di li a gambe levate, anche a costo di correre per i corridoi con solo un asciugamano addosso, e col rischio di venire vista mezza nuda da Castiel, o da Chrys. Anche se, a essere sincera, dubitavo che lui si sarebbe smosso anche solo un po’, avevo validi motivi per pensare che fosse asessuato, tanto era distante a volte.
Così, venimmo prima spogliate, poi fummo costrette a sopportare una lunga, infinita, tiritera di bagni profumati, massaggi e creme, che parevano non finire mai. Finito il lavaggio, venimmo trascinate nella zona trucco e parrucco, dove dovetti sopportare un trattamento addirittura peggiore, con Ainu che sghignazzava al mio fianco, Arianne che sorrideva come una ebete ed Eleazer che mi teneva d’occhio come un mastino fa col suo osso.
Passammo quindi all’abito.
Dopo un lungo diverbio, in cui l’Imperatrice mi costrinse a indossare qualcosa come una ventina di vestiti differenti, optammo finalmente per un lungo abito in seta viola, con intarsi dorati.
Io, dal canto mio, continuavo a fissare in cagnesco quella bomba da paura.
Seriamente, era a dir poco imbarazzante.
Quella tipa avrebbe potuto presentarsi con solo un sacchetto di plastica addosso, e tanto avrebbe fatto cadere la mascella a tutti comunque, quindi, a che serviva prepararmi, se tanto, di fianco e lei, sfiguravo lo stesso?
Fatto sta che, quando alzai gli occhi sul mio riflesso, mancò poco che non riuscissi nemmeno a riconoscermi.
I miei solitamente a dir poco ingestibili boccoli color inchiostro erano stati elegantemente raccolti in un semplice chignon, lasciando che morbide ciocche ricciolute mi coprissero le spalle. Gli occhi color ametista, invece, venivano risaltati, sia dal colore del vestito che dalla ghirlanda di narcisi dello stesso colore che mi decorava il capo, così come dai semplici orecchini a goccia, dorati con delle ametiste incastonate nel mezzo.
L’abito, però, era, tra tutte le cose, ciò che mi fece mozzare più il fiato. Tessuto in seta viola, si congiungeva sul collo, lasciandomi le spalle libere, per poi cadere verso terra, in un ampio spacco frontale che terminava il un lungo strascico ricco di balze e intrecci di viola e oro. Le rifiniture dorate, così come lo scialle viola che portavo, davano un tocco di eleganza al mio fisico slanciato, mentre dei semplici bracciali in oro terminavano quel quadro a dir poco insolito.
Eleazer annuì, compiaciuta, posandomi le mani sulle spalle e dicendo: “Magnifica, ecco come dovrebbe essere una vera lady. Sono certa che la corte cadrà letteralmente ai tuoi piedi … e poi, ti sei scelta davvero un ottimo cavaliere, sai?”
Mi voltai, fissandola sorpresa.
Lei scoppiò a ridere, un suono così suadente da togliere il fiato: “Credevi davvero che non lo sapessi? Io non mi occupo degli affari di potere, quelli preferisco lasciarli a mio marito, ma, in compenso, niente che riguardi la vita mondana della mia corte può sfuggire alle mie orecchie. Tranquilla …”, mi fece l’occhiolino, sorridendo, “… si vede che Castiel è interessato a te, e credimi, quando vuole, sa essere un gran gentiluomo!”
Sorrisi, nervosa, poi guardai alle sue spalle, per vedere se Ainu e le altre avessero già finito.
Non c’era che dire, erano tutte stupende.
La mia amica aveva optato per un semplice abito in broccato verde foresta, con intarsi in oro, e per una complessa acconciatura che faceva risaltare i suoi bellissimi capelli simili a oro fuso.
Arianne, invece, aveva scelto un abito corto, color porpora, molto fasciato sul petto e che desse libertà ai movimenti, ovviamente, le sue spade erano sempre al suo fianco, lucide e pronte all’uso. Sembrava una dea della guerra scesa tra i mortali.
Ariyme, invece, indossava un vestito in stile antica grecia, bianco e candido come l’avorio, con una spessa cintura dorata che le decorava la vita, mentre i capelli color grano le cadevano liberi sulle spalle.
Mi avvicinai, sorridendo mentre Ainu alzava un sopracciglio, osservandomi sorpresa.
Scossi il capo: “Non dire niente, so a cosa stai pensando!”
Arianne rise, divertita: “Magari al fatto che, per tute e jeans, sei totalmente sprecata?”
Ariyme mi affiancò, solare: “Stai benissimo, nostro fratello perderà la testa.”
“Perché?”, chiese Arianne, sempre ridendo, “Non l’aveva già persa prima? Oggi, mentre facevamo le presentazioni, era totalmente cotto!”
Arrossii: “Ehi! Non è affatto vero!”, ribattei, incerta.
Quelle risero, poi Arianne mi mise una mano sulla spalla: “Tranquilla, noi siamo felicissime. È davvero raro che Castiel si avvicini così a una ragazza, solitamente, non socializza molto con le dame di corte …”
Ariyme annuì, cupa: “Bhe, a lui non piace molto il mondo dei nobili. Anche se mamma e papà hanno tentato più volte di fargli incontrare delle possibili pretendenti, lui le ha sempre respinte tutte. È bello che ora abbia te.”
Sorrisi, non sapevo cosa dire.
Effettivamente, doveva essere stata davvero dura, per lui, crescere in quel mondo. Tutti quei rancori, la pressione e le aspettative degli altri, era normale che qualcuno si sentisse soffocare.
Sorrisi, scuotendomi dai miei pensieri: “E voi? Con chi andrete al ballo?”, chiesi, incuriosita.
Arianne divenne bordò, poi voltò il capo di lato, balbettando imbarazzata: “I-io, si, insomma … ehm … LORD Jakhaal mi ha chiesto di fargli da partner …”, sussurrò infine.
Io e Ainu la fissammo.
Era una nostra impressione, o aveva appena definito il nostro amico come un LORD?
Lui?
Insomma, lo stesso tipo che a tavola faceva le gare di rutti e si sporcava ogni tre per due? QUEL Jakhaal?
Lei arrossì: “Non avrei dovuto accettare?”
“No, no, no!”, mi affrettai a rispondere. Dietro di me, potei notare come, improvvisamente, Ainu si fosse oscurata. “Affatto, è solo che, insomma, è la prima volta che qualcuno gli da del lord …”
Lei ci fissò, come per non capire: “E perché mai? È stato veramente gentile, un vero cavaliere. Prima che arrivaste, si è presentato con un mazzo di fiori, a chiedermi di accompagnarlo.”
Alzai un sopracciglio.
Ok, forse era veramente cotto.
Anche se, a dire il vero, immaginarmi quel colosso di ragazzo con smoking e cravatta a fare da cavaliere a una donna era decisamente strano.
Decisi di cambiare discorso: “E voi?”
Ariyme sorrise: “Bhe, io andrò con Chrystal. Mi ha chiesto di venire con lui poco prima che Jakhaal lo chiedesse ad Arianne.”
Sorrisi, lievemente tesa.
Insomma, non avevo nulla di cui essere gelosa.
Io non ero interessata a lui, e lui non era interessato a me.
Quindi perché in quel momento mi sentivo così a disagio? Guardai Ariyme: era una gran bella ragazza, ma differentemente da Arianne non sembrava veramente attratta dal suo cavaliere, per cui mi rilassai.
“Io invece sono stata invitata da Caesar.”
Ecco, fu allora che, decisamente, un silenzio di tomba cadde nella stanza.
Eleazer si avvicinò, osservandoci improvvisamente seria: “Mio figlio ti ha chiesto di fargli da dama?”, chiese, inespressiva.
Ainu la osservò, corrugò appena le sopracciglia, poi rispose, composta: “Avrà pensato che, in quanto Erede al Trono, sarebbe stato corretto dare il buon esempio, invitando un membro di una specie che, solitamente, non è molto in buoni rapporti con Draconia.”
Arianne restò in silenzio, poi disse: “Può darsi …”
Non mi serviva essere un chissà quale genio per capire che, comunque, quel fatto era a dir poco insolito.
Sorrisi, poi presi Ainu per un braccio: “Bhe, forse noi dovremmo andare, ci raggiungete dopo?”
L’Imperatrice annuì, apparentemente assorta, poi disse: “Aspettatemi di fronte al portone principale, è norma che sia la Regina Madre a introdurre le nuove lady alla corte, per poi accompagnarle dal loro cavaliere.”
Annuimmo, poi facemmo dietro front, lasciandole sole.
Non appena uscimmo, mi voltai verso Ainu, fissandola sconvolta: “Seriamente, perché Caesar ti avrebbe invitata?”
Lei scosse il capo: “Come posso saperlo? Comunque, sta tranquilla, non mi farò raggirare facilmente, e di sicuro non mi sfuggirà nulla sulla nostra situazione.”
“Non è questo il punto, lui sa già tutto.”
Mi fissò, senza capire: “Sa che siamo dei Guardiani, e penso anche che sappia perché siamo qui.”
Sospirò: “Magnifico. In tal caso, cosa dovremmo fare?”
Scossi il capo, poi mi illuminai.
“Forse avrei un’idea …”



Note dell'Autrice:
Eccomi di nuovo!
Sono stata davvero molto impegnata, ma d'ora in avanti dovrei riuscire a rispettare la tabella di marcia senza problemi!
Comunque, ecco dunque che la storia è andata avanti.
Questo capitolo l'ho voluto dedicare a un maggiore appronfondimento delle figure di Arianne e Ariyme, oltre che dell'Imperatrice, e inoltre ho inserito anche qualche nota in più sulla famiglia di Castiel. Tranquilli, presto avremmo modo di conoscere meglio anche i suoi fratelli, e forse chissà, anche sua madre, ma su quello ci sto ancora lavorando.
Per ora, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia vi stia prendendo.
Nei prossimi giorni lavorerò un po sulla struttura generale, perchè mi sono resa conto che forse non riuscirò a finire tutto in un solo "libro" e quindi potrebbero volercene un po' di più per terminare la storia, anche perchè non mi va di arrivare a fare qualcosa come un tomo di settanta e passa capitoli, ma ci penserò...
Ringrazio, come sempre, tutti quelli che mi hanno seguita, oltre che la mia carissima EragonForever e onlyfanfiction, e se avrete delle domande, o dei pareri, sappiate che sono sempre disponibile.
Alla prossima!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo XII-Come diavolo e acqua santa ***


Capitolo XII
Come diavolo e acqua santa
 

Aureean era la Sala da Ricevimento ufficiale della Reggia Dorata, il luogo dove, per eccellenza, si svolgevano tutte le cerimonie più importanti, direttamente collegato all’ampio giardino pensile e in grado di ospitare oltre un magliaio di invitati, oltre che, ovviamente, tutti i tavoli e la pista da ballo necessari.
Venimmo condotte presso le grandissime porte che davano alla sala da alcuni paggi.
Eleazer ci stava aspettando, avvolta in un a dir poco magnifico abito color borgogna, che le fasciava i fianchi per poi terminare in un lungo strascico bordato d’oro.
Ci sorrise, facendo cenno di avvicinarci: “Venite! Gli uomini sono già tutti all’interno e vi stanno aspettando, quindi, fatevi vedere!”
Occhieggiò critica i nostri abiti, smanettando per qualche istante con la mia acconciatura e resettando il vestito di Ainu, poi annuì, soddisfatta.
“Perfetto, ora siete ufficialmente pronte!”, e detto ciò ci prese sottobraccio, mentre le porte di fronte a noi si spalancavano, dando accesso alla più bella sala da ballo che avessimo mai potuto immaginare.
Il pavimento era in marmo bianco, con striature dorate, mentre dal soffitto color dell’oro pendevano una schiera infinita di lampadari in cristallo, che lanciavano bagliori luminosi ovunque, creando magnifici riflessi sulle pareti, in vetro, che davano accesso diretto ai giardini esterni. Una lunga scalinata conduceva al centro della sala, vuoto, mentre sul fondo una lunga tavolata rettangolare era imbandita di un buffet composto da ogni genere di prelibatezza. Sul lato sinistro, un’orchestra si apprestava ad allietare la serata, mentre dei più piccoli tavoli rotondi coprivano il lato destro, imbanditi di tutto punto.
Come iniziammo a scendere la lunga scalinata, potei sentire lo sguardo di tutti i presenti puntarsi su di noi, per cui arrossii, volgendo il capo di lato, imbarazzata.
Decisamente, quel genere di cose non faceva al caso mio.
Eleazer mi strinse la mano, rassicurandomi: “Tranquilla, il rossore è segno della purezza d’animo in una fanciulla. Cerca però di alzare lo sguardo, Castiel ti sta osservando.”
Alzai appena il capo, cercandolo tra la folla.
Per l’occasione, aveva deciso di indossare una camicia e dei pantaloni neri attillati, un giacchetto color porpora e, sulle spalle, un pesante giaccone da generale, rosso come il fuoco.
Era a dir poco bellissimo.
Insomma, di ragazzi carini ce ne sono, ma li, con la sua spada al fianco e una rosa dorata puntata sul petto, era a dir poco da impazzire.
Mi stava osservando, gli occhi illuminati di gioia, come se, in quella stanza, ci fossimo solo noi due, e lui stesse contemplando la stella più bella e lucente dell’intera volta celeste.
Bastò quello per farmi perdere ogni incertezza. Mi raddrizzai, guardandomi fiera attorno, finalmente consapevole del fascino che esercitavo sui presenti, che mi osservavano stupiti, e fu mentre il mio sguardo vagava nella sala che lo vidi.
Chrystal era comodamente appoggiato a una parete, in una posizione più isolata rispetto agli altri, e mi osservava, cupo, gli occhi solitamente glaciali stranamente caldi e gentili. Mi sentii rabbrividire, ma scostai lo sguardo, perché non volevo assolutamente pensare a lui in quel momento.
Ero li per divertirmi, e non sarebbe bastato il pensiero di lui a impedirmi di farlo.
Eleazer ci condusse quindi dai nostri cavalieri.
Lasciò che Ainu raggiungesse Caesar, che per l’occasione aveva deciso di indossare un abito molto simile a quello del fratello, sostituendo però la giacca con un lungo mantello rosso in pelliccia, e aggiungendo al tutto una piccola ma a dir poco sfarzosa corona dorata.
Le sorrise, educato, inchinandosi composto e prendendole la mano, senza scomporsi minimamente, per poi condurla verso il padre, poco lontano.
Eleazer invece mi condusse da Castiel, che quando mi vide sorrise, solare, sembrava un raggio di sole caduto in terra: “Ehi, sei bellissima, lo sai?”
Arrossii: “Anche tu stai benissimo.”, sussurrai appena.
Eleazer sorrise: “Certo che è bellissima, dopotutto, sono stata io a prepararla, no? Sono o non sono la maggiore consulente in fatto di moda del regno? E poi, sinceramente, c’è anche da dire che la tua compagna ha davvero un fascino naturale. Sarebbe stato impossibile fallire.”
Castiel rise: “Si, diciamo che ho buon gusto in fatto di donne!”, poi mi porse il braccio, “Milady, se non le dispiace, vorrei presentarle un mio carissimo amico.”
Sorrisi: “Certamente, mio signore!”, dissi, scherzosa, e a quel punto fummo in due a scoppiare a ridere.
Mi accompagnò presso il limitare della sala dove, con mia somma sorpresa, potei rivedere lo stesso cucciolo di drago che, la prima volta che ci eravamo incontrati, avevo visto con lui.
Il piccolo era grosso si e no quanto un cane di taglia grande, le lucenti squame rosse scintillavano di riflessi dorati sotto la luce delle lanterne, e una chiostra di corna aguzze ne decorava il capo mentre, affamato, sgranocchiava tutto contento un grosso osso di montone.
Non appena mi vide iniziò a scodinzolare, contento, mettendosi pancia all’aria in cerca di attenzioni: “Lui è Gored, il mio fedele Legame.”
Alzai un sopracciglio, e lui sorrise, spiegando: “Quando un Draconiano della Famiglia Reale viene alla luce, di fianco a lui viene messo un uovo di drago, dal quale nascerà un cucciolo. Il Legame che viene a crearsi tra Master e Dragon è una cosa unica nel nostro regno, che trascende i limiti fisici, e lui è il mio compagno. Solitamente, la forza d’animo e il carisma di un re si misura anche in base alla grandezza del suo drago.”, si osservò intorno, cauto, poi si avvicinò appena al mio orecchio. Potei sentire il suo respiro caldo sulla mia pelle, e per un istante sentii il cervello iniziare a dare i numeri, mentre il cuore correva all’impazzata. Poi aggiunse: “Tuttavia, vista la mia posizione a corte, sono anni che sigillo la sua vera forma con degli incantesimi, che lo rendono apparentemente piccolo e innocuo. Credimi, se i miei fratelli vedessero le sue vere sembianze, a quest’ora sarei già morto.”
Lo osservai, alzando un sopracciglio: “Mi stai dicendo che questo piccoletto …”, sentii Gored ringhiare, offeso, alle mia spalle, “… sarebbe come quei colossi che ci sono la fuori?”, chiesi, indicando il cielo fuori dalle vetrate, dove i draghi a guardia del castello sorvolavano la reggia.
Lui sghignazzò, divertito: “Come quei microbi intendi? No … credimi, Gored non ha proprio nulla a che spartire con loro. Forse, solo Alascar e Atreius, i draghi di mio padre e mio fratello, potrebbero reggere al confronto. Comunque, chissà, magari una volta terminata la cerimonia ti porterò a fare un giro alla Roccia del Drago. Tu e i tuoi amici mi siete sembrati molto interessati a ciò che sta succedendo in quella zona.”
Sorrisi: “Diciamo che abbiamo qualche faccenda importante da sbrigare. Ora però mi è sorta una curiosità: come mai quel giorno eri in quel covo?”
Lui alzò le spalle: “Era da un pezzo che facevo pressione su mio fratello perché facesse ricerche su cosa stesse realmente accadendo alla Roccia, ma non mi aveva mai dato retta. Ogni volta che delle truppe si avvicinavano a quella zona, la roccaforte scompariva, come se non fosse mai esistita, e quindi Caesar ha iniziato a credere che tutte le lamentele dei popoli limitrofi non fossero che dicerie volte a infastidire la corona. Io però non ero disposto a lasciare le cose come stavano.
Vedi, sono mesi ormai che nei villaggi vicini scorre il malcontento. La notte, sono tutti terrorizzati, perché spesso e volentieri giungono degli strani individui che rapiscono i loro uomini, per poi costringerli a lavorare alle fornaci. Ormai il popolo non è più disposto a chiudere un occhio, e quando sono passato di li e mi hanno chiesto aiuto, non ho potuto tirarmi indietro.
Ho rischiato di lasciarci le penne una decina di volte, ma visto che alla fine ho incontrato un magnifico gioiello del tuo calibro, penso ne sia valsa la pena.”, concluse, facendomi l’occhiolino.
Gli tirai una pacca sulla spalla, e lui sorrise, avvicinandosi alle mie labbra.
Sentii il suo odore forte e deciso avvolgermi, mentre la mia mente iniziava ad annebbiarsi, e la voglia di sentire di nuovo la calda consistenza delle sue labbra mi dava alla testa. Sentivo che, di quel passo, avrei letteralmente rischiato di impazzire.
“Castiel …”, una voce ci sorprese alle spalle.
Dietro di noi, Caesar ci osservava, serio.
Ci scostammo, imbarazzati, mentre quello continuava a fissarci, una scintilla di divertimento negli occhi solitamente impassibili. Ci sorrise, divertito, rispondendo all’occhiataccia infastidita di Castiel: era più che evidente quanto fosse irritato per essere stato interrotto sul più bello. E io non potei non essere d’accordo.
“Mi spiace interrompere il vostro allegro colloquio, ma è norma, qui da noi, che i nuovi membri della corte vengano presentati agli altri nobili, da colui che ve li ha introdotti. Nostra madre ci sta aspettando.”, disse, facendo cenno poco lontano, dove Eleazer stava intrattenendo un gruppo di facoceri coperti di gioielli, occhieggiando ogni tanto al nostro indirizzo.
Castiel parve raggelarsi, e potei sentire la sua mano tendersi, mentre stringeva la mia, nervoso: “Quella non è mia madre, devo forse ricordartelo, FRATELLO?”
L’altro alzò un sopracciglio, poi sorrise, condiscendente: “No, non è tua madre. Ma resta comunque la Regina, e quindi, che ti piaccia o meno, ora andrai da lei, chiaro?”, disse, ostile.
Per un secondo ebbi quasi l’impressione che Castiel volesse reagire, per cui decisi di farmi avanti, per difenderlo ed evitare di complicare oltre le cose.
“E voi, Vostra Altezza? Non mi sembra molto cortese abbandonare così la vostra dama.”, dissi, notando come Ainu non fosse al suo fianco.
Quello sorrise: “Non credo gradirebbe molto la mia presenza, in questo momento.”, disse, accennando al cortile.
Mi voltai.
Fuori, in mezzo ai roseti, potei scorgere Ainu e Jakhaal.
A vedere come si stavano parlando, era evidente che stessero litigando, e anche con un certo fervore.
Alzai un sopracciglio, senza capire.
Caesar alzò le spalle: “Non sono affari che mi riguardano, ma da quel che ho capito la tua amica non ha gradito molto che il mezzo minotauro abbia chiesto a un’altra di accompagnarlo al ballo. Una cosa devo riconoscergliela, però: ha un bel caratterino.”
Lo osservai, irritata, poi feci cenno a Castiel di andare.
Lui annuì, dirigendosi con me verso la madre, non prima, però, di aver lanciato un’ultima occhiata ostile al fratello.
Iniziò allora la tiritera di inchini e presentazioni più lunga della storia, e giuro che avrei rischiato di scoppiare, se lui non fosse stato al mio fianco, bisbigliandomi all’orecchio battute divertenti su tutti i trichechi presenti in sala.
“Quello è Lord Bealish, come puoi vedere, da solo è più che sufficiente per riempire l’intera pista da ballo. Motivo per cui solitamente non lo invita mai nessuno.”, disse sghignazzando, indicandomi un omone grosso quanto un elefante che a stento riusciva a reggersi in piedi, sulle gambe grosse quanto prosciutti.
Dovetti ringraziare la sua presenza, perché veramente tutti quei protocolli, quei titoli e quelle presentazioni, altrimenti, avrebbero potuto farmi impazzire. Con lui al mio fianco, però, riuscivo a cogliere sempre il lato ironico delle cose, motivo per cui, alla fin fine, non ci annoiammo nemmeno così troppo.
Astor decise di proporre un brindisi in nostro onore, e quando ebbe finito tutti iniziarono a spostarsi verso il lato della sala adibito a banchetto, mentre il centro veniva rapidamente popolato da un’infinita serie di giullari, bardi e giocolieri, che avrebbero intrattenuto i convitati fino all’ora delle danze.
Guardai scettica che le varie portate, cercando di riconoscere qualcosa di anche solo vagamente famigliare. Iniziai a osservare quello che, almeno inizialmente, mi sembrò un grosso bignè al cioccolato, lo indicai: “Questo cos’è?”
Chiesi mentre, entusiasta, Jakhaal si gettava a capofitto sulla portata, divorando tutto ciò che gli passava di fronte sotto lo sguardo divertito di Arianne, che invano cercava di insegnargli l’utilizzo della forchetta.
Castiel mi si avvinò, accompagnato dall’altra sorella e da Chrystal, che continuava a squadrarci in malo modo.
Sghignazzò, divertito: “Non l’avete mai assaggiato, eh?”
“Già!”, fece Jakhaal, massaggiandosi la pancia soddisfatto, “Che cosa sarebbero con esattezza?”
L’altro mi prese per la vita, e poi disse, a sorpresa di tutti: “Palle di Salamandra.”
Per un pelo il nostro compagno non rischiò di soffocarsi col suo stesso cibo, mentre alle nostre spalle una risata squillante ci sorprendeva.
Dietro di noi, Eamyr ci aveva appena raggiunti, sorridendo divertito: “Wow, quindi è di queste cose che parlano di solito i membri del clan degli sfigati di mio fratello!”, disse, affiancandoci e osservando critico Jakhaal, ancora affannato.
Castiel alzò gli occhi al cielo, ma più che astioso, come si dimostrava di solito con la madre e i fratelli maggiori, sembrava semplicemente infastidito: “Eamyr, che c’è questa volta? Caesar ti ha inviato qui a farci da guardia?”
Quello rise, divertito: “Più o meno, allora, cosa sono questi Guardiani?”
Ci voltammo, sorpresi, e lui alzò le spalle: “Bhe … mio fratello ha accennato a questa specie di Ordine Interdimensionale, ma state tranquilli, ne ha parlato solo con me ed Efnir. Che fate di solito? Insomma, è abbastanza raro che conceda a dei perfetti sconosciuti come voi un colloquio privato. Quello che gli interessava, però, era che voi non metteste il naso negli affari del nostro regno, e che riusciste a mantenere la promessa di guarire la mia sorellina. E visto che Lady Ainuviel si è dimostrata molto disponibile su questo fronte, mio fratello a deciso di lasciarvi in vita … per ora”, disse, accennando ad Ainu, che era appena arrivata. La fissai, interrogativa.
Lei scosse il capo: “Ne parleremo dopo. State tranquilli, non è interessato agli affari che ci hanno condotti qui, voleva solo sapere il vero motivo del nostro arrivo, nient’altro.”, spostò lo sguardo sul giovane che, perfettamente tranquillo, aveva iniziato a smangiucchiare quello che sembrava uno strano dolciume al miele, “Sappi solo che non abbiamo cattive intenzioni, e guariremo tua sorella.”
Jakhaal alzò un sopracciglio.
“Bhe, cosa credete? La medicina elfica non ha nulla a che vedere con quella delle altre specie, e poi, alla fin fine, il suo male non è nemmeno di origine genetica, per cui non sarà un problema risolverlo.”, disse, mentre quello le saltava, sorprendentemente, alle braccia.
“Magnifico! Posso chiamarti sorellona d’ora in avanti?”, chiese, tutto contento.
Lei arrossì, cercando invano di toglierselo di dosso, ma quel tipo era così esuberante che era del tutto impossibile portargli rancore.
Per fortuna, anche se si fa per dire, fu Caesar a interrompere le alquanto sgradite dimostrazioni di affetto del fratello, dicendo: “Myr, lascia stare la nostra ospite.”, le si affiancò, porgendole educatamente il braccio, “I balli sono appena iniziati, e qui da noi è tradizione che sia l’Erede ad aprire le danze. Quindi, Milady, vorrei invitarla a questo ballo, se non le dispiace.”
Dietro di lui, potei vedere Castiel fare una smorfia, scimmiottando l’atteggiamento galante del fratello in maniera evidentemente parodistica, e sorrisi.
Ainu annuì, dirigendosi con lui nella pista da ballo, per cui rimanemmo solo noi, visto che anche Eamyr, all’arrivo del fratello, si era allontanato.
Jakhaal guardò, visibilmente ostile e combattuto, la pista da ballo, per cui Arianne chiese: “Tutto bene?”
Lui scosse il capo: “Visto che il solo tipo di musica su cui so ballare è il rap, direi proprio di no.”
Lei rise: “Eddai, non sarai mica così disastroso! Vieni, ti guido io.”
Francamente, penso proprio che avremmo dovuto fermarli, perché era abbastanza ovvio come sarebbero andate a finire le cose, ma non riuscii a resistere alla tentazione di vedere il mio amico carro armato ballare il lento, per cui non dissi nulla. Difatti, bastarono pochi minuti per chiarire quanto il povero Jakhaal NON fosse portato per il ballo, al punto che, dopo aver ischiato di travolgere una decina di coppie innocenti, lui e Arianne decisero che sarebbe stato decisamente meglio evitare altre figure assurdamente imbarazzanti.
“Quindi, siamo rimasti solo noi.”, fece Chrys, occhieggiando ostile al mio compagno di ballo.
Lui sorrise, strafottente: “Così pare. Ser Surgelato.”
Quello strinse i pugni, ma Ariyme intervenne, posandogli una mano sul braccio e sorridendo: “Suvvia, non serve scannarsi qui. Se volete fare a botte per la bella umana (e li mi fece l’occhiolino) allora fatelo in cortile.”
Chrystal scosse il capo, poi posò il proprio sguardo sulla giovane principessa.
Era da un po’ che Ariyme si era oscurata. Osservava i ballerini muoversi con l’eleganza che lei, sulla sua sedia a rotelle, non avrebbe mai potuto avere, e nemmeno i tentativi esuberanti del fratello per farla ridere servivano a molto.
Chrystal si oscurò, osservando la ragazza, e guardandola come se, al posto suo, vi fosse un lontano ricordo.
Abbassai il capo, mentre la memoria tornava alle parole di Astrea, e al ritratto che portava sempre con sé: chi era quella ragazza? E cosa aveva a che fare col suo passato? L’aveva forse amata?
Scossi il capo. Di quel passo, avrei rischiato di perdere completamente la testa, e farlo per quello scemo che non sapeva far altro che trattare gli altri come se fossero oggetti era del tutto ridicolo. Dopotutto, avevo il mio magnifico cavaliere, per cui non vi era proprio motivo di rovinarsi la serata per niente.
Improvvisamente, lo vidi scuotere il capo, mentre si abbassava all’altezza di Airyme che, sorpresa, spostò lo sguardo su di lui mentre le chiedeva, cordiale: “Milady, vuole concedermi questo ballo?”
Castiel si irrigidì, evidentemente sconvolto.
Insomma, era più che evidente come, sulla sedia a rotelle, sua sorella non potesse nemmeno alzarsi, per cui prese quella proposta come un’offesa diretta a lei, e dovetti fermarlo per evitare che gli saltasse addosso.
“Che hai detto? Sporco bastardo!”, gridò, facendo per sfoderare la spada che portava al fianco.
Ariyme sorrise, non sembrava essersela presa molto, a differenza del fratello: “Mi spiace, ma come puoi vedere, non posso che assistere alle danze, nel mio stato attuale.”
Lui sorrise, dicendo: “Sono più forte di quel che pensi, tranquilla, ti tengo io.”
E detto ciò la prese letteralmente in braccio, conducendola sulla pista e sorreggendola per la vita, per poi farla volteggiare attorno a sé.
Una cosa dovevo concedergliela, si muoveva dannatamente bene.
Se inizialmente i presenti guardarono la scena quasi con orrore, e per un istante potei notare come sia Castor che Caesar si fossero messi all’erta, non appena lei iniziò a ridere divertita, dimostrando di non disprezzare per niente quella soluzione, l’aria si fece immediatamente più tranquilla. Presto tutti iniziarono a circondare i due, e persino Castiel parve calmarsi, osservando Chrystal con uno sguardo diverso.
Si mise le mani sui capelli, sospirando: “Dannazione!”, fece, visibilmente infastidito.
Mi avvicinai a lui, preoccupata: “Che succede? Va  tutto bene?”
Lui scosse il capo: “Non posso nemmeno prendermela con lui, visto che è la prima volta che vedo mia sorella ridere in quel modo.”
Osservai la scena.
Attorniati da quella folla di gente, Chrys sorreggeva la vita di Ariyme con delicatezza, gli occhi luccicanti di compassione, come se stesse tenendo in mano un piccolo uccellino ferito. Non avevo mai avuto modo di vedere quel lato così dolce e gentile del suo carattere: aveva capito che lei si sentiva a disagio, nel non poter partecipare alle danze, come tutti invece facevano, e aveva trovato subito una soluzione per farla stare meglio. Semplicemente, era riuscito a capire i suoi sentimenti, dove nessun altro ci era arrivato. Sorrisi, arrossendo appena.
Dopotutto, era anche lui un bravo ragazzo. In fondo, molto in fondo.
Sospirai, osservando le danze andare avanti, fino a quando i nostri compagni non ci raggiunsero.
“Grazie.”, disse semplicemente Ariyme, mentre Chrystal la depositava delicatamente sulla sedia. Lui sorrise, gli occhi luccicanti di gentilezza: “Non è stato nulla, a dire il vero, mi sorprende che il tuo amato fratellone non ci abbia mai pensato.”
Lo sguardo gelido del mio compagno si posò su Castiel, che alzò un sopracciglio, poi sorrise, di rimando.
Si voltò verso di me, evidentemente determinato a ridare pan per focaccia al rivale, e chiese, inchinandosi appena: “Mia signora, volete per caso concedermi questo ballo?”
Raggelai.
Ok, va bene.
Avevo permesso a quella fanatica di sua madre di trasformarmi, per una sera, in una bambola, e avevo sopportato tutto sommato bene quell’infinita tiritera di presentazioni e formalità, ma ballare? Io? Non se ne parlava nemmeno.
Arrossii, poi scossi il capo: “Per questa volta passo. Non sono esattamente portata in materia, e preferisco di gran lunga rimanere a guardare.”
Quello mi si affiancò, sfoderando la sua migliore faccia da cucciolo ferito, mentre alle mie spalle potei percepire Chrystal sorridere, divertito dal fallimento dell’altro.
“Eddai. Sei una tale bellezza, non posso vantarmi almeno un po’? Sono anni che i miei fratelli criticano i miei gusti in fatto di donne. E diciamocelo, tu le stendi proprio tutte, in fatto di eleganza.”
Sospirai, alzando gli occhi al cielo: “Veramente, non credo sia una buona idea. Sarà per la prossima volta.”
Le mani di lui corsero tempestive alla mia vita, accennando a portarmi verso la pista, al che sentii il mio viso diventare letteralmente bordò dall’imbarazzo, ma prima che potessimo fare un altro passo la mano di Chrys si era già appoggiata sulla spalla del mio compagno, congelandola per un certo tratto.
Gli occhi irati di lui incontrarono quelli di Castiel, mentre lo allontanava da me e ringhiava: “Non l’hai sentita? Ha detto che non vuole venire, quindi ora lasciala in pace, Ok?”
Feci per posargli una mano sul braccio, ma un vento gelido mi bloccò, mentre incontravo i suoi occhi, improvvisamente non più azzurro ghiaccio, ma rossi e accesi come il sangue appena versato.
“Chrys, tutto bene?”, chiesi, preoccupata.
Aveva il viso coperto di sudore gelido, e osservava Castiel con aria tutt’altro amichevole, mentre quello, offeso, aveva già portato una mano alla spada che aveva al fianco.
L’aria aveva già iniziato a farsi pesante, ma non potemmo muovere un dito perché, un istante dopo, una forte esplosione scosse il castello sin dalle fondamenta, mentre in lontananza una nube di fumo nero si alzava verso il cielo.
I presenti si voltarono, sconvolti, mentre l’orchestra smetteva di suonare e le porte della sala da ballo si aprivano, con uno schianto.
Una schiera di soldati ci circondò, mentre una figura femminile faceva il suo ingresso nella sala.
Quegli uomini erano diversi dalle guardie che avevamo incontrato fino ad allora: vestivano di lunghe toghe purpuree, e i loro volti erano coperti da maschere in ceramica, raffiguranti uccelli esotici.
Prima che potessimo fare qualsiasi cosa, ci avevano completamente circondati, mentre la donna scendeva la scalinata, osservandosi attorno annoiata.
Sentii l’aria farsi più pesante, mentre quella raggiungeva a passo deciso Astor e Caesar, osservando appena Castiel che, sconvolto, aveva sfoderato la spada, pretendendo spiegazioni.
“Che sta succedendo? Questi sono nostri ospiti, perché li hai fatti circondare?!?”, chiese, visibilmente furioso.
Lo osservai. Era diverso.
Solitamente, quando lo avevo visto affrontare i fratelli, e il padre, lo aveva fatto sempre a testa alta, senza temere nulla e nessuno, ma con quella donna era diverso. Potevo vedere il terrore oscurare i suoi occhi, e in istante capii che, decisamente, quella era la situazione peggiore in cui potessimo finire.
Lei sorrise appena: “Semplice. Il loro mezzo ha appena distrutto il nostro tempio, è evidente che era tutto nei loro piani sin dall’inizio, e inoltre i miei uomini hanno trovato questo, nei loro alloggi.”, alzò una piccola fiala, contenente un denso liquido scuro.
Il silenzio cadde nella sala, mentre gli occhi dei presenti si posavano su di noi, improvvisamente ostili.
Mi accostai ad Ainu: “Che cos’è?”
Pallida e tremante, lei rispose, in un soffio: “Canto di Morte, uno dei veleni più letali di tutte le dimensioni.”
Mi voltai verso Airyme, che era stata già affiancata da Castor, il quale ci osservava ora con gli occhi illuminati da odio puro.
E capii che eravamo definitivamente fregati.



Note dell'Autrice:
Yuppeee!
Sono tornata!
Ecco qui un nuovo capitolo!
Ora si che le cose hanno iniziato a farsi problematiche!
Elmira, la Sacerdotessa Madre, è un personaggio che qui è solo entrato in scena, e a cui ammetto di aver lavorato veramente moltissimo.
 E' la madre di Castiel, sebbene lui, di fatto, sia più fedele al fratello maggiore che a lei, e il capo del culto di Draconia, insomma, una persona molto influente, quasi quanto l'Imperatore.
E dubito che ora che sospettano di loro i nostri amici avranno vita facile!
Ho anche creato un piccolo spazio per il giovane Eamyr, che spero vi piaccia, anche perchè più avanti si fara vedere parecchio, assieme all'altro fratello, e quindi ho pensato di farlo entrare in scena. Come avrete capito, è molto diverso dai fratelli, e anche se disprezza anche lui Castiel, non è altrettanto severo come per esempio lo sono Castor ed Efnir, per cui riesce a stare molto più simpatico.
E' comparso poi anche Gored, personaggio creato in onore della mia cara EragonForever, in quanto è sempre stato un nome che ama moltissimo mettere per i suoi draghi, e la ringrazio moltissimo per il suo costante supporto.
Ringrazio anche tutti quelli che mi hanno seguita fin qui, e onlyfanfiction, con le sue recensioni.
Alla prissima!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo XIII-Dietro le sbarre ***


Capitolo XIII
Dietro le sbarre
 

È davvero ironico.
Quell’imbecille del fidanzato di mia madre, capo della polizia, aveva passato qualcosa come metà della sua vita cercando un valido pretesto per sbattermi dentro.
Si, lo so: ci volevamo TANTO bene. Lui era convinto che fossi io il vero motivo di ogni preoccupazione di mia madre, e non quel cretino che prima l’aveva sposata, poi messa incinta e infine mollata senza dire niente. O quegli altri, altrettanto cretini, che avevano tagliato tutti i ponti con la loro figlioletta solo perché aveva commesso un errore, ossia mettere al mondo me.
Che bella famiglia che ho, vero?
Comunque, la cosa davvero ironica è che, ogni volta che ne combinavo una (tra piccoli furtarelli e corse folli per le autostrade) non riusciva mai a sgamarmi.
E invece li, dove, per una volta, non avevo fatto assolutamente nulla, ecco che compariva la Sacerdotessa Assatanata a sbattermi dentro. Da non credere, vero? E la cosa divertente era che, nonostante tutti a corte odiassero a morte quella bastarda, le avevano creduto subito, cadendo come pesci lessi nel suo tranello e spedendoci nelle segrete, con la promessa, specialmente da parte di Castor, di una lunga ed estremamente dolorosa morte per impiccagione.
Non potete immaginare quanto sia stata lieta di risentire i suoi magnifici discorsi sulla morte, e sul sistema di tortura del suo regno, e sul dolore … eccetera, eccetera … a un certo punto ho seriamente iniziato a temere che sarei morta li, solo a starlo a sentire. Per fortuna però, si fa per dire, eravamo già arrivati alle segrete, per cui venimmo fatti cambiare e sbattuti dentro senza tante cerimonie.
“Magnifico, proprio magnifico.”, fece Chrystal, osservandosi attorno, depresso, “Ora col cavolo che porteremo a termine la nostra missione.”
Eravamo in una piccola cella, totalmente avvolta dalla penombra, fatta eccezione per delle braci che scoppiettavano appena in un angolino solitario. Il pavimento era freddo e umido, coperto di muschio e ragnatele, mentre grosse catene ci tenevano inchiodati alle pareti, graffiando con la loro ruggine il mio collo già debilitato dal peso sadico delle collane che Eleazer mi aveva fatto indossare per il ballo. Nessun giaciglio, nessuna coperta, niente di niente: era evidente come, per i Draconiani, i prigionieri di guerra valessero meno che dei vermi.
Faceva freddo, e quelle semplici braci non erano sufficienti per ripararci, con solo addosso delle smunte tuniche color sabbia, che puzzavano così tanto di morte da far quasi venire il voltastomaco.
Ahhh … altro dettaglio. A quanto pareva, le segrete erano avvolte da un fortissimo incantesimo, per cui, anche volendo, i nostri poteri sarebbero stati del tutto inutili li sotto.
Jakhaal cercò da strattonare la catena, ma anche con la sua forza erculea non riuscì a ottenere nulla: era evidente che anche quelle dovevano essere state rinforzate con degli incantesimi appositi. “Cazzo, cazzo, cazzo! Non poteva andarci peggio! Si può sapere che diamine aveva quella tipa? Non mi ricordo manco come si chiamasse …”
“Elmira, la Sacerdotessa del Culto di Fuoco.”, fece Ainu, alzando gli occhi al cielo, “Possibile che non riesci a ricordare nemmeno queste semplici cose?”
I loro occhi si incontrarono, e in un attimo ricordai la loro lite, fuori dalla sala da ballo. Se non erravo, Caesar aveva detto che c’entrava qualcosa con la scelta di Jakhaal di invitare Arianne al ballo.
Mi schiarii la voce, chiedendo spiegazioni, e Chrys alzò le spalle: “Prima che tu arrivassi qui, loro due hanno avuto una breve relazione. Che non è esattamente finita bene, ecco tutto.”
Jakhaal grugnì: “Nessuna relazione. Era solo lei a pensare che stessimo assieme. Io non mi metterei mai con una spocchiosa aristocratica sul pisello come te, figuriamoci! E comunque, sono libero di invitare chi voglio, quando voglio, e dove voglio!”
Lei sbuffò, voltando il capo, offesa: “Si, ma non certo solo per vendicarti del fatto di essere stato mollato!”
“Guarda che sono stato IO a mollare TE, e non il contrario!”, ribattè lui, furioso.
Mi misi le mani sulla tempia.
Oddio, eravamo già abbastanza nella merda così, senza che ci si mettessero pure loro!
Sferrai un calcio deciso a entrambi, e quelli si voltarono, fissandomi truci. “Vediamo di darci una calmata, Ok? Non mi sembra il caso di discutere qui di questo genere di cose, abbiamo ben altro a cui pensare!”
“Per esempio a come non finire sulla forca.”, osservò Chrystal, che nel frattempo si era goduto lo spettacolo in silenzio.
“Wow, com’è che ora sei improvvisamente così collaborativo?”, chiesi, alzando un sopracciglio.
Lui mi fissò, sorpreso, poi ribattè: “Devo forse ricordarti che sono stato io a prendere le tue difese, questa sera?”
“Certo!”, risposi, irritata, di quel passo, non avremmo concluso proprio nulla: ma quando una cosa va detta, va detta. “Dopo aver infastidito Castiel per tutto il tempo! Lo stuzzicavi come fossi un bambino! Si può sapere che diamine avevi in testa? Ci ha salvati!”
“Si, e guarda che bel risultato!”, scoppiò, alzandosi e indicando la cella in cui eravamo rinchiusi.
“Wow, alla faccia del tuo –Questo non è il posto per discutere di certe cose-!”, fece Ainu, ridacchiando.
Le lanciai un’occhiataccia, per cui lei alzò le spalle, zittendosi.
“Ok, cerchiamo di smetterla adesso.”, fece Jakhaal, osservando truce me e Chrys.
Sospirammo, rassegnati, e ognuno di noi tornò a sedersi.
“Bene. Ora, come facciamo ad andarcene?”
Chrystal scosse il capo: “Sarà impossibile, senza un aiuto esterno. Le segrete di Draconia sono famosissime proprio perché nessuno è mai riuscito a uscirne vivo: se vieni sbattuto qui dentro, rivedrai la luce solo il giorno della tua esecuzione. Così come siamo ora, non possiamo fare proprio nulla.”
“Motivo per cui mio fratello ha deciso di organizzare la vostra fuga.”, la voce gentile di Ariyme ci sorprese alle spalle, al che ci voltammo, vedendola che sorrideva, serafica, oltre le sbarre della cella. “Mi dispiace per quello che è successo. So riconoscere delle persone gentili e di buon animo quando le incontro …”, sorrise, accennando appena a Chrystal, “… e non ho creduto a una sola parola della Sacerdotessa Madre. Non ho idea del perché vi tema, ma se siete suoi nemici, allora sono certa che siete delle buone persone. Fortunatamente, a differenza che con Castiel e Arianne, i miei fratelli si fidano ciecamente di me, e quindi quando ho chiesto di vedervi non hanno fatto resistenza.”
Ci avvicinammo alle sbarre, e finalmente chiesi: “Sicura di riuscire a darci una mano? Non avremmo nessun mezzo per andarcene, e dubito che Astrea sia disponibile con quello che è successo.”
Lei sorrise: “Tranquilli. Mio fratello vi sta già aspettando fuori, e Arianne è con lui. Sono assieme ai loro draghi, Gored e Mauryel, e vi condurranno alla vostra destinazione.”
Jakhaal parve illuminarsi: “Ci sarà anche Arianne? È sicuro? Insomma, il posto dove dobbiamo andare è molto pericoloso e quindi …”
“Mia sorella è una delle migliori spadaccine del regno.”, rispose lei, gentile, “E quando ha saputo che verreste giustiziati tra tre giorni, ha insistito per aiutarvi a fuggire. Sa quello che fa. La sola cosa che ti chiedo, in quanto suo cavaliere, è di vegliare su di lei: è una brava ragazza e una magnifica guerriera, ma tende a farsi prendere la mano quando di mezzo c’è la famiglia.”
Lui annuì, portandosi una mano al cuore e chinando appena il capo: “Vi assicuro che sarà in ottime mani, Vostra Altezza.”
Mi voltai appena, dietro di me, il volto di Ainu si era improvvisamente oscurato, e gli occhi si erano abbassati, mentre osservava il pavimento, tetra.
Non ero molto informata su come fossero andate le cose tra lei e Jakhaal, ma non ero certo così sciocca da non capire che, in tutto quel tempo, lei non aveva mai smesso di sperare che tornassero assieme.
Ariyme sorrise: “Bene, ora statemi a sentire. Vedete quella mattonella, lievemente rialzata?”
Ci voltammo, effettivamente, nel pavimento, una delle piastre di marmo era appena scostata dalle altre.
“Sotto di essa vi è un tunnel. Solitamente, queste celle erano usate per quei prigionieri che sarebbero finiti a combattere nelle arene, e passandovi sotto troverete un lungo tunnel. Vi saranno delle guardie, ma state tranquilli, ho provveduto affinchè vengano temporaneamente spostate altrove.
Non è un percorso disabitato, essendo collegato con le celle, è perennemente sorvegliato dalle Salamandre, tuttavia se utilizzerete quest’olio non vi attaccheranno. Sono state addestrate per attaccare e uccidere chiunque porti l’odore dei prigionieri, ma questo infuso può cancellare i vostri odori, e quindi, se non le provocherete, non vi faranno assolutamente nulla.
Seguite il tunnel fino alla fine, senza mai voltare strada, e sboccherete fuori dalla città, dove Castiel e Arianne vi attendono. Non avrete molto tempo. Le guardie saranno assenti solo per poco, e inoltre tra circa un’ora passeranno per controllare le celle, quindi cercate di fare in fretta. E … buona fortuna.”
Annuimmo, determinati e spostammo la mattonella. Con le chiavi che ci aveva consegnato ci liberammo dalle catene, e poi ci cospargemmo con l’olio, che emanava un forte odore di zolfo. Poi ci callammo nel tunnel. “Dio, spero solo che funzioni.”, borbottò Chrys, visibilmente teso.
“Tranquillo. Anche fosse, non essendo più nelle segrete, potremmo utilizzare i nostri poteri, no?”, dissi, cercando di rassicurarlo.
“Ehm, non so tu, ma dubito servirebbe a qualcosa.”, la voce di Jakhaal interruppe i miei pensieri portando l’attenzione all’ambiente in cui eravamo finiti.
Sentii il sangue gelarsi nelle vene.
Eravamo in un ampissimo tunnel sotterraneo. Un fiume di lava scorreva al nostro fianco, mentre due camminatoi conducevano verso le uscite e una schiera di Salamandre decisamente più grandi della norma ci osservavano, annusando l’aria incerte.
Erano tantissime, troppe, e come se non bastasse erano ben più grandi quelle che eravamo abituati ad affrontare.
Parvero osservarci, poi si scostarono, aprendo un varco e ritornando ai loro affari, ignorandoci completamente.
Sospirai.
“Ecco perché odio le creature di fuoco.”, fece Chrystal, rilassandosi e facendoci cenno di darci una mossa.
Annuimmo, iniziando a correre per il lungo tunnel, diretti verso l’uscita.
Man mano che proseguivamo, il condotto si faceva sempre più stretto e l’aria più pesante, e ben presto fummo costretti a procedere in fila indiana per non intralciarci a vicenda. Faceva un caldo incredibile, e l’odore di zolfo e fumo ci impregnava le narici, rendendo quasi impossibile respirare.
Giungemmo alla fine del tunnel dopo un tempo che mi parve quasi infinito, sebbene non dovesse essere stata nemmeno un’ora, visto che i soldati non avevano ancora dato l’allarme della nostra fuga.
Castiel ci attendeva fuori, un pesante vestito da viaggio e una torcia in mano.
Non appena lo vidi, sentii la fatica e la paura scivolare via dal mio corpo, come non ci fossero mai state, e in un attimo gli balzai tra le braccia.
Semplicemente, non riuscii a trattenermi. Mi era mancato terribilmente, e per un istante avevo davvero temuto di non poterlo rivedere mai più, per cui non riuscii ad evitare di stampargli un focoso bacio sulle labbra, non appena sentii il rassicurante calore delle sue braccia avvolgermi i fianchi.
Mi aggrappai a lui, con le lacrime che quasi minacciavano di scendere, godendomi appieno il sapore forte e salmastro delle sue labbra, mentre la sua lingua giocava con la mia in una danza di fuoco e calore.
Avrei potuto sciogliermi, il mondo avrebbe potuto cadere, e io nemmeno me ne sarei accorta. Semplicemente, li, con il mio stalker personale, ero nel mio piccolo rifugio sicuro, e sapevo che nessuno avrebbe mai potuto ferirmi.
“Affascinante, davvero, che ne dite di darci una mossa però?”, ovviamente, Chrys scelse proprio quel momento per rovinare il mio bell’incantesimo.
Lo fissai male, mentre Castiel, evidentemente troppo contento per avermi ritrovata, non se la prese troppo e sorrise: “Si, meglio muoverci.”
Si voltò verso la sorella, ma si bloccò subito.
Arianne era saldamente aggrappata alle spalle di Jakhaal, le lacrime agli occhi mentre gli tirava contro tutti gli insulti del mondo, dicendogli che le aveva fatto prendere un infarto, che la prossima volta che l’avrebbe fatta preoccupare tanto, lo avrebbe castrato.
Lui, sorridendo, la consolava, accarezzandole il capo divertito e baciandole la fronte per rassicurarla.
“Ehm. Stavamo dicendo, noi dovremmo andare.”, disse Castiel, guardando la sorella rassegnato.
Lei lo fissò male, poi si ricompose: “C-certo. E tu, scemo! Dovevi dirmelo che avevamo fretta!”, disse, prendendosela con Jakhaal che, divertito, disse: “Certo, perché ero io quello che piangeva!”
Scuotemmo il capo, poi ci indirizzammo, decisi, verso alcune colline poco lontano.
“Castiel mi ha spiegato quello che sta succedendo alla Roccia del Drago.”, disse Arianne, la mano ancora saldamente stretta in quella del compagno, “Avete idea di chi siano queste persone? E perché stiano facendo questo? Non ho capito molto bene, ma a quanto pare voi ne sapete qualcosa.”
Annuimmo, e subito iniziammo a spiegare loro tutta la faccenda dei Guardiani, di Nidhoggr e dell’Albero del Mondo.
Quando finimmo Arianne era a bocca aperta, e fissava il fratello incredula: “Aspettate un secondo. Quindi lui sarebbe uno dei prescelti per salvare il mondo? Siete proprio sicuri di non aver fatto errori?”
Castiel la fissò, fintamente offeso.
“No, sfortunatamente, pare propri che sia lui.”, fece invece Chrys, sospirando.
L’altro rise, divertito: “Wow, che bel benvenuto! Cos’è? Geloso perché il mio elemento è più figo del tuo?”
L’altro lo fissò male: “Certo, come no. E secondo te sarei invidioso di un cretino privo di carisma?”
Tuttavia, dovette zittirsi, perché eravamo appena arrivati nella radura dove, nelle loro forme originali, Gored e Mauryel ci attendevano.
E … bhe, se il carisma e la forza d’animo di un Draconiano si misurano in base alla grandezza del suo drago, Castiel si meritava decisamente il titolo di migliore del suo regno.



