Slipping through my fingers di SakiJune (/viewuser.php?uid=25189)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wendell Granger ***
Capitolo 2: *** Alphard Black ***
Capitolo 3: *** Augusta Longbottom ***
Capitolo 1 *** Wendell Granger ***
SLIPPING
THROUGH MY FINGERS
Questa raccolta di
tre one-shot partecipa alla V Disfida del sito Criticoni. Ognuna di esse è dedicata a
un personaggio diverso della saga di HP, con un filo conduttore:
qualcuno della loro famiglia sta per iniziare il suo primo anno
scolastico a Hogwarts. Il titolo della raccolta è quello dell'omonima
canzone degli ABBA, che vi consiglio di ascoltare mentre leggete questo
primo capitolo (o dopo, o prima, come vi va!).
Ora dunque sapete
quale progetto mi aveva tenuta lontana finora... e spero che il
risultato sia decoroso.
Sempre vostra,
Saki
WENDELL GRANGER
Quando la sua
segretaria, la signorina
White - tacco basso e caschetto odoroso di lacca: se mai si era
sentito sbandare al suo passaggio, era appunto per quell'asfissiante
tanfo della sua chioma - gli aveva comunicato qual era il suo ultimo
appuntamento della giornata, il dottore aveva tirato un sospiro di
sollievo. Ravn Eckert era uno dei suoi pazienti più affezionati.
Ora, perché un dentista crei un buon rapporto con il paziente che ha
tra le mani, bisogna che si stabiliscano delle sane regole: niente
svenimenti alla vista del trapano, niente piagnistei o smorfie degne
di un film dell'orrore. Il paziente ideale sarebbe, in definitiva, un
fantoccio di legno con i denti, che al momento di pagare, però, sia
in grado di aprire il portafoglio con gratitudine, sfoderando quel
nuovo sorriso che hai contribuito a creare.
Il signor Eckert era
proprio quel tipo di persona. Si adagiava mollemente sul lettino e ti
lasciava fare, pacifico, fiducioso; si metteva così a suo agio che
ti sentivi rilassato a tua volta.
Non bisogna pensare che
dormisse, però. Niente affatto, se ne stava bello sveglio fino alla
fine, con il suo sguardo blu fiordo e le mani grassocce abbandonate
sui fianchi.
Era davvero una benedizione che fosse lui
l'ultimo, quel giorno. Non era mica un giorno come tutti gli
altri.
La sua maestra delle elementari gli diceva sempre:
"Wendell, tu sei troppo nervoso. Ti mangi le unghie, sgranocchi
schifezze durante la lezione ma non ingrassi mai, non stai fermo nel
banco. Ho idea che quando sarai grande il tuo lavoro sarà rendere
nervosi gli altri". Per anni si era immaginato un futuro dietro
una scrivania, puntando una luce accecante su spie e terroristi per
far confessare loro orribili malefatte. Niente di più simile, in
verità: la lampadina che portava sulla fronte inquietava
parecchio.
"Dica la verità, abbiamo mangiato dolci negli
ultimi quindici giorni?"
E anche il suo
simil-interrogatorio mellifluo e altamente colpevolizzante.
"Hmph
gno, zottor Granzzer, shi, una o due..."
"Caramelline
per la gola! Fingono di non metterci zucchero, come
dico
sempre a mia figlia-"
Il signor Eckert aveva un brutto
sapore in bocca a causa dell'anestesia locale, ma quello che sentì
Wendell, non appena ebbe pronunciato quelle parole, fu ancora più
amaro.
Il sapore doloroso del distacco, del vuoto. Una voce che
gli sarebbe mancata al suo ritorno a casa, due braccia che non
l'avrebbero stretto augurandogli la buonanotte, un respiro in meno al
di là del muro.
"Signore e signora Granger, voi
già sapete che la vostra Hermione è una ragazzina speciale."
Lui
e Monica si erano guardati, arrossendo. L'orgoglio che provavano
cedeva terreno, a tratti, alla legittima preoccupazione.
"Ci
prenderemo cura di lei per i prossimi sette anni... imparerà a
controllare e utilizzare i suoi poteri al meglio, perché ciò che
per voi Babbani è strano e anormale, per noi maghi è il minimo
indispensabile. Non siete obbligati ad accettare di farle frequentare
la nostra scuola, ma in quel caso sareste, come dite voi... marcati
molto stretti, perché sia rispettato il vincolo di
segretezza."
