Slipping through my fingers

di SakiJune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wendell Granger ***
Capitolo 2: *** Alphard Black ***
Capitolo 3: *** Augusta Longbottom ***



Capitolo 1
*** Wendell Granger ***


SLIPPING THROUGH MY FINGERS



Questa raccolta di tre one-shot partecipa alla V Disfida del sito Criticoni. Ognuna di esse è dedicata a un personaggio diverso della saga di HP, con un filo conduttore: qualcuno della loro famiglia sta per iniziare il suo primo anno scolastico a Hogwarts. Il titolo della raccolta è quello dell'omonima canzone degli ABBA, che vi consiglio di ascoltare mentre leggete questo primo capitolo (o dopo, o prima, come vi va!).
Ora dunque sapete quale progetto mi aveva tenuta lontana finora... e spero che il risultato sia decoroso.

Sempre vostra,

Saki




WENDELL GRANGER


Quando la sua segretaria, la signorina White - tacco basso e caschetto odoroso di lacca: se mai si era sentito sbandare al suo passaggio, era appunto per quell'asfissiante tanfo della sua chioma - gli aveva comunicato qual era il suo ultimo appuntamento della giornata, il dottore aveva tirato un sospiro di sollievo. Ravn Eckert era uno dei suoi pazienti più affezionati. Ora, perché un dentista crei un buon rapporto con il paziente che ha tra le mani, bisogna che si stabiliscano delle sane regole: niente svenimenti alla vista del trapano, niente piagnistei o smorfie degne di un film dell'orrore. Il paziente ideale sarebbe, in definitiva, un fantoccio di legno con i denti, che al momento di pagare, però, sia in grado di aprire il portafoglio con gratitudine, sfoderando quel nuovo sorriso che hai contribuito a creare.
Il signor Eckert era proprio quel tipo di persona. Si adagiava mollemente sul lettino e ti lasciava fare, pacifico, fiducioso; si metteva così a suo agio che ti sentivi rilassato a tua volta.
Non bisogna pensare che dormisse, però. Niente affatto, se ne stava bello sveglio fino alla fine, con il suo sguardo blu fiordo e le mani grassocce abbandonate sui fianchi.

Era davvero una benedizione che fosse lui l'ultimo, quel giorno. Non era mica un giorno come tutti gli altri.

La sua maestra delle elementari gli diceva sempre: "Wendell, tu sei troppo nervoso. Ti mangi le unghie, sgranocchi schifezze durante la lezione ma non ingrassi mai, non stai fermo nel banco. Ho idea che quando sarai grande il tuo lavoro sarà rendere nervosi gli altri". Per anni si era immaginato un futuro dietro una scrivania, puntando una luce accecante su spie e terroristi per far confessare loro orribili malefatte. Niente di più simile, in verità: la lampadina che portava sulla fronte inquietava parecchio.

"Dica la verità, abbiamo mangiato dolci negli ultimi quindici giorni?"

E anche il suo simil-interrogatorio mellifluo e altamente colpevolizzante.

"Hmph gno, zottor Granzzer, shi, una o due..."

"Caramelline per la gola! Fingono di non metterci zucchero, come dico sempre a mia figlia-"

Il signor Eckert aveva un brutto sapore in bocca a causa dell'anestesia locale, ma quello che sentì Wendell, non appena ebbe pronunciato quelle parole, fu ancora più amaro.
Il sapore doloroso del distacco, del vuoto. Una voce che gli sarebbe mancata al suo ritorno a casa, due braccia che non l'avrebbero stretto augurandogli la buonanotte, un respiro in meno al di là del muro.


"Signore e signora Granger, voi già sapete che la vostra Hermione è una ragazzina speciale."
Lui e Monica si erano guardati, arrossendo. L'orgoglio che provavano cedeva terreno, a tratti, alla legittima preoccupazione.
"Ci prenderemo cura di lei per i prossimi sette anni... imparerà a controllare e utilizzare i suoi poteri al meglio, perché ciò che per voi Babbani è strano e anormale, per noi maghi è il minimo indispensabile. Non siete obbligati ad accettare di farle frequentare la nostra scuola, ma in quel caso sareste, come dite voi... marcati molto stretti, perché sia rispettato il vincolo di segretezza."
Hermione aveva spalancato gli occhi e il suo sorriso aveva comunicato loro una cosa sola: "Desidero andarci, con tutta me stessa".