Note dell'Autrice:
Ecco qui un altro capitolo!
Ehhh, si...Jakhaal e Ainu avevano una relazione! Non vedo proprio l'ora di pubblicare il seguito, perchè vi assicuro che ne vedremo delle belle, sia tra loro due, che tra lui e Arianne, che per ora sono quasi una coppia. Spero che finora vi sia piaciuto come ho gestito le relazioni tra loro tre, e sopratutto il carattere delle due sorelle, che in questi capitoli si faranno vedere abbastanza, per cui avremo modo di conoscerle un po' meglio.
Ovviamente, saremo costretti a rivedere anche Elmira, specialmente perchè non è ancora stato rivelato il motivo per cui ha deciso di incastrarli. Per cui mi spiace, ma la dovrete sopportare ancora per un altro po!
Mi è poi venuta una piccola curiosità, anche leggendo le varie recensioni e sentendo il parere degli amici: se voi dovreste scegliere, chi preferireste da Castiel e Chrystal? Sta venendo su un vero finimondo tra quei due, e anche se ho già programmato tutta la conclusione della vicenda (eheheh...curiosi, vero?) sono comunque interessata a sapere cosa ne pensate.
Detto questo, ringrazio EragonForever, onlyfanfiction e SeiraBrizzi per le loro recensioni, oltre che tutti quelli che mi hanno seguita fin qui!
Alla prossima!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo XIV-La Sacerdotessa di Draconia ***


Note:
Partendo da questo capitolo la storia inizierà a dividersi, e potrete trovare spezzoni narrati anche da altri personaggi.
Questo capitolo sarà raccontato sia da Elayne che da Jakhaal, ma andando avanti li troverete un po' tutti.
Detto questo, buona lettura!
Aspetto con ansia le vostre recensioni!

 

Capitolo XIV
La Sacerdotessa di Draconia
 

(Elayne)

Io osservavo lui.
Lui osservava me.
Inclinai il capo, cercando di capire come quel colosso in squame e muscoli potesse essere lo stesso cosino scodinzolante con cui avevo avuto a che fare durante il ballo.
L’aria da cucciolo era totalmente scomparsa, lasciando il posto a un corpo possente e grande, almeno almeno, quanto quello di Astrea nella sua forma più smagliante. Le squame scintillavano lucenti sotto il cielo, perennemente oscurato da dense nubi di fumo nero, mentre un’impressionante chiostra di spuntoni acuminati gli ricopriva il dorso, fino a terminare nell’affilatissimo uncino della coda. Il capo era coronato da una collezione di corna scure, mentre gli occhi, dallo sguardo fiero e altero, brillavano cordiali nella semioscurità della radura.
Per farla breve, quel coso sprigionava potenza e regalità da tutti i pori. Altro che cosino squamoso, avevo la netta impressione che quel tipo avrebbe potuto distruggere una delle più belle torri di Dracoon senza nemmeno scomodarsi troppo.
Era chiaro il perché Castiel aveva deciso di tenere celata la sua forma. Bastava guardarlo per sentirsi naturalmente intimoriti, e di certo i suoi fratelli non avrebbero gradito molto sapere che, per tutto quel tempo, il ragazzo che consideravano solo come un idiota scavezzacollo possedesse uno dei draghi più forti del loro regno.
Castiel mi posò una mano sul fianco, rassicurandomi: “Tranquilla, sa che sei il mio preziosissimo gioiello, e quindi non ti farà nulla.”
Quello abbassò il capo, producendo un suono vagamente simile a delle fusa, ma molto più profondo e cupo. Sorrisi, accarezzandolo appena: “Quindi, useremo loro per raggiungere la Roccia del Drago?”
“Esatto.”, Arianne ci aveva appena raggiunti. Dietro di lei, una giovane dragonessa, ben più minuta del compagno, ci osservava pacata, le squame quasi color terracotta che brillavano come di luce propria. “Ah, si. Lei è Mauryel, il mio Legame. Non sarà grande quanto Gored, ma è certamente tosta.”
La dragonessa abbassò il capo, lasciandosi accarezzare da me e Ainu, e osservando invece truce Jakhaal.
Girò cauta attorno quello che, doveva saperlo, era il compagno ufficiale della sua padrona, occhieggiandolo in tralice ed esaminandolo come un mercante fa con una nuova merce. Lo annusò appena, ritraendo poi il naso, e sbuffando disgustata.
La fissai male … ehi, bella, che ti aspettavi?
È così che succede quando ti sbattono in una cella per ore, e poi sei costretto ad attraversare una fogna coperta di lava, con l’odore dello zolfo addosso! Che immaginavi? Profumo di rose?!?
La dragonessa fissò la sua compagna, implorante, come chiedendole perché cacchio si fosse trovata un uomo simile, e Arianne scoppiò a ridere, alzando le spalle: “Mauryel pensa che tu sia solo un cretino che puzza come un maiale in isolamento.”
Jakhaal alzò un sopracciglio, poi, sorprendentemente, scoppiò a ridere, e disse, mettendo una mano (sotto gli occhi assassini della dragonessa) sulle spalle di Arianne: “Di alla tua dragonessa che, da dove vengo io, questo è chiamato –aroma di figaggine allo stato puro-! Non tutti lo possiedono, sai?”
La dragonessa alzò un sopracciglio, poi sbuffò, esasperata, abbassandosi per permettere alla sua padrona, ad Ainu e a Jakhaal di salirle sul dorso. Non senza riservare una brutta, orribile occhiata a quest’ultimo, che le fece una smorfia, divertito.
“Ehi … fermi un secondo, volete dirmi che io devo andare con questo cretino?”, chiese improvvisamente Chrystal, accennando a Castiel che, stizzito, ribatté: “Questo cretino riesce a sentirti, sai?”
L’altro lo ignorò mentre Arianne alzava le spalle, dicendo: “Mi spiace, ma Mauryel non può portare nessun altro, e visto che Astrea è ancora in mano a nostro fratello, non possiamo fare altrimenti.”
Chrys sospirò, poi ribattè: “E va bene! Ma non appena questo cretino inizia a rompermi …”, puntò un dito minaccioso contro Castiel che, in tutta risposta, si mise le mani sui capelli, fingendosi terrorizzato, “… io giuro che gli congelo i gioielli!”
Lo fissammo, interdetti.
Cioè … aveva detto veramente quello che avevamo sentito?
O era solo la mia immaginazione?
Castiel scoppiò a ridere: “Bene, ora che abbiamo appurato la tua invidia nei confronti del mio indiscutibile fascino virile, che ne dite di partire?”
Mi prese per la vita, stampandomi un rapido bacio sulla guancia, sotto gli occhi gelidi di Chrys, per poi depositarmi leggermente sul dorso di Gored, e montando dietro di me. Chrys sbuffò, poi, spazientito, salì anche lui, guardandosi attorno incerto.
“Siamo proprio sicuri che tu sia capace di cavalcarlo? Non mi sembra molto sicuro.”, fece, indeciso.
Gored lo fissò in tralice, offeso.
“Tranquilla, donzella, sono anni che lo faccio. Se hai paura … bhe, cavoli tuoi.”, poi si rivolse verso di me, addolcendo il tono, “Se invece sei tu ad avere paura … bhe, il mio petto è molto forte, sai?”
Arrossii, voltando lo sguardo e borbottando: “Ok, Ok, abbiamo capito. Che ne dite di decollare?”
Castiel rise, colpendo con i tacchi il fianco di Gored che, con un ruggito, aprì le immense ali membranose, balzando agile in avanti e prendendo il volo.
Ora, penso che ci siano molte sensazioni indimenticabili per una persona.
Il primo bacio, il primo appuntamento, il primo amore … e poi c’è il primo volo. Anzi, per essere precisi, il primo volo a dorso di drago.
Non credo esista un modo corretto per descriverlo. Senti il mondo rimpicciolirsi a velocità incredibile alle tue spalle, il cielo correrti incontro e il fiato bloccarsi mentre un vuoto vertiginoso ti si scava nello stomaco. Senti le preoccupazioni scorrere via come acqua di corrente, e l’adrenalina darti alla testa. Sei il re del mondo, nulla può raggiungerti in quel paradiso senza tempo …
E poi ti accorgi che dietro di te c’è Chrys, e che sta dando di stomaco, imprecando in arabo.
Grazie, eh?
Bel momento, andato in pezzi.
Ci voltammo appena, squadrandolo incerti, mentre sotto di noi Gored sghignazzava, divertito.
“Ehm … tutto bene?”, chiesi, mentre lui, verde come un peperone, cercava di riprendersi a borbottava, furioso: “Ecco perché dicevo che era un pessima idea! Chi me l’ha fatto fare? Di questo passo, morirò ancora prima di arrivare a destinazione!”
“Tranquillo bello, a quanto pare non sei l’unico.”, fece Castiel, accennando divertito a Jakhaal che, di fianco a noi, si aggrappava pallido come un lenzuolo alla vita di Arianne. Decisamente, in quel momento, dei due, mi chiesi chi fosse veramente e vestire il ruolo di donzella.
Ainu, dal canto suo, cercava di scostare lo sguardo, visibilmente a disagio nel trovarsi proprio assieme a loro, e disse, stizzita: “Che ne dite di tenere d’occhio quello che succede sotto di noi? Non ci vorrà molto per arrivare a destinazione!”
Annuimmo, e per il resto del viaggio cercammo di non parlare troppo, sebbene Castiel facesse non poca fatica a trattenere le risa di fronte allo spettacolo di Chrys che, minuto dopo minuto, stava sempre peggio.
Presto il paesaggio sotto di noi iniziò a mutare.
Ci inoltrammo presso un profondo crepaccio, all’interno del quale era scavata la fortezza dei nostri nemici.
Volavamo a una certa altezza, per evitare di essere intercettati, ma abbastanza bassi da permetterci di vedere cosa accadeva sotto di noi.
E ciò che stava succedendo non era affatto incoraggiante.
Schiere e schiere di schiavi in catene marciavano piegati dalla stanchezza e dalle ferite sotto i nostri occhi, dirigendosi verso la roccaforte nemica, incitati a distanza di eserciti di Salamandre e Viverne, oltre che da non pochi Draghi e Golem di Fuoco.
Uno spettacolo orribile, ma sapevamo bene che, senza il Frutto, non avremmo potuto fare nulla per luro, perciò proseguimmo, lasciandoci alle spalle quella schiera di anime dannate e costrette a lavorare per un signore non loro.
Sentii il corpo di Castiel irrigidirsi, preda della rabbia, alle mie spalle, e mi accoccolai a lui, osservandolo preoccupata. Il volto era contratto dal dolore, gli occhi ardenti d’ira mentre osservava la sua gente ridotta in catene, costretta a lavorare senza sosta, anche a prezzo della vita.
“Tranquillo, ce la faremo. Li porteremo in salvo.”, sussurrai, baciandogli appena la mascella, al che lui annuì determinato.
Spostammo lo sguardo.
Dovevamo raggiungere il centro della costruzione, una schiera di torri altissime poco distanti, che svettavano verso il cielo fin quasi a scomparire in mezzo a quella coltre di fumo nero che copriva perennemente quella dimensione di fuoco.
Chrystal impallidì, facendoci cenno di abbassare lo sguardo.
Sotto di noi, una massa nera e informe si muoveva a passo di marcia verso il luogo da cui eravamo arrivati. Acuimmo lo sguardo, e fu con un tuffo al cuore che ci rendemmo conto che quelli erano tutti soldati: migliaia e migliaia di uomini armati fino ai denti, chiusi nelle spesse armature nere e pronti per colpire proprio il centro di Draconia, la sua capitale.
Chrys si mise un mano sulla bocca, soffocando appena un altro conato, mentre borbottava: “Perfetto, decisamente, non poteva andarci peggio.”
Ovviamente, furono le ultime parole famose perché, un istante dopo, facemmo appena in tempo a vedere una delle catapulte disposte nelle torri nemiche azionarsi, mentre una palla di roccia di dimensioni colossali si schiantava contro Gored che, svenuto, iniziò a precipitare, con noi al seguito.
Gridai.
Gridai con tutto il fiato che avevo in gola, mentre i nostri compagni ci guardavano, impotenti, e il terreno mi veniva incontro, sempre più veloce.
Grazie Chrys, questa me la lego al dito.
Stanne certo.

Poi il vuoto mi avvolse.
 

(Jakhaal)

Ora però parlo io.
Ciarla ciarla, e alla fine mi molla sempre da una parte.
Grazie tante, eh?
Visto che però ora dobbiamo per forza fare a turni, se non ti dispiace prendo io in mano il palcoscenico.
Dove eravamo rimasti?
Ahhh … si, la caduta, ci sono.
Bhe, che devo dirvi.
Per farla breve, eravamo nella merda.
Guardammo i nostri compagni perdere quota, avvicinandosi sempre di più al suolo, al che mi riscossi, fissando Arianne e chiedendo: “Non possiamo aiutarli? Fa qualcosa! Non li lasceremo morire in questo modo!”
Lei mi fissò, sconsolata: “Mauryel è spossata. Già portare tre persone per lei è stata una fatica immane, non potrebbe mai raggiungerli in tempo, né tantomeno prenderli con sé. Ci schianteremo a basta.”
Odiavo ammetterlo, ma avevo le lacrime agli occhi.
Cazzo, cazzo, cazzo!
Non poteva finire in quel modo!
Non avevamo nemmeno fatto il culo a qualche mostro!
Chi ha mai sentito di una spedizione finita ancora prima dell’inizio delle scazzotate?
Strinsi i denti, mentre le braccia calde di lei mi avvolgevano, rincuorandomi.
Fu Ainuviel a farci ritornare a noi. Dopotutto, è sempre stata lei quella più matura del gruppo, anche se, con 400 e passa anni di esperienza alle spalle, non c’era molto di cui sorprendersi: “Non abbiamo molto tempo. Dobbiamo andare. Ho sentito l’energia di Elayne scoppiare, probabilmente, col suo potere, sarà riuscita quantomeno ad attutire la caduta, ma ora dobbiamo proseguire.
Dobbiamo avere fiducia in loro. E ce la faranno, ne sono certa.”, disse, osservando preoccupata la voragine che si apriva sotto di noi.
Annuii, rassicurato.
Era difficile ammetterlo, ma se c’era qualcuno in grado di parlare in quel modo, era lei. Almeno, in questo, non era affatto cambiata.
Feci cenno ad Arianne di andare avanti, e lei spronò Mauryel, che si diresse decisa verso la terrazza della torre più vicina, dove sperammo con tutti noi stessi di non essere intercettati prima ancora di iniziare.
Ovviamente, le nostre speranze andarono in frantumi.
Sentii il respiro di Arianne mozzarsi, mentre le sue gambe cedevano, costringendomi a sorreggerla poco prima che toccasse terra.
Li, di fronte a noi, una giovane donna ci osservava, i capelli color del grano maledettamente, dannatamente familiari che cadevano a terra, in un tappeto dorato e soffice, mentre alcune guardie mascherate la costringevano a terra.
“M-madre?”, sussurrò lei.
E in un attimo capii.
Voltai lo sguardo, poco lontano, comodamente appoggiata al bracciolo di una sontuosa poltrona foderata in seta rossa, la Sacerdotessa Madre ci osservava, divertita.
Strinsi i pugni, mentre l’ira mi dava alla testa.
Non mi ci volle molto per comprendere.
Per capire.
Quella donna era sempre stata dalla loro parte, sin dall’inizio, sin da quando eravamo arrivati. Ecco perché ci aveva chiusi nelle segrete, ecco perché ci aveva incastrati, mettendoci contro l’intera corte. Semplicemente, aveva temuto che potessimo mettere i bastoni nei loro piani, e quindi aveva agito di conseguenza.
Sentii le lame celate nei foderi al fianco della mia compagna scattare, mentre lei, furibonda, si gettava verso la Sacerdotessa.
Mi slanciai in avanti, ergendo un muro di roccia di fronte a noi, poco prima che una sfera di magma rovente vi si schiantasse addosso, in un tripudio di scintille e lapilli.
La donna sorrideva, divertita, osservandoci sornione: “Oh, che bello! Una riunione di famiglia! Spero non ti dispiaccia, ma ho preso in prestito la cara Elzabeth, giusto per un po’ di tempo. Ora, che ne dite di abbassare le armi e fare i bravi?”
Già, perché, per la prima volta dopo anni, io e Ainu avevamo estratto i nostri Frutti, che scintillavano sotto il cielo scuro di Draconia.
Sorrisi, divertito.
Quanti anni erano passati?
Non ne avevo idea.
Magmaar, il mio Martello dei Sette Picchi, risplendeva possente sotto lo sguardo celatamente preoccupato della Sacerdotessa, mentre Slither, la Lancia della Morte, fremeva tra le mani di Ainu, le punte acuminate gocciolanti di veleno.
Sorrisi, divertito, per poi gettarmi su di lei.
Rimasi sorpreso però nel constatare come, nonostante i fasci di stoffa che la intralciavano, quella esile figura riuscisse a sfuggire a ogni mio colpo, per poi contrattaccare con la sua lava che, secondo dopo secondo, iniziava a coprire sempre di più la terrazza.
Strinsi i denti.
Decisamente, si stava mettendo male.
Noi non eravamo Draconiani, non eravamo immuni al fuoco, e quindi sarebbe bastato toccare quel magma anche solo una volta per rischiare di rimetterci le penne.
Dietro di me, Ainu cercava di supportarmi, compensando alla mia mancanza di velocità con i suoi colpi, agili e letali, e cercando mettere all’angolo quel mostro di donna che, ormai lo avevamo capito, era parecchio tosta.
Poco lontano, Arianne stava affrontando i soldati di lei.
Alzai un sopracciglio, sorpreso, nel vedere le sue scimitarre colpire con precisione mirabilmente letale gli avversari.
Che donna!
Non feci in tempo a riprendermi, che un getto di lava per poco non mi costrinse a terra.
Sbuffai, irritato.
Le cose non si stavano mettendo per niente bene.
Con il suo potere delle piante, Ainu era del tutto inutile su quel terreno, e come se non bastasse quella donna aveva ormai capito l’antifona, e aveva deciso di barricarsi in una difesa che non ci permetteva nemmeno di avvicinarci a lei, che già le sue sfere di lava rischiavano di colpirci.
Eravamo stremati.
Le ore senza cibo in cella, il viaggio e il trauma dei nostri compagni, caduti nel baratro, ci avevano sfiniti, sia fisicamente che psicologicamente, per cui, quando un fulmine nero ci costrinse a terra, non potemmo fare altro che alzare lo sguardo, impotenti.
Sospesa a mezz’aria, di fronte a noi, vi era il peggior concentrato di potere oscuro che fossi mai riuscito a percepire.
Mi sentii sopraffare, mentre, annoiata, quella figura minuta atterrava di fronte a noi.
Aveva l’aspetto di una ragazza, i capelli color d’oro che le incorniciavano il viso come scolpito nel marmo, a caschetto, mentre caldi occhi color cioccolato ci fissavano, ironici. La carnagione era lattea, e il fisico minuto e agile, ma allo stesso tempo con un non so che cosa di fiero e nobile. Una corona di corna aguzze le decorava il capo, mentre un'agile coda guizzava nera dietro di lei.
Indossava una camicetta in seta nera, con dei pantaloni in piega, molto formali, e degli stivaletti color pece. Portava i guanti, e come unico ornamento un orologio dorato, come i suoi capelli.
Ci osservò, cinica, poi spostò lo sguardo sulle lancette, e sbuffando disse: “I soliti ritardatari. Lo sapete, almeno, che vi aspettavamo già tre minuti fa?”, borbottò, fissandoci, annoiata. L’aura che la avvolgeva non accennava a svanire, impedendoci anche solo di muoverci. Solo una volta avevo percepito qualcosa di simile, anche se a distanza: quando Apophis aveva rubato il Frutto, nell’attacco al Mausoleum.
“Tu-tu sei?”, accennai a chiedere, come paralizzato.
Lei alzò un sopracciglio, poi sorrise, appena: “Il mio nome è Lilith, Figlia di Nidhoggr e Portatrice del Dolore. Piacere di conoscervi, Guardiani!”
Sentii il terreno inghiottirmi, mentre mi rendevo conto che, questa volta, non poteva proprio andarci peggio.



Note dell'Autrice:
Rieccomi!
Che faticaccia, questo capitolo è stato veramente tosto!
Sperando che sia di vostro gradimento!
Bhe, la missione ha finalmente inizio, e come potete vedere non nel migliore dei modi.
Riprenderemo la nostra protagonista non nel prossimo capitolo, ma in quello dopo
, per ora vedremo cosa accadrà a Jakhaal e Ainu, e poi speriamo. Come avete visto, si è fatta vedere anche la madre di Castiel, e anche se non avrà un ruolo particolarmente importante, spero imparerete ad apprezzarla.
Ringrazio come sempre tutti quelli che mi hanno seguita, SeiraBizzi, onlyfanfiction ed EragonForever, e vi saluto!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo XV-Chiudere gli occhi ***


Capitolo XV
Chiudere gli occhi
 

(Jakhaal)

Non sono mai stato un tipo particolarmente attaccabrighe.
Ok, forse a volte tendo a gettarmi un po’ troppo nelle mischie. Però, solitamente, vado abbastanza d’accordo con tutti.
Il tipo che incontrai quel giorno, tuttavia, andava oltre qualsiasi concetto di “persona normale”. Anzi, forse, tutto sommato, non lo si potrebbe nemmeno definire come una “persona”: diciamo semplicemente che era un pazzo sadico e fuori di testa.
Lo incontrammo una volta giunti nelle segrete.
Le celle di quel posto, che scoprimmo chiamarsi Morsfortis, erano ben differenti da quelle di Dracoon, capitale del regno. Larghe e spaziose, erano costruite nel bronzo, e le pareti color ruggine erano cosparse a tratti da scure macchie di sangue rappreso, che spargevano il loro odore metallico nella stanza. Torce illuminavano le pareti, mandando ombre scure e cupe sulle pareti, mentre le temperature altissime impedivano fin quasi di respirare, tale era il caldo in quel posto.
Ci lasciarono soli, senza nemmeno sprecarsi di incatenarci alle pareti, e subito venimmo raggiunti da un alto figuro, avvolto da une spessa armatura purpurea, che copriva completamente il robusto corpo da guerriero.
Ci osservava, comodamente appoggiato a una parete, sghignazzando appena. I lunghi capelli vermigli, raccolti in una treccia, lasciavano cadere ciuffi sbarazzini sulla fronte, coronata da una schiera di corna aguzze, mentre una coda scura, da demone, guizzava dietro di lui. La carnagione era scura, e gli occhi gialli, come quelli dei rettili, mentre ci fissava, sorridendo, divertito.
Lo fissai male: “E tu? Chi saresti?”
Quello sospirò, accennando a una spilla dorata, appuntata sul suo petto, raffigurante un serpente avvolto attorno a un albero carico di frutti.
“Vedi questa, cucciolo di vacca?”, chiese, divertito.
Lo guardai male.
Avrei voluto ucciderlo, ma la sua aura era troppo grande. Certo, non come quella di Lilith, ma comunque forte, troppo forte perché lo affrontassi da solo.
Annuii, sbuffando, e lui riprese: “Questa, è una riconoscenza. Dice che faccio parte dei Sette Generali degli Inferi, i più potenti e altolocati seguaci della Viverna, dopo i suoi tre figli. Sono un Demone, il mio nome è Belzebub, la mia specie è stata creata da lui per servirlo, e ora sono stato assegnato a Morsfortis, per occuparmi della conquista di Flogon. È solo questione di tempo, ormai …”
Arianne lo guardò, interdetta: “Volete conquistare Draconia? Seriamente?”
Quello scoppiò a ridere: “Ecco cosa mi piace di voi Draconiani: siete così sicuri del vostro potere, che quando vi rendete conto di essere dei moscerini in confronto ad altri non riuscite nemmeno a crederci. Comunque, ora l’affare è un altro.”, i suoi occhi si raggelarono, mentre ci osservava, improvvisamente serio, “Dove sono i vostri compagni? Sono curioso. I miei uomini li hanno cercati, ma non hanno trovato nulla.”
Lo fissammo, senza capire.
Arianne scosse il capo: “Senti, sono precipitati da un’altezza incredibile, è impossibile dire dove siano finiti. E se anche lo sapessimo, non lo diremmo certamente a te.”
Quello sorrise, per nulla convinto, e la raggiunse.
Faci per fermarlo, ma lui non si scomodò nemmeno.
Un’onda di energia violetta mi colpì nel ventre, spedendomi contro la parete opposta, senza che potessi far nulla.
Sempre sorridendo, quello sollevò Arianne, che invano cercava di ribellarsi, e disse: “Bene. Che ne dici di divertirti un po’ con me? Tranquilla, la mia stanza dei giochi è proprio qui di fianco: il tuo cavaliere riuscirà a sentire tutte le tue grida.”
Sentii il mio cuore fermarsi, mentre gli occhi di lei mi fissavano, terrorizzati.
 

(Ainuviel)

Meglio che ora prosegua io.
Già, perché le ore successive furono le peggiori.
Se credevamo che non potesse andare peggio, ci sbagliavamo.
Le sentivamo. Sentivamo tutte le sue urla, dalla stanza accanto: e avremmo davvero voluto chiudere gli occhi e risvegliarci altrove. Purtroppo, non è così che funziona la vita. Non si può chiudere gli occhi e fuggire, i problemi ti vengono incontro, e non ti girano attorno solo perché vorresti evitarli. Devi dare il tutto per tutto, che ti piaccia o meno.
E noi non potevamo chiudere gli occhi.
Le sue grida erano strazianti, grida di dolore, di chi si sente la carne strappata di dosso, di chi, impotente, non può difendersi.
Non avevamo idea di cosa le stesse facendo, ma era chiaro che lei soffriva, soffriva terribilmente.
Presto, la grida iniziarono a scemare, intervallate da deboli suppliche. Gli stava chiedendo di ucciderla, di porre fine alla sua vita, perché qualsiasi cosa era meglio che continuare quella tortura orribile. Qualunque cosa.
Io ero li, col capo chino, per la prima volta senza la minima idea di cosa fare.
Lo vedevo, con le mani tra i capelli, cercando di soffocare i singhiozzi.
Era così indifeso, quando si trattava di lei, così innocente.
Non potevo sopportarlo, era troppo. E la sola idea di non riuscire a essergli di aiuto mi distruggeva dall’interno, impedendomi di pensare.
E il bello era che, in mezzo a tutto quello, io non facevo che pensare che a noi. Alla nostra storia. Al nostro amore. Perché una parte di me era gelosa, terribilmente, mortalmente gelosa. Gelosa dei sentimenti che provava per lei, di quell’affetto che non era mio. Avrei voluto esserci io li, per quanto egoistica fosse la mia aspirazione. E soffrivo, sebbene cercassi di nasconderlo.
Ci vollero ore, ma alla fine tornò.
Già, quel mostro fece ritorno.
Comparve sulla soglia, pulendosi le mani imbrattate di sangue scuro con uno straccio color pece. Dietro di lui, un gruppo di soldati in nero reggeva una branda, dalla quale riuscimmo a scorgere il corpo esanime che Arianne, il respiro debole a causa delle sofferenze subite. La depositarono nella cella, e subito Jakhaal le fu a fianco, osservando scioccato il corpo quasi irriconoscibile di lei.
Il Demone sorrise, girando i tacchi e scomparendo, lasciandoci finalmente soli.
Tornai a fissare il mio compagno, che, gli occhi sgranati dal terrore, osservava le membra spossate della donna che amava, solo un miraggio della sua bellezza passata. La pelle era costeggiata da una miriade di profondi tagli purpurei, lividi ormai violacei e scure ustioni, mentre un liquido giallognolo fuoriusciva lento da quelle ferite, sempre più infette e letali. Eppure, nonostante tutto, lei era viva, e continuava a respirare.
Non mi ci voleva molto per capire che Belzebub aveva calibrato con freddezza micidiale la quantità di sofferenze da infliggerle, assicurandosi di non lasciarla morire in modo, poi, da proseguire le torture una volta ripresa.
Strinsi i denti, furiosa.
Anche se era la mia rivale, anche se lui amava lei, e non me, anche se avevo mille motivi per odiarla, non potevo tollerare ciò che quel mostro le aveva fatto. Era semplicemente inaccettabile, specialmente per me, un’elfa. Ero stata cresciuta nel rispetto per la vita, nell’idea che nulla contasse quanto il prendersene cura, e li invece mi trovavo di fronte a un essere senza scrupoli, che non esitava a distruggere gli altri pur di raggiungere i propri scopi malvagi.
Non riuscivo a sopportarlo, semplice.
Eppure, ero impotente.
Presso quella dimensione di fuoco, il mio potere delle piante era praticamente inutile, e come se non bastasse ero già spossata dallo scontro con la Sacerdotessa, e non avrei potuto fare qualcosa nemmeno volendo.
Guardai Jakhaal.
Stava tremando di rabbia, gli occhi fissi nel vuoto, mentre intorno a noi il terreno iniziava lentamente a fremere, e scosse sempre più forti si disperdevano nel castello.
Sussultai.
Non era la prima volta che perdeva la testa in quel modo, e non potevo assolutamente permettere che accadesse di nuovo. Come quella volta … l’ultima, da quando ci eravamo lasciati. Da quando la vita, per me, aveva smesso di scorrere.
Mi gettai sulle sue spalle, cercando di frenare la sua rabbia crescente, abbracciandolo e parlandogli, ma era tutto inutile.
Sapevo bene che uno sfogo di potere simile può quasi uccidere un Guardiano, e non volevo rivederlo fermo, immobile, quasi morto, osservarmi dal letto. Non potevo permetterglielo, ma non potevo fare niente.
Le scosse si fecero sempre più potenti, sconvolgendo la struttura fin dalle fondamenta, ma fortunatamente, un muro di roccia si frappose tra noi e la pioggia di detriti e massi cadenti, impedendoci di venire travolti.
Il rombo fu così forte da distruggere quasi i timpani, e fui costretta a buttarmi a terra, mentre in lontananza sentivamo le urla disperate dei nemici che venivano coinvolti nel crollo, mentre tutta l’ala in cui ci trovavamo veniva completamente distrutta, e il terreno si alzava, deformato, radendo al suolo tutto ciò che incontrava.
Dopo alcuni minuti, potei finalmente sentire le scosse scemare, e quando alzai lo sguardo lo trovai li, pallido come un lenzuolo.
Arianne, finalmente sveglia, era riuscita, nonostante il notevole sforzo, ad avvolgerlo in un caldo abbraccio, sussurrandogli calde parole di conforto nelle orecchie e placando, infine, la sua rabbia.
Sospirai.
Dopotutto, non avrei dovuto esserne così sorpresa.
Forse, quando ancora c’era qualcosa a unirci, avrei potuto essere io quella in grado di raggiungerlo, ma ora, che era tutto finito, quel ruolo non spettava più a me, ma a lei. Solo lei avrebbe potuto fermarlo. E così era andata.
Abbassai lo sguardo, mentre il dolore mi dilaniava il petto.
Perché sapevo, forse anche troppo bene, che non avrei mai potuto riprendermi quel posto, e che per me era finita.
Strinsi i denti, cercando di sotterrare la mia sofferenza in un angolo remoto del mio cuore, dove non avrebbe potuto ferirmi, e li guardai, abbracciati, piangere in silenzio.
Mi avvicinai, sfiorando appena la spalla di lui, ora pallido come un lenzuolo.
Fortunatamente, non si era spinto troppo oltre, perché lei era riuscita a fermarlo in tempo, eppure potevo vedere la fatica fiaccargli il volto mentre, sorridendo teso, cercava disperatamente di non perdere i sensi.
Ridotti in quello stato, dovevamo assolutamente muoverci.
Se ci avessero raggiunti, per noi sarebbe stata la fine, e per quanto odiassi dovermi intromettere in quel modo non avevo altra scelta.
Restare era ormai troppo pericoloso.
Le mura delle celle erano crollate. Molto probabilmente, non avremmo mai avuto un’altra occasione come quella: dovevamo assolutamente approfittarne finchè eravamo ancora in tempo.
“Andiamo. Tra poco le guardie saranno qui, e noi dovremo essere già lontani. Il più possibile se vogliamo avere qualche chance di vittoria.”, dissi, e lui annuì, alzandosi e prendendo, nonostante l’evidente sforzo, Arianne in braccio.
La ragazza era spossata.
Ormai riusciva a stento a tenere gli occhi aperti, per cui non avrebbe mai potuto camminare da sola.
Ci dirigemmo verso l’esterno delle segrete, scavando tra le macerie e facendoci strada troppo, troppo lentamente. Di quel passo, saremmo stati sicuramente raggiunti.
“Dobbiamo fare in fretta, non abbiamo molto tempo.”, dissi, cercando di farmi strada, ma ottenendo ben pochi risultati, “Il terremoto li terrà impegnati per non più di un paio d’ore, e da quel che ci ha detto Elayne, il Frutto si trova dall’altra parte della fortezza. E dobbiamo anche trovare Elzabeth … non abbiamo idea di dove sia.”
Jakhaal scosse il capo, fermandosi, sfinito.
Mi voltai a guardarlo, e sentii il cuore perdere un colpo.
Conoscevo quello sguardo.
Lo avevo visto troppe volte, durante le nostre missioni. In quei casi, però, non eravamo mai stati messi così alle strette, e la possibilità di morire non ci era mai stata tanto vicina.
Gli occhi di lui erano illuminati da una scintilla di determinazione mentre, spossato, posava il corpo di Arianne contro una parete, e diceva, evitando il mio sguardo: “Tu va senza di noi, ti raggiungeremo dopo. Quando ci saremo ripresi.”
Sentii la rabbia invadermi. Sapeva fin troppo bene cosa avevo sempre pensato di quel genere di atti suicidi, per questo aveva evitato di guardarmi, voltandosi di lato. “Non se ne parla nemmeno. Non vi lascio qui senza protezione.”
Lui scosse il capo: “Ho abbastanza energia da nasconderci tra le rocce. Utilizzerò una delle mie tecniche di mimetizzazione, e con un po’ di fortuna nessuno riuscirà a trovarci. Tu devi proseguire, senza il Frutto, non possiamo fare nulla … siamo impotenti.”
Mi morsi il labbro, mentre la mia mente galoppava, rapida: “Sai bene che quella tecnica è piena di difetti. Non funziona a brevi distanze, e inoltre è del tutto inutile con chi ci è superiore. Se passasse di qui Belzebub, o Lilith, saresti spacciato, e lo sai bene. Non posso mollarvi qui da soli, non riuscireste nemmeno a combattere.”
Mi guardò, improvvisamente serio: “Senti. So cosa provi, ma i soldati saranno impegnati con le macerie per ore. Nessuno cercherà di raggiungere questo posto. Quindi vai, e non preoccuparti per noi. Troveremo un rifugio, e finchè non ci saremo ripresi resteremo li, al sicuro.”
Sospirai, rassegnata.
Sapevo bene come, in casi come quello, fosse impossibile spostarlo dai suoi propositi.
Annuii, poco convinta, e mi voltai.
Corsi, fuggendo da quell’incubo, cercando con tutta me stessa di non voltarmi indietro, di non tornare da lui, sperando, con tutta me stessa, che chiudendo gli occhi sarebbe finito tutto.



Note dell'Autrice:
Tornata.
Come avete potuto vedere, questo capitolo da il via alla parata dei sad moments!
Bhe...dai, finora non ci sono stati troppi danni, e quindi un piccolo cambio di atmosfera di voleva, no?
Eh, si...da ora in avanti si inizia a fare sul serio!
Tranquilli, nel prossimo capitolo torneremo con la nostra Elayne, a vedere cosa è successo alla sua allegra compagnia dopo la caduta nel baratro...incrociamo le dita e speriamo bene!
Ora come ora, ringrazio tutti quelli che mi hanno seguita e che continuano a seguirmi, spero veramente che questa mia piccola storia vi stia coinvolgendo! Ci ho lavorato parecchio e quindi sono proprio ansiosa di sentire altri pareri in proposito, e tranquilli, sono aperta a tutte le critiche! Ringrazio anche EragonForever, onlyfanfiction e SeiraBrizzi, per le loro recensioni!
Alla prossima!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo XVI-Lilith, la Portatrice del Dolore ***


Capitolo XVI
Lilith, La Portatrice del Dolore
 

(Castiel)


Ohhh, era ora!
Finalmente un po’ di spazio anche per me.
Brutti megalomani, sempre a ciacolare, e intanto io rimango qui in un angolino senza fare niente. Comunque, ora tocca a me, e se vi mettete in mezzo vi incenerisco.
Specialmente te, Mr. Ghiacciolo!
Bene, che dire?
Mi risvegliai con la testa che pulsava, un dolore assurdo. Certo, non era la prima volta … con tutte le bevute epiche che mi son fatto, mi era capitato così spesso che non saprei nemmeno dirvi il numero, ma quella volta era molto peggio.
Mi sentivo come se fossi stato appena travolto da un drago in volo.
Feci per alzarmi, ma quando vidi quel dolce musetto appoggiato e addormento sul mio petto, mi passò completamente la voglia.
Sarei rimasto a fissare Elayne per ore.
Sfortunatamente per me, però, Chrystal si era già alzato, e ci fissava con quel solito sguardo assassino. Per cui, alla fine, decisi di alzarmi, scuotendo appena la mia compagnia, che aveva usato il suo potere per creare una rete di elettricità in modo da attutire la caduta … perdendo in cambio i sensi. Lo sforzo doveva essere stato immane.
“Dove siamo?”, chiese, guardandosi attorno, mentre Gored si stiracchiava dietro di lei. Gli andai incontro, cercando ferite o tagli, e mi sentii subito meglio nel constatare che era in splendida forma.
Non avrei potuto sopportare di perderlo.
Ci guardammo attorno.
Eravamo in un profondo crepaccio, largo si e no una ventina di passi, per cui il mio compagno squamato faceva non poca fatica a muoversi, cercando in tutti i modi di non finirci addosso.
Fortunatamente, eravamo lontani dalla fortezza, e in un luogo che conoscevo abbastanza bene.
“Io credo di avere un’idea.”, dissi, raggiungendo una parete sporgente, appena più chiara rispetto al resto del muro.
Mi raggiunsero, guardandomi perplessi.
Chrys alzo un sopracciglio, cinico, al che mi preparai all’ennesima delle sue frecciate: “Wow, una roccia. È la prima volta che ne vedo una, in questo paese di magma e roccia … davvero sorprendente. Cosa dovremmo vedere con esattezza?”
Elayne alzò gli occhi al cielo, e io sorrisi.
“Caro il mio so-tutto-io, la domanda giusta sarebbe –Cosa NON dovremmo vedere-!”, dissi, pigiando appena la mano in un foro nella parete e azionando un dispositivo a scatto. Con un lieve stridore, il muro in roccia iniziò a spostarsi di lato, rivelando un lungo tunnel scavato al suo interno, illuminato qua e la da alcune torce accese.
Ghignai, vedendo la faccia da pesce lesso di lui, e iniziai a spiegare: “Quando io ed Elayne ci siamo incontrati, io ero entrato attraverso questo passaggio. È una cosa comune in questa zona, siamo vicini al Regno Sotterraneo, l’Impero dei Nani, e un tempo questi tunnel erano usati per scambiare le merci con noi. Ce ne sono moltissimi come questo che corrono sotto tutta la zona, c’ho messo mesi per fare una piantina e trovare quello che mi serviva. Ma ne è valsa la pena.”
Chrystal sospirò, guardandomi: “Siamo certi che ci porti dritti a destinazione? Non vorrei rimetterci le penne, per il tuo –passaggio sicuro-.”
“Tranquilli, odio doverlo dire, ma penso che mio fratello sappia cosa sta facendo.”, la voce ci sorprese alle spalle, al che fummo costretti a voltarci, mettendoci all’erta.
Odiavo quella voce, e avrei potuto riconoscerla tra mille.
Infatti, Castor era li.
Non pareva passarsela esattamente bene.
Lo sguardo solitamente strafottente era spento, fiaccato, e l’armatura prima luccicante era ora ammaccata e rotta in più punti. Un profondo taglio rosso gli imbrattava la gamba, e una delle sue corna era completamente rotta, come se fosse stata strappata via di netto. Cercò di sorridere, ma non ebbe molto successo: “Non appena l’allarme per la vostra fuga si è sparso, Caesar ha inviato me e alcuni uomini fidati a cercarvi.”, abbassò lo sguardo, era la prima volta che vedevo i suoi occhi luccicare, “Non ci aspettavamo certo un esercito ad attenderci. I miei uomini sono morti tutti, e anche Alistair … anche lui non ce l’ha fatta …”
Sentii il cuore sprofondare.
Era vero, Castor si era sempre comportato come un pezzo di merda nei miei confronti.
Però, aveva perso il suo drago. E per quanto noi Draconiani possiamo essere diversi, ci sarà sempre una cosa ad accomunarci: il Legame. Perché nessun Draconiano vale niente senza il proprio Drago, sono come una parte di noi, sono la nostra anima: non possiamo perderli, e loro non possono perdere noi.
Mi morsi il labbro.
Avevo sempre pensato che quel colosso avesse dei problemi.
Era una dannata testa calda, come il suo padrone, ma era anche un guerriero, e sapevo che sarebbe morto pur di proteggere il suo regno.
Strinsi i pugni, e feci la cosa più incredibile e assurda che mi sarei mai sognato di fare. Lo abbracciai.
Si! Ok, l’ho ammesso!
Ho abbracciato quel demente di mio fratello!
Contenti ora?
Bhe, che altro avrei dovuto fare?
Era distrutto, e io li ero il solo a poterlo capire. Persino Gored si calmò, smettendo di fissarlo truce e guaendo appena, triste.
“Ci aiuterai?”, chiesi, e quello annuì.
“Se qualcuno qui sta ordendo contro il nostro paese, allora è mio dovere ammazzarlo di botte fino a mandarlo all’altro mondo. E poi devo restituirgli quello che ha fatto al mio Alistair, non potrei mai tornare a casa, senza averlo vendicato come si deve.”, disse, spostando il suo sguardo su Elayne e Chrystal, e dicendo, “Mi dispiace. Mi sono comportato in modo orribile nei vostri confronti. Non abbiamo creduto alle vostre parole, e questo è il risultato. Farò il possibile per sdebitarmi, spero che possiate scusare me e i miei fratelli, per la nostra incomprensione.”
Si inginocchiò, chinando il capo.
Alzai un sopracciglio.
Non l’avevo mai visto inchinarsi a qualcuno, nemmeno a nostro padre.
Solo con Caesar si abbassava a tanto, quindi, vederlo fare una cosa simile, mi lasciò decisamente a bocca aperta.
Elayne sorrise: “Tranquillo, non ti portiamo rancore. Volevi proteggere il tuo regno, è naturale. Ora però dobbiamo andare.”
Chrys sbuffò, e in un attimo il bel momento andò in frantumi. Seriamente, quel ragazzo dovrebbe smetterla di spezzare le atmosfere importanti e rovinare la festa agli altri. Sembra quasi che lo faccia apposta.
“Ok, Ok … parla per te però. Io non mi sono dimenticato di tutte le tue insopportabili torture!”
Castor alzò un sopracciglio, e io mi feci pensieroso.
Torture?
Ok, era vero, forse quando faceva prigionieri tendeva un po’ troppo a farsi prendere la mano, con quei discorsi sul dolore, e il sangue, e le macchine ammazza persone … ma torturare qualcuno?
Lo fissai, e lui alzò le spalle, senza sapere cosa dire. La risposta, però, arrivò di nuovo da Chrystal: “Certo, torture! Hai idea di cosa sia stato stare a sentire tutti i suoi sproloqui sulla morte e stronzate varie?!? Stavamo morendo! E non perché stessimo effettivamente male, dico solo che in quel momento ognuno di noi ha considerato l’idea di ammazzarsi solo per il piacere di sentirlo smettere!”
Quello si alzò, indignato: “Ehi! Guarda che non sono stato proprio così orribile!”, si voltò verso Elayne, e lei alzò le mani: “Bhe … ehm, ecco … come dire. Effettivamente un po’ spossante lo sei stato.”
Sorrisi: decisamente, alla fin fine, Castor era sempre Castor.
“Andiamo, non abbiamo molto tempo, dobbiamo trovare gli altri e recuperare il Frutto.”, feci, e mi voltai …
Andando a sbattere dritto dritto contro un energumeno dai capelli rossi, che mi fissava dall’alto in basso, sghignazzando divertito.
“Andare, e dove? Non lo sapete che non si organizzano feste senza invitare gli ospiti d’onore, vero? Ah, giusto. Io sono Belzebub, Primo Generale degli Inferi. E voi state per diventare il mio pasto!”
Inutile dire che sbiancammo di netto.


