Di microfoni e copioni

di Aching heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo anno - Lovers' Vows ***
Capitolo 2: *** Secondo anno - Amphitruo ***
Capitolo 3: *** Terzo anno - Il malato immaginario ***
Capitolo 4: *** Quarto anno - Sogno di una notte di mezz'estate ***



Capitolo 1
*** Primo anno - Lovers' Vows ***


      
Primo anno – Lovers’ Vows


«Mannaggia la miseria! Ti vuoi muovere?»
«Aspettami! ‘Ste scarpe sono due strumenti mortali!»
Nel corridoio semibuio due ragazze – Maria, che procedeva spedita nei suoi sandali alla schiava, e Tessa, che invece arrancava in un paio di scarpe d’epoca che avevano sui suoi piedi l’effetto di due trappole per topi – correvano per non fare tardi al sound-check ed incorrere così nelle ire di Mina, regista dello spettacolo teatrale che sarebbe andato in scena di lì a un’ora. Le due amiche conoscevano Mina solo da un anno, cioè da quando avevano sentito parlare della sua neonata compagnia teatrale e avevano deciso di buttarsi insieme in quella nuova esperienza, ma avevano capito che la donna, di solito gioviale e simpatica, veniva colpita da una rara forma di aggressivite acuta con l’avvicinarsi della data dello spettacolo. Pensavano che non potesse peggiorare rispetto a quella mattina, ma non volevano sfidare la sorte, ragion per cui si stavano scapicollando nel suddetto corridoio.
Sbucarono finalmente nel cortile del Museo, messo gentilmente a disposizione dal Comune per la rappresentazione, e si affrettarono a salire sul palco, dove le stavano aspettando gli altri attori e soprattutto Mina, che si sistemava ripetutamente il ciuffo grigio ferro dietro l’orecchio in segno di impazienza. 
«Bene» disse quando le vide «ora che Maria e Tessa si sono degnate di raggiungerci, che ne pensate di muoverci un po’? Oppure vogliamo fare Natale?». 
Nessuno osò fiatare, ma i due ragazzi del service si affrettarono a prendere i microfoni e cominciarono a sistemarli addosso agli attori, prima il ricevitore e poi l’archetto. Tessa osservò attentamente, sentendosi catapultata in un altro mondo: era la sua prima esperienza recitativa seria, e cominciava a tremare dall’emozione.
Non si accorse subito del ragazzo che le stava davanti, col microfono in mano. Quando si girò e se lo ritrovò di fronte rimase un attimo spiazzata, ammirando un giovane un po’ più grande dei suoi quindici anni, dalla pelle abbronzata di chi è abituato a lavorare all’aperto e con le braccia muscolose, sicuramente dovute al trasportare casse, luci e tutta quell’attrezzatura ingombrante da un posto all’altro. Ciò che la colpì maggiormente però furono gli occhi azzurri, in contrasto con la pelle scura.
«Scusa, posso?» fece lui, notando la sua espressione vaga.
«Sìssìcertofaipure» disse troppo velocemente, mangiandosi le parole. Era sempre così in imbarazzo con gli estranei… c’era da sperare solo che quella sera riuscisse a parlare in maniera umanamente comprensibile. Ma per un attimo il pensiero si congelò, e tutto il suo corpo si irrigidì nel sentire le mani del ragazzo armeggiare coi suoi vestiti, sulla schiena, per sistemare il ricevitore del microfono, dandole dei piacevoli brividi.
Lanciò un’occhiata alla sua destra, a Maria, che nel frattempo veniva microfonata dall’altro aiutante. Come c’era da aspettarsi, l’amica non si era persa la scena di lei che contemplava un’apparizione divina con tanto di cori angelici, e infatti le fece un sorrisetto saputo. Tessa sorrise a sua volta e scosse la testa, solo per intralciare il ragazzo che intanto stava cercando di infilarle l’archetto all’orecchio. Arrossì istantaneamente. 
Perché devo fare sempre la figura della menomata?
«Oddio, scusa» esalò con un filo di voce. 
«Niente, niente». Almeno dai gesti e dal tono di voce, lui sembrava essere un tipo alla mano ed estroverso. Se era fortunata, non avrebbe fatto caso al suo essere socialmente impedita. «Potresti sollevarti i capelli, però? Non riesco a far passare il filo».
Tessa raccolse sulla nuca i suoi lunghi di capelli arricciati per l’occasione, per dar modo al ragazzo di sistemare finalmente il microfono. Quando ebbe finito con lei passò avanti, e dopo un altro paio di attori poterono cominciare il sound-check. 
«Allora, Barone Wildenhaim… microfono 1» lesse il responsabile dal copione, da dietro la consolle. 
«Prova, prova».
«Bene così. Conte Cassel, microfono 2».
«Ssssa – sssa, prova» disse Armando, un ragazzo di diciotto anni, con la sua esse sibilante. Il microfono emise un lungo fischio e il tizio si affrettò a chiuderlo, armeggiando poi con l’attrezzatura per risolvere il problema. Alla fine arrivarono anche a lei («Amelia Wildenhaim, microfono 5») e passarono oltre. Appurato che i microfoni erano tutti funzionanti, decisero di provare dei brevi pezzi, e poi la prova si poté dire conclusa, anche perché stavano incominciando ad arrivare i primi spettatori – le vecchiette che arrivavano sempre un’ora prima per accaparrarsi i posti migliori.