Potevi lasciarci almeno un pezzettino di te, piccola. Qualcosa di più di un poster sulla parete e qualche vestito nell'armadio.



"Si sciacqui la bocca... sputi... perfetto. Lei ha figli, signor Eckert?"
L'altro si stiracchiò e scese dal lettino, riaggiustandosi il colletto della camicia che usciva dal golfino stropicciato. - Non ho questo piacere, sono scapolo. - Parlava lentamente, a causa dell'anestesia, ma quel modo di sillabare le frasi sembrava divertirlo. "Qualche guaio in famiglia, dottore?"

Sì, mia figlia è un'apprendista strega ed è appena partita per la scuola di magia, pensò Wendell, ma naturalmente non poteva uscirsene in quel modo. Bisognava fare attenzione, costruire una verità parallela e abbastanza simile all'originale.

"Oh, no, al contrario!" rispose Wendell con falsa allegria: "La mia bambina è stata ammessa ad un collegio molto esclusivo, e oggi l'ho accompagnata alla stazione. Era davvero entusiasta, sa? Hermione adora studiare, sta sempre sui libri dal giorno che ha imparato a leggere. Era inevitabile che le dessero la borsa di studio, e siamo davvero felici per lei, però, capisce..."
"Capisco."
Detto da uno che poco prima aveva dichiarato di non essere genitore, sarebbe dovuto sembrare strano. Ma quello sguardo blu era sincero. Capiva.
"Anche mia sorella Mette andò in collegio a undici anni, e non ne uscì più. Diventò insegnante della scuola, vede, a Reykjavik. Non ci siamo più incontrati da allora." Si stropicciò le guance nel tentativo di riattivare la sensibilità. "Ma tornerà a casa per le vacanze, sua figlia, spero?"
Wendell sembrò rianimarsi tutt'ad un tratto: "Certo, oh sì, per Natale! Ma mi sembra un'eternità, ecco. Oh, basta lamentarsi. Per il prossimo appuntamento che ne dice... signorina White!"

La ragazza si affacciò, l'agenda già in mano. "C'è un buco esattamente tra due settimane, lunedì 16 alle sei. Al signore va bene?" Al cenno affermativo di Eckert, si eclissò nuovamente, portando con sé quella nauseante scia di lacca.

"Hermione ha un libro che parla della storia di quell'istituto. Pare sia un edificio molto antico e curioso... dal punto di vista architettonico. Spero solo che il riscaldamento sia moderno. C'è sempre tanta umidità, in quei posti, e già l'anno scorso ha avuto una brutta tonsillite."
Il suo paziente aggrottò le sopracciglia e parve più interessato che mai; non mise subito mano al portafoglio né andò a riprendersi il cappotto. Rimase a fissarlo, continuando a massaggiarsi la corta barba bionda.
"Come si chiama questa scuola, dottore?"
Wendell sentì un brivido percorrergli la schiena e tirò fuori un fazzoletto dalla tasca del camice per asciugarsi le mani, improvvisamente sudate. "Ma guarda, non mi ero accorto di quanto si sia fatto tardi! Monica... mia moglie deve essere già a casa a quest'ora, dobbiamo cenare. Ci vediamo tra due settimane, signor Eckert."
Aveva teso la mano per congedarlo, ma quello sguardo si era tinto di una divertita complicità.

"Non sarà mica quel nome che comincia per acca?"

Il dottor Granger riprese a respirare. Chinò la testa e sentì il sollievo distendergli i muscoli contratti.
Portò le spalle in avanti e bisbigliò: "Lei sa di Hogwarts?"
Era diventato chiaro che si sarebbero fatti compagnia ancora per un poco, quella sera.