(Chrystal)

Aspettate un secondo, si può sapere perché dovrei essere io a finire la storia?
Eddai, ha completamente rovinato la trama!
Anche col mio genio letterario (Jakhaal, non ridere!) non potrei mai rimediare ai suoi danni!
Ok, bhe … se me lo chiedi tu …
Dove eravamo arrivati?
Giusto, Belzebub.
Premesso il fatto che quel tipo aveva un nome a dir poco ridicolo, inizierei col dire che la situazione non ci metteva affatto in una buona posizione.
Sebbene fossimo in quattro, eravamo tutti ancora scossi dalla caduta, e il Principe Sadico (Castor) era ridotto a uno straccio. Certo, avevamo anche Gored, ma in quel baratro riusciva a stento a muoversi, per cui, di fatto, era del tutto inutile. Proprio come il suo padrone, se posso dire la mia.
Fatto stava che quel Demone si era posizionato proprio di fronte all’ingresso del tunnel, per cui ci sarebbe stato impossibile evitarlo. L’alternativa era salire il crepaccio, rischiare di essere beccati e fare il giro dell’oca per raggiungere la fortezza.
E l’idea non allettava proprio nessuno.
Avevo già evocato il mio Frutto, che in quel momento scintillava, coperto di ghiaccio e brina, tra le mie mani.
Sono sempre andato parecchio fiero di quell’arma. Un lungo bastone in una leggerissima lega di argento e carbonio, con un nucleo di gelo liquido all’interno, in grado di congelare qualsiasi cosa con cui entri in contatto. Eccetto me, ovviamente. Per essere sincero, avrei tanto voluto testarlo almeno una volta sul Fiammifero Ambulante, ma non se ne è mai presentata l’occasione.
Dovrò scrivermelo da una parte.
Il problema era che, comunque, il nostro svantaggio c’era, e ci avrebbe obbligatoriamente costretti a dividerci.
La proposta giunse proprio da Castor. L’essenza della generosità e del sacrificio … seh, se posso dire la mia, aveva solo voglia di tirare qualche mazzata in giro. Altro che gentilezza. D’altro canto, però, cattivo sangue non mente mai.
“Andate.”, fece, fissando ostile il Demone che, mogio mogio, ci osservava, come calibrando le nostre capacità.
Lo fissammo, sconvolti.
“Fermo un secondo!”, fece Elayne, dando voce anche ai miei pensieri, “E come pensi di sconfiggerlo da solo?”
Castiel sghignazzò: “Mica sarà solo. Ci fermeremmo entrambi. Non posso mollare così mio fratello. Certo, forse una volta lo avrei fatto, ma ormai è acqua passata. E poi, qualcuno dovrà pur farlo, no?”
Lei impallidì, cercando debolmente di balbettare qualche scusa che lo costringesse a venire con noi, senza trovarne.
Sbuffai, voltandomi di lato.
Certo, fossi stato io al posto suo, mi avrebbe lasciato qui senza battere ciglio.
Cercai di ignorare la scena, ma alla fine il mio istinto l’ebbe vinta, e quando mi voltai era tra le braccia di quel troglodita fiammeggiante, che singhiozzava appena, chiedendogli di non morire.
E che cazzo!
No, quello era troppo.
Avevamo una missione!
Certe scene si potevano anche posticipare. Anzi, si potevano anche evitare del tutto.
La presi per la collottola, borbottando: “Si, si … oddio, sto morendo di tristezza. Abbiamo un incarico, ricordi?”
Quello mi fissò, truce, prendendomi per il bavero e ringhiando: “Ora dammi anche solo un valido motivo per non incenerirti le palle, Frigorifero!”
Un battito di mani, ci voltammo.
Castor osservava la scena, ridendo: “Magnifico fratellino, proprio magnifico! Però devi lavorare un po’ di più sull’atmosfera da sadico. Se vuoi posso aiutarti.”
Ci fissammo.
Odiavo dirlo, ma quel poveretto mi face quasi pena.
Insomma, vivere con un tipo simile?
Quello si che deve essere un Inferno!
Sospirammo, sotterrando temporaneamente le asce di guerra, mentre lui e Castor si apprestavano allo scontro.
Ci voltammo, prima di imboccare il tunnel, e lo fissai.
Feci un sospiro.
Certo, non era bello doverlo ammettere, ma non doveva morire. Non che a me importasse molto, ma se ci avesse rimesso le penne Elayne sarebbe stata certamente male, per cui gli dissi, furioso: “Ehi, Fiammifero!”
“Si?”, chiese, forse pronto a reagire a un’altra provocazione.
Abbassai lo sguardo: “Non crepare, Ok? Solo io ho il diritto di ammazzarti di botte!”
Quello si esibì in un sorrisone a trentadue denti, e alzò il pollice, forse convinto di apparire più figo: “Non ci penso nemmeno. E non morire neanche tu, chiaro? Mi devi una rissa!”
Annuii, poi ci voltammo, lasciandoli al loro avversario senza più guardarci alle spalle.


(Elayne)

Ora vado avanti io.
Che dire?
Proseguimmo per quelle che ci parvero ore, ma forse erano solo pochi minuti.
Il corridoio si disgregava in salite e discese continue, senza mai fermarsi, e voltando spesso direzione, al punto che, dopo solo pochi passi, perdemmo completamente il senso dell’orientamento.
Cosa non molto strana per me, visto che sono il genere di persona che si perde anche nella sua stessa casa, per Chrystal un po’ meno, visto che solitamente non ci metteva molto per memorizzare la pianta dei posti nuovi in cui ci trovavamo.
Io stessa, quando eravamo al Mausoleum, fui costretta a ricorrere fin troppo spesso al suo aiuto … anche solo per trovare il bagno.
Ovviamente, me lo rinfaccia tutt’ora.
Fatto sta che, alla fine, il percorso iniziò a salire in modo sempre più costante, mentre il passaggio si restringeva e ci costringeva a procedere a capo chino e in fila, fino a quando non raggiungemmo una botola.
La alzammo, guardandoci attorno, in cerca di eventuali nemici.
Niente, il corridoio in cui eravamo appena comparsi era completamente vuoto.
“Allora, ricordi la strada?”, chiese lui, impugnando il suo Frutto e fissandosi attorno, visibilmente teso.
Socchiusi gli occhi, e subito il percorso che avevo visto durante il sonno mi comparve nella mente, chiaro come non mai.
“Certo, non è lontano. Seguimi.”, feci, prendendolo per un braccio e costringendolo a venirmi dietro.
Si guardò attorno, poi si bloccò, costringendomi a fermare la mia corsa: “Che c’è adesso?”
Lui mi fece cenno di guardare dalla finestra, che dava direttamente sul lato ovest della struttura. Mi avvicinai, e alzai un sopracciglio.
“Ehm … siamo sicuri che qualcuno non ci abbia preceduti? Quella zona è completamente distrutta!”, dissi, accennando a quell’area della fortezza, crollata in più punti e pullulante di uomini in armatura e inservienti, intenti a portare in salvo i feriti.
Scosse il capo: “Mi sembrava strano che in un posto così vicino al Frutto non ci fosse nemmeno una pattuglia. Evidentemente qualcuno ha causato un terremoto, e io ho una mezza idea di chi possa essere stato.”
Alzai un sopracciglio: “Jakhaal? Aspetta, un Guardiano può scatenare veramente tutto quel potere?”
Sospirò: “Si, se ha una certa esperienza alle spalle. Tuttavia, la sola volta che l’ho visto fare una cosa simile era a causa di uno shock molto forte … forse, hanno trovato dei problemi.”
Mi voltai, osservando la zona distrutta: “Dovremmo aiutarli. Può essere potente quanto vuole, ma una cosa simile di sicuro lo avrà spossato. Potrebbero aver bisogno del nostro aiuto.”
La mano di lui si posò sulla mia spalla, mentre mi fissava, serio: “Non possiamo, lo sai. Prima dobbiamo recuperare il Frutto, poi ci occuperemo di loro.”
Odiavo dovergli dare ragione, ma era vero. Senza il Frutto, nemmeno io potevo molto.
Annuii, inviandomi decisa per i corridoi ormai deserti.
Fu quando voltammo l’angolo che la notammo.
Una figura minuta, magra, dai corti capelli color dell’oro, appoggiata contro lo stipite del grande portone che dava accesso al luogo in cui era contenuto il Frutto.
Sussultammo, mettendoci subito in guardia e osservandola.
“Ehm, sono io o …”, feci per dire.
“Si, nemmeno io riesco a percepire la sua essenza vitale. Non è normale, nessuno è privo di energia … questa qui ci stava aspettando. E se ha soppresso così il proprio potere, forse è molto più pericolosa di quanto non sembri.”, disse, mentre lei, tranquilla, ci si avvicinava, sorridendo.
“Evviva. Complimenti, almeno voi non fate aspettare troppo. Non posso dire lo stesso dei vostri amici, però.”, fece, mentre rilasciava il suo potere, e dense nubi di fumo nero la avvolgevano.
Tremai, mentre la mia mente arrivava alla sola soluzione possibile.
“Tu, sei la sorella di Apophis, giusto? Una delle figlie di Nidhoggr.”, feci, mentre lei annuiva, in risposta.
“Esatto. I miei uccellini mi hanno detto che hai avuto un piccolo incontro con il mio fratellino, e non ti è andata esattamente bene. Tranquilla, non sono interessata a te ora: se non hai fatto nulla a lui, con me avresti già perso in partenza.”, disse, spostando lo sguardo su Chrystal, sorridendo.
Lo fissai: “Fermo, non vorrai veramente batterti con lei, vero?”
Mi fissò, truce: “Ehi, ti ricordo che, teoricamente, tu qui sei ancora una cadetta. Faccio questo lavoro da cinquant’anni ormai, e il mio potere ho imparato a controllarlo da ben più tempo di te. Non mettermi sul tuo stesso piano, perché sai bene che, anche se sei l’Eletta, hai ancora molta strada prima di potermi tenere testa.
Forse tu con Apophis non avrai avuto molta fortuna. Tuttavia eri da sola, e te l’eri appena vista brutta con un esercito di basilischi, quindi partivi già svantaggiata. Qui invece è diverso. Siamo in due, e io ho il mio Frutto. Inoltre, a giudicare dall’aspetto della nostra compagna …”, disse, accennando agli abiti strappati e sgualciti di lei, “… il crollo causato da Jak nell’Ala Ovest le ha dato dei bei problemi, per cui, teoricamente, non dovrebbe nemmeno avere molte energie ora.”
Lei alzò un sopracciglio, sorpresa: “Ottima valutazione. Tu devi essere Chrystal, il Guardiano di Chion. Se non erro, la tua è stata la prima, delle Nove Dimensioni, a cadere sotto il nostro controllo.”
Era la prima volta che lo vedevo così furibondo.
Digrignò i denti, fissandola truce, mentre gli occhi, solitamente glaciali, assumevano nuovamente quella sfumatura color sangue.
Tremai.
Era strano, ma quando era in quello stato sentivo sempre il corpo gelarsi, come un cervo di fronte al suo predatore naturale. Non avevo idea di che creatura fosse con esattezza, ma una cosa era chiara: non aveva nulla di umano.
Guardammo la nostra avversaria, e capimmo che, decisamente, quella sarebbe stata una lunga, lunga, giornata.



Note dell'Autrice:
Rieccomi di nuovo!!!
Bhe, ormai la missione di recupero del Frutto è entrata nel fulcro dell'azione.
Inizialmente, questo capitolo avrebbe dovuto contenere anche lo scontro per intero, e un'altra piccola parte del proseguo, ma mi sono resa conto che c'erano decisamente troppe cose da raccontare, per cui alla fine ho deciso di dividerlo in due parti.
I nostri amici si sono nuovamente divisi.
Tuttavia, per sapere come se la passano Castor e Castiel, dovrete attendere almeno fino al capitolo dopo il prossimo, che sarà anche parecchio avvincente, e un con un paio di sorpresine che per ora non vi sto certo a dire.
Ora come ora, spero che la ricomparsa di Castor e la sua riconciliazione definitiva col fratello sia stata di vostro gradimento, e credetemi se vi dico che avremo modo di ritornare su loro due.
Chrys ed Elayne invece dovranno vedersela con Lilith, unico ostacolo che li separa dal compimento della loro missione, e poi, ovviamente, dobbiamo vedere come se la passano gli altri.
Tante cose da risolvere, insomma!
Ringrazio, come sempre, tutti quelli che mi seguono, e gli utenti SeiraBrizzi, onlyfanfiction, EragonForever e Vago per le loro recensioni.
Alla prossima!
Theot

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo XVII-Perdita di controllo ***


Capitolo XVII
Perdita di controllo
 

(Chrystal)


Ok, forse mi ero un po’ sbagliato.
Fu questo il pensiero che mi passò per la mente quando, alcuni minuti dopo l’inizio dello scontro con la Figlia di Nidhoggr, io ed Elayne venimmo gettati, per l’ennesima volta, contro la parete opposta dell’ampio corridoio in cui ci trovavamo.
Ormai, era da un po’ che avevamo iniziato, e per quanto, almeno per allora, riuscissimo a tenerle testa, era più che chiaro che, prima o poi, saremmo stati costretti a retrocedere. Certo, la nostra difesa riusciva ancora a reggere ai suoi colpi, ma a fatica, ed era fin troppo evidente come non mancasse molto prima che entrambi finissimo con l’esaurire le nostre energie.
Lilith utilizzava, per combattere, una corta e leggera sciabola nera, dal filo seghettato e dall’aria tutt’altro che confortevole. Era più che evidente che quell’arma non era stata pensata che per un solo scopo, ossia per procurare dolore. La lama, dal filo scheggiato e acuminato, non si limitava a tagliare, ma tranciava nel vero senso della parola le carni dei nemici, causando ferite estremamente dolorose e irregolari. Inoltre, come se non fosse sufficiente, era in grado di evocare una densa nebbia, estremamente corrosiva, che la proteggeva dai nostri colpi, anche se per un raggio abbastanza breve.
Riassumendola in poche parole: eravamo nei guai fino al collo.
Sebbene Elayne cercasse in tutti i modi di partecipare attivamente allo scontro, io ero sempre lì, cercando di limitare i suoi interventi e prendermi il carico maggiore da gestire, perché sapevo fin troppo bene che, con le sue abilità, non poteva ancora permettersi di stare in prima linea senza rischiare grosso.
Come conseguenza, ero anche quello messo peggio.
Profondi tagli seghettati mi avevano ormai coperto di rosso i vestiti, e anche se ero riuscito a fermare le emorragie più gravi col mio ghiaccio, ciò non toglieva il fatto che ormai ero al limite.
Per fortuna, anche la nostra avversaria pareva non passarsela esattamente bene.
La mia idea di congelare il pavimento, rendendolo un conduttore ideale per i fulmini di Elayne, l’aveva costretta a far comparire due grandi ali da demone, che se da un lato le permettevano di combattere anche in aria, dall’altro la limitavano non poco.
Ansanti, ci osservavamo, cercando di trovare una falla gli uni nelle mosse degli altri.
“Chrys … dobbiamo darci una mossa.”, la voce stanca di Elayne mi raggiunse le spalle, e mi voltai appena, fissandola.
Corrugai le sopracciglia.
Aveva dato fondo alla quasi totalità della sua riserva di potere, per cui era ormai pallida e tremante, e si reggeva a stento in piedi.
Tornai a fissare Lilith, sospesa a mezz’aria e con un profondo taglio che le impiastricciava di sangue scuro il fianco. Per quanto ancora sarebbe durata?
Io e lei eravamo ormai sfiniti, e quella tipa non accennava a mollare l’osso.
“Sta indietro, d’ora in avanti ci penso io.”, feci, nonostante sapessi bene come, in quel caso, avrei rischiato di vedermela brutta.
Lei fece per protestare, ma le scoccai un’occhiataccia.
Non potevo permettere che morisse.
Era l’Eletta, se fosse morta, nessun altro avrebbe potuto sconfiggere Nidhoggr. E questo era la sola cosa che contasse.
Dovevo fare in modo che, anche se ci avessi rimesso le penne con Lilith, lei fosse comunque in grado di prendere il Frutto, raggiungere gli altri e portare a termine la missione. E per farlo doveva risparmiare le forze.
Strinsi i denti.
Odiavo l’idea di lasciarla, e quindi sapevo bene che non avrei potuto morire, per nulla al mondo.
E non morire neanche tu, chiaro? Mi devi una rissa!
Sorrisi. Miseria, e dovevo anche mantenere quella promessa.
Chiusi gli occhi, sospirando.
E va bene.
Sapevo che avvicinarsi a quella nebbia tossica era una follia, ma non mi restava altra scelta. Dovevo allontanarla dalla porta, e permettere, anche solo per un istante, a Elayne di prendere il Frutto.
Mi gettai in avanti, ignorando le grida di avvertimento di lei e raggiungendo, in pochi secondi, il punto in cui si trovava la nostra avversaria.
Lilith mi fissò, sorpresa e incerta. Era la prima volta, dall’inizio dello scontro, che tentavamo di portare la lotta a una distanza tanto ravvicinata. Con i nostri poteri, e la sua nebbia corrosiva, avevamo sempre cercato di tenerci a una distanza di sicurezza, per non venire colpiti.
Quindi quella mossa l’aveva spiazzata non poco.
Sorrisi, mentre la bloccavo a terra, e la nebbia iniziava a corrodere, letale, il mio corpo.
Sentii le mie carni venire lacerate, il ghiaccio che proteggeva le ferite sciogliersi e il sangue ritornare a colare caldo sulle vesti, mentre un dolore ancestrale mi riempiva la testa, congelandomi le membra e impedendomi di ragionare.
Eppure tenni salda la presa.
Anche mentre, lentamente, la mia mente iniziava a cadere nell’oblio.


(Elayne)

Era un idiota.
Ok, forse quello dovevo già saperlo.
Ma ci tengo a ribadirlo: Chrystal è un idiota.
Gettarsi in quel modo tra le braccia del nemico? Con quella nebbia assassina dalla sua parte? Chi sarebbe così imbecille da pensare a una cosa simile?
Eppure, non persi un secondo.
Sapevo che stava cercando di guadagnare tempo per permettermi di prendere il Frutto, e per quanto desiderassi con tutta me stessa di poter mollare tutto e correre ad aiutarlo, sapevo anche di non potermi permettere una cosa simile.
Mi costò uno sforzo immane, ma corsi verso la porta, spingendola per entrare.
L’interno era una semplice stanza pentagonale, con le pareti interamente in marmo nero, delimitate agli angoli da imponenti colonne doriche, mentre proprio al centro stava un altare scuro, sempre in marmo color inchiostro, e posato su di esso un cuscinetto ametista, con intarsi dorati.
Luccicante come di vita propria, il mio Frutto era lì, come in mia attesa.
Il tempo mi parve rallentare.
Dall’esterno, i rumori si fecero sempre più ovattati, remoti, deboli, mentre la mia mente iniziava a registrare ciò che mi accadeva intorno come fossi in un sogno, e una forza inarrestabile, un flusso incredibile mi conduceva verso quella gemma dalle accese sfumature blu elettrico. Mille increspature dei colori dell'azzurro e dell'indaco pulsavano, come vene piene di vita, al suo interno, mentre quell’oggetto, come vivo, iniziava ad attrarmi a esso, senza che potessi far nulla per opporre resistenza.
Tesi la mano, trepidante, e in un attimo sentii una scossa di energia, nuova e fresca, travolgermi le membra, lenendo il dolore delle ferite e spazzando via la stanchezza come acqua pura.
Lentamente, il Frutto iniziò a mutare, sotto le mie mani, mentre la sua forma si allungava, fino a prendere le sembianze di una lunga katana.
Il pomolo, in oro, raffigurava un kishin ruggente, mentre l’elsa soffice era rivestita in un morbido velluto nero, e la lama, seghettata e sempre color inchiostro, pulsava di vene ametista, che parevano renderla viva.
Bhe … suppongo che un ciao sia di dovere. Anche se, visto il tuo ritardo, più che salutarti in questo momento vorrei veramente tanto tagliarti a fettine.
Mi guardai intorno, confusa, cercando di capire chi avesse parlato. Che me lo fissi immaginata?
Qui sotto, bellezza! Eddai, chi vuoi che abbia parlato? Ci siamo solo noi qui!
Abbassai lo sguardo, fissando il Frutto, che scintillava fulgido tra le mie mani, e alzai un sopracciglio.
“Tu … parli? Aspetta, non credevo che i Frutti parlassero!”, feci, sorpresa.
Mpfhhh … ehi, bella, ma almeno sai cos’è un Frutto? Perché detta così mi sembra che tu sia un po’ indietro con la teoria.
Scossi il capo, in risposta.
Ok, bhe … mettiamola così: noi Frutti siamo l’evoluzione del vostro potere. Quando un Guardiano diventa abbastanza forte da prendere in mano il proprio destino necessita di una guida e di un tramite con cui controllare il proprio potere, e noi siamo questa guida e questo tramite. Vi aiutiamo a comprendere voi stessi, e a imparare nuove tecniche e mosse, per questo possediamo una volontà. E un nome.
“Un nome?”
Certo, ogni Frutto ne ha uno. Poi sta al Guardiano decidere di dirlo agli altri o meno. Il tuo amico ghiacciolo per esempio non ha mai detto a nessuno quello del suo Frutto. È una cosa molto personale, in pochi lo sventolano ai quattro venti.
“Ok, quindi come dovrei chiamarti?”, chiesi, sempre più perplessa.
Sarò io ma l’idea di parlare con una spada non mi rassicurava proprio tanto.
Oh … io sono Zeus. Puoi chiamarmi così. Ora, però, credo sia meglio andare. Non posso fermare il tempo per sempre, solo per poterti parlare, e il tuo amico sembra avere parecchio bisogno di aiuto, la fuori.
Annuii, mentre il tempo ricominciava a scorrere, e dall’esterno i rumori della lotta ricominciavano a farsi più forti.
Altra cosa.
Fece.
Solo il mio Guardiano può sentirmi, e finchè non avrai imparato a controllare completamente i tuoi poteri, io me ne starò buono a dormire. Quindi non disturbarmi.
Lo guardai, sorpresa.
Bhe? Ovviamente potrai usare il mio potere, ma prima che un Guardiano apprenda a controllare completamente il proprio Frutto ce ne vuole. E non ti concederò certo tutto il mio potere sin dall’inizio. Se vuoi raggiungere un livello sufficiente per battere Nid-coso, guadagnatelo! Ora, passo e chiudo. Ciao.
Sospirai.
Perfetto, ora anche il Frutto spaccone mi doveva capitare.
Però, non avevo tempo da perdere.
Come fui fuori, per un istante sentii il cuore sprofondare.
Chrys era li, a terra, ormai semisvenuto, con le braccia ancora saldamente ancorate a bloccare i movimenti di Lilith, mentre la nebbia nera scavava nella carne, portando allo scoperto muscoli e sangue.
Sentii la rabbia montarmi dentro, e in un istante mi slanciai in avanti.
Era … diverso.
È difficile da spiegare a parole.
Era come se, fino a quel momento, il mio potere fosse stato come una chitarra, ben accordata, certo, ma ancora in mani inesperte e con un volume abbastanza basso. E poi fosse arrivato lui, a fare da amplificatore.
Certo, la qualità dei miei colpi era ancora grezza, la musica forse zoppicante, ma il suono c’era, ed era mille volte più forte, più potente.
Saette color ametista mi coprivano il corpo, rendendo i miei movimenti fluidi e sfuggenti, mentre mi portavo al fianco dell’avversaria e la rigettavo indietro, tranciandole la sottile membrana della ali e costringendola a terra.
La guardai.
Lo scontro aveva spossato non poco anche lei, e in quel momento riusciva a stento a reggersi in piedi, tuttavia non era batterla la mia priorità.
Spostai lo sguardo su Chrys, ancora accasciato a terra, esanime, con le ferite scoperte e il corpo scosso da leggeri spasmi di dolore.
Ci guardammo, mentre, in un tacito accordo, lei iniziava indietreggiare, per poi andarsene, sfinita e sanguinante.
Non mi curai di tenerla sott’occhio, avevo altre cose per la testa, per cui mi avvicinai a lui, trepidante, la lacrime che quasi mi colavano sulle guance, mentre strappavo un drappo di stoffa dal mio mantello, per cercare di medicare, alla bell’è meglio, le sue ferite.
Lo guardai, disperata, senza la minima idea di cosa fare.
Il respiro era sempre più debole, e la coscienza iniziava a scemare.
Ehi … allora? Se continua così crepa.
Alzai gli occhi al cielo. Un momento migliore no, eh?
“Che c’è? Se sei qui solo per rompere o pensi di poterci aiutare?”, feci, stizzita.
Bhe … se vuoi posso aiutarlo. Non dovrei, perché poi non potresti utilizzarmi al massimo delle mie potenzialità almeno per una settimana, e sarei solo una spada. Però, posso trasfondergli un po’ della mia energia. Non lo guarirà del tutto, ma fermerà le emorragie e gli permetterà di camminare.
“Bene! Allora, pensi di muoverti?”, feci, impaziente.
No.
Lo guardai, senza credere alle mie orecchie.
“Cheee???”
Prima la parolina magica.
Sbuffai, alzando gli occhi al cielo.
“Per favore?”, dissi, sempre più irritata.
La sola idea di dover passare il resto dei miei giorni con quel coso mi dava già alla testa.
Quello parve soddisfatto perché, un istante dopo, iniziò a emanare un fascio di energia elettrica, che avvolse protettiva il corpo di Chrystal, sanando le ferite e ridonandogli vigore fino a quando, con un sospiro, non riaprì gli occhi.
“Ehi … mi sono perso qualcosa?”, sussurrò, sorridendo dolorante.
Lo fissai, basita, le lacrime agli occhi.
“Tu … tu … hai idea di quanto mi sia preoccupata?!?”, esplosi, furibonda, “Saresti potuto morire! Avresti potuto rimanere menomato a vita! Hai idea di come mi sia sentita? Pensavo saresti morto! E tutto perché sei un immenso, colossale, apocalittico imbecille!”
Lui mi fissò, con quella solita faccia da stoccafisso, e poi sorrise, scanzonatorio: “Non mi dirai mica che inizio a piacerti, eh?”
Mi bloccai, fissandolo fuori di me.
Lui?
Piacermi?
Era del tutto assurdo!
Lo fissai, poi dissi sbuffando: “Come no, aspetta a spera. Ora alzati, dobbiamo trovare gli altri.”
Lui sorrise, poi si alzò, ciondolando appena.
“Ok, non abbiamo molto tempo. Dove si va?”
Sorrisi: “Qualcosa mi dice che dovremmo solo seguire le macerie …”


(Jakhaal)

La guardavo, immobile.
Insomma, non era certo la prima volta che vedevo qualcuno ridotto in quel modo. Eppure, per qualche strano motivo, con lei era diverso.
Solitamente, una visione simile non mi avrebbe nemmeno smosso.
Però, era lei.
E ciò bastava perché non riuscissi nemmeno a muovermi.
Era lì, ansante, con la febbre sempre più alta e le ferite che non smettevano di sanguinare, tra le mie braccia. E io non potevo fare niente. Assolutamente niente. Ero del tutto inutile, un peso, un ostacolo.
Non mi ero mai sentito così superfluo, così impotente.
Avevo assistito al suo dolore, senza poter fare nulla per difenderla, per proteggerla. Io, che di tutti i Guardiani dovrei essere quello più forte, quello migliore nella difesa degli altri. Io, la roccia che difende i deboli.
Continuavo a fissarla mentre, nascosti tra le macerie, mimetizzati e quasi invisibili agli occhi degli altri, il tempo passava, senza aspettarci.
Per un istante, il mio pensiero si spostò agli altri. A dove potessero essere, a cosa stessero facendo. Avevano portato a termine la missione? Avevano sconfitto Lilith, o Belzebub?
Il suo solo pensiero mi dava alla testa. Non riuscivo a sopportarlo.
Se solo lasciarla sola non avesse significato condannarla, sarei partito senza pensarci due volte, solo per ridurre quel bastardo a un cumulo di carne informe e senza identità. Ma non potevo, dovevo restare al suo fianco.
Un rumore improvviso, poco lontano, mi scosse dai miei pensieri. Mi ritrassi, celando la nostra presenza tra le macerie di un’imponente colonna dorica in bronzo scuro, attendendo.
Improvvisamente, li vidi.
Elayne e Chrystal, emergere dalle ombre.
Un po’ ammaccati, certo, ma non c’erano dubbi sul fatto che la katana che scintillava, vivida, tra le mani dei lei fosse il Frutto. Sentii il cuore sussultare, sollevato.
Almeno, la missione era stata portata a termine.
Annullai l’incantesimo che proteggeva me e Arianne, permettendo loro di avvicinarsi.
Come videro lo stato pietoso in cui ci trovavamo sussultarono, tristemente sorpresi. Elayne fu la prima a parlare: “Che è successo?”
Scossi il capo: “Ci aspettavano. Dopo che siete caduti, Lilith e quella sadica della Sacerdotessa Madre ci hanno sbattuti nelle segrete della fortezza, e Arianne è stata torturata. A quanto pare, i Figli di Nidhoggr non sono le sole minacce da cui dobbiamo guardarci …”
Chrys alzò un sopracciglio: “Belzebub?”, chiese.
Alzai gli occhi, improvvisamente attento: “L’avete incontrato? Dov’è?”
Mi fissarono, forse preoccupati dalla rabbia con cui avevo pronunciato quella frase.
“Castiel e Castor stanno combattendo con lui. Sono rimasti indietro per permetterci di proseguire.”, disse, accennando all’esterno.
Strinsi i denti.
Miseria!
Dovevo essere io! Io ad ammazzare quel bastardo!
Sorprendentemente, fu Chrystal a posarmi una mano sulla spalla, fissandomi comprensivo.
Non che non andassimo d’accordo, solo io e lui non avevamo mai avuto quel che si definirebbe un rapporto così stretto … ci supportavamo, ma nient’altro. E vederlo lì, chinarsi, nonostante la fatica, su di lei per congelare le ferite e fermare quindi la fuoriuscita di sangue, mi fece subito ricredere sul suo conto. Dopotutto, quando si trattava degli amici, c’era sempre. Non importava quanto fosse alto il rischio, lui sarebbe sempre stato presente. Per tutti noi.
Gli sorrisi, ringraziandolo.
Lui annuì: “Andiamo. È pericoloso stare qui. Le guardie sono ovunque, e dobbiamo trovare qualcuno in grado di guarire Arianne. Anche col mio ghiaccio, non durerà molto.”
“Motivo per cui penso che questo non farà altro che alleviare le sue sofferenze.”, la voce ci sorprese alle spalle.
Ci voltammo, mettendoci sull’attenti, ma prima che potessimo anche solo reagire una fascio di magma bollente ci superò, colpendo Arianne in pieno petto.
Feci appena in tempo a vederla portare la mano al mio viso, sorridendo appena, che sentii le sue membra accasciarsi, mentre la morte me la strappava via, crudele.
Sentii il mondo diventare buio, e la rabbia invadermi il petto mentre, con un grido, accedevo alla mia riserva di potere, ormai quasi esaurita, e comandavo alla terra di destarsi. E distruggere.
Distruggere qualsiasi cosa.
Perché nulla, senza di lei, aveva più alcun senso.



Note dell'Autrice:
Eccomi di ritorno!
Oddio, confesso che scrivere questo capitolo è stato un vero inferno!
Non ho mai dovuto lavorare tanto per redenre i pensieri dei miei personaggi! Specialmente con Jakhaal e Chrys, è stata un'impresa tostina... spero di aver colto nel segno!
Che dire?
E' stata una scelta combattuta, e molto, molto sofferta, ma dopo parecchie riflessioni e non pochi ripensamenti ho deciso che si, Arianne doveva morire. Innanzitutto, perchè questo influirà molto sulle successive azioni di Jakhaal, e poi perchè questo fatto lo segnerà profondamente e gli darà un certo ruolo con il concludersi dell'intero ciclo. Ma non dico altro.
Spero di non avervi sopresi troppo ;)
Comunque per ora sono contenta. Sta venendo un bel lavoretto e ormai il ventesimo capitolo si avvicina!
Sono curiosa di sapere come andrà la classica dei personaggi più amati...
Come sempre, ringrazio tutti coloro che continuano a seguirmi, e in particolar modo EragonForever, onlyfanfiction, SeiraBrizzi e Vago, con le loro immancabili recensioni.
Vi saluto e alla prossima!!!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo XVIII-Conto alla rovescia ***


Capitolo XVIII
Conto alla rovescia
 

(Jakhaal)


Ci sono volte in cui, semplicemente, vorresti smettere di esistere.
Il mondo continua a girare, e tu, chissà perché, sei vuoto.
Un estraneo a casa sua. Solo, mentre la vita prosegue.
Senza aspettarti. Sfuggendo via, per non tornare.
Vorresti venire inghiottito dal terreno.
O mollare tutto, andare altrove.
Sparire, e non tornare più.
Eppure, qualcosa te lo impedisce. Una promessa, un sentimento, un sussurro nel buio … o le labbra soffici della donna che amavi, e che ti ha fatto promettere di non mollare, di continuare a camminare. Anche, e soprattutto, quando lei non ne fosse stata più capace. Soprattutto allora.
E ti senti un imbecille.
Perché l’amavi davvero, e non sei mai riuscito a dirlo. Dopotutto, non eri che un goffo buffone di passaggio, un nulla, in confronto a quel fiore fulgido che era lei: come avresti potuto dirglielo? Come avresti potuto dirle che proprio tu, arbusto contorto, ti eri innamorato di lei, rosa dalla bellezza irragiungibile?
Sarebbe stato patetico. Ridicolo, semplicemente impensabile.
E quindi non hai detto nulla. Nemmeno quando i suoi occhi sembravano supplicarti di farlo, o quando il suo corpo si faceva sempre più debole tra le tue braccia. Era sempre il momento sbagliato, c’era sempre qualche faccenda importante da fare, o minacce a cui sfuggire … la verità però, e ora lo sai, è che eri tu quello che fuggiva. Da sé stesso, dalle responsabilità, da un sentimento troppo forte per essere combattuto. E poi tutto finisce, e ti ritrovi con un pugno di polvere in mano.
Ti guardi alle spalle, e ti senti uno schifo.
Vorresti tornare indietro, ma sai che è tardi, troppo tardi.
E ti rodi dentro. Pensi a tutte quelle parole non dette, a quei progetti che non diventeranno mai realtà, a quegli anni che non passerete mai assieme. Sai che è tutta colpa tua, e quella consapevolezza ti distrugge dall’interno, scavando un vuoto incolmabile, radendo al suolo pensieri ed emozioni, per non lasciare indietro nulla, niente.
Sai che sarai destinato a convivere con quel senso di colpa, per sempre.
Sai che ormai non puoi tornare indietro, e nemmeno mollare, perché le hai promesso che avresti camminato, anche per lei.
E allora ti rialzi, vorresti morire, vorresti mollare, ma ti alzi, e guardi il cielo.
Cerchi di osservarlo con la fiducia per il futuro che aveva lei, che anche nei giorni di pioggia vedeva sempre un raggio di sole. Ma il tuo cielo è nero, carico di nubi, perché il tuo sole, l’unico sole, non può più brillare.
Si è spento, e non tornerà.
La vita non è che un peso per te, e poi … poi …
 
Due calde braccia iniziarono a stringermi, togliendomi il fiato.
Aprii gli occhi, a stento riuscii a capire cosa fosse successo.
Erano tutti lì, e sorridevano, un po’ ammaccati, certo, ma sorridevano. Chrystal aveva i vestiti ridotti a un cumulo di stracci, e lo vidi abbozzare un ghigno: “Miseriaccia, per poco non ci stendevi veramente tutti, lo sai?”. Elayne era al suo fianco, si alzò, si avvicinò … e poi un forte ceffone mi mandò a terra. Non che potessi aspettarmi altro, da quella pazza spara fulmini. “Razza di imbecille! Hai idea di che fatica abbiamo dovuto fare per fermarti? E ringrazia Ainu! Non fosse arrivata in tempo, ora avresti, come minimo, raso al suolo l’intero palazzo!”
Mi voltai, interdetto, ed effettivamente era così.
Lei era proprio lì, cercando di sorridere appena, le braccia ancora avvolte alla mia vita, e innumerevoli ferite che le ricoprivano il corpo.
Sentii un nodo in gola.
Non ero uno sciocco, sapevo bene che quelle ero stato io fargliele.
“I-io … ecco … ragazzi, mi dispiace.”, sussurrai appena, abbassando il capo.
Il silenzio cadde nella stanza, ognuno sembrava fissare il pavimento, poi, una mano gentile si posò sulla ma spalla.
Mi voltai, sorpreso.
Era Elzabeth, la madre di Arianne. Evidentemente Ainu doveva essere riuscita nella sua missione, trovandola a portandola in salvo.
Tra le braccia, reggeva il corpo ormai deturpato di lei.
“Non è stata colpa tua, nessuno avrebbe potuto impedirlo. E sono certa che, se ora fosse qui, nemmeno Ari vorrebbe vederti in questo stato. Spero solo che, ora, tu possa sentirti meglio.”, disse, spostando lo sguardo più in là.
Mi voltai, e sentii il cuore sussultare.
Elmira.
La memoria tornò, terribile, sconvolgente.
Riuscii a rivedere la mia stessa furia, il desiderio di vendetta, la rabbia, e l’odio. Infine, vidi anche il combattimento con la Sacerdotessa, i suoi vani tentativi di difesa, le sue provocazioni, e, infine, il modo in cui l’avevo uccisa.
Scostai lo sguardo, incapace di credere a ciò che avevo fatto.
Ormai, non rimaneva che una vago cumulo di carni e sangue dove un tempo avrebbe dovuto esserci quella donna. L’avevo colpita con una tale ferocia, continuando, anche quando ormai non poteva più muoversi, che ora non restava quasi nulla di ciò che era in vita.
Non mi ero mai spinto così in là.
Ero sempre stato un tipo tranquillo, forse un po’ testone, ma non certo il genere di persona che trae piacere dal combattere e dal ferire gli altri.
Insomma, era per quello che lei mi aveva amato, no?
Eppure, l’avevo delusa.
Mi ero comportato come un mostro, ed ero certo che, se fosse stata ancora viva, anche lei mi avrebbe rimproverato.
Elzabeth scosse il capo: “Elmira ha sempre avuto fin troppa ambizione nell’animo. Il suo unico desiderio era vedere suo figlio sul trono, lei stessa me lo ha confessato, mentre ero rinchiusa qui. Era talmente corrotta, che non potrei nemmeno rimproverarti. Non sono tua madre, ma voglio comunque che tu rifletta su una domanda.”, i suoi occhi si immersero nei miei. Oddio, erano così uguali, così dannatamente identici a quelli di Arianne, sua figlia, che non avrei potuto distogliere lo sguardo nemmeno se lo avessi voluto. “Credi veramente che ne sia valsa la pena? Ti senti veramente meglio, ora che hai avuto la tua vendetta?”
Abbassai il capo, un sapore amaro che mi riempiva la bocca.
No, non stavo meglio.
Anzi, se possibile, stavo anche peggio.
Uccidere quella megera non mi aveva restituito la mia Arianne, non aveva lenito il mio dolore. Aveva solo reso il tutto persino più amaro, più doloroso.
Alzai il capo, disperato, le lacrime che ormai sgorgavano copiose sulle guance: “Cosa devo fare? Dimmelo, ti prego! Come posso liberarmi di questo dolore?!? È … semplicemente troppo … perché? Perché proprio lei? Cosa dovrò fare d’ora in poi? Mi sento perso! Quale strada dovrei seguire?”
Sentii gli altri avvicinarmisi, abbracciandomi, solidali.
Fu Elayne a sussurrare, sulla mia spalla: “Io non posso dirti che strada seguire, però posso dirti una cosa: lei vorrebbe che tu continuassi. E se proprio non vuoi andare avanti per te stesso, fallo almeno per lei.”
Elzabeth sorrise: “Fa in modo che il sacrificio di mia figlia non sia stato vano. Continua a proteggere questa dimensione, così come lei avrebbe fatto se avesse potuto vivere. Continua a combattere, e un giorno, forse, potrete riunirvi. Così, quando la rivedrai, potrai guardarla negli occhi, sapendo di non aver fatto nulla, che anche lei non avrebbe fatto se ti fosse stata accanto.”
Annuii, alzandomi, determinato.
Un caldo tepore mi riempiva il cuore.
Mi asciugai le lacrime, e sfoderai Magmaar, il mio Frutto.
Lo guardai. Dopotutto, era sempre stato con me. Se avessimo intrapreso quella strada, lo avremmo fatto assieme.
Lo sentii annuire.
Facciamolo.
Disse, semplicemente.
Mi inchinai, abbassando il capo: “Lo prometto, proteggerò Flogon, come se fosse la mia casa, la mia famiglia, il mio cuore. E continuerò a camminare, anche per coloro che non ci sono più. Anche per lei. E questa … è una promessa.”
 

(Castiel)

Ho trascorso la quasi totalità della mia esistenza a odiare i miei fratelli, maggiori o minori che fossero, con tutto me stesso.
Insomma, vorrei vedere. Uno era il classico tipo perfetto: contenuto, diplomatico, intelligente. Il leader che ogni reame sognerebbe di avere. Poi c’era l’altro, che ok, forse sarà stato un peletto sadico, ma era comunque il guerriero migliore e più fedele che il regno avesse mai avuto. Infine, vi erano Eamyr ed Efnir. Il primo, un vero dongiovanni, bello e attraente, ideale per stringere alleanze matrimoniali, anche perché ben poche persone riuscivano a non amarlo. Il secondo, invece, era un fottuto genio: non c’era incantesimo che non conoscesse, lingua che non sapesse parlare o argomento di cui non sapesse discutere mettendo in ridicolo le capacità di tutti gli altri. E poi c’ero io: troppo ribelle, troppo gentile, troppo testardo. Una vera mina vagante, almeno dal punto di vista della nobiltà.
Proprio in quel momento, però, non avrei potuto essere più contento, a vedermela contro quel demone assieme a Castor.
Dopotutto, era e restava sempre lo spadaccino migliore di Draconia.
Combattere al suo fianco mica capita tutti i giorni, e, per essere chiaro, ti mette al sicuro da qualsiasi genere di minaccia.
Sarò sincero, non ci fosse stato lui, con me, molto probabilmente quel Bel-coso mi avrebbe già ammazzato di legnate in meno di pochi minuti.
Eppure, in due, riuscivamo a tenergli testa.
Bhe, più o meno.
Per essere onesto, dubitavo che avremmo retto per molto.
Quel tipo era tosto, e molto anche.
Per combattere, utilizzava una lunga e fine catena, forgiata in un insolito acciaio nero, che non avevo mai visto prima, sebbene a Flogon si trovassero quasi tutte le varietà di metalli dell’intero creato. Era incredibilmente fine, e si avvolgeva su tutto il suo corpo, per terminare alle due estremità con delle lunghe lame, di circa sette pollici l’una, estremamente affilate. La cosa peggiore, però, era che quella cosa poteva muoversi a piacimento: non doveva indirizzarla con la forza, lei si muoveva, come animata di vita propria, seguendo gli ordini del suo padrone, e colpendo con precisione letale e a dir poco impressionante.
Per me a Castor, che per combattere utilizzavamo entrambi dei pesanti spadoni a due mani, quella era la peggior situazione in cui potessimo capitare. Certo, io avevo dalla mia le fiamme. Ma era un potere che avevo scoperto da poco, e inoltre quel coso volava: colpirlo non era certo semplice.
E così continuavamo a cercare di infrangere la sua difesa, superando quel muro di catene che di volta in volta si frapponeva tra noi e il demone, e che pareva del tutto indifferente ai colpi delle nostre lame.
Tzè … e addio all'arte nanica. Quando fossimo riusciti a batterlo, avrei dovuto farmi dire di cosa erano fatte quelle catene. Anzi, per essere preciso, SE fossimo riusciti a batterlo. Perché, considerando come stavano andando le cose, non ce la stavamo vedendo proprio bene. Certo, le nostre ferite non erano così profonde, solo qualche taglietto qua e la, ma per quanto saremmo durati?
Dovevamo chiudere.
E dovevamo farlo in fretta.
Ci rifugiammo dietro a un grosso masso, mentre le lame acuminate andavano a cozzare contro la dura roccia.
“Allora fratellone, ti stai divertendo?”, feci, cercando di smorzare un po’ la tensione.
Quello alzò un sopracciglio: “Certo! Rischiamo solo di rimetterci le corna, che vuoi che sia!”
Lo fissai, sorpreso: non credevo sapesse fare dell’ironia.
Quello sbuffò: “Forse, un modo ci sarebbe.”, disse infine.
Lo guardai, aspettando.
“Però, è abbastanza folle come idea.”, fece, di nuovo, guardandomi serio.
Io gli tirai una pacca sulla spalla: “Eddai! Sai che amo le cose folli!”
Quello sorrise, scuotendo il capo: “Ok, a che temperatura pensi di poter far arrivare le tue fiamme?”, chiese, improvvisamente.
Alzai le spalle: “Boh … non ci ho mai fatto caso.”
“Pensi di poter fondere quelle catene? O indebolirle abbastanza da spezzarle?”
Mi illuminai.
Quello si che era un colpo di genio.
“Lascia fare a me fratello. E tu pensa ad ammazzare quel coso. E non trattenerti, ok?”
Quello sorrise, porgendomi il pugno: “Perché, l’ho mai fatto?”
Ci demmo il pugno, poi balzammo allo scoperto, dirigendoci decisi verso il nostro avversario. Ormai, avevamo entrambi il fiato corto, e Castor aveva anche le sue ferite con cui vedersela, che gli erano state inferte prima di venire qui.
Non eravamo certo in splendida forma, ma dovevamo chiuderla in fretta.
Come le catene iniziarono a ripiegare in difesa, le intercettai, trattenendole e lasciando che le fiamme coprissero il mio braccio, concentrandomi al massimo perché bruciassero fino a ridurle in cenere.
Quando mi parve che fossero abbastanza indebolite, caricai il colpo, lasciando che la spessa lama dello spadone a due mani le distruggesse.
Subito dopo mi voltai, mio fratello era parecchi passi più avanti, e stava colpendo l’avversario, con ormai solo una delle lame in mano, tramite una complessa serie di colpi che in breve tempo perforarono la sua difesa.
Mi avvicinai, rapido, solo per vedere il demone cadere a terra, in una pozza di sangue. Una profonda ferita gli impiastricciava di rosso il fianco, mentre iniziava a tossire sangue, continuando a guardarci con quella dannatissima aria beffarda.
Lo presi per la collottola, la pazienza al limite: “Si, si, molto divertente. Si può sapere che ridi a fare?”
Quello sghignazzò, guardandomi, con aria di sfida. Sentii un brivido freddo percorrermi la schiena, mentre una pessima sensazione si faceva strada: non era normale, non era affatto normale. Perché rideva? Che c’era di così divertente? Stava morendo!
Sarò anche negato negli studi, e forse potrò non possedere il genio di alcuni miei fratelli, ma sono abbastanza sicuro che, normalmente, morire non sia proprio una delle esperienze migliori che si possano sognare.
“Eheheh … si, immagino che siate soddisfatti. Proprio un bel lavoretto, no? Bhe, mi spiace rovinarvi la festa, ma non crediate mica che sia tutto finito. I vostri amici sono ancora la dentro.”, disse, accennando, ormai debole, al tunnel.
Alzai un sopracciglio: “Appunto, e quindi?”
Quello rise ancora, per poi sputare nuovamente sangue, e riprendere: “Bhe, sai, c’è un piccolo dettaglio che voi non sapete. Questa fortezza non è una fortezza qualunque, no. È direttamente collegata alla vita del suo generale. E sai una cosa? Ora che sto morendo, è solo questione di tempo prima che i tuoi amici ne vengano sotterrati! Ahahah! Pensa un po’, credevi di prendere tempo, e invece li hai appena condannati a morte certa!”, annaspò, cadendo a terra, e, in un istante, smise di muoversi. Un ghigno diabolico ancora dipinto in viso. Un ghigno che, lo sapevo, mi sarebbe rimasto impresso per sempre.
“Che cazzo … lurido bastardo! Io ti …”, non feci in tempo a proseguire, un tonfo sordo mi sorprese alle spalle, e voltandomi, vidi Castor a terra.
Gli corsi accanto, e sentii il cuore fermarsi.
Durante l’ultimo assalto, aveva utilizzato tutte le energie rimastegli, e in quel momento un profondo taglio di attraversava il torace. Ultimo dono del nostro nemico, prima di spirare.
Digrignai i denti, furibondo.
Provai a scuoterlo, cercando di farlo rimanere sveglio, e strappandomi la maglia sotto la cotta di metallo per avvolgergliela attorno, e fermare quindi l’emorragia.
Che cavolo.
Non poteva morire proprio li, dopo che avevamo fatto tutta quella strada assieme. Non gliel’avrei mai permesso!
“Ehi, razza di imbecille!”, dissi, la voce che tremava appena, tradendo la paura che, lenta, si faceva strada dentro di me, “Non morire, ok? Ora ti porto da Ainu, sono sicuro che lei saprà come risolvere la cosa. Quindi non chiudere gli occhi, intesi?”
Quello sorrise: “Cast, ascoltami.”
“NO!”, gridai, sconvolto, “Ascoltami tu! Ho passato la vita a convivere con una famiglia destinata al baratro, e ora che sono riuscito a trovare il fratello che avrei sempre desiderato, non gli permetterò certo di morire! Noi torneremo a casa, ci torneremo assieme, e guai se crepi, chiaro? Hai la tua guardia da mandare avanti, le truppe hanno bisogno del loro capo e sappiamo bene che nessun altro potrebbe mai prendere il tuo posto! Sei il solo che possa farlo, e non ti permetterò di mollare proprio ora, mai e poi mai!”
Quello mi strinse la spalla, scuotendo il capo.
Tossì, e un grumolo rosso gli coprì la casacca, ormai completamente sporca di sangue e polvere. L’emblema della nostra famiglia, il simbolo per cui lui aveva sempre lottato, non era che una pallida immagine ormai.
“Ora stammi a sentire. Voglio che tu dica queste parole a nostro fratello. Di a Caesar che mi dispiace. Gli avevo promesso che gli sarei sempre stato a fianco, che avremmo protetto insieme questo paese e la gente che lo abita, ma non ho potuto mantenere questa promessa. Sono stato debole, e me ne pento.
E di a Ariyme che deve continuare a sorridere, e che è la sorella migliore che avessi mai potuto desiderare. E ad Arianne, a lei di che è una grande guerriera. E che anche se ho sempre detto il contrario, non importa che sia una donna, sono certo che farà comunque carriera e diventerà una grande spadaccina. Stai a fianco di Eamyr ed Efnir, so che possono sembrare un po’ difficili a volte, ma sono dei bravi ragazzi.”
Lo guardai, non volevo crederci.
Non potevo crederci
Era Castor, per la miseria!
Solitamente, era lui ad ammazzare gli altri, e non il contrario.
Strinsi i pugni, mordendomi il labbro e sforzandomi di parlare: “C’è altro?”, chiesi, scostando lo sguardo, perché non vedesse come i miei occhi avevano iniziato a luccicare.
Lui sorrise: “Si. Ti affido Draconia.”
Mi voltai, sorpreso, guardandolo incredulo: “Ma, io … insomma, io non sono come te. Non potrei mai prendere il tuo posto.”
Lui indicò il mio petto: “No, ed è proprio per questo che sono certo che tu possa farcela. Proteggi questa dimensione, come mai io avrei potuto fare. Sono certo che ci riuscirai. Sei più forte di quel che pensi.”
Feci per dire qualcosa, ma le parole mi morirono in gola.
Lo guardai, annuendo, convinto.
Lui sorrise.
Non l’avevo mai visto sorridere in quel modo.
Era sereno, era … felice.
E fu così che spirò Castor, Secondo Figlio dell’Imperatore di Draconia.
E mio fratello, il migliore che avessi mai potuto desiderare.