Hermione aveva spalancato gli occhi e il
suo sorriso aveva comunicato loro una cosa sola: "Desidero
andarci, con tutta me stessa".
Potevi
lasciarci almeno
un pezzettino di te, piccola. Qualcosa di più di un poster sulla
parete e qualche vestito nell'armadio.
"Si sciacqui la bocca...
sputi... perfetto. Lei ha figli, signor Eckert?"
L'altro si
stiracchiò e scese dal lettino, riaggiustandosi il colletto della
camicia che usciva dal golfino stropicciato. - Non ho questo piacere,
sono scapolo. - Parlava lentamente, a causa dell'anestesia, ma quel
modo di sillabare le frasi sembrava divertirlo. "Qualche guaio
in famiglia, dottore?"
Sì, mia figlia è
un'apprendista strega ed è appena partita per la scuola di magia,
pensò Wendell, ma naturalmente non poteva uscirsene in quel modo.
Bisognava fare attenzione, costruire una verità parallela e
abbastanza simile all'originale.
"Oh, no, al contrario!"
rispose Wendell con falsa allegria: "La mia bambina è stata
ammessa ad un collegio molto esclusivo, e oggi l'ho accompagnata alla
stazione. Era davvero entusiasta, sa? Hermione adora studiare, sta
sempre sui libri dal giorno che ha imparato a leggere. Era
inevitabile che le dessero la borsa di studio, e siamo davvero felici
per lei, però, capisce..."
"Capisco."
Detto da
uno che poco prima aveva dichiarato di non essere genitore, sarebbe
dovuto sembrare strano. Ma quello sguardo blu era sincero.
Capiva.
"Anche mia sorella Mette andò in collegio a undici
anni, e non ne uscì più. Diventò insegnante della scuola, vede, a
Reykjavik. Non ci siamo più incontrati da allora." Si
stropicciò le guance nel tentativo di riattivare la sensibilità.
"Ma tornerà a casa per le vacanze, sua figlia, spero?"
Wendell
sembrò rianimarsi tutt'ad un tratto: "Certo, oh sì, per
Natale! Ma mi sembra un'eternità, ecco. Oh, basta lamentarsi. Per il
prossimo appuntamento che ne dice... signorina White!"
La
ragazza si affacciò, l'agenda già in mano. "C'è un buco
esattamente tra due settimane, lunedì 16 alle sei. Al signore va
bene?" Al cenno affermativo di Eckert, si eclissò nuovamente,
portando con sé quella nauseante scia di lacca.
"Hermione
ha un libro che parla della storia di quell'istituto. Pare sia un
edificio molto antico e curioso... dal punto di vista architettonico.
Spero solo che il riscaldamento sia moderno. C'è sempre tanta
umidità, in quei posti, e già l'anno scorso ha avuto una brutta
tonsillite."
Il suo paziente aggrottò le sopracciglia e
parve più interessato che mai; non mise subito mano al portafoglio
né andò a riprendersi il cappotto. Rimase a fissarlo, continuando a
massaggiarsi la corta barba bionda.
"Come si chiama questa
scuola, dottore?"
Wendell sentì un brivido percorrergli la
schiena e tirò fuori un fazzoletto dalla tasca del camice per
asciugarsi le mani, improvvisamente sudate. "Ma guarda, non mi
ero accorto di quanto si sia fatto tardi! Monica... mia moglie deve
essere già a casa a quest'ora, dobbiamo cenare. Ci vediamo tra due
settimane, signor Eckert."
Aveva teso la mano per congedarlo,
ma quello sguardo si era tinto di una divertita complicità.
"Non
sarà mica quel nome che comincia per acca?"
Il dottor
Granger riprese a respirare. Chinò la testa e sentì il sollievo
distendergli i muscoli contratti.
Portò le spalle in avanti e
bisbigliò: "Lei sa di Hogwarts?"
Era diventato chiaro
che si sarebbero fatti compagnia ancora per un poco, quella
sera.