Quando Monica provò a chiamarlo, il telefono dello studio squillò a vuoto. La cena si raffreddava sui fornelli mentre Wendell era in un pub a tre isolati di distanza ascoltando una storia molto più triste della sua.
La storia di una giovane strega di nome Mette Eckert che aveva voltato le spalle alla sua famiglia Babbana.
"Ma non sono capace di fargliene una colpa, capisce: se mio padre non l'avesse trattata come un chissà quale fenomeno, forse non avrebbe deciso di tagliare i ponti in questo modo... credo che il segreto sia la naturalezza, saper far convivere di due mondi paralleli che, talvolta, si sfiorano. Siete fortunati a vivere in Inghilterra... dopotutto, per quanto ne so, Hogwarts ha regole più giuste e flessibili rispetto a Coldwitch, dove finì mia sorella."
Wendell ebbe un brivido. Non voleva che Hermione diventasse un'estranea per loro. Lui e Monica l'avevano desiderata, concepita e attesa con amore, e sognavano di accompagnarla nella sua crescita ancora per molti anni.

"C'è una sola cosa che può fare, dottore: resti se stesso, e sua figlia farà altrettanto. O almeno, ci proverà."



Durante la strada di ritorno, Wendell prese a fischiettare lentamente, modulando ogni nota con finta noncuranza. Socchiuse gli occhi e rivide Hermione a King's Cross, con il suo baule pieno di strani arnesi e libri di formule magiche.
Era speciale.
Ma era sempre stata speciale, ai suoi occhi. Quando aveva imparato a parlare e camminare, nel completino da danza, alla recita scolastica; e poi quella mattina, mentre spariva nel binario fantasma... restava la sua bambina con gli occhi curiosi di tutto.

Arrivederci a Natale.


"Arrivederci, piccola mia."




***

Note:

- I nomi dei genitori di Hermione sono una mia supposizione basata sul fatto che lei stessa, nel settimo libro, modifichi la loro memoria in modo che credano di chiamarsi Wendell e Monica Wilkins. Ho pensato che fosse stato più semplice, per Hermione, cambiare soltanto il cognome. Senza contare che il nome Wendell mi piace tantissimo...
- Devo molto dell'ispirazione per questa storia a Lars Von Trier e alla visione del suo film "Il Grande Capo", anche se non c'entra nulla con questa storia, a parte un paio di nomi. Mi sembrava giusto, inoltre, che la scuola di magia danese si trovasse in Islanda. Una specia di rivalsa...

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Capitolo 2
*** Alphard Black ***


ALPHARD BLACK



È di nuovo settembre, e l'afa ha smesso di tormentare le tue notti solitarie. Hampstead è silenziosa fuori dalla finestra aperta, gli alberi indifesi ad aspettare il vento che li spoglierà. Ma un'altra noia ti gira in capo, stamattina... ti sei svegliato con un presentimento e non riesci a mandarlo via, non vuoi mandarlo via.

Ti trascini per le stanze alla ricerca di un indizio che possa far luce su quest'inquietudine - un Molliccio nascosto sotto il letto, forse, o un Dissennatore fuggito da Azkaban che stanotte si è cibato della tua voglia di vivere...

Eppure lo senti, Dissennatore o no: un sospetto, un timore... una speranza.
Ecco perché ti fa così paura!
La speranza che una tradizione secolare cambi d'improvviso è più spaventosa di un drago a dieci teste, è come distruggere i muri portanti di un castello, con il pensiero rivolto ai timidi fiori che nasceranno tra le rovine.

Strofinandoti le guance e le basette ispide davanti allo specchio, hai alzato lo sguardo e ti sei scoperto stanco. Stanco di mentire, di sorridere, di presenziare ai ricevimenti di tuo fratello, tutto fiero delle sue tre... due belle figliole.
Sei sulle soglie dei quarantacinque: vecchio, per un membro della tua illustre famiglia dal sangue puro ma fragile; vecchio e strambo e solo. Ma per carità, non vorresti essere al posto di Cygnus, il piccolo di casa dalle smorfiette ipocrite, né tantomeno di Wallie, l'isterica, fanatica sorella maggiore a cui un tempo sbirciavi sotto le gonne:

"Se mi chiami Wallie un'altra volta, non ti faccio più vedere i ragazzi! Dopotutto hai un pessimo ascendente su di loro, Alphard".