Note dell'Autrice:
Oddio, lo ammetto, scrivere questo capitolo è stato un vero inferno!
Ho cercato di rendere al meglio entrambe le perdite, e ammetto che rileggendolo mi sono qausi venute le lacrime agli occhi.
Ho voluto fermarmi un po', per far riflettere i personaggi sulla morte di Arianne, che nel capitolo precedente è stata veramente molto rapida e forse un po' poco trattata. Spero di essermi rifatta abbastanza, comunque il tema del lutto verrà certamente ripreso, quando torneranno alla capitale e ci saranno i funerali.
Come promesso, siamo tornati su Castor e Castiel, e spero che riusciate condividere questa mia scelta di far spirare anche lui, cosa su cui ho riflettuto parecchio. Penso che però, alla fin fine, sia venuto fuori un bel lavoro.
Ringrazio come sempre tutti quelli che mi leggono, ed EragonForever, SeiraBrizzi, onlyfanfction e Vago per le loro recensioni.
Spero che questa storia continui a entusiasmarvi.
E alla prossima!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo XIX-Arrivano i rinforzi ***


Capitolo XIX
Arrivano i rinforzi
 

(Elayne)


Quando riuscimmo, finalmente, a riunirci con il resto del gruppo, sentii il mio cuore sprofondare.
Castiel era lì, ed era vivo.
Avrei voluto saltargli tra le braccia, urlare di gioia, dimostrargli quanto fossi stata in pensiero per lui.
Eppure, rimasi ferma.
A osservare come Jakhaal gli si avvicinava, piano, spiegandogli brevemente ciò che era accaduto in sua assenza. Sentii un nodo in gola, mentre lo sguardo confuso e disorientato di lui si fermava su di me: “A-ari … lei è … veramente?”, chiese.
Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, dissi, semplicemente: “Mi dispiace. Non siamo riusciti a fare nulla.”, lo vidi stringere i pugni, lo sguardo cupo.
Poi sospirò, voltandosi verso Jak: “Ha sofferto?”
Quello scosse il capo.
Lo sentii rilassarsi, appena: “Voleva diventare la più grande spadaccina del regno. Ci allenavamo sempre assieme, quando nostro padre era via per lavoro: lui non approvava la sua scelta. Però, lei ha sempre seguito la sua strada, anche quando tutti parevano remarle contro.”
Avrei voluto fare qualcosa.
Vederlo in quel modo, perso, senza due dei suoi fratelli, era decisamente troppo.
Eppure, non fui io ad asciugare la sue lacrime. In pochi secondi, Elzabeth, sua madre, lo strinse a sé, e lui la guardò, sorpreso: “M-madre? Che cosa ci fate qui?”
Lei sorrise, triste: “Elmira era una donna molto astuta, ha capito subito che riuscire a ottenere un ostaggio come me l’avrebbe avvantaggiata, una volta che le truppe della Viverna avessero iniziato a marciare contro Draconia.”
Quello si scostò appena: “Era?”, chiese, interrogativo.
“Già.”, era stato Jakhaal a rispondere, fissando Castiel, deciso, “Ora non c’è più. Ho fatto in modo che fosse così.”
Quello annuì: “Grazie.”, disse, semplicemente.
Era come se, in un certo senso, l’azione di Jakhaal avesse placato anche la sua di rabbia, e ora appariva smorto, spento.
Si riscosse, mentre sotto i nostri piedi il terreno iniziava a tremare.
Guardammo Jakhaal, interrogatori, e lui rispose: “Ehi, non guardate me. Sono senza forze, non riuscirei a smuovere un sassolino nemmeno volendo, quindi non c’entro!”
“No, infatti.”, Castiel pareva essersi ripreso.
Era pronto all’azione, ma potevo vedere chiaramente come, dallo sguardo, quello sforzo gli costasse fin troppo.
“Quando abbiamo dato il colpo di grazia a Belzebub, quel bastardo ci ha rivelato che la fortezza è indissolubilmente legata alla vita del generale che la comanda, quindi ora sta andando in pezzi. Se non ci sbrighiamo, rischiamo di rimetterci le penne.”, disse, fissandomi deciso.
Chrys scosse il capo: “Si ma, e i prigionieri? Questo posto è enorme! Non riusciremmo mai a portare fuori tutti i civili in tempo!”
Ainu annuì appena: “Senza contare che siamo tutti senza forze. Non riusciremmo mai a utilizzare i nostri poteri nello stato attuale, e non abbiamo nemmeno idea di dove si trovino i prigionieri. Mentre cercavo Elzabeth, ho avuto modo di farmi un’idea di come sia strutturato questo posto: ci sono moltissimi piani, e la profondità con cui è stato scavato nella roccia ci renderebbe impossibile risolvere questo problema senza un valido aiuto. E poi, anche se la missione era quella di riprendere il Frutto, come Guardiani, non possiamo permettere che dei civili vengano coinvolti.”
Castiel strinse i denti, colpendo la parete con un pugno, guardò Jakhaal: “Tu sei il Guardiano della Roccia, no? Sapresti determinare quanto ci resta?”
Quello alzò il capo, chiudendo appena gli occhi, poi li riaprì, rispondendo: “Tre ore, forse meno. Anche così, però, non è abbastanza. Persino in condizioni migliori, ci vorrebbero almeno due giorni per esplorare questo posto, trovare i prigionieri e portarli tutti fuori. Siamo decisamente fuori tempo limite.”
Scossi il capo, non ero minimamente disposta a mollare in quel modo. Eravamo arrivati fin li, e ne saremmo usciti, senza sacrificare nessun altro innocente: “Ci dev’essere un altro modo!”
“Bisogno di aiuto?”, ci voltammo, sorpresi.
Proprio sulla terrazza, a cui si affacciava il corridoio dove ci eravamo radunati, Caesar sorrideva, divertito, mentre all’orizzonte uno stormo di draghi purpurei si dirigeva verso la fortezza, in gran numero.
Castiel gli corse incontro: “Fratello! Come …”
Quello alzò la mano: “Tranquillo. Quando abbiamo visto che la spedizione mandata a fermarvi non tornava, abbiamo iniziato a preoccuparci. Inoltre, avevamo notato la scomparsa della Prima Moglie di nostro padre, e, a proposito di questo …”, il suo sguardo si posò sul fratello, che indietreggiò, incerto.
“E’ morto, vero?”
Caesar annuì: “Elmira ha assoldato dei sicari esperti che si occupassero di me e lui, sfortunatamente per lei, però, non è così semplice superare Eamyr ed Efnir, che facevano da guardia alle mie stanze. Credo che volesse liberarsi di noi, e mettere Castor sul trono.”, scosse il capo, come se la sola idea fosse ridicola, “Evidentemente, quella pazza non conosceva nemmeno suo figlio. Castor non avrebbe mai potuto nemmeno pensare di prendere il mio posto. Sarebbe morto pur di difendere il mio diritto al trono, l’ha sempre detto, e non credo proprio che sapesse dei progetti di sua madre per lui.”
Il suo sguardo si spostò sul fratello, che abbassò il capo: “Caesar, riguardo nostro fratello …”
“Non ora.”, per la prima volta, un’ombra di sofferenza sfiorò il viso inflessibile dell’ormai nuovo re che, evidentemente, doveva aver già intuito ciò che l'altro avrebbe voluto dirgli, “Siamo gli unici principi ancora in vita di questo regno, per prima cosa, dobbiamo occuparci dei prigionieri.”
Castiel annuì, deciso.
Guardai suo fratello. Non l’avevo mai visto in quel modo, e per la prima volta da quando l’avevo incontrato, provai una profonda stima nei suoi confronti. Anche in quel momento, quando aveva perso suo padre, sua sorella e suo fratello, lui rimaneva immobile, saldo, e fu quando vidi come i suoi uomini lo guardavano che compresi il perché fosse stato scelto come successore di suo padre.
Non importava quanta sofferenza avrebbe dovuto sopportare, quante persone che amava avrebbe potuto perdere, lui avrebbe sempre pensato al suo popolo, avrebbe protetto il suo regno, fornendo un esempio di fermezza e determinazione per gli altri. Avrebbe sostenuto pesi insopportabili per chiunque altro, anche a costo di rimanere solo. Dannatamente solo. Fu quello che pensai, mentre i soldati ci facevano montare sui loro draghi.
Eravamo sfiniti, e ora che le truppe di Draconia erano arrivate, la nostra presenza non era più necessaria. Ci avrebbero ricondotti al castello, e li se ne sarebbero occupati loro.
Rimasi indietro, e in un istante Caesar mi si avvicinò, osservandomi silenzioso: “Pensi che io sia un essere insensibile e senza cuore?”, chiese, ed era evidente quanto fosse interessato alla mia risposta.
Scossi il capo: “No. Ho visto come hai reagito alla notizia di Arianne e Castor. È solo che … non pensavo che essere un leader fosse così difficile. Non desideri mai che qualcuno prenda il tu posto?”, chiesi, incerta.
Quello sorrise: “Non sai quante volte lo abbia fatto. Però, vedi, essere un capo non è così male, dopotutto. Puoi proteggere il tuo regno meglio di quanto non potresti fare altrimenti, e inoltre, è sempre bello vedere i sorrisi di coloro che sei riuscito a salvare.”, mi osservò, cupo, “Quindi, mi sono sbagliato. Inizialmente ho pensato che fosse l’elfa a comandare, ma ora capisco di essere stato nel torto. È evidente che sei tu il leader del vostro team.”
Lo guardai, sorpresa.
Quello scoppiò a ridere, era un bel suono, profondo e sincero, cosa che non mi sarei mai aspettata da parte sua: “Non te ne sei accorta? Loro girano attorno alla tua presenza. Forse è troppo presto perché tu lo capisca, ma sono stato addestrato al comando da quando sono venuto al mondo, e posso dirlo con certezza: tu sei il perno di questa squadra. La colonna portante, loro girano attorno a te, come un centro gravitazionale. Si vede, dal modo in cui ti guardano, dalla loro fiducia verso di te, dal modo in cui la tua sola presenza è sufficiente per farli sentire più forti.”
Scossi il capo, non riuscivo a crederci.
Io? Era da così poco che mi ero unita a loro, ed erano così tante le cose che non sapevo sul loro conto. Come potevo essere già così importante? Come potevano già fidarsi così di me?
Avevo vissuto la mia vita diffidando del prossimo, senza amici a supportarmi e senza nessuno che mi sostenesse nei momenti di bisogno.
Mi pareva impossibile che potessi veramente essere il leader di quel gruppo.
“No, io … insomma, com’è possibile? Non sono nessuno, non sono una stratega perfetta come Chrys, e non possiedo la dolcezza di Ainu, o la socievolezza di Jakhaal, né tantomeno il coraggio di tuo fratello. Come potrei guidare un gruppo?”
Quello sorrise: “Essere un leader è una delle cose più difficili che ci siano in questo mondo. Ma ti dirò una cosa, da capo a capo: anche se scalare la vetta del comando è una delle cose più ardue che si possano fare, niente sarà mai paragonabile a quello che troverai in cima. E non temere di prendere la scelta sbagliata. Dubita di te stessa, sbaglia, cadi, rialzati, tenta tutte le strade possibili … così, quando avrai sperimentato ogni genere di esperienza possibile, e ti troverai di fronte alla decisione finale, non ci saranno più domande, o incertezze. Lo saprai e basta.”
“Sapere cosa?”, chiesi, incuriosita.
Lui mi posò una mano sulla spalla: “Questo, Eletta, dovrai scoprirlo da sola.”

 
(Chrystal)

Venimmo ricondotti alla capitale.
Mentre prendevamo il volo, potemmo vedere le truppe di Draconia entrare in massa nella fortezza, portando fuori tutti coloro che vi erano imprigionati.
Fu uno spettacolo unico e senza prezzo.
Sotto la guida ferma e decisa di Caesar, i soldati riuscirono a perlustrare in meno di mezz’ora l’edificio, trovando tutti i prigionieri e conducendoli all’aperto, dove erano riusciti a costruire in breve tempo un campo di soccorso per coloro che vertevano nelle condizioni peggiori.
Vedemmo famiglie riunirsi, figli piangere tra le braccia delle madri, fratelli reincontrarsi dopo mesi di separazione, mariti e mogli riabbracciarsi, felici.
Poi decollammo.
Mentre sorvolavamo la Roccia del Drago, vedemmo le truppe nemiche.
La massa nera che prima ci aveva quasi sconvolti, non era più che un’ombra, caduta sotto i colpi dell’armata draconiana.
Quando il loro generale era morto, in un modo o nell’altro i suoi sottoposti lo avevano capito, e le linee prima perfette aveva iniziato a sfaldarsi, senza una guida a tenerle unite e integre.
Eravamo tutti sfiniti.
Nessuno di noi prestò poi molta attenzione al viaggio di ritorno.
Volevamo solo dormire, chiudere gli occhi e prenderci una pausa da quel mare di emozioni, da quella giornata senza fine che aveva visto perdenti e vincitori lottare per cause differenti e contrastanti.
E così chiudemmo gli occhi, scivolando nel sonno, finalmente liberi.
 

(Ainuviel)

I giorni seguenti trascorsero come vaghi, ci sentivamo tutti attoniti, la realtà ci scorreva addosso innaturalmente tranquilla, dopo la sofferenza e il terrore di quelle ore trascorse alla Fortezza Purpurea.
E poi, dopotutto, ognuno aveva i suoi bei fantasmi con cui vedersela.
Castiel e Jakhaal erano quelli che stavano peggio. Avevano subito delle perdite terribili, e per quanto spesso nobili e cortigiani li fermassero per i corridoi, porgendo loro condoglianze ed elogiando le loro gesta, loro non riuscivano proprio a uscirne. Avevano sopportato troppo, e ora non volevano che essere lasciati in pace.
Ehhh … bhe, non è che per questo li risparmiassero.
Poi, c’era Chrys.
Era sempre silenzioso, distante, ma vedevo che era combattuto. Per quel che mi riguardava, pensavo fosse ridicolo che ancora non riuscisse ad ammettere con sé stesso di essere innamorato di Elayne. Eppure lui era lì, e sapevo che aveva veramente sperato di essere ricambiato da lei, e ora la vedeva, stare sempre appresso a Castiel, senza badare ad altro, e quella vista lo rodeva dentro.
Come se non bastasse, per finire la lista dei cuori in subbuglio, c’era anche Elayne.
Non so di cosa avesse parlato con Caesar, non li avevo mai visti così vicini, ma era evidente come le avesse dato da pensare. E poi, la vicenda di Castiel l’aveva coinvolta veramente molto, e la morte di Arianne, in particolar modo, non l’aveva proprio lasciata indifferente. Era confusa, e aveva bisogno di lui per riuscire a riprendersi.
Ahhh … già, e poi cero io.
Non crediate mica che me lo sia scordata.
È solo che, insomma, ognuno aveva qualcuno a cui appoggiarsi.
Chrys la sua ragazza del ritratto, che non sapevo ancora chi fosse, ma era comunque qualcosa, Jakhaal e Castiel si appoggiavano a vicenda ed Elayne aveva il suo lui. E poi c’ero io, l’emarginata, quella che era stata respinta.
Insomma, a chi interessava quello che stava accadendo a me?
Mi facevo pena da sola.
Arianne era appena morta, e io invece non facevo che pensare al fatto che lui non aveva tempo che per lei, anche se di fatto ora non c’era più. Non riuscivo a smettere di sperare che potesse essere di nuovo mio, che potessimo tornare assieme, ed era incredibile, perché stavo veramente male per come si sentiva, ma, semplicemente, non era tutto li.
So che sembrerà patetico.
Eppure non dissi niente. Sapevo di aver bisogno di parlarne con qualcuno, ma non lo feci. Avevano tutti problemi molto più importanti a cui pensare, perché avrebbero dovuto badare proprio a me?
Quelle settimane trascorsero lente, apatiche.
C’erano molte cose da fare.
Il mondo andava avanti.
E noi ne eravamo fuori. Era strano, ma dopo tutti quegli eventi non volevamo che riposare.
C’era l’incoronazione di Caesar, e i funerali, c’erano mille cose a cui pensare.
Eppure, nonostante tutto, noi ci sentivamo come sospesi nel tempo.
Sospesi nel nulla, e forse, chissà … forse era la cosa migliore.



Note dell'Autrice:
Wow!
Altro capitolo in un giorno!
Lo so, ma essendo stata assente per una settimana intera, volevo rifarmi.
Questo capitolo è stato inserito sul momento, in modo da spezzare un po' col ritmo generale e fare da ponte tra la missione piena di colpi di scena e la parte in cui ci sarano i funerali dei vari personaggi e l'incoronazione. Ho pensato che fosse necessario spezzare un pochetto col ritmo generale.
Ormai, il grosso della parte dedicata a Flogon è fatto, e spero che la storia vi abbia emozionati come ha emozionato me.
Sono un po' di fretta, quindi ringrazio subito tutti i miei lettori e la carissima EragonForever, SeiraBrizzi, onlyfanfction e Vago per le loro assidue recensioni.
Ora vado e alla prossima!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo XX-La quiete dopo la tempesta ***


Capitolo XX
La quiete dopo la tempesta
 

(Elayne)


La ripresa fu lenta e dolorosa.
Dopotutto, ormai, eravamo i formidabili eroi che aveva salvato il regno: non potevamo certo rimanercene nascosti nelle nostre stanze personali. O almeno, potevamo, ma certamente, prima o poi, qualche cortigiana curiosa, qualche servitore o maggiordomo, sarebbero venuti a scovarci fuori e a riempirci di domande e lusinghe fin sopra la testa. E quindi tanto valeva uscire di nostra iniziativa.
Quindi iniziammo a esplorare il castello, a muoverci.
Anche mentre eravamo immersi nel nostro letargo, il mondo era andato avanti. Insomma, c’era un’incoronazione da organizzare, per non parlare dei funerali in preparazione, e quindi non poteva certo essere la nostra sola assenza a fermare la normale routine della capitale del regno.
Mentre camminavo come sospesa nel tempo per i corridoi dell’Ala Nord, adibita appositamente alle stanze e alle camere personali dei vari membri della nobiltà di corte, potevo vedere un gran numero di ancelle e servitori fare avanti e indietro per tutto il tempo, così profondamente impegnati nei preparativi per le varie cerimonie che, con mio sommo sollievo, non trovarono nemmeno il tempo per circondarmi e farmi il terzo grado su come avessi sconfitto Lilith o come fossimo riusciti a fermare Belzebub. Tuttavia, tanto per sicurezza, preferii affrettarmi verso la biblioteca, dove i miei compagni avevano detto di riunirci, visto che Caesar pareva intenzionato a parlarci  tutti assieme.
Ormai, da quel giorno di quasi una settimana prima alla fortezza, non avevo più avuto modo di vederlo. Il quasi nuovo Imperatore di Draconia aveva moltissime faccende da sbrigare, partendo dalla situazione che era venuta a crearsi con la liberazione dei prigionieri, per finire con la repressione dei seguaci ancora rimasti di Elmira, che essendo comunque stata la Grande Sacerdotessa del loro culto, aveva avuto un certo ascendente su tutto il clero del regno. Insomma, tra prigionieri liberati da reintegrare presso i villaggi natale, e i seguaci ancora rimasti di lei da ricercare e sbattere in gattabuia, per non parlare dell’organizzazione delle cerimonie in arrivo, erano state gran poche le occasioni in cui lo avevo visto a palazzo.
E ora, per qualche motivo a me ancora ignoto, voleva parlare con noi Guardiani.
Inutile dire che avevo veramente un pessimo presentimento in tal proposito.
L’intenzione mia e dei miei compagni, quando ci eravamo consultati a missione conclusa, era stata quella di organizzare i bagagli, assistere in disparte alle funzioni e partire senza troppi indugi.
Il dolore per la perdita di Castor e Arianne era ancora troppo forte, ed eravamo appena tornati da una missione che ci aveva messi a durissima prova: nessuno di noi era minimamente intenzionato a trattenersi più del dovuto. Specialmente Castiel e Jakhaal, che sebbene fossero anche i più coinvolti, in quel momento dubitavano di poter reggere a ulteriori pressioni, figurarsi partecipare pubblicamente a eventi di tale portata. L’unica cosa che volevano, che volevamo tutti, era rientrare al Mausoleum, prenderci una pausa e immergerci negli allenamenti fino a dimenticare tutto il resto.
Solo che iniziavo a dubitare fortemente che Caesar o chi per lui ce lo avrebbe permesso.
Infatti, quando feci il mio ingresso nella Biblioteca di Dracoos, mi trovai di fronte a una delle scene che, decisamente, avrei preferito evitare.
“Non se ne parla nemmeno!”, Ainuviel osservava, dal basso verso l’alto e visibilmente contrariata, Caesar che, sorpreso, aveva alzato un sopracciglio. Sorrise: “Signorina Thingarrel, non vorrei deluderla ma … penso che questa decisione spetti al suo compagno.”
Alzò lo sguardo su Jakhaal che, silenzioso, aveva abbassato il capo.
Sospirai, facendomi avanti: “Che sta succedendo qui, posso sapere? Ainu, per favore, cerca di non esagerare, ormai lui è l’Imperatore.”
Caesar mi guardò, in silenzio, sempre sorridendo.
“Lo spiego io.”, fece Chrystal, facendomi cenno di accomodarmi.
Ci trovavamo proprio al centro dell’ampissima biblioteca, costruita, a detta della guida che ce l’aveva mostrata, attorno a l’unico albero ancora in vita dell’intera dimensione, ossia un’immensa quercia di una specie che si trovava solo li, con luminose cascate di linfa bollente che uscivano come magma da alcuni fori sui suoi lati, per poi essere catalizzate in appariscenti fontane in marmo nero. I corridoi uscivano dal suo tronco, si disgregavano per la struttura in legno per poi incontrarsi, avvolgersi e riavvolgersi in un intricatissimo sistema di sale di lettura, scaffali e archivi. E su tutto troneggiava l’Altare, una vastissima piattaforma che permetteva di abbracciare appieno il magnifico spettacolo sottostante, sostenuta dai rami più alti della quercia e guarnita a mo’ di terrazza, con tavoli per il buffet e tavolini da caffè, piante esotiche e statue in marmo scuro.
E noi eravamo proprio li in quel momento, a osservare la biblioteca più grande di Flogon, in tutto il suo splendore.
“Caesar vuole che noi ci fermiamo per le cerimonie. Per la precisione …”, Chrys fece un profondo sospiro, osservando Ainu che, stizzita, volse lo sguardo di lato, “… vorrebbe che Jakhaal, faccia da rappresentante del nostro ordine per il discorso ai funerali.”
Guardai Caesar che, silenzioso, aveva ascoltato la spiegazione in silenzio: “Jakhaal?”, chiesi, incerta.
Quello sorrise: “Sentite, non sono uno sciocco. So bene che voi avevate programmato di andarvene il prima possibile, e senza attirare troppo l’attenzione: ma non è così che vanno le cose nel nostro paese.”, disse, guardandoci serio.
Sospirai, avevo la netta impressione che non l’avremmo avuta vinta molto facilmente. Ma, d’altronde, non aveva nemmeno tutti i torti.
“Ormai non siete più dei semplici stranieri. Avete salvato il nostro regno e il nostro popolo, vi siete assunti dei doveri e li porterete a termine, e poi … sono certo che neanche voi non volete veramente lasciarvi tutto alle spalle senza dire nulla. Avrete di certo cose da dire, qualche promessa da fare, o un messaggio da lasciare, e questa è l’occasione buona per farlo. Inoltre …”, disse, voltandosi ora verso il fratello, “… nostro padre avrebbe voluto che fossi tu a incoronarmi. Ha sempre saputo che, molto probabilmente, sarebbe dovuto morire prima del tempo, e voleva che fossi tu, in quel caso, a prendere il suo posto come celebrante.”
Si alzò, sorprendendoci e prendendo il fratello per le spalle.
Aveva gli occhi lucidi, ma nonostante tutto, ancora non piangeva.
“Lo so che tu lo hai sempre visto come una persona distante, è normale. Anch’io dovrò seguire la sua strada quando sarò re. Però, credimi, lui ti amava davvero, ha sempre saputo che un giorno avresti trovato il tuo posto nel mondo, ma aveva paura. Sembrerà strano, ma lui aveva paura. Sei l’unico figlio maschio che ha avuto da Elzabeth, e per quanto la corte possa dire il contrario sappiamo entrambi che lei è l’unica, tra le mogli che prese, che avesse amato realmente.
Per questo non voleva che uscissi, che vedessi il mondo e prendessi una via tua. Anche se aveva fiducia in te, temeva che un giorno avresti potuto cacciarti in guai troppo grossi, proprio a causa del tuo buon cuore e della tua tendenza a lottare per chi non può farlo. Ora, però, so che si sbagliava. Sei un Guardiano, e anche se questo comporterà senza ombra di dubbio molti pericoli sul tuo cammino so che è questa la strada che devi prendere, e anche lui l’ha saputo, prima di spirare. Quindi, se esiste qualcuno che possa farlo, quello sei tu. Nessun altro.”
Sorridemmo, mentre Castiel si guardava attorno, confuso.
Sospirai: “Caesar ha ragione. Non possiamo sparire senza dire nulla, e tu DEVI fare questa cosa: lo sento, è la decisione migliore.”
Ainu si fece avanti, decisa: “E a Jakhaal, non pensi? Non dici nulla a riguardo? Vogliono che sia lui, lui, a fare il discorso per il funerale di Arianne! Hai idea di cosa significherebbe!?!”
Scossi il capo: “Ainu, so cosa provi ma … è una decisione sua.”, mi voltai, in attesa.
Tutta la nostra attenzione era incentrata su di lui.
Jakhaal sembrò tentennare, poi alzò lo sguardo: non l’avevo mai visto così deciso prima d’ora. “Ho fatto una promessa, e non voglio che sia solo una qualche parola di convenienza sussurrata nel momento opportuno. È giusto che la gente sappia: io combatterò, e lo farò anche per lei. E quella è l’occasione migliore perché io possa dirlo al mondo.”
“Ma, Jak …”, Ainuviel lo osservava, persa.
Abbassai il capo.
Odiavo ammetterlo, ma forse li, quella che stava peggio era proprio lei.
Avevo cercato di parlarle, nei giorni precedenti, ma non c’era stato modo di fare breccia nel suo animo: semplicemente, aveva eretto un muro, tra lei e il mondo, e non pareva intenzionata a uscire da quello stato.
Non mi sorprendeva che fosse scioccata.
“Ainu …”, feci, indecisa, “… senti, penso che questa volta sia lui a dover scegliere. È un suo diritto.”
Lei abbassò il capo, poi sospirò, cercando di sorridere: “Fa niente. C’è altro?”, chiese forzatamente calma, rivolta a Caesar.
Quello la osservò, per un istante, poi scosse il capo: “No, però non mi dispiacerebbe scambiare qualche parola con la vostra leader.”
Annuirono, ritirandosi e lasciandomi sola con lui, che sospirò: “Wow, non ti è certo capitata in mano una bella situazione.”
Alzai le spalle: “Sono certa che si risolverà. Hanno passato tutti un bruttissimo periodo, posso star loro vicina, ma solo il tempo deciderà cosa fare delle loro ferite.”
“Sembri … diversa.”, disse, osservandomi curioso.
Io sorrisi: “Ho riflettuto sulle tue parole. Durante questa missione, io non ho fatto nulla di realmente utile. Mi sono limitata ad assistere, lasciando che fosse il vento a fare da guida per le nostre strade, così abbiamo quasi rischiato di rimetterci le penne. E quando ho preso in mano il mio Frutto, mi sono sentita dire che non sono ancora pronta per utilizzare appieno il suo potere … dopo tutto quello che avevamo fatto!
Ho capito che sono solo all’inizio. Prima che finissimo dietro alle sbarre, non sapevo nulla della relazione tra Ainuviel e Jakhaal, prima che ci imbarcassimo per Flogon, non sapevo nemmeno che Chrystal teneva il ritratto di un’altra donna in un ciondolo sotto la giacca. E anche ora, sono così tante le cose che ancora non so di loro. Non so da quale famiglia vengano, in che ambiente siano cresciuti né per quale motivo si siano uniti a questa guerra. Tutto quello che so è che sono loro, e voglio proteggerli, e se non riuscirò a prendere in mano questo team non ce la farò di certo.”
Lui sorrise: “Bhe, per ora sei solo salita sul cavallo del comando. La parte difficile arriva ora, nel rimanerci in sella.”
Mi mise una mano sulla spalla: “Sono certo che, comunque, il mio popolo sarà contento di sapere che i suoi salvatori sono così forti. Anche se non sembra, vi ammiro. Ne avete passate tante, ma siete qui, e questo è tutto quello che c’è da sapere.”
 

(Castiel)

Ero immobile.
Giuro, paralizzato.
Ovviamente, quel megalomane di mio fratello aveva deciso che l’incoronazione si sarebbe tenuta presso la Piazza della Gloria, ossia su un terrazzo, di fronte a oltre migliaia di persone del popolo mentre, dalle altre terrazze, tutta la nobiltà al completo poteva ammirare lo spettacolino di me che cercavo di non inciampare in quella toga da frate lunga quanto un abito da nozze e scomoda quanto un tanga.
“Ehi.”, lei era alle mie spalle, e mi osservava, divertita.
“Non posso farcela, morirò, me lo sento.”, dissi, in preda alla disperazione, “Anzi no, prima farò una delle mie figure di merda, che faccio sempre alle occasioni importanti. Poi stramazzerò al suolo morto.”
Lei mi cinse la vita, poggiando il capo sulla mia spalla: “Smettila di commiserarti. Sono certa che lascerai tutti a bocca aperta. Tuo padre non ti ha scelto per questo incarico per nulla, sapeva quello che faceva e conosceva suo figlio, e ti conosco anche io. So che sarai fantastico.”
Misi su uno dei miei finti bronci, sapevo che la facevano impazzire, e quindi li sfoderavo ogni volta che potevo: “Si ma … questa toga fa schifo! Sembro omo!”
Lei scoppiò a ridere.
Dio, è magnifica.
Non c’è nulla come la sua risata, giuro. È unica, è … sua, viva, infinitamente meravigliosa. Semplicemente lei!!!
Mi stampò un bacio sulle labbra: “Meglio, così nessuna cercherà di avvicinarsi a te. Tu sei MIO, ricordi?”
Sorrisi, gongolante. La adoravo quando faceva la gelosa.
“Certo.”, dissi, convinto, “Tutto tuo. E devi dire ad Astrea di mettere da parte una camera solo per noi due, che stanotte festeggiamo il mio splendore durante la cerimonia!”
Lei scosse il capo, dileguandosi.
Guardai Caesar che, al mio fianco, pareva assorto.
Era nato per quello. Lo capivo, mio padre non avrebbe potuto scegliere successore migliore, era nel suo elemento, e osservava il suo popolo, la fuori, con uno sguardo tale che capii, in un istante, che mai avrei potuto lasciarli in mani migliori.
“Andiamo?”, chiesi.
Quello annuì, deciso.
 
“Non sono mai stato bravo a imparare protocolli.”, dissi.
Ero li, di fronte a il mio popolo, che mi fissava, in attesa che eleggessi il loro nuovo re e sovrano, con la corte intera a osservarmi.
Sorrisi, riprendendo: “Per oggi, avrei dovuto impararmi un intero manoscritto di formulari, preghiere e costumi da seguire per questa occasione unica, ma, francamente, mentre leggevo quel librone, non facevo che chiedermi a cosa potesse servirmi. Quelle parole mi suonavano vuote, ridondanti e prive di un reale significato, come molte altre cose da cui ho sempre tentato di fuggire, mi parevano troppo pompose e false per essere realmente utilizzate. Effettivamente …”, dissi, osservando la reazione interdetta del mio pubblico. Si erano aspettati il solito protocollo, e vedermi prendere l’iniziativa in quel modo li spiazzava non poco, “… penso che, per certi eventi, non esistano parole adatte a essere pronunciate. A volte, semplicemente, non ci si può esprimere col linguaggio comune.
Qui oggi io non sto solo mettendo un pezzo di metallo in testa a un uomo, come alcuni potrebbero pensare. Perché ci sarà sempre qualcuno che metterà un pezzo di metallo sulla testa di qual'altro, dandogli in mano le chiavi per governare un regno. No, io qui sto riconoscendo il fratello, un amico … un mentore, che per tutti questi anni non ho mai considerato veramente. Sto creando un legame, che va al di là delle belle parole, delle tuniche scomode ma obbligatorie o dai sussurri di corte, sto riunendo una famiglia che per anni pareva essere sull’orlo della distruzione.”, guardai Ariyme, che sorrise, dalla terrazza in cui si trovava, poco lontano.
“E penso che sia questa la cosa realmente importante. I legami, tutti hanno dei legami qui. Che si tratti del nobile più puro o del servo più mediocre, tutti abbiamo delle persone che amiamo e vogliamo proteggere. E il compito di un re è il più doloroso di tutti, perché al di là del potere, delle armate e dell’oro a sua disposizione, un sovrano deve far si che i suoi legami siano il suo popolo, che il suo regno sia la sua famiglia. Anche se questo significa rimanere solo, o sopportare un peso enorme.
Per anni non sono riuscito a capirlo, e ora che ci sono arrivato, so che, anche quando non ci sarò più, mio fratello sarà sempre qui. Perché i re muoiono, le leggende vengono dimenticate e gli eroi cadono, ma i legami … i legami restano per sempre.”
Mi voltai, osservando mio fratello.
Caesar sorrideva, e, giuro, per un istante lo vidi quasi piangere.
Gli feci cenno di inchinarsi, mentre prendevo la corona: “Fratello, io qui ti nomino Imperatore Supremo di Draconia. D’ora in avanti, lei sarà la tua sola moglie e amante, sarà la tua famiglia e tu la proteggerai come tale. Ti affido il nostro regno, il nostro popolo e, soprattutto, i nostri legami.”
Un boato ci avvolse, mentre ci alzavamo, fratelli e guardiani di quel regno, osservando, ancora una volta, il nostro popolo esultare.
 

(Jakhaal)

I funerali furono del tutto differenti.
Niente pubblico esultante a fare da sfondo, niente vestiti eccessivamente sgargianti o pomposi, niente festoni e stemmi appesi per il luogo in cui si sarebbe tenuta. Non era una festa, e questo lo sapevamo bene.
Sarebbe stato qualcosa di tutto sommato tranquillo e riservato, con solo pochi conoscenti e nobili ad assistere, oltre che qualche sacerdote e le guardie ad assicurarsi che non accadessero altri imprevisti poco piacevoli. Potevamo anche aver costretto alla ritirata le forze della Viverna, ma la situazione non era ancora del tutto tranquilla, e quindi Caesar preferiva mantenere alta la guardia.
La cerimonia si sarebbe tenuta all’interno della sala del trono, da cui si poteva accedere direttamente alla cripta sotterranea, nella quale da millenni erano tenuti sepolti i membri della famiglia reale di Draconia e dove, alla fine, anche Arianne, Castor e Astor sarebbero stati calati al suo interno.
Francamente, non mi piaceva l’idea di lasciarla li, sotto terra, per migliaia di anni, senza nessuno a starle accanto. Lei era una creatura fatta di luce, e calore: non era quello il suo posto. Avrebbe dovuto essere sepolta sotto il sole lucente, all’aria aperta, non certo in quel luogo abbandonato dagli dei.
Sospirai, seguendo in silenzio il carro funebre.
Aspettai in silenzio che ogni membro importante della nobiltà facesse il suo discorso, ma non li ascoltai.
Non volevo ascoltarli.
Perché la maggior parte di loro non c’erano mai stati per lei, perché tutti l’avevano sempre biasimata e disprezzata, per la sua ambizione di divenire una guerriera professionista, una protettrice di quel regno.
Quindi, preferivo ignorarli, tapparmi le orecchie e isolarmi fino a quando non fosse stato il mio turno, e tutto fosse finalmente concluso. Ormai, sentivo di non poterne più di quelle condoglianze fasulle, di quelle lacrime finte, di quei modi eccessivamente adulatori: volevo solo essere lasciato in pace, ma avevo ancora una cosa da fare prima di potermi concedere un lusso simile.
E non potevo rimandare.
Quando fu il mio turno di salire presso l’altare, guardai sotto di me.
I volti della nobiltà mi parevano maschere sfocate e prive di sentimenti sinceri, solo dalla sua famiglia e dai parenti più stretti mi pareva di percepire un reale cordoglio per la sua perdita.
Mi voltai a fissarla.
Grazie alla magia di Ainu, erano riusciti a farla tornare al suo aspetto originario, prima delle torture e della morte, e in quel momento era più splendida che mai. Non avrei mai potuto ringraziare abbastanza la mia amica per ciò che aveva fatto. Sapevo che doveva esserle costato uno sforzo immane, e che in quei lunghi giorni l’avevo forse trascurata troppo, e quindi non sapevo proprio quanto esserle grato.
Avvolta nel suo abito color porpora, con le insegne del suo rango stampate sul petto, era stata adagiata su un letto di girasoli, i suoi fiori preferiti. Non c’erano fiori a Flogon, ma lei aveva sempre sognato di visitare il mondo esterno, solo per poterli vedere, ed ora eccola li, il mio bellissimo sole. Non avrei potuto pensare a un modo migliore per dirle addio.
Sospirai, voltandomi nuovamente verso la folla e schiarendomi la voce. Non ero nervoso, o arrabbiato, o irritato per tutti quei volti dannatamente indifferenti, solo triste e stanco, così dannatamente malinconico che quasi mi pareva di svenire.
Ma dovevo andare avanti.
Li guardai, uno ad uno, fino a quando il mio sguardo si posò su Castiel, che annuì, facendomi forza.
“Non so perché proprio io sia stato scelto per questo discorso.”, esordii, osservando il mio pubblico, fermo e deciso, “La conoscevo da così poco tempo, e lei aveva così tante altre persone che l’amavano, e che avrebbero potuto pronunciare queste parole al mio posto. Tra i Guardiani, forse Castiel sarebbe stato più indicato per questo compito, eppure la scelta è ricaduta su di me.
Non mi dilungherò su quanto lei fosse eccezionale e unica, o su quanto avrei voluto poterle dare anche solo un minuto di vita in più, per poterle dire che l’amavo, perché queste cose sono già state dette, e sulle labbra di uno sconosciuto forse sarebbero inopportune. Dopotutto, chi sono mai io, in confronto alla sua famiglia, ai suoi fratelli e a sua sorella? Sono certo che anche loro sentiranno la sua mancanza, e forse, se paragonato al loro, il mio dolore è troppo esiguo per essere nominato.
Voglio però dire una cosa. Lei è morta per proteggere ciò in cui credeva, ha combattuto fino all’ultimo, per impedire che il regno che amava venisse distrutto. Ha avuto il coraggio di vivere la sua vita appieno, senza nascondersi dietro maschere o menzogne, essendo sempre sé stessa, senza curarsi del giudizio degli altri perché sapeva che, per vivere veramente in pace col proprio io, l’unica soluzione era non avere ripensamenti. Non ha mai mentito a nessuno, non ha preteso di essere qualcun altro, era naturale e sempre viva, semplicemente era lei. E in un luogo dove tutti cercano di fingersi altri, per ottenere favori o per sfuggire al biasimo, lei era come un raggio di sole nell’oscurità, e sono certo che, se anche altre persone seguissero il suo esempio, allora questo regno potrebbe veramente raggiungere la pace e la stabilità che tutti sogniamo.”
Il pubblico era immobile, la corte mi osservava, visibilmente a disagio, consapevole che la mia critica celata era rivolta proprio a loro, che in tutti quegli anni non avevano mai riconosciuto ad Arianne i suoi meriti e sacrifici.
Sorrisi, proseguendo: “E io non intendo essere da meno. Nei giorni passati al suo fianco, ho visto il mondo aprirsi a nuovi orizzonti, ho imparato ad amare me stesso e a non rinunciare mai alla mia unicità. Mi ha insegnato a combattere per ciò che amo e ciò in cui credo, e ora che non c’è più vi prometto una cosa.
Avete perso una meravigliosa principessa e un’incredibile guerriera, ma ora avete me. Ho giurato che mai avrei abbandonato ciò che lei amava, e d’ora in poi farò tutto ciò che è in mio potere per proteggere voi come avrebbe fatto lei al mio posto, se fosse rimasta in vita. Porterò avanti i suoi ideali, alzerò verso il cielo la fiaccola della speranza che lei per prima ha acceso, nella speranza che, un giorno, non solo io, ma tutti voi avrete il coraggio di seguire la sua strada. E combattere, per ciò che amate e desiderate, per questo paese per cui lei ha lottato e protetto. Per lei.”
Mi zittii, abbassando il capo, in attesa. Era il momento cruciale, se veramente le mie parole avessero avuto effetto, forse allora qualcuno si sarebbe fatto avanti.
Un mormorio sommesso percorse i presenti, mentre la corte si alzava, e dalle mani di ognuno spirali di luce rossa raggiungevano il soffitto, per poi uscire all’aperto.
Tutti i Draconiani celano dentro di sé il potere della Fiamma, che si accende solo quando i loro cuori sono mossi da sentimenti sinceri e puri.
E anche se in quel momento, al chiuso, non potevo saperlo, sopra la reggia brillava, incandescente, il nome di lei.



Note dell'Autrice:
Ecco qui un nuovo capitolo, forse uno dei più profondi e toccanti che finora abbia pubblicato.
Ormai la permanenza a Flogon è giunta alla sua fine, terminate le cerimonie e fatti gli ultimi saluti i nostri protagonisti saranno costretti a salutare coloro che li hanno accompagnati fin qui per rientrare al Mausoleum. Diciamo che questa mini saga sulla Dimensione del Fuoco ha dato parecchie emozioni, un po' triste e un po' allegre, e spero che vi sia piaciuta come è piaciuta a me che, lo ammetto, un po' sono dispiaciuta a lasciarli qui per proseguire. Ma state tranquilli, non vi dico ancora per come o perchè, ma posso assicurarvi che rivedremo presto la famiglia di Castiel.
E così eccoci al XX Capitolo, come promesso, visto che ne sono passati dieci riproporrò il piccolo sondaggio, in forma aggiornata, inserito per la prima volta nel X Capitolo, sui personaggi che finora avete amato di più:
Elayne
Sting
Ainuviel
Jakhaal
Chrystal
Oracolo
Chosmos
Apophis
Lilith
Belzebub
Arianne T-T
Ariyme
Caesar
Castor T-T
Efnir
Eamyr
Gored
Astor
Elzabeth
Elmira
Eleazer
Astrea
Zeus

Spero che mi saprete dire!!!
Ringrazio invece come sempre tutti quelli che continuano a seguirmi, e anche EragonForever, onlyfanfiction, Vago, SeiraBrizzi, James Potter II e KakashinoSharingan per le loro gentilissime recensioni, sempre ben accolte!
Vi saluto!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo XXI-Volo verso casa ***


Capitolo XXI
Volo verso casa
 

(Elayne)


Venimmo congedati il giorno seguente.
I nostri bagagli ci attendevano presso la rampa di lancio, dove Astrea ci stava aspettando, visibilmente irritata per l’accoglienza inizialmente ricevuta dai nostri ospiti. Per farsi perdonare, e in parte anche per farla stare un po’ zitta, Caesar aveva dato ordine che la servitù si occupasse di tirare completamente a lucido i suoi arredi, così da risparmiarsi ulteriori filippiche da parte del nostro frivolo mezzo di trasporto.
Che in quel momento osservava Gored, il quale ci avrebbe accompagnati nel nostro viaggio, in modo abbastanza critico.
“Ehi.”, fece, improvvisamente, sempre senza smettere di fissare il drago di Castiel in modo sospettoso, “Non vorrete mica rimpiazzarmi con sto’ lucertolone, spero!”
Il drago la fissò male, evidentemente chiedendosi chi cacchio fosse quella e cosa ci facesse li.
Sorrisi: “Tranquilla, sai bene che non potremmo mai sostituirti!”
“E lo credo bene! Sono una nave di classe, io! Mica mi ci trovate ovunque, no?”, iniziò quella, mentre Castiel la osservava, incuriosito.
“Ehm … posso sapere cosa è con esattezza questa tipa? Non mi sembra molto sana di mente.”, fece, cercando di non farsi sentire.
Ovviamente, io cercai di zittirlo, perché a bordo Astrea può vedere e ascoltare tutto ciò che viene fatto o detto, ma non feci in tempo, al che lei si voltò, scandalizzata: “Brutto piccolo impertinente! Si può sapere chi ti credi di essere? Un Guardiano? Tzè, ma fammi un piacere!”
Chrystal sospirò, accostandosi a noi: “Mi spiace rovinarti la festa ma si, lui e proprio un Guardiano. Incredibile l’ironia del destino, eh?”
Quella ci fissò sbalordita: “Che??? E va bene! Però a bordo si fa quello che dico io, per cui il presuntuoso può anche mettersi a pulire il pavimento!”
Jakhaal si unì a noi, osservandola, non senza un pizzico di sollievo: “Non credo che funzionerà questa volta. Hai rotto così tanto le nocciole ai Draconiani che ci hanno già pensato loro a tirarti a lucido.”
Quella fece per protestare, ma alla fine si zittì.
Guardammo verso il basso, dove pian piano il terreno iniziava ad allontanarsi, e un folla di curiosi ci salutava, esultante, sorridemmo, salutandoli di rimando.
Poco lontano, sulla terrazza che dava alla pista, Ariyme corse fuori, scalza, e Castiel  si illuminò.
Come avevamo promesso, una volta tornati alla reggia Ainu si era messa d’impegno per guarire la malattia della sorella, che dopo un periodo di ripresa aveva finalmente iniziato a fare i primi timidi passi.
La vedemmo saltare, salutandoci esultante, con Caesar e gli altri alle spalle.
E fu così che lasciammo Flogon, per tornare finalmente a casa.
 