Quando Monica provò a chiamarlo, il telefono dello
studio squillò a vuoto. La cena si raffreddava sui fornelli mentre
Wendell era in un pub a tre isolati di distanza ascoltando una storia
molto più triste della sua.
La storia di una giovane strega di
nome Mette Eckert che aveva voltato le spalle alla sua famiglia
Babbana.
"Ma non sono capace di fargliene una colpa, capisce:
se mio padre non l'avesse trattata come un chissà quale fenomeno,
forse non avrebbe deciso di tagliare i ponti in questo modo... credo
che il segreto sia la naturalezza, saper far convivere di due mondi
paralleli che, talvolta, si sfiorano. Siete fortunati a vivere in
Inghilterra... dopotutto, per quanto ne so, Hogwarts ha regole più
giuste e flessibili rispetto a Coldwitch, dove finì mia
sorella."
Wendell ebbe un brivido. Non voleva che Hermione
diventasse un'estranea per loro. Lui e Monica l'avevano desiderata,
concepita e attesa con amore, e sognavano di accompagnarla nella sua
crescita ancora per molti anni.
"C'è una sola cosa che
può fare, dottore: resti se stesso, e sua figlia farà altrettanto.
O almeno, ci proverà."
Durante la strada di
ritorno, Wendell prese a fischiettare lentamente, modulando ogni nota
con finta noncuranza. Socchiuse gli occhi e rivide Hermione a King's
Cross, con il suo baule pieno di strani arnesi e libri di formule
magiche.
Era speciale.
Ma era sempre stata speciale, ai
suoi occhi. Quando aveva imparato a parlare e camminare, nel
completino da danza, alla recita scolastica; e poi quella mattina,
mentre spariva nel binario fantasma... restava la sua bambina con gli
occhi curiosi di tutto.
Arrivederci
a Natale.
"Arrivederci, piccola
mia."
***
Note:
- I nomi dei genitori di
Hermione sono una mia supposizione basata sul fatto che lei stessa,
nel settimo libro, modifichi la loro memoria in modo che credano di
chiamarsi Wendell e Monica Wilkins. Ho pensato che fosse stato più
semplice, per Hermione, cambiare soltanto il cognome. Senza contare
che il nome Wendell mi piace tantissimo...
- Devo molto
dell'ispirazione per questa storia a Lars Von Trier e alla visione
del suo film "Il Grande Capo", anche se non c'entra nulla
con questa storia, a parte un paio di nomi. Mi sembrava giusto,
inoltre, che la scuola di magia danese si trovasse in Islanda. Una
specia di rivalsa...
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Capitolo 2 *** Alphard Black ***
ALPHARD BLACK
È di nuovo
settembre, e l'afa ha
smesso di tormentare le tue notti solitarie. Hampstead è silenziosa
fuori dalla finestra aperta, gli alberi indifesi ad aspettare il
vento che li spoglierà. Ma un'altra noia ti gira in capo,
stamattina... ti sei svegliato con un presentimento e non riesci a
mandarlo via, non vuoi mandarlo via.
Ti trascini per le
stanze alla ricerca di un indizio che possa far luce su
quest'inquietudine - un Molliccio nascosto sotto il letto, forse, o
un Dissennatore fuggito da Azkaban che stanotte si è cibato della
tua voglia di vivere...
Eppure lo senti, Dissennatore o no: un
sospetto, un timore... una speranza.
Ecco perché ti fa così
paura!
La speranza che una tradizione secolare cambi d'improvviso
è più spaventosa di un drago a dieci teste, è come distruggere i
muri portanti di un castello, con il pensiero rivolto ai timidi fiori
che nasceranno tra le rovine.
Strofinandoti le guance e le
basette ispide davanti allo specchio, hai alzato lo sguardo e ti sei
scoperto stanco. Stanco di mentire, di sorridere, di presenziare ai
ricevimenti di tuo fratello, tutto fiero delle sue tre... due
belle figliole.
Sei sulle soglie dei quarantacinque: vecchio, per
un membro della tua illustre famiglia dal sangue puro ma fragile;
vecchio e strambo e solo. Ma per carità, non vorresti essere al
posto di Cygnus, il piccolo di casa dalle smorfiette ipocrite, né
tantomeno di Wallie, l'isterica, fanatica sorella maggiore a cui un
tempo sbirciavi sotto le gonne:
"Se mi chiami Wallie
un'altra volta, non ti faccio più vedere i ragazzi! Dopotutto hai un
pessimo ascendente su di loro, Alphard".