Tu sei tu, e se hai qualche rimpianto non è di certo in quella direzione. Al contrario, semmai.


Dopo cinque anni, è di nuovo tempo di scuola per un giovane Black: oggi tocca a Sirius. E fremi dall'impazienza, vorresti essere su quel treno e condividere con lui l'emozione di questo primo giorno, ammetti a te stesso chiudendoti la porta alle spalle e incamminandoti per il viale rinfrescato dall'aria notturna. Vorresti assistere al suo smistamento e scoprire se davvero da oggi le fondamenta dell'idiozia cominceranno a cedere.
Scuoti la testa seguendo le tracce del sogno che ormai non ti dà pace - e l'eccitazione ti dona un impercettibile fremito di risa.

Lui sarebbe dovuto nascere figlio tuo.
Ti sei sempre sentito a disagio con le... due bambine di Cygnus, altezzose nei loro vestitini dai colori pastello così come in abito da sposa - non hai mai capito le donne, dopotutto - ma quel ragazzino ti va a genio eccome. Non ha negli occhi la ferocia malcelata di Bella o l'elegante rassegnazione di Cissy; Sirius somiglia a quella che non bisogna nominare... che ha trovato il coraggio di prendere un'altra strada. Ti viene il dubbio che forse per una ragazza, al contrario di come possa sembrare, sia più semplice; trovare rifugio tra le braccia di un uomo che amava davvero, che solo lei ha scelto... è stato sì un segno di forza, ma non ha cambiato di una virgola il futuro della famiglia.

Invece, se Sirius... se fosse lui a fare la differenza... se oggi avverrà il miracolo, imparerà a guardare tutto ciò che gli sta attorno da una prospettiva diversa! Sarà un uomo, e non si dovrà appoggiare a qualcuno, sarà libero e rischierà davvero il tutto per tutto. Questa è la speranza che hai, il nuovo che ti spaventa e che non hai saputo o voluto incarnare.


All'ora di pranzo sei al parco come ogni giorno, sole o pioggia. È l'unico posto dove non ti rattrista buttar giù qualcosa. Ti è sempre andato a genio il verde - non quello sulla tua divisa di Hogwarts, beninteso...
Grimmauld Place non ha un giardino, e questo ti ha sempre sconcertato. Non ha stanze ariose e dalle finiture delicate, come la villa di Cygnus e Druella; è buia e inospitale, del tutto inadatta per due ragazzi vivaci e intelligenti come Sir e Reg. Va bene, nemmeno il tuo appartamento nella periferia di Londra è particolarmente grande o luminoso, ma l'hai comprato così perché non hai una famiglia tua, e per la vita che fai ti basta e avanza.

Ma se il tuo sogno di gioventù si fosse avverato... allora sì che avresti una bella casa, e una moglie che ami, e figli di cui essere orgoglioso... e ora non passeresti per lo scapolone di famiglia, nessuno ti additerebbe come misantropo e stravagante. Saresti stato felice, molto più di Cygnus, sicuramente più di Orion, più di qualsiasi altro Black della tua generazione.
Semplicemente non hai avuto abbastanza coraggio. Te ne vergogni tanto, ma non puoi più tornare indietro: non sei riuscito a trovare la forza di ribellarti, di voltare le spalle allo stemma di famiglia e a tutto ciò che comportava - denaro incluso.

La cosa buffa è che non hai comunque la voglia e la fantasia di spenderli, quei tuoi galeoni. Qualcosa per riempire lo stomaco, un mantello nuovo all'anno, più no che sì. La pozione per la raucedine. E il Firewhisky.
Stasera un altro goccettino... facciamo due.
I ricordi fanno brutti scherzi, e anche l'attesa. Ma adesso, di più i ricordi.