Il Mausoleum non era minimamente cambiato.
Certo, in nostra assenza, gli spiriti e gli angeli che lo abitavano si erano dati un gran d’affare, per riparare i danni causati dall’attacco, e ora, dopo quasi un mese di assenza, gli edifici iniziavano a riprendere l’antico splendore.
Non appena atterrammo, prima ancora di risistemare i nostri effetti personali trascinai Castiel a fare un giro turistico per il Mausoleum, senza curarmi troppo dell’occhiata truce che ci riservò Chrys e determinata a tirarlo un po’ su di morale, dopo tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni.
Trascorremmo la giornata in groppa a Gored, volando da un Santuario all’altro, e fermandoci solo per i pasti.
Verso sera, Castiel chiese al suo compagno squamato di lasciarci soli, e lui si congedò, non prima di avermi fatto un occhiolino divertito. Rimanemmo quindi da soli, sulla cupola del Santuario del Fuoco, osservando il cielo tingersi del rosso del tramonto, abbracciati l’uno all’altra.
Senza curarmi troppo delle mie abilità disastrose in fatto di cucina, aveva improvvisato un pic nic all’aperto, con focaccine alle olive e pomodori, formaggi e spremuta, per cui, quando fummo finalmente sazi, ci appoggiammo l’uno all’altra, rilassandoci felici.
Lo guardai, mentre un filo di preoccupazione si faceva strada dentro di me. Pareva tranquillo, ma nei giorni precedenti era stato sempre così silenzioso, a causa della morte dei suoi fratelli, che temevo stesse cercando di nascondermi una verità fastidiosa. Lui si voltò a fissarmi, incuriosito: “Ehi, tutto bene?”
Sospirai, appoggiami nuovamente sul suo petto caldo. Potevo sentire il suo battito forte e deciso attraverso la fine cotta di maglia che soleva indossare quando non combatteva: “Dovrei essere io a chiedertelo. Come ti senti? Hai appena perso tre persone molto importanti per te.”
Lui sorrise, rassicurandomi: “Visto che al momento ci sei tu qui con me, riesco a non pensarci. Con te al mio fianco, mi sembra tutto più semplice, la vita è più tranquilla e mi sento in pace.”
Sorrisi, sporgendomi verso le sue labbra, e fermandomi a un soffio da esse, tanto per stuzzicarlo: “Eee?”, feci, incoraggiandolo.
Lui mi osservò, divertito: “Lo stai facendo apposta, vero? E va bene. Sono innamorato di te, sono pazzamente, unicamente innamorato di questa antenna parabolica spara folgori che mi ha rapito il cuore!”
“Risposta esatta.”, ribattei, baciandolo.
Prima che potessi anche solo muovermi, lui ribaltò la nostra posizione, mettendomi sotto di lui e bloccandomi le mani sopra la testa, mentre si chinava di più per approfondire il bacio. Gli cinsi il collo, stringendolo a me per fargli dimenticare tutto, per cullarlo e per cancellare quel dolore che aveva dentro.
Lasciai che le sue labbra assaporassero le mie, chiudendo gli occhi per godermi appieno quella sensazione senza prezzo.
Rimanemmo li, soli, per molto tempo, nel nostro piccolo rifugio sicuro, fino a quando le ombre non iniziarono a calare sul Mausoleum.
 
Il giorno seguente, ci radunammo presso l'Arena di Addestramento, dove sia io che Castiel saremmo stati assegnati ai nostri maestri. Lui per imparare e controllare appieno il proprio potere, e io per allenarmi nell’utilizzo di Zeus, che da quando mi aveva parlato per l’ultima volta non si era più fatto sentire.
Chrystal comparve, in una nuvola di fiocchi candidi, di fronte a noi, il viso cupo.
Castiel mi si affiancò, guardandolo di sbieco: “Aspetta un secondo, non sarà mica lui ad allenarti, vero?”, chiese, visibilmente contrariato.
“No.”, la voce di Jakhaal ci sorprese alle spalle, mentre si avvicinava a noi, Magmaar in mano. Era la prima volta che vedevo il suo Frutto, e non c’era che dire: sprigionava forza e potenza da tutti i pori. “Lui si occuperà di te, per Elayne, ci penserò io a farle da maestro.”
Castiel fece per protestare, ma Chrystal lo zittì: “Non dire niente. Nemmeno a me va molto a genio questa soluzione, ma gli ordini di Chosmos non si discutono, per cui cerchiamo di fare quello che dobbiamo fare senza ucciderci a vicenda, Ok?”
Quello lo fissò male, poi annuì, sospirando rassegnato.
Io lo abbracciai da dietro, per consolarlo: “Tranquillo, quando avrete finito mi racconterai com’è andata, Ok?”
Mi sorrise, stampandomi un bacio giocoso sul capo, mentre io e Jak ci dirigevamo verso un’altra area delle Arene.
La Casa della Roccia era il campo di addestramento dove, solitamente, si allenavano di Guardiani di Vrach, ma che sarebbe potuta essere utile anche per me, visto che dovevo abituarmi a combattere anche in altri tipi di terreno. Aveva l'aspetto delle classiche Arene da Combattimento Romane, con gli spalti e le armi ordinatamente allineate sul limitare dell'area da combattimento, e il terreno coperto da sabbia fine. Qua e la sporgevano dei grandi massi, che solitamente potevano essere utilizzati per proteggersi così come, dai Guardiani della Roccia, per attaccare gli avversari. L'aria trasudava odore di sudore e sabbia, dando all'atmosfera un non so che di esotico e caldo, e rendendo il tutto ancora più interessante.
“Allora … posso sapere perché il mio Frutto non vuole prestarmi il suo pieno potere?”, chiesi, improvvisamente.
Lui annuì: “Vedi, i Frutti possiedono una volontà a parte, e sono come delle guide per noi Guardiani. Già il poterli utilizzare in battaglia ci da un notevole vantaggio, anche senza ricorrere al loro pieno potere, ma finchè il tuo compagno non ti riterrà pronta per ricevere il suo pieno contributo dovrai limitarti a usarlo per amplificare appena le tue capacità. Sempre meglio di un’arma normale, comunque, visto che tutte le altre armi si deteriorano in breve tempo se usate da noi.
Per ora, comunque, io ti insegnerò a combattere col tuo Frutto. Per te, ha preso le sembianze di una katana elettrica, ma finora ti sei sempre addestrata con normali gladi o stocchi, e in alcuni casi claymore, più pesanti e tozze di quella. Per me, che già prima di ricevere Magmaar combattevo utilizzando martelli di grossa taglia, la differenza è minima, ma di certo avrai notato come sia difficile combattere con un’arma a cui non si è abituati.”
Annuii. Effettivamente, durante lo scontro con Lilith, avevo notato come il filo unico della katana ne rendesse difficile l’utilizzo. Anche se più leggera, infatti, richiedeva una precisione e una destrezza maggiori e quelle cui ero abituata.
“E quindi? Come farò a ottenere il suo pieno potere?”, chiesi, dopo un po’.
Lui sospirò: “Questo dovrai chiederlo a lei.”
Ehi …
La voce infastidita di Zeus mi sorprese, facendomi abbassare lo sguardo.
Di al tuo amichetto cornuto che sono un maschio, se c’è una femminuccia, qui, sarà quello stupido coso che si porta appresso. È ridicolo! Come diamine si fa a combattere con qualcosa di simile?
Sospirai: “Almeno potresti salutare, e dirmi perché non mi credi pronta, no?”
Quello parve sbuffare.
Si, ciao. Contenta ora? Per la storia del pronta o non pronta, semplicemente penso che tu sia ancora all’inizio. Non hai la minima idea di cosa significhi essere un’Eletta, anzi, nemmeno di cosa sia comandare un team. Dimmi, cosa avresti fatto per i tuoi amici? Non sei capace di mettere da parte le emozioni quando serve, sei sempre occupata e pensare al Ghiacciolino o al Fiammifero, e perdi di vista l’obiettività con cui dovrebbe comportarsi un leader. Anche mentre ti scontravi con la figlia del mostro, eri così preoccupata per i tuoi amici che commettevi errori su errori, e se non ci fosse stato il tuo amichetto a pararti il culo, ora non saresti certo qui!
Mi bloccai, senza sapere cosa dire.
Era vero, sia di fronte ad Apophis, che con Lilith, io ero sempre stata peggio che inutile. Dovevo guidare quella squadra, ma ero la più debole del gruppo, persino Castiel era in grado di superarmi senza problemi. Era ovvio quanto fosse grande il divario che ci separava, erano si e no quattro mesi che avevo iniziato a combattere, e ancora non sentivo quella strada come mia.
Anche se in molti mi erano stati accanto durante il mio percorso, ancora, in fondo al cuore, qualcosa in me rigettava quel destino.
Non potevo certo dargli tutti i torti. Molto probabilmente, se fosse stato necessario non sarei nemmeno riuscita a uccidere veramente un nemico.
Jakhaal mi fissò, preoccupato: “Ehi, tutto bene?”
Scossi il capo, cercando di riprendermi: “Si, non ti preoccupare. Iniziamo?”
Quello annuì, deciso.
 

(Castiel)

Quando, quella sera, io ed Elayne ci ritrovammo nel nostro posto segreto, sul tetto del mio Santuario, la prima cosa che riuscii a dire fu: “E’ ufficiale, io odio quel tizio!”
Mi lasciai cadere a terra, massaggiandomi indolenzito i generosi lividi che il signorino non si era risparmiato di donarmi. Una cosa era certa: quel Ghiacciolo non ci andava affatto piano con i novellini.
Lei mi si accostò, osservando critica le chiazze violacee che, lentamente, iniziavano a formarsi nei punti in cui ero stato colpito più duramente. Sospirò tirando fuori una crema color seppia, e iniziando a spalmarla sulle ferite: “Temevo che sarebbe finita in questo modo, e ho fatto preparare questa da Ainu. Non può guarirti, ma almeno allevierà il dolore.”
Sbuffai, mentre un’idea cattivella si faceva strada.
“Io so come potrei essere guarito, esiste una medicina semplice semplice.”, buttai li, osservando la sua reazione.
Alzò un sopracciglio: “Ossia?”
Mi sporsi verso di lei, facendole cenno di avvicinarsi appena.
Lei mi si accostò, ma prima che potesse fare qualcosa le balzai alle labbra, rubandole un bacio scherzoso.
Lei si ritirò appena, sorpresa: “Ehi!”
Ridacchiai, divertito, fuggendo via mentre lei iniziava a inseguirmi.
Ero ancora parecchio furioso col simpaticone refrigerato, per cui ebbi la geniale idea di indirizzarmi verso la Casa del Ghiaccio, dove a quell’ora si stava sicuramente addestrando, per poi rallentare e permetterle di raggiungermi.
L’Arena di Ghiaccio era ben diversa da quella del fuoco, in cui ci eravamo allenati per affinare il mio potere. Era costituita da un’ampissima grotta completamente ricoperta da ghiaccio e brina, con appuntite stalattiti che pendevano precarie dal soffitto e profonde pozze di acqua cristallina ed estremamente fredda che si intervallavano qua e la.
Non appena lei mi saltò addosso, lasciai che mi atterrasse, sporgendosi divertita per sfiorare le mie labbra.
Potevo sentire la sue presenza, li intorno, per cui la tirai a me, strappandole un bacio più profondo e passionale e assaporando esultante il sapore quasi elettrico delle sue labbra, morbide e accoglienti.
“Wow, che ne dite di spogliarvi anche? Così vi divertite di più, temo però che rischiereste di morire congelati, viste le basse temperature della MIA Casa.”, fece una voce, cogliendoci di sorpresa.
Elayne balzò in piedi, fissandolo sorpresa, mentre io sghignazzavo, divertito.
Potevo quasi vederlo, rodersi d’invidia!
Elayne si riprese, raggiungendolo ad ampie falcate per poi fissarlo, visibilmente furiosa. Balzai di lato, mentre leggere scariche elettriche si propagavano per il pavimento, e Chrystal iniziava a guardarla, interrogativo.
“Tu!”, esordì infine lei, dandogli quasi addosso, “Si può sapere che diamine hai in quel cervello! Ok, forse non vi amerete chissà quanto, ma non credi di aver esagerato giusto un pochetto, con quei lividi?!? Avevate deciso di collaborare! E questo certo non significa cogliere l’occasione per umiliarlo e ferirlo!”
Quello sbuffò, scostando lo sguardo: “Ehi! È un Guardiano, ormai! Cosa credi? Che in combattimento saranno gentili con lui solo perché è alle prime armi? Faccio solo il mio dovere, ossia abituarlo agli scontri reali!”
Lei alzò lo sguardo, esasperata.
Quella situazione iniziava a farsi veramente interessante, per cui pensai bene di accomodarmi, osservandoli divertito.
“Si, certo! E si può sapere perché invece, con me, non ti sei mai comportato in questo modo? Anch’io ero alle prima armi appena sono venuta qui! E di certo non ci sei mai andato così pesante. Questo come me lo spieghi?!?”
Quello fece per protestare: “Si, ma … ecco … tu sei una ragazza!”, mi morsi il labbro, decisamente, il commento sessista era l’ultime scusa che avrebbe dovuto inventarsi, “Non potevo mica fare sul serio!”
Lei si bloccò, fissandolo scandalizzata.
“Una ragazza? È così quindi, tu pensi che io non sia degna di essere presa sul serio, perché sono una ragazza?!?”, iniziai ad alzarmi, mentre una tripudio di scariche bluette le copriva il corpo.
Divertimento a parte, le cose non si stavano mettendo affatto bene.
Intervenni, mentre una scarica repentina spediva Chrystal qualche metro più in la, e presi, incurante del dolore dell’elettricità che la ricopriva, Elayne per la vita, portandola fuori.
Lei si dimenava, ma la costrinsi e fissarmi: “Ehi, ehi … va tutto bene, Ok? Lascia perdere, è inutile prendersela tanto per uno come lui. Ora fa un bel respiro. Brava.”, le sorrisi, mentre lei accennava a calmarsi.
La strinsi a me, tranquillizzandola, mentre vedevo Chrystal allontanarsi.
Ci fissammo.
Mi devi un gran bel favore, testa di rapa.



Note dell'Autrice:
Eccomi qui di nuovo.
So che è il secondo capitolo in un giorno, ma boh...ho avuto un improvvisa lancio d'ispirazione per cui ho pensato bene di buttarmi un pochetto avanti con la stesura della storia.
Finalmente i nostri amici sono tornati al Mausoleum, e li attende ora una bella e impegnativa sessione d'allenamento. Dopotutto, con tutte le cose successe è normale che abbiano bisogno di distrarsi, quindi sia questo che il successivo capitolo, ve lo anticipo, saranno in larga parte dedicati alla loro permanenza presso la sede. Ne vedremo delle belle, visto che come sappiamo tra Castiel e Chrystal non scorre affatto buon sangue!
Spero veramente che questa storia vi abbia preso, e ringrazio quindi tutti quelli che continuano a seguirmi. Se avete domande, non esitate a chiedere, io ci sono sempre e le critiche sono ben accolte in qualsiasi momento! Ringrazio anche coloro che continuano a recensirmi assiduamente, siete fantastici e senza di voi non saprei cosa fare!
Alla prossima!
Teoth

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo XXII-Questioni di cuore ***


Capitolo XXII
Questioni di cuore
 

(Elayne)


Erano passate ormai quasi due settimane dal nostro arrivo al Mausoleum, e i giorni si susseguivano tutto sommato tranquilli.
Nonostante le iniziali difficoltà, in breve tempo ero riuscita, più o meno, ad abituarmi all’utilizzo di Zeus, e ben presto per me non fu più un problema utilizzare spade a filo unico come quella katana. Sfortunatamente, se anche ero riuscita a impararne l’utilizzo, il mio caro amico dal caratterino niente male era ancora abbastanza scettico sulle mie possibilità di guidare un team.
Per cui, di fatto, eravamo punto a capo. Ogni giorno, prima di iniziare l’addestramento con Jakhaal, mi prendevo qualche minuto per parlare con lui che, puntualmente, mi rimbrottava, dicendo quanto fossi ridicola come leader, se invece di stare al fianco dei miei compagni passavo il tempo a saltare da Chrystal a Castiel, nel tentativo di impedire loro di scannarsi a vicenda.
Ok, non ero cieca, e vedevo fin troppo bene come la situazione nella nostra squadra non fosse delle migliori. Ormai, Ainu non usciva dalle sue stanze nemmeno per i pasti, mentre Jakhaal, al contrario, era fin troppo attivo: affogava il dolore allenandosi, notte e giorno, senza mai fermarsi, nemmeno quando iniziava a tremare e non riusciva più nemmeno a reggersi in piedi.
Come se non bastasse, io dovevo fare da balia a Chrys e Castiel, che dal canto loro non la smettevano di comportarsi come rinoceronti in calore, approfittando di ogni mia assenza per scannarsi a suon di mazzate.
E se anche riuscivo a rilassarmi un po’, la sera col mio compagno, poi ero di nuovo costretta a svegliarmi, il giorno successivo, consapevole che non avrei potuto evitare per sempre Mr. Ghacciolo. Non ci parlavamo da settimane, ormai, e da quando avevamo avuto il nostro ultimo diverbio ci ignoravamo palesemente, entrambi l’uno in attesa delle scuse dell’altra. E me le doveva, cavolo se mi doveva delle scuse. Si era comportato da vero bastardo, dicendo quelle cose, sebbene sapesse quanto fossi severa su certi argomenti, e il fatto che mi avesse sottovalutata solo perché sono una ragazza mi faceva letteralmente andare il sangue al cervello. Eppure aveva anche la faccia tosta di tenere il broncio, come se fosse lui, li, quello a cui dovevano essere fatte delle scuse.
E il bello era che, in tutto quel casino, lui non aveva nemmeno la decenza di starsene buono. No, ogni volta che mi voltavo, si rifaceva su Castiel, che essendo il suo allievo altro non poteva fare che lasciar perdere.
Insomma, ne avevo di cose a cui pensare, e sentirmi dire che non ero una buona leader solo perché dovevo fare da badante a due bisonti in calore non migliorava certo le mie giornate.
Le cose, poi, peggiorarono ulteriormente quando, una mattina, Jakhaal e Ainuviel ci fecero radunare, presso la Mensa del Mausoleum.
 
“Fermi tutti. Come sarebbe a dire che dovete partire?!?”, chiesi, scioccata, quando quelli mi dissero che Chosmos aveva deciso di inviarli in missione presso Thalass, la Dimensione dell’Acqua, per rintracciare il Guardiano di quell’universo.
Ainu sospirò, era più che evidente come, li, fosse quella meno contenta della soluzione trovata dal nostro capo: “Già, e l’ordine è categorico. La situazione a Thalass non è delle migliori, e quindi ha ritenuto che fosse necessario un nostro intervento diretto, sul campo. Sentendo i nostri contatti, la Dimensione dell’Acqua è ormai entrata in guerra aperta, contro le truppe di Nidhoggr che hanno ormai preso possesso di buona parte di quei territori, ed è solo questione di tempo prima che la situazione degeneri. Vista la situazione precaria, Chosmos ha deciso di mandarci a seguire le ricerche da vicino, anche perché siamo abbastanza vicini al nostro obiettivo.”
Jakhaal annuì: “I nostri informatori sostengono che la Guardiana dovrebbe essere un’Atlasiana, ossia un membro di una specie molto simile a quella umana, ma con caratteristiche che la rendono vicina anche al popolo dei mari. Lavorerebbe presso la Biblioteca di Atlantis.”
Chrystal alzò un sopracciglio.
“Bhe, dovrebbe essere una buona notizia, no?”, feci, cercando di essere ottimista.
Lui scosse il capo: “Affatto. Vedi, non tutte le Dimensioni sono consapevoli l’una dell’esistenza delle altre. Prendi Astrapos, per esempio: li gli umani non sanno assolutamente nulla dell’esistenza di altri universi, e molto probabilmente mai lo scopriranno. Flogon, invece, sa qualcosa, ma come altri casi le informazioni provenienti dalle altre Dimensioni sono poche e imprecise. Thalass, invece, è un caso totalmente a parte: i popoli che la abitano non solo conoscono nel dettaglio ciò che avviene negli altri universi, ma spesso possono addirittura viaggiare tra i mondi. Il loro livello ci cultura è su un piano del tutto differente, e la Biblioteca di Atlantis ne è la prova: ogni scritto mai prodotto a memoria di mortale, è custodito in quel luogo.
È un posto enorme, immenso, e come se non bastasse quasi tutti coloro che vi lavorano sono Atlasiani. Cercarla li dentro? È come cercare un ago in un pagliaio.”
Mi misi la mano sugli occhi.
Perfetto, quindi, molto probabilmente, sarebbero tornati dopo una vita.
E nel frattempo io avrei dovuto rimanermene li, con quei due scemi dei miei compagni a farmi impazzire.
“Magnifico.”, feci, esasperata, “Vado a scrivere il mio testamento.”
“Tranquilla.”, disse Jakhaal, sorridendo, “Abbiamo trovato qualcosa da fargli fare, ai tuoi amichetti.”
Alzai un sopracciglio. Davvero?
Ainu annuì: “Dopo l’attacco alla sede, molti angeli sono morti per difendere la nostra casa, e quindi ora le nostre file sono abbastanza esigue. E tenendo conto che non siamo ancora riusciti a riunire tutti i Guardiani, se dovessimo subire un altro attacco saremmo indubbiamente in netto svantaggio.
Per creare nuovi angeli, era necessaria la presenza del Guardiano del Fuoco, che inizialmente non c’era.”, disse, accennando a Castiel che, perplesso, mi guardò. Alzai le spalle, “Gli angeli del Mausoleum sono esseri immortali, che possono perire solo in battaglia, o se avvelenati. Nascono dalla Fiamma della Vita, Tesoro del Santuario del Fuoco, che senza ombra di dubbio voi conoscete bene, visto che avete quasi rischiato di farvi ammazzare.”
Sbuffai: “Ehi, guarda che, alla fine, me la sono cavata alla grande!”, ribattei, offesa.
Dietro di me sentii Chrystal borbottare, ma non ci faci caso, visto che ero ancora furiosa con lui.
Ainu alzò gli occhi al cielo: “Quello che voglio dire è che, differentemente che con le creature mortali, per evocare gli angeli è necessario che sia presente il Guardiano del Fuoco. E comunque, anche se nasceranno già adulti, dovrete addestrarli e insegnare loro le regole e le leggi del Mausoleum, per cui sarete indubbiamente molto impegnati.”
Castiel era a bocca aperta: “Aspetta, e che c’entro io? Non so nemmeno come evocarli, gli angeli! E di sicuro non voglio fare da baby sitter a degli imbecilli che non sanno nemmeno reggere un’arma!”
Sospirai, sentendo che, decisamente, quella sarebbe stata un lunghissima giornata.
 

(Castiel)

Guardavo incerto la Ninfa del Fuoco che, perplessa, mi girava attorno, scrutandomi in modo strano. Ok, lo so: sono un tipo attraente, ma il modo con cui quella tipa mi stava fissando le chiappe iniziava veramente a mettermi un po’ a disagio.
“Mmmhhh …”, la figurina mi si parò di fronte, ed Elayne sospirò: “Allora, convinta?”
Lei incrociò le braccia: “Bah … in un certo senso, me lo aspettavo più figo. Insomma, è uno stecco!”
La guardai, offeso: “Ehi! Guarda che sono un principe!”
Lei alzò un sopracciglio: “Seriamente?”
Vidi Chrystal sghignazzare, divertito, per cui gli tirai un cazzotto, per poi rivolgermi nuovamente alla fiammetta: “Ok, tu pensala pure come ti pare, però vediamo di muoverci! Ho fame, voglio mangiare e di certo non perderò tempo per far comparire imbecilli con le ali da piccione dalle tue fiamme!”
Quella sbuffò, stizzita, poi annuì: “E va bene. Stammi a sentire, ora. Esistono moltissimi tipi di angeli differenti, per la precisione, uno per ogni elemento, o dimensione. E ognuno di questi ha un ruolo specifico e delle caratteristiche altrettanto peculiari. Per evocarli dalla Fiamma, dovrai donare una goccia del tuo sangue, recitare un’antica preghiera, per chiedere all’Albero di dar loro un po’ di energia vitale e infine, cosa più difficile, visualizzare il risultato che desideri ottenere.”
Annuii. Ok, si, quella parte me la ricordavo.
Erano giorni che mi propinavano immagini di angeli e angele, o angelesse, o come diavolo si chiamassero, perché memorizzassi i loro tratti principali.
Durante lo scontro al Mausoleum, gli unici angeli ad essere rimasti coinvolti nello scontro erano quelli adibiti al combattimento, ossia gli Angeli di Fuoco, di Roccia e del Fulmine, altrimenti conosciuti come Attaccanti, Difensori e Guardiani. Solitamente, i primi combattevano in prima linea durante le guerre, i secondi proteggevano il Mausoleum, e i terzi, più importanti, venivano chiamati per gli incarichi particolarmente difficili. Ogni elemento aveva i suoi angeli, la foresta aveva i Guaritori, l’acqua i Saggi, l’aria i Mantenitori e infine il ghiaccio i Vigilanti.
Per cui eccomi li, a visualizzare tizi e tizie di cui non sapevo quasi niente, e borbottando parole di cui non sapevo nemmeno il senso.
Chiusi gli occhi, mentre con un pugnale mi ferivo la mano, lasciando che calde gocce di sangue scarlatto finissero nelle lingue bianche della Fiamma della Vita, che parve ravvivarsi, mentre scintille e lapilli iniziavano ad alzarsi verso il soffitto, e io iniziavo a pronunciare la formula di evocazione: “Nasceris, angelumque custodem, et votum faciens mundi usque tueri, veneno vel gladio reverteris ad lucem.
Sentii la Fiamma della Vita raggiungere la mia riserva di energia, mentre le immagini presenti nella mia mente iniziavano a prendere sembianze solide, e schiere di angeli dalle soffici ali fuoriusciva in file disciplinate dalle ceneri, prendendo rispettosamente posto di fronte a me e inginocchiandosi, ripentendo la formula d’onore.
I primi furono gli Angeli del Fuoco, dalle fattezze robuste e virili, con le lucenti capigliature composte da fiamme vive che sventolavano sulle loro spalle, mentre grandi ali di tutte le sfumature del rosso, del giallo e dell’arancio decoravano la loro schiena e la carnagione color terracotta risaltava decisa sotto le armature leggere ma affidabili.
Poi, fu il turno degli Angeli della Roccia, più imponenti e slanciati, dalla scura pelle coperta da neri tatuaggi tribali, mentre lunghe trecce nere decoravano il loro capo e ali dalle piume interamente fatte di dura roccia si spiegavano verso il sole.
Infine, gli Angeli del Fulmine, agili e scattanti, i corpi circondati da saette color ametista e gli sfuggenti occhi blu lapislazzuli che si guardavano attorno guardinghi. Portavano lunghe tuniche e leggere sciabole e spade a filo unico, mentre le ali, nere, dorate e viola, erano perennemente circondate da una fitta rete di saette in movimento.
La ninfa alzò un sopracciglio, guardandomi: “Wow, ci sei riuscito veramente.”, fece, visibilmente sorpresa.
La fissai male: “Perché, ne dubitavi?”
Lei alzò le spalle, fintamente innocente.
Sentii le forze mancarmi, mentre finivo in ginocchio ed Elayne mi compariva al fianco, osservando senza parole le schiere di guerrieri disciplinatamente allineate di fronte a noi. Sospirai: “Perfetto. Quando iniziamo?”
 

(Chrystal)

Ok, lo ammetto.
Preferivo fare da maestro al Fiammifero.
Già, perché, come potemmo capire direttamente pochi giorni dopo, addestrare intere schiere di angeli del tutto inesperti in fatto di combattimento è un vero inferno.
Va bene, trattandosi di angeli, possedevano per natura capacità fisiche di molto superiori alla norma, ma che cavolo, da li a insegnare tutte le tecniche di combattimento, ce ne vuole!
Infatti, i giorni seguenti furono un vero inferno. Che ci tenne impegnati a un livello tale che, sfortunatamente, non ebbi più nemmeno il tempo per strapazzare a dovere il mio diligentissimo allievo. E tenendo conto che quella pratica era ormai divenuta il solo antistress capace di farmi dimenticare i miei problemi con Miss. Ho-Sempre-Ragione, la cosa non influiva affatto sul mio buon umore, anzi.
Come se non bastasse, da quando Jak e Ainu erano partiti il nostro carissimo mezzo di trasporto, che si suppone non ficchi il naso in affari diversi dalla sua funzione di origine, si era per chissà quale motivo in flippato di doverci fare da beby sitter. Per cui, che si piacesse o meno, Astrea ci era sempre col fiato sul collo, a criticare ogni nostra singola azione e a sparare alquanto sgradite frecciatine sulla nostra vita privata.
Inutile dire come, dopo un po’, sarei stato persino disposto a trattare una tregua col Fiammifero, pur di convincerlo a incenerirla, letteralmente.
 
Passarono altre due settimane.
Sebbene a rilento, l’addestramento delle nuove truppe procedeva tutto sommato bene, anche e soprattutto grazie alla dedizione di Elayne che, a quanto pareva, pur di evitare di parlarmi era disposta a proseguire fino a sera.
Ci eravamo appena presi una breve pausa, ed eravamo così sfiniti che non riuscivo nemmeno a rispondere a tono alle provocazioni di quel cretino in rosso che, scommetto volontariamente, si divertiva a tubare con la mia simpaticissima compagna, proprio di fronte a me.
Fu con un sbuffo infastidito che, improvvisamente, Astrea sbottò: “E che cacchio, non vorrai mica startene veramente li fermo senza dire nulla, spero?”
La guardai, cercando di farle capire che no, non era proprio il momento.
Ovviamente lei afferrò al volo il concetto, perché poi proseguì: “Insomma, io ho deciso di starmene qui, e non accompagnare gli altri a Thalass, tutto per assistere allo –Show dei cuori in subbuglio-. E invece, come sono partiti, voi avete smesso di suonarvele! Insomma, dopo l’episodio inedito di Elayne che cerca di friggerti i capelli, mi aspettavo qualcosa di interessante, e invece niente!”
A quel punto, non fui più il solo a fissarla male.
Castiel alzò un sopracciglio. Evidentemente, per stupido che fosse, manco a lui andava a genio l’idea di essere visto come una specie di star dlla soap opera. “Ehi pezzo di legno, che vuoi dire? Ti sembriamo forse delle marionette?”
Lei lo fissò male: “Pazzo di legno i miei stivali, comunque si. Voi siete il mio attuale passatempo preferito. Mica è facile, sai? Starmene sempre ferma alla pista di decollo, senza nessuno a farmi compagnia. Per cui, ho deciso, d’ora in avanti voi sarete il mio hobby personale!”
Elayne alzò gli occhi al cielo: “Senti, abbiamo già abbastanza grane sentimentali di nostro, che ne dici di andare a farti un voletto? Se proprio vuoi compagnia, prova a chiedere a Gored.”
Castiel sbuffò: “Non credo che il mio amico sia così imbecille da darle corda.”, poi alzò lo sguardo, e la vide.
Come avevamo nominato Gored, quella era praticamente arrossita, scostando il capo e abbassando lo sguardo.
La fissammo, interdetti, chiedendoci cosa avesse. Poi alzammo lo sguardo. Poco lontano, Gored ci osservava, visibilmente incerto.
Elayne alzò un sopracciglio, poi scoppiò a ridere: “No! Non mi dire, avete una relazione?”
Quella rimase a bocca aperta: “N-no, cioè, insomma … e comunque, che cosa vi interessa a voi della mia vita sentimentale?”
Sbuffai: “Però, se sei tu a ficcare il naso nei nostri, di affari, va bene.”, dissi, cinico.
Castiel, nel frattempo, si era fatto pensieroso, poi, come forse avrei dovuto aspettarmi, ne sparò un’altra delle sue: “Si, ma … insomma, relazioni inter razza ok, ma tu sei fatta di legno. Nel senso, come farete a … si, ecco … mica ce l’hai la paperella, no?”
Elayne si voltò a fissarlo, mentre per poco io non mi strozzavo dal ridere, e Astrea, scandalizzata, dava fuoco all’artiglieria, sparando palle di cannone contro il povero malcapitato che, in preda al panico, altro non potè fare che darsela a gambe.
Fu così che terminò quella lunga giornata, e, quando andammo a letto, lo facemmo tutti con la consapevolezza che, il giorno dopo, altre lunghe, interminabili, ore di addestramento ci avrebbero aspettato.


Note dell'Autrice:
Rieccomi di ritorno.
Ultimo capitolo ponte, in cui mi sono presa del tempo per parlare un po' della situazione generale dei nostri Guardiani, degli addestramenti e della struttura gerarchica degli angeli all'interno del Mausoleum. Ho sentito che alcuni iniziavano a chiedersi quando sarebbero comparsi alcuni dettagli in più a riguardo, per cui ho deciso di inserire una parte aggiuntiva, in modo da spiegare come si dividono gli angeli e quali sono le loro funzioni, come nascono e infine quando muoiono.
Come certamente avrete capito, la prossima dimensione a cui faremo visita sarà proprio Thalass, ma per questo dovremmo attendere, per lo meno, il prossimo capitolo. Per ora spero che questo sia stato di vostro gradimento. Ormai i capitoli ponte necessari per calmare un po' le acque sono finiti, e dal prossimo la storia ritornerà a farsi un po' più movimentata, spero comunque che la storia vi stia prendendo, così come scriverla sta entusiasmando me.
Ringrazio come sempre tutti coloro che continuano a leggere, e sopratutto i miei generosissimi recensori.
Tanti saluti e alla prossima!
Teoth

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo XXIII-Brutte notizie dal fronte ***


Capitolo XXIII
Brutte notizie dal fronte

 
(Shyral)

Sin da quando ho ricordo, non c’è mai stato nulla che abbia amato di più dell’odore di pergamena. Ho sempre amato vagare, senza meta, per i corridoi della Biblioteca di Atlantis, di cui, con mio immenso orgoglio, mio padre era da sempre il fondatore e maggiore titolare.
Mi limitavo a camminare, per quei corridoi senza fine, attraversando quelle sale antiche quanto il tempo stesso, assaporando il sapore intrinseco della polvere che si accumulava sugli scaffali, della resina di leggii e della cera di quelle candele che, giorno e notte, illuminavano i volti indaffarati ed esperti degli studiosi che si spingevano fino alle ore più tarde per le loro ricerche.
Ero cresciuta in quel luogo, a me quasi sacro, nella convinzione che non ci fosse nulla, in tutto il mondo, di anche solo remotamente importante quanto quella cultura millenaria, quei manoscritti d’inestimabile valore, quella conoscenza che si era andata solidificandosi nei secoli. Il mio sogno era sempre stato quello, un giorno, di poter essere parte integrante di quell’organizzazione, di proteggere e preservare quella che per me era ormai come una casa, sebbene non fossi altro che un’orfana trovata, in una sera d’inverno, di fronte al portone della biblioteca.
Mi ero applicata, sin dalla più giovane età, per ottenere quel risultato e a tale obiettivo avevo adeguato ogni mia singola abitudine e ambizione. Avevo programmato meticolosamente ogni mio passo, senza risparmiarmi e concentrando ogni mia singola carica di energia a quell’unico proposito. Divorai libri su libri, assetata di un bisogno senza tempo, sempre in carca di altro, di traguardi più grandi e saperi più inaccessibili, elevandomi sopra tutti i miei coetanei fino a quando ci riuscii.
Non avevo che quindici anni quando, finalmente, fui nominata Custode della Chiavi e dei Segreti della Biblioteca di Atlantis. Ero la sola, li, che potesse accedere liberamente a ogni area del sapere di quel luogo, che potesse decidere chi passava e chi no, cosa se ne dovesse fare delle nuove entrate e quali libri finissero dove. Dopo anni e anni di lavoro, alla fine avevo raggiunto il mio obiettivo, il mio fine ultimo.
Ovviamente, come potei avere accesso a quelle aree di sapere un tempo a me precluse, mi gettai a capofitto in nuove letture, spinta da una fede incrollabile, da una sete di sapere quasi malata.
Tuttavia, alla fine, anche quelle non furono più abbastanza. Improvvisamente, mi trovai vuota, senza una metà, senza un obiettivo. Avevo divorato voracemente tutto ciò che quel posto poteva offrirmi, e ora mi sentivo come priva di uno scopo.
Sapevo, sentivo che per me, la fuori, ci doveva essere ancora un qualcosa. Non sapevo cosa, né quando le mie domande sarebbero state saziate. Non potevo che attendere, aspettare un qualcosa che nemmeno sapevo cosa fosse, nella speranza disperata che alla fine delle risposte fossero giunte, che qualcosa sarebbe cambiato.
Quel giorno, come mio solito, mi ero alzata presto.
Volevo sbrigare prima possibile le faccende inerenti alla mia carica, in modo da poter avere poi del tempo per dedicarmi al mio nuovo progetto. Avevo deciso, infatti, di scrivere un libro.
Dopo innumerevoli riflessioni, ero arrivata alla conclusione che, assolutamente, non potevo continuare in quel modo. Non ero nata per aspettare qualcosa che nemmeno sapevo quando sarebbe arrivato, e se il mio problema derivava dalla mancanza di uno scopo che mi entusiasmasse e mi coinvolgesse, allora dovevo assolutamente trovare qualcosa in cui impegnare nuovamente le mie energie. E scrivere un libro era l’opzione migliore a cui potessi pensare.
Per essere sincera, non avevo la minima idea di cosa avrei fatto una volta avessi avuto la penna in mano, ma l’entusiasmo per essere giunta a una soluzione del mio problema mi impedì di credere che ciò avrebbe potuto rappresentare un problema non indifferente. E poi, con me c’era mio fratello, Leonice.
Quando trattava dei miei progetti, lui mi era sempre stato a fianco, e ora che mi aveva vista così entusiasta all’idea di riprendere in mano la mia esistenza, non si era certo tirato indietro quando gli avevo suggerito di farmi da lettore e critico per la mia storia.
Per cui, sbrigai tutti i miei doveri in fretta e furia, senza curarmi troppo, a dire il vero, di ciò che stavo facendo, tanto la mia mente era rivolta alla sola idea di iniziare quel progetto che già mi si prospettava come grandioso. Ero certa, dentro di me, che le parole sarebbero uscite come da sé, che avrei scritto qualcosa di unico a grandioso e che un giorno, forse, avrei potuto persino vedere la mia opera tra quelle collezionate alla biblioteca.
Giunsi presso i Giardini di Corallo che era ormai mattino inoltrato.
Sin da quando eravamo bambini, io e Leonice venivamo in quel magnifico luogo, prima per giocare, poi, pian piano, per parlare dei nostri progetti, per mostrarci i risultati ottenuti dai nostri sforzi o anche solo per trascorrere delle tranquille ore in compagnia.
Amavo quei giardini.
Costruiti quasi a ridosso della Cupola, la bolla d’aria che permetteva a noi Non Respiranti di vivere comunque, anche sott’acqua, si dispiegavano su di una serie di infinite terrazze e piattaforme, letteralmente sospese sopra la città. Presentavano un’infinita collezione di coralli di mille sfumature differenti, che passavano dai caldi colori dell’estate a quelli più freddi e cupi dell’inverno, e che potevano assumere le forme più insolite e straordinarie. Ve ne erano dalle fattezze di grandi draghi sputa fuoco, di unicorni e sirene, alcune parevano come vive, abbarbicate presso le colonne di marmo o vicino ai vasi di fiori. Non mancavano, poi, i laghetti pieni di ninfee, i ruscelli dall’acqua limpida come l’aria, i ponti decorati da rampicanti dagli accesi frutti vermigli.
Era il nostro rifugio segreto, la nostra casa. Li tutto era sempre perfetto e in armonia, niente avrebbe potuto minacciarci. Eravamo io e lui, soli, e quello era il nostro mondo fantastico, dove niente poteva mai andare storto.
O almeno così credevo.
Giunsi quasi in corsa, terrorizzata all’idea di poter essere in ritardo ed elettrizzata di fronte all’aspettativa del momento.
Come sempre, mi sedetti presso il Grande Vecchio Senz’Occhi, un immenso corallo di tutte le tonalità del fuoco dalle sembianze di un vecchio ricurvo su sé stesso, che pareva come squadrare in tralice tutti coloro che si trovavano li attorno. Spesso, io e Leonice scherzavamo, immaginando come anche lui sarebbe stato così, una volta giunto alla fine dei suoi giorni.
Mettendomi di buona volontà, iniziai ad aspettare.
Pian piano, i minuti si allungavano, trasformandosi fino a mutare in ore. Iniziai a sentirmi a disagio, insomma, era Leonice, no? Non sarebbe mai mancato a uno dei nostri incontri, ne ero assolutamente sicura.
Quindi, perché tardava?
Forse, mi stavo agitando per niente. Era meglio attendere ancora un po’.
Eppure, lui non arrivava. Iniziai a preoccuparmi, facendo avanti e indietro, vedevo la luce del giorno iniziare a diventare sempre più fioca, segno che ormai si stava avvinando la sera. Ogni volta che sentivo dei passi, mi alzavo in piedi, ma quando vedevo che non era lui tornavo a sedermi, delusa e amareggiata.
L’eccitazione dell’inizio era scomparsa, ormai, nella mia mente non c’era che domande. Perché non veniva? Che fosse accaduto qualcosa? Aveva forse avuto un impegno improvviso, e l’Accademia lo aveva chiamato? Ma non aveva detto di essersi preso una settimana libera?
Fu proprio mentre mi ponevo quell’ultimo quesito che lei comparve.
Non avevo mai visto una persona simile, perché, solitamente, ad Atlantis non giravano spesso esseri provenienti da altre dimensioni. E sul fatto che non potesse essere di Thalass non vi erano dubbi, visti i capelli color dell’oro e la lunga coda da demone, per non parlare delle corna.
Eppure, che sapessi, non apparteneva nemmeno ad alcuna delle specie esistenti nelle Nove Dimensioni …
La cosa che però mi fece veramente balzare in piedi, fu la sciarpa che indossava.
La sciarpa di Leonice. Del mio Leo. Io stessa gliel’avevo fabbricata, ancora prima che partisse per la Lega Militare, e non avrei mai potuto confonderla.
Lei sorrise, avvinandosi e accennando all’indumento: “Molto comoda, lo ammetto. Non mi sorprende che tuo fratello vi fosse tanto legato.”
La fissai, senza capire, poi feci: “Chi sei? E cosa sai su mio fratello? Perché non è qui, che gli avete fatto?!?”
Sconvolta, osservavo quella giovane, che sorrideva, come intenerita.
“Prima, devo farti una domanda. Cosa faresti per lui, per riaverlo?”, chiese, gelida.
Sentii il cuore fermarsi, poi strinsi i pugni, fissandola dritto negli occhi: “Qualsiasi cosa.”
 

(Elayne)
È ironico come a volte le novità peggiori debbano raggiungerti proprio mentre ti stai rilassando.
Per esempio, mentre stai tranquillamente facendo un pisolino, appoggiata alla spalla del tuo ragazzo, il tipo più tenero, divertente e affidabile che il destino potesse assegnarti, e improvvisamente tutto va a rotoli.
Come accadde a me quel giorno.
Avevamo appena finito un’altra spossante, infinita, giornata di addestramento delle nuove truppe angeliche, che di giorno in giorno si facevano più forti e determinate. Ormai, a quasi due mesi del nostro ritorno, i nuovi combattenti si erano fatti abbastanza forti e decisi da affrontare gli addestramenti quasi da soli. Anche se, ovviamente, mancava ancora loro l’esperienza, ma eravamo ottimisti, tutto sommato.
Io e Castiel ci stavamo tranquillamente rilassando, sul tetto del Santuario del Fuoco, quando improvvisamente Chrystal ci cadde, in senso letterale, addosso, annaspando: “El … Cast … dovete venire immediatamente!”
Ci guardammo, infastiditi e preoccupati, al che chiesi: “Che sta succedendo? Si può sapere?”
Lui rispose, cercando di riprendere fiato: “Non ho capito bene, da quel che ha detto l’Oracolo, Jakhaal e Ainu sono appena tornati, e ora Chosmos ha convocato tutti noi presso l’Albero. Vuole parlarci.”
Mi illuminai: “L’hanno trovata?”, chiesi, speranzosa.
Castiel osservò il compagno, poi scosse il capo: “Non penso, se così fosse, ce lo avrebbero certamente detto. Meglio muoverci, questa cosa mi puzza.”
Annuii, seguendoli fino al centro del Mausoelum, lo stesso luogo in cui, tempo addietro, avevo incontrato il Dio dell’Ordine, e questo mi aveva mostrato l’origine del conflitto che ora, noi, dovevamo affrontare.
Erano tutti li.
Jakhaal e Ainu sedevano, ai lati dell’Oracolo, visibilmente tetri, mentre al loro fianco Chosmos sorrideva appena, sebbene quella luce non illuminasse, come di solito, anche i suoi occhi.
Ci avvicinammo: “Ehi, che succede? Siamo preoccupati, come è andata la missione?”
Jakhaal scosse il capo: “Niente, ma non è per questo che siamo qui.”, guardò il Dio, che proseguì: “La situazione, presso Thalass, si è fatta improvvisamente ostica. Le truppe di Nidhoggr hanno ormai portato lo scontro presso il centro di quell’universo, e pezzo dopo pezzo hanno acquisito sempre più territorio. Le battaglie si stanno facendo sempre più terribili, e ormai non possiamo più restarcene semplicemente fermi, a cercare la Guardiana dell’Acqua.
Ormai, la missione a Thalass non riguarda più solo lei. D’ora in avanti, voi verrete inviati presso Atlantis, la capitale della resistenza, e li seguirete lo scontro, mettendo a disposizione i vostri servigi e la vostra forza e contribuendo direttamente nelle battaglie contro il nemico. Partirete oggi stesso.”
Non sapevo cosa dire.
Insomma, fino ad allora, non avevamo mai partecipato a vere e proprie GUERRE, non mi sarei mai aspettata che la nostra presenza sui campi di battaglia sarebbe stata richiesta così presto. E la cosa mi spiazzava.
Ainu annuì: “Ho già dato ordine di radunare i nostri bagagli, useremo Astrea, questa volta, e arriveremo direttamente alla nostra meta. Nei giorni scorsi Lioor, il Governatore di Atlantis, ha dato fondo a tutte le conoscenze tecniche dei suoi maghi migliori per creare un portale artificiale per farci arrivare subito li.”
 
Tornammo nelle nostre stanze cupi e silenziosi, ognuno coi propri pensieri in testa, e come fummo da sole mi voltai verso Ainu, che mi aveva seguita in silenzio.
La osservai, in silenzio, nella speranza che, chiedendomi come fosse andata a lei e Jakhaal durante la missione, non avrei riflettuto troppo sulle mie, di preoccupazioni. Sembrava che, almeno un di poco, si fosse ripresa: per lo meno, non cercava più di evitarmi come prima, quando non riusciva nemmeno a guardarmi negli occhi. Il muro sembrava indebolito, ma non per questo era messa bene.
Cupe occhiaie scure le decoravano gli occhi prima bellissimi, mozzafiato, e la carnagione lattea spiccava tra i boccoli dorati che le incorniciavano il capo. Sembrava magra, smunta, dimagrita … troppo stanca per andare avanti.
Mi sedetti al suo fianco: “Ehi … com’è andata la missione?”
Lei sospirò: “Come vuoi che sia andata? Ognuno faceva il suo, e se parlavamo lo facevamo solo quando era strettamente essenziale e non c’erano alternative. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare, nient’altro.”
La abbracciai da dietro, cercando di rincuorarla: “Me ne vuoi parlare?”
Strinse i denti, poi annuì: “E’ iniziato tutto solo una decina di anni fa, quando lui era appena arrivato. Allora, io ero la più anziana del gruppo, e Chrystal era sempre impegnato con la difesa di Chion, che era puntualmente sotto attacco: non c’era nessun altro che potesse fargli da guida.
Così, iniziammo a conoscerci. Eravamo così diversi: io venivo da una nobile famiglia antica di migliaia di anni, lui era un mercante, un mercenario e un viaggiatore. Eppure, ci provammo, volevamo provarci. Dopotutto, non avevamo mai avuto nessuno prima di allora, e quindi fu inevitabile. Passò il tempo, presto, le nostre differenze iniziarono a farsi troppo evidenti, troppo forti, e quindi dopo un po’ le cose iniziarono a smettere di funzionare, e la nostra relazione a essere sempre più complicata. Alla fine, non ce la facemmo più, e capimmo che era finita.
Fu lui a smettere per primo. Io, nonostante inizialmente la pensassi come lui, col tempo mi sono resa conto di come quella sua presenza mi mancasse. Ho commesso un errore, avrei dovuto insistere, continuare a provare, cercare di fare qualcosa. Ma non l’ho fatto. E ora eccomi qui, a correre alle spalle di un uomo che non mi vede nemmeno, e che forse non ritornerà mai a vedermi.”
I singhiozzi iniziarono a prenderle le spalle, mentre cercava di voltarsi di lato, per non farmi vedere le sue lacrime disperate, per troppo tempo trattenute.
Sorrisi, aveva passato così tanto tempo, a reprimerle, che non poteva che farle bene.
La abbracciai, mentre cercava di nascondermi sulla mia spalla, singhiozzando fortemente, mentre lacrime calde le colavano sulle guance e sui nostri vestiti. Lasciai che si appoggiasse a me, coccolandola appena, felice, almeno, di averla ritrovata.
 