Come ad ogni spettacolo, l’orario stabilito per l’iniziò arrivò e passò, mentre gli attori si erano radunati nello spogliatoio e cercavano di dissimulare il loro nervosismo. Sia che fossero alle prime armi o che fossero avvezzi al teatro, erano tutti tesi: quello sarebbe stato il debutto della loro compagnia. La loro prima rappresentazione tutti insieme. 
Ad un tratto la porta si aprì e nella stanza entrò Mina, tesa come una corda di violino. Fu di poche parole.
«Ragazzi, i posti sono stati tutti occupati, e non c’è motivo di aspettare oltre. Abbiamo lavorato duramente per un anno in vista di questa serata, cerchiamo di dare il massimo. In bocca al lupo a tutti».
Salirono sul palco dal retro, senza aver modo di vedere quanta gente ci fosse; sentivano però il vociare delle persone, quel brusio che diceva “è qui, è arrivato, è il tuo momento” e faceva venire le farfalle nello stomaco. 
Mentre Mina presentava il loro lavoro al pubblico, dietro le quinte l’attività era febbrile. Giusy, la suggeritrice, si posizionava, mentre i ragazzi del service sistemavano i microfoni ai primi che avrebbero recitato, e gli altri si assicuravano di avere tutti i propri oggetti di scena a portata di mano. Ognuno sembrava avere un motivo per fare avanti e indietro e sussurrare concitato. Tessa invece stava ferma in un angolo. Non sarebbe toccato a lei fino al secondo atto, e l’attesa era snervante, ma era sicura che non avrebbe mai voluto aprire lo spettacolo. La prima sarebbe stata invece Maria, che era su di giri e per nulla preoccupata. Spigliata e disinvolta com’era, quella per lei sarebbe stata una passeggiata. 
E infatti eccola, sicura di sé, dominare la scena come se fosse stata casa sua. Tessa osservò lei e gli altri che si succedettero, finché, terminato il primo atto, non fu il suo turno di indossare l’archetto, insieme ad Antonio e ad Armando che sarebbero andati in scena con lei. Il ragazzo dagli occhi azzurri compì la stessa trafila di quel pomeriggio, poi fece un sorriso incoraggiante. Proprio in quel momento passò davanti a loro Armando, che stava ripetendo le sue battute, sibilando a più non posso.
«Buona fortuna con lui» disse Occhi Azzurri. «Mi è sembrato di capire che è il tuo pretendente», fece, riferendosi alle prove di quel pomeriggio. Poi le fece l’occhiolino, e Tessa sentì una vampata di calore incendiarle il viso, come se non fosse abbastanza il caldo di quella serata di agosto. Cercò di pensare a qualcosa di simpatico da dire, ma il ragazzo si era già allontanato, e lei rimase lì a ripensare all’ennesima figura fatta. Non più di due secondi dopo, Maria le si avvicinò tutta pimpante.
«Beh? E quell’occhiolino?» le sussurrò.
«Ma niente. Scherzava». 
«Però, figlia mia, se non ti dai una mossa mica lo acchiappi» commentò Mina, sbucando improvvisamente alle loro spalle. A Tessa venne un colpo, mentre l’amica scoppiò a ridere. «Ora muovetevi, che inizia il secondo atto. Maria, devi farti trovare sdraiata sulla panca» le ricordò.
E così lo spettacolo andò avanti.
Una scena, solo questa scena e poi…
Tessa non aveva ancora guardato il pubblico, per paura di quello che avrebbe potuto provare. Sapeva che non c’erano più di duecento posti, perciò non l’avrebbe vista nemmeno un decimo del paese. Era quasi un evento di nicchia, anzi, lo era davvero. Però duecento persone le sembravano improvvisamente una marea di gente, se dovevano guardare lei. Se dovevano ascoltare lei, su di un palco, con le luci puntate addosso, con ogni singolo movimento tenuto d’occhio da quella moltitudine, con ogni respiro amplificato… 
Il nodo che sentiva nello stomaco si fece ingestibile. 
Fra gli applausi, Maria e gli altri uscirono, mentre il sipario si chiudeva brevemente per permettere un veloce cambio di scena. Era arrivato, infine. Il suo momento.
Solo che Tessa non riusciva a respirare. Si sentiva pietrificata sul posto e con orrore sentiva il suo cuore in piena tachicardia. Maria la raggiunse sorridente («Fra poco tocca a te! Non sei emozionata?»), ma divenne improvvisamente seria quando notò che l’amica era pallida come un cencio lavato.
«Mi sto sentendo male» riuscì a dire Tessa, grave come la pietra.
«Ehi, calmati. Tessa, guardami. Va tutto bene, respira lentamente. Uno, due». Le fece alzare le braccia per aiutarla con la respirazione. Dopo circa un minuto la situazione era migliorata, e anche se Tessa sentiva ancora la tensione attanagliarle lo stomaco e la paura pervaderla, riusciva di nuovo a respirare normalmente. 
Intanto la seconda scena era iniziata.
Ok, ce la posso fare, si disse per incoraggiarsi. Riconobbe la sua battuta d’ingresso, e compì il fatidico passo, fuori dalle quinte, direttamente sulla scena.
Accadde tutto in un secondo: Tessa alzò gli occhi sul pubblico, e si accorse di non vedere niente se non il buio. Tutte le luci erano puntate sul palco, perciò gli spettatori, i tanto temuti spettatori, non erano nulla se non sagome appena distinguibili nell’oscurità. Non esistevano, esistevano solo lei e gli altri attori, quei tipi un po’ pazzi con i quali aveva fatto amicizia, aveva scherzato e si era divertita. Non era niente se non una prova generale, una serata con quella che era diventata la sua seconda famiglia. 
L’importante? Divertirsi. 

Quando tutto finì, il pubblico scoppiò in uno scrosciare di applausi e di «Bravi», «Bene». 
Tutti i membri della compagnia si riunirono sul palco per gli applausi finali e per i ringraziamenti, in cui Mina tornò ad essere la signora di mezza età simpatica e amorevole che tutti avevano conosciuto, e poi, sfiniti dalla tensione, dal caldo e dalla fame si precipitarono dietro le quinte a disfarsi di quello che potevano. Il tecnico li attendeva insieme ai suoi aiutanti, pronti a liberarli dai microfoni. Uno alla volta, gli archetti si ammassarono sul tavolino; quando fu il turno di Tessa, ad assisterla ci fu nuovamente Occhi Azzurri. 
Ancora sotto l’effetto di quella che era, a ragione, chiamata “magia del palcoscenico” ed entusiasmata dal successo ricevuto, Tessa era dimentica della sua timidezza, e sorrideva a chiunque, sprizzando gioia da tutti i pori. Quel suo buonumore influenzò anche Occhi Azzurri, perché quando le si avvicinò le fece un sorriso smagliante.
Sganciò il ricevitore da dietro il vestito, poi le ritornò di fronte. 
«Sai cosa ti devo chiedere, vero?»
Tessa scoppiò a ridere e si sollevò i capelli per il tempo che lui ci mise a sfilarle l’archetto, poi li lasciò ricadere sulle spalle. Per un momento lui la guardò, ma poi le sorrise brevemente e, ritornando a fare il suo lavoro, la salutò, e Tessa gli voltò le spalle e andò a cambiarsi, per poter ritenere quella serata ormai conclusa. 




Note: - La commedia in questione, Lovers's Vows, è di Elizabeth Inchbald. Ho lasciato il titolo originale perché l'ho letta in inglese, quindi mi parrebbe strano chiamarla in un altro modo. Se voleste leggerla, ecco il link: 
http://www.jausten.it/jarcloversvows.html.
- L'esclamazione con cui si apre la shot, Mannaggia la miseria, è tipica delle mie parti. Non so se si usi anche in altri dialetti né se sia corretta in italiano, perciò l'ho messa in corsivo.
- Non credo che "aprire" e "chiudere" il microfono sia corretto in italiano, ma in gergo teatrale usiamo questi termini.


Angolo Autrice: Questa doveva essere una storia abbastanza diversa (nella forma). Era pensata per essere un'unica One-shot o al massimo una raccolta di flashfic. Avevo pensato di cimentarmi in una di quelle simpaticissime storie in cui in poche righe si riesce a dare un'idea del personaggio, del contesto, e si riesce a creare anche una storia d'amore accattivante e frizzante. Purtroppo però non possiedo il dono della sintesi, perciò la storia sarà molto più lunga del previsto. Le pubblicazioni saranno comunque tre, oltre questa, e saranno settimanali.
Ringrazio chi ha avuto la pazienza di leggere e chi vorrà mettere la storia fra le preferite/seguite/ricordate. Mi farebbe molto piacere se lasciaste una recensione, per vedere cosa ne pensate. 
A mercoledì prossimo!

 

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Capitolo 2
*** Secondo anno - Amphitruo ***