Tu sei tu, e
se hai qualche rimpianto non è di certo in quella direzione. Al
contrario, semmai.
Dopo cinque anni, è di nuovo tempo di
scuola per un giovane Black: oggi tocca a Sirius. E fremi
dall'impazienza, vorresti essere su quel treno e condividere con lui
l'emozione di questo primo giorno, ammetti a te stesso chiudendoti la
porta alle spalle e incamminandoti per il viale rinfrescato dall'aria
notturna. Vorresti assistere al suo smistamento e scoprire se davvero
da oggi le fondamenta dell'idiozia cominceranno a cedere.
Scuoti
la testa seguendo le tracce del sogno che ormai non ti dà pace - e
l'eccitazione ti dona un impercettibile fremito di risa.
Lui
sarebbe dovuto nascere figlio tuo.
Ti sei sempre sentito a disagio
con le... due bambine di Cygnus, altezzose nei loro
vestitini
dai colori pastello così come in abito da sposa - non hai mai capito
le donne, dopotutto - ma quel ragazzino ti va a genio eccome. Non ha
negli occhi la ferocia malcelata di Bella o l'elegante rassegnazione
di Cissy; Sirius somiglia a quella che non bisogna
nominare...
che ha trovato il coraggio di prendere un'altra strada. Ti viene il
dubbio che forse per una ragazza, al contrario di come possa
sembrare, sia più semplice; trovare rifugio tra le braccia di un
uomo che amava davvero, che solo lei ha scelto... è stato sì un
segno di forza, ma non ha cambiato di una virgola il futuro della
famiglia.
Invece, se Sirius... se fosse lui a fare la
differenza... se oggi avverrà il miracolo, imparerà a guardare
tutto ciò che gli sta attorno da una prospettiva diversa! Sarà un
uomo, e non si dovrà appoggiare a qualcuno, sarà libero e rischierà
davvero il tutto per tutto. Questa è la speranza che hai, il nuovo
che ti spaventa e che non hai saputo o voluto incarnare.
All'ora
di pranzo sei al parco come ogni giorno, sole o pioggia. È l'unico
posto dove non ti rattrista buttar giù qualcosa. Ti è sempre andato
a genio il verde - non quello sulla tua divisa di Hogwarts,
beninteso...
Grimmauld Place non ha un giardino, e questo ti ha
sempre sconcertato. Non ha stanze ariose e dalle finiture delicate,
come la villa di Cygnus e Druella; è buia e inospitale, del tutto
inadatta per due ragazzi vivaci e intelligenti come Sir e Reg. Va
bene, nemmeno il tuo appartamento nella periferia di Londra è
particolarmente grande o luminoso, ma l'hai comprato così perché
non hai una famiglia tua, e per la vita che fai ti basta e
avanza.
Ma se il tuo sogno di gioventù si fosse avverato...
allora sì che avresti una bella casa, e una moglie che ami, e figli
di cui essere orgoglioso... e ora non passeresti per lo scapolone di
famiglia, nessuno ti additerebbe come misantropo e stravagante.
Saresti stato felice, molto più di Cygnus, sicuramente
più
di Orion, più di qualsiasi altro Black della tua
generazione.
Semplicemente non hai avuto abbastanza coraggio. Te
ne vergogni tanto, ma non puoi più tornare indietro: non sei
riuscito a trovare la forza di ribellarti, di voltare le spalle allo
stemma di famiglia e a tutto ciò che comportava - denaro
incluso.
La cosa buffa è che non hai comunque la voglia e la
fantasia di spenderli, quei tuoi galeoni. Qualcosa per riempire lo
stomaco, un mantello nuovo all'anno, più no che sì. La pozione per
la raucedine. E il Firewhisky.
Stasera un altro goccettino...
facciamo due.
I ricordi fanno brutti scherzi, e anche l'attesa. Ma
adesso, di più i ricordi.