(Chrystal)
Osservavo in silenzio i miei compagni che, silenziosi, caricavano senza spiccare parola i loro bagagli su Astrea, ormai pronta a partire.
Com’era inevitabile, alla fine, eravamo stati richiamati sul campo.
Dopotutto, avevo sempre saputo che era solo questione di tempo, dentro di me, forse, non mi ero mai allontanato veramente dai campi di battaglia. Era da quel giorno, a Chion, quando tutto era andato perduto, che non smettevo di pensarci: prima o poi, in un modo o nell’altro, sarei dovuto tornare in battaglia.
Era quello il mio posto, perché solo li ormai potevo riscattarmi. Era il solo modo che avessi per riprendermela, per riavere la mia casa, la mia dimora. E non potevo rinunciarci.
Il mio sguardo si posò, silenzioso, su loro due: Elayne e Castiel.
Sorrisi, forse un po’ mi facevano pena.
Erano cresciuti nell’ozio più totale, che cosa potevano mai saperne delle guerre? Paragonati a me, che ero cresciuto in una delle dimensioni più pericolose dell’universo, non erano che pallidi novellini.
Non sarebbero stati certo pochi i problemi che avrebbero trovato una volta giunti a destinazione.
Sospirai, mentre ci radunavamo sul ponte, salutando in silenzio le schiere di allievi che, fino ad allora, non ci avevano fatto che penare.
Sospettavo che, presto, ne avrei avuto una certa mancanza.
 
Ho sempre amato Thalass.
Non sono certo molte le dimensioni che siano in grado di affascinarmi, ma certamente Thalass è una delle poche che ci riesca.
Thalass era, sotto certi aspetti, molto simile ad Astrapos. Un Universo, e al centro esatto un unico, semplice e immenso pianeta, fatto interamente d’acqua: solo il nucleo era in roccia, per il resto, un’infinita distesa blu lapislazzuli.
La popolazione si divideva tra Respiranti, e Non Respiranti. La differenza? I primi erano tutte quelle specie capaci di vivere in acqua senza alcun problema, che vivevano negli abissi marini. Gli altri invece vivevano in immense bolle sottomarine, create con la magia, e collegate tra loro da fitte reti di tunnel che collegavano le varie città stato del luogo, strutture basilari.
Ogni città stato dominava un certo territorio e alcuni villaggi a essa dipendenti, aveva una struttura e un commercio propri e rappresentava una potenza a parte.
La gente che viveva in quei luoghi poteva godere di spettacoli magnifici, con immensi pesci dalle più svariate forme e colori che passavano loro a fianco, con i coralli a fare da decorazione per le loro case e con un regime di vita non molto differente dalla superficie. La magia permetteva alla bolla di simulare il passare delle stagioni, così come il tempo atmosferico o la temperatura, la luce del sole e altro ancora.
Eppure, quando giungemmo a Thalass, non avrei potuto immaginare scenario peggiore.
Subito sotto di noi, Atlantis spiccava sul paesaggio circostante, ma ormai, del suo antico splendore, restava ben poco.
Le cupole immense, le cattedrali e i templi d’incomparabile bellezza, le mura, ogni cosa non era che un cumulo informe di macerie. Solo la parte nord della città era ancora intatta, e si potevano scorgere i maghi indaffarati nella ricostruzione degli edifici, mentre i soldati si intervallavano qua e la per riordinare le file e prepararsi a nuovi attacchi.
Atlantis, la città stato più ricca e potente della dimensione, era praticamente ridotta in ginocchio.
Eppure, non facemmo nemmeno in tempo ad atterrare che, in lontananza, un ruggito in grado di raggelare l’anima ci immobilizzò sul posto.
Dopo migliaia di anni di prigionia, infine, i Titani erano stati liberati.


Note dell'Autrice:
Rieccomi qui.
Bell'inizio, eh???
Ora immagino che siate tutti in fibrillazione per sapere come andrà a finire questa missione ... eheheh!
I nostri amici sono stati chiamati di nuovo all'azione, e questa volta, inutile dirlo, dovranno vedersela con nemici persino più ostici di quelli incontrati a Flogon. Dopotutto, è una guerra, e di certo non ha nulla a che vedere con la Fortezza Purpurea e Belzebub, ma non dico altro.
Nuova mini-saga, nuovi personaggi e nuove scoperte.
Qui abbiamo visto un po' come sono andate le cose tra Ainu e Jakhaal, e vi anticipo già che in questa mini-saga la loro relazione sarà abbastanza discussa. Inoltre, incontrere altri interessantissimi personaggi per cui non vedo proprio l'ora di iniziare.
Vi saluto, ringraziando tutti quelli che continuano a seguirmi e i miei generosissimi recensori. Alla prossima!
Teoth

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo XXIV-Thalass, la Dimensione dell'Acqua ***


Capitolo XXIV
Thalass, la Dimensione dell'Acqua
 

(Castiel)

Ho sentito sempre moltissime voci sui Titani degli Abissi della Dimensione dell’Acqua.
Sentendo quelle storie, mi immaginavo gamberoni o cozze giganti, di quelli che non li friggi manco in una padella grande quanto un continente, che attaccano città e villaggi ammazzando abitanti come un niente.
Insomma, le notizie erano poche, e con tutte le bestie letali e pericolose della nostra dimensione, spesso ci ridevamo sopra. Mica potevano essere veramente così grossi, no? Beh … questo era quello che pensavo prima di quel giorno.
Poi li vidi … e che cacchio. Altro che gamberi e cozze, quelli erano dei mostroni coi contro cazzi!
C’erano i Leviatani, delle specie di immensi draghi marini, grossi almeno quanto il mio inseparabile compagno (che quando aveva scoperto dov’era la nostra meta si era eclissato): i corpi affusolati, dalle spesse squame delle sfumatura degli abissi stessi, terminavano con lunghe code di pesce ed erano decorate da una miriade di pinne che li rendevano perfettamente adatti alla vita in quell’ambiente. Poi di seguito vi erano immensi serpenti marini, per lo più mortalmente bianchi, dalle pupille vitree, e imponenti krachen, simili a calamari ma grandi quanto un vascello in piena regola.
Assieme, schierati in lontananza, sempre più vicini, simili a una nube oscura che si apprestava a travolgerci … beh, vorrei vederci voi. Personalmente, io mi stavo cacando in mano. E a vedere le espressioni dei miei compagni, pure loro dovevano passarsela come me.
Comunque, ordinammo ad Astrea di abbassarsi, presso le mura della città, dove atterrammo con un balzo mentre lei, annuendo, andava a schierarsi, fuori dalla Cupola, con i Sirenidi accorsi in aiuto di Atlantis.
Non c’ho mai capito molto di ste’  cose. Più o meno doveva essere andata così: quando i primi Non-Respiranti giunsero a Thalass, non avevano una casa, né un modo per sopravvivere nelle profondità marine. Così strinsero un patto con i Sirenidi: avrebbero eretto delle barriere magiche per permettere loro di respirare sott’acqua, e in cambio loro avrebbero impedito alle altre razze di entrare in possesso dei loro segreti magici, da sempre ambitissimi.
Quindi, per farla breve, tra Atlasiani e Sirenidi c’era questa alleanza, e quindi avremmo combattuto anche con loro la nostra guerra. Bello, no? I nostri alleati erano delle anguille. Mi sa che non dovrò mai dire loro che mi piace il sushi …
Comunque, Lioor, il Governatore di Atlantis, ci raggiunse, accompagnato subito dietro da un tizio che, già lo sapevo, l’ironia manco doveva sapere cosa fosse.
Come tutti gli Atlasiani, avevano sembianze umane, solo che a tratti la carnagione, solitamente di un pallore quasi mortale, era attraversata da quelli che parevano dei veri e propri intrecci di venuzze interamente composte d’acqua. I capelli erano per lo più bianchi come il latte e gli occhi color lapislazzuli. Inoltre, sebbene potessero essere confusi con gli umani, bastava guardarli meglio per non avere dubbi: la luce di saggezza nei loro occhi, il modo in cui si atteggiavano e parlavano, erano totalmente differenti dai loro simili della terra ferma.
Il Governatore era un omuncolo piccolo e grassetto, tutto rotondetto e pacciuccoso, quasi simile a un bambinetto, tale era il modo in cui continuava a correre di qua e di là, sempre sorridendo e dedicando a ognuno qualche buona parola.
Lo guardavi, e ti veniva da ridere.
Quello? Guidare una delle maggiori potenze marittime delle Nove Dimensioni? Seriamente???
Poi, dietro di lui, il Capo della Guardia Cittadina, Foust Tutto-Sorrisi (come avevo deciso di battezzarlo). Uno stecco tutto posato e compunto, con le basette  bianche e la barbetta a punta, perfettamente curata, e la divisa da ammiraglio snob con le medaglie d’onore, tutta lucida di pulitura. La sola idea che un imbecille simile potesse sapere cosa significasse andare in battaglia mi sembrava completamente ridicola, per non dire assurda.
Ci raggiunsero ansanti, e subito Mister Simpatia alzò un sopracciglio, osservandoci critico mentre Ainu si faceva avanti: “Governatore, come promesso io e Jakhaal vi abbiamo portato i nostri compagni. Vi daremo una mano contro le forze della Viverna, e impediremo ai Titani degli Abissi di proseguire oltre con la loro opera di sterminio. Le posso assicurare che, con un supporto del nostro Guardiano del Ghiaccio e dell’Eletta, che controlla l’elettricità, riusciremo a respingerli.”
Quello sospirò, rassicurato, per poi spostare il suo sguardo verso di noi.
Lo fissai, indeciso, cercando di capire come diamine potesse quell’ometto a guidare un regno.
Si fece avanti, prendendoci la mano uno ad uno e ringraziandoci: “Non so proprio come ripagarvi. Il nostro regno è veramente molto antico, e se non fosse stato per i nostri fedelissimi membri della Guardia Cittadina a quest’ora molto probabilmente saremmo già caduti sotto i colpi nemici. So quanto deve essere difficile, per voi, sacrificare la vostra esistenza per proteggerci, ma vi posso assicurare che faremmo qualsiasi cosa per sdebitarci a dovere.
L’Ammiraglio Faust vi mostrerà le nostre misure difensive, così potrete farvi un’idea più dettagliata della situazione. Per ora, l’obiettivo è quello di non far entrare i mostri nella Cupola, perché anche se privati dell’acqua sarebbero indeboliti, comunque è al suo interno che il nostro popolo si sta attualmente rifugiando. Quindi, se possibile, sarebbe molto meglio mantenere lo scontro all’esterno.”
Alzai un sopracciglio, poi mi feci avanti, prendendo la parola: “Ok, però resta un bel problema. Il portale ci ha condotti direttamente dentro la Cupola, ma una volta fuori noi non possiamo respirare sott’acqua, come faremo a combatterli?”
Faust sospirò: “Per quello penso che potrete stare tranquilli, i miei uomini vi forniranno di un incantesimo che vi permetterà di respirare e muovervi come foste sulla terra ferma.”, si fermò, osservando il Governatore che si ritirava, lasciandoci soli, poi tornò a guardarci, improvvisamente serio, “Comunque, non è questo il punto.”
Lo guardai di sbieco: “E quale sarebbe allora?”, chiesi, anche se, per essere sincero, temevo di conoscere bene la risposta.
Elayne mi prese il braccio, stringendosi al mio fianco e osservando l’uomo, in attesa.
Quello sbuffò: “Qual è? Abbiamo sentito tanto di voi Guardiani, della vostra grandezza e del potere di cui disponete, e ora cosa salta fuori? Che siete solo dei ragazzini, dei ragazzini! Non pensate nemmeno per un secondo di mettere parola nella difesa della MIA città, qui sono io che decido come muovere gli uomini e quali truppe mandare avanti, voi limitatevi a non mettermi i bastoni tra le ruote e a dare il vostro contributo.
Dopotutto, non posso certo attendermi molto altro da dei mocciosi. Cosa potreste saperne di guerre e strategia militare? Sareste solo un peso, quindi, anche se siete quello che siete, io me ne frego altamente di sapere cosa fareste voi al mio posto. IO deciderò che tecniche utilizzare, e sempre IO guiderò le truppe, che vi piaccia o meno. Potrete anche aver abbindolato il Governatore, ma con me non funziona. Guardiani o non, per me siete solo dei ragazzini e quindi me ne sbatto della vostra posizione, finchè non mi avrete dimostrato di essere all’altezza, per me sarete solo e soltanto dei novizi, chiaro?!?”
Lo guardammo, inespressivi.
Dio, quanto avrei voluto friggerlo sul posto.
Sorprendentemente, fu Chrystal a ribattere: “Molto interessante, un bel discorso, proprio. Forse, anch’io avrei pensato lo stesso al posto vostro, ma di certo non mi sarei dilungato in un’inutile filippica, visto e considerato che stiamo per essere attaccati.
Quindi, se non le dispiace, io e i miei compagni avremmo del lavoro da sbrigare, se poi vuole perdere altro tempo per questo discorso, saremmo a vostra completa disposizione. DOPO la fine dello scontro!”, detto questo, facemmo dietro front, io sghignazzando divertito, diretti verso un gruppo di maghi che, subito, ci imposero l’incantesimo. Guardai il Ghiacciolo, annuendo in segno di approvazione.
Forse, a volte sarà anche un pezzo di merda. Ma tutto sommato anche lui sa essere simpatico se si impegna.
Ok, questa parte cancellatela.
Non ho mai detto nulla di simile.
Comunque, a incantesimo finito Astrea ci portò fuori dalla Cupola, in mare.
Guardammo l’orizzonte, in attesa. Finalmente, lo scontro stava per avere inizio!!!
 

(Jakhaal)
La strategia era semplice.
I nemici erano i Titani degli Abissi, creature potentissime, certo, ma abbastanza stupide a dire il vero. Molto probabilmente, avrebbero attaccato seguendo il puro istinto omicida, senza curarsi troppo di ciò che sarebbe accaduto attorno a loro e quindi in modo tale da consentirci di organizzare facilmente le truppe in modo da contrastarli a dovere. E su ciò si basava il nostro piano d’attacco.
Grazie all’abilità tramandata da generazioni di sangue marinide, i Tritoni e le Sirene avrebbero messo in confusione le truppe nemiche, permettendo alle più massicce macchine da guerra di colpire i nemici.
Successivamente, le velocissime Ninfe dell’Acqua si sarebbero occupate di colpire gli avversari agli occhi, mentre Chrystal e Castiel avrebbero congelato o fatto bollire l’acqua attorno ai nemici, indebolendoli e permettendo a noi di attaccare.
Nonostante infatti la potenza impressionante dei Titani, loro erano in netta inferiorità numerica, non più di una cinquantina. Per quanto potessero essere immensi, contro le migliaia di truppe atlatidesi e la potenza di noi Guardiani forse ciò non sarebbe nemmeno stato sufficiente. O almeno così speravamo.
Ci appostammo quindi, a fianco delle macchine da guerra atlasiane, composte essenzialmente da immensi navi in roccia, tenute in azione dall’alchimia, arte tipica di quel popolo.
Sorrisi, da come Atrea le fissava, era evidente come dovesse odiarle.
Mi avvicinai agli altri: “Tutto bene?”, chiesi, preoccupato. Per Elayne, era la prima vera battaglia in cui si trovava coinvolta, e Castiel non possedeva ancora il suo Frutto.
Annuirono.
“Io ed Elayne stiamo bene, ci penso io a proteggerla!”, fece Castiel, sorridente.
Lei alzò un sopracciglio: “TU proteggerai ME? Non dovrebbe essere il contrario?”
Quello le fece una linguaccia, divertito.
Mi oscurai, mentre il ricordo di Arianne mi tornava alla mente. Quanto avrei voluto poter passare anch’io momenti simili con lei? Scossi il capo, mentre Ainu mi si avvicinava, preoccupata. “E tu? Stai bene?”
Sorrisi.
Sapevo come fosse preoccupata, dopo quello che era accaduto, tirai su uno dei miei sorrisi a trentadue denti: “Tranquilla. Ormai, sono quasi cinquant’anni che sono un Guardiano, e anche prima di arrivare qui, erano i campi di battaglia la sola casa che conoscessi. Quindi calma, non mi succederà niente!”
Parve calmarsi.
Improvvisamente, un corno risuonò nell’aria, avvisandoci che era iniziata.
Come i mostri iniziarono a caricare, il canto suadente dei marinidi avvolse l’atmosfera, e sorrisi. Era una gran fortuna avere quell’arma dalla nostra, non si sapeva molto di che potere fosse, ma non c’era tecnica per respingerlo.
Una volta diventati bersagli della Melodia, nessun bersaglio poteva opporlesi.
E infatti, subito le linee nemiche iniziarono a sfaldarsi, mentre la macchine da guerra avanzavano e le ninfe cercavano di accecare i mostri.
Vidi Castiel imprecare, bestemmiando in arabo perché, in quell’ambiente, il massimo che poteva fare era far crescere la temperatura dell’acqua fino a ustionare i Titani. Era utile, ma non lo stesso di quando poteva evocare fiamme a piacimento. Al suo fianco, Elayne colpiva con le sue folgori qualsiasi creatura osasse avvicinarsi, paralizzandola quel che bastava perché Astrea, coi suoi cannoni al plasma, desse loro il colpo di grazia.
Lontano Chrystal era una furia. Ok, lui non è mai una furia. Però in quel momento, mentre congelava nemici su nemici con perfetta inespressività, sembrava veramente un dio della guerra.
Sospirai. Sapevo bene quanto avesse sofferto quando, anni prima, aveva perso la sua dimensione, ed era quindi perfettamente comprensibile come si sentisse in quel momento. Se anche Thalass fosse caduta, non avrebbe mai potuto perdonarselo.
Intanto, come sempre, io e Ainu agivamo in perfetta sincronia.
Forse, non stavamo più assieme, e i trascorsi tra me e lei non erano certo pochi, ma combattevamo ancora come una cosa sola.
Con Slitherin, la sua lancia avvelenata, compensava a tutti i miei difetti di velocità, proteggendomi le spalle quando dovevo caricare un colpo particolarmente potente col mio Magmaar. Quando non potevamo combattere in corpo a corpo, compensavamo coi nostri elementi, e attorno a noi era un tripudio di rocce che, come vive, radevano al suolo ogni cosa, e alghe che bloccavano, come catene, i corpi degli avversari rendendoli praticamente inermi.
Inizialmente, la carica nemica parve come sopraffarci, ma presto riuscimmo a riprenderci e a ribaltare la situazione.
I colpi di Castiel e Chrys erano i peggiori, e da soli bastavano per mettere non poco alle strette le fila nemiche, per cui, nonostante le perdite, riuscimmo a portare a casa, anche se dopo ore e ore di combattimenti, una meritata vittoria.
Ansimante, guardai i miei compagni, soddisfatto.
Avevamo fatto un magnifico lavoro di gruppo.
 

(Elayne)
Se al nostro rientro ad Atlantis ci aspettavamo un’accoglienza coi fiocchi … beh, avevamo fatto proprio un bel buco nell’acqua (non ridete, lo so che è un paragone strano, ma tent’è!).
Infatti, come raggiungemmo il resto delle truppe, radunate presso un accampamento improvvisato, nella Cupola, subito Faust ci venne incontro, un cipiglio veramente MOLTO  amichevole in viso.
Seh … come se fosse capace, di sorridere, quello!
No, ci si parò di fronte, le braccia incrociate mentre sbottava: “Vi siete separati del resto delle truppe! Si può sapere che diamine avevate in mente, voialtri?!?”
Incassai il capo. Effettivamente, sia io, che Castiel, che Chrys ci eravamo staccati no npoco da gruppo. Questo però nel timore che, coi nostri poteri, potessimo anche ferire gli avversari.
Non sapevo controllare ancora bene l’elettricità quando era a contatto con i liquidi, e di certo i miei compagni non ci tenevano molto a ustionare o congelare anche i nostri alleati. Quindi, se l’avevamo fatto, era stato solo in buona fede.
Fu Lioor, il Governatore, e intervenire: “Su, su, non litighiamo. I nostri Guardiani possono sentirsi liberi di fare come preferiscono, finchè sono qui, dopotutto, è grazie a loro soprattutto se siamo riusciti a fermare il nemico, no? Quindi, non vedo proprio dove sia il problema.”, disse, scuotendo le mani e sorridendo. Sghignazzai, era in credibile come quei due riuscissero a sopportarsi, eppure erano così diversi! Proprio l’uno l’opposto dell’altro! “Comunque …”, fece, proseguendo, “… forse dovrei presentarvi qualcuno. Siamo riusciti a rintracciare la Guardiana dell’Acqua, ma a quanto pare le cose sono un po’ complicate. Vi condurrò dal suo tutore.”
Ci guardammo, in parte sollevati e in parte trepidanti, poi annuimmo, seguendolo.
Ovviamente, prima di voltarci potei vedere il mio bel fusto avvicinarsi all’ammiraglio, sorridendo divertito: “Visto, se abbiamo vinto, è TUTTO  merito di questi ragazzini che temi tanto!”
Sorrise, vedendo il viso dell’altro diventare livido di rabbia, poi trascinai via Castiel, prima che finisse ammazzato.
Lui scoppiò a ridere: “Eddai, non dirmi che non se lo meritava!”
Scossi il capo: “Se lo meritava eccome, ma visto la carica che ricopre, meglio fermarci qui. Per questa volta.”
Sghignazzò: “Ok, se è il grande capo a dirlo, allora agli ordini!”
Lo guardai: “Il grande capo?”, chiesi.
Lui annuì: “Se l’Eletta, no? Quindi sei il nostro boss.”
Sospirai: “Un altro soprannome no, vero? Questo è ridicolo! Sembra che io mi consideri chissà chi!”
Lui annuì, poi parve illuminarsi: “Che ne dici di Fragolina?”
Alzai gli occhi al cielo: “Meglio grande capo allora!”, feci, scoppiando a ridere.


Note dell'Autrice:
Scusateee!
Lo so, sono in ritardo.
Solitamente pubblico una volta alla settimana, minimo, ma questa volta ho proprio perso la cognizione del tempo. Prima che me ne rendessi contro, sono passati più di dieci giorni e quindi, se vi ho fatti aspettare, mi scuso infinitamente.
Beh, finalmente i nostri amici sono giunti a Thalass, e hanno avuto il loro primo scontro con i Titani degli Abissi. Certo, non saranno al pari di Lilith o Apophis, ma sono comunque tostini, e quindi per questa volta ho preferito concentrarmi sopratutto sulla battaglia in generale piuttosto che sugli scontri singoli, in modo di mostrare la strategia usata contro di loro. Anche perchè, per i duelli singoli e incentrati di più sul personaggio di turno, ci sarà ampio spazio col proseguimento della storia.
Spero che i nuovi personaggi vi piacciano, qui ho introdotto Lioor (il Governatore) e Faust (il Capo della Guardia Cittadina), ma presto ne vedremo altri, tranquilli.
Spero veramente che la storia vi stia prendendo.
E ringrazio tutti quelli che continuano a seguirmi tutt'ora, ve ne sono estremamente grata.
Ora come ora, continuerò a pubblicare il primo libro, e quando riuscirò a raggiungere i 500 lettori almeno per il primo capitolo (ora siamo a 400 circa) penso che pubblicherò un breve spin-off sulla vita passata di Castiel, a cui sto attualmente lavorando. Nulla di particolare, solo un squarcio sulla sua routine prima di unirsi ai Guardiani.
Fino ad allora, spero che questa storia continui a farvi sognare, e vi saluto.
Per riscattarmi, cercherò, in questa settimana, di inserire almeno un altro capitlo, sperando bene!
Alla prossima!
Teoth

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo XXV-L'ombra del tradimento ***


Capitolo XXV
L’ombra del tradimento
 

(Ainuviel)

Sebbene ormai fosse trascorso quasi un mese, da quando io e Jakhaal avevamo iniziato a seguire le ricerche direttamente all’interno della Biblioteca di Atlantis, era sempre una meraviglia fare il proprio ingresso in quel posto unico al mondo.
Per quanto spesso ci fosse entrata, ancora non ci riusciva a proprio, ad abituarsi a quel posto mozzafiato. Se erano rimasti impressionati di fronte alla bellezza della Biblioteca di Flogon, non la si poteva comunque paragonare nemmeno remotamente a quella di Atlantis che, tra le biblioteche di tutte le dimensioni, era certamente la più completa e grande del mondo intero.
Quando entrammo, sorrisi di fronte alle espressioni stupefatte dei miei compagni, che la vedevano per la prima volta in vita loro.
Si trattava di una struttura immensa, interamente in cristallo, sebbene in una sua forma particolarmente impossibile da distruggere, rovinare o anche solo intaccare. Sotto il pavimento, così come all’interno delle pareti, scorrevano fiumi d’acqua perfettamente visibili dall’esterno, e che davano alla struttura un aspetto a dir poco mozzafiato. Per non parlare delle decorazioni in zaffiro e lapislazzuli, che coprivano il pavimento, così come gli scaffali in legno bianco, i tavoli e i leggii in marmo color avorio.
La struttura era costruita seguendo lo stile classico dei templi greci, con altissime colonne doriche e ioniche a sorreggere l’alto soffitto, mentre i corridoi si districavano attraverso oltre un centinaio di piani sovrapposti, e collegati tra loro da una profondissima scala a chiocciola che penetrava fin nelle profondità più remote del sottosuolo, con luminosi globi azzurri, i fuochi fatui, a illuminarne il percorso. Un intreccio complesso di corridoi, ognuno contrassegnato da un numero e da un genere letterario, di stanze e di sale di lettura, con le zone di ristoro e i laboratori, i banchi per lo studio e i leggii sparsi un po’ ovunque, e tutto perfettamente ordinato secondo una regola ben precisa.
Per farla breve, un vero e proprio spettacolo.
Chrystal si guardò attorno, apparentemente senza riuscire a credere ai propri occhi: “Wow. Avevo sentito parlare della bellezza di questo posto, ma vederlo dal vivo. Incredibile. Come fate a mantenerlo? Deve costare un fortuna! E non solo in termini di denaro: manodopera, studio e aggiornamento delle opere qui collezionate, rapporto con coloro che voglio usufruire del sapere di questo posto. Non posso nemmeno immaginare quanto personale qualificato, e quanto denaro e tempo, sia necessario per questo posto.”
“Se desiderate, posso occuparmi io di rispondere alle vostre domande …”, ci voltammo, mentre un uomo decisamente anziano, diciamo, forse, con qualche centinaio di anni, si avvicinava a noi, sorridendo appena.
Vidi Castiel alzare un sopracciglio, mentre Lyemliir, Fondatore della Biblioteca di Atlantis, si fermava a guardarci, sorridendo sereno.
Era impossibile capire quanti anni avesse realmente (anche perché è abbastanza noto come quelli della sua specie possano arrivare persino ai 200 e passa anni). Sia i capelli che la barba, perfettamente candidi e soffici come zucchero filato, erano veramente molto lunghi, e gli arrivavano fin quasi alla vita. Vestiva di una lunga tunica, blu lapislazzuli con una pioggia di lucciole gialle e arancio a decorarne il fine tessuto dall’aria quasi lucida, mentre lungo le maniche, che arrivavano quasi al pavimento, una serie infinita di fasce color tramonto sventolava tutto attorno. Un abito decisamente eccentrico, a dire il vero, e addosso a quello strano vecchietto era persino più insolito.
Il Governatore annuì, presentadoci il nuovo arrivato: “Lui è il proprietario della biblioteca, come forse avrete capito voi stessi.  Ed è anche il tutore legale, nonché padre adottivo, della Guardiana che state cercando.”
Alzammo un sopracciglio, mentre quello sorrideva, aggiungendo: “Trovai Shyral di fronte alla mia biblioteca  che era solo una neonata, circa diciotto anni orsono …”
“Scommetto che all’epoca era molto più giovane, eh?”, fece Castiel.
Lo guardammo, e alzò le mani, cercando di giustificarsi: “Eddai! Sono sicuro che anche voi vi starete chiedendo quanti anni ha!!!”
Sorprendentemente, quello non se la prese nemmeno troppo, e anzi scoppiò a ridere: “Ahahah! Voi giovincelli siete proprio spassosi! Tranquillo, risponderò senza problemi alle vostre domande: io ho 3579 anni. Sono un alchimista, e anche se normalmente noi Atlasiani non superiamo i 200 anni, la mia vita è indissolubilmente legata a questo posto da un incantesimo. Finchè rimarrà in piedi, io non potrò morire.”
Lo fissammo, decisamente increduli, poi quello proseguì: “Comunque, mi spiace dirvelo, ma purtroppo mia figlia non si fa vedere da giorni ormai. Solitamente, non si allontana mai troppo da casa sua, eppure sono settimane che non la vedo e inizio seriamente a preoccuparmi. Anche se sa badare a sé stessa, è sempre stata molto protettiva, e se andava da qualche parte prima era solita comunicarmelo.”
Ci oscurammo, guardandoci perplessi.
Il vecchio abbassò il capo, affranto: “Se le informazioni su di lei sono vere, ed è la Guardiana della nostra dimensione, allora non mi stupirei se Nidhoggr fosse riuscito a rapirla. Non sa ancora come controllare il suo elemento, e anche se è una grandissima alchimista e una maga di non indifferente calibro, dubito che potrebbe qualcosa contro i suoi seguaci.”
Vidi Castiel stringere i pugni.
Era comprensibile. Dopotutto, quando eravamo a Flogon, anche sua madre era stata rapita da Lilith.
Elayne gli posò la mano sul braccio, cercando di rassicurarlo, e quello disse: “Le prometto che la ritroveremo. Non lasceremo che sua figlia venga uccisa da quei mostri, la rintracceremo e la riporteremo a casa: costi quel che costi.”
Annuii, decisa: “Ormai, è una nostra compagna. Anche se non la conosciamo ancora, i nostri destini sono indissolubilmente legati e quindi non possiamo certo chiudere gli occhi. Mobiliteremo tutte le nostre forze, e la salveremo.”
Gli altri sorrisero, decisi.
Sarebbe stata dura, ma ce l’avremmo fatta, anche quella volta.
Ormai, dopotutto, eravamo un team. Non ci saremmo certo fatti abbattere per così poco!
 

(Elayne)
Venimmo quindi condotti, almeno temporaneamente, presso quelli che sarebbero stati i nostri alloggi fintanto che saremmo rimasti alla capitale.
Per l’occasione, il Governatore aveva fatto sgomberare l’Ala Nord, solitamente adibita agli ospiti di un certo calibro, e ristrutturato le stanze affinchè fossero il più confortevoli possibile per i suoi illustri ospiti.
Ora, sarà anche perché, comunque, a Flogon eravamo stati subito spediti in gattabuia, ma confesso che tutte quelle attenzioni non mi dispiacevano affatto. Certo, eravamo in missione, ma finchè non fossimo riusciti a scoprire dove era stata condotta Shyral, o non fossimo stati nuovamente attaccati, la nostra permanenza sarebbe stata anche abbastanza tranquilla.
Io e Ainu fummo fatte accomodare presso un’ampissima camera, fornita di due comodi letti a una piazza e mezza, con tanto di baldacchino blu e una scorta di cuscini di tutto rispetto a farci da compagnia. La stanza era letteralmente divisa in due parti, quasi fosse stata progettata appositamente per noi: una, quella di Anuviel, era decorata da un’infinità di piante esotiche e rampicanti che decoravano la parete con le loro ampie foglie e i frutti accoglienti, l’altra, la mia, era invece affrescata con immagini mozzafiato, raffiguranti mari in tempesta, con le folgori violette a illuminare le acque in tumulto. Ovviamente, oltre ai letti, c’erano anche due ampie cabine armadio (che certamente io non avrei manco usato, ma facevano di sicuro una bella figura) fornite di un assortimento di abiti per tutte le occasioni che, udite udite, guarda caso erano proprio della nostra taglia. Vi era poi una piccola zona ristoro, nel terrazzo a cui si affacciava la nostra camera, fornita di qualche divanetto in seta blu lapislazzuli e dei tavolini da the, oltre che un piccolo frighetto e un angolo bar. Per finire, la camera dava accesso anche alle terme in stile giapponese, che connettevano la nostra stanza a quella degli uomini. Motivo per cui mai ci sarei entrata, come di solito si fa, completamente nuda.
Come ci fermammo sulla soglia, un giovane ragazzetto, che doveva avere si e no una quindicina di anni, terminò di rassettare i cuscini, correndoci incontro e stringendoci la mano entusiasta.
“O Divino Atlante!!! È un immenso onore fare la vostra conoscenza! Onorato, veramente molto onorato! E pensare che tutti credono che la vita qui alla biblioteca sia una noia!!! Ahahah, quando racconterò ai miei amici di aver stretto la mano alle DIVINE GUARDIANE moriranno di invidia!”, ci guardammo, interdette, poi Ainu chiese: “Ehm, e tu sei?”
Quello si battè la mano sul capo, sbadato: “O cielo, giusto, giusto! Mi chiamo Finrel, e come potete vedere non sono un Atlasiano. I Mezzisiren sono pochi, ma io faccio un’eccezione, visto che discendo da una famiglia di sangue misto!”, lo osservammo.
Effettivamente, non assomigliava affatto agli abitanti che avevamo incontrato fino ad allora. Il fisico era estremamente gracilino e incredibilmente esile, la carnagione dalle sfumature quasi smeraldine, intervallati a tratti da chiazzette di un verde più scuro, come quello degli aghi di pino. I capelli, apparentemente fradici, erano neri come la pece e coperti di alghe e foglie umidicce, mentre gli allegri occhietti gialli avevano ben poco di umano in sé.
Eppure, emanava vitalità da tutti i pori. Era impossibile non sorridere, con quel tipetto nei paraggi.
Lui annuì, come compiaciuto della sua stessa presentazione, poi andò avanti: “Sarò il vostro inserviente, potete chiedermi tutto quello che preferite. Qualora abbiate bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, suonate pure il campanello, e io sarò qui in un battito di ciglia! A proposito …”, i suoi occhi da cucciolo supplicante ci costrinsero a indietreggiare mentre, spiazzate, ci guardavamo senza sapere cosa dire, “… mi fareste un autografo. PER FAVOOORE!!!”
Ainu mi guardò, poi sorrise: “Certo, sono sicurissima che Elayne sarà veramente felice di accontentare la tua richiesta!”, la fissai, basita.
Sporca traditrice, e che fine ha fatto il supporto morale. Non cercare di battere in ritirata, Ok?!?
Ovviamente, mi diede retta, perché un secondo dopo si era già eclissata.
Sospirai, osservando il cucciolo in adorazione e sospirando: “Va bene, cerco della carta e ti faccio questo autografo. Intanto, sta seduto e fermo.”
Quello annuì, obbediente, mentre io iniziavo a guardarmi intorno, alla ricerca di una penna e di un foglio di pergamena.
Il silenzio iniziò a mettermi a disagio, per cui proseguii, poco dopo: “Quindi, tu lavori nei dormitori della biblioteca?”, chiesi, per cambiare argomento.
Annuì: “Si. Confesso che vado parecchio fiero del mio lavoro, solitamente è parecchio difficile poter trovare di che vivere proprio nel più grande centro culturale del mondo intero. Anche tra i servi più umili, gli standard sono veramente molto alti e i requisiti richiesti innumerevoli. Spesso è necessario fare un tirocinio lunghissimo ma io sono abbastanza fortunato perché la mia famiglia fa questo lavoro da generazioni: diciamo che è un po’ come una nostra tradizione. Quindi veniamo addestrati sin da piccoli per questo incarico e siamo molto ben considerati tra la servitù e il personale.”
Accennai a un si col capo, mentre estraevo un foglio di pergamena e iniziavo a scrivere: “Quindi, forse conoscevi anche Shyral, la Guardiana dell’Acqua.”
Quello parve oscurarsi, e sospirò: “Io e lei siamo praticamente cresciuti assieme. Ero il suo assistente personale, ma il nostro rapporto non si fermava a questo. Lei aveva veramente un animo gentile, e anche se avrei dovuto essere solo un servo ai suoi occhi, non mi trattava mai come tale e teneva veramente di gran conto il mio parere. Eravamo amici, e … non posso ancora credere che sia scomparsa. E che sia scomparso anche suo fratello, poi. Era un guerriero incredibile, non mi sorprende che all’Accademia Militare avesse fatto tanta strada in così breve tempo.”
Alzai lo sguardo da ciò che stavo facendo, un sopracciglio innalzato: “Suo fratello, di cosa stai parlando? Pensavo fosse figlia unica, e adottata.”
Lui scosse il capo: “Non ve ne hanno parlato?”
Feci cenno di no e lui sospirò: “Beh … non mi sorprende. Anche se era un allievo eccezionale da quel che so si era preso un periodo di pausa dall’addestramento, quindi è normale che nessuno si sia ancora accorto della sua scomparsa. Era venuto in città, per vedere la sorella. Ha affittato un appartamento in centro e solitamente io gli portavo la spesa, perché mi pagava veramente bene, e poi era sempre un piacere parlargli. Tuttavia, qualche settimana fa non mi ha aperto, e da allora non ho avuto più sue notizie. È accaduto poco prima che anche Shyral sparisse.”
Alzò gli occhi, lucidi di lacrime: “Pensa che le cose possano essere collegate? Sono in pericolo?”
Mi oscurai, facendo mente locale.
Il fratello era scomparso, e poco dopo anche di lei si erano perse le tracce.
Era più che evidente come non potesse essere un caso, e se quei due erano veramente legati, come sospettavo, era abbastanza probabile che le forze del nemico avessero fatto leva su tale rapporto per portare la Guardiana dell’Acqua dalla loro. Se così fosse stato, eravamo nei guai fino al collo: era la sua dimensione, li l’acqua era ovunque, in uno scontro diretto, saremmo stati spacciati in partenza.
Sorrisi, mascherando il mio disagio e cercando di tranquillizzarlo: “Sono certa che non sia accaduto nulla di grave. Probabilmente, visto il brutto periodo in cui si trova il vostro paese, sarà stato richiamato all’Accademia per proseguire l’addestramento, e non ha avuto il tempo di avvisare nessuno.”, mi sedetti al suo fianco, porgendogli l’autografo e osservandolo mentre tirava su col naso, come un bambino fa quando cerca di rassicurarsi, ma ancora non ci riesce.
Sospirai.
Miseriaccia.
Dovevo calmarlo.
Gli scompigliai i capelli, sorridendo: “Comunque, sono certa che le cose si rimetteranno a posto. Io e i miei compagni siamo qui per questo, no? E  ti posso assicurare che faremo tutto il possibile per liberare la tua amica. Meglio però che questa discussione rimanga tra noi due, non vogliamo certo far preoccupare gli altri, no?”
Perché, certamente, se qualcuno dovesse sospettare un tradimento da parte di Shyral, il popolo andrebbe nel panico. Non posso permetter che questa storia finisce nelle orecchie sbagliate. Poi, ci penserò io stessa a parlarne con gli altri: devono sapere cosa ci attende d’ora in avanti.
Quello sorrise, annuendo convinto, poi si alzò: “Ora devo andare, tra poco ci sarà la cena e la mia presenza è richiesta nelle cucine. Grazie per l’autografo, gentile SIGNORA!”, e in un attimo mi abbracciò, lasciandomi letteralmente paralizzata dalla sorpresa.
Ovviamente, prima che potessi dirgliene quattro, quello si era già volatilizzato. Mi grattai il capo, borbottando: “Signora a chi, piccolo impertinente!”.
Poi sorrisi, voltando lo sguardo verso la terrazza, e poi, lontano, all’immensità dell’oceano oltre la Cupola.
Shyral, io non so nulla di te, o della tua famiglia. Non so che persona sei, o che passato hai alle spalle, non ho idea di quali siano i tuoi valori o i tuoi sogni. Ma qui ti sei costruita una famiglia meravigliosa, che a dispetto dei legami di sangue inesistenti, ti ama e ti vuole proteggere. Io stessa avrei dato la vita per delle persone come loro al mio fianco, quindi … ti prego … non deluderle, Ok?
Sospirai, alzandomi.
Sapevo bene che era troppo lontana per sentirmi, eppure, in fondo al cuore, una parte di me ancora sperava che le mie  preoccupazioni fossero infondate.
Diedi le spalle alla finestra che dava all’area esterna, e mi immobilizzai, mentre due ombre estranee si proiettavano di fronte a me, in contro luce.
Nessun rumore, nessuna aura negativa, niente di niente. Chi aveva un motivo per cercare di nascondere così la sua presenza?
Strinsi i pugni, la risposta già la conoscevo mentre mi voltavo appena, osservando le due figure si fronte a me.
Una, fin troppo famigliare, osservava annoiata un orologio da taschino: Lilith. Fu l’altra però ad attirare veramente la mia attenzione. Mi oscurai, mentre gli occhi di lei si immergevano nei miei e, per un istante, mi parve di scorgervi all’interno una disperata richiesta di scuse.
Sapeva che ciò che stava facendo era sbagliato, o quello che avevo visto nei suoi occhi era stato solo frutto della mia immaginazione?
Sospirai, voltandomi e osservando le due nuove arrivate di fronte a me.
Shyral era diversa dalla maggior parte degli Atlasiani. I capelli, infatti, erano una cascata di ciocche lisce come l’olio, color blu lapislazzuli, che sotto tutto quel mare d’acqua parevano tingersi a tratti dei colori del mare in tempesta. Gli occhi erano due zaffiri lucenti e vivi, mentre la carnagione, tipica dei membri della sua specie, era intervallata a più tratti da un intricato sistema di vene simili a fiumi in corso. Il fisico era slanciato e atletico, ma anche dai tratti femminili e sensuali.
Sospirai, osservandole: “Cosa volete? Siete penetrate nel fulcro della resistenza, e siete entrambe disarmate, cosa state pianificando?”
Lilith sorrise: “Molto bene, vedo che sei cresciuta, dal nostro ultimo incontro. Tuttavia, se credi che la semplice mancanza di armi dalla nostra parte ci metta in svantaggio, ti sbagli di grosso.”
Scossi il capo: “No, so benissimo che, ora come ora, non potrei affrontarvi. Tuttavia i miei compagni risiedono in quest’area del castello, e non mi ci vorrebbe certo molto per chiamarli e farli accorrere. Forse, Sarai anche una delle sue figlie, ma contro cinque Guardiani, di cui tre veterani, dubito che avresti molte possibilità.”, spostai il mio sguardo a Shyral, proseguendo, “E per lei, se ha scoperto i suoi poteri da poco, allora dubito seriamente che possa essere un problema. Anche per me.”
Shyral si ottenebrò: “Non metterti in testa strane idee. Tra me e te non c'è nemmeno paragone. Io sono un genio, ho imparato ad accedere alla mia fonte di potere quando avevo solo cinque anni, e sono diventata Custode delle Chiavi e dei Tesori di Atlantis prima di ogni altro al mio posto, pensi veramente di avere qualche speranza? Sei un’umana, la vostra razza è forse una delle più deboli e sciocche dell’interno universo, e le vostre capacità fisiche e mentali sono ridicole se paragonata a quelle delle altre specie. Quindi, non osare nemmeno a parlarmi in questo modo!”
Improvvisamente, una schiera di bolle di acqua bollente mi circondò, impedendomi anche solo di muore un muscolo.
Sussultai.
Io, dopo i mesi di addestramento che avevo passato con i miei compagni, riuscivo appena a evocare grosse quantità di volt, o a velocizzare i miei movimenti coprendomi di folgori. In nessun caso ero ancora riuscita a controllare a livelli simili la mia elettricità, al punto da manipolarla a piacimento, regolandone persino la forma.
E lei, in soli pochi giorni da quando aveva scoperto i suoi poteri, sapeva già non solo stabilire la temperatura dell’acqua, ma anche creare oltre un centinaio di bolle, tutte di dimensioni diverse, e muoverle senza battere ciglio.
Era evidente come fosse su un piano del tutto superiore al mio, e forse anche a quello di alcuni miei compagni.
Strinsi i denti: “Ok, ve bene, posso sapere cosa volete?”
Lilith fece cenno alla ragazza di lasciarmi andare, avanzando lentamente e dicendo, calma: “Attualmente, il controllo della situazione bellica in questa dimensione è stato affidato a me e ai miei uomini.”, si sedette, sorridendo appena nell’assaporare la morbidezza del materasso, poi riprese, “Quindi, ho il controllo totale su ciò che accade qui. E sebbene possa non sembrare, la Dimensione di Thalass è entrata nel nostro mirino più a causa della sua Guardiana che per altro. Per farla breve, anche se ora come ora la conquista di Atlantis non sia che questione di tempo, noi non abbiamo nessun reale interesse nel mantenere il controllo di questa zona.”
Si fermò, osservandomi seria. Mi oscurai: “Quindi? Volete che mi consegni a voi?”, chiesi, seria.
Lei sorrise: “Sei intelligente. Si, se ti consegnerai a noi, ritireremo le nostre truppe da Thalass, e andremo altrove. Dopotutto, non c’è assolutamente paragone, tra il valore tuo e quello di, quanto? Qualche migliaio di popolani?”
Mi alzai di scatto, raggiungendola prima che Shyral potesse intervenire in suo aiuto, e lasciandole un bel segno rosso sul viso.
Quella voltò il capo di lato, alzando un sopracciglio sorpresa. Poi sorrise, pulendosi un rivolo di sangue scuro dal labbro e proseguendo: “Wow, suscettibile.”
Strinsi i denti: “Credi veramente che potrei mai fidarmi delle vostre parole?!?”
Lei sospirò: “Si, non credere che io non abbia pensato a questo dettaglio. Tuttavia, te ne darò una garanzia.”, accennò a Zeus, infoderato e appoggiato alla parete, la osservai, interrogativa, “Io non sono come i miei fratelli, e preferirei che anche tu te ne rendessi conto. Ho un mio codice d’onore, e ti assicuro che mantengo sempre la parola data, anche se non per questo scopro tutte le mie carte. Quindi, anche se ora come ora potrei anche entrare in possesso del tuo Frutto, in segno di fiducia, farò un’eccezione, e lo lascerò qui, con i tuoi compagni.
E tu verrai con noi.”, si fermò, osservandomi seria.
Sospirai, guardando Zeus, mentre la sua voce rimbombava, contraria, nella mia mente.
No, no, no! Non puoi assolutamente farlo! Sei l’Eletta! Si fosse trattato di un normale Guardiano, forse sarebbe stato anche un accordo accettabile, ma così?!? Non se ne parla nemmeno!
Senti, hai gestito benissimo la cosa di Finrel, quindi vedi di non farmi ricredere sulla tua intelligenza da strapazzo, Ok?
Sorrisi.
Mi dispiace, ma qui ci sono moltissime persone meravigliose. E io … io voglio proteggerle.
Ti tortureranno, lo sai?
Non importa, io sono una Guardiana, sono qui per questo. E … non ho paura.
Lo sentii zittirsi, forse ammirato per il mio coraggio, o indignato per la mia cocciutaggine. Comunque gliene fui grata. Se avesse continuato, probabilmente avrei perso tutta la mia determinazione.
Guardai Lilith, annuendo e porgendole la mano: “Affare fatto.”


Note dell'Autrice:
Come promesso, eccomi di ritorno!
Beh, cosa dire? Questo capitolo ha visto introdotti molti personaggi interessanti, e anche un bella svolta in termini di trama.
Ehhh ... si, Elayne ora è in mano al nemico, e i nostri compagni dovranno sgobbare non poco per riuscire a salvarla, e non solo lei! Ormai, anche se Shyral si è unita a Nidhoggr, resta comunque una Guardiana, e quindi dovranno fare tutto il possibile per portarla dalla loro parte, anche se, vista la sua situazione, non sarà certo semplice!!!
Spero di essermi rifatta dall'assenza di oltre una settimana, visto che come avevo promesso entro sera avrei inserito un nuovo capitolo della storia, ed ora eccolo qui! Confido di riuscire a scriverne un altro almeno almeno prima di mercoledì prossimo, ma non ne sono troppo sicura. Comunque continuate a tenere d'occhio la mia pagina, che in caso di aggiornamenti ve ne accorgerete di certo!
Ringrazio come sempre tutti coloro che continuano a seguirmi, sia i recensori che i non, perchè è solo grazie a voi se questa entusiasmante avventura sta andando avanti e sono veramente felice di portare questo progetto con voi. Siete fantastici e io non so proprio come ripagarvi!
Alla prossima!
Teoth
 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo XXVI-Sotto la maschera ***


Note:
Come accaduto nel Capitolo XIV, anche qui vi faccio un breve anticpiazione, dicendovi che a partire da ora, sebben raramente, potrete trovare anche brevi capitoli dedicati, in parte o interamente, ai Tre Figli di Nidhoggr.
Riflettedno su alcune vostre osservazioni, infatti, ho ritenuto necessario ricorrere a questo espediente,  in modo da descrivere meglio anche i villain della storia, che così verranno indagati più approfonditamente.
Detto questo, buona lettura!
Aspetto le vostre recensioni!!!