Secondo anno – Amphitruo


«Cribbio, non ricordo mai quel cavolo di monologo! Libertà, sicurezza… e poi?» Tessa prese nervosamente il copione dalla borsa, controllò le parole e poi ve lo rischiaffò dentro, facendo avanti e indietro mormorando libertà, sicurezza, vita, famiglia e ricchezza, patria e figli come un mantra, nel disperato tentativo di memorizzarle all’ultimo momento.
«Calmati, Tessa. Se non sei riuscita a imparare quella parte in questi mesi, dubito che ci riuscirai stasera» cercò (scarsamente) di tranquillizzarla Maria.
«Tanto ci sono io, basta che mi ascolti» disse Giusy, la loro suggeritrice – e all’occorrenza anche truccatrice, parrucchiera e aiuto costumista – mentre finiva di raccogliere i capelli di Maria in una crocchia. Tessa invece era già pronta da un po’; quell’anno anche lei indossava dei comodissimi sandali, per la gioia dei suoi piedi.
«Lo so» bofonchiò la ragazza. «Ma mi sentirei più sicura se sapessi a memoria tutta la parte. Sono un pochino tesa».
«Colpa di Mina. Con questa storia della “promozione” il suo nervosismo pre-spettacolo ha raggiunto livelli mai toccati prima» le rispose Giusy, che conosceva la regista da tempo.
La “storia della promozione” era che, con il debutto dell’estate precedente, la compagnia aveva ottenuto un discreto successo, perciò il sindaco aveva chiesto loro di animare una delle serate del Summer Festival del loro paese. Il che voleva dire esibirsi non più nel cortile del Museo, ma in piazza, con un palco più grande e decisamente con molti più spettatori. 
Tessa dubitava che se non ci si fosse messa anche Mina sarebbe stata meno ansiosa, ma sicuramente la regista non rendeva la situazione più facile. Da due giorni si era chiusa in un silenzio scontroso che rompeva solo per abbaiare ordini o rimproveri, e aveva preso a non tollerare la minima mancanza. Iniziato lo spettacolo sarebbe sicuramente tornata la Mina di sempre, ma fino ad allora teneva tutti al guinzaglio. Motivo per il quale le due amiche si erano messe d’impegno per essere precise e puntali come un orologio svizzero.
E infatti erano entrambe pronte da ormai cinque minuti quando Francesca le venne a chiamare per il sound-check. Questa volta loro dovettero aspettare gli altri.
«Guarda un po’ chi si rivede» disse una voce maschile dietro di lei, che risultò appartenere a…
Occhi Azzurri. 
«Già, sono ancora qui» disse Tessa, un po’ in imbarazzo. 
«No, e i capelli?!» esclamò lui scoppiando a ridere, mentre le si parava davanti.
«Quest’anno sei stato fortunato che li abbia dovuti legare».
«Molto più comodo» confermò lui, sistemandole l’archetto. Poi, con la scusa di controllare che il ricevitore del microfono fosse collegato per bene, si chinò su di lei. «Ma non sono sicuro di preferirti così», le sussurrò all’orecchio. Poi ammiccò e passò oltre, lasciandola a corto di fiato e, immancabilmente, con le guance in fiamme.  
«I can see what’s happening…» Maria canticchiò alle sue spalle, un sorriso sornione sulle labbra. 
Tessa le tirò una gomitata.

«Losapevolosapevolosapevo! Lo sapevo che ce l’avresti fatta!» cantilenò Maria praticamente facendo le feste all'amica, quando furono a casa insieme per un pigiama party post-spettacolo. «Sei stata bravissima, il pubblico ti ha adorata!»
«Ma smettila» disse bonariamente lei, rossa per l’imbarazzo ma anche lusingata, e al settimo cielo. 
«E Occhi Azzurri, come ti guardava!» 
«Magari! Ma non mi sembra il tipo che apprezza il teatro».
«Non deve per forza apprezzare il teatro per apprezzare te» disse Maria facendole l’occhiolino. «Cos’è che ti ha detto quando ti ha tolto il microfono?»
«Niente, “ci vediamo l’anno prossimo”» e qualcos'altro, e Tessa cercò davvero di non sorridere come un’ebete nel ripensare alla scena e allo sguardo così luminoso e sereno del ragazzo.
«Ecco, vedi? Ti vuole rivedere».
«Macché» fece Tessa, un po’ a malincuore. In fondo le piaceva rimuginare sulle (poche) parole che lei e Occhi Azzurri si erano scambiati, ma sapeva che non doveva ricamarci su, o avrebbe finito solamente per illudersi. «È solo un ragazzo socievole, che sa che probabilmente il prossimo 10 di agosto saremo di nuovo su un palco e loro con noi ad assisterci. Non c’è nulla di più».
 «Come vuoi» cedette Maria, facilmente. Troppo facilmente. Non passarono neanche cinque secondi che… «Can you feeeeeel the looove toniiiiiiiight?» 
Per l’appunto. 





Note: - La commedia di questo capitolo, Amphitruo (o Anfitrione in italiano), è di Plauto, e se volete leggerla vi lascio il link:   https://professoressaorru.files.wordpress.com/2010/02/anphitruo.pdf
- Avete riconosciuto le citazioni in inglese? Sono prese da Can you feel the love tonight, la canzone usata nel Re Leone. Per chi non conoscesse questa versione, I can see what's happening è la parte che in italiano corrisponde a Io l'ho già capito, cantata da Timon (Maria è più felice però XD).

Angolo Autrice: Anche se il capitolo era già pronto ho aspettato fino a stasera prima di pubblicare perché non mi piace per niente. Succede poco ed è molto più corto rispetto al capitolo precedente perché essenzialmente è di passaggio, mostra che l'esperienza di Tessa nella compagnia continua e che la sua intesa con Occhi Azzurri è rimasta uguale anche a distanza di un anno in cui non si sono mai visti, anche se è costruita su poche parole, su pochi sguardi, su pochi incontri. 
Speravo di riuscire ad aggiungere o modificare qualcosa, ma questo è tutto quello che sono riuscita a tirare fuori. Non abbandonate la storia però, perché il terzo capitolo sarà diverso. 
Ringrazio chi legge e Eli12 per aver messo questa storia fra le seguite. I commenti sono sempre apprezzati. 
A mercoledì prossimo!


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Capitolo 3
*** Terzo anno - Il malato immaginario ***


Terzo anno – Il malato immaginario 


«Angelica, vieni qua» fece una voce insopportabile in quella che doveva essere una richiesta accompagnata da tanto di per favore, e che invece sembrava un ordine della Regina di Saba.
Tessa, sentendo chiamato il nome del suo personaggio, si girò verso la fonte di quel fastidioso suono. «Dici a me?» rispose, inarcando un sopracciglio.
«Scusami, cara, non ricordo mai il tuo nome».
«Tessa» le ricordò lei per l’ennesima volta, quasi digrignando i denti.
La sua interlocutrice rispondeva al nome di Sonia, ma dal momento che lei non sembrava essersi data pena di imparare i nomi dei suoi colleghi, tutti nella compagnia avevano preso a chiamare anche lei col suo antipaticissimo nome di scena, Belinda, che era sicuramente più adatto a lei. Era una donna dallo sguardo altezzoso e dalla voce insopportabile, e sebbene fosse una nuova arrivata faceva capire in tutti i modi che si considerava la stella del gruppo. 
«Ecco, cara, perché non lo ricordo mai. Un nome così sgra... ehm, insolito…»
Non fare atti inconsulti, Tessa, non – fare – atti – inconsulti. È una persona più grande, si rispettano le persone più grandi…
«Stavo dicendo a Giusy che questo trucco pare leggermente troppo pesante per una donna della condizione di Belinda, ma lei non vuole sentir ragioni. Forse tu, cara, che sei una ragazza giovane» e qui occhieggiò Giusy, che la ricambiava furente «te ne intendi un po’ di più di make-up».
Tessa ci provò davvero a spiegarle cosa fosse il trucco di scena, ma dopo un paio di tentativi falliti e un considerevole quantitativo perso di pazienza, decise di tagliare a corto.
«Si è fatto tardi, credo che dovremmo tutti avviarci a fare il sound-check».
«Ma…».
«Dopo, cara. Dopo».