Ti mordi le mani, ogni volta che la
rivedi: è invecchiata anche lei, ma è bella come sempre, e ti
rivolge un sorriso triste al di là del bancone del suo negozio di
Hogsmeade. Hai da ripeterti che non ti avrebbero mai permesso di
sposarla, altrimenti il tuo nome sarebbe stato cancellato dall'albero
dei Black proprio come quello di suo padre Marius, che ebbe la
sfortuna di nascere senza magia.
La verità è che sei stato un
vigliacco, rinunciando al tuo vero amore.
Per questo hai così
tanto rispetto di Andromeda - sì, quella di cui nessuno pronuncia
più il nome - e speri in un futuro diverso per Sirius: un destino
completamente diverso. Così rivoluzionario da far
gridare
Wallie di dolore e vergogna, perché è ciò che si merita, con il
suo fanatismo insopportabile.
Puoi trovare soltanto una
giustificazione alla tua debolezza... quel marchio che a undici anni
ti ha instillato la certezza che la tua vita non sarebbe più potuta
cambiare: il giudizio del Cappello Parlante.
Un giudizio
scontato,
(o forse no?)
insindacabile,
(avrei
voluto chiedere a quel cencio roso dalle tarme se davvero era ciò
che aveva visto in me, ma Cygnus era stato così contento di vedermi
arrivare al suo tavolo...)
"Gryffindor! Oh,
poveri noi! Il disonore, il disonore!"
Inappellabile.
Per
fortuna.
Con un sonoro crac, un elfo domestico che conosci fin
troppo bene si è materializzato nel tuo soggiorno. Quell'espressione
ansiosa e incredula rende il suo aspetto più disgustoso del solito,
se possibile.
Fingi di non aver compreso i suoi strilli concitati,
lo tieni a distanza pur curvandoti in avanti:
"Cosa mai
succede, Kreacher? Mia sorella sta forse poco bene?"
Poco
bene. Hai usato un sottile e perfido eufemismo, per
descrivere lo
stato d'animo di chi si sta strappando le viscere dalla rabbia.
"Il
padroncino Sirius... ci ha disonorati... oh, la mia povera padrona!
Che mai ha fatto per meritarsi una disgrazia simile?"
Lo
congedi con poche parole di circostanza e la promessa di recarti a
Grimmauld Place il mattino seguente. E quando l'elfo scompare, rimani
a tu per tu con una gioia che in teoria non ti appartiene...
Si
tratta di gestirla, di trattenerti e ripeterti che non sarà tutto
rose e fiori, che tutto può ancora rivoltarsi contro di voi, che
quel ragazzo sarà costretto a soffrire, e tanto, ma il pensiero di
saperlo libero di scegliere è più forte, più grande, e abbandoni
presto ogni freno. Per questa sera non esiste nient'altro che questa
folle esaltazione - potresti persino correre in strada e danzare,
ubriaco di whisky e di rivalsa.
Adesso ridi davvero, vecchio,
pazzo sognatore, mentre i viali di Hampstead si accendono in una
danza tremolante di luci, ridi e ti senti rinascere.
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Capitolo 3 *** Augusta Longbottom ***
AUGUSTA LONGBOTTOM
Il centrotavola era in verità un'enorme tentazione, e avevo diffidato
Neville dal presentarsi in salotto.
Enid aveva promesso una visita per l'ora del tè insieme alla signora
Macmillan, che non sopportava i "marmocchi" (parole sue), a meno che
fossero pulitini e perfettini come suo nipote Ernest. Le tazze a
fiorellini rosa e le fette di pane e burro erano per lei, le Api
Frizzole nella ciotola blu erano per Enid.
Mia cognata, infatti, oltre ad essere distratta e a parlare in dialetto
quando si sentiva ansiosa, era capace di mangiare una dozzina di
dolcetti senza nemmeno chiedere ai presenti se ne gradissero qualcuno.
Ma Enid poteva permettersi qualche stravaganza perché aveva sessantadue
anni ed era sposata con il famoso nullafacente Algernon K. Byrne.
Neville ne aveva dieci - undici, l'indomani - e aveva ancora tutto da
dimostrare.
E poi gli si sarebbe rovinato l'appetito.
- Augusta, ci farebbe piacere se il tuo delizioso nipotino prendesse il
tè con noi - disse Ethel quel pomeriggio, con mio grande stupore. Non
aveva pronunciato la parola "marmocchio".