 

Capitolo XXVI
Sotto la maschera
 

(Lilith)

Ok, forse adesso è meglio che prenda io le redini del racconto.
Altrimenti, dubito che potreste realmente capire.
È vero, si, ne sono perfettamente conscia.
Finora né io né i miei fratelli ci siamo mostrati proprio come dei gran samaritani, nella storia, ma penso di potervi spiegare.
Direi di iniziare con mio fratello, già … perché, se dopo l’inaspettato successo ottenuto con la cattura dell’Eletta mi sarei aspettata come minimo qualche riconoscimento, o anche solo una maggiore libertà gestionale nella situazione militare in cui ci trovavamo, beh … allora mi sbagliavo di grosso.
Furibonda, forse per l’unica vera volta in vita mia, marciavo attraverso le bellissime stanze della Fortezza di Zaffiri, una colossale costruzione in marmo nero e coralli dai colori tetri e cupi, le cui mura erano illuminate a tratti da mosaici di zaffiri che variavano prendendo tutte le sfumature dell’oceano, donando un minimo di luminosità all’ambiente, o almeno quel che bastava per non perdersi in quell’intrico di corridoi tutti uguali.
Mi diressi verso l’Altare degli Abissi, la zona dove di solito riunivo i miei sottoposti di maggiore grado per i consigli di guerra e che in quel momento era stata infestata da quel monolite senza personalità di mio fratello maggiore, Tartaros.
Quello sporco bastardo aveva letteralmente mandato a monte i miei programmi, rompendo l’accordo che avevo presso con l’umana e ordinando alle MIE truppe di procedere comunque con la conquista di quella dimensione.
Strinsi i denti, furibonda, mentre la vergogna mi faceva tremare le mani. Se c’era una cosa che assolutamente non tolleravo, era proprio non mantenere la parola d’onore: avevo giurato a quella ragazza che, se si fosse consegnata, noi avremmo rivolto altrove le nostre attenzioni, e lei si era fidata. E ora saltava fuori quell’imbecille, a mandare tutto all’aria e a distruggere la mia reputazione.
Come potevo guidare un esercito se nemmeno le mie parole avevano un valore?
Quale uomo, o mostro, mi avrebbe mai seguita sapendo che non portavo rispetto nemmeno per gli accordi fatti con gli avversari?
Era veramente questo che ci si aspettava, da un comandante del mio calibro?
Insomma, avevamo ottenuto l’Eletta, un bottino che, paragonato alla conquista di Thalass, era decisamente superiore. E come se non bastasse avevamo anche la Guardiana dell’Acqua, che finchè avessimo avuto in pugno la vita di suo fratello avrebbe obbedito a ogni nostro ordine. Cosa chiedere di più?
Inoltre, altra cosa che mi faceva imbestialire, era stato il modo in cui lui aveva preso, senza nemmeno dirmi niente, il controllo dei miei uomini, surclassandomi come se non contassi nulla. E senza consultarmi aveva riorganizzato tutto il nostro sistema militare.
Come osava?
Insomma, non doveva starsene a Flogon, a riconquistare le terre che avevamo perso?
Chi diamine gli aveva dato il permesso di venirsene qui, senza dire nulla, a stravolgere tutti i miei progetti, umiliandomi e trattandomi come una mocciosa scomoda?
Strinsi i denti, sempre più su di giri, incurante del modo in cui la mia aura, fuori controllo, aveva quasi distrutto l’intero corridoio, finchè non aprii le porte dell’Altare, con un impeto tale che sbatterono con fragore contro le pareti.
Mio fratello si voltò, lievemente sorpreso, osservandomi in silenzio.
Tartaros era senza ombra di dubbio un uomo avvenente, con i capelli color onice, raccolti in una cascata di trecce scure, che gli arrivavano fino alle spalle. Gli occhi erano perennemente nascosti da degli occhiali da sole scuri, ma sapevo bene come fosse solo un espediente, volto a evitare che la gente scoprisse come, in realtà, non fossero che dei pozzi scuri e vuoti. La carnagione era scurissima, color cioccolato, e i muscoli scolpiti e tonici, il fisico palestrato e slanciato, virile e totalmente privo di peli. Inoltre, sul lato sinistro del viso, un’ustione rossa gli percorreva la mascella per raggiungere anche la tempia, ricordo di un combattimento particolarmente ostico.
“Sorella.”, disse, inespressivo, tornando a osservare gli abissi blu lapislazzuli, fuori dalla finestra, “Credevo fossi sul campo di battaglia. Gli uomini ormai sono partiti.”
Incrociai le braccia, lasciando che la mia aura si calmasse: “Uomini che hai inviato senza il mio permesso. Devo forse ricordarti che questa postazione è sotto la MIA giurisdizione, ora?”
Quello si voltò nuovamente, osservandomi privo di espressione: “E sono forse tenuto a consiglio, sorella? O forse hai dimenticato il TUO fallimento, a Flogon? O il fatto che sono stato IO a distruggere le Dimensioni dello Spazio e  del Tempo, all’inizio di questa guerra? Non c’è da stupirsi se nostro padre si fida di più del mio, di giudizio, in termini di decisioni militari.”
Strinsi i pugni, mentre le unghie affondavano nella carne, e gocce color inchiostro si confondevano col pavimento nero della stanza.
Quindi, era stato lui a inviarlo?
Perché?
“Si, è vero.”, dissi, avvicinandomi a lui, e osservando l’accampamento di Titani degli Abissi, sotto di noi, “Questo però non toglie che IO sono riuscita a portare dalla nostra parte Shyral, e che IO ho catturato Elayne.”
Quello si fermò, osservandomi tetro: “Wow, le chiami anche per nome, ora?”
Mi immobilizzai, fissandolo interrogativa, finchè quello sospirò, spiegando: “Nostro padre è preoccupato, sorella. Hai promesso alla Guardiana di Astrapos che avresti ritirato le truppe da Thalass, in cambio della sua resa, e stavi anche per farlo. Inoltre, hai fallito a Flogon e ora sembra che tra te e la Guardiana dell’Acqua ci sia un legame particolare. Anzi, tra te e suo fratello. Perché hai impedito a Belfagor di torturarlo?”, sentii il corpo raggelarsi, mentre cercavo di mantenere un’espressione neutra, anche se, dentro di me, il panico iniziava rapidamente a prendere il sopravvento.
Lo sapeva?
Che Nidhoggr sapesse?
Scossi il capo. Impossibile. Non avrebbe mai potuto dubitare di una cosa simile, e inoltre, sapeva che, se l’avevo fatto, era perché quel ragazzo ci serviva VIVO.
Lui proseguì, visibilmente preoccupato: “Il suo timore è che tu ti stia indebolendo, sorella. Ovviamente, si fida ancora ciecamente di te e del tuo giudizio, ma anche sorvolando sulla storia dell’esca per pesci o su quella della ritirata dalla Dimensione dell’Acqua, lui desidera assicurarsi che, questa volta, tutto vada esattamente secondo i piani. Per questo mi ha mandato qui.”
Mi oscurai, chiedendo: “E tu, tu cosa pensi?”
Mi guardò, poi abbassò lo sguardo, improvvisamente tetro: “Sei mia sorella, insieme, siamo entrambi suoi figli. Questo per me è più che sufficiente, non mi serve altro per sapere che tu farai ciò che la tua posizione richiede, poco importa fin dove dovremmo spingerci. Così come lo farò io, e come lo farà nostro fratello. Lui si aspetta questa da noi e non saremo certo noi a deluderlo. Dopotutto, siamo una famiglia, no?”
Sentii il cuore stringermisi, mentre osservavo mio fratello, chiedendomi come diavolo facesse a essere ancora così cieco.
Famiglia?
Chi aveva mai parlato di una cosa simile?
Era più che evidente come, ormai, quel concetto fosse ben lontano da ciò che eravamo.
Dopo tutti quegli anni, non mi ero mai sognata, nemmeno per un secondo, di vederci come una famiglia. Semplicemente, era del tutto ridicolo.
Quando mentre cresci, vieni addestrato al solo scopo di servire, conquistare e uccidere, non c’è spazio per certi concetti. Eravamo stati addestrati come macchine, programmati come servi e mossi come marionette: bisognava essere veramente folli per poter pensare che colui che c’era dietro tutto ciò potesse veramente vederci come una famiglia.
Sospirai, ritirandomi in silenzio, consapevole che, per quanto avessi potuto protestare, mio fratello non si sarebbe smosso di un millimetro.
Percorsi i corridoi in silenzio.
Non mi importava. Anche se c’erano stati degli IMPREVISTI inattesi, avrei continuato a servire la nostra causa. Dopotutto, non conoscevo altro modo di vivere e poi, con un po’ di fortuna, nessuno avrebbe mai scoperto niente. Nidhoggr poteva anche essere l’entità cosmica più potente di tutto l’Universo, ma era ancora sigillato nell’Abisso, e finchè fosse stato lontano, non avrebbe avuto modo di scoprire ciò che sua figlia stava realmente facendo.
Mi diressi spedita verso le segrete, dove sapevo che l’avrei trovato, ma quando mi apprestai per entrare sentii, chiare e forti, le sue grida straziate provenire da dietro la spessa porta in legno di quercia.
Mi precipitai all’interno, e subito li vidi.
Lui, il mio Finrel, era a terra, e sopra di lui Apophis ghignava divertito e incurante delle grida e delle proteste dell’Eletta che, impotente, dalla cella non aveva potuto fare altro che guardare, mentre si divertiva a mutilare con minuscoli ma precisi taglietti il viso del ragazzo che, disperato, si raggomitolava a terra, cercando di difendersi.
Come mi vide però, ovviamente Apophis parve perdere interesse per il suo nuovo giocattolo, e, battendo le mani contento, mi corse incontro, abbracciandomi felice: “Ehi, sorellona! Allora, che mi hai portato oggi? Sai che adoro i tuoi trofei, sono sempre così interessanti!”
Io, dal canto mio, ero immobile, raggelata. Incapace di reagire di fronte al dolore del mio compagno che alzando appena il capo, mi lanciò uno sguardo carico di messaggi inespressi, cercando di farmi capire che dovevo riprendermi: non potevo permettere che qualcuno sapesse.
Mi morsi il labbro, sorridendo forzata e porgendo un piccolo sacchetto in cuoio ad Apophis che, tutto contento, iniziò a saltellare sul posto: “Niente di particolare. I miei uomini sono riusciti a uccidere il Principe dei Mirinidi, questo è un piccolo souvenir che mi hanno lasciato. Ora, però, dovrei fare quattro chiacchiere con i miei prigionieri. Non vorremmo mica farli morire di noia, vero?”, dissi, cercando di apparire sciolta.
Quello si illuminò: “Certo che no! Posso aiutarti? Sai quanto amo torturare i mortali, è così divertente!!! E poi, con te sorellona, è sempre meglio. Anche se nostro padre ha scelto me come Essenza della Paura, tu sei sempre la più brava in queste cose. Non come quel cretino di Tart, mi mette sempre i bastoni tra le ruote. Ed è ancora arrabbiato perché non ho ucciso l’Albero.”
Mi addolcii.
Potevo sforzarmi quanto volevo, e se si fosse trattato di un altro, probabilmente lo avrei ucciso vedendolo trattare in quel modo Finrel, ma Apophis. Insomma, lui era lui.
Era il solo li che potesse capirmi, e insieme ci appoggiavamo sempre.
E poi, era così scemo a volte che proprio non ci si riusciva a odiarlo.
“Per questa volta passo, ora va, Ok?”, dissi, arruffandogli i capelli mentre quello metteva su un broncio triste.
“E va bene, ma domani sei tutta per me, chiaro?”, ribattè, facendomi un linguaccia divertita, per poi eclissarsi.
Sospirai, spostando lo sguardo su Finrel che, tremante, cercava di evitare il mio sguardo.
Tremai, pensando a quanto avrei voluto fregarmene, e correre da lui, guarendo le sue ferite senza curarmi della presenza dell’Eletta, che dalla cella avrebbe potuto vedere tutto, e intuire quindi la nostra relazione.
Ancora una volta, quindi, sotterrai le emozioni, come anni e anni di addestramento mi avevano insegnato a fare, e mi avvicinai.
Osservai inespressiva l’umana, che incatenata alla parete della cella mi squadrava con odio, poi presi Finrel da sotto la spalla, sollevandolo a dicendo: “Bene, ti reggi ancora in piedi. Poco importa, presto non riuscirai a fare nemmeno quello.”
Con la coda dell’occhio, potei vedere Elayne calmarsi, osservandoci in silenzio.
Pregai che mi credesse, poi portai Finrel presso una delle stanze laterali, adibite e spedale per i prigionieri.
Come fummo all’interno, gli presi il viso tra le mani, osservandolo in silenzio. Lo shock, la fatica per le ore passate nelle segrete e il dolore per le ferite subite gli avevano fatto perdere i sensi, per cui potei osservarlo con calma.
Avevo notato subito, sin dal nostro primo incontro, come fosse un giovane non poco avvenente. I riccioli scuri, che a tratti sfumanti verso il blu dell’oceano gli coprivano sbarazzini gli occhi color lapislazzuli, così come il fisico muscoloso e robusto, tonico e indubbiamente ben addestrato, lo rendevano incredibilmente affascinante.
Per me, che in quei millenni non avevo mai avuto modo di indagare a fondo nella natura dei mortali, impegnata com’ero a sterminarli uno a uno, quelle caratteristiche, mescolate alla sua indole dolce e comprensiva, che aveva saputo guardare oltre la mia posizione di Figlia di Nidhoggr, avevano inevitabilmente fatto breccia nel mio animo.
Con lui, in quelle brevi settimane di reclusione, avevo saputo scoprire orizzonti e mondi a me prima ignoti, emozioni che credevo non mi potessero mai appartenere e verità che altrimenti non avrei potuto conoscere.
Avevo visto la mia maschera di ferrea disciplina sgretolarsi, sotto i suoi sorrisi così naturali e sinceri, per dare finalmente posto alla vera me, finalmente apprezzata da qualcuno che la amasse veramente.
Eppure, forse proprio a causa di quel cambiamento, avevo iniziato a indebolirmi.
Lentamente, le verità che lui mi aveva mostrato avevano iniziato a cambiarmi, al punto che avevo fatto quella promessa, promessa che, prima, non mi sarei mai nemmeno sognata di mantenere.
Strinsi i denti, consapevole che, se volevo proteggerlo, e impedire che qualcuno scoprisse qualcosa, allora dovevo, assolutamente, impedire che altro trapelasse dal mio atteggiamento. D’ora in poi, per il suo bene, almeno in pubblico, avrei dovuto tornare a essere la vecchia me: fredda, calcolatrice e precisa a livelli inumani.
Anche a costo di far soffrire qualcuno.
Anche a costo di perdere me stessa.
Era lui, come potevo fare altro?


Note dell'Autrice:
Eccomi di ritorno!
Grande novità, finalmente compare il terzo fratello, e cambiamo un po' prospettiva, questa volta incentrandoci un po' sulla nostra Lilith, che per ora non si è mostrata proprio moltissimo.
Tranquilli, torneremo anche dai nostri protagonisti.
Confesso che sono sorpresa, avevo programmato tutti i capitoli fino alla fine, ma a quanto pare ho veramente parecchio da dire e quindi, anche se inaspettatamente, la storia si sta dilungando oltre i miei programmi. Ma calmi, alla fine, tutto si risolverà (ma non vi dico come!).
Penso che rivedremo Lilith anche nel prossimo capitolo, perchè qui la cosa è stata introdotta veramente poco, a vorrei approfondire sia il modo in cui la relazione tra le e Finrel è nata sia il carattere di quest'ultimo, che per ora non ha fatto molto.
Comunque, presto riprenderemo anche con la trama principale, è solo che ho pensato che fosse opportuno approfondire e caratterizzare bene anche i villain, per cui ho deciso di ddedicare loro alcuni spezzoni di storia.
Spero che questa scelta sia approvata.
Ringrazio ancora tutti coloro che mi seguono e continuano a recensire.
Alla prossima!
Teoth

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo XXVII-L'importanza di un leader ***


Capitolo XXVII
L'importanza di un leader
 
 
(Elayne)

Non appena giungemmo presso la Fortezza di Zaffiri, Lilith mi lasciò alle “amorevoli” cure di Shyral, che dal canto suo mi spinse senza tanti complimenti per i corridoi del castello, diretta verso quella che sarebbe dovuta essere la mia casa d’allora in avanti: ossia le segrete.
Che bella prospettiva, eh?
Mentre camminavamo, ebbi modo di notare, con mio sommo terrore, come all’interno dell’edificio non aleggiassero né una né due ma bensì TRE auree omicide e dannatamente potenti, segno indelebile che sì, anche il Terzo Figlio di Nidhoggr doveva essere giunto a Thalass, probabilmente con lo scopo di dare il suo contributo nella guerra.
Sebbene non fosse in vista, potevo percepire fin troppo chiaramente quell’aura dalla grandezza a dir poco inimmaginabile, che ben differiva da quelle dei fratelli. Se quella di Apophis era viscida e quasi vomitevolmente sadica, e quella di Lilith fredda e crudele come la morte stessa, quella del fratello era profondamente differente, ma non per questo meno temibile. Era un’aura semplicemente immensa, che avvolgeva l’intera fortezza, trasparendo dalle pareti e dal terreno, impregnando l’aria e rendendo quell’atmosfera quasi irrespirabile, come se mille occhi invisibili potessero tenere d’occhio ogni mio singolo movimento. Non era crudele, o malvagia, solo calma e cupa, e da essa traspariva una determinazione e una fermezza tale da essere senza precedenti. Nemmeno di fronte a Chosmos avevo provato una suggestione simile. Semplicemente, era l’aura di un CAPO, di un leader a tutti gli effetti. Nulla a che vedere con me, che stentavo a guidare un team di appena appena cinque persone.
Venni condotta attraverso un intrico di corridoi tutti uguali, al che non mi ci volle molto per perdere definitivamente la cognizione sia dello spazio, che del tempo, finchè non giungemmo alle segrete che, stranamente, non erano nemmeno così brutte.
Almeno non quanto quelle della Fortezza Purpurea.
Il pavimento, in marmo nero, luccicava di una non molto rassicurante nebbiolina lattea e diafana, che rendeva quasi impossibili i movimenti, mentre ogni cella era munita di due giacigli in paglia e, udite udite, anche un angolino privato per le proprie necessità personali. Dovevo considerarmi onorata, no?
Venni incatenata alla parete e messa nella stessa “stanza vip” (si fa per dire, ovvio) di un giovane che era la copia sputata ma più grande della mia molto simpatica nuova amica. Per un istante, vidi i loro sguardi incontrarsi, poi, sorprendentemente, l’altra abbassò lo sguardo, quasi vergognata, e se ne andò.
Mi voltai, osservando il giovane uomo di fronte a me, che sorrise appena, cercando di alzare almeno un po’ la tensione.
“Tu sei …”, feci per chiedere, anche se in fondo la risposta era abbastanza ovvia.
Lui annuì: “Chiami pure Leo, e si … sono il fratello di Shyral.”
Mi incupii, osservando la porta da cui lei era appena uscita: “Quindi, è per te che si è unita a loro, giusto?”
Lui sospirò, abbassando lo sguardo: “Lei è sempre stata così, sin da quando eravamo bambini.”
Lo osservai, interrogativa, e lui spiegò: “Non è una persona cattiva. Solo, quando ci sono di mezzo io lei smette sempre di pensare con la sua testa, e si comporta in modo stupido. Siamo stati lasciati di fronte alla porta della biblioteca che eravamo bambini, lei, a quel tempo, era solo un fagottino bavoso e puzzolente, io invece avevo già cinque anni, e quindi mi sentivo responsabile nei suoi confronti, specialmente ora che nostra madre ci aveva abbandonati.”, sospirò, osservando il vuoto, “Poi, però, col tempo le cose cambiarono. Volevo veramente fare il bravo fratello maggiore, e proteggerla sempre, ma non era facile. Io ero un ragazzino dall’indole pacifica e timida, ero molto introverso e questo spingeva gli altri bambini a sfruttarmi e a farsi beffe di me, per cui, alla fine, era sempre lei a preoccuparsi nei miei confronti e a difendermi dalle loro marachelle.
Forse, è stato proprio nella speranza di diventare qualcuno in grado di proteggerla, che a sedici anni decisi di frequentare l’Accademia Militare. Dentro di me, speravo ancora di poterle essere d’aiuto, di poter rappresentare un punto di riferimento e un conforto nei momenti più difficili.
Ma, alla fine, non è cambiato proprio niente. Non ho potuto fare nulla per impedire a quel demone di catturarmi e portarmi qui, e prima che me ne rendessi conto lei aveva già trattato la mia vita per la sua libertà.”
Sopirai, osservandolo con attenzione.
Lo sentivo vicino, dopotutto, avevamo cercato entrambi di proteggere le persone che amavamo, di rappresentare una guida e un punto di riferimento. E lui in un certo senso rappresentava i fallimenti che avevo accumulato con i miei compagni, e i continui moniti di Zeus sulla mia incapacità di guidare una squadra a dovere.
Insomma, eravamo simili, anche se in modo differente.
Sospirai, guardando le segrete e cercando di immaginarmi come sarebbe stata la mia vita da allora in avanti.
Avevo rinunciato alla mia libertà, per poter proteggere quella dimensione che per quel giovane era come una casa, e ora cercavo di abituarmi all’idea di passare i miei anni in quelle pareti scure e tetre, con addosso i rimorsi per tutto ciò che avrei voluto fare o anche solo dire.
Lui mi osservò, in silenzio, poi riprese: “Ho sentito dire che ti sei consegnata alle forze della Viverna, e che tu sei l’Eletta. Posso sapere perché l’hai fatto?”, mi chiese. Alzai lo sguardo, e quando incontrai le sue iridi, così dannatamente serie e profonde come solo gli abissi potevano essere, non riuscii proprio a mentirgli, per cui risposi: “Ho venduto la mia vita, in cambio della ritirata da Thalass.”
Aspettai, in attesa della sua risposta.
Eppure, diversamente da quanto mi sarei aspettata, la sua espressione non parve minimamente felice della mia spiegazione, ma alquanto contrariata. Sospirò: “E credi che sia la cosa giusta?”
Lo fissai, senza capire: “In che senso? Ovvio che è la scelta migliore, come potrebbe non esserlo? Thalass è la casa di migliaia e migliaia di persone, come potevo lasciarla in mano loro, avendo l’occasione di salvarli?”
Lui scosse il capo, triste: “Non metto in dubbio le tue buone intenzioni, ma stai scordando di guardare il quadro generale. L’Eletto è il solo che può sconfiggere definitivamente Nidhoggr, senza di te, anche le altre dimensioni non hanno motivo di vivere, praticamente, è come se avessi salvato Thalass, ma consegnato tutte le altre in mano al nemico. Sono consapevole, che essere costretti a scegliere tra la vita di mille persone e quella di un miliardo è situazione incredibilmente difficile e in cui nessuno vorrebbe mai trovarsi, ma a volte è necessario scegliere il male minore, anche se va contro i nostri precetti.
Tu ti sei consegnata, e ora, tutte le speranze del mondo sono seppellite assieme a te. Mi duole dirlo, ma per quanto si possa dire il contrario la tua vita è immensamente più importante di quella degli abitanti di Thalass. Vendendola al nemico, hai commesso un grave errore, che purtroppo non potrà essere risolto facilmente.”
Mi morsi il labbro, mentre quelle parole vere ma anche dannatamente dolorose mi perforavano l’anima, costringendomi ad abbassare lo sguardo.
Era vero, di fronte all’idea di poter fare qualcosa, avevo smesso di pensare in modo obiettivo e avevo accettato d’impulso e senza pensare delle condizioni altrimenti improponibili.
Ero stata una sciocca, e una visionaria, nel pensare che così avrei potuto risolvere qualcosa.
Sentii le lacrime salirmi agli occhi, ma le ricacciai indietro, consapevole che non era quello che ci si sarebbe aspettati da me in un frangente simile. Dovevo restare calma, e cercare un modo per uscire da quella situazione dannatamente disperata. Non potevo permettermi altri errori, ne avevo già commessi troppi e farne un altro avrebbe segnato la fine della guerra e la nostra definitiva sconfitta.
La mia unica consolazione era che, molto probabilmente, nemmeno i miei compagni si sarebbero rassegnati alla mia scomparsa, e con un po’ di fortuna avrebbero trovato un modo per raggiungermi.
Tuttavia, non potevo nemmeno permettermi di contare solo sul loro aiuto.
Nessuno mi assicurava che sarebbero riusciti ad arrivare sin li e, comunque, dovevo uscire da quella situazione con le mie sole forze. Altrimenti non avrei mai potuto considerarmi un vero leader.
Improvvisamente, le mie riflessioni vennero interrotte, mentre sentimmo la porta delle segrete aprirsi e dei passi svelti raggiungere la nostra cella.
Attraverso le sbarre, ci comparve di fronte quello che, pensai, doveva certamente essere un altro Generale Infernale, vista l’aura non indifferente e la spilla dorata che brillava fulgida sulla sua divisa.
Era il tipo più strano che avessi mai avuto modo di vedere, e tenete conto che, dopo la mia unione ai Guardiani, di tizi strani ne avevo visti parecchi. Ma quello li batteva proprio tutti quanti.
Portava un’acconciatura assurda, con metà cranio completamente calvo e l’altra metà coperta da lunghi capelli color lapislazzuli, che gli ricadevano come una cascata sulla spalla sinistra, mentre gli occhi erano di due colori differenti, uno azzurro ghiaccio e l’altro blu oltremare. Portava qualcosa come una tonnellata e mezza di eyeliner nero, con una collezione di piercing che per un istante me lo fece sembrare come una specie di calamita vivente, con più metallo in corpo che carne. La carnagione era diafana, quasi malata, mentre il fisico asciutto e magrissimo, indossante dei vestiti che dovevano proprio venire dalla mia dimensione e che consistevano, essenzialmente, in una maglia dei ACDC (un’offesa imperdonabile al gruppo, tra l’altro) e dei pantaloni neri e blu strapatti in più punti. Le braccia, così come il collo, pullulavano di bracciali e collari stipati di borchie, mentre due corna da ariete spiccavano sul suo capo e una coda blu notte si avvolgeva nell’aria alla sua schiena.
Insomma, un tipo veramente molto raccomandabile, di quelli che le mamme vorrebbero vedere sull’altare con le loro figlie.
Lo fissai, visibilmente scettica, al che il tizio esordì: “Ehi yo! Come butta, piccoli rifiuti di mare?”
Ecco, ci mancava solo il modo di parlare da rapper fumato di ecstasy. Ma dove ero finita, in un manicomio? Decisamente, dovevo muovermi a uscire da quel posto, o sarei impazzita pure io. E non ci tenevo a diventare come quel pazzoide.
Storsi il naso: “Benissimo. Non potremmo stare meglio!”, quello scoppiò a ridere, divertito: “Finalmente un prigioniero con un po’ di senso dell’umorismo. Sai, questo posto è un vero mortorio, da quando quel tipo, come si chiama? A si, Tartaros, è arrivato e ha messo tutto sotto sopra. Adesso non posso nemmeno più tenere la mia scorta di cioccolata in nero sotto il letto, visto che, secondo il nuovo protocollo, i generali devono “dare il buon esempio”. Ma vi rendete conto? Come se io potessi deviare i miei soldati, poi!”
Lo fissai, improvvisamente incuriosita e fregandomene delle sue osservazioni da pazzoide, era altro quello che mi interessava. E visto che non pareva un tipo particolarmente sveglio, tanto valeva tentare: “Tartaros? E chi sarebbe??? Non l’ho mai sentito nominare, prima d’ora!”
Lui sospirò, sconsolato: “E’ quel simpaticone, il fratello del nostro capo, Lilith, che, beninteso, a differenza sua sa cosa sono i diritti fondamentali dei soldati. Quel tipo, invece, è un vero stronzo. Pensa che ha deciso di attaccare comunque Thalass, fregandosene degli accordi presi con i guardiancini! Che gran pezzo di cacca …”
Lo fissai, sconvolta, e lui parve svegliarsi: “Oddio, giusto, non lo sapevi, eh? Beh, quanto pare, il tuo, a mio parere veramente nobile, sacrificio, non è servito poi molto. Mi spiace. Anzi, forse mi dispiacerà ancora di più ora. Apophis dice che devo prepararvi per stasera, visto che si sta annoiando. Non mi piace molto quel tipo, ma è meglio non contraddirlo, quindi ora, signorino, verrai con me alla Stanza dei Giochi, che a dispetto del nome è un vero inferno per chi ha la sfortuna di capitarci in mezzo.”
Lo fissai, mentre apriva la cella e prelevava, senza tante cerimonie, il mio compagno dalla sua postazione e, incurante dei suoi tentativi di resistenza, se lo caricò in spalla, manco fosse un piumino.
Poteva anche essere un fuscello, ma di  certo non era un tipo da sottovalutare, se sollevava in quel modo uno che era tre volte lui.
Stava per condurlo fuori, quando un’aura a me fin troppo famigliare mi costrinse a immobilizzarmi, e Lilith fece la sua comparsa alle sue spalle.
Insomma, dalla padella alla brace.
La osservai, aspettandomi chissà cosa, ma, sorprendentemente, non accadde nulla. Anzi, per essere precisi qualcosa accadde, ma non ciò che mi sarei aspettata.
Per un istante, mi parve quasi di vederla impallidire, mentre i suoi occhi inquadravano l’atlasiano, sulla spalla del sottoposto, poi parve ricomporsi, sebbene potessi ancora notare come le sue mani tremassero, quasi fosse tentata di uccidere qualcuno.
Alzai un sopracciglio, cercando di non farmi notare e tentando di trovare una spiegazione per quel comportamento quanto mai insolito. Eppure la sola spiegazione che mi venisse in mente andava contro ogni logica, insomma, non poteva essere quello, vero?
La osservai, mentre in un attimo ordinava al generale di lasciarlo andare, e lo congedava, per poi lanciare uno sguardo quasi preoccupato a Leonice che, dal canto suo, non pareva minimamente terrorizzato dalla sua presenza, anzi. Era evidentemente la complicità che li accomunava, tanta era la tranquillità con cui l’altro le parlava, quasi fosse realmente convinto che no, lei non avrebbe mai potuto fargli del male.
Mi rilassai, sebbene ancora una parte di me continuasse a rifiutarsi di credere a un’idea simile, mentre lei lo faceva rientrare nella cella e se ne andava, non senza prima avermi lanciato uno sguardo diffidente.
Spostai il mio sguardo sul giovane, chiedendo spiegazioni, e lui sospirò: “Tanto, non penso mi crederesti.”
Alzai un sopracciglio: “Mettimi alla prova.”


(Lilith)
Ricordo molto bene la prima volta che lo incontrai.
Poiché avevo ordinato a Belfagor, uno dei miei generali (e forse anche una delle maggiori cause della mia impopolarità, visto il suo carattere a dir poco fuori dalla norma), di catturarlo e condurlo alla Fortezza, non avevo ancora avuto modo di parlare personalmente con quello che sarebbe stato la nostra chiave per sconfiggere una volta per tutte quei fastidiosi Guardiani.
Per cui, essendo io una persona con degli imprescindibili precetti sia morali che etici, decisi che avrei quanto meno dovuto passare alla sua cella, in modo da farmi un’idea del nostro nuovo prigioniero e, nel caso, pensare anche a un altro suo possibile utilizzo nella nostra guerra.
Quando tuttavia mi feci annunciare, come da protocollo, e quello, per tutta risposta, non si degnò nemmeno di alzarsi in piedi per accogliermi, mi resi conto che non mi trovavo di fronte al solito e banale mortale, ma a qualcuno di ben differente.
Nonostante le precedenti torture che gli aguzzini gli avevano inflitto, e alle punizioni a cui era andato incontro, vista la sua tendenza a non portare un minimo di rispetto verso i miei ufficiali, ancora pareva fermamente determinato a sfidare ogni autorità che gli si presentasse di fronte, come potei dedurre dallo sguardo furioso che mi rivolse quando feci il mio ingresso nella sua cella.
Tremante di freddo e dolore, con il corpo coperto di ustioni e ferite altrimenti insopportabili, continuava a fissarmi, come a voler lanciare una sfida muta e diretta dritto verso la mia anima, tale era il modo con cui pareva scrutare persino nei miei pensieri più segreti e remoti.
Inizialmente, pensai che sarebbe stata una cosa passeggera e che, prima o poi e come tutti quelli che erano venuti prima di lui, si sarebbe fatto piegare e avrebbe smesso di affrontare così apertamente me e i miei ufficiali.
Così, da quel giorno, continuai a visitare la sua cella, in attesa del momento in cui avrebbe ceduto alle pressioni delle torture e delle minacce.
Nel frattempo, superata lentamente la diffidenza iniziale, iniziammo a parlare, forse per necessità, o per sfogo, o forse solo per scacciare la reciproca noia. Sta di fatto che iniziammo a parlare.
Dapprima, cercai di convincerlo a lasciar perdere, spiegandogli che mai nessuno era riuscito a reggere a lungo sotto la potenza del nostro esercito, e che prima o poi tutto il mondo sarebbe caduto ai nostri piedi e che allora andare avanti in quel modo sarebbe stato inutile e solo doloroso. Iniziai a parlargli della vita come comandante, dei rapporti difficili sia con nostro padre che con i miei fratelli, dei miei doveri e dei miei obblighi, finchè, senza rendermi conto, non iniziai ad esternare tutte quelle lamentele che la vera me continuava a fare, contro quella vita che non mi ero scelta e che non mi si confaceva.
Lui, invece, fu paziente.
Ascoltò in silenzio le mie parole e per la prima volta parve comprenderle. Non pretendeva di giudicarmi, e anche se era consapevole di ciò che facevo fuori da li non pareva importargliene, perché capiva e non pretendeva da me ciò che invece chiedevano tutti gli altri.
Prima che me ne rendessi conto, quelle poche ore, che trascorrevo in sua compagnia, divennero per me un tesoro unico e irrinunciabile.
Sentivo qualcosa, qualcosa che non conoscevo, un benessere profondo e tutto inesplorato, che il suo solo pensiero mi dava e che, per la prima volta dopo millenni, mi faceva sentire BENE. Era una sensazione diversa, che non conoscevo e che sotto certi aspetti forse mi faceva anche paura, ma che allo stesso tempo mi dava dipendenza e mi faceva capire che senza di lui non avrei più potuto vivere.
Lui mi disse che si chiamava “amore”, e che i mortali lo provano in continuazione tra loro, anche se a livelli e in modi diversi.
C’era l’amore fraterno, quello famigliare e quello paterno, quello dato dall’amicizia e quello dato dalla stima.
Cose che io non sapevo nemmeno che esistessero ma che mi affascinavano e attiravano in modi strani e insoliti.
Mi si aprì un mondo nuovo, in cui, finalmente, potevo sentire di capire in un certo modo i miei nemici, e ora che potevo comprenderli li sentivo anche più vicini a me e quindi più meritevoli, in un certo senso, di rispetto.
Forse fu per questo che le proposi quell’accordo, perché, in fondo, potevo capire quei mortali e volevo dimostrare loro che si, anche noi potevamo essere umani e anche noi potevamo essere meritevoli di stima.
Poi, però, mio fratello diede ordine alle truppe di avanzare, e ogni mio tentativo di costruire un ponte, seppur fragile, tra me e loro, andò in frantumi.
Dopotutto, non era che un sogno, un sogno che mai avrebbe dovuto essere scoperto, perché altrimenti lui sarebbe stato in pericolo.
Fu per questo motivo che presi la decisione di rinunciare a quella nuova me.
Non potevo permettermi di essere scoperta, e mostrarmi debole significava correre quel rischio.
Anche se non mi piaceva, lui e lui soltanto avrebbe potuto conoscere quel lato di me.
Anche se farlo significava rinunciare alla mia anima, anche se, per farlo, avrei dovuto dire addio a ogni forma di sentimento …


Note dell'Autrice:
Eccomi di nuovo!
Come promesso, vi lascio un piccolo regalino natalizio, prima di partire io stessa per festeggiare.
Essendo anche un po' in ritardo, non mi soffermerò molto.
Ringrazio tutti coloro che mi seguono.
E i miei cari recensori.
Buone feste a tutti e buon natale!
Teoth

 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo XXVIII-Lo Stato di Elementale ***


Capitolo XXVIII
Lo Stato di Elementale
 
 
(Castiel)

Premetto una cosa.
Io amavo perdutamente il mio adorabile fagottino ripieno di folgori ad alto voltaggio, ma cacchio, se in quel momento ero fuori dai gangheri.
Quando rientrammo, e capimmo ciò che era accaduto in nostra assenza, avrei veramente voluto mollare tutto e correre dritto alla base nemica, uccidere tutti quelli che mi si paravano di fronte e sculacciarla di santa ragione!
Ok, detto così sembra una cosa malata, ma vorrei vederci voi, al mio posto!!!
Insomma, era la mia ragazza, e fino a prova contraria anche la nostra leader, e ora era in mano loro.
Per farla breve, e detta in termini abbastanza grezzi, eravamo con la merda fin sopra i capelli.
Ovviamente però se fosse stato tutto li sarebbe stato poco.
No, perchè nemmeno un quarto d’ora dopo le campane dell’accampamento della resistenza iniziarono a suonare, annunciandoci l’arrivo di un altro attacco nemico e costringendo sia me che i miei compagni a radunarci assieme alle truppe presso il fronte settentrionale, da cui l’attacco sarebbe arrivato.
Personalmente, avevo proprio bisogno di spaccare qualche cranio, e vedendo il modo in cui anche Chrys stringeva spasmodicamente il suo Frutto persino lui non doveva essere messo molto meglio.
Le cose cambiarono improvvisamente quando nella Cupola fece il suo ingresso il tipo più strano e ridicolo che avessi mai visto in tutta la mia breve e indiscutibilmente divina esistenza. Ossia un cretino dai capelli blu elettrico e il corpo stipato di piercing argentanti, che sbraitava ordini fatti di “Yo” e “Bro” alle truppe.
L’attacco sarebbe arrivato da nord, e i soldati erano appena usciti dall’accampamento, costruito a ridosso delle mura, appositamente per impedire alle truppe nemiche di avanzare.
Questa volta, avremmo combattuto su terra e non contro dei Titani, anche se non per questo potevamo ritenerci tranquilli.
Durante il precedente attacco, avevamo perso, nonostante la vittoria sudata, quasi tutte le nostre catapulte e anche i lancia-palle-d’acqua che non so come si chiamino. Praticamente, eravamo privi di macchinari bellici a supportare le truppe a distanza e gli arcieri, da soli, non bastavano per sostenere la fanteria e la cavalleria contro l’immensità dell’esercito avversario, che contava almeno 100.000 fanti e 300 cavalieri, contro i nostri 50.000 fanti e 100 cavalieri, che tra l’altro non erano nemmeno freschi ma affaticati dagli scontri precedenti.
Anche con il supporto di noi Guardiani, eravamo in netto svantaggio.
Osservai teso Faust, che sembrava aver temporaneamente abbandonato la sua aria strafottente e osservava tetro il fronte nemico, una massa scura e omogenea che continuava ad avvicinarsi, mentre dall’alto quello che doveva essere il Generale Infernale dava ordini coordinando le truppe con efficienza e fermezza.
Strinsi i pugni, mentre sentivo il sangue andarmi al cervello alla sola idea che Elayne potesse essere rinchiusa in qualche posto oscuro assieme a quelle bestie senza cuore.
Seguii in silenzio gli arcieri, che avrei supportato con le mie fiamme, mentre di fronte a me Chrystal avanzava con la cavalleria, determinato a ridurre in polvere quella avversaria non appena avrebbe iniziato a caricare.
Dietro di noi, Ainu e Jakhaal erano pronti a intervenire, qualora le cose si fossero messe male, e osservavano silenziosi le truppe avvicinarsi.
 Appostato nella seconda linea di guardia, con gli arcieri, potei quasi sentire il rombo degli zoccoli degli stalloni martellare la terra, mentre si dirigevano spediti verso gli uomini di Chrystal che, prontamente, si curò di coprire il terreno di uno spesso strato di ghiaccio, facendo capitolare gli avversari l’uno sull’altro e permettendo ai suoi uomini di ottenere un seppur minimo vantaggio.
Subito, accesi di fiamme inestinguibili i dardi dei miei uomini, che volarono verso il cielo, coprendo di puntini scuri il soffitto della bolla d’aria in cui ci trovavamo e precipitando sui nemici causando il caos e disintegrando le file nemiche, che terrorizzate spezzarono i ranghi.
Avrei voluto che fosse sufficiente, ma subito altre truppe andavano a sostituire quelle venute a mancare e altre frecce, questa volta provenienti dal fronte nemico, andavano a mietere vittime tra i nostri soldati, diminuendo drasticamente le nostre file e costringendoci a una rapida ritirata.
Il mio compito era quello di guidare gli arcieri, ma di fronte a quel massacro non ci vidi più dalla rabbia.
Sapevo che era pericoloso.
Chrystal me lo aveva ricordato più e più volte, durante gli allenamenti, ma in quel momento non ci feci caso.
Semplicemente, ero arrivato al limite, e la sola cosa che volevo era ammazzare quanti più nemici possibili, per vendicare Elayne e tutti quelli che avevano sofferto a causa loro, per portare giustizia in memoria delle morti di Castor e Arianne, che erano caduti per mano loro e la cui perdita ancora faceva ardere d’odio il mio animo sofferente.
Sentii le fiamme avvolgermi il corpo, mentre lasciavo che fossero i miei poteri a prendere il controllo di me stesso.
Fu un istante, e la mutazione ebbe inizio. Avevo raggiunto il mio Stadio di Elementale, e ora non potevo tornare indietro.
Sentii il mio corpo mutare, mentre i capelli si allungavano, coperti di fiamme incandescenti, o meglio, FATTI di fiamme incandescenti, che parevano volteggiare al vento. Gli occhi divennero due fosse di magma bollente, mentre la carnagione raggiunse un’accesa tonalità rosso fuoco, puntellata a tratti da squame color dell’oro. Percepii i muscoli tirarsi, mentre il mio corpo continuava a mutare e la mia mole cresceva, facendomi rapidamente raggiungere le dimensioni di un toro.
Quando tutto fu finito, beh, penso si possa immaginare.
Sordo ai richiami dei miei compagni, mi gettai in avanti, lasciando una scia di erba bruciata al mio passaggio e gettandomi a capofitto tra le truppe nemiche, distruggendo le loro linee e disintegrando tutto ciò che mi capitava a tiro. Sentivo le spade infrangersi sulla mia pelle, così bollente da scioglierle al solo tocco, e gli scudi cedere sotto i miei colpi, di una potenza tale da parere quasi disumani.
Le mie fiamme mietevano vittime attorno a me per metri e metri di spazio, distruggendo tutto e tutti e impedendo a chicchessia di avvicinarsi anche solo quel che bastava per ferirmi, fatta eccezione per poche salamandre e alcun draghi del fuoco che, comunque, non potevano certo reggere a lungo contro la mia furia assassina.
Dietro di me, potei sentire i nostri uomini rianimarsi, ripristinando i ranghi e partendo nuovamente alla rimonta, spinti dal mio ardore a continuare a combattere, questa volta senza tirarsi indietro.
Avrei potuto proseguire in quel modo per ore, se improvvisamente uno dei miei fendenti non fosse stato bloccato da una mano sconosciuta, e il Generale degli Inferi non mi si fosse parato di fronte, sospirando: “Ahi, ahi … e ora come lo spiego a Lilith che metà delle nostre truppe sono state fatte fuori da UNA SOLA persona?”
Lo fissai.
Una piccola parte del mio cervello, la sola ancora sveglia a razionale, mi disse che vedermela con lui non sarebbe stato altrettanto semplice, e alla fine, sebbene a fatica (visto che i miei neuroni parevano essere andati ufficialmente in sciopero), riuscii ad articolare una domanda: “E tu chi saresti, scusa?”
Quello sorrise: “Wow, siamo di cattivo umore, eh? Beh, non posso certo biasimarti, abbiamo ucciso i tuoi famigliari e catturato la tua ragazza, anch’io sarei abbastanza incazzato al posto tuo. Comunque, piacere. Io mi chiamo Belfagor e sono il Secondo Generale degli Inferi. Però puoi chiamarmi anche Bel, se preferisci.”
Annuii.
Non mi serviva sapere altro, per cui non gli diedi nemmeno il tempo di proseguire, e cercai nuovamente di colpirlo.
Quello dal canto suo, evitò il mio colpo, manco fosse stato quello di un gattino, e disse: “Non va bene. Sei troppo pericoloso, meglio che mi occupi io di te.”
Detto ciò si allontanò, conducendomi abbastanza lontano da campo di battaglia da evitare che il nostro scontro coinvolgesse anche i nostri stessi alleati, e poi si voltò, sorridendo appena: “Sai, io non sono un tipo violento. Tuttavia non posso proprio ignorare il fatto che tu, in questo momento, rappresenti una minaccia non indifferente sia per me che per i miei compagni. Quindi ti dovrò uccidere. Tranquillo, sarà veloce e indolore, non amo infierire sui cuccioletti. Bro!”
Lo guardai, senza sentire realmente cosa stesse dicendo, poi, prima che potesse proseguire con quelle che, in quel momento, mi parevano solo chiacchiere inutili, gli fui addosso.
Annebbiato com’ero dalla rabbia e dall’odio, non mi ci volle molto per scontrarmi con il baratro che ci separava.
Forse i miei colpi potevano anche essere stati potenziati dallo Stato di Elementale, ma ciò non significava affatto che avessi più possibilità di vittoria, al contrario. Ero così preso dal combattimento che sferravo colpi su colpi senza curarmi di seguire una strategia precisa, al punto che per farla breve ero pura potenza, ma niente tecnica, non gli ci volle molto per capirlo e utilizzare questo fattore a mio svantaggio.
Anche se più debole, era sempre incredibilmente veloce e anche parecchio sveglio, per cui si curò bene di affaticarmi come si deve, prima di iniziare a colpire con precisione micidiale, approfittando del fatto che le mie forze stessero venendo meno e lo Stato di Elementale mi stesse lentamente deteriorando.
Alla fine, come se non ci fossero mai state, le fiamme che coprivano il mio corpo e i miei capelli scomparvero, e mi ritrovai, solo e spossato, oltre che del tutto impotente, di fronte al mio avversario, fresco come una rosa.
Mentre a stento riuscivo a reggermi in piedi, vidi il suo colpo finale arrivarmi addosso, e chiusi gli occhi, quando un improvviso gelo mi immobilizzò dov’ero, e riaprendo gli occhi potei vedere Chrystal a pochi centimetri da me, che bloccava il colpo, per poi respingerlo. Mi guardò, inespressivo.
Strano, visto che avevo quasi rischiato di lasciarmi ammazzare. Mi sarei aspettato quasi di vederlo furibondo, e invece non disse nulla, quasi potesse capire il perché delle mie azioni. Mi osservò, chiedendo: “Tutto bene?”
Annuii, spossato.
“Bene, torna dagli altri. Ormai, grazie alla tua uscita inaspettata, la battaglia è praticamente finita. Se hanno un po’ di buon senso se ne andranno senza proseguire oltre, altrimenti li randelleremo ancora finchè non cambieranno idea. Però meglio che ti fai curare, non sei messo affatto bene.”
E detto ciò tornò a rivolgersi verso il Generale, che sconsolato osservava le sue truppe, ormai ridotte a un decimo della potenza iniziale.
Sospirò, grattandosi il capo: “Ahia … questa volta me la vedrò veramente brutta, Yo! Beh, peccato, avrei voluto intrattenermi con voi ancora per un altro pochetto. Spero che ci rivedremo …”, vidi il suo sguardo posarsi su di me, mentre sorrideva (si, sorrideva, e un secondo prima ci stavamo quasi per ammazzare) al mio indirizzo, “… fiammiferino. Mi piaci, sei un tipo tosto, ti chiederei di uscire ma a quanto so sei già impegnato. Pazienza, quando questa guerra sarà finita potrò divertirmi con te quanto mi pare, con questo, vi saluto, piccoli guardiani!”
E detto ciò sparì in una nube di fumo blu, mentre i corni della ritirata nemica suonavano e le truppe oscure iniziavano a retrocedere.
Caddi col sedere per terra, troppo stremato e sotto shock per poter dire qualsiasi cosa, e Chrys mi si accomodò accanto, per poi voltarsi, perplesso, e chiedere: “Aspetta un secondo. Ci ha provato con te o me lo sono immaginato?”
Sospirai, mettendomi una mano sugli occhi e rispondendo: “No, mi sa proprio che abbia detto che gli piaccio. Si può sapere che hanno che non va nel cervello questi demoni? Un attimo prima ci stavamo menando!”
Quello scosse il capo: “Mistero amico mio, mistero!”