«Che strazio, ma dove è andata a trovarla Mina?» bofonchiò Maria indicando Sonia-Belinda con un cenno del capo.
Era stata la regista a portare la “star” fra di loro, dicendo che si trattava di un’amica con la passione per il teatro che sarebbe stata perfetta per la commedia di Molière. Gli altri l’avevano accolta con entusiasmo, ma ben presto si erano trovati ad accendere ceri votivi con la preghiera che fosse solo per quell’anno e non un’aggiunta in pianta stabile. A renderla invisa a tutti concorrevano il suo carattere così amabile e l’assenza del benché minimo talento recitativo, per fortuna arginata dal fatto che Sonia fosse effettivamente una Belinda 2.0. 
«Non lo so e non lo voglio sapere. Voglio solo che fino al momento dello spettacolo se la accolli lei». 
«Potevamo fare Sogno di una notte di mezz’estate, dico io!». 
Tessa sospirò in segno di assenso alle parole dell’amica. Sarebbe stato il suo sogno. Aveva letto la commedia di Shakespeare a quindici anni e l’aveva amata. Ora che di anni ne aveva diciassette, e anche un po’ di esperienza recitativa, sognava segretamente di interpretare Ermia e recitare quelle battute che aveva amato. Quando Mina a settembre aveva detto loro che intendeva portare in scena proprio Sogno di una notte di mezz’estate, Tessa era andata immediatamente su di giri. Per una settimana, una gloriosa settimana, aveva avuto tra le mani il copione con la parte di Ermia sottolineata, ma all’incontro successivo Mina aveva comunicato loro che sarebbe stato meglio realizzare una commedia più facile, sia da gestire dal punto di vista tecnico che da recitare, e soprattutto che richiedesse un minor numero di attori. Era soprattutto quello il loro problema: erano pochi. Mina, grazie alle sue conoscenze, era spesso riuscita a rimediare delle comparse, ma in quanto a membri stabili della compagnia non erano molti, anche se fortunatamente di anno in anno si era aggiunto qualcuno. La regista aveva sperato di riuscire a trovare qualche suo amico per la commedia di Shakespeare, ma così non era stato, perciò si era dovuta rassegnare a fare Il malato immaginario, e aveva conservato l'altra commedia per il futuro.
Anche Maria aveva avuto la sua dose di dispiacere, visto che sognava la parte di Titania, e Tessa pensava che non ci fosse nessuno di più adatto dell’amica per interpretare la Regina delle Fate. Ma ormai era inutile piangere sul latte versato: da quel momento fino alla sera avrebbero dovuto concentrarsi solo sulla parte e sui personaggi che erano stati loro assegnati, non su quelli che avrebbero voluto avere.
Intanto le due ragazze non si erano accorte dei passi che si stavano avvicinando e del ragazzo che era arrivato alle loro spalle.
«Ehilà» disse il nuovo arrivato, facendo voltare le due amiche. Poi si rivolse a Tessa, pienamente consapevole del suo atteggiamento sbarazzino e affascinante. «Ci rivediamo».
«Come ogni anno» sorrise di rimando lei, ricambiando il saluto di Occhi Azzurri, onestamente felice di rivederlo. 
«Neanche ci dessimo appuntamento» continuò lui avvicinandosi, col suo sorriso obliquo stampato in faccia. 
«Ehi, voi due!» li riprese aspramente una voce femminile. «Flirterete più tardi, ora datevi una mossa. Andale, andale!». Era Mina, irrequieta come una Furia. 
Gli altri risero bonariamente al loro indirizzo, soprattutto Maria, ma anche Tessa si ritrovò a farlo, appena un po’ rossa in viso. Due anni prima sarebbe forse morta per l’imbarazzo di essere stata richiamata e per la battuta, ma crescendo aveva cominciato a combattere la sua timidezza e aveva imparato che non doveva prendere tutto con quella serietà mortale tipica del suo carattere che quasi la soffocava, ma che spesso nella vita ci vuole solo un po’ di leggerezza.
«D’accordo, sarà meglio non far arrabbiare il capo» scherzò lui, sistemandola e poi passando ad un altro attore, non prima di lanciarle un’ultima giocosa occhiata.
Quando la prova fu terminata tutti furono liberi di tornare a prepararsi. Una volta tanto, Tessa era stata la prima a terminare la vestizione, il trucco e il parrucco, perciò se ne stette lì fuori insieme a qualcun altro della compagnia, gironzolando per la piazza ancora deserta e passando il tempo a scherzare, a farsi foto ridicole e a rievocare i ricordi degli spettacoli precedenti. Ad un certo punto Occhi Azzurri si era unito a loro, dato che tutta la strumentazione era sistemata. Fra lui e Antonio – un omaccione che incuteva soggezione a prima vista, ma che in realtà era un buontempone – ,Tessa non sapeva dire se si fosse divertita di più in vita sua. 
Ma c’erano cose di cui lei non si era accorta, ad esempio il modo in cui il ragazzo la osservava mentre lei faceva una battuta o raccontava un aneddoto divertente, o il modo in cui sorrideva nel vedere le sue buffe espressioni, o ancora come cercasse di spingerla a parlare di più, come se volesse sapere tutto di lei. Tessa sapeva solamente che quel tempo, passato con spensieratezza fra persone a metà fra degli amici e una famiglia, nella piacevole brezza estiva e con la prospettiva di salire su un palco di lì a mezz’ora, le scaldava il cuore, e che non avrebbe voluto rinunciarci per nulla al mondo. 

Anche quell’anno tutto andò bene. Tutti ricevettero la loro dose di applausi, ma più di tutti ne ricevette Antonio, che nella parte del malato immaginario era stato insuperabile. Anche Sonia fu abbastanza acclamata – del resto non aveva dovuto neanche sforzarsi di interpretare il suo personaggio: lei era il suo personaggio –, e gli altri si scambiarono mutui sguardi di terrore e d’intesa, immaginando che non se la sarebbero più tolta di torno.
Al momento di togliersi i microfoni, Occhi Azzurri raggiunse Tessa.
«Anche quest’anno non mi è concesso di vedere sciolta la tua chioma?» le chiese mentre armeggiava col ricevitore per sganciarglielo dal vestito.
«Se portassi i capelli sciolti, poi te ne lamenteresti» fece lei, sicura e briosa in quella complicità che sentiva di avere col ragazzo. «Invece così…» si sfilò l’archetto dall’orecchio e glielo porse «...facile e veloce, no?»
«Forse troppo» ammise, avvicinandosi a lei, quasi chinandosi per compensare la differenza d’altezza.
«Chissà, forse l’anno prossimo sarai più fortunato».
«Forse» ripeté lui, avvicinandosi di più. 
«E forse sarò più fortunata anch’io» sussurrò lei, non potendo fare a meno di guardare dai suoi occhi alla sua bocca. Come si diceva, che sotto una certa distanza scatta automaticamente il bacio? A lei sembrava che quella distanza di sicurezza l’avessero superata da un pezzo…
«Potrebbe essere che quello che ognuno di noi spera sia la stessa cosa? Che ciò per cui ci auguriamo di essere fortunati, in realtà non abbia alcun bisogno di fortuna per realizzarsi, perché già ha la possibilità di accadere?» 
Quelle parole sussurrate e inframmezzate da respiri, e quegli occhi chiari, luminosi e così espressivi, mandarono dei brividi lungo la schiena di Tessa. Brividi di anticipazione per quello che poteva accadere… e di timore, per quello stesso motivo. Era possibile avere paura di qualcosa che si desiderava? E a quel pensiero, Tessa agì in maniera impulsiva, guidata solo dalla paura. 
«Non saprei, io spero che l’anno prossimo faremo Sogno di una notte di mezz’estate. È anche la tua, di speranza?» chiese cercando di sembrare leggera e scherzosa, di mimare un sorriso, ma forse la voce era troppo incerta perché potesse essere credibile.
Per un attimo un lampo di delusione passò sul volto del ragazzo, nel modo in cui le sue sopracciglia si aggrottarono, nel modo in cui la luce nei suoi occhi si spense, ma poi lui abbassò il capo. Quando lo rialzò, sorrideva di nuovo. (Anche se con una punta di tristezza, non poté fare a meno di notare Tessa.)
«Chissà, forse l’anno prossimo potresti scoprirlo».
«Allora all’anno prossimo» ripeté lei con un filo di voce, ma lui si era già allontanato. 






Angolo Autrice: Rieccomi, appena in tempo. Anche questa volta avevo il capitolo pronto, ma mi sono messa a fare i soliti cambiamenti dell'ultimo minuto.
Sarei felice di sapere cosa ne pensate; io sono molto soddisfatta rispetto allo scorso capitolo, le cose fra Tessa e Occhi Azzurri (sapremo mai il suo nome? XD) si fanno più interessanti ed è stato introdotto un nuovo personaggio... parzialmente ispirato ad una persona che conosco davvero, che non si chiama Sonia, ma altrettanto simpatica. Ad ogni modo non scordatevi di lei, nel prossimo capitolo ritornerà.
E il prossimo sarà l'ultimo. Chissà se i nostri beniamini avranno davvero più fortuna!
Ringrazio chi legge e 
Eli12 e Dreamy99 per aver inserito la storia fra le seguite.
A mercoledì prossimo!