Ti mordi le mani, ogni volta che la rivedi: è invecchiata anche lei, ma è bella come sempre, e ti rivolge un sorriso triste al di là del bancone del suo negozio di Hogsmeade. Hai da ripeterti che non ti avrebbero mai permesso di sposarla, altrimenti il tuo nome sarebbe stato cancellato dall'albero dei Black proprio come quello di suo padre Marius, che ebbe la sfortuna di nascere senza magia.
La verità è che sei stato un vigliacco, rinunciando al tuo vero amore.
Per questo hai così tanto rispetto di Andromeda - sì, quella di cui nessuno pronuncia più il nome - e speri in un futuro diverso per Sirius: un destino completamente diverso. Così rivoluzionario da far gridare Wallie di dolore e vergogna, perché è ciò che si merita, con il suo fanatismo insopportabile.

Puoi trovare soltanto una giustificazione alla tua debolezza... quel marchio che a undici anni ti ha instillato la certezza che la tua vita non sarebbe più potuta cambiare: il giudizio del Cappello Parlante.

Un giudizio scontato,

(o forse no?)

insindacabile,

(avrei voluto chiedere a quel cencio roso dalle tarme se davvero era ciò che aveva visto in me, ma Cygnus era stato così contento di vedermi arrivare al suo tavolo...)



"Gryffindor! Oh, poveri noi! Il disonore, il disonore!"

Inappellabile.
Per fortuna.

Con un sonoro crac, un elfo domestico che conosci fin troppo bene si è materializzato nel tuo soggiorno. Quell'espressione ansiosa e incredula rende il suo aspetto più disgustoso del solito, se possibile.
Fingi di non aver compreso i suoi strilli concitati, lo tieni a distanza pur curvandoti in avanti:
"Cosa mai succede, Kreacher? Mia sorella sta forse poco bene?"
Poco bene. Hai usato un sottile e perfido eufemismo, per descrivere lo stato d'animo di chi si sta strappando le viscere dalla rabbia.
"Il padroncino Sirius... ci ha disonorati... oh, la mia povera padrona! Che mai ha fatto per meritarsi una disgrazia simile?"

Lo congedi con poche parole di circostanza e la promessa di recarti a Grimmauld Place il mattino seguente. E quando l'elfo scompare, rimani a tu per tu con una gioia che in teoria non ti appartiene...
Si tratta di gestirla, di trattenerti e ripeterti che non sarà tutto rose e fiori, che tutto può ancora rivoltarsi contro di voi, che quel ragazzo sarà costretto a soffrire, e tanto, ma il pensiero di saperlo libero di scegliere è più forte, più grande, e abbandoni presto ogni freno. Per questa sera non esiste nient'altro che questa folle esaltazione - potresti persino correre in strada e danzare, ubriaco di whisky e di rivalsa.

Adesso ridi davvero, vecchio, pazzo sognatore, mentre i viali di Hampstead si accendono in una danza tremolante di luci, ridi e ti senti rinascere.

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Capitolo 3
*** Augusta Longbottom ***




AUGUSTA LONGBOTTOM




Il centrotavola era in verità un'enorme tentazione, e avevo diffidato Neville dal presentarsi in salotto.
Enid aveva promesso una visita per l'ora del tè insieme alla signora Macmillan, che non sopportava i "marmocchi" (parole sue), a meno che fossero pulitini e perfettini come suo nipote Ernest. Le tazze a fiorellini rosa e le fette di pane e burro erano per lei, le Api Frizzole nella ciotola blu erano per Enid.
Mia cognata, infatti, oltre ad essere distratta e a parlare in dialetto quando si sentiva ansiosa, era capace di mangiare una dozzina di dolcetti senza nemmeno chiedere ai presenti se ne gradissero qualcuno. Ma Enid poteva permettersi qualche stravaganza perché aveva sessantadue anni ed era sposata con il famoso nullafacente Algernon K. Byrne. Neville ne aveva dieci - undici, l'indomani - e aveva ancora tutto da dimostrare.
E poi gli si sarebbe rovinato l'appetito.