(Jakhaal)
Avremmo tutti voluto concederci dei più che meritati festeggiamenti ma, a dire il vero, quasi nessuno se la sentiva di farlo.
Anche se eravamo riusciti, nuovamente, a difendere la capitale da un attacco nemico, rimaneva il fatto che i nostri uomini erano ormai stremati e le risorse iniziavano rapidamente a scarseggiare.
Avevamo subito comunque delle notevoli perdite e i rinforzi, dalle altre città del regno, tardavano arrivare. Molto probabilmente perché, a dispetto del potere centralizzato presso Atlantis, molti centri conservavano ancora il modo di pensare campanilista ereditato dalla precedente struttura composta da sole città-stato. Le altre megalopoli parevano dare già per scontata l’imminente caduta della capitale e non parevano interessate e spendere uomini e denaro per mandare aiuti che molto probabilmente non sarebbero mai arrivati in tempo.
Inoltre, senza l’Eletta con noi, non erano in pochi e dubitare dell’esito di questa guerra. Ora più che mai avevamo la necessità di averla tra noi, e purtroppo ciò poteva significare solo e soltanto una cosa.
“Non possiamo attendere oltre. Io dico che dobbiamo attaccare. La Fortezza di Zaffiri, e dobbiamo farlo subito.”, Faust osservava in silenzio l’assemblea di funzionari e ufficiali radunata attorno a lui, in attesa di una protesta.
Protesta che non venne, visto che era più che evidente quanto fossimo messi alle strette. Il suo ragionamento non era errato: se fossimo rimasti qui a subire colpi su colpi, presto avremmo perso ogni speranza di poter sconfiggere il centro del loro potere. Finchè i nostri uomini erano ancora in grado di combattere, dovevamo agire.
Lioor, per la prima volta realmente serio, parve tentennare: “Gli uomini sono distrutti, come possiamo chiedere loro una cosa simile?”
“Però, è anche vero che aspettare qui non servirà a molto. E dobbiamo liberare l’Eletta.”, a parlare era stato Liemliir, il padre adottivo di Shyral, nonché proprietario della Biblioteca di Atlantis.
Gli sguardi si spostarono su di noi, al che annuimmo.
“Noi ci siamo. Qualsiasi decisione deciderete di prendere, è nostro dovere rispettarla e seguirvi fino alla fine, siamo venuti qui per questo e non ci tireremo indietro ora.”, Ainu sorrise, al mio indirizzo, e io annuii.
Era vero.
Non ci saremmo arresi così facilmente.
“Si, si, molto interessante.”, Castiel si era fatto avanti, visibilmente impaziente, “Ora però andiamo al sodo. Quando si parte? Ne ho le palle piene di starmene qui a sentire i vostri discorsi assurdi, mentre Elayne subisce chissà cosa nelle segrete di quel pazzo psicotico!!!”
Chrystal annuì, sorprendentemente d’accordo.
Sospirai, mentre la mano delicata di Ainu si posava sulla mia spalla, chiedendomi di uscire.
Alzai un sopracciglio, ma d’altronde la decisione era ormai stata presa, per cui avremmo anche potuto assentarci un po’ senza che nessuno ci dicesse niente.
La seguii, per i corridoi del palazzo, finchè non la vidi fermarsi e sospirare: “Questa volta sarà diverso, vero?”, chiese.
Sapeva bene che, li, tra i Guardiani ero forse quello con più esperienza sul campo, e al che annuii, consapevole di non poterle nascondere proprio nulla.
“Quante possibilità abbiamo?”, domandò, osservandomi preoccupata.
Sospirai: “Vuoi che sia sincero?”
Annuì.
Al che dissi: “Non molte. Anzi, direi minime. Anche con il supporto di noi quattro, resta il fatto che dovremmo scontrarci contro Shyral e Lilith, oltre che con il Generale degli Inferi, e niente ci assicura che anche gli altri figli di Nidhoggr non siano presenti.
I nostri uomini sono si e no un decimo dei loro, e poi sono sfiniti e scoraggiati, i rifornimenti iniziano a scarseggiare e anche se un attacco simile potrebbe dare loro nuova speranza resta il fatto che non si tratterebbe di una battaglia qualsiasi, ma di un assalto alla fortezza più grande di Thalass. Se finissimo colo bloccarci in un assedio a senso unico, saremmo senza speranza.”
“Capisco.”, abbassò il capo, per poi chiedere, “E noi?”
La osservai, in silenzio: “Senza Elayne siamo persi, solo lei può sconfiggere la Viverna. Non abbiamo alternativa, se non provarci, e forse morire nel tentativo.”
“Quindi, suppongo che sia la fine.”, si zittì, come cercando di trovare delle parole che ancora le sfuggivano, poi disse, guardandomi nuovamente negli occhi, “Sai, anche se ormai è passato molto tempo, da quando stavamo assieme, io … so che può sembrare strano, forse persino ridicolo, ma non sono proprio riuscita a dimenticarti …”
Sentii il corpo gelarmisi, mentre una sensazione di disagio mi percorreva la spina dorsale e la mia attenzione si concentrava interamente su di lei, e su quelle parole che ancora faticavo a metabolizzare.
Insomma, sapevo che lei teneva a me.
Ma amarmi ancora? Dopo tutto quello che ci eravamo detti e rinfacciati? Era veramente possibile?
La osservai, senza sapere bene cosa pensare.
Una parte di me ancora si rifiutava di ammettere quella realtà, e l’altra invece era terrorizzata all’idea di doversi inoltrare di nuovo in quel terreno che ancora mi causava tanto dolore, specialmente dopo la perdita, non ancora superata, di Arianne.
“Sono perfettamente consapevole che tra noi due è finita da tempo, ma se all’inizio anch’io pensavo che fosse la cosa migliore, ormai è da tempo che ho iniziato a ricredermi lentamente. Prima che me ne rendessi conto, ho iniziato a sentire nostalgia per le nostre chiacchierate assieme, per le giornate passate l’uno con l’altra e per i momenti che non avrei più potuto provare.
Io … ho capito di essermi sbagliata. È vero che abbiamo due modi di pensare e di agire radicalmente diversi, ma senza di te mi sento vuota e sola, quando eri con me potevo sempre vedere anche l’altro lato delle cose, ero più completa e in pace con me stessa come non lo sono mai stata. E ora che non ci sei non riesco nemmeno più a riflettere obiettivamente, come facevo un tempo.
Quello che voglio dirti …”, parve riprendere fiato, mentre un rossore appena percettibile le copriva le gote e il suo sguardo si abbassava, “… è che ho bisogno che tu torni con me. Non posso continuare in questo modo, sto soffocando e … penso che anche tu dovresti provare a lasciarti il passato alle spalle. Crucciarti in questo modo di sta facendo male dentro, e io non voglio vederti di nuovo perdere il controllo.”
La guardai, senza sapere bene cosa dire.
Chiusi gli occhi, e subito il volto di Arianne mi comparve di fronte, vivido come non mai, ma, poco distante, vi era anche quello di lei, Ainuviel.
Le due avevano un alone diverso.
La prima rappresentava tutto ciò che ero e che sarei sempre stato, la seconda ciò che invece avrei voluto essere.
E non ero ancora certo di voler sapere quale strada avrei dovuto prendere.
No, troppe domande. Ero consapevole che quelle parole erano state pronunciate solo a causa della situazione di stallo in cui ci trovavamo, ma non potevo darle una risposta non riflettuta a dovere, per cui non mi restava che un’opzione.
Sospirai, esordendo, mentre le posavo le mani sulle spalle e la spingevo a guardarmi: “Ainu, io non ho dubbi sulla veridicità dei tuoi sentimenti, ma … non posso ancora risponderti. Non voglio mentirti, e non voglio mentire nemmeno a me stesso: se prenderò una decisione dovrò farlo consapevole della strada che prenderò, ma ora è troppo presto. Io … non ho ancora superato la sua morte, e non me la sento di rispondere subito alla tua domanda, è semplicemente troppo. Non dico che non risponderò mai, anzi, sono certo che, se sopravviveremo, saprò darti una risposta, ma se lo farò dovrò farlo nel rispetto dei tuoi sentimenti. Non voglio scegliere senza pensarci troppo e rischiare di ferire entrambi, non te lo meriti e non lo merito nemmeno io.
So che è chiederti tanto. Ma vorrei che aspettassi, mentirei se dicessi altrimenti. Quindi ti chiedo di attendere.”
La vidi sospirare, per poi tornare a sorridere, quasi si fosse aspettata di peggio.
La abbracciai, guardando fuori dalla finestra, e chiedendomi se mai sarei riuscito a darle veramente quella risposta che sembrava attendere tanto …


(Ainuviel)
Partimmo all’alba del giorno seguente, con la speranza a supportare i nostri cuori e l’ignoto a oscurare come una nube insuperabile i nostri orizzonti.
Per tutti, fu un momento carico di contraddizioni.
Da una parte, potemmo vedere gli uomini quasi sollevati. Questa volta, si sarebbero giocati il tutto per tutto: se avessero vinto, avrebbero potuto mettersi il cuore in pace, sapendo che non avrebbero più dovuto andare a letto con il timore di dover subire una schiacciante disfatta l’indomani; se avessero perso, lo avrebbero fatto sapendo di averci almeno provato, e che non stavano cadendo invano. Dall’altro, nessuno di loro era realmente pronto a partire, non con una famiglia a casa, non con dei progetti ancora da portare e termine, o sogni ancora da realizzare. Nessuno di loro voleva ancora dire addio ai propri cari, sapendo che forse non avrebbe più potuto fare ritorno, e che forse quella sarebbe stata l’ultima volta in cui li avrebbe visti.
La marcia iniziò nel silenzio, ognuno era immerso nei propri pensieri, e ripercorreva quei ricordi preziosi che non lo avrebbero mai abbandonato. Alcuni si appoggiavano ad amici e compagni di sventura, altri cercavano la solitudine per poter riflettere in silenzio sul proprio dolore.
Tutti, però, guardavano al futuro con fermezza e determinazione. Non uno solo di loro sarebbe fuggito, non uno di quegli uomini avrebbe abbandonato le armi nè sarebbe tornato sui propri passi: sapevano ciò per cui stavano lottando, e avrebbero dato ogni loro singolo respiro per poterlo proteggere. E ciò li rendeva, in qualche modo, uniti, come una persona sola.
Sentivo il cuore disintegrarsi, all’idea di doverli lasciare.
Già, perché, quando tre giorni prima il Consiglio di Guerra si era riunito, tutti, per quanto dolenti, erano stati chiarissimi su quel punto.
Noi dovevamo portare in salvo Elayne, era questo il nostro compito. Perché senza di lei le altre Dimensioni sarebbero state condannate, perché altrimenti ogni sacrificio fatto in precedenza sarebbe stato vano e perché, dopotutto, solo lei poteva guidarci verso la vittoria, e tenere unito il nostro team.
Per quanto fosse doloroso, persino il Comandante della Guardia Cittadina era stato d’accordo: anche se privarsi del nostro supporto avrebbe significato mandare al patibolo i suoi uomini, noi dovevamo portare a termine la nostra missione. Loro, d’altra parte, avrebbero cercato di reggere il più possibile, in attesa del nostro ritorno: ma l’Eletta era la nostra priorità.
Quindi, mentre dal fronte meridionale le truppe avrebbero cercato di tenere occupate le forze nemiche noi, protetti dall’incantesimo d’invisibilità dei maghi atlasiani, avremmo raggirato la Fortezza, penetrando nel covo nemico e portando in salvo il più in fretta possibile sia Elayne che, con un po’ di fortuna, anche Leonice. Guadagnandoci, quindi, anche il supporto della Guardiana dell’Acqua.
Silenziosa, spostai lo sguardo verso sud dove, sull’orizzonte, le guglie nere della Fortezza di Zaffiri spiccavano verso il cielo.


Note dell'Autrice:
Eccomi qui, proprio come avevo promesso.
Causa festeggiamenti e cose varie, non sono riuscita a postare proprio a mezzanotte esatta, ma solo ora.
Spero che comunque possiate perdonarmi e godervi senza problemi il frutto del mio lavoro in questi mesi, in quanto penso proprio di essermi superata.
Voglio comunicare che da oggi ricomincerò a pubblicare, con cadenza penso bisettimanale perchè ormai gli esami sono alle porte e, ehimè, mi tocca prepararmi a dovere.
Voglio inoltre dirvi che mi dedicherò inoltre ha una revisione totale della storia, che spero vivamente apprezzerete, e che sono altresì intenzionata a cambiare tutti i titoli dei vari capitoli. Ci ho riflettuto parecchio e, appoggiata dall'immancabile supporto della mia sorellina, ho ritenuto che questi, per quanto divertenti, non fossero più adatti alla mia storia, in quanto richiedono uno spazio spesso eccessivo e un'nventiva che non rientra nei miei requisiti, purtroppo.
Detto questo, ringrazio come sempre tutti i miei carissimi lettori e recensori, vi amo moltissimo e senza di voi non saprei proprio cosa fare.
Buon anno a tutti voi!!!
Teoth

 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo XXIX-Missione di salvataggio ***


Capitolo XXIX
Missione di salvataggio
 
 
(Chrystal)

Quando io e gli altri ci alzammo dai nostri letti, quella mattina, capimmo subito che l’aria era insolitamente oscura.
Uscendo sul ponte della nave, fu con immenso stupore che ci trovammo di fronte uno degli spettacoli più inquietanti, sublimi e meravigliosi che avremmo mai potuto vedere nella nostra breve esistenza.
La Fortezza di Zaffiri si stagliava proprio lì, di fronte a noi, con uno splendore e una possanza senza eguali, al punto tale che era impossibile non sentirsene soggiogati e ammaliati.
Si trattava di un’immensa roccaforte, costruita all’interno di una cittadella di stampo visibilmente militare, considerate le mura che la circondavano e le torri di guardia che, per leghe e leghe del suo perimetro, si stagliavano a intervalli regolari per poter proteggere al meglio quella roccaforte costruita al solo scopo di dominare sul territorio circostante. Subito oltre le altissime mura, una schiera perfettamente ordinata di edifici militari e insediamenti separava le stesse dalla roccaforte, fulcro della difesa. Tutto era interamente costruito nello stesso, identico, marmo color inchiostro, che si trattasse delle strade lastricate o degli edifici, dei lampioni che illuminavano le vie o degli ampi portici. Persino quei pochi alberi che comparivano qua e là erano neri come la pece. Oltre alle caserme, alle scuderie e alle armerie, vi erano anche innumerevoli arene e campi di addestramento, forge e fucine. Infine, la Fortezza di Zaffiri: una costruzione dai tratti visibilmente gotici, con le guglie aguzze che si innalzavano verso il cielo come a volerlo sfidare, e i gargoyle ghignanti che si sporgevano dalle pareti, mentre figure ferali e demoniache davano a tale luogo un aspetto sempre più inquietante. Per finire, cosa non da poco, ogni strada pareva deserta, vuota, con solo una leggerissima nebbiolina perlacea a popolare le strade senza vita.
Protetti dall’Incantesimo di Illusione che ci avevano imposto i maghi di Atlantis, potemmo avvicinarci indisturbati, raggirando la costruzione senza essere visti fino a posizionarci di fronte alle porte settentrionali della città.
Apparentemente sguarnite.
Chiusi nella Cupola che proteggeva dalle acque marine anche quel luogo, sentivamo l’aria farsi sempre più gelida, pizzicandoci la pelle e facendoci venire la pelle d’oca non tanto per il freddo quanto per l’inquietudine profonda che solo quel luogo pareva incutere nei nostri animi impreparati.
“Wow, che dire. E io che credevo fosse Draacos a pensare in grande.”, fece Castiel, raggiungendomi sul ponte e osservando la fortezza, in attesa.
“Già, sto’ posto mette i brividi. Fortuna che abbiamo Astrea, entrare senza copertura altrimenti sarebbe stata un’impresa.”, disse Jakhaal, posandosi sul bordo della nave, e lasciando che lo sguardo cercasse l’altro lato della cittadella, dove i nostri compagni stavano per dare il via all’attacco.
“Attenderemo l’inizio dei primi scontri, poi potremmo fare la nostra mossa. Per ora, speriamo solo di non essere scoperti. L’incantesimo si spezza nel momento esatto in cui qualcuno si rende conto della nostra presenza.”, osservai, tetro e non poco nervoso.
“Hanno radunato quasi tutte le loro forze dall’altra parte, non credo baderanno a noi per un bel po’ … comunque, non so voi, ma io inizio a sentirmi a disagio. Che ne dite di cantare qualcosa?”, Ainu sorrise, cercando di scaldare l’atmosfera, senza riuscirci molto a dire il vero.
Eravamo tutti troppo tesi per ….
“Eeeeera un mondo piccolo. Naaa-nanana-na-nana, e poi …”
Ci voltammo verso Astrea, che si difese: “Non dite niente, sono ansiosa, Ok? Stiamo per farci ammazzare tutti, mi sarà concesso sentirmi un po’ nervosa. E comunque, guardate quello, dite su a lui, se proprio!!!”, ci voltammo, verso Castiel che,  in un angolo, stava scrivendo il suo testamento.
Oddio, a volte mi chiedo perché proprio io sia finito in una gabbia di matti come quella.
“Io avrei un suggerimento. Perché non ce ne stiamo zitti e buoni fino al segnale? Saremmo anche invisibili, ma possiamo ancora essere sentiti, e preferirei non attirare l’attenzione delle persone sbagliate.”, osservai, accennando alla Fortezza.
“Esatto. Il Ghiacciolo a ragione, meglio non fare rumore.”
“Aaarrrggghhh!”, Castiel balzò in piedi, mentre un Belfagor molto divertito gli compariva di fianco.
Lo fissammo, interdetti, per poi sfoderare i nostri Frutti, in allerta.
“Ecco, cosa vi avevo detto?!?”, feci, furioso.
Ora si che eravamo nei guai.
“Tranquillo, non è colpa loro.”, fece l’altro, scuotendo la mano, poi si rivolse a Castiel, prendendolo per il mento, “Sai, Dolcezza, il duo odore era così forte che non ho potuto proprio non notarlo.”
Quello divenne bordò, per poi scostarsi, evidentemente incazzato nero: “Ok, ora mi sento in dovere di ucciderti!!! Per il bene cosmico!!!”, l’altro rise, divertito, per poi riprendere: “Comunque, temo di non poter proprio permettervi di passare. Se lo facessi, Lilith non me lo perdonerebbe mai, e non posso deludere il mio capo ora che tutto sembra andare secondo i nostri piani. Quindi, temo che, per arrivare alla vostra amica, dovrete prima vedervela con me. Belfagor, Secondo Giudice degli Inferi.”, e ci fece il pollicione. E io che credevo fosse il fiammifero quello con dei problemi …
Ci guardammo, tesi.
Non avevamo nemmeno iniziato, e già la missione rischiava di finire.
Mi morsi il labbro, combattuto, poi esordii: “Fa niente. Ainu, Jakhaal … io e il Fiammifero penseremo a lui, voi prendete Astrea e apritevi un varco. Dovete trovare Elayne e portarla in salvo il prima possibile, ci occuperemo noi di tenerlo impegnato.”
Castiel annuì, per la prima volta d’accordo con quanto stavo dicendo: “Non gli permetteremo di seguirvi. E poi, devo assolutamente spaccargli il culo di mazzate. Nessun cretino ci prova con me per poi minacciarci di morte come nulla fosse!”
Annuirono, poi, a un cenno comune, io e Castiel ci lanciammo in avanti, spingendo il demone fuori bordo, mentre Astrea apriva il fuoco e, allo stesso tempo, grida di battaglia si alzavano dall’altro lato della cittadella.
La battaglia finale aveva avuto inizio!!!


(Jakhaal)
Quando i cannoni della nostra compagna partirono in azione, sparando una raffica di palle micidiali contro le mura nemiche, e riducendole in polvere, né io né Ainu esitammo un istante.
Prima che le truppe nemiche rimaste a difesa del fronte settentrionale potessero uscire dai loro alloggi e cercare di organizzare una difesa decente, io e lei ci eravamo già lanciati in avanti, percorrendo le vie come inseguiti dalla Viverna in persona, sfruttando la copertura di Astrea per muoverci indisturbati fino a raggiungere,  in pochi e brevi minuti, l’ingresso della Fortezza di Zaffiri.
Una volta arrivati alla grande piazza che vi dava accesso, un plotone di qualche centinaio di fanti armati fino ai denti riuscì a circondarci, sparpagliandosi per tagliarci ogni via di fuga e metterci con le spalle al muro.
Chiusi gli occhi. Anche con i nostri poteri, combattere contro un numero simile di avversari ci avrebbe richiesto tempo e forze, forse avremmo persino potuto uscirne feriti per non dire uccisi. E non potevamo permettercelo.
Guardai Ainu, e lei capì: “Jak, sai bene che è troppo pericoloso. Non puoi … io … insomma, è troppo rischioso.”
Sorrisi, scompigliandole i capelli: “Tranquilla. So cosa sto facendo, ormai, ho imparato a controllarlo. Lo Stato di Elementale non è più un mistero insormontabile per me, ho perso così tante volte il controllo … non accadrà di nuovo. E se anche dovesse succedere, ci sei tu qui, giusto?”
La vidi annuire, per poi tornare a sorridere.
“Bene, ora … vediamo di dare una bella lezione di buone maniere ai nostri gentili ospiti!”, dissi, lasciando che le catene che tenevano sotto controllo il mio potere si allentassero, per poi sparire del tutto, e permettere alla mia energia di scorrere libera per il corpo, incendiando le vene e  facendomi ribollire il sangue.
Sentii i muscoli tendersi e modellarsi, le ossa schioccare, mentre si allungavano e la pelle iniziava a coprirsi di uno spesso strato di roccia color sabbia, fino a che non mi ritrovai avvolto da un’armatura praticamente inespugnabile, che proteggeva tutti i punti vitali del mio corpo, senza tuttavia dare cenno di pesarmi in alcun modo. Strinsi i denti, mentre il dolore della mutazione mi dava al cervello e per poco rischiavo di perdere il senno, ma riuscii a contenerlo, finchè tutto ebbe fine.
Un istante dopo, un colosso delle dimensioni di tre uomini stava al mio posto, pronto per affrontare quei soldati che, visibilmente terrorizzati, iniziarono a indietreggiare, in preda al panico.
Sorrisi, dicendo: “Buuu!”, e scatenando il finimondo.
Quasi tutti i miei avversari mollarono le armi, iniziando a correre da un lato all’altro cercando di dare l’allarme.
Ovviamente, non glielo permisi.
Un momento dopo erano tutti a terra, mentre una nube di finissimi proiettili in pura roccia mi volteggiavano attorno, formando una difesa insormontabile ma anche un attacco letale e dinamico.
“Mpfhhh … sei sempre il solito. Non me ne lasci mai nemmeno uno!”, fece Ainu, imbronciata ma, tutto sommato, anche contenta.
Sorrisi, caricandomela in spalla: “Bene, meglio muoverci. Non ci vorrà molto prima che qualcuno si accorga di noi.”
E detto ciò mi lanciai in avanti, sfondando le porte della Fortezza a introducendomi, senza mezze misure, al suo interno …


(Castiel)
“Eddai, non può essere tutto qui, vero? Impegnatevi un altro po’, altrimenti non mi diverto!”
Sbuffai, i nervi a fior di pelle mente, per l’ennesima volta in quei brevi minuti, non facevo in tempo a colpirlo che quello sprofondava nel terreno, per ricomparire, da una pozza di oscurità liquida, solo pochi passi più in là e spararmi contro la sua pioggia di aghi avvelenati, che per fortuna riuscii a disintegrare in tempo, con le mie fiamme fortunatamente funzionanti.
Decisamente, combattere nelle bolle d’aria era mille volte meglio che farlo in mare aperto, dove il massimo che potevo fare era creare qualche piccola corrente d’acqua calda.
Purtroppo, però, per quanto fossimo in due né io, né tantomeno il Ghiacciolo, parevamo in grado di metterlo alle strette.
Non appena si trovava con le spalle al muro, quel dannato bastardo scompariva, per colpirci alle spalle con forza rinnovata. Al che capimmo ben presto come non ci sarebbe stato semplice metterlo alle strette.
Era totalmente diverso da Belzebub … anche con solo quei dannatissimi aghi avvelenati, riusciva a tenerci a bada entrambi senza affaticarsi nemmeno troppo.
E se con me era anche abbastanza buono, nel senso che si limitava a giocare come un gatto fa col topo, per Chrys non si poteva dire altrettanto. Anche se aveva fermato la fuori uscita di sangue con il suo ghiaccio, il corpo del mio compagno era coperto di tagli e ferite che sebbene né profondi né ampi iniziavano presto a far sentire il loro effetto.
Pallido, riusciva a stento a reggere la propria arma, mentre il sudore gli imperlava la fronte e le membra tremavano in preda al veleno.
La situazione era drastica, e non avevamo più molto tempo a disposizione per sconfiggerlo.
Schivammo un’altra pioggia di aghi, mentre trascinavo il Ghiacciolo dietro un albero adunco, per consentirgli di riprendere fiato e calmarsi un po’.
“Merda, merda, merda! Se andiamo avanti così, ci ucciderà entrambi!!!”, sbottai, in preda all’ira.
Fuori dalle mura, ci trovavamo in un piccolo boschetto di cipressi neri come la morte, uno dei tanti che punteggiavano quella zona.
Per ora, eravamo salvi, ma era solo questione di tempo prima che il nostro rifugio venisse scoperto.
“Ehilaaa!!! Suvvia, non fate i timidi. Mica vi uccido! Beh … Ok, forse il ghiaccioletto senza palle lo ammazzo anche, ma non potrei mai fare del male a te, mio amore fiammeggiante. Vieni fuori, voglio solo giocare, Bro!”
Feci per uscire, ma Chrystal mi prese per la manica, facendomi cenno di fermarmi.
“Lascia perdere, se rispondi alle sue provocazioni, quello ci uccide tutti e due. Checché la sua mente bacata possa dire.”, fece, mentre una smorfia di dolore gli attraversava il viso e si guardava il fianco.
Impallidii.
Laddove era stato ferito, un alone violaceo e per nulla rassicurante aveva iniziato a circondare i tagli causati dagli aghi velenosi, mentre un forte odore di carne morta mi giungeva al naso, e un pus giallognolo gli sporcava le mani. Il viso era pallido, e gli occhi febbricitanti faticavano a rimanere aperti, mentre il corpo tremava in preda ai deliri della febbre.
Potevo anche odiarlo con tutto me stesso.
Ma cazzo, era comunque uno dei miei compagni!!!
Non avrei permesso che morisse in quel modo, non ora che stavamo per portare in salvo Elayne. Se l’avessi lasciato, probabilmente poi lei non mi avrebbe più rivolto parola per il resto dei miei giorni.
Magari cercava di nasconderlo, e non l’avrebbe mai ammesso di fronte a nessuno, ma era chiaro come ci tenesse a lui e io non avrei certo permesso che morisse, senza fare nulla per aiutarlo.
Imprecai, slacciandomi il mantello e posandoglielo sopra: “Ok, lascia perdere. Ci penso io ad andare avanti. Tu resta qui.”
“Ohhh, cielo! Che scena commovente. Sono un po’ geloso, a dire il vero … insomma, non mi dispiacerebbe essere lì al suo posto! Che ne dici di darmi un bacio?”, Belfagor ci era comparso alle spalle, sorridente come sempre.
“Sporco bastardo, come osi? Sei stato tu a ridurlo in quel modo, e ora ti azzardi persino a parlare in questo così? Dammi solo un motivo per cui non dovrei ammazzarti di legnate, qui ed ora!”, sbottai, mentre un fascio di fiamme andava incenerire gli alberi circostanti, espressione della mia rabbia per quel demone che, secondo dopo secondo, iniziavo a odiare sempre di più.
Quello sospirò: “Non odiarmi! Mica è colpa mia se devo combattere per la Venerabile Lilith, no? Sai, il mio popolo ha sopportato per millenni la sofferenza e l’umiliazione causati dal nostro esodo nell’Abisso!
Quando Nidhoggr venne distrutto, tutti i suoi seguaci, noi demoni compresi, vennero catturati e sigillati nella Dimensione Oscura, costretti a sopportare le pene peggiori per pagare il prezzo delle proprie azioni. E non furono solo i guerrieri ad esservi imprigionati, no! Tutti, persino le donne, i vecchi e i bambini verro segregati in quel luogo terribile, costretti a pagare per azioni che non avevano commesso. Intere generazioni sono sorte e tramontate nella sofferenza di quelle lande senza vita, cose avrei dovuto fare? Ora che il nostro signore sta per risorgere, che alternativa avevamo???”
Mi fermai, tentennante.
Per la prima volta, aveva parlato come un normale essere umano, e per un istante quei discorsi così inattesi e fuori luogo mi immobilizzarono.
Fu la voce tremante di Chrystal a riscuotermi dai miei pensieri.
“C’è sempre un’alternativa alla distruzione. Solo non tutti sono capaci di vederla. Il vostro popolo avrebbe potuto restare neutrale nella guerra, ma così non fu: ognuno di voi scelse la strada da prendere, e sceglieste quella errata. È normale che tutti paghino le conseguenze di una decisione presa in comune accordo, non dovreste cercare di ribaltare i punti di vista, passandoci per cattivi quando ognuno di voi era perfettamente consapevole quando decideste di supportare la Viverna.”, la sua voce, roca, mi sorprese, mentre si alzava, a fatica, e i suoi occhi si posavano sul nostro interlocutore.
Belfagor rimase in silenzio, poi scosse il capo: “E’ troppo tardi per lasciarsi andare ai rimpianti. Ormai, per voi mortali non c’è più alcuna speranza. Thalass andrà incontro allo stesso destino che ha atteso le Dimensioni Gemelle, e che presto incontrerà anche Chion: non ne rimarrà che polvere.”
Sentendo nominare la propria patria natia, improvvisamente Chrys parve ridestarsi.
Indietreggiai, mentre un’aura omicida come poche altre esplodeva attorno a lui, lasciandomi senza fiato mentre vedevo i suoi occhi brillare come fatti di sangue appena versato.
L’aria si fece gelida, mentre un fitto velo di brina candida copriva il terreno, e una nebbia fredda iniziava a circondare il corpo del mio compagno, ormai fuori di sé dall’ira. Sentii una pressione famigliare colpirmi, mentre raggiungeva il suo Stato di Elementale, e mi rendevo conto che quello non sarebbe stato niente se paragonato alle volte precedenti, con me e Jakhaal.
Dopotutto, lui era il secondo membro più anziano di noi Guardiani, era su un livello del tutto differente e non mi sarei stupito se, al massimo delle sue potenzialità, avesse potuto tenere testa al nostro avversario anche senza ricorrere al mio aiuto.
Bastarono solo pochi istanti. Una corona di stalagmiti di ghiaccio andò a formarsi sul capo di Chrystal, simili alle corna di un demone, mentre sulla sua spina dorsale una chiostra di spuntoni prendeva forma, per terminare in una lunga coda ghiacciata. Gli occhi divennero due fosse fredde e prive di vita, mentre i corpo veniva coperto da uno strato di gelo e brina azzurro ghiaccio.
Aveva conservato le sue precedenti dimensioni, ma la sua aura era infinitamente più potente.
Feci appena in tempo a scansarmi, mentre con un grido liberava tutto il suo potere, e una tempesta di dardi ghiacciati di scontrava contro quella di aghi avvelenati di Belfagor, che nonostante il suo teletrasporto non riuscì a rimanerne illeso e venne scagliato innumerevoli passi più in là.
Prima che potesse anche solo rialzarsi, la lancia di Chrystal gli fu alla gola, costringendolo alla resa.
Mi avvicinai, cercando di farlo calmare, ma presto la sua furia parve quietarsi, svanendo come non fosse mai comparsa.
“Non mi sembri una cattiva persona, quindi non ti ucciderò. Ti chiuderò in una prigione di ghiaccio, prenditi pure tutto il tempo che vuoi per riflettere sui tuoi peccati. Avrai l’eternità ad attenderti.”
Un istante dopo, Chrys era tornato al suo stato normale, e di Belfagor non restava che una statua.
Una statua di ghiaccio e gelo.


Note dell'Autrice:
Ecco quindi a voi u altro capitolo.
Con questo, siamo ormai nel fulcro della saga dedicata alla dimensione dell'acqua, ormai quasi prossima al termine.
Spero che vi sia piaciuta, sebbene non abbia certo presentato una variante di personaggi nuovi pari a quella precedente, ma pezienza.
Ringrazio tutti i lettori e recensori che continuano a seguirmi costantemente, e che hanno apprezzato questa mia piccola opera passo dopo passo. Sono veramente felicissima di aver avuto la possibilità di condividerla con voi e sopratutto di avervi dato modo di amare quella che per me ormai è come una figlia.
Spero vivamente di continuare a mantenere alti i miei standard e di sorprendervi, sempre e comunque!
Alla prossima.
Teoth

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo XXX-Senso di debolezza ***


Capitolo XXX
Senso di debolezza
 
 
(Elayne)

“Toglietevi di torno, mezze calzette, entra in scena in grandissimo e alquanto venerabile JAKHAAL DI VRACH!”
Fu con quel grido di battaglia a dir poco originale, e decisamente modesto, che la mattina del mio terzo giorno nelle segrete mi svegliai, guardandomi intorno e notando non senza un certo stupore come quel posto fosse ormai niente più che un ammasso di macerie fumanti.
Alzai un sopracciglio, sbadigliando sfinita, mentre con un boato difficile da ignorare la porta della mia cella veniva letteralmente fatta saltare in aria, e quello che per poco faticai a riconoscere come il mio compagno mi comparve di fronte, un sorriso a trentasei denti stampato in faccia e tutta l’aria di uno che, invece che trovarsi a combattere contro orde di mostri, si sta godendo una festa sulla spiaggia.
“Ehilà, bellezza! Siamo venuti a prenderti!!! Alza le chiappe che dobbiamo muoverci, gli altri stanno tenendo impegnato il demone, e dobbiamo riunirci coi nostri compagni per dare man forte alle truppe!”, fece, mentre Ainu gli scendeva dalla spalla, portandosi una mano sullo stomaco e scoccandogli un’occhiataccia.
Mi guardai intorno ma, sorprendentemente, di Leonice non vi era traccia. Le catene che lo avevano tenuto legato al muro della mia stessa segreta giacevano a terra, abbandonate, come se non fosse mai stato lì.
Ainu si avvicinò, guardando nella mia stessa direzione: “C’era qualcuno con te?”
Annuii: “Si, il fratello di Shyral. A quanto pare, lo avevano preso per ricattarla e costringerla a lavorare per loro. Era qui, ma non so perché pare che lo abbiano spostato.”, dissi, osservando le catene, mentre una pessima sensazione mi diceva che dovevamo assolutamente ritrovarlo.
Ainu si oscurò: “Quindi, non era stata catturata? Questo è un problema, non possiamo affrontarla in questo posto, saremmo in netto svantaggio. Hai idea di dove possa essere stato portato?”
Scossi il capo: “No, ma dobbiamo trovarlo. Ho una gran brutta sensazione a riguardo …”
Jakhaal si grattò il capo, visibilmente combattuto: “Si, però … caspio, dobbiamo anche supportare Faust e gli altri. Non abbiamo molto tempo da perdere e questo posto è enorme … già così abbiamo perso un’ora a cercarti, e non ci vorrà molto prima che qualche altro pezzo grosso ci noti e si metta in mezzo.”
Sospirai: “Fortunatamente, ho sentito che sia Apophis che Tartaros sono stati richiamati altrove. Anche se forse non è proprio un bel segno, questo significa che essenzialmente gli unici ostacoli che potremmo incontrare sono Lilith e la Guardiana dell’Acqua.”
I due si guardarono, poi fecero un sospiro rassegnato.
“Beh … forse un modo c’è, mahhh … non ho mai tentato di raggiungere il mio Stato di Elementale prima d’ora.”, fece lei, incerta.
La osservai, senza capire.
Fu Jakhaal a chiarire i miei dubbi: “Le Guardiane della Foresta sono, tra tutte, quelle più legate alla vita. Quando raggiungono il loro massimo potenziale le loro capacità percettive aumentano esponenzialmente, permettendo loro di seguire anche la più impercettibile delle auree. Purchè sappia da dove partire, ovviamente. Però è vero, non si è mai spinta così in là prima d’ora.”
Gli occhi di lui si posarono sulla compagna, preoccupati, al che dissi: “Pensi di poterci riuscire?”
Quella abbassò il capo: “Ehm … può darsi. Non sono come Castiel, o Jakhaal, tecnicamente, proprio grazie al mio carattere, dovrebbe essere più difficile per me perdere il controllo …”
Annuii, incoraggiandola, al che fece un profondo respiro.
“Tranquilla.”, le disse Jakhaal, sorridendo appena, “Andrà tutto bene.”
Un lieve alone verde la avvolse, mentre la sua aura di espandeva a dismisura, fino a racchiudere in sé tutte le segrete.
Diversamente che con gli altri, la sua mutazione non ebbe nulla di violento, o rabbioso, forse a causa del tempo che aveva trascorso come Guardiana e dell’esperienza accumulata in materia.
Comunque, lentamente il corpo iniziò a mutare.
Le orecchie si allungarono, così come i capelli che presto si trasformarono in una chioma composta da un intrico di foglie di quercia, dalle accese tonalità verde smeraldo, mentre boccioli di rossi come il sangue fiorivano sul suo capo, formando quasi una ghirlanda di fiori naturale. Gli occhi divennero due fosse verde smeraldo, accese e piene di vita, mentre la carnagione si scurì, fino a raggiungere le calde tonalità marroni delle cortecce di quercia. L’aria si riempì dell’aroma di resina e miele, fiori e fragranze tropicali.
Alzai un sopracciglio, guardando prima lei e poi Jakhaal.
Quella aprì gli occhi, chiedendo preoccupata : “Ehm, tutto bene? Ho fatto qualche errore?”
“No.”, risposi, “Come dire … beh, siete parecchio diversi.”, notai, accennando prima all’aura dolce e delicata di lei e poi a quella decisa e irruenta di lui.
Sorrise, arrossendo appena: “Meglio andare ora, o faremo tardi …”
Annuimmo, seguendola mentre, decisa, si indirizzava verso i piani superiori, e una lieve scia di fragranza di rose veniva lasciata alle sue spalle.


(Castiel)
Io-odio-i-castelli!
Ecco, l’ho detto!
Ora, sarà perché in quei posti ci ho passato più di metà della mia inestimabile esistenza, e quindi ne avrò, a mio parere anche giustamente, le tasche piene, comunque decisi che avrei odiato quella cavolo di Fortezza di Zaffiri nel momento esatto in cui vi entrammo, e ad accoglierci trovammo un allegra e calda nebbiolina spettrale, di quelle che ti aspetteresti di beccare in un camposanto di notte.
Faceva un freddo cane, e non a causa del mio amico refrigerato, che tra l’altro aveva da poco ripreso le sue sembianze normali, ma proprio perché quel posto sembrava un freezer in versione magnum!!!
Tremai, sfregandomi le mani sulle spalle, mentre percorrevamo veloci i corridoi ormai deserti (qualcuno c’era, ma erano tutti cadaveri coperti di proiettili di roccia, segno che il nostro amico nerboruto non ci era andato leggero con loro), seguendo l’aura fin troppo riconoscibile dei nostri compagni, che ci condusse presto in una stanza circolare, con un tavolo mozzafiato nel mezzo.
E questa è la parte da mozzare il fiato …
Passiamo a quella da spararsi, ossia che in quel posto non c’era solo Lilith, stranamente pallida e tremante (ma chi li capisce poi, quei Figli di Nidhoggr) ma anche un altro figuro, che a giudicare dall’aura alquanto potente doveva essere un altro, l’ennesimo, Generale degli Inferi.
Differentemente che dal suo compagno, con questo si che ci sarei potuto uscire.
Insomma, era così divinamente sexy che avrebbe potuto, a dispetto del sangue demoniaco, far convertire all’altra sponda chiunque, e dico chiunque.
I capelli color dell’oro gli cadevano sui fianchi come grano maturo, mentre gli occhi magnetici, di un acceso color verde erba, parevano quasi adombrarsi di rosso, mentre si guardava attorno altero. La carnagione era rosea e delicata, e il fisico quasi femmineo, tuttavia emanava un potere non indifferente, che avrebbe potuto metterlo su un piano persino superiore di quello di Belfagor. Il capo era coronato da una schiera di piccole corna verde smeraldo, mentre la coda demoniaca saettava nell’aria alle sue spalle, e candidi canini bianchi sporgevano dalle labbra.
Se non ci fosse stata Elayne, giunta lì poco dopo di noi assieme a Jakhaal e Ainu, ad assorbire tutta la mia attenzione molto probabilmente avrei fatto come gli altri miei compagni, che lo guardavano come si fa con una gemma di straordinaria bellezza.
Poi vedemmo il giovane che teneva, deciso, bloccato a terra, e che doveva essere, dall’aspetto, il fratello di Shyral.
Cercammo di entrare, di accedere a quello che poi scoprimmo chiamarsi l’Altare degli Abissi, ma un muro invisibile parve bloccarci, al punto che fummo costretti a guardare quasi con sconcerto il breve scambio di battute che stava avvenendo di fronte a noi, impotenti.
“Il mio signore è stanco delle tue azioni prive di decisione e carattere, Venerabile Lilith. Avete commesso un terribile errore permettendo che l’Eletta fosse liberata e che i suoi compagni penetrassero in questo luogo, l’ennesimo, e questa volta non sarete perdonata altrettanto facilmente.”, fece il giovane, con una voce tanto suadente quanto furono gelide e distaccate le sue parole.
Manco stesse parlando del tempo. E io che credevo che fosse Belfagor a essere un coglione, non mi ci voleva chissà che per capire che quello sarebbe stato almeno mille volte peggio.
Quella fremette, osservando virilmente terrorizzata l’atlasiano: “Cosa vuoi dire, esattamente?”
Quello sorrise. Dio, avrei fatto gli incubi per il resto dei miei giorni.
“Semplice. Non possiamo permettere che uno dei nostri capi supremi si prenda un’insulsa cottarella per un patetico mortale, sarebbe una macchia inestinguibile sul nostro curriculum e una vergogna di fronte a tutti coloro che sono caduti per la nostra divina causa. Per cui gli ordini di suo padre sono chiari.
Io, qui, Arioch di Dasos, Terzo Generale degli Inferi e Mano Oscura del Grande Padre, condanno a morte questo mortale. Per aver pansato di poter toccare uno dei nostri ufficiali di rango maggiore, tu Leonice di Atlantis, oggi morirai. Che la tua anima possa bruciare per il resto dei suoi giorni negli inferi.”, detto ciò, prima anche persino lei potesse intervenire, con un fendente deciso quello colpì.
Un istante dopo, il corpo del giovane si accasciò a terra, gli occhi vitrei, mentre non uno, ma ben due grida straziate ci giungevano alle orecchie.
A quanto pareva, Shyral era appena arrivata, e aveva visto ogni cosa …


(Shyral)
Ebbene, infine eccomi qui …
Anche io, come gli altri.
Lo confesso.
Sono sempre andata straordinariamente fiera del genio fuori dalla norma che madre natura pareva avermi donato sin dalla nascita. Non lo nascondevo, tutti erano perfettamente consapevoli che, assieme al mio innegabile intelletto, nel mio animo vi era e vi sarebbe sempre stato anche una non indifferente dose di arroganza e superiorità, dovuti al fatto che le mie abilità mentali mi permettevano realmente di spiccare sugli altri, e senza nemmeno dovermi impegnare molto, a dire il vero.
Semplicemente, mi veniva naturale, spontaneo.
Ove gli altri potevano impiegarci mesi, se non addirittura anni, per apprendere certe tecniche e discipline, a me bastavano solo poche settimane. La mia sete di sapere mi conducevano spesso a far ricorso a metodi di addestramento altrimenti impossibili da sopportare, e mischiati al mio intelletto fuori dalla norma e alla mia creatività mi permettevano di apprendere in breve tempo magie e saperi che in molti consideravano tra i più complessi e difficili da raggiungere.
Ricordo che fu quando avevo solo sette anni, che appresi le tecniche di base che quasi tutti gli stregoni, alchimisti o maghi dovevano conoscere, e tra queste anche il Tracciamento dell’Aura, che consente a chi possiede una discreta sensibilità spirituale di percepire il potere e il marchio spirituale di chi gli sta attorno con la sola concentrazione.
Solitamente, una persona normale limiterebbe tale abilità alle auree particolarmente potenti e vicine, io invece l’avevo perfezionata, in modo da permettermi di sapere sempre dove fosse e in che condizioni si trovasse quell’unica persona che per me valeva realmente la pena di proteggere: mio fratello.
Ho benedetto così tante volte quella tecnica, che nemmeno saprei elencarle.
Eppure, quel giorno, quando sentii la sua aura svanire, avrei veramente voluto non possedere quell’abilità.
Quando giunsi all’Altare degli Abissi, era ormai troppo tardi.
Il suo corpo giaceva lì, hai piedi di uno dei loro demoni, quelle creature deviate e abiette che in quei brevi giorni mi ero lentamente rassegnata a sopportare, ma che ancora mi causavano ribrezzo ogni volta che le incontravo.
Dopotutto, bastava sentire le loro auree, per capire che quelle creature erano totalmente contro natura, frutto di un qualcosa che non avrebbe dovuto compiersi. Bastava la loro sola presenza per insultare l’intero equilibrio cosmico che negli anni di apprendimento come maga e come alchimista mi avevano insegnato a rispettare e amare.
E il fatto che fosse stato proprio uno di quegli esseri immondi a porre fine alla sua vita fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Ero stata chiara sin dall’inizio, che se gli fosse accaduto qualcosa si sarebbero trovati contro la peggiore delle catastrofi che fossero mai stati costretti ad affrontare, ma a quanto pareva non era servito.
Evidentemente, si erano così abituati a vedere QUEL lato di me, tranquillo e razionale, che si erano completamente dimenticati come l’elemento che ero scelta per rappresentare possedesse anche un’altra faccia. E ora ne avrebbero pagato il prezzo, perché avrei scatenato su di loro la furia di cento uragani e di mille tsunami, pur di ottenere la mia vendetta.
Bastarono pochi istanti.
Come i miei occhi incrociarono quelli di lui, sentii il cervello spegnermisi, mentre vedevo la lama del demone calare impietosa sulle sue carni, trapassandolo da parte a parte.
Mi parve di affogare, mentre il dolore mi impediva anche solo di ragionare decentemente, e lo shock mi sconvolgeva le membra, fino a mutare in un male quasi fisico, un male opprimente e tenebroso, che mi soffocava fino a perdere i sensi.
Un male che mi annebbiava il cervello, mentre mille aghi di ghiaccio si conficcavano impietosi nel mio cuore e i miei occhi continuavano a fissare, colmi di calde lacrime, quelli ormai freddi e vuoti di lui, steso a terra nel sangue.
Vidi il suo corpo raffreddarsi e spegnersi, lui che era stato sempre un sole unico e inestinguibile, lui che aveva illuminato i miei giorni come nessun altro aveva mai saputo fare, lui che per me era stato più di un fratello, era stato un amico, un confidente, un mentore.
Lui, per il quale avevo venduto anche la mia libertà, nella speranza che potessero risparmiarlo.
Eppure, nonostante tutto, nonostante tutti, alla fine non era servito a nulla.
Io, che avrei dovuto possedere il potere di tutte le acque del mondo, non ero nemmeno riuscita a reagire.
Poco importava che anche lei stesse versando lacrime di dolore, io non vedevo che una promessa infranta, e tutto a causa sua.
Sentii il sangue ribollire nelle vene, poi, il buio.


Note dell'Autrice:
Rieccomi di nuovo!
E con questo siamo a tre, con i capitoli "regalo" che vi avevo precedentemente promesso per la fine dell'anno.
Un bel 2016, non c'è che dire, a Ottobre, quasi, ho iniziato a scrivere questa serie e, lo confesso, inizialmente il mio progetto non era nemmeno così ambizioso. Volevo fare qualcosa di semplice e non troppo pretenzioso, che potessi seguire facilmente e senza particolare impegno, ma alla fine, aggiungendo un dettaglio qua e uno la, mi sono ritrovata in mano qualcosa di più complesso e originale di quanto avessi immaginato ehhh ... beh, ormai mi ero innamorata troppo dei miei cari Guardiani per poterli abbandonare.
Quindi acceomi qui, a scrivere una triologia che Dio solo sa quando avrò modo di finire, con tanto di spin-off dedicati ai vari personaggi al seguito!
Ringrazio come sempre tutti i miei lettori e recensori, ma voglio fare anche una dedica particolare, visto che è la fine dell'anno. Anzi, forse anche più di una.
La prima, anche se probabilmente non verrà mai letta dalla diretta interessata, va alla mia sorellina, Margherita, che è ormai ufficialmente diventata la mia consulente per questa storia! Quindi, se l'auto consegna di Elayne ai nemici non vi è piaciuta, prendetevela pure con lei!!! Scherzo! Comunque, le devo veramento molto, perchè lei pià di tutti mi ha accompagnata in questo progetto, non saprei proprio cosa fare senza di te, piccola peste.
La seconda, va alle mie due migliori amiche, che sono anche qui sul sito e certamente sapranno che mi sto riferendo a loro. Vi ammiro veramente tantissimo, ognuna di voi ha dei pregi unici e irripetibile che spesso vi invidio persino, e che mi permettono di seguirvi sempre e comunque ... siete fantastiche e non saprei proprio cosa fare senza di voi.
La terza, va invece a tutti i miei scrittori preferiti, a quegli artisti che hanno fatto la mia infanzia facendomi appassionare a questo genere unico e senza eguali, e a cui devo molto. Solo leggendo le loro opere ho avuto modo di sviluppare uno stile mio e solo mio, e quindi penso di dover loro tantissimo. Vi adoro!!!
Detto questo, penso sia giunto il momento di salutarci.
Mi sono prolungata abbastanza.
Alla prossima!
Teoth

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3512178