- È in camera sua? Salgo a chiamarlo... - si era offerta Enid, che non
perdeva occasione per curiosare al piano di sopra.
Ero stata davvero sul punto di gridare "No!" e mi ero fermata in tempo,
ma le guance dovevano essermi diventate viola. - Non è bene che stia ad
ascoltare i discorsi degli adulti.
- Ma ci pensi, Augusta? Nemmeno tre anni fa stavi qui a preoccuparti
che fosse nato senza poteri magici, e tra un mese sarà a Hogwarts. Con
un po' di fortuna, lui e Ernest saranno...
Ma cos'era accaduto a Ethel Macmillan? Dov'era la donna scorbutica e
altezzosa che conoscevo? Avevo forse messo troppo zucchero nel tè?
IIo però non ne avevo ancora bevuto nemmeno una goccia, e glielo
dimostrai senza indugi.
- Sarebbe una buona cosa. Peccato che saranno sicuramente smistati in
Case diverse, ed è difficile che abbiano l'occasione di fare amicizia -
puntualizzai. La frase, tradotta in termini spiccioli, significava: "Il
fatto che voi Macmillan abbiate una lunga tradizione in Hufflepuff non
è certo disdicevole, ma vorrei rammentarti che i Longbottom vengono
assegnati a Gryffindor da secoli".
Non avevo proprio gradito l'allusione: Neville non sarebbe diventato un
Hufflepuff, era impossibile; non poteva che avanzare sotto gli
stendardi rosso e oro di Godric, come Frank, Harold e Harfang prima di
lui, come i Prewett, come i Byrne di cui io e Algernon eravamo gli
ultimi discendenti.
Questa certezza che mi riempiva d'orgoglio e mi faceva tenere la testa
alta davanti a tutti, per l'onestà e la trasparenza di una stirpe tanto
gloriosa, sbiadivano in me quando mi trovavo sola con Neville.
Perché Neville non era Frank, e non sarebbe diventato come lui.
Un Gryffindor, sì, per tradizione e perché il Cappello Parlante avrebbe
riconosciuto la grandezza del suo sangue, non in quanto puro, ma in
quanto degno.
Un Gryffindor, ma non un Auror, meno che mai un membro dell'Ordine
della Fenice.
La guerra era finita da tempo: non mi risollevava, questo pensiero? Non
mi si allargava il cuore all'idea che avrebbe vissuto un'esistenza
normale, senza rischiare la pelle ogni giorno? Non ci vuole
un'intelligenza superiore alla media per farsi strada nel Mondo Magico,
bastano qualche GUFO e un po' di fortuna. Persino io, all'esame di
Incantesimi... già, persino io non sono stata una studentessa modello,
ma a quei tempi una strega di buona famiglia non aveva bisogno di
trovare lavoro al Ministero, c'era già un futuro preordinato davanti a
me e un marito scelto dai miei genitori.
Mi venne da ridere al pensiero di Harold, così come l'avevo conosciuto
a quindici anni, in occasione del fidanzamento: un ragazzino timido,
con il viso tondo e gli occhi castani.
Un ragazzino a cui Neville somigliava molto, anche se tutti si
ostinavano ad affermare che fosse il ritratto di Alice.
La risata mi si fermò in gola, insieme ad un sorso di tè. Strabuzzai
gli occhi, affondando il viso nel tovagliolo e pregando che Ethel e
Enid non se ne accorgessero.
Soffocavo.
Soffocavo perché quel liquido nemmeno più così caldo mi andava di
traverso, mi bruciava i polmoni, soffocavo come Neville era quasi
annegato al molo di Blackpool, per la fretta che avevamo tutti di
progettare il suo futuro - oh follia! follia! 'ché quasi gliel'avevamo
negato allora...
Soffocavo come Harold, l'inverno passato, sulla sua poltrona,
borbottando improperi contro Rita Skeeter e le sue sbrodolate
sull'infallibilità di Cornelius Fudge.
Enid continuava a far sparire con molta grazia le Api Frizzole, una
dopo l'altra, e non certo magicamente. Nessuno si accorse del colore
del mio viso che da paonazzo pian piano doveva essere tornato normale,
mentre solo un poco di fastidio mi arrochiva ancora la voce:
- Spero che domani non piova - buttai lì tranquillamente. - Pensavamo
di andare a Londra. Ora che abbiamo la lista dei libri non è il caso di
rimandare, c'è sempre una tale confusione a Diagon Alley!