- Augusta, ci farebbe piacere se il tuo delizioso nipotino prendesse il tè con noi - disse Ethel quel pomeriggio, con mio grande stupore. Non aveva pronunciato la parola "marmocchio".
- È in camera sua? Salgo a chiamarlo... - si era offerta Enid, che non perdeva occasione per curiosare al piano di sopra.
Ero stata davvero sul punto di gridare "No!" e mi ero fermata in tempo, ma le guance dovevano essermi diventate viola. - Non è bene che stia ad ascoltare i discorsi degli adulti.
- Ma ci pensi, Augusta? Nemmeno tre anni fa stavi qui a preoccuparti che fosse nato senza poteri magici, e tra un mese sarà a Hogwarts. Con un po' di fortuna, lui e Ernest saranno...
Ma cos'era accaduto a Ethel Macmillan? Dov'era la donna scorbutica e altezzosa che conoscevo? Avevo forse messo troppo zucchero nel tè?
IIo però non ne avevo ancora bevuto nemmeno una goccia, e glielo dimostrai senza indugi.

- Sarebbe una buona cosa. Peccato che saranno sicuramente smistati in Case diverse, ed è difficile che abbiano l'occasione di fare amicizia - puntualizzai. La frase, tradotta in termini spiccioli, significava: "Il fatto che voi Macmillan abbiate una lunga tradizione in Hufflepuff non è certo disdicevole, ma vorrei rammentarti che i Longbottom vengono assegnati a Gryffindor da secoli".
Non avevo proprio gradito l'allusione: Neville non sarebbe diventato un Hufflepuff, era impossibile; non poteva che avanzare sotto gli stendardi rosso e oro di Godric, come Frank, Harold e Harfang prima di lui, come i Prewett, come i Byrne di cui io e Algernon eravamo gli ultimi discendenti.
Questa certezza che mi riempiva d'orgoglio e mi faceva tenere la testa alta davanti a tutti, per l'onestà e la trasparenza di una stirpe tanto gloriosa, sbiadivano in me quando mi trovavo sola con Neville.

Perché Neville non era Frank, e non sarebbe diventato come lui.
Un Gryffindor, sì, per tradizione e perché il Cappello Parlante avrebbe riconosciuto la grandezza del suo sangue, non in quanto puro, ma in quanto degno.
Un Gryffindor, ma non un Auror, meno che mai un membro dell'Ordine della Fenice.

La guerra era finita da tempo: non mi risollevava, questo pensiero? Non mi si allargava il cuore all'idea che avrebbe vissuto un'esistenza normale, senza rischiare la pelle ogni giorno? Non ci vuole un'intelligenza superiore alla media per farsi strada nel Mondo Magico, bastano qualche GUFO e un po' di fortuna. Persino io, all'esame di Incantesimi... già, persino io non sono stata una studentessa modello, ma a quei tempi una strega di buona famiglia non aveva bisogno di trovare lavoro al Ministero, c'era già un futuro preordinato davanti a me e un marito scelto dai miei genitori.
Mi venne da ridere al pensiero di Harold, così come l'avevo conosciuto a quindici anni, in occasione del fidanzamento: un ragazzino timido, con il viso tondo e gli occhi castani.
Un ragazzino a cui Neville somigliava molto, anche se tutti si ostinavano ad affermare che fosse il ritratto di Alice.

La risata mi si fermò in gola, insieme ad un sorso di tè. Strabuzzai gli occhi, affondando il viso nel tovagliolo e pregando che Ethel e Enid non se ne accorgessero.

Soffocavo.

Soffocavo perché quel liquido nemmeno più così caldo mi andava di traverso, mi bruciava i polmoni, soffocavo come Neville era quasi annegato al molo di Blackpool, per la fretta che avevamo tutti di progettare il suo futuro - oh follia! follia! 'ché quasi gliel'avevamo negato allora...
Soffocavo come Harold, l'inverno passato, sulla sua poltrona, borbottando improperi contro Rita Skeeter e le sue sbrodolate sull'infallibilità di Cornelius Fudge.

Enid continuava a far sparire con molta grazia le Api Frizzole, una dopo l'altra, e non certo magicamente. Nessuno si accorse del colore del mio viso che da paonazzo pian piano doveva essere tornato normale, mentre solo un poco di fastidio mi arrochiva ancora la voce:

- Spero che domani non piova - buttai lì tranquillamente. - Pensavamo di andare a Londra. Ora che abbiamo la lista dei libri non è il caso di rimandare, c'è sempre una tale confusione a Diagon Alley!