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Capitolo 4
*** Quarto anno - Sogno di una notte di mezz'estate ***


Quarto anno – Sogno di una notte di mezz’estate

 
Anche quell’anno lo spettacolo si sarebbe tenuto nella piazza del paese, durante la serata d’apertura del Summer Festival. Si poteva dire che ormai la compagnia “Gli amici del caffè” (nome nato per caso, da uno scherzo che Tessa ricordava ancora) fosse di casa lì e che avesse un proprio pubblico affezionato, oltre che una certa fama. Spesso Tessa e Maria erano state fermate per strada o al supermercato da vecchiette e signore che le avevano riconosciute dagli spettacoli degli anni precedenti e che si complimentavano con loro.
L’aspettativa per quella sera era abbastanza alta, testimone il pubblico che si era radunato numeroso ad un’ora prima dello spettacolo. Le sedie di plastica erano quasi tutte occupate, e presto anche il resto della piazza sarebbe stato riempito da gente in piedi. Tessa era abbastanza sicura, passando in rassegna i volti degli spettatori, che ci fosse anche parecchia gente che non aveva mai visto e che doveva venire dai paesi vicini.
Negli anni passati il palco, prima che iniziasse lo spettacolo, era sempre stato lasciato tranquillamente aperto alla vista degli spettatori, perché la scenografia nelle loro rappresentazioni era un aspetto marginale, curata solo il minimo necessario; anzi, costituiva quasi un intrattenimento per il pubblico, che vedendola poteva giocare a immaginare ciò che sarebbe stato portato in scena. Quella sera, invece, Mina aveva fatto chiudere il sipario, lasciando crescere la curiosità e l’aspettativa per quello che, era certa, sarebbe stato il trionfo della compagnia. Era giunto il tanto atteso momento: avrebbero finalmente portato in scena Sogno di una notte di mezz’estate.
Quell’anno Mina doveva aver ritenuto di avere sufficienti membri, fra i nuovi iscritti e gli amici teatranti che era riuscita a coinvolgere. Peccato solo che quell’occasione fosse giunta proprio quando lei non c’era, pensò Tessa con amarezza.
Chissà come si dovevano sentire i suoi amici dietro le quinte, sapendo di stare per rappresentare un’opera meravigliosa del più grande autore teatrale di tutti i tempi, un’opera che tutti loro avevano sperato di riuscire a realizzare. Se le cose fossero state come negli anni precedenti, Tessa lo avrebbe saputo. Ma nulla rimane mai come era prima, e lei quell’anno si ritrovava nel pubblico. Che strano essere dall’altra parte.
In quel momento sarebbe dovuta essere con Maria, Antonio e tutti gli altri, in un costume da fanciulla greca, a sclerare con i suoi compagni per l’agitazione e l’eccitazione dello spettacolo, a scherzare insieme a loro per esorcizzare la paura che qualcosa potesse andare storto, la paura di non essere all’altezza. Invece sedeva sola su una sedia di plastica, stringendosi nel cardigan leggero che era insufficiente a ripararla dal vento implacabile e insolito di quella serata di agosto, a fissare un palco celato da cortine nere. E a immaginare, immaginare cosa stavano facendo in quel momento i suoi – non più – compagni attori. Senza di lei.
Era strano, era come guardare un film conosciuto, familiare, che all’improvviso cominciava a cambiare sotto i suoi occhi e terminava in maniera diversa da quella che ricordava, mentre gli altri non si rendevano conto della differenza. Lei si sentiva così: disorientata, confusa, e circondata da gente che non sapeva, che non poteva capire. 
Sperò di non incontrare nessuno che conoscesse, quella sera, nessuno che le chiedesse perché non stavolta non fosse sul palco. Anche perché non avrebbe saputo cosa rispondere se non una bugia. Perché in realtà una ragione, una vera, non c’era.
Fino ad un paio di mesi prima, Tessa non sapeva neanche che ci sarebbe stato, uno spettacolo. Le era sembrato insolito non ricevere il consueto messaggio di Mina, a settembre, per darle appuntamento a casa sua insieme agli altri per discutere del nuovo progetto. Aveva provato a controllare il loro gruppo su Facebook, dove in genere venivano pubblicati gli avvisi, ma anche lì tutto taceva. Si era detta che forse avrebbero cominciato più tardi, quell’anno. Poi era arrivato ottobre, e dopo novembre, e ancora Tessa non aveva ricevuto nessuna notizia. Si era chiesta se non fosse il caso di contattare la regista e chiederle informazioni, ma non voleva risultare ansiosa o pedante come spesso temeva di essere. Aveva pensato che se ci fossero state novità Mina l’avrebbe avvisata, come aveva sempre fatto, e che se nulla era stato detto finora significava semplicemente che non c’era nulla da dire.
Col senno di poi, avrebbe fatto meglio a preoccuparsi di meno di disturbare o irritare la regista, e a mettere da parte la sua tendenza a credere che le cose fossero sempre così semplici come apparivano, che non nascondessero doppi significati e intrichi alle spalle di chiunque. 
Poi Tessa non ci aveva più pensato: era arrivata al temuto quinto anno, l’anno dell’esame di maturità. Se gli anni precedenti erano stati duri e carichi di lavoro – non che lei fosse esattamente costante e puntuale nello studio –, quello sarebbe stato letteralmente un inferno. E lo fu già dai primi mesi, andando a peggiorare, e lo fu davvero fino alla fine. Non solo per il quantitativo di lavoro, ma anche per le rivalità che si erano esacerbate allo stremo fra i compagni di classe, per l’ansia che pendeva su di lei come una spada di Damocle, per la grande responsabilità di dover fare una scelta decisiva per il proprio futuro. Tessa non ricordava di aver mai litigato con i suoi genitori come in quell’anno, né di essersi mai sentita più stanca.
Perciò in un certo senso le aveva fatto comodo che non ci fosse nessuno spettacolo, anche se forse le avrebbe fatto bene, l’avrebbe aiutata a distrarsi. Ne avrebbe sentito la mancanza, se ne avesse avuto il tempo. Ma il liceo classico poteva essere un vero schiacciasassi in materia di hobby e tempo libero, e spesso a fine settimana Tessa non aveva neanche la forza e la voglia di incontrare i propri amici. 
La mancanza l’aveva sentita dopo, quando tutto era finito e lei aveva avuto il suo diploma, quando la scelta era già stata fatta. Quando aveva avuto a disposizione intere giornate estive da riempire con tutto ciò di cui si era privata durante l’anno, e allora aveva ripensato ai vecchi tempi, quando luglio era il mese più fervente per le prove – e insieme alle prove venivano le risate, le chiacchiere, gli scherzi, le foto stupide, i legami. Adesso si sentiva sola, privata di quella famiglia. 
E poi aveva saputo. Aveva visto una locandina. “Gli amici del caffè presentano Sogno di una notte di mezz’estate”. E il suo cuore si era stretto paurosamente. 
Si era sentita così tradita, così messa da parte… 
«Credevo che stasera avremmo assistito ad una commedia», disse una voce maschile strappandola dalle sue spiacevoli riflessioni, «ma dalla tua espressione, sembri prepararti ad una tragedia».
Lei riconobbe la voce e sorrise, anche se fu un sorriso dolceamaro. «Non saprei. Tradimento, segreti, personaggi imperfetti – che non sapresti definire amici o nemici… sembrerebbero esserci tutti i presupposti per una tragedia».
Il ragazzo si sedette di fianco a lei, in uno dei posti miracolosamente ancora liberi. «Potrei aver bisogno di aiuto nel districarmi in questa nuova versione, allora. Ti dispiace se ti faccio compagnia?»
Tessa sorrise di nuovo, questa volta in maniera più naturale e sincera. «Per nulla». 
Dopo un momento di silenzio, Occhi Azzurri (perché di lui si trattava) riprese a parlare. «Pare che nessuno dei due sia stato più fortunato, quest’anno», alludendo alla loro vecchia battuta. Una battuta che riportò Tessa indietro ad un momento in cui tutto sembrava perfetto e che sembrava la promessa di qualcosa di ancora più bello. Come erano cambiate le cose!
«Già. Oh, hanno preparato la commedia che desideravo, sicuro, solo…»
«Solo, senza di te» terminò per lei, cercando di essere delicato. Lei annuì. 
«E tu? Non vai a preparare gli attori questa sera?»
«Ho cambiato lavoro, a dire il vero. Già da un po’. Essere un aiutante tecnico non è mai stata la mia ambizione, sai» le mormorò come in confidenza quando vide la sua faccia sorpresa. «Era solo un secondo lavoro, per arrotondare».
«E allora qual è la tua ambizione?» chiese lei protendendosi verso di lui.
«Forse non mi crederesti se te lo dicessi. Oppure penseresti che è una cosa ridicola».
«Mettimi alla prova. Non lo saprai se non me lo dirai».
«La mia vera passione è la terra. Coltivarla, curarla, e veder crescere ciò che ho seminato con fatica e con impegno».
«Non mi sembra per nulla ridicolo. È insolito, però. Un ragazzo così giovane attratto dalla fatica e dal duro lavoro, da un mestiere così trascurato e anche un po’ ingrato». Tuttavia non poteva dire di essere del tutto sorpresa: fin dalla prima volta che l’aveva visto aveva capito che era abituato a lavorare duramente e all’aperto, dalla sua pelle scurita dal sole, dalle sue braccia forti, dalle sue mani ruvide e callose.
«Non è un mestiere facile» concesse il ragazzo. «Per questo preferisco pensarci più come ad una passione che come ad un lavoro. Fino all’anno scorso ero solo un bracciante qualunque, e dovevo lavorare anche per il service di Sergio, ma poi sono stato assunto nella Tenuta Chiurlia».
«Quella vicino al mare? Ci sono stata, una volta. È un bel posto».
«È bello lavorarci, e mi dà anche un minimo di stabilità. Tu, invece? Perché non sei su quel palco?»
«Questa è una bella domanda, e vorrei avere quanto te una risposta».
Vedendo che non capiva ma che non accennava a desistere, Tessa cercò di spiegargli in breve la storia, glissando sui propri sentimenti personali e cercando di esporre la vicenda nella maniera più neutrale possibile.
«E la tua amica, quella con cui sei sempre insieme, non ti ha avvisata?»
«Maria? No, non ne abbiamo mai parlato… ma è stato un anno molto intenso, ci siamo viste poco rispetto al solito. Andiamo… andavamo in scuole diverse. E non ci è mai capitato di parlarne. Io non le ho mai chiesto niente perché ero certa che non ci fosse nessuno spettacolo, e lei… forse non sapeva come prendere il discorso, forse aveva paura che ci rimanessi male».
«Ci sei rimasta male lo stesso, però, anche se cerchi di non darlo a vedere» disse lui, con un’espressione comprensiva. «Va bene così, sai? Anche io mi sentirei deluso e tradito al tuo posto».
Tessa rimase colpita dal fatto che lui avesse trovato esattamente le parole giuste, perché lei si sentiva proprio così: delusa e tradita. Dopo qualche attimo di riflessione esternò un pensiero che aveva da un po’. «È strano, siamo qui a parlare come se ci conoscessimo da sempre, eppure non sappiamo nemmeno i nostri nomi».
«A dire la verità, io so il tuo. Del resto sei stata presentata dopo ogni spettacolo per tre anni, Tessa». Era solo una sua impressione, oppure aveva pronunciato il suo nome con particolare attenzione? Era solo lei a immaginarselo, o la sua voce si era abbassata quando l’aveva detto? 
«Io però non so il tuo» ammise lei. 
«Mi chiamo Andrea». 
Andrea. Un bel nome. Classico, forse un po’ troppo diffuso, ma dal fascino intramontabile. 
«Allora, visto che non ci siamo mai ufficialmente presentati, piacere di conoscerti, Andrea». 
Lui prese la mano che gli aveva teso con gentilezza, ma con una stretta comunque decisa. «Il piacere è mio, Tessa».
Per un istante rimasero a guardarsi negli occhi, come se riuscissero a scorgervi qualcosa che non poteva essere detto a parole, ma poi sentirono il fischio di un microfono e una voce amplificata, e quella specie di connessione fu spezzata. Si voltarono entrambi verso il palco, ritraendo le rispettive mani, mentre Mina si accingeva a presentare la commedia.
Fu strano, per Tessa: la vedeva sul palco e non sapeva con che occhi guardarla. Era stata lei a lasciarla fuori dal progetto, di proposito. Non vi erano altre spiegazioni; non era una commedia degli errori, quella, era la vita. Non ci sarebbe stato nessun malinteso da chiarire, alla fine, nessun equivoco risolto che avrebbe riportato le cose a come erano prima. 
 