- Oh sì - confermò Ethel, il nasino fiero rivolto all'insù. - Tutti
quei marmocchi, una vera seccatura.
Le tazze erano vuote, lo zucchero già disciolto in troppe abitudini.
Un'elfa domestica le portò via e con esse l'ultima traccia di quella
sensazione spiacevole alla gola...
- Sei proprio fortunata, Augusta, che Algernon non sia andato in Cile
come aveva programmato. È una figura importante per il ragazzo, ora che
tuo marito non c'è più.
Di nuovo un senso di ilarità che non potevo lasciar scoppiare, un senso
di ridicolo insostenibile.
Se solo avessi potuto farlo!
Battere i pugni e gridare, non digrignare i denti e inghiottire...
Perché Harold non poteva soffrire Algie! Non lo guardava nemmeno in
faccia, da quel giorno a Blackpool! Era l'unica persona che odiasse, a
parte i Mangiamorte che avevano torturato nostro figlio... Perché lui
avrebbe accettato senza problemi che Neville fosse un Magonò, e non lo
avrebbe mai messo in pericolo!
Ma non potevo urlare quelle cose, e nemmeno sussurrarle, non davanti a
Enid. Lei, in fondo, si era sposata per amore. Era rimasta una
ragazzina, pazza per i dolci e per il suo maritino che la lasciava sola
undici mesi all'anno, con la scusa di girare il mondo.
Harold invece c'era sempre stato, con le sue fossette buffe e gli occhi
sereni, così presente e reale persino adesso, che mi sembrava di
sentirlo ancora: "Augusta, non sei costretta ad indossare quel cappello
per far piacere a mia madre. È un vero obbrobrio".
Ma io non ci sono costretta.
È il minimo del mio dovere, indossare l'unico regalo che quella gran...
dama di Callidora Black mi abbia mai fatto - è un segno di distinzione.
Anche se i marmocchi per strada ridacchiano.
Così, quando quel pomeriggio di luglio fu vinto dalle ombre lunghe che
fanno languire ogni conversazione, salutai le mie ospiti - il
centrotavola era vuoto, Enid non si era smentita - e rimasi per un po'
in giardino. Non una foglia che si muovesse, non una nuvola che
lasciasse presagire una rinfrescata a quell'aria afosa e alle piante
assetate.
Pensavo all'indomani, alla lunga passeggiata per Diagon Alley e a tutte
le cose che avrei dovuto comperare, e mi sentivo già stanca. Certo che
avevo già vissuto quell'esperienza: pergamene, inchiostri colorati, un
calderone e un gufo color pulce che si chiamava Morgause. Ma allora
c'era Harold accanto a me, e Frank non era come Neville, non si
chiudeva in camera a contare cartine di Bolle Bollenti, oh no, tutti ci
invidiavano allora...
Scrollai il fazzoletto in aria e mi pulii il viso dal sudore, e se
dentro c'erano delle lacrime, nessuno le avrebbe viste.
"Sii più indulgente con Nev. Sono sicuro che con il tempo dimostrerà di
essere un mago degno del suo nome"
- Ne sono sicura anch'io, Harold - sussurrai al lieve soffio di brezza
che mi aveva accarezzato dal nulla, e che sparì lasciandomi sola con la
mia ombra distesa sull'erba.
***
Note:
- Il nome del nonno di Neville è inventato (in modo che fosse simile a
Harfang, citato dalla Rowling nell'albero genealogico dei Black, e che
ho supposto essere suo padre); così come sono frutto della mia fantasia
il fatto che lo zio Algie sia fratello di Augusta e marito di zia Enid,
e il personaggio di Ethel Macmillan, la nonna di Ernie.
Spero di essere riuscita
a trasmettervi almeno un poco di ciò che ho cercato di instillare in
questi personaggi.
Ringrazio l'amministrazione di Criticoni per aver indetto la Disfida a
cui questa raccolta partecipa, la mia amica Livia per il suo
onnipresente incoraggiamento e naturalmente le mie beta-readers: ladymarie, Caillean e Cerridwen.
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