- Oh sì - confermò Ethel, il nasino fiero rivolto all'insù. - Tutti quei marmocchi, una vera seccatura.

Le tazze erano vuote, lo zucchero già disciolto in troppe abitudini. Un'elfa domestica le portò via e con esse l'ultima traccia di quella sensazione spiacevole alla gola...

- Sei proprio fortunata, Augusta, che Algernon non sia andato in Cile come aveva programmato. È una figura importante per il ragazzo, ora che tuo marito non c'è più.

Di nuovo un senso di ilarità che non potevo lasciar scoppiare, un senso di ridicolo insostenibile.
Se solo avessi potuto farlo!
Battere i pugni e gridare, non digrignare i denti e inghiottire...

Perché Harold non poteva soffrire Algie! Non lo guardava nemmeno in faccia, da quel giorno a Blackpool! Era l'unica persona che odiasse, a parte i Mangiamorte che avevano torturato nostro figlio... Perché lui avrebbe accettato senza problemi che Neville fosse un Magonò, e non lo avrebbe mai messo in pericolo!

Ma non potevo urlare quelle cose, e nemmeno sussurrarle, non davanti a Enid. Lei, in fondo, si era sposata per amore. Era rimasta una ragazzina, pazza per i dolci e per il suo maritino che la lasciava sola undici mesi all'anno, con la scusa di girare il mondo.
Harold invece c'era sempre stato, con le sue fossette buffe e gli occhi sereni, così presente e reale persino adesso, che mi sembrava di sentirlo ancora: "Augusta, non sei costretta ad indossare quel cappello per far piacere a mia madre. È un vero obbrobrio".
Ma io non ci sono costretta.
È il minimo del mio dovere, indossare l'unico regalo che quella gran... dama di Callidora Black mi abbia mai fatto - è un segno di distinzione. Anche se i marmocchi per strada ridacchiano.

Così, quando quel pomeriggio di luglio fu vinto dalle ombre lunghe che fanno languire ogni conversazione, salutai le mie ospiti - il centrotavola era vuoto, Enid non si era smentita - e rimasi per un po' in giardino. Non una foglia che si muovesse, non una nuvola che lasciasse presagire una rinfrescata a quell'aria afosa e alle piante assetate.
Pensavo all'indomani, alla lunga passeggiata per Diagon Alley e a tutte le cose che avrei dovuto comperare, e mi sentivo già stanca. Certo che avevo già vissuto quell'esperienza: pergamene, inchiostri colorati, un calderone e un gufo color pulce che si chiamava Morgause. Ma allora c'era Harold accanto a me, e Frank non era come Neville, non si chiudeva in camera a contare cartine di Bolle Bollenti, oh no, tutti ci invidiavano allora...
Scrollai il fazzoletto in aria e mi pulii il viso dal sudore, e se dentro c'erano delle lacrime, nessuno le avrebbe viste.

"Sii più indulgente con Nev. Sono sicuro che con il tempo dimostrerà di essere un mago degno del suo nome"

- Ne sono sicura anch'io, Harold - sussurrai al lieve soffio di brezza che mi aveva accarezzato dal nulla, e che sparì lasciandomi sola con la mia ombra distesa sull'erba.




***


Note:


- Il nome del nonno di Neville è inventato (in modo che fosse simile a Harfang, citato dalla Rowling nell'albero genealogico dei Black, e che ho supposto essere suo padre); così come sono frutto della mia fantasia il fatto che lo zio Algie sia fratello di Augusta e marito di zia Enid, e il personaggio di Ethel Macmillan, la nonna di Ernie.



Spero di essere riuscita a trasmettervi almeno un poco di ciò che ho cercato di instillare in questi personaggi.
Ringrazio l'amministrazione di Criticoni per aver indetto la Disfida a cui questa raccolta partecipa, la mia amica Livia per il suo onnipresente incoraggiamento e naturalmente le mie beta-readers: ladymarie, Caillean e Cerridwen.

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