Tessa scoprì che alla pièce originale erano stati apportati molti tagli – comprensibile, era pur sempre un’opera troppo lunga e complessa per un pubblico da piazza di un Summer Festival –, e che anche il numero dei personaggi era stato ridotto – ma allora non avrebbero potuto portarla in scena quando anche lei era nella compagnia? 
O forse era lei il problema? Aveva fatto qualcosa che involontariamente aveva offeso Mina o qualcuno degli attori? Sapeva di essersi sempre comportata bene, non era nella sua natura essere maleducata o scortese, e poi che motivo avrebbe avuto? Si trovava fra persone a cui voleva bene, con cui si trovava bene… forse qualche suo gesto, qualche sua parola erano stati male interpretati… ma la strada dell’autoaccusa era una strada pericolosa, e Tessa si costrinse a non continuare a percorrerla. 
Cercò di godersi lo spettacolo, di concentrarsi sul lato puramente artistico della faccenda, come se non fosse stata la sua ex compagnia, quella. Come se fosse stata una persona qualunque. 
Apprezzò alcuni cambiamenti alla trama, i costumi, la scenografia… ma non poté dire lo stesso di alcune scelte in fatto di attori. Sentì ghiacciarsi dentro quando vide entrare Sonia nei panni di Ermia – Ermia, la sua preferita, quella che lei avrebbe dovuto impersonare – e rovinare il personaggio fin dalla prima battuta – cinque parole, cinque dannatissime parole, ma dette con un piattume tale…
Ogni momento in cui lei fu sulla scena fu fiele per Tessa. Non riusciva a credere che non avessero trovato nessun’altra per quella parte, chiunque sarebbe stato migliore rispetto a Sonia, che alternava la totale mancanza di sentimento ad un’espressività forzata, con un’intonazione infantile e palesemente falsa che toglieva ogni magia ad un’opera che doveva esserne pervasa. 
Sentì il proprio cuore accelerare man mano che la sua scena preferita si avvicinava, conscia che sarebbe stata rovinata e temendo ciò che avrebbe sentito.
Sventura! Chi è troppo in alto non può legarsi a chi è in basso.
Avrebbe potuto fare di peggio? 
Dispetto! Chi è troppo vecchio non può unirsi a chi è giovane.

Intanto Tessa non si era accorta di star mimando anche lei parola per parola le battute di Ermia, che conosceva a memoria, con gli occhi lucidi fissi sulla scena, e gli occhi di Andrea fissi su di lei.
Inferno! Scegliere l’amore con gli occhi degli altri.

In quel momento percepì lo sguardo del ragazzo e si girò a incontrarlo. Si vedeva chiaramente che era curioso, ma lei scosse la testa come a volergli dire che non era nulla, e poi ritornò a seguire. 
Andava detto che per il resto la commedia era brillante. Maria era semplicemente perfetta come Titania e anche tutti gli altri erano bravi. Se Tessa si sforzava di non prestare troppa attenzione a Sonia e al martellante pensiero “avrei potuto essere là in mezzo”, poteva anche dire di starsi godendo la serata. Fu lieta però della pausa del primo atto: stava incominciando ad avere fame e anche un po’ di mal di testa, a furia di rimuginare e cercare di concentrarsi per seguire lo spettacolo.
«Interessante finora, no?» fu il commento di Andrea prima di alzarsi dalla sedia di plastica. «Io ho una fame da lupi, vado a prendere un panino al chioschetto. Ti va di farmi compagnia?» 
«Sicuro» rispose lei. «Ma promettimi di non guardarmi mentre mangio, è uno spettacolo imbarazzante». 
«Ah, no, adesso mi hai messo la curiosità!» 
«A tuo rischio e pericolo» rise lei.
Presero i panini e ritornarono ai loro posti, parlando del più e del meno. Fu abbastanza divertente: Andrea era quasi uno sconosciuto, ma nelle occasioni in cui si erano parlati avevano costruito un’intesa tale che Tessa si trovava molto più a suo agio con lui che con persone che conosceva da anni. Sentiva di potersi comportare con scioltezza, ridere con la sua risata naturale, stile strega, fare i salti mortali per riuscire a mangiare il suo panino pieno di salse senza sporcarsi, e sfoggiare il suo insolito sense of humor senza preoccuparsi di dover essere divertente per forza. Apprezzava davvero la sua compagnia e voleva sinceramente saperne di più su di lui, ora che finalmente poteva parlarci per più di due minuti.
Quando cominciò il secondo atto Tessa si voltò a malincuore: non voleva smettere di parlare con Andrea. 
 
Solo quando dovette battere le mani realizzò che lo spettacolo era finito. Doveva essere sincera: non aveva prestato granché attenzione al secondo atto, era stata distratta dal suo vicino. Spesso entrambi si erano girati a guardarsi, sorridendo senza un motivo, e le loro mani si erano come danzate intorno, avvicinandosi e ritraendosi, finché non si erano sfiorate e poi intrecciate. E Tessa aveva avuto per tutto il tempo la consapevolezza di quella mano calda nella sua, della presenza magnetica del ragazzo accanto a sé… era come se tutto ciò l’avesse riempita di adrenalina, rendendole difficile stare ferma e prestare attenzione alla commedia. 
Ma, alla sua conclusione, i due ragazzi dovettero separare le loro mani per applaudire. Poi venne il momento dei ringraziamenti, e dopo un ultimo scroscio di applausi tutti cominciarono ad alzarsi. 
 «Peccato che sia finita, eh?» le chiese Andrea.
«Mah, non saprei dirti, se devo essere sincera. Maria è stata grande, anche Antonio, ma per il resto...»
«Oh, ma io non intendevo per la recita in sé» ribatté lui ammiccando, e Tessa rispose arrossendo. «Quindi… è il Summer Festival, no? È tardi, ma potremmo andare un po’ in giro per la fiera, se ti va. Stare ancora un po’ insieme» propose.
«Io, uhm… dovrei salutare gli attori, a dire il vero». L’espressione di Andrea si fece da speranzosa a rassegnata. Pensava che fosse una scusa per liberarsi di lui? «Ti va di accompagnarmi? E poi possiamo andare a farci quel giro». A quelle parole Tessa lo vide rianimarsi, non senza divertirsi un po’. 
«Certo. E poi non sarebbe carino non fare un salto dietro le quinte. È dove ci siamo conosciuti».
«E dove abbiamo continuato a incontrarci. Effettivamente è l’unico posto in cui ci siamo mai visti, prima di stasera» continuò Tessa mentre si incamminavano. 
«Ah, la magia del teatro» sospirò Andrea con aria scherzosamente sognante.
«Non sono proprio sicura che sia questo ciò che si intenda, ma penso che possiamo ampliare la definizione» rispose lei, stando al gioco. E… oddio, stava flirtando? Quello si poteva definire flirtare?
«È come quella leggenda cinese, quella del filo rosso. A quanto pare siamo due persone che sono destinate a incontrarsi». Andrea la guardò negli occhi.
«A quanto pare» rispose lei con un filo di voce, a malapena rendendosi conto di stare parlando, presa dallo sguardo dell’altro.
Ci sono momenti e momenti. I primi sono privi di significato, scorrono gli uni sugli altri come granelli di sabbia in una clessidra, che contano solo quando sono ammucchiati tutti insieme. Ma i secondi hanno tutto un altro peso. Sono attimi infiniti, in cui il tempo si dilata, forse smette di scorrere, forse cessa di esistere. Li puoi sentire, quei momenti, li avverti come una tensione nello stomaco, come una pressione intorno al cuore, come un’elettricità nell’aria.
Ecco, quello era uno di quei momenti.
Tessa avvertiva impalpabilmente quello che sarebbe accaduto, come quando un bicchiere ti sfugge di mano e sai come conseguenza automatica che si romperà al suolo. Trattenne il respiro e aspettò l’impatto – che sarebbe stato morbido – ma non avvenne nulla, perché il momento passò, scivolò dal cono superiore della clessidra a quello inferiore dopo aver danzato in bilico sull’orlo dell’imbuto, infranto dalla voce entusiasta di Maria che la chiamava.
«Tessa, sei venuta!»
I due ragazzi si allontanarono – quando si erano avvicinati così tanto? – e Tessa sorrise un po’ frastornata alla sua amica.
«Non mi sarei persa la tua Titania per nulla al mondo» le rispose, abbracciandola forte. «Complimenti, sei stata bravissima».
«Grazie! Oddio, ero così agitata prima di iniziare, mi tremavano le ginocchia e non sapevo neanche se sarei riuscita a stare in piedi sul palco. Sembravo te al nostro primo spettacolo». Maria continuò a parlare quasi senza prendere fiato, elencandole tutte le parti in cui credeva di aver toppato e quelle invece in cui sapeva di aver dato il meglio, con un brillio negli occhi ed un’eccitazione post-spettacolo che Tessa conosceva bene. La lasciò parlare e la guardò con un sorriso un po’ affettuoso e un po’ malinconico. Solo dopo un po’ Maria si accorse di chi accompagnava la sua amica.
«Oh, ciao. Voi due siete venuti insieme?» chiese con la sua migliore espressione da volpe.
«No, a dire il vero ci siamo solo...»
«...incontrati» dissero all’unisono. Si guardarono.
«Come ogni anno» aggiunse Andrea.
«Mh-mh» annuì Maria, guardando divertita dall’una all’altro. Poi prese Tessa per mano e la trascinò con sé. «Devi venire a salutare gli altri, saranno felicissimi di vederti. Si erano chiesti dove fossi finita».
«Davvero?» commentò lei a voce non abbastanza alta da essere udita.
Come Maria aveva detto, tutti la salutarono con un caloroso abbraccio e con un sorriso sincero, persino Sonia. La sommersero letteralmente di domande, radunati intorno a lei. Tessa rispose frettolosamente a tutti, distribuendo complimenti tanto a chi aveva recitato quanto a chi si era occupato dei costumi e della scenografia, e apprezzando l’essere di nuovo in compagnia dei suoi amici teatranti, anche se per pochi momenti. 
«Ma perché ci hai abbandonati quest’anno?» chiese Angela, la costumista, e con la sua aria da mamma volpe degna pari di Maria, riuscì a far suonare quella domanda contemporaneamente noncurante, scherzosa e come un rimprovero.
Tessa aprì la bocca non sapendo neanche lei cosa avrebbe detto, ma prima che potesse parlare, Mina – avvicinatasi improvvisamente e silenziosamente – rispose per lei.
«A dire il vero quella è stata colpa mia» disse sbrigativamente e con un gesto della mano che voleva esprimere noncuranza. Come se fosse tutto a posto. «Sapevo che Tessa avrebbe avuto l’esame di maturità quest’anno. E il liceo classico non è facile, così non ti ho detto nulla, non volevo distrarti dallo studio».
Anche Maria aveva affrontato la maturità come lei, ma nessuno lo fece notare. Anche gli altri anni Tessa aveva frequentato il liceo classico e aveva sempre trovato il tempo per la compagnia teatrale, ma non lo disse. Annuì come se si fosse bevuta quella scusa, anche se la sua espressione diceva chiaramente il contrario, e nessuno commentò. Forse un’altra persona avrebbe ribadito come stavano le cose, forse un’altra persona avrebbe almeno risposto con una battuta sarcastica – scherzando scherzando sai quante volte ho detto la verità! – ma Tessa era Tessa, non era la persona che riusciva a trovare una risposta pungente ed efficace quando era delusa. Era la ragazza a volte troppo timida anche solo per far sentire la propria voce, e benché si odiasse per questo, era quella che era. E si sentiva stanca di tutta quella faccenda, dopo esservisi arrovellata per mesi e per tutta la serata. Perciò lasciò semplicemente perdere, e fece di tutto per tornare da Andrea il prima possibile. 
Si sentì sollevata quando lo trovò ancora lì dove lei e Maria lo avevano lasciato. Aveva temuto che se ne fosse andato, o che fosse sparito nel nulla, proprio come un sogno di una notte di mezza estate.
 «Scusami, davvero, non volevo sparire così a lungo. È che non li vedevo da tanto tempo e...» sospirò. «Grazie di essere rimasto».
Lui alzò un sopracciglio. «Credevi che me ne sarei andato?»
«Lo so, sciocco, non è vero? Del resto abbiamo un… appuntamento?» le uscì come una domanda.
Andrea annuì, facendola sorridere di sollievo. «Quello e… credevi che sarebbero bastati dieci minuti di attesa per farmi desistere? In fondo, ho aspettato per quattro anni».
 
Mentre giravano per le strade disseminate di bancarelle si tennero per mano senza neanche rendersene conto, continuando a parlare di sé come avevano fatto durante lo spettacolo. Rimasero insieme incuranti del tempo che passava, rimasero anche quando si fece ancora più freddo e Andrea avvolse Tessa nella propria giacca, rimasero finché non furono le uniche persone per strada a parte i venditori ambulanti che mettevano a posto la propria roba, smontando gli stand. Loro due semplicemente non se ne accorsero, assorbiti nella loro bolla fuori dal mondo. Del resto era la prima vera occasione che avevano per stare insieme in quattro anni, ed entrambi se la volevano godere fino in fondo.
Alla fine però dovettero ritornare alla realtà e riconoscere che era arrivato il momento di separarsi. Andrea accompagnò Tessa sotto casa sua. 
«Ok, io sono arrivata» sospirò lei. «Non avevo realizzato che avessimo fatto così tardi» disse guardando l’orario sul cellulare.
«Quando sei con me il tempo vola» scherzò lui, me neanche troppo.
«Hai proprio ragione, ma credo che domani a volare saranno improperi da parte dei miei per essere tornata a casa quest’ora».
«Allora dovremmo fare in modo che ne sia valsa la pena, non credi?»
«Andrea, per il tempo che abbiamo passato insieme, per me ne è valsa la pena».
«Voglio solo assicurarmi che sia così» mormorò avvicinandosi. 
Tessa sentì il suo respiro solleticarle la pelle, vide come a rallentatore le sue mani carezzarla distrattamente e poi poggiarsi sulle sue guance. A quel punto le venne naturale protendersi in avanti e abbassare le palpebre, e da quel momenti non vide più, sentì: sentì la morbidezza delle labbra di Andrea sulle sue, sentì il respiro che veniva trattenuto, sentì una mano spostarsi dalla sua guancia al suo collo. All’inizio fu solo uno sfiorarsi di labbra, ma Tessa voleva di più. Perciò portò le mani sul petto di Andrea, afferrando e stringendo la sua maglia, come aggrappandosi a lui, e aprì le labbra in un invito ad approfondire quel bacio. La risposta del ragazzo non si fece attendere, e presto il semplice contatto divenne un gioco di lingue e respiri spezzati e braccia che cingevano corpi, stringendosi sempre di più.
Quando si separarono, sorridevano entrambi.
«Allora io vado» disse lei, ancora per metà nell’abbraccio di Andrea.
«Mh-mh» mormorò lui, ma intanto le tracciava il profilo con la punta del naso.
Alla fine riuscirono a separarsi, e Tessa a voltarsi per infilare le chiavi nella serratura, ma poi si ricordò di una cosa.
«Oh, la tua giacca. Tieni» e fece per togliersela, ma lui la fermò.
«Non importa, tienila tu. Così avrò una scusa per rivederti».
Lei sorrise e lo ringraziò. Si augurarono la buona notte – o buona mattina, da come uno voleva leggere l’orologio – e ancora una volta sembrò che Tessa dovette entrare dentro casa, tanto che l’altro si voltò e cominciò a incamminarsi, ma poi lei cambiò nuovamente idea.
«Andrea?» lo chiamò. Lui fece appena in tempo a voltarsi che lei si era già precipitata indietro, di nuovo fra le sue braccia. «Non hai bisogno di una scusa per rivedermi» gli disse prima di baciarlo nuovamente. 
Lui fece uno dei suoi sorrisi obliqui. «Speravo che lo dicessi».




Angolo Autrice: Ok, sono in un ritardo piuttosto imbarazzante, considerando che è febbraio e avrei dovuto mettere questo capitolo ad agosto. Ma, ehi, meglio tardi che mai, no? A mia discolpa posso solo dire che questo è stato il capitolo più difficile da scrivere per me, dal momento che molti dei sentimenti della protagonista li ho provati sulla mia pelle. E' stato il capitolo più personale e che più mi ha sfiancato emotivamente, e forse è stato meglio che io l'abbia abbandonato per poi riprenderlo a mente fredda, dopo aver affrontato dei cambiamenti importanti. All'inizio non riuscivo nemmeno a far ingranare le cose fra Andrea e Tessa, ma a distanza di mesi scrivere di loro due mi è risultato facile e scorrevole come non avrei mai sospettato. 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto quanto alla fine è piaciuto a me. Questa è la prima volta che riesco a concludere una storia a capitoli! *Suona l'Alleluja*
E qui apro una piccola parentesi, perché evidentemente ho un problema con le cose concluse. Quando ho iniziato a scrivere questa storia ne avevo in mente altre simili, incentrate sullo stesso tema: un amore che aspetta prima di sbocciare, vivendo solo di piccoli e fugaci incontri fra i protagonisti. Avevo in mente di farne una serie, ma rileggendo il regolamento di EFP ho visto che sarebbe più corretto creare una raccolta di one-shots. Quindi ho pensato di continuare a pubblicare qui, trasformando questa storia da mini-long a raccolta. Tutto questo per dire che per ora metterò l'avvertimento "Conclusa", ma quando avrò pronti i nuovi capitoli continuerò ad aggiornare, per cui se siete interessati non togliete questa storia dalle seguite. Oppure, se avete qualcosa in contrario, magari perché vi è piaciuta questa mini-long ma non avete intenzione di leggere altro di mio e preferireste che pubblicassi le altre storie separatamente, non esitate a farmelo sapere. 
Detto questo, ringrazio roncatella per aver inserito questa storia fra le preferite e Dreamy99Eli12 e martamurgia per averla inserita fra le seguite. Grazie per essere giunte fin qui; se aveste voglia di lasciare una recensione mi fareste felicissima.
Un bacio!

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